ante = Sig a pri n vu eu e È PL ss * pa acta — dl ER EEE cin ca tp ri aaa SELE LI I 7 H 3 IRIUSISIZAIZINE OF TIR MUSEUM 0F OE ZOOLOGY. ea La] i [ela Va) SEP 22 1398 Dt PA vi ‘ARIA IR n) y DIS) io lè + RIA ZAIRE end (ur AUTO ai ti Sets, Hub: Figa i n) PALABONTOGRAPHIA ITALICA MEMORIE DI PALEONTOLOGIA UBBLICATE PER CURA PICO MMENSERTORCANANIA RITI Musro GroLogico peLLA R. UniversITÀ DI Pisa VoLume III — 1897. = PISA TIPOGRAFIA T. NISTRI x C. 1898 HUEUT r Ù UEUMI (co DIRCI INDICE DEL VOLUME III. Der Prato A.. . ... — Il Tursiops Capellinii Sacco del Pliocene piacentino (Tav. I |I}) Risrori G. . . . . . — L'Orso pliocenico di Valdarno e d’ Olivola in Val di Magra (Tav. II-VII vo) Bassani FR... . . — Aggiunte all’ Ittiofauna eocenica dei Monti Bolca e Postale. Con due tavole (Tav. VITI-IX [I-I]) SmoneLLi V. . . . . — I Rinoceronti fossili del Museo di Parma (Tav. X-XVI [I-VII] e Fig. 1 intere.) Parona C. F. . . . . — Descrizione di alcune Ammoniti del Neocomiano veneto (Tav. XVIIEXVIII (1-11}) Vinassa pe Reeny P. E. — Synopsis dei molluschi terziari delle Alpi venete (Continuazione e fine della parte prima): IV. Zovencedo (Tufo glauconitico). — V. Monte Pulli, Caldiero, Bolea ecc. — Parte seconda: Strati oligocenici. — VI. Via degli Orti, Valle Orgagna, Priabona ecc. (Tav. XIX-XX [VI-VII]) Canavari M. . . . .— La fauna degli strati con Aspidoceras acanthicum di Monte Serra presso Camerino. Parte seconda (Cephalopoda: Holcostephanus [Conti- nuazione |, Perisphinetes, Simoceras) (Tav. XXI-XXX [VII-XVI] e Fig. 15-28 interc.) » 1 89 1537 pai va qa Ù v, Sa (Si _ TA LAT RAT ORTI TA LI ra are Mu Mor AT La nd Uan TL i 1h Pa Dott. ALBERTO DEL PRATO Il TURSIOPS CAPELLINII SACCO DEL PLIOCENE PIACENTINO (av GLI) Sarebbe inutile rifare la storia dei Cetacei fossili ritrovati nella zona pliocenica posta fra la sinistra dell’ Arda e la destra del Chero in Provincia di Piacenza, in quel tratto precisamente dove si originano i diversi rami del torrentello Chiavenna, poichè le pubblicazioni speciali riguardanti quei fossili e tutti i lavori di Cetalogia fossile si può dire che se ne occuparono largamente. Guardando soltanto al gruppo dei Delfinoidi che si cavarono in quella regione, per lo scopo della presente relazione, ricorderemo che una bibliografia quasi completa si ha nel lavoro del CAPELLINI, Del Tursiops Cortesiù e del delfino fossile di Monbercelli *, bibliografia che si riassume nei nomi di Cortesi, Cuvier, DESMOULINS, BALSAMO-CRIVELLI, BranpT, Van BeNEDEN. Converrà soltanto aggiungere che il primo ad annunciare e descrivere il Delfino (Tursiops Cortesi Desw.) del Colle della Torrazza, destra del Rio Stramonte, fu veramente CARLO AMoRETTI nelle Lettere su alcuni scheletri trovati da pochi anni in un colle del Piacentino a Mons. GIOVANNI DELLA Torre (Piacenza, 15 sett. 1804), inserite nella Nuova scelta di Opuscoli interessanti ®; in esse si dice che “ presto pubblicherannosi, io spero, le dissertazioni dell’amico ,, (CORTESI). Nella Memoria 2, sulle ossa fossili di grandi animali terrestri e marini scoperti sui colli Piacentini * e nei Saggi geologici degli Stati di Parma e Piacenza *, il Cortesi ha riprodotto quanto scrisse AMORETTI per quel Delfino, copiandone le misure, ripetendone interi brani, nulla aggiungendo, presentando la stessa - figura della testa nelle due pubblicazioni. Più tardi Cuvier nelle Recherches sur les ossemens fossiles, alla tav. 224 ne figurò l’intero scheletro e parti separate ?; e da ultimo il GeRrvaIs e Van BENEDEN nella Osttographie des Ottacés ® figurarono nuovamente la testa come Tursiops Brocchii alla tav. LIX, fig. 5. Coi resti di un altro Delfinoide trovato nel 1804 a Montezago, descritti con qualche dettaglio dal Cortesi nel vol. II della Nuova scelta di Opuscoli ecc., pag. 236-38 ed in poche righe nei suoi Saggi geo- 1 Memorie dell’Ace. delle Se. di Bologna, ser. IV, tom. III, 1882. Tomo I, pag. 3947, Milano, 1804. 8 Nuova scelta di Opuscoli ecc., tom. I, pag. 379-386. 4 Piacenza, 1819. 5 4.me édition. Paris 1836, tav. 224, fig. 1,2,3 a,b, c, 37. 6 Paris, 1880. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 1 to 2 A. DEL PRATO [2] logici, il Barsamo-CriveLLI stabiliva il Zuwsiops Brocchi nella Memoria per servire alla illustrazione dei grandi mammiferi fossili ece.! Finalmente si nota che il Delfino annunciato da Luciano ScARABELLI nella nota ai Georgofili di Firenze 2 fu scoperto nel 1842 nel luogo detto i Ziliolz di Monte Alto, parte però di M. Giogo, dal sig. Lurei Rocca più verso il Sud del punto dove fu scavata la Balena dal PopestÀ, dentro alle solite marne. Ciò risulta da copia originale delle lettere che G.B. Gurmorri in quell’anno dirigeva al Ministro dell’ Interno della Duchessa Maria Lurera per indurlo ad acquistare i fossili della collezione Popestà e si è voluto ricordare per la storia di questo Delfino: nel Gabinetto di Geologia della R. Università di Parma esso è riferito al Delphinapterus Brocchi BALS. e pare trattarsi di un individuo assai giovane. In questo Gabinetto si conserva poi uno “scheletro, (mancante della testa) trovato nel 1804 dal CortESsI nel villaggio di Montezago presso il Chero ,, ed una “metà (destra) della mandibola trovata nel 1805 nel rivo sottoposto a Montezago dove fu trovato quello del 1804, e creduta perciò appartenere a questo ,. Non mi risulta che il Cortesi ne abbia parlato, poichè quello da esso accennato a pag. 52 dei Saggi geologici come scoperto nel 1804 a Montezago (Residui di un altro Cetaceo) costituisce i resti del Zur siops Brocchii posseduti dal Museo Civico di Milano. Dallo StROBEL venne riferito ad un Delphinapterus intermedius n. sp. Fanno parte in fine delle raccolte di quel Gabinetto uno scheletro assai incompleto e senza testa indicato come proveniente da Castellarquato ed ascritto al 7. Corfesiè Desx., oltre parti isolate di delfinodi che appartennero alle collezioni CortEsI: appena una vertebra raccolta da G. B. Gumorti proviene dal parmense 3. Ma di questi ultimi resti nessuno ebbe fin ora ad occuparsi. Dopo la scoperta del Delfino e della Balena fatta nel 1842 dal Popestà non si rinvennero in quella regione resti veramente notevoli di Cetacei, ma solo vertebre isolate ed in piccole serie. Sono ad ogni modo da ricordare le vertebre, scoperte nell’ agosto del 1886 nel burrone del Gallo sotto M. Pulgnasco di Montezago, che il prof. CaPELLINI riferì ad una Megattera avente rapporti colla M. affinis del pliocene di Anversa *. E prima di venire alla descrizione del Delfinoide ritrovato sul finire dell’anno 1895, con- verrà ancora riportare quanto ebbe a scrivere il prof. PAnrANELLI intorno alla causa di questo giacimento di Cetacei fossili ?. “ La interruzione del pliocene marino nel tratto fra il Tidone, Trebbia, Nure e Riglio, e il fatto clie a Podenzano a soli m. 30 di profondità si trova il conglomerato pliocenico alluvionale, fanno supporre durante il mare pliocenico un promontorio assai esteso a N..... ; un altro sprone più piccolo e che ha per nocciolo i calcari del miocene medio o inferiore, trovasi lungo lo Stirone presso Scipione e Salsomaggiore: questi due capi determinavano un golfo con apertura a NNE. di varie decine di chilo- metri, pressa poco grande come quello di Salerno. In questo golfo il dominante era il N., la traversia il NE., e riparato dai venti di W. e di S. si prestava benissimo ad arrestare i cadaveri galleggianti di grossi Cetacei ed anche a fermare i viventi sulle: sue spiaggie occidentali, avviativi dalle tempeste: certo ogni qualvolta un cadavere di cetaceo facilmente trascinato in questi paraggi dal NF. ed anche dal S. era penetrato nel golfo piacentino non poteva più uscirne: in questa è da ritenersi la causa dei molti avanzi di grossi cetacei che sono stati raccolti nel breve tratto fra Castellarquato e Montezago, cioè sul lato W. del golfo ,. i Giornale dell’I. R. Istituto Lombardo, tom. III, 1842. ? Di una Balena, di un Delfino e molte conchiglie cavate dai colli del Piacentino ece. Di questa scoperta è data pure notizia nel giornale I FPacchino, anno IV, n. 11, Parma 1842. 3 Resti di Delfinoidi nel Parmense si rinvennero poi nel 1896 a S. Maria del Piano. DeL Prato A. Delfinoide fossile det Parmense. Rivista Italiana di Paleontologia, anno II, fasc. 3, Bologna, 1896. 4 Boll. della Soc. Geol. It., vol. V, fase. 3, pag: 491. 5 Paesaggio pliocenico dalla Trebbia al Reno. Atti della Soc. dei Naturalisti di Modena, ser. III, vol. XI, 1892. [8] A. DEL PRATO 3 Nella fine dell’ottobre del 1895 mi furono mandate per esame, dai solerti cercatori di fossili fratelli PaLLASTRELLI di Castellarquato, alcune vertebre evidentemente appartenenti alla regione caudale di un Delfinoide; e siccome sì presentavano in serie e mi parve di riconoscervi qualche cosa di diverso da quello fin ora raccolto nelle colline del piacentino, incoraggiai a continuare lo scavo che condusse infatti a ritro- vare uno degli scheletri più completi di Delfinoidi, come bene apparirà nella descrizione. Di esso fece acquisto in seguito l'avv. OpoArDo BacatTI, ben noto a quanti ebbero occasione di occuparsi dei fossili di Castellarquato, il quale con atto di squisita amicizia a mio riguardo volle che ne procedessi alla ricostru- zione e ne facessi lo studio. Presento ora i risultati della mia fatica con questa relazione e mi si vorrà perdonare se avrò errato, non nella ricostruzione che ho curata col massimo scrupolo, ma nell’ assegnare il posto a qualcuna delle parti più danneggiate, poichè quando quel resto mi fu consegnato le diverse parti erano in frammenti e fra loro tramescolate. Il nostro Delfinoide, proprio come quello del Colle della Torrazza, era racchiuso nelle argille marnose plioceniche che formano il fianco sinistro del Rio Stramonte, affluente della Chiavenna, in uno dei primi burroni che si incontrano a circa m. 300 a valle di Casa Ghia a m. 25 in altezza sul corso attuale dello Stramonte; poche specie di molluschi accompagnavano lo strato in cui precisamente giaceva e solo con abbondanza si rinvennero le seguenti: Corbula gibdba OLiv., Dentalium serangulare Lamx., D. Deshayesti Gum., D. incurvum ReN., D. dentalis Gu1., Nassa semistriata Bre. Esso era condotto ormai allo scoperto per fatto della erosione che determinò e mantiene appunto i caratteristici burroni (negrér) di quelle col- line, e per questo alcune parti erano discese già in basso nella frana ed altre furono sicuramente travolte dalla corrente poichè non furono ritrovate: era diretto secondo l’andamento del Rio Stramonte, colla parte anteriore verso valle, cioè da SO. a NE., ed inclinato secondo gli strati che pendono debolmente a N., poggiando probabilmente sulla parte destra del corpo colla convessità dorsale verso il taglio dello Stramonte, poichè rimasero in parte quasi soli vertebre caudali e dorsali oltre i mascellari inferiori. Tutto ciò che venne raccolto si mostra del resto in ottimo stato di conservazione, tanto da aversi nelle diverse ossa una nettezza di particolari che non si ha negli esemplari del Gabinetto parmense né in quelli di altri Musei, il che rende veramente pregevole questo fossile. Si nota però un diverso stato di fossilizzazione nelle due metà laterali del corpo; le parti di destra hanno assunta una tinta nerastra, lucente e sono più resistenti, quelle di sinistra esternamente hanno invece tinta giallastra e sono più friabili. Conviene infine notare che si tratta di un individuo completamente adulto, e questa condizione è da tenersi ben presente nella de- scrizione delle diverse parti e in confronti con specie vicine; le parti della testa e della colonna vertebrale danno già una lunghezza di metri 2,45, ma essa doveva essere ben maggiore, mancando il cranio e molte | vertebre. Nello studio di questo fossile si è seguìta principalmente l’opera del GeRrvars e Van BENEDEN! e le pubblicazioni relative ai Zursiops fossili italiani: ma mi è stato pure utile, l’aver potuto esaminare il ricco materiale del Museo geologico dell’ Università di Bologna insieme all’illustre cetologo prof. CAPELLINI, dopo che egli aveva avuto occasione di vedere presso lo scrivente questo nuovo Delfinoide del Piacentino. Avendo poi seguìto il sistema di dare nella descrizione dei vertebrati fossili, misure nel maggior numero e ben determinate pei punti anatomici ai quali vennero riferite, non sarà possibile un confronto rigoroso colle specie vicine che per ragione di tempi o di metodo vennero descritte in modo diverso dal nostro. 1 Ostéographie des Cétacés vivantes et fossiles. Paris, 1880. 4 A. DEL PRATO [4] Testa. I diversi frammenti, assai incompleti, che rimangono delle ossa del cranio non permettono di trarre alcun dato relativo a questa parte per farne confronti; ne resulta soltanto un notevole spessore in quelle ossa. Sono invece in ottimo stato per lo studio imascellari (Tav. I [I], fig. 1, 1*). Mascellari superiori e relativi intermascellari costituiscono un rostro a margine esterno sensibilmente arcuato ed assai largo, poichè questa larghezza, misurata alla faccia inferiore fra i margini esterni degli alveoli, risulta al*1:60 ralveolo=:di Ur dere LA SRI SIR) ligo se a IR SR RE E ORARIO NG BORE ME . + 0,105 OI atroncaturafdelenas cele 05 ad essa corrisponde, per il tratto alveolare, una lunghezza (in proiezione) a partire dalla punta del rostro di 0,275. Il confine fra mascellare ed intermascellare è ben spiccato: il mascellare si arresta come in punta ottusa al fine del 2° alveolo e di qui in avanti e più ristretto e ricoperto dall’intermascellare che forma l'estremo del rostro ed è sentitamente incurvato in basso. Questa intaccatura o restringimento marginale fra le due ossa in esame, a desumerlo dalle figure date dal GeRrvaIs (Op. cit.) e da quelle del CAPELLINI per l’Orca di Cetona! sarebbe carattere comune delle Orche ed è già presente in alcuni Lagenorhynehus assieme alla curvatura del margine del rostro. Alla faccia superiore del rostro in corrispondenza del 6° alveolo lo sviluppo in larghezza del mascellare ed intermascellare è eguale; al 7° quello del mascellare è già maggiore e tale si mantiene fino all’estremo posteriore. La larghezza massima della faccia superiore dell’intermascellare destro (sempre in corrispon- denza del tratto alveolare del rostro) è di 0,038, la minima di 0,032, quella del sinistro è appena in- feriore di mm. 1. Il confine delle due ossa si mantiene pressochè rettilineo fino circa al 7° alveolo, quindi si dirige debolmente verso l’interno del rostro e raggiunto il 10° rientra più sensibilmente in curva, al- largandosi ancora di poco l’intermascellare dal 14° alveolo in poi; ne deriva un confine fra mascellare ed intermascellare corrispondente a quello disegnato dal GeRvaIs per le Orche, e dal CapELLINI (Orca di Ce- tona) per dimostrare la differenza che tale confine mostra appunto fra il gen. Orca ed il gen. Tursiops. Nel tratto che va dalla punta del rostro al 9° alveolo, mascellare ed intermascellare sono uniti allo stesso livello e costituiscono una superficie convessa che discende regolarmente verso il margine alveolare : indi l’intermescellare si eleva alquanto e si fa convesso mentre il mascellare diviene pianeggiante supe- riormente e presso il margine alveolare determinando così uno spigolo laterale. Per una lunghezza di circa 0,060, i due intermascellari si presentano divaricati fra loro all'estremo del rostro con una distanza mas- sima di 0,006: inferiormente hanno una massima larghezza di 0,005 la quale diminuisce rapidamente e quindi restano ben poco allo scoperto. Ciascun mascellare inferiormente è uniformemente concavo fino al 10° alveolo dal qual punto inco- mincia una inclinazione in senso inverso, cioè all'indietro, della parte esterna. Procedendo ora nei confronti, si ricorda che il CAreLLINI (Orca di Cetona) assegna al Zursiops Cortesii Deswm., oltre la forma più svelta ed allungata del cranio, mascellavi assai meno scoperti degli interma- scellari che non nell’ Orca; Pormis per la stessa specie (Delfino di Contardone ?) nota che i mascellari su- 1 CAPELLINI G. Di un’ Orca fossile scoperta a Cetona in Toscana. Mem. dell’Acc. delle Se. dell’Ist. di Bologna, ser. IV, tom. IV, 1883. ? PortIs A. Catalogo descrittivo dei Talassoteri ecc. del Piemonte e della Liguria. Mem. dell’ Ace. delle Se. di Torino, ser. 2.8 vol. 37, 1886. (Sai [5] A. DEL PRATO periori mantengono il loro bordo esterno quasi parallelo all’interno e la superficie leggermente inclinata all'infuori, e che gli intermascellari conservano, nel tratto corrispondente al rostro, pressochè la stessa larghezza. Tutto ciò risulta anche nel Z’ursiops Brocchi (Cortesi) figurato dal GeRvAIS e già prima ri- cordato. Presenta invece questo nuovo Delfino del Rio Stramonte un rostro orcopsoideo e si accorda così col Zursiops Capelliniù SAcco, di Camerano Casasco 4 poichè anche quest’ultimo presenta un rostro molto ampio nel senso traversale e leggermente arcuato nel margine esterno, gli intermascellari non vi sono rettilinei presentando nella parte media della loro lunghezza un graduale restringimento dopo il quale si allargano nuovamente verso l’avanti, ed inoltre superiormente costituiscono quasi un sol piano coi ma- scellari, mentre che nel 7. Cortesi Desm. essi sono alquanto sollevati. Gli alveoli evidenti nel mascellare destro, per un piccolo frammento che è stato ritrovato, risultano 16 ed anche nel sinistro è facile il riconoscervi lo stesso numero: tutti sono compresi entro l’intaccatura d’arresto del mascellare, con setti di separazione completi; e vanno rapidamente crescendo in ampiezza, mostrandosi sempre più obliqui in avanti e meno profondi dalla punta alla base del rostro. Nessun dente era presente nei due mascellari quando mi furono presentati e gli alveoli erano completamente riempiti e mascherati dall’argilla. Secondo Sacco nel Delfino di Camerano si contano nei mascellari superiori 16 denti, e basandosi anche su questo numero di denti Barsamo-CRIVELLI (/. c.) distinse il suo 7. Brocchii dal T. Cortesii Des. Non fu rinvenuta che la cassa timpanica destra ma assai danneggiata al margine sottile mas- sime verso la parte bilobata: il margine ingrossato è curvato ad S colla branca che va all'estremo bilobo più breve, più arcuata e con solcature; esternamente la superficie è rugosa. Misurata a partire dall’ in- senatura fra i lobi ha una lunghezza di 0,0415, con una larghezza di 0,024 alla porzione bilobata e di circa 0,025 nella parte mediana. Il periotico che rimane è pure quello di destra e non presenta particolarità da rilevarsi. La cassa timpanica si accorda bensì colla figura 1% della Tav. LX del GeRrvaIs, ma è di dimensioni alquanto maggiori, mentre il periotico si accorda perfettamente per forma e per dimensioni coll’ altra figura I della stessa tavola; figure che rappresentano resti provenienti da S. Frediano in Toscana. I due rami della mandibola sono quasi egualmente completi, anzi il sinistro manca soltanto di qualche pezzo al margine infero-posteriore raggiungendo ancora un’altezza di 0,110 alla sommità dell’apo- fisi coronoide; su di esso si fonda quindi l’esame della mandibola. La sua forma è fortemente contorta ed in complesso convessa alla faccia esterna; anche nel Delfino di Camerano i rami della mandibola sono notevolmente arcuati all’infuori corrispondendo così alla incurvatura dei mascellari superiori. La simfisi inclinata dall’alto al basso e dall’esterno all’interno tende ad essere anteriore non interna; forma un qua- drilatero mistilineo coi due margini laterali quasi retti, il superiore convesso verso l’alto, 1’ inferiore in- cavato verso il basso, lasciando così una gola fra gli estremi dei margini laterali proeminenti. Al mar- gine inferiore di ciascun ramo si manifesta anteriormente, per il prolungarsi in cresta del margine della simfisi, una ben spiccata angolatura come si vede in alcuni LagerorRyrechus. Evidentissime sono le tre aperture del forame mentoniero poste affatto all’estremo anteriore dei mascellari e vicinissime fra loro: nel ramo destro la seconda di esse è suddivisa: Sacco nota che nel Delfino di Camerano i due fori an- teriori esterni sono molto avvicinati. La lunghezza totale del ramo sinistro è di 0,467 con una distanza di 0,232 dall’ultimo alveolo all'estremo dell’articolazione; la simfisi misura al massimo 0,060 dall’alto al basso ed ha una larghezza di 0,036; la cresta alla parte superiore della faccia interna nella porzione non alveolare è larga 0,025. i Sacco F. Il Delfino pliocenico di Camerano Casasco. Mem. della Soc. It. delle Sc., tom. IX, ser. 3.8 N.5, Napoli, 1893. 6 A. DEL PRATO [6} Non è facile determinare l’altezza nei diversi punti di un ramo mandibolare per la forma contorta sopra descritta: le seguenti misure sono determinate sul margine alveolare interno: ANA7oalveo lo (duorifdell'afstnfs) Ere e e 01048 PM AR 07 TOO i ai e e E e e e e I TOOL) IE A E SR o an onono 0 o 0 (00 160 a RR e EE 0105 CapeLLINI per il 7. Cortestì Desm. ricorda che la lunghezza della branca sinistra mandibolare è di 0,460 con un’altezza corrispondente all’8° molare posteriore di 0,042 (Delfino di Monbercelli); stabilisce poi (Orca di Cetona) le seguenti differenze in altezza nella mandibola ritenendone una lunghezza di 0,515: fra quella all'ultimo dente posteriore e quella al 7°. . . 0,001 in meno » t2) » » 1120 . . . 0,010 » » » » ” DO o. No . 0,008 9) nel nuovo individuo in esame si avrebbero invece le seguenti: fra quella all'ultimo dente posteriore e quella al 7°. . . 0,006 in meno » 5 5 3 1 RE RIO! O OI » » » » 5° . . . 0,008 » Lo spessore dello stesso ramo sinistro, fra i bordi superiori, è dato dalle cifre seguenti : InNicorrispondenza de MRRi6Ufave 010 MERE e ee 0:02 È RISRRE IE VI UE ato SOR n Pe 01095 a ca CS1LO O (00 Da n A I0I000 h De AO du ah A Ro 05 A PRGUURC i o SO agree de NA 00/7 Tutte queste cifre stabiliscono certo delle differenze fra questo Delfino dello Stramonte e quello della Torrazza (T. Cortesiù Desm.); ma la lunghezza delle branche mandibolari rimane quasi uguale nei due in- dividui. Anche in questi mascellari inferiori il numero degli alveoli è di 16, ma soltanto 15 sono rego- larmente sviluppati essendo il secondo in ciascun ramo ora chiuso e schiacciato, lasciando però traccia ben sicura della sua presenza. Il 1° è assai piccolo di fronte al 3° (ritenuti 16 gli alveoli) e da questo all’ 8° l’aumento in larghezza è regolare decrescendo poi gradatamente i seguenti. Per la forma della mandibola la linea che umisce i bordi esterni degli alveoli raggiunto il 6° alveolo si dirige sentitamente verso l'interno bordo mandibolare. Gli alveoli anteriori sembrano un po’ obliqui in avanti e verso l’esterno. Nessun dente era presente nei mascellari superiori e quando questi, come si disse, furono conse- gnati presentavano gli alveoli mascherati completamente dal riempimento argilloso; tre soli erano in posto, 11°, 12°, 13°, nel ramo destro della mandibola, altri diciotto furono raccolti isolati. Ammesso che questi ventun denti appartengano tutti alla mandibola, e seguendo il criterio della forma, delle logorazioni che debbono essere anteriori, dello stato diverso di fossilizzazione che si manifesta col color nero anche nel ramo destro della mandibola, della obliquità all’estremo anteriore della radice, quattordici di essi appar- terrebbero al ramo destro costituendo una serie mancante solo del 14° dente oltre al 2° mancante per caduta, sette al ramo sinistro biancastro esternamente. [7] A. DEL PRATO 7 Nella supposta serie destra troviamo una forte sproporzione nello sviluppo e forma assai differente dei denti; gli anteriori sono conici, curvi, acuti, mentre al 10° la radice si fa quasi diritta: i primi sono assai piccoli, e questo appare anche dagli alveoli, e crescono gradatamente, ed è improvviso il passaggio da una forma all'altra ora accennata nella radice. Queste ultime condizioni si verificano anche nel 7. Brocchi Bars. di S. Lorenzo in Collina, come risulta dalla serie dei denti figurata dal CaApELLINI!, e ri- portata dal GERVAIS alla Tav. XXXIV, fig. 10, e dall’avvertenza che “ la doppia curvatura dei denti scom- parisce in quelli della porzione mediana che sono anche i più grandi ,. Nell 11° si rende evidente una compressione nella radice più accentuata verso la punta, la quale determina uno spigolo che guarda all’indietro ed all’interno della mandibola: il 13° alla punta della radice è quindi già di contorno ovale, il 15° e 16° sono affatto schiacciati. Della forma degli altri denti sarebbe interessante una precisa descrizione, ma essa tornerebbe inutile nell’incertezza della bontà della serie stabilita: si aggiungono solo le misure in lunghezza, esclusa quella del 10° perchè incompleto: e ee 0016 ORE aa 0038 Boe 0020) TO E RR ON OLiI AO Rea: 24. IE RASO; 01 imposto DOME ai (ae OI IO SR N L00398 \ GEE o SOT IO na 0085 OMO 0030 GO ce 6 oa 10082 SOR ee OI Tenendo conto delle dimensioni del 4° dente della mandibola del 7. Cortesi? Desm. e del 7. Brocchii Bars., del Museo di Milano, figurati dal CapeLLINI (Orca di Cetona) appaiono subito le differenze dal nostro, nel quale, del resto, i denti non raggiungono le dimensioni massime (0,055) di quelli del 7. Broc- chiù di S. Lorenzo in Collina, per quanto si tratti di un individuo completamente adulto. Il colore dello smalto della corona è grigio azzurrognolo, e dove vi è stata logorazione il colore del dente è nero. L’osso joide (Tav. I[I], fig. 2) è in ottimo stato di conservazione ed ha la forma assegnata ai Del- fmoidi: si è quindi creduto utile darne la figura anche allo scopo di mettere in evidenza le due apofisi sul mezzo in avanti che secondo CuvieR sono più o meno avvicinate nei diversi generi e specie 2. Per quanto la saldatura tra corpo e corna posteriori sia completa, i limiti ne sono però ben distinti; il corpo per lo sviluppo delle due apofisi anteriori ha contorno irregolarmente esagonale corrispondendo un lato al margine interno ed è concavo alla faccia superiore convesso alla inferiore. Le due apofisi anteriori sono larghe circa 0,015 (con differenza fra l’una e l’altra) e distano all’estremo di 0,012; ai margini esterni inferiori la larghezza del piastrone è di 0,037. Dal mezzo del tratto posto fra le due apofisi all’estremo del corno posteriore destro si ha una distanza di 0,165, dal limite della saldatura fra corpo e corno di 0,120: la larshezza massima del corno destro si calcola a 0,041. Secondo l'affermazione del Sacco nel Delfino di Camerano le ossa ioidee posteriori sono un po’ più corte di quelle del 7. Zursio, ma più larghe e più robuste con forte curvatura al margine anteriore. Le ossa stiloidee (Tav. I [I], fig. 3) sono entrambe rappresentate, ma sono incomplete; nella si- nistra si hanno però i due estremi e viene figurata per il confronto con quella del Delfino della Torrazza 1 CaPELLINI G. Delfini fossili del Bolognese. Mem. dell’Acc. delle Se. di Bologna, ser. II, tomo III, 1864. ? Cuvier G. Lecons d’Anatomie comparée, 3.0 édit., Bruxelles, 1849. 8 A. DEL PRATO [8] data dal Cuvier alla tavola 224, fig. 37 e che presenterebbe, al dire dell’autore, una grossezza più uni- forme del solito 1. Sono ossa triquetre a superficie rugosa, rigonfiate nella metà inferiore in cui termi- nano ottuse ed appena ristrette con superficie di unione sincondrosica; all'estremo superiore la testa ar- ticolare ha direzione trasversa. La lunghezza loro si calcola in 0,140. Colonna Vertebrale. Vi sono rappresentate in complesso 36 vertebre la maggior parte delle quali incomplete mancando esse, tranne le due prime cervicali, dell’arco superiore ed avendosi solo in quattro della regione dorso- lombare apofisi trasverse; i dischi epifisari sono tutti intimamente saldati coi rispettivi corpi vertebrali. Le regioni dorso-lombare e caudale sono meglio rappresentate che nel Delfino della Torrazza ove non si hanno, dopo le cervicali, che 26 vertebre, e la caudale meglio che nel Delfino di Camerano. L’atlante è saldato completamente coll’asse (epistrofeo) e coll’arco superiore della 3* cervicale della quale manca il corpo; assieme raggiungono uno spessore di 0,045, misurato alla base in corrispon- denza dello spazio interarticolare della faccia anteriore dell’atlante, spessore che parrebbe un po’ minore, desumendolo dai gessi, di quello corrispondente nel Delfino della Torrazza e di Montezago (7. Brocchii Bars.). La larghezza della faccia anteriore dell’atlante, ove appare massima, e di 0,120 e quindi notevolmente minore (di 0,015) di quella che si ha nelle due specie ora citate; l’apofisi spinosa è lunga in complesso 0,083 ed è attondata con debole cresta mediana, inferiore quindi ancora, di circa 0,025, di quella del Delfino della Torrazza (7. Cortesiù Desm.) che è poi allargata, compressa ed a cresta forte riconoscibile fin verso l'estremo dell’apofisi. Si ricorda pure che nel 7. Brocchiè (Montezago) secondo Barsamo (1. e.) il processo spinoso dell’atlante è molto più lungo e robusto di quello del 7. Cortesi? Desm. (Torrazza) quantunque il corpo abbia eguali dimensioni. La larghezza totale dell’atlante comprendendovi le apofisi trasverse è di 0,230; il diametro orizzon- tale della faccia posteriore del corpo dell'asse (0,055) ed il verticale (0,052) si mantengono minori di quelli della terza cervicale del 7. Brocchi (Montezago), e ciò sempre desumendolo dai gessi, ma con mi- nori differenze di quelle già notate per l’atlante: questa seconda vertebra si dimostra assai sottile. La distanza verticale dal margine anteriore dell’atlante alla punta della cresta che sta sul mezzo dell’ arco ed apofisi spinosa di 0,093 corrisponde a quella delle due specie già note del Piacentino: l’arco in com- plesso è elittico colle due dimensioni massime eguali a quelle del Delfino di Montezago, meno sviluppate e con minore differenza fra loro che non in quello della Torrazza: ciò porta che l’arco tende più al cir- colare che in quest’ ultimo. Il margine supero-laterale della faccia articolare non si eleva sulla superficie del corpo mancando il solco profondo prossimo al margine stesso che si ha nelle due specie colle quali si fa confronto, e verificandosi solo una debolissima depressione. Le superfici articolari sono a contorno ovale colla parte ottusa in alto, separate sul corpo da un tratto della larghezza minima di 0,010 e di 0,020 al margine inferiore dell’atlante ove determina una incava- tura. Nel margine anteriore di questo, fra l’apofisi trasversa e l'estremo inferiore della superficie articolare, si nota una insenatura che pare accennata anche nella fig. 1, tav. III data dal CapELLINI (Delfini fossili ecc.) per il 7. Brocchiù Bars., ed è bene indicata nella fig. 1, tav. XXXV del GervaIs per l’atlante del 7. Tusio Desm., al quale corrisponde affatto il nostro, salvo forse una più accentuata divergenza fra le due super- fici articolari che nella parte interna superiore distano di 0,066. 1 Cuvier G. Recherches sur les ossemens fossiles, 4.° édit., 1836. [9] A. DEL PRATO 9 La lunghezza massima delle superfici articolari è di 0,074, la massima larghezza di 0,048. Le apo- fisi laterali sono appena più corte di quelle del tipico 7. Cortesiî, compresse orizzontalmente, rivolte col- l'estremo verso l’alto. Si è insistito sopra i particolari dell’atlante poichè esso è ritenuto importante nella distinzione dei Delfini (Sacco). Oltre all’atlante ed asse e porzione dell’arco della 3* vertebra, è rappresentata della regione cervi- cale, dal solo corpo e porzione dell’arco neurale, evidentemente la 7° poichè manca delle apofisi trasverse e presenta superfici articolari per le coste: la sua larghezza è di 0,065 l’altezza di 0,056, con uno spes- sore di 0,013 al margine superiore più sviluppato dell’inferiore. Ingrossata ai lati in corrispondenza delle superfici articolari per la testa della prima costa, presenta il di sotto di esse due leggiere insenature; e per lo sviluppo in avanti degli ingrossamenti laterali la faccia anteriore appare incavata, ripetendo la condizione accennata alla fig. 7, tav. XLVI dal GeRrvaIs per l’ Orca gladiator. Le vertebre seguenti dorso-lombari sono state disposte in serie secondo la crescente lunghezza del corpo e per il restringimento progressivo del canale vertebrale. Della regione dorsale restano soltanto sei vertebre ridotte al corpo e mancano sicuramente le prime: le dimensioni loro progressive sono le seguenti: lungh. alt. largh. COMPA OO n 005 re Sao dea REN = VOCE e i OO 0052 VOOR RE IROVIZR IAT V005 CO eee e 0:00) 0098 CO] RE, ee OO 00 re 0060) Il CapeLLINI (Delfini fossili ecc.) per il Delfino di S. Lorenzo in Collina (7. Brocchi Bars.) assegna ad una delle prime dorsali la lunghezza di 0,058 col diametro di 0,046; alle ultime dorsali una lun- ghezza da 0,058 a 0,060 con un diametro corrispondente. Le due prime della serie, con faccia posteriore più ampia, mostrano anche più accentuata la diffe- renza corrispondente in ampiezza del canale vertebrale; due hanno processi trasversi e corrispondono alla 11° e 12? dorsale del 7. Tursio, tav. XXXV, fig. 9 del GeRvAIS. Anche della regione lombare non sono rappresentate che sei vertebre e due sole portano apofisi tra- sverse che una fanno corrispondere alla 17% del 7. Zursìo: lo stato loro di fossilizzazione mostra assai bene che non costituiscono serie continua come lo provano le misure seguenti: lungh. diametro OOO e O e ig 0 OO RR E O E n i OOO). COSO E e e nn 00 RAR E REN N O OOO COSI e uc TOOTO IR BROS Se e e e i era GOT La lunghezza delle vertebre di questa regione è dunque maggiore dell’altezza e la larghezza press’ a poco corrisponde a quest’ ultima. Il Cortesi (Saggi geologici, pag. 49) dà per le lombari del Delfino della Torrazza la lunghezza di 0,067 e l'altezza di 0,063. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. ; 2 10 A. DEL PRATO [10] Nessuna apofisi spinosa fu raccolta della regione cervicale, solo poche, isolate della regione dorso-lombare e limitate tutte al tratto che va dalle metapofisi all’ estremo. Tenendo conto che nei 7ursiops le apofisi spinose nella regione posteriore lombare sono dirette in avanti, e che nei Cetacei in generale esse si allungano e si allargano fino alle estreme lombari, la più sviluppata di quelle che rimangono do- vrebbe appartenere alla ultime lombari; in essa fra il termine anteriore e posteriore del canale si ha una larghezza di 0,070 che si riduce nel mezzo a 0,050; la sua forma è al tutto appiattita e la lun- ghezza, sopra il canale neurico, per quanto sia incompleta, è di 0,105. CortesI (Saggi geologici ecc.) dà per un’apofisi spinosa lombare del Delfino della Torrazza, la lunghezza, misurata come ora si disse, di 0,094. Le vertebre caudali raccolte sono venti e, per ragioni facili a comprendersi, si presentano assai complete; mancandone tre delle ultime parallelepipedi (supposto rientri questa specie nel genere Tur- stops) non mancherebbero che quattro vertebre della regione anteriore. Restano pure due apofisi spinose e due trasverse isolate. La prima di quelle che conservano apofisi trasverse corrisponderebbe alla 7° e presenta il margine anteriore di queste apofisi assai oblique sul corpo; la serie si presenta indi di ver- tebre complete dalla 10? alla 19* compresa, oltre le cinque di forma parallelepipeda; alla 10% si notano già i due canali arteriali verticali, ma l’inferiore in questa è aperto. Nella serie stabilita le dimensioni sono le seguenti: lungh. altezza alla faccia ant.® 0084 IE O 00 e OO ee cala a eee 0078 TR ai NONO SIE AE OOO) ARR UR Opi alpe Ea aaa ine COMOTO OT OO I MO e IT IMERESE e OO aio a eat a 60 a o 0078 VOR LA 007900 0 RA 0070) II, RO 070 ROOT RAR MO 09 LA AO DRD 06 Lee e LORO IO RO OLO, 16nce RIA atte Ae a Se 0017] 7A CE RO 00 RA ROOT IBEROSTAR POETA TEO A IR ERG NETTI SNO È nella 7° che si presenta la più estesa superficie articolare per le ossa a V od emapofisi, superficie assai notevole anche nella 6* ed 8%; alla 17* si manifesta bene, per quanto siano ancora accennate le apofisi trasverse, la forma latero-compressa, e mentre è piccola la differenza in altezza fra la faccia an- teriore e posteriore è invece assai forte quella in larghezza e la faccia posteriore manifesta quindi assai bene il contorno proprio dei 7ursiops: nella 18% e 19° la faccia anteriore è pianeggiante la posteriore assai convessa al margine. Le apofisi spinose a partire dalla 10% vertebra decrescono gradatamente e verso la porzione estrema di questa regione, hanno il margine posteriore fortemente obliquo, molto più che nelle corrispondenti del 7. Tursio, fig. 9, tav. XXXV del GervaIs; nella parte medio-posteriore pre- sentano all’arco neurale due spiccati processi anteriori (metapofisi) che come ingrossamento rettilineo si manifestano sui lati delle apofisi spinose stesse. [11] A. DEL PRATO 11 Nulla vi è da osservare intorno alle cinque caudali di forma parallelepipeda. Le emapofisi (ossa a V) rappresentate sono otto, quasi tutte complete, colla forma delle mediane ed ultime del Delphinus delphis date alla fig. 9, tav. XL dal GeRvAIS; sono assai robuste con processi inferiori ben sviluppati che vanno prendendo forma allargata all’indietro. Coste. Rimangono dieci coste dal lato destro e dieci dal sinistro ma senza esatta corrispondenza, poichè in quelle sinistre vi è rappresentata la 4* anteriore mentre vi manca una delle quattro posteriori che si trovano a destra. Nessuna di esse è veramente completa e mancando pure la serie completa delle ver- tebre dorsali non è possibile il dire quante coste possedesse il presente individuo. Notasi intanto come nel lato sinistro siano 7 le coste che si biforcano in testa e tubercolo e come nel destro ve ne siano si- curameute 6, mentre il gen. 7ursiops, secondo GERVAIS, non presenterebbe questo carattere che alle prime cinque coste: nel Delfino di Camerano queste coste biforcate sono sei ad ogni lato (Sacco, /. c.). Si prendono ora in esame quelle di destra perchè più complete. La 1° è molto allargata con gibbosità e rilievi nella faccia anteriore della parte vertebrale e qualche sinuosità al corrispondente tratto del margine esterno o superiore: la sua larghezza massima, poco al di sotto del tubercolo, è di 0,050 con uno spessore di 0,015: in quello di Camerano la larghezza massima è di 0,030. La testa compressa secondo il piano della costa è preceduta da un collo ben marcato ma breve. La 2? è pure assai allargata ma tende già alla forma ordinaria, con testa più ristretta che nella precedente ma con collo più sviluppato: la larghezza massima è di 0,040, lo spessore della parte allargata di 0,014. Nella 3 la porzione vertebrale è ancora larga 0,035 nel breve tratto che va dal tubercolo al ter- mine del margine superiore contorto all’indietro, 0,028 circa, non essendo di sviluppo uniforme, nel tratto seguente assai più lungo; quindi la costa acquista per poco tratto sezione trigona per continuare poi elittico-depressa fino all'estremo. È questa una delle più complete per quanto non sia integro l’ estremo sternale e manchi il collo e la testa articolare: la sua lunghezza secondo l’arcuatura esterna si può ri- tenere di 0,550. La 4 costa è rappresentata soltanto nel lato sinistro dalla sua estremità vertebrale ma non vi è testa articolare: la faccia anteriore è assai più convessa che nell’antecedente e la sezione diviene ben presto decisamente trigona. Quella che verrebbe come 5? nella serie essendo incompleta tanto nella parte destra che si esa- mina, come nella sinistra, non può dar luogo ad esatte osservazioni: vi è ancora evidente un tratto al- largato abbastanza lungo all’estremo vertebrale, e la testa col collo isolata che le si può riferire non è più compressa secondo il piano della costa ma trasversalmente come nelle due successive. La 6° si può ritenere completa mancando ben poco all’estremo sternale; essa è ancora notevolmente incurvata all’estremo vertebrale ma non è più allargata e vi spiccano i due rilievi anteriore e mediano che diventano confluenti: la sua lunghezza è di 0,620. La 7? sinistra completa all’estremo articolare è mancante solo di un tratto sotto alla piccola apo- fisi della cresta supero-posteriore arriva alla lunghezza di 0,630; è quella che presenta testa più grossa e più forte il collo che la precede ed è ancora molto incurvata di fronte alla seguente. La larghezza in questa come nella precedente varia da 0,020 a 0,026. Si nota ora per il confronto come la costa più lunga del Delfino della Torrazza arrivi ad 1 piede e 7 pollici, lunghezza che corrisponderebbe a 0,513 seguendo la trasformazione ammessa dal Cuvier (Op. cit.), per le misure date per quel fossile dal Cor- 12 A. DEL PRATO [12] tesi. Per il Delfino di S. Lorenzo in Collina il CapeLLINI calcola che una delle coste mediane dovesse avere la lunghezza di 0,500, e per quello di Camerano il SAcco dà la massima lunghezza delle coste secondo l’armatura in 0,460. Invece nell’Orca di Cetona (CAPELLINI), la quinta e la sesta costa hanno una lunghezza di 0,600 ed una larghezza media da 0,022 a 0,027. Nell’ 82 cessa la biforcazione in testa e tubercolo ma l’estremo vertebrale ingrossato è nettamente distinto in una porzione articolare interna ed in una parte esterna rugosa corrispondente alla testa e collo delle precedenti ma affatto rudimentali: questa conformazione si ha pure nella corrispondente sinistra. La 9* e 10% complete alla testa articolare soltanto nel lato sinistro non presentano note degne di rimarco ; 1’ 11° destra è mancante della testa e non può essere considerata che per le curvature dei due margini che l’assomigliano all'ultima costa del 7. Zursio, tav. XXXV, fig. 11, del GeRvAIS ed alla quin- dicesima (ultima) del D. Delphis, fig. 15*, tav. XL dell’opera stessa. Queste ultime coste sinistre presen- tano ancora un margine supero-posteriore acuto e la piccola apofisi nel tratto superiore di esso. Sterno e Sternebri. Dello sterno, raro allo stato fossile, sono presenti il corpo completo, ed una parte che si riferisce al manubrio poichè anche incompleta supera già la lunghezza massima del corpo, saldati fra loro: solo il corpo si presta a misure e confronti essendo il manubrio incompleto alle parti superiori e laterali e rap- presentato nella sola faccia esterna. Il corpo a faccia esterna leggermente concava coi margini laterali incavati, presenta pure un incavo al margine posteriore con evidente superficie di articolazione per sin- condrosi: la sua lunghezza, dalla linea di saldatura col manubrio al centro dell’incavo posteriore è di 0,104, la larghezza minima di 0,048 quella presa alle superfici articolari posteriori (non ben complete) di 0,082. Al margine interno e superiore della cavità articolare destra che sta al confine col margine posteriore del corpo, resta ben conservata un’ apofisi conica di 0,009. Sacco (Delfino di Camerano) dice non conosciute le coste sternali nei 7ursiops pliocenici e de- scrive quelle del suo 7. Capellinti: sfortunatamente le fototipie che accompagnano la memoria non per- mettono di rilevare di queste ossa i precisi particolari. Nel nostro Delfino dello Stramonte si contano con sicurezza resti di sette paia di sternebri, ma solo tre sono in condizioni per prestarsi a confronti. La 1 costa sternale (Tav. I [I], fig. 4) ha forma schiacciata, contorta con margine esterno convesso- acuto e tendente a formare cresta, margine interno concavo assai ottuso; la destra è lunga 0,145, larga 0,055 all’articolazione costale, 0,031 a quella sternale con uno spessore di 0,015. Si considera come 2* una mancante della tuberosità sternale che non presenta ancora vera cresta latero-anteriore e coll’articolazione costale allargata secondo la larghezza del corpo. Invece un frammento che non può rappresentare che un terzo della costa, con articolazione costale a figura subquadrilatera e colla lunghezza. maggiore normale al piano di allargamento del corpo, rappresenterebbe la 3% costa ster- nale facendo serie colle seguenti. Complete sono quelle del 4° paio (Tav. I [I], fig. 5), con articolazione costale compressa trasversalmente al corpo, cresta latero-anteriore ben sviluppata e con margine convesso, ristrette ed incavate in questo mar- gine nel terzo sternale; sono lunghe 0,173. Sacco nota che la 48 costa sternale del Delfino di Camerano porta cresta latero-anteriore ancora eminente. Poco diverse in lunghezza risultano quelle del 5° paio dalle precedenti ma colla cresta latero-ante- riore assai meno distinta dal corpo ed articolazione costale più stretta: nel Delfino di Camerano la parte media esterna della 5* costa sternale ha il margine latero-anteriore abbastanza ‘spiccatamente crestato. [13] A. DEL PRATO 13 Il 6° paio sarebbe rappresentato da due frammenti; quello di destra lungo 0,065 ad articolazione ancora allungata, senza vera cresta al corpo ed a sezione subtrigonale: degli altri frammenti che rappre- sentano il 7° ‘ed un 8°? paio è inutile parlare perchè sono troppo incompleti. Estremità. I due arti anteriori sono quasi egualmente rappresentati mancando in gran parte delle falangi; in questo stato però costituiscono ancora una rarità paleontologica (SAcco, Op. cit.). L’omero destro è ol- tremodo grosso e robusto come risulta dalle misure seguenti: lunghezza massima 0,116, larghezza massima 0,074, spessore (alla testa articolare) 0,075: nel Delfino di Camerano l’omero è lungo 0,090, largo 0,065. La parte tuberosa si eleva appena sull’orlo superiore della testa, della quale è assai meno sviluppata re- standone però ben distinta: le tuberosità salienti sono poco distinte fra loro, come avviene nei 7ursiops secondo GERVAIS (pag. 592). Tutto l’osso è a superficie aspra, rugosa, e per la forma generale si ‘avvicina a quello del 7. Tursio tav. XXXV, fig. 14 del GeRvaIs. In tutti e due gli arti il cubitoè saldato col- l’omero, il che è carattere dei 7ursiops secondo GERVAIS, per la metà dell’estremo che comprende 1’ apo- fisi antero-esterna (olecrano): quest’apofisi ben sviluppata è normalmente impiantata sull’osso e mon di- retta colla punta verso l’ omero come nel Delfino di Camerano. Per questa direzione ‘dell’ apofisi ‘come per l’incavatura del margine esterno, questo cubito corrisponde a quello del Lagenorhynehus Eschriehti, tav. XXXV, fig. 33 del GeERvAIS, ma il margine interno non è incurvato. La lunghezza massima, presa sulle faccie articolari, è di 0,107; e presa la lunghezza massima ‘dell’omero, o sulla testa o sulla tube- rosità, in questo Delfinoide dello Stramonte essa è maggiore di quella del cubito. GERvAIS (pag. 24) ‘af- ferma che l’omero è nei Cetacei costantemente più corto del radio e del cubito, e le misure date dal Sacco per il Delfino di Camerano si accordano con quella affermazione, avendo il cubito la lunghezza mas- sima di 0,095, cioè di 0,005 in più dell’omero. Il radio si presenta normale e la superficie articolare superiore è assai obliqua: la sua lunghezza è di 0,122, la larghezza all’estremo superiore di 0,040, all’inferiore di 0,068. Nel Delfino di Camerano la lunghezza del radio è di 0,105, la larghezza massima inferiore di 0,052. Il carpo è incompleto mancando l’osso procarpo posteriore (cubitale) in entrambi gli arti, mentre sono presenti in tutti due, l’intermediario e l’anteriore (radiale). Nel lato sinistro vi sono le due ossa del mesocarpo che è facile collocare a posto per il solco che portano alla faccia interna in corrispondenza di quello offerto dall’intermediario. Il radiale è in complesso esagono-irregolare per aver alterni tre lati più lunghi con tre assai più corti: due lati opposti dei più lunghi essendo convergenti, l’osso risulta as- Sai più ristretto verso l’esterno; l’intermediario è subromboidale per avere due faccie laterali opposte assai ristrette. Le condizioni di forma di queste due ossa sono ben riprodotte nella fig. 14, tav. XXXV data dal GeRvaIS per il 7. 7ursio. Le due ossa del mesocarpo di sviluppo press’ a poco eguale sono di contorno subpentagonale: l’esterna è un po’ allungata, l’interna di figura più regolare. Vi sono quattro metacarpiani e diverse falangi, ma non essendo state queste ossa raccolte in sede non si tenta la loro determinazione: è pure presente, al lato sinistro, il metacarpiano e la falange rela- tiva del pollice assieme saldati. Nel 1883 il CapeLtIinI (Orca di Cetona) avvertiva che ancora non conosceva scapole nè del 7. Cor- testi Desm. nè del 7. Brocchi Bars. e neanche di alcun altro Delfinoide italiano: nel 1893 Sacco descri- veva quella del Delfino di Camerano. In questo nuovo individuo la scapola destra è ancor bene rappre- sentata per quanto manchi della parte intermedia fra i margini supero-anteriore e postero-inferiore e sia incompleta nel contorno, nell’acromion e coracoide. La parte che rimane dà ‘ancora un :diametro verticale 14 A. DEL PRATO [14] di 0,172 ed uno antero-posteriore di 0,200. La parte ben conservata è quella articolare: la fossa gle- noide poco profonda, ha contorno elittico-ottuso con bordo esterno ed interno arcuati, con un diametro antero-posteriore di 0,052 ed uno ad esso normale di 0,040. Il solco del margine supero-anteriore, per quanto incompleto, si dimostra inclinato nella estremità posteriore verso l’interno della scapola stessa, ripetendo il fatto osservato dal Sacco nel 7. Z'ursio. L° acromion incurvato verso il coracoide si dirige col margine che si diparte dal collo verso la cavità articolare, e per quanto sia incompleta, questa scapola corrisponde in modo notevole a quella del 7. Tursio, tav. XXXV, fig. 13 del GervaIs. La scapola sinistra è rappresentata soltanto dalla parte articolare. Tenendo conto della forma delle ossa pelviche rappresentate alla tav. XLVI dal GervaIs per le Orche riproducendole dall’ EscHRICHT, credo sia da riferire ad esse un osso che del resto non potrebbe essere ascritto ad alcuna altra parte di scheletro (Tav. I [I], fig. 6). Non conosco descritte ossa pelviche di Delfinoidi fossili, e GERVAIS (pag. 592) non descrive quelle del 7. 7rsio non possedendole l’individuo da lui preso in esame; Van BeNEDEN*! figura l’osso del bacino di destra di un Delfino che riferisce in modo dubbio al 7. Tursio ma non lo descrive: per quanto la figura sia poco significativa, essa ricorda molto la nostra. È noto come esse siano ossa pari, di sviluppo alquanto diverso secondo i sessi, alle quali si attac- cano i corpi cavernosi nel maschio, e che si considerano quindi come ischii, allungate, convesse al di sopra concave al di sotto, unite alla colonna per tessuto fibroso (HuxLEY). Nella Phocaena communis il lato convesso è volto all’insù e le estremità piccole sono sul davanti. Per tutte queste circostanze e per la sua forma il nostro esemplare rappresenterebbe l'osso pelvico di destra. In esso non si nota alcun ingrossa- mento dietro il centro, come avviene nella Pl. communis, per l'attacco del corpo cavernoso, nè alcun tratto spiccato di altra superficie di attacco: ma non conoscendo a questo riguardo i particolari presentati dagli altri Delfinoidi, non so se sia lecito concludere che questo individuo dello Stramonte fosse di sesso femminile. L’osso è incompleto all’ estremo anteriore, ma non può mancar molto, ed in questo tratto è com- presso lateralmente con margine acuto inferiore; nella parte posteriore invece è compresso dall’ alto al basso e quindi appare allargato con un margine anteriore, ed all’estremo, completo, presenta una delle soliti superfici di unione per sincondrosi. Per quanto sia di apparenza costiforme quest’ischio non po- trebbe essere confuso con una costa, mancando delle loro curvature caratteristiche, essendo assai meno sviluppato in lunghezza dell’ultima falsa costa ricordata e più largo di essa. Dall'esame fatto delle diverse parti dello scheletro di questo Delfinoide dello Stramonte sembra ri- sultare in modo evidente, che se per i caratteri del rostro, dei mascellari inferiori, del joide e per qualche altro particolare, esso potrebbe avere rapporti coi generi Orca e. Lagenorhynchus, per la maggior parte dei caratteri e per i più*sicuri si deve riferire al genere 7urstops. Ma per quei caratteri stessi che sem- brano distinguerlo alquanto da quest’ultimo genere e per differenze di parti corrispondenti, io credo con- venga tenerlo distinto dalle due specie di Zursiops fossili italiani, ammesse fin ora non senza il dubbio che si tratti di una specie soltanto. Con questo individuo dello Stramonte io penso che si possa invece nettamente e definitivamente stabilire la specie 7. Capellinii, proposta dal Sacco nel 1893 per il Delfino di Camerano Casasco (Astigiana); i rapporti fra questi due ultimi Delfinoidi sono evidenti nei confronti che mano mano sono stati fatti, e sembreranno anche più sicuri se si tien conto che per il Delfino di Camerano si tratta di un giovane individuo mentre quello dello Stramonte è assolutamente adulto. Parma, 29 aprile 1897. 1 De la composition du bassin des Cétacés. Bull. de l’Ac. Roy. de Belgique, 2.me sér., tom. XXV, 1868. PROF. G. RISTORI L'ORSO PLIOCENICO DI VALDARNO E D'OLIVOLA VAL DI MAGRA (Cv NAVA) Lo studio della fauna del bacino pliocenico del Valdarno superiore e degli altri consimili ha in questi ultimi anni ripreso una certa attività per parte di paleontologi italiani e stranieri. Questi studi hanno singolare interesse sia che si riguardino sotto il punto di vista esclusivamente paleontologico, sia che si apprezzino applicandoli allo studio della cronologia stratigrafica. Nel primo caso destano notevole inte- resse le sempre crescenti analogie che i Mammiferi pliocenici presentano con le faune recenti dell’ Asia, dell’ Africa ed in piccola parte anche dell’ America, dandoci modo altresì di rintracciare filogenie- singo- lari, le quali alla loro volta ci apriranno un fecondissimo campo alle ricerche della distribuzione geografica delle faune attuali in relazione di quelle fossili e specialmente della pliocenica, che può ritenersi come lo stipite delle forme viventi. Uno studio sintetico a questo riguardo non è maturo, perchè lunga è ancora la via da percorrere per esaurire quello analitico e più lontana la meta si presenta per quello compa- rativo, a cui necessita un materiale di confronto molto vario e l’aiuto di ben intese raccolte di osteologia comparata. Ad onta di queste difficoltà e deficenze non dobbiamo perdere la speranza di potere, in av- venire non lontano, colmare le tante lacune. Che se i nostri studi e sforzi non saranno coronati dal com- pleto successo che i mezzi adeguati di confronto avrebbero potuto assicurare, non mancherà ad essi il pregio di far meglio conoscere, magari un poco astrattamente, i caratteri veri della fauna mammologica pliocenica. Questo se non altro avrà il vantaggio di servire allo stratigrafo, allo studioso di cronologia pliocenica; a bene e nettamente determinare i piani di questo periodo polimorfo ed assegnare i limiti precisi alle diverse faune meglio determinandone i caratteri, senza andare incontro alle tante confusioni, che in questi ultimi tempi si sono fatte, più in base a male intesa manìa di polemizzare, che a vero studio analitico scevro da qualsiasi preconcetto. Con questi intenti mi sono accinto a riprendere lo studio dell’Orso pliocenico distinto già dal CuvIER col nome di U. etruscus. Il mio lavoro in principio anatomico servirà a caratterizzare meglio la specie, e questo non per virtù mia, ma poichè il materiale raccolto nei Musei di Firenze e di Montevarchi è ora molto notevole e ben si presta ad uno studio relativamente completo per una forma fossile. In secondo luogo questo studio sarà per quanto è possibile comparativo sia rispetto a forme fossili plioceniche riferite giustamente o meno a specie diversa, sia di fronte a quelle viventi che con questa sua progenitrice presentano maggiori affinità. 16 G. RISTORI [2] In appoggio delle mie asserzioni e per comodo anche degli studiosi che vorranno, nell'interesse della scienza, condannare o meno le mie conclusioni, e magari ricalcare le orme per accertarsi se io abbia messo piede in fallo, ho pensato di dare l'elenco di tutto il materiale fossile, che mi ha servito, con le indicazioni necessarie per poterlo colla massima facilità e speditezza rintracciare. Ossa del Cranio e della Faccia. Cranio quasi completo con mandibola. Faella presso Castelfranco, Prov. d'Arezzo (Valdarno superiore). Museo di Firenze. Cranio incompleto specialmente nelle ossa craniensi provvisto. di mandibola, ma molto deformato dalla com- pressione. Questo cranio appartiene all’antica collezione del Museo di Firenze, proviene dai dintorni di Figline, Prov. di Firenze ed è quello citato dal Cuvier. Oss. foss. Vol. V, pag. 516-517. Su questo resto fossile fu fatta la specie U. cultridens Croiz. et Jop. basandosi sui canini che si presentano lateralmente schiacciati per compressione. Porzione del mascellare sinistro, del nasale, dei premascellari con molari e canino e branche mandibolari in- complete. Questi resti appartengono all'individuo da me scoperto nelle argille sovrastanti ai banchi ligni- tiferi di Gaville presso Figline (Valdarno sup.), Prov. di Firenze. Museo di Firenze. Piccola porzione di mascellare destro e sinistro con molari e canini. Infernuzzo presso Terranova Bracciolini {Valdarno sup.), Prov. d’Arezzo. Museo di Firenze. Porzione di mascellare sup. sinistro con due premolari ed un molare, (Valdarno sup.). Antica collezione del Museo di Firenze. Il frammento è figurato dal Cuvier e dal BLAINvILLE. Altra porzione come sopra con un molare ed un premolare, pure figurata dal Cuvier e dal BLamvILLe. Modello del Cranio esistente nel privato Museo del March. C. Strozzi. L'originale proviene dai dintorni di Figline. È questo un Cranio specialmente conservato per le ossa faciali e per i denti, incomplete si presentano le ossa craniensi. Non è stato possibile procurarsi l’ originale. Porzione di branca mandibolare sinistra con i tre molari. Antica collezione del Museo di Firenze, (Valdarno sup.). Porzione di branca mandibolare destra con tre molari ed il quarto premolare. I denti presentano avanzatissima usura. Le Ville presso S. Giovanni (Valdarno sup.), Prov. d’Arezzo. Museo di Firenze. Porzione di piccola mandibola, branca sinistra, con due molari 1° e 2°, I denti presentano notevole usura. Tasso presso Terranova. Bracciolini, Prov. d’Arezzo (Valdarno sup.). Museo di Firenze. Branca sinistra di mandibola mancante della porzione montante (processo coronoide) con canino rotto e con il quarto premolare divelto in parte dall’ alveolo. Mancano tutti gli altri denti. Antica collezione del Museo di Firenze. Figline, Prov. di Firenze, (Valdarno sup.). Frammento di branca mandibolare destra con i due ultimi molari. Frammento figurato dal Cuvier e dal BLAINvILLE. Antica collezione del Museo di Firenze, (Valdarno sup.). Incisivi superiori isolati 1°, 2° e 3°. Le Ville presso S. Giovanni, Prov. d’Arezzo (Valdarno sup.). Museo di Firenze. Canini ed incisivi superiori. Tasso presso Terranova Bracciolini, Prov. d’Arezzo (Valdarno sup.). Museo di Firenze. Molari inferiori 2° e 3°. Le Ville presso S. Giovanni, Prov. d’Arezzo (Valdarno sup.). Museo di Firenze. Molare superiore primo sinistro di giovane individuo. Tasso presso Terranova Bracciolini, Prov. d’ Arezzo (Val- darno sup.). Museo di Firenze. Canino superiore destro con radice. Antica collezione del Museo di Firenze. Figline (Valdarno sup.). Canini inferiori con radice. Le Ville presso S. Giovanni, Prov. d’Arezzo (Valdarno sup.). Museo di Firenze. 13] G. RISTORI ah) Cranio incompleto e mal conservato nella porzione posteriore, quasi completo anteriormente, ove sono ben con- servate le ossa della faccia e quasi tutti i denti meno che il secondo incisivo sinistro. Olivola (Val di Magra), pliocene lacustre. Collezione F. Mayor acquistata dal Museo di Firenze. Altro cranio incompleto della stessa collezione e località, in cui si presentano assai ben conservati i frontali oltre a tutti gli ossi della faccia. I denti hanno sofferto notevole usura, mancano gli incisivi e tre premolari. Museo di Firenze. Frammenti di mascellare sup. destro con il quarto premolare-ed il primo molare. Frammenti di premascellare con tutti gli incisivi ed il canino superiore destro probabilmente dello stesso individuo. Olivola. Collezione F. MaJoR acquistata dal Museo di Firenze. Canini superiori isolati. Olivola. Collezione F. Mazor acquistata dal Museo di Firenze. Branca destra di mandibola di un grosso individuo assai ben conservata e solo mancante dei tre premolari an- teriori. Olivola. Collezione F. MaJoR acquistata dal Museo di Firenze. Branche di mandibola riunite mancanti del processo coronoide e dei condili, con denti incisivi e canini rotti, con molari e premolari molto usati. Manca il 2° e 3° premolare nella branca sinistra. Olivola. Collezione F. Mayor acquistata dal Museo di Firenze. Branche di mandibola di uno stesso individuo, mancanti del processo coronoide e dei condili, dei tre primi premolari e dell’ ultimo molare. Molari molto sviluppati ed ottimamente conservati. Olivola. Collezione F. MayoR acquistata dal Museo di Firenze. i Branca destra di mandibola mancante del processo coronoide con molari molto usati e mancante dei tre primi pre- molari. Olivola. Collezione F. MayoR acquistata dal Museo di Firenze, Branca destra di mandibola mancante del processo coronoide e del condilo con tutti i denti, solo 1’ ultimo molare ed il canino sono alquanto incompleti. Olivola. Collezione F. Mayor, acquistata dal Museo di Firenze. Porzione di branca mandibolare destra molto incompleta con due molari 1° e 2° ed il 4° premolare. Olivola. Col- lezione F. Mayor acquistata dal Museo di Firenze. Porzione anteriore di branca mandibolare sinistra con il canino, i due primi premolari ed il 4° premolare. Olivola. Collezione F. Masor acquistata dal Museo di Firenze. Frammento cdi canini superiori e di molari, più alcuni incisivi superiori 19, 2° e 3°. Olivola. Collezione F. MATOR acquistata dal Museo di Firenze. Mascellare destro e sinistro, con palatini e parte di premascellare e di vomere, provvisti dei tre incisivi destri, dei due canini, di sette premolari e dei due molari sinistri. Le Ville presso S. Giovanni (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. A questo frammento è forse da unirsi una porzione di branca mandibolare si- nistra con il 4° premolare ed il 1° e 2° molare. Porzione di mascellare destro e sinistro con premascellare munito di cinque incisivi, manca il 3° di sinistra, con due canini, sei premolari, mancano il terzo e quarto di destra, presente il primo molare di sinistra. Poggiolino, presso Monte Marciano, Prov. di Arezzo (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. Diversi molari superiori fra cui un molare 2° sup. molto sviluppato, proveniente dal Tasso. Museo di Mon- tevarchi. Branca sinistra di mandibola mancante della sinfisi e di tutto lo spazio occupato dai tre premolari anteriori, presenta il 4° premolare ed i tre molari veri in ottimo stato di conservazione ; appartiene ad individuo molto sviluppato. Caposélvi presso Bucine, Prov. d’ Arezzo (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. Porzione sinistra di mandibola mancante del processo coronoide. In essa sono presenti i tre molari veri, il 4° premolare rotto, i tre alveoli dei premolari anteriori ed il canino con corona incompleta. Borro delle Ville presso S. Giovanni (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. Porzione di branca sinistra di mandibola con tutti i molari veri con il quarto premolare e due alveoli dei premolari anteriori ed il canino. In questa pare manchi il secondo premolare, non scorgendosi traccia d’al- veolo, ma integrità assoluta nell’ osso dentario. Borro delle Ville presso S. Giovanni (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 3 18 G. RISTORI [4] Branca sinistra di mandibola mancante della sinfisi e del processo coronoide, con i tre molari veri, col 3° e 4o premolare eccezionalmente distanziati fra loro e cogli alveoli del 1° e 2° ravvicinatissimi. Tasso presso Terranova Bracciolini (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. i Branca sinistra di mandibola mal conservata, mancante dell’apofisi coronoide, del condilo, della sinfisi e dei denti meno che del canino. Borro delle Ville presso S. Giovanni (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. Branca destra di mandibola mancante della sinfisi, del processo coronoide e del condilo con il 4° premolare e con il 1° e 2° molare molto usati. Tasso presso Terranova Bracciolini (Valdarno sup.). Museo di Mon- tevarchi. Piccolo frammento anteriore di mandibola, branca sinistra con il 2°, 3° e 4° premolare ed un frammento del 10 molare vero. Caposelvi presso Bucine (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. Diversi molari inferiori, ed alcuni canini inferiori divelti dall’ alveolo. Tasso presso Terranova Bracciolini (Val- darno sup.). Museo di Montevarchi. Porzioni di branche mandibolari pertinenti allo stesso individuo, con sinfisi e con i due canini ben conservati. La branca sinistra è troncata all’ altezza del 1° molare e presenta i tre alveoli dei tre premolari anteriori e il 4° premolare integro. La branca destra anteriormente presenta anch'essa i tre alveoli dei premolari anteriori ed il quarto premolare integro, rotta in corrispondenza del primo molare vero, presenta invece integri il 2° e 3° molare. L’ individuo a cui appartenne questo frammento era uno dei più sviluppati della specie e forse di sesso maschile, attesa la notevole lunghezza dei canini. Castelfranco, Prov. d’ Arezzo (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. Colonna vertebrale. Frammenti d’atlante, appartenenti all’ individuo da me ritrovato nelle argille lignitifere di Gaville presso Figline (Valdarno sup.). Museo di Firenze. Cintura toracica. Porzione inferiore delle scapole destra e sinistra con cavità glenoidea, apofisi coronoide e porzione dell’acromion, il quale è specialmente conservato nella scapola sinistra. Individuo da me ritrovato nelle argille lignitifere di Gaville. Museo di Firenze. Arti anteriori. Omero destro e sinistro completi, ma deformati e schiacciati, con le articolazioni molto alterate per la compressione. Individuo da me ritrovato nelle argille lignitifere di Gaville. Museo di Firenze. Porzione inferiore di omero sinistro mancante dell’ articolazione inferiore. Figline, Prov. di Firenze (Valdarno sup.). Museo di Firenze. Porzione inferiore di omero sinistro con l’articolazione cubito-radiale ben conservata. Olivola. Collezione F. MazoR acquistata dal Museo di Firenze. Porzione inferiore di omero sinistro mancante di articolazione. Olivola. Collezione F. Mayor acquistata dal Museo di Firenze. Porzioni articolari inferiori d’omero destro e sinistro forse dello stesso individuo. Olivola. Collezione F. Mayor acquistata dal Museo di Firenze. Porzione anteriore di cubito destro con articolazione. Le Ville presso S. Giovanni (Valdarno sup.). Museo di Firenze. Altra porzione di cubito destro pertinente ad un grosso individuo. Le Ville presso S. Giovanni. Museo di Firenze. Cubito e radio destro e sinistro completi, con articolazioni notevolmente alterate e deformate dalla compressione. Individuo da me scavato nelle argille lignitifere di Gaville. Museo di Firenze. I Porzione superiore di cubito destro con articolazione (grosso individuo). Olivola. Collezione F. Mayor acquistata dal Museo di Firenze. [5] G. RISTORI 19 Altra porzione superiore di cubito destro con articolazione. Olivola. Collezione F. Masor. Museo di Firenze. Frammento di cubito sinistro parte sup. (articolazione incompleta). Olivola. Collezione F. MaJor. Museo di Firenze. Parte superiore di radio destro con capo articolare. Olivola. Collezione F. Mazor. Museo di Firenze. Parte sup. di radio sinistro con capo articolare (grosso individuo). Olivola. Collezione F. MaJor. Museo di Firenze. Piede anteriore destro e sinistro quasi completi ed in ottimo stato di conservazione. Individuo da me trovato nelle argille lignitifere di Gaville. Museo di Firenze. Metacarpi 1°, 2°, 3° e 4°. Figline (Valdarno sup.). Antica collezione del Museo di Firenze. Metacarpo 2° destro. (Valdarno sup.). Antica collezione del Museo di Firenze. Metacarpo 4° destro. (Valdarno sup.). Antica collezione del Museo di Firenze. Metacarpo 5° destro. Tasso presso Terranova Bracciolini. Museo di Firenze. Porzione articolare del cubito sinistro. Le Ville presso S. Giovanni. Museo di Montevarchi. Metacarpo 2° sinistro. (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. Porzione sup. di radio destro con capo articolare. (Valdarno sup.). Museo di Montevarchi. Cintura pelvica. Iliaco sinistro con porzione d’ischio e di pube. (Valdarno sup.). Antica collezione del Museo di Firenze. Arti posteriori. Femori destro e sinistro completi, ma straordinariamente deformati dalla compressione. Individuo da me ritrovato nelle argille lignitifere di Gaville. Museo di Firenze. Rotula destra dello stesso individuo, come sopra. Tibie destra e sinistra dello stesso individuo, come sopra. Frammento di perone sinistro dello stesso individuo, come sopra. Piede posteriore destro e sinistro con astragalo e calcagno, appartenente allo stesso individuo, come sopra. Metatarsi 2°, 3° e 4° sinistri. Figline. Antica collezione del Museo di Firenze. Metatarso sinistro. Figline. Antica collezione del Museo di Firenze. Piede posteriore sinistro mancante di astragalo e di calcagno. Tasso presso Terranova Bracciolini. Museo di Firenze. 1827. 1828. 1859. 1890. 1892. Ursus etruscus Cuv. (1). Tavole II-VII [I-VI]. Ursus minimus Devéze et BoviLLer. Montagne de Boulade, pag. 75, pl. XIII, fig. 1-2. Ursus arvernensis Cr. et JoB. Rech. oss. foss. Puy-de-Dòme, pag. 188, pl. I, fig. 3-4; — GeRvaIS. Zool. et pal. fr., pag. 206, pl. VIII, fig. 1. Ursus minutus GervaIs. Zool. et pal. fr., 2° éd., pag. 206, pl. VIII, fig. 1. Helaretos arvernensis, Race (mut. asc.) ruscinensis DePÉRET. Les animaua pliocènes du Roussillon. Mém. de la Soc. géol. de France, Paléontologie, tome I, fasc. 2°, pag. 34, pl. III, fig. 8-9, pl. IV, fig. 9. Helarctos arvernensis, Race (mut. asc.) pyrenaicus DeréRET. Op. cit., tome III, fasc. 1, pag. 118, pl. XI, Lo studio diligente fatto dal DePERET sui resti fossili dell'orso pliocenico è principalmente basato sui denti, perchè egli non ebbe a sua disposizione che due branche di mandibola e la porzione anteriore 1 Cuv. Oss. foss., tom. IV, — GeRrvAIS. Zool. et pal. gen. II, pag. 19, pl. VII, fig. 4-7. 20 G. RISTORI [6] molto deformata di un cranio. Ad onta di ciò egli accennò ad alcune particolarità della mandibola dando massima importanza alle dimensioni e poco curandosi dei caratteri anatomici. I paleontologi che lo prece- dettero in questo studio dell'orso pliocenico furono per il materiale anche meno fortunati di lui, e si dove- rono limitare all’esame dei denti: così fecero il GeRvAIS ed anche il Crorzet e JoBERT che furono gli autori della specie Ursus arvernensis. Anteriormente il CuvieR aveva esaminati alcuni resti dell'orso di Valdarno: cioè alcune mascelle superiori ed aleune mandibole molto incomplete ed anche un cranio deformato; resti che erano e sono tuttora conservati nel Museo di Firenze. Questo cranio deformato, con i canini schiacciati e apparentemente falciformi, fu anche riferito alla specie Ursus cultridens Cuvier. Il BramvILe stesso dubitò che il presunto carattere falciforme dei canini non fosse dovuto a carattere anatomico, ma sib- bene alla forte compressione subìta da quel cranio fossile, e ritenne riferibile quel resto, al pari degli altri di Valdarno, alla specie U. etruseus. Ultimamente il F. MaJorR ed il WeITtHOFER ritornarono sulla questione e vennero alle stesse conclusioni, avendo a loro disposizione lo stesso materiale ulteriormente preparato e reso più adatto allo studio. Il FALcoNER riferisce alla specie U. arvernensis tutti i resti di orso ritrovati nel pliocene italiano. Il WEITHOFER stesso accenna con molta insistenza alla probabilità che U. etruscus e U. arvernensis siano la stessa cosa. Il DEPÉRET invece si sforza di tenere non solo separate le due specie, ma nei resti da lui studiati trova anche modo di distinguere due varietà e di richiamare in vita l’antico genere Helaretos (fatto da HorsrieLp per gli orsi asiatici ed americani), applicandolo agli orsi pliocenici. Gli orsi pliocenici sono stati dunque riferiti dal DePÉRET al genere Helaretos basan- dosi esclusivamente o quasi sulla formula dentaria e non tenendo conto di molti altri caratteri anatomici dei denti stessi e del resto dello scheletro. Giova dunque discutere qui quanto sia opportuna quella designazione generica che richiama tipi di orsi, che somigliano assai meno all’ orso pliocenico, di quello che non vi somigli 1’ U. arctos vivente, il quale è da ritenersi come la più diretta filiazione dell’orso che abitò l'Europa durante il pliocene. L’abbondante materiale che ho avuto a mia disposizione mi ha fatto accorto che certe distinzioni, nella forma dei denti, nel numero dei tubercoli, nella presenza o meno di denticoli secondari, nella gran- dezza e sviluppo dei canini, nella maggiore o minore brevità della mandibola, nel ravvicinamento più o meno grande dei premolari, sul loro sviluppo più o meno accentuato, sulla maggiore o minore differenzia- zione della corona, ed altre simili caratteristiche, hanno un valore molto relativo, perchè quelle particolarità si presentano variabili non solo da individuo ad individuo, ma bensì da branca a branca di una stessa mandibola. In quanto alle varianti dei denti della mascella superiore, qui troviamo incostanza ancora maggiore. Non insisto nella enumerazione delle medesime, perchè nelle dettagliate descrizioni osteologiche seguenti sono prese in considerazione molte particolarità, e sono messe in rapporto di confronto per molti resti fossili appartenenti a diversi individui. Fino ad ora i paleontologi hanno data massima importanza alla formula dentaria. Questa, nel no- stro orso pliocenico, è simile a quella degli orsi asiatici ed americani, da alcuni distinti con il nome ge- nerico Helarctos, al quale il DePÉRET riunisce, stante la somiglianza della formula dentaria, tutte le forme che vissero nel nostro pliocene. Non nego certamente importanza alla formula dentaria; ma nello stesso tempo trovo opportuno discuterne qui il valore, e precisare le differenze e le varianti che essa presenta non solo nei diversi tipi di orso, ma eziandio negli individui della stessa specie. La famiglia degli Ur- sidi, per i caratteri dentari si distingue da quella dei Canidi per la notevole riduzione nello sviluppo dei premolari e principalmente per i primi tre. Queste speciali modificazioni della dentatura sono un carat- tere molto frequente e comune in questi animali, e fino dall’ Hyaenaretos Farc. et CaurLEY è già molto accentuata la riduzione nello sviluppo dei primi tre premolari; nè mancano casi in cui sia assente il secondo [7] G. RISTORI 21 di essi. Questa tendenza alla riduzione di numero ‘e di sviluppo nei premolari, unitamente alla più o meno grande differenziazione dei medesimi, mentre è caratteristica della famiglia, non ha, secondo me, grande valore come carattere distintivo di genere e di specie. La contro prova di questa osservazione l’abbiamo nell'esame della dentatura dell’ U. aretos. Im alcuni individui di questa specie si osserva nella mascella ‘superiore la presenza del secondo premolare, per cui in questo caso torniamo ad avvicinarci alla formula del genere Helaretos. Come fatto a questo contrapposto io ho potuto osservare un individuo di U. arctos con una branca mandibolare mancante anche del quarto premolare. A tutti questi singolari fatti, i quali non mostrano altro che l’incostanza nell’apparizione e nella caducità di questi denti, si dovrebbe pure ‘aggiungere le osservazioni comparative fatte sulle mandibole e sulle mascelle dell’ U. arctos Linn., dell’ U. pri- scus Gonne. e dell’U. spelaeus RosENMULLER, il quale ultimo sarebbe per l'assenza assoluta dei tre primi premolari, più orso di tutti gli altri. Ma prescindendo dal numero dei denti possiamo fare eguali osserva- zioni sulla loro forma, sullo sviluppo della corona ove pure troviamo massime variabilità tanto negli indi- vidui fossili, come in quelli viventi: tanto che riesce molto difficile e pericoloso basare distinzioni specifiche e tanto meno generiche su questi denti, i quali hanno caratteri così incostanti. Ad ogni modo mi sono preoccupato di accertarmi anche su quali caratteri 1’ HorsrieLDp ! abbia fondato il genere Helarctos; ed ho potuto vedere che questo viene distinto dal genere Ursus più pei caratteri esterni che non per quelli scheletrici. Sono bensì presi in considerazione, la forma della testa e l’apertura delle narici, ma simili caratteri non parmi abbiano riscontro nel nostro orso pliocenico, per cui i soli caratteri riferibili ai denti possono e debbono prendersi in considerazione. Il genere Helarctos viene pure accettato dal Gray 2, che ne dà la formula dentaria e vi comprende U. thibetanus, U. malayanus e U. curyspilus. Il BLAnFoRD® pure per gli orsi indiani accetta quel genere riferendosi all’autore del medesimo e citan- dolo. Il LypEKKeR* anche per gli orsi indiani mantiene invece il genere Ursus, come del resto fanno tutti gli altri che hanno parlato di orsi fossili e viventi. Ultimamente il DePERET riferiva al genere Helarctos tutti i resti fossili dell’orso pliocenico trovato in Francia, come tutti quanti gli orsi viventi e fossili, i quali presentavano la seguente formula dentaria: I di C Large M 2 e siccome questa formula è pure quella dell’orso di Valdarno e d’Olivola, 3-3 d-1 3 4-4 3-3 i ossia degli orsi pliocenici meglio conosciuti, così secondo il precitato paleontologo, dovremmo pure a questo genere riferire tutto il materiale fossile qui studiato. i La formula dentaria suindicata è la formula tipica degli Ursidi, che nelle diverse specie viventi e fossili la mantengono costante per tutti i denti, meno che per i premolari, i quali non presentano co- stanza assoluta neppure nei diversi individui di una medesima specie. Il DEPÉRET stesso ci dà involon- taria prova di questo fatto dicendo che U. aretos, feror, americanus, ete., non hanno che due premolari; mentre l’Owrn, lo ZimteL ed altri ritengono che U. arctos abbia tre premolari nella mandibola e tre nella mascella. Io poi ho potuto esaminare crani di U. arcetos con una branca mandibolare ove era un solo premolare, mentre nell'altra ne erano presenti due. In giovani crani di VU. arctos ed in un adulto prove- niente dalla Polonia trovo, tre premolari nella mandibola e quattro da un lato della mascella superiore. i T. HorsrieLD. Description of the Helarctos euryspilus, exhibiting in the Bear from Island of Borneo, the type of a Subgenus of Ursus. Zoological Journal, Vol. II, pag. 221 e seg. London, 1829. 2? Gray. Catalogue of the Bones of Mammalia in the Coll. of the Brit. Museum. London, 1862, pag. 104. 3 W. T. BLAnFORD. The Fauna of British India, including Cyelon and Burma. Mammatlia. London, 1888. 4 LyDEKKER. Cat. of the Fossil Mammalia in the Brit. Museum. London, 1885. 22 G, RISTORI [8] Tutto questo non prova altro che una singolare incostanza in questi denti: infatti 1’ U. spelaucus ne ha un solo, 1 U. priscus due, il 1° ed il 4°, mentre più comunemente 1° U. arctos ne ha tre, il 1°, il 30 ed il 4°. Senza ulteriormente insistere su questa incostanza nel numero dei premolari si può aggiungere solo che essa incostanza si estende pure alla forma ed ai caratteri anatomici della corona di questi denti, per cui non possiamo ad essi dare grande valore e non potranno, a mio avviso, mai servire di base per una distin- zione generica. Il genere Helaretos ! potrà magari sostenersi per i viventi orsi indiani e per altri ancora; purchè al carattere dentario vadano uniti gli altri caratteri esterni, i quali non hanno, che io mi sappia, correlazioni collo scheletro. I resti fossili dell’ U. etruscus presentano troppe analogie con lo scheletro dell’ U. arctos perchè la presenza di un premolare di più, il 2°, sempre poco sviluppato e di dubbia persi- stenza, possa e debba giustificare la sua assegnazione al genere Helarctos. Questo mentre lo trovo inop- portuno per l’orso pliocenico italiano lo ritengo tale anche per 1’ U. arvernensis del pliocene francese ; giacchè io credo assolutamente sinonime quelle specie, come dimostrerò con fatti anatomici che ho potuto fortunatamente raccogliere nell’abbondante materiale per questo studio fornitomi dal Museo di Firenze. L’ Ursus etruscus, specie fatta dal CuvieR su alcuni resti di Valdarno, che tuttavia esistono nel Museo di Firenze e che forse appartenevano al Museo TARGIONI-TOZZETTI, è quella che, per la sua priorità, deve rima- nere a distinguere l’orso del pliocene d’ Europa. I caratteri su cui è fondata la specie U. arvernensis del pliocene di Francia, mentre si riscontrano anche nei resti d’ orso qui presi in esame, riferiti e riferibili all’ U. etruscus, presentano nei diversi individui tale incostanza da non autorizzarci a tenere più separate le due specie U. etruscus ed U. arvernensis. Alcuni resti fossili di Valdarno e di Olivola però hanno dimensioni ridotte, e questa riduzione di sviluppo è accompagnata da qualche carattere anatomico di secondaria im- portanza; come p. es. minore differenziazione dei premolari superiori, canini meno compressi e più corti, terzi incisivi superiori meno caniniformi, sinfisi mandibolare più breve e più sfuggente all'indietro, pre- mascellari meno sviluppati, distanza ridotta fra i due canini superiori ed anche fra i due inferiori, branche mandibolari più corte. Queste differenze, specialmente dovute alla diversità di sviluppo, non sarebbe forse erroneo attribuirle al sesso, senza pretendere che altri non potesse vederci la ragione per distin- guere nella specie U. etruscus una varietà più piccola da una maggiormente sviluppata e magari una terza intermedia, delle quali tutte abbiamo esempi in Valdarno e ad Olivola; mentre i depositi pliocenici della Francia, fino ad ora, non ci avrebbero dato che i resti delle due ultime. Questo modo di vedere secondo me ha eziandio riscontro nèl fatto, che mentre in Valdarno abbonda il tipo massimo ed il medio, ad Olivola abbiamo prevalenza del tipo medio e minimo. Giova poi osservare che l’ usura dentaria è gene- ralmente più accentuata nei resti raccolti in Valdarno, meno in quelli d’Olivola; pur essendo i fossili di questa ultima località peggio conservati. Si potrebbe rendere ragione di ciò nel vario regime alimen- tare, nel clima, nell’ ambiente, il quale potrebbe avere indotte differenze individuali di sviluppo, e poi determinati speciali caratteri anatomici che giustificherebbero la distinzione di alcune varietà nel tipo caratteristico dell’ U. etruscus. Del resto dopo lo studio comparativo che io ho fatto del materiale riferibile a quest’orso, ho dovuto convincermi delle singolari differenze individuali che in questi animali si riscon- trano, le quali prese isolatamente darebbero anche ragione a distinguere diverse specie; ma il fatto di avere notate nei denti e specialmente nei premolari inferiori e superiori caratteristiche incostanti per fino nello stesso individuo, a seconda che si esaminavano a destra o a sinistra, unitamente alla variabilità da indi- viduo ad individuo, tanto da non avere un sol resto perfettamente corrispondente ad altro consimile, mi ha fatto persuaso di avere a che fare con una specie singolarmente polimorfa. Dico singolarmente polimorfa i Per i caratteri del genere Helarctos vedi R. P. Lesson, Manuel de Mammalogie, pag. 133 e seg. Paris, 1827. {9] G. RISTORI 23 perchè il polimorfismo anche negli orsi viventi è cosa tutt'altro che ignota; prova ne sia la lunga sino- nimia della notissima specie vivente U. aretos ! la quale per i premolari presenta come già feci notare, incostanza per fino nella formula dentaria. Non saprei per vero disconoscere le ragioni che hanno indotto il DEPÉRET a distinguere nello stesso U. arvernensis due varietà, come pure non troverei affatto ingiustificato distinguerne altrettante e forse anche più nei resti dell’ U. etruscus di Valdarno e d’Olivola; però conviene ripetere che molte variabilità si devono allo sviluppo più o meno avanzato dei diversi individui, piuttosto che a veri e propri caratteri anatomici. Questa osservazione che ho potuto fare su molti resti fossili pertinenti ad individui diversi, mentre mi convince assolutamente che l’orso pliocenico d’ Europa deve riferirsi ad un'unica specie, mi spinge anche a dubitare che non vi siano elementi anatomici sufficienti per distinguere delle varietà; giacchè il graduale ed insensibile passaggio che vi sarebbe dall'una all’ altra mi fa credere ad un poli- morfismo caratteristico della specie piuttosto che a differenze persistenti che diano ragione di distinzioni. D’ altronde sta il fatto che anche il nostro vivente U. arctos, al pari del nostro cane, presenta delle differenze individuali molto singolari, che in certe regioni vanno accentuandosi tanto da ritenerle dovute all’adattamento e non proprie di varietà e tanto meno di specie. i Non trovo del resto opportuno insistere su queste considerazioni astratte per quanto siano in me sorte dietro l’esame e lo studio di molti resti fossili paragonati con diversi scheletri di orsi viventi; perchè mentre io trovo per le ragioni anzi dette opportuno di riunire, altri potrebbe stimare più giusto di distinguere. Quello su cui non potrei convenire sarebbe di riferire come ha fatto il DEPÉRET l’orso pliocenico al genere Helaretos, e di tenere distinte le due specie U. arvernensis ed U. etruscus, che propriamente sono la stessa cosa; tanto la stessa da ritrovare negli individui e nei resti che hanno dato modo di creare quelle due specie, per fino le stesse variabilità individuali, che come già dissi potrebbero solo giustificare la distinzione di più varietà, sempre però nell’ambito di una sola specie. Per dare ampia ragione di questo mio modo di vedere riepilogherò e discuterò le differenze che lo stesso DePÉRET ritiene esistere fra 1° U. arvernensis e 1’ U. etruscus. Egli dopo avere riconosciute notevoli analogie fra queste due specie, ritiene come differenza di grande valore lo spazio maggiore occupato nel- VU. etruscus dai tre primi premolari inferiori; però basta porre a confronto, come ho fatto io, un nu- mero considerevole di mandibole provenienti dal Valdarno superiore e da Olivola per ritrovare in esse tutte le misure intermediarie fra la massima e la minima date dal DePÉRET; anzi alcune di esse superano di non poco 0,044 ed in altre all’incontro troviamo la misura di 0,025 che sarebbe la minima riscon- trata nel tipo dell'Alvernia: infatti nella mandibola del cranio n. 1 (Tav. IV [III], fig. 4, 5) abbiamo che detto spazio è 0,050 e nella mandibola del cranio n. 2 (Tav. III [II], fig. 1, 2) ed in quella della Tav. V [IV], fio. 4, proveniente da Olivola, giunge fino a 0,060. Accanto a queste si possono porre le due mandibole d’ Olivola della Tav. IV [III], fig. 7-9 ove trovo 0,036, mentre nelle branche mandibolari dell’ individuo da me trovato nelle ligniti di Gaville (Valdarno sup., Tav. IV [III], fig. 1) abbiamo 0,028 come nell’e- semplare di Roussillon. Finalmente in due porzioni di branche mandibolari una d’ Olivola l’ altra di Valdarno (Museo di Montevarchi, Tav. V [IV], fig. 2, 5) detto spazio si riduce ancora di qualche millimetro e si avvicina alla minima misura data dal DepérRet per il tipo dell'Alvernia ?. i Vedi la sinonimia in LyDPEKKER. Cut. of the foss. Mammalia in the Br. Mus., Part. I, pag. 173. 2 È eziandio da notarsi come mi sia imbattuto in una branca mandibolare (Tav. V [IV], fig. 3) ove abbiamo mancante il secondo premolare. Questo a conferma della assoluta incostanza della formula dentaria anche nell’orso fossile pliocenico. 24 G. RISTORI o [10] Altra differenza di misura notata dal DEPÉRET è quella del quarto premolare. Riguardo a questo dente non ho bisogno neppure di citare alcuni piuttosto che altri esemplari figurati, basta un’ occhiata alle ta- vole ed alle misure notate nel corso della descrizione per rendersi conto della grande variabilità di forma e di dimensione in questo dente, come in tutti gli altri premolari. In quanto ai caratteri del 1° molare vero che il DEPERET denota col nome di carnassière, anch'essi si presentano, nei numerosi resti di mandibole, di una singolare variabilità. A questo proposito si possono fare interessanti osservazioni purchè queste si riferiscano a denti che non abbiano, come di frequente accade negli esemplari di Valdarno, sofferta notevole usura. Ho davanti due branche mandibolari riferibili allo stesso individuo e provenienti da Olivola (Tav. IV [III], fig. 7, 8) ove questo dente presenta il tu- bercolo primo pari molto sviluppato ed acuminato da somigliare molto al ferino dei Canidi. Questo dente supera di tre millimetri il corrispondente degli esemplari figurati del DEPÉRET, per cui, per questo esemplare come per molti altri di Valdarno e d’Olivola, I U. etruseus si allontana più che 1’ U. arvernensis dall’ U. spelacus, con evidente contradizione di quanto afferma il DePEÉRET. Identico carattere si trova nelle branche mandibolari dell’individuo da me trovato a Gaville (Tav. IV [III], fig. 1) ed anche nelle man- dibole del cranio n. 1 (Tav. IV [HI], fig. 4, 5). Dopo tutto questo non parmi che superfluo il moltiplicare gli esempi. Venendo al 2° molare vero non faccio che richiamare la descrizione comparativa che ho fatto di questo dente per i diversi individui, ove ho trovato dimensioni variabilissime, come assai variabile è ap- parso lo sviluppo dei lobi e tubercoli della corona. Lo stesso dico per il 3° molare inferiore, giacchè sarebbe qui inutile riportarne le dimensioni che si trovano nelle tabelle delle misure ed enumerarne le differenze. Dai diversi esemplari di crani e del mascellare superiore di U. etruscus ben si vede che anche qui i premolari sono, al pari che nella mandibola, in numero di quattro; e nei diversi individui più o meno ravvicinati fra di loro. Nel cranio n. 1 sono abbastanza distanziati, come lo mostrano le fig. 1, 3 della Tav. II [I]. — Nelle due porzioni anteriori di crani provenienti da Olivola (Tav. III [II], fig. 4, 5) e special- mente in quello della fig. 5, detti premolari si presentano assai ravvicinati; mentre nel frammento di cranio del Museo di Montevarchi (Tav. III [II], fig. 6) sono ad una media distanza. Una massima distanza poi la presentano nel cranio n. 2 (Tav. III [II], fig. 1, 2). Serva questo per tutte le osservazioni diffe- renziali fatte dal DEPÉRET a proposito del mascellare superiore dell’ U. etruscus, di cui non conosceva resti che molto e molto incompleti. Del resto egli avrebbe potuto rendersi conto di ciò dalle figure per quanto imperfette date dal NestI ! per il cranio n. 2, che io ho creduto bene nuovamente figurare. Da tutto ciò resulta che per la dentatura non possiamo distinguere le due specie U. etruscus ed U. arvernensis e solo vi può essere ragione di qualche varietà comune tanto al pliocene italiano come a quello di Francia. In quanto allo scheletro poco e nulla il DEPÉRET ha potuto dire non avendo a sua disposizione che resti molto incompleti e molto deformati dalla fossilizzazione. Ad onta di ciò egli parla della forma dell’ apofisi coronoide della mandibola che troverebbe, tanto nell’orso di Roussillon, come in quello dell’Alvernia, meno inclinata all’indietro che non nell’U. etruscus. A questo proposito citerò solo il fatto che posseggo alcune branche di mandibola di Valdarno e d’Olivola le quali applicate sul disegno dato dal Derérer (pl. III, fig. 9) ? vi coincidono perfettamente. È bensì vero che alcune di queste, come ! Nesti. Lettera terza al sig. prof. PaoLo Savi: Di alcune ossa fossili non per anco descritte. Pisa, 1826. ? DEPERET. Op. cit. DO (di [11] G. RISTORI quella del cranio n. 1, si presentano nell’apofisi coronoide alquanto più inclinate all'indietro, ma questo non dipende che dalla fossilizzazione, perchè per identica ragione abbiamo la branca mandibolare della Tav. V [IV], fig. 4, che invece presenta 1’ apofisi coronoide ancora meno inclinata di quella figurata dal DEPERET. Non mi dilungherò in altre considerazioni comparative per dimostrare l’insufficienza dei caratteri che il precitato autore ritiene atti a distinguere l'orso del pliocene italiano da quello del pliocene francese, giacchè questi non presentano costanza veruna e sfumano da individuo ad individuo se pure alcuni di essi non si debbano riferire al sesso ed all’ età dei diversi individui, come ad es. la brevità del muso, la quale ha necessaria correlazione colla riduzione dello spazio occupato dai primi tre premolari tanto inferiori che superiori. Del resto anche la stessa presenza di tubercoli secondari nei molari veri può rite- nersi carattere d’età, giacchè questi tendono a scomparire nei vecchi individui, non foss’ altro che per usura, la quale nei molari d’ orso è, in generale, tanto accentuata. È del resto molto difficile potere identificare i caratteri sessuali, i quali poi debbono avere il loro valore specialmente in animali, in cui sono sempre evidenti i caratteri di carnivoro. Il DePÉRET descrive e figura dell’ U. arvernensis anche un radio con l’articolazione condiloidea. In esso si sforza vederci, specialmente nell’ attacco dei muscoli, caratteri atti a dimostrare l'abito rampi- cante di questi presunti piccoli orsi pliocenici. A questo proposito osservo che simili abitudini sono pure del nostro orso e che in generale gli attacchi muscolari più o meno estesi, più o meno robusti, non hanno correlazione collo sviluppo dei muscoli e con l’uso loro. Dirò poi che anche nei resti di Valdarno e d’Olivola non mancano esempi con caratteri simili, a cui io attribuirei ben scarso valore per intuire l’abito di questa specie pliocenica, la quale polimorfa nelle forme e nello sviluppo potrà essere anche stata di abitudini diverse. I vari ossi degli arti anteriori e posteriori che ho avuto cura di figurare nelle annesse tavole (Tav. VI-VII [V-VI]), che provengono dal Valdarno superiore e da Olivola, presentano bensì una notevole uniformità anatomica, come si rileva anche dalla dettagliata descrizione che ho voluto farne. Le più essenziali e notevoli differenze sono dovute al maggiore o minore sviluppo degli individui, i quali come già fu dimostrato per le altre parti dello scheletro, ebbero variabilissime dimen- sioni, che non devono riferirsi soltanto all’età e al sesso, ma anche all’incostanza di sviluppo dei diversi individui; incostanza che, unita a certe varianti anatomiche che si presentano con assai frequenza cor- relative, può dare ragione di alcune razze, che per causa d’ ambiente si ebbero a stabilire nell’unica specie pliocenica d’ orso. Ad ogni modo il lavoro analitico accompagnato e corredato di numerose figure in fototipia 1, ridotte a- metà grandezza, potrà delucidare meglio il concetto che mi feci dall’ esame comparativo di così ricco materiale che ebbi la fortuna di avere a mia disposizione, mercè la benevolenza dei respettivi Direttori dei Musei di Firenze e di Montevarchi, a cui si deve una buona parte di merito se questo studio riu- scirà a far conoscere meglio nelle sue caratteristiche morfologiche l’orso del nostro pliocene che de- vesi, per ragione di priorità, distinguere con il nome di U. etruscus Cuvier. Ringrazio quindi pubblica- mente il Prof. De SteFANI e l’Avv. Tiro CINI. 4 Le negative fotografiche che hanno servito per le tavole annesse a questa memoria furono tutte eseguite e sviluppate nel Gabinetto di geologia e paleontologia dell’ Istituto di studi sup. di Firenze dall’autore e dal dottore Gustavo Levi, che ha gran parte di merito nella loro riuscita. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 4 26 G. RISTORI [12] DESCRIZIONE DELLO SCHELETRO Non è sempre facile dare un’idea esatta della forma dello scheletro in un mammifero fossile e questo per molte ragioni. Primo perchè è ben difficile che le singole ossa non abbiano subìto deformazioni e spostamenti, i quali per quanto manifesti non permettono di apprezzarli così esattamente da potere ri- condurre, mentalmente o per mezzo di restaurazione, ciascun osso alla sua naturale forma e posizione. Secondo perchè uno scheletro fossile completo è una rarità ed è molto difficile averne tale numero da poterli completare a vicenda ed apprezzare e distinguere le differenze individuali e di sesso da quelle che per la loro costanza o leggiera variabilità avrebbero da servirci per caratterizzare le specie. Terzo perchè il materiale di confronto non è da noi a sufficienza abbondante e vario; ed anche quando si riu- scisse a provvedersi questo materiale in quantità rilevante, quasi con certezza, lo troveremmo manchevole di tutte le necessarie indicazioni: come ad esempio precisa provenienza, sesso, età, e magari condizioni di vita ecc. cose tutte che, dando spesso ragione di differenze notevoli, molto gioverebbero al paleontologo, il quale avrebbe più facile modo di fermare la sua attenzione sui caratteri più costanti. Per queste difficoltà appunto è indispensabile dare esatti disegni e precise e dettagliate descrizioni della forma generale e delle parti che compongono lo scheletro di un mammifero fossile, quando queste si prestino, per il loro stato di conservazione, ad essere studiate. Solamente dopo un simile lavoro ana- litico potremo rilevare differenze e somiglianze con altre specie fossili o viventi e più facilmente rintrac- ciare la filogenia. Questo studio prima anatomico, poi, per quanto è possibile, comparativo avrà lo scopo di contribuire alla più esatta conoscenza della specie, pur dando modo agli studiosi di fare nuovi confronti, nuovi rilievi e magari critiche giuste ed esatte. È con questi intenti che inizio la descrizione osteologica dell’ orso fossile del Valdarno e d’Olivola. Testa. x La forma generale della testa del nostro orso fossile non è molto allungata ed il prognatismo delle ossa faciali è moderatamente accentuato. Questo carattere di relativa brevità del muso è reso più evidente dall’ arcuazione assai accentuata dello zigoma e dal singolare sviluppo e forma della sinfisi premascellare e mandibolare, non che dallo sviluppo dei frontali e delle apofisi orbitali esterne. La parte posteriore costituita dalle ossa craniensi non sembra mantenere, meno che per 1’ accentuata prominenza dello zigoma, questo sviluppo trasversale; perchè ad onta dello spostamento e della compressione subìta dall’ esemplare figurato a Tav. II [I], fig. 1-3, non è difficile accorgersi, dal relativo sviluppo e forma delle singole ossa, che la cassa craniense non doveva presentarsi molto ampia nel senso trasversale. Dalla rela- tiva disposizione e forma delle ossa componenti la faccia ed il cranio di questo orso, tenendo in debito conto le deformazioni subìte nella fossilizzazione, possiamo arguire che la sua testa rivestita dai muscoli doveva apparire piuttosto breve e tozza in corrispondenza delle ossa faciali e delle arcate zigomatiche, sfuggente all’indietro in corrispondenza dei temporali e della porzione inferiore dei parietali, pianeggiante fra l'estremo anteriore dei nasali e l'estremo posteriore dei frontali, moderatamente declive nella re- gione parietale ed occipitale superiore, con occhi relativamente piccoli, attesa Ja ristrettezza delle cavità orbitali. Questa particolare forma della testa ci rappresenta qualche cosa di intermediario fra 1° U. aretos Lixx., vivente in Europa ed i tipi attuali dell’Asia, ed anche d'America. Per l’insieme delle ossa craniensi non [13] G. RISTORI dî abbiamo molta diversità dall’ U. aretos, invece nelle ossa faciali rammenterebbe gli orsi asiatici ed ame- ricani pur escludendo qualsiasi ravvicinamento all’orso malese. Nello studio anatomico e comparativo delle singole ossa e dei denti avremo modo di apprezzare meglio le somiglianze e le differenze, intanto giova fin d’ora notare come alcuni caratteri morfologici della testa anche nell’ U. aretos siano di una costanza relativa, tantochè deve considerarsi frequente il caso di ritrovare in alcuni individui il richiamo ad alcune particolarità proprie dei tipi asiatici; e poichè queste particolarità sono spesso comuni anche alla specie fossile di Valdarno e d’Olivola come ad altre affini, così non sarebbe forse inopportuno per gli orsi viventi il riferire quei richiami individuali a caratteri di atavicità, potendosi considerare 1 U. etruscus il capo stipite della maggior parte degli orsi viventi e fossili. Cranio. Delle ossa del cranio nel principale esemplare figurato a Tav. II [I], fig. 1-3, abbiamo presenti, i frontali, porzione dello sfenoide, l’occipitale, i parietali incompleti e frantumati ed i temporali. Frontali. — Queste due ossa disposte simmetricamente lungo la sutura medio-frontale assumono, sia in lunghezza, come in larghezza, uno sviluppo piuttosto notevole, si inclinano verso la linea suturale nella loro porzione anteriore, nella posteriore hanno piuttosto tendenza alla convessità. L'andamento del- l’arcata sopraccigliare non si presenta molto costante nei due crani del Museo fiorentino, nel più completo, n. 1 figurato a Tav. II [I], fig. 1-3, abbiamo un’arcuazione a piccolo raggio con angolosità in corrispondenza del foro infra-orbitale interno e dei processi post-orbitali. L’arcuazione dell’orbite non si mantiene così stretta nel cranio n. 2 (Tav. III [II], fig. 1, 2) per cui è probabile che si debba a deformazione ; si mantengono però con molta approssimazione le due angolosità su ricordate, specialmente quella presso i processi post- orbitali i quali hanno uno sviluppo quasi eccezionale che serve appunto a ridurre l'ampiezza delle cavità orbitali medesime. Le due creste dei frontali, che si iniziano coi processi post-orbitali medesimi non sono molto evidenti, sembra però che vadano alquanto accentuandosi negli individui molto avanzati in età come lo dimostrerebbe il cranio n. 2 (Tav. III [II], fig. 1, 2). Del resto negli individui anche ben adulti (cranio n. 1, Tav. II [I], fig. 1-3), hanno piuttosto l’aspetto di callosità ossee, ove appena si disegna l’angolosità delle cresta, la quale presto totalmente scompare. Senza insistere ulteriormente in queste particolarità, le quali anche nelle specie viventi presentano una costanza relativa, importa maggiormente di far rilevare l’andamento relativamente poco convergente di queste due creste frontali, le quali dovevano riunirsi molto all’ indietro ad interessare per una porzione più o meno lunga i parietali, come oggi avviene nel cranio dei giovani orsi e specialmente in quello dell’orso marittimo, dell’orso labiato e dell’orso delle Cordilliere delle Ande. L'ampiezza dei frontali in corrispondenza dei processi post-orbitali è molto notevole, nel cranio n. 1 giunge a cent. 5,9 per lato, non tenendo conto del probabile aumento che si troverebbe se quelle ossa non avessero subìto uno schiacciamento dall’alto al basso ed anche una pressione laterale. Nel cranio n. 2 sì riscontrano press’a poco le stesse misure per quanto uno solo dei frontali sia conservato e per quanto sia approssimativamente decifrabile l'andamento della sutura mediana. La lunghezza dei frontali dall’an- golo anteriore, determinato dalle suture dei rispettivi nasali e mascellari, alla sutura frontale-parietale è circa cm. 15 e dico circa perchè non è possibile determinare con esattezza la sutura su ricordata. Del resto questa misura è molto prossima al vero, giacchè anche nel cranio n. 2 resulterebbe di poco mag- giore. La regione laterale dei frontali non è ben conservata. Nel cranio n. 1 nel frontale sinistro, detta regione è deformata ed introflessa e poco può giudicarsi dalla sua ampiezza e forma. Nel frontale destro invece l’osso è incompleto, ma non ha subìti nè spostamenti nè deformazioni e presenta la sua curva 28 G. RISTORI [14] discendente molto uniforme ed assai convessa, forse più nella parte posteriore presso i parietali che in quella anteriore vicino all’arcata orbitale. I rapporti dei frontali colle ossa che costituiscono i lati del cranio non sono in nessuno dei nostri esemplari visibili; sì possono invece osservare quelli coi nasali e coi premascellari. Il rapporto coi premascellari, generalmente poco notevole, è determinato da una sutura ben netta con disposizione diagonale poco accentuata e con angolo anteriore piuttosto aperto, misura mm. 5 però nel cranio n. 2 la sutura sembra obliterata. I rapporti coi nasali e coi mascellari si presentano assai ampi e le suture hanno andamento piuttosto arcuato senza angolosità acute. Questo carattere giovanile del cranio n. 1 si riscontra anche nel cranio n. 2, solo per la sutura nasale-frontale non essendo visibili quelle dei mascellari. Posteriormente i rapporti con i parietali si presentano abbastanza incerti, perchè quest’ossi sono male conservati. Parietali. — Le ossa parietali mancano quasi totalmente nel cranio n. 2, e nel cranio n. 1 si presen- tano mal conservate compresse e rotte; occupano però la loro posizione naturale,ed i loro rapporti coll’occipitale e coi temporali sono abbastanza visibili. Il loro sviluppo antero-posteriore è piuttosto ridotto in confronto di quello trasversale : infatti la loro lunghezza dall’estremo della linea medio frontale all’inizio della cresta occi- pitale è circa cm. 8,5, mentre dai temporali alla sommità della cresta sagittale corrono cm. 7,9. Poco è a dire della loro forma e particolarità, perchè questi ossi si mostrano ben conservati solo nell’ultima loro por- zione posteriore ove si uniscono intimamente col sopraoccipitale; si possono da questo discernere se- guendo la linea dei fori arteriosi che comunemente si dispongono presso o sulla sutura stessa occipito- parietale. In questa loro ultima regione i parietali presentano un andamento regolarmente concavo nella regione laterale superiore, regolarmente convesso nella posteriore senza infossamenti bruschi e bruschi rilievi. Unendosi sulla linea mediana, ove negli Ursidi non è riconoscibile la presenza di un interparie- tale, formano una cresta sagittale assai rilevata e spessa, la quale come dicemmo non comparisce più nella loro porzione anteriore, ove convergono le creste ben poco evidenti dei frontali; per modo che è forse ovvio intuire che dessa cresta sagittale dovesse quasi subito deprimersi 4. Temporali. — Nel cranio n. 1 i temporali si presentano abbastanza conservati ed è visibile di essi la porzione squamosa, la mastoidea e la petrosa. Molto interessante per noi è appunto la porzione squa- mosa; questa internamente si presenta liscia e concava, all’esterno, sentitamente convessa, determina l’arcata zigomatica, che nel nostro orso apparisce molto aperta ed allargata. L’ osso anteriormente è piuttosto sottile, posteriormente si ingrossa e presso alla regione ove si sviluppano le cavità glenoidee si nota un rigonfiamento mammellonare molto notevole, che simula, specialmente nella parte sinistra del nostro esemplare, un callo osseo; nella parte destra invece l’ osso, pur mantenendosi massiccio, presenta la faccia esterna più regolare. Inferiormente lo squamoso si espande determinando un’area quasi rettangolare limitata, all’avanti dal processo post-glenoide, all'indietro dalla bulla timpanica e dalla porzione mastoidea dell’osso medesimo. Nell’orso di Valdarno e d’Olivola notiamo l’accentuato sviluppo di quest’area e la sin- golare forma del processo post-glenoide, il quale limita come un bordo continuo ed uniforme la fossa glenoide stessa senza presentare, come di più frequente accade, dalla parte interna, un’apofisi triangolare assai sporgente e dalla parte esterna una smussatura sfuggente che pure interessa la cavità glenoidea, che invece, nel nostro caso, si presenta come una doccia con bordi rilevati uniformemente da ambe le parti. A rendere più precisa questa descrizione aggiungo la tabella delle misure prese sul cranio n. 1 (Tav. II [I], fig. 1-3). 1 Questa particolarità anatomica è affatto intuitiva perchè lungo la linea mediana, i parietali si presentano mal conservati anche nel cranio n.1. 15] G. RISTORI 29 Sviluppo antero posteriore della regione inferiore dello squamoso dall’estremo interno del processo post-glenoide alla bulla timpanica . È 5 ò o sie. 8,5 Sviluppo antero-posteriore della regione medesima dall’esterno gola cavità post-glenoide, ove si continua il processo surricordato, alla regione mastoidea Ò 0 . » 5,5 Sviluppo trasversale della regione mediana dal rigonfiamento mammellonare dello squa- moso (curvatura in avanti dello zigoma) all’estremo interno della cavità glenoidea. Parte destra 5 ò 5 o . - ” . 6 : . ò 6 VM 03, Idem. Parte sinistra 1 5 7 - 5 Si ; È Ò DU Lunghezza della cavità oo - . o a o . 6 DIEAS9 Larghezza della medesima all’ estremo esterno . 0 . 0 - . : o LIA » » all’estremo interno . o 6 . ” c o IO » » al centro . , 6 0 5 , o o 0 o IS Profondità media della cavità glenoidea . . o - 0 : . o 015) Non sono possibili altre misure come p. es. l'altezza del bordo (processo post-glenoide) perchè desso non si presenta integro, solo rivela un andamento molto uniforme ed un’ elevazione costante dal piano della cavità glenoidea. Anche il bordo superiore di questa cavità si presenta pure assai rilevato e rela- tivamente uniforme, per quanto anch’esso presenti delle mancanze specialmente nella sua porzione interna per la cavità sinistra, nella media, per quella destra. La regione mastoidea del temporale al davanti presenta un bordo assai rilevato, ma più notevole per sviluppo; è l’apofisi; questa al di dietro sul piano del foro auditivo è larga cm. 3, ed il tubercolo apo- fisario, si mantiene spesso e grosso anche alla sua estremità, giacchè è largo cm. 2,3 e grosso cm. 1,5. Negli orsi viventi, delle specie affini a questa fossile, non è facile, anche in individui di grande sviluppo e di notevole vecchiezza, trovare altrettanto. Detta regione mastoidea nella parte posteriore del cranio ha, nel suo insieme, forma di clava, in alto stretta e con bordo piuttosto sottile ed andamento uniforme. In corrispondenza dell’apofisi mastoidea si nota una convessità non tanto spiccata, che si deprime per poi convertirsi in una leggera concavità in corrispondenza della regione petrosa del temporale. Il bordo dopo si continua con quello dell’occipitale. La regione petrosa del temporale non assume grande sviluppo neppure in questa specie. Nel cranio n. 1 si presenta però assai ben conservata ed in posizione naturale specialmente a destra. Questa regione del temporale è fusa con la regione squamosa e con la mastoidea, per modo che non riesce facile determinarne i precisi limiti; ad ogni modo la sua forma è quasi perfettamente rettangolare, all’ indietro presenta una cresta o bordo piuttosto spesso che si continua in alto con quello del sopra-occipitale, in basso si piega in avanti con curva abbastanza dolce, si rileva un poco in corrispondenza della parete su- periore del foro auditivo esterno per poi confondersi con il bordo dell’osso squamoso. La superficie della rocca è piuttosto irregolare, all’indietro e all’avanti presenta due notevoli infossamenti, il posteriore più accentuato, l’anteriore meno con un rilievo mediano dal basso all’ alto che li divide. Il foro auditivo è quasi perfettamente rotondo, e ciò perla disposizione arcuata degli ossi che lo limitano, cioè del petroso, del mastoide e delle appendici esterne squamiformi della bulla timpanica. Ecco alcune misure prese sul cranio n. 1: Massima lunghezza antero-posteriore della rocca c : . 0 o Gia EL Larghezza della sutura parietal-temporale al punto Aia del bordo che limita il condotto auditivo esterno o . È ò . . Ò . io :209) | Larghezza dal limite superiore del bordo csi alla base dell’apofisi mastoidea . » 4,1 30 G. RISTORI [16] Non do le misure della parte anteriore, perchè non mi sono permesse nè dalla conservazione dell’osso, che non presenta nette le suture, nè dalla sua intima fusione colla porzione squamosa. Occipitale. — La forma generale di questo importantissimo osso del cranio è abbastanza singolare nel nostro orso (Tav. III [II], fig. 3), giacchè più che in altra specie si avvicina a quella dei Canidi. Quello che maggiormente ci interessa è appunto la regione sopra-occipitale, la quale per fortuna è la me- glio conservata; dessa nella parte superiore del cranio si presenta così intimamente saldata alle ossa parietali che solo con difficoltà ed incertezza possiamo rintracciarne le suture. La cresta è notevolmente accentuata ed al di dietro si espande in una prominenza in forma di losanga per poi continuare (intro- flettendosi nella porzione mediana posteriore del sopra-occipitale medesimo) in forma di sella assai rilevata e quasi tagliente fino a deprimersi assai, senza però scomparire, presso la smussatura centrale del mar- gine superiore del foro occipitale (foramen magnum). I margini laterali di questa regione dell’occipite pre- sentano un andamento speciale, che come già accennai, trova un riscontro in quello dei Canidi: infatti i due bordi convergono molto sentitamente in alto verso la espansione della porzione della cresta, per modo che ristringono quasi bruscamente la superficie posteriore dell’osso. È altresì notevole che a questo ristringimento concorrano due curve rientranti che dessi margini fanno presso la cresta suindicata. Questa particolarità delle curve rientranti è pure notevole nei crani di U. aretos molto vecchi e nella supposta razza di questa specie vivente nella Russia europea ed in Polonia; però in quest’ ultimi il sopra-occipitale si mantiene sempre molto largo e notevolmente si discosta da quello dei Canidi, con cui il nostro ha tanta somiglianza. Al di sotto di dette curve rientranti il bordo torna a rilevarsi notevolmente; per modo che risalta maggiormente il carattere saliente ed acuto della parte superiore. Ad onta di ciò lo sviluppo tra- sversale dell’osso, presso la regione superiore condiloidea, non è molto rimarchevole, quantunque non esista angolo rientrante al punto di fusione del bordo occipitale con quello petroso-mastoideo del temporale. Questo andamento pressochè uniforme, a parte l’acutezza apicale, è carattere dei crani non ancora giunti a completo sviluppo, ma nel nostro orso pare si mantenga anche negli adulti (Tav. III [II], fig. 3). La su- perficie dell’osso sopra-occipitale è abbastanza uniforme, solo qualche rilievo si presenta presso i margini specialmente ai lati della cresta per l'inserzione dei muscoli. I condili occipitali hanno un moderato svi- luppo, abbastanza divaricati dalla parte superiore si stringono in quella inferiore, ove presentano un orlo che, al centro dell’arcata posteriore espandendosi, si estroflette (Tav. III [II], fig. 3). Il labbro che cinge dalla parte superiore il foro occipitale non è ben conservato nel nostro cranio, sembra però che si fondesse colla cresta occipitale, tanto che si sarebbe potuto considerare come una biforcazione della medesima. La superficie de’ condili è liscia ed il loro rilievo mammellonare piuttosto sentito. Altre particolarità no- tevoli non si scorgono, per cui a complemento della descrizione daremo qualche misura. Massima lunghezza dei condili . . : 0 ò . c 3 > 6 o Gu Ssbll » grossezza . ; . o : o 5 . 0 c 5 AED LO, Apertura mediana posteriore del foro occipitale * 5 3 o . c o +. > 15-18 » massima anteriore del medesimo 6 . 5 o 6 6 c > 350 Ampiezza trasversale al centro . 6 o : . " o . o ° od 2a Massimo diametro antero-posteriore . , . © . 0 5 ò c +. >» 2,4 4 Questa misura potrebbe essere aumentata di qualche poco, perchè il condilo sinistro ha girato all'indietro e si presenta spostato. Raddoppiando la metà sinistra di questa misura si avrebbe il secondo valore indicato nella tabella. [17] G. RISTORI 31 Gli exoccipitali possono essere bene identificati, giacchè chiaramente appariscono i loro rapporti col sopraoccipitale coi condili e colla regione mastoidea dei temporali. Il loro sviluppo non presenta nulla di particolare; i processi paraoccipitali sono piuttosto alti, ma non molto espansi e presentano un rilievo mediano longitudinale in forma di costola. Le variabilità nello sviluppo e nella forma di questa regione dell’occipitale, che si riscontrano così frequentemente nei diversi individui, ci consiglia a non insistere ulte- riormente nel descrivere le loro particolarità e ci dispensa dal darne le dimensioni. Il basioccipitale nel cranio n. 1 ha subìta una compressione laterale e parte di esso si è cacciato sotto la bulla timpanica sinistra. Ad onta di ciò sembra che veramente la parte rilevata dell’osso, appli- cata alle bulle timpaniche, sia molto sviluppata e tale da fornire una specie di processo od apofisi tubercolare, la quale colla sua base interessa e ricopre buona parte della porzione orizzontale dell’osso medesimo. Questa particolarità è degna di nota, perchè non si riscontra in nessun tipo di carnivoro, meno chè nel cane, ove abbiamo notevole riduzione nella porzione orizzontale del basioccipitale. Questo speciale sviluppo antero- posteriore della porzione che si adagia sui lati interni delle bulle timpaniche non ha però nessun propor- zionale riscontro nella forma, nella grandezza e nell’ altezza dei processi su ricordati. Questi caratteri meritano di essere ulteriormente illustrati e precisati con misure; eccone alcune delle più interessanti : Altezza del processo del basioccipitale dal Da orizzontale dell’ osso medesimo al- l'apice dell’apofisi 5 É : . ; È : . . ESC Altezza antero-posteriore della base di detto processo ò 6 : . 5 gi i ZL » trasversale obliqua anteriore . . 6 0 6 ° 6 SEZ » » > posteriore presso il foro ih do o o o eg Lunghezza della porzione orizzontale del basioccipitale 6 o renano ar 456 Larghezza della porzione orizzontale del basioccipitale fra i due fori CARA ea N6372 Larghezza al centro . . . : o . oi DI » all’estremo soltotiorei in rispondenza della sutra giglio tato Sesg2.1 Le particolarità notevoli in quest’osso sono: la moderata e quasi insensibile elevazione presso il bordo del foro occipitale, l’infossamento che si riscontra presso il foro condiloideo, lo sviluppo longitudinale sproporzionato di fronte a quello trasversale, il foro condiloideo grande ed ovale, il foro lacero posteriore piccolo di fronte al condiloideo e con profonda scanalatura a doccia, che interessa il lato posteriore dell’a- pofisi già ricordata, senza però raggiungerne l’apice. Bulle timpaniche. — Nei carnivori le bulle timpaniche assumono in generale un notevole sviluppo, si presentano con rapporti molto interessanti e nei giovani è facile renderle indipendenti da tutti gli ossi che le circondano, per cui non è illogico descriverle a parte, per quanto presentino negli individui vecchi una connessione molto intima con le apofisi mastoidee. Nel nostro orso dette bulle timpaniche si mostrano assai rilevate specialmente verso l’apofisi mastoidea, anteriormente si espandono assai o ricuoprono, ada- giandovisi, buona parte della regione post-glenoidea dello squamoso. Il loro rilievo non è propriamente di forma condiloidea, ma fra l’apofisi del basioccipitale e la volta posteriore esterna del condotto auditivo, presentano un rilievo relativamente accentuato e tale da rammentare un poco le bulle rilevate e globose dei cani. Sul confine anteriore di queste bulle si osserva il foro post-glenoide, il quale. è naturalmente spostato in avanti attesa la già notata espansione delle bulle; anzi a proposito di questo deve notarsi, che il processo orizzontale di esse, a confine con gli pterigoidei, giunge quasi a toccare il margine interno della cavità glenoide. Ecco alcune misure: 32 G. RISTORI [18] Lunghezza massima antero-posteriore delle bulle timpaniche È 5 7 o em: No:S Larghezza » » » . o 5 - sa 46 Distanza fra il foro lacero posteriore ed il foro post-glenoide . . : c AO Sfenoide. — Dello sfenoide nel cranio n. 1 non abbiamo che una parte incompleta del basisfenoide. Le porzioni dell’alisfenoide, che fan parte dei lati del cranio, sono assolutamente indecifrabili nel nostro esemplare, nè è possibile vedere i rapporti che questa regione ha cogli ossi pterigoidei, coi palatini e coi frontali. Dalla parte destra del cranio n. 1 tutti questi ossi costituiscono una parete continua, dove non è dato identificare l’uno dall’altro osso, dalla parte sinistra la parete presenta piccole porzioni del pteri- goideo e del palatino, mancando quasi assolutamente gli ossi superiori. Per tutto ciò è giuocoforza rinun- ziare alla descrizione dettagliata dello sfenoide e tanto meno possiamo azzardarci a darne le dimensioni anche approssimative. Le medesime ragioni ci inducono a tralasciare anche la descrizione degli ossi pterigoidei. Faccia. Fra le ossa che compongono la faccia ne abbiamo buon numero in posizione naturale nel cranio n. 1; alcune pure ben conservate si presentano nel cranio n. 2, e molte altre isolate ed incomplete appartengono 0 al Museo di Firenze o a quello di Montevarchi. Nel Museo di Firenze abbiamo inoltre alcune teste provenienti da Olivola incomplete e quasi totalmente mancanti delle ossa craniensi, mentre presentano quasi tutte le ossa faciali. Ho avuto la fortuna singolare d’avere a mia disposizione tutto questo materiale per cui lo studio potrà riuscire abbastanza completo. Del resto per la dettagliata descrizione delle singole ossa mi servirò principalmente del cranio n. 1 e chiamerò in sussidio gli altri resti, quando esso si mostrerà in qualche parte insufficiente o quando avrò da far notare differenze individuali. Nasali. — In relazione della grossezza del muso le ossa nasali non sono anteriormente molto allar- gate, mantengono però uno sviluppo trasversale quasi uniforme dall’avanti all’indietro, per modo che le suture si fanno convergenti solo nell'ultima loro porzione posteriore ed ivi disegnano una linea arcuata e si riuniscono formando un seno molto ottuso e quasi concentrico ad un arco di cerchio. Questo carattere trova negli orsi moderni qualche riscontro negli individui molto giovani e non ancora giunti a completo sviluppo, mentre nell’orso pliocenico non solo il carattere è più accentuato, ma si mantiene negli adulti e nei vecchi, come è dato constatare tanto in uno degli esemplari fossili di Olivola (Tav. II [II], fig. 4) come nel cranio n. 1 e n. 2 di Valdarno, di cui il n. 2 appartiene ad un individuo d’età molto avanzata. Dagli esemplari fossili esaminati, che non sono meno di sei, resulterebbe che questo carattere è uno dei più costanti. Ecco le dimensioni di alcuni dei principali esemplari: . GUEADIO Cranio del Museo Cranio n. 1 Cranio n. 2 = di Montevarchi (I ni (Tav.III [11], fig..6) fig. 4 Lunghezza massima dei nasali sulla sutura mediana cm. 9,4 933 7,9 ? Larghezza in corrispondenza del gran foro nasale . » 2,9 2,8 2,6 2,8 Id. ALUCENERO ME Me i Ve e AS 3,0 2,8 ? Id. all'altezza delle suture frontal- mascellari » 2,5 2,3 201 ? Premascellari. — Anche quest’ossi che hanno per la specie pliocenica non poco valore si mostrano ben conservati in parecchi esemplari e specialmente in quelli del Valdarno. Essi presentano particolarità [19] G. RISTORI 33 anatomiche e sviluppo singolare specialmente nella regione anteriore in corrispondenza della sinfisi. Assu- mono una forma molto convessa nella parte superiore, tanto che hanno tendenza in prossimità degli alveoli dentari ad introflettersi. Quello però che presentano di più caratteristico si è appunto la curva sen- tita al punto di convergenza e di obliterazione del bordo costoloso della gran fossa nasale e l'estensione che assumono tanto al di fuori come al di dentro del bordo su ricordato. Nel resto del loro sviluppo non presentano particolarità molto notevoli, specialmente nei loro rapporti con i mascellari e con i frontali. È piuttosto da porsi in rilievo la notevole ampiezza del foro o fossa nasale e il rovesciamento all’infuori della parte anteriore dei bordi costituiti dai premascellari stessi, e finalmente l’.incavo corrispondente al dia- stema fra il canino e il terzo incisivo. Dalla parte inferiore non possiamo notare che la correlazione di sviluppo di detti ossi, la quale è appunto notevole anteriormente ai fori palatini posteriori, giacchè al di dietro di questi, i rapporti coi palatini non hanno nulla di anormale e lo sviluppo in questa regione rientra nell’ordinario. Tutte queste particolarità si rendono maggiormente evidenti ed apprezzabili nella tabella delle dimensioni: Lunghezza massima dei premascellari dalla sutura frontale alla sinfisi : 6 ò " : È 1 ; b o Gr II E «._ ] Larghezza fra la base dei due canini ò 5 0 o o 033 Brgiane superiore Distanza dai fori palatini anteriori alla sinfisi 6 0 g0D SRO Id. fra i due incisivi estremi . o : a 3 MMS RZo Id. fra i due fori palatini anteriori . s . O MALE) Id. dai due fori palatini posteriori agl’incisivi anteriori. » 3,2 Regione inferiore Id. fra il foro palatino di ciascun lato ed i canini DS ES Massimo sviluppo in lunghezza dei premascellari SOSTA DA Da queste misure chiaramente apparisce il singolare carattere che i premascellari assumono in questa specie particolarmente nella regione sinfisaria, ove abbiamo una curva molto sentita, la quale doveva (come già notammo) unitamente all’analoga che riscontriamo nella mandibola, dare al grugno di quest’ orso un aspetto affatto singolare. È ovvio ripetere poi che queste particolarità anatomiche si riscontrano di una sorprendente costanza in tutti i resti fossili che ho esaminati, sia del Museo di Firenze, sia di quello di Montevarchi provenienti dal Valdarno o dalla Valle di Magra (Olivola). Fra le particolarità di questi ossi, è pure a rammentarsi la forma ovale ed acuminata all’indietro dei fori palatini anteriori, il cui incavo anteriore si presenta di forma ovale arrotondata e dista dalla sinfisi di centimetri 1,9. Mascellari sup. — I mascellari dalla parte inferiore presentano, specialmente nel cranio n. 1, ben delimitati i loro rapporti con i premascellari e coi palatini e sono relativamente assai sviluppati in lunghezza, giacchè posteriormente, oltre l’ultimo molare, presentano la loro apofisi assai sporgente ed an- teriormente lo spazio occupato dai premolari è maggiore che negli orsi viventi, dovendo contenere quattro premolari e mantenerli fra loro ad una certa distanza. In questa stessa regione, per quanto detti ma- scellari si presentino un poco deformati per compressione laterale, pure appariscono depressi al centro e foggiati a vòlta molto evidente. Questo loro carattere può essere stato benissimo accentuato dalla defor- mazione, ma è ben difficile poterne escludere la preesistenza, giacchè si riscontra in tutti quanti gli esem- plari fossili che mi hanno servito allo studio, siano essi di Valdarno siano d’Olivola. Tale arcuazione dei mascellari unitamente a quella dei palatini è carattere molto saliente nel nostro orso fossile, che in questo somiglia agli orsi indiani. La porzione laterale dei mascellari fa vedere un rilievo notevole in corrispondenza dell’alveolo dei canini ed un’infossatura prolungata al davanti del foro infra-orbitale, che apparisce piuttosto Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 5 34 G. RISTORI i [20] ampio e collocato indietro sulla linea del bordo posteriore del primo molare. La porzione dentaria del mascel- lare è relativamente regolare e vi si scorgono poco le impronte alveolari dei molari, ma il bordo è abbastanza evidente. L’apofisi zigomatica è piuttosto sviluppata in basso e la sutura del malare è collocata alquanto all'indietro come meglio resulta dalla tabella delle misure. La porzione superiore dei mascellari non pre- senta molto di caratteristico, però anche qui si ha uno sviluppo antero-posteriore piuttosto notevole che è in correlazione con quello riscontrato nella porzione inferiore: infatti la sutura frontal-mascellare si trova assai indietro ed interessa in basso una parte piuttosto grande del bordo orbitario, tanto che esso ante- riormente viene costituito in parte dal mascellare e non esclusivamente dal frontale; all’incontro l’apofisi mascellare del frontale è piuttosto allargata e si spinge assai avanti fra i nasali ed i mascellari. Ad ogni modo l’ampiezza del mascellare nella sua parte posteriore è sempre notevole, atteso lo sviluppo trasver- sale del cranio in questa regione e nell’attigua dei frontali. Le particolarità che si scorgono sopra questi ossi non sono di grande importanza. Il foro infra-orbitale è collocato molto in avanti, è però deformato. Sulla superficie palatina dei mascellari oltre la notevole infossatura che abbiamo notata si veggono le scanalature docciformi, che si iniziano in corrispondenza dei fori palatini posteriori ed attraversando i mascellari ed i premascellari vanno quasi a toccare i fori palatini anteriori. Dette scanalature sono uni- formi assai e poco convergenti all’avanti, perchè tanto esse come i fori palatini posteriori distano assai dalla corona dei molari e sono piuttosto spostati verso la linea mediana palatina (Tav. II [I], fig. 3; Tav. III [II], fig. 5, 6). Palatini. — Gli ossi palatini hanno subìta una deformazione assai importante specialmente nella parte posteriore. Il cranio n.° 1, in questa parte è molto schiacciato e l’osso destro si è soprammesso al sinistro, spostando la linea mediana di sutura. Ad onta di ciò è evidente anche qui il carattere concavo del palato. La porzione laterale dei palatini non è bene distinta dagli ossi contigui che formano i lati del cranio e della faccia; solo è notevole lo sviluppo antero-posteriore di questi ossi ed i loro rapporti con gli pte- rigoidei, che si trovano molto all'indietro, e quantunque incompleti, pure sembrano poco sviluppati di fronte ai palatini, i quali limitano lateralmente la buona metà della cavità nasale posteriore. La spessezza, tanto dei palatini, come degli pterigoidei in questa regione è piuttosto notevole. Le apofisi pterigoidee sono incomplete. Porzione superiore dei mascellari. Larghezza dei mascellari superiori dalla base del canino al punto culminante della sutura frontal-mascellare . . È - ò , 7 . . cm. 14,8 Altezza dei mascellari dall'inizio dell’ apofisi mascellare del frontale al colletto dell’ ultimo molare 0 6 5 c ò 0 6 : - » "ra 8:3 Lunghezza dei mascellari dalla base del canino alla sutura malare-mascellare (in basso) » 13,0 Id. id. id. (in alto) » 14,2 Distanza dal foro infra-orbitale all’ angolo orbitale anteriore o " x pi meri Id. id. alla base del canino . - 5 È ; gu SO Porzione inferiore. Ampiezza longitudinale della porzione dentaria dei mascellari 6 o ST IE Lunghezza dell’ apofisi palatina dei mascellari sulla linea mediana dei palatini . » 7,0 Larghezza dei mascellari in corrispondenza dei primi premolari . . È SRA653. Id. id. id. quarti id. 6 : 0 SOS) Distanza fra i fori palatini anteriori e i fori palatini posteriori . ò . SEDI 95 Id. fra i due fori palatini posteriori . o . o È o " DEN 9) [21] G. RISTORI 35 Palatini e pterigoidei. Massimo sviluppo antero-posteriore dei palatini . , ò o 5 GIO Spessore dei palatini in corrispondenza dei bordi del foro DIGI posteriore SENIO Sviluppo degli pterigoidei . c 5 o 6 . ° 0 è È 38 Malari. — L’osso malare è imperfettamente conservato, tanto dalla parte destra come dalla sinistra, il suo bordo inferiore ha un andamento piuttosto piano e si continua uniforme colla porzione zigomatica del mascellare al pari che con quella dello squamoso per raggiungere il quale non ha bisogno di ineli- narsi molto al basso. La superficie del malare ha una leggera infossatura in corrispondenza dell’ apofisi orbitale e la sua convessità esterna non è pronunziatissima. L’ apofisi è breve e tronca; piegata molto all’ avanti concorre a rendere piuttosto ristretta la cavità orbitale. Simili caratteri non presentano tanta costanza e nel cranio n. 2 paiono meno accentuati, però hanno sempre del caratteristico per modo che possono anzi debbono ritenersi propri dell’orso fossile del nostro pliocene. Qualche altro osso, come ho avuto occasione di accennare nella descrizione delle ossa faciali e cra- niensi, sarebbe presente negli avanzi più o meno completi di crani, ma sì per l’obliterazione delle suture dovuta ai processi di fossilizzazione, sì per i confricamenti e le compressioni subìte, detti ossi non si pre- sentano nelle condizioni volute per essere anatomicamente studiati, per cui passo alla mandibola. Questo studio, e più specialmente quello dei denti, darà modo ad osservazioni controverse che saranno discusse in altra parte di questo lavoro; intanto, seguendo scrupolosamente il metodo prefissomi mi occuperò ora della descrizione anatomica, servendomi dell’ abbondantissimo materiale che posseggo tanto di Valdarno come d’Olivola. Al solito mi occuperò principalmente della mandibola spettante al cranio n. 1 che è la migliore per conservazione di tutte le altre per quanto numerose. Dalla mandibola più che dal cranio ap- parisce che l'orso del nostro pliocene era suscettibile di ulteriore sviluppo: infatti tanto la mandibola del cranio n.2 come una branca destra proveniente da Olivola che figuro a Tav. V [IV], fig. 4, presentano uno sviluppo piuttosto singolare e non raggiunto dagli orsi viventi con cui il nostro ha le maggiori affinità. Di contro a questi resti pertinenti ad individui piuttosto vecchi, esistono tanto provenienti dal Valdarno come da Olivola molte mandibole alcune delle quali appartengono a giovani individui altre ad individui adulti pur essendo di dimensioni al disotto delle ordinarie. Questo singolare fatto potrebbe mettere in sospetto sulla identità della specie a cui sarebbero a riferirsi le une e l’altre mandibole; però nessuna diversità anatomica ci autorizza a pensare ad ulteriori distinzioni specifiche e la varia grandezza dei denti molari non è, secondo me, dovuta che ad una pura e semplice correlazione di sviluppo. D'altronde queste varia- bilità di statura nei diversi individui di una medesima specie non deve fare meraviglia dal momento che anche oggi si notano nelle specie domestiche e con minore frequenza anche nelle selvatiche. Non insisto ulteriormente in questa osservazione su cui dovrò ritornare più opportunamente in altra parte di questo lavoro; l’ ho qui solo accennata per potermi valere, nella descrizione anatomica della mandibola e dei denti, di tutto il materiale sia di Valdarno sia d’Olivola, che secondo me deve riferirsi ad una sola ed unica specie. Mandibola (faccia esterna). — Le branche mandibolari per quanto presentino poca uniformità di sviluppo (come notammo più sopra) presentano una costante correlazione di sviluppo in altezza e non si nota grande differenza fra la parte anteriore, media e posteriore per modo che il bordo dentario disegna una linea quasi orizzontale con due soli notevoli risalti, uno in corrispondenza del quarto premolare e l’altro in corrispondenza del primo premolare e del canino, i quali però tendono ad obliterarsi negli in- dividui più vecchi per modo che la mandibola del cranio n. 2 presenta il bordo dentario quasi parallelo 36 G. RISTORI |22 al bordo inferiore, e la faccia non ha, in tutti i suoi punti, notevoli differenze di altezza (Tav. IMI [II], fig. 1,2). Simile carattere apparisce costante, tanto nelle mandibole complete, come nelle branche isolate e nei molti frammenti tanto di Olivola che di Valdarno. Il carattere presenta un certo interesse perchè, secondo quello che si osserva, è in intima relazione col numero dei premolari. La superficie esterna delle branche è abba- stanza regolare specialmente al di sotto della linea obliqua esterna ove le scabrosità, per l'inserzione dei muscoli, sono appena visibili; la porzione superiore invece ha delle irregolarità in corrispondenza delle radici dei veri molari. La linea su ricordata si disegna alquanto in basso in modo che il risalto della regione dentaria poco si accentua, però esso ha la sua origine al foro mentoniero e si (lilegua anastomizzandosi col bordo anteriore della porzione montante della mandibola. La regione sinfisaria della mandibola presenta partico- larità anatomiche molto salienti. La superficie di sutura è molto estesa ed alla notevole estensione aggiunge una curvatura anteriore pure notevole per modo che l’angolo anteriore della sinfisi è relativamente poco aperto. Questa apertura angolare è accentuata in ragione dell’età, giacchè nel cranio n. 2 è ancora meno aperta che nel cranio n. 1, mentre in alcune mandibole provenienti da Olivola, che appartengono ad individui più giovani l'apertura si addimostra maggiore. Le stesse forme più ridotte di questa specie sembrano con- servare piuttosto il carattere dei giovani. Insisteremo ulteriormente su questa particolarità e riporteremo nella tabella anche il valore angolare della sinfisi di aleune mandibole, mentre le figure Tav. II [I], fig. 1; Tav. III [II], fig.1,2; Tav. IV [III], fig. 1, 5, 6-9; Tav. V [IV], fig. 1, 2, 4, 5, 11, serviranno a dimostrare la variabilità individuale di quel carattere ed a porre in chiaro, che lo sviluppo della superficie articolare della sinfisi è in ragione diretta dello spazio occupato dai tre premolari anteriori, i quali mentre sono nella maggior parte degli individui adulti di Valdarno e di Olivola notevolmente fra loro distanziati, nei giovani ed in alcuni individui non giovani, ma di ridotto sviluppo provenienti specialmente da Olivola, detti molari si presentano fra loro molto più ravvicinati. Tutte queste differenze correlative forse potrebbero ad alcuno sembrare sufficienti per stabilire specie diverse; ma quando si abbia esaminato un buon numero d’indi- vidui di orsi viventi, sulla cui identità specifica non cada dubbio, e si sieno notate certe variabilità, fa- cilmente possiamo persuaderci che di fronte a tanti altri caratteri anatomici assai più costanti, quelle differenze perdono del loro valore. Ad ogni modo riesce opportuno notarle, mentre il carattere della sinfisi mandibolare dell’orso pliocenico non perde nulla della sua singolarità e relativamente alla disposizione ed al numero dei premolari ha un’ importanza anatomica molto notevole. La sutura anteriore della sinfisi mandibolare è fortemente saldata e presso la regione incisiva pre- senta quasi un callo osseo non molto rilevato, ma sempre evidente; in basso la sutura è beante come più comunemente accade per la mandibola dell’orso europeo U. arctos. I fori mentonieri sono situati più in basso che in tutti gli orsi conosciuti. Più importanti e caratteristici sono nel nostro orso pliocenico i processi coronoidi, i condili e le apofisi pterigoidee. I processi coronoidi sono piuttosto espansi, ma non molto alti, si iniziano anteriormente oltre la metà del terzo molare, in corrispondenza del quale la superficie esterna delle branche mandibolari si rileva formando quasi bruscamente un rilievo che di poco oltrepassa il secondo molare, mentre si accentua molto posteriormente. Questo rilievo, proseguendo, costituisce il bordo anteriore dell’apofisi coronoide e si presenta piuttosto spesso e con labbro sporgente all’esterno, nella sua metà inferiore. Questo labbro accentua l’infossatura esterna del processo coronoide, nella quale si notano le scabrosità digitiformi per l'attacco dei muscoli. In basso apparisce una costola in continua- zione dell’apofisi pterigoidea. Il corpo dell’osso che costituisce detti processi coronoidi è laminare e la loro forma triangolare smussata. Il bordo anteriore montante fa un angolo piuttosto aperto colla porzione orizzontale della branca e la sua curvatura in alto è molto sfuggente. Il bordo posteriore discendente è quasi normale al piano dei condili ed al centro presenta una leggiera curva rientrante. I condili hanno [23] G. RISTORI 37 singolare forma e particolarità. Il loro corpo è cilindrico e la smussatura inferiore esterna, che corri- sponde al bordo superiore dell’incavatura semilunare è appena accennata, per modo che lo spessore del condilo si presenta uniforme per quasi tutta la sua lunghezza (Tav. IV [III], fig. 3, 5). In nessuno degli orsi viventi si ritrova altrettanto per variabile che sia la forma del condilo. La suaccennata particolarità dei condili ha nell’orso pliocenico tanto più interesse, perchè si ricollega colla forma singolare che notammo nelle cavità glenoidee, le quali, essendo. quasi completamente chiuse da bordo rilevato ed uniforme per sviluppo laterale in tutta la loro lunghezza, non potevano dare ricetto che ad un condilo uniforme e quasi perfettamente cilindrico. Nessuna delle tante mandibole che ho esaminate presenta delle va- riabilità siano esse di giovani, di adulti, di vecchi; provengano da una o da un’altra località, tutte si rassomigliano nella forma generale. L’incavatura semilunare susseguente al condilo è piuttosto aperta ed internamente molto smussata. L’apofisi pterigoide è più lunga che grossa per modo che accentua la pro- fondità della cavità semilunare raggiungendo e quasi superando la sporgenza del condilo. Negli orsi viventi questo sembra essere carattere giovanile, ma nell’orso pliocenico l’abbiamo costante tanto nella mandibola (Tav. IV [III], fig. 4) del cranio n. 1, appartenente ad un individuo adulto, quanto in quella della Tav. V [IV], fig. 4, proveniente da Olivola e pertinente ad individuo vecchio. In nessun altro resto abbiamo conser- vata questa delicata parte ossea. Al pari dei condili, il processo pterigoideo è collocato piuttosto in basso e dista anche assai dal condilo medesimo per modo che la differenza di livello fra il piano dete rminato dai bordi inferiori delle branche mandibolari ed il piano dei processi pterigoidei è relativamente poca; mentre non può considerarsi eccezionale l’altezza piuttosto ridotta di tutto il processo coronoide. Nella faccia interna delle branche e dei relativi processi coronoidi, notiamo il bordo interno del pro- cesso, in alto, piuttosto spesso e sporgente. La superficie è liscia nella sua parte posteriore, in avanti esi- stono due costole biforcate in continuazione del bordo dentale, in basso, sulla linea dell’ estremo laterale interno del condilo, si inizia il canale dentale inferiore che va a finire nel foro dello stesso nome. Poco al di dietro ed in basso abbiamo un’ apofisi del bordo posteriore delle branche, l’ apofisi pterigoidea an- teriore, la quale si presenta assai sviluppata e molto scabra e con disposizione e forma simili all’ a pofisi pterigoidea pure essendo molto meno sviluppata. La superficie delle branche è molto uniforme; si nota il rigonfiamento alveolare molto in alto e solo in corrispondenza dei due ultimi molari. I rilievi del bordo posteriore non sono molto accentuati, per quanto il bordo medesimo si presenti piuttosto spesso e ro- busto. La regione sinfisaria è molto sviluppata e la distanza fra l’angolo sinfisario interno e la corona degli incisivi è molto notevole. L'angolo sinfisario interno non è molto aperto pur non facendo astrazione da una leggiera compressione laterale sofferta dalla mandibola specialmente nella sua parte posteriore. Tutto questo si riferisce alla mandibola del cranio n. 1 (Tav. IV [III], fig. 4, 5) giacchè per gli altri resti di Valdarno e di Olivola non abbiamo che branche o isolate o disgiunte sempre notevolmente alterate dalla compressione e la mandibola del cranio n. 2 (Tav. III [IT], fig. 1, 2) è potentemente compressa e deformata. A questo proposito però è bene notare, come nel frammento figurato a Tav. V [IV], fig. 11, proveniente da Olivola ed appartenente ad un individuo adulto, ma di ridotta statura, ove già rilevammo la partico- larità di avere meno sviluppate le articolazioni sinfisarie e più ravvicinati i premolari anteriori, si abbia anche l’angolo sinfisario interno assai più aperto. Dallo studio anatomico delle ossa craniensi e faciali che abbiamo fatto dell’orso pliocenico ci siamo dovuti principalmente servire del cranio n. 1, come il più completo ed il meglio conservato; però, via via che abbiamo potuto, ci siamo pure riferiti ad altro materiale più o meno frammentario, che esiste ab- bondantissimo nel Museo di Firenze ed abbastanza numeroso in quello di Montevarchi. Fra questo ma- teriale sono pure i classici resti figurati dal Cuvier e dal BrarnvILLE ed il cranio n. 2 trovato dal NESTI 38 G. RISTORI [24] e riferito, come già accennammo, a specie diversa stante la compressione dei canini, la quale è ormai noto come fosse carattere esclusivamente dovuto alla fossilizzazione o meglio allo schiacciamento eccezionale subìto da quel cranio. L’esame di tutto questo materiale ci ha porto propizia occasione per constatare delle differenze individuali di una certa importanza, tanto nelle ossa faciali, come nelle ossa craniensi, le quali differenze vedremo in seguito come si estendano eziandio ai denti, a cui fu sempre data tanta importanza. È certo che tanto i resti di Valdarno riferibili all’orso come quelli di Olivola costituiscono un materiale vario ed abbondante, che dà modo allo studioso di apprezzare comparativamente variabilità le quali, non alterando nel complesso i caratteri scheletrici ed avendo riscontri più o meno esatti in orsi viventi della medesima specie, perdono del loro valore e sono a considerarsi propri del sesso, dell'età, e magari del- l'individuo medesimo, il cui sviluppo per circostanze varie può essere facilitato, arrestato e magari mo- dificato. Tutte queste considerazioni a suo tempo dovranno contribuire a facilitare lo studio e la conoscenza degli orsi pliocenici italiani ed anche stranieri. Mandibola, Cranio mi d'&. 6 0 0 5 . - c o o e cInar2656 Cranio n. 2... 5 c 9 0 7 iene 2658 Branca destra d’Olivola, matiano oa Sona È 5 BN?) Lunghezza delle branche mandi- bolari dal condilo alla sinfisi Branche destra e sinistra di uno stesso individuo giovane (Olivola) 31239 Branche riunite alla sinfisi (individuo vecchio, ma di taglia mediocre) (Olivola) . . , . ò , : , o c ero 1274: Branca sinistra d’individuo molto vecchio (Olivola) È : TIRI Altra simile d’individuo vecchio (Olivola) ° . È : alia «1254 Branca priva di denti del Museo di Firenze (Valdarno) . ò Du di IU Altra del Museo di Montevarchi d’individuo vecchio (Valdarno) . » 14,2 Branche destra e sinistra di uno stesso indiv. (media età) (Gaville-Vald.) » 12,9 Lunghezza dall’ ultimo molare alla base del canino Cranio n. 1 7 ARIANO 0 6 0 0 O p ò atto 6,5 Cranio: n.2‘. 0 . 0 o . o 0 SARE) 7,0 Branca destra d’Olivola, indiviàno molto sviluppato : : » 1,8 Branche destra e sinistra di uno stesso individuo giovane (Olivola) » 5,2 Branche riunite alla sinfisi (individuo vecchio, ma di taglia mediocre (Olivola) . 6 0 o 5 o o Ò 6 È SRL 6,0 Branca sinistra d’individuo molto vecchio (Olivola) . ò GO 6,8 Altra simile d’individuo vecchio (Olivola) 5 . . . SN? 6,2 Branca priva di denti del Museo di Firenze (Valdarno) . c Of) 6,3 \_ Altra del Museo di Montevarchi d’individuo vecchio (Valdarno) . >» 6,3 | Branchedestrae sinistra di uno stesso indiv. (media età) (Gaville-Vald.) » 5,8 Distanza fra il primo molare Cranio n.1, » 1352 Cranio n.2 6 5 " h ò Ò ò 0 ò 31458 Branca destra d’Olivola, individuo molto sviluppato 5 È » 15,5 ed il canino | Cranio n.1. c . ò 0 . . 6 0 0 a 8,2 Sviluppo della sutura sinfisaria Cranio n.2. ; È 1 , 5 AA 8,9 Branche riunite DA sinfisi (Olivola) ò Ò 0 9 o dI 6,5 Val 4 di dell: 1 Cranio n. 1 ò à : s 0 470,2' PI alore in gradi dell’ angolo Cao î i 490,4! caonio nienme Branche riunite alla sinfisi (Olivola) 500,1 [25] G. RISTORI 39 Denti. DIGA SIA 3 si mostra costante per il genere Ursus; giacchè questo, mentre nei suoi -primi rappresentanti mantiene inalterata la formula suindicata, ben presto si modifica, e nell’Ursus spelacus ha subìta una notevole ridu- zione nel numero dei premolari da trasformarsi nella seguente uniti o, Il tipo però dell’ U. spelacus non sembra avere avuto ulteriore sviluppo ed ulteriore rappresentanza nella fauna recente; mentre gli orsi pliocenici sono rappresentati nell’attualità da diverse specie, che più o meno rammentano le forme pri- mitive. Infatti 1° U. arctos ha una formula dentaria che potrebbe con relativa costanza essere la seguente So Ia eo Bollo Ya 9, specialmente nella mandibola, mentre nella mascella superiore tendono in qualche individuo a ricompa- rire; però dalla loro posizione spostata ed addossata al primo premolare, e dalla poca frequenza del caso, potrebbe questa ricomparsa ritenersi come fatto isolato di atavicità. Ad ogni modo la formula den- taria tipica dell’ U. arctos è indubbiamente quella indicata, che può in alcuni individui ridursi ulteriormente alla seguente PUT. t a ; D'altra parte esistono alcuni orsi nell’Indie, nell’Arcipelago malese ed anche nelle Cordilliere delle Ande, i quali conservano la formula dentaria tipica della famiglia degli Ursidi e non presentano affatto riduzione nei premolari. Questo fatto mi sembra abbastanza significativo per dimo- strare come molti degli orsi oggi viventi abbiano avuto DONI filogenetici con i nostri orsi pliocenici, piuttostochè con 1 U. spelaeus del quaternario. L’orso del Valdarno, come in genere gli orsi del nostro pliocene mantengono inalterata la formula dentaria tipica della famiglia e per questa come per altre particolarità anatomiche mostrano avere con- servati alcuni caratteri atavici di cui avremo occasione di parlare a suo tempo. Ma fin d’ora noteremo come la tendenza alla riduzione dei premolari nel numero e nello sviluppo siasi manifestata anche nel nostro orso fossile, ed a questo proposito figuro una branca di mandibola ove manca il terzo premolare (Tav. V [IV], fig. 3). L’esemplare è del museo di Montevarchi e proviene da Caposelvi presso Bucine. Veniamo ora all’ esame anatomico dei denti, ponendo a profitto il molto materiale fossile di cui per fortuna pos- siamo disporre. Incisivi. — Questi denti sono sei tanto nella mascella superiore come nella mandibola. I due incisivi anteriori hanno una corona assai sviluppata, la loro forma però non è decisamente a scalpello, ma l’apice sì presenta piuttosto appiattito, più assai che non sia quello dell’ U. arctos. Questo carattere è ben visibile nei crani figurati e non sembra presentare eccezioni; giacchè anche nel restante materiale d’Olivola e di Valdarno, esistente nel Museo di Firenze e di Montevarchi, possiamo fare identiche osservazioni. È singolare però il vedere come in tutti i nostri resti fossili l’usura degli incisivi sia molto avan- zata; cosa che, mentre ci vieta di conoscere esattamente la loro forma, denota un regime alimentare molto speciale. I secondi incisivi sono, come di regola, più grandi, con corona più larga, più decisamente foggiata a scalpello, ma sempre spianata ed in forma di tavola masticatrice, quantunque la parte interna presenti un piano inferiore costituito da due piccoli lobi per modo che il dente potrebbesi considerare trilobo, col lobo anteriore più sviluppato e scalpelliforme e i due posteriori più in basso disposti sulla stessa linea. Alcuni incisivi isolati, appartenenti ad un giovane individuo, pure provenienti dal Valdarno, presentano evidenti quelle caratteristiche che si intravedono facilmente negli individui più adulti che La tipica formula dentaria degli Ursidi sarebbe la seguente: ; questa formula però non E però un fatto molto interessante quello di vedere come i premolari tendono a scomparire, 40 G. RISTORI [26] mostrano questi denti sempre molto deformati dall’ usura. I terzi incisivi hanno anche nell’orso pliocenico un notevole sviluppo, però forse non raggiungono quello del nostro orso vivente, in cui generalmente presentano la corona più allungata e più acuminata; al contrario nella faccia rivolta verso il canino hanno una smussatura, molto accentuata, tanto che il dente si discosta più dell’ordinario dalla forma di canino che questi terzi incisivi sogliono presentare. Come carattere di correlazione possiamo unitamente all’ in- cavo laterale del dente richiamare il notevole diastema che corre fra questo ed il canino, perchè tanto il carattere dentario come quello dell’osso premascellare tendono al medesimo scopo, cioè a dare facile passaggio al canino della mandibola che appunto si insinua in quell’ interspazio. L’usura notevole ha pure modificata alquanto la forma di questo dente, che nei giovani individui si presenta un poco più acumi- nato, ma sempre unciniforme e col vertice della corona piegato all’infuori. Canini superiori. — Questi denti meritano nel nostro orso particolare attenzione. Sono essi molto robusti nella radice e presentano una base molto sviluppata, però al colletto si stringono notevolmente, per modo chela conicità del dente, in relazione all'altezza della corona, non presenta nulla di anormale. Singolare piuttosto è la forma della corona, la quale si mostra depressa lateralmente e conseguentemente molto spessa nel senso antero-posteriore; in conclusione tende un po’ alla forma falciata dei canini del Machairodus (Meganthereon). Questo carattere è pure accompagnato dall’ altro della crenatura della co- stola interna del dente sempre visibile. La forma leggermente appiattita e falciata di questi canini che nel cranio n. 2 fu molto accentuata dalla compressione, in lieve misura si mantiene in tutti i nostri esem- plari, qualunque sia la loro provenienza, quindi deve assolutamente ritenersi come carattere proprio della specie. La depressione laterale dei canini è pure carattere giovanile degli orsi in genere e dell’ U. arctos in specie. La crenatura della carena interna invece è propria specialmente degli orsi indiani. Dalla parte esterna la corona si innalza quasi perpendicolare al piano del colletto, soltanto in prossimità del suo apice si volge leggermente all’indentro; dalla parte interna invece presenta un piano inclinato molto sentito fino a. circa un terzo del dente, quindi riprende un andamento moderatamente convergente verso l’apice. Questo andamento è pure determinato e seguìto da una carena abbastanza evidente e crenulata, che si inizia al colletto ed accompagna il dente fino all’estremità. È singolare il fatto che l'usura notevole degli incisivi non risponda affatto a quella dei canini, la quale invece è, in tutti i nostri esemplari fossili, meno notevole che negli orsi viventi da me esaminati. Questi canini superiori per lo sviluppo della loro corona presentano una robustezza media e neppure negli individui molto vecchi e di eccezionale sviluppo per la specie (come sarebbe il frammento di mascellare che è nel Museo di Montevarchi Tav. III [IT], fig. 6, ed il nostro stesso cranio n. 2) si presentano tanto sviluppati. Questi forse raggiungono in alcune varietà di U. aretos mag- giore grandezza, mantenendosi più regolarmente conici e meno appiattiti. Nei giovani individui oltre la carena interna ne abbiamo ben distinta una seconda laterale anteriore, la quale tende ad obliterarsi nei più vecchi, pur sempre lasciando traccia di sè. Il restante della superficie della corona non presenta altre particolarità notevoli se non qualche leggiera scanalatura disposta nel senso longitudinale, che va oblite- randosi completamente coll’età. Il colletto in questi denti è bene evidente, ed è determinato da un ri- lievo espanso, grosso 1 millimetro e ben visibile nella parte interna del dente; esso colletto si rialza an- teriormente seguendo una curva, moderata ai lati, che si accentua anteriormente quasi da dar luogo ad un seno in corrispondenza della faccia esterna del dente; in questa regione desso colletto è meno evidente ed appena si discerne dal piano della corona. In questi canini è altresì notevole la forma e la robustezza della radice (Tav. II [I], fig. 4,55). Nella convessità anteriore molto pronunziata, la radice è lunga ‘quasi il doppio della corona, nella concavità po- steriore è circa un terzo. Poco oltre il colletto si ingrossa notevolmente, raggiunge il suo massimo [27] G, RISTORI ad un terzo della sua lunghezza, indi tende a convergere, pur mantenendo al suo esterno un certo spes- sore. Anch’essa radice al pari della corona si mostra conica, ma schiacciata notevolmente nel senso tra- sversale. La sua superficie laterale esterna è quasi piana, quella interna invece si presenta assai più con- vessa specialmente vicino al colletto, mentre si deprime assai all'estremo. Presso il suo apice si nota una depressione che riduce ulteriormente l’apice medesimo, specialmente dalla sua parte interna. Questa particolarità sfugge negli orsi viventi e specialmente nelle specie e varietà con cui il nostro presenta le maggiori somiglianze. Nei diversi individui fossili che ho potuto esaminare, ho riscontrate alcune varianti nella forma e nelle dimensioni di questi denti, p. es. nei due crani incompleti d’ Olivola (Tav. III [IT], fig. 4, 5), i canini sono un poco più schiacciati lateralmente, hanno le due carene, specialmente dal lato interno, più sviluppate. Le stesse particolarità sono a notarsi in un giovane individuo proveniente dall’ Infernuzzo (Valdarno sup.) come in qualche altro dente isolato del Museo di Firenze e di quello di Montevarchi. All’ incontro abbiamo nella maggior parte dei resti del Valdarno ed in parecchi denti isolati d’Olivola una depressione laterale meno accentuata, unitamente alla quasi obliterazione della carena laterale interna ed al mag- giore sviluppo della corona, sia in grossezza che in lunghezza. Un individuo ultimamente da me trovato nelle ligniti di Gaville (Tav. IV [IIT], fig. 1), ed un esemplare esistente nel Museo di Montevarchi, raccolto alle Ville, unitamente ai denti isolati d’ Olivola, presentano gli estremi della scala nello sviluppo dei canini e nell’obliterazione della carena laterale interna, mentre il cranio n. 1, unitamente ad altri fram- menti e denti isolati di Valdarno e di Olivola hanno caratteri intermediari. — Da tutto ciò si rileva una certa variabilità in simili caratteri non spiegabile coll’ età, forse spiegabile col sesso o meglio con le diffe- renze individuali così frequenti in questi animali. Dimensioni degli incisivi superiori. piena Rega dueAlA Cranio d’ Olivola Incisivi isolati di giovane individuo (Tav. ITI [11], fig. 5) o , fig. e—aar “**g<<=----\0ee...«=——rt==-Z—--r=*>5 Cranio n.1 Cranio n.2 Inc. primo Inc. secondo Ine. terzo Inc. secondo Inc. terzo Inc. primo i [fr Altezza della corona 0 ò Gao 03) 0,6 0,9 1,2 1,6 1,1 150 Larghezza della corona . 5 Nn 06 0,6 0,5 0,5 0,9 0,5 0,7 Spessore antero-posteriore ù MIO 0,7 0,7 0,7 1,1 0,7 1,0 Inc. secondo PP Altezza della corona 6 c po di 00 0,7 Larghezza. . 0 . : od 03 0,7 Spessore antero-posteriore 5 dl Di 0 0,8 Inc. terzo i — us — Altezza della corona 0 0 n IO, 1,2 Larghezza media . ò a a 2 OS, 0,7 Spessore antero-posteriore alla base » 1,0 ? » » all'apice » 0,4 ? 0,3 0,4 Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 6 42 G. RISTORI [28] Dimensioni dei canini superiori. Cranio Cranio Cranio Denti Mascellare Dente isolato Cranio di Gaville di Olivola di Olivola isolati sup. con radice n.1 (Tav. IV [III], (Tav. III [II], (Tav. III [II], di Infernuzzo Figline fig. 1) fig. 4) fig. 5) Olivola (Vald.sup.) Valdarno sup. Altezza della corona anteriormente cm. 3,0 3,3 2,5 3,0 39. 3,0 3,2 » » posteriormente » 3,4 3,9 2,7 Go 99 3,5 3,9 Larghezza alla base o c od Io 1,6 1,2 1,7 I 1,6 1,9 » presso l'apice. 6 » 0,6 0,6 0,8 0,6 0,7 0,6 0,7 Spessore antero-posteriore alla baco PIMME ZA 2,3 115) 2,9 2,8 1,9 2,2 » ad 4/3 del dente 0 6 1,6 1,4 TEST It 1,6 1,40 » presso l'apice . 6 ei 0.6 0,7 0,6 0,6 0,7 0,5 0,6 Lunghezza della radice . ? » ? 6,4 ? ? 1,2 2 6,9 Spessore della medesima presso il colletto nel senso trasversale . » 1,6 1,7 1,4 ? 1,9 ILprf 1,8 Idem nel senso antero-posteriore . » 2,3 2,7 2,2 2,8 230 2? 2,6 Id. all'estremità nel senso trasversale » ? 1,0 5 2? 0,9 9? 1,2 Id. » » antero - po- steriore b 5 do a Nea ? ILol ? 9 15) ? 1,5 Tutte queste misure sono state qui riportate per mettere in evidenza le variabilità individuali o di sesso e per dimostrare come il concetto di differenza specifica per il nostro orso pliocenico debba avere una certa larghezza, per non correre il rischio di riferire a specie diverse individui diversi della specie medesima, i quali presentano entro certi limiti delle variazioni non indifferenti. Premolari superiori. — Eccoci ad uno studio molto interessante per gli orsi in genere e per il no- stro in specie. Veramente le maggiori varianti sono riferibili ai premolari della mandibola, ma anche quelli della mascella hanno notevole interesse. Secondo la formula dentaria abbiamo quattro premolari per ogni mascella. La maggior parte di questi non hanno il carattere gemmiforme di quelli della mandibola ed assumono uno sviluppo relativamente notevole, il quale va accentuandosi dall’avanti all’ indietro coll’ ec- cezione del secondo premolare, che in generale è il più ridotto. Questo fatto si ricollega eziandio colla scomparsa di detto molare negli orsi viventi che più si avvicinano all’orso pliocenico. Le dimensioni della corona in questi denti, considerati comparativamente nei diversi individui, sono incostanti, come pure incerta si presenta la forma, forse per un arresto di sviluppo più o meno notevole. In qualche individuo dell’ U. aretos si trovano eccezionalmente quattro premolari, ma asimmetrici per la disposizione e raramente presenti in ambedue le mascelle. La ricomparsa del secondo premolare deve considerarsi come carattere atavico, il quale dimostra la comune origine della maggior parte degli orsi viventi dall’ orso pliocenico, ed aggiunge argomento per dimostrare la stretta parentela dell’orso europeo vivente con quello fossile. Lo spazio occupato dai premolari non è eguale in tutti gli individui di questa specie; lo trovo mas- simo nei crani n. 1 e n. 2; mentre è minimo in un frammento di mascellare superiore del Valdarno raccolto all’ Infernuzzo nel 1873, e nei frammenti figurati dal Cuvier e dal BrAINvILLE, i cui originali esistono nel Museo fiorentino. Di media lunghezza si riscontra nel frammento di cranio da me ritro- vato nelle ligniti di Gaville (Tav. IV [III], fig. 1) ed in quello del Museo di Montevarchi (Tav. IMI [II], fis. 6) che appartiene ad un individuo molto sviluppato, ma non tanto vecchio. Qualunque sia lo spazio occupato dai premolari nei diversi crani e frammenti, questi denti si dispongono con massima regolarità. [29] G. RISTORI 43 Il primo lo si trova costantemente addossato al canino, il terzo molto vicino al quarto, il secondo equi- distante dai due summentovati. Questi denti sono nei diversi individui più o meno ravvicinati, essendo nei medesimi variabile lo spazio del mascellare da essi occupato (Tav. II [I], fig. 1, 3; Tav. III [IT], fig. 1, 2, 4-6). Anche la forma dei tre primi premolari ha una certa incostanza. Il primo a volte si presenta unilobo ed in forma tronco-conica con disposizione alquanto obliqua della cresta, altre volte accenna ad una divisione biloba con lobo posteriore assai più piccolo dell’anteriore, e con colletto più o meno sviluppato. Il secondo premolare è notevolmente ridotto, tantochè anche nel nostro orso pliocenico può dirsi che accennasse a scomparire. In questo però mantiene sempre una forma conico-tagliente ed un leggiero accenno alla divisione della corona in lobi e non ha, come negli orsi indiani, il deciso carattere gemmiforme. Il terzo premolare è dei tre primi il più sviluppato e tale si mantiene in tutti gli orsi viventi che presentano affinità più o meno notevoli col nostro fossile. La sua corona si innalza su di un colletto assai evidente, quantunque vario per sviluppo nei diversi individui, come del resto varia si presenta anche la corona, sia per gran- dezza, sia per particolarità morfologiche: infatti negli individui in cui i premolari sono più ravvicinati fra loro, la corona del terzo è più uniforme ed il colletto meno evidente e l’accenno alla divisione in lobi appena apparisce; negli altri invece ove i premolari occupano maggiore spazio e si presentano nello stesso tempo più sviluppati, il colletto ha larga base, si presenta frastagliato e su di esso s’innalza la corona più ampia e decisamente biloba e a volte anche triloba per un lobetto che apparisce anteriormente presso il colletto. Negli individui piuttosto giovani e anche nel nostro cranio n. 1 abbiamo uno sviluppo medio di questo terzo premolare, il quale del resto è evidentemente bilobo con un colletto quasi fuso colla corona. Il fatto è che i tre primi premolari presentano molte variabilità, le quali pure si sono mantenute nelle forme viventi, e queste variabilità sono per me connesse colla tendenza che questi denti hanno a ridursi, prima di sviluppo e poi di numero. Il premolare, che presenta minori eccezioni ed è sempre bene sviluppato, è il quarto. Esso è prov- visto di colletto piuttosto largo e grosso, rilevato più ai lati, alquanto depresso anteriormente, ma egual- mente alto. La forma della corona è conica, spesso costituita da tre mammelloni o lobi piramidali, uno anteriore più sviluppato, uno posteriore più basso, ed un terzo quasi rudimentale, che si dispone inter- namente alla base del posteriore occupandone solo la metà. In alcuni individui si manifesta. un quarto piccolo lobetto, alla base del lobo maggiore, come si vede anche in alcuni individui di U. arctos e spe- cialmente in quelli della Polonia, nei quali abbiamo pure maggiormente sviluppato il terzo premolare. Nella nostra specie pliocenica però questa particolarità sembra propria del minor numero di individui, ove detto quarto lobo è appena visibile ed apparisce come un rigonfiamento del colletto. Del resto la tipica forma del quarto molare dell’ orso fossile pliocenico è quella triloba, col lobo anteriore piramidale, con piccolo rigonfiamento ad un terzo dello spigolo anteriore, con apice piuttosto acuminato e trigono, con spigolo posteriore generalmente integro o con piccola intaccatura a metà. Il lobo posteriore è più basso, con faccia esterna carenata, con apice piuttosto tagliente, ma ottuso alla sommità nel senso antero-poste- riore, con faccia interna alquanto depressa, sfuggente all'indietro, più rigonfia all’avanti nel punto ove si adagia il terzo lobo. Le dimensioni di questo premolare sono di gran lunga superiori a quelle degli altri, presentano del resto qualche piccola variabilità. In alcuni individui abbiamo il lobo anteriore più alto e più acuminato e la stessa modificazione si trova nel lobo posteriore, giacchè queste caratteristiche concordano col maggiore sviluppo del terzo lobo e colla presenza quasi eccezionale del quarto. Negli indi- vidui molto avanzati in età questo premolare è più lungo, ma non più largo alla base; anzi il colletto si presenta più sporgente negli individui di media età, mentre nei giovani è anteriormente quasi obliterato. Per le precise dimensioni rimando alla tabella che farà seguito alla descrizione anatomica dei molari superiori. 44 G. RISTORI [30] x Veri molari sup. — I molari veri è ormai stabilito di contarli dall’ avanti all'indietro; per cui, se- guendo questo sistema, negli Ursidi il primo molare è il più piccolo. Questo ha forma quadratica, allargata molto alla base, con colletto sporgente e corona relativamente alta. La corona può dividersi in quattro lobi che nettamente si identificano anche sulla superficie della tavola masticatrice. I due lobi esterni mantengono il carattere piramidale acuto di quelli del quarto premolare, gl’interni presentano, quasi costantemente in tutti i nostri individui, una notevole usura, più avanzata negli esemplari provenienti dal Valdarno, meno in quelli di Olivola. Nei giovani però ove l'usura è minima, i lobi interni si presentano piramidali e di notevole acutezza a differenza di quelli degli orsi viventi in genere e dell’ U. arctos in specie. Oltre a ciò in questi giovani si presenta un terzo lobetto intermedio pure visibile nei giovanissimi orsi viventi. È carattere saliente della tavola masticatrice una porzione posteriore liscia costituita a piano inclinato, ove si presenta, sulla faccia esterna, un terzo rilievo piramidale. L’ esemplare d’ Olivola figurato (Tav. III [II], fig. 5) è quello che mostra con maggiore evidenza questa particolarità; tutti gli altri esemplari chi più chi meno sono provvisti di una depressione a volte appena accennata, a volte più profonda ed angolosa, la quale determina la divisione di questo terzo lobo esterno. La faccia interna della corona è nettamente divisa in due porzioni, corrispondenti ai due lobi interni, il più piccolo o anteriore, è notevolmente rigonfio, il più grande o posteriore, nella sua prima porzione, pianeggia, poi diviene notevolmente convesso stringendo l’ultima porzione del dente. Questo ristringimento nei diversi individui è tanto più notevole quanto maggiore sviluppo ha assunto la parte pianeggiante su ricordata della tavola masticatrice. Non è infrequente l’ ac- cenno ad un terzo lobo centrale che si adagia fra l’insenatura di questi due lobi maggiori interni. Del resto questo carattere potrebbe ritenersi generale, giacchè mentre con costanza apparisce nei denti che non hanno sofferta una troppo avanzata usura, è meno evidente in quelli, che, come la maggior parte degli individui di Valdarno, la presentano avanzatissima, specialmente dalla parte interna. Secondo vero molare. — Questo dente nei diversi esemplari presenta sviluppo molto vario special- mente nel senso della lunghezza. Negli orsi viventi è pure notevole questa variabilità, però sembra contenersi, nella maggior parte degli individui, in limiti più ristretti. Lo sviluppo di questo dente deve ritenersi carattere individuale, perchè esso si trova di notevoli dimensioni fino dalla prima età e d’altro canto poi abbiamo individui anche vecchi con questo molare abbastanza breve. Nel Museo di Montevarchi ho potuto esami- nare un secondo molare superiore isolato, che presenta dimensioni notevoli, ed evidentemente appartiene ad un vecchio individuo. Queste stesse dimensioni le ritrovo nel correspettivo molare del cranio n. 1, che non è di vecchio individuo nè presenta eccezionale sviluppo. Al contrario nella porzione di cranio del Museo di Montevarchi (Tav. IV [III], fig. 6) che ci rappresenta un individuo quasi di eccezionale sviluppo, trovo detto molare di media lunghezza; mentre nell’individuo giovane (Tav. V [IV], fig. 8) ® del Museo di Firenze abbiamo detto molare che ha già raggiunto la lunghezza di quello del cranio n. 1. Tutto ciò a dimostrare l’incostanza di queste differenze. Ad ogni modo pare che gli individui provenienti da Oli- vola al pari della brevità dello spazio occupato dai premolari, presentino anche la riduzione in lun- ghezza del 2° molare superiore, per quanto questa non sia molto notevole. Queste varianti appariranno anche meglio dal quadro delle misure. Veniamo ora alla descrizione morfologica del dente. La corona di questo dente è in generale molto bassa, il colletto è bene evidente e circuisce il dente; dalla faccia esterna si presenta rilevato, cordoniforme, ma non tanto alto; all’incontro sulla faccia interna, special- mente nella regione anteriore, assume un notevole sviluppo, sia in altezza, che in larghezza, per modo i Di questo frammento di mascellare sono stati figurati solamente i due molari veri ed il quarto premolare in grandezza naturale. [81] G. RISTORI 45 che nei denti, che come quelli del Valdarno hanno sofferta notevolissima usura interna, questo colletto fa quasi un solo piano colla tavola masticatrice e riesce difficile identificarlo per tale. Il colletto poi si riduce notevolmente e tende ad obliterarsi nelle due facce anteriore e posteriore e specialmente nella prima. La disposizione dei tubercoli non è molto diversa da quella che abbiamo riscontrata nel primo molare, solamente va gradatamente accentuandosi l'arrotondamento delle estremità piramidali e lobulari dei medesimi, per cui la tavola masticatrice assume un più deciso carattere pianeggiante, per quanto sempre notevole si presenti il dislivello dall'esterno all’interno della medesima. In quest’ultimo molare è più evidente e molto più accentuato il carattere uniforme e lievemente frastagliato della porzione posteriore del dente. Questa porzione della tavola masticatrice è come costituita da un solo lobo posteriore che in- teressa tutta la larghezza del dente, e non presenta divisioni e frastagliature lobulari, per modo che la tavola masticatrice è solo leggermente sollevata al centro e circuita da un margine rilevato in continua- zione dei lobi esterni ed interni, che abbiamo nella metà anteriore del dente, la quale presenta pure una maggiore altezza e complicanza nella corona: infatti questa, come già accennammo, è divisibile in quattro lobi principali ed altri secondari, i due esterni hanno forma piramidale, la quale va accentuandosi, sia per altezza, sia per acutezza dell’ angolo apiciale, coll’ età ed in parte collo sviluppo longitudinale del dente. Negli individui adulti il lato, o meglio lo spigolo anteriore del primo lobo piramidale, è abbastanza acuto e l’ inclinazione assai sentita, più dolce è lo spigolo posteriore. Il secondo lobo, sempre negli individui adulti, è a dente di sega, con lati, specialmente l’ anteriore, assai inclinati; però, per il concorso di una collina trasversale che unisce questo secondo lobo esterno col respettivo interno, l’angolo solido dell’apice si fa distintamente trigono ed ingrossato in forma di tubercolo alquanto roton- deggiante, ma sempre acuto. Nei giovani individui ed in qualche adulto, specialmente degli esemplari provenienti da Olivola, lo sviluppo in altezza ed il carattere acuminato di questi lobi sono molto ridotti. La riduzione però va in parte attribuita alla diversa usura presentata dagli individui provenienti da Olivola rimpetto a quella degli esemplari di Valdarno, o alla poca usura sofferta dai giovani. Questo però non toglie che il carattere sia costante ed abbia importanza morfologica indipendente- mente dalle modificazioni che può avere sofferte per l’uso dei denti, dalle quali è ben facile fare astra- zione. I lobi interni sono due principali; questi si riconnettono mediante colline trasversali con i lobi esterni e si presentano anche nei giovani individui ed in quelli adulti, ove non hanno sofferta notevole usura, piuttosto rilevati, ma assai meno degli esterni correspettivi. Al minore rilievo si unisce eziandio una forma mammellonare molto meno acuminata, più conica che piramidale. In alcuni individui giovani (Tav. V [IV], fig. 8) il lobo posteriore esterno raggiunge un eccezionale sviluppo e s’innalza sul colletto quasi quanto il suo correspettivo lobo esterno. Questa particolarità è pure manifesta nei giovani individui d’Olivola, ma in questi lo sviluppo del lobo non è tanto accentuato. Fra questi due lobi principali in- terni se ne scorgono altri due frapposti, assai più piccoli, in forma di collinette trasversali triangolari, che però non interessano altro che una porzione limitata della tavola masticatrice e non si spingono al di là della linea mediana del dente, la quale, nei denti poco usati, si disegna come un solco tortuoso, che inte- ressa solo la regione anteriore o lobulare del dente, abbandona la porzione posteriore, che, piana nei denti che hanno sofferta notevole usura, si presenta sagrinata profondamente e ‘conspersa di rilievi e depres- sioni irregolari, nei giovani e nei denti che hanno più integra la tavola masticatrice. Questa sagri- natura si mantiene anche nella regione mediana interlobulare della tavola masticatrice nei molto giovani individui, mentre negli adulti è sostituita dal solco tortuoso suindicato. Negli individui, in cui l’usura si è specialmente esercitata dalla parte interna, la tavola masticatrice si dispone a piano inclinato ed i lobi interni si presentano in foggia di areole. Questo avviene pure nel primo molare; e l’individuo figurato a Tav. INI [IT], fig. 5 lo mostra chiaramente. 46 G. RISTORI [82] Dimensioni dei premolari superiori. PRIMO PREMOLARE Crani Cranio di ERI Olivola Di: (Tav. III [II], fig. 5) Altezza della corona + . ò Ò 5 0 5 Ò ò 0 Ò . o a 0,5 Spessore antero-posteriore . ò Ò . c . o Ò 5 c Ò c » 0,6 0,7 » trasversale . . DÒ . E: Ò o Ò 0 0 : 0 0 » 0,3 0,4 Lunghezza della radice o o o . 0 0 . " A 7 . 5 » 1,4 _ SECONDO PREMOLARE Cranio Altro cranio Cranio di Olivola di Olivola n.2 (Tav. III [II], (Tav. III (II), fig. 5) fig. 4) Altezza della corona . 0 . ò ; ò d 5 o Gio 055 0,35 0,45 Spessore antero-posteriore . c c 6 , , È 0 » 0,55 0,6 0,5 » trasversale . 6 0 è È ò à ò 3 » 0,5 0,4 0,35 TERZO PREMOLARE Cranio Cranio Frammento dei Cranio Cranio di Olivola di Olivola mascellari di n, 1 n.2 (Tav.III [II], (Tav.III [II], giovane individuo. fig. 4) fig. 5) Valdarno Altezza della corona . o . 0 o Gin 055) 0,4 0,4 0,4 0,4 Spessore antero-posteriore . 5 ; : » 0,7 0,8 0,8 0,95 0,7 » trasversale . 0 © 6 o » 0,5 0,5 0,55 0,5 0,5 QUARTO PREMOLARE Frammento dei Cranio di Cranio di mascellari di Cranio Olivola Olivola giovane individuo. n. 1 (Tav. III [II], (Tav. ITI [II], Valdarno fig. 4) fig. 5) (Tav. V [IV], fig. 8) Altezza del lobo anteriore della corona . x i @Mo Ibi Joi Toi Il » » posteriore » 0 ò Ò » 0,8 0,8 0,7 0,9 Lunghezza del dente . : . 0 . ò , » 1,7 1,6 1,7 1,6 » del lobo anteriore . o - . . » 1,0 1,0 0,9 1,0 » » posteriore . ò . ò 0 » 0,7 0,6 0,8 0,6 Spessore del lobo anteriore alla base . . o » 0,9 1,0 1,0 1,0 » » posteriore alla base ; Ù Ò » 0,7 0,65 ill 1,3 Altezza del lobo interno posteriore . : o c » 0,5 0,55 È 0,55 Lunghezza del medesimo . . 0 ò 5 " » 0,6 0,6 0,85 0,7 Altezza del colletto . . 6 6 . 0 0 » 0,2 0,25 0,25 0,3 Larghezza del dente anteriormente . o o c » 0,8 1,0 1,0 0,9 » » posteriormente . o . . » Jil ail Il 0,7 Nei frammenti di Valdarno figurati dal Cuvier e dal BrarnvILLE non che in tutti quelli del Museo di Montevarchi, compreso il maggiore di essi appartenente ad individuo molto sviluppato (Tav. III [Ii], fig. 6), abbiamo presso a poco le medesime misure e dimensioni constatate nel cranio n. 1. [33] G. RISTORI 47 Dimensioni dei molari veri superiori. PRIMO MOLARE ! Frammento di Cranio di A Cranio Olivola , mascellare di SIT] (Tav. III [II], giovaneindividuo. fig. 5) Valdarno (Tav. V [IV], fig. 8) Lunghezza massima del dente . 7 0 ò . ò gii tao, 22) 2,2 2,1 » del lobo anteriore esterno à 0 . Ò ò » Tal 1,0 1,0 Altezza » » » . " 0 0 . » 0,9 0,9 1,05 Spessore » » » 0 . o 5 6 » 0,85 0,75 1,0 Lunghezza del lobo posteriore esterno 0 0 , 0 d » RAI! 1,2 1,2 Altezza - » » » - 6 o o . » 0,95 1,0 1,0 Spessore » » » . 0 o n o » 0,9 0,9 1,0 Lunghezza del lobo anteriore interno c o 0 0 0 » 1,0 Jp 1,9 Altezza » » » n ù Ù . . » 0,7 0,9 0,9 Lunghezza del lobo posteriore interno 0 + 6 . . » 1,3 1,2 Tal Altezza » » » . 0 0 6 o » 0,8 0,8 0,95 Lunghezza del dente anteriormente . 0 6 0 5 0 » 145) 1,45 1,5 » » posteriormente . ? 0 , 6 0 » NT 1,5 1,6 » » nel punto mediano . . o 0 0 » 1,6 1,5 1,5 Altezza del colletto . ‘’. 0 0 0 0 Ò ” 0 » 0,4 0,4 0,5 i SECONDO OD ULTIMO MOLARE Cano A Frammento di Cranio Olivola esordio ch n.1 (Tav. III [11], giovane individuo. fig. 5) Valdarno (Tav.V [IV], fig. 8) Lunghezza massima del dente . . ; 0 0 . PAGE CIO ORO 3,1 3,3 » della parte anteriore lobata . ò ” ò o » 2,2 2,0 DIO, » della parte posteriore liscia. . a Ò ò » 1,2 Il ei » del lobo anteriore esterno 5 6 6 Ò 0 » 1,2 1,1 1,15 Altezza » » » 6 0 0 o 0 » 1,0 0,75 0,9 Spessore » » » c 0 . È 5 » 0,9 0,9 Ip Lunghezza del lobo posteriore esterno -{/{. /. /./.. » 1,0 1,0 1,2 Altezza » » » È ” , 6 b » 0,8 0,8 0,9 Spessore » » » Ò : b . . » 0,85 0,9 0,9 Lunghezza del lobo anteriore interno ò » 1,25 1,2 1,4 Altezza » » » . 6 Ò . » 0,9 0,8 0,8 Lunghezza del lobo posteriore interno o . . ò o » 0,9 0,75 1,2 Altezza » » » 0 ò 6 6 È » 0,8 0,7 0,3 Altezza della corona nella porzione posteriore del dente (massima) » 0,7 0,7 0,7 » » » » » (minima) » 0,45 a 0,5 0,5 0,4 Larghezza del dente anteriormente . . 5 G o a » 2,0 1,8 IO) » » posteriormente . c . D à , » 1,5 1,2 1,9 » » nella sua parte mediana . ò 0 3 » 2,1 1,7 1,8 Altezza del colletto nella regione laterale esterna . , 0 » 0,4 0,4 0,4 » » » » interna . . . » 0,45 0,5 0,5 » » » » posteriormente Ò » 0,5 0,55 0,45 i Questo dente in nessuno degli esemplari per quanto numerosi si presenta colle radici scoperte e neppure ab- biamo denti isolati che le conservino, per cui l’esame e le dimensioni di queste non sono accessibili. Notiamo inoltre come, in nessun altro esemplare all'infuori di quelli di cui qui sono indicate le misure, detto dente si mostra con- servato, in modo da poterne dare le precise dimensioni, per cui abbiamo preferito di estendere meno i paragoni, li- mitandoli solo agli individui ove il dente si presenta nella sua perfetta integrità. 48 G. RISTORI [34] Nel frammento anteriore di cranio del Museo di Montevarchi si trovano, come già dicemmo, le stesse dimensioni che nel cranio n. 1, ed anche il dente isolato, pure di questo Museo, che appartiene ad un vecchio individuo, non presenta notevoli differenze, solo nella lunghezza supera di mezzo millimetro quello del correspettivo del nostro cranio n. 1. Ad ogni modo è notevole come questi ultimi molari non assu- mano un molto maggiore sviluppo fra i vecchi, gli adulti ed i giovani; solo alcuni individui li presen- tano, come il cranio d’Olivola (Tav. III [IT], fig. 5), notevolmente ridotti; ma questo carattere si mantiene in tutte le età inalterato, e fra vecchi e giovani non corrono che le ordinarie differenze. Denti della mandibola. Primi incisivi inf. — Questi denti non si mostrano completamente conservati che nella mandibola ap- partenente al cranio n. 1 (Tav. IV [III], fig. 3-5). Nei molti frammenti di mandibole e di branche mandibolari più o meno ben conservate di Olivola e di Valdarno sono assenti specialmente i quattro incisivi anteriori, in alcune poche si hanno conservati i posteriori, ora il destro, ora il sinistro. A seconda della formula den- taria questi denti sono in numero di sei, che possono aggrupparsi a due a due destro e sinistro. Gli anteriori sono i più piccoli, come è carattere generale di tutti i carnivori. La loro forma è a scalpello con tallone interno notevolmente sviluppato che sopravanza non poco dal piano della radice. Per quanto nel nostro esemplare abbiano sofferta notevole usura, pure dall’ andamento convergente delle due faccie della corona si intuisce facilmente come dovessero essere abbastanza taglienti alla sommità. La corona nella sua faccia anteriore è assai allungata nel senso trasversale in alto, quasi appuntita in basso a contatto colla radice; la sua superficie è convessa all’infuori ed all’ estremità superiore pianeggiante. La superficie interna della medesima è triangolare col vertice in basso, e poco sviluppata nel senso dell’ altezza assai allargata all’ estremo superiore. Lateralmente a questa decisa superficie triangolare abbiamo un’altra su- perficie quasi rettangolare e stretta che fa colla prima uno spigolo quasi retto e di poco superiore al valore angolare di 90°; queste due superficie tendono a confondersi colla superficie coronale e ad obli- terarsi in alto; in basso invece convergono costituendo uno spigolo ottuso, che dà base a questa specie di tallone interno del dente. L’inclinazione della superficie interna della corona è molto convergente in alto e all’avanti, mentre lo è leggermente la superficie anteriore esterna. Secondi incisivi inf.— Questi denti sono molto più grandi dei primi, ma non molto diversi per forma, invertono però le proporzioni di sviluppo della corona, la quale si presenta anteriormente più breve, al- l’interno invece il tallone è notevolmente più allungato. Questi denti sono più larghi al loro apice, però meno taglienti dei primi e sempre foggiati a scalpello, sfuggenti all'indietro, quasi perpendicolari al da- vanti. Anche qui la corona nella sua faccia esterna è assai larga all’estremo superiore del dente, alla base finisce in punta di modo che apparisce anche più decisamente triangolare che non nei due primi incisivi, di più essa è un po’ meno convessa all'infuori. Dalla parte interna la superficie è dolcemente declive, molto larga e molto allungata, di forma pure triangolare, all’apice determina un angolo molto aperto o meglio un angolo curvo a cui fa coda un prolungamento acuto in foggia di base o tallone. Lo spessore del dente è molto più pronunziato specialmente alla base. Terzi incisivi inf.— Questi ultimi denti sono foggiati in modo tutto speciale. La loro particolare forma è senza dubbio intimamente collegata con quella dei due terzi incisivi superiori, che dicemmo somigliare a canini: infatti mentre la loro porzione di corona a contatto con i secondi incisivi è più foggiata a scal- pello, quella più prossima ai canini presenta anteriormente un incavo, posteriormente all’ interno un tallone smussato. Queste due depressioni che corrispondono sul medesimo piano, danno, a fauci chiuse, ricetto [35] G. RISTORI 49 alla porzione acuminata dell’incisivo corrispondente del mascellare superiore. Questa smussatura in gran parte sembra dovuta all'usura direttamente determinata dall’ incisivo superiore suddetto, perchè negli individui più giovani dei quali uno d’Olivola non figurato e l’altro di Valdarno (Tav. IV [III], fig. 5), a questo incavo si vede corrispondere un lobo più basso che dimostra originariamente bifido il dente. Questo si riscontra negli orsi viventi, ove anche negli adulti e nei vecchi il carattere si mantiene evidente, mentre nei giovani il dente è decisamente bilobo ed il lobo laterale si presenta molto sviluppato. Accenno alla bilobazione è pure nella mandibola del cranio n. 1 che ci ha servito principalmente alla descrizione par- ticolareggiata di questi denti. La superficie esterna della corona è notevolmente accresciuta di fronte agli altri incisivi, la base molto slargata e convessa al basso. Nei denti con usura moderata l’ apice si presenta acuto e non piano e scalpelliforme come negli altri ed ha piuttosto la forma piramidale dei lobi dei molari. Internamente la superficie della corona è molto espansa, e ben si distingue la partizione biloba. In cor- rispondenza del lobo maggiore la corona scende regolarmente a piano inclinato e leggermente concavo, la- teralmente in corrispondenza del lobo minore si deprime e divarica dando così luogo ad un tallone assai espanso alla base. In questa sua parte interna la corona non si presenta molto larga e si distingue dalla radice per un rilievo che potrebbe corrispondere al colletto dei molari e dei premolari. In complesso questi due incisivi estremi richiamano la forma dei premolari e specialmente degli ultimi. L’anatomia di questi denti si discosta molto da quella degli orsi asiatici ed americani, mentre presenta più notevoli analogie coll’ orso nero d’ Europa (Russia-Polonia). Canini inf. — I canini inferiori sono negli orsi meno robusti dei superiori, nel nostro orso pliocenico però presentano uno sviluppo notevole alla base nel senso antero-posteriore, pur mantenendosi ridotti nel diametro mediano. Al pari dei superiori sono più schiacciati lateralmente di quelli degli orsi viventi ed anche più arcuati. L’arcuazione però si accentua più per la concavità interna che non per la convessità esterna. Alla accentuata arcuazione si aggiunge pure un’accentuata divaricazione laterale, la quale è connessa collo sviluppo e coll’ampiezza dell’arcata premascellare occupata dagli incisivi superiori, non che con quella degli inferiori, i quali nella nostra specie occupano uno spazio notevolmente maggiore di quello corrispondente degli orsi viventi. Le dimensioni di questi denti non sono molto variabili nei diversi individui, e sia che essi si osservino nei vecchi, nei giovani, nei molto sviluppati come in quelli di ridotto sviluppo, troviamo una quasi singolare uniformità di misure. La diversità più notevole. sta nella acutezza del dente la quale si presenta con costanza maggiore nei giovani che non nei vecchi, per cui può attribuirsi all’usura e non a carattere anatomico. Negli individui in cui questa usura è molto avanzata, la corona presenta alcune notevoli particolarità che consistono specialmente in due costole carenate, una anteriore, l’altra posteriore, che movendosi dalla base raggiungono quasi l’apice del dente. Negli individui vecchi queste costole vanno obliterandosi per usura e restano solo visibili alla base del dente; mentre in alcuni esemplari provenienti da Olivola abbastanza sviluppati, ma relativamente giovani, stante la poca usura di tutti i denti (Tav. IV [III], fig. 7,8), queste costole raggiungono un massimo di sviluppo e di esse specialmente l’anteriore si presenta molto slargata alla base ed ambedue raggiungono l’apice del dente. Nella corona di questi denti non ab- biamo altro di veramente particolare, se si toglie la linea di confine fra essa e la radice. Detta linea si rialza anteriormente a mo’ di seno, determinando un incavo in corrispondenza della costola anteriore, poi torna a scendere in basso per procedere regolarmente da ambi i lati sviluppandosi notevolmente in basso ed occupando tutto il dente fino a toccare il margine dell’alveolo. Anche in questi canini inferiori le radici sono molto sviluppate, ma un poco più corte. La loro maggior brevità le rende più tozze, giacchè tanto il loro diametro antero-posteriore come quello laterale non sono inferiori ai correspettivi delle radici dei canini superiori; anzi il diametro trasversale è forse maggiore e la radice dalla parte interna si Palaeontographia italica, vol. III, 1897. SI 50 G. RISTORI [86] presenta più rigonfia specialmente nella sua porzione superiore. Queste radici di forma conica allungata (Tav. V [IV], fig. 5-7) presentano delle varianti rimpetto a quelle corrispondenti dell'orso nero d’ Europa: infatti le nostre hanno una curvatura con andamento molto più regolare e presso la loro estremità inferiore non si stringono bruscamente, ma costituiscono nell'ultima porzione un risalto, per modo che l’estremità alveolare ben si distingue dal resto, e rivela eziandio la forma del fondo dell’alveolo medesimo. Questa singolarità dell’estremo radicale fu osservata anche per le radici dei canini superiori per cui emerge la notevole costanza di questo carattere. Passiamo a dare le dimensioni dei denti incisivi e canini, per poi passare allo studio dei molari. Dimensioni degli incisivi inferiori. © Cranio n.1 (Tav.IV [III], fig.4-5) Altezza della corona dei due incisivi anteriori 0 . ò c 6 o 0 - ò Cm MOT Larghezza . o : . 0 o + . . 0 . . 0 o a . ; 0 » 0,5 Spessore antero-posteriore . . c - ; a 0 ò 5 o c 0 6 ; 4 ” 0,7 Altezza della corona dei due secondi incisivi . c o 0 . 0 0 . Ò o o » 0,55 Larghezza . . o . . a . o : . . 6 ò 0 5 À . 9 » 0,55 Spessore antero-posteriore . È à 9 0 c Ò ò a é 3 " 5 ; ò » 0,85 Altezza della corona dei due terzi incisivi h 5 o a Ò ò 3 Ù È o 5 » 0,9 Larghezza media ò . : 5 o o o È o dl . o 0 5 . 5 » 0,8 Altezza del primo lobo . > o 5 . ; c : . ò 0 ò 0 0 o » 0,9 Larghezza » » : c " dot. . 5 : d . ò . a 2 : » 0,65 Altezza del secondo lobo . î 6 0 A 0 5 5 ò 3 a 3 z , ò » 0,75 Larghezza » » . 0 . 0 . ° . . 5 . : 0 " . . » 0,3 Ampiezza della corona nella sua superficie interna — Lunghezza . . è 0 ò È 0 » 0,65 » ” » Larghezza dei due lobi c 0 ò c » 0,7 » » » » del lobo maggiore presso l’apice » 0,5 Per questo terzo incisivo, nella branca sinistra di mandibola pertinente all'individuo da me ritrovato nelle ligniti di Gaville (Valdarno sup.), trovo le seguenti dimensioni (Tav. IV [III], fig. 1): Altezza della corona . Ò 6 0 0 ò ò 0 0 Ò . o 0 ò ù dr Gu 053 Larghezza media RT A ER E RN de O ei ME N UT SO e n Altezza del primo lobo a o o 0 " Ò Ò . ò . 9 0 ò È 0 » 0,8 Larghezza » » o 0 o è . c . Ò 0 . 0 0 o o o » 0,6 Altezza del secondo lobo . A a 0 . 7 . o 0 0 o o o . - » 0,45 Larghezza » » 0 0 " d a . 0 0 o 0 9 . c 6 Ò » 0,4 Ampiezza della corona nella sua superficie interna — Lunghezza . o c 9 È . . » 0,6 » » » Larghezza dei due lobi Ò 5 0 . » 0,7 » » » » del lobo maggiore presso l'apice » 0,55 [37] G. RISTORI 51 Dimensioni dei canini inferiori. Cranio Branca destra Altra branca di Denti isolati bal di mandibola mand. di piccolo, con (Tav. IV [III], di grosso indiv. ma vecchio indiv. le radici fig.4,5) Olivola Olivola conservate (Tav.V [IV], = (Tav.IV Ji, (av. V [IV], fig. 4) fig. fig. 6,7) Altezza della corona anteriormente ò 0 o Gra 20 2,8 DI9 3,0 » » posteriormente . 9 o, 3,6 3,7 3,0 34 Lunghezza della corona alla base : 0 d » 1,9 ILST RD 11,5) » » presso l’apice . c . » 0,5 0,5 0,4 ? » » ad un terzo del dente . » 1135) 1,4 0,9 1,2 Spessore antero-posteriore alla base . î » 2,3 2,3 2,0 2,2 » » ad un terzo del ta » 1,5 1,65 152) lot » » presso l’apice . , » 0,4 0,6 0,55 ? Lunghezza della radice . . 0 » id —_ _ 5,9 Spessore della radice presso il colletto! SU senso trasversale Ò D 5 b à ì 4 » ? — = 1,9 Idem nel senso antero-posteriore . ù 0 ò » ? = — 2,5 Idem all’apice nel senso trasversale . : 0 » ? — —_ 0,7 Idem » » antero-posteriore . 5 » ? _ = 0,8 Lunghezza dell’apice radicale dal risalto annulare all’ estremità inferiore . o . . 1 » ? = - 0,95 Non mi curo di aggiungere le misure di altri esemplari, quantunque ne abbia a mia disposizione molti, sia del Museo di Firenze, sia di quello di Montevarchi, perchè nessuno presenta delle varianti notevoli e rientrano tutti nei tipi di cui abbiamo cercato di dare l’esatte dimensioni. Premolari inferiori. — Questi denti hanno per l’orso pliocenico singolare importanza; in esso sono costantemente in numero di 4 come negli orsi indiani fossili e viventi. Il primo ed il quarto pre- molare sembrano essere i più sviluppati nella nostra specie, come apparisce dalle poche branche mandi- bolari che li conservano, giacchè per la maggior parte del nostro materiale abbiamo l’assenza di tutti o di alcuni di questi denti; e spesso la presenza e costanza del loro numero ci viene evidentemente rivelata dagli alveoli. Gli esemplari che specialmente ce li presentano conservati provengono da Olivola, quelli del Valdarno ne sono privi o ne conservano qualcuno; però anche in questi ultimi è quasi sempre presente il quarto premolare, perchè è il più grande e quello che per la potenza delle radici sta ben saldo nello alveolo. Fino da quando descrivemmo le branche mandibolari si osservò come nei diversi individui tanto di Valdarno che di Olivola era notevolmente vario per lunghezza lo spazio occupato dai premolari, per modo che essi risultavano disposti non sempre regolarmente. A questo proposito richiamo le fig. 4-10 della Tav. IV [III] e la fig. 5 della Tav. V [IV], che presentano esemplari in cui si hanno le maggiori varianti possibili; ripeto inoltre come la fig. 3 delle Tav. V [IV] ci dia esempio di un individuo in cui manca il terzo premolare. Primo premolare inf. — I primi tre premolari sono unilobi e gemmiformi, il più grande di essi è il primo che in alcuni individui raggiunge notevoli dimensioni, e si addossa al canino. Nei giovani ed anche in qualche adulto lo troviamo un po’ discosto, ma questa sua distanza è forse in relazione col suo incompleto sviluppo. La corona è notevolmente convessa e presenta nei diversi esemplari una sella lon- gitudinale più o meno spiccata, la quale tende ad acuminarsi al centro per modo che, ove questa è mag- giormente visibile, il dente tende a prendere la forma piramidale. Nell’esemplare d’ Olivola figurato a 52 G. RISTORI [38] Tav. V [IV], fig. 1, questo dente assume uno sviluppo quasi eccezionale; all’incontro in esso la corona si presenta poco rilevata e la sella non troppo accentuata, quantunque al centro siavi accenno ad un lobo di forma piramidale. In questo primo premolare abbiamo assai bene distinto il colletto dalla corona nella quale si presenta assai rilevato e bene distinto; solo dal lato esterno tende ad obliterarsi, perchè la corona lo sormonta quasi in senso verticale, mentre dall’altra parte si dispone a piano inclinato più dolce. La superficie piana della corona rispondente alla tavola masticatrice è piuttosto uniforme, solo dalla parte interna si scorgono dei rilievi e dei solchi appena visibili. Null’altro sarebbe da osservarsi su questo primo premolare, solo è da notarsi la poca costanza della forma non solo nei diversi individui, ma anche nello stesso individuo ove spesso il premolare destro è diverso dal sinistro specialmente per la maggiore 0 minore evidenza ed acutezza della sella longitudinale. Secondo premolare inf. — Il secondo premolare è più piccolo assai del primo, raramente eguale. Ha forma conica assai acuminata e non di rado presenta la tavola masticatrice quasi piatta. È provvisto di piccolo ma ben distinto colletto che lo cinge all’ingiro con abbastanza uniformità. Il dente è piuttosto stretto, incavato ed irregolare per solchi e verrucosità dalla parte interna della corona, più uniforme e scosceso dall’esterna. Non varia molto fra individuo ed individuo, esile e poco sviluppato è il dente più specialmente destinato a scomparire negli orsi viventi che hanno maggiori rapporti con questa nostra specie pliocenica. Terzo premolare inf. — Questo dente in alcuni individui somiglia molto al secondo, in altri invece si presenta più sviluppato, come resulterà dal quadro delle misure. Nella forma della corona, quando è molto sviluppato, somiglia più al primo che al secondo. In questo è presente il colletto, ma non ben distinto dalla corona; questa invece è piuttosto alta e alla sommità presenta una sella più o meno acuta. Il dente, a differenza degli altri premolari, è quasi perfettamente simmetrico ed i due lati interno ed esterno della corona convergono, sulla linea mediana di massima altezza, con eguale inclinazione. Quarto premolare inf. — Questo dente è presente in molti frammenti di mandibole sia di Val- darno che d’Olivola e di esso ne sono variabilissime la forma e le dimensioni. Queste varianti, per quanto possano apparire notevoli, non devono maravigliare dal momento che si riscontrano anche nei diversi in- dividui della specie vivente U. arctos, ove abbiamo per fino il caso singolare della mancanza assoluta di questo dente ora nella branca destra ora nella sinistra della mandibola. La diversità di sviluppo e la presenza od assenza di alcuni lobi secondari della corona è pure constatabile in uno stesso individuo fossile (Tav. IV [III], fig. 7,8) a seconda che si osserva il dente sinistro o quello destro. Tutte queste varianti non ci autorizzano a dare molta importanza alla morfologia di questo dente; pure giova sempre farne un’esatta descrizione. A tale scopo divideremo in tre tipi diversi questo dente, uno, il più semplice, quasi unilobo, un secondo bilobo, ed un terzo, il più complicato, trilobo. Fin d’ora poi devesi notare che la minore o maggiore differenziazione della corona è assolutamente individuale e non è connessa all’età e neppure al sesso, dal momento che notevoli varianti si riscontrano anche sullo stesso esemplare. Il primo tipo è dato da un dente piuttosto piccolo con lobo centrale molto acuto, imbasato an- teriormente sul colletto sempre assai sporgente, posteriormente su una porzione quasi pianeggiante che finisce nel colletto medesimo e si confonde quasi col lato 0 spigolo interno della piramide. I denti in tal guisa foggiati sono i più comuni tanto negli esemplari di Valdarno come in quelli di Olivola. Il secondo tipo è rappresentato da un dente egualmente foggiato nella sua parte anteriore: ma con un lobo secon- dario nella posteriore, il quale occupa la superficie fra il colletto e la base del lobo principale. Questo | lobo secondario è tubercoliforme, assai acuto e poco si innalza dal colletto. Il terzo tipo è proprio di pochi individui, i cui denti molari presentano tutti uno sviluppo eccezionale. Due branche isolate provenienti [39] G. RISTORI 53 da Olivola e due riunite, pure della stessa località, ci danno esempio di questo premolare trilobo in cui oltre al tubercoletto posteriore ne esiste un terzo di eguale sviluppo e forma nella parte anteriore del dente. Detto tubercoletto non differisce dall’ altro che per essere più strettamente connesso al colletto. Determinate nettamente queste varianti individuali possiamo descrivere la forma tipica del dente. La corona è principalmente costituita da un lobo acuto piramidale a margini integri; questo lobo ha una larga base, esternamente si continua col colletto, internamente si impianta su di una superficie piana più o meno sviluppata che fa seguito al colletto nel senso orizzontale; così pure si comporta all’avanti e all’indietro ove la superficie piana d’impianto è anche più evidente, specialmente se il dente è del primo tipo, ossia unilobo. Il colletto è bene sviluppato più nella parte anteriore e posteriore, meno ai due lati e specialmente all’esterno. La radice è robusta e bipartita, il ramo anteriore più esile, quasi doppio di diametro il poste- riore. Lo spessore della medesima sul confine superiore è piuttosto ridotto, tantochè il colletto si presenta notevolmente sporgente. Molari veri inferiori. — Primo molare inf.— Il primo molare inferiore negli Ursidi è un dente molto complicato e generalmente molto sviluppato in lunghezza. Questo dente presenta una certa uniformità, e troviamo nei diversi individui pochissime varianti per la forma, molte per le dimensioni. La sua corona anteriormente è assai alta, più depressa posteriormente e vi si scorgono cinque lobi principali, tre all’avanti più acuti piramidali, due al di dietro in forma di grossi tubercoli mammellonari. Il primo impari costituisce la faccia più avanzata del dente ed alla base è ad immediato contatto col quarto pre- molare; di forma più conica che piramidale si innalza quasi verticalmente sul colletto ed è diviso dai due lobi che vengono dopo per una profonda depressione in forma di carena, la quale nei denti che hanno sofferta usura si accentua più dalla parte esterna che dalla interna della corona; in quelli invece meno usati è più manifesta all’esterno, poichè all’interno è occupata da due piccoli lobi secondari, uno anteriore più grande e uno posteriore piccolissimo. I due lobi pari che vengono dopo sono disposti un po’ obliqua- mente sull’asse mediano del dente, l’esterno più grande sta all’avanti ed è piramidale di forma, molto largo alla base e cella metà anteriore convessa all’esterno e più sporgente della posteriore. L'andamento dello spigolo o margine anteriore è alquanto frastagliato, il posteriore più regolare, ambedue egualmente convergenti in alto per costituire un apice assai acuto reso trigono da una collina trasversale erta che tende a riunire questo lobo esterno coll’interno contiguo. Il lobo interno meno sviluppato in altezza è sempre diviso in due lobi più piccoli, uno anteriore triangolare acuto che interessa il margine della co- rona e si riconnette, sulla tavola masticatrice, con la collina su ricordata, uno posteriore più grande limita lateralmente e all'indietro questa prima porzione anteriore del dente, riunendo il suo margine con quello del lobo esterno contiguo, per modo che i margini dei due lobi convergono sull’asse mediano della tavola masticatrice, lasciando all’avanti una notevole depressione, tanto più evidente, quanto minore è l’ usura sof- ferta. La forma generale di questo lobo è quella di un mezzo cono con convessità all’esterno e con apice non molto acuto. La parte anteriore di questo dente costituita dai tre lobi principali su ricordati e da altri secondari, rammenta, specialmente per il carattere morfologico del lobo esterno pari, il dente fe- rino dei Canidi e si discosta alquanto dal correspettivo degli orsi viventi in genere e dell’ U. aretos in specie, ove si riscontra meno sviluppato. Oltre a ciò questa porzione anteriore si individualizza in un modo tutto speciale, restando divisa dalla porzione posteriore, che ha più spiccato carattere di molare onnivoro, per una notevole depressione o fossa del piano della tavola masticatrice e della corona. La porzione posteriore di questo primo molare è costituita all’avanti dalla depressione su ricordata ove sono tre piccoli tubercoletti che interessano trasversalmente la tavola masticatrice, all’indietro da due lobi ben sviluppati situati quasi sulla medesima linea e costituiti da tubercoli mammellonari. Di questi 1 esterno 54 G. RISTORI [40] più grande è quadrangolare, all’interno liscio, all’avanti e all’indietro provvisto di un solco che dalla base raggiunge quasi l’apice del dente. Il lobo interno più piccolo è a guisa di tubercolo regolare più tondeg- giante all’esterno, più piano e declive all’interno. I due lobi si uniscono per le basi quasi sull’asse mediano del dente. Posteriormente al lobo esterno è un’appendice della corona che viene generalmente occupata da due piccoli tubercoletti. Come dicemmo la corona è relativamente molto alta e nella porzione anteriore raggiunge, anzi supera l’altezza di quella del quarto premolare, non mantenendo quel limitato sviluppo che più comunemente si riscontra negli orsi viventi ed anche nei molari superiori del nostro fossile. La porzione posteriore è però più depressa, e qui torna a dominare il carattere degli Ursidi, il quale pure campeggia nel secondo e terzo molare inferiore. Il colletto, come già dissi, è molto sviluppato, sia in al- tezza, sia in sporgenza di fronte alla radice; questa sporgenza è più accentuata all’esterno che non all’in- terno, all’avanti che non all'indietro. Il dente è provvisto di doppia radice, una anteriore meno robusta e quasi cilindrica, una posteriore con prevalente diametro longitudinale. Secondo molare inf. - Dopo l’ultimo molare superiore questo secondo della mandibola è il dente più sviluppato; esso in alcuni individui raggiunge delle dimensioni quasi eccezionali, come per esempio nelle due branche mandibolari d’ Olivola figurate a Tav. IV [III], fig. 7, 8 ed in grandezza naturale a Tav. V [IV], fig. 10. In altri individui, come nel cranio n. 1, si mantiene di uno sviluppo medio, mentre di fronte alla grandezza dell’individuo è piuttosto piccolo nella mandibola d’Olivola figurata a Tav. V [IV], fig. 4. È pure assai ridotto di sviluppo nella mandibola dell’individuo da me scoperto nelle ligniti di Gaville (Val- darno sup.). La lunghezza di questo secondo molare è sempre in ragione inversa di quella del terzo, giacchè in tutti gli esemplari esaminati ho trovata costante questa correlazione. La corona è moderatamente alta, come per lo più si osserva negli orsi viventi. La tavola masticatrice relativamente piana ha deciso carattere di onnivoro. L’usura è generalmente praticata nella parte centrale ed i margini esterno ed interno non si presentano quasi mai molto consumati, fatta eccezione però da qualche individuo molto vecchio ove la tavola masticatrice prende l’aspetto di coppa con massima depressione centrale e con margini poco rilevati ed uniformi. La disposizione e lo sviluppo che assumono i tubercoli e le colline non permettono la divisione in lobi del dente, giova quindi considerarlo unilobo, per quanto la metà anteriore si presenti per frasta- gliature ed irregolarità tanto del piano della tavola masticatrice come della porzione verticale della corona, assai distinta dalla metà posteriore in cui predomina uniformità ancora maggiore, che solo è disturbata da due tubercoli pari assai grandi, ma poco sollevati dai margini e dal piano del dente. Tutte queste particolarità appariscono bene solo nei denti che hanno sofferta poca o punta usura, mentre non sono molto evidenti negli altri. La tavola masticatrice, concava all’avanti, si rialza in corrispondenza dei due lobi anteriori, di cui l’interno più sviluppato ha forma di tubercolo con un’appendice la quale tende a riunirlo al contiguo lobo esterno più espanso e depresso. A questi due lobi anteriori segue una depressione, quindi si dispongono allineati e molto indietro i due lobi posteriori, pure costituiti da due tubercoli, l'esterno molto grande e poco rilevato, l'interno più piccolo, ma alquanto acuminato. Nella parte centrale del piano masticatore abbiamo inoltre dei rilievi selliformi disposti ora in senso trasversale, ora in senso longitudinale, di sviluppo e di forma poco definibile e poco costante. Il carattere più saliente di questo molare sta nella disposizione caratteristica del bordo laterale interno della corona, il quale si presenta diviso in tanti rilievi in forma di collinette che si succedono ed assumono vario sviluppo in altezza a seconda che si trovano in corri- spondenza dei lobi o della parte meno frastagliata della tavola masticatrice di cui ne costituiscono l’orlo. Questa singolare caratteristica non si mantiene così evidente nei restanti margini esterno anteriore e posteriore del dente, come pure minore evidenza si riscontra nelle specie viventi aftini alla nostra, a meno che non si ricerchi qualche analogia nei giovani crani. Ove questo molare non abbia sofferta usura, [41] G. RISTORI 55 nella specie pliocenica, presenta la corona assai alta ed un colletto assai sviluppato e sporgente, cosa che si riscontra raramente e sempre in meno notevole misura nelle specie viventi. Ultimo o terzo molare inf. — L'ultimo molare inferiore è molto caratteristico negli orsi. Gene- ralmente è piccolo, ovoide di forma, ma ben poco costante nelle dimensioni. È singolare il vedere come questo dente sia tanto meno lungo quanto più lo è il secondo molare e che l’alveolo e la corona del dente si sviluppino sulla prima porzione montante della mandibola e quasi al di fuori dell’osso dentario. Questo ultimo fatto è caratteristico di alcune mandibole d’Olivola ove il secondo molare è molto svilupato (Tav. IV [III], fig. 7, 8). La tavola masticatrice si presenta abbastanza piana ed anche nei denti ove è poco avanzata l’usura non sono bene determinati i lobi, pure, come più evidentemente apparisce nella specie affine vivente U. arctos, si può distinguere un lobo anteriore costituito da un paio di tubercoli alquanto sollevati dal piano della tavola medesima, i quali trasversalmente si ricongiungono. La parte posteriore del dente è frastagliata da solchi e rilievi molto complicati, ma sempre poco sollevati. I margini uniformi e leggermente intaccati dal lato interno disegnano anteriormente una curva piuttosto ampia, posteriormente tendono a convergere diminuendo notevolmente la larghezza del dente. Questo carattere è generalmente ben visibile, ma si presenta nei diversi individui diversamente accentuato. L'altezza della corona è assai ridotta posteriormente ove il dente tende ad occupare la parte più bassa della porzione montante della mandibola. Dimensioni dei premolari inferiori. PRIMO PREMOLARE Branche Branca sinistra. Porzione anteriore mandibolari riunite. Olivola di branca destra. Olivola (Tav.IV [III], fig. 9) Olivola (Tav. V [IV], fig. 1) (Tav. IV [III], fig. 6) Altezza della corona 0 . o ò . Rc OA 0,45 0,4 Spessore antero-posteriore o Ò 5 b 0 » 1,0 0,7 0,7 » trasversale î . 6 0 : o » 0,6 0,55 0,5 SECONDO PREMOLARE Mandibola Branche riunite. Branca sinistra. Porzione anteriore del cranio n. 1 Olivola Olivola di branca destra. (Tav. IV [III], (Tav. V [IV], (lav. IV [III], Olivola fig.4,5) fig. 1) fig. 9) (Tav. IV [III], fig. 6) Altezza della corona à 0 . . cm. 0,45 0,35 0,4 0,4 Spessore antero-posteriore ò o ò » 0,6 0,6 0,65 0,6 » trasversale ù 0 ò 9 » 0,5 0,4 0,5 0,45 TERZO PREMOLARE Branche riunite. Branca sinistra. Olivola Olivola (Tav. V [IV], fig. 1) (Tav. IV [III], fig. 9) Altezza della corona 0 o 0 6 0 6 0 em. 0,5 0,4 Spessore antero-posteriore ò ò ò ò ò 6 » 0,7 0,6 » trasversale " ò 0 ò o o 0 » 0,5 0,4 56 G. RISTORI QUARTO PREMOLARE 4 [42] Cranio Branca destra Br. disgiunte Branche Branca Branca sinistra n.1 ci grosso ind. diunostessoind. riunite. sinistra. di Valdarno (Tav.IV [III], Olivola Olivola Olivola Olivola avente anche fig.4,5) (Tav. V [IV], (lav. IV [III], (’av. V[IV], (Tav.IV [III], porz.del canino fig. 4) fig. 7,8; lav. V fig. 1) fig. 9) [IV], fig. 10°) Altezza del lobo anter. della corona cem. 0,8 0,9 0,95 0,8 0,8 0,95 » dellacorona posteriormente » 0,3 0,6 0,45 0,5 0,45 0,5 Lunghezza del dente . 6 se 052 1050] 1,9 1,4 159 15) Spessore del dente al centro del lobo » 0,6 0,8 0,8 0,7 0,7 0,7 » » posteriormente . » 0,6 0,7 0,9 0,6 0,6 0,8 Altezza del colletto 5 o a 072 0,15 0,2 0,1 0,2 0,2 Larghezza mediana del dente . » 0,65 0,9 0,7 0,7 0,7 0,9 Spessore antero-posteriore della ra- dice anteriore presso il colletto » — — — — —_ 0,45 Idem della radice posteriore o — —_ = —_ _ 0,85 Dimensioni dei molari veri inferiori. PRIMO MOLARE Cranio Branche Branche disgiunte n. 1 mandibolari di uno stesso ind. (Tav. IV [III], riunite. Olivola fig. 4, 5) Olivola (Tav. IV [III], (Tav. V [IV], fig. 7,8; lav. V fig. 1) [IV], fig. 10) Lunghezza massima del dente c . . c . o Gm 2 2,4 2,7 Lunghezza del lobo anteriore impari . 0 0 o ò » 0,6 0,55 0,7 Altezza del medesimo b " È o o 0 o 6 » 0,7 0,6 0,8 Spessore massimo . . 0 . . . . . . » 0,8 0,75 0,8 Lunghezza del lobo anteriore esterno pari . . 0 Ò » 0,9 1,0 1,3 Altezza del medesimo . 0 5 . 0 c o 0 » 0,8 0,9 1,1 Lunghezza del lobo anteriore interno . o c c - » 0,85 0,85 1,2 Altezza del medesimo . O È 0 . 6 0 6 » 0,55 0,6 0,7 Larghezza del dente in corrispondenza dei due lobi pari anteriori » 0,8 0,95 all Lunghezza del lobo posteriore esterno pari . 0 0 0 » 0,8 0,9 0,95 Altezza del medesimo . ò Ù 0 : o o 0 » 0,9 0,7 0,9 Lunghezza del lobo posteriore interno pari . . . . » 0,7 0,3 0,7 Altezza del medesimo . 6 ò ” 0 ò . 0 » 0,7 0,55 0,8 Larghezza del dente in corrispondenza dei due lobi pari posteriori » 1,0 all 152 Altezza della corona fra il lobo impari anteriore e i due pari » 0,65 0,55 0,65 Idem fra i due lobi pari anteriori e i due pari posteriori s » 0,6 0,6 0,6 Idem posteriormente o 0 0 . « 0 c 0 » 0,6 0,65 0,8 Altezza del colletto all’ esterno " . 0 a 0 o » 0,3 0,25 0,4 i Non mi preoccupo di dare misure per altri resti che pure posseggo, poichè in quelli indicati sono rappresentati i tre diversi tipi di denti, a cui accennai nella descrizione di questo variabilissimo premolare. ? Questa figura rappresenta in grandezza naturale i denti della branca figurata a Tav. IV [III], fig. 7. [43] G. RISTORI 5° Non credo opportuno riportare misure di questo primo molare inferiore per altri esemplari, giacchè i tre presi in esame bastano a dare un’idea della variabilità parziale e generale nelle dimensioni di questo dente; mentre la descrizione anatomica ed i disegni completano la conoscenza delle varie forme. = SECONDO MOLARE 4 Cranio Branche disgiunte n. 1. di uno stesso ind, Valdarno Olivola (Tav. IV [III], (Tav.IV [III), fig. 7,8; fig.4,5) Tav. V [IV], fig. 10) Lunghezza massima del dente 5 l 0 Ò - ò . o. Gio 29 s219 » della parte anteriore lobata . 0 G . 0 0 0 » 1,6 1,8 » » posteriore » Ò c 7 : Ò . ò » 0,9 1,0 Lunghezza del lobo anteriore ‘esterno 6 d 5 c ò 7 + » 1,5 1,9 Altezza di » » 0 o : 6 0 6 . » 0,8 1,0 Lunghezza del lobo anteriore interno 0 Ò 0 6 0 0 ò » 1,5 2,0 Altezza » » » 6 6 È n 6 o 0 » 0,7 0,8 Larghezza del dente in corrispondenza dei due lobi anteriori 0 o » 1,5 150 Lunghezza del lobo posteriore esterno . ; s ; 5 ; 5 » 0,85 1,0 Altezza » » » È o 6 5 o 0 È » 0,8 0,85 Lunghezza del lobo posteriore interno . 0 . . 5 Ò , » 0,7 0,9 Altezza » » » 6 5 B 5 Ò 6 O » 0,5 0,7 Larghezza del dente in corrispondenza dei due lobi posteriori ; 0 » 1,65 1,5 Altezza del colletto . o 7 ò . 0 0 0 o 0 . » 0,45 0,4 TERZO OD ULTIMO MOLARE Cranio Frammento Branca destra Branche Frammento Dente n.1 di mandibola del grande riunite. di giovane isolato (Tav.IV [III], di piccolo ind. individuo. Olivola e grosso ind. di Valdarno. fig. 4,5) Valdarno Olivola (Tav. V [IV], Valdarno ? Individuo (Tav. V [IV], (Tav. V [IV], fig. 1) (Tav. V [IV], molto fig. 2) fig. 4) fig. 9) sviluppato Lunghezza del dente . È 0 o Gia 1a 1,55 2,3 1,45 2,0 2,1 Altezza della corona anteriormente . » 0,6 0,6 0,6 0,4 0,6 0,6 » tato nella parte media » 0,5 0,5 0,5 0,4 0,6 0,6 » » posteriormente . » 0,4 0,4 0,5 0,4 0,45 0,55 Larghezza al davanti O ò qui di da 1,5 1,55 1,2 1,4 1,6 » a metà del dente . A Lo) 159 1,4 1,0 1,4 1,6 » al di dietro . 0 di Dici 0,9 alal 0,85 0,9 1,35 i I due esemplari misurati rappresentano i due estremi nello sviluppo generale e delle singole parti di questo grosso molare inferiore. Esistono bensì esemplari di Valdarno e di Olivola i quali, nelle misure, stanno un poco al disotto di quelle riscontrate per il cranio n. 1, ma essi resti in generale appartengono ad individui molto giovani. Tutti gli altri esemplari e del Museo di Firenze e di quello di Montevarchi ci presentano varie gradazioni, però entro i limiti indicati nella tabella. 2 I denti di questo frammento sono stati figurati in grandezza naturale. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 8 58 i G. RISTORI [44] Non riporto misure di altri individui, perchè difficilmente se ne troverebbero delle costanti. Ho mol- tiplicato gli esempi per far. conoscere appunto quanto diverse sieno le dimensioni di questo dente da indi- viduo ad individuo. La variabilità di forma e di dimensioni è perfino constatabile nello stesso individuo, quando si esamini il dente destro comparativamente al sinistro. Tutte queste varianti non hanno dunque grande valore, mentre ne ha molto la variabilità stessa che per questo dente deve ritenersi caratteristica dell’orso pliocenico non meno che della specie affine vivente in Europa. ; Ossa del Tronco. Vertebre. Fra tutti i numerosi frammenti di ossa del tronco e degli arti non ho ritrovato che pochi e mal con- servati resti di una vertebra. Non è stato possibile restaurarla convenientemente; pure dalla forma di alcuni pezzi ‘è facile accorgersi che si tratta dell’atlante. Appartiene all'individuo da me scoperto nelle ligniti di Gaville (Valdarno su- periore). Cintura toracica. Non conoscendosi per ora del nostro orso pliocenico nè costole nè residui dello sterno, accenno sen- z’altro agli avanzi delle scapole, che ho scoperto fra i frantumi di scheletro dell’individuo da me escavato nelle ligniti di Gaville (Tav. V [IV], fig. 12, 13, 14). Questi residui consistono, per la scapola sinistra, nella parte inferiore del corpo a cui è unito l’acromiom (Tav. V [IV], fig. 12,14) ed è conservata assai bene la cavità glenoidea; per quella destra pure nella parte inferiore del corpo in cui ben si vede la corrispondente cavità glenoidea ed un piccolo e mal conservato residuo dell’acromion (Tav. V [IV], fig. 13). Nulla può dirsi dello sviluppo generale di questi ossi. Qualche osservazione può farsi sulla forma ed ampiezza della cavità glenoidea e dell’acromion. La cavità glenoidea è di forma ovale allungata, il suo margine posteriore presenta una curvatura piuttosto stretta, più che nel comune Ursus aretos Linn. Il margine laterale esterno è leggermente convesso, l’interno si curva notevolmente al centro allargando la cavità glenoidea medesima; questa caratteristica è strettamente unita allo sviluppo dell’osso della scapola nel senso tra- sversale. Il margine anteriore è caratterizzato da un rilievo molto pronunziato, il quale si riconnette ad una specie di tubercolo apofisario corrispondente all’apofisi coracoide. È pure singolare la forma molto slargata ed appiattita dell’acromion, non che il suo notevole sviluppo in lunghezza, per quanto in parte si debba alla compressione sofferta dal fossile, la quale ha pure contribuito ad avvicinare al corpo del- l’osso le sue appendici. Tenendo conto della imperfetta conservazione di queste parti dello scheletro, non mi sembra opportuno riferire altre particolarità di forma, le quali mi paiono principalmente causate da eventuali deformazioni. Arti anteriori. Omero. L’arto anteriore non è rappresentato in questo primo osso da molti frammenti, i quali per giunta sono incompleti. I meglio conservati appartengono all’individuo da me scavato a Gaville, ma essi sono, come tutto il resto delle ossa, molto deformati dalla compressione e di più si presentano anche contorti [45] G. RISTORI 59 (Tav. VI [V], fig. 1). Alcuni frammenti dell’articolazione inferiore (articolazione del gomito) provenienti da Olivola (Tav. V [IV], fig. 15, 16) presentano sviluppo assai notevole in corrispondenza delle articolazioni ed anche nella parte allungata dell’ osso. Anche i resti provenienti dal Valdarno mantengono simili caratteri e correlative dimensioni, per quanto queste sieno abbastanza variabili da individuo ad individuo. Ho figurato l’omero dell’individuo da me ritrovato a Gaville, un frammento di Valdarno ed un resto di arti- colazione proveniente da Olivola, il più grande che abbia avuto da quella località (Tav. V [IV], fig. 15, 16; Tav. VI [V], fig. 1, 4,5; Tav. VII [VI], fig. 9). I due omeri dell’individuo di Gaville sono lunghi sull’asse centrale cm. 32, la faccia esterna del- l’osso presenta in alto la testa articolare notevolmente schiacciata per modo che questa poco si eleva dalla grossa e piccola tuberosità. Possiamo nondimeno per l’omero destro renderci conto del volume e dei diametri della testa. Nell’omero sinistro invece lo schiacciamento è avvenuto in altro senso e la testa è stata spostata e completamente deformata, per cui ne sono probabilmente state alterate le di- mensioni. Ad ogni modo facendo .il più possibile astrazione dalle deformazioni, la testa dell’omero nel- l'orso pliocenico era piuttosto grande e sporgente, come pure notevolmente sviluppate erano la grande e la piccola tuberosità unitamente all’ossificazione del punto d’attacco del sopra-spinato e del piccolo ro- tondo (Tav. VII [VI], fig. 9). In nessun altro frammento abbiamo conservata la testa articolare di questo osso; abbiamo invece numerosi resti della parte allungata. Questa si presenta quasi cilindrica nella regione superiore, quantunque la forma cilindrica vada sempre più modificandosi più che ci allontaniamo dalla testa; oltre a ciò anche in prossimità di questa l’osso presenta la cresta omerale molto spiccata e tale da alterarne notevolmente la cilindrità (Tav. VI [V], fig. 4). Detta cresta omerale interessa una superficie sempre maggiore a mano a mano che si procede in basso e si dispone in modo da far sembrare l’osso notevolmente ritorto sul suo asse. A determinare anche meglio questa apparenza concorre il fatto che in corrispondenza del primo terzo inferiore la spina si arresta dando luogo ad una grossa tuberosità ove si inseriscono i muscoli deltoidi. Al di sotto di questa l’osso si piega in basso e lateralmente si deprime nella faccia anteriore, serbando però fino alla articolazione omero-radiale una cresta più o meno spiccata. Nella faccia posteriore si nota una fossa, la quale, mentre coi suoi bordi laterali dà aspetto triangolare all’osso, posteriormente in basso inizia la fossa olecranica (Tav. VI [V], fig. 4, 5). Nell’orso pliocenico la fossa olecranica è di forma triangolare abbastanza allungata, rotonda in alto, molto profonda e con bordo anteriore relativamente netto, giacchè la depressione dell’osso su questa faccia e presso la suindicata fossa è, relativamente. ad altre specie di orsi fossili e viventi, poco spiccata (Tav. V [IV], fig. 15). L’articolazione inferiore è negli orsi molto complicata, nella nostra specie trovo di notevole lo svi- luppo della troclea non che quello del condilo e dell’epicondilo (Tav. VI [V], fig. 1; Tav. V [IV], fig. 15, 16). In questa regione però non si notano molte varianti fra questa specie e l’affine vivente U. aretos, meno le già notate e il rigonfiamento della parte interna della troclea. Le molte differenze individuali che ho ritrovate, sia negli scheletri viventi, sia nei diversi resti fossili, mi esimono da una più dettagliata de- scrizione e da ulteriori e singolari raffronti. In ogni modo ecco alcune misure: Dimensioni delle scapole e dell’ omero. Diametro longitudinale della cavità glenoidea della scapola sinistra . 0 0 o . o Gi Do » trasversale » » » » 0 Ò i » 3,4 Lunghezza dell’ acromion È 0 0 0 ò - 0 0 ò » 9,0 Grossezza » . . o È . ò 0 o ò : 0 . 0 0 » 3,4 60 G. RISTORI [46] Diametro longitudinale della cavità glenoidea della scapola destra . ò - ò - n CIO CO50 » trasversale » ” » » È ; 5 : È . » 3;9 Lunghezza dell’ omero sinistro " 6 d o 5 5 à 5 3 ; 5 a A n32ATI. Diametro dell’articolazione superiore o testa . È l c 2 . È È : 5 c » 8,0 Spessore dell’osso a metà della sua lunghezza . 6 0 , ; 5 6 ; " : » 3,6 Distanza intercondiloidea È " Ò 7 c ; , Ò Ò o i 5 ; : »- 6,8 Spessore del condilo esterno . È . , , ò 0 : ò o 5 ; , - » 3,5 » » interno . ; n a . 3 È i i 5 B 5 } è » 5,2 Lunghezza della troclea 0 ù . c 0 5 5 È c c » 4,5 Ampiezza della cavità coronoidea el senso Tomafacal ò ida) 0 o o c 0 » 5,0 Massima larghezza della medesima c 7 : » 3,0 Massimo diametro dell’articolazione inferiore nell’ im to da me ennio a Gaville (Tav. VI DVI; fig. 1) » 10,0 » » » » in un frammento d’ Olivola (Tav. V [IV], fig.15 1) : DE (CONS) » » » » in altro frammento pure d’Olivola . . 7 » 8,0 Cubito. Di questo osso dell’ arto anteriore abbiamo, oltre i due ossi completi pertinenti allo scheletro da me scavato a Gaville, parecchi altri frammenti di Valdarno e di Olivola, i quali presentano variabilissime dimensioni di fronte ad una notevole costanza, specialmente nella forma delle articolazioni e nei punti d’attacco dei muscoli. In alcuni frammenti si nota che il corpo dell’osso al di sotto del capo articolare superiore è meno sproporzionato nel diametro. Questo fatto trova ragione nella minore angolosità e sviluppo delle singole faccie e condili articolari ed in quello degli attacchi muscolari medesimi (Tav. V [IV], fig. 17, 18; Tav. VI |V], flg. 2). La costanza correlativa di questi sviluppi fa giustamente pensare alle variabilità inerenti al sesso, piuttostochè all’individuo, giacchè per il corpo dell’osso troviamo nei diversi frammenti minore varietà di dimensioni che nel capo articolare medesimo, su cui specialmente abbiamo i punti delle inserzioni muscolari. ì L’estremità superiore è nell’orso di fronte agli altri carnivori molto voluminosa, e nella nostra specie si nota un singolare sviluppo dell’ apofisi dell’ olecrano (Tav. VI [V], fig. 2; Tav. VII [VI], fig. 4), la quale ha dimensioni relativamente maggiori che nell’ U. spelacus stesso. Questa particolarità è pure comune agli orsi indiani ed anche all’ U. arctos; ma in nessuno troverei paragonabili dimensioni meno che in qualche individuo molto vecchio e molto sviluppato di U. arctos, varietà nera della Russia e della Polonia; invece nella specie pliocenica, meno che in quei frammenti che già indicai come pertinenti ad individui di sesso femmineo, troverei costantemente dimensioni superiori alle ordinarie ed alquanto sproporzionate rim- petto a quelle raggiunte dalla porzione allungata dell’osso. L’olecrano è piuttosto voluminoso e presenta un apice sporgente assai e con robusta inserzione muscolare, all’avanti l’osso si assottiglia formando una seconda apofisi da cui si inizia la grande cavità sigmoidea, stretta all’ apice, convesso-cilindrica al centro, molto slargata e sfuggente presso l’apofisi coronoidea, la quale è molto sporgente con superficie piatta, anzi leggermente concava. Il suo bordo esterno forma un angolo piuttosto aperto col corpo dell’osso in cui si continua mediante una sporgenza costolosa ove concorrono e si inseriscono i muscoli ed i ligamenti arti- colari (Tav. VI [V], fig. 2). Lateralmente all’ apofisi coronoidea prende sviluppo la faccetta articolare del radio (o piccola cavità sigmoidea) la quale negli orsi in genere e nel nostro pliocenico in specie, prende uno sviluppo notevole ed una forma perfettamente triangolare, il cui apice finisce nell’apofisi coronoidea e la base alquanto arrotondata, si continua col margine nella grande cavità sigmoidea, determinando una notevole sporgenza del margine medesimo (Tav. V [IV], fig. 17; Tav. VI [V], fig. 2). Il cubito degli Ursidi è appunto [47] G. RISTORI 61 ben riconoscibile da quello degli altri carnivori per la forma ed ampiezza della piccola cavità sigmoidea. Al di sotto dell’articolazione, procedendo in basso, l’osso tende a divenire meno piatto e meno rugoso. Il punto d’inserzione dei muscoli profondi e posteriori dell’avambraccio è appena accennato, e questo è in perfetta opposizione a quanto si trova nell’ U. spelaeus ed in minor grado anche negli orsi indiani e nello stesso U. arctos. Il capo articolare inferiore è nei nostri resti molto deformato (Tav. VI [V], fig. 2), pure si può ritenere che l’apofisi stiloidea sia notevolmente sviluppata e sporgente in basso, mentre risulterebbe relativamente ridotta la piccola testa. Ecco qualche misura: | Dimensioni del cubito. Individuo Individuo di Gaville di Olivola (Tav. VI [V], fig.2) (Tav. V [IV], fig. 17) Lunghezza del cubito . o - . 3 o o PI CIO 325 1A » dell’ articolazione superiore . . 9 . : » 7,0 7,9 Larghezza della cresta dell’ olecrano . c - . Ò c » 6,0 ? Lunghezza della grande cavità sigmoidea . o o ò 5 » 5,9 DA Sporgenza dell’ apofisi coronoidea . o Ò Ò c » 159 1,4 Massima larghezza della grande cavità sigiioiara . a 3 » 2,3 2,5 Lunghezza della piccola cavità sigmoidea . o ò 3 . » 4,0 3,0 Larghezza alla base . . 6 c - 0 o È ò » 1,8 2,1 » all'apice . 0 . à 0 » 0,4 0,5 Spessore trasversale dell’osso al Giotto] dell’ Sricolazione superiore » 3,8 4,4 » » a metà : ° " 0 0 a È » 3,0 ? Spessore dell’articolazione inferiore . ò - ò ò o » 2,9 2 Lunghezza dell’ apofisi stiloidea . 6 ò 6 : ò » 1,5 w Spessore della medesima . : : : 0 . 5 o » 1,7 0) Radio. Diversi frammenti d’Olivola e di Valdarno unitamente ai due ossi completi, per quanto compressi, pertinenti allo scheletro da me scavato a Gaville, rappresentano quest’osso dell’arto anteriore. L’osso, come carattere generale, presenta una certa robustezza appetto a quello di altri carnivori e di fronte allo sviluppo del cubito. Nelle tavole (Tav. V [IV], fig. 19, 20; Tav. VI [V], fig. 3) ho figurato i migliori frammenti e il radio destro dello scheletro di Gaville. L'articolazione superiore o testa è piuttosto sviluppata; la fig. 20 a Tav. V [IV] ne rappresenta un esemplare d’Olivola di dimensioni quasi eccezionali, per quanto non molto diverse da quelle di altri esemplari di Valdarno. La copola non è gran fatto profonda e presenta sul margine esterno una tuberosità ed un incavo assai pronunziato, per quanto i diversi esemplari non ab- biano grande costanza di dimensioni in queste accidentalità (Tav. VII [VI], fig. 5, 6). Il bordo articolare della testa è piuttosto sviluppato e misura circa mm. 7 in altezza e sporge assai dal corpo dell’osso lungo sottostante (Tav. V [IV], fig. 19, 20). La tuberosità bicipitale è pure pronunziatissima e relativamente più pronunziata che nell’orso speleo. Essa nei diversi individui dista più o meno dalla testa. Il corpo cilindrico al collo diviene ben presto trapezoidale e più specialmente schiacciato dal lato interno. L'articolazione inferiore è notevolmente più sviluppata nel senso della larghezza. Questa non è presente che nei due ossi pertinenti allo scheletro tante volte ricordato, di esso non esistono nè d’Olivola nè di Valdarno altri fram- menti, quindi è giuocoforza riferirsi ad essi, per quanto siano alquanto deformati dalla compressione. 62 G. RISTORI [48] L’estremità articolare inferiore è piuttosto voluminosa e sviluppata nel senso trasversale. La cavità in BIL articola lo scafoide e il semilunare (Tav. VI [V], fig. 3; Tav. VII [VI], fig. 7) è quasi uniforme e mal si distinguono le due singole articolazioni. L’apofisi stiloidea è breve ed ottusa e la faccia articolare s1g- moidea in cui articola il cubito presenta uno sviluppo trasversale notevole ed è piuttosto ridotta nel SEO longitudinale, per quanto si mostri in ambedue gli esemplari incompleta. Eccone alcune delle principali dimensioni : Dimensioni del radio. Individuo Individuo Altro individuo di Gaville di Olivola di Valdarno (Tav. VI[V], fig. 3; (Tav. V (IV), fig. 20; (Tav. V [IV], fig. 19; Tav. VII [VI], Tav. VII [VI], Tav. VIT [VI], fig. 7) fig. 5) fig. 6) 9 Massima lunghezza dell’ osso : o . cm 30;0 ? ? Diametro massimo della testa antero-posteriore . » 4,3 4,2 Sh » » » trasversale . Ò » 2,8 3,0 2,6 Diametro della fossa articolare del carpo 6 à » 4,0 » della fossetta articolare del cubito . 5 » 1,6 Ampiezza massima del capo articolare inferiore . » 5,5 Spessore dell’ apofisi stiloidea trasversalmente o » 1,2 » » » longitudinalmente . » 1,0 Piede anteriore. Lo scheletro dell’U. etruscus da me ritrovato a Gaville presentava conservati i quattro piedi. Di questi figuro nelle annesse tavole l’anteriore ed il posteriore sinistro (Tav. VII [VI], fig.10,12); perchè nella ricostru- zione dello scheletro sono riusciti i più completi. Del resto anche i due destri presentano conservate molte parti che, se non altro, ci aiuteranno nella descrizione anatomica, insieme ad altri resti pure esistenti nel Museo di Firenze che si riferiscono al piede anteriore e posteriore destro e sinistro di altri individui di Valdarno. - s Carpo.— Il carpo nel piede sinistro (Tav. VII [VI], fig. 10) dello scheletro suaccennato è al completo. L’osso più sviluppato di questa prima serie è lo scafo-lunare che nei carnivori in genere e negli Ursidi e nei Canidi in specie si presenta unito ad eccezione che in alcuni giovanissimi individui. Questo osso nel nostro esemplare è perfettamente conservato, la sua faccia superiore è convessa specialmente nella porzione rispondente allo scafoide; giacchè la porzione semilunare presenta piuttosto la forma di un’ appendice tu- bercolare angolosa ed irregolare, sulla quale appena si distingue superiormente la faccetta concava a cui si appoggia il sesamoideo. L’intiera porzione semilunare dello scafo-lunare sfugge alla cavità articolare del radio, lasciando che essa interamente ed esclusivamente abbracci la porzione scafoide. La faccia anteriore si presenta in forma di canale poco profondo limitato superiormente dal bordo della convessità articolare, inferiormente dai labbri delle cavità articolari degli altri ossi del carpo. Questa faccia anteriore presenta in corrispondenza dell’articolazione col trapezio e trapezoide un andamento dol- cemente incurvato nel bordo a petto della disposizione angolosa che si nota nell’ U. arctos, nell’U. spelaeus ed anche nei tipi asiatici ed americani. Questa singolare particolarità è accompagnata da un’altra singo- larità anatomica, la quale consiste nella completa saldatura del trapezio col trapezoide che solo, fino ad ora, ho riscontrata in questa specie d’orso fossile, ed ignoro se sia stata notata negli antenati degli Ursidi, di cui probabilmente non si conoscono molti resti scheletrici pertinenti agli arti. sinti ttt [49] G. RISTORI 63 Le cavità articolari dello scafo-lunare sono ben spiccate e profonde, divise da selle acute ed al centro depresse. Le depressioni articolari in cui si incastrano il cuneiforme e l’unciforme presentano una certa uni- formità a petto alle corrispondenti dell’ U. arctos e dell’U. spelaeus nei quali, specialmente nell’ultimo, si nota una più netta e sentita divisione dalla porzione introflessa del bordo dell’articolazione scafo-radiale. Nelle altre cavità articolari nulla trovasi di notevole, a meno di una costante uniformità della superficie artico- lare, che sembra caratteristica degli Ursidi viventi in genere e dell’U. etruscus in specie a confronto del U. spelaeus. Il cuneiforme altro osso della porzione superiore del carpo si appoggia sul lato posteriore esterno dello scafo-lunare formando con esso una cavità triangolare col vertice posteriormente, nella quale si insinua e si articola l’unciforme. Il cuneiforme negli Ursidi impropriamente si distingue con questo nome, giacchè la sua caratteristica è quella di un osso piatto nel senso trasversale, allungato notevolmente in quello antero- posteriore; si articola sull’unciforme colla sua faccia anteriore che si presenta molto concava, mentre colla posteriore porge una convessità lieve ed irregolare su cui si appoggia il prisiforme, ed anteriormente una maggiore superficie quasi pianeggiante che offre ampia presa alla articolazione laterale inferiore del cubito, la quale nei plantigradi si appoggia specialmente sul pisiforme, che potrebbe ritenersi nel piede anteriore, l’omologo del calcagno. Il pisiforme è anche più impropriamente chiamato così, giacchè è un osso allungato paragonabile al calcagno nell’ ufficio come nella forma, non così nelle dimensioni. La faccia articolare col cuneiforme è trasversalmente molto sviluppata ed assai concava, presenta però un’ampiezza ridotta, quella col cubito è pianeggiante, ha la forma di mezza luna ed è situata sul dorso della parte anteriore allungata dell’osso. È notevole l’apofisi stiloidea di questo osso che assume notevole sviluppo correlativo a quello della por- zione allungata e della testa, la quale si presenta assai voluminosa. Numerose scabrosità rappresentano le inserzioni muscolari, che sono molto numerose. Paragonato quest’osso coi consimili degli orsi viventi non presenta molta diversità, si distingue però molto bene dal corrispondente dell’ U. spelaeus relativa- mente più corto e più ridotto in diametro presso il collo articolare. La seconda serie degli ossicini del carpo si inizia coll’ unciforme; quest’osso che, come dicemmo, si insinua fra il cuneiforme e lo scafo-lunare è negli Ursidi assai voluminoso. La sua forma è quella propria- mente di un cuneo con testa piana e triangolare con apice in alto. La faccia che articola col magnum e collo scafo-lunare è indivisa, uniforme e subpiana di forma alquanto irregolare; la faccia opposta che ar- ticola col cuneiforme è molto conyessa ed in basso presenta un’ apofisi tubercolare che interessa una metà della testa articolare del quinto metacarpale. L'articolazione, col quarto e quinto metacarpale, si fa me- diante una faccia leggermente concava ed a bordi netti e piuttosto acuti specialmente nella parte ante- riore e posteriore, meno evidenti ai due lati. Irregolari scabrosità determinano i punti d’attacco dei prin- cipali muscoli. Quest’osso è molto uniforme in tutti gli orsi fossili e viventi fino ad ora conosciuti. Il secondo osso della seconda serie del carpo è denominato magnum. Questo negli Ursidi è un osso abbastanza singolare, sia per l'ampiezza antero-posteriore della sua fossa articolare col terzo metacarpale, sia per apparire come diviso in due parti da due solchi laterali e profondi, per modo che esso sembra originato da due punti d’ossificazione distinti e poi saldati intimamente. Questo è evidentemente un ca- rattere comune a tutti gli Ursidi, ma che non ha riscontri notevoli nei carnivori più affini, e neppure nei Canidi. La porzione inferiore è molto sviluppata nel senso antero-posteriore e comprende la cavità arti- colare, la quale disegna un arco di cerchio molto regolare ed assai sentito, abbracciando così tutta quanta Ja testa del terzo metacarpale e modellandosi sulla correspettiva convessità. All’incontro, la porzione su- periore dell'osso è in forma di tubercolo allungato nel senso antero-posteriore per modo che si insinua 64 G. RISTORI [50] completamente nella profonda e netta cavità articolare dello scafo-lunare, interessandola completamente. Ai due lati l’osso articola o meglio si appoggia in basso ai due collaterali unciforme e trapezoide; al davanti presenta una faccia scabra di forma quasi rettangolare con un'appendice in corrispondenza dello sviluppo della porzione che si articola con lo scafo-lunare. Gli ultimi due ossi della seconda serie carpale sarebbero il trapezoide ed il trapezio; ma, come già facemmo notare, l’orso etrusco presenta la singolare particolarità di averli così intimamente saldati da -non potersi distinguere, giacchè la stessa superficie articolare che si appoggia sulla corrispondente laterale dello scafo-lunare non presenta accenno a divisione di sorta; però le due faccette che articolano col primo e secondo metacarpale sono nettamente divise da un solco, che abbastanza bene distingue la porzione spettante al trapezoide che è la più grande, da quella minore che rappresenta il trapezio. La forma ge- nerale dell'osso è quindi quasi rettangolare e la faccia superiore esterna si presenta integra, allungata e di forma pure rettangolare, acuminata alquanto dalla parte interna che va a toccare il magnum. La figura 10 della Tav. VII [VI] mostra distintamente quest’ ultima particolarità. Metacarpi. — I metacarpi sono tutti quanti ben conservati nell’esemplare di Gaville, tanto per il piede destro, come per quello sinistro. Oltre a questo ne abbiamo altri pure provenienti dal Valdarno. Ne ho figurati quattro I, II, III, e V del piede destro a Tav. VII [VI], Fig. 11. Altri poi ne abbiamo isolati del Museo di Firenze e di quello di Montevarchi. Facendone uno studio comparativo non tro- viamo differenze individuali molto notevoli, se pure non si voglia dare importanza alle dimensioni, le quali sembra che si mantengano molto costanti nella lunghezza, mentre sono altrettanto variabili tanto nel diametro del corpo dell'osso come nello sviluppo delle articolazioni specialmente delle superiori. Questo carattere è riferibile all’età, giacchè ho potuto notare lo stesso fatto confrontando un giovane individuo di U. arctos con un adulto della medesima specie, ove appunto abbiamo una differenza relativamente piccola nella lunghezza di fronte ad uno sviluppo quasi doppio nei diametri. Premesse queste osserva- zioni generali nell’ U. etruscus è notevole lo sviluppo della testa articolare del primo metacarpo di fronte alla riduzione dell’osso immediatamente al di sopra dell’articolazione inferiore. Lo stesso è a dirsi per il secondo metacarpo; solamente esso presenta, a differenza del primo, uno schiacciamento nel senso antero- posteriore per il quale, mentre si mantiene ridotto assai questo diametro, quello trasversale è molto svi- luppato. Simile carattere è in minor grado comune a tutti gli altri metacarpi. Le articolazioni superiori presentano le loro faccie in tutto e per tutto simili a quelle dell’ U. arctos, ad eccezione del primo meta- carpo, il quale presenta la faccia articolare più convessa e più ridotta nel senso trasversale e ciò forse sta in relazione colla fusione del trapezio col trapezoide. Le articolazioni inferiori dei metacarpi sono molto uniformemente costituite; solo devesi notare la sentita convessità del nucleo articolare e lo sviluppo della cresta centrale, che nei pezzi non rotolati nè degradati dalla fossilizzazione, si mostra molto rilevata e robusta. Le scabrosità che determinano l’attacco dei muscoli sono sempre molto evidenti e relativamente molto estese. Le articolazioni laterali di contatto sono molto estese e concordano collo sviluppo notevole antero- posteriore delle articolazioni superiori. : Falangi. — Le dita sono composte di tre falangi ad eccezione del primo dito che ne ha due soltanto. Le falangi sono anch’esse più robuste che lunghe ed hanno subìto nello sviluppo dell’animale le medesime modificazioni dei metacarpi; la maggior parte di esse, meno la prima che è quasi cilindrica, presentano dalla parte inferiore una depressione, che ne allarga il diametro trasverso e ne appiana la superficie, la quale all’incontro si presenta al di sopra assai convessa. Le superficie articolari superiori sono profondamente infossate e coi loro margini laterali abbracciano completamente il capo articolare dei correspettivi meta- [51] G. RISTORI 65 carpi. Le inferiori si ristringono assai; hanno la loro troclea ben tornita e tale da lasciare molta libertà di movimento alle falangine e alle falangi unghiali. Di queste falangi non abbiamo che quelle pertinenti allo scheletro di Gaville di cui ho figurato a Tav. VII [VI], fig. 10 il piede sinistro ove sono al completo, mentre nel destro del medesimo individuo manca la prima. Le falangine presenti nell’esemplare figurato sono soltanto la terza e la quinta, nel destro la prima e la quarta. Queste non presentano nulla di singolare, solo, a differenza dei metacarpi e delle falangi, sono relativamente assai sviluppate in lunghezza. Nulla di particolare si nota nelle articolazioni superiori, mentre le inferiori presentano la loro troclea sfuggente e quasi obliterata dalla parte superiore del piede, mentre essa si accentua nella inferiore, formando due bordi robusti e molto rilevati i quali racchiudono un solco pure profondo che finisce in una infossatura ovale situata in rispondenza del collo articolare. In questo solco, così caratteristico e singolare per sviluppo nell’ U. etruscus, si articola la respettiva falange unghiale, la quale presenta una fossa articolare profonda, un’ apofisi articolare molto sviluppata e di forma tubercolare che incastra esattamente nella fossa posteriore delle correspettive falangine, e colla cavità articolare ed i suoi rilevati bordi abbraccia completamente la troclea della falangina e determina una singolare quanto si- cura libertà di movimento nella falange unghiale e nell’unghia medesima. Le falangi unghiali e quindi le unghie, almeno da ciò che può vedersi in quelle che si presentano conservate nel piede sinistro e destro del solito esemplare (quinta, due quarte, terza, frammento di se- conda, e prima), dovevano avere uno sviluppo ed una robustezza singolare, giacchè il nucleo osseo su cui avvolgevasi il rivestimento corneo ha notevolissima altezza, lunghezza e spessore. Le seguenti misure ser- viranno al solito a completare questa sommaria descrizione anatomica del piede anteriore dell’ orso etrusco. Dimensioni del piede anteriore. Carpo Altezza dello scafo-lunare " ò ò di Gu I) Altezza dell’ unciforme . 0 . 5 NICHT M238 Larghezza del medesimo ò 6 d e» 552 Larghezza del medesimo alla base. 0 Mo 0275 Sviluppo della porzione lunare . ò pi DI Spessore dell’osso . 0 ò 0 0 MED Lunghezza della superficie articolare superiore — » 4,3 Altezza del magnum —. . 0 . od 103 Larghezza della medesima . 0 3 e > 278 Larghezza del medesimo 6 + o Di IO Altezza del cuneiforme . , 0 PEMDI3 Ampiezza della cavità articolare del Eee Larghezza della faccia anteriore del medesimo » 139 corrispondente . D o 0 . Mi» 272 Spessore dell’ osso . . 0 7 : ei 952 Spessore . 5 o 0 7 eo 254 Lunghezza del pisiforme 0 D 0 o DU Sa Altezza del sonuio: ronzatio Ò È o © alal Spessore della sua testa c . . 159 Larghezza del medesimo > 0 Ò od BI Diametro dell’ articolazione inferiore . SRO RRTZIA: Spessore . 0 0 c ò ò o 9 SL Metacarpi rr ‘IMP I II III IV V Lunghezza i 6 5 Ò o cem. 5,6 6,5 11,2 8,0 1139 Diametro ino della testa alicolate » 1135) 2,2 2,3 2,1 24 » trasversale dell’ articolazione inferiore » 135 1510 1,8 1,95 2,0 Palaeontographia italica, vol. 1II, 1897. 9 66 G. RISTORI [52] Falangi —-reTrTTToé}nEI. FOO Or 1@g]1@6727rz6@qu@u@dggggg.g g1 _ I II II IV V Larghezza . 0 . . o . Ò E CINA 0) 4,5 4,7 4,8 4,3 Diametro medio trasversale . o o 0 » 1,2 1,9 1; 1,6 1,2 Falangina destra Falangine sinistre —.=e_r- *»@ e #—__ °° III TV Vi Lunghezza 0 à . : 6 0 6 cm. di 3,3 3,1 Diametro medio trasversale 6 5 Ò 6 » 1,2 1,39 1,1 Falangi unghiali ar —m—r—r—r—_»—r_—T__'r_re_Gl-l.t@—@@ SINISTRE DESTRA SINISTRA DESTRA -—. <*_21_—_— I II III TVi V Lunghezza . 5 n 6 5 . cm. 4,5(?) 4,6 (2) 44 4,7 4,3 Altezza della base articolare . 5 n » 2,8 ? I) 210) 250 Cintura pelvica. Osso iliaco. Proveniente dal Valdarno superiore esiste nel Museo di Firenze un osso iliaco sinistro d’ U. etruscus quasi completo e solo mancante della porzione pubica anteriore. Questo resto doveva appartenere ad un individuo notevolmente sviluppato, uno fra quelli che raggiungevano le maggiori dimensioni. Il suo sesso maschile è dimostrato dal fatto che la spina iliaca anteriore è notevolmente piegata all’indentro e la fossa iliaca esterna è, relativamente allo sviluppo dell’ osso, assai piccola. Nelle femmine troviamo la fossa iliaca molto maggiore e la spina iliaca volta un poco all’avanti (Tav. VI [V], fig. 7). Negli orsi non sono visibili come in altri mammiferi i punti di saldatura dei tre ossi, ileo ischio e pube nell’interno della cavità cotiloidea; per cui non si possono individualizzare che approssimativamente. L’ileo è un osso assai lungo ma non molto espanso; si presenta però molto robusto. La sua cresta (cresta iliaca) disegna una curva ad ampio raggio, con bordo frastagliato e con impressioni muscolari molto notevoli. La faccia esterna presenta la sua fossa profonda e molto limitata specialmente nel senso longitudinale. Questo singolare carattere tenderebbe ad allontanare molto l’orso pliocenico dai Canidi; mentre per altri caratteri anatomici, specialmente delle ossa del cranio, rammenterebbe assai (come già notammo) quella famiglia. Il bordo del pube presso la cavità cotiloide si innalza notevolmente formando in continuazione con quello dell’ileo una curva sentita. Quasi tutta la porzione pubica manca nel nostro esemplare unitamente alla sua sinfisi, la di cui ampiezza avrebbe speciale interesse anatomico. La por- zione ischiatica è invece bene conservata, si presenta con bordo arrotondato, spesso e con tuberosità molto pronunziata e rugosa; mentre verso la porzione pubica l’osso notevolmente si assottiglia. La sua [53] G. RISTORI 67 x superficie è inclinata verso il foro otturatore il quale, per quanto incompleto, presenta il diametro trasver- sale non molto inferiore al diametro longitudinale; quindi è meno ovale di quello dei Canidi, più di quello dell’ U. spelaeus, e molto simile a quello dell’ U. aretos. La cavità cotiloidea è piuttosto ampia e profonda, leggermente subovale nel senso longitudinale, con sopraccigli cotiloidei di andamento regolare, giacchè delle incavature che dovrebbero determinare il limite dei tre ossi che concorrono a formare detta cavità non esiste che la incavatura ischio-pubica, che è sempre molto notevole, quantunque negli Ursidi sia relativamente meno accentuata che in quasi tutti i carni- vori compresi i Canidi. La faccia interna di quest’ osso presenta la faccia articolare del sacro molto singolarmente costituita e piuttosto sviluppata nel senso trasversale. La sua superficie non presenta come nei Canidi distintamente delle facciette articolari, ma si mostra notevolmente frastagliata specialmente nella parte centrale; mentre ai due lati appariscono due infossature longitudinali che potrebbero rite- nersi omologhe alle due faccie articolari dei Canidi. Anche i bordi limitanti tutta la superficie sono ben distinti, ma irregolari e poco rilevati. Al di sotto di questa faccia abbiamo una notevole strozzatura del- l'osso, il quale va nuovamente riallargandosi in corrispondenza della cavità dell’acetabolo ed anzi si ri- leva alquanto, poi torna a deprimersi ed a ridursi in larghezza presso il foro otturatore, i cui margini da questo lato sono uniformi e sottili; più in avanti la porzione ischiatica presenta un andamento diverso e sì ingrossa, dando l’apparenza di una distorsione dell’osso stesso che finisce nella tuberosità ischiatica. La porzione ischio-pubica che fa seguito è poco spessa e come già dissi molto incompleta. Alcune misure completeranno la sommaria descrizione dell’ osso. Dimensioni dell’osso iliaco. Lunghezza dalla tuberosità ischiatica alla sommità della cresta iliaca 0 o MN cin 2915 » della corda della cresta iliaca . di ò , . 0 . . È » 12,0 Larghezza dell’osso in corrispondenza della superficie articolare del sacro . 6 » 6,4 Diametro della cavità cotiloidea: longitudinale . c 0 5 . - 0 3 » 5,7 » » » trasversale . D 0 0 0 . n n » 5,5 Profondità media della cavità cotiloidea . a a 5 0 b 0 . 6 » 2,6 Ampiezza della incavatura ischio-pubica . . 6 . 5 0 ò 0 o » 9,1 Larghezza del collo dell’ ischio . - 0 © . 6 o 2 . . . » 3,8 Spessore della tuberosità ischiatica . 0 È o c ò 0 . 0 o » 2,0 Larghezza della medesima 0 o 0 ò . i . 0 D 0 : » 3,0 Diametro longitudinale approssimativo del foro otturatore 0 0 . 5 - » 8,0 Arti posteriori. Femore. Di questo osso lungo non abbiamo che alcuni frammenti dell'individuo da me scavato nelle ligniti di Gaville (Tav. VI [V], fig. 8; Tav. VII [VI], fig. 3). I frammenti sono numerosi assai e poco manca che mediante la restaurazione fatta, non si sieno ottenuti interamente ambedue i femori, però quello che lascia molto a desiderare è la conservazione; perchè lo schiacciamento subìto è tale da averli resi assolutamente informi ed appena riconoscibili per tali. Le loro articolazioni sono assolutamente in uno stato deplorevole, per cui ogni tentativo di descrizione anatomica sarebbe non solo impossibile, ma anche pericoloso; mi limito quindi a darne alcune misure approssimative insieme al disegno su indicato. 68 G. RISTORI [54] Dimensioni del femore. Lunghezza del femore destro . Ò 0 0 0 0 0 0 x ò e co MM 39;0) » » sinistro . o ò 0 0 Ò ò . Ò . 0 » 34,0 Spessore del capo articolare superiore destro . . . . 5 ; A 7 » 6,5 » » » inferiore » . . . . . . . . » 6,7 » » » superiore sinistro. 0 o c . . d 0 » 6,6 » » » inferiore » o 0 ò c . o . : » 1,2 Rotula. x Anche questo piccolo osso isolato appartiene allo scheletro da me ritrovato a Gaville. Esso è piuttosto piccolo di fronte alle dimensioni del femore e della tibia. Nell’orso speleo aveva dimensioni relativamente più notevoli, nell’orso vivente europeo è pure assai ridotto, però non tanto, quanto in questo nostro plioce- nico. La rotula conservata che figuro a Tav. VI [V], fig. 6 è quella dell’arto sinistro. La sua faccia interna è molto convessa e la sommità della cresta la divide quasi in due porzioni eguali per modo che la parte esterna è quasi larga quanto l’ interna. In nessun orso vivente abbiamo così accentuato questo carattere; il più che si avvicini è ’'U. arctos, ma anche in esso detta faccia è più dissimetrica, e delle faccie articolari specialmente quella corrispondente alla porzione esterna è più depressa e meno simile all’ opposta dell’altro lato. La base presenta l’infossatura articolare molto spiccata e scabra per l’inserzione dei muscoli. L’ apice è arrotondato, spesso e leggermente introflesso, ed anch’esso presenta una scabrosità per l'inserzione musco- lare. La faccia esterna è verso l’apice molto convessa, più pianeggiante presso la base; presenta rugosità caratteristiche ed un bordo concentrico al margine della faccia inferiore distante da esso circa 6 milli- metri, convergente ai lati, all’apice ed alla base, ove si fonde con le rugosità delle inserzioni muscolari. Dimensioni della rotula. Diametro antero-posteriore . a ò CM ZO Spessore massimo 6 ò 5 a o ino 19 » trasversale . . o b : » 3,2 Altezza dei bordi laterali . c ; A » 0,6 Lunghezza della porzione interna i i » 1,8 Spessore della base . : 0 : 5 ” 0,5 » » esterna 0 0 » 1,6 » dell’apice . , Ò ; I 1,2 Tibia. Di questi ossi ne ho solo due disponibili destro e sinistro dello stesso individuo ed appartengono allo scheletro da me ritrovato a Gaville. Al solito sono compressi e deformati dalla fossilizzazione, però hanno le articolazioni abbastanza ben conservate (Tav. VII [VI], fig. 1, 2). Detti ossi sono assai sviluppati in lunghezza ed in diametro; presentano quindi una certa robustezza per quanto appartengano ad un indi- viduo di media grandezza. L’ articolazione superiore (Tav. VII [VI], fig. 1), per quanto deformata, presenta le due faccie piuttosto incurvate ed il rilievo mediano (spina della tibia ) assai notevole. Nell’ insieme l’ estre- mità superiore è piuttosto robusta. I due tubercoli che costituiscono la spina sono voluminosi, 1° esterno più piccolo e più acuminato, l’interno espanso a mo’ di costola trasversale. Nella tibia sinistra (Tav. VI [V], fig. 9), è ben visibile la faccetta articolare della rotula, ampia e specialmente sviluppata nel senso trasversale obliquo, al di sotto e al di dietro; lateralmente si scorge pure la faccetta articolare del perone piccola e quasi perfettamente rotonda. La porzione lunga dell’osso (corpo della tibia) anteriormente è prov- [55] G. RISTORI 69 vista di una tuberosità, che si inizia alla faccia articolare della rotula e si prolunga, in forma di spina sempre più acuta, fino a tutto il terzo superiore. L’apparenza di distorsione che detto rilievo dà al corpo dell’osso non è molto marcata, assai meno che nell’ U. spelaeus e nell’ U. aretos medesimo. In generale la parte allungata dell’osso oltre il terzo superiore presenta un diametro relativamente ridotto di fronte alle due specie ora citate (Tav. VI [V], fig. 9). L'articolazione inferiore è ben conservata in ambedue gli ossi, si presenta nell’interno di forma rettangolare, arrotondata, più acuta dalla parte esterna, meno dall’in- terna. La faccia articolare tibio-astragalica è divisa in due parti da una cresta poco rilevata ed uniforme, la parte interna di detta articolazione è stretta, profonda e cinta da bordi acuti; l esterna è più super- ficiale e più ampia e cinta da bordi ottusi. Nella porzione posteriore si nota la faccetta articolare del perone lunga ed abbastanza allargata, docciforme, ma poco profonda di fronte all’omologa dell’ U. spe- lacus, molto simile a quella dell’ U. arctos. Im questa regione posteriore l’osso, nella sua parte allungata, si presenta per il terzo inferiore piuttosto cilindrico, ma procedendo in alto si inizia una scanalatura note- vole che diviene ampia e profonda oltre il terzo superiore. Il carattere di questo canale è forse stato esa- gerato dalla compressione sofferta dall’ osso; pure potrebbe considerarsi, nei debiti limiti, proprio della specie (Tav. VI [V], fig. 9), giacchè nè Il U. spelacus nè 1’ U. aretos lo presentano cotanto accentuato. Molte altre osservazioni potrebbero farsi su questi due ossi; ma, stante il loro stato di conservazione, è bene limitarsi a queste poche, sufficienti a darci un’idea abbastanza esatta, che sarà completata da alcune misure che faccio seguire a questa sommaria descrizione anatomica. Dimensioni della tibia. Lunghezza della tibia destra . o 0 0 . o o c . 6 . cm. 28,6 » » » sinistra . ò 0 0 5 0 o 6 o 5 D » 28,8 Spessore massimo del capo articolare superiore destro . o ° 0 . Ò » 7,8 » » » inferiore » " Ò Ò Ò , 0 » 6,0 » » » superiore sinistro . - o . 0 7 » 7,6 » » » inferiore » . . . . . . » 6,3 Sviluppo della spina della tibia in lunghezza . 0 0 o . o » 90 » » » in spessore presso l’articolazione superiore . 0 » 2,5 Diametro massimo del corpo dell’osso a metà . 6 o . 0 Ò 0 c » 3,3 Diametro trasversale della fossetta articolare inferiore . ò ò 5 ò 7 » 3,8 » antero-posteriore » » » b 5 H 5 7 n » 2,4 Perone. L’arto posteriore sinistro dello scheletro da me scavato a Gaville presenta pure conservato il perone. Quest’osso, stante la sua notevole gracilità, è molto deformato e manca di una piccola porzione nel suo terzo superiore (Tav. VI [V], fig. 10). Il capo articolare superiore è piuttosto piccolo, ha la sua faccia artico- lare espansa, ma ne è spostata l’apofisi stiloidea, che del resto negli Ursidi non è ‘gran fatto evidente. Il tubercolo posteriore, cha dà inserzione al muscolo soleo, non presenta grande sviluppo e per giunta è straordinariamente compresso per la fossilizzazione. Il corpo dell’osso nel suo terzo anteriore è piut- tosto esile e di forma trapezoide con angoli molto acuti, nel terzo posteriore invece presenta una certa robustezza, che però non si continua con eguale proporzione nell’articolazione inferiore (Tav. VII [VI], fig. 8), che di fronte al corpo dell’osso ed appetto all’omologa del U. spelaeus presenta dimensioni ridotte. L’estremità inferiore ha forma triangolare da ambe le faccie con sporgenze relativamente accentuate, le Palaeontographia italica, vol. III, 1897. NS 95 70 G. RISTORI [56] quali costituiscono anche negli Ursidi una specie di malleolo esterno. La faccia esterna che si articola col- l’omologa dell’astragalo è piuttosto estesa ed ha posteriormente una incavatura abbastanza pronunziata. La superficie articolare con cui si unisce alla tibia è nel nostro esemplare molto deformata, pure pre- senta una relativa estensione piana in forma di triangolo con due forti tubercoli che determinano l’attacco dei ligamenti peroneo-astragalici. Ecco alcune misure: Dimensioni del perone. Lunghezza approssimativa dell’ osso . . c . o ò 0 0 . RN cn 2,154: Larghezza del capo articolare superiore . o . c . 5 c 5 ò » 2,2 Spessore del medesimo 0 o o o vi . 0 0 a o . Ò » 1,9 - Diametro massimo dell’ osso nel terzo superiore 0 c a Ò . , o » Ilol » » » nel terzo inferiore o ò 5 È o È 0 » IL) Larghezza dell’ articolazione inferiore . 0 0 . o . . 7 o » 24 Grossezza della faccia malleolare esterna . ò : É 6 c 0 : . » 24 Spessore dell’ articolazione o 0 . . ò : o c ò a . » 1,5 Piede posteriore. Tarso. x Il piede posteriore dell’orso etrusco è rappresentato da frammenti abbastanza completi che ho avuto cura di figurare a Tav. VII [VI], fig. 12, 13. A questi, che sono i migliori, si aggregano numerosi resti ossei del piede posteriore destro del solito scheletro di Gaville e tre metatarsi sinistri isolati I, II, III, IV, raccolti presso Figline. Questo materiale per quanto incompleto è abbastanza ben conservato e si potrebbe dire che si completa a vicenda e ci dà idea abbastanza esatta del piede del nostro orso. Il primo osso del tarso è il calcagno; quest’ osso negli Ursidi è assai voluminoso ed anche nella nostra specie ha dimensioni molto notevoli non inferiori certamente a quelle raggiunte dagli orsi viventi; ma relativamente più piccole di quelle che si riscontrano negli individui bene sviluppati dell'orso speleo. La parte allungata di quest’osso è piuttosto notevole ed assai rigonfia all’estremo superiore. La faccia superiore presenta le due faccette che articolano coll’astragalo molto bene sviluppate, l’interna è di forma ovale allungata assai e con andamento regolare nei bordi; presenta inoltre una convessità piuttosto pro- nunziata. Nell’orso speleo come in molti degli orsi viventi questa faccia è più irregolare di forma, più sentitamente curva all’ esterno e con incavo mediano dal lato interno. Altrettanto può dirsi della faccetta articolare interna, essa è leggermente convessa anche in alto, si stringe in basso assumendo la forma di clava molto slargata nella porzione superiore; anche in essa i margini hanno andamento molto più rego- lare che nell’ U. arctos e negli altri orsi viventi, è poi diversissima dall’ analoga dell’ U. spelaeus. La cavità articolare del cuboide è piuttosto piccola e ridotta nel senso trasversale, sviluppata invece in quello antero-posteriore, per modo che apparisce rotondeggiante e meno allungata che nell’ U. aretos e meno ancora di quella dell’ U. spelaeus. La faccia inferiore dell’osso si presenta con andamento abbastanza regolare e l’infossatura e l’eminenza che danno attacco al lungo flessore ed al ligamento calcaneo-cuboideo non sono molto pronunziate. Nel resto non presenta altre particolarità degne di nota. L’astragalo è un osso molto uniformemente costituito negli Ursidi ed anche nell’orso pliocenico non presenta varianti notevoli meno che nelle faccie articolari corrispondenti a quelle del calcagno che natu- ralmente si presentano alquanto modificate nella forma e nelle dimensioni per stare in relazione a quelle [57] G. RISTORI 71 dell’ osso antecedentemente descritto. Una sola cosa notevole ritrovasi nello spessore dell’ osso che mi apparisce, almeno nell’unico esemplare da me esaminato, piuttosto ridotto. Questo fatto posto in relazione colla sporgenza pure accentuata della testa che articola con lo scafoide mi fa supporre che questa riduzione debbasi a compressione sofferta dal fossile, piuttostochè a carattere anatomico, molto più che il tubercolo x o testa articolare è molto sviluppata nel diametro trasversale, ridotta in quello antero-posteriore, quando si paragoni cogli orsi viventi. Il cuboide negli Ursidi come in tutti i plantigradi è un osso molto irregolare, le sue faccie arti- colari sono per lo più pianeggianti, meno quella che articola col calcagno. La faccia piana che articola con i metatarsi è molto sviluppata nel senso antero-posteriore, ma assolutamente indivisa. La faccia anteriore esterna è scabra e di forma quadratica. La scafoide è nell’orso etrusco un osso piuttosto sviluppato e profondamente incavato nella sua articolazione con la testa dell’ astragalo. La sua cavità articolare è scutelliforme, senza le irregolarità ed i rilievi, che sempre si notano negli orsi viventi. Il suo tubercolo è molto sviluppato; però questo sviluppo non sembra nell’orso etrusco molto costante, perchè mentre lo trovo notevolissimo nell’ esemplare da me ritrovato a Gaville (Tav. VII [VI], fig. 12) si riscontra sempre voluminoso in spessore, ma più ridotto in lunghezza, nell’esemplare pure di Valdarno figurato a Tav. VII [VI], fig. 13. Nel resto l’ osso pre- senta costanza di forma e di dimensioni. I tre cuneiformi li abbiamo tutti presenti nel piede sinistro dell’esemplare di Gaville che ho figurato a Tav. VII [VI], fig. 12. Essi sono piccoli e specialmente ridotti nel senso trasversale. Le loro faccie arti- colari sono subpiane, le anteriori scabre ed irregolari. In essi non si nota particolarità di sorta ad ec- cezione delle ridotte dimensioni trasversali, le quali concorrono a ridurre alcun poco, nell’orso etrusco, la larghezza del piede posteriore. Metatarsi. — Per la sommaria descrizione dei metatarsi ho a mia disposizione un materiale più abbondante di quello che mi ha servito per quella del tarso; infatti, oltre il piede dell’ esemplare di Gaville un altro pure di Valdarno ne ho figurato a Tav. VII [VI], fig. 13. A questo poi si aggiungono altri metatarsi isolati fra cui un secondo che è il solo mancante nei due esemplari figurati. I metatarsi sono nell’orso etrusco molto simili ai metacarpi, solo si può notare in essi, come carattere generale, una ridu- zione nel diametro di fronte allo sviluppo in lunghezza. Questo carattere però è pure comune agli orsi viventi, ma forse si mostra un poco meno accentuato almeno nei pochi individui che ho avuto agio di esa- minare. Al solito le teste dell’articolazione superiore hanno un diametro antero-posteriore molto notevole in confronto di quello trasversale. Le faccie articolari che determinano il contatto fra i cinque metatarsi sono assai estese ed il contatto si determina per una notevole superficie. Le articolazioni inferiori sono assai sporgenti e lo sviluppo della troclea si fa specialmente notevole nella parte posteriore. L’ accentuazione del capo articolare non corrisponde però alla profondità delle fosse articolari delle falangi, che sono meno profonde delle correspettive dei metacarpi. Nelle falangi che ho tutte presenti negli esemplari della Tav. VII [VI], fig. 12 e 13 non trovo nulla di notevole ad eccezione di una certa riduzione nella lunghezza, e di un più notevole schiacciamento nelle faccie posteriori. Allo stesso modo che presentano riduzione nella cavità articolare superiore, così ne hanno anche nello sviluppo della troclea, che costituisce l’articolazione inferiore. Identiche osservazioni si possono fare tanto per le falangine, come per le falangi unghiali, di cui 4 ben conservate si osservano nell’ esemplare della Tav. VII [VI], fig. 13. Mi soffermo alcun poco sulle falangi unghiali, che appunto presentano uno sviluppo notevolmente inferiore di fronte alle omologhe dell’arto anteriore. Questo fatto si nota in tutti gli Ursidi ed è assolutamente dipendente dall’uso che questi animali fanno dell’arto ante- 72 G. RISTORI [58] riore e più specialmente del piede.Il carattere differenziale fra le falangi unghiali del piede posteriore e quelle del piede anteriore è che queste sono più robuste nel cavo e capo articolare, più grosse, più spesse, più lunghe e notevolmente falciate, mentre le altre sono meno robuste e quasi rette. Le qui unite misure completeranno questa sommaria descrizione del piede posteriore. Dimensioni del piede posteriore. Tarso Lunghezza del calcagno O ò em. 7,8 Spessore massimo del cuboide , : cio 234 Spessore della testa 6 0 " > 250, Larghezza della sua faccia anteriore , giri EU Diametro trasversale della medesima » 1932 Altezza della medesima . a 5 G E DINO! ” » dell'osso a metà » 2,4 Spessore dello scafoide . : i È od HI Spessore massimo trasversale della regione ar- Altezza della faccia anteriore d : oo agli ticolare inferiore 0 0 » 4,9 Larghezza della medesima . ò + nor IDA Larghezza della puleggia 0 c » 3,6 Diametro trasversale della fossa ar icorste ini Altezza della medesima . DE; Spessore del primo cuneiforme 5 . de ZI Altezza della testa . c DI Ugl » del secondo » ; c o 19 Larghezza della medesima » 3,3 » del terzo » 0 c : dee Ampiezza massima longitudinale dell'osso oi DI pa Lunghezza c 0 0 o Wa Lunghezza Lunghezza Lunghezza Altezza delle basi arlicolazi Metatarsi -—-Tr,rT-TCTCcCVv»«o«:,} + ’@osniitf(Ù(l@El[ — o , 5 . 3 » 0, 097 Lunghezza della serie dei molari, a sinistra 5 b 0 ò 9 » 0, 242 » » » a destra. ) È È " . » 0,251 Altezza del corpo fra il nm, e il my . ò - " c . . » 0, 106 » » » il pm, e il pm, . è 6 . . . . » 0, 077 Spessore, in corrispondenza del pmy . 6 ” È 5 " o » 0, 062 Circa la dentatura, dissi già come il nostro fossile ci otfra complete le serie dei molari e dei pre- molari 1-3. Un pm4y sembra accennato da oscure tracce di alveolo e meglio ancora da un’ impronta sa- gittale visibile sulla faccia anteriore del ms. Degl’incisivi manca, per lo stato dell'esemplare, ogni indizio. [13] V. SIMONELLI 101 La logorazione dei denti non è molto avanzata: nei due ultimi molari d’ambo i lati e nel pmi di destra i dischi anteriore e posteriore sono sempre distinti e trovansi ad altezze diverse; negli altri denti persiste il dislivello, ma è già iniziata la confluenza dei dischi. La superficie comune di detrizione è — dall’avanti all’ indietro — pressochè piana a sinistra, debolmente concava a destra (Tav. XI [II], fig. 1). I tre premolari presi insieme misurano in lunghezza m. 0,110 a destra, m. 0,107 a sinistra; i tre veri molari m. 0,130 a destra e m. 0,133 a sinistra. Quanto ai singoli denti, eecone le dimensioni: Lungh. alla base Larghezza Larghezza del lato est. del lobo anter. del.lobo post. pm; destro . 6 , : RO NOSIE 0,018 0, 020 » sinistro . Ù - i È » 0, 032 0, 0186 0, 0203 pm, destro . 5 6 È ; » 0, 039 0; 0225 incompl. » sinistro . 7 . ò o » incompl. 0,025 incompl. pm, destro . 5 5 È 0 » 0, 042 0,024 0,029 » sinistro . h 5 3 o » 0, 0408 incompl. 0, 0285 m, destro . : . ò o » incompl. incompl. «0,030 » sinistro . G 5 à Ù » 0, 040 incompl. incompl. my destro . 5 È 5 à » 0,043 0, 0305 0,029 » sinistro . o ò . È » 0, 0425 0,029 0, 0303 mz destro . . 9 È . » 0, 0455 0, 0295 0, 0305 » sinistro . à . 0 è » 0, 043 0, 081 0,029 Noto che nel rinoceronte leptorino di Monte Zago (Museo di Milano) la lunghezza complessiva dei mo- lari inferiori supera di circa tre centimetri quella riscontrata nel nostro esemplare. A quest’ultimo si av- vicina di più il rinoceronte di Montpellier (£th. megarQhinus in FALCONER, Op. cit., loc. cit.) che ha la serie dei molari non più lunga di m. 0,266. Quanto alla forma dei singoli denti inferiori non eredo dovermi perdere in troppi particolari. Un solo carattere mi par degno di esser messo in rilievo: ed è la mancanza completa, così nei molari veri come nei premolari, del cingolo basale (guard) sulla lamina esterna. Rudimenti di esso cingolo si trovan solo nelle facce anteriori e posteriori dei denti. Colonna vertebrale. — L’atlante (Tav. XI [II], fig. 2-4) si trova in condizioni soddisfacentissime di conservazione, mancando solo la parte marginale dei processi trasversi e l'apice della protuberanza che tien luogo di apofisi spinosa. Supposta la vertebra completa, non avrebbe meno di m. 0,340 di diametro trasverso, per circa m. 0,110 di massima altezza. Dalla sporgenza massima del margine superiore di una delle faccette articolari anteriori, al margine laterale delle posteriori, ha di lunghezza m. 0,113. L'arco in- feriore è discretamente robusto, doleemente convesso nella faccia esterna; offre nel margine anteriore un seno mediano, profondo come quello che si riscontra nel R%. dicornis, ma anco più stretto; termina poste- riormente con un processo lungo m. 0,020, carenato in basso. L'arco superiore, notevole per la sua sot- tigliezza, serba nella superficie esterna le tracce di una irregolare protuberanza mediana, allungata dal- l’avanti all’indietro. È assai largo, in proporzione dell’altezza, il canale rachidiano, che misura m. 0,055 trasversalmente, e soli m. 0,040 in senso verticale. Deve però notarsi che la volta fu rimossa dalla po- sizione originaria e avvicinata alla faccia intrarachidiana inferiore, dalla pressione che la vertebra subì nel terreno. Le ali trasverse, piuttosto sottili, assai larghe, stanno in un piano press’ a poco orizzontale: e così ricordano piuttosto il R%. indicus e l’javanicus, e tra i fossili il tichorhinus, che il bicornis. Anche 102 V. SIMONELLI [14) per un altro carattere l’atlante che descriviamo s’ accosta più a quello dei rinoceronti che oggi vivon nel- l'India, che a quello delle due specie affricane, R%. bicornis e Eh. simus. Scrive il BramviLLE * che nel Eh. unicornis, nell’javanicus 0 sondaicus o nel sumatranus 1’ atlante “a toujours en dessus une échanerure marginale et un seul trou pour le passage de l’artére vertébrale ,; mentre nel rinoceronte del Capo e nel camuso “ cette rentrée se fait par deux trous assez rapprochés, et par conséquent sans échanerure marginale ,. La prima condizione è quella appunto che si verifica nel nostro esemplare; un profondo seno incide il margine anteriore delle apofisi trasverse, presso la base, isolando i fianchi dalla parte arti- colare anteriore. Come continuazione di questo una doccia larga, poco profonda, è scavata nella faccia superiore, lungo il robusto margine delle cavità articolari atloido-occipitali: e fa capo ad un ampio foro che penetra nel canale rachidiano. Le cavità articolari anteriori son molto profonde, assai ravvicinate l’una all'altra inferiormente: la distanza massima fra i loro margini laterali è di m. 0,150. Le faccette articolari axoido-atlantoidee son piane, semiellittiche, assai più estese in larghezza che in altezza; fanno un angolo di circa 50° con l’asse longitudinale della vertebra. Il loro margine inferiore, se non può dirsi proprio orizzontale, è solo leggerissimamente obliquo dall’esterno in alto, all’interno in basso. La di- stanza massima fra i margini laterali delle faccette è di m. 0,162. L’epistrofeo (Tav. XI [II], fig. 5, 6), mancante solo della porzione terminale dell’ apofisi spinosa, offre le dimensioni seguenti: Lunghezza (compresa l’ apofisi odontoide) . 0 5 . ò EIN RO N12 Larghezza . . c . 0 . c c 6 o c » 0, 157 Altezza (fino alla base dell’apofisi spinosa) . 0 o D 0 6 » 0,120 Altezza della faccia articolare posteriore . FMEESTA 0 5 5 » 0, 067 Larghezza massima del canale rachidiano posteriormente . 0 n » 0, 048 Altezza 6 Ò o 0 5 ò 0 ò : . È ò » 0,035 Ai lati di un robusto processo odontoide subconico, un po’ schiacciato, ad estremità ottusa, le faccette articolari anteriori dispongonsi in modo da corrispondere esattamente a quelle posteriori dell’atlante. Il margine inferiore di esse faccette, in luogo d’esser obliquo dall’esterno in alto, all’interno in basso, come p. es. nel R%. tichorhinus, è press’ a poco orizzontale, come nel AR. Mercki. Grossa e ben rilevata è la carena mediana longitudinale della faccia inferiore del corpo; essa termina anteriormente nella leggera depressione che trovasi subito dietro al processo odontoide, e nella quale doveva adattarsi il tubercolo po- steriore dell’atlante. L’incavo articolare posteriore, assai profondo, ha contorno cuoriforme come nel R%. tichorkinus . Le faccette articolari delle postzigapofisi hanno i margini interni subparalleli fra loro: la massima distanza tra i margini esterni delle faccette medesime è di m. 0,070. L’ apofisi spinosa è robu- stissima: le sue facce laterali convergono in avanti, facendo un angolo di circa 60°. Analogamente a ciò che si osserva negli attuali rinoceronti d’Affrica — e a differenza degli indiani — il lato posteriore del- l’apofisi spinosa si prolunga verticalmente per notevole altezza. Questo lato offre una debole carena lon- gitudinale mediana, fiancheggiata da solchi poco profondi. Un canale largo e profondo è incavato nella metà posteriore delle diapofisi, rasente al margine esterno. Rimane qualche traccia del ponticello osseo che convertiva in foro la parte mediana di questo canale. La vertebra ch'io ritengo sia la terza cervicale (Tav. XI [II], fig. 7-9) ha le dimensioni qui sotto notate: 1 Op. cit., pag. 30. [15] V. SIMONELLI 103 Larghezza del corpo nella faccia superiore . ò . 7 0 RI 01055. Altezza della testa a 0 o . Ò + . B » 0, 063 Larghezza massima della o ò 7 ò ò 0 o 6 Ani; 0, 044 Diametro trasverso della cavità articolare posteriore . o . . » 0, 067 Diametro massimo del canale rachidiano posteriormente » 0, 042 Larghezza massima (approssimativa) fra le estremità delle EROGRi n asverse » 0, 150 Altezza, fra il margine inferiore della cavità articolare posteriore e il margine superiore delle postzigapofisi . o 7 ò 0 » 0,125 Massima distanza fra i margini laterali delle IRE ò 0 » 0,076 Il corpo è notevolmente compresso nella metà inferiore e carenato come quello dell’ epistrofeo. La testa, molto sporgente e convessa, ha forma di ovoide troncato superiormente. L’opposta superficie arti- colare, obliqua dall’avanti all'indietro, è larghissima, profondamente incavata, subcircolare nel contorno. Le diapofisi son piuttosto sottili, poco estese in larghezza, leggermente inclinate in basso: l'ampio foro ellittico che le traversa da parte a parte alla base, s’apre a livello del terzo superiore del corpo. Le postzigapofisi — assai più lunghe — hanno le facce articolari disposte ad angolo di 55° 1’ una rispetto all’altra. L’apofisi spinosa non è conservata. Nella quarta cervicale (Tav. XI [II], fig. 10-12) le dimensioni son le seguenti: Larghezza del corpo nella faccia superiore . o 3 o 0 nio 01055) Altezza della testa (approssimativa) . o . ò ò ò o » 0,056 Larghezza . ù a à . o o ò 0 » 0, 047 Diametro trasverso della O articolere posteriore . 6 0 0 » 0, 060 Diametro massimo del canale rachidiano posteriormente . ò 7 » 0, 044 Larghezza massima dio fra le estremità delle apofisi tra- sverse . 0 6 6 Ò » 0,180 Altezza, fra il margine sine della ato nicola o e il margine superiore delle postzigapofisi . o È 0 0 . » 0,110 Massima distanza fra i margini laterali delle postzigapofisi a 5 » 0, 098 Dalla vertebra precedente questa differisce per il maggiore sviluppo delle apofisi trasverse, per la aggiore ampiezza dei fori tracheliani, per le zigapofisi più robuste e più divergenti. Nelle prezigapofisi le facce articolari son disposte ad angolo retto e le facce superiori son distintamente carenate per lungo. La testa è meno sporgente e meno allungata in senso verticale. Da questa in poi tutte le vertebre son così profondamente danneggiate da non poter servire che poco o niente allo studio. Anche fra quelle di apparenza migliore talune si riducono a blocchetti di ar- gilla con incastrato artificialmente, e non sempre al luogo giusto, qualche pezzo d’apofisi. Dalla meno peg- gio conservata, che è una dorsale (Tav. XI [II], fig. 13-14), probabilmente delle posteriori, si rilevano le seguenti misure: Lunghezza del corpo . ° à . . . . . 0 .. m. 0,068 Larghezza massima della faccia articolare posteriore . . . . » 0,056 Altezza » » » » . : à 0 » 0, 051 Altezza totale . a . Ò ; . D d 6 » 0,170 Larghezza minima dell'apofisi spinosa È 0 o c RILMMITA » 0, 038 Prima di lasciar le vertebre credo convenga accennare come talune di esse, e più particolarmente la 4° e la 62 cervicali, offrano ben manifeste le tracce di un processo morboso, che dovette esser causa 104 V. SIMONELLI [16] non ultima della distruzione di gran parte della colonna rachidiana. Nel corpo della quarta cervicale è scavato un larghissimo foro, a sezione irregolarmente ovale (del diam. massimo di circa 35 mm.), che s'apre da un lato, dietro e sotto all’ apofisi trasversa, e riesce dal lato opposto al medesimo livello: avendo in basso come parete uno stretto e sottilissimo ponticino osseo, che dalla base della testa artico- lare va sino al mezzo della faccia inferiore. Nella sesta cervicale il corpo presenta invece un’ampia ca- verna, che si estende dall’avanti all’indietro nella metà inferiore del lato destro. Analoghe perforazioni e caverne si trovano nella base del tubercolo coracoide della scapola sinistra, ne’ capi articolari degli omeri e della tibia; e mentre si può escludere in modo assoluto che dipendano da azioni posteriori al- l’inumazione, per la sede loro e per la forma si possono giudicare determinate da un processo patologico come tubercolosi od actinomicosi, e forse piuttosto da quella che da questa. Coste (Tav. XII [III], fig. 1-4). — Trovai rappresentate, da frammenti più o meno considerevoli, nove coste di destra e quindici di sinistra; ma non mi fu possibile ricostruirne interamente neppur una, nè rista- bilire con precisione l'ordinamento della serie. Solo potei distinguere le sternali 2-6 dalle altre, mettendo a profitto ciò che insegna in proposito il DuverNoy (Nowv. étud. s. l. Rhin., pag. 39); tenendo cioè come sternali 2-7 quelle che han la faccia più larga rivolta in avanti, e percorsa da un solco longitudinale mediano largo e poco profondo; ascrivendo alle asternali quelle che volgon la faccia più larga e convessa all’ esterno, e recano presso l’orlo anteriore il solco pei vasi e i nervi intercostali. La più grande fra le sternali misura oltre 80 centimetri di lunghezza (seguendo la curva del suo margine esterno) per 4 di massima larghezza e 2 di spessore. Le più robuste fra le asternali’ hanno 28 mm. di larghezza mas- sima nella faccia esterna, e 25 nell’anteriore. L’estremità superiore è conservata solo in tre delle ster- nali e in due delle false; nelle prime la forca è larghissima, ma la testa e la tuberosità si trovan pres- sa a poco al medesimo livello e tutt'e due restano nel piano della faccia anteriore; nelle ultime invece il collo è lunghissimo, e la tuberosità e la testa si trovano nel piano della faccia esterna. Sterno. — Dei pezzi sternali ci riman solo il manubrio (Tav. XI [II], fig. 15); ma questo, per fortuna, si è conservato presso che intatto. Lo si potrebbe paragonar, nell'insieme, alla lama corta e larghissima, panciuta, un po’ ricurva, di certi coltelli anatomici. È troncato nell’estremità posteriore secondo un piano quasi nor- male all’asse più lungo: e dalla troncatura risulta una faccetta strettissima, molto allungata in senso ver- ticale, rotondata ai due estremi e pronunziatamente concava nei due lati maggiori, irregolarmente ondu- lata nella superficie. L'orlo inferiore del manubrio è grosso ed ottuso verso l'estremità posteriore: ma va man mano assottigliandosi in avanti, fino a divenir subacuto: per circa due terzi della sua lunghezza corre orizzontale e presso che rettilineo, e poi sale con rapida curva fino alla punta. L’ opposto margine è assai più affilato, meno che nel breve tratto corrispondente alle superfici articolari del primo paio di coste. Seguendo una curva debolmente concava, questo margine si eleva fino al terzo anteriore, fino al punto cioè che corrisponde all’ altezza massima del manubrio; e poi, mutata direzione, seguita con più lieve, ma pur sensibile concavità, fino all’incontro del margine inferiore, col quale forma un angolo poco minore di un retto. Le facce laterali son più compresse nel mezzo che presso gli orli, specie nella regione posteriore; quasi a metà lunghezza sporge da ciascuna un debole rilievo, molto irregolare, che si fa più pronunziato verso il margine superiore; e quivi reca una larga impronta presso che semicir- colare, il cui lato dritto coincide parzialmente con quel margine. Le dimensioni del manubrio son le seguenti: [17] V. SIMONELLI 105 Lunghezza . 0 0 0 . 0 È o - c IO 0222 Altezza della faccia RATA o ò 0 5 o > 0 » 0, 080 Larghezza della faccia posteriore dla mezzo . ; o 0 : » 0,012 Larghezza della faccia posteriore in basso . 0 : . 5 . » 0, 023 Altezza del manubrio al terzo anteriore b a - - n a » 0,110 Spessore » » » , nella linea mediana . . » 0, 009 Lunghezza delle superfici articolari per le coste . . o - . » 0, 059 Larg hezza » » » » . » 0, 032 Distanza fra il margine posteriore di esse impr Dmiale Culi Sat Sn oa » 0, 084 Non ho modo di far paragoni tra questo e l’osso corrispondente di altre specie congeneri, fossili ed at- tuali. Troppo poco dicon dello sterno gli autori che ho potuto consultare, ed anche meno è quello che mi fu dato esaminar direttamente. Nell’unico scheletro di rinoceronte attuale che ebbi occasione di studiar da vicino, in quello cioè di R%. wricornis del Museo d’anatomia comparata di Bologna, tutti i pezzi dello sterno erano divenuti irriconoscibili, per una lussureggiante vegetazione di fungosità ossee. E quanto alle forme estinte posso parlare del solo R%. Mercki, avendo appunto sott'occhio, fra i materiali della raccolta parmense, un manubrio che ho ragion di credere appartenga ad essa specie. Di quest’avanzo darò la descrizione particolareggiata a suo luogo: bastando per ora dir ch'è assai meno alto e panciuto di quello del megarhinus, mentre in proporzione è più allungato e più spesso; che i suoi margini corrono quasi rettilinei e sub-paralleli fino a poca distanza dall’estremità anteriore, che le superfici articolari per le coste son più allungate, che la faccia posteriore non è punto compressa lateralmente. Scapola (Tav. XII{IIT],fig.5, 6) —La scapola è, nell'insieme, stretta e allungata, un po’ curva all’indie- tro, notevolmente convessa nel margine anteriore, concava nel posteriore, strozzata nel collo. L'enorme spina acromiana è inclinata obliquamente dall’avanti all'indietro, per modo che il suo tratto più largo viene a na- scondere circa i 8/4 della fossa retro-spinosa. I due margini liberi della spina son di lunghezza molto disuguale: il superiore, di quasi due terzi più corto dell’inferiore, è uniformemente concavo, e termina al vertice spinale in una tuberosità larga, molto compressa, rotondata posteriormente; il margine inferiore si prolunga fin quasi a livello del processo coracoide, e quivi si deprime e si espande gradatamente, fino a confondersi con la superficie che gli fa da base. Per quanto si può giudicare da’ frammenti, riadattati come si potè meglio, la faccia anteriore della spina era carenata per lungo, press’ a poco com’è nella scapola del AR%. uni- cornis; ma la carena invece di tenersi, come fa in questo, pressochè sulla linea mediana della faccia no- minata, correva vicinissima al margine inferiore: ed anche era molto ma molto più ottusa per gran parte della sua lunghezza. Però si faceva acutissima nell’ ultimo tratto, un po’ prima di congiungersi col mar- gine inferiore: e all’angolo di congiunzione si proiettava in una lunga e sottile apofisi triquetra, appun- tita, volta con l’apice in basso e sporgente in fuori molto più che non sporga il margine spinale. Per quante figure e descrizioni abbia consultate di rinoceronti attuali o fossili in Europa, non ho potuto tro- var mai niente che corrispondesse a questa specie di pseudo-acromion ; soltanto mi è parso di veder qualche cosa di analogo nella scapola di Acerotherium incisivum (Cuv.) illustrata dal DuverNor (Nou. étud. s. l. Rhinoc. foss., pag. 62, pl. VI, fig. 4). Verso l’estremità inferiore del margine spinale si vede anche in questa una prominenza, “ une saillie assez élevée ,,, che, a giudicar dalla figura, parrebbe in continuazione di un rilievo longitudinale della faccia anteriore; ma che sporge assai meno tanto in giù come in fuori, ed ha forma tutta differente. DIMENSIONI Lunghezza totale . . 0516 Larghezza massima della spina 5 m. 0,128 Larghezza al terzo superiore . » 0,230 (circa) Lunghezza della faccia glenoide . » 0, 082 Larghezza minima del collo . » 0,109 Palaeontgraphia italica, vol. III, 1897. 13 106 V. SIMONELLI [18] Le dimensioni assolute, tanto in lunghezza quanto in larghezza massima, che offre la scapola del Rh. bicornis, son vicinissime a quelle che si riscontrano nell’ esemplare di Monte Giogo. In quest’ ul- timo però è molto meno allungata la faccia glenoide ed è molto più stretta la regione del collo; e ap- punto per la maggior sottigliezza di questo e per l’ espandersi più graduato e più lento della regione che gli sovrasta, e insieme per la concavità pronunziatissima del margine posteriore, la forma della scapola risulta non poco diversa. Si aggiunga che nel I. bicornis la fossa retro-spinosa è, in propor- zione dell’anti-spinosa, molto meno larga che non sia nel megarkinus. Ambedue le scapole raccolte a Monte Giogo son così danneggiate verso 1’ estremità superiore che non si può dire se quivi finissero troncate quasi di netto, orizzontalmente, come nel A%. bicorris, 0 con un margine più o meno convesso come nelle specie asiatiche. Certo è che la parte conservata mostra, anche rispetto a queste ultime, differenze non meno sensibili di quelle notate rispetto al 4. bicornis. Così, per accennar qualcuna delle più salienti fra tali differenze, la regione inferiore è più stretta assai che non quella del RR. unicornis, e l'insieme s’ accosta di più alla forma triangolare. Se per la sottigliezza del collo — e, fino a un certo punto, anche per la curva descritta dai margini anteriore e posteriore — sem- bra avvicinarsi al R%. javaricus, se ne discosta pei caratteri della spina, che nell’javarieus ha 1° angolo si- tuato più in basso, i margini liberi molto più concavi, oltre ad esser più larga e a trovarsi disposta quasi parallelamente al piano dell’osso. |: Un disegno della scapola sinistra del rinoceronte cortesiano fu comunicato dal prof. StRoBEL al BRANDT, e da quest’ultimo venne riprodotto nella tav. XI della Monographie der Tichorhinen accanto alla copia della figura data dal Kaup (A%ten der Urwelt, tav. II, fig. 2) per la scapola corrispondente del AWQinoceros Mercki. Il confronto delle due figure dovrebbe, secondo il Branpr, dimostrare che i rispettivi originali appartengono ad una medesima specie; ma è da ritenere che l'illustre paleontologo non sarebbe stato di quest’avviso, se invece di un disegno avesse potuto studiar direttamente i nostri esemplari, così ri- staurati come oggi si trovano. Come già dissi, in ambedue le scapole del rinoceronte di Monte Giogo i margini son parecchio dan- neggiati, specie nella parte superiore e nell’ anteriore; cosicchè la forma complessiva e il rapporto delle due maggiori dimensioni non possono venir determinati con esattezza. Pure, da quel che rimane del con- torno, si vede bene che la scapola non poteva esser così tozza come quella illustrata dal KaAuP, che il suo margine posteriore era un po’ meno concavo e che meno pronunziata, ma più regolare ed uniforme era la convessità del margine opposto. Importa anche notare come la faccia esterna risulti profondamente concava nella così detta fossa retro-spinosa, per lo sporger che fa la parte marginale di questa, brusca- mente piegata in fuori; mentre nella scapola attribuita dal KauP al AWinoceros Merckìi la parte poste- riore della faccia esterna è quasi piana e non è punto rialzata al margine 4. Del resto, aveva già il prof. PortIs elevato qualche dubbio circa l'esattezza di quel riferimento. “ Ich muss beifiigen (egli scriveva nella sua memoria Veber die Osteologie von Rhinoceros Merckii JAEG., pag. 150) dass ich noch nicht sicher bin, ob das zweite von Branpr (la fig. 15 della tav. XI, ossia la riproduzione del disegno dello StroBEL) abgebildete Schulterblatt wirklich dem RR. Merckii angehòre. Die auffallende Verschiedenheit der entsprechenden Knochen mit einem des letztern und seine Aehnlichkeit mit dem von Cuvier*! abgebildeten Schulterblatt sprechen dafilr, dass es von A%. antiquitatis herrùhren mbochte ,. % Senza disconoscere qualche rassomiglianza tra la figura cuvieriana cui accennava il PoRtIs, e gli 1 BRANDT. Monogr. der Tichorhinen, pag. 93. [19] V. SIMONELLI 107 esemplari nostri, osserverei che — anche indipendentemente dalla quistione cronologica — non mancano caratteri per distinguere la scapola del rinoceronte di Monte Giogo da quella del RW. antiquitatis: basta ricordare come in quest’ultima il margine anteriore sia quasi perfettamente rettilineo, la fossa retro- spinosa strettissima, e strettissima la spina. î Paragonata con la scapola del %. etrusceus (per termine di confronto ho solo le fotografie del %. etruscus var. astensis pubblicate dal Sacco !) quella del nostro rinoceronte apparisce meno ristretta in basso e meno concava posteriormente; di più la cresta scapolare — che nel caso dell’ etruscus ha il ver- tice compreso nella metà inferiore — nel megarRinus di Monte Giogo offre la condizione inversa; il mar- gine inferiore della cresta è qui due volte almeno più lungo del superiore. Confrontandola infine con quelle del R%. packygrathus, si può trovar qualche analogia nell’andamento dei margini e nella propor- zione tra la larghezza delle fosse anti e retro-spinosa; rilevando però come nella scapola del packygrathus quest’ultima fossa sia delle due la più larga anche nella regione inferiore, ciò che non è nella nostra: come nella scapola medesima la forma generale sia molto più tozza, 1 apofisi coracoide situata più in basso e molto meno sporgente in avanti. Omero (Tav. XII [III], fig. 7, 8; Tav. XIII [IV], fig. 1). — Tutti e due gli omeri han subìto gravi alterazioni, specialmente all’estremità prossimale; mancano al destro la grande e la piccola tuberosità, il sinistro è deformato dalla pressione che subì nel terreno, e profondamente cariato in più luoghi. Le tracce del processo morboso sono evidenti sopratutto nell’ epicondilo, e nella depressione che separa la testa dal gran trocantere. Con l’approssimazione consentita dallo stato degli esemplari, le misure dell’omero son quelle che si riportano nella seguente tabella, mettendole in confronto con le dimensioni dell’ osso corrispondente di alcune altre specie: Î Il ima | = E NSA Ss 2-2 _ | = a | SI === eee = i pd A Si STIRIA AIA ISO | Lunghezza, dalla tuberosità al cond. interno m.| 0,452 | 0,403 - —_ - —_ —_ 0,475] — Î » » » esterno » | 0,457 | 0,403] — | — |0,384|0,440|0,370|0,455| — » dalla testa al cond. interno . » | 0,420) — 0,380 0,400 | 0,357 “ni i — | 0,400 Distanza fra la parte inf. del condilo esterno, | | e la terminazione inf. della cresta deltoide » | 0,250 | 0,239 | | 0,282] — Diametro antero- posteriore, all’ estremità | prossimale » = = = = —_ 0,130 | 0,148 _ —_ Larghezza all’ estremità prossimale . a VD —_ — | — |0,190 | 0,160 | 0,150 | 0,230 — _ » al terzo superiore . ° . >» | 0,146 _ 0,165 , 0,150 = = = _ 0,185 | | Î Diametro minimo del corpo È c . >» | 0,068 | 0,065 | 0,084 | — == 0,070 | 0,074 | 0,063) 0,076 Larghezza massima all’estremità distale . » | 0,143 | 0,136 | 0,210 | 0,160 | 0,124 | 0,155 | 0,170) — |0,180 | i Le Rhinoceros de Dusino, pl. IV, fig. 7 e 8. 108 V. SIMONELLI [20] Risulta da queste misure, che dopo il rinoceronte d’Alvernia (l’elatus di Crorzert et JoBERT, che noi riteniamo si debba identificare col 7. megarhinus) quelli tra i fossili che più somigliano al nostro per le proporzioni dell’omero, sono il A%. Merckì ed il Rh. etruscus. Malgrado però che l’omero di questi ultimi non sorpassi, ordinariamente, in lunghezza, nè si dilati verso le due estremità meno di quello del megarRinus, risulta in complesso più slanciato; e ciò perchè la cresta anteriore della fossa di torsione si mantiene per un certo tratto quasi parallela all’asse longi- tudinale dell’omero, mentre nel megarRinus, a partir dal livello a cui termina la fossa olocranea, quella cresta comincia subito a divergere in fuori, ed il corpo ad aumentare in larghezza. Un’ altra differenza consiste nell’essere la cresta epicondiloidea un po’ più allungata trasversalmente nel megarhinus che nel Mercki e un po meno alta in proporzione. Ossa dell’avambraccio. — Nel medesimo blocco d’ argilla sabbiosa che conteneva 1’ omero destro, si trovavano incassati il radio e il cubito corrispondenti (Tav. XII [III], fig. 9, 10) così come li figurò il CortEsI nella tav. I della memoria sul “ Quadrupede colossale ,. Isolati, per comodità di studio, dalla matrice che ne occultava gran parte, rimangono ancora connessi l’uno all’altro, in posizione reci- proca poco diversa dalla naturale; senza però che si riconosca nemmeno iniziata una vera saldatura tra le superfici in contatto. Il radio del R7. megartinus fu già illustrato dal Crorzet e dal JoBERT ! come uno degli avanzi ch’ essi riferivano al R%. elatus. L’esemplare d’Alvernia superava di !9 — a dir loro — l’osso corrispondente del- l’unicorne di Giava: era più grande anche di quello del ZeptorRinus (ossia dell’ etruseus) di Val d’ Arno, e per lunghezza uguagliava l’omero del bicorne del Capo. Era invece proporzionatamente assai più sottile che non quello del siberiaco (R%. antiquitatis). In complesso “il se rapprochait du fossile d’Italie (cioè l’etruscus) qui est moins épais, parce qu'il était plus court ,. Un altro radio del megarkinus, trovato nel pliocene del Roussillon, fu di recente oggetto di studio pel DePERET ?, che lo descrisse “ allungatissimo e sottile: più lungo, in modo assoluto, che in qualsiasi altra specie vivente o fossile: più grande di quello dell’ e&ruscus del Val d'Arno figurato dal CuvieR sotto il nome di leptorhinus, ma con le stesse proporzioni ,. Quanto al cubito, non se ne fa menzione nè in questo scritto del DEPÉRET, nè in quelli di CROIZET e JOBERT, di GERVAIS ecc. Come si potrà vedere dalla tabella delle misure che riportiamo più sotto, il radio del megarRinus di Monte Giogo, non differisce che per pochi millimetri in più da quello di Alvernia; e se non è così lungo come l’esemplare del Roussillon, non è però meno slanciato in proporzione. È un po’ più voluminoso, specie alle estremità, che non sian quelli attribuiti al f. Mercki o al ER”. etruscus; ma supera, per leg- gerezza di costruzione, il radio del E. Schleiermacheri, per non dire del R%. pachygnathus e del RR. an- tiquitatis e del vivente bicornis. Il cubito poi non è, quanto a lunghezza, per niente fuori dell’ ordinario. Se ne citan di uguali nel Rh. bicornis, di maggiori nel RR. unicornis, e, tra i fossili, nel R7. etruscus. Nemmen saprei dire in che differisca dagli altri quanto alla forma; se mai, l’unico carattere non trascurabile sarebbe che, invece di andare ingrossando dal mezzo in giù, come nel A%. unicornis o nel bicorris, si mantiene di grossezza pressochè uniforme per quant’ è lunga la diafisi, appunto come fa il cubito dei rinoceronti emitechi. 1 Rech. sur les oss. foss. du dep. du Puy-de-Dòme, pag. 148, pl. XII, fig. 1. ? Anim. plioc. du Roussillon, pag. 70. [21] V. SIMONELLI 109 ss \ss| 55 \553| 55 555 SE| 58 | #8 2° |se°| È [8°] e |es°|8°|#°|#° E Lunghezza totale del radio . . . m.|l 0,394 | 0,420-) 0,393 | 0,375 | 0,360 | 0,430 0,450 0,392 | 0,380 Larghezza in alto, dall’esterno all’ interno » | 0,103 | 0,107 | 0,096 (= 0,090 —_ 0,120| 0,115 | 0,125 Diametro antero-post., a metà del corpo. » | 0,036] — LIRE DS sa = 0, 051 | pa » trasverso a metà' del corpo ù » | 0,056 | = i ee = 0,065 DA a » » in basso... . »|0,100|0,115|0,09| — |0,088 — |0,125| 0,110 | 0,120 » antero-posteriore in basso ò » | 0,060 | =: SOR Rada A 0,080] — _ Lunghezza totale del cubito . ‘ D » | 0,495 — — | 0,470 | 0,470 | 0,055 Zia 0,495 | 0,522 » » dell’olecrano o Ò » | 0,160 — — — 0,140 — | — |0,155 | 0,174 Altezza dell’olecrano > 10106) — |0,09| — | — |0,090|0,102 Corda della faccetta sigmoidea ò n » | 0,068 = | & IRE — Sa 0,061 | 0,065 Diametro trasverso a metà del corpo. » | 0,041 Silla | = _ — 0, 045 | 0,041 | 0,055 » ant.-post. » » 5 » | 0,056) — | —_ _ _ —_ 0,050) — — » alli ‘all'estremità inferiore » | O0K| — | — | — ((o;04| — | — | 0,057] 0,060 Arto posteriore. — Nessun avanzo fu ritrovato del bacino nè dei femori, e delle tibie si ricuperò la destra soltanto (Tav. XIII [IV], fig. 2, 3). Ma neppur questa è completa ; nell’estremità sua prossimale fu quasi tutto abraso l’apparato dell’articolazione, e l’epifisi opposta è mutilata del malleolo interno. È noto che le differenze offerte dalla tibia nelle varie specie di rinoceronti son più che altro diffe- renze di proporzioni; così anche il nostro esemplare non ha caratteristiche più salienti di quelle che risul- tano dalle misure: Lunghezza; fra l’apice della tuberosità anteriore e il margine anteriore della faccia articolare inferiore . 0 o 0 0 7 Ò 0 mi. e 00391 Diametro antero-posteriore, fra la tuberosità anteriore e il margine posteriore della faccetta femorale interna (approssim.) 0 6 Ò » 0, 150 Larghezza minima della faccia posteriore . 0 . 5 . a c » 0, 060 Larghezza all’ estremità distale . Ò o c 0 » 0, 107 Diametro antero-posteriore all’ estremità distale! dal Taloi interno . . » 0, 075 Se a queste dimensioni paragoniamo le medie rilevate ne’congeneri attuali, si trova che lo stinco del nostro megarhinus supera in lunghezza quello dei due rinoceronti affricani, dell’ umicornis e del son- daicus, e che, in proporzione, si dilata assai meno ai due capi. Quello del R%. antiquitatis può ugua- gliarne la lunghezza, ma sorpàssandolo in pari tempo ne’ diametri trasversi del corpo e delle epifisi. Il BranDT indica infatti, per una tibia di A. antiquitatis lunga 390 mm., un diametro ‘trasverso di 75 mm. 110 V. SIMONELLI [22] a metà del corpo, e di 120 mm. in basso. Pare che gli si accosti di più quello del %. Merckì, calco- lando il PorrIs * a 400 mm. la lunghezza totale di un esemplare incompleto la cui massima larghezza nell’epifisi distale era di 111 mm. La tibia poi del £%. etruscus, sorpassa certe volte quella del mega- rhinus in lunghezza assoluta (nello esemplare di Dusino misura circa 45 centimetri), mentre in larghezza par che di solito le rimanga inferiore. Nell’esemplare descritto dal Nesti la larghezza dell’estremità inferiore sta alla lunghezza complessiva come 2: 10; nel nostro invece come 2,7: 10. Una particolarità che mi sembra non trascurabile è l’ andamento del margine interno, che invece d’essere concavo come nel Ah. dicornis 0, meglio ancora, nel RX. antiquitatis, si mantiene pressochè ret- tilineo per buona parte del suo decorso; particolarità che — a giudicar dalle figure — si ritrova anche nella tibia del A%. etruscus, ed è spiccatissima in quella del pachygrathus e dello Schleiermacheri. Nel mar- gine esterno corre uno spigolo vivo, dalla tuberosità superiore fino al vertice della faccetta triangolare che combaciava col perone: e in quello spigolo non si veggono frastagli nè dentature. La tuberosità ante- riore è poco sviluppata e poco sviluppate sono, in genere, tutte le eminenze e gl’incavi per le inserzioni muscolari e legamentose. Ho potuto ricomporre senza troppo gravi lacune il piede sinistro, del quale ci furon conservati l’astragalo, il calcagno, il cuboide, i tre metatarsiani e la prima falange delle dita III e IV: un insieme che pel numero e la meravigliosa freschezza degli elementi, credo non abbia riscontro negli esemplari noti fino ad oggi del R%. megarhinus (Tav. XIII [IV], fig. 4). È tolto ogni dubbio sulla pertinenza delle varie ossa ad un medesimo individuo, pel combaciare perfetto delle superfici articolari. Le dimensioni delle varie ossa vengono riportate nel seguente specchio, assieme coi termini di con- fronto che ho creduto più a proposito: = CON) E 5 SUE 5 pa 2 se 85. Ss. cs eee sist na 32 | | S4 AA AA - 3 — ° È CAE=i = CA tai CS = PA 2 21 SA Astragalo. Lunghezza al margine esterno a o MO N09 0, 082 0, 080 0, 083 0,076 0, 086 0, 082 FORIO (o G | "I ) = Larghezza della carrucola tibiale . 0 » 0, 084 0,072 0, 083 — 0, 060 3084 0,072 Calcagno. Lunghezza al margine posteriore esterno » 0,143 0,0128 | 0,147 0, 140 0,123 0,128 | 0,131 Larghezza della parte articolare astragaliana » 0, 092 0, 080 0, 096 —_ _ 0, 093 0, 088 Cuboide. Larghezza della faccia anteriore . i » | 0,048 = 0, 042 _ _ — —_ Altezza » » È 3 » | 0,048 _ 0, 053 — CS — _ Altezza totale . ; 2 : ; È » | 0,075 = 0, 068 _ —_ _ _ Metatarsiano II | Lunghezza . 6 d Ò 0 ° » 0, 0186 - 0,140 — —_ = = Larghezza all’estremità prossimale . 5 » 0, 047 _ — = _ — ll + 1 Osteologie von R. Merckii, pag. 53. [23] V. SIMONELLI 111 33 (SS eee ea d = = È È 2 5 Sea = Diametro antero-post. all’estr. prossimale m. | 0,038 — — = = Pa Larghezza nel mezzo » 0,033 — —_ _ = = PA Diametro antero-posteriore nel mezzo » 0,033 —_ _ _ _ = BP Larghezza massima in basso . » 0, 047 —_ 0,041 —_ — _ = Metatarsiano III Lunghezza » 0, 208 0, 208 0, 162 _ 0, 165 0, 209 0,173 Larghezza all'estremità prossimale . » 0, 059 — — _ —_ 0, 067 pr Diametro antero-post. all’estr. prossimale » 0,045 0, 037 —_ = = = 2 Larghezza nel mezzo » 0, 056 0, 053 - > = 0,060 0,045 Diametro antero-posteriore nel mezzo » 0, 027 0,020 — = = = SS Larghezza massima in basso . » 0, 069 _ 0, 066 o — 0, 074 = Metatarsiano IV. Lunghezza 0 ò » 0,180 _ 0,135 0, 150 — 0, 184 — Larghezza all’estremità prossimale . » 0, 051 —_ _ = ie = me Diametro antero-post. all’ estr. prossimale » 0, 038 = —_ — L2: = De Larghezza nel mezzo » 0,039 = — 0,033 — 0,037 — Diametro antero-posteriore nel mezzo » 0,029 —_ —_ S 23 = a Larghezza massima in basso . » 0, 051 —_ 0, 044 —_ _ —_ —_ Prima falange del dito mediano. Lunghezza » 0,052 _ _ _ — — _ Larghezza massima » 0, 058 — - — = = DE. Prima falange del dito esterno. Lunghezza » 0,045 = = 0, 036 = = ps Larghezza massima » 0,045 — — 0, 032 — ses a L’astragalo (Tav. XIII [IV], fig. 7, 8), rappresentato già dal Cortesi con una delle più fantastiche figure della sua solita memoria *, corrisponde perfettamente a quello del RY%. elatus che illustrarono CROIZET e JoBeRT.? Ha conformate e disposte nel modo medesimo le due faccette articolari pel calcagno — divise completamente l’una dall’altra mercè un solco larghissimo — subquadrata l’ectale e fornita di un largo lobo inferiore esterno, auriculiforme quella in relazione col sostentacolo e terminante in basso ad angolo acuto prima di raggiungere l’orlo della faccia inferiore. Ugual corrispondenza si ha nelle proporzioni tra la superficie articolare destinata al cuboide, e la scafoidiana: nel fossile di Alvernia come nel nostro la lar- ghezza massima della prima giunge appena ad un terzo della larghezza della seconda. Sarebbe questo un punto di rassomiglianza con le specie attuali dell’Asia piuttosto che con le affricane, avvertendoci il DE 41 Fig. 4, tav. IL ? Rech. sur les oss. foss. du dep. du Puy-de-Dòme, pag. 151, pl. XI, fig. 3 B e 4-6. 112 V. SIMONELLI [24] BLAINvILLE® che “ dans les deux (Rhinocéros) d’Afrique la facette cuboidiènne est plus large que chez les espèces d’Asie ,. Ma, d’altra parte, l'esemplare che ho sott’occhio ricorda il R%. bicornis per la forma e le proporzioni generali e segnatamente per l’altezza della zona che s’interpone fra la puleggia tibiale e il margine infero-anteriore dell’osso. Non è il caso di confronti col R%. pachygnathus, bastando indicare le proporzioni diversissime; nel rinoceronte di Pikermi la larghezza della troclea supera di qualche mil- limetro l’altezza complessiva dell’astragalo. Dalle figure e dalle descrizioni date pel AR”. etruscus, si rileva che in questo 1’ astragalo è meno largo in proporzione dell’altezza, ha più estesa la faccetta cuboidiana, e, se non confluenti, per lo meno in contatto l’una dell’ altra le faccette pel calcagno, che nel nostro esemplare son divise da un ampio solco. Nell’ astragalo del XX. Merckì la faccetta cuboidiana è, come in quello del Eh. etruscus, larga una buona metà della scafoidea, le due faccette calcaneali son confluenti, e gli orli della troclea scendon più bassi nella faccia anteriore. Aggiungerei che tanto negli astragali riferiti al £%. etruscus, quanto in quelli riferiti al £/. Mercki, la faccia esterna della troclea è profondamente incavata all’angolo posteriore, e il margine anteriore di questa depressione forma un cercine più o meno rilevato, parallelo all’orlo della troclea: mentre nel R%. megarlinus la faccia corrispondente non offre rilievi nè depressioni sensibili. i Come l’astragalo, il calcagno (Tav. XIII [IV], fig. 5, 6) riproduce un po’ più in grande tutti i parti- colari di quello attribuito da Crorzet e JoBERT? al RX. elatus: e corrisponde pure assai bene all’esemplare incompleto di Perpignan, descritto e figurato dal DEPERET® come spettante al RA. leptorhinus Cuv. (= me- garkinus DE CHRIST.). Appena un po’ più tozzo di quello dei rinoceronti emitechi, pel più forte sviluppo nel senso antero-posteriore, se ne distingue principalmente per la larghezza molto maggiore della faccetta cuboidiana, e per la maggior distanza delle due faccette per l’astragalo. Il cuboide (Tav. XIII [IV], fig. 9, 10) è un po’ più largo che alto nella faccia anteriore. Superiormente offre una faccetta interna quasi rettangolare per l’astragalo, ed una esterna triangolare, molto più ampia, per il calcagno. La faccia inferiore ha il contorno di un triangolo equilatero, con gli angoli rotondati. La faccia esterna offre un grosso tubercolo allungato secondo la diagonale, e fiancheggiato da pro- fondi incavi. Nella faccia interna è da notare la disposizione della faccetta posteriore per l’ecto-cuneiforme, sub-parallela all’asse verticale del cuboide, e la poca profondità del semicanale per la pedidia, anterior- mente. Dalla faccia posteriore si proietta in basso, un po’ obliqua verso l’esterno, una enorme apofisi compressa a cuneo dall’avanti all’indietro, irregolarmente tubercolata; essa eguaglia in lunghezza relativa la corrispondente del KR. bicornis, e supera di non poco quella del RR. Mercki. I metatarsiani (Tav. XII [IV], fig. 11, 15), colossali veramente, gareggiano per dimensione con quelli dei grandi emitechi e ne riproducono anche la forma slanciata. Son però facili a distinguere perchè molto più compressi, specie il mediano, dall’avanti all’indietro. Invece le prime falangi non soltanto son più compresse, ma anche molto più corte di quelle del RR. Mercki e del RA. etruscus. In altre mani, e col sussidio di materiali di confronto non così limitati come quelli a mia disposizione, gli avanzi fin qui descritti avrebbero potuto recar nuova luce intorno ai rapporti del RA. megarkinus con gli altri congeneri; costituendo essi avanzi, specie per la bella conservazione della dentatura, delle vertebre 1 Ostéographie, Rhinoceros, pag. 36. 20p. cit. (pli Vidfigr: (2, CABI 3 Anim. plioc. du Roussillon. Mém. Soc. géol. de Fr., tav. I, fase. IV, pag. 70, pl. V, fig. 4, 1891. [25] V. SIMONELLI 113 cervicali, dell’arto anteriore, del piede ecc., un insieme anche più istruttivo di quello che offrono gli esem- plari raccolti in altre località italiane, in Francia (Montpellier, Roussillon, Lans-Lestang, Vienne, Trévoux, Perrier, Le Coupet, Chagny) in Inghilterra (Pleistocene di Grays, di Ilford, di Norfolk, Walton-on-the- Naze) in Germania (Kirchberg, Weimar). Io debbo, forzatamente, limitarmi a qualche modestissima osser- vazione intorno a ciò che altri hanno scritto in proposito. L’opinione del GaupRy circa le relazioni fra le specie di rinoceronti fossili ed attuali del vecchio con- tinente si può desumere dal suo lavoro “ Les Ancétres de nos animaux dans les temps géologiques *,, di data assai più recente che non quello sui mammiferi terziari, che fa parte degli “ Enchai- nements du monde animal ? ,. Tolgo dall’opera citata il seguente quadro sinottico: E SI Rhin. simus Rh. bicornis c; 7 Lg ineri d’Affrica d’Affrica = Quat È Rh. Mercki Rh. tichorhinus ern Sn di Clacton degli alti e bassi livelli \ Rh. leptorhinus Rh. etruscus del Val d’Arno ‘Pliocene. del Piacentino | | Rh. megarhinus di Montpellier | Rh. pachygnatus di Pikermi e del Léberon Miocene superiore . Rn. Schleiermacheri di Pikermi e del Léberon Eh. Schleiermacheri di Eppelsheim Miocene medio . + | ZA. sansaniensis di Sansan La signora PavLow * concorda col GaupRY nel ritenere il R%. megarhinus derivato dal EX. Schleier- macheri, e questo, alla sua volta, dal sansaniensis; ma il RX. leptorhinus (per intendersi, il leptorhinus di Monte Zago) anzichè discendere dal Rh. megarkinus, si connetterebbe direttamente col sansariensis. Que- st’ultimo è, secondo lei, la forma stipite da cui si sono sviluppati parallelamente due rami principali: da un lato lo Schleiermacheri, seguito dal megarhinus e poi dall’etruscus; dall’altro il Zeptorhinus, cui tengon dietro prima l’ Remitoechus e poi il tichorhinus. Un terzo ramo del sansaniensis avrebbe dato, passando pel RA. sivalensis del miocene superiore, alcune forme plioceniche dell’ India, R%. platyrhinus, palacindicus, karnuliensis, gli attuali R%. indicus, javanicus, ed il sìimus dell’Affrica. Il R%. Schleiermacheri, oltre al megarkinus, avrebbe dato origine al pachygnathus, e da questo deriverebbe l’attuale bicornis. Circa le affinità del RA. megarhinus col Rh. Schleiermacheri, e alla probabile sua discendenza da questo, non si può, mi sembra, dissentire dal GAupRY e dalla PavLow. La formula dentaria del progenitore è, almeno parzialmente, ricordata nel megurkinus dagl’incisivi rudimentali e dalla temporaneapresenza di un quarto premolare. I molari superiori sono, in complesso, del medesimo tipo. La forma slanciata delle 1 Paris, Baillière, 1888, pag. 131. ? Paris, 1878. 3 Les Rhinoceridae de la Russie, pag. 199. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 14 114 V. SIMONELLI [26] membra del megarhinus rammenta quella dello SeWleiermacheri, specie a tener presente, anzichè il tipo dell’Affrica, la razza del Léberon. Non accetterei, però, senza molte riserve l’ipotesi della derivazione del RX. etruscus dal megarhinus. Non già perchè mi sembri inammissibile, in tesi generale, il passaggio dagli Afelodus ai Coelodonta; ma perchè non so vedere dove sian prove di fatto che dimostrino più antico il megarRinus dell’ etruscus. La signora PavLow, indica, è vero, il R%. megarkinus nel mio-pliocene di Podolia. Ma il materiale su cui è basata questa indicazione si riduce a un gruppo di molari superiori estremamente logori, già riferiti dal Branpr al RA. Mercki; e intorno all’età della formazione da cui si ritiene provenga, la stessa PavLow dice che i pareri son diversissimi, parlando taluni autori di pliocene inferiore, altri di miocene superiore *. Il DePERET è, nel riassumere quanto si sa circa la distribuzione del %. Zeptorhinus Cuv. p. p. (ch'egli intende assorbisca come sinonimo il RR. megarhinus pe CHRIST.) dice che “ il apparaît dès le début du pliocène inférieur, où on le rencontre dans l’étage plaisancien d’ Italie (Monte Zago, Imola) qui a fourni le type de l’espèce. Il devient commun dans l’astien, et remonte dans toute la hauteur de cet étage. Ainsi, il fait partie de la faune astienne de Montpellier, de Perpignan et sans doute du crag rouge, à l’exclusion de son congénère pliocène le Rhinoceros etruscus. Dans la première faune pliocène supérieure, il coexiste avec ce dernier etc. ,. Il piacenziano d’Imola dev'essere citato dal DEPÉRET come giacimento del R7. megarQinus, in base, di certo, della serie di molari descritta e figurata dal FarconeR 3. Ora questi molari, se giustificano per alcuni caratteri la determinazione del FALcoNER, per altri mi par che diano ragione piuttosto al Larter, che li ri- feriva all’etruscus. Esaminandone l’ottimo modello in gesso, favoritomi dal sen. CAPELLINI, rilevo, per esempio, che i m! e m? hanno il contorno della lamina esterna molto meno sinuoso di quello dei corrispondenti del me- garkinus di Monte Giogo; così che mentre questi si avvicinano al tipo sumatrano, quelli piuttosto rammentano il tipo dell’uricornis e del dicorris. Inoltre il rampino del molare antipenultimo, invece di tendere verso l'angolo anteriore-esterno, si dirige verso quello anteriore-interno: e abbiam visto che importanza annet- tano a questo carattere il FALcoNER e la PAavLow. Dell’esemplare d’ Imola è dunque prudenza non far troppo conto. — Venendo al giacimento del Piacentino, non è possibile dire che rappresenti nella serie pliocenica un livello inferiore rispetto ai depositi che altrove contengono il R%. etruscus. Il cranio di RR. leptorhinus del Museo di Milano e lo scheletro del “ quadrupede colossale , non è punto vero che provengano dal piacenziano tipico; sia che a questo termine si dia significato cronologico, sia che lo si adoperi per desi- gnare una facies. Ambidue quegli avanzi furono raccolti in strati sabbioso-argillosi, interposti fra le marne cerulee e le sabbie rosiccie, e rappresentanti, per natura litologica e per fauna, condizioni esattamente intermedie fra queste e quelle. Il rinoceronte di Monte Pulgnasco, dice il CortEsI, 5 si trovò “ disteso sopra l’ultimo strato di marna, ed ivi sepolto dal primo strato di sabbia, sormontato da un cumulo di tanti altri strati simili per l’altezza di oltre 200 piedi..... Alcuni balani nidificarono sopra l’inferiore man- dibola del Rinoceronte ,. — E a Monte Giogo il R%. megarhinus “ trovavasi sopra l’ultimo strato di marna argillosa cerulea..... sovrastato da strati di sabbia rossiccia # ,. L’Amvwussium cristatum BRONN Sp., che già dissi abbondantissimo nella roccia argilloso-sabbiosa includente gli avanzi del R%. megarQinus, parrebbe, 1 Op. cit., pag. 147. ? Vertébrés fossiles du Roussillon. Ann. d. Se. géol., T. XVII, 1885, pag. 176. 3 Op. cit., pag. 397, tav. XXXI, fig. 1. 4 Ann. Se. nat., Zoologie, VII, 1867, pag. 188. 5 Saggi geol., pag. 25. © CortesI. Sulla scop. dello schel. di un Quadrup. coloss., pag. 11 [27] V. SIMONELLI 115 è vero, l’indizio di una profondità di deposito non inferiore a quella del piacenziano classico; ma non bisogna dimenticare ch’ è accompagnato da forme decisamente litorali o sublitorali. Anche in altre località, del resto, l’Amussium cristatum si rinviene copioso nella zona intermedia — per posizione stratigrafica e per facies — fra i depositi di tipo piacenziano e quelli di tipo astiano. Già notava il ForEstI ! pel Bolognese come questa specie “occupi un posto interessante pel geologo, segnando essa, almeno in alcune località, il limite superiore delle argille turchine, là dove si rinvengono ancora resti di Delfino, di Balenottere, misti a legni carboniz- zati, ad ostriche e strobili di pino ,, Non potrei oggi parlare con sufficiente cognizione della distribuzione della fauna nei varî strati pliocenici delle colline fra l’Arda e la Chiavenna: ma per escludere che quelli contenenti gli avanzi di A%inoceros corrispondano al “ début du pliocène inférieur ,, credo basterà dire che son separati dai depositi del miocene superiore mercè la potente accumulazione delle marne più o meno sabbiose con fauna sub-litorale, in alto, e delle argille marnose di mare profondo, con Verticordia, Limopsis, ecc., in basso. Un fatto non trascurabile è, che circa allo stesso livello dei depositi ossiferi, e in località poco lontana, fu raccolta la Cyprina islandica; sicuro indizio, per taluni, se non di quaternario, almeno di pliocene superiore distinto da quello tipico. Senza però esagerare l’importaza della Cyprina istandica “tipo — secondo il PANTANELLI — che in Italia con leggere variazioni è prepliocenico ? ,, rimane stabilito che il terreno dove il CortEsI scoprì il R%. leptorhinus ed il Rh. megarhinus non si può chiamare pliocene più antico di quello p. es. del Val d’Arno e di altre località che fornirono avanzi del &%. etruscus. A proposito del Val d’Arno, non sarà mai ripetuto abbastanza, per uso dei geologi forestieri, quel che scriveva il DE STEFANI * nell ’81, circa la supposizione, tanto diffusa quanto erronea, che i classici depositi ossiferi del Val d’Arno superiore appartengano ad una zona più recente dei terreni pliocenici marini tanto estesi nel rimanente dell'Appennino. “ Niuna opinione è più errata di questa; la medesima ricca fauna del Val d'Arno, così caratteristica del pliocene (Mastodon arvernensis, Elephas meridionalis, Rhinoceros etruscus, Hippopotamus major, Equus Stenonis, Bos etruscus, Canis etruscus, ecc. ecc.) si trova colla maggiore frequenza ed abbondanza in tutti i depositi pliocenici marini, anche in quelli immediatamente sovrastanti gli strati pontici ,. Con gli altri Afelodus viventi, cioè col RM. bicornis e col Rh. simus, il megarhinus pare abbia meno affinità del packygnathus, che verosimilmente fu loro progenitore diretto. La specie si sarebbe dunque estinta nel pleistocene, senza lasciar discendenti. — Si potrebbe forse supporla in legame col pleistocenico Eh. deccanensis Foore 4 di Gokak nell’ India, che ha la mandibola e i molari per molti rapporti somi- gliantissimi. Assieme però con molti caratteri di Atelodus, il R%. deccanensis ne offre alcuni propri degli Acerotherium 5, cosi giustificando l’ipotesi della PavLow, che lo fa derivare dall’ Actetradactylum. II. Germe dell'ultimo vero molare superiore, raccolto a Mulazzano nel Parmense. — Tav. XI [II], fig. 16. Trovai questo esemplare nella piccola raccolta di fossili che al tempo dello STROBEL serviva, e serve ancora, per uso della scuola di Geologia. Nel vecchio cartellino che gli era unito leggevansi, di pugno 1 Catalogo dei Moll. foss. plioc. delle colline bolognesi. Mem. dell’Acc. delle Sc. dell’Ist. di Bologna, ser. III, T.IV, pag. 49. 1874. 2? PANTANELLI. D. Paesaggio pliocenico. Dalla Trebbia al Reno. Atti della Soc. dei Nat. di Modena, serie III, vol. XI, pag. 27. 1892. 3 Quadro comprensivo dei terreni dell'Appennino settentrionale. Atti della Soc. Tose. di Sc. Nat., Mem., vol. V, fasc. 1°, pag. 243. Pisa, 1881. 4 FoorE R. B. Rhinoceros deccanensis. Mem. of Geol. Surv. of India, vol. I, 1874. 5 LyvDEKKER. Siwalik Rhinocerotidae. Geol. Surv. of India, vol. II, pag. 19. 116 V. SIMONELLI [28] del Prof. Monici, le indicazioni seguenti: “ RWinoceros Cuvieri — Vive nell’Affrica e nell’Asia: visse già in Europa. — Dente falso molare ,. Sul medesimo cartellino lo StroBEL aveva aggiunto: “ Mulazzano Parm. 1; e in un’altra etichetta. “ ZWinoceros leptorhinus Cuv., giovane. Falso molare sup. — Plio- cene nuovo ,. Il dente è un terzo vero molare superiore sinistro, allo stato di germe intatto. Le sue dimensioni son le seguenti : Diam. antero-posteriore alla base (lato interno) . 9 0 0 : . mm. 0,048 » antero-traverso, alla base 0 9 . 0 . 0 . ò 7 » 0,051 » » » all’ apice o o o x o 0 0 5 7 » 0,023 » postero-trasverso, alla base . . > a 0 . c 0 . » 0,052 » » » all'apice. ‘. o 6 5 . 6 - c n » 0,030 Altezza della corona lungo la 2% costa . 0 0 Ò 0 ò 0 c » 0,041 » » » all'angolo posteriore-interno . 0 o 0 0 » 0,030 Quanto a forma, riproduce completamente quella del 1 del R%. megarhinus di Monte Giogo; solo è un po meno sviluppato il tubercolo contiguo all’ angolo posteriore-interno, ed è appena visibile il cingolo alla base interna delia collina posteriore: di più l’altra collina offre nella sua faccia posteriore una debole costa rotonda, verticale, che parrebbe un accenno di contro-rampino. Confrontato al germe di un corrispondente molare che il FALcoNER ascrisse al suo R%. Remitoechus ® mostra come differenze principali: la maggior larghezza dell'ingresso della valle trasversa alla base; l’assoluta mancanza di fos- setta all’ angolo posteriore; la più forte sporgenza della colonna corrispondente all’angolo anteriore-esterno. La superficie dello smalto, specialmente nella metà inferiore, è segnata di strie orizzontali distintis- sime, sensibili anche al tatto; mancano invece le fini strie verticali che si veggon presso la base della corona nei m3 del RR. megarhinus di Monte Giogo. Rhinoceros (Coelodonta) Mercki Jarc., H. v. Mever. — Tav. XIV-XVI [V-VII]. 1842.% Elinoceros Mercki Jarerr, H. v. Meyer. Jahrb. f. Min., Jahrg 1842, pag. 587. 1846. EQ. leptorhinus Owen (non Cuvier). British Fossil Mammals and Birds, pag. 356. 1859. Rn. etruscus FaLconer. Quart. Journ. Geol. Soe., vol. XV, pag. 602. 1860. RR. hemitoechus Fanconer. Quart. Journ. Geol. Soc., vol. XVI, pag. 488. 1877. Eh. Merck [Jare., H. v. Mayer] Branpr. Monographie der Tichorhinen, pag. 66 e pag.120 (eseluso, fra i sinomini, il RR. elatus Croiz. et JoB.). 1886. £%. leptorhinus [Owen] LwperKKER. Catalogue of the foss. Mammalia in the Brit. Mus., P. III, pag. 101. 1886. A”. etruscus [FaLconer] LypeKKER. Op. cit., pag. 119. i Mulazzano è un villaggio del comune di Lesignano de’ Bagni, sulla sinistra della Termina. Nei suoi dintorni immediati affiorano le argille scagliose: ma non è lontano un po’ più al N. il pliocene marino, e da questo viene probabilmente il fossile in parola. ? Op. cit., vol. II, pag. 325 e 327, pl. XVII, fig. 3, 4, 5. 3 Non ho citato, come si fa generalmente, il RR. Kirehbergensis JADGER, Foss. Stiugeth. Wuùrt., pag. 179 (1835-39) e il RA. Merckii JAEG. in KAuP, Akten der Urwelt, pag. 6 (1841), avendo lo stesso JARGER (Bettrdge, pag. I, p. VII, pag. 864) avvertito che gli esemplari così designati spettano al RR. leptorhinus Cuv.=R. megarkinus CHRISTOL.— Vedi in proposito LyDEKKER, Catalogue of the Foss. Mamm. in the Brit. Mus., P. III, pag. 114. [29] V. SIMONELLI 117 Se il Ah. Mercki o hemitoechus e il RM. etruscus s° abbiano a riguardare o no come specificamente diversi, è quistione invecchiata, ma fino ad oggi non risoluta. Parecchi stanno col BranpT per la fusione: altri, e non meno autorevoli — il Forsyra MAJOR, per esempio, il LypEKKER, il GAUDRY — preferiscono mantenere la distinzione specifica come venne stabilita dal FALCONER !. i Mi sembra inutile riportar qui gli argomenti che vennero adottati in pro dell’uno o dell’altro modo di vedere, poichè sarebbe come trascrivere quanto ha riferito in proposito il BranpT nella Monographie der Tichorhinen. Accennerò soltanto ad alcuni fatti, secondo me molto significativi, che mi vengon sug- geriti dalla pubblicazione del prof. Sacco sul Rhinoceros etruscus var. astensis del pliocene di Dusino; e che mi sembra vengan bene a proposito per giustificare la sinonimia adottata in questo lavoro. A confrontare i due crani che rappresentano le variazioni estreme dal tipo emiteco, il cranio d’Irkutzk figurato dal Branpt (Op. cit., Tab. I e II) e quello del Val d’Arno figurato dal FaLconeR (Pal. Mem., II, pl. XXVI) non vien certo l’idea che possano appartenere a una medesima specie, nemmen come varietà molto divergenti. Si muta pensiero quando fra quei due crani s’interpone l’esemplare di Daxland conser- vato al Museo di Carlsruhe 2; poichè, mentre il v. MEYER, il BRANDT ece., riconoscono in questo cranio le principali caratteristiche del R%. Mercki, è facile ritrovare anche quelle che s’eran potute credere peculiari dell’etruscus: per esempio nella brevità della regione compresa fra la protuberanza occipitale e il punto più sporgente delle arcate zigomatiche, nella debolissima inclinazione dei parietali, nella piccola estensione in lunghezza di quella parte del mascellare che sta fra l’orbita e l’apertura nasale. E tanto sono spiccate queste analogie del cranio di Daxland con quelli tipici dell’ etruscus, che due autorità di prim'ordine, come il LarteT? ed il ForsrrH MayoR 4, negano che appartenga al RR. Mercki e lo riferiscono addirittura all’ etruscus. È a questo punto che giungono opportune le osservazioni, cui accennavo poc'anzi, del prof. SAcco sopra il rinoceronte di Dusino. Ottimi caratteri per la distinzione specifica dei Coelodonta son offerti, a giudizio suo, dal setto nasale. Soltanto il A. etruseus — egli dice — presenta l’ossificazione del setto cartilaginoso esistente nei hinoceros non Coelodonta, mentre nel Ah. Mercki, e più ancora nel RW. anti- quitatis, questo setto osseo è divenuto estremamente robusto nella parte anteriore, in modo da costituire un vero pilastro massiccio e rinforzare il corno sovrapposto. Il margine anteriore del setto osseo ha la sua parte anteriore appena un po’ più proiettata in avanti che non la parte inferiore: questo fatto è già più accentuato nel A. etruscus tipo e divien poi spiccatissimo nel R%. Mercki, nel quale il margine anteriore sì raccorcia, pel maggiore abbassamento dei nasali verso i mascellari: infine nel R%. antiquitatis, questo margine è ridotto a poca cosa, e i nasali toccan quasi i mascellari. Posto ciò, ecco che il cranio di Daxland, del quale il Forsyra MAJOR confrontò scrupolosamente le . figure e le descrizioni date da H. v. MeyER con i crani di RR. efruscus nel Museo di Firenze, riscon- trando “ perfetta uguaglianza , tornerebbe ad essere invece un PR. Mercki dei più tipici. Poichè in esso ! Nella nota che ha per titolo « Il RRinoceros (Coelodonta) etruscus FaLc. nella provincia romana » (Att. dell’Acc, Gioenia di Catania, vol. IX, ser. IV, 1895), il dott. Dn AnGELIS D’OssaT riassume lo stato attuale della quistione, con perfetta conoscenza della letteratura relativa. Soltanto osserverei che può indurre in equivoco la frase del DE ANGELIS: «... Lo stesso ForsyrH MAJOR (Boll. Com. Geol. 1874, vol. V, p. 94) crede sinonimi il RA. etruscus e il Rh. Merckii, pel teschio di Daxland. ». Il MAJOR dice semplicemente che il teschio di Daxland non è di RR. Mercki, ma sibbene di A. etruscus. ? H. v. Meyer. Die diluvialen Rhinoceros-Arten. Palaentographica, XI, 1864, tav. XXXVIXXXVIII. 3 Notes sur deux tétes de Carnassiers fossiles ete. Ann. d. Sc. Nat., t. VIII, 1897. 4 Sopra alcuni rinoc. foss. in Italia. Boll. Com. Geol. It. 1874. \ 118 V. SIMONELLI [30] il diaframma nasale è pochissimo esteso dall’avanti all'indietro e verticalmente; e nel margine anteriore non è più debole nè più elevato di quello del R%. Merckì d’ Irkutzk. Ora, secondo me, la miglior prova che il fossile di Daxland non può aggregarsi nè col 7. Mercki nè col RX. etruscus, lasciando il vuoto fra mezzo, ma deve rimanere come un ponte fra l’uno e l’altro, la miglior prova, dico, consiste precisamente in questo suo continuo oscillare secondo il paleontologo che lo studia, secondo i criteri cui si dà la preferenza; se pure a qualcuno, e il caso è possibilissimo, non sembri più conveniente tenerlo distinto con un terzo nome specifico. A proposito del rinoceronte di Dusino non si può tacere come anch’esso presenti associati alcuni fra i tratti caratteristici del R/. Mercki, con altri che son proprî del R%. etruscus tipico. Il Sacco fa rilevare, per es., che i parietali “ parfaitement soudés entres eux, sont caractéristiques à cause de leur fort et rapide relèvement vers l’arrière, et se distinguent ainsi beaucoup du cràne typique du RR. etruscus. Ils ressemblent davantage à ceux du /%. Merck d’Irkutzk, figuré par Branpr!., E aggiunge come anche le creste parietali sian molto più ravvicinate fra loro che non nell’etruscus; un altro punto, anche questo, di rassomiglianza con l'esemplare d’ Irkutzk. JE Mandibola quasi completa, raccolta da GruserPE CoRTESI nelle sabbie plioceniche di M. Pulgnasco (Prov. dì Piacenza). — Tav. XIV [V], fig. 1, 3. Non priva d’interesse è la storia di questo esemplare. Narra il CortEsI, che lo descrisse e lo figurò nei “ Saggi geologici ® ,, di averlo rinvenuto nel 1810 sul dorso del Monte Pulgnasco, all’altezza di circa 500 piedi dall’alveo del vicino torrente Chiavenna, entro “i superiori strati di sabbia rossiccia, sparsi d’alcune marine conchiglie, e particolarmente d’ammoniti microscopici ,. Lontano pochi passi fu trovato un radio enorme di balena, che attualmente si conserva nel Museo Parmense, e che ha pregio, non foss’altro, perchè si sa che “il CuvieR lo vide, e ne restò stupefatto 8 ,; e appena mezzo miglio più al Sud il CortESI aveva scoperto, dieci anni prima, il palato, una difesa e varie ossa lunghe di Z/ephas meridionalis 4, che ora son proprietà del Museo civico di Milano. Per circa vent’anni la mandibola di Monte Pulgnasco ebbe a dividere la sorte di tutti gli altri cimelî cortesiani, rinchiusi e dimenticati nelle casse medesime che avean servito a trasportarli da Piacenza a Parma. Fu tratta dal nascondiglio, per cura dello SrroBEL, nel 1861, dopo una visita che fecero al Museo par- mense il FaLconeR e il CAPELLINI; e dietro preghiera di quest’ultimo venne spedita al Museo geologico di Bologna, ove se ne tolse accuratissimamente un modello in gesso, le cui riproduzioni figurano nelle principali raccolte paleontologiche d’Italia e di fuori. Nel 1862 dovette lo StRoBEL, dietro un ordine perentorio del Ministero, rassegnarsi a lasciar par- tire per Londra la preziosa mandibola, che si voleva figurasse nella sezione “ Sostanze gregge, prodotti agrari e processi relativi , della Mostra internazionale di quell’anno. Tornò ridotta in frantumi, e i frantumi stipati alla rinfusa — proprio come sostanze gregge — fra campioni voluminosi e pesanti di mi- nerali. Anche a non sapere l’affetto geloso dello StRoBEL pel suo Museo, basta esser naturalisti per im- 1 Op. cit., pag. 3. 2 Pag. 77, tav. V, fig. 5. 3 Op. cit., pag. 79. 4 Op. cit., pag. 68, tav, VI. [31] V. SIMONELLI 119 maginare com’egli s’indignasse nel rivedere così mutilato l’originale cortesiano. Subito denunziò pubblica- mente, con una lettera aperta al Segretario della Società italiana di Scienze naturali !, questo che egli chiamava “ un atto di vandalismo scientifico ,; e finchè visse, ogni volta ebbe a scrivere delle collezioni parmensi, tornò a metterlo alla berlina. E i frantumi della mandibola volle lasciare scomposti, così co- m’erano al ritorno da Londra: con vicino un grande cartello, in più lingue, dove si spiegava ai visitatori del Museo come e perchè si trovasse così malconcio l’interessantissimo esemplare. Parendomi inutile prolungare quella dimostrazione di risentimento — per giustificata che fosse — io posì mano al ristauro della mandibola, e senza troppa difficoltà la potei ricomporre quasi intera; soltanto “rimase una lacuna nella serie dentaria di destra, fra il mi e il pr3, essendo stati letteralmente ridotti in bricioli i pm 1° e 2°. Nell’operazione di restauro mi giovò non poco l’aver dinanzi una copia del modello riuscitissimo fatto eseguire dal prof. CAPELLINI, nel ’61, quando l'esemplare era completo. Di quella copia, che l'illustre direttore dell’Istituto geologico di Bologna donava gentilmente al Museo nostro, mi son servito anche per rilevare le due fotografie che rappresentano l’insieme della mandibola (Tav. XIV [V], fig. 1, 2), mentre i particolari della dentatura sono stati direttamente fotografati dall’originale (Tav. XIV [V], fig. 3). Tutt'altro che concordi furono — al solito —i giudizi de’ paleontologi intorno al fossile di cui narrammo le non liete vicende. Perlo scopritore, la mandibola apparteneva — come il cranio di Montezago — ad un rinoceronte “ analogo agli Africani ? ,. S’ignora, pur troppo, che ne pensasse il CuvIeR: nella seconda edizione delle Recherches 3 egli dice bensì di aver visto in casa del Cortesi, a Piacenza, la “ màchoire inférieure bien complète , scoperta nel 1810 a Monte Pulgnasco e figurata nei Saggi geologicì; ma non aggiunge altro. Più tardi il pe BrarnvILLE la inscrisse fra gli avanzi dei “ Rhinocéros è narines non cloi- sonnées 4 ,, meravigliando che il CuvieR non l’avesse tenuta in maggior conto. Il LaRrTET, ch’ebbe modo di studiarla sopra la copia in gesso comunicatagli dal prof. CAPELLINI, la considerava come “la plus an- cienne pièce rapportable au 7. Mercki ®,; e invece il FALCONER, tornando all’idea già espressa dal DE ‘BLAINVILLE, la riferiva al R%. leptorhinus Cuv. pro parte = E. megarhinus CHRIST. © Conviene notare come anche il ForsyrH MAJOR si sia dichiarato contrario alla determinazione del LartET. “ L’asserzione — egli scriveva nel ’74 — che il R%. Mercki JAEG. comincia a trovarsi già nei depositi pliocenici del Piacentino, per lo meno non è provata ” ,,.. Fra gli autori citati, il FALconER è quello cui bisogna ricorrere per notizie copiose e particolareggiate intorno al fossile di Monte Pulgnasco. Fu appunto all’ Esposizione di Londra del ’62 ch’egli riconobbe la mandibola illustrata dal Cortesi “ among the marbles and polished stones of the Italian Court , e a tutt'agio potè studiarla e descriverla minutamente. Era già mutilata quand’egli la vide: i due rami erano staccati, e il destro fracassato “ by a recent injury ,; al sinistro mancava il condilo soltanto. Circa la conformazione della mandibola, il FALcoNER notava che il diastema era insolitamente corto, e che il mar- 4 Atti della Soc. It. di Se. Nat., vol. V. Milano, 1863. ? CortEsI. Saggi geol., pag. 17. 3 T. II., 10 p.8, pag. 53. Paris, 1822. 4 Op. cit., pag. 116. 5 LAaRTET Ep. Notes sur deux tétes de Carnassiers fossiles et sur quelques débris de Rhinocéros du midi de la France. Ann. Sc. Nat., Zoologie, 1857, T. VIII, pag. 177. 5 Op. cit., vol. II, pag. 393. " ForsytH MAJOR C. Sopra alcuni Rinoceronti fossili in Italia. Boll. del R. Com. Geol. d’It., vol. V, pag. 97. Roma, 1874. 120 V. SIMONELLI [32] gine inferiore dei rami correva orizzontale, pressochè rettilineo, dall’angolo posteriore all’ ultimo pre- molare (pmi), e seguitava con dolce curva fin sotto all’antipenultimo premolare (pms), per elevarsi poi bruscamente fino al margine incisivo. La serie dentaria si componeva di tre molari veri e tre premolari: mancava ogni traccia di alveolo per un antipenultimo premolare (pm); nel lato destro, a metà del dia- stema, era appena accennata una fossetta triangolare, residuo forse dell’alveolo di un piccolo dente deciduo. L’antipenultimo premolare aveva pressochè intatta la parte anteriore della corona; negli altri due, specie nel penultimo, la logorazione era più avanzata e i dischi delle due colline già confluivano. Il primo vero mo- lare offriva un disco unico, sinuoso, depresso; nel secondo, meno consumato, il disco a ferro di cavallo della collina anteriore si univa mercè un istmo con quello posteriore. Nell’ ultimo vero molare i due dischi eran tutt'ora distinti e si trovavano a diverso livello; l’ anteriore aveva una forma di mezzo fra la sagittata e quella del ferro di cavallo; il posteriore, assai più basso, si presentava come una stretta zona legger- mente falcata. Esternamente, la collina anteriore degli ultimi due molari veri mostrava distintamente il cingolo obliquo, che il pe CHRISTOL osservò nel suo R%. megarkinus; e lo stesso cingolo appariva anche più distinto nei premolari. I denti, che avean dovuto esser forniti di un grosso rivestimento cementizio, mostravan liscio lo smalto, come nel R%. megarkinus, e privo delle ineguaglianze reticolari tanto cospicue nel R%. tichorhinus; nel lato interno vedevansi a luoghi le linee parallele caratteristiche del R%. megarhi- nus e del Rh. etruscus. La parte sinfisiaria della mandibola, concludeva il FALCONER, e il diastema, con il loro contorno generale, e la loro “ subitanea abbreviazione ,, ricordano strettamente il disegno dato dal GeRvAIS pel EA. megarhinus. “ On the whole, I am satisfied that the specimen belongs to R%. megarhinus (Eh. leptorkinus mihi.) ,. A questa descrizione poco o nulla si troverebbe da aggiungere o da cambiare: ma per grande che sia l'autorità del FALCONER, io non mi son potuto indurre ad accettarne la conclusione. Il FALCONER dà, come si è veduto, non poca importanza alla brevità del becco sinfisiario e del diastema: ma questo non è carattere da megarhinus o da leptorhinus che dir si voglia. Lo stesso FALcoNER, descrivendo la bella mandibola di R%. megarhinus del Museo di Montpellier !, indica fra i suoi distintivi “the great length of the diasteme ,, e poche linee più sotto ripete “ very long diasteme with sharp raised edges etc... ..,. Anche il brusco elevarsi del margine inferiore fra l’antipenultimo premolare e il margine incisivo, non è punto una caratteristica del R%. megarhinus: nell’esemplare di Montpellier e — meglio ancora — nel nostro di Monte Giogo, quella parte del margine non fa che continuare la dolce curva ascendente ini- ziata molto più indietro, sotto all’ultimo premolare. Come ebbi già luogo di avvertire a proposito del fossile di Monte Giogo, la sinfisi mandibolare del R%. megarhinus non si prolunga mai, posteriormente, più in là del piano verticale che sfiora il margine anteriore degli antipenultimi premolari. Invece, qui nella mandibola di Monte Pulgnasco, la terminazione della sinfisi corrisponde alla parte anteriore del pmz, pressa poco come negli esemplari riferiti al RR. Merckì e al RX. etruscus. Chi fosse disposto a dar peso ai caratteri differenziali minuziosamente rilevati dal Bovp DAwxIns nel comparare i denti del Rh. etruscus con quelli del RR. megarhinus, troverebbe altri motivi per rifiutar la determinazione speci- fica adottata dal FaLconeR. La serie molare inferiore del RR. etruscus — scrive il Born Dawkins ? — si distingue facilmente da quella del megarRinus per via del cingolo (guard), che è assai più sviluppato, tanto anteriormente che posteriormente, nei veri molari. Nei veri molari 1 e 2 esso frequentemente tra- versa la base dell’area posteriore e sparisce nel solco mediano, ed è sempre rappresentato da una fila 1 Op. cit., pag. 369. ? On the Dentition of Rhinoceros etruscus FALC. Quart. Journ. Geol. Soc., vol. XXIV, pag. 211, 1868. [83] V. SIMONELLI 121 di tubercoli più o meno rilevati. Tale carattere si esagera nei premolari, ove il cingolo anteriore arriva fino a congiungersi col posteriore nel solco mediano. Queste che secondo il Boyp Dawkins sarebbero par- ticolarità caratteristiche del 7. etruscus ritrovansi tali e quali nella nostra mandibola. La continuità del cingolo sulla lamina esterna è in special modo evidente nel pmi sinistro. Lunghezza totale, dal margine posteriore del ramo ascendente al mar- gine incisivo . 0 . 0 0 ò : 0 0 o . mm. 0,420 Distanza fra il margine anteriore del pm, e il margine incisivo d » 0, 041 Lunghezza della serie dei sei molari di sinistra . c 6 . » 0, 232 Lunghezza dei tre veri molari . 0 È 0 . 0 0 3 » 0,128 » » premolari o ò o a - . 0 did 0,104 Altezza del corpo fra il m, e il m, . 6 c 0 o . 0 » 0, 077 » » » pm, e il pmy 6 » 0, 068 Spessore, in corrispondenza del my. . ò o 0 5 c » 0, 052 Dimensioni dei singoli denti: Lunghezza mass. Larghezza del Larghezza del alla base dal lato esterno lobo anter. lobo poster. pm; destro . 3 0 0 0 m. 0,029 0, 0167 0,019 » sinistro . 0 0 o 0 » 0, 0284 0, 0164 0,019 pm, sinistro . b . 0 i » 0, 036 0, 0245 0, 0303 pm, » . . 0 o 9 ” 0, 038 0, 0265 0, 0293 m, destro . 0 . d 0 » 0, 0423 0, 0313 0, 032 » sinistro . ò o 0 0 » 0, 0425 0, 0318 0, 032 my destro . ò ò ò 5 » 0, 0447 0,031 0, 030 » sinistro . 0 o ò ò » 0, 044 0, 032 0, 030 mz destro . Ò . c ò » 0, 043 0, 0294 0, 0278 » sinistro . ò Ò ò 6 » 0, 041 0, 029 ì 0, 0275 JU Ramo mandibolare destro, raccolto nelle sabbie post-plioceniche di “Aròla parmense. — Tav. XIV [V], fig. 4-7. Enumerando gli avanzi di rinoceronti scoperti nelle due provincie di Parma e Piacenza, tra la fine del secolo scorso ed il 1884, il prof. DeL Prato ! ebbe a far cenno di un frammento di mandibola, coi _ germi dei denti di muta, raccolto nel 1866 “ fra le sabbie del colle di Aròla presso Torrechiara alla sinistra del Parma ,. Circa l’età geologica di quelle sabbie il DeL PRATO non si pronunziò; soltanto ag- giunse che il fossile di Aròla, divenuto proprietà del Museo di Parma, era stato riferito al R%. Zepto- rhinus Cuv. Insieme con l’accennato avanzo, che rappresenta una porzione considerevole del ramo mandibolare destro, trovansi nella nostra raccolta parecchie schegge d’osso e due molari incompleti, che spettano evi- dentemente al ramo sinistro della stessa mandibola. Questi frammenti, ceduti or son pochi anni al Museo dal Gabinetto di Agraria dell'Istituto tecnico di Parma, sono accompagnati da un vecchio cartello che li dice trovati nel 1859 nel pliocene di Tiorre, località vicinissima ad Aròla. La data della scoperta sa- rebbe dunque un po’ anteriore a quella indicata dal prof. DeL PRATO. 1 Rinoceronte fossile nel Parmense, pag. 2. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 15 122 V. SIMONELLI [34] La collinetta di Aròla termina verso levante la prima linea delle ondulazioni interposte fra la Ba- ganza e la Parma, al confine S. SO. della pianura parmense. Un burrone profondamente inciso nel suo fianco occidentale, lascia vedere, dall’alto in basso: 1. Banchi di grossi ciottoli, legati da una pasta sabbioso-argillosa, gialliccia con intercalate lenti di sabbia gialliccia o grigiastra . . . SEE Pa Pleistocene 2. Sabbie gialle finissime, quasi sciolte, con numerosi ra, ostriche, ano- IMI NEC /217Y SMOPETCULAN USI CCI OR CS ATO : 3 Pliocene . Argille turchine con Nucula placentina, Cardium Deshayesi Pavr., Cytherea multtoniel aa AN EE IR GR OT Secondo le informazioni che ho potuto raccogliere dai vecchi del luogo, è quasi certo che la man- dibola sia provenuta dal deposito superiore, post-pliocenico. Fu trovata nel versante O. del colle di Aròla, e precisamente nel fondo detto “ dei Cavazzini ,, in mezzo allo sfasciume che bisognò rimuovere dal canale irrigatorio di San Michele di Tiorre, ostruito in conseguenza di una frana. Di quella frana si vede ancora il distacco verso l’alto del colle, subito sotto la casa dei Cavazzini, in un gran taglio verticale del banco di ciottolame commisto a sabbia e ad argilla; e il potente ammasso detritico che ancora in- gombra il piede e il fianco dell’altura, risulta degli elementi medesimi del conglomerato quaternario. Il più considerevole fra gli avanzi scoperti ad Aròla è, come ho già detto, un bel frammento del ramo mandibolare destro. La branca orizzontale è troncata in corrispondenza all’ alveolo del penultimo premolare e l'ascendente è mutilata di tutta la parte corono-condiloidea; manca inoltre, nella porzione angolare, un buon tratto del margine posteriore ed inferiore. Nella sua parte orizzontale il ramo è notevolmente depresso ed ha mediocre spessore. La faccia esterna, dal penultimo vero molare in avanti, offre una leggiera convessità nel senso verticale; la faccia interna è un po’ rigonfia sotto ai due ultimi molari, quasi piatta nella porzione rimanente; anzi quest’ ul- tima è solcata per lungo da una debole infossatura mediana. Il margine inferiore è dolcemente curvato ad arco per tutta la lunghezza compresa fra l’alveolo del msz e la frattura anteriore. Il margine ante- riore della parte ascendente si unisce all’’alveolare descrivendo una curva regolarissima, ma devia pro- nunziatamente in fuori dal piano verticale di questo ultimo. La regione angolare, molto ingrossata verso il margine, presenta nella faccia interna poche e deboli rugosità, allungate obliquamente dall’ avanti al- l’indietro. L’ingresso del condotto dentario si trova a metà distanza fra il margine superiore e 1’ infe- riore della faccia interna. Dall’ apertura del condotto dentario a tutto 1’ alveolo del pm il ramo misura in lunghezza 0,180: la sua altezza è di 0,074 sotto al m3, di 0,064 sotto al mi: il suo spessore di 0,047 in corrispondenza del m2, di 0,041 in corrispondenza del pmi. Nel ramo descritto son conservati i germi del m3 e dél pmi (Tav. XIV [V], fig. 7), ancora incassati negli alveoli, ed i mn» e mi già emersi, ed in stato d’incipiente logorazione. Misurati, al solito, nelle di- rezioni prescelte dal Boyp DAwkIns, alla base della corona, questi molari ci danno le cifre seguenti: Diametro Diametro ° Diametro antero-posteriore antero-trasverso postero-trasverso Germe del pm, 0 0 . m. 0,036 0, 022 0, 026 MAD IE RR ATA AR O ARE OI 0,024 0, 027 MO TAR cip AG, E CNN AZIO 038 0, 026 0, 028 [85] V. SIMONELLI 123 Il mn è molto più logorato del ms ; la differenza di livello dei suoi due dischi non è di più di 4 mm. nella faccia esterna. Il tratto esterno del disco anteriore è rettilineo e molto allungato, e fa un angolo deciso col tratto posteriore; mentre l’unione sua col tratto anteriore riproduce la curva di un mezzo ferro di cavallo. Il disco posteriore è falcato. Nella lamina esterna, che è quasi piatta nell’area anteriore, ed ha il soleo mediano prolungato fino alla base, non appare traccia di cingolo; solo nelle due facce anteriore e posteriore questo è rappresentato da due rilievi semilunari, che trovansi a metà circa dell’altezza della corona. Il »m> non differisce dal precedente altro che pel maggior dislivello dei dischi di logorazione e per la presenza del cingolo basale nella lamina esterna. Verso la base dell’area anteriore, in continuazione del rilievo semilunare che occupa la faccia attigua, si vede impressa nello smalto una linea fittamente pieghettata, i lobi della quale appariscono come minuti denticoli, appena sporgenti. Si prolunga questa linea fino al solco mediano, e si ritrova, ma molto meno evidente, nell’area posteriore. Nel germe del pmi il cingolo basale è molto più sviluppato che nei due veri molari: e ciò analoga- mente a quanto osservava il Born Dawkins pel AWinoceros etruscus e a quanto potemmo noi stessi rilevare nella mandibola di Monte Pulgnasco. Così nell’area posteriore come nell’anteriore sporge verso la base della lamina esterna una zona frastagliata di lunghi e grossi denticoli, che invade anche il solco mediano. Per gli altri caratteri questo germe non diversifica dai molari precedentemente descritti. III. Scheletro incompleto d’individuo giovane, scoperto nel quaternario di Lodesana presso Borgo San Donnino. Tav. XV [VI], XVI [VII]. Quando e da chi siano stati raccolti questi avanzi, e quali fossero le condizioni loro di giacitura, si rileva da un articolo che il prof. DeL Prato pubblicò nel giornale di Parma “ IZ Presente ! ,, pochi giorni dopo l’interessantissima scoperta. “ Nello scavare delle sabbie nel fondo dell’avv. Gran CrIstoroRo CERRETTI a Lodesana presso Borgo San Donnino, si rinvennero nel marzo u. s. (1886) alcune ossa e dei denti di un grande mammifero. Questa località di Lodesana si trova nella stessa linea di colli dell’altra di Belvedere, ove si scoperse 1’ Elefante annunciato nel numero dell’ 11 novembre 1882 di questo giornale, Elefante pel quale è da lamentarsi che non si trovi oggi, come fossile del Parmense, al suo posto naturale, cioè nelle collezioni del Museo uni- versitario di Parma ,. “I primi resti del mammifero di Lodesana, spediti a Parma dall’ing. ALBERTO SAGLIA di Borgo, si riconobbero subito come parti dello scheletro di un rinoceronte, ed essendo la scoperta di importanza scientifica e locale, il prof. StroBEL chiese ed ottenne immediatamente dalla liberalità del sig. CERRETTI, di poter continuare lo scavo, onde arricchire col nuovo fossile il Gabinetto di Storia Naturale che egli dirige ,. “Lo scavo ed il trasporto eseguito infatti il 22 marzo dal prof. StroBEL, dal dott. DeL Prato, dall’ ing. SAGLIA, non senza qualche difficoltà e fatica, diede un interessante complesso di parti scheletriche, le quali, benchè incomplete e rotte, potranno però, ricomposte, figurare degnamente nelle importantissime collezioni del Gabinetto di paleontologia parmense ,. i Anno XX, n. 106. 16 aprile 1886. 124 V. SIMONELLI [36] “Questo scheletro di rinoceronte giaceva entro un deposito di argilla sabbiosa della potenza di due metri e mezzo, ricoperto da uno strato arabile di un metro. In vicinanza del piano in cui si rinvenne, l’argilla era tutta compenetrata di foglie di piante arboree ammassate, compresse e rese indeterminabili, e qua e là vi si notavano gusci di molluschi d’acque dolci; il deposito è dunque d’acqua dolce e di origine fluvio-lacustre ,. “ Dalle particolarità delle ossa e dai denti in muta risultò poi trattarsi di un giovane individuo, ma che poteva però arrivare alla statura di un bue ,. Completò queste informazioni il DeL PrATo, pubblicando l’anno stesso, nel Bollettino della Società Geologica italiana, la nota sopra il inoceronte fossile nel Parmense! che già più volte ebbi occasione di citare. Se non la determinazione specifica del pachiderma di Lodesana, troviamo in quella nota un inventario delle ossa raccolte “ quale risultò da un primo esame fatto, dice il Der Prato, solo allo scopo di riconoscere la loro natura e la regione dello scheletro alla quale appartengono ,,; troviamo anche sta- bilita l’età quaternaria del deposito che le conteneva e precisata la costituzione del deposito stesso nel modo seguente: SÉTAtOCAFADI et e IO gua CE MRI NT Sc ePRICE CO m. 1, 00 Argilla calcarifera, sabbiosa, con pagliuzze di mica e con abbondanti concrezioni calcari. Argilla più pura, con piccole concrezioni calcari geodiche. Argilla grigia omogenea, con le solite concrezioni. m. 2, 40 Argilla giallastra sabbiosa, con resti di piante arboree e di molluschi continentali (Anodonta cellensis?, Unio pictorum?, Cyclostoma sp.) Argilla calcarifera sabbiosa, coi resti di rinoceronte. Sabbia grossolana e ghiaia minuta con velature di limonite e manganite. Sabbia grossolana agglutinata. Sabbia gialla fine, in banco potente, con frequenti concrezioni sabbiose, facilmente disgregabili. in sabbia da costruzioni. Pur dividendo l’opinione del DeL Prato circa l’età del deposito ossifero di Lodesana, non debbo ta- cere che il Sacco inscrive tra i villafranchiani gli strati marnoso-argillosi e sabbioso-ghiaiosi con resti di Rhinoceros, filliti, Anodonta, Unio, Cyclostoma, che trovansi nelle colline a sud di Borgo S. Donnino, sopra la formazione astiana 2. Ricordato quanto si. sa del giacimento, veniamo a descrivere partitamente quel che si ricuperò dello scheletro. Si, tratta, come. già. dissi, di un individuo molto giovane. I denti definitivi non sono ancora spuntati tutti, e non si sono ancora saldate, o per lo meno non si son saldate completamente, le epifisi ai corpi vertebrali, alle ossa dell’avambraccio e del metacarpo, al femore, alla tibia, ai metatarsiani. La condi- zione originaria delle ossa non poteva dunque esser delle più favorevoli per la conservazione, come non eran dei più.favorevoli il luogo e il terreno in cui si trovaron sepolte. Se all’estrema fragilità di quelli avanzi, che anche oggi, dopo i. bagni di silicato e di gelatina, son soggetti a spezzarsi al menomo tocco, si ag- 1 Vol. V, fasc. 1°. Roma, 1886. ? L'’Appennino dell’Emilia. Boll. della Soc. geol. it., vol. XI, 1892, pag. 580 [37] V. SIMONELLI 125 giunge il poco riguardo con cui furon trattati in principio dagli operai che li scoprirono, si capisce come lo scheletro abbia numerose e gravi lacune, malgrado la somma diligenza delle ricerche ulteriori, condotte dallo StRoBEL assieme col DeL PRATO. È deplorevole, soprattutto, che non si sia potuto ricuperare alcun avanzo del cranio. Dei molari superiori sì ebbe soltanto una scheggia, e la mandibola si trovò ridotta in frantumi. Poche e mutilate furon le vertebre raccolte, e delle meno caratteristiche; nè si poterono ricomporre, dai minutissimi fram- menti, più di tre coste e più di un pezzo dello sterno. Ambedue le scapole son perdute, e poco o nulla è rimasto degli omeri, delle ossa dell’avambraccio e della mano. Invece si è conservata meravigliosamente una gran parte del bacino, pur così fragile, e sono intatti i femori, una tibia, le rotule, la maggior parte delle ossa dei piedi. Molare superiore (Tav. XV [VI], fig.3). — L’,unico avanzo raccolto della dentatura superiore è la lamina esterna di un molare destro, ch'io ritengo fosse l’ ultimo di quelli di latte. Che non fosse dei definitivi mi par dimostrato dalla sottigliezza estrema dello smalto, dalla logorazione troppo avanzata in confronto a quella dei molari veri della mandibola, e anche dal fatto che lo spigolo antero-esterno della corona (buttress degli autori inglesi) non accenna punto a proiettarsi in fuori. A questo proposito credo opportuno ricor- dare come il LypEKKER *! abbia notato, che negli ultimi molari di latte del A. sumatrensis e del siwalensis i buttress sono assai meno sporgenti che nei molari veri: per modo che nella mascella la lamina esterna di essi denti di latte si trova ad esser press’a poco parallela all’asse longitudinale del cranio, m entre la corrispondente superficie dei veri molari fa con quell’asse un angolo ben pronunziato. La corona del molare che abbiamo sott’occhio misura di lunghezza mm. 39 alla base e 44 mm. su pe- riormente: ed ha mm. 28 di altezza massima. La sua faccia esterna è press’ a poco piana, se non si con- sidera il forte rilievo della seconda costa e quello, a mala pena sensibile, della terza. Nella faccia ante- riore e nella posteriore, delle quali ci riman solo il lembo più esterno, si vede il cingolo basale salire rapidamente fin presso il margine superiore della corona. Soltanto verso la base riman qualche minima traccia d’intonaco cementizio; la superficie dello smalto, liscia e lucente verso la sommità della. corona, subito sopra il colletto è percorsa da finissime strie verticali, e minutamente sagrinata nel resto. Mandibola (Tav. XV [VI], fig. 1, 2). — Ci restano della mandibola tre soli frammenti, due dei quali appartengono al ramo sinistro ed uno al destro. Quest'ultimo frammento (Tav. XV [VI], fig. 2), lungo ci rca 18 centimetri, comprende tutta la porzione occupata dai tre veri molari, e parte dell’alveolo dell’ ultimo premolare. Però solo il m2 è ben conservato ed emerso: del m1 rimangono le sole radici, ed il #23, ancora allo stato di germe, si trova incassato nell’ alveolo. Dà subito nell’occhio il forte spessore di questa parte della mandibola, in proporzione della sua pic- cola altezza. In corrispondenza del m» la faccia esterna è alta solo mm. 61, mentre in quel punto il ramo ha 50 mm. di spessore. Ciò fa ricordare l'aspetto della mandibola di RX. Mercki figurata dal BRANDT nella “ Monographie der Tichorhinen , (Tav. III, fig. 5, 6,) bassa e grossissima benchè spettante a un individuo assai giovane. Il margine inferiore descrive press’ a poco la stessa curva che notammo nella regione corrispondente della mandibola di Aròla. I due frammenti del ramo sinistro, corrispondono pure, uniti assieme, alla parte compresa fra il pmi ed il m23, e ci offron conservato soltanto il penultimo vero molare. 1 Siwalik Rhinocerotidae. Memoirs of the Geological Survey of India. Palaeontologia Indica. Ser. X, vol. II, pag. 35. Calcutta, 1881. 126 V. SIMONELLI [38] Le dimensioni di questo 72 son le seguenti: Diametro antero-posteriore 6 0 . . B G - 5 in 107042 » antero-trasverso , b } 6 0 o . 6 ; ” 0,021 » postero-trasverso 0 0 . c c . o c 6 » 0, 023 La logorazione, avviata da poco, ha dato luogo a due dischi identici per la forma e per la relativa situazione a quelli del 7»: del rinoceronte di Aròla. È piatta come in quest’ultimo l’area anteriore della lamina esterna, e prolungato il solco anteriore fino alla base. Manca però qualsiasi indizio del cingolo basale nella lamina esterna. Tanto nel m2 sinistro come nel destro si nota un tubercoletto ben rilevato all'ingresso della valle anteriore. Nella superficie del dente non rimane traccia di rivestimento cemen- tizio; lo smalto offre deboli, irregolari rugosità, specialmente nella faccia interna, e in qualche punto lascia veder le solite linee parallele orizzontali. Colonna vertebrale. — Oltre a parecchi frammenti di apofisi vertebrali si raccolsero a Lodesana i corpi di quattro delle ultime vertebre dorsali, di due lombari e di due sacrali. I meno insignificanti fra tali avanzi son quelli delle lombari, poichè oltre al corpo ci lascian vedere anche una porzione notevole dei processi trasversi. Una delle vertebre lombari, probabilmente la penultima (Tav. XV [VI], fig. 4, 5) ha la testa cuori- forme, larghissima, molto depressa, e la faccia inferiore del corpo carenata ottusamente. Le sue apofisi trasverse recano posteriormente una faccetta quasi rotonda, un po’ concava, destinata ad articolarsi con una corrispondente prominenza della vertebra successiva. La placca epifisaria posteriore non è conservata. L’ altra lombare, ch'io ritengo sia l’ultima (Tav. XV [VI], fig. 6, 7) ha il corpo anche più depresso di quello della precedente, la testa ellittica, la faccia inferiore quasi piana. Gli sviluppatissimi processi trasversi volgono al sacro una larga faccetta articolare, disposta con forte obliquità dall’esterno in avanti all’interno in dietro: ed anteriormente mostrano il residuo della prominenza che doveva mettersi in rap- porto con la faccetta già notata nella penultima lombare. Un’insenatura profonda, ma stretta, divide dal corpo vertebrale il margine interno di queste prominenze anteriori, e quello delle faccette posteriori pel sacro. Quanto a dimensioni, il meglio conservato fra i corpi delle vertebre dorsali misura, senza le epifisi, 42 mm. di lunghezza per 55 di larghezza e 35 di altezza. Nelle lombari troviamo: Penultima Ultima lomb. lomb. Lunghezza del corpo (senza l’epifisi posteriore) . è Ò . mm. 45 40 Altezza della testa . c o 0 . 0 0 c c . » 35 31 Larghezza della testa ò ò è » 57 60 Nella sacrale meglio conservata il corpo è lungo mm. 27, largo mm. 33 ed alto mm. 17. Coste (Tav. XV [VI], fig. 8,9). — Tre coste sole si son potute ricomporre quasi intiere, e son tre asternali del lato sinistro. Misura la più grande 61 centimetri di lunghezza (seguendo la curva della faccia esterna) ed ha 22 mm. di massimo diametro antero-posteriore per 13 di grossezza nel mezzo. La più com- pleta delle altre due misura 56 cm. di lunghezza (sempre seguendo la curva) per 18 mm. di diametro antero-posteriore, e 8 mm. di grossezza. La prima ha le due facce laterali quasi piatte nella metà prossi- male, convessa invece nell’altra metà, che per conseguenza è regolarmente ellittica in sezione. I solchi anteriore e posteriore, distintissimi in alto, svaniscono passata di poco la metà del corpo. Il tubercolo, [39] V. SIMONELLI 127 troncato obliquamente dalla faccetta articolare, è preceduto da una corta insenatura del margine posteriore. Il capitolo non è conservato. L’ altra costa è quasi uniformemente piatta nella faccia interna e debol- mente convessa nell’esterna: ha il margine posteriore ottusamente carenato nel quarto prossimale, e nell’orlo anteriore non ha quasi indizio di solco. Il corpo si ristringe notevolmente per un tratto piuttosto lungo sotto il tubercolo, la cui faccia articolare è disposta parallelamente all'asse maggiore della costa. Il collo è lungo poco più di un centimetro. L’epifisi manca. Sterno. — Ho creduto di riconoscere il pezzo anteriore dello sterno, il manubrio (Tav. XV [VI], fig. 10), in un osso foggiato a lama di corto e largo pugnale: compresso cioè lateralmente, e tanto più quanto più ci si avvicina ad uno dei suoi estremi; limitato sopra e sotto da margini che corrono quasi rettilinei e sub-paralleli per tre quarti della sua lunghezza, e poi convergono verso quella medesima estre- mità più sottile: troncato nell’estremità più grossa, normalmente all’asse longitudinale, da una faccia el- littica, irregolarmente ondulata e scabra nella superficie. Gli orli più lunghi sono assottigliati ambidue, ma inegualmente, contigua e parallela al meno acuto sporge in ciascuna faccia laterale una debole eminenza, terminata da una faccetta ellittica molto allungata, un po’ concava. Le due faccette — che si può rite- nere sian quelle destinate all’articolazione del primo paio di coste — vengono reciprocamente a contatto coi lori margini superiori: son lunghe 52 mm., larghe 17 mm., e incominciano 55 mm. dalla faccia po- steriore dell’osso, per finire a circa tre centimetri dalla punta. Il manubrio, lungo in tutto circa 145 mm. è alto 57 mm. nel mezzo, e 55 mm. posteriormente; il suo spessore è di 13 mm. nel mezzo (senza considerare le eminenze articolari supero-esterne), di 23 mm. posteriormente. Descrivendo lo sterno del rinoceronte di Dusino, il prof. SAcco ! dice che il manubrio gli parve rappresentato da un frammento d’osso allungato, schiacciato lateralmente, coi margini superiore ed infe- riore subacuti; aggiunge che la parte superiore di quest’osso è fortemente compressa nei lati, per modo che il margine superiore è ottusamente carenato: e che nella parte posteriore questo margine presenta due larghe superfici depresse, allungate, irregolari, per l’attacco delle cartilagini costo-sternali. Per lo sviluppo delle superfici articolari, continua il Sacco, l’osso in parola sembrerebbe quasi la parte anteriore dello xifoide, tanto più che in generale nel manubrio queste facce articolari superiori si trovano situate più in avanti. __ Una parte di questa descrizione può convenire, evidentemente, anche al fossile nostro. L'unica dif- ferenza consiste nella posizione delle superfici articolari, che in questo non son collocate punto più in dietro del solito. Consultando, ad esempio, la figura che ha dato il pe BLarnviLLE per lo scheletro del RA. javanicus, si vede che il manubrio reca le articolazioni costo-sternali a metà lunghezza, più inQlietro quindi che non siano in quello — pur molto somigliante nella forma generale — del R7. Merckìi di Lode- sana. Anche nel A. bicornis — se ben ricordo quello che vidi in un esemplare del Museo Zoologico di Mi- lano — le prime coste si uniscono col manubrio circa a metà della lunghezza di questo, e, se mai, un po’ più vicino all’estremità posteriore che all'anteriore. Arto anteriore. — Un frammento della parte distale dell’omero destro ed uno dell’olecrano sinistro, assieme con il piramidale e il semilunare del carpo sinistro, son tutto quel che ci rimane degli arti anteriori. Il frammento dell’omero, poco più che una scheggia, può servire soltanto a darci il diametro antero- posteriore del corpo dell’osso, che troviamo esser di mm. 48 immediatamente sopra la fossa olecranea. Non è molto più significante l’avanzo dell’olecrano, mancando l’apice e il becco e gran parte delle facce laterali. Senza la tuberosità apicale, che evidentemente non si era per anco saldata col corpo dell’osso, 4 Op. cit., pag. 17. » 128 V. SIMONELLI [40] il margine antero-superiore dell’olecrano misura 85 mm. di lunghezza: la faccetta sigmoide è larga 36 mm. nel mezzo. A metà distanza fra questa faccetta e la superficie di contatto con l’epifisi, l’olecrano ha 22 mm. di spessore, e cresce poi rapidamente verso l’estremità, che è grossa per lo meno il doppio. Il lunare (Tav. XVI [VII], fig. 1) è notevole per la faccia dorsale stretta e allungata, che a prima giunta lo fa distinguere da quello del 7. Dicornis e del El. antiquitatis, richiamando piuttosto gli attuali rinoceronti asiatici. Non è però che non differisca anche dal lunare di questi, la faccetta radiale scen- dendo anteriormente molto più in basso. Inferiormente, lo spigolo che divide la faccetta articolare per l’un- ciforme da quella pel magnum, è diretta obliquamente dall’interno, in avanti, all’esterno, in dietro, come nel R%h. unicornis; e, sempre come nell’unicornis, dietro alla prima di esse faccette si trova una superficie irregolarmente trapezoidale, un po’ concava e scabra, che occupa ciò che rimane di spazio prima di arrivare al margine posteriore dell’osso. Le dimensioni del lunare son le seguenti: Diametro antero-posteriore . . . . . . . 0 = im 05060, Altezza della faccia anteriore 5 0 . o ò : ò 0 » 0, 046 Larghezza » » superiormente . 0 ò ò 0 0 » 0,035 Si to » in basso . . . x 0 ò ò ” 0, 022 L’attiguo piramidale o cunciforme (Tav. XVI [VII], fig. 2) è anch'esso molto elevato in proporzione della larghezza e del diametro antero-posteriore. La sua faccia antero-esterna è, come al solito, convessa, inuguale per deboli prominenze e punteggiata d’incavi superficiali: l’interna è scavata largamente dall’innanzi all’indietro, fra i due rilievi semilunari che si mettevano in rapporto col carpale intermedio. La faccia superiore è mutilata; ma ne rimane abbastanza per giudicarla molto convessa. Il suo prolun- gamento esterno scende fino a metà dell’altezza dell’osso, ed è separato dal rimanente della faccia antero- esterna mercè un solco strettissimo e profondo. La faccia posteriore è traversata obliquamente da un rilievo ben spiccato, posto in continuazione della superficie articolare inferiore per il lunare: e tra quel rilievo e il margine inferiore è incavata profondamente: {DIMENSIONI Altezza massima della faccia anteriore. . 0 o . o +. m. 0,042 (circa) Diametro antero-posteriore . ò . . . . 5 . » 0, 037 Bacino (Tav. XV [VI], fig. 11, 12). — Del bacino è conservata quasi completa la metà sinistra, insieme con un grosso frammento dell’ilio destro; prezioso anche quest’ultimo giacchè comprende una buona parte della regione angolare interna, che fa difetto nell’ilio opposto. L'ampia lamina iliaca è quasi piana nella faccia interna, per tutto lo spazio compreso fra l’angolo esterno e il margine della superficie articolare pel sacro; a partire da quel margine si piega con dolce curva all’in su, e poi, verso l’angolo interno, sembra tenda di nuovo a farsi orizzontale. L'orlo anteriore della parte piana dell’ilio s’inarca come il tagliente di una larghissima scure; molto sottile e squadrato nel tratto mediano, ingrossa e si arrotonda verso l'esterno, per costituire una spina abbastanza robusta. In questa spina si vede posteriormente un lieve solco mediano, che accennerebbe alla bifidità caratteristica, secondo il Cuvier, di certe specie, per esempio del R%. nicorris, in confronto ad altre come 1’ javaricus, che hanno la spina semplicemente tuberosa. Di questo carattere non si deve far troppo conto, affermando [41] V. SIMONELLI 129 il pe BLAINVILLE che è soggetto a variare piuttosto con l’età degli individui che con la specie. Il fusto dell’ilio è relativamente lungo e sottile, a sezione triangolare, stondato nel margine esterno e un po’ più decisamente angoloso in quello interno, senza accenno di cresta lungo la prominenza ilio-pettinea. È invece ben rilevata e sottile la cresta sopra-condiloidea, che una depressione larga e profonda, scabra per ber- noccoli e rughe, separa dal margine della cavità condiloidea. La branca scendente dall’ischio è gracile, rotondata nei margini, liscia in tutta la superficie; subtriquetra in alto, è compressa a cuneo ed espansa largamente verso la tuberosità, cui non si è per anco saldata. Neppure si è ossificata la cartilagine inte- rossea nella sinfisi ischio-pubiana. Il pube è relativamente poco allungato nel senso trasversale; subtriquetro come l’ischio, ha stondati gli spigoli posteriore ‘ed antero-superiore, a differenza dell’ antero-inferiore, che almeno in parte è foggiato a carena. La cavità cotiloidea è amplissima, profonda, un po’ allungata dal- l’avanti all’indietro, smangiata nel contorno da un larghissimo seno acetabulare. Il foro sottopubiano è regolarmente ovale, con l’asse minore di traverso. (©) b) DIMENSIONI Distanza fra la spina anteriore e l’angolo interno dell’ilio (appross.) . m. 0,330 Distanza fra la parte più sporgente della cresta iliaca e il margine an- teriore della cavità cotiloide . ò 0 : ò . 0 5 » 0,270 Minima larghezza del collo dell’ilio . 0 o 5 ò 5 : » 0,035 Diametro bis-iliaco approssimativo (fra le due eminenze pettinee) À » 0,180 Lunghezza della sinfisi È e . . . 6 0 c - » 0,140 Distanza dalla tuberosità ischiatica al marg. post. della cavità cotiloide » 0,100 Distanza fra le tuberosità ischiatiche . Ò . ò Ò ò 0 » 0,190 Diametro massimo della cavità cotiloide . 5 0 o o » 0, 080 Diametro antero-posteriore del foro ovale . 0 6 . 0 o » 0,085 » trasverso » » © 0 . ò ò o » 0,065 Il bacino di un individuo giovanissimo com’è il nostro, non può dicerto esser utilizzato per uno studio comparativo concludente. Accenniamo ad ogni modo alle analogie più spiccate e alle principali dif- ferenze che credemmo rilevare confrontandolo con quello di alcune altre specie. Pei confronti col Rhinoceros megarhinus dobbiamo ricorrere al superbo bacino scoperto nel 1871 entro le sabbie gialle plioceniche di Rio Secco presso il Sasso nel Bolognese, e illustrato dal senatore CApEL- LINI tre anni or sono, nella memoria Rinoceronti fossili del Museo di Bologna!. Le sole differenze ch’esso presenta in confronto all’esemplare di Lodesana, consistono nella più irregolare sinuosità della cresta iliaca, e nella più profonda concavità del margine ischiatico esterno. Anche la spina iliaca ha forma tutta diversa; nella figura data dal CapreLLINI l’angolo esterno apparisce infatti quasi troncato da una faccetta un po’ concava, normale al maggior diametro della lamina iliaca. Si aggiunga — ma queste son diffe- renze probabilmente imputabili all’età — che la cresta antero-inferiore del pube è più pronunziata nel fossile di Rio Secco che nel nostro, e che rapporto all’ampiezza della cavità cotiloide i fori otturatori sono alquanto più piccoli. 1 Pag. 8, tav. I, fig. 4. 1 Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 16 130 V. SIMONELLI [42] Più accentuate son le differenze tra il bacino del rinoceronte di Lodesana e quello del R%. tichorhinus. A prendere come termine di confronto l'esemplare che BranpT figura e descrive nella Monographie der Tichorhinen (pag. 34, tav. VII, fig. 11) notiamo subito esser più allungata dall’avanti all'indietro la la- mina iliaca ed assai più ineguale nella superficie: estendersi il pube molto di più tra un lato e l’altro, esser parecchio più corta la branca scendente dell’ischio ; vediamo pure molto più sviluppata la cresta ileo-pettinea e più largo il foro otturatore in proporzione del diametro antero-posteriore. Invece le ossa innominate del rinoceronte di Dusino, illustrato dal SAcco come varietà del Ar. etru- scus, non sembrano differire in modo apprezzabile da quelle che abbiamo sott’occhio. Se nelle prime son più sviluppati gli attacchi muscolari, se è più larga in senso trasversale la cavità ch’esse limitano, ciò si può ritenere dipenda solo dall’età e forse anche dal sesso diverso. Femore (Tav. XVI [VII], fig. 3, 4). — Fra le note che lasciò il FALcoNER sui rinoceronti del pliocene e del postpliocene di Europa, è un brevissimo cenno intorno a un femore di LX. hRemitoechus Farc. (= Ah. Mercki JAEG.) proveniente da Glower. Paragonato all’osso corrispondente del R%. tichorhinus, quel femore si differenziava soprattutto “ in its much shorter proportions, and in the very bold curve intercepted between the third trochanter and the outer condyle ,. Anche in lunghezza e in grossezza assolute il femore dell’ Remitoechus restava di molto inferiore a quello del fichorhinus. “The species — con- cludeva il FALcoxeR — must have stood on proportionally shorter legs ,. A ben diversa conclusione giungeva il Porris nel suo studio sul th. Merckì di Taubach. Quel ch'egli potè esaminare dell’arto posteriore, gli parve non contradicesse punto alla conclusione ricavata dallo studio dell’arto anteriore: trattarsi cioè di ossa notevoli per lunghezza e per limitato volume, quali convenivano a un animale d’altissima statura “ verbunden mit einem schlankern und elastischern Bau des Knochen- geriistes, bei einern geringeren und begrenzteren Masse des Muskelfleisches ! ,. E il giudizio del PoRtIS è pienamente confermato dallo studio del materiale che abbiamo sott’occhio. Ecco intanto le principali dimensioni del femore: Lunghezza del femore dall’alto della testa al basso del condilo interno m. 0,440 Larghezza fra la testa e la parte più sporgente del gran trocantere . » 0,157 Larghezza massima in basso, fra i due condili . 0 0 0 o » 0,117 Diametro antero-posteriore, in corrispondenza del condilo interno a » 0, 151 Diametro antero-posteriore, in corrispondenza del condilo esterno 0 » 0,120 Distanza fra il margine inferiore del 3° trocantere e la parte più alta del primo o . 0 c ò ò 0 0 . 0 c » 0, 206 Distanza fra il limite inferiore del piccolo trocantere e 1’ alto della testa del femore . , Ò À 5 5 : b n ò 0 » 0, 147 Diametro della testa del femore . o " o . ò . c » 0, 074 Diametro trasverso del corpo sotto al terzo trocantere a 0 a » 0,049 Circonferenza minima sotto al terzo trocantere . ci ° 6 N » 0, 189 Nella conformazione del femore il nostro rinoceronte mi par che ricordi piuttosto il 7. bicornis che gli altri congeneri attuali. Appunto come nel bicorris il trocantino si arresta prima di raggiungere il li- 1 Op. cit., pag. 16. [43] V. SIMONELLI 131 vello del margine anteriore del terzo trocantere: il gran trocantere ha la faccia esterna disposta ad an- golo di 45° rispetto all’asse longitudinale del femore, anzichè subparallela, come nel 7. unicornis 0 nel sumatrensis, all'asse medesimo: il terzo trocantere non tende a risalire verso il gran trocantere. Le prin- cipali differenze rispetto al dicornis consistono nella maggior larghezza proporzionale dall’estremità infe- riore, nel minore sviluppo in senso verticale del terzo trocantere, nella maggior disuguaglianza in altezza dei due labbri della troclea. Confrontato col femore del 7. antiquitatis, quello che abbiamo sott’occhio si mostra di gran lunga inferiore per volume, a parità di lunghezza, ha molto più larga la fossa inter- condiloidea, meno allungato il trocantino. Di più nel RR. antiquitatis (stando alle figure di BraNDT) i due labbri della troclea son come nel dicornis pressochè uguali in altezza, mentre nel nostro fossile l’interno è di un buon terzo più alto dell’esterno. — Non saprei, neppur volendo, rilevare differenze di qualche momento dal paragone coi femori attribuiti al R%. etruscus. Tibia (Tav. XVI [VII], fig. 7,8). — Come il femore, anche la tibia è slanciata più assai che ne’ rino- ceronti attuali, ed è — proporzionatamente — meno espansa ai due capi. Le sue dimensioni son le seguenti : Lunghezza fra la tuberosità anteriore e il bordo anteriore della faccia articolare inferiore 5 ; ò 6 - ò , 5 o m. 0,320 Diametro trasverso massimo, in alto. . 6 0 È . : » 0, 107 Diametro antero-posteriore fra la tuberosità anteriore e l’estremità po- steriore del condilo interno . ò . Ò . 0 5 6 » 0,106 Diametro trasverso in basso A ò 0 0 O : n ò » 0, 085 Diametro antero-posteriore dal lato interno . 7 È . l ò » 0, 062 Non è, in complesso, molto diversa da quella del R%. megarRinus; soltanto nella metà superiore del corpo ha il margine esterno meno acuto e la faccia esterna meno concava. Il margine interno quasi rettilineo e l’anteriore sfornito di cresta, la fanno riconoscere da quella del %. tichorhinus, anche senza contare l’insieme di gran lunga più slanciato. Rotula (Tav. XVI [VII], fig. 5, 6). — È irregolarmente quadrangolare, col lato esterno convesso e gli altri più o meno concavi; con un forte rilievo della faccia anteriore proiettato dall’ angolo inferiore- interno, secondo il prolungamento della diagonale. Questa sporgenza non compresa, misura trasversalmente 0,075 per 0,062 di altezza e circa 0,040 di diam. antero-posteriore, risultando così un po’ meno allun- gato da un lato all’altro che non sia l’esemplare descritto dal PortIs (Op. cit., p. 54). Ossa del tarso (Tav. XVI [VII], fig. 10-15). — Grazie alla cortesia del senatore CAPELLINI ho potuto confrontar direttamente l’astragalo (Tav. XVI [VII], fig. 11 pars e fig. 12, 13) di Lodesana con uno di R%. etruscus raccolto nel pliocene di Olivola in Val di Magra e conservato nell'Istituto geologico di Bologna: e fra i due esemplari non ho riscontrato altra diversità che quella dell’altezza, superiore di un mezzo centimetro nel secondo, a diametro traverso uguale. In entrambi la faccetta cuboidiana è relativamente amplissima, poichè in larghezza uguaglia, se non supera, la metà della scafoidiana; venendo con ciò a riprodursi una condizione caratteristica dell’ astragalo delle specie affricane odierne, e opposta a quella che si verifica nelle asiatiche e nel megarino. Il fossile di Olivola ha disgraziatamente logorata troppo la faccia posteriore per lasciar distinguere i confini delle superfici articolari; ma se ricorriamo alla figura data dal pe BLAInvILLE per l’astragalo del RX. etruscus del Val d'Arno (Ostéogr., gen. Rhinoceros, pl. XI, sub nom. RX. leptorhini) troviamo quasi completa corrispondenza col nostro nella forma e nella disposi- 132 V. SIMONELLI ; [44] zione di esse faccette articolari. In luogo d’ esser divise da un solco larghissimo, come nel R%. megarhinus o nel RA. antiquitatis, e, fra le specie viventi, nel 7. indicus o nel sumatrensis, vengono a toccarsi mu- tuamente con una parte del loro margine, ed anzi nell’ esemplare nostro confluiscono addirittura mercè un istmo assai corto. Le dimensioni dell’astragalo di Lodesana son le seguenti: Altezza massima, faccia esterna . à 0 o ò Ò . 5 ma (0095 » » interna . a . ò o 0 0 . » 0,066 Altezza dell’orlo esterno della troclea . 0 ò 0 : n o » 0,057 » » interno » » . 0 ò 6 . 6 6 » 0,058 » della gola della troclea . o " 0 o . 0 d » 0,039 Diametro trasversale della troclea : : a o 0 0 o » 0,056 » antero-posteriore della troclea. ; 5 3 c à c » 0,036 Diametro trasversale della faccia inferiore . 5 . c 0 ” » 0,067 » » » faccetta cuboidiana . È , È . » 0,022 Larghezza massima della faccetta calcaneana esterna . . . c » 0,036 Altezza » » » » » 5 ò o o » 0,034 Larghezza » » » » interna . 6 . . » 0,024 Altezza » » » » » " . È . » 0,037 Il calcagno (Tav. XVI [VII], fig. 10, e fig. 11 pars) ha il collo compresso lateralmente, subtrigono. La superficie articolare astragaliana esterna si prolunga superiormente in una faccetta semiovale, disposta in modo da completare l’apice della riva esterna della troclea astragaliana. La faccetta sostentacolare è divisa dall’ectale mediante un solco profondissimo e stretto. La faccetta cuboidiana è molto angusta, semiellittica, concava dall’avanti all’indietro. Le principali misure relative al calcagno son le seguenti: Lunghezza totale . . ò 1 c c c ò 0 c rioni Val Massimo diametro trasverso totale. : , : o 0 0 ò » 0,069 Massimo diametro antero-posteriore (a metà altezza della faccetta ectale) » 0,051 Minimo diametro trasverso del collo . 0 0 ò 0 0 o » 0,031 » » antero-posteriore del collo ò o . Ò . » 0,047 Altezza delle tuberosità apicale (posteriormente) . c . . 6 » 0,037 Il cuboide (Tav. XVI [VII], fig. 14) è appena un po’ più alto che largo nella faccia anteriore. Sporge dalla faccia opposta un grosso tubercolo cuoriforme, con l'apice in giù: e quanto sporge dal piano di essa faccia, tanto si prolunga inferiormente, sotto al livello dell’articolazione metatarsiana. La faccia esterna è solcata verticalmente da una lieve infossatura mediana, e orizzontalmente da due docce poco profonde, contigue ai margini superiore ed inferiore. È scavato profondamente, nel lato interno, il semi- canale per l’ arteria pedidia: la faccetta posteriore per l’ ectocuneiforme, anzichè sub-parallela all’asse [45] V. SIMONELLI 133 verticale del cuboide come nel A. megarhinus, è inclinata di circa 35° rispetto all’asse medesimo. La faccia superiore ha contorno press’a poco romboidale; il suo margine anteriore è di non molto più esteso del posteriore. Appena distinto per la leggera diversità di livello è il confine tra la faccetta astragaliana e quella, di pochissimo più larga, pel calcagno. DIMENSIONI Altezza massima della faccia anteriore (lato esterno) . . c o di Ue Larghezza » » » » nel mezzo . x 7 . » 0,031 Altezza della faccia posteriore, compreso il tubercolo . 5 . l » 0,051 Diametro antero-posteriore » » 0 o " . » 0,055 Lo scafoide è quasi flabelliforme pel contorno; i lati posteriore ed esterno son quasi diritti e nor- mali fra loro, l'anteriore e l’interno si confondono in una medesima curva. È meno schiacciato dell’osso corrispondente del KR. tichorhinus, e non come questo assottigliato a cuneo verso l’esterno, gradatamente; ma prodotto in punta quasi acuta all’ angolo supero-anteriore esterno, analogamente a ciò che si vede nel 7. unicornis. All’angolo posteriore-interno raggiunge la massima altezza, che è di 24 mm; e da quest’angolo all’anteriore-esterno ha il diametro massimo di 56 mm. La faccia superiore è concava dal- l’avanti all’indietro, l’inferiore un po’ convessa nella parte corrispondente al 3° cuneiforme, e debolmente concava in quella che si mette in rapporto col 2° cuneiforme. La faccia dorsale è canaliculata lungo i margini superiore ed inferiore, coperta d’impronte irregolari nello spazio interposto. Il terzo cuneiforme ha circa 20 mm. di altezza massima, per 45 mm. di diametro antero-posteriore. Ha contorno press’ a poco cuoriforme, per via di una profonda insenatura della faccia esterna. La faccia dorsale è leggermente convessa da un lato all’altro, l’interna corre quasi diritta. Dall’angolo infero-ante- riore esterno sporge una breve apofisi, recante una faccetta triangolare pel cuboide: col quale si mette in rapporto anche un’altra faccetta, che tronca obliquamente l’angolo supero-posteriore esterno. Nel lato interno offre una faccetta allungata pel 2° cuneiforme, e più in basso e più indietro una pel 20 meta- tarsiano. La faccia superiore è debolmente concava tra un lato e l’altro, 1’ inferiore un po’ convessa nella medesima direzione. Il 20 cuneiforme è quasi triangolare, alto al massimo 15 mm. e lungo 27 mm. nel lato esterno, ch'è i più sviluppato. Ha lateralmente due faccette articolari: una pel 3° cuneiforme, allungata dall’avanti all’in- dietro, e occupante la massima parte della faccia esterna: ed una pel 1° cuneiforme, più corta, semicir- colare. La faccia articolare per lo scafoide è inclinata dall’ esterno verso 1’ interno, ed ha il margine anteriore un po’ rialzato; quella pel 2° metatarsiano è convessa tra un lato e l’altro. L’ entocunciforme o cuneiforme primo (Tav. XVI [VII], fig. 15) riproduce in tutto e per tutto i caratteri di quello del R%. Merckì di Taubach illustrato dal PortIs (Palacontographica, XXV, tav. XX, fig. 20 d); ed anche mi par che corrisponda abbastanza bene alla descrizione che dà il Sacco per quello del suo R%. etruseus var. astensis (Op. cit., pag. 29). E notevolmente compresso dall’ interno all’esterno, subacuto nel margine posteriore, rotondato nell’anteriore, percorso nella faccia libera da un rilievo longitudinale sub- mediano; si continua inferiormente con una lunga apofisi triquetra, appuntata, adunca, che contribuisce a dare all’ insieme l’aspetto di un artiglio di carnivoro. L’ osso misura 63 mm. di lunghezza massima per 30 mm. di massimo diametro antero-posteriore e 10 mm. di larghezza nella faccetta articolare scafoidiana. 134 V. SIMONELLI [46] I metatarsiani sono straordinariamente lunghi e sottili; è fortemente compresso dall’avanti all’in- dietro il corpo nel mediano, subcilindrico nell'interno e nell’esterno compresso trasversalmente. In que- st’ultimo anche l’estremità prossimale ha prevalente di molto il diametro antero-posteriore sul trasversale: negli altri, questi due diametri press’ a poco si equivalgono. Le prime falargi mostrano come i metatarsiani, nel rapporto fra lunghezza e larghezza, una notevole prevalenza di quest’ ultima. En. Mercki Eh. Mercki di di Lodesana Taubach Metat. III. — Lunghezza . 5 . È . x 0 pi ii Ita 0, 209 Larghezza dell’estr. prossimale 0 6 b o » 0, 046 0,067 » nel mezzo . . c . 7 - ” 0,032 0, 060 » inferiormente 5 o 0 x " » 0, 049 0, 074 Diametro antero posteriore nel mezzo . 5 6 » 0, 021 Metat. II. — Lunghezza . . 0 . 5 . l . » D Larghezza dell’estr. prossimale 5 0 ° . » 0, 024 » nel mezzo . . . c 3 c » 0,021 » inferiormente 0 c . o 2 » 0,032 Diametro antero-posteriore nel mezzo . . . » 0, 022 Metat. IV. — Lunghezza . 6 Ò 0 ò 5 0 . » 0, 151 0,184 Larghezza dell’estr. prossimale . c 0 c » 0, 035 » nel mezzo . 0 . 0 ò o » 0, 018 0,037 » inferiormente . . 0 ò ò » 0, 028 Diametro antero-posteriore nel mezzo . . . » 0, 024 Prima falange del dito mediano — Lunghezza. o 0 0 » 0,045 Larghezza . 0 d 0 » 0, 042 Seconda falange * » » Lunghezza. 0 o , » 0, 031 Larghezza . c o . » 0,043 Prima falange di un dito laterale — Lunghezza. o : o » 0, 038 Larghezza . . . è » 0, 027 Seconda falange » » Lunghezza. ò . 5 » 0, 023 Larghezza . 0 6 0 » 0, 026 IV. Vertebre cervicali, raccolte nelle sabbie pliostoceniche della Costa di Montauro. — Tav. XIV [V], fig. 8-11. La costa di Montauro, ove questi avanzi furon raccolti, trovasi nelle umili colline a destra del Rio Ghiaia, affluente dello Stirone, cinque chilometri al S-SO di Borgo San Donnino. Da informazioni corte- semente favoritemi dal prof. A. DeL Prato, rilevo che con quasi assoluta certezza gli avanzi medesimi si possono ritener provenienti dalle sabbie giallo-rossiccie, con pisoliti ferro-manganesifere, del post-plio- [47] V. SIMONELLI 135 cene!; tuttora aderisce alla loro superficie una sabbia grossolana intensamente colorata in giallo rossastro scuro, e in qualche punto presentano leggere velature limonitiche. Una delle due vertebre è l’epistrofeo (Tav. XIV [V], fig. 8,9), mancante di tutta la parte annulare. La sua massima lunghezza, misurata fra l’estremità dell’apofisi odontoide e un piano verticale sfiorante i margini laterali della cavità articolare posteriore, è di mm. 115; la massima larghezza, fra i margini laterali delle faccette articolari anteriori, è di mm. 132; è dunque proporzionatamente più allungata che non sia la vertebra corrispondente nel Rhinoceros di Monte Giogo. I due esemplari si rassomigliano invece per la forma e lo sviluppo del processo odontoide e per la disposizione delle faccette articolari anteriori, che anche nella vertebra di Montauro hanno il margine inferiore perfettamente orizzontale. Continuando il paragone, troviamo differentissima la forma della cavità articolare posteriore: invece d’esser cuoriforme, come nell’esemplare del Cortesi o nel RX. antiquitatis, essa è qui quasi perfetta- mente circolare: i suoi margini, invece d’essere di uniforme spessore, sono ingrossati in modo notevolis- simo lateralmente; e mentre nell’epistrofeo di Monte Giogo il margine superiore si eleva come una sottile lamina verticale continua oltre il pavimento del canale rachidiano, il margine stesso qui sporge appena oltre il piano superiore del corpo e quasi si confonde con questo, ed inoltre offre nel mezzo una depressione od intaglio distintissimo. I fianchi dell’arco vertebrale dovevano esser qui assai più robusti che non siano nell’esemplare di Monte Giogo, a giudicar da quel che è rimasto della loro base. Nella parte posteriore delle diapofisi possono ancora riconoscersi le tracce di un foro piuttosto ampio, che par si con- tinuasse, anteriormente, in una doccia non molto profonda. Per tutti i particolari che ho menzionati e per altri che ometto per brevità, io trovo che l’epistrofeo di Montauro corrisponde assai bene a quello figurato dal PortIs nella “ Osteologie von RR. Merckii JAEG. *; e che realmente sia da riferire al R%. Mercki, mi par confermato anche dall’esame dell’altra vertebra raccolta a Montauro, e senza dubbio appartenuta allo stesso individuo. Questa si riconosce facilmente per la settima cervicale (Tav. XIV [V], fig. 10, 11), dalle faccette ovali, leggermente concave, che si veggono ai lati della cavità articolare posteriore, e della diapofisi imperforate: e si mostra uguale in tutto alla settima cervicale del RR. Mercki che il Pormis figura nell’ opera sopra citata 8. Il corpo misura mm. 72 di lunghezza massima, e quasi altrettanto è larga posteriormente la sua faccia inferiore: questa è subcarenata nel mezzo, scabra per solchi e rilievi irregolari, diretti longitudinalmente, ed è limifata, a destra e a sinistra, da due creste poco sporgenti, che assieme al margine posteriore e alla base della testa articolare anteriore formano un trapezio col lato più corto in avanti. L’incavo articolare posteriore, quasi perfettamente circolare, misura mm. 56 di diametro; la testa è alta 53 mm., larga 48. Le diapofisi, incompletamente conservate, son piuttosto corte e sottili, fortemente inclinate in basso. Il foro rachidiano, limitato late- ralmente da robusti pilastri, ha 35 mm. di diametro trasversale. L’unica rimasta delle zigapofisi, l’ante- riore sinistra, ha la sua larga faccetta articolare disposta ad angolo di 45° rispetto ad un piano verticale che sia parallelo all’asse antero-posteriore della vertebra. Oltre ai descritti, sono nel Museo di Parma alcuni altri avanzi di rinoceronti, ch'io mi limiterò ad accennare di volo, perchè d’ incerta provenienza, o perchè non consentono una sicura determinazione specifica. 1 Vedi DeL PRATO A. La Geologia dell’ Appennino Parmense. Rendic. del R. Ist. Lomb., ser. II, vol. XV, fase. VII, pag. (dell’estratto) 15. Milano, 1862. ? Pag. 149, tav. XIX, fig. 5, a, db, c. 3 Op. cit., tav. XIX, fig. 9, a, db, c. 136 V. SIMONELLI [48] Tali sono: L’estremità distale di una tibia sinistra (forse di 7. megarhinus) che faceva parte della collezione Cortesi, e che dubitativamente è indicata come raccolta nel Piacentino. Due omeri incompleti, provenienti pure dalla collezione CoRrtESI, e indicati nell'inventario di questa fra le “ossa di terrestri animali tratte fuori dai colli e monti conchigliacei tra l’Arda e il Chero ,. Un frammento della lamina esterna di un molare inferiore, trovato, pare dal GuiportI, a Prato Attesola presso Lugagnano nel Piacentino. Finalmente il corpo di una vertebra cervicale (forse di &%. Mercki) che reca, di pugno dello STROBEL, l'indicazione “ Sabbia del Po? ,. C. F. PARONA DESCRIZIONE DI ALCUNE AMMONITI DEL NEOCOMIANO VENETO (Tav. XVI-XVII [I-I1]) In una mia nota pubblicata nell’anno 1890 ho riassunto le notizie fino a quel tempo raccolte sulle faune del diancone veneto ed ho accennato ai diversi piani paleontologici delle formazioni stesse, taluni ben determinati, altri appena segnalati da qualche indizio !. Poco dopo si occupò dello stesso argomento M. MuxIER? e recentemente una importante contribuzione alla miglior conoscenza stratigrafica e paleon- tologica del biancone fu portata dal sig. A. BALESTRA 8. Lo scopo di questo mio lavoro è assai modesto, proponendomi soltanto di descrivere poche forme di ammoniti, nuove o per qualche particolare riguardo interessanti, del neocomiano veneto, che, come è noto, fa parte del diancone. Queste ammoniti appartengono in parte ai musei geologici di Pavia (colle- zione del compianto Arturo Rossr) e di Pisa e mi furono trasmessi in esame dai professori TARAMELLI e CanavarI ed in parte li ebbi dal sig. A. BALESTRA, il quale mi suole usare la cortesia di comunicarmi i fossili mesozoici, che scopre e raccoglie durante le sue escursioni nel bassanese. A questi amici e colleghi mi piace di rinnovare qui i miei ringraziamenti. Lytoceras cfr. raricinctum Unr. — Tav. XVII |Ij, fig. 1. L’unico esemplare, allo stato di modello interno, è in cattivo stato di conservazione ed è infisso per un fianco sulla roccia, per modo che riesce impossibile rilevare lo spessore de suoi giri. Le dimensioni, che si possono ottenere, sono: diametro, mm. 156; altezza dell’ultimo giro, 0,32; ampiezza dell’ombelico, 0,48. L’ornamentazione a rari cercini (6 nell’ultima metà del giro esterno) lievissimamente arcuati e colle convessità rivolte all’avanti e con sottili costelline filiformi negli spazi interposti, ricorda perfettamente i C.F. PARONA. Sopra alcuni fossili del biancone veneto. Atti d. r. Ist. veneto di Sc. e Lett., tomo I, ser. VII, 1890. 2 M.MuxIER. Pt. du Tithonique, du Crétacé et du Tertiaire du Vicentin (Thèse). Paris 1891. 3 ANDREA BALESTRA. Contribuzione geologica al periodo cretaceo del bassanese. Boll. annuale del Club Alpino Bas- sanese, vol. III (1896). Bassano, 1897. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 17 138 C. F. PARONA [2] il Lytoceras raricinctum UnLIG!; ma la nostra forma se ne differenzia, oltrechè per le dimensioni assai più grandi, anche perchè la sua spira accenna ad uno sviluppo molto più lento e conseguentemente essa presenta minore l’altezza dei suoi giri e maggiore l'ampiezza dell’ombelico. Può darsi che le accennate differenze siano semplicemente di età, piuttosto che differenze specifiche. Località: Possagno, Val Vardanega (Collezione Rossi al Museo di Pavia). Lytoceras Rossii n. f. — Tav. XVII |I!, fig. 24-d. Piccolo modello interno a lento sviluppo, coi giri che si toccano appena nello avvolgimento spirale, più alti che larghi, arrotondati sui fianchi e sul lato esterno, a sezione ellittica. L’ornamentazione è data da numerosi cercini filiformi, che raggiungono il numero di 21 sul giro esterno: questi cercini sono lieve- mente flessuosi e spiccatamente proversi; solo nell’ultima porzione, estesa per meno di un terzo del giro esterno, i cercini presentano un accenno di arricciatura. Gli spazî interposti ai cercini sono quasi dovunque lisci e solo in qualche punto si notano delle traccie di finissime costelline, parallele ai cercini stessi. L’om- belico è assai ampio, poco profondo a margini arrotondati ed a suture impresse. Le linee lobali si ripetono fino a tre quarti del giro esterno; la restante parte ne manca affatto e doveva costituire la porzione interna delle camere d’abitazione. Il disegno, che presento (fig. 2 d) fu rilevato sull’ ul- tima linea lobale e di notevole offre solo il fatto, che la branca più esterna della prima sella laterale è semplice, non biforcata, come si presenta in generale nelle forme affini. Al cominciare della camera d’abitazione, i fianchi si fanno più convessi, di guisa che diminuisce la differenza fra l’altezza e lo spessore. Infatti al diametro di 40 mm. si hanno queste misure: altezza dell’ultimo giro, 0,32; spessore dello stesso, 0,30; ampiezza dell’ombelico, 0,45. Al diametro invece di 34 mm. si hanno quest’ altre misure: altezza dell’ul- timo giro, 0,32; spessore dello stesso, 0,23; ampiezza dell’ombelico, 0,45 (cfr. fig. 20, 26). Il Lytoceras inaequalicostatus D’ORB. f. del neocomiano è certamente molto affine a quello descritto. Tuttavia non è possibile riunire queste due forme, perchè le differenze, che risultano evidenti al confronto, sono troppo importanti; infatti nella nostra la differenza tra l’altezza e lo spessore dei giri è assai piccola particolarmente in corrispondenza della camera di dimora; il ricoprimento dei giri nell’avvolgimento spirale è quasi nullo; i cercini non sono rettilinei e la loro grossezza non è così spiccatamente disuguale come nella forma di D’ORBIGNY 2. Località: Valrovina (Collezione del Museo pisano). Olcostephanus f. ind. (esemplare mostruoso) — Tav. XVIII [II!, fig. 1 a-d. L’esemplare, che credo meritevole di illustrazione, sebbene assai guasto, appartiene evidentemente al gruppo dell’Olcost. astierianus D’ ORB. f. e più precisamente al tipo a giri di grande spessore e con ampio ombelico. Comunque il suo riferimento specifico è reso incerto dallo stato di imperfetta conservazione non solo, ma anche da una deformazione del giro esterno, non dovuta al fatto della fossilizzazione, ma bensì a sviluppo anormale, sicchè sembra costituire un interessante caso teratologico. È da notarsi innanzi tutto l’ineguale sviluppo dei due fianchi, per cui l'ombelico da una parte riesce più ampio che dalla parte ! V. UnLIG. Die Cephalop.- fauna d. Wernsdorfer Schichten. Denkschr. d. k. k. Akad. d. Wiss., Wien, Bd. 46, pag. 188, tav. V, fig.5,6,7, 1883. ? D’OrBIGNY. Pal. frang., t. I, 1840, Céph, crét., pag. 118, tav. 29, fig. 3-4. [3] C. F. PARONA 139 opposta. Ad accrescere poi la dissimetria si aggiunge una ampia, profonda, irregolare depressione, a modo di solco longitudinale, situata sul lato esterno, non già in corrispondenza della linea culminante del lato stesso, ma spostata verso quello dei fianchi, che presenta l’ombelico più stretto. Di più questa depressione si collega con una notevole deviazione nelle costole, le quali non attraversano regolarmente e senza inter- ruzione il lato esterno, come nelle forme normali dell’Olcost. astierianus, ma deviano tanto quelle prove- nienti da un fianco, quanto quelle provenienti dall’altro, incurvandosi fortemente con direzione retroversa, fino a raggiungere la linea più bassa della depressione, dove si interrompono, pur conservandosi quasi sempre esatto l’incontro fra le costole corrispondenti dell’una e dell’altra parte. Volendosi servire di un paragone, si potrebbe dire, che la linea depressa, cui convengono d’ambo i lati le sottili costole, ricorda la scriminatura di una capigliatura. Il suo diametro corrisponde a mm. 70 circa. Come mi sembra di poter arguire dal fatto, che una sezione del penultimo giro, si presenta regolare, questa deformità è limitata al giro più esterno. Credo assai difficile, se non impossibile, lo stabilire con certezza la causa di tale deformità; tutt'al più può attribuirsi a causa traumatica, che parrebbe l’origine più probabile anche di altre ammoniti deformate descritte dagli autori e fra le altre dell’Amm. mostruose descritto e figurato da Picret ! e dell’individuo deforme di Dowuvileiceras mammilatum Sca. f. dell’albiano di Escragnolles descritto da me e da BOoNARELLI ?. » Località: Cave di Romano (Collez. del Museo di Pisa). Hoplites epimeloides Mcx. (in sch.).— Tav. XVIII [II], fig. 2 a, d. Conchiglia discoidale, a lento sviluppo, con giri più alti che larghi a sezione ellittica, col maggior spessore a metà altezza, per poco abbracciantisi nello avvolgimento spirale. Sono ornati da costole radianti, flessuose, grosse, ottuse, che si dipartono dalla sutura ombelicale; sono per la maggior parte semplici, ma ogni tre se ne osserva una più robusta, la quale verso il terzo esterno del fianco presenta un nodo, dal quale si irradiano due altre coste; buon numero delle costole, semplici o derivate dalla biforcazione, arrivando al margine del lato esterno formano un nodo. Complessivamente sull’ultimo giro si contano 48 costole. Il lato esterno è stretto e formato per ciascun lato da una corona irregolare di nodi e nel mezzo da una bassa e liscia carena, che risulta dalla riunione delle estremità delle coste affievolite e fortemente dirette all’avanti. L'ombelico è ampio, a margini arrotondati e lascia vedere parte dei giri interni, sui quali le coste sono più fini e più stipate. DIMENSIONI Diametro . 9 c c 6 c o 6 È mm. 39 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro o . 0 o 0 0, 38 Spessore dello stesso » » 0, 25 Ampiezza dell’ombelico » » c b 0 . 0, 33 È affine allo Hopl. hystriv BrAN.3; ma ne differisce per il minore spessore, per la diversa costitu- ») zione del lato esterno e nei dettagli dell’ornamentazione. 1 Prcret F.J. Ét. pal. sur la faune à Ter. diphyoides de Berias (Ardèche). Mél. paléont. , 1867, pag. 87, pl. 18. 2? Parona C.F.e BowarELLI G. Fossili albiani di Escragnolles ece. Palaeontographia Italica, vol. II, tav. IV, fig. 5, 1897. i © NeUuMAYR und UBLIG. Ueb. Ammonitiden aus den Hilsbildungen Norddeutschlands. Palaeontogr., Bd. 27, 1880-81, pag. 175, tav. XLII, fig. 3. 140 C. F. PARONA [4] Dalle informazioni favoritemi dal prof. CANAVARI, mi risulta, che questa forma fu istituita dal prof. ME- NEGHINI sopra un esemplare avuto in esame dal MassaLonco e proveniente dal neocomiano di Tregnago. Questa nuova forma del MENEGHINI non fu mai descritta, nè figurata; soltanto fu citata in quaiche lavoro col nome assegnatole dal MENEGHINI*. Località: Io non ebbi in esame l'esemplare tipo, restituito dal MenEGHINI al Massaron6o: la mia descrizione si riferisce ad altro esemplare, che proviene da Valrovina (Collez. del Museo di Pisa). Hoplites n. f. (cfr. H. Barowae Unn.). — Tav. XVIII [II], fig. 3. L’unico, piccolo modello interno è infisso per un fianco sul calcare ed è incompleto. Per l’ornamen- tazione e particolarmente per le coste larghe ed appiattite sulla metà esterna dei fianchi presentasi stret- tamente affine allo Hopl. Barowae UnL.? e in modo speciale ai giri interni di questa forma. Non è però possibile 1’ identificare le due forme, perchè nella nostra lo sviluppo della spira risulta più lento e quindi appaiono più stretti i giri e più ampio l’ombelico. Nessuna traccia di linea lobale. Le dimensioni rileva- bili sono le seguenti: Diametro . o 5 È o 0 0 9 a . mm. 4l Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro à 5 0 o 0 0, 31 Suo spessore » ” © . 0 o 0 0, 20 Ampiezza dell’ombelico » » a 0 Ò 0, 43 Località: Cave di Solagna (Collezione BALESTRA). Hoplites Seccoi n. f. — Tav. XVII [I], fig. 3, 4a, d. Conchiglia discoidale, subinvoluta, con giri più alti che larghi, a sezione subellittica, con maggior spessore in prossimità del margine ombelicale, abbracciantisi per circa un terzo nello svolgersi della spira. Il giro esterno presenta cinque strozzature profonde, diritte e fortemente proverse, che passano da un fianco all’altro. L’ornamentazione è irregolare: sopra ciascuno dei due ultimi intervalli fra le strozza- ture si notano due tubercoli sull’arrotondato margine ombelicale, da ciascuno dei quali si dipartono due costole, le quali a varia distanza si biforcano; esse sono grosse, hanno un decorso flessuoso e radiante, che contrasta colla direzione spiccatamente proversa delle strozzature. Sugli intervalli più interni, dal margine ombelicale parte un maggior numero di costole, le quali verso la metà all'incirca del fianco pre- sentano un nodetto, da cui si staccano due altre coste, più raramente tre. Tutte queste costole si arre- stano al margine del lato esterno, il quale è strettissimo, risultando costituito dalle estremità perfetta- mente simmetriche delle coste dei due fianchi e da leggero solco longitudinale interposto. L'ombelico è relativamente ampio e lascia vedere parecchi giri di spira; il margine è depresso nei giri interni e per metà dell’ultimo giro; nel resto è alto ed angoloso. Nessuna traccia di linea lobale. DIMENSIONI Diametro (fig. 4) . : 0 6 0 6 0 mm. dl Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0 o ò ò o 0, dI Spessore dello stesso » » i . 3 " i (0) 31€) Diametro dell’ombelico » » . Ò 0 ; . 0, 19 1 E. NicoLIs. Note iMlustr. alla carta geol. della provincia di Verona, pag. 43. Verona, 1882. — E. NicoLIs e C. F. PARONA. Note str. e paleont. sul Giura sup. della prov. di Verona. Boll. d. Soc. Geol. It., vol. IV, 1885, pag. 18. ? V. UnLIG. Die Cephalop.-fauna d. Wernsdorfer Sch. Denk.d.k.k. Akad. d. Wiss., Wien, Bd. 47, 1883, pag. 251, tav. XX, fig. 5, 7-11, tav. XXI, fig. 1. [5] C. F. PARONA 141 Un frammento di un esemplare più grande (fig. 3) (diam. 80 mm. all’ incirca) della stessa provenienza, presenta l’ornamentazione ancora più irregolare: le strozzature sono delimitate da due veri cercini e dal margine ombelicale negli spazi interposti alle strozzature stesse si diparte un’unica costola, la quale ri- petutamente poi si biforca. È questa dunque una forma la quale modifica sensibilmente i suoi caratteri ornamentali nello svolgersi della spira. Un altro grande esemplare (diam. mm. 120), incompleto e defor- mato da compressione, ma coi caratteri ornamentali ben distinti e perfettamente corrispondenti a quelli del frammento ora descritto, si conserva nel Museo Civico di Milano, dove mi fu possibile di studiarlo per cortesia del prof. MARIANI. Essa appartiene al gruppo dell’ Amm. meocomiensis D’ORB. e per l’ornamentazione si avvicina allo Hoplites cfr. neocomiensis (D’ORB.) Neum. et UnL.!, pur differendone specialmente per la strettezza del lato esterno. È anche affine all’ Ammon. Hugii VosteR del neocomiano 2, il quale tuttavia si mantiene distinto dalla nostra forma per aver le costole più fine, più numerose, l’ornamentazione più regolare e le strozzature meno larghe. Località: Provengono dalle cave di Solagna (Collez. Rossi (Pavia) e BaLestRA) e dai dintorni di Asiago (Collez. Museo Civico di Milano). Hoplites Catulloi n. f. — Tav. XVII [I], fig. dae. Conchiglia discoidale; i suoi giri sono più alti che larghi, a sezione subquadrangolare, appiattiti sui fianchi e poco convessi sul lato esterno, appena ricoprentisi sul lato stesso nello avvolgimento spirale. Sono ornati da costole proverse, alquanto flessuose, numerose (circa 70 sull’ultimo giro) e di doppio ordine, le primarie si dipartono dal margine ombelicale ed attraversano i fianchi ed il lato esterno senza inter- rompersi; le secondarie compaiono verso la metà dei fianchi in numero di una o, più generalmente, di due negli intervalli fra le primarie, delle quali hanno eguale l'andamento e lo sviluppo. Ombelico ampio, piuttosto profondo ed a margine angoloso. La camera di dimora occupa oltre la metà dell’ultimo giro, come è indicato da qualche traccia delle ultime linee lobali, visibili sopra un fianco in corrispondenza del margine ombelicale; nel resto la lobatura è coperta dal guscio, che riveste i giri interni ed oltre la metà dell’ultimo giro di quest’unico esemplare. DIMENSIONI Diametro . 0 o 0 0 0 : 0 È . . . . mm. 47 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro c 0 ò . . 0, 38 Spessore dello stesso » DINI . . : o 0 0, 24 Diametro dell’ombelico » » G . 0 . ò 0, 34 È evidente l’affinità stessa collo Hopl. angulicostatus »’ORB.* f. del neocomiano ed infatti con questo nome stava nelle collezioni del Museo pisano. Ma non si può mantenerlo associato alle forme di D’ORBIGNY per vari caratteri differenziali assai importanti. Nell’ornamentazione differisce per avere le costole assai più numerose e la differenza risulta particolarmente evidente al confronto tra le rare costole dei giri interni 4 M. NeumayR und UgLIG. Uedb. Ammonitiden aus den Hilsbildungen Norddeutschlands. Palaeontogr., Bd. 27, 1880-81, tav. XLVIII, fig. 3. 2 W. A. OostER. Catal. des Céphalop. foss. des Alpes Suisses. Zurich, 1860, part. IV (CLXXII), pag. 103, tav. 24, fig. 7-15. 3 pD’OrBIGNY. Pal. frang., t. I, Céph. crét., 1840, pag. 146, tav. 46, fig. 3, 4. 142 C. F. PARONA [6] delle figure di D’OrRBIGNY e quelle fittissime e sottilissime del nostro esemplare. Diverse sono anche le proporzioni delle varie parti: nella forma nostra l’ombelico è più stretto, i giri sono più alti e meno spessi, il lato esterno meno appiattito ed il margine ombelicale più angoloso. Dalle forme poi, riferite da Picrer! alle specie di D’ORBIGNY, essa differisce assolutamente per la diversa conformazione ed ornamen- tazione del lato esterno. Località: Breonio (Collez. del Museo di Pisa). Crioceras Emerici Lév.(?) — Tav. XVII [I], fig. 6. Presento la figura di un ammonite, infisso per uno dei fianchi sulla roccia ed in parte allo stato di sem- plice impronta, il quale è affine all’esemplare rappresentato da OostER ? colla fig. 3 della sua tav. 47, sotto il nome di Arcyloceras Honnorati, specialmente per la forma delle spine uncinate, sebbene meno sviluppate, pur differendone alquanto per avere il giro più stretto, più convesso e la spira più svolta. Le spine uncinate; le coste, che portano le spine ed i nodi, meno sviluppate e più rade; le altre coste, degli spazîì interposti alle precedenti, più spaziate, più robuste, flessuose e più frequentemente biforcate; i giri toccantisi nello sviluppo di tutta la spira dell'esemplare, che raggiunge il diametro di 60 mm., rendono sensibilmente diversa questa forma dalle figure tipiche di LéveILLÉ ® ed anche da quelle di p’ORBIGNY4. D'altra parte lo studio critico fatto sopra il Crioceras Emerici indusse UHLIG ® a riunire sotto questa denominazione parecchie forme non meno differenti dalle figure tipiche citate, quali quelle di Straconka e di Lipnik da lui descritte e figurate e quella distinta come Ancyl. Honnorati da OostER e rappresentata dalla figura già citata. Tuttavia non credo sufficientemente dimostrata la necessità di riunire la nostra forma veneta con quella di Lévemné e lascio quindi dubbio il riferimento specifico. Un altro esemplare più piccolo (diam. 42 mm.), del pari infisso per un fianco sulla roccia e mancante dei giri più interni, ripete gli stessi caratteri di forma e di ornamentazione. Località: L’esemplare figurato proviene da Solagna (Collez. BaLesTRA) e quello più piccolo dal Monfenera (Collez. Rossi al Museo di Pavia). Crioceras (?) Balestrai n. f. — Tav. XVIII [II], fig. 4a-c. Modello interno incompleto e parzialmente rivestito dal guscio, costituito da soli due terzi di giro. Il giro è fortemente compresso sui fianchi e più verso il lato esterno che non sulla parte interna, per modo che la sezione del giro risulta assai più alta che larga e colla maggior larghezza presso il margine ombelicale. Il margine ombelicale è angoloso, quasi tagliente e da esso prendono origine le radici dei grossi 1 PrcreTt F. J. Mélang. paléont. Trois. not., pag. 30, tav. 1 bis. Mém. Soc. d. Phys et d’Hist. Nat. de Genève, tom. 17, 1864. ? OostER. Cat. des Céphal. foss. d. Alp. suisses, 1860, part. V (XXVIII) pag. 49, tav. 47, fig. 3. 3 LeveiLL®. Descript. de quelg. nouv. coquill. foss. du dép. de Basses Alpes. Mém. Soc. Geol. de France, II (1835-37), pag. 314, tav. XXIII, fig. 1 a-b. 4 p’OrBIGNY. Paléont. frane., t. I, 1840 pag. 463, tav. 114, fig. 3-5. 5 V. UnLIG. Die Ceph.-fauna d. Wernsdorfer Schichten. Denkschr. d. k. k. Akad. d. Wiss., Wien, Bd. XLVI,1883, pag. 261, tav. XXVII, fig. 3, tav. XXXII, fig. 1. {7] C. F. PARONA 143 nodi, trasversalmente allungati, che in numero di sedici formano corona al margine stesso. La radice esterna di ciascun nodo si suddivide in tre, raramente in due o quattro, pieghe trasverse, dapprima assai poco distinte e poi ben individualizzate, che si arrestano al margine del lato esterno allargandosi a forma di piccolo nodo, allungato nel senso della spira. Il lato esterno è stretto, subappiattito e liscio. Fra il dodicesimo ed il tredicesimo grosso nodo si osserva una larga strozzatura, incurvata e proversa, che si mantiene distinta sui fianchi e sul lato esterno. La corona esterna dei nodetti non oltrepassa questa stroz- zatura, oltre la quale il giro porta pieghe meno distinte e presenta il lato esterno più convesso. L’or- namentazione è esattamente eguale sui due fianchi. DIMENSIONI Diametro . ò 0 o : o ò o 6 . mm. 102 Altezza del giro in iabpario al miasicno ; 0, 29 Spessore in corrispondenza dei nodi e in rapp. al dinero 0, 15 Spessore nell’internodio » » 0, 10 Ampiezza dell’ombelico » » 0, 51 Per l’ornamentazione ed in particolare per la presenza della corona interna dei grossi nodi, questa forma si distingue spiccatamente dai crioceri a me noti; anzi direi, che il tipo ornamentale è insolito così da lasciarmi in dubbio sull’esattezza del riferimento generico. Ma a questo riguardo credo prudente di non insistere, tanto più che sfortunatamente questo interessante esemplare, oltre essere incompleto, non presenta traccia della linea lobale. Località: Proviene dai Collalti e precisamente dalle cave dette di Pove (Collezione BALESTRA). 144 C. F. PARONA INDICE DELLE SPECIE DESCRITTE Lytoceras cfr. raricinctum UnL. — Tav. XVII [I], fig. 1 » Rossii n.f. — Tav. XVII [I], fig. 2ad. . Olcostephanus f. ind. (esemplare mostruoso). — Tav. XVIII [II], fig. 1a-d Hoplites epimeloides MGH. (in sch.). — Tav. XVIII [II], fig.2 a, d » n. f. (cfr. H. Barowae UunL.). — Tav. XVIII [II], fig. 3 » Seccoi n. f. — Tav. XVII [I], fig. 3,40, d » Catulloi n. f. — Tav. XVII [I], fig. 5a-c . Crioceras Emerici Lév. (?). — Tav. XVII [I], fig. 6 » (?) Balestrai n.f. — Tav. XVIII [II], fig. 4a-c P.E. VINASSA DE REGNY SYNOPSIS DEI MOLLUSCHI TERZIARI DELLE ALPI VENETE (Tav. XIX-XX [VI-VII]) (Continuazione e fine della parte prima) IV. Zovencedo (Tufo glauconitico). La fauna interessantissima dei tufi glauconitici di Zovencedo non era mai stata studiata da alcuno, e la località venne appena accennata dal BavAn come eocenica. Ne parlai io pel primo nel 1893, nella nota preventiva a cui questa Synopsis fa seguito, ed indicai i nomi di alcune specie nuove da me rin- venute. Durante la pubblicazione delle prime parti della. mia Synopsis, il dott. OpPENHEIM ! si poneva a studiare questa fauna, ed a lui quindi si deve la prima illustrazione completa di essa ?. Espressi già l’idea che i tufi fossero da considerarsi come un poco più recenti del piano di Roncà; credo adesso invece che essi vi siano interamente rispondenti. Come ho già detto altra volta, non è qui il caso di fare discussioni stratigrafiche *, trattandosi di dare un semplice elenco di fossili; ma dal com- plesso della fauna credo che si possa benissimo giudicare dell’età schiettamente eocenica dei tufi di Zo- vencedo. Ne do qui l'elenco colle principali corrispondenze. NOME DELLA SPECIE = SANE VARIE LOCALITÀ Corbula pixidata BeLL. = = Ce = dt 25 » leonina OPPH. . 0 . 0 ò _ — - 22 ES DE Psammobia granconensis OPPH. © pe da — _ _ —_ — — | Grancona. 1 OppenHEIM. Das Alttertiéir der Colli Berici in Venetien ecc. Zeitschr. der deut. geol. Gesell. Bd. 48, Heft 1. 2 Molto probabilmente anche questa volta il dott. OPPENHEIM, che ricorre sempre ai mercanti di fossili, deve avere fatto qualche confusione di località per alcune forme. Le specie che cito e descrivo adesso vennero tutte quante estratte da me stesso da un grosso masso di tufo glauconitico, proveniente dallo scavo del pozzo San Gottardo: non vi è quindi nel mio elenco alcuna confusione possibile. 3 A questo proposito si può vedere la polemica sollevata senza alcuna ragione dal dott. OPPENHEIM, nell’anno secondo della Rivista di Paleontologia (pag. 50). Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 18 146 P. E. VINASSA DE REGNY [104] NOME DELLA SPECIE San Giov. Ilarione) Roncà Bacino di Parigi Pirenei Nizza | VARIE LOCALITÀ | Anisodonta ambigua Dsu. Arca barbatula LmK. » Ristorii VIN. » Van den Heeckei BELL. » biangula Lmx. » granulosa DsE. » Gottardi n. f. » filigrana Dsx. . Limopsis minima n. tf. Cardium minarum OPPH. » pergratum OPPH. » polyptychtum Bav. » Sp. nov. ind. Cardita asperula Dsx. Lucina Astarte OpPH. » concors OPPH. 0 Cytherea lucinaeformis OPPH. . Septifer Eurydice Bay. Vulsella falcata MuENST. . » minima DsH. fadula Gottardi n. f. Pecten Venetorum OpPPH. . , o Spondylus gigas n. f. Patella cassis OPPA. . Delphinula calcar Lmx. Solariella odontota Bay. Trochus Salomoni OrPH. » leoninus OPPH. » Gottardi n.f. Collonia subturbinata Bay. » Beyrichi OpPH. Pyramidella terebellata LMmx. Natica acuminata Lmx. » epiglottina LmK. » debilis Bay. » cepacea Lmx. Ampullina sigaretina Lmx. sp. » depressa LmK. sp. Discohelix Beyrichi OrrH. parar I ++ +1++ I+4++++] +++ | | +++ I+++1 Kressenberg. Monte Pulli. Kressenberg. Oligocene veneto sec. OPPH. Ungheria. Sangonini. |105] P., E. VINASSA DE REGNY 147 NOME DELLA SPECIE San Giov. Ilarione Roncà Bacino di Parigi Pirenei Nizza Friuli VARIE LOCALITÀ Phasianella (?) zovencedensis OPPH. . Turritella lapillorum OppA. Siliquaria anguiniformis OpPH. Cerithium Schmiedti n. f. » Juliae OPPH. » vulcaniforme OpPH. » Rauffi OpPH. » undosum BRONGT. » turritelliforme OpPPH. » lamellosum BRUG. Bittium semigranulosum LmK. sp. » subplicatulum OpPPH. Diastoma costellatum LMmK. Triphoris sinistrorsum DSH. sp. Chenopus Zignoi De GREG. sp. Strombus Boreli Bay. Rimella canalis Lwx. » fissurella Lmx. Terebellum carcassonense Levm. » sopitum BRAND. Cypraea corbuloides BELL. » parvulorbis De GREG. Ficula elongata Mez. Triton triamans De GREG. : e Latirofusus Pellegrinii De GREG. sp. Mitra Gottardi n.f. » crebricosta Lmx. Lyria harpula Lmx. sp. Marginella crassula DSH. » phaseolus BRONGT. » pseudovulata OPPH. » amphora OPPH. Ancillaria canalifera LMK. Conus conotruncus DeGREG. var. acutispira n.v. » parisiensis DsH. Borsonia cfr. nodularis DsH. Drillia cfr. margaritula DSH. . Bulla plicata DsH. » striatella LmK. ++ + a) Monte Postale. Ungheria. Monte Pulli. Kressenberg. Oligocene veneto. Oligocene veneto. Oligocene veneto. 148 P. E. VINASSA DE REGNY [106] NOME DELLA SPECIE VARIE LOCALITÀ San Giov. Ilarione Bacino di Parigi Roncà Pirenei Nizza Friuli Bulla incisa OPPH. . 7 ò Ò o . — = = = — = | » semistriata Dsn. . . . o . _ I + = ve mC » magnifica OpPH. . l 0 ò c —_ _ = = 5 na » melo n.f. . o 3 ò ; B — _ ES = = DEI Ringicula Ritae n.f. - © 0 0 0 — — — = Ss == ————— - Sono 83 forme ben determinate, da cui tolte le nuove, ne restano 53. Di queste se ne hanno a co- mune con Roncà, San Giovanni Ilarione ecc. 39; col bacino di Parigi 8; solo 3, cioè Solariella odontota Bay., Marginella crassula DsH., Ancillaria canalifera Lmx., che si trovano anche negli strati superiori del Veneto, nel bacino di Parigi stanno però nel livello del calcare grossolano eocenico. La sola specie Pecten Venetorum OPPH., di cui però io non ho mai visto esemplari sicuri eocenici, è assai comune nel solo oligocene veneto. Corbula pyxidata Beln. 1896. Corbula piridata BeLL. Oppennem. Colli Berici, pag. 54 (cum syn.). Corbula lecnina Oprx. 1896. Corbula leonina Orpenzem. Colli Berici, pag. 55, tav. II, fig. 12. Psammobia granconensis OpPH. 1896. Psammobia granconensis Oprennem. Colli Berici, pag. 99, tav. II, fig. 9. Non conosco questa specie, nè altre simili dei tufi di Zovencedo. Essa, secondo OPPENHEIM, passa anche nella lumachella superiore di Grancona. Anisodonta ambigua Dsx. sp. 1896. Anisodonta ambigua Dsr. Orpennem. Colli Berici, pag. 53 (cum syn.). Arca barbatula Lmx. 1896. Arca barbatula Lwr. Oprenmeni. Colli Berici, pag. 47 (cum syn.). Ne ho un esemplare mal conservato, ma che mi sembra assai ben rispondente a questa specie del bacino di Parigi, che ora conosco anche di San Giovanni Ilarione. Arca Ristorii Vin. x Questa forma è comune a Ciupìo ed a Roncà: OpPENHEM la cita anche a Zovencedo, di dove però io non la conosco. [107] P. E. VINASSA DE REGNY 149 Arca Van den Heeckei Brun. La forma, sinora limitata alla formazione di Nizza; fu da me trovata a Roncà, ed ora viene citata «anche da OpPENHEIM a Zovencedo, di dove io pure ne posseggo un esemplare incompleto. Arca biangula Lx. Nessuna diversità notevole ho trovato tra l’esemplare di Zovencedo, assai ben conservato e completo, e quelli delle altre località eoceniche del veneto. Arca granulosa Dsx. 1896. Arca granulosa Dsn. OrpennEem. Colli Berici, pag. 49 (cum syn.). La forma, secondo OPPENHEIM, si trova anche a Ciupìo da dove io non la conosco; a Zovencedo nella mia collezione essa è rappresentata da un esemplare piccolissimo benchè completo, che per la forma ge- nerale, gli ornamenti e la crenulatura del margine immediatamente si riconosce appartenere a questa specie. Arca Gottardi n. f. — Tav. XIX [VI|, fig. 1a-c. A. testa ovato-obliqua, transversa, valde inaequilaterali, subglobulosa; patente costata; costis radiantibus ele- vatis, planiusculis, squamosis, anticis tenuioribus, posticis patentioribus, ad peripheriam latioribus; striis concen= tricis parum motatis; umbonibus globulosis, parum proéminentibus; cardine recto, parum elongato ; dentibus cre- berrimis, minutis; margine crenulato. Questa forma è una conchiglia ovale, allungata, molto obliqua ed inequilaterale e assai rigonfia; la porzione posteriore è assai più larga che non l’anteriore, ed un poco più depressa. Su tutta la super- ficie si vedono coste assai numerose, ben rilevate, larghe, pianeggianti, più spiccate posteriormente che non anteriormente, ma sempre ben visibili; queste coste aumentano di larghezza presso alla periferia ‘della conchiglia. Delle strie concentriche assai spiccate, specialmente sulla porzione mediana più rigonfia, ‘tagliano queste coste e le rendono squamose. Gli umboni sono assai poco sporgenti, rigonfi, e molto spinti verso la porzione anteriore. Il cardine è diritto, non molto lungo, appena ricurvo alle due estre- mità, e fornito di numerosissimi denti, assai piccoli; tutto il margine è minutamente crenulato. Questa specie è assai prossima alla A. granulosa DsH. dalla quale si distingue non solo pel suo con- torno, ma anche per gli ornamenti, che nella nostra specie sono coste squamose, mentre nella specie pa- rigina sono granulate. — Assai comune. Arca filigrana Dsn. 1896. Arca filigrana Dsn. Orpennem. Colli Berici, pag. 50 (cum syn.). Il dott. OrpeNnHEIM non ha che un frammento di questa specie, io ne ho, oltre che dei frammenti, un ‘esemplare quasi completo, il quale, a differenza delle altre forme di Zovencedo, è di dimensioni assai grandi, essendo quasi 35 mm. di lunghezza massima. La scultura caratteristica e la forma dell’area non lasciano alcun dubbio sulla determinazione specifica. Sembra la forma di Arca più comune a Zovencedo. 150 P. E. VINASSA DE REGNY [108] Limopsis minima n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 2 4-2. L. testa minima regulariter orbiculari, subdepressa, auequilaterali, simmetrica; costulis patentibus, ad umbones evanescentibus; lineis curcularibus costulas decussantibus ibique nodulosis, ad umbones, ubi costae desunt, continuis, patentibus, denique evanescentibus; umbonibus sat proéminentibus, acutis: margine cardinali angusto, crasso, pau- cidentato; dentibus 4-5 utroque latere, crassiusculis, simplicibus praedito; marginibus crenulatis, crenulationibus laterabilis minoribus. ; La conchiglia orbicolare, assai depressa, si distingue dalle sue congeneri oltrechè per le dimensioni, anche per la sua scultura regolarissima. Si hanno delle coste molto spiccate al margine esterno, evane- scenti completamente in vicinanza degli umboni; le strie concentriche, esse pure molto spiccate al mar- gine esterno, intersecano tali coste, cosicchè la conchiglia presenta come delle corone concentriche regola- rissime di noduli spiccati, rilevati, distinti. Verso gli umboni queste strie, non essendovi più le coste, sono continue; avvicinandosi poi sempre più agli umboni esse pure svaniscono. Il cardine è munito di 8-10 denti assai grossi, semplici, posti su di una linea lievemente arcuata; tutto il margine ventrale è fortemente crenulato; le crenulazioni laterali sono un poco meno nette e minori delle ventrali. Questa specie ha grandi somiglianze col Pectunculus granulatus Lmx. che è pure di dimensioni assai piccole; credo però che da esso vada distinta per la forma del cardine assai diversa e per gli ornamenti; inquantochè mentre nella specie parigina si ha una granulazione molto netta derivante dall’inerocio degli ornamenti concentrici e radiali, nella nostra sono prevalenti gli ornamenti radiali, mentre i concentrici sono assai meno spiccati. | Forse la forma citata da OPPENHEDI (Colli Berici, pag. 50) sotto il nome di Lim. granulata è la stessa cosa colla nostra. Cardium minarum OpPx. 1896. Cardium minarum OrpenzEni. Colli Berici, pag. 52, tav. II fig. 11. Anche questa è una specie comune e assai variabile per forma e ornamenti. Ho infatti esemplari assai più alti ed esemplari assai più rotondeggianti di quello figurato da OpPENHEIM: in tutti però si mantiene la caratteristica asimmetria della conchiglia. Gli individui molto giovani e ben conservati in- vece di presentare le coste raggianti ottuse o piatte, più o meno evanescenti verso l’umbone, hanno, specialmente sulla parte anteriore del guscio, delle coste acute, regolari, molto spiccate, e gli spazi in- tercostali sono muniti di fittissime striature, che vanno orizzontali da costa a costa. Cardium pergratum OrPH. 1896. Cardium pergratum OprenzEn. Colli Berici, pag. 53, tav. V, fig. 6. Un solo esemplare, ma interamente rispondente alla specie di OPPENHEMN. Cardium polyptychtum Bay. 1896. Cardium polyptychtum Bay. Oppengeni. Colli Berici, pag. 53 (cum syn.). Non conosco di Zovencedo questa specie la quale però è assai comune in tutto il Veneto. [109] P. E. VINASSA DE REGNY 151 Cardium sp. nov. ind. È un piccolo esemplare a margine ventrale rotondeggiante, a coste raggianti assai grandi, equidi- stanti e piane, che si distingue da tutte le specie che io conosco per la forma diritta e molto allungata del margine cardinale, il quale lateralmente all’umbone si prolunga in una specie di orecchietta. Da un lato esso però è rotto, e non permette di dare maggiori dettagli di descrizione. Cardita asperula Dsx. -1896. Cardita asperula Dsn. Orpennem. Colli Berici, pag. 51 (cum syn.). Corrispondentissima, salvo che per le dimensioni, alla forma figurata e descritta dal Desmaves. È giustissimo quanto a proposito di questa forma scrive il dott. OPPENHEIM sull’errore cioè commesso dal RovauLr nell’identificare con questa, la forma molto diversa di Pau. La specie descritta e figurata dal x RovAauLT è infatti tutt'altra cosa, e va distinta dalla forma del bacino di Parigi. Propongo che la specie dei Pirenei venga chiamata C. Oppenheimi nom. mut. in onore del primo, che ne scoprì la diversità da quella parigina. Ù Lucina Astarte Oppau. 1896. Lucina Astarte Oprpennen. Colli Berici, pag. 51, tav. II, fig. 8. Lucina concors Orpx. 1896. Lucina concors Oppenzem. Colli Berici, pag. 52, tav. II, fig. 7. Cytherea lucinaeformis OrPx. 1896. Cytherea lucinaeformis OrrenHEM. Colli Berici, pag. 54, tav. II, fig. 13. Ne ho un esemplare più piccolo la metà di quello figurato e descritto da OpPeNHEIM. Le strie con- ‘centriche nel mio esemplare sono appena visibili. Septifer Eurydice Bay. È un piccolo esemplare, che a parer mio risponde interamente alla specie di San Giovanni Ilarione. Soltanto l’umbone è forse un poco più arcuato, ed il contorno generale è un poco più acuto. Notevole è poi l’embriciatura irregolare della conchiglia. Vulsella falcata Murnsm. 1896. Vulsella falcata Muensr. Oppennem. Colli Berici, pag. 46 (cum sym.). Vulsella minima Dsx. 1896. Vulsella minima Dsn. OprennemM. Colli Berici, pag. 45 (cum syn.) 152 P. E. VINASSA DE REGNY [110] Radula Gottardi — Tav. XIX [VI], fig. 3a-b. R. testa ovato-oblonga, fere aequilaterali, depressa, tenui, parum obliqua, ad umbones attenuata, costata; costis radiantibus crebris, minutis, angustis, regularibus, aequalibus, parum flexuosis, interstitàis aequalibus, laevigatis, concentricis obsoletis clathratis; auriculis inaequalibus, postica breviore, antica planiuscula, elongata, patente striata; cardine satis lato, simplici. Questa è la prima forma di Radula che si sia trovata a Zovencedo. L’esemplare è pur troppo in- completo, lascia però riconoscere che si tratta di una nuova specie assai interessante. La conchiglia è ovale allungata, quasi equilaterale, assai depressa e sottile, pochissimo obliqua, più stretta presso gli umboni e più larga verso il margine ventrale. Tutta la superficie è adorna di coste radianti, numerosis- sime, sottili, minute, regolari, uguali tutte tra loro e appena flessuose: tra costa e costa gli spazi inter- posti sono, a quanto se ne può vedere, interamente levigati, e di dimensioni quasi uguali a quelle delle coste. Queste coste raggianti sono tagliate a grandi distanze da alcune strie concentriche di accre- scimento. Le auricole sono disuguali tra loro; l’ anteriore è pianeggiante, assai allungata, separata dal resto della conchiglia per un rilievo assai forte e ornata da coste assai spiccate, concentriche; la po- steriore invece è breve, e porta ornamenti raggianti come il resto della conchiglia, però più radi. Il car- dine è semplice, ma assai largo, e diviso in due parti uguali dalla fossetta legamentare. Le somiglianze maggiori si hanno colla Lima pretiosa DsH. (Bassin, II, pag. 64, tav. 78, fig. 16-19), ma se ne distingue, oltre che per le dimensioni, per la forma generale e per gli ornamenti assai diversi. Pecten Venetorum OrPx. 1896. Pecten Venetorum OrrennEM. Colli Berici, pag. 43, tav. II, fig. 14, 15. Cito questa specie sulla fede di OpPPENHEIM, non avendone mai avuti esemplari. Spondylus gigas n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 4a-b. S. testa crassa, suborbicolari, depressiuscula, costata; costis crebris radiantibus, majoribus, parum undulatis, aculeatis, costis minoribus ad umbonem unicis, ad peripheriam duobus vel tribus interjectis non spinulosis, sulcis interpositis costas fere aequantibus; stris concentricis crebris, ad peripheriam patentioribus; umbone parum protmi- nente; margine ventrali irregulari, minutissime linealiter crenulato; cardine crasso, dentibus magnis, proéminen- libus praedito. Questa forma è una delle più grandi conchiglie di Zovencedo, dove, come già osservai, quasi tutte le forme sono minutissime. La conchiglia è orbiculare, assai depressa, a margine ventrale assai irregolare, largamente sinuoso. Tutta la superficie è adorna di coste raggianti di svariate dimensioni. Le maggiori di esse sono visibili sin presso all’umbone, si continuano sino al margine esterno e portano presso a questo margine degli aculei. Tra mezzo ad esse, presso all’umbone, sì trova una costa mediana, non acu- leata, assai minore; ma progredendo verso il margine esterno queste coste intermedie aumentano sino a divenire due e tre; quando sono tre, la costa mediana è sempre un poco più larga delle due laterali, senza però arrivare mai alle dimensioni della costa principale aculeata. I solchi interposti alle coste sono di dimensioni quasi uguali a quelle delle coste, per lo più minori, ma talvolta possono di poco superarle. Il margine esterno, come si è detto, è irregolare e largamente sinuoso; gli aculei sono irregolarmente di- sposti, non troppo fitti, e sembrano, a giudicarne dalla base, non essere molto sviluppati. Il cardine è [111] P. E. VINASSA DE REGNY 153 assai sviluppato, e presenta rilevatissimi denti, che non offrono diversità notevoli con quelli delle specie consimili. Per la forma generale si può avere qualche analogia collo Sp. radula Lmx. dell’eocene medio, da cui si distingue per gli aculei assai più irregolarmente disposti e meno numerosi, tanto che si perdono a poca distanza dal margine ventrale, e per le ornamentazioni delle coste intermedie. Dallo Sp. cisal- pinus BroNGT. si distingue a prima vista per essere più orbicolare e più compresso. Patella cassis Orru. 1896. Patella cassis Orpenuem. Colli Berici, pag. 55, tav. II, fig. 2, 3. Questa forma, secondo OPPENHEIM, si trova anche a Roncà; a me è ignota tanto di Zovencedo quanto di Roncà. Delphinula calcar Lux. 1896. Delphinula calcar Lux. Oppennemm. Colli Berici, pag. 56 (cum syn.). Solariella odontota Bar. sp. 1896. Solariella odontota Bay. Orpennen. Colli Berici, pag. 56 (cum syn.). Tre esemplari assai ben rispondenti. Trochus Salomoni Orrx. 1896. Trochus Salomoni OrrennEM. Colli Berici, pag. 57, tav. IV, fig. 2. Una specie molto interessante, del tipo del Trochus Bolognai Bar. di Roncà. Trochus leoninus Oprx. 1896. Trochus leoninus OrrenzEM. Colli Berici, pag. 57, tav. III, fig. 3. 1896. — granconensis Oppenzen. Colli Berici, pag. 58, tav. III fig. 4. Le diversità, del resto minime, accennate da OpPPENHEIM, non mi sembrano sufficienti a tener distinte queste due forme. Ho alcuni esemplari in cui l’angolo apiciale è maggiore, come nel 7. granconensis, e in cui gli ornamenti sono uguali a quelli del 7rochus Zeoninus. Le differenze sull’ultimo giro possono di- pendere dallo stato di conservazione dell’ esemplare *. 4 Il dott. OppenHEIM (Colli Berici, pag. 56, 58) cita anche senza figurarle le due specie: Trochus elevatus PHIL, e Tr. modestus FucHSs dell’Oligocene veneto. Io tra i miei esemplari non ho mai riscontrato alcuna forma simile. Non so se il dott. OppenHEIM abbia trovate queste due specie egli stesso, o se si sia fidato della indicazione dei rac- coglitori, che hanno fatto commettere sempre tante inesattezze agli studiosi: in ogni caso, mancando una figura, non saprei come controllare queste determinazioni del dott. OppenHEIM. Credo quindi di non ammettere nel mio elenco queste due forme. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 19 154 P. E. VINASSA DE REGNY [112] Trochus Gottardi n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 5 a-d. T. testa minima, tenui, elongato-conica ; apice acuminata, basi imperforata, concaviuscula, anfractubus septenis, laevigatis, în tertio inferiore carinatis; carina magna satis proéminenti; ultimo anfractu magno, spiram fere aequante, bicarinato, inter carenas concavo ; basi ad peripheriam angulata propter carinam proéminentem, laevigata ; apertura poligonata, subcireulari; columella crassa. Questa piccolissima conchiglia sembra assai rara a Zovencedo: OPPENHEIM non cita nulla di simile, ed io ne conosco un solo esemplare assai grande completo, ed un frammento. La conchiglia è piccola, assai sottile, di forma conica allungata, acuminata verso l’apice, interamente levigata e composta di circa sette anfratti. Questi sono carenati nettamente nel loro terzo inferiore, e dalla carena si estendono in linea retta verso le suture; la carena, come dicemmo, è semplice ed assai sporgente. L'ultimo anfratto è grande assai, ed alto quasi quanto il restante della spira; esso è munito di due carene sporgenti, e lo spazio interposto tra esse è concavo. La base è nettamente angolosa alla pe- riferia a causa della carena inferiore dell’ ultimo anfratto; essa è assai concava, imperforata, e, come gli anfratti, è essa pure interamente levigata. La columella è assai spessa, e accenna ad una leggera torsione: la bocca è quasi circolare, un poco angolosa verso l’alto ed esternamente in corrispondenza della carena. La forma caratteristica degli anfratti, la mancanza assoluta di ornamenti trasversali, la presenza della carena così caratteristica distinguono a prima vista questa forma da tutte le sue congeneri. Collonia subturbinata Bay. E una delle forme le più comuni dei tufi di Zovencedo, ma sempre in esemplari al solito di dimensioni assai limitate. Ne ho trovati più di 7 esemplari di cui il minore misura appena 4 mm. di diametro, e il maggiore arriva sino ad 8 mm. Collonia Beyrichi Orrx. 1896. Colonia Beyrichi Orrennem. Colli Berici, pag. 59, tav. 3, fig. 5. Pyramidella terebellata Lux. 1896. Pyramidella terebellata OrrenneM. Colli Berici, pag. 60 (cum syn.). Rispetto a questa forma, della cui determinazione OPPEHNEIM si crede sicuro, io non saprei che cosa dire, disponendo di un solo frammento. Natica acuminata Larx. Di questa forma, non molto rara nel Veneto, io non ho mai veduto esemplari di Zovencedo, da dove è citata da OppennEIM (Collì Berici, pag. 62). Natica epiglottina Lux. La specie è immensamente diffusa in tutti i giacimenti eocenici veneti, e non manca a Zovencedo, di dove OpPenHEIM ne ha due esemplari, e due pure sono nella nostra collezione. [113] P. E. VINASSA DE REGNY 155 Natica debilis Bay. Ho un solo frammento che riferisco a questa forma senza esitazione. Anche secondo OPPENHEIM (Colli Berici, pag. 62) l’esistenza della specie a Zovencedo è sicura. Natica cepacea Lux. Un solo esemplare incompleto, ma talmente caratteristico, che non ho alcun dubbio sul suo riferi- mento specifico. La forma sembra avvicinarsi piuttosto agli individui del M. Postale, che non a quelli delle altre località venete. Ampullina sigaretina Lux. sp. Anche questa forma, da non confondersi colla A. gibberosa assai vicina, si trova a Zovencedo, secondo me perfettamente ben determinabile; del resto essa è comune anche a Ciupìo ed a Roncà in belli esem- plari perfettamente rispondenti. Ampullina depressa Lux. sp. Questa specie non è citata da OPPENHEIM; essa si trova però a Zovencedo, da dove ne conosco un grande esemplare, in tutto simile a quelli che conosco e che ho citato di Roncà (Syropsis, III, pag. 171 [89]).! Discohelix Beyrichi OrPx. 1896. Discohelix Beyrichi OrpenHEM. Colli Berici, pag. 63, tav. III, fig. 1. Phasianella (?) zovencedensis OPPx. 1896. Littorina zovencedensis Orrenzeni. Colli Berici, pag. 64, tav. III, fig. 2. Ho molti esemplari di questa forma molto caratteristica, i quali raggiungono dimensioni assai più notevoli di quelle dell'esemplare figurato da OppeNHEIM. Inoltre il labbro esterno, per quanto ne posso giudi- care, è molto più spesso di quanto non apparisca nella figura. Sulla determinazione generica sono ancora in dubbio, dacchè nessuno dei miei esemplari è completo alla bocca, certo è però che va assolutamente escluso il gen. Liftorina. Turritella lapillorum OpPa. Ne ho alcuni esemplari, benissimo conservati, che riferii tosto alla mia 7. bicingulata di Roncà, che come avvertii è divenuta poi la 7. Zapillorum OrPH. Non è possibile a mio parere alcun dubbio sulla determinazione specifica di questi esemplari. Siliquaria anguiniformis OrPH. 1896. Siliquaria anguiniformis Oprennen. Colli Berici, pag. 65, tav. IV, fig. 1. 4 Il dott. OPPENHEIM (op. cit., pag. 64) cita anche la Melania inaequalis FucHs dell’Oligocene; nel mio materiale essa manca assolutamente; si veda a questo proposito la nota a pagina 153 [111]. 156 P. E. VINASSA DE REGNY [114] Cerithium Schmiedti n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 6a-b. C. testa crassa, pupoide, superne conica, breviuscula; anfractubus octonis, angustis, lente crescentibus, parum converis, sutura lineari simplici junctis, striis spiralibus crebris, minutissimis notatis, transverse nodulosis; nodis undique patentibus, proéminentibus, regulariter dispositis, obtusis, in primis anfractubus minoribus, deinde paten- lissimis, crassis; ultimo anfractu constricto non noduloso, sed tantum striis spiralibus et varice una notato, su- tura inregulari sinuosa praedito; basi convexa, producta; apertura obovato-transversa; labro acuto, sinuoso; colu- mella crassa, simplici; canali..... Conchiglia assai grande. di forma nettamente pupoide, a causa dell’ultimo anfratto che è molto più stretto del penultimo: la spira è breve, conica, non molto acuta, ed è composta di otto anfratti, assai stretti che crescono lentamente, e sono riuniti tra loro da una sutura semplice, lineare, regolare. Su tutta la conchiglia si hanno delle strie spirali fitte molto minute, tra cui se ne distingue alcuna un poco più grande; dei nodi assai spessi si trovano sopra gli anfratti della spira, essi sono tra loro equidistanti, e sono meno spiccati nei primi anfratti, ma nei seguenti sono molto rilevati, larghi tanto da interessare tutto l’anfratto, molto ottusi in alto e allungati. Questi nodi però cessano ad un tratto al principio del- l’ultimo giro che, come dicemmo, è assai più stretto ed allungato che non il penultimo, e dà 1’ aspetto pupoide caratteristico alla conchiglia: su quest’ultimo anfratto non si vedono quindi che le strie spirali, tra le quali se ne distinguono assai bene alcune maggiori, alcune minute strie di accrescimento, e una varice ottusa, poco distinta, accusata da un rigonfiamento della conchiglia. La sutura per cui questo anfratto si unisce al precedente è assai irregolare; si mantiene diritta sino alla metà circa dell’anfratto ove è accennata la varice, da qui scende rapidamente verso il basso, facendo una curva assai distinta. La base è breve e allungata, la bocca è ovale, transversa; il labbro esterno è assai acuto e leggermente sinuoso, la columella è semplice, inspessita, senza alcuna traccia di espansione. La parte terminale della N columella come pure il canale è purtroppo mancante. Questa specie è senza dubbio prossima per la sua forma generale al C. Romeo Bay. (Moll. tert., I, pag. 37, tav. IX, fig. 5), da cui si distingue però immediatamente per la forma molto diversa dell’ultimo anfratto, pei nodi molto più spiccati e presenti anche nei primi anfratti, e per la mancanza della espan- sione columellare. A Zovencedo si ha pure un’altra specie, che, salve le dimensioni molto più piccole, ha somiglianza col C. Schmiedti. È questo il O. Juliae OrPA. il quale pure è assai prossimo al 0. Romeo: la specie di OPPENHEIM è però troppo incompletamente conosciuta per poterne dare un giudizio. Se veramente è stata figurata esattamente, le diversità colla mia specie sono assai notevoli: queste diversità si manifestano nella forma dei primi anfratti, che sono molto più allungati che non nella nostra specie, quindi nei nodi meno numerosi e più a tipo di costa nodulosa, e infine nell’ultimo anfratto che è brevissimo nella figura di OPPENHEIM, e non dà perciò alla conchiglia il suo aspetto pupoide, allungato, caratteristico. Cerithium Juliae OrPx. 1896. Cerithium Juliae OrpenHEI. Colli Berici, pag. 66, tav. III, fig. 10. Rispetto a questa specie, incompletamente conosciuta per mancanza di buon materiale da parte del dott. OPPENHEIM, si veda quanto ha detto nella descrizione del C. Schmiedti. Cerithium vulcaniforme Oppx. 1896. Cerithium vulcaniforme OrrenzEni. Colli Berici, pag. 67, tav. II, fig. 1. [115] P. E. VINASSA DE REGNY 157 Cerithium Rauffi OpPx. 1896. Cerzthium Rauffi OrrennEn. Colli Berici, pag. 65, tav. III, fig. 9. Cerithium undosum Broxar. Il dott. OrPENHEIM (Colli Berici, pag. 68) non accetta la riunione da me proposta (Sar Giovanni Iarione, pag. 257) del C. Vernewilli col C. undosum. Non ostante ciò, anche oggi io continuo a credere perfetta- mente giustificata la riunione proposta. Cerithium turritelliforme Oppx. 1896. Cerithium turritelliforme OrrenHEmM. M. Postale, pag. 187, tav. XIX, fig. 14, Bellissima specie molto caratteristica ed interessante, che sembra assai rara nel Veneto. Non ne ho mai avuti esemplari del Postale, e ne conosco un solo individuo incompleto di Zovencedo. Cerithium lamellosum Brusa. Un esemplare assai grande e due frammenti di piccoli individui sono riferibili senza alcun dubbio a questa caratteristica specie, assai comune nel Veneto. L’esemplare maggiore, rotto nei primi giri, salve le dimensioni molto più limitate, misurando esso completato mm. 27 di altezza, è rispondentissimo all’e- semplare di San Giovanni Ilarione da me figurato a tav. XVIII [III] fig. 3. Bittium semigranulosum Lwxr. sp. La specie era stata trovata già da me a Roncà (vedi pag. 177 [95]) in esemplari del tutto rispondenti. ‘OpPENHEIM, Colli Berici, pag. 67, non la cita che di Gnata, sulla fede di Tg. Fucgs. Bittium subplicatulum OrPx. 1896. Cerithium subplicatulum OrpenneM. Colli Berici, pag. 68, tav. II, fig. 4. Diastoma costellatum Lux. Vedasi San Giovanni Ilarione, pag. 257, [47]. Triphoris sinistrorsum Dsar. sp. 1896. Tryphoris sinistrorsum Dsa. OppenneM. Colli Berici, pag. 69 (cum syn.). Non conosco a Zovencedo e nemmeno in altre parti del Veneto alcun esemplare riferibile a questa forma, sinora esclusiva del bacino di Parigi. 158 P. E. VINASSA DE REGNY [116] Chenopus Zignoi De GrEG. sp. 1896. Ohenopus Zignoi De Greg. Opprenneni. Colli Berici, pag. 69, tav. III, fig. 11, 12 (cum syn.). Son perfettamente d’accordo col dott. OpPENREIM per riunire a questa forma anche la Rostellaria goniophora descritta da Fucrs dell’eocene di Kalinowka; quanto alla specie di BELLARDI per quante ricerche abbia fatto nella bella collezione dei molluschi eocenici della Palarea, che si conserva nel Museo di Pisa, non son riuscito a trovarne esemplari ; la questione quindi della riunione di questa specie veneta alla forma descritta da BELLARDI, non può per parte mia ancora risolversi. Strombus Boreli Bay. 1896. Strombus Boreli Bay. OppennHEm. Colli Berici, pag. 71 (cum syn.). È forma comunissima a Zovencedo ove raggiunge notevoli dimensioni. Sembra che i caratteri indi- cati da BayAN e che distinguono questa forma dal vicinissimo Strombus ornatus siano costanti; in ogni modo però è lecito dubitare del valore di questa specie, che forse potrebbe semplicemente riguardarsi come una varietà dello Strombus ornatus. Nel Veneto, per quanto io mi sappia, il tipico Strombus ornatus non si trova che a San Giovanni Ilarione ove però si trovano pure, benchè rari, anche alcuni esemplari da riferirsi allo Sf. Borelì. Rimella canalis Lux. Ne conosco un solo esemplare incompleto, ma che non mi lascia però alcun dubbio sulla sua deter- minazione, essendo rispondentissimo agli esemplari delle altre località del Veneto. Rimella fissurella Lux. Anche questa specie, vicinissima alla precedente, si trova a Zovencedo, in esemplari tipici, simili a quelli del Postale e delle altre località del Veneto. i Terebellum carcassonnense Ley. Vedasi San Giovanni Iarione, pag. 259 [49]. Terebellum sopitum Brawmp. Vedasi Monte Postale, pag. 223 [13]. Cypraea corbuloides Brit. Questa forma non si era per ora ritrovata nel Veneto che a Roncà, ove da nessuno era mai stata ri- trovata prima di me. Accurati studi e confronti mi hanno sempre più persuaso della identità della specie veneta con quella di Nizza. Cypraea parvulorbis De Gre. Vedasi San Giovanni Ilarione, pag. 261 [51]. (117) P. E. VINASSA DE REGNY 159 ‘ Ficula elongata Mon. Posseggo un frammento di esemplare, che riferisco a questa specie di San Giovanni Ilarione, poichè per forma ed ornamentazione ha con essa somiglianza spiccatissima. Triton triamans De Grre. Vedasi San Giovanni INarione, pag. 264 [54]. Latirofusus Pellegrini Dr Grre. sp. Ne ho due piccolissimi esemplari, ma, salve le dimensioni, rispondentissimi alla specie di San Gio- vanni Ilarione. Mitra Gottardi n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 7.a-b. M. testa minima, ovata, biconica, ventricosa, solidula, spira brevi apice obtusiuscula; anfractubus septenis, angustis, lente crescentibus, via converiusculis, sutura lineari simplici parum impressa juncetis, costulis patentibus in medio obtuse nodulosis, elevatis; ultimo anfractu spira fere duplo longiore, ventricoso, antice satis attenuato, non contorto, costis nodulosis patentibus, antice evanescentibus et striis spwralibus ornato; apertura parva, angusta, obovato elongatissima, postice angulosa; labro tenui, vir undato, columella parum recurva, quadriplicata. Piccola forma di Mitra, prossima alle Conomitra salvo che per gli ornamenti nodulosi, la quale sembra assai rara a Zovencedo. La conchiglia è ventricosa, ed ha una spira non molto lunga assai ottusa composta di sette anfratti stretti e lentamente crescenti, riuniti tra loro da una sutura lineare semplice, poco profonda; sopra ogni anfratto si hanno alcune coste, assai rade, rilevate e spiccate, nettamente nodulose nel loro mezzo; i nodi sono ottusi ma assai sporgenti. L'ultimo anfratto, lungo quasi due volte la spira, è ventricoso in alto, ove si attenua poi in avanti; le coste nodulose sono molto sviluppate su- periormente, ma svaniscono poi sulla porzione attenuata ove invece sono assai ben visibili le strie spirali. La bocca è piccola, ellittica, molto allungata; il labbro esterno è semplice e un poco sinuoso; la columella lievemente sinuosa è segnata nel suo terzo superiore di quattro pieghe ben distinte. Per la forma generale questa specie si distingue benissimo dalle sue congeneri; l’unica che abbia con essa qualche somiglianza è la Mitra inaspecta DsH. ( Bassin, III, pag. 574, tav. 103, fig. 14-16), dalla quale però, come del resto anche dalle altre specie, si distingue per le coste, nodulose come nelle Borsonia. Mitra crebricosta Lux. Vedasi Monte Postale, pag. 225 [15]. Lyria harpula Lux. sp. Vedasi San Giovanni Marione, pag. 268 [58]. Marginella crassula DsH. 1896. Marginella crassula Dsu. Orpenzem. Colli Berici, pag. 76 (cum syn.). Non ho mai veduto esemplari di questa specie che cito sulla fede del dott. OpPENHEIM. 160 P. E. VINASSA DE REGNY [118] Marginella phaseolus Broner. Di questa specie comunissima nel Veneto, ho anche un bellissimo esemplare di Zovencedo intera- mente rispondente. Marginella pseudovulata Ora. 1896. Marginella pseudovulata OprenuEIM. Colli Berici, pag. 75, tav. III, fig. 8. Bellissimo esemplare molto ben conservato e caratteristico, Marginella amphora Orraz. 1896. Marginella amphora OrrenzeM. Colli Berici, pag. 76, tav. III, fig. 7. Ancillaria canalifera Lux. 1896. Ancillaria canalifera Lx. Orpenne. Colli Berici, pag. 77 (cum syn.). Non conosco esemplari di questa specie, che, quantunque citata da FucHs anche nel Terziario infe- riore veneto, mi è pure ignota in tutti i depositi eocenici veneti. Conus conotruncus Dr Grre. var. acutispira n. var. — Tav. XIX [VI], fig. 8a-b. Credo utile distinguere come varietà, se pure non meriti di esser considerata come nuova specie, questa forma di Conus, che mentre per le strie spirali dell’ ultimo anfratto e per gli ornamenti è somigliantis- simo alla specie proposta dal De GREGORIO di San Giovanni Ilarione, pure se ne distingue per la spira molto più allungata ed acutissima all’apice. Conus parisiensis Dsx. 1889. Conus parisiensis Ds. Cossuann. Catalogue, IV, pag. 230 (cum syn.). Ne ho tre esemplari quasi completi, e, salvo per le dimensioni assai più limitate, non trovo differenza alcuna per tenerli distinti dalla specie parigina. Borsonia cfr. nodularis DsH. L’esemplare è troppo mal conservato per permettermi um giudizio sicuro; certo si è che le somiglianze colla fig. 27 della tav. IV del De GREGORIO (San Giovanni Iarione) sono molto spiccate *. i Il dott. OppeNHEIM (Colli Berici, pag. 78) cita anche la Pleurotoma denticula Bas. Io non ne ho mai veduto esemplari a Zovencedo, e rispetto alla determinazione eredo si debba andare molto cauti. Non credo che la P?. den- ticula figurata da Dn GregoRIO (San Giovanni Ilarione, tav. IV, fig. 33) sia la specie di BAsTEROT, come ebbi occa- sione di dire due anni fa (San Giovanni Ilarione, pag. 273 [63], ma sia da considerarsi come una specie nuova. Il dott. OPPENHEIM non dicendo nulla di ciò, io non posso comprendere nel mio elenco anche la PZ. denticula da lui citata. [119] P. E. VINASSA DE REGNY 161 Drillia cfr. margaritula Drsx. Anche per l’esemplare di Zovencedo si addice interamente quanto ho già osservato (S. Giov. Marione pag. 373 [63]) per gli esemplari di altre località venete. Ma ‘avendo a mia disposizione un materiale molto incompleto debbo con dispiacere lasciare da parte la questione. Bulla plicata Dsxn. 1896. Bulla plicata Dsn. OrpennrIm. Colli Berici, pag. 79 (cum syn.). Ne ho un solo esemplare, ma determinato con tutta sicurezza come 5. plicata DsH. anche dal MENEGHINI. Bulla striatella Lux. Non sono del tutto sicuro della determinazione dei miei esemplari. La specie è però molto comune nel Veneto, ed anche OppenHEIM (Collì Berici pag. 79) la cita con tutta sicurezza a Zovencedo. Bulla incisa Orrx. 1896. Bulla incisa OrrenzEem. Colli Berici, pag. 80, tav. II, fig. 7. Bulla semistriata Dsx. 1896. Bulla semistriata Dsx. Orrenten. Colli Berici, pag. 80 (cum syn.). Bulla magnifica Opra. — Tav. XIX [VI], fig. 9. 1896. Bulla magnifica Oprenzem. Colli Berici, pag. 79, tav. II, fig. 5. Questa specie, per cui OPPENHEIM propone il nuovo sottogenere Mmnestocylichnella, è sommamente ca- ratteristica. Il nostro esemplare è molto migliore di quello figurato da OPPENHEIM, in esso, oltre alle strie spirali presso alla piega orale, si trovano, tra mezzo alle coste longitudinali, altre minutissime strie assai ben visibili specialmente presso alla bocca. L'espansione columellare presenta ben netta una dentatura. Bulla (Cylichna) melo n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 10 a-c. B. testa cylindrica, tenui; ultimo anfractu magno striis minoribus, crebris, leviter arcuatis, inferne falcatis, evanescentibus, praedito, strùs spiralibus inferne parum notatis; apertura elongata ; labro interno leviter super colu- mellam deflexo ; labro externo acuto. Conchiglia cilindrica, assai grossa-in confronto alla sua lunghezza, ed a margini laterali quasi ret- tilinei; la superficie è adorna di numerosi solchi trasversali minutissimi, sottili, fitti, appena ricurvi, in- feriormente un poco falcati, e quindi svanenti, mentre in alto si possono seguire sino alla fine dell’ an- fratto; nella porzione inferiore ove mancano questi solchi si avvertono delle strie spirali assai ben visibili, la bocca è assai stretta, di forma uguale a quella della specie precedente, il labbro esterno è lineare e sottile; sulla columella si trova una espansione semplice poco estesa, non dentata. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 20 162 P. E. VINASSA DE REGNY [120] Questa specie ha qualche analogia colla Bulla plicata DsE. per la sua forma esterna; se ne distingue tosto per gli ornamenti ben diversi. Qualche somiglianza ha pure colla B. magnifica OPPH., ma da essa si distingue per la forma più cilindrica, per gli ornamenti che quifsono solchi sottili, mentre nella pre- cedente sono coste acute, rilevate, e finalmente per la forma diversa dell’espansione columellare. Ringicula Ritae n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 11 a-b. R. testa minima globoso-conica ; spira exerta, apice acuto; anfractubus quinis, converis, sutura incisa jumetis ; ultimo magno, globoso, spiram superantem, striis minutis patentibus ornato; columella callositate magna plicis duobus praedita; labro externo incrassato valde marginato, subdenticulato ; apertura oblonga superne angulata. Piccola conchiglia, a spira assai alta, conica, acuta, composta di cinque anfratti convessi, riuniti da una sutura assai profonda; l’ultimo anfratto è globoso e supera di assai l’altezza della spira. Tutta la superficie è munita di strie spirali appena visibili nei primi anfratti, assai nette e spiccate sull’ultimo, non tanto però quanto nella ft. ringens DsH. La bocca è assai grande, la columella è munita di due grosse pieghe, il labbro esterno è molto ingrossato e nell’interno mostra un lontano accenno ad una lieve dentatura. ì La spira molto allungata, la presenza di leggiere strie spirali e sopratutto la forma della bocca distin- guono la specie dalle poche sue congeneri eoceniche conosciute. V. Monte Pulli, Caldiero, Bolca ecc. Per terminare i molluschi dell’Eocene medio riunisco qui le forme ritrovate da me e da altri in giaci- menti meno ricchi e meno conosciuti del Veneto. La fauna del M. Pulli fu studiata a fondo dal dott. OPPENHEM!, e quindi per questo argomento rimando il lettore a quel lavoro. Del Bolca, di Caldiero, di Fumane e Robiana, di Nogarole, di Breonio, di Colognole ecc., che io mi sappia, nessuno o pochi hanno citato molluschi fossili, i quali del resto non sono troppo numerosi. Ho creduto però interessante far conoscere anche queste poche specie, dacchè alcune sono nuove ed altre non rinvenute nel Veneto. Do al solito un quadro comprensivo delle varie forme, colle loro corrispondenze principali. a i 2 NOME DELLA SPECIE ii A = e Clavagella sp. ind. . 0 3 Ò - È — _ — + | - |a Panopaea elongata Laym. . 0 0 di ò | : — CS ne = Corbula niciensis BELL. . araletà - St = — = RL i aa » sp. nov. ind. o . . o . — | — _ d_q_ LEZIONI AIRES Pholadomya Robianae n. f. . 0 ò 6 | -- —_ — - | SL | = | ee dea Arca barbatula Lmx. . 0 6 . : | — —_ - + | — |! — Sl + Cyrena sirena BRONGT. —. | + _ _ = = = | sl = 1 Zeitschr. der deut. geol. Gesell. Band 46, Heft 2. [121] P. E. VINASSA DE REGNY NOME DELLA SPECIE Monte Pulli 163 Bolca Caldiero Fumane Breonio Altre località Eoc. veneto Eoc. parigino Cyrena veronensis BAY. . 5 o . » Baylei Bay. » alpina D’ORB. » erebea BRONGT. Cardium subporulosum D’ORB. . 5 6 ” efr. Edwardsi DsH. » pullense OPPH. » polyptychtum Bay. Hemicardium sp. ind. Corbis Bayani OpPAH.. 5 Crassatella pullensis OPPH. 0 0 . Lucina supragigantea De GREG. » vicetina OPPH. » Fontis-Felsineae OPPH. . Cytherea nitidula Lmx. Venus sp. nov. ind. . Modiola corrugata BRONGT. Congeria euchroma OPPH. . Pecten Robianae n. f. » cfr. venetorum OPPH. Chlamys Nicolisi VIN. » subornata D’ORB. Hinnites Pellizzarii MGH. in sch. . Anomia gregaria Bay. Ostrea radiosa DSH. . Tinostoma vicetinum OPPA. c Trochus subnovatus Bay. . Nerita crassa BELL. . 0 Velates Schmiedeliana CARMN. sp. Neritina consobrina De FÉR. . Natica cepacea LmK. » latior n. f. Ampullina conica Lmx. sp. » depressa LMK. sp. » ponderosa LMK. Sp. . . » parisiensis D’ORB. Sp. » patulina Mun. CHALM. . . » Vulcani BRONGT. Sp. Ò » cochlearis v. HANTK. Sp. . IPP++++I+F+t11++++ ++ +++++4+ | ++++ lea + ++1++t1+I+/+++# 164 P. E. VINASSA DE REGNY (122) NOME DELLA SPECIE Hydrobia pullensis OPPH. . Hypponix cornucopiae Lmx. » bolcensis McH. in sch. Bayania lactea LmE. sp. Melanopsis vicetina OPPH. . . o Melanatria auriculata SCHLTH. Sp. . » vulcanica SCHLTH. Sp. Potamides corrugatus BRONGT. Sp. » lemniscatus BRONGT. Sp. » pentagonatus SCHLTH. Sp. » Vulcani BRONGT. sp. Cerithium calcaratum BRONGT. . » aculeatum SCHLTH. » baccatum BRONGT. » spectrum OpPPH. » Bassanii OPPH. » Dallagoi OPPA. . » lamellosum Brua. » atropos Bay. » atropoides OPPH. » Fontis-Felsineae OPPH. . » corvinum CAT. Sp. » corviniforme OPPH. Diastoma costellatum Lmx. Terebellum carcassonnense Levm. Gisortia Hantkeni Mux. CHALM. » gigantea MuENST. . Ovula Bayani OPPA. Cypraea elegans DSH. » Proserpinae Bay. » Zignoi OpPH. » Lioyi Bay. . » Moloni Bay. » parvulorbis Da GREG. Morio substriatus D’ORB. sp. Tritonidea polygona Lmx. sp. Streptochetus approrimatus DsH. sp. Voluta mitrata DSH. . Oliva nitidula DsH. + = I —_ = — AAC — | MS — = — = = aa

— = ee ea 2 a E = a e =L = PZ = A (ee, Da) = E + Le + Si > = = = _ =s da ati MT Le |> += + = = = = - — = api fa ae sil pe eli i i RS Sb dle e i = i + = FE Me A SS EEE ini n N e ue cage A E e | +e ER, E RT Re Ze: [123] P. E. VINASSA DE REGNY 165 i NOME DELLA SPECIE Monte Pulli Bolca Caldiero Fumane Breonio Altre località Eoc. veneto Eoc. parigino Ancillaria cfr. pinoides Dn Greg. D+ | | | ++ Conus semicoronatus MGca. | | » Pellegrinii McH. in sch. . Cryptoconus unifascialis DSH. sp. . + » filosus LMK. sp. . È . - + — —_ = = si » lineolatus DSH. sp. O 2 o + Pleurotoma n.f.ind. . 0 3 ; 5 6 —_ — + = - nu SI i23: Cylichna coronata LMK. sp. 0 o 6 cl GP — — = _ = = IL Helix damnata BRroNGT. lare » paulinia n.f. . . È é 0 ò _ — = SINO » Meneghiniana n.f. . 5 : 0 . —_ —_ _ = = +++ | x Come si vede da questo elenco, la fauna del M. Pulli è identica alle altre faune dell’ Eocene medio veneto, e pure nelle altre località non si presentano specie molto diverse dalle restanti del Veneto, cosicchè tutte sono indubbiamente da porsi insieme al gruppo eocenico con Velates Schmiedeliana *. Clavagella sp. ind. Dell’Eocene di Fumane ho alcuni esemplari di dubbia determinazione, che sembrano appartenere al genere Clavagella. Il MeNEGHINI li credè una specie nuova che disse C7. pholadoides. Lo stato degli esem- plari non permette però un giudizio sicuro; si riscontra qualche analogia colla CI. Caillati DsH. ( Bassin, pag. 88, tav. I, fig. 3); solo l'andamento della conchiglia è un poco più flessuoso. Panopaea elongata Lev. 1844. Panopaca elongata LevwerIe. Corbières et Montagne notre, pag. 360, tav. 14, fig. 8. Proveniente da Fumane ho un solo esemplare di questa forma, che è rispondentissima a parer mio alla specie dei Pirenei: non conosco questa forma di nessun’altra località del Veneto, cosicchè essa può considerarsi un’assai grande rarità per questi giacimenti. i In questa mia Synopsis mi sono appena occupato di molluschi terrestri, e solo quando dovevo far conoscere qualche forma nuova, Lo studio dei molluschi estramarini veneti è stato assai accuratamente iniziato dal dott. OPPENHEIM in vari lavori ed a quelli rimando il lettore. 166 P. E. VINASSA DE REGNY [124] Corbula niciensis BeLL. 1850. Corbula niciensis BeLLarDI. Comté de Nice, pag. 235, tav. 16 fig. 8-9. Ho di Fumane due soli piccoli esemplari non troppo ben conservati, ma che a parer mio sono molto prossimi alla specie del BELLARDI. Corbula sp. nov. ind. Questa forma venne considerata dal MENEGHINI come nuova, ed infatti non saprei veramente a quale specie poterla riferire; ma l'esemplare è così mal conservato che non permette una diagnosi sicura. Il rostro molto allungato raggiunge quasi la metà della lunghezza totale della conchiglia, ed è munito di una carena molto rilevata ed acuta. Non si scorgono particolarità di ornamentazione, a causa del non troppo buono stato di conservazione, che è comune pur troppo alla maggior parte degli esemplari di Fumane. Pholadomya Robianae n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 12 a-d. Ph. testa minori, tenui, depressa, cordiformi-obovata, aequilaterali, costata; costis concentricis striisque minutis, ad umbonem tenuis, confertis, denique majoribus, divaricatis, fleruosis; costis radiantibus ad umbones et lateraliter tantum notatis, costas concentricas decussantibus; umbonibus valde recurvis, obtusis. Questa specie, indubbiamente nuova, sembra appartenere al sottogenere Procardia per la sua forma generale e pei suoi umboni ricurvi. Non conosco nell’Eocene veneto alcun tipo che si possa avvicinare a questo esemplare dell’Eocene di Robiana, purtroppo assai deformato. La conchiglia è piccola, sottile, equilaterale, depressa dall’avanti all’indietro a forma quasi di cuore, verso il basso assai angolosa. Tutta la superficie è munita di grosse coste concentriche e di minutissime strie, che presso all’umbone sono assai sottili e molto fitte; via via che si allontanano da esso diven- gono più rade e più grosse. L'andamento loro è molto caratteristico; procedono quasi rettilinee nella parte anteriore della conchiglia, si incurvano quindi fortemente presso ai lati, e si volgono rapidamente in alto nella parte posteriore della conchiglia. Dagli umboni poi partono numerose costoline raggianti le quali tagliano le coste concentriche e danno all’umbone un aspetto reticolato. Queste coste raggianti poi svani- scono sul davanti e sul di dietro della conchiglia, ma restano benissimo visibili ai due lati; queste costoline sono tutte lievemente sinuose. Gli umboni sono ben distinti, arrotolati a spira, ed hanno la forma di due brevi corna molto ottuse e ritorte. Arca barbatula Lmx. Di questa forma assai comune nel Veneto ho anche due esemplari benissimo rispondenti di Fumane. Cyrena sirena Broner. Vedasi Roncà, pag. 157 [75]. Cyrena veronensis Bay. Vedasi Roncà, pag. 158 [76]. [125] P. E. VINASSA DE REGNY 167 Cyrena Baylei Bay. Vedasi Roncà, pag. 158 [76]. Cyrena alpina D’OrB. Vedasi Zoncà, pag. 158 [76]. Cyrena erebea Broxer. Tutte queste forme di Cyrera, assai comuni a Roncà, nei tufi specialmente, si ritrovano pure in quantità al Monte Pulli. Cardium subporulosum D’OrB. 1824. Cardium porulosum Loxx. DesHAves. Environs, pag. 169, tav. XXX, fig. 1-4. 1886. — subporulosum D’OrB. Cossmann. Catalogue, I, pag. 165. Son perfettamente d’accordo col CossmAnx per considerare questa specie come ben diversa dal C. poru- losum SoL. in BRAND. per dimensioni e ornamenti. Ne ho due piccoli esemplari assai ben conservati del- l’Eocene di Fumane. Cardium cfr. Edwardsi Dsx. La specie nel Bacino di Parigi si trova nella parte più profonda dell’ Eocene; essa si trova pure a Nizza. L’esemplare di Nogarole si distingue dalla forma tipica per le sue dimensioni assai più limitate, e per gli ornamenti della parte anteriore della conchiglia, ove predominano le strie concentriche, mentre le strie raggianti son quasi del tutto obliterate. Cardium pullense OprPH. La forma è comune assai nel Veneto; al Monte Pulli se ne hanno esemplari ottimi. Cardium polyptychtum Bax. x Anche questa specie, comunissima nel Veneto, è assai frequente al M. Pulli. Hemicardium sp. ind. Un piccolo individuo di Robiana, non troppo ben conservato, è mancante di gran parte della conchiglia posteriore. Ha una forma molto allungata e dall’umbone, assai fortemente ricurvo, parte una carena molto netta ed acuta. Sulla parte anteriore della conchiglia, l’unica ben conservata, si hanno numerose coste raggianti fitte e regolari, che si possono benissimo seguire sin presso all’umbone. Corbis Bayani Orrx. Assai comune oltre che a Roncà, anche al Monte Pulli. 168 P. E. VINASSA DE REGNY [126] Crassatella pullensis OrPH. 1894. Crassatella pullensis OrrennEm. Monte Pulli, pag. 344, tav. 23, fig. 1. Al Monte Pulli questa specie è assai rara. Lucina supragigantea Dr GrEG. dille 1894. — pullensis Oppenzem. Monte Pulli, pag. 348, tav. 22, fig. 4, 5; tav. 24, fig.1. 1894. Lucina supragigantea De GreGorIo. Monte Postale, pag. 36, tav. VIII, fig, 221, 222 Le due specie sono identiche, a confessione dello stesso OPPENHEIM; a mio parere deve rimanere il nome del De GREGORIO, essendo anteriore e non posteriore a quello proposto da OPPENHEIM. Ne ho bellis- simi esemplari del Monte Pulli. Lucina vicetina OrPx. 1894. Lucina vicentina Orrennem. Monte Pulli, pag. 246, tav. 23, fig. 7-8. Lucina Fontis-Felsineae OrPx. 1894. Lucina Fontis-Felsineae OprenzEM. Monte Pulli, pag. 347, tav. XXII, fig. 3. Queste due forme di Lucina sembrano esclusive del Monte Pulli, non essendosene mai altrove trovati esemplari. Cytherea nitidula Lux. Forma assai comune nel Veneto, e ben caratterizzata al Monte Pulli. Venus sp. nov. ind. Da Fumane proviene un esemplare troppo mal conservato per poterne dare una descrizione abba- stanza esatta. Esso sembra appartenere senza dubbio alle Verus, e si distingue per la sua forma immen- samente rigonfia, globosa. Il MeNEGHINI l’aveva ritenuta una specie nuova a cui diede il nome di Venus isocardioides appunto per la sua forma globosa. Modiola corrugata Broxer. Si trova in grandissima quantità al Monte Pulli dove forma degli ammassi di individui assai con- siderevoli. Congeria euchroma Orpru. Questa specie, che a Roncà sinora era stata trovata soltanto nei tufi, si trova pure nei calcari. Al Monte Pulli è assai comune. [127] P. E. VINASSA DE REGNY 169 Pecten Robianae Mx. in sch. — Tav. XIX [VI], fig. 13, 14 a-b. P. testa minori, tenui, fere aequilaterali, subcirculari, costis concentricis magnis, aequidistantibus, sulco duplo largiore interjectis, regularibus ; costis radiantibus erebris, minoribus, in parte mediana minus notatis, lincaribus ; umbonibus parum patentibus, subrecurvis; auriculis fere acqualibus, laevigatis (2); margine cardinali recto. È una piccola forma di Pecten che mi sembra meriti di esser considerata come nuova. Essa è assai comune tanto a Robiana quanto a Fumane, per lo più in modelli. La conchiglia è piccola, assai sottile, equilaterale, a contorno quasi circolare. Tutta la superficie è adorna di coste assai sporgenti e molto rade, separate da uno spazio largo almeno due volte la costa, e di forma regolare, ben distinta tanto all’umbone quanto al margine ventrale. Queste coste concentriche sono tagliate da costoline raggianti minori, ma più fitte, che sono benissimo visibili ai due lati della conchiglia, ma nella parte mediana sono meno spiccate. Gli umboni non molto sporgenti sono leggermente ricurvi; le orecchiette sono uguali tra loro, e sembrano interamente levigate: il margine cardinale è rettilineo; il margine ventrale è regolarmente ricurvo. La specie non raggiunge mai dimensioni notevoli, tutti i miei esemplari oscillano tra 15-17 mm. di altezza e 16-17 mm. di larghezza. La forma e l’ornamentazione caratteristica tengono ben distinta, a mio parere, questa specie da tutte le altre finora conosciute. Pecten cfr. venetorum OprH. Dall’Eocene di Caldiero e di Breonio ho degli esemplari che, salvo per le dimensioni assai maggiori, sono assai vicini a questa forma, descritta da OppenHEIM (Collî Berici pag. 43, tav. II, fig. 14-16). Lo stato degli esemplari non mi permette però un giudizio sicuro. Chlamys Nicolisi Vin. — Tav. XIV [VI], fig. 15 a-b. Ho trovato questa specie, descritta da me nel 1895 (Vedasi San Giovanni Iarione, pag. 240 [30], tav. XVI [I], fig. 24) anche tra i fossili dell’Eocene di Breonio, e talmente ben rispondente per forma e ornamenti, che non ho alcun dubbio sulla sua determinazione; sventuratamente l’esemplare è assai mal conservato, e la valva meglio mantenuta è appunto quella stessa già da me figurata. L’altra valva è pur- troppo conservata appena per metà, lascia però vedere benissimo gli ornamenti che sono assai diversi da quelli della prima. Infatti si hanno delle coste assai grandi, equidistanti, minutamente crenulate, tra cui si trovano altre tre costicine minori esse pure crenulate. Nell’altra invece le coste sono più rade, meno sporgenti e non munite di squamette assai distanti tra loro, e più fitte verso il margine ventrale. Tra queste coste maggiori si interpongono tre, più spesso quattro costoline, tutte uguali tra loro e tutte minutamente crenulate, molto simili alle costoline minori della prima valva. Chlamys subornata p’OrB. 1887. Chlamys subornata D’Or. Cossuann. Catalogue, II, pag. 181, fig. E (cum syn.). Un solo esemplare completo, ed un frammento, benissimo rispondenti a questa specie, finora non trovata nel Veneto, provengono da Castelrotto. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 21 170 P. E. VINASSA DE REGNY [128] Hinnites Pellizzarii Mor. in sch. — Tav. XIX [VI], fig. 16. H. testa magna, solida, subcirculari, inaequilaterali, parum globosa; valva sinistra costis radiantibus crebris, aequidistantibus, planiusculis sulcis minoribus interjectis, in sulcis costella minori posita; striis concentricis minimis, creberrimis, parum patentibus ; umbone parum proéminenti ; valva dextera crassa, irregulari. Margine cardinali lineari, ventrali sinuoso, wregulari. Da Breonio proviene un esemplare di un grande Himwrites, la prima specie di questo genere, che, per quanto io mi sappia, si sia trovata nel Veneto. La conchiglia è grande, spessa, a contorno quasi circolare, inequilaterale abbastanza, e non molto rigonfia. La valva sinistra è assai ben conservata tanto da lasciare visibili gli ornamenti, che sono formati da coste assai numerose, pochissimo rilevate, pianeggianti, molto larghe, disposte a distanze quasi uguali e separate da un piccolo solco; nel mezzo di questo corre una piccola costolina sottile e rilevata. Le strie concentriche sono molto numerose e fittissime; esse si vedono assai bene su tutta la valva, ma in più special modo ai due lati di essa. L’umbone è mal conservato, ma pare non debba essere stato molto sporgente; delle orecchiette non si può dir nulla. Il margine ventrale è tutto ondulato e irregolare. La valva destra è molto spessa e irregolare, come quella di un’ostrica, e non lascia vedere alcuna traccia di ornamentazione. Anomia gregaria Bay. Questa forma ben comune nei tufi di Roncà, è pure assai frequente e ben caratterizzata nei tufi del Monte Pulli. Ostrea radiosa Dsu. 1832. Ostrea radiosa Desnayes. Environs, pag. 359, tav. 60, fig. 6-7. Un solo esemplare ma benissimo rispondente, del calcare di Zovencedo. Tinostoma vicetinum Oppxn. 1894. Tinostoma vicentinum OppenzEm. Monte Pulli, pag. 355, tav. 26, fig. 13. Trochus subnovatus Bay. 1895. Trochus subnovatus Bay. Vinassa. Roncà, pag. 166 |S4] (cum syn.). Come già feci avvertire, per me non vi è diversità tra la forma di Roncà e quella del Monte Pulli da OpPENHEIM chiamata 7. Husterì. Nerita crassa Beln. Esemplari bellissimi e benissimo rispondenti a questa specie provengono dall’ Eocene di Caldiero. Velates Schmiedeliana Crewn. sp. Questa specie, così comune e caratteristica, manca assolutamente al Monte Pulli. Si trova però in buoni esemplari nell’Eocene di Caldiero. [129] P. E. VINASSA DE REGNY 171 Neritina consobrina pe Fer. 1894. Neritina consobrina pe Fér. OrrrnurIm. Monte Pulli, pag. 356 (cum syn.). Natica cepacea Lux. La forma è comune ovunque nel Veneto. Esemplari bellissimi se ne hanno a Caldiero e al Monte Pulli. Natica latior n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 17 a-d. N. testa globosa, spira obtusa anfractubus 7-8 rapide crescentibus, sutura lineari parum impressa juntis: ultimo anfractu magno, globoso, ter spiram aequante; apertura magna semilunari, rotundata ; labro tenui, columella crassa, umbilico amplissimo, profundo, infundibuliforme, expansione marginata praedito. Conchiglia assai spessa, globosa, a spira assai breve composta di 6-7 anfratti rapidamente crescenti, e molto convessi, muniti di leggero meplata suturale e riuniti da una sutura poco profonda; la superficie è appena notata di strie di accrescimento: l’ultimo giro è più grande, globoso, alto più di tre volte la spira; l'apertura pure è grande, ovale, semilunare; ed il labbro esterno è sottile, assai ingrossato presso all'ombelico. La columella è ingrossata; l'ombelico molto largo e profondo ha la forma ad imbuto senza funicolo, ma è provvisto di una espansione marginata che si continua col labbro. Questa specie è molto affine alla N. patula; se ne distingue subito per la spira molto più eserta, i giri non depressi e scavati posteriomente, la bocca molto meno obliqua, e l'ombelico enormemente più ampio. Ampullina conica Lux. sp. L’esemplare che riferisco a questa specie è un modello dell’Eocene di Breonio: non trovo però alcuna diversità dagli esemplari della stessa specie raccolti a San Giovanni Ilarione. Ampullina depressa Lxx. sp. Questa forma che è assai comune a Roncà, si trova pure frequentemente al Monte Pulli. Ampullina ponderosa. Lar. Due esemplari, di cui uno gigantesco e benissimo conservato, si trovano nel nostro Museo colla sola indicazione di Bolca. Ampullina parisiensis D'ORE. sp. Di questa forma, comune a Roncà, conosco numerosi e buoni esemplari benissimo rispondenti del Monte Pulli. Ampullina patulina Mux. CHanw. Del Monte Pulli ho numerosi esemplari assai piccoli, ma perfettamente determinabili. 172 P. E. VINASSA DE REGNY [130] Ampullina Vulcani Broner. sp. Questa specie caratteristica si trova con una certa abbondanza anche al Monte Pulli. Ampullina cochlearis v. HannK. La specie manca interamente a Roncà e a San Giovanni Ilarione, mentre è assai frequente al Monte Postale e comunissima a Monte Pulli. Ne ho numerosi esemplari benissimo conservati, e del tutto rispondenti. Hydrobia pullensis OprE. 1894. Hydrobia pullensis OppenHeni. Monte Pulli, pag. 357, tav. 28, fig. 6. Hypponix cornucopiae Lux. Al Monte Bolca si trova assai frequente questa forma, che manca, per un caso strano, al Monte Pulli da dove non conosco nessuna Hypporix. Hypponix bolcensis Mox. in sch. — Tav. XIX [VI], fig. 18a-b. H. testa crassa, convessa; apice valde excentrico, fere marginali, obtuso; ambitu subcirculari; anulo constrieto ad peripheriam patente. Conchiglia assai grande, spessa a giudicarne dai pochi frammenti rimasti aderenti al modello, assai convessa e interamente levigata. L’apice è spostato molto in avanti, ed è posto quasi direttamente sul margine. Il contorno della conchiglia è quasi circolare, un poco allungato nel senso della lunghezza. Poco al di sopra del margine si ha una strozzatura annulare assai profonda, più spiccata anteriormente, e meno visibile al di dietro. Questa specie non ha che una lontana somiglianza per la forma colla Patella Duclosi DESH. (Environs, pag. 9, tav. I, fig. 8-14) la quale secondo Cossmanx (Catalogue, III, pag. 24) è una specie molto dubbia, ed è forse un Hypporix. La mancanza di ornamenti e la presenza del cingolo annulare mi sembrano ca- ratteri bastanti per distinguere questa forma dalle sue congeneri. Bayania lactea Lwx. sp. Assai comune al Monte Pulli, come del resto in tutto l’Eocene veneto. Melanopsis vicetina OpPx. 1894. Melanopsis vicentina Orrennem. Monte Pulli, pag. 380 (cum syn.). Melanatria auriculata Scuuma. sp. Vedasi Roncà, pag. 173 [91]. [131] P.E. VINASSA DE REGNY 173 Melanatria vulcanica Sonurr. sp. Vedasi Roncà, pag. 173 [91]. Potamides corrugatus Brower. sp. Vedasi Roncà, pag. 173 [91]. Potamides lemniscatus Broxer. sp. Vedasi Roncà, pag. 173 [91]. Potamides pentagonatus ScHLtH. sp. Vedasi Roncà, pag. 174 [92]. Potamides Vulcani Broxor. Sp. Vedasi Roncà, pag. 174 [92]. Cerithium calcaratum Broner. Vedasi Roncà, pag. 174 [92]. Cerithium aculeatum Scurr. Queste otto forme di Cerithideae comunissime, specialmente nei tufi di Roncà, sono pure assai comuni al Monte Pulli. Cerithium baccatum Brower. Anche questa forma comunissima a Roncà si ritrova nel calcare eocenico presso Zovencedo e al Monte Pulli. Cerithium spectrum Oprx. 1894. Cerithium spectrum Orpenzeni. Monte Pulli, pag. 404, tav. 24, fig. 3-4. Cerithium Bassanii Ora. 1894. Cerithium Bassani Orpennem. Monte Pulli, pag. 403, tav. 24, fig. 2. Cerithium Dallagoi Oprx. Questa specie, non rara negli altri depositi eocenici veneti, è comunissima al Monte Pulli. Cerithium lamellosum Brus. Sparsa ovunque in tutto l’Eocene veneto, questa forma è assai comune anche al Monte Pulli. Cerithium atropos Bay. Questa forma assai rara a Roncà, secondo OppENHEIM, si troverebbe pure al Monte Pulli. 174 a P. E. VINASSA DE REGNY [132] Cerithium atropoides OrPx. 1894. Cerithium atropoides OrpenurIm. Monte Pulli, pag. 398, tav. 26, fig. 5-6. Cerithium Fontis-Felsineae OPPH. 1894. Cerithium Fontis-Felsineae Orrenteni. Monte Pulli, pag. 396, tav. 25, fig. 8-10. Ne posseggo un esemplare bellissimo e del tutto rispondente. Fu ritrovato per ora nel Veneto al Monte Postale e al Monte Pulli. Cerithium corvinum Car. sp. Questa specie assai importante e interessante, tanto raramente ben completa si trova comunemente nel Veneto, così per es. al Monte Zoppega e assai comunemente al Monte Pulli. Cerithium corviniforme Oprx. 1894. Cerithium corviniforme Orprenzem. Monte Pulli, pag. 392, tav. 25, fig. 5-7. Diastoma costellatum Luk. Comune assai in bellissimi esemplari al Monte Pulli. Terebellum carcassonnense Leym. Non raro al Monte Bolca in assai buoni esemplari benissimo rispondenti. Gisortia Hantkeni Mux. CHALM. Questa specie per ora limitata nel Veneto al Monte Postale, si trova pure secondo HEBERT, Munier-CHALMAS e OppenHEIM anche al Monte Pulli, da dove però io non la conosco. Gisortia gigantea Muenst. 1896. Gisortia gigantea Muenst. Orpenzem. Monte Postale, pag. 197 (cum syn.). Oltrechè al Monte Postale, questa specie si trova pure al Monte Cavalo, da dove ne posseggo un modello benissimo determinabile. Ovula Bayani Opra. 1894. Ovula Bayani OrrenzemM. Monte Pulli, pag. 423, tav. 29, fig. 11. Cypraea elegans DEFR. Comune in tutto il Veneto, ed anche al Monte Pulli. [133] P. E. VINASSA DE REGNY 175 Cypraea Proserpinae Bar. Secondo OppenHEIM (Monte Pulli, pag. 419) la forma del M. Pulli andrebbe considerata come una varietà, che egli dice puZliensis. Io non ne ho mai veduto esemplari, e quindi non saprei che cosa dirne; dalla sola figura non saprei giudicare. Cypraea Zignoi OpPx. 1894. Cipraca Zignoi Orpenzem. Monte Pulli, pag. 419, tav. 29, fig. 14. Cypraea Lioyi Bar. Forma assai comune in tutto il Veneto; ne ho esemplari del Bolca e di Monte Pulli. ‘Cypraea Moloni Bay. Anche questa forma è molto comune nel Veneto. Al Monte Pulli si trova in esemplari benissimo rispondenti. Cypraea parvulorbis De GrEG. 1894. Cypraea pisularis De Grec. Oppenzeni. Monte Pulli, pag. 421, tav. 29, fig. 13 (cum syn.). Non credo sia da accettarsi come specie a sè la forma pisularis proposta dal DE GREGORIO, che a mio parere rientra nella C. parvulorbis dello stesso autore. La specie è comune a San Giovanni Ilarione, manca a Roncà, e si trova al Monte Pulli. Morio substriatus D’ ORE. sp. Un esemplare rispondentissimo di questa forma che vedemmo già a San Giovanni Ilarione proviene dall’ Eocene di Robiana. Tritonidea polygona Lor. sp. Gli esemplari del Monte Pulli appartenenti a queste specie sono rispondentissimi a quelli trovati a Roncà. Streptochetus approximatus Dsx. sp. Non molto raro al Monte Pulli. 176 P. E. VINASSA DE REGNY [134] Voluta mitrata Dsx. Questa forma che si trova al Monte Postale e a San Giovanni Ilarione, manca a Roncà; essa è però assai comune al Monte Pulli. Oliva nitidula Dsx. 1894. Oliva nitidula Dsn. Oprenzem. Monte Pulli, pag. 416, tav. 26, fig. 11-12. Mi mancano esemplari di questa specie, che secondo OPPENHEIM, si trova al Monte Pulli. La cito quindi con ogni riserva, anche per riguardo alla sua determinazione. Ancillaria cfr. pinoides De Grea. Forse a questa specie, assai comune nel Veneto, va riferito 1’ esemplare determinato da OPPENHEMI come Ancilla dubia (vedasi Monte Pulli, pag. 415, tav. 28, fig. 5). Conus semicoronatus Mr. Un esemplare splendidamente conservato del calcare di Zovencedo è certamente da ascriversi a questa specie descritta da me l’anno decorso (Roncà, pag. 182, tav. XXII, fig. 9a-0). Le somiglianze col C. Brongniarti ’ OrB. sono ancora più manifeste. Conus Pellegrinii Mer. in sch. — Tav. XIX [VI], fig. 19a-b. C. testa minori subglobosa; spira satis clongata, acuminata, fere quartam partem aequante; anfractubus oc- tonis angustis, planuiatis, gradatiformibus, striolatis; ad peripheriam nodulosis; striis spiralibus clathratis, et cingulis crenulatis, nodis marginalibus crebris, obtusiusculis, valde et undique patentibus; ultimo anfractu magno, conico, inferne spiraliter striato. Dall’Eocene di Caldiero insieme agli altri fossili venne inviata anche questa forma di Conus che al MexnEGHINI parve nuova, e che egli volle dedicare al cortese donatore. La conchiglia è assai piccola, non molto allungata, anzi quasi un poco rigonfia; la spira è assai allungata e molto acuminata verso l’apice; essa oltrepassa di poco il quarto della lunghezza totale della conchiglia, ed è composta di circa otto anfratti. Questi sono assai stretti, pianeggianti, gradatiformi, tutti quanti solcati da strie molto profonde, che a causa delle linee di accrescimento sono tutte quante clatrate; i cingoletti rilevati sono essi pure, per la stessa ragione, minutamente crenulati. Sul margine di ciascun anfratto si trovano numerosi nodi, assai spiccati, un poco ottusi, e tutti sempre ben visibili anche sui primi anfratti. L’ultimo giro è grande, regolarmente conico, levigato quasi interamente, eccettochè nel basso ove ha numerose strie spirali. L’apertura è troppo mal conservata per dirne qualcosa. Questa specie è del gruppo del Conus parisiensis D’ORB. da cui lo distingue la spira assai più breve e più acuminata e la profonda striatura degli anfratti. [135] P. E. VINASSA DE REGNY 177 Cryptoconus unifascialis Dsm. sp. 1894. Cryptoconus unifascialis Dsn. Oppenmeni. Monte Pulli, pag. 415 (cum syn.). Cryptoconus filosus Lmx. sp. Comune in tutto il Veneto si trova pure in belli esemplari al Monte Pull. Cryptoconus lineolatus DsH. sp. Anche al Monte Pulli come a San Giovanni Ilarione e a Roncà si trova tanto la forma tipica quanto la var. semistriata DSH. Pleurotoma n. f. ind. Piccola conchiglia assai mal conservata del tipo della PI. textiliosa, coi giri profondamente scavai.i in rispondenza della rima. La superficie è tutta quanta ornata di vitte spirali limitate posteriormente da un cordoncino suturale minutamente tubercolato, e anteriormente dal margine denticolato della parte convessa degli anfratti. Questi piccoli denti che limitano la porzione convessa in tutti gli anfratti sono i rappresentanti delle costicine, le quali mancano sulla spira, ma sono benissimo visibili sull’ultimo an- fratto, ove intersecano, rendendole granulose, le numerose vitte spirali. Lo stato dell'esemplare non mi permette maggiori dettagli, e quindi non azzardo di proporre il nuovo nome di PI. stephanula datole nel cartellino dal prof. MeneGHINI. Ne ho un unico esemplare di Caldiero. Cylichna coronata Lux. sp. 1894. Cylichna coronata Lux. Orpenzen. Monte Pulli, pag. 423, tav. 26, fig. 18. Helix damnata Brower. Di questa comunissima forma ho esemplari anche di.Monte Orso. Helix paulinia n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 20a-c. H. testa crassa, ventricoso-elongata; spira exerta, convera, anfractubus octonis lente crescentibus, converiusculis, sutura lineari simplici junctis; ultimo ventricoso obtuse carinato; striis transversalibus obsoletis irregularibus, quan- doque profundioribus, sulciformibus, apertura crassa subcireulari, cingulo incrassato circumdata. Conchiglia ventricosa, pupoide, a spira assai alta composta di 7-8 anfratti lentamente crescenti, assai convessi, riuniti da una sutura lineare semplice e poco profonda. Tutta la superficie è coperta di strie tra- sverse irregolari, poco fitte, di quando in quando più profonde a guisa di solchi. L'ultimo giro non molto grande è ottusamente carenato alla periferia. La base è convessa non ombelicata. L’apertura è assai pic- cola, quasi circolare, munita tutt’attorno di un cercine ingrossato, La forma ventricosa pupoide, 1’ apertura assai piccola, il cingolo ottuso che la circonda distinguono questa specie da tutte le sue congeneri. — Ne ho un solo esemplare dei tufi di Roncà. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 22 178 P. E. VINASSA DE REGNY [136] Helix Meneghiniana n. f. — Tav. XIX [VI], fig. 21a-c, 22. H. testa tenui orbiculato-depressa, obtusa, laevigata, anfractubus quinis rapide erescentibus, sutura profun- diuscula junctis, ultimo magno, |; altitudinis aequante; apertura obliqua; margine reflexo, profunde sulcato, expenso. È una bellissima conchiglia che MENEGHINI aveva provvisoriamente riferito alla Helix Ramondi M. pe SERR. benchè ne vedesse le differenze. Non ho trovato nessuna specie che le si possa nemmeno rav- vicinare, quindi la considero come nuova e la dedico al nostro venerato maestro. La conchiglia è assai sottile, depressa, rotondeggiante, liscia, formata da cinque anfratti che crescono assai rapidamente, riuniti da una sutura assai profonda. L’ultimo anfratto assai grande raggiunge i tre quarti di tutta quanta l’altezza. La bocca è molta caratteristica; essa è obliqua, non molto grande, ovale, ed è munita di una strozzatura molto manifesta, scendente quasi a picco dalla parte dell’ anfratto, risalente con curva molto più dolce dalla parte del labbro assai espanso. Tre esemplari dell’ Eocene di Lovara di Trissino, nel calcare d’acqua dolce. PARTE SECONDA STRATI OLIGOCENICI In questa seconda parte verranno descritti od enumerati i molluschi dell’Oligocene, separatamente a seconda delle varie località. Cominceremo da quelli del gruppo di Priabona, seguiranno quelli di Sangonini e Gnata Salcedo, e quindi i rimanenti nel gruppo di Castelgomberto. VI. Via degli Orti, Valle Orgagna, Priabona ecc. I molluschi provenienti da Via degli Orti, Valle Orgagna, Priabona ecc. non sono mai stati oggetto di uno studio speciale. La presenza della Serpwla spirulaca in questi strati ha servito sino ad ora a di- stinguerli e nominarli; tali strati secondo quasi tutti gli autori rappresenterebbero nel Veneto l’Eocene superiore. Fu per primo v. HANTKEN, quindi MuNIER e recentemente OpPENHEIM che si opposero a questo rife- rimento, e lo studio dei molluschi non ha fatto che confermare l’idea che questi strati siano decisamente oligocenici !. E infatti un semplice sguardo al quadro seguente basterà a persuadere che non abbiamo qui a che fare con una fauna eocenica. Eocene Oligocene NOME DELLA SPECIE Via degli Orti Valle Orgagna Priabona Brendola: ecc. Francia Veneto Sangonini Branchai eco, Germania Martesia efr. conoidea DSH. sp. | | + DO | | | | Solen priabonensis n. f. . È : . È — _ + CS «DE Corbula cicer n. f. . o o , 6 0 + — = Pholadomya (Procardia?) sp. ind. . 0 0 —_ _ — I | + | | | | Pectunculus (?) sp. ind. | | Limopsis granulata LmE. +++ + | | + + + | | » » » var. hortensis n. var. . Cardium cfr. granulosum LmK. . . . = - + —_ + _ —_ —_ _ Cardita hortensis n. f. È 5 6 Ò ’ + _ - = i Ss SE 2a ca 1 Vedasi Vinassa. I molluschi degli Strati con Serpula spirulaea e la posizione del Piano di Priabona. Atti Soc. tosc. di Sc. nat. Proc. verb. Adunanza 4 luglio 1897. 180 P. E. VINASSA DE REGNY [138] NOME DELLA SPECIE Via degli Orti Valle Orgagna Priabona Brendola ecc. Eocene Oligocene Francia Veneto Sangonin Branchai Sd > (-c) Germania | Chama hortensis n. f. Lithodomus hortensis n. f. Pinna Saccoi n. f. Lima sp. Spondylus cisalpinus BRONGT. . Ostrea cfr. mutabilis DsH. » cfr. dubia DSH. » cfr. cucullaris DSH. Dentalium anceps n. f. Pleurotomaria priabonensis n. f. Delphinula multistriata FucHS. Natica cepacea LmK. . » angustata GRTLP. . » viatrie n. f. » Deshayesiana NyST. » cfr. crassatina LmK. Solarium plicatum Lmx. » umbrosum BRONGT. » nummus n. f. Turritella imbricataria LmxK. » » » interposita DsH. » trivigiana n. f. . 7 turgidissima n. f. » pupa n. f. . » sp. ind. » hortensis n. f. Mathilda subtripartita n. f. Typhis parisiensis D’ORB. Cerithium (Colina) hortense n. f. » » rectum n. f. Strombus Garnieri TOURN. var. planulata n. var. Rimella canalis LMK. var. plana BEyR. . Rostellaria (Gladius) sp. ind. Cypraea sp. ind. » cfr. obesa DSH. Cassidaria sp. ind. Fusus, scabrellus v. KoEN. » erectus v. KoeN. var. hortensis n. var. . IFI+t+++++++t++#1+1[+1+4[+++ ++++4++++1| ++ [139] P. E. VINASSA DE! REGNY 181 Eocene Oligocene NOME DELLA SPECIE Via degli Orti Valle Orgagna Priabona Brendola ecc. Francia Veneto Sangonini Branchai gcc Germania Fusus cfr. brevicauda PHIL. | Je | | | | 2 Clavilithes Japeti TOURN. Sp. ++ [I DI DI DI Li | + | Mitra cfr. cancellina DSH. Voluta subambigua D’ORB. | | + | Marginella crassula DSH. . . ” 0 . = = = Oliva Marmini MIcHEN. Sp. Ancillaria canalifera Lux. | + | | » cfr. dubia LMK. » anomala SCHLOTH. + | | | ++++ | +1+1++1 | + Conus parisiensis D’ORB. . » hortensis nifi. 0 Pleurotoma obeliscoides ScH. var. nodulosa n. v. » odontella EDw. ++++4+4++ | | | | | | | | » propinqua DsH. Clavatula praegotica n.f. . » cfr. carinifera GRTLP. Sp. » trivigiana n. f.. » viatrix n. f. » praeturgidula n. f. » praeromana n. f. Dolichotoma ctr. ligata Epw. . o . Genotia ljra DSH. sp. Borsonia praecostulata n. f. » hortensis n.f. . a 0 . » » pentagona n. f. Drillia praepustulata n. f. » nassoides v. KoEN. ai ra Adel I | | | | | Mangilia acuticosta NYST sp. Sono queste come: si vede 57 forme ben determinate, da cui tolte le nuove, che tutte hanno una spiccata somiglianza colle forme recenti, ne restano 26. Di queste ne abbiamo solo 5 esclusive dell’Eocene medio o superiore; delle altre 21 che tutte si trovano nell’Oligocene italiano o straniero; solo: 7 passano dall’ Eocene all’Oligocene, le altre 14 sono esclusivamente oligoceniche. Di queste 21 forme oligoceniche 13 si trovano pure a Sangonini e a Gnata Salcedo. Non mi sembra quindi di essere troppo lontano dal vero fissando alla base dell’Oligocene la posizione del piano di Priabona. Martesia cfr. conoidea Dsx. sp. Ho un solo esemplare di Castelrotto, la cui determinazione non è del tutto sicura. La forma secondo Cossmann (Catalogue, I, pag. 27) sarebbe esclusiva dell’Eocene superiore. 182 P.E. VINASSA DE REGNY [140] Solen priabonensis n. f. — Tav. XX [VII], fig. 1a-b. S. testa parum elongata, quadrangulari, convexa, antice inclinata, postice truncata, tumidula, sulcis profundis subrecurvis notata, striis longitudinalibus quoque patentibus; margine cardinali recto. A Priabona raccolsi questo solo esemplare di Soler, il quale, quantunque modello non molto ben con- servato, pure mi sembra meritare di essere illustrato per la sua forma caratteristica. La conchiglia in confronto a quella degli altri Soler è assai breve, regolarmente quadrangolare, meno che dalla parte anteriore ove il margine è lievemente obliquo, e forma un angolo di circa 110° col margine cardinale: posteriormente invece la forma rettangolare è mantenuta esatta. Sulla superficie si trovano posteriormente dei solchi assai profondi, un poco ricurvi, simili a strozza- ture, di cui i primi più esterni, partendo dal margine cardinale giungono al ventrale, mentre i successivi diminuiscono di lunghezza arrestandosi prima di giungere al margine ventrale; da questo punto di arresto partono delle linee assai più sottili parallele ai margini maggiori che raggiungono la parte anteriore della conchiglia e quivi sembrano volgersi verso l’alto; lo stato dell'esemplare non permette però di seguirne con sicurezza il decorso. Il margine cardinale è lineare, appena appena incurvato verso la metà e un poco saliente verso la parte posteriore; lo stesso decorso, ma in senso opposto, segue pure il margine ventrale, in modo che la massima larghezza della conchiglia si trova alla sua metà. Delle poche specie fossili appartenenti a questo genere la nuova forma si distingue immediatamente . per la sua brevità in confronto dell’altezza. Corbula cicer n. f. — Tav. XX [VII], fig. 2. C. testa majori, globosa, pisulari; umbonibus parum. proeminentibus, recurvis, in tertio anteriore positis : carina patente obtusa posteriore, aream ellipticam laevigatam amplectente ; sperone satis acuto, proeminente, valva dextera laevigata ad umbonem, ad marginem striata; valva laevi costata, costis ad marginem patentibus, ad umbonem sube- vanescentibus postice ad carinam nullis. ; La conchiglia è assai grande, molto globosa, specialmente nel centro; non vi è diversità di curvatura tra le due valve; gli umboni sono poco sporgenti, assai ricurvi e si trovano sul terzo anteriore della conchi- glia. Dagli umboni parte posteriormente una carena ottusa, che forma un’area ovale allungata di egual larghezza nelle due valve. La carena si prolunga poi in uno sperone assai sporgente quasi ugualmente lungo nelle due valve. La valva destra è quasi del tutto levigata; si trovano delle strie concentriche solo verso il margine ventrale; circa 2 mm. prima di esso si trova una costa rilevata assai sporgente ed acuta, che si continua anche sullo sperone. La valva sinistra è un poco minore della destra, ed è da questa abbracciata; essa è tutta adorna di coste concentriche assai rilevate, non spiccate verso l’umbone, e che terminano affatto alla carena posteriore che forma lo sperone. Il margine anteriore dell’umbone scende rapidamente al basso quasi a linea retta. Nessuna delle forme parigine e nessuna delle altre Corbula che si trovano nel Veneto può assomi- gliarsi a questa nuova forma. Invece si trova qualche analogia tra questa specie è la C. obovata von KoEn. (Unteroligocaen, pag. 1400, tav. 92, fig. 1-3). Ma la forma dell’Oligocene tedesco ha lo sperone poste- riore assai meno acuto e più largo, ed il contorno superiore assai meno triangolare; anche l’ornamenta- zione è diversa. — Ne ho un solo esemplare di Possagno. [141] P. E. VINASSA DE REGNY 183 Pholadomya (Procardia?) sp. ind. Troppo mal conservato esemplare per darne una descrizione esatta; esso si distingue da tutte le specie eoceniche sue congeneri per essere immensamente meno allungata, in modo appunto da avere qualche analogia colle Procardia. Pectunculus (?) sp. ind. Un frammento mal conservato, che potrebbe anche riferirsi al genere Limopsis, si distingue per le sue dimensioni assai notevoli (45 mm.) e per la sua forte inequilateralità. Presenta nello strato esterno della conchiglia delle coste raggianti e concentriche regolari, poco visibili; nello strato interno invece si hanno delle grosse coste raggianti un poco ondulate. Lo stato dell’esemplare non permette però ravvici- namenti un poco esatti a specie note. — Ne ho solo un esemplare di Via degli Orti. Limopsis granulata Lax. 1824. Limopsis granulata Lux. Desnayes. Environs, pag. 227, tav. 35, fig. 4-6. 1887. — — — Cossmann. Catalogue, II, pag. 118 (cum syn.). Alcuni esemplari interamente rispondenti alla forma parigina che si trova pure nell’Oligocene veneto. Limopsis granulata Lxx. var. hortensis n. var. — Tav. XX [VII], fig. 3. Credo poter tener distinta questa forma per la maggior regolarità del suo contorno, ma più special- mente per la sua regolarissima ornamentazione, costituita da coste raggianti molto spiccate le quali vengono intersecate da strie concentriche equidistanti. Ne ho numerosi esemplari di Via degli Orti. Cardium cf. granulosum Lmx. Troppo mal conservato esemplare per poter esser sicuro della determinazione. L’unico esemplare fu raccolto da me stesso a Priabona. Cardita hortensis n. f. — Tav. XX [VII], fig. 4, 5, 6a-b. C. testa minori orbiculari, crassa, globosa, umbonibus parum proéminentibus, recurvis, obtusis, costis radian- tibus 16-20, acutissimis, undique patentibus, minute lamellosis, sulcis profundis ‘interjectis; margine interno crenulato. x La conchiglia è di dimensioni variabili e da un minimo di 5 mm. di altezza nei giovani individui può raggiungere sino i 30 mm. negli adulti. Essa è assai spessa e globosa, a contorno quasi circolare nei giovani, più allungato negli adulti. Gli umboni sono poco prominenti, ottusi e assai ricurvi. Dagli umboni partono delle coste raggianti in numero di circa 16 nei giovani e di 20 negli adulti. Queste coste fittissime presso l’umbone, ove però son sempre ben distinte, divengono poi più rade verso il margine ove pure sono nettissime. Queste coste sono acute, quasi taglienti nei giovani, più smussate negli adulti, e sono separate da solchi più larghi di esse, assai profondi, nei quali si trovano delle piccole lamelle concentriche, visibili specialmente negli adulti. Le coste raggianti sono poi tutte munite di lamelle sporgenti, acute, fittissime, quasi spinose. La parte interna della conchiglia è tutta crenulata; e tali crenulazioni, visibili special- 184 i P. E. VINASSA DE REGNY [142] mente sulla porzione posteriore e la ventrale del margine sono in rispondenza delle coste esterne; da tali crenulazioni poi partono internamente dei leggieri solchi che si perdono verso la metà dell'altezza della valva. La conchiglia adulta di cui ho purtroppo un solo esemplare incompleto, diversifica non solo pel numero maggiore delle coste, ma anche perchè mentre anteriormente non presenta diversità notevoli nel contorno del margine, posteriormente si prolunga d’assai, in modo che la porzione posteriore del margine cardinale viene ad essere molto più lunga che non nei giovani individui. Nessuna delle forme parigine o venete presenta somiglianze con questa specie; si ha solo qualche analogia colla C. analis Pair. dell’Oligocene tedesco (v. KoENEN, Unteroligocin, pag. 1236, tav. 84, fig. 1-6), ma da essa si distingue immediatamente oltre che pel contorno, anche per la forma diversissima delle coste. Numerosi esemplari di Via degli Orti. Chama hortensis — Tav. XX [VII], fig. 7a-b, Sad. Ch. testa minori, crassa, suborbiculari; costis patentibus radiantibus praedita; lineis concentricis costas decu- santibus, în intersectione nodulosis; rugis laxis, gradiniformibus; umbonibus crassis, recurvis, apice acutiusculo, superne subcarinatis, punctulatis ; cardine magno, incrassato. ù Questa piccola specie si distigue dalle sue congeneri per le sue dimensioni, per le rughe di accresci- mento poco numerose ma sviluppatissime, quasi a gradinata e in numero di 6 o 7 al massimo. Sulla super- ficie si riconoscono delle coste raggianti molto spiccate; le strie di accrescimento molto minori le tagliano e formano dei nodi dei punti di intersezione cosicchè la conchiglia anche presso agli umboni è tutta spiccatamente nodulosa. Gli umboni sono molto grossi, ricurvi, robusti, superiormente quasi carenati. Il cardine è molto inspessito e lievemente ricurvo. Numerosi esemplari di Via degli Orti. Lithodomus hortensis n. f.— Tav. XX [VII], fig. 9-10. L. testa elongata, tenui, parum arcuata, tumida, laevigata, aut striis minutis ad umbones iantum notata; umbonibus parum proéminentibus, subspiratis, cordiformubus. Conchiglia sottile, allungata, un poco ricurva, a contorno quasi quadrangolare, molto rigonfia. La superficie è interamente levigata, eccettochè attorno agli umboni ove si manifestano delle sottili strie con- centriche molto fitte. Gli umboni sono poco prominenti, assai ottusi, ed avvolti a spira; assumono una forma caratteristica a cuore. Riferii sul principio questa forma, assai comune a Possagno, al L. cordatus Lx. sp. (DesHAYES, Environs, pag. 268, tav. 39, fig. 17-19) con cui la nuova forma ha più somiglianza che non con altre: dalla forma parigina però la tengono ben distinta gli umboni assai meno sporgenti ed il contorno molto più regolarmente quadrangolare. Nessuna altra forma nè del Veneto nè dell’Oligocene tedesco può in qualche modo asso- migliarsi alla nostra specie. Pinna Saccoi n. f. — Tav. XX [VII], fig. 11-12. P. testa elongata, cuneiformi, trigona, acuminata, sulcis longitudinalibus, inclinatis,in angulo confluentibus notata. E un frammento di Via degli Orti non molto ben conservato, ma che tuttavia lascia conoscere bastanti caratteri per distinguerla dalle sue congeneri molto rare in tutti i terreni, specialmente del terziario [143] P. E. VINASSA DE REGNY 185 inferiore. La conchiglia è assai allungata, cuneiforme, a contorno triangolare, assai acuminata verso l’apice, e assai rapidamente crescente in larghezza. Tutta la superficie è adorna di coste ondulate, assai sottili, che partendo con opposta inclinazione dai due margini laterali vengono ad incontrarsi ad angolo circa sulla porzione mediana della conchiglia. Di queste coste quelle poste dalla parte del margine cardinale sono più fitte, più sottili e meno inclinate, quelle invece che partono dal margine opposto sono più grosse, e più inclinate. Verso la porzione inferiore della conchiglia queste costole sembrano piegarsi ed incurvarsi ma dato lo stato dell’esemplare non si può seguirne bene il decorso. Dalla P. margaritacea Lmx. (DESBAYES, Environs, pag. 280, tav. 41, fig. 15) si distingue la nuova specie per l’ornamentazione affatto diversa; dalla P. fragilis War. figurata dal Cossmann (Catalogue, II, pag. 161, tav. 7, fig. 14) per quanto lo permetta la deficente figura si distingue pure per la ornamentazione diversa. La maggiore analogia si ha invece colla P. semiradiata v. Koen. (Unteroligocaen, pag. 1062, tav. 69, fig. 12) ma da questa la distinguono assai bene la forma generale, la minore larghezza e le dimensioni assai più limitate. Lima sp. ind. Due grandi esemplari provenienti da Brendola sono certamente riferibili a questo genere. Però il loro stato di conservazione è tale che non permette la loro determinazione specifica. Spondylus cisalpinus Brower. 1870. Spondylus cisalpinus Brower. Fucns. Conch. d. vicen. Tertiirbild. pag. 168, tav. VII, fig. 11, 12 (cum syn.). Una delle specie le più comuni e le meglio conosciute di questi giacimenti: essa è comunissima in ottimi e ben conservati esemplari di Brendola, Castelvecchio, Priabona, Castelrotto ecc. Ostrea cfr. mutabilis Dsn. Ho due esemplari soltanto che riferisco con molto dubbio a questa variabilissima specie dell’ Eocene medio. Ostrea cfr. dubia Dsx. Non saprei a qual forma riferire con sufficiente sicurezza quest’esemplare di Via degli Orti. Ostrea cfr. cucullaris Dsx. Un piccolo esemplare di Valle Orgagna, che credo possa riferirsi a questa specie. Dentalium anceps Mon. in sch. — Tav. XX [VII], fig. 13-15. D. testa subrecta, conica, subcirculari; lateraliter carinata; superne striis majoribus minoribusque irregula- riter interjectis ornata, inferne striis duobus majoribus, minoribus crebris praedita; lineis transversalibus mi- nimis, recurvis. La conchiglia lievissimamente arcuata, conica, un poco depressa specialmente verso l’apice si distingue per la sua caratteristica ornamentazione la quale assume due aspetti diversi a seconda del lato. La Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 23 186 P. E. VINASSA DE REGNY [144] parte superiore, cioè quella posta dal lato della convessità della curva della conchiglia, è limitata ai lati, e proprio a metà perfetta, da due strie forti, carenate. Questa parte è adorna da forti strie molto spiccate, tramezzo alle quali se ne trovano delle minori irregolarmente disposte: accosto alle due carene laterali esse sono più numerose. Dalla parte opposta si trovano due grosse strie, ottuse, tramezzo ad esse altre minori, però quasi tutte tra loro uguali, e maggiori delle piccole strie della parte anteriore: le linee tra- sversali quasi diritte formano un reticolato assai ben visibile, lievemente granuloso nelle intersezioni, specie in prossimità dell’apice. Sulla parte anteriore queste linee sono ricurve in alto. Comune assai a Via degli Orti e in Valle Orgagna. Pleurotomaria priabonensis n. f. — Tav. XX [VII], fig. 16. P. testa magna, conica; spira elata, rapide crescente; anfractubus septenis parum converis subquadrangula- ribus; sutura simplici, profundiuscula junetis; basi planulata, umbilico infundibuliformi; fasciola in tertio infe- riore anfracluum postta. Credo che possa interessare la conoscenza di questa specie che è una delle più grandi forme di Pleurotomaria conosciute. I due esemplari che posseggo sono sventuratamente modelli entrambi, in modo che nulla posso dire della ornamentazione. La conchiglia ha la spira conica, assai elevata, composta di circa sette anfratti che crescono rapidamente, a sezione rombica allungata superiormente, e inferiormente un poco ricurva. I giri si riuniscono tra loro mediante una sutura lineare semplice assai profonda: la porzione esterna dei giri è lievemente ricurva. L'ultimo giro è molto grande e depresso; da ciò ne de- riva una base molto ampia, lievemente ricurva alla periferia, e nel centro profondamente scavata ad imbuto. La fasciola, di cui resta la traccia in un rilievo angoloso, acuto del modello, era posta assai bassa, circa al terzo inferiore dell’anfratto. È Ne conosco due esemplari, uno di Priabona e l’altro di Valmarana presso Brendola. L’ esemplare di Priabona più piccolo misura soli 95 mm. di diametro, e 55 mm. di altezza: quello di Brendola è largo 20cm. e alto 10,5 cm. È quindi uno dei più grandi esemplari conosciuti. La forma descritta dal Sacco (Moll. terz. Piem. e Lig. Parte 22, pag. 3, tav. I, fig. A, B.) col nome di PI. gigas, e che ha tante so- miglianze colla PI. felsinea descritta dal SimonELLI (La fauna del così detto “ Schlier ,, pag. 18, fig. 1 e 2), e la PI. Rumphi vivente sono le sole, che io mi sappia, che siano più grandi della specie veneta. La forma degli anfratti e della spira, la posizione della fasciola e il profondo ombelico distinguono molto bene la nuova specie dalle sue congeneri. Delphinula multistriata Fucus. 1870. Delphinula multistriata Fvons. Conch. vicent. Tertiirbild., pag. 161, tav. III, fig. 22-24. Un piccolo esemplare incompleto di Via degli Orti, ma che non saprei come tener distinto da questa forma comunissima nell’ Oligocene veneto. Natica cepacea Lux. Ho due esemplari di Via degli Orti e uno assai più piccolo di Valle Orgagna, i quali non possono venir riferiti che a questa specie, comunissima nell’ Eocene medio del Veneto. Nessuna diversità notevole ho riscontrato tra i miei esemplari e quelli parigini, se ne togli la spira un poco più depressa, come negli esemplari del Monte Postale, e le dimensioni molto più limitate. [145] P. E. VINASSA DE REGNY 187 Natica angustata Grue. — Tav. XX |VII], fig. 17a-b. 1870. Natica angustata Gere. Fucns. Conch. vicent. Tertiirbild., pag. 159 (cum syn.). Ho esemplari di Crosara e di Possagno, interamente rispondenti a questa forma caratteristica del- 1’ Oligocene. Natica viatrix n. f. — Tav. XX [VII], fig. 18 a-d. N. testa media crassa, solida, umbilicata; spira parum celata, anfractubus quinis, rapide crescentibus converis, sutura lineari, irregulari, undata junctis; ultimo magno fere spiram aequante; striis transversalibus creberrimis notatis, quandoque majoribus fere varicosis; apertura magna obovata, non canaliculata; umbilico infundibuliformi, profundo; funiculo magno spiraliter tortuoso. Ho un solo esemplare di Via degli Orti di questa bella forma, che a me sembra certamente nuova. La conchiglia è assai grande e spessa, a spira poco elevata, formata da circa cinque anfratti convessi, rapidamente crescenti e riuniti tra di loro da una sutura profonda, irregolare, leggermente ondulosa. L’ultimo anfratto è molto grande; la superficie ne è tutta quanta fittamente segnata dalle strie trasver- sali, benissimo visibili, più specialmente presso alla sutura e verso l’ombelico; alcune di queste strie sono più rilevate, e sembrano quasi varici, ed è in corrispondenza di esse specialmente che la sutura è più irregolare. La bocca è grande, ovale; il labbro esterno è assai spesso, la superficie interna possiede delle minute strie spirali. L'ombelico è assai profondo, ed in esso si trova il funicolo aderente al labbro in- terno, un poco spostato verso il basso, segnato da un solco spirale. Per la forma generale ha qualche analogia colla N. Hantoriensis Pix. figurata dal v. KoENEN (Un- teroligociin, pag. 589, tav. 40, fig. 1-4); anche gli ornamenti corrispondono assai bene. Ma se ne distingue subito per il funicolo umbelicale spirato, come nella comune Natica nvllepunctata L. Natica Deshayesiana Nysr. 1870. Natica Deshayesiana Nyst. Fucns. Conch. vicent. Tertiirbild., pag. 195, tav. X, fig. 18, 19 (cum syn.). Assai comune in esemplari di dimensioni variatissime a Possagno e Valle Orgagna, ma sempre be- nissimo riconoscibile. Si riscontra una leggera variabilità nella spira più o meno eserta a seconda degli individui. Un esemplare di Valle Orgagna conserva ancora la colorazione costituita da fitte macchie scure come nella N. millepunetata L. Natica cfr. crassatina Lux. Un grosso esemplare in modello di Possagno offre indiscutibilmente parecchie analogie colla N. cras- satina che è comune negli strati assai più recenti del Veneto. Le diversità maggiori sono nella forma del labbro, ma dato lo stato dell’esemplare non posso dire niente di più su di esso. Solarium plicatum Lux. 1870. Solarium plicatum Lxmx. Fucas. Conch. vicent. Terticirbild., pag. 60 (cum syn.). Un piccolo esemplare splendidamente conservato somiglia assai bene, salvo le dimensioni più limi- tate, agli esemplari che conosco di Sangonini. È da notare soltanto che l’ornamentazione è assai più mi- nuta e la punteggiatura della superficie è assai più fitta ed elegante. Un solo esemplare di Possagno. 188 P. F. VINASSA DE REGNY [146] Solarium umbrosum Broner. — Tav. XX [VII], fig. 19a-c. 1823. Solarium umbrosum BrowneniART. Vicentin, pag. 57, tav. II, fig. 12. L’esemplare di Via degli Orti da me figurato non offre a parer mio alcuna diversità notevole con quelli comunissimi di Sangonini e Gnata Salcedo. Solarium nummus n. f. — Tav. XX [VII], fig. 20a-e. S. testa minima, depressa, fere plana; anfractubus octonis lente crescentibus, planulatis; costis spiralibus tribus majoribus, duobus minoribus interjectis, granulosis; costa erxterna maxima, nodosa, nodis rarioribus; striis trasversalibus crebris, patentibus; umbilico profundo, costis nodulosis majoribus et minoribus alternantibus ornato; apertura parva, curculari. Questa piccola conchiglia, proveniente da Via degli Orti è la forma più depressa di Solarium che io conosca; la spira quasi interamente piana è formata da circa otto anfratti, lentamente crescenti e minu- tamente ornati. Tre coste principali maggiori sono sopra ciascuno di essi, ed hanno poste tra loro delle costicine minori fittamente granulose; le due coste maggiori più interne sono pure munite di nodi assai rilevati e fitti, la più esterna, molto più grossa, ha dei grandi nodi rilevati, assai più radi, in modo che ogni nodo della costa esterna corrisponde circa a tre nodi delle interne. Oltre a queste coste spirali sono assai ben visibili le strie trasversali assai numerose. L'ombelico è molto ampio e profondo, ornato da coste maggiori e minori alternate, tutte nettamente nodulose. La bocca, assai piccola, è perfettamente circolare. La forma assolutamente schiacciata di questa specie la distingue assai bene da tutte le sue congeneri. Turritella imbricataria Lux. — Tav. XX [VII], fig. 21. 1832. Turritella imbricataria Lux. DesHAvEs. Environs, pag. 271, tav. 35, fig. 1, 2 (cum syn.). 1888. — “= — Cossmann. Catalogue, III, pag. 296 (cum syn.). Ne ho due esemplari di Via degli Orti e Valle Orgagna che a parer mio sono del tutto rispondenti agli esemplari parigini, tanto che ve li riferisco senza esitazione. La specie però è stata trovata anche nell’Oligocene di Francia e del Veneto. Turritella imbricataria Lmk. var. planulata n. var. Distinguo questa forma dalla vera 7. imbricataria, a cui risponde interamente per gli ornamenti e l'andamento della spira, a causa della sutura molto poco scavata, in modo che i giri sembrano continui, ed il punto loro di attacco è appena accennato. EÉ assai rara in Valle Orgagna. Turritella interposita Dsx. 1883. Turritella interposita Dsn. Cossmann. Catalogue, INI, pag. 299 (cum syn.). Ho alcuni esemplari di Via degli Orti interamente corrispondenti a questa forma parigina per l’an- damento della spira, la sezione degli anfratti e 1’ ornamentazione identica. [147] P.F. VINASSA DE REGNY 189 Turritella trivigiana n. f. — Tav. XX [VII], fig. 22-25. T. testa crassa elongata, spira acuta lente crescenti; anfractubus primis planulatis, carina magna, proémi- nente, laminari, interdum irreguiariter undata, superiori, prope suturam posita, carinis duobus minoribus aequi- distantibus notatis; ultimis anfractubus profunde excavatis, carina magna superiori tantum notatis; carinis duobus minoribus paullatim decrescentibus, denique evanescentibus; striis trasversalibus minutissimis, falcatis, undique pa- tentibus; apertura. .... La conchiglia è assai spessa, molto allungata, a spira acutissima, lentamente crescente ; gli anfratti numerosissimi a giudicare dall’andamento della spira nei frammenti che ho a mia disposizione, sono va- riamente ornati. Superiormente e presso alla sutura si trova una grossa carena molto sporgente, quasi laminare, ottusa, la quale può essere regolarmente rettilinea o può anche incurvarsi ed assumere un aspetto ondulato; questa carena è molto maggiore e più ondulata negli ultimi giri che non nei primi. Sotto a questa carena stanno altre due carene equidistanti, assai minori, ma pur sempre assai sporgenti, di cui la superiore o mediana può anche essere un poco minore. Queste carene però col crescere della con- chiglia diminuiscono poco a poco sino a svanire del tutto e allora i giri sono. profondamente scavati e levigati, mentre l’unica grande carena superiore sporge fortemente in fuori. Ne viene da ciò una diver- sità grandissima tra i primi e gli ultimi anfratti tanto che senza numeroso materiale che dia i vari pas- saggi sembra di aver che fare con forme assolutamente diverse. Il punto a cui le carene spariscono, come pure l’altezza degli anfratti varia da individuo a individuo. La caratteristica forma e l’ornamentazione speciale distinguono questa specie dalle sue congeneri. Comunissima in frammenti in Valle Orgagna. Turritella turgidissima n. f. — Tav. XX [VII], fig. 26-27. T. testa crassa, elongata, spira acuta, anfractubus lente crescentibus, primis converis, ad suturam excavatis et lineis tribus subequidistantibus notatis, mediis paullum exrcavatis, cingulo suturali superiori satis patente, ultimis exrcavatissimis, cingulo magno proéminente et cingulo inferiori tantum motatis ; lineis spiralibus nullis; lineis tran- sversalibus minutis, falcatis, in primis anfractubus minus patentibus, apertura..... La conchiglia è assai spessa, allungata, a spira acuta, lentamente crescente. Gli anfratti, come nella specie precedente, sono molto variamente ornati a seconda della loro posizione sulla spira. I primi an- fratti sono leggermente convessi, scavati presso alla sutura, e ornati di tre o quattro linee spirali, di cui le due inferiori sono un poco più rilevate; gli anfratti mediani invece sono leggermente scavati nel mezzo hanno in alto presso alla sutura un grosso cingolo assai rilevato e ottuso, delle linee spirali non si ve- dono bene che le due maggiori dei primi anfratti, apparisce poi un piccolo cingoletto presso alla sutura inferiore. Ma poco a poco anche queste due linee spariscono a cominciar prima dalla più mediana, e cresce fortemente il cingolo ottuso superiore, aumenta leggermente anche il cingoletto inferiore, ma resta sempre assai piccolo: gli anfratti poi si scavano immensamente, cosicchè gli ultimi sono fortemente concavi, privi di ornamenti, eccetto le strie falcate trasversali, e col grosso cingolo suturale immensamente sviluppato. La caratteristica forma e l’ornamentazione speciale distinguono molto bene da tutte le altre la nuova specie proposta. A Non trovo che qualche analogia colla 7. tergida v. KoEnEN (Unteroligocin, pag. 714, tav. 51, fig. 9), 190 P. E. VINASSA DE REGNY [148] di cui si conosce un solo frammento; ma la presenza di un solo cingolo maggiore nella specie veneta, che dà l'aspetto molto più concavo ai giri, la distingue tosto da quella dell’Oligocene germanico. Alcuni frammenti di Valle Orgagna. Turritella pupa n. f. — Tav. XX [VII], fig. 28. T. testa minori, elongata, spira parum acuta, pupoide; anfractubus rapide crescentibus sutura lineari excavata junetis; primis obtuse angulatis, carina magna mediana obtusa minutissime crenulata, striis spiralibus creberrimis quoque granulatis; deinde cingulo suturali inferiori, obtuso, proénvinente, paullatim carinam mediam aequante et tertio cingulo suturali superiori minori ornatis, apertura..... Conosco questo solo frammento di Valle Orgagna, che mi è parso però degno di essere descritto, non conoscendo forme che ad esso possano assomigliarsi. La conchiglia, non molto spessa, non sembra dovesse raggiungere le dimensioni assai notevoli delle due specie precedenti. La spira è un poco meno acuta ed assume una caratteristica forma rigonfia, pupoide. I primi anfratti sono angolosi nel centro a causa di una grossa carena mediana ottusa, minutamente crenulata per l'intersezione delle strie trasver- sali. Lateralmente a questa carena i giri sono un poco scavati, e adorni di strie spirali minutissime esse pure crenulate, di cui due o tre raggiungono dimensioni un poco maggiori. Dopo i primi cinque o sei an- fratti l’ornamentazione cambia; i giri non son più così regolarmente angolosi, ma inferiormente presso alla sutura comincia a manifestarsi un secondo cingolo ottuso che cresce a poco a poco sino ad uguagliare quasi la carena mediana; intanto presso alla sutura superiore si presenta un terzo cingolo, il quale però non raggiunge le dimensioni dell’ inferiore; le strie spirali di variate dimensioni sono sempre presenti. Turritella sp. ind. Un frammento di Valle Orgagna, potrebbe forse riferirsi alla forma precedente, salvo che, colle stesse dimensioni, la spira è molto più allungata, la forma è meno pupoide, e gli ornamenti anche degli ultimi anfratti presenti sono identici a quelli dei primi, che a loro volta somigliavano assai ai primi della 7. pupa n. Sp. Turritella hortensis n. f. — Tav. XX [VII], fig. 29, 30, 31. T. testa minori, spira conica acutissima; anfractubus lente crescentibus, laevigatis ; primis paullo converis, deinde planis, cingulo suturali inferiori prominente notatis; striîs aut costis spiralibus nullis ; lineis transversa- libus minutissimis, creberrimis, valde fulcatis undique patentibus ; apertura..... Piccola conchiglia, assai sottile, a spira conica acutissima; gli anfratti che crescono lentamente sono interamente levigati, i primi sono un poco convessi nel centro, ma subito dopo gli altri sono interamente piani. In questi un cingolo lineare semplice, rilevato, si trova a contatto della sutura nella porzione inferiore del giro. Mancano del resto tutti quanti gli ornamenti spirali. Sono invece benissimo visibili le strie di accrescimento minutissime e fittissime, profondamente falcate, di cui alcune assumono dimensioni maggiori come a formare delle piccole varici. Questa mancanza assoluta di ornamenti spirali distingue assai bene, a mio parere, la nuova specie. La sola 7. lapillorum OPPH. di Roncà ha con essa qualche analogia per la forma, ma se ne distingue per gli ornamenti. Numerosi frammenti di Via degli Orti. [149] P. E. VINASSA DE REGNY 191 Mathilda subtripartita n. f. — Tav. XX [VII], fig. 32 a-b. M. testa media, solidula; anfractubus converis, sutura simplici, lineari junetis; costis quinque majoribus, paten- tibus, minute nodulosis, costellis quatuor minoribus, nodulosis quoque, interjectis; vittis transversalibus crebris, minoribus, patentibus; basi spiraliter et transversaliter ornata; apertura magna, integra, fere circulari. Questo frammento di Via degli Orti, è una vera Mathilda con gli anfratti assai convessi, lentamente crescenti, molto regolarmente ornati. Cinque grosse coste spirali sono presenti sopra ciascun anfratto; esse sono rese nodulose dalla intersezione delle piccole costicine trasversali; tra queste cinque coste maggiori se ne hanno altre quattro minori, esse pure nettamente nodulose; ne risulta una scultura molto regolare, e la superficie viene divisa come in tanti piccoli quadrati. Sulla base si continua la stessa ornamentazione, le strie trasversali però sono assai meglio visibili e molto fitte. L’apertura assai grande è integra, e quasi perfettamente circolare. La forma veneta presenta analogie molto notevoli colla M. tripartita v. KoENEN (Unteroligoctin, pag. 722, tav. 50, fig. 15-16). Gli ornamenti e la loro disposizione sono assai ben corrispondenti. Si distingue da essa però per maggior regolarità nella alternanza delle coste spirali, per la sezione dei giri più ricurva, non angolosa come nella forma tedesca, e per la sutura meno scavata. Tra le forme del Bacino di Parigi, sia tra quelle figurate dal DesHAyEs sia tra quelle aggiunte dal Cossmann, nessuna ve ne ha che si possa anche lontanamente somigliare alla nostra. Typhis parisiensis p’ORB. 1889. Typhis parisiensis Or. Cossmann. Catalogue, IV, pag. 127 (cum syn.). Gli esemplari veneti si distinguono per le loro dimensioni assai più limitate, del resto sono del tutto rispondenti alle figure 4-6 della tav. 80 della prima opera di DesHavrs. È la prima forma di 7yphis, che io mi sappia, la quale venga citata nel Veneto. Sembra assai rara, non avendone che due esemplari non molto ben conservati di Possagno. Cerithium (Colina) hortense n. f. — Tav. XX [VII], fig. 34 a-d. C. testa minori, tenui, pupoide, anfractubus octonis, converis sutura lineari simplici junctis; ultimo magno, subgloboso spiram fere aequante; vittis spiralibus tribus, costellis transversalibus falcatis, crebris vittas decussantibus, in intersectione nodulosis; basi vittis spiralibus crebris, costellis subevanescentibus; cauda brevi, apertura obovato- elongata, columella biplicata. Conchiglia piccola di forma lievemente pupoide, composta di circa otto anfratti convessi riuniti da una sutura lineare semplice. L'ultimo anfratto è assai grande e rigonfio. Tre vitte spirali assai rilevate corrono sugli anfratti, esse sono intersecate da costoline minori, spesse, ricurve, che le rendono nodulose nei punti di intersezione. Sulla base le vitte spirali aumentano di numero, e le costoline trasversali vanno a sparire. La bocca è piccola ellittica, allungata; sulla columella, molto internamente, si scorgono due pieghe assai rilevate. Non conosco che un esemplare incompleto di Via degli Orti. Per la forma generale ha qualche somiglianza col CeritRhium tenue DesH. (Environs, pag. 402, tav. 59, fig. 9-12) che secondo Cossmann (Catalogue, IV, pag. 57) è un Colina a causa dei giri embrionali diversi. Ma dalla specie parigina lo distinguono le ornamentazioni assai diverse, e il canale assai meno allungato. Nell’Oligocene tedesco questo genere non sembra essere rappresentato; anzi mancano in esso le forme di Cerithidae colla columella piegata. 192 P. E. VINASSA DE REGNY [150] Cerithium (Colina) rectum n. f. — Tav. XX |VII], fig. 33 a-b. C. testa minori, tenui, elongata, anfractubus planis, sutura lineari, profundiuscula junetis, lente crescentibus, ultimo parvo non inflato ; vittis spiralibus tribus, mediana majori, costellis valde minoribus, falcatis, crebris vittas decussantibus, in intersectione nodulosis, basi vittis spiralibus cerebris, costellis parum notatis; cauda brevi, colu- mella biplicata. Conchiglia assai piccola, allungata, composta di anfratti pianeggianti, lentamente crescenti, riuniti da una sutura lineare assai profonda. L'ultimo anfratto è assai piccolo e niente rigonfio come quello della specie precedente. Sopra ogni anfratto si hanno tre vitte spirali di cui la mediana è la più grande, tagliate da costoline trasversali ricurve, fitte e assai minori, che le rendono nodulose nella intersezione. Sulla base le vitte spirali numerose sono sempre bene spiccate, mentre le costoline trasverse svaniscono. La bocca sembra simile assai a quella della specie precedente, sulla columella si vedono due pieghe molto spiccate e rilevate. Ne ho un solo esemplare incompleto di Via degli Orti. È questa un’altra forma per certo diversa dalla precedente e che sembra appartenere essa pure ai Colina. Le due pieghe columellari sono assai più spiccate che non nella forma precedente, i giri sono molto: più pianeggianti, ed essendo appena scavati alla sutura formano una linea quasi non interrotta; le ornamentazioni non differiscono gran cosa da quelle del C. horfense. Per la forma generale si ha qualche analogia col C. cuisense DEsH. (Bassin, INI, pag. 211, tav. 79, fig. 12-14), che certamente appartiene ai Colima. Strombus Garnieri Tourx. 1872. Strombus Garmieri TovrNoiiRr. Branchui et Allons, Bull. Soc. géol. de France, pag. 506, tav. 7, fig. 7-8. Questa forma si trova in Francia insieme alla Natica crassatina, e quindi nella parte superiore dell’Oli- gocene; io non ne ho che dei frammenti, ma così ben rispondenti, specialmente alla fig. 7 della tavola VII del Tourno#r, che non esito a riferirli a questa forma, non ancora rinvenuta nel Veneto. Rimella canalis Lux. var. plana BrvR. 1889. Strombus canalis Lat. var. plana Brvr. v. KoeneNn. Unteroligocin, pag. 33, tav. I, fig. 1-5. Un solo esemplare mal conservato ma interamente rispondente a questa forma tanto comune nell’Oli- gocene tedesco. Il nostro esemplare che proviene da Via degli Orti si distingue solo per le sue dimen- sioni assai maggiori. Rostellaria (Gladius) sp. ind. Ho un frammento di Possagno che senza dubbio non può riferirsi che alle Rostellaria (Gladius). Son conservati solo in parte i primi giri interamente levigati, e il punto di attacco dell’ala; ha qualche somiglianza col rarissimo Gladius humerosus DSH. sp. (Bassin, pag. 464, tav. 91, fig. 8-9), ma dato lo stato di conservazione non si può dir nulla di sicuro. Cypraea sp. ind. Di Valle Orgagna ho un esemplare di Cypraea, ma talmente mal conservato da non poterne dare una determinazione. Per la forma generale ha qualche analogia colla C. palumbella De GrEe. (San Giov. Iar., tav. VI, fig. 5). [151] P. E. VINASSA DE REGNY 193 Cypraea cfr. obesa Dsn. Da Brendola proviene un esemplare in modello, che offre somiglianze assai notevoli con questa forma dell’Eocene superiore parigino; non posso però dare come sicuro questo riferimento a causa dello stato di conservazione dell’esemplare. Cassidaria sp. ind. Un grosso esemplare di Brendola appartiene senza dubbio a questo genere. Esso però è troppo mal conservato per permettere un ravvicinamento specifico assai sicuro. Fusus scabrellus von Koew. 1889. Fusus scabrellus von KoeneNn. Unteroligocin, pag. 182. tav. 15, fig. 6-8. Non saprei come tener distinti gli esemplari di Via degli Orti da quelli dell’Oligocene tedesco, a cui rispondono per forma generale ed ornamentazione identica. Fusus erectus vow Korn. var. hortensis n. var. — Tav. XX [VII], fig. 35. Distinguo come varietà, se pure non merita di esser considerata come nuova specie, una forma di Fusus, assai raro a Via degli Orti, che mentre per il contorno ed il portamento generale è vicinissimo al F. erectus v. KoENEN (Unteroligociin, pag. 176, tav. 14, fig. 7-8) pure se ne distingue per le dimensioni assai più grandi e per la presenza di strie trasversali minutissime, che danno un aspetto reticolato alla superficie della conchiglia. Fusus cfr. brevicauda Pun. Lo stato dell'esemplare non mi permette un giudizio sicuro sul riferimento a questa specie; certo è che non saprei a qual forma meglio riferirlo. Le somiglianze maggiori si hanno coll’esemplare figurato dal v. KoENEN nella tav. 18, fig. 4 (Unteroligocin, pag. 212). Un solo frammento di Valle Orgagna. Clavilithes Japeti Tourn. — Tav. XX [VII], fig. 36 a-d. 1872. Fusus Japeti Tournoir. Branchai et AUlons, pag. 501, tav. VI, fig. 7. Ne ho tre grandi esemplari purtroppo incompleti di Via degli Orti, da dove la specie venne per la prima volta raccolta dal BayAn, e illustrata dal Tourno#r. Non è rara nell’Oligocene francese. Mitra fr. cancellina DsA. Ho di Possagno alcuni esemplari di una forma assai prossima a questa dell’Eocene parigino, ma probabilmente diversa. Lo stato degli esemplari però non mi permette una determinazione esatta o una descrizione completa se si tratti di una forma nuova. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 24 194 P. E. VINASSA DE REGNY [152] Voluta subambigua p’OrB. 1870. Voluta elevata (non Sow.) Fucas. Conch. vicent. Terticirbild., pag. 46, tav. VIII, fig. 12, 18. 1872. — subambiqgua D’ OrB. Tourxoir. Branchai et -Allons, pag. 506. Un modello di Priabona, quantunque poco ben conservato, pure a mio parere si riferisce esattamente a questa forma assai comune a Sangonini. Marginella crassula Dsx. 1896. Marginella crassula Dsn. Orpenneni. Colli Berici, pag. 119 (cum syn.). Due esemplari di Via degli Orti incompleti ma del tutto rispondenti alla forma parigina; questa forma dell’Eocene medio, passa invariata nell’Eocene superiore veneto, e quindi si trova pure nell’Oligo- cene di Castel Gomberto. i Oliva Marmini Micrn. 1839. Oliva Marmini Micun. DesHAyrs. Environs, pag. 741, tav. 96, fig. 23, 24. 1889. Olivella Marmini (Mican.) Cossmann. Catalogue, IV, pag. 212 (cum syn.). Assai meno allungata della O. mvtreola Lmx. dell’Eocene medio, questa forma di Via degli Orti si distingue pure per il cingolo suturale appena spiccato, largo e pianeggiante. Credo io pure col Cossmann, che anche la forma figurata dal v. Koenen (Unteroligocin, I, tav. 23, fig. 16) sia da riportare a questa specie. Ancillaria canalifera Lux. 1837. Ancillaria canalifera DesHAves. Environs, pag. 134, tav. 96, fig. 14-15. 1889. — — — Drsx. Cossmann. Catalogue, IV, pag. 216 (cum syn). Ne ho un solo esemplare, perfettamente rispondente, salvo per le dimensioni di assai più limitate, proveniente da Valle Orgagna: Ancillaria cfr. dubia LxmK. Non si distingue dalla forma figurata dal DesHAyEes (Environs, tav. 96, fig. 8-9), che secondo Cossmann (Catalogue, IV, pag. 214) è una varietà del tipo, se non per essere di spira un poco più globosa, e più N ottusa all’apice. E assai rara a Possagno. Ancillaria anomala ScaLorH. Ho numerosi esemplari di Valle Orgagna e di Possagno, i quali sono rispondentissimi alla comunis- sima specie dell’Oligocene veneto, salvo per le dimensioni assai più limitate Conus parisiensis DsH. 1889. Conus parisiensis Dsr. Cossmwann. Catalogue, IV, pag. 230 (cum syn.). Due esemplari interamente rispondenti l’uno di Via degli Orti, e l’altro di Valle Orgagna. [153] P. E. VINASSA DE REGNY 195 Conus hortensis n. f. — Tav. XX [VII], fig. 37 a-b. C. testa majori, solidula; spira depressa; anfractubus octonis, lente crescentibus, fere planulatis, sutura pro- fundiuscula junetis; ultimo magno, superne convexo, stiis spiralibus, aequidistantibus patentibus inferne notato ; apertura parva, subquadrangulari elongata. Conchiglia assai grande e spessa, a spira molto depressa, formata da circa 8 anfratti, poco convessi riuniti da una sutura assai profonda, irregolare. L’ultimo anfratto è convesso assai verso l’alto; ed infe- riormente ha delle strie spirali equidistanti molto spiccate e profonde; il restante della conchiglia è levi- gato. L’apertura grande allungata ha una forma subquadrangolare. La spira molto depressa e la convessità della porzione superiore dell’ultimo giro tengono ben distinta a mio parere questa interessante forma. Nessuna delle specie eoceniche parigine, e neppure di quelle del- l’ Oligocene tedesco somigliano a questa specie veneta. Si hanno invece notevoli analogie colle forme più antiche del C. Mercati BrccH., specialmente coll’esemplare di Potzleindorf figurato dal Cossmanx nei suoi Essais de Palétoconch. comparée, II, tav. 8, fig. 9-10. Da esso si distingue per le strie spirali più numerose e pei giri meno scavati, ma è certo che le somiglianze colla forma neogenica sono spiccatissime. Ne ho un solo esemplare di Via degli Orti. Pleurotoma obeliscoides Scurr. var. nodulosa n. var. — Tav. XX [VII], fig. 38 a-d. Chiamo così una varietà della P?. obeliscoides, che, perfettamente rispondente alla specie, se ne distingue soltanto per avere lungo la sutura una serie di piccoli nodi, assai ottusi, non confluenti, e perfettamente rispondenti per numero alle coste. E assai comune in Via degli Orti. Pleurotoma odontella Enw. 1890. Pleurotoma odontella Epw. v. KorxEN. Unteroligocin, pag. 379, tav. 28, fig. 11, 12. Ho tre esemplari di Possagno interamente rispondenti a questa forma dell’ Oligocene inferiore tedesco. Pleurotoma propinqua Dsw. 1835. Pleurotoma propinqua Desnaves. Environs, pag. 465, Tav. 63, fig. 14-16. 1889. = = DsHg. Cosswann. Vatalogue IV. pag. 269 (cum syn.) Sembra specie assai comune a Possagno, in bellissimi esemplari, del tutto rispondenti. Clavatula praegotica n. f. — Tav. XX [VII], fig. 39 a-d. CI. testa majori, solidula; spira...; ultimo anfractu magno subquadrangulari, în medio exrcavato, superne nodis fere spinulosis, aequidistantibus ornato, inferne carinis duobus parum protminentibus notato ; cauda magna, elongata, laevigata, apertura subquadrangolari; siphone elongato, latiusculo. Non ho che l’ultimo giro di questa forma, la quale però ho creduto interessante far conoscere. Esso è assai grande a sezione subquadrangolare, scavato nel mezzo. Questa specie di doccia è limitata in alto da una serie di nodi, assai distanti tra loro e che son quasi vere e proprie spine: inferiormente si tro- 196 P. E. VINASSA DE REGNY [154] vano due leggere carene molto spiccate, di cui la superiore è un poco più prominente; del resto la super- ficie è interamente levigata. L'apertura subquadrangolare termina in un lungo sifone, assai largo. Questa forma presenta qualche analogia di aspetto colla O. unicostata Ber. (Moll. Piemonte e Lig., pag. 196, tav. 6, fig. 222), da cui si distingue per la presenza delle spine e per avere meno spiccati i cingoli basali: maggiori somiglianze però ha colla C4. gotica MAy., figurata pure dal BeLLARDI nella tavola stessa fig. 20, e descritta a pag. 195, ma da essa si distingue sempre per la mancanza del secondo cin- golo spinoso presso la base. Un solo frammento di Valle Orgagna. _Clavatula cfr. carinifera GriLP. sp. L’esemplare è troppo mal conservato per poter offrire bastante sicurezza sul suo riferimento, certo è che non saprei a quale specie meglio riferirlo: le somiglianze specialmente coll’esemplare figurato da BeLLARDI (Moll. Piemonte e Lig., pag. 198, tav. II, fig. 24) sono assai grandi. Un solo frammento di Possagno. Clavatula trivigiana n.f. — Tav. XX [VII], fig. 40 a-b. Il. testa media, solidula, spira elongata, obtusiuscula; anfractubus octonis lente crescentibus, sutura lineari profundiuscula junetis, ultimo fere spiram aequante ; cingulo suturali supero proéminenti, obtuso, subnoduloso ; costis nodosis aequidistantibus momiliformibus, apertura obovato-elongata; cauda brevi. x La conchiglia assai grande è composta di circa otto anfratti, lentamente crescenti, uniti da una sutura lineare assai profonda; l’ultimo anfratto non è molto grande, raggiungendo appena la lunghezza della spira. Presso alla sutura superiormente si trova un cingolo ottuso, rilevato come un cercine, legger- mente noduloso; esso è limitato inferiormente da un solco assai profondo, al disotto di questo solco si trovano delle coste, o meglio dei nodi ottusi, ma poco allungati, assai fitti. Sull’ultimo anfratto si hanno poi verso la base numerose strie spirali, ed i nodi si prolungano in costoline ottuse. La coda è breve, l’apertura è ovale allungata. i Questa interessante forma potrebbe avere qualche analogia colle Drillia; credo però sia da riferirsi senza dubbio alle Clavatula non ostante che la bocca sia mal conservata. Nessuna delle forme eoceniche ed oligoceniche che io conosco si può confondere con essa: l’unica con cui si abbia qualche analogia è la CI. margaritifera Jan. var. A BeLL. (Moll. Piemonte e Lig., pag. 165, tav. 5, fig. 28) da cui però si distingue tosto per la diversa disposizione degli ornamenti e il canale più lungo. Ne ho un solo esemplare completo, e vari frammenti di Valle Orgagna. Clavatula viatrix n. f. — Tav. XX [VII], fig. 41a-0, 42 a-b. CI. ‘testa media, solidula, sutis elongata; spira obtusiuscula; anfraciubus novem lente crescentibus superne ex- cavutis, sutura profundiuscula junetis, ultimo spiram aequante; superne ad suturam carina acuta, subcrenulata, proé- minente, deinde sulco laevigato ornatis; costis transversalibus erebris, patentibus, aequidistantibus, vittas spirales minus patentes decussantibus, in intersectione minute nodulois; cauda brevi, apertura elongata, La conchiglia non molto grande ha una forma più o meno allungata a seconda degli individui; la ‘Spira è composta di 8 o ‘9 anfratti, riuniti da una sutura lineare assai profonda: 1° ultimo anfratto è [155] P.E. VINASSA DE REGNY 197 grande quanto tutta la spira. In alto di ciascun anfratto presso la sutura si ha una carena lineare assai acuta, leggermente crenulata, segue poi un solco profondo, scavato, assai largo e interamente levigato; più in basso si hanno delle coste trasversali, molto spiccate, che si intersecano con delle vitte spirali meno visibili, e sono nodulose ai punti di intersezione ; ciò è specialmente visibile sull'ultimo anfratto; verso la coda, assai breve, le vitte spirali prendono invece il sopravvento e svaniscono le coste trasversali. È assai prossima alla C7. conoidea Sor. e CI. subconoidea D’ORB. ma si distingue assai bene da entrambe per il portamento diverso e per gli ornamenti. Assai comune a Via degli Orti. Clavatula praeturgidula n. f. — Tav. XX [VII], fig. 43 a-b. OI. testa minori, tenui, subglobosa; spira obtusa; anfractubus septenis lente crescentibus, sutura lineari junetis, cingulis spiralibus tribus ornatis; superiore minutissime costellato, medio noduloso, nodulis obtusis, patentibus, aequidistantibus, inferiore magno, proéminente obtuso, subnoduloso; apertura.... Conchiglia assai piccola e sottile, rigonfia, a spira ottusa composta di circa 7 anfratti, riuniti da una sutura lineare. Ogni anfratto è adorno di tre cingoli spirali tra loro diversi; il cingolo superiore pros- simo alla sutura è assai rilevato ed è tutto quanto munito di sottilissime e fitte costoline trasversali, inclinate; in mezzo si trova invece un cingolo di nodi ottusi, assai tra loro distanti e benissimo visibili; l’ultimo cingolo è il maggiore di tutti, il più largo ed il più prominente; esso è ottuso e appena si scor- gono delle tracce di larghi nodi, confluenti e ottusi. Data la conservazione dell’esemplare non è possibile entrare in dettagli più minuti nella descrizione. Anche per questa forma è inutile ricercare analogie colle forme più antiche, dell’Eocene e dell’Oligocene. Essa se ne distingue immediatamente per forma ed ornamenti. Non si ha che una qualche somiglianza colla CI. turgidula Bern. (Moll. Piem. e Lig., pag. 159, tav. 5, fig. 17); ma da questa si distingue la nuova forma per essere assai più rigonfia e ottusa e per gli ornamenti molto più spiccati. Un solo esemplare incompleto di Valle Orgagna. Clavatula praeromana n. f. — Tav. XX [VII] fig. 44a-b, 45 a-b. CI. testa minori solidula, elongata; spira acuta, anfractubus octonis lente crescentibus superne leviter excavatis, sutura lineari profunda junctis, ultimo magno spiram acquante; vittis spiralibus crebris undique patentibus; costulis trasversalibus falcatis superne et inferne nodulosis, nodis inferioribus majoribus in tertio inferiore dispositis, cingulo spirali inferne ad suturam patente; basi spiraliter ornata, vittis spiralibus costellas minores decussantibus, in inter- sectione nodulosis; cauda brevis, apertura obovata. È questa una piccola conchiglia assai comune a Via degli Orti, di forma leggermente allungata, a spira acuta composta di circa 10 anfratti, riuniti tra loro da una sutura assai profonda. Gli anfratti sono lie- vemente scavati verso l’alto, l’ultimo è grande quanto tutta la spira. Sulla superficie sono ovunque ma- nifeste più o meno nettamente le vitte spirali, le quali però sono più spiccate sulla porzione inferiore dell’anfratto; trasversalmente si hanno delle coste ricurve, falcate, terminate ai due estremi da nodi, di cui è maggiore assai quello inferiore. Queste coste terminano al terzo inferiore circa dell’anfratto. Al di- sotto, presso alla sutura, sta un cingolo spirale assai rilevato. La base è tutta adorna di forti vitte spi- rali, tagliate da costoline trasverse e nettamente nodulose. La coda è breve, la bocca non molto ampia è ‘ovale. 198 P. E. VINASSA DE REGNY [156] Questa forma ben distinta da tutte le suo congeneri, ha però un poco di somiglianza colla C7. romana Beln. (Moll. Piem. e Lig. pag. 172 tav. V, fig. 36). Dolichotoma cfr. ligata Epw. Ho due esemplari di Possagno, che probabilmente sono una nuova specie: non trovo però caratteri molto salienti per poterne dare una descrizione esatta, mi limito quindi provvisoriamente a riferirli alla forma inglese e tedesca, con cui ha certo notevoli somiglianze. Genotia lyra Dsn. sp. 1835. Pleurotoma lyra DesHaves. Environs, pag. 468, tav. 64, fig. 1, 2, 6, 15-16. 1889. Genotia lyra (Dsa.) Cossmann. Catalogue, IV, pag. 245 (cum syn.). Sono numerosissimi esemplari di Possagno, che credo poter riferire con bastante sicurezza a questa specie assai variabile dell’ Eocene superiore. Borsonia praecostulata n.f. — Tav. XX [VII], fig. 460-b, 47a-b, 48a-b. B. testa minori, solidula, subglobosa, spira obtusiuscula, anfractubus septenis lente crescentibus, sutura pro- funda, undulata, subcanaliculata junetis; ultimo spiram aequante; vittis spiralibus undique patentibus, majori et minori alternantibus, suberenulatis; cingulo supero suturali, obtuso, undulato, costis transversalibus, aequidistan- libus obtusis, nodosis; cauda brevi vittis spiralibus notata; apertura obovato-elongata; columella biplicata. Piccola forma, comunissima a Via degli Orti, più o meno rigonfia, a spira assai ottusa da 6-8 an- fratti, riuniti da una sutura profonda e ondulata. Su tutta la superficie si hanno bene spiccate le vitte spirali alternanti una maggiore e una minore; in alto presso la sutura si ha un cingolo ottuso e ondu- lato, segue poi un solco stretto ma assai profondo, dopo di esso cominciano delle coste trasversali ot- x tuse, nodiformi, molto rilevate, su cui passano le vitte spirali. La coda è assai breve ed è minutamente ornata da spiccatissime vitte spirali; la bocca è ovale allungata, e sulla columella si notano due pieghe assai acute. Questa piccola forma è ben nettamente distinta da tutte le sue congeneri. Unica specie che le si avvicini un poco è la Borsonia costulata v. KoeNEN (Unteroligoctin, pag. 468, tav. 35, fig. 9-10). Se ne distingue però per la forma assai diversa dei nodi, e per la spira più ottusa. Comunissima a Via degli Orti. Borsonia hortensis n. f. — Tav. XX |VII], fig. 494-d. B. testa media, crassa, elongata; spwa acuta, anfractubus novem dente crescentibus, sutura undulata profun- diuscula junetis, ultimo spiram aequante, superne prope suturam cingulo spirali bipartito, deinde vittis minimis crebris, in medio vittis duobus majoribus protminentibus, costis magnis obtusis nodosis, ornatis; cauda vittis spira- libus suberenulatis notata; striis transversalibus parum patentibus; apertura obovata, labro externo denticulato, co- lumella biplicata. i ia Conchiglia non molto grande, a spira assai acuta, composta di circa. 9 «anfratti. riuniti da una sutura te) lo) ’ L 5) > assai profonda e ondulata. Sopra ciascun anfratto si trova in alto, presso la sutura, un cingolo spirale rr. ——mn [157] P. E. VINASSA DE REGNY 199 rilevato, ottuso, diviso per metà da un leggero solco; sotto a questo cingolo l’anfratto è un poco scavato; alcune piccole vitte spirali sono in questo spazio; seguono due grosse vitte rilevate e ottuse, poste pro- prio nel mezzo del rilievo formato dalle coste grandi, ottuse, rilevate, nodiformi; più in basso alla sutura si hanno una o due altre vitte spirali un poco minori. Sulla base le vitte spirali uguali tra loro si con- tinuano, e qui sono anche meglio visibili le strie trasversali, le quali però son manifeste anche sul resto della conchiglia. Il labbro esterno è denticolato internamente, ed i denti sono come disposti due a due; sulla. columella si trovano due grosse pieghe molto rilevate. Non conosco forme che possano presentare analogie molto spiccate con questa specie veneta. Tra le forme dell’ Oligocene tedesco, quella che più si avvicina è la DB. costolata v. KoEeNEN (Unteroligocin, pag. 468, tav. 35, fig. 9-10) ma da essa si distingue tosto per la forma e la disposizione degli ornamenti. Assai comune a Possagno. Borsonia pentagona n. f. — Tav. XX |VII], fig. 500-d. B. testa majori, solidula, bipyramidata; spira acuta, anfractubus octonis superne excavatis, lente crescentibus, sutura ondulata junetis, ultimo plus quam spiram aequante; vittis spiralibus crebris, superne prope suturam una majore, dein minoribus, in medio duobus majoribus, inferne duobus paulum minoribus ornatis; costis quinque no- dosìs, parum proéminentibus, obtusis; cauda elongata, viitis spiralibus majoribus et minoribus alternantibus no- tata; striîs transversalibus undique patentibus, crebris, vittas spirales decussantibus; apertura parva, obovata, colu- mella biplicata. Ho un solo esemplare di Via degli Orti di questa interessante forma, nettamente piramidale, a base pentagona. Gli anfratti sono superiormente scavati, e riuniti tra loro da una sutura regolarmente ondu- lata; l’ultimo di essi è assai grande ed oltrepassa di'un poco l’altezza della spira. Ogni anfratto è adorno di vitte spirali, di cui una maggiore è presso la sutura in alto; seguono poi tre o quattro vitte minori disposte nella parte scavata dal giro, e quindi si hanno due grandi vitte che tagliano le coste nodiformi, strette assai, e non molto rilevate; verso il basso presso alla sutura seguono altre vitte un poco minori. Sulla base le vitte spirali alternano di dimensioni; tutte poi sono intersecate dalle strie trasversali, vi- sibili su tutta la conchiglia. Le coste si trovano in numero di 5 per ogni anfratto, e allineate in modo da esser disposte una sotto all’ altra, cosicchè si hanno cinque rilievi continui dall’ apice alla base. La bocca è pur troppo incompleta, sulla columella si hanno due pieghe assai ben distinte, ma minori di quelle della specie precedente. La forma pentagonale caratteristica tiene distinta questa specie da tutte le sue congeneri. Drillia praepustulata n. f. — Tav. XX [VII], fig. 51. D. testa majori, elongata; spira acuta; anfractubus novem, superne excavatis, lente crescentibus, sutura pro- fundiuscula, undulata junetis, ultimo dimidiam spiram aequante, costis transversalibus majoribus, patentibus, obtu- siusculis, vittis spiralibus quatuor majoribus, dimidias costas inferne decussantibus; cauda clongata, vittis spirali- bus et costellis transversalibus notata; apertura obovato elongata, labro intus denticulato. Conchiglia assai grande, allungata a ‘spira acuta, composta di circa nove anfratti, scavati superior- mente, riuniti da una sutura assai profonda e regolarmente ondulata: l’ultimo anfratto è alto circa quanto la metà della spira. Tutta la conchiglia è adorna di grosse coste rilevate, nodiformi, equidistanti, meno spiccate però nella porzione superiore del giro. Delle vitte spirali assai grandi e rilevate si trovano sugli 200 P. E. VINASSA DE REGNY [158] anfratti; una non molto grande si trova in alto presso la sutura, segue poi lo spazio scavato, ove non si vedono che le strie trasversali, altre 4 grosse vitte sono sulle coste a cominciare dalla loro metà in- feriore sino verso al basso. La base è adorna da vitte spirali per lo più alternanti di dimensioni le quali vengono tagliate da altre costoline trasversali un poco minori. L’ apertura è ovale allungata, ed il labbro esterno è minutamente denticolato. Questa specie ha qualche analogia colla Drillia pustulata BrccH. (BeLLARDI, Moll. Piem. e Lig., pag. 104, tav. III, fig. 31) ma se ne distingue per la forma molto più slanciata, e per diversità di ornamenti. Drillia nassoides v. Korn. 1890. Drillia nassoiîdes v. KoeneN. Unteroligocin, pag. 412, tav. 33, fig. 7. Due esemplari di Possagno benissimo conservati sono interamente rispondenti a questa specie del- l’ Oligocene tedesco. Mangilia acuticosta Nysr sp. 1890. Mangelia acuticosta Nyst sp. v. KoeneN. Unteroligocin, pag. 502, tav. 33, fig. 1-3. Comunissima in Via degli Orti in belli esemplari, benissimo conservati, più specialmente rispondenti alla fig. 3 della tavola 33 del v. KoENEN. Pisa, Museo geopaleontologico, novembre 1897. M. CANAVARI LA FAUNA DEGLI STRATI CON ASPIDOCERAS ACANTHICUM DI MONTE SERRA PRESSO CAMERINO PARTE SECONDA (Cephalopoda: Ho/costephanus, Perisphinetes, Simoceras). (Tav. XXI-XXX [VII-XVI] e Fig. 15-28 intercalate) V. Gen. Holcostephanus. (Continuazione). 3. Holcostephanus substephanoides n. sp. — Tav. XXI [VII], fig. 2. DIMENSIONI Diametro . 0 o 0 0 0 ò . mm. 147 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,29 Spessore massimo » » 0,28 Larghezza dell’ ombellico » » 0, 46 Conchiglia discoidale, con accrescimento non molto lento; nel diametro di mm. 147 composta di quattro o cinque giri, dei quali i primi non sono conservati. Ombellico ampio, aumentante in profondità verso i giri interni, i quali perciò devono presentare in proporzione agli esterni uno spessore minore. Regione circumombellicale pianeggiante e profonda sin circa alla metà esterna dell’ ultimo giro, ove invece è poco profonda ed arrotondata. Ricoprimento del penultimo giro presso all’apertura appena 5/00 del diametro. Sezione ovale arrotondata con l’altezza di poco superiore alla larghezza. Dalla regione ombellicale del- l’ultimo giro irradiano 27 coste principali molto rilevate e quasi nodulose in sul principio, piegate leg- germente verso la parte anteriore della conchiglia. Sulla metà circa dei fianchi queste coste si bipartiscono e vanno poi diminuendo gradatamente in grossezza e passano senza interruzione sulla regione esterna a guisa di leggere ondulosità che si collegano con le corrispondenti coste del fianco opposto. Nella parte sifonale della conchiglia st ha l’indizio di sottili costicine spirali come nell’ Hole. Stenoris Gemm. Dove il guscio non è conservato, com'è il caso per l’ultima metà del giro esterno, le coste sono meno rilevate e meno distintamente bipartite, in modo che sembrano anzi semplici ed evanescenti oltre la metà del fianco. Presso l’apertura si ha un ampio e spiccato solco peristomatico, delimitato posteriormente da un rilievo ben pronunciato piegato quasi a gomito. I lobi sembrano mancare su tutto il giro esterno, il quale perciò appartiene forse interamente alla camera di abitazione. Ho staccato una porzione di questo giro esterno, e sull’ultimo quarto del pe- Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 25 202 M. CANAVARI [30] nultimo, col solito processo della lenta corrosione con acido cloridrico diluito, ho asportato il guscio molto compatto e convertito in calcite, e sono riuscito così a preparare i due setti consecutivi qui disegnati in TEMI grandezza naturale. Lobo sifonale non molto ampio con selletta sifonale Ls ben sviluppata, un poco meno profondo, sulla linea radiale, del primo laterale il quale termina in tre rami principali. Secondo lobo laterale meno sviluppato del precedente e un poco inclinato posteriormente; segue il piccolo lobo ausiliare inclinato pure posteriormente, tangente la linea radiale e terminante sull’ottusa angolosità cireumombellicale. Sella esterna ampia e tozza, divisa in due parti ineguali essendo quella esterna alquanto più grande della interna; sella laterale più piccola, del pari bipartita, larga quasi quanto il primo lobo laterale e perpendicolare alla Ls Lobo sifonale. 3 s 5 5 z 5 L, Primo lobo laterale. linea radiale. La sella seguente piuttosto ampia e poco alta risulta di 1 iS ocor doflopofiateralo irregolari foglioline e la sutura taglia la sella ausiliare. a, Lobo ausiliare. : ; a ; La descritta specie, per quanto abbia nella forma esterna grande (©) somiglianza con i Perisphinetes del gruppo del Per. acer Neum., nella costituzione invece dei lobi è inti- mamente collegata coi più tipici Holcostephanus. Questo viene dimostrato anche dal semplice paragone della sua linea lobale con quella delle due specie di Holcostephanus precedentemente descritte in questo lavoro (vedasi Pal. It., vol. II, pag. 49 [25], fig. 13; pag. 51 [27], fig. 14). Secondo l’autorevole parere di v. Surner ! la forma di Monte Serra appartiene al gruppo dell’ Hole. stephanoides, specie della zona con Opp. tenuilobata e che fu stabilita dall’OpPeL ? su quegli esemplari riferiti dal QuenstEDT 3 all’Amm. anceps albus. Si distingue dall’ Hole. stephanoides per le dimensioni molto maggiori, non sorpassando gli adulti della specie oppeliana il diametro di mm. 30, secondo OPPEL 4, o di mm. 42 secondo FonrannESs 5; ma sopra tutto per la forma e andamento delle coste, per l’accrescimento della spira più rapido e per la sezione dei giri decisamente ovale. Si noti da ultimo che la forma kimmeridgiana della collina di Lémenc (Chambéry) riferita dal FAvRE * all’Amm. (Perisphinctes) stephanoides OrP., non corrisponde forse a questa specie e neanche al genere Holcostephanus, sopra tutto per l'andamento e la brusca interruzione delle coste sulla linea mediana della regione esterna e sulla fine dell’ultimo giro, ove si ha un deciso solco come nei veri Perisphinetes. Esemplari esaminati: 1, raccolto insieme con i due Holcostephanus precedentemente descritti; esso è conservato nell'Istituto geologico e paleontologico di Bologna. VI. Gen. Perisphinctes WAAGEN. E noto che i perisfinti raggiungono il massimo sviluppo nel Giura superiore, ove abbondano grande- mente per la moltiplicità di forme e per il numero degli esemplari. Lo studio di essi è reso difficilissimo i Da una lettera all'autore, in data 10 maggio 1897. ? OppeL. Palaeont. Mitth., pag. 237, tav. 66, fig. 4, 5. 1865. 3 QuensteDT. Der Jura, pag. 617, tav. 76, fig. 3. Tiibingen, 1858; — In. Schwab. Jura, pag. 874, tav. 94, fig. 31-34. 1887. 4 OpPEL. L. c. 5 DuMoRTIER et FONTANNES. Crussol, pag. 96. 6 Favre. Suisse et Savoie, pag. 38, tav. III, fig. 6. — Vedi anche: PiLLeET et FROMENTEL. Lémenc, pag. 85, tav. I, fig. 9. [31] M. CANAVARI 203 così per la variabilità che presentano nei caratteri esterni e negli stadi successivi di accrescimento, in modo che raramente è permesso di osservare due esemplari completamente identici, come per la man- canza non infrequente della camera d’abitazione, dalla quale, secondo i più reputati autori, devono trarsi i migliori e più sicuri caratteri specifici. Le difficoltà poi aumentano nei singoli casi per la maniera come molte specie sono state comprese, sia riunendo sotto lo stesso nome forme che sembrano non poco diverse, sia, invece, separando con nomi nuovi forme tra loro vicinissime: donde -la doppia tendenza o di troppo riunire o di troppo dividere ; quest’ultima oggi prevalente sull’altra. Il materiale di studio che posseggo è abbastanza copioso per il giacimento di cui vado enumerando la fauna, ma insufficientissimo per poter tentare qualunque considerazione generale sul genere tanto di- scusso, sui diversi aggruppamenti per esso proposti da NEUMAYR, v. SUTNER, WAAGEN, STEINMANN, TEIS- SEYRE !, SIEMIRADSKI e CHOFFAT, e, infine, sui caratteri che si dovrebbero assumere come fondamentali per le delimitazioni specifiche. Io ho voluto solo dare le figure degli esemplari meglio conservati e, secondo i miei apprezzamenti, specificamente diversi, descrivendoli nel miglior modo che mi era possi- bile, e potendone anche osservare quasi sempre la linea lobale per il felice stato della loro conservazione. Dalle corrispondenze certe o probabili trovate per parecchie specie con quelle proprie di altri giaci- menti contemporanei già noti, emergerà poi il fatto, come vedremo, che tra le nostre forme di perisfinti predominano gli elementi propri della fauna kimmeridgiana alpina. 1. Perisphinctes adelus Gen. — Tav. XXII [VIII], fig. 1, 2; Tav. XXVII [XII], fig. 3. 1872. Perisplinetes adelus GexneLLaro. Faune giur. e lias. N. 2, pag. 51, tav. VIII, fig. 7. 1877. — — — Ibid. N. 7, pag. 198. 21877. Ammonites (Perisphinctes) sp. ind. Favre. Suisse et Savoie, pag. 41, tav. IV, fig. 1. 21880. Perisphinctes cfr. adelus (Gexm.) Parona. Di ale. foss. titonici di Caprino ecc. Atti R. ist. veneto di sc. ecc., serie V, vol. V, pag. 866. DIMENSIONI Tav. XXVII [XIII] Tav. XXII [VIII] I (Fig. 3) II (Fig. 2) Ir (Fig. 1) Diametro Ù ò È ci È d ; mm. 50 mm. 80 mm. 115 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,31 0,275 0, 26 Spessore massimo . 6 » » 0, 40 0,323 0,27 Larghezza dell’ombellico » » 0, 44 0, 51 0,52 I tre esemplari di perisfinti figurati, due dei quali più piccoli perfettamente eguali, e 1’ altro più grande e un poco diverso, reputo riunire in una medesima specie corrispondente a quella siciliana, nota col nome di Per. adelus GEMM. Il minore di questi esemplari (Tav. XXVII [XIII], fig. 3) nel piccolo diametro di 50 millimetri ha conservata in parte la camera di abitazione. Gli ornamenti consistono in costicine acute, un poco piegate in avanti, che dal contorno ombellicale irradiano semplici sino ai due terzi circa dell’altezza del giro, quindi regolarmente si biforcano attraversando, senza interruzione, la regione esterna ampia e arrotondata. 1 TeIsseyRE. Ueber die syst. Bedeutung der sog. Parabeln der Perisphineten. Neues Jahrb. fiir Min. Geol. u. Pal. VI Beil.-Bd., pag. 570. Stuttgart, 1889. 204 M. CANAVARI [32] Se però il guscio, che ha uno spessore piccolo e di poco superiore al mezzo millimetro, manca, come accade nella porzione esterna dell’ultimo giro, allora nella parte mediana della regione sifonale le costicine sono alquanto depresse e appaiono quasi interrotte. L’ultimo giro conservato ha 37 o 38 coste principali e di queste solo alcune rarissime rimangono semplici in tutto il loro decorso. Il fianco opposto a quello di cui è data la figura è molto deficiente; da quel poco che è rimasto si può vedere che le coppie di costicine non confluiscono in nodi corrispondenti, come si dirà meglio per il secondo esemplare. La sezione del giro esterno è arrotondata, un poco più alta che larga. I primi due terzi dell’ultimo giro sono poi tutti.concamerati, insufficienti però le linee lobali per essere con esattezza disegnate. In ogni modo è benis- simo riconoscibile che l'andamento di tali linee è identico con quello avvertito negli altri due esemplari, e che la semplicità dei lobi e delle selle è del tutto simile a quella caratteristica dei perisfinti riuniti nel gruppo del Per. colubrinus REIN. Il piccolo esemplare descritto per proporzioni ed ornamenti corrisponde completamente agli esemplari siciliani il cui diametro non sorpassa i 75 od 85 millimetri. Im questi difatti la sezione dei giri è più larga che alta, l’accrescimento lento, e le coste soltanto biforcate verso l’esterno, con la presenza fra di esse di qualcheduna semplice. La sola differenza potrebbe consistere nello spessore lievissimamente più piccolo, 0,40 del diametro in confronto a 0,42 e su esemplari dello stesso diametro di mm. 50. Il secondo esemplare raggiunge il diametro di 80 millimetri; in esso i lobi arrivano sino al primo sesto dell’ultimo giro, mentre i 5/ successivi appartengono certamente alla camera di abitazione; non deve mancare perciò che una piccola porzione vicina alla bocca per essere completo. Dalla parte ove è stato figurato (Tav. XXII [VIII], fig. 2a) presenta ben conservati due soli giri, l'esterno ed il penultimo; nella parte opposta invece manifesta circa cinque giri, dei quali il primo e solo parte del secondo obli- terati. I fianchi e la regione esterna sono arrotondati e la sezione del pari arrotondata, è più larga (0,325 del diametro) che alta (0,275 d. diam.). L’ultimo giro ha verso l’ombellico 53 costicine acute e taglienti e forse altrettante, od una di meno, e similmente conformate, ne ha il precedente. Anche in questo esemplare le costicine, arrivate ai due terzi del fianco, si biforcano quasi tutte regolarmente, ad eccezione di alcune rarissime che rimangono semplici, e passano sulla regione esterna senza alcuna in- terruzione; e come nel precedente quando il guscio viene asportato, si ha una leggera depressione sulla linea mediana esterna e quivi le costicine appaiono evanescenti. Ancor meglio poi che nel piccolo esem- plare, in questo ora in esame, si osserva che le costicine semplici non si corrispondono nei due fianchi e perciò avviene che uno dei due rami, nei quali si partiscono le costicine, dopo di aver attraversata la regione esterna percorre libero tutto il fianco opposto, mentre l’altro ramo va: ad accoppiarsi con uno dei due rami della costa bifida opposta; ne consegue per tal maniera l’apparenza di zig-zag che le costicine presentano sulla regione esterna, come è indicato nella figura dell’ultima porzione del giro esterno ve- duta dalla parte sifonale (Tav. XXII [VIII], fig. 2c). Lo stesso speciale andamento hanno le costicine nel- l'esemplare adulto figurato dal GremmeLLARO !. In corrispondenza del primo terzo dell’ultimo giro si os- serva nell’esemplare dell'Appennino un solco peristomatico preceduto da una costa che si biforca in prossimità della regione circumombellicale; altro solco si presenta sullo stesso giro là dove la conchiglia è tutta sciupata ad un quarto dall’apertura; questo solco è spiccatissimo sul fianco opposto a quello figurato. La linea lobale non è molto frastagliata: lobo sifonale piuttosto ampio e meno profondo del primo laterale, la cui profondità però va diminuendo con l’accrescimento ; secondo lobo laterale, nel senso da me compreso ed espresso con lettere di riferimento nella seguente figura intercalata, corto, pochissimo sviluppato 1 GEMMELLARO. Faune giur. e lias. N. 2, tav. VIII, fig. Td. [33] M. CANAVARI 205 ed inclinato esternamente; segue un piccolo lobicino ausiliare che di poco precede la sutura. Sella esterna tozza e bipartita; sella laterale molto ampia e profondamente divisa da un lobicino in due parti, delle quali la esterna termina in tre foglioline principali. Si può ripetere che anche l’esemplare descritto corrisponde a quelli di Sicilia dai 75 agli 85 milli- metri di diametro, per il lento accrescimento della spira, la convessità dei fianchi e della regione esterna, le costicine acute e regolarmente bifide, la presenza di qualche costicina semplice, l’andamento speciale delle costicine sulla regione esterna e, infine, per il numero limitato ‘dei solchi peristomatici. La sola differenza che vi si avverte è relativa allo spessore un poco più piccolo essendo di soli 0,325 del diametro. È pur vero che il GemmELLARO osserva andar lo spessore diminuendo con 1’ accrescimento, ma è un fatto che la cifra da me trovata egli non la trovò neanche nell’ esemplare di mm. 126; difatti in questo lo spessore è 0,36 del diametro, mentre nell’esemplare di soli mm. 50, e quindi più piccolo di quello orà in esame, è, come si disse, di ben 0,42. L’esemplare maggiore (Tav. XXII [VIII], fig. 1), come i due precedenti, ha conservata parte della camera di abitazione, alla quale appartengono i due terzi del giro esterno; in tutto il primo terzo si manifestano dunque i lobi. Su questo ultimo giro si contano poco più di 60 costicine acute, che ripetono, così sui fianchi come sulla regione esterna, forma ed andamento di quelle dei due esemplari più piccoli; se non che alcune di esse, rarissimamente però, si tripartiscono come è indicato nella figura e come accade anche negli esemplari siciliani che oltrepassano il diametro di 75 a 85 millimetri. Due solchi peristomatici ben manifesti si vedono sull’ultimo giro, il quale, a differenza dei precedenti giri, essendo un poco compresso verso l’esterno, presenta una sezione tendente alla forma ovale con lo spessore di poco superiore all’altezza. Si è accennato in principio che questo esemplare non era completamente identico ai due più piccoli; la lieve differenza che vi si osserva riguarda la regione circumombellicale che è qui un poco più pianeg- giante e quindi la unione di essa coi fianchi avviene sotto un angolo alquanto più manifesto. La linea lobale, preparata col solito processo della lenta acidulazione, non è molto frastagliata, come si vede dalla figura qui accanto, che rappresenta i tre ultimi setti, in grandezza naturale. Il primo lobo laterale (L1) va gradatamente aumentando in profondità con l’accrescimento, così che mentre nel terz’ultimo setto è un poco meno profondo del lobo sifonale (Ls), nell'ultimo invece lo è un poco di più. Secondo lobo laterale (La) molto inclinato esternamente, poco sviluppato; segue un lobicino ausiliare, posto in corrispondenza dell’angolo ottuso e smussato che separa i fianchi propriamente detti dalla regione cireumombellicale; dopo quel lobicino si hanno alcune leggere ondulazioni e quindi viene la sutura. Sella esterna piuttosto alta e bipartita; sella laterale ampia e profondamente divisa da un lobo in due parti, delle quali la esterna più alta dell’interna, e ambedue poi nuovamente bipartite; la successiva selletta interna è assai ridotta e molto più bassa delle precedenti. Il GemmeLLARO non dà separatamente la linea lobale della specie da lui x instituita; in parte solo è indicata nella figura dell’esemplare veduto di lato *. Fic. 16. Ls Lobo sifonale. Nella descrizione egli dice che la sella esterna è più alta e più larga delle altre; L, Primo lobo laterale. esisterebbe quindi una grande differenza con la linea lobale degli esemplari Ls Secondo lobo laterale. 5 o 9 ò o Qua 9 a, Primo lobo ausiliare. che io reputo riferire alla medesima specie, perchè in questi la sella esterna, degire PRES pur essendo più alta delle altre, è molto più stretta della sella laterale. Ma io credo, ammessa giusta la mia determinazione, che la differenza sia solo apparente e dovuta al modo con il quale vengono chiamate 1 GEMMELLARO. Faune giur. e lias. N. 2, tav. VIII, fig. Ta. 206 M. CANAVARI [34] le diverse parti di una medesima linea lobale. Mi sembra infatti che il secondo lobo laterale nel senso del GemMELLARO, sia corrispondente al lobicino che per me divide l'ampia sella laterale compresa tra i lobi Li e Le e che quindi la sella da lui chiamata laterale sia invece la parte esterna della stessa sella laterale, secondo la mia denominazione. Se una grande diversità deve notarsi tra il maggiore degli esemplari appenninici e quelli siciliani, bisogna ancora cercarla nello spessore dei giri. Ricorlammo che il GemmELLARO per l’esemplare del dia- metro di 126 millimitri dava la cifra 0,36; per l'esemplare in discussione invece ho trovato 0,27. Se estendiamo il paragone a tutti e tre gli esemplari del Monte Serra noi troviamo per lo spessore relativa- mente 0,40, 0,325, 0,26, mentre per quelli di Sicilia da 0,40, si scende a 0,36. Possiamo perciò con- cludere che nella forma appenninica lo spessore dei giri va diminuendo un poco più rapidamente che non in quella siciliana. Se ad onta di ciò si è creduto conveniente tenere unite le due forme nella medesima specie, questo dipende da che io credo che la piccola diversità notata non possa avere il valore di un vero e proprio carattere specifico, anche perchè le due forme provengono da giacimenti del tutto contem- poranei. Se poi l’unico esemplare di perisfinte trovato a Lubiare presso Carpino negli strati con P%. piychoicum Quenst., e paragonato dal PARONA (Op. cit. in sin.) al Per. adelus Gemm. e ricordato anche dal NIcoLIs * appartenga veramente a questa specie, non può dirsi con tutta certezza. La differenza non si limita solo allo spessore minore, ma anche alla minore altezza dei giri e alla suddivisione delle coste che avviene più verso l’esterno in modo che la regione sifonale ne risulta meno rotonda, senza tener conto poi di altre più piccole diversità. Per queste considerazioni l'esemplare descritto dal PARONA è citato nella si- nonimia con un punto interrogativo. Più sicura mi sembra invece la sinonimia per ciò che riguarda l’esemplare proveniente dalla zona con Asp. acanthicum OPP. di Plagnière descritto e figurato dal FavrE (Op. cit. în sin.) e da lui lasciato come specie indeterminata. Egli lo paragonò con il Per. colubrinus Rein. e ne rilevò con questo le af- finità per la forma delle ornamentazioni, e le differenze per l’accrescimento un poco più rapido, per l’ombellico quindi più piccolo, e per lo spessore maggiore, opinando da ultimo che potesse riferirsi “ à une espèce nouvelle ,. Dividendo la opinione del FavrE in quanto la separazione dell'esemplare svizzero dalla specie reineckiana, che, a giudizio del NeuMmAYR, “ liàsst sich wohl nie mehr genau feststellen ? ,, a me sembra che esso piuttosto che una specie nuova, debba riferirsi al Per. adelus Gemm. Difatti è vi- cinissimo al piccolo esemplare di Monte Serra, nè molto si allontana da quello siciliano del diametro di mm. 50. E ciò resulta anche dal semplice confronto delle relative proporzioni qui riportate: Alt. dell’ult. giro | Spessore massimo | Largh. ombellicale Provenienza dell’ esemplare Diametro i ì È x È in rapp. al diam. | in rapp. al diam. | in rapp. al diam. Sicilia 6 ” 0 6 o ” mm. 50 0,31 0,41 0, 48 Appennino centrale . . . o » 50 0,32 0, 40 0,41 | Svizzera . o , 6 c h » 46 | 0,31 0,40 0, 44 1 NIcoLIs E. Sistema Lias.-giur. della provincia di Verona. Ace. d'Agr. Arti e Comm. Vol. LVIII, ser. III, fase. II, pag. (dell’estr.) 62. Verona, 1882. ? NEUMAYR. Sch. mit Asp. acanthicum, pag. 177 [37], 1873. [35] M. CANAVARI 207 Per l'esemplare di Plagnière, non potendosi rilevare l'andamento delle costicine sulla regione esterna nè dalla descrizione nè dalla figura data dal FAvRE, può rimaner solo qualche dubbio per ciò che con- cerne la corrispondenza o alternanza dei nodi ove si partiscono le costicine medesime. Ammesso però che non si presenti l’alternanza ricordata per gli esemplari italiani di Per. adelus Grmm., quel solo ca- rattere differenziale non può certo constituire un elemento di valore specifico. Esso difatti è variabile in uno stesso esemplare, ciò che viene anche dimostrato in un altro piccolo perisfinte di Monte Serra (con- servato nel Museo geologico di Bologna) del diametro di 60 millimetri, il quale, quantunque incompleto, per tutte le sue particolarità si vede bene che corrisponde, senza alcun dubbio, ai primi due preceden- temente descritti. In esso le biforcazioni non sempre sono alternanti, la qual cosa è facile immaginare che accada pure negli altri esemplari tutti di Per. adelus, bastando infatti che il fenomeno di una costa semplice in un fianco che proviene da un ramo della biforcazione dell’altro fianco si ripeta, perchè le dette biforcazioni da alternanti tornino ad essere opposte e viceversa. Si avranno quindi serie di nodi corrispondenti o no, secondo l'origine e la successione delle coste semplici. È probabile poi che il ricordato carattere, essendo di poca importanza, non sia stato molte volte espresso nelle figure di perisfinti; in ogni modo il QuenstEDT lo dice abbastanza frequente e lo rilevò nell’Amm. difurcatus biplex (= Hole. Witteanus OpP.), nel Per. microbipler ed anche in un esemplare di Per. colubrinus *. Nella sistematica del genere Perisphincetes proposta da v. SuTNER, il Per. adelus GeMM. appartiene alla prima divisione, cioè a quella degli Annulato-costati o Biplices e più particolarmente al gruppo dei Biplices rotundati. Questi poi corrispondono alla serie a del Per. colubrinus Rein. del VII gruppo o dei Biplices secondo la classificazione del StemtRADSKI.? Le altre forme alpine, per considerare ora solo queste, qui riferite, secondo comunicazione avuta da v. SUTNER, sono le seguenti: Perisphinetes colubrinus ReIn. in HERB. Perisphinetes subpunctatus NEUM.3 I colubrinus REIN. in NEU. 5 haliarchus NeUM.* s Tantalus HERB. La forma che HerBIcH ascrive al Per. colubrinus Rein. è probabilmente quella stessa citata con questo nome dal NeuMmayR. Essa si distingue dal Per. adelus Gemm. per la divisione delle coste che av- viene sulla metà dei fianchi anzichè più verso l’esterno e per la maggior convessità della regione sifonale. Il Per. Tantalus ‘HeRrB. ha coste più numerose e sulla camera di abitazione divise in quattro rami; i lobi ne sono poi alquanto più frastagliati. Il Per. subpunctatus Neum. ha la conchiglia più compressa, la sezione dei giri assai più alta che larga, le coste suddivise in tre rami, e nodi regolari alla confluenza delle costicine. i QUENSTEDT. Cephalopoden, pag. 163, 164, tav. 12, fig. 110, 120. 1847; — In. Schwdb. Jura, pag. ST1, tav. 94, fig. 36; pag. 929, tav. 101, fig. 6r. 1887. Si veda anche: FavrE. Voîrons, pag. 31, tav. III, fig. 2b. 1875; — HERBICH. Széklerland, pag. 157 [139], tav. IX, fig. 2. 1878; — CHorraT. Faune jurass. du Portugal, pag. 35 (Per. janus), tav. 8, fig. 3 db. 1893; — LorIoL et KoBy. Etude sur les moll. et brach. de l’Oxford. sup. et moyen du Jura Bernois. Mem. de la Soc. pal. Suisse, vol. XXXIII, tav. VI, fig. 2a. Genève, 1896. ? SIEMIRADSKI. Fauna kopalna, pag. 63. — Ip. Die oberjurass. Amm.-Fauna in Polen. Zeitschr. der deutsch. geol. Gesellsch., 44 Bd., pag. 474. Berlin, 1892. 3 Il SIBMIRADSKI (Die oberjurass. ecc., 2. c., pag. 478) rapporta questa specie al IX gruppo, alle forme cioè derivanti, secondo lui, dal Per. procerus. i Lo stesso SIEMIRADSKI (Die oberjurass. ece., Z. c., pag. 476), pone questa specie nella serie | o del Per. Tiziani appartenente al gruppo Biplices o Annulato-costati, 208 M. CANAVARI [36] È appena possibile il confronto tra il Per. adelus Gem. e il Per. haliarchus Neum., perchè questo è ben differente da quello per le proporzioni tutte della conchiglia, per il minor numero delle coste e per i lobi molto più frastagliati. Invece le analogie aumentano quando si paragoni la specie italiana con le diverse forme di perisfinti che furono ascritte dagli autori al Per. colubrinus Rein. certo con criteri molto disparati. Così per esempio essa è molto vicina a quell’esemplare un po’ deformato degli strati con Oppelia tenuilobata Opp. del Baden, che fu figurato da LorioL come Per. colubrinus. Egli avvertiva però che i lobi erano un poco differenti da quelli del colubrinus com’era stato interpretato da ZitteL ! e da QuensteDT 2. Ora questi lobi dell'esemplare del Baden sono simili a quelli degli esemplari appenninici ; la diversità tra le due forme risiede però nelle coste, che nei nostri non sono radialmente diritte, ma un poco arcuate e piegate in avanti, senza tener conto poi della minor rotondità dell’apertura. Il Per. co- lubrinus REIN. secondo la comprensione di ZitTEL e di QuENSTEDT rimane in ogni modo sempre distinto dal Per. adelus Gemm. per l'accrescimento più lento e la maggior compressione della conchiglia. Infine per le possibili relazioni che presentano certe specie, non sarà superfluo ricordare la grande analogia che i nostri esemplari manifestano con i giri interni del Per. janus CHorr.? e con il Per. crotalinus Stem. 4 che certamente appartengono allo stesso gruppo in discussione. Il Per. adelus GeMx. è stato anche citato del Kimmeridgiano dei dintorni del Capo S. Andrea presso Taormina 5. Esemplari esaminati: 5, dei quali due conservati nell’ Istituto geologico e paleontologico di Bo- logna, e gli altri tre nel Museo geologico di Pisa. 2. Perisphinctes acer Nrum. — Tav. XXIII [IX], fig. 1,2. 1871. Perisphinetes acer NeumayR. Sch. mit Asp. acanthicum in Siebenbiirgen, pag. 24. 1873. — —_ — Sch. mit Asp. acanthicum, pag. 178 |38]), tav. XXXVII, fig. 1, tav. XXXVIII, 1,2. 1878. _ — (Nruwm.) Hergica. Swéklerland, pag. 158 [140]. DIMENSIONI I (Fig. 2) II (Fig. 1) Diametro . È d o o c . 0 mm. 118 mm. 142 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,25 0,27 Spessore massimo 0 » » 0,30 0,33 Larghezza dell’ombellico » » 0,56 0, 52 Gli esemplari che servirono al NEuMAYR per fondare questa specie furono raccolti per la maggior parte a Csofranka nella Transilvania, uno solo a Brentonico nelle Alpi meridionali, e tutti negli strati con Asp. acanthicum OPP. Essendo essi di varia grandezza ebbe l’autore opportunità anche di rilevare le modifica- zioni che la specie presentava nel suo sviluppo. 1 ZirroL. Palaeont. Mitth., pag. 225, tav. 33, fig. 6; tav. 34, fig. 4-5. 1870. ? QuensteDT. Schwib. Jura, pag. 927, tav. 101, fig. 1-7. 1887. 3 CHorrat. Faune jurass. du Portugal, pag. 35, tav. VIII, fig. 1-3. 4 SIBMIRADSKI. Fauna Kopalna, pag. 63, tav. III, fig. 5. ° SEGUENZA. Brevissimi cenni intorno la geologia del Capo S. Andrea presso Taormina. Rend. della R. Ace. d. Se. Fis. e Mat. di Napoli. Fase. V, pag. (dell’estr.) 9. Maggio 1887. [37] M. CANAVARI 209 L’esemplare minore di Monte Serra (Tav. XXIII [IX], fig. 2), che in parte è provvisto di guscio, cor- risponde completamente per proporzioni, forma e numero delle coste a quello di Brentonico figurato dal NeuMAYR (Op. cit. in sin., tav. XXXVII, fig. 1) quando si supponga che questo non abbia conservato l’ultimo giro. Si osserva benissimo nell’esemplare appenninico che le coste ben rilevate, acute, con il massimo sviluppo presso il contorno ombellicale, e sempre aumentanti in grossezza, diminuiscono invece di numero con l’ac- crescimento. Così nell’ultimo giro presente, la cui sezione arrotondata è un poco più larga che alta, le coste principali sono circa 20, quante cioè se ne contano nella corrispondente parte dell’esemplare alpino ; nel penultimo giro invece arrivano già a 30 e ancor più numerose appaiono nel terz’ ultimo non comple- tamente conservato. Dopo le prime cinque coste bifide del giro esterno segue un solco peristomatico spicca- tissimo limitato anteriormente da costa semplice un poco più piccola delle altre. Tutto l’esemplare è forse concamerato; certo tracce di lobi si vedono sino alla quart’ olo costa. La linea lobale qui figurata corrisponde circa alla metà del giro esterno. Primo lobo laterale tripartito, non molto ampio, profondo quanto il lobo sifonale ; secondo lobo laterale inclinato esternamente, più pro- fondo del primo quando la sua conservazione è buona come si vede nella parte sinistra della figura; si hanno poi due lobicini ausiliari sulla parete circum- ombellicale, inclinati e molto al di sotto della linea radiale. Sella esterna alta e in proporzione stretta; sella laterale ampia in alto e stretta alla base, assai frastagliata e divisa in due parti mercè un lobicino mediano abbastanza profondo. Le sommità delle selle dalla laterale alle ausiliarie, corrispondono su di una linea molto inclinata verso l’interno. Nessun con- fronto è permesso di fare con i setti dell’ esemplare di Brentonico, perchè, quantunque esso sia tutto concamerato, come dice NEeumAYR (Op. cit. in sin, pag. 178 [38]), pure non furono nè descritti, nè figurati. L’esemplare maggiore di Monte Serra (Tav. XXIII [IX], fig. 1) è un poco diverso dal precedente così per le. coste più numerose come per la sezione dei giri meno arrotondati sulla regione esterna e di forma ovale. Esso corrisponde a quello di Cso- franka, pur figurato nell’ opera di Neumay8Q alla tav. XXXVIII, fig. 1, dal quale si allontana per lo spessore alquanto minore. I lobi si manifestano sino alla prima metà del giro esterno; nella parte rimanente, per quanto abbia cercato di levare il guscio, i lobi non sì vedono più ed è perciò probabile ch’essa appartenga alla camera d; abitazione. L'ultimo ed il penultimo setto hanno la forma qui disegnata, Come si vede, questa linea lobale è molto vicina a quella dell’esemplare precedentemente descritto. Ne diversifica però nella sella esterna, che è un poco più larga e nei lobi ausiliari che sono meno profondi. La sella Ls Lobo sifonale. L3 Secondo lobo laterale. L, Primo lobo la'erale. a,,a, Lobi ausiliari. Fic. 18. x h y 00 do q 5 (rtf Ls Lobo sifonale. laterale è del pari ampia e divisa da lobicino mediano spiccatissimo. L, Primo lobo laterale. La specie in esame è certamente una delle più caratteristiche del Lg Secondo lobo laterale. o 0 d + a2,,2, Lobi ausiliari. genere Perisphincetes. Se però le due forme figurate da NEUMAYR, alle DE: quali corrispondono le due dell'Appennino, devono o no tenersi separate, ciò dipenderà solo dal concetto Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 26 210 M. CANAVARI [38] di specie, che è sempre del tutto personale. In ogni modo se per esser state ora trovate riunite nello stesso giacimento si può credere di avere un argomento di più per comprenderle in una sola specie, la diversità invece avvertita nella linea lobale consiglierebbe a separarle. Io mi limito per ora a considerarle quali varietà di una medesima specie; seguendo in ciò la via tracciata anche da NEUMAYR; lascio quindi ad altri o a chi potrà avere un materiale più copioso del mio, qualora si credesse proprio necessario, il compito di proporre per una di esse un nome nuovo di specie. Il Per. acer NeuM. appartiene, come il precedente, alla divisione degli Annulato-costati; non però al gruppo dei Biplices rotundati, bensì a quello dei Liplices bifurcati. Le altre specie delle Alpi e di Sicilia della stessa età, cioè degli strati con Asp. acanthicum OrP., ascritte a tale gruppo sono: Perisphinctes heteroplocus GeMm. Perisphinctes Hodiernae GeMw. s cimbricus NEUM. fi exornatus Cat. in NEUM. Il Per. heteroplocus Gemm.! si distingue dal Per. acer NEUM. per l’accrescimento più lento, le coste più numerose e meno rilevate con la maggior grossezza verso l’esterno; il Per. cimbricus NEUM., termine intermedio, secondo l’autore 2, tra il Per. colubrinus Rein. e forme affini da una parte e il Per. rectefur- catus Zirt. dall'altra, del pari per l’accrescimento più lento, quindi per i giri più numerosi, e per le coste alquanto diverse. Il Per. Hodiernae Gemm.3 ha pure accrescimento diverso e maggior numero di giri e il Per. exornatus Cat. coste secondarie più piccole e più numerose. Se estendiamo il confronto con specie o forme di altre località, si dovrebbe prima di ogni altro ricordare quell’esemplare della zona con Opp. tenuilobata OPP. di Podgorze presso Cracovia descritto dal SIEMIRADSKI 4 come Per. cfr. acer Neum. Esso si distingue per la conformazione delle coste, le quali invece di ingrossare andrebbero con l'accrescimento diminuendo e diventando sempre più larghe e più basse “was auf deren Verschwinden in hohem Alter zu deuten scheint? ,, l'opposto cioè di quello che accadrebbe nell’ acer, in cui, secondo NEUMAYR, a giudicare dall'andamento di esse coste sulla parte concamerata della conchiglia, la sola conservata negli esemplari da lui studiati, sembrava inverosimile che la camera di abitazione fosse stata liscia “ sondern es ist zu vermuthen, dass dieselbe in einer Weise verziert war, welche von den Ornamenten des groòssten abgebildeten Exemplares — quello cioè di Brentonico — nicht wesentlich abweicht.5 , Somiglianze notevoli ha poi il Per. acer Neum. con i due perisfinti della zona con Opp. tenuilobata di Crussol (Ardèche), quali sono Per. crusoliensis Font. e Per. lacertosus Font.® L’esemplare minore di Monte Serra (Tav. XXIII [IX], fig. 2) è quello che maggiormente ricorda il tipo del Per. crusoliensis Foxr., da cui però diversifica oltre che per gli ornamenti un poco diversi, anche per la sezione del giro esterno arrotondata e più larga che alta, e non lateralmente compressa. Nella forma degli ornamenti il Per. acer NeuM. si distingue egualmente da quelle varietà del Giura bianco ‘, grandemente vicine al su ricordato Per. crusoliensis Font., comprese dal QuenstEDT sotto l’antico nome di Ammonites divisus LANG 1 GEMMELLARO. Faune giur. e lias. N. 7, pag. 204, tav. XV, fig. 6, 7. ? NEUMAYR. Sch. mit Asp. acanthicum, pag. 178 [39], tav. XXXIX, fig. 2. 1875. 3 GEMMELLARO. Faune giur. e lias. N.T, pag. 203, tav. XVI, fig. 12,13. i SIEMIRADSKI. Fauna Kopalna, pag. 64, 1891; — In. Die oberjurass. Amm.-Fauna in Polen. Zeitschr. der deutsch. geol. Gesellsch. , Bd. XLIV, pag. 475. 1892. 5 SIEMIRADSKI. Die oberjurass. ecce., L. c. © NEUMAYR. Sch. mit Asp. acanthicum, pag. 178 [88]. 7 DuMORTIER et FONTANNES. Crussol, pag. 97, tav. XIV, fig.3; pag. 100, tav. XV, fig. 1. [39] M. CANAVARI 211 e da lui rappresentate nella tavola 106 con le fig. 6, 11, 12! La linea lobale di queste figure è dello stesso tipo di quella degli esemplari appenninici che riferisco al Per. acer Neum. L’esemplare poi del Baden proveniente dalla zona con Opp. tenuilobata OPP. e riferito da LorIoL ? al Per. lacertosus Font. ha accrescimento un poco diverso e conchiglia molto più compressa. Sempre a titolo di confronto citiamo in fine il Per. acerrimus Stem.3 (= Per. crusoliensis LorioL * pars [non Foxt.]) della zona con Opp. te- nuilobata Orp. della Polonia e del Baden, che si distingue per la forma delle coste meno grossolane e per i lobi che sembrano un poco più frastagliati. Risulta dalle precedenti osservazioni che tutte le forme più affini al Per. acer NEUM. sono state tro- vate nella zona con Opp. tenuilobata OvP., la quale, secondo NEUMAYR ?, si manifesta alla base degli strati con Asp. acanthicum OPP. La specie descritta oltre che di Csofranka e di Brentonico, vien citata anche degli strati del Giura superiore di Monte Lavarelle presso S. Casciano nel Tirolo meridionale £. Esemplari esaminati: 2, raccolti insieme col Ph. isotypum BEN. e conservati nel Museo geolo- gico di Pisa. 3. Perisphinctes crusoliensis Fowr.? 1876. Ammonites (Perisphinetes) crusoliensis (Fonr.) DuxormeR et Fonrannes. Orussol, pag. 97, tav. XIV, fig. 3. 1877. _ — — — Lorror [pars]. Baden, pag. 53, tav. V, fig. 6 [non fig. 7, $). DIMENSIONI Diametro . . ò 6 o ò o “mami 0. Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,30 Spessore massimo » » 0, 38 Larghezza dell’ombellico » » 0, 51 Riferisco provvisoriamente a questa specie, che appartiene allo stesso ciclo di forme della precedente, un piccolo perisfinte, troppo incompleto per esser ben figurato. Nell’accrescimento della spira e nella forma della sezione dei giri esso corrisponde alla parte concamerata dell’esemplare tipico descritto dal FonTANNES e raccolto nella zona con Opp. tenuilobata OpP. di Crussol; ne diversifica solo per le coste un poco più numerose; su giri infatti dello stesso diametro, di millimetri cioè 70, se ne hanno 43 circa invece di 34. Se però si deve ritenere che appartenga alla medesima specie anche l’esemplare del Baden rappresen- 1 QUENSTEDT. Schwéib. Jura, pag. 961, 963. Stuttgart, 1888. ? LorioL. Baden, pag. 50, tav. VI, fig. 1. 3 SIEMIRADSKI. Fauna Kopalna, pag. 65; — In. Die oberjurass. Amm.-Fauna in Polen. Zeitschr. der deutsch. geol. Gesellsch., Bd. XLIV, pag. 476. 4 LorIoL. Baden, pag. 53, tav. V, fig. 6-8. 5 NEUMAYR. Sch. mit Asp. acanthicum, pag. 221 [81]. 6 HoEeRNES, Petref. des obersten Jura von M. Lavarelle ecc. Verhandl. d. k.k. geol. Reichsanst., N.6, pag.130, Jahrg. 1876. 212 M. CANAVARI [40] tato da Lorror con la fig. 6 (Op. cit. în sin. e non quelli delle fig. 7, 8 i quali, secondo SIEMIRADSKI, devono riunirsi in un’altra specie ch’egli chiama Per. acerrimus) *, allora la differenza nel numero delle coste viene ad esser molto diminuita, perchè allo stesso diametro di mm. 70 l'esemplare ricordato del Baden ne ha 41. La conservazione non buona dell’esemplare appenninico, non mi permette di asserrire che esso sia effettivamente il Per. crusoliensis Font., al quale però potrebbe certo riferirsi come semplice varietà se il concetto di specie non fosse inteso in un senso molto limitato; nè mi permette poi di entrare in ulte- riori discussioni sul medesimo Per. crusoliensis al quale forse dovrebbero esser riportate come varietà alcune delle forme della Svevia descritte e figurate dal QuenstEDT con l’antico nome di Lane, Amm. divisus, e di cui fu accennato nella descrizione del Per. acer NEUM. La specie in parola oltre che a Crussol e nel Baden è stata trovata anche nel Giura superiore della Montagne de Lure (Basses-Alpes) ?. Esemplari esaminati: 1, raccolto con il precedente e conservato nel Museo geologico di Bologna. 4. Perisphinctes plebeius Neum. — Tav. XXVII [XIII fig. 2. 1873. Perisphinetes plebeius Neumavr. Sch. mit Asp. acanthicum, pag. 175 [35!, tav. XXXV, fig. 3. 1878. — — (Nruw.) Hersicn. Sxéklerland, pag. 156 [138]. 1891. E _ — Stemrapsxi. Fauna kopalna, pag. 66, tav. III, fig. 3. 1892. —_ — _ —_ Die oberjurass. Amm.-Fauna in Polen, pag. 476. DIMENSIONI Diametro . o ? d c c o immit92 Altezza dell’ ultimo giro in rapporto al diametro 0,30 Spessore massimo » » ; 0,33 Larghezza dell’ombellico » » 0,49 A questa specie, instituita sopra esemplari raccolti negli strati con Asp. acanthicum OPP. di Csofranka (Transilvania) e del Salzkammergut, io credo poter riferire un solo perisfinte di Monte Serra, alquanto distorto dal processo della fossilizzazione e con parte della camera di abitazione ancora conservata. Le misure relative all’altezza dell’ ultimo giro e alla larghezza ombellicale, in rapporto al diametro, sono quasi eguali alle corrispondenti date dal Neumavr. Una qualche differenza però si ha nello spessore, che nell’esemplare appenninico è un poco superiore all'altezza, di circa cioè 0,03 del diametro, mentre in quello della Transilvania, quantunque non si potesse esattamente determinare, pure appariva “ hinter der Héhe der Wingung zuriickbleibt (NEUMAYR, Op. cit. in sin.) ,. I fianchi sono un poco compressi ed hanno il massimo spessore presso la carena circumombellicale; la sezione dell’ultimo giro risulta ovale depressa. Gli ornamenti consistono in costicine numerose, al- quanto piegate in avanti, e verso la metà dei fianchi, o un poco più all’esterno, biforcate regolarmente e continuate senza interruzione sulla regione sifonale. Vanno aumentando a poco a poco in grossezza con 1 SIEMIRADSKI. Fauna kopalna, pag. 65; — In. Die oberjurass. Amm.-Fauna in Polen. Zeitsehr. der deutsch. geol. Gesellsch., Bd. XLIV, pag. 475. ? KILIAN. Descript. géol. de la Montagne de Lure (Basses-Alpes), pag. 101, 133. Paris, 1889. [41] M. CANAVARI 21 Mb) l'accrescimento, come pure si allargano alquanto gli spazi ad esse interposti. Sebbene circa la metà del- l’ultimo giro conservato appartenga alla-camera di abitazione, pure in esso le costicine presentano esat- tamente la stessa direzione, conformazione e relativa grossezza di quelle dei giri precedenti; aumentando per tal maniera le affinità con la specie alla quale l’esemplare fu riferito. Anche per il numero delle coste si ha quasi perfetta corrispondenza, quando naturalmente il confronto si faccia su giri di uguale diametro. Se infatti dalla figura data da NEuMAYR si suppone di togliere la parte esterna del giro che comprende 28 o 29 coste per ottenersi un esemplare identico per grandezza a quello appenninico, sull’intero giro che precede quella parte si contano 53 costicine principali cioè 2 0 3 sole di meno rispetto a quelle che si hanno sull'ultimo giro dell'esemplare di Monte Serra. I lobi della specie in esame non furono descritti. Io ho cercato di preparare l’ultimo setto, e vi sono solo parzialmente riuscito perchè l’esemplare ha ivi mancante un pezzo della regione esterna. Risalta in ogni modo la relativa semplicità di questa linea lobale, come è espressa nella figura qui intercalata. Sella laterale, sempre nel modo da me compresa, molto FIa, 19. larga, divisa da un profondo lobicino mediano in due parti, delle quali la parte. S esterna è un poco più alta della sella esterna la quale pure si presenta bipartita; una piccola ed inclinata sella accessoria si ha in corrispondenza della carena È n D == cireumombellicale. Lobo sifonale non conservato; primo lobo laterale, piuttosto stretto, tripartito e forse profondo quanto il sifonale; il secondo lobo laterale F* Primo lobo laterale. L3 Secondo lobo laterale. molto ridotto, ed inclinato esternamente non arriva a toccare la linea radiale; 3° sutura. un piccolo ausiliare si trova sulla parete circumombellicale. La conformazione della descritta linea lobale è simile a quella dei due primi perisfinti descritti e perciò si avrebbe un buon argomento per riferire anche la specie in esame alla divisione degli Annu- lato-costati, alla quale fu difatti ascritta dal SIEMIRADSKI, e più precisamente alla serie f o del Per. Tiziani OPP. (.Biplices compressi) *. Il v. SUTNER invece, come ebbe la cortesia di scrivermi ?, pone il Per. plebeius Neuwm. nella divisione degli Oblique-costati e al gruppo del Per. plicatilis Sow. Ivi apparterrebbe anche il Per. ptychodes Neum. degli strati con Asp. acanthicum OPP. di Sulzbach nel Salzkammergut e di Zaskale nella Gallizia. Da questo è facilmente riconoscibile il Per. plebeius NEUM. per l'accrescimento più lento, per le coste più numerose, meno grossolane e suddivise anche nella camera di abitazione. Certo sono in vero grandissime le analogie della specie con il Per. plicatilis Sow. tanto nella conformazione della conchiglia e negli ornamenti, quanto nella struttura generale della linea lobale; come sono anche da non trascurare le somiglianze che essa presenta con il Per. Tiziani OPP. e con altre forme affini a questa trovate nei terreni del Giura superiore della Spagna e descritte con grande accuratezza dallo CHorFar, quali sono per esempio il Per. Tiziani OpP. var. occidentalis Cnorr. e il Per. Tizianiformis CHOFF. ecc., rimanendo però sempre da tutte diversa particolarmente per lo spessore molto maggiore dei giri. Il Per. plebeius, dopo NeumAYR ed HERBICH, fu pure citato da SremIrapSsKI, che lo trovò in diverse località della Polonia e sempre nella zona con Oppelia tenuilobata OPP. Esemplari esaminati: 1, raccolto insieme coi precedenti e conservato nel Museo geologico di Pisa. 1 SINDMIRADSKI. Fauna kopalna, pag. 65. ? Da una lettera all’ autore, in data 11 maggio 1897. 3 Cuorpat. Faune jurass. du Portugal, pag. 29, tav. III, fig. 1-4; pag. 32, tav. V, fig. 5-7. 214 M, CANAVARI [42] 5. Perisphinctes serranus n. sp. — Tav. XXI [VII], fig. 1. DIMENSIONI Diametro . . . . 5 0 . . mm. 73 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,30 Spessore massimo » » 0, 36 Larghezza dell’ombellico » » 0,37 Se lo studio fatto su gli esemplari precedentemente ricordati m’indusse a poterli riferire a specie già note di altri giacimenti contemporanei, non fu possibile nessuna certa determinazione per l’esemplare che vado a descrivere e per il quale sono stato costretto, a malincuore però, di proporre un nome nuovo. E a ciò fare non mi mosse certo il desiderio di legare ad esso la mia persona, chè anzi sarei lieto, nel- l’interesse della scienza, se vi fosse chi, con materiali di confronto superiori a quelli che possiedo io, potesse dimostrare che ho errato e che il nuovo nome deve rientrare in sinonimia con una delle tante specie conosciute di perisfinti. Piccola conchiglia discoidale composta di quattro o cinque giri, dei quali sono ben conservati sol- tanto i due esterni. Metà o poco più dell'ultimo giro appartiene già alla camera di abitazione. Fianchi un poco pianeggianti, col massimo spessore presso la carena circumombellicale; regione esterna ampia e ar- rotondata; apertura tendente alla forma ovale; ricoprimento dei giri circa 1! della loro altezza. Gli ornamenti consistono in coste numerose abbastanza sottili, rilevate ed ottuse, alquanto proverse e quasi tutte regolarmente divise in due rami in corrispondenza della metà dei fianchi. Questi due rami poi, passano senza interruzione sulla regione esterna, piegando leggermente in avanti; se però il guscio non è conservato, allora nel modello interno, lungo la linea sifonale, si ha una leggera depressione, come è indicato nella fig. 19. Nell'ultimo giro le costicine sono in numero di 46, e solo 2 0 3 percorrono in- divise i fianchi e la regione esterna sembrando precedere i solchi peristomatici, dei quali, bene spiccati, se ne hanno due. Le parti della linea lobale qui figurate appartengono forse all’ultimo e al penultimo setto. Primo lobo laterale non molto ampio e profondo quanto il sifonale; secondo lobo laterale \S piccolo e molto inclinato esternamente; un solo lobo ausiliare presso la carena SI h cireumombellicale un poco superiore alla linea radiale. La sella esterna bipartita e piuttosto stretta è la più alta; sella laterale un poco più bassa, stretta alla base e divisa in due parti da un lobicino mediano profondo. Strettamente affine per i lobi ai perisfinti Annulato-costati, appartiene la nostra specie per l’andamento delle coste proverse e sempre uniformi e dico- on tome su tutta la conchiglia, alla sezione degli Oblique-costati e al gruppo DIRTI dei polygyrati. i Eee ne laterale Le specie che più si avvicinano al Per. serranus sono: Per. Achilles D’ORB., Ly Secondo lobo laterale. Per. Damesi Stem., Per. eupalus D’OrB. in LorioL, Per. Bleicheri LoRIOL in S. Sutura. Waic Delle due forme differenti, secondo avvertì NEuMAyR !, di Per. Achilles del Coralliano de La Rochelle figurate da p’OrBIGNY ?, solo quella che corrisponde alle figure 1-3 della tavola 206, può essere com- Fis. 20. i NEUMAYR. Sch. mit Asp. acanthricum, pag. 180 [40]. ? D’ORBIGNY. Paléont. frangaise. Terr. jurass. Céph., pag. 540, tav. 206, fig. 1-4 e tav. 207, fig. 1,2. Paris, 1842-49. [43] M. CANAVARI 215 parata al Per. serranus n. sp. Essa differisce per 1’ accrescimento alquanto più lento e quindi per un maggior numero di giri su diametri eguali, per il numero maggiore di coste, per la non rara triparti- zione di queste e infine per lo spessore minore dei giri e per la molto minore convessità dei fianchi e della regione esterna. Molto maggiori analogie la specie appenninica presenta con il Per. Damesì Stex.! del Kimmeridgiano inferiore di Sulejow in Polonia, non tali però, secondo il mio modo di vedere, da permettere la riunione delle due forme in una sola specie. Se difatti nell’accrescimento della spira e nel comportamento generale delle coste esse si corrispondono abbastanza bene, differiscono non poco però per altri importanti caratteri. Così nell’esemplare appenninico la biforcazione delle coste avviene un poco più verso l’interno (circa ad 1 e non ai 3/4 o a ?/3 dell’altezza dei fianchi, secondo l’accrescimento, come avviene nel Per. Damesi Siem.), la convessità dei giri è più manifesta, la conchiglia tutta meno compressa, la sezione dei giri perciò più larga che alta e di forma ovale allargata e non ovale lateralmente compressa. Differenze queste di non poco momento secondo i criteri che si adottano oggi da i diversi autori nella separazione specifica dei perisfinti. Dal Per. eupalus D°ORB. in LoRior ? si distingue la nuova specie di Monte Serra per avere le coste alquanto più inclinate anteriormente, per lo spessore superiore all’ altezza e quindi per la forma della sezione dei giri. Più notevoli sono di certo le differenze con il tipo del Per. eupalus D’ORB. 3, il quale sembra specie diversa dall’esemplare descritto e figurato sotto questo nome da LoRror e raccolto negli strati della zona con Opp. tenuilobata di Oberbuchsitten. L’ultima specie su ricordata vicina al Per. serranus sarebbe quella di Goorpoor (India) nel così detto Oomia group, riferita dal Waacen4 al Per. Bleicheri LorIoL. A giudicare dalla descrizione dell'esemplare indiano, esso per le coste generalmente dicotome e non tripartite, come in quello portlandiano europeo, è certo più vicino al nostro che non lo sia la forma tipica del Lorror; se ne distingue però per la sezione dei giri più rotonda, per la piccola ondulosità delle coste in corrispondenza della biforcazione e final- mente per essere dette coste più fine, elevate ed acute. Altri termini di confronto potrebbero forse cercarsi anche nelle specie di Perisphinetes Oblique- costati della fauna giurassica del Portogallo, così accuratamente descritta da CHoFFAT 5, rimanendo per altro da tutti ben distinta la nuova specie proposta. È infine forse superfiuo d’avvertire che dal Per. polygyratus ReIN., quando si prende per tipo la figura data per questa specie da LoRrIoL *, come ormai è generalmente ammesso, il Per. serranus si distingue facilmente per aver le coste sempre dicotome e non tripartite e per avere i giri proporziona- tamente più larghi. Esemplari esaminati: 1, raccolto coi precedenti e conservato nell’ Istituto geologico e paleonto- logico di Bologna. 1 SIEMIRADSKI. Fauna Kkopalna, pag. 58, tav. V, fig. 4; — In. Die oberjurass. Amm.-Fauna in Polen. Zeitschr. der deutsch. geol. Gesellsch., 44 Bd., pag.471. Berlin, 1892. 2 LorIoL. Oberbuchsitten, pag. 16, tav. III, fig. 2. ® D’ORBIGNY. Paléont. frangaise. Terr. jurass. Céph., tav. 217. 4 WAAGEN. Jurass. Ceph. of Kutch, pag. 194, tav. LV, fig. 4. 5 CHOFFAT. Faune jurass. du Portugal. 1893. 6 LorIoL. Baden, tav. VII, fig. 1. 1877. 216 M. CANAVARI [44] 6. Perisphinctes amphilogomorphus ! n. sp.? — Tav. XXVI [XII], fig. 1. DIMENSIONI Diametro . 0 0 > 5 c mm. 270 Altezza dell'ultimo giro in rapporto al diametro 0,29 Spessore massimo » » 0,23 Larghezza dell’ombellico » » 0,40 Se la grandezza degli esemplari, quando naturalmente sia accompagnata dalla presenza della camera di abitazione, “ spielt bei Bestimmung einer guten Species — come giustamente disse anche il QuEx- ‘ srept ? — ein wichtiges Kriterium ,, s'incontrano però nella pratica tali e tante difficoltà, spesso insu- perabili, allorchè si cerchi di riconoscere se la specie sia nuova o si debba riferire ad una delle non poche forme di perisfinti incompletamente conosciute per la mancanza della camera di abitazione, che, nel maggior numero dei casi, si rimane completamente dubbiosi. Le considerazioni embriologiche a pro- posito delle Ammoniti fatte dal NeuMAYR ed ormai accettate e sempre più anzi convalidate da quelli che, possedendo copiosi materiali, hanno potuto profondamente studiare questi Cefalopodi completamente estinti, dimostrano che la comunanza della origine può stabilire perfetta corrispondenza negli stadi gio- vanili di specie differenti, le quali solo nello stadio adulto presentano sviluppati gli elementi caratteri- stici per la loro determinazione. E, nel caso particolare, per specie non poche di perisfinti questi carat- teri sono precisamente espressi solo nella camera di abitazione. Altre non poche difficoltà s’incontrano poi quando si vuol riconoscere se tra i piccoli esemplari che si esaminano dello stesso giacimento ve ne ha alcuno che possa per caso rappresentare i primi giri di quelli più sviluppati. Tutte queste considera- zioni perciò mi rendevano molto perplesso nello studio dei grandi planulati — “ Riesenplanulaten ,, se- condo QueNsTEDT * —, trovati a Monte Serra, e che pur non ostante avevo ormai preso l’impegno di portare a compimento. Il primo esemplare che vado a descrivere non ha pur troppo permesso nessun riferimento certo, e la necessità quindi di proporre per esso un nome nuovo, senza poter poi escludere assolutamente che esso non venga ad aumentare o a complicare la sinonimia, spesso non facile, di altre specie già cono- sciute. Io ho sempre però creduto che ad un errato o mal sicuro riferimento, per insufficienza di materiali di studio e di confronto, sia pur sempre meglio, anche temporaneamente, tener separato quello che non si può riunire, e ciò valgami di scusa nella proposizione della specie nuova, il cui nome “ Per. amphilogo- morphus , esprime già la mia incertezza. Siccome poi è anche necessario di dare un mezzo sicuro per render possibili le altrui osservazioni, così tutti i miei esemplari ben sviluppati saranno figurati in gran- dezza naturale, per sfuggire a quelle giuste critiche che si muovono a coloro che, avendo date figure impiccolite delle Ammoniti, ne hanno alterati alcuni dei caratteri fondamentali più importanti, quali sono quelli relativi, per esempio, all’ accrescimento della conchiglia, “ denn durch blosse Verkleinerung wird das richtige Urtheil sehr getruùbt 4. Ciò premesso, ecco la descrizione dell’ esemplare esaminato : Grande conchiglia discoidale, composta di sei o sette giri lentamente crescenti, ricoperti per un terzo della loro altezza, con ombellico ampio, gradiniforme per la presenza di pareti cireumombellicali alte, dueothojos, dubbioso, nopo, forma. QuensteDT. Schwéib. Jura, pag. 934. Stuttgart, 1887. Ip. . c., pag. (994. ID. L. c:, pag. 935. (e) [45] M. CANAVARI 217 ripide e con carena abbastanza manifesta. Fianchi pianeggianti e un poco declinanti verso la regione esterna arrotondata, così che la sezione dei giri tende alla forma ovale ed è più alta che larga. I setti arrivano sino al primo terzo del giro esterno. Quasi tutta la parte concamerata della conchiglia, sino cioè al diametro di circa 565 millimetri, è adorna di coste numerosissime, sottili, molto acute dove è conser- vato il guscio, un poco flessuose, separate da spazi concavi alquanto più larghi di esse, proverse e irra- dianti semplici dalla sutura. Essendo poi riuscito a staccare un pezzo del giro esterno in corrispondenza circa del primo terzo, ho potuto vedere che sul penultimo giro quelle costicine arrivate ai ?/3 dei fianchi, cioè dove comincia il ricoprimento, si dividono quasi tutte in due rami eguali per grandezza al ramo principale, e solo alcune pochissime rimangono indivise, e tutte passano poi sulla regione esterna facendo una leggera curva proversa. Nel modello interno però e lungo la linea sifonale sono meno apparenti e sembrano quasi scomparire. Queste costicine cessano su tutto l’ultimo giro e nella parte della camera di abitazione conservata, ?/3 circa di esso ultimo giro, si hanno invece 13 o 14 pieghe costiformi, grosso- lane, reciprocamente abbastanza allontanate, che principiano presso la carena circumombellicale, rapida- mente raggiungono il massimo sviluppo e poi vanno scomparendo verso l’ esterno in modo che la regione sifonale rimane del tutto liscia. Le dette pieghe sono al solito più manifeste dov'è conservata la con- chiglia, come è il caso per la parte figurata, che non dove manca. La linea lobale si presenta molto frastagliata anche nei giri interni. Quella qui disegnata appartiene, pare, al terz’ultimo setto ed è stata preparata su quel pezzo dell’ultimo giro che, come si avvertì, si cercò con buon risultato di staccare per ricono- La scere l’andamento delle costicine sulla regione esterna del penultimo giro e per vedere anche i lobi interni. Sella esterna ampia, con foglioline numerose e bipartita; sella laterale, secondo la mia comprensione, un poco più bassa, ma molto più larga della precedente, e profondamente divisa in due parti, le quali nuovamente sono bipartite da altro lobicino secondario; si hanno tre Ls Lobo sifonale. a,-a, Lobi ausiliari. : dro iio . IL, Primo lobo laterale. DI Sutura. PEEGSOT line i selle accessor ie, assai inclinate e le cui L, Secondo lobo laterale. La Lobo antisifonale. estremità, con quelle della laterale, si trovano su di una linea molto obliqua posteriormente. Primo lobo laterale più profondo del sifonale e quasi quanto l’ultimo degli accessori, spiccatamente tricuspidale; secondo lobo laterale molto ridotto e inclinato esternamente come i successivi tre ausiliari, con i quali determina una specie di ampio lobo sospensivo. Dopo la sutura si hanno quattro lobicini interni ascendenti e finalmente il lobo antisifonale stretto, profondo un poco più del sifonale e terminato in punta. Le sellette interne, non tutte ben con- servate, sono meno ramificate e meno denticolate delle esterne ;quella che precede il lobo antisifonale è la maggiore di esse tutte e termina in tre rami; le estremità di queste selle interne si trovano su di una linea inclinata posteriormente. Se le linee lobali si esaminano sul principio del penultimo giro messo allo scoperto e dove misura un'altezza di circa mm. 32, presentano sempre gli stessi caratteri nelle selle e lobi principali, come si Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 27 218 M. CANAVARI [46] vede nella figura qui sotto intercalata; la sola differenza avvertita, riguarda la piccola riduzione delle selle e lobi accessori. Questa linea lobale, che corrisponderebbe ad un esemplare di circa 90 millimetri di diametro, è, come vedremo, quasi identica a quella del piccolo perisfinte (mm. 71 3 a di diam.) che sarà successivamente descritto come n. sp.? si D SN S Il Per. amphilogomorphus deve ascriversi alla grande divisione degli i ta, Oblique-costati di v. SutyER avendo promiscuamente associati i caratteri propri dei Plicati e dei Virgulati. Nella forma e andamento delle coste nette, piccole, proverse, divise per la maggior parte presso il dorso in due rami non interrotti, eguali in grandezza alle coste prin- cipali; negli ornamenti della camera di abitazione differenti da quelli dei giri precedenti, e costituiti da pieghe costiformi allontanate e com- al La La L, Primo lobo laterale. Ls Secondo lobo laterale. pletamente evanescenti nella regione esterna, la nuova specie di Monte si e Serra è strettamente affine ai Plicati, trovando tra questi una certa ana- logia nel Per. ptychodes Neum. degli strati con Asp. acanthicum di Sulzbach nel Salzkammergut e di Zaskale nella Gallizia 1. Ma le stesse particolarità delle coste spesse, fine, spiccate e non sempre dicotome si ritrovano pure nei Virgulati, ai quali la specie è poi più vicina anche per il grado di accrescimento e sopratutto per il notevole sviluppo delle ramificazioni lobali. Del resto, come osservò SIEMIRADSKI ?, i due gruppi ricordati sono strettamente affini e le specie Per. Vajdelota Siem. e Per. occultefurcatus WaAG. ne formerebbero quasi anelli di congiunzione. I giri interni del Per. amphilogomorphus, per quanto è dato vedere, sono molto simili a parecchie specie di Virgulati, che lo precorsero nel tempo, quali per esempio: Per. virgulatus Quenst. 3, lucingensis Favre *, Mindowe Siem. 9, Dybowskiù Stem. 8, Kreutzi Stem.?, mazuricus Bux.3, Airoldi GeMmm.®, Aeneas Gemm.!9, trichoplocus GeMM.!! ecc. Da tutte si distingue nello sviluppo successivo per gli ornamenti della camera di abitazione, senza tener conto di altre differenze che potrebbero avvertirsi nel grado d’involuzione e nella sezione dei giri. In ogni modo questa corrispondenza fa pensare che tra quelle specie, che ebbero il loro ciclo di sviluppo nella zona del Peltoceras transversarium QuENST., sieno da ricercare gli antenati del nostro Per. amphi- logomorphus. Il Per. metamorphus Num. degli strati con Asp. acanthicum e quindi contemporaneo alla nuova specie appenninica e che viene considerato da v. SurneR quale un Virgulato con ornamenti diversi nei successivi stadi di sviluppo, si distingue sempre molto bene da essa e per l’ombellico un poco più stretto, e per 1 NEUMAYR. Sch. mit Asp. acanthicum, pag. 175 [35], tav. XXXVI. ? SIEMIRADSKI. Fauna Kopalna, pag. 40; — In. Die oberjurass. Amm.-Fauna in Polen. Zeitschr. der deutsch. geol. Gesellsch., 44 Bd., pag. 462. 3 QuensTEDT. Schwdb. Jura, tav. 100, fig. 5. 4 FAvRrE. Voîrons, tav. III, fig. 4. 5 SIEMIRADSKI, Fauna kopalna, tav. II, fig. 1. CTZ SE CS EVI OA Ip. L. c., tav. I, fig. 4. 8 BukowsKI. Ueber die Jurabild. von Czenstochau in Polen. Beitr. zur Pal. Oesterr.-Ung. ece., Bd. V, H. IV, tav. XXX [VI], fig. 9. Wien, 1887. ° GEMMELLARO. Faune giur. e lias. N. 4. tav. XIII, fig. 3. 10 Ip. L..c..N. 6, tav. XX, fig. 12. 11 Ip. L. c. N. 6, tav. XX, fig. 13. [47] M. CANAVARI 219 la presenza sull'ultimo giro non già di radi rilievi costiformi, bensì di pieghe abbastanza frequenti con intercalate verso l’esterno altre costoline o pieghe. Altro termine di confronto potrebbe cercarsi anche nell’esemplare del Per. grandiplex tipico figurato dal QuenstEDT alla tav. 102 (fig. 1) della sua importantissima opera sulle Ammoniti del Giura svevo. In questo esemplare però, raccolto nel Giura bianco B di Ahlsberg, le costoline sottili sono limitate più verso la parte centrale della conchiglia, poi vanno diradando ed ingrossando, mentre nella forma appen- ninica continuano quasi sempre sottili e molto avvicinate sino al principio dell’ ultimo giro. Le due forme così, che per la somiglianza dei primi giri devono avere avute vicine le origini, tornano di nuovo a ma- nifestare stretta parentela nello stadio adulto in quanto che le grosse e rade pieghe costiformi del giro esterno della nuova specie proposta, sono del tutto simili a quelle notate da QuenstEDT sulla camera di abitazione, interamente conservata, del su ricordato esemplare di Per. grandiplex di circa 400 millimetri di diametro. : Esemplari esaminati: 1, raccolto con gli altri tutti perinsfinti e conservato nel Museo geolo- gico di Pisa. 7. Perisphinctes n. sp.? — Tav. XXVII [XIII], fig. 4. DIMENSIONI Diametro approssimativo . d o 0 . mm. 71 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,37 Spessore massimo 6 » » 0,27 Larghezza dell’ombellico » » 0,37 Ricoprimento del giro » » 0, 085 Conchiglia discoidale compressa, un poco involuta qua e là decorticata del guscio e composta di tre o quattro giri, di cui gl’ interni non conservati. L’ultimo giro ha fianchi pochissimo convessi, ornati da coste numerose (circa 80-82), che sembrano per la maggior parte semplici, sottilissime verso l’interno, ottuse, leggermente piegate in avanti, con la convessità perciò posteriore e a grado a grado un poco ingrossate verso il margine esterno ove non presentano però un vero e proprio tubercolo; si deprimono sulla regione esterna quasi a scomparire e ad originare una specie di nastrino liscio in corrispondenza del sifone e più manifesto sul modello interno che non sulla conchiglia. Anzi in questa le costicine dei due fianchi sem- brano quasi confluire in curva convessa anteriormente. Nel penultimo giro si vedono ancora in parte le costoline semplici e radiali e due solchi peristomatici di cui il primo più nettamente manifesto, ciò che non troppo bene è espresso nella figura (Tav. XXVII [XIII], fig. 4a). Esso è preceduto da tre o quattro costicine indecise, poi, a causa del cattivo stato della conservazione, il giro appare liscio. I fianchi scen- dono rapidamente all’ombellico, senza dar luogo però ad una carena; la regione esterna è arrotondata e la sezione risulta quasi ellittica e appena con l’indizio alla forma ovale. Tracce di lobi si osservano sino all’estremità dell’ultimo giro, quindi la camera di abitazione manca completamente. Sul fianco opposto a quello figurato dove il guscio era meglio conservato e le coste si manifestavano proprio semplici, in corrispondenza dei due terzi circa dell’ultimo giro presente, è stata posta in evidenza una linea lobale mercè la lenta corrosione con acido cloridrico diluito. Essa è finamente frastagliata, come si vede nella Fig. 23 della pagina seguente. Lobi appena meno larghi delle selle: primo 220 M. CANAVARI [48] lobo laterale diritto, un terzo più profondo del sifonale, diviso in parti impari molto ramificate; secondo lobo laterale poco sviluppato, obliquo esternamente; due lobicini accessori piccolissimi che insieme al laterale costituiscono una specie di lobo sospensivo. Sella esterna ben sviluppata, profon- damente bipartita, con sottili foglioline terminali, non molto ampia; sella laterale del pari divisa in due parti, di cui la esterna, nuovamente suddivisa e quasi per- pendicolare, è più alta della sella precedente: la parte interna invece, ancora bi- partita, è assai più piccola, esile ed obliqua; succedono due piccolissime selle accessorie anche esse molto oblique ed una terza tagliata dalla sutura. TSEMORO eifonalo! Questa linea lobale è grandemente vicina a quella della specie precedente, come L, Primo lobo laterale. risulta anche dal semplice confronto delle relative figure. E poichè il grado del- 2 SR lobo Jaterale. J°involuzione e 1’ andamento delle coste ricordano pure il Per. amphilogomorphus precedentemente descritto, così io sono rimasto molto tempo in dubbio se dovessi o no a questo riferirlo. Provvisoriamente mi sono finalmente deciso a tenerlo separato in primo luogo perchè i lobi ausiliari sono in minor numero anche se contati su altezze uguali di giro, poi perchè le costicine non sono mai decisamente acute, ma piuttosto sempre ottuse, e infine perchè i corrispondenti giri interni del Per. amphilogomorphus hanno pareti circumombellicali più ripide e un poco più alte. Ulteriori studi, se sarà possibile trovare a Monte Serra altri esemplari delle due forme tenute ora separate, po- tranno risolvere la questione. È singolare di avvertire poi le analogie che l'esemplare descritto presenta con il Per. haeterus HERB., il quale, come vedremo, vien posto da v. SutnER nel gruppo dei Polyplocì stenocycli, ciò che rende ancora incerta la divisione alla quale la forma appenninica deve esser definitivamente riferita. La specie di HerBica, raccolta nei calcari rossi arenacei argillosi di Gyilkoskò e negli strati più profondi, inferiori cioè al deposito con Terebratula janitor, si distingue però facilmente per l’accrescimento più lento e quindi per un maggior numero di giri su diametri eguali e forse anche per la maggior frequenza della bifor- cazione delle coste. Nell’esemplare di Monte Serra non si vedono in verità coste biforcate, ma ciò forse può dipendere dallo stato cattivo, della conservazione. La maggior evidenza poi della fascia sifonale nell’esemplare di Gyilkoskò è una conseguenza della mancanza in esso della conchiglia. Ho difatti supe- riormente avvertito che nel mio esemplare quando il guscio non era conservato sulla regione esterna, le costicine ivi parevano interrotte e si presentava perciò una specie di piccola fascia somigliante a quella descritta dall’ HERBICH. Il numero notevole delle costicine, la loro conformazione, la preponderanza certa di quelle semplici, separano benissimo la nuova specie da tutte le altre conosciute del medesimo gruppo. Esemplari esaminati: 1, raccolto colle precedenti specie, e conservato nel Museo geologico di Pisa. Fia. 23. 8. Perisphinctes metamorphus Nrux. — Tav. XXVII [XIII], fig. 1. 1873. Perisphinetes metamorphus NeumavR. Sch. mit Asp. acanthicum, pag. 176 [36], tav. XXXIII, fig. ©; tav. XXXIV, fig. 1. 21877. Ammonites (Per.) metamorphus (Neux.) LorioL. Baden, pag. 59, tav. VII, fig. 2. 1878. Perisphinetes metamorphus (Neux.) HrerBIcn. Saéklerland, pag. 156 [138]. Questa specie fu stabilita dal NEUMAYR sopra esemplari raccolti negli strati con Asp. acanthicum OpP. della Transilvania. Egli diede le figure di un esemplare di Csofranka tutto concamerato e. del [49] M. CANAVARI 221 diametro di mm. 79 e di un altro dei calcari arenacei verdastri di Gyilkoskéò con la camera di abitazione conservata e del diametro di circa 140 millimetri. Avvertiva che l’ombellico andava proporzionatamente aumentando in larghezza con l’età, che i giri interni erano ricoperti da costicine numerosissime, fine, un poco proverse, indistintamente divise e scorrenti ininterrotte sulla regione esterna, e che l’ultimo giro aveva coste assai più grosse e presso la regione ombellicale a guisa di prominenti pieghe, abbastanza allontanate fra loro e ai ?; dell’altezza dei fianchi suddivisi in tre o quattro rami. Nel primo stadio di sviluppo la specie ricordava il Per. virgulatus del Giura bianco f fisurato da QuenstEDT; nello stadio adulto il Per. funatus. Soggiungeva poi: “ Der auffallend Contrast zwischen der Ausbildung der Wohnkammern macht ausgewachsene Exemplare von Per. metamorphus sehr leicht kenntlich und ich weiss keine bis jetzt beschriebene Form, welche mit ihr verwechselt werden kénnte. , L’esemplare che riferisco a questa specie, appartenente ad un individuo abbastanza adulto, non è integralmente conservato, come si vede anche dalla figura. In esso è evidente il ricordato contrasto tra gli ornamenti della parte concamerata, e quelli del giro esterno, caratteristico, secondo disse NEUMAYR, per la specie. Sarebbe stato certo difficile e forse impossibile il riferimento se l’esemplare che io pos- siedo non avesse conservata la camera di abitazione. I giri hanno il massimo spessore presso la carena cireumombellicale, e la sezione ovale allungata. Le sue dimensioni, calcolate approssimativamente, sono le seguenti: Diametro . . . o 0 o È . mm. 140 Altezza dell’ultimo giro in rapporto ‘al diametro 0,33 Spessore massimo » » 0,28 Larghezza dell’ombellico » » 0, 38 Anche per le proporzioni esso corrisponde quindi assai bene alla specie della Transilvania; la mag- gior larghezza ombellicale che si ha, 0,38 invece di 0,30 del diam. — quando il confronto si instituisca con l’esemplare di Gyilkoskò — è certo in relazione con lo sviluppo maggiore che presenta la forma appenninica. Per le affinità poi che la specie presenta con altre conosciute, si veda quello che scrisse in propo- sito NEUMAYR (Op. cit. în sin., pag. 176 [36]). Io dirò solo che non mi sembra appartenere ad essa l’e- semplare del Giura 8 di Grat presso Laufen descritto dal QuenstEDT e figurato col nome di Amm. cfr. metamorphus *. Esso difatti diversifica per l’accrescimento più lento dei giri, per la sezione dell’apertura non ovale allungata, ma arrotondata e con il massimo spessore verso la regione esterna. La specie in discussione appartiene, secondo v. SutNER, agli Oblique-costati e più particolarmente al gruppo dei Virgulati, rappresentato negli strati con Asp. ‘acanthicum alpini, da poche forme, e cioè: Per. geron Zirr. e Per. Ulmensis OpP. citati da NeumAYR e da HERBICH. Il Per. metamorphus Neuwm. oltre che della Transilvania è stato citato anche di Randen nella Sviz- zera, secondo la indicazione di LorroL e inoltre nel Kimmeridgiano (Astartiano) del Marteray secondo la indicazione di Dr Raz. ? Esemplari esaminati: 1, raccolto con tutte le precedenti specie descritte, conservato nel Museo geologico di Pisa. 1 QuENSTEDT. Schwéb. Jura, pag. 939, tav. 101, fig. 8. 1877. ? De Riaz. Etude sur les étages jurass. moy. et sup. des Cantons de Crémieu et de Morestel (Jsère). Bull. de la Soc. géol. de France, 3me sér., t. XXIII, pag. 384. Paris, 1895. 222 M. CANAVARI [50] 9. Perisphinctes Ernesti Lorior. — Tav. XXIV [X], fig. 1. 1877. Ammonites (Perisphinetes) Ernesti LorioL. Baden, pag. 63, tav. VIII, fig. 1. 1887-88. Ammonites Ernesti (Lor.) Quensrent. Schwéib. Jura, pag. 880, tav. 94, fig. 35; pag. 1063, tav. 123, fig. 1-3. 1891. Perisphinetes Ernesti (Lor.) Stemrapski. Fauna kopalna, pag. 59. 1892. — _ — I. Die oberjurass. Amm.-Fauna in Polen. Zeitschr. der deutsch. geol. Gesellsch., 44 Bd., pag. 472. DIMENSIONI Diametro . o . 0 5 - ò . mm. 232 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,29 Spessore massimo » » 0,23 Larghezza dell’ombellico » » 0,47 Il Per. Ernesti Lor. fu stabilito sopra un esemplare di perisfinte di 170 millimetri di diametro, benis- simo conservato sino alla bocca, ai lati della quale presentava evidenti orecchiette. Esso proveniva dalla zona con Opp.tenuilobata di Randen nella Svizzera. Più tardi il QuensreDT chiamò con lo stesso nome alcuni altri esemplari egualmente in ottimo stato di conservazione raccolti nel Giura è della Svevia e dei quali il maggiore arrivava al diametro di ben mm. 200; tutti poi manifestavano, lateralmente alla bocca, ben sviluppate le orecchiette. Anche una di queste orecchiette conservata su di un frammento di giro alto mm. 57 e largo 35 e raccolto nel Giura x presso Erkenbrechtsweiler a mezzogiorno di Kirchheim fu figurata da QuensteDT sotto il nome di Per. Ernesti Lor. L’esemplare di Monte Serra che, secondo l’autorevole parere di v. SutNER* deve riferirsi “ ohne Bedenk zu Per. Ernesti Lor. » ha in gran parte conservata la camera di abitazione, non però sino alla bocca, mancandovi completamente ogni indizio di orecchiette. La parte concamerata arriva sin quasi al primo quinto del giro esterno. La conchiglia è adorna di coste acute, che gradatamente si diradano con l’ac- crescimento; cominciano nell’ombellico, piegano leggermente all’indietro e arrivate ai ?/3 dei fianchi si suddividono in tre o quattro coste secondarie più piccole, indistintamente riunite però al ramo principale, acute e passanti sulla regione esterna senza alcuna interruzione. Dove manca il guscio, come accade in quasi tutta l’ultima metà del giro esterno, le costicine secondarie non si vedono più o sono appena indicate sul modello. Le coste principali poi si mantengono tutte abbastanza acute, anche nell’ultima parte della conchiglia, ciò che non fu espresso troppo fedelmente nella figura. La sezione dei giri tende alla forma ovale, e tanto maggiormente quanto più ci si discosta dall’ultima parte presente della camera di abitazione. I lobi, incompletamente conservati, appaiono abbastanza frastagliati. Di una delle ultime linee lobali sono riuscito a vedere la sella esterna completa e porzione della sella laterale come è indicato nella Fig. 24 intercalata nella pagina seguente. Mancano tutte le selle e i lobi ausiliari e il secondo lobo laterale. Il semplice confronto dell'esemplare figurato da Lorror con la parte dell’esemplare di Monte Serra che a quello corrisponde per grandezza, pone in evidenza la notevolissima analogia che passa tra ambedue e che conforta di riunirli nella medesima specie. Certo si è però che identità perfetta non esiste; la forma appenninica ha le coste principali sempre un poco più grossolane e un poco meno numerose. Così mentre sull’ultimo giro dell'esemplare di Randen, computato precedentemente al solco peristomatico, si hanno, ! Da una lettera dell’autore, in data 10 maggio 1897. [51] M. CANAVARI 9293 secondo la figura, circa 60 coste, sul giro corrispondente per grandezza dell'esemplare di Monte Serra si riducono invece a 50 e a sole 36 sull’ultimo giro conservato. Per tale carattere il nostro esemplare deve esser molto vicino ai due grandi perisfinti trovati a Cabanas-de-Torres nei così detti strati di Montejunto nel Portogallo e descritti da Crorrat*! sotto il nome di Per. cfr. Ernesti Lor., senza darne figura, rimanendone distinto però nell’accrescimento un poco più rapido. Più lontano ancora dal tipo, per le coste meno numerose, è il maggiore dei perisfinti figurati dal QuENSTEDT ? e ri- feriti alla specie in discussione. Come ulteriori termini di confronto potrebbero essere citati anche il Per. lictor Quenst. 3 (non Fox.) del Giura 7 di Geislingen e il grande esemplare di Per. Achilles D’ORB. della zona con Opp. te- TO LAO RR Rain iso nuilobata di Oberbuchsitten descritto e figurato da Lo- L, Primo lobo laterale. —S Sutura. rIoL.* Dal primo la forma appenninica rimane separata sopra tutto per le coste più numerose ed anche per la suddivisione loro che avviene un poco più verso l’esterno, in modo che sulla parte dei giri scoperti nell’ombellico si vedono solo quelle principali; dal secondo egualmente per le coste più numerose, non rilevate presso il contorno ombellicale, per la minore involuzione e per la forma della sezione dei giri meno spiccatamente ovale. Coste più rilevate presso il contorno ombellicale e maggior numero di coste secondarie presentano anche l’esemplare tipico di Per. Victor Fonr.? e quello riferito a questa specie da Lortor 5. Stabilita, come si disse sopra, la differenza che passa tra l’esemplare di Monte Serra e il tipo del Per. Ernesti Lor. per ciò che riguarda il numero delle coste, potrebbe discutersi se convenga o no tener separate le due forme. I criteri che mi guidano nella compilazione di questo piccolo lavoro, per il quale ho un materiale molto limitato, e, nel caso speciale, il parere anche dell’esimio ammonitologo v. SUTNER, m’ inducono a riunirle. Che se ulteriori ritrovamenti dimostrassero costante nella forma appenninica il carattere del minor numero di coste, allora sarebbe forse il caso di considerarla come una varietà 0 modi- ficazione geografica del tipico Per. Ernesti Lor.” v. SUTNER, come ci avverte anche CHorrar8, “ place Per. Ernesti dans les Virgulati, tandis que M. StemI- RADSKI le place dans les Polygyrati, où M. DE SUTNER place aussi Per. Achilles. Cette forme, ainsi que les deux suivantes — e cioè Per. aff. Achilles D’ORB. e Per. Fontannesi CHFF. sp. n. — constitue donc un groupe à caractères mixtes. ,, Esemplari esaminati: 1, trovato con gli altri perisfinti di Monte Serra e conservato nel Museo geologico di Pisa. Fia. 24. 1 CHOFFAT. Faune jurass. du Portugal, pag. 39. ? QuensTEDT. Schwéib. Jura, tav. 123, fig. 3. 3 Ip. L. c., tav. 105, fig. 1. 4 LorIoL. Oberbuehsitten, pag. 10, tav. II, fig. 1. 5 DUuMORTIER et FONTANNES. Crussol, pag. 85, tav. XII, fig. 1. 6 LorIoL. Baden, pag. 64, tav. IX. Genève. 1877. ? Nella collezione pisana, per l'incertezza di conferma della supposizione fatta, l’ esemplare descritto porta il nome di Per. Ernesti Lor. var. proscaira (da rposzmpos, provvisorio). 8 CHorrat. Faune jurass. du Portugal, pag. 39. 224 M. CANAVARI [52] 10. Perisphinctes n. f. del sottogruppo del Per. Ernesti Lor. Tav. XXII [VIII], fig. 8; Tav. XXV [XI], fig. 1. DIMENSIONI Tav. XXII [VIII], fig. 3 Tav. XXV [XI], fig. 1 Diametro . 5 © 0 È c Ò . mm. 158 mm. 217 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,32 È 0,30 Spessore massimo » » 0,24 0,24 Larghezza dell’ombellico » » 0,41 0,44 Il minore dei due esemplari che mi sembra di poter riunire in una medesima specie presenta i se- guenti caratteri: Conchiglia discoidale, con accrescimento piuttosto rapido, composta di 4 o 5 giri che si ricoprono per circa un terzo della loro altezza. Fianchi poco convessi, senza carena circumombellicale sull’ ultimo giro, con principio di carena invece nel penultimo, adorni di coste numerose, attondate e non acute, leggermente piegate in avanti, separate da spazi eguali ad esse per larghezza, e poco aumentati in gros- sezza dall’ombellico verso i due terzi esterni, oltre i quali si dividono in due o più rami secondari se- condo che si procede verso l’esterno, indistintamente collegati al ramo principale, e che passano sulla regione sifonale senza alcuna interruzione facendo una leggera curva proversa. Sul penultimo giro si contano circa 60 coste principali, e sull’ultimo se ne contano approssimativamente da 52 a 54. Metà circa del- l’ultimo giro conservato appartiene alla camera di abitazione. Lobi troppo incompleti per esser figurati. La sella esterna appare tozza, ampia e bipartita e un poco più bassa della prima laterale la quale è divisa in due parti ineguali. Seguono due piccole selle acces- sorie inclinate posteriormente. L’esemplare maggiore (Tav. XXV [XI], fig. 1), se si computasse sino all’ ultimo frammento conservato, avrebbe 230 millimetri di diametro. Appartengono alla camera di abitazione i 6/7 del giro esterno. Diversifica un poco dal precedente per l’ombellico lievemente più grande, (0,44 diametro invece di 0,41) e per la minor grossezza che hanno le coste verso l'interno dei fianchi in sul principio dell’ ultimo giro; si deve però notare che manca in molte parti il guscio e anche la superficie del modello è alquanto corrosa, quindi gli ornamenti ne sono mascherati o attenuati. Le costicine della regione sifonale si vedono anche qua e là sull’ ultima parte del giro esterno, e cioè dove il guscio è tuttora conservato, ed hanno la stessa grossezza e andamento di quelle dell'esemplare minore. I lobi arrivano fino al primo settimo dell’ ultimo giro, ma sono troppo incompleti per descriverli e figurarli. Chi vuole dare grande importanza anche alle piccole differenze, potrebbe forse separare specificamente i due esemplari che invece io riunisco, a causa della evidente analogia che strettamente li collega. Essi poi appartengono di certo al sottogruppo del Per. Ernesti Lor., nel quale i termini più prossimi di con- fronto sono: Per. Roubyanus Font. e Per. Fontannesi CHOFF. Il Per. Roubyanus Foxr.! tipico degli strati superiori dei calcari di Crussol (Ardèche) pertinenti alle zone con Opp. tenuilobata e Waagenia Beckeri si distingue dalla forma di Monte Serra per avere sui fianchi le coste rettilinee e non curvate leggermente in avanti, per l’involuzione un poco maggiore in quanto che i giri si ricoprono per solo circa la metà della loro altezza e infine anche per l’accrescimento della spira un poco più lento. 1 FonTANNES. Crussol, pag. 56, tav. VIII, fig. 6. [53] M. CANAVARI 225 Il Per. Fontannesi Crorr.! di Cabanas-de-Torres dei così detti strati di Montejunto di età non ben determinata, ma presumibilmente un poco più antichi degli strati con Asp. acanthicum, è ancor più della precedente specie vicino agli esemplari appenninici in particolar modo nella forma e numero delle coste principali. L’esemplare portoghese che maggiormente li ricorda, anche per il numero e disposizione delle coste secondarie, è quello più grande figurato da Cnorrat e dubitativamente però riferito alla stessa specie *, rimanendone un poco diverso solo per i fianchi più pianeggianti ed alquanto più declinanti verso l’esterno in modo che la sezione risulta meno spiccatamente ovale. Il tipo del Per. Ernesti Lor.3 poi si distingue molto bene dalla forma di Monte Serra per l’accre- scimento un poco più lento e per le coste più acute. Ricordiamo infine che tra le specie del Giura bianco della Germania, ve ne ha una, e cioè Ammonites grandiplex B *, che è vicinissima alla forma appenninica, non però l Amm. grandiplex tipico della tav. 102, fig. 1 dell’opera del QuenstEDT, che ha coste assai meno numerose. La conservazione non troppo buona dei due esemplari descritti mi ha consigliato a lasciarli per ora innominati 9. Esemplari esaminati: 3, raccolti insieme con tutti gli altri perisfinti descritti e conservati due nel Museo geologico pisano e il terzo incompleto nell'Istituto geologico e paleontologico di Bologna. 11. Perisphinctes Raschii n. sp. — Tav. XXVIII [XIV], fig. 1. DIMENSIONI Diametro . o c . ; . c . mm. 145 Altezza dell’ultimo giro in rapporto al diametro 0,32 Spessore massimo » » 0,22 Larghezza dell’ombellico » » 0,44 Conchiglia discoidale compressa, alquanto involuta, nel diametro di mm. 145 composta di circa quattro o cinque giri, tutti concamerati e dei quali solo l’esterno e parte del precedente in buono stato di conser- vazione. Fianchi appena convessi, si elevano dapprima quasi normalmente dalla sutura e poi piegano sotto un angolo smussato verso l’esterno. Massimo spessore dei giri ad '/s della loro altezza; sezione terminale ovale-allungata, intaccata però inferiormente dal ritorno del giro e a causa del suo parziale ricoprimento. Presso la regione ombellicale dell’ultimo giro conservato si contano approssimativamente 56 coste, pochis- simo rilevate a guisa di pieghe; aumentano esse gradatamente verso l'esterno, rimanendo però molto ottuse e un poco più larghe degli spazi interposti. Il loro decorso è radiale, e nell'insieme alquanto piegate con la convessità posteriore, con indizio però di leggera ondulazione verso la metà dei fianchi. Tra ognuna di esse o tra ogni due, e senza apparente regolarità, s’interpone, verso la regione esterna, altra costa che sparisce assai prima della metà dei fianchi; nel tratto però ov’ è manifesta, presenta medesimo sviluppo e forma di tutte le altre. Sulla regione esterna le dette coste, dopo aver raggiunta la massima grossezza, senza dar luogo però a tubercolo di sorta, rapidamente si deprimono e sembrano quasi interrotte; 1 CHOFFAT. Fauna jurass. du Portugal, pag. 40, tav. IX. ? CHoFFaT. L. c., tav. IX, fig. 4. 8 LorIoL. Baden, tav. VIII, fig. 1. 4 QuensTEDT. Schwib. Jura, tav. 124, fig. 1. 5 Nella collezione pisana portano provvisoriamente il nome di Per. apotrepus (da aro- Eliot. Calzolari e Ferrario - Milano, Spiegazione della Tavola VII [VI]. Ursus etruscus Cuv. le (i | Testa articolare superiore della tibia della fig. 9, Tav. VI [V], — pag. 68 [54]. Ri ei — Articolazione inferiore della medesima, — pag. 68 [54]. 3. — Articolazione inferiore del femore della fig. 8, Tav. VI [V], — pag. 67 [53]. » 4. — Articolazione superiore del cubito della fig. 18, Tav. V [IV], visto di lato, — pag. 60 [46]. » 5. — Testa del radio della fig. 19, Tav. V [IV], — pag. 61 [47], 62 [48]. 6. — Testa del radio della fig. 20, Tav. V [IV], — pag. 61 [47], 62 [48]. » 7. — Cavità articolare inferiore del radio della fig. 3, Tav. VI [V], — pag. 62 [48]. 8. — Articolazione superiore del perone della fig. 10, Tav. VI [V], — pag. 69 [55]. » 9. — Testa articolare superiore dell’omero della fig. 1, Tav. VI [V], — pag. 59 [45]. » 10. — Piede anteriore sinistro dello scheletro scavato a Gaville. (Museo di Firenze), — pag. 62 [4S], 64 [50], 65 [51]. » 11. — Serie di 4 metacarpi. Valdarno. (Museo di Firenze), — pag. 64 [50]. » 12. — Piede posteriore sinistro dello scheletro di Ga ville. (Museo di Firenze),— pag. 62 [48], 70 [56], [57], 72 [58]. » 13. — Piede posteriore sinistro di altro individuo. Valdarno sup. (Museo di Firenze), — pag. [56], 71 [57], 72 [58]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. 1 70 PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. III, Tav. VIL G. RISTORI, L’Orso pliocenico di Valdarno e di Olivola. (Tav. VI). Eliot. Calzolari e Ferrario - Milano, uo ; pa Dod Spiegazione della Tavola VIII [I]. FiG. 1. — Carangopsis lanceolatus BAssaNI [grand. nat.]. — M. Bolca. (Museo geologico dell’ Università di Padova), — pag. 77 [1]. » 2. — Odonteus sparoides AcassIz, var. depressus BASSANI [grand. nat.].— M. Bolca. (Museo geologico del- l’Università di Padova), — pag. 83 [7]. » 3. — Clupea macropoma AGcASSIZ [grand. nat.].— M. Bolca. (Museo geologico dell’Università di Padova), — pag. 86 [10]. ‘Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. II, Tav. VII. BASSANI, Agg. all’ill. eoc. dei M. Bolca e Postale. J} e7 ES A dd SÌ [Tav. JE: Fic. 1. » DI DE VLab DI lla. » 12 SIL » 13a. Spiegazione della Tavola IX [II]. Oncolepis Isseli BAssANI [gr. nat.]|.— M. Bolca. (Museo geol. dell’ Univ. di Genova), — pag. 79 [3]. Oncolepis Isseli BASSANI [gr. nat.]. — M. Bolca. (Collezione pr Canossa in Verona), — pag. 80 [4]. Rhamphognathus paralepoides AGASSIZ [gr. nat.].— M. Bolca.(Museo geol. dell’Università di Padova, coll. DE ZIGNO), — pag. 81 [5]. Rhamphosus aculeatus AGASSIZ |gr. nat.]). — M. Bolca. (Museo geol. dell’ Università di Padova), — pag. 82 [6]. Odonteus pygmaeus AcASSIZ [gr. nat.]. — M. Bolca. (Museo geol. dell’ Università di Padova), — pag. 83 [7]. Nettastoma bolcense BassanI [gr. doppia del vero]. — M. Bolca. (Museo geologico dell’ Università di Padova),— pag. 84 [8]. Clupea engrauliformis Lioy |gr. nat.). — M. Bolca. (Museo geologico dell’ Università di Padova), — pag. 85 [9]. Clupea denticiformis Liovy [gr. nat.]. — M. Bolca. (Museo geologico dell’ Università di Padova), — pag. 86 [10]. Lamna Vincenti WinkLER sp. Dente veduto dalla faccia interna [gr. nat.]. — M. Postale. (Museo geol. dell’Univ. di Padova), — pag. 87 [11]. Lo stesso, veduto dalla faccia esterna. Lamna Vincenti WINKLER sp. (?) Dente veduto dalla faccia interna [gr. nat.].. — M. Postale. (Museo geol. dell’ Università di Padova), — pag. 87 [11]. Lamna Vincenti WixkLER sp. Dente veduto dalla faccia interna [gr. nat... — M. Bolca. (Museo geol. dell’ Università di Roma, coll. MicueLoTTI), — pag. 87 [11]. Lo stesso, veduto di profilo. Odontaspis Hopei AGASSIZ. Dente veduto dalla faccia interna [gr. nat.). — M. Bolca. (Museo geol. dell’Università di Roma, coll. MicHELOTTI), — pag. 88 [12]. » 14a.— Lo stesso, veduto di profilo. » 15. — Odontaspis Hopei AGASsSsIZ. Dente veduto dalla faccia interna [gr. doppia del vero]. —M. Bolca. (Museo geol. dell’Univ. di Roma, coll. MicHELOTTI), — pag. 88 [12]. » 15a.— Lo stesso, veduto di profilo. Palaeontographia italica, Vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. II, Tav. IX. x da L CK St 4 i G I° >>> ji Gig È s. (7, If IN SÉ al Ì PISRSÀ oa È rmnaz A / 13 13 n E ci pur ibn AAA ne, Ù un Ca RR È 7 È » 7 A e i i : \ i \ Y 7 7 Ari ù | HO IRA | 1 7 2 Ù DI ai i: ù A i É ; I ' Î y 1 | ì 1 P uri li î du. o ' ae .* LEONI Ù n) oa ne To) n i) n î i Ù al ‘ UT = SÌ Di il x DI LO e vr i li N To Ù ' dn ? È Ù Ù tl TRAE Ù ' ( x Ù Ì Y PD tI Dart td Ù VAT ( Ù i Dl Ù Ù TROII na Ù di x Ri » ti NAT d Ù Ù Ù Ù SIPLITOIATI Ù Li Ù Pi 9 ' [I Ù Ù Ù Ù di Ù y x de va 6 Di 4 È Ù ' SAR) RERPERTI: î 0 Vi Ù sr Ù Ù 0 Ù I Î i - Y PS Bici ni Via TOMI o. x fi x ras ci Ù Li È | N si i Con Ù . î Ù È : Ù ì Ù vi = i È (o) ui #5 Pe Y Ùi in ° 5 ei na SI i : " dI È NO, si "Ei : x x | i TIIVUI MII x si INI È : : DI TAG] : Spiegazione della Tavola X [I]. Rhinoceros (Atelodus) megarhinus pe CurISst. Fi. 1. — Nasali di profilo [!/,j], — pag. 94 [6]. » 2. — » faccia superiore [!/,), — pag. 94 [6]. 39 o » inferiore [‘/j], — pag. 94 [6]. » 4. — Molari superiori di sinistra [gr. nat.]), — pag. 95 [7]. » (bD. — » » destra [gr. nat.], — pag. 95 [7]. » 6. — Mandibola, vista di sopra [!/,j], —- pag. 99 [11]. » 1. » » dal lato sinistro [!/,], — pag. 99 [11]. N. B. — Tutti gli originali di queste figure provengono da M. Giogo. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. III, Tav. X. SIMONELLI, Rinoceronti fossili del Museo di Parma. [Tav. I]. AUCT. PHOT. Eliot. Calzolari e Ferrario - Milano, Èf fee Spiegazione della Tavola XI [II]. Rhinoceros (Atelodus) megarhinus pe Curisr. FiG. 1. — Serie dei molari inferiori di sinistra [?/;]}, — pag. 101 [13]. » 2. — Atlante, visto di sopra [!/3], — pag. 101 [13]. » 3. — » » dalla parte anteriore ['/3], — pag. 101 [13]. » 4. — » » di sotto [‘/3]}, — pag. 101 [13]. » 5. — Epistrofeo, di profilo ['/,], — pag. 102 [14]. » 6 » dalla parte posteriore [!/;], — pag. 102 [14]. » 7. — Terza vertebra cervicale, vista dalla parte anteriore [!/;], — pag. 102 [14]. » 8. -— La stessa, di profilo [!/j], — pag. 102 [14]. » 9. » dalla parte posteriore |!/;], — pag. 102 [14]. » 10. — Quarta vertebra cervicale, vista dalla parte anteriore ['/;], — pag. 103 [15]. » 11. — La stessa, di profilo ['/3], — pag. 103 [15]. » 12. — » dalla parte posteriore [*/;]. [!/,], — pag. 103 [15]. » 13. — Vert. dorsale [!/;], — pag. 103 [15]. 3 » ld. » » di profilo ['/3], — pag. 103 |15]. » 15. — Manubrio dello sterno ['/,], — pag. 104 [16]. » 16. — Germe dell’ultimo molare superiore sinistro [gr. nat.). Mulazzano, — pag. 115 [27]. N. B. — Tutti gli originali delle fig. 1-15 provengono da M. Giogo. Palaeontographia italica, vol. III, 1898. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. II, Tav. XL SIMONELLI, Rinoceronli fossili del Musco di Parma. [Tav, II]. AUCT. PHOT. Eliot, Calzolari e Ferrario - Miluno, Spiegazione della Tavola XII [III]. Rhinoceros (Atelodus) megarhinus pe Crrism. Fic. 1,2. — Coste sternali [‘/,], — pag. 104 [16]. » 3,4. — » asternali [!/,]), — pag. 104 |16]. » 5. — Scapola sinistra, faccia interna [!/,], — pag. 105 [17]. 6.— > destra » esterna [‘/j], — pag. 105 [17]. ©. — Omero destro, faccia posteriore [4/j], — pag. 107 [19]. » 8.— » » » anteriore [!/,], — pag. 107 [19]. 9. — Radio e cubito destri, dal lato esterno [!/j], — pag. 108 [20]. » 10. — Gli stessi, veduti dalla faccia anteriore [!/,], — pag. 108 [20]. N.B. — Tutti gli originali di queste figure provengono da M. Giogo. Palaeontographia italica, vol. III, 1857. PALAEONEOGRAPHTIA ITALICA: Vol. IM. Tav, XIL SIMONELLI, Rivoceronti fossili del Musco di Parma. [Tav. III]. AUCT. PHOT. Eliot, Calzolari e Ferrario - Milupo, Spiegazione della Tavola XIII [IV]. Rhinoceros (Atelodus) megarhinus pe CÒrist. FIG. 1. — Omero sinistro, faccia anteriore [‘/,]), — pag. 107 [19]. » 2. — Tibia destra, » posteriore [!/,], — pag. 109 [21]. » 3. — >» » » anteriore [!/,], — pag. 109 [21]. » 4. — Piede posteriore sinistro, faccia anteriore [4/3], — pag. 110 [22]. » 5. - Calcagno ed astragalo sinistri, dal lato esterno ['/3], — pag. 112 [24]. » 6. — Calcagno sinistro, faccia anteriore [4/3], — pag. 112 [24]. » ©. — Astragalo >» » posteriore [4/3], — pag. 111 [23]. » 8. —- » » » inferiore ['/3], — pag. 111 [23]. » 9. — Cuboide » » esterna [!/3], — pag. 112 [24]. Dn » » » esterna |!/;], — pag. 112 [24]. » 11-13.— Metatarsiani del piede sinistro, visti dalla faccia posteriore [!/3], — pag. 112 [24]. » 14. — Metatarsiano mediano [estr. sup.]), — pag. 112 [24]. » 15. — » esterno » » — pag. 112 [24]. N. B.— Tutti gli originali di queste figure provengono da M. Giogo. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. av I SIMONELLI, Rinoceronti fossili del Museo di Parma. [Tav, IV]. AUCT. PHOT. Eliot. Calzolari e Ferrario - Miluno. Spiegazione della Tavola XIV [V]. Rhinoceros (Coelodonta) Mercki Jarc., H. v. Meyer. Fia. 1. — Mandibola raccolta dal CorresI nel pliocene di M. Pulgnasco, vista di sopra [4/3]. (Dal mo- dello in gesso eseguito pel Museo di Bologna nel 1862), — pag. 119 [31]. » 2. — La stessa, dal lato sinistro [‘/,]. (Dallo stesso modello), — pag. 119 [31]. » 3. — Serie dei molari di sinistra della stessa mandibola ['/;]. (Dall’originale) — pag. 119 [31]. » 4. — Ramo destro della mandibola, raccolto nel postpliocene di Aròla; faccia esterna [‘/3], — pag. 121 [33]. » 5. — Lo stesso, visto di sopra |!/;]), — pag. 121 [33]. » 6. — Germe del primo premolare della stessa mandibola, visto di sopra [gr. nat.], — pag. 122 [34]. » 7. — Lo stesso germe visto dal lato esterno, — pag. 122 [34]. » 8. — Epistrofeo, raccolto nel quaternario della Costa di M. Auro; visto di sopra [!/3], — pag. 135 [47]. » 9. — Lo stesso, di profilo, — pag. 135 [47]. » 10. — Settima vertebra cervicale raccolta nella stessa località : faccia posteriore [!/3], — pag. 135 [47]. » 11. — La stessa, faccia anteriore, — pag. 135 [47]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. III, Tav. XIV. SIMONELLI, Rinoceronti fossili del Museo di Parma. AUCT. PHOT. Eliot. Calzolari e Ferrario - Milano. Spiegazione della Tavola XV [VI]. Rhinoceros (Coelodonta) Mercki Jarc., H. v. MryER. Fig. 1. — Frammentodi mandibola (ramo sinistro) col penultimo vero molare, faccia esterna [4/3], — pag. 125 [37]. » 2. — Altro frammento di mandibola (ramo destro) col penultimo vero molare e il germe dall'antipenul- timo, faccia interna [!/3], — pag. 125 [87]. » 3. — Lamina esterna di un molare superiore destro [gr. nat.], — pag. 125 [37]. . — Vertebra lombare penultima (?) vista dalla parte anteriore ['/3], — pag. 126 [38]. . — La stessa, dalla parte posteriore, — pag. 126 [88]. 4 5 » 6. — Ultima vertebra lombare, vista di sopra |!/;], — pag. 126 [38]. Ti 9 » .— » » » » dalla parte anteriore, — pag. 126 [38]. x » 8,9. — Coste asternali [!/;], — pag. 126 [38]. » 10. — Manubrio dello sterno, di profilo ['/;], — pag. 127 [39]. » li. — Metà sinistra del bacino ['/;], — pag. 128 [40]. » 12. — Iio destro, faccia interna, [!/;] — pag. 128 [40]. N.B. — lutti gli originali di queste figure provengono dal Quaternario di Lodesana. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. III, Tav. XV. SIMONELLI, Rinoceronti fossili del Museo di Parma. [Tav. VI]. AUCT. PHOT. Eliot. Calzolari e Ferrario - Milano, » Ò e 5 ì > ì Ù n ti . x A ( ) E si] ' Ci : - 7 : DS (Sei Di 7 Ù Ù fi Qui È x Ul x ° È : tI De 1078 ‘ 3 i à, ne Cei SI È A mM rar D da PI vu È A pe (I e pa Ù È = È ga Li D 5 La Ù] = ul I 9 x = n NE S n) ax : "i fi que dd È i A "i l ' pa DO I : (a È a x Ù | ult ° di (hi ' o | LL] Ù LÌ - ‘a È di È Fre : n - i A to yi i , o ti É 7 DST 7 E : Ù ” ti n : o _ x ì on 5 ‘ vr : , x Ger: n 5 Ù É va : aa | i i E ì ea : : ti] d10 Ù | : i | ' fe bai ì i : È & A i l sE Ci) n me : i Da Ù t DINT i ni i : RI : n . " de ci ] 1% _ î nr ri n : : ' Noa ° n big ! î Ù 4 x È HE , n FI 2” È i ui wo DI A ni Ù DL si so 7 È n ua Co î TO È ps SALI noe a oa Ù pupi i È : Y DI } x - : Ù si : " i : Ù ù x Ù Dr L è a i PULE E Sh foto istob:01000) aorononida GOLISIZON Sri a Nu O RIST NET Piso Na Di Spiegazione della Tavola XVI [VII]. Rhinoceros (Coelodonta) Mercki Jarc., H. v. MeyER. Fic. 1. — Semilunare, faccia anteriore [!/;], — pag. 128 [40]. » 2. — Piramidale, » » [4/3], — pag. 128 [40]. » 3. — Femore destro, faccia posteriore |‘/3], — pag. 130 [42]. » 4. — » sinistro » anteriore [!/;]), — pag. 130 [42]. » 5. — Rotula sinistra, faccia anteriore [!/3], — pag. 131 [43]. » 6. — — » . destra, » posteriore ['/3], — pag. 131 [43]. » 7. — Tibia, faccia posteriore [!/;], — pag. 131 [43]. » 8... » » anteriore [‘/;]), — pag. 131 |43]. » 9. — Piede posteriore sinistro ['/.], — pag. 1934 [46]. » 10. — Calcagno sinistro, faccia anteriore ['/3], — pag. 132 [44]. » 11. — Calcagno e astragalo sinistri, faccia esterna [!/3], — pag. 131 [43], 132 [44]. » 12. — Astragalo sinistro, faccia posteriore [!/3], — pag. 131 [43]. » 13. — » » » inferiore ['/3], — pag. 131 [43]. » 14. — Cuboide » » esterna [‘/,], — pag. 132 [44]. À » 15. — Entocuneiforme [!/;], — pag. 133 [45]. N. B. — Tutti gli originali di queste figure provengono dal Quaternario di Lo desana. Palacontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. III, Tav. XVI. SIMONELLI, Rinoceronti fossili del Museo di Parma. [Tav, VII]. AUCT. PHOT. Eliot. Calzolari e Ferrario - Miluno, W x ì \ n . 5, DI tuti . - n Pi 5 ' : 7 ci mi x # i «DIARI ' ra ì Co) LI » ì di DS | : iL l n o d 5 Da) \ : RA ù / MARITO > . 3 3. ' * }ò . ' : + n) . n o : È ° > ° i Ci DI Y : È Ù A x A Ù ; È Y i ? 1 Vel 0 lio i A i 5 Ù ' ba ee: Dali x : È î 3 i 7 a ) n x Apà v Spiegazione della Tavola XVII [I]. Fia. 1. — Lytoceras cfr. raricinctum UnL. — Possagno (Val Vardanega). (Collez. Rossi al Museo geol. di Pavia), — pag. 157 [1]. » 2a-d.— Lytoceras Rossii n. f. — Valrovina. (Collez. del Museo geol. di Pisa), — pag. 138 [21. DG — Hoplites Seccoi n. f. — Solagna. (Collez. Rossi al Museo geol. di Pavia), — pag. 140 [4]. >» dad. — » » » (Collez. BALESTRA), — pag. 140 [4]. » Bac. » Catulloi n. f. — Breonio. (Collez. del Museo geol. di Pisa), — pag. 141 [5]. 20, — Crioceras Emerici Lev. (2). — Solagna. (Collez. BALESTRA), — pag. 142 [6]. Palaeontographia italica, vo]. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. II, Tav. XVII. PARONA, Descrizione di alc. amm. del Neoc. Veneto. [Tav. L.] pa: Patt I pigro» Parona e Forma, fot. e dis. Eliot. Calzoluri e Ferrario - Miluno. ® | | i Oni 1 | | | I 3 x I : : : i i î D b I î n : | , i u I Dr a | i f x 1 - Ò : i i i è : î | | Ù É i | # LI Ù | î î Ù i i A : i î Ri =» UP, i : i l | ST) È | : la è A n î | Ù i ' li = : E | | È i: al n * vi i I adi , DI | Ò i : | I “Wo a | I i) ri i vi bi ui x i î î i x la i | { ì Ù î È i i 7 | I i È IR i : 5 x q nat Si - i ! : I : ll Dn ; si N] a : i | : | | : i = 1 I - i i T DOSSI Ati : i 3 ì i | i 7 | I | DI -, i : k i i | | i ì x i | ì : i è U _ si | Ù Ù dun i li dì | I LL n : Ò : i 7 : | I | È / = È i‘ i — ° 9; > (EI E TE TTI e E n n Ù LÌ I | i D Ù : | | i f] : É i | | | i Lul Li : : 5 i | 9 i ii LI i Di " UTI hi x i É i Ò : | | x ber: i Da 3 i } i | îi n | i : : i gi 7 : o x ? : E; PASTAL È I ( De a | | TRL x n I Ul Ù î : # I I n n É si S Di i TT i Ù | i sl I : I pa x Di pui i i x i I Ù i i x Miao : pi | Ù Ù o î | | | I Ò I î | i | Di x i | 7 PRI: } E sn Sa i | | | | ba Ls | a i : Di ì bi, Ù n =: Ro ù y î °° 5 : Ò n i Î bi | i O I 24 i î i % Di Hu Ù Dr IC x i i | x i : n Ù dt: Ù H ì Î | È 51 n si i i UU, CU] x i | | i | I i i : ACE ® È i : Ù Ù i n di x ù | | î DI Ù w Ù sd A À tI : 3 w U : se N : A ll Ù n v i : UE, . LI x ta x I da Ù Vai Ù fl i . il AG DI i | | RI ; - NO en N È (0-1 DI — | È : x SIR 0 Ga ) i | | È si “ È Lui n DI Ù i Ì, v LI CL î] Mi, Ri x : i | (os ] 1 i î i | ; da CIO) È | | î UD Ù Dust i i i : P IA n Veli di : i _ - : Un Ù n | Ù i i i I LUI , ni î a - Le ì | i = i CON i È | Ù Ù A] _ : i z î) u si ” i i : I | o ì n" i : i i i ATALA AD OR sf des a eo ELIA dl DIANE tene . oe FIG. Spiegazione della Tavola XVIII [II]. 1a-d.— Olcostephanus f. ind. (Esemplare mostruoso). — Cave di Romano. (Collez. del Museo geol. di Pisa), — pag. 158 [2]. 2 a-b.— Hoplites epimeloides Mon. — Valrovina. (Collez. del Museo geol. di Pisa), — pag. 139 [3]. d. — Hoplites n. f. (cfr. Barowae UnL). — Solagna. (Collez. BALESTRA), — pag. 140 [4]. 4 a-c. — Crioceras (?) Balestrai n. f. — Collalti (Pove). (Collez. BALESTRA), — pag. 142 [6]. Palacontographia italica, vol. IIl, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol. III, Tav. XVIII. PARONA, Descrizione di alc. amm. del Neoc. Veneto. [Tav. IL] Parona e Forma, fot. e dis. Eliot. Calzolari e Ferrario - Miluno. n ‘ io ati vi Dori i Ù al Ù è du ì Ù " ti Dai ti : " ci Ù 1 ) n i CORTINA Ù CA Spiegazione della Tavola XIX [VI]. IV. — Fossili del tufo di Zovencedo. Fi. 1a. — Arca Gottardi n. f., ingrandita, — pag. 149 [107]. asta L4,e Cig » » grand. nat. dica = ” » dettaglio degli ornamenti. III — Limopsis minima n. f., ingrandita 2 volte, — pag. 150 [108]. SALITE = » » » dettaglio del cardine. DERISTA. — Radula Gottardi n. f., ingrandita, — pag. 152 [110]. DRS O — >» » » dettaglio del cardine. » 4 a-b. — Spondylus gigas n. f., — pag. 152 [110]. » 5 ab. — Trochus Gottardi n. f., ingrandito, — pag. 154 [112]. » 6 a-b. — Cerithium Schmiedti n. f., — pag. 156 [114]. » © a-b. — Mitra Gottardi n. f., ingrandita, — pag. 159 [117]. » 8 ab. — Conus conotruncus De GrEG. var. acutispira n. var., — pag. 160 [118]. VAR) — Bulla magnifica Oppa., — pag. 161 [119]. » 10 ac. — Bulla melo n. f., ingrandita, — pag. 161 [119]. » 11 ad. —- Ringicula Ritae n. f., ingrandita, — pag. 162 [1201. V. — Fossili di varie località eoceniche. Fi. 12 a. — Pholadomya Robianae n. f., ingrandita, — pag. 166 [124]. o or » » » grand. nat. » 13-14 a. — Pecten Robianae Max. in sch., — pag. 169 [127]. » 14 d. i) » » ingrandito. Ja IE — Chlamys Nicolisi Vin., dettaglio della valva destra, — pag. 169 [127]. DINIOEDÌ — » » » » » » sinistra. » 16. — Hinnites Pellizzarii MGw. in sch., — pag. 170 [128]. » 17 a-b. — Natica latior n. f., — pag. 171 [129]. » 18 ab. — Hipponyx bolcensis McH. in sch., — pag. 172 [130]. » 19 a-b. — Conus Pellegrini MGxH. in sch., — pag. 176 [134). » 20 ac. — Helix paulinia n. f., — pag. 177 [135]. » 21-22a-b.— Helix Meneghiniana n. f., — pag. 178 [156]. Palaeontographia italica, vol. III, 1807. venete. 7 ziari delle Alpi terz chi Synopsis dei molluse VINASSA DE REGNY ARI E FERRARIO, MILANO. ELIOT. GAEZOL: PHOT. AUCT. ESE Si #1 VI PO, that 1° xi} Gigi De Spiegazione della Tavola XX [VII]. VI. — Fossili di Via degli Orti, Valle Orgagna, Priabona ecc. Fia. 1 ad. — Solen priabonensis n. f., — pag. 182 [140]. SIN 2: — Corbula cicer n. f., — pag. 182 [140]. DB — Limopsis granulata Lmx. var. hortensis n. var., — pag. 183 [141]. » 46 ab. — Cardita hortensis n. f., — pag. 183 [141]. » 7-8 ab. — Chama hortensis n. f., — pag. 184 [142]. DI ARIO1A:0! — Lithodomus hortensis n. f., — pag. 184 [142]. » 11-12. — Pinna Saccoi n. f., — pag. 184 [142]. pal — Dentalium anceps MGx. in sch., — pag. 185 [143]. » 16. — Pleurotomaria priabonensis n. f., — pag. 186 [144]. » 17 ab. — Natica angustata GRTLP., — pag. 187 [145]. » 18 ad. — Natica viatrix n. f., — pag. 187 [145]. » 19 ac. — Solarium umbrosum BroxGT., — pag. 188 [146]. » 20 ac. — Solarium nummus n. f., — pag. 188 [146]. DI i2E — Turritella imbricataria Lmk., — pag. 188 [146]. » 22-23. — Turritella trivigiana n. f., primi giri, — pag. 189 [147]. » 2425. _ » » » ultimi giri. >i205 —_ » turgidissima n. f., primi giri, — pag. 189 [147]. » 27. — » » » ultimi giri. » 28. = » pupa n. f., — pag. 190 [148]. » 29-31. —_ » hortensis n. f., — pag. 190 [148]. » 32 ab. — Mathilda subtripartita n. f., — pag. 191 [149]. » 33 ab. — Cerithium (Colina) rectum n. f., — pag. 192 [150]. » 34 ad. = » (Colina) hortense n. f., — pag. 191 [149]. » 35. — Fusus erectus v. KoeN. var. hortensis n. var., — pag. 193 [151]. » 36 ad. — Clavilithes Japeti TourN. — pag. 193 [151]. » 837 ad. — Conus hortensis n. f., — pag. 195 [155]. » 38 ab. — Pleurotoma obeliscoides v. ScHRT. var. nodulosa n. var., — pag. 195 [153]. » 39 ad. — Clavatula praegotica n. f., — pag. 195 [153]. » 40 ad. = » trivigiana n. f., — pag. 196 [154]. » 41-42 ab. — » viatrix n. f., — pag. 196 [154]. » 43 ab. —_ » praeturgidula n. f., — pag. 197 [155]. » 4445 ab. — » praeromana n. f., — pag. 197 [155]. » 46-48 a-b. — Borsonia praecostulata n. f., — pag. 198 [156]. » 49 ad. +— Borsonia hortensis n. f., — pag. 198 |156]. » 50 ad. = » pentagona n. f., — pag. 199 [157]. NEIL — Drillia praepustulata n. f., — pag. 199 [157]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAENTOGRAPHIA ITALICA, Vol. III, Tav. XX. LAV. d VINASSA DE REGNY, Synopsiîs dei molluschi terziari delle Alpi venete. [Zav. VIII. AUCT. PHOT. ELIOT. CALZOLARI E FERRARIO, MILANO. Agi us ' Ù \ on DI i fe o Fao ' " 4 si ' di dl foi L \ x ù ' o . LU Ha È MIS to La - — i CC Di x ' + Sa i ‘1 “ 7 Liù " dee Uri ti Di DS) Spiegazione dellafPavola SRI): Fi. 1 «-c. — Perisphinctes serranus n. sp. (L’es. figurato nell’ Istituto geol. dell’ Univ. di Bologna). Per la linea lobale si veda la Fig. 20 a pag. 214 [42], — pag. 214 [42]. » 2 ab. — Holcostephanus substephanoides n. sp. (L’es. figurato nell'Istituto geol. dell’Univ. di Bologna). Esem- plare nel quale quasi tutto l’ultimo giro appartiene alla camera di abitazione. Per la linea lobale si veda la Fig. 15 a pag. 202 [30], — pag. 201 [29]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol.IIl,Tav.XXI. CANAVARI, /auna dstr con As acanthicun di ME Serra pr Camerino. [Zan VII]. $ .Cristofani dis.e lit Lit. Garibi Firenze Di ipa Moglia SZ di sare Eat n nre Spiegazione della Tavola XXII [VIII]. Fig. 1 ab. — Perisphinctes adelus Gemm. Esemplare che ha conservata parte della camera di abitazione, alla quale appartengono i ?/, dell’ultimo giro. Per la linea lobale si veda la Fig. 16 a pag. 205 [33]. Vedasi anche.la Tav. XXVII [XIII], fig. 3 a-b, — pag. 203 [31]. » 2 a-b. — Perisphinctes adelus Gemm. Esemplare che ha conservata parte della camera di abitazione, alla quale appartengono i °/; dell’ultimo giro, — pag. 203 [31]. » 2 e. — Perisphinctes adelus Gemm. Porzione dell’ ultimo giro dell’ esemplare della Fig. 24, veduto dalla regione sifonale per mostrare su questa la disposizione a zig-zag delle coste, — pag. 203 [81]. > 3 ab. — Perisphinctes n. f. del sottogruppo del Per. Ernesti Lor. La metà dell’ ultimo giro di questo esemplare, incompletamente conservato, appartiene alla camera di abitazione. Vedasi anche Tav. XXV [XI], — pag. 224 [52]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. IILTav.XXII. CANAVARI, fauna d.str con Asp acanthicum di M Serra pr Camerino . [Zuv.V/I). es F.Cristofani Lit. Lit. Ganhi Firenze RSA Spiegazione della Tavola XXIII [IX]. Fic. 1 a-b. — Perisphinctes acer NeuUM. Esemplare che ha ben conservato il guscio; i lobi arrivano certo fino alla prima metà del giro esterno. Forma paragonabile a quella di Csofranka nella Transilvania figurata da NEUMAYR (Sch. mit Asp. acanthicum, tav. XXXVIII, Fig. 1). Per la linea lobale si veda la Fig. 18 a pag. 209 [37], — pag. 208 [36]. » 2 a-b. — Perisphinctes acer Neum. Esemplare forse tutto concamerato paragonabile alla forma di Brentonico presso Roveredo figurata da NEUMAYR (L. c., tav. XXXVII, fig. 1). Per la linea lobale si veda la Fig. 17 a pag. 209 [37], — pag. 208 [36]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol.III,Tav. XXIII. CANAVARI, fauna dstr con Asp acanthicum di M! Serra pr Camerino . penitenza, Lit. Gabi Firenze E .Cristofani Jit, SAGA N x CERTE vo ave Spiegazione della Tavola XXIV [XI]. FIG. 1 4-b. — Perisphinctes Ernesti LorioL. Esemplare mancante della conchiglia nell’ ultima metà del giro esterno, il quale per ‘/. appartiene alla camera di abitazione. Per la linea lobale si veda la Fig. 24 a pag. 223 [51], — pag. 222 [50]. l'alaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol.III Tav. XIV. CANAVARI, Zauna dstr con As acanthicum di M° Serra pr Camerino. [Zav.X]. vucrpinin AN E Cristofani dis.e-lit. Lit. Gambi Firenze ds bi sn : SI) “i iù p È aa TTI “_ ac 3 Ù IS A) ti Spiegazione della Tavola XXV [XI]. Fi. 1 a-b..-- Perisphinctes n. f. del sottogruppo del Per. Ernesti Lor. Grande esemplare nel quale i ‘/. del giro esterno appartengono alla camera di abitazione e in molte parti manca la conchiglia. Vedasi anche Tav. XXII [VIII], Fig. 3 a-b, — pag. 224 [52]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. / PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol.III:, Tav. XXV. CANAVARI, fauna dstr con Asp. acanthicum di Ml Serra pr Camerino. [Zav ZI 1. F.Cristofani lit Lit. Gambi Firenze a MAMA MI Ù 1 RIT I Men si i. te î i iaao 5 pRa DE TA i DA DOT E; Sii e aus Spiegazione della Tavola XXVI [XII]: FiG. 1. — Perisphinctes amphilogomorphus n. sp. Grande esemplare, con la conchiglia quasi tutta conservata e nel quale gli ultimi ?/; del giro esterno appartengono alla camera di abitazione. Per la linea lobale si veda la Fig. 21 a pag. 217 [45] e la Fig. 22 a pag. 218 [46], — pag. 216 [44]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. L PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol.III, Tav XXVI GANAVARI, Fauna distr con Aspacanthicum di M° Serra pr Camerino [Zan AI E. Cristofani lit - ‘ Lit Gabi Firenze Di DÀ 1h 50 @ Spiegazione della Tavola XXVII [XIII]. Fig. 1. — Perisphinctes metamorphus NEUM., — pag. 220 [48]. 2 » 2 ab. — Perisphinctes plebeius NeuM. Esemplare nel quale gli ultimi */3 del giro esterno appartengono alla camera di abitazione. Per la linea lobale si veda la Fig. 19 a pag. 213 [41] — pag. 212 [40]. » 3 a-b. — Perisphinctes adelus Grmm. (L’es. figurato nell'Istituto geol. dell’Univ. di Bologna). Piccolo esem- plare nel quale i lobi arrivano sino ai primi */z dell'ultimo giro. Vedasi anche la Tav. XXII [VIII], fig. 14-60, 2a-c, — pag. 203 [31]. » 4a-c. — Perisphinctes n. sp.? Esemplare tutto concamerato. Per la linea lobale si veda la Fig. 23 a pag. 220 [48], — pag. 219 [47]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol. III,Tav.XXVII. CANAVARI, Zauna dstr con Asp.acanthicwum di M “ Serra pr Camerino, [Zav AI). DOH .Cristofani lit_ Lit Gabi Firenze DeL. CIAO Spiegazione della Tavola XXVIII [XIV]. Fia. 1 ac. —- Perisphinctes Raschii n. sp. Esemplare tutto concamerato e con la conchiglia conservata. Per la linea lobale si veda la Fig. 25 a pag. 226 [54], — pag. 225 [53]. » 2 a-c. — Perisphinctes Raschii n. sp. var. Dedaloides n. var. Sino ai primi ?/, del giro esterno sono stati resi manifesti i lobi. Per la linea lobale si veda la Fig. 26 a pag. 228 [56], — pag. 228 [56]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. è PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , VolMII, Tav.XXVIII. CANAVARI, Fauna dstr con Asp. acanthicum di M Serra pr Camerino . E.Cristofani tit. Lu. Gambi Firenze " a he + x Di y -L à ii ha x 5 Ù n DI] - ' Di n _ » ù î Ì Î 5 ' Î n fu 4 ESE N î ud Da Ci È Si i IV Te Rea SERE ; Spiegazione della Tavola XXIX [XV]. Fig. 1 a-c. — Simoceras Cavouri Gemm. Esemplare con coste alquanto arcuate. Gli ultimi ?/, del giro esterno appartengono forse alla camera di abitazione, — pag. 229 [57]. 2 a-c. — Simoceras Cavouri Gemm. Esemplare con coste quasi diritte, accrescimento un poco più rapido e fianchi leggermente più convessi del precedente. Camera di abitazione solo parzialmente conservata (appena ‘/, dell'ultimo giro). Per la linea lobale si veda la Fig. 27 a pag. 230 [58], — pag. 229 [57]. Palaeontographia italica, vo). III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA , Vol.III,Tav.XXIX. CANAVARI, Fauna d'str con Asp.acanthicum di M Serra pr Camerino. [Zav.XV]. Sir E .Cristofani dis.e lit. Lit. Gambi Firenze Spiegazione della Tavola XXX-[XVI]. FIG. 1 a-c. — Simoceras Benianum Car. sp. (L’es. figurato nell’Istituto geol. dell’Univ. di Bologna). Esemplare con la conchiglia in gran parte conservata e nel quale un poco più della metà dell’ ultimo giro appartiene alla camera di abitazione. Per la linea lobale si veda la Fig. 28 a pag. 233 [61], — pag. 231 [59]. Palaeontographia italica, vol. III, 1897. PALAEONTOGRAPHIA ITALICA, Vol.III, Tav.XXX. GANAVARI, fauna dstr con Asp. acanthicum di Ml Serra pr Camerino . [Zav.XVI }. L9et) 50 jo o di }.Cristofani dis.e lit. : Lit. Cambi Firenze Di RUNE: pe EU TA Da er Alt va DE n st er IRE SE SPE h4 Do. 2044 106 274 178 | | pump DI isso! Sh ta “a DER A È