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BIBLIOTECA UNIVERSALE

PIA DE' TOLOMEI

DI

BAETOLOMEO SESTINI

MILANO

EDOARDO SONZOGNO, EDITORE 11. Via Pasquirolo. 14.

ISSI.

il

Tip. dello Slabilimenlu JelJ'EUiiure Euuaudo Sonzogno-

BARTOLOMEO SESTIKI

Bartolomeo Sestini nacque il 14 ottol)re 1792 a San Maio, paesello presso Pistoia, da Francesco, perito ar- chitetto, e Maddalena Biagini che aveva lo spirito na- turalmente temperato alla poesia.

Passò i primi anni studiando il latino; ma ben presto mostrò che la natura l'aveva fatto proclive per l'arti belle; del che accortosi il padre lo allogò a Pistoia presso Giuseppe Vannacci, assai pregiato pittore. Nel tempo medesimo il giovinetto studiava il calcolo e la geo- metria ove avanzò maravigliosamente, onde il padre, concepitone speranze maggiori, lo fece passare a Fi- renze, affinché più valenti professori dessero maggiore impulso al suo ingegno.

In quel tempo Giovan Battista Niccolini recitava ai giovani artisti dell'Accademia le sue orazioni piene di vera, libera, potente eloquenza, nelle quali inse- gnava che le arti belle non debbono essere ministre di voluttà all'ozio magnifico dei ricchi e adulatrici dei potenti, ma promovitrici e ricompensatrici dei ma- gnanimi fatti, e che quindi vogliono essere intese a migliorare 1 costumi e congiurare colle leggi alla fe- licità e grandezza della nazione.

Il giovane Sestini mentre imparava le regole delle belle arti, a queste orazioni nutriva il cuore di gene- rosi sensi e si prefiggeva nelle liberali discipline quel nobile scopo che non gli sarebbe fallito, se gli fosse a tanto bastata la 'vita.

Qualche anno dopo, amore di patria e di poesia conduceva il Sestini frequentemente ai colli di Bel- losguardo, d'onde Ugo Foscolo intuonando quell'inno

4 BARTOLOMEO SESTILI.

immortale alle Grazie, chiedeva loro l'arcana melodia pittrice della bellezza e l'inspirazione al suo canto vòlto a rallegrare l'Italia, afflitta da regali ire straniere.

Il Bestini educato cosi al vero ed al bello, sentivasi crescer l'animo ad ogni momento e si apparecchiava a manifestarlo coli-opera.

Nelle liete brigate dei giovani amici aveva già dato saggio di quanto furore poetico 1' agitasse, improvvi- sando versi sopra varii argomenti. Ma suo padre che voleva farne un agrimensore anziché un poeta, ne lo rampognava. Egli ammutiva ed abbassava gli occhi. Interrogato del perché tenesse tale contegno, rispon- deva: « Stavo pensando al modo di rispondere ai vostri rimproveri in versi. » L'amoroso padre vedendo sempre più la potentissima inclinazione del figliuolo alla poesia, posto giù lo sdegno, lo incitava a cantare, si poneva come incantato ad ascoltarlo.

Il Sestini giovine, poeta e pittore, amò ardentissi- mamente una fanciulla bellissima ed in essa ripose i pensieri e le speranze ed era da lei riamato di pari amore; ma un caso inaspettato venne a troncare tanta felicità. Mentre un di stava l'amata donna vicina alla sua casa all'ombra d'un albero, intesa a lavori d'ago, un fulmine, schiantò quell'albero incenerendola. Il Sestini andò errando coli' anima piena di disperato pianto e cantò la morte di lei nei versi pubblicati nel 1815 col titolo di Aniori camjjestri ; versi che si raccomandano per naturale eleganza e andamento grazioso e spontaneo', e sgorgano da una vena limpida e abbondante, ed esprimono felicemente 1' affetto che muove il cuore del ventenne poeta.

Poco dopo ebbe a piangere anche la perdita di tutte le persone più care; onde fu allora che si dette ad improvvisare versi ed il pensiero della gloria parve che gl'infondesse nel tras'agliato spirito una vita novella. Incoraggiato dal successo dei primi esperimenti, fece un viaggio per la Toscana insieme col vecchio im- provvisatore Giovan Giacomo Baldinotti. Furono a Volterra, a Pisa, a Firenze, a Sienay a Cortona e dap- pertutto, dando accademie, ritrassero in copia applausi e danari. Incorato da questi successi, il Sestini andò a Roma e vi dette nuove accademie, ammirato dal

BARTOLOMEO SKSTINI. 5

fiore dei letterati di quella città. Di passò a Napoli, ove ebbe onoranze e ricompense maggiori anche dai principi. Da Napoli, traversando le Calabrie, si recò a Messina, ove riprodusse per le stampe i suoi Idiln, la cui poesia è semplice e spontanea, i pensieri gen- tili e caldi di nobile amor di patria. Da Messina si recò a Catania, ove la sera del 29 luglio 1818 dette un'accademia nella quale superò la fama che l'aveva preceduto. Anche a Palermo, Girgenti per ogni dove, dando accademie, colse nuovi allori.

Nell'aprile 181G, per tradimento d'un tal Oddo, che aveva fìnto per lui amicizia mentr'era una spia del governo borbonico messa alle sue calcagna, fu arre- stato in Palermo e condotto nelle carceri segrete. Quivi stette quaranta giorni, finché ne fu liberato dietro ricorso al ministro degli esteri di Firenze, ma imme- diatamente sfrattato da quello Stato.

Ritornò a Pistoia accolto con dimostrazioni di vi- vissima gioia dagli amici che poco prima avevano pianto alla nuova della sua disgrazia; ma dopo breve dimora, andò a Genova, ove cattato in sospetto della polizia, si salvò appena in tempo. Venne a Milano, mentre scoppiava l'insurrezione in Piemonte; indi a poco tornò a Pistoia, a Firenze, ove nuove cOse im- provvisò.

Il 16 settembre 1S31 lo troviamo a Viterbo, ove compose la tragedia Guido di Monfort conte di Monte- feltro, che fu rappresenta' a per più sere consecutive riscuotendo molti applausi, e un dramma intitolato il Trionfo di Santa Rosa dopo L'esilio ch'ebbe , pure felice successo.

Fu in Roma nel 1822 che compose la pietosa leg- genda Pia de' Tolomei inspiratagli dai versi di Dante e sulla quale non vi é animo gentile che non abbia versato una lagrima in tributo ai tanti dolori della misera sposa di Nello.

La rivoluzione dei carbonari del 1821, finita colla morte di alcuni, l'esiho di moltissimi e la condanna di altri alla cruda prigionia dello Spielberg, l'obbligò ad andar a morire su terra straniera. Il 20 luglio 1823 parti per la Francia e il 12 ottobre arrivò a Piirigi, ove presto attirò a 1" ammirazione di tutti.

6 BARTOLOMEO SESTILI.

Venti giornali parlavano onorevolmente di lui: si cercavano i suoi versi stampati, si voltavano nella lingua francese e dappertutto si discorreva del ra- mingo poeta italiano.

Poco avanti la sua partenza dalla patria le aveva dato l'ultimo addio con un mestissimo canto. Fu profeta.

Egli stesso disegnò il suo ritratto nel seguente so- netto che ricorda quello famoso di Ugo Foscolo:

Sembiante austero e in pensier tristi immerso, Rabbuffati capei, velloso il mento; Grande la fronte, ove mirando intento Del cor si scorge ogni pensier diverso ;

Irsuto il ciglio ed al terren converso, Nero il crin, nero l'occhio, e a mirar lento; E poiché sempre avversità pavento. Ho mesto il volto e di pallore asperso.

Donzella amai che mi rapi la sorte; Fummi sventura amar la terra avita; Le muse amai; fu il danno mio più forte.

Cosi men vivo in pena alta, infinita, E l'avvenir non so; so che la morte Sol riposo darammi e pace e vita.

Il lo novembre di quell'anno la sua salma veniva portata al cimitero di Vaugirard, ove la contessa Or- ioff, destinò una pietra che distinguesse le ossa del- l'infelice poeta da quelle del volgo.

A SUA ECCELLENZA

IL SIGKOR CONTE

CARLO ARRIGONI

Mcritissimo Gonfaloniere di Harnina.

Eccellenza,

Debita riconosceìiza, ingenua atima e devoto os- sequio, vogliono che io intitoli alla E. V. questo tenue lavoro tratto dai quattro misteriosi versi della Di- vina Commedia,

Ricordati di me, che son la l'i;»;

Siena mi fé' ; disferemi Maremma :

Salsi colui clic innancllata iiria, Dispo^la m'avca con l:i sua gemma.

Dante, Purg., e. V.

da quanto ho raccolto sulle Maremme losche da ccchie tradizioni e da documenti degni di fede. Spero che VE. V. accetterà il mio buon volere, e ■: la vedrò indulgente nelV accogliere la. x^overa Pia .''nchè vestita di ruvidi e disadorni panni, mostre- rolle la Donna di Bologna, e la Giovanna di Napoli, che attendono la sorte della primogenita per risol- ■crsi a seguirla nelUi luce, o a restar nelle tenebre. Ho intanto l'onore di rassegnarmi Della E. Y.

Obblig. e devoiiss. servitore Giorgio Sbrighi.

Ravenna, li 2j settembre 1825.

PIA DE' TOLOMEI

CÀMTTO I

Tra le foci del Tevere e dell'Arno, Al mezzodì giace un paese guasto. Gli antichi Etruschi un lo coltivarne, E tenne imperio glorioso, e vasto : Oggi di Chiusi e Populonia indarno Piicercheresti le ricchezze, e il fasto, E dal mar sovra cui curvo si stende Questo suol di Maremma il nome prende.

2.

Da un lato i lontanissimi appennini Yeggioiisi quasi immensi anfiteatri, E dall'altro tra i nuvoli turchini Di San Giulian le cime, e di Velatri, E dalla parte dei flutti marini Sempre di nebbia incoronati ed atri Sembrano uscir dall'umido elemento I due monti del Giglio e dell'Argento.

10 PIA de' tolomei

3.

Seutier non S'^gna quelle lande incolte, E lo sguardo nei lor spazii si perde : Genti non hanno, e sol mugghian per molte Mandre quando la terra si rinverde. Aspre macchie vi son, foreste fulte Per gli anni altere, e per l'eterno verde. E l'alto muro delle antiche piante Di spavento comprende il viandante.

4.

Dalla loro esce il lupo ombra malvagia Spiando occulto ove l'armento pasca; Il selvatico toro vi si adagia, E col rumore del mare in burrasca L'irto cinghiale dagli occhi di bragia Lasciando il brago fa stormir la frasca, E se la scure mai tronca gli sterpi Suona la selva al sibilar dei serpi.

Acqua stagnante in paludosi fossi, Erba nocente, che secura cresce. Compressa fan la pigra aria di grossi Vapor, d'onde virtù venefica esce ; E qualor più dal sol vengon percossi Tra gli animanti rio morbo si mesce, Il cacciator fuggendo, da lontano Monte contempla il periglioso piar.o.

11

6. .

Ma il montagnolo agricoltor s'invola Da poi che ha tronca la matura spica, Kitorna ai colli, e con la famiglinola Spera il frutto goder di sua fatica : Ma gonfio e smorto dall'asciutta gola Mentre esala l'accolta aria nemica, Muore, e piange la moglie sbigottita Sul pan che prezzo è di cara vita.

Io stesso vidi in quella parte un lago Impaludar di chiusa valle in fondo, Del poche ore il sol vede, e l'immago Di lui mai non riflette il flutto immondo, E non s'increspa mai, si fa vago Allo spirar d'un venticel giocondo, E ancor quando su i colli il vento romba Morte stan l'onde come in una tomba.

8.

Le rupi che coronano lo stagno Son d'olmi vetustissimi vestute, Crescon dove l'umor bacia il vivagno I sonniferi tassi, e le cicute : Talor del gregge il can fido compagno Morì le pestilenti acque bevute, E gli augei stramazzar nell'onda bruna Traversando la livida laguna.

12 riA dk' tolomei

9.

Tempo già fa, che a pie del curvo monte La cui falda allo stagno forma lito, Torreggiante palagio ergea la fronte rin da longinqui tempi costruito : Fosso il cingea cui sovrastava un ponte Mobil, di bastioni ardui munito : Così difeso il solitario tetto D'inespugnabil rocca avea l'aspetto.

lÓ.

Occultando la fredda gelosia Oud'era morso, a quel temuto ostello Ti conducea, mal capitata Pia, Il tuo consorte sire del castello : Per far men grave la penosa via A lui volgevi il volto onesto e bello. Trattenendo! con bei ragionamenti, Che avean risposta d'interrotti accenti.

11.

Il cavai con andar sovave e trito Oltre la porta, e va del peso baldo: Ella ha nell'una man flagel gueruito D'oro, e nell'altra il fren sonante, e salJo; Cela la bianca man guanto polito D' una pelle color dello smeraldo, E l'ostro avvolge il pie che leggermente Preme mobil d'acciar staffa lucente.

CANTO I. 13

12.

Largo al turgido petto, all'anche stretto, Col cingolo tra l'omero e l'ascella. Affibbiato davante un corsaletto Le fa sostegno alla persona snella : Trapunta a stelle di lavor perfetto Veste al di sotto cerula gonnella : Tale appar di stellato azzurro velo Cinto il secondo luminar del cielo.

13.

Di fiorentina nobile testura Zendado cremesin le stringe il fianco, In nodo si raccoglie la cintura, Pendula cade poi sul lato manco; Velloso pileo d'attica figura Cui sovra ondeggia un pennoncello bianco Le nere chiome in parte accoglie, e in parte Libere cader lascia all'aura sparte.

14.

Il faticoso andar per la foresta Fa che la dolce faccia il color prende Cun che di verecondia a turpe inchiesta Vergine intemerata il volto accende : L'acceso aispetto, il sol che la molesta Di sudor l'empie, e più leggiadro il rende; Come abbella, amaranto porporino, Con le rugiade un limpido mattino.

14 PIA de' tolomei

15.

Che rose fresche colte in paradiso

Son le gote, e le luci astri immortali, E sembra della bocca il dolce riso Riso di nunzio che dal cielo cali; Il labbro è smalto di rubin, diviso Da due file di perle orientali ; Sembra la fronte or or caduta bruma, E il sen di pellican candida piuma.

16.

Così varca costei l'ime maremme Qual raggio che fra i nembi il sole scocche, E l'erba al suo passar par che s'jngemme Di fiori, e brami che il bel pie la tocche: vaga non mirò Gerusalemme Erminia cavalcar fra le sue rocchp, l'Ercinia mirò vaga in sella Passar di Galafron la figlia bella,

17.

Danno la via meravigliati i boschi Non usi a contemplar tanta bellezza, L'ora natia di quei roveti foschi Di scherzarle fra '1 crin prende vaghezza : Ma il venticel che vien dal mar de' toschi Piange mentre passando la carezza, Quasi fosse il sospir della natura Antiveggente la di lei sciagura.

CANTO I. 15

18.

S'apron le ferree porte arriiggiiiite Del Castel stato da molt'anni chiuso, Però che il castellali, le imputridite Acque schivando, avea l'albergo suso, Ove una chiesa, e molte case unite Erano erette dei vassalli ad uso, Del vicin monte sulle verdi spalle D'onde il caste! si domina, e la valle.

19.

Entran la bella donna e il cavaliere Nel limitar della magion ferale; Non travagliata da verun pensiero Ella ricorca i vuoti atrii, e le sale: Osserva l'ampio, e sinuoso ostiero, E i nascondigli, e le ritorte scale D'onde si cala in cave di tenebro. Che percorron del monte le latebre.

20.

Vede alle mura ed alle travi appese Armi smagliato di guerrier vetusti, E insegne nei civili assalti prese, Kastelli e sbarre d'alberghi combusti: Legge descritte le onorate imprese Nei piedestalli degli scnlti busti, E il loco estranio contemplando, sente Gioja e stufor la giovinetta mente.

16 riA de' tolomei

21.

Era in mezzo al palazzo d'eclieggiante Portico cinta spaziosa corte, Al chiostro laterale eran davante Spazii, e colonne ottangolari e corte; Sovr' esse d' archi un ordine pesante Pensile sostenea muraglia forte, Che ergeasi a fìl del peristilio, per li Aerei campi sollevando i merli.

22.

Nelle quattro pareti interiori Del ricorrente portico sonoro Eran dipinte a splendidi colori x\.ntiche istorie di sottil lavoro. Parean le forme rilevate in fuori, E detto si saria: parlan costoro: E dest(» l'eco in quelle ereme sedi Parea sentirne il calpestìo dei piedi.

23.

Bardano quivi comparia primiero, E i Pelasghi il seguian col ferro in alto, Finché per riaver l'equin cimiero A lui caduto, si vedea far alto, E vincer l'inimico, e in quel sentiero Ancor coverto il sanguigno smalto Era da lui nobil cittade eretta Dal caduto cimier Corito detta.

CAXTO I. 17

24.

Poi contendea l'eredità paterna Bel dominio di popoli felici ; V'eran l'Erinni alla tenzon fraterna Eigorose assistenti e instigatrici. E d'Asio, che le luci in ombra eterna Chiudea, tali apparian le cicatrici, Che appressandoti a lui creduto avresti Che il sangue ti spruzzasse in sulle vesti.

25.

A vendicarlo poi venia per l'onde D'Atlante Mauritan Siculo il figlio : Parean d'armati brulicar le sponde Brune per l'ombra di gran naviglio, E Bardano fuggiasi ai monti, d'onde Chiara in affanni, in armi ed in consiglio, All'Enotria natal riedea sua prole Per domar quanta terra illustra il sole.

26.

Mesenzio de' cavalli il domatore Potea raffigurarsi all'opre conte, E contro lui sulle spalmate prore Venia fra i toschi giovani Tarconte: Poi nel corpo del re, stranier signore Apria di sangue altrui succhiato un fonte, E il suol mordea fra l'altrui grida, e il plauso

Dolente ancor pel mal difeso Lauso.

2

18 PIA de' tolomei

27.

Dall'altra parte comparia Porsenna

Cingente Roma d'inimico vallo : Sul ponte Orazio qua brandia l'antenna, E Clelia affrettava il gran cavallo; Fermo qual tronco della nera Ardenna Scevola all'ara del commesso fallo Punìa la destra mal fida ministra, Minacciando tuttor colla sinistra.

28.

Ultimo, cinto il crin di sacre foglie, E invaso da celeste vaticino, V'era tra ricchi templi, ed auree soglie Asila sacerdote, ed indovino; Sollevarsi parean le sacre spoglie Sul sen pregnante d'alito divino, Parean cambiar le gote, e le lanose Labbra tali predir future cose.

. 29.

Queste spesse città, questi lucenti Delubri, e queste fertili colline, E queste vie di popolo frequenti Diverran solitudini e ruine, E faran guerre le future genti Per dilatarsi nell'altrui confine, Mentre sarà negata una Colonia Al più bel suol della ferace Ausonia.

CANTO I. 19

30.

Tal era rammirabil magisterio,

Ed era fama clie gran tempo avante, Un baron, dando ospizio a Desiderio Quando ivi giunse cavaliero errante, Le prische prove del valore Esperio Vi aveva fatte ritrar da un negromante, Che con l'aita dei maestri stigi In una notte fé' tanti prodigi.

" 1

Colta da strania meraviglia vede

La Pia tai cose, e mentre intorno gira, S'arretra il guardo se va innanzi il piede, E finché dura il giorno attenta mira. Quando delle crescenti ombre s'avvede Nelle camere interne si ritira, Ove ancor le riman molto a vedere Allo splendor di lampade e lumiere.

3.2.

Intanto il suo signor con bassa testa Di qua, di là, di su, di giù va ratto. Or si batte la fronte, »d or si arresta, E fissa gli occhi, e par di pietra fatto, Com'uom non uso al fallo, e che si appresta Meditato a compir nuovo misfatto : Ma ornai la notte il sol nel manto ascoso, Ciascun tranne costui chiama al riposo.

20 PIA de' tolomei

33.

A mensa ei siede muto e turbolento, Stagli incontro la donna, e fissa i rai Più clie nei cibi in lui, che il turbamento Mal celato ne ha scorto, e poi che assai Stette in silenzio, grazioso accento Movendo, le dicea : sposo che hai ? Nulla ei rispose, ed un amaro riso Chiamò sul labbro, e non fé' lieto il viso.

34.

Ma poi che il castellan la mensa tolse, E restar soli nella chiusa stanza, Le bianche braccia al collo ella gli avvolse Siccome avea di far sovente usanza: Poi nelle mani sue la man gli accolse, E con ingenua e tenera sembianza La strinse, e ne sperò bel cambio invano Qual di persona morta era la mano.

35.

Tremò, s'impallidì, ma avvalorata Da coscienza di sentirsi pura, E visto, che di seno avea levata Per notarla domestica scrittura Pensò che avesse l'anima agitata Del censo avito in qualche acerba cura, E si scostò con femminil modestia Onde al suo cogitar toglier molestia.

CA^•TO I. 21

36.

Sciolse le aurate fibbie; e delle schiette Vesti spogliossi il colmo fianco, e il seno. Come fa tra le coltri, ed ei credette Ch'ella dormisse, sorse in un baleno, Si mosse a lenti passi, e poi ristette Immoto, indi ai sospiri allargò il freno, E con fioca sclamò voce dimessa: 0 donna a me fatale, ed a te stessa.

37.

Ecco il fin dei connubii inaugurati ! Tu principio, tu fin de' miei desiri Far potevi i miei giorni, e i tuoi beati, Or sei cagion de' miei, de' tuoi sospiri : Per placarmi espiando i tuoi peccati Qui muori io fra i rimorsi, ed i martiri Morrò vendetta avrommi e non conforto; Ma teco starmi non poss'io che morto.

38.

Spezzati dunque, o mio vii cor, per doglia Se non sai non amar, di gel farte, Ma se al disegno mio fia che tu voglia Contrastar, di mia man saprò strapparte : Disse, e- a passi sospesi in ver la soglia Giunto, si volse alla sinistra parte, E il guardo corse involontariamente Sulla misera femmina giacente.

22 riA de' isNiejreii

In un atto soave ella dormiva Piegata alquanto sovra il dest^/o lato. Premeva il capo un braccio, e l'altro usciva Dai lini, mollemente abbandonato. Le inondava il crin sciolto la nativa Neve del collo e l'omero rosato, E tralucea del volto nella calma Una tranquillità di candid'alma.

40.

Come al predone opposita procella Vieta la fuga, a lui l'andar fu tolto, Ed oh ! tra sclamò ; quanto sei bella, E in questo dir le si appressava al volto. Tal forse Adamo contemplava, quella Notte, da cui fu l'error primo avvolto. Addormentata allo splendor degli astri La leggiadra cagion de' suoi disastri.

41.

In estasi rimase, e già le braccia Correano al segno o v'era la pupilla, Correa la bocca sulla rosea traccia Ch' era d' eterno fuoco una favilla, AUor che scorse sulla bianca faccia, Pari a perla eritrea, lucida stilla, Dai propri lumi la conobbe uscita Avvampò di vergogna, e fé' partita.

CANTO I. 23

42.

Partisti, 0 dispietato, e ti die il core D'abbandonarla, e non vedesti come Qua, e le man stese al nuovo albore Per ricercarti, e ti chiamava a nome, ti trovando sorse, e in vago errore Scorrean le vesti, e le fluenti chiome : T'avria vinto in quell'atto mesto e vago, Se stato fossi un' anima di drago.

43.

Cerca e richiama, e niun risponder sente, Onde si ferma, e sta dubbia, e pensosa, S'allegra alfine udendo lo stridente Ponte che al basso calando si posa. Ode alcuno avanzarsi, e all'imminente Vestibol corre tutta desiosa. Ed ecco con le salde chiavi in mano Apparirgli a rincontro il castellano.

44.

E a lei, che impaziente del marito Chiedea, rispose, che poc' anzi al giorno Nella selva vicina a caccia er' ito, E innanzi sera avria fatto ritorno, E come dal baron fu statuito. Che mentre sola ivi facea soggiorno Servitute e prestarle ei fosse intento In tutto ciò di eh' ella avea talento.

24 PIA de' tolomei

45.

Appagossi a quel dir la semplicetta, Ma non raccolse l'usata quiete : Tutto quel per casa errò soletta, E non piangea, ma avea di pianger sete Pensando ch'ei la man non le avea stretta, di baci le fé' le guance liete, E dal letto partissi inosservato Senza degnarla dell'amplesso usato.

46.

Come quel fu lungo! Ombrosa uscio Notte dal lago, ed ei non fé' ritorno : E invano intenta ad ogni calpestìo Stette, e ad ogni rumor che udia d'intorno. Occhio giammai non chiuse, alfine aprio L'alba i balconi d'oriente al giorno, E nell'alto orizzonte il sol pervenne ; Desta trovolla, e quel crudel non venne.

47.

Quel giorno intero, e tutti gli altri due Attese indarno men viva che morta; Ma quando al quinto venuta fue, E il castellano udì giunto alla porta, Qaal forsennata dalle scale giue Corse, sciolti i capei, la faccia smorta; E il vel stracciando, con grido affannoso : Dove dove, sclamava, ito è il mio sposo?

CANTO I. 25

48.

Così pria della sera ei dalla caccia Eiede, e mentre egli puote in quei deserti Esser perito, e mentre il ciel minaccia Strani accidenti, rimanete inerti ? Ma a voi non cale, io stessa andronne in traccia, Io cercherò le grotte, e i campi aperti, E troverollo, o le fere che guasto Hanno il bel corpo suo m'avranno in pasto.

49.

Così dicendo, verso la vicina Porta correa, che aperta fa pur dianzi, Quando il rozzo scherano alla tapina Con mal viso, e mal cor paressi innanzi Sostate disse, il signor qui destina Finch'ei non rieda, che madonna stanai, E qui v'è forza dimorar solinga D'uscir vana speranza vi lusinga.

50.

Raccapricciò la dolorosa moglie A tal dir, che un abisso anzi le apria, E ben presaga omai che in quelle soglie Dovea menar la vita in prigionia. Proruppe in pianto, lacerò le spoglie, E di grida e di duol le vòlte empia, E non reggendo al duro accorgimento, Semiviva cascò sul pavimento.

26 riA de' tolomei

51.

E poi che in guisa tal stata fu molto, Sul cubito levando il corpo obliquo Restò seduta, e tra le palme il volto Pose, muta pensando al caso iniquo Statua sembrar potea di marmo scolto Entro l'ingresso di un sepolcro antiquo ; Se non vedeasi pei sospiri, il largo Sen colmarsi, e scemar com'onda al margo.

52.

Poi gli occhi alzando, anzi le chiare stelle, D'onde sgorgavan lagrime infinite Giù per le guance pria vermiglie e belle Or somiglianti a rose scolorite. Rose non colte in lor stagion, ch'elle Sien sul secco cespuglio impallidite: Sposo, dicea, così mi lasci e parti, E imprigioni chi rea solo è d'amarti ?

53.

Perchè se altrui perfidia, o mal concetto

Tuo dubbio avvien che me non conscia incolpe, Contro le altrui calunnie e il tuo sospetto Ascoltar non vorrai le mie discolpe? Veduto avresti almen, che a torto infetto Credi il mio sen di maritali colpe, E che ancor t'amo sì, che più mi duole Il perder te, che il non veder più il sole.

CANTO I. 27

54

E se fallauza involontaria e ignota Alla memoria mia pur t'era grave, E perchè simular, farla nota? Xon ha amor fallo che pianto non lave, Ed avrei pianto, ed a' tuoi piedi immota Forse avrei volta del tuo cor la chiave, avrei lasciato il pianto e la preghiera, Se rimessa da te l'onta non m'era.

55.

E largo di perdon stato saresti A chi segni ti die d'amor forte; E se implacabil stato fossi, e ai mesti Voti sordo, e al dolor della consorte, 0 stanco del mio talamo, m'avresti Colle stesse tue man data la morte. Oh quanto era per me miglior ventura Che viva esser sepolta in queste mura?

56.

disse, e a stento, ove posò la notte, Tornava, e steso sopra il letto il viso. Con voci dalle lagrime interrotte Disse : o vedovo letto, io fui d'avviso Quand'ebbi pria le membra in te ridotte, Che tu m'aprissi in terra un pieno eliso. Or come sembri squallido, e deserto Xon miro in te che il mio feretro aperto

28 PIA DE' TOLOMEI

57.

E in te morrò che in brevi consunto Sarà il mio fral da mille angosce e mille, assistenza d'amica, o di congiunto Avrà il mio corpo lagrimose stille, confidente man nel duro punto Pietosa chiuderà le mie pupille, E la mia madre ignorerà qual terra Chiede i suoi prieghi, e il cener mio rinserra.

58.

E fien brievi i miei dì, che sul confine Sentomi omai dell'ultimo passaggio. Ma i mali col morir non avran fine, Che in morte ancor mi sarà fatto oltraggio : Ah! che diranno le città vicine? Quai non san che fallato unqua non aggio, Qual più resta conforto a donna gramg, Se perde oltre la vita anco la fama !

59.

Sorgea da forsennata in questo dire, E mordendo il lenzuol battea le piante: Siccome ebra Bassaride suol ire A chiome sparse sull'Ismen sonante, E vedeasi ai balconi ire e redire Eorte chiamando il dispietato amante, E urlavan seco in flebile ululato Le sale dell'ostello inabitato.

CAKTO I. 29

60.

E chi nou avria pianto a quella vista ? Il castellali non già, d'aua parola Par anco ava-'\ cliè persona trista La cortesia d'un motto ancor consola ; E l'abborrita mensa a lei provvista L'abbandonava in quello stato sola, Tornando al colle a vincer le maligne Aure, col don delle volsinie vigne.

61.

E diceasi per l'umile paese, Star nel castello quella tanto chiara Pia, per cui fatte far ben mille imprese Dai cavalier che la chiedeano a gara, Per esser bella, affabile e cortese. Sopra ogni altra europea donna preclara, E che sol per mirar beltà grande Veniano i Proci dalle stranie bande.

62.

Dicean, ch'ella de' principi stranieri

Non curando l'inchiesta, ed in non cale Ponendo il primo fior dei cavalieri. Che per l'Italia avean*fama immortale, Ad onta del fratello, i suoi pensieri Avea rivolti con amor leale A Xello, che con essa in Siena crebbe, E vinta ogni contesa a sposa ei l'ebbe.

30 PIA de' tolomei

63.

Ed or con maraviglia di ciascuno, Che avea la cosa oscuramente intesa, Era da lui dannata al career bruno In turpe fallo avendola sorpresa. Così diceasi, ed abitante alcuno Neppur coi detti ardìa farne difesa, Sol qualche femminetta ner la picti. Le offeriva una lagrima secreta.

64.

Era nella stagion che il sole accende Del celeste Leon le giubbe bionde, E mostra il mondo che la faccia fende Le viscere di pioggia sitibonde, E sul gambo ogni fior languido pende, Aride pendon le ingiallite fronde, E a stelle crudelissime in governo Parean quelle maremme un nuovo inferno.

Signoreggiò tal anno nelle calde Maremme losche inusitata arsura, Ignee colonne fino a terra salde Parean piover dal sole alla pianura : Cadea il sol cinto d'infiammate falde Predicendo peggior l'alba futura. Misej-a Pia 1 l'istesso cielo infausto Parve voler tua vita in olocausto.

CAK10 I. 31

66.

Taccion l'opre de' campi, i villanelli Foggon la valle di lor vita ingorda, E nelle fratte appiattansi gli augelli Cinguettando con voce incerta e sorda; Sol la cicala in vetta agli arboscelli Collo stridulo metro i campi assorda, contro al sole di garrir si stanca Fincliè il grido acutissimo le manca.

67.

Non più scorron sonando i rivi alpestri, i fonti fuor delle petrose conche, moto ha fronda nei gioghi silvestri, i venti osano uscir di lor spelonche. Sol misto al leppo dei fuochi campestri Che ardon le paglie dalle falci tronche, Dalle roventi sabbie di Marocco Qual vampa di Yulcan soffia Sirocco.

68.

più la notte del suo gel con vive Perle cadenti i campi arsi rintegra. al dolce nembo delle brine estive Si rinfranca l'erbetta, e si rallegra; E se dall'abbronzate infette rive Di vapori erge il sol nuvola negra Nella notte invisibile ricade Le morti a seminar non le rugiade.

32 PIA de' tolomei

69.

Il notturno squallor non interrompe

Zampogna, o canto che d'amor si lagne, Del faggio sotto le appassite pompe Non più l'usignolin soave piagne: Ma col continuo aspro concento rompe Il silenzio dell'aride campagne Trillar di grilli, gracidar di rane, Ed ululato di ramingo cane.

70.

Quel giovin toro clie i lunati corni Baldanzoso ostentò re dell'armento, E aguzzandoli al cortice degli orni Muggì sfidando alla battaglia il vento, Fugge all'ombra il fervor dei caldi giorni. più l'erba ricerca, o il rio d'argento, E giace, e inchina il capo, e contro ai rari Aliti di ponente apre le nari.

71.

Il viator sull'uscio dell'ospizio Esce col sole, e l'orizzonte visto Listato a strisce fiammeggianti, indizio Di giorno del passato anco più tristo. Non ha cuor di fidarsi a certo esizio Nel cammin d'acque, e d'alberi sprovvisto; E nell'albergo ove restar gli spiace Languente, e a gravoso pondo giace.

ca>;to I. 33

72.

Fra i muri del caste! fatti di fao<:o Geme l'abbandonata prigioniera, conforto trovar, trovar loco Può da sera al mattin, da mane a sera ; L'intenso ardor le vieta il sonno, e poco E il refrigerio che dal sonno spera, Che qualche sogno torbido la sveglia, E la ricaccia in odiosa veglia.

E pili sembra che in lei l'ardor s'accresca, E il mal dell'esser sola in tai disagi. Quando le torna a mente l'onda fresca Di Fotitebranda, e di sua patria gli agi, E i colli, che odorosa aura rinfresca, E le mense, e le ancelle, e i bei palagi, Ove dolce menò vita serena In temperato clima, e in terra amena.

74.

Xel maritale albergo avea trovata Una fante vecchissima e devota, Che degli avi di Nello al tempo nata Di quei storia narrava a molti ignota, E più d'una lor colpa consumata In quel palagio nell'età rimota, E che però di quelle sedi impure Tolto possesso avean spettri e paure.

3-i PIA de' tolomei

75.

Ed aggiungea che v'erano i folletti, E vi soleaii le brutte streghe andarne, E succhiar dei rapiti pargoletti Il fresco sangue, ed il cervel stillarne, E con osceni riti i lor banchetti Gavazzando imbandir d'umana carne, Ed apprestarvi i filtri, e le malie Sotto le forme di rapaci arpie.

76.

Or soletta la Pia nelle riposte Sedi, in mente volgea racconti tali, E comechè, per mantener nascoste Le stanze al sole, e a' caldi venti australi, Dei balconi tenea chiuse le imposte; Cadea Tun mal fuggendo in altri mali, Dando largo alimento al suo timore Il bujo, dei fantasmi genitore.

77.

E stesa stando sull'ingrato letto Nasconde sotto i lin gli occhi soavi, E il solitario passero sul tetto Se ascolta, o i tarli nelle vecchie travi, Parie veder con minaccioso aspetto Per la stanza trescar di Nello gli avi, Si rannicchia la trepida, e dimanda Piangendo ajuto, e a Dio si raccomanda.

CA.NTO I, 35

78.

Così Vestale nell'avello occnlto Sotto le glebe d'infamato campo, Impaurita dal fallace culto, Clio a vivere e ad amar l'era d'inciampo, Del fioco lume seco lei sepulto Al moribondo scintillante lampo Tremava, e le parea d'aver presenti Le furie con le faci e coi serpenti.

79.

Nelle notti spiacevoli, e nojose

Per l'aspra angoscia, e per l'estivo ardore,

Alla fenestra traea l'affannose

Membra, onde respirar l'aura di faore,

E mirava la luna, che le cose

Di modesto tingea dolce colore,

E specchiando al pantan le sceme guance

Fea l'onde negre scintillanti e rance.

80.

Ed oh ! luna, dicea, consolatrice Della miseria altrui, tu confidente, E compagna dell'esule infelice Dal cielo abbandonata, e dalla gente, Deh ! non calar si tosto alla pendice, Non affrettarti verso l'occidente. Non far che l'etra povero rimanga, E del tuo lume anco il difetto io pianga.

36 riA de' tolojiki

81.

E il chiaror blando, che tempra il desìo Del cor gentile, e di dolcezza inonda, Liberale a me volgi, e in questo mio Nappo di duol stilla vitale infonda, E il veggente tuo raggio assista pio Al termin di mia vita moribonda, E m'accompagni ove all'avello io scenda E al viator su quello indice splenda.

82.

E se dal tempo, come avvien talora. Scoperto il ver sarà, l'onor redento. Verrà mio sposo in questa terra, allora Scorgilo ove il mio fral riposi spento: Ei ben vorrà compagna avermi ancora, Satisfarmi vorrà col pentimento, Ma una pietra offrirassi ai di lui sguardi, E dovrà pianger perchè venne tardi.

83.

Per lenta febbre intanto attrita ed egra Tributava la vita al sozzo clima, Com'uom dai mali oppresso, e che si allegra Per morte, e di campar non fa piti stima. Ed era scorsa omai l'estate integra, E d'autunno apparia la nube prima, Che in improvvisa pioggia si risolve L'odor destando della spenta polve.

CANTO I. WI

84.

Sorto un dì, ch'ella già sentia mancarsi, E la salma restar di vita scema, Vedendo dietro ai monti il sol calarsi Volle seguirlo con la vista estrema, E ai campi, e ai colli ancor di luce spaisi. Che ogn' uom, lasciando, desioso trema. Un sospiro e un addio per dar pur anco, Al balcon trascinò l'infermo fianco.

FINE DEL CANTO PEI3I0,

88

CANTO II

E alla velata vista le si offerse Un povero eremita in riva al fosso, Che riedea dalla questua con diverse Vettovaglie nel zaino, e un sacco indosso, Bianca avea barba, e ciglia al suol converse, E dalla nuca ogni capei rimosso, E su scabro baston curvo per via Orava mormorando, Ave Maria.

2.

Al chino tergo, all'abito, al canuto Mento, ella riconobbe il solitario, E ricordossi che l'avea veduto Fuor della cella innanzi al santuario Starsi a chiedere a Dio grazia ed ajuto Contro il nostro ingannevole avversario, Sopra un colle di poco lontano Alquanto fuor di strada a destra mano.

CANTO H. 39

3.

E dall'alto il chiamò con fievol voce Dicendo, miserere, o padre santo, Per lo tuo Dio che morir volle in croce, A por mente al mio mal t'arresta alquanto : Cattiva in questo domicilio atroce Tienmi il crudo consorte, e muojo intanto, E qui non ho chi l'ultime rispetti Volontà sacre, e i miei ricordi accetti.

A te dunque ricorro, e se vedrai A sorte un passar dalla tua cella L'uom, con cui, son due mesi, ivi passai, Della vittima sua dagli novella, Digli qual mi vedesti, e di' che i rai Chiusi sposa innocente, e fida ancella, Che gli perdono i malefìci sui, E imploro anche da Dio perdono a lui.

E per dargli contezza che morendo Gli resi per mal far grata mercede, Dagli, e l'anel dall'annular traendo, Dagli, seguia, l'anel ch'ei già mi diede, E di"', che come questo integro rendo Tale a lui rendo intatta la mia fede, Disse, e del crin reciso ad una ciocca Aggruppato, il gittò fuor della rocca.

40 riA de' tolomei

6.

E soggiungea questa troncata treccia Pur prendi, e se pastore, o peregrino, 0 qualche messaggera villereccia, Che ver Siena rivolga il suo cammino, Passa dalla tua casa boschereccia; Alla madre che ignora il mio destino Inviala, e l'abbia del mio corpo invece, Sul qual spargere il pianto a lei non lece.

E sappia che morendo, al cielo io giuro. Che ili mio sposo giammai fede non ruppi^ E le caste virtudi che mi furo Inspirate da lei mai non corruppi. Onde la mia memoria dall'impuro Laccio, in che giace avvolta disviluppi^ E il carnefice mio sia fatto accorto D'aver dannata un'innocente a torto.

E ond'io mercè nell'altra vita ottenga, Priega tu Dio, che i falli miei perdoni. Di me che son la Pia ti risovvenga Nelle quotidiane orazioni, E quando fia che accolta in cielo io venga Pregherò Dio che mai non ti abbandoni: disse, e nel compir l'estreme note Con le palme asciugò l'umide gote.

CAXTO II. 41

Tal se dal souimo d'altissimo masso La sima agnella che vi è incauta ascesa 'Sai lato ov'è il burron sdrucciola al basso, E fra la terra, e il ciel riman sospesa

Sul caprifico, o su sporgente sasso, Bela, può salir, far discesa, L'ode il pastor dall'imo, ed a mirarla Stassi, e si duci di non poter salvarla.

10.

Alzate l'eremita avea le ciglia

Quand'olia pria la voce alzò chiamando, E pien d'inaspettata meraviglia A mano a man la già raffigurando; Benché non fosse più fresca e vermiglia, Un non so che di dolce e venerando In lei scolpito avea la doglia, senza Involarjie l'antica conoscenza.

11.

Scadute ahi! troppo le sembianze rare Dall'esser primo comparian qual suole L'astro che opaco nel parelio appare Pur mostra ancor l'immagine del sole, 0 stella, che scolorasi sul mare Se l'alba sparge i gigli, e le viole Quando, sembra restar vedovo il polo, E ve piange nel bosco il rusignuolo.

42 riA DE' TOLOMEI

12.

Eaccolse il vecchio la gemma, e promesse A lei far quanto pregò il suo dire, Aggiungendo che in Dio fidanza avesse, Qual non fa eterno dei buoni il martire, E ancor seguìa, ma l'egra più non resse, E venir men sentendosi, e morire. Vacillante ritrassesi : ed immoto Ei restò contemplando il balcon vuoto.

13.

E veggendo che già sull'universo Stendea la notte i maestosi vanni Fé' ritorno al tugurio, al caso avverso

- Di lei pensando, e ai non mertati affanni. L'altro sorse, ed egli a Dio converso Pregollo a ristorar del giusto i danni, Dandogli lume onde prestare aita A lei pria che dovesse uscir di vita.

14.

Sorgea su bel declivio in piaggia molle Edificato l'abituro agreste, Eran di pietre i muri, erbose zolle Copriano il tetto e tavole conteste ; Di retro ad esso rivestiano il colle Intricate, e densissime foreste, E il bianco ostello su quel fondo nero Chiaro apparia da lunge al passeggiero.

CANTO II. 43

15.

Un piccìol orticello era alla destra Distinto in bei riquadri a più filari, E in quello difendea siepe silvestra I frutti più alla vita necessari: Qui l'eremita avea da fonte alpestra Derivati gli umor nutrenti e chiari, E dell'ore del dì, fatto bifolco. Quel che all'aitar togliea donava al solco.

16.

Era a sinistra un prato, o piante folte Gli fean ombrella e circolar serrarne : L'avea piantate ei stesso, e venti volte Le avea vedute rinnovar le rame. Era in mezzo un altare, e di sepolte Creature l'ornava il nudo ossame, Eravi sopra un cranio, ed incrociati Eran femori e stinchi in tutt' i lati.

17.

Qui il fraticel di quel che fare in forse Rimase salmeggiando iufino a sera, Quando nel piano un cavaliere scorse Che galoppando in riva alla riviera, Dirittamente a quella volta corse Cercando asilo incontro alla bufera, Che parea minacciar pioggie dirotte Già cominciando ad oscurar la notte.

L PIA de' TOLOilKI

18.

In quel tempo i villan spesso vedieno Quest'uom d'aspetto torbido e diverso^ Dall'arcione al cavai lentando il freno Della boscaglia correre a traverso. Anelante il cavallo ha il tergo e il seno, Di larghe strisele di sudore asperso, E sempre che lo spron sente alla pancia Come locusta celere si slancia.

19.

Mena le zampe impetuose innantì, E divorar le vie sembra nel corso, Scherzan sulla cervice i crin volanti, E balzan flagellando il largo dorso, Fumo esalan le nari, e le tremanti Fibre, e di calde spume inonda il morso, S'alza la polve, e in densa nube il serra, E sotto al calpestìo trema la terra.

20.

Giunto sul monte d'onde i flutti sozzi Scopriansi, e del palagio i grigi fianchi Frenava a un tratto il corridore, e mozzi Detti gli uscian da labbri asciutti e bianchi, E tra i fremiti orrendi e tra i singhiozzi Gli occhi aggrottati, e già dal pianger stanchi Truci rotava, e sull'ostello tetro Teneagli fitti, e rifuggiasi a retro.

CANTO ir. 45

E giù correa precipitoso al chino

In balìa del destrier tra gorghi e massi,

Davano l'erbe a lui vitto ferino,

E tetto erangli i rami, e letto i sassi ;

Lo additava tremante il pellegrino

Ver l'abitato accelerando i passi,

E fa creduto in tal secol ferrigno

Di quei boschi Io spirito maligno.

22.

Ringraziò il frate la pietà celeste Come da presso in lui lo sguardo intese, Che al torvo sguardo, al viso ed alla veste Quel della Pia lo sposo esser comprese, Gli si fé' innanzi, e d'accoglienze oneste, Fattolo dismontar, gli fu cortese, Il suo ronzin prima al coperto addusse, Poi nel rustico albergo lo introdusse.

23.

E mentre più si fea la pioggia intensa, E nero, e spaventoso il ciel notturno, L'ospite siede, e per la doglia immensa China sul petto il volto taciturno, E il vecchio diessi ad apprestar la mensa Coi cibi, frutto del lavoro diurno, E della cella nel più alto loco Di preparate legna accese un fuoco.

46 PIA de' tolojiei

24.

Arde il giovine crin d'arbori cionchi, E in sospeso lebete urta la vampa, E aperta sotto a quel coi corni adoncbi L'abbraccia mormorando, e in su divampa: Stridon fra i lari i crepitanti tronchi, E abbagliante splendor la cella stampa, E fa scoprir sulle pareti umili, Croci, figure e rustici utensili.

25.

Poi che il cotto legume e il cereale

Pasto venne sul desco, e d'acqua il vase, Che ognun le man vi stese, e il naturale D'esca e bevanda amor spento rimase: Disse il vecchio, ancor notte alta non sale, il sonno ancor le nostre membra invase ; Onde narrar ti vuo', se alla memoria Ben mi ritorna, una leggiadra istoria.

26.

Su quella via che mena al mar, dov'oggi Passasti qui venendo, in piaggia aprica, Che giace all'ombra di due verdi poggi, Son le reliquie d'una torre antica, Kamarri e gufi or v'han comodi alloggi Era l'edre brune, e la pungente ortica, E nell'etadi, che già fer passaggio. Alloggiamento fu d'un uom selvaggio.

CANTO II. 47

27.

Vivea di caccia, e sol prendea diietto, Mansuefatta l'anima proterva. Nel posseder doppio tesoro eletto, Un cristallino fonte, ed una cerva : Vincea il primo in beltà qual mai più schietto Fonte in porfidi sculti si conserva, forse fu si bella la fontana Che finsero gli Achei sacra a Diana.

28.

Dall'ampia volta d'incavata roccia Scabra di spume, e gruppi cristallini Cadea l'onda sonante a goccia a goccia Nei nativi ricetti alabastrini, E raccolta in profonda erbosa doccia Sotto l'ombra dei platani, e dei pini. Tacita e bruna susurrando giva A nutrir l'erbe, e ad infiorar la riva.

29.

N'era geloso, e non sotfria che armenti Vi appressasser le labbra, o viatori. Ed or godea coi derivati argenti Del giardino iuaffiar gli arbusti e i fiori. Or della calda estate ai cocenti Eistorarsi, bevendo i freschi umori. Or dalla caccia reduce, l'immonda Sudata polve deponea nell'onda.

48 PIA de' tolomei

30.

Domestica cotanto era la belva,

Che dalla man di lui prendea pasttim, E dove ogni alti'a timida s'inselva, Seco ella stava ad abitar seciita ; Scorrea nel per la vicina selva, Tornando al chiuso quando il ciel s'oscura, E godea, colla fronte alta e superba Di fiori adorna, carolar su l'erba.

31.

Di corallo parean dae rami grossi

Non anco usciti dalla man del ma&tro

Del vigilante capo 1 lucidi ossi.

Ed era bianco il pel come alabastro;

Tranne gli snelli piedi alquanto rossi

E il collo che cingea ceruleo nastro,

0 v'era scritto negli estremi fiocchi:

" Son sacra al mio Signor, nessun mi tocchi.

32.

TJn dì, che stanco a togliersi l'usbergo D'aspro cuojo, e a depor l'asta e daga Eiedea con molte prede appese al tergo. Vide la belva mansueta e vaga Accosciata anelar fuor dell' alberg*© Per sanguigna nel pie recente piaga, E vide a un tempo intorbidato e brutto Per lorda tabe del bel rivo il flutto.

CANTO II. 49

33.

Ed ecco un caccìator che sorraggiange, Mentre il suo danno addolorato guarda, Un cacciator che albergo avea non lunge D'invida mente, e d'anima bugiarda Gran serpe che slunga, e raggiunge, Che fischia, e par che i fior con l'alito arda, Dice che visto avea sbacar dal bosco, Turbar la fonte, e vomitarvi il tosco.

34.

E che veduto avea dalla montagna Scender correndo sull'arsiccia sabbia Una bramosa attenuata cagna Fatta tremenda per morbosa rabbia, E la cerva inseguir nella campagna, Giungerla, e in essa insanguinar le labbia, Onde la belva per li morsi eh' ebbe Colto il contagio in rabbia ita sarebbe.

85.

Crede l'incanto, e accendesi di sdegno, E che la fera in rabbia monti ha tema, mano a un'asta, e va senza ritegno Sopra la imbelle con ferocia estrema. Ella non fugge, ed all'amico indegno Volge supplici sguardi, e geme, e trema, L'atterra, ed ella le sanguigne gambe Dell'ingrato uccisor morendo lambe.

50 PIA de' tolomei

36.

Al fonte clie credea di velen carco Sterpò col ferro le selvose scene, L'antro percosse, e minar fé' l'arco, E far sepolte le sorgenti amene. Che trovando all'uscir niegato il varco Tornar neglette alle nascoste vene: Così il Ijel rivo violato giacque, E fuor più mai non trapelar quell'acque.

37.

Fui che solo trovossi, e irrigar l'arse Semente al fonte più non fu concesso, Che mancar le ricolte, e ricovrarse Non potè nell'ombrifero recesso, Aperto il suo gran danno gli comparse, Tardi s'avvide dell'error commesso, E gli venne in odio quel soggiorno Ch'indi partissi, e più non fé' ritorno.

38.

E ben fu saggio a non tornar dappoi. Oh! quanto affanno riserbato gli era Se udito avesse, come udimmo noi, Che a torto fé' morir l'innocua fera, E il fonte ruppe; e ancise gli arbor suoi: Che il cacciator con lingua menzognera Avea tessuto l'inganno esecrando, Possesso si gentil gl'invidiando.

CAXTO II. 51

39.

Con questo di para])ole apparecchio Il frate tentò l'ospite, e il compunse: A capo basso ei gli avea dato orecchio, Ma quando dell'istoria al termin giunse, Levò la faccia, e guardò fiso il vecchio, Che commosso scorgendolo, soggiunse: Questa gemma alla cerva ornava il collo, E l'anel della Pia tolse e mostroUo.

40.

Nello il vide, il conobbe, e si riscosse; E dove, e quando, volea dir l'avesti, E come s'ei sognante egro si fosse, Cui fantasma letal si manifesti, Che a lui qual per gridar fa tutte posse Par che stringa la gola, e il fiato arresti, Eimase inerte, e la man che già stesa Avea per torlo gli restò sospesa.

41.

Ma l'altro il tempo colse, e a narrar prese,. Come egli vide a mal termine giunta La relegata donna, e fé' palese L'ambasceria che da lei fugli ingiunta,. E che se pronto a riparar l'ofi'ese Non accorrea, la trovevia defunta, E aggiunse ch'ei presentimento avea Quasi divin, ch'ella non fosse rea.

52 PIA de' tolojiei

42.

E clie oltre all'essere villana e bassa Cosa l'imprigionar bella consorte, Era empietà ch'ogni misura passa Sol per sospetti il darla a certa morte, Che se Dio l'innocente perir lassa Gli compenso nell'empirea corte ; Ma il di lai sangue che vendetta grida Fa sempre ricader su l'omicida.

Ond'ei temesse dell'Eterno l'ira,

Se air innocente fea soffrir tal onta,

E quel verme che l'animo marfcira

Onde il commesso maleficio sconta:

Con tal dir, qual se l'austro estivo spira

La neve a scior che brumai vento ammonta,

Il ghiaccio che cingea quel petto infranse,

E al finir del sermon l'ospite pianse.

44.

Ed, 0 padre, dicea, sa il ciel se mi ange Lo stato di colei che uccido, ed amo ; Ma l'onor mio che maculato piange Mi vieta salvar lei che salva bramo. Crudel mi appella, e fa se il puoi che io cange Consiglio, ond'frlla viva, io sia men gramo. Ciò desio, quanto duolmi che tu dica Ch'io non sia giusto, e sh'ella sia padica.

CANTO II. BS

Creder noi posso io già, che dell' opposto

Ho contezza, e questi occhi il sanno a prova : Mi odi, e linguaggio cangerai ben tosto; Pubblico fallo mascherar che giova ? Tu che nei boschi agli uomini nascosto. Sol prendi cura della vita nuova Udito forse non avrai, che volle Iddio sconfitto il nostro campo a Colle.

46.

Tu dèi saper che al mal governo tolti, Che orbò cotanti cittadini lari. Pochi, e a mal termin rimanemmo, e volti Fummo di fuga vii nei passi amari, E il terror ne incalzò finché raccolti Della città non fummo entro ai ripari, Quivi io credea del mio dolce tesauro Di tanti mali in parte aver restauro.

47.

Ma quanto falla chi si persuase Nella certezza dello ben futuro! Provvidi pria d' andarne alle mie casa Che fosse la natia terra in sicuro, E poiché queta la città rimase Sotto lo schermo del munito muro, Mossi verso l'albergo, allor che tace Ogn'opra, e il mondo si compone in pace.

54 PIA de' tolomei

48.

E giunto al limitar, Ghino, un amico Usato in mia magion, venirne veggio, L'abbraccio memor dell'affetto antico, E della Pia novella gli richieggio ; Ed ei risponde, a te dorrà s' io dico, Ma l'amistade è tal, che dire io deggio. Sappi, che tua mogliera il primo laccio Macchiando, altrui di furto accoglie in braccio.

49.

Pensa, qual penosa ira, e qual vergogna Mi prese, ma il tenor di quegli accenti Parvemi aver tal faccia di menzogna. Che ardito dissi : per lo Dio tu menti : Ed a rincontro ei fattami rampogna D'ingiuriar chi svela i tradimenti. S'offerse di mostrar, pria che dall'orto Sorgesse il sol, che m' era fatto torto.

50.

Con viso smorto, e il tremito ai ginocchi, Con bocca amara, e con parlare incerto Kispondo, che se porre innanzi agli occhi Mi saprà della sposa il frodo aperto. Non sol r amistà sua farà eh' io tocchi Con man, ma sempre glie ne avrò buon merto, E più dicea, ma fé' restarmi a mezzo Quasi di febbre un gelido ribrezzo.

CASTO II. 55

51.

Vietò ch'io gissi nell'albergo infido, Ove niun m'attendea fino al mattino, Nella contrada essendo corso il grido, Ch' io foss' ito a spiar l'oste vicino, E mi apposto d'an suo parente fido Nella magion rimpetto al mio giardino, Il qual risponde in segregata strada, Ove la notte alcun raro è che vada.

52.

Qui stando ad aspettar che l'ora giugna, Chp del mio danno testimon mi renda. Dico fra me : va dunqne in guerra, e pugna, E spargi sangue, e mena vita orrenda Per tor le spose del nemico all'ugna, Ond'ei la fama lor non vilipenda. Se turpe offesa, ed abominio immenso Delle fatiche è il frutto ed il compenso.

53.

0 beati color, che d'onorate Piaghe coperti cader vidi estinti! Qaant' era meglio l'ossa aver lasciate Fra l'ossa de' fratei morti, e non vinti, Che tornar soli alla natia cittate, E in ella i volti di terror dipinlj Non poter serenar narrando i casi Di quei che alla campagna eran rimasi.

56 riA de' tolomei

54.

Oli quanto meglio era per me se avessi Chiuse le luci tra i fratelli miei, Onde yìvo a mio scorno non dovessi Veder tra poco l'empietà di lei. Questo io volgea tra sospir tronchi e spessi, E quasi di dolor morto sarei, Se di speranza una lontana stella Xon mi reggea nella crndel procella,

55.

Giunta la mezzanotte odo repente TJn romor di persona che s'avanza, Tosto da quella parte pongo mente, E apparir veggio un lume in lontananza, Che fa gran tratto della via lucente, E d'un uom mi discopre la sembianza. Che il porta in cavo vetro, ed è ravvolto Nel mantel fino alla metà del volto.

56.

Del giardin giunto all'entrata, in disparte Si allunga, e fa de' convenuti segni ; Allor dal mio palagio alcun si part^, E fra l'ombra sui fior di brina pregni Yien pel vial frondoso a quella parte. Qui dei ferreo cancel volge gli ordegni, E lo spalanca, rigido stridore Dai cardini esce, e mi dilania il core.

CAKTO li- " 57

Ma il bnjo ancor non fa ch'io ben discerna Chi sia, sol biancheggiar vedo una gonna, Ma ratto salta nfilla parte interna Quel che fuor si addoppava a una colonna, Ed alzando la splendida lanterna Fa il volto rischiarar della mia donna, La riconosco, e d'ambo scorgo il doppio Amplesso, e fin de' baci odo lo scoppio.

58.

Arsi a tal vista, e la man corse all'armi, E per essi assalir la strada io presi, Ma Ghino mi trattenne, e fé' restarmi, E il potea far, però che quando io chiesi Di veder l'opra iniqua, ei fé' giurarmi. Che non gli avrei per conto alcuno offesi^ E che alla Pia non avrei fatto motto Di quanto egli a mirar m'avea condotto.

59.

Ma non di proferito giuramento Religìon temuta mi trattenne. Forse lo sdegno, ch'ogni sentimento Mi cinse, inerme il mio voler contenne, E si mi conturbò, che in quel momento Non so dell'infedel coppia che avvenne, E quando poi d'essi spiar nel bruno Aere volli, più non v' era alcuno.

58 riA de' TOLOilEI

60.

Di più non sopravvivere all' ingrata Ingiuria fo proposito, e mi accingo A ritornar nel campo, disperata Morte cercando in glorioso arringo, E per chieder licenza onde a giornata Venir di nuovo, i passi incerti spingo Ove i Padri a consiglio tuttavia Eran nell' aula della Signoria.

61.

E gianto della piazza in sul principio. Della piazza che al suol cavo si adegua, Partir veggio i senior del Municipio, E un corrier che inviato si dilegua, Salgo a palazzo, e ascolto da un mancipio, Che nella notte istessa avean la tregua Pattuita con l'oste, e tolto il mezzo M' è di vender la vita a nobil prezzo.

62.

Questo intoppo mi fé' cambiar consiglio, E un gel mi serpeggiò per le midolle. L'impeto cessa, e penso che m'appiglio A compier opra male accorta e folle Quasi dell'error mio mi meraviglio. Che se un giuro punirla appien mi tolle, E licito non è che ornai 1' uccida , Posso almen far che del mio mal non rida.

CANTO II. 59

63.

Deliberato di mostrar fierezza,

Quanto ogni gran nemico di pietate;

Di quel rigor, che gli altrui danni sprezza,

Revocato da me sol nelle armate.

Armo r anima amante, e non avvezza

A resistere incontro alla beltate,

E inflessibil già fatto, in fronte accolgo

Eitrosa calma, e alla magion mi volgo.

64.

Ma il crederesti? oh spirito mendace Del sesso femminil, che l'uomo inganna! Nel talamo entro, ove ognun dorme, e tace, La Pia sol odo, e il mio tardar l\"affanna, Sorge me visto, e in lagrime si sface, E la soverchia assenza mia condanna. Mentiti intanto abbracciamenti io prendo Simulando, e mentiti altri ne rendo.

65.

E chi potria ridir come compose E lusinghe, e melate parolette, 'Come narrò il dolor delle affannose Notti , in cui sola da me lungi stette ! Chi non avrebbe in ascoltar tai cose Fatte in un punto sol mille vendette ? Pur la vita non tolsi alla ribalda, E non sapea d'aver virtù salda.

60 PIA de' tolomei

66.

Allora isveglio la famiglia, e dico Che mi sieno allestiti due cavalli, Che mentre poste l'armi ha l'inimico A ter nuovi sussidii, e armar vassalli, Con la Pia deggio andarne al nostro antico Castel, che dell' Etruria è nelle valli: Ella mi ascolta, e con sereno aspetto Mostra del voler mio far suo diletto.

67.

Partiam soletti, e lungo il campo ostile Sotto 1' ombra passiam dei padiglioni: Eisuona il vallo di lavor fabrile, E d'altri mille bellicosi suoni; si fan torneamenti, e qua le file S'addestran de'cavalli, e de' pedoni, E recano le carra, ed i giumenti Viveri ai numerosi alloggiamenti.

68.

E chi delle venute vettovaglie

Sulla verdura appresta le vivande : Chi fa trabacche, e chi 1' aduste paglie* Per giacersi all'asciutto, in terra spande: Chi rivede eimier, chi aggiusta maglie, Chi fa la sentinella in sulle bande, Scorron per tutto i Duci, e il campo ferve- Al moto delle belliche caterve.

CANTO II. 61

69.

Quanto gnerriero popolo ! che fiore Di gioventù, che valorosa gente! Questi soli potean del Eedentore Eitor la tomba ai re dell'Oriente : Ma per fato l'Italico valore Solo in pugna civil splende al presente. Se ne vien questo dalle proprie mani Perchè lagnarsi degli assalti estrani ?

70.

Oltre passando, valichiam le scarse Dell' umil Tressa limpidissime onde ; Da lungo Radicofani comparse Coi balzi d' erbe poveri e di fronde, E verso le sue roccie acute ed arse Vedemmo spiagge di viti feconde, In mezzo ad esse il verde monte siede A cui la Fata Alcina il nome diede.

71.

Le ville dal pini fero arboscello

Dette, perdiam di vista andando al basso.

Ecco di Macereto il Ponticello.

Che unisce sulla Marsa il rotto masso.

Questa è la Parma, lucido ruscello,

Che torto va con strepitoso passo ;

Ecco il torbido Ombron, che mal si varca:

Qui ristorati traghettiam la barca.

62 PIA de' T0I.OMEI

72.

E il già del meriggio i segni ha scorsi, E ancora al destro, ed al mancino lato L'ispido monte appar nido degli orsi, E quel dal sasso inferior nomato ; Qui le rovine di Soana scorsi, E più lontan Grosseto spopolato Nei campi inospitali ed insalubri, Di nottole ricetto e di colubri.

73.

E mentre cala il sol, caliamo a valle. E cavalcando verso la marina Di Santa Fiora a noi resta alle spalle La gran montagna che col ciel confina. Giunti al più largo, e riposato calle Inattesa su noi notte declina, E son costretto di pigliare alloggio In un povero albergo a pie d'un poggio.

74.

E come il loco era ristretto molto, Sendovi un letto sol pei passeggieri, Fui con la Pia dal letto stesso accolto, E quivi amor mi vinse di leggieri, Fuor di me le baciai più volte il volto, E al petto me la strinsi volentieri ; E in queir ora da me non desiata -Troppo mi ricordai d'averla amata

CANTO II, 63

75.

E mentre mi abbandono ai dolci amplessi, E ad nn gioire che sarà l'estremo, Del giardino i colpevoli recessi Tornanmi a mente, onde mi scuoto e fremo, E quasi fra le braccia un serpe avessi. Mi si drizzan le chiome, e di me temo Balzo in terra, e com' noni dal mar scampato, Mi volgo al letto insidioso, e guato.

76.

Con mendicate scuse persuado Colei che cede alla stanchezza, e dorme, E quel loco ove già fui mio malgrado Per cader, mi spaventa in mille forme, E impetuosamente fuggo, e vado A cielo aperto sopra l'erbe a porme, E sto vegliando tra la densa frasca Ad aspettar che il nuovo rinasca.

E volgo i fianchi, e pianger tento, e schermi Non trovo incontro all' indefesso affanno. Cerco illudermi, e penso che può avermi Fatto r aere oscuro, o Ghino, inganno. Ma invan consiglia il cor, gli occhi son fermi A far testimonianza del mio danno. Tumultua il sangue, e tra di me con balba Bocca parlo, e non dormo, e giunge l'alba.

€4 riA de' tolo^iei

78.

E la Pia desto, e col favor del nuovo Giorno al Castel giungiam, sorte che sono L'ombre, opportuno all'opra il tempo trovo, E ignara mentre dorme l'abbandono, Lascio in custodia il castellano, e muovo Per far ritorno onde partito sono, Ma fuggo invan, la cura, ch'or m'intoppa Davante, or del cavai la sento in groppa.

79.

E com' era di me stesso uscito,

Uscii di strada, e da una forza ascosta Fui costretto a vagar pel vicin lito Pria di ridurmi alla paterna costa; Sempre vita peggior trassi, e infinito Duolo il punirla anche a ragion mi costa, Ed or m' è dolce, benché io rea la creda, Il trovar chi per lei grazia interceda.

80.

Qui tace, e sembra che argomenti chieggia Dall'altrui carità, dalla dottrina, Che sìen sproni al suo spirito, che ondeggia, E per se stesso a perdonar s'inchina: Gli par che al mal di lei modo por deggia, Tanto il misero amò quella tapina, Tanto sui bassi affetti avvien che s' erga Amor, se è grande, e in cor gentile alberga.

cxy-vo ir. G5

81.

Pensando il frate stettesi alcun poco Sull'amana miseria, e volti ai cieli Gli occhi, e messo un sospir, da chiuso loco Fuori il libro traea degli Evangeli, L'aperse investigando, e aggiunti al fuoco Molti d'irsute ariste aridi steli, L'espose al lume della vampa, e in basso, Poiché il ciglio aguzzò, lesse tal passo.

82.

Era scritto in latin, perchè la Chiesa Cattolica santissima di Eoma, Onde di Cristo la parola offesa Non fosse col mutar dell' idioma, Divieto fea eh' ella non fosse resa Nella favella, che vulgar si noma. Favella che del Lazio al tronco insorta, Fea risuonar l' Italia ancor deserta.

83.

E il placid' Arno del sermon canoro Il primo fior nutria tra i propri gigli, E superbo volgendo arene d"oro Sentìa la gloria dei futuri figli. Oggi a matròna, il cui primier decoro Disparve e la beltà, par che somigli : Costei, che ricca e bella ancor fanciulla, Allattò mille cigni in aurea calla.

66 riA de' tolomei

84.

solo allor fiorìa, perchè presente La madre avesse non ben anco estinta, 0 perchè fatta di straniera gente Druda non era, o dall'usanza vinta, Ma perchè allor degli uomini la mente Era alte cose a concepire accinta, v'eran quei clie suU' ingiusta lance Fanno alle cose prevaler le ciance.

85.

Ma ritornando ad ordinar la tela Del bel racconto abbandonato, dico, Che ancor vivea di Tullio la loquela, Benché non schietta come al tempo aniico, E ogn'uom di non mendica parentela, E non affatto del saper nemico, L'avea familiar, che tutto il testo Fu inteso, e acconcio al nostro eloquio è questo.

86.

E a Gesù volto al Tempio, i Farisei

, E gli Scribi un' adultera mostrare,

^ E ponendola in mezzo : or or costei

In adulterio colta fu, sciamare:

Or le mosaiche leggi a noi Giudei,

Che si lapidin queste comandare,

E seguìan per tentarlo, e C(3rre il destro

Di fargli accusa ; che ne di' Maestro ?

CANTO II. 67

Così tendeano allo divin figliuolo

, Con tai diraande insidia manifesta,

Ma col dito scrivendo egli nel suolo,

, In giù mirava, e propendea la testa.

, E sorgendo dipoi, disse allo stuolo,

Che pertinace ripetea l'inchiesta :

Chi senza pecca fra di voi si stima

, Scagli contro costei la pietra prini?.-

E di nuovo chinandosi col dito,

Sulla terra scrivea, ma partìan quegli,

, Che di Cristo il responso aveano udito,

, Ad uno, ad uno e precedeano i vegli:

Restar Cristo e la donna, e in pie salito,

A lei che in mezzo stava ancor, diss'egli:

La gente che t'accusa or dove è ita ?

, Nessun la tua condanna ha profferita?

8,9.

Ed ella, niun rispose, o Signor mio: , avrai da me condanna, il Signor disse, Più non peccare, e vattene con Dio. Tal era il passo che Giovanni scrisse, E qual padre che assolve il figliuol rio Membrando quanto in terra un Dio patisse Pei figli rei cui volentier perdona. Nello a Quella lettura ascolto dona.

G8 PIA de' tolomei

90.

Ma d'abbagliante luce ecco un torrente,

Scoppia un gran tuon, che altissimo rimbomba, Par che le sfere squarci lo stridente Folgor, che d' alto strepitando piomba : I mari e i monti echeggian cupamente, L'aere rintrona una continua romba, Rimugghia il turbo, e schianta alberi, e fronde, E in grandinosa pioggia il ciel si fonde.

91.

Crolla il vento la cella, il gel sonante. Batte e rimbalza a nembi in sul cacume, Cader si senton le tegole infrante, E giìi dal tetto gronda d'acqua un fiume. Sorgendo il fraticel tutto tremante, A cui di man caduto era il volume, Oh! qual notte, sclamò, forse iracondo Pei nostri falli Iddio subissa il mondo?

92.

E intuona la letane, e ogni Beato

Chiama, e l'altro risponde - óra per noi - Poi dice - da ogni mal, da ogni peccato - L'altro segue - Signor, libera noi - Poi propizio dall'un fu Dio chiamato, E replicava l'altro - esaudì noi - E quando furo al fin delle preghiere Di noi, dissero entrambi, - miserere. -

CANATO II. 69

93.

Al cessar delle preci par che aliente Il temporal, il turbine più nuoce, Ma dal bosco vicin venir si sente Un ululato di belva feroce E un nitrir di cavallo, e una dolente Flebil ne vien sull'aure umana voce ; L'animoso guerrier di dare aita Altrui bramoso, balza in sull'uscita.

FINE DEL CANTO SECONDO,

CANTO III

E culla spada in man, d'ondo proviene 11 suon, s'avanza, ed un cavallo mira, Clio legato ad un piii la re:lin tiene, E ringhia, e soffia, e scalcia, e in volta gira. Dell'albero la buccia a romper viene La soga, che il cavai di forza tira. Quel sibila, vacilla, il crin commove, E un diluvio di stille al terren piove.

2.

Un lupo intorno gli volteggia, e tenta Sulla schiena di lui saltar di furto, Il guerrier fulminando a quel s'avventa, L'impiaga, o a terra il fa cader d'un urto, La man nel manto avvolta gli presenta, Quand'ei di nuovo furibondo è surto, E come il lupo addosso gli si serra, L'iiiutil ferro cader lascia a terra.

CANTO III. 71

La man che il lupo addenta ei spinge, e ingozza Nelle rabbiose canne, e in stretta zuffa Viene alle prese, e la pilosa strozza Con l'altra man tenacemente acciuffa, E al suol lo ficca coi ginocchi, mozza La vita ei sente, e si dibatte e sbuffa, Travolve gli occhi, e tesi i pie distende, E molto del terren morto comprende.

Ma intanto l'eremita, che piìi tardo Venia, fosse l'etade o la paura, S'era rivolto ove ognor più gagliardo Sentìa il gemito uman per l'ombra oscura; De' lampi al lame gli si offerse al guardo Stesa noi fango d'un uom la figura: Che se fosse uom non era manifesto, Tanto era concio in modo disonesto.

5.

L'anacoreta, e il difensore invitto Accorso, nella cella trasportaro Sulle pietose braccia il derelitto, E sulla lunga scranna il collocaro. Ma oh quanto il cavalier divenne afflitto Quando del fuoco allo splendor mal chiaro Riconobbe esser Ghin, benché di sangue E di loto coperto, e quasi esangue.

72 PIA de' tolomei

E Ghino pur lui riconobbe, e mentre Vergognoso del suo strazio nefando Le minugia premea sorte dal ventre, Gli altri scarnati membri invan celando : Convien, diceagli, ornai che in te rientre, Che amar piìi mi puoi, commiserando Deh non andar le mie mertate sorti, Che al giudicio di Dio passìon porti.

Io ti cercava, e non mi cai ch'io muora, Se ti ritrovo, mentre mi rimane Tanto spazio di vita, e tempo ancora Per dirti cose che ti sono arcane. Sappi, che mentre tu festi dimora Dalla patria lontan, fiamme profane Mi arser per la tua Pia, ne il labbro tacque. Da lei ne fui represso, e ciò mi spiacque.

8.

E di vendetta nel desire acerbo Tutto l'amor che le portai conversi: Appo la rotta il primo dì, per verbo D'un comperato messo discopersi. Che con false divise, e gran riserbo. Misto ai fuggiaschi, che riedean dispersi, S'era introdotto nella nostra terra Il fratel della Pia, che a noi fa guerra.

CANTO ni. 73

9.

E ascoso presso un terrazzali, sapere Avea fatto a colei, che per mirarla Anco nna volta, a rischio di cadere In man d'altrui, venuto era a trovarla, E che la notte istessa ei fea pensiero Di venir nel giardino a visitarla. Che di te non temesse, essendo in cura Quella notte del campo e delle mura.

10.

Quell'innocente trama in quale aspetto Colorassi, tu il sai, tanto che al fine, Quando il disegno lor venne ad effetto, Un dolor ti recai senza confine, E com'ella per nulla avria detto, Le cognatizie attese ire intestine. Te pure a tacer strinsi onde a vicenda Non vi svelassi la mia tela orrenda.

11.

Partisti tu, ma tosto giunse in Siena Fama ch'era la Pia prigioniera, Ove tanta malizia l'aer mena. Che in breve vista avria l'ultima sera. AUor mi corse il fiel per ogni vena, E m'assalse il rimorso in tal maniera, .Che a chieder pace in supplicanti note Pentito corsi ai pie d'un sacerdote.

74 PIA de' tolomei

12.

Quale ordiiiommi sotto pene tali, Da far temenza a un petto di metallo, Di venir di te in traccia, e girne in quali Lochi tu fossi, e non porvi intervallo. Per risarcir la Pia dai duri mali, Che fruttar le potea l'apposto fallo, E il fèi, ma Dio mi ha tratto al passo estremo, Onde, che sia tardo il rimedio, or temo.

13.

Che forse avrà colei pagato il fio

D'un error non commesso in career cupo, Or ben mi sta, se gastigommi Iddio Entro le zanne del vorace lupo, Che quando il nembo fuggir volli, e il mio Destrier legato, entrai sotto al dirupo. Quatto ei giacea nel mal capace speco, E venni per mio danno in lotta seco.

14.

Or voi che adesso giunti a mirar siete L'esizio miserabile di un empio, Ad esser pii nel mondo apprenderete Da questo di giustizia austero esempio. Qui le pallide guance a lui far chete, E più non resse al sopportato scempio, E il vecchio pio raccomandò all'Eterno L'anima, che aspettata era allo 'nferno.

CANTO III. 75

15.

Qua! consiglio, qual cor, Nello, fu il tuo, Ascoltando esser casta la consorte? Che anco rea la stimando, dal mal suo Commosso, già sottrar pensavi a morte. Mirar l'estinto veggioti, e in tra duo Kestar pensoso, e poi sospirar forte. Ed esclamar, o Ghin, dove ne han tratti La mia sciocca credenza, e i tuoi misfatti!

16.

Ma non d'Arbia sul margine, patrizia Prosapia mi produsse : io nei burroni Nacqui del Tauro, o nella dura Scizia, E mi educare gli arabi ladroni, Ch'io non dovea suppor tanta nequizia In beltà che non ebbe paragoni, agli occhi creder che accusar colei Più cara a me degli stessi occhi miei.

17.

E fui si crudo? e posi in mortai sito La Pia, di me, d'Italia il più bel fregio ? Ah non sia mai tal vituperio udito Ove la cortesia si tiene in pregio. Dirà qualcuno, e mostrerararai a dito, Della cavalleria tutta in disjjregio : Questi è colui che inerme una vezzosa Femmina oppresse, e gli era amante, e sposa.

76 PIA i>e' tolomei

18.

Misera sposa, i guiderdon sou questi Che sconoscente il conjuge ti diede! Per quell'immenso ben che gli volesti, Per tanta a danno tuo serbata fede! Quai giorni lagrimevoli e funesti Menati avrai nell'esecrabil sede! Esposta a morte, in man di vili schiavi, E ciò per opra di chi tanto amavi.

19.

Ma or or quando avverrà ch'io ti disserri Il career, come sostener tua vista? Ben chieder non m'udrai che tu mi serri Infra le braccia, e dal rigor desista, Ma chiederò che fra gli stessi ferri Me chiuda a terminar vita trista, 0 di tua man m'uccida, se ti alletta Disianza di subita vendetta.

20.

Ma in vane querimonie il tempo io spendo, Mentre so che la misera languisce, Aita e alleggiamento non avendo Da chi in lei per piacermi incrudelisce Si accorra e tosto, e al vecchio si volgendo, Che a terra su due lunghe asse ben lisce Composto avea di Ghino il corpo estinto A seppellirlo il seguente accinto.

CANTO III. 77

21.

Tu vien, disse, e mercè da lei m'impetra Che ti dee l'efficace intercessione. Ciò detto, ancor che fosse ombroso l'etra, L'uno e l'altro cavallo in ordin pone, E il vecchio fa montar sopra una pietra Per porlo agevolmente in sull'arcione, E lo assesta sul proprio palafreno Che pili dell'altro è obbediente al freno.

22.

Partono in coppia, e avvolgonsi per fusche Vie, dove ancor l'acqua caduta stag;na, E sono ad or ad or fatte corusche Dal balenar che alluma la campagna, E ormai son giunti alle pianure Etruscho, Cb,e l'azzurro Tirren vagheggia e bagna, E in loco dove ascoltano mugghiare Da lunge i liti al fremito del mare.

23.

Cessata affatto è la procella, e ì cupi Nugoli ai monti si ritiran lenti, E si odon dalle soggiogate rupi Eimbombando cader gonfi i torrenti, Entro ai lor cavernosi ermi dirupi Lottan stridendo incatenati i venti, E irate ancor della marina l'onde Piangono infrante all'arenose spondo.

78 PIA de' tolomei

24.

Dice il barone allor, sovra '1 sentiero

L'altro aspettando che sen vien più adagio: Se a me la notte non contende il vero, Siam giunti, e prima ch'io non fea presagio. Innanzi a questo dir spinto il destriero Scopre la nera torre del palagio, Che giganteggia sopra il bosco opaco, E nerissima gitta ombra sul laco.

25.

Il cor gli balza a cotal vista, e in quella Che andando del Castel più si discopre Fiso lo guarda, e torbido favella : Oh dei grand'avi miei magnifich'opre Complici delle antiche stragi, e della Malvagità, che il tempo in voi ricopre, Retaggio io v'ebbi, e a me in retaggio venne Pur quell'usanza rea, che in voi si tenne!

26.

Qui spesso ai cavalieri pellegrini Fur tolte d'armi, e fur le donne offense, Qui dei vassalli fur tratte pei crini Le spose invan di casto sdegno accense, E il sangue degl'incauti vicini Bevuto fu sulle tradite mense, Ove di carrai, il trovator venduto, Dava alle sceleraggini tributo.

CANTO III. 79

27.

Par, benché della perfida età nostra, In cai lame benigno non si scerne, Non degenere io sia, l'atroce chiostra Non vidi mai senza dispetto averne. Ed or più spaventosa a me si mostra Anco la faccia delle mura esterne. Or che la mente a santa impresa ho volta Che belle vi farà la prima volta.

28.

Farmi veder sui vostri baluardi A far la scolta morte tacitarna, E inalberar due funebri stendardi, In cui teme soffiar l'aura notturna, E par che sulla torre un rogo guardi, E accenni colla man sul lago un'urna. Ah la pira, la tomba, e l'adre insegne Son per qualcun che in questo punto spegne!

29.

Mentre ei delira, ecco dall'alta torre Un picciol fuoco uscir che l'ombre fende, E vacillando alla sua volta corre, E alfin sui saettati occhi gli splende: E or fugge, or torna, or si va basso a porre, Or alto, or si dilegua, or si raccende. Or d'intorno lievissimo gli ronza, E i capei ritti per terror gli abbronza.

80 PIA de' tolomei

30.

Dando addietro tremò, l'occhio travolto Volgea d'intorno ricercando scampo, E fuggito sarebbe a freno sciolto Se sparito non fosse il fatuo lampo : sgomentossi ei che di lance un folto Bosco affrontò sovente ardito in campo : Tanto la ruggin di que' secoli orbi Tea gl'intelletti grossolani e torbi.

31.

La settentrional vedova notte, Che sparse sull'Italia il nembo goto, Non anco appien fugata avean le dotte Stelle, che ornar d'Arabia il ciel remoto, E che da crasse qualità prodotte Fosser tali fiammelle era anco ignoto : Anime confinate eran credute Non ancor degne di ottener salute.

82.

Stimavanle altri savi alme dannate A star dove commiser colpe rie, E a passar nell'abisso riserbate Dopo il tremendo novissimo die : Quai fosser, dissipar non seppe il frate All'uopo fantastiche follie, Perchè godea di santo opinione Ma non era in dottrina un Salomone.

CANTO in. 8'X

88.

Par confortando!, come sapea meglio, Si fece avanti, e quel venia secóndo, Giunsero intanto il cavaliero, e il veglio All'alta ripa d'un vallou rotondo, Che del suddito lago si fea speg-^Iio, Qual della Bolgia è nel bacin profondo. Da quell'altura in sull'opposta riva Quanto è grande il Castel si discopriva.

34.

Veggiou da lungo pei balconi aperti. Che Ogni sala di lumi sfolgoreggia, E odono un lungo suon di canti incerti. Onde la valle e la montagna echeggia ; E dove il saci'o campanil gli aperti Piani, e l'annessa chiesa signoreggia, Ascoltan la campana della villa, Che a martel tocca, oiTendaraente squilla,

85.

Stupiti vanno il lago costeggiando,

E tosto giungon dietro a un monticello,

Che tra il lago e la via la fronte alzando,

Lor nasconde la lama ed il castello,

E il veggiono di nuovo oltrepassando, '

E di fiaccole e d'uomini un drappello

Veggion gir dal palagio, ove si estolle

Il rusticano borgo in vetta al colle.

6

5 PIA de' tolomei

36.

Come chi vien da Vetulonia a Roma Per quella via, che sul barrato sporge, Giù nel profondo il lago, che si noma Di Eonciglione, alla man destra scorge: Glìel para poi d'un monticel la chioma, Indi il rivede, indi altro monte sorge, E mostra il montuoso inegual suolo Diversi laghi, e sempre è un lago solo.

37.

Così veggendo, trapassar costoro, E giunti dove il terzo colle manca, Imprimono a livel del lago i loro Vestigi, ed il castello han sulla manca: E già il mattino di porpora e d'oro Veste l'alte montagne, e il ciel s'imhiaHcn, E fan gli augelli, e gli umidi crislalli Novellamente risentir le valli :

38.

^ho omai col nappo argenteo, e col canestro Pien di manna e di fior sorgea l'Aurora, Ponendo in vetta all'appennino alpestro Il pie leggier, che il sol da tergo indora : Dal ventilar del suo hel vel cilestro La messaggera uscia piacevol ora, E l'annunziava all'umida vallea Ove pigra la notte ancor sedea.

CANTO III. 83

39.

Dal vallon bujp veggìono sul monte, Che illnmìnano i raggi mattutini, Il corteo Inttnoso, e lor son conto Le sentenze dei cantici divijii, Che il colle quei non salgono di fronte, Ma ol)liquamente, e son tuttor vicini, E quattro sottopongono la spalla Ad un feretro, che in andar traballa,

40.

Son della bara funerale ai lati

Con torchi in man pel nuovo languenti Due lunghi ordini d'uomini incappati, Che han nei cappucci lo fronti dolenti, 'I cappucci in due parti traforati Apron le viste ai loro occhi piangenti. Bianche han le cappe , e il primo della sthera Porta la croce con la banda nera.

41.

Con oscura zimarra, e bianca cotta Leggendo i rituali del mortorio Il sacerdote va tra gli altri in frotta Che intuonan supplicanti il responsorio. Sul cataletto funebre tal otta Sparge l'acqua lustrai coll'aspersorio, Ed or mormoxa basso, ed alto or canta, E lo imita la turba tutta quanta.

84 PIA de' tolomei

42.

Davide e le fatidiche sibille

Chiamando in testimon di lor parole,

Cantan come dovran tra le faville

I tempi consumarsi, e gli astri, e il sole,

E d'ira il giorno in cui con le pupillo

Torve Iddio mirerà l'umana prole,

E i morti lasceran le vecchie tombe

Allo squillar delle celesti trombe.

43.

Cantano il parce, il tedet, ed i tristi Del provato da Dio Giobbe Idumeo, E l'elegia ciie tu Sionne udisti Cantar dopo il peccato al Re Jesseo: E par che da lontan cori non visti ' Replichin quel canoro piagnisteo, E sembra ogni boscaglia, ogni caverna Chieder luce perpetua, e requie eterna

44.

Percosso da tristissimo sospetto

Dice al compagno ii cavaliere allora. Vanne, e che fu domanda : io qui ti aspetto, Che andar non so tanto terror mi accora. Sprona a quei detti il frate il suo ginnetto, E giunge a sommo il colle appunto allora Quando già sono entrati i funerali Della chiesa nei santi penetrali.

CANTO III. 85

45.

Ciascuno, a lai che attende, si nasconde, E le nenie lugubri più non ode, Ma un altro canto ascolta in riva all' ondo Con dolce melanconica melode: Ed era un villane), che l'infeconde Coltivando del lago infauste prode, Kompea le zolle con la splendid' arme. Alternando il lavor con questo carme.

46.

" Nelle foreste d'Appennin superno Lisa piangea, perchè il prefisso giorno Il desiato sposo al suol paterno Dalla maremma piti non fea ritorno: Scorse l'estate, e ritornò l' inverno, E noi rivide nel natio soggiorno, xVndarne volle a ricercarlo alfine Col padre che scendeva alle marine.

47.

« E riposando un giorno il fianco lasso Sopra una selce al terraiu della via. Detto le fu che sopra di quel sasso 1/ ultimo sonno il suo fedel dormia. Rivolse il padre ai patrii colli il passo, Ma non avea la figlia in compagnia, Che dalla tomba la chiamò lo sposo, , E in quella ricongiunti hanno riposo.

86 PIA DH« TOLOMEI

48.

Del tosco montanaro ecco le sorti - Morte germoglia ov'ei gittò sudore, Ma per dar vita ai figli e alle consorti, È invidiato fra di noi chi muore; Però che d'essi quando noi slam morti Verace è il pianto come fu l'amore: Questa certezza i nostri affanni molce , E anco il perder la vita e noi fa dolce.

49.

In udir quei concenti al cor gli scende Tenace inesplicabile tristezza, L'antiveder, per cui dubbioso pende. Gli fan quei detti divenir certezza, Freddo ghiaccio le fibre gli comprende, Par che di nuovo pianto abbia vaghezza, Ed alfin furibondo e impaziente Si spicca, e corre alla magion dolente.

50.

Giunge e niun vede, e niuno ascolta, regna Silenzio intorno spaventoso e muto. Nell'uscio invan di penetrar s' ingegna, Che il ferreo ponte in alto è sostenuto, E par che dai veroni un fetor vegna D'atro bitume dall' ardor soluto, Fumo di torchi a nebbia misto ingombra L'aer maligno, e le pareti adombra.

ca.nto III. 87

51.

Fermo, a gran v^ce il castellano chiama, E indarno stassi alle risposte intento, E di chiamar la Pia pur ebbe brama, Ma gli mancò la lena, e l'ardimento. Gira per ogni parte, indi richiama. Ma le inutili grida porta il vento, E quei muti balconi e quelle porte Tacenti gli favellano di morte.

52.

Del bronzo i tocchi, e delle cere i fami, L'esequie, il canto, e le deserte mura. Tutto gli svela della mente ai lumi L'ultima irreparabile sciagura, Precipita di sella, e va fra i dumi E i massi, della costa in ver 1' altura, E per non trita via d'altre più pronta Con mani e pie verso il villaggio monta.

Da sassi e spine malmenato, e vinto Dal disagio, alla chiesa arriva retro. Di terragne muraglie ad un recinto Che i cipressi coniferi fan tetro; Fra i lenti rami lor chiama un estinto L'upupa immonda in luttuoso metro, E ben mostrano i simboli del pianto Esser quel della villa il campo santo.

ì PIA de' TOLOMEI

54.

Giunge, e vede al callar della muraglia Il ceduto cavai del frate scarco: Era c[uesto un destrier di molta vaglia Leggiero come strai di partic'arco, Caro alla Pia, quand' ei dalla battaglia Eiedca salvo recando il dolce incarco, D'orzo, pingue, e d'avena il fea satollo, Tergergli i crini, e gli palpava il collo.

5&.

Stassi il cavallo immobile, e confuso, Sogguarda torvo, e i brevi orecchi tende. China al suol la cervice, e il crin diffuso Cade nel fango, e per la fronte pende ; Pel turgido di vene equino muso Un rio di grosse la,grime discende, È lava il fren d'argentee borchie ornato, È le briglie che sparse erran nel prato.

56.

E il caro condottier veduto appena, Gli si fa incontro, e il guarda, e a mano a mano Saltellandogli innanzi ov' era il mena, E par dotato d'intelletto umano, E gli accenjia in mezzo all' inam.ena Cerchia un cencioso e debile villano, . Che allora allor cavata fossa serra Gettando in quella la sottratta terra;

CANTO III. 8fl(

57.

Corse alla sponda del recente avello, E vide ahi che non vide ei mise un acre Grido tal che cader fé' al villanello- La marra dalle man rugose e macre. E nel tamul gettavasi, e di quello Turbate avria le cavitadi sacre Se il frate, ed altre genti di sull'orlo Del tristo avel non accorreano a torlo.

58.

Qui la sua Pia riconosciuta avea Kicoperta di terra infino al mento: Morte nel volto suo bella parea, E lui che stava a seppellirla intento, Quasi rapito dalla vaga idea, Ove un gemino sol vedeasi spento Le caste membra avea coperte ; e il viso D'offender colle zolle era indeciso.

59.

Ella giacca qual mandorlo fiorito Nell'anno giovinetto in riva all'acque, Venne la piena, e ruinando il lito, Sull'arenoso letto il tronco giacque. Lo sbarbicato ceppo è seppellito Dal fango, e il fusto che schietto nacque^ Sol fuor sovra-stan le ramose spoglie Mostrando aridi fior, squallide foglie.

90 PIA de' tolomei

60.

Sorto r illustrator della natura,

Lanciando sulla tomba il primo raggio, Col vagheggiar la santa creatura Prestavale il pietoso ultimo omaggio: Ma quando vide empir la sepoltura, E coperto di terra il bel visaggio, Fra le nubi celossi, e gemer parve, E a' mortali quel più non comparve.

61.

Nello quei pii frattanto aveauo scorto Nella chiesa vicina, ivi si assise Vergognoso chinando il viso smorto. pianse, parlò, sospir mise. Parean, tant'era in pensier gravi assorto, Sue membra dallo spirito divise, E fea del duol ritegno alla licenza Della casa di Dio la riverenza.

62.

Così di sotto alla celeste volta Nelle notti d'aprii serene e belle Suol del mar la spumosa onda sconvolta Riverente acquetar le sue procelle. Ed a pace, mirando andarne in volta Del ciel le innumerabili facelle, E quant'ira tuonar sul flutto udissi Geme sepolta negli equorei abissi.

CAKTO III. 91

63.

Chi dirà come la salma rimossa

Tornonne al loco ove natura dorme! Ah! dove volgi il pie, chiusa è la fossa, più in terra vedrai le amate forme. Inginocchiossi sulla terra smossa. Posando il capo sovra un sasso enorme ; Sparsa non lunge la gente seguace Quell'immobile guarda, e immobil tace.

64.

Tal nel deserto pian di Seliuunte Le vetuste colonne immote stanno. Altre intere, altre tronche, altre consunte Dal veglio antico dell'età tiranno, E in file ora interrotte, ed or congiunte Malinconica siepe all'ara fanno, E allo stranier che guarda il marmo sacro Mesto di non trovarvi il simulacro.

65.

Pretese poi di satisfar la bella

Anima, che dal bel corpo si sciolse, Vita menando penitente in quella Magion, che a lei la dolce vita tolse. In Siena, e nelle prossime castella Del fiero avvenimento ognun si dolse, Ed a distorlo venner di lontano I parenti, e gli amici, e sempre invano.

92 riA de' TOLOMEl

66.

Ma quando si ascoltò per quei contorni Suonar la tromba di novella guerra, D'avviso fu che terminar suoi giorni Meglio era a scampo dell'avita terra, Lasciar volle i mortiferi soggiorni, Ma il monte non passò che il lago serra: Eran già fatte le sue membra inferme, E infuso in esse della morte il germe.

67.

E riedere al castello gli convenne. durò molti dì, che una mattina Con quella sepolcral pompa solenne Che accompagnò la Pia sulla collina, La morta spoglia sua traslata venne Al campo ove giacea quella meschina, E sul comun sepolcro ancor l'acerba Sorte ne piange il venticel fra l'erba.

Sotto l'assiduo mattellar dei lustri Cadde il castello, e i diroccati brani De'muri suoi per empietade illustri Per tristo ingombro agl'infelici piani: Crebber le limacciose onde palustri, E ne coprir le fondamenta immani, Or s'odon lamentar sotto l'interne Volte converse in umide caverne.

CANTO III. 92

69.

E dicon che talor da quei rottami Voce profonda come d'eco emerge, E sembra che la Pia dal fondo chiami, Ed ella appar sull'onde, e vi s'immerge, E quando scuote il vento i bruni rami Del folto bosco che sul largo s'erge. Vi si odon canti e samoldie lontane, E arcano suon di funebri campane.

70.

qui sveller virgulti, o fender zolle L'ausiliario agricoltor s'attenta, E salvo ritornando al natal colle, Quando Maremma inospitai diventa, La sera assiso sull'erbetta molle All'adunata gioventude intenta, L'udita istoria, che per lunga scendo Tradizìon di padri, a narrar prende.

71.

E ciò narrando alternamente adocchia I parvuli scherzanti, ed or gli abbraccia; Or gli fa mobil peso alle ginocchia, Or dolce incarco alle robuste braccia: L'ode la moglie intenta alla conocchia, E la luna che a lei risplende in faccia La concetta pietà che muta cela Sulle bagnate guance altrui rivela. Pine.

95

NOT E

CANTO I.

Ottava 2. Velali], aulico nome di Volterra.

Dell' argento, monte Argentario. Per prli altri particolari della Mareiinna e suo clima. Vedi Targioni, Viag. in Tose.

Ottava 6. I campagnoli che abitano l'Appennino tosco, e mas- simamente quelli della provincia pistoiese sogliono andare per vari mesi dell'anno a coltivar la Maremma: il frutto delle loro fatiche e privazioni serve di sostegno a quella parte di famiglia che rimane al paese nativo, ivi ritornano nella estate, meno al- cuni che di frequente muojono per l'aria mal sana ove gli trasse il generoso desiderio di sollevare gl'indigenti congiunti. Questa generazione di uomini è piena di viiUi, e pochi son quegli che non Gtntiiio con grazia le loro leggende, e i canti del Tasso, molti di essi anche improvvisano in versi, efl a questi costumi si rife- risce l' ottava 45 del terzo canto ove s' introduce a cantare uno ili questi rustici poeti.

Ottava 23. Dardano, secondo Servio, fondò la città di Cortona nell'Etruria, e la chiamò Corito, dal greco vocabolo che sigiiilìca cimiero. Per lo rimanente della sua istoria in questa dipintura espressa. Vedi Joanncm 3tarianam, lib. I, de licb. Ilispan., e. II.

Tarconte, Mesenzio, Asila, personaggi etruschi descritti da Vir- gilio, lib. 8, § 10.

Ottava 30. Desiderio re dei Longobardi, secondo alcuni isto- rici, fu nelle Maremme Etrusche: in Viterbo restano ancora molte m morie della sua venuta in quelle parti.

Ottava 60. Volsinie vigne, vigne famose che si trovano nelle vicinanze del lago di fJolsena anticamente Volsinia. 1 loro vini sono 1 più pregiati delle Maremme.

CANTO IL

Ottava 6. Messaggera villereccia. Si trovano anche al pre- sente nell' interno della Toscana alcune donne dette Procaccuie, che, secondo un'antica usanza, fanno periodicamente i loro viaggi » piedi da nn paese all'altro portando le lettere e le ambasciate.

96

ottava 31. Si è fatto rimpi'bvero talvolta ad alcun poeta di aver date le corna alle cerve. L' autore si crede scusabile dietro l'autorità di Pindaro. Ode 111. Olimp. strofa 11:

Et cursu vohicrem, et cornibus aureis Cervam

11 simile si può vedere in Euripide nell' Ereole, ver. 3"6, e in Pe- trarca, Sonetto :

Una candida Cerva

Ottava 41. Della rotta dei Sanesi a Colle, fa menzione Dante Purg., canto 13.

Ottava 92. E intuona le letane. Si conserva ancora in Toscana, e sojìratutto nelle campagne la pia costumanza di recitar le li- tanie dei santi nel tempo delle grandini e altre perturljazioni del r aria clie minacciano le Case e le campagne.

CANTO III.

Oliava 26. Son molto cantati dai nostri poeti gli usi prepo- tenti dei Baroni nel tempo della cavalleria, come pure è Hoto ciie i poe'i cosi detti Trovatori faceano parte delle loro corti guei- ricre.

Qllava 55. Intoj'no al pianto dei cavalli. Vedi PUn., iJb. 8, I. 42 : Dii fida equonim.

Pra'farjiuìit pu(/nam et aniìsios luf/ent dominos Lacrnmasque inlerdum desiderio fnndiinl.

Yirg., lib. II, V. 89.

T'osi bcllator equiis, posilis insionibus, Arlhon II. lacrì/mam guHi^q. hameclat grandibus ora.

Vedi Omer. lltade, lib. 17, v. 300.

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