< Feto | SELE TEC CL UGO. CL È. CITE ECC CE cu OTIS SECCA &S e CT CI KE CETTE TC CC a RP a FG e ge re CO, Pa mae S i (E TESTE CC Ce Cc >< i i dC dC o Id caldi TC Hc: «Mac a de C — ad << Sd K3: TC dr LA, ATTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVIII. T9O1 SEE osheE VI BEN EEA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME X. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1901 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NAANNNSIISSNISINSNSNSATT— Seduta del 6 gennaio 1901. P. BLAaseRNA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Biologia. — Nuove ricerche intorno alla Malaria. Nota del Socio G. B. GRASSI. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Meccanica. — Sulla determinazione di soluzioni particolari di un sistema canonico, quando se ne conosce qualche integrale o relazione invariante. Nota di T. Levi-Uivita, presentata dal Cor- rispondente G. Ricci. Nel trattato di dinamica del sig. Routh (') sono esposte alcune conse- guenze della così detta ignorazione di coordinate. Si suppone che la forza viva T di un sistema olonomo a legami in- dipendenti dal tempo, e così il potenziale U delle forze attive, non dipen- dano esplicitamente da alcune coordinate: 1,2... %m, p. es., essendo genericamente x il grado di libertà del sistema e 41, %2,...,4m, Cm+13:034n le sue coordinate lagrangiane. Le equazioni del moto ammettono allora gli 72 integrali lineari (rispetto alle componenti della velocità) D —= cost (r=1,2,..,m), dI (!) Advanced Part, $$ 98-100 SE E e rimangono soddisfatte, attribuendo alle 4. (7 =1,2,..,7) valori costanti arbitrarî, e alle zx; (€ =#m+1,..,%) valori pure costanti, definiti dalle equazioni dI(T_- U) n CIR RE dove beninteso si sieno posti per le 4) i valori scelti, e zero per le «;. 3 o - i ca: LE Si fa così corrispondere al sistema degli integrali 7 costante, una 5 classe 00° di soluzioni particolari, assai notevoli, perchè rappresentano moti stazionarî del sistema, per i quali la questione della stabilità si decide, come nel caso dell'equilibrio, mediante la semplice ispezione dell’integrale delle forze vive T— U= cost. Mostra infatti il sig. Routh come, eliminando le x°, dalla espressione : n 2401 della forza viva, a mezzo degli integrali Sala questa assume la forma (e Y T + F, dove T è una forma quadratica nelle rimanenti x" e F una fun- zione delle sole «. Le equazioni del moto conservano la forma lagrangiana, non direttamente rispetto alla espressione ridotta T + F della forza viva, ma alla m T+HF-) wa, 1 (dove pure sono da ritenersi eliminate le 4’, a mezzo degli integrali). Comunque, per gli accennati moti stazionarî, si annullano evidente- mente tutte le derivate della funzione T + F — U, rapporto alle 2(n— m) variabili x;, «i. Ritenuto pertanto che le costanti «, abbiano valori fissi, le condizioni quantitative perchè T- F —U ammetta un minimo risultano soddisfatte, ed è giustificato assumere la esistenza effettiva di questo minimo come criterio di stabilità — di fronte alla classe dei movimenti, per cui le x, conservano gli stessi valori — appoggiandosi sopra il teorema di Dirichlet. (Il teorema di Liapounoff mostrerebbe poi facilmente che in ogni altro caso c'è instabilità). L'interesse di queste considerazioni mi ha indotto a ricercare se esse non fossero per avventura estensibili ai casì, in cui un sistema dinamico am- mette degli integrali primi di forma qualsiasi. La generalizzazione si presenta spontanea quando le equazioni del moto si assumono sotto forma canonica. Si dimostra infatti (e ciò per qualsiasi sistema canonico) che, ad ogni insieme di m relazioni invarianti (o in particolare integrali) dn involuzione, corrisponde — purchè sia soddisfatta un'ovvia condizione di indipendenza, di cui a $ 2 — una classe di o" almeno (nel caso degli integrali 00°”) soluzioni, la cui determinazione di- pende dalla integrazione di un sistema d'ordine m— 1, al più. — 94 — Complemento essenziale del teorema si è che /e soluzioni, cui si per- viene in tal guisa, hanno sempre comportamento stazionario, ed è quindi applicabile il criterio energetico di stabilità. Data la grande scarsezza di movimenti, stabili, nel senso rigoroso della parola ('), giova prendere atto di ogni contributo alla loro determinazione effettiva. Rispetto all'attuale. mi si consenta di rilevare che esso abbraccia tutti gli esempî di moti stabili, finora conosciuti. 1. Sia un sistema canonico ; IE SSOH dr A (0) di Coe da: di Rei dPi (e), la cui funzione caratteristica H non dipende #. Siano poi (A) BAR Oe ZiZi n= (SIUMERETIA] m relazioni invarianti di fronte a) sistema (C), pure indipendenti da %, ri- solubili rispetto ad altrettante 7, ed in involuzione tra di loro. In forma risoluta le rappresenterò con (A) Pr fr (Pm see Pns Lr, L2, SROCAA) (= lena) Se H è ciò, che diviene H, quando pi, pa,» Pm SÌ sostituiscono coi loro valori (A,) e si pone èH o. 2B vi ii (em plt. 0%), (8) anche il sistema complessivo delle (A) e delle (B) è invariante rispetto a (C). Per dimostrarlo, cominciamo col tradurre in formule le nostre ipotesi. Esse sono: 1°. Le relazioni (A), o, ciò che è lo stesso, le (A,) costituiscono un sistema invariante. Questo vuol dire che, derivando le (A) rispetto a #, e tenendo conto delle (C) e deile stesse (A.), risultano altrettante identità. Sarà dunque a ritenersi RIE e SH es fp 3 dar di i dp; da; iv; dp (1) Si può anzi considerare questa assoluta stabilità come un carattere affatto ecce- zionale. La stabilità naturale va presa in un senso molto più lato. Cfr. in proposito la prefazione alla Memoria: Sopra alcuni criteri di instabilità, presentemente in corso di stampa negli Annali di Matematica (Ser. IMI, T. V). EA in quanto, eseguite le derivazioni, si sostituisca, per ogni ps (s=1,2,...,72) la corrispondente /;. Convenendo, per brevità, di porre, per due generiche funzioni V, W, i SE DIGI DIV i mel dPj dj az dPj potremo scrivere DIE 1 2 0H dr ey 1 i dPs DIS (1) 2°. Le relazioni (A), e per conseguenza le (A,) sono involutorie. Avuto riguardo alla notazione, testè introdotta, queste condizioni si esprimono con 0) De I Lig, p=0 (y5=1,2,,%). Ho adoperato il simbolo = per mettere in evidenza che l’ eguaglianza sta identicamente rispetto a tutte le lettere, che compariscono nel primo membro. Non c'è infatti alcuna ps (s=1,2,..,7%), che si debba inten- dere eliminata a mezzo delle (A,). 8°. H proviene da H, ponendovi p;= 3. Ne conseguono le egua- glianze AE SEE: DOO I (3) { (MERE Î dH _2H _S 2H9d% iz, Me èoH _dH > dH df Vea dor 1 dps ddr (4) (r=1,2,..,m). Dalle (3) risulta subito dH, pa GA TI/S69 H, = HH, fr} che, sommate membro a membro colle dI danno dH Dn) si ds i DIRE: BI feel vega iL: FECE EDSCCA feet vole ICOICIOI I BE “1° dPs Portando nelle (1) questo valore di a, fr e avendo riguardo alle (2), Car si ottiene SH (5) ie fi= 0 = 124) et pane in cui, come già nelle (2), è lecito adoperare il segno di identità, perchè mancano le ps. d?èH d>H di dPi "dida; mente nulle, in virtù delle (A), (B), (1), ..., (5). Si ha in primo luogo Ciò posto, si tratta di verificare che do3H _(, dH), € >H D5H (6) \ dipi di dp: È gl I, di dar Pi | 420 lg 20) j$ Hd CERI ARE ER Aa CRA ((am+1,...,2); mentre la derivazione delle (5), rapporto ad una generica p; ed 4;, porge HH tig Dfl_ (7) \ Pi am Tap: lr Tu pi 3H__|(2H ig d)_ o do __$ 20% dpi. ded dH_ € 3H3f dre d2H d?3H dip. dida; d3H _< 23H dH ,) di dPi dp, mat mi) ta EI, ee a RI VARA Era i % ddr dai (o 23=il..., 7) e, usufruendo di queste espressioni, l (6) Per le stesse (B), le lE ‘H, Di si annullano, talchè le pre- ( dwif' ( dI SE cedenti equazioni (7) divengono 2 E, (7) i dPi ddr Pi ) 3 Hc | dLi ddr pr (O lr, iù (r=1,2,.,m; = mH4 1,12) Sono dunque nulli i secondi membri delle (6°). Cid. Osservazione. Nel teorema è evidentemente implicita la condizione che le equazioni (B) sieno compatibili, cioè che esistano effettivamente dei va- lori #;” , pi‘ delle 4,p, per cui esse riescono soddisfatte (*). E per verità il passaggio formale dalle (6) e (7) alle (6) e (7°) — in che riposa la di- mostrazione del teorema — è lecito, solo in quanto, esistendo soluzioni iO , pi, si possa riferirsi a uno di questi sistemi di valori. È poi bene inteso che le funzioni tutte, qui considerate, si suppongono regolari, almeno in un certo intorno degli accennati valori x; ,p;®. 2. Soluzioni particolari. — La proposizione, or ora dimostrata, per- mette di trovare con molta facilità alcune soluzioni particolari del proposto sistema (C). Supponiamo le (B) tutte indipendenti e risolubili rispetto alle pmyi , +» Pn; Lm41 3 + 3 Cn (ciò, che implica tra altro che le (A) sieno distinte da H = cost, nel qual caso la H si riduce ad una costante e le (B) ad altrettante iden- tità). Dalle (B) ed (A) potremo ricavare le 2n — m variabili p, &m+1 3 +3 dn in funzione delle rimanenti 7, 41,2, ..., Mm. Per il carattere invariante delle (A) e (B), facendo queste sostituzioni nel sistema differenziale (C), devono rimanere in tutto 72 equazioni indipen- denti (quelle, che esprimono si sie a in funzione delle stesse ), le altre risultando identicamente soddisfatte. Ogni soluzione di questo sistema ridotto (C,) fornisce senz'altro una soluzione di (C). Basta aggiungervi le rimanenti variabili, definite dalle (A), (B). Rispetto all'integrazione di (C,), si osserverà che essa è al più una operazione d'ordine m — 1, poichè il sistema ammette l'integrale H = cost [o più precisamente quello, che se ne ottiene, esprimendo la H per le sole Li, C2, Cm, a mezzo delle (A) e (B)]. Altre semplificazioni interven- gono quando si conoscono integrali del sistema primitivo (C), indipendenti (1) Ciò accadrà in generale, poichè si tratta di 2(2 — m) equazioni tra 2(n — m+m variabili. Quando poi le (B) ammettono soluzioni comuni, lo stesso può dirsi senz'altro del sistema complessivo (A), (B), poichè le (A1) si presentano risolute rispetto a varia- bili, che non entrano nelle (B). Sig dalle (A) e (B); per ogni integrale, si abbassa ovviamente di una unità l'ordine del sistema da integrare. Integrandolo, si hanno, come s'è detto, co” soluzioni ® del sistema ca- nonico (C). Quando in particolare le (A) sono, tutte o in parte, veri inte- grali (anzichè essere semplici relazioni invarianti) e quindi le F corrispon- denti contengono una costante additiva, la classe delle XY dipende da un numero maggiore di costanti arbitrarie: Se ne hanno dunque 27, allorchè ognuna della (A) è un integrale. Ma non giova insistere su queste generalità. Riservo ad una prossima comunicazione lo studio di una importante proprietà (!), comune a tutte le soluzioni, che scaturiscono dall’ indicato pro- cedimento. Fisica. — Sulla misura delle variazioni della pressione atmo- sferica mediante il ludione. Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. Se un ludione, avente forma di campanella, alta pochi centimetri, larga due o tre e contenente una certa quantità d'aria, essendo immerso comple- tamente in un liquido e zavorrato in modo che vada a fondo, è appeso con un filo sottile al braccio d'una bilancia, le variazioni della pressione atmo- sferica facendo variare il volume dell’aria in esso contenuta e quindi la spinta che esso subisce, faranno variare il peso occorrente per ristabilire l’ equilibrio, e dalle variazioni di questo peso potremo agevolmente dedurre quelle della pressione. Le variazioni della spinta causate dalle variazioni di temperatura sono di segno contrario per il vetro e per l’aria, ed è facile ottenere che esse si compensino. Si può anche far a meno della bilancia, fissando sulla sommità del ludione un tubo sottile, verticale e convenientemente graduato, portante in cima un leggero piattello e regolando il volume dell’aria o il peso del ludione in modo che questo galleggi come un areometro e s'immerga fino alla sommità del tubo alle pressioni massime possibili; se la pressione diminuisce, 1 areo- metro emerge, ed osservando a quale divisione del tubo l’'areometro affiora potremo leggere direttamente la pressione, e qualora il ludione emergesse troppo e il punto d' affioramento non cadesse sulla graduazione, si potrà ottenere che ciò avvenga, collocando sul piattello pesi convenienti. Siccome questi sono () Si è appunto in vista di ciò che ho supposto le (B) risolubili rapporto alle p; , #; (i(=m+1,...,n). Le osservazioni precedenti — con debite modificazioni — rimangono applicabili, anche prescindendo da questa ipotesi. RenpIcoNTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. DD PE (res necessariamente piccoli, perchè piccole sono le variazioni solite della pres- sione atmosferica, la stabilità dell’areometro non corre pericolo per tale ag- giunta, e il tubo graduato potrà prendersi piuttosto lungo, p. es. 10 cm., aumentando così la probabilità che il punto d’ affioramento cada sulla scala, e riducendo ad uno o due i pesi occorrenti per ottenere in tutti i casi tale risultato. Si potrebbe, ricurvando il tubo sottile suddetto, portare il piat- tello sotto il recipiente; ma questa disposizione ideata dal Tralles per aumen- tare la stabilità degli areometri, nel caso presente sarebbe poco utile. Mi parrebbe utile invece (ma finora ho fatto poche esperienze in proposito) appen- dere il ludione all'estremità d'un areometro a immersione totale, inclina- zione variabile e riflessione, il quale, come descrissi in altra Nota, può fun- zionare come una bilancia estremamente sensibile e a indicazioni continue. Un altro modo un po’ diverso di misurare le variazioni della pressione atmosferica mediante il ludione, consiste nel diminuire lentamente la pressione al disopra del liquido finchè il ludione viene a galla, oppure se esso galleggia nell'aumentare la pressione finchè va a fondo; se la temperatura è costante o se gli effetti delle sue variazioni si compensano esattamente, il ludione viene a galla o va a fondo ad una pressione costante che, per una scelta conve- niente del peso del ludione o del volume dell’aria, può essere la pressione media locale; quindi misurando con un manometro ad acqua la rarefazione o compressione occorrente per produrre gli effetti suddetti, si ha con molta sensibilità di quanto la pressione al momento della determinazione differisce da quella media. Nel calcolare la pressione dell’aria del ludione occorrerà tener conto della pressione esercitata dal liquido nel quale esso è immerso. Una proprietà molto utile di questi modi di misurare le variazioni della pressione atmosferica è quella, già accennata, che per un rapporto conveniente fra i volumi dell’aria e del vetro, le variazioni della temperatura (supposto però che essa sia la stessa nel ludione e nel liquido) non modificano le indi- cazioni che con essi s' ottengono. Chiamando v, ed w i volumi del vetro e del- l’aria a 0°, X ed a i rispettivi coefficienti di dilatazione, d quello del liquido avente a 0° la densità do, la spinta subìta dal ludione sarà: 14 Ro te TROSE Vo do 4 Vo do ed'a 70 Vodo TL 0 do ee] oppure con molta approssimazione a 7°: Vo dol 1 == (0 = k)t] + uo do 1 + (a —- d)t] e la spinta sarà la stessa a 0° e a 7° se: Vo a—d UO vo do(d — A)t = und(@a — d)L ossia : A Se p. es. d—=0,0009, il volume del vetro dovrà essere all'incirca triplo di quello dell’aria, e se fosse d=0,0011 dovrebbe il volume del vetro essere 2,5 maggiore di quello dell'aria. Se il ludione contiene del mercurio il cui volume sia 0) ed il coefficiente di dilatazione d', perchè la spinta non varii colla temperatura, dovrà essere: vo(d — K)+ v(d — d) = ua — 0). Per un dato ludione con una determinata quantità d’ aria, la condizione suddetta non può verificarsi esattamente che ad una sola pressione, poichè variando questa, varia uv, mentre le altre quantità rimangono invariate. Se p. es. essa è soddisfatta alla pressione media locale, p. es. 750 mm., quando la pressione varia di = 1 mm., %, varia di = “o, e quest ultimo volume 750 si dilata senza compensazione di circa 1/300 per grado, quindi la correzione ge La 5% < milli fi s necessaria sarà di 300 750 usd per grado e per millim., e p. es. seu, = 10 cm essa sarà di è 2 mm', e se il liquido è acqua tale correzione sarà mgr. 0,044. Non occorre che il volume vo sia di vetro compatto, anzi ciò sarebbe dannoso perchè l'interno del vetro potrebbe conservare una temperatura di- versa da quella della superficie e del liquido, un bulbo o tubo chiuso come è noto si dilatano come il vetro compatto. L' uguaglianza di temperatura di tutte le parti del ludione e del liquido è molto importante; qualora esistesse una differenza di temperatura, questa differenza non sarebbe compensata, e produrrebbe un errore come in un ludione non compensato. Un'altra proprietà utile di questi modi di misurare la pressione consiste nella grande sensibilità di cui essi sono suscettibili; il peso apparente del ludione varia di 1,83 > mgr. per cm? d'aria quando la pressione varia di 1mm.; quindi facendo uso d'un liquido molto denso, come p. es. il bromuro o l’ioduro di metilene o anche il mercurio, ed aumentando il volume del- l’aria, la sensibilità si può aumentare pressochè senza limiti, e siccome usando come bilancia l’areometro a riflessione non solo si evita l’ errore di capillarità attorno al filo di sospensione, ma altresì la precisione delle pesate può rag- giungere e superare il centesimo di milligrammo, ne risulta che la sensibilità può divenire eccezionale ('). A questo proposito è da notare che la sensibilità di qualsiasi bilancia viene aumentata quando ad essa si appende il ludione, perchè quando un eccesso di (*) Il calcolo dell’attrazione che la luna esercita sui corpi terrestri m'° induce a cre- dere che coi suddetti barometri dovrebbe esser possibile di constatare tale attrazione, e misurare le variazioni che subisce la pressione esercitata da una colonna liquida per effetto dello spostamento della luna, e dedurne la massa e la densità di questa. Mo peso produce l'affondamento del ludione, ad esso peso s' aggiunge la diminu- zione della spinta che ne consegue e che agisce nello stesso senso. Se e è l’ab- bassamento che l'aggiunta di 1 mgr. produce in un piatto della bilancia priva di ludione, ed 7 > e l'abbassamento prodotto da 1 mgr. quando al piatto è appeso il ludione, l'aumento totale di peso sarà 1 mgr. + 4u il quale dovrà d 13,6.H ° anche essere uguale ad 4: poichè occorre 1 mgr. per deviare il giogo tanto che il piatto si abbassi di e, s' avrà quindi: UdEL Va Log TER 1 Perchè x sia positivo e finito e quindi l'equilibrio sia stabile, occorrerà che sia: 13,6. , 0 oppure si DO u< SI dove 13,6.H è approssimativamente uguale a 10000; così per £#«=1mm. d= 1 dovrà essere x < 10 cm$, e seu = 100 cm?, dovrà essere e < 0,1 mm. La sensibilità sarà tanto maggiore quanto minore è la disuguaglianza fra i due termini; se la densità fosse doppia o tripla, il volume limite dell’aria pel quale la bilancia divien folle, diviene metà o un terzo. La stessa formula vale per gli areometri quando s' indichi con = il tratto di cui si affondano per l'aggiunta di 1 mgr. sul piatello, e siccome l' aumento della spinta deve essere di 1 mgr. sarà 777°8d = 1 mgr., essendo 7 il raggio del tubo graduato, e le condizioni d'equilibrio stabile sono: % 10000 a u << 10:00077z78: Così per u= 10000 mm? dovrà essere 777° > 1 mm?. Dalla formula generale che dà il valore d’.x si può dedurre la sensibilità che s' ottiene con un dato ludione appeso alla bilancia o galleggiante a modo d’areometro, oppure cal- colare i dati occorrenti per ottenere una voluta sensibilità. A proposito di questi areometri conviene rammentare che l'errore note- vole derivante dal menisco che si forma attorno al tubo graduato, può essere facilmente evitato mediante un dischetto forato scorrevole lungo il tubo, che si abbassa fino a schiacciare esattamente il menisco, come ho indicato in altra Nota (Rendiconti dell’Acc. dei Lincei, 1900, 1). Quando invece di pesare il ludione si determina col manometro ad acqua la rarefazione o compressione necessaria per l'esatto affioramento, le varia- PSA e ra zioni della pressione si hanno in mm. d’acqua colla sensibilità 13,6 volte maggiore di quella del barometro a mercurio. In quanto alla tensione superficiale nell'interno del ludione non pare che essa abbia influenza sensibile sul suo peso apparente, purchè il suo dia- metro interno non sia inferiore a 2 cm. Sebbene ciò sia pressochè evidente, volli assicurarmene coll’ esperienza, disponendo nell'interno del ludione una lamina sottile d'alluminio, secondo un piano diametrale e spingendo questa lamina all'insù in modo che sporgesse un poco dal liquido e questo formasse sulle sue faccie due menischi, oppure ritirandola ingiù in modo che essa rimanesse completamente sotto il livello del liquido; in entrambi i casì il peso apparente del ludione fu lo stesso. Inoltre cercai di modificare la forma della superficie del liquido nell'interno del ludione, esercitando leggiere rare- fazioni o compressioni nel recipiente che lo conteneva, ma il peso apparente del ludione rimase immutato. Se invece il ludione avesse un piccolo diame- tro interno e la superficie del liquido vi assumesse una forma sensibilmente curva, essa comprimerebbe l’aria contenuta e ne farebbe diminuire il volume e quindi la spinta, e questa diminuzione potrebbe variare quando variasse la curvatura della superficie liquida. Una causa d'errore non lieve ma che può essere evitata in tutto o in gran parte nei modi sottoindicati, consiste nelle variazioni della quantità d’aria del ludione, causate sia da azione chimiche, sia da variazioni della solubilità dell’aria nel liquido alle diverse temperature dell'ambiente. Inoltre siccome il ludione trovasi necessariamente nell'interno del liquido, la pressione dell’aria che esso contiene è un po’ maggiore di quella atmosferica, la solu- bilità di quest'aria è, per la legge di Henry, un po maggiore di quella dell’aria esterna, quindi essa si scioglie e si diffonde lentamente ma con- tinuamente verso l'esterno e diminuisce continuamente. Così in un ludione di 9 mm. di diametro interno e 70 mm. di altezza, immerso nell'acqua, il 12 febbraio si trovava una bolla d'aria, di circa 0,25 cm, introdotta molti giorni prima, la quale alla pressione di 745 mm. e alla temperatura di 17° faceva venire a galla il ludione. Sei mesi dopo cioè il 12 agosto per far venire a galla il ludione essendo la temperatura 27° occorreva che la pressione fosse ridotta a 654 mm. Erano quindi sfug- giti circa 0,030 cm d'aria attraverso uno strato d'acqua che ridotto alla sezione 77. 0,9*cm?: 4 era spesso circa 6 cm. essendo la differenza di pres- sione fra l’aria del ludione e l’aria esterna uguale a circa 65 mm. d'acqua. Risultati numericamente poco diversi ottenni coll’aria nello Xilolo, mentre invece una bolla d’aria nell’acido acetico, forse per qualche causa acciden- tale, apparve pressochè invariata. Queste esperienze sono ancora in corso e potranno essere oggetto d'una Nota speciale ove sarebbero riferite con mag- giori particolari e con dati più precisi. Più rapide e più nocive sono le variazioni del volume dell’aria dovute ad azioni chimiche. In varî ludioni immersi nel petrolio d'origine apparen- temente americana, tali variazioni erano sensibili in pochi minuti, in pochi giorni era assorbito tutto l’ ossigeno (a giudicarne dalla diminuzione di volume) e poscia spariva lentamente anche l'azoto, probabilmente per diffusione verso l'esterno, per effetto della sua maggior densità rispetto a quello atmosferico. Questi assorbimenti si produssero anche con petrolio lungamente e fortemente sciacquato entro una bottiglia in modo che potesse assorbire l'aria con cui veniva molto intimamente mescolato; si produssero altresì con petrolio privo delle parti più volatili e bollente a 220°. Si possono evitare entrambe le cause d'errore ora indicate, interponendo fra l’aria ed il liquido del recipiente una colonna di mercurio, usando a tale scopo un iudione avente la forma d' un minuscolo barometro Gay-Lusac, alto pochi centimetri, ma formato di tubi larghi almeno 2 cm. riuniti al solito con un tubo quasi capillare. Versando nel ramo aperto un po’ di mercurio ed esercitandovi una leggera aspirazione per far uscire un po’ d’aria dal ramo chiuso, si ottiene che il mercurio penetri in parte nel ramo chiuso e termini nella parte larga di entrambi i rami. Se il tubo di comunicazione è capil- lare ed ha nel mezzo un rubinetto col quale s' interrompe la comunicazione, ed inoltre si chiude con un tappo il ramo aperto, per non perdere niente mercurio, il ludione potrà essere trasportato in viaggio e le sue indicazioni saranno sempre paragonabili. Esso così in congiunzione con un manometro ad acqua costituisce un barometro assai più facilmente trasportabile e assai meno fragile degli ordinarî barometri a mercurio. Un altro modo di evitare il lento assorbimento dell’aria del ludione, non così efficace e sicuro come il precedente, ma che non richiede l'uso del mercurio, consiste nell’ affilare l’ estremità inferiore ed aperta della campa- nella che funziona da ludione e farla terminare con un tubo capillare piut- tosto lungo (ma ricurvo ad elica per economia di spazio e di liquido) il quale rallenta pressochè indefinitamente la diffusione per sè lentissima del- l'aria verso l'esterno, e questo scopo sarà raggiunto anche meglio se, allor- quando non si adopera il ludione lo si tiene sollevato in modo che il livello del liquido nel suo interno coincida con quello nel recipiente. Inoltre, per dimi- nuire la quantità d’aria che può sciogliersi nel liquido, allorchè la tempe- ratura decresce, e svilupparsi se la temperatura cresce, gioverà che la quan- tità di liquido nel bulbo, al disopra del tubo capillare suddetto, sia tanto piccola quanto è possibile senza che la sua superficie libera giunga al tubo capillare. Così se il bulbo fosse cilindrico, colla base inferiore, ove è saldato il tubo capillare, quasi piana, se l'altezza della colonna d'aria ivi conte- nuta fosse di 30 mm., e se lo spessore dello stato liquido fosse invece di 1 mm., tutta l’aria in esso contenuta sviluppandosi non produrrebbe che un 59%: D MppI i A Sor £ So ! aumento di circa 100 30 del volume iniziale dell’aria, ossia una variazione di a 6,7 mgr. per 10 em? d'aria, e quindi si può ammettere che le variazioni possibili dovute alla causa suddetta siano abbastanza piccole. Se il tubo capillare è sufficientemente lungo ed a pareti alquanto spesse, il volume di queste può servire per compensare, nel modo sopra indicato, gli effetti delle variazioni di temperatura; per economia di spazio e di li- quido, e perchè si stabilisca rapidamente e sicuramente l'uniformità di tem- peratura dell'aria, del vetro e del liquido, è utile che esso tubo sia ripiegato ad elica che circondi la campanella, quasi a contatto con essa, e colle spire pure vicine ma che non si tocchino. Una forma di ludione meno soddisfacente ma di facile costruzione e che ho usato spesso, consiste in una campanella, o tubo d'assaggio capovolto, munito alla sommità di un uncino per legarvi il filo di sospensione, nella quale è introdotto e ne occupa la parte inferiore un tubo zavorrato, chiuso alle due estremità, lungo circa */, della campanella e di diametro tale che vi penetri facilmente, ma lasciando poco intervallo fra le pareti. S'im- pedisce a questo tubo di cadere, per mezzo di laminette di mica introdotte nell’ intervallo suddetto, le quali fanno da molla e sono alla lor volta trat- tenute dall’orlo della campanella piegato verso l' interno ; oppure si può usare un filo di seta legato diametralmente all'orlo stesso, che in questo caso deve essere piegato verso l'esterno. Questo tubo avente un volume circa triplo di quello dell’aria che occupa la sommità della campanella, serve per la compensazione termica, ma presenta l’ inconveniente che trovandosi nel liquido ad una profondità maggiore di quella dell’aria, la sua temperatura può essere un po' minore, non si può essere del tutto sicuri che l'agitazione del liquido abbia annullato tale differenza di temperatura, ed inoltre questa tende continuamente a riprodursi. Per rimediare in gran parte a questo inconveniente ho fatto uso di cam- panelle che avevo strozzato e chiuso al terzo superiore della loro lunghezza e contenenti alla parte inferiore un tubo che occupava circa la metà dello spazio residuo; in tal modo il volume del vetro per la compensazione trovavasi parte al di sopra dell’aria del ludione e parte al disotto, ed era probabile che la temperatura dell’aria fosse uguale a quella media del vetro e del liquido. Credo però che il modo migliore per ottenere la compensazione termica sia quello di usare parecchi tubi di vetro sottile chiusi ad entrambe le estremità, aventi la sezione complessiva circa tripla di quella della campa- nella, legati attorno e parallellamente a questa; così il vetro e l'aria tro- vandosi alla stessa profondità e adiacenti, avranno certamente la stessa tem- peratura; questa disposizione serve anche pei ludioni con mercurio. Per ottenere esattamente la compensazione termica non mi pare con- veniente servirsi della formula, determinando esattamente le varie costanti che ne fanno parte; ritenni invece preferibile servirmene con dati approssi- IARG mativi per calcolare quale fosse all'incirca il rapporto fra i volumi del vetro e dell’aria, e poscia costruito il ludione secondo questi dati, determinai la variazione del suo peso apparente prodotto da una nota variazione della tem- peratura, collocando a tal uopo il recipiente col ludione nel ghiaccio ed in un bagno alla temperatura ambiente. Dedottane la lieve correzione per la tem- peratura, sì può servirsi di essa lasciando il ludione immutato, o modificare il volume dell’aria o quello del vetro in modo da ottenere una compensazione più esatta. Se il ludione è senza mercurio e terminante con un tubo capil- lare, è più comodo a tal uopo diminuire progressivamente il volume dell’ aria diminuendo la pressione nel recipiente e facendo uscire dal ludione un nu- mero conveniente di bolle ('), altrimenti sarà più comodo modificare il vo- lume del vetro aggiungendo qualche tubetto o accorciando quelli che già vi sono. Per dedurre le variazioni della pressione atmosferica dalle variazioni del peso apparente del ludione, si può determinare il peso apparente del ludione senz’ aria, oppure equilibrarlo con tara; introdotta poi l’aria, il peso occorrente per ristabilire l’ equilibrio sarà uguale al peso del liquido da essa spostato e potrà misurarne il volume e se P, P' sono questi pesi alle pres- IR ) epr o P—_P' sioni ‘Hi ed ‘H ‘avremo. PH —‘(ESHiesH =pdb H og pe 156 Però, e specialmente se il ludione contiene mercurio, torna più comodo graduare lo strumento pesando il ludione a due o più diverse profondità h ed h' ecc.; in tal modo avremo le variazioni di peso corrispondenti alle variazioni di pressione 495, Rd. Si potranno costruire due cavalieri da col- locarsi sui due bracci della bilancia secondo che la pressione è maggiore o minore della media, ed osservando la posizione del cavaliere necessaria per l'equilibrio, si potrà leggere direttamente il valore della pressione atmosfe- rica, sul braccio della bilancia, opportunamente diviso col processo ora in- dicato. Se il ludione ha la forma d’areometro, si potranno produrre rarefa- zioni 0 compressioni misurate con un manometro ad acqua, ed osservare di (!) Il volume delle bolle gazose che si svolgono in seno ad un liquido da uno stretto orifizio segue una legge identica alla legge di Tate che dà il peso ed il volume delle goccie che cadono da uno stretto orifizio; quando la bolla sta per istaccarsi, la spinta che subisce quella parte di essa che sta al disopra della linea di strozzamento è uguale alla tensione superficiale lungo essa linea e se v è il volume, 277 il perimetro, pg la tensione superficiale, ) la densità del liquido, sarà v) = 21rg, v ed r sono poco diversi dal vo- lume della bolla dopo staccata e dal raggio dell’orifizio, e quindi noto 9 potremo calco- lare v e determinare quante bolle occorrono per avere un volume desiderato. Ho tentato in tal modo, usando orifizi in parete sottile, di determinare la ten- sione superficiale dei liquidi; come col metodo delle goccie cadenti se l’efflusso è, come dovrebbe essere, lentissimo i valori di riescono minori del vero valore, se l’efflusso è moderato la bolla continua a gonfiarsi mentre si stacca e si hanno valori più prossimi al vero, se l’efflusso è rapido si hanno valori maggiori del vero. re quanto l’areometro emerge o s' immerge e così graduare il tubo o verificarne la graduazione. I liquidi più convenienti per immegervi il ludione sono quelli che non hanno tensione di vapore sensibile, come p. es. la nitrobenzina e la chinolina, ed è utile altresì che il loro coefficiente di dilatazione sia grande perchè così occorre un minor volume di vetro per ottenere la compensazione termica. Sarebbe possibile costruire un ludione di platino immerso nel mercurio, ma per l'equilibrio per ogni cm3 d'aria occorrerebbero 36 gr. di platino ed inoltre occorrerebbe una bolla di vetro sottile di circa 20 cm8 ripiena di mercurio per ottenere la compensazione termica. Lo spazio concesso alla presente Nota non mi consente di descrivere le esperienze eseguite con questi barometri, le quali d'altronde non sono ulti- mate. Le esperienze più antiche che durano da parecchi mesi furono eseguite coi liquidi che avevo prima a mia disposizione, acqua, petrolio, xilolo ece., che presentano molti inconvenienti, e con apparecchi imperfetti. Le esperienze eseguite con apparecchi più perfezionati e colla chinolina, durarono solo 15 giorni durante i quali la massa dell’aria del ludione rimase invariata. Questi barometri saranno osservati dopo un intervallo di molti mesi, a temperatura costantemente molto diversa, e sarà possibile constatare se la variazione della quantità d’aria è sensibile. Tuttavia una prova dell’esattezza del metodo risulta dalle determina- zioni del valore assoluto della pressione eseguite determinando il peso appa- rente del ludione a due diverse profondità e che saranno descritte in una prossima Nota. Patologia. — L'azione dei farmaci antiperiodici sul parassita della malaria. Contributo allo studio delle perniciose ('). V. Nota dei dott. D. Lo Monaco e L. PaNICHI, presentata dal Socio LUCIANI. I trattatisti della malaria ammettono nell'uomo per lo meno tre specie di parassiti. Le prime due (quelle della terzana e quartana comune o prima- verile) non danno mai forme d'infezione gravi, mentre la terza è straordi- nariamente virulenta, e può con abbastanza frequenza produrre il così detto « stato di perniciosità », Per febbri perniciose infatti s'intendono quei casi d'infezione in cui un sintoma della più alta gravità domina tutti gli altri sintomi, e mette in pericolo la vita del paziente. Conseguentemente la clas- sificazione delle febbri perniciose sì basa in special modo sul sintoma culmi- nante che si presenta nel decorso della malattia. Negli ospedali di Roma le perniciose più frequenti che si osservano sono quelle comatose, ma non di (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia di Roma. RenpICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. Si ica rado capitano anche casi di perniciose deliranti, convulsivanti, emiplegiche, algide, coleriformi, emorragiche, ecc. La temperatura ora si mantiene sempre alta con scarse e piccole remit- tenze, ora è normale o inferiore alla normale, mentre contemporaneamente i sintomi della perniciosità, che si rendono evidenti sempre dopo uno o più accessi febbrili, continuano o si aggravano. In quanto poi all’esito dobbiamo notare che esso non sempre è letale; spesso infatti il coma o gli altri sintomi culminanti scompaiono, e l'ammalato s'avvia alla guarigione, sempre coadiu- vata dalla somministrazione del rimedio specifico. Particolarità degne di nota offre il modo col quale sono distribuiti nel- l'organismo i parassiti nei casi di perniciosa. Se il preparato microscopico è stato fatto con sangue tratto dal dito, si riscontrano forme parassitarie della 1° e della 2° fase di sviluppo e quasi mai forme della 3* fase o di segmen- tazione, e allora il reperto parassitario qualche volta è scarso o anche nega- tivo, ma per lo più è straordinariamente abbondante. Risultati diversi sì hanno invece qnando il sangue proviene o dalla puntura della milza prati- cata in vivo, o post mortem dagli organi (milza, midolla delle ossa, cervello). in questi preparati sorprende il numero grandissimo di globuli parassitiferi che si rinvengono, contenenti forme di tutte le fasi di sviluppo, ma special- mente della terza fase o di segmentazione. Con l'esame del sangue negli organi, scompare quindi la contradizione trovata spesso in vita tra il numero delle forme parassitarie e la gravità della malattia (Bignami). Da tutti, oramai, infatti, è ammesso che nei morti di perniciosa il numero complessivo dei pasassiti nell'organismo è straordi- nariamente più grande di quello che si può calcolare nei malati di terzana estiva con decorrenza benigna. Pare quindi che mentre nei casi lievi esistono nell'organismo degli ostacoli contro la proliferazione e l'aumento del numero dei parassiti, nelle perniciose invece questi si moltiplicano e si ammassano negli organi, producendo anche lesioni meccaniche. Se dal lato clinico gli studi sulle febbri gravi sono molto progrediti, perchè basati su fatti ed osservazioni esattamente controllati, una grande disparità di opinioni regna sul modo con cui si cerca di interpretare la pa- togenesi del così detto « stato di perniciosità ». Baccelli ritiene « che a Roma le febbri in estate assumono maggior gravità forse perchè i parassiti malarici in determinate condizioni autoctone anche d'inverno e di primavera possono assumere maggior virulenza, la quale può essere additata, ma non provata dal solo argomento morfologico del pa- rassita. Egli nota che il parassita malarico produce un’emodiscrasia morfo- logica, che consiste nella distruzione degli eritrociti per la presenza del pa- rassita che vive a spese di essi e che porta all’ ipoglobulia e all'anemia; e un'emodiscrasia chimica causata dallo spandersi nel plasma delle spore e dei loro prodotti tossici e che colpisce il sistema nervoso ». 22.]9 S Golgi ammette con Baccelli che la nosogenia della malaria è essen- zialmente e unicamente di natura chimica, ma dal fatto che spesso nei per- niciosi la chinina non riesce nè ad impedire l'accesso, nè a far argine alla nuova invasione di parassiti giovani, egli inclina ad ammettere una possibile esistenza di altre speciali condizioni, forse in parte anatomiche (sviluppo dei parassiti nei leucociti e negli elementi dei tessuti), che finora si sono sottratte alle nostre indagini, e per le quali i parassiti delle febbri estive per avven- tura si trovino più o meno al coperto dall'azione dello specifico farmaco antimalarico. Marchiafava e Bignami spiegano il carattere pernicioso con le pro- prietà biologiche dei parassiti delle febbri estive, e tra queste proprietà mettono in prima linea la maggiore attività di proliferazione e la grande tossicità di essi. La prima proprietà si può dedurre dall'enorme mumero di globuli rossi parassitiferi che si trovano nei capillari di alcuni organi, la se- conda del modo come gli eritrociti vengono nelle febbri estive rapidamente alterati. Anche questi autori ammettono una tossina che si mette in circolo nell'atto della segmentazione dei parassiti e che causa la febbre e le alte- razioni nei tessuti degli organi. Il coma però che così frequentemente si presenta nelle perniciose è, secondo loro, dipendente dalla maggiore resistenza alla circolazione che presentano i globuli rossi parassitiferi invece di quelli normali, per la qual ragione, rallentandosi il circolo nei vasi capillari, essi sono origine di stasi la quale produrrebbe aumento nella tensione cerebrale, iperemia della sostanza grigia, apoplessie capillari, ecc. ecc. Sostengono così per la spiegazione dei sintomi nervosi una teoria meccanica respingendo quella tossica, pur non negando nei parassiti la proprietà della produzione di sostanze virulenti. Anche noi abbiamo voluto affrontare quest’ardua questione, usufruendo del fenomeno che presentano in vitro i parassiti malarici: quello cioè di distaccarsi dal globulo rosso quando vengono in contatto con soluzioni di chinina di concentrazione idonea allo scopo. Nella terza e quarta nota dimostrammo che, qualora si voglia assi- stere al fenomeno su descritto, adoperando i parassiti delle febbri estivo- autunnali, occorre concentrare o diluire le soluzioni di chinina a seconda che sì agisca su quelli della prima o della seconda fase di sviluppo, e a seconda del periodo del ciclo febbrile in cui essi vengono presi in esame. Mentre il grado di resistenza alla chinina dei parassiti appartenenti alla prima fase di sviluppo è altissimo in tutto il decorso dell’ infezione, e corrisponde, se- condo i nostri calcoli approssimativi, all’azione che-eserciterebbero gr. 12-15 di chinina circolanti nel sangue; le altre forme parassitarie dentro le quali si osservano granuli di pigmento riuniti delle volte in piccole masse alla periferia e talora al centro (2* fase di sviluppo) hanno una resistenza alla chinina variabile: alta cioè durante l’'apiressia, e talmente bassa du- rante l'accesso febbrile da potere essere combattuta con dosi medicinali di chinina. Questi fenomeni vanno d'accordo con le leggi cliniche le quali ci inse- gnano che mai si riesce con una sola dose di chinina a troncare le febbri estivo-autunnali. Occorre sempre che l’ alcaloide venga generosamente per più giorni continui somministrato, perchè se ne abbiano dei vantaggi. Con la prima dose infatti, secondo le nostre ricerche, si mettono fuori combattimento le forme della seconda fase, impedendo così che passino alla terza fase o fase di segmentazione; e con il ripetere della dose nei giorni susseguenti si uc- cidono le altre che, a causa della loro grande resistenza, avevano potuto eludere l’azione dell'agente specifico. Notammo poi in fine della pubblicazione sopra citata che in un caso nel quale si era ritardata la somministrazione della chinina, in coincidenza con il sopravvenire dei sintomi perniciosi, durante il quale stadio la temperatura rimase sempre alta, le forme parassitarie della seconda fase di sviluppo non si staccavano dal globulo rosso se non adoperando soluzioni di bisolfato di chinina all’1 per 200. Questo medesimo fenomeno abbiamo riscontrato nei parassiti di perniciosi che nella passata stagione estiva sì sono presentati in non lieve numero nel- l'Ospedale di S. Spirito di Roma. Questi ammalati gravi di malaria da noi presi in esame, in base ai risultati che abbiamo ottenuto, seguendo in essi a brevi intervalli la resistenza dei parassiti alla chinina, sì possono dividere in due classi. Nella prima comprendiamo quei casì in cui l'esito fu letale, quantunque gli ammalati abbiano ricevuto dosi considerevoli di chinina. In essi si osservava costantemente che i parassiti sia della 1 che della 2* fase di sviluppo, sino al sopravvenire della morte, presentavano il grado massimo, già notato, di resistenza alla chinina. Negli altri perniciosi invece la resi- stenza dei parassiti alla chinina rimaneva alta solamente finchè i sintomi gravi non sparivano; si abbassava cioè appena lo stato generale dell’amma- lato migliorava. Delle volte anzi il grado di resistenza dei parassiti allà chinina cominciava a dare valori più bassi, molte ore prima che i sintomi gravi si affievolissero. Siamo così talora riusciti a fare una prognosi fausta, quando ancora nessun sintoma clinico permetteva di farla. Nei casi di perniciosa i medici non risparmiano la chinina. Questa buona norma clinica da noi è stata sempre rispettata; rammentiamo anzi che in un caso di perniciosa gravissimo finito poi con la guarigione, abbiamo som- ministrato in 48 ore 12 grammi di chinina quasi tutti per iniezione sotto- cutanea, senza riscontrare in quell’ammalato alcun sintomo di avvelenamento. Può darsi che nei perniciosi esista una maggiore tolleranza alla chinina che non negli altri malarici con infezione più lieve o negli individui normali; ma dall'unica esperienza riportata non ci crediamo autorizzati a consigliare in casi gravi simili dosi di alcaloide. Certamente se queste si potessero spingere impunemente sino a 10-12 gr. al giorno, noi dovremmo sempre o ge ottenere la guarigione dei malarici, anche nei casi in cui i parassiti non cambiano mai la loro virulenza. Si avrebbe così la conferma di quanto ab- biamo già osservato nella terzana primaverile, dove si riesce a produrre la guarigione dando la chinina quando i parassiti hanno la massima virulenza, e della teoria la quale sostiene che l’azione della chinina si esplica diret- tamente sui parassiti, impedendo il loro ulteriore sviluppo; sia uccidendoli, secondo le nostre ricerche, mentre sono attaccati al globulo rosso (quando la quantità di alcaloide che agisce è forte), sia liberandoli dall’ eritrocito e fa- cendoli cadere nel plasma dove pare finiscono con l'essere inglobati dai fa- gociti (quando la quantità di alcaloide è meno forte). Come, quando trattammo delle febbri estivo-autunnali e delle febbri primaverili, si ammise che il diminuire della resistenza dei parassiti all’ azione della chinina durante lo stato pirettico, ci rivelava la produzione e la pre- senza nell'organismo di sostanze antiparàssitarie, così l'aver trovata sempre alta la resistenzà dei parassiti alla chinina nei perniciosi, c’ induce a ritenere che in questi, cioè nel grado più grave dell’ infezione malarica, le sostanze antiparassitarie o sono scarse e quindi non dimostrabili col nostro metodo di ricerca, o la loro produzione si è arrestata. Dai risultati ottenuti con queste e con le antecedenti ricerche, l’ inter- pretazione delle particolarità del decorso evolutivo della malaria e delle malattie d’ infezione in genere riceve nuova Ince? Le leggi che governano le reazioni morbose nelle malattie infettive oscurano sempre e notevolmente la semplicità apparente delle leggi etiologiche, poichè le cause che intervengono per imprimere alla malattia d' infezione una fisonomia tanto variabile, sono molteplici. Accrescimento, diminuzione, mo- dificazione della virulenza: ecco la formola usuale che si applica per spie- gare il diverso andamento negli ammalati di una stessa malattia infettiva, quando in essi non possono mettersi in considerazione altri fattori, come p. es. l'influenza dell'età, delle malattie precedenti, dell' alimentazione ecc. Come non tutti gl’ individui che prendono una medesima infezione sono condannati a morire, così pure avviene sperimentalmente quando a una gran quantità di animali s' inietta una cultura di batteri patogeni. Si osserverà in questo caso che qualcuno di essi, senza alcuna causa apprezzabile, supera l'infezione o addirittura non mostra di essere stato danneggiato. Siamo così ancora in presenza di una serie di problemi che non sono vicini ad essere risoluti. Pur nondimeno, quantunque in un individuo che ha contratta un'infezione, non si possa in alcun modo seguire passo per passo la lotta che il bacillo ingaggia con l'organismo che ha attaccato, dallo studio delle malattie prodotte sperimentalmente negli animali e dall' osservazione del modo con cui si sviluppano le culture degli agenti patogeni, è stata costruita la dottrina colla quale s’ interpretano i fenomeni dei vari periodi dell'infezione. RO ne Si ammette che se il virus è scarso in quantità, se i microbi sono poco numerosi, essi periscono nella lotta che devono sostenere per attecchire nel- l'organismo invaso. Lo stesso accade se gli umori normali dell’organismo hanno proprietà virulenti contro la specie di microbi che sono riusciti ad entrare nei tessuti dell’ individuo. Si ammette che se invece questo po- tere virulento è moderato, i parassiti lottano ma spariscono in parte, mentre gli altri sopravvissuti possono continuare a svilupparsi e a produrre disordini morbosi, quando il numero di essi è diventato sufficiente. Si ammette che in questo periodo latente o d’ incubazione, corrisponde, come Massart e Bordet credono, un combattimento tra i microbi e i fagociti. Si ammette in fine che continuando e la loro pullulazione e il loro funzionamento, i microbi rendono l’intossicazione o l' infezione progressivamente più intensa, fino all’ ora in cui la morte sopravviene a dispetto degli sforzi tentati dall’ organismo per evitare questo disastro. A questo quadro legato insieme in molte sue parti da semplici ipotesi e ragionamenti e mai da osservazioni direttamente eseguite sugli agenti mor- bigeni degli ammalati, noi ne faremo seguire un altro costruito sull'osserva- zione che giorno per giorno, ora per ora, mercè il nostro metodo di ricerca, ci mostra in tutte le sue fasi la lotta che i parassiti della malaria (agenti patogeni di questa malattia i quali pur non appartenendo alla classe dei batteri delle comuni malattie infettive, hanno con essi molti punti di con- tatto), ingaggiano con l'organismo umano. Nella malaria l'agente patogeno è un emosporidio (sottordine della classe dei protozoi), il quale entra, secondo le nuove ricerche sull’etiologia di questa malattia, nell'organismo umano per mezzo delle punture di speciali zanzare dette anofeli. Ciò è stato in modo evidente provato con esperienze eseguite da Grassi, Bignami e Bastianelli, i quali facendo pungere uomini sani, che mai ave- vano sofferto di malaria, da anofeli infetti, hanno osservato in questi indi- vidui, dopo 12-19 giorni in media, l'elevazione febbrile e la presenza dei parassiti nel sangue. Da queste esperienze si deduce che nella malaria, come in tutte le malattie infettive, vi ha uno stadio d’incubazione di una durata quasi eguale a quella che si osserva negli altri casi di malaria artificiale, ottenuta con iniezione di sangue preso da un individuo affetto da infezione palustre a un altro individuo sano. Però durante l' incubazione, cioè durante il periodo che va dall’iniezione del sangue malarico o dalla puntura degli anofeli infetti alla seconda o terza elevazione febbrile, non si rinvengono nel sangue dell'individuo infettato i parassiti. L'unico sintoma, che ci dà in- dizio dello svolgersi dell'infezione, è la muova proprietà che acquista il siero dell'individuo, che ha ricevuto l'iniezione di sangue malarico, di a9- glutinare i globuli rossi dell'uomo normale. Questo nuovo fenomeno, da noi descritto in un'altra Nota, si ottiene sempre in modo evidente, sia facendo i preparati microscopici per schiacciamento, sia facendoli in goccia pendente. Esso comincia dopo pochi giorni dall'iniezione del sangue malarico, e la ca- pacità agglutinante aumenta mano mano, finchè raggiunge un massimo con lo scoppiare della febbre e con la comparsa dei parassiti. L'assenza però dei parassiti nel sangue c impedisce di dimostrare in che modo e dove, du- rante l’incubazione, essi trovano il terreno adatto alla loro moltiplicazione, se e come l'organismo li combatte. Certo si è, che in questa lotta vince sempre il parassita, poichè mai finora sono stati notati casi in cui l'inocu- lazione artificiale del virus malarico non abbia prodotta l'infezione. D'altra parte sono state raccolte da Celli le storie di individui assolutamente im- muni dalla malaria, ad onta che essi vivano da anni in siti fortemente in- fetti senza riguardi, fatichino enormemente, mangino male, dormano spesso in palude all'aperto e in modo da essere punti continuamente dalle zanzare. Se però questi fortunati individui possano superare impunemente l' iniezione di sangue malarico, ciò che dimostrerebbe in modo evidente la loro immu- nità naturale, noi non sappiamo. “ Appena in un caso di malaria artificiale il reperto parassitario del sangue diventa positivo, saggiando la resistenza degli emosporidi alla chinina. noi ne deduciamo il loro grado di virulenza, e possiamo seguire le fasi di questa durante il decorso della malattia. Osserveremo allora che la virulenza dei parassiti non aumenta coll’'inoltrarsi dell'infezione; essa invece si trova già alla sua massima altezza, la quale può essere mantenuta a quel livello per parecchio tempo, ma mai superata. Se poi la virulenza dei parassiti si mette in rapporto con i vari tipi febbrili della malaria a cui corrispondono difte- renti specie di parassiti, dobbiamo dedurre la seguente legge che la vim- lenza di questi è relativamente bassa nella terzana primaverile, più alta nella quartana primaverile e più alta ancora nelle febbri estivo-autunnali. L'organismo durante l'infezione non resta inerte, ma lotta energicamente contro i parassiti, e di questa lotta abbiamo la prova evidente nella varia- bile virulenza che essi presentano durante il ciclo febbrile. Sono le sostanze antiparassitarie le quali, messe in circolo dall'organismo durante l’accesso febbrile, che riescono ad attenuare la virulenza degli agenti patogeni, e con molta probabilità ne impediscono in parte la prolificazione. Difficile sarebbe per ora poter dare la spiegazione del meccanismo d'azione delle sostanze antiparassitarie. Agiscono esse solo contro ì parassiti, o contro questi e contro sostanze di azione opposta contemporaneamente cir- colanti nel sangue? Modificando convenientemente il nostro metodo di ricerca, noi istitui- remo delle esperienze allo scopo di dimostrare se, oltre alle sostanze antipa- rassitarie nella infezione malarica, avvenga anche produzione di sostanze tossiche. Solo nel caso che queste esperienze riuscissero affermative, sì po- trebbe ammettere che le sostanze antiparassitarie si rendono evidenti durante SEGUE l'accesso febbrile, perchè in quel periodo ne circolano in maggiore quantità, mentre nell’apiressia sarebbero in prevalenza le sostanze di azione opposta. I malarici con o senza l’aiuto del rimedio specifico possono guarire. In questi casi la virulenza dei parassiti tanto nell'accesso febbrile che nello stato apirettico va mano mano diminuendo; la qual cosa indica una mag- giore produzione di sostanze antiparassitarie che porta come conseguenza una maggiore attenuazione dei parassiti. Non sì riesce però a seguire le ultimis- sime fasi della virulenza dei parassiti; perchè questi negli ultimi accessi febbrili diminuiscono in tal misura, che riesce difficile trovarne nei preparati microscopici. Ci resta ora ad esaminare il caso in cui l'infezione, pur essendo combat- tuta dal rimedio specifico, finisce con la morte dell'individuo. Come abbiamo detto, ciò si avvera nei perniciosi dove insieme all’insorgere dei sintomi gravi, si osserva che la virulenza dei parassiti si mantiene sempre alta, senza presentare le oscillazioni già notate nei casi benigni, a causa dell’as- senza di produzione di sostanze antiparassitarie che alla loro volta portano come conseguenza la libera proliferazione degli agenti patogeni. Pare quindi che l'organismo in questo caso più non reagisca; esso è rimasto vinto nella lotta che sosteneva contro i parassiti. Dobbiamo però ritenerlo in quel periodo assolutamente passivo, e spie- gare il suo annientamento con le azioni meccaniche che i numerosi parassiti possono produrre nei vari organi, od oltre a queste cause deleterie dobbiamo aggiungere l'influenza di sostanze tossiche che nello stadio pernicioso sì trovano in prevalenza? Come si è detto, su questa quistione non possediamo dati sperimentali; ma, dal fatto osservato che i sintomi perniciosi dopo un periodo più o meno lungo possono scomparire, e i parassiti diminuire di nu- mero e di virulenza, ci pare più verosimile l’ammettere che la presenza e la produzione di sostanze antiparassitarie sia continua, e che solo in date circostanze esse non si trovino in tale quantità da neutralizzare quelle di azione opposta. È in base ai vari accidenti della lotta tra sostanze tossiche e antitossiche che il variabile decorso della malaria, e crediamo anche di tutte le altre infezioni microbiche, può trovare la sua spiegazione. Riteniamo infatti che le remittenze febbrili più o meno accentuate che si notano quasi sempre nelle infezioni microbiche, siano indice della lotta continua che av- viene tra l'agente patogeno e l'organismo o, per meglio dire, tra le sostanze prodotte dal primo e quelle prodotte dall'altro. Ulteriori studi sulle sostanze antiparassitarie ci permetteranno forse di ritornare su questo ar- gomento. o) na Parassitologia. — Sulla infezione micetozoica della cornea comparata colla infezione vaccinica della stessa. Seconda Nota pre- ventiva del dott. C. GorINI, presentata dal Socio CREMONA. Gli studî comparativi fra i focolai vaccinici e plasmodioforici corneali (!) mi hanno suggerito un'ipotesi sulla struttura delle inclusioni vacciniche, che credo opportuno di svolgere in questa Nota, avvertendo che, delle necessarie figure illustrative, alcune si trovano già comprese nelle tavole che stanno annesse ad una mia precedente memoria (?) e le altre saranno allegate al prossimo lavoro in esteso. In alcuni dei miei preparati di focolaj vaccinici corneali la periferia della zona chiara (cosidetto « alone ») circondante i citoryctes, si presenta distintamente limitata da un anello colorato vuoi in totalità vuoi con qualche interruzione (Tav. II della citata memoria, fig. 5, corpi c, A, 9g, 1 ed altri). Partendo dal concetto che la zona chiara rappresenti la nicchia scavata dal parassita in seno al citoplasma (Guarnieri), oppure, talora, in seno al nucleo epiteliale (3), è mestieri ammettere che la colorazione perife- rica di detta zona sia da attribuire ad un addensamento del citoplasma 0 a residui di nucleo epiteliale attorno alla nicchia. Ora invece, in base al- l'osservazione dei preparati micetozoici, mi sembra lecito supporre che il presumibile parassita del vaccino possa essere, almeno in qualche stadio del suo sviluppo, rappresentato non dal citoryctes per sè solo, ma dal citoryetes + la zona chiara che lo attornia. In altre parole, la zona chiara non sarebbe una nicchia scavata dal citoryetes, ma apparterrebbe al citoryctes stesso, come parte integrante del parassita. In base a ciò, l'anello colorato perizonale starebbe ad indicare la pa- rete esterna del parassita. Questa supposizione è avvalorata dalla circostanza che nei miei preparati la colorazione periferica della zona apparisce anche quando il citoryetes si trova entro uno spazio chiaro perinucleare (vedi i corpi suindicati della tav. II); in tal caso non parmi possibile interpretare la zona chiara pericitorictica come una nicchia citoplasmatica, poichè di (1) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Vol. IX, 2° sem., serie 5°, fasc. 10°. Seduta del 18 novembre 1900. (2) Sulle inclusioni cellulari nei focolaj vaccinici corneali. — Rapporti fra corpi eatranucleari (citoryctes) e corpi endonucleari. — Seconda nota preventiva, presentata alla R. Accademia dei Lincei il 1° luglio 1900 (Vol. IX, 2° sem., serie 5°, fasc. 7° dei Rendiconti dell’Accademia) e ripubblicata separatamente con due tavole litografiche (Pavia, tip. Cooperativa, 1900). (3) Ibidem. RenDICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sim. 4 Sie citoplasma all’ intorno non se ne vede, e neppure come una nicchia nucleare, poichè l'anello colorato perizonale appare distinto dal nucleo epiteliale; ma sì è guidati invece a ritenere che e l'anello colorato periferico e il citoryctes appartengano, insieme colla zona chiara, ad un medesimo corpo. In favore di questa ipotesi parlerebbero anche i seguenti due fatti: la sproporzione che bene spesso osservasi fra il volume del citoryctes e l’am- piezza della zona chiara circostante (citoryetes grandi circondati da una zona chiara molto stretta; citoryetes puntiformi in mezzo ad una zona chiara assai larga), e la corrispondenza che per lo più esiste fra la forma della nicchia e quella del citoryctes, perfino quando questo si presenta foggiato a biscotto, ad albero, a pera, a battocchio, etc. Entrambi questi fatti si spiegano meglio ammettendo che la zona chiara sia qualcosa di annesso e connesso col citoryetes, anzichè una nicchia scavata dal citoryctes stesso. Inoltre, data la suddetta ipotesi, io ho trovato di poter rispondere ad una serie di quesiti che, nel corso delle mie numerose ricerche sui focolaj vaccinici corneali, ebbi occasione di rivolgermi, e che per me costituiscono altrettante obbiezioni alla natura parassitaria dei citoryctes, intesi nel senso indicato primamente da Guarnieri, che cioè essi siano parassiti i quali si scavano una nicchia nel citoplasma delle cellule epiteliali, deformando e sospin- gendo il nucleo delle stesse. Ecco alcuni dei quesiti propostimi: 1. Perchè in generale la depressione del nucleo epiteliale non è pro- porzionata al volume del citoryetes corrispondente, ma è maggiore di questo ed è invece proporzionata all’alone del citoryctes? 2. Perchè in alcusi casi in cui la zona chiara ha una forma alquanto diversa da quella del citoryctes, la forma della nicchia presentata dal nucleo epiteliale corrisponde piuttosto alla forma della zona anzichè a quella del cito- ryctes? 3. Come va che la depressione del nucleo epiteliale sussiste anche quando il citorycetes si trova non contiguo al nucleo, ma allontanato e talora molto allontanato dal medesimo, coll’intermezzo della zona chiara? (!) 4. Come si spiega che nuclei epiteliali, pur mostrandosi profonda- mente infossati da uno, due, e talvolta più citoryctes, non presentino nè ad- densamento della loro sostanza (la quale si mostra di struttura normale e manda tramezze talora esilissime fra un citoryetes e l’altro), nè spostamento nè altra deformazione oltre quella legata alla presenza delle nicchie, cosicchè i nuclei sembrano piuttosto erosi, scavati, mancanti in corrispondenza delle nicchie anzichè depressi, compressi e sospinti dai citoryctes? Orbene, tutti questi fatti nonchè altri di indole meno generale che, a mia veduta, condurrebbero piuttosto a ravvisare nei citoryctes la manifesta- (1) Gorini. Sulle inclusioni cellulari nell’'innesto vaccinico della cornea e sui loro rapporti colle inclusioni cellulari nei tumori maligni. — Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Vol. IX, 1° sem., serie 52, fasc. 7°. Seduta del 1° aprile 1900. 0 gd zione di un'alterazione nucleare, potrebbero invece spiegarsi anche colla teoria parassitaria, qualora si ammettesse l'ipotesi suesposta, che i citoryctes non rappresentino di per sè soli il parassita, ma questo, in una fase del suo sviluppo, sia costituito dal citoryetes + la zona chiara che lo circonda. In tal caso, infatti, sarebbe ovvio comprendere: 4) come alcune nicchie dei nuclei epiteliali possano essere semplicemente apparenti, causate cioè dalla sovrapposizione dei parassiti parzialmente incolori ai nuclei stessi, i quali pertanto non devono apparire nè spostati, nè alterati, nè deformati nella por- zione scoperta visibile; 5) come le nicchie stesse, siano esse apparenti o reali, debbano corrispondere necessariamente per forma e per volume al supposto alone del citoryctes; c) come esse possano comparire anche quando il citoryetes trovasi lontano dal nucleo epiteliale. Infine, la suddetta ipotesi renderebbe più agevole di interpretare come forme parassitarie, e di collegare fra loro e coi citoryetes alonati, molte altre inclusioni cellulari che si incontrano nei focolaj vaccinici, quali ad esempio: a) citoryetes circondati da un mantello colorato al posto della zona chiara; 5) citoryetes ad astro, muniti cioè di raggi colorati che raggiungono la periferia della zona chiara; c) corpi rotondeggianti, completamente incolori, fuorchè talora lungo la periferia; questi corpi, stando al concetto di Guarnieri, potrebbero interpre- tarsi come nicchie abbandonate dai rispettivi citoryctes (v. tav. II, fig. 5, corpi a); d) corpi rotondeggianti, debolmente colorati, ora privi di qualunque granulazione, ora contenenti parecchie granulazioni disposte in modo vario; e parecchie altre forme a cui ho già accennato in una Nota precedente, ri- levandone la grande somiglianza colle inclusioni riscontrate nei tumori maligni ('). Riassumendo: a mio credere, l'ipotesi che la zona chiara circondante i citoryctes Guarnieri non sia una nicchia citoplasmatica o nucleare, ma faccia corpo col citoryctes stesso, mentre è sostenuta da alcuni dati di fatto, offre la chiave per spiegarne altri, anche colla teoria parassitaria, i quali altri- menti rimarrebbero oscuri e condurrebbero ad assegnare ai citoryetes una diversa interpretazione. Debbo però subito soggiungere che la suddetta ipotesi non esclude nem- meno la teoria nucleare, nel senso da me indicato in una Nota precedente (2), che cioè i citoryctes siano il prodotto di un'alterazione nucleare, la quale sarebbe caratterizzata essenzialmente dalla tendenza di una porzione di nucleo ad isolarsi sotto forma di corpiccioli endo- e poi extranucleari, capaci di accrescersi e di diventare il centro di forme similcellulari. (1) Ibidem. (2) V. la succitata seconda Nota preventiva. TOSORTAE Il Socio Luii LuzzattI fa una lettura avente per soggetto: Ze idee filosofiche e religiose di Carlo Darwin, sotto l’ influenza delle sue dottrine naturali. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio PATERNÒ, relatore, a nome anche del Socio CANNIZZARO, legge una Relazione sulla Memoria del prof. G. Oppo, intitolata: Eterificazione per mezzo dei sali inorganici, proponendo l'inserzione del lavoro negli Atti accademici. Il Socio TopARO, a nome anche del Socio GoLei, (relatore), legge una Relazione sulla Memoria del dott. G. MARENGHI, avente per titolo: Contri- buto alle conoscenze sulla fina organizzazione della Retina, proponendo l'inserzione del lavoro negli Atti accademici. Le conclusioni delle due Commissioni esaminatrici, poste partitamente ai voti dal Presidente, risultano approvate dalla Classe, salve le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il PRESIDENTE comunica alla Classe una lettera colla quale il prof. S. SCHWENDENER ringrazia l'Accademia per la sua nomina a Socio straniero. PRESENTAZIONE DI LIBRI . Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci RieHI, MILLOSEVICH, SCHWENDENER. CONCORSI A PREMI Il Segretario CERRUTI comunica alla Classe gli elenchi dei lavori pre- sentati per prender parte ai concorsi al premio Reale ed ai premi Ministe- riali, scaduti col 81 dicembre del 1900. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio di S. M. il Re per la Fisica. (Premio L. 10,000 — Scadenza 31 dicembre 1900) 1. Arnò Riccarpo. 1) Campo elettrico rotante e rotazioni dovute all'isteresi elettrostatica (st.). — 2) Sulla dissipazione di energia in un MIR e campo elettrico rotante e sulla isteresi elettrostatica (st.).. — 3) Ricerche quantitative sulla dissipazione di energia nei corpi dielettrici in un campo elettrico rotante (st... — 4 Esperienze con un sistema di condensatori a cotbente mobile (st... — 5) Sulla legge della dissipazione di energia nei dielettrici sotto l’azione di campi elettrici di debole intensità (st.). — 6) Sul ritardo della polarizzazione nei dielettrici (st... — ?) Sulla isteresi dielettrica viscosa (st... — 8) Wattometro elettrostatico per correnti alter- native ad alta tensione (st.). — 9) Rotazioni elettrostatiche prodotte per mezzo di differenze di potenziale alternative (st.). — 10) Rotazioni elettro- statiche nei gas rarefatti (st.). — 11) Apparecchi di misura e di controllo a campo elettrico rotante. Nota I (st.). — 12) /d. Nota II. (Apparecchio di sicurezza per sistemi trifasi) (st.). — 18) Id. Nota III. (Apparecchio di sicurezza per sistemi a corrente alternata semplice) (st.). — 14) Id. Nota IV. ( Voltometro a campo elettrico rotante per sistemi a corrente alternata semplice) (ms.). — 15) Sulla trasparenza della ebanite (st.).. — 10) La ra- diazione di Ròntgen con tubi di Hittorf ad idrogeno rarefatto (st.). — 17) Metodi e strumenti di misura per sistemi trifasi basati sopra speciali proprietà dei sistemi stessi: Nota I, II (st.), III (ms.). — 18) Fasometro delle tangenti (st.). — 19) Sulla taratura del fasometro delle tangenti (st.). — 20) Di una pratica disposizione del fasometro delle tangenti (st.).. — 21) Me- todo basato sulla descrizione del triangolo dei flussi magnetici (st.). — 22) Fasometro (st.). — 28) Fasoscopio elettrostatico (st.). — 24) Sull’im- piego dell’elettrometro a quadranti come strumento differenziale (st.). — 25) Una modificazione al metodo di Mascart per l’uso dell’elettrometro a quadranti (st... — 26) Un metodo per annullare gli effetti dell’induttanza nei circuiti percorsi da correnti alternative (st.). — 27) Taratura dei vol- tometri per correnti alternative (st.). — 28) Metodo di misura delle ca- pacità elettrostatiche (st.). — 29) Metodo di misura delle induttanze (st.) — 30) Metodo di misura della frequenza di una corrente alternativa sinu- soîdale (st... — 31) Un metodo semplice di avviamento dei motori elettrici a corrente alternata asincroni monofasi. Nota I, II (st.). — 32) Una mo- dificazione al metodo dell’autore per l'avviamento dei motori asineroni a corrente alternata semplice (st.). — 33) Sulla resistenza critica per l’av- viamento dei motori asincroni a corrente alternata semplice (st.). — 34) Un metodo per la determinazione sperimentale della resistenza dei motori asin- croni a campo Ferraris ed a corrente alternata semplice (st.). — 35) Un metodo semplice per la determinazione della resistenza di avviamento nei motori a campo Ferraris (st... — 36) Un motore a corrente alternata fun- zionante per il principio delle ripulsioni elettrodinamiche (st.). — 37) Al- cune considerazioni sulla trasformazione dei sistemi bifasi in trifasi (st.). — 38) Lavori che ebbero origine da pubblicazioni del prof. R. ArnÒ (st.). — 40) Album di fotografie di apparecchi ideati dal prof. R. ARNÒ (st.). 2. BatTELLI AncELO. 1) Misure assolute degli elementi del magne- lismo terrestre nella Sviszera (st.).. — 2) Misure per la costruzione della Carta magnetica della Svizzera. Note I, II, IMI (st.). — 3) Carta magne- tica della Svizzera (st.). — 4) Sullo stato della materia nel punto cri- tico (st... — 5) Densità dell'etere, del solfuro di carbonio e dell’alcool liquidi sotto le pressioni dei propri vapori saturi (st.). — 6) Sulle sca- riche oscillatorie. (in collab. con L. MAGRI) (ms.). — 7) Sulla legge di Boyle a basse pressioni (ms.). 8. CanoveTTI Cosimo. Determinazione della resistenza nell aerosta- sione e nell’ aviazione (ms.). 4. CanToNE MicHELE. 1) Sulla variazione di resistenza del ferro e del nichel nel campo magnetico (st.). — 2) Contributo allo studio delle variazioni di resistenza del nichel nel campo magnetico (st.). — 3) In- fluenza del magnetismo trasversale sulle variazioni di resistenza del ferro e del nichel magnetizzati longitudinalmente (st.). — 4) Influenza dei pro- cessi di deformazione sulle proprietà elastiche dei corpi. Flessione dell’ot- tone (st.).. — 5) Sull’attrito interno del nichel (st.). — 6) Sull’attrito in- terno dei metalli (st.). — 7) Sulle aree d’isteresi elastica (st.). — 8) Studio delle proprietà elastiche dei corpi fondato sull'uso contemporaneo dei me- todi statico e dinamico (st... — 9) Studi complementari sulla isteresi elastica dei metalli (st... — 10) Nuovi studi sulle proprietà elastiche dei metalli (st... — 11) Sulle proprietà elastiche dei metalli a diverse tempe- rature (st.). — 12) Influenza della torsione sul magnetismo del nichel (st.) — 13) Sulle variazioni di resistenza prodotte dalla trazione nell'argentana e nel nichel crudo (st.). — 14) Influenza della trazione sulla torsione. (in col- labor. col dott. E. MicHELUCCI) (st.). — 15) Sulla trazione del caucciù (st.) — 16) Sulla torsione del caucciù. (in collab. col dott. G. ConTINO) (st.). — 17) Sulla dilatazione termica del caucciù. (in collab. col dott. G. ConTINO) (st.). — 18) Nuove ricerche intorno alla deformazione dei condensatori. (in collab. col dott. F. Sozzani) (st.). 5. CHistonI Ciro. 1) Sulle cause della formazione della rugiada (st.) — 2) Di una memoria del v. Roosbroek sulla formazione della rugiada (st.). — 3) Sulla temperatura della neve a diverse profondità e sulla temperatura degli strati di aria prossimi alla neve (st.). — 4) Risultati udometrici ottenuti al R. Osservatorio meteorologico di Modena dal 1830 al 1895 (st... — 5) Sulla pioggia raccolta nell’udometro del R. Osservatorio me- teorologico di Modena nel 1896 (st.). — 6) Ricerche sperimentali sul coef- ficiente magnetometrico (st.). — ?) Sulla determinazione del coefficiente di induzione dei magneti col metodo di Lamont (st... — 8) Ricerche speri- mentali sul coefficiente di induzione dei magneti (st.). — 9) Contributo allo studio dei magneti permanenti. (in collab. col dott. De-VECCHI) (st.). Ei AD 6. GaRBASSO ANTONIO. 1) Sulla riflessione dei raggi di forza elet- trica (st... — 2) Sull’assorbimento dei raggi di forza elettrica nei con- duttori (st.). — 3) Sulla doppia rifrazione dei raggi di forza elettrica (st.). — 4) Sulla luce polarizzata circolare (st.). — 5) Un’ esperienza di corso sulla costante dielettrica (st.). — 6) Di alcune azioni che esercitano i gas pro- dotti dalla combustione sulla lunghezza della carica esplosiva nell’aria (st.). — 7) Sopra alcuni fenomeni luminosi presentati dalle scaglie di certi in- setti (st... — 8) Quindici lezioni sperimentali sulla luce (st.). — 9) Alcune esperienze su la scarica dei condensatori (st.). — 10) Come si faccia la scarica di un condensatore, quando ad essa si offrono due vie, e come si rappresenti meccanicamente (st... — 11) Sopra un sistema diciclico imper- fetto (st.). — 12) Sopra alcuni modelli di fenomeni elettro-magnetici (st.). — 13) Sul problema delle onde piane nella teoria elettro-magnetica della luce (st... — 14) Sulla luce bianca (st.). — 15) Sopra un punto della teoria dei raggi catodici (st.). 7. PieRGIovaNNI FERDINANDO. 1) Fonografia musicale (ms.). — 2) Gra- vipendolo (ms.). 8. RaBITTI PaoLo. Conflitto elettro-magnetico (ms.). 9. SANTELIA EucENIo. Principi di Astronomia razionale popolare (st. e ms.). Elenco dei lavori presentati per concorrere ai premî del Ministero della P.I. per le Sezenze naturali. (Due premî del valore complessivo di L. 3400 — Scadenza 31 dicembre 1900). 1. CaccramaLI G. B. 1) In memoria di Giuseppe Ragazzoni (st.). — 2) Camiti ed Ariani in Europa (st.). — 3) Giudizi sul mio studio di Caste- nedolo (st.). — 4) Appennino umbro-marchigiano e prealpe bresciana (st.). — 5) Per un rifugio nelle prealpi bresciane (st... — 9 Filogenesi degli esapodi (st.). — ?) Rilievo geologico tra Brescia e M. Maddalena (st.). — 8) L’Homo mongolus (st.) — 9) Esplorazioni del Circolo Speleologico Bre- sciano (st.). 2. FAnTAPPIE LigERTO. Sui proietti minerali vulcanici trovati nel- l’altipiano tufaceo occidentale dei Vulsini da Farnese a S. Quirico e Pi- ligliano (st.). 8. NeviaNnI ANTONIO. 1) Appunti sui Briozoi del Mediterraneo. Nota I (st.). — 2) Briozoî neozoici di alcune località di Italia. Parti IV, V e VI. (st.).. — 3) Briozoiî delle formazioni plioceniche e postplioceniche di Palo, Anzio e Nettuno (st.). — 4) Revisione generale dei briosoi fossili otaliani. 1° Idmonee (st... — 5) Briozoi terziari e posterziari della To- scana (st.). — 6) Monografia del genere Idmonea. Parte I e II. — ?) Mute- riali per una bibliografia italiana degli studi sui briozoi viventi e fossili, dal 1800 al 1900 (st.).. — 8) Briozoi neogenici delle Calabrie (st.). — MIO 9) Supplemento alla fauna a Radiolari delle roccie mesozoiche del Bolo- gnese. — 10) Nozioni elementari di Storia naturale ad uso delle Scuole secondarie (st.) — 11) I boschi nell equilibrio generale della Natura e spectalmente in rapporto con i fenomeni atmosferici (st.). 4. TraBucco Giacomo. 1) /elazione sui mezzi più adatti a trasfor- mare la viticoltura per la difesa contro la peronospera (st.). — 2) Carta geo- logica-geognostica-agricola dell'alto Monferrato, alla scala di 1:75000 (st.).— 3) L'isola di Linosa (st.). — 4) Fossili, stratigrafia ed età dei terreni del Casentino (Toscana) (st.). 5. VireILIO FRANCESCO. Geomorfogenia della provincia di Bari (st.). 6. AnonIMo. — (Omnia exquirite et meliora deligite). /{ « Zidro de’ sem- plici» di Benedetto Rinio (ms.). CORRISPONDENZA Il Segretario CeRRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze e lettere di Copenaghen; la R. Società zoologica di Amsterdam; la Società geologica di Manchester; la Società di scienze naturali di Emden; la Società geologica di Sydney; il Museo di zoo- logia comparata di Cambridge Mass.; l’ Università di Albany. Annunciano l'invio delle loro pubblicazioni: L'Accademia delle scienze di Cracovia; l'Accademia di scienze e let- tere di Christiania; la Società delle scienze di Finlandia; la Società geode- tica di Washington. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA presentate nella seduta del 6 gennaio 1901. Alessi C. — Rapporti somatici nella scala zoologica. Avola, 1900. 8°. Birkenmajer L. A. — Mikolaj Kopernik. T. I. w Krakowie, MCM. 4°. Bonci F. — Ombre lineari nei disegni geometrici. P. II, con atlante. Came- rino, 1900. 8°. Chantre E. — Les Bicharieh et les Ababdeh. Esquisse ethnographique et anthropometrique. Lyon, 1900. 8°. Choffat P. — Recueil de Monographies stratigraphiques sur le système cré- tacique du Portugal. 2° Etude. — Le crétacique supérieur au nord du Tage. Lisbonne, 1900. 4°. ESE Correspondence in the Matter of the Society of Arts and Henry Wilde, on the award to him of the Albert Medal 1900 and on the Invention of the Dynamo-electric Machine. Manchester, 1900. 4°. De Angelis d’Ossat G. — La geologia agricola e la provincia di Roma. Roma, 1900. 8° Flores E. — L’Elephas antiquus Falc. e il Rhinoceros Mercki Jaeg. in provincia di Reggio di Calabria. Roma, 1900. 8°. Koch A. — Die Tertizirbildungen des Beckens der Siebenbirgischen Landes- theile. II. Neogene Abtheilung. Budapest, 1900. 8°. Millosewich E. — Leopardi in Cielo. Conferenza letta il 14 maggio 1898 nell’ Aula Magna del Collegio Romano. Perugia, 1900. 8° Processo verbale delle sedute della Commissione geodetica italiana, tenute in Milano nei giorni 5 e 6 settembre 1895 e nei giorni 26, 27 e 28 giugno 1900. Firenze, 1900. 4°. Reina V — Gli strumenti di ottica e di meccanica di precisione all’ Espo- sizione universale del 1900. Torino, 1900. 8°. Reports to the Malaria Committee. 3° Series. London, 1900. 8°. Righi A. — Les Ondes Hertziennes. Paris, 1900. 8°. Sars G. O. — An account of the Crustacea of Norway. Vol. III. Cumacea, Part IX-X. Bergen, 1900. 8°. Schwendener S. — Die Divergenzinderungen an den Blithenkòpfen der Sonnenblumen im Verlaufe ihrer Entwicklung. Berlin, 1900. 8°. Id. — Gesammelte Botanische Mittheilungen. Bd. I. II. Berlin, 1898. 8°. Thos y Codina. — Reconocimiento fisico-geològico-minero de los Valles de Andorra. 2° ediciòn. Barcelona, 1885. 8°. Toni G. — Spedizione del Principe Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi al Polo Nord. Firenze, 1900. 8°. VOVO. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. AANNNINSASIIINA Seduta del 20 gennaio 1901. P. BLAsERNA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Meccanica. — Sulla determinazione di soluzioni particolari di un sistema canonico, quando se ne conosce qualche integrale o relazione invariante. Nota II (') di T. Levi-CIvITA. 3. Comportamento stazionario delle soluzioni X. — Per maggior co- modo, userò d'ora innanzi linguaggio dinamico, interpretando le (C) come equazioni del moto di un sistema, la cui energia totale sia rappresentata dalla funzione H. Mi propongo di stabilire che /e soluzioni X corrispondono a mati stazionari del sistema. Per dimostrarlo, prenderò le mosse dalla circostanza che le m funzioni Pip (r=1,2,..,M) sono in involuzione, talchè ne esistono altre n — m indipendenti Pj= F, ((=m+1,..,%), che costituiscono assieme ad esse un’ ennupla involu- toria (2). Esiste allora eziandio una funzione S dei 27 argomenti x e 'P, tale: che le equazioni . ELA i (8) licei) Tk (1) V. pag. 3. tea (2) Cfr. per es. Goursat,Zecons sur. l’intégration. des équations aux derives par- tielles du premier ordre, $ 61, ReENDICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 5 — I° — definiscono precisamente le x funzioni P,=p,— fx, Pi="F; delle # e delle p (!). Ponendo poi (0) e o) dP ii si ha nelle (8), (9) una trasformazione fra le due coppie di serie di varia- bili #,p; X, P, che, per una nota proposizione di Jacobi, conserva i sistemi canonici. Le (C) si cambiano pertanto in dP; DH dX; DEE designandosi per maggior chiarezza con H' la espressione di H nelle nuove variabili X., P. Le (A,) assumono la forma più semplice (A;) lio=a0) (PZ 40 Riferendoci ormai a queste variabili X, P, poniamo, secondo il proce- dimento indicato a $ 1, P,=0 in HF, e poi, detto H' il risultato di questa sostituzione, (B') SHE Dio (Cami l,..M). Le (5), applicate al caso presente, ci dicono che H' è indipendente da X,, X2,., Xm. Ne viene che le funzioni X;, P; ((=m+1,..,%), defi- nite dalle (B') (2), si riducono a pure costanti. Ciò posto, ricordiamo che, secondo il sig. Routh, un determinato mo- vimento sî dice stazionario 0 permanente, quando è possibile scegliere delle variabili X, P_in modo che (essendo, rispetto a queste variabili, Pi= gi(t), X,=wi(t) (OSE) (1) Ibidem, $ 111; od anche Lie-Engel, 7'heorie der Transformationsgruppen, B. II, n pag. 128. La funzione, quì chiamata S, corrisponde alla 2-4 x Px Xx dei citati autori. 1 (2?) Le (B’) sono effettivamente atte a definire le X;, P;, poichè non è nullo il deter- minante funzionale dei loro primi membri rapporto a queste variabili. Qualora infatti ciò fosse, lo stesso dovrebbe accadere per il determinante funzionale dei primi membri delle (B) rapporto alle pi, x; (come segue immediatamente dal teorema di moltiplicazione dei determinanti, tenendo conto delle (B’) e delle AZ 3, SHIT dXa dXm del paragrafo 2, noi abbiamo precisamente introdotta l'ipotesi che il detto determinante sia diverso da zero, supponendo le (B) risolubili rapporto alle pi, zi(f=m+1,....,%). 0). Ora, in principio St le equazioni, che definiscono il movimento) la espressione della energia H' rimane indipendente da t, in seguito alla trasformazione lineare (10) Pi = gi(t) + ITi 3 Xi = yi(t) + È; ((= 1 , 2 gs00.3 n). Supponendo di circoscrivere la classe dei movimenti del dato sistema, col considerare soltanto quelli, che soddisfanno alle relazioni invarianti (Ai), vien naturale di estendere la definizione di stazionarzietà. al modo stesso che ciò si suol fare per la stabilità. Stazionari in senso relativo sono dunque a dirsi quei movimenti, per cui la condizione, testè dichiarata, rimane soddisfatta, in virtù delle relazioni invarianti. Data la forma speciale delle (A;), la caratteristica della stazionarietà relativa si può manifestamente enunciare come segue: La funzione H' deve conservarsi indipendente da £#, anche dopo la sostituzione (11) (Pi=g()t+ (=m+1,..,2), (X=W{() +8 ((=1,2,..,2). È chiaro adesso che le nostre soluzioni XY corrispondono tutte a moti per- manenti. Infatti, adottando le variabili X e P, le funzioni @;(t), wi() ((=m-+1,...,%) sono, per ogni $, delle costanti &; , f}, come abbiam visto. Da # dipenderanno in generale X,, Xa,..., Xm, le quali però non entrano in H. Eseguire la sostituzione (11) in H' equivale dunque a scambiarvi P,,Xx((=m+1,..,n) in ak, fi + È, operazione che evidente- mente non introduce /. Merita di essere notato che, quando le (A) sono veri e propri integrali, yi ha stazionarietà, anche in senso assoluto. Infatti, in questo caso, le funzioni F, + cost sono in involuzione (mentre in generale si può soltanto asserire che le parentesi (F,,F,) si annullano, tenendo conto delle (A.)); e tutte le considerazioni, istituite finora, stanno, anche prendendo inizialmente P,= F,+ 7, (dove le 77, sono costanti in- determinate), anzichè P,= p, — f,. L'unica differenza consisterà in questo che si avranno, al posto delle (A:), le (A) badi dE 20 )0 e, al posto di H' = (HDeE sve=Pm=0 3 una H' o (H)p,=r, gen» Pm=Tm * Del resto, potremo, come sopra, asserire che, per una qualunque soluzione 2, la sostituzione (11) non introduce il tempo in H'. Ora ciò equivale a dire 25 { n Sig 3) (MS) = DIE dK SA Da A ©,9:2 0235 sza ZE 1900 55 E Si 3 CNS 5'E Sua AE LR = two so C-R=! © £ | | 2'- ca ‘o ina (2) t=al n tal sd Ss Sao | Sio re DA D:38 | 95 OgiFi i sio, | aa | Hhn,9 Pelu=] = ESILI 4 DL HO. na na | Fao mu Bg [a] ® ho Ss os di Oo U=i SÌ [=] Gennaio. . . . 059.698) 2108/|18:0490)/00,42.1 M0f08n|0)837|/0 7413 | 51, Febbraio . . .|| 1,00 | 3,05 | 4,05 | 0,63 0,68 | 7,42 | 71,58 Marzo ....| 0,92 | 0,96 | 1,88 | 0,50:| 0,00 | 0,62 | 14,00 | 6 1° Trimestre .|| 0,96 T93 0 ‘2589 0,51 0,04 | 0,71 9,20 | 62, Q (| (Da Aprile ....|| 2,04 | 4,00 | 6,04 | 0,17 |-0,00| 1,46 [17,04 | 83,5 Maggio... .Î| 1,96 | 4,18 | 6,09 | 0,85 | 0,00 | ‘1,26 [18,61 | 85,48 Giugno... .|| 1,75 | 2,483| 4,18| 0,43 | 0,04) 0,86 [13,03 | 77,0 1,91 | 8,45 | 5,36| 0,32 | 0,01 | 1,17 | 16,03 | 81,5 2° Trimestre . Luglio ....|| 1,10 | 1,97 3,07] 052| 000] 0,66] 7,58 89,76] Agosto . ...|| 0,61 | 0,85 | 0,96 | 0,81 | 0,00 | 0,35 | 3,30 [108,08] Settembre. . .|| 1,04 | 1,26 | 2,80 | 0,57 | 0,00 | 0,70 | 6,70 |105,70 8° Trimestre . || 0,92 122 214 0:63 M0:0050;55 5,92 {100,07 | 9 .) Il Ot ore ti 2:00 OO 58170920 0,004) 0,73 (14,97. 92,7 Novembre. . .|| 0,60 | 0,40 | 1,00 | 0,67 | 0,00) 0,33 | 3,07 | 77,14 Dicembre. . .|| 0,00 | 0,00 | 0,00 | 1,00 | 0,00 | 0,00 | 0,00 | 76,50 4° Trimestre .|| 1,02 | 1,21 | 2,25 | 0,66| 0,00| 0,36 | 6,25 | 83,04 , 2 Ti RenpIcONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. Ti I Nel 1° trimestre ebbe luogo una diminuzione nel fenomeno delle macchie solari in confronto dell'ultimo trimestre del 1899, ed in corrispondenza di ciò più grande fu la frequenza dei giorni senza macchie e senza fori. Nelle facole invece si rileva una maggiore frequenza in confronto dello stesso tri- mestre ultimo dell’anno precedente. Nel 2° trimestre si manifestò un’aumento nell'attività solare, risultando il numero delle macchie come l'estensione delle macchie e delle facole, mag- giori in parayone del primo trimestre. Un massimo secondario di attività ebbe luogo nel mese di Maggio, e coll’aumentarsi di detta attività diminuì il numero dei giorni senza macchie e senza fori. Nel 3° trimestre si verificò una notevole diminuzione nel fenomeno delle macchie, tanto rispetto al numero e loro estensione, come rispetto al numero dei gruppi delle macchie stesse. In corrispondenza di ciò fu rilevante il numero delle giornate senza macchie e senza fori. Le facole invece furono più numerose ed estese, ciò che altre volte si è rimarcato in occasione di minimi secondarii delle macchie. Nel 4° trimestre, come nel precedente, fu scarso il numero delle macchie e si ebbe una diminuzione nel numero dei gruppi delle macchie stesse in confronto dei precedenti trimestri dell'annata e maggiore frequenza dei giorni senza macchie. Si è dunque nel vero periodo di mizimo di attività solare a distanza già di anni undici dal precedente, che secondo le nostre osser- vazioni ebbe luogo negli ultimi mesi del 1889 e primi del 1890. Le osservazioni furono fatte in 183 giornate dell'assistente sig. Tringali, in 89 da me, in 6 dal prof. Millosevich e in 2 dal prof. Palazzo. Astronomia. — Osservazioni del nuovo pianetino FX 1901. Nota del Corrispondente E. MiLLOSEVICH. Il pianetino FX 1901 fu scoperto fotograficamente, come di metodo, a Koenigstuhl (Heidelberga) da Wolf, assistito dall'astronomo italiano Carnera, assistente in quell’ Osservatorio. Ho potuto osservare due volte soltanto il nuovo astro nel modo seguente: 1901 gennaio 19 9h20m435 R. C. R. da= + 0125.22 120) di = — 5 347.5(3) « apparente pianeta 8h 2m445.72 (9.481) 0) ” n + 16936 21”. 8(0. 625) La * di riferimento è A. G. Berlin A 3203. 1901 gennaio 22 912258 R. C. R. de = — 0868.14 (12) 40 = — 9' 49”. 5 (2) « apparente pianeta nh59M575.62 (9.451) 0» » -+16°30’ 3”. 6(0. 619) La x di riferimento è A. G. Berlin A 3191. Matematica. — Sulle superficie di discontinuità nella teoria della elasticità dei corpi solidi. Nota del Socio GruLio WeIN- GARTEN. Nella teoria dell'equilibrio dei solidi elastici si è considerato fino ad ora, mi sembra, soltanto il caso di un corpo le cui particelle subiscono degli spostamenti della loro posizione naturale, i quali variano da punto a punto con continuità in tutto lo spazio occupato dal corpo stesso. In tale ipotesi, se non agisce nessuna forza esterna nè sul contorno nè entro lo spazio interno, il corpo non è soggetto a tensioni interne. Non pertanto esistono certamente corpi soggetti a tensioni interne i quali non sono sottoposti a forze esterne nè al contorno nè all'interno. Per averne un esempio basta immaginare un anello, non del tutto chiuso, di cui si av- vicinino le due sezioni libere e piane attaccandole l'una all'altra con uno strato infinitamente sottile che le saldi insieme. Un corpo teso internamente e che non sia soggetto a sforzi esterni deve necessariamente contenere una o più superficie lungo le quali gli spostamenti sono discontinui. Se le tensioni che si hanno nell'interno sono continue in tutto lo spazio occupato dal corpo, esso avrà il carattere d'un solo ed unico corpo: ma, se le tensioni fossero discontinue ove gli spostamenti sono di- scontinui, il corpo dovrebbe ritenersi come avente il carattere di un insieme di più corpi distinti. In quest ultimo caso la discontinuità non dà luogo ad alcun nuovo teorema generale sulle proprietà interne del corpo; al contrario se non sussiste alcun cambiamento brusco delle tensioni interne, le discon- tinuità degli spostamenti lungo le superficie sopra ricordate sono soggette a leggi semplici e notevoli che io mi propongo di sviluppare in questa Nota. Abbiasi un solido in istato di tensione che non sia soggetto ad azioni esterne e riferiamoci a tre assi coordinati ortogonali «, y, z. Denotiamo con u, v, w le componenti, secondo questi assi, dello spostamento di un punto P della sua posizione naturale e consideriamo queste componenti come funzioni delle coordinate del punto stesso. Le tensioni che si sviluppano nell'interno del corpo sono funzioni li- neari delle sei quantità de De I i AI dae dy de dd de de dy de le quali sono i coefficienti delle variazioni arbitrarie dx, dy, dz, nella forma quadratica dx du + dy dv + dz dw. SIA Poichè supponiamo che le tensioni interne siano funzioni continue in tutto lo spazio occupato dal corpo, così ne viene che questi sei coefficienti godono pure della stessa proprietà. Sia ora S una superficie interna di discontinuità degli spostamenti. Di- stinguiamo i due lati di essa mediante gl' indici a e #, designando con ug, Va, Wa ® cOn Ui, Vi, w; rispettivamente le componenti degli spostamenti dei due punti materiali che concorrono nel punto x, y, 2 della superficie S. Siano inoltre @, 8, y i valori delle discontinuità che subiscono i valori delle quantità v, v, w traversando la superficie S dall'uno all’altro lato. Potremo considerare @, 8, y come funzioni delle coordinate , y, 4, sebbene queste coordinate siano legate fra loro dall’ equazione della superficie. Lungo di essa saranno dunque soddisfatte le tre equazioni seguenti: Ug — Ui = @, Va Vi= PB, Wa Wi =} e riferendosi al punto infinitamente vicino (x + de, y + dy, s + de) della superficie S, si avrà du — du; = da, dva — dv = dp, dwai — dwi = dy. Se esaminiamo ora le differenze (dx du, + dy dv, + de dw,) — (da du + dy dvi + dz dwi) si osserverà che nelle due forme quadratiche di cui essa è costituita, i coeffi- cienti di dx, dy, de coincidono, in virtù della continuità che abbiamo sup- posta, onde la differenza stessa si annullerà. Potremo dunque scrivere per ogni punto della superficie S, l' equazione da da + dy dB + ds dy = 0 da cui segue il teorema: Se si considerano le tre discontinuità a, BP, y în ogni punto di S come le coordinate rettangolari dei punti di una nuova superficie, questa corrisponderà ad S per ortogonalità di elementi lineare. In altri termini, facendo subire ai punti (2, y, 2) della superficie di discontinuità, degli spostamenti geometrici aventi per componenti @, #, y, otterremo una superficie infinitamente vicina applicabile sopra S. Questa nuova forma del teorema precedente vale nell’ ipotesi che si tra- scurino le potenze superiori alla prima di «, v, w e delle loro derivate, ciò che ha sempre luogo nella teoria della elasticità dei solidi. — 59 — Le due particelle diverse che coincidono nel’ punto (@, y, #) della su- perficie dai due lati di essa, avevano, nello stato naturale del corpo, rispetti- vamente le coordinate «#4, Ya, 6a 0 4iy Yi “i le quali verificano le equazioni La = Tl Ua, Wa Vas Sa 46 — Wa, UA Mr SIAE IE quindi gli elementi lineari ds, e ds; delle due superficie che vengono a coin- cidere fra loro dopo la deformazione del corpo dal suo stato naturale, avranno rispettivamente per quadrati ds = ds — 2 (dx dua + dy dva + da dwa) , ds? = ds? — 2 (da du; + dy dv; + ds dwi) , Poichè la differenza ds,° — ds; si annulla, così ne viene che queste due superficie sono applicabili l'una sull'altra. È noto il teorema sulla deformazione delle superficie il quale dice che non possono esistere due superficie applicabili distinte, aventi una linea cor- rispondente comune, a meno che questa non sia una linea assintotica comune delle due superficie. In virtù di esso sussiste una differenza essenziale fra le superficie di discontinuità dei corpi che occupano uno spazio più volte connesso e quelle dei corpi che riempiono uno spazio semplicemente connesso. Nel primo caso queste superficie possono costituire dei tagli di una forma arbitraria, e interrompendo la connessione materiale lungo queste superficie sì può rendere al corpo il suo stato naturale neutro. Le fenditure che così nasceranno saranno costituite da due superficie separare applicabili l'una sull'altra. Invece, le superficie di discontinuità dei corpi semplicemente con- nessi, non potendo costituire dei tagli, giacchè in tal caso spezzerebbero il corpo, debbono dar luogo a delle fenditure formate da due superficie appli- cabili l'una sull'altra e aventi una linea corrispondente comune, condizione questa che in generale non può verificarsi, se sì eccettua il caso particolare che abbiamo ricordato precedentemente. Ma, anche in questo caso eccezionale, non ci si può figurare abbastanza distintamente come influirebbe dal lato meccanico una linea di saldatura infinitamente sottile, per far coincidere gli elementi superficiali adiacenti allo spigolo formato dalla linea assintotica. Sussisterà o meno una lacuna, per quanto piccola essa sia, lungo questo spigolo? Qualunque cosa possa dirsi a questo riguardo, le considerazioni che seguono sono indipendenti dai dubbî precedenti. Se si taglia un corpo più volte connesso con dei tagli che non coinci- dano colle superficie primitive di discontinuità, e si mette in un nuovo stato neutro, esso verrà ad avere delle fenditure limitate da superficie separate applicabili l'una sull'altra. Se ora, mediante una piccola deformazione elastica del corpo, chiudiamo queste fenditure riattaccando i loro lati l’uno all’altro BI a con un sottile strato di saldatura, il corpo riprenderà in generale un nuovo stato di tensione. Per la coincidenza di questo stato con quello primitivo distrutto, sono necessarie le seguenti condizioni. Bisogna cioè che, lungo le primitive su- perficie di discontinuità del corpo, le discontinuità @, 8, y abbiano nel punto X, Y, & di una di esse i valori a=a+qga—ry, B=bbra—pa, y=c+py—qe ove a, bd, €; pP, q, r sono costanti. Le tre analoghe quantità per le superficie di discontinuità che proven- gono dalla nuova saldatura possiederanno la stessa forma. Questo enunciato sì dimostra facilmente. Filosofia. — Sulle idee filosofiche e religiose di Darwin, sotto l'influenza delle sue dottrine naturali. Discorso (!) del Socio LuIcI LUZzaTTI. Sotto gli auspicî e l’incoraggiamento del nostro eminente collega Bla- serna, ho chiesto l’ ospitalità alla classe delle scienze fisiche, dovendo oggi parlarvi, e ne esporrò in appresso la cagione, delle opinioni filosofiche di Darwin, quali sì svolsero per l'influenza delle sue dottrine naturali. La mente di un sommo scienziato è un polzedro mirabile, le cui faccie sì corrispondono con ritmici accordi, segnatamente quelle che riflettono le dottrine sulla natura e sulla divinità. Nè è lecito meravigliarsi se variino insieme per effetto di una evidente colleganza, come si è avverato nella grande anima, della quale vorrei oggi ricercare i più riposti e sacri penetrali. Al mio discorso accademico: Scienza e Fede (*) che ebbe la fortuna di mettere a romore il campo dei credenti intolleranti e quello degli scien- ziati esclusivi, fu mosso, fra gli altri, l'appunto di aver cresciuto artificial- mente, nelle coscienze e nelle istituzioni, il compito della religione. Avevo detto che Darwin era un credente e che troppo strane negazioni si erano derivate dalle sue dottrine. Avrei dovuto dire, secondo alcuni critici, che Darwin era un azeo, secondo altri un agrostico, e ‘mi si soggiunse che nelle ultime edizioni del suo libro, l’ opus magnum, sull’ origine delle specie, aveva tolto la invocazione al Creatore, sonante come la strofa alata di un inno. (1) Letto nella seduta del 6 gennaio 1901. (2) Questo discorso venne in luce negli Atti dell’Accademia dei Lincei, Rendiconto della Seduta solenne del 4 giugno 1899, tradotto in francese da Eugène Rostand, fu pubblicato nella Reforme sociale, nella Revue chrétienne ecc. ecc. s-228( 17) SA Allora, com'era il dover mio verso questa insigne Accademia, mi prese il desiderio di esaminare a fondo la evoluzione dell'anima filosofica del grande naturalista, colla maggior diligenza e serenità, con quella venerazione con cui si esplora il mistero delle coscienze superiori, le quali, per adope- rare le parole di Goethe, meglio fecero manifesta l’ essenza divina immanente nell’ umanità. Avrei colto nel segno se le mie affermazioni si soffermassero all’ esame dell'opera principale, a cui mi ero affidato. Infatti l’ Origine delle specie fu curata da Darwin in sei edizioni: la prima è del 24 novembre 1859, l’ultima, la sesta, del gennaio 1872. Ora in tutte e sei, in fronte al libro stanno le citazioni filosofiche e religiose del Whewell, del Butler e di Bacone. Il passo di Whewell, nel Br:dgewater Treatise, così suona: « Rispetto al mondo materiale noi possiamo avanzarci almeno sino a « concludere che gli avvenimenti non sieno l’effetto dell'intervento insolito « della potenza divina, la quale si eserciti all’ occasione di ogni fatto par- « ticolare, ma di leggi generali e stabilite ». Butler nell’ Analogia della religione rivelata sentenzia : « Il solo significato veramente preciso del termine naturale è quello « di determinato, fisso, stabile; quindi ciò che è naturale richiede e presup- « pone una potenza intellettiva per renderlo tale, cioè, per produrre conti- «nuamente o a periodi, mentre ciò che è sevrannaturale o miracoloso è « prodotto una sola volta ». Infine Bacone nell’ Avansamento del sapere fornisce a Darwin la terza epigrafe : i « Che nessuno si fondi sull'idea non bene compresa di una temperanza « 0 di una moderazione male adoperate, per pensare o sostenere che si possa « andar troppo lungi e divenir troppo sapienti nello studio del libro della « parola di Dio o del libro delle opere di Dio, cioè, in religione e in filo- « sofia; ma che ciascheduno si adoperi a progredire senza fine nell’una e « nell'altra e a trarre profitto da entrambe ». In tutte queste citazioni, mai tolte dal grande volume, splende l'idea di un ordine che opera sulla natura per leggi fisse, costanti, splende il de- siderio di meditare infinitamente sulla parola e sulle opere di Dio, alimento perenne della vera sapienza! Qui la mente di Darwin si ricollega con il magistero supremo di un fattore cosciente e intellettivo. È in tutte le edizioni della sua opera, con- templando in un finale stupendo le scoverte sulla origine e sulle variazioni delle specie, concludeva, uscendo dal rigore delle misurate parole: « È così che dalla guerra naturale, dalla fame e dalla morte deriva « il più ammirevole effetto che si possa concepire: la formazione lenta degli « esseri superiori. Vi è della grandezza in siffatta maniera di considerare «la vita e le sue moltiplicate potenze, animando dall'origine alcune poche « forme o una forma sola per un soffio del Creatore. =. 62 « E mentre il nostro pianeta ha continuato a descrivere i suoi cicli « perpetui secondo le leggi fisse della gravitazione, da un sì piccolo inizio, « delle forme senza numero, sempre più belle, sempre più maravigliose, si sono « sviluppate e si svilupperanno per evoluzioni senza fine ». Questo si legge anche nella sesta edizione e il testo inglese appare persino più ortodosso, se così potrebbe dirsi, perchè parla della vita che have been originally breathed by the Creator into a few forms or into one. Pare di udire la voce del Salmista, e nelle parole di Darwin una creazione così mirabile narra le glorie del Creatore! Persino nell'opera sulla Origine dell’uomo, pubblicata nel 1871, quando era consunta la fiaccola del teista e spuntava l’agnostico, ammette che « l’idea di un benefico e universale Creatore dell’ universo non sembra crescere nella mente dell'uomo sinchè questa non siasi elevata per una lunga e con- tinua cultura ». Egli si adopera a difendere le sue conclusioni così ardite e umili, secondo le quali noi possiamo riconoscere nella fosca oscurità del pas- sato, in un animale acquatico, fornito di branchie, coi due sessi riuniti nello stesso individuo, il nostro lontanissimo e primiero progenitore, il che per la bellezza ideale della specie umana non è ancora provato, nè queste conclu- sioni gli paiono drreligiose. « Perchè, egli domanda, sarebbe più irre- ligioso spiegare l'origine dell'uomo come una specie distinta, la quale discenda da qualche forma più bassa, mercè la legge di variazione e la cernita na- turale, che spiegare la nascita dell'individuo mercè le leggi della riprodu- zione ordinaria? La nascita della specie e quella dell'individuo sono pari- menti parte di quella grande catena di avvenimenti che le nostre menti ri- fiutano di accettare come l'effetto del cieco caso ». Ottimamente, diciamo noi, per queste ultime considerazioni essenziali; dunque al cieco caso la mente umana contrappone un ordine naturale, una filosofia naturale, una mente ordinatrice ! Ma oggidì sì cerca nelle lettere private, nelle confidenze intime, nei colloqui espansivi, l'essenza dell'anima dei grandi uomini; la sì scruta fibra per fibra, se ne vuol cogliere la radice della radice, il temperamento naturale. Ora dalla autobiografia e dalle corrispondenze di Darwin pubblicate in tre parti da suo figlio Francesco ('), nel quale anche la virtù scientifica discende per i rami, dall’ epilogo ristretto in un volume, da molte altre fonti, pure o interessate, si possono meglio conoscere le idee filosofiche del grande naturalista. Nè deve recar meraviglia se i narratori, collocandosi da un punto di vista religioso o irreligioso, si adoperino a trarlo nella loro orbita. Ognuno desidera confortarsi coll’ autorità di un sì famoso saggio! (1) Z'he Life and Letters of Charles Darwin including an autobiographical Chapter. Edited by His Son., Francis Darwin (IIL volumes), London, 1887 (John Murray). Questa opera è ridotta in un volume dallo stesso suo figlio (Murray), 1892. EGO, Giova darne qualche prova non inutile e strettamente collegata col nostro tema. La risposta di Darwin, contenuta in una lettera del 5 giugno 1879, a un giovine studente di Jena che gli aveva chiesto le sue idee sull'ordine divino e sul modo con il quale esso si collegava colle nuove dottrine della genesi della specie, commosse l'Inghilterra credente, cioè, quasi tutta intera quella nazione, che vuole i suoi grandi uomini ligi al Dio paterno. Ingleby nell’ Academy dichiarò fallace la traduzione tedesca di quella lettera pub- blicata da Haeckel, interpretando così il pensiero di Darwin: « Mon credo che vi sia mai stata una rivelazione per ciò che riguarda la vita futura >. Ma Haeckel fu felice, s'intende, di poter mandare il testo esatto inglese che diceva in modo chiaro: « Za seienza non ha nulla a fare con Cristo; în quanto a me io non credo che siavi mai stata una rivelazione. Riguardo alla vita futura ognuno può giudicare da sè fra il conflitto delle vaghe probabilità ». I giornali inglesi, tranne due, ben si guardarono di rettificare, lo spirito anglicano con lo sue angustie giungendo anch'esso più volte, tra- verso la libertà, a una specie di Indice di idee proibite. Così se i credenti tiravano ad attenuare la sua infedeltà verso il Cristianesimo, o almeno verso il puro Teismo, i materialisti, i panteisti, i Democriti che il mondo pongono a caso si adoperavano a crescerle. Biichner e Aveling si recano a visitare il romito di Down nella sua pacifica residenza campestre. Aveling intima- mente legato con Carlo Marx e inteso ad applicare alla storia la lotta per la vita che il Darwin aveva scoverta nella natura, ne pubblicò la conversa- zione, dopo la morte di Darwin, nel 1883, in un opuscolo intitolato: The religious Views of Charles Darwin. Aveling ateo esulta nel dimostrare che l'agnosticismo di Darwin era nella pratica equivalente al suo afezsmo. Ma Francesco Darwin, che certo non ha pregiudizî di qualsiasi specie, dichiara esagerate le deduzioni e le argomentazioni di Aveling. Aveling e Biichner insorgevano a pugnare contro Dio, mentre Darwin, che nella sua giovinezza si affermò quale un ardente propagatore del Cristianesimo, mai si fece a bandire con gioia crudele le idee irreligiose. I sapienti che obbedendo alle loro intime convinzioni cessano di credere, abbbandonando il Dio dei padri, sono mesti, sospirano la fede ingenua dei primi anni, non hanno le balde iattanze degli Aveling e dei Bichner. Il vero è che Darwin oscillava nei momenti nei quali, non per elezione spontanea, ma costretto dalle altrui indiscrezioni, ragionava sulla divinità. Mai, e potrei provarlo, egli prese l'iniziativa di siffatti discorsi. Se Aveling lo colse in un'attitudine agnostica così risoluta, il duca di Argyll ne fa una ben diversa narrazione. Parlando con Darwin sulla fertilizzazione delle orchidee. sui lombrici e su alcuni altri studî, che rivelatori di meravigliosi adattamenti e disegni nella RenNDICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 8 natura, osservò che non era possibile pensare a tutto questo senza riconoscervi gli effetti e la espressione di una mente superna. L’Argyll, uno scienziato incapace, pel suo candore, di torcere il vero, dichiarava che non avrebbe mai dimenticato la risposta di. Darwin. Fissando severamente il Duca ei rispose: .Sì, sì, questo pensiero spesso mi assale con una forza onnipotente; ma altre volte, e piegò la sua testa ondeggiandola, questo pensiero si dilequa. . Così rispondendo a miss Wedgwood allegava la sua incompetenza nella metafisica per seguirla nei ragionamenti filosofici e religiosi, concludendo che la mente si rifiuta a considerare questo nostro universo, qual è, senza un ordine, senza un disegno, ma più ci pensava e meno poteva raccoglierne le prove. Fluttuava, fiuttuava nel grande mare dell'essere; ora traeva il mondo dal caso, ora da un disegno creativo. Il che accade, e non di raro, alle menti sovrane. Giothe, così epilogandone le idee, rispose all'’alunno prediletto, che lo interrogava sulla sua fede religiosa: « (Quando penso all'arte sono pagano; di fronte al problema della na- « tura mi sento panteista e meditando sul principio morale torno al vecchio « Iddio dei padri nostri ». E aveva bisogno di tutte queste note variamente sublimi per esprimere ciò che si agitava nella sua mente olimpica. Infatti, chi può vantarsi coerente nella soluzione di questi terribili problemi per tutte le ore della sua terrestre giornata, traverso le varie fasi della ‘vita scientifica e morale? I dubbî eccelsi di Gothe, di Darwin e di somiglianti spiriti eletti .de- vono valere anche al cospetto di Dio più delle fedi supine di quei volghi che accettano, senza beneficio d'inventario, la religione avita. Ma per tornare a Darwin, dal quale non mi sono allontanato con gli episodî che a lui conducono, parmi si possano epilogare a grandi tratti nella seguente maniera le fasi attraversate dal suo pensiero filosofico e religioso. Giovane, all'Università di Cambridge, incitato dal padre, stava per in- dossare l'abito ecclesiastico, per divenire un clergyman. Chiese tempo per pensarci su, perchè sincero sempre non aveva la certezza di credere a tutti i dogmi della Chiesa d’ Inghilterra. Leggeva con delizia i libri religiosi di Pearson e di Paley, i volumi di questo ultimo sulle prove del cristianesimo, sul disegno divino del mondo, gli procuravano lo stessu diletto dello studio della geometria di Euclide. A bordo del Beagle, quando parte a ventidue anni per le sue grandi esplorazioni scientifiche, era ancora ortodosso; parecchi ufficiali, pur credenti anch'essi, lo deridevano per il suo fervore invocante la Bibbia quale autorità infallibile nella morale. A. poco a poco abbandona l'antico Testamento, la Mpa fede nei miracoli; l’ultimo libro da cui si distacca è il Vangelo... Rimaneva ancora un teista; ma quanto diverso da quello che, in mezzo alla grandezza delle foreste brasiliane, adorava silenzioso la maestà di Dio! Più tardi, l’inesorabile investigatore, oserà far l'analisi di questo senti- mento pieno di misteri celestiali e si persuaderà che somiglia al senso del sublime, agli effetti di una grande musica... Gli è intollerabile il pensiero che la specie umana, la quale nell’avve- nire sarà ancora più perfetta, debba annichilarsi come tutti gli altri esseri viventi, nè può essere figlio del caso l'universo meraviglioso, nè l'uomo colla sua facoltà creatrice e accumulatrice di guardar innanzi e indietro... Pensando a tutto ciò è sospinto a considerare la necessità della esistenza di una causa prima, cosciente, e merita di essere chiamato un teista. Tale era ancora quando scriveva la Origine della specie. Poi lo assali- rono i tragici dubbî! Lo spirito stesso dell'uomo emanava da esseri inferiori muniti di anime inferiori... E il mistero dell'inizio delle cose, il travaglio della mente tormentata da ricerche così ponderose, invece di agitarlo, gli restituivano una specie di serenità filosofica che si acquetava in un agnosti- cismo benevolo, dubbioso anch'esso, non aggressivo, e il suo abito intellet- tuale lo distoglieva dalla metafisica. Iquoramus e forse Ignorabimus! E tornava a esaminare la natura con cui viveva nelle più intime confidenze. Ma a illuminare sempre più la mente di. questo grande naturalista una nuova fonte di ricerche si è sprigionata dopo la sua morte, degna della più profonda meditazione. La moglie pietosa e intellettuale di Romanes ha scritto e pubblicato, pochi anni sono, un volume notevolissimo sulla vita e sulle lettere di suo marito ('!). Trattasi di una di quelle donne ideali, così frequenti in Inghilterra, che abbellano la casa di un sapiente di luce intellettuale, di luce di amore. Il Romanes, che fu un insigne naturalista esso pure, quantunque meno sommo di Darwin, lo supera negli studî filosofici e religiosi, che il Darwin aveva abbandonati quando si profondò nelle ricerche immortali. Romanes, pieno di fede negli anni giovanili, come Darwin, la vede a poco a poco scolorire sotto il peso delle nuove dottrine, ma negli ultimi tempi della vita ritorna al Cristianesimo con un ardore che lo infiamma e lo inalza. L'anima sua si poteva somigliare alla rosa del nostro poeta, che flette la cima sotto il turbine delle nuove dottrine, e poi si eleva per l’ intima virtù che la sublima. Narrerò un'altra volta e fra voi, se me lo concederete, la evoluzione religiosa di questo altissimo intelletto in accordo colla sua evoluzione scien- tifica, seguitando una serie di ricerche che ho intrapreso sull' anima floso- fica e religiosa dei maggiori naturalisti e astronomi. (1) The Life and Letters of George John Romanes, Written and Edited by His Wife. New Edition. Longmans, 1898. SESIA OISIA case Ma intanto ci preme di assistere, coll’ aiuto del libro della signora Roma- nes, uno dei più belli e profondi che abbia letti, alla conversazione di questi due spiriti magni, che a udirli ci esaltano. Darwin, sempre sincero e possente, come le forze della natura alle quali si era abbandonato, così si congratula con Romanes pel suo libro uscito anonimo nel 1876 e intitolato: Un candido esame del teismo, una carica a fondo contro il principio divino, la critica più inesorabile e più formidabile che io conosca, da lui disdetta e confutata negli ultimi anni della sua vita. Darwin si dichiara innamorato di questo lavoro (!), alcune parti del quale ha letto più volte, ma non ha potuto sempre seguirlo nella comprensione dei ter- mini metafisici. « Per gli estranei a questi studî, in una nuova edizione, dovreste chia- rire », ei dice all'amico, « la differenza nel trattare un argomento da un punto di vista scientifico, logico, simbolico e formale ». Ma poichè anche gli ingegni candidi, quando si chiamano Darwin, banno la loro fine malizia, soggiungeva: « Rispetto alla vostra grande idea fondamentale, desidero sapere da voi « che cosa sapreste dire a un teologo, che vi argomentasse contro, nella se- « guente maniera. Io vi consento l'attrazione della gravità, la persistenza « della forza (o la conservazione dell’ energia) e una sola forma di materia, « benchè quest'ultima sia una grande concessione; tuttavia sostegno che « Dio può aver dati tali attributi a questa forza, indipendentemente dalla sua « persistenza, che sotto certe condizioni essa si svolga o si tramuti in luce, « colore, elettricità, galvanismo, forse anche nella vita. « Voi non potete provare che questa forza (la quale i fisici definiscono « come causa del moto) dovrebbe inevitabilmente mutare il suo carattere sotto « le condizioni accennate sopra. E ancora io sostengo che questa materia, « benchè possa essere eterna nel futuro, siasi creata da Dio colle più mera- « vigliose affinità, che la conducono ad alcune agglomerazioni ben definite e « con popolarità idonee ad adagiarsi in bei cristalli, ecc. ecc. Voi non potete « provare che questa materia possegga necessariamente siffatti attributi. Perciò «a voi manca il diritto di dire di aver data la dimostrazione che tutte le « leggi naturali discendano necessariamente dalla gravità, dalla conservazione « della energia, della esistenza della materia. Se mi asserite che una materia « nebulosa esisteva tin dall'origine e dall'eternità coi suoi poteri complessi «attuali in uno stato potenziale, mi pare allora che cadete in una petizione « di principio. « Vi prego di osservare che non io, ma un teologo vi argomenterebbe « così, nè io potrei rispondergli. Nello attuale vostro stato idiotico di spi- (1) A Candid Examination of Theism. By Physicus. Third Edition, 1892 (Kegan). DE cy n « rito (stava per prender moglie) mi manderete al diavolo siffatti- miei « discorsì ». Romanes gli risponde: « Il vero punto è se io sia felicemente riuscito nel rendere evidente che « tutti i casi naturali debbano ragionevolmente supporsi di derivare dalla con- « servazione dell’ energia. Se così è, quali le tramutazioni di energia dal calore « nell’ elettricità, ecc., tutto prendendo il suo posto in accordo colla legge « generale, quali i fenomeni di polarità nei cristalli, ecc., ne segue che nè « questi, nè alcuna altra classe di fenomeni possono recare una miglior prova « della divinità di qualsiasi altra manifestazione della natura. Pertanto se « tutte le leggi derivano dalla persistenza della forza, la ricerca se Dio è o « non è, si ridurebbe semplicemente alla quistione se la forza ha bisogno di « essere creata o può esistere da sè. « E se noi diciamo ch'essa è creata, il fatto della esistenza autonoma « della forza si deve allora spiegare nel Creatore ». Quantunque si tratti di sovrani intelletti e davvero privilegiati, verrebbe voglia di sorridere di fronte a queste dimostrazioni così potenti e argute, giu- dicate irrefutabili dai loro autori. Qui si pensi soltanto che nel 1873 Giorgio Romanes guadagnava il premio Burney a Cambridge per un suo lavoro: Sulla preghiera cristiana in relazione alla credenza che l’ Onnipossente governi il mondo con leggi generali, pubblicata a 25 anni ed esuberante di fede. Due anni dopo, egli scrive il suo lavoro contro il teismo pubblicato nel 1876; nel 1885 nelle sue letture sulla Mente e sul Moto ('), insigni e dischiudenti nuove vie alla psicologia fisiologica, è contrario alla dottrina materialista, e ricerca l’unità, il morismo, nella ipotesi che lo spirito e il moto sieno « coor- dinati e probabilmente collegati aspetti dello stesso fatto universale ». E infine, nel 1889 (2), ei critica la sua stessa confutazione del teismo, per finire poi con un pietoso e libero ritorno alla fede cristiana. Quando ha errato questo intelletto sovrano? Quando era nel vero? Certo è che dopo aver tutto investigato, tutto saputo, e di ogni dot- trina dubitato, nessun labbro umano ha con maggior fervore cantate queste grandi parole: Fecisti nos ad te, Domine, et inquietum est cor nostrum donec requie- scat in te. Ma il ritorno a Dio non avvenne pel Darwin! Io mi sono domandato che cosa gli sarebbe accaduto se invece di morire nel trionfo avesse assistito alla discussione e al declinamento di alcune ipo- tesi e dottrine che gli erano più care? Fra il 1860 e il 1880, sotto la influenza preponderante delle teorie di quel grande, gl’intelletti umani furono (") I/ind and Motion and Monism by G. Romanes. Longmans, 1895. (2) Thoughts on Religion by The Late George Romanes, fifth edition. Longmans, 1895. egg assaliti dalle angoscie di dubbi tormentosi. Oggi si distingue la evoluzione dal Darwinismo ('); ma al primo apparire del lavoro di Darwin insino alla sua morte le due questioni tendevano a confondersi insieme (2). Darwin aveva esonerato Iddio dalle fatiche cotidiane della creazione; Spencer aveva costrutto un sistema capace di spiegare naturalmente la materia e la mente umana; e la filosofia critica tedesca col martello della erudizione compiva l'opera negativa e distruttiva. Era come uno stato di ebbrezza della ragione, il rinnovato assalto dei Titani contro il cielo (8)! Se era vero, secondo le asserzioni del Darwin, che la evoluzione fosse l'effetto di una serie di arbitrî e di piccoli accidenti, i quali col concorso del tempo infinito, a cui tutte le combinazioni sono possibili, operano le grandi mutazioni, creano persino l’uomo e la sua mente, per effetto di rota- zioni infinite della materia, allora col soprannaturale cessava anche il supremo ordinatore dei mondi. E che valeva per gl'intelletti infatuati di tanto orgo- glio se lo stesso Darwin consigliava la prudenza, dichiarandosi spaventato delle conclusioni dei suoi discepoli più rumorosi, sul tipo dell’ Haeckel, quando i saggi, quali il Du Boys Reymond, il Virchow raccomandanti la cautela non erano più ascoltati? (1) Intorno alla differenza sostanziale fra Darwinismo ed Evoluzione, si possono utilmente consultare i seguenti lavori: Un articolo di Herbert Spencer nel Mineteenth Century del 1895, pag. 752, contro il celebre discorso, a tendenze spiritualistiche, di lord Salisbury al congresso di Oxford dell’Associazione britannica (1894); due stupendi articoli del duca di Argyll, intitolati: I. Herbert Spencer e Lord Salisbury on Evolution (marzo e aprile 1897) pubblicati nel Mineteenth Century; una risposta nella stessa Rivista (maggio 1897) di Herbert Spencer: T'he Duke of Argyll’s Criticisms. (*®) Per Darwin furono più generosi gli uomini che i fatti, affermava lo stesso Moleschott nella commemorazione di Darwin pronunciata nell’ aula del Collegio Romano. (3) Era il periodo nel quale anche gli intelletti più potenti si compiacevano ad accu- sare la natura delle maggiori imperfezioni, indirettamente combattendo l’idea di un ordi- natore di essa; quelli che credevano alla sua esistenza facevano a Lui risalire, senz’avve- dersene, i rimproveri dei viziosi disegni degli organismi. Il grande Helmholtz diceva nel 1868 a Heidelberg in una celebre conferenza, ragionando dell'adattamento dell’occhio alla visione: Di fronte a un ottico che volesse consegnarmi uno strumento macchiato di somiglianti difetti, mi sentirei perfettamente autorizzato a rifiutare il suo lavoro e ad accompa- re il mio rifiuto dalle più dure espressioni. Ma Helmholtz, corregendo i difetti naturali dell'occhio, poteva risparmiarsi questa boutade, come fu giustamente chiamata, perchè la sua stessa mente aristotelica era la genuina espressione, e fra le più alte, di quella idealità intellettuale, che appare un pal- lido riflesso della divina sapienza e ce ne consente una fievole comprensione. Rousseau diceva per contro che tutto è perfetto nella natura, tutto si guasta nella mano dell’uomo... stranamente esagerando dall’ altra parte. E lo stesso Helmholtz, nella sua qualità di fisiologo, desiderava di conservare a lungo il suo occhio, il quale coi pretesi difetti è davvero mirabile nella struttura. 29 Poi le dottrine e le esperienze del Mivart, del Négeli, del Kéllicher, del Driesch, del Biùtschli, dell’ Hertwig, del Weismann ('), del Blanchard ece. ecc., gli scritti del Roux, del Naudin, del Haacke, del Gaudry, del Delage, delle Dantec, del duca di Argyll, dello Stoppani, le stesse eccezioni del Wallace, del Huxley, dello Spencer ecc., hanno rettificato, corretto molte parti delle teorie di Darwin e tendono segnatamente a restituire alla materia alcune sue proprietà specifiche che si svolgono, ma non si creano nella lotta esteriore della vita, negli accidenti fortuiti dell'ambiente. Il Nîgeli, l’insigne botanico, pubblicò nel 1884 la sua opera intitolata Mechanisch-physiologische Theorie der Abstamungslehre. Alla influenza delle condizioni esterne e alla lotta per l'esistenza che non hanno, a suo avviso, un'azione decisiva sullo sviluppo degli organismi, si contrappone una sostanza detta da lui idioplasma, che per cause interne si esplica e con- tiene in sè la forza di variazione e il principio di perfezionamento. Il Weismann nei suoi £Essazs sur l’hérédité et la selection naturelle (1892) e nel Das Aleimplasma (1893) spiega la formazione delle specie con un plasma germinativo, da cui discendono tutti i fenomeni di variazione e di eredità, distinguendo le cellule somatiche dalle germinali. Guglielmo Roux nella biomeccanica trasferisce la lotta per la vita e la selezione naturale dal campo esterno di Darwin nell'interno di ogni essere colla lotta fra le parti di uno stesso organismo e coll'azione morfogenica degli stimoli funzionali. Così il Naudin osserva che la natura per formare la specie non ha proceduto in modo diverso da quello impiegato dagli uomini per creare le varietà, o meglio è il processo della natura che noi abbiamo portato nella nostra pratica. L'ipotesi di Naudin esclude la selezione naturale di Darwin, esclude il cambiamento di una forma scimiesca in uomo. Kélliker si oppone alla teoria della elezione naturale poichè non è dimostrato un passaggio graduale da una specie all'altra, la paleontologia non scoverse le forme inter- medie fra le varie specie, e non si conoscono varietà che siano durevolmente infeconde fra loro come le specie (?). E potrei continuare in siffatta esposi- zione se il tempo me lo consentisse. Non avrei l'autorità di discutere queste ipotesi, che alcuni nostri emi- nenti colleghi, fra gli altri il Todaro e il Grassi, hanno esaminate con onore della scienza italiana. Certo è che senza che si osì dirlo, perchè anche la scienza ha i suoi pregiudizî, specialmente quando sorge il sospetto di concessioni alla religione, (1) Vedi l’ opera insigne del Romanes in confutazione del Weismann; An Evami- nation of Weismannism by George John Romanes, Longmans, 1893. (*?) Vedi una chiara recensione riassuntiva nella Storia della evoluzione dell’egregio Fenizia. Vedi anche il bel lavoro epilogativo del Cattaneo: Embriologia e Morfologia generale (opere edit: entrambe dall’ Hoepli). asi — vi è un ritorno a riconoscere il valore delle cause interne sul processo evolutivo, concordandole colle cause: esterne, dalle quali, secondo il giusto pensiero del Todaro e del Grassi, non devono mai separarsi. E pare anche al Grassi non confutabile la posizione logica presa dal Nîgeli, il quale non confonde il giardiniere che ottiene, a suo piacimento, dalla potatura di un albero fronde o frutta, colle qualità intrinseche del- l'albero, le quali danno, secondo il lavoro, queste fronde o questi frutti, a quella guisa che non si può confondere il calore che trasforma l'uovo della gallina in pulcino colle qualità intrinseche dell'uovo; il calore è la condi- zione che trasforma l'uovo, ma non gli conferisce l'essenza qualitativa. Siamo di nuovo nella metatisica, dalla quale non si esce mai. Si allon- tana il più possibile, ma la sì ritrova di nuovo per via! Insomma quanti dubbî oggidì tratti dalla scienza e non dalla fede intorno a questa teoria darwiniana, secondo la quale non sarebbe più la na- tura a formare gli organi in ordine alle funzioni vitali e le funzioni vitali in ordine ai bisogni dell'essere vivente, ma sarebbero i bisogni di esso che creerebbero le funzioni e le funzioni che creerebbero gli organi !(!). E lasciamo da parte gli argomenti contro il darwinismo tratti dalla fisiologia, dall’embriologia, dagli ibridi, dalla geologia, la quale nei fossili, queste medaglie commemorative della creazione, non trova le prove delle infinite gradazioni che avrebbero dovuto servire di anelli intermedî per pas- sare di specie in specie. Se Darwin fosse vissuto tanto da assistere alla confutazione di una parte delle sue dottrine, non avrebbe forse ripigliato gli studi giovanili sul disegno divino della natura? O almeno non l'avrebbe escluso @ priorz, come gli è avvenuto in alcuni momenti? E l'uomo buono e pio, un santo della scienza, che sino agli ultimi istanti della vita si recava mirabilmente semplice e caritatevole alla chiesa della piccola parrocchia di Down, non per pregarvi, ma per prendere parte (1) Vedi I Principi di filosofia dell’egregio professore Giovanni Rossignoli (San Be- nigno Canavese, scuola tipografica libraria Salesiana, 1899). Trattasi di un’opera dotta e per molti rispetti notevole, quantunque io dissenta da essa in non pochi punti. Egli com- batte risolutamente il darwinismo e l’evoluzione ponendosi contro la tendenza di alcuni insigni scrittori cattolici di concordare la evoluzione non solo col principio teistico, ma anche colla religione rivelata; alludo al Mivart, al Fogazzaro, al padre Zahm, al padre Roes, ecc. Contro questa tendenza protestano, oltre il Rossignoli, il Tuccimei, il Calde- roni e altri scrittori rigidamente ortodossi. Mi guarderò bene ora di addentrarmi in questo spinaio, quantunque mi sentirei di poter farlo giudicando con grande imparzialità. Lo farò in un’altra occasione. Von Bier, il grande embriologo, nega che un vertebrato possa uscire da un artropodo, il quale ha i centri nervosi nella faccia addominale, mentre il vertebrato li ha nella faccia dorsale; così ei combatte l’idea della trasformazione del tipo mollusco, e in generale lo sviluppo di un animale superiore dalla serie delle forme di una specie inferiore. SCA attiva ai lavori pietosi del Comitato di beneficenza presieduto dal ministro del Culto, non si sarebbe forse piegato, come fece più tardi il Romanes, a riconoscere di nuovo che non vi era incompatibilità assoluta tra la scienza e la fede? Pensando che la nostra scienza non sa e non fa che derivare da una fonte più alta il mistero della vita, una lagrima segreta provocata dalla contemplazione di un cielo stellato, lo spettacolo di una sventura immeritata, la evocazione di una memoria della sua giovinezza non l'avrebbero forse ri- conciliato col pensiero di Dio? Non vi si è riconciliato Romanes. la cui confutazione del Teismo pareva oltracotante allo stesso Darwin, tanto era estrema ? Ma se pur si fosse ostinato a negare un disegno divino nella natura, per altra guisa non avrebbe potuto giungere a Dio? Sono così molteplici e varie le vie che a Lui conducono! Nei giorni dei suoi dubbî più amari, Romanes scrisse questa pagina che rimarrà, tratta dalla sua grande opera: Darwin and after Darwin (!). « Pare a me che vi sieno indizi piuttosto contro che a favore della tesi « secondo la quale se un disegno operi nella animata natura esso sì riferisca «al godimento e al benessere animale, distinto dal miglioramento e dalla « evoluzione animale. Che se questo risultato riesca sgradito all’ animo reli- « gioso, ed esso senta che non valga la pena di salvare le prove di un disegno « sinchè non servano nello stesso tempo ad attestare che nella natura questo « disegno sia provvido e benefico, io devo allora un'altra volta notare che la « difficoltà sorta per tal modo contro il teismo non è una difficoltà di crea- « zione moderna. Al contrario, ha sempre costituito la difficoltà contro la « quale i teologi naturali hanno dovuto cimentarsi. « Il mondo esterno appare da questo aspetto in contrasto col nostro « sentimento morale, e quando l’antagonismo si affaccia al senso religioso « deve operare come l'urto di una sorpresa terribile. « Le sintesi di Darwin ce l'hanno recata di nuovo dinanzi, e il pensiero « religioso della nostra generazione è stato più che mai affaticato dalla « domanda: Dov’ è ora Iddio? Ma io ho procurato di dimostrare che la « posizione logica di questo caso non si è cangiata e quando questo grido « della ragione colpisce il cuore della fede, rimane alla fede di rispondere «ora, come ha sempre risposto prima, con quella confidenza che è insieme «la sua bellezza e la sua vita: Veramente tu sei un Dio che ami di na- « scondere te stesso !..... Così, da qualsiasi parte si mova, esce dalla fisica la metafisica, dal reale il mistico; e la mente umana non può liberarsi dalla ricerca affannosa delle (1) È l’opera principale di Romanes in tre volumi (Longmans): I. Vol. 7hRe Darwinian Theory (sceond edition) 1897; II. Vol. Post-Darwinian Questions. Heredity and Utility; III. Vol. Post-Darwinian Questions. Isolation and Phisiological Selection. RenpicontTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 9 MITO I origini e dei fini, nè adagiarsi in una quiete agnostica, contro la quale con- trastano cielo e terra, la natura e la storia. Studiamo e cerchiamo fidenti nella mutua carità della scienza e del- l’amore, pigliando l'esempio luminoso da questi grandi intelletti liberalmente dispensieri di tante verità al mondo. Se la scienza conduce al dominio del- l’uomo sulla natura, se la religione conduce al dominio dell’uomo su sè stesso per frenare le proprie passioni e per volgersi al bene degli altri, l'una e l’altra furono e rimarranno le luci inestinguibili della civiltà, le guide sicure del genere umano. E verrà un giorno in cui la scienza sempre più scovrendo, la fede sempre più amando, troveranno il messo pacifico che le colleghi e le rinforzi, con infinite evoluzioni pratiche, nel vero e nel bene. Intanto se la scienza purifica la religione, la religione purifica la scienza in una vicenda continua di azioni e reazioni mirabili, poco avvertite finora. Chi oserebbe oggi ricollegare al miracolo i fenomeni anche più strani della natura o escludere una verità scientifica perchè contrasti con un testo reli- gioso? Ma chi non avverte il vuoto del sapere di fronte alle inestinguibilìi angoscie dei dubbi morali e religiosi? E quante integrazioni al sapere non recano questi dubbi? Nasce per quello a guisa di rampollo A piè del vero il dubbio... Natura e storia, materia e spirito, non rimangono isolati, si penetrano, si ricercano a vicenda pungendo di nuovi dolori la umana curiosità. Ma quei dolori maturano nelle benedizioni del progresso, nelle glorie più incontestate della nostra civiltà. Kant altissimamente filosofando notava : « A che serve di vantare la magnificenza e la saggezza della creazione « nel regno della natura fisica, se la storia della schiatta umana dovesse « rimanere una obiezione eterna contro la provvidenza? « Se Dio non è nella storia, non è neppure nella natura ». E io dico alla mia volta sommessamente: ma quale meraviglia che se Dio è scacciato dalla natura, come un fattore superfluo e parassita, si debba eliminare anche dalla storia? Eseluso dal mondo fisico, dovrebbe escludersi anche dal morale, e rimar- rebbe soltanto, secondo la opinione di Federico il Grande, (grande non sicu- ramente, per la r/vialità di siffatte espressioni), la sacra Maestà del caso a fornire i tre quarti del còmpito di questo miserabile universo! In quel triste giorno scienza e fede si corromperebbero insieme e il nostro mondo freddo e nebbioso somiglierebbe a un pianeta estinto! Matematica. — Sui sistemi lineari di grado cero. Nota del Corrisp. E. BERTINI. Le considerazioni che seguono sono assai semplici. Tuttavia mi è parso opportuno di pubblicarle perchè conducono a risultati utili non ancora os- servati; in particolare forniscono una notevole condizione geometrica dell’an- nullarsi identico del jacobiano di n forme in » variabili. 1. Grado D di un sistema X lineare wo” di curve piane è il numero delle intersezioni variabili di due curve generiche del sistema. Il grado di un sistema X è finito (= 0); perchè, se due curve generiche hanno infiniti punti comuni, cioè una componente comune, variando una delle due curve e tenendo fissa l’altra, si vede che la componente comune, dovendo sempre far parte di quest ultima, non può variare ed è quindi parte fissa di X. Se la parte variabile di un sistema X è irriducibile si ha D=> 7 — 1, e quindi, se 7 >1, D>O0. Il caso D=0 si presenta, oltre che per un fascio, quando la parte variabile di X è riducibile, ossia è, per un teorema notissimo, una involuzione in un fascio e soltanto allora. 2. Suppongasi ora che un sistema X sia tale che le curve che passano per un punto contengano anche un punto successivo, cioè ivi si tocchino: dico che X è di grado zero. Infatti, se X fosse di grado D>0, presi in esso una curva generica e un fascio generico, ogni curva di questo fascio toccherebbe, per ipotesi, quella curva in punti variabili (almeno uno); cioè la curva dovrebbe far parte dell'inviluppo del fascio, il che è assurdo, tale inviluppo essendo il sistema dei punti base del fascio. Adunque i soli si- stemi lineari, per i quali avviene che le curve che passano per un punto si tocchino, sono quelli dati dalle involuzioni nei fasci. Se una rete di curve ha la jacobiana indeterminata, ogni punto del piano è di contatto per le curve della rete passanti per esso e viceversa. Segue quindi immediatamente che /a condizione necessaria e sufficiente af- finchè la jacobiana di una rete sia indeterminata è che la rete sia di grado zero, cioè una involuzione di 2° specie in un fascio: proprietà di- mostrata dal sig. A. Levi (') per altra via, che non sembra estendibile allo spazio. Ossia, algebricamente, tre forme ternarie (linearmente indipendenti), di cui è identicamente nullo il determinante jacobiano, sono forme binarie D di due forme ternarie dello stesso ordine e viceversa (*). (*) Sulle singolarità della jacobiana di quattro superficie (Giornale di Matematiche, vol. XXXIV, 1896), n. 2. (2) È poi notissimo e facile a dimostrare che due forme binarie, di cui il jacobiano è identicamente nullo, non differiscono che per un fattore costante e reciprocamente. 2A; (gna 3. Le cose precedenti si possono estendere facilmente. Sia S, (n = 3) uno spazio (lineare) ad n dimensioni e in esso abbiasi un sistema X, 007, di ipersuperficie, cioè di varietà V,-,. Si definisce grado D di X il numero delle intersezioni variabili di n V,-, generiche del sistema e si dimo- stra che il numero D è finito (= 0). Infatti, se due V,_, generiche hanno una componente comune, questa deve essere, per lo stesso ragionamento del n. 1, parte fissa di X: se tre V,_, generiche hanno una V,_s co- mune, tenendo fisse due di esse e variando la terza, la V,_:, per il caso precedente, non può variare e quindi è varietà base di X; e, così continuando, sì arriva a stabilire che, se x V,-, generiche hanno una linea comune, questa è linea base di Y. 4. Un sistema X di dimensione r <= n — 1 è di grado zero perchè le Vn-1 di esso che passano per un punto passano di conseguenza per una V,-, (almeno): quindi x V,,-1 generiche di X, per il n. 3, non hanno punti comuni. È pure di grado zero un sistema X di V,-, riducibili, tale sistema es- sendo, per lo stesso teorema applicato nel n. 1, una involuzione in un fascio (oltre ad una eventuale parte fissa). Ma vi è un altro caso da considerare. Se X è un sistema lineare 00” (e > n — 1), irriducibile, di grado D= 0, devono # — 1 V,-, generiche di esso avere una linea comune L non incontrata in punti variabili da una nesima V,-, generica: cosicchè, se questa si fa passare per un punto di L (diverso dai punti fissi che essa ha comuni con L), dovrà contenere una parte di L (non tutta per essere 7 > — 1). Ciò significa che le co"! V,_, per un punto generico dello spazio hanno comune una linea. La totalità 00”! di queste linee si dice una congruenza lineare e il sistema 2 si dice com- posto con tale congruenza. Viceversa un cosifatto sistema è di grado zero, non potendo x sue V,_, generiche avere un punto comune variabile senza avere pure comune la linea della congruenza per quel punto, il che non può essere (n. 3). Adunque esistono due tipi di sistemi lineari (senza parte fissa) di di- mensione 7 >n — 1 e di grado zero: 1) quelli (riducibili) dati dalle involuzioni nei fasci; 2) quelli (irriducibili) composti con congruenze lineari. 5. Suppongasi ora di avere un sistema lineare, di dimensione 7 > n — 1, tale che le sue V,, per un punto passino per un punto successivo. Dico il sistema essere di grado zero. Infatti, se fosse D>Q0, considerando la linea L (variabile) d’intersezione di x V,-, generiche e un fascio generico del sistema, per l'ipotesi, ogni V,-, di questo fascio toccherebbe L almeno in un punto, onde L dovrebbe appartenere all'inviluppo del fascio stesso, il che è assurdo. Dunque ? sistemi X, di dimensione r >n—1, per i quali avviene che le ipersuperficie per un punto abbiano ivi una tangente comune sono soltanto dei due tipi suddetti (n. 4). ua Se il sistema è co”, la V,_, determinata da » direzioni uscenti dal punto (diverse dalla tangente comune) ha nel punto un punto doppio. Re- ciprocamente, se ciò avviene, le V,_, per il punto hanno ivi una tangente comune. Dunque l'essere la jacobiana di un sistema lineare n" (di iper- superficie di S,) indeterminata, è condizione necessaria e sufficiente perchè il sistema lineare sia una involuzione di specie n in un fascio ovvero sta composto con una congruenza lineare. Nelle proposizioni di questo numero e del n. 2 si prescinde da parti fisse che possono entrare a far parte di ogni sistema lineare. 6. Dei due tipi considerati (n. 4) il primo è algebricamente caratte- rizzato dall essere le forme del sistema forme binarie di due altre forme (in 2-1 variabili) dello stesso ordine. Quanto al secondo tipo può farsi l’ osservazione seguente. Si rappresen- tino per semplicità le linee della congruenza 7, con cui è composto il si- stema >, biunivocamente nei punti di una varietà (ad 2 —1 dimensioni); la quale poi, come è noto (!), si può sempre riferire biunivocamente ai punti di una ipersuperficie W*,_, di uno spazio (lineare) S*,. Sopra W*,_, le ipersuperficie V,,, di X saranno rappresentate da varietà (ad n —2 dimen- sioni) W*,-s e il sistema £, per un noto teorema (?), da una serie lineare di W*,-, sopra W*,_,. Viceversa ogni tal serie lineare (semplice) dà un sistema X composto con T. Dicansi y0,%1.-%n le coordinate di un punto di W*,-1 € 0, 41. n quelle di un punto della linea corrispondente di 7, onde si avranno le Yo = Uo(%) Ya =UA(1) Un UL) ove le wo, %1...%», sono forme dello stesso ordine nelle «;: e la serie lineare imagine di X sia data sopra W*,_;1 dal sistema lineare o VD) = à, fi(Yi) + + ;e fa(Yi) oi Allora X avrà nel proprio spazio S, (a meno di una parte fissa) una equa- zione della forma Lo fo(t) + 2a fa) + + Info) = 0. Sicchè, osservando inoltre che alla serie lineare di W*,_, data dagli iper- piani di S*, corrisponde in S, un sistema lineare co” composto (semplice- mente) colla congruenza Y e quindi (n. 5) avente la jacobiana identicamente nulla, e notando infine che le considerazioni fatte si possono invertire, si (1) Cfr. Segre, Introduzione alla geometria sopra un ente algebrico semplicemente infinito (Annali di Matematica, serie II, t. 22), n. 4. (2) Cfr. Segre, 1. c., n. 27. Lio] può dire che ?l secondo tipo è algebricamente caratterizzato dall’ essere le forme del sistema (a meno di un fattore comune) forme (n +1)" di n+1 forme (in n-|+1 variabili) dello stesso ordine, delle quali forme il jacobiano è identicamente sero. 7. Una maggiore determinazione del 2° tipo dipende essenzialmente dalla natura della congruenza T, cioè della W*,_,. Se W*,_1 è razionale, cioè rappresentabile biunivocamente sopra un S,_1, le stesse considerazioni del numero precedente mostrano che /e forme del 2° tipo sono forme n° (a meno di un fattore comune) di n forme dello stesso ordine (in n variabili) e viceversa. Ciò si verifica appunto per #= 3. Una congruenza lineare qualsiasi di Ss è razionale per un teorema di Castelnuovo (!) applicato alla involu- zione che la congruenza determina sopra un piano. Adunque, in virtù di quel teorema, l’ultima proprietà è sempre vera per n= 3. In particolare si ha che la condizione necessaria e sufficiente affinchè quattro forme quaternarie (linearmente indipendenti) abbiano il jacobiano identicamente nullo, è che stano (a meno di un fattor comune) forme binarie di due forme o forme lernarie di tre forme dello stesso ordine (nelle quattro variabili) (2). 8. Si noti infine che la proprietà del n° 5 non richiede la linearità del sistema: basta l'algebricità. Anzitutto, con considerazioni simili a quelle del n° 3, si dimostra che il grado D di un sistema algebrico X, 00”, è finito ed inoltre che ogni ente, variabile, comune ad s (<=) V,-, di X descrive l'intero spazio S,. Ciò posto, se le V,-1 di X per un punto passano anche per un punto suc- cessivo, deve essere D= 0. Vale, supposto D>Q0, la stessa dimostrazione del n° 5, quando si prenda, invece di un fascio, una serie 00! qualsiasi di X (0 X stesso, se 7= 1) esi osservi che L, descrivendo tutto S,, non può appartenere all’ inviluppo della serie. A Un sistema algebrico di grado D=0 è composto (oltre ad una parte fissa) con un sistema di varietà V,-: (0 —1=i=1); perchè le Vu per un punto non possono avere un numero finito (> 1) di punti comuni (variabili), altrimenti ciò avverrebbe anche per 7 V,-, generiche del sistema. (1) Castelnuovo, Sulla razionalità delle involuzioni piane (Math. Ann., t. 44). (?) Nella Memoria del sig. S. Kantor: Neue Theorie der eindeutigen periodischen Transformationen in der Ebene (Acta mathem. t. 19); si enuncia la proposizione (teo- rema LXXX) che ogni involuzione in Sn è razionale. Siccome manca ogni dimostrazione, mi limiterò ad avvertire che, se questo teorema è vero, il risultato del presente numero sta in ogni caso. nn a Geologia. — Contribuzione alla conoscenza dei capisaldi per la geologia dei dintorni di Roma. Nota dell'ing. ENRICO CLERICI, presentata dal Socio V. CERRUTI. In base ad uno studio geologico di dettaglio da me intrapreso nel set- tore a sud di Roma approssimativamente limitato, per un raggio di 10 km., dalla via Portuense ad ovest e dalla via Appia nuova ad est, ho determinato con certezza l'ordine di successione dei principali tipi di roccie vulcaniche clastiche che vi si rinvengono. Partendo dal materiale più antico, la serie fu da me stabilita come segue: 1. Tufo granulare (complesso con varia- zioni a pallottole pisolitiche, ad arricchimento di pomicine chiare, ad afti- namento terroso, ecc.); 2. Pozzolana rossa; 3. Conglomerato giallo; 4. Poz- solana nera e tufo litoide; ove i singoli membri della serie, che io ebbi cura di seguire materialmente sul terreno nel connettere le varie sezioni ri- levate, sono da tenersi ormai come veri orizzonti. Un'altra conclusione derivata dal mio studio è che gli accennati tufi e pozzolane si alternano con argille, marne ed altri sedimenti a fossili con- tinentali, principalmente molluschi e diatomee d'acqua dolce. Ne consegue perciò che allorquando nella formazione di questi tufi e pozzolane inter- venne anche l'acqua, questa non apparteneva al dominio del mare; e tale ultima conclusione è tanto più importante inquantochè vi fu chi, per osservazioni incomplete o mal dirette, ritenne che alcune località di questo stesso settore fossero le meglio adatte per ravvisarvi l’origine sottomarina dei tufi. Per l'esatto apprezzamento dei dati di fatto a sostegno delle mie de- duzioni gioverà meglio una rappresentazione topografica anzichè una lunga descrizione, che, del resto, lo spazio destinato alla presente Nota non mi consentirebbe. Nella fig. 1 ho perciò indicato i luoghi (') ove esistono gli accennati sedimenti a diatomee d'acqua dolce, ed essa può ritenersi come un primo saggio di parte della mia carta diatomeifera dei dintorni di Roma. (!) Quando mi occorrerà di nominarli, affinchè siano esattamente ritrovati sulla carta, darò, entro parentisi, le rispettive coordinate ortogonali in mm. riferite al lato si- nistro e al lato inferiore della fig. 1. Prima delle mie ricerche erano conosciuti due soli giacimenti, a M. delle Piche [22; 35] e a Capo di Bove [113; 44], per gli elenchi di dia- tomee redatti dal prof. Lanzi. Il numero dei punti notati, già rilevante, può essere ancora aumentato. Quattro punti mi sono noti soltanto per trivellazione: altre trivellazioni mi fecero conoscere, da vario tempo, i giacimenti che poi vennero attraversati pei lavori del sly) © IAN Alcuni dei materiali diatomeiferi sono vere farine fossili come per es.: al M. del Finocchio [60; 38], alla Riserva della Strega [80; 21](!), alle cave di casa Ferratella [56; 21], a Mostacciano [49; 6] e [45; 5], a M. delle Piche [22; 35]. Altri sono agille come nella valle delle Tre Fontane [75 ; 44], o argille a prodotti vulcanici macroscopici più o meno alterati, o tufi più o meno argillosi come sotto le mura urbane presso Porta S. Paolo [77;85] e” MR, IRE a 74 7 K (è PASYG 837/È N hi pt Teco CART eten Scala 1 a 100.000. Fic. 1. e a Mostacciano [49 ; 4]; o intercalazioni tripolacee, oppure argilloso-sabbioso- tufacee nei travertini come al Torraccio [32 ;16], [33;13], [28;11], e Valchetta [56;29]; o intercalazioni nelle sabbie quarzose, in gran parte di duna, sottostanti al tufo granulare a pallottole nella cava di Bravetta [20:84]. Qualche volta, oltre alle diatomee, vi abbondano i molluschi d'acqua dolce come a S. Paolo basilica [71;64], Grotta Perfetta [84;53], Ponte collettore a S. Paolo ed alla galleria di Ponte Fratta. Per due punti, in terreno pascola- tivo, devo la prima conoscenza alle talpe ed alle arvicole che scavando i loro cunicoli hanno messo a giorno bei frammenti del materiale tripolaceo. (*) Quivi la farina fossile bianchissima, inframmezzata da qualche straterello acraceo, ricopre un affioramento di leucitite melilitica, a leuciti con inclusioni abbondanti, più grandi e più belle di quelle ben note della corrente di Cupo di Bove. ir) A Fratta [64; 49] (!), vigna S. Carlo [54; 77], vigna Zacchia [44;50]. In generale vi sono pure abbondanti le potamospongie (più spesso la Ephydatia fiuviatilis Johnst). Per alcuni di tali giacimenti detti già l'elenco dei molluschi (?) e quello delle specie le più abbondanti di diatomee contenutevi e non occorre fare inutili ripetizioni; altri saranno fatti conoscere meglio in seguito. Ma prima conviene aggiungere qualche altra notizia sulla serie delle roccie vul- caniche. Finora nel descrivere i tufi e le pozzolane si impiegarono certe deno- minazioni usandole ora come aggettivo, ora come sostantivo; il che genera confusione e presta facile argomento a coloro che, per osservazioni non ab- bastanza estese o ripetute, potrebbero dubitare della reale esistenza della serie da me stabilita. Sarà forse opportuno, in attesa di più felici ed adatte denominazioni, contraddistinguere i membri della serie, o formazioni, con sim- boli muniti di indici (8), e per es. così: Tufo granulare = Vi, (variazioni Vipis; Via. 00€.) Pozzolana rossa = V, Conglomerato giallo = V3 Pozzolana nera e tufo litoide (t. lit. del Brocchi: tipo Sedia del Dia- volo, Rupe Tarpea, Monte Verde) = V, (V4, e Vu). Tufo pozzolanico rossastro e conglomerato incoerente (breccia amfigenica del Brocchi) che coronano il tufo litoide = V; (V;p e Ve). Numerosi sono i luoghi, nel settore in esame, ove si possono vedere belle sezioni illustranti parte della serie; ne indicherò alcune: Tre Fontane = V,, V: Trincea ferroviaria presso la Porta S. Paolo = Vi, Va, Vs Grotta Perfetta = Vi, Va, Va Acquacetosa, Caffarella = Vi, Vi, Va Cecchignola, Tor Marancia, Cessati spiriti, Tre Fontane (cave abbando- nale Va Riserva delle Cavalle, S. Sebastiano = Va, Vs. (*) Nelle escavazioni in galleria pel collettore. In tali escavazioni, oltre al conglo- merato giallo di debole consistenza, si rinvenne pure il tufo granulare, con la variazione compatta e di consistenza litoide, identico a quello esistente al Peperino sulla via Fla- minia, ed in esso trovai Helix nemoralis Lin., Cyclostoma elegans Mull., Bythinia tenta- culata Lin., Unio sinuatus Lamk., Buxus sempervirens Lin., Hedera helia Lin., Tamus baccata Lin., Nekera crispa Lin. (?) Clerici E., Sopra un giacimento di diatomee al monte del Finocchio o della Creta presso Tor di Valle (Boll. Soc. Geol. It., vol. XII. 1893). (3) Con indici numerali pel grado di antichità e letterali per la facies che talvolta può ripetersi a differenti livelli (argillosa = 4; conglomeratica = c; litoide = /; pozzolanica = p; a pallottole pisolitiche = pis; sabbiosa = s; ecc.). I materiali per solito tufaceo- argillosi, meno importanti, che si frammettono talvolta fra i membri della serie si pos- sono notare, qualora sia proprio necessario, cogli indici dei termini che li comprendono RenpicontTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 10 SE La serie quasi completa, riunita in una ristretta località, può consta- tarsi presso il km. IV della via Laurentina che, se non offre purtroppo (!) attualmente sezioni estese e vistose, ha il vantaggio di mostrare tre diversi livelli diatomeiferi; come è indicato nella fig. 2, semischematica. Fra tutti i membri della serie da me stabilita, quello che, malgrado le locali ed eventuali variazioni, sembrami il più facilmente riconoscibile è costituito dal materiale granuloso generalmente stratificato che io, dal co- Igiene I o nie o i soci BIG. 2 1. Argilla marnosa bigio-giallognola, con qualche By/x/a, diatomeifera (ora meglio accessibile nella tenuta a sinistra scendendo). — 2. Tufo granulare tipico, con strati a pallottole ed altri, superiormente, ricchi di pomicine chiare. — 8. Piccolo banco di pomici bianche. — 4. Materiale argilloso tripolaceo biancastro, diatomeifero, ricco di calcare alla parte superiore. — 5. Pozzolana rossa. — 6. Conglomerato giallo (2). — 7. Tufo ter- roso bruno. — 8. Materiale biancastro diatomeifero (specialmente a sinistra scendendo) con varia quantità di prodotti vulcanici più o meno alterati. — 9. Tufo terroso marrone. — 10. Pozzolana nera (color cinereo allo stato secco). — c. accesso ad una piccola cava di pozzolana rossa (abbandonata). — d. Carrareccia di accesso ad una cava di tufo (inattiva) il cui ultimo tratto, parzialmente in galleria, è mostrato dalla se- zione 4-0: I. Pozzolana rossa. — II. Materiale tripolaceo diatomeifero di colore, parte giallognolo, parte roseo. — III. Tufo terroso marrone. — IV. Tufo litoide. — V. Pozzolana cinereo-rossastra. lore d'insieme, chiamai conglomerato giallo. Gli elementi caratteristici e predominanti ne sono i lapilli di color rosso-violaceo, ora vivacissimo, ora cupo, mescolati ad altri gialli, con dose variabile di granuli bianchi di leu- cite, poi augite, mica, ecc., e blocchetti di lave. Incontro alla basilica di S. Paolo, in corrispondenza evidentemente di una antica e profonda valle da esso riempita, raggiunge la massima potenza conosciuta, non minore di 45 m. La parte inferiore venne incisa e parzialmente sfondata pei lavori di scavo pel collettore sinistro. La sezione venuta in luce per tali lavori è, secondo le mie osservazioni, compendiata nella fig. 3. I complessi di strati nn. 4 a 9, modalità di una stessa formazione, (1) Infatti i fossetti laterali, il cui fondo dilavato mostrava ottimamente i vari strati, vennero sostituiti da cunette selciate. (2) I nn. 3 a 6 corrispondono ai nn. 31 a 88 (pag. 12-13) del Catalogo ragionato del Brocchi. Al n. 30, corrispondente esattamente al mio n. 4, Brocchi fecevi 1’ annota- zione: « Potrebbe forse provenire da pomici disfatte e rimpastate, ma non si scorge ve- stigio della loro tessitura ». Deo procedono concordantemente adagiandosi in una escavazione preesistente nel n. 3, che poi hanno finito per colmare. In tutti (ma un po’ meno nei nn. 4 e 6) sono contenuti molluschi d’acqua dolce: Bythinia tentaculata Lin, Zimnaea palustris Muùll., LZ. ovata Drap., Planorbis albus Mill., Valvata piscinalis Mùll., Pisidium amnicum Mill, potamospongie e dia- tomee che nel n. 7 e in qualche straterello del n. 8 giungono a costituire la parte principale della roccia. Scala: per le lunghezze 1 a 1000; per le altezze 1 a 500. Fra. 3. 1. Argilla bigia con rari molluschi d'acqua dolce, scavata fino alla quota 1,23 sul mare, in c-d, per la fondazione della tomba-sifone per la marana di Grotta Perfetta. — 2. Straterello tufaceo cenerognolo, nettamente di- stinto dal sottoposto n. 1 e a rigore inseparabile dal n. 3. — 8. Conglomerato giallo, talvolta volgente al bigio-verdiccio. di consistenza litoide (compattissimo e di colore aranciato nella parte più profonda dello scavo un centinaio di metri più a nord) contenente negli strati più bassi qualche pezzo di piccola ghiaia calcarea (la parte sporgente dal piano g-/ della via Ostiense fornì ossami di Z/ephas e Cervus). — 4. Tufo ora granuloso, ora argilloso, rossastro o roseo e grigiastro con scorie e leuciti in disfacimento, impronte di vegetali, denti e ossami di Z/ephas, Bos, Cervus, Rhinoceros Mercki. — 5. Tufo argilloso tripolaceo, color carneo, affinamento del n. 4. — 6. Straterello di argilla grigio-bluastra compatta. — 7. Pila di stra- terelli marnoso-tripolacei (con molto vario contenuto in calcare) taluni bianchissimi, altri prevalentemente brunastri; con abbondanti impronte di equiseti e foglie monocotiledoni parallelinervie. — 8 Argilla giallo- gnola variegata di bigio, nettamente stratificata, con straterelli tripolacei più chiari ed altri più scuri. — 9. Argilla come la precedente; ma un poco più chiara e con noduli marnolitici. — 10. Sabbia cenerognola grossolana, con quarzo, feldspato, augite, ciottolini di piromache varicolori e piccole concrezioni calcaree. — 10. Terreno vegetale e rimaneggiato, con sepolcreti, ossa umane e avanzi di animali domestici. — 4-0, livello del mare; — e-/, piano locale di fondazione sul conglomerato giallo; — e-a, termine approssimativo inferiore del conglomerato giallo (1). In uno straterello continuo bianchissimo, quasi a metà del n. 7, le più abbondanti diatomee (in prevalenza sinedre) sono rappresentate da: Cym- bella gastroides Ktz., C. affinis Ktz., C. cistula Hempr., C. Ehrenbergii Ktz., Navicula oblonga Ktz., N. elliptica Ktz., Rhoicosphenia curvata Grun., Gomphonema augur Ehr., G. acuminatum Ehr., Epithemia Westermanni Ktz., Synedra capitata Ehr., S. amphirhynehus Ehr., S. ulna Ehr., Cy- matopleura solea Bréb., Niteschia fonticola Grun. (3) A 120 m. verso nord il conglomerato giallo termina a quota — 1,78, come ri- sulta da scandaglio fatto eseguire dal mio amico ing. Luigi Cozza direttore governativo dei lavori. rigo Negli straterelli a metà del n. 9 trovasi quasi esclusivamente la Me- losira granulata Ralfs. Molti resti di vertebrati ho trovato nei nn. 5 e 7; e più ancora, rac- colti dagli operai sull'esempio delle mie ricerche, furono accaparrati da altri dilettanti: sono principalmente ossa di uccelli (prevalentemente cigni e anatre) poi mammiferi: Bos, Cervus, Lepus, Canis; rettili: Emys europaea; e qualche ossicino di batraci. Nel conglomerato giallo di questa località, il prof. Portis rinvenne nella porzione sottostante alla quota 4,88, una valva di Pectuneulus, che asseri- scesi ben conservata, e ritenne (!) che tale roccia si appoggiasse su « Ter- «reni non veduti.... sospettati rappresentare orizzonti assai elevati, poveri « in fossili, delle sabbie gialle subappennine coi loro più comuni caratteri ». Aggiunse poi che questo conglomerato giallo, da lui detto tufo giallo di S. Paolo « deve considerarsi come l'elemento il più antico di tutta la se- « zione estesa per due chilometri, da questa località N.-N.-0., a quella « S.-S.-W. di Vigna Venerati. Infatti, esso qui si depose e stratificò sovra «un basso lido sabbioso marino, ed incorporò in sè le ghiaiuzze e, le valve « di conchiferi marini che giacevano sovra il fondo » (?). Questa conclusione potrebbe forse essere ancora sostenuta se giù non fosse accertato che il conglomerato giallo, qui a S. Paolo riposa sopra argilla a molluschi continentali; se appena a 200 m. dalla sezione fig. 3, verso Roma, lungo la falda occidentale della collina, che si protende contro la via della Garbatella, non lo si vedesse nettamente riposare a quote gradatamente più elevate su pozzolana; se dirigendosi invece per 300 m. in direzione ovest-est non lo si rivedesse presso la vaccheria Serafini e poi ininterrottamente verso Grotta Perfetta nuovamente sovrastare, e con mar- cata discordanza, alla stessa pozzolana. Ma troppi punti ho oramai indicato ne’ quali è dato constatare le relazioni fra il conglomerato giallo e le altre roccie antecedentemente formatesi, perchè si possa accogliere la conclusione portisiana basata unicamente sopra una supposizione dimostrata dal fatto esser priva di fondamento. (1) Portis A., Di una formazione stagnale presso la basilica ostiense di Roma e degli avanzi fossili vertebrati in essa rinvenuti. Boll. Soc. Geol. It., vol. XIX, 1900, pag. 188. (2) Op. cit., pag. 281. Il capoverso continua ancora così: « e col creare un rilievo « momentaneo sul fondo, e col procurare momentanea emersione del deposito tufaceo o « di una sua parte, occasionò dall’ un lato, colle numerose e svariate condizioni offerte « da punto a punto allo assettamento, alle selezioni ed alle reazioni mutue dei materiali « diversi che lo costituivano, le tanto più numerose gradazioni ed aspetti diversi che a « suo luogo ho ricordato (non esclusa quella chiamata già, da autori ben di me più an- « tichi, tufo a pallottole, o tufo pisolitico grigio-verdiccio ». Avverto però che le osser- vazioni dirette non suffragano siffatti criteri; ma li contraddicono. — Bi = L’inesistenza del mare, nel settore di cui ora mi occupo, data da tempo di gran lunga più remoto che non sia quello in cui si formò il con- glomerato giallo. I giacimenti diatomeiferi sono atti a provarlo e l’impor- tanza loro, da questo lato, è tanto maggiore quanto più basso è il posto che occupano nella serie stratigrafica. A Capo di Bove [113; 44] e alle Tre Fontane [75;44] il tufo granulare V, sta su argille diatomeifere; la sua facies d’affinamento V,, è diatomeifera. Alla trincea ferroviaria di S. Paolo [76;70], a Mostacciano [49; 6], [45; 5], a Casa Ferratella [56;21], alla Valchetta [58;34], alla via Laurentina [72;45] i materiali tripolacei dia- tomeiferi sopportano la pozzolana rossa Vs. Il conglomerato giallo Vs, che è posteriore alla pozzolana rossa, si affina in materiale tripolaceo diatomei- fero a S. Sebastiano [ 100; 60] e al fosso della Cecchignola [ 78; 25]. Altro deposito diatomeifero trovasi lungo la via Laurentina [72;48] fra il con- glomerato giallo e la pozzolana nera Vip. A S. Sebastiano [98 ; 62] ed alla Riserva delle Cavalle [63;33] il conglomerato V;., che quivi ricopre l'ordi- nario tufo litoide V,,, è pur diatomeifero. Superiore al tufo litoide (') è il giaci- mento di vigna S. Carlo [54; 77]. Un ricchissimo giacimento sta sulla poz- zolana nera al M. del Finocchio [60; 38]. Gli strati marnoso-tufacei inframmezzati al travertino di questa ultima località sono diatomeiferi. Ricchi di diatomee sono le intercalazioni marnose e tufacee nel travertino del Torraccio [32; 16], [34; 13], [28; 11], a tutte le altezze. In tal modo vengo ad individualizzare almeno quattro livelli distinti di sedimenti a diatomee che con la serie tufacea formano la cronologia seguente : VIII — Sedimenti diatomeiferi VIIIbis — Sedimenti diatomeiferi VII — Pozzolana nera, V,p VIIbis — Tufo litoide, V,; VI — Sedimenti diatomeiferi V. — Conglomerato giallo, V; IV — Pozzolana rossa, Vs III — Sedimenti diatomeiferi II — Tufo granulare tipico, V, I — Sedimenti diatomeiferi. 1l Brocchi e gli altri tufo-nettunisti che mi precedettero nello studio dei dintorni di Roma, non sospettarono l'esistenza dei giacimenti diatomei- feri da mo scoperti e non impiegarono mai il microscopio nello studio dei tufi e delle roccie che li accompagnano; e con ciò si spiega la loro persi- stenza in una opinione che ora non potrebbesi ragionevolmente sostenere. (1) A Spinaceto, località non compresa nella fig. 1., ma situata a poco più di un km. a sud di Mostacciano, il tufo litoide sta immediatamente sopra argilla ricca di molluschi d’acqua dolce, potamospongie e diatomee. SE, GIERA Fisiologia. — Sulla natura e la genesi delle melanine e di altre sostanze affini. Nota preventiva del dott. V. DucCESCHI, pre- sentata dal Socio LUCIANI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. PERSONALE ACCADEMICO Il Socio Dini legge la seguente Commemorazione del Socio straniero CARLO HERMITE. « Sono appena 20 giorni che il decano dei matematici francesi, che da 17 anni apparteneva come Socio straniero alla nostra Accademia, Carlo Hermite, moriva in Parigi improvvisamente, senza sofferenze, la mattina del 14 gennaio. « Nacque a Dieuze (nel dipartimento della Meurthe-et-Moselle) il 24 di- cembre 1822, e fece i suoi primi studî al Liceo Louis-le-Grand, dal quale nel 1842 passò alla Scuola Politecnica; e fino d'allora si rivelò quel mate- matico insigne che poi doveva essere unanimemente riconosciuto da tutti. «I suoi primi lavori sono appunto del 1842, e di questi, quello pubbli- cato nel 1° volume dei Nouvelles Annales de mathém. dal titolo: Conszdé- rations sur la résolution algébrique de l’équation du 5" degré, nel quale dà una dimostrazione della impossibilità di risolvere per radicali l'equazione generale del 5° grado, presenta già una difficoltà e una importanza che non possono sfuggire ad alcuno. Questi primi studî che poi, 16 anni dopo, doveva coronare col successo di arrivare alla effettiva risoluzione delle equazioni di 5° grado per mezzo delle funzioni ellittiche, furono seguiti immediatamente da altri di importanza anche maggiore, tanto che la loro traccia resta e resterà sempre nella scienza. « Morto nel 1829, a soli 27 anni, uno dei più grandi genî matematici del secolo XIX, l’Abel, s’'intravedeva appena, dopo i lavori di quell’altro genio matematico che fu Jacobi, la importanza che un giorno avrebbero avuto le funzioni di grado superiore alle ellittiche che primi Abel e Jacobi ave- vano considerato, e che già da Jacobi erano state dette Abeliane, ma che erano allora, si può dire, appena conosciute. Hermite con mano già da maestro, sebbene non anche ventenne, e solo da pochi mesi allievo del 1° anno della Scuola Poli- tecnica, prese a trattare nell'anno 1842 un problema difficilissimo su queste funzioni, e lo risolvè completamente in una Memoria dal titolo « Sur la divi- ston des fonctions Abèliennes ou ultra-elliptiques» e per questa Memoria da lui comunicata a Jacobi, questo celebre matematico, nel 24 giugno di quell'anno SM stesso 1842, gli scriveva da Koenigsberg una lettera estremamente lusin- ghiera, che fu poi pubblicata, nel luglio dell’anno successivo, nei Comptes Rendus de l'Académie des Sciences; come la Memoria, al seguito di uno splendido rapporto fatto all'Accademia dai commissarî Liouville e Lamé, fu poi pubblicata nel 1848 ne' Mémoires des Savants étrangers; e così Hermite, come dice lo stesso Jacobi in quella lettera, aprì un vasto campo di ricerche e di scoperte, che continuate negli anni successivi, e segnata- mente in quelle numerose comunicazioni fatte nel 1855 all'Accademia delle Scienze sulla teoria della trasformazione delle funzioni Abeliane che gli val- sero appunto il posto di accademico, gettarono, si può dire, la maggior luce su quella parte nuova e difficile della scienza che più tardi, in seguito anche ai lavori di altri matematici, e segnatamente di Rosenhain, di Gòopel, di Weierstrass e di Riemann, doveva toccare quell’alto grado cui oggi è giunta. « Nel tempo poi che a questo ramo sì elevato di studî volgeva la sua attenzione il giovane geometra nei primi anni della sua carriera matematica, altri ne coltivò con ardore, e questi pure di importanza grandissima. « Le sue numerose Memorie sulle funzioni omogenee di due o più variabili portano l'impronta del genio, e per mezzo di quelle potè anche fare pro- gredire grandemente la teoria delle equazioni, nella quale è particolarmente notevole il teorema dato da lui nel 1857 nel vol. 53 del Giornale di Crelle sul numero limitato d'irrazionalità distinte delle radici di tutte le equazioni a coefficienti interi complessi, per le quali il discriminante ha uno stesso valore; e grandemente ancora fece progredire la teoria dei numeri, riducen- dola anche, in una Memoria che pubblicò nel 1851 nel vol. 41 del Giorn. di Crelle, a potere essere trattata in certe parti colle variabili continue, il che è ben sorprendente, in quanto i numeri interi sono di lor natura di- scontinui; mettendo così sempre più in evidenza come le varie parti delle matematiche, anche se in apparenza molto discoste fra loro, si collegano tutte; e mostrando in particolare, come dice egli stesso in quella Memoria, che « la lunga catena delle verità proprie dell'aritmetica trascendente sì col- « lega, nell'origine, agli elementi stessi dell'algebra ». « Non pago però degli splendidi risultati ottenuti in queste ardue parti della scienza, Hermite volse i suoi studî anche a pressochè tutte le altre parti dell'algebra e dell'analisi. « La teorica delle funzioni ellittiche; quella delle equazioni differenziali lineari, sia nel caso generale, sia nel caso di equazioni speciali, come ad es. quella di Lamé; la teoria generale delle funzioni di una o più variabili; quella delle funzioni sferiche per le quali sono in particolare a notarsi una sua generalizzazione delle funzioni di Legendre X, e le sue ricerche sulle radici delle funzioni di 2* specie coll'applicazione del teorema di Cauchy; quella delle funzioni Euleriane; quella della rappresentazione analitica delle funzioni di una variabile reale; quella delle frazioni continue ordinarie e ERI algebriche, delle quali dette anche ripetute e notevoli estensioni e genera- lizzazioni; e una massa di altre parti dell'algebra e dell'analisi portano traccie notevoli dell’opera sua. « Il campo però nel quale più si svolse, e quasi di continuo, la sua attività meravigliosa, è quello delle funzioni ellittiche, e delle loro trasformazioni e applicazioni svariatissime, fra le quali sono da notarsi quelle, in relazione anche alla equazione di Lamé, da lui raccolte in un grosso fascicolo col ti- tolo « Sur quelques applications des fonctions elliptiques » pubblicato a parte a Parigi nel 1885, e relative ad alcune delle più ardue questioni di meccanica. « Sovra a tutto però, in questo campo delle sue ricerche sulle funzioni ellittiche e loro applicazioni, è da rilevare come in una Memoria presentata all'Accademia delle Scienze nel marzo del 1858 pervenne alla effettiva ri- soluzione delle equazioni generali di 5° grado, col determinare la equazione dalla quale si riduce sempre a dipendere la risoluzione della equazione mo- dulare relativa alla trasformazione del 5° ordine, e coll’osservare che essa concorda pienamente con quella cui si possono ridurre le equazioni generali del 5° grado mediante la trasformazione che è comunemente conosciuta come trasformazione di Jerrard, ma che invece, come Hill mostrò nel 1861, ap- partiene a Bring che la dette nel 1786, cioè circa 50 anni prima. « Gli studî che nello stesso tempo e nello stesso campo facevano altri ingegni altissimi, il Kronecker e il Brioschi, avevano portato il primo di questi a potere annunziare sommariamente all’ Hermite stesso, in una lettera che egli communicò all'Accademia nella seduta del 14 giugno, un altro pro- cesso di risoluzione delle equazioni del 5° grado, come portarono negli stessi giorni e forse prima (maggio e giugno 1858) il Brioschi a fare dipendere la risoluzione di quelle equazioni dalla equazione del moltiplicatore sempre per le trasformazioni del 5° ordine; ma è un fatto che la prima dimostra- zione della effettiva risoluzione delle equazioni del 5° grado per mezzo delle funzioni ellittiche che, a buon dritto, fu considerata come una delle più grandi scoperte del secolo nel campo della risoluzione delle equazioni di grado superiore al quarto, si deve ad Hermite. « Dotato di un acume e di una attività sorprendenti, potè Hermite, in quasi un sessantennio di vita matematica, produrre una immensità di lavori che trovansi sparsi in pressochè tutti i periodici matematici della Francia e di fuori, e in pubblicazioni speciali a parte, o nelle lezioni autografate ; ma... il tempo stringe; e impossibile sarebbe ora il parlare con dettaglio di tutte le opere scientifiche di lui, o anche soltanto far risaltare i punti prin- cipali della scienza dove con quelle opere Egli ha lasciato la sua impronta. « Padrone assoluto dei procedimenti del calcolo nel quale è quasi sempre di una chiarezza ed eleganza straordinaria e geniale, egli bene spesso in mezzo a una selva di formole intravedeva risultati semplici e meravigliosi, che altri ben difficilmente avrebbe immaginato che potessero poi scaturire sì facilmente da quelle formole. Lo provano ad es: i tanti risultati aritmetici da lui ottenuti nello studio delle forme o delle funzioni ellittiche, la dimostra- zione del teorema di Lambert sulla irrazionalità di 77? che in una lettera a Borchardt pubblicata nel vol. 76 del giornale di Crelle egli dedusse in modo semplicissimo da alcune formole che aveva dato precedentemente nello stesso volume sulle espressioni U senz + V cose+ W; la dimostrazione della trascendenza del numero e che in varie Memorie, e segnatamente in quelle « Sur la fonction exponentielle » da lui in varie volte communicate all’ Ac- cademia nel 1873, e poi riunite in una pubblicazione a parte nel 1874, egli deduce da alcune formole alle quali giunge con considerazioni semplicissime relative alla determinazione approssimata delle funzioni, dando così nn me- todo elegante che doveva poi condurre altri a dimostrare la impossibilità della quadratura del cerchio; e lo provano infine un'altra massa di formole eleganti, e risultati notevoli e di una semplicità estrema, che sì riscontrano continuamente nei suoi lavori. « Ripetitore ed esaminatore nella Scuola Politecnica nel 1848, Professore nel 1862 alla Scuola Normale in una cattedra creata espressamente per lui. e successo poi a Duhamel per l’ Analisi nella Scuola Politecnica, e per l’Algebra nella Facoltà di scienze, della sua chiarezza nell’insegnamento. dell'amore che sapeva ispirare per la scienza lascia traccie profonde, come lo provano i tanti valorosi geometri usciti dalla sua scuola, che ora fanno l'onore della Francia; e come splendidamente risulta dalle tante dichiara- zioni di stima e di affetto che ebbe da tutto il mondo matematico nel 1892 quando si celebrò il suo 70° anno di età. « E la bontà sua d’animo, il suo amore alla scienza risultano anche dalle relazioni epistolari che ebbe con studenti e geometri di tutto il mondo ci- vile. È proprio questo degli spiriti superiori! Come Jacobi, già al più alto grado di celebrità, non sdegnò di entrare in corrispondenza con lui non anche ventenne e allievo del 1° anno della Scuola Politecnica, così Hermite non sdegnò mai di essere in relazione epistolare con tutti, studenti e scien- ziati, dal più umile al più illustre, a tutti rispondendo diffusamente e con tutta bonarietà, senza tacere con nessuno le sue idee, anzi dando sempre a tutti quelle indicazioni, quei germi che tanto possono fruttificare quando vengono sparsi su terreno adattato. « La lunga ed estesa corrispondenza di lui con Brioschi, ora, a quanto sembra, disgraziatamente perduta, fece sì che, quasi fossero stati insieme. lavorassero per circa un quarantennio nello stesso indirizzo, al progresso del- l’Algebra, della teoria dei numeri e dell’ Analisi superiore nelle sue varie parti, e segnatamente oltre che alla risoluzione della equazione di 5° grado, alla teoria delle funzioni ellittiche, iperellittiche e Abeliane, ecc. ecc. la- sciando in tutte queste parti della scienza che essi trattavano coi metodi classici di Lagrange, Legendre, Jacobi, ecc. orme indelebili. La corrispon- RenpIconTI. 1901, Vol. X. 1° Sem. 11 denza che per oltre un ventennio, e in alcuni periodi anche frequentissima, e sempre amichevole e affettuosa, tenne col Beltrami, corrispondenza che io ho la fortuna di avere avuta in dono dallo stesso Hermite, mostra quanto, oltre che dell’ Analisi pura, anche dei progressi della fisica matematica egli sempre s'interessasse; e io spero che questa corrispondenza potrà un giorno servirmi a mettere in luce anche altri progressi che la scienza ha fatto per opera loro. « Colla scomparsa di Hermite, unita a quelle, fatte in meno di un qua- driennio, di altri matematici insigni, come Weierstrass, Brioschi, Lie, Bel- trami e Bertrand, l' Accademia ha certo perduto molto di sè. Consoliamoci al pensiero che le opere di questi grandi restano, come resta nel cuore di tutti il ricordo di Joro, del loro amore alla scienza, del loro alto sapere; e alle opere loro, come al loro ricordo, tutti sapremo ispirarci ». PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci TarAMELLI, Foà, BATTELLI, e dai signori De GiovannI, CLERICI, PioLTI, DE Toni, FiLIipPi, ReETZIÙS, MARSON, € WEINEK. Il Socio CoLomso offre una pubblicazione fatta dall'Istituto Tecnico Superiore di Milano, in occasione della inaugurazione del monumento a FRANCESCO BRIOSCHI. CORRISPONDENZA Il Vicepresente BLaseRNA annuncia che il Presidente MESSEDAGLIA è stato colpito da una grave sventura domestica, la perdita di un fratello ; e la Classe delibera unanime d’inviare al Presidente MESSEDAGLIA un tele- gramma di condoglianza. Lo stesso VICEPRESIDENTE comunica una lettera di ringraziamento dell'Accademia delle scienze di Parigi, per le condoglianze inviatele in' occa- sione della morte del Socio HERMITE; aggiunge poi che ai funerali di Giuseppe Verpi a Milano, l'Accademia fu rappresentata dal Socio CELORIA. Il Segretario CerRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. — Ro — Ringraziano per le pubblicazioni ricevute : L'Accademia di scienze naturali di Filadelfia; la Società geologica di Manchester; la Società di scienze naturali di Emden; la R. Società zoolo- gica di Amsterdam; la Società zoologica dl Tokyo; la R. Scuola Navale Superiore di Genova; l’I. R. Osservatorio di Vienna; l’Istituto geodetico di Potsdam; le Università di Cambridge e di Upsala. Annunciano l'invio delle loro pubblicazioni : La Società zoologica di Londra e l'Istituto Teyler di Harlem. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 2 febbraio 1901. Battelli A. e Stefanini A. — Sulla velocità dei raggi catodici e sulla con- duttività elettrolitica dei gas. Pisa, 1899. 8. Betocchî A. — L'Isola Tiberina ed i lavori del Tevere. Roma 1900. 8°. Brunschmid J. — Vexillatis romana Mitrovicae. Zagreb S. a. (1900). 8°. Clerici E. — Sulle sabbie di Bravetta presso Roma. Roma, 1900. 8°. De Toni G. e Filippi D. — L' Orto botanico dell’ Università di Camerino nel 1900. Camerino, 1900. 8°. De Giovanni A. — Nevrosi e neurastenia. Milano, 1900. 8°. Foa P. — Contribuzione anatomica e sperimentale alla fisiologia patologica delle capsule surrenali. Torino, 1901. 4°. Giampietri L. — A new System of Practical Perspective for Artists and Architects. London 1900. 4°. Inaugurazione del Monumento a Francesco Brioschi nel R. Istituto Tecnico Superiore di Milano. XIII dicembre 1900. Milano, 1900. 4°. Marson L. — Sui ghiacciai italiani del Bernina. Osservazioni del 1899. Roma, 1900. 8° Piolti G. — Sabbie della Valle della Dora Riparia. Torino, 1897. 8°. Id. — Sopra una macina romana in leucotefrite, trovata nei dintorni di Rivoli (Piemonte). Torino, 1899. 8°. Id. — Sulla presenza della jadeite nella Valle di Susa. Torino, 1899. 8°. Id. — Sull'origine della magnesite di Casellette (Val di Susa). Torino, 1897. 4°. Retzius G. — Crania suecica antiqua. Eine Darstellung der Schwedischen Menschen-Schéidel aus dem Steinzeitalter, dem Bronzezeitalter und dem 29) Eisenzeitalter sowie ein Blick auf die Forschungen ueber die Rassencha- raktere der Europiischen Volker. Stockholm, 1900. 4°. Taramelli T. — Una gita geologica in Istria. Ricordi. Firenze, 1900. 8°. Tietge F. — La simmetria del cranio negli alienati. Venezia, 1900. 8°. Weinek L. — Die Tychonischen Instrumente auf der Prager Sternwarte. Prag, 1901. 8°. WC! RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. IN 9®°'Y- Seduta del 17 febbraio 1901. P. BLASERNA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulle protuberanze solari osservate al R. Os- servatorio del Collegio Romano durante l’anno 1900. Nota del Socio P. TACCHINI. Durante l'annata le condizioni dell'atmosfera non furono molto favorevoli a queste osservazioni, per modo che il numero dei bordi osservati fu molto inferiore a quello delle semplici proiezioni solari. Nella seguente tabella sono riuniti i dati relativi a ciascun trimestre dell'annata. Numero Linneo . Media Massima 1500 dei giorni dl Media altezza cr pl delle massime altezza di osservazione Drobuberanze media altezze osservata per giorno Gemalo. i | 12, 3,33 30,2 Li 318 40° | Febbraio . . . 11 1,18 19,4 0,6 20,0 40 Marzo .... 6 3,33 30,0 0,8 30,0 30 1° Trimestre . || 29 | 2159, 26,0 0,9 26,6 40 Aprile ....| 14 DION 25,1 0,7 26,3 40 Maggio . ... | 16 3,00 82,4 0,8 38,9 54 Giugno . ...| 18 9511 30,0 0,8 9272 52 2° Trimestre . 48 2,44 29,4 0,8 32,7 54 _——li ati ! if —_—__—€—m_r—_——>——— —_— OOO I 2 Luglio ....| 25 2,80 94,4 1,0 95,5 60 Agosto . ...| 24 2,29 27,8 0,9 29,4 48 Settembre. . .| 22 4,14 32,9 1,1 38,0 60 s° Trimestre . 71 3,04 31,7 1,0 94,4 60 Ottobre... . 9 Toti 34,8 1,3 41,3 48 Novembre. . . 6 3,38 36,7 12 39,8 48 | Dicembre. ..| 16 57 34,1 1,1 39,3 72 4° Trimestre . || 81 4,45 34,8 1,2 39,9 (02 RenpiIcoNTI. 1900, Vol. X, 1° Sem. 12 SE ee Confrontando i dati del 1° trimestre con quelli dell'ultimo trimestre del 1899, si vede che il fenomeno delle EROI MErEnIZrO solari si è mantenuto stazionario e sempre scarso. Nel 2° trimestre il fenomeno si mantenne pure debole; nel maggio ci fa un leggero aumento in accordo col massimo secondario osservato per le macchie e per le facole. Nel 3° trimestre si verificò un aumento nel fenomeno delle protuberanze in confronto dei due precedenti trimestri: le differenze però sono di un ordine tale da poter considerare il fenomeno come stazionario. Nel 4° trimestre il numero dei giorni di osservazione fu molto scarso, specialmente nei mesi di ottobre e novembre. Sembra però, che il leggero aumento del fenomeno accertato per il mese di settembre, siasi mantenuto anche per gli ultimi tre mesi dell’anno. Le osservazioni furono fatte in 88 giornate da me, in 62 dall’assistente sig. Tringali, in 25 dal prof. Palazzo e in 4 dal prof. Millosevich. . Chimica. — Azioni chimiche della luce. Nota I del Socio G. CIA- MICIAN e di P. SILBER. Malgrado i grandi progressi della fotografia e gli accurati studî intorno ai problemi ad essa attinenti, non si può dire che la fotochimica sia molto coltivata e sebbene si riscontrino, registrati nella letteratura, molti singoli fatti, sono poche le reazioni studiate sistematicamente. Queste ragioni ci indussero, or sono molti anni (!) a fare delle esperienze per stabilire quali sono i principali processi chimici che vengono determinati o meglio accele- rati dai raggi luminosi. Tali ricerche non ebbero seguito allora, perchè ‘altri problemi, che intensamente ci occupavano, richiedevano tutta la. nostra atti- vità. Da circa un'anno però abbiamo ripreso quelle nostre vecchie esperienze e nella presente Nota diamo un breve sunto dei fatti da noi fin qui scoperti. La particolareggiata trattazione di questi resta riservata ad una più estesa Memoria, che pubblicheremo altrove. Il punto di partenza degli studî di cui stiamo parlando, è una reazione da noi notata circa 15 anni or sono; essa si riferisce alla reciproca azione del chinone e dell'alcool. Per azione della luce, e della luce soltanto, si forma idrochinone ed aldeide. Noi abbiamo cercato di estendere la ricerca in modo di conoscere il comportamento di tutta una serie di simili coppie di sostanze, onde arrivare a qualche conclusione d' indole generale. Come si (1) Vedi questi Rendiconti 1886, 3 gennaio e 14 novembre. Anche il Loew, .nel.suo libro, Die chemische Energie der lebenden Zelle (1899), cita queste osservazioni in un breve quadro in cui riassume le principali azioni chimiche della luce. vedrà, da. quanto esporremo, a questo risultato crediamo d'esserci alquanto avvicinati. «Intorno alla parte descrittiva delle nostre esperienze qui non ci dilun- gheremo, sia detto soltanto che noi ci siamo serviti sempre della luce solare, esponendo le sostanze alla sua azione in tubi o fiaschetti (di vetro, chiusi alla lampada. Finora non ci siamo occupati di comparare gli effetti di diverse intensità luminose, nè quelli prodotti da radiazioni di diverso colore. Queste misure saranno oggetto di ulterieri studî; finora ci siamo fermati sulla parte più grossa del fenomeno. I. Chinone ed alcooli. Noi abbiamo anzitutto cercato di vedere se la reazione fondamentale da noi trovata, potesse essere estesa ai vari alcooli mono e polivalenti; il problema ci parve interessante anche perchè dagli alcool poliatomici dove- vano risultare sostanze zuccherine simili o identiche a quelle che Emilio Fischer, nei suoi celebri studî, ottenne per ossidazione con la soluzione alca- lina di bromo o con altri ossidanti. L'esperienza rispose in senso completa- mente affermativo: il chinone in presenza della luce ossida gli alcool poli- valenti alifatici e li converte nelle stesse materie zuccherine descritte dal Fischer. 1. Alcool etilico. — Abbiamo voluto ripetere le nostre vecchie espe- rienze per vedere più esattamente se oltre all’aldeide ed all'idrochinone si formassero altre sostanze. La reazione invece è realmente completa nel senso della uguaglianza: Cs H 4 0,-+- C°H0=C Hy 0. 4 CH 0, e non sì producono che piccole quantità di materia colorante bruna. 2. Alcool isopropilico. — Interessava subito conoscere il contegno d'un alcool secondario ed anche qui la reazione fu quella attesa. Si ottiene senza residuo idrochinone ed acetone: Cs H, 0; + CH; CHOH CH; = G, H, (0H), 4 CH; CO CH.. 3. Alcool butilico terziario. — Qui la trasformazione è assai lenta, tanto che con luce poco intensa potrebbe sembrare nulla, ma a poco a poco il tubo annerisce ed i cristalli di chinone si trasformano in idrochinone ed in parte in chinidrone. Quale sia la sorte riserbata al trimetilcarbinolo non lo possiamo dire. Su questo modo di agire del chinone avremo occasione di ritornare più avanti. 4. Glicerina. — In questo caso l'esperienza è brillante. Sebbene il chinone non si sciolga che in piccola parte nel liquido acquoso contenente LT la glicerina, esso annerisce in breve tempo, trasformandosi in gran parte in chinidrone, mentre la soluzione diventa riducente per il gliceroso che si va formando. Il prodotto, che venne separato allo stato di composto idrazi- nico, ha la composizione e la proprietà del g/icerosazone descritto da E. Fi- scher e I. Tafel ('); solamente il punto di fusione da noi trovato, 136-137°, è più elevato da quello indicato da questi autori, che danno 131°. Sul gli- ceroso sono stati fatti in questi ultimi anni molti studî e A. Piloty (?) di- mostrò che esso contiene quasi il 60 per cento di biossiacetone. Le più recenti ricerche di A. Wohl e C. Neuberg (3), che furono pubblicate dopo che le nostre esperienze erano già terminate, renderebbero probabile che in essenza di alcali, l'ossidazione della glicerina conducesse oltre che al bios- siacetone anche all’aldeide glicerica. Le nostre prove vanno perciò ripetute per decidere se anche nel nostro caso si formano entrambi i prodotti. L'ossidazione potrebbe compiersi secondo lo schema: 2 C6 Hi 0, + C3 Hz 03 = GC Hi 0;. Cs Hg 08 + C3 Hg 03. chinone glicerina chinidrone gliceroso Questo risultato ci incoraggiò a proseguire nello studio degli alcoli po- liatomini e l'aspettativa, come già dicemmo, non fu delusa. 5. Eritrite. — Anche qui l’azione della luce si manifesta esternamente come nel caso precedente. Il chinone sospeso nella soluzione acquosa del- l'aleool annerisce lentamente ed il liquido si colora in bruno. L'operazione in tutti questi casi è poi sempre la stessa; si filtra dal chinidrone, che in parte resta indisciolto, si estrae il liquido acquoso con etere e lo si concentra nel vuoto, dopo averlo scolorato con nero animale. Per lo più la parte del- l'alcool rimasta in alterata cristallizza; si può separarla per filtrazione e si ottiene uno sciroppo, che si tratta con una soluzione d’acetato di fenilidra- zina. Così dell’eritrite abbiamo potuto separare l’erztroso, allo stato di fenil- osazone dal punto di fusione 167-168°. Questo prodotto ha la composizione e la proprietà di quello ottenuto da E. Fischer e 1. Tafel (4) per ossidazione dell’eritrite con acido nitrico e da E. Fischer e Landsteiner (?) per conden- sazione dell’ aldeide glicolica. Il punto di fusione dell’ osazone indicato da questi autori, 166-168°, corrisponde al nostro. Stando ai recenti studî di A. Wohl (5) e di O. Ruff (”) l’eritroso sarebbe la forma racemica dell’ al- deide corrispondente all’eritrite inattiva per compensazione interna. (1) Berichte, 20, 3884. (2) Ibid., 30, 3163. (3) Ibid., 33, 3099. (4) Ibid., 20, 1090. (5) Ibid., 25, 2554. (6) Ibid., 32, 3670. (7) Ibid., 32, 3677. sioni La reazione dunque avrà luogo anche qui secondo lo schema: 2C; H, 0: + CH; OH. CHOH . CH OH. CH,0H= CH. 0,. CH 08 + chinone i eritrite chinidrone + CH. OH . CHOH . CHOH.. CHO. r eritroso (d + /) 6. Mannite. — L'ossidazione della mannite ordinaria, presentava uno speciale interesse, perchè riuscendo ad ottenere per azione della luce la cor- rispondente aldeide, questa doveva essere la materia zuccherina naturale, il d-mannoso. Anche in questo caso la trasformazione aspettata ha luogo, ac- compagnata dai fenomeni già descritti. La separazione del prodotto venne eseguita nel modo citato. Questo è uno sciroppo, che, ottenuto da 6 gr. di mannite, dava una riduzione del liquido di Fehling corrispondente a 3,81 gr. di glucoso. Noi abbiamo preparato ed analizzato l'idrazone, che per il man- noso, come si sa, è caratteristico. Il composto da noi ottenuto aveva il punto di fusione 192°. Secondo gli autori che l' hanno descritto, il fenil- idrazone del mannoso non ha un punto di fusione netto; E. Fischer e Hirsch- berger (!) trovarono 188°, ma anche 195-200°; Reiss (*) dà il punto di fusione 185-186°. Non va dubbio però sulla identità di prodotti. La reazione ha però luogo secondo l' uguaglianza: 20H,0:+ CH 0= CH 0; . Co He 02 + C; Hi2 Os. chinone d-mannite chinidrone d-mannoso 7. Dulcite. — Questo alcool resiste maggiormente degli altri all'azione del chinone ed il rendimento di materia zuccherina, in parità di condizioni, è però minore. Noi abbiamo, come sempre. preparato il composto idrazinico. Questo ha la composizione del du/cosazone di E. Fischer e I. Tafel (8), che lo ottennero dalla dulcite per ossidazione con bromo in soluzione alcalina. Essi dànno il punto di fusione 205-206°, noi abbiamo trovato 207°. 8. Glucoso. — Per ultimo ci sembrò interessante vedere se il glucoso venisse ulteriormente ossidato dal chinone per azione della luce, essendo esso sempre un'alcool pentatomico. Era da prevedersi la formazione del glu- cosone, o di un altro composto aldeido-chetonico oppure della bialdeide, L'esperienza dimostrò che anche qui, come nei precedenti casi, il chinone ossida, in presenza della luce, gli alcooli per dare quei prodotti che si ot- tengono con gli ordinarî ossidanti. In questo caso il composto è il g/ucosone (CH, OH . CHOH . CHOH . CHOH . CO . CHO). L'operazione venne eseguita come negli altri esperimenti ed il liquido liberato dal chinidrone e concentrato convenientemente, dette con acetato di (1) Berichte, 21, 1806 e 22, 1156. (2) Ibid., 22, 610. (8) Ibid., 20, 3390. Ro rea fenilidrazina, subito ed a /reddo, il fenilglucosazone, dal punto di fusione 204-205°. Siccome è noto che il glucoso non dà a freddo coll’acetato di fe- nilidrazina composti insolubili, si deve ammettere che, nel nostro caso, il glucosone trovavasi gia preformato nel liquido. Epperò la reazione determinata dalla luce sarà la seguente: 2 Cs Hi 0, 4 Co Hig 06 = C; Hi O, . C Hy 00 + Cs Ho Os. chinone glucoso chinidrone glucosone Prima di chiudere questo capitolo vogliamo dire che abbiamo voluto tentare anche alcune reazioni inverse a quelle ora citate, perchè era sempre possibile che i due sistemi chinone + alcool == idrochinone + aldeide (0 chetone) conducessero ad uno stato di equilibrio. La cosa invece non sembra essere così, perchè esponendo per lungo tempo (tutta l'estate) due tubi, uno conte- nente idrochinone ed acetone, e l’altro una soluzione acquosa di glucoso ed idrochinone, non si notò nessun mutamento, all'infuori di un lieve imbruni- mento dei liquidi. Pare dunque che la luce non favorisca che uno solo dei due possibili processi. II. Altri chinoni ed alcooli. Qui abbiamo fatto poche esperienze perchè la cosa non presentava molto interesse. Gli altri chinoni studiati furono il timochinone ed il fenantrenchi- none, che si comportano come il chinone ordinario. 9. Timochinone ed alcool. — Questa coppia doveva dare 2drotimo- chinone ed aldeide. E così realmente avviene. Il prodotto ottenuto fonde a 143° e si presenta in forma di cristalli bianchi. Secondo Carstanjen il punto di fusione sarebbe 139°,5 (!). 10. Fenantrenchinone e mannite. — Malgrado una lunghissima espo- sizione alla luce, durata tutta l’estate, la trasformazione prevista non si compie che in piccolissima parte forse in seguito alla assai limitata solubilità del chinone nell'acqua. La soluzione acquosa, liberata dal chinone, dà una lieve riduzione col liquore di Fehling e coll’acetato di fenilidrazina, dopo qualche tempo, un lieve precipitato. III. Chinone ed altre sostanze. In questo capitolo riuniamo alcune osservazioni che possono considerarsi come non riuscite o per lo meno incomplete, ma che pure devono essere ricordate. Il chinone alla luce si riduce non soltanto per azione degli alcooli (!) Vedi Beilstein (8° ediz). II, 971. Se ma, si può dire, più o meno facilmente di quasi tutte le sostanze organiche. Solamente in questi casi, come abbiamo già detto a proposito del trimetil- carbinolo, è assai difficile determinare quale sia la trasformazione subìta dal- l’altro corpo. Sembra poi che il chinone annerisca lentamente alla luce anche senza l'intervento di altre sostanze. 11. Chinone ed ossiacidi grassi. — Era da aspettarsi la formazione di acidi chetonici che invece non ha luogo. Noi abbiamo sperimentato con gli acidi lattico, malico e tartrico, ma non abbiamo potuto accertare altro che la formazione d'acido carbonico. 12. Chinone ed acidi grassi. — Anche in questo caso il risultato è stato simile al precedente. Coll'acido formico la reazione sembra essere ab- bastanza chiara, perchè il chinone si riduce fino ad idrochinone e si forma anidride carbonica. Cogli acidi acetico e propionico si ha un lento anneri- mento del liquido senza potere scoprire quale sia il mutamento subìto dai due acidi. 13. Chinone ed idrocarburi. — Lo stesso può ripetersi rispetto a queste coppie di sostanze. Mentre col dezzolo la riduzione del chinone è lenta, essa diviene rapidissima colle paraffine e coll'etere petrolico o meglio coll’esano o ottano, aggiungendoli p. es. alla soluzione benzolica di chinone in modo che questo resti disciolto, si vede già dopo poche ore separarsi in gran copia una sostanza nera, che ben presto ricopre le pareti del tubo in modo da ren- derlo completamente opaco. Anche in questo caso non siamo riusciti finora a determinare la natura della trasformazione avvenuta. IV. Chetoni ed aldeidi con alcool ordinario. Le esperienze fin qui descritte fecero nascere in noi il desiderio di sapere se oltre ai chinoni o dichetoni anche le altre sostanze contenenti il radicale carbonile fossero in grado di agire come disidrogenanti e però ab- biamo sperimentato alcuni chetoni ed alcune aldeidi. Realmente la supposta azione avviene e mentre l'alcool si ossida ad aldeide, i chetoni e le aldeidi si trasformano nei corrispondenti composti pinaconici. Vogliamo però qui subito far notare alcune interessanti eccezioni che questa regola presenta. Anzi tutto giova sapere che l’accennata reazione ha luogo, a quanto sembra, solamente con chetoni (od aldeidi) aromatici; l'ace- tone ad. es. dà prodotti che ancora non siamo riusciti ad afferrare (*), fra i quali pare manchi il pinacone, inoltre poi sembra che la presenza di ossidrili nei chetoni e nelle aldeidi della serie aromatica possa impedire o ritardare la loro azione ossidante. (1) Le esperienze saranno continuate. Mu -0e. 14. Benzofenone (1). — L'azione di questo chetone sull’ alcool può essere paragonata assai bene a quella del chinone. Con la stessa facilità con cui questo dà l’ idrochinone, il benzofenone si trasforma in benzopinacone, mentre l'alcool diventa aldeide: CH; Cs Hz CH; | | | 20014 (0 Hy0 SON CH CHO | | Cs H; CH; CH; La reazione è completa; non si formano altri prodotti. Il punto di fusione del nostro prodotto era a 185°-187°; ora nel Beil- stein (2) si trova invece che Zagumenny ebbe il punto di fusione 168°. Questa noiosa differenza ci costrinse a rifare il lavoro di questo autore, riducendo il benzofenone con zinco ed acido acetico, per vedere se si trattava d'un errore. Così è diffatti: il benzopinacone ottenuto fondeva a 186°. Il benzofenone, come il chinone, è un composto che si riduce per azione della luce con la massima facilità, e non è solamente l' alcool ma molte altre sostanze organiche che lo trasformano in benzopinacone. 15. Acetofenone. — Questo composto si altera in soluzione alcoolica per azione della luce assai più lentamente del benzofenone, però se la insolazione viene sufficientemente prolungata, la trasformazione è anche in questo caso completa. Il prodotto che si ottiene, distillando l'alcool e l’aldeide, che in gran copia si forma, è una massa vischiosa la quale, nel vuoto, a poco a poco cristallizza. Impiegando l’etere petrolico, si riesce facilmente ad ottenere pura una parte del prodotto, che ha tutte le proprietà e la composizione dell’acetofenonpinacone, dal punto di fusione 122°, mentre gli autori danno 120° (3). Oltre a questo però si trova nel solvente, come più solubile, un altro composto, che non abbiamo ancora potuto ottenere allo stato di con- veniente purezza, e che fonde fra 80 e 90°. Anche Thòrner e Zincke (‘), che prepararono l’acetofenonpinacone, parlano di un'altro prodotto, fondente a 107-108°, e però non è impossibile che, assieme al composto che fonde a 122°, (1) Recentemente Oechsner de Coninck e Devrien (Compt. rend. 130, 1768) fecero per per caso questa stessa esperienza ed ottennero un prodotto dal punto di fusione 182°. Per un’ errore d'analisi, che del resto facilmente si spiega perchè il benzopinacone brucia spesso in modo incompleto, essi attribuirono al composto la formola C17 His O invece di Cs Has 0: e tratti così in inganno, dettero una interpretazione al fenomeno, che non è la giusta. Questa spiacevole coincidenza ci costrinse a pubblicare nei ‘Berichte* (33, 2911) i risul- tati da noi ottenuti col benzofenone e coll’acetofenone. (*) Vol. III, pag. 1105. (3) Beilstein, 8° ediz. II, 1103. (4) Berichte 11, 1992. si formi l’altro stereoisomero previsto dalla teoria (isoacetofenonpinacone), che dovrebbe fondere a temperatura più bassa. Su ciò faremo delle altre prove. In ogni modo rimane assodato che l’ acetofenone si riduce per azione della luce con l'alcool secondo l'equazione: CH; CH; CH | | | 200 + C.Hk0=H0.C—-C.0H + C,H,0. 16. Aldeide benzoica. — Come s'è detto in principio, l’azione che le aldeidi (aromatiche) esercitano sull’alcool in presenza della luce e del tutto simile a quella causata dai chetoni. L’aldeide benzoica in questo caso è tipica, come lo è il chinone ed il benzofenone. Il prodotto liberato dall’ alcool, che è ricchissimo di aldeide, è da principio resinoso e molle, ma in esso si for- mano cristalli facilmente estraibili col benzolo. Questa prima sostanza, che sì purifica assai bene dal benzolo, fonde a 138-139° ed ha la composizione e tutte le proprietà dell’ droderzozno. Il punto di fusione coincide assai bene con quello trovato da Paal(!), 138°; Forst e Zincke invece trovarono 134°. L'idrobenzoino non è però il solo prodotto; dalla resina, che resta indietro, si può con vapore acquoso eliminare delle piccole quantità d'etere henzoico, ma così facendo ed anzi insistendo nella ebollizione con acqua, anche dopo che tutta la parte volatile è passata, si trova nella soluzione acquosa una materia cristallina, che si separa per raffreddamento. Questa seconda sostanza è come, era da attendersi, l’ isoîdrobenzoino. Seccata a 100°, per toglierle l’acqua di cristallizzazione, essa può essere purificata dal benzolo è fonde a 121°, in corrispondenza a quanto trovarono Forst e Zincke (*), che danno il punto di fusione 119-120°. Dopo avere così estratta tutta la parte cristalliz- zabile, resta in dietro, insolubile nell'acqua, una vera e propria resina, dura, gialla e fragile, che presenta ie solite difficoltà, proprie a queste sostanze, ad una esauriente analisi. Per purificarla la sciogliemmo nel benzolo e la riprecipitammo con etere petrolico. Si ebbe così facendo una polvere bianca, che si rammolliva a 100-101°. Essa ha la stessa composizione dell’ idrobenzoino, ma un peso mo- lecolare quadruplo. Se si potesse parlare qui di formula, come si fa per le sostanze cristalline, si dovrebbe attribuirle la seguente 4(C,4 Hu 0,). Noi però non osiamo fare ciò e non escludiamo che la coincidenza dei numeri possa essere fortuita, anche perchè non sarebbe agevole spiegare come sia avvenuta la polimerizzazione dell’ idrobenzoino. (*) Beilstein, II, 1100. (2) Ibid, 1102. RenpIconTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. d9 =. 100 — La reazione determinata dalla luce sulla soluzione di aldeide benzoica nell’alcool è dunque da rappresentarsi in parte con lo schema: Co H; 2 | + C.H0=G, Hé. CHOH . CHOH. C; H; + C,.H,0, CHO ald. benzoica alcool idrobenzoino ed isoidrobenzoino aldeide ma oltre a questa si compie una più complessa metamorfosi che conduce alla resina. 11 risultato descritto in questo capoverso ci sembra degno di nota, non soltanto per l’ interesse che esso da per se stesso può avere, ma segnata- mente perchè permette, crediamo, una assai larga applicazione. In luogo del chinone, che presenta sotto diversi punti di vista molti inconvenienti, si potrà più vantaggiosamente impiegare l’aldeide benzoica in tutti quei casi dove si vuole ossidare con l’ajuto della luce. Se tali reazioni, che ora stiamo studiando, possano avere un interesse anche dal punto di vista della fisiologia vegetale non vogliamo discutere, perchè su tale argomento sono state dette tante belle cose senza aver potuto pro- vare mai nulla. 17. Aldeide anisica. — La reazione fra l’aldeide anisica e l'alcool avviene come nel caso dell’aldeide benzoica, solamente la trasformazione è più lenta e dà un rendimento assai inferiore, la maggior parte dell’aldeide restando inalterata. Fra i prodotti v è pure della resina; noi abbiamo potuto poi ot- tenere l’idroanisoino dal punto di fusione 174°, che coincide sufficientemente (!) con quello degli autori (Samosadsky) 172° (2). 18. Benzoino. — Dopo quanto abbiamo esposto fin qui, la reazione che la luce determina in una soluzione alcoolica di benzoino era da prevedersi: dovevano formarsi i due idrobenzoini e l’aldeide acetica. Così realmente av- viene. Il prodotto liberato dall'alcool e dall’aldeide è una massa resinosa, da cui l'etre petrolico estrae a caldo la parte cristallina. La resina in questo caso si forma in quantità assai prevalente. La parte cristallina cede al car- bonato alcalino piccole quantità di acido denzoico ; il resto, cristallizzato dal benzolo, può facilmente essere scisso nell’/drobenzoino, p. f. 137°, e nel- l'isoidrobenzoino, p. f. 121°, essendo quest'ultimo più solubile nel benzolo. La reazione dunque avviene, almeno in parte, secondo la uguaglianza: C, H;.CO.CHOH.C, H; + C°, H0= C;H;.CHOH.CHOH.C;H; + C,H,0. (1) I nostri punti di fusione sono quasi sempre un po’ più elevati di quelli dati dagli autori, perchè, impiegando un termometro di Zincke, la di cui scala incomincia a + 40°, le nostre temperature possono dirsi corrette. (*) Beilstein II, 1119. — 101 — 19. Benzile. — Sul comportamento di questo corpo in soluzione eterea ha fatto studî importanti il Klinger ('), il quale incominciò le sue ricerche contemporaneamente alle nostre prime prove di Roma. Egli trovò che in so- luzione eterea il benzile si trasforma nel cosidetto benzilbenzoino, che ha la formola 20Hs.C0.C0.CH;, CH;.C0O.CHOH.C H;, mentre si produce aldeide. Sul comportamento in soluzione alcoolica però gli studî di questo autore non ebbero seguito. Anche le nostre esperienze non sono ancora compiute, ma già ora vo- gliamo accennare, che esponendo alla luce una soluzione alcoolica di benzile, il precipitato bianco di benzilbenzoino, che da principio si produce, a poco a poco si va sciogliendo e dopo un certo tempo sparisce. La soluzione con- tiene, a quanto sembra, un complesso miscuglio di diverse sostanze su cui ritorneremo a suo tempo. 20. Vanillina. — Il comportamento di questa aldeide è così speciale e, fino ad un certo punto, così strano, che veramente non dovrebbe essere menzionato in questo capitolo. Noi però preferiamo parlarne qui per evitare di fare di queste poche righe un capitolo nuovo. Esponendo alla luce una soluzione alcoolica, eterea od anche acetonica di aldeide vanillica, dopo poco tempo si separano dei piccoli cristalli i quali altro non sono che la cosidetta deidrovanillina, scoperta molti anni or sono dal compianto Tiemann (?). Questa sostanza, che è un derivato del difenile, ha la costituzione seguente: CH; (OH) (0CH;) (CHO). C; H; (OH) (0CH3) (CHO), e si forma dalla vanillina per ossidazione con lievi ossidanti come ad es. il cloruro ferrico. Il nostro prodotto fondeva a 305°, mentre Tiemann dette 303-304°. Quale sia la sorte della molecola d’idrogeno, che si elimina dalla va- nillina per azione della luce, non possiamo dirlo per ora. V. Comportamento delle soluzioni eteree. Sul comportamento delle soluzioni eteree ha fatto alcune importanti 0s- servazioni il Klinger (*), il quale, contemporaneamente alle nostre prime (‘) Berichte, XIX (1886), pag. 1864. (?) Berichte, XVIII, pag. 3493. (3) Berichte, XIX, pag. 1870. — 102 — esperienze sul chinone in soluzione aleoolica, trovò che il fenantrenchinone ed il benzile, in soluzione eterea, si riducono per azione della luce e danno fenantrenidrochinone ed il già citato benzilbenzoino, mentre si produce aldeide. Egli attribuisce questa azione alla presenza dell’acqua ed operò anzi con etere umido. Noi possiamo confermare queste osservazioni; nella maggior parte dei casi l'etere agisce come l'alcool, ed è probabile assai che la pre- senza dell’acqua agevoli e qualche volta determini l’azione riducente. Col chinone ordinario la trasformazione è assai elegante, perchè se la luce non è molto intensa si vede da prima formarsi nella soluzione gialla una cristallizzazione di chinidrone, che poi, per ulteriore azione della luce, sparisce, dando origine alla formazione di idrochinone. Come il chinone si comportano pure la dernzaldeide, il bencofenone e l' acetofenone, i quali danno gli stessi prodotti che sì ottengono coll’alcool. In alcuni casi sembra poi che la riduzione in soluzione eterea avvenga più sollecita che in soluzione alcoolica, così l'a/deide anisica dà in soluzione eterea un migliore rendi- mento di idroanisoino, che non lo faccia, in parità di condizioni, in solu- zione alcoolica e l' isatina poi, che in soluzione alcoolica resta inalterata, dà coll’ etere un prodotto che fonde a 217° che sembra essere l’ 7drozsatina (Cs H; O,N) di Baeyer (!) a cui corrisponderebbe per composizione e pro- prietà. Forse è possibile che tale diverso comportamento dipenda dalla poca solubilità nell’ etere dei prodotti che si vanno formando. L'azione dell'etere sui corpi contenenti gruppi carbonilici, in presenza della luce, non è però soltanto quella finora esposta. Quasi sempre oltre alle sostanze citate si formano altri prodotti, ed inoltre giova notare che la reazione sì può compiere anche con etere assoluto ed evitando, per quanto è possibile, l’accesso all’ umidità. In questi casi non si ha produzione di aldeide o so- lamente in piccole proporzioni, ma la reazione si compie ugualmente. Oltre ai composti ora menzionati si formano sostanze oleose o resinose di difficile separazione e purificazione, nelle quali si può, col metodo di Zeisel, dimo- strare la presenza dell’osszetile. Questa è la prova che in tali metamorfosi l'etere entra esso stesso a far parte dei nuovi prodotti. Noi però non siamo in nessun caso riusciti finora ad afferrare queste sostanze; ci limiteremo quindi a dire che col chinone, coll aldeide benzoica, col benzofenone e col- l’acetofenone in etere assoluto non si hanno che tracce d'aldeide ed in tutti questi casi rispettivamente oltre all’ idrockinone, all'idrobenzoino, al benzo- pinacone ed all'acetofenonpinacone si formano materie oleose o resinose, che contengono l’ossietile, ciò che venne dimostrato pel chinone e pell’ace- tofenone. L'azione avrebbe quindi bisogno di ulteriori studî, ma per far ciò vantaggiosamente gioverebbe trovare un caso nel quale i diversi prodotti fossero tutti cristallini e di facile separazione. (1) Berichte, XII, pag. 1309. — 103 — VI. Riassunto. In fine crediamo utile riassumere nel seguente specchietto tutte quelle esperienze in cui poterono essere accertati tutti i prodotti che si formano nella reazione. Nella prima colonna sono notati tutti gli alcool finora speri- mentati e l'acido formico, nella seconda i chinoni, i chetoni e le aldeidi sotto la denominazione generica di composti carbonilici, nella terza poi i prodotti formatisi per azione della luce per ogni singola coppia. Alcooli ed acido formico i Composti carbonilici x A (riducenti) (ossidanti) Prodotti 1| Alcool etilico . . . . | Chinone . . . . . .| Aldeide ed idrochinone 2 ” » . +++ | Timochinone. . . . .| Aldeide ed idrotimochinone 3 ” ” Benzofenone . . . . .| Aldeide e benzopinacone 4 ” ” . + + -| Acetofenone . . . . .| Aldeide ed acetofenonpinacone 5 ” D) ».. .| Benzoino . . . . . .| Aldeide,idro- ed isoidrobenzoino e resina (molta) 6 ” ” . + + + | Aldeide benzoica . . .| Aldeide, idro- ed isoidrobenzoino e resina (poca) 7 » » . + + + | Aldeide anisica. . . .| Aldeide, idroanisoino e resina 8| Alcool isopropilico . .| Chinone . . . . . .| Aeetone ed idrochinone CEGICEHna e ». +. + + + «| Chinidrone e gliceroso TO RR ritrite tei i e, vi 0.000. | Chinidrone ed eritroso di Mannite ns nta n idr RN Chinidrone e mannoso IR Dulceten ig “esente... SRIAChinidronererdulcoso llEGlucosole... Lu. ® . 0.0.0. + + + | Chinidrone e glucosone 14] Acido formico . . . . » . 0.0. ++. «| Idrochinone ed acido carbonico Dall’ esame dei fatti qui esposti apparisce giustificata la speranza che queste esperienze possano in seguito condurre a qualche conclusione d’ indole generale Meccanica. — Sulla deformazione delle piastre di grossezza finita. Nota del prof. O. TEDONE, presentata dal Socio VOLTERRA. Meccanica. — Sul! equilibrio delle piastre elastiche inca- strate. Nota del dott. Tommaso Bogcro, presentata dal Socio VoL- TERRA. Le due Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 104 — Fisica. — Risultato di alcune misure di dispersione elettrica. Nota di A. POCHETTINO, presentata dal Socio BLASERNA. In una recente pubblicazione dal titolo (1): « Messungen der elektrischen Zerstreuung în der freien atmosphàrischen Luft an geographisch weit vo- neinander entfernt liegenden Orten » il sig. J. Elster, riportando i numeri ottenuti da alcune misure di dispersione elettrica fatte a bordo di un piro- scafo durante un viaggio nel Mar Glaciale, rileva come al crescere dell’ umi- dità relativa, anche quando non vi siano nebbie o vapori visibili, il coeffi- ciente di dispersione diminuisca qualunque sia il segno dell’ elettricità. Questo fatto, a prima vista strano, riesce affatto spiegabile se si ammette che quando il vapor acqueo contenuto nell’ aria è prossimo al suo punto di condensazione, un gran numero degli ioni liberamente esistenti nell'atmosfera subisce una notevole diminuzione di movibilità. L'evidente importanza che questo fenomeno assume non solo nella teoria della conducibilità elettrica dei gas, ma anche rispetto allo studio dell’ elet- tricità atmosferica, è senza dubbio grandissima; perciò volli vedere se qualche cosa di analogo saltasse fuori dallo spoglio dei risultati delle misure sulla dispersione dell'elettricità nell'aria atmosferica ch' ebbi occasione di compiere durante i mesi di luglio, agosto, settembre ed ottobre dello scorso anno, tro- vandomi a Conegliano (Treviso) a dirigere la locale Stazione governativa di studio dei fenomeni temporaleschi e di controllo agli esperimenti grandinifughi. I signori Elster e Geitel in un recente loro studio (?) sull’importante questione se l'aria atmosferica si possa riguardare come leggermente con- duttrice dell'elettricità, e se questa sua tenue conduttività sia da ascriversi principalmente ad una parziale ionizzazione, giunsero alla costruzione di un semplicissimo apparecchio destinato a studiare il modo con cui un condut- tore caricato a un certo potenziale perde la sua carica quando venga esposto all’ aria atmosferica. 11 metodo da essi ideato, e da me con scrupolosa cura seguito, consiste nel misurare mediante un elettrometro di Ener la perdita di carica di un conduttore cilindrico preventivamente caricato ad un determinato potenziale, tenendo conto della perdita dovuta al sostegno isolante. Una determinazione completa richiede dunque due misure distinte: Si carica il sistema formato dall’ elettrometro e dal corpo disperdente a un potenziale V, e dopo un tempo # si osserva il potenziale V cui il sistema è disceso; si carica quindi il solo elettrometro (che funziona anche da sostegno al corpo disperdente) (!) Physikalische Zeitschrift, 24 Novembre 1900. (2) Physikalische Zeitschrift, I, pag. 245, 1900; Terrestial Magnetism, IV, n. 4, pag. 213; Annalen der Physik, 1900, n. 7, pag. 425. — 105 — a un potenziale V; e dopo un certo tempo 7 si nota il potenziale V' cui l’elettrometro è disceso, allora l'espressione : È , 1) E= logs Clogto, dove 7 è il rapporto fra la capacità dell’ elettrometro solo e quella dell’ elet- trometro insieme col corpo disperdente, servirà di misura per la quantità di eletricità ceduta dal corpo disperdente all'aria durante il tempo #. Naturalmente il numero così ottenuto è dipendente dalle dimensioni dell'apparecchio, per cui risultati di misure eseguite con apparecchi diversi, sebbene costruiti sullo stesso principio, non sono paragonabili fra loro. Gli stessi Elster e Geitel hanno dato alla quantità E che, chiameremo coe/ft- ciente di dispersione, una forma tale da renderlo indipendente dalle dimen- sioni dell'apparecchio; siccome però in generale per gli scopi che mi pre- figgevo, mi servivano solo valori relativi, così, seguendo i signori Elster e Geitel, mi sono limitato all'uso della formola (1) non ridotta, sostituendovi anzi ai logaritmi naturali, quelli decimali, e assumendo come unità di tempo 20'; i risultati vennero poi moltiplicati per 100 e per ulteriore semplifica- zione si fece infine {= = 20". Grandi cure ho preso affinchè le condizioni dell'isolamento dell’ appa- recchio fossero sempre le stesse e perciò ho sempre mantenuto nell'interno dell’elettrometro un pezzetto di sodio metallico, che rinnovavo due volte al giorno; di più, affine di rendere i risultati delle misure assolutamente indi- pendenti dalle influenze elettrostatiche esterne, l’istrumento venne sempre adoperato coll’astuccio metallico di protezione malgrado lo svantaggio che porta seco, aumentando la capacità del sistema, limitando la quantità d'aria esposta all'influenza elettrica del corpo carico e cagionando, quando vi sia debole vento e forte insolazione, un certo stagnamento d'aria. L’elettrometro venne accuratamente calibrato secondo il metodo di Exner con una batteria di 12 elementi Zr — P{— H30 e un condensatore a bilico; i valori intermedi vennero ottenuti mediante interpolazione. Ogni volta che si doveva disporre l'apparecchio per una misura, si te- neva il corpo disperdente in comunicazione continuata con una pila (pila Zamboni, capace di dare in buone condizioni cirea 300 Volta) per 10", affinchè la carica penetrasse nell'isolante che sostiene tutto il sistema; do- vendosi fare una successiva esperienza con elettricità di senso contrario, si caricava per 15' affinchè il suddetto isolante potesse cambiare la sua carica superficiale e neutralizzare il residuo della precedente. Tranne poche interruzioni, le misure vennero eseguite costantemente quasi ogni giorno, ogni due ore, per la seconda metà di luglio, per tutto agosto e tutto settembre, e per la prima metà di ottobre. Parallelamente a queste osservazioni, intercalandole con esse, vennero nei giorni di assoluto sereno eseguite delle misure di caduta di potenziale — 106 — con un elettrometro ausiliario seguendo il metodo di Exner con collettori a fiamma, mentre, temperatura, pressione, umidità assoluta e relativa venivano continuamente forniti da appositi registratori Richard con cui l’ Ufficio Cen- trale di Meteorologia aveva munito la Stazione. Ebbi in tal modo occasione di radunare una serie di circa 600 misure di dispersione dell’ elettricità nell'atmosfera libera eseguite in ore, posizioni e condizioni meteorologiche disparatissime, ma sempre perfettamente note, e sempre su per giù nella stessa località, cioè a circa due chilometri ad est- nord-est di Conegliano, su una collinetta elevata circa un'ottantina di metri sulla pianura e assolutamente isolata. Facendo lo spoglio di queste osserva- zioni, sì rilevano alcuni fatti abbastanza interessanti in completo accordo coi risultati delle misure cui accennavo in principio. Anzitutto i coefficienti di dispersione ottenuti con cariche positive e ne- gative sono a parità di condizioni eguali entro i limini degli errori d' osser- vazione; questo vale in generale, eccettuati i giorni di violenti precipitazioni, nei quali si ebbero a notare certe particolarità di cui dirò appresso. Di nessuna influenza si manifestarono e la natura del suolo su cui è posato l'apparecchio e l’ambiente in cui la misura è eseguita; misure ese- guite posando l'istrumento sull'erba all'aria libera, su un lastricato, o sul nudo terreno pure all'aria libera, o sul davanzale di una finestra nel vano della medesima, non lasciano scorgere alcuna differenza che non sia riferi- bile ad errori inevitabili in misure di simile genere. Un influenza della temperatura, umidità assoluta, forza del vento e stato del cielo non fu parimenti potuta scorgere almeno nei limiti in cui ven- nero eseguite le osservazioni corrispondenti, come si vede dai risultati, scelti a caso fra gli altri, che riporto nella seguente tabella: Data Temperatura |Umidità assoluta Vento Stato del cielo Segno RR, 24 luglio. . . 30 16,57 debole coperto + 1,78 30 agosto . . 19 8,71 nullo ” + 179) 51 luglio. . . DID 14,58 ”» sereno _ 1,30 3 agosto . . 26 16,3 D) ” - 19% 14 settembre 16 8,34 ” 1/, coperto + 1,384 20 ” 18 9,48 fortissimo coperto _ 1,31 2 ottobre. . 18,5 9,87 medio 3/1 coperto + 1,32 22 luglio. . . 30 13,67 nullo 1/, coperto 2,00 14 agosto . . 24 10,14 fortissimo coperto a 1.98 16» 25 11,80 debole sereno Da 1,98 4 settembre 17 6,72 nullo » | 1,98 Nella seguente tabella riporto alcuni dati relativi all'andamento diurno del coefficiente di dispersione e della caduta di potenziale, scelti qua e là fra le numerosissime serie eseguite in quei giorni in cui in tutto il Veneto non vi fu traccia di attività temporalesca. — 107 — Caduta Coefficiente midità z ‘Caduta Coefficiente midità ora. Data di potenziale | tf dtt sine | | | pu it ali Hina die Data lai potenziale alipetietono Ding 8 56 1.00 69 8 36 1,62 53 9 124 9 48 10 48 1,58 56 ..| 10 84 1,76 49. 11 160 | 11 54 12 a 128 1,87 59 120 = 90 LZ0RE 51 13.1 $ 152 3.2 66 14 | & 150 1,37 58 14 | & 90 2,32 40 15 | 120 15 | 8 56 16 160 1,50 57. ll 16 60 1,98 46 17 40 17 78 18 32 0,75 66 | 18 24 1,22 65 19 50 | 19 6 O e LT 028 1020) I 0 e i 20 10 0,74 72 | 8 56 (755 |. 49 8 80 1,75 53 9 64 9 128 10 90 1,76 49 .| 10 80 1,27 64 HA LISTA PARI 78 n DSS 128 1 TOS 126 1,75 51 10208 MESI 40 1,55 57 18.) £ 90 13.| È 98 4|2 98 2,29 49 4 | 80 1,98 47 15 | È 80 15 | © 68 16 | 64 1,76 49 |16|* 120 1,75 51 17 108 | 17 78 18 58 1,75 51 18 72 1,75 55 19 36 19 40 ds 66 AT >ZEEegrerc(e« 8 78 8 42 1,30 62 9 120 9 76 10 80 1,47 58 | 10 54 ] ,30 62 iso 117 | 11 60 12RR= 88 1,57 51 |12| ® 48 1,82 60 13 | 3 108 13 | 2 64 14| È 58 1,69 52 |l4| £ 48 0,97 65 IE 100 oa 40 16. | 166 1,49 57 ne 80 2,07 37 17 100 | lg 58 18 76 1,49 58 | 18 60 1,27 64 19 80 | 19 50 Rei eee 0020 |. een e l 20 8 40 1,44 57 8 40 2,80 41 9 78 9 58 10 56 1,45 57 10 36, 1677 44 WS RS 68 11 50 . RAS 52 1,52 52 12 | ® 40 2,91 40 13 |< 80 190 er 59 14 | 3 57 1,50 52 14 | £ 40 1,70 47 5 | 62 zi e 48 16 104 0,74 ri co 64 1,70 48 17 ? 76 7 36 18 59 1,41 59 15 32 1,57 55 19 60 | 19 i 20 Ji 10 Da questa tabella risulta immediatamente la nessuna relazione esistente fra le variazioni della caduta di potenziale durante il giorno e i valori del RenDpICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. Sh] — 108 — coefficiente di dispersione nelle stesse ore. Di più si notano nell’ andamento della caduta di potenziale due massimi caratteristici, uno alle 11 ore e uno alle 16 che si rilevano in tutte le serie; due massimi secondarî, ma pure sempre abbastanza ben marcati, si hanno alle 9 e alle 13; nulla di simile si ha occasione di notare nei valori del coefficiente di dispersione. Una certa relazione si nota invece fra i valori del coefficiente di di- spersione e quelli dell'umidità relativa, nel senso che ai valori più grandi dell'umidità relativa corrispondono i valori più piccoli del coefficiente di di- spersione, fatto precisamente analogo a quello che il sig. J. Elster già notò nelle ricerche di cui ho sopra parlato. Fatto lo spoglio delle registrazioni ottenute dall’igrografo e dallo psi- crografo Richard (quest’ultimo venne durante tutto il mese di Juglio e agosto confrontato accuratamente con uno psicrometro a fionda, non essendo il suo comportamento molto soddisfacente), ho potuto constatare che questa relazione fra il coefficiente di dispersione e l'umidità relativa era perfettamente ge- nerale e che non dipendeva affatto dal segno della carica del corpo disper- dente; riporto qui sotto una tabella dimostrante il fenomeno: Numeri Numero 5 È Umidità se Rica SI Minto relativa il'‘colbeiet. | GMIGICE | ossorsizioni | Conieictat] (Conan tricità + | tricità — cità + cità — 28-30 2 SI 2 3,50 Di 31-35 5 1 6 3,50 3,77 36-40 17 15 39 3,20 3,93 41-45 15 16 31 2,10 2,10 51-55 40 52 92 1,60 1,56 56-60 75 .| (I 126 1,44 1,44 61-65 65 | 40 105 1,19 1,25 66-70 12 | (na 26 0,87 1,00 71-75 6 | 9 15 0,80 0,68 76-80 1} 68 4 0,76 0,56 81-86 5 | 2 7 0,36 0,60 Un altro fatto importante e che porta un marcato carattere di polarità, è quello che si nota esaminando la seguente tabella in cui vengono ripor- tati i valori del coefficiente di dispersione durante pioggie temporalesche: nell'ultima colonna riporto il valore del coefficiente di dispersione quale sarebbe stato da attendersi in un giorno normale, dato il valore dell’ umidità relativa: — 109 — i Segno ciente sa; effici Date [0 | del | atei | digione | Sii | diver, 4agosto | 18-20] + |18',-19*/,, minuta 3,20 61 1,25 5 n 12:14f + (|12-12:/, -, discreta] 2,09 50 1,90 8» 16-18] — 16-17, forte JEv0 46 1,86 10» |1820| — |19-191/ :, forte 1,98 45 2,00 18. » 18-20] + |17-188/, , minuta 1,56. 59 1,45 2Qli » 16-18] — |161/28. , forte 1,99 58 1,30 21. » 18-20] + 18-20, forte 2,33 66 1,03 21 1 20-22) — 20-22, forte 0,85 72 0,73 29. 8-10]. + 81/2-91/2 , forte 3,80 68 0,90 24: ‘», 14-16] —- |15'1/2-16 , poca 1,37 57 1,40 Ora 10-12 + 10-12, minuta 2,77 58 1,30 29. n 14-16] — |14'/,-15!/s, minuta 0,81 64 IR25 8 sett. 18-20] + 18-20, forte 1,98 67 1,00 12,005 10-12) — 10-12 . , poca 1:55 57 1,50 180» © | 10-12|-+ .|10-10'/, : -, poca 1,58 59 1,45 19 0sp 14-16) — |14'/-15 ., poca 1,41 57 1,40 (OLI A 16-18| .+ 17:18... , poca 1,24 62 1,20 20 » |1012| + | 10-11 ,poca 2,02 62 1,25 27 » 14-16] — |14'/9-15!», poca 1,25 65 1.25 ‘Come si rileva subito, tranne in quella osservazione, ì dati corrispon- denti alla quale vennero sottolineati, sempre durante le pioggie temporalesche, il coefficiente di dispersione è cresciuto per cariche positive ed è rimasto assolutamente normale per cariche negative, fatto questo in completa armonia coi risultati delle esperienze fatte dai sigg. Elster e Geitel in vicinanza delle cascate. Fisica. — Velocità della luce nei cristalli magnetici. Nota del dott. G. ScaLFARO, presentata dal Socio BLASERNA ('). Nella teoria elettromagnetica della luce, per giungere alle leggi di Fresnel, si suppone che le costanti di permeabilità magnetica siano uguali in tutte le direzioni. Sembra ora interessante ricercare, con misure molto precise, se nei cristalli magnetici si notano delle deviazioni dalle leggi di Fresnel.. Le leggi di propagazione della luce nei cristalli magnetici furono sviluppate dal prof. Sella (2), partendo dalle equazioni fondamentali di Hertz. (1) Lavorò eseguito nell'Istituto fisico della R. Università di Roma. (2) A. Sella, Rend. Ace: ‘Lincei, 1895, II semestre, pag. ‘237; - — 110 — Il Sella stesso fece alcune misure sopra il solfato di ferro, non riuscendo a constatare una divergenza dalle leggi di Fresnel. Io ho ripreso, per suo con- siglio, la ricerca perchè disponevo di uno strumento, con cui potcne spin- gere molto più avanti la precisione delle misure. Ora, dato un cristallo, immaginiamo di determinare le velocità di pro- pagazione della luce in tutte le direzioni, parallele ad un piano di data orientazione, e supponiamo condotti da un punto, preso come origine, dei vettori rappresentanti in grandezza e direzione queste velocità. È noto allora che i punti estremi di questi ‘vettori definiscono una curva, che è ‘la se- zione della superficie delle velocità normali col piano suddetto. Basta quindi paragonare i raggi vettori della sezione così ottenuta con quelli della sezione che si otterrebbe, segando con lo stesso piano la superficie delle velocità normali, quale risulta dalla legge di Fresnel, per dedurre se esiste o no divergenza. I cristalli di cui disponevo e sui quali ho fatto le esperienze sono: 1° Seleniato di Nichel (N; S, 04 + 6H? 0 — sistema dimetrico) 2° Solfato di Nichel . (N; 604 + 6H°? 0 — » RE), 8° Solfato di Ferro (F.,504 + 7H?0 — sistema monoclino) 4° Solfato doppio di Cobalto e Ammonio (Am* S0* + Co S0'+ 6H?20 — sistema monoclino). I sistemi da me studiati sono dunque: dimetrico e monoclino. — L'equazione della superficie delle velocità normali nel caso del sistema di- metrico, in cui gli assi principali elettrici e magnetici coincidono col sistema di assi coordinati, se l’asse 2 coincide con l’asse principale, è: € U3 EM °_ (ila CP €3 Mi EU in cui v è la velocità di propagazione dell'onda; m,n,yp i coseni direttori della normale all'onda; «, 3, #1 #3 le costanti dielettriche e magnetiche del cristallo moltiplicate per il rapporto della quantità di elettricità in misura elettromagnetica a quella in misura elettrostatica. Nel caso del sistema monoclino, se si suppone che l’asse y coincida con l'asse di simmetria, l'equazione della superficie delle velocità normali è: vi — v° Im>(£' 53 L'38 + 8 33 L'23) + n°(£ 33 Mu + £ n M'33 — 2513 D'13) + + p°(# n D'as + sr HW) = 2mp(5' 2° 31 + 831 D'32)f + + [m? E 33 €33 + n°(£33 En 31) + p° 8 11 838 — 2mp Es €31] Cm? Mas M'33 + n°(U'33 Bu = L'31) + p° Mu M'39 — 2pm Mas 31] =0 — lll — dove s'è posto: , Ù i 1 dE , 1 du E nk—=Giner ras Mann. Mhn E dEnk Lo dUnk e €11 €12 €13 Mii Mia U13' E =| E2] E22 €23 u = | Ma M22 M23 €31 €32 €33 M31 H32 M33 Le osservazioni che ho fatto in questi due sistemi sono: 1° nel sistema dimetrico: in un piano normale all'asse ottico ed in un piano contenente l’asse ottico; 2° nel sistema monoclino: nel piano di simmetria cristallo- grafica, in un altro piano di simmetria ottica; in un piano parallelo alla faccia (001). Allora esaminiamo le forme delle sezioni che nascono tagliando la superficie delle velocità normali, quale risulta dalla teoria elettromagne- tica, con i piani suaccennati, e confrontiamo quindi le sezioni ottenute con quelle che si otterrebbero tagliando, con j medesimi piani, la superficie delle velocità normali, quale risulta dalla teoria di Fresnel. Nel sistema dimetrico la superficie delle velocità normali, sia rispetto alla teoria elettromagnetica, sia rispetto alla teoria di Fresnel, è una super- ficie di rivoluzione intorno all'asse ottico, per cui la sezione con un piano normale a quest'asse si compone sempre di due cerchi concentrici. In una sezione contenente l'asse ottico invece, secondo la teoria elettromagnetica, si dovrebbero avere due ovali: m* p? i m° È ue l =0 Vv? — cell = (0) 1 43 E Wi €33 Mi € Mi mentre secondo la teoria di Fresnel un cerchio ed un ovale: Ze v me —pa=0 Nel sistema monoclino invece: nel piano di simmetria secondo la teoria elettromagnetica la sezione si compone di due ovali: D_-'as(Mw's54-n a 2QMPu'5)=0 02M 3548 n 2mpe 3) =0 secondo la teoria di Fresnel di un cerchio ed un ovale: DEDE vo —- me — ppa=0. Parimenti negli altri due piani di simmetria ottica, la sezione si compone di due ovali nel 1° caso, di un cerchio ed un ovale nel secondo. Per determinare la velocità di propagazione della luce nei cristalli mi son servito del rifrattometro Abbe. Come è noto, la sostanza da esaminare vien collocata, per mezzo di una goccia di liquido, d’indice più elevato, con — 12 — una faccia perfettamente piana, sopra il piano superiore della mezza sfera d’indice noto N; se in un determinato azimuth è l'angolo limite della riflessione totale, ed x l'indice di rifrazione della sostanza, sarà allora: n=Nseng. L'illuminazione dello strumento può farsi sia con luce riflessa, sia con luce rifratta. Io ho preferito di lavorare sempre con la luce riflessa, che mi offriva maggiore precisione nei risultati. All’uopo riporto i risultati di una delle tante serie di osservazioni preliminari fatte, puntando la linea limite del quarzo, ora adoperando la luce riflessa, ora la luce rifratta : Luce'rifratta ‘ Luce riflessa 3' 20” 3’ 20” 3.30 3 20 3-30 5 25 9 25 s 20 3 30 3 30 3.20 5 20 3.80 3 25 Le letture precedenti furono fatte sulla vite micrometrica. Per determinare esattamente l'indice di rifrazione è necessario che lo strumento soddisfi ad alcune condizioni. I. La superficie piana della mezza sfera deve essere perpendicolare all'asse di rotazione del circolo graduato orizzontale. — Possiamo accorgerci se questa condizione è soddisfatta o no, osservando, col canocchiale munito della lente piano-convessa ausiliaria, l’immagine di un oggetto riflesso dalla superficie piana superiore della mezza sfera, mentre si fa ruotare il cerchio orizzontale. Se il piano superiore della mezza sfera non è normale all'asse di rotazione, l'immagine dell'oggetto riflesso si sposterà girando la superficie riflettente intorno al proprio asse di rotazione. Per mezzo delle viti di cor- rezione si può eliminare questo errore. Io diressi il canocchiale sopra un oggetto lontano 200 m. circa ed osservai al reticolo una piccolissima devia- zione dell'immagine, che quand’ anche fosse stata di 1 mm. poteva dar luogo ad un errore minore di 10” e perciò affatto trascurabile. II. L'asse di rotazione della mezza sfera deve coincidere col suo asse di simmetria. Osservando un segnale sullo specchietto, col cannocchiale abbas- sato, mediante le viti di correzione si può soddisfare benissimo alla suddetta condizione. III. Il centro della sfera deve giacere sull'asse di rotazione del circolo graduato orizzontale. — Per verificare se ciò avviene basta determinare un indice di rifrazione noto. Ogni qualvolta questo si trova o più grande, o più piccolo del vero, la sfera deve essere innalzata o abbassata, il ‘che può farsi — 113 — mediante la vite di correzione, di cui l'apparecchio è munito. Io, servendomi sia del confronto coll’indice di rifrazione del vetro della sfera, sia con quello del quarzo, corressi sufficientemente l'errore, tuttavia il centro della sfera rimase d'una quantità piccolissima più basso, e per avere un'idea dell'errore che poteva produrre, riporto la differenza tra l'indice di rifrazione vero e quello osservato, nel caso p. es., del solfato doppio di ammonio e cobalto: n —n' = 0,000021 Noto però implicitamente che l'influenza di questo errore era trascu- rabile per la mia ricerca, intesa non a misurare valori assoluti degli indici, ma differenze in diverse direzioni. IV. Altra sorgente importante d'errore si deve ritrovare nello strato liquido interposto fra la sostanza ed il piano superiore della mezza sfera; giacchè questo in generale non è a faccie piane parallele, ma a faccie incli- nate, e le misure quindi risultano errate a causa della rifrazione in un prisma di liquido. Tenendo conto di ciò, e considerato che l’angolo d'inclinazione delle faccie è piccolo, si ha: n= N00 g' + sen gp” 1) 2 dove g' eg" sono gli angoli limiti letti a distanza di 180°. Se l'angolo d’in- clinazione fra le due faccie è piccolissimo, la precedente può scriversi: n= N sen (52, ; Quindi, per determinare l'indice di rifrazione, si faranno due letture corrispondenti a due posizioni della mezza sfera a distanza fra loro di 180°, la media aritmetica delle due letture, con grande approssimazione, si può ritenere essere il vero angolo limite della riflessione totale. La massima dif- ferenza da me osservata nel caso del solfato di nichel fu di 1° 50”. — Applicando quindi l’ultima formola, nella determinazione dell’ indice di rifra- zione, l'errore che ne deriva è minore di 0,000001. Infine ci resta di vedere l'influenza che un errore d'osservazione esercita sulla determinazione di n. Si ha: On = N cos g dg +- sen g dN da cui e poichè N è calcolato esattamente fino alla 5* decimale, l'influenza di ON può essere trascurata. Nelle letture per mezzo della vite micrometrica si può (1) C. Viola, Zeitsch. fir Krys. 1898, XXX p. 437. — ‘(114 — avere g misurato fino ai 10", allora per dg = 10", nel caso p. es. del sol- Tato doppio di ammonio e cobalto: n= 1,50259 p= 52° 38' 30" dn = 0,000057 Dunque si ottiene un errore della 5* decimale di 5 o 6 unità. Da ciò segue che tutti gli errori causati dalla non perfetta correzione dell’apparecchio sono molto più piccoli degli errori di osservazione. Le superficie dei cristalli furono in parte preparate dalla casa Zeiss, in parte preparate da me. Accennerò il modo come sono riuscito ad avere delle superficie piuttosto buone. Per il solfato di ferro, dopo aver fatto la sezione del cristallo secondo il piano stabilito, la superficie rustica ottenuta veniva trattata sopra un vetro smerigliato con polvere di smeriglio, dapprima n.0 e successivamente sempre più sottile, arrivando al rosso inglese. Dopo ciò la superficie veniva strofinata leggerissimamente sopra carta da filtro, pre- parata all’acido fluoridrico, impedendo così che delle tracce di silice facessero dei piccolissimi solchi, e sulla carta veniva messa, come polvere di smeriglio, una piccolissima quantità di carbonato di calcio in polvere, la cui durezza è leggermente superiore a quella del solfato di ferro. Alla fine il lucido si otteneva strofinando la superficie sopra la carta da filtro, ma mettendovi un po’ di polvere di Ca SO,, la cui durezza è quasi uguale a quella del Fe SO*. Per il seleniato di nichel ottenni una buona superficie in questo modo: strofinai dapprima la superficie sopra una pietra da rasoi, poi sopra una pietra litografica ed infine feci acquistare il lucido alla superficie, strofinan- dola leggerissimamente sopra una pelle di guanto finissima con pochissimo rosso inglese. Esaminiamo ora le osservazioni fatte. Nel sistema dimetrico la 1 serie di osservazioni fatta nel piano normale all'asse ottico, fornisce due cerchi concentrici. Per brevità non riporto i risultati. Prendiamo in considerazione la 22 serie, cioè quella fatta in un piano contenente l’asse ottico. Nel caso del Ni Se 04 le letture furono fatte di 15° in 15° sul cerchio orizzontale, e dopo esaurito il giro di 360°, furono ben determinate le posizioni dei massimi e minimi, cioè la posizione e grandezza degli assi della curva di sezione. Per la determinazione degli angoli limiti fu adoperato il metodo differenziale, adoperando come termine di paragone l'indice © del quarzo. — I raggi vettori della sezione furono calcolati in base alla teoria di Fresnel, cioè per mezzo della formola: v= =l m? c° + p? a Uni dove per a e c furono assunti i valori dal velocità nni A dalla esperienza. Nella tabella seguente sono disposti i risultati ottenuti. Da essa — 115 — risulta che messi a confronto i raggi vettori calcolati con quelli risultanti dalle esperienze, si trova la coincidenza in generale fino alla 4* decimale. Ni Se 0‘ + 6H°0. — Sezione contenente l’asse ottico. CURVA ESTERNA CURVA INTERNA Cerchio oriz- i ! E ontale raggi vettori raggi vettori differenza raggi vettori osservati calcolati osservati 0 0.659938 0.659817 | — 0.000121 0.650107 15 0.657280 0.657207 | — 0.000073 0.650097 _ 45 0.651715 0.651680 | — 0.000085 0.650120 60 0.650205 0.650270 | 4 0.000065 0.650107 66.30 0.650120 0.650120 0.000000 0.650130 90 0.651833 0.651955 | +4 0.000122 0.650120 120 0.657556 0.657596 | + 0.000040 0.650130 135 0.660022 0.660115 | + 0.000093 0.650120 150 0.661604 0.661507 | — 0.000097 0.650126 156.30 0.661653 0.661653 | — 0.000000 0 650126 165 0.661400 0 661403 | + 0.000003 0.650107 Ni S0' + 6H°0. — Sezione contenente l'asse ottico. 0 0.665700 0.665724 0.000024 0.662237 15 0.663462 0.663494 0.000032 0.662269 30 0.662306 0.662340 | + 0.000034 0.662283 35 0.662260 0.662260 0.000000 0.662270 45 0.662625 0.662581 | — 0.000044 0.662247 60 0.664102 0.664142 | + 0.000040 0.662240 75 0.666658 0.666606 | — 0.000052 0.662268 90 0.669382 0.669302 | — 0.000080 0.662247 105 0.671482 0.671515 | + 0.000038 0.962238 120 0.672659 0.672652 | — 0.000007 0.662293 125 0.672732 0.672732 0.000000 0.662309 135 0.672393 0.672420 | + 0.000027 0.662293 165 0.668467 0.668425 | — 0.000042 0.662222 Ora se nel caso dei cristalli dimetrici in una sezione contenente l’asse ottico, indichiamo con E, £; i valori degli indici di rifrazione secondo l'asse ottico, e con E, 2, quelli corrispondenti al vettore normale all'asse ottico, si avrà evidentemente, indicando con v la velocità della luce nei cristalli, V quella nel vuoto, e con w,%,p i coseni direttori del vettore: Mi V OR ci Vi V perm=1 n=0 p=0 O: pa Coi Dalla teoria elettromagnetica si deduce invece: 1 1 = = = d= di peri 207, — ip Di E Ve: FILE] erm=1 n=0 p=0 a 00 P =0 che deducesi dalla equazione della superficie delle velocità normali. Am» 80, 4+- Co SO, + 6H.0. — Superficie parallela alla faccia (001). CURVA INTERNA CURVA ESTERNA Cerchio oriz- raggi vettori | raggi vettori raggi vettori | raggi vettori zontale differenza differenza osservati calcolati osservati calcolati 0 | 0.667422| 0.667370| — 0.000052 | 0.670682 | 0.670707| + 0.000025 80 | 0.666030| 0.665948| — 0.000082 | 0.670822 | 0.670779| — 0.000048 52 | 0.665515 | 0.665515 0.000000 | 0.670815 | 0.670815 0.000000 60 | 0.665658| 0.665574| — 0.000074 | 0.670814| 0.670809 | — 0.000005 90 | 0.666601| 0.666642 0.000041 | 0.670788 | 0.670764| — 0.000024 120 | 0.668095 | 0.668109 0.000014 | 0.670636 | 0.670659 | + 0.000023 142 | 0.668545 | 0.668566| + 0.000021 | 0.670586| 0-670608| + 0.000022 150 | 0.668495 | 0.6683911 — 0.000104 | 0.670687 | 0.670724 | + 0.000037 (1) Murmann, Sitzber., Wien, Ak. 1859, pag. — 118 — Infine resta la serie di osservazioni fatta sul solfato di ferro. Con questo cristallo era estremamente difficile avere una buona superficie riflettente e la percezione delle curve limiti riusciva assai penosa. Nella serie che segue gli errori d'osservazione influiscono qualche volta anche sulla 4% decimale. Fe SO, + 7H:0. — Faccia parallela al piano di simmetria cristallografica. OVALE CERCHIO Cerchio (II oriz- raggi vettori zontale i pi O differenza raggi osservati osservati calcolati 0 0.674881 0.674900 | + 0.000019 0.677158 10 0.675854 0.675958 | + 0.000124 0 676934 20 0.677119 0.677081 | — 0.000038 0.677197 30 0.678246 0.678133 | — 0.000113 0.676929 40 0.678990 0.678989 | — 0.000001] 0.676926 50 0.679452 0.679547 | + 0.000115 0.67 .120 60 0.679740 0.679740 0.000000 0.677190 70 0.679500 0.679547 | + 0.000047 0.677101 80 0.678902 0.678989 | + 0.000087 0.677197 100 0.677193 0.677081 | — 0.000112 0.677000 110 0.675732 0.675962 | +-0.000230 0.676970 120 0.674975 0.674907 | — 0.000068 0.677209 130 0.674157 0.674045 | — 0.000112 0 677060 140 0.673267 0.673488 | 4 0.000216 0.676979 150 0.673287 0.673287 0.000000 0.677001 180 0.674796 0.674900 | 4- 0.000104 0.677000 Nel caso dei cristalli monoclini, ammettendo una differenza di 5 unità nella 5* cifra decimale dei raggi vettori, si trova per il solfato di ferro e per il solfato doppio di ammonio e cobalto 2° _1<0,000065. ICAGÌ Dai risultati ottenuti in tutte le serie di esperienze eseguite in cristalli magnetici, risulta che la velocità di propagazione della luce segue le leggi di Fresnel, nei limiti degli errori derivanti dall’osservazione, e questi errori abbiamo visto che influiscono sulla sola quinta decimale dei raggi vettori. Per cui si può concludere che se, per tali cristalli, si verifica una divergenza dalle leggi di Fresnel, questa è piccolissima e solo con mezzi di osservazione molto più precisi può determinarsi. Chimica. — Sopra alcune reazioni del mnitrossile. Nota di AnceLO ANGELI e FRANcESCO ANGELICO, presentata dal Corrisp. CIAMICIAN. Geologia. — Scorze trachitiche dell’ Averno nei Campi Flegrei. Nota di 1,. PAMPALONI, presentata dal Socio 0. DE STEFANI. Le due Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 119 — PERSONALE ACCADEMICO Il Vicepresidente BLAasERNA rende conto della presentazione fatta a S. M. LA REGINA MADRE dall'Ufficio di Presidenza, dell'indirizzo di condo- glianza e di omaggio votato dall'Accademia; e partecipa che S. M. lo ha incaricato di esprimere a tutti i Soci i sensi della Sua viva gratitudine. Lo stesso Vicepresidente comunica il telegramma col quale il Presidente MessEDAGLIA ringrazia i Colleghi del telegramma di condoglianza inviatogli in occasione del grave lutto domestico dal quale fu colpito. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Vicepresidente BLASERNA presenta, a nome del Socio CREMONA, due pubblicazioni, una del prof. C. Guipi, intitolata: Prove sui materiali da costruzione, e l'altra del prof. E. PascaL, avente per titolo: Eugenio Beltrami. V. C. Qi LUIBEBERZAC n FA 102 E 1 CINISI SUOR unzdO ki [ah oi Toi poro! lito nido langs {E ‘ofito9 Le bastia ilono esa MI DR CTR) Pisahi ARUAlÉ Aso gif i Vba }1t*) le fi mol 1a sa ‘TUNE dadi DAI ; Fausto. ’ sE, HE sanibinti fori foro LE ViAL1LLId88 ib aleoligani E, WU MER Ma bneo IRID ion SIT AO stiraliiesa gas venda. ae si ilootgryial, feti boni sp do pio is iiivaloga i aluegnit KR nad cdliglos: tie ATO 00 e HA LIE CO NAT hoy La I ATOMO, Voi bt i, FRRNEALOO Sp RI anti TSO GAS mi 0a RE >», n d4 dà i gni" [HI DA Spur nh DI RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCFI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANANAS Seduta del 3 marzo 1901. P. BLASERNA Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulla distribuzione in latitudine delle pro- tuberanze solari osservate al It. Osservatorio del Collegio Romano durante l’anno 1900. Nota del Socio P. TACCHINI. Dalle latitudini, che calcolai per le 544 protuberanze osservate nell’an- nata, ricavai le seguenti cifre per la frequenza relativa delle protuberanze medesime nelle diverse zone di 10 in 10 gradi per ciascun trimestre : 1900 Latitudine 1° Trimestre 2° Trimestre 3° Trimestre 4° Trimestre o i | | | | 90 + 80 | 0,014 0,009 0,009 0,008 80 + 70! 0,027 0,009 0.027 0,000 70 + 60]| 0,055 0,017 0,032 0,023 60 + 50 | 0,041 0,052 0,077 0,075 50 + 40 | 0,055 )0,356| 0,069 )0,337 | 0,064 ;0,391 | 0,030 /0,254 {140 + 80]| 0,027 0,043 0,027 0,037 1380 + 20 | 0,041 0,052 0,045 0,000 20 + 10 | 0,041 0,084 0,055 0,044 10. O 0,055 0,052 0,055 0,037 MiTo mori Terra | nn 10 — 20 | 0,055 0,095 0,041 0,052 20 — 80 | 0,041 0,086 0,045 0,067 30 — 40 | 0,124 0,034 0,041 0,067 40 — 50 | 0,192 \0,644| 0,155 )0,663 | 0,145 >0,609 | 0,239 \0,746 50 — 60 | 0,082 0,121 0,136 0,134 60 — 70 | 0,027 0,026 0,082 0,060 70 — 80] 0,055 0,034 0,064 0,015 80 — 90 | 0,027 0,009 I 0,000 0,052 Î | RenpiIcoNTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 16 — 122 — Dalle cifre sopra riferite risulta evidente che durante tutta l'annata l'attività solare, per ciò che riguarda le protuberanze idrogeniche, si man- tenne sempre assai maggiore nell'emisfero australe, come risulta ancora che la massima frequenza delle protuberanze avvenne in ogni trimestre nella zona australe (— 40° — 50°). Astronomia. — « Nova Persei ». Nota del Corrisp. E. Mi- LOSEVICH. Pare che il signor Anderson a Edimburg, già noto per scoperte di stelle variabili e di un'altra temporaria, sia stato il primo ad accorgersi che nella costellazione di Perseo vi era una stella nuova di grandezza 2,7. La sua osservazione è in data 22 febbraio verso 3° am. di Edimburgo. La sera del 22 la stella fu veduta da tutti coloro che rivolsero la loro atten- zione alla costellazione di Perseo. Sta il fatto che ancora nella sera del 19 l’astro era invisibile, secondo notizie dell' Osservatorio di Cambridge Mass, o per lo meno era al disotto delle esplorate grandezze telescopiche con me- todo fotografico (undicesima grandezza). La conflagrazione cosmica sarà avve- nuta in quel corpo ad un tempo che difficilmente potrà essere assegnato anche grossolanamente, ma l'energia lucida raggiunse il nostro sistema dopo il 19 febbraio 1901 e prima del 22 nelle prime ore della notte (Edimburgo). Se la stella temporaria o nuova perdurasse per un mezzo anno, i confronti differenziali con A. G. Bonn 2948, che le sta da vicino, potrebbero dirci se sia il caso di parlare di parallasse. L’astro crebbe in isplendore il 23, perchè a Bamberga fu stimato il 23 a 0"25" am. lucente come Polluce (1,2); il 23 a 640" pm. di Utrecht parve luminoso come @ Aurigae (0,1); e a Kiel, circa 5 ore dopo, più lucente di quest’ultima stella. Io ho osservato l’astro il 25, ma era già disceso di luce, quantunque un momento più vivo di s Orionis (2,0); il primo marzo fu da me stimato meno vivo di @ di Perseo (1020) Il luogo rigoroso del nuovo astro, secondo le mie misure in confronto della stella A. G. Bonn 2948, è ..... 1901.0 Ascensionerretta.. ‘MMM 0/00 (92402 8550502, Declinazione boreale... (439335349 082 Secondo un telegramma di Pickering, trasmesso agli Osservatorî da Kiel, lo spettro il 22 febbraio era vivissimo e continuo con 25 righe nere e alcune righe lucide. La « Nova Peisei » appartiene alla categoria delle stelle temporarie. Non si può assolutamente asserire se non altro che questo a proposito di dette stelle: prima e dopo d'un certo intervallo di tempo, generalmente corto, nel — 123 —. luogo assegnato all’astro non vedesi alcun punto luminoso fino ad una certa grandezza, che dipende dai mezzi di esplorazione, oppure dopo il periodo di splendore, l’astro perdura in una grandezza costante estremamente diversa da quella raggiunta all'epoca del massimo. Il colore della « Nova Persei » era il 28 bianco-bleuastro, ma attualmente lo stimai piuttosto bianco-giallognolo, locchè del resto avviene sempre in detta categoria di stelle quando decrescono di luce. Il fenomeno di stelle nuove visibili ad occhio nudo è ben più raro del- l'apparizione di comete visibili ad occhio nudo. Se, colla guida di Humboldt, contiamo le stelle nuove temporarie dal secondo secolo a. C. fino al 1848 appena si arriva al numero 21, una metà circa delle quali ci sono segnalate dalla raccolta Cinese di Matuan-lin. La più celebre è quella osservata e studiata da Tycho-Brahe, apparsa in Cassiopea nel 1572, la quale si fece invisibile ad occhio nudo 17 mesi dopo la prima e brusca sua apparizione, il tubo d’ Olanda essendo stato inventato 37 anni dopo; la prima invece di quelle di cui conosciamo la storia suggerì al grande Ipparco l’idea di formare un catalogo di stelle. Che la stella di Tycho sia oggidì visibile coi nostri grandi mezzi ottici non puossi asserire, poichè la posizione lasciata da Tycho è relativamente grossolana; giaceva la stella al nord di x di Cassiopea, e vi è una stellina di 11"? grandezza vicino al luogo assegnato da Tycho, niente di più possiamo dire. Dopo la stella nuova trovata da Hind il 27 aprile 1848, apparsa di 4% grandezza e spentasi, pare del tutto, dopo il 1850, Auwers trovò il 21 mag- gio 1860 una nuova stella ma soltanto telescopica, la quale raggiunse la settima grandezza e poi scomparve (A.N. 1267-2715). Col 1866 si apre l'era nuova per le stelle variabili e per le temporarie in ispecie; l'era spettroscopica, e ben cinque stelle temporarie apparvero fino ad oggi, esclusa la recente. Queste cinque stelle nuove sono le seguenti: A. La nuova nella Corona — 12 maggio 1866 (T. Coronae — Bir- mingham). B. La nuova nel Cigno — 24 novembre 1876 (J. F. J. Schmidt). C. La nuova nella nebula di Andromeda — 17 agosto 1885 (Gully). D. La nuova presso y Aurigae — 23 gennaio 1892 (Anderson). E. La nuova in Norma — 10 luglio 1893 (Fleming). Se si accetta la definizione di stelle temporarie o nuove nei termini prima indicati, con che si escludono le stelle di nuova apparizione che per- durano sotto forma di variabili, come ad es.: la nuova di Gore presso y' Orionis, il numero delle temporarie non arriva a 30. Una classificazione delle stelle variabili, come quella indicata da Pickering, è utile per regolarizzare gli studî, ma, all'infuori delle variabili del tipo di # Persei, una sostanziale distin- zione pare dal punto di vista filosofico ben difficile quando la variabilità dipende da azioni fisico-chimiche, che debbono essere patite in diversa misura da tutte le stelle, compreso il nostro sole. — 124 — Mineralogia. — Azzone chimica tra la hauerite e alcuni me- talli a temperatura ordinaria e a secco. Nota preliminare del Socio GIOVANNI STRÙVER. Alcuni anni addietro, non prima del 1891, misi, per caso, nella stessa scatola di cartone una dozzina di cristalli di hauerite, trovati in quel tempo nei lavori intrapresi per rintracciare un giacimento di zolfo presso Raddusa in Sicilia, e un pezzo di argento ottenuto per fusione. Sui primi del mese di dicembre ultimo scorso quella scatola cadde di nuovo sotto i miei occhi, e fui non poco sorpreso al vedere il pezzo di argento, prima bianco e di splendore perfettamente metallico, quasi interamente annerito 0, per dir meglio, coperto da una patina cristallina nera. I cristalli di hauerite, i quali si alte- rano lentamente alla superficie esposti all'aria nelle raccolte, mi parvero assai più cambiati di quelli contemporaneamente ricevuti e posti in colle- zione, lontani da qualunque metallo. È evidente che era avvenuta, a tem- peratura ordinaria, una reazione tra il bisolfuro di manganese e l'argento metallico. Faccio notare che non vi era traccia di deposito nero nè sul cartone della scatoletta, nè sopra un grosso cristallo di pirite che era stato messo casualmente assieme a quelli di hauerite e al pezzo di argento. Aggiungo ancora che i cristalli di hawerite potevano bensì in qualche punto esser ve- nuti a contatto coll'argento a superficie tutta curva, ma non mai in tutti i punti, e tanto meno colla parte inferiore di esso, colla quale poggiava sul fondo della scatola, eppure, precisamente su questo lato inferiore del pezzo di argento, osservai il deposito nero più abbondante. Da ciò si deve neces- sariamente concludere, che se l’azione incomincia nei punti di contatto, si propaga poscia a notevole distanza da questi, sia per il tramite del metallo, sia attraverso l’aria. L'esigua quantità del deposito nero formatosi non permise di tentare nemmeno una analisi quantitativa, ma le osservazioni fatte al microscopio sulla forma cristallina del deposito e alcune reazioni microchimiche mi pare bastino a ritenere che la sostanza nera è solfuro d'argento. Essa è dotata di splendore metallico e presenta, ad ingrandimento anche debole, la forma caratteristica di dendriti cristallizzate così comuni in alcuni metalli mono- metrici, nella smaltite, nel sale ammoniaco ecc. ecc. ; sono cristallini ottae- drici disposti in serie rettilinee, e le singole serie s' incontrano sotto angolo retto o sotto angoli di 60 e 120 gradi, rivelando il sistema monometrico. La sostanza non è attaccata sensibilmente dall'acido cloridrico, nè a freddo nè a caldo, invece si scompone perfettamente coll’acido nitrico a caldo dando soluzione incolore, dalla quale per evaporazione si ottengono cristallini allun- — 125 — gati estinguentisi parallelamente e reticolati a maglie ortogonali che ancor essi si estinguono parallelamente. Questi cristallini incolori si sciogliono nel- l’acqua, e aggiungendo acido cloridrico si ha un precipitato bianco fioccoso. Essi presentano quindi caratteri che vanno di accordo col nitrato d'argento trimetrico. Volli però fare anche il saggio del manganese col carbonato so- dico, ma non ottenni la caratteristica reazione del manganese ('). Parrebbe quindi assai probabile che si tratti di formazione di solfuro d'argento se- condo la formola Mn S. + Ago = MnaS+ Ag: 5. Era naturale che, appena accortomi del fenomeno, tentassi di riprodurlo. a ragion veduta, non solo tra la hauerite e l'argento, ma anche tra la prima e altri metalli, come anche tra altri solfuri e i metalli medesimi. Sono in corso numerose esperienze che probabilmente richiederanno molto tempo per venire a qualche risultato, e io non mi sarei deciso a parlare sin d'ora di esse, se qualche metallo, contro ogni mia previsione, non mi avesse dato risultati quasi immediati. Incominciai, e ciò s' intende di leggeri, col mettere dei cristalli di haue- rite a contatto con monete di argento. Scelsi una vecchia moneta austriaca prima pulita con carta smerigliata, una lira italiana da tempo in circola- zione e una lira italiana nuova. Le due monete vecchie, dopo essere state a contatto colla hauerite per più di due mesi, non mostrano ancora anne- rimento di sorta, mentre la moneta nuova si annerì distintamente dopo una ventina di giorni. Mi procurai poscia dell'argento purissimo senza lega. Po- nendo sopra una lastra di questo un cristallo di hauerite, scelto tra quelli che erano rimasti per parecchi anni nella scatola sopra menzionata e ave- vano prodotto il fenomeno sopra l'argento fuso, ottenni l’annerimento in meno di un'ora, locchè dimostra la molto maggiore efficacia dei metalli puri di fronte alle leghe. E questo risultato è confermato dalle numerose esperienze eseguite col rame del commercio che contiene tutt'al più minime quantità di ferro. Sopra lamine di rame prima accuratamente pulite e avvivate con carta smerigliata posi e cristalli interi e frammenti di sfaldatura di haue- rite. In ambedue i casi ottenni in meno di 24 ore, tutt'al più tardi tra il (1) Mi sembra non inutile di accennare ad una illusione ottica che mi occorse in questa esperienza come in tante altre prima eseguite in analoghe condizioni, illusione ottica che certo non sarà sfuggita ad altri, benchè non l'abbia trovata menzionata in nessun luogo. Mentre si riscalda la lamina di platino al rosso vivo, il carbonato sodico appare colorato in verde, ma lasciandolo raffreddare, è bianco come prima. È chiaro che qui si tratta del medesimo fatto che si osserva ponendo un pezzo di carta rossa sopra un foglio bianco, ove si vede la carta bianca sui contorni di quella rossa colorata in verde, tinta complementare alla prima. — 126 — secondo e il terzo giorno, l’annerimento del metallo, evidentemente per la formazione di solfuro di rame. Ecco come si inizia e procede l’azione. Ponendo ad es. un cristallo ottaedrico di hauerite sopra una lamina di rame, si osserva il giorno dopo sul metallo una macchia nera, a contorni identici a quelli della faccia di ottaedro colla quale il cristallo poggia sul metallo. La macchia è più intensamente nera nei contorni, meno nell’ interno, ma poscia l'annerimento aumenta e si estende anche al di fuori dei contorni triangolari. Ponendo invece un frammento di cristallo di hawerite con una superficie di sfaldatura fresca sul metallo, si scorge, oltre all’ annerimento del metallo che procede come prima, l'alterazione della hauerite sul piano di sfaldatura. Anche sulla faccia di sfaldatura l'alterazione incomincia dai contorni e procede verso la parte centrale. L'andamento del fenomeno si segue facilmente per la produzione di colori d'iridescenza provocati dal sottile strato alterato che man mano invade la superficie del piano di sfaldatura. L'esperienze istituite colla hauerite e altri metalli, come anche quelle fatte con altri solfuri, non mi hanno dato sino ad ora risultati positivi, forse per la brevità del tempo impiegato. Ma dal fin qui detto e da questi risul- tati stessi fin'ora rimasti negativi, segue ad evidenza che la velocità, colla quale si produce il fenomeno, dipende dalla natura del metallo, dalla sua purezza e dalla superticie sua più o meno ben pulita, caeteris paribus. Per mettere ciò ancor meglio in rilievo, posi sopra una lastrina di rame avvivata, un cristallo ottaedrico di hauerite con una superficie di sfaldatura cubica, colla quale era rimasto per due mesi a contatto colla moneta antica austriaca, pulita con carta smerigliata, senza aver prodotto ancora il ben minimo an- nerimento. In meno di 24 ore il rame fu annerito nel modo sopra descritto. Volli anche iniziare delle esperienze onde vedere se per produrre il fenomeno, fosse necessario l’ immediato contatto tra la hauerite e il metallo. Scelsi naturalmente, come metallo da sperimentarsi di preferenza il rame, il quale fin da principio mi aveva dato i risultati più pronti, e posi in un tubo largo di vetro un ottaedo di hauerite con un piano di sfaltatura cubica nettissimo e una lastrina di rame avvivata con carta smerigliata, impedendo il contatto fra i due corpi con uno strato di bambagia. Dopo circa due mesi il rame non mostra ancora alcun annerimento, ma pure l'esperienza, anche nel periodo in cui si trova, ha il suo interesse per la diversità tra l'alte- razione del piano di sfaldatura della hauerite nel caso speciale e quella sopra descritta dei piani di sfaldatura messi a contatto immediato col rame. Di fatti, mentre nell’ ultimo caso l'alterazione procede, come innanzi fu detto, dai contorni verso la parte centrale, qui invece si fa assai lenta non solo, ma uniformemente e in pari tempo su tutta la superficie, locchè si rivela in modo evidente dalla perfetta uguaglianza del colore d' ividescenza su tutto il piano di sfaldatura. Insomma, l'alterazione ha luogo come se non fosse presente il metallo. — 127 — Tutte le esperienze furono eseguite nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio dell’ inverno 1900-1901, in un ambiente non riscaldato in cui la temperatura era sempre al disotto dei 12 centigradi, e mi sembra che si possa fin d'ora tirarne la conseguenza che reazioni chimiche avvengono anche tra corpi solidi a temperatura ordinaria e a secco. Non v'è chi non veda l'interesse che questo fatto ha per l'origine o la trasformazione di non poche specie minerali. Esiste una certa analogia tra i fatti sopra esposti e quelli messi in luce di recente da W. Roberts-Austen (') sulla diffusione dell'oro nel piombo a temperatura ordinaria, benchè in quest’ultimo caso si tratti di un feno- meno più fisico che chimico. A chi ricorda i luttuosi fatti avvenuti nel praticare il pozzo di ricerca sopra menzionato, viene spontanea, direi, un'altra idea. Si ebbe, di fatti, a deplorare la morte di alcuni operai per esalazione di gaz deleterî, motivo pel quale l'autorità fece chiudere il pozzo e proibì la continuazione dei la- vori. Ora potrebbe darsi che tra questi gaz vi fosse stato anche il solfuro d' idrogeno, e che i cristalli di hauerite fossero imbevuti del gaz tenacemente ritenuto da essi e solo man mano ceduto al metalio. Ma a questa ipotesi, la quale si affacciò anche alla mia mente, io obbietterei anzitutto che nè quando ricevetti nel 1891 i cristalli di hauerite, nè ora, dieci anni dopo la loro estrazione dall’argilla che li racchiudeva, non sentii mai il ben menomo odore di solfuro d’' idrogeno. Dall'altra parte, rimarrebbe assai strano il fatto, che una lamina di piombo con ogni cura pulita, sulla quale collocai cristalli interi, grossi solidi di sfaldatura e piccoli frammenti di hauerite, nel corso di due mesi non rivelò il più leggero cambiamento, come anche altri cri- stalli messi nella biacca di piombo finissimamente polverizzata non hanno provocato alcun annerimento. Le esperienze sino ad ora eseguite non sono che preliminari e anche piuttosto grossolane, poichè è chiaro che per quanto sia perfetta una faccia di cristallo o di sfaldatura, il contatto tra essa e la lamina di metallo, della quale non fu nemmeno curata la perfetta levigatura, non poteva aver luogo che in alcuni punti. Ora però, seguendo l'esempio dato da W. Roberts-Au- sten, intendo di sperimentare premendo lastre perfettamente piane e levi- gate di hauerite e di altri solfuri contro piani perfetti e puliti di lastre e cilindri di varî metalli puri, onde ottenere un intimo contatto del solfuro col metallo sopra una superficie estesa e unita. Essendo prevedibile che tali esperienze richiederanno degli anni per avere dei prodotti da sottoporre all'analisi quantitativa, non avrei naturalmente discaro se altri che hanno a disposizione un laboratorio chimico, e sovrattutto dei giovani, i quali hanno più fondata speranza di vedere la fine delle esperienze intraprese, volessero impossessarsi dell'argomento. (1) Proceedings of the Royal Society, 1900, vol. 67, pag. 101 e Naturw. Rundschau, 1901, n. 4, pag. 47. — 128 — Fisica. — Comunicazione telefonica all'Osservatorio Etneo col filo sulla neve. Nota del Corrispondente A. Riccò. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Geologia. — Za villa puteolana di Cicerone ed un fenomeno precursore all’eruzione del Monte Nuovo. Nota del Corrisp. CARLO DE STEFANI. Alla morte di Cicerone, nella villa che già era stata sua a Pozzuoli, accadde un fatto degno di nota, che io riporterò con le stesse parole di Plinio (Naturalis historia, L. XXXI, c. III). « Digna memoratu v7//a est ab « Averno lacu Puteolos tendentibus imposita litori, celebrata porticu ac ne- « more, quam et vocabat M. Cicero Academiam, ab exemplo Athenarum, ibi « compositis voluminibus ejusdem nominis, in qua et monumenta sibi instau- « raverat, ceu vero non et in toto terrarum orbe fecisset. Huius în parte « prima, exiguo post obitum ipsius, Antistio Vetere possidente, eruperunt « fontes calidi, perquam salubres oculis, celebrati carmine Laureae Tullii, «qui fuit e libertis eius, ut protinus noscantur ministri etiam ex illarum « haustu majestas ingens. Ponam enim ipsum carmen, dignum ubique, et « non ibi tantum legi: « Quod tua, Romanae vindex clarissime linguae « Silva loco melius surgere jussa viret: « Atque Academiae celebratam nomine villam « Nune reparat cultu sub potiore vetus: « Hic etiam apparent lymphae non ante repertae, « Languida quae infuso lumina rore levant. « Nimirum locus ipse sui Ciceronis honori « Hoc dedit, hae fontes quum patefecit ope. « Ut quoniam totum legitur sine fine per orbem, « Sint plures, oculis quae medeantur, aquae. Queste acque minerali, verosimilmente termali, come le altre acque della regione, che sorsero d'improvviso nella villa già di Cicerone, poco dopo la morte di lui, circa nell’anno 44 a. C., erano dette le acque Cicero- niane ('), da non confondere con quelle prossime al Bagno di Tritole o sudatorio di Nerone, o Bagni di Nerone, sul littorale fra Baia e il lago di Averno, che in tempi più recenti furono pur chiamate Bagno di Cicerone. (1) « Oculis (medentur) vero (aquae) Ciceronianae ». (Plinio, 1. c.). — 129 — Gli autori non furono d'accordo sulla situazione della Villa di Cicerone. Il Loffredo ('), il Mazzella (?), il Sanfelice (*), primi scrittori delle antichità di Pozzuoli, seguiti da moltissimi altri, ritennero le rovine della Villa fos- sero nel così detto Stadio, sovraincombente alla Starza, al piè delle colline e sulla via Cumana, e quivi tuttora le si indicano sopra una breve galleria traversata dalla ferrovia Cumana. Una carta del 1685, del Bulifon (4) pone la villa a sinistra della via Campana, oltre il Monte Barbaro ed il Lago d'Averno, per chi muova da Pozzuoli. De Jorio la pone sul mare fra il Lucrino e Pozzuoli, ma più a levante assai del Lucrino (?). Più di recente e con maggior opportunità il Beloch la ritenne situata nella regione, un tempo pianeggiante, oggi occupata dal Monte Nuovo, fra il Monte Barbaro, il lago d'Averno e il Lucrino e il mare, quasi in con- tinuazione della pianura di Pozzuoli (5). Di questa opinione è pure il Deecke (7). La situazione può essere determinata anche con maggiore precisione, da chi si valga di varî passi delle opere di Cicerone e di qualche altro autore. La villa era lontana una passeggiata da Pozzuoli e a poca distanza dal tempio delle Ninfe situato lungo mare (8). Dalla medesima si vedeva la villa Cumana di Catulo situata verosi- milmente sopra i colli che separano il piano di Cuma dal lago d'Averno, e si vedevano Pozzuoli ed il portico di Nettuno, le cui rovine diconsi esistere sopra l’anfiteatro, quantunque non sì distinguessero le persone che per avven- tura vi passeggiavano (°). Era la villa, parimente, vicina al lago d'Averno (1°), circostanze che non combinano con le opinioni di Loffredo e degli altri. Che la villa fosse nell’ agro Puteolano vicina al Lucrino risulta pure dalle Epistole ad Attico. Nel 710 a. U. C., da Pozzuoli, il 6 Hal. Maîas Cicerone smentisce la voce ch'ei volesse venderla o cederla al fratello (1) F. Loffredus, De antiquitatibus puteolanis. (3) S. Mazzella, Sito et antichità della città di Pozzuolo e del suo amenissimo distretto. Napoli, Salviani, 1591, p. 38. (3) A. Sanfelicis, Campania. Neapoli, 1726. (4) P. S. Sarnelli, Guida dei forestieri curiosi di vedere e considerare le cose notabili di Pozzuoli, Baia, Miseno, Cuma ed altri luoghi convicini. Napoli 1685. (5) A. De Jorio, Guida di Pozzuoli e contorni. Napoli, 1822, p. 48, 52, 87. (6) Beloch, Campanien, Topographie, Geschichte und Leben der Umgebung Neapels im Alterthum, Berlin, 1879, p. 175. (7) W. Deecke, Veber die Gestalt des Lukriner Sees vor dem Ausbrucke des Monte Nuovo (III Jahresh. d. geogr. Gesellsch. in Greifswald, 1887), p. 12. (8) Filostrato, L. VII, capo 5, Vita di Apollonio. (9) « Ego Catuli Cumanum ex hoc loco video... Puteolos videmus: at familiarem « nostrum C. Avianum, fortasse in porticu Neptuni ambulantem, non videmus » (M. Tullii Ciceronis, Academicorum priorum, L. II, cap. XXV, 80). (1°) In vicinia nostra Averni lacus (M. T. Ciceronis, Z'usculanarum disputationum, L I, cap. XVI, 87). tenpIicontI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 17 — 130 — Quinto; « me, ad lacum quod habeo, venditurum, minusculam vero villam « Quinto traditurum... Ego vero de venditione nihil cogito, nisi quid, quod « magis me delectet, invenero » ('). E poco dopo, alle calende di Maggio, scrive che: « Piliae nostrae » (sorella di Attico) « villam totam quaeque in « villa sunt trado, in Pompeianum ipse proficiscens » (?). Dunque la villa sul lago Lucrino era proprio quella nella quale risiedeva e che egli abban- donava per pochi giorni, per togliersi alle seccature di chi andava a cercarlo. Infatti il V nonas maias, nel partire, annunziava che: « conscendens, quum « Piliae nostrae villam ad Lucrinum, villicos procuratores tradidissem... Per « paucos dies in Pompeiano; post in haec Puteolana et Cumana regna rena- « vigaro... interpellantium multitudine poene fugienda » (). E ripete il giorno dopo: « IV monas maias; in Pompeianum veni... «quum pridie, ut antea ad te scripsi, Piliam in Cumano collocavissem » (4). Il XVI Kal. junias Cicerone partiva dalla sua villa per tornarvi agli idi di giugno, nel qual giorno scriveva ad Attico dalla « villa ad Lucrinum » (?). Altre volte, quando si trovava in quella villa, datava le sue lettere «in Puteolano ». Dalla medesima poi, mentre, come narra Plinio, e come risulta dal testo, scriveva gli Academici, vedeva i pesciolini del Lucrino « et ut nos nunc sedemus ad Lucrinum pisciculosque exultantes videmus (6). Da quanto dicono Plinio e Cicerone stesso, risulta dunque che la villa, per chi muoveva da Pozzuoli, era di là dalla via Campana, cioè dalla via da Pozzuoli a Capua pur allora esistente; nè era proprio sull'altra via di Baia rasente al littorale; bensì sulla strada da Pozzuoli al lago d'Averno, e più propriamente sul Lucrino, dove la detta strada deviava dal mare verso l'Averno, circa a ponente di dove è ora il luogo detto la Bambinella. In quella situazione sorse nel medio evo il paese di Tripergola, con uno stabilimento termale assai accreditato e con varie sorgenti, una delle quali dovea essere quella stessa delle acque Ciceroniane. V'erano la chiesa di Santo Spirito ed uno spedale di 30 letti, con tre osterie ed una spe- zieria. Vicini erano un casino reale degli Angioini e i canili reali. Ora, come narrarono il Vicerè P. Giacomo da Toledo, F. Del Nero, M. A. Delli Falconi, G. Borgia, Simone Porzio lettore a Napoli, poi a Pisa, ed altri, la mattina del 29 settembre 1538, in quel luogo venne fuori improvvisamente una sorgente d'acqua « freddissima e chiara, secondo alcuni, secondo altri « tiepida e alquanto sulfurea ». Dodici ore dopo, sul far della notte, « eruppe (1) M. T. Ciceronis, Epistolarum ad Atticum, lib. XIV, Ep. 13. (2) Ibidem, Ep. 15. (3) Ibidem, Ep. 16. (4) Ibidem, Ep. 17. (*) Ep. L. XV, Ep. 15. (9) M. T. Ciceronis, Mragmenta Academicorum, Lib. III, 2; apud Nonium priorum Academicorum, I. — 31 — « nel medesimo luogo la terra et eruttò tanta copia di cenere et di sassi « pumicei mischiati con acqua che coperse tutto quel paese » e in una notte si formò il Monte Nuovo che tuttora si vede e che ricoprì e ricopre quella regione per l'innanzi pianeggiante e lieta di case e di piantagioni. È soverchia temerità la nostra di serutare e voler indovinare i segreti della natura; ma forse non troppo ci corse che l'eruzione del Monte Nuovo avesse luogo 15 secoli prima, alla morte di Cicerone. Per lo meno la sor- gente che d'improvviso si originò nel parco della villa, e che poi probabil- mente fu una di quelle appartenenti a Tripergola, può ritenersi prodotta da un fenomeno lontanissimo precursore e quasi preparatore dell’ eruzione del Monte Nuovo. Meccanica. — Sulla deformazione delle piastre di grossezza finita. Nota del prof. 0. TEDONE, presentata dal Socio VOLTERRA. 1. Il Clebsch, nel suo trattato di elasticità. è’ condotto, per analogia col problema di Saint-Venant. a proporsi il problema di determinare i possibili stati di equilibrio elastico di corpi cilindrici quando sieno verificate le con- dizioni: (1) de dove X,, Y,,, ..., Xx sono le componenti delle tensioni. Poichè, però, la so- luzione che egli dà del problema non è esente da qualche lacuna, mi lusingo che possa riuscire di qualche interesse l’altra che io do in questa Nota, almeno per la sua maggior semplicità. Per semplicità, supporremo che il corpo sia isotropo e adotteremo le notazioni di Kirchhoff. Supporremo, inoltre, nulle le forze di massa. Nella ipotesi (1), le equazioni indefinite dell'equilibrio elastico sì ri- ducono a: dXa (2) _ IX, ! — 0 ; Si. i dY dr dY + Il potenziale elastico elementare è dato da (8) f=—-K[e%a+yy+e: +39: +38 +32 + Uro +yy 4 6°] dove K e 6 sono le due costanti che entrano nella sua espressione. Ne viene che: Xx =T—2K[xx + 0xx+y,+2))], © Y:=— Ky: Yy=—2K[yy + 0x2 +vwt 4], Z 2: = —2K[s; + Uen +yy +22)» X,= — Key 2199, — e quindi, tenendo conto delle (1): . Tale 9 = liga). ni 1/1-4+20 0 () = -rrlipgi rpr): on (o) 1 pio nen gn D'altra parte, affinchè 4, Yy,..,y possano considerarsi come compo- nenti di una deformazione elastica pura, devono essere soddisfatte 6 equa- zioni differenziali del second' ordine di cui le due prime sono: d'ay Dida | Di ig Dro _ VU | DS Dia ai dy di dada dda de e le altre quattro si deducono dalle due già scritte con permutazioni circo- lari delle lettere x,y ,3. Sostituendo, in queste equazioni, per xx, Yy3 3 dy le espressioni (4) troviamo che le componenti delle tensioni da determinarsi : Xx, Xy, Yy, Oltre alle (2), devono soddisfare alle sei equazioni seguenti: 1+393 ae 0 7 20) ie Lg o, 3? dY de + Di: YES +20 2 2 i i to 3 Mi, (i pi +s9 o, d°Xo Y,y 0) ) de (a #i da x SE 14-20) de? nl 0 Lit NO: ano dy° dy° de Se da queste equazioni, per mezzo delle (2), eliminiamo Xx e Y,, tro- viamo subito che X, deve soddisfare alle tre equazioni seguenti: (6) 4° 2 20, (1 + 39)È * boro —0 AART_0 dove DI 9° Det n OPA Dalle (6) discende anche l’'equazion 52 Xy= Mt PT 98 dove i, %:,g3 Sono funzioni di x e y che soddisfanno alle equazioni 6 A°-p,r=0, Ip _100 qi="05 Poniamo, per comodità : Gipi, in A febgag ny My) onde w,, ws, 3 soddisferanno alle equazioni: \di waf(A)+ fig), 4 w=f(@)+/4), (7) dp ET w=/+/%) indicando con le / delle funzioni arbitrarie dei rispettivi argomenti. Allora X, sarà data da sd d 24, 5 de, d°Y3 Si x=5 day ded” mentre, dalle (2), si otterrà per Xx e Yy: i+ || SIERO ta |- pe È dove le % e le g sono funzioni dei rispettivi argomenti, da determinarsi op- portunamente. Con la effettiva sostituzione della (8) e delle (9), nelle equa- zioni (5), si trova che queste ultime equazioni sono soddisfatte quando sono soddisfatte le condizioni: SII @ | D+ gi(0) | Di dg dg _ Li dp)+ 0, > (44 + E (10) Ò A? prim A 2 hs _ li em+ È du) + 7 — dY 134 — d* g 1-4 20 /2°w di Di atti (Dato gi) da () 5) (LO ANE Di @ DE d°ha 1--20/>W dI Yi DES | dj o i +a)- dY° N dY° (4°43) 12) dsg+ ee da? e — Alle prime quattro equazioni si soddisfa, nel modo più generale, prendendo: (g(e)=—f(2) ta, g9:(2)=—/(0)+@, de) (n) =—fi@M+4, n h(y)=—-fx9)+@. indicando con 4, 41,4, as delle costanti, per ora, arbitrarie. Le (11), al- lora, tenendo conto delle (7), diventano: d° 93 _ 1 È 30 de REC 1420 , da* DC ero odia GI A d° hg ito d°fi , 14-26 n CA 4) — dy? lo GNCTAO ed è soddisfatta la (12) se a+ a,=0. Queste ultime equazioni ci danno poi: (ma fe de [EE ma E RIVSICA (4) MESSINA RE VETTE, b,c,b',c' essendo altre costanti arbitrarie. Possiamo dunque scrivere: Si Apo a ia i A ‘-1+a |- 05) SI “o usa Dn |T%- ta ]- NERI lf el atto | Dub dove, ripetiamo, /1, f1;...,/3 sono funzioni arbitrarie dei corrispondenti ar- gomenti, a, , 4», 4,,0,c,b',c' sono costanti arbitrarie e W,,wW,,%3 s0d- disfanno alle (7). — 1359 — Possiamo ora determinare wi, wi), Wi; Wi, wr, U/; Wi" in modo che sia: pae + i, dt W, P=Y+WHtyy"; r 927,0 STR 1 30 dyi=0, Lyi=0, Lt gino: er 0g: dii wi <|( da ) /(6) da +f Ei a 6 i “ , + pap Do 42240401, Di La (ra) y y n) ui f de | fa) dx +f dy f [XY «0 9 0 (0) Vo lo) x Y Cone yi = i) da ( fs(e) de + f dy f fx(y) dy ; lo) vo O) Ù) G 8 ‘x x x ol yi = — . Li 2 pi de f da f de { fi(e) da + (0) 0 3280) 0 y y y DA. di DEA 1 r +/ dyf dy f dy f fi(y)dy—57 (ey) |[T3(0y+02)— (eee). 0 0 0 0 24 6 2 Risulta allora anche: (90) d°Y dd. d°Y, Dia È d° Yi Dia i , Danti iaia, Si L/y)+a, da? dy? dY° de WY dLdWY Dis dI Yo | aa De I i Lr dI di dla S= A x a —_ ——, —_——{.; DA BRE AREA A. affine ERO arte DIS da di _d°Y , 1220(* È o” I° G= dI? aC) 6 x dy A (4) dvi _dY dae dy dLY Se sostituiamo questi valori di w,, ws, 3 nelle espressioni di X,, Y,, X,, poniamo w,, 2, ancora al posto di wi, #5, ;, il che non genera equi- do + 03 2 ay_-by—c, voco, e chiamiamo ec la costante — , possiamo scrivere: MAI DZ 1190, Last du +(É n o) + da? o” Delta dY: "i. (16) ii VoDa Di “e vo TRE so dd Yi dI Wa ds Sr “ii — 136 — dove Wi, w:,%3 soddisfanno alle equazioni: 1+ 30 (17) dw,=0, d°yw=0, Ayz + na w=0 e e è una costante arbitraria. 2. Supponiamo ora che il nostro corpo elastico sia un corpo cilindrico di cui le generatrici della superficie laterale sieno parallele all’ asse 2 ed abbia, quindi, le due basi parallele perpendicolari allo stesso asse. Affinchè questo corpo elastico sia in equilibrio, nelle ipotesi precedenti, le tensioni applicate alle basi devono esser nulle, mentre le tensioni applicate ai punti della superficie laterale devono esser date dalle espressioni (18) X=X,cos(na) + X,cos(xy), Y= X,cos(na) + Yy cos(m7), Xx, Yy, Xy essendo determinate dalle (17). Ne viene che X e Y devono potersi porre sotto la forma (19) Xx=7%+:+%, Y=FN+Mh+%, Xi, Xa, X3; Yi, Ya, Y3 essendo funzioni di # e y soltanto. Dev' essere, inoltre kai T( na) dee i 5 cos(27), 7 Dai L= ee (29); 3 dy X,= => tar e | cos(n2) a. a = cos(27), (20) < Ù “Why YW= sa cos(n2) va >” +e | cos(27); == È 24) Aa Da? ima È cos(m7), Y;= SE cos nx) + E RT 142° se W | cos(ny). Se chiamiamo s il contorno della sezione normale o del nostro cilindro e supponiamo che n sia la normale ad esso diretta verso l'interno della se- zione stessa, troviamo subito che fxrds= e | ASI, /s «/ 0 PEA is dn Mr — 137 — a e, con processo analogo, si trova che le 6 soddisfare alle condizioni: (Ja ds=fY = fxa=fnao=fx ds= f Yad=0 (21) DI fem, )idsi= ifcene ds ={@t-,x) ds=0. espressioni X,, X2,..., Yz devono Risulta pure dalle (20) che le tensioni X,, Y, e le altre X., Y, ap- plicate ad uno stesso punto del contorno s devono avere, rispettivamente, un potenziale V, e V., mentre X3 e Yz devono potersi porre sotto la forma: 14-30 dV 14 30 ud, iene D'altra parte V,, V., V3 si possono dare arbitrariamente come funzioni dei punti del contorno s. Quando sono date le funzioni Vi, Va, V3 le tre funzioni wi, Y»,%3 sono determinate, a meno di costanti, dal dover soddi- sfare alle (17) in ogni punto di o ed alle condizioni: (22) Vi, Va, IZAY nei punti del contorno s. Poichè poi V,, Va, V3 sono determinate a meno di costanti, possiamo determinare queste ultime sempre in modo che sieno soddisfatte le condizioni: fwds=— fs de=o0, Svas=-fspdo=o0. li Vi ds = f A yz do = z to Si MTA do . Meccanica. — Sui moti stazionari dei sistemi olonomi. Nota di T. Levi-Crvira, presentata dal Socio V. CERRUTI. La regola per la determinazione di moti stazionarî dei sistemi olonomi (a legami indipendenti dal tempo e soggetti a forze conservative), che ho avuto l’ onore di comunicare a codesta Accademia poche settimane or sono ('), è enunciata nella ipotesi che le variabili di riferimento sieno canoniche. La stessa regola vale però in generale, comunque si scelgano le variabili. È questo un risultato pressochè ovvio, che mi permetto tuttavia di formulare (1) Sedute del 6 e 20 gennaio UL Sì RenpiIcontTi. 1901, Vol. X, 1° Sem. 18 — 138 — esplicitamente, perchè può far comodo nelle applicazioni particolari. Pen- siamo per es. alla dinamica dei sistemi rigidi. Si sa bene quanto più per- spicue riescono le formule, allorchè si usano direttamente le caratteristiche u, V, wWj p, q, 7 e i coseni direttori. La osservazione accennata permette di profittarne anche per lo studio dei moti stazionarî. Ne darò prossima- mente un esempio, esaminando il caso trattato dalla signora Kovalevsky. Prima di abbandonare il campo generale, mi sembra a proposito un po’ di critica del concetto di stazionarietà. Se si piglia la definizione del sig. Routh (') nel suo aspetto puramente formale, si arriva subito alla conclusione ($ 6) che qualsiasi soluzione parti- colare delle equazioni del moto si può risguardare come stazionaria, purchè soltanto si fissino le variabili in modo opportuno. Dovremo inferirne che la nozione di stazionarietà è destituita di ogni fondamento reale? La intuizione fisica ce lo vieta assolutamente. Essa cì mostra che certe forme di movimento, per es. le traslazioni e rotazioni uni- formi di un solido, hanno peculiari caratteri di semplicità e di regolarità, che le distinguono in modo netto da altri moti, possibili nelle stesse condi- zioni. D'altra parte gli esempî tutti addotti dal sig. Routh (e così quelli della Nota precedente) fanno fede che, in certi casi almeno, la sua defini- zione discrimina veramente i moti stazionarî (nel senso fisico della parola) da quelli, che non lo sono. Quale è la circostanza, che interviene in tali casi ad assicurare la validità di un criterio, per sè stesso insignificante? Questa semplicemente che gli integrali, o relazioni invarianti, (A), gene- ratrici, per dir così, delle soluzioni stazionarie, senza essere soggette ad alcuna condizione quantitativa, sono però sempre uniformi, nel senso di Poincaré. Cerchiamo di rendercene conto, richiamandoci al contenuto sperimentale del concetto di stazionarietà. Come ha rilevato il sig. Routh, la proprietà fisica, che caratterizza il comportamento stazionario di un determinato movi- mento X, è la seguente: Modificando egualmente le condizioni del moto in due istanti qualisivo- gliono #", #", i moti perturbati, che ne conseguono, 2", 2” diciamo, presen- tano tali relazioni da potersi, sotto un certo rapporto, considerare come equi- valenti (°). Un tale enunciato si può in verità ricavare come conseguenza logica della semplice definizione formale, ma bisogna essenzialmente avvertire che le relazioni, di cui si tratta, hanno interesse, solo allorquando corrispondono (1) Z’reatise on the dynamics of a system of rigid bodies, Advanced Part, $ 111. Questa definizione trovasi riportata nella seconda delle Note citate, a pag. 36. (?) Nel caso tipico della ignorazione di talune coordinate, l'andamento dei due moti 2”, 2” è identico, per quanto concerne le velocità tutte e le coordinate palesi. In istanti corrispondenti # + £, "+ £, possono differire, dall’uno all’altro di essi, soltanto i valori delle coordinate ignorate. — 139 — a circostanze fisicamente afferrabili. Ora una condizione analitica non uni- forme (nel senso predetto, e quindi oo-forme) non ha alcun valore fisico, perchè, mentre essa dovrebbe vincolare i valori di un qualche parametro angolare (di un azimut per es.), non dà luogo invece ad alcuna restrizione apparente, in quanto viene soddisfatta da valori del parametro, costituenti un insieme condensato rispetto a tutti i valori possibili. Sarà pertanto necessario che le relazioni fra due generici moti per- turbati 2", X", le quali contraddistinguono la stazionarietà, sieno uni- formi; e così dovrà intendersi completata la definizione del sig. Routh. Tra queste relazioni sono evidentemente comprese quelle espresse dalle (A) (dagli integrali cioè o equazioni invarianti generatrici della soluzione £, che si considera). D'altra parte, si potrebbe riconoscere senza difficoltà che le relazioni tutte fra X° e X" riescono uniformi, quando ciò avviene per le (A). La condizione che le (A) sieno uniformi è dunque insieme necessaria e suf- ficiente. Ciò posto, possiamo domandarci quale sia la portata della regola costrut- tiva, di cui sopra. Meno grande di quello, che la sua generalità formale potrebbe lasciar supporre. Infatti, volendo conseguire moti assolutamente (') stazionarî, bisognerà partire da integrali uri/ormi; e i problemi più impor- tanti della meccanica posseggono i soli integrali classici, dotati di tale pro- prietà (?). Di quà si ricava per es. il seguente enunciato negativo: Il problema degli x corpi non comporta altre forme di moti assolutamente stazionari, oltre le soluzioni particolari di Laplace, in cui gli % corpi ruotano unifor- memente, mantenendo una configurazione (piana o rettilinea) invariabile. 1. Richiamerò, per maggior chiarezza, il procedimento esposto nella prima delle Note citate. Sia H (P1,P2,-- Pn; L1,E2,--,%n) la energia totale di un sistema olonomo, a legami indipendenti dal tempo e soggetto a forze conservative; Pi, ti(é=1,2,..,%) designando variabili canoniche. Siano (A) F,=0 (R="1., 296000) m relazioni invarianti (ovvero integrali, nel qual caso le costanti si inten- dono incluse nelle F) pel moto del sistema, indipendenti dal tempo, in involuzione, e risolubili rispetto ad altrettante p; 7,,72,.. Pm per es. Rappresentando con H ciò che diviene H, quando ogni ps (s=1,2,...,7) (1) Poincaré, Mécanique céleste, T. I, Cap. V. (2) Del pari, per moti stazionarî in senso relativo, converrà ricorrere a relazioni invarianti pure uniformi. — 140 — sì sostituisce col suo valore (A), per definire le soluzioni particolari XY, si deve porre (8) Dee dPi di =0 (A =n+1,..,%; e queste equazioni invarianti traggono le è? H DEA —=0 (IBRA) come necessaria conseguenza. Si ha pertanto, sopra ogni X, QdH=0. 2. Ciò posto, si immagini di sostituire alle variabili p,x un sistema qualunque di 27 parametri «,,«s,..., n, atti a definire lo stato di moto del sistema, almeno in un intorno Y° di un qualche insieme di valori pf”, 4° delle p.x, soddisfacenti alle (A), (B). Intendendo di riferirsi a un tale intorno I, si potrà asserire: 1° Le (A), espresse per le e, sono atte a definirne nm, &1, 82,4, &n, poniamo, in funzione delle rimanenti. 2° Tenendo conto delle (A), si ha una trasformazione biunivoca fra i due sistemi di 2 (2a 2) + m variabili pm+i 3 03254132303 An €@ Enel sniSono 3° La funzione H* (£m4+1, +, €2n), Ce si ottiene dalla energia totale H* (espressa per le e), sostituendo £,, «2, ..., &m coi valori definiti dalle (A), coincide con H, cioè ne differisce soltanto per la trasformazione suddetta. Appare di quà che la equazione (B*) dH*=0 equivale a dH =0, ossia alle (B), e può quindi servire (assieme alle (A), espresse per le e) a caratterizzare le soluzioni particolari x, direttamente in variabili e. 3. Nella Nota del 20 gennaio ho mostrato come il criterio di stabi- lità delle X si desuma dalla forma quadratica 4? H. Essa è certamente ridu- cibile ad una forma Q in 2(n — m) argomenti: Secondochè questa Q è o no definita, le X sono stabili od instabili. A vero dire, ho ivi considerato soltanto il caso generale, in cui le (B) si suppongono univocamente risolu- bili rispetto alle pi, wi(é=#m+1,... 2) e quindi la forma Q non è ulteriormente riducibile: L’ enunciato criterio di stabilità vale però in ogni caso (') (semprechè, bene inteso, le (B) sieno compatibili e si abbiano (') Rimangono soltanto escluse le soluzioni multiple, corrispondenti (con ovvio lin- guaggio geometrico) a punti non ordinari della varietà definita dalle (B): Per questi casi singolari, non basta evidentemente la forma d*H a decidere la questione della stabilità, ma bisognerebbe ricorrere ai differenziali d'ordine superiore. — 14l — quindi effettivamente soluzioni X). Lo si dimostra senza difficoltà, ripren- dendo per un momento le variabili P, X, adoperate in quella occasione, e la corrispondente espressione H' di H. Infatti dire che le (B) (pur essendo compatibili) non sono risolubili rispetto alle p;, 4; equivale a dire che le equazioni i ?H' 2dH' Ca) DE: Tio IX: non sono indipendenti (pur ammettendo soluzioni comuni). Ne viene che il determinante funzionale delle (B') si annulla per i valori, che verificano le equazioni stesse. Ma questo determinante funzionale è il discriminante della forma d? H'; e il suo annullarsi esclude che la forma stessa sia definita. Le soluzioni X sono dunque tutte instabili. Ora la quadrica 4° H equivale pur sempre alla 4° H', e si potrà perciò in questo caso far dipendere da meno di 2 (2 — m) argomenti. In altri ter- mini le forme ridotte Q (a 2(2 — m) argomenti) della 4? H sono a lor volta riducibili e quindi non definite. c. d. d. 4. Dalle ipotesi del $ 2 segue immediatamente che la quadrica 4? H* equivale alla d* H (si passa dall'una all'altra mediante la trasformazione, di cui sub 2°, estesa ai differenziali dei due sistemi di variabili). Ne viene che d° H* è riducibile e ogni sua ridotta Q* (in 2 (n — m) argomenti) serve, al pari di Q, a decidere la questione della stabilità. I coefficienti della forma 4° H* dipenderanno in generale da alcune delle variabili &m+1, +, en (quelle — e ve ne ha m almeno — che non riman- gono vincolate dalle (B*)). Possiamo per altro star certi che i caratteri al- gebrici della forma d* H*, e quindi anche d'una sua ridotta Q*, non di- pendono dai valori particolari, attribuiti a queste &. Due sono infatti i casi possibili: o le (B*) si possono risolvere rispetto a 2(n— m) delle «; o il numero delle (B*) indipendenti è più piccolo di 2(2 — m). Si vede subito, ritornando anche una volta alle variabili P, X, che ci troveremo nell’uno o nell'altro dei due casi, secondochè le (B') sono o meno indipendenti. Nella prima ipotesi, ogni Q* equivale sempre, qua- lunque sieno i valori delle m «, che possono apparire nei coefficienti, alla medesima quadrica d° H', a coefficienti costanti. Nella seconda ipotesi, ogni Q* è riducibile, indipendentemente dai valori delle «. 5. Riassumendo, abbiamo la regola seguente : La costrusione delle soluzioni particolari X si può effettuare diretta- mente, rispetto a qualisivogliano parametri e,,82,.., n, alti a definire lo stato di moto del sistema. S. eliminano dapprima, a mezzo degli m ‘integrali o relazioni inva- rianti conosciute (supposte, bene inteso, in involuzione) altrettante varia- bili e dalla espressione della energia totale H*. ee) do. Detto poi H* il risultato della eliminazione, si pone (B*) Csi 0° îl che porta altre relazioni invarianti (in numero di 2 (2 — m) al più) tra le 8. Tenendo conto di tutte queste relazioni, si riducono le equazioni del movimento, e si completa, in base ad esse, la determinazione delle X. Non è però necessaria alcuna integrazione per decidere se le X stesse sono 0 non sono stabili. Basta ricorrere alla forma d* H*, intendendo nei coefficienti le e legate dalle (B*), e attribuendo a quelle, che restano indipendenti, valori numerici arbitrari. Questa forma è certamente ridu- cibile ad una Q* con 2 (n—m) argomenti al più. L'essere, 0 meno, Q* forma definita, in 2 (n— m) argomenti, non dipende dai valori at- tribuiti alle e, e costituisce appunto il criterio di stabilità, o rispettiva- mente di instabilità, per le soluzioni X. 6. È sempre lecito, immaginando scelte le variabili in modo opportuno, «i supporre che una assegnata soluzione particolare 2 d'un generico sistema canonico dp dara DH (O) dee a ap; sia definita dalle equazioni pie 9006002 essendo per es. 7, = 0 per f1=0, e tutto intendendosi regolare in un in- torno, comunque piccolo del resto, dei valori pi = .z;=0 (7 = 1,2,..., 2). x SH: VE HH È ?dH Si avrà, sopra , — = —= —=0 (f=2,..,2), — 20 dI da, di da dW £ . dH RA : Posto pi= —— , la disuguaglianza —— = 0 ci assicura che esiste un dii Pi 4 integrale W della equazione H=P,, regolare nell'intorno considerato, il quale, per #1=0, si riduce a #2 P2 + + () de) m;z;= MI D'altra parte per la forma del pendolo l’asse della z è un asse principale d'inerzia e gli altri due sono paralleli ad altri due assi principali d'inerzia, cosicchè (B,) Imiziyi = Imygi = Img, = 0; Facendo infine le solite posizioni (Ba) Smlyé +e) = Mx, Imi +27) =M,, Imi +9) = M; le equazioni differenziali del moto diventano (| (yi — re + os) Zi — (ci — gr: + my) i — Me + "MM =0 (61) Î Z(c— x 4+ yi) Ei — Zildi — yi 4 98) Zi x'M, — EMI = 0 Ze — yi 426) Ho Zlyi — rei 4 00;) Ei — 0" Mi i) Restano a calcolare le componenti delle forze: A tal fine tengo conto: 1°) della gravità che si può ritenere applicata al baricentro (0,0, 2) ed ha per componenti secondo gli assi fissi ui, Mg, 2°) dell’ attrito delle leve scriventi che suppongo opposto e propor- zionale alla velocità relativa del pendolo: trascurando la resistenza che esso può opporre alle rotazioni intorno all'asse delle =, (la quale resistenza sa- rebbe nulla se l'estremità superiore della leva amplificatrice fosse esatta- mente sull'asse :), noi possiamo rappresentarlo con una forza applicata al baricentro: chiamando allora s, s,, due coefficienti variabili (perchè l'attrito varia nei singoli punti del nastro), le componenti secondo gli assi , Y, 4, — 147 — e quindi con la voluta approssimazione anche secondo gli assi fissi, saranno — sw, +s4', 0; 3°) della forza elastica dovuto alla /essione del filo di sospensione (supposto cilindrico ed omogeneo) proporzionale ed opposta alle flessioni w e 4, e dall attrito interno di flessione, proporzionale ed opposto alle velocità u e 42. — Chiamando / ed /, i relativi coefficienti (costanti) e supponen- doli calcolati in modo che queste forze si possano ritenere applicate al ha- ricentro, le proiezioni della loro risultante sugli assi @, y, 4, e quindi a meno di quantità trascurabili anche sugli assi fissi sono: MR) A A), 0; 4°) della resistenza dell’aria che è applicata effettivamente ai sin- goli punti della superficie, ma si può sostituire con una forza applicata al baricentro ed una coppia intorno all'asse della ('). Ritenendola proporzio- nale ed opposta alla velocità, ed essendo 4, 4,, 4» tre coefficienti costanti, le componenti della forza saranno — af ,, — ao , to ed il momento della coppia sarà — 4» 0'. Ossia, ricavando dalle (5) i va- lori di &, 170; o le componenti della forza saranno — eci — at; e sostituendo alla coppia una unica forza equivalente applicata nel punto (0, 1, 0) e costantemente normale al piano yz, le sue componenti secondo gli assi mobili e quindi anche secondo gli assi fissi saranno + a4:0, 0,0; 5°) infine del momento di torsione del filo e dell'attrito interno di torsione proporzionali ed opposti rispettivamente alla rotazione v ed alla velocità 1’; chiamato © e 7, i coefficienti (costanti) relativi alla forza elastica e allo smorzamento, e sostituendo alla coppia un’ unica forza costantemente parallela all’ asse 4 applicata al punto (0, 1, 0) le sue componenti saranno + (crv 4+ 70), 0, 0. Riassumendo tutte queste considerazioni tengo conto dunque delle seguenti forze: Nel baricentro (0, 0, 2) — su — (fu 4 fw) — a(s8 + lx) H,=s4X +(f2+4/2)— ay — n) Z=Mg— ad; | (!) Ometto per brevità la dimostrazione di una tale asserzione, alla quale si arriva ricordando la forma del pendolo, simmetrica rispetto all’ asse delle #: osservo che da quanto precede le costanti 4, @, , 4, sono proporzionali alla resistenza opposta dall’aria ad un movimento traslatorio orizzontale, traslatorio verticale, rotatorio intorno all’ asse delle <, con velocità traslatoria o angolare eguale all’ unità. — 148 — nel punto (0, 1, 0) E = 40 + av 4 dA, =) in tutti gli altri punti: &5= MA=Z=0. Sostituendo queste espressioni nelle (6,), le somme dei primi membri prendono rispettivamente la forma seguente — UxgM + ale — a +24 (fr +5) 2) — UxgM + aly + a + fut (+3) #) — (400 + ev H4 10); cosicchè infine sostituendo alle variabili 77 x @ e alle loro derivate i valori dati delle (A), dividendo le due prime equazioni per / e raccogliendo in ciascuna delle tre equazioni tutti i termini indipendenti dalle incognite me- diante le posizioni Fi M, li + (++) + (M+/)a=® Mai+(@+a)! + = x, le equazioni diventeranno : «ME at 4 ee pare + ge +@=0 (7) — My" — a + da a'-| ala' + gMa+4+®=0 Miy'4+ ay L+X=0. Da queste apparisce che il moto del terreno si può scomporre in due movimenti piani ortogonali fra loro e all'orizzonte ed in una rotazione intorno alla verticale, tutti e tre fra loro indipendenti: apparisce ancora che le tra- slazioni verticali del terreno non hanno influenza sensibile sul moto generale del pendolo; cosicchè per determinarle è necessario un apparecchio di na- tura diversa. (0) $ 2. Teoria del microsismografo a componente verticale. La ricerca delle equazioni generali analoghe alle (7) sarebbe un pro- blema analiticamente assai complicato, qualora si volesse tener conto del movimento della sbarra elastica: perciò suppongo senz'altro che lo strumento sia ridotto ad un punto materiale (centro della sezione libera della sbarra) di massa 7, soggetto alla gravità, alla forza elastica della sbarra e alle varie resistenze. Suppongo ancora: che gli assi fissi nel terreno siano paralleli a quelli omonimi del problema precedente; che l’asse Z passi per il centro della sezione incastrata della sbarra, l’asse Y per il centro della sezione libera quando questa è in quiete assoluta e l’asse X sia parallela alla lar- — 149 — ghezza della sbarra (fig. 2); che questa sia tanto grande rispetto alla gros- sezza da rendere trascurabili le oscillazioni parallele all'asse delle X; infine che la tangente all'asse longitudinale della sbarra nel suo estremo libero si conservi sensibilmente parallela all'asse delle Y. Cosicchè, osservando che quando la massa è in quiete rela/iva essa ha rispetto al terreno le coordi- 19) n NANI "N x N Fig. 2. nate sensibilmente costanti (') (0, Yo, 0), chiamando < lo spostamento dalla posizione d'equilibrio, il suo movimento relativo è dato dalle equazioni (8) x =40) di IRR Vi = Si osservi ora che questo movimento relativo si può considerare come una rotazione intorno ad S le cui componenti sono get. ip 0) E es Ì 9 quindi per la trattazione analitica del problema, fino alla deduzione delle equazioni differenziali del moto, potremo senz'altro adoperare i risultati ot- tenuti nella trattazione del problema precedente. Nel caso attuale è da consi- vi e questa, dando all'indice 7 il valorez=1 e ponendo «1 == 0,y1=Yo, sì ridurrà alla forma: (9) YZ — 15 ml 1 Mx=0. derare soltanto la (6), che corrisponde allo spostamento arbitrario d4Z = (1) Veramente anche quando m è in quiete relativa la coordinata Z ha un valore variabile con a; ma le sue variazioni sono proporzionali al coseno di @, e quindi trascu- rabili perchè dell'ordine di @®. Anche di ciò om tto la dimostrazione per brevità. — 150 — Rimangono da calcolare le componenti delle forze attive. Quando #2 è in quiete relativa, le sue coordinate rispetto agli assi X YZ corrispondono a certe deformazioni della sbarra, per le quali si sviluppano forze elastiche equilibrate dal peso di 7: restano quindi da considerare soltanto : 1°) la forza elastica di flessione corrispondente alle oscillazioni 2, le cui componenti secondo X YZ sono 0,0, — kg (x = coeff. cost.) 2°) l'attrito interno di flessione e l’altrito delle leve scriventi, am- bedue proporzionali ed opposti alle velocità 2": chiamando %, il coefficiente (variabile) relativo alla resistenza totale di attrito, le componenti di essa saranno 0,0, — Zig; 3°) la resistenza dell’aria proporzionale ed opposta alla velocità as- soluta: trascurando la componente secondo l’asse delle È, che non compa- risce nelle (9), avremo secondo gli altri assi le componenti — ala, — af, (4,03 coeff. costanti) e siccome dalle (5) si ricava a = Vi , li=l SE To, avremo infine le espressioni — ay, — al" +2'Y). Ricordando che anche le forze 1° e 2° si possono riguardare come componenti secondo gli assi fissi, sarà dunque H=—ay; Z=—kz—kh8 — af + Yo); e sostituendo questi valori nelle (9), trascurando i termini di secondo grado nelle variabili, dividendo l'equazione per Yo, e raccogliendo i termini noti mediante la posizione (D) m3' + (kr + as) + ke= questa prenderà infine la forma (10) m(é' + Yoa") + as(î' + Ya) 4+-V=0. Per un altro strumento simile a questo, ma disposto in modo che il suo movimento relativo sia dato dalle equazioni (81) X=IMai=0,Z=% l'equazione differenziale del movimento sarebbe invece (10,) mi(é" == Xof") + as(È ssi Xo8") + Vi=0, avendo i simboli #m,, a4, Vi significato analogo ad #2, «3, V del caso pre- cedente. — 151 — Geologia. — Scorte trachitiche dell’ Averno nei Campi Flegrei. Nota di 1. PAMPALONI, presentata dal Corrisp. C. DE STEFANI. Secondo le osservazioni degli autori precedenti e del prof. De Stefani che mi ha comunicato le seguenti roccie perchè le studiassi, il Lago d'Averno nei Campi Flegrei giace entro un cratere d'esplosione costituito dal /u/o trachitico grigio. A settentrione del Lago, nel fondo Maglioni, a destra della strada che va a Cuma, nel dirupo del tufo grigio, per la lunghezza di circa 400 metri ed a distanza di pochi metri l'uno dall’ altro sono intercalati due o tre banchi assai sottili di trachite, la quale almeno all’ aspetto esteriore, pel suo colore chiaro macchiato di nero, si distingue da quasi tutte le altre dei Campi Flegrei. Questi banchi sono costituiti da masse ellissoidali di trachite, per brevi tratti continue, per lo più alquanto isolate, aventi generalmente dimensioni di varî metri cubi e sfaldabili in strati concentrici come quelli di una cipolla. Più a ponente ed a sinistra della strada stessa, in mezzo al tufo, sono dei banchi alti 8-10 metri, di scorie simili a quelle che già studiai del cratere centrale degli Astroni ('), ma più disgregate. Esse sembrano ripe- tersi in qualche altro punto nella periferia del lago. Vari proietti di differente natura furono pure raccolti dal prof. De Ste- fani isolati in mezzo al tufo, specialmente nella tenuta Maglioni; fra questi ne sono alcuni, di dimensioni assai grandi, di Leucitite, la cui esistenza era stata molte volte ammessa e negata da autori precedenti. Nell'apparenza esterna questa roccia leucitica ha qualche affinità colla trachite sopra indi- cata, ed è probabile che qualche autore, pure ammettendo l'esistenza della Leucitite, abbia confusa una roccia coll’ altra. Per ora studierò le Scorie trachitiche. Varî sono i campioni studiati. Il primo è di color grigio cinereo piuttosto scuro con macchie più chiare là dove la roccia comparisce anche più compatta. All'esterno non è visibile alcun minerale che spicchi per la sua grossezza o per qualche altro carat- tere speciale, così che la roccia comparisce nella sua massa assai uniforme. In alcune cavità si trovano delle efilorescenze bianche. Il secondo è poroso e di un colore bruno quasi nero. Il terzo è di color cinereo chiaro all’esterno, mentre internamente è molto più scuro. Dai frammenti più scuri in esso racchiusi si capisce che questa roccia, allorchè era sempre fluida, ha coinvolto nel suo impasto dei (1) L. Pampaloni, Ze roccie trachitiche degli Astroni nei Campi Flegrei. Rend. R. Acc. dei Lincei, vol. VIII, 1° sem., serie 5%; fasc. 2° e 8°, 1899, — 152 — frammenti già precedentemente solidificati. È sempre scoriacea, difficilmente vi si scorgono i grossi cristalli di sanidina o di qualche altro minerale sparso nella massa. Il quarto finalmente è il più compatto di tutti. Il suo colore è bruno scuro, quasi plumbeo. I cristalli chiari di feldispato, che si scorgono diffu- sissimi nella massa, variano nella loro lunghezza, passando per gradi da quelli microscopici od appena visibili ad occhio nudo, ad altri che in qualche esemplare arrivano fino anche a 4 mm. di lunghezza. Le macchie brune listiformi degli altri minerali, che fanno parte della roccia, sono ben rare e poco bene discernibili a causa del loro colore scuro, che si confonde con quello pure scuro della roccia. Vero è che per riflessione essi posseggono una certa lucentezza; ma, dato anche che alcuni se ne possano scorgere, è ben difficile poter dire se si tratti di minerali neri quali la Mica, o di mi- nerali verdi quali l’ Augite, l’ Orneblenda ecc. La massa fondamentale di tutti e quattro questi campioni è vetrosa, però non così abbondante, come si potrebbe credere, dato l'aspetto pomicioso e poco compatto della roccia. Così la massa vetrosa è relativamente abbon- dante nella prima e nella seconda, scarsa nella quarta che è la più com- patta di tutte. La struttura fluidale non si presenta così costante come nelle roccie degli Astroni. Gl'individui cristallini più abbondanti, sparsi nella massa, sono i micro- liti di sanidina, in forme per lo più aciculari di un solo individuo, altre volte di individui riuniti assieme e variamente raggruppati. La sanidina presenta i caratteri che sono stati altra volta descritti trat- tando delle scorie degli Astroni; il suo piccolissimo angolo di estinzione non ha mai superato i 3°; presenta le solite abbondanti inclusioni, specialmente di Magnetite; talora di Augite, nessuna di apatite. I microliti di feldispato triclino sono scarsissimi: ne abbiamo una media che varia dai 10 ai 15 individui per cmq; se mai, il plagioclasio è un poco più abbondante nella parte compatta del secondo campione. Tale carattere costituisce un termine di differenzia- mento fra questa roccia e quelle degli Astroni, nelle quali per contro ho riscontrata una preponderanza del plagioclasio sulla sanidina. Inoltre il plagioclasio che ho trovato nelle roccie dell’Averno appartiene tutto alla serie più calcifera, e senza dubbio, va riferito ad Amortite per l'angolo di estinzione molto alto (37°, 40°) e per i vivacissimi colori d'in- terferenza. La serie sodifera non vidi rappresentata da alcun individuo. Fre- quentissima è la struttura polisintetica di questi plagioclasî. In due di essi, appartenenti al secondo campione ed in uno appartenente al terzo, esistono delle inclusioni gassose; più frequenti sono quelle di Magnetite e di Augite. La Magnetite sparsa nella massa si presenta sotto un aspetto identico a quello degli Astroni; solo i cristalli sono in generale un poco più piccoli, — 1559 — quasi tutti a contorni ben netti e riferibili a vere e proprie forme geome- triche, pochissimi in forma di globuli smangiati e corrosi. La quantità di Magnetite è press'a poco uguale in tutti i campioni e più abbondante nella parte scura. Il contorno di questo minerale apparisce, sotto un forte ingrandimento, colorato in grigio, a causa della solita trasformazione ai bordi in limonite. Questa è abbondantissima in tutta la massa fondamentale della roccia; frequentemente è inclusa in cristalli di feldispato; nei campioni 3 e 4 poi riveste i bordi interni dei pori della massa fondamentale. Se si esamina attentamente il colore della limonite all’interno dei pori, si vede che differisce da quello, sempre bruno ma però più chiaro del rima- nente della roccia. Esaminando con un fortissimo ingrandimento quest'ultima colorazione, si vede che è data da una infinità di piccole opaciti brune sparse diffusa- mente. L'esame ottico, però, non è sufficiente per decidere definitivamente sopra la natura di queste opaciti; l’unico fatto accertabile con tale mezzo d'indagini è la loro isotropia ed il loro amorfismo. Ma per venire ad una sicura conclusione sulla vera natura di queste opaciti, occorrerebbe il sus- sidio dell'esame chimico ed occorrerebbe prima di tutto separare la massa di queste opaciti in modo da poterla analizzare separatamente. Per tentare ciò mi sono servito dell'apparecchio del Thoulet, a borotungstato di cadmio. Ho fatto l'esame sul primo campione. A tale scopo ho preso nelle diverse parti di esso varî piccoli frammenti, pestandoli in un mortaio in modo da averne una fina polvere, che venne poi passata per setaccio onde eliminarne i granelli più grossi. La polvere, resa in tal modo impalpabile, venne riscal- data per togliere tutta l'aria aderente ai minutissimi granelli, e fu quindi posta nell’apparecchio, in cui precedentemente erano stati versati 25 cc. di borotungstato di cadmio preparato da Merck alla densità 3.28. La polvere rimase tutta a galla. Aggiunsi al borotungstato dell’acqua distillata fino a raggiungere una densità tale per cui alcuni dei granelli potessero scendere a fondo. Infatti alla densità 3.25 alcuni materiali più pesanti cominciarono a cadere. Le selezioni da me fatte furono sez. La prima alla densità 3.25 in cui caddero, come già ho accennato, i mate- riali più pesanti, vale a dire l’Augite, la Magnetite, ed una parte del feldi- spato tricJino. La seconda alla densità 2.9 caddero il feldispato monoclino, l'anfibolo, ed il residuo del feldispato triclino. La terza alla densità 2.5. La quarta » ” 2.3. La quinta » ” 2.12. La sesta » ” 1.85. RenpIcoNTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 20 — 154 — Ciascuna di queste selezioni fu esaminata al microscopio, e vi potei ri- conoscere, disposti in ordine decrescente di densità, tutti i costituenti della roccia. Alla densità 2.3 scorsi già una piccolissima quantità della polvere bruna in questione, che divenne abbondantissima nella selezione fatta alla densità di 2.12, mentre tornò a scomparire in quella alla densità di 1.85, dove invece abbondavano le particelle di sostanza puramente vetrosa. Con tale procedimento ho potuto avere, a mia disposizione, una discreta quantità di questa polvere, che sottoposta all'esame chimico doveva rivelarmi la costituzione delle opaciti in essa contenute. Lavata tale polvere e raccolta su filtro per togliere ogni possibile traccia di borotungstato di cadmio, la esaminai al microscopio, e nuovamente con- fermò il suo comportamento isotropico. Le perle di sal borace e di sal di fosforo diedero uno scheletro di silice gelatinosa; per di più la perla di sal borace si colorò in rosso bruno; rea- zione data dalla presenza di ferro. Sciolsi perciò una parte della sostanza in una tenue quantità di acido cloridrico concentrato, sopra un vetrino porta oggetti, e potei vedere coll'aiuto del microscopio che la sostanza bruna si sciolse tutta, mentre rimasero insolute delle particelle opalescenti di silice gelatinosa. Operai il medesimo trattamento per il rimanente della sostanza; allungai la soluzione con acqua e quindi col ferro-cianuro di potassio potei ottenere il caratteristico precipitato di Bleu di Prussia. In quale stato preciso si trovi questo ferro contenuto nella polvere bruna mi fu impossibile di poter conoscere; mi sembra però che non vi si possa trovare se non allo stato di ossido di ferro, e non escluderei che vi sia in taluni casi sotto forma di protosszdo. Tali opaciti corrispondono in tutto e per tutto a quelle che si trovano pure nella massa vetrosa delle scorie degli Astroni e di tutti i Campi Flegrei. In alcune delle sezioni di roccie da me esaminate, tali opaciti di ferro sono fra loro riunite in gruppi particolari, e così disposte da prendere l’ap- parenza come di scheletri di cristalli distinti che si possono benissimo ripor- tare a forme carattestiche del primo sistema, specialmente a sezioni del cubo e dell’ottaedro. Devo avvertire però che in nessuna sezione si è mai pale- sato il cristallo che dovrebbe contenere tali globuliti, ma che suppongo do- vesse essere di sodalite. Questa, a causa di azioni chimiche varie, venne di- strutta, non rimanendovi altro che il minerale incluso, di ferro, che in qualche sezione è anche Magnetite. Ai varî costituenti essenziali della massa fondamentale di queste roccie dell’Averno, tengono dietro altri accessorî; frequenti sono, specialmente nei campioni terzo e quarto i bastoncelli di Apatite, troncati e piccolissimi, poichè misurano appena 2-3 centesimi di millimetro; vi sono, rari bensì, dei pic- = — 155 — coli cristallini quadratici e ben netti di sodalite, ed infine ho potuto riscon- trare un unico cristallo di Zircone. È ben finito, presenta una lunghezza di circa 5 centesimi di millimetro ; è prismatico a contorni nettissimi. Il suo colore è giallo pallido, quasi nullo; però, a causa della sua forte birifrazione, spicca notevolmente dal fondo della massa ed ha un contorno d'ombra ben marcato. Il pleocroismo è molto scarso, mentre i colori d' inteferenza sono vivacissimi e passano dal verde al rosso brillante. Esso, come in tutte le roccie eruttive, è contenuto allo stato di cristallo antico di prima consolida- zione, anteriore a quella di tutti gli altri elementi della roccia. In questo cristallo si hanno due parti ben distinte: una centrale più scura riprendente la forma del cristallo, ed una laterale, chiara e trasparente. Ciò è dovuto alle numerosissime inclusioni che si trovano nel centro della massa, mentre che non ve ne sono che pochissime alla periferia. Queste inclusioni sono gassose e piccolissime, così che non si possono risolvere che ad un forte ingrandimento (circa 800 diametri); allora si scorgono benissimo i singoli pori gassosi. Altre inclusioni di altri minerali non ne ho vedute. Finalmente poi in tutti questi campioni esiste, dentro la massa, una discreta quantità di Hauyna, che anche qui si presenta sotto forma di cristalli di colore az- zurro più o meno chiaro, grossi e quasi tutti smussati ai loro spigoli e ri- dotti a grani irregolari. Vi si riscontrano le solite inclusini di Magnetite e quelle gassose, le quali appunto spiegano il comportamento in parte ani- sotropico di questi cristalli. Nella massa fondamentale, e nei cristalli di prima consolidazione queste scorie di poco si discostano da quelle degli Astroni. Nelle prime vi è una minore abbondanza della massa vetrosa; scarso è l'aspetto fluidale dei mi- croliti di feldispato. Questo carattere unito a quello della poca abbondanza del plagioclasio prevalentemente calcifero, della completa assenza di quello sodifero, della grande diffusione della sanidina, e della presenza dello Zir- cone, costituiscono i pochi termini di distinzione fra le roccie ora studiate e quelle degli Astroni. Passiamo ora a descrivere gli elementi di seconda consolidazione delle roccie dello Averno. Fra questi, come fra i microliti tiene il primo posto la sanidina, anzi è assal difficile il delimitare gli elementi di prima da quelli di seconda consolidazione, poichè essi variano gradatamente nella loro grandezza. Però grossi cristalli, come nelle roccie degli Astroni, non esistono e la loro mag- gior grandezza non sorpassa i 12 centesimi di millimetro. Hanno contorni generalmente smangiati; solo pochi sono ben netti. Rara è la struttura zo- nale che ho trovata solo in pochi cristalli dei campioni / e 4. Mai si pre- senta intorno al cristallo quel contorno feldispatico, visibile girando di un certo angolo il piattino del microscopio; frequenti le geminazioni secondo la legge di Manebach; rare invece quelle di Carlsbad o di Baveno. Ho tro- vato alcune sezioni ad estinzione ondulata. — 156 — Le linee di sfaldatura secondo la faccia 001 sono pure frequenti, come anche le inclusioni di Magnetite, spesso trasformata in limonite e raggrup- pata nelle fenditure del cristallo; quelle di ematite di un bel colore giallo aranciato; di aciculi di Augite, verdi, e di qualche bastoncello di Apatite. I cristalli triclini presentano tutti quanti la struttura polisintetica, ed a nicols incrociati hanno vivacissimi colori d'interferenza. Il loro angolo d'estin- zione essendo molto alto, sono tutti riferibili ad Anortite. Però nelle roccie dell'Averno la percentuale loro arriva appena a 2 p. 100 ed a 98 quella della sanidina. L'Augite è pochissimo abbondante; generalmente i cristalli sono piccoli ed allungati; quelli più grossi, rarissimi, hanno sempre una forma poligonale ben marcata. Con questa forma poligonale si collega il fenomeno delle varie zone concentriche; queste naturalmente compariscono molto visibili nei grossi cristalli e si alternano nei colori ora più chiari ora più scuri, ora d'inten- sità uguale al nucleo centrale. Nelle zone periferiche mancano o scarseggiano le inclusioni. mentre sono abbondanti al centro, specialmente quelle di Ma- gnetite e di Plagioclasio. Del resto in tutti gli esemplari di Augite da me esaminati nelle varie roccie dell’Averno non ho potuto trovare una grande quantità d' inclusioni di Magnetite, ed una sostituzione di questa al Pirosseno, come già osservai per le roccie degli Astroni. L’anfibolo anche qui si presenta nella sua varietà ornedlenda, di colore giallo-verdastro pallido. È molto raro in tutte le roccie dell'Averno, e si distingue assai facilmente dall'Augite, prima di tutto pel suo colore molto più chiaro, poi per la completa assenza di zone periferiche di differenti colori, e finalmente per l'angolo di estinzione che è sempre molto più basso di quello dell'Augite. È molto più abbondante nelle roccie degli Astroni che non in quelle dell’Averno. Tali i minerali di seconda consolidazione nelle scorie dell’Averno. Che se una piccola differenza esiste fra queste roccie e quelle degli Astroni negli elementi di prima consolidazione, questa si fa ancora meno manifesta per quelli di seconda consolidazione. Infatti i caratteri di differenziamento sono pochissimi e di secondaria ‘importanza, basandosi essi esclusivamente sulla predominanza di un minerale piuttosto che di un altro, sulle sue dimensioni e infine su caratteri minera- logici specifici, che possono essere variabili anche in una medesima sostanza di composizione chimica uniforme. Perciò io credo di poter concludere che tanto le scorie trachite degli Astroni, quanto quelle dell'Averno sono d'identica costituzione, e possono riferirsi al medesimo tipo di vetrofiro trachitico, appartenente alla 7rachite augitica sodalitica, il quale può stare di mezzo alle vere e proprie sanidi- niti per la ricchezza di sanidina, ed alle andesiti por la ricchezza di pla- gioclasio; avvicinandosi quelle degli Astroni al tipo andesitico, quelle del- l’Averno al tipo sanidinitico. — 157 — Fisica. — Di un nuovo istrumento per la misura della fre- quenza delle correnti alternate. Nota di R. MANZETTI, presentata dal Socio BLASERNA (). I metodi finora adottati per la misura della frequenza si fondano sui fenomeni più svariati. Molti determinano una velocità angolare: contagiri 0 tachimetri applicati o direttamente alla macchina generatrice, o ad un motore che si riduce alla stessa velocità di quella. Altri contano le alternazioni RIGHE avvenute in un determinato tempo, fissando sopra una superficie mobile un fenomeno qualunque che si ripete insieme ad un determinato valore dell’ in- tensità, come indice del numero delle alternazioni, e misurando il tempo dal quoziente di una lunghezza per una velocità. Altri infine determinano l' al- tezza del suono prodotto dalla corrente, ottenendo il sincronismo ad un apparecchio di numero di vibrazioni noto, con metodi ottici o di risuonanza acustica. L'apparecchio che ho fatto costruire si fonda sulle proprietà elettroma- gnetiche dei circuiti percorsi da correnti alternate, e permette, a differenza (!) Lavoro eseguito nel gabinetto di Fisica tecnica della R. Scuola Ingegneri di Roma. — 158 — degli altri, la misura della frequenza con un metodo di riduzione a zero, da un semplice rapporto di resistenze. Supponiamo di avere due campi magnetici alternativi e indipendenti, diretti secondo le X e X,. In un bastoncino di alluminio siano fissi, un disco di rame A, secondo un diametro, ed un piccolo parallelepipedo di ferro B. Il diametro del disco e la lunghezza del parallelepipedo, formino colla dire- zione dei campi in cui sono rispettivamente posti, degli angoli @, @,. È chiaro allora che se i due campi sono generati da correnti alternate, ognuno di questi due corpi subirà un certo momento torcente in una certa direzione, uno per effetto delle correnti di Foucault, l’altro per azione sem- plicemente magnetica, e se il sistema è rigido ed attaccato ad un filo di sospensione, questo sarà soggetto ad un momento uguale alla somma algebrica dei due. Si capisce come si possan dare direzioni tali agli assi dei due corpi per rispetto a quelle dei campi magnetici, che il filo sia sottoposto alla differenza dei due momenti, e come si possano far variare in modo tale le due intensità da annullare la deviazione del sistema, per quanto non nulli i momenti torcenti delle parti superiore ed inferiore di esso. Supponiamo allora che i due campi sieno generati da due sistemi indi- pendenti di rocchetti percorsi da correnti alternate. Si vede subito come questa posizione di zero si abbia solo per una determinata frequenza, poichè mentre il momento torcente che subisce il ferro del sistema, è indipendente dalla frequenza, quello dovuto alle correnti di Foucault nel rame è funzione di essa. Esaminiamo analiticamente il problema, e determiniamo i due momenti esercitati dai rocchetti rispettivamente sul rame e sul ferro. Vogliamo sup- porci a tale scopo che il rame sia equivalente ad un circuito circolare sem- plice di area S di resistenza R e di coeff. di autoinduzione L, percorso da una corrente indotta y= Y sen (0f + g), se 2=I sen wt è la corrente che circola nel rocchetto inducente e g è la differenza di fase esistente fra y ed %. Il momento istantaneo che allora si esercita nel circuito secondario per effetto del campo H generato da 7 sarà M=H$ysena cosa Il momento medio =" Il Min: T f HSy sena cosa dt = yò se y è una costante di proporzionalità, e d è la deviazione angolare che si dovrebbe dare al filo per ricondurre il sistema nella stessa posizione ed essendo Bol H=#Isenwt; IZ TR Fot sen (0/+ g). — 159 — Si trova sostituendo integrando e ragguppando le costanti wI° cos g nnt VR? + oe L° o Questa deviazione adunque dipende non solo dalla frequenza per ]' au- mento di f. e. m. nel secondario, ma anche dalla differenza di fase g. Noi non abbiamo un'idea del valore di questa differenza di fase, poichè non abbiamo un’ idea del valore delle costanti R ed L del rame percorso da correnti di Foucault. d. : TT ; Ora si può porre Pet essendo ® lo spostamento di fase fra f. e. m. e corrente nel rame il sistema, e cioè wL J R? + w* L? cosp= — senDv= — da cui infine ri KI? @w° va R? + 0° L? Il circuito agente sul ferro produrrà un momento tale che la deviazione sarà data da d, _ er RS Ed ammettendo d=d, cioè l'equipaggio in posizione di zero, Pa 2 i w° SEL RF ar od anche TÉ 2 (19) TE Tal ut 0° Siano ora i due circuiti in derivazione, il rapporto delle due intensità sarà in prima approssimazione l'inverso delle impedenze dei circuiti derivati, se ammettiamo che l’'induzione mutua fra circuito mobile e circuito fisso non faccia variare le impedenze, ciò che è ammissibile essendo molto piccoli i coefficienti di autoinduzione, avremo cioè r° + w° /° w° (1) cereali e Si vede dunque come per valori di w sufficientemente piccoli, © sia data dalla (1a) CELLA iv mi — 160 — Ma le correnti di Foucault agiscono anche nel circuito del ferro, cosicchè la deviazione del sistema per questa parte dovrà essere espressa da w° pa + 0° ° 2 E tenendo conto di ciò sì giungerebbe a dimostrare che la funzione (2) dò, = Ta Te + CGIE deve essere del tipo (2) T1°) {0/5 00° cos r rio dati La figura annessa dà il disegno dell'apparecchio che fu costruito. Il campo che produce le correnti di Foucault è generato da due rocchetti AA ciascuno contenente 8 strati di filo da */,, di mm., in tutto circa 600 spire con una resistenza di 11 ohm. Nell’ interno di questi vi è un disco di rame di 28 mm. di diametro e 5 mm. di grossezza. Il rocchetto B agisce sul ferro ed è formato da circa 70 spire di filo anche di ®/,0. Il diametro interno dei rocchetti è di 30 mm. Il ferro è in forma di un piccolo parallelepipedo di 10 lastrine di lamina di ?/,0 perfet- — 161 — tamente isolate con carta velina e vernice di gommalacca, per non risentire correnti parassite in questa parte dell'equipaggio mobile. Questo poi era sospeso da un filo di quarzo dei più grossi che potei avere per non dare una sensibilità eccessiva all’ istrumento. Era necessario che per le ordinarie frequenze non avessero valori troppo diversi le costanti K e K,, il che si raggiunse rendendo molto debole il campo che sollecitava il ferro dell'apparecchio, e quindi i rocchetti e le di- mensioni del rame e del ferro come pure le direzioni di questi per rispetto ai campi, erano state scelte convenientemente. Lo smorzamento del sistema mobile, dato da una palettina di mica, fu trovato molto più conveniente di quello elettromagnetico. Notiamo infine come tutte i rocchetti poggiavano sopra corsoi per far variare in modo semplice e rapido la sensibilità dell’apparec- chio, e per rendere più comodo l'attacco del filo. Così aggiustato l’ apparec- chio, si disponevano i due circuiti in derivazione ed in ognuno dei rami si inseriva una cassetta di resistenza. Si inviava una corrente di circa !/,, di ampère, corrente che poteva far dare forti deviazioni in ognuno dei rami derivati. Una difficoltà trovai nell'avere la corrente alternata di frequenza nota e variabile in limiti sufficientemente estesi. Mi servì per tale scopo un piccolo alternatore collegato ad un motorino elettrico a corrente continua da circa !/, cavallo, ed azionato da accumulatori. L'alternatore aveva due pu- legge: una riceveva il movimento dal motorino, l'altra era collegata da un'altra cinghia ad un tachimetro a forza centrifuga, graduato di 200 a 2000 giri al minuto primo, ed in modo da rendere sicura la lettura a meno di qualche giro. Però il tremito della macchina, lo scorrimento delle puleggie, e le va- riazioni di velocità del motorino stesso, non permettevano di assicurare la lettura della velocità che con una differenza di 10 o 20 giri per velocità elevate, e dai 5 ai 10 per velocità più piccole. Queste variazioni erano sen- sibili non tanto per l’ incostanza del potenziale degli accumulatori, quanto per la variabilità degli attriti delle macchine; poichè essendo il lavoro da queste eseguito quasi esclusivamente quello necessario a vincere gli attriti, la più piccola variazione di questi poteva dare sensibili variazioni di velocità: per questa ragione avevo dovuto ridurre straordinariamente la sensibilità del- l'apparecchio. Ottenni frequenze variabili da 70 a 250 cambiando le puleggie all’ alternatore. Riporto una serie di misure eseguite, allorchè il ferro dell'equipaggio mobile era costituito da laminette sottili e ben isolate. Ebbi i seguenti valori medie di molte misure: (o) 1315 1020 890 773 420 0,840 0,970 1,060 1.140 1,590 Giova notare come interessi tenere alti i valori delle resistenze nei due rami derivati, per impedire che le autoinduzioni di questi influiscano sensi- RenpIcoNTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 21 — 162 — bilmente nei rapporti, nelle esperienze eseguite variavano da 50 a 100 ohm circa. In questo intervallo la differenza dei rapporti con diverse resistenze inserite era sempre dell'ordine della precisione con cui si poteva misurare la frequenza, vale a dire all'incirca del 2°/,. Questi rapporti erano indipen- denti anche dai valori assoluti delle intensità nei due rami, come si poteva riconoscere facendo variare la intensità complessiva delle correnti dei due rami. Con questi valori calcolai dapprima le costanti della prima col metodo dei minimi quadrati, per assicurarmi se le correnti di Foucault agivano anche nel ferro: trovai L= 10230850 y.=;2:0599 Con queste costanti ho ricalcolato i valori di > ed ho ottenuto 1, osservati 0,7056 ‘0,9409 1236 1,800 2,528 n 2 = calcolati 0,745 ‘‘%0,9156. 1,051 1,238 ‘8,136 Da questi risultati sì osserva subito come la concordanza fra valori osservati e valori calcolati sia tutt’ altro che soddisfacente, quindi l’effetto Foucault si faceva risentire anche nel ferro già alle frequenze adottate. Ciò era dimostrato anche da un altro fatto. In altre esperienze il ferro dell'equipaggio mobile era formato da laminette poco isolate fra loro. Si ottennero i seguenti valori ui 415 8520, 75001300 Zi. 1,78nigo 139155 1 cioè una decrescenza molto più rapida nel valore di questo rapporto. Questo fatto si spiega molto facilmente, poichè l'effetto Foucault nel ferro è di senso opposto a quello magnetico, quindi a parità di intensità nell'altro ramo si doveva diminuire la resistenza nel ramo del ferro più del necessario, per ottenere l’ equilibrio. La formula (2) rappresenta perfettamente il fenomeno, nei limiti almeno. delle misure fatte, messa sotto questa forma r? at bo— co' n° to Calcolando col solito metodo dei minimi quadrati le costanti, ottenni ai== 10° 2,258 M=1019710 0: t10382:519) 3 A. ) MUDanE, Da questi calcolai di nuovo i valori —; 0° ed ottenni p ma calcolati 10° 12,118 10,105 3,969 7,061 4,418 2 r°® osservati 105 12,202 9,789 8,900: 1 7770. 60 — 163 — Si può dunque concludere che quest’ istrumeénto permette di misurare la frequenza delle correnti alternative, mediante un semplice rapporto di resi- stenze, con un metodo di riduzione a zero, indipendentemente dal valore as- soluto dell’ intensità di corrente circolante nei circuiti. Esso può essere adoperato in un intervallo molto esteso senza bisogno di variar nulla nell’ apparecchio. Esso comincia da poche alternazioni; per 0; = = co. Il limite superiore è meno ben definito da queste esperienze ra - sizione di zero dell’ istrumento è indipendente dalla frequenza. La formula trovata dimostra che l'istrumento può essere certamente adoperato fino a frequenze del valore di circa mille, però in questo caso il problema si com- plica dovendo tener conto anche delle autoinduzioni dei circuiti derivati; co- sicchè bisogna guardarsi dalle estrapolazioni, tanto più che le impedenze variano colla frequenza anche per effetto dell’ induzione mutua fra circuiti mobili e circuiti fissi. La sensibilità dell’ istramento può esser fatta variare ad arbitrio facendo variare il filo di sospensione, e l’ intensità di corrente. Nel mio caso l' istrumento sentiva bene 1 alternazione con una corrente complessiva di */,o di ampère. In condizioni di massima sensibilità non sa- rebbe difficile sentire collo stesso apparecchio */1000 di alternazione. Dal primo calcolo fatto si deduce ancora un dato. Il valore di w è il quadrato del rapporto fra la resistenza e il coeff. di autoinduzione del circuito equivalente al rame percorso da correnti di Fou- cault. Si può quindi, per quel solido almeno, dedurre l'ordine di quel rapporto, che deve essere intorno al numero 900. L'istrumento può essere adottato per la misura rapida e facile di coeffi- cienti di autoinduzione, come si vede senz'altro dalla formola preliminari. Il rapporto tende ad essere costante per © = co cioè la po- ro +0 1° a+ bo — co re + w° 1° ohi specie quando i due coefficienti dei rocchetti dell’ istrumento sieno trascu- rabili rispetto a quelli che si vogliono misurare. Infine può essere adoperato come elettrodinamometro sensibilissimo usando solo i rocchetti AA. Con una conveniente scelta dell'equipaggio mobile (un piccolo parallelepipedo di 20 X 5 X 5 di laminette di ferro isolate) l' istru- mento può sentire i decimillesimi di ampère con una resistenza interna di 11 ohm. In una prossima Nota darò lo studio sperimentale più minuzioso di questo istrumento. — 164 — Chimica. — Sopra aleune reazioni del nitrossile. Nota di AnceLO ANGELI e FRANcESCO AncELICO ('), presentata dal Socio CIAMICIAN. In alcune precedenti comunicazioni noi abbiamo dimostrato che l’acido nitroidrossilamminico, sotto forma di sali, può facilmente scindersi in acido nitroso e nel residuo (NOH)", che noi abbiamo chiamato xitrossile, nel senso rappresentato dallo schema: NOH i = NOH + NO.H NO.H Il nitrossile, che in tal modo si pone in libertà, può fissarsi direttamente ad altre sostanze che si trovano presenti per fornire composti che si possono riguardare come prodotti di addizione. Così può unirsi alle aldeidi, ai nitro- soderivati, alle ammine ecc. in modo analogo a quanto fa l'ossigeno. In questa Nota riferiremo alcuni esempî che riguardano queste interessanti reazioni, riservandoci di comunicare più tardi i risultati per esteso delle nostre esperienze Queste reazioni avvengono tutte con la massima facilità e si compiono a temperatura ordinaria; solamente in alcuni casì, quando si tratta di sostanze che nell'acqua sono poco solubili, un lieve riscaldamento accelera la reazione in modo notevole. In questa Nota, come ognuno vede, non sono descritte sostanze nuove: nuove sono le reazioni soltanto. a) Nitrossile ed aldeidi, Partendo da una aldeide: R.COH si ottiene il prodotto di addizione: R.COH + NOH che è identico all'acido idrossammico. Questa reazione permette di svelare minime quantità di aldeidi. (1) Lavoro eseguito nel Lab. di chimica farmaceutica della R. Università di Palermo. — 165 — Aldeide benzoica. Alla soluzione acquosa di una molecola del sale sodico dell'acido nitroi- drossilamminico si aggiunge una molecola di benzaldeide. Il miscuglio viene riscaldato verso 50-60° e si agita fino a che tutta l’aldeide è passata in solu- zione. Allora sì riscalda per breve tempo a fuoco diretto in modo da decom- porre piccole quantità del sale sodico che fossero rimaste inalterate, o di trasportare col vapore le ultime traccie di benzaldeide non ancora decomposta. Per aggiunta di poco alcool la reazione si compie in modo rapido, ma in questo caso si formano anche piccole quantità di prodotti resinosi che dimi- nuiscono il rendimento. Il liquido in tal modo ottenuto viene trattato con un eccesso di cloruro di bario; così rimane in soluzione il nitrito e precipita il sale di bario dell'acido benzidrossammico, il quale viene raccolto su filtro e lavato con acqua. Il rendimento è quasi il teorico. Al precipitato in tal modo ottenuto, stemprato in poca acqua, si aggiunge una piccola quantità di metilorange, e quindi si tratta con acido cloridrico diluito fino a che la soluzione tende ad arrossare (l'acido benzidrossammico non arrossa il metilo- range). Allora si estrae ripetutamente con etere il quale esporta l'acido ben- zidrossamico che, dopo una cristallizzazione dallo stesso solvente, è puro. Azoto per C,HNO., calcolato: 10,22, trovato: 10,28 . La reazione procede evidentemente secondo lo schema: NOH NOH i + CH;.C0H = | NO.H C;H;.C.0H + NO.H. L'acido benzidrossamico per ebollizione con acido solforico diluito viene scisso in acido benzoico ed idrossilammina. Per raffreddamento si separa l'acido benzoico che si purifica per sublimazione; evaporando il liquido si ottengono grandi cristalli di solfato d' idrossilammina. Aldeide anisica. Si opera come per l'aldeide benzoica; in questo caso però dal sale di bario, per trattamento con acido cloridrico diluito, si separa subito l'acido idrossammico, poco solubile nell'acqua fredda. Viene purificato ricristalliz- zandolo un paio di volte dall'acetone. Azoto per C3HsNO;, calcolato: 8,38, trovato: 8,53. Aldeide piperonilica. Si procede come nei casi precedenti; l'aggiunta di poco alcool accelera la reazione. Dal sale di bario, per trattamento con acido cloridrico in pre- senza di metilorange, si separa subito l'acido piperonilidrossammico che si purifica dall'acetone bollente. Azoto per C$H,NO,, Calcolat: 7.73, Trovato: 7.80. — 166 — Aldeide acetica, formica ecc. Siccome l'aldeide acetica è solubile nell'acqua, la reazione procede in modo istantaneo ed è accompagnata da notevole sviluppo di calore. Il sale di bario dell'acido acetoidrossamico è solubile nell'acqua e perciò non si può utilizzarlo per la sua purificazione. In questo caso conviene concentrare il liquido e poi riprendere con alcool. Questo scioglie il sale dell'acido ace- toidrossammico e lascia indietro il nitrito sodico. Per trattamento con acetato di rame si ha il sale di rame insolubile. b) Nitrossile e nitrosoderi vati. Il nitrossile si addiziona ai nitroderivati. R.NO in modo perfettamente analogo a quanto fanno le aldeidi: R.N0+NOH= R.N:;0.H per dare prodotti che appartengono alla classe delle cosidette nitrosoidrossilam- mine, alle quali viene attribuita la struttura: /N0H R.N% NO ovvero la forma tautomera: NO R.NT \OH La prima formola viene giustificata dal fatto che queste sostanze (sotto forma di sali) si formano per azione dell’idrossilammina sopra i nitroderi- vati (Angeli): 20 NOH n.NZ R.NZUW dL' H;N00H = H,0. NO No hi Bamberger preferisce la seconda perchè le stesse nitrosoidrossilamine (allo stato libero) si ottengono anche per azione dell'acido nitroso sopra le idros- silammine: Z7N0 R.N + HO.NO = R.N ; X0H \0H — 167 — Nitrosobenzolo. Anche in questo caso si opera come per l’'aldeide benzoica. Quando tutto il nitrosoderivato è passato nella soluzione acquosa del sale sodico dell'acido nitroidrossilamminico, si tratta il liquido ancora caldo con eccesso di cloruro di bario. In tal modo precipita subito il sale baritico della nitro- sofenilidrossilammina che si purifica cristallizzandolo dall'acqua bollente. Azoto per (C:H;N:0:): Ba, H:0, calcolato 13,82, trovato: 13,68. Per trattamento con acido cloridrico diluito si mette in libertà la ni- trosofenilidrossilammina, identica a quella preparata negli altri modi. Nitroso- p-toluolo. Si procede come per il nitrosobenzolo. Acidificando con acido cloridrico diluito il sale di bario sospeso nell'acqua, si separa la nitroso-p-tolilidrossilam- mina, identica a quella che si ottiene secondo le altre reazioni. Azoto per C, Hz N30, calcolato: 18,42, trovato: 18,43. c) Nitrossile ed ammine secondarie (alifatiche). Come è noto, l'ossigeno nelle opportune condizioni può addizionarsi alle ammine per dare gli ossidi: A Pd CA Ai Finora noi ci siamo limitati a studiare l'azione del pitrossile sulle am- mine secondarie alifatiche; nel caso delle ammine aromatiche la reazione si complica in causa del nitrito che contemporaneamente sì pone in libertà. Con tutta probabilità, come per l'ossigeno, anche in questo caso in una prima fase della reazione il nitrossile si addiziona all'azoto: NOH >NH + NOH = NC SH Da questo prodotto intermedio si elimina acqua, e due residui si riu- niscono per formare i /etrazoni: N08 N fa NH La facilità con cui questa reazione si compie rende improbabile che essa sia preceduta dalla formazione di iponitrito. > — (E=N=N—-) — (N=N-) — 163 — Piperidina. Alla soluzione acquosa di una molecola del sale sodico dell'acido nitroi- drossilamminico si aggiunge una molecola di cloridrato di piperidina. Ri- caldando lievemente a b. m. dopo pochi istanti si separa un olio che per raffreddamento non tarda a rapprendersi in grandi cristalli incolori. Si purifica dall'etere petrolico nel quale è molto solubile. La reazione avviene pure operando in soluzioni molto diluite ed anche a temperatura ordinaria, seb- bene per compiersi in questo caso sia necessario un tempo maggiore (qual- che ora). Il prodotto C:Ho.N-N=N.T— NC;Hvo è identico a quello ottenuto da Knorr per ossidazione con ossido di mercurio dell’ idrazina (N — amminopiperidina) : C;HNH.NH,. Azoto per (C:HioN3):, calcolato: 28,57: trovato 28,77, Per trattamento con acidi minerali concentrati il prodotto si decompone con grande sviluppo di azoto. Contina. Anche il cloridrato di questa base per trattamento col sale sodico del- l'acido nitroidrossilamminico, dà un olio che con acidi minerali sviluppa no- tevole quantità di azoto. La piccola quantità del prodotto non ci ha permesso di purificarlo e di analizzarlo, ma le sue proprietà non lasciano il menomo dubbio sopra la sua natura. Appena potremo disporre dei mezzi necessarî, completeremo lo studio di queste interessanti reazioni. Botanica. — La mesogamia nella comune Zucca (Cucur- bita Pepo Lin.). Nota del dott. B. Lonco, presentata dal Cor- risp. R. PIROTTA. La bella scoperta della calazogamia (basigamia), fatta dal Treub un decennio fa, nelle Casuarzra, diede l’ impulso a nuove ricerche sul percorso del tubo pollinico nelle Angiosperme inferiori. Queste ricerche furono coro- nate da esito fortunato, in quanto che, non solo veniva trovata la basigamia anche nelle Be/ul/aceae, nelle Corylaceae e nelle Juglandaceae, ma veniva perfino trovato, nelle Z/maceae e nelle Cannabinaceae, un modo di percorso del tubo pollinico (m22s0947m/4), che segnava il passaggio dalla basigamia — 169 — all’altro processo, creduto prima assolutamente generale per tutte le Angio- sperme, della penetrazione del tubo pollinico attraverso il micropilo ed il canale micropilare (acrogamia porogama). Ultimamente poi il prof. R. Pirotta ed io trovammo, nel Cynomorium coccineum Lin., che il tubo pollinico penetra per una regione particolare del tegumento localizzata al- l’apice morfologico dell’ovulo che manca di micropilo e di canale micropi- lare (acrogamia aporogama) (1). Ora, studiando il processo di fecondazione in alcune Simpetale, che si ritengono le più elevate fra le Dicotiledoni, ho avuto occasione di osservare, nella comune Zucca, un modo di percorso del tubo pollinico che rientra per- fettamente nella mesogamia e che è degno di grande interesse, in quanto che esso si riscontra in questa pianta appartenente alla famiglia delle Cucurdi- taceae, famiglia che si ritiene una delle più elevate tra le Simpetale. L'ovulo della Cucurdita Pepo Lin. è anatropo e fornito di due tegu- menti, dei quali l' interno (7) è molto meno sviluppato rispetto all’ esterno (e). L'apice della nucella, al di sopra del sacco embrionale (s. e) che è assai piccolo, si prolunga in una specie di collo (c. n.) molto ricco di amido e che oltrepassa il tegumento interno, di modo che la forma della nucella (n) è, in complesso, paragonabile a quella di un fiasco. Il tegumento esterno, e di questo precisamente soltanto l’ estremità (è) della parte unita al funicolo ri- copre l'apice di tale prolungamento o collo della nucella. Nello stesso te- gumento esterno resta talora pervio un micropilo (7) ed un breve canale micropilare, privi però, come vedremo, di funzione, ovvero non sì osserva af- fatto soluzione di continuità. Il funicolo' (7) e quella parte (è) del tegumento esterno, che, come ho detto, ricopre l'apice della nucella, sono fusi 0, per lo meno, intimamente aderenti alla parete interna dell’ ovario, così che l'ovulo non resta che incompletamente libero nella loggia ovarica (/. 0.) (fig. 1, ingr. 40). Il tubo pollinico (/. p.) percorrendo l'interno del tessuto conduttore, che è rappresentato, in questo caso, dalle suture ovariche, giunge nell’ interno dei tessuti periferici del funicolo, tessuti che presentano ancora gli stessi ca- ratteri del tessuto conduttore medesimo e che ne sono la continuazione, vale a dire cellule, in paragone delle circostanti, più piccole e più ricche di con- tenuto. Quindi attraversa, tortuosamente, quella parte (è) del tegumento esterno che ricopre l'apice della nucella e nella quale si continua ancora il tessuto conduttore ; penetra nel collo della nucella o per l’ apice o, più fre- (1) Per maggiori ragguagli e per la bibliografia in proposito cfr.: R. Pirotta è B. Longo, Osservazioni e ricerche sul Cynomoriuin coccineum L. Rend. della R. Ace. Lincei, cl. di sc. fis. mat. e nat., vol. IX, 1° sem. (1900), pag. 150. — Id. id., Basi- gamia, Mesogamia, Acrogamia, ibid., pag. 296. — Id. id., Osservazioni e ricerche sulle Cynomoriaceae Eich. con considerazioni sul percorso del tubo pollinico nelle An- giosperme inferiori. Annuario del R. Istit. Bot. di Roma, anno IX, fase. 2° (1900), pag. 97. RenpIcoNTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 292 — 170 — quentemente, un po' al di sotto di esso; percorre, in linea retta, il prolun- gamento della nucella fin quasi alla base di esso: quivi sì rigonfia formando una specie di bolla (2) di grandezza maggiore del sacco embrionale (s. e.) e visibile nelle sezioni anche ad occhio nudo; da questa bolla manda tal- HIGENIE volta qualche ramo a fondo cieco, che attraversa il tegumento interno, pe- netrando anche talora nell’ esterno, e, finalmente, per le via diretta, giunge al sacco embrionale (fig. 2, ingr. 40). Questa osservazione mi ha indotto a ricercare se nelle altre piante, ap- partenenti alla medesima famiglia, si verificasse qualche cosa di analogo ri- guardo al percorso del tubo pollinico. Ma in quelle, tra le piante da me finora studiate nelle quali ho potuto osservare il percorso del tubo polli- nico (Z£eballion Elaterinum Rich., Momordlica Charantia Lin., Trichosan- thes Anquina Lin., T. cucumerina Lin., Bryonia divica Jacq.) io non — 1 ho trovato nulla di simile: esse sono acrogame porogame, cioè in esse il tubo pollinico entra nella cavità ovarica e percorre il canale micropilare. Però ho potuto notare che questa diversità di percorso del tubo polli- nico è strettamente legata ad una diversità sia nella struttura dell’ovulo, sia nei rapporti di esso con la parete interna dell’ovario. Infatti; mentre ho trovato, riguardo a tale struttura ed a tali rapporti, uniformità in tutte le Cucurditaceae da me finora studiate, ho trovato invece notevoli differenze tra queste Cucurbitaceae e la Cucurbita Pepo Lin. Ho trovato cioè che in tutti gli ovuli la nucella presenta forma di fiasco, però, mentre nella Cucurdita Pepo Lin. l'apice della nucella oltre- passa il tegumento interno ed è ricoperto soltanto da una parte del tegumento esterno, nelle altre Cucurditaceae l'apice resta invece coperto dal tegumento interno ordinariamente più lungo dell'esterno. Di più, mentre nella Cucur- i

) Beitr. z. Klin. Chir., XI, 1884, ($) Brit. Med. Journ. 1885; Proced. of. the roy. Soc. of. London 1885-86. (7) Comp. Rendus de la Soc. de Biol., 1892. (8) Arch. de Phys., IV, 1892. (®) Comp. Rendus de la Soc. de Biol., 1892. (19) Riv. sper. di fren. 1892. (11) Arch. de Méd. expér., 1891. — 174 — lattia e il tumore ipofisario col quale spesso si accompagna. Tamburini (!) ha anche emesso, dietro un esame accurato di alcuni casi di acromegalia descritti dagli autori un'altra teoria. Egli crede che i caratteri e il de- corso della malattia, fanno pensare che il processo patogenico abbia due fasi, una prima di ipertrofia e iperattività funzionale dell’ipofisi che corri- sponderebbe al periodo di accrescimento delle ossa, il quale sarebbe pro- dotto dall’accumulo nell'organismo di sostanze speciali che producono le iperplasie ossee; una seconda di degenerazione ovvero di neoplasia omologa od eterologa dell’ipofisi, che corrisponderebbe alla cessazione dell’accresci- mento osseo e alla fase cachettica che sempre sopravviene all'acromegalia e porta più o meno presto alla morte. Tamburini finisce la sua comunicazione annunziando che ha iniziato delle esperienze sull'azione negli animali della prolungata introduzione in abbondanti quantità di succo d' ipofisi. Su questo argomento molti altri autori hanno già lavorato, ma i risui- tati sull'azione e sul numero delle sostanze attive contenute nel succo di ipofisi sono fra loro molto disparate. Così Szymonoviez (?) trovò che il succo dell'ipofisi diminuisce la pres- sione sanguigna, mentre Schifer e Vincent (*) la videro nelle medesime condizioni aumentare. Per Mairet e Bosch (‘)il succo d'ipofisi eccita il sistema nervoso, per Osborne e Vincent (*) lo deprime, per Collina (°) ha un'azione trofica su esso, per Schiff (7) aumenta la scomposizione dei fosfati. Cyon (8) infine, il quale molto si è occupato della fisiologia del- l’ipofisi, e ha emesso nuove teorie, crede che la sostanza contenuta nella glandula pituitaria contenga almeno due principi attivi. Di questi l'uno, che forse non si trova normalmente nel prodotto di essa, ha azione opposta al- l’altro e ha dato luogo, prevalendo causalmente nei preparati usati, a molte opinioni erronee. Inoltre ritiene che la contradizione dei risultati delle varie ricerche eseguite con l'iniezione di succo d'ipofisi dipenda dal modo di estrarre dall'organo la sostanza attiva. Riservandoci di ritornare sui lavori di Cyon da noi presi in speciale considerazione, qui ci limitiamo a dire che egli viene alla conclusione che l'ipofisi regoli meccanicamente e chimica- mente la circolazione endocranica, e che stimolata emetta un succo il quale innalza la pressione sanguigna ed eccita i centri bulbari del vago. Dopo la pubblicazione di Vassale e Sacchi, è notevole quella di Ca- (1) Riv. di freniatria, 1894-95-90. (2) Pfliger' s Archiv., 78, 1896. (3) Journal of Phys., XXV, 1899. (4) Semaine med., 1896. (5) Journal of Phys., XXIV, 1899. (5) Riv. sperim. di freniatria, 1898. (7) Zeitsch. f. klin. med., XXXII, 1897. (8) Pfliiger' s Arch., vol. 70, 71, 72, 78, 74, 75, 76 e 77. — 175 — selli che ritiene l’ipofisi non vicariante ma sussidiaria della tiroide. Questo piccolissimo organo, per mezzo dei suoi prodotti di secrezione, regolerebbe l'equilibrio di talune sostanze tossiche circolanti nell'organismo. E con ciò non abbiamo finito di riferire tutte le teorie che sono state emesse sulle funzioni dell’ipofisi. Wolf (') nel 1879 e Pisenti e Viola (*) nel 1390 con- clusero che l’'ipofisi è un organo emopoietico o secernente una sostanza utile ai corpuscoli rossi. I diversi tentativi per chiarire le funzioni dell’ ipofisi crediamo si pos- sano riunire in tre gruppi. Nel primo gruppo si possono comprendere i lavori che riguardano lo studio delle alterazioni istologiche riscontrate nell’ ipofisi degli animali morti per asportazioni delle tiroidi. Come abbiamo detto, fu Rogowitsch il primo che descrisse un aumento di volume e alterazioni istologiche di natura ipertrofica nell’ ipofisi di co- nigli operati di tiroidi e sopravvissuti all'asportazione incompleta. Stieda confermò i risultati del Rogowitsch, avendo nei conigli con tiroidi estirpate, insieme ad altre alterazioni nei diversi organi, trovata una notevole iper- trofia della parte glandulare dell’ ipofisi. Tizzoni e Centanni ripresero questo argomento, e notarono che nei cani normali il peso dell’ ipofisi varia entro limiti estesi e non è in rapporto con la grandezza dell'animale. Nei due cani poi che erano stati operati di ti- roidi, le ipofisi erano in preda ad alterazioni sia morfologiche che chimiche specialmente osservabili nella parte centrale dell'organo ove non si riscon- travano più gli elementi normali. Essi in base a questi risultati propen- dono per un rapporto funzionale tra l' ipofisi e la tiroide, e ammettono che all’ ipofisi potrebbe essere affidato l'ufficio di sostituire per un tempo limi- tato la glandola tiroide estirpata. Schònemann (3), studiando microscopica- mente le ipofisi tratte da cadaveri di individui morti per gozzo, le trovò al- terate, però le alterazioni furono parimenti trovate in ipofisi di individui morti per altre malattie, mentre in altri che presentavano il gozzo l'ipofisi era normale. Egli non crede del resto che le alterazioni riscontrate indichino una compensazione funzionale della tiroide ammalata, ma che le medesime cause che fanno ammalare la tiroide, sieno pure sufficienti ad alterare l’ipofisi. Hofmeister conferma la teoria di Rogowitsch, mentre Schwarz (4) già pre- cedentemente aveva scritto di avere ritrovato in minima parte le alterazioni descritte da Rogowitsch negli animali stiroidati. Come sì scorge da questa letteratura, pare abbastanza ben confermato che l'ipofisi si alteri dopo la tireoidectomia, ma i dati finora raccolti non (*) Jahresbericht f. Neurol. u. Psych., 1897. (?) Istituto Anat-patologico di Perugia, 1890. (3) Virchow's Archiv, vol. 129, pag. 319. (*) Lo Sperimentale, 1892, — 176 — ci sembrano sufficienti per fondare la dottrina di una funzione vicariante reciproca tra le due glandole. Nè le esperienze eseguite da Caselli (!) allo scopo di studiare i rapporti funzionali fra ipofisi, tiroidi e paratiroidi, osser- vando l'alterazione che l’ ipofisectomia porta nel quadro della cachessia ti- reopriva e della tetania paratireopriva, recano maggior luce per la soluzione di questa questione. Niente di più facile che dopo un'operazione così grave come è quella dell’ ipofisectomia, il quadro morboso della cachessia tireopriva sì aggravi o si alteri. Un secondo gruppo di lavori, cormprende gli effetti delle iniezioni di succo ipofisario o di altri prodotti ottenuti con l'ipofisi che tennero dietro alle ricerche fatte da Vassale e Sacchi i quali osservarono col sopradetto trattamento qualche lieve miglioria nei cani operati d’ipofisi. Onde alla teoria ricordata che la distruzione dell’ipofisi favorisce la formazione e l’au- mento nell'organismo di speciali sostanze tossiche, aggiunsero che questo organo secerne un succo necessario pel nostro organismo. Queste esperienze furono seguite da molte altre in cui questo argomento, che si riconnette con lo studio dell’acromegalia, è stato trattato da vari punti di vista. I risultati ottenuti da queste ricerche sono molto contraddittori e molto. dubbi; ciò che pare assodato si è che la pressione dopo l'iniezione di succo ipo- fisario cambia. Il fatto però che, iniettando succo di sostanza cerebrale, si ha un effetto simile, come è stato visto da Schifer e Swale Vincent (?), aumenta lo scetticismo per queste esperienze. Medesimamente l’ opinione che l'ipofisi produca un secreto che ha la proprietà di regolare la distribuzione del sangue nel cervello, solo perchè per eccitazione sia meccanica sia elettrica di questo organo si hanno cam- biamenti della pressione, è stato confutato da Biedl e Reiner (3) i quali hanno dimostrato che con l'eccitamento di moltissimi punti della corteccia cerebrale si ottiene il medesimo effetto. D'altra parte occorre notare che la pressione risente l’azione del succo di ipofisi, solo quando se ne iniettano dosi ri- levanti ottenute con quantità di organi 30-50 volte più grandi del peso del- l’ipofisi dell'animale trattato. A tutte queste obiezioni vogliamo anche aggiungere una breve notizia delle osservazioni cliniche eseguite recentemente da Strilmpell (4), e che riguardano la ben nota questione della causa patogenetica della acromegalia. Strilmpell nota che non sempre c'è tumore deil'ipofisi, nell'acromegalia, mentre spesso c'è tumore dell’ipofisi senza acromegalia e senza alcun indizio di alterazioni di funzioni generali dell'organismo. Risulta pure dalle sue osservazioni che (‘) Reggio Emilia, tipografia Calderini, 1900. (2) Journal of Physiology, XXIV, 1899. (3) Pfliigers Archiv, vol. 73. (4) Deut. Zeitsch. f. Nervenheilk., XI, 1897. — 177 — i fenomeni acromegalici precedono quelli del tumore dell'ipofisi, e che mal- grado questo, il cuore e la temperatura si mantengono sempre normali. Co- sicchè conclude che il tumore dell’ipofisi è da considerarsi come coordinato all'acromegalia e non in rapporto causale con essa, perchè non è probabile che un organo poco importante per apparenza esterna e per sviluppo, e che per la sua posizione filogenetica appartiene agli organi rudimentali [così lo considera anche Wiedersheim (')] in via di regresso, sia di tale importanza per l'economia generale dell'organismo, che un disturbo della sua funzione abbia tante e tali conseguenze, quali dà il quadro dell’acromegalia: inversione dello sviluppo organico, arresto di funzioni sessuali, quasi totale cessazione dell'ossidazione degli idrati di carbonio. Anche un altro patologo, lo Schultze (?) erede che il tumore dell'ipofisi nell'acromegalia sia un fenomeno secondario per quanto abbastanza frequente, e in riguardo al vantato vantaggio otte- nuto con somministrazione di estratti di ipofisi, l’A. nota che in un suo caso non ha visto alcun risultato dall'uso prolungato per settimane di tavolette di ipofisi, mentre invece spontanei periodi di regresso del male sono fre- quenti, e, coincidendo con la cura organoterapica, possono far credere a un benefizio portato da essa. Nessuna luce quindi riceve la funzione dell’ ipofisi da tutte queste ricerche. L'utilità dell’opoterapia dell’ipofisi nell'acromegalia e in altre malattie, come pure l’azione fisiologica del succo ipofisario, non sono bene dimostrate, e da questo lato la funzione dell’ ipofisi resta sempre enigmatica. Passiamo ora a considerare il terzo gruppo di lavori che concerne lo studio dei fenomeni consecutivi a lesioni ed estirpazioni dell'organo ipofisario. Horsley fu il primo a tentare questa operazione. Dastre cercò di distrug- gere la glandula pituitaria per la via della bocca adoperando un trapano speciale; imentre (Gley preferì un altro metodo operatorio. Egli apriva il cranio dei conigli con un trapano applicato sul punto mediano di una linea trasversale, che andava da un angolo orbitale posteriore all’altro; quindi con un trequarti che infiggeva nella sostanza cerebrale cercava di giungere nella sella turca, e muovendo l' istrumento, distruggeva l’ipofisi. Dei suoi conigli operati un solo sopravvisse per un anno, ma la sezione mostrò che l’ ipofisi non era stata distrutta. Contuttociò l’ A. ha creduto che i disturbi che presentò l’animale du- rante la sopravvivenza fossero dovuti all’alterata funzione dell’ ipofisi se non distrutta almeno lesa, che egli con Rogowitsch considerava come or- gano vicariante della tiroide. In verità dai fenomeni che presentò l’animale dopo l'operazione, è più facile dedurne che il trequarti dell’ operatore abbia se mai leso i peduncoli, e non l’ipofisi. D'altra parte Gley fa notare le dif- ficoltà del suo metodo operatorio. Egli dice che servendosi con troppa vio- (1) Rivista di scienze biologiche 1900, pag. 801. (*?) Deut. Zeitschr. f. Nervenheilk., XI, 1897. RenpICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. DI I = a lenza del suo strumento, si rischia di determinare un’ emorragia mortale, e se invece si adopera con molta dolcezza, non si lacerano gli elementi cellulari dell’ ipofisi. Vedremo, descrivendo il metodo di cui ci siamo serviti, come queste obiezioni non rispondano ai fatti. Certo si è che dietro i risultati quasi negativi ottenuti da Gley, tutti gli Aa. che si sono dopo di lui occupati di questo argomento, hanno cercato di ledere l’ipofisi attraverso la via boccale. Tra questi il primo per ordine di data fu Marinesco (') il quale, volendo sperimentalmente provare il nesso causale che passa tra alterazione dell’ ipofisi e acromegalia da lui sostenuto in una precedente pubblicazione insieme a Marie, mise in pratica un nuovo metodo per riuscire a distruggere l’ipofisi. Egli nella parte posteriore del palato perforata con un termocauterio, applica una corona di trapano tra le due apofisi pterigoidee e distrugge l'ipofisi con un ferro ricurvo arroventato. I tentativi furono fatti sui gatti e due volte sui cani nei quali l’ operazione, dice l’A., è più difficile. Di questi animali uno sopravvisse 4 giorni, un secondo 5 giorni e un terzo 18 giorni; gli altri morirono quasi immedia- tamente di emorragia. I tre gatti sopravvissuti presentarono dimagramento progressivo e abbassamento della temperatura. L'A. però non esclude che la morte avvenisse per infezione; dimodochè neanche queste esperienze portarono a risultati certi, ma solo tracciarono la via, già ideata da Dastre, con la quale si può riuscire a ledere l'’ ipofisi. Cosicchè quando Vassale e Sacchi nel 1892 cominciarono ad occuparsi della funzione dell'ipofisi, trovarono l'argomento quasi vergine, poichè nes- suno prima di loro era riuscito in seguito alle asportazioni a dimostrare quali funzioni avesse questa glandula; se cioè fosse o no indispensabile per la vita dell'animale. Essi modificarono il metodo adoperato da Marinesco. Inciso il palato, dopo aver fissato nella massima apertura la bocca dell'animale, e tenendo spostata la lingua, legata a un filo, in modo da rendere più libero il campo operatorio, con una sgorbia staccano una scheggia ossea tra le apo- fisi pterigoidee, e, attraverso questa apertura, distrussero l' ipofisi con il termocauterio o con un po’ di acido cromico. Con accurate osservazioni cre- dettero di potere stabilire che l'estirpazione dell’ ipofisi è letale in un tempo più o meno breve, tanto nei cani che nei gatti, animali di cui si servirono gli autori per i loro esperimenti. Inoltre descrissero il quadro sintomatico consecutivo all'operazione, e tra i sintomi costanti notano: l'abbattimento psichico, il cambiamento di carattere, i movimenti fibrillari, le scosse mu- scolari, l'abbassamento della temperatura, la polidipsia, l'anoressia, il di- magramento e la morte; mentre come sintomi frequenti mettono la rigidità del treno posteriore, l’ incurvatura del dorso, gli accessi di convulsioni tonico- cloniche, la poliuria, il vomito. Dal complesso dei sintomi, essi trassero la (1) Comptes Rendus Soc. Biol., 1892. — 179 — conseguenza, già da noi riferita, che l'ipofisi elabori uno speciale prodotto necessario all'organismo, e che per l'assenza di tale prodotto si manifestino i fenomeni su descritti che conducono alla morte l’ individuo. Simili risultati furono ottenuti da Gatta (') nel 1896 e da Kreidl e Biedl nel 1897 (?). Più numerose esperienze fece il Caselli nel 1900. Questo giovane sperimertatore, di cui si deplora l’ immatura fine, estirpò l' ipofisi nelle rane, nei conigli, nei gatti e nei cani. Le rane, secondo l'autore, per il loro sistema nervoso troppo eccitabile, non si prestano all’ esperienza, perchè lesioni di altre parti del cervello dànno sintomi identici a quelli consecutivi all’ ipofisectomia. Come soggetto di esperimento venne anche dall’A. scartato il coniglio, il quale non si presta all’ operazione di asportazione dell’ ipofisi. Le esperienze quindi molto numerose del Caselli sono state eseguite nei cani e nei gatti. In una prima serie di esperienze questo sperimentatore risecava l’arcata zigomatica e l’apofisi coronoide, e, dopo avere perforata con la sgorbia la scatola cranica, asportava con uno speciale strumento l'’ ipofisi. Questo metodo però non diede risultati pratici, inquantochè tutti i 19 animali operati morirono di meningite, di emorragia o di schok. Abbandonato questo metodo operatorio, l'A. si servì per le sue ulteriori esperienze di quello di Vassale e Sacchi che modificò in qualche piccola parte. I fenomeni che egli notò negli animali sopravvissuti differiscono alquanto da quelli descritti da Vassale e Sacchi. Caselli registra che i cani operati, presentano depressione delle facoltà psichiche, disturbi del movimento, incurvamento del dorso, andatura spastica, assenza di contrazioni clonico-toniche degli arti e di accessi convulsivi, cachessia progressiva, diminuzione rapida del peso, coma, morte. Inoltre spesso notò polidipsia e polifagia alternata con anorressia. In base a questo quadro sintomatico, Caselli conclude che l’ipofisi è un organo di alta importanza fisiologica, che, per mezzo dei suoi prodotti di secrezione, regola nel circolo l'equilibrio di talune sostanze tossiche. Se ora esaminiamo minutamente le esperienze, sui risultati delle quali si basano le teorie emesse sia da Vassale e Sacchi che da Caselli, siamo costretti a riconoscere che questi autori ebbero a lottare contro gravi com- plicanze di natura infettiva, a causa della comunicazione che con il loro metodo operatorio viene a stabilirsi fra il cavo naso-faringeo e la cavità cra- nica. Vassale e Sacchi operarono 40 animali: 23 cani e 17 gatti. In 15 cani e in 16 gatti l'operazione riuscì, ma tra essi molti morirono d’infezione o di emorragia; gli altri in numero di 18, nei quali fu potuta escludere la causa infettiva, morirono quasi tutti nella prima settimana, ad eccezione di due gatti, dei quali uno sopravvisse otto giorni e l’altro undici giorni, e di un cane che morì dopo quattordici giorni dall'operazione. (1) Gaz. degli Ospedali, 1896, n. 146. (?) Wien. klin. Wochenschr., 1897. — 180 — Fisiologia. — Sulla natura delle melanine e di alcune sostanze ad esse affini ('). Nota preventiva del dott. V. DuccESCHI, presentata dal Socio LUCIANI. In questa breve Nota saranno esposti i primi risultati di una serie di ricerche che da qualche tempo vado compiendo su quel gruppo di so- stanze colorate, molto affini ai pigmenti animali, le quali si ottengono artifi- cialmente dalle proteine o dai prodotti loro di scomposizione. È noto quanto lo studio di quell'insieme di differenti composti conosciuti sotto il nome di melanine, proteinocromi (Bromkòrper ecc.) sostanze uminiche, abbia affaticato chimici e fisiologi e come la costituzione di essi sia rimasta sino ad oggi ravvolta nella completa oscurità. Il concetto dominante sulla natura dei pig- menti naturali ed artificiali è che essi rappresentino sostanze di una comples- sità molto elevata e che provengano forse da speciali aggruppamenti molecolari (cromogeni) che esisterebbero preformati nelle proteine. Le prime ricerche che io eseguii su questo proposito (nel Laboratorio di Chimica fisiologica di Strassburg) furono dirette ad ottenere dall’acido mela- noidico, preparato dall’albumina d'uovo, dei prodotti di scomposizione a mezzo di processi di ossidazione e di riduzione. Ma i risultati furono presso che ne- gativi; solo con una energica scomposizione con potassa caustica io poteva ottenere, in accordo con alcuni precedenti osservatori, odore di scatolo. Più tardi, durante il corso di alcune indagini sui componenti delle sostanze pro- teiche spettanti alla serie aromatica, eseguite nel Laboratorio di Fisiologia di Roma, mi avvenne di imbattermi in alcuni composti i quali, sia per il modo di preparazione, sia per le proprietà loro, offrivano un interesse non trascurabile per la conoscenza dei corpi pigmentarî artificiali; ciò mi ha indotto a riprendere lo studio di questi ultimi sotto altri punti di vista e sui risultati ottenuti tornerò in altra occasione. Ed ora vengo senz'altro alle ricerche che formano l'oggetto della presente Nota. A. A due o tre decigrammi di tirosina si aggiunge in una capsulina una diecina di cc. di acido cloridrico concentrato e si riscalda leggermente; si fa cadere quindi nella soluzione, una piccolissima quantità di clorato di po- tassio in polvere o meglio qualche goccia di una soluzione satura a caldo della stessa sostanza. Si riscalda più fortemente ed il liquido assume dapprima un color rosso vivo che per il continuato riscaldamento e la cauta aggiunta (1) Lavoro eseguito nell'Istituto fisiologico di Roma. — 181 — di poco clorato potassico si fa più oscuro finchè si ottiene una colorazione nera e talvolta un precipitato dello stesso colore. Se si aggiunge troppo clorato potassico il color rosso primitivo scomparisce ed il liquido resta tinto legger- mente in giallo verdastro. Ottenuta la colorazione nera, si diluisce il liquido con una quantità di acqua distillata uguale al volume della soluzione, si procura che il liquido sì mantenga caldo e si neutralizza con soda caustica. Il liquido si scolora, ma non del tutto, e si forma un precipitato fioccoso, nerastro, che si raccoglie nel fondo della capsulina. Si filtra e si lava a lungo in acqua distillata; il precipitato raccolto sul filtro si scioglie con una piccola quan- tità di una soluzione diluita di soda caustica. Il filtrato di color nero si neutralizza con HCl e sì ottiene un nuovo precipitato che si raccoglie su di un filtro, si ridiscioglie in soda caustica e si precipita con HCl un paio di volte; si lava a lungo sul filtro con acqua distillata, si distacca con pre- cauzione dal filtro e si fa seccare a 100, Si ottiene una polvere bruna, amorfa, la quale possiede le seguenti proprietà : È presso che insolubile in acqua e negli alcool metilico, etilico, amilico, in etere, cloroformio, etere di petrolio, acetone, etere acetico e nei miscugli di questi solventi. È insolubile in acido cloridrico concentrato; nell'acido acetico glaciale si scioglie solo in parte. È solubile in acido sol- forico concentrato e così pure nell’ acido nitrico fumante, con color rosso; dalle soluzioni in questi acidi la sostanza precipita per l'aggiunta di acqua distillata in piccola quantità. La sostanza si scioglie rapidamente e comple- tamente negli idrati di sodio e potassio in soluzione concentrata e diluita ed in ammoniaca, assumendo nelle soluzioni diluite un color rosso cupo ed in quelle concentrate un color nero. Dalle soluzioni alcaline precipita sotto forma di fiocchi nerastri quando si neutralizzi o si acidifichi leggermente con HC1, H.S0, od acido acetico. Se la soluzione alcalina è molto diluita, l’aci- dificazione produce solo un cambiamento di colore che dal rosso-cupo passa ad un giallo-verdastro. Dalla soluzione alcalina la sostanza precipita per l'ag- giunta di alcool assoluto; la soluzione ammoniacale dà il solito precipitato fioccoso, nero, quando si aggiunga cloruro di bario. Il precipitato prodotto sì ridiscioglie in carbonato di sodio e da questa soluzione precipita nuova- mente nella stessa forma per l'aggiunta di acido acetico. Se si fonde in una provetta una piccola quantità della sostanza con idrato potassico, si avverte un odore distintissimo di scatolo od indolo ('). Le reazioni che io ho descritte per il composto ottenuto dalla tirosina sono identiche a quelle proprie dell’ acido melanoidico (Schmiedeberg) (?) derivante dalla sieroalbumina e dal fibrinoso per il trattamento con acidi. (°) Il prof. F. Hofmeister al quale io comunicava questi risultati, mi faceva gentil- mente noto per lettera che nel Laboratorio di Chimica fisiologica di Strassburg, che egli dirige, il dott. Schneider ha già da qualche tempo ottenuto lo stesso odore di scatolo trattando la tirosina con potassa caustica. (*) Schmiedeberg, Arch. f. exper. Path. n. Pharmak. XXXIX. Bd. s. 1. 1897. — 182 — Assieme, od in luogo di quel composto, io ne ho ottenuto talvolta un altro del tutto simile per le reazioni eccettuato che esso è solubile in alcool assoluto. Esso si presenta probabilmente quando l’azione dell'acido cloridrico e clorato di potassa fu troppo energica; il difetto di materiale mi ha impedito di determinare con precisione le condizioni in cui esso si forma, ed il perchè spesso questi corpi neri non si presentino affatto ed il liquido resti leggermente colorato in giallo-verdastro. B. Se ad un grammo di tirosina sì aggiungono 25 ce. di HCl concentrato e nel liquido si fanno cadere poche goccie di una soluzione concentrata di nitrito sodico, il miscuglio assume, mentre si sviluppa gas, un color rosso vivo; se si eccede con l'aggiunta del nitrito sodico, il color rosso impallidisce per divenire giallo o verdastro. Se si limita invece la quantità del nitrito sino ad avere il color rosso, si aerea a lungo la soluzione finchè i vapori di acido nitroso sono scomparsi, si diluisce di poco con H:0 e si estrae con etere o con alcool amilico, si osserva che la sostanza colorata trapassa ab- bastanza bene nell’etere (che assume talvolta transitoriamente un color verde) ed ancor meglio nell’alcool amilico. Il prodotto di ripetute estrazioni con quest'ultimo solvente, purissimo, si tratta nel modo che segue: si lava ripetutamente con acqua distillata, si raccoglie in una capsula, vi si aggiunge del carbonato di bario finamente polverizzato e si evapora. Il residuo siropposo, di un color rosso oscuro, sì scioglie in poco alcool assoluto, la soluzione alcoolica si filtra e si evapora di nuovo, il re- siduo si riprende con alcool metilico e da questa soluzione si ottiene per l'aggiunta in eccesso di barite sciolta in alcool metilico un precipitato ne- rastro, voluminoso, che si raccoglie su di un filtro. Questo precipitato si scioglie in poco acido acetico glaciale e da questa soluzione si separa la sostanza sotto forma di fiocchi nerastri per l'aggiunta abbondante di etere. Si filtra e si ridiscioglie nuovamente in poco acido acetico; si precipita con l'aggiunta di H,0, si raccoglie il precipitato su di un filtro, si lava e si secca a 110°. La sostanza ottenuta, una polvere scura, opaca, amorfa, offre le seguenti proprietà: è solubile negli alcool metilico, etilico ed amilico ed in acetone ed è difficilmente solubile in acqua, etere, cloroformio, etere di petrolio. La soluzione alcoolica si intorbida per l'aggiunta di acqua; se ora si aggiunge dell'etere e si scuote, la sostanza colorata resta nello strato costituito da alcool ed etere. La soluzione alcoolica non viene precipitata per l'aggiunta di etere etilico od acetico. Da una soluzione in alcool amilico, in alcool ed etere, in etere ed ace- tone, la sostanza viene asportata da una soluzione acquosa di idrato sodico o potassico o di ammoniaca. La sostanza è ben solubile in questi alcali as- — 183 — sumendo un color rosso; dalle soluzioni alcaline essa precipita per acidifica- zione con HCl od acido acetico; se la soluzione è molto allungata, si ha solo un cambiamento di colore dal rosso al giallo verdastro. Nella soluzione ammoniacale l’acqua di barite induce un precipitato. La soluzione alcoolica della sostanza non è precipitata da cloruro mer- curico e da cloruro di zinco in soluzione alcoolica. La soluzione in NH, diluita dà per l'aggiunta di una soluzione ammoniacale di acetato di piombo un voluminoso precipitato rosso-giallastro. Una soluzione metilalcoolica della sostanza non viene decolorata da cloruro di stagno ed acido cloridrico. Se una piccola quantità della polvere si fonde in una provetta con idrato di potassa, si ottiene ben distinto l'odore caratteristico dello scatolo. Una piccola quantità della sostanza bollita a lungo con una soluzione alcoolica di cloruro stannoso dà un prodotto di riduzione che è difficilmente solubile in acqua, nei tre alcool e nell'acetone ed è insolubile in etere, etere di petrolio e cloroformio. Precipita con gli acidi dalle soluzioni alcaline. La soluzione ammoniacale della sostanza dà un precipitato anche per l'aggiunta di soluzioni ammoniacali di cloruro di bario, di acetato di bario e di piombo; non precipita invece per mezzo di soluzioni ammoniacali di solfato di rame o di zinco. Riferendo così minutamente il metodo di preparazione e le reazioni della sostanza da me ottenuta, io non ho fatto che riprodurre in tutti i suoi particolari il metodo adoperato dal v. Firth (') per ottenere la sua wanto0- melanina e ripetere le proprietà che egli descrive nel suo accurato lavoro come caratteristiche di questa sostanza; solo che il materiale da cui partiva il v. Firth erano la caseina e la raschiatura di corno e su di esso faceva agire l'acido nitrico fumante, mentre io mi son servito della tirosina. C. Ma passiamo alla terza specie di prodotti che io ho ottenuti dalla tirosina. Ad un mezzo grammo di tirosina si aggiunge tanto di H,0 quanto è necessario per formare una poltiglia non troppo densa; su questa poltiglia sì fanno cadere poche goccie di acqua di bromo e si riscalda. Le prime gocce non inducono alcuna colorazione, finchè seguitando con l'aggiunta del bromo il liquido assume un color rosso-violaceo e la tirosina in gran parte sì discioglie. Seguitando a riscaldare sino all’ebullizione ed aggiungendo an- cora poche altre gocce di acqua di bromo il color rosso del liquido va assu- mendo una tinta sempre più oscura sino a che diviene nera, nello stesso tempo che si vanno separando numerosi fiocchi nerastri; il liquido resta tinto in rosso. (1) v. Firth, Veder die Einwirkung von Salpetersiure auf Eireisstoffe. Strassburs 1899. — 134 — Si raccoglie il precipitato su di un filtro e vi si versa sopra dell'alcool a 95°; una parte del precipitato si discioglie colorando l'alcool in nero od in rosso-rameico se la soluzione è diluita. Quella parte del precipitato che non è sciolta dall'alcool è invece ben solubile in una soluzione di ammo- niaca assumendo un colore bleu; questa sostanza si forma solo per una azione protratta del bromo e del riscaldamento. Le due porzioni del pre- cipitato hanno le seguenti proprietà : a) Sostanza solubile in alcool a 95°. — È poco solubile in H;0, è solubile in NH; con color bleu ed in Na OH con un color verdastro e da, queste soluzioni vien precipitata con acido acetico. È facilmente solubile in alcool amilico e negli alcool metilico ed etilico a 95°, molto meno nei due alcool a 20°. È poco solubile in etere e cloroformio, insolubile in etere di petrolio. La sostanza è solubile in acido acetico glaciale e precipita se a questa soluzione si aggiunge acqua distillata. Io ne ho ottenuta una piccola quantità per analisi sciogliendola in ammoniaca e precipitandola successiva- mente, per alcune volte, con acido cloridrico diluito, e lavando sino a scom- parsa della reazione del cloro. 5) Porzione del precipitato insolubile in alcool a 95°. — È meglio solubile in acqua che non la sostanza precedente; è ben solubile in ammo- niaca, con colorito bleu, e nella soda e potassa caustica diluite, con color verdastro o rossastro; da queste soluzioni precipita per l'aggiunta di acidi minerali. Si scioglie poco negli alcool metilico ed etilico a 20°; è insolu- bile in alcool amilico. È insolubile in acido acetico glaciale, solubile alquanto nello stesso acido diluito. Questi stessi composti a) e 2) si ottengono anche facendo agire per uno o due giorni il bromo sulla tirosina a freddo. Ambedue le sostanze fuse con potassa caustica danno un odore ben distinto di indolo o scatolo. Esse corrispondono per il modo di preparazione, di isolamento e per molte loro reazioni ad alcuni composti ottenuti già da molto tempo facendo agire il bromo sui prodotti della digestione pancreatica (proteinocromi, Bromkòrper) e che furono studiati più specialmente dal Neu- meister ('), Stadelmann (?), Nencki (3) e dal Kurajeff (4). Tutti questi autori sono concordi nell'ammettere che tali sostanze rappresentino un miscuglio di più composti il cui contenuto in bromo è variabile ed il colore dei quali oscilla fra il rosso, il bleu, il violetto ed il nero. Anche nelle mie ricerche io mi sono convinto di aver cue fare con un miscuglio di corpi dei quali i due descritti sono i più facilmente isolabili; a me però non riuscì di ottenere ?) Neumeister, Zeitschr. f. Biol. Bd. XXVI. s. 329. 1890. ) Stadelmann, Zeitschr. f. Biol. Bd. XXVI. s. 491. 1890. ) Nencki, Ber. d. d. chem. Ges. Bd. XXVIII. s. 560. 1895. ) 4) Kuraj]eff, Zeitschr. f. physiol. Ch. Bd. XXVI. s. 501. 1899. 2 ( ( (8 ( — 185 — il composto dal colore violetto distinto che sarebbe più specialmente carat- teristico della reazione del triptofano. i Il difetto di materiale mi ha permesso di compiere sinora solo poche e non perfette ricerche analitiche sulle sostanze che io ho studiato; per la stessa ragione non ho potuto ancora determinare in modo soddisfacente le condizioni più opportune della loro formazione ed estendere le ricerche sulla natura di esse. Prima di riferire i dati analitici che posseggo, premetto che io mi son servito per le mie indagini di tre campioni di tirosina purissima dei quali uno apparteneva al Laboratorio di Fisiologia di Roma, l’altro mi fu fornito dal Merck ed il terzo me lo sono procurato io stesso scomponendo la raschiatura di corno con acido cloridrico. Da questi tre campioni di tirosina, io ottenni sempre prodotti identici per le loro proprietà; il ricavato, in forma pura, corrispose all'incirca al 10°/ della tirosina adoperata. L'analisi del C, H ed N (quest'ultima col metodo del Dumas) della sostanza (A) ottenuta facendo agire l'acido cloridrico ed il clorato di potassio sulla tirosina, dette i segmenti valori: L'analisi della sostanza solubile in alcool (C. 4) ottenuta col bromo dette le seguenti percentuali: C.40.83 0/5. H. 3.87°/,. N. 5.47°/. La quantità del materiale di cui io disponeva non fu sufficiente ad una determinazione quantitativa di bromo. Debbo aggiungere che le sostanze analizzate contenevano una piccola quantità di ceneri. Spero di poter ripetere e completare queste analisi al più presto su materiali che offrano maggiori garanzie di purezza. Questa scarsità di dati analitici mi impedisce di trarre dai miei numeri qualsiasi deduzione sui rapporti che esistono fra la composizione dei miei prodotti e quella delle sostanze simili che si ottengono dai proteici. Ed una difficoltà non indifferente su questo proposito è costituita anche dalle discordanze che si trovano nei valori delle analisi compiute da diversi osservatori sopra melanine artificiali apparentemente identiche. La conclusione che si può trarre dalle ricerche sopra esposte è che con SPECIALI TRATTAMENTI DELLA TIROSINA SI OTTENGONO DEI PRODOTTI CHE RexDpICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 24 — 186 — HANNO MOLTI PUNTI DI SOMIGLIANZA, SIA PER IL METODO DI ISOLAMENTO; SIA PER LE PROPRIETÀ LORO, CON SOSTANZE CHE SI PRODUCONO CON TRAT- TAMENTI ANALOGHI DAI PROTEICI. Ed ora poche parole di commento a questa conclusione; comincierò col dire che il prodursi di sostanze simili a quelle che io ho descritte, per trattamenti analoghi a quelli da me adoperati, era già stato osservato (!); solo per il Bromo la comparsa di tali prodotti è esclusa (2). Io so bene che nel corso di moltissime reazioni su composti organici, specialmente della serie aromatica, si formano sostanze più o meno nere, picee, resiniformi aventi molte reazioni in comune, di natura presso che ignota e non mi sarei certamente occupato dei corpi analoghi in cui casual- mente mi avvenne di imbattermi operando sulla tirosina, se non per consi- derarli sotto un punto di vista tutto speciale ed estraneo alla costituzione loro, riferendomi invece ai rapporti di origine, di preparazione e di proprietà che essi hanno con le melanine artificiali e composti affini. Ed a questo proposito è necessaria ancora una spiegazione. Ho detto che le mie sostanze erano ottenute con procedimenti analoghi a quelli in uso per produrre dei composti simili dai proteici: ora se ciò è abbastanza evidente per quello che riguarda le sostanze ottenute trattando la tirosina con l'acido nitroso e col bromo, potrebbe sembrarlo meno per quello che riguarda il corpo ottenuto con l’acido cloridrico e piccole quantità di clorato potassico ; infatti lo Schmiedeberg trattava le proteine semplicemente con acidi minerali più o meno diluiti. Ma la differenza è forse più apparente che reale; che durante la scomposizione delle proteine con gli acidi si abbia uno sviluppo di energie ossidative e che ad esse sia legata la produzione dell'acido melanoidico, si può dedurre dal fatto ben noto che esso non comparisce quando l'acido clori- drico agisca in presenza di cloruro stannoso. Ciò che mi ha indotto a prendere in considerazione tali sostanze si è che in tutti i casi in cui le melanine artificiali ed i proteinocromi furono ottenuti dai proteici, nello stesso modo col quale io ottenevo i miei prodotti dalla tirosina, per lo stesso trattamento si metteva in libertà della tirosina (azione degli acidi) o questa si era già precedentemente formata in abbon- danza (azione del Bromo sui residui della digestione triptica). È condizione esclusiva per la produzione dei proteinocromi (e su questo punto tutti gli osservatori sono d'accordo) che la scissione dei proteici giunga sino alla formazione della tirosina; per ciò che riguarda le melanine lo Schmiedeberg osserva che la comparsa di esse non sembra possibile senza che si origini insieme anche della tirosina. (1) Vedansi specialmente: Wiche, Ziedig*s Annalen. 101, s. 314 e Stadeler, Liebig*s Annalen. 116, s. 64. (2) Beilstein, /andbuch der organischen Chemie. 2 Band. s. 1006. Leipzig 1888. — 187 — Si noti di più che i proteinocromi si ottengono, oltre che dal residuo della digestione pancreatica, anche per l'azione degli alogeni sul pus, sui prodotti della putrefazione dei proteici e per la scomposizione di questi con idrato di barite, in condizioni cioè in cui vien messa in libertà della tirosina. È LEGITTIMA QUINDI LA SUPPOSIZIONE CHE ALLA PRODUZIONE DELLE MELANINE ARTIFICIALI E DEI «BROMKÉRPER»” POSSA CONCORRERE LA TI- ROSINA PER UN PROCESSO DI FORMAZIONE ANALOGO A QUELLO COL QUALE 10 HO OTTENUTE LE SOSTANZE IN PRECEDENZA DESCRITTE; questa è la con- sesuenza che si può trarre dalle mie osservazioni, ed il sospetto è tanto più giustificato per ciò che tanto i miei prodotti quanto quelli che si ottengono dalle proteine, richiedono gli stessi mezzi di isolamento e non offrono pro- prietà che permettano, almeno sino ad ora, di differenziarli. Ma con ciò io non voglio trarre la conclusione ipotetica che i pigmenti artificiali non siano altro che prodotti di ossidazione o di condensazione della tirosina. Anzi, in conformità con quanto è stato osservato per i pro- teinocromi è possibile che anche le melanine non rappresentino che un mi- scuglio di sostanze simili per alcuni loro caratteri e difficilmente isolabili; a favore di questa ipotesi parlerebbe anche la sconcordanza notevole che sì osserva tra le analisi dei varî osservatori. Ciò farebbe pensare che in modo simile a quanto avviene per la tirosina anche da altri prodotti di scomposi- zione avanzata dei proteici, di quelli ben noti e relativamente semplici per costituzione, possano formarsi i corpi pigmentari; ed a questo proposito sarà bene tener presente l'eventuale origine di una parte di essi da altri pro- dotti di scissione appartenenti alla serie aromatica e, per ciò che riguarda le melanine, anche dal gruppo carboidrato della molecola proteica. Oltre che per le considerazioni ora esposte il fatto della formazione di composti simili alle melanine dalla tirosina, mi è sembrato degno di inte- resse sotto un altro punto di vista. Alcune indagini compiute in questi ul- timi anni dimostrarono come gli organismi viventi utilizzino talora la tiro- sina per la produzione di pigmenti normali. Questa facoltà è specialmente propria, almeno per quanto ne sappiamo sino ad ora, dei vegetali e la tra- sformazione della tirosina avverrebbe per l’attività di uno speciale fermento ossidante, la 0rosinase del Bertrand ('). Recentemente il Gonnermann (?) ha riconosciuto che il pigmento normale della barbabietola è l'acido omo- gensinico, e che questo si può ottenere in vitro facendo agire sulla tirosina il fermento relativo estratto dalla barbabietola. Per ciò che riguarda l'organismo animale l'unica osservazione in propo- (1) Bertrand, C. R. Acad. sc. CXXIII, pag. 463. (*) Gonnermann, P/luger's Arch. 82, Bd. s. 289. 1900. — 188 — sito è il fatto importante trovato da Wolkow e Baumann (!) i quali dimo- strarono che il pigmento bruno il quale si riscontra nell'orina degli alcapto- nurici è costituito principalmente da acido omogensinico, e che in questa sostanza si trasformano quantità ingenti di tirosina introdotte nell'organismo degli alcaptonurici. Ciò mi ha indotto a ricercare se nell'organismo animale vi siano fer- menti capaci di trasformare la tirosina in composti colorati che offrano qualche analogia con quelli già noti; ma i risultati di queste indagini formeranno l'oggetto di una ulteriore pubblicazione. Parassitologia. — Studi sul vaccino. Nota V preventiva del dott. C. GoRINI, presentata dal Socio CREMONA. Nel corso de miei studîì sul vaccino ho osservato i seguenti fatti: 1. Un vaccino attivo, che risulta sterile nei comuni mezzi di cultura, mostra, al microscopio, di contenere forme cocco-batteriche endo ed extra- cellulari, le quali, all'aspetto ed al comportamento verso le sostanze coloranti, sì possono presumere dotate di vitalità. 2. Inoculando un siffatto vaccino nella cornea del coniglio si ottiene, all'osservazione macroscopica, quella reazione vaccinica che nella mia Me- moria sul controllo biologico del vaccino (?) ho chiamata normale, non accom- pagnata da fenomeni infiammatorî; e, all'esame microscopico, si osserva, oltre alla comparsa dei cyloryetes Guarnieri (reazione vaccinica positiva), ed anzi ancor prima di questi, una invasione endocellulare di forme cocco-batteriche simili a quelle riscontrate nel vaccino inoculato, unitamente a quelle mol- teplici manifestazioni di iperattività nucleare che descrissi nella seconda Nota preventiva (3). In base a prove di controllo, sono condotto ad escludere che questa in- vasione batterica sia da attribuirsi ai germi che normalmente si trovano sulla congiuntiva dei conigli, o ad inquinazioni avventizie di piogeni, come lo prova del resto anche la mancanza di fenomeni infiammatorî. Percui tutto mi lascia credere che quelle forme cocco-batteriche siano il prodotto della moltiplica- zione endocorneale delle forme analoghe contenute nel vaccino inoculato. Sebbene io abbia già avuto occasione di verificare ì fatti suesposti con diverse qualità di vaccino, tuttavia non possiedo ancora una casistica suf- (1) Wolkow u. Baumann, Zestschr. fi physiol. Ch., XV, s. 228, 1891. (2) Il controllo del vaccino mediante le inoculazioni corneali. — Archivio per le Scienze Mediche, Vol. XXIII, 1898, p. 27. (3) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei — Vol. IX, 2° sem., serie 5°, fasc. 7°. Questa medesima Nota fu poi ristampata a parte col corredo di due tavole litografiche. Pavia, Tipografia e Legatoria Cooperativa 1900. — 189 — ficiente per assegnare loro un valore generale e per entrare in considerazioni circa i probabili rapporti di quelle forme cocco-batteriche sia coi cytoryetes sia coll’ infezione vaccinica. Per ora quindi mi limito a dire che per mia esperienza: a) la sterilità di un vaccino sui comuni mezzi di cultura, che pur si dimostrano favorevoli allo sviluppo dei soliti germi estranei del vaccino (cocchi piogeni, bh. pseudodifterici, b. coli, ecc.), non autorizza a ritenerlo privo di bacteri capaci di svilupparsi nella cornea del coniglio, ossia nel- l'organismo animale vivente; 5) le suddette forme cocco-batteriche intracellulari possono essere scambiate per piccoli cytoryetes, poichè solamente ad un'osservazione molto minuta e coll'aiuto di forti ingrandimenti si riesce a ravvisare che esse ri- sultano dall’aggregato di cocco-batteri accoppiati per lo più a due o a quattro. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci D'Ovipio, TAccHINI, RicHI, Riccò, e il vo- lume I delle Oeuvres de P. L. Tchebychef pubblicate per cura dei signori MARKOFF @ SONIN. Il Socio KoERNER fa omaggio del volume pubblicato dal Ministero d'Agricoltura, Industria e Commercio, intitolato: Motizze, regolamenti e pro- grammi della R. Scuola superiore di Agricoltura di Milano. CORRISPONDENZA Il Vicepresidente BLASERNA dà comunicazione degli inviti pervenuti all'Accademia, per la celebrazione del 9° giubileo della Università di Glasgow, e pel prossimo Congresso internazionale di zoologia che si terrà a Berlino. La Classe delibera d’inviare, a suo tempo, una pergamena all’ Università di Glasgow, e di farsi rappresentare al Congresso di zoologia. Il Socio TopARO, a nome anche dei Soci BizzozERo e GRASSI, propone, e la proposta è approvata, che l'Accademia si associ alle onoranze che nel maggio venturo saranno tributate in Wiirzburg, all'illustre istologo FRANZ LEYDIG. Il Segretario CeRRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. — 190 — Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; la R. Accademia d'archeologia di Anversa; la R. Accademia delle scienze di Amsterdam; la Società di scienze naturali di Emden; la Società fisico-chimica di Pietro- burgo; le Società geologiche di Manchester e di Sydney; le Società zoolo- giche di Amsterdam e di Tokyo; il Museo Britannico di Londra; l'Osserva- torio di Praga; la Biblioteca Reale di Berlino; la Scuola politecnica di Delft. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 3 marzo 1901. Arcidiacono S. — Principali fenomeni eruttivi avvenuti in Sicilia e nelle isole adiacenti nell’anno 1899. Modena, 1900. 8°. Barone G. — Les études et les découvertes de géoendodynamique en Italie dans les trente dernières années. Bruxelles, 1900. 8°. Corfield W. H.— Malattie provenienti dalle condizioni sanitarie difettose delle abitazioni. Trad. di G. Soffiantini. Milano, 1901. 8°. Crepas E. — L'insegnamento scientifico nelle Scuole Complementari e Nor- mali. Milano, 1900. 8°. Cruls L. — Methodo para determinar as horas das occultag6es de estrellas pela lua baseado sobre o conhecimento exacto do instante de conjunecào apparente dos dous astros. Rio de Janeiro, 1899. 4°. D'Ovidio E. — Carlo Hermite. Commemorazione. Torino, 1900. 8°. Fritsche H. — Die Elemente des Erdmagnetismus und ihre sàcularen Aende- rungen wéahrend des Zeitraumes 1550 bis 1915. Publ. III. S°'. Pe- tersburg, 1900. 8°. Giuffrida-Ruggeri V. — Le origini italiche. Como, 1900. 8°. Id. — Ricerche morfologiche e craniometriche nella norma laterale e nella norma facciale. Lanciano, 1900. 8°. Guidi C.— Prove sui materiali da costruzione. Torino, 1901. 4°. Léon N. — Apuntes para una Bibliografia Antropologica de Mexico (Soma- tologia). Mexico, 1901. 8°. Longo B. — Contribuzione alla Flora Calabrese. Roma, 1901. 4°. Macchiati L. — Intorno alla funzione difensiva degli Afidi. Firenze, 1900. 8°. Id. — Nota preventiva di biologia sul fiore del castagno indiano. Firenze, 1900889. Id. — Noterelle di biologia florale. 1* Serie. Firenze, 1900. 8°. Mascari A.— Osservazione dell’ eclisse parziale di sole del 28 maggio 1900, fatte all’ Osservatorio di Catania. Catania, 1901. 4°. — 191 — Notizie, regolamenti e programmi della R. Scuola Superiore di Agricoltura in Milano. Milano, 1900. 4°. Oddone E. — Ricerche strumentali in sismometria con apparati non pendolari. Modena, 1900. 8°. Pascal E.— Eugenio Beltrami. Milano, 1901. 8°. Puccini E. — Il concetto delle armonie nello studio delle scienze naturali. Pistoia, 1901. 8°. Id. — Il concetto dell’ infinitesimo nello studio della matematica elementare. Pistoia, 1901. 8°. Ribaga C.— Osservazioni circa l’ anatomia del Trichopsochus Dalii Mc Lachl. Firenze, 1901. 8°. Riecò A. — Occultazione di Saturno del 13 giugno 1900, osservata nell'Os- servatorio di Catania. Catania, 1900. 4°. Id. e Franco L. — Stabilità del suolo all'Osservatorio Etneo. Catania, 1900. 4°. Righi A. — Sur les ondes électromagnétiques d'un ion vibrant. Harlem, 1900. 8°. Semmola E. — La fisica terrestre e la geografia fisica fra le scienze naturali. Napoli, 1900. 4°. Id. — L'attività del Monte Vesuvio e le fasi della luna. Napoli, 1897. 4°. Id. — La pioggia ed il Vesuvio nel maggio 1900. Napoli, 1900. 8°. Id. — Le fiamme nel cratere del Vesuvio in aprile 1898. Napoli, 1898, 8°. Soffantini G. — Relazione sul IV Congresso internazionale di dermatologia e sifilografia tenutosi in Parigi dal 2 al 9 agosto 1900. Milano, 1901. 8°. Tacchini P. e Riccò A. — Osservazioni della eclisse totale di sole del 28 maggio 1900. Catania, 1900. 4°. Tchebychef P. L. — Oeuvres publiées par les soins de MM. A. Markoff et N. Sonin. T. I. S°. Pétersbourg, 1899. 4°. Tizzoni G. — Ricerche sperimentali sulla sieroterapia del tetano. Bologna, 1901. 4°. Verson E. — Beitrag zur Oenocytenlitteratur. Leipzig, 1900. 8°. NEC, RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANNI -<-<- Seduta del 17 marzo 1901. A. MESSEDAGLIA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Comunicazione telefonica all’ Osservatorio Etneo col filo sulla neve. Nota del Corrispondente A. Riccò. Nell'estate del 1898, col concorso del Ministero delle Poste e Telegrafi che aveva concesso il materiale telegrafico sospeso, coi sussidî pecuniarî dei Ministeri dell'Istruzione, dell’ Agricoltura e dell’ Interno, come pure con quelli della Camera di Commercio e della sezione catanese del Club Alpino italiano e della Sede centrale del Club medesimo, si impiantò una linea telefonica la quale, dall'ultimo ufficio telegrafico sull'Etna a Nicolosi, va per gli A/ta- relli e per il Bosco di Ferrandina, alla Cantoniera meteorico-alpina, e da questa per il lato occidentale della Montagnola e per il Piano del Lago arriva all’ Osservatorio Etneo. Nel primo tratto Nicolosi-Cantoniera la linea va dall’ altitudine 700" a 1900%, nel secondo da 1900% a 2950"; nel primo tratto i pali sono piantati con distanza decrescente da 70" a 60": nel secondo da prima furono messi, pure a distanza decrescente, da 60" a 40"; il filo di ferro zincato era quello comune del diametro 2" 77 (N°. 12), legato con filo di ferro sottile (N°. 15) agli isolatori, e questi sostenuti da forti bracci di verga di ferro del diametro di 25, In ciascuna delle tre stazioni telefoniche: Nicolosi, Cantoniera, Osser- vatorio Etneo, fu collocato un telefono sistema So/der con avvisatore elettro- magnetico, fornito dalla Ditta E. Gerosa di Milano. RenpICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. Do — 194 — Verso la fine di settembre 1898 tutto era in ordine, ed il 26 si inau- gurarono felicemente le comunicazioni; i telefoni funzionavano perfettamente : non solo all’ Osservatorio Etneo udivasi e riconoscevasi benissimo la voce di chi parlava al telefono della Cantoniera o di Nicolosi, ma altresì il rumore delle vetture ed il suono delle campane del villaggio. Si aveva così una comu- nicazione quasi immediata dell’ Osservatorio di Catania coll’ Osservatorio Etneo, colla Cantoniera e colla dimora abituale del Custode a Nicolosi: inutile dire con quanta comodità, vantaggio e sicurezza del servizio sull’ Etna. La linea molto spesso, ed in ogni stato dell'atmosfera, dava forti sca- riche, che però non disturbavano sensibilmente le comunicazioni e si disper- devano nel suolo per mezzo dei soliti scaricatori; ed anzi mi ero proposto di studiare questo interessante fenomeno, come pure le correnti ascendenti o discendenti che potessero prodursi nella linea, come aveva fatto il com- pianto prof. Palmieri per la linea telegrafica del Vesuvio. Ma colle nevicate del seguente inverno i fili si caricarono di manicotti di neve col diametro per fino di 0!,20, nella porzione alta della linea; cosicchè parte per il gran peso, parte per la spinta del vento, che vi aveva molta presa, la linea al 10 febbraio 1899 fu trovata dal Custode smontata e sepolta sotto la neve nel Piazo del Lago, e con cinque interruzioni nel tratto seguente fino a Tacca Albanelli (1 km.); il resto fino alla Cantoniera e fino a Nicolosi funzionava ancora; i robusti bracci di ferro nel tratto supe- riore della linea erano stati piegati, e taluni rotti: gli isolatori strappati via dai bracci, e parecchi spezzati. Nell'autunno dell’anno seguente 1899, si è ristabilita la linea, inter- ponendo un altro palo fra due nel Piano del Lago, ossia riducendone la distanza a soli 20", ed inoltre sostituendo dalla Cantoniera all’ Osservatorio Etneo un altro filo più grosso, del diametro di 5,08 (N°. 6), generosa- mente concesso dal Ministro delle Poste e Telegrafi, marchese di S. Giuliano; al 9 novembre 1899 i telefoni funzionavano di nuovo benissimo fra le tre stazioni. Ma disgraziatamente al 21 dicembre, poco dopo seguente, vi fu sul- l'Etna una straordinaria bufera di vento e neve: l’anemometro in Catania segnò la più grande velocità da che funzionava, cioè 57 km. dal 1892. La linea di nuovo fu atterrata dall' Osservatorio Etneo a 7ucca Arena (4 km.), e danneggiata nel resto. Era così ormai dimostrata l'assoluta insufficenza di una linea aerea in fil di ferro per le comunicazioni fra la Cantoniera e 1’ Osservatorio Etneo; dovendo pensare ad un altro mezzo, si presentava naturalmente quello di una gòmena o cavo elettrico sotterraneo, ma oltre la difficoltà del rilevante costo, si andava incontro all’ altra della manutenzione gravosa e delle ripara- zioni frequenti in un terreno vulcanico, cioè esposto ai cambiamenti ed ai guasti attendibili dai terremoti e dalle eruzioni. — 195 — Parlai di queste mie preoccupazioni con persone specialmente compe- tenti: l'illustre Janssen, direttore dell’ Osservatorio di Meudon (Parigi) e del Monte Bianco, mi consigliò di ripetere la prova ben riuscita al Monte Bianco nel ghiacciaio fra il piccolo Osservatorio dei Grands-Mulets ed il Mont de la Cote, stendendo il filo sulla neve, che è abbastanza isolante. Ma restava il dubbio sull'efficacia della comunicazione della piastra di terra col suolo gelato e della dispersione elettrica che avrebbe potuto eftet- tuarsi sull'Etna nei luoghi ove il filo, uscendo dalla neve al limite inferiore ove si fonde, viene a trovarsi in contatto con acqua, oppure con neve o terra umida. Al primo inconveniente si avrebbe potuto ovviare, facendo la linea doppia, ossia con filo di ritorno dall’ Osservatorio Etneo alla Cantoniera, ma non si poteva evitare il secondo, perchè non sempre la neve all'inverno giunge fino alla Cantoniera, ove in ogni caso conviene di far cominciare la linea aerea. Il comm. F. Cardarelli, Capo Divisione al Ministero delle Poste e Tele- grafi, mi fece considerare che un filo d'acciaio, più sottile e più resistente di quello di ferro, avrebbe il vantaggio di dare minor presa alla neve, e quindi avrebbe resistito meglio al vento: ma anche qui vi era la difficoltà del costo rilevante del filo d'acciaio, e l'incertezza del risultato. Per risolvere questi dubbî nel corso di quest'inverno, ed in modo econo- mico, ho pensato di utilizzare il tilo vecchio per fare la prova di stenderlo sulla neve, ed inoltre di fare dei piccoli tratti di linea per saggio presso all’ Osservatorio Etneo, cioè alla massima altezza, con fili d'acciaio del dia- metro di 1, 2, 3", e di due qualità d'acciaio il cui carico di rottura è rispettivamente 120 e 150 kgr. per mmq.; i quali fili mi sono stati forniti dalla Ditta Redaelli di Lecco. Al giorno 5 febbraio 1901 le due operazioni erano compiute, e la comu- nicazione telefonica ristabilita con linea semplice fra le tre stazioni. Si deve notare che la linea posa sugli isolatori da Nicolosi alla Can- toniera e da questa fino a Tacca Albanelli, cioè per un altro chilometro e mezzo, ma da Tacca Albanelli al Piano del Lago (1 km.), ove in quel- l'epoca non erano che tratti di neve interrotti, il filo di ferro è stato posato sulla neve dove c'era; dove non c’era, è stato alzato ed attaccato con chiodi ai pali, all'altezza di 1",80 sul terreno scoperto. Nel Piano del Lago la linea è tutta stesa sulla neve. Le cose sono state fatte così, perchè quando il Custode dell’ Osserva- torio Etneo e gli altri uomini scendendo giunsero al limite del Pia1m0 del Lago, trovarono che più giù la neve era scomparsa a tratti, e non avendo con loro bracci ed isolatori da collocare ove mancavano, il Custode con ra- gione pensò esser miglior partito sospendere il filo, come si è detto, anzichè lasciarlo posato a terra. — 196 — Dall'esposto sopra si deve concludere che per le correnti telefoniche: 1° La neve è sufficientemente isolante, come fu dimostrato dal Janssen esserlo per le comunicazioni telegrafiche sul Monte Bianco. 2° La comunicazione della piastra di terra col suolo gelato è suffi- ciente. I geotermometri, posti ad una ventina di metri dall’ Osservatorio Etneo, al mezzodì del 2 febbraio (ultima osservazione che si potè fare, perchè dopo fu impossibile togliere la neve dell’ ultima nevicata) davano alle profondità: 0,20, 0,40, 0",60 le temperature: — 49,2 — 09,9 — 09,3; e la lamina di terra non giunge sotto i 0",60. 3° Anche i pali d’abete sono abbastanza isolanti, perchè di legno resinoso, e perchè lassù, eccetto durante la pioggia, i pali sono mantenuti ben asciutti per la forte ventilazione, e nell'inverno sono anche gelati per essere la temperatura dell’aria sempre di parecchi gradi sotto allo zero, talchè se essi contengono dell'umidità, cioè acqua igroscopica, questa dev'es- sere gelata, e quindi isolante. i Tali risultati sono interessanti per se stessi; hanno poi una notevole importanza pratica per noi, perchè provano che nell'inverno potremo evitare il danno della rottura della linea nel tratto superiore, smontandola e posan- dola sulla prima neve; e fors' anche si potrà in ogni epoca risparmiare gli isolatori, il che avrà anche il vantaggio di rendere più facile l'operazione di smontare e rimontare la linea. Ma ciò dovrà verificarsi colla esperienza, come pure dovrà vedersi quale entità avrebbero con tale sistema le interru- zioni e perturbazioni delle comunicazioni che sono da aspettarsi per causa della pioggia. Quanto alle prove dei fili di acciaio, finora posso dire solamente che dopo la forte nevicata del 5 febbraio, accompagnata da vento impetuoso, sui fili attaccati ai pali a 1”,80 sulla neve, cioè a 4,80 dal suolo, al 6 febbraio si vedeva formato un sottile manicotto di neve, di non più che 0,03 di dia- metro attorno al filo di 3": più sottile ancora attorno agli altri. Resterà a vedersi se questi fili continueranno a resistere a maggiori nevicate, spe- cialmente se accompagnate o seguite da vento fortissimo. Nel finire desidero esprimere pubblicamente la mia viva riconoscenza all'illustre Janssen, il quale coi suoi preziosi consigli mi ha sempre con- fortato ed aiutato a superare le difficoltà, non poche, incontrate all’ Osserva- torio Etneo, del quale egli apprezza altamente l'importanza e desidera sin- ceramente la prosperità e l’ efficace cooperazione negli studî dell’ alta atmo- sfera che si fanno e si faranno al suo Osservatorio del Monte Bianco, nei nostri, del Monte Cimone, dell’ Etna ed in altro che sarebbe desiderabile si istituisse sull’ Aurès in Africa (1). (1) Comptes Rendus, 30 juillet 1900 et 11 février 1901. — 197 — Meccanica. — Sul! equilibrio delle piastre elastiche inca- strate. Nota del dott. Tommaso Boccio, presentata dal Socio VoL- TERRA. 1l problema di determinare i piccoli spostamenti È perpendicolari alle basi di una piastra piana elastica (nel caso che vi sia isotropia nelle dire- zioni parallele alle sue basi), dà luogo all'integrazione dell'equazione : dl d nÎ 20 — If ci Pe 1) 4ERT4T=R(0,9), (= d‘=A°4°), ove &#,%' sono costanti dipendenti dalla natura della piastra, T indica una trazione normale al contorno della piastra, eguale in tutti i punti, e stimata per unità di superficie, ed / è una funzione finita e continua, dipendente dalle forze esterne che agiscono nei punti dell'interno della piastra (vedasi: Clebsch, Théorie de l’élasticité des corps solides, traduite par MM. Barré de Saint-Vénant et Flamant, pag. 688). Se la piastra è incastrata, hanno luogo le seguenti condizioni limiti, cioè relative ai punti del contorno della piastra: (2) t=0, ove x è la normale interna al contorno della piastra. Se T=0, vale a dire se non si esercita sulla piastra nessuna tensione nel piano della superficie media di essa, l'equazione (1) si riduce a que- st' altra: (1') ART) Quest equazione colle condizioni (2) è stata integrata, nel caso di una piastra circolare, dal Clebsch (op. cit., $ 75) e dal Lauricella (*); però mentre il procedimento del Clebsch, fondato su sviluppi in serie, conduce a calcoli assai laboriosi, quello del Lauricella, invece, è assai semplice: egli ottiene (1) Lauricella, Sull’equazione delle vibrazioni delle placche elastiche incastrate (Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, serie II, tomo XLVI, a. 1896). Id., Integrazione dell'equazione 4°(4°u)= 0 in un campo di forma circolare (Atti id., vol. XXXI, a. 1896). — 198 — la funzione cercata espressa mediante un integrale definito nel quale com- parisce la seconda funzione di Green. Se la piastra è ellittica e se /(4,y) è un polinomio si può risolvere il problema in questione in modo abbastanza semplice ('). Il Clebsch tratta anche il caso particolare ($ 76) in cui la piastra è caricata unicamente da un peso applicato in un punto qualunque di essa; però anche in questo caso le formole definitive che egli ottiene sono assai complicate. In questa Nota prendo le mosse ($ 1) dalla formola stabilita dal Lauri- cella e mostro come da essa si possa ottenere facilmente la soluzione del caso particolare trattato dal Clebsch; la formola che ne risulta è assai sem- plice e si presta bene allo studio della forma della piastra deformata; ne deduco poi una interpretazione meccanica di un mio teorema di reciprocità, la quale vale per una piastra qualunque. Nel $ 2 determino mediante approssimazioni successive l'integrale del- l'equazione (1) colle condizioni (2), considero dapprima una piastra circolare, poi passo ($ 3) ad una piastra piana qualunque. Il problema in questione non è che un caso particolare di un altro assai più generale che ho risolto in una mia Memoria di prossima pubblicazione; a causa di ciò ometterò al- cune dimostrazioni, rinviando per maggiori ragguagli alla mia Memoria predetta. 1. Sia o un campo circolare di centro O e raggio R; indichiamo con s il suo contorno. La seconda funzione di Green è quella funzione G, regolare in 0, che soddisfa nei punti di o all’equazione 44*G= 0, e nei punti di s alle altre: dG__ dre?logr) da dn G= 7° log ’ ove 7 è la distanza di un punto M di o (polo di G) da un punto qualunque P pure di o. Se 7' indica la distanza di P dall'immagine thomsoniana M' di M rispetto ad s e si pone n= pi ove o= OM, è facile verificare che la funzione G è data dalla formola: G IR (ir) +r°logr, (2); (1) Cfr. Boggio, Sopra alcune funzioni armoniche 0 biarmoniche in un campo el- littico od ellissoidico (Atti del R. Istituto Veneto; in corso di stampa). (2) Questa funzione G è stata ottenuta, sotto una forma leggermente diversa, dal prof. Lauricella nella sua Nota citata. — 199 —. ponendo : (3) T=r°logr — G ne segue: (4) r=l(t—r9)— rtlog!! DE eni Questa funzione Y dipende evidentemente dalle coordinate del polo M e dalle coordinate di P; si può però dimostrare che è simmetrica rispetto a queste due coppie di variabili (!). Ciò posto, l'integrale della (1°), colle condizioni (2), è dato dalla for- mula (Lauricella, Memoria cit.): (5) ca )=i by aa (do = dx dy) e poichè la funzione I° è conosciuta, essendo data dalla (4), il primo membro risulta completamente noto. Supponiamo ora che la piastra 0, supposta orizzontale, sia caricata unica- mente da un peso P che vi agisce in un punto determinato A, di coordi- nate 4 ,y; si può, con grande approssimazione, immaginare, col Clebsch, in luogo di un tale peso una forza grandissima C’ che agisca uniformemente su tutto l’ elemento cilindrico verticale passante per A, di cui la base è l'elemento do della superficie media della piastra e l'altezza è eguale alla grossezza della piastra; forza supposta tale che C'do tenda ad un limite finito eguale al peso dato P; al di fuori di questo elemento, C' è ovunque zero. Allora si può mostrare facilmente che il secondo membro della (1) deve esser ridotto a XC'; dimodochè la (5) diventa: , r k r r r ta, = f 1,9 ;£,Y) C'do. Questa formola si può però semplificare notevolmente. Descriviamo perciò una circonferenza di centro A e raggio d, piccolo in modo che questo cerchio sia tutto contenuto in o. Chiamando 0, questo cerchio, è evidente che la formola precedente si riduce a quest'altra: k b(2,Y") =#/ Nd yo facendo tendere il raggio d a zero e osservando che C' non differisce da zero (1) Questo teorema è un caso assai particolare di un altro che ho dimostrato nella mia Nota: Un teorema di reciprocità sulle funzioni di Green d'ordine qualunque (Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXXV, a. 1900). — 200 — che nel punto A(x#,y) ove si trova il peso P, e che, in questo punto, C'do assume il valore finito P, si ha: (6) ca T 452,9)? Questa formola semplicissima risolve il nostro problema. Introducendo coordinate polari e sviluppando in serie la funzione T sì otterrebbero due sviluppi diversi a seconda che il punto (4, y') è più vicino o più lontano dal centro O che il punto A; le formole che così si otterreb- bero coinciderebbero con quelle ottenute dal Clebsch (). In modo analogo si può procedere se invece di un peso solo si hanno varî pesi applicati in differenti punti della piastra; la formola che si otter- rebbe è la seguente: , f r k , r (6') a = Li TE yy), ove (7; ,y;) indica il punto d'applicazione del peso P,. Ne segue che lo spostamento prodotto in tal guisa non è altro che la somma di quelli che sarebbero prodotti da quegli stessi pesi, supposti però agire isolatamente. La formola (5) vale per un'area qualunque o”, Z° essendo sempre data dalla (3), ove G indica la seconda funzione di Green relativa all'area che si considera; ne segue che anche le (6), (6°) sono valide per l’area o”. La funzione G la si sa costruire per varie classi di aree (?). Vediamo qualche proprietà dedotta dalla (6), relativamente ad una piastra qualunque o”. Indicando con M il punto (4',y") potremo scrivere la (6) brevemente così: (6) :Q) = FOI,A)P; togliamo ora il peso P dal punto A ed applichiamolo nel punto M, allora avremo nel punto A: at rA mp, (1) Notiamo a questo proposito che nell'espressione delle funzioni Z, del Clebsch (pag. 776) vi è una lieve inesattezza, perchè nel trinomio entro la prima parentesi (....) bisogna cambiare di segno l’ultimo termine e scrivere cioè — r invece di + ro. (2) Cfr. ad es. Levi-Civita, Sull'integrazione dell'equazione 4:43 u=0 (Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, vol. XXXIII, a. 1898); Almansi, Integrazione della doppia equazione di Laplace (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, serie 5°, vol. IX, 1° semestre 1900). — 201 — ma T(M,A)=IT(A,M), come risulta dal teorema di reciprocità che ho dimostrato nella mia Nota già citata, onde S(M)=S(A), quindi il teorema: Zo spostamento (verticale) del punto M, prodotto dal peso P applicato in A, è equale allo spostamento che si avrebbe nel punto A. qualora il peso P fosse applicato in M. È evidente, dall’interpretazione fisica della (6,) che gli spostamenti È hanno lo stesso segno del peso P che li ha prodotti; ne segue quindi dalla (6,) stessa: T(M,A)>O, cioè: Za funzione T è positiva în ogni punto dell’ area d'. 2. Cerchiamo ora l'integrale delle equazioni (1), (2), regolare nel cerchio 0. Sia v una funzione che soddisfa all’ equazione; d'v—-kTA4A"v=kf(£,y) ed è regolare in o e su s; è chiaro che esistono infinite di queste funzioni. Poniamo poi nelle (1), (2): Guy, se ne trae che la funzione « deve soddisfare alle equazioni: d'u—kTd4?u=0 in o (7) dU dv uz —V === SU $; dr dn Ciò posto, incominciamo a trovare l'integrale w delle equazioni: d'iu= EA? in o (7) u= ra, su s ug: am ove £ è una indeterminata qualunque; ponendo poi &= 4'T avremo l’inte- grale delle (7). Ricordiamo perciò che se F (x,y) è una funzione finita e continua in o, l'integrale U delle equazioni: 4*‘T=F(«,y) ino d ‘ = Ugo su s dn RenpiIcONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 26 — 202 — il quale, come già si vide, è dato dalla formola: U=? cf TFdo, soddisfa, nei punti di o e di s alle diseguaglianze: (8) ID'U|<4Ri*@®@ —((=0,1,2,3), ove ® è il massimo valore assoluto di F in o, le 4, sono costanti numeriche positive, e D'U indica una derivata parziale qualsiasi di ordine 7 della fun- zione U. Ciò premesso, poniamo : (9) u=U + Eu, + Eu, + allora dalle (7°) otteniamo i seguenti sistemi di equazioni: ù QUo Ad'u=0 in 0; UWZP, 3 = su s dUI d'u= 4°Uo ” uw= = 5 dn dU; AU; = A°Uj-a ” Uj = -* = 0 DI] x La funzione vu, è data dalla formola di Lauricella (Nota cit.): ss ce ER 0 0080 GC ea IRESE o — 2Raci (9 bile 0h dhe y de Resa 41 R R? + 0° — 2Ro cos (a — 6)” e le altre, dalle seguenti: 1 7 Uni ga DIS u-_fd0, (A 1290508000 Sotto certe condizioni per le funzioni g,w, la funzione w risulta fi- nita, colle sue derivate parziali dei tre primi ordini, in 0 e su s; diciamo ® — 203 — il massimo valore assoluto di 4°%,, allora ricordando le (8) avremo: (10) |D'm|<4R*® (!) onde: |\Au|<4R°®, (A= 24) quindi : (10°) |D'vs|<4 Ri 4R° ®, da cui: |d'us|< (48°) ®, e in generale: (10”) |\D'uj]< 4, R*-' (AR?) |A*u;|< (AR) ®. Prendiamo ora le serie: (11) Diu = Diu + ED'u, + E°D'u +... e diciamo T il massimo valore assoluto di D'u: se ne deducono, in virtù delle (10), (10’), (10”), le disuguaglianze seguenti: |\Dix} — 217 — EspPeERIENZA 10*. — Cagnetta di gr. 4200. Operata il 31 agosto, e morta dopo 24 ore. Operazione riuscita. Esperienza 11% — Canetto di gr. 3150. Operato il 2 settembre è morto, dopo 18 giorni, di meningite siero-purulenta. L'ipofisi non era stata toccata. EsPERIENZE 122-13*. — Cani morti di shock nella prima giornata dopo l'operazione. In ambedue l’ipofisi si trovò impoltigliata. EsPERIENZA 148. - 5 settembre. — Canetto del peso di gr. 3700. Dopo operato, la temperatura si trova a 37°. 7 settembre. — La guarigione procede bene. Il cane mangia e beve avidamente, pesa gr. 3600. Temperatura 39°. Vede bene, ma pare psichica- mente un po’ depresso. 19 ottobre. — In tutto questo periodo post-operatorio l’animale non ha presentato nulla di anormale, ad eccezione di un lieve abbattimento psichico. Il peso è rimasto stazionario a 3550 gr. — Viene sacrificato il 30 novembre dopo 80 giorni di sopravvivenza all'operazione. All’autopsia si constata l'assenza completa dell’ipofisi come nella espe- rienza N. 2. Si conserva il cervello in liquido di Miller per essere poi utilizzato per le ricerche istologiche, allo scopo di vedere se e quali degenerazioni so- pravvengono per la lesione della parte infundibulare del cervello. Allo stesso scopo sono stati messi a indurire tutti i cervelli di cani e di gatti operati, che sono stati sacrificati dopo più mesi di sopravvivenza all'operazione. EspERIENZA 15%. — Canetto di gr. 2480. Muore dopo tre giorni dal- l'operazione. All'autopsia si riscontra forte emorragia basale e l'ipofisi spap- polata. EspERIENZA 16. — Cane di gr. 5550. Operato il 9 settembre. Morto dopo 8 giorni per infezione, l’ipofisi era già quasi tutta assorbita. EsPERIENZA 17. — Gatto di gr. 2600. Operato sempre con lo stesso metodo il 12 settembre. 13 settembre. — L'animale sta fermo, prende poco latte colla pipetta. 14 settembre. — Il gatto non mangia, beve appena e non si muove. 18 settembre. — Pesa gr. 2450. Si muove abbastanza, ma rifiuta an- ‘cora la carne, contentandosi di bere un poco di latte. La funzione visiva si mostra integra. 21 settembre. — Pesa gr. 2350. Comincia ad accettare la carne, ma è sempre cattivo e rabbioso. Beve molto. 80 novembre. — Non ha ripreso il peso iniziale, pesando 2400 gr. Viene sacrificato. All'autopsia si trova l’ipofisi illesa, lo strumento essendo caduto lateralmente alla sella turcica. EspeRIENZA 18%. — Cane di gr. 4500, morto di shock nelle 24 ore. L'operazione era riuscita bene. RenpIcoNTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 28 — 218 — EsperIENZzA 19%. — Cane di gr. 4550. Questo cane ha presentato nel 1° mese di sopravvivenza uno spiccato movimento di maneggio. Viene sacri- ficato dopo 70 giorni dall'operazione, e l'autopsia mostra che l’ ipofisi non era stata toccata, e che la lesione riguardava il peduncolo cerebrale sinistro. EsPERIENZE 202-23* — Riguardano tre gatti e un cane morti tutti di shock. In due l'operazione era riuscita, di uno non fu fatta l'autopsia, nel- l’ultimo l’'ipofisi era illesa. EspERIENZA 248 — Gatto di gr. 3300. Dopo l'operazione non mostra alcun disturbo, ad eccezione della cecità dell'occhio destro. Muore dopo 39 giorni dall'operazione, senza causa apprezzabile. Pesa gr. 3100. L'ipofisi non era stata lesa, lo strumento essendo caduto avanti la sella turcica. EsPERIENZA 25% — Gatto di gr. 3330. Operato il 25 settembre. L’ani- male dopo l'operazione resta apatico, non mangia, non beve. Muore dopo 4 giorni, e all’autopsia si trova l'ipofisi ridotta in poltiglia in via d’as- sorbimento. EspERIENZA 26% — (Gatto di gr. 2650. Anche questo gatto morì dopo 6 giorni presentando gli stessi sintomi del precedente. Operazione riuscita. EsPERIENZA 27. — Gatto di gr. 2600. Operato il 26 settembre. 28 settembre. — L'animale sta abbastanza bene, beve molto latte; nei giorni seguenti lo stato generale ritorna del tutto normale. È cieco dell’oc- chio destro. Muore l'’8 novembre senza causa apprezzabile. All’autopsia si riscontra che l'ipofisi è stata lesa in parte. EspERIENZE 282-298. — Riguardano 2 gatti morti di shock. L'ipofisi si trova in entrambi schiacciata. EspERIENZE 302-348. — Di questi animali (4 gatti e un cane) operati, tre morirono di shock, uno per cloroformio, uno scappò dal canile dopo pochi giorni dall'operazione. In due l'operazione era riuscita, negli altri tre non si fece l'autopsia. EsPERIENZA 35% — Cane di gr. 8400. Operato d'ipofisi il 5 ottobre. 6 ottobre. — L'animale cammina, mangia dei pezzetti di carne di ca- vallo e beve il latte. 10 ottobre. — L'animale si mostra apatico. 19 ottobre. — Pesa gr. 8150. L'occhio destro è cieco. Stato generale buono. i 27 novembre. — Viene sacrificato. Pesa gr. 8200. All'autopsia si trova assente l'ipofisi. EspPERIENZA 362. — Gatto di gr. 2500. Morto di shock dopo l’ope- razione. Ipofisi spappolata. EsPERIENZA 373. — Canetto di gr. 4000. Operato il 6 ottobre. Si ri- mette presto dal trauma operatorio; ha forte congiuntivite in ambo gli occhi. Nei giorni seguenti si constata l’opacamento della cornea, e uno stato gene- rale dell'animale molto cattivo. Muore il 17 ottobre. Pesa gr. 3400. L' ipo- fisi era in gran parte assorbita. — 219 — EspERIENZA 38%. — Cagna di gr. 4250. Morta dopo 5 giorni dal- l'operazione. All’autopsia si trovano grossi coaguli alla base del cervello e l’ipofisi in via di riassorbimento. EsPERIENZE 8392-41. — Riguardano due gatti e un canetto, morti nelle 48 ore successive all'operazione che era riuscita allo scopo prefissoci. EspERIENZA 42%. — Il 12 ottobre si opera un gatto di gr. 2400. L'in- domani esso sta bene, miagola chiedendo da mangiare. Viene contentato su- bito dandogli della carne e del latte. 30 ottobre. — L'animale continua a star bene e non ha perduto in peso. La funzione visiva è normale. 17 novembre. — Viene sacrificato. L'ipofisi più non esiste. EsPERIENZE 4532-45. — Tre gatti di cui uno morì durante l'operazione. Degli altri due, il primo morì di meningite dopo quattro giorni, il secondo di shock dopo 48 ore. In questi due ultimi l'operazione era riuscita. EspERIENZA 46% — Gatto di gr. 2750. Operato il 17 ottobre. Muore dopo 8 giorni. L'ipofisi era in via di riassorbimento. EsPERIENZE 47*-49*. — Riguardano tre gatti dei quali il primo morì dopo nove giorni, il secondo dopo tre giorni e il terzo dopo 16 giorni. Il primo e il terzo morirono d'infezione; nel primo l'ipofisi non era stata lesa. nel terzo era quasi tutta riassorbita. L'operazione era riuscita anche nel secondo. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio BLASERNA. a nome del Socio CREMONA, fa omaggio della pub- blicazione del prof. Guipi intitolata: Ze costruzioni in « béton » armato. Va Gi — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNI TTT Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 14 aprile 1901. P. BLASERNA, Vicepresidente. Il Vicepresidente BLASERNA, aperta la seduta, pronuncia le seguenti parole : Egregi Colleghi, « Dal giorno dell’ ultima nostra riunione, l’ Accademia ha purtroppo due grandi e dolorose perdite da registrare. « Il nostro Socio GiuLio BizzozeRro, dopo breve malattia che non aveva allarmato nessuno, moriva 1'8 aprile in un'età, in cui a buon diritto pote- vano attendersi da lui grandi e importanti lavori. « Era nato a Varese il 20 marzo 1846 ed occupava da molti anni la cat- tedra di anatomia patologica nella R. Università di Torino. Fu nominato Socio dalla nostra Accademia il 12 novembre 1883 ed ebbe nel 1890, giovane ancora, la nomina a Senatore del Regno. « Per il suo funerale pregai i Colleghi Cossa, Foà e d' Ovidio Enrico di voler rappresentare l’ Accademia, ed il Collega Foà ha seguito il feretro fino a Varese. In altra seduta sarà letta la sua commemorazione, che il Socio prof. Foà prepara. Permettetemi d' inviare un mesto ricordo al compianto e gio- vane nostro Collega. Il Socio Grassi aggiunge quanto segue: « Con profondo cordoglio prendo la parola per rilevare come la perdita del prof. Bizzozero sia stata per il nostro paese ben più grave iattura di quanto apparve dagli apprezzamenti dei giornali politici che lo commemorarono. « Il prof. Bizzozero fu un insigne istologo; tutte le sue pubbiicazioni sono pregevolissime. La scoperta della funzione del midollo delle ossa, le classiche ricerche sulle piastrine, prima di lui intravedute soltanto e mal interpretate, — 222 — gli studî sull'epitelio intestinale, pur tacendo di tante altre geniali osserva- zioni, gli assicurano una fama imperitura. Ma l’opera del prof. Bizzozero non sì limitò soltanto alle ricerche originali; egli fu un impareggiabile maestro; fondò una scuola che tra i suoi allievi conta anche Golgi. Egli fu grande pro- motore degli studî istologici moderni in Italia. « Quasi tutte le cattedre di medicina del nostro paese risentirono lar- gamente la benefica influenza, diretta o indiretta, del patologo prima di Pavia e poi di Torino. « Negli ultimi anni, la debolezza della vista lo trattenne da estese ri- cerche istologiche; vi si rassegnò con quella calma scientifica che tutti am- miravano profondamente in lui e usufruì del tempo che gli restava libero per giovare ancora al paese nel miglior modo. Così esplicò la sua attività nel campo dell'igiene, facendo pubblicazioni popolari, mirabili per chiarezza ed esattezza scientifica, sopra svariati argomenti e cooperando con molta effi- cacia alla legislazione sanitaria. « Con queste poche e disadorne parole, io ho voluto accennare a quella parte dell’opera del compianto Bizzozero, che mi è meglio nota, ma più che sufficiente per comprendere quale vuoto abbia lasciato nella scuola medica italiana la immatura scomparsa del nostro illustre Socio ». Prende la parola anche il Socio TopARO e si esprime nel seguente modo: « A rilevare la gravità della perdita fatta dall'Accademia colla repen- tina ed immatura scomparsa del Socio Bizzozero, basta ricordare per sommi capi, come ha accennato il collega Grassi, l'influenza che egli esercitò col- l'opera sua scientifica e didattica nell’ Istologia, nella Patologia e nell’ Igiene, e la parte attivissima che in questi ultimi tempi prese nel nuovo indirizzo della sanità pubblica. « Il Bizzozero si rivelò acuto osservatore e profondo critico fino dal suo primo lavoro intorno alle cellule spinose dell'epidermide, pubblicato nel 1864. In questo lavoro dimostrò che i sollevamenti di tali cellule non sono porica- nali della parete cellulare come voleva O. Schròn, ma prolungamenti solidi che chiamò ciglia, e Max Schultze, il quale venne contemporaneamente nella stessa conclusione, denominò spine, supponendoli denti d' ingranaggio fra una cellula e l’altra. Più tardi, nel 1870, il Bizzozero, ritornando sopra l'argomento, dimostrò, che erano invece finissimi prolungamenti o ponti protoplasmatici, i quali limitano gli spazi posti fra le cellule; così veniva a scoprire al tempo stesso gli spazi nutritivi del reticolo malpighiano. Questa scoperta è stata confermata dal Leydig, e da coloro che sì sono di poi occupati dell’ argomento. « Nel 1868 il Bizzozero scoprì la funzione del midollo delle ossa. Di tale funzione egli ha dato la prova irrefragabile colla sua communicazione al- l’Istituto Lombardo, fatta il 10 Novembre 1868. Il Neumann aveva fatto co- noscere, un mese prima, le cellule sanguigne rosse nucleate del midollo delle — 223 — ossa dei mammiferi, simili a quelle che si trovano nell’embrione; ma gli era rimasta sconosciuta la loro provenienza. Il Bizzozero scoprì che queste cellule si moltiplicano nel midollo ; e così dimostrò che il midollo è un focolaio di produzione, non solo dei globuli bianchi ma anche dei rossi. Per tali ri- cerche, sebbene ancor giovanissimo, prese posto onorevole tra gli osservatori più eminenti. , « Pari all'’ingegno ebbe grande l’amore per la ricerca e per l’ insegna- mento. Sono numerosi i lavori da lui pubblicati sugli epiteli, sulle glan- dole, sul tessuto congiuntivo, sul sangue ecc., ed in ognuno di questi lavori, condotti con criterio e finezza di osservazione, si trovano riportati fatti nuovi ed importanti, tra i quali voglio ora ricordare la scoperta delle piastrine. È vero che queste erano già state vedute molto tempo prima: e G. Hayem le aveva descritte e significate come globuli sanguigni incompletamente svi- luppati, ossia germi dei globuli rossi, per cui diede loro il nome di ema- toblasti. Ma il Bizzozero dimostrò invece, che i globuli rossi del sangue derivano sempre dalle cellule rosse nucleate, e che le piastrine costituiscono un terzo elemento morfologico autonomo del sangue. Egli le osservò, non solo nel sangue appena estratto dai vasi, ma, quello che più importa per risolvere la questione, anche nel sangue che circola nell’ animale vivo. Con ciò diede la prova che questi elementi non sono granulazioni prodotte per disfacimento dei globuli bianchi o di altre parti del sangue, come da alcuni era ritenuto, ma veri elementi morfologici che circolano col sangue nei vasi de’ vertebrati, e che chiamò piastrine. Parecchi mesi prima dell’ Hayem, il Bizzozero aveva rilevato anche l’ importanza che hanno questi elementi morfologici nella coagulazione del sangue e nella formazione del trombo, importanza che di poi sostenne con numerose esperienze; quindi spetta interamente a lui la loro scoperta. « Qui è bene notare come il Bizzozero fondò sempre le ricerche delle alterazioni patologiche sopra lo studio dell'istologia normale; poichè egli era di coloro i quali riconoscono che la distinzione tra normale e patologico è tutta subbiettiva, e che in natura un fenomeno è sempre governato dalla stessa legge, ed i fatti stanno fra loro concatenati nei rapporti di cause ed effetti. « Il Bizzozero, sebbene laureato in medicina, non ne esercitò mai la pra- tica, occupato come era nella ricerca e nell’insegnamento; ma in lui vi era sempre la tendenza ad applicare i risultati della scienza al benessere del- l'umanità; quindi pubblicò un trattato di microscopia applicata alla clinica e, seguendo tale inclinazione, negli ultimi tempi si era dato con amore assiduo agli studî di Batteriologia e d'Igiene, nei quali, colla sua opera e con i suoi consigli, si rese benemerito della salute pubblica. « Egli non fu soltanto indefesso ricercatore del vero, ma amò anche edu- carvi gli altri; per tal fine non isdegnò di intraprendere lavori in collabora- zione coi suoi numerosi scolari. — 224 — « Se egli ora è morto, il suo nome rimane scritto negli annali della scienza, e l’opera sua vive nelle nostre università, ove insegnano Patologia, Anatomia Patologica ed Igiene, illustri colleghi e professori preclari, che con- tinuano con tanto successo l’opera del loro insigne Maestro ». Il Vicepresidente BLASERNA continua: Po « Prima ancora, che ci giungesse la notizia della malattia e della morte di Giulio Bizzozero, dopo breve malessere e quasi all’ improvviso, nella mattinata del 5 aprile, cessava di vivere l’ illustre nostro Presidente, AnceLo MESSE- DAGLIA. Era nato a Villafranca di Verona il 2 novembre 1820 ed apparteneva alla nostra Accademia fin dal 2 luglio 1875. Come gli illustri suoi predecessori nella Presidenza, Quintino Sella, Francesco Brioschi, Eugenio Beltrami, anche Angelo Messedaglia è morto sulla breccia, in piena attività dell’ elevato suo mi- nistero. Egli ebbe dalla natura il doppio dono, di conservare sino alla fine il pieno uso della sua intelligenza e di morire senza dolore. Vasta e larga era la sua cultura, che prendeva le mosse dalle scienze sue predilette, l'economia poli- tica e la statistica, passava per molte letterature antiche e moderne e si esten- deva fino alle nostre scienze: la matematica, l'astronomia, la geografia e la fisica. E di questa larghezza sì risentirono felicemente i suoi studî speciali; alla statistica egli diede un indirizzo matematico, all’ economia politica il carat- tere di scienza meccanica; con che gli è assicurato un poste eminente nella storia di quelle due importantissime discipline. « Seguendo una oramai lunga e dolorosa consuetudine, la vita e le opere di Angelo Messedaglia saranno commemorate nella prossima seduta Reale dall'illustre nostro Collega Luigi Luzzatti, il quale è stato, fino da quaranta anni addietro, l’alliero prediletto e più autorevole del grande Maestro. Ma io vi chiedo il permesso, come compagno suo nell’ Ufficio di Presidenza e come amico suo, di dedicargli alcune parole di ricordo. « Della grande sua cultura, larga, profonda e sicura, noi tutti abbiamo avuto continue prove. Egli sapeva molto, sapeva bene e comunicava volen- tieri i suoi pensieri agli altri. Aiutato da una meravigliosa memoria, i suoi concetti erano come scolpiti nel bronzo; anche dopo molti anni uscivano dalla sua mente con precisione matematica, ed erano finiti ed arrotondati come lavori d'arte. La conversazione con lui riusciva estremamente piacevole ed istruttiva. « L'ultimo suo lavoro, Uranologia omerica, è una nuova prova dei larghi suoi studî, che abbracciano la letteratura omerica, l'astronomia, la geografia, ed è un lavoro che egli limò con infinita cura. Alcun tempo prima dell’ ul- tima sua malattia, sì presentò a lui il direttore della nostra tipografia, pregan- dolo di sollecitare l’ultima correzione delle bozze. Egli gli rispose, che glie le avrebbe consegnate, ma che lo faceva a malincuore, perchè sentiva di dover morire appena stampato il lavoro. — 225 — « Questa previsione, quantunque infondata in quel momento, poche set- timane dopo si mostrò purtroppo fatidica. Io allora ero assente da Roma e giunsi solo per rendergli il doloroso tributo di accompagnare il feretro fino alla stazione, d'onde fu condotto a Verona e dove il Collega Lampertico gli rese gli ultimi onori a nome dell’ Accademia ». Il Vicepresidente BLASERNA comunica indi la numerosa corrispondenza relativa al lutto dell’ Accademia. La famiglia Messedaglia ringrazia l'Accademia delle dimostrazioni di affetto date all’'illustre congiunto. Inviarono le loro condoglianze all'Accademia per la morte del com- pianto Presidente: I Soci: Angeli, Ascoli, von Beneden, Bassani, Bazin, Capellini, Cocchi, Chauveau, Cognetti De Martiis, Colombo, Conti, Cornu, De Lapparent, Del Lungo, F. D’ Ovidio, Darboux, Di Giovanni, Faye, Fergola, Ferrero, Fouqué, Gatti, Janssen, Karpinsky, Kronecker, Lasinio, Levasseur, Lipschitz, Maffucci, Marey, Massarani, Mond, Mussafia, Naccari, Nansen, Orsi, Perrot, Poincarè, Rajna, Reye, Ròiti, Scarabelli Gommi Flamini, Schwendener, Targioni-Toz- zetti, Tocco. Trasmisero inoltre le loro condoglianze: l'Accademia delle scienze di To- rino, il R. Istituto Lombardo di scienze e lettere di Milano, l'Accademia Gioenia di scienze naturali di Catania; il R. Istituto storico italiano, la R. Società romana di storia patria, la R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Modena, quella degli Agiati di Rovereto, le Accademie di Agram, d'Amsterdam, di Bruxelles, di Montpellier, di Tolosa, di Vienna, il Comitato geologico di Pietroburgo. Il Vicepresidente BLASERNA scioglie poscia l'adunanza in segno di lutto. \ VPI SEO inv i du Bho TR sioma: ati TI, i Lita dee — 227 — MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia per la seduta del 14 aprile 1901. Astronomia. — Sulla distribuzione in latitudine delle facole solari osservate al KR. Osservatorio del Collegio Romano durante l’anno 1900. Nota del Socio P. TACCHINI. Dalle latitudini, che calcolai per i gruppi di facole osservate nell'annata, ricavai le seguenti cifre per la frequenza relativa delle facole nelle diverse zone di 10 in 10 gradi per ciascun trimestre. 1900 Latitudine 1° Trimestre 2° Trimestre 3° Trimestre 4° Trimestre o o | | | | 90 + 80 | 0,000 0,000 0,000 0,000 80+ 70; 0,000 0,000 0,000 0,000 70 + 60| 0,000 0,000 0,003 0,005 60 + 50 | 0,000 0,000 0,003 0,009 50 + 40| 0,005 )o,434| 0,004 )0,444 | 0,032 }0,478 | 0,023 }0,316 40 + 30 | 0,010 0,004 0,076 0,013 | 30 + 20 | 0,071 0,034 0,095 0,058 20 + 10 | 0,174 0,153 0,108 0,077 10. 0| 0,174 0,244 0,161 0,131 0 — 10| 0,214 0,282 ai 0,248 | 10 — 20| 0,209 0,188 0,123 0,198 i 20 — 80 | 0,072 0,064 0,117 0,108 | 30 — 40 | 0,041 0,022 0,086 0,077 40 — 50| 0,015 )0,566| 0,000 0,556 | 0,041 >0,522 | 0,031 \0,684 50 — 60 | 0,000 0,000 0,093 0,013 60 — 70 | 0,000 0,000 0,000 0,009 70 — 80 | 0,010 0,000 0,000 0,000 80 — 90 | 0,005 0,000 0,000 I 0,000 ] I | Dalle cifre sopra riferite risulta che durante l’anno 1900 le facole furono sempre più frequenti nell'emisfero australe, e che la maggiore frequenza si verificò sempre dall'equatore al parallelo di — 20°; inoltre il massimo di frequenza per zona si mantenne al sud fra 0° e — 10°. Il massimo di fre- quenza delle protuberanze ebbe pure luogo al sud ma a maggiore distanza dall'equatore, cioè nella zona (— 40° — 50°). EMI — Matematica. — Sopra una classe d’equazioni a derivate parziali del 2° ordine, con un numero qualunque di variabili. Memoria del Socio U. Dini. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Chimica. — Azioni chimiche della luce. Nota II del Socio G. CIAMICIAN e di P. SILBER. Nella precedente comunicazione (') intorno a questo argomento, abbiamo brevemente descritto alcune esperienze che sì riferiscono alle reciproche tra- sformazioni che la luce determina fra gli alcooli ed i composti’ carbonilici del tipo aldeidico, chetonico o chinonico. Nella presente nota tratteremo invece delle metamorfosi chimiche, che, per azione della luce, subiscono alcuni derivati nitrici. Anche questa volta le nostre esperienze ebbero per punto di partenza una vecchia osservazione da noi fatta a Roma nel 1886, quella cioè che riguarda l’azione dell’ a/c00/ sul nitrobenzolo, per cui si produce anilina ed aldeide acetica (*). In questo caso però la trasformazione rimane sempre incompleta, ed anche le prove fatte recentemente non ci dettero risultati migliori di quelle eseguite a Roma. Intorno all’azione della luce sui composti organici contenenti il residuo dell’acido nitrico, non abbiamo potuto raccogliere finora un grande numero di osservazioni, ma, quasi a compensarci di molti tentativi infruttuosi, ab- biamo trovato una reazione, che può essere messa alla pari con le più bril- lanti azioni fotochimiche che si conoscono. Per procedere con ordine diremo anzitutto che l'alcool non esercita sem- pre, per influenza delle radiazioni luminose, quella azione riducente che noi abbiamo osservato impiegando il nitrobenzolo. L'acido picrico, ad esempio, anche dopo una prolungata esposizione alla luce di molti mesi (marzo-gen- naio) rimane inalterato quasi del tutto. Non si produce aldeide e si formano piccole quantità di una materia nerastra amorfa. COMPORTAMENTO DELL'ALDEIDE 0- NITROBENZOICA. Il risultato brillante a cui s' è accennato più sopra, l'abbiamo avuto con questa sostanza. Partendo dalla supposizione che l'alcool potesse eserci- (1) Questi Rendiconti. Vedi vol. X, pag. 92. (*) Oltre ad altre sostanze, su cui ritorneremo fra breve. Questi Rendiconti 1886, II, pag. 256. — 229 — tare, per influenza della luce, un'azione riducente, abbiamo esposto l’ o- nitro- benzaldeide al sole in soluzione alcoolica. Già dopo poche ore di insolazione si osserva che il liquido assume una colorazione verde e dopo due giorni, mentre questa aumenta di intensità, incominciano a deporsi dei cristalli bene sviluppati ma privi di colore. Colla separazione dei cristalli va scemando nuovamente il color verde della soluzione e quando la reazione è completa, il liquido ritorna giallo. I cristalli che fondono a 120-121° hanno la com- posizione. i Cs Hs 03 N. Essi non hanno colore, ma si sciolgono nei solventi con colorazione verde e fondono dando del pari un liquido verde smeraldo. L’ alcool, nel cui seno si sono formati i detti cristalli, non contiene che tracce di aldeide acetica. Tenendo conto di ciò, della formola e delle proprietà del nuovo com- posto, che sono quelle dei derivati nitrosilici, doveva sembrare probabile la seguente spiegazione del fenomeno. L'alcool riduce in questo caso il residuo nitrico a nitrolisico, ma l’aldeide-che dovrebbe formarsi non resta libera, essa si unisce all'aldeide nitrosobenzoica per dare un composto di natura aldolica. Cs Hi. NO, C, H, NO | + C, H; (0) ni | + H,0 . CH 0 CH OH .CH,.CHO Le ulteriori esperienze ci insegnarono però ben tosto che questa inter- pretazione non è la vera: l'alcool non agisce per nulla come riducente, ne si forma aldeide acetica; l’aldeide o- nitrobenzoica è una sostanza, che alla luce si trasforma da sè, senza bisogno della presenza d'altri corpi. La metamorfosi fondamentale è questa: l’o- nitrobenzaldeide, sotto l' in- fluenza della luce, diventa acido 0- nitrosobenzoico CH, . NO; C H,. NO | | CH 0 COOH. La relativa esperienza si può fare nel seguente modo. Con una soluzione satura di aldeide o-nitrobenzoica nel benzolo si bagnano le pareti di un palloncino, che, per svaporamento del solvente, restano ricoperte in modo uniforme dei cristalli della sostanza sensibile. Esponendo il palloncino ben chiuso alla luce, si osserva che i cristalli a poco a poco perdono il loro co- lore giallo pallido e la loro trasparenza diventando verdastri ed in fine bianchi. Se, quando la trasformazione sembra completa (noi abbiamo esposto il pal- lone al sole dal 12 al 22 gennaio), si tratta a freddo il prodotto con ben- zolo, esso rimane quasi del tutto indisciolto, perchè l’ acido o- nitrosobenzoico è assai poco solubile in questo solvente. RenpIcONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 80 — 230 — L'acido o- nitrosobenzoico è stato ottenuto pochi anni or sono da E. Fi- scher (!) per ossidazione del fenilossindolo; come si vedrà più avanti, la sua preparazione della o- nitrobenzaldeide può riuscire ora più vantaggiosa. La reazione ora accennata ricorda la trasformazione dell'o» nitrobenzili- denacetofenone in azzurro d’' indaco ed acido benzoico per azione della luce, osservata da Engler e Dorant (?). o- Nitrobensaldeide in solventi indifferenti. La metamorfosi dell’aldeide o- nitrobenzoica in acido 0- nitrosobenzoico si compie ugualmente bene, ed è anzi più rapida, impiegando un’'opportuno solvente, che non partecipi che reazione. Benzolo. — La soluzione dell’aldeide in benzolo è così sensibile alla luce, che basta una mezz'ora di esposizione al sole perchè essa si riempia d'una polvere cristallina (3). La reazione avviene in modo così rapido e com- pleto che essa può servire quale metodo di preparazione dell'acido 0- nitro- sobenzoico. Il prodotto, che è già puro per sè stesso, venne fatto cristalliz- zare dall'alcool. Esso ha la composizione e tutte le proprietà descritte da E. Fischer; anche noi trovammo che l'acido annerisce a 180° e che si scom- pone fra 205 e 210°. La sua soluzione alcoolica è colorata in verde smeraldo, Etere ed acetone. — 1l contegno dell'aldeide o- nitrobenzoica in que- sti due solventi è quasi identico. La soluzione, che è debolmente colorata in giallo, prende già dopo poche ore di insolazione un colore verde, il quale va aumentando mentre le pareti si ricoprono d'uno strato di materia cristal- lina. Col crescere del deposito cristallino sparisce poi la colorazione verde ed il liquido ritorna giallo. Essendo l'acido o-nitrosobenzoico assai poco so- lubile nell’etere e nell’acetone, tutto il prodotto resta aderente alle pareti del tubo, nel solvente non si trovano che piccole tracce d’una materia bruna. La ragione perchè nel benzolo la trasformazione sembra avvenire più rapida, risiede probabilmente dal fatto che nell’ etere e nell’acetone l'acido o- nitrosobenzoico forma più facilmente delle soluzioni soprasature. o- Nitrobenzaldeide in alcooli. Il contegno dell'aldeide o- nitrobenzoica in soluzione alcoolica merita speciale menzione, perchè in questo caso invece dell'acido o- nitrosobenzoico si ottengono i rispettivi eteri composti. Il fatto per sè stesso non sarebbe (1) Berichte vol. 29, pag. 2064. (2) Ibid. vol. 28, pag. 2497. (3) Questa trasformazione è così pronta, che è strano che non sia stata avvertita, tanto più che l’aldeide o- nitrobenzoica è oggetto di preparazione industriale. È proba- bile che il fatto sia stato osservato, ma non abbia ancora formato argomento di una speciale ricerca. — 281 — rimarchevole, ma lo diventa per la circostanza che l'acido o- nitrosobenzoico ‘se viene esposto alla luce in presenza di alcool (etilico) nelle stesse condi- zioni, non si eterifica, come non lo fa l'acido 0- nitrobenzoico. Naturalmente non possiamo eseludere che in questi casi avvenga una lenta eterificazione, vogliamo solamente porre in evidenza il fatto che la trasformazione dell'aldeide ‘o- nitrobenzoica in etere o-nitrosobenzoico si compie con una assai maggiore velocità. La ragione di questo diverso contegno dell'aldeide o-nitrobenzoica, e ‘dell'acido o- nitrosobenzoico, in presenza di alcool potrebbe ricercarsi nella formazione dell’alcoolato da parte della prima, alcoolato che verrebbe poi ossidato a spese dell'ossigeno del residuo nitrico. La reazione potrebbe effet- tuarsi secondo i seguenti schemi: 1 CH, . NO; CsH4. NO; 7 | + C.H; . OH = | CHO CH(0H) (0C;H;) 9 CsH, . NO; CsH,. NO CH, . NO 3 2 = + H.0 . I 5 CH(OH) (0C-H;) C(OH)..0C:H, C00C;H; Alcool etilico. — Il comportamento dell’aldeide o-nitrobenzoica alla luce in soluzione alcoolica è già stato descritto più sopra. Vogliamo qui ancora aggiungere che la trasformazione non sembra essere mai completa nel senso che oltre all’etere etilico si produce anche l'acido 0- nitrosobenzoico, il quale rimane disciolto nell'alcool. Esponendo in un tubo una soluzione di 1 gr. di aldeide o-nitrobenzoica in 20 c.c. d'alcool assoluto, si ottennero 0,7 gr. di etere. In un'altra esperienza invece con 10 gr. di aldeide in 200 di alcool etilico, esposti in un matraccio chiuso alla lampada, si ebbero soltanto 2,8 gr. di etere ed in questo caso v'era nel liquido oltre all'acido anche dell'aldeide o-nitrobenzoica inalterata. Può darsi però che sulla ve- locità di reazione abbia influenza anche lo spessore dello strato di soluzione che trovasi esposta alla luce. Come s'è già accennato, i cristalli, che in questo modo si ottengono, non hanno colore, ma fondono, a 120-121°, in un liquido verde smeraldo. Essi hanno la composizione dell'etere etilico dell'acido 0-mnitrosobenzoico. Sic- come questo composto non era ancora stato descritto, lo abbiamo preparato dall’acido o-nitrosobenzoico, passando pel sale argentico. Questo si ottiene agevolmente dalla soluzione ammoniacale, verde, dell'acido per trattamento con nitrato argentico; esso costituisce una polvere d'un colore verde pallido. La scomposizione doppia col joduro etilico, si effettua già a freddo in solu- zione alcoolica ed il prodotto, convenientemente purificato, fonde anch'esso a 120-121° ed ha tutte le proprietà del composto ottenuto per azione della luce. — 232 — Vogliamo per ultimo aggiungere che se si lascia esposta all’azione della luce per molto tempo, tutta l'estate ad esempio, l’aldeide o- nitroben- zoica in soluzione alcoolica, i cristalli ora descritti si ridisciolgono e si for- mano altri prodotti, su cui ci riserbiamo di ritornare a suo tempo. Alcool metilico. — L'andamento esteriore del fenomeno è assai simile a quello che si osserva coll’alcool etilico. Anche in questo caso dal liquido, che va acquistando una colorazione verde, si separano grossi cristalli privi di colore, che possono facilmente, lasciando tranquillo il tubo, raggiungere la lunghezza di 2 cm. Sono tavolette di aspetto rombico. La trasformazione anche coll’alcool metilico non è completa: da 3 gr. di aldeide se ne ebbero, ad es., 2 di prodotto. Cristallizzato dall'alcool metilico il nuovo composto fonde, a 152-153°, in un liquido verde smeraldo. Esso ha la composizione dell'etere metilico dell’ acido 0-nitrosobenzoico e certamente questa deve essere la sua costituzione. Alcool isopropilico. — Era interessante conoscere l'influenza di un al- cool secondario sulla trasformazione dell’aldeide o- nitrobenzoica. Il risultato fu il seguente: l'alcool isopropilico si comporta come un solvente indifferente, si ottiene cioè soltanto l'acido 0- nitrosobenzoico. Questo fatto non deve re- care meraviglia, perchè è noto che gli alcooli secondari sono più tardi nelle loro azioni chimiche di quelli primarî. o- Nitrobenzaldeide in paraldeide. Il contegno dell’aldeide o- nitrobenzoica in soluzione di paraldeide è, per la massima parte, quello che si osserva in solventi indifferenti. Il liquido si colora assai presto in verde ed alla comparsa della colorazione fa tosto se- guito il deposito di una sostanza cristallina, che rimane attaccata alle pa- reti del tubo. Alla fine della trasformazione il liquido riprende un colore giallo. La materia solida separatasi è l’acido 0- nitrosobenzoico; esso costi- tuisce quasi tutto il prodotto, perchè da 4 gr. di aldeide se ne ebbero in due esperienze successive rispettivamente 3,5 e 3,6 gr. Nell'alcool, da cui il detto acido s'è separato, si trova però disciolta un'altra sostanza, ma na- turalmente, dopo quanto s'è detto, in assai piccola quantità. Svaporando il solvente, si ottiene un residuo cristallino, che si purifica assai facilmente dell'alcool. Esso forma dei grossi prismi, che non hanno colore e che fon- dono a 121°. Nè in soluzione, nè allo stato fuso, il detto composto si mostra colorato, esso non contiene dunque il radicale dell'acido nitroso. La sua com- posizione corrisponde alla formola C°H, 0: N. È indifferente, riduce la soluzione ammoniacale di nitrato argentico ; bollito con gli alcali non si trasforma in azzurro d'indaco. Per la sua com- posizione ed i suoi caratteri questo corpo potrebbe essere l’aldeide o- nitro- — 233 — cinnamica, ma il punto di fusione non corrisponde, perchè quest’ ultima fonde a 127° (1). La piccola quantità di materia da noi avuta finora, non ci ha permesso di fare delle altre prove per determinare la natura di questa interessante sostanza. Sperammo di ottenere migliori rendimenti di questo corpo impiegando l'aldeide acetica in luogo della paraldeide, ma senza frutto. Non si ottiene che il solito acido o- nitrosobenzoico e piccola quantità di materia resinosa. COMPORTAMENTO DELLE ALTRE DUE ALDEIDI NITROBENZOICHE. Il contegno di queste due sostanze in soluzione alcoolica alla luce è totalmente diverso da quello dell’aldeide o- nitrobenzoica ; certamente non si producono i rispettivi acidi nitrosobenzoici e le aldeidi restano in parte inalterate. La m-nitrobenzaldeide esposta alla luce in soluzione di alcool assoluto, sì trasforma in gran parte in una materia resinosa, da cui l'etere petrolico estrae piccole quantità della sostanza rimasta inalterata. La resina sì presta male ad ulteriori ricerche. La p- nitrobenzaldeide si resinifica meno facilmente, ma sembra restare in gran parte inalterata. L'alcool contiene aldeide acetica. È possibile che con una esposizione prolungata si possano avere risultati migliori. Per ultimo vogliamo qui ricordare la cortesia della Casa Kalle & C°. di Biebrich s. R., la quale ci ha fornito le nitroaldeidi, che hanno servito alle esperienze descritte in questa Nota. Mineralogia. — Azione chimica dei solfuri di ferro e del solfo nativo sul rame e sull’argento a temperatura ordinaria e a secco. Nota del Socio GIOVANNI STRUEVER. Facendo seguito alla mia Nota presentata il 3 marzo scorso, stimo oppor- tuno di comunicare ora alcune altre osservazioni che ho potuto fare prima e dopo quella data. Tutte furono ripetute molte volte per evitare ogni pos- sibile illusione. Era ovvio di provare anzitutto composti analoghi, per composizione chimica, alla hauerite, quali la pirite, la marcassite, la cobaltite, l’ arsenopirite. La pirite stenta a produrre l’annerimento, almeno occorre generalmente un tempo non breve per accorgersi dell’ effetto. La marcassite invece agisce immediatamente. La differenza si potrebbe forse spiegare per la stabilità in generale meno (1) Vedi Beilstein 3 ediz. III, pag. 59. — 2384 — grande della marcassite di fronte alla pirite. Ambedue non agiscono che sul rame e sull’argento; non osservai mai la ben menoma traccia di alterazione del platino, del piombo, dello zinco, dello stagno, del ferro, del nichelio, dell’ antimonio, del bismuto. La cobaltite e l’arsenopirite non agirono su nessuno dei metalli indicati, compreso il rame e l'argento. Invece un solfuro di ferro meno ricco di solfo della pirite e della mar- cassite, cioè la pirrotite, agisce rapidissimamente, certo non meno della mar- cassite, sull’argento e sul rame, ma non sugli altri metalli sperimentati. E questo fatto sorprende alquanto, perchè si sa che riscaldando nel matrac- ciolo il bisolfuro di ferro, si sublima parte del solfo e rimane un residuo di composizione analoga a quella della pirrotite, talchè questa sembrerebbe un composto piuttosto stabile, almeno all'aria asciutta. Provai, ma con risultati sempre negativi per tutti i metalli adoperati, anche dei sesquisolfuri, l’antimonite cioè e l'orpimento, e parecchi mono- solfuri. Pare quindi che per agire sensibilmente, almeno entro breve lasso di tempo, ci vogliano in genere dei solfuri ricchi di solfo. E questa ipotesi è confermata dal fatto che, più energicamente e più prontamente di tutti i sol- furi, agisce il solfo nativo, sempre sul rame e sull’argento, non sugli altri metalli sopra menzionati. Basta collocare un cristallo di solfo, od anche un frammento, sopra una lastra di argento o di rame, per vedere immediata- mente abbrunirsi il metallo, e dopo poche ore si è formato un deposito nero cristallino uniforme su tutta l'area del metallo venuta a contatto col piano con cui il cristallo poggia sulla lastra, o in tutti i punti di contatto col frammento. Di lì l’ annerimento si estende tutto attorno. Non è inutile notare che i soli metalli che finora mi dettero risultati positivi, sono precisamente quelli che in natura di preferenza formano sol- furi della formola generale M,S e nella tabella degli elementi si trovano uno accanto all'altro. Sarebbe stato quindi indicato di sperimentare anche l'oro, ma non riuscii a procurarmi una lastra d'oro puro, senza lega, e, non conoscendosi in natura alcun solfuro d’oro, non feci l’esperienza. Interessante è il modo di comportarsi del piombo col solfo. Sopra una lastra del metallo, ben tersa e resa di splendore metallico uniforme, fu col- locato un cristallo di solfo nativo con una sua faccia naturale. Dopo pochi giorni l'intera lastra rimase appannata per il contatto coll’ aria, salvo lad- dove era coperta dal solfo. Questa area è ancora splendente al giorno d'oggi, parecchie settimane dopo il principio della semplice esperienza. I fatti sopra esposti tendono a rendere più interessante il fenomeno per l'origine e la trasformazione dei minerali in natura. Se esso si limitasse alla sola hauerite, trovata sino ad ora in pochissimi luoghi e in non grande quantità, sì potrebbe sostenere che, nonostante la grande diffusione del man- ganese in natura, l'occasione a produrre reazioni chimiche si dovesse pre- sentare assai di rado al bisolfuro di manganese. Ma ora, constatato che anche — 235 — i solfuri di ferro agiscono in modo analogo, la questione cambia aspetto per la grande diffusione di questi solfuri in tutte le formazioni, in tutte le re- gioni della terra. Visto che il solfo agiva energicamente, volli provare anche l’ arsenico, almeno col rame e coll’argento, e posi frammenti di arsenico nativo a su- perficie fresca argentina sopra lastre dei due metalli. Il risultato però fu sempre negativo, locchè va anche di accordo coi risultati negativi dati dalla cobaltite e dalla arsenopirite. Per vedere ancora se la presenza dell’aria e dell'umidità di essa in- fluisse notevolmente sul fenomeno o la provocasse, avrei voluto sperimentare in condizioni tali da escludere in modo assoluto l’aria e l'umidità, ma non permettendomi i mezzi di cui dispongo, di ottenere l'esclusione completa dell’ atmosfera, collocai in tubicini di vetro ben chiusi con tappo lastrine di rame con cristalli di hauerite e di solfo nativo. Il fenomeno, cioè l’ anneri- mento del metallo, avvenne lo stesso e con velocità non sensibilmente mi- nore che all'aria aperta. Dissi già nella Nota precedente che una eventuale formazione di solfuro d'idrogeno mi pareva esclusa dal fatto che cristalli di hauerite collocati nella biacca di piombo e a contatto dell’ aria non produssero, nemmeno dopo mesi, l’annerimento della biacca. Volli ripetere più volte l’esperienza, e non solo colla hauerite, ma anche col solfo, collocando cristalli dei due minerali con della biacca finamente polverizzata sul rame e sull’argento, in modo che le tre sostanze venissero a contatto immediato. Orbene, mentre il metallo si annerì subito, la biacca è rimasta perfettamente bianca. Parrebbe quindi che con qualche fondamento si possa supporre che, nel caso del solfo, questo si combina direttamente col metallo formando un sol- furo cristallino o cristallizzato, e che, nel caso dei solfuri, i quali produs- sero il fenomeno, il metallo provochi una dissociazione del solfuro approprian- dosi parte del solfo. Ciò non toglie che il residuo del solfuro, che nel caso della hauerite potrebbe essere monosolfuro di manganese o alabandite, ovvero anche il solfuro che rimane sottoponendo la hauerite nel matracciolo alla distilla- zione, si scomponga poi all’ aria secca o umida dando luogo alla formazione di hausmannite o ossido manganoso-manganico o di qualche ossido idrato di manganese a polvere bruna. Tutto ciò sarebbe in perfetto accordo col rapido abbrunimento superficiale della hauerite a contatto col rame e coll’ argento, e coll abbrunimento molto più lento della stessa hauerite nelle collezioni a contatto dell'aria. Non fu possibile sinora di separare quella sottile patina bruna dalla sottostante hauerite, massime per la polvere rossa che è carat- teristica del bisolfuro di manganese. In ultimo mi sia permesso di richiamare l'attenzione sopra un fatto fisico che mi occorse di constatare tenendo, mediante morsa ma senza forte — 236 — pressione, ‘una larga faccia accuratamente pulita di hauerite a contatto con lastre di rame e di argento. Mentre l'annerimento del metallo procede come dissi già nella precedente Nota, con produzione cioè di deposito nero distin- tamente cristallino sul metallo, minute particelle di questo, di variabili di- mensioni, dotate di perfetto splendore metallico e visibili ad occhio nudo, penetrano qua e là nella hauerite, od aderiscono a questa in modo da non poterle togliere strofinando fortemente con un panno la superficie del mine- rale. Le lastre metalliche erano state rese previamente ben terse. Nemmeno in questo caso si potrebbe pensare alla così detta soluzione solida, quale generalmente s' intende. Matematica. — Sui prodotti infiniti divergenti. Nota del prof. ErTtoRE BORTOLOTTI, presentata dal Socio V. CERRUTI. La teoria dei prodotti infiniti, nonostante i lavori di Cauchy, Weier- strass, Stolz, Dini, Pincherle, Pringsheim (!), è delle meno sviluppate: poco o nulla si sa del modo di tendere verso lo zero o verso l'infinito di quelli che non convergono, ed anche nel caso della convergenza, non parve fino ad ora di poter scompagnare lo studio dei prodotti infiniti da quello delle serie. È innegabile, d'altra parte, l’importanza che quegli algoritmi hanno in analisi, specialmente nello studio delle trascendenti intere; ed ho perciò rite- nuto che non fosse senza qualche pratica utilità lo stabilire alcune proprietà generali sul modo con cui essi si comportano nell'intorno dell'infinito. Mi sono a tal uopo giovato di alcune mie recenti ricerche, Sulla deter- minazione dell'ordine di infinito (*), ed ho potuto trovare, in modo semplice ed elementare, facili e generali criterî di convergenza metodi e regole per l'assegnazione dell'ordine di infinito, nel caso della divergenza; senza bisogno di ricorrere allo studio di determinate serie, ma col semplice esame del ca- rattere infinitesimale della successione dei fattori. IE 1. Se la successione YP,= I(1+C){(n=1,2,...) ha limite de- 1 terminato (finito, nullo od infinito), è sempre possibile, associando i fattori (*) Cauchy, Anal. Alg., pag. 562; Weierstrass, Crelle, vol. LI, pag. 18 (1856); Stolz, Vorlesungen Allg. Arithm., Bd. II, pag. 238; Dini, Ann. di mat., 2. ser., II, pag. 85 (1870); Pincherle, Rend. Acc. di Bologna (1883); Pringsheim, Mat. Annalen, XXII, pag. 478; XXXIII, pag. 119 (1889); XLIV, pag. 413 (1894). Per una bibliografia completa in questo argomento si rimanda all'articolo di Pringsheim nella Enciclopedia Matematica. (2) Atti della Società dei naturalisti e matematici di Modena (1901). — 237 — in modo opportuno, dare al prodotto infinito una delle due forme: ie re 1 1 i lo = delle quali la prima conviene a prodotti che sono infinitesimi, l’altra a quelli che sono infiniti per n=. Supponiamo prima che il prodotto 77 (1 C,) sia infinitesimo. Poniamo 1 (1) P,=I(1-+0) e distinguiamo due casi: e) per ogni x fissato ad arbitrio esiste un numero positivo m tale che II 0 eee nvece Pain 0; Nel caso a) si estragga dalla successione P, una successione monotòna di numeri positivi tendenti allo zero: ) PAPER ap, DEA n Nel caso £) si costruisca una successione analoga alla (2) coi valori assoluti di una successione monotòna di numeri negativi tendenti allo zero. In ogni modo, ponendo: (3) cioè: (4) (1-4 Ox0a)(1 + Caso)(1-+ 02,03) «+ (1+ 0a )|=1—Aner avremo : (5) |Pa,|[= Pa =(1—A)(1— A)... (1—-An) ed il prodotto infinito si trasformerà nell’ altro (6) Ali), dove è: (7) IA:>O0. RenpiconTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 531 2. Si osservi che è i (8) On = N epperò che, se per 27 > si ha (9) |P. <8; si ha ancora (10) Eicoe, Ciò prova che P,! non è infinitesimo di ordine minore di P,. Potremo esser certi che P,, e P,,} sono infinitesimi dello stesso ordine, se il rapporto n non tende all'infinito per # = 0, cioè se @, è infinito del primo ordine. Se poi «n è infinito di ordine finito o transfinito, ma determinato: potremo facilmente conoscere l'ordine di infinitesimo di P, dopo calcolato quello di P,! applicando le regole date al loc. cit. per la determinazione dell'ordine delle funzioni di funzioni. In particolare, se l'ordine di infinito di @, è il numero determinato e finito a, quello di P,' è il numero pure determinato e finito d, si avrà quello P,, facendo il quoziente 2, 8. Le considerazioni fatte per prodotti infinitesimi si estendono imme- diatamente a prodotti divergenti verso l'infinito (determinato di segno). Questi perciò, si potranno sempre trasformare in prodotti della forma: (12) U(1+Ax) 0 0. Sieno AB. ’ AB ) AB+2, IPO AR due dei termini consecutivi della (13) insieme con tutti gli altri termini intermedî della successione totale }A,{. Considerando, per fissare le idee, il caso di prodotti della forma ZZ7(1—A,,), avremo dalla (7) (1- A8,+1)(1 _ Ap +2) ... (1 Ag. ili Ponendo dunque (14) (1— Ag.+1)(1—A8,+2)...(1—Ag_,)=1—Bp,, avremo: (15) I > Bh > Ag, 2%; ed il dato prodotto infinito si trasformerà nell'altro: I(1— Bg, 1 n< Bg, <1. (16) Sempre facendo sulla determinazione dell'ordine di infinito le riserve indicate al n. 2, si può dunque supporre che, se Ze A, delle formule (6), (12), non tendono al limite sero, abbiano limite inferiore diverso dallo sero. 6. Le proprietà infinitesimali dei prodotti che sono infinitesimi per n= 0%, si desumono facilmente da quelle di prodotti che tendono all'infinito, poichè, se si ha: (17) ,=H(1-B), ponendo: (18) B,=; n DI sì trova: (19) ve 3 O SSR TFT) Ft) Segue da ciò che: Se limP,=0, deve essere lim I(1 + A,)=0c. n=. 1 n=0%0 — 240 — L'ordine di infinitesimo di P,, è conosciuto quando si conosca quello di infinito di I (1+ A,), e le proprietà delle B,, si ricavano immediatamente da quelle, supposte note, delle A,. Nel seguito ci occuperemo perciò solamente di prodotti infiniti della forma II(1-+- An). Mineralogia. — Su un pirosseno sodifero dei dintorni di Oropa, nel Biellese (*). Nota di FERRUCCIO ZAMBONINI, presentata dal Socio STRUEVER. Precisamente nel tempo in cui il Fischer (?) sosteneva con maggior energia che la giadeite dei manufatti preistorici trovati in vari punti della Svizzera, della Stiria, del Piemonte ecc. non proveniva da giacimenti alpini, il Damour (3) pubblicava l'analisi di una roccia, che per la composizione chimica si avvicinava alla giadeite, e che Bertrand de Lome asseriva di aver raccolto in posto a St. Marcel, nella Val d'Aosta. E due anni dopo, nel 1883, A. B. Meyer e A. Arzruni (4) prognosticavano il ritrovamento della giadeite nelle Alpi occidentali. Qualche anno dopo lo stesso Meyer (°) riconosceva che i pezzi grezzi trovati nella Valle d'Aosta, presso St. Marcel, sono di gia- deite. Un pirosseno sodifero di St. Marcel è stato analizzato più recentemente da S. L. Penfield (5), che lo ha descritto come giadeite, mentre per la forte percentuale (11,99°/,) di ossido ferrico, sembra si tratti piuttosto di cloro- melanite, che secondo il Damour (7) è una giadeite con elevato tenore in ferro. Al Mrazec (8) si deve poi un interessante studio di un ciottolo di gia- (‘) Lavoro eseguito nel Gabinetto di mineralogia della R. Università di Roma. (2) Il Fischer ha pubblicato in proposito varie Note nel Neues Jahrbuch fir Miner. Geol. u. s. w., specialmente negli anni 1879-1884: la questione è poi trattata a fondo nel suo libro: Nephrit und Jadeit nach ihren mineralogischen Eigenschaften, sowie nach ihrer urgeschichtlichen und ethnographischen und etnographischen Bedeutung. Stuttgart. 1880. (3) Nouvelles analyses sur la jadéite et sur quelques roches sodifères. Bull. Soc. frans. de minér. 1881, IV, 157. (4) Neue Beobachtungen am Nephrit und Jadeit. Zeitsch. f. Ethnologie XV. Jahrg. 1883, pag. 163. (5) Neue Beitràge zur Kenntniss des Nephrit und Jadeit. Abhandl. und Berichte des k. zool. und anthrop. etnogr. Museums. Dresden 1891. (6) Minerals from the Manganese Mines of St. Marcel in Piemont, Italy. American Journal of sciences and arts, 1893, XLVI, 288. (?) Nouveaua essais sur la chloromelanite. Bull. Soc. frang. de minér. 1893, pag. 57. (8) Note sur une jadéite du Piemont. Bulletin de la Société des sciences de Buka- rest, 1898, VII, 187. — 241 — deite, ritenuto proveniente dal Piemonte, ed al Piolti (!) la descrizione di un altro ciottolo, trovato nel morenico, presso Rivoli. È però l'ing. S. Franchi (*) che ha tolto ogni dubbio sulla esistenza di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali. Egli ha descritto numerosi giaci- menti, ed ha eseguito una comparazione molto importante tra le roccie da lui trovate ed il materiale della stazione neolitica di Alba. L' egregio autore, che nel suo lavoro ha descritti solo alcuni dei giacimenti scoperti, mi ha invitato, con una cortesia della quale gli sono ben grato, ad eseguire lo studio chimico-mineralogico di un bel pirosseno, che forma la massa princi- pale di un'eclogite da lui raccolta nei dintorni di Oropa. Trattandosi di un giacimento affatto nuovo, ho accettato ben volentieri il gradito incarico, nella speranza di portare un non inutile contributo allo studio delle roccie a pi- rosseno sodico delle Alpi occidentali, le quali sembrano avere una reale im- portanza geologica per la loro frequenza e per la varietà di tipi litologici. Sul giacimento di questa interessante eclogite dei dintorni di Oropa, l'ing. Franchi mi comunica quanto segue: « Attraverso alle basse valli dell'Orco, della Chiusella e della Dora, e « quindi attraverso alle valli del Biellese ed alla Valle Sesia, a nord-ovest « della zona metafiro-serpentino-dioritica detta di Ivrea, si sviluppa una po- « tentissima formazione di micascisti, nella quale come già notava lo Stella, «e come accennai nel mio lavoro sulle roccie giadeitiche, vi sono dei tipi « di roccie a granato, a glaucofane, a pirosseno sodico e talora con tutti e « tre i minerali anzidetti contemporaneamente, le quali si possono dire veri « micascisti eclogitici. In tale zona di micascisti, oltre ad altri tipi di roccie, « trovano il loro giacimento numerosi noduli, lenticciuole e masse lentico- « lari, più o meno grandi, di roccie costituite essenzialmente da pirosseni « sodici, prossimi alla giadeite o alla cloromelanite, o da questi pirosseni « con più o meno granato, con mica bianca, glaucofane e talora distene, cioè « di roccie eclogitiche di tipi diversi. Una di queste masse lenticolari in- « cluse nei micascisti del versante meridionale della Cima Cucco, ad est di « Oropa, è di una eclogite a grandi elementi, particolarmente interessante « per il singolare sviluppo degli elementi pirossenici. Questi sono talora lunghi « sette ed otto centimetri e grossi uno, di color verdognolo chiaro, e costi- « tuiscono l’ elemento più importante della roccia, della quale gli altri ele- « menti essenziali sono granato, anfibolo violetto, e mica bianca in larghe « lamelle. Al microscopio, in lamina sottile, il pirosseno è incoloro, presenta «i clivaggi prismatici marcati solo in alcune plaghe, frequenti fratture tra- (1) Sulla presenza della giadeite nella valle di Susa. Atti della R. Accad. delle scienze di Torino. 1899, XXXIV, disp. 12. (?) Sopra alcuni giacimenti di roccie giadeitiche nelle Alpi occidentali e nell'Ap- pennino Ligure. Bollettino del R. Comitato Geologico, 1900, n. 2, pag. 119. — 242 — sversalî riempite di elementi secondari, e numerose inclusioni di pirosseno con orientazione diversa, di anfibolo e di mica bianca, più rare di rutilo e spesso di calcite, la quale è in alcuni punti così abbondante, che la roccia dà cogli acidi effervescenza. Il pirosseno in parola non presenta nes- suna sensibile dispersione. Il granato in elementi da 3 a 5 mm. presenta un processo di avanzata metamorfosi in clorite. L'anfibolo sodico, legger- mente colorato in violetto, presenta sovente un involucro di anfibolo verde, che sembra uno stato intermediario della sua visibile ulteriore trasforma- zione in clorite. La mica bianca in larghe lamelle è, nella maggior parte dei casi, una muscovite biasse; però non mancano lamelle quasi rigoro- samente uniassi. Altri elementi subordinati sono quarzo, calcite, un pla- « gioclasio acido (Albite?), epidoto, clorite, in parte almeno secondari, e « riempienti le fessure prodotte nei diversi minerali costituenti da una evi- « dente laminazione della roccia ». L'esame del pirosseno di questa eclogite presentava un particolare in- teresse, perchè la facilità con la quale si possono ottenere dei prismi di sfal- datura, doveva permettere un facile studio di proprietà ottiche decisive tra il sistema monoclino ed il triclino. Come è noto, Des Cloizeaux (') che ha eseguito per il primo lo studio ottico della giadeite, la ritenne monoclina, e dello stesso parere fu il Krenner (*), che ripetè le osservazioni su campioni portati dalla Birmania superiore dal conte Széchényi. Anche Cohen (3) con- cluse per il carattere monoclino di questo minerale. Invece Arzruni (‘) os- servò che l'estinzione rispetto alle due direzioni di sfaldatura non era la stessa, e quindi ritenne la giadeite triclina. In posteriori lavori (°) pubblicò altre osservazioni in proposito. Tutti gli altri mineralisti che si occuparono dopo Arzruni delle pro- prietà ottiche della giadeite, la ritennero monoclina. Tra essi basti citare Fischer (5), Merill (7), e Max Bauer (8). Special- mente importanti sono le ricerche dei due ultimi, che eseguirono numerose osservazioni. R n R SÌ USI » » [I [N » UN (1) In A. Damour, Il. c. (2) Veber Jadeit. Neues Jahrbuch f. Min. Geol. u. w., 1883, II, 173. (3) Veber Jadeit von Thibet. Ibidem, 1884, I 71. (4) In A. B. Meyer, Rohjadeit aus der Schweiz. « Antiqua » Unterhaltungsblatt fur Freunde der Alterthumskunde. Zurich, 1884. (°) Neue Beobachtungen am Nephrit und Jadeit. Zeitsch. fir Ethnologie, 1883, XV Jahrg, pag. 163; Verschiedene Notizen ber Nephrit-u. Jadeitbeile Verhandl. Berliner Anthrop. Gesellsch., 1884. (6) Mikroskopisch-mineralogische Miscellen. Zeitsch. f. krystall. 1880, IV, 371. (7) F. W. Clarke and G. P. Merill, On Nephrite and Jadeite. Proceedings U. S. National Museum, 1888, pag. 115. (8) Der Jadeit und die anderen Gesteine der Jadeitlagerstàtte von Tammaw in Ober Birma. Neues Jahrbuch f. Min. Geol. u s. w. 1896, I, 18. — 243 — Nell eclogite trovata dal Franchi il pirosseno si presenta in individui di varia grandezza, che hanno colore verde molto chiaro. In altri punti della roccia, il pirosseno ha colore molto più scuro: si trovano anche dei pezzi in cui il colore è variabile nei diversi punti. Dai frammenti più omogenei non è difficile ottenere dei prismi di sfaldatura, che, a causa dello scarsissimo splendore delle facce non permettono che delle misure approssimate: i valori trovati sono però assai vicini a 87°. Questi cristalli presentano quasi sempre, nelle sfaldature fresche, uno splendore setaceo ed un aspetto fibroso, che somiglia molto a quello di certe giadeiti, per es. a quelle trovate dal Né- tling (') a Tammaw, che furono descritte dal Bauer (loc. cit.). Oltre alla muscovite, al granato ed alla gastaldite, quest'ultima piut- tosto rara, nei campioni datimi dall'ing. Franchi si osservano anche dei piccoli granuli di pirite, che sì rinvengono talvolta anche nell'interno degli individui di pirosseno. Da due prismi di sfaldatura feci fare sezioni parallele alle due faccie (110) e (110). In due di queste sezioni, staccate da un prisma piuttosto grande, si ebbe: su (110) estinzione rispetto all'asse verticale uguale a 34° su (110) ’ ’ ’ 7 I SI: SEA Le altre due sezioni tagliate in un piccolo prisma dettero per l’ estin- zione dei valori uguali, oscillanti come nelle precedenti, tra 34° e 35°. Senza nessun dubbio quindi il pirosseno dell’ eclogite di Cima Cucco appar- tiene al sistema monoclino. Per l'analisi chimica si scelsero di frammentini di colore verde chiaro, assai puri, come dimostra il fatto che la polvere trattata cogli acidi, non sviluppava che pochissime bolle di anidride carbonica, in quantità affatto in- determinabili. Lo stato di freschezza del materiale è dimostrato dalla te- nuissima perdita per calcinazione osservata. Io non rinvenni, come già il Mrazec ed il Penfield nei campioni da essi esaminati, altro che ossido ferrico. Determinazioni concordanti hanno dato i seguenti risultati : (1). I II Trovato Calcolato Si 0z 53,54 53,45 Al; 03 14,79 14,60 Fe. 0; 5,14 5,09 Ca 0 14,83 15.15 Mg 0 3,59 3,82 Na, 0 (Aia 7,39 Keo, 0,27 — Perdita al fuoco 0,28 _ 100,17 100,00 (1) Veber das Vorkommen von Jadeit in Ober-Birma. Ibidem. pag. 1. ia. Per la composizione chimica, questo pirosseno si avvicina molto alla roccia sodifera di Nantes, analizzata dal Damour, e che contiene le stesse quantità di silice, allumina e calce del nostro. Anche il pirosseno di St. Marcel, studiato dal Penfield, presenta una grande analogia con quello da me ana- lizzato. Penfield però ha trovato il doppio di ossido ferrico. Dalla mia analisi segue la formula 8 Na, Al; Si, 012 2 Ca Fe. Si Og Cas: Als Six 06 6 Ca Mg Si, 0; 8 Ca Si 0; che richiede i numeri II (v. sopra). Il pirosseno dell’ eclogite di Cima Cucco, contiene dunque, secondo questa formula, 51,4/, di silicato della giadeite Na, Al, Si, 012, il 20,69%, di silicato del diopside Ca Mg Si. O;. Esso appartiene, come quelli studiati dal Penfield, dal Piolti e da altri, non alla tipica giadeite, ma a quel gruppo di pirosseni che per il loro elevato tenore in elementi esavalenti ed in sodio, sì possono chiamare pirosseni giadeitoidi. Chimica fisiologica. — Ossidazione biologica del fencone. Nota preliminare del dott. E. RIMINI, presentata dal Socio PATERNÒ. In un mio lavoro pubblicato di recente intorno a ricerche fisiologiche sugli isomeri della canfora e loro principali derivati, mi sono occupato in ispecial modo dell'azione che il fencone esercita sull'organismo in generale e sui sistemi circolatorio e nervoso in ispecie. Mi avevano indotto a questo studio alcune analogie chimiche che pas- sano tra il fencone e la canfora e sopratutto il fatto, da Angeli e me a suo tempo reso noto, che da questi isomeri per mezzo di successive ed analoghe trasformazioni rappresentabili dal seguente schema: Canfora Fencone Canforossima Fenconossima Pernitrosocanfora Pernitrosofencone Isocanfora sì può pervenire ad un unico prodotto non saturo di natura chetonica, iso- 04 — mero del fencone e della canfora, cui spetterebbe la seguente formola di costituzione : C.CH; HC CO H.;C3.HC CH, CH, Come risulta da alcune esperienze che ora credo opportuno di riportare, l'azione generale del fencone somministrato a cani per via gastrica non si esplica in modo perfettamente identico come se fosse dato per altre vie, poichè anche se le dosi sono eccessivamente elevate, rispetto alla mole dell’ animale, i fenomeni convulsivi ritardano alquanto, difficilmente si rinnovano e l’'ani- male sfugge alla morte o come avvenne talvolta muore parecchi giorni dopo la somministrazione del veleno. Se poi si opera con cani robusti e si ha l'avver- tenza di dare piccole quantità di fencone nell’ inizio dell’ esperimento, sì pos- sono fare ingerire dosi giornaliere abbastanza elevate e per molti giorni di seguito, prima che si manifestino i fenomeni d' intossicazione. EspPERIENZA I. — Ad un cane del peso di kgr. 3,500 si somministrano per mezzo di sonda esofagea, grammi cinque di fencone sciolti in pari quan- tità di olio. Due ore appresso l’ animale è preso da forti convulsioni seguite da abbattimento di tutto il corpo e da cui l’animale non può più riaversi. I feno- meni principali, presentati durante dieci giorni di vita, sono nei primi giorni anorressia e prostrazione generale delle forze. L'animale chiamato ha appena la forza di sollevare la testa; tolto dalla gabbia non si regge in piedi. Nel quarto giorno sopravviene un’ ipersecrezione delle mucose congiuntivale, nasale e boccale; ma le forze sono un poco riacqui- state poichè, sebbene con difficoltà, il cane riesce a camminare barcollando. Nell'ottavo giorno cominciano a comparire feci sanguinolente che si man- tengono tali sino all'undecimo giorno in cui l’animale muore. EspPERIENZA II. — Ad altro un cane del peso di kgr. 13 si somministrano, nel modo sopradetto, grammi dieci di fencone. Circa tre quarti d'ora dopo le somministrazione, sì notano nell’ animale tremiti, movimenti di ondeggia- mento dovuti a perdita dell’ equilibrio, poscia scosse del capo e dopo 50 minuti cade su di un fianco gettando un grido ed in preda ad una convulsione gene- rale della durata di circa 2 minuti, con emissione di bava, perdita delle urine e battimento dei denti. Le convulsioni non si ripetono e l’animale si va rimettendo, dimostrando per altro nei due giorni successivi una grande ripugnanza al cibo. EspeRrIENZA III. — Ad un cane del peso di kgr. 23,500, custodito in gabbia per raccogliere le urine, in un periodo di sedici giorni si sommini- strarono 285 grammi di sostanza (sciolta in una eguale quantità di olio) a RenpIcoNTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 02 — 246 — dosi da 5 a 10 grammi con una dose massima giornaliera di grammi 25 senza che dia nessun fenomeno caretteristico per questo prodotto. Soltanto al diciassettesimo giorno il cane vomita la sostanza ingerita al mattino. All'esame obiettivo l’animale si mostra profondamente abbattuto e soffe- rente, incesso incerto a gambe divaricate con segni evidenti di debolezza gene- rale. Intelligenza conservata, però non netta; respirazione regolare pulsazioni da 95 a 100 con le aritmie normali del cane. Midriasi, a forte intensità lumi- nosa, che si mantiene immutata anche variando l’ intensità della luce. Ripu- gnanza al cibo. Come è noto il Wiedemann studiando l’azione fisiologica della canfora, aveva osservato che a cani di media grandezza se ne potevano fare ingerire per settimane dosi giornaliere oscillanti dai 12 ai 20 grammi senza riscon- trare mai odore di canfora nè nelle urine, nè nelle feci, ed aveva altresì notato che i fenomeni di avvelenamento che si presentavano per dosi maggiori di canfora, scomparivano dopo poche ore; perciò giustamente suppose che questo prodotto passasse trasformato nelle urine. Egli potè infatti separare da queste un acido di cui diede alcuni caratteri; ma che peraltro non riuscì a purifi- care per l'analisi. Le esperienze, con esito migliore, furono continuate dallo Schmiedeberg e dal Meyer i quali dopo un lungo ed accurato studio, non scevro di gravi difficoltà, e forse per questo non ancora completato, riuscirono ad isolate gli acidi @ e f-canfoglucuronico e dimostrare la presenza di un terzo acido azo- tato che essi denominarono uramidocanfoglucuronico. Scissero inoltre gli acidi canfoglucuronici in acido glucuronico e can- ferolo cui assegnarono la costituzione : CHOH CH | SN (610) confermata in seguito anche dalle esperienze del Manasse che l' ottenne per riduzione del canfadione. La mole dell'animale che servì per l'esperienza terza su riportata, la somministrazione, frazionata del fencone, una maggior lentezza d’ assorbimento per parte della mucosa gastrica, non erano sufficienti a spiegare la grande tolleranza dimostrata dal cane; non potendosi d'altra parte ritenere che in così breve tempo l’animale si fosse abituato al veleno, nè essendosi mai con- statato che le feci e le urine tramandassero odore di fencone, bisognava ammet- tere che nell'organismo questo prodotto subisse trasformazioni analoghe a quelle su ricordate della canfora. — 247 — Partendo da questo concetto ho cercato di separare gli acidi glucuronici con uno dei metodi indicati dallo Schmiedeberg e dal Meyer. Si trattano cioè le urine con acetato basico di piombo ed ammoniaca e dopo aver lavato accu- ratamente con acqua l'abbondante precipitato che così si forma, lo si decom- pone a caldo con una soluzione di carbonato ammonico e si filtra. Nel filtrato passano i sali ammonici degli acidi glucuronici che vengono alla lor volta bolliti con barite sino a completa eliminazione d'ammoniaca. dopo di che, sempre a caldo, si toglie l'eccesso di idrato di bario mediante una corrente di acido carbonico. Dopo aver separato il carbonato di bario, si concentra il liquido, distillandolo nel vuoto. sino a consistenza sciropposa e da questo residuo per ripetute ebollizioni con alcool assoluto si asportano i sali di bario degli acidi fenconglucuronici. La piccola quantità di materiale di cui io disponeva e la conoscenza delle gravi difficoltà incontrate dallo Schmiedeberg e dal Meyer nella sepa- razione degli acidi canfoglucuronici, mi hanno distolto dall’indagare se le urine da me raccolte contenessero, come è presumibile, più acidi fenconglu- curonici. Ho dovuto pertanto limitarmi, per ora, alla ricerca di uno dei prodotti di scissione come quello che per l'indole delle mie indagini, sugli isomeri della canfora, presentava maggior interesse. Ammesso che il fencone nell'organismo dovesse comportarsi in modo iden- tico alla canfora, ammessa pel fencone la formula che ne diedero il Wallach il Gardner ed il Cockburn, si doveva supporre di pervenire, per scissione degli acidi fenconglucuronici, ad un prodotto di natura alcoolica della formula Cio His 0», isomero del canferolo, ed al quale spetterebbe la struttura: OH cn" one 0_-ck, CH, 6 CH, cacio Per raggiungere lo scopo, sciolsi i sali baritici in acqua, ne precipitai il bario colla quantità voluta di acido solforico e posi a bollire a ricadere con acido solforico diluito, la soluzione degli acidi fenconglucuronici. La scissione si inizia tosto con svolgimento di acido carbonico; ma non è completa nemmeno dopo 48 ore, ond’ è necessario di persistere per parecchi giorni estraendo quotidianamente, con etere, il prodotto scisso. La soluzione eterea venne lavata con carbonato sodico ed asciugata con cloruro di calcio. Per eliminazione del solvente rimane un liquido oleoso denso, colorato in giallo, e dall'odore lievemente terpenico. — 248 — Distillato a 14 millimetri di pressione, passa incoloro fra 135° e 150°. La frazione che passa a 145°-147° all'analisi dà numeri che CORIBDORA O a quelli richiesti dalla formula Co His 0, Ù Grammi 0,2122 di sostanza diedero gr. 0,5578 di CO? e gr. 1890 di H;0. In cento parti: calcolato p. Cio His 0» trovato O 71,42 71,69 Hi 9,52 8,89 Alla pressione ordinaria distilla da 240 ai 255 gradi centigradi. Tanto dalla frazione che a 14 millimetri distilla a 145°-147°, quanto da quella che a pressione ordinaria bolle a 253-255, si vanno separando, dopo un po’ di tempo, cristalli aghiformi. Questa cristallizzazione è assai lenta, poco vale ad agevolarla la miscela frigorifera di ghiaccio e sale, ne è mai completa; percui occorre separare i cristalli filtrando, in causa della densità del liquido, alla pompa su cono di platino. Questi cristalli purificati dall’ etere petrolico, in cui sono abbastanza solu- bili, fondono ad 89° ed all'analisi danno numeri che corrispondono alla formula C,0 His Os. Grammi 0,150 di sostanza diedero gr. 0,3922 di CO? e gr. 0,1286 di H0. In cento parti: calcolato p. Cio His Oz trovato = 71,42 71,31 Hi 9,52 9,52 Il prodotto ottenuto nel modo su descritto deve pertanto considerarsi come un isomero del canferolo. Esso non è di natura acida; non è un alcool perchè non si combina col- l’isocianato di fenile, ed è saturo perchè non scolora, neppure dopo molto tempo, la soluzione di permanganato. Un prodotto della formola Ci, His 0» è stato ottenuto dal fencone per la prima volta dal Wallach per azione della potassa alcoolica sul nitrile fencolenico. Tale prodotto è l'acido fencolenico. Recentemente lo Czerny per azione della potassa alcoolica sul bromo- fencone, ha ottenuto una sostanza della formula C,o His O», liquida, di natura acida e perfettamente identica a quella ora citata dal Wallach. Essa deco- — 249 — lora il permanganato; dà un sale d’argento ed uno di ammonio che per riscal- damento sotto pressione si converte in un anidridre che fonde a 113°-114° e che fu già descritta dal Wallach. Interessante è la trasformazione che lo Czerny ha operata su questo acido sciogliendolo in acido solforico concentrato e versando la soluzione sul ghiaccio. Egli è pervenuto così ad un nuovo prodotto Co His 0», cristallino e che fonde a 77°, che non è più acido, stabile al permanganato onde lo Czerny sospetta trattarsi di un lattone. Non è improbabile che l’ossifezcone da me isolato sia una sostanza di natura analoga. In una prossima Nota pubblichèrò lo studio dettagliato sui prodotti della ossidazione biologica del fencone. Chimica. — Nuove ricerche sopra l'acido nitroidrossilammi- nico ('). Nota di ANGELO ANGELI e FRANCESCO ANGELICO, presen- tata dal Socio G. CIAMICIAN. I sali dell'acido nitroidrossilamminico con i metalli alcalini si possono facilmente preparare partendo dagli idrati corrispondenti ed i sali dei metalli alcalino terrosi e di qualche metallo pesante si ottengono per doppia decom- posizione dal sale sodico (*). Invece tutti i numerosi tentativi diretti a pre- parare gli eteri corrispondenti sono rimasti finora privi di risultato: abbiamo fatto reagire sul sale di sodio e di piombo, sciolti in acqua oppure sospesi negli alcool o nell’etere i ioduri alcoolici, il solfato bimetilico, i sali del- l'acido etilsolforico, ma sempre con esito negativo. Gli eteri dell'acido iponi- troso si preparano, come è noto, dal corrispondente sale d’argento, ma noi non abbiamo potuto giovarci di questo mezzo giacchè il sale d'argento dell'acido nitroidrossilamminico è sommamente alterabile. Trattando infatti una soluzione acquosa del sale sodico con nitrato d'argento, si ottiene un precipitato giallo che subito annerisce. Tale proprietà è comune alla maggior parte degli acidi idrossammici, vale a dire di quegli acidi che nella loro molecola contengono anche il residuo. (NOH)" () Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica farmaceutica della R. Università di Palermo. (?) Il sale sodico reagisce fortemente alcalino, probabilmente perchè in soluzione acquosa subisce una parziale idrolisi. Questo fatto rende probabile che l’acido nitroidros- silamminico, al pari dell’acido iponitroso, sia debole; però la facilità con cui si decom- pone, ancora non ci ha permesso di misurare direttamente la sua costante di affinità. Per — 250 — Infatti l'acido idrossilamminsolfonico, 1’ acido benzolsolfonidrossamico, gli acidi idrossammici organici forniscono tutti col nitrato d’argento sali che dopo breve tempo si decompongono con separazione di argento metallico ('). Se invece si opera in soluzione lievemente acida, dall’acido nitroidrossilam- minico si può avere il sale d'argento alquanto più stabile: a tale scopo si aggiunge alla soluzione diluita del sale sodico una piccola quantità di acido acetico, ed il liquido fortemente raffreddato con ghiaccio e sale viene trattato con nitrato d'argento. Si separa subito il sale d'argento sotto forma di un voluminoso precipitato giallo, che all'aspetto ricorda l’iponitrito d'argento ed anche il ioduro di piombo. Sotto questa forma e per alcuni minuti il sale si mantiene inalterato; se però si toglie dal miscuglio frigorifero, incomincia subito a decomporsi, il colore dal giallo passa al grigio e nello stesso tempo sì sviluppano notevoli quantità di biossido di azoto. L'argento che si separa ha un aspetto splendente, e se si opera in capsula la massa assume un aspetto metallico che poco differisce da quello dell'amalgama di ammonio. Separato l'argento, filtrando rapidamente alla pompa, nel liquido si riscontrano note- voli quantità di nitrito di argento; neutralizzando con ammoniaca precipita poco iponitrito di argento. Da alcune esperienze che abbiamo eseguite, la decomposizione procede in gran parte (80-90 °/,) secondo l'equazione: NOAg | ’=NO.Ag+NO+Ag. NOOAg Sarebbe stato fino ad un certo punto da aspettarsi che anche in questo caso i residui (NOAg)" si fossero polimerizzati per dare iponitrito 2N0Ag= (NOAg), come avviene per i sali alcalini; nel caso del sale d'argento (ed in generale dei metalli facilmente riducibili od a piccola tensione di soluzione) i residui in gran parte si decompongono in metallo e biossido di azoto: (NO Ag) ' = NO + Ag. la stessa ragione ed anche per la facilità con cui si decompongono le soluzioni del sale sodico non ci è stato finora possibile di misurare il grado di idrolisi del sale, giovandoci p- e. del metodo proposto da Shields (Zeit. fir phys. Chemie, 12, 167) (') Una soluzione alcoolica, p. e. di acido benzidrossammico per trattamento con potassa alcoolica dà un precipitato che si scioglie per successiva aggiunta di alcali. Ciò rende probabile che in queste condizioni si formino sali con due atomi di metallo / NOK R.C NOK solubili nell’alcool. — 251 — La reazione procede nello stesso modo se invece di nitrato di argento si adopera l’acetato. Operando in soluzione neutra, vale a dire non acidifi- cando prima con acido acetico, anche in questo caso non si ottiene traccia di iponitrito, la formazione del quale, quando si opera in presenza di acido acetico, è senza dubbio da attribuirsi alla polimerizzazione dei residui NOH che dapprima si pongono in libertà. Il residuo (NOH)"”, come lo confermano le nostre ulteriori esperienze, sì unisce con grande facilità alle aldeidi, nitrosoderivati aromatici (') ecc., dimodochè si può dire che la reazione è di carattere generale; anche le dialdeidi reagiscono nello stesso modo; noi finora abbiamo studiato il com- portamento del gliossal (?): (COH); , e dell'aldeide suberica (CH2); (COH)., che noi preparammo secondo l'elegante metodo proposto da Adolfo von Baeyer. Gli acidi idrossammici che così si ottengono, si possono facilmente iso- lare per mezzo dei corrispondenti sali di rame poco solubili. In queste reazioni le aldeidi si comportano come gli alcool del carbonio bivalente : pedina, adi MH /ENOR Non abbiamo invece potuto avere le reazioni degli acidi idrossammici dal glucosio e dal lattosio; questo fatto sarebbe d'accordo con altri e darebbe ragione a coloro che ammettono che queste sostanze invece di un residuo aldeidico contengano un ossigeno anidridico fra due o fra quattro atomi di carbonio consecutivi. Il fatto, da noi riscontrato, che l’aldeide glicerica facil- mente reagisce, rende più probabile la seconda ipotesi. Del pari non abbiamo avuto reazioni nette dall’ aldeide o- nitrobenzoica, dall’aldeide salicilica, dal- l’elicina e dai sali dell'acido opianico; tutte queste sostanze, come si vede, sono ortoderivati della serie aromatica, sebbene l'eccezione presentata dall’ aldeide salicilica si possa anche spiegare per il fatto che i fenoli reagiscono per conto loro ed in altro senso sopra l'acido nitroidrossilamminico, come a suo tempo riferiremo. Risultato negativo abbiamo pure avuto con l’aldeide pir- rolica, un campione della quale ci è stato regalato dal prof. Eugenio Bam- berger. (1) Da alcune esperienze che abbiamo eseguite sembra che i nitrosoderivati alifatici reagiscano in altro senso. (°) Ringraziamo il prof. Balbiano che ha messo a nostra disposizione alcuni grammi di questo prodotto. — 252 — Gli acidi idrossammici che in tal modo si ottengono: NOH NOH (@) | + R.COH= || + NO.H NOOH RaC.0H per ebollizione con acidi diluiti vengono facilmente scissi in idrossilammina e nell’acido corrispondente all’aldeide impiegata: NOH 0 | (8) | +H0=._ | + NH:0H RC. 0H RLC.0H i Queste due trasformazioni, prese assieme, presentano uno speciale inte- resse, giacchè per loro mezzo sì può effettuare indirettamente una nuova scis- sione dell'acido nitroidrossilamminico e che si può considerare come l’inversa della sua formazione. Nel mentre infatti gli acidi idrossammici organici ed inorganici, in gene- rale, per azione degli acidi minerali diluiti facilmente si possono scindere in idrossilammina e nell’acido corrispondente, nel caso dell'acido nitroidros- silamminico questo non è possibile, giacchè esso perde una molecola di acqua per dare biossido di azoto: H.N:03=H,0+2NO0. Che in una prima fase avvenga scissione in acido nitrico ed idrossilam- mina non è ammissibile, poichè il nitrato di questa base è stabile in solu- zione acquosa. Sommando invece (@) con (8) e ponendo R. COOH = R. COH + 0, ne segue la nuova relazione: H:N:03 + H:0= NO:H +- 0 + NH;0H. Siccome l'idrolisi è avvenuta per l'acido idrossammico (8), così l'atomo di ossigeno, che doveva portarsi all’acido nitroso per trasformarlo in acido nitrico, si è fissato all'aldeide per formare l’acido corrispondente. La scissione dell'acido nitroidrossilamminico nelle sostanze che hanno servito a prepararlo, idrossilammina ed acido nitrico, per quanto indiretta, si può dunque considerare come completa. Riassumendo quanto abbiamo esposto anche nelle precedenti comunica- zioni, finora ci è stato possibile scindere l'acido nitroidrossilamminico in sei differenti maniere, che per maggiore chiarezza riferiremo tutte all’ acido libero: (1) H.N;0, —2N0 -+H;0 (2) HiN30; — HNO. +NOH (3) H.N,0; — HNO, +NO+H (4) H.N,0; + H:0= NH,0H + HNO,+ 0 (5) 2H;N.0; — 2HNO, -+(NOH); (6) 2HN50; = 2HNO, + N;0 + H;0 c O O La (1) si riferisce all’acido libero, la (8) al sale d'argento, le (2), (5), (6) al sale sodico. Queste trasformazioni procedono con la massima facilità, si possono quasi tutte effettuare in tubi da saggio e si prestano benissimo come esperienze di corso. Noi abbiamo tentato di preparare l'acido nitroidrossilamminico facendo reagire i nitriti sopra gli acidi idrossammici : NOH Jal NO R.CC] EE ONZUHi > ON \oH Von ma le nostre esperienze non ebbero buon risultato, perchè il residuo (NOH)" è unito al carbonio in modo assai più intimo che non agli altri elementi. Questo spiega anche come ci sieno finora riusciti infruttuosi i tentativi diretti ad effettuare la trasformazione espressa dallo schema (ripartizione del residuo NOH fra due aldeidi): + R.COH, NOH _N0H RC + R".COH — R.00H + Roc. \0H OH Siccome le aldeidi da una parte e gli acidi idrossammici dall'altra pre- sentano reazioni che sono in gran parte comuni e che perciò non permettono di differenziarli, così noi abbiamo scelti acidi idrossammici che potessero fornire aldeidi facilmente riconoscibili per altre proprietà ed in questo caso sovratutto per il loro odore caratteristico, ma trattando l'acido benzidros- sammico e piperonilidrossammico in soluzione acquosa e diluita, con le aldeidi formica ed acetica non ci è stato possibile percepire l'odore delle mandorle amare e dell’eliotropio. Tale trasformazione avviene invece spesso fra ossime ed aldeidi o chetoni: (ROC = NOR RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 aprile 1901. P. BLASERNA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Su prodotti infiniti divergenti. Nota II (!) del prof. ErtoRE BORTOLOTTI, presentata dal Socio V. CERRUTI. I 7. Sia dato il prodotto infinito AIA; E; \T1+A,) | 0A e supponiamo prima che sia (2) linea: n_=0%0 Se si definisce una funzione /(z) con le condizioni che per a = 0 as suma il valore (3) AOIIE che per il valore a =n, si abbia (4) f(n)=Pn, che în tutti è punti a distanza finita dell’ asse reale sia continua e mono- tòona ed ammetta derivata determinata, avremo, per la ipotesi (2), 6) tim (ELL lim 0 +A)=1. (1) V. pag. 236. RenpiIconTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 36 — 276 — L'esistenza di una tale funzione è messa fuori di dubbio quando si con- sideri che, per prodotti infiniti che non divergono più rapidamente di %!, le formule note di interpolazione (*) dànno modo di costruire immediatamente una funzione analitica /(#) con le proprietà richieste. Per successioni }P,{ divergenti più rapidamente di 7!, trovato un numero intero p abbastanza grande perchè il logaritmo di indice p: log») P,, non diverga più rapida- mente di %!, si costruirà una funzione analitica (x) soddisfacente le con- dizioni p(n) = log w Pn, poi si prenderà (0) f(£) = gol Dalle condizioni imposte alla (x) si deduce che 70 limite della f(a) per ax= 0, non può essere diverso da quello della successione }Pn} (n=1,2,8,...) se quest’ultimo è finito, e che, quando sia infinito, anche f(x) è per a==% infinita dello stesso ordine. Dalla (5) poi si ricava che la funzione /(x) appartiene alla prima classe (?), e cioè che si ha f(a) = e2*® s(x) infinitesima per x = 00 . (6) 8. Di qui in particolare: / prodotti infiniti I(14-A,) pei quali è soddisfatta la condizione imita, =0, n= soddisfano la relazione (7) n= lim ed II (1+ A.)=0 a reale cati qualunque . 9. Se consideriamo la funzione 8 1C9)E="— sarei (8) (0) 7 questa, per le ipotesi poste per la /(4), è finita continua, e derivabile in (1) Cfr. p. es. Bendizon. Acta Matematica, t. IX, pag. 1, 1886. (2) Cfr. nel citato lavoro Sulla determinazione dell'ordine di infinito, il $ dove sono studiate le funzioni della prima classe. — 277 — tutti i punti a distanza finita della parte positiva dell'asse reale, e nei punti x=n, assume i valori (9) o(n)=A Si avrà dunque 0, a 0 (10) O To a(x) so, 1 Dalla (8) si ricava LION iene (Ciel Cini ONCE ed anche (12) PRI AA 2 qogria) 19 Ho però dimostrato al loc. cit. che: Se una funzione infinita per a=0%, appartiene alla prima classe, anche le sue derivate di qua- . . f(C4+0 lunque ordine vi appartengono; ciò prova che lim sa — ld a=%0 XL conseguenza di ciò ax) (13) Di le "4 (log /(2)) Da ciò si conclude: Se il prodotto P,=I1(14- À,) st rappresenta mediante il valore 1 che nel punto a =n assume una funzione f(x) continua e monotona della variabile reale x, la quantità A, è, per n=", infinitesima dello stesso ordine, e con la stessa parte principale della derivata logaritmica di f(x) nel punto a = 00. Si noti che la formula (13) è valida sotto la condizione che la /'(«) appartenga alla prima classe; ciò non avviene solo per funzioni /(x) infinite, per 4 = 00, cioè per prodotti infiniti divergenti; ma si verifica anche per funzioni /(x), finite nel punto x = 00, che hanno derivate logaritmiche ap- partenenti alla prima classe, (cfr. il n.° 38 del citato lavoro: Sulla deter- minazione ecc.). Osservando che quando /(x) è finita, /'(x) è infinitesima e che il rap- LEA, non può tendere a limite maggiore di 1, si conclude che la a(x) non è în nessun caso infinitesima di ordine inferiore a quello della derivata logaritmica di f(x), e che, condizione sufficiente per la validità — 2728 — delle (13) è che la a(x) sia della prima classe, cioè che An tenda allo sero meno rapidamente di i. Si può infine notare, e ciò risulterà anche da quel che segue, che i prodotti infiniti corrispondenti a successioni A, infinitesime di ordine supe- riore a quello di i. n? sono molto rapidamente convergenti, e si possono quindi studiare anche coi metodi ordinari. D'ora innanzi, quando parleremo di prodotti convergenti, supporremo sempre che la condizione (13) sia per essi soddisfatta. 10. È noto che se una funzione è infinita di ordine finito, la sua derivata logaritmica è infinitesima del primo ordine: di qui si deduce: Se il prodotto II(1+4- A,) non diverge più rapidamente di n° (a reale 1 positivo) la quantità A, è infinitesima del primo ordine per n= 0. 11. Supponiamo che @(x) sia, per a = 00, infinitesima di ordine su- periore od uguale al. primo. Dalla formula (13) avremo in questo caso: lA) _@) (14) C2) L (cr > xo |s(2)| <@, @ positivo determinato) e, nel caso che /(x) ammetta anche la derivata seconda, f'(@) __81(2) (15) fa). a (x >.&o lex(4) <<) (1) Ora si ha: Pf Avi Vs RI (16) f(2) /(2) 2/(1) TAC RARI A CI A i) { Wi VIOIro Ricordando che lim i i DI 1, facendo uso delle (14), (15), avremo: s=w f"(£) la = LO (0) (17) = a (> |s(2)|<4, @ reale positivo). (1) Sulla determinazione ecc. Cfr. il $ in cui studio le proprietà infinitesimali delle derivate. — 279 — Si noti che, se e(x) è infinitesimo, e»(7) lo è di ordine non minore, donde risulta che nel secondo membro della (17), il secondo termine è in- finitesimo di ordine inferiore, almeno per una unità, al primo termine. Ricordando che /(0)= 1, avremo, integrando, x Es 2 (18) fel) ar=1/(M +0 (e > 20 |ss(2)|<0) ed anche qui si può notare che, se log /(x) è infinitesimo per ax = 0, al lo è di ordine superiore. In particolare: Se a(x) è atta alla integrazione definita nell’inter- vallo (0,00), st ha (19) JI a(o)ide—limioogi2)o 0 a=% ed anche, per la osservazione fatta al n. 7, (20) Il o(c) de =1g H(1+A,), 0 1 e di qui (21) H(1++A,)= eve Il a(n) = An. Questa formula ci dà una espressione, che mi pare notevole, del prodotto infinito nel caso che esso sia convergente. Dalla condizione poi che la @() sia integrabile, sufficiente come abbiamo visto per la sua validità, si rica- vano facili criteri di convergenza per il prodotto stesso. In particolare avremo (!): Il prodotto infinito I(1+4+-A,) converge tutte le volte che An, per n= diventa infinitesima di ordine non minore di quello di una qualunque delle espressioni : 1 1 1 n'4e° n(log +” n log n(loglog n)+te ? ©" nelle quali u è un numero determinato differente da zero e positivo, diverge se diventa infinitesima di ordine non maggiore di una qualunque delle espressioni : 1 Il Il 5) n° nlogn’ nlognlogloga’ “"°* (1) Dini, Fondamenti, pag. 360. s* — 2380 — 13. La formula (18), nel caso che a(x) non sia infinitesima di or- dine inferiore al primo, ci dà modo di determinare l'ordine di infinito del prodotto 77(1-A,), quando questo diverga. 1 Ed infatti da essa sì ricava S'umar Ea) (22) e =f(e)e © (> %, |s:(2))<@ , @ reale finito positivo) e, di qui (23) Ma ala) de 2 lm —— = 1. eo f() E cioè, dl prodotto infinito II(1-+- A,) è infinito del medesimo ordine ed ha la medesima parte principale della funzione g(a) = fi e(x) da, per (Ù LED. Sia per esempio limi(2A,) =D; sarà anche lim xe(x)=p, (p positivo per le formule (10)) e di qui Ja a(a) de = ploga + «(x) log @ 0 (€ >| s positivo arbitrario minore di p); tenendo conto delle (23), avremo (24) limet_—_=1 Cioè: Se A, è infinitesima del primo ordine ed è p la sua parte princi- pale, il prodotto infinito diverge come n?. Come secondo esempio, sia lim (2log 2) Ah= p; uo SOS troveremo in modo analogo È al de Go) Du (log n) Ti 14. Quando A, diventi infinitesima di ordine inferiore al primo, ri- marrà ancora valida la formula LA = Fa) +e a: (2) (20) lim y(2)=1. Si osservi però che dalla /'=/.a si trae f"=/'.a+fa', cioè = a°-+ a'. Si vede da ciò, e dall'esame della (26) che: Se la fun- zione (a(x))® è atta alla integrazione definita nell’ intervallo (0,0), lo fl) f(&)” Ad ogni modo sia la «*(x) atta o no alla integrazione nell'intervallo (0,00), lo sarà certamente in ogni intervallo (0,), « positivo qualunque : poniamo dunque è anche la funzione n(@) @7) SudED deg), da cui verrà: (28) 5 COSIO T.0Ì se aa) dee e ili) A (29) RE parte DI @(0) fa) —° In particolare se lim n pe) = = C, ciò che sicuramente ha luogo quando la a*(x) è atta alla integrazione definita da 0 ad ©, cioè quando A, è infinitesima di ordine non minore di quello di una delle funzioni: USE: Tee V ne V n(log n) ’ SIL: (u positivo diverso da zero) — 282 — il prodotto I (1+ A.) ha ordine di infinito eguale a quello della funzione 1 uni a(0) dae (30) o(n)=A, per a=®. Qualunque poi sia l'ordine di infinitesimo della A,, potremo sempre asserire che él prodotto I (1 + A,) non diverge più rapidamente di quel che faccia 1 la funzione (30) per a = 0. 15. L'applicazione di questo criterio è spesso assai facile. Sia per esem- pio A, infinitesimo come 5; troveremo, con calcoli assai semplici, che il prodotto Ir(1 + An) diverge come x!8”. Il suo ordine di infinito, usando i 1 simboli introdotti al loc. cit. si può dunque esprimere col numero transfi- nito À,. III 17. Si abbia ora un prodotto infinito Z7(1+4- A,) per il quale zor è soddisfatta la condizione lim A,=0. n=0%0 Supponiamo ancora di rappresentare con «(x) una funzione finita, con- tinua, derivabile in tutto l'intervallo (0,00) e soddisfacente le condizioni a(n) = A,. Osserviamo anzitutto che, se si ha e È 1 + Dai ere) (8) linee 1h cioè se (4) lim (An41 — An) =0, n=00 il prodotto dato appartiene alla seconda classe, ed il suo ordine di inft- nito non è minore di quello della espressione (5) (Ah (a reale positivo qualunque) — 283 — ed è minore di quello della (6) ev : Una determinazione più esatta si fa usando la formula d 1 CO e d Ma 1 È tog/@) (7) log (14 a)= log / dalla quale, sapendo già che di (1g/(x)) appartiene alla prima classe, si ricava (8) lim log (1 + e(2)) 20). dini do (2) dae EIN In particolare, se fosse lim (14 A,)="C, si avrebbe anche lim È lg f(2) =1g Ce si concluderebbe che il prodotto Il (L1+A,) diverge e=0%0 2 1 come C”, ciò che è evidente anche per altra strada. 18. In questi prodotti appartenenti alla seconda classe, la successione dei fattori appartiene alla prima classe. Se la successione dei fattori diverge come una funzione della seconda classe, cioè se n0n è AA,=0, ed è invece (9) lim e : e) 1 ao IH Ag 14 An il prodotto I(1+4+A,) non diverge meno rapidamente di e’, e diverge meno rapidamente di e’, La formula (8) servirà ancora alla determinazione più esatta del suo ordine di infinito, perchè le derivate logaritmiche di funzioni aventi classe finita appartengono tutte alla prima classe. 19. In generale si scorge che: Se la quantità log(14- A,) è, pern= infinita di ordine non minore di quello di n°! e minore di quello di nP, il prodotto infinito I(14- A,) ha ordine di infinito non minore di quello della funzione e” è minore di quello di ev". 20. Quando la successione log (1-+- A,) diventi infinita di ordine trans- finito, il prodotto Z7(1+- A,) non avrà classe finita e se ne potrà ancora de- terminare il carattere infinitesimale applicando le cose dette su tali fun- zioni nel citato lavoro. (1) Loc. cit. cfr. il $ sulle funzioni aventi classe finita, cfr. anche la formula (5) data al n. 45. RenpIconTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 37 — 284 — Geodesia. — Determinazione astronomica di latitudine eseguita a Monte Soratte nel 1900. Nota di Vincenzo REINA, presentata dal Socio CREMONA. Le presenti determinazioni hanno per oggetto di portare un nuovo con- tributo alla conoscenza della forma del Geoide nella regione circostante a Roma, aggiungendosi a quelle fatte precedentemente nel medesimo scopo (1). È noto come queste determinazioni, che converrebbe poter eflettuare nel maggior numero possibile di punti trigonometrici, non esigano la più alta precisione, e quindi non richiedano che alcune notti d'osservazione. È però di somma importanza la uniformità dei metodi e degli strumenti di misura, allo scopo di poter eliminare l’ influenza di possibili errori sistematici. Venne pertanto adoperato l’ Universale Bamberg già usato precedente- mente, e nella determinazione della latitudine venne impiegato lo stesso metodo delle distanze zenitali circummeridiane, osservando per quanto era possibile le medesime stelle già osservate negli altri punti. Il programma d'osservazione, nelle notti dedicate alla latitudine, avrebbe dovuto essere il seguente: Confronto dei cronometri. 14». 30" determinazione del tempo 15. 380. osservazione di a Ursae minoris 16. 31 ” » $ Ophiuchi 17 ” » « Ursae minoris li009 ” =» v Ophiuchi 18. 80 ” » a Ursae minoris Joxt01 ” » À Aquilae 20 ” » a Ursae minoris 20. 42 ” » e Aquarii 21 ” » « Ursae minoris, Confronto dei cronometri. Ruotando di 45° il cerchio zenitale da una notte all'altra, la deter- minazione avrebbe dovuta essere compiuta in quattro notti. Essa venne invece estesa a sei notti, non essendo stato possibile che una sola volta di compiere interamente il programma. Alla determinazione dell’azimut della direzione M. Soratte - M. Gennaro si dedicarono tre notti, applicando il metodo della misura degli angoli fra (1) Determinazioni di latitudine e di azimut eseguite nel 1898 nei punti M. Mario, M. Cavo, Fiumicino — Pubblicazioni della R. Commissione Geodetica Italiana, Firenze 1899. Determinazione astronomica di latitudine e di azimut eseguita a M. Pisarello nel 1899 — Rendic. della R. Acc. dei Lincei, 1900. — 285 — la Polare e la Mira, distribuendo i puntamenti fatti sulla Polare simmetri- camente alla sua digressione orientale, e ruotando il cerchio azimutale di 30° in 30° fra l'uno e l’altro dei gruppi in cui furono divise le osservazioni. Si rimanda alla prima delle sopra citate pubblicazioni, per quanto ri- guarda i particolari del metodo d'osservazione ed i procedimenti di calcolo. Qui si osserva solo che, per mantenere l'uniformità colle determinazioni pre- cedenti, le posizioni apparenti delle stelle osservate vennero tolte dal Berliner astronomisches Jahrbuch senza tener conto delle correzioni data da Auwers nelle Astronomische Nachrichten n. 3508-09. Riescirà sempre facile tenerne conto all'occorrenza, per mezzo delle espressioni differenziali registrate nei quadri riassuntivi a fianco dei singoli risultati. Il pilastro fungente da segnale trigonometrico eretto sulla diruta chie- setta di S. Silvestro, sulla cima del monte, venne trovato smantellato dai fulmini. Fu però facile, colle traccie ancora conservate della sua base, e cogli elementi di riferimento forniti dall’ Istituto Geografico, ricostituirne il centro. Non essendosi ritenuto conveniente di far stazione in centro, ciò che avrebbe richiesto la costruzione di un alta e robusta impalcatura, si eresse un altro pilastro in mattoni a poca distanza dalla chiesetta, facendolo pog- giare direttamente sulla roccia messa a nudo e spianata. L'altitudine dello strumento risultò di 695 m. Quì mi corre l'obbligo di ringraziare i Reverendi Padri Trinitari del Soratte, i quali nell'alta quiete del loro convento, situato pochi minuti sotto la vetta, dal 2 al 20 luglio, mi porsero simpatica e cordiale ospitalità. Determinazioni di tempo. — Vi si dedicò una cura speciale, deducendo gli andamenti più probabili del cronometro d'osservazione (Kullberg) dai suoi confronti giornalieri con un altro cronometro di controllo (Roskell). Il metodo adottato fu quello delle osservazioni nel verticale della Polare, accop- piando la Polare con due Stelle equatoriali per ciascuna delle due posizioni coniugate dello strumento. Queste osservazioni registrate al cronografo, posto in comunicazione col cronometro Kullberg, ne determinarono gli stati crono- metrici quali sono qui riassunti : Correzioni ed andamenti orari del cronometro Kullberg. Data Correzione Andamento orario (ritarda) 9 luglio 1900 a 16%, 151 — 40 365, 87 Ì ee, i Le, Al rn Lo Re 04 — 4, 25,97 10. 181 ae eo — 423.00 +0 128 ut loto 590 1059 — AT ‘02 Lr el ate soa —4 144 Lo 17 ae o —4. 1.64. Lo, io6 13.» » » 16. 32 — 4. 09. 17 — 286 — Ogni giorno, immediatamente prima della determinazione di tempo, o dopo il termine delle osservazioni, veniva effettuato un confronto fra il Kullberg ed il Roskell. I confronti giornalieri, fatti in principio di sera, servirono alla determinazione degli andamenti orari del Roskell, come è indicato dal se- guente spec chio: DATA 10luglio 1900| 15°.56.045.45 I Confronto Correzione Kullberg 5) ” 22. 49. 57.55 19) ” ” 15. 59. 58. 95 1683 ” ” 15.53. 49. 05 15 ” ” 18. 34. 39.55 16 ” ” 15.47. 85. 95 17 D) D) ID ASS. 18 D) ” 15.96, 25..00. del Roskell Kullberg 15h.522.008]/— 40,325.77 22. 46. 00 |[— 4. 28. 37 15.56. 00 |— 4. 26.11 15.50. 00|— 4. 23. 06 18.81. 00|/—4. 17.12 15. 44. 00 |— 4. 14. 50 15.45. 00|-4. 11. 68 15. 33. 00 |— 4. 09. 27 Tempo siderale Correzione all’ istante del del confronto Roskell 159.51%.815.68| — 285.32 22.45. 29.18] — 30. 82 15. 55. 27.84 | — 32. 16 15. 49. 25. 99] — 34. 01 18. 80. 22. 43 | — 87. 57 15. 43. 21.45 | — 88. 55 15. 44. 20. 17| — 39. 83 15. 82. 18.73 | — 41. 27 Andamento orario del Roskell (accelera) Tenendo conto invece di entrambi i confronti, fatti al principio ed alla fine di ogni notte, si determinò l'andamento orario medio del Kullberg durante il periodo delle osservazioni, quale risulta cioè dalle indicazioni di entrambi i cronometri. Questa determinazione è riassunta nel seguente specchio : DATA 9 luglio 1900 10h sila logia VINRE TT 130n 0 n Lorena 15 0» a 16» » zi n 05 Cronometro i i \ Kullb . . | Rosk NE \ Kullb . | Rosk . \ Kullb . . ( Rosk .. ( Kullb. . ( Rosk . Kullb . . Rosk . | Kullb . . ( Rosk .. Kullb . . f | Rosk . | Kullb . | Confronto dei cronometri prima dopo 150.562.045 45/230 272,028.70 15. 52. 00 |23. 23. 00 5. 28. 59. 10/22. 49. 57.55 .|15. 25. 00 122. 46. 00 14.59. 53. 95|22. 85. 52. 60 14.56. 00 |22. 82. 00 15. 53. 49. 05/22. 58. 47.75 15. 50. 00 |22. 55. 00 18. 34. 39. 55/23. 13. 38. 75 18.31. 00 |23. 10. 00 15. 47. 35. 95/23. 03. 34. 80 15.44. 00 |23. 00. 00 15. 48. 3L. 85/23. 48. 30. 70 .|15. 45. 00 |22. 45. 00 .|15. 36. 28. 00/23. 32. 26.95 .|15. 33. 00. |23. 29. 00 Correzione | Tempo siderale dell’inter- fra i confronti vallo dedotto l'andiionto ro + 15.09 |72.30m.595.34 | 0461 39 | +0. 96 |7. 20. 59. 41 } CIT 43 | + 0. 97 |7/135. 59. 62 22t0:158 42 | + 0. 84 |7. 04: 59. 54 ) — 0.50 50 $ 5| +0. 57 |4. 38. 59. 77) 2000] 79 | +0. 85 [7. 15. 59. 70 ) — 0. 39 61 | + 0. 74 [6. 59. 59. 59 — :0,148 57 +0. 84 [7.55. 59. 79) — 0. 48 52 È L0. Andamento orario medio del Kullberg (ritarda) ENIT? + 0. 148 132 . 114 -+ 0. 116 Furono gli andamenti orari registrati nell'ultima colonna che vennero adoperati per correggere i tempi d'osservazione. — 287 — Determinazione della latitudine: — 1 risultati d'osservazione e di cal- colo sono riassunti cronologicamente negli specchi seguenti. Le latitudini qui registrate in corrispondenza a ciascuna Stella, si ottennero accoppiando ì va- lori risultanti dai puntamenti fatti sulla Stella in posizioni coniugate dello strumento: ciascuna di esse è dunque il risultato di una doppia osservazione Le posizioni apparenti delle Stelle, registrate in testa ad ogni serie di os- servazioni, e non corrette per l’aberrazione diurna, si riferiscono all'istante medio della serie di puntamenti. Il tempo siderale corrispondente a tale istante medio venne sempre indicato per la Polare. Per ogni notte d’ osser- vazione è dato anche il zenit strumentale Z, espresso in soli gradi, per caratterizzare la posizione del cerchio zenitale. 11 luglio 1900. — Zi=0°. 4 Aquilae « Ursae min. e Aquarii « Ursae min. (198.492) (219.35) cia e 120279 ee 20420 OSS 0N e a 930986 d= — 5°.01/467.98| d — 889.467.217.37 |d= — 9°.517.25”.49| d = 880.46/.21”.3 420.14'.47/.31 420.14°.47”.85 420.14.457,95 42°.14/.46”.15 47. 22 48. 80 44. 62 46. 90 46. 81 48. 07 44. 50 46. 67 47. 30 47. 45 45. 16 47. 09 47. 98 47. 60 47. 00 46. 20 12 luglio. — Z= 45°. v Ophiuchi « Ursae min. À Aquilae a Ursae min. e Aquarii a Ursae min. (182.32) (19% 55m) (211.98m) eR3n30898 la] 237,035874 —192.012003.58)|\a=12.23/088.79|e—20.24m. 193,87 |o—=12.2911.03386 d——-9°.45/.35”.49|0=88°.467.21/.47 |9= —59.01/.46”.8719=880.46".21”.48|9=—9°.51'.25”.27|0=88°.46'.21”.48 429.14’.46”.13 42°.14.45”.87 42°.14.44”.77 42°.14°.47" 45 420,14’ 44.25 429,14°.45/.96 45. 14 45. 00 45. 44 47. 27 44. 64 45. 64 46. 48 46. 00 44. 33 46. 97 43. 42 46. 70 45. 26 46. 51 44. 32 46. 73 44. 63 47. 37 45. 39 47. 41 44, 26 46. 19 46. 05 46. 56 46. 46 47. 01 13 luglio. — Z= 90°. a Ursae min. v Ophiuchi « Ursae min. « Ursae min. B Aquarii (7AAL02) (200.002) (208.529) o = 10.232.045,65 |e=172,53m,355.38 |a =1h,23m.045.76|e = 19,28 045,80 |a = 21h.262,215.55 d = 880.46".21”.55 |î=— 99°.45/.385/7.42/0 =880.46/.21”.56|0 = 88°.46/.21”.56|9=—6°.00/,20”.54 420.14".47”.08 42°.14.47”,81 429.14,47”.17 420.14/.477.97 49°.14'.477.22 48, 12 47. 65 47. 30 47. 45 47. 84 47. 37 47. 09 48, 17 48. 01 47. 32 47. 42 46. 85 48, 11 46. 15 47. 38 47. 76 46. 23 47.11 46. 80 — 288 — 16 luglio. — Z= 135°. % Ophiuchi « Ursae min. v Ophiuchi a Ursae min. (7219) (18.282) a = 168,312,425,91 | a=12.23m.075.52 | «= 172.532,355,39 | @« =1h.238m 078,57 d=—10°.21/.55/.45] 0 = 88°.46/.21”.80 |Î= — 99.45/.357.21| 9 = 88°.467.217.80 42°.14/,45”.97 429.14’.477.97 42°.14’.46”.79 420.14’.48”.26 47. 04 47.72 48. 28 47. 19 45. 74 46. 82 47. 50 46. 83 45. 72 47. 69 46. 73 47. 20 _ 46. 73 47. 03 4 Aquilae a Ursae min. e Aquarii a Ursae min. (199.58) (212.28) ce =19h.012.008.61 | «= 1h.232.075,63 | «= 208.422,198,88 | «= 12,28 075.68 d= — 5°.01/.46/.43| d= 88°.46".21”.81 | PÎ= — 9°.51/.24”.83 | d —88°.46/.21”.82 42°.14/.46”.46 49h, 14.477,64 42°.14/.47”.05 42°.14.48”.29 47. 22 47. 75 47. 44 48. 24 46. 91 46. 83 47. 72 48. 28 45. 80 47. 61 46. 29 47. 28 17 luglio — Z=0°. % Ophiuchi e Ursae min. A Aquilae « Ursae min. e Aquarii « Ursae min. (188.222) (198.562) (212.38) a=12.232,085.57|@«=199.01,008.62 | a=1h,23m,088,64 |«=20h,42% 195,90 | a=12,232,088.71 I=889.46’.21”.87|9=—5°.01/.46” 32|9=88°.46".21”.87|o—-—99,51/.24”.7219—88°.46’.21”.88 a=162.31 425,95 d—-—-10°%21/.55”.40 42°,14/.46”.92 42°.14.47”.81 42°.14".48”.91 490.14/.47.30 42°.14/.47”.77 | 42°.14.48".62 47. 25 48. 69 47. 52 47. 78 47. 56 49. 17 46. 94 48. 49 48. 32 47. 85 46. 90 49. 00 46. 30 49. 48 47. 28 47. 98 47, 45 49. 21 48. 91 47. 51 47. 14 47. 50 46. 27 46. 34 18 luglio. Z= 90°. a Ursae min. v Ophiuchi « Ursae min. 2 Aquilae e Aquarii « Ursae min. (rt 05E3) (180.381) (212.220) a=10,232,099.57/«=172.530,355,39 |a=1h.28.098.63 |e=19h.01.005.62/ «=20h,42.195.91| a=1h,23.095.76 O=88°.46/.21”.93|0=—-9°.45/.35”.07|9=88°.46".21”.94|d=—5°.01/46”.21|9=—9°.51’.24”.61|9=88°.46°.21”.95 42°.14/.48”.47 429.14’.48/.04 42°.14’.497”.25 | 429.1446720 4920.14’.477.48 492°.14'.47”.55 48. 42 47. 26 48. 54 45. 47 47. 24 48. 11 48. 58 46. 68 48. 42 47. 09 48. 70 48. 78 48. 60 47. 07 47. 70 47. 37 48. 35 48. 53 47. 76 46. 69 46. 91 48. 56 47. 08 46. 27 Questi risultati sono ancora riassunti nel seguente quadro, dove sono aggiunte le espressioni differenziali, esprimenti la dipendenza dei valori tro- vati per la latitudine, da eventuali variazioni delle posizioni apparenti delle Stelle, quali sono sopra registrate. Nel calcolarle, per la Polare si fece uso della Stella. — 289 — dei tempi registrati nella 2* colonna; per le Stelle Sud si fece invece la media delle espressioni ottenute, facendo il calcolo per ciascun puntamento STELLE (1) « Ursae minoris . . » 4 Aquilae a Ursae minoris . . » ” » » v Ophiuchi 4 Aquilae a Ursae minoris . . n » » »” v Ophiuchi B Aquarii a Ursae minoris .. »” » ” » » » PAS % Ophiuchi. . .... VAOphiuchis tt. . 4 Aquilae e Aquarii a Ursae minoris . . » » » » Deo è Ophiuchi. ..... 4 Aquilae 8 Aquarii a Ursae minoris .. » » n n ZAOPDIUCHIMCESTStO, 4 Aquilae e Aquarii SPAQUAril. - ti... ERAQUArIi.. 0. Sla li ia esa DIE FIRTH) Istante medio della serie di osservazioni 18h.32m 19. 55 21. 28 Irralon 20. 00 20. 52 184,22m 19. 56 21. 38 172.082 18. 38 11. 22 Numero delle doppie osservazioni Ju Ot JI H> oto o UT UA TAXI ud) Au ui Latitudine (4) luglio 1900. 42°.14’.47”.95 46. 67 47. 32 45. 06 12 luglio. 420.14’.45/".72 47. 17 46. 49 45. 84 44, 72 44. 24 13 luglio. 429.1447741 47. 69 47. 81 47. 15 46. 95 16 luglio. 420.14 47,75 47. 30 47. 46 48. 02 46. 12 47. 21 46. 60 47. 12 17 luglio. 41°.14/.48”. 66 47. 68 48. 70 46. 85 48. 01 47. 06 18 luglio. DW0D UT Di 42°.14".48”..53 48. 48. 47. 94 47. 31 46. 25 47. 29 Espressioni differenziali (5) dg =+- 0.32 das 4- 0,08 dI” + 0.27 da 0.59 dd dp =+ 0.05 da -- 1.00 do dp = — 0.05 da + 1.00 dd' dp = + 0.31 des — 0.24 dd” - 0.82 de + 0.12 dd + 0.28 da A- 0.50 dd dp =-— 0.09 da +-1.00 dd + 1.00 dd + 1.00 d4 dp = + 0.26 das — 0.56 dd + 0.32 da -- 0.14 do + 0.30 de +4 0.36 dd dp =-— 0.08 de + 1.00 dd —- 0.04 da + 1.00 dd dp =+- 0.27 das — 0.53 do” + 0.31 da — 0.25 dd' -|- 0.32 da + 0.14 dd + 0.28 da + 0.48 dd dp= + 0.04 de + 1.00 dd — 0.02 da -- 1.00 dò + 0.13 da + 1.00 dd — 0.02 de + 1.00 dd dp = + 0.31 das — 0.28 dd” + 0.32 de + 0.13 dd 0.27 da + 0.55 dd 0.01 da + 1.00 do 0.01 de + 1.00 dd 0.06 de + 1.00 dd dp = + 0.26 des — 0.56 dd’ -— 0.31 da — 0.21 dd + 0.28 da + 0.48 dd dp = — 0.02 da +-1.00 dd + 0.07 de + 1.00 dd — 0.06 da + 1.00 dd' — 2990 — Questi risultati mostrano una sensibile influenza della flessione del cannocchiale. Per metterla meglio in evidenza, si fanno, per ciascuna notte d'osservazione, le medie ponderate dei valori risultanti dalla Polare e dalle Stelle Sud, attribuendo ai valori della 4* colonna i pesi registrati nella 82, e si ottiene: Zenit e ES Latitudine media DATA strumen- STELLE EO £ Sen # Latitudine per ciascuna notte tale "3 a di osservazione (1) (2) (3) (4) (5) (6) (7) Polar 11 | 0.735 [42°.14".477.25 {1 luglio 1900... Î 0° oa È 490.1446”.78 ( Stelle Sud 9 | 0.762 46. 32 | 12 ( 450 Polare 16 | 0.738 46. 51 I, » ” . ( Stelle Sud 16 | 0.771 45. 06 Is \ Do. Polare 13 | 0.741 47. 59 40-53 ” ” ag . ( Stelle Sud 12 | 0.769 47. 07 16 ( J350 Polare 17 | 0.741 47. 61) AT. 190 » » z . | Stelle Sud | 17 | 0.777 46. 79 ( P 1 5 48. 35 n » È ( 0° olare 5 | 0.788 8. 35 47: 80 l Stelle Sud | 15 | 0.774 47. 26 È ( 90° Polare 15 | 0.742 48. 32 47. "1 »” »” S ( Stelle Sud T5OR|R01172, 47. 09 1 valori di senz registrati nella 5* colonna di questo specchio sono le medie di quelli che corrispondono ai diversi puntamenti della Polare, o alle diverse Stelle Sud. — Indicando ora con il vero valore della latitudine con d la costante di flessione, si ha gp= PI 1 SY CH (pf (01215 | | | | (CH (0; C CHs NI 4 vd 1 20R0NE Hi III. Per chi si richiami alla mente le analoghe reazioni degli indoli, è chiaro che la base III è appunto il prodotto immediato dell’azione dello joduro di metile sul tetraidrocarbazolo, e che si dovrebbe poter isolare, se congruamente si potesse limitare la reazione operando a più bassa temperatura; essa sarebbe, cioè, ciò che in quella serie di prodotti sono le indolenine, e la sua forma- zione si deve spiegare come quella della f#.8.@-trimetilindolenina da «$-dime- tilindolo ('). Mentre il cloroformio col pirrolo dà la 8-cloropiridina (?) e coi metilindoli le corrispondenti clorochinoline metilate (3), col tetraidrocarbazolo la sua azione si arresta ad una prima fase del tutto comparabile alla formazione delle in- dolenine. Dai due reagenti si elimina una molecola di acido cloridrico e s’at- tacca alla molecola del tetraidrocarbazolo un gruppo CHCl:, come il -CH, nel caso contemplato come possibile per la base III. La base clorurata che così si forma deve adunque avere la formola di costituzione IV : CH CHCl, CH; IE MNT CH oe CH» oo 6 6 ù TÀ Nardi TIVE (1) Questi Rendiconti, vol. IX, 1° sem., pag. 120. (£) Ciamician e Dennstedt, Gazz. Chim. It. XI, 800. — Ciamician e Silber, Gazz. Chim. It. XVII, 11. (*) Magnanini, Gazz. Chim. It. XVII, 246. — 306 — Noi diamo in questa Nota la prova sperimentale di questa ipotesi che abbiamo già un'altra volta in precedenza formulata. Da questa base siamo riusciti ad ottenere un termine della serie delle basi metilate e precisamente la II. Il passaggio diretto alla base III non ci fu possibile perchè i mezzi riducenti atti ad eliminare il cloro portano anche all’idrogenazione ulteriore della base. Non senza difficoltà ottenemmo invece la contemporanea decloru- razione e idrogenazione che ci diede la base sopradetta (II). La prima difficoltà che dovemmo vincere, fu quella di ottenere la base clorurata in quantità sufficiente ; essa si forma in piccola quantità dal tetra- idrocarbazolo, che se facilmente si ottiene col metodo di Zanetti (*), non si può però depurare che con grande consumo di sostanza e perdita di tempo; l'abbiamo ovviata partendo dal prodotto greggio della riduzione del carbazolo, che contiene tuttavia carbazolo inalterato, e modificando alquanto le pratiche della preparazione così: 10 gr. di tetraidrocarbazolo greggio, seccato nel vuoto e sciolto nell'alcoolato fatto con 100 gr. di alcool assoluto e 3.6 gr. di sodio, sì trattano goccia a goccia con 16 gr. di cloroformio. Si modera dapprima la reazione raffreddando; fattasi pigra, si completa riscaldando a bagnomaria, per mezz'ora circa, fino cioè a reazione neutra. Si distilla la maggior parte dell'alcool, si diluisce con poca acqua e si estrae tre volte con etere. La so- luzione eterea viene shattuta replicatamente con acido cloridrico al 10 °/, impiegandone in tutto circa 300 cem. Saturando il liquido acido con potassa ed estraendo con etere si ottiene la base clorurata, che da questo solvente si separa per concentrazione e raffreddamento. Ne constatammo la purezza a mezzo del punto di fusione e dell'analisi elementare. Calcolato per Ci3Hi3NCl» Trovato O 61.42 C 61.09 H'teb:12 H. 5.47 Per declorurarla provammo dapprima, con poco materiale ed esito poco soddisfacente, il sodio in soluzione amilica bollente; il prodotto quantunque esente da alogeni non presenta i caratteri di una sostanza unica. Meglio ri- sponde l’azione del fosforo e dell'acido iodidrico se si osservano le dovute precauzioni operando così: Tre grammi di base si chiudono in tubo, preferibilmente di vetro poco fusibile, con due grammi di fosforo e 10 cem. di acido iodidrico bollente a 127°, e si scaldano per una giornata intera a 150°. Dopo raffreddamento si apre alla lampada da smaltare l’ affilatura del tubo, se ne lascia uscire l’ idro- geno fosforato, presente già in grande quantità, e poi si richiudono di nuovo i tubi, fondendone la punta. Indi per un'altra giornata si scaldano a 250°. Il contenuto dei tubi dopo raffreddamento si presenta come un liquido denso (*) Gazz. Chim. It. XXIV, 3-115. — 307 — perfettamente incoloro, qualche volta cosperso di resina giallo bruna; rac- colto e diluito con due volumi d'acqua, s'intorbida, svolge fosfina, ma stenta a cristallizzare; scomposto con eccesso di potassa, estratto con etere e seccato con potassa fusa di recente, diede una base di aspetto oleoso che bollì così greggia a 13. mm. e 158°-162°. Il suo odore è in tutto simile a quello della base secondaria idrogenata ottenuta dalla metilazione del tetraidrocar- bazolo II, misto però alquanto ad odori ingrati di corpi indolici. Per di più conteneva un poco di alogeno. Era mestieri quindi depurarla. Per questo dapprima tentammo di farne il picrato di poi il iodidrato, ma questi due sali si prestano male, il primo è troppo solubile, il secondo stenta a cristal- lizzare. Provammo allora a convertire la base, nella base C,3 His N a mezzo del permanganato e fare il picrato di quest’ ultima, che è assai poco solubile, ma i prodotti secondari che l’ accompagnano, tuttochè in piccola quantità, ne mascherarono i caratteri rendendo dubbia l'identificazione. Meglio ci servì il bromidrato della base idrogenata. A questo scopo si salificò la base greggia con acido bromidrico acquoso saturo a 0°, cristallizzò subito il bromidrato che fu purificato cristallizzandolo ripetutamente dall'alcool assoluto. Si ot- tenne in bei cristalli compatti ed incolori che fondono a 228° quasi senza decomposizione. L'analisi diede risultati che corrispondono alla formola Cis His N Br Calcolato Trovato C 58.18 C 58.20 612 (HNN7112 La base ottenuta ha adunque alla sua volta la composizione C,3 H); N. La quantità del bromidrato corrisponde alla quasi totalità del prodotto. Dal bromidrato puro, la base si riottiene facilmente ed è esente da alogeni, ha odore nettamente timolico e pungente, dà una nitrosoammina e sì combina col fenilisocianato. Il suo cloroplatinato è molto solubile ed il cloroaurato si riduce all'istante. Per stabilire bene l'identità di questa base con quella della stessa com- posizione, ottenuta dai prodotti metilici, dovemmo anche di quest’ultima preparare il bromidrato, che ancora era sconosciuto. Lo ottenemmo liberando la base dal iodidrato fusibile a 167° e perfettamente puro e salificandola come la precedente. Il nuovo sale si mostrò in tutto identico al precedente e diede all'analisi questi risultati: Calcolato per CisHigBr Trovato C 58.18 O 58.04 HH 6.72 H 6.83 Mescolati intimamente i due bromidrati, in mortaino d'agata, la loro miscela fuse esattamente a 228° e solidificatasi rifuse alla stessa temperatura. RenpICcONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 40 — 308 — Con ciò è rigorosamente provata l'identità delle due basi di diversa pro- venienza, e ne consegue che la base biclorurata ha realmente la costituzione che le abbiamo attribuita IV; e che il cloroformio agisce in questo caso come il ioduro di metile addizionandosi al doppio legame indolico e dando un prodotto instabile così costituito : CH CHCl, CH, 7A NA CH GEL CH, Cu feno 101 Fao ANIA N CHIMUN CH; H che tosto elimina, nel modo indicato dal tratteggio, una molecola di acido cloridrico, ricostituendo un doppio legame tra l'azoto e l'atomo di carbonio vicino, comune ai nuclei pirrolico e benzolico idrogenato. In base a questi fatti trova la più chiara interpretazione la trasforma- zione del pirrolo in piridina a mezzo del cloroformio. Si può ammettere che avvenga così: HO —CH HC —CH — CHO], HC — CH — CHCI, | nl Ii nl "o pl Di Na È4 PEA N N N H H 1 DI SÌ, HOBS € — OHCI ul da 7 N 4. Il composto intermedio (3) che corrisponde appunto alla base clorurata del tetraidrocarbazolo, può ulteriormente eliminare acido clori lrico coll' idro- geno del posto $ e dare il composto (4) che facilmente poi si traspone in f-cloropiridina; la ragione quindi per la quale nel tetraidrocarbazolo la rea- zione si arresta e non arriva all'allargamento del nucleo azotato, è da ricercarsi nell'assenza di un idrogeno capace di dar luogo ad una seconda eliminazione d'acido cloridrico. Assai più probabile però è che il passaggio dal prodotto instabile (!) alla f-cloropiridina avvenga in seguito ad una transitoria apertura del nucleo, (1) Gazz. Chim. Ital. XII, 211. — 309 — duvuto ad una nuova azione del residuo del cloroformio uguale alla prima, per la quale viene sciolto anche il legame rimanente tra l'atomo di carbonio a e l'atomo di carbonio #, e la successiva chiusura per eliminazione di acido cloridrico; nella quale ultima fase verrebbe compreso nel nucleo, tra gli atomi di carbonio @ e #8 il residuo = CCI del cloroformio con formazione della f-clo- ropiridina. HC CHCHGCL HO —CH=CHC1 CH | | | me ZAN HC CH HC CH Ci i ni COl INIT AA i o | | N Si HC CH L- 4 N L'ostacolo che secondo questa ultima ipotesi incontrerebbe il tetraidro- carbazolo nel dare l'allargamento del nucleo, dipenderebbe appunto dalla dif- coltà che incontra il suo nucleo azotato ad aprirsi essendo forzato dal nucleo benzolico idrogenato. Con questa ipotesi riesce più facile a comprendersi che (1) anche il tetracloruro di carbonio dia col pirrolo la stessa #-cloropiridina. Basta infatti pensare che l’alcoolato sodico presente, come elimina l' HCl nel modo indi- cato dal tratteggio, può eliminare anche due atomi di cloro che si trovino collocati come l’H ed il CI. Queste esperienze e queste induzioni verranno pubblicate più estesamente nella Gazzetta Chimica Italiana. Zoologia. — Sul modo di adesione di alcuni Nematodi paras- siti alla parete intestinale dei Mammiferi (*). Nota del dott. AcostINO Rizzo, presentata dal Socio TopaARo. In seguito alle mie ricerche sul modo col quale l’ Wneinaria cernua e l'Uncinaria radiata si fissano alla mucosa intestinale e sulle alterazioni che vi producono (*), ho voluto estendere ad altri nematodi parassiti siffatto studio, con l’intendimento di constatare; 1°, se il fatto della produzione di clave da aspirazione come mezzo di fissazione di essi si possa riscontrare in altre specie e se vi sieno modi differenti di adesione per specie che differiscono nella costi- tuzione della loro estremità cefalica; 2°, quali alterazioni questi parassiti pro- ducano alla parete intestinale dell’ ospite. (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto zoologico della R. Università di Catania. (?) Rizzo A., Ricerche sull'attacco di alcune Uncinarie alla parete dell’ intestino. Rend. R. Acc. dei Lincei, 1900, vol. IX, fasc. 3°, pag. 107. — 310 — Nel cieco di due cavalli, uccisi qui in Catania, trovai numerosi esem- plari di Sclerostomum equinum (Miller) ed in uno soltanto di essi lo Scle- rostomum tetracanthum (Mebhlis) (!) attaccati alla parete intestinale, e, ancora aderenti, potei fissarli. Inoltre nel cieco di due pecore trovai aderente e fissai un altro nema- tode, il 7richocephalus affinis. Oltre al Trichocephalus, nel ceco di una di esse macellata a Bianca- villa, prov. di Catania, trovai, in gran parte liberi in mezzo al materiale con- tenutovi, numerosi esemplari di Oesophagostomum venulosum(Rud.). Mi sembrò d'averne visto qualcuno aderente alla parete dell’ intestino, ma, per quanta cura vi abbia posto, non potei fissarne alcuno che rimanesse ancora attaccato. Gli Sclerostomi, equino e tetracanto, che appartengono alla famiglia delle Uncinarie, si fissano, come queste ultime, alla parete intestinale del- l'ospite. Ciò è ammesso dalla maggior parte degli autori, quantunque il Neu- mann (°) affermi che lo Selerostoma tetracanto è ordinariamente libero fra le materie intestinali e lo si considera in generale come inoffensivo. Conosce però casi in cui questi parassiti in numero di parecchie migliaia, liberi nel- l'intestino, determinarono un' enterite emorragica e delle coliche mortali. Una figura riportata dal Railliet (8), che mostra gli Scelerostomi, equino e tetra- canto fissati ad un tratto di parete intestinale, basta per altro, a non tener conto dell’affermazione di tanti osservatori, a togliere ogni valore all’ asser- zione del Neumann. Quanto però al modo con cui gli Selerostomi si fissano alla parete inte- stinale e alle lesioni che vi producono,il Davaine (4), il Dujardin (?), il Perron- cito (5), il Railliet (7), il Neumann (8) (quest’ultimo pel solo Scelerostoma equino) ci dicono soltanto che questi parassiti stanno fissati con la loro arma- tura boccale alla mucosa dell’ intestino sulla quale formano, al punto in cui aderiscono, una papilla di colore scuro. Evidentemente l’ affermazione che i parassiti stanno fissati con la loro arma- tura boccale, non basta a spiegarci il modo con cui si fissano e con quali organi; nè la papilla di color oscuro, che il Dujardin dice prodotta succhiando e che si osserva nel punto in cui lo Sclerostoma s' è attaccato, è dato suffi- (1) Le due specie di Sclerostoma sono nuove per Catania; non posso dare alcuna notizia sulla loro frequenza, perchè ho esaminato solo il cieco di due cavalli. (2) Neumann L. G., Zraité des maladies parasitaires non microbiennes des animaua domestiques. Paris, 1892, pag. 338. (5) Railliet, Zraité de zool. médic. et agric., pag. 457, fig. 315. (4) Davaine, 7raité des entozoaires. Paris, 1877. (5) Dujardin, Histoire naturelle des Helmintes. Paris, 1845, pag. 258. (9) Perroncito E., Zrattato teorico-pratico sulle malattie degli animali domestici. Torino, 1886, pag. 278-281. (?) Railliet, 1. c., pag. 459, 463. (8) Neumann, 1. c., pag. 394. — 311 — ciente per illuminarci sulle lesioni che questi nematodi producono all’ inte- stino dell'ospite, al quale nondimeno, secondo gli autori menzionati, reche- rebbero tali lesioni da produrgli la morte per colica, enterite emorragica, anemia grave, ecc. 4) SCLEROSTOMA EQUINUM. — Pezzi di cieco di cavallo a cui questo parassita aderisce, all'esame macroscopico mostrano una leggera elevazione della mucosa, circostante al punto in cui il nematode è fissato, che corrispon- derebbe alla papilla notata dagli autori. Fic. 1. Sezione di cieco di cavallo con Sc/erostomum equinum aderente: C, capsula boccale del parassita; (7, clava prodotta sulla parete intestinale dell'ospite; D, dente del fondo della capsula; 224 mucosa; 7.34, muscu- laris mucosae; sin, sottomucosa; (F. Albergo dis.). La colorazione dei pezzi, fissati col liquido del Mingazzini, fu fatta con ematossilina Ehrlich e carminio litico ; le sezioni, disposte in serie, furono trat- tate con una soluzione d'acido picrico (0.50 °°/9) in xilolo. Il parassita, nel punto in cui si attacca alla parete intestinale, infossa la sua estremità anteriore nella mucosa, producendo una clava (2, fig. 1) che la forma ha della capsula boccale (C') del nematode. Questa, in sezione longitudi- nale, apparisce ovoide, con l'estremità anteriore, corrispondente al margine boc- cale, ristretta e provvista di più serie di dentini. La parte ristretta della capsula, come un cercine, corrisponde allo strozzamento della formazione claviforme ed il fondo, slargato, al punto di maggior diametro della clava. Quest’ ultima apparisce costituita, dall'esterno verso l’ interno: 1°, da un tenue strato di mucosa fortemente compresso ed in gran parte distrutto, spe- cialmente verso la parte più slargata della clava; 2°, dalla muscularis mucosae anch'essa in qualche punto distrutta; 3°, da connettivo sottomucoso infiltrato — 312 — di numerosi corpuscoli linfoidi e di piccole cellule. Dei vasi sanguigni, in qualche caso di calibro piuttosto grosso, si possono vedere o sezionati tra- sversalmente nella clava o, anche in sezione longitudinale, si posson seguire fin dentro ad essa. La clava presenta anche delle profonde incisure prodotte dai due larghi denti chitinosi che sporgono dal fondo della capsula e che si infiggono nel tessuto dilacerandolo. Le glandole del Lieberkihn sono compresse ed alterate nei punti circo- stanti alla formazione claviforme; la mucosa e la sottomucosa sono anch’ esse infiltrate. Nell'’esofago e nella prima parte dell’ intestino del parassita si trovano delle cellule epiteliari, più o meno alterate, detrito e qualche corpuscolo sanguigno. db) SCLEROSTOMUM TETRACANTHUM. — Di questo nematode potei avere pochi esemplari rimasti attaccati dopo la fissazione, ed anche questi, nelle manovre successive e nei passaggi dei varî liquidi per la colorazione e l’ inclu- sione, si andavano staccando dal pezzo al quale erano aderenti; di ciò trovai una spiegazione nella forma della capsula, ed in conseguenza anche in quella della clava, che permette che il parassita sì distacchi anche in seguito a leg- geri movimenti del pezzo nel liquido in cui si immerge. Ad ogni modo, assicuratomi che il nematode staccato era proprio lo Sclerostoma tetracanto, includevo il pezzo e ne facevo le sezioni attribuendo al parassita le lesioni che vi riscontravo. I pezzi vennero colorati e le sezioni trattate con gli stessi metodi usati su quelli portanti lo Selerostoma equino. Anche lo Sclerostoma tetracanto produce sulla parete intestinale una clava costituita da mucosa fortemente alterata, compressa ed infiltrata di pic- cole cellule, da muscularis mucosae e da connettivo sottomucoso, anch' essi, come il tessuto circostante, infiltrati e colorati con maggiore intensità. La forma della clava però è un po’ differente da quella dello Sclerostoma equino, pel fatto che il suo diametro è quasi uniforme in tutta la sua altezza non presentando quel forte strozzamento all’inizio, ed è soltanto leggermente slargata nella parte che corrisponderebbe al fondo della capsula boccale del parassita. È evidente dunque che gli Selerostomi, equino e tetracanto, nel punto in cui aderiscono alla mucosa, formano come le Wneinarie, una clava da aspi- razione che li tiene fissati alla parete intestinale dell'ospite ed ha la forma della loro capsula boccale. Fanno parte della clava la muscularis mucosae e la sottomucosa che vengono aspirate, per la dilatazione dell'esofago dei parassiti, fino in fondo alla capsula. Lo Selerostoma equino infigge nel tessuto della clava i suoi due potenti denti chitinosi che sporgono dal fondo della sua capsula boccale. Si alimentano dei tessuti che dilacerano e del sangue che ne esce, e possono giungere a ledere vasi di una certa importanza che decorrono nella sotto- mucosa. — 313 — Nei punti circostanti a quello in cui si fissano, determinano sempre una reazione infiammatoria della mucosa. Questi fatti ci spiegano le gravi enteriti emorragiche e le anemie mor- tali che Railliet, Nocard, Lloyd, Williams, Perroncito, Fischer, Taylor ed altri hanno attribuito agli Selerostomi contenuti in grande quantità nel ceco degli equini. Il Trichocephalus affinis che si riscontra frequentemente nel ceco degli ovini (') e di raro anche in quello dei bovini, è una specie molto vicina al Trichocephalus dispar, parassita proprio dell'uomo. Per molto tempo il 77- cocefalo fu ritenuto causa di gravi e svariate malattie dell'ospite, ma suc- cessive osservazioni lo fecero ritenere invece affatto innocuo. S'è anche discusso se i Tricocefali, tanto la specie parassita dell’uomo, quanto quella propria degli ovini, stiano attaccati o no alla parete dell’ intestino. Bellingham, Klebs, Wichmann, Blanchard ed altri affermano che essi vivono liberi nel lume intestinale dell'ospite, mentre il Wrisberg dice che fanno entrare l'una o l’altra delle loro estremità nell'orificio delle glandole del Peyer o dei follicoli; invece il Davaine (2) crede che essi stieno proba- bilmente fissati, durante la vita, alla parete intestinale con la testa che infos- sano nella mucosa. Vix e Leuckart ammettono che il verme fora la mucosa con la parte affilata del suo corpo, in maniera da non lasciar libera che l’ estre- mità boccale e la parte posteriore rigonfia. In una figura riportata nel suo trattato di Zoologia l’ Emery (3) ci mostra il 7richocephalus dispar con la parte sottile del suo corpo soltanto immersa nel muco intestinale. Il Perron- cito (4) dice che l'esile testa dei 7ricocefali (dispur) si trova ordinaria- mente fissa nella mucosa ed il corpo libero nel cavo dell’ intestino e pel 77/- cocefalo affine ritiene che se i parassiti sono in piccol numero ordinaria- mente passano inavvertiti, se in gran numero possono produrre catarro inte- stinale e disporre all'anemia, massime se si trovano con altri elminti (con Strongili ecc.). Il Railliet (°) nota che «i 7rzcocefali nell'uomo e negli animali sembra che abbiano la testa infossata nella mucosa; tuttavia, secondo Heller, questa perforazione non sarebbe la regola, l'estremità anteriore si insinuerebbe sem- plicemente fra le pieghe superficiali della mucosa, « en les enserrant de ses (1) Questo parassita negli ovini è stato in Catania anche trovato da Grassi e Calan- druccio, Intorno ad una malattia parassitaria (cachessia ittero verminosa). Atti Acc. Gioenia di sc. nat. in Catania, ser. 3%, vol. XVIII, 1884. (2) Davaine, Traité des Entozoaires. Paris, 1877, pag. 208. (3) Emery C., Compendio di zoologia. Bologna, 1899, pag. 194, fig. 213. (4) Perroncito E., / parassiti dell’uomo e degli animali utili, 1882, pag. 383. — Trattato teorico pratico sulle malattie degli animali domestici. Torino, 1886, pag. 299. (5) Railliet, 1. c., pag. 479, 482. — 314 — sinuosités ». In generale la presenza del 7ricocefalo nell’ intestino non si ac- compagna ad alcun disturbo patologico, tuttavia s' è citato qualche caso ecce- zionale in cui l'accumulo di questi parassiti coincidette con fenomeni nervosi gravi e talvolta anche mortali ». Il Sommer ('!), finalmente, osserva che « la fissazione del 7ricocefalo dispar alla parete intestinale è tale che per staccarnelo si richiede una ener- gica trazione. Questa fissazione è fatta esclusivamente dall’ estremità cefalica Fic. 2. Sezione di cieco di pecora in cui sta infossata la testa del 7richocephalus affinis: M, mucosa; Sm, sotto- mucosa; /7, infossamento della mucosa prodotto dal Tricocefalo; 7’, testa del Tricocefalo; 723, muscu- larîs mucosae; (F. Albergo dis.). che, ridotta in anse, stringe piccoli campi della mucosa e si approfonda ugual- mente negli strati superficiali del tessuto. I singoli parassiti, come i piccoli gruppi di essi, non disturbano il benessere ma se sono in gran numero non sarebbero esclusi effetti dannosi per l’ ospite ». In due ciechi di pecora che esaminai, trovai molti esemplari di 77/cko- cephalus affinis aderenti alle pareti intestinali; nell'uno e nell'altro caso gli animali a cui appartenevano, i pezzi d’'intestino esaminati erano stati di recente uccisi. Alcuni pezzi, col nematode aderente, furono fissati col liquido del Min- gazzini, colorati con carminio alluminoso e sezionati in serie. Il parassita infossa la testa (7, fig. 2) nella mucosa dell’ ospite ed a spese di quest ultima, i cui elementi sono distrutti nella fovea (7) prodottavi e le (4) Sommer, Z’richocephalus dispar, in Eulenburg, Diz. encicl. di med. e chir., ediz. ital.. vol. XIV, pag. 44. — 8315 — glandole del Lieberkihn sono in parte distrutte ed in parte compresse e defor- mate. Il resto della parte più sottile del corpo del verme, che può anche formare delle anse, produce una profonda e larga doccia sulla mucosa dell’ intestino dell'ospite e vi si infossa standovi adagiato fin quasi ad esserne ricoperto e ciò, non soltanto nelle naturali insenature di essa, come pretende 1’ Heller, ma anche in punti in cui forma dei rilievi. Le pareti di questo solco sono costituite da tessuto fortemente alterato in cui gli elementi epiteliari sono in gran parte disfatti e le glandole del Lieberkilhn distrutte e si vedono sostituite da un tessuto più o meno omogeneo intensamente colorato, che va gradatamente acquistando i caratteri della mucosa normale man mano che va allontanandosi dal focolaio. Un fatto che m'è sembrato di una grande importanza, perchè darebbe ad un organo speciale del 7ricocefalo, al nastro longitudinale granuloso, un significato fisiologico ben diverso da quello finora attribuitogli, è il seguente: È noto che la parte più sottile del corpo del 7ricocefalo, o corpo an- teriore, presenta alla faccia ventrale una larga striscia longitudinale, formata da una gran quantità di rialzi puntiformi, di cui ciascuno rappresenta la estremità d'un bastoncello chitinoso che parte da una delle cellule cilindriche dello strato sottocuticolare e attraversa tutto lo spessore della cuticola, sol- levando leggermente la esile pellicola cuticolare che resta intatta. Questa stria, dapprima stretta, comincia a mm. 1 dell'estremità cefalica, occupa bentosto tutta la larghezza della faccia ventrale, e si continua fino in vici- nanza della parte posteriore ingrossata del corpo. Ora, le sezioni trasversali, in cui sono conservati i rapporti tra paras- sita e parete intestinale dell'ospite, mostrano (fig. 3) sempre che è la faccia ventrale del nematode quella che sta in contatto colla parete intestinale ; il nastro o stria longitudinale granulosa, in altri termini, sta costantemente nel solco della mucosa e nella parte più profonda di esso. Può accadere che un tratto del corpo anteriore del 7ricocefalo abbia subìto, per così dire, una torsione sul proprio asse longitudinale, in modo che una parte maggiore o minore di questa stria bacillare ventrale non guardi direttamente in basso, ma di lato o anche in alto; ma questo fatto, oltre che non frequente e li- mitato a breve tratto in confronto del lunghissimo corpo anteriore, mostra un particolare notevole, e cioè, che in qualche punto la parte del solco che è in rapporto con la stria bacillare, mostra le maggiori alterazioni della mucosa, potendosi sinanco vedere alcuni elementi dell'epitelio che riveste la mucosa, intatti nella parte superiore del solco in contatto della porzione laterale o dorsale del parassita in cui non si trovano i bastoncelli di chitina. Questo nastro longitudinale è ritenuto un organo di accoppiamento dal Blanchard (!) che crede di affermarlo in modo indubbio, il Railliet (2), evi- (1) Blanchard R., Traité de cool. médic. T. 1. Paris, 1889, pag. 777. (2) Rallliet, 1. c., pag. 480. RenpICcONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 41 — 316 — dentemente riferendosi all'opinione degli altri, dice che questa stria bacillare ventrale s'è considerata come un organo d' accoppiamento, ed il Leuckart (!) dà ad essa il carattere di un organo adesivo (Haftorgan). Non ho potuto raccogliere nella letteratura altri dati, nè so apprezzare le ragioni che indu- cono il Blanchard ad attribuire la funzione speciale di organo di accoppia- mento a quest organo del 7ricocefalo; però quello che ho esposto, confortato RIGI3: Sezione di cieco di pecora in cui sta infossata una parte del corpo anteriore del 7ricocefalo: d, dorso del Tricocefalo; sv, stria bacillare ventrale; 7°, Tricocefalo che ha prodotto un infossamento della mucosa In cui sta adagiato; J, mucosa; m/, muscularis mucosae; (F. Albergo dis.). dalla considerazione che la stria longitudinale si trova nel corpo anteriore che è la sola parte del parassita che si infossa nella mucosa, mi fanno ra- gionelvolmente pensare che questa stria serva piuttosto al parassita per sca- varsi nella mucosa un solco in cui si annida. La punta degli innumerevoli bastoncelli chitinosi che sollevano la cuticola, dà alla superficie della stria longitudinale ventrale una particolare scabrezza, per mezzo della quale il verme strisciando sulla parete intestinale determina la formazione del solco nella mucosa. Questo solco, evidente anche nella figura qui riportata (fig. 3), non potrebbe infatti agevolmente esser prodotto dall’ estremità cefalica del paras- (1) Leuckart, Die menschlichen Parasiten, 1868-1878 — riportato da Heine P., Beitràge zur Anatomie und Histologie der Trichocephalen, insbesondere des Trichoce- phalus affinis. Central. fir Bakt. Paras. und Infekt. Bd. XXVIII, n. 22, dicembre 1900, pag. 785. SI dee rp — 317 — sita che non ha muscoli tanto potenti e produce solo un leggero infossamento della mucosa, nè potrebbe essere spiegato per la pressione esercitata dal corpo anteriore del parassita che è tanto sottile e sprovveduto di uno spesso strato muscolare. Questa interpretazione della funzione del nastro longitudinale granuloso mi sembra perciò più soddisfacente di quella che la considera come organo di accoppiamento, e credo che possa essere adottata anche perchè trova la conferma nei fatti istologici che ho più sopra riferito. Zoologia. — Propagazione delle filarie del sangue unicamente per la puntura delle zanzare. 3° Nota preliminare di G. NoÈ, presentata dal Socio B. GRASSI. Continuo in questa Nota il resoconto degli esperimenti istituiti l’anno scorso dal prof. Grassi e da me, per confermare il modo di propagazione delle filarie del sangue, com'era stato determinato da noi mediante l' infe- zione artificiale di un cane. I risultati ottenuti sono veramente brillanti. Tuttavia prima di dar ra- gione di questi, è mio dovere far noto ai lettori ciò che mi occorse a pro- posito di uno degli esperimenti, citato nella mia ultima Nota preliminare (16 dicembre u. s.). Quivi annunciavo che un cane, il quale era stato punto per un periodo di 12 giorni (13-24 agosto), presentava al 5 dicembre rari embrioni di /ilarza immitis nel sangue periferico; debbo ora aggiungere che il numero degli embrioni andò per un certo tempo aumentando, cosicchè, ai primi di feb- braio, ritenendo ormai inutile la continuazione dell’ esperimento, uccisi il cane per ricercarvi gli adulti. Ma quali non furono la mia meraviglia ed il mio disappunto, allorchè, non ostante le più minuziose e prolungate ricerche (fu- rono continuate per quattro giorni), dovetti riconoscere l’ inutilità delle inve- stigazioni; difatti, nessuna filaria venne rinvenuta, mentre il cane avrebbe dovuto ospitare almeno un maschio ed una femmina. Ripeto, le ricerche furono diligentissime, dirette in tutte quelle regioni del corpo nelle quali era possibile di spingere lo sguardo e compiute in compagnia di un individuo, fornito di vista acutissima, molto abile in tal genere di investigazioni. È difficile pronunciare un giudizio definitivo in proposito; mi riserbo invece di farlo nel lavoro in esteso di prossima pubblicazione, dopo aver at- tentamente studiati gli embrioni in parola, dei quali ho verificato pure la presenza in un cane che tengo a mia disposizione. Ai primi di febbraio, cioè quando fu ucciso il cane suddetto, un altro cane presentò gli stessi embrioni, ma ancor più rari. Questo cane, sano. — 318 — dell’ età di circa due anni, era stato punto nelle notti del 23 e del 24 agosto da Anopheles claviger infettatisi in laboratorio succhiando il sangue di un cane filarioso. Edotto dall'esperienza, conservai il cane, per vedere se il numero degli embrioni crescesse. Intanto, confrontati questi embrioni con quelli di filaria immitis, ho potuto rilevare alcune differenze, specialmente nelle dimensioni e nel modo di locomozione. Finalmente, constatato che il numero e le di- mensioni degli embrioni non aumentavano, mi decisi ad uccidere il cane; il che avvenne il giorno 12 aprile. Dopo un’ intera giornata di ricerche fu rin- venuto un solo individuo femminile di {ilaria immitis nascosto nel connet- tivo sottocutaneo. Questa filaria, della lunghezza di 6 cm., all'esame micro- scopico, si dimostrò non fecondata, quindi priva di embrioni, il che si deve probabilmente alla mancanza del maschio nel cane stesso; infatti non fu rin- tracciata alcun'altra filaria. Quantunque rimanesse anche in questo caso insoluta la questione del rapporto esistente tra la filaria immitis e gli embrioni circolanti nel sangue, una cosa però era evidente, e cioè che la presenza della filarzia immitis era dovuta all’ infezione contratta dagli Anopheles che avevano punto il cane nell'agosto, giacchè le dimensioni del parassita non potevano far pensare ad una più lunga permanenza del nematode. E passiamo ad un altro esperimento. Una piccola cagna, sana, fu punta più volte dal 15 al 20 ottobre del- l’anno scorso, da Aropheles infettatisi in laboratorio. Al 14 aprile non pre- sentava ancora embrioni di sorta nel sangue periferico: tuttavia, fiducioso nel risultato, uccisi in questo giorno stesso la cagna; il risultato corrispose pie- namente all’aspettazione. Infatti, ben nove filarie furono estratte dal suo corpo, delle quali, otto nascoste nel connettivo ed una neila cavità del pe- ricardio; se non erro è la prima volta che si rinviene la {ilaria immitis nella cavità delle sierose. Di queste filarie, tre erano maschi. Gli individui erano tutti sessualmente maturi; le femmine erano fecondate e provviste ab- bondantemente di embrioni. La lunghezza massima delle filarie rinvenute è di 5 cm. per i maschi, di 11 cm., invece, per le femmine. Sopravvivono altri due cani che furono punti da zanzare infette; ho deciso però di serbarli in vita sino a quando presenteranno embrioni nel sangue periferico. Darò conto tra poco di questi esperimenti nel lavoro in esteso. Viceversa, un cane, sano, che mangiò ripetutamente dal 23 luglio al 5 agosto centinaia di Aropheles raccolti in località dove la /ilaria immitis è frequente ed Aropheles infettati appositamente in laboratorio, non presentò alcuna filaria, nonostante le più minuziose ricerche. — 319 — Resta adunque confermato che le filarie del sangue si trasmettono dal- l’uno all’altro ospite definitivo per mezzo della puntura delle zanzare (ospiti intermedî) secondo il meccanismo da noi ideato; ogni altra via di infezione è assolutamente esclusa. Anatomia. — Sul sistema nervoso sottointestinale dei Mi- riapodi ('). Nota preliminare del dott. Giovanni Rossi, presentata dal Socio B. GRASSI. Molto poco si conosce intorno al sistema nervoso ventrale dei Diplopodi e si può dire che, per l'anatomia, si deve ancora ricorrere al lavoro del New- port (*) e, per lo sviluppo, a quello dell'Heathcote (3). Non vi sono poi nella bibliografia che qua e là delle notizie di poco conto. Io ho fatto oggetto delle mie ricerche il sistema nervoso ventrale di Julus terrestris. Per studiare l’a- natomia esterna, ho aperto l’animale pel dorso, previa cloroformizzazione, e l’ho trattato con soluzione diluitissima di acido osmico. Asportato il tubo digerente, riesce difficoltoso togliere anche le masse adipose laterali per lasciare allo scoperto, senza spezzarli, i nervi che ne sono inviluppati. Per isolare poi il sistema nervoso ventrale, occorre molta pratica e molta pazienza, perchè le numerose trachee che vanno in esso sono altrettanti tenaci legami che lo trattengono in sito, e la delicatezza del suo tessuto ne permette facilmente la fragmentazione. Le iniezioni vitali di azzurro di metilene sono difficili a prati- carsi, data la rigidezza del tegumento e la facilità con cui esso si spezza nelle articolazioni interzoonitiche, provocando la fuoruscita degli organi interni; mi hanno dato però degli ottimi risultati. Il sistema nervoso sottointestinale di /ulus non è @ catena, 0 a scala a piuoli, come negli altri Artropodi, ma è un vero cilindro appiattito, senza gangli, senza commessure, senza connettivi (fig. 1). Solo all'origine dei nervi pedali, nella faccia ventrale del cordone, esistono dei leggieri rigonfiamenti (fig. 2), a cui non può darsi il significato di gangli, poichè l'esame istologico mostra che vi manca una concentrazione di elementi nervosi. Il modo di originarsi dei nervi in ciascun anello del corpo coincide con questa mancanza di differenziamento nella forma del cordone, in quanto le loro radici non sono raggruppate in guisa da accennare a gangli metamerici, ma sono distribuite per paia, ad intervalli quasi uguali, lungo tutto il cordone stesso. Per ogni segmento mobile del corpo vi sono quattro paia di nervi (fig. 1); ossia: (1) Lavoro eseguito nella Stazione Zoologica di Napoli. (2) Newport, On the structure, relations and development of the Nervous and Cir- culatory System in the Miriapoda Phil. Trans. R. S. London, 1843. (8) Heathcote, The Post-Embryonic Development of Julus terrestris. Ibidem, 1888. — 320 — 1° paio di nervi (N'); partono dalla superficie inferiore del cordone, seguono un cammino obliquo dallo avanti allo indietro e vanno al primo paio di piedi. 2° paio di nervi (N°); partono dalle superficie laterali del cordone, ad angolo retto rispetto all'asse di quest'ultimo, e vanno alle regioni laterali della porzione anteriore del zoonite. 3° paio di nervi (N°); partono, come quelli del primo paio, dalla su- Fic. 1. Cordone nervoso di Ju/s visto dalla re gione dorsale. 4/ muscoli longitudinali del tronco — wp, mp' muscoli del 1° e 2° paio di piedi — / introflessioni cutanee interzoonitiche. perficie inferiore del cordone; seguono un decorso alquanto obliquo da dietro in avanti e vanno al 2° paio di piedi. 4° paio di nervi, simile al 2°; sono laterali e vanno alla porzione poste- riore del zoonite (N). Si alternano adunque i nervi pedali con quelli laterali del tronco. A completare il concetto di un siffatto cordone nervoso era necessario lo studio della sua intima struttura, senza bisogno d'altronde di ricorrere, pel mo- mento, a ricerche citologiche speciali. Per l'esame istologico ho preferito preparare interi pezzi del tronco di Julus piuttosto che isolare il cordone, operazione che porta quasi sempre in questo animale a disgregamenti o a rotture. Per fissare e insieme decalcificare ho usato una soluzione al 5 °/, di acido nitrico in alcool a 90°, che rinnovavo di tanto in tanto. Per includere ho usato la celloidina. Affine di non ecce- Mer — 321 — dere i limiti di questa nota, non esporrò qui i metodi di colorazione, riser- bandomi di parlarne in una Memoria, che spero ben presto di ultimare. La struttura istologica corrisponde alla forma del cordone e alla distri- buzione, per così dire, sparsa dei nervi. Gli elementi nervosi, difatti, non sono raccolti in regioni gangliari, ma sono ugualmente distribuiti lungo tutto il cordone; manca la concentrazione anche nei piccoli rigonfiamenti notati allo inizio dei nervi pedali. RIGERZI Sezione sagittale del cordone nervoso di Julus; cn nuclei delle cellule nervose. Procedendo dal di fuori al di dentro, si notano nel cordone nervoso di Julus le seguenti parti : 1. Un inviluppo esterno, fornito di nuclei, di apparenza compatto, che poi, assottigliato, si continua come guaina intorno ai singoli nervi (fig. 2, de). 2. Un tessuto lacunare o reticolato che si voglia dire, a nuclei rotondi destinato certamente alla circolazione dei liquidi nutritivi e tutto percorso da numerose trachee (fs). Per osservare queste ultime è necessario che siano riempite di aria. A tal uopo ho fatto morire l'animale, immergendolo in glice- rina molto densa, e poi ho isolato il cordone. La glicerina rende trasparente il tessuto nervoso e lascia spiccare benissimo i tubi tracheali, che danno riflessi argentei, se sono guardati a luce incidente e appaiono neri guardati per trasparenza. I Questi tubi sono sottilissimi, privi di ramificazioni e di anastomosi; entrano nel cordone, per la sua faccia ventrale, raggruppati in due paia di — 322 — fascette per ogni zoonite, e si distribuiscono subito con decorso longitudinale e omogeneamente per tutta la lunghezza del cordone, senza formare in nessun punto quelli che si sogliono chiamare gangli tracheali. Anche ciò è consono cogli altri caratteri del cordone nervoso di Julus. Il tessuto reticolato ha un massimo sviluppo nella regione dorsale, dove gli elementi nervosi sono pochi o mancanti e scarseggia nella regione ventrale. 8. Delle cellule nervose, distribuite soprattutto nella parte inferiore del cordone (cn). Sono unipolari, piriformi, con protoplasma granuloso, poco colorabile e con nucleo rigoglioso, rotondo. La cellula si continua con un esilissimo prolungamento che va a perdersi nella massa interna del cordone. 4. Una massa interna fibrosa (m2/), che presenta, nelle linee medio- longitudinali ventrale e dorsale, un angolo rientrante, occupato da elementi nervosi e da tessuto lacunare e che rivela la duplicità originaria del cordone. Questa massa, oltre all'essere costituita ‘di fibrille, presenta anche quella sostanza granulosa che è nota negli Insetti, e che non so decidere se sia una so- stanza speciale o il risultato della precipitazione, in contatto coi reagenti, dei liquidi nutritivi che dal tessuto lacunare devono senza dubbio infiltrarsi nello interno del cordone. Qua e là nella regione trasversale della massa interna, se la colorazione è elettiva, vedonsi dei punti più oscuri e più compatti, che sono, a parer mio, fibrille raggruppate a fasci. La catena sottointestinale dei Chilopodi è più nota perchè, oltre che dal Newport, è stata descritta, benchè non molto recentemente, dal Zograff in Lithobius (') e in Geophilus (*). Intorno a quella di Scolopendra cingulata, che non è stata ancora oggetto, per quanto io sappia, di studio speciale, io for- nirò poche mie osservazioni, collo scopo principale di comparare il sistema nervoso sottointestinale dei Diplopodi con quello dei Chilopodi. Non mi prolungherò sulla anatomia macroscopica, essendo noto che in Scolopendra vi sono dei gangli che danno origine a quattro paia di nervi e che vengono collegati da connettivi. Quanto alla intima struttura, i connettivi mancano di cellule nervose, le quali sono concentrate nel ganglio. Una sezione trasversa di quest'ultimo somiglia a una sezione trasversa del cordone di /u/us dovunque praticata. Di fatti in essa (fig. 3) si nota dallo esterno allo interno: 1. Un inviluppo esterno, simile a quello notato in Ju/us, con nuclei allungati (ze). 2. Un tessuto lacunare o reticolato (fs), che ben si distingue dagli elementi nervosi perchè possiede nuclei più piccoli. Questo tessuto è percorso (1) Zograff, Anatomie von Lit hobius forficatus. Arbeit Lab. Zool. Mus. Moskau, 1880 (in russo). Idem, Veder das centrale Nervensystem von Lithobius forficatus. Soc. des amis de la nature de Moscou, 1881 (in russo). i (2) Zograff, Materialen zur Kenntniss der embryonalen Entwicklung von Geophilus ferrugineus, 1883 (in russo). — 323 — da trachee che mostrano nella loro distribuzione lo stesso differenziamento pre- sentato dalla catena nervosa, in quanto formano dei fasci nei connettivi e dei gangli tracheali nei gangli nervosi. 8. Le cellule nervose (cx) che sono anche qui unipolari, piriformi, con protoplasma granuloso, poco colorabile rispetto al tessuto reticolato, e con nucleo relativamente grande, ovale, quasi centrale, con nucleolo e gra- nuli ben visibili. Le cellule però non hanno tutte la stessa grandezza, ma ve ne ha di quelle piccole e di quelle che, anche in rapporto alle minime dimensioni degli elementi dei Miriapodi, potrebbero chiamarsi gigantesche. Queste grandi cellule si riscontrano per lo più nella regione ventrale del ganglio. Rimaais: Sezione trasversale di un ganglio della catena nervosa di Sco/opendra. — N nervi. 4. Una massa interna fibrosa (72/) che accenna anche qui, con solchi mediani longitudinali, alla natura doppia originaria del ganglio. A forte ingrandimento mostra una struttura reticolata che devesi certamente allo intreccio complicato delle fibrille nervose. Le maglie di questo reticolo fibril- lare sono riempite di sostanza granulosa della stessa natura certo di quella notata in Jul/us. Anche qui si osservano in sezione trasversa dei punti più compatti e più intensamente colorati, dovuti, come pare, a fasci fibrillari longitudinali che posssono seguirsi anche in una sezione longitudinale. Dei fasci fibrillari trasversali vanno poi a formare le radici dei nervi. Nella Sco- lopendra vi ha dunque, ma limitata ai soli gangli, quasi la stessa struttura che si osserva nel cordone di Ju/us per tutta la sua lunghezza. Si può conchiudere che, mentre nei Diplopodi non esistono concentra- menti gangliari, nè per la forma del cordone, nè per la origine dei nervi, nè per la localizzazione delle cellule nervose, nè per la distribuzione delle — 324 — trachee; nei Chilopodi invece, per tutti questi stessi riguardi esiste un vero differenziamento di gangli, congiunti da connettivi. Epperò, pel sistema ner- voso sottointestinale, v'ha una certa somiglianza negli uni con quanto ri- scontrasi nell'’embrione degli Insetti e in alcuni Vermi, negli altri invece con quanto riscontrasi negli Insetti adulti. Nei primi adunque v' ha un im- portante carattere d' inferiorità rispetto ai secondi; resta a vedere se trattasi di primitività o di regresso. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. a Seduta del 5 maggio 1901. P. BLASERNA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulla distribuzione in latitudine delle macchie solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 1900. Nota del Socio P. TACCHINI. Dalle latitudini calcolate per i gruppi di macchie osservati durante l’anno 1900, ho ricavato la frequenza relativa del fenomeno nelle diverse zone solari, che nel seguente quadro è data per ciascun trimestre. 1900 Latitudine 1° Trimestre 2° Trimestre 3° Trimestre 4° Trimestre o o | | | 90 + 80 | 0,000 0,000 0,000 0,000 80+ 70! 0,000 0,000 0,000 0,000 70 + 60| 0,000 0,000 0,000 0,000 60 + 50 | 0,000 0,000 0,000 0,000 50 + 40 | 0,000 )0,714| 0,000 )0,305| 0,000 »0,467 | 0,000 ;0,200 40 + 80 | 0,000 0,000 0,000 0,000 30 + 20 | 0,000 0,000 0,000 0,000 20 + 10 | 0,214 0,044 0,000 0,000 10. 0] 0,500 0,261 0,467 0,200 +] == |. —|. [I|l--_— i... Ilh\.—_6 (eSS0I di 0,391 | ma 0,800 10 — 20| 0,286 0,304 0,200 0,000 20 — 30 | 0,000 0,000 0,000 0,000 30 — 40| 0,000 0,000 0,000 0,000 40 — 50| 0,000b0,286| 0,000 \0,695 | 0,000 00,533 | 0,000 \0,800 50 — 60 | 0,000 0,000 0,000 0,000 60 — 70| 0,000 0,000 0,000 0,000 70 — 80 | 0,000 0,000 0,000 0,000 80 — 90| 0,000 I 0,000 I 0,000 I 0,000 RenpIcoONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 42 — 326 — Le macchie si contennero durante tutto l’anno nella zona equatoriale compresa fra i paralleli = 20°, e furono più frequenti al sud dall'equatore come nel precedente anno. Astronomia. — L’orbita di Eros în base al periodo Agosto 1898 - Aprile 1901. Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH. Nella seduta del 16 dicembre u. s. ebbi l'onore di informare l'Acca- demia delle migliorie minime apportate all'orbita di Eros in base ad un nuovo luogo normale alla data 1900 ottobre 31,5 B, dedotto da osservazioni fornitemi specialmente dal prof. Antoniazzi, attivissimo astronomo della Specola di Padova. Per mettere alla prova del cielo la nuova orbita quanto l'astro saliva a forti declinazioni e poi s'accostava alla terra fino a distarle a fine d'anno di 0.31, era necessario calcolare l’effetto delle perturbazioni per opera di Venere, Terra, Marte e Giove sulle coordinate equatoriali geocentriche; senza questo conteggio una correzione agli elementi sarebbe stata dannosa anzichè utile, poichè l’effetto delle perturbazioni, specialmente per opera della Terra, si fece, in febbraio, assai forte. Non ho mancato di fornire agli astronomi una correzione complessiva, e per corretti elementi e per le perturbazioni, all’effemeride che io aveva preparato per uso delle osservazioni internazionali per la parallasse. I miei nuovi elementi, tenuto conto delle perturbazioni, rappresentarono il cammino geocentrico dell’astro con differenze assai piccole, in condizioni di prova eccezionalmente eccellenti, cioè essendo generalmente assai forti i coefficienti differenziali delle correzioni degli elementi. Un saggio dei valori di detti coefficienti si ha nella seguente tabellina per 4@ cos d e 40 ordinatamente. dL, dL du du dé dé day dy 1900 ott. 15B-2.47 +0.50| — 8.38 + 50.32] —3.79 — 0.14 | +2.82 +1.16 » nov. 15,5 38.69 + 2.40 | — 16.85 + 132.08 | — 5.17 — 0.98 | + 4.83 + 4.00 n dic. 805 --2.91 42,26] — |9.02 +-112.49 | — 8.66 — 0.63 | +5.08 +-3.69 1901 feb. 28,5. -+-2.57 — 1.18 | + 146.49 — 156.77 | + 0.67 — 1.56 | + 4.81 — 1.09 » marz. 20,5. + 2.16 — 1.47 1 4- 163.27 -— 203.40 | 4- 1.57 — 2.09 | 4 3.69 — 1.13 È da notare che i coefficenti di du hanno per origine del tempo la data 1900 ottobre 31,5, e che sono qua omessi i coefficenti riguardanti il piano del- l'orbita riferito all'equatore. I simboli 4Lj e du sono le correzioni alla lon- gitudine d'origine e al moto medio. I simboli dD e dw sono funzioni delle — 327 — correzioni del perielio e dell’eccentricità, cioè di d:' e di dg, in modo da avere: dn seng= cosa dE—senn'dy de cosp=sena dpH4- cosa dv. Una trentina di osservazioni fatte fra ottobre 15 e novembre 5 dagli astronomi Abetti (Arcetri), Bellamy (Oxford), queste fotografiche, Antoniazzi (Padova) insieme con alcune di Roma, perfezionarono il luogo normale alla data 1900 ottobre 31, 5 B. Esso divenne « d 1900.0 34° 14" 77.54; 59° 42” 507.43 mentre quello comunicato all'Accademia era 34° 14° 7”.22; 59° 42° 497,88 . Lo scarto dal cielo cogli elementi, che ebbi l'onore di comunicare al- l'Accademia nella seduta prefata, tenuto conto delle perturbazioni, raggiunse il valore seguente alla data 1901 marzo 20,5 B Luogo normale istantaneo. Effemeride perturbata. 15 da=+0' 97.06 0000 (99268811090 22.90 4d$=— 0 10. 55 ” d= + 8 24 57. 4l 67. 96 Esso mi derivò da osservazioni cortesemente trasmessemi dagli astronomi Cerulli (Teramo), Abetti (Arcetri), Kobold (Strasburg) congiunte con alcune mie per l'epoca intorno alla data prefata. Mi fu facile eliminare questi piccoli scarti ottenendo le correzioni se- guenti agli elementi osculanti a 1900 ottobre 31,5 B riferiti all'eclittica. 40=— 37.19 di =— 0. 95 dp =-+2. 60 dn =—-0. 72 4L =+4. 83 du =+0. 0014. Il nuovo sistema di elementi diventa il seguente: T (epoca e osculazione) 1900 ottobre 31,5 B M 304° 24’ 49”, 75 me 121 9051408 p 12 52 49. 93 u 2015.238858 S 303 30 42. 38 110 49 88. 03 log a 0,16 37 867. Quando si mettano in conto le perturbazioni, il cammino apparente geo- centrico di Eros è rappresentato coi prefati elementi in modo soddisfacen- — 328 — tissimo per l'intero periodo che va da agosto 1898 ad aprile 1901, come metterò in evidenza in altra mia Nota. I luoghi normali della seconda op- posizione che posseggo ora non sono che provvisorii, ma assai prossimi al vero; essi acquisteranno in avvenire una grande precisione, quando saranno pubblicate le osservazioni dei 50 Osservatorî, che, in una maniera o nel- l'altra, presero parte al lavoro internazionale della parallasse. Astronomia. — Osservazioni astrofisiche della nuova stella in Perseo, fatte nell’ Osservatorio di Catania. Nota del Corrispon- dente A. Riccò. Anatomia vegetale. — Anatomia dell'apparato senso-motore dei cirri delle Cucurbitacee. Nota preventiva del Corrispondente A. Borzì. Le due Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Patologia — L’ intossicazione tubercolare della femina del maschio tubercolotico. Nota del Corrispondente AnceLO MAFFUCCI. Lo studio della biologia del bacillo tubercolare ha fatto rilevare, che esso emette un prodotto tossico solubile, il quale determina una serie di alterazioni degli organi dei tisici, e la lesione anatomo-patologica dove riscon- trasi il bacillo è l’effetto dello stesso veleno tubercolare. I figli dei genitori tubercolotici possono ricevere il veleno tubercolare per mezzo della generazione, della placenta e del latte materno, come rile- vasi da altre mie ricerche. La clinica ha sostenuto la tesi, che la femina del maschio tuberco- lotico può contagiarsi di tubercolosi per coabitazione e per l'accoppiamento, ma non ha sollevato la quistione, se mai poteva esserle di danno per l’ac- coppiamento il veleno tubercolare contenuto nello sperma del maschio tuber- colotico, senza che la stessa divenisse tubercolotica. La quistione è degna di considerazioni ed io l'ho presa ad esaminare, perchè dalle mie ricerche sperimentali risulta, che una femina di. maschio tubercolotico (coniglio) quasi sempre finisce per profondo marasma, non molto tempo dopo l'avvenuta gravidanza od il semplice accoppiamento senza fecon- — 329 — dazione, e che questa stessa femina non fecondata, ancora messa in contatto di maschio sano nelia maggioranza dei casi resta sterile. Il marasma delle coniglie non può attribuirsi ad altra causa, che non sia l’avvelenamento tubercolare, perchè non si riscontrano nelle stesse lesioni speciali, tranne l'atrofia degli organi, come avviene in tutti gli animali sotto- posti alla diretta intossicazione tubercolare. La sterilità della femina del maschio tubercolotico non devesi al fatto di mancata naturale ovulazione, perchè molte di queste coniglie avevano dati figli con maschi sani, prima di porle in contatto di maschio tuber- colotico. Ora il vedere, che la femina del maschio tubercolotico muore per pro- fondo marasma, deve pensarsi che il fatto sta sul conto del veleno tubercolare contenuto nello sperma, sia direttamente assorbito dagli organi genitali, sia ancora per mezzo del prodotto della fecondazione, poichè da altre mie ricerche risulta, che questo può morire durante il suo sviluppo nell’utero materno, come può nascere, crescere e morire marantico per effetto del veleno tuber- colare. Ho voluto fare una serie di esperimenti sullo sperma dei conigli tuber- colotici, per assodare se realmente nello stesso si possa constatare il bacillo specifico ed il rispettivo veleno. Questi esperimenti sono stati eseguiti coll’injettare nella giugulare dei conigli maschi delle emulsioni di bacilli tubercolari vivi, e poi si è raccolto lo sperma a diverse epoche, uccidendo il coniglio da 24 ore a tre mesi e mezzo dall'avvenuta tubercolizzazione, si esaminava lo sperma al microscopio per notare la mobilità del nemasperma e per la presenza dei bacilli tuber- colari (colla nota tecnica). Lo sperma raccolto dalle vescicchette spermatiche e dall’ epididimo veniva innestato alle cavie per svelare la presenza dei bacilli tubercolari ed il veleno rispettivo, divenendo questi animali o tubercolotici o marantici. Ora siccome il bacillo tubercolare era in circolazione specialmente nei primi giorni dell'avvenuta sua injezione nella giugulare, così poteva facil- mente passare dal sangue nello sperma colle manovre per l'apertura delle vescichette spermatiche e per l'incisione dell'epididimo, e per evitare questo inconveniente allora i tagli di questi organi sì facevano con ferri arroventati, per determinare l’emostasi, non che erano lavati al sublimato alla superficie esterna, prima di aprirli, e poi con una pipetta di vetro con bordi ottusi veniva aspirato il liquido dalla superficie delle vescichette spermatiche, per evi- tare le possibili lacerazioni della mucosa e consecutive emorragie puntiformi. Innanzi tutto riferirò le indagini fatte sullo sperma dei conigli tuber- colotici;. ma poichè a questo proposito potrebbero sorgere dei dubbî sull'azione marantica dello sperma dei conigli esercitata sulla cavia innestata collo stesso, come pure col sangue, così ho voluto prima innestare a cavie sane — 330 — sangue e sperma di conigli sani, in quelle stesse proporzioni che venivano innestati sangue e sperma di animali tubercolotici; e gli animali di esperi- mento in questa ricerca di controllo sono restati sani. I conigli, che furono adibiti per svelare la presenza dei bacilli e del rispettivo veleno nello sperma, senza previa legatura dei dotti deferenti, furono al numero di 10; le cavie innestate collo sperma dell’epididimo e delle vescichette spermatiche morirono di tubercolosi, quando questo in- nesto si faceva dopo le 48 ore dall’avvenuta iniezione di bacilli tubercolari nella giugulare del coniglio, mentre si ottenne il marasma della cavia, se l'innesto era fatto collo sperma raccolto dopo ventiquattro ore dall'avve- nuta injezione di bacilli nel circolo sanguigno del coniglio. Se poi venivano ligati prima i dotti deferenti e poi injettati i bacilli nel circolo sanguigno del coniglio ed ulteriormente veniva raccolto lo sperma contenuto nelle vescichette, il quale ivi trovavasi prima della legatura dei dotti deferenti, e veniva innestato alle cavie, queste invece morivano di marasma ancora quando erano passati alcuni giorni dall’avvenuta iniezione di bacilli tubercolari nella giugulare; però col passare molto tempo ancora collo sperma delle vescichette con dotti deferenti ligati, si poteva ottenere la cavia tuber- colotica. La presenza dei bacilli tubercolari nelle vescichette spermatiche, con dotti deferenti liberi, per mezzo del microscopio si notava dopo il nono giorno dell'avvenuta iniezione di bacilli nel circolo sanguigno, invece la presenza di bacilli tubercolari svelabili al microscopio, con dotti deferenti ligati, non è riuscita possibile ancora dopo 25 giorni dall'avvenuta iniezione di bacilli nella circolazione del coniglio; è da notarsi ancora un altro fatto, che nello sperma delle vescichette con dotti deferenti liberi, via via che passava il tempo si rendevano più abbondanti i bacilli tnbercolari. Questi fatti stanno a provare, che i bacilli vengono più facilmente eli- minati dal testicolo, che dalla superficie delle vescichette spermatiche, e dall'altra parte l'avere più facilmente ottenuto il marasma dalle cavie collo sperma delle vescichette con dotti deferenti ligati, ci sta a dimostrare, che il prodotto tossico tubercolare si può segregare dalle vescichette spermatiche ; ma non debbo nascondere il fatto, che qualche volta coll’ innesto dello sperma dell'epididimo si è ancora ottenuto marasma della cavia. Su sette innesti di sperma delle vescichette con dotti deferenti ligati sì è avuto tre volte marasma e quattro volte la tubercolosi, cioè il marasma dopo 5-12-15 giorni dall’ iniezione di bacilli tubercolari nella giugulare e dopo quest'ultima epoca si è avuto invece tubercolosi della cavia. Su dieci innesti di sperma di vescichette con dotti deferenti liberi si è avuto due volte il marasma della cavia e propriamente dopo 24-45 ore dall'avvenuta iniezione di bacilli nella giugulare del coniglio, ed otto volte tubercolosi della cavia, cioè dopo quattro giorni fino a tre mesi e mezzo. — 331 — Tutti questi fatti depongono, che nello sperma del coniglio tubercolo- tico si contiene il veleno ed il bacillo tubercolare, ed il bacillo è svelabile ancora col microscopio nello sperma raccolto dalle vescichette con dotti de- ferenti liberi, ancora quando nel testicolo non è comparso il tubercolo. Le coniglie state in contatto di maschio tubercolotico e che non si sono mai ingravidate sono state al numero di quattordici, alcune sono state in con- tatto di un solo maschio tubercolotico ed altre invece sono state in contatto di varî maschi tubercolotici, per la semplice ragione, che si sperava, che qualcuno di essi dovesse ingravidarle. Se si enumera il tempo, dal primo contatto col maschio all’ epoca della morte delle coniglie restate sterili, si hanno le seguenti proporzioni in media, tre mesi e mezzo, tre mesi, ottanta, settanta, trenta giorni. Quali modificazioni siano avvenute nelle ovaia di queste coniglie di maschi tubercolotici restate sterili e morte per marasma, sarà oggetto di altra comu- nicazione. Le coniglie state in contatto di maschio tubercolotico e fecondate sono state al numero di nove, e sono morte dopo lo sgravo od aborto per marasma colla media di questo tempo, 9, 13, 17, 23, 24, 30 giorni e due mesi, ed aggiungendovi i 80 giorni di gravidanza si hanno allora dal tempo della morte all’ epoca dell’ accoppiamento le seguenti date: 39, 43, 47, 53, 54 giorni, due mesi, tre mesi. In quanto alla precocità della morte di alcune coniglie dopo lo sgravo merita un'osservazione: alcune di queste sono state due volte ingravidate da due diversi maschi tubercolotici, ed altre sono state per molto tempo in con- tatto di maschi tubercolotici prima di essere dagli stessi fecondate (cioè dal- l’ultimo maschio), ed altre infine sono state ingravidate da maschi tuberco- lotici con avanzata tubercolosi, così ad esempio fino dopo 55 giorni dalla malattia del maschio. Scendendo un poco nei dettagli, si ha che la coniglia morta dopo due mesi dallo sgravo fu fecondata da un maschio tubercolotico di 24 ore, la coniglia morta dopo 14 giorni dallo sgravo fu ingravidata da un maschio tuber- colotico di otto giorni, dopo essere stata un mese e mezzo prima in contatto di altri maschi tubercolotici senza essere dagli stessi fecondata; la coniglia che morì dopo nove giorni dall’aborto fu ingravidata la prima volta da un maschio tubercolotico di sette giorni, e poi dopo 11 giorni dal primo aborto fu ingravidata di nuovo da un maschio tubercolotico di quattro giorni; la coniglia morta dopo 17 giorni dallo sgravo fu ingravidata da un maschio tubercolotico di 10 giorni, la coniglia che morì dopo 24 giorni dallo sgravo fu ingravidata da un maschio tubercolotico di nove giorni, e finalmente la coniglia ingravidata da un maschio tubercolotico di 55 giorni morì dopo 20 giorni dall’ aborto. — 332 — Tenendo calcolo appunto della gravezza dell'intossicazione a seconda l'epoca della malattia del maschio fecondante in rispetto alla precocità della morte delle coniglie sgravate od abortite, si potrebbe dire, che con un maschio tubercolotico di 24 ore l’ intossicazione è leggiera e la coniglia dura molto tempo in vita dopo lo sgravo fino a due mesi, mentre con un maschio tubercolotico di 55 giorni la coniglia muore d' intossicazione dopo 20 giorni dall’aborto, e questo fatto si verifica ancora nelle coniglie non fecondate, ma solamente accoppiate; infatti si è potuto vedere, che coniglie le quali erano state messe in contatto di maschi tubercoloti con avanzata malattia morirono rapida- mente di marasma, così ad esempio con un maschio tubercolotico di 48 giorni, Ja coniglia morì dopo un mese di contatto, ammesso che sia stata accoppiata il primo giorno di contatto. I maschi furono quasi sempre injettati nella giugulare con 1 cc. di solu- zione di bacilli tubercolari, e sì scelsero sempre i più robusti; la loro morte avvenne dopo due mesi e mezzo a tre mesi e mezzo, ed il potere fecon- dante di questi animali sì conservò fino a circa due mesi dall'inizio della malattia, però il potere del coito oltrepassò questo tempo, poichè coniglie sane in contatto di maschi avanzati nella tubercolosi, quantunque non in- gravidate, morirono invece di marasma. Se si fa un raffronto rispetto all’epoca della morte, tra le coniglie ingra- vidate e quelle semplicemente accoppiate dai maschi tubercolotici, non esiste una grande differenza, come sopra ho significato. Se poi si fa un raffronto tra le coniglie del maschio tubercolotico e quelle gravide di maschi sani, ma innestate con bacilli morti nella giugulare, durante la gravidanza, e propriamente con mezzo centimetro cubico di soluzione latti- ginosa di bacilli (che presi dai leucociti sono sciolti e trasformati in tossina tubercolare), questo raffronto intorno all'epoca della mortalità non varia di molto in rispetto alla durata dell’intossicazione; infatti le coniglie gravide intossicate per la giugulare morirono dopo 39, 32, 28 giorni collo stesso profondo marasma, come le coniglie di maschi tubercolotici. Se si raffronta l'epoca della morte delle femine del maschio tubercolo- tico con l'epoca della morte delle coniglie gravide di maschi sani, ma inne- state invece nella giugulare con bacilli vivi (ancora in questo caso con mezzo centimetro cubico di una soluzione lattiginosa), si nota che la morte di queste ultime coniglie avviene dopo 113, 105, 61, 19, 17, 14 giorni dalla patita infezione. Da tutti questi fatti diversamente raffrontati, si ricava la conseguenza, che le coniglie accoppiate con maschio tubercolotico muoiono di marasma allo stesso modo come alle stesse fosse stato iniettato nella giugulare veleno tuber- colare, e che la rapidità del tempo della morte dopo l'accoppiamento avviene più pronta per le coniglie abortite, che per quelle che si sono semplicemente accoppiate, come pure è in ragione diretta dell’epoca della malattia del — 333 — maschio, che lo sperma contiene la quantità di veleno che, in un solo accop- piamento è necessario per determinare la morte per marasma di una coniglia, come pure la morte del feto od il suo ulteriore marasma nella vita estrauterina. Nello stato attuale delle nostre conoscenze per la precocità delle morte delle coniglie abortite non possiamo pensare, che il veleno tubercolare passato dal padre al feto, acquisti una maggiore efficacia, poichè sopra abbiamo addotte le ragioni per spiegare il fatto, cioè la gravezza dell’ intossicazione dello sperma dei conigli avanzati in tubercolosi, od il ripetuto coito, ma se vi contri- buisca ancora l’azione dell'embrione per rendere più efficace il veleno tuber- colare, sono cose, che si possono pensare, ma non abbiamo argomenti di prova. To credo, che si possa per ora conchiudere a questo modo: che la femina del maschio tubercolotico può essere non solamente contagiata per accoppia- mento, ma ancora intossicata; se poi questi studî sperimentali possono essere applicati alla clinica umana, spetta alla stessa farne l'indagine. Meccanica. — Sopra la deformazione dei cilindri sollecitati lateralmente. Nota I del prof. EmiLio ALMANSI, presentata dal Socio VOLTERRA. 1. Sia dato un cilindro elastico ed isotropo, avente una sezione di forma qualunque. Riferiamo î suoi punti ad un sistema di assi coordinati 0(2, y , 4), assumendo come asse delle s l’asse del cilindro (luogo dei baricentri delle sezioni trasversali). Sugli elementi della superficie esterna (basi e superficie laterale) agi- scano delle tensioni; e siano 7, , 7», 73 le componenti della tensione che agisce sugli elementi della superficie laterale. Dimostreremo che ogni qualvolta le tensioni 7,, 73,73 sono espresse da polinomii della forma EMOTIVI) OVe Ins hny Un rappresentano quantità indipendenti da <, ossia costanti per ciascuna generatrice della superficie laterale (ma che del resto possono va- riare comunque da una generatrice all'altra), il problema di determinare la deformazione del cilindro si può ridurre all'altro di determinarne la defor- mazione, essendo la superficie laterale libera, e soltanto le basi soggette a tensione (!). Supporremo che sopra il cilindro non agiscano forze di massa. (1) Questo secondo problema fu studiato dal Saint-Venant che ha potuto risolverlo supponendo di conoscere la forza e la coppia risultante del sistema di tensioni che agi- scono sugli elementi di una base (e quindi anche dell’altra), ma lasciando indeterminata la legge secondo cui queste tensioni sono distribuite. RenpIcoNTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 48 — 384 — 2. Diciamo u,v,w le componenti dello spostamento del punto di coor- dinate 4, 7,4; Tu, Tir, tig, etc. le componenti delle tensioni che agiscono sugli elementi di superficie normali agli assi; E il modulo di elasticità, À il coefficiente di contrazione, proprii al materiale di cui il cilindro è co- stituito. Si hanno le equazioni: e o) (1) te ia nin _ ara 4 dtd 33000 du (== z(2n — dt33 — 4133), ete., e ua co cm= n SI Tsr , oto. E ma Ten) 30 2 2 Sa 29 È A? op — k ii E Vai 0 io 20 3° È, di = 3,2 SI) wH- ke >: 0 ’ \ mi -+= Chiamando poi @ e # gli angoli che in un punto qualunque della su- perflcie laterale, la normale, uscente dal cilindro, forma cogli assi Oz, 0y, sarà: Ty, COSa+ c,, cosp= 7 (4) T13 COSE + 3, cosf =, T,3 COSA + 123 cos pf = 73 3. Consideriamo un caso particolare di sollecitazione del cilindro: le componenti della tensione che agisce sulla superficie laterale, siano date dalle formule: (5) tii== QaMigi — he", (agi o ove 2 è un numero intero e positivo, e 9, %, sono quantità indipendenti da 4. Supponiamo di saper determinare una deformazione, che indicheremo con (D'), in cui siano soddisfatte le condizioni espresse dalle formule (5); e propo- niamoci di determinare una deformazione (D), tale che le componenti della — 339 — tensione che agisce sugli elementi della superficie laterale siano invece : n= Ogni i ei, tg = lg+1 (8) Perciò diciamo « ,v',w'" le componenti degli spostamenti nella defor- mazione (D'). Sarà: MALE Du dw 2 F (6) A?u , ete. (6— Sn S DE DL Poniamo: dani u de +4, 0 (7) v=fvd+a, «0 w" =f wds 4 w,, 0 . e cerchiamo di determinare le funzioni %,,%;,%w, in modo che la deforma- zione (D'), definita dagli spostamenti w”,%0”,w", sia una deformazione pos- sibile, vale a dire in modo che queste funzioni soddisfacciano ad equazioni analoghe alle (6). Posto per brevità: Ab =f u de, vv" =f Vide, E Ù w' da, 0 0 0 (444 er — QUE L 20”. dw da dY PIA 5 der DA DS , h > Au , + kl = = = d*v IAA + E |5= pete A? w INI e inoltre ge" — du' du. do n nd di 14 PIDI dI dY da’ dalle equazioni (7) si deduce: 70" 8 Au + 4° U + & de 0) +4 A°w'+ i akd'wk pae (‘) Poichè lasciamo indeterminate le tensioni che agiscono sulle basi del cilindro, vi saranno infinite deformazioni (D) e (D’) che soddisfanno alle condizioni volute. - 8) Ad » — 836 — Affinchè (D") sia una deformazione possibile, i primi membri di queste equazioni dovranno annullarsi; si dovrà quindi avere: dI, chile ni diva =— fi, 5 PLS (9) « Av, + % cri — fa, dope p dE i di D) 70" DUM Dj D 6! Notiamo che —|A°y" I; my Li fp = dE —i.( 3 al di de ali - ‘ d 5 ci = d°w + k np =0; dunque /, non contiene la variabile 2; e lo stesso ac- cadrà di /, ed f3. Vediamo allora se è possibile che le equazioni (9) siano soddisfatte, ponendo la condizione che w,,v,%w%, non contengano 2. Dovrà aversi: dI dute T(3 4) lp, (10) de %Y 4 dw=— fs. PTT Di $ Do; , i day lavi 3 ee Esistono infinite funzioni w1(4, y) che soddisfanno l'equazione 4°w, = fs. Per ottenere w1(2,7) e v1(2,7) costruiremo successivamente le funzioni U2, 02,902, P,3,v3 delle sole variabili x ed y, che soddisfanno le equazioni : Usa dV:I k A? = — | 4° = — 5 0,= gn A°P=T— — @ Uz fa Va fa 2 DE dy 1+% 2) È d3P Us LT) Vg = 9 dI dY e porremo u=u0 +3, v=0 + 03. Si verifica immediatamente che le equazioni (10) sono soddisfatte. Se dunque poniamo tali funzioni w,,%v,w, nelle formule (7), la deformazione (D") che esse definiscono sarà una deformazione possibile. " 3 Ora dalle formule (7) si ricava 2 Và dé =u', ecc. Per conseguenza, se di- ciamo di), Tie, eCC., ti, tig, ecc. le componenti delle tensioni che si svilup- pano sugli elementi normali agli assi, nelle deformazioni (D') e (D"), sarà: DE: la die CH api lena = Tp, ete.; e così pure, chiamando 71 , ©) , 73 le componenti — 937 — della tensione che agisce sulla superficie laterale del cilindro nella deforma- zione (D'), sarà: Dino Sd, ‘du "A = 1, de 8 de e per le formule (5): dm a De p de 8 de e integrando I i aN+1 AE "r 1 Nt (11) | “un 1Lho, "r 1 n+ == i IE 1 (zii + da :) ove go, ho, lo sono quantità indipendenti da 2, ossia costanti per ciascuna generatrice della superficie laterale. Consideriamo ora una deformazione (D,), definita dagli spostamenti Uo Vo, wo, tale che la tensione agente sulla superficie laterale abbia per componenti go, Ro, lo; e poniamo: u=(n+1)(u— ww), (12) o=(n+1)(v — vo), w=(n-+1)(w"—wo). Nella deformazione definita da questi spostamenti x,v,w, le componenti della tensione che agisce sulla superficie laterale saranno: =(n+1) (1-9), ta =(n4+1)(1 — ho), ti =(n+1)(1 — Lo); e per le formule (11): AE gati ) Tn = ha"+! a Gg lg". Le formule (12) definiscono dunque una deformazione (D) che soddisfa alle condizioni volute. Così vediamo che per determinare una deformazione in cui le compo- nenti 7,, 72,73 della tensione che agisce sulle superficie laterali siano 92"+, ha"+1, le", basta saper determinare due deformazioni in cui le componenti della stessa tensione siano rispettivamente ge”, he", Ze”, e 90, Ro; lo, OVE d,h,l, € Yo, ho, lo rappresentano quantità indipendenti da 2. — 338 — Poichè questo vale qualunque sia il numero 7, possiamo dire che se sapremo determinare una deformazione del cilindro per cui si abbia sulla superficie laterale t,.=9, ta=h, v=l, 9g,h,l essendo quantità assegnate, costanti lungo ciascuna generatrice, sa- premo anche determinare una deformazione tale che si abbia ii ge, ear essendo x un numero intero e positivo qualunque; e quindi ancora una de- formazione in cui la tensione agente sulla superficie laterale abbia per componenti: SOVIET Le tensioni agenti sulle basi non assumeranno, in generale, i valori assegnati: per conseguenza il problema sarà ridotto a determinare la defor- mazione di un cilindro sollecitato soltanto alle basi. Rimane ora a vedersi come si possa determinare la deformazione del cilindro, in modo che 7, e 73 assumano sulla superficie laterale valori assegnati, costanti lungo ciascuna generatrice. Ciò sarà mostrato in una Nota successiva. Meccanica. — Sui moti stazionari di un corpo rigido nel caso della Kowalevsky. Nota I di T. Levi-Crvita, presentata dal Corrispondente G. Ricci. 1. Le equazioni di Eulero, che reggono il movimento di un solido pesante. fissato per un punto £, sono, colle notazioni abituali, dp Ag =(B_0) qr+ P(YoYs — 80Y2), d Ba=(C—A) +ntr), dr ai A — BI TP Yo) (l’asse fisso $ intendendosi verticale e diretto verso il basso). Nel caso integrato dalla Kowalevsky, A=B=2C; inoltre 2,,=0, cioè il baricentro O è situato nel piano equatoriale dell’ ellissoide di inerzia. Essendo indifferente la scelta della coppia «4, in questo piano, si può sup- porre il semiasse positivo delle # diretto secondo la 20, talchè yy=0, to > 0 (e non #s= 0), intendendo così di escludere il caso di Eulero, in cui O coincide con £). ito — 339 — à : RT Rappresenterò con s? la frazione essenzialmente positiva —>°. Questa C ; 5 REALM ET a ME le d “= e 60= a i costante s ha le dimensioni [o] [me]: [4] e risulta quindi omogenea a p,],7. Aggiungendo alle equazioni precedenti le formule di Poisson, relative ai tre coseni y,,72,Y3, si ha in definitiva il sistema differenziale (04%P__ desse. o CE 2 =q", dia rp S° 73) la; 1 dy» dys nre funi dir SION oggi SR Write La forza viva del corpo vale 4 (Ap? + Bg° + Cr°)= C(pP+ 9° + 47°), il potenziale, dovuto alla gravità, Pxoy, = Cs°y,. La energia totale H è dunque espressa (sopprimendo il fattore costante C, che si può del resto sempre supporre eguale ad 1 con opportuna scelta del- l’unità di massa) da H=p° + q? Liar sîy. Le (K) ammettono, oltre all'integrale delle forze vive H= cost. e al- l'identità geometrica yi; -+- y8 + y3 = 1, i due integrali algebrici (1) 2(yp+ rg) + var = 45, (A) 3 (2) i(p+ti?+sMn+ir)f }(p_ (+ rd) =__ = (svn +p°—0) + (8° + 2p9) = ts (i=V—-1), nei secondi membri dei quali sono posti in evidenza i fattori di omogeneità s, 54, affinchè le costanti Z e w si presentino come puri numeri. (È poi le- cito, nel secondo membro della (2), scrivere 44, pur intendendo w reale, poichè la forma del primo membro mostra che si tratta di quantità = 0). La (1) è chiaramente l'integrale delle aree per i piani orizzontali; la (2) l'integrale scoperto dalla Kowalevsky. Essi sono tra loro in involuzione, in quanto, adottando per es. come variabili canoniche gli angoli 9,/,g di Kirchhoff e le loro coniugate ps, pr, pg, la (1) diviene pa = cost, come è ben noto, mentre p,9,7; Y1;Y»2,Y3; @ per conseguenza anche il primo membro della (2), rimangono indipendenti dall'angolo di precessione g. 2. Soluzioni particolari del sistema (K), per cui r= 0. d 0a Supponendo 7= 0, la = mostra che anche y» è identicamente ( . 1 - = qr, segue p=cost. La equazione ni =yY3P — ar si riduce a y3p=0, il che porta y3=0, ovvero p= 0. Nel primo caso, nulla; inoltre, da 2 s PERI? d dovrà essere yy, = = 1, e quindi, in causa della Va 1=0, con che le (K) rimangono tutte soddisfatte. Si tratta evidentemente (f/=7=0, — 340 — p== cost) di rotazioni uniformi attorno all'asse baricentrico 20, diretto ver- ticalmente (y;= + 1). Se invece p= 0, le (K) divengono r=y,=p=0; Us, dog, de yyg. Le soluzioni, che ne rimangono definite corrispondono, per essere r=p=0, a rotazioni attorno all'asse y, necessariamente fisso anche nello spazio e orizzontale (y» = 0). È chiaro che il corpo si comporta in tale movimento come un pendolo composto. Possiamo del resto verificarlo sulle nostre equazioni. Le ultime tre, ponendovi y, = c08%, y3= Sen, con che « rappresenta la deviazione dalla verticale dell'asse baricentrico (contata positivamente in verso oppor- tuno), si riassumono nella equazione tipica del moto pendolare d°u de 3. Moti stazionari e loro distinzione în tre categorie. Il nostro problema possiede 004 soluzioni stazionarie 2, che corrispon- dono ai due integrali (A) e si caratterizzano (!), eliminando da H due va- riabili a mezzo delle (A) e ponendo eguale a zero il differenziale dH del- l’espressione ridotta H di H. Tra queste X sono evidentemente comprese le due sottoclassi di co? so- luzioni, che corrispondono a ciascuno dei due integrali (1) e (2), isolatamente considerati. Infatti porre eguale a zero il differenziale di H, dopo aver te- nuto conto della sola (1), ovvero della sola (2), implica pur sempre dH=0. Giova tuttavia, come apparirà dallo studio del caso generale, conside- rare a parte tali soluzioni. Comincierò pertanto da esse. 4. Moti stazionari, che provengono dall’ integrale delle aree. Data la forma semplicissima, che assume l'integrale delle aree (1) in variabili canoniche 4, /,; P3,Pf3 Pe, ci sarà comodo usufruirne. In generale si ha = — s? sen u. (3) Ya=" Send cosf, y,s=="sSendsenf, ya = 08%, 008 d cos f Ap= sen/py+ cosf 22 p+ 21 pg, (4) 11008, cos 9 sen f By = — c08/p3 + senf Ea pr+ i pe, Cr= — Pr, donde Apy\ + Bara + Ory3 = po, (!) Il lettore voglia riferirsi alla regola enunciata nella Nota: Sui moti stazionari la) dei sistemi olonomi, $ 5, in questi Rendiconti, 3 marzo 1901, fasc. 5°. — 341 — e, dovendosi ora porre A=B=2, C=1, ag ae - cos° 4 cos d de 2 na A : (7 IS f DATE —. cs driù soi Dre) ded — s° send cos f, (1) Po = SÀ. Portiamo in H il valore (1’), e sostituiamo in pari tempo a py una va- riabile e, definita come segue: __(1-+ sen? d) pr + s4 cos 4 sen®{/1+4 send La H diventa una funzione di pz, 8,4, e precisamente VIE 1 (pi 2 1 e2 H=t@+)+4(; ea 25en9 c0sf). È bene osservare che il cambiamento di variabili (3), (4), (5) può es- sere eseguito senza timore di lasciar sfuggire alcuna soluzione particolare. Infatti la trasformazione, definita dalle (3). (4), (5), è biunivoca e regolare per tutti i valori finiti delle variabili, eccettuato soltanto il valore sen d=0, cioè yy; =y,=0. Ora il sistema (K) non ammette alcuna soluzione parti- colare, per la quale possano annullarsi ad un tempo (qualunque sia 2) y1 e ya (!). Secondo la regola generale, le soluzioni stazionarie, di cui andiamo in cerca, debbono soddisfare alla equazione dH= 0, cioè (5) He ego... > osi vigila) 2dH èH__, dI il) ma sen& senf=0. Ne deduciamo (dovendosi escludere, come s'è detto or ora, che sen + si an- nulli per tutti i valori di 2) ps=0, e«=0, senf=0, ?dH mentre 4 soddisferà alla equazione orge ossia (ponendovi oramai cosgf—== = 1) alla 2° send 6 ——_—__ x (9) la + sen? &)? Si vede che pz ,8,/,94 assumono tutte valori costanti; costante rimane pure pr, in virtù della (5), e, per conseguenza y1,7°,73; 2,9,7. Si tratta dunque di rotazioni uniformi. 1)cs9—0. dy, (1) Supponendo y:=72=0 (e quindi y3 == 1), dalle ar 2-79, dys Preise da ° risulta g=0, p=0, nè può quindi essere soddisfatta la 274 =—rp— s?y3, che è pure dt una delle equazioni (K). ReENDICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 44 — 942 — Da p3=0, senf=0 segue che y, e g si annullano, cioè che l’asse y è orizzontale (y»= 0) e che l’asse di rotazione appartiene al piano meri- diano contenente il baricentro (9 = 0). Combinando queste due circostanze, risulta che l’asse di rotazione è, rispetto allo spazio, necessariamente orientato secondo la verticale; lo si può del resto anche desumere dalla formula Yap—y,r=0, che è diretta conseguenza di y» = 0. Per fissare la posizione dell'asse di rotazione nel corpo, bisogna ricor- rere alla (6), distinguendo le due eventualità (6a) cosìg=0, 3 A? sen d (62) (1-4 sen 9) — le a) Se si annulla cos &, cioè y3, la (5), facendovi «e = 0, porge pr=" 0; quindi anche 7= 0 e siamo ricondotti alle rotazioni intorno all’ asse bari- centrico. I valori costanti degli argomenti pz, #, 3, ed f, da cui dipende H, 3 TT 3 sono in questo caso 0, 0, CE e 0, ovvero 77, secondochè cosf= = 1, se- condochè cioè il baricentro O cade al disotto o al disopra del punto di sospensione 2. Risguardando come variabili indipendenti pg, e e y3 = c0sd, # = senf, dovremo di conformità porre in H seng=]1—y}|}, cosf==*|1— #2|3. Formiamo la d°H relativa ai valori p35=0, s=0, #=0, 0, ciò che torna lo stesso, sviluppiamo H in serie di Mac-Laurin, lasciando i termini d'ordine superiore al secondo. Avremo | 3 PO, babo +1 2 2 dî ca DESDE 3.) ho pa (Fa2) + +te+ (Paone I termini in parentesi costituiscono una forma definita, quando si adottano i segni superiori, e in questo caso soltanto (0 sotto £). È la ben nota con- dizione di stabilità. 3) Se 4 soddisfa alla (6,), siccome l'angolo + è, per sua definizione, compreso fra 0 e 77 e quindi send >Q0, deve intanto anche il secondo membro essere positivo, talchè f= (e non f= 0). Ciò posto, già lo svi- luppo di H in funzione degli argomenti pz, e, « = sen / (trattando 4 come un parametro) mostra che c’è instabilità. Si ha infatti, a meno di termini d'ordine superiore al secondo in #«, 2 = (rata +10 +e) — 15° send. a, e la parte di secondo ordine non è una quadrica definita. 5. Moti stazionari, che provengono dall’ integrale della Kowalevsky. Introducendo una variabile ausiliaria e, si può evidentemente sostituire alla (2) il sistema equivalente (2°) s°y, = p?s° cose — p+- 9°, (2) sy, = p°s°sene — 2pq. — 343 — Ci converrà, in questa ricerca, risguardare come parametri indipendenti, atti a fissare lo stato di moto del sistema (oltre l'angolo di precessione @, che non interviene esplicitamente nelle formule) p,9,7,7, ed «, rimanendo Y: definita dalla (2”), e, si intende, yz dalla identità yt-+-y:+73="1. Rispetto a queste variabili (la cui sostituzione alle primitive è senza riserve legittima, data la forma lineare delle (2") sì rapporto a y» che a sen e) l'in- tegrale (2) della Kowalevsky è sostituito dalla (2'). Per trovare i moti sta- zionarî corrispondenti, comincieremo coll’ eliminare y, da H a mezzo della (2), ciò che porge H=2p° + 17° — n° 58° cose. Ponendo eguale a zero il differenziale di questa funzione H, si ha p=0, 7=0, sene=0. Dacchè si annullano insieme p ed 7, si tratta di rotazioni attorno al- l’asse y, le quali avvengono ($ 2) come se il detto asse fosse tenuto fisso in posizione orizzontale. Per la stabilità si richiede che 4°H equivalga ad nna quadrica definita. in quattro argomenti (2(2 — m), dice la regola). La funzione H dipende da tre variabili soltanto, 7 ,7,«; 4*H equivale per conseguenza ad una forma irriducibile con tre argomenti al più. Dovremmo dedurne che cè instabilità. Effettivamente non si può concludere in modo diverso, se si vuol proprio aver riguardo alla completa (') stabilità. Giova tuttavia osservare in gene- rale che quando, come nel caso presente, si tratta di una funzione H, che dipende da meno di 2(2 — n) parametri, quelli che mancano assumono so- stanzialmente il carattere di coordinate ignorate. Ha allora interesse, per i corrispondenti moti stazionarî, la questione della stabilità, anche se, o meglio anzi, in quanto la si restringa ai soli parametri, da cui H effettivamente dipende. Ciò posto, nell'esempio attuale, saranno da considerare i soli para- metri p,r,%. Come si rileva immediatamente dalla espressione di H, si ha stabilità od instabilità secondochè e ha il valore 0, oppure ha il valore 77 (nel caso generale, in cui la costante 4 non è zero) (*). Per interpretare questo risultato, ricorriamo alla (2°), la quale, per le soluzioni in questione, si riduce a Sos 2g (1) Per quanto, si intende bene relativa (agli integrali, o relazioni invarianti generatrici). (2) Per w=0, anche il parametro 8 sparisce dall'espressione di H, la quale si ri- duce a 2p° |-3r®. Dovendosi aver riguardo a questi soli parametri, le corrispondenti so- luzioni sono stabili. — 344 — Supponendo «= 0, bisogna prendere nel secondo membro il segno +, allora y, rimane costantemente positivo: se invece £= 77, allora y, assume anche valori negativi. Infatti, ponendo, come a $ 2, y1= cos «, la (2') diviene du\? = | =s°(u°+ cos). (GE) + 0088) Qualora cosw rimanesse costantemente positivo, non potrebbe « variare sempre nello stesso senso e dovrebbe quindi annullarsi Di , ossia 4° + cos, il che implica contraddizione. In definitiva dunque queste rotazioni attorno ad un asse orizzontale riescono stabili od instabili, secondochè il baricentro O rimane o non rimane costantemente al disotto dell'asse di rotazione. 6. Relazioni invarianti, che caratterizzano gli cvo4 moti stazionari X del caso generale. Dobbiamo eliminare da H due variabili a mezzo delle (A). In primo luogo ci è lecito ritenere y3 non identicamente nulla, poichè, per y3=0, la (1) non contiene 7 (la (2) ne è sempre indipendente), e quindi, rimanendo escluso che sia 7 tra quei parametri, che si eliminano da H a mezzo delle (A), si dovrebbe avere, per le conseguenti soluzioni stazionarie, ll = ui =r=0; e si ricadrebbe quindi, rammentando il $ 2, in uno dei due casi già considerati. Ciò posto, adotteremo come variabili indipendenti p, 9, (e il solito angolo di precessione g) intendendo di eliminare, da H, y,, a mezzo della (2'), ed 7, a mezzo della (1), il che appunto può farsi per essere y3 non identi- camente nulla. Va da sè che, nella (1) stessa, y, e y, sono a ritenersi de- finite dalle (2°), 2) e x+g3+yg=1 Avremo così [np d_ Sg, ou sene=— 5, (5° Ya +29), ComiortÌ dp -—- u° cose= irta) ci e ni(nlt, Di; 7 0+ 10). del (lo (ar), lin Lp y)_ 212 (y, sene — ya c0se) — \ ani) — 345 — D'altra parte, a norma della (1), de DIL | I Ve | DI ds dp dp '>dvdp Wadp' ds dp dr _ dr LI LIT LI ds dq Fi dd di dd dY2 dY dVs dd” de 9 LI dI | Ida | dda stra de Viù, de La de dalle quali, essendo dr 2y, dr 2a dr dr RI” DISTRO DC (TROTA dvi Mps ava Cr dra a segue immediatamente dr D dp pg Sn + (+9) rp tradi, dr 2 la alotnntroa—rpi dr DI 2 2 2 nl 2 2\ml de sy} 1 s°ys(v1a—yv:p)+rs0(0° 40°) —noort3re(0°— 09). Siamo ora in grado di calcolare le derivate di H(p,g,s). Infatti, sostituendo nella H, a s°y,, il suo valore (2') e seguitando a ritenere 7 de- finita dalla (1), si può scrivere H=2p° +3r*°— us? cose, donde ‘ dH ve JdH dH dr __ dr A ; ) E (0) dp" dp aL dr na yi I_s*yars + 2ys(P°+0°)_rMp+r20)|. dB ?Hdr 2r . I nea a a dA _3H , 3Hdr — dr _ 2 9 dr dea dr E” pi ed è facile verificare che sussiste la identità dH __,{,0H s°y3\ dH) (10) Suit (+ 2 Le soluzioni stazionarie sono contraddistinte dalle condizioni Ao, _g, B_q, dp dq de le quali, in causa della (10), si riducono alle prime due (numero appunto conforme alla regola). — 346 — Dacchè, come già abbiamo notato, è da escludersi che si annulli 7, dH ; la no) = 0 equivale a — Svarstr(na—-yp)=0. Questa equazione ha un significato semplicissimo. Essendo per le (K) dr Cisa dya ERA, ) di a : 1 d 4 essa esprime che y3- a re =0, ossia che fra 7 e y3 passa, durante tutto il movimento un rapporto costante, z0n nullo, nè infinito, perchè nè r, nè y3 sono identicamente nulli. Potremo pertanto ritenere (11) vr = 8Y3, designando con v una costante finita e diversa da zero. Con questa osservazione il nostro sistema dH dH e Sn dp 7, diventa (12) | (2vp — sy.) (P+ vs) + (2v9 — sv) g=0, | 13° (Pas) + va q=0. Le soluzioni stazionarie corrispondenti hanno caratteri diversi, secondochè per esse il determinante 2vp — SY 2vq — SYa e) Yi è, o no, diverso da zero. 4 = 2v(y.p + y:0) — SH + 7) Geodesia. — Determinazione astronomica di azimut eseguita a Monte Soratte nel 1900. Nota di Vincenzo REINA, presentata dal Socio CREMONA. La mira notturna, consistente sostanzialmente in una lente dell'apertura di 15 cm., nel cui fuoco è disposta di coltello la fiamma di una lampada a petrolio, venne collocata in centro sul segnale trigonometrico di M. Mario, ad una distanza cioè di circa 35928 metri. La sua distanza zenitale rispetto all’ Universale Bamberg, sistemato sullo stesso pilastro sul quale venne de- terminata la latitudine, risultò di 91°.00'. Il metodo d'osservazione fu quello della misura reiterata dell'angolo fra la Mira e la Polare, distribuendo le determinazioni in serie di quattro cia- — 347 — scuna, due fatte in una posizione e due nella posizione coniugata dello stru- mento. Una serie risultava quindi da otto puntamenti fatti secondo lo schema Oculare a destra MESBRBeM ” » sinistra M,P,P,M. Dai puntamenti fatti sulla Mira, e da quelli fatti sulla Polare, in modo indipendente, si ricavava la costante di collimazione. Ogni due serie si ruo- tava il cerchio orizzontale di 30°. I singoli valori ottenuti per l’azimut, non ancora corretti per l’aberra- zione diurna, sono riassunti nei seguenti specchi. I valori di ogni serie sono disposti in colonna verticale, ed in testa alle coppie di serie osservate nelle diverse posizioni del cerchio, sono registrate le posizioni apparenti della Po- lare introdotte in calcolo. Le lettere S (sinistra) e D (destra) definiscono la posizione dell’oculare. 9 luglio 1900. Cerchio 0° Cerchio 30° a=1h.232.008,52 d = 88°.46/.21”.17 a= 1h,2382,008.62 VICO S A':=186°.35/.30”.4 D A'=1860.35/.28”.4 D A'= 1860.35/.30”1 R CAT186% 8532/02 28,9 29. 1 29. 2|%) Sira DT 28. 2 ( 81. 0 30. 0 DI 30, 3|S 29.6 | 3? 28. 3 DI 33. 6 Cerchio 60° a == 19,232.009.72 d= 889.46".21”.18 più'= 186°.35”. Dai gfA' = 1860.35/.927.5 sl 29. 8 wi ; DOO $ 81.51} 31. 3 10 luglio. Cerchio 90° Cerchio 120° a= 1°.,230. 015,66 d = 88°.46".217.26 a = 1h,232,018.72 011880402 100017 A ur TEOLO più° iS 6n303 g (A'= 186°. 95/.30/.7 DI&' = 186°.35/.32”.5 30. 7 81.5|°ì 31. 0|P} 32. 3 DILRIO: 9260 [| ì 81. 6 ( 81. 7 Dj 31. 6 si 32 9|P} 29.9] 5) 38. 3 Cerchio 150° Cerchio 180° a = 12,282,019,79 d = 88°.46’.21”,27 e= 14,28,015.85 d= 88°.467.21”.28 D A'=1860.,357.30/.9 R i piA'=186°. 956 de i gfA= 186°.35/.30”.0 29. 8 Su) ì 30. 0 81. 5 31. 1 (| ssi 1 30. 9 ; 29. 4 Dj 29. 6 | 3? 32, 1 Dj 29. 2 15 luglio. Cerchio 180° Cerchio 270° a= 1h.23,068.72 d= 88°.467.21”.75 i AR LII0ONO d=880.46/.21”.75 “e o I ai (A”=1860.35/.32”.8 R n n 33. 2 32. 5 Di 31. 6 320 32. 5 33. 8 | i 32. 1 32.8 ui, 31. 8]$ 32.4 | Sì 32.2|P 30,8 — 348 — I valori medî risultanti delle singole serie, corretti per l'aberrazione diurna, sono ancora riassunti nel seguente specchio, dove sono aggiunte le espressioni differenziali. 9 luglio 1900| 0° » » Posizione del | A Cm Cu Cm — Cx Espressioni differenziali @) (3) (4) (5) (6) (1) hg 35/,297.89] — 576|+e74| — 1270] dA =— 0.25 da — 1.09.40 + ( 29. 14| — 5.8[+7.9|] —18.2 — 0.18:do 1.234 3 [re 80% 29. 97] — 5.51-4+7.4| —12.9 — 0.03 de — 1.35 dd + ì 32. 12] — 6.3|4-9.1| —15.4 + 0.05 de — 1,35 dd + » | 60° È 91. dl. 0:60 ESS 1]-=14.1 - 0.20 da — 1.22 dd + ì 81.197:-7 6. 8 finio 8.= 14.1 - 0.26 da — 1.10 dd + » | 90° 81. 94| — 4.0|-+8.5| —12.5 + 0.17 de — 1.25 do na Ì 82. 97| — 5.4|+9.8| —14.7 — 0.10 de — 1.31 dd » | 190° $ 81. 12| — 5.9|-+9.0| — 14.9 — 0.02 da — 1.35 dd î cable 32. 77|— 3.9|-4+9.7| —13.6 0.01 de — 1.35 dd ; » | 150° $ 30. 72] — 6.0|-4-9.1| —15.1 0.15 de — 1.29 dd l 80.721 — 5. DO: 1) —14. 6 0.21 da — 1.20 dd ar ». | 1700 $ 31. 42 — 5.6|/6=8.4]|] —14.0 Too da — 1.08 dd ì 30. 84]/— 5.4 |A4-8..2] — 13. 6 0.31 da — 0.95 dd T » | 180° 4 92: 44-11 9200] — 97 + 0.20 de — 1.21 dd ) 990400 11. SIMO — 97 0.26 de — 1.10 dd + » | 2700 $ 32. 50] — 183. 0|-—-1. 6| —11. 4 0.32 da — 0.95 dd +0. l 31: 854| — 18. 2 |ES0..4| —12.8 0.35 da — 0.79 dd +0. Le costanti di collimazione ca e c, dedotte dai puntamenti fatti sulla Mira e sulla Polare rispettivamente, e le loro differenze cn —c,, registrate nelle colonne (4), (5), (6) mostrano la dipendenza del valore di tal costante dalla inclinazione del cannocchiale. Qui è a notarsi che il reticolo venne spo- stato la sera del 12 luglio, ciò che ha avuto per effetto di mutare i valori numerici delle costanti c, e c,, senza portare una variazione notevole alla loro differenza. Dalla combinazione dei valori della terza colonna si ricava A: 186°. 35fg8l”. 49. = 00414. La media delle espressioni differenziali dA = + 0.10 def — 1.18 dd” + 0.02 dy”, può assumersi come esprimente la modificazione da apportarsi a questo risul- tato, per tener conto di eventuali variazioni nelle posizioni apparenti della Polare, oppure nella latitudine @. Riduzioni in centro. + Per ridurre le osservazioni dal punto S, occupato dallo strumento, al centro trigonometrico C, si collegò S a C per mezzo di un triangolo di cui POD PPP DD DD DD DDD — 349 — si misurarono un lato ed i tre angoli. Dalla sua risoluzione risultò l’eccen- tricità US —220 4508 Misurato poi in C l'angolo compreso fra la direzione di M. Mario e la direzione dello strumento, ed aggiuntovi l’azimut noto di M. Mario, si ottenne l’azimut della direzione dal Centro allo Strumento a= 324°, 20°. 20”, Se con questo si determinano i due an- goli Ao ed « segnati in figura, si ha A,= 144°. 20' 20” SCI E IL La riduzione in centro della latitudine risulta quindi e cosa 1a dp= Perl’azimut invece, detta s la distanza Centro - M. Mario (logs=4,55525) si ha . : mr. e sen & Correzione per il centramento della direzione. . . . = “i T2065 7 I esen À 3 Convergenza dei meridiani fra S e C..... = otog = 0.88 Narcl Riduzione in centro dell'’azimut .............. AX =1.27".08 Queste due riduzioni, applicate ai valori precedentemente determinati, conducono ai risultati finali: Latitudine astronomica di M. Soratte (centro del segnale) g = 42°. 14". 46”.52 = 0”. 10 (Epoca 1900.53) Azimut astronomico della direzione M. Soratte - M. Mario A = 186°. 36". 58”.52 -=0".15 (Epoca 1900.52) RenpIcONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 45 — 350 — Attrazione locale. Se si fa il confronto fra questi valori astronomici e quelli geodetici provenienti da Castanèa (assunto come punto origine) e calcolati dall’ Istituto Geografico Militare, attraverso alla rete di primo ordine compensata, si ottiene PAS: n astionomica; vi... Pa = 42°. L44652 i E o po = 42°. 14°. 407.76 Pa Lg + BO, Azimut della direzione M. ( astronomico. . . . ... A, = 1862. ‘8625852 Soratte - M. Mario È geodetico. ....... A,=186. 37. 01.48 Ag— A; = — 211.96 Le due componenti dell'attrazione locale, definite dalle formole E= Pa — Sg n= (An — Ag) cOtg 9a risultano quindi E=+ 5”.76 n= — 3”. 26. Per formarsi un concetto dell'andamento delle attrazioni locali nei din- torni di Roma, nello specchietto seguente si riuniscono i valori di £ 6d » ora trovati, a quelli precedentemente ottenuti negli altri punti. Questi punti vi sono disposti per latitudini crescenti: le longitudini riportate hanno la loro origine a Castanèa. Punto Latitudine geodetica Longitudite | È | n geodetica Monte Pisarello. . . . . . | 41°. 28367. 24|— 2°.54/. 44”, 61] — 0”. 04| — 27.16 Monte Cavo. .. ... .| 41. 45. 02. 12|— 2.48. 39. 87| +1. 44 —_ Fiumicino . . . . .. .|41. 46. 12. 861—3.17. 33. 23] +1. 88| —2. 17 Monte Mario... . . . .|41. 55. 24. 88|— 3.04. 06. 32 +1. 91) —0. 84 Monte Soratte . . . . . .]|42. 14. 40. 76[— 3.01. 06. 70 +5. 76| —3. 26 Di quì emerge come la componente meridiana della attrazione locale vada sempre crescendo nel procedere da Sud a Nord, fino a raggiungere a M. Soratte un valore abbastanza rilevante. I precedenti valori delle attrazioni locali non sono però, e non possono ancora essere, definitivi. In primo luogo le coordinate astronomiche introdotte in calcolo sono riferite alle posizioni istantanee del Polo e non alla posz- zione media. Ciò si sarebbe potuto fare per i primi quattro punti, ma non — 951 — per il quinto, determinato in epoca alla quale ancora non si estendono gli elementi di riduzione dell'ultimo Rapporto di Albrecht ('). Ma anche le coordinate geodetiche dovranno subire delle variazioni, in seguito alla nuova compensazione cui la rete di primo ordine dovrà essere assoggettata, almeno parzialmente, per stabilire l'accordo geometrico delle basi fra loro. Le norme generali, da adottarsi in tale compensazione, furono fis- sate nella seduta della Commissione Geodetica Italiana del 27 giugno 1900 (°). In tale seduta venne riaffermata la risoluzione, precedentemente adottata, di assumere il punto di Monte Mario come origine delle coordinate geode- tiche dei vertici della rete. Su proposta del prof. Schiaparelli venne stabilito di eseguire in quel punto una nuova stazione astronomica completa di lati- tudine, longitudine ed azimut, sia per uniformarsi alle prescrizioni della Commissione Geodetica Internazionale, la quale vuole che le stazioni astro- nomiche di primo ordine (punti di Laplace) siano eseguite in doppio, con strumenti diversi, metodi diversi ed anche diversi osservatori, sia per venire ad una decisione circa la discordanza che la mia latitudine presenta con quella del prof. Respighi. Ed io non posso che affrettare col desiderio la esecuzione di tali ope- razioni, le quali avranno per effetto di sostituire in modo definitivo l'ellis- soide di Monte Mario a quello di Castanèa, nelle ricerche aventi per oggetto la determinazione della forma del Geoide. Fisica terrestre. — Su/ terremoto del 24 aprile 1901 nei pressi di Palombara Sabina. Nota del dott. Luici PALAZZO, pre- sentata dal Socio TACCHINI. Còmpito della presente Nota è di dare breve comunicazione all'Acca- demia sul terremoto che, nel giorno 24 aprile 1901 intorno a 15° 20”, fu avvertito dalla maggior parte della cittadinanza di Roma e che ebbe la sua origine nei pressi di Palombara Sabina. Nel giorno e nell'ora anzidetta, io mi trovavo all'ultimo piano del- l'Ufficio Centrale di Meteorologia e casualmente stavo in osservazione dinanzi ad un pendolo regolatore. Avvertita, per successivi sussulti del pavimento, la leggiera ma pur ben sensibile scossa, potei rilevare tosto dall’ orologio a pendolo l'ora del fenomeno, che, tenuto conto della correzione spettante al- l'orologio, risultò essere 15° 20" 255. Giudicai di 5-6 secondi la durata (3) Bericht diber den Stand der Erforschung der Breitenvariation am Schlusse des Jahres 1899. Berlin 1900. () Processo verbale delle sedute della Commissione Geodetica Italiana tenute in Milano nel settembre 1895 e nel giugno 1900. Firenze 1900. — 352 — dello scuotimento. Subito dopo discesi nel sotterraneo, dove sono collocati gli strumenti sismici del nostro Ufficio; ed il prof. Cancani, che già mi aveva preceduto, mi fece vedere i due nitidi sismogrammi che erano stati ottenuti, l'uno col mezzo del suo sismometrografo a registrazione veloce-con- tinua sul nerofumo (m. 10 e kg. 300), l'altro mediante il sismometrografo a doppia velocità del prof. Agamennone (m. 8 e kg. 100), nel quale ultimo la grande velocità era entrata in giuoco dopo circa 255 dalla comparsa dei primi, piccolissimi tremiti. Il sismogramma fornito dall’ apparato Cancani si iniziava a 15° 20" 75, con oscillazioni di brevissimo periodo, forse un decimo di secondo, le prime delle quali per la loro ristrettezza dovettero non riu- scire percettibili all'uomo ('); in seguito, le oscillazioni rapide, pur mante- nendo il medesimo periodo, divenivano più ampie; da ultimo, il sismogramma si prolungava con una serie di numerose ondulazioni di periodo relativamente lungo, ma assai appiattite cioè poco ampie. La registrazione del sismogramma ha durato complessivamente non più di quattro minuti primi (*). Tale breve durata della registrazione sismica ed il carattere particolare dei tremiti pre- liminari lasciavano prevedere, per l'attuale terremoto, una distanza dell’ epi- centro piuttosto piccola. La supposizione che il terremoto avesse avuto un’ origine vicina a Roma, ebbe conferma, nella mattina seguente, da un telegramma del Sindaco di Palombara Sabina, col quale si dava l'annuncio di forte scossa di terremoto risentita nel pomeriggio del giorno innanzi, di case crollate o lesionate nelle vicine frazioni del Comune, di vibrazioni del suolo e rombi che continuavano ad intervalli; e si invocava la presenza di un sismologo che consigliasse opportunamente la popolazione terrorizzata, la quale erasi attendata al- l’aperto. Pertanto, nella mia qualità di reggente l’ Ufficio, disposi che il prof. Cancani partisse sollecitamente alla volta di Palombara, dandogli l’ in- carico di studiare sul luogo gli effetti e le particolarità della perturbazione sismica. Il prof. Cancani, giunto sul luogo, rilevò che sebbene il paese di Pa- lombara fosse stato colpito da scossa assai forte (tra il grado VI e il VII della scala sismica Mercalli), non ne erano conseguite che rare ed insigni- ficanti lesioni negli edificî; e ciò perchè il paese è costruito su roccia com- patta calcarea, e le case edificate con eccellenti materiali e con malte di ottima pozzolana. Queste ed altre ragioni fecero ritenere al prof. Cancani (1) Ciò spiega l'anticipo di una ventina circa di secondi dell’ora strumentale su quella da me ricavata coll’osservazione diretta fatta al pendolo. D'altra parte l’ora da me data può stimarsi affetta da un’incertezza di = 55, occorsa nel riportare la lettura dell’ oro- logio al primo momento della percezione della scossa. (2) Anche all’ Osservatorio geodinamico di Rocca di Papa la scossa fu segnalata con bellissimi diagrammi dal sismometrografo Agamennone e dal microsismografo Vi- centini. — 359 — estremamente improbabile la imminenza di grave pericolo per il paese, e valsero a ricondurre nella popolazione la calma sufficiente per rientrare nelle proprie abitazioni. Ma se Palombara, o, specificando meglio, il nucleo principale del Co- mune di tal nome, erasi trovato in ottime condizioni per resistere alla vio- lenta scossa del 24 aprile, non così era il caso per le due frazioni, Cretone e Stazzano, del comune stesso. A Stazzano, frazione di 118 abitanti, costituita da misere casupole poggianti su terreno poco coerente (argille e sabbie del pliocene, ricoperte da un cappellaccio di tufo vulcanico di trasporto), quattro o cinque case erano quasi completamente diroccate, le altre divenute inabitabili. Colà il disastro avrebbe potuto essere enorme, se i paesani, in parte perchè intenti ai lavori agricoli, in parte perchè messi sull’ allarme da leggere scosse che da alcuni giorni ripetutamente si avvertivano, non sì fossero trovati all’ aperto nel momento della scossa forte, cosicchè per fortuna non si ebbero a deplo- rare vittime. La frazione di Cretone, densa di 350 abitanti, quantunque più vicina all’ epicentro (come dirò più sotto), aveva subìto minori danni, e perchè costituita da fabbricati in condizioni migliori, e perchè posta su terreno alquanto più resistente. Quivi nessuna casa fu completamente rovinata; molte però furono più o meno profondamente lesionate. Danni non pochi nè lievi ha sofferto il magnifico castello baronale, quantunque esso abbia mura spes- sissime. Il Cancani ha trovato i cretonesi molto allarmati pel frequente ripe- tersi di leggiere scosse, precedenti e susseguenti alla scossa forte, e pel suc- cedersi continuo di cupi rombi spesso accompagnati da vibrazioni del terreno. A un chilometro di distanza da Cretone, a 6 da Palombara e da Staz- zano, esiste una sorgente solfurea, incrostante, della portata di circa !/, di m? al secondo. Nelle adiacenze di essa si notarono gli effetti dinamici i più potenti: uomini e quadrupedi furono rovesciati a terra, qualche albero avente rami disseccati, nella violenza della scossa, ebbe questi ultimi troncati e lanciati a distanza. I rombi sembrano provenire dalla parte della sorgente. Tutto induce ad ammettere che ivi trovisi l’ epicentro del terremoto, e che vi sia un nesso fra questa sorgente e gli attuali fenomeni sismici. Invero, appare ragionevole l'ipotesi che le acque della sorgente solfurea e deposi- tante carbonato calcico, provengano da strati profondi di calcare, corrodano questo e vi scavino canali e caverne; in seguito al lento lavorìo delle acque, alcuni strati possono essere venuti a mancare del necessario sostegno, quindi ad un dato momento aver finito per dislocarsi o spezzarsi, assestandosi, e con ciò aver dato origine al terremoto. Secondo quest'ipotesi, il terremoto at- tuale sarebbe dunque un terremoto per assestamento di strati, vale a dire di origine tettonica. E anche, può forse pensarsi che nella produzione dei — 354 — rombi abbia qualche parte il gas idrogeno solforato, il cui sviluppo colle- gasi coll’ anzidetta sorgente. La temperatura della sorgente, rilevata dal Cancani, è di circa 12° supe- riore alla temperatura media annuale dell’aria; cosicchè facendo il calcolo in base al noto grado geotermico, difficilmente potrebbe assegnarsi, per Ja pro- fondità dell'origine della sorgente, valore superiore al mezzo chilometro. Am- messo adunque che negli strati da cui trae origine la sorgente, risieda l’ ipo- centro del terremoto, si dovrebbe concludere che il centro sismico sotterraneo sia relativamente poco profondo; e se ne avrebbe la conferma nel fatto che gli effetti dinamici più violenti sono rimasti circoscritti ad un'area ristret- tissima. È poi per l'appunto cosa assai degna di nota che, ad onta della quasi superficialità dell’ ipocentro e della ristrettezza dell’area epicentrale, lo scuo- timento sismico delle 15° 20% del giorno 24 aprile abbia potuto propagarsi fino a grandi distanze, cioè fino a Casamicciola ed a Padova, dove fu regi- strato dagli strumenti dell’ Osservatorio Geodinamico e dell'Istituto Fisico, rispettivamente; il che è una nuova prova dell’ estrema sensibilità e squisita delicatezza degli apparati di cui dispone l'odierna sismologia. Come già ebbi incidentalmente ad accennare nel corso del mio dire, parec- chie scosse più o meno leggiere precedettero quella grande del 24 aprile, e ciò, pare, fin dal giorno 21; altre numerose poi ne seguirono, quasi quo- tidianamente fino ad oggi. Esse furono avvertite in special modo dagli abi- tanti di Palombara e delle rispettive frazioni, nonchè dai vicini paesi di Mentana, Monterotondo, Montelibretti, Moricone; buona parte di esse furono registrate dai sismografi di Roma (Collegio Romano) e di Rocca di Papa. La più notevole fra queste scossette secondarie, per così chiamarle, fu indubbia- mente quella che seguì nella sera dello stesso giorno 24, ad ore 22° 23" circa; scossa che fu risentita anche da non poche persone in Roma stessa, a Rieti, e che giunse ad essere segnalata persino dagli strumenti dell’ Osservatorio di Casamicciola. Non sarebbe per ora possibile dare l’ enumerazione completa di tutte le singole scosse, colle quali si è manifestato, e va tuttora manifestandosi, un pe- riodo di perturbazione sismica non privo di interesse, avente il suo focolare nella regione tra Palombara Sabina e Monterotondo. Lo studio meglio appro- fondito e dettagliato del fenomeno, sarà fatto dal prof. Cancani, il quale si è recato una seconda volta sul posto; ed a suo tempo sarà pubblicato nel Bollettino della Società Sismologica Italiana. | (Ju Ur (at | Chimica. — Sopra una nuova reazione delle aldeidi (*). Nota del dott. EnrICO RIMINI, presentata dal Socio PATERNÒ. Molte delle reazioni che sono proprie delle aldeidi, come è noto, vengono fornite anche da sostanze di altra natura. Così l’ idrossilammina e le idrazine reagiscono anche con i chetoni: vi sono chetoni che colorano la soluzione sol- forosa di fucsina, come pure vi sono molte sostanze organiche, non aldeidiche, che riducono le soluzioni alcaline di rame ed argento. Si può quindi dire che ancora non conosciamo una reazione che permetta, anche operando sopra pic- colissima quantità di prodotto, di riconoscere le aldeidi e di stabilire in modo non dubbio che un composto appartenga a questa classe di sostanze. La trasformazione dell’aldeide nel corrispondente acido richiede rilevanti quantità di materiale puro che non sempre si hanno a disposizione; quando poi si tratta di miscugli complicati, molte volte è impossibile ricavare ed identificare le piccole quantità di aldeidi che essi possono contenere. Per queste ragioni io da molto tempo mi sono occupato per stabilire un metodo che permetta di riconoscere le aldeidi soltanto, e credo di avere risolto il problema giovandomi di una reazione che Angeli ha ultimamente scoperta nel corso dei suoi studî sopra l'acido nitroidrossilamminico. Come è noto i sali di questo acido possono scindersi facilmente in acido nitroso e nel residuo (NOH): NO.H | —=NO;H-+NOH NOH ora se vi sono presenti aldeidi, queste fissano tale residuo per formare acidi idrossammici : NOH R.COH-+NOH=R.C7 NoH Gli acidi idrossammici si formano nella quantità teoretica e si possono facilmente riconoscere, anche in minime quantità, per intensa colorazione rosso violetta che le loro soluzioni forniscono un cloruro ferrico. In questo caso per- altro si ha lo svantaggio che assieme all'acido idrossammico si forma del nitrito, il quale molte volte può alterare o rendere instabilissima la reazione di tali acidi, per il fatto che queste sostanze, in soluzione acida, vengono facilmente decomposte dall’acido nitroso. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Farmaceutica della R. Università di Palermo. — 356 — Non mì è stato difficile togliere questo inconveniente impiegando altre sostanze di struttura analoga all'acido nitroidrossilamminico. Io ho trovato infatti che anche l'acido scoperto da Piloty C;H;.S0,. NHOH reagisce sulle aldeidi in modo identico, perchè in soluzione alcalina si scinde in acido denzolsolfinico e nello stesso residuo (NOH): Ce . SO, . NHOH = CsH; SO.H + NOH . Operando in tal modo, le reazioni degli acidi idrossammici sono oltremodo nette e stabilissime. Io ho già provate molte aldeidi e sempre con risultato positivo. Fra le altre citerò le aldeidi formica, acetica, valerianica, acrilica, citral, gliossal, aldeide glicerica, benzoica, pipe- ronilica, anisica, salicilica, furfurolo e l'’amminovaleral- deide NH,.CH,.CH,.CH,.CH;.COH di Wolffenstein. Anche l'acido formico (che nello stesso tempo è anche aldeide), dà, per tale trattamento, la reazione degli acidi idrossammici. PARTE SPERIMENTALE. I. — Aldeide benzoica. Si sciolgono, in una bevuta, grammi 3,25 di aldeide benzoica in poco alcool, si aggiungono 30 centimetri cubici di una soluzione doppio normale di potassa caustica, ed agitando si fanno cadere nella miscela 5 grammi del- l'acido Piloty (') e da ultimo sì versano altri 15 centimetri cubici della so- luzione potassica. Le quantità fatte reagire tanto in questo caso, quanto in quelli che si descrivono in appresso, corrispondono a tre molecole di alcali per ciascuna di acido e di aldeide. Durante tale operazione si nota un leggero riscaldamento del liquido; ma non si avverte sviluppo gassoso, fatto questo che sta a denotare che il gruppo NOH viene completamente fissato dall’aldeide, man mano viene posto in libertà dall'acido. Allorquando la soluzione è completa ed il liquido omogeneo, si elimina l'alcool per distillazione. Si raffredda il residuo, lo si neutralizza con acido acetico, si filtra e dal filtrato, per aggiunta di una soluzione di acetato di rame, si ottiene un precipitato celeste chiaro, costituito dal sale di rame dell'acido benzidrossammico, mentre l'acido benzolsolfinico, che contempora- neamente si forma, rimane in soluzione. (1) Per brevità d’ora innanzi indicherò l’acido benzolsolfoidrossammico col nome del suo scopritore. — 357 — Il sale, preparato nel modo su descritto, dopo essere stato ripetutamente lavato sul filtro, viene stemperato in poc'acqua e poscia decomposto con acido cloridrico diluito. Si filtra per separare quel poco di sale sfuggito alla de- composizione e si estrae più volte con etere il liquido filtrato. Per lenta evaporazione del solvente si ottiene una sostanza bianca, che dopo essere stata lavata su filtro con poco etere, viene essicata nel vuoto sino a peso costante. Tale prodotto fonde a 131-132° ed all'analisi dà numeri che concordano con quelli richiesti dalla formula dell'acido densidrossammico. OH Gand NNOH Grammi 0,1850 di sostanza diedero centimetri cubici 16,4 di azoto misurati alla temperatura di 14 centigradi ed alla pressione di 754 mil- limetri. In cento parti: Calcolato per C7H7N0» Trovato N= 10,21 10,50 Oltre i risultati analitici, parlano altresì in favore di un acido benzi- drossammico, i prodotti della sua scissione. Infatti, bollendo a ricadere per circa mezz'ora un poco dell’acido di cui si tratta, con acido solforico diluito, allorquando si raffredda la soluzione, questa in parte solidifica pel separarsi di acido benzoico che agevolmente si riconosce dal suo punto di fusione e perchè sublimabile. Evaporando poi le acque madri si hanno cristalli di solfato d' idrossi- lammina che vengono identificati coi reattivi di Nessler e di Fehling, col- l'acido iodico e colla reazione del nitroprussiato sodico dimostrata dall’An- geli, caratteristica per l'idrossilammina. II. — Aldeide piperonilica. A grammi 4,5 di piperonal sciolti in alcool ed alcalinizzati con 30 cen- timetri cubici di potassa, vengono addizionati 5 grammi di acido Piloty e poscia altri 15 centimetri cubici dell’alcali. Dopo aver lasciato il liquido in riposo per un poco di tempo, si distilla l'alcool, si raffredda il residuo, lo si filtra per separare piccole quantità di piperonoino che si formano per azione dell'alcali sul piperonal, e si acidifica il filtrato con acido solforico diluito. Precipita in tal modo una bellissima sostanza bianca che disseccata viene purificata cristallizzandola dall'acetone. ReENDICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 46 — 358 — Essa fonde con decomposizione a 172-173° ed all'analisi risulta trattarsi dell'acido piperonalidrossammico : NOH 4 (CH20») C;H3.C \0H Grammi 0,1646 di sostanza diedero centimetri cubici 10,9 di azoto misurati alla temperatura di 15 centigradi ed alla pressione di 754 mil- limetri. In cento parti: Calcolato per Cs H7N0, Trovato N48 7,81 L'acido piperonalidrossammico, analogamente alla maggior parte degli acidi idrossammici, può dare un sale di rame insolubile. Per ottenerlo si scioglie a caldo l'acido in una soluzione di carbonato sodico, e si aggiunge acetato di rame previa acidificazione con acido acetico per decomporre l'ec- cesso di carbonato. Si ottiene in tal modo un precipitato verde chiaro, che filtrato e seccato viene bollito a ricadere con acetone in cui si disciolgono le tracce di acido che non sono salificate. Secondo risulta dall'analisi, bi- sogna ammettere per questo sale la seguente formula di costituzione: NO ZAN (CH:03) CeH; è DS Cu Grammi 0,2176 di sostanza diedero centimetri cubici 12 di azoto mi- surati alla temperatura di 17 centigradi ed alla pressione di 745 millimetri. In cento parti: Calcolato per C$H;N0,Cu Trovato N= 5,78 6,38 Estraendo con etere le acque madri, dalle quali fu in precedenza sepa- rato l'acido piperonalidrossamico, ed evaporando il solvente si ottiene un secondo prodotto che cristallizza in magnifici mammelloncini. Questi purifi- cati col benzolo fondono a 83°, precisamente come è richiesto per l'acido benzolsolfinico C:H;S0,H. Ciò nonostante, per eliminare ogni dubbio, ho cre- duto opportuno prepararne il sale argentico. A tal uopo si scioglie la sostanza in poc' acqua calda e dopo aver filtrata la soluzione a caldo, la si raffredda e si tratta con nitrato d'argento, preci- pitando così il sale argentico che, filtrato, è sottoposto a replicati lavaggi con — 359 — acqua. Per determinare la percentuale di argento contenuta in questo sale, se ne sospende una certa quantità, mantenuta prima nel vuoto sino a co- stanza di peso, in acqua calda acidulata con acido nitrico e si versa acido cloridrico il leggero eccesso, lasciando il bicchiere in cui si opera, a bagno- maria per circa due ore. Tutto l'argento è così convertito in cloruro e come tale raccolto e pesato. Grammi 0,5888 di sostanza diedero grammi 0,3208 di cloruro d'argento. In cento parti: Calcolato per C:H;S0O:Ag Trovato Ag = 43,37 43,19 III. — Aldeide anisica. Nella soluzione alcoolica di 4 grammi di aldeide anisica mescolati con 30 centimetri cubici dell’alcali su menzionato, si fanno cadere poco a poco, mantenendo agitata la bevuta in cui avviene la reazione, 5 grammi del- l'acido di Piloty, ed allorchè questo si è completamente sciolto, si aggiungono altri 15 centimetri cubici del liquido potassico. Dopo circa mezz'ora sì scaccia l'alcool per distillazione, si diluisce il residuo con acqua, sì filtra e dopo aver addizionato al filtrato alcune gocce di metilorange, si acidifica con acido solforico diluito. Per tale trattamento si separa una sostanza che filtrata, seccata e pu- rificata per successive cristallizzazioni dell’ acetone, fonde a 166°. I risultati dell'analisi dimostrano trattarsi dell'acido anisidrossammico: NOH (CH;0)C,H, . C/ \0K Grammi 0,0934 di sostanza diedero centimetri cubici 6,7 di azoto mi- surati alla temperatura di 14 centigradi ed alla pressione di 756 millimetri. In cento parti: Calcolato per CsHyNO; Trovato N= 8,38 8,52 INA #Rocfurolo: Grammi 2,80 di aldeide furfurica vengono trattati, seguendo le prescri- zioni ricordate pei casi precedenti, con 45 centimetri cubici della soluzione potassica e 5 grammi dell'acido di Piloty. Compiutasi la reazione, per ag- giunta di acetato di rame si separa un bel precipitato color verde bottiglia corrispondente al sale di rame dell'acido furfuridrossammico. — 360 — Per porre questo in libertà è necessario stemperare accuratamente il sale in poca acqua ed aggiungere acido cloridrico diluito sino a che tutto il precipitato è quasi completamente disciolto. Allora si filtra, si estrae una volta il filtrato con etere, in cui l’ acido furfuridrossammico è insolubile, allo scopo di eliminare buona parte delle impurità. Dopo questo trattamento bisogna estrarre il liquido ripetutamente (non meno di dodici o quindici volte) con etere acetico. Evaporando lentamente questo solvente, rimane un prodotto che sciolto in acetone viene trattato a freddo con nero animale. In fine dopo avere eliminato l’ acetone dal filtrato, si riprende il residuo con etere in cui si sciolgono le ultime tracce di im- purità e rimane così la sostanza pura che fonde a 128° e che sottoposta all'analisi dà numeri i quali corrispondono a quelli richiesti dalla formula: CHS*S==:CH a. ML ar Grammi 0,1180 di sostanza diedero centimetri cubici 11 di azoto mi- surati alla temperatura di 14 centigradi ed alla pressione di 754 millimetri. In cento parti: Calcolato per C5H;N0s Trovato Ni=11,02 11,05 V. — Aldeide formica. Grammi 3 di una soluzione di aldeide formica al 40 °/, vengono addi- zionati dapprima con 30 centimetri cubici della soluzione di potassa caustica, poscia con 5 grammi dell'acido di Piloty, mantenendo nel frattempo la be- vuta bene agitata, ed allorquando l'acido si è disciolto si aggiungono altri 15 centimetri cubici dell’ alcali. Per agevolare la reazione è bene scaldare leggermente a bagnomaria per circa venti minuti, trascorsi i quali si raffredda, si neutralizza con acido acetico diluito, si filtra ed al filtrato si aggiunge acetato di rame con che si ottiene un precipitato costituito dal sale di rame dell'acido formidossammico. Questo sale, prevî ripetuti lavamenti con acqua, è dapprima disseccato all'aria e poscia nel vuoto fino a costanza di peso. Due determinazioni di azoto diedero numeri i quali conducono alla formula: NO y/ PS CHWUGn-L H70 Va — 361 — I. Grammi 0,1320 di sostanza diedero centimetri cubici 11,5 di azoto misurati alla temperatura di 14 centigradi ed alla pressione di 748 millimetri. II. Grammi 0,1560 di sostanza diedero centimetri cubici 13,3 di azoto misurati alla temperatura di 15 centigradi ed alla pressione di 750 millimetri. In cento parti: Calcolato per CHNO.Cu + H;0 Trovato I II Ni=10 10,24 10,17 VI. — Aldeide etilica. Operando sull’aldeide etilica, diluita con quattro volumi di acqua, in modo pressochè identico a quello descritto per la formaldeide, si ottiene per l'aggiunta dell'acetato di rame un precipitato voluminoso color verde botti- glia, che lavato accuratamente su filtro ed essicato all’ aria, viene posto nel vuoto sino a che non abbia raggiunto un peso costante. I risultati dell’ana- lisi portano ad ammettere per questo sale la formola C.H3N0O,Cu. Grammi 0,1906 di sostanza diedero centimetri cubici 17,1 di azoto mi- surati alla temperatura di 14 centigradi ed alla pressione di 757 millimetri. In cento parti: Calcolato per C.H3N0:Cu Trovato N'==10;29 10,67 Alcuni anni or sono il Crismer ('), per azione dell’acetato di rame sul- l'acido acetidrossammico preparato, secondo le prescrizioni di Hoffmann, fa- cendo reagire l’idrossilammina sull’acetamide, ottenne un sale ch'egli ritiene costituito dall’anidride dell’acetidrossamato di rame della formola: CH; — C=NO— Cu0H 0 di CH; — C= NO — Cu0H Il sale da me ottenuto deve invece essere rappresentato dal seguente schema: (1) Bulletin de la Société chimique de Paris. Troisième série, tome III, pag. 121. — 362 — VII. — Aldeide isovalerianica. Si diluiscono grammi 2,8 di isovaleraldeide con alcool e si trattano, nel modo descritto per le aldeidi aromatiche, colle quantità richieste di al- cali ed acido di Piloty. L'acetato di rame determina in questo caso la pre- cipitazione di un sale verde chiaro, che dopo essere stato lavato alla pompa con acqua ed essicato all'aria, deve essere lavato con etere per asportare le tracce di aldeide che ancora lo inquinano. Questo sale portato nel vuoto a peso costante e sottoposto all’ analisi, dà numeri quali sono richiesti della formola C;H3N0;Cu. Grammi 0,1560 di sostanza diedero centimetri cubici 10,5 di azoto mi- surati alla temperatura di 14 centigradi ed alla pressione di 748 millimetri. In cento parti: Calcolato per C;HsNOsCu Trovato Ni—/,86 7,90 A questo sale pertanto, analogamente al sale ramico degli acidi pipe- ronalidrossammico ed acetidrossammico, si dovrà attribuire la seguente costi- tuzione. Mi riservo di estendere lo studio di questa reazione e di applicarla alla ricerca qualitativa e quantitativa delle aldeidi, specialmente negli alcool e bevande spiritose. Chimica. — Costituzione dei composti organo-mercurici del- l'acido benzoico. Nota di L. Pesci, presentata dal Socio G. Cra- MICIAN. In una mia Nota precedente (!) descrissi l'anidride ossimercuriobenzoica, Co H. U8>0, ed i prodotti di salificazione del corrispondente acido ossimer- curiobenzoico, Cs H, De Non avevo però determinato il posto occupato in questi prodotti dal mercurio, ed opinai, basandomi sui fatti più volte osser- vati, che il metallo si trovasse in posizione para. (*) Questi Rendiconti, serie 5°, vol, IX, 1° sem., fasc. 7°. — 363 — Nuove ricerche mi hanno messo in grado di stabilire in modo preciso quale sia questa posizione. Studiando infatti l’azione che l’acetato mercurico esercita sopra l’ acido ftalico, ho rilevato che si svolge anidride carbonica, e si produce precisa- mente l’anidride ossimercuriobenzoica che si ottiene tra l'acido benzoice e l’acetato mercurico. Non vi ha quindi dubbio che il mercurio occupa in questo prodotto il posto orto. Ad una soluzione di 42 gr. di ftalato di sodio in 200 c.c. di acqua si aggiunsero, scaldando, gr. 64 di acetato mercurico sciolti in 250 c.c. di acqua, si addizionò la massa di poco acido acetico, e si portò all’ ebollizione in apparecchio a ricadere. Si ebbe uno svolgimento regolare di anidride car- bonica e la massa non tardò ad intorbidarsi e a produrre l'anidride ortossi- mercuriobenzoica sotto forma di polvere bianca pesante, che poi fu raccolta, lavata, sciolta in liscivia di soda caustica diluita, e da questa precipitata mediante corrente di anidride carbonica. Il prodotto fu precipitato trasfor- mandolo in ossimercuriobenzoato d’ammonio e decomponendo questo sale per mezzo dell'acido acetico. L'identità dell’ anidride ossimercuriobenzoica preparata dall’ acido ben- zoico con quella così ottenuta dall’ acido ftalico, oltre che dallo stadio delle sue proprietà, fu constatata mediante la preparazione e l’ esame dei composti che la medesima potè fornire, i quali erano esattamente uguali a quelli de- scritti nella Nota citata. Chimica. — Acido ortomercuriodibenzoico. Nota di L. PESCI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Strtesi dei derivati del triazolo 1.3.4 (!). Nota di G. PeLLIZZARI e 0. Massa, presentata dal Socio PATERNÒ. Il primo dei nuclei a due atomi di carbonio e tre d'azoto conosciuti, ebbe il nome di triazolo e siccome dei triazoli isomerici ne possono esistere quattro, così per distinguerli s' indica, come è noto, con dei numeri la posi- zione relativa degli atomi d'azoto cominciando da quello che forma il gruppo iminico. Se nella formula del triazolo 1.2.4 o asimetrico NH ZAN CH _N LI N— CH (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Genova. — 364 — lasciando ferma la disposizione degli atomi formanti il nucleo, s'immagina soltanto che l'atomo di idrogeno legato ad uno degli azoti del residuo idra- zinico, sia invece legato al terzo atomo di azoto, si ha la formula di un isomero non ancora conosciuto che potrà chiamarsi triazolo 1.3.4 o simmetrico NH Mentre dei derivati del triazolo 1.2.4 se ne conoscono molti e svariate sono le reazioni colle quali si possono ottenere, dei derivati del triazolo 1.3.4 o simmetrico, non se ne conoscono che due descritti da M. Freund (!), e cioè l’1-metil e 1-etiltriazolo ottenuti trattando con acqua ossigenata il metil e etilmercaptotriazoli preparati per eliminazione di acqua dalle corrispon- denti formiltiosemicarbazidi. Colla presente Nota noi descriviamo il feniltria- zolo simmetrico, ottenuto con un processo semplice, il quale oltre che ad indicare un metodo generale di sintesi dei derivati di questa serie, mostra la grande analogia e relazione di essi coi derivati del triazolo assimetrico. Infatti fra i varî metodi coi quali fu ottenuto il triazolo, l’unico che dia subito la sostanza senza nessun passaggio è quello descritto da uno di noi (?) che consiste nell'azione della formamide sulla formilidrazide e che fu interpretato con uno dei due seguenti schemi: NH CHO :—NH— NH; ADS de MO = 205,0 CLEACHON NH; CH@E pOcd e acsssso H NH NH IMSrCE TS bA OCcH iHN = 2H:0 + ni N RL HNH OCH N— CH Quest'ultimo schema dà inoltre ragione della formazione dell’ 1 feniltriazolo 1.2.4 dalla formamide e formilfenilidrazide, e in generale degli altri derivati monosostituiti prendendo i derivati formilici di altre idrazine primarie (3) HNR NR N AS OCH HAN = 2H.0 + CH N I I] HNH OCH N— CH (1) Berichte XXIX, 2483. (2) Pellizzari, Gazz. chim. it., 1894, XXIV B.. 222. (3) Pellizzari e Massa, Gazz. chim. it., XXVI, p. 2; 413. — 365 — Generalizzando questa reazione, con ricerche ancora inedite, furono ot- tenuti in questo laboratorio anche i derivati di- e trisostituiti dello stesso triazolo 1.2.4. Lo stesso tipo di reazione abbiamo ora trovato che può dare anche i derivati del triazolo 1.3.4. Infatti facendo agire la formilidrazide sulla for- manilide si è ottenuto l’1 feniltriazolo simmetrico, e la reazione è spiegata nel seguente modo: H N CES N CH; nas DS LN oct Hco = 2H0 + CH CH | ° A HN— NH; N—N Si può ottenere con eguale facilità lo stesso prodotto per azione della difor- milidrazide sulla formanilide, e in tal caso invece di due molecole d'acqua se ne forma una di acido formico e una di acqua. HN DI CH; N . CsHs TESS ZEN OCH HCO = HC0O,.H + H.0 + CH CH | Do. HN — NH COH NSN Sempre partendo dalla diformilidrazide si può avere il feniltriazolo anche per l’azione dell’anilina ed allora si eliminano due molecole d'acqua c,H, | N.C,H; H.N.H = ocio Meziono | Menia I I I HIN NH INEZENI Questi tre procedimenti apparentemente un po' diversi, poi in sostanza non sono che modificazioni di uno stesso meccanismo di reazione. Anzi, invece di prendere i diversi derivati sopra scritti si può far derivare il feniltriazolo simmetrico direttamente da una molecola di anilina, una di idrazina e due di acido formico C:H;.NH, + N.H, + 2HCO.H = 4H,0 + CH; (C:H,N3) giacchè scaldando insieme queste sostanze, tanto che si formi in una prima fase della formilidrazide e della formanilide, come se si forma soltanto la diformilidrazide e rimane dell’anilina, si avrà poi lo stesso prodotto. Infine, se anche sì adoperasse un eccesso di acido e s1 formasse perciò diformilidra- RenpiconTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 47 — 366 — zide e formanilide, la reazione avverrebbe in ogni modo e l'eccesso di acido si eliminerebbe nella seconda fase della reazione. Parte sperimentale. Gr. 6 di monoformilidrazide e gr. 12 di formanilide furono scaldati in una bevuta a bagno di acido solforico a 170° per circa cinque ore. Si ottenne un liquido chiaro che per raffreddamento dopo qualche tempo dà dei cristalli di feniltriazolo, che si potrebbero separare spremendoli fra carta per togliere la parte oleosa. Però meglio conviene trattare subito il prodotto con soluzione di soda a ricadere per qualche ora, allo scopo di saponificare specialmente l’anilide rimasta inalterata, quindi saturare con acido carbonico l’alcali libero, tirare a secco in capsula, scacciando così col vapor d'acqua quella po’ d'anilina che può esservi ed estrarre poi col benzolo bollente dal quale si ottiene la sostanza cristallizzata che si purifica da poca acqua, impiegando un po' di carbone animale e quindi per averla purissima si ricristallizza dal benzolo. Secondo metodo. — Gr. 11,5 di diformilidrazide e gr. 14,3 di for- manilide si scaldarono a 170° per sette ore, si svilupparono vapori di acido formico e di acqua, e si ottenne un liquido giallo scuro che lasciato a sè cristallizzava; ma che fu trattato colla soda eppoi nel modo sopra descritto. Il rendimento fu circa di gr. 8. Terzo metodo. — Si presero quantità equimolecolari di anilina e di diformilidrazide, si scaldarono per sette ore, a 170° e il prodotto si trattò nel solito modo. Non si paragonò in modo preciso il rendimento coi tre pro- cedimenti, ma certamente possiamo dire che i primi due sono preferibili. gr. 0,2705 di sostanza dettero gr. 0,6562 di anidride carbonica e gr. 0,1237 di acqua gr. 0,1275 di sostanza dettero 32 c.c. d'azoto a 25°.5 e 750 mm. e in parti centesimali trovato calcolato p. Cs Ns H7 Ci—06,13 66,20 Hi=#5:08 4,82 N= 28,85 28,96 Il feniltriazolo simmetrico ottenuto dal benzolo è in lunghi aghi, e dal- l'acqua è in prismi duri fs. a 121°. Non distilla inalterato, ma si decompone parzialmente. È molto solubile nell'acqua e nell’alcool, discretamente nel benzolo e pochissimo nell'etere. Si differenzia dunque molto dal suo isomero assimetrico che fonde a 47°, distilla a 266°, è solubilissimo in tutti i comuni solventi eccettuata l’acqua in cui è pochissimo solubile. Ricerche fatte dal dott. Paoletti nel laboratorio del prof. U. Mosso hanno dimostrato (') per i due isomeri anche una notevole differenza nelle proprietà fisiologiche. (1) Bullettino della R. Accademia medica di Genova, XVI. — 367 — Ecco le conclusioni del lavoro: il feniltriazolo simmetrico per qualunque via introdotto negli animali (rane, cani) mostra proprietà eccitanti che si manifestano con sussulti, scosse muscolari, convulsioni ed accessi convulsivi di varia durata od intensità secondo la dose. Esso spiega un'azione che manca al triazolo ed al feniltriazolo asimmetrico; poco attivo il primo, deprimente il secondo. Il feniltriazolo simmetrico merita di prender posto fra i medicamenti convulsivanti accanto alla stricnina, dalla quale differisce non tanto per il suo comportamento, quanto per il suo potere tossico e per il suo meccanismo d'azione. La dose minima mortale è di gr. 0,06 per Kg. di animale per il feniltriazolo simmetrico, mentre è di gr. 0,20 per Kg. di animale per l' isomero assimmetrico. L’1 feniltrazolo simmetrico è indifferente alle carte, ma ha funzioni basiche formando dei sali ben definiti. Col solfato di rame da un precipitato azzurro chiaro e col cloruro mercurico o col nitrato d'argento un precipitato bianco. Cloroplatinato di feniltriazolo simmetrico (C$N3H;, HC1); PICI, Si ottiene sciogliendo la base nell'acido cloridrico di media concentra- zione ed aggiungendo cloruro di platino in eccesso. Si separa in aghetti gialli che si possono cristallizzare dall’acido cloridrico in cui sono discreta- mente solubili a caldo. gr. 0,2449 di cloroplatinato dettero per calcinazione gr. 0,0677 di platino trovato °/o calcolato Pt= 27,64 27,80 Tetracloroplato feniltriazolo simmetrico (CsN3H;), PtCI, Come i derivati del triazolo 1.2.4 anche questo triazolo simmetrico mostra la nota reazione di Anderson. Infatti il cloroplatinato normale fatto bollire a lungo in soluzione acquosa diluita, perde due molecole di acido cloridrico è dà una polvere gialla amorfa insolubile che è il tetracloroplatofeniltriazolo. gr. 0,2161 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,0672 di platino trovato °/ calcolato Pti—=:531:09 31,10 Picrato di feniltriazolo simmetrico CsN3H.;, C5H3z 0 (N03) La soluzione acquosa della base trattata con acido picrico dà un abbon- dante frecipitato giallo chiaro, che sciolto nell'alcool bollente cristallizza in aghi sottili gialli fusibili a 169°. Gr. 0,1416 di picrato dettero 28 cc. di azoto a 28° e 760 mm. trovato °/ calcolato N=22,41 22,46. — 368 — Chimica. — Attività ottica deîla lecitina. Nota I di 0. ULPIANI, presentata dal Socio PATERNÒ. La costituzione della lecitina non è ancora dilucidata in tutti i suoi punti. Se fu possibile per un composto a peso molecolare così elevato, mal- grado le difficoltà della preparazione e della purificazione, giungere fin dal 1869 alla formola di struttura, si deve alla facilità con cui la lecitina, così ricca di legami eterei, si decompone in costituenti di facile identificazione come l'acido glicero-fosforico, gli acidi grassi e la colina, per cui, attaccando come nei grassi naturali i radicali degli acidi grassi agli idrossili liberi della glicerina, non rimase di controverso che la maniera di aggrupparsi della co- lina all’acido fosforico, e da Diakonow (!) e da Strecker (*) primi investiga- tori della costituzione della lecitina, furono appunto emesse due formole che, prescindendo da alcune divergenze sulla natura degli acidi grassi, non diffe- rivano che per la maniera di legarsi della colina all’acido fosfo-glicerico. Diakonow ammise il legame salino, Strecker quello etereo: CH?0.. C33 H350 CH*0SC:5HS"0 La 0.0 H50 he 0..C1°H910 Che . PhO OH dea — PhO — OH d n2=(0m9p bce CH?. CH*0H de .N=(CH?)? dn (Formola di Diakonow) (Formola di Strecker) La sintesi del distearil-glicero-fosfato di colina, fatta da Hundeshagen (3) nel 1883, dimostrò falsa la formola di Diakonow, in quanto questo sale sin- tetico preparato sul tracciato di Diakonow dava un cloroplatinato affatto in- solubile in etere, mentre il cloroplatinato della lecitina naturale è facilmente solubile in questo solvente. Rimaneva così « per esclusione » dimostrata vera la formola di Strecker, che veniva accettata senza discussione in tutti i trat- tati, benchè, nello stesso lavoro di Hundeshagen, si accennasse alla possibi- lità dell’esistenza di due isomeri acidi glicero-fosforici e rispettivamente di (*) Diakonow, Centr. med. Niss. 18, 68, pag. 2, pag. 97, pag. 434. (2) Strecker, Ann. Liebig. 148, pag. 77. (3) Hundeshagen, Iourn. fiir prakt. Chemie, 29, pag. 219. — 369 —. due distearine una a tipo simmetrico, l’altra a tipo asimmetrico e rimanesse quindi aperta la questione: se la lecitina naturale appartenesse al tipo asim- metrico assegnatole da Strecker, in cui l'etere fosforico della colina si at- tacca ad un carbonio terminale della glicerina, oppure al tipo simmetrico: CH°O—ac. grasso CH°O—ac. grasso | z H—CT—0—-ac. grasso H—CT—0—-ac. fosforico —|:= È o | S CH°O —ac. fosforico —|"s CH°0O —ac. grasso (Tipo asimmetrico) (Tipo simmetrico) A risolvere questa questione sono state dirette le seguenti ricerche. A me è sembrato che la ricerca del potere rotatorio della lecitina, fin oggi non tentata, dovesse essere risolutiva in questa questione di costituzione, e che, solo dalla constatazione della sua attività ottica, potesse trovare dimostra- zione la formula asimmetrica adottata generalmente; a meno che la lecitina non costituisca l’unica eccezione alla legge di Pasteur, secondo la quale ogni prodotto del metabolismo cellulare, che abbia un carbonio, asimmetrico deve esistere nella cellula allo stato di enantiomorfo. Veramente la questione, anche dal punto di vista chimico, è complessa. Fino al 1895, prima cioè dei lavori di Walden (') che riuscì a preparare l'acido cloro-succinico attivo dall'ordinario acido levo-malico, e l'acido @-cloro- propionico attivo dal-l-lattico ecc., si dubitava perfino se la sostituzione di un alogeno ad un ossidrile in una molecola asimmetrica implicasse necessa- riamente la distruzione dell'attività ottica, o, in senso più generale, se per la produzione del potere rotatorio bastasse semplicemente che i quattro ra- dicali legati al carbonio fossero comunque differenti o, non piuttosto, entras- sero in giuoco altri fattori quali sopratutto la natura di questi radicali. Hantzsch (*), nel suo trattato poneva appunto in questi termini la que- stione e la diceva non risoluta: Easterfield (*) negava che radicali negativi come il cloro ed il bromo potessero dare asimmetria, ed anche E. Fischer (‘) notava che nei derivati alogenici non era ancora stato osservato potere ro- tatorio. In ordine a queste idee, per la generalizzazione della teoria del car- bonio asimmetrico, va discusso il caso della lecitina. Può dirsi « a priori » (1) Walden, Ber. 28, pag. 1296. (2) Hantzsch, Grundriss der Stereochemie, pag. 46. (3) Easterfield, Inurn. of Chemical Soc. (4) E. Fischer, Ber. 24, pag. 2687. — 370 — che la molecola della lecitina contenga un atomo di carbonio asimmetrico? (2)CH°0 — acido grasso | (MHT—-C—-0—-acido grasso (3) E CH?0 — acido fosforico <|Z (4) i I gruppi 2 e 4 sono gruppi alcoolici, uguali, che solo differiscono per la natura dell'acido che sostituisce l'idrogeno dell’ ossidrile. Tale differenza di sostituente in due gruppi uguali basta a determinare asimmetria? Nessun caso di eteri composti misti o di sali misti è stato finora a mia conoscenza studiato sotto questo punto di vista. La legge di Oudermann (!) secondo cui il potere rotatorio delle basi attive in soluzione acquosa diluita non viene in- fluenzato dalla natura dell'acido cui la base è legata, è stata recentemente da Walden (*°) messa su basi sperimentali in stretto rapporto colla teoria della dissociazione elettrolitica. La proprietà essenzialmente costitutiva del potere rotatorio diventa negli elettroliti (basi, sali, acidi) poco a poco addi- tiva, mano a mano che, col crescere della diluizione, va parallelamente cre- scendo la dissociazione ionica, e nel caso di un elettrolita binario con due ioni attivi (sale di morfina dell'acido «-bromo-canfo-sulfonico (Walden)) di- venta uguale alla somma algebrica delle rotazioni molecolari dell’anione e del catione. Quindi paragonando, per prendere il caso più semplice, il sale monopotassico e l'etere monoetilico dell'acido tartronico: COO:(H) COO (H 2) | | H—CT—0H H-—C—T— 0H (Mila hi) ; | COO (K COO C°H5 (4) se è facile prevedere che il sale non avrà mai, in soluzione diluita, potere rotatorio malgrado la differenza dei 4 gruppi legati al carbonio centrale, perchè la dissociazione dell’ H e del K renderà uguali i gruppi 2 e 4; non è altrettanto facile prevedere per il caso dell’ etere in cui il gruppo C . 00C? HS non si dissocia e quindi resta differente del gruppo COO, se il carbonio cen- trale si comporterà come carbonio asimmetrico. La lecitina, aggruppamento etereo, asimmetrico, non elettrolita, rientra in questo ultimo caso, e, poichè ripeto, a mia conoscenza questa questione non è mai stata posta nè teori- (?) Oudermann, Liebig Ann. 197, pag. 66. (2) Walden, Zeitschr. fir Phys. Ch., 15, pag. 196. — 371 — camente nè sperimentalmente, non è possibile « a priori » prevedere il suo comportamento alla luce polarizzata. Dirò subito che le ricerche seguenti hanno dimostrato che la lecitina naturale è otticamente attiva. Se si fosse dimostrata inattiva, sarebbero ri- maste indecise tutte le questioni sollevate in questa introduzione, ossia: se la lecitina ha l'acido fosforico attaccato al carbonio centrale della glicerina o al terminale; se la lecitina, pur possedendo un carbonio asimmetrico, esista nella cellula allo stato racemico o si racemizzi nelle manipolazioni della preparazione; se negli eteri asimmetrici del tipo della lecitina siano realizzate le condizioni per deviare il piano delta luce polarizzata. Il risultato positivo della ricerca assegna alla lecitina la formola asim- metrica e dimostra che, mentre essa da una parte non si sottrae alla legge generale dell’Enantiomorfismo della materia vivente, dall'altra contribuisce all'allargamento della teoria del carbonio asimmetrico quale primo esempio di un etere composto misto dotato di potere rotatorio. Preparazione del composto di lecitina e cloruro di cadmio. Il materiale da me scelto per la preparazione della lecitina fu il giallo d'uovo. Seguendo il metodo di Strecker la lecitina venne isolata sotto forma di composto doppio di lecitina e cloruro di cadmio, eliminando soltanto la distillazione a cui Strecker sottopone il liquido alcoolico etereo adoperato per l'estrazione per allontanare l'etere. Invero tutti coloro che si sono occu- pati della lecitina non hanno tenuto conto del calore quale causa di racemiz- zazione. Diakonow e Hoppe-Seyler (!) estraggono la lecitina dal giallo d’ uovo con alcool a 50° e 60° e svaporano a caldo la soluzione ottenuta. Strecker estrae con alcool ed etere e distilla quest'ultimo. Gilson (*) estrae con alcool e svapora a 50° e 60°; Schultze (3) estrae con alcool a 60° ed infine recen- temente; Bergell (‘) tratta addirittura il giallo d'uovo con alcool all’ ebol- lizione. Per eliminare ogni causa possibile di racemizzazione, io ho evitato ogni riscaldamento nella preparazione della lecitina e, come si vedrà in se- guito, l'esperienza ha pienamente confermato il mio modo di vedere, dimo- strando che la lecitina rapidamente si racemizza o, almeno, s'idrolizza sotto l'influenza del calore. Venti tuorli d'uova erano in un separatore agitati con mezzo litro di alcool ed etere nella medesima proporzione del 75 °/, di alcool e del 25°/, di etere. L'estrazione durava due ore. Dopo filtrazione la massa era di nuovo (2) Hoppe-Seyler, Zeitschr. fir. Phys. Ch. I, pag. 347. (?) Gilson. Zeitschr. fir Phys. Ch. 12, pag. 585. (3) Schultze e Likiernik, Ber. 24, pag. 71. (4) Peter Bergell, Ber. 33, pag. 2584. — 372 — trattata con un altro mezzo litro di alcool ed etere nelle medesime propor- zioni. Dopo altre due ore si filtrava, si succhiava la massa residua alla pompa e si mescolavano insieme i liquidi ottenuti. Per allontanare la mas- sima parte dell'etere, si faceva gorgogliare per circa un'ora una rapida cor- rente d'aria attraverso al liquido, ottenendo così la separazione di una massa oleosa che in discreta quantità si depositava in fondo. Sul liquido filtrato si versava poco a poco una soluzione satura a freddo di cloruro di cadmio in alcool a 95°. Le prime gocce di questa soluzione determinano un intorbidamento che scompare per agitazione: seguitando ad aggiungerne, l’intorbidamento aumenta, diventa persistente e per agitazione si determina un precipitato che si raccoglie in fiocchi voluminosi nel fondo del recipiente. Questo precipitato, filtrato dalle acque madri, viene sospeso e lavato ripetutamente prima con alcool e poi cou etere per liberarlo comple- tamente dal cloruro di cadmio dai grassi e dalla colesterina. Il composto di lecitina e cloruro di cadmio così ottenuto si presenta sotto forma di una massa perfettamente bianca che al microscopio risulta formata da sferule molto rifrangenti. Dopo essiccamento completo nel vuoto, il composto si presenta come una massa compatta, dura e traslucida come la cera, che si lascia facilmente ridurre nel mortaio in polvere fine e per- fettamente bianca. Jl rendimento oscilla fra gr. 0,50-0,60 per uovo. Una ulteriore estrazione della massa dai gialli d'uovo non produce un sensibile aumento di rendimento. Il composto di lecitina e cloruro di cadmio fonde a 199°-200°. È so- lubile incompletamente negli ordinari solventi: dà soluzioni torbide cogli acidi diluiti: si scioglie abbastanza bene in una mescolanza di glicerina ed alcool: è perfettamente solubile, circa il 7%/,, in condizioni, che in seguito saranno dettagliatamente esposte, in una mescolanza di solfuro di. carbonio ed alcool o di solfuro di carbonio ed etere. Attività ottica delia Lecitina. Da questo composto di lecitina e cloruro di cadmio preparato secondo Strecker e che le analisi dimostrano identico a quello di Strecker, io ho ten- tato di ottenere la lecitina per farne l'esame polarimetrico. Il primo mezzo tentato fu quello usato da Strecker, ossia la demolizione con idrogeno solforato del composto doppio di cadmio e lecitina ridotto in pol- vere e sospeso in alcool. I risultati non mi sembrarono soddisfacenti. Prima di tutto la decomposizione non è totale, poichè si formano dei grumi collosi che non si sciolgono e non reagiscono quindi con l'idrogeno solforato; si ha anche produzione di un puzzo disgustosissimo che non scompare neanche por- tando a secco. Inoltre sembra che l'idrogeno solforato eserciti in queste condizioni una azione saponificante e produca la decomposizione di buona — 373 — parte della lecitina libera. In una esperienza in questo senso si ebbero per- dite molto forti: da 9 gr. di composto, dopo demolizione con idrogeno solfo- rato ed eliminazione di questo, non si riottennero più che due grammi del composto primitivo. In ogni modo anche con questo metodo si ottengono soluzioni limpide che dànno al polarimetro deviazioni destrogire e che sva- porate nel vuoto lasciano un residuo colloso giallastro che però non sono riuscito ad ottenere secco e pesabile. Provai allora altri metodi. Ottenni buoni risultati trattando il composto di cadmio e lecitina in sospensione alcoolica con idrato di piombo a freddo per tre ora circa. Si ottiene così una soluzione ben limpida, destrogira, esente di cadmio ma che contiene però sempre tracce di cloro. La presenza della lecitina in questa soluzione è provata, perchè dà il composto con cloruro di cadmio. Migliori risultati si hanno sostituendo all'idrato di piombo l'ossido d'argento. La soluzione di lecitina che si ottiene è ben limpida, esente di cadmio e di cloro, dà deviazioni destrogira e svaporata nel vuoto lascia la lecitina sotto forma di cera bianca solubilissima nell’ alcool, ma che non sono mai riuscito ad ottenere secca e pesabile. L'idrato di piombo e l'ossido di argento debbono determinare una considerevole decomposizione parziale delle soluzioni di lecitina, perchè da queste si riottiene una quantità del composto col cloruro di cadmio molto inferiore all’ originaria. Tentai di ottenere la lecitina non alterata da queste soluzioni per cri- stallizzazione, usando il raffreddamento a bassissima temperatura. In diverse prove fatte su soluzioni di lecitina molto concentrate, usando l’ acido carbo- nico solido e l'aria limpida ho ottenuto sempre formazione di fiocchi bianchi voluminosi di lecitina che restano in sospensione nel liquido. Però, quando si cerca di filtrare, questi fiocchi si depositano sulle pareti del filtro impe- dendo la filtrazione anche se aiutata da forte aspirazione. Siccome poi i fiocchi di lecitina sì sciolgono con grande rapidità col crescere della tempe- ratura, non sono riuscito che a raccoglierne quantità trascurabili. Quantunque non abbia potuto ottenere la lecitina allo stato pesabile in modo da fare determinazione di potere rotatorio specifico per la lecitina pura, basta il fatto di aver ottenuto da tutte le soluzioni di lecitina deviazione destrogira per togliere ogni dubbio sulla sua attività ottica. Mi risolsi allora a studiare il potere rotatorio del composto cadmico e le ricerche furono coro- nate da successo, perchè dopo lunghe prove riuscii finalmente a trovare pel composto cadmico un solvente adatto. Se sì mette in un separato del solfuro di carbonio e poi poco a poco si aggiunge alcool, agitando, si ha un intorbidamento e si separano due strati torbidi. Si continua ad aggiungere alcool, a poco a poco finchè i due strati si separano presto e perfettamente limpidi. Lo strato superiore scioglie poco il composto cadmico e la soluzione s’intorbida facilmente, lo strato inferiore lo scioglie presto e bene fino a concentrazioni di circa il 7°/,; la soluzione RenpIcONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 48 — 374 — è limpida, non si intorbida, filtra bene e svaporata lascia depositare il com- posto cadmico col medesimo punto di fusione. Le determinazioni polarimetriche furono fatte con questo solvente pe- sando un palloncino da 25 cm? vuoto e poi con la sostanza, quindi aggiun- gendo il liquido, agitando e portando a volume. La soluzione limpida veniva filtrata rapidamente nel tubo del polarimetro. Sostanza (in 25 cm?) Deviazione ottenuta Temperatura gr. 0.2492 + 09,15 249 > 0,4984 + 0,30 26° » 0.7556 + 0,45 24° » 0.9978 + -0 ,48 26° » 1.5006 + 0,59 240 Il potere rotatorio specifico per le prime tre determinazioni è: 12 [ef (c=0.9968) = 11.41 2% [a}® = (c=1.9936) = 1141 3° [a] = (c=3.0224) = 11.29 Col crescere della concentrazione il potere rotatorio specifico diminuisce. Mi riserbo in un altra serie di esperienza di stabilire con esattezza il rap- porto che passa fra la concentrazione delle soluzioni ed il potere rotatorio specifico. Nella Nota che segue, descriverò i metodi analatici seguiti per dimostrare che la sostanza portata al polarimetro era effettivamente il composto doppio di lecitina e cloruro di cadmio; accennerò intanto ad un’ esperienza instituita per dimostrare l’azione racemizzante del calore sulla soluzione di lecitina. A tale scopo, svaporate nel vuoto le soluzioni di composto cadmico portate al polarimetro, ottenni gr. 3.5 di composto indubbiamente attivo e lo trattai con ossido d’argento. La soluzione di lecitina ottenuta era attiva e deviava di + 1°,3'T 23°. Raccolta con ogni cura la soluzione portata al polarimetro fu svaporata a 50°-60°. La massa collosa di lecitina ottenuta fu portata al polarimetro sciolta in alcool. Essa era attiva ma dava una deviazione di + 0°, 32° £, 23° molto minore dunque della prima. Raccolta ancora con ogni cura questa soluzione fu tenuta a ricadere per quattro ore e portata al polarimetro. Essa era inattiva. Raccolto finalmente il liquido e trattato con cloruro di cadmio, si ebbe abbondante precipitato che diminuì sensibilmente nei lavaggi con alcool ed etere. Il residuo insolubile che era di gr. 0.7, era composto di cadmio puro e fondeva a 199°-200° come il primitivo composto attivo. — 375 — Dai risultati di questa esperienza credo poter affermare che la lecitina libera in soluzione, per prolungata azione del calore, si decompone in parte e la parte non decomposta perde la sua attività ottica. E mi sembra così spiegabile come ai chimici che prima di me ebbero ad occuparsi della leci- tina, sia sfuggita la sua attività ottica. PERSONALE ACCADEMICO Il Segretario CERRUTI comunica che alle condoglianze inviate all’Acca- demia per la morte del Presidente senatore MessEDAGLIA, e delle quali venne dato annuncio nella seduta del 14 aprile 1901, debbonsi aggiungere quelle dei Soci stranieri Maspero, Réonggen e Schmiedeberg, della R. Acca- demia di scienze ed arti di Barcellona, e dell’ Istituto farmacologico della Università di Strasburgo. Il Socio Foi legge la seguente Commemorazione del defunto accade- mico prof. GiuLIo BizzozERo. L'8 aprile 1901 si spegneva in Torino la nobile esistenza del Senatore Giulio Bizzozero, professore di Patologia generale in quella Università. Avea sortito i natali a Varese il 20 marzo 1846, onde da poco egli aveva compiuto il suo 55° anno di età. Percorse a Milano gli studî classici e fu sempre tra i più distinti della scuola; indi passò all’ Università di Pavia, ove dopo un breve dubbio se avesse dovuto consacrarsi alle lettere, elesse gli studî di Medicina. Ebbe la laurea a soli 20 anni, e nello stesso anno prestò servizio durante la campagna di guerra come medico nell'esercito regolare. Passò alcuni mesi a Zurigo presso il Frey onde impadronirsi della tecnica istologica; indi fu alcuni mesi a Berlino presso il Virchow, quando ancora fresca era la grande impressione che aveva fatto nel mondo scientifico la « Pato- logia cellulare » e quando erano ancora sul divenire le giovani forze di un Recklinghausen e di un Cohnheim. Durante la sua vita universitaria Pavese era stato allievo di Eusebio Ohl da poco assunto a maestro di fisiologia sperimentale, quale vigoroso ram- pollo della scuola di Vienna, e respirava, a così dire, l’aria del nuovissimo ambiente che con mirabile convergenza di forze e di intenti andavano creando in Pavia, Salvatore Tommasi, Arnaldo Cantani e Paolo Mantegazza. Era uno schiudersi a novella vita, dell'anima scientifica italiana; era un sintomo precursore di ciò che avrebbe potuto divenire la Nazione intera. Bizzozero fu allievo e assistente di Mantegazza e lo sostituì nell’ insegnamento — 376 — della Patologia generale dal 1869 sino al 1873, anno in cui fu nominato per concorso, professore ordinario di Patologia generale a Torino nella età di soli 27 anni. Quivi ben tosto aperse il corso d’ Istologia normale, che non ha più abbandonato per tutta la vita. Fu Rettore della Università; fu Direttore della scuola veterinaria, fu membro eletto dalle Facoltà, del Consiglio superiore di istruzione, fu membro sino dalla prima istituzione dopo la nuova legge sanitaria, del Consiglio superiore di Sanità che più volte ha presieduto e del quale fu parte attivissima. Nel 1883 riuscì vincitore del cospicuo premio Riberi dell’Accademia di Medicina di Torino per i suoi lavori sul sangue. Nel 1890 fu eletto membro della Camera vitalizia. Fu Presidente della Società Piemontese d' Igiene e della R. Accademia di Medicina, Socio nazio- nale dei Lincei, Direttore di Classe presso l'Accademia delle Scienze di Torino, rieletto dopo il 1° triennio pochi giorni innanzi la sua morte; fu pure corri- © spondente di molte altre accademie nazionali ed estere, e venne insignito di alte onorificenze. Fu promotore di opere di rinnovamento scientifico in Torino, e molto si deve alla sua iniziativa nella fondazione dei nuovi Istituti scientifici e nella costituzione di quel Consorzio universitario al cui sapiente aiuto si deve il mantenimento dei predetti istituti all'altezza in cui si trovano. Prese parte attivissima e principale a molte imprese di pubblica utilità, quale l'istituzione dell'ospedale Principe Amedeo per le malattie d’ infe- zione in Torino, il Comitato per i bagni e le cucine popolari, e le ammini- strazioni dell'ospedale oftalmico e del manicomio. Fondò in Torino l'Archivio per le scienze mediche nel quale si videro schierate tutte le giovani forze della medicina italiana. Condivise la dire- zione della Rivista italiana d' Igiene. Giulio Bizzozero fu una notevole personalità alla quale l’Italia deve una parte importante nella storia del suo rinnovamento scientifico. Egli si è tro- vato studente a Pavia quando appena appena, in mezzo a vivi contrasti sol- levati dai fautori delle vecchie scuole empiriche o filosofiche della medicina, cominciava a penetrare il primo soffio della nuova scienza Germanica, la quale divenne presto la scienza di tutto il mondo. Un precursore geniale dal largo intuito, Salvatore Tommasi aveva stam- pato un libro di fisiologia avidamente ricercato dai giovani studiosi, e nel quale erano fuse le dottrine fisiologiche di Giovanni Miiller e quelle istolo- giche di Kolliker. Arnaldo Cantani aveva portato da Praga ed Eusebio Oehl da Vienna, un'eco della Clinica e della Fisiologia Tedesche; Paolo Mante- gazza insegnava a considerare la Patologia generale come una Fisiologia pato- logica, secondo le idee che ebbero a maestro fondamentale Rodolfo Wirchow. La massa del pubblico era però ancora lontana dallo spirito nuovo; le vecchie generazioni difendevano gli antichi pregiudizî di scuola e vi aggiungevano quello di un funesto spirito nazionalistico, secondato dal momento politico — 377 — in cui si trovava l'Italia durante le guerre della sua indipendenza, e che pra- ticamente si risolveva in un'apoteosi dei vecchi insegnanti tuttora dominanti le scuole italiane, e in un'aspra resistenza contro le novità e contro le per- sone che le professavano. In questo periodo di tempo si deve allo Stato, in cui predominava una illuminata accolta di personaggi, la creazione della Uni- versità nazionale moderna; cioè, tanto lontana dal meschino spirito regionale, sempre attivo e sempre minaccioso, quanto favorevole ad ogni sorta di pro- gresso scientifico. Mi sia lecito ricordare qui con grato animo, l’azione alta- mente benefica che in questo periodo di tempo ha svolto in favore degli studî di medicina, il compianto Tommasi-Crudeli, che fu tra i più antichi estima- tori e amici di Giulio Bizzozero. È in un ambiente sociale di tal fatta che il giovine Bizzozero, animato da una viva passione scientifica e dotato di quello spirito di combattività che prorompe dalle forti convinzioni urtanti contro le più tenaci resistenze passive, iniziò collo studio e coll’esempio il periodo di rinnovazione delle scuole mediche italiane. Egli fu a quei tempi tra i pochissimi e il più effi- cace cultore della Istologia normale e patologica, e si circondò di un' eletta schiera di giovani, i quali accorrevano a lui come a unico maestro possibile a quel tempo, e come a centro di formazione di una nuova generazione di studiosi. Il fatto stesso che da varie parti di Lombardia e Piemonte dapprima, e più tardi di tutta l’Italia accorrevano a lui i giovani realmente desiderosi d'imparare, contribuisce a spiegare il grande successo ottenuto perchè in quella spontanea convergenza verso il nuovo focolaio scientifico, si aveva l'indice negli accorrenti di una mente eletta e di un proposito serio. Non fa quindi meraviglia se quando Bizzozero fu nominato a Torino a soli 27 anni Pro- fessore ordinario di Patologia, egli aveva già avuto diversi allievi, quali il Manfredi, il Golgi, il Bassini, il Griffini, il Foà ed altri. È assai degno di nota questo periodo che segna il principio in Italia della istituzione del laboratorio scientifico nella Facoltà di medicina, nel senso mo- derno della parola. Esso non era nella nostra tradizione, neppure nei tempi classici della nostra coltura. L'Italia vide nascere in quella zona relativamente ristretta di terra, che sta fra Scandiano e Forlì, dei creatori della medicina scientifica. Essa ebbe in Bologna i preparatori della dottrina della circola- zione del sangue; essa ebbe in Malpighi, in Morgagni e nello Spallanzani i fondatori della Istologia, dell'Anatomia Patologica e della Fisiologia sperimen- tale, ma non ebbe mai la scuola di laboratorio come oggidì l’ intendiamo; cioè, la scuola aperta a tutti gli uomini di buona volontà, a tutte le misure d'ingegno, e destinata a raccogliere anche le minime contribuzioni allo svi- luppo della conoscenza. Un primo accenno di laboratorio di tal fatta aveva diretto il Mantegazza assistito dal giovine Bizzozero. Questi poi ne allargò l'applicazione e gli intenti, ed ebbe il merito di dirigere per la Patologia — 378 — il modello di tal genere d' istituti, quali più ampi e più ricchi sorsero e si moltiplicarono successivamente per tutta 1’ Italia. Appena giunto in Torino Bizzozero ebbe dal savio appoggio di Timmer- mans un principio di laboratorio, ove pure raccolse alcuni studiosi, e ove iniziò il suo corso desideratissimo d' Istologia normale; ma l’anno appresso dopo la morte di Timmermans, quel simulacro di laboratorio gli venne tolto, e fu lasciato privo di mezzi. Il giovane Professore ordinario non si diede per vinto; raccolse, anzi, a battaglia le sue forze, e lungi dal cedere ad altre seduzioni che avevano dominato l'animo di altri suoi contemporanei, anche illustri, resistette vigoroso e creò nella sua propria casa un laboratorio, di dove con generoso animo rendeva del bene a quell’ambiente in cui aveva fino allora ricevuto solo delle ripulse. Egli avrebbe potuto, forte della sua inamovibilità, consacrarsi come altri suoi colleghi, anche illustri, all’ esercizio professionale della Medicina, oppure come i tempi consentivano, e gli esempî non mancavano, egli avrebbe potuto darsi alla politica, cercando o nel guadagno o nel potere, quelle soddisfazioni che l’ambiente accademico gli rifiutava. Invece, egli tenne fede agli studî e cercò la soddisfazione e l'onore nel solo proseguimento di un fine ideale. Sia lecito a me di rilevare, poichè ebbi con Bizzozero 34 anni di con- suetudine, che quello è stato il periodo più elevato e più nobile della sua carriera d' insegnante, precursore di altri fatti benefici che nella maturità degli anni egli avrebbe saputo compiere. L'attività scientifica di Bizzozero abbraccia diversi periodi, in cui dap- prima si sente l'influenza delle dottrine dominanti nel suo tempo e le pre- dilezioni dei suoi stessi maestri, e più tardi si sente la maturità, 1’ autono- mia e la genialità sua propria nelle ricerche. È degno di nota che il suo primo lavoro fu compiuto a 16 anni nel laboratorio di Eusebio Oehl. Esso riguarda la struttura del tessuto osseo nei batraci, e in tutto lo scritto di piccola mole traspare quell’ingenuo entu- siasmo che è proprio di un'anima giovanile intenta per la prima volta a penetrare nei misteri della natura. Lo stile risente ancora di qualche ricer- catezza letteraria appresa nel Liceo, e alla fine del lavoro, l'autore non può trattenersi dall’esprimere la gioia scientifica che gli avevano dato i suoi pre- parati. In seguito fu allievo di Mantegazza, di cui ripete, ampliandole, le ricerche sperimentali sull’autonomia degli elementi e degli organi innestati. Nel 1864 pubblicò un lavoro sulle cellule cigliate della epidermide, delle mucose e dei cancroidi, nel quale corresse una inesatta interpretazione di fatti, da lui più esattamente descritti, e ne ebbe l'approvazione di Kolliker. Nel 1865 il Mantegazza leggendo una comunicazione all'Istituto Lom- bardo sulle scoperte dei movimenti ameboidi delle cellule di varia prove- nienza fatta da diversi autori, annunciava che il suo giovine allievo Bizzozero aveva fatto la bella osservazione che anche le cellule incolori del midollo — 379 — delle ossa, simili a quelle del sangue presentano dei movimenti ameboidi. Con questo lavoro, Bizzozero iniziò quel complesso di ricerche sul midollo delle ossa che lo trasse nel 1868 a dividere con Neumann l'onore di avere riconosciuto nel midollo delle ossa il significato di un organo ematopoetico. Nel 1866 pubblicò un lavoro sulla neoproduzione del connettivo in cui secondo le idee predominanti intese a dimostrare la gran parte che in quella avevano le cellule semoventi. Ammise che le stesse avrebbero potuto gene- rare tutti i tessuti che formano il gruppo dei connettivi, e quindi anche le cartilagini e le ossa; dubitò persino, e lo noto solo come segno di quei tempi, che le semoventi potessero formare delle cellule epiteliali. È di questa epoca una ricerca istologica, prima di tal fatta nel mondo scientifico, sulla strut- tura dei tubercoli prodotti per inoculazione di materiale specifico. L'autore aveva abbracciato la nuova dottrina di Villemin sulla contagiosità e sulla trasmessibilità della tubercolosi, e aveva assistito agli esperimenti di inocu- lazione sperimentale nel coniglio, che il dottor Biffi aveva fatto all’ Ospedale Maggiore di Milano. È sugli organi di quegli animali inoculati che il giovine istologo fece le sue osservazioni esattissime tuttodì nella sostanza, se pure l’interpretazione di alcuni particolari non corrisponda interamente a quello che si è venuto più tardi imparando. Altri lavori sulla cicatrizzazione dei tendini recisi, sul parenchima della ghiandola pineale e sui linfatici del cervello sono di questo periodo di tempo, e fu parimente pubblicata da Bizzozero una traduzione del manuale di tecnica microscopia del suo maestro Frey di Zurigo. Questo libro gli ha servito molto nell’esercitare gli allievi del suo laboratorio, ed ebbe cura per molti anni di aggiungere alla traduzione i nuovi procedimenti che venivano introdotti man mano nella tecnica microscopica. Nell'ottobre 1868, pubblicò le sue ricerche sulla vitalità degli elementi contrattili, e nel 1869 diede alle stampe il suo lavoro riassuntivo sul midollo delle ossa. Come già ho rilevato, colle sue ricerche il Bizzozero concorse con Neumann alla dimostrazione che il midollo delle ossa avesse a considerarsi come organo ematopoetico. Egli aveva scoperto la contrattilità delle cellule del midollo, come già era stata osservata quelle delle cellule della milza e del giovine connettivo. Egli aveva descritto il decorso dei vasi, da cui risultava il corso lento della circolazione nel midollo, come era nella milza e nelle ghiandole lin- fatiche. Vide la moltiplicazione per scissione dei globuli rossi nucleati sco- perti e indicati da Neumann come forme embrionali di globuli rossi normali; descrisse le cellule globulifere e le interpretò giustamente come indicanti la distruzione dei globuli rossi; descrisse i capillari del midollo, dimostrò la differenza che esiste fra i Mieloplassi di Robin e le cellule a nucleo cen- trale in gemmazione. Portò una prima contribuzione allo studio del midollo delle ossa in varie malattie. — 380 — Gli studî sul midollo hanno aperto la via ad una serie di ricerche nume- rosissime e ancora attive rinnovanti il concetto che delle variazioni e delle malattie del sangue si erano formati i nostri antichi. Poche scoperte istolo- giche furono più di questa fruttuose per la fisiologia e per la patologia. Una rivista critica sulla infiammazione pubblicò Bizzozero nel 1870, la quale si legge tuttora col più vivo interesse, ed ebbe il pregio di fornire comodamente ai docenti di Patologia l'insieme delle dottrine che si anda- rono man mano svolgendo in quel vastissimo campo della patologia. Una simile rivista pubblicò sui Tumori, e gli studiosi ancora inesperti nella ricerca, ma tuttavia bramosi di mettersi al corrente dei progressi degli studî, ebbero assai care queste pubblicazioni, di cui esaltavano il valore al di sopra delle stesse ricerche originali, da essi meno esattamente comprese. Importante, di questo periodo, è lo studio sulla produzione endogena delle cellule puru- lenti, nel quale è dimostrata in certe suppurazioni l’esistenza di grosse cel- lule, che introducendo nel proprio protoplasma contrattile i globuli di pus, o i globuli rossi, costituivano una delle vie per le quali il pus e il sangue venivano assorbiti. Negavasi pertanto la supposta produzione endogena del pus, dimostrandosi che i corpuscoli purulenti erano stati introdotti nel protoplasma di elementi contrattili, e non già originati entro di essi. Altra importante comunicazione riguarda gli effetti che hanno sui mu- scoli le resezioni dei nervi rispettivi. È una ricerca fatta con Golgi, da cui gli autori ricavarono la produzione sperimentale di una paralisi pseudo iper- trofica, ossia della sostituzione di tessuto adiposo al tessuto muscolare negli arti paralizzati. Infine nel 1872, poco prima di lasciare 1’ Università di Pavia, Bizzozero pubblicò fra altre piccole memorie, anche una sulla struttura del reticolo dei seni nelle ghiandole linfatiche in cui dimostrava che le cellule rispettive stavano applicate sulle fibre del reticolo stesso e non ne facevano parte continua e integrante, e che anche i cordoni midollari erano rivestiti di endotelio. Un piccolo ma importante volumetto di quel tempo raccoglieva tutti i lavori eseguiti da Bizzozero e dai suoi allievi nel laboratorio di Pato- logia generale di Pavia, preludio di altre numerosissime pubblicazioni che sempre rinnovati allievi avrebbero nel corso degli anni sparse per tutto il mondo. Nei primi anni di sua residenza in Torino, Bizzozero pubblicò col prof. Bozzolo una lunga particolareggiata descrizione istologica dei tumori della dura madre, e un altro lavoro sui rapporti della tubercolosi con altre malattie, e una lezione sul crup e della difterite in cui sono esposti con minuta esattezza i reperti istopatologici di quelle affezioni nei varî organi. Pubblicò con Manfredi uno studio assai diligente dal lato morfologico sul Mollusco contagioso, e più tardi con mano maestra trattò la delicata struttura delle sierose in collaborazione col dott. Salvioli Gaetano. — 381 — Dimostrarono gli autori che nell'uomo i linfatici del peritoneo diafram- matico hanno una disposizione affatto speciale e comunicano per mezzo di fori numerosi acclusi appena da strati endotelici, col cavo addominale e attra- verso i quali passano le materie granulari disposte sul peritoneo, come già Mascagni, e più tardi Recklinghausen avevano sperimentalmente dimostrato. È nel 1879 che comparisce colla descrizione del Cromocitometro una prima serie di lavori ematologici che dovevano aggiungere nuovi titoli alla fama scientifica di Bizzozero. L'istrumento che egli ha introdotto per la ricerca quantitativa della emoglobina del sangue ha dei pregi notevoli di praticità e di esattezza, onde ha servito al suo tempo ad una falange di studiosi per lo studio delle variazioni del sangue nelle varie malattie. Lo stesso Bizzozero con Salvioli ha studiato le variazioni emoglobiniche del sangue in seguito al salasso, e con Golgi l’azione che ha sul contenuto emoglobinico la trasfusione del sangue nel cavo peritoneale. Trovò con Sal- violi il ritorno dell’attività ematopoetica della milza nelle cavie adulte, lavoro che diede origine a molte ricerche successive da parte di altri autori. Se oggi la dottrina dell'ematopoesi è alquanto modificata, se non tutti i casi almeno, di ematopoesi splenica possono attribuirsi realmente ad un risveglio delle facoltà embrionali della milza, persiste tuttavia in tutta la sua interezza l’importanza del reperto, come indice di profonde variazioni nella crasi del sangue, o nella meccanica della circolazione. A questi lavori seguirono molte altre ricerche fatte con Torre sulla pro- duzione dei globuli del sangue negli uccelli, in cui rilevò che in questi ani- mali la produzione dei globuli rossi ha luogo da elementi giovani colorati leggermente in giallognolo, solo nel midollo delle ossa e appunto entro i suoi vasi, mentre la milza non partecipa affatto al processo. » In altro lavoro sperimentale con Sanquirico mirò a difendere l'utilità delle trasfusioni peritoneali di sangue, i cui globuli rimangono funzionanti nell'organismo in cui sono introdotti. Più tardi Bizzozero dimostrò che quella moltiplicazione per scissione che egli aveva osservato nel midollo delle ossa poco dopo la scoperta dei globuli rossi nucleati fatta da Neumann, aveva luogo secondo il tipo della cariocinesi, sia negli animali con sangue a globuli rossi nucleati, sia in quelli il cui sangue ha globuli privi di nucleo. Il 9 dicembre 1881, Bizzozero comunicava all'Accademia di Medicina di Torino la sua prima nota sopra un nuovo elemento morfologico del sangue dei mammiferi e sulla sua importanza nella trombosi e nella coagulazione. Ad essa seguirono altre note nell’anno susseguente, e nel 1883 comparve il lavoro intero sull'argomento predetto. In questo è riassunta con grande fe- deltà e imparzialità, la storia di tutte le osservazioni che hanno precedute le sue ricerche, e vi è una difesa esauriente delle obbiezioni che gli erano state mosse. Le piastrine, come egli ha denominato, e come tutti accettarono di RenpIcoNTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 49 — 382 — denominare il terzo elemento morfologico del sangue, erano state già vedute e descritte, o integralmente, o nei loro derivati, ma la descrizione non era esatta, o si era data di esse una interpretazione erronea, come quella di Hayem che le ritenne quali stadi di sviluppo dei globuli rossi. Bizzozero oltre a coreggere ed ampliare la conoscenza che già si aveva del predetto elemento, aggiunse la dimostrazione indispensabile della sua preesistenza nel sangue circolante dei mammiferi, e accolse il concetto che ad esso fossero equivalenti alcuni elementi nucleati che circolano nel sangue dei batraci. Descrisse la parte grandissima che le piastrine hanno nella formazione del trombo bianco, e alla decomposizione di esse e non a quella dei globuli bianchi, attribuì l'origine di quella sostanza che determina la produzione della fibrina. Quelle classiche ricerche ne originarono molte altre, e accesero un di- battito, di cui gli atti non sono ancora definitivamente chiusi. Non tutti, in- fatti, accolgono l’idea che la piastrina sia realmente un elemento morfologico, ossia indipendente del sangue; in varî autori tende a prevalere l'idea che esse sieno piuttosto una derivazione della distruzione dei globuli rossi. La parte che spetterebbe alle piastrine nella coagulazione sarebbe piuttosto quella di formare il trombo provvisorio, o il trombo di agglutinamento; non quella, o per lo meno non esclusiva ad esse, della produzione della fibrina. Con tutto ciò la scoperta di Bizzozero segna un punto di avanzamento nella storia della ematologia, alla quale egli ha legato il suo nome imperituro. È di questa epoca, cioè del 1882, un pregevole discorso inaugurale letto dal Bizzozero all’ Università di Torino, intitolato: Sulla difesa della società contro le malattie infettive, nel quale sono lucidamente esposte le nuove dottrine sui morbi infettivi, e vi è dimostrata la necessità di prevenirli con adatti provvedimenti d'igiene. Eravamo ancora lontani dalla promulgazione della legge sanitaria del Regno, e della rinnovazione del governo della sa- nità: l’Italia doveva ancora sperimentare a proprie spese le ultime applica- zioni dei vecchi sistemi di difesa, già fin d'allora condannati dalla scienza e dalla esperienza di altri popoli; epperò è opportuno di rilevare questa prima manifestazione nel campo dell'igiene, di un uomo, il quale negli anni suc- cessivi doveva avere larga parte nell’ applicazione dei nuovi progressi in ma- teria sanitaria. Nel 1885 Bizzozero pubblicò la prima volta il suo celebre Manuale di microscopia clinica, che è arrivato ora alla sua 5* edizione in Italia, e che fu tradotto in tutte le lingue del mondo civile. È un manuale di tecnica per le indagini sui prodotti morbosi, sulle secrezioni organiche e sui paras- siti, di somma utilità pratica, e fatto con una grande esattezza, cosicchè si è ben sicuri di non errare applicando esattamente ciò che vi è descritto sino nei più minuti particolari. È qualità che si riscontra in tutte le ricerche tecniche di Bizzozero quella di una meticolosa esattezza, onde un suo pre- cetto tecnico, è garanzia sicura del risultato per chiunque lo segua fedelmente. — 3383 — Dopo un breve lavoro sulla produzione dei nodi leucemici secondarî, che Bizzozero ha dimostrato essere originati non da semplice deposito, ma da reale neoproduzione di elementi linfatici, noi lo vediamo iniziare con Vassale nel 1887 gli studî sulla produzione e sulla rigenerazione fisiologica degli elementi ghiandolari. A questo lavoro fecero seguito parecchie note sulle ghian- dole tubulari del tubo gastroenterico, e sui rapporti del loro epitelio coll’ epi- telio di rivestimento della mucosa. Di questi studî e di altri sullo stesso argomento o su argomenti analoghi ispirati nel suo laboratorio, il Bizzozero diede un riassunto completo nell’ ottimo discorso che tenne al Congresso in- ternazionale di medicina a Roma nel 1893. Era antico e principale argomento della biologia lo studio del modo in cui crescono e sì rigenerano i varî tes- suti del corpo, e quello della parte che in tale accrescimento ha l’ afflusso del materiale di nutrizione, o l’azione diretta dei nervi, o la virtù che è insita negli elementi stessi dei tessuti. Malgrado la quantità notevole di ri- cerche apparse dopo la Patologia cellulare di Virchow, gli autori erano tra loro sensibilmente discordi su tali argomenti, i quali più tardi traversarono un periodo di sosta per la grande attrazione che avevano esercitate sugli studiosi le nuove ricerche bacteriologiche. A ricondurre gli studiosi alla ricerca degli antichi problemi della me- dicina scientifica, valse la scoperta che Flemming aveva fatto dei fenomeni cariocinetici, ossia della moltiplicazione nucleare indiretta. In questo processo i biologi hanno trovato un indice sicuro e sensibilis- simo della esistenza di un fatto di proliferazione, e della energia con cui esso decorre. Bizzozero coi suoi allievi ha tratto largo profitto dalla nuova scoperta, e con un’assiduità e una costanza meravigliosa, si pose alla ricerca di molti tessuti in molte specie di animali, e in diverse condizioni di vita, ricavandone conclusioni generali di molta importanza scientifica. Riconobbe l'esistenza di tessuti ad elementi labili e altri ad elementi stabili (come le ossa) e altri a elementi perenni (come i nervi e i muscoli striati); divise le ghiandole a secrezione amorfa in due gruppi; in quelle che hanno una rige- nerazione attiva dei proprî elementi, e in quelle in cui la rigenerazione cel- lulare è quasi nulla. Alle prime appartengono le ghiandole sebacee, le fossette mucipare dello stommaco, le ghiandole tubulari dell'intestino e dell'utero; al secondo, in- vece, appartengono le ghiandole più altamente differenziate quali il pancreas, le ghiandole sudorifere, la ghiandole lacrimali, il fegato, il rene, ecc. È nel fondo delle ghiandole di Lieberkin e nel fondo delle fossette gastriche che Bizzozero ha scoperto il focolaio di rigenerazione dell'epitelio gastroenterico, e che le cellule epiteliali ivi prodotte strisciano coll’ estremità inferiore sulla superficie su cui sono impiantate per arrivare sulla superficie libera della mucosa ove terminano la loro vita. Ammise il carattere indipendente e spe- cifico delle cellule mucipare; trovò che la ghiandola mammaria durante l’al- — 384 — lattamento non offre cariocinesi, onde ammise che la formazione del latte non fosse legata a perdita di elementi epiteliali. Rimase da quelle ricerche definitivamente vinto l'errore che gli elementi epiteliali potessero essere pro- dotti dai globuli bianchi del sangue o dagli elementi connettivi. Ogni ele- mento è solo generato da altri della stessa specie. Ottenne dagli allievi la dimostrazione che il difetto di nutrizione non è causa sufficiente a diminuire il processo di proliferazione, il quale con- tinua per virtù insita negli elementi, mantenendo, per un certo tempo almeno, ‘una relativa indipendenza dalle condizioni della nutrizione. La congestione da taglio dei nervi o da riscaldamento, vale bensì a favorire una prolifera- zione già in corso, ma non può ridestare un processo di proliferazione che sia già spento o sospeso. Nel 1896 Bizzozero pubblicò una Nota col dottor Sacerdotti sulla influenza della temperatura e dell’afflusso sanguigno sulla attività produttiva degli elementi, nella quale è dimostrato che essa agisce su tutti gli elementi in via di sviluppo, sieno essi labili o stabili o perenni, i quali ultimi non danno proliferazioni cariocinetiche, ma aumentano bensì la produzione di sostanze secondarie, come è la sostanza contrattile delle fibre muscolari striate. Fu questa l’ultima Nota di patologia sperimentale pubblicata da Biz- zozero, il quale sventuratamente in questa epoca cominciò a soffrire di una coroidite che gli ha impedito di occuparsi ulteriormente al microscopio. Fu sventura per la scienza e per lui che venne crudelmente colpito proprio in quell'organo che gli aveva fatto acquistare tanti titoli di gloria. Bizzozero sopportò stoicamente il suo male, come sempre fece delle sue non poche sofferenze fisiche, senza crucciare il mondo colle minute e persistenti de- scrizioni di quelle, come è difetto di tanti. Anche i più intimi, anche le persone della famiglia appena s'accorgevano che egli avesse tanto malore. Arrivato al colmo della gloria scientifica e degli onori, egli avrebbe potuto trovare nelle stesse sue sofferenze una ragione plausibile per ritirarsi dall’arringo e per godere, se così può dirsi di uno che visse di lavoro, un bene meritato riposo. Ma così non volle il Bizzozero, il quale non fece che mutare il campo della sua attività, quasi fosse una trasformazione di energia, e si consacrò ad opere di volgarizzazione nel campo dell’ Igiene. Nella « Nuova Antologia » e nei Congressi d’'Igiene di Torino e di Como si adoperò a svol- gere il concetto moderno della provenzione delle malattie, e più particolar- mente del còmpito dello Stato nella tutela della salute pubblica. Sottopose ad acuta critica la legge sanitaria italiana del 1865, difese più volte con grande calore la nuova legge sanitaria, e la costituzione della direzione centrale di sanità. Combattè vivamente con grande insistenza la separazione dell'amministrazione dalla parte tecnica nella direzione di sanità, e ora avrebbe veduto soddisfatto il suo voto, poichè si è di nuovo ricostituita la direzione centrale della sanità, come era all'epoca della sua fondazione dopo la legge Crispi. — 385 — Bizzozero ha combattuto una brillante campagna in favore della vacci- nazione jenneriana. A tutta prima potrebbe taluno domandarsi se proprio in Italia fosse ancora necessario persuadere il pubblico dell'utilità della vac- cinazione, dapoichè la pratica di essa vi è antica, e non mai stata sistema- ticamente combattuta come lo fu in altri paesi. Ma se si pone mente che molte parti d'Italia presentavano un'alta mortalità per vajuolo, indizio certo o di non eseguita, o di cattiva vaccinazione; se si considera che sull’ esempio d'Inghilterra non mancavano tra noi gli apostoli dell’antivaccinazione, i quali col sussidio di statistiche raccolte senza critica, o di fatti enunciati senza un'attenta disamina delle circostanze, avrebbero potuto coll’ accento della convinzione e della buona tede con cui sostenevano le loro teorie, far breccia a poco a poco nelle nostre masse inerti, e convertire al più comodo non far nulla buona parte della popolazione, si trova che l'opera di Bizzo- zero, svolta da pari suo con molta serietà di dottrina e con larga prova di fatti, è stata utilissima non solo a confermare la necessità che la vaccina- zione fosse fatta seriamente in ogni parte d'Italia, ma anche a prevenire l'influenza di dottrine pericolose, in quanto non erano basate sulla realtà dei fatti. Un'altra serie di articoli popolari d’igiene si devono a Bizzozero sul- l'argomento vitale della lotta contro la tubercolosi; articoli che fnrono se- guiti da un aureo libricino popolare sullo stesso argomento. Accolta che egli ebbe favorevolmente l’idea dei sanatori popolari, si fece difensore di tale desiderata istituzione e presiedette il comitato che do- veva sciegliere il migliore disegno di sanatorio presentato al concorso gover- nativo. Da ultimo, diffuse le nuove dottrine sulla malaria e difese la nuova legge sul chinino, di cui egli era stato relatore al Senato, così come si ac- cingeva ad esserlo per la legge futura sui provvedimenti contro la malaria. Questi sono gli scritti principali cui si collegano altri sull'igiene degli alberghi, sull'acqua bollita, sulle macchine da scrivere, sulla profilassi della rabbia, e sul cancro, e che gli hanno dato la soddisfazione di occupare col vantaggio e con plauso del pubblico, il tempo che la sua infermità oculare non gli consentiva più di dedicare alle ricerche di microscopia. Queste tut- tavia egli continuò a promuovere, come sempre, nel suo laboratorio, aggiun- gendo sempre nuovi nomi alla falange di allievi di cui ha coperto tutta l’Italia, e per tutte le branche delle scienze mediche. Tale è stata l’opera complessiva scientifica e sociale di Giulio Bizzo- zero; opera vasta e benefica racchiusa in un periodo breve, e quale io mi studiai di rendere il meno imperfettamente che mi fu possibile, pur sapendo di non aver dato relazione di qualche pubblicazione di minore estensione uscita dalla penna di lui. La produzione scientifica di Bizzozero ha segnato tre punti culminanti. Il 1° s’aggira intorno alla funzione ematopoetica del midollo delle ossa; il — 386 — 2° comprende le numerose ricerche ematologiche e mette capo alla scoperta delle piastrine nel sangue circolante; il 3° abbraccia quelle numerose ricerche sulla cariocinesi, che udite frammentariamente sembrarono lavoro discreta- mente facile e troppo esteso, ma che considerate nel loro insieme, hanno dato origine a una sintesi di molta importanza sui fenomeni della produzione cel- lulare negli organismi. L'attività di Bizzozero nel campo dell'igiene non ebbe per fine la ri- cerca originale, ma sibbene la coordinazione e la divulgazione di quei fatti e di quelle dottrine, dalla cui piena conoscenza soltanto è lecito sperare il progresso sanitario della società, sia nell’ azione sempre insufficiente dei sin- goli, sia nell'azione integrante, più sicura ed efficace dello Stato. Bizzozero non ebbe tempo come il dottor Faust d’esclamare: « T' ar- resta! Oh sei pur bello! » innanzi di morire, nè egli era stato mai intera- mente abbandonato da quel CIANO corruccio onde s'attinge Possanza, alacrità. Egli avrebbe pertanto dovuto continuare la sua nobile esistenza, ma se il dottor Faust esclamava: ai sarebbe L'ultima e maggior delle conquiste Se io giungessi a seccar quel pestilente Stagno, aprirne lo spazio a mille a mille Non sol per abitarlo in sicurezza Ma in operosa libertà! Vedervi Lieti, fertili campi; il nuovo suolo Dell’uom comodo albergo e della greggia (1). egli ha, invece, potuto compiacersi di aver veduto risanare le nostre città, e bonificare le nostre paludi, e presto avrebbe potuto, lo speriamo, cancel lare il ricordo racchiuso in questi versi: aaa ast a pie’ della montagna Vapora una maremma, e tutto ammorba Ciò che noi rassodammo. Egli avrebbe dovuto vivere ancora, se SR oc della vita è degno Degno di libertà colui soltanto Che debba a ciascun dì farsene acquisto. ed egli, infatti, ogni suo dì consacrava all’ acquisto del bene. (1) Faust di Goethe. Traduzione di Andrea Maffei. Firenze 1866. — 387 — CoLLEGHI! In una sua commemorazione di Teodoro Schwann, Bizzozero rifletteva che quando ci accade di leggere una commemorazione fatta su di un fresco tu- mulo, pendiamo incerti sul quanto spetti alle virtù del defunto, e sul quanto gli accordi meritamente la facile liberalità del vivo. Questa acuta riflessione, io penso, meglio si adatti a coloro che traver- sando l’esistenza piena di azione e di tumulto, lasciano dietro di sè un lie- vito di passione che appena il tempo può ridurre nella sua giusta misura; meno perfettamente, invece, si adatti a coloro, che non ebbero a commuovere, ma a persuadere, e che non mossero ad agire per impulso della immagina- zione, ma col freddo e ragionato esercizio del metodo sperimentale. Epperò noi possiamo affermare che il bene che diciamo di Bizzozero gli è sin d'ora sicuramente dovuto. Noi lo abbiamo conosciuto dalla statura superiore alla media; dalla delicata struttura del corpo; dall'aspetto nobile; spesso assalito da sofferenze fisiche, e ciò malgrado di spirito vivace e talvolta faceto; cor- tese invariabilmente con tutti; corretto sino allo scrupolo nelle norme pra- tiche della vita; devoto alla famiglia; fidatissimo agli amici, dei quali ap- prezzava più la costanza che lo slancio; di criterio pratico, di sentimenti che venivano abbracciando un sempre più largo orizzonte quanto più egli ma- turava nella età e nelle opere. Egli era esatto e scrupoloso nell’adempiere tutti i suoi doveri, anche i più piccoli, così come era esatto e scrupoloso nella sua ricerca scientifica. Di mente acuta e libera, nessun argomento gli era estraneo; nessuna aspirazione nuova respingeva senza saggiarne liberamente il valore. Insegnante pieno di coscienza e di precisione, conquistò sè stesso nell’ arte di esporre, in cui divenne efficacissimo. Egli ebbe dal consenso spontaneo, universale e continuato dei suoi col- leghi, un primato che egli nobilmente esercitava per promuovere la pace e l'operosità di ciascuno. L'azione prolungatamente esercitata nei pubblici e privati consigli a favore dell'incremento scientifico delle Università nostre e del risanamento del nostro paese, gli assicurano la nostra universale riconoscenza. Onore alla sua memoria! PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle dei Soci De LAPPARENT, HELMERT, LockyER, PrLUGER, ed i fascicoli 17° e 18°, contenenti i risultati delle Campagne scientifiche del PRrINcIPE DI Monaco. — 388 — Il Socio TopaRro, a nome dell'autore, presenta l’opera del Socio LUCIANI intitolata: istologia dell’uomo; il Socio Todaro accompagna la presenta- zione con un breve cenno dell'importanza scientifica della pubblicazione. CORRISPONDENZA Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute : La R. Società zoologica di Amsterdam; la Società geografica del Cairo; la Società geologica di Sydney; l' Università di Upsala. Annunciarono l'invio delle proprie pubblicazioni : La Società geologica di Darmstadt; la Società di scienze naturali di Francoforte s. M. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 maggio 1901. Albert I” de Monaco. — Notes de géographie biologique marine. Commu- nication faite au VII° Congrès international de Géographie à Berlin en 1899. Berlin, 1900. 8°. Alberti V. — Riassunti decadici e mensili delle osservazioni meteoriche fatte nel KR. Osservatorio di Capodimonte nel 1899-1900. Napoli, 1900-901. 8°. Album de estatistica graphica dos Caminhos de ferro portuguezes das Pro- vincias Ultramarinas. 1898. Lisboa, 1899. f.° Bohn G. — L'évolution du pigment. Paris, 1901. 8°. Carta idrografica d'Italia. — Fiume Marta e Lago di Bolsena ecc. Roma, 1901: 8° Colombo Ch. e Diamanti M. — Le photothérapie. Etudes physiopathologi- ques et cliniques sur les bains de lumière électrique. Rome, 1901. 8°. De Lapparent A. — Vers les pòles. Paris, 1901. 8°. Demitchinsky N. — Y sommes nous? S. Pétersbourg 1901. 4°. Geologische Karte des Grossherzogtums Hessen. VI. Lieferung. Darmstadt, L90dre Helmert F. R. — Der normale Theil der Schwerkraft in Meeresniveau. Berlin, 1901..89. Id. — Die dreizehnte Allgemeine Conferenz der Internationalen Erdmessung in Paris 1900. Stuttgart, 1901. 8°. — 389 — Lockyer N. — Spectre of Sun-Spots 1879-1897. Deduced from Observations made at the Solar Physics Observatory South Kensington. London, 1900. 4°. IA. — The New Star in Perseus. Preliminary Note. London, 1901. 8°. Id. e W. J. S.— On Solar Changes of Temperature and Variations in Rainfall in the Region surrounding the Indian Ocean. London, 1900. 8°. Malfatti P. — Contributo alla Spongiofauna del Cenozoico italiano. Pisa, 1900. 4°. 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Va (Ci MIOATUArORtitO, pito) basshoti Od CRIITASSIA LIE 6 (HLTAAO AFD MODaore gota “tdi MI POLE PACI ZITITA sol TRAV A x Ù ALRVATAZANTEE n î '"le itoggno2 VOR per: Maffi steve 08 a i Mito" dii Di Tata i ST adoiiio 1006 o sa si Lo opigitatt onsosonot) Tab !. 006 alli CA Linwra osano l 38 STOUI sO .A todi n "È ] 000, Are i der sh * TE Las sd AN ta ro eni: COEN TONER n HreLO TOM SIBLILA Lo { li ci t$ ì FILUILLE II LIL Li È tI ba 4 2 M I E OT TOHAII o. xa IO) aflUDitoLi IO NPI : i Mila [ A Ù } # \ fa » stive v Fis 144 At FAUOA NI L08 CELIDI ifgton: Fi peo drroigho SIE th f\K\{:) 4 i f ; 4 CIAIGI ARI TION ® li Se MI PE MA 8 10, BIIRITANI Bini ollou storia j IE iorpah) { { t [RENO GRSAO ARDIIT i pi i DUI Di TU DO RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANNI --- Seduta del 19 maggio 1901. P. BLASERNA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Osservazioni astrofisiche della nuova stella in Perseo, fatte nell’ Osservatorio di Catania. Nota del Corrispon- dente A. RiIccÒ. L'Accademia fu già informata dal Socio prof. Millosevich della comparsa di questo nuovo astro, e delle prime osservazioni fatte da lui e da altri; quindi io mi limiterò a riferire sulle osservazioni astrofisiche, fatte all’ Osservatorio di Catania. A noi la notizia di questo importante avvenimento astronomico arrivò solo al 4 marzo, per mezzo del periodico Astronomisehe Nachrichten: inoltre dal 22 febbraio al 3 marzo in Catania il cielo alla sera fu sempre più o meno completamente annuvolato, eccetto il 1° marzo, in cui fu vario: perciò sarebbe stato impossibile, o per lo meno molto difficile, accorgerci dell’ ap- parizione della nuova stella. Alla sera del 4 marzo ci mettemmo subito all'osservazione, io e l'in- gegnere A. Mascari. Fotografie della Nova. Alla sera del 4 marzo ed in altre seguenti si sono fatte, coll'equatoriale fotografico di m. 0,33 d'apertura, sei fotografie di 4 gradi quadrati di cielo colla Nova nel centro, e con esposizioni mul- tiple, dalle quali si potrà, fatte le necessarie misure, ricavare la posizione e grandezza fotografica della Nova. Intensità luminosa o grandezza della Nova. Nelle prime sere, fino al 12 marzo, sì è stimata la grandezza della Nova, confrontandola con stelle vicine; dopo si sono fatte misure fotometriche con un eccellente fotometro registratore a cuneo di vetro grigio, costruito da O. Tòpfer di Potsdam, se- condo le idee del prof. G. Miller. Questo strumento, essendoci arrivato da RenpICcONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 50 — 392 — poco tempo, non si potè adoprarlo prima del 13 marzo; si è applicato all’equa- toriale Cooke, dell'apertura di m. 0,15. Tutte queste osservazioni sono state fatte nelle prime ore della notte. Le grandezze ottenute sono date nella seguente Tabella I, ove la x presso alcune date indica la presenza di nubi o nebbia, e quindi la minor sicurezza delle misure fotometriche. Negli ultimi giorni la Mova, essendo più vicina al sole, si è dovuta osservare quando era molto bassa, e durante il crepu- scolo, perciò le misure fotometriche sono meno esatte. TABELLA I. Grandezze della “ Nova ,, in Perseo. L. Sar COMOZ, ti SE, CLLEOZA Marzo 4 88,415) 2,5 Aprile 2 108.122 5,6 n. 05. 8 43 Men » (BM PAZ 8040. (MS ni E BAL CAT » 12n 9. 20| 3,2 » 5.822) 049 ” 1653 9. 30 3,9 ” 6 dle | a) » 14 10. 25 3,6 ” 7n 8. 26. 15,0? » 15. 10. 00 4,1 ” 9 8. 58 5,2 n (16.118.989 (MG » 10n 8. Li 5,6 n 7 8. 46 40 n 12085 » 18n 9. 30.) 3,6? ni MIE 80] 556 » 20n 8. 44| 8,2 5 07288 ta) 5,9 » 21 9. 26| 4,2 n. (19 80036005. n 22n 9. 55f 5,6 n 1 200 RARA 00 n 23 8. 42) 4,3 n 21° ‘8:26, 05,9 » 27n 9. 35 4,4 n Vagittigiosli DEi7 » 28n 9. 45| 4,8 più DAMS Ai8G 0518 nia 29108198. MS mia 27 SA SO n 30n 8. 18) 4,5? n S00Ta een Neos | Maggio ln 8. 34 | 6,4? no QST OM ELI È evidente la generale diminuzione della luce della Nova, ed è anche facile riconoscere le alternative continue della intensità; inoltre considerando i minimi più sicuri, cioè compresi fra due sere di osservazione d' intensità maggiore, si ha: Marzo 22 ad Aprile 6= 15 giorni = 3 X 5 giorni; e considerando i massimi sicuri, si ha: 14 Marzo a 4 Aprile = 21 giorni = 3 X 7 giorni. Dunque si ha un periodo di circa 3 giorni, al quale si raccordano abba- stanza bene anche gli altri minimi e massimi meno determinati. Pare quindi si possa concludere che la Nova è divenuta una stella variabile. — 393 — Colore della Nova. All'epoca della prima apparizione era bianco-azzurro- gnolo ; divenne poi bianco e poi giallo, come fu constatato anche dai professori Celoria (') e Millosevich; al 4 marzo trovammo la stella di color giallo-aran- ciato: ma poi, anche il colore ebbe delle variazioni periodiche verso il rosso 0 verso il bianco. Fu notato da noi il color rosso-aranetato al 22 e 29 marzo, 3, 6, 14, 20, 21, 24 aprile, cioè prossimamente alle epoche di minimo di luce; invece al 23 fu notato il colore quasi d/arco, in corrispondenza ad un forte massimo: ciò è in relazione a quanto insegna la Fisica riguardo ai cambia- menti di colore ed al prevalere dei raggi delle varie lunghezze d'onda col variare dell'intensità delle sorgenti luminose. Spettro della Nova. Nella sera del 4 marzo e nelle seguenti, applicato al refrattore Merz dell'apertura di m. 0,33, uno spettroscopio stellare di Clean, abbiamo osservato un brillantissimo spettro, formato specialmente da righe allargate o zone lucide, indicanti gaz e vapori incandescenti; vi abbiamo riconosciuto le righe €, 7, G (0 meglio H, Hg H,) dell'idrogeno, la 2 del sodio, la è del magnesio; si vedevano inoltre due righe molto diffuse o zone, al di là della C, nel rosso: un'altra riga (D3?) o due, deboli, incerte nel giallo, un'altra riga molto lucida fra la % e la 7, poi due zone lucide diffuse tra fe G: il fondo continuo dello spettro era assai poco luminoso: anzi fra le righe lucide vi erano vere zone oscure di assorbimento, specialmente al lato più refrangibile di / e G. Alla sera del 5 marzo si è fatta la fotografia dello spettro collo spet- trografo Vogel, applicato all'equatoriale fotografico, colla fessura dello spettro- scopio larghissima, con posa di un’ora e lastra isocromatica Perv/z, all'eosina, sensibile dal giallo all’ ultra-violetto. Si è ottenuto uno spettro quasi lineare, con ingrossamenti o nodi, corrispondenti alle righe lucide. Al 7 marzo si è fatta un'altra di queste fotografie con fessura stretta e posa di 2 ore: i nodi vi sono più decisi che nella prima fotografia, ma pur sempre allargati e diffusi; il che vuol dire che veramente le corrispon- denti emissioni di luce sono di lunghezze d'onda diverse. Questa larghezza e diffusione dei detti nodi, o righe, costituisce una difficoltà per l'esatta misura e determinazione della lunghezza d'onda; le misure sono state prese da me 4 volte in sensi opposti col macromicrometro. In questi spettri si riconoscono facilmente le righe 2, /, G, ed inoltre la / (o Hz) dell'idrogeno e le H e K del calcio. Valendosi delle lunghezze d'onda note di queste righe, il dott. L. Mendola ha determinato le lunghezze d'onda delle altre righe o zone, che per il detto non possono aspirare a grande precisione. (1) Rendiconti del R. Ist. Lomb. di sc. e lett., serie 2%, vol. XXXIV, 1901. — 394 — La Tabella II fornisce i dati principali relativi a tutte le righe o zone. TABELLA IL Spettro della “ Nova ,, in Perseo. 562,7 zona forte, diffusa 449,3 zona larga, diffusa 555,1 zona forte, diffusa 441,2 zona diffusa 530,0 zona debole, diffusa H, 434,1 zona larga, forte è 516,8 zona distinta 431,0 zona debole, diffusa 501,9 zona poco distinta 423,5 zona debole, diffusa 492,3 zona debolissima 417,9 zona debole, diffusa Hp 486,2 zona la più forte Hs 410,2 zona mediocre, larga 468,1 zona debole aderente alla seguente 407,1 zona debole 463,6 zona forte che pare doppia 403,9 zona debole, incerta 460,9 zona oscura d’ assorbimento | 401,5 zona debole, incerta 458,7 zona forte, netta i H 396,9 zona larga, diffusa, debole 454,1 zona larga, diffusa - K 393,3 zona larga, diffusa, debolissima. L'unita figura è la riproduzione di uno spettro in positivo, che si è allargato facendo scorrere la carta sensibile sotto alla negativa: vi sì è poi aggiunta a mano ed approssimativamente la parte ottica, non riuscita nella fotografia, a scopo puramente dimostrativo ed a fine di rendere completo lo spettro. Non essendovi nel nostro spettrografo una disposizione per ottenere uno spettro di comparazione, non abbiamo potuto studiare lo spostamento delle righe, come altri hanno fatto. Lo spettro della Nova in seguito si. è fatto più debole al diminuire della luce dell'astro, ma non ha cambiato carattere. Al 15 aprile, secondo un'osservazione dell'ing. Mascari, fatta collo spettroscopio Clean applicato all’equatoriale Cooke, si vedevano solo tre righe cioè la d, la /, ed una in- termedia: lo spettro si estendeva verso il rosso di uno spazio circa eguale all’ intervallo fra d, ed 7, finendo con una riga lucida molto debole; lo spettro si estendeva oltre la Y verso il violetto di circa metà del detto intervallo; non si vedevano più le righe C, D, G, nè le altre intermedie. Anatomia vegetale. — Anatomia dell'apparato senso-motore dei cirri delle Cucurbitacee. Nota preventiva del Corrispondente A. BoRrzi. Questa brevissima Nota giova ad annunziare e a riassumere i risulta- menti di una serie di ricerche da me compiute sull'apparato senso-motore dei cirri delle Cucurbitacee. Un lavoro particolareggiato su questo argomento è già pronto per la stampa ed io non ho bisogno ora che soltanto accennare alle principali deduzioni, quelle, cioè, che principalmente interessano la dot- trina del meccanismo dei moti di detti organi. Non è nemmeno necessario il ricordare che le meravigliose attitudini di senso e moto che i cirri mani- festano in contatto ad appropriati sostegni hanno già formato oggetto di par- ticolare studio da parte di molti fisiologi; mentre le ragioni strumentali, morfologiche e prime che presiedono alla esplicazione di tali fenomeni restano tuttora molto oscure o di gran lunga manchevoli a rappresentare fedelmente al pensiero l'essenza del meccanismo di funzionamento dei cirri. L'odierna dottrina dei moti di questi organi infatti sì fonda sul principio che in presenza di un sostegno di determinate qualità fisiche, variano le condizioni d'incremento dei tessuti situati lungo le due facce opposte del cirro, in modo che quelli corrispondenti al lato esterno crescono molto più che quelli della faccia interna, i quali anzi contemporaneamente contraggonsi. Come effetto finale di coteste due azioni antagonistiche il cirro s'avvolge torno torno al sostegno e vi si avviticchia tenacemente. Siffatto variare delle condizioni inere- mentali dei tessuti, secondo la teoria, è determinato dallo stimolo della pressione esercitata da corpi duri e scabri sulla superficie del cirro. In realtà trattasi di un mutamento istantaneo, come ce lo dimostra il microscopio oriz- zontale opportunamente disposto, mutamento che continua e diventa più distinto se non cessa l’azione dello stimolo, ma che vien meno se l'eccitazione stessa è sospesa. In quest'ultimo caso l'organo conserva la suscettibilità a nuove eccitazioni. Date tali condizioni di funzionamento, è chiaro che le manifestazioni dell'attività di un cirro non possono attribuirsi a variazioni nei processi ordinarî d’'accrescimento, essendo questi, com'è noto, molto tardi e lentissimi nei loro effetti, ma invece esse ci si palesano come fatti consoni all'attività caratteristica del protoplasma. E spontanea sorge la domanda se alla specifica differenziazione della sensibilità dei cirri presiedano particolari protoplasti, quali ne sono i caratteri e il modo loro di funzionamento. Le cognizioni anatomiche sui cirri non sono state ancora sufficientemente approfondite. I vecchi lavori del Palm e del Mohl sono troppo superficiali. Lo stesso si può dire di quelli più recenti del Leclere du Sablon e del — 396 — Miiller. Pfeffer e Haberlandt studiando i cirri di alcune Zucche notavano nei protoplasti epidermici delle minutissime emergenze papilliformi ed attri- buirono ad esse la funzione tattile. Non altro che questo ci è noto. Queste mie ricerche, spero, valgano a colmare le molte lacune che presenta l'argomento. Premetto anzitutto che ho potuto rivolgere la mia attenzione ad una sessantina di specie di Cucurbitacee: in tutte il piano fondamentale di strut- tura dei cirri è il medesimo, salvo lievissime insignificanti differenze. La considerazione di un cirro va fatta naturalmente nel momento in cui esso ha raggiunto quel grado di maturità fisiologica normale che lo rende idoneo al suo pieno funzionamento. Ciò posto, si noti che l’arrampicamento di un cirro è un fatto d’ indole ecologica (biologica): i cirri stessi non sono che organi biologici per eccel- lenza. Come tale considerato, il fenomeno si compone di tre momenti distinti che rappresentano altrettante fasi caratteristiche della vita di un cirro. A ciascuna di esse corrispondono determinate condizioni morfologiche esterne ed intime dell'organo, le quali occorre passare in rassegna. Tali fasi biologiche sono: 1. Appoggio al sostegno per mezzo dell’estremità libera e circumnu- tante nello spazio; 2. Ravvolgimento al sostegno per mezzo della porzione superiore. 3. Consolidamento definitivo di tutto il cirro al sostegno. Prima fase. — Il cirro è diritto, salvo all'apice, ove presenta una lieve incurvatura. L'estremità è costituita da una sostanza resistente, quasi cornea, lucida, dovuta a una particolare conformazione della epidermide e a straor- dinario ispessimento della cuticola in quella regione. Curvatura dell’apice e callosità terminale rappresentano due distinte disposizioni biologiche degne di nota. La prima giova ed assicura al cirro un pronto appoggio o appiglio al sostegno, mentre che esso, sospinto dal crescere e dai moti di circumnu- tazione e apogeotropici dei rami, si solleva e si aggira attorno in cerca di un punto di appoggio. Di fatti non essendo possibile immaginare nell'aria una calma assoluta, la forma uncinata dell'apice del cirro serve a favorire l'ap- poggio momentaneo di questo, mentre tanto le parti della pianta, quanto il sostegno sono agitati e tenuti in movimento dalle correnti aeree. La callosità è non solo in armonia a tale necessità biologica, ma giova altresì a favorire il procedere innanzi dell'apice del cirro durante il moto attorno il sostegno. La incurvatura dell’apice del cirro è determinata da una lieve differenza di accrescimento dei tessuti posti sui due lati dell’organo nella sua parte estrema. Seconda fase. — Il cirro, appoggiato già al sostegno, vi si avvolge, descrivendo parecchi passi di spirale. In tal guisa il ramo, a cui appartiene il cirro, è da questo tirato e portato sempre più in vicinanza al sostegno. — 597 — Solo una parte della porzione basale dell'organo resta esclusa dall’arrampi- camento. Durante questa fase sono messe in azione tutte le attitudini sensibili caratteristiche del cirro. Il grado di sensibilità varia nelle diverse regioni di uno stesso cirro. Sensibilissima al contatto è la faccia concava o interna, così pure lo sono le due regioni longitudinali marginali; nulla o debolissima è la sensibilità del lato convesso o esterno. L'anatomia di un cirro qualunque dà ragione di tali condizioni. Difatti alle indicate tre regioni sensibili di un cirro corrispondono altrettanti fasci sottoepidermici di fibre protoplasmatiche d'aspetto collenchimatoideo, emi- nentemente contrattili. Ampio è il fascio mediano corrispondente alla faccia interna e distinto dai due laterali che sono più esili. La contrazione delle fibre ha luogo sotto l’azione dello stimolo della pressione; la quale azione è trasmessa da particolari protoplasti periferici corrispondenti topograficamente e morfologicamente a quelli epidermici. Siffatti protoplasti dunque assumono il carattere di elementi di serso, mentre le fibre vanno considerate come elementi di moto. Morfologicamente gli uni e gli altri sono differenti: i primi provengono e appartengono all'epi- dermide; gli altri sono d'origine periblemica. Tutti i protoplasti epidermici di un cirro (salvo quelli della porzione basale dell'organo) sono cellule di senso. Ma più adatti all'esercizio della funzione sensitiva sono quelli che appartengono alle regioni particolarmente sensibili dell'organo. Ogni cellula di senso è fornita nella sua parte direttamente in contatto coll'ambiente di una o 3, 5, 7, 9, 11 particolari appendici di recezione o corpi tattili. Questi sono in forma di brevissime papille protoplasmatiche a sommità tozza e slargata, le quali attraversano le pareti esterne della epi- dermide e raggiungono sotto il livello della cuticola. Verso i reattivi coloranti il protoplasma dei corpi tattili accenna a comportarsi in modo tutto affatto particolare o almeno sembra che differisca da quello interno. Gli stessi reat- tivi in preparati fissati coll’acido picrico-solforico, rivelano nel corpo cellulare una marcatissima struttura fibrillare. Il nucleo è relativamente molto grosso. Allo stato fresco si scorgono sovente attivissime correnti protoplasmatiche. Le aperture parietali attraversate dai corpi tattili, viste dall'alto, hanno la forma di un’ellissi più o meno allungata: l’asse maggiore è perpendicolare a quello longitudinale del cirro. Gli orli dell'apertura sono ispessiti a mo’ di labbra, ma meno o nulla lo sono ai poli della figura, in modo che l'apertura si può facilmente restringere nel senso longitudinale quando il cirro comincia a curvarsi. Per effetto di tale costrizione la sommità del corpo tattile viene più fortemente eccitata. Un aumento di eccitazione può seguire per intrusione di minutissimi corpi cristallini dentro la sostanza delle papille (Haberlandt) tattili. — 398 — I protoplastici di senso stanno in connessione tra di loro mediante la- terali appendici protoplastiche. Queste attraversano le membrane cellulari sotto forma di tenuissime fibre protoplasmatiche. Ai punti di passaggio di dette fibrille esistono delle placche minutamente forate. La connessione tra le cellule di senso e le fibre di moto si stabilisce mediante eguali processi fibrillari protoplasmatici, di facile rilievo per lo sviluppo notevole che prendono. Anche nei punti di comunicazione si notano delle piastrine forellate. Le fibre motrici hanno pareti relativamente spesse, ma formate di una materia eminentemente compressibile e di consistente colloide quale si riscontra in tutti gli elementi caratteristici del collenchima. Fra le diverse fibre com- ponenti un medesimo fascio, esistono dei meati intercellulari più o meno vistosi. Il protoplasma di ogni fibra è copioso, denso di granulazioni che sì scorgono spesso in attivo movimento di circolazione. V'è un nucleo molto vistoso, allungato, sovente fusiforme. Il grado di compressibilità e di contrazione delle fibre motrici è vera- mente notevole, come lo dimostra la plasmolisi. Ogni fibra può allora ri- durre il primitivo volume del 25 al 30 °/,. I circostanti meati intracellulari agevolano la contrazione delle fibre motrici. Date quindi tali condizioni di struttura, è possibile concepire come l’azione dello stimolo della pressione possa trasmettersi alle fibre motrici, per mezzo dei protoplasmi epidermici: le appendici o corpi tatlili di cui sono forniti questi ultimi rappresentano la prima parte, deputata alla funzione recettiva dell'apparato senso-motore de cirri. Ma il tradursi di siffatto impulso esterno in movimento esige nuove particolari disposizioni meccaniche, morfologiche, strumentali. E difatti allo stato crettile e vergine tutti i tessuti interni e specialmente il parenchima possiedono un elevato grado di tensione, così come risulta dalle indagini di tutti gli autori e particolarmente del De Vriese, e come la plasmolisi chia- ramente mette in rilievo. Lo stimolo, di cui l’azione è trasmessa alle fibre motrici, su queste agisce modificando lo stato di loro normale turgescenza; anzi abbassando e deprimendo il potere osmotico del protoplasma, così che, divenuto questo impotente a ritenere la propria acqua d'imbibizione, la fibra diviene floscia e sì contrae passivamente. Essendo il fascio di fibre motrici posto sopra una faccia dell’ organo, verrà appunto verso questa parte a mancare la resistenza allo espandersi dei circostanti tessuti. Il cirro dovrà in conseguenza curvarsi sul lato cerrispon- dente al fascio di fibre motrici, cioè sulla faccia interna. Iniziato il movi- mento, questo si propaga; la curvatura si fa più profonda, mentre che nuovi punti di contatto si stabiliscono tra la faccia interna del cirro e il sostegno. A completare il meccanismo di avvolgimento si aggiungono alcuni espe- dienti morfologici. Essi sono: ERSU) — 1. La forma convessa, sporgente dalle pareti esterne dell'epidermide della faccia sensibile. I corpi tattili essendo situati nel punto più culminante di detta regione sporgente, si comprende la facilità e rapidità colle quali tali appendici possano essere influenzate dalla pressione. 2. L'estrema compressibilità degli strati cuticulari interni delle pareti esterne epidermiche. Ciò è dovuto al fatto che detti strati risultano di una sostanza quasi di consistenza colloide. In tal modo la più lieve compressione esercitata sulla cuticola si può immediatamente trasmettere sulla sommità delle papille. 3. La presenza di minutissime frequenti rughe trasversali poste sul lato convesso del cirro e di un ampio solco longitudinale che percorre lo stesso lato a partire dalla base. Tali depressioni hanno il medesimo significato meccanico-morfologico delle pliche a mantice che si osservano trasversalmente ai cuscinetti fogliari delle Sensitive, e giovano quindi a facilitare l’incurva- tura e la espansione dei tessuti corrispondenti alla faccia convessa del cirro. Terza fase. — Il cirro acquista una consistenza quasi sublignea ed una grande elasticità. La porzione basale non ravvolta al sostegno si contorce e descrive varî passi di spirale di una perfetta regolarità geometrica. In tal guisa il ramo si accosta sempre più al sostegno. In ciò consiste il consolida- mento definitivo dell'organo. La spirale della parte libera, com'è noto, rap- presenta un apparato a molla destinato a regolare i rapporti fra la pianta e il sostegno in presenza degli urti bruschi e delle scosse determinate dagli agenti esterni e specialmente dal vento. La considerazione di questo periodo della vita di un cirro è importante, perchè serve a stabilire un limite netto fra ciò che spetta all'attività del protoplasma e di particolari elementi sensibili, e ciò che dipende da pro- cessi incrementali e azioni meccaniche. Tutti coloro che si sono occupati della ricerca del meccanismo di moto dei cirri hanno esclusivamente rivolto la loro attenzione a questi ultimi fattori concomitanti del movimento stesso. Si noti infatti che se il contatto fra cirro e sostegno non è continuato per alcuni istanti, il cirro medesimo non perde la facoltà di subire l’ impulso di nuove eccitazioni. Solo invecchiando, in esso vien meno tale capacità, e rimane alla mercè dei processi incrementali. Si può allora contorcere ma irregolarmente; nè raggiunge quel vigore caratteristico dei cirri normalmente avviticchiati a un sostegno; anzi ben presto dissecca e cade come un corpo morto. Il contatto dunque sveglia nuove intime attitudini che la chimica o fisica possono determinare solo nei loro effetti ultimi. La durata dello stato di contrazione delle fibre motrici e quindi del mo- vimento dei cirri attivi e sensibilissimi essendo in rapporto alla durata delle eccitazioni, è necessario che quando l'organo ha raggiunto l'optimum delle condizioni utili al suo funzionamento, renda definitiva e stabile la sua posi- zione; cioè, occorre che la sua forma venga fissata. A questo scopo giova un RenpicoNTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 51 — 400 —- particolare plesso di fibre sclerenchimatiche o meccaniche, il quale propongo di chiamare lamina del Bianconi. È stato infatti il prof. Bianconi di Bologna, nel 1856, il primo a notare che nei cirri della Zucca esiste in vicinanza dei fasci libero-legnosi, sul lato spettante alla faccia concava dell'organo, un plesso molto compatto di elementi fibriformi, lignificati, e ne intuì subito l'ufficio meccanico. Questi elementi sono comuni a molti cirri ed esistono in tutti quelli delle Cucurbitacee. Essi prendono origine di buon'ora da modificazione delle cellule del parenchima che circonda i fasci, ma soltanto sul lato prospi- ciente la faccia interna del cirro. Sicchè la lamina del Bianconi ha una posi- zione unilaterale ed è separata dalle fibre motrici da un doppio o triplo strato di cellule parenchimatiche. Sulla sezione trasversale di un cirro piglia la forma di un arco che segue il perimetro dei 5 o 7 fasci libero-legnosi, ed aperto verso il lato convesso o esterno del cirro. Quest'arco tende a chiu- dersi a misura che ci avviciniamo alla base del cirro; ma non si chiude giammai perfettamente restando così in posizione unilaterale. La lamina del Bianconi, appena il cirro ha cominciato le sue circonvo- luzioni attorno al sostegno, sì lignifica; e questo processo si propaga man mano verso la base, assicurando all'organo quella necessaria tenacità e resi- stenza utile al suo funzionamento. Nella parte libera del cirro, mentre le fibre della lamina del Bianconi ispessiscono e lignificano le loro pareti, le cellule del parenchima circostante crescono di volume. Evvi così uno spiccato antagonismo di accrescimento, rappresentando la predetta lamina una resistenza all’ accrescimento dei tes- suti circostanti; antagonismo che ha per risultato finale la contorsione a spira della porzione libera dell'organo. Anche a tarda età le pareti delle cellule del parenchima del cirro si lignificano senza subire un notevole ispessimento. Le membrane delle fibre motrici diventano allora rigide e quasi cornee. Meccanica. — Sopra la deformazione dei cilindri sollecitati lateralmente. Nota II (') del prof. EmiLio ALMANSI, presentata dal Socio VOLTERRA. 1. In una Nota precedente ho dimostrato che il problema di determi- nare la deformazione di un cilindro, sollecitato alle basi e sulla superficie laterale, nel caso che le componenti ©, , 7» , 3 della tensione che agisce sulla superficie laterale siano espresse da polinomî della forma gn”, Ze", ZI, 8", OVE Yns ln, ln sono quantità indipendenti da 4 (come asse delle si è assunto l'asse del cilindro) può sempre ridursi al problema di deter- minare la deformazione del cilindro sollecitato soltanto alle basi, purchè si (1) V. pag. 533. — 401 — sappia determinarne la deformazione nel caso che sulla superficie laterale sì abbia = Qor_06 = 9,h,l essendo quantità indipendenti da &. Vediamo come può risolversi questo secondo problema. Perciò osserviamo che se si eliminano le funzioni w,v,%w% tra le equa- zioni (2) e (3) della Nota precedente, e si pone per brevità T=%11 + 2-4 033, si trovano sei nuove relazioni tra le tensioni, a cui possiamo dare la forma seguente : ago? OE o I è°T dA-v\=— _ Ara \ Ti 1 sn) NOE, 133 sl VEE ’ I 2dT 1 d°T 39) {drn=—— Av l (13) Tar Tea 7° di 14% d2de IE 1 _2°T 2 = Ts A? == Hi 1-44 de’ “È 144 dev Si dimostra facilmente che date sei funzioni 7,1, T22, €33, ta3=" 38, Ta = T3, Tir = ta; le quali soddisfino alle equazioni (1) e (13), è sempre possibile trovare tre funzioni x,v,% che verificano le equazioni (2). Noi potremo perciò assumere quelle sei funzioni come incognite del problema, e cercare di determinarle in modo che in tutto il cilindro risultino soddisfatte le equazioni (1) e (13), e sulla superficie laterale le (4). Notiamo poi che se sapremo determinare la deformazione del cilindro, ponendo la condizione che sulla superficie laterale 7, e 73 assumano i valori assegnati, e 7, risulti uguale a 0, sapremo anche risolvere il problema ana- logo. ma più semplice, di determinare la deformazione del cilindro, quando sì ponga la condizione che 7, e 73 risultino uguali a zero, e 7, assuma i valori assegnati. Combinando le formule relative a questi due casi, otterremo quelle relative ad un terzo caso, in cui tutte e tre le componenti della ten- sione che agisce sugli elementi della superficie laterale assumeranno i valori assegnati. Perciò, invece di trattare il problema in tutta la sua generalità, noi ci occuperemo del caso speciale in cui si abbia 7, =0. 2. Sieno p,w,y,® funzioni delle sole variabili x ed y che soddisfano le equazioni : (14) dg 040, = (15) 4A°4°®=0, ed a,b,c delle costanti. Poniamo: ì I, (16) p=ag | by, q=g+ta( Levin). — 402 — DE DI, dx n= dy° cm 0 cans(30 + 200) +3 La 5 DO IP dx (17) ra da enna — 209) +I +e, dd t33=414°®+-p4g+0(; ey )— ce . T,,=— Si verifica senza difficoltà che le equazioni (1) e (18) sono soddisfatte (!). Vediamo se sì possono determinare le funzioni g, w, x, ® e le costanti a,b,c, in modo che sulla superficie laterale siano soddisfatte le (4), ove sì ponga, come è stato convenuto, 7, = 0. L'ultima delle (4), sostituendo a 7,; e 33 le loro espressioni date dalla 4* e dalla 5* delle (17), diventa: MIMO E tel 2 by) +3E + ce) cos +fs(3f+202) +3 + ey} cos s— 3. de Poichè p,g,% ® ©3 non dipendono da <, l'equazione precedente dovrà scin- dersi nelle due: NSRA (041.5 cr nl i 20y) cosa +(3 +202)cosp=0, d d CARA i + ce) cosa 4(3 + ey )eosp= ts: e queste due equazioni dovranno esser verificate in tutti i punti del contorno s di una sezione trasversale A, @ e # essendo gli angoli che la normale al contorno, rivolta verso l'esterno, forma colle direzioni 0%, 0y. Consideriamo la prima delle equazioni (18). Sostituendo a p e g le loro espressioni (16), ed annullando separatamente i coefficienti di « e di è, in modo che l'equazione stessa sia verificata qualunque valore venga poi attri- buito alle costanti 4a, d, avremo: È) 2 3 cose + ose+(17 es) cosp=0, dYU So eosc|33 cos.8-+ 2(20068—y c08a)=0. (1) Per verificare le equazioni (18) si osserverà che T=r1+ ra + 738 =(14-4) 46+ a(y2° — 4 49) — ce; si noterà ancora che, per le equazioni (14) e (16), le funzioni 7, g delle variabili @,y, d°4° 02426 2a SOR 1 NA 1434: e infine che Vai voro soddisfano le equazioni 4°p=0, 4°g9 =— — 403 — Diciamo » la normale al contorno s, diretta verso l’ 7r/erno di A. Sarà: (e d d —=—{__-cosa+ —-cosf); È x dY 8) e le equazioni precedenti potremo scriverle : DEA ie 2 2 OLA 2): (0g (19) (er). 3a SO y cosa). Affinchè queste equazioni siano compatibili colle (14) (1° e 2°), è ne- cessario che sia: N (20) S(rie-s) cospasr—0, f (cosà —y cosa) ds=0. lO Ricordando le note formule di trasformazione E (21) ffeos ads= SM aa, } {008 f ds = 5 dA, vediamo che la seconda delle equazioni (21) è soddisfatta. La prima diventa : (22) —_ 2f VOSSAVE e questa pure è soddisfatta, giacchè l’asse delle # passa per il baricentro di A ($ 1), e quindi l'integrale f,ydA , rappresentando il momento statico di A rispetto ad una retta baricentrica, è nullo. Dunque le equazioni (19) e (14) sono compatibili tra loro, e definiscono le funzioni g(2,7), Y(7,7), a meno di costanti addittive, a cui attri- buiremo valori arbitrarî (1). Riprendiamo ora la seconda delle equazioni (18). Essa può scriversi: dI (23) == —t3+c(2 cosa + y cos $). dn a Questa equazione sarà compatibile colla terza delle (14) purchè sia: fistole cose+y 0059)! ds=0, s ovvero: (24) e f (2 cose 4 y c0s #) ds= la ds; Ss (*) Questa indeterminatezza dipende dal fatto che non teniamo conto delle condi- zioni relative alle basi del cilindro. — 404 — Trasformando l'integrale del primo membro mediante le formule (21), e ri- solvendo rispetto a c, abbiamo: ra CETRA ae dè Attribuito alla costante c questo valore, le equazioni (14) 32 e (23) defi- niscono la funzione y(4,y) a meno di una costante che non ha influenza. Abbiamo così determinate le funzioni pg, w,y e la costante c. Resta a determinarsi la funzione ®,.e le costanti 4, d. 3. Consideriamo la prima e la seconda delle equazioni (4), di cui non abbiamo ancora tenuto conto. Sostituendo a 711, t22, 71s le loro espressioni (17), e facendo 7,=0, abbiamo: °D DD | DA —pycoset mor Nap) cosf=0, °D 5 9° ® 0 È > xa b(&x° —1)) cosa + rom COsid-weh ossia 00) °D ci > CORE Y cosf=p cosa + d(e° — y°) cos B, d°D dD sa — cosf = — t, — ( c08sf — b(e° — y°) cos a. dI dY ‘de è : 1 . iù 9) Se attribuiamo al contorno s di A un verso positivo, individuato dalla formula: d d d ; === COSI — ‘cos fp, ds y de le equazioni precedenti potremo scriverle: d {3P 9 3 —{—|=pcosa+ x® — y°) cos f. 2 (DE) _ pressa + ey) d (dD 5 = — ta —]008f — b(ae° — y*°) cosa. a (rosee 3) ; . O Aggiungiamo la condizione che in un punto P, del contorno sia o a DE (e a =0. In un altro punto qualunque P sarà: dY \ 5 = ;pcosa + bd(a° — y°) cos | ds, d7 Po (25) \ DD Ri | = —_f Ir, + gc058 + d(a° — y°) cosa ds. dd Po == ge Affinchè ritornando al punto P,, dopo aver percorso l’intero contorno, SARCA IP DD. - 1 . si ritrovino per — e — gli stessi valori, dovrà essere: dI dY fipesset ses) cosftds=0, }tg + qgc0s8+ b(e° — y°) cosafds=0; s ma f b(a° — y°) cos p ds= — 20 foaa = 0, f b(e° — y°) cosa ds= 20 f add =0; dovremo dunque avere: fposeds=0, fqcsgds=— (REA s Ss ss e sostituendo a p e 9 le loro espressioni (16): (ef goosads +0 f pensedi=o, (26) ) 2 fg cosgds ti ( wcosfas+a fee —iy)cospas=—/ 114 Calcoliamo | g cos @ ds. Osserviamo perciò che tanto g come 7 soddi- s sfano all’equazione 4° = 0: quindi sarà: DZ dY —aZ|ds=0; Slo dI 23) di dI 8 dI . ovvero, osservando che > =— c0$ a, e sostituendo a " il suo valore dato i dalla prima delle formole (19): ° À A sa SIE fgesad= CIC 7° I° cos è ds; e trasformando il secondo membro in un integrale esteso ad A: | geosads=2 (avida. Fin qui la direzione degli assi 07, 07 si è lasciata indeterminata. Ora — 406 — supponiamo che essi siano gli assi principali d'inerzia della sezione pas- sante per l'origine. Sarà allora (ey dA= 0, e perciò: VA f geos ads=0. vs ù : d Con un procedimento perfettamente analogo, osservando che cos f = Le e) e tenendo conto della seconda delle formule (19), si troverebbe; focsgas=— (asma, | yeoseds=0, | yeostds=0. Così vediamo che la prima delle formule (26) è identicamente soddisfatta; la seconda diventa: 7} y] pel dA OOO a, io SE e md taf (770 3 y°)cospds fede. Da questa equazione, trasformando anche il secondo integrale in un integrale esteso ad A, e ponendo { y? GA°-=T, si deduce: a=-3 (nd. / 8 ID 3 Attribuito alla costante 4 questo valore, le quantità = e = , quali son date dalle formule (25), assumono un sol valore in tutti i punti del contorno. 4. Il valore della funzione ®, in un punto qualunque P' di s, ponendo la condizione che nel punto P, debba essere ®D= 0, sarà dato dalla formula: (ID d9D ® -f E de + 2y 0) ; Do i ovvero, chiamando U, V i valori di DS SE dati dalle formule (25): dI dY (27) o= | (Ud + Vday). Affinchè nel punto P,, dopo aver percorso l'intero contorno, si ritrovi per ® il valore 0, dovrà essere: f@a+vam=o0, — 407 — e integrando per parti: | (cAU+gydV)=0. Ma per le formule (25): dU=—}t,-+qcosP + b4x° — y°) cos a| ds, dV=}pcosa+ b(x° — y°) cosf | ds. Dovrà dunque aversi: 28) | [2}7.4+-gc088+b(a°—y) cosa +4 y}pcosa+0(e°—y°)cosp{] ds=0. i 4 y s 17) Y \ Se in questa formula sostituiamo a p e g le loro espressioni (16), ve- diamo che tutte le quantità che vi figurano sono note, tranne la costante d. Detto C il coefficiente di d, si troverà: (Z) MO Î sy(ycosa — x c08P) + (4° — y°) (4 cos f — 2 cos a) { ds. Affinchè la determinazione di d sia possibile, occorrerà che C sia differente da zero. Per dimostrare che C è effettivamente differente da zero, osserviamo che la seconda delle formule (19) può scriversi: yeose—wcos8=1 E L2lycosa— 0088), e per conseguenza la (29), sostituendo ad ycosa — cost questa sua espressione: da C =:/} 7 Da + 44(y cosa — x cosp) +2(4° — y°)(y cosf— cosa) ds. Trasformiamo il secondo membro in un integrale esteso ad A, osservando che, in virtù dell'equazione 4*w= 0, si ha: Settan-[{(2)+ (a. Otterremo : = (+ (E) A ctf (EV EI eta ovvero: c=-3f RenpICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 52 — 408 — Questa formula mostra che C è sempre negativo: affinchè fosse nullo do- vrebbero sussistere le due equazioni ù 2 ilo, (I o, da > che sono incompatibili tra loro. Ne segue che dall'equazione (28) si può sempre ricavare il valore della costante 2, in modo che la formula (27) dia per @ un valore unico in tutti i punti del contorno. Determinata la costante 2, nei secondi membri delle equazioni (25) figurano soltanto quantità note. Quindi mediante la formula (27) che può anche scriversi o=f (V cos @ — U cos #) ds conosceremo il valore della funzione ®(4,y) in un punto qualunque del contorno s. Mediante la formula dPD dD IP => =-(3 cos a de, cos 8) =— (Ueose+V cos) potremo poi conoscere, in ogni punto di s, la derivata normale della fun- zione D. E poichè questa funzione deve soddisfare all’ equazione 4°4° = 0, essa sarà determinata in tutta l’area A, ossia in tutto il cilindro. La determinazione effettiva della funzione ® può farsi per un grandis- simo numero di aree. In tali casi pertanto il problema è risoluto. Meccanica. — Sui casi d’equilibrio dun corpo elastico isotropo, che ammettono sistemi isostatici di superficie. Nota di ApoLFo VITERBI, presentata dal Corrisp. Ricci. SMI Il problema che forma oggetto della presente Nota trae le sue origini dalle seguenti proposizioni enunciate dal Lamé: 18. « Un corpo in equilibrio elastico può sempre essere diviso in paral- lelepipedi elementari mediante un sistema triplo di superficie ortogonali, dette dal Lamé stesso « Superficie isostatiche » (mentre il sistema triplo costituito dalle superficie in discorso si dirà « Sistema isostatico di superficie » o anche semplicemente « Sistema isostatico »), le quali sono sollecitate normalmente dalle forze elastiche » (!). Quindi per un corpo in equilibrio elastico ogni sistema triplo di superficie ortogonali può divenire isostatico, quando le sue superficie che costituiscono il contorno del solido siano soggette a sforzi normali. (!). (1) Lamé, Zegons sur le Coordonnées Curvilignes ecc. Paris, 1859, pag. 272-275. — 409 — 2%. « Esistendo un sistema isostatico in un corpo solido omogeneo in equilibrio elastico, per ogni superficie di questo sistema triplo ortogonale le componenti tangenziali si annullano e rimangono soltanto le componenti nor- mali. Queste sono le forze elastiche principali (o pressioni principali) che danno in ogni punto le direzioni e le grandezze degli assi dell’ellissoide d'elasticità » (1). Se non che il Weingarten (*) osservò che la prima di queste proposizioni non era esatta, nel senso che in generale non esistono i sistemi isostatici pei corpi in equilibrio elastico, ma esistono invece soltanto sotto date condizioni. E nella citata Memoria egli stabilì appunto le condizioni necessarie e suf- ficienti all’ esistenza di tali sistemi. Chiarito però questo punto, rimane pur sempre la grande importanza che hanno i sistemi isostatici nello studio del problema dell'equilibrio dei corpi elastici. Quest'importanza si rileva tosto dalla seconda delle citate proposizioni del Lamé. Invero risulta da questa, che ai diversi tipi di sistemi isostatici che potessero esistere, corri- spondono casi d'equilibrio elastico notevoli per la legge che presiede alla distribuzione degli sforzi. Si fu appunto partendo da queste considerazioni ch'io mi proposi il problema seguente, che forma oggetto della presente Nota. Esso consiste nel « Determinare e classificare tutti i possibili tipi di sistemi isostatici, relativi ai corpi elastici isotropi in equilibrio, e dederminare di più i cor- rispondenti tipi di pressioni principali, e delle componenti della deformazione che loro fanno equilibrio nel caso, però che non agiscano forze interne (o di massa) ». La risoluzione della seconda parte del problema si ricava facilmente da quella della prima. — Concepito dal punto di vista strettamente meccanico questo problema si potrebbe anche enunciare così: Bro Integrare le equazioni d'equilibrio d'un corpo elastico isotropo in tutti quei casi nei quali esistono sistemi tripli ortogonali soggetti a pressioni pu- ramente normali ». Le componenti della deformazione si possono riguardare come un si- stema doppio covariante associato al quadrato dell’ elemento lineare dello spazio (3). A questo proposito è particolarmente notevole il fatto, che imme- diatamente risulta dalle formole, che il sistema di linee nelle cui direzioni agiscono le pressioni principali è altresì il sistema di linee delle deformazioni principali, nel senso che assunte tali linee come coordinate di riferimento, (1) Weingarten, Zur Theorie der isostatischen Flichen. (Vol. XC del Giorn. di Crelle, pag. 18-33). (2?) Per spiegazioni intorno a concetti, come questo, appartenenti al calcolo differen ziale assoluto v. fra varie altre pubblicazioni particolarmente Ricci e Levi-Civita, J/érhodes de calcul differentiel absolu et leurs applications. Vol. LIV dei Mathem. Annalen. (3) Lamé, op. cit. pag. 274. — 410 — rimangono soltanto le tre componenti delle deformazioni che agiscono secondo esse, mentre le altre tre s'annullano. I calcoli che mi guidarono alla risoluzione del problema propostomi, risoluzione fondata sull'integrazione di due sistemi d'equazioni a derivate parziali, sono piuttosto lunghi e laboriosi: e pertanto mi limito in questa Nota ad enunciare i risultati a cui pervenni, riserbandomi di pubblicare poi dettagliatamente, in un altro lavoro, i procedimenti ed i calcoli. Qui però stimo opportuno accennare come nella trattazione del problema in discorso mi valsi del « Calcolo differenziale assolulo » del prof. Ricci, calcolo che fu già da autorevoli matematici riconosciuto essere validissimo strumento in ri- cerche del genere di quelle contenute nella presente Nota. Per parte mia mi permetto d'esprimere l'opinione ch'io debba in massima parte all’uso di detto calcolo l'essere giunto al fine prefissomi. Ciò premesso passerò nel successivo paragrafo all'esposizione dei risul- tati a cui pervenni. SUI 1°. Nella classificazione dei possibili tipi di sistemi isostatici e dei cor- rispondenti casi d'equilibrio elastico, classificazione che forma oggetto del presente $, dirò sempre «, y, < i parametri delle tre famiglie di superfici costituenti il sistema, parametri che naturalmente saranno anche le coordinate curvilinee che si assumeranno. Le tre pressioni principali agiscono rispetti- vamente nelle direzioni delle linee ., y, z cioè normalmente alle singole fa- miglie di superfici del sistema isostatico. Dirò brevemente p, la pressione principale agente secondo la direzione delle linee ., p: quella agente secondo la direzione y, pz quella agente se- condo la direzione 2. Quelle tre componenti della deformazione che non s'an- nullano, facenti equilibrio alle pressioni principali p,, 22, 73, ogni volta con- siderate, sì designeranno rispettivamente con &,, È», £3. 2°. Ed ora veniamo all’accennata classificazione dei vari casì che sì pre- sentano nel problema studiato. I. LE TRE PRESSIONI PRINCIPALI SONO TUTTE EGUALI FRA DI LORO. Allora esse devono essere altresì costanti: le componenti della deformazione devono essere altrettante funzioni lineari (arbitrarie però) delle coordinate. Il sistema isostatico corrispondente può allora essere qualunque, vale a dire non è soggetto ad alcuna restrizione (!). (1) Reputo opportuno accennare come avendo studiata la questione qui trattata anche per gli spazi a curvatura costante, trovai che in questi spazi non esistono sistemi iso- statici di tipo analogo, poichè quando il sistema isostatico non sia soggetto ad alcuna restrizione geometrica, le componenti della deformazione devono annullarsi. — dll — Come è evidente però è questo un caso affatto 4r2v/4/e d’equilibrio ela- stico, quale si presenta ad es. per una massa fluida. II. DELLE TRE PRESSIONI PRINCIPALI DUE SIANO UGUALI. Sia ad esempio: Pa = Pz Allora si possono presentare questi sottocasi : a). La famiglia di superficie a = cost. si riduce ad un « fascio » di piani; tutto essendo simmetrico rispetto all’asse del fascio. In questo caso pertanto il problema è ricondotto ad un problema a due dimensioni. bd). St ottengono tipi che non sono se non tipi speciali di sottocasi compresi nel caso III del quale ora passiamo ad occuparci. III. LE TRE PRESSIONI PRINCIPALI SONO FRA LORO DISTINTE. / sotto- cast che allora si possono avere sono è seguenti : a). Una delle tre famiglie di superficie si riduce ad un sistema di piani paralleli. Quella delle pressioni principali che agisce normalmente a tali piani, e la differenza fra le altre due pressioni principali sono in- dipendenti dalla variabile fornita dal parametro di questa famiglia di piani. IL problema dell'equilibrio elastico è allora ricondotio ad un pro- blema a due dimensioni negli accennati piani. Di questo problema, come di quello che si presenta nel sottocaso II a) mi propongo d’occuparmi in altra occasione, poichè è evidente che un’ ulte- riore loro trattazione esorbiterebbe dall'obbiettivo propostomi in questa Nota. Db). Il sistema isostatico di superficie sì riduce ad un sistema di piani ortogonali: cioè il sistema di linee x, y, z ad un sistema di tre assi Car- testani ortogonali. Le pressioni principali hanno la forma: P1= SY) + WA) + d2(7, 5) + YZ + Ya +2: Da = f(@) +) + mo(@, 2) +-X2 Za + X: +2: pa= f(0) +91) + 32(2,9) +X Yo 4+X2 + Ya Le componenti della deformazione hanno allora la forma: & = F(4) + Ho(0, 4) +2.(2,9) +Y2 + Ze = 9) + Ze, 9) + 0.1 ++ Zi E, = W(4) + H(e, 9) + O(4, 9) +XLH4-Y. dove designino : F(x) e f(x), P(4) e p(y), P(c) e YW(c) altrettante coppie di funzioni rispettivamente della sola @, della sola y, della sola 2, tali che, detta K, una costante dipendente dalle costanti d’isotropia del corpo, la cui deter- — 412 — minazione si vedrà nell’accennato più ampio lavoro sia: d(KiF@)—f(2)) = d(K®4Y)_-g4)) dd -Yd)) da” dy? de” altrettante costanti. Di più devono designare : do(Y, 2) , N(£, 2) ’ 22(2, y) altrettante funzioni quadratiche rispettivamente delle sole y, e, delle sole x, 8, delle sole 2,y e così pure Hz (x ,%), e H: (2,2), Z: (2,9) e 4: (2,9), ©. (Y,8) e O2(y,) devono designare coppie di funzioni quadratiche delle sole a, delle sole (x,y) e delle sole y , &. Finalmente devono designare: X4, Y4, Za tre funzioni di quarto grado rispettivamente della sola «, della sola y, della sola s, Xa, DIANE, fun- zioni di secondo grado della sola x, Yz, Ya, Vi funzioni di secondo grado della sola y, Za, Zoo. funzioni di secondo grado della sola 2, mentre devono essere le differenze: do Ch CO È d°L, dx» ma dy» Ya, Sg nd: altrettante costanti. Evidentemente il caso II C può riquardarsi come una specializzazione di questo. Con ciò è esaurito l'elenco di tutti i casi che nel problema studiato si possono presentare. Nello svolgimento dei calcoli, come si vedrà nel lavoro più ampio a cui accennai, si presentano sottocasi in cui le pressioni principali e così pure le componenti delle deformazioni hanno forme più speciali che si presentano come casi particolari di quelle testè indicate. Poichè mi limitai ad indicare i tipi più generali che possono avere tali funzioni nei singoli casì. Sono pure degni d'interesse, specie per le applicazioni che se ne pos- sono fare, i risultati che si ottengono introducendo, in taluno dei casì esa- minati, qualche condizione restrittiva. Così, ad esempio, se nel caso in cui il sistema isostatico si riduce ad un sistema di tre piani ortogonali, si sup- pongono nulle due delle pressioni principali, evidentemente s'ottiene un caso interessante d’ equilibrio d'un solido omogeneo elastico di forma prismatica soggetto ad una pressione agente su una delle sue tre coppie di facce opposte. 3°. Nel chiudere la presente Nota sembrami opportuno porre in rilievo un fatto emergente dagli esposti risultati. Esso è che l’asserzione del Lamé (V.I) che per un corpo in equilibrio elastico ogni sistema triplo di superficie ortogonali può rendersi isostatico applicando alle superficie contornanti il corpo sforzi normali è bensì vera astrattamente, ma in realtà per sistemi tripli di superficie ortogonali affatto generali, non rientranti quindi nei tipi speciali enumerati or ora, il fatto di divenire isostatici si verifica solo quando gli sforzi normali che si applicano siano fra loro uguali e costanti. — 413 — Chimica. — Acido ortomercuriodibenzoico. Nota di L. PESCI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Aggiungendo ad una soluzione concentrata di ortoossimercuriobenzoato di sodio la quantità calcolata di solfuro di sodio, si ottenne un precipitato bianco che fu raccolto e seccato fra carta. Esso si sciolse alquanto nell’alcool a caldo e ne cristallizzò per raffreddamento in forma di sottili aghi, solubili discretamente nell’ acqua. Questo composto è il sale di sodio dell’ acido ortosolfomercuriobenzoico ada O i sli _ Oo All'analisi diede: Hg °/ 54,27; 54,98. Na°/ 6,31. — Calcolato: Hg 55,56. Na 6,39. Dalla soluzione acquosa di questo sale per mezzo dell'acido acetico si precipitò l'acido solfomercuriobenzoico sotto forma di massa gelatinosa che facilmente si decompone. La stessa soluzione fu scaldata lungamente all’ ebollizione in apparecchio a ricadere, con che si separò solfuro mercurico e si produsse il sale di sodio C;H,COOH CH COOH della reazione, filtrato, fu addizionato a piccole frazioni di uno sciolto di clo- ruro di calcio fino a che non si produsse più precipitato: si filtrò rapida- mente, si aggiunse un forte eccesso di questo sale e si abbandonò la massa a sè in un luogo fresco. Si separò lentamente il mercuriodibenzoato di calcio ben cristallizzato in mammelloni bianchissimi, che furono raccolti, lavati con acqua, e seccati. Questo sale di calcio fu poi stemperato in acqua e decomposto mediante carbonato di sodio, operando a caldo. Si separò per filtrazione il carbonato di calcio formatosi e si precipitò dal filtrato l’ acido mercuriodi- benzoico mediante l'acido acetico. È una sostanza bianca, leggera, solubile alquanto nell’alcool bollente, dal quale, per raffreddamento, si separa cristallizzata in forma di aghetti brillanti. È insolubile nell'acqua. Per azione del calore si decompone senza fondere. All’analisi diede: Hg°/, 45,16; 45,17; 45,35. C36,68. H 2,45.— Calc. : Hg 45,25. C 88,01. H2,26. Il sale di calcio, Hg io Ca, è insolubile nell'acqua e nell’alcool. 6114 All’analisi diede: Hg °/, 41,32; 41,10. Ca 8,71; 8,20. — Calcolato: Hg 41,07; Ca 8,33. del nuovo «acido ortomercuriodibenzoico Hg < Il prodotto — 4l4 — Chimica. — Derivati monosostituiti del Triazolo 1. 3. 4(!). Nota di Gurpo PeLLIZZARI e MATTEO BRUZZO, presentata dal Socio PATERNÒ. In una Nota precedente uno di noi e il dott. Massa descrissero l’1- feniltriazolo 1.3.4, che può anche chiamarsi 1-feniltriazolo simmetrico, otte- nendolo sia per azione della formanilide sulla formilidrazide o sulla diformi- lidrazide, come dall’anilina e diformilidrazide. Colla presente Nota abbiamo esteso il metodo ad altri composti dello stesso tipo che si possono derivare da una molecola di un’amina primaria, da una d'idrazina e da due di acido formico. R .NH;, + N:H, + 2HC0,H = 2H,0 + k . C.N3H, Praticamente le reazioni si eseguiscono coi derivati formilici delle basi e in tre modi differenti: I. Azione dei derivati formilici delle amine primarie sulla formili- drazide : HNR NR DS AN OCH HCo: = 25,0 + CH CH Î [LS HINNH, N—N II. Azione di un'amina primaria sulla diformilidrazide : R | H.N.H De VINI OCH HCO = 2H,0 + CH CH | | rali HN — NH NN III. Azione del derivato formilico di un’amina primaria sulla diformi- lidrazide: in questo caso in luogo di una delle molecole d'acqua se ne elimina una di acido formico: HN.R NR X = Mp0: HCO,H.+ N OCH HCO CH CH | ISS] IN — NHCOH N—N (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Genova. — 415 — Applicando i tre procedimenti alla sintesi dei derivati p e 0- toluici e e e f- naftilici abbiamo avuto sempre buoni rendimenti. Praticamente tro- viamo consigliabile il terzo per la facilità colla quale si può preparare la diformilidrazide dal solfato di idrazina, col metodo descritto da uno di noi, mentre col primo metodo, benchè si abbia un rendimento un po’ superiore, occorre partire dalla monoformilidrazide che si ottiene soltanto coll’ idrato di idrazina. 1 p. Toliltriazolo simmetrico N.C.H, ZI CH CH Ln N—N I. Grammi 5.4 di monoformilidrazide e gr. 12 di formil-p- toluide furono scaldati in una bevuta a bagno di acido solforico a 150° per due ore e quindi a 200° per altre due ore. Nella reazione si sviluppano nume- rose bollicine di vapor d'acqua, e la massa prima gialla sì fa sempre più scura. Il prodotto fu trattato in capsula con idrato sodico diluito facendo bollire per più di un'ora allo scopo di saponificare quella parte dei prodotti iniziali che non avessero reagito e scacciandone, per quanto era possibile, le rispettive basi col vapore d'acqua. Il p- tolitriazolo che non è trasportato dal vapore, si separa per raffreddamento in masse giallo chiare. Il rendimento fu di gr. 10,5 di prodotto greggio. II. Gr. 10 di diformilidrazide e gr. 12,1 di p- toluidina furono scal- dati per due ore a 150° e quindi per altre due ore a 200°. Il trattamento del prodotto fu identico a quello sopra descritto, altrochè fu necessario far bollire più a lungo colla soda, riaggiungendo acqua mano a mano che eva- porava, allo scopo di scacciare una maggior quantità di toluidina inalterata, che era rimasta e che rendeva più impuro il prodotto. Il rendimento fu di gr. 11,4. TII. Gr. 12,1 di diformilidrazide e gr. 18,5 di formiltoluide si scalda- rono gradatamente fino a 160°, e si mantenne questa temperatura per due ore e quindi per altre due ore a 200°. Il prodotto trattato nel solito modo ci dette gr. 11,4 di toliltriazolo. Riassumendo i rendimenti di prodotto greggio ottenuto: 1° metodo dette un rendimento del 73 °/, del teoretico 20 ” ” 63 » ” 3°» ” 68» ” L’1 p- toliltriazolo simm. si purifica cristallizzandolo dall’ acqua bol- lente dopo averlo decolorato col carbone animale. È in pagliette bianche, RenNDICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 59 — 416 — lucenti che contengono una molecola e mezza di acqua di cristallizzazione che perdono nell’ essiccatore e riprendono esattamente, benchè lentamente, all'aria. Quando è idrato fonde a 83°, e anidro fonde a 116° gr. 0,259 di sostanza persero nella stufa gr. 0,0379 di acqua. Trovato °/ Cale. p. CsHsN3, 1 */» Hs0 H,0 14,64 14,62 Per brevità omettiamo le altre determinazioni eseguite e che dettero lo stesso risultato lasciando la sostanza idrata nell’ essiccatore fino a peso costante e controllando la ripresa dell’acqua all'aria. gr. 0,220 di sostanza anidra dettero CO, = 0,5463 e H,0= 0,1192 gr. 0,1827 ” ” dettero 40,1 cc. d'azoto e 12° e 760 mm. Trovato °/p Calcolato Gere 67,92 H° 602 5,66 N 26,27 26,41 Il p- toliltriazolo simmetrico è solubilissimo nell’alcool e nel cloroformio, assai nel benzolo e nell’etere, poco nell'acqua e nella ligroina. Cogli acidi minerali si scioglie facilmente formando dei sali e riprecipita colla potassa. Cloroplatinato di p- toliltriazolo simmetrico (CsHoNz.HC1): PCI. Si ottiene sciogliendo la base nell’acido cloridrico concentrato a leggero calore e quindi si aggiunge il cloruro di platino pure concentrato. Cristallizza in lamine aranciate che si decompongono verso 215-220° gr. 0,4009 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,1076 di platino. Trovato °/ Calcolato Pt 26,83 26,84 Tetracloroplatotoliltriazolo simmetrico (CoHoNs): PtCl,. Si ottiene dal cloroplatinato normale per ebullizione della sua soluzione acquosa e si pre- cipita come polvere gialla, amorfa, insolubile. gr. 0,3605 di sostanza dettero gr. 0,1096 di platino. Trovato °/ Calcolato Pt 30,40 29,69 Una seconda determinazione portò allo stesso risultato un po’ elevato, cosa spiegabile non potendosi purificare il prodotto colla cristallizzazione. Picrato di p- toliltriazolo simmetrico (CsHgNz) C:H30(N0:);. Si pre- para sciogliendo la base nell'acqua calda e aggiungendo acido picrico. È assai solubile nell’ alcool da cui si ottiene in aghi sottili, gialli, setacei fusibili a 172°. gr. 0,2117 di sostanza dettero 40,2 cc. d'azoto a 15°,1 e 758 mm. Trovato 9/ Calcolato N 21,82 21,70 MAI 1 o. Toliltriazolo simmetrico N . (CEHS DS CH CH Id N-N I. Gr. 5,3 di monoformilidrazide e gr. 12 di formil-0- toluide furono scaldati a bagno di acido solforico. A 150° la reazione era vivace per co- piose bollicine che si sviluppavano: dopo tre ore s' innalzò la temperatura a 200° e si mantenne così per altre due ore. Il prodotto denso e bruno fu trattato in capsula con idrato sodico, facendo bollire per tre ore e riaggiun- gendo acqua mano a mano che evaporava. Poi si saturò l’alcali con anidride carbonica, si tirò a secco e si estrasse il prodotto col benzolo. Il rendimento iuedivor.v10; II. Gr. 5 di diformilidrazide e gr. 6,05 di o- toluidina furono scaldati per tre ore a 150° e altre tre ore a 200°. Il prodotto trattato nel modo su esposto dette un rendimento di o- toliltriazolo greggio di gr. 5,65. III Gr. 10 di diformilidrazide e gr. 15,3 di formotoluide furono scaldati a 170° finchè si svolgevano bollicine gassose in discreta quantità, cioè per circa tre ore e poi per un'altra ora a 200°. Col solito trattamento si ottennero gr. 12 di prodotto greggio. Riassumendo si ebbe col 1° metodo un rendimento del 71 °/, del teoretico. DO ” ”» 51» ” DO » ” 66 ” ”» L'l o- tolitriazolo simmetrico greggio si purifica cristallizzandolo dal- l’acqua e decolorandolo con un po’ di carbone animale. È in prismi circolari fusibili a 104°. gr. 0,2106 di sostanza dettero gr. 0,5263 di CO» e gr. 0,101 di H;0. gr. 0,1963 7 n A44cc. d'azoto a 19°.2 e 753 mm. Trovato °/ Calcolato C 68,15 67,92 H 5,32 5,66 N 25,93 26,41 È solubilissimo nell’alcool e nel cloroformio, assai solubile nell'acqua e nel benzolo e discretamente nell'etere. Il Cloroplatinato di 0- toliltriazolo sim- metrico non si riuscì ad averlo puro perchè anche a freddo e in presenza di acido cloridrico concentrato si trasforma parzialmente in — 418 — Tetracloroplatotoliltriazolo simmetrico (CsHoN3)» PtCL, il quale bene si ottiene aggiungendo cloruro platinico ad una soluzione acquosa e bollente della base. Si depone come polvere gialla chiara insolubile gr. 0,5059 di sostanza dettero gr. 0.1504 di platino. Trovato °/o Calcolato Ebie29,72 29,69 Picrato di o- toliltriazolo simmetrico CsHgNz,CsH30 (NO,)3. Precipi- tato da una soluzione acquosa della base con acido picrico e cristallizzato dall'alcool acquoso si ottiene in aghi sottili fusibili a 174° gr. 0,1856 di sostanza dettero 34,7 ce. d'azoto a 20° e 755 mm. Trovato °/o Calcolato N 21,63 21,70 1 «- Naftiltriazolo simmetrico I. Gr. 3,7 di monoformilidrazide e gr. 10,5 di formil-a- naftilamina furono scaldati per un'ora a 150° e per circa un'altra ora a 200°. Il pro- dotto era scuro e per raffreddamento cristallizzò parzialmente. Trattato con acido cloridrico diluito e bollente per qualche ora, si separò una sostanza resinosa scura. Il liquido limpido fu reso fortemente alcalino con idrato sodico e fatto bollire per parecchio tempo in capsula, indi si estrasse col benzolo il prodotto che era gr. 6,6. II. Gr. 8 di diformilidrazide e gr. 13 di «- naftilamina furono scal- dati per un'ora a 150° e poi per due ore a 200°. Il prodotto trattato nel modo suesposto dette gr. 8,4 di «- naftiltriazolo così impuro che non cri- stallizzava. III. Gr. 5 di diformilidrazide e g. 9,7 di formil- @- naftilamina scal- dati per un'ora a 160° e per due ore a 200° dettero col solito trattamento gr. 6,05 di prodotto greggio. Riassumendo si ebbe col 1° metodo un rendimento di 63 °/, del teoretico. 920 ” L) 48 n ” DO » n 54 ” ”» Il prodotto estratto dal benzolo è però così impuro che non cristallizza ed occorre trasformarlo in picrato e questo, decomposto colla soda, separa — 419 — il naftiltriazolo che si estrae col benzolo, dal quale con ripetute cristalliz- zazioni si ottiene in cristalli bianchi fusibili a 120°. gr. 0,2012 di sostanza dettero gr. 0,5458 di CO, e gr. 0,0842 di H.0. gr. 0,2032 ” ” 38,8 cc. d'azoto a 24°.2 e 758 mm. Trovato °o Calcolato CU 74,22 73,85 H 4,64 4,61 N 21,79 21,54 È molto solubile nel benzolo, nel cloroformio e nell’alcool, discretamente nell'etere e pochissimo nella ligroina e nell'acqua. Il cloroplatinato normale non si può ottenere puro, perchè si trasforma parzialmente in Tetracloroplato a- naftiltriazolo simmetrico (C:,HyN3): PtCI, che bene si prepara facendo bollire la soluzione cloridrica della base con cloruro di platino. È una polvere giallo-chiara insolubile. gr. 0,1486 di sostanza dettero gr. 0,0384 di platino. Trovato °/ Calcolato Pi 26,51 26,82 Picrato di a- naftiltriazolo simmetrico (C,2HoN3), CsH30 (N0»);. Si preparò dal prodotto greggio sciolto in acqua cloridrica per aggiunta di acido picrico. Cristallizzato dall'alcool si ottiene in cristallini fusibili a 164°. gr. 0,1285 di sostanza dettero 22,3 cc. d'azoto a 23° e 756 mm. Trovato °/ Calcolato N 19,89 19,85 1 $. Naftiltriazolo simmetrico NEC:H; Z N CH CH DO 1 N—N I. Gr. 4 di monoformilidrazide e gr. 13.5 di formil £- naftilamina furono scaldati a 150° per due ore e poi a 200° per un’altra ora. Il prodotto fu trattato con acido solforico diluito facendo bollire per un paio d'ore a ricadere, quindi per raffreddamento si separò dal solfato di #- naftilamina che è poco solubile, mentre il 8- naftiltriazolo rimasto in soluzione, liberato con idrato sodico, fu raccolto separatamente e cristallizzato dal benzolo. Il. Gr. 8 di diformilidrazide e gr. 13 di 8- naftilamina si scaldarono come nel caso precedente e si ottenne anche qui collo stesso trattamento una discreta quantità di prodotto. — 420 — III. Gr. 10 di diformilidrazide e gr. 19 di formilnaftilamina scaldati a 150° per due ore e per un'ora a 200°, dettero un prodotto non molto colo- rato che per raffreddamento solidificò. Trattato nel modo solito, fornì una discreta quantità di #- naftiltriazolo. Per questo derivato non potemmo fare una valutazione neanche approssimata del rendimento. La purificazione del prodotto si fece per cristallizzazione dal benzolo e si ebbe in minutissimi cristalli fusibili a 160°. gr. 0,161 di sostanza dettero gr. 0,4381 di CO», e gr. 0,0645 di H;0. gr. 0,1818 ” ” 39,5 ce. d'azoto a 21°,5 e 775 mm. Trovato °/ Calcolato Car4:21 73,85 HA: 45 4,61 N 62113 21,54 È molto solubile nell’ alcool, discretamente nel benzolo e nel cloroformio, pochissimo nell’etere e nell'acqua. Si scioglie negli acidi e riprecipita colla potassa. Il cloroplatinato normale non si ottiene puro perchè si trasforma parzialmente in Tetracloroplato B-naftiltriasolo simmetrico (C:XHsN3) PiCL,. La tra- sformazione è completa e rapida nell'acqua bollente e si ottiene come polvere amorfa gialla. gr. 0,2786 di sostanza dettero gr. 0,0741 di platino. Trovato °/ Calcolato Pi 26,56 26,82 Pierato di B- naftiltriazolo simmetrico (CxHsN3) CsH30 (N0»)3. Si ottiene dalla soluzione cloridrica della base per aggiunta di acido picrico e fu cristallizzato dall'alcool, ottenendolo in piccolissimi aghi fs. a 205°. gr. 0,1855 di sostanza dettero 31.5 cc. d'azoto a 20° e 755 mm. Trovato °/o Calcolato N. 19,70 19,35 Ecco un confronto fra i punti di fusione di questi derivati del triazolo 1. 3. 4 e quelli corrispondenti del triazolo 1. 2. 4 descritti da uno di noi col dott. Massa (!). 1.3.4 1.2.4 p- tolitriazolo fo: 830 ES MRUONO o- toliltriazolo » 104° » 45° a-naftiltriazolo QUIZ » 99° B- naftiltriazolo atal60° ITALO. Gazz. chim. it. XXVI. p. 2, 413. Chimica. — Attività ottica della lecitina. Nota II(') di 0. ULPIANI, presentata dal Socio PATERNÒ. Analisi del composto di lecitina e cloruro di cadmio. Ecco i risultati delle analisi eseguite sul medesimo campione di sostanza, che è servito per le determinazioni polarimetriche descritte nella nota pre- cedente: gr. 0.5530 di sostanza, bruciati con ossido di Cu, cromato di Pb, spirale di Cu ridotto, spirale di Ag dettero gr. 1.0182 MCO er 002 AH 00 n 0508] E 3 gr. 0.4698 di sostanza nelle stesse condizioni dettero gr. 0.8610 dieo-erers0:4/0/diHo0n... >. ei 0 49:97 H°/, 8,22 gr. 0.4579 di sostanza nelle stesse condizioni dettero gr. 0.8446 UO tone 0400 dI ERO 075029 H°/ 8.46 gr. 1.4000 di sostanza bruciati con ossido di Cu e spirale di Cu ridotta dettero cme. 18 di Az alla temp. di 21° e alla pressione di 767 mm. . . ? ; Az°, 1.39 gr. 0.7376 di sostanza bruciati du To costdizioni duro eme. 9.4 di Az alla temp. di 24° e alla pressione di 765 mm. . . 5 Az°/ 1.85 gr. 0.7890 di PAGIRO DEAL in Siabo Ghini con H NO® in presenza di Ag NO* dettero gr. 0,2840 di Ag Cl. . . (Cl°/ 8.89 gr. 1.1416 bruciati in tubo chiuso con H NO?, precipitati con molibdato ammonico e dosati come pirofosfati di magnesio dettero gr. 0.1268 di Mg*° Ph® 07 . . . Ph°/ 8.09 gr. 1.0232 bruciati in tubo chiuso con H NO*, i rcinifato il cd come solfuro e dosato come ossido dettero gr. 0.1668 di CAO Cd°,, 14.26 r. 0.8560 bruciati in tubo chiuso con H NO? dettero con H? S St.0:1498tdi:solfuro.di/cadmio ... . Lapp sa +. +, 04°, 13.59 (ie! Riassumo i risultati nel seguente specchietto e pongo al lato i numeri trovati da Strecker. (1) V. pag. 368. — 422 — %, trovati media ©! trovati da Strecker C 50.21, 49:97, 50.29 90.15 50.75 50.85 — Hi 813, 8:22, 18:46 8.28 8.38 8.44 — Ag dle39 0139 — 1.37 _ — — Ph 3.09 _ — 3.09 — — —_ Cl 8.89 — — 8.39 9.03 SII _ Cd 14.26, 13.59 — 13.92 13.07 13.14 15.20 Il confronto fra i numeri da me trovati e quelli di Strecker dimostra che la sostanza da me portata al polarimetro è presso a poco identica a quella di Strecker. Invero identico è stato il materiale e il metodo di pre- parazione: solo io ho evitato con cura ogni riscaldamento. Nel calcolo delle analisi io ho trovato le stesse difficoltà che si sono presentate a Strecker; il rapporto fra cloro e cadmio è quello dei loro equivalenti, ma fra lecitina e cloruro di cadmio non vi è il rapporto di una molecola ad una molecola e tanto meno quello di una a due molecole. Strecker gira la difficoltà sottraendo dal cento totale i numeri che si rife- riscono al CI e al Cd (21.4°/,) e calcolando sul resto la composizione della lecitina. Io invece trovo, che, se si calcolano tre molecole di lecitina per quattro molecole di Cd Cl?, tanto il Cl, che il Cd hanno un'espressione ponderale soddisfacente nella molecola del composto di lecitina e Cd C1?: Calcolati Trovati per 3 dipalmito-lecitina per 8 distearo-lecitina per 3 dioleo-lecitina Media + 4 Ca CI? + 4 Cd CI? + 4 Cd CI? C 48.21 50.21 50.40 50.15 H 8.23 8.55 8.21 8.28 N 1.41 1.33 1.34 1.37 Ph 3.11 2.94 2.95 3.09 Cl 9.49 8.99 9.02 8.89 Cd 15.05 14.25 14.90 13.92 Come risulta dalla precedente tabella, i dati analitici ottenuti concor- dano ugualmente bene coi calcolati di una lecitina contenente due molecole di acido stearico come con quelli di una lecitina che contenga due molecole di acido oleico. Data la piccola differenza nel peso molecolare fra l'acido stearico e l'acido oleico, era necessario isolare l'acido grasso contenuto nella lecitina per poterlo riconoscere. A tale scopo, saponificando il composto di lecitina e cloruro di cadmio con barite e demolendo il sapone con acido cloridrico, si ebbe la separazione della massa degli acidi grassi alla superficie del liquido. Tale massa ben = 428 — lavata ed asciutta fondeva a 43°. Fatto il sale di piombo e trattato questo sale con etere, ebbi una frazione che si sciolse in questo solvente e che ri- conobbi per oleato di piombo. La frazione insolubile in etere fu demolita con acido cloridrico e allo scopo di allontare le ultime tracce di acido oleico, che potevano essere rimaste, sottoposi l'acido grasso ottenuto a forte pres- sione fra carta da filtro. Rimase una massa grassa molto più consistente della primitiva, che, ricristallizzata parecchie volte dall'alcool, dopo ebolli- zione con carbone animale fondeva a circa 63°, punto di fusione abba- stanza vicino a quello dell'acido stearico che fonde a 69°. Da questa esperienza risulta, che, o nel composto di lecitina e cloruro di cadmio ottenuto col metodo di Strecker, esiste una lecitina che contiene nella ‘molecola il residuo dell'acido stearico e il residuo dell'acido oleico, 0 il suddetto composto è una mescolanza sopratutto di dioleo- e di distearo- lecitina. Nè i dati analitici, nè il riconoscimento dell'acido grasso risolvono la questione. D'altra parte questa questione è intimamente connessa con la discussione della costituzione della lecitina. Se si ammette infatti la prima ipotesi, possono darsi per la oleo-stearo- lecitina due formule di struttura: CH°O— ac. oleico ()CH*0—ac. oleico | | , H—C—0—-ac. stearico H—CT—0—-ace. fosforico <|E | s Sg | 9 CH?°0—ac. fosforico —|:E CH?°0—ac. stearico i S (3) I. II. Entrambe le formule posseggono un atomo di carbonio assimmetrico, e quindi la constatata attività ottica del composto di cadmio non potrebbe più rigo- rosamente essere invocata per stabilire la posizione terminale dell'acido fos- forico nella molecola della oleo-stearo-lecitina, per quanto però la tenue differenza di peso (283 :285) fra i due radicali 1 e 3 della formola II non potrebbe determinare una deviazione del piano della luce polarizzata così marcata, quale si osserva per il composto di cadmio, per cui anche nel caso della oleo-stearo-lecitina attiva, la formola II sarebbe per le leggi di Guy estre- mamente improbabile. Del resto, io ritengo vera la seconda ipotesi, ed attualmente ho in corso delle ricerche con cui spero di dimostrare che il composto di lecitina e clo- ruro di cadmio è una mescolanza di diverse lecitine che nella loro molecola contengono due radicali di acidi grassi eguali. Intanto fo notare: RenpIcONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 54 — 424 — 1. Strecker (!) riconosce che il suo composto non è un individuo chi- mico determinato, ma una mescolanza di corpi diversi sebbene simili. 2. Diakonow ottiene dal giallo d'uovo una distearil-lecitina, la quale per demolizione dà solamente acido stearico. Io non ho potuto avere la Me- moria originale di Diakonow per poter ripetere la preparazione di questa distearo-lecitina, per cui mi limito a riferire la notizia sulla fede di Strecker. 3. P. Bergell (2) in una Nota pubblicata l’anno scorso sulla. prepa- razione della lecitina fa accenno ad una lecitina che demolita dà acido oleico e soltanto tracce di acidi grassi solidi. Ho ripetuto la preparazione secondo il metodo di Bergell; solamente, invece di estrarre con alcool all’ ebollizione, ho tenuto la massa dei gialli d’ uovo per 24 ore nell’alcool alla temperatura ordinaria. Il precipitato ottenuto col clo- ruro di cadmio, filtrato e seccato. è stato estratto con etere dal quale sol- vente appunto, secondo Bergell, per evaporazione si ottiene questa lecitina a solo acido oleico. Questo composto di lecitina e cloruro di cadmio si presenta molto co- lorato e in questo stato è stata analizzato e demolito da Bergell. Per otte- nerlo puro mi sono servito dell'alcool che lo scioglie a caldo e lo lascia depositare per raffreddamento bianco e in granuli, che al microscopio appaiono ammassi di aghi trasparenti aggruppati in rosette. La sostanza fonde a 199°-200°. P°) gr. 1,0904 di sostanza dettero cme. 13,6 di N alla temperatura di 14° e alla pressione di 764 mm. calcolato per 8 dioleo-lecitina + CACI? trovato NEC 1,34 1,47 gr. 1,4056 di sostanza sciolti in 25 cme. di una mescolanza di solfuro di Carbonio ed etere dettero al polarimetro una deviazione di +- 0,98 (t= 18-, l=952): Il resto della sostanza, sciolto in cloroformio, fu' precipitato fraziona- tamente con acetone. L'ultima frazione fu saponificata col solito metodo. e sulla massa degli acidi grassi fu fatto l'indice di iodio. col metodo di Hùbl. gr. 0,1142 di acidi grassi assorbirono gr. 0,09396 di iodio corrispondenti a gr. 0,1045 di acido oleico, quindi la massa degli acidi grassi derivati da questa frazione contiene il 91,5 °/, di acido oleico, ossia è costituita quasi esclusivamente da questo acido. La massa principale del composto di cloruro di cadmio che non si scioglie nell’ etere, tenuta in un pallone a bagno-maria a ricadere nell’alcool vi si scioglie in gran parte. L'alcool, filtrato caldo, lascia depositare un’altra frazione di composto di cloruro di cadmio perfettamente bianca e cristallina. (1) Strecker, Ann. Liebig, 148, pag. 77. (*) Peter Bergell, Ber. 33, pag. 2584. — 425 — Nel pallone rimane indietro una terza frazione che non si scioglie nell’ alcool e che è invece totalmente solubile nel solfuro di carbonio, da cui per eva- porazione si riottiene subito come una massa dura e polverizzabile. Questa differenza di comportamento di fronte all'etere, all'alcool e al solfuro di carbonio, parla in favore dell’esistenza di parecchie lecitine e spiega, forse, come per sciogliere il composto di cloruro di cadmio in una soluzione limpida da potersi portare al polarimetro, dovessi ricorrere a una mescolanza d'alcool e solfuro di carbonio. Spero, con l’aiuto specialmente delle cristal- lizzazioni dall'alcool, di poter presto riuscire all’ isolamento di qualche lecitina. PERSONALE ACCADEMICO Il Vicepresidente BLAsERNA dà annuncio della perdita fatta dall’Acca- demia nella persona del Socio straniero E. A. RowLAND, e legge la seguente commemorazione del defunto accademico. « Enrico Augusto Rowland nacque il 27 novembre 1848 a Houesdale in Pennsilvania, studiò nel Politecnico Rensselaer di Troy e vi conseguì il di- ploma d’ ingegnere nel 1870. Fu nominato assistente professore in questo Politecnico nel 1874; si recò a Berlino nell'Istituto fisico di Helmholtz e al suo ritorno in patria fu nominato (1876) professore di fisica nell’ Università John Hopkins in Baltimora, ove rimase fino alla prematura sua fine, avve- nuta nel 16 aprile del corrente anno. « Già sotto la direzione di Helmbholtz egli dimostrò, che un corpo carico di elettricità statica, posto in rapido movimento, esercita la stessa azione magnetica di una corrente, la cui intensità è uguale al prodotto della ca- rica nella velocità; risultato a cui devesi attribuire importanza fondamentale, sebbene non sia ancora universalmente riconosciuto. Tornato in sua patria, egli si diede a ricerche di alta precisione: determinò l’unità assoluta di resistenza e l equivalente dinamico della caloria. Con quest’ultimo lavoro, collegato con una esposizione critica magistrale di tutte le indagini prece- denti su tale argomento, egli prese parte ad un concorso internazionale ban- dito dall'Istituto Veneto e vi ottenne il premio. Le sue ricerche di confronto fra il termometro a mercurio e quello ad aria hanno ancora un valore, quan- tunque sulle sue traccie molti altri indagatori siano giunti a risultati più completi. Il lavoro suo, forse più importante e che ha prodotto una vera rivoluzione in spettroscopia, riguarda la meravigliosa costruzione dei reticoli di diffrazione, la determinazione delle lunghezze d'onda e le splendide foto- grafie dello spettro solare. Negli ultimi tempi egli si diede a ricerche elet- trotecniche e immaginò un sistema di telegrafia multipla. — 426 — « L'ingegno e le attitudini di Rowland presentano un'unione ben rara di facoltà diverse. Alle indagini rigorosamente scientifiche egli accoppiava grande abilità pratica, il che rese possibili i suoi più importanti lavori, in ispecie la costruzione dei suoi celebri reticoli e le conseguenti indagini spettroscopiche. « Fin dai suoi primi anni egli era inoltre appassionato per i cavalli, che egli montava con maestria. Si racconta, che nello stesso anno egli vincesse il premio all'Istituto Veneto ed uno steeple-chase, montando il proprio ca- vallo; nè si è mai potuto sapere, quale dei due premi gli abbia fatto mag- gior piacere. « Rowland apparteneva all'Accademia nostra dal 1894, in qualità di Socio straniero, e assieme all'illustre astronomo Newcomb, rappresentava presso di noi la giovane America. » ACE RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DANA - SS Adunanza generale del 1° giugno 1901. P. BLASERNA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Sulla Nova (3.1901) Perse? ('). Nota II del Corrispondente A. Riccò. Alle osservazioni sulla nuova stella in Perseo, pubblicate nel fascicolo precedente (*), aggiungo ora le seguenti. Ho potuto continuare le osservazioni a stento, in causa del chiarore del crepuscolo e della posizione troppo bassa della Mova, fino al 9 maggio, e così in questo mese ho ottenuto le seguenti misure fotometriche : h m 1° maggio: 834 grandezza 6,4 2 ” 810 ” 4,7 4 ” 820 » 6,2 5) ” SIDE ” 9,9 8 ” SELL ” 5,0 9 ” 759 ” 6,0 Ho creduto bene di calcolare queste ultime misure (e ricalcolare quelle del 1° e 2 maggio) col valore medio della scala fotometrica, ottenuto nelle sere con chiarore della luna o del crepuscolo, per cercare di diminuire l'in- fluenza dannosa della luce del fondo nelle misure stesse. Ad ogni modo le grandezze della Nova che ho ottenuto in maggio non si possono ritenere che approssimate. Ho poi notato che dopo le oscillazioni di luce col periodo di circa tre giorni, che arrivano fino al 6 aprile, si hanno (1) Lavoro eseguito nel R. Osservatorio di Catania, 31 maggio 1901. (2) V. pag. 391. RenpICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 55 — 428 — altre oscillazioni con periodo di circa cinque giorni: infatti, considerando i due minimi sicuri, cioè compresi fra due giorni in cui si è osservata mag- giore luce, si ha: 6 aprile al 1° maggio = 25 giorni = 5 X 5 giorni. Dalle nostre osservazioni, in causa dei vuoti prodotti specialmente dallo stato del cielo, non si possono avere in questo intervallo massimi sicuri. Ricorrendo alle determinazioni fotometriche fatte altrove, e specialmente a quelle pubblicate nelle Astronomisehe Nachriehten, e valendosi di una rappresentazione grafica di tutta la serie, che riproduciamo nella unita figura, A=Rosso, A=Avaneiato, G=Giallo VARIAZIONI DI: LUCE DELLA NOVA PERSE! x = Misure Fotometriche fatte in Catania AA A R AR__RAR ARG A__A_R RR_GR A MII n T | T| | | | I Grandezza i L Pi | } [RE CSCSGN ORC: RENEE TAI) MAGGIO > 20 ZIONE 2570 270080 ga Sa Sao, DINA ATE FEBBRAIO —> MARZO —> APRILE — si vede confermato il periodo di circa tre giorni fra la metà di marzo ed il 6 aprile, avendosi dei minimi ben distinti alle date: marzo. 19, 22, 25, 28 e dei massimi a marzo 20, 23, 26; e poi si ha il periodo di circa cinque giorni con minimi più o meno distinti alle date: aprile 6, 1:16.21, 25, 31,35. e con massimi alle date: aprile 851BM18,.23, 28, 32,490 Si vede poi in questo diagramma che i cambiamenti di luce sono stati assai varî ed irregolari: da principio si ebbe un rapidissimo aumento fino al 28 febbraio, seguito da una subitanea e quasi altrettanto rapida diminu- zione fino al 27; poi la diminuzione divenne meno forte e la luce rimase quasi stazionaria fino al 18 marzo; poi cominciarono le notevoli ed irregolari oscillazioni col periodo di circa tre giorni fino al 6 aprile, poi si ebbero oscillazioni più regolari con periodo di circa cinque giorni fino alla fine delle nostre osservazioni. Abbiamo già detto che anche il colore della Nova risente di questa periodicità, poichè fu rosso 0 rosso-aranciato nelle epoche di minimo di luce ERO) — o presso di esse, come si vede chiaramente nel diagramma, ove si sono di- stinte con una £ le date in cui fu osservata l’una o l’altra delle due sud- dette tinte; si sono poi indicati con A e Gi giorni in cui fu notato il colore aranciato o giallo; le crocette X indicano le nostre misure fotometriche. Inoltre è da notare che il sig. E. von Gothard ha osservato delle periodiche variazioni anche nello spettro della Nova, il quale gli risultò con- tinuo al 31 marzo, 8, 18, 27 aprile, ed a righè lucide al 6, 11, 21, 22, 25, 29 aprile. È facile vedere nel diagramma che lo spettro continuo fu osser- vato in giorni di massimo o presso di essi, e che lo spettro dei gas fu osser- vato nei minimi di luce della Nova, o presso di essi; il che era da aspettarsi: perchè la luce complessiva di poche righe o radiazioni luminose facilmente è superata da quella complessiva di uno spettro continuo. Questa periodicità del colore e dello spettro della Nova Persei è poi quella che si osserva ordinariamente nelle stelle varzabdili. Tale periodicità così spiccata che si manifesta in varî modi e che pare, dalle osservazioni fatte finora, si faccia sempre più distinta, regolare ed uni- forme, è molto singolare e notevole in una stella che presenta lo spettro tipico delle stelle femporarie, ed indurrebbe a pensare che la Mova Persei tenda a divenire e restare come stella variabile; mentre invece nella Nova Aurigae comparsa nel 1892, lo spettro che da principio era eguale all'attuale della Nova Persei, divenne poi continuo, colle righe lucide delle nebulose, e quella MVova rimase comme piccola stella nebulosa. Resterà da vedere se la Nova attuale avrà la stessa sorte, o se piut- tosto rimarrà come variabile a somiglianza di quel che accadde alla Nova comparsa nel 1885 presso y Orzonzs. Devesi però notare che questa stella aveva lo spettro 4 colonnato, caratteristico delle variabili. Le osservazioni ulteriori, che si faranno quando il sole si sarà allonta- nato di nuovo dall’astro novello, risolveranno questo dubbio in modo definitivo. Meccanica. — .Sui moti stazionari. di un corpo rigido nel caso della Kovalevsky. Nota II (') di T. Levi-CIvitA, presentata dal Corrispondente G. Ricci. 7. Soluzioni, per cui 4 non si annulla identicamente (°). Rappresen- tazione geometrica del movimento. Condizioni di stabilità. Per 4 20, le (12) equivalgono a (12,) p=—-v8, q=0. (1) V. pag. 338. (*) Queste 004 soluzioni sono già state segnalate dal sig. Stekloft. Egli ha in pari tempo osservato che esse convengono anche a solidi, con una distribuzione di massa al- quanto più generale di quella supposta dalla Kovalevsky. Cfr. l'’Jahrbuch iber die Fort- — 430 — Essendo inoltre (11) vr = $Y3, si ottiene dalle (K) il sistema ridotto > dy 8 dys G dy: (Ka) di i ta» (di ig 8 i 818 il quale ammette, oltre al solito yt + 7 -+ y3==" 1, un secondo integrale ri4 + 21° y. = cost < ed è quindi integrabile per funzioni ellittiche. Si può osservare che quest’ultimo integrale non è altro che quello della Kovalevsky, ridotto a mezzo delle (12,), cioè (2a) (vg) 1 ve = E La equazione g="0 mostra che il cono di polodia si riduce al piano meridiano baricentrico. La verticale di £ descrive, rispetto al corpo, un cono di quart’ ordine V, che si ottiene proiettando da £ la intersezione del cilindro circolare retto (+) +9 = colla sfera otLy 4 e= 1. Per riconoscerlo, basta notare che y1,y: sono le coordinate #,y di quel punto della verticale, che si trova alla distanza 1 da , e aver riguardo alla (2). Ciascuna fida di V (per es. quella corrispondente alla direzione posi- tiva della verticale) consta di due nappe distinte oppure di una nappa unica, secondochè il cerchio T, di centro M(— »*,0), e raggio w?, (+) +y = schritte der Matematik, 1895, pag. 838. Rimane naturalmente estraneo al punto di vista dell'A. quel che risulta invece dal nostro, e cioè: 1) il comportamento stazionario, che le soluzioni in parola hanno nel caso della Kovalevsky, e non in generale negli altri. (Faranno probabilmente eccezione i casi del sig. R. Liouville, in cui le equazioni del movimento ammettono, oltre l’integrale delle aree e quello delle forze vive, un ulteriore integrale algebrico. Quanto agli altri casi, manca un corrispondente integrale uniforme ed esistono quindi soltanto le co? soluzioni stazionarie, che provengono dall’integrale delle aree); 2) le condizioni di stabilità. — 431 — rimane o no tutto interno (') al cerchio C di centro £ e raggio 1, secon- dochè cioè u° + v° < 1, ovvero u? +? >1 (figg. 1 e 2). Nel caso in- termedio u®-|- v° = 1 (I° tangente a C) le due nappe si saldano, e il cono ha l’asse baricentrico per generatrice doppia. La successione delle posizioni occupate dal corpo (se non la legge, con cui esse vengono percorse al variare del tempo) rimane individuata in modo Gil assai semplice. Basta portare l'una dopo l'altra le generatrici di V in po- sizione verticale mediante rotazioni elementari attorno a rette del piano me- ridiano baricentrico (cono di polodia). A partire da una data posizione di V, la rotazione elementare deve dunque avvenire intorno alla intersezione del detto piano meridiano col piano normale a V, condotto per la generatrice verticale. Lo studio completo dei caratteri del movimento, e in particolare la de- terminazione dei nove coseni direttori in funzione ellittica del tempo ci por- terebbe troppo in lungo. Mi limiterò ad una indicazione, circa il modo di variare di y,,Y2,73, che si desume immediatamente dalle (K,). Sia P, il punto della circonferenza 7, che, in un generico istante #, rappresenta (colle sue coordinate #,y) i valori di y,,ys. Il quadrato della velocità, con cui P, descrive la curva Y° è dato da da\} dy\? dy.\° DIN MRS (A) + (+) tota, (1) Dobbiamo evidentemente escludere che il cerchio T rimanga tntto al difuori di C, poichè la (24) non sarebbe in tal caso soddisfatta da alcun sistema di valori di 71,72 inferiori all’ unità. — 432 — sus pv? ossia, in causa della (2,), da 7}. Esso non si annulla, se non con y3, cioè nei punti, in cui Z° incontra C. Quando I° è tutta interna a C (fig. 1), il moto non può cambiare di senso; P, descrive dunque periodicamente l’intera circonferenza. Fig. 2. (p4 vi ) Se invece I° non resta tutta entro O, allora le intersezioni P, e P» (fig. 2) sono effettivamente punti di regresso per il movimento di P,, il quale ri- sulta per conseguenza oscillatorio e periodico. Di quà segue tra altro che P, raggiunge in qualsiasi eventualità la po- sizione ZZ (punto di I° più vicìno ad £); si ha cioè, per qualche valore di #, yy=# —»?,ya=0, quindi, a tenore delle (2°), (2”) e (12), «= 0. Occupiamoci ora delle condizioni di stabilità. In primo luogo, ponendo dH d'H dH. ui gp Us i T apdg St aggio Q | -M È S è $ S (dove le x designano due indeterminate generiche), si ha in Q una forma — 433 — ridotta di 4*H, per valori delle variabili, che verificano le equazioni Il calcolo delle 4 si può fare speditamente mettendo in evidenza nelle espres- sioni (9) di tI 3 Di i fattori 70 + s°y3,9 (che, per le (11) e (12,) hanno valore nullo). Con questo criterio le (9) si scrivono dH 2 3 dp ai sy} 3(2y3p—v7)(Pp+s8° 73) + (2734727) di, dH 2r dg Pr —va Mr) + vr qi- Dobbiamo derivare queste formule, rapporto a p e a 9g, attribuendo alle let- tere (a derivazione eseguita) i valori, che loro competono sopra le nostre so- luzioni stazionarie. Ne viene che i coefficienti di 7p + s°y3 e di g sì possono trattare come costanti aventi addirittura i valori corrispondenti alle (11) e (12,); anzi, siccome (conformemente alla regola generale più volte ricordata) i caratteri (1) Quando infatti sussiste una equazione, come la (10), del tipo di _, dA, dH deri! ‘Sg (dove le c designano funzioni regolari per i valori considerati), derivando rapporto a p dH dH e a q e tenendo conto delle —=0, vi dp —= 0, si deduce d*H d=H HE dp = A101 + d2C2 , ne da = 43101 + 42202; derivando iuvece rapporto ad 8, d*H d*H d°H de atti) dani de dq = Ax C14 212 C1 Ca + dos CR. La d°H può così essere scritta a (dp + ci de) + 2a12 (dp + ci de) (dq + ca de) + as» (dq + cs de)? e coincide precisamente, salvo la designazione delle indeterminate, colla forma binaria Q. — 434 — algebrici della forma Q sono sempre gli stessi, qualunque sia il valore di e (1), sarà opportuno, per maggiore semplicità, di riferirsi al valore £=0, che compete al punto 77 e per cui quindi si deve porre vn=u—-v, y=0. Con ciò le superiori espressioni di ni i È divengono di 5 Promo n) dH 2 dj i II Dalle (7) e (8), introducendovi i valori attuali, abbiamo dY3 CI (0A 5 dY3 2 _— =0 >p n (Rca tal 7 dr _ LE dra | dp 73 @ dg quindi dH 2 io > a i). d*H 0 12 dpdq ’ d*'H 2 a ur) Ne concludiamo (limitandoci al caso generale, in cui il discriminante della forma @ non si annulla) (*) che la condizione di stabilità è espressa dalla disuguaglianza (13) (1° — pi): ut—3x9) 0. Se 1— ut — 3r4>0, la (13) si riduce a v° > u?. Vi ha dunque sta- bilità allorchè £ resta fuori di 7. L’ opposto avviene per 1 — u' — 3 14< 0. La condizione di stabilità è allora che £ cada entro T. (1) Bisogna soltanto accertare che si tratta di un valore del parametro effettivamente assunto lungo la particolare soluzione, che si considera. Non si può infatti escludere a priori che l'insieme di tutti i valori del parametro rimanga distinto in più intervalli discreti, corrispondenti a soluzioni diverse, e quindi eventualmente a diversi caratteri della forma Q. Nel caso attuale si tratta proprio di un valore del parametro effettivamente raggiunto, per quanto abbiamo osservato più innanzi. (2) Il discriminante di Q si annulla per »° — &® = 0, ovvero 1 — u' — 374= 0. Per decidere se le corrispondenti soluzioni sono o no stabili, bisognerebbe prendere in esame i differenziali di H d'ordine superiore al secondo, ciò che qui omettiamo per brevità. Si noti che si tratta necessariamente in tali casi di soluzioni multiple (delle equazioni in- varianti caratteristiche). Potremmo anche dire, con ovvia estensione di un appellativo in- trodotto dal sig. Poincaré (Acta Mathematica, T. VII, 1885), soluzioni di biforcazione. La condizione (13) è appunto conforme al principio dello scambio delle stabilità. — 435 — Chimica fisiologica. — Swll'asione fisiologica del carone (1). Nota del dott. ENRICO RIMINI, presentata dal Socio PATERNÒ. Alcuni anni or sono A. von Baeyer per azione dell'acido bromidrico sul diidrocarone e successivamente della potassa alcoolica sul prodotto bromurato, pervenne ad una sostanza ch'egli denominò carone, isomera della canfora, di ‘natura chetonica, stabile a freddo al permanganato, che rappresentò collo schema: CH; È H;C CO H;C CH» C cH In appresso peraltro il Baeyer stesso avendo riscontrato che il carone, per azione del cloruro di nitrosile, dà analogamente al mentone, un composto nitroso terziario, fu indotto ad escludere l'esistenza di un legamento para e ad ammettere invece quella di un nucleo trimetilenico, ed in conseguenza la costituzione: CH, di HC _. CH CH lE La possibilità di un legamento in posizione para fu altresì esclusa dal Wagner, il quale propose pel carone la formula: (1) Lavoro eseguito nei Laboratorî della Sanità Pubblica, di Roma. RenpicontTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 56 come la più probabile. CH; | CH: CH CO C.(CHs): A ra 4 3A CH CH CH» In seguito ad ulteriori ricerche il Baeyer diede pel composto in parola la formula di struttura: CH H,0 CO CH» H.0 CH» C | CH, come quella che meglio si prestava a spiegare il comportamento coll’ acido cloridrico, tanto del bisnitrosocarone quanto del carone stesso. Ma neppure questa è da ritenersi definitiva, poichè il Baeyer in base ai prodotti di ossidazione ed alla sintesi dell'acido caronico ammise di nuovo nella struttura del carone un anello trimetilenico e lo rappresentò collo schema: CH, | c H,0 co H,0 i CH CH Il carone, come ce lo descrive il Baeyer, è un liquido oleoso, incoloro di odore gradito di canfora e menta piperita, che bolle, con decomposizione, a pressione ordinaria verso 210°. Il carone che ha servito per le esperienze descritte in appresso, lo preparai io stesso partendo da diidrocarvone puris- simo della casa Heine e CO. — 437 — Azione generale sulle rane. — Sono state fatte iniezioni nei sacchi lin- fatici dorsali e nel peritoneo: le dosi hanno oscillato da 1/00 ad 1/10 di c.c. del prodotto. Le rane iniettate con ?/,00 di c.c. presentano un leggiero grado di tor- pore che va aumentando nel primo giorno, rilasciatezza di tutti i muscoli, reazione peraltro viva agli stimoli elettrici anche i più deboli, sia che la corrente venga applicata sul muscolo, sul nervo o sul midollo spinale. In se- guito le rane così trattate vanno rimettendosi ed al quarto giorno ritornano normali. Ad alcune cui è stato messo allo scoperto il cuore, si è visto pul- sare con frequenza ed intensità poco differenti dal normale. Una iniezione di !/z30 di c.c. determina gli stessi fenomeni, ma più in- tensi, e produce anche la morte dell'animale per quanto in un periodo di tempo abbastanza lungo. Fra le varie esperienze eseguite con tale dose, riporto la seguente: Rana esculenta femmina del peso di grammi 42. Ore 3. — Iniezione nel sacco dorsale di !/s; di c.c. di carone in soluzione oleosa. » 3,6. — La rana è meno vivace, salta meno vivamente; ma risponde a tutti gli stimoli applicati sia nelle parti più sensibili quanto nelle meno sensibili. » 3,12 — Si accentuano la insensibilità e la paralisi. » 8,20". — Stimolata salta con difficoltà: sono bene conservati i movi- menti ioidei. » 3,25". — Messa sul dorso si rovescia con difficoltà. » 3,30 — Messa sul dorso più non sì rovescia, la gamba distesa non è più retratta; esistono i movimenti respiratorî. » 4. — La rana reagisce ancora agli stimoli tattili e dolorifici. » 4,20’. — Sono cessati i movimenti ioidei. » 6. — La rana è immobile, stimolata fortemente reagisce con qualche movimento. Il giorno successivo la rana è ancor viva: la morte sì verifica al terzo giorno. Con !/», di c.c. di carone i fenomeni sono molto più evidenti, la morte avviene nel giorno successivo all’iniezione ed il cuore si arresta in semidia- stole. Con */,0 di c.c. si ottiene la morte abbastanza rapidamente; infatti dopo 5 ore dall’ iniezione tutte le rane sono morte, alcune di esse entro un minimum di tre ore. Azione generale sui mammiferi. — Le vie di somministrazione sono state la peritoneale e la sottocutanea: animali d'esperimento cavie e topi. Il comparire dei fenomeni naturalmente ritarda più o meno a seconda del modo di somministrazione. Per via sottocutanea occorre una dose tripla o quadrupla perchè si ottengano gli stessi effetti che per via peritoneale. Due — 438 — decimi di c.c. di carone, dose mortale per topi del peso di circa 200 grammi, iniettati sottocute cagionano appena un poco di malessere consistente in torpore e sonnolenza da cui ben presto gli animali si vanno rimettendo, tanto che dopo due ore da che furono iniettati, sono completamente ristabiliti. Le iniezioni di 4/10 di c.c. in topi da 200 grammi producono pressochè gli stessi feno- meni, iniezioni di ‘/,, per alcuni topi sono spesso letali, mentre per altri (sempre del peso di 200 grammi) talvolta occorrono #/,0 di c.c. Si notano due periodi; un primo periodo subito dopo l'iniezione in cui si ha abbattimento dell’ animale, abbattimento dal quale sembra che l’ ani- male si ristabilisca completamente; infatti dopo due ore reagisce agli stimoli, mangia, ecc., ed un secondo periodo in cui l’animale ricade, e il deperimento va man mano aumentando in modo, che già entro le 24 ore dall’iniezione si ha la morte. Le respirazioni si fanno sempre più superficiali, poi avviene la paralisi in semidiastole dei ventricoli, mentre le orecchiette continuano a contrarsi, ed in fine queste pure si paralizzano. Le iniezioni peritoneali di !/,0 di c.c. di carone nei topi, del peso di circa 200 grammi, corrispondono pei loro fenomeni alle iniezioni sottocutanee di 2/10 di c.c.; ma dopo tre ore dall’iniezione si inizia il migliorameuto che va sempre più aumentando sino alla guarigione dell'animale. Ciò che costantemente si osserva, comunque il carone venga sommini- strato, è la mancanza di orientazione dell'animale che cammina barcollante come se fosse ubbriaco. Dosi di ?/,10 di c.c. riescono sempre letali, sopravvenendo la morte nel periodo di tre ore, in mezz'ora invece con 4/10 di c.c. La paralisi si inizia dal treno posteriore, poi si estende all’ anteriore; mai si verificano fenomeni convulsivi; la respirazione si va facendo sempre più superficiale sino al suo arresto mentre il cuore continua a pulsare; ma poi anch’ esso si arresta in semidiastole, perchè le ultime contrazioni ravvicinate non riescono a cacciare il sangue dai ventricoli. Le cavie si sono mostrate più resistenti dei topi; l'iniezione peritoneale di 1/0 di c.c. è tollerata senza alcuna difficoltà, e solo ?/,, danno fenomeni di barcollamento e di lentezza nel rispondere agli stimoli; fenomeni dai quali peraltro ben presto si ristabiliscono. In una cavia di 185 grammi 4/,, di c.c. hanno invece prodotto la morte in 4 ore coi fenomeni già osservati nei topi. Una dose di 5/,, di c.c. in una cavia di circa 200 grammi ha determi- nato la morte in poco più di mezz'ora. Alla necroscopia si sono riscontrati i medesimi fatti che nei topi, cioè semidiastole con evidente ripienezza di tutti i vasi venosi toracici. Si vede dunque che il carone agisce principalmente sul sistema nervoso, ed a dosi letali l'arresto del respiro precede quello del cuore. — 439 — Azione sul sangue e sul cuore. — Se in una soluzione di sangue ani- male si fa cadere una goccia di carone, si osserva allo spettroscopio che le strie dell’ossiemoglobina vanno gradatamente perdendo di intensità sino a scomparire in capo ad un quarto d'ora, nè vengono sostituite da altre bande di assorbimento. Tutto lo spettro si è fatto leggermente più scuro ed al fondo della provetta si trova un precipitato dovuto al proteide alterato. L'azione sul cuore per iniezione nelle sierose non è molto sollecita, spe- cialmente a piccole dosi. Anche in questo caso si osserva la diminuzione progressiva del numero delle pulsazioni, dovuta principalmente alla prolungata pausa e diastole. Nella seguente tavola sono riassunte le osservazioni in proposito: Rane del peso di grammi 37. Tempo Ore 10 » 10,15 » 10,17 » 10,20 » 10,40 spe Cala 0011540 319 » 12,15 » 12,30 pieni Si > 00 DD Numero delle pulsazioni 97 in un minuto dd Rana A | Rana B | Rana C 50 48 45 40 39 38 38 38 37 35 Osservazioni Cuore allo scoperto da 1/4 d'ora senza aver mostrato mai varia- zioni nel polso. Iniezione di 1/50 di c.c. di carone nella rana A. Iniezione di 1/20 di c.c. nella rana B. Iniezione di 1/10 di c.c. nella rana C. Nella rana C esistono ancora le pulsazioni; ma sono superficiali e non si ha lo svuotamento completo. Nella rana A il giorno successivo il cuore pulsava ancora. Il contatto diretto della sostanza sul miocardio produce invece una varia- zione fortissima sul numero delle pulsazioni. Queste, come si può rilevare dalla sottoposta tabella, si fanno rare e la diastole è così prolungata che si ha un soverchio riempimento del cuore. Il colore del cuore x è cianotico in modo evidentissimo. — 440 — fane esculente del peso di grammi 42. Numero delle pulsazioni Tempo in un minuto Osservazioni Rana A | Rana B Ore 9,17 | 58 | 54 5 9.18 ; ADE Instillazione di 2 goccie di una soluzione oleosa di carone ’ : al 10 0/0. pi lo,ioriel86) «21 » 9,20 | 32 | 18 » 9,24 24 16 n 9,30 | 22 | 14 n ‘9,385 | 23 | «12 » 9,40 20 10 » 9,45 16 = » 9,50 14 = » 10,00 11 = » 10,20 11 = » 11,10 13 = Azione sul sistema nervoso. — I fenomeni descritti trattando dell’azione generale, dimostrano che il carone agisce principalmente come agente para- lizzante, mai come convulsivante. 1l modo di svilupparsi della paralisi già faceva comprendere, specie nei mammiferi, che i primi ad essere lesi sono i centri cerebrali coordinatori, poi i centri bulbari. Ad ogni modo per meglio dilucidare i fatti si sono fatte delle esperienze. Si sono adoperate rane alle quali 24 ore prima dell’ espe- rienza si era sezionato il midollo allungato e distrutto l' encefalo, lasciando intatto il midollo spinale. In questo modo venivano eliminati i movimenti volontari e rimanevano solo gli effetti dell'attività riflessa del midollo spi- nale. La paralisi avveniva; ma con un ritardo di tempo ed anche in questi casi non si è mai osservata rigidità della rana, quindi non eccitazione dei centri spinali; inoltre la conduzione laterale del midollo era ben conservata per un certo tempo. Nelle preparazioni alla Bernard non si sono mai riscon- trate differenze notevoli fra le parti avvelenate e quelle non soggette all'avve- lenamento, come pure l'eccitazione portata sul muscolo si mostrava sempre efficace. La paralisi quindi si deve ad azione prevalente sui centri motori e coor- dinatori come già è stato detto. Concludendo: Il carone è un prodotto non molto attivo, la sua azione si esplica principalmente con fenomeni paralitici, prima dei movimenti musco- lari volontari e poi della respirazione : il cuore resiste all’ azione della sostanza — 44l — quando gli pervenga per mezzo della circolazione; ma se la sostanza è messa ad immediato contatto del muscolo cardiaco, si ha una notevole diminuzione nel numero delle contrazioni sino all'arresto del cuore, arresto che si verifica in breve tempo. L'arresto cardiaco è sempre in uno stato di semidiastole. Secondo l'ipotesi da me esposta in un precedente lavoro (!) e di recente accettata anche da Lazzaro e Pitini (*), che cioè fra i chetoni isomeri della canfora soltanto quelli saturi e diciclici avrebbero la proprietà di determi- nare nei mammiferi convulsioni epilettiformi, si sarebbe dovuto attendere che anche il carone fosse convulsivante. Il diverso modo di agire del carone riesce, a parer mio, spiegabile qua- lora si consideri che il carone nel suo comportamento chimico differisce in alcune reazioni in modo notevole dagli altri chetoni terpenici, diciclici, iso- meri quali ad es. la canfora ed il fencone. La canfora ed il fencone, infatti, presentano una resistenza straordinaria anche rispetto ai reattivi i più energici; nel carone invece uno degli anelli si apre con grande facilità: basta infatti agitare il prodotto con acido solfo- rico diluito perchè subisca una « idrolisi » con formazione di ossitetraidro- carvone : | | CH CH H,C CH IHSC i CH, CH ja Carone Con TAV CH. CH; Ossitetraidrocarvone Questo fatto rende molto probabile che anche nell'organismo, in una prima fase, si compia un processo analogo, talchè l'azione del carone in ul- tima analisi si ridurrebbe a quella di un chetone monociclico affine al carvone. (1) Enrico Rimini, Ricerche fisiologiche sugli isomeri della canfora ecc... Boll. Reale Acc. Medica di Roma, anno XXV, I, fasc. 7. (2) Lazzaro e Pitini, Sull’azione dell’ isocanfora e dei suoi derivati. Archivio di farmacologia e terapeutica, vol. IX, fasc. 2° e 3°. — 442 — Chimica. — .Su// azione dell’ acido nitrico sull’ acetilene. Nota di G. TestoNI e di L. MASCARELLI ('), presentata dal Socio G. CIA- MICIAN. Le Memorie che il sig. Julius Schmidt (?) ha pubblicate poco tempo fa nei Berichte Sopra i due stereoîsomeri difenildinitroetileni e Sopra l’azione dell’acido nitroso sullo stilbene e sul difenildinitroetano simme- trico, ci costringono a render noti subito alcuni nuovi risultati da noi otte- nuti esperimentando l’azione dell’ acido nitrico sull’ acetilene. Già fino dallo scorso anno A. Baschieri (3), in questo laboratorio, aveva trovato che facendo passare per lungo tempo l’acetilene a traverso l'acido nitrico di densità 1,52 si formavano diverse sostanze interessanti che dove- vano essere considerate come prodotti di ossidazione, di nitrazione ed anche di condensazione dell'acetilene stesso. Egli ottenne infatti, accanto a grandi quantità di anidride carbonica e di trinitrometano, anche una sostanza di carattere neutro della composizione centesimale corrispondente alla formula CsHaN 03. Noi, volendo estendere queste ricerche anche ad altri composti conte- nenti il triplo legame, ci siamo proposti anzitutto di studiare più profonda- mente il comportamento dell’acetilene in questa reazione di carattere fon- damentale. Abbiamo infatti ottenuto, variando leggermente le condizioni di esperienza, due nuove sostanze, una di carattere neutro e l'altra di carattere spiccata- mente acido, le quali devono senza dubbio considerarsi come prodotti simul- tanei di condensazione e di nitrazione. Operiamo nel modo seguente. Facciamo passare lentamente l’acetilene puro e secco a traverso acido nitrico di densità 1,52 contenuto in apparecchi a bolle che teniamo immersi nell'acqua. Quando l'acido ha assunto un color verde scuro (dopo 24 ore circa) lo versiamo a poco a poco in molta acqua fresca, con che si ottiene un abbondante sviluppo di vaporini trosi e di acido carbonico e la separa- zione di un precipitato di color giallo-paglia costituito da piccolissime squa- mette sericee caratteristiche. Questa nuova sostanza raccolta su filtro, lavata e seccata nel vuoto, esplode violentemente per brusco riscaldamento in tubetto o per percussione (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generalè della R. Università di Bologna. (2) Berichte XXXIV, pag. 619, 623. (*) Questi Rendiconti, vol. IX, 1. sem., serie 5*, fasc. 12. — 443 — e fonde a 78° circa decomponendosi. Quando si tenta di purificarla cristal- lizzandola, per esempio, dal benzolo o dall'etere di petrolio, si scompone, anche per azione di un moderato calore, svolgendo abbondanti quantità di vapori nitrosi, mentre si vanno contemporaneamente separando in seno al liquido dei cristalli incolori trasparenti che, allo stato puro, fondono costan- temente a 108°. Li abbiamo analizzati e ci hanno fornito i numeri corrispondenti alla formula C.HsN,0; Infatti : gr. 0,2103 di sostanza dettero gr. 0,2408 CO: e 0,0302 H,0 gr. 0,2112 ” ” gr. 0,2416 CO; e 0,0312 H30 gr. 0,1641 ” ) 52,6 c. c. di azoto a 24° e 762", In 100 parti: Trovato Calcolato per C4H2N40; C 81,23 31,20 31,16 H 1,60 1,65 1,29 N — 35,95 36,36 La determinazione di peso molecolare: gr. 0,0558, gr. 0,1089 in 17,530 gr. di acido acetico dettero rispettiva- mente 4 = 0,09 e 4= 0,185. Trovato Calcolato per C4HsN,0, 138. 154 131 Adoperando come solvente il benzolo, ottenemmo i seguenti dati: gr. 0,0526 di sostanza in gr. 15,44 di benzolo dettero 4 =0,115 Trovato Calcolato 145 154 La sostanza in parola è neutra e non si scioglie a freddo negli alcali e negli acidi. Cristallizza inalterata anche dall'acqua bollente e si scioglie con facilità in quasi tutti i solventi organici. Il liquido filtrato contiene ancora il nitroformio, il corpo neutro C;H,N,0; di Baschieri ed un nuovo acido, solido. Il corpo neutro C5H_N0; si ottiene in assai piccola quantità estraendo con etere il liquido reso alcalino: da questo, per successiva acidificazione, si ottiene poi assieme al nitroformio il nostro acido solido che, separato opportunamente, si presenta in bei cri- stalli grossi di color bianco tendente appena al giallo, fondenti dopo varie cristallizzazioni dal toluolo a 149°. RenpIconTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. DI — 444 — L'analisi e la determinazione di peso molecolare dimostrano che gli spetta la formula empirica C.H3N0; Infatti: gr. 0,2076 di sostanza diedero gr. 0,3228 CO» e gr. 0,0538 H.0 gr. 0,1148 ” ” 13,2 cc. di azoto a 24° e. 756 In 100 parti: Trovato Calcolato per C4H3 NO; C 42,41 42,47 H 2,90 2,65 N 12,78 12,40 Determinazione di peso molecolare. gr. 0,0493, gr. 0,0982 di sostanza in gr. 15,958 di acido acetico dettero rispettivamente 4 = 0,12 e 4 = 0,225. Trovato Calcolato per C.H3 NO; 100 109 113 Si scioglie facilmente negli alcali e in quasi tutti gli ordinarî solventi. E monobasico. La sua soluzione acquosa reagisce fortemente acida e può venir titolata con potassa impiegando qualsivoglia indicatore. Dà un sale argentico stabile, che si ottiene sotto forma di precipitato caseoso giallastro quando si tratta la soluzione del suo sale ammonico con nitrato d’argento, e che fonde decomponendosi con leggiera esplosione a 165° circa. Il rendimento di queste sostanze è, purtroppo, scarsissimo tanto che per metterne assieme una quantità sufficiente per alcune ricerche, occorre il lavoro assiduo di un paio di mesi: noi non possiamo quindi, per ora, dir nulla di sicuro riguardo alla loro costituzione. Nutriamo fiducia che la presente Nota ci permetta di proseguire indi- sturbati le nostre ricerche. Chimica. — Derivati trisostituiti del Triazolo 1. 3. 4 (!). Nota di Gurpo PELLIZZARI è ANTONIO ALCIATORE, presentata dal Socio PATERNÒ. Del triazolo 1.3.4 o simmetrico, non si conoscevano fino ad ora che alcuni derivati monosostituiti in posizione 1, due con radicale grasso, ottenuti da M. Freund (?) e cinque con radicale aromatico preparati in questo labo- (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Genova. (2) Berichte, vol. XXIX, pag. 2483-2486. — 445 — ratorio (!). Scopo del presente lavoro fu la sintesi di derivati trisostituiti e precisamente : 1 fenil 2-5 dimetiltriazolo simmetrico 1 o- tolil 2-5 dimetiltriazolo ” 1 p- tolil 2-5 dimetiltriazolo ’ 1.2.5 trifeniltriazolo ” Per ottenere questi prodotti ci siamo serviti della reazione colla quale fu ottenuto il feniltriazolo (1. c.) simmetrico, adoperando in luogo dei deri- vati formilici dell’idrazina e dell’amina primaria, i derivati di acidi supe- riori. Anche in questo caso possiamo dire che i derivati trisostituiti del tria- zolo simmetrico si possono considerare come la condensazione di una molecola di amina, una di idrazina e due di acido per eliminazione di due molecole d’acqua R.NH;+- N:H, + 2R.C0:H = 2H,0 + R(C:N;)R. Praticamente la reazione si compie prendendo i derivati acidilici del- lamina primaria e della idrazina HNK NR N DR OCR RCO = 2H,0 + RC CR | LION Un secondo metodo consiste nel far reagire le diacidilidrazidi sull’amina, ed in tal caso il meccanismo della reazione è chiaramente spiegato dal se- guente schema: R NR H.N.H Pea OCR' RCO = 2H,0 + RC CR Î Î I I HN NH NN Prendendo poi una diacidilidrazide ed il derivato acidilico dell’amina, si arriva allo stesso prodotto ma colla eliminazione di una molecola di acido ed una di acqua invece di due di acqua. HNR NR Si = WRU00;H MOLA OCR' R'ÙO RC ÒR | LARA HN — NHCOR' N—N (1) Vedi le due Note precedenti: Pellizzari e Massa, Pellizzari e Bruzzo, a pag. 363 e 414 di questo volume. — 446 — Un quarto modo sarebbe nel fare agire la diacetilanilina sull’ idrazina. Però è da notare che i prodotti presi possono, prima di reagire nel senso espresso dalle formule, modificarsi in modo da formare, per doppia decom- posizione, altri prodotti che però saranno sempre tra quelli considerati in uno dei quattro procedimenti contemplati; così per esempio è certo che dalla diacetilanilina e idrazina si formerà della mono o della diacetilidrazide, ri- manendo quindi della acetanilide o della anilina. È questa anzi la ragione per la quale il metodo non è praticamente applicabile alla produzione di triazoli sostituiti con tre radicali differenti ed in posizione determinata, giacchè partendo da idrazidi ed amidi derivanti da acidi diversi, nella reazione può avvenire uno scambio parziale dei radi- cali acidi ed allora si formerebbero varî isomeri triazolici la cui separazione sarebbe difficile. I procedimenti indicati, non essendo in sostanza che modificazioni di uno stesso concetto generale di reazione, non abbiamo creduto necessario eseguirli tutti per ciascun caso, ed abbiamo preferito quei due che si ese- guiscono colle diacidilidrazidi per la facilità colla quale queste. si possono preparare direttamente dal solfato d'idrazina (!). I rendimenti furono sempre assai scarsi e la ragione sta nel fatto che tanto le mono come le diacidilidrazidi danno per conto loro derivati tetra- zolinici, e quindi soltanto in parte reagiscono coll’amina o col suo derivato acidilico per formare il nucleo triazolico. Parte sperimentale. 1 Fenil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico Descriviamo prima il metodo che ci dette il miglior risultato. Gr. 10 di diacetilidrazide e gr. 11,6 di acetanilide furono messi in una storta tu- bulata e scaldati a bagno di sabbia. Il riscaldamento si regolava in modo che dalla massa fusa si vedessero sempre svilupparsi delle bollicine di va- pore, la cui temperatura era segnata da un termometro adattato alla tubu- latura della storta. Il colore della massa fusa prima giallo, andò sempre più scurendosi; i vapori sviluppatisi erano di reazione acida. Dapprima distilla- rono acqua, acido acetico, e un po di acetanilide trasportata dal vapor (1) Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. VIII, 1° sem., serie 5°, fasc. 7. — 447 — d'acqua. Aumentando infine la temperatura fino a distillare tutto il prodotto, si raccolse separatamente la porzione che passa oltre i 260° che contiene il fenildimetiltriazolo. L'operazione durò in tutto quattro ore e mezzo. Il pro- dotto distillato fu sciolto in acqua bollente e per raffreddamento si separarono delle lamine madreperlacee fusibili a 115° che erano di acetanilide che non aveva preso parte alla reazione. La soluzione acquosa liberata più che fu possibile dall’ acetanilide per concentrazione, fu poi fatta bollire a ricadere per qualche ora con soda ed un po di alcool: quindi saturato l’alcali con anidride carbonica, si tirò a secco e si estrasse con alcool forte il fenildime- tiltriazolo. Esso venne decolorato con carbone animale eppoi cristallizzato dal benzolo. Il rendimento fu molto scarso e cioè di gr. 1,60. Per ottenere il fenildimetiltriazolo dalla diacetilidrazide e anilina ab- biamo preso gr. 4 della prima e gr. 3,20 della seconda, che messi in una storta furono scaldati come nella reazione precedente, e del distillato non si tenne conto che della porzione passata oltre i 260°, trattandola nel modo su esposto. Il rendimento fu piccolissimo e quindi questo procedimento non è consigliabile. Quantità equimolecolari di monoacetilidrazide ed acetanilide fatte reagire nello stesso modo ci condussero pure alla formazione dello stesso prodotto. L'1 fenil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico cristallizzato dal benzolo si ottiene in piccoli aghetti bianchi serici fusibili a 237°. gr. 0,2330 di sostanza dettero CO, = 0,5935 e H:0 = 0,1323; gr. 0,1507 di sostanza dettero 31,1 cc. di N a 16°,5 e 754 mm. Trovato °/o Calcolato C 69,44 69,36 H 6,30 6,35 N 24,24 24,27 È solubilissimo nell’alcool e nel cloroformio, assai solubile nell’ acqua e nel benzolo, meno nell'etere e poco nella ligroina. È solubile negli acidi mine- rali e riprecipita con potassa concentrata. Scaldato sulla lamina di platino o in tubetto di vetro si mostra volatile. Cloroplatinato di 1fenil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico (Cio Hu Ns. HC1): Pt CL. Sciogliendo la base in acido cloridrico concentrato ed aggiungendo clo- ruro platinico, si separò in cristalli giallo-aranciati che furono raccolti e la- vati prima con acido cloridrico concentrato eppoi con poco alcool. Cristalliz- — 448 — zato dall'acido cloridrico, si ha in aghetti riuniti a ciuffo che fondono de- componendosi a 256-257°. gr. 0,5584 di sostanza dettero gr. 0,1431 di platino. Trovato °/ Calcolato Pt 25,62 25,69 La soluzione acquosa di questo cloroplatinato bollita, anche per diverso tempo, non dette nessun precipitato che indicasse la formazione di un composto se- condo la reazione di Anderson. Picrato di 1fenil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico (Cio Hix Ns) Co H30(N03)s. La soluzione acquosa della hase trattata con acido picrico precipita in fiocchi gialli, i quali cristallizzati dall'acqua o meglio dall'alcool dànno dei bei cristalli gialli allungati di discreta grandezza fusibili a 175°. gr. 0,1579 di sostanza dettero 29 cc. di N a 249,1 e 760 mm. Trovato °/o Calcolato IN°-.21,09 20,94 1 o- Tolil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico Questa sostanza fu preparata soltanto col seguente metodo: gr. 15 di diace- tilidrazide e gr. 19,2 di aceto-o-toluide furono scaldati in una storta a bagno di rena, in modo che si avesse sempre un regolare sviluppo di bollicine dalla massa fusa. Un termometro immerso nei vapori che distillavano ci indicò che prima passava del vapor d’acqua eppoi dell'acido acetico. Incalzando col riscaldamento distillavano altri prodotti, e si tenne conto soltanto di ciò che passava oltre i 200°. Quest’ ultima porzione riunita a quel poco di sostanza che era rimasta nella storta, venne portata in un bicchiere sciogliendola in poco alcool, e quindi aggiungendo acqua si scacciò l'alcool e per raffredda- mento si separò dell'acetotoluide che non aveva reagito. Concentrando la so- luzione si aggiunse poi della potassa, la quale precipitò il tolildimetiltria- zolo, che raccolto sul filtro e cristallizzato poi dal benzolo si ebbe in cristallini bianchi fusibili a 168°. — 449 — gr. 0,2400 di sostanza dettero CO, = 0,6207 e H:0= 0,1498; gr. 0,1427 di sostanza dettero 27,5 cc. di N a 169,5 e 754mm. Trovato °/ Calcolato C. 70,50 70,58 Hi6:91 6,95 N 22,53 22,45 È solubilissimo nell'acqua, nell’alcool e nel cloroformio, assai solubile nel benzolo, discretamente nell’etere ed un po' meno nella ligroina. Scaldato in tubettino si volatilizza facilmente. Sciolto negli acidi riprecipita con potassa concentrata in cui è poco solubile. Cloroplatinato di 1 0- tolil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico (C.1H13N3 HC1), Pt Cl, Si ottenne aggiungendo cloruro di platino alla soluzione della base in poco acido cloridrico concentrato. Cristallizzato dall'acido cloridrico si ebbe in aghi di discreta grossezza raggruppati a ciuffo e fusibili con decomposi- zione a 244-245°. gr. 0,4367 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,1089 di platino. Trovato °/ Calcolato Pi 24,93 24,77 Tetracloroplato 1 0o- tolil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico (Cn HSz N3): Rù CL, . Si ottiene dal cloroplatinato normale, per eliminazione di due molecole di acido cloridrico, facendolo bollire per circa mezz’ ora in soluzione acquosa diluita. È una polvere amorfa giallo-chiara, insolubile nell'acqua, che si de- compone verso 255°. gr. 0,4528 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,1234 di platino. Trovato 9% Calcolato Pi 27,25 27,32 Picrato di 0-tolil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico (C11 Hig.N3) C6H30(N03):. Si ottiene come precipitato giallo aggiungendo acido picrico ad una so- luzione acquosa della base. Cristallizzato dall'alcool si ebbe in bellissimi cristalli aghiformi fusibili a 164°. — 450 — gr. 0,1565 di sostanza dettero 27,8 cc. di N a 24° e 759 mm. Trovato °/o Calcolato N 20,37 20,24 1 p- Tolil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico Gr. 10 di diacetilidrazide e gr. 12,8 di aceto-p-toluide furono scaldati in storta tubulata a bagno di rena in modo che dalla massa si svolgevano numerose bollicine di vapore di acqua, che si condensava poi nella tubula- tura della storta. Aumentando il riscaldamento, distillò anche dell’acido ace- tico ed infine altri prodotti secondarî insieme ad un po’ di acetotoluide che non aveva reagito. Un termometro immerso nei vapori segnò dapprima 100° circa per quasi un'ora, poi innalzando la temperatura gradatamente andò a 250° impiegando altre tre ore; a questo punto si cessò il riscaldamento, avendo in complesso la reazione durato quattro ore. Il prodotto rimasto nella storta era bruno e solido; fu portato in una capsula sciogliendolo a caldo in poco alcool, quindi si aggiunse acqua, si evaporò l'alcool e per concen- trazione si separò molta acetotoluide. Le acque madri ridotte a piccolo vo- lume separarono il tolildimetiltriazolo per aggiunta di potassa. Fu cristal- lizzato dal benzolo e si ebbe in minutissimi aghi fusibili a 228°. gr. 0,2497 di sostanza dettero CO, = 0,6458 e H.0 = 0,1550; gr. 0,1480 di sostanza dettero 28,1 cc. di N a 169,3 e 759 mm. Trovato °/ Calcolato C 70,52 70,58 H 6,88 6,95 N 22,36 22,45 È solubilissimo nell’ acqua, nell'alcool e nel cloroformio, un po' meno nel benzolo e nell'etere e pochissimo nella ligroina. Tetracloroplato 1 p- tolil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico (C11Hi3 Na): PtCI,. Sciolta la base nell’ acido cloridrico concentrato per aggiunta di cloruro di platino non si ebbe il cloroplatinato normale, e anche concentrando ri- mase un sciroppo che non cristallizzava. Aggiungendo acqua e facendo bol- lire si ottenne una polvere gialla insolubile che corrisponde alla formula soprascritta. Fonde decomponendosi fra 250-254°. — 451 — gr. 0,3845 di sostanza dettero per calcinazione gr. 0,1055 di platino. Trovato °/ Calcolato Pt 27,41 27,32 Picrato di 1 p- tolil 2.5 dimetiltriazolo simmetrico (Cn Ho N3) Ck I6la O (NO3)3 . Si ottiene come i precedenti, e cristallizzato dall’ alcool, in cui è molto più solubile che nell'acqua, si presenta in minutissimi, leggeri cristallini gialli fusibili a 158°. gr. 0,1496 di sostanza dettero 26,3 cc. di N a 24° e 761 mm. Trovato °/ Calcolato N 20,20 20,24 1.2.5. Trifeniltriazolo simmetrico. Gr. 20 di dibenzoilidrazide e gr. 16,4 di benzanilide furono scaldati in storta a bagno di rena. A 200° la massa era fusa e cominciò la reazione svolgendosi numerose bollicine gassose. Si aumentò la temperatura della mi- scela fino a circa 290° e si mantenne così per 6 ore. Distillò vapor d'acqua, acido benzoico ed altri prodotti secondarî fra cui un po di benzonitrile. Tolto il termometro dalla materia fusa e lasciato il bulbo nei vapori che distil- lavano, si seguitò a scaldare finchè il termometro non si vide salire, quasi ad un tratto sopra i 300°, per un'onda di vapore che s’ innalza lentamente e che lo porterebbe a temperature ancora più elevate se non si cessasse su- bito il riscaldamento. Il prodotto verde cupo, rimasto nella storta, fu sciolto a caldo in molto alcool, e quindi si filtrò per togliere qualche impurezza insolubile e dalla soluzione limpida cristallizzò per raffreddamento il trife- niltriazolo in minutissimi aghi. Per concentrazione delle acque madri si ebbe ancora un po’ di prodotto; poi cristallizzò del difenilbiazossolo impuro che, come ha dimostrato uno di noi, si forma per perdita di acqua dalla diben- zoilidrazide. Nell’ultime acque madri ed in piccola quantità si trova anche del difeniltriazolo, che si può separare e purificare approfittando della sua solubilità nella potassa diluita. Il trifeniltriazolo fu preparato anche nel seguente modo che crediamo raccomandabile: Gr. 10 di dibenzoilidrazide e gr. 3,87 di anilina furono A scaldati in una storta a circa 250° per 6 ore, quindi tolto il termometro RenpIcONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 58 — 452 — dalla sostanza e tenutolo invece nei vapori, si aumentò gradatamente il ri- scaldamento finchè, come si è già detto pel caso precedente, un'onda di vapore non fece salire la temperatura rapidamente oltre i 300°. Il prodotto verde rimasto nella storta, trattato nel modo suindicato, dette un discreto rendimento di trifeniltriazolo, e maggiore di quello che non si aveva avuto nella reazione colla benzanilide. Il trifeniltriazolo simmetrico cristallizzato un paio di volte dall'alcool si ottiene in minutissimi e leggeri aghetti bianchi fusibili a 304°-305°. gr. 0,2260 di sostanza dettero CO, = 0,6681 e H,0 = 0,1078; gr. 0,1594 di sostanza dettero 19 cc. di N a 11°,6 e 759 mm. Trovato °/ Calcolato C 80,61 Ì 80,80 H 5,26 0,05 N 14,27 14,14 È insolubile nell’ acqua, nell’etere e nella ligroina, assai poco solubile nel- l'alcool e nel benzolo. Ha caratteri basici poco accentuati; sciolto nell'acido cloridrico caldo dà per raffreddamento il Cloridrato di trifeniltriazolo simmetrico Cr H,3 N3 . HCl in cristallini bianchi che furono raccolti, lavati con acido cloridrico e seccati sulla calce. gr. 0,1078 di sostanza nella determinazione del cloro col metodo di Volhard consumarono 3,1 ce. di soluzione N/10 di nitrato d'argento corrispon- denti a gr. 0,011 di cloro. È Trovato %/ Calcolato Cl 10,28 10,64 Non si ebbe nè il cloroplatinato, nè il picrato di questo derivato triazolico. Chimica. — L'ossieloruro di fosforo come solvente în crio- scopia. Nota V di G. Oppo, presentata dal Socio PATERNÒ ('). Nella trattazione della chimica inorganica a partire dai primi capitoli s'incontrano spesso delle quistioni intorno alle quali l'insegnante, più di tutti, resta perplesso, perchè male definite e con notizie talvolta anche con- tradittorie. Alcune di queste ho cercato di risolvere in lavori precedenti (?); di altre, che non riuscii allora a definire (*), ho continuato ad occuparmi, e nella serie di ricerche che pubblico ho voluto studiarle : (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Chimica generale dell’ Università di Cagliari. (è) Gazz. chim. ital. XXIX (1899), II, 318, 330, 343 e 345; Rend. Accad. Lincei 1899, 244, 252, 281, 328. (3) Gazz. chim. ital., ibid. 352; Rend. Acc. Lincei, ibid. 288. — 4539 — 1°) A che cosa si debba attribuire l’esistenza di due monocloruri di iodio. 2°) Quale sia la funzione chimica del tricloruro di iodio, che ha com- portamento alquanto diverso da quello dei composti alogenati dei veri me- talloidi. 3°) In che cosa consista la differenza tra le due modificazioni di ani- dride solforica che esistono: una liquida a temperatura ordinaria, p. f. 14°,8, instabile, e l’altra solida, fibrosa, stabile. Per questi ed altri argomenti analoghi, che ho in corso di studio, ho dovuto procurarmi un solvente adatto, e poichè nell’'esperienze già pubbli- cate i solventi organici, dei quali allora feci uso, non si prestavano per sostanze della natura di quelle cimentate, diressi la mia attenzione alla ricerca di un solvente inorganico e nell’ossicloruro di fosforo trovai quanto m’ era necessario. Ne pubblico quindi in questa Nota lo studio al quale lo sottoposi, prima d'impiegarlo. Lo preparai col metodo di Derwin ('), ossidando cioè il tricloruro di fosforo con clorato potassico, e per ottenerlo puro feci agire un piccolo ec- cesso di questo sale sulla quantità calcolata: a questo modo non resta alcuna traccia di tricloruro e, compita la reazione, incomincia a svolgersi, come ho detto in altra Memoria, del cloro, il quale indica la fine di questa prima fase d’' ossidazione: .8P Ch +KC10;=3P0 C+ K Cl e il principio dell'altra successiva: 2 POC3 + KC103 = P:0; + KC14- 3 Cl, Si distilla e nel liquido che passa, il quale può essere giallo ancora per cloro, s1 fa gorgogliare una corrente di aria secca sino a decolorazione completa e si ritorna a distillare: passa allora quasi completamente a 107-108° a pressione ordinaria. Per purificarlo ulteriormente lo sottoposi a cristallizzazioni frazionate per due o tre volte, decantando sempre la parte liquida: ottenni così un liquido incoloro, che cristallizzò bene a 1°,782. Però, conservandolo in vaso a smeriglio, a tenuta perfetta, paraffinato o no, il punto di fusione nei giorni successivi andava aumentando lentamente, mentre si depositavano sulle pareti e al fondo del recipiente dei prodotti d'idratazione, sotto forma di gocce trasparenti, gommose. E poichè usava tutte le cure per impedire l’ assorbi- mento d' umidità dall'aria, è da ritenere che tali prodotti restassero in soluzione nell’'ossicloruro, malgrado tutto il processo di purificazione, e da (1) Compt. Rend. 1897, 576, — 454 — esso venissero abbandonati, forse in seguito a trasformazioni che avvengono nelle loro molecole; ovvero che l'ossicloruro possa trattenere tenacemente in soluzione delle tracce di acqua, con le quali reagisce a lungo andare; in tal caso, però, all'apertura del vaso si dovrebbero sviluppare fumi di acido cloridrico, che non ebbi mai occasione d' osservare. Qualunque sia la causa, vedremo nella Memoria sulle anidridi solforica e disolforica come sia riuscito a superare le difficoltà che può offrire la pre- senza di tali prodotti in seno al solvente. Crioscopicamente ho eseguito sull'ossicloruro di fosforo due serie di esperienze: la prima per determinare la costante di abbassamento moleco- lare; la seconda per osservare se questo solvente, come l'acqua, ionizza i sali. Metodo sperimentale. — Feci uso del solito tubo di Beckmann, con agi- tatore di vetro e turaccioli di sughero. Questi vengono relativamente poco in- taccati dai vapori del solvente, tanto che durante tutto il corso dell’ esperienze, che descrivo, non vennero mai rinnovati. L'agitatore passava per un piccolo tubo di vetro, inserito nel tappo, e quindi a sfregamento per un tubo di gomma attaccato al precedente, e veniva mosso a mano: così tutto l'appa- recchio restava chiuso e si evitava l'assorbimento d'umidità dall'aria du- rante l’ esperienze. Anche il solvente veniva pesato in una grande pipetta Beckmann, che ho appositamente costruita, capace di contenerne per tre o quattro determi- nazioni, e le estremità di essa venivano chiuse con tubi di gomma. Malgrado però queste cure, è bene sempre eseguire le determinazioni tenendo il crioscopo sotto una cappa, nella quale funzioni un buon tiraggio, per evitare, al momento in cui si deve fare l'innesto, l’azione irritante del- l'ossicloruro sulle mucose e specialmente sulla congiuntiva. DE Determinazione della costante crioscopica. Impiegai quattro sostanze: due organiche (tetraclorometane e toluene) e due inorganiche (protocloruro di zolfo e bromo). Ecco i risultati ottenuti : Tetraclorometane. Concentrazione Abbass. punto cong. Costante 3,4635 19,637 72,78 5,2306 2, 471 72,76 Toluene. 2,2074 10,671 69,64 — 455 — Protocloruro di zolfo. 23681 10.217 69,38 3.0578 1,571 69,32 Bromo. 3.9086 — 1°,668 68,28 6,5364 2. 631 68.98 Se si eccettua il tetraclorometane, col quale si ottengono valori un po’ più elevati, le determinazioni con le altre sostanze hanno dato risultati abba- stanza concordanti: oscillano intorno al numero 69, che ho adottato come costante, invece della media di tutti i valori ottenuti 70,16. Per quanto io sappia, non è conosciuto il calore latente di fusione del- l'ossicloruro di fosforo per controllare questo risultato, calcolando l’ abbas- samento molecolare con la nota formola di Van't Hoff (!) 0.02 T2 |. 0.0198 T? cs o più esattamente cia IRE Sulla dissociazione ionica nelle soluzioni in ossicloruro di fosforo. È noto che da parecchio tempo i cultori di questo campo di discipline si sono occupati di ricercare se esistono altri solventi diversi dall’ acqua che abbiano la proprietà di dissociare ionicamente i sali, gli acidi e le basi disciolte. Per i solventi organici basterà citare le belle ricerche eseguite sugli alcooli metilico ed etilico, sull'acetone e l’acetonitrile (*), le quali hanno condotto al risultato alquanto strano che mentre per mezzo della conduci- bilità elettrica si ottengono valori per i quali si deve ammettere in questi solventi avvenga dissociazione ionica, talvolta anche più avanzata che nelle soluzioni acquose, col metodo ebullioscopico invece la dissociazione che si riscontra o è molto limitata, come nell'alcool etilico, o manca del tutto, come nelle soluzioni bollenti in acetone. Tra i solventi inorganici Bouty (*) ha studiato l'acido nitrico ed ha osservato che quando esso contiene in soluzione deboli quantità di nitrati (1) Vorlesungen ilber Theoretische und Physikalische Chemie, Zweites Heft. 49. (2) Carrara, Gazz. Chim. ital. XXIV, II, 504 (1894); XXVI, I, 119 (1896); XXVII, I, 207, 422 (1897); Dutoit et Aston, Bull. Soc. chim. 17, 927; Dutoit et Friederich, ibid. 19, 321. (3) Compt. Rend. 1888, 1°, 595 e 654. — 456 — alcalini, la sua conducibilità aumenta in proporzioni considerevoli. Sono inoltre degni di maggior attenzione i lavori di Walden (*) sull’ anidride sol- forosa liquida e di Cardy (?) e Franklin e Kraus (3) sull’ammoniaca liquida, solventi i quali hanno condotto a risultati paragonabili a quelli dei solventi organici, che ho riferito. Difatti con l'anidride solforosa liquida tutte le soluzioni saline esaminate mostrano una conduttività molecolare considere- vole, che oltrepassa talvolta il valore trovato in soluzione acquosa. Invece nelle determinazioni ebullioscopiche KI, Nal, RbI, NH,jI e CNSK danno un peso molecolare che è sensibilmente il doppio del teorico, e S(CH3)zl, N(CH3)4I e N(CH;),I un valore quasi normale, e in nessun caso la disso- ciazione, che sembrerebbe dimostrata con la conducibilità, si trova confer- mata con l’ebullioscopia. L'ammoniaca liquida, quantunque come hanno fatto bene osservare Franklin e Kraus, somigli all'acqua per molte sue proprietà fisiche e spe- cialmente per l'estrema debolezza di conduttività propria, per il valore ecce- zionalmente grande del suo calore specifico, del suo calore d' evaporazione, e il suo fattore d'associazione, tuttavia come solvente si comporta in modo diverso: difatti Franklin e Kraus hanno trovato per gli elettroliti binarî una conducibilità u, e uco maggiore che per le soluzioni acquose della medesima concentrazione, prese alla medesima temperatura, mentre i tre sali KI, Na NO; e NH, NO;, che sono stati studiati da loro anche col me- todo ebullioscopico, in soluzioni molto diluite (0,3-0,4 per litro) forniscono delle grandezze molecolari un po’ più basse delle teoriche, a concentrazione di circa 2 per litro raggiungono presso a poco questo valore e in seguito i primi due sali l’oltrepassano, rivelando uno stato di polimerizzazione. Per tutti questi solventi organici ed inorganici, per i quali la condu- cibilità elettrica non si è trovata in correlazione con un peso molecolare frazionario, accusato dall’elettrolita nelle soluzioni bollenti, sì vanno cer- cando di già altre cause per interpretare la loro azione mobilizzante, cause che non entrano nel mio còmpito per discuterle. L’ossicloruro di fosforo invece, dentro certi limiti di concentrazione, possiede come l’acqua la proprietà di dissociare i sali, come dimostrano l’esperienze seguenti: Cloridrato d’anilina. Concentraz. Abbass. punto cong. Peso molecolare 0,9023 09,989 62,94 2,1171 1, 878 10,18 Per Cs H; NH; CI si calcola p. m. 129,5 Cs H; ala CI E 64,75 (1) Ber. deut. chem. Gesell. 32, 2862 (1899). (2) Journ. of phys. chem. 1. (3) Amer. chem. Journ. 20, 27, 23 e 24. — 457 — Cloridrato di piridina. 0,7476 0, 667 77,34 1,7525 1, 367 388,4 3,1078 2, 072 103,5 Per CH; NHCI si calcola p. m. 115,5 SIRO . > 57,75 Questo sale viene quindi dissociato un po’ più difficilmente del clori- drato d'anilina: la dissociazione non è completa anche per soluzioni diluite, come quella 0,7476°/, ed è quasi cessata all’ ultima concentrazione, che pure non è molto elevata. Cloruro ferrico. Impiegai il sale sublimato che fornisce Kahlbaum. Concentraz. Abbass. punto cong. Peso molecolare 0,5307 09,579 63,67 1,8426 0, 942 135,07 2,8633 1, 548 127,61 Per Fe Cl3 si calcola p. m. 162,35 Fe Cl, b) L) LD) 81.18 5 81,18 Il cloruro ferrico si avvicina al comportamento di quello di piridonio: è dissociato a piccola concentrazione, e lo è poco a concentrazioni un po’ più elevate. È degno di nota poi il fatto che la dissociazione non avviene in 4 ioni: Fe, C1, Ci, CI, bensì in circa due ioni soltanto. Vedremo ripetersi questo fatto con i cloruri di platino e d'oro, e ne darò l’interpretazione nella Me- moria sul tricloruro di iodio, il quale si comporta ugualmente. Tetracloruro di platino. Concentraz. Abbass. punto cong. Peso molecolare 0,5410 0°,218 171,28 3,1874 0, 678 324,3 3,7114 0, 300 320,10 Per Pt Cl, si calcola p. m. 336,6 SrL 5; 9 ), » Tricloruro d’oro, 2,0952 09,645 224,14 3,2000 1268 174,08 3,6819 1, 610 157,79 Per Au Cl; si calcola p. m. 803,55 i MILL 3 » S151,77 Con questo sale avviene il fenomeno opposto ai tre casi precedenti: si ottengono valori un po’ più elevati a concentrazione minore, mentre alla concentrazione di 3,6819 si ha già la dissociazione quasi completa, che anche in questo caso avviene in due ioni e non in quattro, come si sarebbe po- tuto credere a priori. I cloruri di ferro, di platino e d'oro tendono però a combinarsi con l'ossicloruro di fosforo, dando composti che sto studiando in collaborazione con lo studente Tealdi e che descriveremo prossimamente. Concludendo, la costante crioscopica dell’ossicloruro di fosforo è 69, e questo solvente, come l’acqua, ma dentro limiti più ristretti, ionizza le soluzioni diluite dei sali. PERSONALE ACCADEMICO Colle norme prescritte dallo Statuto, l'Accademia procedette, nella seduta del 1° giugno, all'elezione del Presidente. Lo spoglio dei voti venne fatto dai Soci LANCIANI e VOLTERRA. La votazione finale dette i risultati seguenti: Votanti 49. — ViILLARI P. 29; CompPARETTI 17; Schede bianche 3. — Eletto ViLLARI PASQUALE. Questa elezione, a termini dell'art. 15 dello Statuto, sarà sottoposta all'approvazione di S. M. il Re. CORRISPONDENZA Essendo giunta, durante la seduta, la notizia della nascita della Prin- cipessa Reale, l'Accademia unanime, su proposta del Socio CREMONA, appro- vava l'invio del seguente telegramma alle Loro MAESTÀ. « A S. E. il Primo Aiutante di Campo di S. M. il Re. « La R. Accademia dei Lincei, riunita in assemblea plenaria, apprendendo fausto avvenimento che allieta la Reggia e la Nazione, manda le sue rispet- tose felicitazioni alle LL. MM., e fa voti per la preziosa salute della gra- ziosissima Regina e della Reale neonata ». Il Vicepresidente PieTRo BLASERNA — 459 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 1° giugno 1901. Bisleri F. — Contributo alla terapia delle febbri malariche. Milano, 1901. 4°. Boccardi G. — Di alcuni diagrammi astronomici. Catania, 1900. 4°. Brioschi F. — Opere matematiche pubblicate per cura del Comitato per le onoranze a F. B. T. I. Palermo, 1901. 4°. Centenario della scoperta di Cerere. Catania, 1901. 4°. Coronas J. — El bagujo del 8 de septiembre 1900. Manila, 1900. 4°. De Angelis C. — La Geologia agricola e le rocce della provincia di Roma. e di Perugia. Siena, 1901. 8°. Durdn-Loriga J. — Charles Hermite. Città di Castello, 1901. 8°. Fremy. — Encyclopédie chimique. T. III, f. 83. — Zeidié E. Palladium, Iridium, Rhodium. Paris, 1901. 8°. Graga I. C. da — Posigdes astronomicas de Cabo Frio e Santos. Rio de Janeiro, 1888. 4°. Lockyer N. — Further Observations on Nova Persei. London, 1901. 8. Maluta G. — Principî di suggestione terapeutica. Padova, 1901. 8°. Mascari A. — Sulla frequenza e distribuzione in latitudine delle macchie solari osservate al R. Osservatorio di Catania nel 1899. Catania, 1900. 4°. Masoni U. — Di alcune recenti esperienze sui grandi sifoni da Cancello a Napoli nell’ acquedotto di Serino. Napoli, 1901. 8°. Nansen F. — The Norvegian North Expediction 1893-1896. Scientific results. Vol. II. London, 1901. 4. Oddone E. — Sul coefficiente medio di trasparenza dell’aria per grandi visuali terrestri. Milano, 1901. 8°. Pagliani L. — Giulio Bizzozero. Commemorazione. Torino, 1901. 8°. Riecò A. — Comunicazione telefonica all'Osservatorio etneo col filo sulla neve. Catania, 1901. 4°. Id. — La nuova stella nella costellazione di Perseo. Catania, 1901. 8°. Id. e Eredia F. — Risultato delle osservazioni meteorologiche del 1900 fatte nel R. Osservatorio di Catania. Catania, 1901. 4°. Stlvado A. B. — Istrucg6es meteorologicas. Rio de Janeiro, 1900. 8°. Zeuner G. — Technische Thermodynamik. 2° Aufi. Bd. II. Leipzig, 1901. 8°. VELO: ‘ i I i i ‘ Si) mu i ME! , i \ n TAI sy \: RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. AAA SS Seduta del 10 qiugno 1901. P. BLASERNA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Meccanica. — Sui moti stazionarî di un corpo rigido nel caso della Kovalevsky. Nota 1II(') di T. Levi-CIvITA, presentata dal Corrispondente G. Ricci. 8. Studio delle soluzioni, per cui si annulla il determinante 4. Alla prima delle (12) si può sostituire 4= 0, onde abbiamo il sistema \ rp+ra=3 +1). | 020 + y19 MS a mezzo del quale e della (11), convien ridurre le (K). Si raggiunge lo scopo nel modo più comodo ricorrendo alle variabili 4,7, e sostituendo prima di tutto, nelle (12) e (11), a y1,y2,73 i loro valori, con che si ha (12) $ ) COS sen/= = sen%, (121) peosftgsen/=35, —psenf+qcosf= vs senf, (O) In =s 08%. Tenendo conto di queste equazioni, le note formule d p= sen/SÒ 4 son 9 eos /P, 9 q= cos fl L son 9 sen/ E, d d pe= cos d SHE ce di di (1) V. pag. 429. RenpICONTI. 1901, Vol. X, 1° Sem. 59 — 462 — (le quali non soltanto equivalgono alle tre ultime (K), ma servono altresìTa definire l'angolo di precessione g) danno dg SOR (14) Gg TION dd df G (Ka) Praia LO I Fri VC) (akio (Jak-i] < v?) Fig3. (IkJev®) La (14) ci dice intanto che l'angolo di precessione 4 varia proporzional- mente al tempo; le (K,) ammettono poi l'integrale (15) send + 2v° cos f= 2% (X designando una costante), donde subito risulta che le funzioni trigono- metriche di + e di / sono funzioni ellittiche del tempo. Anche ora possiamo assegnare il luogo delle direzioni occupate dalla verticale rispetto al corpo. In coordinate 4 ed / l'insieme di queste dire- zioni rimane definito dalla (15). Ciò è quanto dire che il cono V, descritto dalla verticale, si ottiene proiettando da £ la curva sferica (15). Conside- riamo la proiezione ortogonale di questa curva sul piano equatoriale. Essa ha evidentemente per equazione polare ciò che diventa la (15), ponendovi o= send, ossia (16) 0 + 2v° cosf= 2%, la quale rappresenta una lumaca di Pascal (quartica bicircolare). Come è ben noto, possiamo generarla portando sopra ogni raggio vettore, da una — 463 — parte e dall'altra delle sue intersezioni colla circonferenza (24°) +y° =», un segmento di lunghezza costante 2|/|. Per |k]< »? (fig. 3), la lumaca consta di due cappi, intrecciantisi nel l'origine 2. Sopra uno soltanto di questi cappi, che dirò Y, è effettivamente Di Pi ()ak-1>V?) (eil v?) Fig.H Ck» v?) verificata la (16), mentre per l’altro si ha 0 + 2v° cosf= — 2%. Se è |K|>? (fig. 4) (nel qual caso si può addirittura supporre % > »°, dacchè la (16) deve rappresentare una curva reale) la lumaca consta di un’ unica linea chiusa 7° comprendente nel suo interno l'origine @. Per X= »° si ha la cardioide, linea chiusa con cuspide in 2. I coseni direttori y, e y» della verticale sono rappresentati, in un ge- nerico istante # dalle coordinate cartesiane 2 ,y di un punto P, di I° (in- terno evidentemente al cerchio C di raggio 1); così le coordinate polari dello stesso P, sono sen è ed f. Possiamo facilmente acquistare un'idea del modo, con cui P, descrive 7. 3 df |. In primo luogo la seconda delle (K,) mostra che d si annulla soltanto per cos.d = 0. Ne viene che il moto di P, seguita sempre nello stesso senso, a meno che non si annulli cos #, a meno che cioè non si tratti di un punto di intersezione di I° con C. Ciò posto, il punto P; descriverà l'intera curva Y° — 464 — di moto progressivo periodico, se I° è tutta interna a C; ne descriverà invece con moto oscillatorio l'arco compreso entro C, se I e C si tagliano. La discriminante di questi due casi si ha subito dalla (16), ponendovi o== 1. Se |2X — 1|> 2»? non esistono soluzioni reali, ossia 7 non incontra C; se invece |[2X — 1|< 2», si hanno per / due valori reali, eguali ed opposti, e quindi le due curve si tagliano in due punti P,,P, simmetricamente si- tuati rispetto all'asse «. Dalle cose dette risulta subito che, quando la curva I° passa per £ (|k| =»), il punto P, attraversa effettivamente questa posizione (ad eguali intervalli di tempo); vi son quindi valori di #, per cui si annullano in- sieme y, @ ya. Quando invece £ è interno a T (X > »°), una posizione cer- tamente occupata da P, è quella del punto ZZ di I° più vicino ad £. Si ha, in ZZ,f=0 e si annulla quindi ys, mentre y, > 0. La seconda delle (12) mostra poi che anche g=0. Per la rappresentazione geometrica del movimento si può, come nel pre- cedente paragrafo, ricorrere al cono V. È questo nel caso attuale un cono dell’ ottavo ordine, poichè, come abbiam detto, lo si ottiene proiettando da £ l'intersezione colla sfera di raggio 1 del cilindro retto, che ha per traccia la curva di quart' ordine Z°. Il movimento del corpo avviene in modo che le generatrici di V coincidono successivamente colla verticale. L'asse istan- taneo di rotazione si ha, come nel caso precedente, intersecando il cono di polodia col piano normale a V, condotto per la generatrice verticale. Però il cono di polodia non si riduce qui ad un piano, ma è di sedicesimo ordine, come facilmente si ricava dalle (12",) e (11°), tenendo conto della (15). Condizioni di stabilità. — Supponendo dapprima |k| < v?°, potremo ri- ferirci ai valori y, = y2=0, cioè sen&=0, y3= = 1, cui corrisponde, per la (15), cos r=È e, per le (12",), p=—»s sen? f/, g= vs sen f cos f. Le (7) e (8) danno per questi valori Oxs I DJs dr 4 dr Sr, rca cali la 0 : pe — Sa 2 È na 0 $ P_ q dp sy PT) dg con che la CIAD delle (9) dr, d° H = + PAT Jon +E +0} TO — 2) sen? /j, (i 3@RHLE Egr ane Ù — + a dl lg = amg na + 4'sen fcosf= a/1-È Disna d° H cr dir iiggli ol _ 2yp +55 2 (p° +#)f=0. (1) a Wet i due casi K=0 (cerchio) e 4 = »? (cardioide), per i quali sarebbe d’uopo ricorrere ai differenziali d'ordine superiore. — 465 — L’annullarsi di 4», senza che in generale (!) si annulli il discrimi- 3 ENTRE ; 1 i ne: ì nante 4,1 Gar — de = —16(1— uo mette in evidenza l instabilità di questa classe di movimenti. Per l’altro caso, X > v?, ci riferiremo ai valori, che corrispondono al punto /7, cioè s vii0, yva= 0; ei q=0. Abbiamo allora dalle (7) ed (8) D 1 d d 1 DADSRE Vo D_09; LL DIE YI; dp vs dq dp dq vs da Lola dre dr di dr => rp) AO Se =) Ga ae, =), dp v$S Y3 dd dp vYa° dq è per conseguenza vi 420° 2 vV'Y3 d d pen) = > (2y3p — vr) =0. La espressione (7) di di (prescindendo dai termini in y29,9°, che, anche derivati, hanno valore zero) si può porre sotto la forma 2 2 ERA. + 5°%2) (rp — nr). Per i valori, cui ci riferiamo, l'ultimo fattore si annulla. Avremo pertanto (ya + 2v°)? dat Ù Vv Y3 9 d = pH (7057 513) dp (2y;p— nr) = 9 d an = a PAY (rn) =0. Essendo ancora, per la (7), dH 2 dar } — S'Yats + (Mq 720) | ed annullandosi y, e g, potremo ritenere d’H SR er 2 de P dYa dqdp sy dH __ 27 2, Is p dre ) dois sic nc — 466 — la prima delle quali torna evidentemente a dirci che 4,» è zero e la seconda porge A22 = (1 + 2v?) . Tanto 4, che 43» risultano positivi (dacchè y, > 0). Le soluzioni di questo tipo sono dunque stabili. 9. Riassunto. I movimenti stazionari, che competono ad un corpo rigido pesante, fis- sato per un suo punto , nel caso della Kovalevsky, sono: 1°. Rotazioni attorno alla verticale diretta nel corpo a) secondo l’asse baricentrico 20. La condizione di stabilità è che il baricentro O cada al disotto del punto di sospensione 2. 5) secondo un'altra retta del piano meridiano baricentrico (piano, che contiene O e l'asse di simmetria dell’ellissoide di inerzia). Queste rotazioni sono essenzialmente instabili. 2°. Rotazioni attorno ad un asse orizzontale, coincidente nel corpo col- l'asse y (asse equatoriale perpendicolare al baricentrico). Il movimento av- viene come se l’asse y fosse tenuto fisso, cioè colle leggi del pendolo composto, e può quindi essere rotatorio progressivo od oscillatorio. Vi ha stabilità solo in quest'ultimo caso, purchè inoltre la deviazione massima dalla verticale dell'asse baricentrico non superi i 90°. 3°. Movimenti, nei quali il luogo delle posizioni, occupate (rispetto al corpo) da un punto qualunque della verticale, si proietta sul piano equatoriale a) secondo un cerchio col centro sul prolungamento dell'asse bari- centrico 0. Considerando in particolare quel punto della verticale, che è situato alla distanza 1 da £, dicasi u° il raggio del cerchio corrispondente, 1? la distanza del centro da £. La condizione di stabilità è G— n) —39)>0. 3) secondo una lumaca di Pascal col polo in £. Si ha stabilità allora e allora soltanto che la curva non passa per £ (quando cioè £ è, rispetto alla curva, un punto coniugato, e non un punto doppio reale). — 467 — Matematica. — Sulle serie doppie di Taylor. Nota di Ono- RATO NIccoLETTI, presentata dal Socio Lurcr BIANCHI. È dovuto al Pringsheim un criterio che dà le condizioni necessarie e sufficienti perchè una funzione /() di una variabile reale # sia sviluppa- bile in serie di Taylor, relativa ad un valore a, in un intervallo (a, a 4 R). È perciò necessario e sufficiente che la /(4) abbia nell'intervallo le deri- vate di tutti gli ordini (nel punto 4 solo le derivate a destra o a sinistra, secondochè R è positivo o negativo) e che inoltre il resto di Cauchy = n—-1 ; R.(a,h)= SEE = sd FP (a+ 0h). h" tenda uniformemente allo zero, quando » tende all'infinito, per tutti i valori di he 6 che soddisfanno (per R> 0) alle disuguaglianze:0< ACR;0<=0=1(!). Nulla di simile si ha per le funzioni di più variabili reali. La ragione ne va forse cercata nel modo col quale si ottiene per esse funzioni lo svi- luppo di Taylor. Limitandoci, per semplicità, alle funzioni di due variabili reali x ed y, il processo che ordinariamente si tiene per trovare per esse la formula di Taylor, corrisponde infatti a cercare la somma della serie sem- plice, che si deduce dalla serie doppia di Taylor, relativa alla funzione data: 0 il QUY | # Zuin ulv or o) Mir 0 riunendo insieme i termini che appartengono ad una stessa diagonale (?) della (E) (per i quali cioè w + v ha un valore costante). Una qualsiasi delle ordinarie espressioni del resto esprime infatti la differenza tra la funzione f(2y) e la somma dei primi n termini della serie semplice così definita. Non è nota invece, almeno a mio credere, alcuna formula che esprima la differenza tra il valore della funzione /(xy) e la somma Smn dei primi (m + 1) (2 + 1) termini della (E), pei quali cioò è 0 (OS) (pr +e) / 20Y0 pala (1° ] M n rat MIRINO e sviluppando in questa serie tutti i binomî (%, +4 he)", (1 + 42)? e riu- nendo i termini che portano le stesse potenze di ls» e %: (come è possibile, poichè la serie stessa avendo tutti i termini positivi è assolutamente con- vergente), avremo per la (7): (9) Privo + ha + ho 3 Yo ++ 4%)= Pr(do + hYo K k)= È il "DO Prs(0 + ha O Yo melo) hr VAL n min! dany” Su (1) Cf. A. Pringsheim, Zum Z'aylor'schen Lehrsate, s. 63. — 471 — per tutti i valori di #,, 72,41, definiti dalle disuguaglianze: (10) 0=hA u,n = v. Poniamo ora: (10') h="h0,, ho, —=(I_-0)h 00 =1,0=%=R;; (con doo Ra moltiplicando la (11) per #75, si avrà, per gli stessi valori di 72 e di n e per tutti i valori di #,%,9,,9 definiti dalle (10°), la formula: (1 — 6,)" (1—0,)" m!n! D GA mM+r n+ts dr dY hn+r Jen4+s = di vo+01h,v0+03% (12) 4. Facciamo nella (12) successivamente: ones 000 c) r=s=1, 0,=03;0,=0;; (1) Dini, Fondamenti, p. 110. — 472 — indicando con w, v due numeri tali che per i valori precedenti di 7° e s la (12) sia soddisfatta, avremo: 0) (AO SETE) perl Br but QYOE NTECA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 gennaio 1901. Volume X.° — Fascicolo 1° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV, V. SALVIUCCI 1901 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serse quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matemetiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate. da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni | 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della. spesa è posta a suo carico, 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta . stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- © cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o < da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com. | missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 4) Col desideric di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - e) Con un ringra: ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall" art. pre cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più | che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1% — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXTV-XXVI Serie 2% — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. Iil. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol IV. V.OVIS-VIE. VIE Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpiconTi Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEeMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-TX. (1892-1901) 1° Sem. Fasc. 1°. RenD:coNnTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1900) Fasc. 7°-8° MemOoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MokSE.Il MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano duce volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta TlItalia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti . editori-librai : Ermanvo Loescner & (.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico Horpri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Gennaio 1901 INDICE Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 gennaio 1901. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Grassi. Nuove ricerche Setorno alla Malaria (SIRIA ERE er Levi-Civita. Sulla determinazione di soluzioni particolari di un sn canonico, quando se ne conosce qualche integrale o relazione invariante (pres. dal Corrisp. Rieci) . . . » Guglielmo. Sulla misura delle variazioni della pressione atmosferica mediante il ludione (pres. dal Socio Blaserna) . . . nor. . far) Lo Monaco e Panichi. L'azione dei tara iitiveriodie du ma della unta Contri- buto allo studio delle perniciose (pres. dal Socio Luciani) . . } è BAL) Gorini. Sulla infezione micetozoica della cornea comparata, colla infilate vaccinica della.‘ stessa (pres. dal Socio Cremona). . .. . > RSS, RSA Luzzatti. Sulle idee filosofiche e religiose di Dari i ligincii delle sue o dota naturali i RELAZIONI DI COMMISSIONI Paternò (relatore) e Cannizzaro. Relazione sulla Memoria del ia Oddo, intitolata: « Eteri- ficazione per mezzo dei sali inorganici n. . . HS) Golgi (relatore) e Z'odaro. Relazione sulla Memoria del dott. e Moti intitola « Con- tributo alle conoscenze sulla fina organizzazione della Retina n... ./.... +» PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Vicepresidente). Dà comunicazione di una lettera di ringraziamento, per la sua re- cente nomina, inviata dal Socio straniero .Sehwendener < ././.0/x + PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci&ZRighi; Millosevich; Schivenda@iggitt e LR i SS ENTI CONCORSI A PREMI Cerruti (Segretario). Comunica gli elenchi dei lavori presentati per concorrere al premio Reale per la /isica, e a quelli del Ministero della P.I. per le Scienze naturali, pel 1900 » | CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti... » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. 25 28 32 battente TDI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVIII. ROOT eso Ei Q BEENSIL: A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 gennaio 1901. Volume X.° — Fascicolo 2° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1901 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Jie Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci @ da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamentì contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro posta dell’ invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre: cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesta. è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSOUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3° MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMoRIE della Classe di sciense fisiche. matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-KIX. MEMORIE della (Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. 1-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ° Vol. I-X. Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1901) 1° Sem. Fasc. 2°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1900) Fase. 7°-8° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Voli I IE MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco Hoepi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Gennaio 1901. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 gennaio 1901. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Levi-Civita. Sulla determinazione di soluzioni particolari di un sistema canonico, quando se ne conosce qualche integrale o relazione invariante (pres. dal Corrisp. Riccd). . . Pag. Guglielmo. Sulla misura assoluta della pressione atmosferica. mediante il ludione (pres. dal:S0c10 BIESETMA) A a RI e I I AO NI RE LI ITA SERA Dainelli. Il miocene inferiore di Monte Promina in Dalmazia (pres. dal Corrisp. De Stefand) » PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Vicepresidente). Dà annuncio della morte del Socio straniero Carlo Hermite; e la Classe approva la proposta d’invio di un telegramma di condoglianza all'Accademia delle: Scierize di: Parigi co a e N A II IRA CIO A PRESENTAZIONE DI LIBRI Betocchi. Fa omaggio di una sua pubblicazione e ne parla. ERRATA-CORRIGE A pag. 26 linea 11 invece di albero legge. altero 50 58 APTY REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOVIII. 191 >Bib LB UN TA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 febbraio 1901. Volume X.° — Fascicolo 3° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1901 %,\ 1 210)1/ sr RETE TT VA 'ISUtggN EÙ f ic (inc et” x ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serse quanta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. i 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno préso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- | cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, . nell’ ultimo in, seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L° Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di unnumero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. E 0 senile ici — i Miri gi ge (A Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia doi Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. 1. (1873-74). Vol. II. (1874-75). SSA ui Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIIL Serie 3* — TRrANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1901) 1° Sem. Fasc. 3°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1900) Fase. 7°-8° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della It. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHerR & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico Hoepi. — Milano, Pisa e. Napoli. RENDICONTI + Febbraio 1901. fi È La EL da Eli pa " Ò n d sd ne n = INDICE CASI tro Voda Classe dì scienze fisichéj matematiche e naturali. Rub. Seduta del 3 febbraio 1901. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Macchie e facole «solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano durante Lan 900 e E BR RR ET ca Millosevich. Osservazioni (E nuovo Fiale PX 1901. FEAT RO, Weingarten. Sulle superficie di discontinuità riella teoria della elasticità deo corpi solidi. ” Luzzatti. Sulle idee filosofiche e religiose di Darwin, sotto l'influenza delle sue dottrine na- turale ee noe PABETA 1 -cSPRI N IRI Bertini. Sui sistemi lincagi® di sogglo Zero: se, » Clerici. Contribuzione alla conoscenza dei capisaldi per i Geova dei iui di (o (re. dal. Socio Cerruti). . .. .. i ‘ " i » Ducceschi. Sulla natura e sulla genesi delle melanine e di alle a affini (n “dal Socio LUCIAR) (STR IRA CI RNA RIA AI RS PERSONALE ACCADEMICO Dini. Commemorazione del Socio straniero Carlo Hermite. LL. PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci Z'aramelli, Foà, Battelli, e dai signori De Giovanni, Clerici, Piolti, De Toni, Fi- lippi, Retzius, Marsone Weinek . . ... . PR ee Colombo. Offre una pubblicazione dell’ Istituto ficico. superiore di Milano Ma CORRISPONDENZA Blaserna (Vicepresidente). Comunica una lettera di ringraziamento dell’Accademia delle scienze di Parigi, e informa la Classe dell’ intervento dell’Accademia ai funerali di Giuseppe Verdi » Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti... . » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 13 88 Det [ui DELLA ANNO CCXCOVIII. LOT Seo E Bi UdEgdN ECA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 febbraio A901. Volume X.° —f Fascicolo 4° 1° SEMESTRE. REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1901 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 | agli estranei» qualora l’autore ne desideri un | numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi. sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- . posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. ‘3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. a dra riti sci A Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 8° MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV.-V. VI. VIESVOI. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1901) 1° Sem. Fasc. 4°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1900) Fasc. 7°-8° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. === = CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. - Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HoepLi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI + Febbraio 1901. INDICE Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 febbraio 1201. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Sulle protuberanze solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano durante annoio 00 Nene SR NO oltre, Ciamician e Silber. Azioni too della tute 5A ” Tedone. Sulla deformazione delle piastre di grossezza finita Go n Soia Via Co) Ù) Boggio. Sull’equilibrio delle piastre elastiche incastrate (pres. Id.) (®) . ... 0. ” Pochettino. Risultato di alcune misure di dispersione elettrica (pres. dal Socio Blasssa) ” Scalfaro. Velocità della luce nei cristalli magnetici (pres. Id.) . ./. . . e Angeli e Angelico. Sopra alcune reazioni del nitrossile (pres. del Socio Ciancio © . ” Pampaloni. Scorie trachitiche dell’Averno nei Campi Flegrei (pres. dal Socio De Stefani) (5) » PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Vicepresidente). Rende conto della presentazione fatta a S. M. LA REGINA MADRE dell’ indirizzo di condoglianza e di omaggio votato dalle due Classi. . . n Id. Comunica i ringraziamenti del Presidente Messedaglia per il telesramma di conduginà inviatogli dall'Accademia; str. SA ee ii ee A A I PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Vicepresidente). Presenta, a nome del Socio Cremona, alcune pubblicazioni dei professori GUid7 6 Pascal st. IRE VR RR I a PO (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. 91 92 119 TTITOO TE: SERE te Vee ‘ARI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOVIII. LOL eo INA. RENDICONTI Classe di sciénze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 marzo 1901. Volume X.° — Fascicolo 5° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1901 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici ‘fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o ‘ da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- ‘ risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - è) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, | nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte . che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 . dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. : rità MO, TOI I Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1 — Atti dell’Accademia pontiticia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. IlI. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. " MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 58 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1901) 1° Sem. Fasc. 5°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1900) Fasc. 9°-10° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescher & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1901. INDICE Classe di scienze fisivhe, matematiche e naturali. Seduta del 3. marzo 1901. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Sulla distribuzione in latitudine delle protuberanze solari osservate al R. Osserva- torio del Collegio Romano durante l'annoS®900; ..\... .l, i. Ra Millosevich. « Nova Persei » . . SARE ROTA ERI Striver. Azione chimica tra la RT e alcuni i E) ai orti e a secco » Ficcò. Comunicazione telefonica all’ Osservatorio Etneo col filo sulla neve (®). . . 0» De Stefani. La villa puteolana di Cicerone ed un fenomeno precursore all’eruzione del Monte Nuovo san Set) Tedone. Sulla tano delle ju Ne grossezza finita (rai dal Sic Polfonn) esa Levi-Civita. Sui moti stazionarî dei sistemi olonomi (pres. dal Socio Cerruti) . 0.0» Contarini. Sulla determinazione dei moti sismici (pres. /4.) . . . . ” Pampaloni. Scorie trachitiche dell’Averno nei Campi Flegrei (pres. dal Sonia De Stefani): n Manzetti. Di un nuovo istrumento per la misura della frequenza delle correnti alternate (pres. dal Socio Blaserna). . . . ; riot ‘Angeli e Angelico. Sopra alcune reazioni Pi Liwossie nai del Socio Gili Si Longo. La mesogamia; nella comune Zucca (Cucurbita Pepo Lin.) (pres. dal Corrisp. PROTO » Lo Monaco e van Bode Sulla fanzine dell ipofisi porti Wu: dal Socio Grassi) ” Ducceschi. Sulla natura delle melanine e di alcune sostanze ad esse affini (pres. dal Socio LUCIANO RR, FARINE ISO RI, Gorini. Studî sul vaccino DE dal Socio Duna ME O er PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci D'Ovidio, Tacchini, Righi, Ricco, e il volume I delle « Oeuvres de P. L. per » pubblicate per cura dei signori Markoff e Sonin. . . . Servo Koerner. Fa omaggio del volume pubblicato dal Ministero veri ug e - Corio intitolato: « Notizie, regolamenti e programmi della «R. Scuola superiore di Agricoltura di ‘Milano tti. Ae Li OO VOLE LIO PER OSSEE RARE CORRISPONDENZA Blaserna (Vicepresidente). Dà comunicazione degl’inviti per la celebrazione del 9° giubileo dell’ Università di Glasgow e pel Congresso internazionale di zoologia. — Deliberazione dell'Accademia . . .. Ri: “È î si LATI Todaro, Bizzozero e Grassi. Sroponzhi che iccionia sì associ alle. i onoranze che ver- ranno tributate, in Wurzburg, al prof. Zeydig. . . . . Mi co Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al REC degli Atti fr BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. MERE RO N, e VR E n ASPTDA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVIII. 1901 SERIE, ON CETA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 marzo 4901. Volume X.° —f Fascicolo 6° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1901 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formanò una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei - qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto. o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti ‘ contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, | nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è | data ricevuta con lettera, nella quale si avverte | che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se |. estranei. La spesa di un numero di copie in più | che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. | Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2% — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. IlI. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — ReNDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. (1892-1901) 1° Sem. Fasc. 6°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1900) Fase. 12°. MEmoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HoeprLi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Marzo 1901. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 marzo 1901. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Riccò. Comunicazione telefonica all’ Osservatorio Etneo col filo sulla neve. . . iano: Boggio. Sull’equilibrio delle piastre elastiche incastrate (pres. dal Socio eolica) Bortolotti. Sui prodotti infiniti divergenti (pres. dal Socio Cerruti) 0) +0...» Contarini. Sulla determinazione dei moti sismici (pres. /d.) . . . i ” Bruni. Sul diverso comportamento crioscopico dei composti fumarici e imalcivi si dal Sui CIOMICVOD)E VE BRL Millosevich F. Perowskite di Ha in a dia mirati i 5 Strdiver). Rit Lo Monaco e van Rynberk. Sulla funzione dell’ipofisi cerebrale (pres. dal Socio Grassi)» PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna. Fa omaggio, a nome del Socio Cremona, di una pubblicazione del prof. Guidi intitolata: Le ‘costruzioni in «-Déeton» aAtmato seni. 0: CR I O A (4) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. a da air Pi rn CT SOA ATTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXOVII. 1901 i Si Bree Br QQ, We NETTA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 14 aprile 1901. Volume X.° — Fascicolo 7° 1° SEMESTRE. ROMA nr. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEL# I Ins i#,,,0N ff” E TON 4°: fi PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI i MAYLOi AU V4 1901 -Ltronal Muse” ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei- qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, 4. I Rendiconti non riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è | data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 | dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 sè estranei, La spesa di un numero di copie in più . che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. — = f209 Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1% — Atti dell'Accademia pontificia doi Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3° MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol IVVa- VI VIISMWHI. Serie 3* — TransUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HII-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — ReENDICONTI Vol. 1-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-X. (1892-1901) 1° Sem. Fasc. 7°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. i CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. £9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Aprile 1901. INDICE Classe di scienze fisithé, matematiche e naturali. Seduta del 14 aprile 1901. Blaserna (Vicepresidente). Dà annuncio dellà morte del Socio Bizzozero . . | = Pag. Grassi e Todaro. Ricordano i meriti scientifiti del Socio Bizzozero . . 0. 0...» Blaserna (Vicepresidente). Commemorazione del presidente Messedaglia + . .. » Id. Dà comunicazione dei telesrammi e dellé lettere di condoglianza ‘inviate Meo da Soci e da-Istituti scientifici per la mofte del Presidente... /./ 0...» MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI pervenute all’Accademia per la seduta del 14 aprile 1901. Tacchini. Sulla distribuzione in latitudine délle facole solari osservate al R. Osservatorlo del Collegio Romano durante l’anno 1900... ... risa Rae Dini. Sopra una classe d’equazioni a derivat& parziali dd 9° ordine, con un numero qua- lunque di variabili () ... RSA ERI e ea O Ciamician e Silber. Azioni chimiche della Ile TABS SERA Striver. Azione chimica dei solfuri di ferro è del solfo nelle Sali rame e e a tem- peratura. ordinaria e a secco . . . DIST TO NOLA I CADA Bortolotti. Sui prodotti infiniti dia cotes. da Spa Cormità) ROS RI Zambonini. Su un pirosseno sodifero dei dihtorni di Oropa, nel Biellese (pres. dal Socio ISIIUOCN E Re eo, Rimini. Ossidazione biologa del Lin (jifes, dal Sagl Dates) SES Angeli e Angelico. Nuove ricerche sopra l’atido nitroidrossilamminico (pres. ‘dal Socio Cia- mician) 3 $ RETI Garelli e Bassani. nai dA agita Ì Hun Passa O (pres. Zd.) » Peglion. Intorno alla peronospora del frumento e graminicola, Schroeter) (pres. dalCorrisp, motto) e sE PARE ZA AA at ca Lo Monaco e van Rynberk. Sulla funzione lititiposa cerebrale (pres. dal Socio Grassi) » CORTISPONDENZA (Corrispondenza relativa al cambio degli Atti BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. e. li nni unt E RE EDO (*) Questo lavoro sarà pubblicatd nei volumi delle Memorie. 221 Ci ERI Db DT DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOVIII. ‘i2/Oì Sci Egr, iQ USBENS LCA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2A aprile 1901. Volume X.° — Fascicolo ®° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1901 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. 1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon» denti non possono . oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei. qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. MoloLVa:VZ AVI. VI ISSVEIL Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — NUI-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — ReNDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-X. (1892-1901) 1° Sem. Fasc. 8°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II i MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. è CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta alia di L. 29; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Farenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoh. RENDICONTÎ — Aprile 1901. INDICE Classe di scienze fisiciiè, matematiche e naturali. Seduta del.21 aprile 1901. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Bortolotti. Sui prodotti infiniti divergenti (pres. dal Socio Cerruti) . . ... ... . Pag. Reina. Determinazione astronomica di latitudiné eseguita a Monte Soratte nel 1900 (pres. dal Socio CIEMONAf A I DERE R O RIO Agamennone. Il microsismometrografo a tre componenti (pres. dal Socio Tacchini). . . » Plancher e Soncini. Sui benzoazopirroli (pres. al Socio Ciamician). . . LL.» Id. e Testoni. Sull’azione del cloroformio sul tetraidrocarbazolo e sulla trasformazione del pirrolo in “piridina (Press v0 ee. eno N A N tI 2 RE ASIA] Rizzo. Sul modo di adesione di alcuni Nematotlì parassiti alla parete intestinale dei Mammi- ferl-:(pres. dalSocio: Todaro) IO AE Noè. Propagazione delle filarie del sangue unicamente per la puntura delle zanzare (pres. dal Socio Grassi) ” Rossi. Sul sistema nervoso sottointestinale dei Miriapodi (pres i4/4) al Le 275 284 291 299 304 309 317 819 ATTE DELLA « REALE ACCADEMIA DEI LINCRI | ANNO CCXCVIII. BDOT Sco, UPbENSE di RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 maggio A901. Volume X.° — Fascicolo O° 1° SEMESTRE. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI ‘ PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1901 | E —_— ——— «_6_eum@Qu@-----rzZz mekéÉ ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com. missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5.L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1% — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VIL VIII. Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MemoRIE della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 58 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-X. (1892-1901) 1° Sem. Fasc. 9°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-]JX. (1892-1901) Fasc. 1°-2°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE l AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. £@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni sì ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco Hoepi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI + Maggio 1901. INDICE Classe di scienze fisiche; inatematiche e naturali. Seduta del $ maggio 1901. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Tacchini. Sulla distribuzione in latitudine delle macchie solari osservate al R. Osservatorio del Collegio Romano nel 1900... . . Rae Millosevich. L’'orbita di Eros in base al periodi Sa 1898 - Apa 1901 DU LATER ” Riccò. Osservazioni astrofisiche della nuova stella in Perseo, fatte nell’Osservatorio di Ca, tania Le ; SERRA Borzì. Anatomia sio senso- Lu SE diri delle Coli ©. PRISTINA RT Maffucci. L' intossicazione tubercolare della femifia del maschio tubercolotico. . . . ” Almansi. Sopra la deformazione dei cilindri sollecitati lateralmente (pres. dal Socio Volla ” Levi-Ciwita. Sui moti stazionarìî di un corpo rigido nel caso della Kowalevsky (pres. dal Corrisp. acc) iaia i ; ì ” feina. Determinazione astronomica di ima cigni a Monte Sini del 1900 na ‘dar Socio Cremona) . . + ” Palazzo. Sul terremoto del 2 apr 1901 nei di di Palgnina Sane i dal Socio MTA E a È n Rimini. Sopra una nuova reazione delle aldeidi io dal Soc Polen e e ‘ Pesci. Costituzione dei composti organo-mercuriti dell'acido benzoico (pres. dal Socio Cia- mician) . . . ; ER ERI, SRI n I O Id. Acido RIS a e Id) (* È SE Oa Pellizzari e Massa. Sintesi dei derivati del si 1.3.4 ssi da 0 Palemip) è bd Ulpiani. Attività ‘ottica della-Jecitina: (pres JO) en IAA = PERSONALE ACCADEMICO Cerruti (Segretario). Comunica altre lettere di condoglianza inviate all'Accademia da Soci e da Istituti scientifici per la morte del Presidente Messedaglia . .. ......... » Foà. Commemorazione del defunto Socio Giulid Bizzozero |. LL LL PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci De Lapparent, Helmert, Lockyer, Pfliger, ed ì fascicoli 17° e 18° contenenti i ri- sultati delle « Campagne scientifiche » del Principe di MOI ae Todaro Presenta un’opera del Socio Luciani e pg parla . LL / 0.0... CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti . . . » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. ee (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Sla pr MA SE TOTO E RI e I SL TT 1 CT TTT TITO TS] (0 Je DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVIII. 1901 Si er), UT IN EA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 maggio 1901. Volume X.° — Fascicolo 10° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1901 ESTRATTO DAL: REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono lenorme | seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. | 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è“ posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- isioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi ‘ sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta ' stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con ‘una’ proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - 4) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi - dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. : 4. A chi presenti una Memoria per esame è ‘ data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. ò. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au: ‘ tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se ‘estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. IO A Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei. Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, i storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — HI. (1, 2). — IIT-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — ReNDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-X. (1892-1901) 1° Sem. Fasc. 10°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-1X. (1892-1901) Fasc. 1°-2°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-III i MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R: ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico Horpri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Maggio 1901. Classe di scienze Aslche, matematiche e naturali. Seduta del 19 maggio 1901. MEMORIE E NOTE DÌ SOCI O PRESENTATE DA SOCI Riccò. Osservazioni astrofisiche della nuovi stella in Perseo, fatte nell’Osservatorio di Ca- tania. 0 x ; MPSTARIA, SOIseni Borzì. Anatomia dell'afpurato. senso-It. fto da; cirri Tione Cubo He pig) Almansi. Sopra la deformazione dei cilindri Bollecitati lateralmente (pres. dal Sh, Volterra) O) Viterbi. Sui casi d'equilibrio d’un co*po eldistico isotropo, che ammettono sistemi isostatici di superficie (pres. dal Corrisp. Ricci)... . . SIRIA IR ari SIRO IAA Pesci. Acido ortomercuriodibenzoico (pres. dal Socio Void UP: ” Pellizzari e Bruzzo. Derivati monosostituiti del Triazolo 1.3.4. (pres. dal so Polen) » Ulpiani. Attività ‘ottica della lecitina (pres VA). AO PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Vicepresidente). Dà annuncio della perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio straniero E. A. Rowland, e legge una Commemorazione del defunto accademico » ERRATA-CORRIGE 391 395 ‘400 408 413 414 421 425 A pag. 349 deve aggiungersi, in alto della figura l'indicazione Nord e in basso quella di M. Mario. = ATTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCVIII. LIOT seo O, Ue NEITCA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Adunanza generale del 4° giugno A901. Volume X.° — Fascicolo 11° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1901 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serse quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche enaturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IL. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia doi Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di setenze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Volk __--& CESSO a > a ET RITA Mi EE SI CES CC a dralr@ziar a te <—LIo TC CEE SL 954 na: = ee CES < CC. S3Sì © << Tare CETTE c C rea «rd << G <« «CE < FTT" Sa Sconti VIII ce < CETTE ci < Sc -£ << LS: C È € COSMO €, ——— en SESESE - 3 TRI DANIEL UA LLC CCG LJ :S LG MEC (dada TE KE tue (Cqalaala CECCO SIC Ta STILE TTGIE uo c«—« €— € (a Gai & TC: Cc Came «a © (CE TEC CCC E CET È CCC si «( TC < di dida a TC ECC << SMITHSONIAN INSTITUTION LIBRARIES | | @ LS Tc : (@ = CCC CEE << CE (Gi SE CT SECC Sec Ta TCCCS LU