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SI VANNA Mera TA) RIGA NEAAINA ANN f A al \ NA A a DE A , i È \ Va A A o/ \ È 4? \ \A/ s0a DA I ARARA ARRDA À, ARIARORATT la AR È v AMARAZIARAA i i CTCANANA nas A RAR a RARAAIRAA n i SARAI IRAN a di Li si net RR Nu Mi dd, A A MITA AMARA A AN pro e” * } dr, v Pi / d # ls Pubblicazione bimensile. Roma 6 luglio 1902.‘ NL I RS DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOIX. 1907 SRO QI NE A: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XI.° — Fascicolo 1° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 6 luglio 1902. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1902 Ò S 04) “AUG 6 1902/ a y/ c fog Rice di Feonian Instit,7) & Ù) ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. AE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIX. 1902 Ss TEO UBEN E A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME XI. 2° SEMESTRE. ROMA PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia sino al 6 luglio 1902. AISNANINSINSSISINSISTINNA Paleontologia. — Su! rinvenimento di un teschio di Squa- lodontidi nel calcare bituminoso di Ragusa in Sicilia. Nota pre- liminare del Socio G. G. GEMMELLARO. Pochi giorni or sono il sig. A. P. Brown ha gentilmente donato al Museo di Geologia della Universià di Palermo un teschio di Squa/odontidi rinve- nuto nel calcare bituminoso del Miocene medio di Ragusa in Sicilia. L'osso frontale, il temporale, lo jugale, l’intermascellare, il mascellare superiore ed il mascellare inferiore sono intieri; del parietale e dell'occipi- tale se ne vede soltanto porzione. La serie dentale del mascellare inferiore è ben conservata, quella del mascellare superiore e dell’intermascellare conservata in parte. La scoverta di questo teschio è interessante, perchè i suoi molari si allontanano per la forma da quelli dei veri Squalodon; mentre invece si avvicinano a quelli dello Squalodon (Phocodon) Scillae Agas. L’Agassiz instituì il genere PhRocodon sulla figura data da Scilla di tre molari provenienti dal Miocene medio di Malta. Oggi i paleontologisti sono d'accordo nel riferirli alla famiglia Squalodontidae, e con gran proba- bilità al genere Squa/odon, precedentemente stabilito da Grateloup; però è incerta ancora la loro identificazione al genere Squalodon, perchè questi mo- lari sono dentellati al margine anteriore e posteriore, e compressi latera]- mente, come quelli del Zeuglodon. La illustrazione del teschio di Ragusa, che ha i molari colla medesima forma di quelli di Malta, sebbene più piccoli, toglierà ogni dubbio sulla posizione sistematica dei denti provenienti da Malta, figurati dallo Scilla più di due secoli addietro. Meccanica. — Intorno ad alcuni particolari movimenti di un punto sopra una superficie. Nota di E. DANIELE, presentata dal Socio VOLTERRA. In una Nota di recente pubblicazione (') risolvetti un problema relativo al moto di un punto in un piano: problema che consisteva nel determinare quei movimenti nei quali le co? traiettorie, che corrispondono ad uno stesso valore della costante delle forze vive, si possono distribuire in sistemi orto- gonali. I risultati a cui pervenni sono i seguenti: la costante delle forze vive (tolto il caso del moto rettilineo uniforme) deve essere nulla, e la funzione potenziale soddisfare all’ equazione 0° eu e dai dY? verificandosi queste condizioni, le traiettorie nel moto corrispondente si otten- gono con due quadrature, ed i sistemi ortogonali, nei quali si possono distri- buire, sono isotermi. Non è difficile estendere al movimento di un punto sopra una superficie qualunque le considerazioni ed i risultati contenuti in quella Nota; ed è quanto mi propongo di fare nelle pagine che seguono. 1. Un punto di massa eguale all'unità si muova sopra una superficie di elemento lineare ds° = E du° + 2F du dv 4 G dv, sotto l’azione di forze Gi potenziale U. La ricerca delle traiettorie, che corri- spondono ad un medesimo valore della costante delle forze vive %, si può far dipendere dall'integrazione dell’ equazione 2 2 1) 40=75:|B(X) e +6(%) [-20+», essendo H°—EG—F*; poichè, come si dimostra ricorrendo, ad es., al principio della minima azione, il problema delle traiettorie per la data superficie equivale a quello delle geodetiche per un'altra superficie il cui elemento lineare sia dato da ds*=2(U+4)ds, (1) Sopra alcuni particolari movimenti di un punto in un piano; Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. XI, 1902. E, e quest’ ultimo problema dipende, come è noto, dall’integrazione dell’ equa- zione inor—ale Ad ogni integrale @ della (1) corrisponderà dunque una famiglia di traiettorie del punto mobile, che saranno le linee ortogonali alla famiglia 6= cost., e si otterranno integrando l’ equazione 20 BL PIÙ 2) a al € VAIO (k dv 3, Shala ( >» Pa) Se poi si conosce un integrale della (1) contenente una costante arbitraria a, l’ equazione 20 =i=1i00sì da rappresenterà tutte le traiettorie che corrispondono al valore fissato per %. 2. Ciò premesso, vogliamo vedere se esistono sulla superficie dei sistemi ortogonali composti unicamente di traiettorie. La risposta a tale questione è identica a quella che già ottenni nel caso del piano. Difatti se imaginiamo riferita la superficie ad un sistema ortogonale isotermo (g, w), che dia al quadrato dell’ elemento lineare la forma s=A(dg° + dy°), l’identico calcolo fatto nel piano conduce al risultato che condizione neces- saria e sufficiente, affinchè le linee 8 = cost. insieme colle linee ortogonali 0,= cost. costituiscano un sistema di traiettorie del punto mobile, è che 0 verifichi simultaneamente le due equazioni (2) 4,0=2(UH4- kh) , 40=0. Il sistema (0,6) è allora isotermo. Le espressioni 4,0, 439 sono i parametri differenziali di Beltrami cal- colati in coordinate (pg, %); per le proprietà ben note dei parametri diffe- renziali sarà indifferente calcolarli con queste coordinate o colle primitive (u,v): quindi le condizioni (2) valgono in coordinate qualunque. La questione è così ridotta a trovare le condizioni affinchè le (2) am- mettano soluzioni comuni. Ora ponendo Luv. e (2) sì scrivono (o) +9 anta ma questo sistema coincide precisamente, nella forma, col sistema (3) della LASER mia Nota citata, ed un calcolo identico a quello svolto colà mostra che le condizioni domandate si riducono all’ unica dà lg V dà lg V Igp? a 0, dY° ossia, sostituendo per V la sua espressione precedente, e introducendo la curvatura totale K della superficie, che è data da (4) 2K=—A;lgà, 2KhA° + (4KU —4,U)h+4(2K—4,1gU)U?=0. (3) Siccome U non deve dipendere da X, dovrà aversi, fintantochè % non è nulla, K=0, 4KU—4,U=0, 2K—- 4;.lgU=0, ossia KW Ul —icosì Adunque: Salvo i caso che il movimento avvenga sopra una super- ficie sviluppabile sotto l’azione di forze nulle, non è possibite comporre le traiettorie in sistemi ortogonali (isotermi) se non a condizione che la costante delle forze vive sia nulla; affinchè la cosa sia possibile occorre di più che la funzione potenziale verifichi l’ eguaglianza (5) 4,l}gU=2K. Queste due condizioni sono anche sufficienti. Evidentemente la (5) si può intendere scritta in coordinate (uv) qua- lunque. 3. Si può osservare che si perviene alla (3) anche per un'altra via. Come si è già ricordato, le traiettorie della superficie data corrispondono alle geodetiche di un'altra superficie di elemento lineare ds?=2(U+ 4) ds?: la questione adunque di vedere se sulla prima superficie le traiettorie si possano distribuire in sistemi ortogonali, equivale a quella di riconoscere se sulla seconda si possano formare dei sistemi ortogonali colle geodetiche. Sup- posto che ciò sia possibile, e riferita la superficie ad un tale sistema orto- gonale, la formola di Liouville (') 2 /(A ® E=1 (2° 2163), H\u dv | du è dV 0 che esprime la curvatura totale per l'angolo w delle linee coordinate e le (1) V. Bianchi, Lez. di geom. diff., pag. 147. acc DR dale nt . curvature geodetiche I delle linee stesse, mostra senz’ altro che la super- 1 ficie è a curvatura nulla. La condizione che si cercava per le traiettorie dell data superticie si esprimerà dunque scrivendo che è nulla la curvatura della forma ds 2(U:-4- #) dsé e se prendiamo per semplicità dst=A4(dg° + dy?), troviamo come condizione dg 4(U+ 4), dIg4(U+A) a EE) iii! du? dv° ni che è appunto la (3). 4. Facendo, nella (5), K=0 si ricade nell'equazione che s' era trovata studiando il movimento di un punto nel piano ('). Del resto anche nel caso che la superficie sia qualunque, si può sempre ritenere che U dipenda da un'equazione della forma (5) col secondo membro nullo; difatti le (2) dicono che per avere U basta integrare l'equazione 4,9= 0, dopo di che la U si ottiene dalla 4,9= 2U senza ulteriori quadrature. Prima di passare alla effettiva ricerca delle traiettorie nei movimenti che andiamo esaminando, notiamo ancora una proprietà che emerge dall’ equa- zione (5) cui deve soddisfare la U. Riferendoci ad un sistema isotermo (g , y), la (5) si può scrivere, in causa della (4): 4A,}gU+4,lg4=0. Ora questa equazione è simmetrica rispetto a Z e U, e quindi si ha il seguente notevole teorema di permutabilità: Se sopra una superficie di elemento lineare ds =2 (dg? + d4?) avviene un movimento della natura che consideriamo sotto l’azione di forze di potenziale U, si avrà un movimento analogo sopra una superficie di elemento lineare do° —U (dp° + dy?°) sotto l’azione di forze potenziale À. Le traiettorie sia dell’una che dell’ al- tra superficie corrispondono alle geodetiche di una stessa superficie il cui elemento lineare è dato da ds = 240 (dg? + dyw?). 5. Vediamo ora come si ottengono le traiettorie quando, essendo nulla la costante delle forze vive, la funzione potenziale soddisfa alla condizione (1) La formola (7) della mia Nota citata. riga che abbiamo trovato, quando, cioè, le traiettorie si possono distribuire in sistemi ortogonali (isotermi). Il calcolo si può svolgere in modo analogo a quello svolto nel caso della superficie piana. Il problema consiste, in sostanza, nel trovare le soluzioni del sistema (2) con 4=0, cioè le soluzioni comuni alle due equazioni (!) / 290\? po Ple) \ E(5,) —2 SE Ù Font (2) H? 20 6 di o d_ w WI dI dU | dU H 1 dv H ii Posto BI EI E 2? BI (7) d dv dv du H == 6, ’ Hi “n 60, È) le equazioni precedenti si trasformano nelle altre dI. 6 (6) de ° — 25U pei Se d'altra parte le n sì possono anche scrivere 30 __E60, + F6, 329 __F0, +66, Qui H gii H ? ed allora dalle (6’), (7°) eliminando @ si ottiene il sistema seguente, che equivale al sistema (6): (7) | E6,° + 2F 6, 0, + G6,° = 2H°U di dd 0 (8) DU dv DR o RO SH RO Una volta calcolate 0, e 0,, dalle (7°) si ha immediatamente @ con una quadratura. Se ora dalla prima delle (8) ricaviamo 0, e la sostituiamo nelle due rimanenti, si trovano per 0, le equazioni (odi _LoGu—=6* 2412) plleU_ pIsÙ SEIT È 2 =+y2GU 0, G (1 + (1 È Se) ]+e 1 i io dI, Frs 2 dit PÒ 30) alg(( È “ina y260—9 = br: (+ (Gt ) ag (1) Un caso particolare di questo sistema sì presentò, nel piano, al prof. Morera, nel $ IV della sua Nota Sulla separazione delle variabili nelle equazioni del moto di un punto materiale su una superficie; Atti della R. Accad. di Torino, 1881. oa dove si sono introdotti per brevità i simboli di Christoffel QE 36 n IG ET TOG F ri È 4.26 Su (12) I (22) | (1°) 2H? i) 2H? Osserveremo che la condizione d'integrabilità delle (9), tenendo presente che la curvatura K si può esprimere colla formola cm [3(600))- 30610) 4.100 =2K, sì scrive che è precisamente l'equazione (5) trovata addietro. Ed ora per integrare le (9) non vi è che da porre =nV2GU, _ col che le (9) si trasformano in queste altre: 2 + (fel el) + y1— xy? du CO I 5 du dv 2 dn 2H (22); ;.1 dg U dg U AE A pui 26 EDS cia g(14to( CREME ) di qui integrando si ha = arcsenyn=a+P, dove 4 è una costante arbitraria, ed inoltre si è posto dA O] e dg U dg U ) +? (+a(e du cas dv )]e} n= = sen (a + P) Si ha dunque e quindi 6,= > Y/2GU sen(a+P). Nota 0,, la prima delle (8) ci fornisce 6}: o,= 12601 pente +P)+Hoos(a+P)], RenpIcONTI. 1902, Vol. XI. 2° Sem. DD LIO ed infine dalle (7) abbiamo SO rai, (a+ P) + F cos (a+ P)] (10) } du a YZ2G0 cos(a +P), dalle quali otteniamo @ con una quadratura. Si può dare a queste equazioni un'altra forma introducendo l’ angolo w delle linee coordinate. Si ha infatti cosm=—== , Senm=—===, VEG E onde H sen (a+ P) + F cos(a-+P)=]/EG cos (4 +P — w). Le (10) diventano quindi 7 (o) == Ò = (10) È — =2ETcos(1+P—) , Dì 2q/2GU cos (a+P). Il confronto di queste formole e dell'espressione di P colle analoghe che si son trovate nel piano mostra che queste rientrano in quelle generali ora ottenute. 6. I sistemi ortogonali isotermi di cui trattiamo, costituiti di sole tra- iettorie del punto, si avranno dunque, come si sa, associando all’ equazione o) 60(u,v,a)=cost. (con a fissa una qualunque) l'altra = = cost. (1). Fa- cendo poi percorrere ad 4 tutti i valori, quest’ ultima equazione rappresenta tutte le traiettorie del punto. Ma anche qui vi sarà da fare la stessa osservazione che già si fece nel caso del piano, che, cioè, anche l’altra equazione 6 (w,v,a)= cost. deve rappresentare le traiettorie (?). La cosa si verifica senz altro sulle nostre equazioni; poichè se scriviamo distesamente le equazioni 6 cost., Di _oosk,, otteniamo, per le (10'): S}VEU cos (a + P — 0) du+ VGU cos (a +P) do {= d SIVEU sen (a +P — 0) du +-J/GU sen (0 +P)dv{=%', ortogonalltaàa del sistemi = Cost, — = cost. risulta subito direttamente osser- (1) L'ortogonalità dei sistemi 9= cost, °' — cost. risulta subito direttament vando che la derivazione, rispetto ad @, dell'equazione 4,9 = 2U a cui soddisfa 6, con- duce alla relazione 7 (0 } Se) =0, dove / indica il parametro differenziale misto di Bel- trami; e questa relazione esprime appunto l'ortogonalità dei due sistemi considerati. (2) Nota citata, n. 5. CSR e dalla seconda si passa alla prima colla sostituzione d=a+5 , b=—b In conclusione sì ha: Ze condizioni, affinchè nel movimento di un punto su una superficie le n° traiettorie corrispondenti ad un medesimo valore della costante delle forze vive si possano distribuire in sistemi ortogonali, sono che la costante delle forze vive sia nulla (tolto il caso che il movi- mento avvenga su una sviluppabile con forze nulle), e la funzione poten- ziale soddisfi all’ equazione le traiettorie si ottengono allora con due sole quadrature, ed i sistemi ortogonali a cui danno luogo sono isotermi. Matematica. — Contributo alla teoria degli insiemi. Nota del prof. Errore BoRTOLOTTI, presentata dal Socio U. DINI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — A/cune esperienze sull'arco cantante di Duddel. Nota di M. AscoLi e R. MANZETTI, presentata dal Socio BLASERNA. Il Janet (') ha proposto recentemente lo schema dell'arco cantante di Duddel, come un metodo per la determinazione dei piccoli coefficienti di autoinduzione. Se nel circuito derivato sull'arco e contenente la capacità e l’autoinduzione è noto il valore della capacità, dell'intensità di corrente, e della differenza di potenziale agli estremi dell’autoinduzione e se si ammette la condizione di risonanza si ha i 10 i Ci siamo occupati di esaminare entro quali condizioni questo metodo potesse essere adottato nella pratica; ed avendo osservato delle divergenze troppo forti fra i valori veri di L e quelli misurati con questo metodo, ne abbiamo ricercato le ragioni. Una prima quistione che si presenta in queste misure è quella degli istrumenti da adoperarsi per misurare l'intensità di corrente e la differenza di potenziali. Nel solito schema di Peuckert (2) si posero in serie un con- ie0 (1) Comptes Rendus, 1902. (2) E. T. Z. 1901. — 2 - densatore di 6,96 m. f., un elettrodinamometro con coefficiente di autoinduzione di 1,080.10-3 henry, un amperometro termico Hartmann e Braun, ed un ampe- rometro Hummel a falce avente. l’avvolgimento sopra una bobina metallica. Si ottennero i seguenti risultati per diversi valori della corrente oscìl- lante del circuito derivato. Amp. Termico Elettrodin. Amp. Hummel 12,0 .A. 5,0. A. 2,4 A. 10,5 A. 4,75 A. 2,1 A. MI OTAS 3,68 A. 1.9 A. L'elettrodinamometro dà i valori veri della corrente: si vede che le indicazioni degli altri istrumenti sono straordinariamente diverse. Tale com- portamento si spiega perfettamente: nell'amperometro termico il filo sottile che si riscalda è percorso da una corrente derivata sopra uno shunt che è di filo molto grosso ed ha una certa autoinduzione. Si capisce che nello shunt aumenta sia la resistenza ohmica per lo skin-effect, sia l’impedenza, quindi il filo sottile è percorso da una corrente maggiore della normale, e le indi- cazioni dello strumento sono maggiori del vero. Nell’amperometro Hummel non shuntato, le correnti di Foucault che si generano nella bobina metallica assorbono la più gran parte dell'energia e l’istrumento dà indicazioni minori del vero. Per ciò che riguarda i potenziali è esatto un voltmetro elettrostatico Carpentier, mentre dà indicazioni minori del vero un voltometro a filo caldo. Si possono quindi adottare in queste misure solo l’elettrodinamometro e il voltmetro elettrostatico. Il coefficiente di induzione da misurarsi era quello dell’ettrodinamometro. Per ottenere l'arco fischiante era preferibile questo metodo: Si comin- ciava a produrre l'arco molto corto e molto intenso; poi si diminuiva con continuità la corrente con un reostato a liquido che era posto in serie coll’arco, fino ad avere il suono puro cercato. In tali condizioni furono fatte una serie di misure determinando l'intensità di corrente e il potenziale agli estremi dell’elettrodinamometro. Ottenemmo i seguenti risultati : V 63,2 63,2 65,2 62,7 62,7 60,7 61,0 72,2 72,2. 68,5 I 3,83 3,83 3,89. 3,83 3,80. 3,80 3,70. 3,22 3,13 3,18 Cc 6,96 .10-9 — —_ — —_ —_ —_ 3,97 .1079 Tt(calc.)i 1891075881: 89882:02 MESSE 1 L89209 1,80 1,62 L (vero) 1,080.1073 — _ —_ = = Dre PS ze pes Si vede subito che il valore di L misurato con questo metodo è ben diverso da quello vero, e le variazioni son tali da non potersi spiegare con errori di misura. Per avere una ragione di questa divergenza così forte, provammo se essa SIA poteva essere spiegata col fatto che la resistenza del circuito non era trascu- rabile. Si avrebbe in tal caso: i o RE a DO AL? x ma è w = IL onde e__ 4L 4V2 su dalle misure fatte si deduce V?:I*=1090 1090 1160 1070 1090 1080 1080 2010 2130 1920 dba 6020 — 1 — — —_ — 1280 — —_ Si vede che R° è negativo. Ciò significa che non è possibile spiegare questo fatto col supporre ron trascurabile la resistenza ohmica del circuito. Calcoliamo il valore della capacità supponendo noto il coefficiente di autoinduzione. Si ottiene in media: C misurato 3,30. 1075 84% 10=9 C vero 69721059 9,07 .10-9 Se ne deduce che se le divergenze fra le misure con questo metodo e quelle eseguite con altri metodi (adottando cioè frequenze più basse) si do- vessero ascrivere a variazioni di capacità per la variabilità della costante dielettrica della carta paraffinata del condensatore, essa dovrebbe diminuire colla frequenza. Ora tutte le esperienze fatte sopra diverse sostanze, vetro, ebanite ecc. dimostrano invece che la costante dielettrica cresce col crescere della frequenza, quindi sembra altamente improbabile che questa sia la causa del fatto constatato. Se ne può concludere che, analogamente alle esperienze Righi ('), anche il circuito derivato all'arco cantante non si comporta come un circuito per- corso da correnti alternate col periodo determinato dalle costanti del circuito, e che le divergenze non si possono spiegare nè colla variazione delle costanti del circuito stesso per effetto della frequenza, nè col tener conto di un ter- mine trascurato nell'ipotesi Janet (la resistenza del circuito). Non resta altra ipotesi che la causa del fenomeno sia dovuta alla forma della corrette, o, ciò che è lo stesso, che la corrente non sia data da una oscillazione semplice, ma dalla sovrapposizione di almeno due oscillazioni semplici; ed abbiamo allora ricercato se lo stroboscopio ci permettesse una tale analisi. (*) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1902. ATE) DS Si abbia un disco di circa 25 cm. di diametro diviso in 16 settori alternativamente colorati in bianco e nero; il disco ruoti con una velocità variabile fino a circa 50 giri al secondo. Allorquando il disco rotante viene illuminato colla luce di un arco - cantante, si può osservare questo fenomeno: In determinate condizioni di velocità si vede il disco come fermo, e composto da. settori alternativa- mente grigio chiari e grigio scuri. Il numero dei settori non è lo stesso di quelli disegnati nel disco come. nella ordinaria esperienza stroboscopica con un arco a corrente alternata, ma un numero multiplo di essi, ed il mul- tiplo varia a seconda della velocità del disco ed a seconda delle condizioni dell'arco. L'esperienza era condotta così: I Si faceva ruotare il disco con velocità approssimativamente uniforme: sì portavano a contatto i carboni dell'arco, e poi si allontanavano gradata- mente in modo da produrre il fischio. Seguitando ad allungare l'arco com- parivano man mano sul disco i settori secondo diversi multipli generalmente di 2 e 6, poi sì seguitava a sentire il fischio ancora per un certo tratto, ed infine cessava anche il suono. Oppure: Si manteneva costante la velocità del disco e la lunghezza dell'arco, e si faceva variare con continuità l’intensità della corrente: anche in questo caso si otteneva il fenomeno sopra descritto. L'esperienza era nettissimamente visibile. La spiegazione del fenomeno stroboscopico impreveduto non poteva essere data dalla supposizione di una sola vibrazione luminosa esistente nell'arco. Pensammo quindi di verificare sperimentalmente con lo stroboscopio stesso se vi fossero 2 o più velocità del disco per cui fossero visibili i settori in numero uguale a quelli esistenti, essendo in tal caso il periodo della oscil- lazione luminosa uguale al periodo di riapparizione in un punto di uno dei settori. E difatti coll’arco nelle condizioni precedentemente dette, per velocità del disco molto piccole (corrispondenti forse a 40-50 alternazioni) si pote- rono osservare i settori fermi e nello stesso numero di quelli disegnati. Il fenomeno è ancora nettamente visibile, ma più sbiadito. Nell'ipotesi che una delle oscillazioni luminose avesse il periodo deter- minato dalle costanti del circuito, cercammo osservare di nuovo il disco fermo crescendo la velocità. Per osservarlo però (non potendo giugere col disco a quella frequenza) si dovette diminuire la frequenza dell’oscillazione propria del circuito introducendo nel circuito derivato un'autoinduzione mag- giore, da 2-3 10-73 henry, ed una capacità di circa 40 mf. (era allora n= 800 circa). i In tali condizioni il fenomeno si ebbe nettissimo. Aumentando gradatamente la velocità del disco e mantenendo costanti le 2 condizioni dell'arco, si osservavano ad un primo istante i settori nello stesso numero, poi i multipli successivamente crescenti da un numero elevato fino al doppio dei settori disegnati, poi di nuovo i multipli crescenti, ed infine i settori di nuovo fermi nello stesso numero. In questo ultimo caso i settori avevano una differenza di tinta straordinariamente marcata e vi poteva mantenere questo effetto (restando costante la velocita) anche va- riando sensibilmente le condizioni dell'arco, mentre nella prima porzione la più piccola variazione delle condizioni dell'arco produceva la sparizione del fenomeno. Che una delle oscillazioni, la più bassa nelle nostre esperienze, dipen- desse esclusivamente dall'arco, poteva essere dimostrato collo stesso strobo- scopio. Se si illumina il disco girante a bassa velocità con l'arco a corrente continua (essendo escluso da un interruttore dipolare il circuito derivato) il disco si osserva solo uniformemente grigio. Ma se si comunica all'arco un impulso iniziale p. es. tenendo aperto il circuito derivato con un interruttore semplice, allora l'arco vibra per proprio conto e si osserva allo stroboscopio il fenomeno solito. Però non si osservano mai i multipli, ciò che indica non esservi la vibrazione dell'altro circuito come nel caso precedente. Il fenomeno è visibile, ma relativamente pallido. In queste esperienze preliminari non abbiamo potuto eseguire delle misure per sapere entro quale approssimazione la oscillazione più rapida coincidesse col periodo proprio del circuito, e dentro quali limiti variasse quella più lenta, riserbandoci di farlo in appresso. Si può ritenere però assodato sperimentalmente, che nel fenomeno dell'arco di Duddel siamo in presenza di almeno due oscillazioni luminose e quindi sonore ed elettriche di diverso periodo. Una di periodo più basso, che diremo propria dell'arco, che dipende essenzialmente dalle condizioni di questo e cioè dall’intensità di corrente, dalla natura dei carboni, dalla lunghezza, e molto probabilmente anche dalle condizioni del circuito derivato che influisce per effetto della sua corrente che si scarica attraverso l'arco; un'altra di periodo più elevato che dipende dalle costanti del circuito derivato. È semplice allora la spiegazione del fenomeno. Si hanno due sistemi che hanno ognuno un periodo di oscillazione pro- pria, e corrispondentemente a questi si ha oscillazione di corrente, oscillazione di intensità luminosa e vibrazione sonora comunicata all'aria circostante. Non abbiamo mezzi sperimentali (a meno di non descrivere la curva della intensità) di distinguere i due diversi periodi nella corrente. Lo stroboscopio invece ci dà il mezzo di separare le due oscillazioni componenti dell’inten- sità luminosa. Probabilmente dei metodi acustici permetterebbero di analiz- zare 1 suoni elementari. SA Si potrebbe estendere questa ipotesi non solo all'arco di Duddel, ma anche agli altri metodi con cui si sono ottenuti fenomeni sonori; p. es. alle fiamme del Rihmer e alle scariche nei tubi a gas rarefatto del Righi, dappoichè le esperienze di quest'ultimo ‘non sono in contrali dizione con essa, anzi se - ne possono ritenere una conferma. Meritano una discussione analitica più accurata i fsnomeni Rn che abbiamo più sopra semplicemente descritto: ed è quanto faremo in una prossima Nota. Chimica. — Sopra alcuni derivati del pirrolo. Nota di A. AvceLI, F. AnceLIco ed. E. CALvELLO ('), presentata dal Socio CIAMICIAN. Le ricerche che abbiamo eseguite sopra i nitrosoindoli e nitrosopirroli hanno confermato pienamente l’ esattezza delle vedute che noi abbiamo esposte tre anni or sono sopra la struttura del nitrosofenilindolo di E. Fischer, l’unico composto di questa classe che fino allora era noto. Proseguendo i nostri studî sopra queste sostanze, noi abbiamo stabilito un metodo generale che permette di preparare con ottimi rendimenti i nitrosoindoli.ed i nitrosopirroli, ed in tal modo ci è stato possibile studiare il comportamento di questi interes- santi composti e di porre in rilievo anche l'analogia che presentano con i nitrosofenoli. Come abbiamo più volte accennato, solamente quegli indoli e quei pirroli che hanno libero un atomo in posizione $ possono venir trasfor- mati nei corrispondenti nitrosocomposti (*). Operando con nitrito di amile ed alcoolato sodico, si ottengono direttamente i sali sodici, ai quali con grande probabilità spetta la struttura: —C— CH —C— C:NONa SS) ISIS S'Oihe— ole ia N NA NH N Il nitrosofenilindolo ed il nitrosotrifenilpirrolo che sì pongono in libertà per mezzo dell'anidride carbonica o dell'acido acetico sono colorati in giallo; giallo è pure il nitrosometilindolo; però la soluzione cloroformica di questa sostanza, specialmente a caldo, possiede una colorazione che tende al ver- dognolo. (!) Lavoro eseguito nel laboratorio di chimica farmaceutica della R. Università di Palermo. (2) Questa reazione si può anche utilizzare per stabilire la struttura di alcuni pirroli. In tal modo si potrebbe, per esempio, subito decidere se l’emopirrolo di Nencki (Ber. XXXIV, 1687) sia da considerarsi come un isobutilpirrolo ovvero come un metilpropilpirrolo.. Il pirrolo ed i pirroli sostituiti con radicali alifatici forniscono del pari con tutta facilità i sali sodici dei nitrosoderivati; così abbiamo preparato i sali del nitrosopirrolo, del a-@ dimetilpirrolo e del dimetilpirrolo asimmetrico. Tali nitrosopirroli, allo stato libero, sono instabilissimi; se però si decom- pone con le volute cautele il sale sodico del dimetilpirrolo asimmetrico si nota un fatto interessante; ponendo uno strato di etere sopra una soluzione acquosa e diluita del sale sodico (colorata in giallo) e quindi si acidifica con acido solforico diluito, l'etere assume una bella colorazione verde, che poco a poco scompare. Ciò dimostra che l isonitrosopirrolo che si pone in libertà assume la forma di un vero nitrosoderivato CH; C —C:NOH CH3C—C.N0 TOGA Dl HC CCH; a HC CCH, 7 VA N NH e come tale è colorato in verde. Alquanto diverso è il comportamento dei nitrosoindoli da quello dei nitrosopirroli rispetto all'idrossilammina. I primi infatti non vengono decom- posti da questo reattivo, mentre invece le soluzioni dei sali dei nitrosopir- roli vengono facilmente scolorate. In tal modo, partendo p. e. dal sale sodico HC — C:NO Na i CH;C CCH; RZ N sì ottiene un prodotto il quale con tutta probabilità è da considerarsi come la triossima CH;.C(NOH).CH;.C(NOH).C(NOH).CH;. Come tale fornisce un derivato tribenzoilico. Questa reazione è perfettamente analoga a quella scoperta dal professore Ciamician e che permette di trasformare i pirroli nelle diossime dei y-di- chetoni. Un'altra differenza fra nitrosoindoli e nitrosopirroli si rende manifesta quando si sottopongano all’azione dei mezzi ossidanti. I primi infatti, come noi abbiamo trovato, in modo analogo a quanto fanno i nitrosofenoli, forni- scono i corrispondenti nitroderivati. I nitrosopirroli invece, sottoposti allo stesso trattamento, subiscono una decomposizione profonda che non ci ha permesso di arrivare a prodotti definiti. Giovandoci però di un’altra reazione RenpiconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 5) SEE, DI ci è stato possibile ottenere sostanze le quali molto probabilmente sono da considerarsi come i sali dei f#-nitropirroli. A questo scopo abbiamo impie- gato lo stesso metodo che, anni addietro, ha condotto uno di noi alla sco- perta della nitroidrossilammina; abbiamo fatto reagire sopra il pirrolo il - nitrato di etile in presenza di sodio metallico. Si ottiene così una polvere cristallina, colorata in giallo bruno, che si scioglie nell'acqua con colora- zione giallo-aranciato e fornisce precipitati del pari colorati con le soluzioni dei metalli pesanti. Nel vuoto si conserva bene; invece quando è secco, all'aria oppure nel- l'essiccatore, dopo qualche minuto si infiamma spontaneamente e deflagra come la polvere pirica. Il sale d'argento, per riscaldamento, esplode facil- mente e con grande violenza. In questa reazione il pirrolo si comporta in modo analogo a quanto Thiele (!) ha trovato per il ciclopentadiene ed il nuovo composto, con tutta probabilità è da riguardarsi come il sale sodico dell'acido pirrolnitronico HC — C:NOOH ISS HCO 0 NE N Nella « Gazzetta chimica » faremo seguire la descrizione dettagliata delle esperienze che si riferiscono a questa Nota preliminare. Chimica fisiologica. — Su un nuovo proteide del cervello. Nota di C. ULPIANI e G. LELLI, presentata dal Socio PATERNÒ. Durante una serie di ricerche instituite per preparare il protagone dal cervello onde meglio definire l'individualità chimica di esso, noi ci siamo venuti persuadendo che il protagone non esiste nel cervello allo stato li- bero, ma si trova legato ad una sostanza proteica. Dopo un lungo lavoro di orientamento siamo riusciti ad isolare questa combinazione, ad analizzarla e scinderla nei suoi componenti: paranucleina e protagone. Secondo le ultime vedute dei chimici fisiologi la paranucleina è il tipo più semplice dei proteidi in quanto che in essa il gruppo prostetico legato all'albumina è rappresentato dal solo acido fosforico. Nel paranucleo-prota- gone questo gruppo prostetico si fa complesso, perchè in esso all'acido fosfo- rico della paranucleina si aggiunge la grande molecola del protagone, cosic- chè vengono a trovarsi insieme, fusi in una sola molecola, i rappresentanti (1) Berliner Berichte, XXXIII, 670. ZI dei tre grandi gruppi di sostanze che compongono l'organismo animale, ossia, un'albumina, i grassi della lecitina, della cerebrina e della cerasina, gli zuccheri riduttori dei cerebrosidi. L'esistenza di simili enormi complessi molecolari è già stata intravista : Walter (*), riprendendo lo studio dell’ Ittulina, vitellina scoperta nelle uova di salmone da Gobley (?), discute la possibilità che l'Ittulina sia una com- binazione del protagone colla para-nucleina; ponendo a digerire col succo gastrico artificiale la Ittulina egli trova nei prodotti di digestione oltrechè la para-nucleina anche acidi grassi e sostanze riducenti, e sospetta che la para-nucleina sia legata al protagone, ma in seguito non avendo potuto iso- lare il protagone e d'altra parte avendo trovato nella para-nucleina una sostanza riducente lascia irresoluta la questione. In quanto al protagone, che esso sia un individuo chimico definito è ormai fuor di dubbio. Questo interessante composto fu per la prima volta ottenuto da Liebreich (*) che gli diede la formula C*!5 H?4! N* PO°?. Hoppe Seyler (*), Diakonon (*) e Strecker(°) ritennero che fosse una mescolanza di cerebrina e lecitina; però Gamgee (?) e Blankenhorn confermarono i risul- tati di Liebreich e diedero la formula C!° H8°8 N° PO55 e più tardi Baum- stark (*), Kossel e Fraytag hanno tutti contribuito a stabilire che il prota- gone è una sostanza unica: solo Thudichum (°) si è ostinato a combatterne l'esistenza. Ormai, secondo tutti gli autori il protagone è la combinazione della lecitina con i cerebrosidi: cerebrina, cerasina, encefalica, corpi di composi- zione molto simile, separabili per mezzo della cristallizzazione frazionata delle soluzioni alcooliche calde e formati da acidi grassi e zuccheri. Schulze (’°) in una recentissima Memoria è riuscito ad identificare nella cerebrina la galattosamina. Nelle nostre ricerche per l'estrazione del protagone dal cervello ci siamo serviti del metodo di Gamgee e Blankenhorn che ci è sembrato il migliore. Due cervelli di cavallo liberati per quanto è stato possibile dalle me- ningi e dal sangue, sono stati spappolati in alcool ad 85 e tenuti per do- dici ore ad una temperatura di 45°. Dopo di che si è filtrato per raffred- (1) Walter, H. S. Deutschephis. Chem, 15, pag. 477-494. (2) Gobley, Journ. de Pharm. et de Chimie, III serie, T. XVII, pag. 401. (3) Liebreich, Ann. Chem. u. Pharm. B. CXXXIV, pag. 2944. (4) Hoppe Seyler, Med. chem. Untersuch. Heft. 2, pag. 220. (5) Diakonon, H. S. Med. chem. Untersuch., Heft. 2, pag. 221. (9) Strecker, Ann. der Chem. und Pharm., Bd. 72, pag. 77. (") Gamgee e Blackenorhn, Zeitschr. phys. Chem., III, pag. 260-283. (8) Baumstark, H. S. XVII, pag. 430. (*) Thudicum, Journal fir Prak. Chem. 25. pag. 19. (19) Id., 1. cit. 53, pag. 49. — 20 — damento a 0° si è depositato in fiocchi bianchi il protagone; in questo modo sì sono fatte estrazioni fino a che si sono avute convenienti quantità di pro- dotto che sono state tutte insieme riunite e spappolate in etere per togliere le colesterine e le lecitine mescolate, quindi ricristallizzate dall’ alcool ad 85 - a 45°. In questa preparazione abbiamo potuto ben conoscere il protagone; lo abbiamo analizzato ottenendo risultati concordanti con quelli di Gamgee e Blakenhorn, lo abbiamo scisso nei suoi componenti ottenendo la cerebrina da cui per cristallizzazioni frazionate si è separata la cerasina, identificando la prima col potere riducente del suo zucchero, e la seconda che era in poca quantità, dal punto di fusione; abbiamo inoltre studiato le proprietà fisiche e chimiche del protagone e fra esse ha fermato la nostra attenzione la sua estrema solubilità nel cloroformio che prima nessuno aveva avvertito. Da esse soluzioni il protagone è precipitato dall’acetone, dall’ etere acetico, dall'alcool, quindi abbiamo pensato a servirci di queste proprietà per un nuovo metodo di estrazione. Anche la lecitina è solubile in cloroformio, ed in precedenti studî uno di noi ha applicata questa sua solubilità all'estrazione diretta dei tuorli di uovo servendosi come precipitante dell’acetone. Essa non è precipitata al contrario del protagone nè dall'alcool, nè dal- l'etere acetico, proprietà utilissima per separare il protagone dalla lecitina; infatti, in seguito a ciò, nelle nostre preparazioni del protagone dal cervello, escluso l'alcool perchè lo scioglie abbastanza, ci siamo serviti per precipi- tare le soluzioni cloroformiche di protagone dell'etere acetico che, lasciando in soluzione i grassi, le colesterine e, come sopra si è detto, le lecitine in- solubilizza totalmente il protagone. In questa preparazione col cloroformio, contro la nostra aspettazione, invece che il protagone abbiamo ottenuto un composto che filtrato e lavato con etere acetico, è divenuto insolubile in tutti i solventi organici ed anche nello stesso cloroformio in cui prima era tenuto probabilmente in soluzione dai grassi, dalle colesterine e dalle lecitine. Preparazione del paranucleo-protagone. I cervelli di cavallo liberati dalle meningi e dal sangue vengono spap- polati in cloroformio col quale il cervello forma una amalgama che solo dopo molti giorni lascia separare un denso e limpido strato di cloroformio. (Nelle nostre ultime preparazioni abbiamo potuto far subito separare quasi tutto il cloroformio senza che si alterasse menomamente la sostanza me- diante riscaldamento a 45°). Il cloroformio filtrato viene trattato con circa lo stesso volume di etere acetico e l'abbondante precipitato così ottenuto, filtrato, viene spappolato in Lo etere, filtrato di nuovo e tenuto ad esaurire in Soxlet con etere e poi con cloroformio. Il prodotto è affatto insolubile in questi solventi; seccato nel vuoto su acido solforico e polverizzato, ha dato all'analisi i seguenti risultati : gr. 0,2762 di sostanza bruciata con cromato di piombo, ossido di rame e spirale di rame hanno dato: gr. 0,2174 di H°O e gr. 0,6158 di CO?. Co 60,79 H°/ 8,74 gr. 0,4208 di sostanza bruciati con ossido di rame e spirale di rame ridotta han dato alla pressione di 750 mm. ed a una temperatura di 24,3 Cme di N23,6 corrispondenti a gr. 0,0261. N°/ 6,2 gr. 0,9414 bruciati con HNO? in tubo chiuso a 2008 han dato gr. 0,0548 di Mg? P° O”. Phi; 01:62. Demolizione del paranucleo-protagone con alcool. Il resto della sostanza è stata trattata con alcool ad 85 e 45° e dopo raffreddamento a 0° filtrato. Dopo questo trattamento con alcool la sostanza che prima era insolubile in cloroformio, è divenuta in gran parte solubile in questo solvente. Infatti tenuta in Soxlet con cloroformio, solo in parte è rimasta insolubile, la maggior parte si è disciolta. La soluzione cloroformica precipita con alcool, etere acetico, acetone; precipitata con etere acetico, ha dato una sostanza bianca, le cui proprietà fisiche e chimiche erano identiche a quelle del protagone. gr. 0,2510 della sostanza secca bruciati con ossido di rame e spirale di rame ridotta hanno dato gr. 0,2363 di H°O gr. 0,6134 di CO?. C°/ 66,67 H°/, 10,45 gr. 0,2197 bruciati come sopra hanno dato gr. 0,2086 di H?O gr. 0,5372 di CO?. C°/ 66,67 H 10,54 gr. 0,3466 di sostanza bruciati con ossido di rame e spirale di rame ridotta hanno dato a una pressione di 756 mm. e ad una temperatura di 21,5 Cmc di N8,1 corrispondenti a gr. 0,00916 N°/ = 2,64. gr. 0,2845 bruciati come sopra hanno dato a una pressione di 751 mm. e ad una temperatura di 19 gr. 6,3 di N corrispondenti a gr. 0,007156. N°, 2,51 gr. 0,8649 bruciati con HNO* in tubo chiuso a 200° hanno dato gr. 0,0432 diiMo 2501, Ph®/041,38 DO o gr. 0,4274 bruciati con HNO? in tubo chiuso a 200° han dato gr. 0,0192 di. Mp? dhe — Nelli, Cardium sp. Poichè si tratta quasi solo di nuclei che possono essere discussi ho messo dei nomi approssimativi, quantunque i Peczer siano distin- guibili anche dalla sola impronta della parte interna. Quand'anche si tratti quasi di sole approssimazioni e quand’anche le specie si indicassero tutte con nomi nuovi insieme con le specie nuove che è pur possibile esistano (!), pure le forme indicate trovano analogie complete, non già nel Miocene in- feriore o nell’ Eocene, pur già paleontologicamente tanto noti e sotto tutte le loro forme batimetriche in Italia e nelle regioni vicine, ma solo nel Miocene medio. Del resto e roccia e modelli sono perfettamente identici a quelli che, insieme a fossili meglio conservati del Miocene medio, scopriva in tutto l'Appennino Aquilano il Chelussi, acuto sceveratore della geologia di quella regione. Per tali ragioni, si debbono ritenere i calcari a Pecten e briozoi di Subiaco appartenenti al Miocene medio come i calcari seguenti. Quei cal- cari superiormente, in breve altezza di strati, fanno passaggio alle arenarie di cui si dirà poi, diventano grigio-scuri e glauconitici e con la stessa ancor rarissima Amphistegina, o altro che sia, e con qualche solito Pecten, con- tengono altre bivalvi e Gastropodi certamente appartenenti al Miocene medio. Nel bacino del Sacco a Ferentino, al Camposanto e sotto la città a im- mediato contatto con la Creta, si ripete il calcare, inferiormente talora grigio- scuro, quasi carbonioso, e passante ad una salda arenaria, poi chiaro, sempre screziato, superiormente per larghi tratti compatto e assai marnoso. Inferior- mente ho veduto talora la solita Nummulitidea: il calcare è sempre orga- nogenico e costituito da minutissimi frantumi di organismi grossolani; però superiormente, dove è più marnoso, lo compongono quasi solo minute fora- minifere di mare profondo. Rari strati qui presentano sulla superficie ben conservati briozoi. Il calcare chiaro, a briozoi, a Miogypsina ed altre foraminifere, Cono- crinus, radioli d'Echino, frammenti di Pecten e di qualche altro mollusco, si ripete sul Sacco, a Sgurgola e a Morolo, immediatamente sopra la Creta come a Ferentino. Indipendentemente da questa lo ritroviamo più a valle a spazi fra le costole rilevate non sono occupati dalle sottilissime lamine trasversali. Vari nuclei appartenenti probabilmente al P. Zaveri sono identici a nuclei di Acqui, di S. Ma- rino, di Monte Cedrone, l’età de’ cui terreni non è discussa. (1) Nel Miocene medio dell'Atlantico e specialmente del Mediterraneo il genere Pecten ebbe forse il suo massimo sviluppo. Quasi ogni specie di Pecten è abbastanza polimorfa anche da un luogo all’altro, sì da giustificare apparentemente chi moltiplicasse il numero delle specie, alla quale strada si attennero fra i nostri recentissimi il Fuchs, il Viola, il Bonarelli. Pur nella relativa polimorfia che ha luogo entro non ampi confini, le specie serbano il loro tipo costante che le fa riconoscere. Il più avveduto nella distin- zione delle specie mi sembra sia stato il Sacco. Sg E Ceccano. È più chiaro e talora più compatto, sempre con rarissima Mio- gQypsina, Operculina, e rari Pecten che ritengo P. scabrellus Lck., P. sca- briusculus Mich., determinazioni in accordo, salvo che nel nome adottato, con quelle del Mayer che pur vide Pecten di quel luogo e li ritenne mio- cenici. Talora sulla superficie corrosa degli strati appaiono briozoi ( Salicor- naria, Membranipora, Eschara, ete.), in sì perfetta conservazione, che me- riterebbero di essere studiati, con articoli di Crinoidi e radioli d’Echino. Non ho visto Zi/hothamnium perchè i depositi, quantunque di scogliera, non do- vevano essere tanto superficiali ('). Degnissimo di nota è l’ultimo lembo da me notato più a valle, presso San Sozio sotto Falvaterra all'estremo confine meridionale con la Terra di Lavoro. Ivi sopra la Creta il calcare è grigio ed interamente costituito da Miogipsyna di grande dimensione (?). i In conclusione, l'età dei calcari esaminati, da attribuirsi al Miocene medio, non è da mettere in dubbio. I fossili non sono strettamente littorali ma appartengono alla plaga Elveziana, di non grande profondità. Questi calcari organogenici, nell'Appennino occupano, fino ad Acqui, a settentrione, la parte inferiore del Miocene medio (3) ed hanno generalmente una fauna di plaga batimetrica Elveziana. Gli studî paleontologici non sono ancora abbastanza avanzati, causa anche l'imperfetta conservazione dei fossili, in modo da far constatare quali differenze vi siano dagli strati Elveziani che ordinariamente formano la zona superiore (‘). (1) Simili lembi di calcari miocenici a briozoi si trovano in altri punti delle valli dell'Aniene e del Sacco; ma non avendone raccolto esemplari non li accenno. Si ripetono anche presso Sora ed in qualche altro punto della valle del Liri. (2) Le Miogypsinae, comuni nei calcari miocenici della provincia di Roma e di tutto l'Appennino settentrionale, sono distintive del Miocene medio del Bordelese e della Col- lina di Torino, specialmente della plaga Elveziana. Da molti anni avevo osservato delle Orbitoides, con Lithothamnium, nei calcari terrosi Elveziani di S. Fiorenzo in Corsica. (°) Recentemente anche il Capellini, maestro preclarissimo nella conoscenza di tali terreni, affermava l'appartenenza al Miocene medio del calcare di San Marino. (4) De Alessandri ha tentato di mostrare che il calcare di Acqui è aquitaniano. Ad una quantità di fossili determinati senza incertezza e che sono tutti Elveziani, ne aggiunge tre o quattro esplicitamente dichiarati incerti o mal conservati che apparterrebbero al Miocene inferiore. Si comprende che questi ultimi fossili sono tanto mal conservati da non prestarsi ad una classificazione. Ciò non basta a portare in piano diverso un terreno i cui fossili conservati, se De Alessandri avesse giudicati senza conoscere la provenienza, avrebbe attribuiti all’Elveziano. Il Sacco sostiene ora che l’Aquitaniano, cui egli attribuiva il calcare di Acqui, deve essere unito al Miocene medio; io credo questa sua opione indetta principalmente dagli studî del Trabucco, confermati da quelli d’Alessandri sul calcare predetto, e deve inten- dersi del suo speciale modo di vedere l’Aquitaniano; peichè l’Aquitaniano del Mayer e di altri, qualunque sia il suo valore, e salvo qualche errore locale, rientra nel Miocene inferiore, come per esempio gli strati di Cadibona nell'Appennino. emo La determinazione dell'età dei predetti calcari rende meno faticosa la classificazione dei terreni successivi. Questi sono molto estesi ed alti. Occupano tutta la valle del Licenza fino entro i confini dell'Umbria, quasi per intero la valle dell'Aniene salvo i suoi monti più alti, i monti a mezzogiorno di Tivoli e le pendici laterali al corso del Sacco e del Liri fino ai confini con la Terra di Lavoro. Inferiormente sono marne bianche a foraminiteri, specialmente G/ob:- gerinidae, ed ostracodi, che talora diventano un compatto calcare bianco (Ceccano, Percile, Licenza, Mandela, Castel Madama etc.), e superiormente sono le stesse marne a Globigerinidae, ma pure, talora con Cylindrites, Helminthoida cfr. labyrinthica H., Taonurus ete., ed arenarie con frequenti tracce di legno carbonizzato. Vi si intercalano scarsi strati di calcare assai compatto, o minutamente screziato come quelli precedenti, argille, e pud- dinghe con ghiaiette minutissime, spesso interamente calcaree come solo calcarei sono i monti circostanti. Queste rocce si ripetono identiche nella valle del Liri e ricordano da vicino le marne ed arenarie coetanee dall Um- bria fino alla Romagna toscana ed alla valle della Sieve (1) ed il Bzsciaro stesso delle Marche. Trabucco pone gli strati di Acqui e consimili nel Langhiano, in quanto dà a questo nome un significato strettamente stratigrafico, quello di parte inferiore del Miocene medio; ma egli prescinde dai fossili, che, quando non si conoscesse lo strato donde provengono, farebbero metter questo nell’E/veziano, poichè, salvo per avventura alcuni appartenenti a marne intercalate, batimetricamente appartengono alla plaga Elveziana. Il Sacco attribuisce gran parte dei calcari organogenici del Miocene dell'Appennino, salvo quelli di Acqui, all’Oligocene od all’ Eocene; il Lotti li attribuisce quasi tutti al- l’Eocene. Mayer, Sacco, Trabucco, De Alessandri non tengono conto delle complete diversità di fauna secondo le profondità dei mari, rivelate dai non più recenti studî talassografici, che sono la più importante scoperta moderna della biologia applicabile alla paleontologia, scoperta che è vanto del Jeffreys e specialmente del Seguenza nostro avere applicato allo studio dei terreni terziarii. (1) Il Lotti attribuisce questi terreni alla parte inferiore dell’Eocene, perchè nella valle di Sieve, suo punto di partenza, ha interpretato a dirittura all’inversa la stratigrafia, come notò il Trabucco. Coi varî spaccati che egli dà attraverso la val di Sieve sono d’accordo nelle linee generali per la parte che riguarda i terreni miocenici, cioè le sue arenarie inferiori sulla sinistra della Sieve. Questi formano il crinale dell'Appennino, presso che orizzontali in alto, e per lo più regolarmente sovrapposti all’Eocene nel versante Adriatico. Sulla Sieve, in basso, per effetto di inversioni frequenti ma non generali sembrano talora sottoposti all’Eocene ora medio, ora superiore. Il Lotti riconosce le inversioni ma invece d’interpre- tarle fondato sulla Paleontologia le interpreta in senso contrario, aggiungendo, per giusti- ficar ciò, un anticlinale nei terreni miocenici che non esiste. Per quanto riguarda i ter- reni eocenici nella parte opposta della valle, il Lotti non ne interpreta esattamente la stratificazione, e inoltre ingannato da analogie litologiche, come è me pure prima che a lui, erroneamente, era accaduto, estende le marne mioceniche, le quali non passano sulla LIS: I fossili sono scarsi e a nidi, ma se ne trovano. Uno studio paleonto- logico ne fece per l'Alta Valle dell'Aniene il De Angelis in un lavoro d'’ in- sieme che fra i lavori recenti sulla Geologia romana fatti con criterio scien- tifico va segualato. Egli, citati gli Echini, i Briozoi, i Molluschi, i Coralli, le” Foraminifere dei territorî di Sambuci, Mandela, Subiaco, Affile, li attribuisce al Miocene medio, specialmente al Langhiano (!). Il Cacciamali ebbe fossili delle marne e delle arenarie di Monte San Gio- vanni Campano pur sempre nella Provincia, ma nel bacino del Liri. Non vi ho mai trovato una Nummuwulites, nè d'altronde alcuno ve le indica in modo specifico. Nelle arenarie i fossili sono scarsissimi: ho veduto spesso dei £Bathysiphon nei dintorni di Percile. Nelle puddinghe talora glauco- destra della Sieve, dove sono invece le marne eoceniche a Nummulites subirregularis. Anche per la valle Tiberina il Lotti è tratto in inganno da parziali inversioni che alte- rano la serie locale. Il Sacco segue il Lotti, adducendo come criterî paleontologici talune specie trovate nel Miocene medio, che sono comuni a terreni più antichi, ciò che per alcune si sapeva, e per altre non va inteso in senso troppo assoluto, trattandosi di varietà diverse, e che d'altronde non infirmano il valore delle specie peculiari. Il Sacco poi conclude che pre- sterà sempre più fede ad una sola Nummulites che ad intiere faune. Il male è che a Porretta, in val di Sieve, nel Bisciaro non è nemmeno mai stata citata, fosse anche a torto, una sola Nummulites. Il Bonarelli pure, dopo stabilita una successione di terreni imperfetta perchè fondata sopra caratteri litologici e sopra osservazioni stratigrafiche locali inesatte, dice che gli Pteropodi e le altre faune di quei terreni sono pseudomioceniche, cioè paiono mioceniche, ma sono oligoceniche od eoceniche. Però si conoscono abbastanza gli Pteropodi e le altre faune oligoceniche ed eoceniche isomesiche del Mediterraneo e delle regioni immediatamente vicine, e queste sono ben diverse; mentre le faune appenniniche nostre sono chiamate mioceniche, e tali furono ritenute in apparenza anche dal Bonarelli e dal Sacco perchè in realtà si trovano solo nel Miocene medio di tutto il Mediterraneo. L'idea che io ho espressa già da molti anni che la parte inferiore di questi terreni possa appartenere al Miocene inferiore ha avuto conferma solo di recente in un pesce raccolto nell’arenaria al Ponte Nuovo presso Barberino di Mugello dal Bassani ritenuto appartenente al Tongriano superiore. Il Lotti attribuisce all'Eocene pure l’arenaria /anghiana della Porretta nel Bolognese. Sono d'accordo, in massima, con gli spaccati che egli ne ha dati; se non che l’arenaria eocenica del Monte Cavallo forma un anticlinale, per quanto in parte rovesciato, sotto le argille scagliose, come l’arenaria del Monte Granaglione la cui massa interna non appar- tiene punto, come intende il Lotti, a zona diversa, mentre l’arenaria miocenica di Por- retta forma una piega concava rovesciata come tante ne sono nell’Appennino, in mezzo alle argille scagliose sempre concordanti che sono più antiche. Perciò l’arenaria di Porretta non si connette con quella eocenica che forma la massa interna del Monte Cavallo; ma con quella miocenica, benchè litologicamente poco diversa, che si trova sulla cresta del detto monte e che si torna a trovare sopra le argille, più a valle sul Reno. (1) Il Diodon gigantodus Portis trovato nel calcare presso la stazione di Castel Madama, è possibile provenga dal Miocene invece che dall’ Eocene. Il dott. Martelli ha trovato nei monti Tiburtini anche delle Craticulariae. RE LE niose di Percile ho veduto Ostrea cochlear Poli, Anomia radiata Bre., Pecten scabrellus Lch., P. Haveri Mich., come nelle breccioline del bacino del Turano nel prossimo Abruzzo. Le marne presentano frequentemente delle Globigerinae e degli Ostracodi, e ritengo si abbia a trovare in esse l'intera fauna dello Zancleano inferiore di Segnenza ('). In generale questi terreni sono depositi di mare assai profondo e sulla loro età non potrei trarre con- clusione diversa da quella del De Angelis, che cioè appartengano alla plaga Langhiana del Miocene medio (?). Matematica. — Contributo alla teoria degli insiemi. Nota del prof. Errore BorroLOTTI, presentata dal Socio U. DINI. Lo studio di alcune quistioni pertinenti alla teorica delle Funzioni di variabili reali, toccate in una mia memoria preventiva: Sulla delermina- zione dell'ordine di infinito (*), mi ha portato a conclusioni che, mentre da un lato confermano i fatti che in quel lavoro furono annunziati, anche in quei punti dove per la affrettata redazione parevano men sicuri; d'altro (') Ho già detto altrove, descrivendo i terreni della Calabria, per quali ragioni ritengo debba attribuirsi al Miocene medio anzichè al Pliocene lo Zancleano inferiore del Se- guenza. Suoi equivalenti paleontologici nell'Italia settentrionale e centrale sono stati riconosciuti dal Coppi le marne bianche di Montegibio, dal Silvestri quelle dell’alta Val del Tevere, tutte pur esse certamente mivceniche. Se in qualche punto della Valle del Mésima od altrove si sceverarono marne plioceniche o postplioceniche fra quelle che io o magari il Seguenza avevamo riunito con lo Zancleano, ciò non altera affatto le conclu- sioni sull’ età del Zancleano inferiore, conclusioni che devono intendersi applicabili solo agli strati contenenti i fussili (foraminifere ed ostracodi) proprî di questo terreno e non ad altri. (2) Nell’ ultima Carte géologique internationale de l'Europe le argille, marne ed are- narie della parte centrale della Valle del Sacco sono giustamente attribuite al Miocene. Ciò sembrerebbe in contraddizione con alcuni lavori dell’ Ufficio geologico; ma poichè in essi non sono indicati i successivi stadî di modificazione delle idee, è prudente astenersi dalle induzioni. Se non che non v’ha differenza fra i detti terreni indicati come miocenici e gli altri lasciati nell’ Eocene. In generale nella Carta predetta e così nei monti a sud-est di Tivoli nella Carta della Campagna romana, salvo una sottile zona lungo la destra del Licenza e minimi lembi altrove, dovrebbero segnarsi come mioceniche tutte le masse attribuite all’ Eocene nei monti fra Solmona e Avezzano e nei bacini dell'Aniene, del Sacco, e del Liri, poi una parte delle rocce del Corno grande al Gran Sasso e della Maiella. Così pure appartengono al Miocene i terreni (argille e marne) segnati come pliocenici sotto Mandela nella valle dell'Aniene e sotto Monte S. Giovanni Campano in quella del Liri, ed al Postpliocene i conglomerati calcari di Mandela. Pur troppo gli studî dell’ Ufficio predetto sui terreni terziarî della Provincia e delle regioni contermini, e sono la massima parte dell'Appennino, per mancanza di cognizioni paleontologiche, sono stati poco conclusivi, auzi, salvo pei dintorni di Viterbo dei quali si è occupato il valente Di Stefano, piuttosto negativi. (3) Atti della Società dei naturalisti e matematici di Modena (1901). PAG — lato hanno stretto rapporto con le teorie della integrazione definita impropria e delle serie di funzioni. Non parrà quindi inutile che io brevemente le esponga; ciò che spero di poter fare con questa Nota e con alcune che la seguiranno fra breve. In questa svolgerò alcune considerazioni sulla determinazione della estensione esterna (aissern Inhalt) di un insieme lineare situato in un inter- vallo di ampiezza infinita. Non credo sia stato osservato che non sì giunge sempre allo stesso nu- mero, quando si definisce la estensione esterna di un insieme & situato nel- l'intorno (20, ... + 00) come il limite, per «=, della estensione di quella parte di £ che è situata nell'intervallo (0,-.. 4), 0 quando diretta- mente sì cerchi il limite inferiore delle somme delle lunghezze dei segmenti che contengono punti o punti limiti di &£. Quest'ultimo limite può essere infinito, ed essere finito o nullo il primo: ed è il primo appunto che prin- cipalmente giova considerare. Nemmeno credo sieno ancora state cercate le relazioni fra le estensioni esterne di due insiemi che si ottengono l'uno dall'altro, quando si eseguisce una trasformazione biunivoca, ordinata, continua della variabile reale nella variabile reale y=/(x), e si immagina che nell'intorno (40,...+ 00) sia situato un insieme di punti di determinata estensione. Di questi argomenti intendo occuparmi, indugiando sovra di essi solo quel tanto che mi sarà necessario per le applicazioni che dovrò farne nelle Note seguenti. 1. Nel segmento finito (20,...4) sia situato l'insieme £ di punti [£] e sì consideri una successione T,, T., T:,... di scomposizioni del segmento (:c0,-..4) fatte in guisa che ogni nuova scomposizione suddivida alcune o tutte le parti prima esistenti e che, ad ogni numero positivo d, possa farsi corrispondere un indice # tale che, dalla operazione T,, in poi, tutti i trat- ticelli in cui (20, -..4) è scomposto, abbiano lunghezza minore di d. Dopo ogni scomposizione si sommino le lunghezze di quei tratticelli che conten- gono punti o punti limiti di £°. Indicando coteste somme con s1, Sa, $3,... si avrà Sn > 0, sn =Sn+1 (n=1, 2, 8....) e perciò esisterà il limite L=lims,, e si avranno le relazioni s, =L, L=0. n=% Il numero L rappresenta la estensione esterna dell'insieme £ (!), di- remo anche, con lo Stolz (2) che compete all'insieme E, e diremo discreti quegli insiemi a cui compete un numero L= 0. Il numero L è indipendente dal modo con cui le scomposizioni T, si operano. (1) Cfr. Peano, Applicazioni geometriche del Calcolo, pag. 152. Per la bibliografia si rimanda all'articolo sugli insiemi che è nell’ Enciclopedia. (2) Math. Annalen, XXIII, pag. 154. Cfr. anche Harnack, Mat. Ann. XIX, pag. 238. Der — Se un segmento (x, ,... x) finito si scompone in un numero finito di parti, la estensione esterna di un insieme & situato în (Z0,... x) è eguale alla somma delle estensioni delle parti di E situate nei singoli tratti in cui (xo, ... @) fu diviso, ed, in particolare, non è minore della estensione di una qualunque sua parte. Se in un segmento finito (xo ,-.. €) è situato un insieme discreto &, ad ogni numero positivo e si può far corrispondere un numero positivo è tale che, scomponendo il segmento (x0,...4) in tratti tutti minori, in lunghezza, di d, la somma delle lunghezze dei tratti che contengono punti o punti limiti di E, sia minore di s. La somma di un numero finito di insiemi discreti situati in uno stesso segmento è ancora un insieme discreto. Se, scomponendo il segmento (20,...4) in un numero finito di parti, i punti dell’insieme E contenuti in ciascuna di quelle parti costituiscono altrettanti insiemi discreti, anche l'insieme & è discreto. Indicando con K l'insieme di tutti i punti che rimangono nell’ intervallo (40 ,-.- 4) dopo che se ne è sottratto un insieme discreto, si vede agevol- mente che: L'insieme K è denso in tutti i punti del segmento (xo, ... 2). ld (A 2. Consideriamo ora un insieme £ di punti [$] situati in un intorno (Lo gesso 00). Sia data una successione 40, #1, 42.... che tende all'infinito sempre crescendo, cosicchè si sappia che nessuno dei segmenti (2,,...&n+,) h® lunghezza nulla. Indichiamo con L, la estensione esterna della parte di £ che è contenuta nel segmento (xn,...Zn41). Se la serie (1) NIE LL e converge verso la somma L, diremo che questo numero L compete all’in- sieme E, dato nell'intorno (20, ... 0). 3. Per giustificare questa definizione dimostreremo che 7 numero L non dipende dalla scelta della successione xn. Sia infatti yo = 40, Y1; Y2;-... una successione che tende all'infinito sempre crescendo. Indichiamo con L',, la estensione esterna della parte di £ contenuta nel segmento (Yn,... Yn+i). Voglio provare anzitutto che /a serze (0.0) ) SI=LU+L+L 0 è convergente, se è convergente la (1). Preso un numero positivo 0, a piacere, e determinato l'indice n per modo che il resto R,= Ln+, + Ln+0 + --* della serie convergente Y L,, ReEnDpICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 7 SS, Va sia minore di o, si cerchi poi, nella successione y,, il primo dei termini che non è minore di 4,4, Posto che questo termine sia ym+:, dico che la somma di un numero qualunque 7 di termini, a partire dall’ m 4 195°, nella serie (2) è essa pure minore di o. Scriviamo la somma: %ny= L'nti + L'in+e ++ L'mer, ed al nu- mero 7 fissato, facciamone corrispondere uno 7, abbastanza grande perchè Ym+r non sia maggiore di L,(d), convergente, come ab- 0 biamo supposto, per d=0, converga uniformemente a tratti în un intorno determinato di questo punto (!). Quando tale condizione sia soddisfatta, ‘ numero L che compete al- l’insieme E, coincide con la sua estensione esterna. 5. Il teorema dato al numero 3, e le proprietà fondamentali dei nu- meri S, che competono ad insiemi situati in segmenti finiti, permettono di enunciare anche il metodo seguente per la determinazione del numero L che compete all'insieme £ situato nell'intorno (#9,... 0): Fissato un numero positivo d, si scomponga il segmento (xo, ... €) in parti tutte minori di è, si faccia la somma S(x,d) delle lunghezze di quelle parti che contengono punti, o punti limiti di E°, si calcoli il limate : D tm | Ae, 9) = Se ha luogo la convergenza uniforme di cui s'è fatto parola al numero precedente, è indifferente l'ordine secondo cui si eseguiscono le due opera- zioni di passaggio al limite, e si ha anche (10) ila, DA (1) Cfr. Arzelà, Sulle serie di Funzioni (Mem. R. Acc. delle Sc. di Bologna, a. 1899, pag. 158). sli ma se quella convergenza uniforme manca, e v'è solo la convergenza ordi- naria per Î=0, si dovrà esclusivamente far uso delle (9). 00 6. Se la serie DI L, diverge, non esiste, o se si vuole, è 7nfinzto il 0 numero L che compete all'insieme &, diverge a maggior ragione anche ogni serie L(d) e si ha: rn E. COR, (1) RA 7. Perchè sia possibile la determinazione del numero (finito) L che compete ad un insieme E, situato nell'intorno (xo, ...), occorre e basta che ad ogni numero positivo es se ne possa far corrispondere un altro x: ld abbastanza grande, perchè î punti ed i punti limiti di & situati nel segmento (%xe,...@), qualunque sia ax > d&., possano essere rinchiusi in un insieme di tratti la cui lunghezza totale non superi 8. Perchè, oltre a ciò, l'insieme & abbia estensione esterna finita, occorra e basta, che, la condizione superiormente enunciata, possa esser soddisfatta col dividere il segmento (x:,....x) în tratti tutti minori, in lunghezza, di un numero positivo d, indipendente da x. 8. In particolare per la esistenza del numero (finito) L, è condizione necessaria, che ad ogni coppia di numeri positivi e, M, se ne possa far corrispondere un terzo x:,m abbastanza grande, perchè la estensione esterna della parte di & contenuta nel segmento (x,...,04 4 M), x = xem non stia maggiore di s. 9. È importante, per quel che segue, notare che se un insieme E so0d- . . O O SÒ ° disfa cotesta condizione, il rapporto ——T della estensione esterna della n 0 fd parte di E situata nel segmento (xo, ...&n) alla lunghezza del segmento stesso, tende allo zero quando xn tende all'infinito. Ed infatti, poichè è indifferente la scelta della successione #,, prendo «,= x, + nM. Per le ipotesi poste posso scrivere (!) lim Sa MN lim Sn — Sn ze an An TC Lo ba” Ln Une M alpi co N . Sn e, M, sono positivi qualunque, dunque è lim -—T_=0. n=o0 En TT Lo 10. Gli insiemi che soddisfano la condizione enunciata al n. 9 (in par- ticolare quindi, anche quelli che soddisfano quella del n. 8) hanno, nelle ricerche che dovrò fare nelle Note seguenti, importanza specialissima. (‘) Cfr. Cesàro, Analisi Algebrica, pag. 98. Pa Quando ciò non possa generare confusione, li indicheremo semplicemente col simbolo £: ed indicheremo con Ks l'insieme dei punti che rimangono în un intorno (xo, ...0) quando se ne sono sottratti tutti © punti di un insieme E3 . Dalle date definizioni si deduce che, <{ rapporto fra la estensione esterna della parte di un insieme &, situata nel segmento (c0,...) e quella della corrispondente parte dell'insieme Ks, tende allo sero per x tendente all'infinito. Non si deve escludere che ad un insieme £s possa competere un nu- mero L finito o nullo, ma rimane escluso che un insieme £, possa contem- poraneamente essere un insieme K;. 11. La somma di un numero finito di insiomi £, è ancora un insieme £;. 12. Fra gli insiemi che ammettono numero finito L, meritano speciale attenzione quelli per i quali è L=0. Essendo L= Ln , La = 0, perchè sia L=0 occorre e basta che 0 i numeri L, sieno tutti singolarmente nulli, cioè che la parte dell'insieme dato che è situata in qualunque segmento finito abbia estensione esterna nulla. Diremo che un tale insieme è discreto in qualunque sua parte finita, o più brevemente che è discreto. Un insieme discreto, quando manchi la convergenza uniforme nella serie 2 L,(0) può non avere estensione nulla, ma se un insieme ha esten- stone esterna nulla, è certamente discreto. 13. Indicheremo brevemente un insieme discreto col simbolo £,, ed indicheremo con K, l'insieme dei punti che rimangono nell'intorno (20, ... + 0) dopo che se ne è sottratto un insieme £, . 14. La somma di un numero finito di insiemi discreti è ancora un insieme discreto. 15. Un insieme K, è denso egualmente in tutti i punti dell’ intorno dove esso è situato. 16. Un insieme discreto è sempre anche un insieme £,, ed un insieme K, è sempre parte di un insieme K,. 17. Se tutti i punti di un insieme K, soddisfano una stessa condizione, potremo dire che quella condizione è generalmente soddisfatta nei punti dell’intorno (20, ...-+ 00) dove K, è situato. 18. Sia (12) y= f(x) una funzione ad un valore, finita, continua, sempre crescente della variabile reale 7, data nell'intorno (#0, ...+ 00) e sia (13) PU amd MEO — I punti dell’intorno (#0,... 00) sono posti, mediante la (12) in corrispon- denza biunivoca, ordinata, continua, con quelli dell’intorno (yo="/(%0),.- + 0). Ad un insieme di punti [$] situati nell'intorno (.c0, ... + 00) corrispon- derà un insieme di punti [mM] situati nell'intorno (Yo, ...+ 00) e recipro- - camente. A punti contenuti nel segmento (x1,...2), corrisponderanno punti situati nel segmento (yi = /(z1),... y:=/(2)); quando la lunghezza dell'intervallo (,,...) si faccia tendere allo zero, così succederà di quella dell'intervallo (Y,,...%:) e reciprocamente. Pel noto teorema di Cantor, sulla continuità uniforme, potremo inoltre fissare un numero d: abbastanza piccolo, perchè, ad ogni intervallo (4,,...2) contenuto in (45, ... 00) ed avente lunghezza non maggiore di d., corrisponda un intervallo (Y1, ...y») di lunghezza minore del numero positivo «. Notiamo ancora che se si ha una successione x, di punti x tendenti all'infinito sempre crescendo, si avrà corrispondentemente una successione di numeri y, sempre crescenti, tendenti all'infinito. 19. Le considerazioni fatte, ed i risultamenti ottenuti al n. 7 ci per- mettono di concludere che: Se ad un insieme di punti [E] situati nell’in- torno (xo, ... + 0), compete un numero finito L, anche al corrispondente insieme [n] compete un numero finito L', e reciprocamente. Se è L=0, anche L= 0, cioè ad insiemi discreti corrispondono insiemi discreti. 20. Poniamo ora che nell'intorno (2, ... + 00) sia situato un insieme S(x) pi E(£) tale che il rapporto 7 della estensione esterna della parte di esso contenuta nel segmento (xo, ...) alla lunghezza del segmento stesso, sia infinitesima per x= 0. L'estensione esterna della parte dell'insieme [7] contenuta nel corri- spondente segmento (yo ,-..7()) sarà espressa da S(/(#)), e, poichè al tendere di x all’ infinito, anche /(x) tende all'infinito, e reciprocamente, avremo : lim _S(7) MI — Yo e l'insieme [M] sarà a sua volta un insieme £3. Dunque, ad insiemi £, dell’ intorno (0;...00), corrispondono pure insiemi £s dell’intorno (Yo, ...00), e così ad insiemi K, corrispondono in- siemi K,, e reciprocamente. Matematica. — Sugli spazîi a quattro dimensioni che am- mettono un gruppo continuo di movimenti. Nota di Gupo FUBINI, presentata dal Socio L. BIANCHI. Questa Nota riassume una parte dei risultati di una Memoria di pros- sima pubblicazione, che fa seguito a un’altra (') sulla teoria generale degli spazî a un numero qualsiasi di dimensioni che ammettono un gruppo con- tinuo di movimenti e sulla loro determinazione. In questa io ho dato il metodo generale che serve a trovare per qua- drature tutti questi spazî: metodo che permette di ritrovare rapidamente gli spazî a tre dimensioni, già determinati dal prof. Bianchi, che ammettono un gruppo di movimenti. Non è però più così quando sì passa a un numero maggiore di dimensioni: i calcoli infatti a tale scopo che la Memoria citata indica da eseguire risultano troppo lunghi per potere essere effettivamente eseguiti. In questa Nota io indicherò sommariamente come si debba proce- dere per gli spazî a quattro dimensioni. Si comincia, secondo il metodo ge- nerale, a trovare prima i gruppi di movimenti per poi dedurne gli spazî re- lativi; e anzitutto si cerca di avere « a priori » qualche proprietà generale di questi gruppi. Si escludono dalla ricerca come casì senza interesse i gruppi con meno di quattro trasformazioni linearmente indipendenti, che (com'è del resto evidente) i miei teoremi generali dimostrano potersi già considerare come gruppi di movimenti di uno spazio a meno di quattro dimensioni e che quindi sono gruppi riducibili ai casi già studiati dal prof. Bianchi (?). Così pure è inutile trattare i gruppi transitivi a quattro parametri (che del resto ho già studiato nella Memoria citata), perchè noi sappiamo già da teoremi generali che essi si possono considerare sempre come gruppi di mo- vimenti. Possiamo pure prescindere dai gruppi a 10 parametri, che corri- spondono agli S, a curvatura costante. Ciò può già servire a circoscrivere di molto la ricerca. Ma i due teoremi fondamentali che servono a trovare tutti gli altri gruppi sono i seguenti: I. Non esiste alcun gruppo Gs (3) che si possa considerare come gruppo di movimenti di un Sy (4). (?) Quest'ultima Memoria si sta ora pubblicando negli Annali di Matematica. (*) Bianchi, Sugli spazi a tre dimensioni ecc. Memorie della Società Italiana delle Scienze (serie III, tomo 11, pag. 27). Cfr. anche la mia Mem. citata. (8) Con G, indico un gruppo a 7 parametri. (4) Per vedere bene il significato di questo teorema, cfr. la mia Mem. citata ($ 8). SS II. Se un gruppo G, (r=2, 3,4,5,6,7,8) si può considerare come gruppo di movimenti di uno spazio a quattro dimensioni, esso contiene cer- lamente un sottogruppo Gr-1. Questi due teoremi si possono stabilire « a priori »; e la loro conoscenza ‘ dà poi una grande rapidità alla ricerca. Noi sappiamo da essi che basterà re- stringerci allo studio di quei gruppi a 5, 6, 7, 8 parametri su quattro va- riabili, che ammettono rispettivamente qualche sottogruppo a 4, 5, 6, 7 pa- rametri. Questo teorema si può poi generalizzare anche nel caso di spazî a più che quattro dimensioni e ci darà sempre l'ordine di qualche sottogruppo contenuto nei gruppi da determinare. Nel caso particolare di spazî a quattro dimensioni la ricerca si presenta con questo metodo abbastanza semplice, e può servire come esempio del me- todo da seguire negli altri casi. Siccome ogni G, del nostro tipo contiene come sottogruppo un G,-,, che naturalmente si potrà anch'esso considerare come gruppo di movimenti (totale o parziale) di uno spazio a quattro dimen- sioni, noi dovremo dapprima ricercare tutte le composizioni dei gruppi a 5 parametri, che contengono un sottogruppo a 4 parametri che si possa consi- derare come gruppo di movimenti di uno spazio a 4 dimensioni, cioè che appartenga a uno dei tipi di G, già determinati dal prof. Bianchi, o che sia transitivo. La ricerca si semplifica molto trascurando quelli di questi gruppi che contengono un sottogruppo Gy a trasformazioni permutabili, perchè gli Sy che ammettono un tale gruppo G, di movimenti sono a curvatura nulla (!). Dalla composizione di uno di questi G; si passa facilmente alla forma esplicita delle sue trasformazioni infinitesime, perchè noi conosciamo già le trasformazioni infinitesime di un suo sottogruppo G,; e noi possiamo senz'altro trascurare (2) quelli che avessero due trasformazioni infinitesime dipendenti. Di più noi possiamo prima trovare quei G; che contengono un sottogruppo G, transitivo, ma che non contengono inoltre un G, intransitivo, e determinare poi separatamente quei G; che contengono un sottogruppo Gy intransitivo che si possa considerare come gruppo di movimenti. Con questi e altri mezzi la ricerca si semplifica assai. Valendoci poi dei criterî generali dati nella mia Memoria citata, si esamina quali dei G; così ottenuti è un gruppo di movi- menti. Con metodo analogo si trovano i G; che contengono uno di questi G; come sottogruppo e che si possono ancora considerare essi stessi come gruppo di movimenti e così via. I risultati che si ottengono sono i seguenti: « Nessun gruppo a 8 parametri si può considerare come gruppo di movimenti di uno spazio a 4 dimensioni ». (1) Bianchi, loc. cit. (2) Bianchi, loc. cit. Ri Uno spazio a n dimensioni non può ammettere alcun gruppo di mo- n(n+4 1 n (n 1) ì Ss —l» cai — 2» parametri. vimenti a « 0a « Oltre ai gruppi già citati, vi sono soltanto î seguenti spazi a quattro dimensioni, che ammettono un gruppo continuo di movimenti: 1 | 95 I. dst= dat in daî + pas e 2% dat — Ds per e dar des — 1 — 2l3 par an e? der des + 2x1 Pro e °% des does 4 (27 pro e — ny Pro 0991) dai che ammette il gruppo generato dalle: d d È) P) d È) d P) =“ Cs, —;—- 2% —— (LX Dea — TA Jaale uni oz: (4 211 da) Fl ‘dr dda d d d d a tbn, e4%4 la + la ni 68% cha) +e (ei pei tti sn i Dios 1 da, dove la /3, la n,, e la ps: sono costanti. II. dst=dxi + pu e dxî + 2p12 e da, der + 213 e: da, das + + pro dxî + Qpr3 dar des + p33 dai che ammette il gruppo generato dalle DIA. d d P) >(( = s(at— 7 e?% — 2713 67% — a , b) )E oa, n 1 Jbl: a 12 dr: d d — 2713 07% — 2a, — dI3 dI4 dove le pix sono costanti, e le 77; sono i complementi algebrici di p, in |pix| divisi per il determinante |pi|. II. dst= dei + ed. def + u e. daî + Qua, e das das + + (1 0f ethe, | es) die dove 4, 4 sono costanti, che ammette il gruppo d d d d P) d d —;— jd — + 2% — + dm —— —;È- — dA‘ d43 dI dI dI3 dI dI d d d fesso Ai Dosi dI dL3 IV. Gli elementi lineari (dove con 4,7, indichiamo delle costanti), ds=dx;4 g dei +wda + e [(1—n°)p+ wn]de+2n e des das dove è rispettivamente g= cost. , w= cost. oppure p= cost. , w= cost. e°*% RenpIcONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem, 8 LG — *(/34; st. oppure 7= 0, g= cost., V= o] oppure g= così., 3 li 2 n= 0 , (17 === sg pa Ta tengono tutti il G, generato dalle: ammettono pure dei G;. Questi Gs con- 0 n.d depp LI rn Da: Da MI La quinta trasformazione del corrispondente G; è rispettivamente ; À xs rat ; as x3 È tangh (23 DS di + cost.) 04 cia d | : dI3 dA eV25 3 l - È o 2) 455 VA + N3 dI3 DEI V. Quattro elementi lineari riducibili ai precedenti per via immaginaria. VI. ds = dai + gdaî + wdai + pe? daî dove 4, w sono costanti non nulle. Esso è un caso particolare di uno degli spazî IV e oltre al corrispondente G; ammette la d d 4 “3 d€3 dA4 X VII. Lo stesso elemento lineare che al secondo tipo del caso IV, dove ° Pn È QXa, : : però WV= DÀ rta e Esso ammette anche la 2) Sie e (è 2 LI e “) dI‘3 S RUGA VAnBE ds = dat + daî 4+- e?» (dei 4 daî) . d ù “ Esso ammette il G, generato dalla o dal G; (intransitivo) che trasforma CU] in sè la forma quadratica a curvatura costante das + e (dai + de) (!). Nella Memoria qui in parte riassunta studio poi quale è il gruppo totale effettivo a cui appartengono gli S, già determinati per valori generici delle costanti di integrazione e particolarmente il caso più difficile degli S, che ammettono un G, transitivo: e sì ottiene con una discussione piuttosto difficile (perchè al calcolo effettivo non si può in alcuni casi certo ricorrere) (1) Vi è poi un altro spazio riducibile a questo per via immaginaria. DIO S-47 e che vi sono soltanto i seguenti G, transitivi tali che tutti gli spazî che ammettono uno di essi ammettono un gruppo più ampio e cioè il G, generato dalle d dI (îi=1,2,3,4), i cui spazî corrispondenti sono euclidei e il gruppo generato dalle d a ») — (i=1,2,8), a, — — — i dI dI d i cui spazî corrispondenti (indicando con le « % » delle costanti) dst= dai + det + da + 2h;s de, der + 22, das des + + 2410 604 + h13) der das + (Ti + h33) dai ammettono anche la È) 1— his 1 O) hi3 Ga —— — xî — h has) —-H 5 — — 13 da DEI + 9 4 12 /l13 4 2 la, d d = (1 ua? his) AA Sx + H C3 dl3 dA dove H = /%33 — 433 hî — hîs è il discriminante (non nullo) della forma. Chimica. — Su di un probabile nuovo ossido dell’ azoto. Nota preliminare del dott. DemeTRIO HeLBIG, presentata dal Socio S. CAN- NIZZARO. Facendo passare una serie di scariche elettriche attraverso l'aria liquida, ho ottenuto la formazione d'una sostanza solida a quella temperatura, fioc- cosa, di colore verdastro. Questo corpo è estremamente instabile. Anche a temperatura assai bassa si decompone, sviluppando vapori rutilanti. La scomposizione, in certi casi, si fa con esplosione, accompagnata da fenomeno luminoso. Tanto le condizioni in cui il corpo si forma, quanto i suoi caratteri, di- mostrano essere quella sostanza un ossido dell'azoto: ossido, le cui proprietà differiscono da quelle di tutte le combinazioni dell'azoto con l'ossigeno finora ben conosciute. Mi riservo di riferire fra breve circa il risultato delle indagini in corso, tendenti a determinare la composizione di questa sostanza, e di esporre più estesamente le condizioni sperimentali richieste per la sua preparazione. CAIRRÌ — Anatomia. — Osservazioni sopra lo sviluppo del corpo cal- loso e sui rapporti che esso assume colle varie formazioni del- l'arco marginale nel cervello del maiale e di altri mammiferi domestici. Nota del dott. Primo DoRELLO, presentata dal Socio TopaARO. Tutti gli autori, i quali si sono occupati dello sviluppo del corpo calloso, vanno d'accordo nell’ammettere che esso si formi in un'area, nella quale le pareti emisferiche mediali si saldano tra loro: l'accordo però non esiste sulla esatta posizione di questa area di saldamento. Secondo Schmidt (!), l’abbozzo del corpo calloso s' avanza tra i due archi marginali. ed allora l'arco marginale interno forma il trigono col setto pellucido e si continua innanzi colla lamina terminale ispessita, che forma i pilastri anteriori del fornice. Secondo Blumenau (?) il corpo calloso si forma a livello dell’ arco marginale esterno e, siccome in corrispondenza del corpo del fornice manca il solco fimbriodentato, quivi si ha una fusione primitiva tra fornice e corpo calloso. Martin (*), che ha studiato l'argomento in embrioni di gatto, sostiene che la massa ventrale del corpo calloso si forma da fibre, che decorrono nel- l'arco marginale interno, lo splenio da fibre, che vanno da un lato all’ altro passando tra i due archi marginali, la massa del corpo calloso ed il ginocchio da fibre, che attraversano l'arco marginale esterno : egli, rilevando che, mentre nell'uomo la fessura d’ippocampo corre attorno allo splenio dorsalmente, nel gatto invece termina ventralmente allo splenio, viene a concluderne che non sono ammissibili comparazioni immediate del corpo calloso e delle formazioni derivate dall’arco marginale tra l’uomo e gli animali domestici, e che, almeno nel gatto, il solco sopracallosale non può essere considerato come prolungamento della fessura d' ippocampo. A causa di questa grande diver- genza nei risultati, il Prenant (‘) crede che il corpo calloso possa forma:si in punti differenti dell'arco marginale, e che perciò le formazioni derivate da questo arco possano trovarsi secondo gli animali o al di sopra o al di sotto del corpo calloso. (*) Schmidt, Beitrdge cur Entwicklungsgeschichte des Gehirns, in: Zeitschr. f. wiss. Zool. Bd. XI, 1862. (2) Blumenau, Zur Entwicklungsgeschichte und feineren Anatomie des Hirnbalkens, in: Arch. mikr. Anat. Bd. XXXVII, 1891. i (3) Martin, Zur Entwicklung des Gehirnbalkens bei der Katze, in: Anat. Anzeiger. Bd. IX (S. 156-162, S. 472-476). — Bogenfurche und Balkenentwickelung bei der Katze, in: Jeneische Zeitschr. f. Naturw. Bd. XXIX, 1894. (4) Prenant, Éléments d'Embryologie de l'homme et des vertébrés. V. II, 1896. Den) — Data la grande precocità colla quale si formano nei mammiferi il solco arcuato ed il fimbriodentato, e dati tutti gli altri caratteri per cui questi solchi assumono un significato di valore morfologico molto più alto, che non sia quello degli altri solchi, sembrava poco ammissibile una differenza di comportamento così notevole nei varî gruppi di mammiferi. Ed è perciò che mi sono proposto di determinare con esattezza il campo, nel quale si svol- gono i fenomeni di origine e di accrescimento del corpo calloso del maiale. Per tale studio mi sono valso di una collezione di circa cento cervelli embrionali, che ho potuto raccogliere nel periodo di due anni. Nella presente Nota preliminare mi limito ad esporre i principali ri- sultati ottenuti tanto coll’ esame macroscopico, che col microscopico. In embrioni molto giovani, cioè della lunghezza di 38 mm., nella faccia mediale degli emisferi si vede un solco curvilineo ininterrotto, che è il solco arcuato: questo ordinariamente va distinto in anteriore, per la porzione che si trova sulla parte piana della faccia mediale, ed in posteriore, per la por- zione situata sulla parte escavata. A quest'epoca il solco arcuato anteriore è molto più profondo del posteriore e nel punto di passaggio dall’una al- l’altra porzione si ha la minima profondità. Nel seguito dello sviluppo, mentre il solco arcuato posteriore si va approfondando sempre più, l’ante- riore invece diviene sempre più superficiale, tantochè negli embrioni di cen- timetri 8 talvolta sembra scomparso. Però anche in quest’ epoca, se il cervello sia stato tenuto per qualche tempo in alcool assoluto, esso è bene visibile. Intanto è comparso un nuovo solco, cioè il fimbriodentato, che divide l'arco marginale in due archi; uno esterno o giro dentato, l'altro interno o fimbria. Se noi osserviamo la faccia mediale degli emisferi in un embrione di 8 centimetri, troviamo che il solco arcuato, cominciando verso l'apice del lobo piriforme, si estende per tutta la parte escavata e poi si continua inin- terrotto, ma assai attenuato, lungo la parte piana decorrendo parallelamente ed un po al di sopra dell'abbozzo del corpo calloso. Il solco fimbriodentato decorre immediatamente sotto e parallelamente al precedente e giunto sulla parte piana della faccia mediale emisferica, costeggia quell’ ispessimento della parte superiore della lamina terminale, in cui decorrono i fasci fibrosi del corpo calloso. Sicchè a quest'epoca l'arco marginale si estende ininterrotto e sempre limitato da due solchi dall’apice del lobo piriforme fino al davanti della estremità anteriore dell’abbozzo del corpo calloso. L'arco marginale interno nasce anche esso verso l'apice del lobo piriforme e, delimitato dal solco fim- briodentato e dalla fessura coroidea, decorre parallelo all'arco esterno finchè giunto al di sopra del foro di Monro, si slarga e si continua direttamente nella lamina terminale. Il suo margine inferiore, si continua in quel rilievo che delimita superiormente e medialmente il foro di Monro, e che più tardi dà luogo ai pilastri anteriori del fornice. Il suo margine superiore si con- — 60 — tinua col corrispondente di quell’ispessimento della lamina terminale, in cui si è sviluppato il corpo calloso, e perciò con quella sottile porzione di tale ispessimento, che riveste la faccia superiore del corpo calloso e che più tardi darà luogo all'indusio grigio. Il corpo calloso sì presenta assai piccolo, appiattito dall’ alto al basso, con una estremità anteriore libera arrotondata, con una estremità posteriore, la quale viene ad impiantarsi e perdersi nel corpo dell'arco marginale interno, nel punto in cui questo passa al di sopra del foro di Monro. Negli embrioni di cent. 11 si scorge ancora che l'arco marginale esterno sì estende ininterrotto dall’apice del lobo piriforme fino all'estremo ante- riore del corpo calloso e così pure ininterrotti sono i due solchi che lo limi- tano, cioè il solco arcuato ed il fimbriodentato; però la parte dell’arco esterno, che si trova in rapporto col corpo calloso, è molto meno sviluppata della restante. L' estremità posteriore del corpo calloso ora si ripiega per un brevissimo tratto verso il basso e verso l’avanti, e l'estremo anteriore di questa parte, che chiamerò porzione riflessa del corpo calloso, viene ad im- piantarsi sulla massa dell'arco marginale interno nel punto in cui questo si ripiega per circondare superiormente il foro di Monro. L'arco marginale in- terno comincia a presentarsi diviso per un tenue solco in due parti, una esterna, che portandosi verso l'alto sembra per la massima parte perdersi nella porzione riflessa del corpo calloso, una interna che delimita tutta la periferia della fessura coroidea ed oltrepassato il foro di Monro si continua in basso e si perde nella regione mammillare, entrando così nella costitu- zione delle colonne anteriori del fornice. Negli embrioni di cent. 12 il corpo calloso si è notevolmente svilup- pato, ed il suo sviluppo è avvenuto principalmente nel senso anteroposte- riore, sicchè, mentre negli stadî antecedenti esso non raggiungeva la metà posteriore degli emisferi, ora invece occupa tutto il terzo medio dell'asse longitudinale di questi. In tale allungamento il corpo calloso ha sempre seguito la via del solco fimbriodentato, però siccome questo solco si dirige curvilineamente verso il basso, mentre il corpo calioso si porta direttamente verso l’' indietro, esso ha sospinto le formazioni che ha incontrato, cioè l'arco marginale esterno ed i due solchi che lo limitano, obbligandole a descri- vere una curva attorno allo splenio. Si vede così l'arco marginale esterno portarsi dapprima sotto il corpo calloso e, giunto un millimetro avanti lo splenio, ripiegarsi bruscamente indietro, girare attorno allo splenio e poi lungo la faccia superiore del corpo calloso fino all’ estremo anteriore di questo. La porzione posta sotto il corpo calloso è bene sviluppata, giro dentato, la porzione che gira attorno allo splenio, fasciola cinerea, si va invece assotti- gliando gradatamente man mano che si porta verso l’ alto, la porzione che costeggia il corpo calloso, nervi laterali del Lancisi, è la più sottile. La parte riflessa del corpo calloso è aumentata di volume e si continua netta- ci — mente per ogni lato colla porzione esterna dell'arco marginale interno, mentre che la porzione interna di questo, segue una via ininterrotta dall’apice del lobo piriforme fino alla regione mammillare, costeggiando esternamente la fessura coroidea. Negli embrioni di centimetri 15 il corpo calloso è ancora aumentato, sicchè occupa i due quinti della lunghezza totale degli emisferi e questo allungamento ha prodotto una maggiore inflessione dell'arco marginale esterno in modo che il giro dentato giunge circa due millimetri innanzi lo splenio. La continuazione del giro dentato colla fasciola cinerea e coi nervi laterali del Lancisi è sempre evidentissima. La porzione riflessa del corpo calloso è aumentata ed insieme colla corrispondente porzione diretta e collo splenio delimita una fessura, che è il ventricolo di Verga. Questa porzione riflessa forma sulla linea mediana il mezzo di unione tra i due archi marginali interni, quando essi non si sono ancora ravvicinati tra loro, rappresentando così l' ab- bozzo dello psalterium. Negli embrioni di centimetri 22,5 si trova progredito l’ allungamento del corpo calloso specialmente verso l' indietro: innanzi è bene distinto il ginoc- chio ed il becco. La fasciola cinerea è stata ulteriormente sospinta verso l’indietro, sicchè il giro dentato arriva millimetri 4,5 avanti lo splenio. I nervi laterali del Lancisi si sono molto assottigliati e, siccome la corteccia del giro marginale si è alquanto sollevata, essi ne sono rimasti completamente coperti : sembra allora che il solco arcuato anteriore e la porzione nasale del solco fimbriodentato abbiano confluito in un solco unico, che è il seno callosale: nel fondo di questo però i nervi del Lancisi segnano nettamente la separa- zione tra i due solchi. Negli embrioni di centimetri 26 si osservano gli stessi fatti, però più accentuati tantochè il giro dentato arriva 9 millimetri avanti lo splenio, distanza che si trova aumentata solo di poco allo stato adulto. Naturalmente la continuazione tra le varie formazioni derivate dall’ arco marginale esterno è sempre evidentissima. Gli stessi fatti, salvo lievi modificazioni, ho potuto ritrovare sopra cervelli embrionali di altri animali domestici, sui quali ho portato la mia osservazione. Anche l'esame microscopico dei cervelli embrionali a varie epoche di sviluppo ha confermato pienamente, completandoli, i risultati ottenuti col- l'esame macroscopico. In corrispondenza del solco arcuato e fimbriodentato avvengono caratteristiche modificazioni istologiche delle pareti, che si conser- vano anche là dove il solco macroscopicamente è attenuato o sembra scom- parso, e che quindi permettono in ogni modo di riconoscerne la presenza e le particolarità. i Nella presente Nota non mi intratterrò su questi risultati microscopici, riserbandomi di esporre tutti i particolari nella Memoria che pubblicherò quanto prima su tale argomento: accennerò solo che il fatto di trovare atte- PRO — nuato od obliterato in determinate regioni il solco arcuato è solo apparente e dovuto quasi esclusivamente ad una proliferazione dello strato bianco corticale, il quale ispessendosi viene a colmare interamente o quasi il solco: il profilo di questo però è conservato perfettamente dal comportamento dello strato grigio- corticale e degli strati sottostanti. Da quanto ho esposto mi credo autorizzato alle seguenti conclusioni: 1.° L'arco marginale esterno si mantiene assolutamente estraneo alla formazione del corpo calloso; esso si conserva sempre ininterrotto e ben deli- mitato e dà luogo a tre formazioni, la cui struttura istologica, almeno in ori- gine, è identica: queste tre formazioni sono il giro dentato, la fasciola cinerea ed i nervi laterali del Lancisi. Tutto l’arco originariamente ha una posizione dorsale rispetto al corpo calloso e la conserva sempre tanto nell'uomo, che negli animali domestici da me esaminati. Però in questi ultimi si ha un apparente cambiamento di posizione dovuto al fatto, che, mentre l'arco mar- ginale esterno conserva la sua forma arcuata, il corpo calloso si sviluppa orizzontalmente verso l’indietro e sospinge per un certo tratto innanzi a se le formazioni che incontra, obbligandole a descrivere un’ansa che viene a trovarsi sotto lo splenio: così l'estremità superiore del giro dentato, che forma la branca inferiore dell’ansa, e la fasciola cinerea, che ne forma la branca superiore, acquistano secondariamente e passivamente una posizione ventrale rispetto al corpo calloso. 2.° Il solco arcuato è una formazione, che, se non sempre macrosco- picamente, almeno istologicamente sì presenta continua per tutta la durata della vita. 3.° Il corpo calloso si sviluppa entro un ispessimento della parte supe- riore della lamina terminale. Il sottile foglietto di lamina terminale, che permane al di sopra dei fasci fibrosi del corpo calloso e che riveste la faccia dorsale di questa formazione, rappresenta l’abbozzo dell'indusio grigio. Sic- come la lamina terminale rappresenta la diretta continuazione verso l’innanzi dell'arco marginale interno, possiamo affermare che il corpo calloso si svi- luppa entro la parte anteriore dell’ arco marginale interno. Accrescendosi verso l'indietro il corpo calloso dovrebbe avanzarsi entro lo spessore dell’ arco mar- ginale interno, però, siccome posteriormente l’indusio grigio è quasi niente sviluppato, effettivamente lo splenio va progredendo lungo il solco fimbrio- dentato e quivi sì presenta per tutto il suo ulteriore sviluppo. 4.° Il corpo calloso si compone di due parti, una dorsale, che è la prin- cipale e comprende anche lo splenio ed il ginocchio, ed una ventrale, che io ho chiamato porzione riflessa. Tra queste due porzioni c'è uno spazio a forma di fessura, che è il ventricolo di Verga. 5.° L'arco marginale interno si trasforma interamente in una forma- zione fibrosa. Le fibre della porzione più periferica di esso si continuano colla porzione Sdi riflessa del corpo calloso, ove s' incrociano colle corrispondenti dell'altro lato dando luogo al così detto fornice trasverso, che macroscopicamente equivale alla lira di David o Psalterium dell’uomo. Invece le fibre interne dell’ arco marginale interno hanno sempre un percorso longitudinale e, partite dall’apice del lobo piriforme, costeggiando la fessura coroidea giungono fino alla forma- zione mammillare. PRRSONALE ACCADEMICO Giunse all'Accademia la dolorosa notizia della morte del Socio straniero Hervé Fave, avvenuta il 4 luglio 1902; apparteneva il defunto all’Acca- demia sino dal 25 settembre 1900. ELEZIONI DI SOCI Colle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento, sì procedette alle elezioni di Soci e Corrispondenti dell’Accademia. Le èlezioni dettero i risul- tati seguenti per la Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali : Furono eletti Corrispondenti : Nella Categoria I, per la Matematica: PascaL ERNESTO; per la Meccanica: VENTURI ADOLFO. Nella Categoria II, per la /isica: Donati LuIei. Nella Categoria III, per la Geologia e Paleontologia: PARONA CARLO FABRIZIO. Nella Categoria IV, per la Bo/anica: BeccARI OpoARDO; per l'Agro- nomia: MeNnozzI ANGELO; per la Patologia: LustI@ ALESSANDRO. Furono eletti Soci stranieri : Nella Categoria I, per la Matematica: ZeurtHEN GiroLamo: per la Meccanica: Lorentz HENDRICH ANTOON. Nella Categoria II, per la Nisica: THALEN RoBERTO. Nella Categoria IV, per lAgronomia: WiesNER Giunio e DE VRIES Uso. L'esito delle votazioni fu proclamato dal Presidente con Circolare del 15 luglio 1902: le elezioni dei Soci stranieri furono sottoposte all’ appro- vazione di S. M. il Re. Meli (ela LI ì Can iatti 4 TRI RA Go, UTI hi 3 N pet Tè NE K n. sita ELi RANSIE I i moi d | , ì N tI fi Cal Î] \ PALI Li if METER 1 10 SI 14} N LI î Li I : 10 \N0VISA Dod IO a A] isa x ST SMB bi Ù i BF 41 DI $ È died NEL Mii È ‘ai va) PACO) È È i ;i i Lf i . P tn , Î DE) AMBO ut A, ' Ki ti 1 Ù “i A A \ i pra. qu do i Ù È LA CIR, n a . î i Li x li ì = j î A \ î Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1? — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXII. Atti della Reale Accademia dei ‘Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. * MEMORIE della Classe di scienze ‘morali, storiche e filologiche. Vol: EVNVVISVIL SVI. Serie 3* — TransonTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. 1-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. (1892-1902) 2° Sem. Fasc. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fase. 3°-4°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e. filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco Hoepri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDIGONTI — Luglio 1902. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 20 luglio 1902. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI De Stefani. I terreni terziari della provincia di Roma, II. Miocene medio... . . Pas. Bortolotti. Contributo alla teoria degli insiemi (pres. dal Socio Dini) . . . 5 i Fubini. Sugli spazî a quattro dimensioni che ammettono un sruppo continuo di Hirimaai (pres. dal Socio Biazchi) . . .. ESP IRIR ZII I et Helbig. Su di un probabile nuovo ossido dell'azoto i dal Bien) Candia ESTRAE Dorello. Osservazioni sopra lo sviluppo del corpo calloso e sui rapporti che esso assume colle varie formazioni dell’arco marginale nel cervello del maiale e di altri mammiferi dome- sbici.(pres.idal'Sociosd:04gro) ieri AO TREE PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte del Socio straniero Herdé Faye. \.00C i. i ELEZIONI DI SOCI Risultato delle elezioni nella Classe di Scienze fisiche, matematiche e naturali. Nomina dei signori: Pascal Ernesto, Venturi Adolfo, Donati Ewigi, Parona Carlo Fabrizio, Beccari Odoardo, Menozzi Angelo, Lustig Alessandro a Corrispondenti; Zeuthen Girolamo, Lorentz Hendrich Antoon, Thalèn Roberto, Wiesner Giulio e De Vries Ugo a Soci stranieri. » V. Cerruti Segretario responsabile. (ox) vr Pubblicazione bimensile. Roma 3 agosto 1902. N. 5. Si i REALE ACCADEMIA DEI LINCRI ANNO CCXCIX. 1903 SERE SE LETO), ee iN] Ac RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X I.° — Fascicolo 3° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 3 agosto 1902. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1903 AEREE E NERI NZZE EE DITE RO IENE RIE ARIE IE ITA A TE E VT S| pete so Tr, go onian pax 4 uns 2 n Ng} I? x ca ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse querta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta perciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon: denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno dell’Aeca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più. che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia sino al 3 agosto 1902. AASNNNNANNNISIAISISISNIT9<-- Glhiimica. — Ossidazione con acetato mercurico (*). Nota preli- minare del Corrispundente L. BALBIANO e di V. PAOLINI. In una Nota pubblicata nella Chem. Zeit. (?) noi abbiamo descritto una nuova reazione atta a scoprire piccole quantità di olefine negli eteri di petrolio: questa reazione ci fu suggerita dai composti che le olefine fanno coi sali mercurici, composti principalmente studiati da G. Denigés (3) e da H. A. Hofmann (‘), e trovammo nell’ acetato mercurico il reagente adatto al nostro scopo. L’acetato mercurico, sotto l'influenza dell’olefina, si riduce ad acetato mercuroso insolubile e nello stesso tempo l'anione — C, Hz O; tende a costi- tuire coll'acqua la molecola dell'acido acetico C, H,0; e quindi isola l’anione — OH od ossigeno, i quali reagendo sul doppio legame dell’ olefina, >C=0C< si fissano ed idratano od ossidano i due atomi di carbonio CRE ZERI 0-0 < ,2>C0=0. Siccome l'acetato mercuroso è quasi insolubile nell'acqua, la reazione ha un grado notevole di sensibilità, tanto che potemmo scoprire 1 p. di ami- (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica farmaceutica dell’ Università di Roma. (2) 1901, pag. 932. (3) Bull. Soc. ch. Paris 1898, Ser. 3°, pag. 19, pag. 494. (4) D. chem. Ges. Ber. 1900, 33, 1353. RenpicontTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 9 SAedipgr lene sciolto in 1000 p. di paraffine liquide o di benzolo. Nel caso speciale del trimetiletilene (CH)? :C= CH.CH; ottenemmo aldeide acetica ed ace- tone e, dai prodotti di ossidazione, potemmo dedurre che l' olefina riscontrata in un petrolio americano era 1-etil-2-dimetiletilene (CH)? :C = CH. C, H;. - I nuclei aromatici, benzolo, naftalina, antracene, come i nuclei completamente idrogenati, i nafteni, non reagiscono coll’ acetato mercurico, il che dimostra che per esplicare la sua azione ossidante a freddo esso ha bisogno di un così detto « legame etilenico » a cui addizionarsi e dare la combinazione labile che poi si sdoppia in acetato mercuroso ed anione acetico, il quale anione scinde l’acqua in OH od ossigeno. Già alcuni anni fa I. Tafel(!) adoperò l’acetato mercurico come ossi- dante, ma in condizioni differenti dalle nostre. Egli riscaldò in tubi chiusi soluzioni acquose di acetati metallici facilmente idrolizzabili e che danno ossidi facilmente decomponibili coll’ azione del calore, come gli acetati di argento e di mercurio, e potè così ridurre la piperidina a piridina, la co- niina a conirina e la tetraidrochinolina a chinolina. Il nostro nuovo modo di ossidazione è specialmente caratterizzato dal fatto importante che si compie lentamente alla temperatura ordinaria e quindi può dare un aiuto prezioso nelle ricerche delicate di abba delle molecole complesse senza che presumibilmente avvengano trasposizioni molecolari. Con questo scopo, e nell'intento anche di generalizzare la reazione da noi scoperta, ci ponemmo un programma di ricerca; di sperimentare sopra composti ciclici non comple- tamente idrogenati, cioè intermedî fra gli aromatici e i nafteni, ed a ciò servono i terpeni, e secondariamente vedere come si comportassero le catene laterali dei nuclei aromatici quando contengono legame etilenico. In questa Nota riferiamo sommariamente le esperienze fatte ed i risultati ottenuti, quan- tunque il nostro programma non sia ancora completato, anzi può dirsi ap- pena iniziato. S-Pinene. Tra i terpeni abbiamo scelto il S-pinene; il campione adoperato aveva 5° — 0,856, bolliva a 155°-156° ed il potere rotatorio specifico a 15° era [a] = — 400,71. Esperienze preliminari dimostrano che l'ossidazione del pinene avviene completamente quando si adoperi per 1 p. m. di esso 3 p. m. di acetato mercurico; perciò gr. 50 di S-pinene vennero agitati a temperatura ordinaria con gr. 349 di acetato mercurico sciolti in 1400 cm? di acqua. La reazione s'inizia subito con deposito di laminette bianche di acetato mercuroso, senza che nella massa si noti un aumento sensibile di temperatura. Si lascia com- pletare la reazione agitando di tanto in tanto ed al terzo giorno i cristalli (1) D. chem. Ges. Ber. 1892, T. 25, 1619. Pei pa di acetato mercuroso assumono una tinta grigiastra per mercurio che si isola. Dopo 7 od 8 giorni di reazione si filtra ed il filtrato colorato in giallo chiaro e che odora fortemente di acido acetico, non dà più pinene alla distil- lazione in corrente di vapore, si concentra a fuoco diretto a piccolo volume. Si filtra dalle sostanze resinose ed un po’ di mercurio che si separa nella con- centrazione e si estrae ripetutamente con etere. L'etere lascia alla distilla- zione un liquido oleoso, da cui viene eliminato l'acido acetico colla distil- lazione a bagno-maria a pressione ridotta. Il residuo oleoso sottoposto alla distillazione nel vuoto, distilla per la massima parte a 145° alla pressione di 5 mm. Ripetute analisi di questo composto, fatte cu campioni di diverse pre- parazioni, assegnano al medesimo la formola Co His O». Il nuovo diossipinene è un liquido quasi scolorito, sciropposo, di un odore aggradevole piccante, che ricorda la canfora: è alquanto solubile nell'acqua, solubile nell’alcool, nell’etere e nel benzolo 48 = 1,069: bolle inalterato a 145° alla pressione di 5 mm., a 170°-171° alla pressione di 20 mm. La determina- zione crioscopica della soluzione benzolica porta al peso molecolare 174, mentre il calcolato per Cio Hi6 0: è 168. La soluzione benzolica al 10 °/ è otticamente inattiva. La rendita è all'incirca il 70 °/ del pinene adoperato. Questa sostanza è un cheto-alcool, perchè colla idrossilamina dà un’ossima cristallizzata in belle laminette splendenti, solubili nell’alcool, e fondenti a 1389,5; colla semicarbazide dà un semicarbazone cristallizzato in begli aghi bianchi raggruppati, fusibili a 180°. La funzione alcoolica della sostanza è di- mostrata dal composto di addizione che dà coll'isocianato di fenile: questo composto cristallizza in prismi aciculari riuniti a rosetta, fusibili a 125°. Inoltre il composto C,o His 0» contiene ancora un legame etilenico, perchè assorbe 2 atomi di bromo, dando un sciroppo facilmente decomponibile con resinificazione. Anche l’ossima assorbe 2 atomi di bromo e dà una resina vischiosa. La questione importante da risolvere era se il CO del nuovo compo- sto fosse un carbonilo aldeidico o chetonico e le seguenti esperienze dimostrano che la sostanza è un chetone. 1° Non colora la fucsina decolorata con acido solforoso. 2° Non si ossida col nero di platino all'aria atmosferica e dopo un contatto prolungato, quattro settimane, sì riottiene la sostanza inalterata. 8° Non si ossida coll’ossido di argento umido, anche se il contatto è durato quattro settimane, e si ottiene dopo questo tempo tutta la sostanza inalte- rata. 4° Non riduce il liquido di Fehling e riduce solo con prolungata ebol- lizione la soluzione alcalina di argento. 5° Il prof. A. Angeli mi comunica gentilmente che avendo sottoposto la sostanza all’azione del nitroidrossila- minato di sodio, non ebbe formazione di acidi idrossamici come fanno in ge- nerale le aldeidi ('). 0) Rend. Acc. Lincei, serie V, vol. X, pag. 164. All'ossidazione permanganica in soluzione acida il composto Co His 0: dà il 40°/ di un acido C43 H,30,, inoltre acetone e gran quantità di resine. L'acido Cg H, 0, cristallizza dall'acqua calda in aghi prismatici, trasparenti, che asciugati all'aria fondono 1a 68°-69° e disseccati nel vuoto sull’acido sol- - forico fondono a 89°. Il sale di calcio (Cg H,, 0,)? Ca è anidro; cristallizza in piccoli aghetti solubilissimi in acqua. Questo sale dimostra che il com- posto è un acido lattonico, e difatti bollito con un eccesso di acqua di -ba- rite dà il sale baritico dell’ossidicarboacido Cs H,; 0; Ba, 2H, O. I caratteri dell’acido., dei suoi sali, e del sale baritico anzidetto, dimostrano che esso non è altro che l’acido terpenilico: HO,C—CH,—CH—CH;—C0 | U__ A CH, CH; Ci proponiamo di studiare i prodotti di idrogenazione di questo cheto alcool e le proprietà del glicole C,, H:6 (OH)? che speriamo di ottenere, ci permetteranno di decifrarne la costituzione. Anetolo. Il dottor A. Nardacci instituì una serie di esperienze sull'azione del- l’acetato mercurico sull’anetolo. Adoperando 1 p. m. di’ anetolo per 1 p. m. di acetato, la reazione s'inizia subito e si ha deposito di acetato mercuroso, che poco a poco in dieci a dodici giorni diventa grigio per mercurio che si separa. Il prodotto principale della reazione è un glicole CH30.C;H, — CH; (OH). cristallizzato in aghi raggruppati a mamelloni, fusibile a 98°. Il de- rivato diacetilico CH30 — C;Hy — 03H; (0C, Hz 0); è un liquido sciropposo che distilla a 210° alla pressione di 41 mm. L'ossidazione del nuovo gli- cole col misto cromico dà acido anisico. Safrolo. Il dottor E. Luzzi studiò di confronto l'azione dell’acetato mercurico sul safrolo e sull’isosafrolo; questo studio presenta un interesse speciale perchè si mettono in reazione i due gruppi C3H; di struttura differente, l’allle — CH, —CH= CH; ed il propenile — CH = CH — CH;. Una dif- ferenza interessantissima si verifica subito nel comportamento coll’ acetato mercurico; mentre l'isosafrolo che contiene il propenile come l’anetolo dà acetato mercuroso, il safrolo che contiene l’allile non dà acetato mercuroso: CAO questa potrà essere una reazione qualitativa facile e sensibile per differen- ziare i due radicali. L’isosafrolo si ossida coll’acetato mercurico e finora il dottor Luzzi non è ancora riuscito ad ottenere puro il glicole corrispondente, che secondo tutte le apparenze dev’ essere identico al composto ottenuto dalla signorina Bruschmakin (') nel laboratorio del prof. G. Wagner. Il safrolo agitato con soluzione satura di acetato di mercurio si rap- piglia in una massa densa sciropposa ed il liquido sovrastante rimane per- fettamente limpido. Se il contatto fra le due sostanze dura quattro mesi alla temperatura ordinaria si riesce a separare un composto mercurico al quale l’analisi assegna la composizione rappresentata dalla formola CHso» Ct A questo composto cristallizza in croste bianche in- solubili nell'acqua e nell’etere, solubili nell’alcool. La soluzione alcoolica coll’ aggiunta di etere precipita il composto e su questa proprietà è basato il modo di isolarlo e di depurarlo. Se invece il contatto fra le due sostanze dura da 8 a 10 giorni, si ot- tiene un composto mercurico che ha la stessa composizione del precedente, ma che si presenta sotto forma di un sciroppo denso, colorato in giallognolo un po solubile nell'acqua, solubile nell’ alcool, insolubile nell’ etere. Tutti e due questi composti idrolizzati con acidi ridanno il safrolo. L'isomeria fra i due prodotti può dipendere dalla posizione reciproca dell’ossidrile e del residuo dell’ acetato mercurico, oppure da polimeria: ulteriori ricerche di de- terminazione del peso molecolare risolveranno la questione. Anche fra i terpeni abbiamo riscontrato un fatto analogo a quello che sì verifica pel safrolo. Il canfene, un prodotto commerciale fornito dalla casa Schimmel di Lipsia e che distillava fra 155°-156°, non dà riduzione di acetato mercu- roso ma invece un composto mercurico cristallino di composizione più com- plessa. Estenderemo nel prossimo anno accademico le nostre ricerche al cavi- colo isomero allilico dell’anetolo, all'eugenolo ed isoeugenolo, apiolo ed iso- apiolo, come pure a diversi altri terpeni. (!) Berl. Ber. T. 24, pag. 3490. Mi Geologia. — / terreni terziari della provincia di Roma. Nota del Corrisp. CARLO DE STEFANI. III. Miocene superiore. Le marne salmastre e i gessi di questo piano sono rappresentati sol- tanto rimpetto Corneto sulla destra della Marta, sotto la città, sulla spiaggia nel bacino del Mignone, nei dintorni della Torre d'Orlando presso Civita- vecchia e nei dintorni della Tolfa. In questo luogo ho trovato larve di Libellula Doris H., Quercus, Salix, Laurus ed altre Filliti. È a tener presente che questo piano o sottopiano ha molto minore estensione del Miocene medio, e che dei gessi e depositi di sale si trovano, non però nella provincia romana, anche in mezzo a quest'ultimo terreno. IV. Pliocene. Il Pliocene è estesamente rappresentato nella provincia da quasi tutte le sue /aczes, cioè salmastra, littorale e delle laminarie ( Ast7ano) e coralligena (Piacenziano), e da marne di mare più profondo, non però propriamente abissale, della /aczes che dirò Vaticana. Strati littorali salmastri con Potamides tricinetum Broce., Giulit De St. intercalati a quelli prettamente marini, trovansi nei dintorni di Palombara Sabina. L'illustrazione fatta di questi strati dal dotto professore dell'Apollinare sarà apprezzata da chiunque riconosca l'importanza e la scarsità di simili studî stratigrafici analitici sul terziario italiano. 1 numerosi fosssili mostrano che quei terreni sono veramente tipici rappresentanti del Pliocene littorale, e sono certamente più antichi di quelli del Monte Mario presso Roma ('). Ghiaie e _ sabbie consimili si estendono a pie’ dei monti a nord di Tivoli, nelle colline di Monterotondo, Monte Libretti, sulla sinistra del Tevere, invadendo un poco anche la destra, varî chilometri a monte di Roma. Una faczes littorale un poco diversa è quella del calcare costituito quasi interamente da Amphi- stegina e talora, da Zithothamnium, detto volgarmente Macco, che formava scogliere a poca profondità più al largo nel mare libero. Può darsì che nel- l'estremo confine con la Maremma Grossetana, lungo il Chiarone, rientri nella provincia qualche strato del Macco che trovasi pochi passi lontano, a nord- (‘) Non si può dare eccessiva importanza alle stratificazioni diagonali od a parzial interruzioni che siano fra uno strato e l’altro, come necessariamente deve avvenire in tutti i terreni littoranei. rl est della Pescia Fiorentina in Toscana. Certamente lo si trova esteso, ricco di Echini, a Corneto, sovrastante alle marne pur plioceniche (!), poi presso il littorale anche sul mare a Palo, e pur sopra le marne da Nettuno ad Anzio. Buoni studî paleontologici ne hanno fatto il Terrigi ed il Meli. Pic- coli lembi consimili, con Zithothamnium, sono nei dintorni di Viterbo. Argille turchine sublittorali del tipo Piacentino se ne trovano solo nel confine più settentrionale con Grosseto al di là delle formazioni vulcaniche Vulsinie e sotto queste, a nord di Proceno, e poco lontano dalle due sponde del Tevere a valle di Orte. Sono invece molto estese le marne bianche di mare profondo a Peeter oblongus Phil. (= P. Comitatus Font.) e P. Angelonii Mgh., che più a setten- trione, lungo tutto il littorale ligure, principiando a Ceriale anzi in Provenza, seguitando per Albenga, Savona, Albissola, Arenzano, Borzoli, arrivano fino a Genova in Via Roma, ripigliano sul Tirreno in Val di Fine, poi, dopo altra lunga interruzione, non lungi dal mare, nella provincia romana e per lo più sotto ai calcari ad Amphistegina. Quivi li troviamo sotto Corneto, nei monti del Sasso sotto la Trachite, poi sul lttorale da Anzio a Nettuno, donde un piccolissimo lembo riapparisce lungo la ferrovia per Roma verso il casello 30 presso Carroceto. Questi lembi di Nettuno sono fra gli ultimi che s'incontrano lungo mare nel versante tirreno, dove, più oltre, fino alla Calabria meridionale, il Pliocene è rappresentato da formazioni littorali, contrasto ragguardevole con quanto si verifica lungo mare per tutto il versante adriatico e jonio, co- minciando da Mongardino e s. Ruffilo nel Bolognese, fino al Capo delle Armi. Dentro terra, in provincia, troviamo questi terreni nei dintorni di Vi- terbo, della Manziana, e ad ovest di Bracciano (*). Ma il giacimento più classico è quello del colle Vaticano sulla destra del Tevere, i cui fossili vennero studiati principalmente dal Ponzi. Le stesse argille si trovarono anche sulla sinistra del Tevere in Roma, principalmente in piazza di Spagna, ed al Rifornitore presso la via Flaminia fuori porta del Popolo. Questo terreno forma pure il sottosuolo del vulcano laziale, perchè si trova fra i proietti. 1l Pliocene manca nel bacino del Sacco e del Liri che doveva essere già chiuso, benchè ancora non conformato a lago, dalla parte del mare, e (1) Nella Carta della campagna romana dell'ufficio geologico, il « calcare conchi- gliare detto Macco » di Corneto distinto con colorazione a sè e giustamente attribuito al Pliocene è troppo esteso ad oriente. Probabilmente per equivoco è poi ripetuta l’indica- zione come « calcare ad Anfistegina dei dintorni di Cornello » riunito alle « ghiaie e sabbie » del Pliocene superiore » nell’èmbito delle quali la detta roccia non si trova. (2) Nella Carta della campagna romana gran parte di tali marne bianche, come «marne grigie a Fecten histria ed Ostrea cochlear » sono riunite nella « zona a Con- gerie » cioè nel Miocene superiore, con gli strati gessosi che non contengono tali fossili. DIR) a nella valle dell'Aniene (') a monte di Tivoli, parimente emersa, le cui ghiaie e sabbie prevulcaniche, per quanto mi consta, apparterrebbero al postplio- cene inferiore. Un fatto notevolissimo è la comparsa dei primi fenomeni vulcanici negli strati più alti del Pliocene ora accennato. Alla Mattonaia Falcioni presso Viterbo gli strati più alti delle marne bianche, piene di foraminifere empite da glaucomia e con delicati /ecten serbanti ancora sul terreno la posizione primitiva, sono costituiti da intima e indivisibile mescolanza di marna e di finissime polveri di Sanidino, Labradorite, Augite, Biotite, rarissima Ma- gnetite, elementi del sovrastante Peperzzo del vulcano Cimino che il Washington mostrò essere indubbiamente un tufo, come ne dà pure evidente riprova la mescolanza de’ suoi elementi con le marne (?). i A nord del sistema Vulsinio, a sinistra della strada che scende da Ra- dicofani ad Acquapendente, nei più alti strati delle argille turchine, sono per brevissima altezza straterelli di fossili marini frammentizî, alternanti con altri aventi cristallini di augite, e con altri formati di piccole ghiaiette di (1) Il Pliocene indicato nelle valli dell'Aniene e del Liri, dalla Carte géologique, è come già dissi, Miocene e in parte Postpliocene. Lungo il Sacco ed il Liri, le argille turchine e le sabbie gialle di Sgurgola, Pofi, Casamari, Ceprano, Isoletta, Roccasecca, sotto Falvaterra, furono depositate nel più set- tentrionale, salvo il Casentino o alto Valdarno, di quei bacini pospliocenici chiusi nell'Ap- pennino centrale che in gran parte ha descritto il De Lorenzo, per contrapposto a quelli pliocenici chiusi nell'Appennino settentrionale. Negli strati inferiori incontrasi una Dreis- sena sp. n.: superiormente, p. es. ad Isoletta, troviamo Melia, Vivipara, Bythinia ten- taculata, Bythinella, Limnaea 2 sp., Planorbis 2. sp. Ancylus, Valvata, Neritina 2 sp. Carychium, Pisidium; sono specie pochissimo e talora punto differenti da quelle odierne. (2) Di questa o di vicine località il Clerici dice che nelle marne non è Augite, che vi sono grani di Quarzo, che il Feldspato e la Biotite vi si trovano come nelle marne coetanee del Bolognese, e come nel calcare Pliocenico degli stessi dintorni di Viterbo. Il Sabatini pare che attribuisca a frane la presenza dei materiali vulcanici nell’argilla marina. I due autori debbono avere esaminato una località differente da quella che, del resto in modo esatto, indicai io. In quelle marne non trovasi quarzo, come i materiali vulcanici di quelle marne non sono a me noti nel calcare di Viterbo, nelle marne del Bolognese, del Vaticano nè di alcun altro strato pliocenico italiano. Il Peperino, forse in parte cao- linizzato, che sovraincombe al Pliocene alla Fornace Falcioni, contiene ancora particelle di argilla, alle quali forse, principalmente, deve il suo aspetto sfatto. A spiegare i fenomeni della fornace Falcioni non si prestano la negazione del fatto nè la formazione di una frana superficiale di frammenti grossolani che rivesta esterior- mente gli strati come altrove si verifica, ma soltanto una terza ipotesi ancora sconosciuta ovvero una delle due seguenti: o una caduta di ceneri d'una vicina eruzione nel fondo del mare pliocenico prossimo alla emersione, od un rimaneggiamento subacqueo, fino a pro- fondità di molti metri, delle marne plioceniche con materiali vulcanici posteriori. La perfetta conservazione di delicatissime conchiglie mi fa ritenere più verosimile la prima delle ipotesi da me fatte, che d’altronde non è in contraddizione con quanto ho osservato nelle vicinanze. da pomice. Anche qui si tratta di una formazione sottomarina, non però di mare profondo come quella della Mattonaia Falcioni, ma littorale, e proba- bilmente di una eruzione non del tutto subacquea come forse la precedente, ma in parte subaerea. Ad est dello stesso sistema Vulsinio, a Orvieto, quindi non nella provincia ma assai vicino, il contine tra le marne che, attesa la denudazione, non sono ivi lo strato più recente del Pliocene, ed i tufi vulcanici, è segnalato da fatti che mostrano essere stato ivi ne’ primi tempi delle eruzioni vulcaniche subaeree il littorale di un grande e profondo bacino acqueo, forse anche del mare. Infatti per lunghissime estensioni, sopra le marne, sono grandi lenti e masse delle medesime marne, poco spostate, secondo me smosse dalle acque non torrentizie sul posto stesso, insieme con grandi massi un poco ruzzolati di rocce leucitiche, alternanti superiormente con ghiaie vulcaniche e calcaree di carattere non torrenziale. Quelli accennati sono dunque tre contatti di tre tipi diversi, diversi poi tutti dai contatti inte- ramente discordanti fra il Pliocene ed i terreni vulcanici che quasi general- mente si notano ('). Ho inteso il Pliocene, come di solito, nei limiti del cosidetto As/zano e del Pracentino, escludendo perciò i terreni del Monte Mario che sono di- scordanti sopra le marne Vazicane, e tutti gli altri terreni sedimentarî e vulcanici più recenti, che hanno avuto ed hanno nei dintorni di Roma un manipolo di valenti illustratori. Aggiungo nella pagina seguente un prospetto dei terreni terziari della provincia di Roma. Come si vede l’Eocene estesissimo nella sua /aczes nord-appenninica è quasi mancante fuori dell'Appennino settentrionale: il Miocene inferiore manca affatto: il Miocene superiore è scarso o mancante, ciò che non può sorprendere attesa l'esivua durata della formazione; il Pliocene manca nella valle del Sacco e del Liri. Poco scientifico sarebbe il sorprendersi di tali mancanze quand'anche ci paresse non arrivare a spiegarle. D'altra parte non mancano spiegazioni verosimili. L'Eocene manca od è estremamente ridotto negli alti e profondi mari lontani dalle regioni emerse Alpine e Tirrene: durante il Miocene inferiore è possibile che la regione fosse emersa; chè, ai quattro punti cardinali della provincia stanno gli strati lignitiferi e con mam- miferi terrestri del Vicentino, di Cadibona in Liguria, di Agnana in Calabria, di Promina in Dalmazia. Durante il Pliocene la valle del Sacco doveva essere emersa e dotata di facile scolo, onde non vi si formò nemmeno un (1) Il Clerici ha indicato ghiaie di rocce vulcaniche e di travertino intercalate alle argille plioceniche, al Rifornitore lungo la via Flaminia presso Roma. Ebbi la ventura di visitare quel luogo, come poi i dintorni di Palombara e della Magliana, col chiaro geologo. A me le ghiaie d’origine alluvionale fluviale parvero semplicemente accumulate a ridosso delle argille, ed assai più recenti di queste come il travertino che talora, fra le altre ghiaie, contengono. ReENDICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 10 Pliocene Miocene superiore Miocene medio Kocene superiore medio Eocene PERT4r —: lago pliocenico come in altre valli chiuse dell'Appennino settentrionale, | come si formò poi nel Postpliocene. Monti di Civitavecchia e contermini Principio delle zioni Cimine. Calcari ad Amphiste- eru- gina. Marne bianche. Marne gessifere a Fil- liti e Libellula Do- PIS. Calcari a Briozoi della valle del Chiarone; Calcare terroso a Pecten nei Monti della Tolfa. Calcari, galestri e tufi ofiolitici di Trevi- nano, Calcarimarnosia Num- mulites. subirregu- laris, N. curvispira Mgh. Schisti, Pie- traforte con /noce- ramus, Bathysiphon etc. Arenaria di Furbara, Santa Severa, etc. Calcari marnosi. Valle dell’ Aniene e del Tevere Principio delle zioni Vulsinie. Ghiaie, sabbie gialle, strati con fossili sal- mastri. Argille tur- chine. Marne bian- che. eru- Marne, arenarie, pud- dinghe; Calcari com- patti; Calcari a Pe- cten, Miogypsina, Amphistegina, di Subiaco. Calcari a Briozoi. Calcari a Orbitoides e piccole Nummu- lites della Valle del Licenza e di Castel Madama. Calcari a Nummulites Lucasana Defr. e N. perforata D’Orb. della Valle del Li- cenza e di Guada- gnolo. Calcari a Nummulites Lamarcki D'A., N. laevigata Lck., N. elegans Sow., N. pla- nulata Lck., della Valle del Licenza. Valle del Sacco e del Liri Marne, arenarie, brec- ciole. Calcari com- patti. Calcari a Miogypsina di S. Sozio. Calcari a Briozoi. Calcari a Orbditoides di Veroli etc.? SSA 71 Fisica matematica — Za teoria elettrodinamica di Herts di fronte ai fenomeni di induzione. Nota di T. Levi-CiviTAa, presen- tata dal Corrispondente Ricci. Nel risolvere due particolari questioni di induzione elettrodinamica in base alla teoria (integrale) di Helmholtz-Hertz, ho incidentalmente asserito (*) che alla teoria hertziana pura manca qualche elemento (due condizioni ai limiti) perchè quelle questioni, e così il problema generale dell'induzione elettrodinamica, risultino matematicamente determinati. Mi affretto a dichiarare che una tale affermazione è inesatta. Un più maturo esame mi ha infatti mostrato che le condizioni in super- ficie scaturiscono ovviamente da un passaggio al limite, che è nello spirito della teoria di Hertz. Nella presente Nota metto in chiaro questo punto, desumendone la uni- voca determinazione del problema generale dell’induzione elettrodinamica entro l’àmbito della teoria hertziana pura. Ne consegue l'identità delle teorie integrali di Helmholtz-Hertz e di Maxwell di fronte ai fenomeni di induzione: l’una e l’altra si accordano infatti nel campo abbracciato dalle equazioni differenziali di Hertz. Che le teorie di Helmholtz Hertz e di Maxwell conducessero ai medesimi risultati, per quanto concerne l'accennata classe di problemi, avevo già avver- tito a proposito delle due particolari questioni da me discusse; ma io suppo- nevo allora che si trattasse di un campo, comune bensì alle due teorie inte- grali, ma non in pari tempo contenuto nelle equazioni differenziali di Hertz. È invece proprio questa Ja ragion vera della coincidenza. A rigore si potrebbe dunque fare a meno delle teorie integrali, anche per quanto attiene ai fenomeni di induzione. Ma non è, a mio credere, oppor- tuno, relegarle senz'altro tra i ferravecchi, poichè, nelle applicazioni parti- colari (e le due sopra ricordate ne sono esempio), si può spesso valersene con notevole vantaggio per semplificare la trattazione matematica. . 1. Comportamento delle forze elettromagnetiche nell’ attraversare una superficie conduttrice. () Sur le champ électromagnétique ete., Annales de la Faculté des Sciences de Tou- louse, Ser. III, T. IV, 1902, pag. 6-7; Influenza di uno schermo conduttore, ecc., in questi Rendiconti, Nota I del 16 febbraio u. s., pag. 164-165; nonchè Nuovo Cimento, fascicolo di giugno, $ 7 della notizia ivi inserita. Mi Sia 7 uno strato conduttore di spessore finito 2%, limitato da due piani paralleli : = — 4, =; siano Q, e Qs due punti di questi piani, situati sopra una medesima perpendicolare ad entrambi. Designino, colle solite notazioni, X, Y, Z; L, M, N le componenti delle - forze elettrica e magnetica in un generico punto Q dello strato conduttore 7; Xi; 0... Ni; Xa,..., Na i loro valori limiti in Q; e Q: rispettivamente va posto, bordi die Q vi tenda senza uscire da 7). Ritenuto che 7 sia un conduttore isotropo, e dette e, w, 4 le sue costanti caratteristiche, saranno soddisfatte entro 7 le equazioni fondamentali di Hertz xÎ dL _dZ sd} ZA Ma dy° del dM_dX _dZ N di de da sud _ dA N di UTO dX. MdM . “dn A “i 2 Sg 4T4ZAX, OY SIN . dl Asi side de © RI: dZ . dL dM A Di ga — 474AZ,, dove, come di consueto, si rappresenta con A la inversa della velocità della luce nell’ etere. Dalle prime due di ciascun gruppo, integrando rispetto a 2 fra — 7 e X, sì ottiene (x 1 iu (D—V=- i nh | Li-L=— dA Ide tin: —-h ) Sh |x-m= Arch | 2Xde4 > —-h nelle quali i termini omessi convergono a zero con %, semprechè, come è nella natura delle cose, si ritengano le forze elettromagnetiche e loro deri- vate prime finite entro 7, e dotate di limite superiore finito, anche al decre- scere indefinito dello spessore #, Il caso limite di una superficie (piana) conduttrice si ha dal nostro strato 7, supponendo che, al decrescere indefinito di /, sia finito e diverso da h RO 11 1 zero il limite dell’ integrale fi A dz. Designando questo limite con xR' /-h A?°R starà a rappresentare la resistenza unitaria della superficie, espressa in enni unità elettrostatiche, e quindi R la stessa resistenza unitaria, valutata in unità elettromagnetiche. Per definizione, X, e Y, sono i valori limiti in Q, delle componenti tangenziali della forza elettrica, quando si tende a Q, da 7; ma, attesa la continuità delle componenti tangenziali, nel passaggio, anche brusco, fra due generici mezzi (*), è lecito altresì risguardare X,,Y, come i valori limiti in Q,, quando vi si tende dall'esterno dello strato. Lo stesso per L,, M,, e per Xx, Y2; La, M; rispetto a Qe. Ciò posto, passando al limite per 7=0, ricaviamo dalle (1): Ni Va le quali esprimono che: Le componenti tangenziali della forza elettrica rimangono continue anche attraverso superficie conduttrici. Ho enunciato addirittura la proposizione per una superficie qualunque, poichè la generalizzazione dal caso del piano si fa con procedimento ovvio e ben noto. Designando con X, Y i valori comuni di X,,X:; Y,, Ya, le (2), al limite, danno: 4 \limh=—F}. 4 fra= e le quali esprimono che /a forza magnetica tangenziate subisce una brusca variazione, definita da un vettore proporzionale alla forza elettrica e di- retto normalmente ad essa. Importa osservare che, dalla direzione della forza elettrica a quella del vettore rappresentante la discontinuità, si ruota attorno all’asse 2 nel verso (negativo) y x. È Dopo ciò si passa senza difficoltà al caso di una superficie conduttrice qualsiasi. Detti infatti @,#,y i coseni direttori della normale in un suo punto generico Q; X‘®, Y®, Z le componenti della forza elettrica tangenziale in Q (che, per quanto s'è visto, hanno in @ valore limite determinato, da qualunque parte vi si tenda); 4,M,N gli incrementi bruschi, che subi- scono le componenti della forza magnetica tangenziale, quando si attraversa la superficie nella direzione positiva della normale, la relazione geometrica, () Hertz, Veber die Grundgleichungen der elektrodynamik fiir ruhende Kòrper. Ges. Werke, B. II, pag. 221; ovvero, in traduzione italiana, Nuovo Cimento, terza serie, T. XXVIII, 1890, pag. 204-205. dope testè sostanzia]mente enunciata, fra i due vettori (X°, Y®, ZO), (4, M, N), si esprime mediante le formule: _D d° p (820 — yY®), TM RSS? 0. de eZ), \ N: tn (aYMD BXP) : Sarebbe facile caratterizzare anche il comportamento delle componenti normali. Lascio però di farlo, perchè, come vedremo, non è necessario, per lo scopo nostro, fissarlo a priori: esso rimane all'incontro necessariamente determinato dagli altri dati del problema. 2. Posizione del problema generale della induzione elettrodinamica. Sua univocità. Consideriamo un campo elettromagnetico, definito in un dato intervallo di tempo 40, {1 - Sieno X', Y', Z' le componenti della forza elettrica; L', M, N' le com- ponenti della forza magnetica. Supposto, per fissar le idee, che la sede moi campo sia un dielettrico indefinito S, impolarizzabile e in quiete, X',..., N° saranno soluzioni del sistema | 0h db dI di dy (ar dM dX dZ 1) Mi da ae gd _dX eda dy dX_dM__dN | dt IMI N daN dl (II) ATL n xd _dM \ a dy da le quali potranno del resto presentare singolarità (fisse o variabili con 4, isolate, a una, a due, o anche a tre dimensioni), che non interessa di spe- cificare. Se si introducono nel campo dei conduttori, il campo rimane evidente- mente modificato. Supponiamo si tratti di una superficie, 0, più in generale, di un sistema di superficie conduttrici, c, non comprendenti alcun posto singolare delle E A X",..., N'. Indichiamo con X, Y,Z; L, M, N le componenti delle forze elet- tromagnetiche del campo così modificato. Mi propongo di far vedere che, noti i valori di X, ..., N in un istante £,, la teoria di Hertz basta a determinarli per ogni altro valore di / (dell’in- tervallo, entro cui si risguarda assegnato il campo induttore X' ,..., N°). A questo scopo osservo anzitutto che le differenze X=X—-X, Yy=Y—-Y, 2=14Z-2; L=L—-L, M=M—_-M, N=N—-N (componenti delle forze elettromagnetiche dovute all’induzione) debbono essere, per natura loro, soluzioni delle (I), (II), regolari (*) in ogni punto dello spazio, non appartenenti alle o, e nulle all'infinito come = almeno (= +9 +29). In un generico punto Q di 0, le X',..., N° si comportano, per ipotesi, regolarmente; le X,..., N debbono presentare i caratteri, rilevati nel pre- cedente paragrafo. Potremo dunque ritenere, per le differenze X, ,..., N: a) Le componenti X,°® , Y,‘P_,Z,” della forza elettrica tangenziale (di origine induttiva) rimangono continue anche attraverso le o. 5) Le componenti della forza magnetica tangenziale (indotta) subi- scono, quando si attraversano le o nel senso della normale positiva, le di- scontinultà : 4 l Art WBC Gr ti Ai= GR (9 NM) = AIN), Ar (FX 1a09: VASI) = Ar (YX1° ar eli) + Csa (3) Mi AR 4 4 4 IT T N;= gr (19 — BM) = (IPA) + a, designandosi ordinatamente con ci, c., 03 le quantità cognite (funzioni re- golari dei punti di 0) die (p7r0 — yy), di (yX10 — aZ/®), FE (al — px). La direzione positiva @, #8, y della normale si intende scelta con cri- terio arbitrario in un punto di ciascuno dei pezzi, di cui si compone il (1) Si chiama qui regolare una funzione di 7 ,Y,z,t finita e continua assieme alle sue derivate prime e seconde. e) — sistema o (in un punto solo, nel caso tipico di un'unica superficie): essa resta allora fissata per continuità in ogni altro punto Q. Ancora, si osservi che, se X;,..., Ni rappresentano i valori limiti delle componenti X,,..., Ni, quando si tende a Q dalla regione positiva . (quella verso cui è rivolta la direzione positiva della normale); X7,..., NT gli analoghi valori limiti, quando si tende a Q dalla regione negativa, sus- siste l’' identità XaieZa Bo Yi Zi IRVARZIE Li Mi Ni * Li MN |=/4A, M. N a BY me) e ital Per verificarlo, basta tener presente che le differenze Xt — X{° ,YT — Yl°, Zi — Zi”, e le tre analoghe X7 — X{" , ecc., sono proporzionali ad @, #, y, talchè è lecito, nei due determinanti nel primo membro sostituire X{", Y(®, Z{® agli elementi della prima riga; sommando allora i due determinanti, trat- tando nello stesso modo le componenti della forza magnetica e ricordando il significato di 4,, M,, N,, risulta appunto il secondo membro. Ciò posto, ricaviamo per le nostre componenti X,,..., N, la formula di Poynting: moltiplichiamo cioè le (I), (II) (scrittovi X, per X, ecc.) Xi Yi N, ordinatamente per IA Ink il’ 400° e sommiamo, integrando a tutto il campo S. Con ovvie integrazioni per parti, in cui bisogna naturalmente aver riguardo alle superficie di discontinuità 0, posto per brevità 1 | l @ e=ffT +++ ++ md, sì ottiene e da 1 R cole Li MI Ni|+ o | XrYZ | PROZIA 1 t| LMiN; d=- (lA M, N|do. n 0 rel CARRI] Integrando ancora fra 4, e # e designando con £, il valore di £ per t=t, risulta [XP NZ 1 t Ar O-2+ pa S, &S|A 21 nildeno. GITA) Y ge Appoggiandosi a questa identità, è facile riconoscere che non possono esistere due distinti sistemi di integrali delle (I) (II), regolari in tutto lo spazio (escluse al più le 0), nulli (come È almeno) all'infinito, soddi- sfacenti sopra le o alle due condizioni @), 0), e coincidenti per {=4: in altri termini, che le differenze di due sistemi siffatti si annullano identi- camente. Infatti queste differenze costituiscono un sistema integrale delle (I), (II), che si comporta come gli altri fuori delle 0, soddisfa sopra le o alla a) e alle (3), dove si ponga cc =c=e3= 0; infine si annulla per {= £. La (5) assume allora l'aspetto t e+7af di (A+ M}+ N3) do=0. Siccome tutti gli elementi di integrale sono positivi, questa relazione esige che sia zero separatamente ciascun elemento, il che implica l' identico annullarsi delle sei differenze. C. D. D. Fisica. — Aicerche di radioattività indotta. Nota IV di A. SELLA, presentata dal Socio BLASERNA. Presento in questa Nota i risultati di alcune misure ed esperienze, le quali completano quelle esposte nelle Note precedenti (Rendiconti (5) XI, 1° sem. pp. 57, 242, 369; 1902) e che riguardano sempre i fenomeni di radioattività indotta sopra lamine metalliche mediante l’effluvio. ; ESPERIENZE NELL'ARIA ATMOSFERICA. Influenza della durata dell’efftuvio. — In primo luogo fu stabilito che l'attivazione è indipendente dalla natura del metallo che costituisce la lamina o gli aghi affacciati, dalla distanza fra aghi e lamina e dalla intensità del- l'effluvio stesso, che misuravo con un galvanometro inserito nel circuito; unica condizione rimanendo che si avesse effluvio accompagnato da vento elettrico, avendosi poi sensibilmente gli stessi risultati operando sia con una macchina elettrostatica a 38 dischi di vetro del diametro di 30 cm. o con un'ordinaria macchinetta Whimshurst a due dischi. Ciò posto passai a determinare come varii l'intensità dell'attivazione con la durata del processo di attivazione stesso, cioè dell'effluvio. Ho operato in queste misure in una stanza di dimen- sioni medie (me. 175) colle finestre chiuse. RenpIconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 11 E SA I numeri che riporto per caratterizzare l'intensità dell'attivazione in- dicano i secondi impiegati dalla lamina attivata delle dimensioni di centi- metri 10 X 14 e mantenuta ad un potenziale costante di 20 Volt per caricare un'altra lamina, ad essa parallela, alla distanza di 6 cm. e collegata ad un - elettrometro, dal potenziale 2 a quello di 6 Volt. Il numero di secondi è quindi inversamente proporzionale all'intensità I dell'attività. La capacità del sistema era di cm. 13,6. Lamina positiva, effluvio negativo. Durata dell’efiluvio 15° 30° 45' 60° TSI 1/I 76" 45" 39" 36000 45 Lamina negativa, effluvio positivo. | Durata dell’effluvio 15' 30' 45' 60' 106 1/I 216" 114” 100” 95” 93” Se si indica nei due casi con 100 il numero che rappresenta l’attiva- zione finale, costante si hanno i seguenti numeri: Durata dell’effluvio 15' 30' 45° 60' 75! Lamina positiva I 45 77 88 95 100 Lamina negativa I 43 82 93 98 100 e sono portati nell’unita fisura 1, in cui la curva (1) corrisponde alla lamina positiva e la (2) alla negativa. L'andamento delle due curve è, come si vede, Z 10 2) 11) 8 è 6 4 2 a È 0 15° 30° 45° 60° 75% Fic. 1. molto sensibilmente coincidente per quanto a bella posta abbia scelto due esperienze che corrispondono a condizioni dell’aria molto diverse; a queste e non al segno dell’effluvio è da attribuirsi la diversità dei valori assoluti dell’attivazione, come ho già ricordato più volte. Perdita della radioattività col tempo. — È questo un dato che im- porta molto di conoscere per caratterizzare la natura dell'attivazione. Le lamine saggiate erano state prima attivate a saturazione, cioè finchè, per gore. quelle date condizioni dell'aria, fosse raggiunto lo stato di equilibrio fra la perdita e l'acquisto (notando però che questo stato di equilibrio anche con aria nelle medesime condizioni, varia a seconda delle dimensioni della stanza a causa dell'esaurimento dell’aria in particelle attive, prodotto dall’effluvio). Ecco i risultati: i numeri che esprimono l'attivazione hanno il medesimo significato di prima; nella prima linea stanno le ore. Lamina positiva : Ore 0% iù 2h 8h 4h WAR Mb 70 1870 1475 Dopo 24 ore l'attivazione non era quasi più apprezzabile. Lamina positiva: Ore 0% 085 N 52 5 80 355 4h LI 26" 36" 49" 75" 92" 110" 130” 144" 153” Nella figura 2 sono rappresentati questi risultati riportando a 100 Fis. 2. l'attività iniziale. La curva (1) corrisponde alla prima lamina, la (2) alla seconda. La leggera differenza di comportamento è da attribuirsi a diverse condizioni dell'aria; nè oserei affermare che il fatto che nel caso di attivazione iniziale più elevata la caduta sia stata più rapida, abbia un carattere ge- nerale; ulteriori esperienze in proposito sarebbero interessanti. Da notarsi è che la caduta nel principio è più rapida di quello che corrisponderebbe ad una progressione geometrica col tempo, calcolata sui valori iniziale e finale. Ho accennato (p. 372) che facendo filtrare l’aria di una cantina chiusa da molto tempo attraverso l’ovatta, questa diventa radioattiva; è interessante riportare i numeri che mostrano come questa attività va scomparendo col tempo. Le misure furono fatte sparpagliando l’ovatta del filtro su di una lamina metallica colla solita disposizione. Dopo 120' l’attività non era quasi più apprezzabile . Minuti primi 0 30' 40" 100' 120 1/1 in secondi 66” 178" 220" 405” _ E 100 37 30 16 0 Meg4i Aggiungo che non mì è riuscito di trovare attive delle superficie me- talliche state da lungo tempo nell'aria chiusa della cantina, come era forse naturale di sospettare. Condizioni in cui si produce la radioattività. — Già ho accennato . nelle mie Note precedenti che la radioattività cresce operando in luoghi chiusi. Per riportare alcune cifre, dirò che nella medesima stanza di prima, con finestre aperte ottenni un'attività rappresentata da 265”, dopo due ore di chiusura ed un’attivazione per la durata di un’ora 169". Il massimo va- lore che ho potuto ottenere in quella stanza tenendo le finestre chiuse per alcuni giorni, è stato di 26"; si noti però che la tenuta delle finestre lasciava molto a desiderare. In una stanza della cantina tenuta chiusa da molte settimane, ho ritrovato la radioattività più alta rappresentata da 17”,5. Un punto, che sarebbe molto interessante di approfondire è se, come appare probabile, il potere attivante dell’aria corre parallelamente con la sua conduttività. Altro modo di rendere radioattiva una superficie metallica. — Si prenda una spirale di filo metallico delle dimensioni date nella prima Nota, e sì disponga un poco al di sotto della spirale verticale e nel prolungamento del suo asse un becco Bunsen isolato. La fiamma si mette in comunicazione con un polo della macchina elettrostatica, la spirale con l’altro polo. Si ottiene in questo modo un’attivazione della spirale del tutto eguale a quella che si ha ponendo nell’asse della spirale il sistema di aghi già descritto a pag. 57 Anche in questo caso il segno della fiamma non ha importanza. Questa espe- rienza è interessante in quanto mostra che le particelle attive dell’aria non vengono distrutte dai gas caldi di combustione della fiamma. EsPERIENZE NELL'ARIA ESPOSTA PER POCO TEMPO ALLE EMANAZIONI DELL'OSSIDO DI TORIO. In una cassa della capacità di 300 litri sono posti una bacinella con- tenente !/, kg. di ossido di torio ed il sistema lamina ed aghi, essendo la prima in comunicazione con un polo della macchina elettrostatica, gli aghi e la cassa e l'altro polo a terra. L'attivazione viene prodotta subito dopo chiusa la cassa. Perdita della radioattività delle lamine dopo estratte. — Volendo determinare la perdita spontanea di attività delle lamine attivate e poi estratte dalla cassa, notai subito il fenomeno già accennato a pag. 244 e che cioè l’ attività cresce dapprima per un certo tempo. Durante le esperienze comparve una Nota del Rutherford (Phys. Zeitschr. (3) pag. 254, 1902; vedi a questo proposito il recente lavoro nel Journal of the Chem. Society, July 1902, pag. 837) che annunziava il medesimo fatto per corpi attivati col man- tenerli ad un potenziale negativo; fatto che gli era sfuggito nelle sue prime gi ricerche. La cosa ha ora perso quindi un poco del suo interesse e non riporto alcune misure se non a titolo di esempio. Lamine negative; durata dell'attivazione '/, ora. Nella prima linea sono i tempi in ore dopo estratta la lastra, nella seconda la solita durata nella misura elettrometrica, nella terza l’attività della lamina, supposto 100 l'iniziale. 18 lamina: OSO 2030" 8. 3530" 4 1/I= 96” 64" 52” 46” 43"5 44 457,5 49” I= 100. 150 184 208€ 220 218 212 196 2* lamina: oh 30' l':30 — 20 2:30! 35,30" 45,30' 1/I= 148" 80" 68" 55” 49”. 47" 47" 59" I= 100 185 215 270 300 8315 315 260 Ho già annunziato (pag. 244) che le lamine positive si attivano molto meno, nelle condizioni attuali, che non le positive; tuttavia anche queste presentano questo aumento caratteristico. Ecco un esempio: o. 30 1» 15,30. 23,30% 32,30 45,30 Li 2040 lA90 II (108° 98" 100” 108” I=100 138 177 200 201 207 190 Lo stesso aumento si ritrova ancora per la parte posteriore delle lamine, cioè quella non affacciata agli aghi e valgano come esempio le seguenti espe- rienze fatte sulle parti posteriori delle due lamine sopra riferite e state elettrizzate negativamente. 1 lamina: o. 307 IIS 230! di ZONA blf=#446% 640 IR 444 43" 44 47" 57" I= 100 228 266 330 340 330 310 256 2.à lamina: o. 30' 10.30' gr 2290 3h.30' 4h.30" liege 36” 23" 21” 19” 19” 21” — "100 186 290 320 350 350 310 Carattere generale della radioattività. — Il fatto che le lamine posi- tive si attivano molto meno delle negative, il fatto che la parte posteriore della lamina elettrizzata negativamente può talora, a seconda della posizione della lamina rispetto alle pareti della cassa, attivarsi molto più intensamente della anteriore, ed i numeri sopra riportati per la 2* lamina ne sono una prova eloquente, dimostrano che il processo di attivazione non è dovuto pro- Si priamente all'effluvio, ma alla carica propria positiva delle particelle attive dell'emanazione torica, quale fu dimostrata dal Rutherford. Queste condizioni interessano quindi poco nella presente ricerca. Mi sia permessa qui un'osservazione ad un'affermazione dal Rutherford (Phil. Mag., 49, p. 8, 1900) che l'emanazione dell'ossido di torio non viene arrestata. fil- trando per l'ovatta. Ora facendo passare per uno stoppaccetto di ovatta del- l’aria passata semplicemente sopra l’ ossido di torio sì ritrova l’ ovatta forte- mente radioattiva; ora, secondo ogni probabilità, un’ attivazione così energica, come quella osservata, non si otterrebbe, se l’ ovatta non arrestasse parte dell'emanazione stessa. ESPERIENZE NELL'ARIA ESPOSTA DA MOLTO TEMPO ALL'EMANAZIONE DELL'OSSIDO DI TORIO. La cassa ricordata nelle esperienze precedenti veniva lasciata chiusa 16 ore prima di procedere all’ attivazione della lamina. La bacinella contenente l’ossido di torio poteva essere ricoperta da un foglio di carta senza che si alterassero i risultati. Influenza della durata dell’ effluvio. — Secondo l’ interpretazione da me data al fenomeno dell'attivazione e riportata nelle note antecedenti, si com- prende che il tempo per ottenere la massima attivazione debba essere dello stesso ordine di quello che occorrerebbe per chiarire un ambiente fumoso o carico di nebbia. Ecco alcuni dati: Durata dell’ effluvio 605. 30%" 10/1 8A e e 1/I misurata all’ elettrom.i 15” :15” 10”5 833” 18” .28” Questi dati non sono molto concordanti, perchè, per cause non bene defi- nite, in condizioni apparentemente eguali non si ritrovano le medesime atti- vazioni, ma il fatto che per un minuto di effluvio si è ottenuto un effetto maggiore di uno di quelli avuti per 10’, che con 5' si è ottenuto un effetto sensibilmente eguale come con un'ora o mezz'ora, dimostra la precedente affermazione. Influenza del tempo durante il quale la cassa rimane chiusa. — Ecco alcuni dati sperimentali: Ore di chiusura 8° 16° 24h 40 84 LE TESE 15” DIE: TS 30" | 24° 10” sa A parte le solite divergenze, si può in generale concludere, che dopo 8 ore l’aria ha già acquistato un potere attivante che è la metà circa del massimo, valore che raggiunge dopo circa 16 ore. gg Distribuzione della radioattività nella lamina. — Nelle attuali con- dizioni ho già mostrato che l’attività sì distribuisce sulle lamine secondo superficie, che riproducono esattamente le figure del Kundt; mi sia ora lecito di riprodurre (fig. 3) una di queste figure ottenute per via fotografica attra- (0) Fic. 9 verso il cartone nero, e che presenta una particolarità interessante, cioè un anello nella macchia; particolarità che, come hanno notato Obermayer e Pechler, viene talora mostrato dalle figure del Kundt dirette. Variazione della radioattività col tempo. — Ecco un esempio: la la- mina era rimasta 16 ore racchiusa nella cassa, poi elettrizzata positivamente, cioè con effluvio negativo. Ore 0 IR dh 3° 30" 5° 6h 24h 1/I in secondi 28” 205, 129 30" 33" 37” 128” I 100 97 97 93 85 76 22 La persistenza della radioattività, come si vede, è molto grande ed è quella che fa riuscire così bene le prove fotografiche. Questo comportamento così diverso da quello presentato dalle lamine attivate nell’ aria atmosferica dimostra pienamente che le particelle attive contenute in questa sono del tutto diverse dall'emanazione del torio. Vorrei ancora accennare al fatto che talora le lamine presentano ancora un leggero aumento col tempo, dopo estratte, come lo prova la seguente misura : Ore 003154 0880" 0° dle 12"30" ci 7° 30' 1/I in secondi 44” 43" 49” AI 40" 47” 49" Questo comportamento però non si ritrova di frequente; per solito la ra- dioattività rimane stazionaria, o quasi, durante le prime tre ore; poi decresce 88 un po’ rapidamente per quindi diminuire sempre più lentamente, secondo una legge assintotica. Carattere dei raggi emessi datle lamine attivate. — In primo luogo riferiamo il loro potere di penetrazione. Sopra la lamina attiva furono posti - successivamente più fogli di stagnola o di carta e poi misurata al solito la velocità di carica dell’ elettrometro. Seguono alcune misure; l'intensità senza fogli fu ridotta a 100. Carta dello spessore di mm. 0,022. Curva (1) (fig. 4). Numero dei fogli. 0 1 2 3 4 5 6 I 10050 25 14,3. 7,3 2,7 0,9 RIG. 4. Carta dello spessore di mm. 0,015. Curva (2). Numero fogli 0 1 2 3 4 5 6 7 8 I 100. 52° 98285 .L6 9 5 24 L1l 0,5 Stagnola dello spessore di mm. 0,009. Curva (3). Numero fogli 0 li 2 3 4 il 100. 28 12,56 3,5 0,5 In secondo luogo ho misurato come varii l'intensità della corrente al condensatore nella misura elettrometrica col variare della differenza di poten- ziale. Nella tabella che segue nella prima linea sono indicati i Volt a cui viene successivamente portata la lamina attiva, nella seconda i secondi impie- gati dalla lamina collegata coll’ elettrometro per caricarsi al solito da 2 a 6 Volt. Volt 8 10 12 ide 16 TS 208230 4050.7600 1/Xo oh 173% 0 010,785 MA 8 AAA 0 9009905 — 89 La figura 5 rappresenta i numeri trovati e mostra come a 60 Volt sia quasi raggiunta la corrente di saturazione. RIGIDI Appendice. — In una campana del contenuto di 10 litri collegata con una macchina pneumatica e sul cui fondo era una bacinella contenente ossido di torio fu prima introdotta aria umida, accuratamente priva di pulvi- scolo atmosferico e dopo 16 ore cercai se si produceva nebbia con un espan- sione subitanea entro quei limiti in cui l’aria naturale non presenta questa condensazione; ma non ho ottenuto risultati netti. Mi preme inoltre di ricordare che filtrando attaverso l'ovatta l'aria della cassa, in cui era stata rinchiusa coll’ossido di torio, ottenni una attivazione così forte dell’ovatta che potei ottenere con questa delle azioni fotografiche attraverso una lamina sottile di alluminio. Il modo col quale la radioattività dell’ovatta decresce spontaneamente col tempo è caratterizzata da questi numeri. Ore oh I: 19° 1/I in secondi 28” 25” 72" Così anche l’ovatta attivata per filtrazione può presentare quel leggero aumento iniziale già riferito per le lamine attirate coll’ eftluvio. Compio il grato dovere di ringraziare pubblicamente il dott. Caboni, che mi fu di efficacissimo aiuto nelle presenti ricerche. RenpIcONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 12 MCO), — Fisica. — Sulle rotazioni bimagnetiche del piano di polariz- cazione della luce. Nota di QuirINo MAJORANA, presentata dal Socio BLASERNA. In una Nota preliminare precedente, indicai col nome di rotazioni bi- magnetiche, certe rotazioni subite dal piano di polarizzazione di un raggio luminoso traversante talune soluzioni magnetiche poste in un campo magne- tico. Il fenomeno ha luogo se il fascio di raggi è normale alle linee di forza e se il piano di polarizzazione non è parallelo o normale a queste. Riferen- domi a quanto dissi nella Nota citata, le rotazioni bimagnetiche possono es- sere positive 0 negative; e mi preme far notare che tali denominazioni sono state da me introdotte, e sono adoperate, per ottenere maggior semplicità di linguaggio, non avendole io ricavate da alcuna ragione teorica o di raf- fronto con altri fenomeni conosciuti. Modo di sperimentare. — Prima di indicare i processi da seguirsi per ottenere liquidi attivi, liquidi cioè che hanno potere rotatorio bimagnetico, dirò brevemente del modo di osservare il fenomeno. La disposizione è simile a quella indicata per la constatazione della birifrangenza (v. Note precedenti); il secondo compensatore D è soppresso, e si possono misurare le rotazioni dell’ analizzatore B, leggendo sul cerchio graduato (non segnato in figura) le posizioni angolari di questo. La sorgente di luce in queste esperienze, deve essere o la lampadina a filo molto brillante, o una fenditura sottile illumi- nata da un arco voltaico. In entrambi i casi la linea molto luminosa che si osserva, se i nicol non sono incrociati, è orizzontale, affinchè il fascio piano di raggi sia nelle sue varie parti, in campo magnetico uniforme. Non suc- cederebbe così se si ponesse il filamento o la fenditura in posizione verti- cale. Una sorgente larga di luce, come sarebbe tutto un fascio di raggi proveniente da un arco voltaico, senza la delimitazione ottenuta con la fen- ditura, non consente misure molto precise, giacchè è allora assai difficile giudicare la posizione di assoluta estinsione. È necessario, specie se si fanno delle misure, sapere esattamente quale è l'angolo che il piano di polarizza- zione fa colle linee di forza del campo. A tal fine, in una esperienza preli- minare, sì riempie la vaschetta di ferro Bravais vecchio e molto diluito. Questo liquido permette di trovare le posizioni dei nicol, per le quali non si ha traccia di birifrangenza a meno di / 0 2 minuti primi; esse corri- spondono alle posizioni 0° e 90°, e con ciò si può, in ciascuna esperienza conoscere la posizione angolare dell'analizzatore. Per osservare la rotazione, bimagnetica si pone il polarizzatore colla sua diagonale maggiore a 45° sul campo, sia a destra che a sinistra. Se tutto è regolato all’oscurità, e se il liquido è attivo, inviando la corrente nell’elettromagnete, si vede ricompa- rire la luce, e per riottenere l'oscurità occorre girare l'analizzatore di un piccolo angolo. Se il nuovo angolo tra la diagonale maggiore del nicol e le linee di forza è maggiore di 45° si ha rofazione positiva, se è minore sì ha la negativa. Liquidi attivi. — Il fenomeno della rotazione bimagnetica non era forse prevedibile, ed è anche perciò, che, a differenza della birifrangenza magne- tica, io mi imbattei in esso senza che lo cercassi. Ricercando i casi di biri- frangenza magnetica passai in rivista le principali soluzioni acquose di sali di ferro, giacchè esse, con maggior probabilità, lasciavano sperare nella con- statazione del detto fenomeno; e studiando il comportamento del cloruro ferrico in un campo magnetico, osservai, dopo numerosi tentativi, per la prima volta il fenomeno della rotazione bimagnetica, in luogo della birifrangenza. Il li- quido era stato tolto da un vecchio reagentario, travasato in una boccetta, filtrato e introdotto nella vaschetta V. La rotazione, abbastanza netta, era negativa. Incominciai subito lo studio di questo fenomeno, ma con grande mia sorpresa mi accorsi che dopo poche ore il liquido della vaschetta, e dopo pochi giorni tutto quello rimasto nell'originaria boccetta, era dive- nuto completamente inattivo. Preparai allora altre soluzioni di cloruro fer- rico con concentrazioni diversissime; mutai l'intensità del campo magnetico partendo dalla più debole sino ad arrivare alla più grande che con la mia elettrocalamita potessi ottenere: provocai alterazioni del cloruro ferrico, sia facendolo bollire poco o ripetutamente, sia trattandolo con lievi quantità di acido cloridrico; molti altri tentativi feci che qui non riporto e passai in fine in rivista tutte le boccette di cloruro ferrico possedute dai numerosi reagentarî degli istituti chimici di Roma; ma non riuscii più a riottenere il fenomeno visto la prima volta. Nell'incertezza in cui mi trovavo, per non aver avuto tempo, non solo di studiare, ma anche di constatare bene il fe- nomeno, non mi sapevo decidere ad abbandonare questo studio, e, d'altro canto, non vedevo nulla che mi potesse guidare nella ricerca di un feno- meno, che il caso mi aveva fatto scorgere per brevi istanti. Dopo lunghi tentativi, arrivai finalmente alla conclusione che la solu- zione di cloruro ferrico dotata della proprietà suesposta, doveva essere im- pura: giacchè cloruro ferrico purissimo, sciolto in acqua, e privo di ossiclo- ruri, non presenta mai traccia di rotazione bimagnetica. Rendendo impura la soluzione, col farla agire su speciali idrati di ferro, si può osservare questo fenomeno. Infatti è noto che le soluzioni di cloruro ferrico hanno la proprietà di sciogliere taluni ossidi idrati di ferro. Questo fatto viene appunto utilizzato nella preparazione del ferro dializzato; ma la soluzione di ossido ferrico nel cloruro, ottenuta in una delle maniere indicate nei trattati di chimica, non mostra mai traccia di rotazione; le attuali soluzioni attive eeniggi vengono ottenute invece facendo agire il cloruro ferrico su idrati di ferro preparati altrimenti. E qui debbo dire che, forse a causa della poca pratica da me posseduta in fatto di manipolazioni chimiche, non sono riuscito ad individuare chimicamente la costituzione degli idrati di cui si tratta, ma solo a specificare le condizioni, osservando le quali si possono ottenere liquidi attivi. Del resto ciò era per me sufficiente, e sarebbe in seguito còmpito di un chimico il resto. Ecco ora le norme da seguirsi per preparare i detti liquidi attivi. Esse valgono qualora la vaschetta destinata a contenere il liquido sia lunga 7 cm. circa; in caso diverso occorrerebbe studiare la con- centrazione più conveniente della soluzione di cloruro ferrico. La soluzione da me adoperata ha sempre la densità di 1,05 circa. Se essa è preparata di recente, il suo colore è giallo-rossastro, e non è molto adatta alle prove successive. Per cui è meglio ricercare del vecchio cloruro ferrico che abbia quella densità, e che, a causa di alterazioni chimiche, sia colorato in giallo canario piuttosto chiaro. Se ciò non è possibile, basta aggiungere ad una soluzione recente poche gocce (in 100 cm. c.) di acido cloridrico concen- trato, onde provocare la decolorazione. Si ha così un liquido (soluzione tipica) il cui potere assorbente per la luce non è molto forte, e che è sempre inattivo. Per rendere attiva la soluzione tipica si può procedere in diverse guise. a) Si prepari del cloruro ferroso in soluzione acquosa, e lo si lasci in una bottiglia chiusa per parecchie settimane. Si vuoti la bottiglia, e la si lavi ripetutamente con acqua distillata; sulle sue pareti interne riman- gono in certi punti aderenti piccole tracce di un idrato di ferro. Pochi cen- timetri cubici di soluzione tipica, posti in questa bottiglia e agitati per un paio di minuti, forniscono del liquido attivo. La rotazione bimagnetica che sì osserva è sempre negativa, e cioè per riottenere l'oscurità, occorre girare alquanto l'analizzatore in guisa che il piano normale alla sezione principale (piano di polarizzazione) si accosti al piano delle linee di forza del campo. 8) Si bagnino con soluzione cloridrica concentrata dei piccoli chiodi di ferro (lunghezza 10 mm., spessore 1 mm. circa) non ossidati; e si pon- gano così in una bacinella avendo cura di scolare il liquido eccedente. Dopo 48 ore si lavino i chiodi a grand'acqua, si lascino asciugare disten- dendoli su di un piano di vetro o di porcellana, e si aspetti prima di pro- cedere oltre ancora qualche giorno. In una piccola provetta di vetro sì ver- sino circa 10 cm. c. di soluzione tipica e in essa si gettino 2 o 3 gr. di ferro ossidato come si è detto. Si agita per qualche minuto e si filtra. Il liquido così ottenuto è attivo e dà rotazione negativa. Un eccessivo soggiorno del ferro ossidato nel cloruro ferrico, nuoce alla nettezza del fenomeno. c) È questo il processo più semplice e più efficace, per ottenere li- quidi con potere rotatorio bimagnetico marcato. In 25 cm. ec. di soluzione ti- sign... pica si pongano 10 gr. di piccoli chiodi di ferro ben tersi; si scalda in un piccolo matraccio, sino all'inizio della ebollizione, avendo cura di non spingere l'operazione tanto da trasformare completamente il cloruro ferrico in ferroso. Si raffredda poi il tutto, si scolano i chiodi, su cui è incominciato un processo di ossidazione, e si distendono su di un foglio di carta bibula. Dopo 3 ore, e non più tardi di 36, il ferro così ossidato serve ad ottenere liquido attivo. Se si procede come in 2, ma molto rapidamente, lasciando i chiodi in contatto della soluzione ferrica per pochi secondi, si ha liquido attivo positivo; ma talvolta il risultato di questa operazione è incerto, di- pendentemente da circostanze che non mi è ben riuscito di determinare. Dopo il primo rapido lavaggio dei chiodi con soluzione tipica, si ripeta l' ope- razione con altro liquido fresco, agente sugli stessi chiodi, e si agiti la pro- vetta per 2 0.3 minuti. Si ha così sempre liquido attivo negativo. Anche qui non si deve prolungare troppo l’azione del sale ferrico sul ferro ossidato. Se la preparazione del liquido attivo vien fatta molto tempo dopo (più di 36 ore circa) quella del ferro ossidato, l’attività del liquido può man- care affutto. d) Si lasciano attaccare dei pezzi di ferro o chiodi ben tersi, distesi su di una lastra di vetro, dall’acido cloridrico non in eccesso. Dopo tre giorni si scelgano con una pinza, fra i pezzi di ferro, quelli che più marcatamente sono ricoperti da un idrato color ruggine, e su 2 o 3 gr. di essi si facciano agire 10 cm.c. di soluzione tipica: si agita per qualche minuto. Il liquido filtrato dà spesso rotazione positiva, ma questo risultato può talvolta man- care, ottenendosi liquido inattivo o negativo. Riassumendo: è abbastanza facile ottenere liquidi con potere rotatorio negativo, e ulteriori esperienze sarebbero necessarie onde specificare meglio in quali condizioni si ottenga la rotazione positiva. In ogni modo è sempre da avvertire che tutti i liquidi preparati perdono rapidamente la loro atti- vità; la rotazioue osservata immediatamente dopo la preparazione resta ri- dotta a metà già dopo una o due ore, e l'indomani il fenomeno è quasi completamente scomparso. Per cui è certo che il cloruro ferrico lasciato a sè per un certo tempo, è del tutto inattivo, ed evidentemente il liquido che per la prima volta mi aveva fornito la rotazione bimagnetica, doveva avere agito, all'atto dell'esperienza o poco prima, su qualche idrato di ferro che casualmente aderiva alle pareti del recipiente. Le seguenti misure sono state fatte studiando la rotazione bimagnetica negativa, quella cioè che più facilmente si ottiene, ed ho quasi sempre fatto uso della preparazione indicata in c. Dispersione rotatoria. — Volendo studiare le leggi con cui avviene il predetto fenomeno, occorre adoperare luce monocromatica. Ciò in conseguenza del fatto che i poteri rotatorî per i differenti colori sono differenti. Vi sa- rebbe dunque da studiare la dispersione rotatoria bimagnetica, ma a dire == BezA il vero io credo che ciò, data la piccolezza e la instabilità dei fenomeni, sa- rebbe molto difficile. Spessore del liquido. — Mi sono dunque limitato a porre tra l’analiz- zatore e l'occhio, un vetro verde quasi monocromatico e a studiare il fenomeno solo su questa tinta. Rimane sempre la difficoltà della instabilità del prodotto. Si tratti p. e. di determinare come varii il potere rotatorio con la lunghezza del liquido traversato. Si costruiscono due vaschette di lunghezze eguali rispettiva- mente a 35 e 70 mm. Riempite di porzioni dello stesso liquido attivo, procedo ad osservazioni delle rotazioni per lo stesso campo (18000 u.) ora per una, ora per l'altra vaschetta, quando i nicol sono a 45° sulle linee di forza. Così, alternando le misure, si vede che i valori della rotazione vanno decre- scendo per ciascuna vaschetta, a causa della diminuzione della attività, ma con dieci osservazioni per vaschetta si hanno come medie i valori: vaschetta di 35 mm. rotaz. 1° 6' ” » 70» ” 2° 18° Sicchè è da ritenersi che: la rotazione bimagnelica è proporzionale allo spessore del liquido traversato. Poichè la rotazione non può crescere inde- finitamente, giacchè se il piano di polarizzazione coincide o è normale alle linee di forza essa è nulla, si intende che questa legge è approssimata, e può valere finchè i liquidi (come quelli da me preparati) hanno piccolo potere rotatorio, e spessore relativamente breve. Intensità del campo. — Per studiare la dipendenza tra la intensità del campo e la rotazione, occorre procedere in maniera analoga. Scelgo quattro valori di quella intensità, e prendendo le medie di più osservazioni si ha: intensità (u. C. G. S.) 500 1000 5000 18000 rotazione Mobl3" 10-40! 920902420 Sicchè 72 potere rotatorio cresce in principio assai rapidamente col campo, e finisce, al di là di una certa intensità non molto grande, per divenire quasi costante. Questo fatto mi aveva suggerito l’idea di adoperare vaschette molto lunghe e campi piuttosto deboli onde ottenere cospicue rotazioni. Provai infatti a sostituire espansioni polari molto più lunghe (normalmente al campo) di quelle sinora adoperate e che come è noto erano di 7 cm.; la vaschetta fucambiata in altra di conveniente lunghezza. Con ciò ottenni realmente rota- zioni più forti; ma non guadagnai nulla nella precisione delle misure, giacchè, col crescere dello spessore del liquido, cresceva l'assorbimento della luce, e quindi l'incertezza nel determinare l'angolo di estinsione. Teoria del fenomeno. — La spiegazione più semplice della rotazione bimagnetica è quella di ammettere un ineguale assorbimento da parte del liquido, delle componenti della vibrazione, normalmente e parallelamente alle linee di forza. Questa idea, che mi fu suggerita dal prof. Voigt, è accennata Esa); gp in un lavoro teorico sull'argomento pubblicato recentemente da questo fisico (). È opinione del prof. Voigt che la rotazione bimagnetica debba osservarsi là dove coesiste piccola birifrangenza e notevole pleocroismo magnetico, ma a dire il vero, io ho constatato nette rotazioni senza che abbia potuto scorgere traccia di birifrangenza. Per cui lo studio dell’attuale fenomeno può farsi se non sempre, spesso, indipendentemente dalla birifrangenza. Consideriamo una vibrazione luminosa propagantesi nell'interno di un liquido attivo, nor- malmente alle linee di forza, e polarizzata in un piano nè parallelo, nè nor- male al campo. Sia V l'ampiezza della vibrazione all'ingresso nel liquido; se @ è il suo angolo colle linee di forza, C, la sua componente secondo queste e C,, la normale, si avrà Ch 0,7 tga . Sotto l’azione di un campo di determinata intensità, e per lo spessore totale del liquido, le componenti predette rimangono inegualmente assorbite. Supponiamo che la C, diventi %,C, e la C, 4,0, essendo entrambi gli indici X, e %p minori di uno, se X1<%, la vibrazione uscirà dal liquido con un angolo f< «@ e si avrà rotazione bimagnetica positiva. Sarà allora: TenOn kpCp E poichè i due indici di assorbimento sono indipendenti dall'angolo sotto cui entra la vibrazione nel liquido, si intende che per /o stesso liquido, contenuto nella stessa vaschetta e a parità di campo, il rapporto delle tangenti degli angoli che la vibrazione fa colle linee di forza entrando ed uscendo dal liquido è costante. Chiamando questo rapporto con m la precedente relazione si può scrivere: as ko _tga —tgf, ed anche VAT (1) mil senle_@) ca ni od anche (2) —1 sen GE sen (a 4 f).. (3) Ora a — ? è la rotazione bimagnetica che si osserva; dalla (3) si de- duce che affinchè essa sia massima, deve essere massimo sen (a + f); cioè a+ = 90°. In pratica i due angoli @ e $ differiscono di poco, per cui la massima rotazione si ha in vicinanza di 45°, come realmente io avevo trovato. Onde verificare meglio se la legge delle tangenti è sempre sodisfatta, ho proceduto a numerose misure, applicando la relazione (2). La (1) mal si sarebbe prestata a ciò, poiche è chiaro che, essendo @ e f poco differenti, (') Drude, Annalen d. Phys. 1902, n, 8, pag. 881, digg il rapporto delle loro tangenti, ancorchè la legge enunciata non fosse stata ben sodisfatta, sarebbe stato sempre assai prossimo all'unità, e cioè vicino al valore di m. La (2) si presta meglio, poichè al primo membro compa- risce come fattore l'eccesso di m sull’ unità. Servendomi di liquidi di recente preparazione, ho determinato i valori di a — f per @ prossimo a 20°, 45°, e 70°. E ciò con il solito criterio, onde eliminare errori dovuti alla continua diminuzione di attività di ciascun liquido. Le misure fatte con una sola preparazione, non sarebbero state suf- ficienti per verificare o meno la legge delle tangenti, per cui ripetei per parecchi giorni di seguito la serie di osservazioni, rinnovando ogni volta il liquido. Le seguenti cifre sono le medie delle osservazioni esegaite cambiando dieci volte il liquido attivo, e con ciascun campione venne osservato dieci volte di seguito il valore della rotazione, per i tre angoli predetti: a 20934" 45°0" 70951 B 19°19' 42°56' 68°43' rotazione 1915" 204 1922" sen (a — f) TEACH (aL fg) 0,0340 0,0361 0,0362 Per cui si vede che la legge delle tangenti è sodisfatta con sufficiente ap- prossimazione. Un'ulteriore verifica sarebbe stata desiderabile, e cioè la constatazione diretta del diverso assorbimento, a seconda della posizione del piano di po- larizzazione, del fascio traversante il liquido, normalmente alle linee di forza. E propriamente, nel caso di rotazione bimagnetica positiva, l'onda più as- sorbita dovrebbe esser quella il cui piano di polarizzazione coincide con quello delle linee di forza, e nel caso della negativa, l'onda polarizzata nor- malmente. Ora benchè io avessi ottenuto talvolta per pochi minuti liquidi così attivi da far rotare il piano di polarizzazione per 4°30' (nicol a 45° sul campo), pure non potei mai constatare alcun sensibile mutamento nell’in- tensità luminosa di un fascio di raggi polarizzato sia orizzontalmente che verticalmente, all’istante della eccitazione del campo. Nello studio della birifrangenza magnetica presentata dal ferro dializzato, feci notare che essa è sempre accompagnata da dicroismo magnetico, e che i due fenomeni sono collegati in guisa, da essere sempre l'onda più lenta la più assorbita. Sembra a priori possibile, in un liquido che contempora- neamente presenti, all’ eccitazione del campo, birifrangenza, pleocroismo, e potere rotatorio bimagnetico, studiare quest'ultimo dopo aver compensata la prima. E ammesso ciò, se il comportamento dei liquidi studiati in questa Nota fosse paragonabile a quello del ferro dializzato, salvo la prevalenza nei primi del dicroismo sulla birifrangenza (la quale sarebbe inosservabile), si dovrebbe concludere che a rotazione bimagnelica positiva corrisponde diri- MStOri frangenza negativa e viceversa. Allo scopo di verificare la giustezza o meno di questa veduta, mi diedi a ricercare se tra i campioni di ferro dializzato da me studiati ve ne fosse taluno che oltre alla birifrangenza e al dicroismo, presentasse anche il fenomeno della rotazione. Potei infatti trovare qualche esempio di ferro dializzato dotato di piccola birifrangenza positiva mista a rotazione bimagnetica negativa (ferro del 4° tipo, v. Note prec.). Mi volli però assicurare se un tal risultato fosse senz'altro da ammettersi come co- stante, e a tal fine studiai accuratamente gli altri ferri dializzati anche molto attivi per birifrangenza, che avevo a mia disposizione. In questo studio non potei andare molto avanti, giacchè mi accorsi che a causa dei forti valori della birifrangenza, era impossibile ottenere completa oscurità per quanto si girasse l'analizzatore, dopo aver compensato la birifrangenza per un dato colore, od averla portata uguale ad un rumero intero di lunghezze di onda, regolando l'intensità del campo. Solo sul punto di inversione, se questo era un po’ alto, mi fu possibile constatare nettamente la rotazione. Orbene per tre campioni, i soli che possedessero punto di inversione elevato (intorno a 5000 u.), potei constatare che, per intensità del campo un po’ mi- nore, eguale e un po’ maggiore di quella corrispondente al punto di inver- sione, i liquidi avevano netti poteri rotatorî bimagnetici negativi (circa due gradi di circonferenza, essendo i nicol a 45° sul campo). Questo risultato ci dice dunque che il segno della rotazione bimagnetica non è sempre collegato con quello della birifrangenza, e qualche altra ipotesi sarà necessaria onde potere mantenere la spiegazione del prof. Voigt, come per esempio quella che il cambiamento di segno della birifrangenza non avviene, al crescere del campo, contemporaneamente a quello del dicroismo. Ciò del resto sarebbe assai dif- ficile constatare, giacchè quest'ultimo fenomeno è, in vicinanza del punto di inversione della birifrangenza, tanto debole da essere inosservabile. Terminerò questo studio avvertendo che nell'esposizione dei fatti, ho sempre cercato di indicare in principio i più semplici per passare poi ai com- plicati. Ma se peri primi mi è stato possibile specificare talvolta circostanze essenziali per la constatazione dei fenomeni, e tal'altra stabilire leggi a cui questi fenomeni sodisfanno, ho dovuto spesso rinunziare allo studio degli altri, a causa delle molteplici difficoltà da me incontrate. È perciò che mi limito per esempio ad accennare che si può constatare ancora la sovrapposizione di rotazioni a birifrangenza anche nel caso di soluzioni di cloruro ferrico, ma che, precisare le condizioni essenziali affinchè ciò avvenga, mi è stato sinora impossibile. E infine dirò che il prof. Sella mi ha fatto notare che il dott. Kerr () aveva già trovato in elettrostatica, un fenomeno analogo a quello di cui è (°) Philos. Magaz., v. 8, 1879, pag. 100. RenpIcontTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. ilo; rg oggetto questa Nota. Rotazioni del piano di polarizzazione della luce del tutto simili alle descritte, furono constatate dal Kerr; adottando per esse deno- minazioni analoghe a quelle da me ora adoperate, esse, come apparisce dalla Memoria del Kerr, erano negative, e furono osservate nel cloruro di stagno sotto l’azione di un campo elettrostatico. Questo fatto, dimenticato forse dai fisici, non fu oggetto di accurati studî nemmeno da parte dello stesso Kerr, a causa della alterabilità del liquido in presenza dell’aria. L'aspetto alquanto torbido del liquido studiato dal Kerr si rileva anche nelle soluzioni di clo- ruro ferrico da me adoperate e forse l'assoluta analogia dei due fenomeni, ci aiuterà in seguito nel dare una spiegazione più completa di quella più sopra riportata. Fisica. — Determinazione dei potenziali alternanti. Nota del dott. CAMILLO CARPINI, presentata dal Socio BLASERNA. 1. In una Nota precedente (') ho fatto vedere come e con quale appros- simazione sì possa determinare, con i mezzi comuni da laboratorio, il poten- ziale elettrostatico, servendosi della deformazione prodotta in un liquido piano conduttore e in comunicazione col suolo, da una sfera sovrastante elettrizzata. Mi proposi in seguito di esaminare che cosa avviene di questa defor- mazione quando la sfera viene portata a potenziali alternanti sinusoidalmente. La prima questione che si presentava era di esaminare se e con quale fre- quenza di alternazione si ha una deformazione costante o variabile con le vicende del potenziale. Adoperando come liquido l'olio di olivo, non ottenni alcuna deformazione netta, che potei invece raggiungere sostituendo un liquido conduttore, come l'acqua leggermente acidulata, con una frequenza di 80 alternazioni al secondo. Un esame stroboscopico mi convinse che con questa frequenza la deformazione poteva ritenersi permanente. Applicando a questa deformazione le formule del Sella, trovate per il caso statico, si ottiene un certo potenziale; io mi proposi di determinare in che relazione stesse col potenziale alternato cui era portata la sfera, ciò che feci determinando il potenziale efficace mediante la distanza esplosiva fra punta e piano. I numeri che in seguito saranno riportati dimostrano che la deformazione del liquido corrisponde al potenziale efficace. 2. Prima di cominciare le misure, mi proposi di vedere se si potesse o no semplificare il metodo dell'astigmatismo da me adoperato nella prima (1) Rend. d. Ace. d. Lincei. (5) XI, 65, 1902. =igg a ricerca per determinare il raggio di curvatura della superficie liquida defor- mata. E nota la relazione: SUA st o=?2 sen g tang che dà il raggio di curvatura in funzione delle distanze s', ‘' delle «due linee astigmatiche dalla superficie riflettente e dell'angolo 4 di incidenza della luce. Nella mia prima ricerca determinavo direttamente le due distanze s'e ' spostando uno schermo sul quale erano tracciate delle linee. Ora invece volli ridurre la misura di queste due distanze a quella dello spostamento dell'oculare per la messa a fuoco delle due linee astigmatiche. La questione è molto semplice; infatti è chiaro che se si conosce la posizione dei piani principali e la distanza focale della lente obbiettiva e se si misura la distanza fra un determinato punto dell’oculare e l’immagine data dall’ obbiettivo nella posizione della visione distinta, determinando la distanza di questo punto dall’ obbiettivo per una data immagine, si potrà risalire alla determinazione della distanza dell'oggetto corrispondente dell’ obbiettivo, e quindi alla deter- minazione della posizione delle linee astigmatiche. Per confrontare i due metodi feci una serie di misure con una lente piano convessa di cui. il raggio di curvatura misurato allo sferometro era di cm. 75. I numeri che seguono sono la media di parecchie misure: i°SMefodotsss=="cemitz4:5* di = ‘cm. Job » = cm. 69,1 2° Metodo s' — cm. 76,0 ? — cm. 10,9 r=cm.71,l Tali numeri mostrano l'attendibilità pratica del secondo metodo, che speri- mentalmente è molto più semplice del primo, perchè una volta determinate con cura le costanti ottiche del cannocchiale si può dal solo spostamento del- l’oculare dedurre le due grandezze s' e /, evitando così la puntatura della mira, richiesta dal primo metodo, puntatura che riesce praticamente più dif- ficile di quella delle linee astigmatiche per la grande influenza che ha il modo con cui viene illuminata la mira stessa. Perciò nella ricerca, che segue, ho adoperato di preferenza il secondo me- todo, pur controllandolo talvolta col primo. 3. La disposizione sperimentale fu la seguente: il liquido messo al suolo comunicava con un polo del secondario di un rocchetto di Rumhkorfî, mentre l’altro polo comunicava con la sfera deformatrice isolata. Nel primario, recante un tasto interruttore, circolava la corrente alternata di città trasfor- mata a 100 Volt, con una frequenza di 80 alternazioni al secondo: una resi- stenza ad acqua e un reostata permettevano di variare il potenziale ai poli del secondario. La distanza esplosiva, per la determinazione del potenziale, fu misurata tra un piano di ferro ed un cono di ottone (angolo 15°) munito di vite mi- —R00 crometrica. Le superficie erano ripulite con cura assai spesso ed il cono sovente cambiato. Onde tener conto inoltre di possibili variazioni del potenziale durante il tempo della determinazione del raggio di curvatura, misuravo la distanza esplosiva sia prima, sia dopo tale determinazione. I potenziali che saranno in seguito riportati corrispondentemente alle distanze esplosive sono stati tratti dalla curva costruita in base ai risultati che l'ing. Jona dà nell’ Elettricista (') ed in base alla seguente tabella, che debbo alla sua cortesia e che completa quei risultati, per voltaggi più bassi. Distanza esplosiva Volt efficaci Orte SS Lit) Lj0vi grafo 50 i Been) LD veleni e Bat econo) 0 eat 3 Si) re a 000 dii artt (ela ata n 2850, 950 ne gii aa e 220 LO OI, Ed att oa 0900, DO Le RR ET SSL ae sat 00 6,0 siii ee 05 alata SUI CO 1 Lie I TOT RUROL0O 850 i vi olor ti ea a 000 900 o. a e 45) LO; 0 0 a e e 208 4. Per avere una idea dell’ approssimazione da me raggiunta col me- todo dianzi esposto, trascrivo una delle serie di osservazioni tra le molte eseguite : i Angolo luce 74°12” 3 S s di Q Potenziale Dist. espl. È 3 | cm. 66,0 5,0. cm. 367,9 Volt. 4208 4,6 I20E 67,0 5,5 407,5 4092 4,5 55 69,0 5,0... 366,6 4314 4,8 SE 72,0 5,2 381,2 4238 4,5 CE 72,5 5,0 365,2 4323 45 zE 71,5 5,0 365,6 4320 5,0 So 71,0 5,0 365,8 4817 5,0 Lo scartamento massimo dal potenziale medio è di Volt 166, mentre quello della distanza esplosiva è di mm. 0,3, il che corrisponde secondo i risul- tati dello Jona ad una variazione di Volt 261; ciò che indicherebbe una costanza maggiore nelle mie determinazioni. (1) Anno 1899. — 101 — Riassumo nella seguente tabella la media di molte serie di osservazioni ponendo a lato dei potenziali da me determinati quelli dedotti dalle espe- rienze dell'ing. Jona. Dist. bordo inf. Potenziale in Volt sfera dal liquido. Dist. esplosiva dedotto {Jona) | mm. 2,4 2310 mm. 5,56 < 3,6 3618 3628 4,6 4274 4325 \ 8,2 7493 6840 mm. 11,33 < 9,2 8052 7600 11,6 9642 9160 21,1 16970 17600 \ 29,5 24802 24400 mm. 24,14 | 42,7 30562 30650 Î 49,3 35435 34594 60,0 40987 38000 Aggiungo due curve ottenute con i numeri della tabella precedente — (ascisse: distanze esplosive — ordinate: potenziali) la curva continua rappre- senta i miei risultati, la punteggiata quelli dell'ing. Jona. Essendo le due curve quasi identiche, si deduce che 22 fenomeno della deformazione della superficie liquida corrisponde al potenziale efficace. Non mi è stato possibile superare i 40000 Volt, perchè nel liquido suc- cedono perturbazioni tali da rendere tromolante il raggio riflesso, sì da infir- mare la precisione della misura del raggio di curvatura. — 102 — Noto infine come trattandosi di potenziali variabili debba entrare in giuoco la conduttività del liquido. Alcune esperienze su liquidi diversamente conduttori, fatte anche allo stesso potenziale mi hanno dato i seguenti risultati : Acqua Alcool amilico Alcool amilico con KCI Potenz. in Volt 23600 23400 24000 Da tali numeri sembra potersi concludere che l’ influenza della condutti- vità non si fa sentire nei limiti, che il metodo stesso può garantire. 5. Può sembrare strano l'avere ottenuto deformazioni permanenti con la frequenza di 80 alternazioni al secondo, specie se si pensi che J. H. Vin- cent (') ottenne onde stazionarie nel mercurio percosso dalla punta di un corista, che vibrava con quella stessa frequenza. Fui così condotto a cercare il limite delle alternazioni, oltre il quale il liquido comincia a pulsare. Non potendo modificare il periodo della corrente sinusoidale, la sostituii con una corrente continua interrotta periodicamente da un interruttore Foucault: però giova notare che in tal caso non si ha un andamento sinusoidale, ma solo una serie di sbuffi di corrente interrotti da alcuni istanti di corrente nulla e che quindi questo stato di cose non corrisponde a quello da me studiato. Fino a 14 interruzioni al secondo, il liquido riproduceva esattamente le pul- sazioni della corrente. Sostituii poi all'interruttore Foucault un corista elet- tromagnetico con un periodo variabile da 30 a 64 vibrazioni al secondo. Ecco’ i risultati ottenuti all’ esame stroboscopico. Partendo da una piccola frequenza e puntando la linea astigmatica verticale, se è opportuna la velocità del disco di cartone forato, al posto della linea verticale comparisce una piccola ellisse, cioè si coglie il liquido in una fase, per cui la sua deformazione è adatta a dare nel campo del cannocchiale la linea astigmatica orizzontale. Crescendo il numero delle vibrazioni, l’ellisse diventa sempre più piccola fino a scom- parire del tutto verso 45 o 50 vibrazioni al secondo. Si può dunque rite- nere che verso una tale frequenza il liquido non risponda più alle pulsazioni della corrente. 6. Mi sia permessa una piccola osservazione alla mia prima Nota sopra citata. Trattandosi di raggi di curvatura non molto grandi, come quelli che ho per solito adoperati, bisognerebbe tenere conto anche della capillarità che si aggiunge, nell’opporsi al sollevamento del liquido, alla forza di gra- . 2A . ATER vità, in modo che al termine g0$ andrebbe aggiunta — in cui A è la co- stante di capillarità e @ il raggio di curvatura. Per rendere conto della influenza di questo termine correttivo osservo che per 0=300 cm. ed A=3,5 (mm. mgr.) per l'olio di olivo, si avrebbe gdî = 5 e d'altra parte 9 2008. Ciò che mostra appunto che l'influenza della capillarità non è Q trascurabile in un calcolo rigoroso. (!) Philosophical Mag. 1899, vol. 48, pag. 338. — 103 — PERSONALE ACCADEMICO Giunse all'Accademia la dolorosa notizia della morte del Socio nazio- nale RiccaRDo FELICI, mancato ai vivi il 20 luglio 1902; apparteneva il defunto all'Accademia sino dal 25 febbraio 1875. CORRISPONDENZA Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze e lettere di Copenaghen; la Società zoolo- gica di Tokyo; la Società Reale ed il Museo britannico di Londra; la So- cietà Reale delle scienze di Upsala; la R. Scuola Navale superiore di Ge- nova; il Museo zoologico dell’ Università di Copenaghen. OPERE PERVENUTE IN DONO ALT/’ACCADEMIA dal 7 luglio al 3 di agosto 1902. Bastian H. Ch. — Studies in heterogenesis. I, II. London, 1901. 8°. Biffi S. — Opere Complete. Milano, 1902. 8’. 5 voll. Brioschi fr. — Opere matematiche. T. II. Milano, 1902. 4°. Gallegos J. — Magnetismo universal. Guatemala, 1902. 8°. Gibelli G. (In memoria di). 1831-1898. Genova, 1902. 8°. Guecia G. B. — Sulle curve algebriche piane. Palermo, 1902. 8°. Ia. — Sulle superficie algebriche. Palermo, 1902. 8°. Haasemann L. — Der Pendelapparat fir relative Schweremessungen der deutschen Sidpolarexpedition. Berlin, 1902. 8°. Ingolf-Expedition (The Danish). Vol. VI. 1. Copenhagen, 1902. 4°. Kolliker A. — Ueber die oberflichlichen Nervenkerne im Marke der Vogel und Reptilien. Leipzig, 1902. 8°. Laurent H. — Sur les principes fondamentaux de la Theorie des nombres et de la Géometrie. Paris, 1902. 8°. Loriga G. — Notizie e documenti sulla cura dell’afta epizootica con le inie- zioni endovenose di sublimato corrosivo. Roma, 1902. 8°. Meli R. — Notizie scientifico-tecniche sui travertini e specialmente su quelli esistenti nella pianura sotto Tivoli. Roma, 1902. 4°. Niederlein G. — Ressources végétales des Colonies frangaises. Paris, 1902. 4°. Passerini N. — Il Letame di stalla. Firenze, 1902. 8°. — 104 — Pftuger E. — Ueber den Glykogengehalt der Thiere im Hungerzustand. Bonn, 1902. 8°. Résultats du Voyage du S. Y. Belgica en 1897-1898-1899. Rapports scien- tifiques. 12 fasc. Anvers, 1901. 4°. Russo A. — Studî su gli Echinodermi. Catania, 1902. 4°. Semmola E. — La pressione dell'aria a Napoli ed al Vesuvio. Napoli, 1902558 i Veronese G. — Les postulats de la géométrie dans l'enseignement. Paris, 1900. 8°. MC, Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Volt Me Vo MISVEL: WILL Serie 3* — TRAnsUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — Il. (1, 2). — HI-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Serie 4% — ReNDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MremoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. (1892-1902) 2° Sem. Fasc. 8°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 5°-6°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-III MemoORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULRIco HoxpLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Agosto 1902. I ND CE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 3 agosto 1902. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Balbiano e Paolini. Ossidazione con acetato IMEND TICO e II de IVA Pag. De Stefani. I terreni terziari della provincia di Roma. . . £ ” Levi- Civita. La teoria elettrodinamica di Hertz di fronte ai a di Sd toeE “dal Corrisp. Ricci). . . LO DARAI I SC VI Sella. Ricerche di radioattività indotte (mb) dl fucio Blasi) BONE SIR DA TO Majorana. Sulle rotazioni bimagnetiche del piano di polarizzazione della o De Dif ” Carpini. Determinazione dei potenziali altethanti (pres. Id.) 0/0. PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte del Socio nazionale Accardo Felici «+... CORRISPONDENZA Corrispondenza relativa al cambio degli Atti (0... ..°. SSA GCT A MI BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. V. Cerruti Segretario responsabile. 65 70 75 81 90 98 103 Pubblicazione bimensile. Roma 12 agosto 1902. N. 4. AE IRE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO" CCRCIX. 1902 SERI CO, GREN.IA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume NI. — Fascicolo «4° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del A7 agosto 1902. Y] ROM A TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI n FIA ; mn imiine PROPRIETA DEI. CAV. V. SALVIUCCI chsentan log (| CS "pi 1902 i 9, ESTRA'""TO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matemetiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle. Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- .l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri nn numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Accar demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici. se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto 0 in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che ‘i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI L}NCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia sino al 17 agosto 1902. ANNANNINNNNSII_-_- Matematica. — Sulla teoria invariantiva delle espressioni ai differenziali totali di second’ordine, e su di una estensione dei simboli di Christoffel. Nota del Corrispondente ERNESTO PAscaL. L'argomento cui si riferisce questa Nota è stato da me cominciato a trattare nei due lavori: /ntrodusione alla teoria invariantiva delle equa- zioni ai differenziali totali di second’ ordine (Ann. di Mat. (3), t. 7), e: Un teorema della teoria invariantiva, ecc. (Rend. Ist. Lomb. (2), t. 34, 1901), nel primo dei quali ho dimostrato l’ esistenza di un invariante simul- taneo di una espressione ai differenziali di second'ordine e di una espres- sione a derivate parziali di second’ ordine, analogo al noto invariante per le forme ordinarie pfaffiane; e nel secondo ho dimostrato l'invariantività delle caratteristiche di certe matrici. Ora mi propongo di trovare altri invarianti e forme differenziali cova- rianti, e di far vedere come possa costruirsi una teoria la quale può repu- tarsi una estensione di quella dei simboli di Christoffel relativi alle forme differenziali quadratiche; in simile modo otterrò poi anche, per una espres- sione ai differenziali secondi, l'estensione degli ordinarii parametri diffe- renziali. Dei risultati di questa Nota mi servirò in altro lavoro per trattare il problema dell’ applicazione di una trasformazione infinitesima ad una espres- sione ai differenziali secondi. RenpICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 14 — 106 — 1. È necessario richiamare brevemente i simboli e le notazioni introdotte nelle due succitate Memorie. Sia data la espressione (1) U "2 Xx d* x, | a DI N; da; da; , (Xi; = Xi) , I = e introduciamo i seguenti simboli: cx P):C Me .€ ©) aaa dti lhi a: IX: ()uivolnt.® (2) DX DX lijti— af = 2%, dI; dI LE IX Xii dIXik dr Ve — — SS ; : di dd; dIK dI; QUA Fra questi sussistono le relazioni: (ij) = (@)_ (99) (3) \ belt = (GI) + (99) Lea Trader. i il DE EA ;( nd | ijhi= o (0) nil 23 Ro 0 Operando una trasformazione di variabili, questi simboli si trasformano colle formole dYr dYs SERA DI; dj 1 1 dYr dYs DD (VEE 7 s dI; d%; Lijit =D Do rs SU NI dei dI; , dYr dt dYs N° Deer dt d Ys di dd dEK (GITA dI dLi dI; _ lei DISSI ir ts ME a dove le y sono le nuove variabili, e i simboli cogli apici’ rappresentano i valori dei medesimi espressi nelle y; le prime di queste formole sono assai facili a trovarsi, l’ultima è stata calcolata nel secondo dei lavori succitati. 2. Si dimostra subito che le forme differenziali quadratiche AT DI DI ((7j)) da; da; 0 = DI DI ORRORI NIN i) sono covarianti. — 107 — In effetti adoperando le suindicate formole di trasformazione sì ha Ur dys dici dd; DA d%j dYp dYq A=DD (13) dyndys ON e osservando al solito che NE dYr d%; sp dI dYp è uguale a zero o ad 1, secondochè gli indici 7, p sono diversi od uguali, e che lo stesso si ha per il \ , si ricava che i termini non zero del pre- i cedente sommatorio sestuplo sono solo quelli in cui p= 7, 9g="s, e quindi resta AD D ((13)) dyedge, pa r s il che mostra la invariantività di A. È utile ricordare che i covarianti quadratici A o B hanno un altro in- timo legame con la data espressione ai differenziali secondi, e tal legame è quello espresso dalla formola, già trovata nella Memoria negli Annali di Matematica: (4) U=dV_A=d4Y—3B, in cui è (5) EDI 2 e si può osservare che anche V è una forma pfaffiana covariante in rap- porto ad U. Un fatto importante ad osservare è che 7% simbolo }t j kt introdotto nei precedenti lavori nei quali esso ha avuto un posto notevole, considerato invece in rapporto alla forma differenziale quadratica B, si identifica col noto simbolo a tre indici di prima specie di Christoffel, come risulta im- mediatamente dall'ultima delle relazioni (3). Esso è così, considerato in rapporto alla espressione ai differenziali se- condi U, una estensione del simbolo di Christoffel, e diventerebbe eguale a questo (moltiplicato per — 2) quando la U diventasse una ordinaria forma differenziale quadratica, cioè fossero zero i coefficienti Xx. Da questa osservazione semplicissima r/sulta che tuita la teoria dei simboli di Christoffel e delle relazioni fra essi esistenti, resta estesa sen altro al caso in cui si assume per forma fondamentale la U. Così p. es. ricordando la nota formola (') esistente fra i simboli a tre indici di (’) Vedi p. es. Bianchi, Geometria differenziale, 2* ediz., vol. I, pag. 66. — 108 — Christoffel, sî può dedurre fra i simboli relativi alla forma U la seguente relazione: dIM Ki R NINO NT, (a 6 ; M°%,;}2jk= (6) PLATA) ij TA, dx; li) I ik ssi ddr 1 dove }M'{ rappresenta, giusta una notazione già da noi adoperata nella seconda delle Note citate in principio, il determinante degli elementi }é jt, e le }M";; rappresentano i complementi algebrici degli elementi del medesimo determi- nante, divisi per il determinante stesso. D'altra parte, servendoci di un risultato da noi ottenuto più in gene- rale nella stessa Nota ('), può enunciarsi, per gli ordinarî simboli di Chri- stoffel, un teorema, che potrebbe dimostrarsi anche direttamente, ma che non credo ancora esplicitamente notato. Ponendo X,== X= 0 = X,,=0, e osservando che allora le ma- trici }M; risultano formate mediante gli ordinarî simboli di Christoffel LA] si deduce che la matrice 2, Data xe 1] I Da ('‘) Prendo occasione da ciò per notare che nell’enunciato del teorema alla fine del $ 2 del predetto lavoro, con ) {M;} si deve intendere la somma di tutti gli |M}, i e non, come ivi si è detto, di un arbitrario numero di essi. Inoltre, alla fine del lavoro, laddove si fa il prodotto per colonne della matrice (16) per la (11), bisogna invece intendere eseguito il prodotto delle due matrici, combinando le linee di (16) con le colonne di (11), — 109 — come anche quella ottenuta da questa colla soppressione della prima co- lonna, hanno caratteristiche invarianti per qualunque trasformazione di variabili. In simile modo si può intendere anche estesa la costruzione dei parda- metri differenziali costruendo quelli in rapporto alla forma B, e conside- randoli come parametri differenziali relativi alla espressione ai differenziali secondi U. 3. Immaginiamo ora una trasformazione infinitesimale >f Poichè le formole di trasformazione per le &, sono evidentemente iden- tiche a quelle per i differenziali dx, dalla invariantivilà di A, B, risulta immediatamente quella delle seguenti forme pfaffiane: (9) C=> (() Fida; , D=} ((i9)) Fida; , E=D }ij{Hda;=C+D (Pi e similmente delle seguenti formazioni: (10) G=2 (G)F:E, H= 2 }ijt8 E, Poichè le parentesi (2 7) si trasformano colle stesse formole che le ((£ j)), {i jt, alle forme pfaffiane (9) potrebbe anche aggiungersi la (11) F=D (ij)Hde;=C—D ti la quale interviene già nella teoria delle ordinarie forme pfaffiane, quando si studia il risultato dell’applicazione di una trasformazione infinitesima ad una forma di primo ordine, e che è un covariante simultaneo di V, e £, mentre V, a sua volta, è un covariante di U. Un importante covariante di second’ ordine della forma U, è il se- guente, il quale si presenta, come vedremo in seguito, nello studio dell'appli- cazione della trasformazione infinitesima £ ad U, facendo lo stesso ufficio che la F fa in rapporto a V: (12) I Di da Ver 5, | d° cen + DI » pa }ijri 5, | da; dx;. hi v ty] r — 110 — Trasformando infatti questa espressione nelle y, si ottiene: SI dI p Ya dr dA 5 park ;pa{ È, dI OE dYs 7 dYn d° y AR ama SE 3 ora 001 dy: + Qi rr dip Wa dI DA E be I pi jpg h{' E; SIRIA al x i,J ht 1 p.q ddr dLi dE; dYs PA di Id; dar dYs dI dI; dynd e Ora si ha identicamente dYg ddr oa (13) E, se g è diverso da s = se g è uguale a s donde si ricava, colla derivazione, un'altra formola identica, la quale, scritta con opportuno scambio di indici, è la seguente: xv dYp dI PRI DE ER ts E dXKk dYh dYe ni n di dI; dYn dYi Con ciò si vede che la somma del secondo e terzo termine della pre- cedente espressione è identicamente zero, ed applicando poi ripetutamente la (15) agli altri termini, si riconosce infine la invariantività di L. Di qui può ricavarsi una serie di altri risultati; così p. es. immagi- nando una espressione alle derivate parziali di primo e second’ ordine ret , dI par DEL (14) È p=Vt+ Ln 3h e formando l’invariante simultaneo di L e di £, N= 2A D_3lerf&B+ DD Dlijrt&8y ner: i NET si ha un nuovo invariante relativo alla forma U fondamentale e che ha evidentemente come caso particolare l invariante H. Inoltre formando i simboli di Christoffel estesi, relativi alla forma L, si può con questi costruire delle nuove matrici di cui le caratteristiche sono invarianti; si può poi costruire 7 covariante quadratico di L, i suoi para- metri differenziali, ecc., e si ha così una serie di formazioni che sono znva- rianti rispetto al sistema della forma U fondamentale e di una trasforma- zione infinitesima. — ll -. Come casi particolari possono poi dedursi dei teoremi relativi alle ordi- narie forme differenziali quadratiche, teoremi che naturalmente potrebbero anche dimostrarsi direttamente. Così per esempio: La espressione ai differenziali secondi (15) dpi Di Xy E, d°xx + 22 > 0 E, da da;, dove Li] i bi rappresentano gli ordinari simboli di Christoffel, è covariante simultaneo della forma differenziale quadratica (16) U=) d xy da de; CEE) e della trasformazione infinitesima &. La espressione ai differenziali secondi 170) > a Kar Er E + Di DID ci È, ISF ir 3 E î 7 r è invariante simultaneo di U' e delle due espressioni alle derivate par- ziali E, &°. Formando i parametri differenziali în senso esteso relativi alla forma (15), sì ottiene il risultato: La espressione DD SE III per 3 di dI; dove le Pi; sono è complementi algebrici degli elementi pi; del determi- nante P, e è pi; sono formati, mediante è coefficienti della forma diffe- renziale quadratica U', nel seguente modo Xij di, RSS (19) Pip = DI - niro + Xz A è parametro differenziale relativo alla forma U' e alla trasformazione ll infinitesima &. ia Notiamo infine che (osservando che i differenziali de, si trasformano come i È,) dalla invariantività di L sé deduce che 2_}ijri de, dx; da; r (20) Q=> ibride DDD r 9 (4 è un altro covariante di 2° ordine relativo alla forma ai differenziali secondi U; e quindi anche che (21) Da SI Xx dx, d°xx + DI DI di 24] dar dai da; k_r ORTA formato mediante i simboli di Christoffel, è covariante della forma diffe- renziale quadratica U'. Geologia. — / terreni eocenici dei dintorni di Metkovich in Dalmazia e in Erzegovina ('). Nota del Socio ©. De STEFANI e del dott. A. MARTELLI. Sulla destra della Narenta il calcare eocenico è già segnato a Vido e secondo il prof. De Stefani si estende anche a Gabela, mentre dei terreni di Metkovich a sinistra della stessa Narenta è soltanto indicato, nelle carte geologiche attualmente esistenti, un lembo assai più a sud del paese. Tale lembo eocenico viene giustamente dallo Stache (?) attribuito all’ Haupta!- veolinen- und Nummulitenkalk. Della fauna eocenica di Metkovich, a proposito di un confronto fra i depositi nummulitici del Friuli e quelli della Dalmazia, viene fatto un fugace accenno in un lavoro del prof. O. Marinelli (8) il quale ebbe occa- sione di esaminare parte del materiale raccolto dal prof. De Stefani. FORMAZIONI CRETACEE. La metà orientale di Metkovich si trova sopra una strettissima e rego- lare piega anticlinale cretacea, diretta, come le altre della regione, da N.O. (1) La parte stratigrafica è del prof. De Stefani, la parte paleontologica del dott. Martelli. I fossili di Sibanica e di Krupa ci vennero forniti dal prof. Gasperini di Spalato che sentitamente ringraziamo. (2) Stache G. Die liburnische Stufe und deren Grenz-Horizonte. Abhand. der k. k. geolog. Reichsanstalt, Band XIII Wien 1899. (3) Marinelli O. Descrizione geologica dei dintorni di Tarcento nel Friuli. Pubb. del R. Ist. di Studi sup. pratici e di perfez. Firenze 1902, pag. 71. — 113 — a S.E. e costituita da un calcare bianco sporco con Radiolites ed altri fossili frammentizi. L'anticlinale in parola è regolare, perchè mentre gli strati sono diretti da N.0. a S.E., a ponente e a mezzogiorno di Metkovich pendono di 60° a S.0., e a levante sono immersi a N.E. Quasi immediatamente da una parte e dall'altra succedono i terreni eocenici; a distanza, tanto a levante nella valle della Krupa in Erzegovina quanto dall'altra parte a S.0. presso S. An- tonio in Dalmazia, e un poco più a valle lungo la Narenta, si ritro- vano le adiacenti pieghe anticlinali cretacee con la già menzionata orien- tazione. Per tal modo, i terreni eocenici che noi stiamo per prendere in consi- derazione, occupano due abbastanza larghi e regolari sinclinali. La concordanza fra le diverse roccie è perfetta, però la presenza di parziali flessioni ed inversioni fa prova delle rilevanti pressioni a cui la regione è stata soggetta. Gli strati cretacei di S. Antonio contengono Mippurites lumbricalis D'Orb., numerose Radzolites ed altre specie in parte ben conservate, in parte pure in frammenti piccolissimi, insieme con radioli di echin? e con traccie di crinoidi, corallari ecc. La roccia consta del solito calcare suberistallino e ceroide che costituisce la Creta superiore nella Morea, nelle isole adiacenti, nel littorale Albanese, in Dalmazia, al Gargano e nell'Appennino centrale, e che per essere qui poco marnoso e meno sfaldabile di quello nummulitico, si copre difficilmente di vegetazione. In alcuni strati più marnosi compaiono anche degli /nocerami con rudiste frammentizie e in quelli superiori, per una trentina di metri, si hanno esemplari di Mippurites del tipo della H. organisans Mont., ed altre rudiste che però non si prestano ad una sicura determinazione specifica. FORMAZIONE EOCENICA. I. Dalla parte di S. Antonio succede concordante sulla Creta, il calcare con Miliolinae e con piccole A/veolinae. La stessa formazione comparisce nella parte opposta dell’anticlinale di Metkovich, non molto oltre il paese ma prima di arrivare al confine erze- govese, con un calcare marnoso grigio o più spesso color avana chiaro con Miliolinae e con rarissime A/veolinae e con gasteropodi e lamellibranchi mal conservati, nel quale alternano. schisti galestrini e calcari marnosi molto friabili. II. Tornando dalla parte di S. Antonio, superiormente, per cinquanta metri di altezza, abbondano nella stessa roccia calcarea le grosse Alveoline, ora più ora meno abbondanti. La roccia è bianchiccia, non cristallina e pendente circa 60° a S.0. Vi abbiamo distinto numerosi esemplari delle RenpIcONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem, 15 — ll4d — seguenti specie, comuni alla parte media e superiore dell'eocene inferiore. Alveolina ellipsoidalis Schwag. Alveolina oblonga d' Orb. Alveolina ovolum Stache. Alveolina frumentiformis Schwag. Orbitulites confr. Pharaonum Schwag. A levante dell’anticlinale di Metkovich, al confine erzegovese, sopra ai calcari a Milioline si ripete questo medesimo calcare sempre marnoso con abbondanti Alveoline, piccole Ostreae ed altri bivalvi, e seguita fino al- l'estremo settentrionale del paese di Doljane in Erzegovina, con frequenti alternanze di strati calcarei senza fossili. Nelle assise più alte sono Ostreae abbastanza comuni, Modiolae, Car- dium, Turbo, difficili però ad isolarsi. Non vi compaiono le nummuliti. III. Ancora dalla parte di S. Antonio, sopra al calcare ora considerato, ne succede un altro, consimile per i caratteri litologici, con grosse A/veo- linae e piccole e rare Nummulites che non abbiamo potuto determinare con sicurezza a causa della difficoltà di isolarle. Non escludiamo però che possa trattarsi della coppia Nummulites elegans Sow.- N. planulata Lamk. propria del livello inferiore delle nummuliti (piano Ypresiano) nel qual caso questa roccia con grosse alveoline e piccole nummuliti ci attesterebbe con tutta probabilità la presenza di formazioni riferibili alla parte più alta dell'Eocene inferiore, mentre la sottostante a sole grosse alveoline ne rappresenterebbe la parte media. IV. Proseguendo ancora, presso S. Antonio succede un calcare con Nummulites e Assilinae, ma senza Alveoline, mentre inferiormente le Assi- line mancano affatto. Nello stesso sinclinale, dalla parte di Metkovich, poco oltre il paese al piede del poggio di Gledavac, si ha il medesimo calcare con Nummuliti e abbondanti Assiline; esso è alquanto marnoso, gialliccio chiaro, e con fre- quenti alternanze non solo di straterelli di marne assai ben distinti senza però far passaggio a vero //ysch, ma anche di qualche strato di calcare più compatto privo di fossili e somigliante all’A/berese dell'Appennino. Ordinariamente questo calcare nummulitico è compatto come quello di Sebenico, di Scardona, di Busi e di altre parti della Dalmazia, ma non di rado i fossili si sfanno e restano completamente isolati sul terreno. In ab- bondanza il De Stefani vi ha raccolto esemplari delle seguenti specie: Nummulites Lamarcki d'Arch. et H. N. laevigata Lamk. var. scabra Lamk. (forma subglobosa e forma depressa). N. laevigata Lamk. var. astyla Tell. — 115 — Nummulites subitalica Tell. N. italica Tell. N. Lucasana Defr. (tipo). N. Lucasana Defr. var. depressa d'Arch. et H. N. Lucasana Defr. var. granulata de la Harpe. N. Lucasana Defr. var. Meneghinii d'Arch. et H. N. Lucasana Defr. var. obsoleta de la Harpe. N. perforata d'Orb. var. aturensis d'Arch. et H. N. perforata d'Orb. var. Renevieri de la Harpe. N. perforata d'Orb. var. granulata Tell. N. perforata d'Orb. var. obesa Leym. N. Guettardi d'Arch. et H. N. biaritzensis d'Arch. N. sub-Beaumonti de la Harpe. N. Beaumonti d'Arch. et H. Nummulites sp. nov. Assilina subspira de la Harpe. . spira de Roissy. . mamillata d'Arch. var. plicata de la Harpe. . mamillata d'Arch. var. granulosa de la Harpe. escponens Sow. var. plicata de la Harpe. exponens Sow. var. granulosa d'Arch. et H. TIT È interessante notare come in questa zona non apparisca mai la coppia N. Tchihatcheffi-complanata, che ordinariamente trovasi infatti ad un livello più alto. Dalla continuazione dei medesimi strati poco più a sud, da Sibanica (Sibovnica della carta) sul confine erzegovese, proviene la piccola collezione di nummuliti disgregate inviataci gentilmente in comunicazione dell'egregio prof. Riccardo Gasperini di Spalato; essa ci ha infatti mostrato una identità specifica e numerica quasi perfetta, con le forme di nummulitidi ora citate per i pressi di Metkovich e di Gledavac — S. Antonio. Una breve zona di calcari con rare Nummulites e detriti di altri fossili, sembra occupare il mezzo del sinclinale a ponente di Metkovich. V. A levante di Metkovic dalla parte dell'Erzegovina ed oltre Doljane, dopo una brevissima interruzione corrispondente alla zona IV, in un tratto di terreno sul quale non si è portata la nostra personale osservazione, suc- cedono gli strati nummulitici di Dracevo e Krupa, delle cui nummuliti disgregate ci ha procurato un’altra piccola collezione il prof. Gasperini. Ri- portiamo la nota delle specie da noi determinate: Nummulites Lucasana Defr. (tipo). N. Lucasana Defr. var. obsoleto de la Harpe. — 116 — Nummulites Lucasana Defr. var. depressa d'Arch. et H. N. Lucasana Defr. var. granulata de la Harpe. N. perforata d'Orb. var. aturensis d'Arch. et H. N. perforata d'Orb. var. obesa Leym. N. perforata d'Orb. var. Renevieri de la Harpe. V. perforata d'Orb. var. granulata Tell. N. Molli d'Arch. var. Verbeeki Tell. N. Brongniarti d'Arch, et H. N. subdiscorbina de la Harpe. N. discorbina Schloth. N. Tchihatcheffi d' Arch. et H. N. complanata Lamk. N. latispira Menegh. N. distans Desh. La divisione che lo Stache (') adotta per l'antico terziario dell’ Istria e della Dalmazia, può applicarsi in modo generale anche nei dintorni di Metkovich, nei quali — eccezione fatta per le formazioni salmastre che nell’ Istria susseguono alla Creta e che qui mancano — si trova il calcare ad alveoline alla base dell'Hauptnummulitenkalk. Senonchè, la divisione di Stache è troppo lata specialmente per l'orizzonte delle due . perforata e complanata che egli riunisce insieme, e che, quando realmente siano accom- pagnate, come per esempio al Monte Marian di Spalato e a Krupa in Er- zegovina, corririspondono soltanto al Luteziano superiore e non a piani più antichi. Dal classico lavoro del De la Harpe sopra le nummulitidi d'Egitto e del deserto libico (?) e da quello del Tellini sulle nummulitidi della Maiella, del Gargano e delle isole Tremiti (3) risulta come non si possano dividere i terreni nummulitici di quelle regioni in tanti livelli distintamente carat- terizzati da specie peculiari di nummulitidi. E così anche dallo studio dei terreni nummulitici di Spalato noi ci siamo convinti come solo l'aggruppa- mento delle specie, secondo i criterì che hanno guidato lo stesso De la Harpe (‘) a stabilire la sua scala delle nummuliti, possa condurre con tutta proba- bilità all’esatto riconoscimento dell'orizzonte. (1) Stache G., op. cit. pag. 56. (©) De la Harpe Ph., Monographie der in Aegypten und der lybischen Wiiste vor- kommenden Nummuliten. Palaeontographica 1883. (3) Tellini A. Ze Nummulitidi della Maiella, delle isole Tremiti e del Gargano. Boll. Soc. Geol. It. Vol. X (1890). (4) De la Harpe Ph. £tude des Nummulites de la Suisse. Mém. de la Soc. Paléont. Suisse, vol. VII, pag. 76. — 117 — Il complesso delle citate forme ci porta a conchiudere che nei dintorni di Metkovich, almeno per i livelli stratigrafici più bassi dell'Iauptnummu- litenkalk, si osserva una successione di nummuliti che non si scosta molto da quella normale. Vi troviamo infatti da prima abbondanza di quelle prin- cipali specie subreticolate (N. Lamareki e laevigata) e granulate (N. Lu- casana e perforata) che ovunque, quando non si trovano insieme alla coppia N. Tchihatcheffi-complanata, rappresentano le formazioni più basse dell'eocene medio passando poi a caratterizzare anche la parte media dello stesso eocene medio o Luteziano, quando le Assiline si associano ad esse in gran numero. Riconosciuto quindi nei dintorni di Metkovich il graduale passaggio dalla base dell’eocene al Luteziano medio, si comprende pure come i men- zionati terreni si completino infine, mercè l'intervento della N. Tehihateheff e complanata, con quelli immediatamente più alti di Krupa e di Spalato. Senza dilungarci in superflui dettagli, riassumiamo nel presente quadro la successione dei terreni eocenici di Metkovich e Spalato, secondo le nostre attuali osservazioni e secondo quelle riportate in una precedente Nota ('). TERRENI PIANI FACIES | A = = Dintorni di Metkovich | Dintorni di Spalato /Luteziano superiore | Calcari nummulitici con | Krupa, Dracevo (Er- | S. Stefano e Bot- N. Tchihatcheffi e com-| zegovina). ticelle. È "AA Monte Marian, _ S Spalato. E e ° 3 : . ì Sibanica. 2 |Luteziano medio. .| Calcari compatti e disgre- | Occidente del Gee- salone $ gabili con prevalenza di| davac presso S.An-|®®9N% A Assilinee Nummuliti gra-| tonio a levante e a l i nulose. .| mezzogiorno. Sud Luteziano inferiore | Calcari con prevalenza di| di Metkovich. Nummuliti subreticolate. ; Fra Metkovich e S. Ypressiano . .... Calcare a grosse Alveoline | Antonio. Al con- e piccoli Nummuliti. fine erzegovese. ® Gabela. 5 Doljane. Ri \ Fra Metkovic e S. RE Sparnaciano. . . . . Calcare a grosse Alveoline. | Antonio. Colline alla foce della Na- Ei renta. D 3 i Tanetiano. ..... Calcare a Milioline e pic-| Ad oriente di Met-| Calcare grigio a- cole Alveoline. kovich prima di| vana tra Salona giungere alconfine | e Clissa. erzegovese. Adottiamo convenzionalmente la classificazione del De Lapparent, senza pregiudicare nessuna di quelle questioni che in proposito potrebbero sollevarsi. (1) Martelli A. / terreni nummutitici di Spalato in Dalmazia. Rend. R. Acc. dei Lincei, vol. XI, pag. 334 (Sez. sc. mat. fis. e nat. Seduta del 20 aprile 1902). — 113 — Matematica. — Alcuni teoremi che possono tener luogo di - quello della media, per funzioni le cui derivate non sono atte alla integrazione definita. Nota del prof. ETTORE BORTOLOTTI, presentata dal Socio L. BIANCHI. In questa Nota mi propongo di determinare delle condizioni sufficienti per la validità della formula fs da = f(x) — f(20), Lot) o dell'altra [vo da = f(4) — f(0) Lo (gp, w funzioni integrabili nell'intervallo (0 ,...4)), nei casi in cui non è noto se la /'(x) sia integrabile nell'intervallo (20, ...4), ma si sa che, fatta tutto al più eccezione dai punti di un insieme discreto, è ivi soddisfatta luna o l’altra (o l'una e l’altra) delle condizioni: ga)=f"() , Wa (2). Benchè le osservazioni del Dini ed i noti esempî del Volterra e del Kopcke relativi a funzioni che hanno derivata in tutti i punti di un deter- minato intervallo, senza che questa derivata sia ivi atta alla integrazione definita, si riferiscano a funzioni che fanno infinite oscillazioni; non si può con sicurezza affermare che non vi sieno anche funzioni monotone le cui derivate non sono atte alla integrazione definita. Incomincierò perciò dal considerare il caso di funzioni monotone, che è quello che presenta minori difficoltà ed ha importanza maggiore. 1. Teorema I. — S7a f(x) una funzione della variabile reale x, ad un valore, monotona, finita e derivabile in tutti i punti di un inter- vallo finito (xo, ... x}, si conoscano due funzioni p,w atte alla integra- zione definita in quel medesimo intervallo e, in ogni punto di esso, stia soddisfatta luna o l'altra (0 l'una e l’altra) delle due relazioni : (1) go)=l/f"@|, /@=Y). — 119 — Dico che, indipendentemente dalla integrabilità della f(x), si ha corrispondentemente : (2) [ses ; Nt = {= | verde. 0) Lo Si divida infatti l'intervallo (#0, ....) in un numero arbitrario di iratule(cyo ZZZ) (2; +). Cliamando d, l'ampiezza del AO Zia SII (/(2) — /(43)]= 9: |/($9] ( (S=0, JÌ gare, De = SS (3) Dalle (1) si ricava: (4) GE) =I NE) IEEE), dunque: e iii (= leer = è a) e, sommando: n f(E+1) — 0) ) de (n) — f(£3) DI ds y(£). SsT0 \D dg) = Y S=0 SE0 | se (0leeeiee == = e6 Essendo ora la /(x) monotona, le differenze /(4+,) — /(4s) hanno tutte il medesimo segno, epperò: > If) — f(2)|=|/() — f(29)] ed anche: n y |\ts®slOf6] VOS TA ( sel, 29 ar = è Di qui, per le ipotesi poste, si ricava appunto : il ga) de =|{(—- 2), (0) — (2) = | (1) de . 2. Il teorema ora dimostrato giustifica le deduzioni fatte ai nn. 17 e 21 della Memoria: Sulla determinazione dell'ordine di infinito (Atti della So- cietà dei naturalisti e matematici di Modena, a. 1901). — 120 — 3. Teorema II. — Za funzione f(x) della variabile reale @, sia ad un valore, monotona, finita, derivabile in tutti i punti dell'intervallo (0, ...0). Steno p e w due funzioni atte alla integrazione definita, in quel medesimo intervallo. Se in ogni tratto arbitrariamente piccolo- (Ls...) Csi) Co ATC, il limite inferiore dei valori della g non è maggiore di quello dei valori assoluti della f'(x); od (ed) il limite superiore di questi valori assoluti non è maggiore di quello della w in quel tratto, si avrà, indipendentemente dalle integrabilità della f'(a): x 140) {so de=|f(@)—f(@)| , |f(®—f DEC da . Lo Lo 4. Teorema III. — Sta (20, ... ®) un intervallo dove la f(x) è ad un valore, monotona, finita e derivabile e le p e w sono integrabili asso- lutamente (!). Consideriamo l'insieme K dei punti che rimangono in quel- l'intervallo dopo che se ne è sottratto un insieme discreto E (?) e suppo- niamo che il limite inferiore dei valori che la p assume nei punti di K che sono situati în un tratto qualunque (xs)... &%s+1) Lo IE Zds41 A, dell'intervallo dato, non sia maggiore del limite inferiore dei valori asso- luti della f'(a) in quei medesimi punti, 0 (e) che il limite superiore di quei valori assoluti della f'(x), non sia maggiore del corrispondente limite superiore della w. Sarà soddisfatta luna 0 l'altra (luna e l’altra) delle due relazioni : [ses , {@—/(2)]}= = (sue 0 Ad ogni numero # positivo, arbitrario, possiamo far corrispondere una scomposizione dell’ intervallo (40, ... x) in un numero finito di tratti, con la condizione che, la somma d, + d: 4 -:- + d, delle lunghezze dei tratti (Ti, 0) (+ 0) 0 che contengono punti di & sia minore di #. Anche ciascuno dei numeri d, , d,...,0, può dunque essere supposto minore di «. Tenendo conto delle ipotesi poste per la / e per le pg e w, potremo, (1) Cfr. Stolz, Wien. Berichte, 107, 108. Vedi anche E. H. Moore, Of improper de- finite integrals, Trans. American. Math. Soc., vol. 2, n. 3, pagg. 296-330; vol. 2, n. 4, pagg. 459-475 (1901). (2) Cfr. la mia Nota: Contributo alla teoria degl’ insiemi, n. 1. — 21 ad ogni numero positivo o, far corrispondere un « abbastanza piccolo perchè sieno contemporaneamente minori di o le tre somme ('): S=|f(@14+d9) —/(2)| H+) — Ad) t 420 +0) (79). e [sl da CÈ Ù AR + fs (6) - de Li DI | S| | adult] [ ee i SA i Siccome poi negli intervalli (e ia) AAT sono soddisfatte le condizioni richieste nell’enunciato del teorema i, avremo le relazioni: 2002 [sure =1t ’ |) -f()]= | W(2) de Lo Lo A La (7) [sparsi rita (2) —/ +2) | 2) da ° XCa+01 uvx+ò, LC de=|{()—f(y+%)| » V@—/(+4)|= il We) da. xp+òp rp+òp Tenendo conto delle (6) e del fatto che la /(x) è monotona, si ha: (RC dx + | s dae + + {o ) dae = o de — Si f) X,+Ò, rp+ò p (8) [vu dae + (a)der +-+ O da = [10) de + Ss u xo xp+òp xp+d) xo (fa) ft) +++ (+9 e Da queste, e dalle (7), si ricava: \{raus=9= = |f(4) a ACQIE (9) , | |) — f(@)|= ( y(x) de +(8+ 85). (1) Cfr. p. e. E. H. Moore, loc. cit., pag. 310. La Memoria del Moore contiene anche copiose notizie bibliografiche, alle quali rimando per le citazioni su questo argomento. RenpIconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 16 — 122 — x Ricordando che, indipendentemente dai valori delle sposini ( (1) da , Lo [uo da, |f(c) — f()|, le quantità positive S, Si, Se, possono farsi piccole a piacere, possiamo dalle (9) dedurre le relazioni richieste: [sus 100) 1-10) =( 0 de. Lo Questo teorema non esclude che nei punti di un insieme discreto £', le funzioni /", p, w, possono assumere valori nulli od infiniti. 4. Per le funzioni non monotone i teoremi precedenti possono cessare dall'essere validi. Si hanno però sempre i teoremi seguenti: Teorema IV. — Se /(x) è una funzione della variabile reale x, ad un valore finita, continua, derivabile in un dato intervallo (co, ...&); se esiste una funzione W(x) integrabile assolutamente (!) nello stesso inter- vallo, con la proprietà che, fatta tutto al più eccezione dai punti di un insieme discreto E, in ogni tratto (xs, ...- as 4-0), per quanto si voglia piccolo di (xo, ... 4), il limite superiore dei valori assoluti della f'(x), non sia maggiore del limite superiore Ls delle w, si ha la relazione: |f(2) — f(@)|= Il (x) de . 0 La dimostrazione si fa osservando che, in ogni intervallo (xs,... 454 ds) o) non contenente punti di £ si ha If (&s ciù ds) fai Acco) a d: |f'(£3) | = d; Ls as =ZH4- ds, e che [2 (as +0) — f(c9)|=3|f(es+d)—/(2)|= TL. Teorema V. — Sta (xo)... €) un intervallo dove la funzione f(x) è ad un valore finita, continua, derivabile, e le funzioni p, W sono asso- lutamente integrabili. Indichiamo con K l'insieme dei punti che rimangono in quell’inter- vallo, dopo che se ne è sottratto un insieme discreto E, e supponiamo (1) Cfr. Stolz, Grundzige, vol. 3 (1899) pag. 122 e segg. Moore, Of improper def- nite integrals (Trans. of the. Am. Math. Soc. (1901), pag. 322. — 123 — che il limite inferiore ls dei valori che la assume nei punti apparte- nenti a K e situati in un tratto qualunque (xs,... Es+1), CoSIZCAs41 @, dell'intervallo (xo, ... &), non sia maggiore del limite inferiore dei valori che la f' ha în quegli stessi punti, o (e) che, il limite superiore di questi valori, non sia maggiore del corrispondente limite superiore Ls della w, si avrà l'una o l’altra (l'una e l’altra) delle relazioni seguenti: (10) [ur =r {09 ( de. 0) t-Xo L'importanza pratica di questo teorema è molto minore di quella del teorema III poichè qui, anche quando le (10) sieno entrambe soddisfatte e x sieno finiti e diversi dallo zero i due integrali ( g(x) de , [ue de, non xo U Xo si può affermare che sia diversa dallo zero anche la differenza /(4) — f(2») se non nel caso che quei due integrali abbiano lo stesso segno. La seconda di quelle relazioni, non può poi da sola assicurarci che non sia infinito il valore assoluto |/() — /(o)|. Il teorema si dimostra partendo dalla relazione (Sf) =L (= di con considerazioni analoghe a quelle svolte al teorema III. Basta soltanto, conservando le notazioni (6), sostituire l’ultima delle formule (8) con la seguente: f(a) — f(@)—S=f(2)—f(2)+ t+f(e) -f(@mt+9I)t +/(0)—-f(20+d)=/(2)- (2) +8, ed al posto delle (9) scrivere le seguenti: ito de-(S+8S)=/f(2)— f(0) , f(2)— f(20) =[ #0) de +S +8. 0 D) I risultamenti a cui sono giunto in questa Nota e nella precedente che ha il titolo: Contributo alla teoria degli insiemi, servono di prepara- zione allo studio del problema seguente Due funzioni f,, della variabile reale x, uniformi, finite, deriva- bili nei punti di un determinato intorno di un punto e =a, sono, nel punto a stesso, entrambe infinite od infinitesime. — 124 — ni Il quoziente delle derivate : n în tutti i punti di un insieme K con- tenuto în quell’ intorno, soddisfa una relazione della forma: u,M, numeri positivi. Nei punti [E] dell’intorno considerato, non appar- tenenti a K, quel quoziente può invece assumere valori arbitrari. Si domanda qual relazione occorre e basta che interceda fra le di- P mensioni degli insiemi K,[E], perchè il quoziente 9 delle funzioni date soddisfi, in tutti i punti di un determinato intorno del punto a = a, la relazione : v, N, numeri positivi. La risoluzione di questo problema ed alcune applicazioni alla determi- nazione dell'ordine di infinito, si trovano in una memoria che è in corso di stampa negli Annali di matematica. Matematica. — Su una classe di equazioni a radici reali. Nota di OnorRATO NIccOLETTI, presentata dal Socio L. BIANCHI. Una delle più semplici dimostrazioni della realità delle radici della equazione secolare (da cui dipende ad es. la determinazione degli assi di una quadrica a coefficienti reali di un S,) è fondata sull'ortogonalità di due direzioni principali corrispondenti a radici diverse della equazione stessa. Quest’osservazione, convenientemente estesa, vale in molti altri casi e conduce ad una classe di equazioni, e di sistemi di equazioni, a radici tutte reali, di cui l'equazione secolare è caso particolarissimo. Mi permetto di comunicare alla R. Accademia i risultati ottenuti per questa via, riserbandomi di darne in altro luogo le dimostrazioni. 1. Una forma bilineare in 2% variabili «1,42; n, Y13421 Uno n DCSISETA Quy Lu Y SÌ dice di Hermite e di prima (seconda specie) quando pad | per tutti i valori degli indici w e v i coefficienti duy € © yy, sian numeri complessi coniugati, sia cioè, con simboli noti, q,y= © ay. Una forma di Hermite di seconda specie si cambia in una di prima, moltiplicandola per ? — 125 — e inversamente: dando alle variabili xy ,y, valori complessi coniugati, as- sume un valore reale (o puramente immaginario) secondo che è di prima (o di seconda) specie. Le forme di Hermite di prima specie, come le forme quadratiche a coefficienti reali, si dividono in riducibili ed irriducibili, in definite, semi- definite, indefinite ('). Una forma di Hermite di prima specie non indefinita sì dirà poi parzialmente definita rispetto alle variabili &n,, Xn, 3h (e Yn, > Yns + Yn,) quando l'annullarsi della forma per valori complessi coniu- gati delle variabili porti di necessità l’annullarsi delle «x, ,%%,, 4% (e delle coniugate). Perchè questo sia è necessario e sufficiente, oltre esser la forma non indefinita, che sopprimendo dal discriminante a=|ayy| della forma le righe (o le colonne) relative alle variabili 1(/9° 1 — i Bilzil — 80 dale eo Yy Z In particolare, supponendo infinitesime anche le accelerazioni traslatorie, cioè trascurando tutti i termini racchiusi fra parentesi quadra, per gli stru- menti (S,) sospesi nei punti (X, Y, Z,) e disposti come mostra in proiezione orizzontale l'annessa figura, rappresentando con 4,, ur, v le funzioni note del tempo, le equazioni si semplificano nel modo seguente : (!) Questa equazione non ha praticamente alcun valore, perchè la rotazione v degli ordinarî pendoli verticali resta sconosciuta. — 137 — Pendolo verticale: [S,] (X(1=Y1=0) 108) | E+e+89+m=0 (9g +a"ln+agt+4A=0 ia sd =0) (29) | E ++ 89 +w= ( è ri ni — Cola + (642) + 7, Para y'X Sismografo a molla orizzontale diretto secondo l’asse delle Y: [S3] ( g= Zs = 0 9 ly3 => l) (30) — E 4y—89+v=0 (30,) fa + al de 2; 24] Id. Id. eguale e simmetrico al precedente: [S,4](Ya= — Y3, lu=="—/') (31) —_ i -yl-fg+v= (31,) _- a" +4+4,=0 Id. eguale al precedente e diretto secondo l'asse delle X: [Ss] DZ IXEIEXGE ll SS) (32) paiono, I (321) ai 0 Pendolo orizzontale: [Ss] (Ys=0) (33) y_a'l—agty'l+o=0 Se gli strumenti [S3][S.] [S3] dessero solo la componente verticale, man- cherebbero le equazioni (30), (31), (32). 20. — Ridotte così le equazioni differenziali, il problema dell’ integra- zione si riduce, come già osservai in un altro lavoro, a fissare una combina- zione di strumenti tale che le corrispondenti equazioni siano almeno în numero di sei tutte indipendenti e contenenti tutte le incognite. Fra le molte com- binazioni possibili cito le seguenti, che danno luogo a calcoli relativamente semplici: a) [S.], [S:]: [S3] a comp. verticale, [Sy] id.: dalle equazioni (28) (29) 30,) (31,) opportunamente accoppiate si deduce: gi Me Ur LN bi lio — Ma la — 89, La i la2 i la) su lag % À n da È A x ani, — von =a"ln+ag+A,, m__ 2l(A, — A) + (Le — La) (A — 43) Y 20 X ReNDICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 18 — 138 — Come si vede, la determinazione di 8 e di 5 non si può fare se non è ly = lg, Cioè se i baricentri dei due pendoli verticali non sono ad altezze diverse. - 2) [S:], ESs]; [Sy]: dalle corrispondenti equazioni (28) (30) (31) (30) - (31,) si ricava tI __ 22M tra kr RA p ZIA } SO ppt CA À, we: Às Gu SEPA À3 + da 2l i 2 / E=_- (84 f9+ wa), y = lat ag 4A. 9) [S.], [S3], [Ss]: dalle equazioni (28), (30), (301), (32), (82,) Siena: arto htre—r dt #5 p' Abr cm_v Ad tbu Le DUI De ciato Zia 20 rr La: (3 A3) + (A14+v;— Wi 03) _ la(A3+ 5) — A+ +v3+95) LTT A im: 1 2la 2l! "= (Pat fgt+m), y=@ li pag tà. c) [S3], [S4], [Ss]: dalle equazioni (30), (30,), (31), (31,), (82), (32,) si ricava successivamente: pene MA 30061) __ da LÀ O oo Ag + 4A4+ 245 y “gn 9l' Nic ne 9 , Cc = 37 5 p pelare "27 : PALI Va sla Va (Valea 0A 2V; ae aria d) Se in luogo del sismografo a molla orizzontale a due componenti si usa un sismografo a componente verticale [S;] e un pendolo orizzontale [Se], alla equazione (32) si sostituisce la (33), la quale dà ancora 7" dopo che le equazioni rimanenti hanno dato le altre incognite. e) Un pendolo verticale a lungo filo di sospensione (II, n. 8, pag. 436) e un sismografo a molla orizzontale a due componenti, oppure, in luogo di quest’ ultimo, un pendolo orizzontale e un sismografo a componente verticale. Il movimento del primo è retto dalle equazioni (10 e (10') della pag. cit., le quali, divise per M» e trasformate col supporre che il pendolo sia sospeso al punto (0,0, Z), diventano: { E+8"(+L+2)+f9+g9=0 (-n"+e"(cc+42+Z)+ag+w=0 | FAPC+ ZIE Mtano rr " Mi? 7) ni e (isa ma, D+ 29+ wW= 0 — 139 — Sottraendo la prima dalla terza, si ottiene P MM a) e siccome il coefficiente di 8" è sempre diverso da zero, così si può avere il valore di #: in modo analogo si avrebbe @, e quindi É ed ». Si noti però che per avere sufficiente esattezza, conviene rendere quanto più è possibile M9>M; 4, ecc. cioè dare alla massa oscillante grandi momenti principali d'inerzia e sospen- derla per un punto vicino al suo baricentro. In seguito le equazioni relative all’altro o agli altri strumenti danno ELesy f) Un sismografo per le rotazioni (III, n. 13, pag. 476) il cui moto, qualunque sia il punto di sospensione, è retto dalle (16,) e un gruppo d'altri strumenti le cui equazioni dinamiche contengano anche le traslazioni: p. e: [S,] ed [S;] a comp. vert., oppure [S;] a comp. vertice. e due pendoli oriz- zontali disposti in piani perpendicolari, oppure un pendolo orizzontale e uno a molla orizzontale a due componenti. Per compiere la presente trattazione bisognerebbe ora discutere i risul- tati ottenuti per dedurne le migliori condizioni sperimentali: il che sarà forse oggetto di un altro lavoro. Fisica. — Sulla rapidità con cui si manifesta la birifran- genza magnetica. Nota di QuirINo MAJORANA, presentata dal Socio BLASERNA. Taluni fenomeni di cui si occupa l'elettro-ottica sono già stati studiati anche dal riguardo della prontezza con cui si manifestano, e successivamente scompariscono. Così le esperienze di Bichat e Blondlot (') ci dicono che la rota- zione magnetica del piano di polarizzazione della luce, segue esattamente e senza ritardo apprezzabile, le variazioni del campo magnetico, in cui è im- mersa la sostanza attiva. Non so di esperienze tendenti a verificare se la rotazione del piano di polarizzazione, operata per la riflessione di uno specchio di acciajo magnetizzato, sia egualmente pronta come quella di Faraday, e sono invece conosciute le esperienze piuttosto recenti di Abraham e Lemoine (?) le quali fanno vedere come l'altro fenomeno scoperto dal Kerr, quello cioè (1) Journ. de phys. 1882, pag. 364. (2) Journ. de phys. 1900, pag. 263. — 140 — della birifrangenza elettrica, sia, nel caso dei liquidi, assolutamente pronto. Benchè manchi la conferma di altri sperimentatori, ricordo che lo stesso Kerr aveva constatato come la birifrangenza elettrica, nel caso dei solidi, contrariamente a quanto avviene pei liquidi, sia un fenomeno tutt'altro che - rapido. Ora, dopo i risultati da me ottenuti ricercando e studiando la birifran- genza magnetica, e descritti in Note precedenti, mi volli render conto, ana- logamente a quanto fu fatto da altri pel fenomeno Kerr elettrostatico, della prontezza di questo nuovo fenomeno. Se l'analogia da me constatata tra i due casì in cui forze elettriche e forze magnetiche trasformano la struttura amorfa di un liquido, in struttura pseudo-cristallina, fosse assolutamente completa, anche la birifrangenza magnetica (si tratta di liquidi) dovrebbe essere un fenomeno pronto. Veramente un esame grossolano del modo di manifestarsi della biri- frangenza magnetica, potrebbe a priori lasciare il dubbio che questa pron- tezza manchi del tutto, ed infatti ciò avevo creduto, prima che avessi isti- tuito ricerche, onde studiare di proposito una tal questione; in altri termini, il fenomeno sarebbe stato simile, sotto questo riguardo, alla birifrangenza elettrica dei solidi come viene descritta dal Kerr nella sua Memoria. Questa credenza fu generata dalle seguenti considerazioni. Richiamo anzitutto l’atten- zione del lettore sulla disposizione da me adottata e già descritta, per lo studio del fenomeno; la potente elettrocalamita da me usata, a causa dei notevoli fenomeni di autoinduzione che in essa si manifestano, impiega un tempo apprezzabile per raggiungere la massima magnetizzazione, dall’istante in cui viene lanciata la corrente; un tempo dello stesso ordine di grandezza e forse più lungo, occorre per ottenere la completa smagnetizzazione. Espe- rienze preliminari possono render conto della lunghezza di questi tempi nella maniera seguente. Le espansioni polari sono fornite di fori sottili parallela- mente al campo, i quali permettono osservazioni e misure di potere rotatorio magnetico; eseguendo queste osservazioni, si adoperi un liquido molto attivo come p. es. il benzolo. Così operando, ed avendo posto i due nicol all’estin- zione, la luce apparisce e scomparisce, chiudendo ed aprendo il circuito dell’elet- tromagnete, con una certa lentezza, la quale, come è noto, è la fedele immagine del modo con cui il campo magnetico varia. L'impressione che si ha osser- vando il fenomeno, è che questa lentezza non sia superiore in ogni caso ad una frazione sensibile di minuto secondo. I fenomeni di birifrangenza osser- vati quando lo stesso elettromagnete agisce su di un liquido dei più attivi da me posseduti, hanno parvenza di lentezza molto maggiore. Ciò è consta- tabile alla chiusura del circuito dell'elettromagnete, e molto di più all’aper- tura. In questa seconda fase del fenomeno, accade spesso che la luce riap- parsa per l'eccitazione del campo, non iscomparisca che dopo qualche secondo. Riflettendo alla diversa natura della rotazione Faraday e della birifrangenza — 14l — magnetica, è facile rendersi conto di questo fatto. Per il primo fenomeno, poichè si tratta di rotazioni che non superano qualche grado, l' intensità della luce apparsa cresce sempre, al crescere del campo. Ma nel caso della birifrangenza magnetica, essendo i liquidi adoperati molto attivi ed assorbenti, in guisa da lasciar passare solo luce quasi monocromatica (rossastra), all’ec- citazione del campo si vede variare l'intensità luminosa periodicamente pas- sando parecchie volte per dei massimi e dei minimi ben accentuati. Per conseguenza un campo magnetico di piccola intensità può bastare a provocare il passaggio della stessa quantità di luce che un campo intenso, e quindi una piccola variazione del campo è più facilmente osservabile studiando la birifrangenza magnetica, che non la rotazione Faraday. Se dunque il nuovo fenomeno ha l'apparenza di notevole lentezza all'interruzione del campo, ciò è spiegabile ammettendo che il magnetismo residuo del ferro metta un tempo lungo a scomparire, e che d'altra parte esso non sia capace di generare sensibile rotazione nel piano di polarizzazione di un raggio luminoso pa- rallelo al campo, traversante un liquido con potere rotatorio magnetico. Ammessa la giustezza delle precedenti considerazioni, si rende ancora più interessante la ricerca di esperienze dirette atte a constatare la rapidità o la lentezza reale della birifrangenza magnetica, ed è ad esse che voglio accennare in questa Nota. Il metodo da me seguìto è simile a quello ado- perato da Abraham e Lemoine per lo studio del fenomeno Kerr elettrosta- tico. Si tratta di generare un campo magnetico capace di rendere birifran- gente una soluzione attiva, mediante la scarica di un condensatore, e studiare se vi è la possibilità di osservare il fenomeno adoperando come sorgente luminosa la stessa scintilla di scarica ottenuta dal condensatore. Sono infatti riuscito in questo intento adottando una disposizione che schematicamente è indicata dalla figura. Il condensatore €, le cui dimensioni saranno indicate in seguito, è continuamente caricato da una macchina ad influenza, in guisa che fra le palline dello spinterometro .S scocca a intervalli (qualche secondo) una energica e brillante scintilla di 15 mm. di lunghezza. La scarica del condensatore è obbligata a traversare una corta spirale di filo di rame grosso 1 mm. che circonda una provetta cilindrica di vetro 7 di 10 mm. di dia- metro a pareti sottili, e in cui si trova del ferro Bravais attivo per birifrangenza magnetica. Poichè sarebbe impossibile obbligare la scarica a percorrere la spirale R, se questa venisse lasciata scoperta, occorre masticiare accurata- mente le singole spire con ceralacca, fissandole senz'altro sulle pareti esterne della provetta, ed è così che ho potuto sovrapporre alle spire segnate in figura, delle altre in guisa che il loro numero totale, nella lunghezza /= 20 mm., fosse di 18. Chiudendo in corto circuito la spirale £, col contatto 7, la scarica non agisce più magneticamente sul liquido. Alla provetta V sono saldati due corti tubetti di vetro 7 chiusi da due lastrine di vetro monori- frangente. La luce della scintilla 9 polarizzata dal nicol , traversa il liquido — 142 — della provetta secondo 77, normalmente alle linee di forza del campo ma- gnetico generato per la scarica dalla spirale £; l analizzatore A permette di osservare la eventuale birifrangenza generata dal campo. Certamente nel mettere insieme questa esperienza non è da sperarsi di ottenere effetti molto notevoli, sia per il valore non troppo grande del campo magnetico, che per la piccola intensità luminosa della scintilla S. Per cui è bene mettersi subito nelle migliori condizioni cominciando coll’adope- rare del ferro Bravais del più attivo. Esso, come è noto, è quello del terzo tipo; il suo punto di inversione è piuttosto basso (1550 u.) e il valore appros- simativo della costante X è 0,0000048. Essendo corto lo spessore sottoposto all'esperimento, il liquido viene adoperato con concentrazione piuttosto grande (dens. 1,008). In una esperienza preliminare comincio col sostituire alla luce della scintilla S, la luce solare e posti i nicol a 45° sul campo (le linee di forza sono verticali) ed incrociati, si mette in azione la macchina elettrica. È a questo punto che occorre studiare la più conveniente capacità del con- densatore C. Sperimentando in principio con piccoli valori di questa capacità, e successivamente con valori crescenti, riconosco che quando € è costituito da due grandi bottiglie di Leyda, il cui sviluppo complessivo delle arma- ture interne od esterne è di m. q. 0,6, essendo lo spessore medio del vetro di circa 2 mm., ogni volta che si sente scoccare una scintilla nello spinte- rometro, uno sprazzo di luce solare traversa 1’ analizzatore. Il fenomeno è massimo per la indicata posizione dei nicol a 45° sull'asse della spirale, è nullo se il piano di polarizzazione è normale o parallelo a quell’asse, ed in ogni caso cessa se si stabilisce il contatto tra i capi Y. Per cui nel breve tempo che dura la scarica, il ferro dializzato è divenuto birifrangente, e la — 143 — durata del fenomeno è sensibilmente istantanea. Onde andare avanti in questo studio, sostituisco alla luce solare la luce della scintilla S, ma poichè essa è molto più debole della prima, debbo aumentare la grandezza del conden- satore C, raddoppiandola all'incirca (sviluppo delle armature m. q. 1,3), otte- nendo così un conveniente aumento sia dell’intensità luminosa di S, che del campo magnetico in V. In queste condizioni, uno sprazzo luminoso pro- veniente da S, traversa, finchè il circuito 77 non è chiuso, l’analizzatore. Adoperando sia la luce solare che quella della scintilla, si può compen- sare la birifrangenza. Interponendo tra i due nicol, oltre alia vaschetta V, un pezzo di vetro (negativo per compressione), si può, comprimendolo paral- lelamente alle linee di forza, ossia verticalmente, far sì che, nel caso della luce solare, questa colpisca l'occhio dell'osservatore finchè non scoccano scin- tille in S (2 è aperto), e resti invece bruscamente indebolita quando passa la scarica. Con tale disposizione non si arriva mai a vedere l'assoluta estin- zione della luce, a causa della persistenza delle immagini sulla retina; ma in ogni modo ciò è sicuro indizio che la birifrangenza generata è positiva. Si può sperimentare in migliori condizioni adoperando la luce della scin- tilla S; in tal caso, se il vetro è convenientemente compresso, si riesce a non vedere più la scintilla attraverso l'analizzatore; essa ricomparisce al nostro occhio non appena si stabilisce il contatto 7. È difficile procedere in tali condizioni ad una buona misura dei valori di questa birifrangenza, ma in ogni modo posso dire che essa non supera î 4 o 5 centesimi di lunghezza d'onda nel rosso, e tenendo conto del suo segno, sì intende che il fenomeno rimane, per l’azione del campo generato dalla scarica, al disotto del punto di inversione. La intensità del campo, calcolata dai dati dell'esperienza, non con- sentirebbe del resto, anche se essa fosse permanente e non istantanea, valori della birifrangenza superiori al riportato. Dalle precedenti esperienze si deduce esser certo che già nel tempo in cui dura la scintilla $, il liquido è birifrangente; e si può anche concludere che l’inizio della birifrangenza è contemporaneo all’inizio della luminosità della scintilla. Se così non fosse, non sarebbe possibile compensare, come è stato detto, la birifrangenza istantanea, giacchè nel primo istante in cui la scintilla emette luce, non essendo ancora il liquido birifrangente, il compen- satore a vetro compresso avrebbe un'azione depolarizzante sulla luce che cade sull'analizzatore. Per completare queste ricerche, sarebbe stato desiderabile accertarsi se anche la scomparsa della birifrangenza segua immediatamente quella del campo magnetico, benchè sia prevedibile che a una tal questione si debba probabilmente, come per la rapidità dell'inizio, rispondere affermativamente. Mediante un sistema di specchi e di lenti non segnati in figura, ho allungato il percorso che la luce proveniente da .S è costretta a seguire prima di arri- vare in 7. Nelle esperienze descritte esso era di un metro; avendolo portato — 144 — a 35 metri, malgrado l’indebolimento inevitabile del fascio luminoso, sono riuscito a constatare ancora, benchè più debolmente, la birifrangenza del liquido. Ma questa esperienza, la quale avrebbe dovuto avere lo scopo di creare un ritardo tra la formazione del .campo e la propagazione della luce nel liquido, non ha molto valore, giacchè la durata complessiva della scarica è evidentemente grande rispetto al piccolo tempo che pone la luce a percorrere la distanza di 35 metri. Non potendo d'altra parte indebolire troppo le dimensioni del condensatore C e quindi la intensità luminosa della scintilla S, a causa del grande potere assorbente del ferro Bravais adoperato, sarebbero state necessarie ulteriori esperienze, come p. es. lo studio con uno specchio girante della luce di $, sia direttamente che attraverso il sistema dei nicol e del liquido sottoposto all'azione del campo magnetico della sca- rica. Esigendo questo studio una montatura sperimentale complicata, e non avendo per quest'anno altro tempo a mia disposizione, ho dovuto, almeno per ora, rinunziarvi. PERSONALE ACCADEMICO Giunse all'Accademia la dolorosa notizia della morte del Socio nazio- nale Generale AnnIiBALE FERRERO, mancato ai vivi il 7 agosto 1902; apparteneva il defunto Socio all'Accademia sino dal 12 novembre 1883. Vene: Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXII}. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* T'RANSUNTI. 2* MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3° MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol: IV. NV VINILE VAI, Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIK della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. (1892-1902) 2° Sem. Fasc. 4°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 5°-6°. MemoRIE della Classe di scicuze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-III. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescher & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrrico HoxpLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Agosto 1902. LN DIECE Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 17 agosto 1902. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Pascal. Sulla teoria invariantiva delle espressioni ai differenziali totali di second’ordine, e su di una estensione dei simboli di Christoffel. . . . . .. Pag. De Stefani e Martelli. I terreni eocenici dei dintorni di Mei in “Dam e in Erze- govina. . . ; ; i È : Ra o Bortolotti. Alcuni scotti hi possono tener togli di Gualla Jolla ra per Amoi le cui derivate non sono atte alla integrazione definita (pres. dal Socio Bianchi). . . . +» Niccoletti. Su una classe di equazioni a radici reali (pres. Id.). 0.0.6 Contarini. Sul problema generale della sismografia (pres. dal Socio Cerruti) . . D) Majorana. Sulla rapidità con cui si manifesta la birifrangenza magnetica (pres. dl SEU VE MIITA GI PRIA A I A o 1 Tati ioni AA e A, PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte del Socio nazionale Awnidale Ferrero | /./ 0 V. Cerruti Segretario responsabile. 105 112 118 124 ‘132 139 144 Pubblicazione bimensile. Roma 7 settembre 1902. N. D. AE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIX. 1902 SERRE 0, UBEINIE CA. RENDICONTI - Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XNI.° — Fascicolo 5° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 7 settembre 1902. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1902 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei- qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Accar demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. rr Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei ‘ Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. ; 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 1 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia sino al 7 settembre 1902. ANANAS {<<< Chimica. — Azioni chimiche della luce. Nota IV del Socio G. CIAMICIAN e di P. SILBER. Fino dalla nostra prima comunicazione (!) intorno a questo argomento abbiamo accennato alla convenienza di completare le esperienze fatte con la luce solare intera collo studio dell’azione di singole radiazioni di diversa refrangibilità. Di queste osservazioni noi ci siamo sempre occupati ed accanto alle esperienze fatte colla luce intera, non abbiamo trascurato di eseguirne alcune con luce solare opportunamente filtrata, allo scopo di togliere o l'una o l’altra parte dello spettro. In ricerche del genere di quelle che abbiamo fin qui descritte, è natu- ralmente inutile studiare l’azione di luce monoromatica ; si tratta invece sopra- tutto di vedere quali parti dello spettro sono le più efficaci, e di avere però un mezzo comodo e pratico per togliere a volontà o le radiazioni più refran- gibili o quelle meno refrangibili. Per raggiungere questo scopo si sono spesso impiegati dei vetri colorati, che noi però riteniamo poco convenienti. Noi ci siamo serviti invece di soluzioni di materie coloranti, che ci furono sugge- rite dal prof. Righi a cui dobbiamo per questo molta gratitudine. Per elimi- nare la parte meno refrangibile dello spettro abbiamo impiegato una soluzione alcoolica di cloruro di cobalto della concentrazione di circa il 10 per cento; per assorbire completamente le radiazioni azzurre e violette basta una solu- (1) Vedi questi Rendiconti, vol. X, 1° sem., pagg. 92 e 228; vol XI, 2° sem., pag. 277. RenpIcoNTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 19 — 146 — zione alcoolica di fluoresceina satura a freddo; in questo modo però non si tol- gono che parzialmente i raggi verdi, per limitare ancor maggiormente la parte non assorbita, conviene aggiungere alla soluzione di fluoresceina, una soluzione alcoolica alquanto concentrata di violetto di genziana: così si può, a volontà, - ridurre lo spettro, fino a non lasciar passare che i raggi rossi. Le esperienze vennero poi disposte nel seguente modo: la soluzione fil- trante era contenuta in un cilindro a piede della capacità di circa un litro e del diametro interno di 46 mm.; nell’asse di questo si trovava collocato sopra un piccolo trepiede di ottone o di nickel, il tubo chiuso alla lampada contenente le sostanze da studiarsi; esso era sostenuto da un dischetto d’ ottone forato nel mezzo, che per sfregamento teneva fermo il tubo nella posizione voluta. Il cilindro veniva quindi riempito con la soluzione e chiuso con un vetro smerigliato fissato con carta pergamena. Il diametro del tubo interno, a pareti sottili, era di 16 mm.; lo strato assorbente del liquido filtrante aveva perciò uno spessore di 15 mm. Prima di impiegarle, le soluzioni colorate ven- nero esaminate allo spettroscopio facendo passare, con uno specchio, la luce solare attraverso ad uno strato di liquido dello stesso spessore di 15 mm. La soluzione alcoolica di fluoresceina, satura a freddo, estingue, in queste con- dizioni, tutta la parte più refrangibile fino a circa la riga solare , ossia più esattamente fino a 4 = 510; aggiungendo a questa soluzione, la solu- zione alcoolica di violetto di genziana, l'assorbimento venne portato fino a 42= 620, con lieve un bagliore intorno ad E. Questo liquido venne impiegato per studiare l’azione dei raggi rossi. Per i raggi violetti venne adoperata la suaccennata soluzione aleoolica di cloruro di cobalto al 10 per cento, che nelle medesime condizioni lascia passare tutta la parte più refrangibile da Z = 480 in poi; la parte meno refrangibile dello spettro non è però del tutto estinta : rimane una banda verde intorno a 4 = 560 e poi, nell’ estremo rosso, un'altra banda proprio intorno alla riga solare A, cioò a 4= 770. Questa limitatis- sima permeabilità per i raggi rossi estremi non presentava, come si vedrà, nessun inconveniente per le nostre ricerche. Naturalmente non abbiamo ripetuto tutte le esperienze fin qui descritte per vedere quale sia il loro andamento sotto l’ azione delle diverse radiazioni, questo sarebbe stato inutile; ci siamo limitati invece allo studio di alcune reazioni, scegliendo i casì più tipici, limitando l’azione della luce alla parte rossa 0 a quella violetta dello spettro. Il risultato è stato questo: tutte le rea- zioni di cui ci siamo occupati fin ora, vengono favorite dalle radiazioni più refrangibili; i raggi rossi non esercitano alcuna azione sensibile, oppure agi- scono assai più debolmente. Questo risultato era prevedibile, ma l’esperienza doveva essere fatta per dimostrarlo; esso ha poi un’importanza, che è per noi considerevole, perchè prova come tutte le reazioni, anche quelle lente, da noi studiate siano realmente dovute ad una azione fotochimica e non già ad un’ effetto della prolungata azione del calore solare. — 147 — Premesso questo, passiamo alla descrizione succinta delle singole espe- rienze. Chinone ed etere. I tubi, che rimasero esposti contemporaneamente dal 13,II al 24, II, rispettivamente alla luce filtrata rossa ed a quella violetta, contenevano cia- scuno 1 gr. di chinone e 20 c.c. d'etere assoluto. Il risultato fu il seguente: Luce rossa. La soluzione rimase perfettamente inalterata mantenendo il suo colore giallo e così pure i cristalli di chinone che non avevano potuto sciogliersi. Luce azzurro-violetta. Già dopo 6 ore d'esposizione si vanno separando gli aghi lunghi, neri, di splendore metallico azzurrognolo di chinidrone, che alla fine dell’ esperienza riempiono tutto il tubo. Questo è uno dei casi in cui l’effetto diverso delle radiazioni rosse e di quelle violette riesce quanto mai evidente. Chinone ed alcool. I tubi esposti alla luce rossa e violetta contenevano 1 gr. di chinone e 20 ec. c. d'alcool assoluto. L'esposizione durò dal 18, III al 15, IV. Siccome le soluzioni alcooliche di chinone imbruniscono lentamente anche all’ oscuro ('), senza però che si formino quantità apprezzabili di aldeide e di idrochinone, così era da prevedersi che il tubo esposto alle radiazioni rosse non sì sarebbe mantenuto inalterato come nel caso precedente. | Difatti il contenuto dei tubi era in entrambi colorato in bruno, ma in quello esposto alle radiazioni violette il colore era più carico già dopo sei giorni d'esposizione. Esaminando i prodotti, si ebbe il seguente risultato : Luce rossa. Svaporando il liquido a bagno maria non si ebbe col distil- lato la reazione dell’aldeide col nitrato d’argento ammoniacale. 1l residuo conteneva il chinone inalterato in grande quantità, ed assieme ad una materia nerastra, solamente tracce di idrochinone. Luce azzurro-violetta. L' alcool distillato conteneva molta aldeide ace- tica; nel residuo si ritrovò assai poco chinone inalterato, molto idrochinone e chinidrone assieme ad una materia nera ed amorfa. Anche la trasformazione del chinone in idrochinone per azione dell’ alcool viene dunque agevolata quasi esclusivamente dalle radiazioni più refrangibili, sebbene quelle rosse non sieno del tutto inattive. Chinone e glicerina. Abbiamo scelto questo esempio per studiare il contegno di un alcool polivalente. Anche qui, come con l'alcool ordinario, si ha un lieve anneri- mento del liquido pure all’oscuro ed anche qui le radiazioni rosse esercitano (1) Vedi la nostra chimica nella Gazzetta chimica, vol. 32. I, pag. 227. — 148 — una debole azione. I due tubi contenevano 10 gr. di chinone finamente polve- rizzato e 6 gr. di glicerina sciolta in 20 gr. d'acqua; il chinone da princi- pio era in gran parte indisciolto. L’ esposizione durò dal 21, III al 6, IV. Luce rossa. Il liquido apparisce alquanto imbrunito, ma in fondo al tubo quasi tutto il chinone si ritrova inalterato. Luce azzurro-violetta. La soluzione è intensamente colorata in bruno, il chinone in parte scomparso e trasformato in una massa nerastra. L'azione della luce violetta sarebbe stata anco più efficace, se il chinone si fosse trovato in maggior contatto col liquido ; invece per la posizione ver- ticale del tubo, il chinone se ne stava al fondo e la reazione rimase limi- tata alla parte superiore. Benzofenone ed alcool. Oechsner de Coninck e Devrien (!) che quasi contemporaneamente a noi studiarono l’azione della luce su questa coppia di sostanze, ma che non ri- conobbero la natura del prodotto che si produce, hanno fatto pure un’espe- rienza per dimostrare che l’effetto chimico era dovuto alle radiazioni più refrangibili. Noi abbiamo voluto accertare nuovamente il fatto, perchè il ben- zofenone ha rispetto all'alcool un contegno tipico, che è poi comune ad un'intera classe di sostanze. Abbiamo esposto alla luce filtrata due tubi contenenti ciascuno 4 gr. di benzofenone sciolti in 20 ce. d'alcool assoluto dal 21, III al 6, IV. Il diverso effetto delle radiazioni rosse e violette è evidentissimo. Luce rossa. La soluzione si mantiene priva di colore e contiene il ben- zofenone inalterato. Luce azzurro-violetta. Il liquido apparisce colorato debolmente in giallo e contiene in notevole quantità i cristalli assai bene sviluppati di benzopi- nacone. Benzile ed alcool. È noto per le osservazioni di Klinger (*) e le nostre, che il benzile in soluzione eterea ed alcoolica si trasforma facilmente prima nel cosidetto benzilbenzoino, per subire in seguito una più profonda e complessa meta- morfosi, sulla quale ritorneremo fra breve. Noi ci siamo limitati a studiare l'influenza delle diverse radiazioni sull'andamento della prima fase del processo. Abbiamo esposto alla luce filtrata due tubi contenenti ciascuno 25 cc. di soluzione alecolica di benzile satura a freddo, dal 26, II al 12, III. Luce rossa. La soluzione si è mantenuta limpida acquistando una lieve colorazione verdastra. (2) Compt. rend., 130, 1768 e questi Rendiconti, X, 1, pag. 98 (1901). (2) Berichte, XIX, pag. 1864 e questi Rendiconti, X, 1, pag. 101 (1901). — 149 — Luce azsurro-violetta. La soluzione ha preso un intenso colore giallo- rossastro ed al fondo del tubo si sono depositati, in quantità non molto rilevante, i mammelloncini bianchi di benzilbenzoino. Vanillina in alcool. L’aldeide vanillica si trasforma alla luce solare lentamente in deidro- vanillina; anche questa curiosa reazione è una vera azione fotochimica, che è determinata solamente dalle radiazioni più refrangibili. Abbiamo esposto alla luce filtrata una soluzione di 3 gr. di vanillina in 10 ce. d'alcool dal 7, IV al 21, IV. Luce rossa. La soluzione rimane del tutto scolorata e limpida. Luce azzurro-violetta. Il liquido prende un colore giallo pallido e le pareti del tubo, segnatamente dal lato esposto alla luce, sono ricoperte di piccoli aghetti di deidrovanillina. o- Nitrobenzaldeide in benzolo. L'elegante trasformazione dell’aldeide o-nitrobenzoica in acido o-nitro- sobenzoico viene anch'essa determinata segnatamente dalle radiazioni più refrangibili. L'esperienza riesce quanto mai evidente ed istruttiva anche per la sua breve durata. Noi abbiamo esposto alla luce colorata una soluzione di 0,5 gr. di o-nitrobenzaldeide in 20 cc. di benzolo, in una giornata di febbraio per 5 ore. Luce rossa. Nessun effetto. Luce azzurro-violetta. Il contenuto del tubo è pieno di minuti cristalli d'acido o-nitrosobenzoico. In questo caso abbiamo voluto vedere anche l’effetto dei raggi gialli e verdi, impiegando come filtro la soluzione alcoolica satura di fluoresceina, che, come s'è detto più sopra, lascia passare tutta la parte meno refrangibile dello spettro fino circa alla riga solare 6 (4 = 510). Dopo 8 giorni d’espo- sizione si nota un lievissimo effetto, perchè sulle pareti del tubo si possono scoprire dei piccolissimi cristallini d'acido o-nitrosobenzoico. Il tubo esposto per lo stesso periodo di tempo alla luce rossa (4= 620) rimase inal- terato. o-Nitrobenzaldeide ed alcool. È noto che questa coppia di sostanze si trasforma alla luce in modo che oltre all'acido o-nitrosobenzoico si produce pure l'etere corrispondente. I tubi esposti dal 21, III, al 6, IV, contenevano ciascuno 3 gr. dell’o- nitroaldeide in 30 cc. d'alcool. L'effetto fu anche qui il consueto. e Luce rossa. La soluzione si mantenne inalterata. Luce azzurro-violetta. Il liquido diviene giallo-bruno ed è soprassaturo, perchè agitando il tubo incominciano a deporsi in buona copia i cristalli dell'etere o-nitrosobenzoico. Acido o-nitrosobenzoico in paraldeide. Questa esperienza aveva un interesse speciale; l'acido o-nitrosobenzoico in presenza di paraldeide, dà alla luce solare, in piccola quantità, un com- posto della formola C$ H-03 N, di costituzione non ancora accertata (!), che si forma molto più abbondantemente per riscaldamento. Era però interessante ricercare se questa trasformazione fosse anche essa determinata dalle radiazioni violette anzi che dalle rosse. Così è di fatto, ciò che del resto non deve recare meraviglia, perchè ognuno sa che la combinazione del cloro coll’idro- geno viene determinata tanto da un inalzamento di temperatura che dalle radiazioni violette, mentre quelle meno refrangibili sono inattive. Noi abbiamo esposto alle radiazioni rosse e violette due tubi contenenti ciascuno 2,4 gr. di acido o-nitrosobenzoico, finamente polverizzato, sospeso in 24 gr. di paraldeide per circa un mese, cioè dall’ 8, IV al 5, V. Luce rossa. Nessun effetto, il liquido soprastante ai cristalli si mantenne scolorato. Luce azzurro-violetta. La soluzione acquista un colore giallo-bruno. Separata dall’acido nitrosobenzoico, dette, per svaporamento della paraldeide, un residuo bruno ed oleoso, che, umettato con alcool metilico, dopo qualche tempo cristallizzò nelle forme caratteristiche del composto Cs H, 03 N. La quantità di sostanza formatasi era però così esigua da non permettere una ulteriore purificazione. o-Nitrobenzaldeide in acido solforico. Qualche anno fa R. I. Friswell (2) osservò che una soluzione solforica di nitrobenzolo annerisce alla luce, senza indicare la natura chimica della trasformazione compiutasi. Noi abbiamo ripetutamente potuto confermare questa osservazione, ma neppure noi siamo riusciti a riconoscere quale sia la sostanza nera che si produce. L'aldeide o-nitrobenzoica si comporta come il nitrobenzolo, anzi con essa la colorazione nera apparisce più intensa. Versando il prodotto nel- l’acqua si ottiene una materia carboniosa, che non abbiamo studiato più oltre. (1) Berichte, vol. 35, pag. 1080. (2) Centralblatt, 1897, II, 547. Mil — Anche questo annerimento viene determinato soltanto dalle radiazioni più refrangibili. Esponendo alla luce filtrata una soluzione di 0,5 gr. di o-nitrobenzaldeide in 10 ce. d'acido solforico concentrato (l'esposizione durò dal 7 al 21 aprile); soltanto il tubo esposto alla luce azzurro-violetta venne modificato, avendo il liquido assunto un intenso colore nero verdastro. La soluzione esposta alla luce rossa rimase completamente inalterata. Chimica. — Contributo allo studio dell’iridio e dei suoi com- posti. Nota di A. MroLaTI e di CU. GIALDINI, presentata dal Socio CANNIZZARO. Lo studio dei nitriti complessi formati dai metalli del gruppo del pla- tino è importante sotto diversi aspetti. Dopo le interessanti ricerche del Joly e del Leidié (1) e quelle più recenti del Leidié solo (2) intorno alla separa- zione dei metalli contenuti nei minerali platiniferi, per mezzo appunto dei nitriti complessi, tali combinazioni hanno acquistato una peculiare importanza tanto dal punto di vista analitico quanto dall’industriale. È perciò di grande utilità lo studiare accuratamente e con maggior estensione, di quello che non fecero gli antichi sperimentatori, questi nitriti complessi e le relazioni che li uniscono alle altre combinazioni dei corrispondenti metalli ed in modo particolare alle più importanti fra esse, vale a dire ai sali alogeno-complessi, Interessa perciò ricercare se le relazioni che permettono di passare dai nitriti ai sali alogeno-complessi, siano reazioni progressive e se diano luogo alla formazione di un'intiera serie di composti intermedî contenenti l’alogeno ed il residuo nitroso. Ed ecco che i nitriti complessi si mostrano interessanti anche da un altro lato, dal teorico, quali membri di diverse serie di composti analoghi. E qui basta ricordare i pregevoli lavori di M. Vèzes intorno alle combina- zioni azotate del platino (*) nei quali sono descritti numerosi composti, che collegano per graduale modificazione il platonitrito potassico Pt(NO»), K. cogli alogenoplatiniti Pt Cl, K., PtBr,K., PtJ,K: e cogli alogenoplatinati. Non è necessario poi d'insistere sull'importanza che queste serie di com- posti possono acquistare specialmente per la chimica cristallografica, quando si ponga mente alle belle ricerche del Groth intorno ai corpi morfotropici. Lo studio accurato dei nitriti complessi può recare eziandio notevole aiuto allo studio della questione delle forme di combinazione e dei tipi salini dei metalli platiniferi. Infatti, mentre che pel palladio e pel platino si (1) Comptes rend. //2, 1259. (2) Comptes rend. /3/, 888. (3) Ann. de chim. et phys. (6) 29, 145 (1893). — 152 — conoscono molti nitriti, tanto della serie bivalente, quanto di quella tetra- valente [Me(NO;), Alg4an]Ks e [Me(NO.), Alg;-n]Ks, pel rutenio invece si conosce soltanto il sesquirutenito potassico Ru(NO»:); K,, che è di tipo differente da quello del rodio Rh(NO.); K3 e dell'iridio Ir(NO) K3. Sebbene questi tre ultimi metalli, possano assumere stati d'ossidazione differenti, possano essere cioè bi-, tri, o tetravalenti, pure i pochi nitriti complessi che si conoscono sono tutti derivati dalla forma trivalente, sebbene vi sia pel rutenio, differenza nel tipo di sale doppio. Le scarse notizie intorno ai nitriti complessi dell’iridio, che si avevano fino a poco tempo fa, le dovevamo al Lang ed al Gibbs, i cui lavori però contengono molti punti oscuri e molti dati indeterminati. Essi hanno dap- prima descritto composti assai complessi che ritennero quali combinazioni di nitriti doppî con una certa proporzione dei corrispondenti sesquicloruri doppî d'iridio. Le combinazioni descritte sono le seguenti: Ir Ck K3. 3Ir(NO:)6 K3 Ir Ck Naz. 3 I(NO:); Naz (Ir Cl)» Bas. [3 Ir(NO) Je Baz ed è detto che si ottengono con un metodo generale, facendo cioè reagire una soluzione di un nitrito sulla soluzione calda del cloroiridato corrispon- dente. Sono polveri biancastre, cristalline, quasi insolubili nell'acqua fredda e pochissimo nell’ acqua bollente, specialmente poi in presenza di nitriti alcalini. Ma da quanto noi abbiamo potuto verificare nelle nostre esperienze, le formole loro attribuite non sono da ritenersi esatte. In una corrispondenza datata da Cambridge il 10 febbraio 1871 ('), il Wolcott Gibbs ha fatto conoscere le formole e le principali proprietà di una serie di nitriti doppî d'iridio. La sua comunicazione però è di poche linee e i dati scarsissimi non furono più da lui completati da allora in poi. Le combinazioni citate sono le seguenti: Ir(N02)6 Ki . H,0 3 Ir (NO)6 Nas . HO. ; Ir CI(NO3), Nas . H.0; 3Ir (NO2)ct2 Hg3 5 Ir (NO2)6 . [Co (NH3)6] 6 Il Gibbs dice di averle ottenute facendo reagire su di una soluzione di sesquicloruro d'iridio idrato o di un clorosesquiiridito, il nitrito corrispondente alla combinazione cercata, ma non dice esattamente le modalità della rea- zione, nè quali siano i fenomeni secondarî che si osservano. (1) Berichte deutsch. chem. Gesell. 4, 280. — 153 — Dal fin qui detto è chiaro che le nostre cognizioni sui nitriti complessi dell’iridio erano poche, poco determinate e poco attendibili. All’inizio delle nostre ricerche tentammo di preparare i nitriti complessi già ottenuti dal Gibbs e dal Lang per conoscerli de vis, controllarne e darne esattamente la composizione e descriverne le proprietà. Ma per quanto sembrasse facile questo compito, pure non ci fu possibile di venirne a capo in modo soddisfacente, tanto che ci è sembrato più opportuno di abbandonare completamente la via battuta dagli altri e di seguirne una propria. Prima di passare però alla relazione delle nostre esperienze (!), dobbiamo ricordare che in uno degli ultimi numeri dei Comptes rendus (?) è apparsa una nota del Leidié, sui nitriti doppî d'iridio; nota, che ci induce per l'appunto a pubblicare quella parte delle nostre ricerche, che può ritenersi ultimata. Il Leidié ha, come abbiamo fatto anche noi, ripetute le esperienze del Gibbs, sull'azione dei nitriti alcalini sui cloruri doppî dell’iridio, ed è giunto anch'esso ai nostri medesimi risultati. Facendo agire il nitrito potassico tanto sul cloroiridiato, quanto sul clorosesquiiridito, non si ottiene il com- posto Ir(NO:) K3, ma bensì una polvere minutissima cristallina che non ha però sempre il medesimo colore, ma che talvolta è gialliccia, tal altra car- nicina o di un leggerissimo grigio azzurrognolo o perfettamente bianca. È solubile nell’acido cloridrico diluito, dando una soluzione incolora, che acquista però per prolungata ebullizione un colore rosso-bruno e contiene allora cloro- iridiato. È anche solubile in una grandissima quantità di acqua bollente dalla quale si deposita bianca. Questa sostanza, dalle proprietà che mostra, sembrerebbe essere identica a quella ottenuta dal Lang e dianzi citata. Lo studio che il Leidié ne ha fatto, lo conduce a ritenere che essa sia una specie di lacca, poichè, secondo questo autore, riprendendola parecchie volte di seguito coll'acqua bollente, perderebbe ogni volta una certà quantità di cloruro potassico. Il Leidié non ha ottenuto mai campioni contenenti meno del cinque per cento di cloruro potassico. Le analisi da noi fatte su diversi campioni di questa sostanza e pro- venienti da diverse preparazioni, ci hanno condotto invece a numeri, che non confermano la formola data dal Lang: Ir4(NO»),;s CL K,2, ma che sono tra loro abbastanza concordanti e che si avvicinano molto alla formola Ir Cl3 (NO:)3 K3. Data la discordanza tra le nostre osservazioni e quelle del Leidié, cre- diamo opportuno di non dare ora i risultati numerici delle nostre esperienze, (1) Le ricerche più sotto riferite, nonchè altre non ancora completate, formavano argomento della tesi di laurea, presentata da uno di noi nel dicembre 1901 alla Facoltà di scienze dell’Università di Roma. (2) 350 juin 1902, 134, pag. 1582. RenpiconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 20 — 154 — ma di vedere se le nostre ulteriori ricerche confermeranno o meno la formula suddetta. Nella Nota del Leidié è detto anche, che le acque madri, della sostanza sopra accennata, contengono cloronitriti complessi, dei quali ne venne ottenuto uno avente la formula Ira Cl, (NO»), . 6 KCl corrispondente a 2 Ir Cl, (NO): K3. Ora noi avevamo già preparato questo composto, direttamente e per altra via, e ne avevamo già fatto uno studio dettagliato, che qui sotto riferiamo. Prima però di farlo ci siano permesse due parole sul materiale usato. La maggior parte dell’iridio adoperato fu acquistato dalla nota ditta C. W. He- raeus di Hanau, che guarentiva per il prodotto almeno un titolo del 99,8 per cento. Infatti l’iridio fornito trattato con acqua regia non veniva quasi in- taccato, anche se riscaldato a bagno d’acqua. i Un'altra porzione d'iridio, fu da noi ottenuto da residui, che contene- vano principalmente platino, seguendo il metodo classico del Saint-Claire Deville e di Debray. Azione dell’anidr!ide nitrosa sul cloroiridiato ammonico. sali dell’acido dinitritotetracloro sesquiiridoso. IrC1, (NO»); Xa. Se in una sospensione di cloroiridiato ammonico, si fa passare a caldo una corrente di anidride nitrosa, il cloroiridiato si scioglie in breve tempo completamente formando una soluzione rosso-scura. Continuando l’azione dell'anidride nitrosa e mantenendo la soluzione quasi alla temperatura d'ebullizione, si osserva un continuo sviluppo di bol- licine gassose, mentre che la soluzione si fa sempre più chiara. L'azione è finita quando il liquido ha assunto un color giallo d’oro. Si concentra a bagno maria a dolce calore e si aggiunge al liquido concentrato una soluzione di cloruro potassico, presso a poco nel rapporto di tre molecole di cloruro per una di cloroiridiato ammonico impiegato. Dalla soluzione concentrata si separano cristalli giallo-oro, che, tolti dalle acque madri, si fanno ricristallizzare da pochissima acqua onde sepa- rarli da piccolissime quantità di una polvere cristallina rossa che è ad essi commista ed è molto più difficilmente solubile nell’ acqua. Sulla natura di questa polvere rossa non possiamo ancora dire nulla di preciso; probabilmente è un prodotto intermedio perchè si ottiene in maggior quantità quando l’azione dell'anidride nitrosa non fu sufficientemente pro- lungata. I cristalli gialli sono solubilissimi nell'acqua. La soluzione posta a bol- lire con nitrito potassico dà il composto bianco polverulento quasi insolubile di cui sopra abbiamo parlato, [IrClz (NO»); K3](?) mentre che con acido cloridrico dà cloroiridiato. — 155 — L'analisi fu fatta nel modo seguente: per la determinazione dell'iridio e del potassio la sostanza pesata era posta in una capsula di porcellana e ripe- tutamente evaporata a bagno maria con acido cloridrico fino ad ottenere il cloroiridiato. Il residuo era quindi portato in un crogiuolo di platino e calcinato in corrente d'idrogeno fino a peso costante. Si aveva così il peso dell’iridio e del potassio allo stato di cloruro. Si può raggiungere lo stesso scopo ri- scaldando la sostanza da analizzare con cloruro ammonico, aggiunto in pic- cole quantità ed a parecchie riprese. Avuto il residuo, si esportava il cloruro alcalino per lisciviazione ripetuta e l’'iridio che rimaneva era di nuovo cal- cinato in corrente d’idrogeno e pesato. La calcinazione dell’iridio in corrente d'idrogeno è assolutamente necessaria, poichè calcinandolo all'aria aumenta del 4 al 5 per cento in peso. Come controllo, dopo di aver fatta la liscivia- zione del residuo d'iridio e di cloruro potassico, fu talvolta determinato il cloro unito al potassio. Per la determinazione del cloro nel sale primitivo si disgregò con car- bonato sodico-potassico, determinando poi il cloro nel residuo della calcina- zione come d'’ ordinario. Per la determinazione del gruppo NO, la sostanza, mescolata con pol- vere di rame e polvere d'alluminio, fu posta in una navicella di porcellana e questa messa in un tubo ordinario da combustione che conteneva per un breve tratto ossido di rame e numerose spirali di rame ridotto. Scacciata dal tubo l’aria per mezzo dell'anidride carbonica, svolta dal carbonato di manganese, si precedette alla decomposizione della sostanza come nelle ordinarie determinazioni d'azoto nelle sostanze organiche. I risultati analitici ottenuti pel sale di potassio sono i seguenti: 0,3809 gr. di sostanza diedero 0,1843 gr. d’iridio. 0,2149 gr. di sostanza calcinati debolmente fino a peso costante, avendo cura d’ aggiun- gere di tanto in tanto un po’ di cloruro ammonico, diedero 0,0764 gr. d’iridio e 0,0879 gr. di cloruro potassico, il cui peso fu controllato per mezzo della determi- nazione del cloro contenuto. 0,4192 gr. di sostanza decomposti con carbonato sodico-potassico diedero poi, con gli opportuni trattamenti, 0,4397 gr. di cloruro d’argento. 0,5180 gr. di sostanza trattati come sopra diedero 0,5492 gr. di cloruro d’argento. 0,3622 gr. di sostanza diedero 17,1 ce. di azoto misurati a 758 mm. ed a 26° e corri- spondenti a 0,06234 gr. di NO». Esprimendo questi risultati in centesimi si ha: trovato calcolato per —-__—_—_— __ _ se=,e_ _ _ _ I II III IV V Ir CL, (N02): Kg Ir 35,260 35,55 — _ — 35,46 K — 2147 — — _ 21,58 Cl — — 25,92 26,21 — 26,05 NO, — = = _ 17,2 16,92 — 156 — Sale di Cesio IrCLl, (N0:); Css. Si ottiene questo sale per doppia decomposizione tra il sale di potassio e - il cloruro di cesio. Mescolando le soluzioni concentrate e fredde dei due detti corpi, si forma una polvere cristallina giallo-chiara, pochissimo solubile nel- l’acqua fredda colla quale fu lavata. All’analisi ha dato i seguenti risultati: 0,1568 gr. di sostanza calcinati con precauzione in presenza di cloruro ammonico, quindi calcinati in corrente d’idrogeno e asportato in seguito per lisciviazione il cloruro di cesio, calcinato nuovamente in corrente d’idrogeno, diedero 0,1327 gr. di residuo costituito da cloruro di cesio e iridio, quest’ultimo era 0,0367 gr. d’iridio. Ossia su 100 parti: trovato calcolato Ir + 8CsC1 84,57 84,56 1h 23,41 23,917 Sale d’argento IrCl,(N0.). Ag. Il sale potassico sciolto in pochissima acqua, fu trattato con una solu- zione di nitrato d’ argento. Il precipitato che si ottiene è quasi bianco con una leggera tinta giallo- gnola, è del tutto, o quasi, insolubile nell'acqua e pare che anche coll’ acido nitrico diluito non si alteri. L'analisi di questo sale fu fatta calcinando una quantità pesata di esso in una corrente d'idrogeno puro, in modo da far gorgogliare i gas che sì svol- gevano in una soluzione d’idrato potassico esente di cloro. Nel liquido con- tenuto nei tubi ad U uniti alla canna di vetro in cui si fece l’ operazione fu determinato il cloro; il residuo rimasto nella navicella dopo essere stato pesato fu fatto bollire con acido nitrico diluito per sciogliere tutto l' argento metallico. L' iridio rimasto fu pesato previa calcinazione in corrente d’ idrogeno. 0,4170 gr. di sostanza diedero 0,3174 gr. di cloruro di argento corrispondenti a 0,07848 gr. di cloro e 0,2878 sr. di residuo che conteneva 0,1069 er. d’ iridio e 0,1803 gr. d’argento. Ossia in cento parti: trovato calcolato Cl 18,82 18,89 Ir 25,63 25,72 As 43,24 43,13 Sale di Tallio Ir Cl, (NO), Tl. Anche questo sale si ottiene per doppia decomposizione tra il sale di potassio e l’acetato o nitrato talloso. — 157 — Il sale talloso formatosi precipita essendo insolubile nell'acqua e si pre- senta sotto forma di una polvere giallo-chiara. Per separare l’'iridio dal tallio, abbiamo adoperato il metodo usato ripe- tutamente da uno di noi per la separazione del platino dal tallio. Si scaldò cioè la sostanza, posta in una navicella di porcellana e questa in una canna di vetro infusibile, prima in una corrente di solo acido cloridrico secco e poi in una corrente d'idrogeno e acido cloridrico, finalmente in una corrente di solo idrogeno. Il cloruro talloso è in queste condizioni facilmente volatile e si raccoglie nei tubi ad U uniti alla canna nella quale trovasi la navicella. Dai tubi ad U, nonchè dall’ estremità della canna, si toglie il cloruro talloso in parte meccanicamente, in parte con acqua regia; portato che sia tutto il tallio in un vaso da precipitare, si tratta dapprima con bisolfito sodico, si neutralizza poi con ammoniaca e si precipita con ioduro potassico. Il preci- pitato sì filtra su di un crogiuolo di Gooch, si lava prima con acqua conte- nente ioduro potassico, poi con acqua alcoolica-ammoniacale, e seccato a 100°, si pesa. Nella navicella rimane l'iridio metallico che è bianco argentino, se l'operazione è stata ben condotta. I risultati analitici ottenuti furono i seguenti : 0,3741 gr. di sostanza trattati come sopra dettero 0,0709 gr. d’iridio e 0,3548 gr. di ioduro talloso. 0,2291 er. di sostanza scaldati in crogiuolo di porcellana, prima ripetutamente con cloruro ammonico onde scacciare il tallio (fintanto che la fiamma Bunsen non venne più colo- rata in verde), poi in corrente d’idrogeno, dettero 0,0420 sr. di residuo. 0,9641 gr. di sostanza calcinati con carbonato sodico-potassico, dettero 0,5384 gr, di cloruro d’argento corrispondenti a 0,13313 gr. di cloro. Riferendo questi risultati a 100 parti di sostanza si ha: trovato calcolato I II III Ir 18,95 18,34 — 555% Au 58,4 — — 58,93 Cl — — 1381 15,64 Sale di mercurio }Ir Cl, (NO.);:. Hgs. Trattando il sale di potassio con una soluzione di nitrato mercurico il meno acida che sia possibile, si ottiene un lievissimo precipitato. Questo aumenta però se sì neutralizza quasi del tutto, ma con grande precauzione, l'acidità della soluzione con qualche goccia di carbonato potassico sciolto in acqua. Il precipitato che si ottiene è di un bel giallo chiaro ed è comple- tamente o quasi, insolubile nell'acqua colla quale viene lavato. — 1539 — Fu fatta una determinazione d'iridio calcinando la sostanza prima al- l'aria, poi, come al solito, in corrente d'idrogeno. I risultati analitici sono i seguenti: ì 0,1624 gr. di sostanza dettero 0,0434 gr. d’'iridio. Ora riferendoci a cento parti di sostanza si ha: trovato calcolato Ir 26,72 26,5 Sale di piombo }lr CI, (N0»);{x Pb +2 Pb (0H)». Il sale potassico Ir Cl, (NO). K, trattato con acetato di piombo leg- germente acido per acido acetico non dà a freddo alcun precipitato, soltanto il liquido dopo un certo tempo si intorbida. Se si riscalda però la mescolanza delle due soluzioni a bagno maria per qualche tempo sì ottiene un precipi- tato pesante giallo-arancio. Questo precipitato venne lavato ripetutamente con acqua leggermente acidulata con acido acetico, poi con acqua alcoolica. Dal modo seguito per la preparazione si può arguire che questo com- posto sia un sale basico, ciò che sarebbe confermato dalla seguente determi- nazione: 0,2504 gr. di sostanza furono evaporati ripetutamente con acido solforico in capsula di platino a moderato calore e si ebbe 0,2432 gr. di residuo. Questo fu trattato molte volte a caldo con acetato ammonico in soluzione concentrata allo scopo di asportare il solfato di piombo formatosi. Dopo completa estrazione, il residuo venne calcinato in corrente d’idrogeno e si ottenne 0,0492 gr. d’iridio. Referendo i risultati a 100 parti di sostanza si ha: calcolato per trovato \IrCl4(NOs)a}2 Pb, +2Pb(0H). Ir + Pb SO; 97312 p. (Ct. 97,19 Ir 19,64 19,75 Sebbene i risultati analitici s'accordino molto bene colla formula qui sopra scritta, pure noi diamo questa con qualche riserva non essendo a nostro credere sufficiente una sola determinazione per istabilire la formola di un composto. Le ricerche sopra riferite hanno dimostrato in modo sicuro l’esistenza di un acido complesso avente per formula IrCl,(N0:).H3. Tale acido è stato ottenuto secondo una reazione affatto nuova; ora è possibile che questa reazione, estesa ai sali complessi di altri metalli del gruppo platino, possa portarci a qualche altro risultato interessante. e RES Cp Batteriologia. — Sw Dacteri dei dotti galattofori delle vacche ('). Nota del dott. CosranTINO GoRINI, presentata dal Socio L. CREMONA. È cosa oramai accertata, per opera specialmente delle ricerche di Ward (20) che nei dotti galattofori delle vacche si contengono dei bacteri, per cui il latte, il quale quando è secreto da ghiandole mammarie sane è sterile, si contamina, ancor prima di uscire dalle mammelle, nell’attraversare îi canaletti che lo guidano dalle ghiandole agli sbocchi dei capezzoli. Quei bacteri derivano evi- dentemente da germi che stanno nei pressi di questi sbocchi e che gradata- mente si propagano lungo quei canaletti, trovando nella temperatura del corpo dell'animale una condizione opportuna per moltiplicarsi rapidamente fra una mungitura e l’altra. Questi bacteri naturalmente vengono poi trascinati col latte fuoruscente e segnatamente coi primi zampilli (de Freudenreich) (8). Ciò posto, sorge la questione di conoscere il grado e la natura di una tale contaminazione evidentemente zuevitabile, per l'influenza che essa può esercitare sulla conservazione del latte e sulla sua attitudine alla fabbricazione del burro e del formaggio. Degli esperimentatori che si occuparono fin qui dell'argomento, alcuni [Ward (‘), Dinwiddie (5), Bolley (9), Burr (7)] vennero alla conclusione che la flora microbica dei dotti galattofori debbasi considerare pressochè indiffe- rente per le alterazioni del latte; altri [ Moore (*), Esten (*)] vi constatarono (!) Queste ricerche furono eseguite in parte nel Laboratorio di bacteriologia del- l’Istituto Federale Agrario di Berna (Svizzera), in parte nel Laboratorio di bacteriologia della R. Scuola Superiore di Agricoltura di Milano. (2) Archibald R. Ward, The persistence of bacteria in the milk ducts of the cow's udder (Journal of applied microscopy, v. I, n. 12). — The invasion of the udder by bacteria (Bulletin 178 of the Cornell University Agricultural Experiment Station. January 1900). (3) Ed. de Freudenreich, Die Bakteriologie in der Milehwirthschaft, Jena, 2* ediz., passim. (4) Archibald R. Ward, The persistence of bacteria in the milk ducts of the cows udder (Journal of applied microscopy, v. I, n. 12). — he nvasion ofthe udder by bacteria (Bulletin 178 of the Cornell University Agricultural Experiment Station. January 1900). (>) R. R. Dinwiddie, Arkansas Agricultural Experiment Station. Bullettin n. 45, p. 56. (6) H. L. Bolley und Hall, Veber die Konstanz von Bacterienarten in normaler Rohmilch (Centralblatt f. Bakteriologie etc. II Abt., p. 1895, Band I, p. 788 e 795). (7) Rollin H. Burr, 7'he source of the acid organisms of milk and cream (Cen- tralblatt f. Bakteriologie II Abt. p. 1902, Band VIII, p. 236). (8) V. A. Moore, Preliminary Investigations concerning the number and nature of bacteria in freshly drawn milk (12° and 13° Annual Report of the Bureau of animal in- dustry, U. S. Dept of Agr. p. 261). (9) W. M. Esten, Bacillus acidi lactici and other acid organisms found in American dairies (9° Annual Report of the Storrs Agricultural Experiment Station, p. 49). — 160 — invece dei veri fermenti lattici capaci di acidificare rapidamente il latte e quindi di grande importanza per la lavorazione del latte. Durante la mia dimora presso il laboratorio di batteriologia della sta- zione federale agraria di Berna nell'autunno del 1901, l'egregio direttore di quell’Istituto dott. de Freudenreich (a cui porgo i più sentiti ringraziamenti) mi propose di esaminare la flora microbica dei dotti galattofori delle mungane della vaccheria annessa alla stazione stessa. Io accettai volentieri l’incarico e stimai anzi opportuno di estendere le ricerche anche ad altre due stalle situate in vicinanza dell'Istituto, per vedere se le diverse condizioni di am- biente, di pulizia ecc. avessero influenza sulla suddetta flora. Le vacche esaminate furono in tutto 22, di cui 14 appartenenti all’Isti- tuto, 6 ad una stalla esterna e 2 ad un’altra stalla esterna. Di 14 vacche (10 dell'Istituto e 2 di ciascuna vaccheria esterna) analizzai separatamente il latte di ciascun capezzolo per rilevare le eventuali diffe- renze nel contenuto microbico dei diversi capezzoli di ciascuna mammella; delle altre 8 vacche analizzai il latte misto di due capezzoli appartenenti alle due diverse metà della mammella. i Per avere un'idea il più possibilmente completa sui bacteri capaci di vegetare entro i dotti galattofori, stimai necessario raccogliere nel modo più asettico possibile le primzssime stille di latte di ciascuna mungitura. A tal uwopo dovetti rinunciare a qualunque ripulitura delle mammelle e dei capezzoli, perchè osservai che, se la si faceva ammodo, durante le ope- razioni di lavatura e di asciugatura fuorusciva sempre qualche po' di latte, per la qual cosa veniva a fallire lo scopo di sottoporre ad esame il primo latte contenuto nei dotti galattofori. Laonde, dopo alcuni tentativi, adottai il me- todo seguente che possiamo chiamare di spremitura a secco. Prima dell’ordinaria mungitura, e cioè prima che si masturbassero e si inumidissero, come di solito, i capezzoli, facevo esercitare dal mungivacche, a mani pulite e asciutte, una leggiera compressione sulla base del capezzolo, in modo da evitare qualunque sfregamento e qualunque contatto colle adiacenze dello sbocco del capezzolo, e da spremere fuori rapidamente e in un sol getto qualche centimetro cubico di latte, che veniva subito raccolto in una provetta sterilizzata munita del suo tappo di ovatta. I campioni venivano, entro 5-10 minuti al più, sottoposti a cultura in laboratorio. Con ogni campione allestii quattro culture a piatto, e cioè: due piatte in gelatina semplice, di cui una con una goccia di latte e una con due goccie d'una diluzione di latte (una goccia di latte in.5 ce. di acqua potabile steriliz- zata); e due piatte in gelatina al siero di latte allestite come le precedenti. Le culture erano tenute in osservazione a circa 20° C. per 8 giorni almeno; bene spesso per 15 e talora fino a 21 giorni, quanto era necessario per accertare vuoi che lo sviluppo di nuove colonie era completamente cessato, vuoi che certe colonie erano assolutamente non fondenti ecc. — 161 — Riserbandomi di riferire altrove circa le singole esperienze, ecco per ora in riassunto i principali risultati. A. Risultati. 1. Nessuna delle 14 mammelle di cui furono esaminati isolatamente tutti e quattro i capezzoli fu riscontrata completamente amicrobica; sola- mente due capezzoli appartenenti a due diverse mammelle risultarono sterili alle culture. Una sola delle 8 mammelle, di cui furono esaminati complessivamente due soli capezzoli, risultò amicrobica. 2. Il contenuto microbico di ciascun capezzolo variò da un minimum di 20 colonie ad un maximum di 300 mila colonie bacteriche per centimetro cubico di latte. x da notare però che questo maximum fu riscontrato fra le vacche appartenenti alle stalle esterne che erano governate con deficiente pulizia (v. più sotto al n. 8); invece il contenuto dei dotti galattofori delle 14 vacche dell'Istituto non superò la cifra di 85 mila colonie bacteriche per centimetro cubico di latte. 8. In generale osservai una sensibile affinità, se non un'assoluta iden- tità, nel contenuto microbico dei quattro capezzoli di una medesima mammella; in alcuni casì però taluno dei capezzoli dimostrò di contenere una flora par- ticolare, cioè decisamente diversa per quantità (due casi) od anche per qua- lità (cinque casi) da quella degli altri capezzoli della medesima mammella. 4. Eccettuate sei vacche sulle quali ritornerò in seguito (v. n. 8), in tutte le altre sedici vacche esaminate la flora microbica dei dotti galattofori risultò costituita prevalentemente, e spesso anche esclusivamente, da una sorta di cocchi morfologicamente simili fra loro, così per la forma indivi- duale, come per la forma delle colonie nelle piatte di gelatina. Sono cocchi di media grossezza (intorno a 1u di diametro), talora alquanto ovali, aggrup- pati talora a grappolo, ma il più spesso a quattro o a due, assumendo soventi volte la figura di un chicco da caftè. Nelle piatte di gelatina essi danno delle colonie rotonde, a contorni regolari, piuttosto piccole, di colore giallognolo più o meno intenso, sia pro- fonde che superficiali (anaerobiosi facoltativa). Fisiologicamente invece questi cocchi presentano delle differenze, per cui se ne possono distinguere diversi tipi. 5. Lo studio particolareggiato istituito sopra 127 colonie isolate dai dotti galattofori di dieci vacche e seminate in cultura pura nei varî mezzi nutritivi, mi ha permesso di stabilire cinque ‘pi principali di tali cocchi, distinguendoli fra loro specialmente in base al comportamento in gelatina lattosata (al 4 °) e in latte. Renpiconti. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 21 — 162 — Li designo col nome di « tipi » per non entrare qui nella questione se sl tratti di altrettante specie o di semplici varietà. Ciò che posso dire fin da ora si è che i caratteri di ciascun tipo si mantennero costanti in tutte le prove che nel corso di un anno sono andato facendo e ripetendo, dapprima nel laboratorio di Berna e in seguito nel laboratorio di batteriologia della R. Scuola superiore di agricoltura di Milano. Quei tipi sono: i Tipo uno. Cocco pseudofondente; coagulante. — Lo designo « pseudo- fondente », perchè esso infossa lentamente la gelatina lattosata, senza fonderla; cosicchè nelle culture a piatto le sue colonie, dopo qualche giorno di svi- luppo, appaiono circondate da una zona scodelliforme di gelatina di cui esse occupano il fondo depresso. Toccando con l’ago di platino è facile persuadersi che la gelatina contenuta nella scodella non è liquefatta, e nemmeno rammol- lita, di guisa che la piatta, ancora dopo quindici giorni, conserva la propria consistenza e integrità e, osservata a luce radente, appare come faccettata. Coagula il latte in 2-4 giorni a 37° C., con reazione acida, con espul- sione di poco siero limpido, quasi incoloro, senza peptonificazione successiva. In brodo lattosato a 37° sviluppasi discretamente in 24 ore, acidi- ficandolo. Tipo DUE. Cocco a rapida e sproporzionata fusione limpida ; coagu- lante. — Nelle piatte in gelatina lattosata questo tipo forma delle colonie pressochè puntiformi (assai più piccole di quelle degli altri tipi), le quali sì circondano rapidamente (talora ancor prima che la colonia si sia resa visibile) di un ampio alone di gelatina fusa limpida, cioè non invasa dalla parte sostanziale della colonia. Ne deriva una sproporzione fra le dimensioni della colonia e quelle della zona di fusione, che in progresso di tempo va accentuandosi, poichè mentre questa si allarga di molto, la colonia ingrossa di poco e anzichè espandersi nella scodella di liquefazione, cade in massa sul fondo di essa. Coagula il latte in 24-48 ore a 37°, con reazione acida, con espulsione di abbondante siero limpido, giallognolo, e con successiva lenta peptonifica- zione, la quale però non è mai completa e lascia sempre una porzione di coagulo indigesto. In brodo lattosato a 37° si sviluppa rigogliosamente in 24 ore, acidifi- candolo leggermente. Tipo TRE. Cocco a fusione torbida; coagulante. — Le colonie sulle piatte in gelatina lattosata fondono piuttosto lentamente, intorbidando il liquido di fusione al pari dei più comuni bacteri liquefacienti. È però da ricordare che talora qualche colonia tarda a fondere e ad espandersi nel liquido di fusione, così da assomigliare per qualche tempo, ad es. fino all'ot- tavo giorno, ad altri tipi, e segnatamente a quelli non fondenti o al tipo pseudofondente. — 163 — Coagula il latte in 4-5 giorni a 37° C., con reazione anfotera prevalen- temente acida, e con successiva rapida peptonificazione, che trasforma com- pletamente il coagulo in un liquido giallastro. In brodo lattosato a 37° si sviluppa in 24-48 ore, ma non troppo rigo- gliosamente. Tipo QuaTTRO. Cocco non fondente; coagulante. — Le colonie sulle piatte in gelatina lattosata sono dapprima tutte eguali, ma dopo alcuni giorni assumono due aspetti diversi a seconda che sono profonde o superfi- ciali; le profonde conservano il colore gialletto originario, le superficiali invece vanno lentamente sollevandosi sulla superficie della gelatina lattosata, così da sembrare piccole capocchiette di spillo e assumono una tinta bian- chiccia. Non fondono la gelatina neppure dopo ventun giorni. Coagula il latte a 37° con reazione acida, ma molto tardivamente, cioè verso il 15° giorno, e talora soltanto al 30° giorno; quasi nessuna espul- sione di siero; nessuna peptonificazione. In brodo lattosato a 37° si sviluppa abbondantemente in 24 ore, aci- dificandolo. Tipo cINQUE. Cocco non fondente; non coagulante. Nelle culture a piatto è simile in tutto al tipo quattro. In latte non coagula a 37° neppure dopo 53 giorni, e non ne altera la reazione anfotera primitiva, cosicchè il latte non coagula neppure coll’ ebol- lizione. In brodo lattosato a 37° si sviluppa in 24-48 ore, ma non troppo rigo- gliosamente e senza acidificarlo. 6. Circa la distribuzione di questi diversi tipi di cocchi nei singoli capez- zoli, non ritengo possibile acquistare un criterio esatto in base alla semplice osservazione delle culture a piatto allestite coi campioni di latte. Imperocchè io ho potuto verificare che, sopratutto quando in queste piatte si sviluppava un numero rilevante di colonie, i caratteri dei singoli tipi erano bene spesso falsati, verosimilmente in causa dei disturbi reciproci derivanti alle manife- stazioni vitali delle colonie dall’accumulo dei rispettivi prodotti di ricambio. Così è che più di una volta una colonia, che sulle piatte originarie sembrava non fondente, trasportata in cultura pura si palesò per pseudofondente o del tutto fondente; più frequenti poi occorsero gli scambi fra i primi tre tipi di colonie. Tant'è che per la differenziazione dei sopra descritti cinque tipi di cocchi, credetti necessario allestire delle piatte con culture pure di ciascun tipo e in modo che ciascuna piatta contenesse un piccolo numero di colonie. Aggiungasi poi che per la distinzione dei due tipi non fondenti (tipi quattro e cinque) è indispensabile il trapianto in latte. Da quanto precede si capisce di leggieri che, ove io avessi voluto cono- scere con precisione quali tipi si contenessero nei dotti galattofori di ciascun capezzolo, avrei dovuto isolare e studiare separatamente ciascuna delle colonie — 164 — sviluppatesi nelle piatte. Questo io feci solamente in qualche caso in cui il numero delie colonie sviluppatesi era esiguo, come accadde frequentemente nelle piatte allestite con latte diluito. Ma nella maggior parte dei casi mi limitai a trasportare in cultura pura quelle colonie che apparivano differenti sulle piatte originarie. Pertanto, rinunciando ad emettere un giudizio sulla maggiore o minor diffusione di un tipo piuttosto che dell'altro, in base alle mie osservazioni mi credo autorizzato a dichiarare soltanto: 1°, che i tipi non fondenti appar- vero più diffusi (non direi più numerosi) dei tipi fondenti la gelatina latto- sata, per il fatto che furono trovati anche in alcuni capezzoli poveri di bacteri, dove non incontrai invece rappresentanti dei tipi fondenti; 2°, che sebbene nella maggior parte dei casi io abbia constatato rappresentanti di diversi tipi insieme mescolati, tuttavia ho l'impressione che nei singoli capezzoli e talora in tutti i capezzoli di una data mammella, uno dei tipi fosse in grande prevalenza sugli altri. 7. Accanto ai succitati tipi predominanti di cocchi, ho incontrato qua e là, solamente in taluno dei capezzoli e sempre in numero piuttosto esiguo, altre tre qualità di cocchi caratterizzati dalla proprietà di rendere alcalino il latte senza coagularlo nè alterarne le qualità esteriori, tutt'al più facen- dolo debolmente e lentamente ingiallire. Questi cocchi, di cui uno fonde e due non fondono la gelatina lattosata, formano sulle piatte delle colonie che si distinguono facilmente sia fra loro, sia da quelle dei tipi precedenti, laonde essi meritano di essere considerati senz'altro come specie a sè. 8. Solamente in 6 vacche ho trovato che la flora microbica dei dotti galattofori (eccettuato in qualche capezzolo) era rappresentata prevalentemente, e in una vacca anzi esclusivamente, da altre qualità di germi, e precisa- mente da uno streptococco non liquefacente che nelle piatte di gelatina forma coloniette minutissime, profonde (anaerobiosi), e che coagula il latte in 24-48 a 37°C. con reazione acida, quasi senza espulsione di siero e senza peptoni- ficazione; insomma ha tutti i caratteri dei comuni fermenti lattici. Questo bacterio si conteneva in quantità rilevantissima nei campioni di latte, raggiungendo la cifra di 300 mila colonie per centimetro cubico di latte, mentre il numero delle colonie dei soliti tipi di cocchi era piuttosto esiguo, e in un caso anzi era nullo. E d'uopo peraltro riconoscere che la copia di colonie di streptococchi era tale da riuscire di ostacolo allo sviluppo di colonie di altri germi sulle medesime piatte, quand'anche questi vi fossero stati presenti. Ad ogni modo è degno di nota il fatto che le 6 vacche nelle quali fu trovato questo streptococco appartenevano tutte alle due stalle esterne, mentre esso mancava completamente nelle vacche appartenenti all’ Istituto, che erano governate con maggior pulizia di quelle. Nelle altre due vacche delle stalle esterne si constatarono solamente colonie dei soliti tipi di cocchi. — 165 — B. Deduzioni. I. Considerando: a) che in tutte le vacche esaminate (eccetto una sola) si trovarono i succitati tipi di cocchi, i quali poi in 16 vacche su 22 rappresentavano la flora microbica predominante e spesso anche esclusiva dei dotti galattofori ; 5) che le sei vacche nelle quali quei tipi di cocchi si mostrarono parzialmente o totalmente soppiantati dallo streptococco lattico, appartenevano a stalle tenute con deficiente pulizia; parmi che dalle mie ricerche si possa dedurre che /a /lora normale dei dotti galattofori delle vacche sia costituita essenzialmente dai sovradeseritti tipi di cocchi, fra i quali, sebbene non si trovino rappresentanti dei comuni fermenti lattici, ne esistono tuttavia alcuni (v. il tipo uno e ancor più il tipo due) capaci di alterare il latte colla medesima rapidità dei fermenti lattici propriamente detti. Vero è che questi tipi rapidamente coagulanti non sono stati riscontrati in tutte le vacche esaminate; ma è vero altresì che in alcuni capezzoli essi si contenevano in quantità molto rilevanti; per cui fa d’uopo ritenere che la flora bacterica normale dei dotti galattofori delle vacche non sia senza impor- tanza per la lavorazione del latte; se e in quali casi essa possa riuscire di danno o di vantaggio per l'industria casearia, non è argomento di cui mi voglia occupare qui; vi ho già accennato in un precedente lavoro a proposito dei bacteri acido-presamigeni contenuti nei dotti galattofori (!), e intendo ritornarvi in altra occasione. II. — I risultati delle mie esperienze danno anche modo di spiegare le opposte conclusioni a cui vennero i precedenti ricercatori. Infatti: «) se pensiamo alla grande somiglianza ed ai facili scambi che ho fatto notare fra le colonie dei diversi tipi di cocchi sulle piatte di gela- tina, non fa meraviglia che ad alcuni osservatori siano sfuggiti per l'appunto i tipi rapidamente alteranti il latte, per cui essi hanno potuto concludere « che la flora microbica dei dotti galattofori non è tale da alterare profondamente il latte ». 6) d'altra parte se si considera che in alcune vacche ho constatato in grande abbondanza uno streptococco avente tutti i caratteri dei comuni fer- menti lattici, non fa maraviglia che altri osservatori abbiano potuto trovare nei dotti galattofori il Bacillus acidi lactici, prototipo dei fermenti lattici ; che anzi quella constatazione lascia altresì adito alla possibilità che in casi eccezionali (poca pulizia, malattie pregresse ecc.), attecchiscano in quei dotti anche altri bacteri capaci di produrre profonde alterazioni nel latte, pur es- sendo inoffensivi per le vaccine. (*) Gorini C., Sui dacteri acido-presamigeni del latte (Rendiconti del Reale Istituto lombardo di scienze e lettere, dicembre 1901). — 166 — PERSONALE ACCADEMICO All’Accademia giunse la dolorosa notizia della morte del Socio straniero RopoLcro VircHow, mancato ai vivi il 5 settembre 1902; il defunto Socio faceva parte dell'Accademia sino dal 20 settembre 1887. i OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 4 agosto al 7 settembre 1902. Abderhalden E. — Ueber den Einfluss des Hoòhenklimas auf die Zusammen- setzung des Blutes. Miinchen, 1902. 8°. Bassani C. — Conclusioni delle prime ricerche sulla provenienza del ter- remoto di Firenze avvenuto il 18 maggio 1895. Torino, 1902. 8°. Id. — Il primo futuro Congresso sismologico italiano ed i primi problemi sismici. Pavia, 1902. 8°. Ferro y Zea E. — Sobre el Ferrocarril de aio Medellin, 1902. 16°. Grujié S. — Das Wesen der Anziehung und Abstossung. Berlin, 1902. 8°. Loria G. — Spezielle algebraische und transscendente ebene Kurven. Theorie und Geschichte. I, II. Leipzig, 1902. 8°. Macchiati L. — Sulla fotosintesi fuori dell'organismo e sul suo primo pro- dotto. Napoli, 1902. 8°. Memorie descrittive della Carta geologica d'Italia. Vol. XI. Il Montello. Roma, 1902. 8°. Nery Volli L. — Le Trigonométrie universelle. Rio de Janeiro, 1902. 8°. Ricciardi L. La coltivazione del tabacco indigeno. Napoli, 1902. 8°. Sars G. O. — An account of the Crustacea of Norway. Vol. IV Copepoda. Calanoida, p. VII, VIII. Bergen, 1902. 8°. VO: Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dor Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* lrRANSUNTI 2* MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. 1V. V. VI. VII. VIII Serie 3* — TRransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMmoRIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. WE I, 2). PANXIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIH. Serie 4% — RenpicoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze» fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. (1892-1902) 2° Sem. Fasc. 5°. RENDICCATI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 5°-6°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE,. MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescher & (..0° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hospri. — Milano, Pisa “e Napoli. RENDICONTI — Settembre 1902. INIDIC E Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all’Acchdemia prima del 7 settembre 1902. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Ciamician e Silber. Azioni chimiche della lute . . . . ì .. Pag. 145 Miolati e Gialdini. Contributo allo studio dell’iridio e di suoi cn ina ‘al Socio Cannizzaro). <.<. A Gorini. Sui bacteri dei dotti oidattotori delle Hone (a dal Socio SESTO Ea ino, PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte del Socio straniero Rodolfo Virchow.. . . .......... » 166 BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. V. Cerruti Segretario responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 21 settembre 1902. N. 6. AI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIX. 1902 SERRE O BRENTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XI.° — Fascicolo 6° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 2A settembre 1902. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1902 recai na Afgaanian Instityg% j SN "Top, i OCT 251902 No ©) Vati sb i vet > ILionat Nuoto ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne ‘assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus: sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. E, 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono. senz’ altro: inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o. da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta BEREICA nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mesa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia sino al 21 settembre 190°. Matematica. — 7rusformazioni infinitesime e forme ai diffe- renziali di second’ordine. Nota del Corrispondente ERNESTO PASCAL. Questa Nota è la continuazione di un'altra pubblicata poco tempo fa in questi medesimi Rendiconti ('); in essa mi propongo di studiare il risul- tato dell'applicazione di una trasformazione infinitesima ad una espressione ai differenziali di second’ ordine, e di porre questo risultato sotto una forma le cui parti sieno invariantive, analogamente a quanto si fa nella teoria delle ordinarie espressioni pfaffiane. i Della formola ottenuta faccio poi alcune applicazioni per la ricerca di una speciale categoria di trasformazioni infinitesime che lasciano inalterata l'espressione data. In questa Nota mi riferirò continuamente ai simboli e notazioni ado- perati nella precedente. 1. Nel $ 6 della mia Memoria intitolata: Introduzione alla teoria invariantiva delle equazioni di tipo generale ai differenziali totali di 2° ordine (Ann. di Mat. (8), t. VII, 1901) ho definito che cosa intendo per: operare una trasformazione infinitesima df dA (1) Lili (") Sulla teoria invariantiva delle espressioni ai differenziali di 2° ordine e su di una estensione dei simboli di Christoffel, Rend. Acc. dei Lincei, (5), t. XI, 2° se- mestre, pag. 105, RenpiIconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. [N°] Do — 168 — su di una espressione del tipo (2) U=) MWééxt+. DI DI DK de; dz, kh=1 =1 che chiamerò forma ai differenziali di 2° ordine. Si ha (3) 5U-) VE d°xx + I XKd' i+ - dX;; + D&G der de; +2) D Xi; dE; dx;.. l Formiamo ora il differenziale secondo dell’ invariante (4) A=DG& k e otteniamo DE PP AR, IR 7 de de; |+ vi DI Di LE, Do di da; +3 Xx d°È, donde, adoperando i soliti simboli RN N 72 ; Dix ij rd Pucozi (53) EU=d ap? Z E, (#7) dan 4 D d È, (° For) dd —2> d (Gj) dt da;. OO) Introduciamo ora la forma covariante C considerata nella precedente Nota: (6) => > ((ij)) E: da; , d pasa î da cui otteniamo do = 22 3 ((ij)) dé; da; + 20 E ((ij)) dz; + 0) > De Na dì e possiamo quindi scrivere, con opportuno cambiamento di indici [ricordando che (£7)=((X7))— ((2%))] EU=d4—24C+Y d&[((&2) + ((2))] dz + +2X3.5| 326 Me: +a DCZI dI (E. idan da: dd; d%j — 169 — Ora introducendo il simbolo a tre indici già introdotto negli altri miei lavori, e che, come ho detto nella precedente Nota, è da considerarsi una estensione del simbolo di Christoffel, sì trova facilmente che dXg DX, de) ddr dI dI dI d((7e)) (7) i IT; + mentre poi alla parentesi quadra contenuta nell'ultimo termine della pre- cedente espressione di 5 U, a causa del sommatorio rispetto ad è ed }, può darsi anche la forma rappresentata dal secondo membro di (7), ed essendo ((£7)) + ((#4)) =}Mert, si ha infine: (8) EU=d'4—-240+D D erbe, dix + D dijrt tb. de;da;. TA CANE) n Si presenta così, come si vede, il covariante di 2° ordine L da noi già considerato nella precedente Nota. Se la forma U diventa la forma differenziale quadratica (9) = SI DI DK; de; da; = l’invariante 4 si riduce a zero, il covariante C diventa (10) C=—) Dx dx; (i 57: e la (8) diventa: (11) ai, i | E, dx; dx; kr Ian Mim in cui é f sono gli ordinarî simboli di Christoffel. 2. Diremo che la forma U ammette la trasformazione infinitesima E, ovvero che questa lascia invariata U, quando EU è, a meno di un fattore, uguale alla medesima U: (12) zali-0.U; Ponendo (13) C;= I ((ij)) E e quindi — 170 — dalla (12) si ricavano le seguenti equazioni: Os (Doge ome (14) sE po Mi Ne > De PE = )2] P; Li st Q CLERI dI; IX; dI; d% le quali insieme alle \ DI Xp, Bd (14) Cal |> ems=a, (IR) sono le relazioni cui devono soddisfare le È,...&, perchè la trasformazione £ lasci invariata U. Alle seconde delle (15) possiamo sostituire altre che sono più conve- nienti per il nostro scopo. Se dalla prima delle (14) sottragghiamo la seconda delle (15) molti- plicata per 2, e teniamo conto delle relazioni er=((k7)+((F£)) (km) = ((£7)) — ((r n). alla seconda delle (15) possiamo sostituire un'altra equazione e il sistema (15) diventa \ Si X, r= 4 (16) E i, = 26 __dA 7 Cp IL È degno di nota che la matrice dei coefficienti delle incognite £ e 6 nelle equazioni lineari (16) (14) è esattamente la matrice da noi considerata già, ad altro scopo, nel lavoro: n teorema della teoria invariantiva ecc. (Rend. Ist. Lomb. (2), t. 34, 1901) e che è 0 DIE - DE D=5G (51)... TO. (4n)li X=1,2 Xx et: . e... VARA TE oa Xi gilt. CO o, jm|\t,j=1,2,-..n Ricerchiamo le condizioni cui devono soddisfare A e le Cx perchè esista una & che lasci invariata U. A Formiamo le equazioni lineari (17) (AE (ua) e sia Co È &; una soluzione di questo sistema; moltiplicando tutte le (16) e (14) ordinatamente per le £ e sommando, si eliminano le incognite È e go, e resta: si i -- Ire 72 e d° Ad (18) CRA e, variando le £, si ha così un sistema di equazioni a derivate parziali cui devono soddisfare A e le Cx; d'altra parte se A e le Cx (che non sieno tutte zero) soddisfanno a tutte le (18), le equazioni lineari (16) (14) ammetteranno una soluzione, ed esisterà una trasformazione infinitesima che lasci invariata U. Fermiamoci per poco a considerare i casi nei quali la trasformazione infinitesima £ sia connessa invariantivamente a U. Sia zero la forma covariante C. Fra i sistemi di soluzioni del si- stema (17) esistono sempre quelle per le quali è: Csi ZZZ (SS e questi sistemi soddisfanno perciò l'equazione (19) DXxl+D D_Xy65=0 ‘ J i cuì sistemi di soluzioni $ sono i coefficienti delle equazioni a derivate parziali che costituiscono il sistema aggiunto alla forma U (v. il $ 4 della mia Memoria negli Annali di Matematica citata in principio); possiamo conchiudere che nel caso indicato, A soddisfa a tutte le equazioni del sistema aggiunto alla forma U. Due casi allora sono possibili: o -4 è costante, ovvero no, nel quale ultimo caso le equazioni del sistema aggiunto devono ammettere una solu- zione comune diversa dalla soluzione evidente /= costante. — 172 — Per le conclusioni cui siamo pervenuti nella predetta Memoria, questo ultimo caso non può avvenire se non quando il sistema aggiunto è completo, cioè quando la equazione U=0 è COCA integrabile; d'altra parte se ciò sì verifica, avendosi (v. formole (15) del $ 1 della stessa Memoria) il determinante delle seconde fra le equazioni (15) è zero, e quindi esistono le £ per le quali tutte le Cx, e perciò anche C, sono zero. Concludiamo: Perchè esista una trasformazione infinitesima che lasci invariata U, e di cui il covariante simultaneo C sia identicamente zero, mentre NON sia costante l’invariante A è necessario e basta che U=0 sia completamente integrabile, e che A soddisfi a tutte le equazioni a derivate parziali PAR > 2a; (20) LA= DI (GE DE 4 ded 2% essendo le € tutte le soluzioni delle (17). Se poi 4= cost. ma non zero, dalla (18) si vede che deve necessa- riamente essere £j=0, e perchè questa sia una conseguenza delle (17) deve essere diversa da zero (cioè di caratteristica massima) la matrice D, ottenuta da D colla soppressione della prima linea; perciò se D, è zero, deve-essere 4A=0. In tale ultimo caso le (18) sono tutte soddisfatte, e le (16) (14) diven- tano equazione lineari omogenee, per la cui coesistenza è necessario e basta l'annullarsi identico della matrice D, cioè che D abbia «4/ più caratteri- stica n. x altra parte, se ciò si verifica, sottraendo in D dagli elementi della 22, . (2-+ 1)®® linea, rispettivamente quelli della (n + 2)M2, (1+3)M2,. in ma, e tenendo conto delle solite relazioni fra i sim- boli (£7) e 0a gli elementi della 22, 3*,... (2-+ 1)? linea diventano 0, (1,42) (2,4),... (24); (£=1,..:%) e poichè deve essere zero la matrice formata colla prima linea di D, con queste n linee e con un'altra qualunque di D, scegliendo per questa una di cui il primo elemento sia diverso da zero, si deduce che deve essere zero la matrice (cioè questa deve avere per caratteristica 4/ più il numero n — 1), e perciò le equazioni omogenee cui si riducono le (15) per 4A=C=0, sono compatibili. — 173 — Ne concludiamo: Perchè esista una trasformazione infinitesima che lasci invariata U, e di cui sieno contemporaneamente zero il covariante simultaneo C e l’invariante A, è necessario e basta che la matrice D abbia AL PIÙ caratteristica n. Nel caso in cui U diventi la forma differenziale quadratica U' (for- mola (9)), si ha: Perchè esista una trasformazione infinitesima che lasci invariata la forma differenziale quadratica U', e di cui sia zero il covariante simul- taneo C' (formola (10)), è necessario e basta che sia sero la matrice 0 RI SC Xe —1,2....% in cui (ES) sono gli ordinari simboli di Christoffel. Chimica agraria. — ermentazione alcoolica del mosto di Fico d'India con lieviti abituati al fuoruro di sodio. Nota di OC. ULPIANI e L. SARCOLI, presentata dal Socio PATERNÒ. In una pubblicazione precedente (') noi abbiamo dimostrato quale van- taggio potrebbe recare all'agricoltura delle regioni meridionali d'Italia, lo sfruttamento industriale di un prodotto di così poco costo culturale e di così gran reddito come il fico d'India. Abbiamo fatto notare come i tentativi fatti in Sicilia ed in Sardegna per utilizzare nell'industria dell'alcool il fico d'India avessero sortito poco felice esito, perchè la non ancora sviluppata tecnica delle fermentazioni non permetteva di trarre dai frutti quel rendimento in alcool che si sarebbe do- vuto ottenere per renderne rimuneratrice la lavorazione. Come primo risultato degli studî che esponevamo eravamo giunti alle seguenti conclusioni: 1°. Il mosto di fico d'India, abbandonato a sè stesso, subisce la fer- mentazione alcoolica per azione di un lievito speciale, il Sach. Opuntiae, che è stato da noi isolato e studiato dal lato morfologico e biologico. 2°. La fermentazione prodotta da questo lievito è del tutto inadatta alla produzione industriale dell'alcool. 8°. La sterilizzazione del mosto e l'innesto successivo di fermenti se- lezionati, scelti razionalmente, produce un rendimento quasi teorico. Purtroppo (3) Gazz. chim., t. 31, p. II. — 174 — la sterilizzazione rigorosa nella grande industria è legata a grandi spese e a difficoltà che potrebbero menomare l'utile della lavorazione. 4°. L'innesto di fermenti selezionati, senza previa sterilizzazione ri- gorosa, non conduce allo scopo in quanto il Such. Opuntiae molto più resi stente riesce in breve a sopraffare i fermenti selezionati. Concludevamo quindi colla speranza di trovare condizioni tali di fer- mentazione che impedissero lo sviluppo del Sach. Opuntiae, pur lasciando libera l’azione dei fermenti puri adattati allo scopo. Dopo un lungo lavoro d'orientamento noi abbiamo risoluto il problema aggiungendo al mosto di fico d'India fiuoruro di sodio in proporzione del 0,25 °/5, e impiegando per la fermentazione lieviti selezionati ed accostumati a questa concentrazione di fluoruro. A questa concentrazione il Sach. Opuntiae non sì sviluppa più, mentre la fermentazione indotta dai lieviti accostumati pro- cede colla maggiore regolarità e dà il massimo rendimento d'alcool. Già Effront (C. R. CXIX, 169) aveva trovato che coltivando lieviti di birra in mosti contenenti dosi sempre crescenti di acido fluoridrico o fluo- ruri, si poteva giungere a farli vivere in presenza di tali dosi di fluoro che avrebbero impedito lo sviluppo fermentativo del lievito non accostumato, ed aveva dimostrato che tale adattamento a mezzi fluorurati, se produceva una perdita nella facoltà riproduttiva della cellula, produceva anche un forte accrescimento della facoltà fermentativa delle cellule blastomicetiche. Inoltre, con serie di esperienze comparative usando lieviti accostumati e non acco- stumati alla presenza di composti di fluoro, dimostrava che coi lieviti abi- tuati si otteneva maggior quantità di alcool e minor quantità di anidride carbonica di quello che non si aveva dai lieviti non accostumati; e preci- samente, che il rendimento in alcool dato dai fermenti accostumati ai fluo- ruri era vicinissimo al calcolato della formola teorica della fermentazione, mentre con fermenti non accostumati si otteneva un rendimento molto pros- simo a quello fissato sperimentalmente da Pasteur. Dietro questi studi teorici di Effront, noi abbiamo avuto l’idea di ap- plicare il fluoruro di sodio per eliminare da un mosto, senza bisogno di ste- rilizzazione, l’azione di un lievito inadatto a far prevalere l'azione di un lie- vito selezionato. L'applicazione nel caso della fermentazione alcoolica del mosto di fico d'India è perfettamente riuscita. I vantaggi da noi ottenuti col nostro me- todo possono riassumersi così: 1°. Il Sach. Opuntiae è completamente eliminato dal movimento fer- mentativo. 2°. La fermentazione indotta nel mosto di fico d'India al 0,25 °/, di fluoruro di sodio dal Sach. Pastorianus 2° accostumato a questa concentra- zione, dà un rendimento d'alcool che si avvicina al rendimento teorico. 3°. Le fermentazioni batteriche secondarie (quali la lattica, manni- — 175 — tica, ecc.) che, secondo Ballaud, nei paesi caldi consumano molto zucchero a detrimento dell'alcool, vengono del tutto eliminate. Acclimatazione dei lieviti ai mezzi fluorurati. Per questo studio abbiamo creduto scegliere il fluoruro di sodio perchè di facile manipolazione e di minor costo in industria. Si. prepararono serie di tubicini di mosto contenente progressivamente dosi crescenti di fluoruro di sodio. La differenza tra serie e serie era di 0,05 °/, di fluoruro di sodio fra un termine e l’altro fino ad un tenore del 0,5 °/n. Si innestarono queste serie col Such. Opuntiae, col Sach. Patorianus 2° e col Sach. Cerevisiae presi da colture pure in agar. Dopo cinque giorni tutte le prove contenenti fluoruro di sodio in proporzione inferiore al 0,25 °/, erano più o meno rigoglio- samente in fermentazione. Al di là di questo limite il Sach. Opuntiae anche in molte prove tenute più a lungo in termostato a 25° non fermentava più. Il Sach. Pastorianus dopo sei giorni fermentava anche al 0,30 °/, ma molto stentatamente, il Sach. Cerevisiae dava un accenno di velo anche al 0,4°/, però senza entrare anche dopo lungo tempo in fermentazione. Alcuni bic- chieri contenenti mosti fluorurati al 0,25, 0,30, 0,40 °/, lasciati a sè e sco- perti per molti giorni sul tavolo non fermentarono mai, ma lasciarono svi- luppare qualche muffa, mentre una prova di paragone contenente mosto sem- plice, quantunque coperta, entrò dopo 24 ore circa in fermentazione spon- tanea. Bene accertato questo fatto, si prepararono molte serie di tubicini con- tenenti mosti addizionati di dosi di fluoruro sodico crescenti da 0,025 °/, al 0,5°/,, con una differenza di 0,025 °/, tra una serie e l’altra. Innestata la prima serie non si passava alla seconda se non dopo che eravamo ben sicuri che la fermentazione fosse regolare e completa; così giungemmo suc- cessivamente ad accostumare i lieviti al 0,5 °/o di fluoruro di sodio. A questa dose il Sach. Pastorianus 2° tarda un poco il suo sviluppo e così pure il Cerevisiae che non produce più che debolissimo velo; il Sach. Opuntiae sembra conservare tutti i suoi caratteri di lentezza e di abbon- dante velo e massa di cellule. La fermentazione in mosti contenenti il 0,45 °/, di fluoruro sodico si avvia dopo 24 ore e procede benissimo. A dosi inferiori al 0,4°/, si ha fermentazione dopo poche ore e regolarissima. Se si inne- stano con fermenti abituati a dosi molto alte di fluoruro sodico, mosti contenenti dosi più basse, la fermentazione sembra più rigogliosa e sol- lecita. In tutte queste osservazioni fatte in tubicini ho potuto notare costan- temente che il Pastorianus completa più sollecitamente del Cerevisiae la fermentazione, mentre questo sembra che l'inizi più presto. DI (v) RexnpIcONTI. 1902, Vol. XI. 2° Sem. — 176 — Differenza del rendimento in alcool 1° con mosti semplici e fermenti semplici; 2° con mosti semplici e fermenti fluorurati ; 5° con mosti fluorurati e fermenti fluorurati. Per verificare l'azione del fluoruro sodico sui fermenti e sulle fermen- tazioni, fu istituita la seguente esperienza. Si prepararono due serie di palloncini contenenti ciascuno cm? 150 di mosto. In una delle serie il mosto conteneva il 0,25 °/ di fluoruro sodico, nell'altra il mosto era semplice. Si sterilizzò per un’ora a 110° e si deter- minò lo zucchero tanto del mosto fluorurato come del non fluorurato. Il con- tenuto era di grammi 8,29 per ogni palloncino. Gli innesti si eseguivano versando colle debite cure nel palloncino da innestare, il contenuto di tubicini in cui si trovavano da tre giorni in fer- mentazione 3 cm? esatti di mosto al 0,35 °/, di floruro sodico. Si esperi- mentò quindi innestando nello stesso modo e nelle stesse condizioni di tempo e temperatura mosto fluorurato con fermenti fluorurati, mosto semplice con fermenti fluorurati e mosto semplice con fermenti semplici. Le fermentazioni si fecero durare sei giorni a temperatura costante (25°-26°), l'alcool fu determinato distillando dopo alcalinizzazione 100 cm? da ciascuna prova. I risultati ottenuti sono espressi nella seguente tabella : È Rendimento Zucchero | Zucchero | Alcool Lol iniziale | residuo | ottenuto | %/o di zucchero distrutto Sach. 5 8,29 Hr 4 48,25 Mosto e fermento \ Pastor. 2° 8 semplici Cho | Cerevisiae 8,29 0,53 3 38,64 Sach. È Ù de) 29 _ 4 48 25 Doe edo Ò ; Mosto sempliee \ Pastor. 2° ferm. florurato Î gi 8,29 1,97 3 47,46 Sach L X toa , 99 tei Mosto florurato \ Pastor. 2° o 1A 90,65 e ferm. fluorur. SA. de n / e Cerevisiae de ; Questa esperienza dimostra bene i vantaggi che si ottengono Dell’ im- piego del fluoruro sodico e la sua influenza sul rendimento in alcool. Per CU meglio controllare questi risultati confrontando la quantità di alcool otte- nuta coll’ anidride carbonica svolta, sì ripetè l’esperienza nel seguente modo. Due palloncini contenenti 200 cm* di mosto al 0,25 °/ di fluoruro sodico, furono, dopo sterilizzazione a 110°, innestati con cm? 2 di mosto che aveva da circa 15 giorni terminata la sua fermentazione e quindi non con- teneva più CO?. Lo zucchero contenuto da ciascun palloncino era gr. 10,5552 e fu determinato in un palloncino identico dopo la sterilizzazione. I fermenti usati per l'innesto erano il Such. Cerevesiae ed il Sach. Pastorianus 2° accostumati al 0,85 °/ di fluoruro sodico. Appena eseguito l'innesto, i due palloncini furono adattati ad un apparecchio identico a quello descritto nella Memoria già pubblicata. L' alcool prodotto fu dosato col pic- nometro, lo zucchero residuo col solito metodo. Per dosare il CO? svolto giornalmente e quindi meglio seguire l'andamento della fermentazione, si fece ciascun giorno alla medesime ore passare aria a bolla a bolla per 3 ore di seguito nei due palloncini in modo da cacciare tutto il CO? sviluppato. L'ultimo giorno l’aria passò per 6 ore continue. I risultati sono notati nelle seguenti tabelle: Giorni | Pastoriauus | Differenze e Cerevisiae | Differenze pr ca dall’ Peso giornaliere dall Peso giornaliere dall innesto | delle bolle | CO? svilupp. | innesto | delle bolle | CO? svolto | innesto 3° 70-8.3409 70-12.0125 4° 8.0970 0.2459 11.3658 0.6462 9° 6.3335 1.7635 2.0074 10.7345 0.6318 1.2780 6° 4.8305 1.5030 3.5104 10.1366 0.5979 1.8759 cambio KOH 8.9847 9.5630 | 7° 8.2470 017377 | 42481 |cambio15 0132 0.5697 | 24456 SÌ 8.0456 0.2014 4.4495 14.3847 0.8285 3.274] 98 7.9532 0.092 4.5419 15.7659 0.6194 3.8935 10° 7.9065 0.0467 4.5886 18.1167 0.6486 | 4.542] 11° 7.9030 0.0035 4.5921 12.7655 0.8512 | 4.£933 12° 7.9000 0.0030 4.5951 12.6320 0.1335 | 5.0269 13° 7.8977 0.0023 4.5974 12.5006 0.1314 5.1582 14° 7.8964 0.0013 4.5987 12.3902 0.1104 5.2686 15° 7.8962 0.0002 4.5989 12.2896 0.1006 5.9692 — 178 — La seguente tabella riassume più semplicemente i risultati ottenuti: Zucchero | Zucchero CO? CO? C? H5 0H | C°? H:0H contenuto| residuo |colcolato | trovato | calcolato | trovato Sach. Pastorianus 2° 10.5552 = 5.1603 4.5989 5.3948 5.1032 Sach. Cerevisiae 10.5552 | tracce 5.1603 5.3692 5.3948 4.8401 Queste esperienze formano le conclusioni accennate nell’introduzione. Attualmente abbiamo in corso esperienze in grande per verificare se questi risultati ottenuti in vitro possano essere applicati nella pratica industriale. Paleontologia. — I Lophiodon Sardus (n. sp.) delle ligmiti di Terras de Collu (Sardegna). Nota del dott. CAMILLO Bosco, presentata dal Corrispondente DE STEFANI. Nel 1882 l'ingegnere Emilio Ferraris, direttore delle miniere di Monte- poni, inviava al museo geologico dell’ Università di Pisa alcuni frammenti di una mandibola di perissodattilo, trovati nello strato di marne interposto fra le ligniti di Terras de Collu, nel bacino di Gonnesa (Iglesias). Il dottor Forsyth-Major dette nel 1891 un cenno sommario di essi, rife- rendoli al Zophiodon isselensis ('); ed il prof. Carlo De Stefani citò tale specie, sulla fede del Major, in un elenco di fossili del terreno eocenico di Gonnesa (°). Recentemente dalla cortesia del prof. Mario Canavari io ebbi in comu- nicazione quei frammenti; e di essi pubblico ora la descrizione. Essi sono: 1.° Una branca destra, molto deteriorata, della quale però è ben con- servato l'angolo ed il margine posteriore del ramo verticale, e del cui ramo orizzontale rimane un solo frammento che ha in posto i tre molari (fig. C); 2.° Un frammento del ramo orizzontale della branca sinistra, che ha in posto i tre molari (fig. A e B); 4.° Un premolare isolato sinistro, probabilmente il secondo; 3.° Un frammento della sinfisi; 5.° Un altro frammento d'’osso, colla radice di un incisivo. I denti molari, che sono tre, hanno la corona rettangolare, col lato mag- giore disposto nel senso longitudinale della mandibola; decrescono di gros- sezza dall’ indietro all’avanti; e sono alquanto consumati dalla masticazione, (1) C. E. Forsyth-Major, Resti di Lophiodon nelle ligniti di Terras de Collu (in Processi verbali della Società toscana di scienze naturali sedente in Pisa, vol. VII, pag. 209. Adunanza del 18 gennaio 1891). (2) C. De Stefani, Cenni preliminari sui terreni cenozoici della Sardegna (in Ren- diconti della R. Accademia dei Lincei, vol. VII, pag. 464. Roma 1891). — 179 — ciò che prova che si tratta di un individuo piuttosto vecchio. Naturalmente il più consumato è l'anteriore, ed il meglio conservato è il posteriore. In ogni dente molare si osservano quattro tubercoli ben pronunciati, due situati sul lato esterno e gli altri due sul lato interno; il tubercolo antero- interno è sempre più sviluppato degli altri tre. Fic. A. — Lophiodon Sardus n. sp. — Branca sinistra di mandibola veduta dalla faccia interna. Il tubercolo antero-esterno nel 3.° molare (tanto nella mandibola destra che nella sinistra): ha una leggera e superficiale spaccatura dall'alto in Fre. B. — Lophiodon Sardus n. sp. — Veduta superiore dei denti molari della branca sinistra di mandibola. basso, residuo probabilmente della primitiva divisione di esso in due tuber- coletti. Dal tubercolo antero-esterno dei tre molari prende origine una grossa collina, curva colla concavità in avanti, ed obbliqua, che raggiunge il tuber- colo antero-interno. Un'altra consimile collina, ma disposta più obbliquamente all'asse longitudinale del dente, riunisce i due tubercoli posteriori. — 180 — Dalla base del tubercolo antero-esterno parte un'altra collina, molto piccola e depressa, la quale con una curvatura disposta in senso contrario a quello delle colline principali, e cioè con la convessità in avanti, raggiunge quasi la faccia interna del dente, formando un cingolo sulla faccia anteriore - di esso. Consimile collina, ma alquanto più larga e più alta, parte dal tuber- Fre. C. — Lophiodon Sardus n. sp. — Branca destra di mandibola veduta dalla faccia esterna. colo postero-esterno, e molto obbliquamente raggiunge la collina principale anteriore, e quindi correndo parallelamente ad essa si riunisce al tubercolo antero-interno. Troviamo così nei molari di questa specie fossile due colline principali obblique e curve che riuniscono fra di loro a due a due i tubercoli anteriori ed i tubercoli posteriori, e due altre colline secondarie che prendono origine dai tubercoli esterni, una delle quali forma il cingolo anteriore del dente e l’altra attraversa lo spazio interposto fra le due colline. Si può perciò riconoscere in questi molari la forma a V dei tubercoli esterni; i bracci posteriori delle V sono dati dalle colline principali ed i bracci anteriori dalle secondarie; i bracci posteriori hanno la concavità ri- volta in avanti, mentre l'opposto riscontrasi nei bracci anteriori. 1l 3° molare ha inoltre un tallone, breve e stretto, situato verso il lato esterno, e separato dalla collina posteriore mediante un incavo profondo ed obbliquo. Dal 3° molare destro questo tallone è scomparso per rottura, ed in quello sinistro ne esiste solo un frammento. — 181 — Il premolare sinistro isolato è probabilmente il secondo. È molto dete- riorato e non credo perciò sia il caso di darne la figura. Ha forma simile a quella dei molari; ed anche qui i due tubercoli esterni si sviluppano a V con le braccia posteriori che costituiscono le col- line trasversali del dente e con le braccia anteriori che si sviluppano l'una in un tubercolo situato sulla faccia anteriore del dente, e l'altra in una col- lina obbliqua che percorre l'avvallamento interposto fra le due colline tras- versali. La branca destra di mandibola ha l'angolo della parte montante arro- tondato con ampia curvatura che si estende uniformemente fino al collo del condilo, ed ha il ramo verticale rientrante. Il condilo, che pare fosse molto allargato trasversalmente, è bassissimo, e non supera che di pochi centimetri il livello del piano di masticazione dei denti molari. Del processo coronoide non è rimasta traccia alcuna. Il ramo orizzontale è molto compresso lateral- mente ed alquanto alto; il suo margine inferiore, nel tratto corrispondente ai molari, è quasi parallelo al margine alveolare. Un frammento della sinfisi contiene una radice di dente incisivo, lunga, e quasi cilindrica. La forma dei denti molari e del premolare, e della radice dell’ incisivo, e quella dell'angolo della mandibola e del frammento di sinfisi, non lasciano dubbio che questi resti siano da attribuirsi ad un Zophi0don; ma è da esclu- dere in modo assoluto che si tratti del Z. isselensis Cuv., sia per le minori dimensioni, sia per la minore larghezza dei molari, e sia infine per la sot- tigliezza e l'altezza del ramo orizzontale e per la eccezionale bassezza del verticale. Per tale forma speciale della mandibola questo esemplare differisce anche dagli altri Zophzodon finora descritti; e non esito perciò a riferirlo, almeno provvisoriamente, ad una nuova specie che denomino Zophiodon sardus. Ma indipendentemente dalla questione se si tratti di una specie nuova, oppure se si debba attribuire a qualche altra specie già nominata (ciò che non potrà decidersi che dopo una completa revisione del genere Zophiodon le cui numerose specie, ad eccezione di pochissime, sono conosciute molto imperfettamente) resta il fatto indiscusso che finora i Zophiodon non furono rinvenuti che nelle formazioni eoceniche; e sì conferma così che a tale pe- riodo debba attribuirsi il bacino lignitifero di Gonnesa. Il £. sardus sarebbe adunque il più antico mammifero terrestre d’Italia. Ecco alcune misure: Altezza del ramo orizzontale della mandibola al M® mm. 53 Spessore n ’ ” » » 16 Larghezza complessiva dei tre M_. . .... » 68 — 182 — lunghezza © csi oto Ice SERI 30 \ larghezza . ul. «OPA 15 M? n della sal fn sica 13 He: i) posteriore “i. fusa 10 delifpallone n: si. «i SR65 7 Rn, «SA BIRRA TO 20 NE raso . SBN ORTA 6 HOO 14 | lunghezza della Plita inten] Mi TR ” posteriore: .i. cl: aa 9 na + MB 0 Dl REANO RIAHo 18 db ti larehezzavi. Gin.) ui pa deo 12 Chimica. — Altre ricerche intorno all’azione dei joduri al- coolici sugli indoli ('). Nota di G. PLANCHER, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In una Nota sopra questo argomento, presentata a questa Accademia nella seduta del 18 febbraio 1900 (*), sono esposti i fatti che avevo allora osservati in questo campo. Le mie ricerche non furono però sospese e debbo qui riferire gli ulteriori risultati ottenuti. In quella Nota sono esposti alcuni spostamenti di radicali operati col riscaldamento e con essi sono spiegate alcune apparenti anomalie riscontrate nella metilazione di alcuni indoli; a pagina 119 della medesima è detto che il 8- metil-a- isopropilindolo, trattato con joduro di metile, a 120°, per due giorni, invece che la #-#-N-trimetil-a-isopropilidenindolina (8), dà una sua isomera in seguito allo spostamento dell'isopropile. Trasposizione del jodidrato di 8-B.N-trimetil-a-isopropilidenindolina. Per dimostrarlo ho voluto sottoporre al riscaldamento il jodidrato di #:8-N- trimetil- @- isopropilidenindolina sintetica fusibile a 185°-186°. Mantenendo questo jodidrato per dieci minuti tra 180° e 190°, prima rammollisce e quindi torna a solidificarsi; e raffreddato costituisce una massa giallo-bruna che cristallizzata ripetutamente dall'alcool assoluto bollente si separò in aghetti raggruppati a stella che fondono a 232° come il jodidrato\ottenuio dal metilisopropilindolo. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. (2) Questi Rendiconti, vol IX, 1° sem., pag. 115. (3) Gazz. chim. ital., 28, pag. 432. — 183 — Siccome entrambi i jodidrati, con picrato sodico danno un picrato fusi- bile a 121°-122°, l'identità dei due prodotti è completamente dimostrata. Le analisi dimostrano che la base ha la composizione C,4HioN. Azione del joduro isopropilico sul trimetilindolo. Per dimostrare che questa base ha la costituzione (II), la preparai per azione del joduro isopropile sul trimetilindolo di Degen e l'ottenni infatti con questa reazione: CH, CH E; PA ASS CH, CCH3+ CHI = Céli OAUMRE Ne 7 CH, (GETCRSSETTI I II Si scalda il trimetilindolo a 95°-100°, in autoclave, col suo doppio di Joduro di isopropile; si ottiene una massa semisolida dalla quale si può separare per filtrazione un prodotto cristallino; la soluzione spremuta sì scalda in autoclave altri due giorni e dà una nuova quantità di cristalli che si ricristallizzano dall'alcool insieme ai primi e fondono a 232°. Danno un picrato fusibile a 121°-122°. Furono analizzati e corrisposero perfettamente alla formola C,4HisN. zione del joduro di metile sul B-metil-a-isopropilindolo. Questa reazione può essere moderata in modo da ottenere, invece del prodotto definitivo già descritto, i prodotti intermedî. Scaldando questo indolo con joduro di metile a 85°-90° per due giorni, si ottiene una massa resi- nosa di reazione acida che estratta con acqua acidulata cedette un miscuglio di basi che bollono verso 257° a pressione ordinaria. Se sì tratta questa miscela con acido picrico in soluzione alcoolica, si precipita un picrato in squamette giallo-chiare fondenti dopo alcune cristal- lizzazioni a 176°-177°. Analizzato diede numeri che per la base corrispondono a C,3H,;N. La poca solubilità del suo picrato in alcool, l'odore, e il fatto di contenere un metile soltanto in più del metilisopropindolo fanno supporre che essa sia una indolenina, cioè: o la f-f#-dimetil-@-isopropilindolenina già nota (!) o la (1) Gazz. chim. ital., XXVIII, 2, 430. RenpIconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 24 — 184 — B-a-dimetil-8-isopropilindolenina: eo iù ui we ES MIN A CH, C — CH, CsH, C— CH; CsHi C—-CH= NOH 7 / Ns III 1lV V In realtà essa ha la costituzione (IV). Infatti essa contiene un metile nella posizione @, perchè dà con acido nitroso un’aldossima fondente a 186°, che si disidrata assai facilmente dando un nitrile di odore assai grato. Ciò dimostra che già a 85°-90° l’isopropile è passato dal posto @ al posto f. Questa base non costituisce però la totalità del prodotto; infatti in esso è anche presente la indolenina (III) che costituisce la maggior parte del pro- dotto. Essa si può dimostrare facendo congelare la miscela delle basi e sepa- rando la parte cristallina che consta appunto della predetta base e fonde dopo diverse purificazioni a 80°. Più comodamente si dimostra esponendo la miscela delle due basi all'azione del joduro di metile, a ricadere per due ore a bagnomaria. Si ottiene una massa solida e cristallina che, bollita con alcool, depone per raffreddamento dei cristalli che dopo due sole cristallizzazioni fondono esat- tamente a 232° e sono del jodidrato di -isopropil-8-N-dimetil-a-meti- lenindolina, come lo dimostrò la sua analisi. Nell'alcool rimase un altro Jodidrato molto solubile che fu precipitato con etere e cristallizzato da etere- alcool. Fonde a 186° ed ha la composizione CuH,sN-HI; scaldato si con- verte in quello fusibile a 232°, esso è quindi il jodidrato di #-8-N-trimetil- a-isopropilidenindolina. Si può dare dunque questo schema: a-isopropil-8-metilindolo + CH;I a-isopropil-8-B-dimetilindolenina -isopropil-@8dimetilindolenina | | a-isopropiliden-8.8.N-trimetilindolina $-isopropil8-Ndimetil-ametilenindolina Queste esperienze dimostrano che il radicale più pesante ha una grande tendenza ad emigrare dal posto @ nel posto #, e taluno potrebbe credere che fosse sempre necessario alla trasformazione degli indoli in indoline, che sì verificasse questo passaggio. Ad eliminare questo dubbio ho preparato il 8-N-dimeti]-@-etilindolo che non era ancora conosciuto e l'ho sottoposto alla metilazione. — 185 — B-N-dimetil-a-etilindolo. Fu ottenuto dal metilfenilidrazone del dietilchetone. Mescolando 15 gr. metilfenilidrazina con 12 gr. di chetone sì ha tosto la combinazione, con separazione di acqua e riscaldamento della massa. Il metilfenilidrazone sec- cato con solfato di soda anidro bolle a 150° e 50 mm. oppure a 142°-143° e 22 mm. Venne condensato scaldandolo a 180°-200° con 5 volte il suo peso di cloruro di zinco granulato. L'indolo che si forma distilla al vapor d'acqua e bolle a 285°-287° alla pressione atmosferica. Ha odore fecale debolissimo. L'analisi corrispose alla formola C,3H,;N. In soluzione benzolica dà un picrato cristallizzato in lamine color mar- rone cupo solubili assai in benzolo e che fondono a 91°. Azione del joduro di metile sul dimetiletilindolo. Gr. 2,5 di dimetiletilindolo furono scaldati per 10 ore in tubo chiuso con 3 gr. di joduro di metile, al bagno maria. Il contenuto del tubo cri- stallizzato dall'alcool bollente, diede ana massa di cristalli aghiformi e pri- smatici fusibili a 186° identificati per mezzo dell’analisi e delle sue proprietà per jodidrato di 8-8-N-trimetil-a-etilidenindolina. CH, (CH): C C ZA Sil STO C;Hy C.C.H; “mai CH, € —GyH, N 4 \NZ (CI8k; (GIS isdi VI VII Resta così dimostrato che il #-N-dimetil-a-etilindolo si trasforma in f-p-N-trimetil-@-etilidenindolina senza che il radicale etilico si sposti dalla posizione «; e quindi che per passare dagli indoli alle metilenindoline non è necessario che i radicali si spostino. Gli spostamenti avvengono soltanto perchè la temperatura in certe reazioni è troppo elevata. a-terziariobutilindolo. Proseguendo le ricerche, ho voluto vedere quale comportamento presenti un radicale più elevato di quelli finora studiati ('). A tal uopo ho preparato (1) Lavoro eseguito con L. Forghieri. — 186 — l'a-terziariobutilindolo ed ho fatto agire su di esso il joduro di metile. Questo butilindolo sì ottiene dal fenilidrazone della pinacolina che si prepara assai facilmente dalla pinacolina e dalla fenilidrazina, ed è un liquido quasi inco- loro che bolle a 165° e 32 mm. Venne condensato col metodo di Fischer('), cioè con cloruro di zinco a 190° per 20 minuti circa; il butilindolo formatosi venne estratto distil- landolo al vapor d’acqua. Distilla alla pressione atmosferica a 276°-279° senza decomporsi. Per raffreddamento si rapprende in cristalli incolori che purificati dall'etere di petrolio fondono a 73°. Si presenta in scagliette inco- lori che si conservano molto bene ed a lungo all'aria, sono quasi senza odore ed hanno la composizione C,3H;;N. Dà un picrato rosso-bruno fondente a 133°. Nitrosobutilindolo. — Facendo agire sull'indolo il nitrito di amile in presenza di alcoolato sodico si ottiene il sale sodico del nitrosobutilindolo che separato convenientemente, sciolto in acqua e trattato con anidride car- bonica, lascia precipitare il nitroso derivato sotto forma di polvere gialla. Seccato e cristallizzato dall'etere si presenta in bei cristallini gialli fusibili a 233°. La formazione di questo corpo ne accerta che il butilindolo ha li- bero il posto $ e che il radicale butilico terziario non si è mosso dal posto a. Azione del CH;1 sul terziariobutilindolo. Scaldando per 18 ore a 110° in tubo chiuso una parte di indolo con tre parti di joduro di metile si ottiene una poltiglia rossastra. Aperto il tubo che era in pressione, si svolsero dei gas infiammabili. 1l contenuto del tubo bollito con alcool lasciò depositare una massa di cristalli di un jodi- drato che purificato fonde a 253° ed hanno la composizione C,3H,;N.HI. Dànno un picrato che fonde a 148°. Tutto dimostra che questo corpo è il jodidrato di trimetilmetilenindolina. È quindi avvenuta questa reazione : H (CH3)o p VAC; 0 Coe / N ZA VA N Da La H CH; . HI Cioè a dire il joduro di metile ha scacciato il butile terziario. Era da aspettarsi invece, che in questa reazione come in altri casi con- simili citati in questa Nota, il butile terziario passasse nel posto f. Ho am- messo altrove che in questa trasposizione il radicale che emigra si stacchi prima allo stato di joduro e che quindi si addizioni di nuovo all’ indolo per (1) Lieb. Ann. 236, 126. — 187 — dare l’indolina. Questo caso è la prova più chiara della mia supposizione; infatti qui si osserva che il joduro di butile terziario si stacca dalla mole- cola e non può reagire perchè a quella temperatura (già a 90°) si decom- pone in acido jodidrico ed isobutilene (dimetiletilene assimmetrico). Queste ricerche verranno diffusamente esposte nella Gazzetta Chimica Italiana. Chimica. — Nuove ricerche sulle soluzioni solide (*). Nota di Giuseppe BRUNI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Mi propongo di riferire succintamente in questa Nota i risultati delle ricerche eseguite in quest'anno, intorno alle soluzioni solide. Queste ricerche vennero da me eseguite in collaborazione coi signori dott. L. Mascarelli e M. Padoa e formeranno oggetto di varie comunicazioni nella Gazzetta chi- mica, nelle quali verranno descritte con tutto il dettaglio le varie serie di esperienze. Scopo di questi studî era di ricercare sempre più a fondo quali analogie di costituzione occorrano a determinare la formazione di soluzione solida fra due corpi. Io mi sono inoltre proposto di cercare se possono ritrovarsi fra corpi organici quelle relazioni di isomorfismo e di formazione di cristalli misti che si verificano fra corpi inorganici e viceversa. Nell’ esporre i risultati ottenuti, seguirò l'ordine delle serie di atomi o gruppi isomorfogeni quali esse vennero da me classificate ed ordinate in un lavoro riassuntivo, publicato lo scorso anno (°). I. Serie 2°: H,O0H. — Come è noto, sopratutto dai lavori di Garelli, quasi tutti i composti ciclici sono isomorfi o formano soluzioni solide coi loro derivati ossidrilati in cui l’'ossidrile sia legato direttamente al nucleo. Pei composti a catena aperta si aveva finora una sola osservazione di Garelli e Calzolari, secondo la quale l'acido glicolico avrebbe un comportamento crio- scopico anormale in acido acetico. Ci parve perciò non privo di interesse di studiare nuovi casi per trarne conclusioni più sicure. A tale scopo, usando come solvente l’ etere dimetilico dell'acido succinico, vi esperimentammo il comportamento crioscopico che in esso mostrano i prin- cipali suoi derivati mono- e biossidrilati e cioè gli eteri dimetilici degli acidi malico, d-tartrico e racemico. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. (°) Veber feste Losungen. Sammlung chemischer und chemisch-technischer Vortrige. Stuttgart, F. Enke, 1901. — 188 — Cencentrazione. Abbassamento termometrico. Peso molecolare. Malato dimetilico CsH,00: = 162 1,585 0,52 169 2.465 0.84 163 3.540 1,28 160 Tartrato dimetilico CsH.00é = 178 0,961 0,29 183 2,055 0,64 178 3,125 0,97 179 Racemato dimetilico CH,,0s = 178 0,795 0,28 157 1,714 0,60 159 2,846 0,96 164 Come si vede il comportamento di questi corpi è perfettamente normale e non vi ha traccia alcuna di formazione di soluzione solida. In modo affatto identico si comporta l'acido mandelico inattivo sciolto nel corrispondente acido fenilacetico (K= 70). CsHs0; = 152 1,118 0,66 152 2,056 1,22 152 3,327 1,86 161 Si può dunque concludere che la tendenza dei corpi organici a formare cristalli misti coi loro derivati ossidrilati, in cui gli ossidrili siano legati ad una catena aperta, non è affatto generale e che anzi assai spesso ciò non si verifica. Essa può però aver luogo quando la grandezza molecolare sia assai rimarchevole, come io potei constatare studiando il comportamento dei due idrobenzoini sciolti nel dibenzile. Idrobenzoino. Concentrazione. Innalzamento termometrico. o 0,856 0,02 1,721 0,03 Isoidrobenzoino C,4H,40, = 214 Abbassamento termometrico. Peso molecolare. (e] 1,085 0,15 518 2,258 0,34 489 — 189 — Come si vede, la formazione di soluzione solida ha luogo qui in misura assai notevole poichè dei due isomeri uno innalza addirittura il punto di con- gelamento del solvente, e l’altro dà abbassamenti due volte e mezzo più pic- coli dei normali. Mi si presentò poi la questione se la formazione di cristalli misti potesse aver luogo fra composti in cui un ossidrile fosse sostituito ad un atomo di idrogeno legato all’azoto, cioè per esempio fra derivati di ammonio e di ossiam- monio. Come ebbi già a far notare nel mio già citato lavoro riassuntivo (pagg. 39, 40) fra le forme cristalline dei solfati d'ammonio e di idrossil- ammina esistono alcune relazioni morfotropiche ; tali relazioni è facilmente prevedibile che possano accrescersi col crescere della grandezza delle molecole fino a dar luogo ad un vero e proprio isomorfismo. Infatti Meyeringh (') trovò che l'idrossilammina dà coi solfati di alluminio e di cromo dei veri e propri allumi. Questo autore non si curò tuttavia di verificare se tali allumi pos- sano cristallizzare assieme coi comuni allumi di ammonio e di potassio. Io ho eseguito talune esperienze a questo riguardo con risultato pie- namente affermativo. Immergendo cristalli di allume cromoammonico e cromo-potassico in una soluzione dell’allume di alluminio e idrossilammina, quest’ultimo vi cresce attorno quantunque abbastanza lentamente. Da solu- zioni miste di allume di idrossilammina con allume ordinario, e con allume d'alluminio e d'ammonio, mi riuscì inoltre di preparare cristalli misti omoge- nei della solita forma ottaedrica. Meyeringh riferisce anche di aver preparato un solfato doppio di idros- silammina e di magnesio della formola MgSO, . (NH; 0H). SO, . 6H30. Nel- l'intento di vedere se questo sale fosse isomorfo coi solfati doppî della serie magnesiaca ne tentai la preparazione in diverse condizioni, ma invano. Dalle soluzioni miste ottenni sempre i due componenti separati. Esperimentai pure su soluzioni miste di solfato d’idrossilammina con solfato di nickel e di co- balto, ma anche qui ottenni sempre accanto ai cristalli colorati di questi ultimi sali, quelli incolori del sale d’ idrossilammina. Non intendo però di escludere la possibilità della formazione di tali sali doppî, al quale proposito eseguirò esperienze sistematiche ed esaurienti. Era ora naturale il ricercare se anche i composti organici della idros- silammina possano dare soluzioni solide coi corrispondenti derivati della ammonica. A tale scopo impiegai la p-tolilidrossilammina e la «-naftili- drossilammina (?) sciogliendole rispettivamente in p-toluidina ed in «-naftil- ammina. (1) Berichte X, 1946. (2) Queste due sostanze mi vennero gentilmente fornite rispettivamente dall’illustre professor Bamberger di Zurigo e dal dottor L. Wacker di Monaco, a cui esprimo qui i più vivi ringraziamenti. — 190 — Concentrazioni, Abbassamenti termometrici. Peso molecolare. p-tolilidrossilammina in p-toluidina (K = 58) | CH:0N = 123 1,059 0,40 140 2,148 0,83 137 3,139 | 1,235 135 a-naftilidrossilammina in «-naftilammina (K = 79) 3 C.0Hs0N = 159 0,754 0,41 184 1,524 0,67 180 Come si vede vi ha una anomalia abbastanza spiccata, per quanto non molto rilevante. II. Serie 2° e 3°: H, OH, NH;. — Oltre ai composti ossidrilati, anche i composti ciclici, che contengono un gruppo amminico al posto di un atomo d'idrogeno del nucleo, dànno coi corpi da cui prendono origine soluzioni solide, per quanto in misura più limitata dei primi. Io espressi quindi l’ opinione (loco citato pag. 42) che i corrispondenti composti ossidrilati ed ammidati dovessero in genere cristallizzare assieme fra loro. Ciò era stato constatato finora da Muthmann (') per le miscele degli eteri tetraetilici degli acidi p-diossi- e p-diamminopiromellitici. Io sperimentai anzitutto su miscele di p-cresolo e p-toluidina usando il primo come solvente (K = 75,5). Concentrazioni. Abbassamenti termometrici. Peso molecolare. i C;HN = 107 1,186 0,78 113 2,225 1,41 119 3,339 2,09 121 La anomalia, se esiste, è quindi in ogni modo debolissima. Era però prevedibile che essa dovesse manifestarsi più spiccatamente ed in misura più elevata usando miscele di composti a peso molecolare maggiore, conforme- mente a quanto venne finora sempre osservato. Come tali, scelsi le miscele di «-naftolo in @-naftilammina e di s-tribromoanilina in s-tribromofenolo. Siccome la costante di depressione molecolare di questo ultimo corpo non era nota, io la determinai approssimativamente disciogliendovi come sostanze nor- mali il difenile e la naftalina, ed ottenni come valore medio K = 204. Il tribromofenolo simmetrico è dunque il composto organico che possiede la (') Zeitschr. fiir Kristallographie 29. 357. — 191 — costante numericamente più alta constatata finora. E un ottimo solvente che permette di eseguire letture della massima precisione. Concentrazioni. Abbassamenti termometrici. Peso molecolare. a-naftolo in «-naftilammina (K = 79) : CioHx0 = 144 0,775 0,23 266 1,028 0,32 254 2,271 0,69 260 ER VO! 0,92 272 s-tribromoanilina in s-tribromofenolo (K = 204) C5H;Br3N == 331 1,054 0,23 935 2,152 0,49 896 3.074 0,71 883 4,098 0,95 879 Come si era previsto, l'anomalia è fortissima; si può quindi dire che i composti ossidrilati cristallizzano in genere assieme ai corrispondenti com- posti ammidati. III. Serie 5°: CH=,N=. — Il gruppo metinico è nei composti ciclici sempre isomorfogeno coll’ atomo d'azoto. Esso lo è inoltre spesso anche quando si trova in catena aperta, come venne provato da Muthmann (') per i sali degli acidi metandisolfonico ed imidodisolfonico e da me per la serie dei tre composti: st/bene CH; . CH=CH.C;H; ; benzilidenanilina CHE CH=NS&CiH: gs0den30/0 CH. N =; H.. Una relazione perfettamente analoga a quella che esiste fra gli ultimi composti è quella che presentano fra loro l' acossibenzolo CH; ; N—-N.CyH; O ed il cosidetto etere n-fenilico della benzaldossima C;H; . CH — N.C;H;; (0) Usai l'azossibenzolo come solvente, e siccome la costante non ne era nota, la determinai sciogliendovi come sostanze normali il difenile, il dibenzile e la naftalina; come valore medio ottenni K = 85. Coll'etere n-fenilico della benzaldossima ottenni il risultato seguente : Concentrazioni. Abbassamenti termometrici. Peso molecolare. o C.3H0N = 197 1,082 0,18 bol 2,079 0,34 520 SVIUlE 0,48 550 ()) Berichte 3/. 1880. RenpIcONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 25 — 192 — Come si vede l'anomalia è fortissima e dello stesso grado all'incirca di quella presentata dalla benzilidenanilina sciolta nell’azobenzolo. Considerando ora le formole di queste coppie di composti, si vede che i loro componenti differiscono in ciò che sono prodotti di condensazione gli uni della benzaldeide, - gli altri del nitrosobenzolo colla anilina e colla fenilidrossilammina. Cell: . NiH al; o CH . CH; — H:0= CH; SNE= CH. CH; CH; . NH, +ON. CH —H.0=CH;.N= N. CH; C;H;. NOHH+0 CH. GH;— H,0=CH;.NT—CH.GH; saio . No C}H;. NOHHLON . CH; — H:0=0,H;.N — N.C;H;. Nodi Si presentava ora naturale la questione se anche i loro composti primi- tivi, cioè i derivati nitrosilici ed aldeidici, posseggano la proprietà di cristal- lizzare assieme, ciò che starebbe in parallelo colle analogie nel comporta- mento chimico di quelle due serie di corpi che vennero rilevate da varî autori e segnatamente da A. Angeli. Ora siccome nè il nitrosobenzolo, nè la benzal- deide e nemmeno i loro omologhi immediatamente superiori si prestano ad esperienze crioscopiche, dovetti ricorrere, per verificare questo fatto, a composti più complessi e cioè agli eteri etilici degli acidi ftalaldeidico ed o-nitroso- NO benzoico CH Li CHi<000,H,. Si usò come solvente il primo dei due; ne fu determinata anzitutto la costante impiegando come corpi normali, il difenile, la naftalina ed il diben- zile; come valore medio si ottenne K=60,5. Coll' etere dell'acido o-nitro- sobenzoico ebbi i risultati seguenti : Concentrazioni. Abbassamenti termometrici. Peso molecolare. o C5H50;N = 179 1,607 0,38 224 2,630 0,67 243 4,013 0,93 261 L'anomalia è quindi spiccatissima e conclude quindi alla formazione di soluzione solida. Voglio qui riferire anche un'esperienza che fu eseguita allo scopo di vedere se si potesse portare una conferma all'ipotesi della struttura ciclica che viene generalmente ammessa per i derivati cianurici. Se questa è esatta, poteva per esempio pensarsi che il cloruro di tricianogeno desse cristalli misti — Il} = col triclorobenzolo simmetrico : aÌ GI | | cu bol NIZIESN HZ \cH | | I | 0 C hi E col Ny7 Na ca7 Ng? Na Si usò quest'ultimo corpo come solvente, e se ne determinò la costante scio- gliendovi il difenile e l'etere dimetilico dell’idrochinone, ottenendo così un valore medio K = 87. Col cloruro di tricianogeno si ebbero valori perfettamente concordanti col teorici. Concentrazioni. Abbassamenti termometrici. Peso molecolare é C3N3Cl3 = 184,5 0,327 0,39 184,4 1,665 0,78 185,7 2,504 1,16 188,0 Non vi è quindi traccia di formazione di soluzione solida. Sarebbe però azzardato il voler trarre conclusioni sulla costituzione dei derivati cianurici da tali risultati negativi. IV. Serie 7%: — CH} — CH}—,—CHaeCH—,-C=C—. Le re- gole intorno alla formazione di cristalli misti fra composti a legami semplici e doppî in catena aperta, furono già date da Garelli e Calzolari (') e da me e Gorni (?). Per ciò che riguarda i composti a tripli legami era nota finora una sola osservazione fatta da Boeris(*), che il tolano è isomorfo collo stil- bene e col dibenzile. Mi sembra però non inutile verificare la formazione di soluzione solida fra composti acetilenici ed i corrispondenti derivati a legame semplice e doppio. A tale scopo vennero eseguite esperienze sciogliendo anzi- tutto l'etere dimetilico dell'acido acetilendicarbonico nel corrispondente etere dell'acido succinico. Concentrazioni. Abbassamenti termometrici. Peso molecolare. o CeHs0, = 142 0,802 0,25 175 1,823 0,56 181 3,102 0,98 178 4,892 1.46 187 (2) Gazz. chim. ital. 1899, II, 263. (®) Ibidem, 1900, I, 80; II, 127. (3) Questi Rendiconti 1900, I, 382. — 194 — L'anomalia è assai spiccata, e più notevole ancora è quella che si trova nelle soluzioni di acido fenilpropiolico nell’acido fenilpropionico. (0) C3Hs50, = 146 1,147 0,36 285 1,666 0,49 304 2,637 0,845 286 Fu quindi eseguita una serie di esperienze sciogliendo l’ etere metilico dell'acido fenilpropiolico nel corrispondente etere dell'acido cinnamico ordi- nario; la costante di questo corpo fu trovata mediante l'impiego del difenile e dell'etere dimetilico dell’idrochinone come corpi normali ed è K=71. Coll’ etere fenilpropiolico si ottennero i numeri seguenti, da cui risulta la formazione di soluzione solida. CHH=07 = 160 0,975 0.28 247 2.971 0,84 253 6,399 1,78 255 Si può quindi concludere che i composti acetilenici cristallizzano assieme al rispettivi composti saturi ed alle forme fumaroidi dei derivati etilenici. V. — Io ho rivolto infine la mia attenzione a vedere se fosse possibile di riprodurre fra composti organici quelle interessanti relazioni di isomorfismo e di formazione di cristalli misti che si hanno quando uno o due atomi di flouro sostituiscono un atomo di ossigeno, e quando un atomo di flouro o di cloro sostituisce un ossidrile. Esempî di questa natura non sono rari fra com- posti inorganici. Pel primo caso ricorderemo l' isomorfismo constatato da Mauro e Scacchi (') fra fluooossimolibdati MO,Fl,.2KF1.H;0, ipofluoossi- molibdati MOFI1;.2KFI.H,0, fluotitanati TiFl,.2KF1.H,0 e tutta una serie di altri sali doppî analoghi; accenneremo inoltre che gli iodati alcalini KIO; ed i fluoiodati KIO,F], recentemente scoperti da Weinland, sono cristallografica- mente isomorfi. Pel secondo caso richiameremo l'interessante isomorfismo fra Wagnerite Mg(MgF1)PO, e Triploidite Mn(Mn0H)As0,; è poi noto che in numerosissimi fosfati e silicati basici naturali (Apatite, topazio ecc.), gli ossì- drili sono sostituiti in una proporzione variabile da atomi di fluoro e di cloro o viceversa. Perciò che riguarda il primo caso non era facile di trovare coppie di sostanze organiche accessibili alle misure crioscopiche e che presentassero le suaccennate relazioni di struttura; un esempio conveniente venne da me realiz- (1) Atti Accad. Napoli, 1 marzo 1890. — 195 — zato colle miscele di cloruro di ftalile a cui, come è ben noto, spetta la for- Miola ciglica 0, Hi Gg -0 e di anidrido ftalics00, HG Po im- piegato come solvente il cloruro di ftalile che, secondo le mie osservazioni, gela a + 12° e la cuì costante fu trovata K = 98,5 sciogliendovi come corpi indifferenti il difenile e la naftalina. L'anidride ftalica si palesò fortemente anormale dando abbassamenti quattro volte più piccoli dei normali. Concentrazioni. Abbassamenti termometrici. Peso molecolare. fo) (CHO = 148 1,652 0,29 570 3,217 0,58 555 Per ciò che riguarda la sostituzione degli ossidrili agli atomi di alogeni e viceversa, esiste un lavoro di G. Fels ('), il quale constata che fra com- posti che così sì corrispondano non sussistono in genere analogie di forma cristallina. Una eccezione formano l’idrochinone ed i derivati p-bialogeno sostituiti del benzolo, che hanno relazioni morfotropiche abbastanza strette. Io esperimentai quindi anzitutto sulle miscele di due di queste sostanze (idro- chinone e p-biclorobenzolo); potei però constatare non trattarsi di vero isomor- fismo. Invero l’idrochinone non si scioglie affatto o quasi nel p-biclorobenzolo, ma potei osservare ripetutamente che i cristalli di idrochinone presenti al fondo, non hanno alcuna azione nel determinare la cessazione dello stato di sopra- fusione in cui sì trova il solvente. Un caso di isomorfismo trovai invece fra composti in cui gli atomi a gruppi isomorfogeni non formano una parte rilevante della molecola come nell’ esempio precedente. Infatti il 8-naftolo disciolto nella -cloronaftalina ne innalza il punto di congelamento. Queste esperienze provano ad ogni modo che queste interessanti rela- zioni possono ritrovarsi anche fra corpi organici; esse dovranno però essere continuate e completate. (1) Zeitschr. f. Krystall. XXXII, 359, — 196 — Patologia. — L’uvvelenamento per stricnina e i sieri ematici. Nota I del dott. D. Lo Monaco, presentata dal Socio LucIANI. Gli studî sull’immunità contro gli agenti patogeni, e quelli ancora più numerosi sulle leggi che la regolano, hanno da molto tempo incoraggiato gli sperimentatori a fare dei tentativi allo scopo d'indagare se con i mede- simi metodi si riusciva a rendere immuni gli animali contro le sostanze tossiche sia organiche che inorganiche. Due fatti servivano di guida nell’in- traprendere questi tentativi: la notizia farmacologica che non tutti gli orga- nismi reagiscono egualmente colla stessa intensità a una data sostanza tos- sica, in modo che alcuni animali pare che godano di un'immunità naturale contro alcuni veleni; e la possibilità per certi organismi di assuefarsi all’ in- gestione di quantità mortali di alcaloidi o di sali metallici (es. arseniofagi, fumatori di oppio, ecc.). i Di quest'ultimo mezzo si servì Ehrlich (') essendo riuscito, colla som- ministrazione graduale e prolungata di abrina o di ricina, non solo a ren- dere innocue per gli animali su cui sperimentava, dosi mortali di queste sostanze, ma a dimostrare che il siero di questi animali trattati per lungo tempo con abrina o ricina, iniettato ad animali normali, metteva questi in condizione di sopportare grandi quantità dei su nominati veleni. In conse- guenza questo illustre autore, ammise che nel siero degli animali trattati si era prodotta un'antitossina che fu da lui chiamata antiricina. Con simili procedimenti Kaufmann e altri resero refrattarî gli animali al veleno della vipera, Fraser a quello di diversi serpenti, e Rummo asse- risce di aver fatto superare dosi molto forti di stricnina ad alcune cavie, le quali così trattate presentavano una grande resistenza all’ iniezione di cul- ture di tetano che riuscivano letali agli animali di controllo. Sul primo criterio invece si basano le interessanti ricerche di Giacosa e del suo allievo Robecchi. Giacosa (*) si propose di dimostrare se il sangue degli animali refrattarî a un dato veleno, fosse capace, iniettato ad animali molto sensibili a questo, di aumentarne la resistenza. Egli prese dei polli come animali poco sensibili alla stricnina, e iniettò il loro siero a topi, cavie e conigli che poi avvelenava con questo alcaloide. I risultati furono negativi, poichè mai Giacosa potè riconoscere una qualsiasi influenza del siero di pollo sull’intensità e sull'arresto dell'accesso stricnico. Robecchi (3) ripetè e com- (1) Deut. med. Woch., vol. 32, 1891. (2) Giornale della R. Acc. di Medicina di Torino, 1891. (3) Giornale della R. Acc. di Medicina di Torino, 1895. — 197 —. pletò queste ricerche. Egli confermò che il siero di sangue di pollo non ha alcuna influenza sugli esiti, sul decorso e sulla durata dell’avvelenamento stricnico, sia che l'iniezione venga fatta appena scoppiati i fenomeni tossici, sia immediatamente o qualche tempo prima della iniezione della stricnina. Anche iniettando per più giorni di seguito, siero di pollo in cavie e topi bianchi, mai questi animali sopportarono la minima dose mortale di stricnina. In un’altra serie di. esperienze Robecchi tentò inutilmente di riconfer- mare i risultati ottenuti da Rummo, e non riuscì, somministrando dosi pic- colissime di stricnina che andava crescendo in minima proporzione di giorno in giorno, a tenere in vita gli animali avvelenati. Anzi invece di avere fe- nomeni di abitudine al veleno, osservò sempre quelli altri ben descritti da Aducco (') sotto il titolo di azione successiva dei veleni. Da questo breve riassunto risulta che tranne per l'abrina e per la ri- cina, nessuno è riuscito a rendere immuni gli animali a un dato avvelena- mento per sostanza organica od inorganica. Nel caso speciale della stricnina, quantunque siano noti i buoni effetti che si possono avere in questo avvele- namento dall'uso del curaro, dell'etere, cloroformio, cloralio, paraldeide, bro- muri ecc., pure nessuno oserebbe innalzare queste sostanze al grado di anti- doti contro tale intossicazione. Solamente Lusini (*) vide quasi sempre so- pravvivere i conigli da lui avvelenati con la dose minima mortale di stricnina (0,6 mgr. per kilo), quando ad essi antecedentemente o poco dopo della so- stanza alcaloidea, aveva iniettato del siero antitetanico (Tizzoni, Behring e Roux). A simili risultati erano del pari arrivati Centanni e Bruschettini (3) sin dal 1895 col loro polivaccino. Iniettando questo liquido per più giorni di seguito a due conigli, Centanni e Bruschettini notarono che questi ani- mali superarono l’avvelenamento per una dose di stricnina che, a dedurla da quella iniettata, qualunque sia stato il peso dell'animale, doveva di molto superare quella minima mortale. Il siero antitetanico e il polivaccino di Centanni e Bruschettini, di cui ignoriamo la composizione, ma che certamente non ha niente di comune con quella del primo, mentre riescono a dare effetti eguali nell'avvelenamento per stricnina, pure il loro modo di agire è ritenuto da Lusini e da Centanni del tutto diverso. — È vero che il primo di questi autori otteneva la soprav- vivenza dell'animale con una sola iniezione di siero antitetanico, mentre il secondo vaccinò i conigli per moltissimi giorni; ma ciò secondo noi non deve, come dimostreremo, che portare una differenza nel grado ma non nella qua- lità dell'azione del siero. — Riservandoci quindi di riferire e di discutere le teorie emesse da Centanni e da Lusini alla fine del lavoro, diremo che le ” (!) Atti della R. Acc. dei fisiocritici di Siena, 1893. (?) Rif. Medica, agosto 1897, e Arch. di Farm. e Terapeutica, agosto 1900. (3) Rif. Medica, 1895, vol. II, pag. 290 e 303. — 198 — esperienze di questi autori e quelle di Robecchi ci hanno invogliato a stu- diare se, iniettando per più giorni ai conigli siero di erbivori di specie diversa, ma al pari di loro sensibili alla stricnina, si riusciva a farli resistere alla dose minima mortale del potente alcaloide. Adoperando poi invece di sieri normali eterogenei, sieri antitossici i più disparati, era interessante ricercare se una sola iniezione di essi permetteva la tolleranza della minima dose mor- tale di stricnina al pari del siero antitetanico, e se con iniezioni quotidiane ripetute di essi si poteva impunemente superare la dose minima mortale. Prima d'iniziare le nostre esperienze ci siamo assicurati, sacrificando parecchi conigli, che la dose di 0,6 mgr. di nitrato di stricnina per kilo di coniglio, corrisponde alla dose minima mortale come da molti sperimen- tatori è stato ammesso. Dopo abbiamo in una seconda serie di esperienze, constatato che, iniet- tando a conigli normali, nella quantità di 1 cc. al giorno e per molti giorni di seguito, siero di altro coniglio normale; non si evita a questi animali la morte, quando a loro s' inietta la dose minima mortale di stricnina. Da queste esperienze, le quali provano ancora l'esattezza della dose mi- nima mortale calcolata a 0,6 mgr. per kilo di coniglio, possiamo conchiudere che il siero omogeneo non è adatto ad esaltare la. resistenza dei conigli al- l’azione della stricnina. Come sieri da iniezione eterogenei abbiamo usato quelli di cavallo e di bue. — Col siero di sangue di cavallo abbiamo trattato 20 conigli ottenendo risultati che se non sono molto costanti, pure non lasciano dubbio che si può con questo siero, come si desume dall'esame del quadro I, far soprav- vivere i conigli avvelenati con la dose minima mortale di stricnina. QuapRro I. Conigli trattati con stero di sangue di cavallo. — = & 5 Quantità 2 S Quantità gi È 036 ioni OE leale lp (lst VA È È S ESS na “ | dell’avvele- E È S ESS pei dell’avvele- Z 2 # |& .S| ogni kgr. namento |lZ 2 = |A: E] ogni kgr. namento a) MS di coniglio co di coniglio 1| 900 3 | mgr. 0,6 morte 11 | 1000 8 | mgr. 0,6 morte D 850 3 ”» ” 12 900 8 ”» » 3 | 1000 4 ” ” 15 | 300 8 ” ” 4| 900 4 ” ” 14 | 900 9 ” sopravvivenza 5| 700 4 ” sopravvivenza|| 15 | 900 | 10 ” morte 6 | 800 5 ” ” 16| 800] 10 ” ” T| 750 5 ” ” 1/0 6500 ” sopravvivenza 8 | 900 6 ” morte 18 | 900 12 ” morte 9 830 6 ” ” 19 | 1090 12 ” » 10 905 Ti » ” 20 320 12 ” ”» — 199 — La mancata costanza nei risultati ottenuti col siero di cavallo, non si osservò più quando trattammo i conigli col siero di bue, facendo una serie di esperienze molto completa. — Noi vedemmo che dopo 1-2-3 iniezioni di siero, i conigli non superano l'avvelenamento della dose minima mortale di stricnina. — Ciò si avvera invece dopo 4-5 iniezioni, ma i risultati allora non sono costanti, quantunque la maggioranza dei conigli sopravviva all’ in- tossicazione. In questi animali l’accesso tetanico si manifesta sempre, ma esso soprav- viene con ritardo, è più breve e non lascia molto abbattuto il coniglio. Questo sopporta accessi successivi i quali si fanno sempre meno intensi e dopo circa due ore dall'iniezione di stricnina ricomincia a mangiare non mostrando che iperestesia agli eccitamenti cutanei, e lievi disturbi nella deambulazione. Coll'’aumentare della durata della cura preparatoria, che è stata estesa fino a 12 giornate, la resistenza dei conigli alla stricnina diventa costante, e di- minuiscono i fenomeni tossici. In quelli che hanno ricevuto per lo meno 10 iniezioni di siero, l’accesso tetanico è unico, poco intenso e di breve durata. Continuando ad iniettare siero ai conigli che già avevano superato l'avvele- namento, si potevano dopo qualche giorno riavvelenare senza vederli morire, mentre la morte avveniva se il trattamento del siero era stato da più giorni sospeso. Da questa serie di esperienze si trae la conseguenza, che il trattamento con siero di bue riduce a semplicemente tossica la dose minima mortale di stric- nina uguale a mgr. 0,6 per kilo di coniglio. Era interessante pure dimostrare se nei conigli trattati con siero di bue si potevano iniettare quantità di stricnina superiori a quelli corrispondenti alla dose minima mortale. L'unica esperienza fatta, segnata al n. 39 del quadro II ci diede risultati negativi, e dopo ciò credemmo conveniente di non insistervi. Riteniamo in conseguenza che l’esaltamento della resistenza dei conigli trattati con siero di bue all'avvelenamento per stricnina, è limi- tato alla dose minima mortale. Per completare questa prima parte di ricerche, a nostro modo di vedere, occorreva studiare, se il siero di coniglio precedentemente trattato con dosi ripetute di siero di bue, iniettato ad altro coniglio normale per più giorni, rendesse questo refrattario alla dose minima mortale di stricnina. Su questa quistione non possiamo registrare che i risultati positivi di una sola espe- rienza. — Il coniglio in esperienza venne avvelenato con la stricnina dopo 12 iniezioni di siero di coniglio trattato, e sopravvisse. Avremmo dovuto con- tinuare queste esperienze che potrebbero risolvere molte quistioni riguardanti l'immunità per l’avvelenamento stricnico, ma prima abbiamo preferito di ese- guire altre ricerche allo scopo già riferito di dimostrare se i sieri antitossici in genere agiscono al pari di quelli antitetanici contro l’avvelenamento per stricnina, e se il trattamento prolungato con sieri antitossici, compresi gli RenpIcoNTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem, 26 — 200 — antitetanici, esalta ancora più la resistenza dei conigli contro l'intossicazione stricnica ('). Tra i sieri antitossici abbiamo adoperato quello antitetanico Tiz- zoni (gentilmente fornitoci dal prof. Tizzoni), l'antidifterico dell'Istituto di Milano e il vaccino antipestoso preparato dal prof. Gosio. Quapro Il. Conigli trattati con siero di sangue di bue. Numero DE 3 Quantità | È ° Quantità Z| @|g Edi stricnina) Esito (s.zl ‘@|gs cidi stricnina Esito al 9 | 2-2| iniettata daliatcle. | CA SR SS «Z| iniettata | dell’avvele- ml AS |8-8.8) per (S| AS (88.8) per 2 = Zi | ogni kgr. namento || 2 = |A .E| ogni kgr. namento sen IMIBINSA di coniglio i Mo | as di coniglio l 870 1 mer. 0,6 morte 25 73 6 ingr. 0,6 |sopravvivenza 2 700 1 ” ” 26 | 700 6 ” 3) 900 1 ” ” 27| 450 6 ” ” 4 600 2 » ”» 28 400 7 » ” 5 83 2 » » 29 300 IT » » 6 950 2 » ” 530) 900 7 D) D) 7 580 B) ” » SI 800 7 » ” 8| 690 Bb) ” ” 32 | 480 8 ” ” 9 | 1000 3 » ” 3 500 8 ” ” 10 870 4 ” » S4 | 1000 8 ” » 11| 870 4 ” sopravvivenza]| 55 | 900 8 ” ” 12 | 1200 4 ” » 36 280 9 » » 18 | 1000 4 ” morte 37 | 900 9 ” ” 14 | 520 4 ” sopravvivenza|| 38 | 700 9 ” ” 115) 790 4 » » 39 910 9 0,65 morte 16 | 900 5 ” ” 40.| 850| 10 0,6 |sopravvivenza 7: 500 5 » ” 41 880 10 ” » 18 780 5 » » 42 280) 10 DI » 19 900 5 » » 43 730 11 » ” 20 850 5 » ” 44 295 11 » » 21 810 5 » » 45 900 12 » » 22 810 6 D) » 46 300 12 D) D) 23 900 6 D) » 47 250 12 ” » 24 500 6 » » 48 | 1000 12(°) » » Col siero antitetanico di cui disponevamo, abbiamo fatto quattro espe- rienze. Iniettando sottocutaneamente ma in regioni diverse 1 cc. di siero Tizzoni e subito dopo la quantità di stricnina corrispondente alla dose di 0,6 mgr. per kilo, questo animale ha superato più accessi stricnici, ma è rimasto paraplegico sopravvivendo all’avvelenamento per 4 giorni. — Degli altri tre conigli i quali ricevettero per 5 giorni di seguito 1 ce. di siero antitetanico al giorno, ne sopravvisse uno dei due che ebbero stricnina nella quantità di 0,7 mgr. per kilo; il terzo che ne ricevette in ragione di 0,8 mgr. per kilo morì subito dopo il primo accesso convulsivo. (!) Qui ci corre l'obbligo di ringraziare lo studente Diodato Bernardo, il quale ci aiutò nell'esecuzione delle esperienze finora citate. (£) Siero di coniglio trattato con siero di bue. — 201 — Col vaccino antipestoso Gosio, la dose minima mortale di stricnina ri- mase tale in due conigli, ai quali s'iniettò contemporaneamente un ce. di questo liquido. Sopravvisse il coniglio trattato per 5 giorni ed avvelenato con la dose in ragione di 0,7 mgr. per kilo, e morì quello avvelenato con 0,8 mgr. per kilo, pur essendo stato trattato col vaccino nel medesimo modo dell'altro. Migliori risultati ottenemmo con il siero antidifterico, per mezzo del quale i conigli iniettati una volta superarono la dose di 0,6 mgr. ma non quella di 0,7; e quelli iniettati 5-6 volte superarono quelle di 0,7 e di 0,8 mgr. per kilo di animale, ma non quella di 0.9. — Abbiamo riassunto nel se- guente quadro le esperienze con i sieri antitossici. Quapre III. Conigli trattati con sieri antitossici. a f= Quantità ssh Peso Qualità e‘ | di stricnina Esito ® % Ds iniettata i EÈ del del Se per | i Ma . © Fn dell’avvelenamento pa coniglio siero S ogni Kgr. si 2 | di coniglio 1 1085 | Siero antite- 1 mer. 0,6 paraplegia tanico Tizzoni 2 1450 ” 5 » 0,7 sopravvivenza 3 840 ” 5 » 07 morte 4 970 ”» i » 0,8 ” 5 1000 | vaccino anti- Il » 0,6 » pestoso Gosio 6 900 » 1 ” 0,6 » 7 920 ” 5 > 0,7 sopravvivenza 8 1200 » 5) » 0,8 morte € 1100 |sieroantidifte-| 1 » 0,6 sopravvivenza rico Milano 10 830 D) 1 » 0,6 D) 11 960 ” 1 ». 0,6 D) 12 1050 ” 1 » 0,7 morte 13 900 ” 5 »10;7 sopravvivenza 14 1800 ” 6 » 0.5 ” 15 970 » 5 » 0,9 morte Dalle esperienze riferite risulta che, avvalendoci di metodi simili a quelli di cui si servono ordinariamente i batteriologi per conferire l' immunità agli animali di esperimento, siamo riusciti ad anmentare la resistenza dei conigli all'avvelenamento stricnico. Come abbiamo detto, il metodo da noi adoperato consisteva nel fare ai conigli ripetute iniezioni di siero eterogeneo. Questo — 202 — metodo era già prima di noi stato tentato da Giacosa e da Robecchi, le cui esperienze non diedero risultati favorevoli. Essi adoperarono siero di pollo la cui refrattarietà alla stricnina costituiva per loro una condizione favore- vole allo scopo delle ricerche che facevano. Secondo il nostro modo di vedere, la refrattarietà dell'animale al veleno, non deve influire sull'azione antitossica del suo siero. Noi non possiamo dividere i sieri in due classi, e dire che quelli di animali refrattarî al veleno, non sono atti ad aumentare la resistenza degli animali all’ intossica- zione, mentre viceversa lo sono quelli degli animali sensibili al veleno. Il fatto che il siero omogeneo non ha alcuna azione come il siero di pollo adoperato da Robecchi, mentre il siero di cavallo agisce in parte, e quello di bue con molta costanza, c' induce a pensare che l’azione anti- stricnica dipenda dalla potenza che ha il siero di produrre nell’animale iniettato, degli anticorpi o delle antitossine speciali ed adatte a potere fis- sare una quantità più o meno grande di molecole stricniche. Facendo uso della terminologia di Centanni e di Ehrlich sulla dottrina dell’ immunità, possiamo ammettere che con l'iniezione di alcuni sieri normali forse perchè poco attivi o dotati di poca attività, non vengono coperti o solamente in minima parte gli stomiti o ricettatori cellulari sensibili al veleno in modo che questo, quando vien messo in circolo trova modo di spiegare tutta la sua potente azione; mentre con altri sieri si riesce ad ottenere l’effetto utile. A sostegno di quanto abbiamo detto sta il fatto che i sieri antitossici, sieri cioè provenienti da animali già trattati, e quindi capaci di dare un numero stragrande di anticorpi sia specifici che secondari (nome che intendiamo assegnare agli anticorpi che agiscono nel nostro caso contro la stricnina, ma forse dotati di azione anche contro altre sostanze), ci hanno permesso di adoperare impunemente dosi maggiori di quella minima mortale, che non si può superare quando il trattamento vien fatto con siero eterogeneo di ani- male normale. Nè diversa spiegazione possiamo dare al fatto che il siero antitetanico e quello antidifterico in piccola dose riescono, iniettati contemporaneameute alla dose minima mortale di stricnina, a far soppravvivere l’animale. Anche qui la differenza di azione deve dipendere con molta probabilità dal numero degli anticorpi secondari formatisi; mentre quelli che si producono con grande rapidità dopo una sola iniezione sono pochi e vincono solamente l'intossica- zione data dalla dose di stricnina nel rapporto di mgr. 0,6 per kilo, diven- tano invece più numerosi e forse anche più resistenti quando le iniezioni sono ripetute, in modo che le dosi corrispondenti al rapporto di mgr. 0,7 e anche di 0,8 per kilo non sono più mortali, ma semplicemente tossiche. Come abbiamo detto, Lusini per il primo riuscì a curare il tetano stricnico per mezzo del siero antitetanico iniettato contemporaneamente o qualche ora prima del veleno, e spiegò questa azione coll’ ammettere che — 203 — l’antitossina agisce o in senso antagonistico alla stricnina, su quei centri nervosi che sono influenzati da questo alcaloide, o in senso chimico neutra- lizzandola. Quest'ultima ipotesi dice Lusini, « suffragata dalla osservazione fatta in vitro, con la quale, aggiungendo a una soluzione di stricnina del siero antitetanico, e ricercando più tardi le reazioni, manca la precipitazione con bicromato di potassa, con alcali caustici ecc. », trova riscontro con le recenti osservazioni di Ehrlich, sul modo di comportarsi dell'abrina e ricina e di altre tossine vegetali contro alcuni veleni animali e tossine batteriche. — In un lavoro posteriore il Lusini ritorna sulla questione e dice: « che i sieri antitetanici non possono prevenire, nè combattere l’ avvelenamento stricnico come sieri semplici, ma devesi ritenere che l'azione dipenda dall’ antitossina contenuta in essi ». Non si tratta, continua egli, contraddicendo quanto aveva detto, di una neutralizzazione chimica della stricnina per azione dell’antitossina, ma di un'azione esercitata sugli eiementi dei centri nervosi spinali, che, eccitati dalla stricnina producono le convulsioni, mentre sotto l’azione dei sieri anti- tetanici queste o non si producono o cessano del tutto. Egli così subordina l’azione immunizzante dei sieri antitetanici a fatti di ordine essenzialmente cellulari e non di chimica neutralizzazione. Evidentemente il Lusini è stato incoraggiato ad ammettere questa teoria dal fatto, che egli otteneva l'aumento della resistenza all’ avvelenamento stricnico, per mezzo di sieri antitetanici; e per lui tra sieri antitetanici e stricnina doveva esservi uno stretto rapporto. — Poichè la stricnina agisce su elementi nervosi, che da essa eccitati producono convulsioni molto simili a quelle tetaniche, e poichè il siero antitetanico giova in questa infezione, ne doveva scaturire la conseguenza che la sede di azione del tetano fosse negli stessi elementi nervosi che vengono attaccati dalla stricnina. Di con- seguenza il siero antitetanico, agendo sul tetano doveva agire pure sulla stricnina, e quindi, aggiungiamo noi, su tutte le sostanze convulsivanti. Noi non possiamo ammettere questa teoria, poichè i risultati ottenuti da Lusini col siero antitetanico, sono stati da noi confermati facendo uso del siero di cavallo, del siero di bue, del vaccino antipestoso e del siero antidifterico. E nessuno vorrà sostenere che questi liquidi hanno azione sul bacillo di Nico- layer o sulle cellule nervose invase dal tetano. La spiegazione deve necessariamante essere diversa, e deve scaturire da quanto finora si conosce sull'azione dei sieri eterogenei e dei sieri antitossici. È noto che per avere un siero antispermatossico occorre iniettare liquido spermatico, come per avere un siero emolitico, occorre iniettare del siero o del sangue eterogeneo e per guarire un difterico occorre iniettare siero anti- difterico. — L'azione dei sieri è quindi specifica ed è la sola di cui essi, secondo molti autori, possono disporre. — Altri studî però ora tendono ad ammettere nei sieri azioni secondarie; mentre Centanni parecchi anni fa sosteneva che il suo vaccino agiva egualmente contro molte infezioni e contro molti avvelenamenti, compreso quello per stricnina. Noi accettiamo la teoria di Centanni mitigata nel senso che un siero oltre l'azione predominante speci- fica, possa ancora spiegarne delle secondarie, e crediamo che o le catene col-. laterali (anticorpi o sezten/etten di Ehrlich) provenienti dalle cellule sensi- bili a un dato veleno, sono, come già abbiamo detto, in massima parte specifiche e in minima parte secondarie; o che la loro specificità non esclude che possono agire contro altri v/rus in essenza di quello per cui furono fabbricati. Per risolvere questa quistione, abbiamo cominciato ad eseguire altre esperienze, che speriamo di pubblicare al più presto. Altri tentativi si po- tranno fare con altri sieri e con altri veleni; intanto dalle ricerche riferite possiamo dedurre che i sieri antitossici, con molta probabilità non agiscono contro l'avvelenamento per stricnina a seconda della quantità di unità immu- nizzanti che contengono. Fra quelli che abbiamo provato il più attivo si è dimostrato il siero antidifterico, e ci auguriamo che esso possa ricevere dalla Clinica l’ applicazione pratica. PERSONALE ACCADEMICO All’Accademia pervenne la dolorosa notizia della morte del Socio nazio- nale prof. ApoLro TARGIONI-TOZzETTI, mancato ai vivi il 18 settembre 1902; faceva parte il defunto dell'Accademia sino dal 14 luglio 1888. Voal: Publicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIIF. Atti della Reale Accademia dei Lineei. Tomo XXIV-XXVI. Sera 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2> MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MremoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V.-VI. VIE VIII. Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MemorIE della (Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fistche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. (1892-1902) 2° Sem. Fasc. 6°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 5°-6°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. £9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HorpLr. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Settembre 1902. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all’ Accademia prima del 21 settembre 1902. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Pascal. Trasformazioni infinitesime e forme ai differenziali di second’ordine . . ... Pag. Ulpiani e Sarcoli. Fermentazione alcoolica del mosto di Fico d'India con lieviti abituati al fluoruro di sodio (pres. dal Socio Paternò). . . . ; f » Bosco. Il Lophiodon Sardus (n. sp.) delle ligniti di Teme do Colla. Cinisi) adi dal Corrisp. De Stefam) ... .. . ES RR) Plancher. Altre ricerche intorno all’azione dei Foinri alcoslii i indoli inca dal Socio Ciamician) . . CSR ACRI EE AO SSSARIO N) Bruni. Nuove ricerche sulle ioni solide (os. Id). PNRA ico RSS Lo Monaco. L’avvelenamento per stricnina e i sieri ematici (pres. dal Socio 0 SIN) PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte del Socio nazionale Adolfo Targioni- Tozzetti . .. . . +.» V. Cerruti Segretario responsabile. 167 173 178 182 187 196 204 e _ Pubblicazione bimensile. Roma 5 ottobre 1902. N. . de DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIX. 1902 i SRI ERT bCSOQ USEN-STL A: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XI.° — Fascicolo 7° 2° SEMESTRE. . Comunicazioni pervenute all’Accademia prima del 5 ottobre 1902. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | 1902 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano. re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2.:Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 ‘agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Accar demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne. sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate ‘ da estranei, la Presidenza nomina una Com. missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti rigoluzioni. - 4a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti . contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro» posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. ; 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di unnumero di copie in più | che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE D'IKSO:CIRtO, PRESENTA TMEMDIA SOCI pervenute all’ Accademia sino al 5 ottobre 1902. ANANAS IDlM_Y_*_-<-<- Geometria. — Sui numeri infiniti ed infinitesimi attuali. Nota del dott. A. BinponI, presentata dal Socio G. VERONESE. 1. È noto come il prof. Veronese nei suoi Zondamenti di Geometria abbia, per primo, costruita una geometria non-archimedea e un conseguente campo di numeri infiniti ed infinitesimi attuali. Ora la questione dell’ indi- pendenza del postulato d'Archimede venne ripresa recentemente dall'Hilbert nei suoi G. d. G., e risolta con un procedimento davvero elegante. Hilbert pone le basi di una geometria non-archimedea, servendosi di un campo di numeri infiniti ed infinitesimi definito da un algoritmo assai semplice. Per chi non conoscesse il lavoro di Hilbert riportiamo le frasi che sì riferiscono all'argomento, dalla traduzione francese di L. Langel: 07 A construisons le domaine £(/) de toutes les fonctions algé- briques de /, qui proviennent de f au moyen des quatre opérations: addition, soustraction, multiplication, division, et de la cinquième opération /1+ @?, du w désigne une fonction quelconque, déjà obtenue au moyen de ces cinq opérations. « Nous regarderons maintenant les fonctions du domaine £(/) comme une certaine espèce de nombres complexes; dans le système numérique ainsi défini, il est clair que les règles usuelles de calcul sont toutes vérifiéos. Enfin a, d désignant deux nombres différents quelconques de ce système, nous dirons que le nombre « est plus grand ou plus petit que 8 — ce qui RenpIconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 27 — 206 — s'écrira a > d cu a< db — suivant que la difference c=a— d, regardée comme fonetion de { prend pour des valeurs, suffisamment grandes de / une valeur ou bien toujours positive ou bien toujours négative. En adoptant cette convention, il est possible de ranger par ordre de grandeur les nombres . de notre système numérique complexe, suivant une distribution analogue è celle que l'on emploie pour les nombres réels; on reconnait aisément aussi que les théorèmes qui consistent à dire que les inégalités subsistent, lorsque à chacun de leurs membres on ajoute un méme nombre ou lorsqu'on y multiplie chaque nombre par un méme nombre > 0, sont également vérifiés dans notre système numérique complexe. Maintenant, si l'on désigne par x un nombre entier positif rationnel quelconque, il est clair que pour les deux nombres n e # du domaine £(#) l'inégalité n < sera vérifiée, car la différence n — # regurdée comme fonction de 4 sera toujours négative pour des valeurs positives de £ suffisamment grandes. Nous exprimerons ce fait comme il suit: Les deux nombres 1 et # du domaine £(#), qui tous deux sont > 0, jouissent de la propriété qu'un multiple quelconque du premier sera toujours plus petit que le second de ces nombres ». Però il prof. Hilbert, sebbene dichiari essergli noto che la stessa que- stione fu trattata precedentemente dal prof. Veronese, non s'intrattiene in un confronto tra la sua geometria e quella di Veronese; e poichè un tale confronto mette in chiaro una stretta relazione tra le due teorie, non cre- diamo inutile l’occuparcene nella presente Nota riservandoci di trattarne con maggiori particolari in un’altra pubblicazione. Sarà opportuno per ciò il prender le mosse dalla costruzione di un campo numerico più ampio del campo £(t), servendoci del procedimento dello stesso Hilbert, però alquanto generalizzato. 2. Volendo entrar subito in argomento, consideriamo il campo degli elementi definiti dalla seguente espressione nella lettera «: (A am + da ao m_r + sea + Din LO) nella quale 41, 42, .-., n, 21; 02; Um Sono numeri reali; 07... 60); 0'm..-@ od anche espressioni ottenute precedentemente dalla espressione data. Indichiamo con T°(x) il campo di elementi (numeri) così definiti. Poichè è facile persuadersi che, le considerazioni e le definizioni fatte dal sig. Hilbert, possono trasportarsi immediatamente al nostro campo, po- tremo enunciare le seguenti proprietà fondamentali del campo T(%): a) Il campo T(x) è ordinabile, 5) costituisce un corpo rispetto alle operazioni di addizione, sottra- zione, moltiplicazione e divisione, — 2g = c) e valgono per queste le proprietà fondamentali del calcolo alge- brico. d) Inoltre adoperando note denominazioni, nel campo T'(x) esistono elementi che hanno il carattere di infiniti ed infinitesimi attuali rispetto ai numeri reali, che evidentemente sono contenuti nel campo (x). Basta in- fatti confrontare fra loro, secondo il criterio ordinativo del sig. Hilbert, gli elementi: aa dada. 8. Ora da questo campo di numeri si può dedurre quello dei numeri infiniti e infinitesimi del prof. Veronese. Consideriamo infatti la espressione, che si ottiene dalla nostra supponendovi: 4,,4z,..,@, interi, e di più 4, poso ee 10 00 e 0 VOLI e positivi (©, anche zero) e disposti in ordine decrescente, oppure espressioni ottenute precedentemente da quella ora definita, e così via. È ovvio che la espressione così ottenuta equivale al simbolo Z del prof. Veronese pei numeri interi e positivi finiti e infiniti di ordine finito ed infinito; anzi, posto in essa ax® =a40?, si trasforma identicamente in esso. Risulta immediatamente che, questo campo, quando anche sì affettino i suoi elementi dei segni + e — colle solite convenzioni, costituisce un corpo rispetto alle operazioni di addizione, sottrazione e moltiplicazione, e che queste operazioni godono delle proprietà fondamentali del calcolo algebrico. Ancora: il campo, i cui elementi sono definiti dalla nostra espressione quando i suoi termini sono elementi del campo ora considerato equivale al campo dei numeri frazionari positivi e negativi del prof. Veronese; ed è fa- cile persuadersi che esso costituisce un corpo rispetto alle quattro operazioni di addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione, e che per queste ope- razioni valgono le proprietà fondamentali del calcolo algebrico. Volendo ottenere dal nostro campo (7) un campo equivalente al con- tinuo relativo all’ unità fondamentale del prof. Veronese, pel quale cioè val- gano le ipotesi I-VI, basterà supporre nella nostra espressione 4,2, ... 4n imma e\o = 000 espressioni equivalenti al simbolo Z, sopra nominato. Si otterrà infine un campo numerico che rispecchi il continuo rettilineo dato da tale ipotesi (I-VII) procedendo così: si consideri dapprima il campo numerico definito dalla nostra espressione quando in essa si supponga 1,042, 0n numeri reali; 0,,0n-,,...,0, espressioni equivalenti al sim- bolo Z affetto dai segni + 0 —; di=d:=-=Um-1=0; dm==1; 0;=0. Evidentemente otteniamo così un campo contenuto in quello del prof. Ve- ronese senza però averlo esaurito completamente; occorrerà a tal uopo defi- — 208 — nire le ripartizioni in due classi contigue (!) del campo che abbiamo or ora considerato e stabilire che ad ognuna di esse corrisponda uno ed un solo ente. È facile persuadersi che questo campo costituisce un corpo rispetto alle quattro operazioni fondamentali, e che per queste valgono le proprietà del calcolo algebrico. Infine osservando che l'espressione frazionaria dell’ Hilbert, ottenuta mediante le prime quattro operazioni, è in casi particolari un funzionale intero, e che pei funzionali interi è stata svolta una teoria analoga a quella dei numeri primi, concludiamo che i numeri infiniti e infinitesimi corrispon- denti del Veronese costituiscono un campo pel quale è già stata fatta una teoria, diremo, dei numeri primi, quella stessa che è stata fatta pei funzio- nali interi. Ricordiamo anche la relazione tra i funzionali interi e gli ideali di Kummer-Dedekind, la quale ci dè una relazione tra ideali e i particolari numeri del Veronese ai quali abbiamo accennato. 4. Vogliamo ora notare le differenze tra il procedimento del sig. Hilbert ed il nostro, per mostrare con qualche particolare il legame esistente tra il campo numerico di Hilbert e quello di Veronese. È chiaro anzituito, che il procedimento del sig. Hilbert dà soltanto un campo di numeri infiniti ed infinitesimi di ordine finito, giacchè egli sup- pone gli esponenti di 4 numeri interi; mentre il nostro dà un campo di (1) Per essere un po’ più espliciti su questo punto, anche perchè esso fu causa di malintesi, e quindi di critiche errate, diremo di che natura siano le classi contigue, che noi consideriamo. Dedekind dà una definizione del postulato della continuità sostanzialmente equiva- lente al seguente: « Se (P, Ps) è una sezione fatta nella retta esiste sempre nella retta stessa un punto P, che non appartiene nè alla classe P,, nè alla classe Psa; e quindi separa i punti delle due classi, essendo a destra di ogni punto della prima e a sinistra di ogni punto della seconda classe ». È noto d'altra parte come, ammesso questo postulato, il postulato d'Archimede possa essere dimostrato. Ne segue che ammesso un tal postulato la retta è essenzialmente archimedea, e quindi sono impossibili le ipotesi sui segmenti infiniti ed infinitesimi attuali. Partiamoci ora invece da quest'altra definizione (Veronese F. G.). Definiz. « Un segmento cogli estremi variabili in versi apposti (XX) che diventa più piccolo di ogni segmento dato, diremo che diventa indefinitamente piccolo e poniamo il seguente postulato (Veronese F. G.). «Ogni segmento cogli estremi variabili in versi opposti che diventa indefinita- mente piccolo contiene un elemento fuori del campo di variabilità dei suoi elementi ». Dal confronto dei due diversi postulati del continuo rettilineo si deducono facil- mente le seguenti proposizioni : 1°. Ogni ripartizione dei punti della retta in due classi definite in modo da sod- disfare al postulato di Veronese è anche una sezione. 2%. Viceversa una sezione può non soddisfare al postulato di Veronese. 3°. Rimanendo nel campo finito le due ipotesi si equivalgono, cioè il postulato di Dedekind equivale al postulato di Veronese. — 209 — numeri infiniti ed infinitesimi anche di ordine infinito, pel fatto che noi abbiamo supposto gli esponenti di 4 anche espressioni, ottenute precedente- mente da quella costruita con esponenti numeri interi (veramente numeri reali, che poi, per ottenere il campo del prof. Veronese, abbiamo supposti interi). Ma il nostro procedimento del n. 3 differisce da quello di Hilbert anche pel fatto che noi non ci serviamo della operazione Y1+ 0°; però se ci riferiamo al campo di numeri equivalente a quello di Veronese, che noi abbiamo dedotto dal nostro campo 7°() particolareggiandolo e introdu- cendo una nuova ipotesi (la corrispondenza di uno ed un unico ente ad ogni ripartizione in due classi contigue del campo equivalente al continuo del prof. Veronese dato dalle ipotesi I-VIII), noi possiamo subito persuaderci che in questo campo tale operazione è possibile. Da queste osservazioni, e da altre facili a farsi, risulta che 0 sono note (') le espressioni di X', Y', Z, L', M’, N. Si ha cioè: \ r 2 d U (A39 d pi TARSIA d l \x=-n0-9&() = ng) 7 al): de Lim ER /L'=0 M-—ma (3) N=mag(3). avendosi dA =è& +(1T—-28)[n +(fT—-d)], a=cA, essendo e la velocità di traslazione della carica. Introducendo dei conduttori nel campo, questo rimane evidentemente modificato; supponiamo si tratti di una superficie piana conduttrice parallela alla traslazione della carica, e sia il piano $==0, che indicheremo con o. Indichiamo con Xi, Yi, Zi, Lu, Mi, N, le componenti delle forze elettro- magnetiche di induzione, e con X, Y, Z, L, M, N quelle del campo così modificato: avremo XXX, Me Y|- Yi ZZZ L=L'+L ,M=M'+M, ,N=N+N.. Tie Ripsattà N, debbono essere soluzioni del sistema (I)...(IV), rego- lari in ogni punto dello spazio fuori di o e nulle all'infinito come E al- meno (r?=x° +-y + 2°). In un generico punto della superficie conduttrice o le X'..... Njsi comportano regolarmente, invece le X...... N, ossia le X,...N,, debbono presentare attraverso la superficie i caratteri seguenti (*): 1. Le componenti tangenziali della forza elettrica (indotta) riman- gono continue anche attraverso la superficie. 2. Le componenti tangenziali della forza magnetica (indotta) subi- scono, quando si attraversa la superficie nel senso della normale positiva, le discontinuità 47t Argos OLD IM ossia anche 47r {n a |a cao 47t Angie, (1) Vedi per es. Mem. cit.. Annales de Toulouse, pag. 26. (2) Vedi Mem. cit., Za teoria elettrodinamica di Hertz ecc., pag. 77. — 223 — essendo R la resistenza unitaria della superficie valutata in unità elettro- magnetiche. Dovendosi determinare le X,...N, integrali del sistema (I)...(IV), regolari fuori del piano o, e per i quali le condizioni caratteristiche sul piano stesso si riferiscono alle componenti tangenziali, sì può scindere la ricerca in due parti cioè: 1. Determinazione di X,, Yi, Li, M,. 2. Determinazione delle componenti Z,, N}. Quest’ ultima determinazione è immediata esigendo solo due quadrature; infatti dal sistema (I)...(IV) si ottiene: dN, IICAS DU | dA a dXi vasta di gut: È da dai dN, dM, dX di, dL, UNE dy di si; Ds i dy (IA da OH (2) ) an dLy dM (8) Yo dz dA, | 1%, de =-(% dy = ( da n) dN, dY, dX, dI, dL, dM, Ad de” dy° di dy da Le combinazioni differenziali delle prime terne sono identicamente sod- disfatte in virtù delle equazioni stesse del sistema; le combinazioni di una terna con la quarta corrispondente lo sono in virtù del sistema stesso (I)... (IV), e dell'equazione (V) MIRATE Daf a cui soddisfanno gli integrali del sistema. Il problema è quindi ridotto a questo: determinare quattro funzioni X,, Ya, Lu, M soddisfacenti alla (V), regolari fuori del piano conduttore 0; attraversando il piano o le X,, Y, rimangono continue, mentre le L,, M, subiscono discontinuità caratterizzate dalle (1). Il fenomeno essendo stazionario rispetto agli assi £ n £, le funzioni cercate non dipenderanno esplicitamente dal tempo ma solo da & 1) £, avendosi E=a_-ci,yn=y ,î=%. SACCO d . Avremo quindi A Prmnigsll perciò Pi Pei ISOLATE ea Dit an + 9, equazione indefinita a cui debbono soddisfare le funzioni cercate. Di queste le L,, M, si possono considerare come derivate rispetto a $ di potenziali ritardati (corrispondenti a distribuzione di superficie sul — 224 — piano é= 0); con questo esse soddisfanno all' equazione indefinita O/=0, sono regolari fuori del piano e subiscono attraverso a questo una disconti- nuità. Posto quindi CI de 9 la dé ’ essendo V, ed U,, per le loro espressioni analitiche sotto forma di inte- grali estesi al piano c, funzioni dell'argomento |î|, avremo, attraverso il piano 0, dV, dU, D) — as = — E Li 2 alt , 9M 2 alt] Le condizioni caratteristiche (1) prendono quindi la forma 5 dV, 477 Arr 2 Gg AR Anto dU, 47r 47t n ui > AR SR Posto AR=% e sostituendo ad X', Y' le note espressioni si ha k_dV, un @) \ardt tera (a) Von SGAOR MG le (EI reni 41). relazioni che debbono essere soddisfatte in tutti i punti del piano $=0: a queste, come mostra il sig. Levi-Civita ('), se ne possono sostituire altre due valevoli in tutto lo spazio. Se si osserva che X,, Y, si possono pure considerare come potenziali ritardati (corrispondenti a distribuzione di super- ficie sul piano é= 0) quindi funzioni di |£| e continue attraverso il piano, si può dire che i primi membri delle (4) sono funzioni di &, n, || olo- morfe per tutti i valori reali di $. 7, |é| > 0, riducentisi rispettivamente cal IATA) ; pi 1 dr \d pra de \GF NO sl 2 Of=0. siae dn (F) ed m(1 —a de (7) per éî=0, e verificanti l'equazione Of=0 PORTATA I SVI Ra a Anche le funzioni 7 sh; G) ,m1— a?) de 3) soddisfanno a tutte queste condizioni quando in esse si ponga —|Î| in luogo di £, con che si toglie la singolarità nel punto 2. Ponendo quindi i si può alle (4), valevoli sul piano $="0, sostituire quest’altre valevoli in tutto lo spazio (1) Vedi Mem. cit., Annales de Toulouse, pag. 27. (5) | A queste due equazioni che legano le X,, Yi, U,, Vi se ne aggiun- gono altre due che derivano dalle (2) e (3). Si ha infatti dalle (2) AN, dY, dX de dae dy’ ossia AGMT). —a(-< dae t ae _ dy° e quindi dYi dXi dI, e EI Re Si dry: dy nai ni analogamente dalle (3) si ottiene: dM, dL, dX, BOTA ques SEE ci = e da dy da A queste due equazioni si può dare questa forma O _ ai __ da Cia i \a Gli gra 2 GEA0f da VE dX, n fat Tia Si ricava dalle (5) _ da 1) xk dU, \uama (7 2a dit v a =" an\p}) 2n dî le quali sostituite nelle (6) danno ; d° Vi dZU, adr dVi È \d-97x dle dna er dc Uk AO ATE ak d°U, _ 3 a (I | RO rale anale] en alc e E egli Di equazioni a eni debbono soddisfare U, e V,. Integrandole rispetto a |î| da un valore qualunque fino all'iafinito, annullandosi i due membri per |Î|]= 0, si ha ge a qs _ are di _ 0 (e i CAR AVERI EA 017 Dci RAT, LA Se Pad pa a) de + TATO Ca am(1 ) TE (DÌ ; RenpIcONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 29 — 226 — Dalla prima delle (9) ricavando dA e sostituendolo nella seconda, derivata rispetto ad n, si ottiene nl ( 3 di adr dvi) @Vi i Fre n O) E "Et alli È di? ak _d | xd, è sù E) ra) lele arr ine dalla quale, tenendo conto che OV,=0, si ricava per V, l'equazione Mer AA (1) CL ii +5) fina DÒ . Noa adr dV, , dVi Essa si può scrivere, ponendo G, = p dé tale sotto la forma ; ak dG, | dG FS O no) 2a de Malt enza) e l'integrazione di questa si può effettuare nel modo indicato dal Levi- Civita (). Ponendo (+2 1) +0 + (C++ 0] con w indeterminata, si ha Cp RE, t /w=0 Vv T/u=% T DE ai 2 T ak T du (8 on + a0) ed inoltre 0 2 ” quindi la funzione — ma { a (c) du soddisfa alla (10'). Essa sod- disfa inoltre alla O/=0, a cui pure deve soddisfare la G,, ed al pari di questa si comporta regolarmente per tutti i valori reali di & 7 $ avendo solo una discontinuità normale per é=0. Sa La differenza G, — (- il af dé da (1)%) , che dovrebbe essere funzione di sql l'infinito, è quindi identicamente nulla, e si ha perciò G I, Ja d* 1 )an eg di da (‘) Vedi Mem. cit., Annales de Toulouse, pag. 29. (6), dovendo soddisfare alla O/=0 ed annullarsi al- — 227 — Avendosi ora per V, l'equazione # BAR kdV, __mak(® d° 5) Lo O AI era Di dé 2 i poniamo =((+fiuta) +0 r+ +(i+a+utr e] essendo v una nuova indeterminata. Si ha in questo caso Il Ie, nai o dl Si riconosce quindi che l'espressione mak (°° SIVE I (11) ipa) du f te di (7)0 è una soluzione della (10”) e l’unica soddisfacente a tutte le altre condi- zioni a cui V, è soggetta. Per U, si ottiene con procedimento analogo dalle (9) l'equazione pe EO LU (an EU, (12) de ++ +e E I D\_ Cu dî (1 sil ke "al della quale la soluzione unica soddisfacente alle condizioni date è ma?k (© d SI ( _ am ea 2rr Il DE )dn— fd ef LI )a VAI Ottenute le espressioni di U, e n possiamo stabilire le espressioni delle componenti tangenziali delle forze elettromagnetiche. Si ha per X, l'espressione data dalle (7) che si può scrivere 1 d= _ ML (1) med ak i Me Table dr e al mal fee (a ) akm d (1 Dr 2re Jo dp o dry? \2r d|î| dat 2re dî (DÌ c Se si ricorda ora che si ha SZ LL dr de \aef al d|é k_d(L1\_d 1) Q ario si — 228 — ed inoltre ML) (0) la precedente diviene 1 mer d° (1 mak (© d? i MEO La slo Gela )- 0A Tp(a) {3 ) dn NIZIO __ ma 2k d3 1 o JE mf dn? dé (1 a 0a 1 e quindi, essendo Oc ; (SiWina d(1 nak d? (1 Lam (+7 Cl 1-#)f" de ()e- preti Ch (da ni: È DI, A questa, come all’analoga espressione di Y,, si può dare la forma esattamente coincidente con quella assegnata per l'altra via dal prof. Levi- Civita, ottenendo per le componenti tangenziali (mak (© d ) m) dU, Si e i Lane i )é m) dV, Vin gioni) tt (14) L, LN 1 dé ’ dU, Ma=— gi Restano ad ottenere le componenti normali Z, ed N,, che si hanno con quadrature dalle (2) e (3). Si ha dalle (2) dN, Ma d? (1)+4 ale i: d? Da de CT aed\p SEE. devi de ag d°V, d (dU, È 1a sr: de? k dedjij de\dn dé e questo tenendo conto delle (10) e (9). Così pure si ha AN, _d dU, _dVi dn —da\dy dé dN, _ d (i dh) a dr dé — 229 — e quindi _dU, _dV, a dr ds Ni In modo analogo si ha dalle (3) d o 2 IL m | SE Dro (7) de] restando così determinate tutte le componenti X,..... N, delle forze elet- tromagnetiche di induzione. Va Gi Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. % Serie 1* — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIIF. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Viet LV V.:VIESNMEE VIII. Serie 32 — TransonTI. Vol. I-VIII. (1876-84). i MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemoRrIE della Classe di setenze morali, storiche e filologich.. Vol. I-XIII. Serie 4* — ReNDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali: ‘Vol. I-XI. (1892-1902) 2° Sem. Fase. 8°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fase. 7°-8°. MEMORIE della Classe di serenze fisiche, »matematiche e naturali. Vol. I-II. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCRI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 10; per gli aliri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : ‘Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico Horpi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Ottobre 1902. INDICE (lasse di selenze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 19. ottobre 1902. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Amaldi. Determinazione delle superficie algebriche, su cui esistono di di due fasci di curve algebriche unisecantisi (pres. dal Corrisp. Oastelnuovo). . .. >. BOS ARL Picciati. La teoria di Hertz applicata alla determinazione del campo elettromagnetico gene- rato dalla traslazione uniforme d’una carica elettrica parallelamente ad un piano condut- tore. inidefinito (pres: daliCorrisp. Arco). Ae RAI cer) V. Cerruti Segretario responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma ‘2movembre 1902. N. 9. ATTI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIX. 1902 Sb Udo DA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XI. — Fascicolo 9° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all Accademia prima del 2 novembre 1902. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Hi PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1902 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse querta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Aeca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- ® cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti rigoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia, 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L' Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di unnumero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. PANINI INNO, Seduta del 2 novembre 1902. P. VILLARI, Presidente. PERSONALE ACCADEMICO L'Accademico Segretario CERRUTI comunica i ringraziamenti inviati, per la loro recente nomina, dai Corrispondenti: BeccaRI, DONATI, LuSTIG, PARONA, PascaL, VENTURI; e dai Soci stranieri: LORENTZ, THALÈN, DE VRIES, WIESNER, ZEUTHEN. i Il Presidente ViLLarI dà il triste annuncio delle perdite subìte dalla Classe durante le ferie accademiche, nelle persone dei Soci nazionali: FELICI, FERRERO, TARGIONI-TOZZETTI, Cossa, del Corrispondente MAGNAGHI, e dei Soci stranieri FAYE e VIRCHOW. Il Socio Rorri dà lettura di una Commemorazione dell’ accademico prof. RiccARDO FELICI ('). A nome del Socio CELORIA, il Vicepresidente BLAsERNA legge la se- guente Commemorazione del Socio, generale ANNIBALE FERRERO. Il giorno 7 dello scorso agosto morte immatura troncava l’esistenza del Tenente-Generale AnnIBALE FERRERO, Socio di questa nostra Accademia dei Lincei fin dal novembre del 1883. Sarebbe difficile e fors’ anche fuor di luogo seguire qui il Ferrero passo passo in tutta la vita sua, nei campi diversi ai quali via via rivolse la sua attività e nei quali seppe affermare la mente larga e comprensiva, l'ingegno (1) Questa Commemorazione sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. RenpIcoNTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 30 — 232 — colto e versatile, l'animo ardente e generoso. In quest aula può e deve piut- tosto essere messa in evidenza la parte efficace che egli prese al movimento e al progresso scientifico italiano. Fu tra i primi in Italia ad acquistare la percezione chiara e sicura del nuovo spirito che, in seguito alle opere immortali degli scienziati di genio vissuti nella prima metà del secolo XIX, doveva informare le operazioni geodetiche del nuovo Regno, a intuire il potente impulso che ad esse ope- razioni poteva venire da una partecipazione attiva dell’Italia all'Associazione costituitasi nel 1864 a Berlino per iniziativa del Generale Baeyer da prin- cipio sotto il nome di Associazione per la misura del grado medio europeo, in seguito sotto quello, che ancora oggi porta, di Associazione geodetica internazionale. sar Nel 1872 Capo della Divisione geodetica dell'allora Istituto topografico militare, dal 1885 fino al 1893 Direttore dell'Istituto geografico militare, nel quale in seguito l'Istituto topografico erasi trasformato, egli, pur conti- nuandone le tradizioni nobilissime, vi seppe eccitare e mantenere vivo uno spirito scientifico, innovatore, fecondo di risultati diversi ed utilissimi. Nel periodo 1873-83 Segretario della R. Commissione geodetica italiana, Presidente di essa dal 1883 fino al giorno di sua morte, nel periodo 1883-91 Membro della Commissione permanente dell’Associazione geodetica interna- zionale, nel periodo 1891-97 Vice-presidente di essa Commissione, a datare dal 1897 Vice-presidente dell'Associazione, egli dal cumulo di così impor- tanti funzioni trasse modo di coordinare agli intenti scientifici della Com- missione italiana e dell'Associazione internazionale i lavori pratici dell’ Isti- tuto geografico militare, e di far entrare energicamente la scienza nostra nelle vedute del suo maestro ed amico il Generale Baeyer sull'importanza somma che rilevamenti topografici esatti possono avere per la scienza e per la pra- tica. Così avvenne che per impulso suo scienziati forti e sapienti diventa- rono collaboratori suoi efficaci, e con lui riuscirono a far sì che il complesso dei lavori geodetici via via compiuti nel Regno d'Italia soddisfacesse non solo alle più alte esigenze scientifiche, ma oftrisse insieme le basi più sicure per le misure della vita pratica, per le costruzioni ferroviarie ed idrauliche, per l'amministrazione finanziaria e del Catasto, per le grandi misure agri- cole e forestali. Pubblicò il Ferrero: nel 1873 nna Memoria sul Sistema di protezione più conveniente per le carte topografiche d’Italia, sistema in seguito adot- tato; nel 1876 un libro ancor oggi pregiatissimo e intitolato Espostezione del metodo dei minimi quadrati. Nel periodo di tempo, 1887-1894, durante il quale tenne la Presidenza della Giunta superiore del Catasto, ispirò le notevolissime /struzioni di quella Giunta sui lavori trigonometrici, sulle po- ligonazioni, sul rilevamento particellare; nel 1892 pronunciò ai Lincei il discorso che intitolò: Pensieri sulla precisione delle misure; negli Atti — 233 — della R. Commissione geodetica italiana e nei Rendiconti dell’ Associazione geodetica internazionale pubblicò numerose Relazioni, e fra esse quella molto importante e voluminosa Sulle triangolazioni; nella XI Sessione, 1882, del- l'Associazione francese per il progresso delle scienze trattò della necessità di coordinare i molteplici lavori topografici e cartografici eseguiti per cura delle singole Amministrazioni di uno Stato, e preparò per tal modo la crea- zione in Italia, 1886, del « Consiglio superiore dei lavori geodetici dello Stato ». Ma l'opera sua vasta di geodeta e le pubblicazioni sue importanti non bastano a dare intera la misura dell’uomo. Una parte di questa ad esse sfugge, ed è il fascino tutto personale che egli esercitava in ogni riunione di uomini intellettuali alla quale prendesse parte, e che proveniva dalla ‘ innata distinzione della persona e dei modi, dalla cognizione delle lingue e dal modo corretto con cui le parlava, dall'indiscussa competenza tecnica sorretta da larga coltura storica e letteraria, dal pronto intuito delle que- stioni incidentali spesso personali e del più opportuno modo di risolverle, dall’abito filosofico della mente che lo portava a considerare i fatti, nei loro rapporti reciproci e nella loro complessità, dalla conversazione geniale, a sbalzi paradossale, attraentissima sempre, dall’innegabile qualità di oratore efficace, dall’impeto col quale, occorrendo, sapeva sostenere i concetti e i propositi dei quali fosse convinto. Si deve a questo insieme complesso e punto frequente di doti eminenti se egli esercitò sempre un'influenza di primo ordine, a volte preponderante e decisiva, nei lavori e nelle sorti dell’ Associazione geodetica internazionale, sicchè egli per consenso espresso dei più forti geodeti stava per esserne eletto Presidente. Ad esso insieme si deve ancora se egli durante il suo soggiorno in Inghilterra si acquistò le simpatie, l'amicizia, la stima degli scienziati più illustri di quel forte paese, tanto da ottenere, egli soldato e diploma- tico, il grado di « doctor juris honoris causa » dalle Università di Glasgow e di Cambridge. Il Socio TopARro legge la seguente Commemorazione del Socio, prof. ADboLFO TARGIONI- TOZZETTI. Con la morte di ApoLro TARGIONI-TOZZETTI sparisce uno dei migliori e più attivi cultori di Entomologia. Discendente da una famiglia d' il- lustri naturalisti, quali furono Giovanni e Ottavio Targioni-Tozzetti, appena laureatosi in Medicina si dette allo studio della Botanica, che professò con plauso in Firenze; pubblicando varî lavori, fra i quali il Saggio di studi intorno al guscio dei semi, che fu uno dei primi comparsi sopra questo argomento e che viene ancora citato nei libri di Botanica. — 234 — Più tardi si dedicò tutto alla Zoologia, specialmente degli Inverte- brati, per modo che, nel 1860, venne chiamato ad occupare la Cattedra d'Anatomia comparata e Zoologia degli Invertebrati nell’ Istituto superiore di Firenze. Nel 1875 il Ministero d'Agricoltura istituiva in Firenze l'ufficio d Ento- mologia agraria e chiamava il Targioni-Tozzetti alla Direzione di quel- l'Ufficio, nel quale egli spiegò una feconda attività, facendo studî e ri- cerche che tornarono a grande vantaggio dell'Agricoltura. Inoltre si interessò molto della pesca, intorno alla quale pubblicò varî lavori, dimostrando la sua grande competenza; come pure non trascurò gli argomenti, che si rife- riscono alla caccia, studiando, in relazione con essa, gli uccelli e gli insetti nocivi all'Agricoltura. Adunque il Targioni-Tozzetti fu operosissimo ed acutissimo indagatore; ma nella sua mente la stessa ricerca scientifica avea per mira precipua l'utile, l'applicazione o il bene immediato, onde soleva ripetere: Misi wzile est quod facimus, stulta est gloria. Tuttavia pubblicò numerosi lavori di pura Zoologia, fra’ quali trovo notevoli: la memoria sopra l'organo che fa lume nelle lucciole; quella sopra la composizione delle zampe del &yrinus natator; gli studî sopra le coc- ciniglie; il riassunto ed emendamento dei prospetti dei generi e delle specie degli Ortotteri; lo studio dei Crostacei brachiuri anomali. Ma i lavori, nei quali fin dal primo momento il Targioni-Tozzetti mostrò il suo ingegno spe- ciale alle ricerche agronomiche, furono le memorie e le relazioni dei suoi lavori intorno alle malattie dell'uva e della vite, per cui fu uno dei primi a stu- diare in Italia l'Oidium e la Feillossera della vite. Per questi studi, citati con onore anche dagli stranieri, e per le profonde e numerose conoscenze che mostrò possedere nell’ Entomologia, quando per la prima volta fu isti- tuita nella nostra Classe la sezione d'Agraria, il pensiero di tutti corse ad Adolfo Targioni-Tozzetti, il quale, prima (1888) Socio corrispondente, venne di poi, nel 1899, eletto Socio nazionale della R. Accademia dei Lincei. Pari all'ingegno eletto il Targioni-Tozzetti ebbe l'animo gentile e però nel colera che nel 1854 infierì anche in Toscana, si distinse in qualità di medico straordinario del Governo. Fu oratore felice e scrittore forbitissimo. Di modi squisitamente affabili, si tenne sempre sereno nelle discussioni più ardenti. Per tali qualità di mente e di cuore, non ostante che fin da giovane avesse occupato posti eminenti, fu amato e stimato da tutti, inchi- nandosi reverente anche l'invidia innanzi a questa nobile figura. Il Segretario CERRUTI, a nome del Corrispondente Piccini, legge la seguente — 235 — Commemorazione del Socio, prof. ALFONSO Cossa. Chi ebbe con ALFonso Cossa una lunga dimestichezza, si dovette accor- gere che la salute di lui andava declinando più di quanto portasse l'età ! La persona fatta un po curva, il passo non ben sicuro, il respiro alquanto difficile, la diminuita mobilità della fisonomia davano a divedere che il lavoro eccessivo, le lotte combattute a pro’ della scienza e dell'insegnamento are- vano fiaccata, non già doma, la sua fibra robusta. Nessuno però, nemmeno fra i suoi famigliari, avrebbe sospettato una fine così pronta e così improvvisa. Di ritorno da Roma, dopo aver preso parte ad una commissione esaminatrice, giunse il 16 del mese scorso a Torino; ove subito fu colto dal male che, apparso lieve in principio, si aggravò a un tratto e nelle ore mattutine del 23 lo tolse di vita. Nello scrivere questa frase trema la mia mano che lo salutò al suo passaggio da Firenze, poche ore prima che egli salisse quel letto, dal quale doveva in brevi giorni calar nella tomba. Alfonso Cossa nacque del nobile Giuseppe (nella paleografia e nella diplomatica peritissimo) e della Maria Bagnacavallo in Milano il 8 novembre del 1833. Laureato in medicina a Pavia, ivi rimase prima come assistente di materia medica e botanica, poi come assistente di chimica mostrando per questa, di bwon'ora, una forte inclinazione. Nella lettura fatta il 3 novembre 1893 all'Accademia Olimpica di Vicenza sopra Angelo Sala, il Cossa mede- simo lo racconta « appassionato per la chimica, ma costretto ad un amore platonico, perchè in quel tempo (1858) nell’ Università di Pavia non era concesso ai giovani studiosi di dedicarsi a ricerche sperimentali in un labo- ratorio, cercava di assecondare la mia inclinazione coll’applicarmi, come sapeva e poteva, allo studio della storia della scienza ». Pur troppo nella maggior parte delle Università italiane, anzi in quasi tutte, la chimica son- necchiava, proprio in quell'anno in cui il nostro Cannizzaro dava alle stampe, sotto la modesta forma di Suxto di lezioni, la sua dottrina degli atomi, che dall'Ateneo di Genova doveva poi diffondersi in tutto il mondo, ispiratrice di preclare scoperte; valga per tutte quella del sistema periodico degli elementi. Rimase il Cossa in Pavia farmacista aggregato all'Università, professore di chimica e direttore dell'istituto tecnico; finchè nel 1866, che portò il Veneto all'amplesso delle regioni sorelle, fu, per intromissione di Quintino Sella, di cui si era già guadagnata la stima, incaricato di fondare l'istituto tecnico ad Udine, ove rimase fino al 1871 come insegnante e come preside. Venne poi chiamato a dirigere la Stazione agraria di Torino e al tempo stesso a dar lezioni di chimica al Museo industriale. Nel 1878-79 fu anche incaricato dell'insegnamento della chimica agli allievi universitarìî del primo biennio di matematiche; finchè, ritiratosi Ascanio Sobrero, a lui successe = 230..— nel 1882 nella cattedra di Chimica docimastica presso la Scuola degl’ inge- gneri (al Valentino) alla quale pochi anni dopo presiedè, come direttore, dedicandovi fino agli estremi giorni di sua vita le cure più amorose ed assidue. Insegnante pieno di zelo, efficacissimo, amministratore coscienzioso e severo, il suo parere fu spesso, e sempre con frutto, richiesto per affari con- cernenti la pubblica istruzione, l'agricoltura e l'industria: sicchè il suo nome fu tra i preferiti a comporre le commissioni ed i consigli tecnici dei diversi Ministeri. Ma l'insegnamento, i pubblici ufficî, per quanto gravosi, una parte soltanto assorbirono dell'instancabile operosità di Alfonso Cossa. Agli studî, al suoi prediletti studî, alle sue esperienze egli si dedicò sempre con entu- slasmo: e i numerosissimi lavori, che ci dette compiuti, faranno, come fecero, apprezzare il suo nome ovunque la chimica abbia studiosi. La sua opera scientifica si riferisce alla chimica agraria, alla chimica mineralogica, alla chimica inorganica. A quest ultima era specialmente inclinato l'animo suo; ma, privo di scuole e di esempî, subì in principio quel che dicono in//uenza dell'ambiente e gli studî di botanica congiunse alle ricerche analitiche, donde i lavori di chimica agraria; più tardi dalle analisi dei terreni, delle roccie che gli originano col loro disfacimento, fu condotto alla petrografia e alla chimica minerale: finchè il nobile desiderio di risolvere i problemi, di chia- rire i dubbî, che gli si erano presentati nelle diverse ricerche, lo spinsero all'indagine puramente scientifica. Questa l'evoluzione della sua mente quale apparisce dalla serie dei suoi lavori, quale egli stesso ebbe a narrarmi con parole ben acconce a dipingere lo sforzo, durato con volontà ferrea, per rag- giungere senza aluto altrui la meta, verso la quale il natural talento lo dirigeva. Se pregevoli sono i suoi lavori di chimica agraria, in maggior conside- razione meritano di esser tenuti quelli di petrografia e di chimica minera- logica: sono essi numerosissimi e comprendono, oltre le indagini microsco- piche e le analisi dei minerali, anche gli studî sulla loro riproduzione arti- ficiale. Sotto il nome di Cossazte va un minerale da lui studiato, che costi- tuisce una varietà di Paragonite (gruppo delle miche). La scrupolosa minuzia posta dal Cossa nelle sue estesissime ricerche sopra i minerali lo condusse, talvolta, ad assurgere dalle modeste analisi a studî elevati di Chimica teoretica. Così a spiegarsi la presenza del cerio nelle apatiti, affatto omo- genee, studiò la diffusione di questo elemento; e, avendo confermato la sua frequente associazione col calcio, istituì delle esperienze per dimo- strare, con l’ isomorfismo e con altri caratteri, le analogie della calce con l’ossido ceroso, onde a questo converrebbe la formola RO: come anche oggi altri crede, contro l'autorità dei più e, peggio ancora, contro l'evidenza dei fatti nuovi e dei già noti, ma novellamente interpretati. Il che ben poco toglie di merito al grande lavoro del Cossa, eseguito in un campo, ai tempi — 237 — suoi così oscuro, con tutti gli accorgimenti dell’arte, istruttivo per la pru- dente sobrietà delle conclusioni e per la larga messe di fatti importantissimi messì in luce. Avea Quintino Sella nella sua gioventù studiato le forme cristalline di alcuni composti ammoniacali del platino. Invitato il Cossa a commemorare nella nostra Accademia l'illustre cristallografo, riprese la lettura di questi lavori; ed estendendo, come era suo costume, le ricerche bibliografiche sul- l'argomento, si accorse che, ad onta delle molte ricerche fatte, molto ancora poteva sperarsi. Messosi all'opera con quantità ingenti di materiale, sì accinse a rivedere i lavori fatti, dal Magnus e dal Reiset in pol: e già dal 3 maggio 1885 cominciava a farci una lunga serie di comunicazioni, una più impor- tante dell'altra, sulle basi ammoniacali del platino fino ad annunziarcene la scoperta di una nuova, contenente una molecola sola di ammoniaca, da lui chiamata platososemiammina ; divenuta poi notissima, ed oggetto di dotte discussioni, sotto il nome di dase del Cossa. Le ricerche compiute su questa sono minuziose ed eseguite magistralmente: le Memorie in cui sono descritte rimarranno veramente classiche; e fanno fede come, al contrario di quel che suole accadere, si affinasse in lui con l'età l'attitudine alla ricerca, si accen- desse vieppiù il sacro fuoco dell’investigazione. E poco più di un anno è trascorso da che vide la luce il suo prezioso Manualetto: Mozzoni fondamentali di Elettrochimica, ove con la massima chiarezza e con tutti gli espedienti del maestro provetto s'insegnano i primi principî di quelle dottrine, di cui tanto si è avvantaggiata la chimica inor- ganica tornando, per rinnovati sentieri, al dualismo ond'ebbe la vita. Il Cossa sentì presto, anzi presentì, la trasformazione che la prediletta sua disciplina doveva fatalmente subire e vi si preparò per tempo con lo studio delle ma- tematiche; non disdegnando tornare, già celebre e in età matura, nei banchi di scuola per far tesoro delle dotte lezioni del suo e nostro collega D'Ovidio: cui la sorte riserbava il pietoso ufficio di chiudere gli occhi all'amico adorato e porgere i primi conforti alla famiglia rimasta atterrita dalla sventura. L'entusiasmo per la scienza non rese il Cossa insensibile alle finezze dell'arte: natura privilegiata, intendeva e sentiva colla stessa energia. Amava i classici e gli studiava molto; curava diligentemente la forma anche negli scritti scientifici: e della sua cultura fanno buona testimonianza alcune mono- grafie; come quella, già citata, sopra Angelo Sala. Bene, dunque, meritò il compianto collega l'onore di essere annoverato fra i membri di preclare Accademie e Società scientifiche: oltre che alla nostra Accademia, apparteneva ai XL, all'Accademia di Berlino, di Catania, di Napoli, di Bologna, all'Istituto Lombardo, all'Istituto Veneto, all’Acca- demia di Torino; della quale era, da più di un anno, venerato presidente. E alla stima e all'amicizia dei dotti si unì l’affettuosa devozione di quanti lo conobbero e videro l'uomo degno dello scienziato. — 238 — Il Presidente VILLARI, rilevando quanto l'Accademia sia stata dura- mente colpita colle gravi e numerose perdite di tanti illustri ed amati Col- leghi, ritiene d’interpretare il sentimento della Classe, togliendo la seduta in segno di lutto. Avverte poi i Soci che le comunicazioni scientifiche le - quali dovevano esser presentate durante l'adunanza, potranno esser trasmesse alla Presidenza. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute alla Presidenza nella seduta del 2 novembre 1902. Astronomia. — Osservazioni e calcolo d'orbita del pianetino JL 1902 (Venetia). Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH. Il pianetino fu ritrovato sulla lastra fotografica il 9 luglio 1902 dal dott. L. Carnera, nostro valoroso giovane, che, ad Heidelberg (Kénigsthul), sotto la direzione del prof. M. Wolf, fece numerose scoperte di pianetini. L'astro fu osservato, per quanto io sappia, ad Heidelberg, a Vienna e da me col grande rifrattore di 38 cm. d'apertura. Le mie osservazioni si estendono dal 12 Luglio al 22 Settembre; le tre ultime avendo a guida un'effemeride approssimata calcolata dal dott. Berberich, tutte le altre essendo state fatte extrapolando dalle osservazioni il luogo approssimato, e ritrovando in tal modo successivamente l'astro. Il quadro delle mie osservazioni è il seguente: 1902 Luglio 12 118 519 315 R.C.R. Grandezza 11.5 « apparente 20 23. 52.09 (92.163) 0) ” — 20° 17° 147. 2 (0. 883) 1902 Luglio 13 10h 48m 65 R.C.R. Grandezza 11.5 « apparente 20 23 6.29 (92.418) 0) ” — 20° 23” 88”. 4 (0. 867) 1902 Luglio 15 11h 10" 568 R.C.R. Grandezza 11.5 « apparente 20 21 26.50 (92.291) d ” —- 20987’ 26”. 4. (0.879) 1902 Luglio 25 10h 51 408 R.C.R. Grandezza 11.5 « apparente 20012 41.38. (92.151) O) ” — 21° 46" 17.2 (0.889) 1902 Agosto 4 1928 95 R.C.R. Grandezza 11.6 « apparente 203 44.58 (92.082) d ” — 22° 51’ 45” 2 (0. 895) 1902 Agosto 6 10% 27 36° R.C.R. Grandezza 11.5 « apparente 202 6.64 (80.878) SANE, — 28° 3 32”. 7 (0.898) — 299 — 1902 Agosto 27 10h 6m 5s R.C.R. Grandezza 12.0 « apparente 19 48 32.29 (8. 903) CD) ” — 24° 46” 16”. 1 (0.904) 1902 Settembre 10° 10h 0m 475 R.C.R. (Posiz. un poco « apparente 19 45 38.10 (9. 272) incerta) D) ” — 25925” 51”. 72 (0. 896) 1902 Settembre 20 7h 18m 485 R.C.R. Grandezza 12.4 « apparente 19 47 35.49 (80.741) d ” — 25° 41’ 44”. 6 (9. 908) Colle tre mie osservazioni di Luglio 12 e 21 e di Agosto 4, il dott. Berberich calcolò un'orbita approssimata ed un'effemeride, colla quale potei osservare l’astro nelle mie tre ultime posizioni. Il calcolo dell'orbita venne fatto da me utilizzando l’intero intervallo di 72 giorni sopra un arco eliocentrico di 16° !/». L'ellisse è poco eccentrica, quindi 77 e g si determinano male. Gli elementi seguenti derivano dalle mie osservazioni del 12 Luglio, 27 Agosto e 22 Settembre, l’ultima delle quali non era così facile come le altre, e perciò meno sicura. Il pianetino venne denominato « Venetia » dal dott. Carnera dietro mia preghiera. To 1902 Agosto 4 12° Berlino M = 280° 8' 517.1 p = 453 56. 4 w = 278 3 44.5 Î \)} = 115 2 14,5 | ‘19020 go i0.10 152251 = 813. 1842 Mot= I,6 g = 8,6 Con questi elementi ho calcolato un'effemeride a 6 figure allo scopo di comparare tutte le osservazioni, in numero di 12 (2 di Vienna ed una di Heidelberga), col conto, coll'intenzione di correggere i prefati elementi, che resteranno sempre approssimati, ma tali da permettere la ricerca senza grave difficoltà del pianeta in seconda opposizione. Gli scarti fra le osservazioni ed il calcolo, aggruppati alle date: 1902 Luglio 12, Agosto 1, Settembre 2 e Settembre 22 a mezzanotte di Berlino sono i seguenti: 15 4a 40 0”.0 +10 A 19. 8 +2. 4 dt 0. 0 0. 0 Essi sono poco sicuri, ma l'eliminazione di essi migliorerà di qualche cosa gli elementi prefati. RenpIconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. ol — 240 — Astronomia. — Osservazioni della cometa Perrine b 1902. Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH. i La cometa fu scoperta dall'astronomo Perrine all’ Osservatorio Monte Hamilton in California all'alba del 1° Settembre; essa venne trovata a Mar- siglia dall’astronomo Borrelly il 2 Settembre indipendentemente dalla pri- mitiva scoperta. La cometa verso la fine di Settembre scorgevasi con difficoltà ad occhio nudo; verso l'11 Ottobre era osservata facilmente anche da chi ne ignorava la posizione; attualmente non vedesi più se non se ne sappia esattamente il luogo; fra breve si immergerà nei crepuscoli serotini, giacchè il 12 Novembre tramonta a 6°50" M. E. C. Inizi di coda si videro fin dalle prime sere, poi l'astro fu in opposi- zione, e però essa vedevasi appena appena per iscorcio, indi, liberatasi la cometa dall'opposizione, la coda, sviluppantesi, ruotò intorno al circolo di declinazione. Una determinazione esatta della sua lunghezza (ampiezza) io potei avere il 81 Ottobre a 6 1/, sera, poichè, se, centrando nel nucleo si descriveva un cerchio con raggio eguale all'ampiezza della coda, sulla periferia di esso giaceva la stella 31849 Lalande in Ofiuco; d’onde l'ampiezza sensibile mi risultò di 1°26' e l'orientamento per N 79°,8 E. Un’orbita parabolica rappresenta per ora abbastanza bene le osserva- zioni. Secondo i recentissimi calcoli del dott. Elis Stròmgren si ha: Passaggio al perielio 1902 Nov. 23,889 Berlino Distanza perielia 0,401 = 59950 migliaia di chilometri. Longitudine del perielio 202°19' Longitudine del nodo 49 21 1902.0 Inclinazione 156 21 La cometa quindi ha moto retrogrado; essa si accostò alla terra il 6 Ottobre fino a distarle 0,38; poi cominciò ad allontanarsene; un nuovo ravvicinamento (0,74) avrà luogo in Gennaio per essere verso la prima metà di Febbraio luminosa quanto era circa all’epoca della scoperta. L'astro quindi dopo il passaggio al perielio potrà essere osservato per lungo tempo nell’emi- sfero australe, e, probabilmente fino ad Aprile e Maggio 1903, in ambedue gli emisferi. La grande vicinanza della cometa (il 30 Novembre) a Mercurio, circa 0,02, permetterà una determinazione della massa del pianeta. Le posì- zioni da me fatte al 38 cm. d'apertura, con micrometro filare e amplifica- zioni fra 180 e 240, sono le seguenti: — 241 — 1902 Settembre 3 gh 372 255 R.C.R. « apparente cometa 3 15 40.46 (92.720) d » ” 35° 35° 337.9 N (0. 746) 1902 Settembre 5 10h 4] 465 IRACOR: « apparente cometa 3 13 16.57 (92.733) d ” ” 86° 29’ 58”. 6 N(0. 631) 1902 Settembre 8° 10h 23m 435 R.C..R. « apparente cometa 3 8 39.15 (092.742) 0) ” » 37° 59’ 31”. 6 N (0. 623) 1902 Settembre 22 10% 58m 465 R. C.R. « apparente cometa 2 5 54. 56 (090.682) d » » 49° 11’ 26”. 0 N (9. 564) 1902 Ottobre 13 gh4]m 78 R.C.R. 24° 58’ 25”. 0 N (0. 622) 9 42 8 ” 18h 42% 345.05 (9. 645) 1902 Ottobre 18 gh 49m 865 R.C.R. 18% 40m 225.23 (09. 645) 9 43 19 ” 12° 4° 27”.6N(0. 741) Le osservazioni posteriori all'ultima data non sono ridotte. Zoologia. — Ricerche sul C'ytorictes del Guarmieri. Nota dei Soci G. B. Grassi e P. Foì. Matematica. — Sulle relazioni algebriche fra le funzioni 9 di una variabile e sul teorema di addizione. Nota del Corrispon- dente ALFREDO CAPELLI. Chimica. — Sulla non prevalenza dei sali potassici nella bile dei pesci marini. Nota preliminare di C. U. ZANETTI, pre- sentata dal Socio CANNIZZARO. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sull’acido monocloroplatinico ('). Nota I di ITALO BeLLUCCI, presentata dal Socio CANNIZZARO. Allo scopo di chiarire alcune questioni che mi si sono presentate nel corso di uno studio da me intrapreso sui platinati, fui indotto a ripetere alcune esperienze, eseguite già da moltissimi anni da diversi chimici e relative al- l’azione della luce solare sovra i miscugli di soluzioni di acido cloroplatinico Pt CI° H° e di idrati alcalini ed alcalino-terrosi. E vi fui indotto anche per il fatto che il Miolati nella sua Memoria sul tetracloruro di platino (?) ac- cenna alla probabile interpretazione da darsi ai composti che prendono ori- (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Chimica generale della R. Università di Roma. (2) Zeitschr. f. anorg. Chemie, XXII, 464. = OA gine in tali circostanze, concludendo egli col dire che sarebbe stato interes- sante un loro studio accurato. I platinati, così poco conosciuti, costituiscono una di quelle ben rare categorie di composti della chimica minerale, per ottenere i quali si è espe- rimentata anche l’azione della luce solare, e specialmente il comportamento - degli idrati di calcio e di bario di fronte all’acido cloroplatinico, sotto l' in- fluenza della luce solare, è riuscito ad interessare parecchi chimici. Avendo avuto occasione, come ho detto, di ripetere ed anche di estendere queste esperienze, ed essendo giunto a conclusioni di fatto che hanno portato all’ identificazione di un nuovo acido clorurato del platino, già preveduto teoricamente dal Miolati (loc. cit.), trovo opportuno riassumere nella presente Nota i risultati delle mie ricerche, facendo anzitutto precedere per sommi capi alcune notizie storiche. PARTE STORICA. Fin dal 1832 Herschel (!) in una sua Memoria ha notato che rendendo fortemente alcalina con eccesso di acqua di calce una soluzione di ac. cloro- platinico e lasciando questa miscela esposta alla luce solare diffusa, soltanto dopo lungo tempo si formava in seno ad essa un leggerissimo precipitato, nel mentre che, esponendo la stessa miscela alla luce solare diretta, essa si intor- bidava subito e si deponeva abbondantemente al fondo del recipiente una sostanza bianco-giallognola, finemente cristallina. Herschel ha creduto trattarsi di un platinato di calcio, e sebbene il composto non sia stato da lui studiato ulteriormente, pure, anche oggidì, nella letteratura dei composti del platino, queta sostanza è rimasta indicata col nome di sale di Herschel. Nell'anno successivo I. W. Déòbereiner (*) pubblicando alcuni suoi studî sui platinati ebbe occasione di esaminare il sale di Herschel, nel quale però riscontrò anche la presenza del cloro. L’ interpretò quindi, a differenza del- l’ Herschel, non come un platinato di calcio, ma come una combinazione di tetracloruro di platino con platinato di calcio, attribuendogli con riserva la formola : Pt C14+ Ca 0, BPto?. Seguono nel 1835 Weiss e Fr. Dòhereiner (3), e Fr. Dobereiner da solo (4), i quali, studiando certi metodi di analisi dei minerali platiniferi degli Urali, analizzarono ripetutamente il sale di Herschel, in cui rinvennero sempre un (!) Annal. der Pharmacie, 2, 337 (1832). (2) Poggend. Annalen, 28, 180 (1833). (8) Annal. der Pharmacie, /4, 18. (4) Ibid., 14, 252. — 243 — quantitativo di cloro concordante perfettamente con quello trovato dal chimico precedente. Nell'attribuirgli una formola, in base ai loro risultati analitici, ammisero come possibile che il cloro fosse combinato soltanto con il calcio e ne dedussero la seguente formola di sale doppio : 3 Ca CI? + 2(Ca0 , 3 PtO* , 12H°0). Si giunge così all'anno 1870 in cui comparisce intorno a questo argomento lo studio più esteso ed accurato di E. Johansen (') sul comportamento dell'acido cloroplatinico di fronte all'acqua di calce e di barite. Impiegando un tale eccesso di acqua di calce e di barite da far rimanere l’ambiente costantemente alcalino, il Johansen ottenne, per l’azione della luce solare diretta, dei precipitati bianco-giallognoli, del tutto simili tra loro, ed ai quali assegnò rispettiva- mente le formole : Pt? Ca? C1° 05 --- 7 H° 0 Pt* Ba* C1* 0!° |+- 11 H° O che, come vedesi, stabiliscono per i due sali un'analoga composizione, salvo che il sale di bario contiene un po' meno di acqua. Il Johansen tentò di dare una formola più razionale ai composti ora ricordati, proponendosi il problema di indagare se il cloro in tali composti fosse legato al platino o alle basi alcalino-terrose, ma non potè giungere coi suoi tentativi a risultati concludenti (°). Dopo questo lavoro del Johansen, nessun chimico si è più occupato di questi composti. Ora, mentre da un lato, esaminando le numerose analisi eseguite sul sale di Herschel dai chimici citati, risalta subito una grande concordanza nei risultati analitici ottenuti, il che almeno fa ammettere che tale composto sia unico e ben definito, dall'altro lato i varî tipi di formole (!) Ibid., /55, 204 (1870). (?) A complemento della letteratura su questo argomento convien notare che nello stesso anno 1870 Topsée (Berichte, 1870, 462) pubblicava una Memoria sugli ossidi idrati del platino e sul platinato di bario, in cui asserisce di aver ottenuto un platinato di bario della formola Ba Pt 0*,4H? 0, scaldand all’ebollizione una soluzione di acido cloropla- tinico con fortissimo eccesso di acqua di barite. Nelle identiche condizioni però il Johansen (loc. cit.) ha ottenuto costantemente, con la conferma di numerose e concordanti analisi, un prodotto clorurato. È lecito supporre che al Topsée sia sfuggita in quel composto la presenza del cloro, sia perchè (come nota anche il Gmelin nel suo Trattato, vol. III, pag. 1075), le percentuali analitiche trovate dal Topsée, ad eccezione ben s'intende del cloro, concordano molto bene con quelle ottenute dal Johansen nel caso del prodotto cloru- rato, sia perchè manca al Topsde stesso la conferma analitica delle quattro molecole di acqua da lui attribuite al platinato ora indicato. È bene notare ciò perchè in quelle condi- zioni di esperienza, come ho potuto accertarmene anche io per prove dirette, si ottengono sempre prodotti clorurati, quali ha ottenuto il Johansen, e perchè va accolta quindi con la dovuta riserva la formola Ba Pt 03,4 H? O che nella incerta e molto scarsa letteratura dei platinati starebbe fino ad ora a rappresentare un tipo normale di sale. — 244 — destinati ad interpretarlo non ne dànno, come si vede, alcuna spiegazione razionale e soddisfacente. Il Miolati, nella sua Memoria sul tetracloruro di platino ('), parlando della possibilità dell’esistenza di una serie di acidi del platino, che dall’acido cloroplatinico Pt C1° H° giunge sino al platinico Pt (OH) H? per graduale - sostituzione nel primo degli atomi di cloro con ossidrili : [Pt C1°] H? — [Pt CI* (0H)] H® — [Pt CI*(0H)?] H? — [Pt C1° (08)? H°]— — [Pt C1° (OH)*] H® — [Pt C1 (0H)*] H®? — [Pt (0H)°] H? emise l’idea che i composti che si ottengono per azione della luce solare potes- sero rappresentare i sali di bario e di calcio dell'acido monocloroplatinico [Pt C1(OH)*]H®, vale a dire del penultimo termine, sconosciuto, della serie di acidi ora riportata. Secondo lui le formole date dal Johansen ai sali sopra ricordati, dovevansi semplificare nel modo seguente : Pt? Ca? CI 05 + 7H*0=2[Pt C1(0H)"] Ca , H® 0 Pt Ba' Cl' 0° + 11 H*0=4[Pt C1(0H)]Ba,'/,H°0. La geniale intuizione del Miolati ha corrisposto infatti alla realtà, avendone io potuto constatare la giustezza dal lato sperimentale ed essendo riuscito ad identificare l'esistenza dell'acido monocloroplatinico [ Pt C1(0H)*]H®, del quale mi occupo appunto nella presente Nota. Mi sembra opportuno osservare come questa nuova interpretazione eon- cordi del resto perfettamente con tutti i risultati analitici trovati per il sale di Herschel dai chimici sovra ricordati. Guardando anzitutto i tre tipi di formole date da essi per detto sale: Pt C1' + Ca 0,3 PtO? J. W. Dòbereiner 8 Ca Cl? +2(Ca0,3Pt0°4+12H°0) Weiss e Fr. Dòbereiner Pt? Ca?.C1I02. ZH? O Johansen appare subito che in tutte il rapporto tra gli atomi di platino e di cloro è come 1:1 quale è richiesto dalla nuova formola [Pt C1 (0H)5] Ca, H° 0. Se si pone attenzione poi alle varie percentuali riportate nelle analisi relative, e che qui trovo inutile riferire, si hanno per i varî costituenti del sale di Herschel dati molto concordanti con quelli che derivano dalla formola [Pt C1(0H)*]Ca, H?0. Soffermandoci, ad es., alle percentuali del cloro si ha: Weiss e Fr. Débereiner Fr. Dobereiner Johansen Calcol. per [Pt C1(0H)5] Ca, H*0 Cloro °/5 9.97 9.35 9.32 9.50 (1) Loc. cit. — 245 — La deduzione più notevole a favore della nuova interpretazione deve però ricavarsi dalle percentuali di acqua trovate sperimentalmente nel sale di Herschel dal Johansen e prima di lui anche dagli altri. Per determinare l’acqua lo Johansen, dopo aver mescolato il sale con soda anidra (per evitare la perdita in acido cloridrico), lo scaldava fortemente in navicella di platino entro una canna di vetro, per cui passava una corrente di aria secca, trattenendo l’acqua che si sviluppava con un tubo a cloruro di calcio. In tali condizioni il sale [ Pt C1(0H)° |Ca, H* 0, nuova formola spet- tante al sale di Herschel, non può svolgere in totale che tre molecole e mezzo di acqua, di cui due e mezzo derivanti dalla scomposizione dei cinque ossiì- drili ed una dall'acqua di cristallizzazione (vale a dire il 16.90 °/, di acqua). Ebbene in tal caso si hanno i seguenti dati di una concordanza molto signifi- cante: Calcol. per Fr. Dobereiner Weiss e Fr. Dòbereiner Johansen [PtC1(0H)5] Ca, H*0 3+:!/,H°0 17.37 17.65 16.17 16.90 A ciò devesi aggiungere che di queste tre molecole e mezzo di acqua, come ho potuto provare sperimentalmente, una sola, quella di cristallizzazione, si allontana per riscaldamento a 100° e che occorre un innalzamente di tempe- ratura molto più spinto per fargli perdere le altre due molecole e mezzo. Bastino queste poche osservazioni per mostrare come le analisi eseguite in passato dai chimici sul sale di Herschel, per quanto varie e discordanti tra loro sien state poi le interpretazioni, conducano a giustificare per detto sale la formola [Pt C1 (OH)*] Ca, H° 0. PARTE SPERIMENTALE. Le prime prove che ho eseguite sono state dirette a ripetere le espe- rienze con gli idrati di calcio e di bario, che io ho poi estese anche all'idrato di stronzio. In un grande vaso di vetro (capacità circa 3 litri), a pareti incolore ed a tappo largo smerigliato, ad una quantità di acido cloroplatinico (non eccedente dieci grammi), cristallizzato, purissimo, si aggiunge rapidamente la soluzione acquosa, satura a freddo, ben limpida, degli idrati di calcio, di bario o di stronzio, fino a riempire quasi completamente il recipiente. Dopo aver agitato il liquido per renderlo omogeneo, si espone il recipiente, chiuso dal tappo a smeriglio, alla luce solare diretta, con che, a capo di qualche minuto, comin- ciano a formarsi, in seno alla massa limpida del liquido, delle strie lattigi- nose che si estendono rapidamente fino a far diventare il liquido stesso forte- mente torbido. Dopo qualche ora, a seconda dell'intensità luminosa, si trova che il color giallo della soluzione è scomparso ed al fondo del recipiente vi è uno strato abbondante di una sostanza leggermente giallognola, formata da — 246 — scaglie di splendore setaceo. La reazione è terminata; si decanta con rapidità ed il meglio possibile la maggior parte del liquido che trovasi sovra al preci- pitato e si agita questo ripetutamente e sempre decantando con soluzione diluitissima (5 °/) di acido acetico, il quale, mentre in quel grado di dilui- zione scioglie soltanto minime quantità del composto, toglie le inevitabili, per quanto tenui, impurità di carbonati alcalino-terrosi, dovuti all'influenza del- l'anidride carbonica atmosferica. Si filtra il precipitato alla pompa, si lava bene con acqua fredda, poi con alcool ed etere, e sì asciuga tra carta. Condi- zione essenziale per ottenere questi composti puri si è che il liquido in seno a cui si svolge la reazione si mantenga decisamente alcalino, anche al termine di questa ; altrimenti non si ha la decolorazione completa del liquido e si ottengono precipitati che non sono altro che miscugli. Operando nelle condi- zioni di esperienza ora citate, per azione della luce solare diffusa, invece che diretta, i precipitati si forman molto più lentamente, solo in capo a qualche giorno, ed aderiscono tutto intorno alle pareti interne del recipiente, sotto forma di pallottoline cristalline, non dissimili però in composizione chimica dalla polvere cristallina che si ottiene alla luce solare diretta. Effettuando e mantenendo poi la miscela dell'acido cloroplatinico con gli idrati alcalino-terrosi perfettamente all'oscuro, non sì ha alcun precipitato nemmeno in capo a pa- recchi giorni. I tre sali di bario, calcio e stronzio, ottenuti nelle condizioni ora de- scritte, sono l’un l’altro perfettamente simili, di colorito leggermente giallo- gnolo, in laminette setacee, insolubili in acqua e negli ordinarî solventi neutri organici. Per analizzarli ho dovuto effettuarne la soluzione acquosa con l’aiuto di piccolissime quantità di acido nitrico, che ho preferito all'acido acetico, di cui ne sarebbe occorsa una quantità molto più grande, incomoda per i metodi di analisi che dovevo seguire. Riferisco i risultati ottenuti nell’analisi dei tre sali. Sale di calcio [Pt C1(0H)"] Ca, H° 0. Dalla soluzione, debolmente nitrica, di un peso determinato di questo sale si precipitò il platino a bagno maria con nastro di magnesio. Separato il platino si dosò nel filtrato o il cloro, precipitandolo con nitrato d'argento, o il calcio allo stato di ossalato e quindi di ossido. 1°. Gr. 0,3632 di sostanza, ridotti in tal modo. dettero gr. 0,1886 di platino e gr. 0,1385 di cloruro d'argento. 2°. Gr. 0,3872 di sostanza, id. id., dettero gr. 0,1998 di platino e gr. 0,1458 di cloruro d'argento. 3°. Gr. 0,4624 di sostanza, id. id., dettero gr. 0,2398 di platino e gr. 0,0718 di ossido di calcio. 4°. Gr. 0,8982 di sostanza, mantenuti in stufa a 100°, fino a peso costante, persero gr. 0,0395 di acqua. — 247 — Riferendosi a 100 parti di sostanza, si ha : Trovato Calcolato per I I III IV [Pt C1(0H)"] Ca, H* 0 Pt 51.98 51.60 51.86 — 52.18 Ca — _ 11.09 — 10.72 Cl 9.43 9.31 — — 9.50 #0 (ar100°) _ = = 4.39 4.82 Sale di bario [Pt C1 (0H)*] Ba, H® 0. Da un dato peso di sostanza sciolta nell'acqua acidulata con acido nitrico, si precipitò il platino a bagno maria per mezzo di magnesio in nastri. Sepa- rato il platino per filtrazione, si dosò nel filtrato prima il cloro per precipi- tazione con nitrato di argento e poi il bario come solfato. 1°. Gr. 0,4277 di sostanza ridotti con magnesio dettero gr. 0,1762 di platino e gr. 0,1276 di cloruro di argento. 2°, Gr. 0,3774 di sostanza, id. id., dettero gr. 0,1564 di platino, gr. 0,1149 di cloruro di argento, e gr. 0,1868 di solfato di bario. 3°. Gr. 0,3561 di sostanza, id. id., dettero gr. 0,1470 di platino, gr. 0,1080 di cloruro di argento, e gr. 0,1798 di solfato di bario. 4°. Gr. 0,7224 di sostanza, mantenuti in stufa a 100°, fino a peso costante, diminuirono di gr. 0,0236 di acqua. Riferendosi a 100 parti di sostanza, si ha: Trovato Calcolato per I I III IV [Pt C1(0H)5] Ba, H*0 Pt 41.20 41.44 41.28 _ 41.39 Ba = 29.10 29.68 — 29.19 Cl 7.37 7.52 7.50) — 7.58 H° 0 (a 100°) - = == 3.26 5.88 Sale difstronzio [Pt C1(0H)*]Sr,H?° 0. Anche in questo caso si precipitò dalla soluzione nitrica del sale, il platino a bagno maria con nastro di magnesio. Dal filtrato, dopo separato il platino, si dosò prima il cloro con nitrato di argento e quindi, conveniente- mente concentrando la soluzione, lo stronzio allo stato di solfato. 1°. Gr. 0,3840 di sostanza così ridotti dettero gr. 0,1762 di platino e gr. 0,1280 di cloruro di argento. 2°. Gr. 0,4186 di sostanza, id. id., dettero gr. 0,1926 di platino, gr. 0,1414 di cloruro di argento e gram. 0,1784 di solfato di stronzio. 3°. Gr. 0,6302 di sostanza persero in istufa a 100°, fino a peso costante, gr. 0,0255 di acqua. ReENDICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 32 — 248 — Questi risultati riferiti a 100 parti di sostanza, dànno : Trovato Calcolato per I II III [Pt C1(0H)5] Sr, H? 0 Pt 45.89 46.01 = 46.28 Sr —_ 20.32 csi 20.81 Cl 8.24 8.539 = 8.42 H? 0 (a 100°) A a 4.04 4.28 Questi sali di calcio, bario e stronzio, che hanno, come si vede, compo- sizione chimica perfettamente analoga, sono gli unici che abbia potuto ottenere per via diretta. Esperimentando sovra l'acido cloroplatinico con gli idrati alca- lini, nelle stesse condizioni che con gli idrati alcalino-terrosi si arriva a pro- dotti non più clorurati. Per ottenere quindi altri sali dello stesso tipo, non ri- maneva che tentare una via indiretta coll’utilizzare uno dei tre sali alcalino-ter- rosi avuti direttamente e, meglio di tutti, il sale di bario [ PtC1(0H)"] Ba, H® 0 che è quello che si presta meglio ad essere ottenuto in quantità relativamente grandi. A temperatura ordinaria o per debolissimo riscaldamento a bagno maria, con l’aiuto di forti quantità di acido acetico, si giunge ad ottenere, sebbene lentamente, una soluzione acquosa limpida di questo sale di bario, la quale trattata con la soluzione di uno degli acetati di argento, tallio, piombo e mercurio, in eccesso, perde il suo colore giallo, debolmente ros- sastro, decolorandosi completamente, e fornisce dei precipitati fioccosi, i quali, come si vedrà dall'analisi esposte qui sotto, derivano, come i tre sali alcalino- terrosi ora descritti, dallo stesso acido. Questi precipitati tutti di colorito marrone più o meno scuro, vennero ben lavati con acqua fredda per decantazione e quindi raccolti su filtro: il filtrato passava limpido ed incoloro come pure le acque di lavaggio. Dopo essere stati lavati con alcool ed etere, seccati tra carta e poi su cloruro di calcio, fornirono all'analisi quantitativa 1 dati qui sotto riportati. Paleontologia. — WMieroflora e. Microfauna nel disodile di Melilli in Sicilia ('). Nota preventiva di L. PAMPALONI, presentata dal Corrispondente CARLO DE STEFANI. Il disodile di Melilli in Sicilia si presenta come una sostanza di color giallo o giallo verdastro, assai elastico e molto facilmente sfaldabile in tante lamelle, specialmente dopo prolungate ebollizioni in soluzioni di potassa. Quando è secco, brucia con grandissima facilità, spandendo un odore carat- teristico analogo a quello del cautchouc bruciato, che rivela appunto la pre- (1) Lavoro eseguito nel laboratorio Botanico del R. Istituto Superiore di Firenze. 24 ottobre 1902. 1/37 ea senza di sostanze bituminose. Analogamente al disodile di Baviera e del- l’Alvergna, anche quello di Melilli fa parte di un deposito terziario, riferi- bile con grandissima probabilità al Miocene medio. L'esame chimico di questa sostanza ci rivela, oltre una percentuale di C 36,04, H 9,98, N 0,72, 0 53,26, anche una abbastanza forte quantità di silice (circa il 15 °/), proveniente, secondo l’ Ebrenberg, in gran parte da resti di organismi che si sono andati man mano depositando. Il dott. Harz, nel disodile del Ries in Baviera, non ha trovato che scarsi residui di dia- tomee e di foraminiferi. Anche il prof. Baccarini (') per quello di Melilli è giunto press’ a poco ai medesimi resultati dell’ Harz. La presenza della silice è spiegabile: 1) colla presenza di materie argillose intimamente collegate col disodile ; 2) colla presenza di silice organica. Il dott. Harz inoltre aveva rinvenuto nel disodile del Ries la presenza del pigmento clorofilliano di cui sarebbe provvista particolarmente un'alga conservatasi allo stato fossile, che egli aveva denominata Palmella oligo- caenica. Nelle sue ricerche sul disodile di Melilli il prof. Baccarini ha con- fermata la presenza di una Pa/mella, ma non è riuscito in alcun modo, coi metodi ordinarî, ad estrarvi il pigmento clorofilliano. Anche l'esame delle varie lamine, così come si trovano in natura, non dà resultati soddisfacenti. Per poterle avere così sottili da esaminarsi al microscopio, occorre una prolungata ebollizione in soluzioni abbastanza forti di potassa. Allora sì viene a determinare fra esse una sfaldatura analoga a quella data dalle lamine di mica. Così, esaminando le diverse lamelle sotto il microscopio, vi si possono osservare corpiccioli verdastri, rotondeggianti, riferibili forse a Palmelle, e numerosi micelî e spore di funghi, molto bene conservati. Colla prolungata ebollizione nella potassa sì ottiene inoltre il vantaggio di isolare dalle varie lamine frammenti di radici e di piccoli fusti che fra esse si possono trovare intercalati, non solo, ma ancora altre parti etero- genee che, o rimangono alla superficie delle lamine stesse, o, cadendo al fondo del recipiente nel quale si è operata la macerazione, possono esser raccolte filtrando o decantando il liquido. L'esame da me fatto riflette non tanto il disodile stesso, quanto queste ultime sostanze; ed oggi mi è dato esporre succintamente i risultati ai quali sono giunto, riserbandomi di esaminarli accuratamente e corredarli con oppor- tune tavole in un'altra Nota che è già alle stampe. (1) Sopra alcuni microrganismi del disodile di Melilli (Nota prelim.) Boll. Accad. Gioenia. Sc. nat. Catania, fasc. LXIV, 1900, — 250 — La microfauna e la microflora del disodile di Melilli sono rappresentate da funghi, da briofite, da aracnidi e da qualche insetto, tutti quanti così bene conservati da non rendere difficile la loro classificazione. Si comprende facilmente che, specialmente trattandosi di funghi, non si sono conservati tutti quei caratteri che servono di guida per il loro riferimento generico; perciò mi sono limitato a ricondurli tutti a famiglie determinate, adat- tando poi come determinazione generica quella dei generi a cui più si rav- vicinano. Ecco l'elenco delle specie di funghi da me trovate, di ciascuna delle quali darò la diagnosi: FICOMICETI. saprolegneae. Pythites disodilis. Syn: Pythium disodilis. Baccarini. Mycelium filamentosum tune parce tunc crebre ramosum; hyphae inco- lores tunc uniformi crassitudine, tunc irregulariter varicosae; oogonia mo- nospora, sphaeroidea, laevia, terminalia 70-100 w. Peronosporeae. PERONOSPORITES. 1. Calothecae. Peronosporites miocenica. Pampaloni Oogonium membranosum, laeve, hyalinum, laxe circumdans oosporas sphaeroideas, 25-30 4, dilute flavescentes; episporium cristis tenuibus prae- ditum, quae superficiem in decem areolas in binas series dispositas partiuntur. 2. Lejothecae. Peronosporites sicula. Pampaloni. Oogonium membranosum, laeve, hyalinum, laxe circumdans oosporas glo- bosas, 20-25 w, dilute flavescentes; episporium tenue, laeve, stratosum. Ord. PYRENOMYCETEAE. Fam. Perisporiaceae. Subfam. ERISIPHEAE. Uncinulites Baccarini. Pampaloni. Perithecia subglobosa, tenui membranacea, nigra, astoma, 30-35 w, ap- pendicibus simplicibus, 18-25 cm. longis, apice uncinatis, perithecium fere aequantibus, indivisis, ad apicem fuscis ad basim atris. NS], — Erisiphites Melilli. Pampaloni. Perithecia sparsa, superficialia, sphaeroidea, undique clausa, atra, ceraceo membranacea, 170 wu, mycelio arachnoideo, persistente, appendicibus ramosis, fleruosis, sordide luteis, numerosis. Subfam. PERISPORIEAE. Perisporites hirsutus. Pampaloni. Perithecia reniformia, simplicia, libera, virido carbonacea, cellulis fere 8 w latis contexta, astoma, fere ad tertium sulco circulari praedita, 25-26 setulis atris, rigidis, perithecium fere aequantibus. Perisporites setosus. Pampaloni. Perithecia rotunda, simplicia, libera, virido-carbonacea, cellulis minutis fere 4 w latis contexta, globosa, astoma, 18 setulis atris, rigidis, perithe- cium fere aequantibus. Fam. Sphaeriaceae. Sect. PHAEOSPORAE. Chaetomites intricatus. Pampaloni. Perithecia superficialia, 1 mm lata, gregaria carbonaceo-membranacea, aterrima, superne glabrata, inferne pilis densis, longissimis, tortuosis, sim- plicibus, fuscis, vestita. Fam. Hypocreaceae. Sect. PHAEOSPORAE. Melanosporites Stefanii. Pampaloni. Perithecia superficialia, simplicia, mollia, membranacea, sphaeroidea, flavescentia, villo fusco, stipato tecta, 6 sporis nigris, sphaeroideo-ellipsoideis 60-80 w. Fam. Microthyriaceae. Sect. HYALODIDYMAE. Microthyrites disodilis. Pampaloni. Perithecia superficialia, sparsa, simplicia, membranacea, dimidiata, scu- tiformia, cellulis exiguis, poligonalibus, concentricis, 15-20 w latis, fuscis, margine crenulatis. — 252 — Ord. AYPHOMYCETEAE. Fam. Mucedineae. Sect. AMERosPoRAE — Subsect. MICRONEMEAE. Monilites albida. Pampaloni. Hyphae septatae, hyalinae, vage ramosae, effusae; conidia globosa, el- liptica, 18-21 u, utrinque obtusa, in catenas. breves. interdum ramosas disposita, hyalina, laevia. Oltre queste specie di funghi che ho potuto classificare, esistono fram- menti di micelî e numerosissime spore e torule così ben conservate da sembrare tuttora viventi, e molto probabilmente riferibili ai generi Sordarza, Rosellinia, Macrosporium, Sphaeria. In fine ho rinvenuto un verticillo di foglie appartenenti senza dubbio ad una briofita che però non ho potuto determinare. 3 La microfauna è, come sopra ho detto, costituita in special modo da aracnidi, con prevalenza del genere Acarus. Così tra gli acari che vi ho trovato citerò: Tyroglyphites miocenicus. Pampaloni. /s mm. longus, 2 dmm. latus. Torax albidus, crassus, pedibus tubercu- ligeris. Corpus ovatum, sulculo dorsuali ad secundum par pedum in duas partes distinctum. Anticum conicum, latum. Abdomen ovatum, pedes carnei, setigeri. Mandibulae crassae, robustae. Belbites disodilis. Pampaloni. 1 mm. longus, '/, mm. latus. Abdomen obovatum, postice subacutum, supra converum. Setae ad capitis toracis basim nullae. Femor inflatum. Color badio-ochraceus, uniformis. Pedes corpore multo longiores, nodosi, uniungues, setis robustis aucti. Setae stygmaticae perlongae. Carabodites Pavesii. Pampaloni. 1 mm. longus, 3 dmm. latus. Color badio-ochraceus. Abdomen ovale, convexum, setis nullis albicantibus, longis et retrorsum directis. Anticum subcampaniforme. Stigmata parum prominentia. Setae stigmaticae clavatae. Pedes mediocres, corpore semper breviores. Ambulacra unco unico constituta. Oppites Melilli. Pampaloni. 8 dmm. longus, '/s mm. latus. Abdomen obovatum. Margines corporis setas cospicuas ferentes. Anticum triangulare, setis stigmaticis brevissime — 259 — clavatis, pyriformibus. Celor corporis badio-ochraceus. Ambulacra uncis tribus constituta. Pedes omnes marginales. A questi esemplari, che con abbastanza facilità ho potuto classificare, debbo aggiungerne altri non meno belli, ma più difficilmente riferibili ad uno piuttosto che ad altro genere. Noto così alcune cocciniglie molto probabilmente riferibili, al genere Aspidiotus. Così pure tengo fra le varie preparazioni degli esemplari di //ete- rodera, in alcuni dei quali si trovano benissimo conservate perfino le uova, una magnifica larva di un insetto riferibile ad un libellulide, l'appa- recchio masticatorio di un carabice, e numerosissimi altri frammenti, non determinabili, d' insetti. Con questo termino l'elenco dei materiali organici finora da me ritro- vati nel disodile di Melilli, materiali che faranno soggetto di future pub- ‘ blicazioni. Fisiologia. — Esperienze sull’ anestesia del labirinto dell’ orec- chio nei pesci cani (Scyllium catulus). Nota del prof. G. GAGLIO, presentata dal Socio LUCIANI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo, fascicolo. CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute : La R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; le Società zoolo- giche di Amsterdam e di Tokyo; la Società Reale di Hobart; le Società geologiche di Sydney e di Ottawa; il R. Istituto geologico di Stockholm; l’Istituto Teyler di Harlem; il R. Istituto geodetico di Potsdam; l' Istituto Smithsoniano di Washington; il Museo di storia naturale di Hamburg; il Comitato geologico di Zurigo; l'Osservatorio Harvard di Cambridge Mass.; l'Università di Tokyo. Annunciarono l'invio delle proprie pubblicazioni : L'Accademia delle scienze di Cérdoba; il R. Istituto geologico di Sto- ckholm; le Società di scienze naturali di Batavia e di Stuttgart; l' Uni- versità di Giessen. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 2 novembre 1902. Bassani C. — Intorno ai guasti delle fabbriche ed in particolare della Basi- lica Palladiana. Tivoli, 1902. 8°. Brooks A. H. ecc. — Reconnaissances in the Cape Nome and Norton Bay Regions, Alaska, in 1900. Washington, 1901. 8°. Colomba L. — Sulla presenza della dispersione nei pirosseni giadeitoidi in rapporto colla loro composizione chimica. Padova, 1902. 8°. Dalla Vedova G. — Annibale Ferrero. Gotha, 1902. 1/, f.° Felici R. — Ueber die mathematische Theorie der elektrodynamischen In- duction. Leipzig, 1899. 8°. Lockyer N.e J. S.— On some Phenomena which suggest a Short Period * of Solar and Meteorological Changes. London, 1902. 8°. Macoun J. — Catalogue of Canadian Plants. Part VII. — Lichenes and hepaticae. Ottawa, 1902. 8°. Motta Coco A. — Sul movimento vibratile degli epitelî ciliati. Catania, 1902-4382 Id. — Sul potere osteogenetico della dura madre. Contributo all’ istologia della dura madre encefalica in alcuni vertebrati. Catania, 1902. 8°. Pfltiger E. — Ueber das Verhalten des Glykogenes in siedender Kalilauge. Bonn, 1902. 8°. Id. — Ueber den Glykogengehalt der Knorpel der Stugethiere. Bonn, 1902. 8°. Schrader Ch. e Spencer A. C. — The Geology and Mineral Resources of a portion of the Copper River District, Alaska. Washington, 1901. 8°. Viola C. — Beitrag zur Lehre von der Spaltbarkeit der Krystalle. S. 1. 19025888; V. C. | Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 12 — Atti dell'Accademia poutificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). ‘ Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VIL VIII Serie 3* — TRANsUNTI. Vol. I-VII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RENDICONTI Vol. 1-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. (1892-1902) 2° Sem. Fase. 9°. i RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 7°-8°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IIIL MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHER & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoxpi. — Milano, Pisa e Napoli. . RI RENDICONTI — Novembre 1902. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 novembre 1902. PERSONALE ACCADEMICO Cerruti (Segretario). Comunica i a inviati all'Accademia da varii Socî di nomina Tecentès sta ti O AG RAPE Villari (Presidente). Dà annuncio delle peri sii sall'Accadensi FER le ferie acca- demiche, nelle persone dei Soci nazionali: Melieî, Ferrero, Targioni-Tozzetti, Cossa, del Corrispondente Magnaghi, e dei Soci stranieri Faye e Virchow . . ....... n Roiti. Commemorazione: del Socio Accardo Felici)... n Celoria. Commemorazione del Socio Annibale Ferrero. . 0... LL 0 Todaro. Commemorazione del Socio Adolfo Targioni- Tozzetti... 0.0...» Piccini. Commemorazione del Socio Alfonso Cossa... . E i ” Villari (Presidente). Rileva quanto l’Accademià sia stata i Horta dalle gravi e numerose perdite di tanti illustri ed amati Colleghi, e toglie la seduta in segno di lutto » MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute alla Presidenza nella seduta del 2 novembre 1902. Millosevich. Osservazioni e calcolo d’orbita del pianetino JL 1902 (Venetia). . . Pag, Id. Osservazioni della cometa Perrine è 1902... . . CRA N MIR E Grassi e Foà. Ricerche sul Cytorictes del Guarnieri e. PMR ” Capelli. Sulle relazioni algebriche fra le funzioni # di una variabile e su lena di addi» ZIONE A n Ue 6 5 » Zanetti. Sulla non prevalenza o sali notati silla bile dei pesci marini hi dh Solto CONNizZORO ETA . e RO N UR Bellucci. Sull’acido in inadlofomittise e I). + (I ” Pampaloni. Microflora e Microfauna nel disodile di Melilli in Sicilia. (or Di Corri De Stefani). . . ” Gagho. Esperienze sno da iui ‘HeMzscchio 1 nei pesci cani ica car tiul'us):(pres. dal Socio uova) i RMS n OI AO RIA II CORRISPONDENZA Corrispondenza, relativegal cambio;deeli Atti Se e e I SONE BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. _—_—& (*) Questa Commemorazione sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (**) Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. V. Cerruti Segretario responsabile. 281 Pubblicazione bimensile. Roms: 16 novembre 1902. N. 10. LTT REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO: CCXCIX. 1902 >: BE be Q Belt: I A: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 novembre 1902. Volume XIT.° —f Fascicolo 10° 2° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 3 PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1902 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Uol 1892 si è iniziata la Serse quanta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano ‘una pubblicazione distinta perciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono lenorme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. lie Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno-dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione; essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - 4) Colla semplice pro- posta dell’invio della. Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di unnumero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NANANN DE Seduta del 16 novembre 1902. P. VILLARI, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle relazioni algebriche fra le funzioni 4 di una variabile e sul teorema di addizione. Nota del Corrispon- dente ALFREDO CAPELLI. La formola fondamentale di Jacobi (') sulla somma di due prodotti di quattro funzioni 4 dà origine, come è ben noto, a molte altre formole ana- loghe che si deducono da essa sia coll’accrescere gli argomenti delle & di mezze unità o di semi-moduli, sia col combinare fra loro linearmente le formole così ottenute. La presente Nota contiene qualche studio da me fatto sul modo possibilmente più semplice di ottenere tutte queste varie formole ed ha per suo primo risultato di condurre a tre tipi generali dai quali sì possono poi dedurre tutte le formole in questione con semplici particolariz- zazioni delle caratteristiche. Anzichè trattenermi sulle altre cose che ancora dovrei aggiungere a complemento di questo risultato, ho però preferito limi- tarmi per ora alle poche formole ottenute per dedurre da esse la formola generale per l’addizione delle funzioni 4 di una variabile. E ciò ho fatto tanto più volentieri, perchè la via da me seguita è tale da rendere la for- mola generale indipendente dalla natura delle caratteristiche che, nella mia trattazione, possono essere numeri reali o complessi quali si vogliano; e anche perchè ho ragione di ritenere che la formola stessa sia poco conosciuta, (1) Ges. Werke, I, pag. 506. Cfr. anche Kronecker, Veber die Zeit und Art der Entstehung der Jacobischen Thetaformel (Journal fir Math. CVIII, 1891). RenpICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. (06) I — 256 — benchè essa non sia certamente nuova, almeno per il caso delle caratteristiche intere. Dalle indagini fatte in proposito mi è infatti risultato che questa formola non differisce sostanzialmente da quella già data dallo Smith, sempre nel presupposto non necessario delle caratteristiche intere, in una Memoria ormai antica (!) nella quale lo stesso Autore fa anche menzione, in nota, di alcune formole analoghe già date precedentemente dal Betti (?) e Tele l' Hermite (3). 1. Dalla formola ESA at EA (1) Ig ()=Ig (Vo) = e ) ho i) SA n=—-2% che definisce, nel modo più generale, la funzione 9 di argomento v e mo- dulo ©, con caratteristiche reali o complesse quali si vogliano g e y, si deduce facilmente, qualunque siano i numeri reali o complessi % e X: dira +hu+ = 3 hg+3. H+} ) 4 2 2 DISSI (è LE È ME È o) = de SI 2. Se ora nella formola fondamentale di Jacobi: (3) Poo(£1) Ioo(82) Poo(€3) IPoo(84) t Pro(81) Pro(£2) P10(83) P0(24) = = Foo(21) Poo(22) Poo(83) Poo(24) + d10(81) P10(£2) I10(83) Pr0(4,) in cui le #1,2:,23,44 Sono affatto arbitrarie e ; 1 pn a I =glata_a_ 4) È I «= ol ali sa — — 234 24) (1) On a Formula for the Multiplication of four Theta Fonctions (Proc. London, M. S. I, Maggio 1866). (2) La teorica delle funzioni ellittiche e sue applicazioni (Annali di Mat. di Tor- tolini, III, pag. 26, 1860). (3) Sur quelques formules relatives à la transformation des fonetions elliptiques (Giornale di Liouville, 2° serie, III, pag. 27, 1858). — 257 — Na : ; Li sn 1 si diano alle z) (per o=1,2,3,4) rispettivamente gl’incrementi 9 YO no Yo, cosicchè le z5 riceveranno rispettivamente gl’ incrementi 3 50 Dic DICO s- sendo le g' legate alle 9, dalle stesse relazioni (a) che asi le 2 he 8, cioè: d=3 (A +90 +9 t- 91) xi=3( (tre tr tra) ; Il ; 1 9= 349 I Ga) ole da) (a) 1 (a)” i 1 g= 53 (9 Gi 924 93 — 94) Y3=3(Y Vv Y + Y3 — Va) O! NZ gi=5 (9 9. — I38 + 94) Pari ee essa ci dà: D pad. (9 Rai (4) a Ian (5 +3 +3 Yo a) + (+30 +gr0 = #9 o=4 = 1 9 (4+34+3% 0) +7 00 (4+3 v+ir o). Dalla (2) si ha intanto: v17, CO Fi 119 0+104pt39010) | ARI 90) o RO DS Teo ipo ipt9o | 1 1 Wo(+390+3r0)=e SFERE q , 1 Ù/ 1 {a 4 l r l f e similmente per la 3oo (2439 +37,° EE pe Mara Yo}: cosicchè la (4) si può scrivere: EE neo 1p45* 23 et) nr nif59, D, Î pel p=1 =1 p Pal [fre H Ivo (4) +e HI 9y,0r9, (4) = p=1 =1 \ —ri(2TI+ E pet 3 31 a ris 95 n e il rata CAO i fo 0A | Diele pan 71-+1:9, ( 2 | Ma, in virtù delle sostituzioni ortogonali (4), (4), (a)”, si ha: p=z4 > p=d per Din na= In 59 ant dr: LE Quindi resta semplicemente la formola: = ti x Ip Ù p=È pei p=4 (5) UIy090 (39) Ro II 3y,+1,9 (25) SS e=l tt do ris, e=> r Pi * , = 9ypg (+e HI dr119, (69) che si può considerare come una prima generalizzazione della formola fon- damentale di Jacobi. Vi sono però, come ora vedremo, altre formole di tipo analogo a questo che pur non sono contenute nella (5). Il. 1. Se poniamo per brevità : Py, 91(81) dy, 93 (#2) Py, 9s(83) Py, 9,(4) a LY:9 3 72:92; Y3:935 Y4,Ya] a [y:94 Pyg(21) Py 1o(2) Pro) Ira (e) = ri, 9178, 9254895 UI= (591, la formola (5) testè ottenuta si può compendiare così: (08) [gl e IA 100 59 +e SE Se in questa formola si dà a 9, l'incremento di 2 e conseguentemente a ciascuna delle 91,92, 93,9 l'incremento di 1, e si tengono presenti le formole Pysa,g() = Py,g(u) : Py-2,9() Coi Pyg(u) Iy,g+2(U) 2 @ SR Iy,g() ’ IPy,g-s(%) iù SR Iyy(u) ’ se ne deduce: to) o*FUTy, g] + oFit*» 97 41, g]— sa È cina Lisa Fia ly + DE, 9 = 1] . Dalla (I) segue ora scambiando, come è lecito (poichè le formole (a) seguitano a sussistere anche se si scambiano le 2 colle 2°) le y, 9g, 2 rispet- tivamente colle y", g', 2": (1) [rg +1] +e +1,9+1]3= DE e3TMi Ly, 9] a ESTiC+1) eTTizo [yY + 1 9] — 259 — e, finalmente, operando su questa formola come si è operato sulla (I) per ottenere la (I)': We 2A pi [y, g' + 1] + TRO) e Fizo [Y + il i g+ 1] \ Dalle quattro formole (I), (I), (1)”,(I)" che scriveremo così: Ur, g] SL e TiZI r+ 1 , 9g] LA Ly, pale piau [Y + 1 i 97 fiale ese e + DSi e FizI Cy' + 1 gd Tali ey, g +1] +e SM ey +1,g+1]=[,9]— e [y +1,991 STU, 9 +1]— 09M 3 y+1,9+1U= Ty, 41] et e +1,9+1] segue, sommando membro a membro, la formola: VARE RARA POSA che si può anche scrivere, in virtù delle (a): CD Cr,gl +?" ,g+19=, 9] +89" 9 +19. Se poi le stesse quattro formole si sommano ancora membro a membro dopo avere moltiplicato l'ultima per — 1, si ottiene: Dr, dc Pisi Sa iL lr + 1 | g+ 1]=[y, ge EZIO [E 1 Mea 10 o anche, che è la stessa cosa: —Ti(sv +3 (089) [y; gle N09" 22 y +9 +1]= —niog+3 sl r , r = igor eg HI. 2. Osserviamo finalmente che dalle stesse quattro formole si hanno oltre alla formola già trovata (I) che scriveremo come segue: ' —Ti Sg Eni ic, , —Tixg rr , rÙ (D' Cy,g] — e"? [y+1,g]="e73"2Y \[y,g'+17+e7"" [7 + 1,941]; — 260 — mediante analoghe combinazioni lineari, anche le formole: r Iris (II) ly,gl—e 2 2y,g+1]= -tisg' ir, 9 -Irisy' rt, Ù , = 7320 [Y 41,974 372 [+ 1,991 (III) [rg] — e T@st320 [y4+-1,9+1]= i nisy! TAR —Tisg' pr Ù = ie I Aa Si osservi però che, come la (I) non differiva sostanzialmente dalla (I) da cui si deduceva dando alla 9g, l'incremento di 2, così la (II) non diffe- risce sostanzialmente dalla (II) da cui si ricava dando l'incremento di 2 a Y1; e precisamente in questo stesso modo si deduce dalla (III) la (III) 3. Nelle formole (I), (II), (III) le caratteristiche y, 9,7 ,g9' possono essere dei numeri reali o complessi assoggettati alla sola restrizione di ren- dere soddisfatte le relazioni (a) ed (a)". Se però si scelgano per le 91,92, 93,94, Ya ,Y2:Y3,Y4 dei numeri razionali interi, e si voglia che riescano intere anche le caratteristiche 91, 92,93,94:Y1:72:73:Y4; è necessario e sufficiente, come appare dalle (a) ed (4), che sia: +9 +9+94=0, Y+ 72, 73,y4=0 (mod. 2), e sarà poi di conseguenza Xg'=0, 2y =0 (mod. 2). Nel caso di caratteristiche zr2/ere le formole (I), (II), (III) assumono dunque la forma più semplice: (4) b.gl+b+1!5=0.g7+D/+1,97 8) D.d+CD” 0; 00= 0 T7+C DE O bpgdter*b- 00 = po EC Si potrebbe dimostrare, su di che non ci indugieremo qui, non essendo ciò necessario allo scopo che per ora ci siamo prefisso, che le formole (A), (B), (C) rappresentano, nel loro insieme, la generalizzazione completa della formola fondamentale di Jacobi, nel senso che: tutte le formole analoghe alla formola fondamentale di Jacobi che si possono da essa dedurre dando alle 2 incrementi di mezze unità o di semimoduli e combinando poi linear- mente in un modo qualunque le formole così ottenute, sono necessaria- mente contenute, come caso particolare, nell'una o nell'altra delle tre formole (A), (B), (0). — 261 — 4. Dalla formola generale (T) e dalla (I) dell'art. 2 segue sommando o sottraendo membro a membro: (IV) 2[y A va Ja i 97 n emTiB|,1t29,) isa 1 3 g' C° Je SE eee] See ee II ar ia i a ele Di queste due formole però la seconda non differisce sostanzialmente dalla prima da cui si deduce immediatamente accrescendo le y di un unità. Se poi sottoponiamo le 9g e y alla condizione di essere razionali intere e soddisfare alle congruenze : Zg=0, 3y=0 (mod.2), la (IV) prende la forma più semplice (D) RAFA MR io pepe in cui anche le g' e y' riusciranno numeri interi. Sarebbe facile dedurre le formole (A), (B), (C) dall’ unica formola (D). Quest'ultima è ad esse preferibile dal punto di vista della simmetria; e specialmente poi per il fatto che qui particolarmente c'interessa, che tutte le formole fondamentali per l’addizione delle funzioni 4 si deducono da essa, come ora passiamo a vedere, con semplici particolarizzazioni delle caratteri- stiche 9 e y e degli argomenti <, senza che sia poi anche necessario di com- binare linearmente i risultati ottenuti come accade a chi voglia servirsi della formola fondamentale di Jacobi o delle sue generalizzazioni. Del resto mi riservo di ritornare, quanto prima mi sarà possibile, sulla formola (D) per dimostrare in base ad un accurata analisi della formola stessa, come ad essa si possa anche sostituire la formola più semplice : 207: gl=0rgl' + D9*1*3%[y+1,9+17 + PD Z+ 1 de" 9417. III. 1. Se nella formola generale (IV) del paragrafo precedente prendiamo, essendo « e v affatto arbitrarie : aio no, 0 ,=0 — 262 — onde, per le (a): otteniamo : ZIyig, (UH 0). Bragg, (U—- 0). 9y:93(0) . Fy.g,(0) = =Iyta(u) do, (0). dy9, (0). Ita:(0) + Leemio. Pyptrigi(u) Irt+rrgi(u) Irt+r 9 (0) I +r (0) + Lem. Iyrigr+i (2) Ii) Ira (0) Ida (0) + + e-Fi@91+810, Fyf+1,gh+1 (0) I +1,95+1() I +1,9+1(0) 9 +1,9+1(0). Questo risultato, nel mentre che ci permette di abbracciare in un'unica formola le ordinarie 10 formole fondamentali per l’addizione delle funzioni +, ci presenta il teorema di addizione sotto una forma assai più generale del consueto; giacchè le caratteristiche 91,92,93,94: Y1:Y2:Y3,Y4 SONO Quì dei numeri affatto arbitrarî, reali od immaginarî. Così, per esempio, se prendiamo: Va="t fe, Js=0, Ya=0, g=0 Go = 034005 Ga=0, cosicchè: vini TIA: Vis=0; vuo, 108 UOESTA gis—=0E ga= troviamo subito : 2 Io(0) 7 Fi,i(U + v) 7 dii = v) =: WU) IL eT IE (MIT ATI (I 0979 it (4) Fi (0). 2. Se per le g e y si prendono dei numeri razionali interi soddisfacenti alle condizioni: (2) Gi 49493 + 9a =" 0 ya +73 4- ya =0 (mod. 2), anche le g' e y' riusciranno intere secondo le relazioni: di (At get gt) 1: di aan) 4 3 ( Gx=3(A1+ 9 — I 9) YV:=t(Mntra-% 74) Gs=t(A1G+I+9) Y3:=itMnt vt 7) Ga=t(91— 979354 94) Ya=tfraTY5+ 74) Og cosicchè la formola generale di addizione delle funzioni & a caratteristiche razionali intere prenderà la forma più semplice: 29 g, (UH 0). Iyag.(U— 0). dy:9:(0) drug, (0) = = Ig (u) . Iytgs(u) . dy5o (0). dro: (0) + L9xt+ rig (0) I+ 1g (0) dp+ 1,9, (0) Iyt+1,94(0) + + ag (1) Ig (0) 341 (0) I 0) + + (— iù dy/+1,91+1 ().3,h+1,95+1 (u).Fh+1,g+1 (0) dla, gl +1 (0). Questa formola dà effettivamente l’espressione del prodotto dy,g9, (u ulò v) dy3 9, (U ba v) in funzione di 4 col solo argomento « o col sole argomento v, comunque sì scelgano i quattro numeri interi y,, 91,792; poichè è poi sempre pos- sibile (come subito si riconosce) di determinare gli altro quattro numeri in- teri y3, 93, Y4,94 in modo da rendere soddisfatte le congruenze (a) evitando sia la soluzione y3=g93="1 per la quale sarebbe dy,,,(0)0=0, come la soluzione yy; ="94==1 per la quale riuscirebbe nullo il coefficiente 4, ,,(0). Quanto a questa formola generale, mi riservo di ritornare sull’argo- mento prossimamente, potendo essa, come è naturale, ulteriormente sempli- ficarsi quando si prenda come punto di partenza, in luogo della formola (D), l'altra formola da me già accennata in fine del precedente paragrafo. Fisica. — Intorno a due modi per determinare il raggio di curvatura della superficie dello spigolo nei coltelli delle bilancie e dei pendoli. Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. Le due faccie laterali del coltello di sospensione d'una bilancia o d'un pendolo, evidentemente non s'incontrano secondo una linea matematica ma sono raccordate da una superficie cilindrica, la cui sezione retta può consi- derarsi come approssimativamente circolare o ellittica ed il cui raggio di cur- vatura è bensì piccolissimo ma non è infinitesimo, e non è neppure tanto piccolo quanto sarebbe fisicamente possibile, perchè bisogna evitare che questa superficie sia troppo soggetta a rompersi o smussarsi, ciò che renderebbe il coltello pressochè inservibile. La conoscenza di questo raggio di curvatura è utile nel caso delle bi- lancie, poichè essa da modo di osservare la relazione che passa fra esso raggio RenpiIconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 84 — 264 — e varie proprietà della bilancia come sensibilità, resistenza, attrito, e di deter- minare, non empiricamente ma razionalmente, la forma più conveniente da darsi allo spigolo. Tale conoscenza inoltre è necessaria nel caso del pendolo, perchè la gran- dezza di questo raggio influisce sensibilmente sulla durata delle oscillazioni, e perciò esso entra nell'espressione della lunghezza ridotta del pendolo fisico per la determinazione della gravità, ed inoltre la diversità del suo valore nei diversi punti della sezione retta produce nelle oscillazioni con diverse am- piezze, una variazione della durata di cui non sarebbe possibile tener conto se non sì conoscessero i valori di questo raggio per tutti i punti della sezione retta che vengono a contatto col piano d'appoggio. Generalmente si considera come impossibile o molto difficile la deter- minazione di questo raggio, e nelle determinazioni della gravità si procura di eliminarne l'influenza osservando le durate d'oscillazione di pendoli di diversa lunghezza con un identico coltello; credo però che coi due metodi seguenti si ottenga un valore abbastanza approssimato di questo raggio di curvatura per una inclinazione qualsiasi del pendolo. 1 Il primo di questi metodi che si applica direttamente ai coltelli delle bilancie, consiste nell'osservare di quanto s’ inclina il giogo in equilibrio, quando il piano d'appoggio viene inclinato d'un determinato angolo nel piano d'oscillazione; se il raggio di curvatura cercato fosse infinitamente piccolo, il giogo conserverebbe immutata la sua orizzontalità o la sua inclinazione, mentre se questo raggio è finito, il giogo seguirà alquanto l'inclinazione che si produce nel piano d'appoggio e la seguirà tanto più quanto maggiore è questo raggio e quanto minore è la distanza fra il centro di gravità del giogo e l'asse di curvatura. Sia XY il piano d'appoggio, ABC la sezione retta della superficie dello spigolo supposta cir- colare, enormemente ingrandita, C il centro di questo circolo, G il centro di gravità del giogo; sia inoltre @ il raggio del circolo ABC e d la distanza CG fra il centro di curvatura e quello di gravità, sia « l'angolo del piano d'appoggio col piano orizzontale ed «' l'angolo della CG colla verticale. Perchè il giogo sia in equilibrio occorrerà sempre che il centro di gra- vità si trovi sulla verticale passante per il punto d'appoggio; se il piano d'appoggio è orizzontale, la CG sarà verticale e sarà a = 0, @' = 0; se invece, come appare nella figura, il piano d'appoggio è inclinato d'un angolo @, perchè la suddetta condizione si verifichi, dovrà la CG deviare dalla verticale d'un angolo a' tale che sia: CD=gsena=d sen a' — 265 — Se o fosse uguale a d dovrebbe essere «= a', ossia il giogo s' incline- rebbe tanto quanto il piano d'appoggio, se 0 è minore di d sarà @«' <@ ed il giogo s' inclina meno del piano d'appoggio, se però fosse o >d sarebbe a' > a, e l'inclinazione del piano d'appoggio causerebbe una inclinazione mag- giore della posizione d' equilibrio del giogo che così costituirebbe una livella molto sensibile, valevole per elementi di superficie. In alcune bilancie totalmente immerse, estremamente sensibili, nelle quali il coltello mediano era sostituito da due punte coniche di vetro termi- nanti con calotte sferiche di 0,25 a 0,5 mm. di raggio, ebbi spesso occasione di osservare questa grande variabilità della posizione d' equilibrio del giogo per effetto degli spostamenti del sostegno. Dalla formula che dà la sensibilità della bilancia si ricava per d il valore: PL — P tang f dove p e # sono l'eccesso di peso in uno dei piatti e l'inclinazione che esso produce nel giogo, L è la lunghezza di ciascun braccio e P il peso del giogo. Si ha quindi: L p sen a' 7 p tang sen @ dove di solito, per la piccolezza degli angoli, potranno prendersi gli archi invece dei seni e della tangente. Il suddetto ragionamento e il valore di o che ne deriva, valgono anche se la sezione retta della superficie dello spigolo non è circolare; in tal caso o è il raggio di curvatura di questa sezione nel punto di contatto col piano d'appoggio e varia colla posizione di questo punto. E però da notare che in questo caso il valore d varia alquanto coll’ in- clinazione del giogo, quindi converrà nella formula suddetta introdurre quel valore di d che vale per l'inclinazione @' che si considera. Quindi se chia- miamo p, quel peso che collocato su uno dei piatti, produce sul giogo in bilico su un piano orizzontale l'inclinazione @', sarà: TERNA sen a' GESIP tango’ sena ossia prendendo gli archi invece dei seni e della tangente, si avrà SARAI Grip a dove p, è quel peso che collocato su un piatto produce nel giogo in bilico — 266 — su un piano orizzontale la stessa inclinazione che vi produrrebbe l’inclina- zione « del piano d'appoggio. Osservando le inclinazioni prodotte nel giogo da varî pesi e cercando poi le inclinazioni del piano d'appoggio che producono lo stesso effetto, si avranno varie coppie di valori di p, ed « che daranno i corrispondenti valori di o. î È inoltre da notare che in questo caso gli angoli @ ed @', dovranno esser contati rispettivamente dal piano orizzontale e dalla verticale, mentre nel caso che lo spigolo abbia la sezione retta circolare @ ed @', si possono contare da un piano qualsiasi e dalla corrispondente posizione della CG e quindi si può prendere per @ una qualsiasi variazione dell’inclinazione del piano d’ap- poggio e per @' la corrispondente variazione dell’inclinazione del giogo. Per determinare @ éd @' nelle comuni bilancie di precisione col lungo indice rivolto in basso, si può collocare entro la vetrina della bilancia un filo a piombo il cui punto di sospensione si trovi sul prolungamento dello spigolo del coltello e che cada davanti alla scala e coincida coll’indice del giogo in bilico su piano orizzontale. Allora, se si girano in senso inverso le viti di livello di destra e di sinistra della bilancia, il suo piano s' inclina e s’ inclina altresì il piano d’agata d'un angolo « che è misurato dallo spostamento del filo a piombo sulla scala; il giogo invece s'inchina d'un angolo @' che è dato dallo spostamento dell'indice rispetto al filo a piombo. Non ho seguito questo modo di procedere che tuttavia credo suscet- tibile di molta precisione purchè si abbia cura che il punto d'attacco del filo a piombo, sia esattamente sul prolungamento dello spigolo, e quando inoltre si osservino gli spostamenti con un mezzo d'ingrandimento; ho creduto più comodo di misurare le inclinazioni per mezzo di specchietti fissati al giogo ed al sostegno. Ho incominciato anzitutto per cambiare uno dei vetri laterali della bilancia di precisione (di Deleuil) sostituendo un vetro da specchi al vetro comune attraverso il quale si vedeva molto confusamente; quindi ho fissato al giogo e precisamente all'indice a circa 3/4 della sua altezza dal basso uno spec- chietto parallelo all'indice, e perpendicolare al piano d' oscillazione e rivolto dalla parte del vetro da specchi suddetto. Fissai prima lo specchietto con cera, ma esso lentamente cadeva ruotando attorno all'indice, e ad ogni nuova determinazione occorreva regolar nuovamente la sua posizione, e perciò mi decisi di fissarlo con un mastice poco plastico di colofonia e gommalacca. Col- locai inoltre dentro alla vetrina della bilancia un’ asta d' ottone su piede di piombo, che portava in cima uno specchietto verticale che disponevo affatto contiguo al primo, regolando l'orientazione e l'inclinazione del medesimo in modo che i due specchietti fossero all'incirca nello stesso piano e che diri- gendo sui medesimi un cannocchiale apparissero assieme nel campo, in essi apparissero le immagini di una scala verticale opportunamente collocata e queste immagini fossero intersecate dal reticolo all'incirca alla stessa divisione. — 267 — Riferisco come esempio i risultati di alcune determinazioni, osservando però che esse non possono esser prese nè come modello, nè come misura del grado di precisione ottenibile. Un poco per la mancanza di pratica del me- todo, un poco perchè non era mio scopo la determinazione esatta del raggio di curvatura, ma solo di osservare in complesso come il metodo riuscisse in pratica, lasciai sussistere molte cause d'errore. Così, il cannocchiale non era del tutto stabile, la scala non era sempre verticale, nè ugualmente inclinata, non era ben visibile contemporaneamente in entrambi gli specchietti e spo- standola variava alquanto la divisione intersecata dal reticolo, lo specchietto fissato al giogo era troppo piccolo o imperfetto e l'immagine della scala vi appariva un po' confusa; l’ operazione necessaria per cambiare lo specchietto era un po’ delicata e non volli intraprenderla. Inoltre è da notare che un grano di pulviscolo appena visibile, sul piano d'agata sotto il coltello, può far variare considerevolmente la posizione d’equilibrio del giogo, e finalmente io non tenni conto delle possibili differenze del valore di @ e di quelli di d e della sensibilità che ne derivano, ed anzi inconsideratamente determinai que- st' ultima rapidamente, con minor cura che non usassi per @ ed @’, mentre nella formula ha uguale importanza. Il peso del giogo collo specchietto era P = 248,7 gr., la lunghezza di ciascun braccio L= 18,25 cm., quindi L:P=0,0733. Nelle prime determi- nazioni 1 mgr. all’ estremità del giogo faceva spostare l’immagine della scala, distante 213 cm. dagli specchietti, di 100 cm., quindi 8 = 100:4260; nel- l’ultima serie di determinazioni era invece 8= 111:4260 nel senso del movimento delle freccie dell'orologio # = 114:4260 nel senso inverso. Nella seguente tabella, nella 1* e 2* linea trovansi riferiti gli sposta- menti « ed 4' che subivano le immagini della scala per effetto delle incli- nazioni @ ed &' del sostegno e del giogo, nella 3* linea trovasi il rapporto a':a, e nella 4 il valore di @ in millimetri calcolato con molte approssi- mazioni. Le doppie linee verticali separano determinazioni eseguite in epoche e condizioni diverse. q' 12,0 24,5 11955 29,5 S1 11,6 10,6 13,5 13,0 a 33,0 35,0 384,5 52,0 54 20,0 20,0 24 23 e:a| 0,364 | 0,70 0,565 | 0,567 || 0,574 | 0,58 0,53 0,563 | 0,565 € 0,0113|] 0,0218] 0,0176| 0,0177| 0,0179| 0,0160| 0,0147| 0,0156| 0,0157 Ho riferito anche i risultati più discordi, sebbene le principali irrego- larità fossero dovute a perturbazioni constatate negli apparecchi; la media di tutti i valori da g= 0,0165 mm., l'errore probabile, nonostante tutte le circostanze sfavorevoli suddette, non pare che superi il millesimo di millimetro. Ho applicato lo stesso metodo alla determinazione del raggio di cur- vatura della superficie dello spigolo del coltello d'una bilancia di Mohr fornita dalla casa Desaga di Heidelberg, strumento che sebbene da molti — 268 — anni sia in continuo uso e sia sottoposto a prove ed adattamenti in altri apparecchi, tuttavia continua a funzionare ottimamente. Misurai anche in questo caso l'inclinazione del piano d'appoggio e del giogo mediante specchietti fissati ai medesimi; siccome il sostegno del giogo era appeso ad un uncino attorno al quale poteva oscillare, producevo l’ inclina- - zione del sostegno spostandolo per mezzo d'un ostacolo contro il quale rimaneva appoggiato e deviato dalla verticale. Il peso del giogo collo specchietto era di 45 gr., la lunghezza di cia- scun braccio 12 cm., la scala era distante 107,5 cm. dagli specchietti e 5 mgr., collocati all'estremità del giogo facevano spostare di 9 mm. la corrispondente immagine della scala. Nella seguente tabella sono indicati con a ed a' gli spostamenti della scala prodotti dalle inclinazioni a ed a' del sostegno e del giogo, con &':@ il rapporto di queste inclinazioni e con o il raggio di curvatura in millimetri che se ne deduce. a' 7 7 4 a 197 162 81 a'ia 0,0355 0,0432 0,0494 0 0,0114| 0,0138| 0,0158 Da questa tabella risulterebbe che il raggio di curvatura della sezione retta dello spigolo non è costante, ma va decrescendo a misura che ci si allontana dal punto di mezzo, ossia che il taglio del coltello è un po' smussato, forse per effetto del lungo uso; tuttavia la precisione di queste esperienze addotte solo come esempio non mi pare che, senza ulteriore conferma, possa giustificare con sicurezza questa conclusione. Alle ragioni addotte preceden- temente, relative alla cura non eccessiva con cui vennero eseguite queste determinazioni, bisogna aggiungere che quelle relative alla bilancia di Mohr sono le prime in ordine di tempo, che la disposizione dell'apparecchio per ciò e per la natura della bilancia era del tutto provvisoria e poco soddisfa- cente, che la bilancia essendo di precisione media si prestava poco a misure molto esatte, che per la poca sensibilità ossia per il valore relativamente grande di d l'inclinazione del giogo variava pochissimo, e d'altra parte per le circostanze suddette non era del tutto impossibile anche l'errore di 1 mm., nel valore di a; finalmente il coltello riposava su due pezzi cilindrici, con- cavi, di pietra dura, e l'inclinazione del piano tangente d'appoggio del col- tello poteva essere un pò diversa da quella del sostegno osservata mediante lo specchietto. Credo perciò che dalla precedente tabella si possa solo dedurre un valor medio di 0 che sarebbe di 0,0137 mm., con un errore possibile di qualche millesimo di millimetro, valore non molto diverso da quello ottenuto per il coltello della bilancia di Deleuil. — 269 — Il metodo precedente non si applica direttamente ai coltelli dei pendoli, perchè in questi la distanza d del centro di gravità dall'asse di curvatura della superficie dello spigolo è grandissima e quindi l'inclinazione che subisce il pendolo è minima anche quando s' inclina molto il sostegno. Occorrerebbe togliere il coltello e fissarlo in una specie di giogo da bilancia, oppure togliere la lente del pendolo e prolungare l'asta al disopra del coltello in modo che il centro di gravità venisse vicinissimo allo spigolo. Un metodo che si applica direttamente ai coltelli dei pendoli, è quello di far riposare il coltello sopra un sistema di due coppie parallele di ruote coassiali, quale si usa nella macchina d'Atwood per diminuire l'attrito della puleggia, in modo che il coltello cada sulle intersezioni delle ruote al posto dell'asse della puleggia suddetta. Occorrerà però che questo sistema di ruote sia costruito appositamente per il coltello, in modo che la distanza delle ruote di ciascuna coppia sia minore della lunghezza del medesimo. Inoltre nella macchina di Atwood le ruote sono tutte indipendenti, mentre credo utile per l'esattezza della costru- zione e comodo per l’uso, che le due ruote coassiali di ciascuna coppia siano fissate ad uno stesso asse; così i cuscinetti son due per ciascuna coppia invece di due per ciascuna ruota. Facendo oscillare o semplicemente deviare il pendolo, l'attrito che si genera sulle linee di contatto dello spigolo colle ruote, mentre da un lato oppone una resistenza al movimento del pendolo, dall'altro agisce in senso contrario al precedente sulle ruote facendole oscillare o deviare; se suppo- niamo che lo strisciamento della superficie dello spigolo sulle ruote sia nullo, abbiamo che le lunghezze degli archi descritti dalla superficie dello spigolo e dalla periferia delle ruote sono uguali e quindi le ampiezze di questi archi sono in ragione inversa dei raggi rispettivi; quindi se o ed R sono i raggi della sezione retta dello spigolo, supposta circolare, e delle ruote, @ ed «' le ampiezze degli archi descritti dal pendolo e dalle ruote, sarà: eo ich e= AR (04 Se la sezione retta dello spigolo non fosse circolare, si otterrebbe collo stesso processo e colla stessa formula il valor medio del raggio di curvatura. Da quanto precede risulta la possibilità d'una causa d'errore derivante da ciò che lo strisciamento non può essere rigorosamente nullo, come s' è supposto, altrimenti non sì produrrebbe l'attrito che fa muovere le ruote. Questo strisciamento sarà tanto maggiore quanto maggiore è l'attrito che si manifesta nella rotazione delle ruote sui loro assi, esso tende a diminuire il valore di @ e quindi far apparire il valore di o maggiore del vero. Tuttavia non credo impossibile, nè di render minimo quest’errore usando ruote mobi- lissime nelle quali agli assi siano sostituiti coltelli riposanti su piani d’agata, = 270 — nè di determinare la grandezza di quest'errore sia sperimentalmente che teo- ricamente supponendo noti i coefficienti d'attrito radente e volvente e i dia- metri degli assi e della sezione retta dello spigolo. Non ho potuto fare questo studio perchè non disponevo che di due tri- bometri molto imperfetti, uno destinato a dimostrare nella scuola le diverse specie di attrito e sufficiente a tale scopo ma disadatto per misure di pre- cisione, l'altro appartenente ad una vecchia macchina d’Atwood in condizioni ancor peggiori. Mi contentai perciò di verificare sommariamente l'applicabilità del me- todo usando il primo dei suddetti tribometri, sebbene l’attrito degli assi delle ruote sui cuscinetti d'ottone apparisse grande. Siccome non avevo un coltello di sospensione lungo quanto la distanza delle ruote di ciascuna coppia, usai come asse d'oscillazione del pendolo un grosso tubo di vetro con foro capillare nelle cui estremità avevo infisso e fissato con mastice le parti quasi cilindriche di due grossi aghi da cucire che riposavano sulle intersezioni delle ruote. L'asta del pendolo fissata perpendicolarmente e nel mezzo di quest'asse era lunga solo circa 10 cm. quanto permetteva la posizione della base del tribometro; però talvolta feci anche uso di un’ asta lunga circa 1 m., capovolgendo il tribometro e fissandolo con la base adattata contro la faccia inferiore di un tavolo. Misurai le deviazioni del pendolo e di una delle ruote fissando ad essi due specchietti contigui ed osservando in essi con un cannocchiale con reti- colo le immagini d'una scala verticale. Sarebbe stato preferibile far uso di due cannocchiali e due scale, uno dei quali a forte ingrandimento con rela- tiva scala finamente divisa per osservare nello specchietto fisso alla ruota, la quale si sposta pochissimo. Nella seguente tabella sono riferiti i risultati di una serie di esperienze; nella 1% e 2* linea trovansi gli spostamenti 4 ed a' delle immagini causati dalle deviazioni del pendolo e della ruota rispettivamente, nella 3* linea il loro rapporto. a 201 96 160 186,5 | 107 (1510 244 316 241,5 | 315 a 2,5 1,2 2,1 1,8 1,5) 1,75 3,7 9,7 3,1 4,5 “gp 80,4 80 76,2 75,8 71,9 78,6 85,4 80,4 78 70 Il valor medio di @/a' che se ne deduce è 78,0 e siccome il diametro 2R della ruota era di 76 mm., risulta per il diametro dell'asse d'’oscillazione del pendolo 76:78 mm. ossia 0,974 mm., mentre misurato direttamente con un compasso a vite lo stesso diametro risultò di 1,05 mm. Le condizioni in cui furono eseguite queste determinazioni erano molto meno soddisfacenti di quelle relative al coltello delle bilance, e non sarebbe stato possibile migliorarle senza usare un altro apparecchio costruito appo- =} HOT sitamente e con cura, ed esse spiegano le differenze dei singoli valori di a:a". La differenza tra il valore ottenuto per 20 coll’apparecchio suddetto e quello ottenuto direttamente col micrometro conferma l’esistenza dell’accen- nata causa d'errore prodotta dallo strisciamento dell'asse sulle ruote; tuttavia questa differenza non è così grande che non si possa sperare di ottenere un buon valore del diametro cercato, sia diminuendo nel modo sopraccennato lo strisciamento, sia correggendo l'errore che esso produce. Ho eseguito molte esperienze su questo modo di sospensione del pendolo, che così oscilla rigorosamente attorno all'asse di curvatura dello spigolo ; esse potranno esser oggetto d'una prossima Nota. Sarà inoltre oggetto d'uno studio speciale la determinazione del raggio di curvatura degli spigoli na- turali ed artificiali delle sostanze cristallizzate ed amorfe, la quale forse potrà fornire dati importanti sulla struttura molecolare delle medesime. Chimica. — Sull’acido monocloroplatinico (*). Nota II (*) di IrALO BELLUCCI, presentata dal Socio CANNIZZARO. Sale di argento [Pt C1(0H)*]Ag?. La riduzione del composto venne fatta ad elevata temperatura in cor- rente d’idrogeno. 1°. Gr. 0,3398 di sostanza ridotti ad elevata temperatura in crogiuolo di Rose ed in corrente d’idrogeno dettero gr. 0,2612 di platino ed argento. 2°. Gr. 0,3748 di sostanza ridotti in egual modo, lasciarono per residuo gr. 0,2886 di platino ed argento. Questo residuo, staccato accuratamente dal crogiuolo, venne trattato ripetutamente fino all’ebollizione, con ac. solforico concentrato. Rimasero indisciolti gr. 0,1350 di platino. 3°. Gr. 0,3516 di sostanza egualmente ridotti dettero gr. 0,2704 di platino e argento, che, trattati come sopra, con ac. solforico concentrato, lascia- rono indietro gr. 0,1270 di platino. 4°. Gr. 0,4867 di sostanza disaggregati con carbonato sodico-potassico, in crogiuolo di porcellana, dettero gr. 0.1292 di cloruro di argento. Riferendosi a 100 parti di sostanza, si ha: Trovato Calcolato per I II III IV [Pt CI (0H)5] Ag? Pt + Ag 76.87 77.00 76.91 = 77.30 Pt = 36.02 36.12 = 36.67 Ag = 40.98 40.79 = 40.63 Cl = — —_ 6.56 6.67 (?) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Chimica generale della R. Università di Roma. (2) V. pag. 241. ReNDICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 35 — ps Sale di tallio [Pt C1 (0H)*] TI?. Per determinare e separare il platino dal tallio, ho adoperato il metodo usato dal Miolati (!) per il sale di tallio dell’acido tetracloroplatinico, me- todo che dà risultati veramente buoni. 1°. Gr. 0,4232 di sostanza, trattati nel modo indicato di separazione del platino dal tallio, fornirono gr. 0,1131 di platino. | 2°. Gr. 0,4112 di sostanza, trattati id. id., dettero gr. 0,1094 di platino e gr. 0,3726 di ioduro talloso. 3°. Gr. 0,4006 di sostanza, trattati id. id., dettero gr. 0,1068 di platino e gr. 0,3622 di ioduro talloso. 4°. Gr. 0,4410 di sostanza, disaggregati con carbonato sodico-potassico, in erogiuolo di porcellana, dettero gr. 0,0836 di cloruro di argento. Riferendosi a 100 parti di sostanza, si ha: Trovato Calcolato per I II III IV [Pt CI (OH)s] T1? Pt 26.72 26.61 26.66 — 26.92 AMI — 55.89 55.77 — 56.42 Cl — = —_ 4.68 4.90 Sale di piombo [Pt Cl (0H)*] Pb, Pb (0H)?. Per la precipitazione di questo sale si adoperò acetato neutro di piombo. Per la separazione del platino dal piombo, una data quantità di sostanza sì evaporò ripetutamente in crogiuolo di platino con acido solforico concentrato, pesando il residuo di platino e solfato di piombo. Questo residuo poi si pesò nuovamente dopo averlo esaurito con acetato di ammonio che ne aveva aspor- tato il solfato di piombo. 1°. Gr. 0,4031 di sostanza dettero gr. 0,4222 di platino e solfato di piombo e gr. 0,1086 di platino. 2°. Gr. 0,3960 di sostanza fornirono gr. 0,4157 di platino e solfato di piombo e gr. 0,1024 di platino. 3°. Gr. 0,4575 di sostanza disaggregati con carbonato sodico-potassico, det- tero gr. 0,0774 di cloruro di argento. Riportandosi a 100 parti di sostanza, si ha: Trovato Calcolato per I II INI [Pt C1(0H) Pb, Pb (0H) Pt-+ SO‘ Ph 104.73 104.96 — 104.93 Pt 25.70 25.86 — 25.59 Pb 54.]1 54.02 _ 54.23 Cl — — 4.18 4.65 (1) Zeitschr. f. anorg. Chemie YA7/, 460. — 273 — Sale di mercurio [Pt C1(0H)*] Hg. Il platino si determinò quale residuo della calcinazione. Il cloro fon- dendo il composto con idrato sodico. 1°. Gr. 0,38230 di sostanza, calcinati, lasciarono per residuo gr. 0,1208 di platino. 2°. Gr. 0,2926 di sostanza, id. id., dettero gr. 0, 1097 di platino. 3°. Gr. 0.4388 di sostanza, fusi con idrato sodico, dettero gr. 0,1138 di clo- ruro di argento. Riferendosi a 100 parti, si ha: Trovato Calcolato per I II III [Pt C1(0H)5 ] Hg Pt 37.40 37.49 —_ 37.78 Cl — — 6.41 6.38 Acido monocloroplatinico [Pt C1(0H)]H?. Sono riuscito ad ottenere una soluzione acquosa di acido monocloro- platinico | Pt C1(OH)*]H?, agendo con acido solforico sul sale di bario [Pt C1(0H)5] Ba, H° 0, nelle condizioni che qui riferisco. Ad una quantità pesata di sale di bario, seccato bene fra carta, ridotto in polvere finissima, si aggiunge entro un recipiente di vetro relativamente grande, a tappo largo smerigliato, un volume calcolato di soluzione di acido solforico ®°"!/,,, tale da non essere completamente sufficiente a precipitare tutto il bario del sale allo stato di solfato (c.c. 35 per ogni grammo di sale platinico, mentre teo- ricamente se ne richiedono c.c. 42,5). Si lascia stare così il recipiente in luogo fresco per almeno ventiquattro ore, curando di squassarlo molto spesso e vivacemente. A capo delle ventiquattro ore, dopo essersi assicurati che più non vi rimangono quantità di acido solforico sensibili ai reattivi, si filtra il liquido per separarlo dallo strato di solfato di bario formatosi e dalla eccedenza del sale di platino indecomposto. La soluzione dell'acido monocloroplatinico, così ottenuta, si presenta con un leggero colorito giallo-rossastro; ha reazione nettamente acida alle carte reattive; scompone lentamente a freddo, rapidamente a caldo, i carbonati, e si mantiene limpida anche in capo a qualche giorno. Volli determinare anzitutto se in tale soluzione il platino ed il cloro sì mantenevano nel rapporto voluto di 1:1. Da un volume qualunque di — 274 —. essa, addizionata di un po’ di acido acetico, precipitai a b. m. il platino con nastro di magnesio e nel filtrato, dopo la separazione del platino, il cloro per precipitazione con nitrato di argento. Ottenni così gr. 0,3872 di platino e gr. 0,2811 di cloruro di argento corrispondenti a gr. 0,0695 di cloro, il che porta ad un rapporto tra platino e cloro come 1:0,987, cioè molto vicino a - quello richiesto di 1:1. Stabilendo poi il titolo della soluzione di acido monocloroplatinico dal platino contenuto in un dato numero di c.c., ho titolato detta soluzione, con- venientemente diluita con acqua, con una "°""/,, di idrato sodico, adoperando come indicatore la fenol-ftaleina. Dal comportamento acidimetrico risulta evidente la presenza nella so- luzione di un acido bibasico, poichè per ogni atomo di platino furono neces- sarie per la neutralizzazione del liquido due molecole di idrato sodico. I dati ottenuti sono i seguenti: 1°. Una soluzione contenente gr. 0,1526 di acido monocloroplatinico richiese per essere neutralizzata cme. 9,95 di Na HON/,, mentre la teoria ne richiedeva 9,62. 2°. Una soluzione contenente gr. 0,1914 di acido monocloroplatinico (di pre- parazione diversa dalla precedente), richiese per la neutralizzazione . cme. 12,40 di Na HON/, mentre la teoria ne richiedeva cme. 12,07. La soluzione dell'acido monocloroplatinico, dopo lungo soggiorno nel vuoto su acido solforico, lascia un residuo bruno sciropposo, deliquescentissimo, da cui non è possibile separare cristalli. Tale soluzione trattata con le solu- zioni degli idrati di bario, calcio e stronzio rigenera gli stessi precipitati fine- mente cristallini che si ottengono direttamente per azione della luce solare; trattata con le soluzioni degli acetati di argento, tallio, piombo e mercurio precipita i rispettivi sali identici a quelli, sopra descritti, ottenuti per doppio scambio dal sale di bario. Neutralizzata però con soluzioni di varî idrati (di sodio, di litio) non dette mai prodotti cristallini, ma solo, dopo lungo soggiorno nel vuoto secco, dei residui vischiosi e deliquescenti Da quanto sopra ho esposto mi sembra bastantemente provata l'esistenza dell'acido monocloroplatinico [ Pt Cl (0H)5] H?. Il modo con cui dal sale di bario, avuto direttamente, sono riuscito a pre- parare per doppio scambio i quattro sali di argento, tallio, piombo e mercurio, e ad isolare la soluzione dell'acido libero, le relative proprietà di questa, compro- vano in maniera indubitata l'esistenza dell'anione complesso [ Pt C1 (OH)®]" che si è trasportato sempre integro dall'uno all'altro dei varî composti otte- nuti. L'acido monocloroplatinico può perciò mettersi a lato degli acidi penta- cloroplatinico, tetracloroplatinico, bicloroplatinico, in quella serie di acidi che dall'esacloroplatinico Pt C1° H® arriva sino al platinico per sostituzione gra- — 275 — duale di ossidrili agli atomi di cloro di quello : [Pt CIS] H? (= [Pt 015 (0H)] H? (A) [PtCl(0HY]H? [Pt CIS (OH)? ] H? (A) = [PtC1*(0H)]H? [Pt C1 (O0H)] H? [Pt (0H)°] H? della quale serie, trascurando l’esacloroplatinico, conosciuto già da molto tempo, non rimane sconosciuto che il tricloroplatinico [ Pt Cl’ (OH)*] H° e poco deter- minato il platinico [ Pt (OH)°]H?. Chimica. — Sulla non prevalenza dei sali potassici nella bile dei pesci marini ('). Nota preliminare di 0. U. ZANETTI, pre- sentata dal Socio CANNIZZARO. Già da tempo, occupandomi di alcuni argomenti di chimica fisiologica e scorrendone la letteratura, mi colpì il fatto che nella maggior parte dei trattati, sia recenti che vecchi di fisiologia e chimica fisiologica (°), sta scritto: « Gli acidi biliari sì trovano combinati in generale con il sodio nella bile degli animali terrestri, mentre nei pesci marini questi acidi sono com- binati quasi esclusivamente al potassio ». La mia meraviglia non deriva tanto dal fatto della prevalenza del po- tassio, il che poteva essere, visto che essa è riportata da un autore all’altro nella letteratura da me consultata e che abbraccia circa mezzo secolo, pre- valenza quindi da tutti finora ammessa od accettata; ma dall'altro fatto che non potei riscontrare alcun lavoro o capitolo nelle opere esaminate, il quale accennasse essere stati eseguiti studî, per vedere quale fosse la ragione di questa specie di elettività per il potassio da parte dell'apparato biliare di animali, che vivono in un mezzo dove il potassio si trova in piccolissima quantità, mentre prevale fortemente il sodio (°); elettività che a mio avviso (1) Miolati e Bellucci, Gazz. chim. italiana, ANXX (ID), 565. (2) Miolati, Zeitschr. f. anorg. Chemie, ANX//, 445. (3) Miolati e Pendini (di imminente pubblicazione). {4) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica farmaceutica della R. Università di Catania. (5) Bottazzi, 1991; Hammarsten, Hoffmeister, Neumeister, Wurtz, Bunge, Selmi Enciclopedia, 1869. (5) Usiglio (Enciclopedia chimica del Selmi, vol. I, pag. 241), fornisce i seguenti dati per l’acqua del Mediterraneo: in 1000 parti cloruro di sodio gr. 29,442; cloruro di potassio gr. 0,505. — 276 — presentava non scarso interesse nel campo della biologia e della bio- chimica. Tale lacuna, il non aver veduto in alcuno dei trattati, che pure mettono in rilievo tale particolarità, riportati dati numerici sulle quantità di sodio e potassio contenute nella bile dei pesci marini, ed infine, tenendo conto del fatto ormai stabilito, che nella bile umana la quantità di sodio si mantiene pressochè costante, mentre quella del potassio si può variare per l'aggiunta di sali potassici con gli alimenti, mi fecero dubitare sulla esattezza di quanto finora si è affermato, e stimai prezzo dell’opera fare delle analisi quantitative sul contenuto di sali sodici e potassici nella bile dei pesci marini, le quali de- terminazioni o avrebbero confermato il fatto di cui mi pareva interessante studiarne il perchè, ovvero mi avrebbero permesso, come a me sembrava più probabile, di togliere un errore che da tanto tempo si perpetuava. L'essere a Catania e nella opportunità quindi di procurarmi fresco il materiale occorrente, mi determinò a trattare questo argomento, ma soltanto in questo autunno mi trovai in condizioni di tempo e di mezzi per occu- parmene; nella presente breve Nota preliminare espongo i primi risultati ottenuti, i quali però sono sufficienti a far vedere che non erravo dubitando della prevalenza del potassio nella bile dei pesci marini. Le esperienze si riferiscono al liquido biliare contenuto nelle cistifele fresche di alcuni pesci di mare venuti sul mercato di Catania. Le analisi furono fatte sul residuo proveniente dallo incenerimento della bile dalla quale prima veniva separata la sostanza mucoide coll'acido acetico; quindi l’albumina per coagulazione, e ciò per eliminare la maggior parte delle sostanze proteiche che rende sempre difficile la calcinazione. Per bre- vità non descrivo in esteso il metodo analitico eseguito, dirò solo che dal residuo fisso, tolta la silice nel modo ordinario, vennero eliminate le basi pesanti, quelle terrose, alcalino terrose per mezzo dell’idrato di bario in eccesso, il quale nel contempo toglieva alla soluzione leggermente cloridrica i solfati ed i fosfati; l'eccesso di barite venne tolto per azione dell'acido carbonico in presenza di ammoniaca, così da trasformare in carbonato quel bario che era passato nella soluzione allo stato di sale solubile, ed infine eliminando per arroventamento tutti i sali ammoniacali. La determinazione dei sali alcalini e separazione venne fatta per mezzo del cloruro di platino; il sodio venne determinato sia per differenza, sia pesandolo sotto forma di cloruro, togliendo il platino dalla soluzione dalla quale era stato separato il cloro- platinato potassico. I seguenti valori si riferiscono alla percentuale di ossidi alcalini conte- nuti nella cenere proveniente dalla calcinazione del liquido biliare n foto contenuto nella cistifele. (Al nome scientifico del pesce faccio seguire quello in uso sul mercato di Catania). — 277 — Ossido di sodio Ossido di potassio Xiphias gladius (Pesce spada). . . 47,52 4,56 Orcynus thynnus (Tonno) . . . . 48,64 3,22 Polyprion cernium (Addotto) . . . 45,14 6,60 Cerna gigas (Cirenga) . . . . . 46,19 4,48 A maggior conferma dei risultati ottenuti ho voluto anche analizzare la cosidetta bile cristallizzata di Platner preparata, tanto dal liquido biliare del pesce spada che del tonno, seguendo il metodo indicato nell'Hammarsten; in quantochè, essendo come si sa questa bile cristallizzata costituita princi- palmente dal miscuglio dei sali alcalini degli acidi biliari, operavo con un materiale meno ricco di altri sali minerali. Bile cristallizzata in 100 p.. . . Nas0 K:0 Rescewspada o a e i. a 40029 13,42 MONO e a AMO 12,63 Da queste determinazioni risulta quindi: che nella bile dei pesci di mare da me analizzata non si riscontra la prevalenza del potassio sul sodio, bensì il contrario. Altre determinazioni e l’analisi completa della bile del pesce spada affidai al laureando sig. Melfi, e delle ricerche e descrizione dei metodi seguiti nei varî processi di separazione, accennati anche nella presente Nota, sarà dettagliatamente fatta presto la pubblicazione nella Gaz- zetta chimica italiana; ed in allora spero poter anche citare la fonte di quelle prime notizie che, riportate dai varî autori, ci condussero tutti a ritenere che i sali degli acidi biliari nei pesci marini contenessero prevalentemente il potassio, notizia che secondo quanto è riferito nel vol. III della Enciclo- pedia del Selmi 1869, pag. 160, è attribuita a Bensch e Strecher, ma che fino ad ora non potei controllare nei lavori originali di questi autori per deficienza momentanea di mezzi bibliografici nell'Istituto da me diretto. Fisiologia. — Esperienze sull’ anestesia del labirinto dell’ orec- chio nei pesci cani (Seyllium catulus). Nota del prof. G. GAGLIO, presentata dal Socio LUCIANI. Si è discusso infino agli ultimi tempi, riguardo ai disturbi di movimento, che seguono al taglio dei canali semicircolari dell'orecchio, su di un punto fondamentale, se essi, cioè, siano da considerare, come un effetto della ecci- tazione del canale leso o come conseguenza della soppressa funzione del canale. Alle buone ragioni, che hanno sostenuto l'opinione che veramente si tratti di deficienza funzionale, io ho aggiunto il fatto, che la semplice anestesia dei canali, praticata nei colombi con l'applicazione di una soluzione di cocaina, — 278 — determina precisamente gl’ identici disturbi, che si hanno in seguito alla distruzione del canale, e in una maniera temporanea, in rapporto all'azione fugace della cocaina (!). Il metodo, che diede così buoni risultati, in quanto che ha permesso lo studio delle funzioni dei canali semicircolari, arrecando una minima lesione anatomica, meritava di essere esteso allo studio del labirinto uditivo di altri animali. Ho così rivolto l’attenzione sui pesci cani, che sono stati oggetto di molte esperienze e discussioni da parte di Steiner, Loeb, Bethe ed altri. Lo Steiner ha eseguito ricerche (2) sui canali semicircolari dei pesci cani, venendo alla conclusione, che si possono in questi animali distruggere larga- mente i canali semicircolari, senza che si veda comparire alcun disturbo di movimento, a meno che la lesione non sia complicata da una lacerazione del midollo allungato. Nel suo Trattato di Fisiologia, lo Steiner, poi, dice che nei pesci, specialmente nei pesci cani, si possono asportare i canali semicir- colari, in modo che compaiano o no disturbi di movimento, secondo quello che si vuole. Quando si provocano disturbi di movimento, egli aggiunge, è il centro di origine del nervo acustico che viene leso, e queste lesioni producono una forma di disturbi perfettamente eguale a quella che si ha per asportazione dei canali semicircolari. Anche Tomaszewics e Kiesselbach hanno affermato, come la distruzione dei canali semicircolari nei pesci non determini disturbi di equilibrio. Ma questi risultati non sono stati accettati, avendo essi trascurato di considerare le posizioni e i movimenti compensatorî, che sono conseguenza delle lesioni dell'orecchio interno (Mach e Breuer, Loeb). D'altra parte (Loeb, Bethe) fu dimostrato, che il taglio degli acustici nei pesci cani, senza lesione alcuna del midollo allungato, dà luogo ai carat- teristici cambiamenti di posizione e di movimenti. Certamente i disturbi motorî, che presentano i pesci cani, in seguito alle lesioni dell'organo uditivo, non sono così intensi, come quelli che si osservano per gli organi analoghi dei piccioni, e possono sfuggire ad una osservazione superficiale. Ho cominciato, infatti, col fare larghe esportazioni del labirinto uditivo nei pesci cani e la prima impressione è stata veramente quella di sorpresa, nel vedere questi animali, rimessi nelle vasche, nuotare discretamente; ma presto notai, come l’animale per lesioni unilaterali incli- nasse più da un lato e tenesse le pinne pettorali inegualmente espanse e nel muoversi facesse giri più o meno larghi di maneggio, come se ineguale fosse la forza di contrazione dei muscoli dei due lati del corpo. L'animale (1) G. Gaglio, Esperienze sulla anestesia dei canali semicircolari dell'orecchio. Archivio per le Scienze mediche, vol. XXIII, n. 8. (2) Steiner, Die functionen des Central-nervensystem, ecc. Brainschweig, 1888. — 279 — mostrava, inoltre, in seguito alle mutilazioni, un pronunziato e duraturo abat- timento generale. A distinguere quanta parte di questi disordini spettasse alla mancanza dell'organo asportato, quanta a possibili irritazioni operatorie, doveva prestarsi bene l'applicazione locale della cocaina, capace di rivelare, mercè l’aneste- sia locale, i soli fatti di deficienza funzionale. Il labirinto uditivo dello Scy/lium catulus si presta assai bene per le applicazioni locali di cocaina, essendo ampio e di facile accesso. Esso risulta di una cavità (utricolo) entro la quale sboccano le ampolle dei tre canali semicircolari; ho pensato, quindi, di instillare dentro di essa qualche goccia di soluzione di cloridrato di cocaina. L'operazione è riuscita nel miglior modo ad animale integro, penetrando con la punta di un ago di Pravaz attra- verso la cute e la parete cartilaginea del cranio direttamente entro la cavità dell’ utricolo. Mi fu facile orientarmi sul punto preciso, nel quale penetrare: ho tirato una linea ideale sulla superficie del cranio dall’avanti all'indietro, in modo da dividere la testa in due parti eguali, destra e sinistra, e un’altra linea perpendicolare alla prima, che andava da un forame branchiale all’altro; è dal punto di incrocio delle due linee, che dovevo muovere, andando in linea retta verso il forame branchiale e fermandomi press'a poco ad un terzo della distanza, per essere sicuro, che l'ago, infitto perpendicolarmente, penetrasse nel centro della cavità dell’ utricolo. Nei comuni esemplari dello Scyllium catulus di kg. uno di peso, questo punto era alla distanza di un cm. dal punto di incrocio delle linee descritte. Del resto, una volta passato con la punta dell'ago attraverso la parete del cranio, si sentiva dalla mancata resistenza di essere penetrati nella cavità, e quando non se ne era bene sicuri, vi si riusciva, inclinando opportuna- mente l’ ago. La figura qui sopra mostra uno spaccato, a grandezza naturale, della regione otica, come risulta per un taglio della testa, praticato lungo la linea da un forame branchiale all’altro; essa rappresenta la parte posteriore della metà destra della testa così tagliata. Si vede bene come ampio sia l’ utricolo (a) e come facile ne sia l’accesso dall'esterno, segnato dallo spillo infitto; RenpIcontI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 36 — 280 — b corrisponde alla sezione del canale orizzontale, esterno; e alla cavità cranica. Per mezzo di iniezioni di liquido colorato con inchiostro di China o fuc- sina ho visto, che iniettando entro la cavità dell'utricolo 4-5 gocce di liquido, questo si diffondeva nell'utricolo e nei canali semicircolari, che ne rimane- vano colorati. Il pericolo, che il liquido attraverso la via del nervo acustico potesse penetrare entro del cranio, non si mostrò fondato, poichè anche iniet- tandone quantità maggiore, non fu vista colorazione alcuna della parete interna del cranio e dell'encefalo. Ho anche iniettato a più riprese molte gocce di mercurio entro l'utricolo, senza che abbia mai constatato passaggio di mercurio entro la cavità cranica. Per essere, talvolta sicuro, dell’azione localizzata della cocaina, ho aggiunto alla soluzione di essa una sostanza colorante e dopo l' esperienza, ucciso l’animale, ho verificato come essa si fosse diffusa solamente entro l'àmbito del labirinto. Riferisco alcune esperienze: I. 7 agosto. Grosso Scyllium catulus del peso di kg. 1,400. Ore 9.20. Si toglie il pesce cane dalla vasca, e mentre un aiuto tiene ferma la testa su di un tavolo, inietto entro il labirinto uditivo, a sinistra, 3-4 gocce di una soluzione di cloridrato di cocaina 5 °%, colorata con una goccia di inchiostro di China; l’opera- zione dura meno di un minuto. Rimesso rapidamente l’animale nella vasca, questo fa subito movimenti disordinati, che debbono in gran parte riferirsi alla reazione dell’ani- male per la violenza patita. Presto l’animale si calma e dopo 10-15 minuti si osserva, che esso nel nuotare affonda di più nell'acqua il lato sinistro; anche quando riposa al fondo della vasca, si osserva, che l’animale sta inclinato, poggiando di più verso il lato sinistro. Nell’animale in riposo si osserva, che la posizione delle pinne pettorali non è sim- metrica, quella sinistra più abbassata e meno espansa è in contatto col suolo, la destra è più sollevata e tocca appena col suo margine il suolo o non lo tocca affatto. Eccitando l’ animale per mezzo di lunghe pinze di legno a muoversi, esso nuota, inclinato verso il lato sinistro e si volta sempre da sinistra verso destra; esso, cioè, fa giri di maneggio più o meno larghi e sempre nel senso da sinistra verso destra. Costrin- gendo l’animale per mezzo delle pinze di legno a voltarsi in senso opposto, esso vi riesce con difficoltà eseguendo movimenti disordinati e ripiglia subito la sua direzione verso destra. Questi disturbi sono durati distintamente per un’ora e mezza, quindi cominciarono ad attenuarsi; osservato l’animale alle ore 15, appariva normale per la sua posizione di equilibrio simmetrica e per i giri che faceva nell'acqua, voltandosi indifferentemente ora verso destra, ora verso sinistra. Ucciso l’animale, furono trovati colorati in nero dall’inchiostro di China tutto 1’ utri- colo e in gran parte i canali semicircolari ; nessuna traccia di coloramento nero fu riscon- trata entro il cranio. II. 9 agosto. ScyMlium catulus, peso kg. 1,200. Ore 14.25. Iniezione nel labirinto destro di poche gocce di soluzione di cocaina 5 °/o, colorata con un po'di fucsina. Ore 14.33. L'animale nuota, inclinandosi verso il lato destro; quando sta in riposo sul fondo della vasca, poggia inclinato sul fianco destro, con la pinna pettorale destra abbassata, quella sinistra più dilatata e sollevata dal suolo. vel — Eccitato, nuota voltandosi sempre verso sinistra, fa, cioè, giri di maneggio da destra verso sinistra. Non si riesce, presentandogli degli ostacoli per mezzo di lunghe pinze di legno, a farlo girare in senso opposto, verso destra. Nel nuotare muove con prevalenza la pinna pettorale sinistra. Ore 15 .10-15.30. Persistono i disturbi. Ore 16.30. I disordini di equilibrio e di locomozione sono attenuati, ma persiste la tendenza a fare giri di maneggio verso sinistra. Alla dimane l’animale appare perfettamente normale. Questo animale servì per altre ricerche, ma quando esso morì, due giorni dopo la prima esperienza, furono trovati colorati dalla fuesina l’utricolo e i canali semicircolari del labirinto destro, nessuna traccia di coloramento entro la cavità del cranio. III. 16 agosto. Grosso Scy/lum catulus. Ore 10. Si iniettano nel labirinto destro 2-8 gocce della soluzione di cocaina. Dopo 5 minuti l’animale inclina sul fianco destro e fa giri di maneggio verso sinistra; si toglie dalla vasca e si iniettano nel labirinto sinistro 2-3 gocce della stessa soluzione di cocaina. Immediatamente dopo l'iniezione, rimesso l’animale nella vasca, compie rapidi movi- menti di rotazione attorno l’asse longitudinale del corpo e nuota in posizione verticale, colla testa fuori l’ acqua. Calmatisi dopo uno o due minuti questi movimenti disordinati, l’animale nuota bar- collando, oscilla, cioè, ora un po’ verso il lato destro, ora un po’ verso quello sinistro; non fa più giri di maneggio, voltandosi ora a destra, ora a sinistra. Appare molto prostrato di forze e offre poca resistenza, quando lo si prende con le mani. Se per mezzo delle pinze di legno si mette l’animale a giacere su di un fianco o sul dorso, esso resta per qualche minuto in questa posizione anormale. Dopo un'ora i disturbi persistono, ma appaiono un po’ diminuiti. Nelle ore pomeridiane l’ animale sembra rimesso, ma non del tutto, mostrandosi ancora un po abbattuto. Lo stesso stato presentava all’indomani; ucciso, fu riscontrata una lieve emorragia nel labirinto, così a destra, come a sinistra. Queste esperienze dimostrano, che i disturbi motorî, che si osservano nei pesci cani in seguito alle instillazioni di cocaina entro il labirinto udi- tivo, sono fondamentalmente gli stessi di quelli che seguono alle mutilazioni del labirinto e al taglio del nervo acustico. Una differenza può essere notata nei risultati per quello che riguarda la direzione dei giri di maneggio, che il Loeb (') in seguito al taglio dell'acustico vide seguire costante verso il lato del nervo leso, mentre in seguito alle instillazioni labirintiche di cocaina i giri di maneggio si fanno di regola verso il lato normale. Tuttavia anch'io ho osservato una volta, e veramente in seguito ad instillazioni entro il labi- rinto di una soluzione molto concentrata di cocaina (10°/) farsi giri di ma- neggio verso il lato operato. Secondo Bethe (*) in seguito al taglio dell'acustico nei pesci cani, non sì hanno risultati costanti riguardo alla comparsa e alla direzione dei giri di maneggio, ma sul proposito debbo fare osservare, che i giri di maneggio (1) Loeb, Veber den Antheil des Hòrnerven an den nach Gehirnverletzung auftre- tenden Zwangsbewegungen ecc. Pfliger's Archiv, Bd. 50, 1891. (?) Bethe, Die Locomotion des Haifisches ecc. Pfliger's Archiv, Bd. 76, 1899. — 282 — sono talvolta molto larghi e possono sfuggire ad una osservazione superficiale ; l’animale, per esempio, che si trova in una vasca discretamente grande, della lunghezza di 2 metri, riesce a dirigersi nel nuoto da un'estremità all'altra della vasca e il maneggio non è allora rivelato, che dal voltarsi che fa sempre da un lato, quando esso torna indietro, e dalla difficoltà che si prova quando si vuole costringerlo a voltarsi dal lato opposto. Debbo inoltre notare, che il Loeb e il Bethe hanno fatto le loro esperienze sullo Scyllium canicula, mentre io ho tentato le prime esperienze su questo animale e poi ho dovuto limitarle allo Seyllium catulus o gattuccio di mare, che è di mole assai più grande e che mi offriva il vantaggio di avere una regione otica estesa ed un utricolo ben capace. Sono le esperienze su questo animale che mi hanno con- vinto di avere raggiunto un'azione ben localizzata nelle instillazioni labirin- tiche di cocaina. Ad ogni modo, ciò che risulta fuori di ogni dubbio è, che i disordini motorî, che seguono nei pesci cani al taglio dell'acustico, alle asportazioni del labirinto o alle instillazioni di cocaina entro il labirinto, sono della stessa natura ed essenzialmenle dovuti alla mancanza dell'organo o alla deficienza funzionale di esso e non ad irritazioni operatorie. Io non nego, che anche le eccitazioni dirette dei canali semicircolari, come il Breuer (') specialmente ha dimostrato nei piccioni, possano dar luogo a movimenti ben determinati e caratteristici, benchè debba osservare, che, trattandosi di organi delicatissimi, una irritazione, che passi certi limiti, deve equivalere alla distruzione funzionale dell'organo. È quello che ho dovuto tenere presente, quando per via di controllo e di completamento delle mie ricerche, ho iniettato entro il labirinto dei pesci cani sostanze diverse. Premetto anzi tutto, che l'iniezione di poche gocce di liquido indiffe- rente, come acqua di mare sterilizzata, entro il labirinto dei pesci cani, non diede luogo a manifestazioni motorie di sorta; inefficace si mostrò anche l’instillazione di poche gocce di una soluzione di cloruro di sodio al 5 °/, e quando ho pensato di iniettare soluzioni saline di più alta concentrazione, sorse subito il dubbio, se con questi mezzi realmente avrei eccitato o non invece distrutto le espansioni nervose dell'acustico. Più adatto mi parve ad esercitare un’ eccitazione meccanica il mercurio metallico, come quello che suddividendosi in goccioline minutissime e pesanti, avrebbe potuto avere un'azione analoga a quella degli otoliti. Queste espe- rienze ho ripetuto parecchie volte, iniettando entro il labirinto dei pesci cani, ora di un lato, ora di tutti e due i lati, ora poche gocce, ora molte gocce di mercurio, senza che abbia potuto osservare disordini motorî ben definiti; sicchè esse confermano pienamente il concetto fondamentale, che è la paralisi labirintica quella, che costantemente determina disturbi motorî. (1) Breuer, Neue Versuche an den Ohrbogengingen. Pflùger's Archiv. Bd. 44, 1889. — 283 — Venendo ora alla interpretazione dei fatti osservati, se ci teniamo stretti alla immediata osservazione dei disturbi motorî, poichè in seguito alla instil- lazione della cocaina nel labirinto di un lato, l'animale affonda di più nel- l’acqua il lato dalla parte dove s' è fatta l'iniezione, e nel cambiare direzione, quando nuota, si volta sempre verso il lato opposto a quello iniettato, dob- biamo convenire, che l’animale si comporta, come se non fosse più simmetrica la forza muscolare dei due lati, e precisamente, come se fosse paretico il lato corrispondente a quello della praticata iniezione. L'animale, nel quale s' è iniettata cocaina in tutti e due i labirinti, non fa più giri di maneggio, ma barcolla nel muoversi, perchè la forza della contrazione muscolare è dimi- nuita così nel lato destro, come in quello sinistro. Esso è così debole, che sì lascia mettere a giacere nelle posizioni non naturali sul fianco o sul dorso e sì lascia prendere con le mani e tirare fuori della vasca, dibattendosi appena. Questa debolezza muscolare, consecutiva alle instillazioni di cocaina entro il labirinto e che dura temporaneamente in rapporto all’azione temporanea della cocaina, mi pare veramente il fatto più importante delle lesioni labirintiche. Per avere un'idea precisa di quanto diminuisse lo sforzo muscolare in seguito alle instillazioni di cocaina, ho pensato di praticare delle misure. Ho legato alla coda del pesce cane un lungo nastro, che dall'altro capo era in connessione con un apparecchio adatto a indicare lo sforzo, che il pesce, eccitato a muoversi, avrebbe spiegato. Per queste misure mi sono valso ordi- nariamente di una bilancetta a spirale, ma siccome essa non segnava che a quarti di chilogrammo, per misure più precise ho fatto passare il laccio, che ad uno estremo era legato alla coda del pesce, attraverso una car- rucola e ho posto all'altro estremo un sacchetto con dei pesi; potevo così notare il peso, che il pesce era capace di sollevare, l'altezza a cui lo faceva arrivare e il peso massimo, che faceva equilibrio allo sforzo dell'animale. Ho così trovato, che un pesce cane del peso di kg. 1,400, allo stato normale, segnava gr. 250-500 e qualche volta arrivava fino a gr. 1000. Dopo l'iniezione di poche gocce di cocaina nel labirinto di sinistra, il pesce segnava gr. 250 e non arrivava più che difficilmente a gr. 500. Dopo l'iniezione praticata anche a destra il limite massimo era indicato da gr. 250. Un altro pesce del peso di kg. 1,800, allo stato normale, sollevava con facilità dei pesi di kg. 1-1,500 e qualche volta arrivava fino a kg. 2. Dopo l'iniezione di cocaina nel labirinto di destra, esso non sollevava più che pesi di gr. 500-800 e, dopo l'iniezione praticata anche all’altro lato, innalzava solamente pesi di gr. 100-200, arrivando appena negli sforzi mas- simi a gr. 300. Queste esperienze dimostrano, che dopo l'iniezione di cocaina entro il labirinto di un lato, la forza muscolare del pesce diminuisce della metà e anche più e, dopo l'iniezione bilaterale, essa scende ancora infino al quarto della forza primitiva e anche più sotto. La diminuzione della forza di contrazione di determinate masse musco- lari ci spiega in una maniera naturale i cambiamenti di posizione e i disturbi motorî che presentano i pesci cani in seguito alle lesioni labirintiche e fa apparire artificiose e ingombranti le ipotesi, che si sono agitate, della ver- tigine, del deficiente senso dello spazio o della alterata funzione geotropica: Già basta osservare, come precisi e costanti siano i cambiamenti motorî, che si determinano in seguito alla distruzione o all’anestesia del labirinto, per escludere quelle spiegazioni, che dovrebbero fondarsi su di una confusione di percezioni e di movimenti dell'animale. L'orientazione nello spazio, la fun- zione statica (geotropica, Loeb) più che l'espressione funzionale di un solo organo, appare, come la risultante della complessa coordinazione sensitiva e motoria, che ha luogo nei centri nervosi. Le ricerche sui pesci cani ci conducono, quindi, a conclusioni analoghe a quelle, alle quali siamo pervenuti nelle ricerche sull'anestesia dei canali semicircolari dei colombi; esse hanno fondamento sul tono muscolare labirin- tico, illustrato specialmente dall’ Ewald e che si può ritenere, come la sola funzione dei canali semicircolari finora ben dimostrata. Il labirinto dell'orecchio regola per via riflessa il tono dei muscoli; dal labirinto, cioè, partono in una maniera continua eccitazioni sensitive, che ascendono verso i centri nervosi e si diffondono lungo i nervi motori rendendo possibile il normale funzionamento dei muscoli. Nei pesci questa funzione del labirinto appare isolata, mancando in essì la funzione acustica; pare, in- fatti, che i pesci, così come sono privi di coclea, siano del tutto privi del senso dell'udito. Nei colombi, l' Ewald vide, come anche la coclea abbia questa inflaenza riflessa sulla funzionalità dei muscoli, benchè in assai minor grado dei canali semicircolari. I colombi, infatti, nei quali sì sono asportate tutte e due le coclee, se hanno una deambulazione normale, perdono però l'attitudine al volo, perdono, cioè, la forza di tenersi col movimento delle ali librati in aria. Nè mancano altri esempî di questa influenza continua, leggermente ecci- tante, che da un organo di senso attraverso ai centri nervosi si trasmette ai nervi ed ai muscoli. Così il taglio delle radici posteriori spinali o l'anestesia di esse fatta per mezzo della cocaina, fa diminuire l’eccitabilità della corri- spondente radice spinale anteriore. Dal ganglio intervertebrale passa, quindi, nella radice posteriore un'influenza eccitatrice lenta e continua, che attra- verso le cellule del midollo spinale si riflette sulle radici anteriori. In seguito al taglio delle radici posteriori spinali si svolgono, anche nelle cellule anteriori del midollo, distinte alterazioni istologiche, come Rossolimo, Oddi e Rossi e recentemente Warrington (') hanno dimostrato. (1) Warrington, On the structural alterations observed in nervecells. Journal of Physiology, vol. 23, 1898-99. 25 — Queste osservazioni rivelano l’intima connessione funzionale fra il neurone sensitivo e il neurone motore, e riescono a renderci conto dei disturbi motori che seguono alle lesioni del labirinto uditivo; ma con ciò non riteniamo cono- sciuta tutta la funzione di esso, anzi abbiamo con una certa predilezione adoperato la parola labirinto per aver sempre presente, che esso rappresenta, davvero, fisiologicamente, un labirinto, che è ancora da distrigare. Le ricerche, che ho riferito, sono state fatte nell’ Istituto della Stazione Zoologica di Napoli, ove hanno pure sperimentato sui canali semicircolari dei pesci Steiner, Loeb, Bethe e tanti altri; al sig. Direttore dell’ Istituto, che mi accolse con gentilezza e mi fu largo di aiuti, mi è caro rivolgere vivi ringraziamenti. PERSONALE ACCADEMICO Commemorazione del Socio prof. RiccARDo FELICI, letta dal Socio RòITI nella seduta del 2 novembre 1902. A commemorare degnamente Riccardo Felici davanti a Voi, illustri Colleghi, non v'ha dubbio che mi manca la sufficienza; ma non ho potuto declinare il mesto ufficio perchè troppo intensi e profondi sono i sentimenti di affettuosa venerazione, di gratitudine e di ammirazione che in me ridesta la memoria del grande estinto. Lo conobbi sullo scorcio del 1864 quando andai studente a Pisa, d'onde è sgorgato sì largo fiume di sapienza e di virtù civiche ad irrigare e fecon- dare tutta Italia. Il Mossotti era scomparso, ma il suo spirito aleggiava ancora sulla Fa- coltà di scienze, il Piria, che aveva avuto per assistente il Cannizzaro, era passato a Torino, il Matteucci se n'era pure allontanato, travolto dal tur- binio politico. Dei veterani rimanevano il patriarcale Luigi Pacinotti, padre del nostro Collega, il quale stava maturando a Bologna la sua invenzione, germe di tante meraviglie scientifiche ed economiche, il Meneghini, i due Savi, e attorno a loro il Cuppari, l'Orosi, il Lavagna, il Martolini, Novi, Sbragia, Barsotti, Botto, ahimè tutti scomparsi! e su tutti primeggiavano il Betti ed il Felici, tanto diversi nelle forme esteriori e pure fratelli nella psiche. Il Beltrami passava per Pisa qual meteora luminosa. Stava per sor- gere il Dini. La scolaresca della Facoltà di scienze era diligente, seria, avida d'im- parare e con preparazione migliore della media, perchè i concorsi della Scuola normale superiore richiamavano a Pisa dalle altre Università non pochi giovani fra i più promettenti. Ed il Felici si sarebbe trovato nell’ am- bieute più acconcio alle proprie doti, se questi scolari non fossero stati s0- — 286 — prafatti per numero dagli altri di farmacia, d’agraria, di veterinaria e di medicina, che allora tutti insieme dovevano assistere alle lezioni di fisica, e che per un'aberrazione di noi Italiani si ritenevano allora, anche più d'oggi, come giustamente avversi alle matematiche. Egli dunque, spinto irresistibilmente dall’indole sua e dall' onesta co: scienza a dimostrare ed approfondire col più stretto rigore il nesso logico fra i varî fenomeni che andava descrivendo, si reputava obbligato a non usar punto le notazioni del calcolo come se fossero armi insidiose. E le sue dimostrazioni, frutto perciò di lunga meditazione e d'improba fatica, riusci- vano interessanti, limpide e persuasive solo a chi avesse il talento di se- guirle con la necessaria tensione della mente. Escogitava delle esperienze ingegnosissime per rendere palpabili nella scuola le relazioni fra le varia- bili d'un fenomeno: e rammenterò ad esempio quella di proiettare con un fascio di luce un pendolo oscillante al di sopra di un disco girevole con velocità costante attorno al proprio asse geometrico, per mostrare che la legge delle oscillazioni pendolari è quella stessa della proiezione del moto circolare uniforme sopra un diametro del circolo; e rammenterò pure l’altra esperienza di rendere visibile col metodo stroboscopico la curva d'oscillazione di una corda vibrante, rilevando che essa varia di forma insieme col timbro del suono reso, secondo che la corda viene pizzicata, od eccitata coll’ archetto da violino, od in altro modo diverso. Esperienze di tal genere il Felici montava in lezione per l'ottica, la elettricità, il calore: e naturalmente non riuscivano tutte di primo acchito; ma quando fallivano, egli le rendeva ancor più istruttive denunciando i mo- tivi dell’insuccesso. Aborriva dai facili sotterfugi che davanti all’ uditorio producono sicuramente l'apparenza dell'effetto cercato e lo mostrano cospicuo più del vero, tanto da strappare gli applausi: anzi si asteneva perfino di dare vistosità alle esperienze sincere. So che questo era un suo proposito deliberato, ma non so dire se provenisse da religioso rispetto per l'austerità della scienza cui forse egli avrebbe temuto di mancare ricorrendo ad effetti teatrali di dubbia efficacia didattica, o pure se fosse naturale conseguenza del suo fare dimesso, del ritegno che aveva di porsi in luce, della pena che provava quand'era notato. Il Felici, nato a Parma l'11 giugno 1819, aveva allora quarantacinque anni, faceva lezione da poco meno d'un ventennio, prima aiuto e supplente del Matteucci, poi professore aggregato, e co’ suoi colleghi che si chiamavano Piria, Luigi Pacinotti, Burci, Ferrucci, Ranzi, Vaccà, Giorgini, Pilla, Mar- tolini, Sbragia, Tassi, Marcacci e Tigri, aveva marciato da tenente nel ge- neroso battaglione universitario guidato dal Mossotti, aveva preso parte alla eroica lotta di Curtatone, ove il Montanelli vide ferito ed il Pilla morente; era professore ordinario da cinque anni, avendo già pubblicato alcuni dei la- vori che dovevano lasciare tanta orma nella scienza. E nella sua modestia — 287 — gli pareva un sogno che la cieca fortuna lo avesse portato tant’ alto da farlo padrone d'una reggia qual era a’ suoi occhi l'istituto fisico di Pisa allor così angusto e povero, ma in grazia sua così lindo, con annessa la casuccia ancor più angusta ed umile, ma abbellita dal sorriso dell'unica figliuoletta Isa- bella e dall’attento amore della impareggiabile sua consorte, signora Elisa Frullini. Io ebbi la rara ventura d'essere accolto in quella casuccia, di poter muovermi liberamente in quel laboratorio e d'aver commercio quotidiano con quell’ anima eletta; e giunto oramai all’età nella quale si vive di me- morie, trovo un ristoro dolcissimo a quel sereno spettacolo di virtù dome- stiche, di gioie intellettuali, di felicità perfetta. Il Felici era gioviale, arguto, piacevole nel conversare, e la fine ironia ed il pungente sarcasmo delle sue barzelette facevano il più singolare con- trasto coi sentimenti benevoli e delicati che lo guidavano in ogni suo atto. Non incoraggiava i giovani con blandizie e nutrendoli di speranze, li spro- nava con epigrammi ed insieme li ammoniva con precetti più o meno gio- così: « Giovinotto, giovinotto!, mi diceva, rifletta che ogni idea nuova è « novantanove volte su cento uno sproposito da prendersi con le molle. Se « le viene, la combatta prima di buttarla fuori! ». Bonarietà e pessimismo, umiltà ed acume critico fusi insieme, forma- vano il fondo del suo carattere mite ed equilibrato. Severo più con sè che con gli altri, diffidava delle proprie scoperte, non ne parlava mal: e le cau- tele nello sperimentare, gli scrupoli nell’asserire non gli parevano mai so- verchi, così che può sorgere il dubbio se la perfezione di quanto ha pub- blicato compensi la perdita che la scienza ha. patito dal suo riserbo. Pare incredibile, ma solamente in questi uitimi giorni sono venuto a scoprire alcuni suoi lavori: fra gli altri uno sulla termoelettricità del mer- curio, col quale metteva in evidenza sino dal 1846 come la semplice varia- zione di temperatura da punto a punto di un conduttore, il cui assetto mo- lecolare non possa modificarsi, non basti a destarvi la corrente elettrica. Un'altra sua Memoria, che mi era sfuggita e che non trovo citata in nessun luogo e che pure indarrebbe a stabilire fatti non ammessi general- mente, ha la data del 1851 e tratta delle polarità galvaniche secondarie e dell'influenza esercitata dal calore. sulla propagazione della corrente elettrica nei liquidi. In essa bisogna ammirare gli accorgimenti sottili mercè i quali il Felici ha saputo far rispondere degli apparecchi primitivi a questioni che tuttora rimangono incerte, malgrado la raffinatezza strumen- tale raggiunta con mezzo secolo di febbrile lavoro. Il Felici vi determinava, insieme con altro, come dipenda la forza elettromotrice di polarizzazione gal- vanica dalla intensità della corrente, ed i suoi numeri s’acconciano abba- stanza bene nella formola empirica suggerita dal Crova molto più tardi. Stabiliva inoltre come varia la conduttività elettrica dell’acqua al crescere Renpiconti. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 37 — 288 — della temperatura partendo da sotto zero, ed accennava ad un minimo cor- rispondente al massimo di densità. Questo fatto, malgrado l’affermativa re- cente del prof. Lussana, corroborata indirettamente dalle determinazioni di viscosità fatte dal compianto dottor Pacher, rimane ancora molto incerto avendo contrario il nostro illustre collega Kohlrausch, la più grande auto-- rità che si conosca in simil genere di ricerche; ma io confido che, di fronte al nome del Felici, il Kohlrausch stesso, od altri per lui, possa riprendere in esame la questione. i A Pisa, già nel 1847, quasi contemporaneamente col Kirchhoff, e prima che questi ne avesse poste le equazioni generali, il problema della distri- buzione delle correnti elettriche nei corpi a tre dimensioni era stato attac- cato dal senatore Luigi Ridolfi, allor giovinetto, e discusso dal Felici, il quale poco di poi lo risolse pienamente pel caso della sfera, ricavandone alcuni interessanti teoremi accessibili alla verificazione sperimentale. Se questi lavori del Felici rimasero più o meno ignorati insieme con altri che io sono andato rintracciando per presentarvene una lista, non toccò ugual sorte alle sue indagini intorno alla induzione elettrodinamica. Egli, a differenza di Weber e Neumann che avevano preso le mosse da dati ipotetici, s' era prefisso di ricercare la legge fondamentale dell’ impor- tantissimo fenomeno appoggiandosi unicamente a fatti bene accertati: e, seguendo i classici procedimenti di Ampère nello studio delle azioni pon- deromotrici fra correnti elettriche, seppe ideare e mandar ad effetto delle esperienze ammirabili per eleganza e semplicità, dalle quali trasse una espressione matematica della forza elettromotrice indotta in un elemento conduttore da un elemento di corrente, sia pel moto relativo, sia per le va- riazioni di essa corrente primaria, ed anche per lo spostamento d'una parte del conduttore indotto rispetto alla rimanente. La formola del Felici non coincide nè con quella del Weber, nè con l’altra del Neumann; ma dopo una lunga discussione contenuta in gran numero di Memorie interessantissime che il tempo mi vieta di analizzare davanti a Voi, illustri Colleghi, e dopo aver sottoposto alla prova dello sperimento i più varî casi escogitati pro e contro, si arrivò a conchiu- dere che tutte e tre le formule, convenientemente applicate, si trovano in pieno accordo coi fatti osservabili. Ciò è naturale per la prima, poichè ricavata con rigor logico da esperienze ineccepibili senza il soccorso d’alcun che d’arbitrario: e se pur le altre dànno risultati conformi alla realtà, la ragione è che le premesse arbitrarie v' introducono dei termini i quali svaniscono quando esse si applichino a correnti guidate da circuiti chiusi. Finora non si è sperimentato nessun caso di correnti aperte, e quando, come ogni indizio porta a ritenere, sia conforme al vero il concetto di Maxwell che anche pei conduttori non rientranti in se stessi, il circuito si chiuda pel dielettrico interposto; dovremo dire che la controversia già — 289 — antica non potrà esser composta mai, come cosa riguardante un’astrazione che non trova riscontro in Natura. Spetta però al Felici il merito altissimo, e da tutti riconosciuto, d'aver dato un'espressione matematica dell’induzione con una base inconcussa che sfida qualunque mutar d'imagini ci preparino le più fervide fantasie volte a descrivere i fenomeni naturali (1). Egli la propria imaginazione la tiene a freno: e se il freno talvolta rallenta, è sollecito a farselo perdonare con una ingenuità che desta il sor- riso. Così, per tentare una teoria che derivi il diamagnetismo dall’ induzione, premette che non intende menomamente di risolvere un problema destinato ad essere agitato fra i fisici per molto tempo ancora, che sarebbe assai meglio non ricorrere ad alcuna ipotesi sullo stato molecolare dei corpi; ma che, non potendo di necessità esimersene, essa sia almeno chiaramente con- cepibile come quella, per quanto arrischiata, di ridurre a proporzioni infini- tamente piccole un fatto ben conosciuto e studiato sperimentalmente in tutte le sue particolarità e con ogni esattezza sui corpi di dimensioni finite, per supporne poi l’esistenza nelle ultime particelle materiali. Quindi, avendo dedotto matematicamente dalla sua formula dell’indu- zione che in una sfera conduttrice rotante di fronte ad una calamita si de- vono destare delle correnti indotte per cui essa tenderà ad avvicinarsele o ad allontanarsene secondo che la rotazione avviene in un verso o nell'altro; ed avendo riscontrato con paziente cura che, a parità di tutte le altre cir- costanze, la seconda azione è più intensa della prima, ne deduce a buon dritto che riescono in tal modo semplicemente interpretabili tutti i fenomeni sino allora conosciuti del diamagnetismo. Ma sorriderebbe lui, l’uomo superiore, compiacendosi della propria cir- cospezione, se potesse leggere l'ultimo discorso inaugurale dell’Associazione britannica, dove il prof. Dewar riferisce che, alle temperature bassissime otte- (1) Il Maxwell, negli art. 536 a 539 del suo celebre Trattato (Oxford, 1873) riporta con lode le esperienze del Felici; ma poi all'art. 542 dice: We may regard J. Neumann (dalle citazioni si scorge che si riferiva invece a F. E. Neumann), therefore, as having completed for the induction of currents the mathematical treatment which Ampère had applied to their mechanical action. Questa inesattezza sfuggita al grande Inglese, che in apparenza defrauda il Felici, non è impossibile che derivi da una parola usata dal Felici stesso! Infatti scopro che questi nella sua Rivista di lavori esteri sulla elettrodinamica (N. Cimento XIX, 205) aveva detto dieci anni prima: /l Neumann poi completò, ipoteticamente, quella legge (di Lenz, determinante la direzione delle correnti indotte) per ciò che riguarda la in- tensità dell'induzione. Nulladimeno, come è noto, la precedente espressione algebrica... (la formula di Neumann applicata a circuiti chiusi) coincide esattamente con quella da me ottenuta, seguendo per la sua RICERCA (per la RICERCA DI EssA, che avrebbe impe- dito, anche ad un leltore straniero, di cadere in equivoco) un modo affatto sperimentale, e simile a quello di Ampère nella sua teoria dei fenomeni elettrodinamici. So) — nibili mercè la liquefazione dell'aria o dell'idrogeno, il diamagnetismo del bismuto aumenta malgrado la diminuita forza viva interna, e ci rivela così che è condizionato non tanto dal moto quanto dall'assetto molecolare. Il Felici apparteneva con Helmholtz, per fare qualche nome, Beltrami, Poincaré, Volterra qui presente, a quella schiera eletta la quale sa appa- garsi della espressione matematica dei fenomeni senza sentire il bisogno nè l'utilità di foggiarsene alcun modello meccanico, come predilige la scuola inglese e con essa la grande maggioranza dei fisici moderni. Questa predilezione muove dalla mente di Faraday che, priva del fine magistero del calcolo, arrivò a surrogarlo con vivide pitture, e si figurò i fenomeni elettrici e magnetici come dovuti a forze che si trasmettono da punto a punto dei varî mezzi dotati di peculiari elasticità: e Maxwell, dando più tardi veste matematica al quadro, fomentò siffatta predilezione. Ma nes- suno ignora più oggi che i fatti studiati sperimentalmente, per ciò che sono fedelmente espressi dalle formole, non possono decider nulla in favore della rappresentazione faradaica o piuttosto delle azioni a distanza tanto fecondate dall’ingegno di La Place, Poisson, Plana, Mossotti. Cinquant'anni fa la grande maggioranza dei fisici non aveva idee così chiare, ed è notevole come il Felici colle sue Osservazioni sopra l’ inter- pretazione di alcune esperienze (allora) moderne di elettrostatica, ammo- nisse coloro che si perdevano in vani conati, e li esortasse ad approfondire maggiormente la teoria che da altri cinquant'anni era incontrastabilmente stabilita, senza che c’entrassero ipotesi, sopra un fatto accertato sperimental- mente con tutta l'esattezza desiderabile (che cioè l'elettrico si porta per in- tero alla superficie dei conduttori), di guisa che imbattendoci in esperienze che ci sembrino contradirla, dobbiamo conchiudere che esse furono male ese- guite, o che noi non sappiamo analizzarle. Le imagini che guidavano Faraday alle sue eccelse scoperte, se avevano per lui contorni ben delineati, bisogna convenire che chiunque altro, a leg- gerne la descrizione, doveva vederle annebbiate: e mentre il Maxwell era intento a dissipare matematicamente le nebbie, il Felici, sempre in sospetto d'ogni creazione soggettiva, s'accingeva a scrutare se veramente si potesse attribuire alle sostanze isolanti una parte attiva nella trasmissione delle forze elettriche. Le sue ricerche intorno all'asione dei corpi non conduttori soggetti alla influenza d'un corpo elettrizzato io occuparono dal 1865 al 1871 con un'assiduità, una pertinacia, una precisione di cui nessuno può farsi idea ade- guata senz'esserne stato testimonio oculare, e gli permisero di fornire con piena sicurezza degl'importanti dati di fatto che ebbero il plauso universale. A dir vero, non furono da lui giudicati ancora bastevoli a vincere la sua riluttanza; ma non di meno costituiscono il primo fondameuto sperimen- tale per cui oggidì la teoria del Faraday può emulare con probabilità di vit- toria l'antica teoria delle azioni a distanza. — 291 — Ora dovrei intrattenervi sulla scoperta fatta dal Felici che un coibente in moto trascina seco un corpo elettrizzato il quale gli stia di fronte, accen- nandoci come la polarizzazione dielettrica non sia rigorosamente istantanea ; dovrei parlarvi del suo metodo originale per determinare quanto duri la sca- rica elettrica nelle varie circostanze, e quanto tempo impieghi a propagarsi . lungo un filo conduttore; dovrei rammentare il prezioso strumento ch'egli ci ha dato, facendolo costruire al suo bravo meccanico il compianto Mariano Pierucci, per seguire ad ogni ventimillesimo di secondo lo svolgimento d'un fenomeno, e narrare le determinazioni interessantissime che con questo inter- ruttore delle correnti elettriche furono eseguite da lui, dai suoi allievi Do- nati e Poloni, e dall'altro suo allievo Adolfo Bartoli sì presto rapito alla scienza che Voi non poteste conferirgli il premio Reale prima della morte. Nè dovrei passare sotto silenzio i confronti minuziosi del Felici fra le de- duzioni del calcolo e l'osservazione nel campo della capillarità, nè tanti altri suoi studî, nè la passione che da squisito musicista prendeva ai problemi d'acustica aventi attinenza coll’arte. E vorrei rilevare com'egli, avverso alle ipotesi, accogliesse senza riserva quella della costituzione molecolare degli aeriformi nata dal Bernoulli e portata a sviluppo dal Clausius e dal Boltz- mann, ed accettasse come un portato dell'esperienza l’altra delle ondulazioni luminose. Ma il tempo trascorre, e non ho ancora dato risalto all'influenza be- nefica ch'egli esercitò fra noi infondendo da un lato la persuasione che gli studî fisici scompagnati da quelli matematici a ben poco possono approdare, e dall'altro invogliando i suoi colleghi di matematica ad occuparsi di que- stioni fisiche; nè ho per anco indicata la insigne benemerenza che si acquistò tenendo in vita, contro molteplici difficoltà, l'unico periodico italiano di fisica, il Nuovo Cimento, che informava gli stranieri dei nostri lavori, e noi teneva informati dei progressi scientifici. Questo periodico egli donò poi alla Società fisica italiana che lo aveva acclamato suo presidente onorario. Peritoso com'era di mostrarsi in pubblico, scansò i pubblici uffici; ma il sentimento del dovere gl’impose di non sottrarsi a quello di rettore che abilmente esercitò a due riprese in tempi difficili. Fu anche più volte pre- side della Facoltà di scienze e consigliere della Scuola normale superiore; ma si può dire che con la severità dell'esempio e l’oculatezza del consiglio fu ininterrottamente per una lunga serie d'anni l’'ispiratore d'ogni savio prov- vedimento in favore dei buoni studî a Pisa: ed a questo proposito mi piace riferirvi alcune delle parole pronunziate sul suo feretro dal nostro collega Antonio Pacinotti: « L'amicizia di mio Padre pel Felici fu, sino dai primi ricordi della « mia infanzia, continua, sincera, costante, perchè fondata nella stima della « incorruttibile rettitudine del carattere. Ed io stesso, e per la gratitudine « che al Felici dovevo come discepolo e per le severe virtà che in lui am- — 292 — « miravo, sempre sono stato desideroso di poter meritare l'amicizia di sì va- « lente uomo ». Ed ora, illustri Colleghi, dopo questa semplice ed affrettata enumera- zione de’ suoi meriti eminenti, concedete che lasci alla nobiltà dell'animo vostro d'innalzare l'inno che glorifichi il grande maestro, lo scienziato in: signe, il generoso divulgatore, il cittadino virtuoso, l’uomo intemerato: io mi sento inetto a trovarne l'espressione. Alla mestizia onde sono invaso perdonate se non posso astenermi di par- larvi del martire. Varcati di poco i settant'anni, il Felici, sempre più incontentabile di se stesso e rigido osservatore di quanto stimava doveroso, cominciò a temere che gli venissero meno la vigoria e la elasticità del pensiero, giudicò che altri potesse con maggior efficacia occupare la sua cattedra, pensò a scegliersi un successore nella pienezza dell'energia giovanile, e stoicamente piegò il capo ai rigori della legge crudele verso i veterani che in cattedra non vo- glion rimanere contro coscienza: multa, sfratto dal laboratorio, confisca dei mezzi di studio! Però lo strazio ch’ebbe a provare il suo cuore gentile nello staccarsi dal suo lindo istituto, nell'abbandonare la diletta casuccia, fu superiore ad ogni forza umana di resistenza. Di quel momento solenne disse il suo baldo Successore nella commemorazione pel Nuovo Cimento: « Lo vedo ancora var- « care la porta della palazzetta di Piazza San Simone, curvo come sotto il « peso di una grande sventura, e salire in carrozza nascondendo la faccia « per non mostrare la commozione ». Dopo il colpo tremendo, la mente così limpida e sicura cominciò a ve- larsi ed a vacillare davvero, e negli anni che seguirono il 1892 il Felici, l'uomo grande, non fu più che un povero vecchio vagante nella nebbia, ri- schiarata soltanto da qualche pallido lampo al ricordo delle sue macchine, de’ suoi apparecchi, delle indagini cui essi potevano servire. Lo vidi una volta alla stazione che aspettava il treno per andare in villa presso Lucca: e procedeva incerto guidato, sorretto quasi, dall’at- tento amore della sua inseparabile consorte. Ma la guida fedele, vigile, as- sidua doveva mancargli: l’ottima signora Elisa spirò il 28 marzo 1897, e lo spirito del Felici la seguì. Da quel giorno rimase di lui un simulacro venerando che non valevano a rianimare le cure pietose della figlia Isabella e dei nipoti, nè le infantili carezze dei pronipoti. Verso quel simulacro convergevano ogni anno i voti della Società fisica adunata, e nell'ottantesimo anniversario della nascita tutti fummo orgogliosi, colleghi, discepoli, ammiratori, d'inviargli in omaggio la prima copia della sua Teoria dell’ induzione, che era stata pubblicata in tedesco fra le opere classiche delle scienze esatte. Il 20 luglio di quest'anno, a Sant'Alessio di Lucca, il venerato simu- SRO — lacro s'infranse, e Pisa adempiè tosto all'obbligo suo di richiamarne gli avanzi perchè fossero accolti nel monumentale Camposanto urbano, ed il 22 luglio là si celebrarono sul feretro i funerali. Ma le reliquie a noi sacre giacciono ancora senza tomba perchè « nuova legge impone oggi i sepolcri fuor » de' monumenti nazionali. Deh! fate ogni vostra possa, illustri Colleghi, affinchè gli ostacoli siano superati senz'altro indugio: e la figlia desolata, co’ suoi figli ed i figli dei figli, e gli amici ed i concittadini possano recare i tributi del loro affetto sopra un'urna decorosa, ed i cultori della Scienza, cercanti ispirazione in quell’incantevole tempio dell'Arte, non cerchino invano fra i sepoleri del Mossotti, del Montanelli, dei Savi, del Matteucci, dell’Orosi, del Cuppari, del Meneghini, del Betti il sepolero di Riccardo Felici. Risovvengavi che «.... Sugli estinti « Non sorge fiore, ove non sia d’umane « Lodi onorato e d’amoroso pianto ». SCRITTI DI RICCARDO FELICI 1844. Alcune osservazioni intorno alle nuove ricerche del sig. Dutrochet sulla forza epipolica. Il Cimento, p. 184. 1846. Nota sulla termoelettricità del mercurio. Il Cimento. p. 165. 1847. Sulla teoria del circuito galvanico. Il Cimento, p. 289. 1850. Sulla propagazione della corrente elettrica nell'interno di una sfera. Annali di Tortolini, T. I, p. 812. 1851. Sulle polarità galvaniche secondarie e sull’influenza del calore nella propaga zione della corrente elettrica nei liquidi. Annali delle Università toscane, T. II, P.I pol7s. — Saggio di una spiegazione dei fenomeni di induzione elettrodinamica. Annali di Tortolini, T. II, p. 65, 806. — Saggio teorico-sperimentale sulla legge secondo cui varia l’azione inducente di un circuito voltaico. Id. p. 361. — Nota sulla teoria dei fenomeni di induzione elettrodinamica. Id. p. 503. 1852. Mémoire sur l'induction électrodynamique. Annales de Chimie et de Physique. S. III, T. 34, p. 64. 1853. Mote sur les phénomènes d'induction. IA. T. 39, p. 222. — Saggio di una applicazione del calcolo alle correnti indotte dal magnetismo in movimento. Annali di Tortolini, T. IV, p. 173. — Sopra i fenomeni di induzione della bottiglia di Leida. 14. p. 237. 1854. Sulla teoria matematica dell’induzione elettrodinamica. Annali delle Università toscane; “I°. III, P. II} p. I — Idem. Seconda Memoria. Id. p. 99. — 294 — 1854. Nuova Nota sulla propagazione della elettricità voltaica nell'interno di una sfera. Annali di Tortolini, T. V., p. 270. — Sulla teoria matematica delle correnti indotte în un corpo di forma qualunque. Annali di Tortolini, T. V, p. 35. — Sur les courants d’induction dans les corps de forme quelconque. Annales de Ch. et de Ph. S. III, T. 40, p. 251. 1855. Sulla teoria matematica dell’induzione. Terza Memoria. Annali delle Università toscane, T..-IV, P. 2, p. 5. — Sur les courants induits par la rotation d’un conducteur autour d'un aimant. An- nales de Ch. et Ph. S. III T. 44, p. 343. — Ricerche sulle leggi generali della induzione elettrodinamica. Nuovo Cimento, T. I, p. 325. -— Esperienze sopra un caso di correnti indotte, nel quale sarebbero nulle le forze elettrodinamiche esercitate dal conduttore inducente sopra l’ indotto qualora fosse percorso da una corrente. Id. l. II, p. 321. — Annales de Ch. et de Ph. S. III, T. 51, p. 501. 1856. Sulla legge di Lenz, e sopra alcune recenti esperienze del prof. Matteucci sul- l'induzione elettrodinamica. Nuovo Cimento, T. ITI, p. 198 — Annales de Ch. et de 0Ph. S.S 515 pasto: — Sulle leggi delle scariche indotte dalla bottiglia di Leida. Nuovo Cimento, T. III, p. 208. — Osservazioni sopra l'interpretazione di alcune esperienze moderne di elettrostatica. Id. T. IV, p. 266. 1859. Sulla spiegazione del diamagnetismo, partendo dalla teoria dell’ induzione elettro- dinamica. IA. T. IX, p. 16. — Esperienza sopra un caso singolare della induzione elettrodinamica. Td. id. p. 75. — Nota sopra una osservazione del sig. De La Rive ad una delle esperienze fonda- mentali della teoria dell’induzione elettrodinamica. Id. id. p. 345. — Esperienze che dimostrano che quando un corpo ruota sotto la influenza di una calamita, la forza che, in virtù delle correnti indotte, si sviluppa fra la calamita e il corpo indotto, è repulsiva od attrattiva a seconda della direzione del moto rotatorio, ma che la intensità della forza repulsiva è maggiore della attrattiva. IRIS po: — Sur la cause des courants que l’on obtient dans un circuit dont les bouts immo- biles s'appuient sur un conducteur tournant autour de l'aze d'un armant cylin- drique. Annales de Ch. et de Ph. S. II, T. 56, p. 106. 1862. Esperienze sulla velocità della elettricità, e sulla durata della seimila Nuovo Cimento, T. XV, p. 339. 1863. Estratto in francese della Memoria precedente, fatto dall'Autore. Annales de Ch. et de Ph. S. III, T. 69, p. 248. — Nuove esperienze sopra la velocità della elettricità e sulla durata della scintilla. Nuovo Cimento, 'T. XVII, p. 28. — Annali delle Università toscane, T. VIII, PA1Epo. — Rivista di lavori di fisica, pubblicati all’ estero. Nuovo Cimento, T. XIX, p. 5. — Rivista di lavori sulla elettrodinamica pubblicati all'estero. Nuovo Cimento. T. XIX, pp. 202, 807; T. XXGkp. 173. — Cenni di alcune esperienze di elettricità. IA. T. XIX, id. p. 345. 1864. Cenni di alcune esperienze di elettricità. 14. T. XX, p. 73. — Sunto di una Memoria di T. M. Gaugain sopra la teoria dei condensatori elet- trici allo stato di tensione permanente o variabile. Id. id. p. 80. 1876. — 295 — . Cenni di alcune esperienze di elettricità. Nuovo Cimento, T. XXT-II, p. 380. . Cenni di alcune esperienze sulle superficie di capillarità. IA. T. XXIIT-XXIV, p. 151. . Esperienze per determinare la legge di oscillazione di un corpo elastico. Id. T. XXVI, p. 255. — Annali delle Università toscane, T. IX, P. II, p. 81. . Nota ad una Memoria di Helmholtz sulla teoria matematica della elettricità dina- mica. N. Cimento, S. II, T. V-VI, p. 71. Sulle azioni elettriche dei corpi non conduttori soggetti alla influenza di un corpo elettrizzato. Id. id. id. pp. 5, 73. — Memorie della Società italiana di scienze, S. III, T. II, P. II p. 249. — In sunto: Journal de Physique, T. III, p. 329. . Analyse du précedent Mémoire. Archives de Genève, T. 45, p. 149. . Esperienze sulle forze elettromotrici indotte da un solenoide chiuso. Nuovo Ci- mento, S. II, T. IX, p. 5. Esperienze sul tempo impiegato da un coibente per ritornare allo stato naturale, { Ì cessata che sia l'azione inducente esteriore. IQ. T°. X, p. 84. . Sopra un nuovo interruttore e sul suo uso in alcune esperienze di induzione. IST XL polo. . Un’altra esperienza sulla rotazione del conduttore radiale. IA. T. XIII, p. 224. Di una modificazione dell’ interruttore galvanico, e di alcune esperienze sull’ eatra- corrente, e sulla legge con cui varia la intensità del magnetismo del ferro, dal- l'istante in cui cessa l’azione inducente della spirale voltarca. Id. T. XIII, p. 266. Exposé de quelques eapériences qui interessent la théorie de l'induction. Journal de Physique, T. IV, p. 228. Notizie sulla vita e sugli scritti di Carlo Matteucci. Memorie della Società ita- liana delle scienze, S. III, T. II, p. LXV. Alcune avvertenze sopra una Nota pubblicata nell’anno 1856 nel Nuovo Cimento, relativamente all’ induzione elettrostatica. Nuovo Cimento, T. XV, p. 255. Esperienza sull'azione esercitata da un corpo dielettrico in movimento sopra un corpo elettrizzato. Id. T. XVI, p. 75. . Nota ad una esperienza dell’Ampère. 14. S. IMI, T. XI, p. 243. . Appunti per lezioni di fisica sperimentale (Pisa, Tip. Pieraccini). . Una esperienzn da lezione. Nuovo Cimento, S. III, T. XVI, p. 160. . Sul potenziale di un conduttore in movimento sotto la influenza di un magnete. Id. id. T. XXIV, p. 82. Relazione sul concorso al premio Reale per la fisica. Atti R. Acc. dei Lincei. Rend. (4) VII, p. 526. . Veber die mathematische Theorie der elektrodynamischen Induction von Riccardo Felici, uebersetet von Dr. B. Dessau, herausgegeben von E. IWiedemann. Ostwald's Klassiker der exacten Wissenschaften. Nr. 109. VWEG: pen Ari (ARRE Publicazioni della R. Accademia dei Lincei, Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia dor Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. 3° MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VII. perle 3% — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). Memorie della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — Il. (1, 2). — IU-XIX. MemoRIE della Classe. di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. XIII. Serie 4* — RenDpICONTI Vol. 1-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE. della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. (1892-1902) 2° Sem. Fasc. 10°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fase. 7°-8°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-III. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII i CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della A. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : i Ermanno LorscHer: & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico Horxpri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI -— Novembre 1902. INDICE Classe di sclenze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 novembre 1902. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Capelli. Sulle relazioni aa fra le funzioni # di una variabile e sul teorema di addi ZI One nà Iii ape Guglielmo. Tata a Si bue per teri di raggio (Ai ene da superficie dello spigolo nei coltelli delle bilancie e dei pendoli (pres. dal Socio Blaserna). i... » Bellucci. Sull’acido monocloroplatinico (pres. dal Socio Cannizzaro) .. . . NONO) Zanetti. Sulla non prevalenza dei sali potassici nella bile dei pesci marini di la. 6 ” Gaglio. Esperienze sull’anestesia del labirinto dell'orecchio nei pesci cani (Seyllium ca- tul'ueX {pressWdaliSogio Lueig)ci 0 ci o PERSONALE ACCADEMICO Koiti. Commemorazione del Socio Riccardo Felici VENI CASALE AROMI LI FURONO i pop RAV AUREA T=rsrtageerar === =_= V. Cerruti Segretario responsabile. 285 xi ve di, Pubblicazione bimensile. Roma ? dicembre 1902. N. 11. AI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCIX. 1902 RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 dicembre 1902. Volume XNI.° — Fascicolo I1° 2° SEMESTRE, TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI ROMA | 1902 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Uol 1892 si è iniziata la Serte quanta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche enaturali valgono lenorme seguenti: 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli. compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate ‘a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25°. agli estranei- qualora l’autore ne desideri ws numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono'le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza. pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. ‘4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale sì avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto... 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori,di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più . che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. | RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANNNNISISISNSSIAIS_{ Seduta del ? dicembre 1902. P. BLASERNA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Ultime osservazioni della cometa 1902 B Perrine e osservazione della nuova cometa 1902 D (Giacobini. Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH. Facendo seguito alla mia Nota del mese scorso, ho l'onore di presentare all'Accademia le ultime mie osservazioni sulla cometa 1902 B Perrine. 1902 Ottobre 30 Gh 15m ]05 R.C.R. Ascensione retta apparente 17 21 34. 64 (9.535) Declinazione apparente — 4° 4' 37”.4 (0.787) 1902 Novembre 6 5h 5222808 RC. R. Ascensione retta apparente 17 4 47.15 (9.570) Declinazione apparente — 9° 11° 547.7 (0.802) 1902 Novembre 15 bs elise RA0R. Ascensione retta apparente 16 41 51.13 (9.621) Declinazione apparente — 14° # 527.0 (0.797) Immersa nel crepuscolo serotino, la cometa fu da me riveduta ancora per qualche dì, ma, quantunque lucentissima, non era possibile fare posizioni rigorose per l’invisibilità delle stelle in crepuscolo e nell’estrema vicinanza dell'orizzonte. La nuova cometa, 1902 D, scoperta a Nizza dall'astronomo Giacobini, © giorni or sono, soltanto ieri sera potei trovare, e ciò in causa del cielo ReENDICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 98 — 298 — nuvoloso. La cometa si presenta debolissima; il nucleo è stellare di 12M grandezza, e la nebulosità abbraccia un diametro di circa 15”. Il luogo rigoroso, ottenuto al grande equatoriale di 39 cm., è il se- guente: 1902 Dicembre 6 10h 14 245 R. C. R. Ascensione retta apparente 7 16 38.30 (92.582) Declinazione apparente — 1927 21415(00673) Matematica. — Sulle proprietà aritmetiche delle funzioni analitiche. Nota I di OnoRATO NICCOLETTI, presentata dal Socio DINI. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Fisica. — Intorno ad un modo per agitare un liquido in un recipiente chiuso e ad una modificazione del termocalorimetro (). Nota di G. GuGLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. Vari modi noti per rimescolare un liquido in un recipiente chiuso. Nello studio dei fenomeni termici occorre spessissimo di dover rendere uni- forme la temperatura d'un liquido il quale perciò dev’ essere rimescolato. Avviene però spesso che il liquido trovasi rinchiuso in un recipiente, senza altra apertura all'infuori di quella di un tubo capillare, ed i mezzi soliti per agitare un liquido non sono applicabili. In questo caso il mezzo più ovvio è quello di rinchiudere nel recipiente assieme al liquido un molinello o un conveniente sistema mobile contenenti ferro o piccoli magneti e far ruotare il molinello o muovere in su e in giù il sistema mobile mediante una azione magnetica o elettromagnetica. Per quanto questo modo sia ovvio, credo opportuno rammentare che io sono stato il primo ad usarlo (Rendiconti dell’Acc. dei Lincei, 1892, 1° sem., pag. 242 e 2° sem., pag. 210), che la disposizione da me usata è sem- plicissima e che con una piccola forza magnetica ottenevo nel liquido una viva agitazione. A tal uopo in questo liquido (una miscela di due liquidi o una soluzione di cui volevo determinare la tensione di vapore) si trovava un tubo di vetro a pareti sottili, chiuso alla lampada e contenente parecchi aghi fortemente magnetizzati, di peso tale che il tubo galleggiasse (o in generale che l’azione risultante della gravità fosse nulla). In tal modo questo tubo obbediva anche ad una piccola forza magnetica, e potevo farlo urtare violentemente e successivamente contro le pareti opposte del recipiente, ser- (') Lavoro eseguito nel Gabinetto fisico della R. Università di Cagliari. — 299 — vendomi d'una piccola calamita a ferro di cavallo collocata fuori del bagno o del ghiaccio che circondava il recipiente. Kohlrausch nel suo ottimo Zehrdueh der praktischen Physik, attri- buisce questo modo di agitare un liquido rinchiuso in un recipiente al Forch (Wied. Ann., 1895, t. 55, pag. 105) il quale l’ha usato assai dopo di me, servendosi d' una disposizione molto più complicata. Siccome egli usava un molinello con ferro dolce anzichè con magneti, doveva servirsi d’ un campo magnetico intenso, prodotto da 4 elettrocalamite immerse nel bagno, per poter indurre nel ferro una magnetizzazione abbastanza intensa. Attualmente la rotazione d’ un molinello contenente ferro o magneti, o anche semplicemente metallico potrebbe prodursi più comodamente colle note disposizioni che producono un campo magnetico rotante mediante correnti polifasi. Nuovo modo per rimescolare il liquido. L'uso dei metodi precedenti richiede una costruzione ed una preparazione più o meno complicata; non è esclusa la possibilità di un guasto che renda il meccanismo inattivo senza che ciò apparisca al di fuori; e finalmente essi non sono bene applicabili se le dimensioni del recipiente che contiene il liquido sono piccole. Si può in tutti i casi e con sicurezza completa produrre facilmente nel liquido una viva agitazione, se prima di chiudere il recipiente si fissano sulle sue pareti interne alcune laminette di numero, posizione e inclinazione convenienti, e se dopo al recipiente chiuso, che già contiene il liquido che si vuole agitare, s' imprime un movimento di rotazione alternativamente in sensi opposti attorno all'asse di figura o ad un altro asse qualsiasi. Se il recipiente, p. es. cilindrico, avesse le pareti interne lisce e fosse fatto ruotare attorno al suo asse, il liquido nei primi momenti rimarrebbe per inerzia quasi completamente immobile e solo in seguito per effetto del- l'attrito interno il movimento rotatorio si propagherebbe dalle pareti verso l’asse; comunque, questo movimento del liquido sarebbe regolare e non pro- durrebbe quasi nessun rimescolamento delle varie parti. Se invece le pareti interne del recipiente son provviste di palette, queste al principio della rotazione vanno ad urtare nel liquido ancora im- mobile e comunicano ad alcune parti di esso velocità e pressioni svariate in grandezza e direzione, per effetto delle quali e della forza centrifuga avviene il rimescolamento colle parti ancora immobili o con diverso moto. L'effetto è quasi lo stesso come se le palette si trovassero in un recipiente immobile e fossero fissate ad un asse uscente all’ esterno. Se la rotazione continuasse indefinitamente, tutte le parti del liquido finirebbero per acquistare la stessa velocità angolare, quella del recipiente, e si muoverebbero come un solido senza scambio apprezzabile fra le varie parti; se però improvvisamente fermiamo il recipiente, il liquido per inerzia continua a ruotare, alcune parti di esso passano senza ostacolo fra le pa- — 300 — lette, altre vi urtano, cambiano direzione e vanno fra mezzo alle prime pro- ducendo così la mescolanza desiderata. Producendo quindi una rotazione in senso inverso, si riproduce il fenomeno già considerato e così di seguito. Riguardo alla forma, al numero, alla posizione, ed inclinazione delle palette mi pare evidentemente utile che esse siano piccole e numerose, che” si estendano o siano collocate sin presso l'asse di rotazione, e fors’ anche che siano bucherellate. Inoltre mi pare utile che esse siano inclinate p. es. di 45° sull'asse e sulla direzione del moto, affinchè esse imprimano al liquido anche un movimento parallello all'asse; talora ho usato due sistemi di palette in ciascuno dei quali l'inclinazione delle palette era dalla stessa parte, mentre era in senso opposto nei due sistemi, in modo che il liquido spinto da questi in sensi opposti prendesse anche un movimento circolatorio per- pendicolare al movimento rotatorio del recipiente. Del resto le varie disposizioni suddette sono quasi ugualmente efficaci, tanto che sarebbe difficile stabilire sperimentalmente quale sia la migliore ; inoltre anche con una disposizione non perfetta si può ottenere un’ efficace agitazione per mezzo d’ una opportuna velocità ed ampiezza delle rotazioni; così pure sì ottiene una efficace agitazione usando, invece di palette, aste o tubi chiusi e vuoti fissati al fondo del recipiente parallellamente all'asse di rotazione. Potrebbe credersi che fosse possibile ottenere una viva agitazione del liquido anche con un recipiente a pareti lisce facendolo ruotare attorno ad un asse diverso da quello di figura, e che in questo caso le pareti agiscano come una grande paletta, però l'esperienza dimostra che così s' ottiene un rime- scolamento piccolo o nullo, perchè in questa rotazione, che può considerarsi come la risultante di una serie di traslazioni e rotazioni attorno all’ asse di figura, niente tende a produrre una mutua compenetrazione delle varie parti del liquido. Si può rendere evidente l'efficacia del modo suddetto di agitazione, col- locando un grosso bicchiere o una bottiglia pieni d'acqua sopra un tavolo qualsiasi o meglio sopra un sostegno che si possa facilmente far ruotare, e versando nell'acqua alcune goccie di una soluzione diluita di fucsina o fluo- resceina. Se le goccie cadono da piccola altezza e da un tubo capillare, esse prendono nell'acqua la forma (che non è essenziale per lo scopo presente) di anelli, probabilmente simili a quelli vorticosi di fumo, ma che pronta- mente perdono la loro velocità di caduta e rimangono sospesi nell’ acqua, allargandosi e ingrossandosi molto lentamente, e diventando in proporzione più sbaditi, ma tuttavia persistendo per un tempo molto lungo. In un recipiente nel quale avevo versato goccie di fucsina e fiuoresceina dopo molti giorni le colorazioni apparivano ancora separate (per effetto della piccolezza della pres- sione interna delle sostanze coloranti) l'una in basso l'altra in alto nel liquido. Se si fa ruotare senza scosse il recipiente che contiene gli anelli o le colorazioni suddette attorno ad un asse verticale che sia o no quello di figura, — 301 — gli anelli partecipano al movimento di rotazione del liquido che si propaga man mano verso l’asse, ma pur tuttavia continuano a persistere per molto tempo. Se invece nel bicchiere si colloca una ruota a palette coll'asse ver- ticale fissa su di un piede di piombo, oppure se nella bottiglia s' introducono alcuni tubi o aste un po distanti dall'asse e dopo prodotti gli anelli si fa ruotare il recipiente alternativamente in sensi opposti, la perturbazione nella massa del liquido è così viva che gli anelli sono distrutti quasi istantanea- mente e la colorazione prestissimo diviene ripartita uniformemente. Questo effetto che è più visibile nei grandi recipienti si produce anche entro tubetti di pochi millimetri di diametro; invece in recipienti privi di palette o di aste che si fanno ruotare attorno ad un asse diverso da quello di figura, gli anelli non subiscono che una perturbazione relativamente leggera. Il caso comune d'un sale che si fa sciogliere in un bicchiere con un solvente, muovendo circolarmente il bicchiere, è un po’ diverso, ma tuttavia il rimescolamento è minore di quello che si otterrebbe con una spatola, mossa in giro o fissa alle pareti. Questo modo di agitare un liquido, che finora non ho visto applicato, si può usare facilmente ed utilmente in un gran numero di casi che sarebbe lungo enumerare; io l’ ho usato nel termocalorimetro (calorimetro per dila- tazione), nel calorimetro solare, nel dilatometro e nei termometri. Termocalorimetro. Quando si misura una quantità di calore coll’ au- mento di temperatura che essa produce nell'acqua o in un altro liquido, e sì misura quest aumento di temperatura con un termometro, solo una piccola parte del calore che si vuol misurare è impiegata a produrre l’effetto che serve di misura, mentre l’altra parte di gran lunga maggiore è impiegata a riscaldare il liquido e a produrvi una dilatazione di cuì non sì tien conto. Ne risulta che la sensibilità massima di cuì il metodo è suscettibile è pic- cola e tanto minore quanto minore è la capacità calorifica del termometro rispetto a quella totale del termometro e del liquido. Si può bensì aumentare la sensibilità del termometro e così quella della determinazione, aumentando la capacità del bulbo e diminuendo la sezione del tubo del termometro; ma con ciò sì va incontro a gravi inconvenienti, quali la lentezza colla quale il termometro si mette in equilibrio di temperatura, e le irregolarità del movimento della colonna causate dalla dilatabilità del bulbo e dalla note- vole pressione capillare del menisco. La sensibilità che si può ottenere è grandemente aumentata quando tutto il calore che si vuol misurare è impiegato a produrre l’effetto che si misura, come avviene nel termocalorimetro di Favre e Silbermann, nel quale tutto il calore viene comunicato ad un grande termoscopio a mercurio e la dila- tazione complessiva del mercurio serve di misura al calore suddetto. Tuttavia, nè questo calorimetro, nè le modificazioni che sono state proposte successi- vamente da varî fisici non incontrarono molto favore ed esso viene conside- — 302 — rato come capace di dare risultati soddisfacenti solo con molte precauzioni che ne scemano i pregi. Molti anni fa feci anch’ io delle determinazioni con un calorimetro fondato su questo principio, per incarico del prof. Naccari del quale ero assistente, ma il poco accordo dei risultati rese necessario l’uso d'un altro metodo. Credo che la ragione principale della poco buona riuscita di questo metodo consista nella mancanza di agitazione nel liquido. Si può credere a prima vista che essa non sia necessaria, perchè a differenza di ciò che avviene nel metodo delle mescolanze, non è necessario che il calore sia ri- partito uniformemente, poichè la maggior dilatazione delle parti più riscal- date compensa quasi esattamente la minor dilatazione delle altre, e la dila- tazione complessiva che si osserva da ciò non riceve mutamento apprezzabile. Però è da notare anzitutto che a causa della mancanza di agitazione la penetrazione del calore, dal tubo ove viene generato o introdotto, nel termo- scopio nel quale questo tubo è quasi totalmente compreso, è molto lenta. Difatti essa si effettua per conduzione attraverso le pareti sottili e buone conduttrici del tubo suddetto, e poi in parte per conduzione nel liquido ed in parte per la convezione causata dalla diminuita densità del liquido ri- scaldato; ora entrambi questi due ultimi effetti sono deboli e lo divengono sempre più, a misura che diminuisce la differenza di temperatura. Questa lentezza della penetrazione del calore da misurare è così grande, che in esperienze recenti mi riusciva quasi impossibile stabilire quando la suddetta penetrazione poteva considerarsi come ultimata; quindi la correzione per l’effetto della temperatura esterna era notevole e l'errore per l’ incom- pleta penetrazione era probabilmente non trascurabile. Inoltre la mancanza di agitazione nel liquido di questo calorimetro può dar luogo ad un altro errore, perchè per effetto della convezione il liquido più caldo va in alto, quindi le pareti del recipiente si riscaldano e si di- latano disugualmente, più in alto che in basso, ciò che può dar luogo a curvature o deformazioni che causino una variazione anormale della capacità. Finalmente la ripartizione non uniforme del calore rende quasi impossibile lo stabilire esattamente qual’ è l’azione della temperatura ambiente in tutto il tempo non breve nel quale avviene la penetrazione del calore. Questi inconvenienti si evitano del tutto o in massima parte, quando il liquido venga agitato; ed a tale scopo mi pare che la disposizione mec- canica sopra descritta sia per moltissime ragioni e senza confronto più adatta di quelle fondate sulle azioni magnetiche o elettromagnetiche. Così, se si ha cura di saldare il tubo ricevitore del calore (nel quale il calore da misurare viene generato o introdotto) un po’ lontano dall'asse di figura del calorimetro, e se inoltre si sono fissate alle pareti interne del calorimetro alcune palette e durante la determinazione s' imprime al calorimetro un movimento alter- nativo di rotazione in sensi opposti, anzitutto il tubo ricevitore viene con- — 303 — dotto in giro per il liquido ancora immobile o diretto in senso contrario e quindi viene a contatto successivamente con diverse parti di questo e loro cede il calore da misurare con tanta rapidità quanto è possibile date le dimen- sioni, lo spessore e la natura delle pareti del tubo; inoltre, per effetto del tubo stesso e delle palette, il liquido viene rimescolato e la temperatura del liquido e delle palette diviene uniforme. Sarà evidentemente utile anche di facilitare il passaggio del calore fin sulle pareti del tubo ricevitore, quindi questo dovrà contenere un liquido che faciliti questo passaggio e perciò venga anch’ esso rimescolato, ciò che si ottiene facilmente fissando al coperchio del tubo una o più astine che peschino fino al fondo del liquido, e che siano un po’ distanti dall'asse del tubo; esse, partecipando al movimento di rotazione del calorimetro, agitano il liquido nel quale sono immerse. Un effetto che può assere nocivo, deriva dall’agitazione suddetta, co- munque essa si produca; esso consiste in ciò che gli scambi di temperatura coll’ esterno e quindi la correzione relativa vengono aumentati, anzi nelle mie esperienze talvolta m' è occorso che essi cambiassero di segno, cioè che il calorimetro perdesse lentissimamente calore se lasciato in quiete e invece ne acquistasse con mediocre rapidità se fatto ruotare, senza che l' effetto potesse essere attribuito ad una trasformazione di movimento in calore, poichè era minima la quantità di energia dinamica impiegata. Quest’ effetto è certo dovuto alle condizioni ambienti poco propizie nelle quali operavo, appare tuttavia evidente la necessità che la temperatura ambiente sia pochissimo diversa da quella del calorimetro e che varii poco e regolamente; in tali condizioni l'agitazione, rendendo regolare lo scambio di calore coll'ambiente, non può che essere utile. A causa delle suddette condizioni poco propizie, non ho potuto osservare una relazione decisa fra la dilatazione o contrazione del liquido in un minuto per effetto della temperatura esterna ed il modo col quale veniva effettuata l'agitazione, cioè secondo il numero di rotazioni alter- native per minuto e secondo che queste si succedevano continuamente o ad intervalli; risultò solo, ciò che è evidente, che l'agitazione faceva aumentare le suddette variazioni tanto più quanto maggiori esse erano. Gli scambi di calore coll'ambiente si potrebbero diminuire grandemente tanto da renderli praticamente nulli o innocui usando recipienti a doppia parete, inargentati nelle faccie prospicienti e col massimo vuoto framezzo, quali si usano per la conservazione dell’aria liquida ecc. La sensibilità che si può ottenere con questo metodo è certo superiore a quella che si ottiene col calorimetro di Bunsen; in questo una caloria fa fon- dere circa gr. 0,0125 di ghiaccio producendo una contrazione di circa 1,4 mm?, mentre nel termocalorimetro con benzina di petrolio si ottiene una dilata- zione di circa 3 mm? per caloria, ed una maggior dilatazione potrebbe otte- nersi con liquidi più dilatabili e di minor capacità calorifica per centimetro — 304 — cubo. Anche nel calorimetro Bunsen sarebbe possibile usare il suddetto modo di agitazione diminuendo così la durata della preparazione. Riguardo al liquido più opportuno, è da notare che il mercurio ha il pregio che la sua dilatazione ed il suo calore specifico sono ben noti e co- stanti nei limiti della temperatura ambiente, però la sua grande densità, il suo prezzo, la proprietà di disciogliere molti metalli, ne rendono l'uso inco- modo e la piccola dilatabilità termica e la grande tensione superficiale, che impedisce l'uso di tubi troppo capillari, diminuiscono la sensibilità. La conducibilità termica del mercurio non presenta tanta utilità, poichè la trasmis- sione del calore è agevolata dall’agitazione. L'acqua ha pure il vantaggio della dilatabilità e capacità termica ben note, e l' inconveniente della piccola dilatabilità che inoltre varia molto colla temperatura. Perciò feci uso di alcool del commercio e di benzina di petrolio, e questa mi parve preferibile. Sperimentai con parecchi calorimetri che avevano tutti la forma cilin- drica coll’asse verticale e che avevano pure verticale il tubo ricevitore del calore ed il tubo graduato sul quale si osservava la dilatazione del liquido. Sebbene le condizioni di temperatura dell'ambiente fossero molto sfavorevoli, siccome si trattava di esperienze di orientamento non presi molte cure per rimediarvi e mi contentai di circondare il calorimetro con un altro recipiente a parete semplice, di dimensioni poco maggiori per difenderlo alquanto dalle correnti d’aria e dalle irradiazioni. I modi per produrre la rotazione sono svariati e facilmente immagi- nabili; io mi servii sempre dei comuni sostegni a tavolino nei quali un piatto orizzontale di ghisa è sostenuto da un'asta verticale centrata che può ruotare ed esser sollevata e abbassata entro un tubo verticale sostenuto da tre piedi. Per rendere il movimento più dolce e regolare avevo turato in fondo questo tubo con un piuoletto di legno sormontato da un chiodo a testa rotonda la quale faceva da pernio sul quale riposava e ruotava l'asta sud- detta; inoltre alla parte superiore del tubo sostegno avevo collocato interna- mente alcuni giri sovrapposti di lamina sottile di packfong, che facevan da cuscinetto entro il quale l'asta un po unta girava con pochissimo attrito e senza tentennare. Sul piatto era fissato con morsette un disco di legno nel quale erano impiantati tre aghi saldati al calorimetro e che gli servivano da piedi. Più semplicemente questo disco avrebbe potuto ruotare attorno ad un grosso chiodo sporgente da un piano orizzontale e penetrante in un tubetto d'ottone piantato nel centro del disco secondo l’asse. Per produrre la rotazione avvolsi e legai solidamente al piatto e al disco suddetti una larga striscia di cartone che formava un tamburo, sul quale si avvolgeva per uno o due giri lo spago motore orizzontale i cui estremi passavano su due rulli orizzontali e terminavano con due pesi uguali; tirando questo spago in un senso o nell'altro, il tamburo ed il calorimetro ruotavano attorno ad un asse verticale. Per far sì che il calorimetro all'estremità della — 305 — corsa prenda sempre una stessa orientazione tale che la scala del tubo gra- duato sia ben visibile dall’osservatore, è bene che lo spago sia fissato soli- damente in un punto al tamburo; allora la corsa dello spago in un senso è invariabilmente terminata quando il punto d'attacco trovasi sulla retta che congiunge l’asse di rotazione ed uno dei rulli. In un’altra Nota descriverò alcune esperienze eseguite con questi calo- rimetri ed altre applicazioni dello stesso modo di agitare il liquido. Fisica — Sulluso del reticolo di diffrazione nello studio dello spettro ultravioletto ('). Nota del dott. R. MAGINI, presen- tata dal Corrispondente BATTELLI. 1. In un lungo lavoro che ho ancora in corso sul campo spettrale ultra- violetto, ho avuto occasione di portare delle modificazioni all’ordinario me- todo di uso del reticolo di Rowland per lo studio dei raggi più refrangibili. Credo utile pertanto darne una breve relazione, in attesa della pubbli- cazione dell'intero lavoro. Io avevo bisogno di uno spettro molto intenso e molto ricco di righe e di bande. La prima di queste necessità si presenta nella maggior parte dei lavori con lo spettro ultravioletto, perchè soltanto allora riesce facile e rapido l'esame dei raggi d'onda più corta, quasi sempre deboli e facilmente assor- bibili dai mezzi interposti. La seconda condizione, cui non è possibile soddisfare se non osservando sovrapposti gli spettri emessi contemporaneamente da varî corpi, conduce ad una grande complessità di righe e di bande e richiede quindi una grande dispersione affinchè riesca poi possibile distinguere e misurare gli elementi di quei complessi che differiscono per frazioni piccolissime di lunghezza d'onda. Per questa ragione non è allora possibile adoperare lo spettro ultravioletto del primo ordine che, pur essendo sufficientemente luminoso, possiede una dispersione troppo debole. Lo spettro del secondo ordine, cui bisognerebbe allora ricorrere, pre- senta altri difetti: è poco luminoso e gli si sovrappongono spettri di altri ordini; cioè da una parte lo spettro luminoso del primo ordine a cominciare dal violetto e dall'altra l'estremo ultravioletto del terzo. La presenza di questi spettri rende penosa l’interpretazione delle osser- vazioni e ne maschera i risultati; bisognerebbe allora procedere alla sepa- razione per mezzo dei prismi di quarzo. In tal modo però può venire a man- (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica dell’ Università di Pisa. RenpicontI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 99 — 306 — care la ragione che indusse ad adoperare il reticolo di diffrazione, cioè quella di eliminare ogni mezzo assorbente. Tali essendo i termini del problema, espongo subito il modo come l'ho risoluto. 2. Il reticolo da me adoperato ha un raggio di curvatura di 3 metri. e 14438 linee per pollice. La sua installazione è semplice e non differisce sostanzialmente dalle ordinarie. Due doppie guide costituite da grosse lastre di vetro da specchi lunghe oltre 3 metri, spianate accuratamente sui bordi, sono poste ad angolo retto in un piano rigorosamente orizzontale. Su ciascuna doppia guida scorre una slitta metallica, portante una doppia piattaforma munita di viti micro- metriche, di registro e di livello. Su una delle doppie piattaforme riposa il reticolo R, sull'altra il sistema oculare O (fig. 1). Un tirante di ottone RO riunisce le slitte; nel suo punto medio M è attaccata in modo da essere facilmente registrata, una seconda asta MC rigida e leggiera che può scorrere colla sua estremità, provvista di una punta, dinanzi ad un lungo telaio T, T,, incurvato come la circonferenza di diametro RO e poggiato su un ca- valletto da fotografia. Su una deile lastre di vetro è attaccata una scala graduata, sulla quale sono notate le lunghezze d'onda corrispondenti alle posizioni del reticolo e le — 307 — sue distanze dalla fenditura, posta nel punto di incontro S delle linee me- diane delle doppie guide. 8. Dalla teoria del reticolo è noto che con una tale disposizione si possono, al solo scorrere delle slitte, osservare gli spettri normali dei primi tre ordini, i quali si trovano ad ogni istante situati sulla circonfe- renza di diametro RO. Ma poichè esiste luminosità in tutti quei punti per i quali si verifichi la relazione (1) e (seni 4 sen 9) = NA, fra la costante e, gli angoli ? e & di incidenza e di diffrazione, l'ordine N e la lunghezza d'onda 4, così gli spettri ora rammentati non sono i soli forniti dal reticolo. Altri se ne formano infatti dalla parte opposta, a destra — cioè — di chi guardi il reticolo, e precisamente fra questo e la imagine S' della fenditura regolarmente riflessa (fig. 2). La stessa relazione, presupponendo fissato il senso positivo dell’an- golo + di diffrazione come quello che partendo dalla normale RO va al raggio diffratto per l'angolo acuto situato dalla parte del raggio incidente, permette di distinguere in altro modo gli spettri normali dagli altri di destra: infatti, mentre sen 4 può prendere nei primi dei valori positivi e negativi, assume nei secondi dei valori costantemente negativi. Per le proprietà fisiche, gli spettri situati a destra differiscono da quelli situati a sinistra per essere più alti, più luminosi e più dispersi di questi, — 308 — come ha anche notato il prof. Rizzo descrivendo una disposizione (*) da lui creduta vantaggiosa per il loro studio. Per ogni valore dell'angolo è, egli dice, oltre all’imagine formantesi in O (fig. 2), se ne forma un'altra sulla circonferenza di diametro RO in quel punto O' per cui send = — 2 senz. Data allora questa rispondenza di imagini spettrali, si attacchi nel punto medio dell'asta RO una seconda asta mobile in un piano orizzontale e portante nell’estremità O, un secondo oculare o una lastrina fotografica incurvata come la circonferenza di diametro RO, si otterranno così anche queste seconde imagini. Questo metodo presenta realmente qualche vantaggio. Però non è vero che per ogni valore dell'angolo è si abbia una imagine O, corrispondente alla imagine O di sinistra, perchè proprio in grazia della citata relazione (2) send= —2 senz, non è più possibile alcun valore reale per l'angolo 4 al di là del valore dell'angolo é eguale a 30°. In tal caso 9=—-3 ed il raggio diffratto è sul reticolo. Nei reticoli adoperati dal prof. Rizzo e da me, per cui e= mm. 0,0017592, la lunghezza d'onda delle linee che si dovrebbero cor- rispondere per il valore 7= 30° è la 4=879,6 uu dell’ultrarosso del primo ordine od anche la 4A=437, 8 uu dell’indaco del secondo. Ma vi è di più. Nelle vicinanze del valore massimo dell'angolo 3 la dispersione che, come è noto, viene espressa in funzione di 4 e di Z me- diante la formola () n assume valori grandissimi per la regione dello spettro più prossima al reti- colo, e rende impossibile ogni osservazione, diretta o fotografica. D'altra parte la possibilità di osservazione viene ulteriormente limitata dalla eccessiva inclinazione dei raggi diffratti sulla circonferenza di diametro RO, sempre nelle vicinanze del reticolo R. Per tutte queste ragioni il metodo del prof. Rizzo non è generale e si restringe ad un piccolo campo spettrale. (') G. Rizzo, Atti Ace. di Torino, vol. 84. — 309 — 4. In questo rientrerebbe, è vero, lo spettro ultravioletto del primo ordine; ma, come apparirà subito da quello che andrò dimostrando, sarebbe stato scarsissimo il vantaggio che avrei potuto ricavare dalla disposizione suddetta, poichè lo spettro ultravioletto presenterebbe in tal caso una di- spersione poco differente da quella del corrispondente spettro di sinistra. È necessario ora vedere dove questi spettri sono situati, come dipen- dono dall'angolo d'incidenza, come si differenziano fra loro, e quale è la loro dispersione; solo allora sarà possibile sciegliere lo spettro che apparirà più vantaggioso. Gli spettri situati a destra, al pari di tutti gli altri forniti dal re- ticolo di diffrazione, occupano sulla circonferenza mobile di diametro RO delle posizioni che dipendono dall'angolo d'incidenza 0, ciò che è lo è stesso, dalla posizione dell'asta RO relativamente agli assi coordinati Sx, Sy, che essa percorre coi suoi punti estremi (fig. 3). Intanto è noto che la giacitura di questi spettri è fra il reticolo R e la imagine S' della fenditura, regolarmente riflessa. Ora, quando l'angolo d'incidenza, partendo da zero, varia per i suoi valori crescenti, l'asta RO viene ad inviluppare una curva nota sotto il nome di astroide e l’imagine S', venendo volta per volta a formarsi in quel punto che — 310 — è il simmetrico di S rispetto alle singole posizioni dell'asta RO, descrive una curva nella quale SST=0= RO sen 24. Mentre al crescere di % l'apice R del reticolo scorre lungo l'asse RS nel senso RS ed il punto S' va avvicinandosi al reticolo descrivendo la sud- | detta curva, l'ultravioletto del primo ordine, che è situato dalla parte del punto S', è l'unica regione dello spettro di destra che per grandi valori del- l'angolo di incidenza può rimanere discosto dal reticolo. Ciò posto, si scorge subito dalla formola A=e(sené + send) che i successivi valori 4 corrispondenti ad una lunghezza d'onda fissa vanno algebricamente decrescendo col crescere dell'angolo 7, ossia — tenendo pre- sente che 4 nel caso in discorso è sempre negativo — vanno aumentando in valore assoluto. Dalla formula (3) che esprime la dispersione in funzione di 4, si ricava infine che anche la dispersione cresce con è. Spostando quindi il reticolo da una posizione R, ad un'altra R, per modo che sia 7, > 1, si otterrà uno spettro ultravioletto del primo ordine I, più disperso per tutta la sua estensione e a parità di lunghezza d'onda, dello spettro I, corrispondente alla prima posizione. Aumentando notevolmente il valore dell'angolo d'incidenza, si potrà far raggiungere a tale spettro di destra del primo ordine una dispersione che si avvicini o superi quella posseduta dallo spettro normale del secondo ordine. In ciò consiste appunto il metodo che ho seguito. Non mi sono curato di mantenere alcun legame fra le imagini di si- nistra e quelle di destra ed ho potuto così trasportare l’oculare dove meglio mi conveniva, riserbando ad esso solamente l'ufficio di indicare il valore dell’ angolo di incidenza mediante la scala delle distanze intercedenti fra la fenditura e lo stesso oculare e che, come ho già detto, è unita all'appa- recchio. Se poi nell’oculare comparisce una riga la cui lunghezza d'onda sia conosciuta, allora l'angolo di incidenza sarà noto senz'altro e con maggiore precisione per mezzo della formola a MEDENA senft= — . e Quando tutta la montatura del reticolo è esatta e quando questo è perfettamente a foco in ogni sua posizione, una pellicola stesa sul telaietto rigorosamente incurvato come la circonferenza di diametro RO corrispondente alla assunta posizione del reticolo è, diciamo così, anch'essa a foco e può ricevere l impressione delle imagini spettrali. In un tale spettro, è vero, la dispersione non è costante, poichè essa cresce con 4; però in molti casì ciò — 311 — non costituisce un inconveniente. In queste fotografie riesce semplice anche il calcolo ed il riconoscimento delle lunghezze d'onda; raccogliendo sempre sulla stessa pellicola l’ imagine regolarmente riflessa e lo spettro, se s è la distanza fra una riga qualsiasi e quella imagine, si ricava, fatto N= 1, da una nota relazione la formula: 8 D: 8 i2esmzios(i—x) dove 4 è espresso per i valori di s e di e 2r= RO. Con questo metodo ho ottenuto delle fotografie di una nitidezza, di una intensità e di una dispersione inaspettate e sono stato in grado di com- piere degli studî, nei quali avrei dovuto necessariamente valermi dello spettro normale del secondo ordine. Ho potuto così evitare gli inconvenienti presentati da quest’ultimo ed approfittare al tempo stesso di quella singolare luminosità che distingue lo spettro di destra del primo ordine. Chimica — Azzone dell’ ozono sulla ipoazotide. Nota prelimi- nare di DeMETRIO HELBIG, presentata dal Socio CANNIZZARO. Nel proseguire i miei studî sul prodotto verdastro ottenuto col far pas- sare una serie di scariche elettriche attraverso l’aria liquida, ho accertato contenere quel prodotto in gran parte an/dr:de nitrosa N? 08. Sono poi riu- scito a determinare le condizioni in cui questa sostanza si ottiene pura, e riferirò fra breve in esteso il risultato delle mie indagini. In una Nota precedente accennai alla esplosività del composto verdastro. Ho osservato che questo carattere è inerente alla sostanza quando insieme ad essa, nell'aria liquida, si genora ozono: essendo riuscito ad evitare la formazione di quest’ultimo corpo, il carattere esplosivo del composto verda- stro è completamente scomparso. Questo fatto m'indusse a studiare l’azione dell'ozono sui diversi ossidi dell’ azoto. L'ozono, fatto passare sulla ipoazotide raffreddata, dà luogo alla forma- zione d'una sostanza assai volatile, per condensare la quale bisogna ricor- rere a temperature vicine a quella dell’aria liquida. Si ottiene allora un corpo solido, bianco, fioccoso, il quale a pressione ordinaria volatilizza senza fondere: il suo vapore, venendo in contatto dell’aria umida, produce abbon- danti fumi bianchi. La sostanza non sembra esplosiva. Io sto continuando gli studî su questo corpo, e sui prodotti che l'ozono potrà dare con altri ossidi dell’ azoto. — 312 — Mineralogia. — La bdournonite nella miniera della Argentiera della Nurra (Portotorres, Sardegna). Nota del prof. DomENICO . LovisaTo, presentata dal Socio STRUEVER. Mineralogia. — Osservazioni sopra alcuni minerali del gra- nito di Baveno. Nota di ErrorE ARTINI, presentata dal Socio STRÙVER. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Mineralogia. — occe a glaucofane di Val d'Ala nelle Alpi occidentali (*). Nota del dott. A. RosATI, presentata dal Socio STRÙVER. I due campioni di rocce, di cui riporto la descrizione petrografica, mi furono cortesemente affidati per lo studio dall’ illustre prof. G. Striiver, dal quale ebbi pure la seguente comunicazione circa la loro provenienza: « La prima roccia (campione 1°) fu da me trovata in poche lastre erra- « tiche al piede della Testa Ciarva in mezzo ad altre svariatissime roccie « che rappresentano il residuo della morena laterale sinistra dell’antico ghiac- « ciaio, e quindi essa proviene con certezza dalle scoscese balze della Cia- « marella rivolte verso il piano della Mussa. « Trovai la seconda roccia (campione 2°) in più bocchi non molto grossi « nel cono di dejezione del vallone di Arnas, a qualche centinaio di metri « sopra il piano della Mussa. «I ciottoli trovati da Williams a Germagnano possono provenire da « tutte e tre le valli della Stura le cui acque ivi sono già tutte riunite. « Certo è ora che rocce ad anfibolo azzurro (glaucofane o gastaldite) si tro- « vano in posto nelle due valli di Ala e di Chialamberto ». CAMPIONE 1°. Roccia grigio-azzurrognola, compatta, ma a tessitura manifestamente scistosa. In piani paralleli alla scistosità lascia osservare numerose lamelle azzurre di amfibolo, e altre lamelle, piccole, splendenti di muscovite, distri- buite sopra un fondo color grigio-cenere; solo in alcuni punti sono delle macchiette rossicce dovute a granato. (!) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Roma. — 313 — Al microscopio i costituenti essenziali si mostrano amfitolo azzurro, epidoto e zoisite; inoltre si osservano granato, smaragdite, magnetite, clo- rite di seconda formazione, muscovite, rutilo e quarzo. L'amfibolo azzurro, che costituisce circa la metà della roccia, si svi- luppa per lo più in grandi cristalli, a contorni mal definiti, allungati se- condo l’asse 4. Il pleocroismo, alquanto debole, è quello comunemente osservato: a giallo-chiarissimo, quasi incoloro; 6 violetto ; c azzurro-celeste. Le sezioni orizzontali e quelle parallele a }100{ sono rare; sono invece frequenti le sezioni verticali presso a poco parallele a }010{. Le inclusioni son date da granato, rutilo e magnetite. Caratteristico di questi cristalli è che spesso i loro contorni appaiono come frangiati da una sostanza fibrosa pleocroica, e allora nelle sezioni prossime a }010{ l'angolo d'estinzione con- torto sulle tracce della sfaldatura, mentre è molto piccolo (6°-7°) per l’am- fibolo azzurro, può anche raggiungere i 18° per il materiale fibroso, e il pleocroismo varia in modo, che, orientando opportunamente la sezione, si ha o un nucleo di color azzurro-celeste frangiato di verde intenso, o un nucleo giallo-chiaro che agli orli diviene verde-chiarissimo. Trattasi evidentemente di una trasformazione dell’amfibolo azzurro in smaragdite, e l'alterazione talvolta non si limita alla parte periferica del cristallo, ma procede verso l'interno seguendo specialmente le linee di frattura o di sfaldatura. Altera- zioni simili furono osservate dal prof. Bucca (') nella gastaldite dell’eclogite di Uja di Bellavarda. Smaragdite originaria è poi discretamente diffusa nella roccia sotto forma di aggregati fibrosi di color verde intenso interposti tra i maggiori cristalli di amfibolo azzurro, epidoto, zoisite e granato. Quanto alla distinzione dell’am/ibolo ascurro in glaucofane e gastaldite questa non può farsi colla sola analisi microscopica differendo la gastaldite dal glau- cofane per un maggior tenore in Al, O. L'epidoto forma cristalli imperfetti o granuli, di colore giallo pallidis- simo. quasi incolori; è frammisto a sozszte, da cui distinguesi principalmente a nicol incrociati per maggior vivacità dei colori d' interferenza. È notevole la presenza di geminati secondo la legge: piano di geminazione e di con- giunzione }100{, e con i caratteri già descritti da Hans Reusch (?) per alcune rocce della Norvegia. Epidoto e soisite distribuiti in parti quasi uguali sono abbondantissimi e presentano incluse rare granulazioni principalmente dovute a rudilo. (1) L. Bucca, Appunti petrografici sul gruppo del Gran Paradiso nelle Alpi occi- dentali. Bull. R. Com. Geolog. Ital., 1886, pag. 460. (®) Hans Reusch, Iikroskopische Studien an norwegischen Gesteinen. N. Jahrb. f. Min., Geol. u. s. w. 1888, 2, pag. 178. RenpiconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 40 — 314 — Il granato è piuttosto raro. Ordinariamente ha colore rossastro, ma talvolta è affatto incoloro, e prende forma di granuli o aggregati di granuli. Presenta inclusioni di magnetite e di rutilo, e in qualche cristallo incoloro molto deformato apparisce birefrangente per anomalia ottica. Il rutélo in granuli gialli forma insieme alla magnezite inclusioni nei cristalli maggiori sopradescritti, e rappresenta indubbiamente la parte più antica della roccia. Qualche granulo è parzialmente o completamente trasfor- mato in una sostanza nera opaca probabilmente riferibile all'//menzfe. La clorite secondaria è in piccola quantità; e così pure il quarzo, che in forma di granuli è interposto come minerale di ultima formazione fra i cristalli più antichi. Sono invece abbondanti le lamelle allungate, intrecciate, e con sfalda- ture tini e diritte di muscovite. Il fatto che tutti i cristalli sono più o meno frantumati, il quarzo con estinzione alquanto ondulosa, il granato che non di rado presenta doppia rifra- zione, la mica con i foglietti talvolta ricurvi, accennano evidentemente alle potenti azioni dinamiche subite dalla roccia. Secondo la classificazione data dal Rosenbusch (!) la sno roccia è una glaucofanite (*) scistosa, cioè una roccia essenzialmente costituita di amfibolo azzurro, epidoto e zoisite, paragonabile ad un’amfibolite, in cui il feldspato sia stato sostituito da epidoto e zozrsite. CAMPIONE 2°. Roccia di color grigio-azzurrognolo cupo, a tessitura finamente scistosa. La colorazione azzurra è conferita da numerosissimi cristallini di amfibolo, che costituisce la parte principale della roccia e si associa a numerosi cri- stalli rossicci granulari di granato. L'osservazione macroscopica rivela anche la presenza della pirzie in granuli sparsi, e del quarzo, specialmente raccolto in determinate direzioni sotto forma di venule a tessitura granulare e mescolato al granato, che al suo contatto mostrasi in piccoli, ma regolarissimi cristalli rombododecaedrici. Al microscopio appare distintamente che gli elementi essenziali della roccia sono l’amfibolo azzurro, il granato e l’epidoto. L'amfibolo azzurro ha gli stessi caratteri studiati nella roccia prece- dente, ma il suo pleocroismo è più accentuato, ed è molto più rara la sua alterazione in smaragdite. ll granato forma preferibilmente grandi cristalli rossastri, da cui risul- tano sezioni esagonali o pentagonali, attraversate in vario senso da profonde (1) H. Rosenbusch, Zlemente der Gesteinslehre, pag. 523. (2) N. B. Il Rosenbusch (loc. cit., pag. 522) chiama « Glaukophangesteine » tutte quelle rocce di cui l’amfibolo azzurro (glaucofane o gastaldite) è parte essenziale. — 8315 — incisure, e con abbondanti inclusioni di magnetite, rutilo e sircone. Talvolta gli orli della sezione e le linee di frattura sono colorati in verde per alte- razione in materiale cloritico. Esso non è uniformemente distribuito nella roccia, giacchè alcune sezioni sottili lo mostrano in grande abbondanza, mentre altre ne difettano in modo da farlo sembrare elemento accessorio. È notevole che alcune sezioni con forme allungate, irregolarissime, sono incolore, non danno mai prodotti d’alterazione, e spesso si dimostrano birefrangenti. L'epidoto è quasi sempre granulare, ed ha colore giallo pallidissimo, come nella roccia precedente; per quantità è inferiore al granato. Fra gli accessorî notiamo: zoisite in lunghi prismi, pirite spesso fortemente limonitizzata, clorite di seconda formazione, mica bianca o talco in fibre ondulate, alquanto intrecciate, spesso radiate, zircone granulare, ma spesso anche in forma di prismi allungati ter- minati da ambo i lati dalla piramide }111{, magnetite, rulilo e quarzo con i caratteri osservati nella roccia pre- cedente, salvo che il quarzo è molto più abbondante, e nel ruzilo è più diffusa l'alterazione in dImenite (2). La distinzione tra 2zi7cone e rutilo è in questo caso nettissima, poichè il rutilo apparisce sempre in granuli gialli più o meno alterati in 7/menzie e con deboli colori d' interferenza, mentre lo 2i7cone è affatto incoloro, non presenta traccia di alterazione, e a nicol incrociati da’ vivacissimi colori d' interferenza più o meno iridati. Anche in questa roccia sono evidenti, come risulta specialmente dai molti cristalli frantumati e dal grana/o, che non di rado è birefrangente, le forti azioni dinamiche da essa subite. Seguendo sempre la classificazione tedesca ‘del Rosenbusch per la rela- tiva abbondanza del granato crediamo di dover classificare la presente roccia come una eclogite a glaucofane. Le nostre rocce differiscono notevolmente dalle eclogiti a glaucofane di Germagnano descritte dal Williams ('), nelle quali non trovasi traccia di epidoto, che al contrario è elemento essenziale della g/aucofanzte, e della eclogite a glaucofane sopradescritte. Esse sono invece simili, almeno per la concordanza negli elementi costitutivi, alle eclogiti a gastaldite di Uja di Bellavarda e di Val Tournanche (gruppo del Gran Paradiso) descritte dal Bucca (?). Quanto alla loro età geologica debbono riferirsi alla « zona delle pietre verdi » del Gastaldi, che molti geologi ritengono essere arcaica. (') G. H. Williams, Glaukophangesteine aus Nord-Italien. N. Jahrb. f. Min. Geol. u. s. w., 1882, 2, pag. 201. (2) L. Bucca, Appunti petrografici sul gruppo del Gran Paradiso nelle Alpi occi- dentali. Bull. R. Com. Geolog. Ital., 1886, pag. 459. — 3160 — Geologia. — Sul rinvenimento del calcare a Fusuline presso Forni Avoltri, nell'alta Carnia occidentale. Nota preventiva di - MicHELE GORTANI, presentata dal Socio CAPELLINI. Sono trascorsi ormai quasi ventidue anni da quando il prof. Taramelli pubblicava la sua Carta geologica del Friuli (!) e l'annessa monografia illustrativa, che troppo modestamente egli volle chiamare Spiegazione, e che segna una data così importante nella storia geologica di tutta la regione friulana. Se da allora la conoscenza della bella serie paleozoica dell'alta Carnia fece progressi molto notevoli, conviene però osservare che questi si riferi- scono in massima parte alla catena principale delle Alpi Carniche, dalle enormi masse, oggi ritenute devoniane, del gruppo del Coglians, alla splen- dida formazione carbonifera e permocarbonifera che occupa il lembo più orientale delle nostre Alpi, perdendosi nei contrafforti delle contigue Alpi Giulie e delle Karavanche. Invece assai poco si sono accresciute le nostre cognizioni geologiche sul terreni paleozoici che si estendono a mezzogiorno di tale catena, scom- parendo da un lato sotto le masse più recenti del Tuglia, del Siera, del Pleros, e dall'altro passando gradualmente alle formazioni permiane e trias- siche della Carnia meridionale. Tale regione è costituita quasi per intero da scisti più o meno argillosi di varia natura, spesso fortemente talcosi o micacei, e interrotti qua e là da grovacche, da arcosi, e da masse calcaree più o meno cristalline e di vario colore. Nell'agosto scorso, perlustrando diligentemente la parte più occidentale di questa formazione, trovai sopra Forni Avoltri un deposito di calcare a Fusuline. La località precisa si trova sul fianco nord-est del Colle di Mez- zodì, alle falde del monte Tuglia (?). Nella carta geologica del prof. Tara- melli è segnata anche in questo punto la zona a « scisti micacei o talcosi, ricchi di quarzo, siluriani e più antichi ». Benchè la falda in questione del Colle di Mezzodì si estenda lungo la riva destra del torrente Degano paral- lelamente alla strada provinciale che va serpeggiando sulla riva sinistra, l'errore della carta si spiega assai facilmente, in quanto che il pendio è ripidissimo e completamente rivestito da un fitto bosco di abeti e di faggi, che ostacola molto ogni esatta osservazione. Fortunatamente questa è ora meno ardua, perchè l’anno scorso, dovendosi fare un taglio nel bosco, vi si praticarono quelli che in Carnia son chiamati mart0rs, furon cioè messe a nudo delle strisce di terreno per farvi scivolare al basso i tronchi recisi. (*) Pavia, luglio 1881. (2) V. la tavoletta « Prato Carnico » dell’Istit. geogr. militare. ” — 317 — Pur troppo la grande difficoltà di accesso e l'imperversare del tempo burrascoso non mi permisero quest'anno che di raccogliere uno scarso mate- riale, senza poter determinare alcuna condizione di giacitura, nè alcun rap- porto stratigrafico. Sembra, a ogni modo, che tutta la falda orientale e settentrionale del Colle di Mezzodì sia costituita di calcare, qua e là fossilifero. Il calcare è per lo più compatto, molto duro, spesso a tipo di breccia, di colore grigio 0 più spesso rossastro, con frequenti vene di calcite. Dove meglio si manifesta la facies del calcare a Fusuline, queste son tanto numerose, che spesso la loro massa apparisce maggiore di quella della roccia includente. L'erosione le fa spiccare molto nette e quasi sempre in sezione trasversale; se non che la durezza della roccia fa sì che il guscio delle Fusuline venga intaccato assai più facilmente di essa, e quindi la sua superficie erosa non presenta che il modello, per quanto esatto, del Foraminifero in sezione. Per lo stesso motivo i fossili non si lasciano isolare che con estrema difficoltà; anzi le vere Fusuline si possono studiare soltanto sulle sezioni sottili della roccia. La specie che ho potuto determinare sono le seguenti: Fusulina alpina communis Schellw. ? Reticularia lineata Mart. ” aff. alpina fragilis Schellw. Ahynchonella Sosiensis Gemm. ’ reqularis Schellw. Spirifer sp. ” cfr. complicata Schellw. Terebratula sp. ” MA Chrysostoma tornatum Gemm. Schwagerina princeps Ehrb. Loxonema Sp. ” fusulinoides Schellw. —Aviculopecten cfr. Sedgwickii M. Bigenerina Sp. Coy. sp. Productus cfr. semireticulatus Mart. Cyclolobus cfr. Stachei Gemm. oltre a frammenti di Crinoidi e ad un corallario che sembra affine ai Fa- vositidi. Tutti questi fossili verranno prossimamente descritti in una Memoria che sarà pubblicata nella Rivista italiana di Paleontologia. Per quanto sia limitato il numero delle forme trovate in questa prima e affrettata raccolta, esse permettano tuttavia, mercè i risultati cui è giunto lo Schellwien (') nelle Alpi Carniche più orientali, di fissare con esattezza l'età precisa del giacimento in questione. Infatti, da un lato per la frequenza delle Schwagerina princeps e S. fusulinoides, e dall'altro per la mancanza delle Musulina alpina antiqua e F. tenuissima, il nostro calcare non può appartenere nè al 1° nè al 2° dei quattro piani in cui Frech (?), seguendo lo Schellwien, divide il Carho- (*) E. Schellwien, Die verticale Verbreitung der Foraminiferen im Karnischen Obercarbon (aus Die Fauna des Karnischen Fusulinenkalks, in « Palaeontographica », XLIV, 1898, pag. 276). (?) F. Frech, Das Obercarbon der Karnischen Alpen (Lethaca paleozoica, vol. II, pag. 354). — 818 — nifero superiore carnico. Inoltre, se la Sehwagerina princeps e la Fusulina alpina communis si trovano entrambe nel 3° piano (piano a Schwagerine) di Frech, non compariscono in esso nè la Schwagerina fusulinoides nè la Fusulina regularis, che si trovano invece nel 4° e che la nostra roccia contiene. Questo fatto, insieme con la concordanza dei pochi Molluschi e della AR/ynconella con quelli del Permocarbonifero siciliano, mi conducono a riferire la parte nord-est del Colle di Mezzodì al piano più alto del Car- bonifero superiore carnico, al livello cioè degli strati di calcare rossastro del Trogkofel, di Neumarktl e di Goggau. L'attuale ritrovamento ha quindi una speciale importanza perchè, oltre all'estendere notevolmente la zona della formazione carbonifera delle Carniche, è la prima località italiana in cui si trovi rappresentato il Permocarbonifero alpino. Patologia. — Contribuzione alla sistematica dei Culicidi con speciale riguardo alla diffusione della malaria umana. Nota di ALFREDO BoRrpi, presentata del Socio GRASSI (!). Intorno ai Culzieidi, che hanno acquistato tanta importanza, dopochè si scoprì in essi gli ospitatori definitivi dei parassiti malarici, in questi ultimi tempi uscirono parecchi lavori, alcuni dei quali sono anche molto estesi. Spiccano tra questi le due Monografie del Ficalbi (Revisione sistematica della famiglia delle Culicidae europee, Firenze 1896, e Venti specie di zan- zare italiane, Firenze 1899); quella del Giles (A handbook of Gnats or Mosquitoes, London 1900 e 1901); e quella del Theobald (A Monograph of the Culicidae or Mosquitoes, London 1901, in 3 vol.). Vi sono poi parecchie Memorie assai più brevi, ma non meno importanti (Grassi, Noè, Tsuzuki, Donitz ecc.). in complesso oramai si conoscono Culicidi delle più svariate parti del mondo, ma la sistematica di questi ditteri è ancora non poco imperfetta, sia perchè molte forme, estesamente diffuse, differiscono tra loro così poco da non poter determinare con facilità se si tratti di specie o di varietà; sia perchè le antiche raccolte lasciano molto a desiderare quanto alla buona conservazione, e quindi rendono difficile l'identificazione delle specie degli autori precedenti; sia perchè non tutti gli autori vanno d'accordo nella scelta dei caratteri distintivi dei generi e delle specie; sia perchè non si è tornato ad esplorare certe regioni donde provenivano alcune specie incompletamente descritte da autori non recenti, per es. la costa dell'Asia minore, di fronte all'isola di Rodi, dove nel 1846 fu trovato per la prima volta l'A. pictus da Loew in soli esemplari maschili. Gli antichi, come Meigen (1818), Macquart (1854) e Rondani (1856), si servirono unicamente dei caratteri offerti dalle ornamentazioni colorite. In (!) Lavoro eseguito nel R. Istituto di Anatomia Comparata di Roma. — 319 — seguito Arribàlzaga mise a profitto specialmente il modo di unghiatura nei due sessi. Questa prima tendenza verso caratteri anatomici fu seguita e coro- nata dal recente lavoro di Ficalbi (1899), nel quale si dà grande valore siste- matico al numero degli articoli costituenti i palpi femminili, alla forma dei femori, dalle appendici sessuali maschili ecc. Contemporaneamente e dopo di lui si occuparono dello stesso argomento il Grassi e il Noè, per modo che si può dire che conosciamo le zanzare d'Italia, meglio di quelle di qualunque altro paese. Una grande raccolta di Culicidi di tutto il mondo si trova nel Brztish Museum di Londra. Molto materiale è stato raccolto anche dal Koch nelle sue spedizioni per studiare la malaria, materiale che viene illustrando il Dinite. La collezione del British Museum fa studiata estesamente dal Theobald. La sua Monografia, sopra citata, completata da una Nota del 1902 (Journal of Trop. Med. 16 giugno) ha grande valore come lavoro molto paziente, accu- rato e minuzioso, ma presenta il difetto di dare un apprezzamento esagerato a caratteri di troppo secondaria importanza, per cui furono create senza neces- sità moltissime specie nuove e vennero proposti parecchi generi nuovi, basati in parte su caratteri di discutibile valore (V. più avanti). Esatto contributo è quello del Dònitz (Bectréige cur Kenntniss der Ano- pheles, Leipzig 1902), per quanto limitato a poche forme di Amopheles; ma poi scende anch'egli a differenze specifiche, che, come diremo tra poco, man- cano di una costanza assoluta. Quindi è che la sistematica dei Cu/zezdi, se si eccettuano le forme ita- liane, è ancora così imperfetta, da augurarsi che si rifaccia quasi tutta, usufruendo come confronto il materiale accumulato nei Musei e negli Isti- tuti di igiene di tutto il mondo. Io non ho potuto imprendere questo la- voro per mancanza di tempo e di mezzi, e mi son limitato ad un Cor/ri-- buto, serrendomi del materiale pervenuto al prof. Grassi dai più lontani paesi e della coadiuvazione del medesimo nell’indirizzo del mio lavoro. Di questo Contributo do qui un breve sunto. Devo premettere che il Grassi e il Noè ritennero opportuno suddividere la famiglia delle Culicidae nelle due sottofamiglie delle Anophelinae e delle Culicinae, sottofamiglie accettate anche da Theobald e da Giles. Tanto nella sottofamiglia delle Arophelinae, quanto in quella delle Culicinae, va notato che gli autori recenti testè citati, cioò Theobald e Giles, propongono, come ho già detto, parecchi generi e molte specie nuove. Questa grande mol- tiplicazione di generi e di specie, è dovuta al fatto che i due autori dànno troppa importanza a caratteri del tutto secondari. Così ad es. il Theobald considera come essenziali i seguenti, cioè: 1) i caratteri delle squamme; 2) il rapporto tra l’intera prima forchetta delle ali ed il suo scapo; 3) la distanza che nelle ali separa la venatura trasversa distale posteriore (posterior trans- verse vein) della media (middle ecc.); 4) il rapporto tra la lunghezza della prima e della seconda forchetta alare. L'autore in discorso si serve anche — 320 — di qualche altro carattere di minore importanza, come il numero delle setole del lobo medio dello scutello. ecc. I caratteri delle squamme si riferiscono alla loro forma e alle loro di- mensioni. Alla forma vien dato valore generico, alle dimensioni specifico. Ebbene, da quel poco che io ho potuto osservare nel gen. Culex con esem- plari di pipiens, nel gen. nuovo Stegomyia con esemplari di C. elegans, e nel gen. nuovo 7aeziorhynchus con esemplari di C. Richiardii, sembra che la forma delle squamme sia un carattere costante; ma dopo i dubbi solle- vati in proposito dal Dònitz (op. cit. pag. 37 e 38), non oso pronunciarmi in proposito. Il carattere delle dimensioni delle squamme viene considerato come di valore specifico, ma dalle mie osservazioni risulta che esso è incostante, come sono incostanti gli altri tre caratteri suddetti, cioè 2) ,3) e 4). I caratteri specifici del Theobald non possono pertanto condurci che ad una classificazione imperfetta. ara, Per ciò che riguarda la sottofamiglia delle Cu/zezzae, ho preso in esame specialmente il C. pipiers e le specie e le varietà ad esso affini secondo il Theobald. Io non posso approvare la creazione della specie nuova Cl. quasi- pipiens Th. perchè fondata sui caratteri incostanti sopra esposti. Del pari non ho potuto approvare la ripristinazione della specie C. /atigans Wie. con le sue cinque sottospecie e quindici varietà, per la ragione che anch'essa è fondata su caratteri che io stesso ho trovato variabili. Già prima che io controllassi i caratteri differenziali tra pipiens e fatigans, il prof. Grassi, dopo avere esaminato alcuni esemplari del Mosquito grigio di Ross, che se- condo Giles è il C. fatigans Wie., asseriva trattarsi di nient’ altro che del C. pipiens, e che nessuna delle differenze stabilite da Giles aveva valore, perchè esse rappresentavano variazioni facili a riscontrarsi anche nei nostri C. pipiens, eccetto la differenza delle venature delle ali, che era un'illusione dovuta ad osservazione inesatta (Cfr. Studi di uno zoologo sulla malaria, Roma 1901, pag. 10). Il fatto che il C. Skuszz, il quale secondo Theobald è sottospecie del C. /atigans, si presta insufficientemente a far da ospitatore intermedio della Y;/aria immitis, precisamente come è insufficiente il C. pi- piens, deponeva già in favore della identità dei due Culicidi in discorso, da me riconosciuta in base ai loro caratteri. L'identificazione del C. fatigans col C. pipiens, in sostanza viene ad essere ammessa anche dal Giles, che dopo avere esaminato esemplari ita- liani di C. pipiens, pubblicò che il fatigans si trova anche in Italia. Posso aggiungere che in Italia si trovano anche tutte le forme distinte, come ho detto, da Theobald in 3 specie, cioè C. pipiens, C. quasipipiens e C. fatigans ; quest'ultimo in 5 sottospecie e 15 varietà. Nè hanno una speciale distribuzione geografica, trovandosi svariate forme in una medesima località. Aggiungasi che esistono già in Italia forme intermedie tra tutte le forme in discorso. — 321 — Questa identificazione è della massima importanza, inquantochè elimina definitivamente l’ errore di Ross, il quale aveva creduto di riscontrare nel C. fatigans (mosquito grigio di Ross) stadi di sviluppo del parassita della terzana, mentre il Grassi con molti argomenti ha dimostrato che il C. p?- piens non può propagare nessun parassita malarico umano, come non possono propagarli le altre specie di Culex (Cfr. Studi ece., Cap. VI, n. 2). Quanto agli sporozoiti trovati da Koch e Gosio nelle ghiandole salivali del C. pi- piens a Grosseto, e attribuiti ai parassiti della malaria umana anzichè al Proteosoma, per il semplice fatto che i passeri dei dintorni non erano in- fetti di questo sporozoo (Dénitz 1902, op. cit., pag. 15 e 16), cè da os- servare che appena il Koch fece la sua pubblicazione, il prof. Grassi andò a Grosseto per ripetere le osservazioni di Koch, e trovò che i passeri infetti erano relativamente frequenti, anzi con essì infettò 1 C. pipiens di Proteo- soma (Grassi, 1901, op. cit., pag. 139). In breve tanto il C. quasipipiens, quanto il C. fatigans con le sue 5 sottospecie e 15 varietà, devono considerarsi come semplici variazioni dell’ unica specie C. pipiens, e questi Culex non propagano la malaria. * ev Per ciò che si riferisce alla sottofamiglia delle Arophelinae, Theobald ha proposto di dividerle in otto generi. Essi vengono distinti dalla forma diversa delle squamme che ricoprono il torace, l'addome e le ali. Ma questa divisione non è ammissibile, perchè, volendo distinguere dei generi, do- vrebbe venire elevata a questo grado ciascuna delle quattro forme italiane, cioè l'A. pseudopictus Gr., lA. superpictus Gr., VA. claviger F. e VA. bi- furcatus L., i quali si distinguono spiccatamente l'uno dall'altro. Invece, volendosi servire del criterio di Theobald, le quattro forme in discorso non vengono ad essere distinte in generi, nonostante che i generi nuovi da lui ammessi siano otto invece di quattro. Vero è che Theobald stacca l'A. super- pictus Gr. dal gen. Amopheles (che per lui comprende il elaviger e il difur- catus) perchè crede che abbia le squamme alari diverse, ma questa differenza in realtà non esiste. Nel gen. Laverania lA. comprende forme che dovrebbero ripartirsi nel genere a cui apparterrebbe il superpietus e in quello a cui apparterrebbe lo pseudopictus. L'A. maculatus Th., secondo la nuova classificazione di Theobald, va a trovarsi sotto il genere nuovo Zaverania (già menzionato), che è caratte- rizzato specialmente dall'avere l'addome con squamme sul ventre e sul dorso e con ciuffi laterali di squamme, mentre sappiamo dalla monografia dello stesso autore (I, pag. 121), che l'A. maculatus Th. ha l'addome senza squamme. Non so se sì tratti di una svista o di un mutamento dovuto ad ulteriori osservazioni. RenpiIconTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 41 — 322 — Dopo Theobald, Donitz (quando già il mio lavoro era compiuto), ha proposto un nuovo raggruppamento delle Arophelinae (op. cit.). Egli divide tutti gli Amopheles da lui studiati, in due gruppi fondamentali servendosi dei caratteri offerti dalle macchie della costa alare. Il primo gruppo ha per specie tipica l'A. plumiger Dò., il quale corrisponde perfettamente al nostro A. pseudopictus Gr. Il secondo gruppo ha per specie tipica lA. maculatus Th., che in gran parte corrisponde all’A. superpictus Gr. Aggiunge che il cla- viger F. (0 maculipennis Mei.), da lui non studiato, potrebbe formare un altro gruppo, ma non tiene conto del d//urcatus L., perchè non è del tutto persuaso trattarsi di una specie a sè. Il raggruppamento di Dònitz è veramente esatto, ma va notato che non è nuovo. Il Grassi nel suo lavoro del 1901 (Stud ecc.) (citato dal Dònitz), dopo aver esaminato molto materiale speditogli da differenti parti del mondo, aveva espresso l'opinione che tutti gli Aropheles potevano raggrupparsi nelle quattro specie tipiche da lui trovate in Italia. Due di queste, cioè l'A. pseu- dopictus e lA. superpictus, sono caratteristiche per le macchie della costa alare, sulle quali presentano rispettivamente gli stessi caratteri, di cui si è ser- vito il Doònitz per la formazione dei suoi due gruppi fondamentali. Le altre due specie sono appunto l'A. claviger F. (0 maculipennis Mei.) e l'A. bifur- catus L. di cui sopra ho fatto cenno. Fin qui dunque nulla di nuovo oltre ciò che è stato pensato dal Grassi (op. cit., pag. 114) e da me estesamente e minuziosamente dimostrato. Quanto alla distinzione delle specie, Déònitz si serve del numero delle macchioline scure che si trovano sulla sesta venatura longitudinale delle ali; ma avendo io esaminato molti esemplari in proposito, posso assicurare. che il carattere offerto dalle macchie scure della sesta venatura longitudinale è molto variabile, e quindi non può avere valore specifico. Per es. l'A. super- pictus viene collocato tra le specie che hanno una sola macchia scura sulla sesta venatura longitudinale. Senonchè io stesso ne ho veduti con una, con due e anche con tre macchioline sulla venatura suddetta; alle volte queste differenze si riscontrano tra le due ali dello stesso individuo. Nello stato attuale delle cose mi sembra dunque opportuno dividere tutte le Anophelinae nelle quattro specie proposte dal Grassi. Queste specie sarebbero quelle trovate in Italia dal Ficalbi e dal Grassi e cioè A. pseudopictus Gr. A. claviger F. » superpictus Gr. » bifurcatus L. Questi nomi però sono provvisori e dovranno in parte essere cambiati, quando verrà stabilita bene la priorità nella denominazione delle specie suddette. Le altre specie o almeno grandissima parte di esse, dovrebbero in parte diventar sinonimi, in parte venir abbassate al grado di sottospecie. Questa di- stinzione di sottospecie viene fino ad un certo punto giustificata anche dai dati corologici, così dal fatto che il C. pipiens è specie estesissima (Europa, America, — 323 — India ecc.), e l'A. pseudopictus oltrechè in Italia si trova anche nel Giap- pone, e secondo la descrizione di Dònitz, molto precisa, anche in Cina (op. cit. pag. 86; cfr. anche pag. 46 dove l'A. descrive come A. plumiger un Anopheles indistinguibile dall'A. pseudopictus Gr.). Le sottospecie in discorso verrebbero ad essere differenti l'una dall'altra in piccolissimo grado per colore, forma e proporzioni, ossia verrebbero a comprendere quelle forme che gli autori di solito descrivono come sottospecie in altri gruppi di animali. La nomenclatura proposta dal Grassi e da me ha un grandissimo valore dal punto di vista pratico per i medici, permettendo loro facilmente di orien- tarsi nella determinazione delle specie. Essendo in Italia rappresentate tutte e quattro le specie di Azopheles ed essendo dimostrato che ciascuna di esse propaga le tre forme di malaria, diventa oltremodo verosimile che tutti gli Aropheles di tutto il mondo pro- paghino anch'essi la malaria (Grassi, giugno 1899. Cfr. op. cit., pag. 28). Le osservazioni fatte finora in tutti i paesi tendono a dimostrare con sicu- rezza questa induzione del Grassi. A questo riguardo non dobbiamo dar troppa importanza ad esperimenti negativi, come tende a far Donitz. È noto che Koch stesso sperimentò a lungo e sempre invano coll’A. elaviger F., come è noto che Ross e Daniels sperimentarono in India con un Aropheles super- pictus (secondo la nostra nomenclatura) ugualmente con risultati negativi. Gli stessi Koch e Ross hanno poi dovuto ammettere che questi esperimenti non erano concludenti (Grassi) ('). (1) Del resto sembra che Donitz non abbia letto i lavori del Grassi, poichè parlando della propagazione della malaria, asserisce che le ricerche fatte contemporaneamente a Koch dagli Italiani, avevano condotto alla conclusione erronea che certe specie di Culea propagassero la malaria. Da prima, egli scrive, sembrò sospetta una zanzara a cui il Grassi affrettatamente diede il nome di C. malariae e che adesso si ritiene identica al C. verans Mei; poi si accusò il C. penicillaris R. e VA. claviger F.; più tardi il C. Richiardii Fic. e il C. hortensis, il quale non appare nelle nostre case e punge di giorno (cfr. Doònitz, op. cit., pag. 15). Il Grassi invece, partendo dall’ osservazione che vi sono luoghi non malarici con molte zanzare, dopo confronti fatti nelle più svariate parti d'Italia, fin dalla sua prima Nota, da lui pubblicata sull'argomento (alla fine di settembre 1898), conchiuse che dove- vano ritenersi sospetti VA. claviger F. e due Culer, cioè il C. penicillaris e il C. ma- lariae, senza escludere del tutto il C. Richiardii e l’hortensis. Fin d’allora però ritenne del tutto innocente il C. pipiezs e riguardo all’A. claviger dichiarò che questo « può definirsi vero indice, vera spia della malaria e che questa e quello sono intimamente connessi ». Quanto al C. malariae aggiunge (sempre nella Nota in discorso) che così lo denomina non perchè propaghi 1’ infezione, ma per le condizioni del luogo in cui vive. Siccome poi dal 20 al 30 ottobre nei dintorni di Roma i C. peri- cillaris e malariae andarono diradandosi e dal 10 novembre in poi quasi non punsero più; non potendosi ammettere che tutti i moltissimi casi di malaria sviluppatisi dopo il 10 novembre, fossero già in incubazione, il Grassi fu inclinato a concedere grande im- portanza all’A. claviger. Questi sospetti crebbero per il fatto che a Lentini (Sicilia) nel- l'ottobre e nel novembre dello stesso anno, pur infierendo la malaria, non si trovarono nè C. penicillaris, nè C. malariae; gli A. claviger invece erano straordinariamente ab- — 324 — Dopo quanto è stato detto e confermato dai fatti (tenuto anche conto degli studi del Theobald, Giles, Tsuzuk, Dòonitz ed altri), resta assodato che la malaria è propagata nella maggior parte d’ Europa dall'A. claviger F. (o maculipennis Mei.) e poco dall'A. difurcatus L., perchè vive all’ aperto. . Nell' Europa meridionale entrano in scena, sebbene per poco l'A. pseudo- pictus Gr., e lA. superpictus Gr. Nei paesi tropicali delle più differenti regioni, la malaria viene propagata essenzialmente dall'A. pseudopictus Gr. e dall'A. superpictus Gr. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio CoLomBo, relatore, a nome anche dei Soci CERRUTI e FAVERO, legge una relazione sulla Memoria dell'ing. li. MeNoCcHIO, intitolata: Rzen- tramento dei panni (Décatissage), concludendo per l'inserzione del lavoro nei volumi delle Memorie. Le proposte della Commissione esaminatrice, poste ai voti dal Presi- dente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Socio Pro Foà legge la seguente Commemorazione del Socio straniero RopoLFo VIRCHOW : RopoLro Lopovico CarLo VircHow nacque il 13 ottobre 1821 nella piccola città di Pomerania, Schivelbein, da Carlo, mercante e da Johanna Hesse. La storia della famiglia è sconosciuta: Rodolfo fu il primo ad esserne segnalato. Fino a 13 anni rimase al luogo natìo percorrendo gli studî pri- marî; fu poscia preparato al ginnasio, e frequentò appunto quello di Coslin ove entrò a 14 anni. Il prof. Miller vi era latinista distinto che aveva scritto su Cicerone e su Sallustio, e prese subito una grande simpatia per Virchow per la sua singolare coltura della lingua latina, in rapporto alla sua giovine età. Invece Virchow non potè mai godere la simpatia del suo professore di greco, il teologo Grieben a cagione della sua poca perizia gram- maticale. bondanti (op. cit., pag. 46). Questi fatti guidarono gli esperimenti e condussero ad esclu- dere la possibilità che la malaria potesse essere propagata dai Culea e ad accertare che essa viene propagata dagli Aropheles. Anche l’asserzione che gli Italiani dimostrarono che VA. claviger F. era colpevole, soltanto dopochè Ross aveva mostrato che entrava in questione anche il gen. Anopheles, è inesatta. — 325 — Il greco, Virchow lo aveva imparato dal predicatore del suo paese, con metodo diretto della lettura e della traduzione, e con pochissimo studio di grammatica. Il giovine allievo sapeva scrivere il greco sotto dettatura, anche senza errori, e lo traduceva, ma non ripeteva a memoria le regole gram- maticali. Quando Virchow nel marzo 1839 ebbe a sostenere l'esame di maturità, il suo teologo professore di greco lo sottopose alla traduzione di un passo difficile del Nuovo Testamento in lingua greca, e sebbene il giovine allievo si traesse egregiamente d'impaccio, non potè avere il voto favorevole dal suo professore, il quale sostenne che il giovine Virchow non aveva la maturità morale necessaria per essere ammesso all'università. Ma non furono dello stesso parere gli altri professori, i quali posero il nome di Virchow primo in lista degli otto allievi che hanno lasciato il ginnasio di Coslìn nella pri- mavera del 1839. In questa lista è scritto: Rodolfo Virchow figlio di un mercante in Schivelbein dell'età di anni 17 e mezzo. Già da tempo Virchow aveva stabilito di studiare la medicina, e fu accolto nell'autunno 1889 come allievo all'istituto militare Federico Guglielmo. Frattanto passò a casa sua il semestre d'estate e lo impiegò a studiare da solo l'italiano. Era così vivo l'interesse che Virchow annetteva alla conoscenza delle lingue, che volle anche studiare in seminario l'ebraico, e sostenerne l'esame, il che per solito era fatto solo da coloro che s'avviavano alla Facolta teologica. Sull'istituto Federico Guglielmo detto « la Pepinière » e destinato so- pratutto a fare dei medici militari, fu detto molto pro e contro, ma nessuno poteva negare che per esso, i poco abbienti potevano compire integralmente i loro studî. Ricche collezioni, e una delle più ricche biblioteche di medicina soccorrevano gli studiosi; i quali ricevevano da medici militari la ripetizione delle materie d'insegnamento. Non può essere senza significato il fatto che da quell'istituto sono usciti Helmholtz, Virchow, Leyden, Fischer, Nothnagel, Fraentzel, Schmidt, Loeffler, Gaffky, Gaertner, Hueppe. Uno dei medici mili- tari che insegnavano nell istituto era Gustavo Adolfo Lauer che fu poscia medico della persona dell’imperatore Guglielmo I, e che era in particolar modo apprezzato» dagli allievi per le sue ottime cognizioni dei classici greci e romani. Fra i compagni di scuola di Virchow era Helmholtz venuto all isti- tuto un anno prima di lui dal ginnasio di Potsdam. L'’ istruzione nell’ istituto seguiva con metodo particolare; così si seppe da Helmholtz che vi era colti- vata moltissimo la lettura dei classici della medicina; e alcune ore dell’ in- segnamento erano destinate alla traduzione di Celso e d'Ippocrate. Virchow rimase all'istituto quattro anni, e il suo libretto d'iscrizione ai corsi ne contiene due degni di rilievo; cioè uno di storia e un altro sui poeti arabi. Il docente che faceva quest'ultimo corso era Rickert, il poeta della sapienza di Brahma, il quale fra i suoi pochissimi uditori ebbe solo Virchow fra i medici. — 326 — Al corso di storia erano obbligati tutti gli allievi dell'istituto, i quali non erano tanto liberi di scegliere le iscrizioni; onde si comprende che mal- grado Virchow avesse già da tempo appreso ad amare l’uso del microscopio, pure non lo vediamo iscritto ai corsi di Istologia di Henle, e di Reichert. Nell'autunno del 1843 Virchow ebbe il titolo di dottore; e la solennità di laurea fu tenuta il 21 ottobre sotto la presidenza di Giovanni Miiller. La dissertazione di laurea ebbe per titolo: De rheumate praesertim corneac. Fra le tesi di dottorato trovansi le seguenti : 1.° Nisi qui liberalibus rebus favent, veram medicinae indolem non cognoscunt. 2.° Animus non aegrotat. 3.° Inflammatio, febris localis. 4.° Morbo endemio, endemium medicamen. 5.° Morbus cardiacus neuroplogosis cordis. Se questi temi possono contribuire a darci un'idea dello stato della coltura medica di quei tempi, non è però senza un grande significato per- sonale il primo che ho accennato, come quello in cui si presentano le ten- denze del grande uomo futuro. Fra i maestri di Virchow è da ricordare in primo luogo Giovanni Miiller, senza del quale non si può esattamente apprezzare la educazione scientifica di Virchow. Egli fu accanto a Schònlein e a Romberg colui che emerse di più nella Facoltà medica di Berlino intorno al 1830. Figlio di un calzolaio di Coblenza e di fede cattolica, egli voleva divenir prete; e solo pochi giorni prima dell’immatricolazione si decise per la Medicina. Studente del quarto semestre, vinse il premio dell’ Università di Bonn nel 1821 col lavoro spe- rimentale: De respiratione foetus. Divenne presto naturalista, anatomico e fisiologo e da Waldeyer fu detto uno dei più grandi biologi di ogni tempo, ma se la sua scienza lo rese ‘grandissimo, non minore importanza ebbe la sua qualità di maestro. Egli tenne lontano da sè la folla degli studenti co- muni; attrasse a sè invece coloro che erano animati da un vivo desiderio di apprendere e che offrivano attitudine alla ricerca scientifica. Ebbe a sco- lari: Schwann, Henle, Remak, Reichert, Helmholtz, Du Bois Reymond, Briche, Virchow, von Graefe, Claparède, Haeckel, Lieberhun, Max Schultze ecc. de- dicati alle più disparate branche della Medicina, tutti eminenti, e taluno divenuto capo scuola. Questa illustre congrega di sapienti creatori della medicina contemporanea, e la cui opera estende il suo significato in ogni branca dello scibile, non era una scuola nel senso stretto della parola; essa non ripeteva una dottrina unica ricevuta dal maestro. Virchow disse che non vi fu nessuna scuola di Miller nel senso dogmatico della parola, ma solo nel senso del « metodo della ricerca »; metodo esatto, sperimentale che respinge la credenza e la supposizione, e solo ammette una ricerca e un'os- servazione precisa, e ha per fine la conoscenza dei fatti. — 327 — Virchow ci dà questo saggio del suo maestro: Nel 1846 egli aveva veduto per la prima volta quell’alterazione della milza che più tardi definì come degenerazione amiloide. Invano egli aveva fino allora fatto ricerche per comprendere la natura di quel processo morboso : alla fine si recò da Miller che aveva studiato molto l'istologia della milza, e questi gli disse: Ciò è molto singolare, voi dovete farvi sopra delle ri- cerche. Al che Virchow rispose che già da tempo le aveva fatte senza con- cludere, e Miiller gli rispose: Voi dovete proseguire la ricerca, ciò sarà certo molto interessante. Virchow scoperse solo sette anni dopo la natura di quella malattia. Du Bois Reymond dice di J. Miiller che egli come aveva fatto per sè stesso, così s'attendera che anche i suoi allievi si aiutassero da sè, egli assegnava il còmpito e stimolava; nel resto si accontentava per usare un paragone tratto dalla chimica, di esercitare un'azione catalitica. « Agiva, come Goethe dice della bellezza, colla sua sola presenza; dai suoi occhi emanava un fascino sui suoi allievi, come da quelli di Napoleone sui suoi soldati, e il detto: « Soldati, l’imperatore ha l’occhio sopra di voi =. bastava anche a noi, per eccitarci al più strenuo lavoro. La ragione del fa- scino era nell’ instancabile attività del maestro, il quale senza alcun sottinteso, senza fine utilitario qualsiasi, senza agiatezza, proseguiva con grande fervore un fine ideale ». Virchow ebbe anche Schònlein a maestro efficace, benchè non fosse la di lui azione paragonabile a quella di Miiller, col quale era in continui rapporti personali. Schònlein, lo scopritore del fungo che produce la tigna, era maestro nel vero senso della parola, e Virchow ancora in questi ultimi anni conservava il suo libretto di iscrizione in cui accanto alla materia in- segnata da Schònlein che era la Medicina interna, aveva scritto: « Rico- nosco con animo grato che io ebbi da lui uno stimolo efficace ». Virchow aveva terminato il corso di J. Miller ed era entrato nella Clinica di un uomo che aveva per programma: pochi sistemi e molti fatti. Quivi si faceva uso di microscopio e di reagenti in casi in cui la grande folla dei medici, si accontentava di ragionamenti e di osservazioni superficiali. Forse il principale fattore di tutti quelli che hanno agito sulla educa- zione scientifica di Virchow, è stata la pubblicazione avvenuta all'incirca negli anni in cui egli lasciava il ginnasio, dell’opera di Schleiden: Bedtrdge zur Phytogenese, in cui era fondata la dottrina della struttura cellulare delle piante; e nel 1839 proprio quando egli entrava nell’ Università comparve l'opera di Schwann: Mikroscopische Untersuchungen iber die Uebereinstim- mung în der Structur und dem Wachstum der Thiere und Pflanzen. Schleiden nativo di Hamburg si era fatto dottore in Giurisprudenza e avvo- cato, Ma si disgustò dell'esercizio della professione, e in uno stato d'animo penosissimo attentò alla propria esistenza con un colpo di pistola alla testa. — 328 — Guarito, lasciò l'avvocatura e divenne naturalista. Trovò a Berlino in suo zio Horkel un eccellente maestro e consigliere negli studî botanici, e molti fatti citati da Schleiden nella sua opera, erano stati raccolti da Horkel. Schleiden contrasse amicizia coi giovani anatomici e in particolar modo con Teodoro Schwann, preparatore del Museo anatomico diretto da J. Miller. Schwann era uno dei più esercitati microscopisti del suo tempo e poteva fare dei confronti fra ciò che egli aveva osservato nel mondo animale, e quello che gli veniva narrato del mondo vegetale dal suo amico Schleiden. J. Miller aveva veduto che la corda dorsale dei pesci cartilaginei era costituita di cellule contigue le une alle altre, e Schwann vi aveva trovato il nucleo. Giusto allora Purkinje aveva dimostrato che gli strati superficiali dell'epidermide ritenuti come costituiti da un intonaco indurito, erano invece fatti di cellule. Egli ed Henle avevano già studiato la struttura delle ghian- dole e del fegato, ed Henle aveva ricercato gli epitelî cilindrici e pavimen- tosi. In possesso di tali fatti, Schwann sotto lo stimolo di Schleiden venne alla conclusione che il regno animale, nella sua costituzione organica, si diportava come il regno vegetale, cioè che le cellule erano il fondamento di ogni essere vivente. A confortare la sua ipotesi rilevò la struttura cellulare dei foglietti primitivi di cui consta l'embrione di pollo, e più tardi la con- fermò per l'embrione degli animali superiori; trovò che i tessuti cornei, i peli e le penne sono costituiti da cellule addensate insieme; nella lente del- l'embrione trovò l'allungamento delle cellule in fibre. L'opera di Schwann oggidì antiquata pel suo contenuto tecnico, rimane tuttavia a titolo d'onore il codice della dottrina da cui ebbe origine la biologia moderna. L'influenza esercitata da Schleiden e da Schwann sullo spirito dei giovani studiosi del loro tempo fu straordinaria, e Virchow lo ricordava nel 1882, in un discorso su quei due fondatori della biologia contemporanea. Egli scrive: « A quel tempo in cui io ed i miei compagni cominciammo le nostre ricerche, consul- tavamo ugualmente il libro di Schleiden e quello di Schwann, e il pensiero dell'unità della natura organica agì sopra di noi potentemente ». Il mondo medico berlinese tra il terzo e il quarto decennio del secolo XIX, era inte- ramente penetrato dalle nuove idee desunte dalla dottrina cellulare. Uno dei primi a fare uso larghissimo della nuova dottrina fu J. Miller; nè meno efficace fu Henle colla sua Anatomia generale. Qual meraviglia, esclama Virchow in un suo ricordo di quei tempi, se noi giovani abbiamo fin da principio imparato a pensare istologicamente? Su proposta del Generale medico Grimm, vice direttore dell’ Istituto Fe- derico Guglielmo, dove Virchow era stato allevato durante i suoi studî uni- versitarî, questi fu nominato assistente alla prosettura del « Charité » e in pari tempo venne incaricato delle ricerche microscopiche e chimiche nella Clinica di Schònlein. Era allora Settore dell’ Ospitale Charité il Froriep, — 329 — il quale era tanto poco produttore per conto proprio, quanto era, invece, diligente raccoglitore e divulgatore della scienza altrui. Egli ebbe il merito di essere stato il primo ad avviare alla carriera pratica Virchow e siccome egli aveva fatto delle ricerche sul tema allora di moda della Z/ebite senza venire ad alcun risultato originale, così offerse a Virchow di studiare egli l'argomento. Le due scuole di Anatomia pato- logica, che dominavano a quel tempo erano, la scuola Francese rappresentata da Crouveilhier e la scuola di Vienna rappresentata da Rokitanski. Era opi- nione del primo che la Y/edite fosse a base di qualunque processo morboso, e tale dottrina aveva trovato molti seguaci. Virchow riconobbe che a risol- vere il problema fossero necessarie molte ricerche preliminari. Fin allora si era considerato solo lo stato della parete vascolare; invece si doveva ricer- care l'origine delle sostanze che si trovavano nel lume del vaso, cioè il coagulo sanguigno, o la massa purolenta. Virchow negò la preesistenza della fibrina come tale allo stato disciolto nel sangue; ammise invece l’esistenza della fibrina solo in forma di coagulo. Non ad essa è dovuta la nutrizione degli elementi e la produzione dei tessuti; sibbene essa è il prodotto della distruzione degli elementi stessi. Lo studio del cadavere diede a Virchow occasione di fermare la sua attenzione sopra i coaguli che chiudono l’ arteria polmonare, e che egli allora chiamava, « calcoli patologici », e fece la sco- perta che essi non derivano dal luogo ove si trovano, ma sibbene che vi erano trasportati da un punto periferico qualunque ove erasi formato un coa- gulo primitivo nelle vene, oppure dal cuor destro. A tale conclusione Virchow era venuto dalla considerazione dei fatti anatomici da cui ricostruì logica- mente tutto il processo. Nè si fermò al reperto cadaverico, ma bensì volle confortare le sue conclusioni con la riprova sperimentale, e da questa trasse non solo la conferma delle sue vedute, ma anche la importante conclusione che gli effetti derivanti dall’occlusione dei vasi erano assai meno dipendenti dall’ occlusione stessa, che non dalla qualità della sostanza che aveva cagio- nato l'occlusione. Con questi lavori Virchow fondò la dottrina della trombosi e dell’embolia, nomi e fatti da lui stesso introdotti nella medicina scienti- fica. Un altro frutto dei suoi studî sul sangue e sui vasi, fu la conoscenza della Zeucemia come affezione indipendente. Al suo esatto spirito d'osserva- zione, alla sua cultura preliminare, alla logica consuetudine della sua mente fu dovuta la prevalenza del giusto concetto di quella malattia del sangue, come effetto di alterata produzione sanguigna da parte degli organi emato- poetici, e non come risultato di una supposta penetrazione nel sangue di elementi eterogenei. Un' esagerata produzione di globuli bianchi, un difetto di produzione di globuli rossi, per alterazione primitiva degli organi san- guigni: tale era la natura del morbo, e non la supposta penetrazione di pus nel sangue, o la suppurazione del sangue stesso. Il concetto Virchowiano ha RenpIcoNTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 42 — 930 — trionfato . definitivamente nella Medicina scientifica, e oggi nuovi fatti hanno certamente esteso il concetto della Zeucemia, ma non l'hanno mutato so- stanzialmente nella sua base dottrinale. Questi classici lavori che noi tutti ripetiamo o riassumiamo nelle nostre scuole, sono la principale parte posi- _ tiva dell'opera del giovine Settore del « Charité », ma di questa epoca è pure un'opera critica che forse ha valso più ancora delle due prime a ri- chiamare l'attenzione del mondo scientifico sul patologo di Berlino. Alludo alla storica e classica discussione di Virchow sulla teoria della « Crasi san- guigna » e in genere sul Manuale di Anatomia patologica di Rokitanski. Era questi in allora l'anatomo-patologo più grande del secolo, e godeva una grandissima autorità in tutto il mondo, superiore a quella stessa di Crouveil- hier, capo della Scuola francese. Un giovine Patologo non ancora molto conosciuto spingendosi all'attacco della teoria fondamentale del colosso di Vienna, sembrò peccare d’ audacia ‘e destò la meraviglia dei sapienti del suo tempo. Virchow premise la dichia- razione che egli non criticava il Rokitanski come anatomo-patologo, ma solo nella parte sua dottrinale sulla Patologia; cioè in quella parte che oltrepas- sava le semplice raccolta dei fatti anatomici, e che alla base solida dei fatti sostituiva l'ipotesi mal sicura. Rokitanski aveva tentato di rimettere in vi- gore la patologia umorale, sostenendo l’esistenza di una fibrina e di un' al- bumina nel plasma del sangue, alla cui alterazione primitiva (discrasia) erano dovuti tutti o quasi i mali del corpo umano. Virchow gli oppose che ogni variazione del sangue era un effetto secondario delle alterazioni locali degli organi. Rokitanski aveva introdotto nella parte generale del suo celebre trat- tato una quantità di asserzioni fantastiche, senza alcuna prova di fatti, e vi aveva fatto la esposizione di una istologia imperfettissima e tutta sciupata da ipotesi illogiche. Virchow reclamò l'applicazione del método naturalistico esatto, e respinse la falsa filosofia che esce dalla testa dell'autore, senza la prova necessaria dei fatti. La critica di Virchow ebbe un trionfo; la dot- trina della « crasi » fu abbandonata in seguito dallo stesso Rokitanski, che riconobbe l'importanza della Patologia cellulare. Questa vittoria scientifica universalmente riconosciuta della scuola di Berlino sulle Scuole di Vienna e di Parigi, parla ora alla nostra fantasia come fosse premonitrice di vit- torie future su altri campi. Virchow quale Settore al « Charité » ebbe una quantità notevole di ma- teriale a sua disposizione e fece del suo laboratorio un centro di studî per molti volenterosi. Nell'estate del 1847, Virchow sostenne le prove per l’' abi- litazione ad insegnare, ed il tema della sua prima lezione fu quello della infiammazione dei muscoli. Alle prove presiedeva J. Miller che nel 1843 aveva anche presieduto ai suoi esami di dottorato; così per la seconda volta era dato all'allievo prediletto di congiungere la memoria dei fatti principali della sua carriera al nome amato del suo grande maestro. Virchow appar- — 981 —. tenne alla schiera di giovani valorosi che si erano prefissi il rinnovamento degli studî di medicina, e formavano la così detta Scuola di Berlino. Di questa fu prima a capo Ludwig Traube; più tardi lo divenne Rodolfo Vir- chow, e in prima linea erano Arturo Mendelsohn, e Benno Reinhardt. Il primo partecipò col Traube a quegli studî di Patologia sperimentale che re- sero tanto celebre il nome di quest'ultimo, e che erano un'assoluta novità per la Germania, e scrisse sulla meccanica dei movimenti respiratori; indi si divise da Traube e finì ignorato a Parigi dopo essere stato implicato in affari politici. Reinhardt fu presto intimo amico di Virchow col quale ebbe comuni gli intenti ed il metodo; egli era già provetto nell'istologia, e lot- tava forte contro le tendenze dominanti delle scuole mediche del suo tempo. Altro compagno fu Rodolfo Leubuscher che si era occupato di Psichiatria e volle fare studî di Anatomia patologica. A lui è dovuta la riforma del trattamento degli alienati in Prussia, i quali erano a quei tempi tenuti in così barbaro modo, da ricordare le descrizioni di ciò che avveniva nel Medio Evo. La casa di lavoro di Berlino raccoglieva i delinquenti e i miserabili, i ragazzi abbandonati da genitori delinquenti, i ladri e gli omicidi tutti in- sieme, e fra essi nello stesso fabbricato, in un altro piano, ma non senza rapporto col resto dell’edificio, erano i pazzi dementi, senza separazione di sesso, raccolti in sale ove erano persino 90 letti. Così erano le cose in Ber- lino nel 1847. Traube era il più anziano della nuova Società; egli aveva già un nome nella scienza, s'accontentava del lavoro scientifico, e non affrontava le qui- stioni di interesse pubblico; aveva per il primo introdotto il metodo del- l'ascoltazione e della percussione, che aveva appreso nelle sue frequenti escursioni a Vienna, ed aveva introdotto il metodo degli esperimenti di pa- tologia sugli animali. I giovani patologi berlinesi sentirono il bisogno di un proprio giornale per pubblicare i proprî lavori e per combattere in favore delle loro idee. Virchow racconta che un Giornale di medicina di quei tempi respinse il suo classico lavoro sulla « Trombosi » affermando che vi era dentro troppa chimica; un altro giornale lo voleva raccorciato notevolmente, ed un terzo glielo rinviò coll’aggiunta di amichevoli osservazioni e di consigli. Traube fondò i suoi « Beitrige zur experimentelle Pathologie und Physiologie », e sul primo numero si trovava fra gli altri il celebre lavoro sugli effetti del taglio dei vaghi, di Traube stesso. Nel secondo fascicolo era pubblicato il lavoro del Virchow sull’occlusione dell'arteria polmonare, e uno di Reinhardt della genesi degli elementi microscopici nell’infiammazione. Sfortunatamente a questo punto il periodico dovette cessare le sue pubblicazioni per difficoltà insorte coll’ editore, e per un anno la giovine Scuola di Berlino rimase senza il proprio organo di pubblicazione; poscia Virchow e Reinhardt trovarono in Reimer l'editore di un nuovo giornale che fu il famoso « Archivio » inin- — 332 — terrottamente pubblicato sino ai nostri giorni, e arrivato oramai al 170° vo- lume. I patologi di Berlino fondarono pure a quei tempi la « Gesellschaft fiir wissenschaftliche Medizin », dove sorsero discussioni celebri, e d’onde uscirono lavori e concetti che trionfarono in tutte il mondo scientifico. Di. quella Società fu benemerito il professore di Zooiatria Federico Gurlt, il quale fornì il locale e gli animali da esperimento ai giovani Patologi. A quei tempi, gl'Istituti di Fisiologia e di Patologia quali oggi si trovano anche nelle più piccole Università, erano dichiarati un lusso, e quando Pur- kinje chiese a Breslavia che gli venisse concesso un laboratorio, il Curatore di quella Università gli chiese spaventato, dove si sarebbe andati a finire, se ogni professore avesse preteso un proprio laboratorio. Ed eccoci all'anno critico 1848. Fino a questo anno Virchow si occupò solo di lavoro scientifico, e il suo nome era conosciuto appena nel circolo ristretto dei suoi colleghi. Gli avvenimenti del ‘48 lo portarono sull’ arena politica. Nella Slesia superiore inferiva sino dall'estate del ’47 il tifo esan- tematico. Il Governo prussiano scosso dai clamori della stampa, designò il medico capo Barez con a fianco, quale aiuto per la parte scientifica il Vir- chow, affinchè riferissero sullo stato delle cose e indicassero i provvedimenti necessarî. I due delegati partirono il 20 febbraio e Virchow ritornò dal suo viaggio il 10 marzo, e comunicò alla Società per la Medicina scientifica i risultati delle sue indagini. Egli vide ammalati, egli fece autopsie, egli diede consigli terapeutici, egli svolse insomma la questione dal lato medico, ma egli non sì arrestò qui; egli volle fare il processo al sistema dominante in Prussia. Egli trattò dei fatti storici, economico-sociali, e dei rapporti igienici della Slesia, e spiegò perchè una volta scoppiato il tifo in quel paese, do- vesse estendervisi rapidamente. e mantenervisi a lungo coi caratteri di una grave epidemia. L’'abitante della Slesia, narrava Virchow, non si lavava affatto e lasciava il suo corpo alla cura del cielo. In generale lo Slesiano era ignorante, ma non incapace di coltura. Solo è che si inviavano colà dei maestri tedeschi con iscarsa sapienza, in paese polacco, e si concedeva al maestro e agli sco- lari di parlare ciascuno la propria lingua, col risultato che il maestro impa- rava il polacco, e gli scolari non imparavano il tedesco. Gli Slesiani erano staccati dalla loro terra originaria, la Polonia, già da 700 anni, e coi Po- lacchi propriamente detti non avevano nulla in comune; essi erano fuori di qualunque circolo di coltura. Solo il libro delle preghiere arrivava nelle mani del popolo, onde Virchow accusava apertamente la gerarchia cattolica che lo teneva ignorante, la burocrazia indolente che fingeva di ignorare i bisogni della popolazione, e i grossi possidenti del luogo che di solito vivevano nelle grandi città tedesche, e in paese straniero spendendovi il loro denaro. Pare di leggere una pagina di Taine sui tempi che precedettero la rivoluzione — 333 — francese. Virchow giudicò l'epidemia di carattere endemico e ne dà un'esatta descrizione, attribuendola all'azione di miasmi che si svolgevano sotto l’azione di vicende atmosferiche, e aggravavano lo stato miserando che i cittadini presentavano nelle loro pessime abitazioni; perciò quando il freddo li costrin- geva a rimanervi rinchiusi, l'epidemia acquistava il suo carattere più grave. Dalla misera gente l'epidemia si andava propagando per contagio anche alle classi agiate. La carestia dominante e il tifo erano coeffetti di una stessa causa; cioè le gravi vicende meteoriche di quell'anno. Dai medicamenti, il Virchow si attendeva poco o nulla; invece invocava una riforma sociale da cui solo poteva la Slesia liberarsi dalle sue miserie. Virchow scrisse allora questa ricetta: Piena e illimitata democrazia — Coltura colle sue due figlie : la libertà e il benessere. Si trattava di elevare mezzo milione di abitanti che erano agli infimi gradi della salute fisica e morale. Quella era la pa- rola di combattimento: nel resto, riconobbe Virchow che gli abitanti della Slesia erano dei Polacchi per l'origine, per la lingua e per le abitudini, e questa cognizione doveva guidare nelle riforme da introdursi in quel paese. Si eri- gano scuole polacche che non sieno asservite alla gerarchia ecclesiastica, e si lasci l'uso della lingua materna che meglio si adatta al modo di pensare degli abitanti. Apransi scuole agrarie e professionali, l'indirizzo della edu- cazione sia liberale e abbia per fondamento il naturalismo scientifico. Il momento era opportuno per allevare dei giovani che l'epidemia aveva stac- cato dagli oppressori antichi capi spirituali. Nei giovani, che sono capaci di coltura, si depongano i germi di un nuovo indirizzo che muti lo spirito e la morale degli abitanti. Inoltre, reclamava Virchow l’abolizione dei diritti feudali, il progresso dell'agricoltura, l'apertura delle vie di comunicazione, la organizzazione del lavoro nelle mani dello Stato, coll’obbligo allo stesso di assicurare a cia- scun operaio il minimo necessario per l’esistenza. Proseguiva Virchow in altre anche più esplicite dichiarazioni di carattere democratico-sociale, se- condo lo spirito dominante della rivoluzione di quel celebre anno nella storia d'Europa. Già Virchow in Berlino si era aggregato al partito democratico, e dell'amico suo Franzius riferiva essere cosa che si comprendeva benissimo che egli avesse aiutato a fare le barricate. Egli scrisse: « Io ero preparato dopo il mio ritorno dalla Slesia ad aiutare una scossa contro il nostro antico regime, ed esposi pubblicamente il mio sentimento in tre parole: Piena, illimitata democrazia ». Attese allora allo studio d'una riforma del corpo sanitario, dell'istruzione superiore, del servizio d'assistenza, delle questioni ospitaliere. Fondò nel 1848 col suo amico Leubuscher, « La Riforma medica », e in un primo articolo scrisse: « I medici sono i naturali avvocati dei po- veri, e la questione sociale entra per una parte considerevole nella loro giu- risdizione ». Tracciò i doveri dello Stato nel provvedere alla salute dei cit- tadini; combattè il principio esclusivo della carità privata, e affermò che — 3394 — accanto al diritto di tutti per la garanzia della proprietà da parte dello Stato, doveva sorgere il diritto alla stessa garanzia per la salute del corpo, che è la prima e la più naturale delle proprietà. Propugnava pertanto la formazione di un ministero della sanità pubblica, e innanzi a tutto delle. leggi sulla medicina, valevoli per tutta la Germania, e la costituzione di un consiglio sanitario per la direzione tecnica del governo. Propugnava l’as- sicurazione dell’operaio in caso di malattia e la limitazione delle ore di la- voro. Nell'insegnamento reclamava il pubblico concorso per la nomina degli insegnanti da affidarsi ad un giurì di professori; voleva abolito il « Colle- gien-Geld » levati i privilegi degli allievi al « Charité » e libera a tutti l'ammissione agli istituti militari. L'insieme dell’opera di Virchow come pubblicista e come cittadino lo avevano segnalato così al partito democra- tico, che un circolo elettorale lo avrebbe nominato deputato se egli avesse avuto l'età voluta dalla legge. Nelle sfere superiori la sua attività politica era però severamente giu- dicata. Quanto più egli colpiva giusto e tanto più peggiorava la sua posi- zione. Già nel marzo 1848 quando ancora sanguinavano i feriti, era stato a torto accusato di aver fatto della politica nel recinto dell'ospedale « Charité », ma poi gli era stato perdonato. Nel febbraio del 1849 si rinnovarono le elezioni e la bizzarra geometria elettorale, aveva proprio fatto un circolo elettorale dell'ospedale « Charité » e dintorni. Predominava in quel circolo il partito democratico, ma ciò non ha impedito a Virchow di pubblicare queste parole: « Noi non vogliamo che l'ospedale diventi un istituto politico, così come non ammettiamo che esso sia un focolaio per la progaganda religiosa ». Malgrado ciò, si è fatto un processo a Virchow, e si voleva togliergli il posto di Settore. Alcuni amici che egli si era acquistato col lavoro scientifico perorarono per la sua causa, e qualche concessione stentatamente fu fatta, ma Virchow rimase in circo- stanze difficili. Il posto gli era provvisoriamente serbato, ma gli fu tolto lo stipendio. Per fortuna la cosa non è durata a lungo, chè al 1° di maggio Virchow abbandonò il « Charité » e alla fine dello stesso mese, fu chiamato professore ordinario all’ Università di Wirzburg. Le ostilità del Governo prussiano gli avevano favorito il collocamento in Baviera, e quando Virchow sì presentò a prendere congedo dal Ministro dei Culti prussiano, questi gli fece un’allo- cuzione diplomatica in cui gli diceva: « Riconosco che l’invito che le fu fatto dimostra la stima che Ella si è meritata col suo lavoro scientifico; tanto più deploro che le circostanze non mi permettano di pregarla a voler declinare l'onorevole invito che le fu fatto »* Virchow si congedò dai lettori della « Riforma medica » in cui scrisse fra l'altro: « La riforma della medi- cina che noi abbiamo proposto era una riforma della scienza e della società. Ogni istante ci troverà pronti a lavorare e a combattere; noi non cambiamo — 385 — le cose, ma solo la località. Sarebbe da pazzi il ‘voler penetrare nel terreno durante l'inverno; ogni cosa ha il suo tempo e ogni impresa sotto il cielo ha la sua ora ». La Facoltà medica di Wirzburg, era da tempo in istato di grande de- pressione. Cominciò a rialzarsi colla chiamata di Kiwisch, che insieme con Carlo Mayer istituì nel 1845 lo studio della Ginecologia. Ancora più ha guadagnato la Facoltà due anni dopo colla chiamata a professore di Ana- tomia e Fisiologia di Rodolfo Alberto Kélliker, già Settore presso Jacob Henle e allievo di J. Miller, e che tutt'ora offre il confortante spettacolo di una lucida e vigorosa senilità. Questi in poco tempo esercitò una grande influenza sulla giovane generazione degli studenti, avendo tra essi portato lo spirito nuovo. A completare la eletta compagnia degli uomini nuovi, giunse finalmente Rodolfo Virchow, invano combattuto ad oltranza dal partito ultra- montano che gli rinfacciava la relazione sul tifo nella Slesia. Bentosto fu creata la « Physicalische-medizinische Gesellschaft », di cui furono presidente il Kòlliker, vice presidente Kiwisch e segretario Virchow, e questa ebbe il proprio organo ufficiale nei « Wiirzburger-Verhandlungen ». L'unione dei medici coi chimici e coi fisici ha portato i suoi buoni frutti, e basta ricordare a tale proposito il rapporto fra gli studî di Schenks, altro dei membri di quella società, sullo sviluppo dei granuli d’amido, e il lavoro di Virchow sulla degenerazione amiloide, fatto appunto a quel tempo. L’at- tività scientifica di Virchow era straordinaria; quasi ad ogni seduta portava qualche nota originale. Egli si occupava di lavori analitici di Anatomia pa- tologica, quasi a raccogliere un'ingente copia di materiali per le future co- struzioni sintetiche. Trattò della rigenerazione del mascellare inferiore dopo la carie da fosforo, dei rapporti fra tubercolosi e serofola; trovò che il tu- bercolo proviene da metamorfosi di elementi organizzati e non da un’essuda- zione libera come pretendeva Rokitanski. Studiò l’ematoidina e la bilifulvina, il cancroide, l’echinococco, il lytopedion e la gravidanza tubaria. Nel 1851 pubblicò Virchow il suo fondamentale lavoro sull'identità fra le cellule car- tilaginee, ossee e connettive e i Bestrdge cur Kenntniss der Gewebe der Bindsubstanz, che furono uno dei fondamenti della sua grande opera futura. Molte altre contribuzioni furono pubblicate da Virchow a quel tempo, e fra le altre va segnalata per la grande maestria dimostrata dall'autore, e perchè segna la prima tendenza di Virchow a studî di Antropologia, il lavoro sul cretinismo nella Franconia inferiore. Egli ebbe di nuovo occasione di fare un altro studio epidemiologico sul tifo in un paese vicino, e trovò come in Slesia che l'infezione si stabiliva in una data abitazione dove nessuno era risparmiato, e non aveva tendenza a propagarsi al di fuori. Un'altra quan- tità straordinaria di lavori analitici di Anatomia patologica pubblicò Virchow nel 1852 e 53. A questi aggiungeva una folla di recensioni e di trattazione di problemi generali. Il suo nome era divenuto popolare, e dalla Germania — 336 — del nord venivano studenti a Wirzburg per frequentare il suo corso. Molti suoi allievi di Wilrzburg toccarono un alto posto nella scienza; fra questi Friedreich che confessò anche negli anni più maturi la grande influenza eser- citata sopra di lui dall'insegnamento di Virchow. Altri nomi come quello di. Ernesto Heckel, Carlo Hoffmann, Rindfleisch, Grohe, Beckmann, Gegenbaur, Czermack, Kussmaul, furono legati alla scuola di Virchow. È di quegli anni l'entrata di Virchow nella redazione dei famosi « Iahresherichte ». fondati da Canstatt, e proseguiti da Eisenmann, da Virchow e da Hirsch, che tuttora si pubblicano, e hanno diffuso in tutto il mondo la moderna Medicina scien- tifica. Virchow, inoltre, diresse a quel tempo la pubblicazione dell’ « Handbuch der speziellen Pathologie » in cui scrisse tanti capitoli che costituiscono un breve trattato di Patologia generale, nel quale per la prima volta appaiono riunite e fuse tante osservazioni che fino allora erano state separatamente pubblicate. Il manuale predetto fu il primo del genere, in quanto constava di capitoli scritti da diversi autori secondo gli studî speciali che ciascuno di essi aveva prediletto; esso fu il modello di moltissimi altri che si pub- blicarono negli anni successivi. Chi osserva l'attività di Virchow a Wirzburg, scrive il Becher, e la paragona con quella esercitata a Berlino nei primi anni della sua carriera, scorge facilmente che la prima si distingue dalla seconda per un cambiamento di temperamento. In Berlino era l’uomo di combatti- mento, che affrontava con impeto e sincerità la lotta contro le idee dominanti e contro le autorità dogmaticamente imposte del suo tempo; a Wirzburg stesso intento, cioè la riforma della Medicina è proseguito da Virchow con calma e tranquillità. Solo una volta riapparve l'antico fuoco negli scritti di Virchow, e fu in una polemica con Ringseis, un campione dell’ ultramonta- nismo. Questi combatteva in Baviera per la gerarchia cattolica, quegli per la scienza libera indipendente. Virchow scriveva: Accanto allo Stato catto- tolico il Ringseis vuole anche la scienza e la Medicina cattolica, per creare alla fine una Teocrazia, di cui il sig. Ringseis sarebbe non solo il Prete, ma il Re. Noi pure cerchiamo la pubblicità e la diffusa conoscenza, non per la nostra persona, ma per le nostre dottrine. Sia la nostra casa aperta a tutti, siano le nostre massime chiaramente riconosciute; noi non temiamo la luce! Parole severe non meno che coraggiose a quei tempi, e in quello Stato; parole che ricordano certe osservazioni fatte già da Virchow sulla coltura nella Slesia l'anno 1847; parole che fanno presentire il creatore di un grido di guerra che suonerà alto in tutto il mondo in uno dei momenti psicologici più ardui della storia moderna, quello del « Culturkampf». L'anno 1856, J. Miller propose al Ministro la creazione di una cat- tedra di Anatomia patologica al posto del Settore del « Charité » H. Meckel, allora defunto. Fin'allora Miller insegnava ad un tempo l' Anatomia nor- male, la Fisiologia e l'Anatomia patologica: ma egli riconobbe che questa — 337 — era di tanto accresciuta che doveva essere insegnata separatamente, e propose a titolare R. Virchow. La proposta fu accolta all'unanimità nella primavera del 1856, e così il destino ha voluto che il più grande maestro di Virchow legasse per la terza volta il suo nome alla carriera scientifica del suo allievo predi- letto. Virchow divenne professore ordinario in quello stesso posto ove era stato Settore, e strinse rapporti tali col « Charité » che l'Istituto divenne ad un tempo cosa dello Stato per l'insegnamento, e cosa dell’ Ospedale per il mate- riale che questo inviava interamente all'Istituto, e che era utilizzato da Vir- chow come Settore dell'Ospedale stesso. Dopo la partenza di Virchow per Wirzburg nel 1849, fu Settore il Reinardt che morì giovane di tubercolosi nel 1852, e il medesimo destino è toccato al di lui successore Enrico Meckel, di famiglia illustre nella scienza, ma in cui pure la disposizione alla tuber- colosi era ereditaria. Virchow occupò quel posto e lo tenne per 46 anni, ma egli era tale anche fisicamente che all’epoca della sua accettazione come allievo nell'Istituto Federico Guglielmo, il Medico militare che lo ha visi- tato, ha scritto sul certificato di accettazione: Egli è dotato di tutte le dispo- sizioni, eccetto quella di ammalare. L'Istituto patologico di Berlino fu il primo del genere e divenne il modello di tutti quelli che furono poscia isti- tuiti per tutta la Germania. Lo studio dell'Anatomia patologica era ricerca- tissimo da tutti quelli che volevano darsi alle Cliniche, e a poco a poco anche dalla grande massa dei medici nostrali e forestieri. Furono suoi diretti allievi e assistenti, Grohe, v. Recklinghausen, Klebs, Hiieter, Cohnheim, Roth, We- gner, Ponfick, Orth, divenuto ora il suo successore, Jurgens, Grawitz, Jsrael : un accolta di nomi, di cui parecchi divennero celebri in tutto il mondo scien- tifico, e lasciarono un'impronta incancellabile nella storia della Medicina. Quando si leggono insieme i nomi di coloro che hanno figurato in un dato tempo, come quelli di J. Miller, J. Henle, Schleiden e Schwann, Helmholtz, Virchow, Du Bois-Reymond, o come quelli che ho più sopra indicati, si è tentati di chiedere se essi appartengano tutti ad uno stesso periodo storico, e tutti ad un paese, o se non sieno avvicinati dalla fantasia dei tempi poste- riori, come gli eroi delle leggende antiche. Virchow a Berlino attese all'in- cremento di quella collezione di Anatomia patologica che oggi comprende 23,000 preparati, e che per lungo tempo fu accatastata senza ordine appa- rente in tal guisa che solo il professore sapeva mettere la mano sopra i tesori che possedeva, e di cui si valeva con gelosissima cura nelle sue lezioni. Egli ebbe la felicità di vedere quella sua creazione prediletta raccolta nel nuovo Museo, e da lui con ogni diligenza ordinata, e con infaticabile pazienza dimostrata ai dotti che la visitavano per lunghe ore di seguito senza affati- carsi, anche quando stava per compiere l' 80° anno della sua vita. Nel suo nuovo soggiorno a Berlino, Virchow ha pubblicato il suo ma- RenpIconTI. 1902, Vol. XI. 2° Sem. 43 — 338 — nualetto di Tecnica delle autopsie, che insegnò il metodo seguito oramai da tutto il mondo. Nel 1858 Virchow tenne per desiderio dei medici venti conferenze sui fatti e sulla dottrina che egli aveva raccolto e creata negli ultimi anni della. sua straordinaria attività scientifica, a Wurzburg, e che pubblicate in un volu- metto col titolo di Patologia cellulare, si diffusero ben presto in tutto il mondo, divenendo il testo fondamentale della Medicina scientifica contempo- ranea. Durante i suoi anni di Wiirzburg, Virchow aveva maturato a poco a poco la convinzione dell'origine esclusiva delle cellule da cellule preesistenti. È nella natura delle cose che una conoscenza fondamentale la quale stia in contraddizione con tutto ciò che era nell'opinione scientifica accreditata da lungo tempo, non abbia a sorgere tutta all’’ improvviso. Così è che nel 1847 Virchow ammetteva che ogni organizzazione derivasse da una blastema amorfo. La prima scossa alla teoria dominante fu data da Kélliker che ha dimostrato l'origine di tutte le cellule dell'organismo da un'unica cellula, l'uovo. Remack descrisse il processo di scissione del nucleo e del protoplasma cel- lulare, e pose in dubbio l'origine degli elementi da un blastema. Anche Virchow sopratutto dopo la scoperta delle cellule permanenti ad ogni età del tessuto connettivo non potè più riconoscere la formazione libera delle cellule, e nell'aprile del 1855, formulò il suo celebre aforisma: Ommnis cellula a cel- lula. Con questo fu stabilito per sempre il principio della continuità della vita per legittima successione della produzione cellulare. La cellula fu rico- nosciuta l'elemento vitale la cui attività è dipendente dallo stato delle par- ticelle che la compongono. Tutte le malattie si risolvono alla fine in alte- razioni attive o passive di un gruppo più o meno grande di tali elementi. Il legame di tutte queste parti è rappresentato dai vasi, dai nervi, e dal contatto immediato; quella « irritabilità » che Haller attribuiva solo ai nervi e ai muscoli, e Glisson e Brown ritennero una proprietà generale di tutti i viventi, Virchow l’attribuì a tutte le cellule e ai loro derivati. Essa sì defi- nisce come la proprietà che gli elementi cellulari hanno di rispondere agli stimoli che vengono loro dal di fuori, o da altri elementi, o da altre parti dello stesso organismo, o da sostanze eterogenee, mediante azioni e reazioni particolari. L'attività può essere funzionale, nutritiva e formativa; un'azione più forte determinerebbe sull’ elemento la perdita della sua vitalità. Gli elementi vitali sono dotati di una certa autonomia e indipendenza, la quale, però, può essere tosto alterata dalle proprietà del materiale di nutrizione e dai rapporti cogli elementi vicini. La dipendenza tra elementi o gruppi di elementi, è quella che spiega l’unità della vita dei singoli individui. Senza di ciò, essi sarebbero, come le piante, dei semplici aggregati di cellule. Invece, dalle azioni che esercitano reciprocamente gli organismi elementari nella loro semi autonomia risulta l'insieme di quelle manifestazioni che noi indichiamo col nome generico di vita. La vecchia contesa tra le dottrine umo- — 339 — rali e solidistiche scompare, perchè i processi patologici non sono legati nè solo agli umori, nè solo alle parti solide del corpo. Ciò che rimane delle antiche teorie, è riunito nella Patologia cellulare. Un tempo la Patologia ricercava la sede dei morbi nelle singole regioni del corpo: era tutta una parte del corpo che si supponeva primitivamente ammalata; più tardi con Morgagni la sede fu localizzata a singoli organi; ancora più tardi con Bichat si ricercò la sede in alcuni tessuti; finalmente con Virchow si precisò la sede dei morbi negli elementi cellulari, quali unità elementari dell’ orga- nismo intiero. Il grande edificio Virchowiano ha subìto col tempo alcune variazioni, ma non tali da distruggerne le linee principali; anzi queste si può dire abbiano resistito alle ingiurie del tempo. Certo, oggi più che una volta conosciamo gli stretti rapporti che esistono fra i processi della nutrizione e le influenze nervose, e sebbene noi non possediamo la conoscenza di un’ unità centrale da cui emani la direzione dell'attività di tutto il corpo, pure possiamo affermare che dalla conoscenza dei suddetti rapporti, l'autonomia delle cellule e dei terri- torî cellulari ne esce alquanto diminuita. La scoperta della migrazione dei globuli bianchi rimise in onore la dot- trina vascolare della infiammazione colla formazione di un essudato; però gli studî successivi hanno riconosciute e confermate molte vedute di Virchow sul- l’importanza che hanno nel processo flogistico gli elementi dei tessuti. Anche le fantastiche supposizioni degli entusiasti, sulle cellule semoventi, alle quali venivano attribuite tutte le capacità possibili di fabbricazione dei tessuti, hanno ceduto il posto alla dottrina della continuità ininterrotta della vita degli elementi proprî di ciascun tessuto, dotati come essi sono di pro- prietà specifiche e costanti. Anzi, si pervenne a volere esagerare o completare il famoso principio Virchowiano, modificandolo così: « Omnis cellula a cellula ejusdem generis ». Col trionfo della batteriologia si è tentato da taluno di identificare le cause viventi delle malattie da infezione colla natura stessa della malattia, ma Virchow rivendicò con ragione alle cellule dell’ organismo colpito la sede e la natura del morbo, il quale risulta da una reazione delle cellule stesse contro la causa operante. Del pari egli ha confutato efficace- mente le asserzioni di chi ravvisava nei principî della sieroterapia un ri- torno trionfale della patologia umorale, perchè tutte le proprietà acqui- site dai sieri immunizzanti sono dovute alla fine, come oggi nessuno più nega, alla attività delle cellule stimolate delle tossine bacteriche. Virchow difese fino all’ ultimo strenuamente tutto ciò che egli un tempo aveva riconosciuto come giusto, ma accoglieva ugualmente con onore i fatti nuovi veramente dimo- strati. A volte forse esagerava nello scetticismo, ma egli aveva visto ridursi a nulla tante nuove scoperte, e aveva visto non migliorati dai nuovi metodi di ricerca tanti reperti che egli aveva raccolto coi procedimenti tecnici più semplici del suo tempo, che si poteva bene riconoscergli il diritto di dubi- — 340 — tare. L'attività di ricerca che Virchow aveva spiegato in modo straordinario a Wirzburg, aumentò ancora più in modo meraviglioso dopo il suo ritorno a Berlino. Qui lo vediamo coltivare di pari passo la Patologia e l’Antropo- logia, e nel frattempo pubblicare degli studî storici di epidemiologia, degli. studî sulla sifilide e sul vajuolo, sul governo degli ospedali, su questioni di igiene pubblica, intorno a cui era consultato anche da altre città, e sulla canalizzazione di Berlino in modo particolare. Due volumi su argomenti di medicina pubblica e sulle epidemie ci attestano l'attività di Virchow in questo campo. Egli trovava il tempo di pubblicare contemporaneamente delle confe- renze popolari e di fare degli importanti discorsi nelle riunioni scientifiche, e di dirigere le Società di scienze, e di sopportare i disagi di lunghi viaggi per ricerche scientifiche. In Berlino Virchow pubblicò la sua grande opera sui tumori, unica del genere, nello stesso tempo in più era impegnato in Parlamento in lotte poli- tiche, divenute celebri, e che ritengo non sia questo il luogo di descrivere e di apprezzare (*), e mise ordine con lucida esposizione, con grande copia di fatti, e con una grande bibliografia a una materia che fino allora era molto confusa e contrastata. È un’ opera classica consultata necessariamente da tutti, che rimase incompleta nel Cancro, forse perchè le scoperte che furono fatte ulteriormente avevano scosso profondamente la sua antica teoria. Studiò la Metaplasia, ossia la mutazione del carattere di un tessuto colla persistenza delle cellule, e ne fece più tardi argomento di discorsi ai Con- gressi di Kopenaghen e di Londra con particolari vedute sulla trasformazione degli individui. Ricerche importanti fece il Virchow sull’ Echinococo multi- loculare che fu confuso da Buhl con un tumore colloide, e sulle Trichine, di cui scoperse la maturazione nell'intestino, e la migrazione degli embrioni nei sacchi sarcolemmatici, traendo da ciò importanti conclusioni per la salute pub- blica. Dagli studî sulla tubercolosi, Virchow non trasse conseguenze conformi a quelle che furono dedotte dalle ultime scoperte. Egli, distinguendo la tuber- colosi dall’ infiammazione caseosa, e questa attribuendo alla costituzione spe- ciale dell'individuo, allontanò le menti dal concetto unicistico e reale della tubercolosi, e dalla ricerca del momento eziologico. Non riconobbe la speci- (1) Virchow fu uno dei membri più attivi della Società nazionale, e nel 1862 fu eletto al Parlamento prussiano, dove fu uno dei capi della « Fortschrift-Partei». La parola celebre: «Culturkampf» è uscita dalle sue labbra in uno dei suoi discorsi elettorali. Dal 1880 al 1893, fu membro del Reichstag. Durante la guerra del 1866 e in quella del 1870-71 fu membro del Comitato berlinese della Croce Rossa, organizzò la prima squadra sanitaria della Prussia, e costrusse il Lazzaretto-baracche sul campo [di Tempelhof. Poi fu Socio degl’Istituto per gli invalidi. Esercitò una grande influenza sull'opera della « Canalizza- zione di Berlino ». Nel 1859 studiò per incarico del Governo locale, la lebbra lungo tutta la costa occidentale della Norvegia. Fu tra i fondatori della « Società tedesca di Antro- pologia» nel 1869. — 3941 — ficità della tisi, e così per lo meno affievolì l'antico nostro concetto della contagiosità. Egli ha dato troppa importanza alla morfologia dei prodotti tuber- colari, i quali sono i più proteiformi che si possano immaginare, pure prove- nendo da una unica causa, il bacillo di Koch. Virchow descrisse la tuber- colosi bovina come un’ affezione analoga al linfosareoma; pose il lupus accanto alla morva e alla lepre, coi granulomi, e dimostrò che il metodo strettamente anatomico anche nelle mani di un grande maestro non era sufficiente a pene- trare la natura reale di certi processi morbosi. L'influenza Virchowiana in questo particolare ramo della medicina, non fu altrettanto benefica come in tanti altri. Io non posso trattenermi sull’ opera estesa compiuta da Virchow come antropologo; mi limito per tanto ad accen- nare ad alcuno degli argomenti che egli ha svolto. Fu alla sua iniziativa che si dovette la statistica degli scolari della Germania, nell’Austria, nella Svizzera e nel Belgio, all'incirca 10 milioni di fanciulli, circa il colore della pelle, dell’iride e dei capelli. Da essa risultarono dei fatti interessanti circa la rigermanizzazione delle provincie orientali della Prussia, dei Vendi e dei Lituani che furono di tempo in tempo occupate dagli slavi, e sopra la colonizzazione tedesca dell'Austria inferiore, della Stiria, della Boemia, della Baviera superiore, e sopra la via sud-orientirle percorsa dal ramo tedesco degli Alemanni sino al confine meridionale della Svizzera e del Tirolo. Studiò le palafitte e le fortezze preistoriche della Pomerania, consideran- done sopratutto gli oggetti ceramici e gli ornamenti, e trovò contro le opi- nioni del tempo, che le fortificazioni della Germania orientale non erano dovute a popolazioni germaniche, ma a slavi penetrati in quelle provincie. È nota la parte grandissima che Virchow ebbe negli scavi operati da Schliemann ad Hissarlik. Egli difese il grande mercante, al quale i dotti prestavano poca attenzione, o poca fede, lo aiutò poderosamente, gli prestò i mezzi del suo grande sapere e prese parte anche praticamente alle opere del suo amico. Virchow prese a considerare sopratutto le scoperte osteologi- che, e pubblicò i suoi: « Beitràge zur Landeskunde von Troas (1879)» e l'opera: « Trojanische Griber und Schàdel». Fece uno studio critico del cranio famoso di Neanderthal; che fu ritenuto appartenente all'uomo del tempo diluviano. Virchow al contrario sostenne che le particolarità di quel cranio fossero dovute a dei processi patologici, principalmente la saldatura delle suture coronale e saggittale. Rilevante è pure uno studio sulla « Pla- tyknemia », una forma particolare della tibia, che viene a rassomigliare a una guaina di sciabola. Questo fatto, oltrechè negli scheletri dei sepolcri del- l'epoca della pietra, si trova anche tuttodì nelle popolazioni inferiori come ad esempio nei « Negritos », e sarebbe dovuto all’ uso esagerato e unilaterale della muscolatura degli arti inferiori. Virchow studiò la questione dell’atavismo, e trovò che alcuni fatti attri- buiti all'’atavismo come il carattere catarino del naso, erano da interpretarsi — 342 — come fenomeni regressivi di origine patologica; altri, invece come il processo frontale dell'osso temporale, ammise che avessero effettivamente il carattere atavistico, che egli definì come l’effetto di una eredità discontinua. Onde sta- bilì l'esistenza di un Pithekismo patologico e di un Pithekismo atavistico, entrambi frequenti nelle razze umane inferiori. Gli studî sul cretinismo e sulle cause dell'accorciamento del cranio rientrano in questa categoria di ricerche antroplogiche e moltissimi altri ancora che sarebbe troppo lungo ricordare. Non posso però tralasciare di rilevare il giudizio di Virchow sul carattere della microcefalia. Egli si oppose a considerarla un fenomeno ata- vistico, e ammise che non si tratti che di un arresto di sviluppo, ma coi caratteri sempre del cranio umano. Il microcefalo sarebbe dunque malgrado alcuni caratteri scimmieschi, un essere a caratteri umani, ma ad incompleto sviluppo. A questa opinione si è accostato anche il nostro Giacomini. Nel- l’indicare a me l'anno scorso un magnifico grosso cranio d'uomo preistorico nel suo Museo, Virchow mi fece rilevare la fallacia della teoria di Broca che l'incremento della civiltà abbia aumentato la capacità cranica degli uomini. Nel complessivo ingente lavoro di Virchow spiccano gli argomenti di carattere biologico generale. La mente filosotica, la preparazione meravigliosa della sua coltura negli argomenti più disparati, la conoscenza delle lingue e della letteratura classica sopratutto riguardante la medicina, fecero di lui un soggetto eccezionale. I suoi discorsi nelle Accademie e nei Congressi gene- rali contengono un tesoro di pensieri e di forma. Segnalati furono fra i mol- tissimi quelli in memoria di J. Miller e di Schònlein. Noi serbiamo il ricordo grato del discorso che pronunciava in Roma al Congresso medico internazio- nale del 1894 in onore del nostro Morgagni, e nel quale tracciò sintetica- mente i periodi storici delle dottrine generali della medicina, per dimostrare la grande influenza che ebbero le ricerche di Morgagni sul progresso di quelle. Virchow si è dichiarato vitalista, e ammise che i fenomeni della vita non si potessero spiegare colle sole forze fisico chimiche ordinarie, onde parlò anche dell’esistenza di una forza vitale. Lo si è perciò accusato di inconse- guenza, ma a torto. Un Virchow non poteva intendere la vecchia personifi- cata forza vitale, come uno spirito dirigente, un'anima, un quid di sovrama- teriale. Egli disse anche negli ultimi anni: Sono vitalista, ma niente affatto spiritualista; solo credo che dobbiamo respingere la « pruderie » naturali- stica, che non ammette nei fenomeni della vita che un lavoro meccanico delle forze molecolari. Il fatto più sensibile della vita è la continua produzione di elementi, ossia di nuclei e di protoplasma. La vita è esclusivamente legata alle cel- lule. Questa speciale attività si propaga continuamente da uno all’altro ele- mento, senza avere mai un'origine ex novo, perciò deve essere differente da quelle forze fisico-chimiche che costantemente agiscono tanto sugli elementi viventi, quanto nel mondo inorganico. La vita sarà sempre qualche cosa di — 343 — particolare, anche quando avessimo la cognizione, fino ai più minuti par- ticolari, che essa sia meccanicamente originata, e meccanicamente si man- tenga. Con questo concetto egli si distaccava da taluni neovitalisti, ì quali non ammettono affatto la possibilità di una interpretazione meccanica di pro- cessi vitali, ma al pari di Du Bois Reymond, Virchow considerava il feno- meno della « Coscienza » come inesplicabile, per ora almeno, dalle scienze naturali. Virchow si oppose parzialmente alla dottrina di Weismann, sulla non ereditarietà dei caratteri acquisiti. Egli ammise l'ordine di variazione sotto l’azione di agenti esteriori, e persino la possibile formazione di razze nuove sulla base di alterazioni patologiche. Una variazione ereditaria, egli disse, deve una volta essere stata causata da agenti esterni, chè non esiste alcun altro elemento causale per una deviazione dal piano ordinario di svi- luppo, diretto come esso è da leggi tanto precise e costanti. Si accusò Virchow di essere avverso al Darvinismo, ma non interamente a ragione. Egli era un deciso difensore del principio di un progressivo svi- luppo e perfezionamento del genere umano, e non escluse la discendenza di più alte forme dalle più basse. Non ammetteva che fosse provata la deriva- zione dell’uomo dalle scimmie e si esprimeva ultimamente nel senso che rimane un « desiderato della Scienza » il congiungimento dell’uomo cogli altri animali. Virchow introdusse nell’ Antropologia la dottrina dei processi patologici, ma da ciò contrasse la tendenza ad un giudizio forse eccessiva- mente scettico in merito ai nuovi reperti antropologici, onde in questi ultimi anni egli ebbe l'opposizione decisa dei giovani antropologi. Virchow fu tale un gigante; la sua produzione fu così estesa; le sue scoperte furono così numerose, che abbisognerebbe un lungo e paziente studio delle sue opere e del suo tempo, perchè sì avesse a comprenderne per intiero la grande importanza. Anche la semplice sintetica indicazione della sua pro- duzione scientifica, sembra la storia non di un uomo, ma di una intera gene- razione di scienziati. Comprendiamo il giusto orgoglio dei suoi connazionali, ma non possiamo trattenerci dal rilevare che Virchow appartiene a tutto il mondo. È una gloria di tutta l'umanità che lo spirito umano possa di quando in quando toccare un così alto limite. Non vi è pagina delle sue opere, non vi è momento della sua vita che non ci possa suggerire una folla di riflessioni, cosicchè si può dire che vivere alcun tempo dell’opera sua, serva non solo all'acquisto di una ingente quantità di nozioni particolari, ma ad agitare eziandio nel nostro cervello un cumulo di visioni intellettuali. Virchow, entrato all’ Università con un corredo prevalente di cogni- zioni filologiche e storiche (egli aveva durante il tempo dei suoi studi secondarî, scritta una cronaca della sua città natale che fu poi pubblicata nel 1846), è la personale smentita agli utilitari del nostro tempo, che vanno declamando contro la coltura classica. La sua coltura nelle lingue e nelle letterature classiche, non gli fu mai di ostacolo, nè alla ricerca scien- — 344 — tifica, nè alla visione umanitaria della società presente e futura; lo aiuta- rono, bensì, poderosamente nelle sue manifestazioni filosofiche, o nei suoi, studî di Antropologia e di Archeologia. Nessuno fu più di lui un uomo moderno, e spesso anche uomo dell'avvenire; evidentemente, il latino e il. greco non hanno nociuto, nè al suo cervello, nè al suo sentimento. Fu questo filologo classico che volle la riforma della Medicina contro i filosofi astratti del suo tempo, e sulla base dell'osservazione e dell’ esperimento. Raro assai è il trovare nella storia il contemperamento delle più alte doti intellettuali colle più squisite qualità del sentimento, e Virchow fu il freddo ricercatore, il critico audace e sottile, la mente universale, e insieme un grande umani- tario e un apostolo convinto e illuminato. Non dimenticherò per tutta la vita l'applauso delirante che ricevette il saluto da lui portato a tutte le Nazioni rappresentate al Congresso di Medicina nella Berlino del 1890, tutt'ora fresca dei ricordi di Bismarck, saluto augurante il Progresso civile dell'umanità intera, senza distinzione di paesi o di razze. Con Virchow è scomparso uno di quei grandi che appariscono di raro nel corso dei secoli per lasciare nella Scienza un'impronta del loro genio. La natura gli concesse il dono eccezionale di poter continuare nel lavoro per quasi sei decenni ininterrotti. Fu dotato di ingegno chiaro, acuto e critico in alto grado col quale presto penetrava nella natura delle cose, e di una straordinaria me- moria che gli faceva ritenere per sempre anche le più fugaci impressioni, e di una salda volontà che si manifestò fin da quando era bambino, e di un corpo tutt'altro che atletico, ma resistente tenacemente ad ogni causa per- tubatrice, e di una forza di penetrazione e di resistenza al lavoro come a pochi uomini è concesso di avere. La sua sete inestinguibile di sapere lo elevò al disopra dei suoi simili in molte parti dello scibile, e fu nella Scienza e nella vita pubblica uno degli spiriti direttivi dell’ epoca nostra. Noi chiniamo la fronte dinnanzi a chi ebbe in sè stampata una così vasta orma dello spirito creatore della Natura! N.B. Come fonti di questo scritto, oltre alle opere e ai discorsi di Virchow, hanno servito sopratutto la commemorazione di Virchow fatta da Orth e da Marchand, nonchè le eccellenti biografie di Wirchow scritte da W. Becher — Berlino 1891, e da Schwalbe — Berlino 1901. — 345 — Il Vicepresidente BLaseRNA legge la seguente Commemorazione del Corrispondente G. B. MAGNAGHI. Il Vice-Ammiraglio Giovanni Battista Magnaghi, di cui deploriamo la recente e inaspettata perdita, appartenne all’ Accademia, in qualità di Corri- spondente nazionale per la Sezione di Geografia matematica e fisica, fino dal 31 dicembre 1883. Egli nacque nel 1839 a Lomello presso Mortara; fu nominato guardia- marina di seconda classe nel 1855 e percorse nella Regia Marina tutti i gradi fino a quello di Vice-Ammiraglio e Comandante del I Dipartimento marittimo della Spezia, che è considerato come il posto marinaresco più ele- vato nel nostro paese. Splendido è il suo stato di servizio; ma ciò che richiamò altamente su di lui l’attenzione della nostra Accademia e gli valse la sua nomina a Cor- rispondente, furono i suoi larghi e profondi studî di matematica applicata alla navigazione; studî che egli spese interamente in favore della Marina. Nel 1872 il Magnaghi fondò, a Genova, l’ Ufficio idrografico della Ma- rina, oggi Istituto Idrografico, organizzando sapientemente tutti i servizi incombenti all’ Ufficio e da esso dipendenti. Egli vi rimase alla Direzione per sedici anni e gli diede un impianto seriamente scientifico. Vi eresse l'Osservatorio astronomico; impiantò un'officina meccanica per riparazione e costruzione d'istrumenti nautici e geodetici; ordinò l'officina d'incisione in rame per le nuove carte idrografiche; iniziò la segnalazione del mezzogiorno medio col mezzo di un colpo di cannone sparato elettricamente; costruì un casotto magnetico, allo scopo principale di regolare le rose delle bussole costruite in officina; fondò l'officina calcografica, la litografica, la tipografica, la cronometrica, la fotografica e la galvanoplastica; e si ocenpò attivamente della mareografia, istituendo Osservatorî con apparecchi auto-registratori a Ge- nova, a Venezia, alla Maddalena. La feconda iniziativa da lui spiegata in tutti questi impianti fece sì, che noi possediamo in Genova un Istituto Idrogra- fico di primo ordine, degno di stare alla pari coi migliori Istituti di tal genere. Vi si fanno regolarmente osservazioni astronomiche per la misura esatta del tempo e per la regolazione dei pendoli e dei cronometri ; sì costrui- scono, sì riparano e si rettificano gli strumenti astronomici, geodetici e nau- tici; si disegnano, si incidono e si stampano le nuove carte idrografiche ; si correggono le carte estere ed italiane già esistenti; si provvede infine alla compilazione di avvisi ai naviganti e di notizie idrografiche, nonchè alla stampa di libri interessanti la ER. Marina ed alla distribuzione del materiale di rotta agli Osservatorî dipartimentali ed alle R. Navi. Questa fu l’opera maggiore spiegata dal Magnaghi e che formerà sempre il maggior suo titolo di gloria. Ed egli le conservò la sua affezione e l’ alto ReEnpICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 44 — 346 — suo interesse fino all'ultimo giorno della brillante sua carriera. Anche quando, per la sua promozione a Contrammiraglio, dovette abbandonare la Dire- zione dell'Istituto Idrografico, egli seguitò a interessarsene, a visitarlo e ad essere largo, verso i suoi successori, di consigli e di appoggi. Come disse l’attuale Direttore, il bravo comandante Cattolica in una sua bellissima Com- memorazione: « All’opera spiegata nel campo del servizio idrografico, il Ma- gnaghi consacrò tutte le energie del suo acuto e versatile ingegno, e tutta la sua vigorosa operosità ». Il Magnaghi diresse, inoltre, i lavori di due campagne idrografiche, che tradotti in più di cento fra carte e piani e 130 vedute di costa, costitui- scono un' illustrazione di circa tre quarti del nostro litorale, la quale per esattezza nautica e per bellezza artistica può sostenere il confronto colle migliori del genere. E con questa opera ingente non solo egli corrispose ad un imperioso bisogno della navigazione, ma creò ben anco tutta una scuola di ufficiali idrografi, di disegnatori e di incisori, in una specialità che prima non era punto coltivata fra noi. Il Magnaghi s' interessò anche ai problemi della Fisica del mare ed alle ricerche talassografiche, che spero saranno riprese quando che sia. Ram- mento, a titolo d'onore, le sue ricerche negli stretti dei Dardanelli e del Bosforo, per cui si conobbero le leggi che regolano i movimenti delle loro acque. Egli scrisse un'opera: « gli istrumenti a riflessione », libro fortemente pensato, in cui alla soda coltura scientifica va unito un forte sentimento di attuazione pratica; costruì e perfezionò varî istrumenti marini, ed ebbe anche la rara fortuna di aggiungere il suo nome a quelli, che modificarono e per- fezionarono la bussola. L'Ammiraglio Magnaghi morì il 21 giugno 1902, quasi all’ improvviso, e quando la vigorosa sua natura poteva far presagire in lui una vita ben più lunga. La Marina e l'Accademia hanno perduto in lui una illustrazione ed una persona altamente benemerita della scienza. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle dei Soci BoccarDo, Foà, PAscAL e PrLUEGER. Fa inoltre par- ticolare menzione della Relazione sul Congresso internazionale degli In- gegneri, tenutosi a Glasgow nel 1901; della Geological Map of Dominion of Canada; e della pubblicazione del sig. M. A. Ronna: Zéonard de Vinci peintre-ingénicur-hydraulicien. Il Vicepresidente BLASERNA presenta una copia dell’opera: Za Stella Polare nel mare Artico, inviata in dono, con dedica autografa, da S. A. — 347 — R. in Duca pEGLI ABRUZzi; il Senatore BLasERNA rileva la importanza della pubblicazione e dei risultati ottenuti dalla spedizione, e propone che l'Accademia mandi un caldo ringraziamento a S. A. R. pel cortese pensiero che ebbe d'inviare all'Accademia una delle prime copie edite dell’opera sua. La Classe approva unanime la proposta del suo Presidente. Il Socio CAPELLINI fa omaggio della sua pubblicazione: Mote esplica- tive della Caria geologica dei dintorni del golfo di Spezia e Val di Magra inferiore e ne parla. Il Corrispondente CoccHI offre in dono, discorrendone, la sua opera: Za Finlandia. Ricordi e studi. Il Socio CERRUTI fa omaggio, a nome dell'autore, di una pubblicazione dell'ing. L. ALLIEVI, avente per titolo: Teoria generale del moto pertur- bato dell’acqua nei tubi in pressione (colpo d’ariete). Il Socio VoLtERRA offre la Memoria a stampa del sig. CouLon, inti- tolata: Sur l’intégration des équations aua derivées partielles du second ordre par la méthode des caractéristiques e ne discorre. CORRISPONDENZA Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona; la R. Società zoolo- gica di Amsterdam; la Società geologica di Sydney; il Museo di storia na- turale di Amburgo. Annunciano l’ invio delle proprie pubblicazioni: L'Accademia di agricoltura, scienze, lettere, arti e commercio di Verona; la R. Società di scienze e belle lettere di Gothembourg; la Società di scienze naturali di Magdeburg; la Società degli ingegneri civili di Londra; la Facoltà delle scienze di Marsiglia; gl’ Istituti meteorologici di Bucarest e di Buda- pest; l’Istituto geografico-militare di Vienna; il Corpo Reale delle Miniere di Roma; il R. Osservatorio di Greenwich; le Università di Heidelberg, di Marburg e di Tokyo: la Scuola tecnica superiore di Berna. — 348 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 7 dicembre 1902. Alasia C.— H. Faye. Pavia, 1902. 8°. Id. — Saggio terminologico-bibliografico sulla recente geometria del triangolo. Bergamo, 1902. 8°. Allievi L. Teoria generale del moto perturbato dell'acqua nei tubi in pressione. Roma, 1902. 8°. Boccardo G. — Stelle che nascono e stelle che muoiono. Roma, 1902. 8°. Borredon G. — La luna è la sorgente fisica del freddo. Napoli, 1902. 8°. Capellini G. — Note esplicative della Carta geologica dei dintorni del Golfo di Spezia e Val di Magra inferiore. Roma, 1902. 8°. Cocchi I. — La Finlandia. Ricordi e Studî. Firenze, 1902. 8°. Czapek F. — Untersuchungen ueber die Stickstoffgewinnung und Eiweissbil- dung der Pflanzen. Braunschweig, 1902. 8°. Id. — Zur Kenntniss der Stickstoffversorgung und Eiweissbildung bei Asper- gillus niger. Berlin, 1902. 8°. D'Achiardi G. — Metamorfismo sul contatto fra calcare e granito al Posto dei Cavoli presso S. Piero in Campo (Elba). Pisa, 1902. 8°. Exner S. — Il. Bericht ueber den Stand der Arbeiten der Phonogramm- Archivs-Commission. Wien, 1902. 89. Foà P. — Sulla produzione cellulare nell’infiammazione e in altri processi analoghi con particolare riguardo alla produzione delle « plasmacellule ». Torino, 1902. 4°. Fokker A. P. — Versuch einer neuen Bakterienlehre. Haag, 1902. 8°. Hepites St. C. — Astronomul Capitàneanu. Bucuresci, 1902. 8°. Id. — Cutremurele de Pamînt din Romania în anul 1901. st. n. Bucuresci, 1902. 4°. Id. — Materiale pentru Climatologia Romaniei. XVI. Climatologia Jasilor. Bucuresci, 1902. 4°. 1d. — O primà încercare asupra lucrarilor astronomica din Romània pànà la finele secolului al XIX-lea. Bucuresci, 1902. 4°. Id. — Schità istoricà a lucràrilor astronomice in Romania. Bucuresci, 1902. 4°. Hellmann G. — Regenkarte der Provinzen Schleswig-Holstein und Hannover. Berlin, 1902. 8°. International Engineering Congress (Glasgow, 1901). — Report of the Pro- ceedings and Abstracts of the Papers read. Glasgow, 1902. 8°. — 349 — Martini T. — Fenomeni che manifestano le polveri igrofile poste in contatto con le soluzioni saline, i miscugli alcoolici e gli acidi diluiti. Pavia e Venezia, 1902. 8°. Mattei G. E. — Areonautica vegetale. Napoli, 1902. 8°. Memma V. — Brevi osservazioni di idrostatica ed idrodinamica e relative applicazioni. Caserta, 1902. 8°. Murat J. St. — Istoricul lucràrilor meteorologice în Romînia. Bucuresci, 1902. 8°. Oddo G. — Ebullioscopia delle sostanze volatili. I-III. Risposta al prof. Cia- mician. Palermo, 1902. 8°. Pascal E. — I gruppi continui di trasformazioni. Parte generale della teoria. Milano, 1903. 16°. Id. — Lezioni di calcolo infinitesimale. Parte I. Calcolo differenziale. Parte II. Calcolo integrale. 2* ed. Milano, 1902-53. 16°. Pfliger E. — Dr. Georg Lebbin's Entdeckeranspriiche, betr. die Glykogen- analyse, werden widerlegt. Bonn, 1902. 8°. Id. — Ueber die Einwirkung verdinnter Kalilauge auf Glykogen bei 100°C. Bonn, 1902. 8°. Id. — Zur Geschichte der Glykogenanalyse. Bonn, 1902. 8°. Piolti G. — Pirosseniti, glaucofanite, eclogiti ed anfiboliti dei dintorni di Mocchie (Val di Susa). Torino, 1902. 8°. Ronna M. A. — Léonard de Vinci peintre-ingénieur-hydraulicien (1452-1519). Paris, 1902. 4°. Sars G. O. — An Account of the Crustacea of Norway. Vol. IV Cepepoda, part IX & X. Bergen, 1902. 8°. S. A. R. L. A. di Savoja Duca degli Abruzzi, U. Cagni e P. A. Cavalli- Molinelli. — La « Stella Polare » nel re Artico 1899-1900. Milano, 1903. 8°. Verson E. — Observations on the structure of the Exuvial Glands and the formation of the Exuvial Fluid in Insects. Leipzig, 1902. 8°. Viola C. — A proposito del calcare con pettini e piccole nummuliti di Subiaco. Roma, 1902. 8°. Id. — I principali tipi di lave dei Vulcani Ernici (prov. di Roma). Roma, 1902. 8°. Id. — L'augitite anfibolica di Giumarra presso Rammacca (Sicilia). Roma, 1902. 8°. Wodecki F. — Astronomia wobec krytyki i prawo dwoistosci. Warszawa. TOP SS MEC. ISS : i \ $ x FOUA le] i É ù MT, it ù Rec Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. | Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXII). Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2» MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3» MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VIL VII. Serie 3* — TransunTI. Vol. IFVIIMI. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. E. (1, 2). + II. (1, 2). — III-XIX. MemorRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpIcoNTI Vol. 1-VII. (1884-91). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. (1892-1902) 2° Sem. Fasc. 11°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 9°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-III. MemORIE della Classe di scienze rali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI A»._OCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE K NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescher & C.° — Roma, Torino e Firenze. RICO Hospi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Dicembre 1902. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Seduta del 7 dicembre 1902. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Millosevich. Ultime osservazioni della cometa 1902 B Perrine e osservazione della nuova co- meta 1902 D Giacobini. . . . Ae So Niccoletti. Sulle proprietà. aritmetiche delle bio ‘analitiche pa ‘dal Socio Dini) (*) . Guglielmo. Intorno ad un modo per agitare un liquido in un recipiente chiuso e ad una mo- dificazione del termocalorimetro (pres. dal Socio Blaserna) . . . So HORdhRO Magini. Sull’uso del reticolo di diffrazione nello studio dello spettro MESS, que dal Corrisp. Battelli) .. . . . È È PER agio Helbig. Azione dell’ozono sulla ipodibtide e sal Socio Cia DRS RIRSINET] Lovisato. La bournonite nella miniera della Argentiera della Nurra (Portotongli Sade) {pres. dal Socio Strwver) (8)... 0.0. RAR MER) Artini. Osservazioni sopra alcuni minerali del dianito di E di CA) 1) e UVE Rosati. Rocce a glaucofane di Val d’Ala nelle Alpi occidentali (pres. dal Socio Stfr&ver) . » Gortani. Sul rinvenimento del calcare a Fusuline presso Forni Avoltri, nell'alta Carnia occi- dentale (pres. dal Socio Capellini)... : RIESI Bordi. Contribuzione alla sistematica ‘dei Cnlicidi con ‘bai rigudrdo! alta diffusione della malaria: umana: (pres::dal‘Socto ItPAss) eso oo RELAZIONI DI COMMISSIONI Colombo (relatore), Cerruti e Favero. Relrzio> sulla Memoria: « Rientramento dei panni (Dé- catissage) » dell'ing. Menochio 135 AIR SO III I e ARA PERSO. UE ACCADEMICO Foà. Commemorazione del Socio straniero ‘olfo Virchow.. . . RR e pi 1) Blaserna (Vicepresidente). Commemorazi { Corrisp. G. B. gn. BA PRESEN”! doi DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblica: oni giunte in dono; segnalando quelle inviate dai Soci Boccardo, Foà, Pascal, Pflueger e dal sig. M. A. Ronna . . <<... 0... » Blaserna (Vicepresidente). Richiama l’attenzione della Classe sull'opera: « La Stella Polare nel mare Artico », inviata in dono da S. A. R. il Duca degli Abruzzi; e dopo aver dato notizia della pubblicazione stessa, propone l'invio dî‘ un ringraziamento a S. A. R., pro- posta che è approvata all'unanimità. dalla Classe... ic. +00 Capellini. Fa omaggio di una sua pubblicazione e ne parla... Cocchi. Offre in dono una sua opera e ne discorre . . . LURATE VCRIEA SIOE Cerruti (Segretario). Fa omaggio di una pubblicazione dell'ing. di) seni VISTA Volterra. Offre una Memoria a stampa del sig. Coulon e ne discorte . ././. . CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. . . . » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. . (*) Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. V. Cerruti Segretario responsabile. % 346 Pubblicazione bimensile. Roma 21 dicembre 1902. N. 12. DI JI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCFI 0 ANNO CCXCIX. 1902 SH EVI Hi QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2A dicembre 1902. Volume XI.° — Fascicolo 12° e Indice del volume. 2° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. oltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia;- tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi ‘sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi» cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampe, della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto.o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello . Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell” Accademia, 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è mersa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. N PANNO Seduta del 21 dicembre 1902. P. VILLARI, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle proprietà aritmetiche delle funzioni analitiche. Nota I di OnoRATO NICCOLETTI, presentata dal Socio DINI. In una Memoria, collo stesso titolo di questa Nota, pubblicata nell'ultimo fascicolo degli Acta Mathematica ('), il sig. P. Stiickel con un metodo, di cui la prima idea va ricercata in una osservazione del Weierstrass (?), costruisce un esempio notevole di una funzione analitica e trascendente y di una varia- bile complessa x, tale che sia essa, sia la funzione inversa x(y) in tutto il loro campo di esistenza (che può anche essere l’intero piano complesso del- l'una o dell'altra variabile) assumono un valore algebrico per ogni valore algebrico di quella che si riguarda come la variabile indipendente. Dall' esempio del sig. Stàckel risulta, come la proprietà precedente non sia caratteristica per le funzioni algebriche di una variabile complessa; ma se si osserva, insieme collo Stickel, che per una funzione algebrica di una variabile complessa, sia la funzione inversa, sia qualsiasi loro derivata è ancora una funzione algebrica e quindi assume un valore algebrico per ogni valore algebrico di quella che si riguarda come la variabile indipendente, è da pen- sare se non sia questa piuttosto una proprietà caratteristica delle funzioni algebriche. (1) Cf. Stickel, Aritmetische Eigenschaften analytischer Functionen (Acta Mathema- tica, Tomo 25°, pag. 371-383). (2) Idem (Math. Annalen, Bd. 46, S. 516). RenpICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 45 — 392 — Ora questo non è; è infatti possibile costruire una funzione /rascendente di una variabile complessa che abbia la proprietà ora detta; più generalmente anzi: è possibile costruire un'equazione trascendente (a coefficienti ra- zionali) : BRifaltz:it2,) 0 in n variabili complesse &,... n, tale che in un campo conveniente (che può essere anche tutto l'S, complesso (41... 4,)) definisca una qualunque, di, di esse variabili come funzione analitica e trascendente delle altren—1, ed in guisa che, ove tra le x... n si ponga un qualunque sistema di relazioni algebriche, (a coefficienti razionali), e la x; e le sue derivate di un ordine qualunque si riducano a funzioni algebriche di alcune ino: leer eden VI 1. Sia per questo: (1) f(21%2...%n) = ZAg,9r.--g, di do... Enia (+++ M) una funzione razionale intera di grado m, 4 coefficienti razionali interi e privi di fattori comuni ('), delle n variabili «, 42... 4, irriducibile in queste variabili nel campo assoluto di razionalità. Estendendo una definizione di Cantor (?), diremo altezza della funzione /, ed indicheremo col simbolo 4y il numero: (2) hp= (M_-1) 4 X|Ag 90:05 e diremo anche che %p è l'altezza della equazione algebrica (8): f(x Lg 0. a) = 0 ° Quando la / abbia poi i coefficienti razionali, ma non intieri, diremo sua altezza l'altezza del prodotto Xf, dove % è il minimo multiplo comune dei denominatori dei coefficienti della /. Vi è un numero finito di funzioni f (4) di n variabili x, %2...%n che hanno una determinata altezza h: assegnato infatti &, si hanno dalla (2) un numero finito di valori possibili di m e delle Ag, g,--- gn (°). (1) Considerazioni affatto araloghe valgono evidentemente, con lievi modificazioni, oltrechè nel campo assoluto di razionalità, anche nel campo R(i) dei numeri irtieri di Gauss e più generalmente in qualsiasi corpo algebrico assegnato. (2) Cf. Cantor, Veber eine Eigenschaft des Inbegriffs der reeller algebraischer Zahlen (Crelle, Bd. 77, 1873, pag. 258). (8) Ora e nel seguito, seguendo i concetti aritmetici di Kronecker, supponiamo sempre che le funzioni e le equazioni che consideriamo siano a coefficienti razionali. (4) Quando non diciamo altro, intendiamo: funzione razionale intiera irriducibile, a coefficienti razionali intieri e privi di fattori comuni. (5) Ne segue in particolare, per un noto teorema della teoria degli aggregati: Le equazioni algebriche in n variabili x, x»... n formano un insieme numerabile. — 353 — Chiamiamo ora gr (412... 2n) il prodotto di tutte le funzioni / di altezza A; e poniamo: r) (3) n (01 &2... n) = Il 9 (ira) aL sarà w, un polinomio a coefficienti razionali intieri nelle x,... n, 20 cu? grado diciamo Àn . 2. Sia ora: (4) Disp una successione dzvergente di numeri intieri e positivi; sia: (5) AAA IO A IIS) (CAR E una successione di polinomî a coefficienti razionali intieri (i cui gradi diciamo 000) ...0,.....) ai quali non imponiamo per ora alcuna condizione. Definiamo ancora » successioni divergenti di numeri intieri e positivi pio 120...) dalleSrelazioni ricorrenti: (6) pù > RO +04 +0, +1 (ui =0); e poniamo infine, per qualunque 7: 0) gp) n) (7) (civ, anatre arr n (1102 En) fUA LL En) (=0,1...); sarà w, un polinomio in #1%2... 4, a coefficienti razionali intieri, di cui è opportuno notare alcune semplici proprietà. a) Tranne al più per 7=0, si ha: oliver dara) = 0 e 120%) 3) Il grado di , nella variabile %; è maggiore od uguale a u,?, minore od uguale a u,9 4-4, 0, + o,= put, — 1. Ne segue che: due poli- nomi wr, 0, (per «+ s) non hanno termini simili. c) Se tra le x1%2...%n si, pone un'equazione algebrica (îrridu- cibile) : (8) Gian) 108 tutte le o, per cui è r=>hy, si annullano. Per r=h,, il polinomio wr (21... %n) e quindi anche w, ha infatti il fattore 9 (41... 2). d) Una derivata qualunque del polinomio w,, di ordine minore di g,, contiene ancora il fattore W, (41... &,): ne segue, poichè lim o,=+- 00, che: 7==00) se le x... &n sono legate dalla equazione algebrica (8), insieme colle wy, sti annullano tutte le loro derivate parziali di ordine m, per cui si ha insieme: r = hg; 0 > M. — 354 — 8. Consideriamo ora la serie: (ce) (9) Noa (0055) (FRE in cui le un sono numeri razionali, che ora designeremo in modo più pre- ciso. Se nella (9) eseguiamo tutte le moltiplicazioni indicate, per la pro- prietà 2) dei polinomî w,, non vi saranno mai termini simili provenienti da termini diversi della serie stessa; ne risulta quindi una serie npla di potenze: »I (10) 4g, 920° In di L290... nn, in cui ogni coefficiente @,,...g, è il prodotto di un numero intero per una sola u»; è inoltre evidente che una stessa , figura come fattore in un numero finito di coefficienti @9,4,...qn - Indichiamo ora con (11) ZA gigia, Wii aos nin una serie zp/a di potenze delle 4, 72... %,, la quale converga assolutamente ed uniformemente in un certo campo C ad 7 dimensioni (che può essere anche tutto l'S, complesso (x1...,)); sarà sempre possibile soddisfare con valori razionali delle u alle disuguaglianze : da (12) |'Aaanan; ponendo adunque, per qualunque £: t (17) FO (1... xa) = Yann (2... da), 0 alle equazioni (15) e (16) può sostituirsi il sistema di q 41 equazioni algebriche: (18) PP (2,%,...a,) =0; g9(41%2...42)=0 (0=1,2...9), il che dimostra la nostra asserzione. Se x; ...%, è un punto di V, diremo elemento di ordine s di V il sistema: (Frs ORSI dana ana) delle coordinate del punto e dei loro differenziali fino all'ordine s, presi sulla varietà V, in guisa cioè che la F=0 e le equazioni che si hanno da essa, differenziandola fino all'ordine s, sian soddisfatte. Abbiamo allora : B) Qualsiasi elemento di ordine finito della varietà V, relativo ad un punto della sezione di V con una varietà algebrica qualunque di S,, è ancora algebrico. Insieme colle equazioni (15) e (16) consideriamo infatti quelle che si hanno, differenziando la F(x,...,) fino all'ordine s: (19) dF=0 (6=1,2...3). — 356 — Il primo membro di ciascuna delle (19) è una funzione razionale intiera dei differenziali d#x; (i=1,2...n, u=1,2...s) i cui coefficienti sono derivate parziali della F di ordine non superiore ad s. Ove adunque si abbian le (16), saranno nulle, per la proprietà d) dei polinomî @,, tutti quei polinomî e le loro derivate per cui è insieme 7 > , or >s: ciascuna delle (19) si riduce cioè ad un polinomio in tutti i suoi argomenti. Ne segue appunto il teorema B). 1 Più generalmente si pongano tra le 1 s..., delle relazioni a/ge- brico-differenziali (a coefficienti razionali): (20); (Go (21422; dari den citi da) Re) di ordine non maggiore di X, le quali sian compatibili, e tra cui vi sia almeno un’ equazione algebrica: GN i) 0 Lo stesso procedimento dimostra allora che: C) Qualunque elemento della varietà V di ordine mag- giore od uguale a X relativo ad un punto della sezione di V con un integrale delle equazioni (20) è ancora algebrico. La varietà V passi per l’origine ed in questo punto tute le derivate di i sian diverse da zero, il che può farsi evidentemente in infiniti modi, pren- dendo convenientemente il primo polinomio @, della successione (5); dalla F=0 può allora trarsi una qualunque delle x, ad es.: la x;, in una serie di potenze delle altre n — 1: (CERA. 0000) Eee) 0) 0 questa serie converge allora in un certo intorno (ad # —1 dimensioni e di ampiezza non nulla) del punto 7,=&,=..=%-1=%a1="-.="x=308 ed in questo intorno definisce la «, come funzione analitica e monodroma delle #1... 4;-:4i+1---4n, che ha evidentemente le proprietà seguenti: D) Se tra le z,%2...%, si pone un sistema qualunque di relazioni algebriche, una qualunque di esse variabili, ad es. la x;, e le sue derivate (rispetto alle altre) di un ordine qua- lunque (calcolate dalla (21)) si riducono a funzioni algebriche di alcune tra esse variabili. 5. Il risultato che precede, per quanto notevole, non basta, come osserva a ragione lo Stickel nella Memoria citata, ad assicurare dell'esistenza di funzioni analitiche e rascendenti di una o più variabili complesse, che abbian le proprietà espresse dal teorema D). Si potrebbe infatti pensare che l'equazione F(x,%2..:4,)="0, pure essendo trascendente, definisse in — 357 — qualunque punto a/gedrico (E,...È,) della varietà V soltanto degli elementi (nel senso di Weierstrass) di funzioni analitiche algebriche: (22) mitici I I at I S Sn Cn) (P(0)=0;i=1,2 Ian); potrebbe cioè supporsi che qualunque elemento (22) relativo ad un punto algebrico (5) della varietà V, dedotto dalla F==0, soddisfacesse sempre ad una equazione algebrica : 9 (Li %2...2)=0, variabile da punto a punto, da elemento ad elemento; per esprimerci chia- ramente, se non con tutto rigore, si potrebbe pensare cioè che la varietà V risultasse costituita dalla riunione di infinite varietà algebriche, distinte o coincidenti, di S,, in guisa da non poter più allora affermare la trascendenza di nessuno degli elementi (22) relativi ad un qualunque punto algebrico di V. Per quanto, avendo riguardo a tutto quello che vi ha di arbitrario nella costruzione della F(,..,), un tale eventualità sembri estremamente im- probabile, pure finchè non si riesca, magari imponendo alla F ulteriori condi- zioni, ad escluderla completamente, essa costituisce una grave difficoltà che può infirmare le considerazioni precedenti. Fortunatamente questa difficoltà può rimuoversi, con un metodo, a nostro credere, geniale ed elegante, sebbene un po' artificioso, che, dovuto allo Stickel per una equazione a due varia- bili # ed y molto più particolare della nostra, si può estendere, convenien- temente modificato, anche al problema generale che ora ci occupa. Se l’Acca- demia me lo permette, consacrerò a questa dimostrazione una prossima Nota. Mineralogia. — Za dournonite nella miniera della Argentiera della Nurra (Portotorres, Sardegna). Nota del prof. DoMENICO LovIsaTO, presentata dal Socio STRUEVER. Presso all'estrema parte nord-ovest dell'isola vediamo per non molto risorgere l’uronico della massa dell’Iglesiente, qui sollevato dalle granuliti, che per poco compariscono all'Asinara. Le elevazioni, che si veggono dal Capo dell’Agentiera al Capo Falcone, sono generalmente formate da schisti quarziferi, talvolta tempestati di granati e contenenti all’Istintino, sebbene in piccolissima quantità, la Tantalite ferrica (!). In questi schisti quarziferi s'annidano gli importanti filoni della miniera dell'Argentiera, costituendo un giacimento irregolare in direzione ed in ricchezza. (1) Lovisato, Notizia sopra alcune specie minerali nuove per la Sardegna. Rendi- conti R. Acc. dei Lincei, vol. VII, primo sem., serie 5°, fasc. 8°. Roma 1898. — 358 — Sebbene non sia scopo della presente Nota di fare la descrizione di questa miniera, sulla quale però si hanno assai scarse notizie nella lettera- tura mineralogica, per quanto io mi sappia avendone parlato il Barelli (1), il Baldracco (?), il Lamarmora (8), il Sella (‘), il Jervis (5), ecc., non sarà. male ricordare come da antico codice si rilevi che Gonnario da Torres nel 1131 faceva donazione della metà dell’Argentiera della Nurra alla chiesa primiziale di Santa Maria di Pisa (5). Sembra però che i lavori più antichi sieno anteriori ai Pisani, e dh il filone sia stato lavorato principalmente verso la sua parte sud-ovest; però dagli avanzi degli utensili in legno trovati in quelle lavorazioni è assai dif- ficile indurne l'età. Pel Barelli i minerali dellArgentiera sarebbero: piombo solforato ar- gentifero e zinco solforato in una matrice di quarzo e ferro ossidato; pel Sella, che parla di filoni a matrice di quarzo con fahlerz, i minerali sareb- bero: blenda, galena e fahlere; pel Jervis l'Argentiera darebbe: dlerda, galena, stibina, tetraedrite, tennantite (?), pirite colla ganga di quarzo ed in piccola quantità anche di barite. In generale l’Argentiera era ed è rite- nuta come una miniera di bdlenda, galena e fahlerz in ganga di quarzo con pirite di ferro e con presenza qua e là di stibina. La blenda costituisce la parte più importante del filone: raramente presentasi in cristalli perfetti, ma è varia nella sua struttura, generalmente cristallina, talvolta a larghe lamelle, talvolta compatta e friabile. Non posso dire nulla per riguardo alla sua composizione, cioè, se colla blenda normale vi compariscano le varietà ferrifera (Marmatite), cadmifera (Preibramite), mercuriale, stannifera, ecc., perchè non ho avuto campo di occuparmi delle sue analisi, nè la blenda essendo l'obbiettivo di questa mia Nota, che ha invece per iscopo di mostrare che mentre fino ad oggi si è ritenuto da tutti il /a//erz come uno dei principali minerali dell’Argentiera (1) Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S. M. il Re di Sardegna. Torino 1835, pag. 597-8. (2) Cenni sulla costituzione metallifera della Sardegna. Torino 1854, pag. 286-302. (3) Voyage en Sardaigne. Troisième partie, tome I, Turin 1857, pag. 91-3. (4) Condizioni dell’ industria mineraria nell'isola di Sardegna. Relazione alla Camera dei Deputati per la Commissione d’ inchiesta. Maggio 1871, pag. 48-9. (>) Z tesori sotterranei dell'Italia. Parte terza. Regione delle isole: Sardegna e Sicilia. Roma 1881, pag. 139-483. (6) Tola, Codex diplomaticus Sardiniae. Tomo I, pag. 207. Vedi Jervis, op. citata, pag. 140. (7) Hintze, nel suo Mandbuch der Mineralogie (Siebente Lieferung, 1902, pag. 1101) sulla fede del Jervis cita la tennantite per l'Argentiera della Nurra ed anche per Capo Marargiu in quel di Bosa, aggiungendo questo dato, da me non conosciuto: in Sarradus (Wergl. S. 793) dei Baccu Arrodas Kleine Tetraèder aula (Traverso, N. Jahrb. 1899, 2, 220). — 359 — della Nurra, questa specie minerale manca assolutamente in quella miniera, essendo Bournonite il minerale finora creduto fahlerz. Già fino dal 1885 io aveva sospettato trattarsi di Bournonite in quelle massecole splendenti, che compariscono specialmente alla dipendenza della blenda col quarzo all’Argentiera, giacchè fra il materiale del valore di lire 5029, 15, lasciato da me in dono all'Università di Sassari, quando da quella passai a questa Università, al n. 158 d'inventario si trova questo cartello: Ventitre campioni di Tetraedrite con bournonite, galena, blenda, ecc. dell’Argentiera (Nurra). Non ho poi visitato più quella interessante miniera, sebbene frequenti sieno state le mie visite alla Nurra, nè mi sono arbitrato di manomettere un campione, che si conserva in questo Museo al n. 961 del vecchio inven- tario, compreso nel gruppo 12 (42) del nuovo, e notato come Panabase del- l’'Argentiera della Nurra, bellissimo esemplare che dopo blenda con mas- secole e venuzze di quarzo porta il minerale, creduto finora /allerz, attraversato da vena di quarzo con moschette e secrezioni di calcopirite. Esaminai però alcuni frammenti di minerali di quella miniera, portati con me da Sassari e che avrebbero dovuto contenere anche la tetraedrite; però mi risultarono tutti di pura galena, poverissima d'argento, ed assolutamente priva di rame. Esaminai pure altri campioni, che graziosamente mi furono inviati in dono dall'egregio e carissimo sig. Antonio Mele, contabile-cassiere a quella miniera, ma anche in questi non rinvenni il rame. Il mio dubbio allora che pel fahlers si trattasse di un nome usurpato si fece maggiore e l’esternai per lettera al direttore di quella miniera sig. ing. Attilio Daneri, colla preghiera mi volesse inviare alcuni campioncini del minerale più caratteristico, che passava col nome di fahlerz colassù. Contemporaneamente serivea all'on. Castoldi, direttore generale delle miniere di Montevecchio, pregandolo di mandarmi qualche esemplare del minerale, che nella concessione di Piccalina, a levante di quella ricchissima miniera, veniva indicato col nome di fah/erz, dubitando anche per quello dello stesso errore: tanto più m'interessava di vedere qualcuno degli esem- plari di Piccalina, inquantochè mi ricordava di aver sentito una volta, che colà s'era trovato il fah/erz anche in cristalli, senza però ch'io l'avessi mai potuto vedere, per quante volte avessi manifestato la mia curiosità di esa- minarli, giacchè un solo cristallo per Piccalina avrebbe risolta la questione. Sgraziatamente la mia lettera trovò il Castoldi malfermo in salute ed in tali condizioni da non saper dove mettere mano per rintracciare qualcuno degli esemplari da me richiesti. Però esaminati dei frammenti, che a Picca- lina mi furono dati come /al/erz, si capisce amorfi, a grana finissima, d'un colorito grigio di piombo non brillante e dalla lucentezza ben diversa dalla bournonite, mi risultarono tutti come quelli dell’Argentiera di pura galena, poverissima d’argento, ma senza traccia di rame. 1 RenpICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 46 — 360 — Il Daneri invece con sua gentilissima lettera mi accompagnava in pac- chetto quattro campioncini del minerale desiderato ed un quinto diverso, dall'egregio direttore in modo speciale raccomandatomi, e del quale dirò in appresso in altra Nota. È I quattro esemplarini, si capisce dei più caratteristici, erano ben diversi dai frammenti dei minerali, da me portati da Sassari come ricordo di quella miniera, e differenti anche dai campioni, che poco tempo prima m'erano stati gentilmente inviati dal sig. Mele, cui vado riconoscente specialmente per due bellissimi esemplari di dlenda cristallizzata e per qualche bel cam- pione di galena, coperta da un po' di stibina, in qualche punto decomposta in probabile cervantite. Il nuovo minerale, che trovasi particolarmente alla dipendenza della blenda, presentasi sempre massiccio, allo stato compatto, più o meno fina- mente granuloso, talvolta anche fibroso, in taluni punti pure lamellare e quindi con sfaldatura netta, che manca assolutamente nel fahlere: la frattura è un po concoidale od ineguale, fragile. La durezza va da 2,5 a 3, anzichè da 3 a 4,5 come nella tetraedrite e nella tennantite; il peso specifico colla bilancia del Mohr mi risultò di 5,78, corrispondente ad una normale bour- nonite, per la quale la densità va da 5,7 a 5,9: il mio assistente alla tem- peratura di 28,6° avrebbe ottenuto per un frammento solo 5,35, dovendosi probabilmente questa forte differenza in meno alla mescolanza intima col quarzo in venuzze, in particelle ed anche in cristallini. La lucentezza è metallica, brillantissima: colore grigio d'acciaio al grigio di piombo nerastro, opaco. Nel tubo chiuso decrepita e dà un sublimato oscuro rossastro d’ossido di ferro e d’antimonio e fonde quasi subito incrostando il tubo. Nel tubo aperto da vapori solforosi ed un sublimato bianco d’'acido antimonioso. Al cannello sul carbone fonde facilmente, dando dapprima un’aureola bianca d'acido antimonioso, poi un'aureola marcatissima gialla d'ossido di piombo: il residuo trattato con soda alla fiamma di riduzione dà un globulo di rame. Il minerale non si scioglie completamente nell’acido cloridrico, ma lascia indietro un piccolo residuo quarzoso ed a questo dobbiamo certamente la deficienza che si appalesa nell'analisi: è decomposto dall’acido nitrico, pren- dendo la soluzione una bella colorazione verde con tendenza al bleu; la soluzione allungata prende una tinta azzurrastra. Oltre la soluzione si ha un residuo di zolfo ed un residuo biancastro contenente antimonio e piombo. Oltre Pb, Sb, S, Cu ed Fe altre reazioni m' avrebbero dato per la nostra sostanza quantità sensibile di Mn con traccie di As, Ag, Mg e Ca. Non presentando il nostro minerale mai cristalli non era difficile, senza ricorrere ad un'analisi quantitativa confonderlo colle varietà piombifere di panabase, giacchè solo quella può mettere in evidenza la quantità grande di piombo esistente, come risulta appunto dall'analisi quantitativa, eseguita — 361 — sopra gr. 1,1156 dal mio assistente dott. Carlo Rimatori: S a MISTA Shi, ate e R20,70 As Mn. 0 raccio Pps ee. MAIS CU ee ta 2,22 Fe ecs.» MAI Mine a 36 Cao: traccie Mg0 98,73 Evidentemente trattasi di una dourmonite nel supposto fahlerz della miniera dell’Argentiera della Nurra. Prima ancora che avessi trasmesso i risultati dell'analisi all’ing. Daneri, egli per lettera gentile m’'aveva comunicato che essendosi interessato di studiare il supposto fa4/erz aveva ottenuto coll’analisi Pb = 38,5, Cu= 7,3, Al= 0,07, Au=2g. per tonnellata, Sb non determinato quantitativamente, dati che suggerivano anche al distinto direttore di quella miniera di consi- derare il minerale creduto fah/ere come una dournonite, indotto a ciò anche dalla sfaldatura e dalla durezza. Dai dati del sig. ing. Daneri si vede che la dournonite dell'Argentiera della Nurra contiene, sebbene in piccolissima quantità, anche dell'oro, due grammi per ogni tonnellata di minerale. Sarebbe questo il secondo minerale della Sardegna contenente oro, essendosi rinvenuta da alcuni anni una pirite arsenicale (Mispikel) nella località Conca Sa Pivera (Gonos Pranaceddu) in territorio di Gonosfanadiga verso i limiti di Fluminimaggiore, contenente quattro grammi d’oro per tonnellata. Prima di chiudere questa Nota dirò che in uno dei quattro campioncini, inviatimi dal sig. Daneri, ho potuto osservare che dopo il quarzo, che separa in quell'esemplare nettamente la blenda dalla bournonite, v è un'altra sostanza brillante in fiocchetti, in aghetti alla guisa quasi della meneghinite, che un saggio qualitativo sopra un piccolissimo frammento m'avrebbe appa- lesato per un altro so/fo antimoniuro di piombo senza rame, che potrebbe avere qualche analogia colla jamesonite, più che colla boulangerite. Se potrò avere materiale sufficiente per un'analisi quantitativa, cercherò di determinare anche questa sostanza, ed in pari tempo mi sarà caro di dire una parola sopra l'altro minerale, già accennato, come quello che particolarmente mi fu raccomandato dall'egregio ing. Daneri, e che fin d'ora dirò che, pur avendo l'aspetto d'un minerale d'antimonio, fibroso, impregnato di pirite di ferro, è una curiosa mescolanza di diverse sostanze. — 362 — Mineralogia. — Osservazioni sopra alcuni minerali del gra-. nito di Baveno ('). Nota di ErroRE ARTINI, presentata dal Socio STRÙVER. Da varî anni procuro di completare la serie dei minerali di Baveno pos- seduti dal Museo, allo scopo di contribuire in quanto possibile alla maggior conoscenza di tale veramente classica località mineralogica. Di prezioso aiuto in tali ricerche mi riesce particolarmente l’opera dell'ing. E. Bazzi, intel- ligente collezionista, raccoglitore acuto e diligente: all'ottimo amico, tanto benemerito del Museo, mi è grato porgere qui una sincera parola di lode e un vivo ringraziamento. È noto come nelle ricche druse del nostro granito, oltre ad un certo numero di minerali comunissimi, quali il quarzo, l’ortoelasio, l’albite, le miche, la fluorite, la calcite, l’epidoto, la laumontite, la jalite, altri se ne trovino assai meno comuni, come la dabingtonite, V arinite, la datolite, la chabasite, la stilbite, la gadolinite alterata; ed alcuni altri finalmente non vi si incontrino se non con estrema rarità, e quasi soltanto in via eccezionale. Tra questi va noverata anzitutto, per la sua importanza, l’' apatite, tro- vata dallo Striiver nel 1871 (?), e poi, per quanto si sa, non più osservata da altri; così che questo autore in un più recente lavoro scriveva: L’apatite del granito bianco di Baveno fu da me descritta nel 1871; ma pare quasi che quell’esemplare allora da me trovato fra le tante migliaia di cam- pioni minerali di Baveno che passarono in quei tempi per le mie mani, sia rimasto sino ad ora unico, ecc. ecc. (8). Un secondo esemplare venne in luce appunto in questi giorni; e credo perciò non inutile darne alcune parole di descrizione, tanto più che proviene dal granito roseo. È tale campione formato da un gruppetto dei soliti ben noti cristalli di ortoclasio roseo, geminati secondo la legge detta di Baveno; sul maggiore di essi, coperto in parte da una patina di epidoto e da poca jalite, stanno piantati alcuni cristalli di babingtonite della solita forma, e cinque cristalletti di apatite, incolora e abbastanza limpida. Questi cristalli, a diffe- renza di quelli descritti dallo Striiver, sono prismatici, allungati secondo l’asse verticale: il maggiore tra essi misura 3 mm. nel senso dell'asse stesso, (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Mineralogia del Civico Museo di Milano. (2) Striiver G., Note mineralogiche. — 4. Apatite e arsenopirite del granito di Baveno e Montorfano. Atti R. Acc. d. Sc. di Torino, vol. VI, 1871. (3) Id., Sui minerali del granito di Alzo. Rend. R. Acc. d. Lincei, sed. 4. dicem- bre 1892. — 363 — e circa 1 mm. in senso trasversale. Ne staccai due, per sottoporli a misure goniometriche. La forma presentata da tutti indistintamente i cinque cri- stallini, riferita alla orientazione proposta dal Naumann, risulta dalla seguente combinazione: 31116 3217} 35I1. 111} 3100. 22Î! }411.110{ }413!. Le facce della base, del prisma e della piramide di 2° ordine sono abba- stanza piane, ma non perfette; anche meno adatte a misure precise son quelle delle tre piramidi di 1° ordine, sempre alquanto striate parallelamente alla loro intersezione con la base e col prisma. Dovetti perciò rinunciare a cal- colare la costante cristallina di questa apatite, ciò che pur sarebbe stato mio desiderio; e limitarmi a riportare qui gli angoli misurati, confrontandoli coi rispettivi calcolati dal valore fondamentale (LO0): (010) — 68°.:9286% altra volta da me determinato per l’apatite del granito elbano ('). Angoli Angoli osservati. Medie calcolati Spigoli misurati | N. | Limiti delle osservazioni (511) . (2II) (5I1) . (111) (100) . (211) (100) . (111) (411) . (111) (412). (111) (412) . (511) (5II) . (121) 309.267 — 300.48’ | .30°.34 30°.31’ 59. 5 — 59. 51 59. 26 59. 29 49.58 — 50.00 | 49. 59 49. 41 39.50 -— 40. 35 -| 40. 5 40.19 22.22 — 23. 9 22. 43 22. 59 50. 29 — 55.41 55. 34 d0. 48 25. 17. — 25. 41 25. 27 25. 81 64.20 — 64. 33 64. 25 64. 29 uu vt 0 i “3 DD UU Anche della scheelite, la quale riguardo alla rarità si trova nelle stesse condizioni del precedente minerale, il nostro Museo possiede da poco tempo uno splendido esemplare, dono dell'ing. Bazzi. È una drusa ricca di quarzo, nel granito rosso; oltre alla solita jalite, all'albite e a poco ortoclasio roseo, vi si osservano una diecina di cristalli di scheelite, di color giallo chiaro, cristallograficamente identici a quelli descritti dallo Striiver, ma con facce assai meno perfette, e invece alquanto più grossetti: il maggiore di essi mi- sura circa 5 mm. nel senso dell'asse quaternario. Alla già non breve lista dei minerali descritti da varî autori posso inoltre aggiungerne due altri, la cui presenza nel granito di Baveno non fu (1) Artini E., Apatite dell’ Elba. Rendic. R. Acc. d. Lincei, sed. 24 novembre 1895. — 364 — prima d'ora osservata, o almeno scientificamente documentata: la heulandite cioè e la formalina. Della prima si trova solo un cenno affatto vago ed incerto in una Nota del Leuze (!). Io potei studiarne due esemplari: nell’uno è in cristallini limpidi, grossetti (2-3 mm) piantati sul quarzo e sull’ortoclasio roseo, insieme a uno di quei gruppi raggiati di stilbite giallognola già descritti dallo Striiver (?); nell'altro i cristallini, più numerosi e più piccoli, spalmano come una cro- stina un cristallo di ortoclasio. La forma e le proprietà del minerale nei due esemplari sono identiche. Essi presentano sempre la combinazione: 3010} 3001} }110 3201! }201{. Le facce di }010{ sono piane e hanno la caratteristica lucentezza madre- perlacea, più viva sulle facce di sfaldatura fresca, le quali si producono, al solito, con estrema facilità e perfezione; }001f e }201} sono mediocremente sviluppate, ma abbastanza piane; più ampie e brillanti, ma smosse e ondu- late sono quelle di }201{; quelle del prisma verticale sono pure brillanti e ondulate. Riporto qui alcuni degli angoli misurati, facendoli seguire dai valori calcolati partendo dalle costanti determinate da Des Cloizeaux (8): a: db: ce=0.40347 : 1 : 0.42929 Bi==1889.13430% Angoli Angoli Spigoli misurati | N. | Limiti delle osservazioni | osservati. Medie calcolati 689.23" — 699.21’ | 68°.57 | 68°. 2” 63. 19 — 64. 38 63. 50 63. 40 66.23 — 66. 47 66. 35 66. 00 49.26 — 49.87 49. 31 50. 20 (110) . (010) (201) . (001) (01) . (001) (201) . (201) vd a da La forte divergenza fra misura e calcolo non può maravigliare chi pensi alla imperfezione delle forme più sopra lamentata, e conosca le forti oscilla- zioni nei valori angolari che si osservano nella heulandite. La perfetta e facile sfaldatura secondo }010} che presenta il minerale, mi permise di studiarne abbastanza completamente le proprietà ottiche non (1) Leuze A., Mineralogische Notizen. Ber. 25 Versamml. Oberrhein. geolog. Ver. Basel, 1892. (In questo lavoro non si capisce bene quando si accenni alla stilbite e quando alla heulandite; infatti vi è ricordata la heulandite (Stilbit) come già nota e trovata dallo Striiver, mentre questo Autore descrisse la stilbite (Desmin); viceversa quest'ultima, tutt'altro che rara a Baveno, è data dal Leuze soltanto come incerta!). (2) Striiver G., Minerali del granito di Baveno e Montorfano. Atti R. Acc. d. Sc. di Torino, I. 1866. (3) Des Cloizeaux A., Manuel de minéralogie. 1862. — 365 — ostante la scarsità del materiale. In tutti i cristalli i piani degli assi ottici sono perpendicolari a }010!, e la bisettrice acuta per tutti i colori, positiva, coincide con l’asse y. Già nelle lamine di sfaldatura vicine alla superficie si osserva perifericamente la caratteristica divisione in settori, aventi per base le tracce delle facce della zona [010], ed estendentisi verso l'interno, limitati da linee irregolari e sinuose. Questa divisione è più accentuata e completa nelle lamine più interne: dove esiste un campo centrale indiviso, questo sembra quasi confondersi coi due settori }201{, i quali sono sempre i più estesi. L'estinzione è varia nei diversi settori, e talvolta varia alquanto anche nelle diverse parti di uno stesso settore, per una struttura zonale abbastanza evidente. In tre lamine trovai che la traccia del piano degli assi ottici per la luce gialla (/Va) su (010) faceva con + « (considerando come positivi i valori della inclinazione verso 4, cioè nell'angolo £ ottuso, e negativi quelli verso — 2, cioè nell'angolo # acuto) angoli di: Settori }201{ Settori }001|. Settori }201) i. Lam. +4 89.30 0 — 7° In + 100.30" 0 — 18° II. ” + 20.30 0 — 130.30" La dispersione delle bisettrici è abbastanza forte, e già riconoscibile all'esame della figura d’interferenza; nella lamina 1. che presentava il campo centrale abbastanza largo, l'inclinazione dell’ estinzione (a) su + @ fu trovata avere, per i varî colori, nel campo centrale stesso, i valori seguenti : Luce azzurra: + 6° » gialla + 89.30" » rossa + 10. La dispersione degli assi ottici è pure sensibile: o > v. Il valore dell'angolo apparente degli assi ottici, misurato sulla lamina anzidetta, campo centrale, fu determinato: 2R,= 779.53" (Na) La tormalina si trova, a dir vero, citata fra i minerali di Baveno nel- l’opera dello Jervis (*); ma tale attestazione perde ogni valore scientifico per il fatto che non è citata la fonte della notizia, e che in realtà nessuno dei mineralogisti che si occuparono dei minerali di Baveno in modo particolare, a cominciare dal Padre Pini (?), dal Borson (*), dal Barelli (4), e venendo (1) Jervis G., / tesori sotterranei dell’ Italia, vol. I, Torino, 1873. (2) Pini E., Mémoire sur les nouvelles cristallisations etc. Milan, 1779. (3) Borson E., Catalogue raisonné de la collection minéralogique etc. Turin, 1830. (4) Barelli V., Cenni di statistica mineralogica degli Stati di S.M.il Re di Sar- degna. Torino, 1835. — 366 — fino ai moderni osservatori, come lo Striiver (!), lo Streng (2), il Leuze (8), il Gonnard (4) per non citare che i principali, nessuno, dico, ricorda la torma- lina tra i minerali delle druse del nostro granito. L'origine di tale notizia è forse questa: che nei Cenni sui graniti massicci delle Alpi piemontesi, pubblicati come appendice alla Memoria del Gastaldi: Studi geologici sulle Alpi occidentali (?), lo Striver ricorda come componente accessorio della roccia la tormalina; ma egli si riferisce ai graniti piemontesi in genere, e a quello di Quarona in Valsesia in particolare. Comunque, il minerale è, nelle druse di Baveno, assai raro ed eccezio- nale. Si tratta di ciuffetti di aghi sottilissimi, azzurrastri, di aspetto analogo a quello della bissolite, e che con estrema facilità si staccano dalla matrice. Questo fatto, più ancora forse che la rarità, può spiegare come il minerale sia sfuggito all'attenzione dei precedenti osservatori; l’ esame accurato di alcuni esemplari di fluorite e quarzo contenenti inclusioni aghiformi esilis- sime mi ha dimostrato spettar queste appunto alla tormalina, di cui le sottili estremità libere furono asportate, secondo ogni probabilità, durante la som- maria operazione di lavatura cui usano i cavatori stessi sottomettere gli esem- plari, per renderli più puliti e più appariscenti. I cristallini, dei quali la massima grossezza raggiunge 0,2 mm. mentre la lunghezza arriva a più di un centimetro, sono formati quasi esclusiva- mente dal prisma di 2° ordine }1014, con facce così brillanti e piane, benchè alcun poco striate, che un cristallino sottoposto a misura goniometrica mi diede, per i sei spigoli della zona verticale, i valori angolari seguenti: 609.3" 609.0 .; 59256 s1/6021'a 5905805 600025 assai bene concordanti, come ognun vede, col rispondente calcolato, di 60°. Al microscopio è facile constatare il carattere otticamente negativo della direzione d' allungamento dei sottili cristallini, e il caratteristico intensissimo pleocroismo : e= bruniccio chiarissimo = azzurro-verdastro carico. Un minerale invece la cui presenza nelle druse del granito di Baveno (‘) Vedi, oltre alle due Note più sopra citate dello stesso autore, anche: Striiver G., Sopra alcuni minerali italiani. 4. Axinite di Baveno. Atti d. R. Acc. d. Sc. di Torino III. 1867. (2) Streng A., Veber die in den Graniten von Baveno vorkommenden Mineralion. Neues Jahrb. fir Miner. etc. 1887. I. (3) Loc. cit. e inoltre: Leuze A., Mineralogische Notizen. Ber. iiber die 26 Versamml. d. Oberrh. geol. Ver. 1893. (4) Gonnard F., Notes crystallographiques. Bull. d. la Soc. Fr. de Minéralogie, XXV, n. 4-5. 1902 (veramente l'elenco dato dal Gonnard non è completo nè esatto; la stessa citaz. del lavoro. di Streng vi è errata). (5) Mem. d. R. Com. geol. d’Italia. 1871. — 367 — meriterebbe, a parer mio, di essere ulteriormente documentata, è l’anfibolo, e particolarmente l'orneblenda nera cristallizzata. Questa vien ricordata sol- tanto dal Molinari, come formante « piccoli cristalli neri, lucenti, opachi, impiantati sui cristalli di quarzo e di feldspato ortosio » (!); dopo d'allora non fu più trovata da altri, nè io potei mai osservare nè questa nè altre varietà d'anfibolo. L’esemplare originale determinato dal Molinari, e da lui stesso registrato sotto il nome di orreblenda al n. 4922 del vecchio cata- logo, trovasi ancora sotto lo stesso numero nella raccolta del Museo: ma i cristalli sono di dabingtonite. Paleontologia. — / Castoro quaternario del Maspino. Nota del dott. CAMILLO Bosco, presentata dal Corrisp. CARLO DE STEFANI. Nel museo paleontologico dell’ Istituto di studî superiori di Firenze trovasi un cranio di castoro scavato dalle ghiaie quaternarie delle vicinanze del Maspino, piccolo torrente che sbocca nella Chiana presso Arezzo. Fu già citato dal Forsyth-Major (*) e dal Riitimeyer (*) che lo riferirono al Castor fiber Linn. Esso manca di tutta la porzione occipitale, asportata forse da un colpo di zappa, e dell'osso malare sinistro ; tutto il resto è in ottimo stato di conservazione e non presenta nessuna deformazione ; i denti pure sono al completo ed in buonissimo stato. Manca la mandibola. Alla descrizione dettagliata di questo cranio, preferisco il suo confronto col cranio delle due forme attualmente viventi di castoro, cioè la europea e la canadese. Il cranio del Maspino presenta i seguenti caratteri differenziali dal cranio di castoro canadese: dal cranio di castoro europeo : Cranio più grosso; più convesso supe- Cranio di uguali dimensioni; ugual- riormente e più largo nelle regioni mente convesso superiormente ed frontale e nasale. ugualmente largo nelle regioni frontale e nasale. Arcate zigomatiche più ampie, col loro Arcate zigomatiche ugualmente ampie, asse maggiore più obbliquo rispetto col loro asse maggiore meno ob- a quello del cranio; esse prendono bliquo; esse prendono origine alla origine più in alto; la loro mas- stessa altezza; la loro massima sima larghezza trovasi nella parte larghezza è nella parte posteriore. posteriore, anzichè nel mezzo. (1) Molinari F., Nuove osservazioni sui minerali del granito di Baveno. Atti Soc. ital. di Sc. nat. vol. XXVIII. 1885. (2) Forsyth-Major, Sul livello geologico del terreno in cui fu trovato il cosidetto cranio dell’ Olmo (Archivio per l'antropologia e l’etnologia, vol. VI, pag. 347, Firenze 1876). (3) Ritimeyer, Veder Pliocin und Eisperiode auf beiden Seiten der Alpen, pag. 52, Basel 1876. RenpIcoNTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. 47 — 368 — dal cranio di castoro canadese: Apofisi zigomatica dei temporali più lunga, più inclinata all’ indietro, e con l'estremità esterna, sovrap- posta al malare, che forma un ri- lievo assai più sviluppato. Malari più alti, con processo post-or- bitario che si avvicina assai più al corrispondente processo dei frontali. Fossa sott'orbitaria dei mascellari più profonda e più obbliqua. Creste parietali molto più sporgenti, che si ravvicinano più gradata- mente e in modo da far supporre che la loro riunione nella cresta sagittale avvenisse alquanto più indietro. ’ Frontali più larghi e più lunghi. Nasali più lunghi e più larghi con margine esterno assai meno con- vesso, quasi rettilineo. Premascellari con apofisi frontale più lunga ed apofisi palatina più larga. Apertura nasale alquanto più larga. Palatini più lunghi; palato che si al- larga molto più sensibilmente dal- l’innanzi all’ indietro. Serie molare, proporzionalmente alle dimensioni del cranio, un po’ più lunga. Molari che decrescono assai più rapi- damente di grossezza dall’ avanti all'indietro; più sporgenti e più inclinati in fuori; pieghe di smalto che compaiono sulla superficie tri- turante sotto forma di linee sinuo- se, anzichè diritte. Incisivi assai più larghi. dal cranio di castoro europeo: Apofisi zigomatica dei temporali ugual- mente lunga ed inclinata all’ in- dietro, con estremità esterna ugual- mente sviluppata. Malari della stessa altezza, con pro- cesso post-orbitario ugualmente svi- luppato. Fossa sott’ orbitaria ugualmente pro- fonda ed inclinata. Creste parietali ugualmente sporgenti e similmente disposte. Frontali ugualmente lunghi, ed ante- riormente ugualmente larghi, ma che si restringono assai più all’ in- dietro. Nasali di uguale forma, con margine esterno simile. Premascellari con apofisi palatina ugualmente larga, ma con apofisi frontale più lunga. Apertura nasale un po' più larga. Come contro. Serie molare approssimativamente del- la stessa lunghezza. Come contro. Come contro. — 369 — Risulta quindi che il castoro del Maspino è molto più vicino, per la Fig. 1. — Castor fiber del Maspino, cranio visto dal lato destro (4/5 della grandezza naturale). forma del cranio, al castoro europeo, di cui ha i principali caratteri che lo Fis. 2. — Castor fiber del Maspino, cranio visto dal basso (4/; della grandezza naturale). differenziano da quello canadese, e cioè : la forma dei nasali, con margine — 370 — esterno solo leggermente curvo, la larghezza delle regioni frontale e nasale, lo sviluppo e la direzione delle creste parietali, l'ampiezza delle arcate zigo- matiche, la convessità del cranio. Differisce però da ambedue le forme: nel palato, molto più largo all’ in-- dietro che all’ innanzi,;; negli incisivi, più larghi; nei molari, che decrescono Fic. 3. — Castor fiber del Maspino, cranio visto dall'alto (4/5 della grandezza naturale). rapidamente di grossezza dal primo all'ultimo, e sulla cui superficie tritu- rante le pieghe di smalto si mostrano leggermente sinuose. Per la forma del palato e per la decrescente grandezza dei molari il castoro del Maspino rammenta il 7rogontherium Cuvieri Fischer; mentre per la larghezza degli incisivi e per la sinuosità delle pieghe di smalto dei molari esso è da ritenersi come una forma intermedia fra i viventi castori ad incisivi relativamente stretti ed a molari con pieghe liscie, ed il Castor plicidens Major, del pliocene superiore del Valdarno, caratterizzato da incisivi assai larghi e da molari con pieghe di smalto complesse (). (') La descrizione del C. plicidens trovasi nella mia Memoria sui Roditori pliocenici del Valdarno Superiore, pubblicata nel vol. V (1899) della Palaeontographia italica, diretta dal prof. M. Canavari. Vi — 371 — Il fatto però che tanto la larghezza quanto la forma speciale delle ossa nasali, come si riscontrano nel castoro d' Europa e che lo distinguono da quello d’ America, si siano mantenute inalterate attraverso i tempi geologici, poichè si trovano anche nel castoro quaternario del Maspino ed in quello pliocenico del Valdarno Superiore, conferma una volta di più che hanno ra- gione quei naturalisti i quali separano specificamente il castoro d' Europa (Castor fiber Linn.) da quello d'America (Castor canadensis Kuhl) (!). MisuURE. mm Massima larghezza del cranio misurata fra gli zigomi. . . . . . 101 Minima larghezza del cranio fra le orbite. . . . 9 Larghezza del cranio all'origine delle apofisi 2igottatiche dei ‘ompoali 53 Larghezza complessiva delle ossa nasali alla loro estremità anteriore. 22 Distanza dal margine alveolare alla sommità del cranio presso i pro- cessi post-orbitali . . . . s ; ago 2 Distanza dal margine anteriore dei fori ni cori SL ossa asa 36 Distanza dal margine posteriore della volta palatina al margine poste- riore dei fori palatini anteriori. . . n fa so Distanza dal margine posteriore dei fori palatiti speroni Li margine anteriore degli alveoli degli incisivi... . ...... 40 Iunohezzardellasserie molare... 0.0. 00. . +... 88 Distanza fra-le:faccie esterne!dei M? . . . dl... .... 894 Lunghezza dei fori palatini anteriori... /....... 0. 15 (!) Le questioni relative alla affinità dei castori d’ Europa con quelli d'America sono state ampiamente trattate da S. A. Allen nella sua I/onography of the North-American lelyAy} Rodentia (U. S. geological Survey of the Territories). Washington 1377. niro sai mt MES di » & pra du INDICE DEL VOLUME XI, SERIE 5°. — RENDICONTI 1902 — 2° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A AmaLDI. « Determinazione delle superficie algebriche, su cui esistono più di due fasci di curve algebriche unisecan- tisi ». 217. AnceLI, AnceLICO e CaLveLLO. « Sopra alcuni derivati del pirrolo ». 16. AnceLICO. V. Angeli. ARTINI. « Osservazioni sopra alcuni mine- rali del granito di Baveno ». 312; 362. AscoLI e MANZETTI. « Alcune esperienze sull'arco cantante di Duddel ». 11. B BaLBIANO e PaoLINI. « Ossidazione con ace- tato mercurico ». 65. Beccari. È eletto Corrispondente. 63; rin- grazia. 281. BeLLUCCI. « Sull’acido monocloroplatinico ». 241; 271. BinponI. « Sui numeri infiniti ed infinite- simi attuali ». 205. BLASERNA (Vicepresidente). Richiama l’at- tenzione della Classe sull'opera: « La Stella Polare nel mare Artico » mandata in dono da S. A. R. il Duca degli Abruzzi; e dopo aver dato notizia della pubblicazione stessa, propone l'invio di un ringraziamento a S. A. R. 346. Blaserna (Vicepresidente). Lettera al sig. Marconi annunciandogli il conferi- mento del premio Santoro. 34. — « Commemorazione del Corrispondente G. B. Magnaghi ». 345. Borpr. « Contribuzione alla sistematica dei Culicidi con speciale riguardo alla diffusione della malaria umana ». 318. BortoLOTTI. « Contributo alla teoria degli insiemi ». 11; 45. — « Alcuni teoremi che possono tener luogo di quello della media, per fun- zioni le cui derivate non sono atte alla integrazione definita ». 118. Bosco. «Il Lophiodon Sardus (n. sp.) delle ligniti di Terras de Collu (Sar- degna) ». 178. — « Il Castoro quaternario del Maspino ». 367. Bruni. « Nuove ricerche sulle soluzioni so- lide ». 187. CaLveLLo. V. Angeli. CapELLI. « Sulle relazioni algebriche fra le funzioni 9 di una variabile, e sul teorema di addizione ». 241; 255. CaAPELLINI. Fa omaggio di una sua pubbli- cazione e ne parla. 347. 185 dan — 374 — CaRPINI. « Determinazione dei potenziali alternanti ». 98. CELORIA. « Commemorazione del Socio An- mbale Ferrero ». 231. CeRRUTI (Segretario). Dà conto della cor- rispondenza relativa al cambio degli Atti. 347. — Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Boccardo, Foà, Pascal, PMlueger, e del sig. Ronna. 346. — Fa particolare menzione di un lavoro dell'ing. Allievi. 347. — Fa parte della Commissione esamina- trice di una Memoria dell’ing. Meno- chio. 324. Cramician e SiLBer. « Azioni chimiche della luce ». 145. Coccui. Offre in dono una sua opera e ne parla. 347.. CoLompo. Riferisce su di una Memoria del- l'ing. Menochio. 324. Contarini. « Sul problema generale della sismografia ». 132. Cossa. Annuncio della sua morte e sua Commemorazione. 234. D DANIELE. « Intorno ad alcuni particolari movimenti di un punto sopra una super- ficie ». 4. De STEFANI. « I terreni terziari della pro- vincia di Roma. II. Miocene medio ». 40. — « I terreni terziari della provincia di Roma ». 70. — e MarTELLI. «I terreni eocenici dei din- torni di Metkovich in Dalmazia e in Erzegovina». 112. De VRIrs. È eletto Socio straniero. 63; rin- grazia. 231. Donati. È eletto Corrispondente. 63; rin- grazia. 231. DoRrELLO. « Osservazioni sopra lo sviluppo del corpo calloso e sui rapporti che esso assume colle varie formazioni del- l'arco marginale nel cervello del ma- iale e di altri mammiferi domestici ». 98. FE Favero. Fa parte della Commissione esa- minatrice di una Memoria dell’ing. Me- nochio. 324. i Fave. Annuncio della sua morte. 63. Felici. Annuncio della sua morte. 103; sua Commemorazione. 285. FERRERO. Annuncio della sua morte. 144; sua Commemorazione. 231. Foà. « Commemorazione del Socio straniero Rodolfo Virchow ». 824. — V. Grassi. Fugini. « Sugli spazi a quattro dimensioni che ammettono un gruppo continuo di movimenti ». 58. G GagLIO. « Esperienze sull’anestesia del la- birinto dell’ orecchio nei pesci cani. (Scyllium catulus)». 253; 277. GemMmELLARO. « Sul rinvenimento di un te- schio di Squalodontidi nel calcare bi- tuminoso di Ragusa in Sicilia ». 3. GraLpINnI. V. Miolati. Gorini. « Sui bacteri dei dotti galattofori delle vacche ». 159. GortanI. «Sul rinvenimento del calcare a Fusuline presso Forni Avoltri nell’alta Carnia occidentale ». 316. Grassi e Foà. « Ricerche sul Cytorictes del Guarnieri ». 241. GuaeLiELMO. «Intorno a due modi per de- terminare il raggio di curvatura della superficie dello spigolo nei coltelli delle bilancie e dei pendoli». 263. — «Intorno ad un modo per agitare un liquido in un recipiente chiuso e ad una modificazione del termocalorime- tro ». 298. H HeLBre D. «Su di un probabile nuovo os- sido dell’azoto ». 57. — «Azione dell'ozono sulla ipoazotide». 811. — 375 — LeLLi. V. Vipiani. Levr-Crvita. « La teoria elettrodinamica di Hertz di fronte ai fenomeni di indu- zione n». 75. Lo Monaco. « L’avvelenamento per stricnina e i sieri ematici». 196. Lorentz. È eletto Socio straniero. 63; rin- grazia. 231. Lovisato. «La bournonite nella miniera della Argentiera della Nurra (Portotor- res, Sardegna)». 312; 357. Lust. È eletto Corrispondente. 63; rin- grazia. 231. M Marni. « Sull’uso del reticolo di diffra- zione nello studio dello spettro ultra- violetto ». 305. MacnagHÒi. Annuncio della sua morte. 34; sua Commemorazione. 345. Mayorana. «Sulle rotazioni bimagnetiche del piano di polarizzazione della luce ». 90. — « Sulla rapidità con cui si manifesta la birifrangenza magnetica ». 139. ManzeTTI. V. Ascoli. Marconi. Riceve il premio Santoro; sua lettera di ringraziamento. 34. MarteLLI. V. De Stefani. Menoc®Ùio. È approvata la inserzione negli Atti accademici della sua Memoria: « Rientramento dei panni (Décatissa- ge)». 324. Menozzi. È eletto Corrispondente. 63; rin- grazia. 231. MiLLosevica. « Osservazioni e calcolo d’or- bita del pianetino JL 1902 (Vene- tia)». 238. — « Osservazioni della cometa Perrine d 1902 ». 240. — « Ultime osservazioni della cometa 1902 B Perrine e osservazione della nuova cometa 1902 D Giacobini ». 297. MroLatI e GraLpinI. «Contributo allo stu- dio dell’iridio e dei suoi composti ». 151. RenpICONTI. 1902, Vol. XI, 2° Sem. N NiccoLETTI. «Su una classe di equazioni a radici reali». 124. — «Sulle proprietà aritmetiche delle fun- zioni analitiche ». 298; 351. P PampatonI. « Microflora e Microfauna nel disodile di Melilli in Sicilia ». 248. Parona. È eletto Corrispondente. 63; rin- grazia. 231. Pascar. È eletto Corrispondente. 63; rin- grazia. 231. — «Sulla teoria invariantiva delle espres- sioni ai differenziali totali di second’or- dine, e su di una estensione dei sim- boli di Christoffel ». 105. — «Trasformazioni infinitesime e»forme ai differenziali di second’ ordine ». 167. PeGLIon. « La bacteriosi della canepa». 32. Piccrati. «La teoria di Hertz applicata alla determinazione del campo elettro- magnetico generato dalla traslazione uniforme di una carica elettrica paral- lelamente ad un piano conduttore in- definito ». 221. Piccini. « Commemorazione del Socio A/- fonso Cossa n. 234. PLANcHER. « Altre ricerche intorno al- l’azione dei joduri alcoolici sugli in- doli ». 182. — « Sopra alcuni prodotti di condensazione dei pirroli ». 210. R RòrtIi. « Commemorazione del Socio Aic- cardo Felici n. 285. Rosati. « Rocce a glaucofane di Val d’Ala nelle Alpi occidentali ». 312. S SarcoLI. V. Vlpiani. SELLA. « Ricerche di radioattività indotta ». 81, SiLBER. V. Ciamician. 48 — 376 — T Tarcion-T'ozzeTtTI. Annuncio della sua morte. 204; sua Commemorazione. 233. THÒaLèn. È eletto Socio straniero. 63; rin- grazia. 231. Toparo. « Commemorazione del Socio Adol- fo Targioni-Tozzetti ». 233. U ULPIANI e LELLI. « Su un nuovo proteide del cervello ». 18. — e SarcoLI. « Fermentazione alcoo- lica del mosto di Fico d'India con lie- viti abituati al fluoruro di sodio ». 173. V VENTURI È eletto Corrispondente. 63; rin- grazia. 231. VILLARI (Presidente). Commemora breve- mente i Socî morti durante le ferie, e rilevando la gravità delle perdite su- bìte dall'Accademia, toglie la seduta in segno di lutto. 231; 238. VrioLa. « Le deviazioni minime della luce mediante prismi birifrangenti ». 24. VircHow. Annuncio della sua morte. 166; sua Commemorazione. 324. VoLTERRA. Offre una Memoria a stampa del sig. Coulon e ne discorre. 347. W Wiesner. È eletto Socio straniero. 63 s rin- grazia. 231. Z ZANETTI. « Sulla non prevalenza dei sali potassici nella bile dei pesci marini ». 241; 275. ZevrHEN. È eletto Socio straniero. 63; rin- grazia. 231. — 377 — INDICE PER MATERIE A AnaATONOMIA. « Osservazioni sopra lo svi- luppo del corpo calloso e sui rap- porti che esso assume colle varie funzioni dell’ arco marginale nel cer- vello del maiale e d'altri mammi- feri domestici ». P. Dorello. 58. AstTRoNoMIA. « Osservazioni e calcolo d’or- bida del pianetino JL 1902 (Vene- tia)». E. Millosevich. 288. — « Osservazioni sulla cometa Perrine è 1902 ». /d. 230. — « Ultime osservazioni della cometa 1902 B Perrine e osservazioni della nuova cometa 1902 D Giacobini ». /d. 287. B BaTTERIOLOGIA. « Sui bacteri dei dotti galattofori delle vacche ». C. Gorini. 159. Cc Chimica. « Sopra alcuni derivati del pir- rolo n. A. Angeli, Y. Angelico ed E. Calvello. 16. — « Ossidazione con acetato mercurico ». L. Balbianoe V. Paolini. 65. — « Sull’acido monocloroplatinico ». /. Bellucci. 241 ; 271. — « Nuove ricerche sulle soluzioni soli- de ». G. Bruni. 187. — « Azioni chimiche della luce ». G. Cia- mician e P. Silber. 145. — «Su di un probabile nuovo ossido del- l’azoto ». D. Helbig. 57. — «Azione dell'ozono sulla ipoazotide ». Id. 311. CÒÙimica. « Contributo allo studio dell’ i- ridio e dei suoi composti ». A. Mio- lati e C. Gialdini. 151. — « Altre ricerche intorno all’azione dei joduri alcoolici sugliindoli n. G. Plan- cher. 182. — « Sopra alcuni prodotti di condensa- zione dei pirroli ». /d. 210. — « Sulla non prevalenza dei sali po- tassici nella bile dei pesci marini ». C. U. Zanetti. 241; 275. CHIMICA AGRARIA. « Fermentazione alcoo- lica del mosto di Fico d’India con lieviti abituati al fluoruro di sodio ». C. Ulpiani e G. Lelli. 173. CHIMICA FISIOLOGICA. « Su un nuovo pro- seide del cervello ». C. Ulpiani e G. Lelli. 18. Concorsi a premî. Conferimento del premio Santoro al sig. Marconi. 34. Corrispondenza relativa al cambio de- gli Atti. 35; 103; 214; 253; 347. CRISTALLOGRAFIA. « Le deviazioni minime della luce mediante prismi birifran- genti ». C. Viola. 24. E Elezioni di Soci. 63. _F Fisica. « Alcune esperienze sull'arco can- tante di Duddel ». I. Ascoli e R. Man- zetti. 11. — « Determinazione dei: potenziali alter= nanti ». C. Carpini. 98. — «Intorno a due modi per determinare il raggio di curvatura della superficie dello spigolo dei coltelli delle bilancie e dei pendoli ». G. Guglielmo. 263. — 378 — Fisica. « Intorno ad un modo per agitare un liquido in un recipiente chiuso e ad una modificazione del termocalorime- tro ». Za. 298. — « Sull’uso del reticolo di diffrazione nello studio dello spettro ultravio- letto ». A. Magini. 305. — «Sulle rotazioni bimagnetiche del piano di polarizzazione della luce ». Q. Ma- forana. 90. — « Sulla rapidità con cui si manifesta la birifrangenza magnetica ». Id. 139. —. « Ricerche di radioattività indotta ». A. Sella. 81. FisicA MATEMATICA. « La teoria elettrodi- namica di Hertz di fronte ai fenomeni d’induzione ». 7°. Levi-Civita. 75. —. « La teoria d’Hertz applicata alla de- terminazione del campo elettromagne- tico generato dalla traslazione unifor- me di una carica elettrica parallela- mente ad un piano conduttore indefi- nito n. G. Picciati. 221. — « Sul problema generale della sismogra- fia ». M. Contarini. 132. FisroLoGIA. « Esperienze sull’anestesia del labirinto dell'orecchio nei pesci cani (Scyllium catulus)». G. Ganglio. 253; 277. G GroLoGIA. « I terreni terziari della pro- vincia di Roma. II. Miocene medio ». De Stefani. 40. — « I terreni terziari della provincia di Roma ». /d. 70. — «I terreni eocenici dei dintorni di Metkovich in Dalmazia e in Erzego- vina ». /d. e A. Martelli. 112. — « Sul rinvenimento del calcare a Fusu- line presso Forni Avoltri nell'alta Carnia occidentale ». AM. Gortani. 316. GEOMETRIA. « Sui numeri infiniti ed infi- nitesimi attuali ». A. Bindoni. 2205. M MarEmaTICA. « Determinazione delle super- fficie algebriche, su cui esistono più di due fasci di curve algebriche unisecan- tisi». U. Amaldi. 217. — « Contributo alla serie degli insiemi ». E. Bortolotti. 11; 45. — « Alcuni teoremi che possono tener .- luogo di quello della media per fun- zioni le cui derivate non sono atte alla integrazione definita ». /d. 118. — « Sulle relazioni algebriche tra le fun- zioni 8 di una variabile, e sul teorema di addizione ». A. Capelli. 241; 245. — «Sugli spazi a quattro dimensioni che ammettono un gruppo continuo di mo- vimenti n. G. Fubini. 53. — « Su una classe di equazioni a radici reali ». O. Miccoletti. 124. — « Sulle proprietà aritmetiche delle fun- zioni analitiche ». /d. 298; 351. — I« Sulla teoria invariantiva delle espres- sioni di differenziali totali di secon- d'ordine, e su di una estensione. dei simboli di Christoffel ». E. Pascal. 105. — « Trasformazioni infinitesime e forme ai differenziali di second’ ordine ». /d. 167. Meccanica. « Intorno ad alcuni particolari movimenti d'un punto sopra una super- ficie ». E. Danieli. 4. MineRraLOGIA. « Osservazioni sopra alcuni minerali del granito di Baveno n. £. Artini. 312; 362. — «La bournonite nella miniera della Ar- gentiera della Nurra (Portatorres, Sar- degna) ». D. Lovisato. 312; 357. — « Rocce a glaucofane di Val d’Ala nelle Alpi occidentali n. A. Rosati. 312. N Necrologie. Annuncio della morte del Corrispondente Magnaghi. 34; sua Commemorazione. 845; — del Socio straniero Zaye. 63. — del Socio Fe- lici. 103; sua Commemorazione. 285 — del Socio Fernero. 144; sua Comme- morazione. 281 — del Socio straniero Virchow. 166; sua Commemorazione. 324 — del Socio T'argioni-Tozzetti. 204; sua Commemorazione. 233 — del Socio Cossa, e sua Commemoraz. 234. — 379 — PALEONTOLOGIA. « Il Lophiodon Sar- dus (n. sp.) delle ligniti di Terras de Collu (Sardegna) ». C. Bosco. 178. — « Il Castoro quaternario del Ma- spino ». /d. 367. — « Sul rinvenimento di un teschio di Squalodontidi nel calcare bituminoso di Ragusa in Sicilia ». G. G. Gemel- laro. 3. — « Microflora e Microfauna nel disodile di Melilli in Sicilia n. Z. Pampaloni. 248. ParoLogia. « Contribuzione alla sistema- tica dei Culicidi con speciale riguardo alla diffusione della malaria umana ». A. Bordi. 318. — « L’avvelenamento per stricnina e i sieri ematici ». D. Lo Monaco. 196. PATOLOGIA VEGETALE. « La bacteriosi della canepa n. V. Peglion. 32. Z ZooLoGia. « Ricerche sul Cytorictes del Guarnieri ». G. 8. Grassi e P. Foà. 241. CAFIAGATRO vera ur ST Tita cui ù 4 né i : ù fa A i HIP: NCCO Ne LOI ul ì JU ti sl Î i * Il DL È x np N: Me” «e ì Ce) Pi AVERE en hi di ug dd DL Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. IXI. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2» MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VEE VIE. Serie 3° — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). Memorir della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XHI. Serie 4° — RenpicontI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XI. (1892-1902) 2° Sem. Fasc. 12°. ReNnDIcONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. (1892-1902). Fasc. 9°-10°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-II. MemORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-VII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della It. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico Hoepi. — Milano, Pisa e Napoh. Hd RENDICONTI — Dicembre 1902. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 dicembre 1902. MEMORIE E NOTE DI SOCI O. PRESENTATE DA SOCI Niccoletti. Sulle proprietà aritmetiche delle funzioni analitiche (pres. dal Socio Dini). Pag. 351 Lovisato. La bournonite nella miniera della Argentiera della Nurra (Portotorres, Sardegna) (pres. dal Socio Struver) + . . DESIO Artini. Osservazioni sopra alcuni nigi he DARA di Haao is Id) ii RUACSRIASOA Bosco. Il Castoro quaternario del Maspino (pres. dal Corrisp. De Stefani). . . . . . » 8367 Indicerdel. vol: Xy 9° semestre 11902 So rr RI RI E O AAA dior INI V. Cerruti Segretario responsabile. : n i - fddo LA n à î hi | ; | 1 di e Ò È Urp ti : 3 î — e, Sa * l LÌ ‘ pi: - ARARON di ap ARSA, 4 AIAR NC i RARE PIRA x i AKARANZAA? | a NE. MSA nni PAAMAARROEERARIARERARINMN, 7 Val £ RARA RA A vba Pai SANRAA p AMARA “A sa Mi, PI SRRRAN x i A Rè , A sha = RARARARAnA À, M san pagARAR GAARA Rn A AVA, AIA AS ” ATA LA. AZ ssi Dl î ffoon. 82 4 PA a. Ù ORI AAA RANANA AAA innnB8% ARA ARRRA ENI Da AnD PANRARIA Mg Lo) ANA 3% A A SITA nt MT pen Lone PaRaeRa "RA ARe AR arnno: AAMANAAA | sh 0. RARARA n PARANOIE RESA la, e an° i ° gPAAggnRA" o N ne n angbDi Di Y ; ni SIATE dar AIAR RA ; RO } BARA FASI mR CN FIN sud Lu ph i Ma, A X RADAR ci RNA polipi RR re RON aa PARNAMAen "O an?" ie AaRanpana®". A ANA Anha KANAA s aaARaa gARA4RN ""ARAGARARR MANCA ARG va AA r Tanf f) AA (at AAAA AAAN N RAR Na AagahO n vi saiali pri A A AA ApAMA a i Ra a È f NANA ANA A ala AAA ansnnARAn e Pa Dna iii, IAA Na IMAA cin Mal za i mafia, MA ua anna MAnRARRA a) SETTA GA MAM, Mn \ È naccRARAARANI AAARAA sab MAago NE AAPRRARAO. RI s Mente I ì i sa AA Ao ARR A) ARR pÀ, -ARARARARR ) Pan ì PARARen na VT Aa Vial ARAGARIMAE RARE î ARIA 10 WESRR allala RARA » Td An n° alia gahd Ag 68 Pal AR «ann A, MARA ge pt RABRARAAn AAAARAANG ii : VI. ARIANNA AA AGIATA, An dol; Ha, qu aa ARAARRAARARA' com MEANA, ifiate SME \AAAA PA hh VIRA AAA IZ III ARIAAAEARAAMAM NANA A A MAN a rele LA RARARAAA ARA ARR SMRASIAMIO ORARIA Iran) nARRACR RALAAI "n ANAAARA n'era Aie A NARRA NSANCIAI aaRa ZAR a AA Renato SALO ARRARAARA Ò dA «A nr ur 2’ È n ni è RLAA Y, À AMARA AAA I acari DI cab Agph Ra RALLAR Haga 0 NAODA sis MARARRNM punta RI Wi oa Lit Num Mg intanto cico 33 ann MAM panne e sr AAA A anfananta, i N°, XRAR i dig pit rh i LA Vico POOR o MA hg Maina Ria NT RAAA n FA NNA MALA ARAA aRAA RARRARI AAANARA SNA pl sana MO Mpa Agnone Mi MERA earanoRA A ia Nb firmp tre e pete nARI eli eglontt Aa2A tear? aa s MAREA Ala RA CIARA Da AA PNAVINATAATAY, SISzra ARAA neRR n 4 RE NANnargr natbt, Pan ; paANANA a ARA SA a VIE RAR È Di , . n ; R_ ARR A \ IA penne - T dà; dà A O pieni va n ‘A RA pi Ra IE Be. 2 Na sana RAMRAMARAA À AA KA AA GAARA PARA AAAANAD AR Mar VALLI a DAMAPAMARAT HM ul MOLTA RAR RANA A 7 NANI TAMA nADA A # A} ap pefiht Dia A lala \ DI Ma DA 7 È I cla ;AMA, VI Baal ME eee ARARARAARAARAA A, A, pfintme7 "ope sa° san NANARAAAN AAA và Ama RARA Tn anzi Anne RAM NWT VANANA NAGAI ssi RANA AGENTE NI META cli AA AAA A aan MARIAE Aash RARA WEI ARE La & È ARAARAARAAANAA NA A £ ANNA ) 000% AANAAANAA ARRRARA ARRRRRAAA NR COTTO Vale GELO sARARenA n IAANAARA Va G RRAGBR ; LASA TR EER / DE a ala RT Vela PE ' a annOBANNRIANI AIA RERRa LOS n and QRr N° (ai ! AAA, la n RRaP RANE To Aero PRA A NANAP In0; vc ARA LLA — Sc RARA: Ù ii N A A A AARAR ita MA ESA RA NR n VLIRANINRA - i AS RAAAAR RANA RARARDA A ampnne n, (RELA Ù ande ARONA NEO È À À NITRO ma cà, si ! IMI ibi 77, sunto si “A ANNI VS ALAOÒ pag PARMA MARRA AAAA ARAAAR À mana ì (Lan a AAnAMARAAR ahh s i FP. AA AAA ta aoebne ARA RARA RA IPEARARR ARA Baz AARR an AA \A A NA NARA ATA Q NANA AA YAIA) ARAN AARNRANEN NN n AAARR; PAGARE tn) ni uu di i; FRAERAGARAARA MM, RARARA | n LA nba Ù n prete” gone gefs Tognon sona VELA sa santa ABS af ARONA AA PAAMAAAAARRARRARA Mm ANA me . SÉ po Ù A Ana ; “pAMARRIABIAAPEME RA. ctaniani A Tata) A nnri AADÉ SME AO I° nl MUNIATATATAIAA Mana NOR RAG DEVE, si RARAA 4 pvt sanoazana rane e si 2 "ba pate ; Spore MA Ma Bei en I - pu a REA re pasa AANAAA: RAARRARAR tig TA pap ARMAN PRAZAARASRA AN asini RRAA "RAG di n i i I ari sprnn san porone RANA ADIA È ria E Di POrTv MAANANAAOI AAA SNAANA ARAAA SA Nara AAA AAA A) RARA PART, NO, Ran" ARAN NANAAANA ARR ARARA ARA Lu RARA sn A MnNMRAAARARARARRA: On AGARARRRARA A Nagano sa di NASA NAMAANAANA AA RARINA SA ANA AA È Ra È AAA nia ARPA pat ST AAAAAA, AopgsaRe, E AARARANAATARRAA OPA, rca Na Î poso hat on, ann” SA RARA RApAAAAnTE, ARA FRAC (ORAL N D n NARAARA CA AMAMI pappo PAR Poerio 0° _ RARRATTAIAT oe LIEVE i WAJAT.Y NEIVACATA SARAAAAAANZ to, n ari pui No Mt IAA ana SITR AAA: ala ia Gad E M A RARARRARANAAA pan pron Mu Ù si spinti pra ANRAAAANAA, spit 0000 cn AG AEREA gf RA Rn TIA Da MARERRTRE pe ef MARRA RERO LALA spa ARA RAeBARAR"" AA H sl DO RARAARANA RRRRAARAANE vip aRRRA soin and 3 > > > i Fa Rhshe ARAA ANN A Niala PARLO A a ala A pAMAAM RA ARARATAATA A Pealala ARR A ARTE RA ARAMACI AMARA ne n ap 3 Di fa i ANIA LA AE USIAZIA INA È ae Ci CVA 11 MAMA % MI “cad SIE RIA MOR 3 “i PA ii SAN gni u% IE SA VUSv UYU VI YU VWWWY UV, di bi. ia VA sivvy VE UMM ch A "VA v vi \SIQUNI SOI, du ARMI usa aa: n, wu Cau vi né Mo: np TL pa E V Si v vi puvWei Vi vi VIVV UV YI VII i iv Hytyoi yu ER dia Pia oi Hg wi VV VII Vy M a Mi i YI g i nnt vi Mo tea v i. Ù) 7 DAL a) ve na cUMI 18 Masio gu vi sl vi Pe I v, VOSALU NAVARRA ROPIN UM LUAVIV) VESTO REGIO, ali Ma i a MR V MEAN, Py Ae IR E n LA \o so AI 4 Mu + Mt È deo à Wii VO gg rat y% gui “i 4 Spr y gol “SA PITTI VV AL e I i iS fa i GUYV i Psp! Di M e MIA: SOVIVIVIOVI i È MM gua i VV IVWVE TAL, IAA ty Vi \M e “ \ hi MM Ange e © “td IU = ci Via , ; Ri 13 VITDNEE si sd a VOLI CREPR a: 0 DI ci Cha SRL PA | 1 uo pe" SM 5 Hi È Net 1 È HEM Vene OS Coi È an ivciyi a AG ; giu VR i, i CA ii | voy î rar Cat LR AI A, Yyua vAAi GiC/9S pis vi “ti. 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