pesi a RITIRI n pere ne e mae E: e eee ce vrann tia Strnini e <-'vrretieciune funi ‘ ò 2 n : . “ha Lal > g SERIA a nni z RIO e TI cea n d 3 ” . «ica 9 nido eda * SE Ret era di dia = : : z ° M prg roma Ù rasamato ASIA "prat FEE Ln ° er are ere e ape reina LT Perri TIE ° È do : è msi siv'aaegieen cia; cid Sir rv tie ITS peiive Site egine eiiTi vina tranne sircarani CERTA LINE DUI IT I AT II i e ein aree AL ETA NENTI OMNES > RI SUITE GNA EM AIMEE ITA TA STI tI a IT en brc 10 parer tamancone arri deine: c atierne aeree IRINA criteri una ; e ia ALT ni I SIA IT et n E n ILE RR RETI II TRITO Iniodtan tea TRI semeneng 2 57 n a Ù ten ni 4 Vergine set vi. " " . 1° Maga ei, ye sto n sa ne Sa peremetz ema > pai = nie re pito choo rt e pe ca i: ST DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCLXXXIX. 1892 SPERI ER E®, UBEINT a A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME LI 2° SEMESTRE (En ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI I \foisi DI "Te ec RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 3 luglio 1892. Ann Matematica. — Sua trasformazione di Bicklund per le superficie pseudosferiche. Nota del Corrispondente Lurcr BIANCHI. « Le note costruzioni geometriche, che permettono di passare da una superficie a curvatura costante negativa a nuove superficie di questa specie, richiedevano fino ad ora ad ogni nuova applicazione, e nell’ ipotesi più favo- revole, l'effettuazione di una quadratura: « In questa Nota dimostro che basta conoscere tu//e le trasformate con- tigue complementari e di Backlund di una superficie pseudosferica iniziale, perchè l'applicazione successiva dei metodi di trasformazione possa eseguirsi illimitatamente con soli calcoli algebrici e di derivazione. Inoltre per tutte le superficie del gruppo infinito, che deriva per tal modo dalla super- ficie iniziale, l'equazione delle linee geodetiche si ottiene in termini finiti senza alcun calcolo d'integrazione. Un effettivo esempio sì ottiene partendo dall'ordinaria pseudosfera o più generalmente da un’elicoide del Dini. « La possibilità di semplificare in tal modo i metodi generali di trasfor- mazione delle superficie pseudosferiche è essenzialmente legata, come si vedrà, alla trasformazione di Bicklund, la cui importanza non sembra sia stata fin qui abbastanza riconosciuta. CORRO ee « È bensì vero che essa si compone di una trasformazione complemen- tare preceduta e seguita da due trasformazioni di Lie, inversa l'una dell'altra. Però, mentre la trasformazione di Backlund e quella complementare sono rea- lizzabili con effettive costruzioni geometriche, lo stesso non avviene per la trasformazione di Lie, il cui significato sembra puramente analitico. JE Formole per la trasformazione di Bicklund. « Riferiamo una superficie S a curvatura costante negativa K = —1 alle sue linee assintotiche (v,v) e sia (1) ds? = du° + 2 cos (20) dudv + dv? la nota espressione del suo elemento lineare, l'angolo 2% compreso dalle as- sintotiche essendo una soluzione dell'equazione 2) dè (20) dU dI « Indicando con X, Y,Z; X,Y,2"; X",Y", Z' rispettivamente i coseni di direzione della normale e delle tangenti alle linee di curvatura nel punto (,v), sussistono le formole == sen (20). dX dX 3 = cosoX'+ senm X” , = = — coswX' + sen w X” ( DX dI PAU 20 l ia X"—cosoX , —=— —X"+ coso X dU dU dv dU ANNI IO) DIM Id —=—-—- X_-snoX, —= — X—senwX, VT du dV dU e le analoghe per Y, Z; Y",Z'; Y", Z". Per le coordinate correnti x, y, e del punto (v,) sulla S abbiamo inoltre : dI (4) ga oX' + cos mX", colle analoghe per y, 2. « Consideriamo ora una superficie S, trasformata di Bicklund della S e sia coso, la distanza costante di due punti corrispondenti di S, $,; diremo allora che S, è legata ad S da una trasformazione di Backlund Bx,. Distin- guendo coll’ indice 1 le quantità che per la S, sono le analoghe delle x, y, <; X,Y,Z ecc. per la S, abbiamo, come è noto: dI e son @ Ki cOstwAel v x: =£+ coso, (seno, X' + c08 0, X") (5) è ya =y + c08 07 (sen wi Y' + cos @, Y") 2; = + coso, (seno, Z' + cos @, 2), i la nuova soluzione ©, della (2) essendo legata alla w dalle formole genera- lizzate di Darboux D er x (0) o) 14 sen 0) o) dU COS 07) (6) d(0,+ ©) 1—seno, "== === (ar) dv OS 0, « Pei coseni di direzione X,, X,, X\" abbiamo poi : X,=— c080, coso; X + coso, sen w, X” — sen o, X X',=(sen@, senm—seno, c0sw, c0s80)X'+-(cosw, seno+sen 0, seno, cosw) X'+ (7) + c08 0, cos w X 1 =(senw, cosw-+seno, cos, senw)X'+ (coso, cosm—seno, sen@, senw)X"— — cos 0) sen mX e analogamente per Y,, Z ece. IDE Teorema di permutabilità. « Se S,, Sì sono due superficie pseudosferiche legate alla medesima superficie pseudosferica S da due trasfor- mazioni di Backlund B.,, B;,, con costanti diverse 0,, 03, esiste una quarta superficie pseudosferica S; legata rispet- tivamente alle S,, Ss da trasformazioni di Bicklund B,, Bg, colle costanti 0;, 0, (!). « È chiaro che dalla superficie S si perviene alla finale Ss sia facendo prima la trasformazione Bg,, indi la B';, sia eseguendo prima la B5,, indi la B',; onde il nome di /eorema di permutabilità. « Per dimostrarlo riportiamo le formole del numero precedente applicate alle due superficie S,, S. e cioè: (8) c,=4+ coso, (senm, X' + coso X"), Co = + cosu, (sen@, X' + cosw, X") colle analoghe in %,,%,.... ove fra ©), 0; ©,, © sussistono le rispettive relazioni d i 14 seno SE nb ER (0) \ du COS 0) ( dae) ein = sen (0, — w), dv COS 0) dI (0, — w) da 1+ sen 03 sm (MO (9%) \ dU COS 09 ( >(0,-+ 0) 1—senoz —eei LO) dv COS G9 (1) Nel caso particolare, in cui una delle due trasformazioni B7, Bo, sia a costante 0 nulla, questa proprietà fu già da me osservata nel T. XIV degli Annali di matematica. Beta papa « Nell'ipotesi dell’esistenza della quarta superficie S3, come viene asse- rita del teorema, distinguiamo per questa superficie tutte le quantità relative coll’apposizione dell'indice 3. Essendo allora S3 legata alla S, da una trasfor- mazione B';,, dovremo avere, per le (5)(7): X3=> Tr + COS 0, Sen ws (sen w, sen © — sen 0, cos wi 08 m) X' + + (cos w, sen @+- sen 0, sen w, cos 2) X" + cos 0) cos wX ) al + €08 03 COS W3 i (sen @, cos © + sen 07 cos @, sen) X' + + (cos w, cos w— sen 0, sen @, sen m) X"— cos 01 sen w X È . « Poichè d'altronde la S3 si ottiene dalla S, con una trasformazione B';,, sarà altresì: Xg = da + 008 0) SEN w3 (sen @, sen © — sen 03 cos ws cos w)X' + + (cos @, sen w + sen 03 sen w, c0s w) X" 4 cos 0, cos mX i - + COS 0) COS Wy i (sen ©» cos © + sen 0, cos ws sen w) X + + ( cos ©, cos © — sen 0, sen w, sen m) X' — cos o» sen wX Ì . « Dal varagone delle due espressioni di #3, tenendo conto delle (8), deduciamo : cos 0) sen @, + Cos 0, sen ©3 (sen w, sen w — sen 01 COS w, C0$ @) + + cos 03 COS 3 (sen @, cos @ + sen 07 cos w, Sen @) = == C0$ 0, Sen wy + COS 0) SEN 3 (Sen w, Sen w — sen G3 COS Ws COS @) + - COS 0) COS @3 (sen w, Cos w + Sen 03 COS w, Sen MW), COS 0) COS Wj + COS 0, Sen W3z (cos ©, Sen © +4- sen 0 sen w, sen W) + + 60$ 0, COS @3 (COS @, COS © — Sen 01 Sen w, Sen w) = = (05 03 COS Ws + COS 0, Sen @3 (cos @”y Sen W +#- Sen 0, Sen ws COS ) + + (08 0) COS 03 (COS my COS m — Sen 0, Sen >, Sen @). « Queste moltiplicate una prima volta per sen @,, cos w,, una seconda volta per sen @,, cos @, e ogni volta sommate, danno le due equazioni : cos 01 sen 0, Sen (0, — w,) sen (03 — n) + [ cos 6, COS (09 — 1) — — cos 0» | cos (0; — 0) = C08 9, — (08 0% c08 (0, — 1) — cos 0, sen 0, sen (03 — ©) sen (03 — 0) + [cos 0, C0S (0, — 0) — — c0s 0 | c0s (03 — 0) = C05 0, — €08 01 C08 (0, — 01) ia aa e risolute rapporto a sen:(@; — ), cos (03 — w) danno: (10) \ sen(0; — w) | cos (03 — ©) ( €080) COSO COS (©, — @;) + seno, seno, — l __ 6080, €080, + (seno, seno, — 1) cos (0 — @) COS 0) COS 02 COS (0, — W,) + seno, seno, — 1 seno, — sen os) sen (0° — 1) 9’ « Le ultime due sono compatibili perchè la somma dei quadrati dei secondi membri dà identicamente l’unità e possono compendiarsi nell'unica formola (11) cos 2 Wi, Wa tang 5 5 gra (ao ) A 2... JIDE Verifica. « Il teorema enunciato sarà dimostrato quando si provi che l'angolo ©3, definito dalla formola (11) ora trovata, soddisfa alle equazioni \ (12) | \ (12%) 7 I(0— 14 sen o; it na (CE n) - II sen(@03 + @1) sid COS 09 DIRI 1—seno; d (03 o) ° sen (03 — 1) dv COS To d(@a= 0 1-4 seno dI (03 — 02) —=: Pra sen (02 — 09) du COS 0) d(03+ ©) 1—seno, dv sen (03 — 0»), COS 0) le quali esprimono appunto che la Ss è una superficie pseudosferica legata alla S da una trasformazione B';, e alla S, da una trasformazione Bione « Ora poniamo per un momento BE do = o dI(0—-0,) 1-+- seno, du __d(0—0,) 14seno ©) 4 sen (@» + C08 09 = ! sen (03 + 0»), dU COS 0) 5 1—seno: E dI(05+) 26 (So dv COS 03 — seno D (©5005) 1T— seno; ACI dv COS 0) LES « Osservando le (9), (9*), troviamo : | 1+- seno; 1+ seno o—-f= ——- sen(0, +) — ———- sen (0, + 0) + COS Gy COS 0) 14 seno, 1+ sen 05 + —__- sen (03 + @,) —— = sen (03 + « HOSICA (03 ) COS 0% (03 i) 1—seno 1— sen 0, y_-d= ———-- sen (0, — 0) — ——T sen (03 — 0) + COS 0, COS 03 l1—seno, l1— sen 09 sen (03 — ws) — a Tal(@=)- COS 07 COS 03 (003 ) «I secondi membri di queste eguaglianze si riscontrano identicamente nulli a causa delle (10). Derivando ora le due identità GA 0) v—-d=0 la 2° rapporto ad v, la 12 rapporto a v ed osservando le identità stesse risulta 1_— seno, l1—T— seno, ——- =cos (0, —0;).a — ——__- (08 (03 — 0,).f = 0 COS 0, (Cì 3) cos 0) ( 2).f 14+sen 0, 14 seno, COS (03 + W;).yYy — COS 0, (03 1) SICA cos (03 + @,).d = 0. « Queste combinate colle identità « = 8, y=d dimostrano che si avrà a pievi —:0:0E purchè non sia l1— seno, CON l—seno, Il ) —-—oea 00 Si! :==R0) ==se--ese AN Pe (09 c0s 9, ; ; cos 0g, ; ; nè 14 sen 0, 14 sen 0, — —- cos (03 +1 0) = —— —— (08 (03 + 03). COS 0, (Cie) cos 0, (03 2) «< Ma se da ciascuna di queste ultime supposta verificata, eliminiamo ©3, servendoci delle (10), troviamo ogni volta una relazione non identica fra ©, 0,, ©s, ciò che è inamissibile, poichè, fissata la soluzione ©, le nuove soluzioni ©, @s definite dalle (9) (9*) contengono ciascuna un' effettiva co- stante arbitraria. Sussistono adunque le (12) (12*) e il teorema di permu- tabitità risulta così dimostrato (1). « Non tralascieremo di osservare che quattro punti qualunque corrispon- denti sulle quattro superficie pseudosferiche S, S1, Sa, Ss determinano i ver- tici di un quadrilatero sghembo in cui due lati opposti conservano la lun- ghezza costante coso, e gli altri due la lunghezza cos o», mentre due lati concorrenti in uno qualunque dei vertici giacciono ogni volta nel piano tan- gente della corrispondente superficie. (1) Senza ricorrere a questa considerazione e molto più direttamente si dimostrano le (12) (12*) (come ho osservato dopo la stampa della presente nota) derivando la (11) rispetto ad «, v e combinando covenientemente le equazioni così ottenuta colle (9) (9*) (10). 22 2 pie IV. Applicazione successiva della trasformazione di Bicklund. « Dal teorema di permutabilità discende facilmente l’altro: «Se di una superficie pseudosferica S si conoscono tutte le trasformate di Bicklund, per ogni superficie derivata si potranno altresì determinare con soli calcoli algebrici e di derivazione tutte le trasformate di Backlund. « Supponiamo infatti di avere integrate le equazioni generalizzate di Darboux. DE) seno dlg+o) _ _1_seno co) DESIO sat nA) dv coso sen(g— ) pel valore generico di o e di aver quindi trovato la soluzione (0,0, 0) della equazione fondamentale (2) colle due costanti arbitrarie 0, C. « Sia S, una trasformata di Backlund della S corrispondente alla soluzione o =YP(U,v,0,, 0) e > una trasformata di S, colla trasformazione generica Bs. Indicando con £2 la soluzione della (2) corrispondente a X e facendo uso delle (11) avremo GELO COS DE Dei LEON, o P(1,0,6,0) ; (14) tang ( 5 ) = >) Sr 3 tang (plot. ) ; sen TOS queste formole ci determinerà in termini finiti le superficie X, escluso il caso che si abbia o = 01. « Ma anche per quest'ultimo caso possiamo facilmente conseguire lo stesso scopo. Immaginiamo infatti che nella funzione p(u,v,0,C) | sì faccia convergere o verso 0, e si assuma per C una tale funzione, del resto arbitraria, di o che C converga contemporaneamente verso C, e in conseguenza g verso w,. Al limite per o = 0, il 2° membro della (14) si presenta sotto forma indeterminata; ma, se facciamo uso delle ordinarie regole, troviamo tang e = C0S 0) “e GI = 2A « E poichè Hd _ è evidentemente una nuova costante arbitraria C', ne risulta definita la più generale trasformata di Bicklund della S, colla trasformazione B;, mediante la formola (SN (15) tang ed c|_ ? che contiene appunto la nuova costante arbitraria C". RenpICONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 2 SS j(( « Ottenuta questa formola complementare, è del resto facile verificarla direttamente; ciò si ottiene derivando le (13) rapporto a o e confrontando le formole così ottenute con quelle che definiscono £. « Indipendentemente dagli esempi effettivi che si daranno nell'ultimo paragrafo, osserveremo che il teorema dimostrato circoscrive esattamente il campo delle funzioni, che si presentano nella applicazione successiva ed illi- mitata delle trasformazioni di Backlund, partendo da una determinata super- ficie pseudosferica. Tale campo è infatti perfettamente definito dalla prima equazione del tipo di Riccati che si incontra nell'applicazione del metodo ('). Le successive equazioni di Riccati sono tutte integrate insieme colla prima e non modificano il campo stesso. V. Equazione delle geodetiche. « L'ulteriore teorema enunciato nella prefazione, che cioè sopra ciascuna superficie S, del gruppo derivato si può determinare l'equazione in termini finiti delle linee geodetiche senza alcun calcolo d'integrazione, è una sem- plice conseguenza dei risultati generali sopra esposti. E in fatti se chia- miamo ©, la soluzione dell'equazione fondamentale (2) corrispondente alla Sy, potremo, per quanto precede, determinare con calcoli algebrici e di deriva- zione la soluzione più generale 4 del sistema dg — n) dr da \ >; = sen(g+ n) SIC sE 0,) (00 sn (y— 0). « Questa è una funzione («, v, C) contenente una costante arbitraria C. Derivando le precedenti rispetto a C e ponendo dI == loo y (©) 90 troviamo : dY dYU =_= == COS —==ACOS = "> (g 7178 0) tg ( On) , onde segue che la funzione w contenente la costante non additiva C è un integrale dell'equazione a derivate parziali 4, y es 1 , ove 4,y — sen? (20,) (E, 39 S 2 cos 20, oo (1) Scrivendo le (13) come un’unica equazione a differenziali totali, assumendo come ; ; 1 1 3 5 È ARRE funzione incognita tang 6 P ): sì ha appunto l’equazione di Riccati qui accennata. (| VSS è il parametro differenziale primo della w calcolato rispetto all'elemento lineare ds,î = du? + 2 cos 20, dudv + dv della superficie S,. Per note proprietà dell'equazione delle geodetiche (') segue che l'equazione in termini finiti delle geodetiche sulle S, è data da dY 20 zione in termini finiti delle geodetiche sulla S, è dalla relazione —= C'. Abbiamo dunque il teorema che si voleva stabilire: L’equa- dP_ dI, n Cana 50 ove C' è una nuova costante arbitraria. VI. Esempio. « Partiamo dalla soluzione evidente © =o della (2) e prendendo KC=0 y=0 s=UHv X= cos(u—%v),Y= sen(u—v),Z=0 x —=—sen(u—v),Y =cos(u—0v),Z =0 ero Ve 0 Ve risulteranno soddisfatte le (3) (4); potremo quindi applicare il metodo gene- rale anche in questo caso, ove soltanto si presenta la particolarità che la su- perficie iniziale S si riduce all'asse <. Le equazioni (13) danno qui per l'in- tegrale generale ii Vir SS), da: 2 cos 0 sostituendo nelle (5) vediamo che le superficie derivate sono elicoidi del Dini, aventi cioè per profilo meridiano una trattrice che ha l'asse dell’elicoide per assintoto. Nel caso particolare o — 0 si ha la pseudosfera. « Se prendiamo una particolare elicoide o Di CHI ut v+4 seno (u— v) LC O= TAI RRARAI olo ; cos o pa avremo, per la (14), la trasformata generica di Bicklund della S, colla tra- sformazione B; dalla formola Il — (16) tang 9 (1) Vedi p. e. Darboux Zegons T. II, pag. 429. DEA (2) pesi « Nel caso particolare o — 0, adopereremo invece la (15), che dà i AC mne — rr TO tane ( l ) È cos o, cosh a) « Se prendiamo ad esempio due particolari superficie (16) corrispondenti alle formole ove o", 0" sono due costanti arbitrarie diverse fra loro e da 0, ed applichiamo nuovamente la (14) troveremo: ren CS 04 oloni nie. ir eni > ]senl che ci definirà le trasformate di Bicklund delle (16). Potremo per tal modo proseguire indefinitamente senza alcun calcolo d'integrazione. In ciascuna su- perficie del gruppo infinito, che così si ottiene partendo dalle elicoidi del Dini, le coordinate correnti di un punto mobile sulla superficie si esprimono evidentemente per funzioni ordinarie, circolari ed esponenziali, dei parametri u,v delle linee assintotiche. Si osserverà che l’esistenza di un tale gruppo di superficie pseudosferiche, dipendenti unicamente da funzioni ordinarie, non era a priori evidente. Terminerò coll’osservare che il teorema di permu- tabilità vale non solo per le superficie pseudosferiche isolate, ma ben anche el sestemi tripli ortogonali di Weingarten (!). Ma di ciò mi riserbo di trattare in una prossima Nota ». (1) Vedi la mia Memoria nel T. XIII degli Annali di matematica. Ara [DA Ga Fisica. — /enomeni luminosi prodotti dai conduttori percorsi dalle scariche elettriche e posti nell’aria rarefatta. Nota di Giu- SEPPE VICENTINI, presentata dal Socio BLASERNA. « Ho continuato le ricerche descritte nella precedente Nota ('), per meglio studiare i fenomeni di scariche luminose che si manifestano nel caso di un conduttore cilindrico di rete metallica, posto nell'aria rarefatta. Tali fenomeni sono di due sorta. Gli uni di luminosità interna del cilindro, gli altri di luminosità esterna. « Per quanto si riferisce a questi ultimi, ho voluto esaminarli con un cilindro massiccio portato da un conduttore rettilineo di rame, che lo attra- versa secondo l’asse. La fig. 1 ne dà la sezione. « Posto il conduttore nel solito circuito, esistendo nel pal- lone che lo contiene la voluta rarefazione, e stabilita la mas- sima distanza esplosiva al polo positivo della macchina elettrica (non armata di condensatori) tutt'attorno alla superficie cilin- drica, sia del cilindro che del conduttore che lo porta, si forma una guaina luminosa, mentre dai centri delle due basi del cilindro partono due nappe luminose del tutto simili a quelle riscontrate nel caso del cilindro cavo di rete metallica. Nella fig. 1 si ha, in modo schematico l'aspetto del fenomeno lu- minoso. « Per stabilire poi se nel caso di un cilindro cavo; con pareti continue. si producono pure delle scariche luminose in- terne, simili a quelle studiate nel caso della rete, ho ricorso ad un cilindro cavo di ottone, avente un foro nel punto di mezzo di una sua generatrice rettilinea. « Sottoposto il nuovo conduttore all'esperienza si vede, pur conservandosi le apparenze luminose esterne, che dal centro del foro, esce un pennello lu- minoso, di sezione assai più piccola di quella del foro, e che ad una certa distanza dal mantello cilindrico, si espande a forma di fiocco. Questa scarica laterale è del tutto identica a quella che si manifesta su qualche punto della rete metallica, quando il suo interno diventa luminoso (pag. 239-240 della Nota precedente). « Cercando di guardare nell'interno del cilindro attraverso al foro, l'oc- chio ha l'impressione di una luminosità viva, eguale a quella della rete. Facendo avvenire la massima scarica al polo positivo della macchina elettrica, la luce i I I i i i ill ll | i | 1 i Fic. 1. (1) G. Vicentini, Rendiconti R. Acc. Lincei Vol. I°, 1° sem., pag. 235. 1892. LI che esce dal forellino è più debole e si espande subito tutt'intorno, sotto forma di fiocco assai dilatato. « Se anzichè stabilire le due distanze esplosive sul circuito, si tiene solo la massima, davanti al polo negativo (macchina armata coi piccoli conden- satori) ad ogni scarica si vede uscire dal foro il detto pennellino coll'aspetto di un dardo luminoso, che ad una certa distanza dal cilindro si espande a fiocco. « Le prove fatte col cilindro cavo, forato, posto nell'aria rarefatta, mo- strano dunque che quando nel suo interno esiste aria rarefatta, comunicante colla esterna in un punto, può avvenire una scarica luminosa anche nello spazio interno, il quale nel caso di equilibrio elettrico, è sottratto all’azione delle cariche elettriche. « Abbandono però la considerazione di questo fenomeno, per occuparmi ora soltanto delle scariche luminose esterne, quali sono quelle rappresentate nella fig. 1. Come si rileva da essa, tutt'attorno al conduttore si hanno delle scariche, che rappresentano in certa maniera il campo elettrico provo- cato dal conduttore, mostrando quale è la via seguita dalla elettricità che si scarica lateralmente nell'aria rarefatta o in altri termini indicano come si produce la convezione elettrica tutt'attorno al conduttore. « Il fenomeno, osservato nel caso che la scarica massima sia al polo positivo, si riproduce anche colla massima distanza esplosiva tenuta all’altro polo della macchina, ma però in modo meno evidente. In quest’ultimo caso le scariche a forma di ombrello, delle due basi, si manifestano troppo deboli per essere bene distinte e solo le prove fotografiche le rendono visibili. Ciò almeno quando si usano i mezzi di cui posso disporre per le mie esperienze. « Ho voluto esaminare quali modificazioni avvenissero neile scariche laterali, quando variasse la forma del conduttore, e prima di tutto ricorsi ad un semplice disco fissato normalmente ad un conduttore di rame, nel suo centro. La fig. 2 dà la forma della scarica ottenuta. Le linee curve, a seconda delle quali si produce la scarica delle basi, mostrano la tendenza a riunirsi lateralmente, come le linee di forza dei due poli d'una lamina magnetica. « Noto ora per sempre, che nelle figure schematiche che riproduco, sono segnate soltanto le parti luminose che risaltano in modo speciale sopra la rimanente parte del gas che diventa più debolmente luminoso. « Nel caso di due dischi paralleli infilati sopra un asse comune, la sca- rica avviene allo stesso modo, solo le nappe luminose che si sviluppano fra i due dischi si respingono deformandosi ; i loro tratti affacciati finiscono col correre parallelamente come indica la fig. 3. « Se i due dischi sono molto ravvicinati, le due nappe interne si fon- dono insieme, provocando una luminosità assai più viva, che esce dallo spazio limitato dai dischi, mantenendosi però sempre distinta dall'involuero luminoso degli orli dei dischi stessi, quale si vede rappresentato nella fig. 3. =. pe « Tanto se i dischi sono molto vicini, quanto se sono lontani, alle mas- sime rarefazioni, specialmente toccando la parete del pallone racchiudente il conduttore, si può ottenere una scarica luminosa cilindrica assai intensa fra disco e disco. «I fenomeni descritti si riproducono anche quando i conduttori impri- gionati nei palloni ad aria rarefatta comunicano solo con uno dei poli della macchina, fra i quali avvengono le scariche. « Analogamente, facendo comunicare un polo della macchina con uno dei capi del conduttore rinchiuso nel pallone (l’altro capo di esso terminando tutt'al più con una piccola sfera per togliere la dispersione) e l’altro polo derivandolo al suolo, i fenomeni si riproducono alla stessa maniera; solo sono tutto al più meno intensi. « Ben diverso è il comportamento che si osserva fra le basi di due cilindri riuniti pei loro centri con un filo conduttore (fig. 4). In questo caso Nes 2 Fic. 4. le nappe luminose che partono dal centro delle basi affacciate si riuniscono fra loro lasciando uno spazio centrale quasi oscuro, nel quale solo risalta la guaina luminosa avviluppante il filo di congiunzione dei cilindri. « Più sopra è detto che i fenomeni finora descritti si manifestano anche ponendo uno solo dei capi del conduttore portante i dischi, in comunicazione con uno dei poli della macchina, mentre fra i due poli di questa avvengono le scariche. « In seguito a tale osservazione ho pensato di introdurre una coppia di dischi, sostenuti da un conduttore, nel modo indicato dalla fig. 5, nell’in- terno di un pallone a due tubulature. (La superiore, di fronte al disco estremo, era quella posta in comunicaziorie colla macchina pneumatica). IE (n « Ho incominciato le prove quando nell'interno del pallone esisteva qualche traccia di umidità, e quindi sebbene l’aria fosse cacciata da esso quasi completamente, v'era una certa pressione. « Colla massima distanza esplosiva, al polo positivo, si vede che la scarica a nappe luminose, si forma attorno al disco inferiore; mentre attorno al superiore, libero da una parte, l'ombrello luminoso si manifesta solo sulla faccia rivolta al disco inferiore. Tali scariche sono però molto limitate, benchè abbastanza distinte. Le nappe luminose, del disco inferiore, partenti dalle due faccie, sì riuniscono costituendo un unico involucro. « Spingendo molto avanti la rarefazione (essendo il pallone perfettamente secco) alle scariche della macchina corrispondono delle scariche luminose cilindriche fra i due dischi, mentre il rimanente del pallone rimane quasi OSCUro. « Ho staccato dalla macchina il pallone a una pressione di circa 0,1 mm. Avendolo fissato, colla tubulatura attraversata dal conduttore di rame por- tante i dischi, al morsetto di un sostegno Bausen, all'atto delle scariche della macchina elettrica, il pallone si rende molto luminoso tutt’attorno ai dischi, mentre dal disco estremo, in corrispondenza al centro, e quasi normal mente ad esso si stacca un pennello intensamente luminoso, cilindrico, della sezione del filo di rame portante i dischi, e che va a percorrere la parte fi assiale della seconda tubulatura del pallone. Tale pen- nello si mostra sensibilissimo all’azione dei conduttori circostanti, tantochè portando la mano alla distanza di 40 cm. circa, dal collo del pallone, si vede fortemente respinto. Nella fig. 5 è rappresentato mediante un fascio punteggiato, ma bisogna ricordare che esso si forma senza le altre apparenze luminose segnate nella figura stessa. « Prove col rocchetto di Ruhmkorff. — Ho voluto vedere se i fenomeni fin qui considerati si possono avere impiegando il rocchetto di Ruhmkorff. Ricorsi all'uopo all’apparecchio delle dimensioni già citate in altra Nota, eccitato dalla corrente di 6 coppie Bunsen. « Col cilindro a rete metallica ho ottenuto tutti i fenomeni descritti e qui varie volte richiamati, della Nota precedente. Tanto le scariche laterali, quanto la Fig. 5. scarica luminosa interna si ottengono assai intense a seconda del segno della corrente eccitatrice del rocchetto. Altrettanto sì dica per quanto fu esposto relativamente ai dischi. « Non è senza interesse il ricordare che le apparenze luminose si otten- gono tanto col conduttore (avviluppato dall'aria rarefata) intercalato nel cir- cuito del rocchetto, con una grande distanza esplosiva, quanto stabilendo la Soi = comunicazione di un estremo del conduttore stesso con una delle aste dello spinterometro, fra le quali avvengono le scariche del rocchetto. « Nel caso dei dischi, gli ombrelli luminosi, come pure la scarica in- terna nella rete metallica, si ottengono più belli armando il rocchetto con un condensatore. « È pure da notare che le nappe luminose che si formano attorno ai dischi, si manifestano specialmente con un determinato senso della corrente eccitatrice ; coll'opposto, si forma invece molto bella la scarica cilindrica fra disco e disco. « Coi dischi disposti come nella fig. 5, specialmente col rocchetto armato di condensatore, sì ottiene molto evidente il fenomeno della fig. 5 ». Nota. — Le figure schematiche riportate nella presente Nota, sono tolte dalle prove fotografiche dei fenomeni studiati. Le esperienze fin qui descritte dei fenomeni luminosi considerati nelle varie Note, sono state eseguite nel laboratorio di fisica della R. Univer- sità di Siena. Chimica. — Aicerche intorno alla composizione dell'essenza della Cochlearia Armoracia('). Nota del dott. GrovanNI SANI, presentata dal Socio KORNER. «I risultati avuti dall’Hofmann (°) nello studio dell'essenza di Cochlea- ria Officinalis facevano desiderare una nuova investigazione dell’essenza di Cren (Cochlearia Armoracia), inquantochè i lavori sinora eseguiti intorno a questo argomento datano tutti da un'epoca in cui un solo termine delle così dette essenze di senape era conosciuto. Ho intrapresa questa ricerca nella speranza di riscontrarvi una qualche nuova carbilammina. L'esperimento non ha confermato tale previsione, ma ha condotto al risultato non aspettato che l'essenza della Cochlearia Armoracia per composizione e proprietà è del tutto identica alla solfocarbilammina allilica della senape nera. « L'essenza soltanto in piccola parte preesiste nella radice della Cochlea- ria, ma si forma in assai maggiore quantità colla macerazione nell'acqua in seguito ad una sp.cie di fermentazione di un glucoside contenutovi. Per cui ho operato nel modo seguente: « Le radici di Cren, raccolte durante l'autunno e l'inverno, furono smi- nuzzate e finmamente contuse in un mortaio ed indi messe in macerazione con acqua in grandi matracci chiusi, mantenendo il tutto alla temperatura di 35°-40° per 24 ore. Un ripetuto trattamento con etere solforico elimina l’es- (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di chim. org. della R. Scuola Sup. di Agricoltura. Milano. - i (2) Berichte der deutsch. chem. Gesellsch. Vol. II, pag. 102, Vol. VI, pag. 508. ReENDICONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 3 LD CSS senza, che assieme ad una piccola quantità di solfo libero, rimane in seguito alla distillazione dell’etere sotto forma di un liquido di color bruniccio e d’un odore disgustoso. Questo liquido si ottiene nella quantità di 1 a 1!/» per mille della radice impiegata. Sottoposto alla distillazione, passa in massima parte tra 150° e 151° dando un liquido molto mobile, incoloro, rifrangentis- simo, di odore irritante agliaceo e che si altera all'aria specialmente nella luce, colorandosi in giallo. Il suo peso specifico, determinato col picnometro, fu trovato 1,038. All’analisi fornì i seguenti risultati : gr. 0,258 di sost. diedero gr. 0,421 di CO? e gr. 0,129 di H°O corrispondenti a carbonio p. c. 48,25 e idrogeno p. c. 5,46. gr. 0,2538 di sost. diedero c.c. 31,5 di azoto a 15° e sotto 743,5" di pres- sione, corrispondente ad azoto p. c. 14,44. « Questi numeri conducono alla formola C4H®NS che richiede p. c. calcolato trovato (0, 48,48 48,25 H 5,05 5,46 N 14,42 14,44. « Per controllare questi risultati fu preparata la solfurea, facendo agire l'ammoniaca sull'essenza ottenuta. Il prodotto risultante purificato per cristal- lizzazione dall'alcool si presenta sotto forma di prismi splendenti incolori, fusi- bili a 70°. L'analisi condusse alla formola — C*H8 N? S. Infatti: gr. 0,327 di sost. diedero gr. 0,4946 di CO? e gr. 0,2052 di H°O corrispon- denti a carbonio p. c. 41,22 e idrogeno 6,72; gr. 0,1144 di sost. diedero c.c. 24 di azoto a 15° e sotto la pressione di 753,51" pari a 24,21 di azoto p. c. 24.21. «Per C* H° N° S calcolato trovato (0, 41,58 41,22 H 6,99 6,02 N 24,13 24,21. « Il dott. Artini ha gentilmente studiate le costanti cristallografiche di questa solfurea ed ha trovato perfetta identità colla tiosinammina ordinaria. « L'insieme di questi fatti dimostra con ogni certezza la perfetta iden- tità dell'essenza di Cochlearia Armoracia colla solfocarbilammina allilica e ottengono così nuova conferma sperimentale le conclusioni cui giunse il Winkler intorno all'esistenza di mironato potassico nella radice di quella pianta ». ETRE (10) Chimica-fisica — Sul peso molecolare e sul potere rifran- gente dell'acqua ossigenata (*). Nota di G. CARRARA, presentata dal Corrispondente NAsINI. Peso molecolare dell’acqua ossigenata. « Intorno all'acqua ossigenata o biossido d'idrogeno si è molto lavorato in questi ultimi anni; ma riguardo al suo peso molecolare ben poco ancora è stato fatto. « Dai risultati analitici già dati dal suo scopritore, il Thénard, si sapeva che questa sostanza conteneva una quantità doppia di ossigeno dell'acqua co- mune e che perciò la sua formola in equivalenti era H 0. Questa formola poi nel sistema attuale dei pesi atomici divenne H,0;, considerando vera- mente il composto come acqua ossigenata H,0-+-0. « La formola più semplice sarebbe HO, ma questa in generale si esclu- deva stante la poca volatilità ed in considerazione di alcune reazioni che l’acqua ossigenata presenta. Gli autori più rigorosi (?) si limitano a dare all'acqua ossigenata la formola (HO), senza pronunciarsi sul valore di x. « La facilità con la quale l’acqua ossigenata si scompone non permetteva di determinarne la densità di vapore e quindi il suo peso molecolare. « Fra i metodi, per stabilire questo peso molecolare, dei quali la scienza si è arricchita in questi ultimi anni, quello che meglio si presta per risol- vere il problema è certo il metodo crioscopico. G. Tammann (?) servendosi appunto di esso fece delle ricerche con le quali giunse alla conclusione che all'acqua ossigenata spettasse la formola H,0,. « Il modo strano con il quale egli arrivò a questa conclusione, dati i suoi risultati esperimentali, mi spinse a rifare le osservazioni, cireondandomi di tutte quelle precauzioni che credetti necessarie per evitare le cause d'er- rore dovute alla grande facilità di scomposizione dell’acqua ossigenata. « Le soluzioni acquose di acqua ossigenata delle quali mi servii, o pro- vengono dalla purificazione di quella già abbastanza pura del commercio, 0 vennero preparate dal biossido di bario e anidride carbonica e ulteriormente purificate. Dopo essermi accertato dell'assenza assoluta di acido cloridrico e cloruri precipitai l’acido carbonico o solforico insieme con poca allumina per mezzo dell’idrato di barite e eliminai le ultime tracce di idrato di bario con la corrispondente quantità di acido solforico. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Padova. (2) Richter-Piccini, pag. 92, edizione 1889. (8) Zeitschrift fir physikalische Chemie IV, 1889, pag. 441. SRG S « L'acqua ossigenata così ottenuta era perfettamente neutra non conte- neva nè cloruri, nè solfati, nè acido carbonico, nè barite e non lasciava re- siduo fisso. Venne concentrata dove occorreva sia congelandola e usando la porzione rimasta liquida come propone Hanriot ('!), sia al solito nel vuoto sull'acido solforico. « Le determinazioni d'abbassamento del punto di congelazione vennero fatte con l'apparecchio e col termometro del Bekmann, usando una spirale di vetro per agitatore, perchè il platino provoca una scomposizione dell’acqua ossigenata per catalisi (?). « L'’abbassamento termometrico è sempre la media, per lo meno, di tre determinazioni non mai più distanti fra loro di un centesimo di grado. « Per ogni concentrazione feci due e talvolta tre determinazioni quan- titative, cioè, prima e dopo il congelamento. « Queste determinazioni vennero fatte pesando ogni volta la quantità di soluzione sulla quale si operava e titolando poi per mezzo del permanganato. « I numeri ottenuti furono sempre o concordanti del tutto fra loro o diffe- renti solo nei limiti degli errori d'osservazione: in questi casi si prese la media. rn Abbassamento Coefficiente eno in 100 gr. | termometrico 7 |d'abbassamento BOSCO d’acqua per H, 0, 0.199 0.12 0.603 20.50 0.337 0.20 0.593 20.16 0.382 0.235 0.615 20,91 0.452 0.265 0.586 19,92 0.659 0.39 0.591 20,09 0.662 0.40 0.604 20,58 0.876 0:50 MO:570) 19,38 1.139 0.65 0.570 19,38 1.554 0.905 0.582 19,78 2.398 1.35 0.577 19,61 3 240 1,84 0.567 19,27 3.295 1.88 0.570 19,38 (1) Bull. Soc. Chim., anno 1885, XLIII, pag. 468. (2) A questo riguardo giova ricordare che A. Piccini nella determinazione dal geno antozonico a mezzo del permanganato nei fluossiipermolibdati osserva: che usando recipienti di platino si hanno numeri sempre più piccoli, e tanto più quanto maggiore (per un dato peso di sostanza) è il volume del liquido, ossia quanto maggiore è la superficie del metallo bagnato (A. Piccini: Azione dell’acqua ossigenata sopra alcuni fluossisali e fluosali. Ricerche dell'Istituto chimico di Roma. Anno 1990-91 pag. 56). SI] } « Dai risultati sopra esposti si vede, come anzichè la formola H,0,, all'acqua ossigenata spetti la formola H:0;, perchè l'abbassamento moleco- lare nei limiti di concentrazione da me esperimentati corrisponde abbastanza bene al teorico, tenuto conto delle difficoltà dovute alla facilità di scompo- sizione, e delle oscillazioni che molte sostanze mostrano intorno al valore teorico dell’abbassamento molecolare. « Ben diversi sono i risultati che ottenne G. Tammann. Egli sperimentò sopra otto soluzioni di concentrazioni tali che erano comprese fra 0,295 e 1,331 e trovò che i coefficienti d'abbassamento variavano tra 0,370 per la prima e 0,590 per l'ultima. « Evidentemente da queste esperienze non si potrebbe dedurre alcuna conclusione sia in favore della formola H,0, sia in favore di quella H,0,. « Infatti per la concentrazione minore si avrebbe un abbassamento mo- lecolare di 12.58 e per la concentrazione massima di 20.06 per la formola H.0;: per la formola doppia naturalmente abbassamenti molecolari doppî cioè 25.16 e 40.12. « Però se qualche cosa si volesse dedurre sembrerebbe anzi che venisse in appoggio alla formola Hs0.. « Ecco invece come il Tammann giunse alla sua conclusione: trovò che le variazioni del coefficiente d’abbassamento non si potevano esprimere con una sola equazione, ma che se ne dovevano usar due; una per le soluzioni più d.luite ed una per quelle più concentrate, la prima era v= 0,258-+ 1,395 7, dove v rappresenta il coefficiente d'abbassamento e x il numero delle molecole per 1000 gr. d'acqua; la seconda v=0,440 + 0,385 n. « Le due rette rappresentate dalle due equazioni si incontrerebbero per una concentrazione x= 0.18. « Prendendo l’equazione relativa alle soluzioni più diluite per 2 =0 ossia per una diluizione infinitamente grande si avrebbe v=0,258. Il Tammann considera questo valore come il vero coefficiente d'abbassamento dell'acqua ossigenata in soluzione diluita; e poichè moltiplicando 0,258 per il peso mo- lecolare corrispondente alla formola H, 0; si avrebbe 8.79, metà circa dell'ab- bassamento teorico, così concluse che l'acqua ossigenata ha la formola H40.. « Questo modo di calcolare il coefficiente d'abbassamento per estrapola- zione mi sembra strano, e non è a mia conosescenza che sia stato mai usato quando le differenze nei valori trovati esperimentalmente sono così forti; aggiungasi poi che il comportamento dell’acqua ossigenata nelle esperienze di Tammann sarebbe molto singolare, visto che il coefficiente d’abbassamento andrebbe scemando con la diluizione o in altri termini con l'aumentare della diluizione si farebbe maggiore la complessità molecolare, mentre accade sempre il contrario. « Invece, come io ho esposto, salvo qualche piccola irregolarità il coeffi- ciente d'abbassamento si mantiene abbastanza costante e accennerebbe piut- Rao ge tosto a diminuire con l'aumentare della concentrazione e coincide quasi con quello che si deduce dalle ultime determinazioni di Tammann, per le quali egli trovò 0,564 e 0,590 per le concentrazioni rispettivamente di 1,080 e 1,331. « Non saprei spiegare le differenze notevoli che Tammann ha trovato per le soluzioni più diluite, a meno che egli non avesse usato di diluire volumetricamente una soluzione più concentrata senza accertarsi volta per volta del percentuale; nel qual caso è possibile che nelle manipolazioni la concen- trazione sia diminuita e gli errori per quanto piccoli con l'aumentare della diluizione si sarebbero resi sempre più sensibili sul risultato finale. Potrebbe anche darsi che il Tammann avesse impiegato un agitatore in platino o avesse fatto i dosaggi in recipienti di platino. Potere rifrangente dell’acqua ossigenata. « È noto che i polimeri hanno ordinariamente un potere rifrangente che va facendosi di mano in mano più elevato col crescere della condensazione molecolare : volli perciò vedere se l’acqua ossigenata corrispondesse alla somma del potere rifrangente dell’acqua comune più quello dell'ossigeno, con- fermando così per altra via e per soluzioni più concentrate il comportamento crioscopico. « Ho determinato il potere rifrangente servendomi del metodo delle mi- nime deviazioni prismatiche e facendo uso di uno spettrometro di J. Eiss di Vienna che il prof. Battelli mise gentilmente a disposizione di questo Istituto: questo strumento permette di far letture con la approssimazione di 10". «Non avendo a mia disposizione un prisma per temperatura costante, dovetti accontentarmi di esperimentare alla temperatura ambiente e perciò non potei spingere la concentrazione oltre il 25 per 100 in causa della scom- posizione che sopravveniva nelle diverse manipolazioni. Gli indici di rifra- zione furono determinati rispetto alle righe a —#—y dello spettro dell’idro- geno e alla riga D del sodio. «I pesi specifici si riferiscono all'acqua a 4°; le pesate furono ridotte al vuoto. « ]l potere rifrangente specifico dell’acqua ossigenata fu dedotto da quello delle sue soluzioni mediante la nota equazione pi pill 00 o p P dove R è la rifrazione specifica della sostanza disciolta (rispetto alla formola o n°), R' è quella corrispondente alla soluzione, R” quella del solvente, p il percentuale della sostanza disciolta. Qi s d a 0 S Hi odi Di ACSIE DINI n 0 E dr 0 55 | |3 > © SS 29 pal © S.S E FI OMOMBORO AS. — 2 = D mn = = Î D è t DRS ® tm 8 OMESSA = a 16 ad i 10 = | wx_ [A Rd a S = mali sdirad NH DI N 19 19 0 O be | itiMB= A 001 (Co È s| + COMICOMICONIO o a 8 Him dia mr So. (SE SS Si 3. è ei = Gi IS O 10 10 e È | (sl © 0 E Ea Hd S fd wu INESBRIS + OMERO £CR S GE ala 3 Sh E © © STE Ra” = x TL o + o e IESIES qieÙoa = Dì Sì Sì D Aa tO Cozie = "Tm O 00 © c0 3 | OMERO DS Cc Dc ce E pì Ia e SINTOMO 39 = © CONFINE | CANINE S | co Lio Ri IS sl= NI GI I Hu E RO COMSOICORICO (OS OMERO 1 = -iolaà SGRETOOMNO [zx] di Sd Si, CEMCOMCORMICO i re Loon.! al 0 HO O I SO S (o H © © m Hi sd # 0 Si m 0 cì Hu n TH © 0 3 sd N eo o A Cc NH a S o dd d # = 9 mn el I il mal o © E c © 6 QI 15 IS VORO MO&W [cel co = di i a © ti e en \ml Sn Sd 00 = ql Si tm Da © O Ri esi GI RA. A ret red A a Qi & fa eanzeIedua ], RI RA NI IN QuUOIZn]os Ip © nie O0T UL 3 Id. — Sull'escursione diurna della declinazione magnetica a Milano in rela- zione col periodo delle macchie solari. Milano, 1892. 8°. Saccardo P. A. — Sylloge fungorum omnium hucusque cognitorum. Vol. X. Supplementum universale. Patavii, 1892. 8°. Salvaîta y Comas J. — Elogio finebre del Dr. D. Fructuoso Plans y Pujol. Barcelona, 1892. 8°. Stossich M. — I Distomi degli uccelli. Trieste, 1892. 8°. Id. — Nuova serie di elminti veneti raccolti dal D. P. Alessandro C.° Ninni. Zagreb, 1891. 8°. di 1 i Tassoni L. — Giovane radice di cynara cardunculus L. Alessandria, 1892. 8°. Trémols y Borrel F. — Necrologia del D. Antonio Sanchez Comendador y Pagniucci. Barcelona, 1892. 8°. Valenti G.— Intorno ad una anomalia di sviluppo dell'ovo umano. Perugia, 159280. Valentini C. — Forma delle briglie. Milano, 1892. 8°. 7/1} (pena RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 17 luglio 1892. AAA AAA nzn Matematica. — Sulle deformazioni infinitesime delle superficie flessibili ed inestendibili. Nota del Corrispondente LurGI BIANCHI. Di Le formole di Weingarten. « Per l'oggetto della presente Nota occorre dapprima riassumere le for- mole generali relative alla teoria delle deformazioni infinitesime date da Weingarten nel volume 100 del Giornale di Crelle. « Sia S una superficie arbitraria, riferita ad un sistema (v,v) di coor- dinate curvilinee. Indichiamo con #, y, < le coordinate di un punto mobile su S, con X, Y, Z i coseni di direzione della normale e poniamo (1) dX° + dY° + d2° = edu? + 2fdu dv + gdv® (2) —(dxdX + dydY + dedZ) = Ddu® + 2D' dudv + D" dv. « Supponiamo che la S subisca una deformazione infinitesima, che non ne cangi l'elemento lineare, e per ogni punto P= (7, y, ) della superficie indichiamo con (A) . “Yo bI €50 b) ove e è una costante infinitesima, le componenti secondo gli assi dello spo- stamento che riceve il punto P. La ricerca delle funzioni incognite 0, Yo, &o RenpIcoNTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 6 eo pena viene ridotta da Weingarten a quella di un’ unica funzione % («, v), di carat- tere invariantivo, che egli chiama la Versehiebungsfunction (!) e che qui diremo la funzione caratteristica. « Nota la funzione g si hanno per quadratura o, o, so dalle formole : D(x3E_gÈ)_p(x RTP 2) dI dv dv I di dU (3) RE LEE r dp QX _ d@ X D (xy 2°) _p"(x POI 2) DE) dV dv du dU dd Veg—f? e dalle analoghe per yo, «o. Indicando poi con Pr, Sie, S22 le derivate seconde covarianti (?) della g rapporto alla forma differen- ziale (1), cioè ponendo IRE BL); dg MEOLO BIO ro (I) 0 INZI) 0 OT. si d@w__(12) 29 Pie T du dv i VAR) dg | (22) dw (22) 39 YP22 7590 fra Sicani 3 \ dv? (I) Qi) de (ri ove i simboli di Christoffel Uol s'intendono calcolati per la forma difte- DI renziale (1), la funzione caratteristica g deve soddisfare alla equazione di 2° ordine (4) D (42° +99) — 2D' (gir + fp) +D" (pu + eg) = 0. « Inversamente ogni soluzione 4 della (4) è funzione caratteristica di una deformazione infinitesima della S. Questa è un puro movimento solo quando si assuma g=0X+bY+ cd, con 4, db. c costanti. (1) Questa funzione 4, come ha osservato il prof. Volterra, ha un significato cine- matico molto semplice. Essa rappresenta la componente secondo la normale della rota- zione subita da un elemento superficiale di S. Cf. la Nota di Volterra in questi Rendiconti 6 aprile 1884. (2) Gregorio Ricci, Derivazioni covarianti e controvarianti. Padova, 1888. 9 A « Per le variazioni dD, 0D', dD" subìte da D, D', D' dopo la defor- mazione, Weingarten stesso ha date le formole (!): I DZ D' (9 Dip +9) Visto: ai L ] = —£—[ D'(9g04/9)—D(4e+49)] (5) Vep—af"- De I), (ro + /9 + D'(n + eg) V geni i dD'— stri D'(Y1 =— f4) a” D' ($29 +99) | LU ell ) II Superficie associate. « Consideriamo una deformazione infinitesima della superficie S, di cui g sia la funzione caratteristica. Se indichiamo con g=Xxr+Yy+ 4% la distanza del piano tangente della superficie S dall'origine, per le formole di Weingarten relative alle coordinate tangenziali (?), si ha —D= 4n nia ey , —D'= Pro Fa fg, —D'—$, SP Ig 5 colla sostituzione di questi valori la (4) diventa (4*) (gu + e4) (pa + 99) + (922 + 49) (1 + 09) — —2(92+f9)(9r2+/9)=0, formola simmetrica rapporto a g, g. Ne segue che per la superficie S invi- luppo del piano EXgY+(Z=%@, ove È 7 £ indicano le coordinate correnti, la @ sarà funzione caratteristica di una deformazione infinitesima. « Essendo poi D, D', D" le quantità analoghe a D, D', D' costruite per la superficie S, avremo —D=egn+ eg, —D'=g:+f9, —D'=gx2+99, talchè la (4*) può seriversi (6) DDD 210 (3) Sitzungsberichte der K. Akademie zu Berlin, 28 Januar, 1886. (2) Vedi Knoblauch, Allgemeine, Theorie der krummen Fliichen, $ 30. Rn cioè l'invariante simultaneo delle due forme differenziali D du + 2D' du dv + D" dv, Ddu + 2D' dd dv + Dad è nullo. Le due superficie S, S si corrispondono punto per punto per parar lelismo delle normali e il significato geometrico della (6) consiste visibil- mente in ciò che alle linee assintotiche dell'una superficie corrisponde sull'altra un sistema di linee a tangenti coniugate. Questa relazione geometrica è carat- teristica delle coppie di superficie qui considerate, come si dimostra risalendo dalla (6) alla (4). Se diciamo adunque associate due superficie, che si cor- rispondano punto a punto per parallelismo delle normali, quando alle linee assintotiche della prima corrisponda sulla seconda un sistema coniugato (il che porta inversamente che alle linee assintotiche della seconda corrisponde un sistema coniugato sulla prima) abbiamo il risultato : «In ogni coppia di superficie associate S, S la distanza del piano tangente dell'una superficie dall'origine, è fun- zione caratteristica di una deformazione infinitesima del- l’altra. III Sistema coniugato che si conserva nella deformazione. « Ricerchiamo ora quel sistema coniugato che dopo la deformazione infi- nitesima considerata della S si conserva coniugato. Esso si otterrà integrando du 5 Di che risulta egua- D) gliando a zero il Jacobiano delle due forme differenziali quadratiche l'equazione differenziale di 1° ordine e di 2° grado in Ddu® + 2D'du dv + D''dv? (D+ dD) du? + 2 (D' + dD') dudo 4 (D" + ID") do°. « Osservando le (5) troviamo subito per questa equazione (pr + 09) du +2 (g1»+ fg) dudv 4 (4224 gg) do = 0, ovvero Dda +2 D'dudv + D" do = 0, che per la superficie associata S rappresenta l'equazione differenziale delle assintotiche. Ne segue: «In ogni coppia di superficie associate in una deforma- zione infinitesima, alle assintotiche dell'una corrisponde — 45 — sull'altra quel sistema coniugato, che si conserva coniugato dopo la corrispondente deformazione (!), « Questi risultati conducono poi immediatamente a stabilire il teorema: « Affinchè un sistema coniugato tracciato sopra una su- perficie S sì mantenga tale in una deformazione infinitesima della superficie è necessario e sufficiente che la sua imma- gine sferica, fatta al modo di Gauss, sia anche l’immagine delle assintotiche di una superficie S. Le due superficie S, $ sono allora associate nella deformazione domandata. « In particolare se il sistema coniugato è quello delle linee di curva- tura, la condizione si riduce a questo che l’immagine sferica sia formata da un sistema ortogonale isotermo e si ritrova così il risultato stabilito da Wein- garten nella Nota ultimamente citata. IV. Formole di rappresentazione sferica. « Dalle deformazioni infinitesime passando ora a considerare le deforma- zioni finite, che conservano coniugato un dato sistema, dimostreremo gli ele- ganti risultati del sig. Cosserat (?). « Perciò conviene premettere alcune semplici formole relative alla rap- presentazione sferica di un sistema coniugato (4, v) sopra una superficie S. Essendo do? — edu? +2 f du dv + g dv l'espressione dell'elemento lineare sferico rappresentativo, l'ipotesi che il si- stema (v,v) sia coniugato sulla S si traduce nelle formole fondamentali È. dae È IX PINI IX DX (7) —i|\9=- 7 = iui —e du dU dv dv du dv e nelle analoghe per y,, ove 4, « sono due funzioni legate a D, D" dalle relazioni D=-i(eg—f) D'=uleg—f*). « Ora, se indichiamo con No i simboli di Christoffel relativi all’'ele- (8) (1) Se la forma Ddu? + 2 D' du dv + D dv? è definita, cioè se la S è a curvatura positiva, il sistema coniugato, che nella deforma- zione si conserva coniugato, è certamente reale, dunque: Ogni superficie associata di una superficie a curvatura positiva è a curvatura negativa. (2) Comptes Rendus de l’Académie, 12 et 19 octobre 1891. se mento lineare della superficie S e deriviamo la 1 delle (7) rapporto ad %, facendo uso di note formole, troviamo (11)de | (1189 a (09_ fx def ST? SSA DE UL, CIT n 4 » TURE pare (12V QI d (49) DX d(4f) IX ti > e dv ag, Du. DU DUMINO « Sostituendo nel 1° membro per 2 3 z i valori (7), risultano le due formole | 11) .(11) ba) Di d (49) 2a 611 di miei! (o) (do) (IIIO); (12) | DAN) Afo = > PL 4 eee e, > dalle quali, eliminando ro deduciamo semplicemente (11) __,(12Y bio dire ovvero (O (2027V008 (2 ROD « In modo analogo procedendo colla seconda delle (7) derivata rapporto a v, otteniamo le formole I (11) D 0222 DEI) S CA che sono molto semplici ed utili pel nostro scopo. (12) ZI « Osserviamo che se si ha 1 (0) "’ 9 \ = 0, cioè se il sistema sfe- rico (v, 0) è l'immagine delle assintotiche di una superficie pseudosferica, ne risulta it (22) _ (2) ILLE e queste esprimono che le linee coniugate «, v sulla S sono geodetiche. « Queste superficie, dotate di un sistema coniugato formato di linee geo- detiche, furono studiate per primo da Voss (!) e posteriormente da Guichard; le diciamo Superficie di Voss. Come sì vede, esse sono le superficie associate delle pseudosferiche. =) 0 (1) Sitzungshberichte der Akademie der Wissenschaften zu Miinchen, 1888. an, — VE I teoremi di Cosserat. « Passiamo ora a risolvere il problema: Quali sono le superficie. che possono flettersi in guisa da conservare coniugato un sistema attualmente coniugato (v, v)? « Mantenendo le solite notazioni, sarà D'= 0 e fra D, D' sussisteranno le relazioni di Codazzi (8) « Dopo la deformazione supposta, è ancora D'= 0 e dovendo conservarsi, pel teorema di Gauss, invariato il prodotto DD", potremo indicare con i nuovi valori di D, D", che dovranno nuovamente soddisfare le (8). Tenendo presenti le (8) stesse, troviamo così per la funzione incognita 4 le due equazioni 3) (22)D /1 di du da: « Osservando le (A) e cangiando la funzione incognita 4 col porre N + ? queste si trasformano nelle altre dv (12) o 127 cl _-9 sa 9) den. (PAR 33 dv di 1 fe « Ogni soluzione v delle (9) dà una soluzione del nostro problema ed inversamente; ma, perchè esse sono lineari in v, non possono ammettere più di una soluzione, senza essere illimitatamente integrabili ed ammetterne quindi infinite. In quest'ultimo caso si avrà i (i2y (12) IT Va eee (20) e conseguentemente (‘) le linee sferiche (4, 0) sono le immagini delle assir- (1) Vesgasi la mia Memoria nel tomo VIII, 1890, degli Annali di Matematica p. 320. totiche di una superficie la cui curvatura, espressa pei parametri %,v delle linee assintotiche, ha la forma 1 (4) k=— eo [g@M+w@)] « Per le superficie della classe (a) ho dato nella Memoria ora citata dei metodi generali di trasformazione, che permettono di trovare con qua- drature un numero illimitato di superficie di questa classe. Nello stesso tempo, se si parte dalle superficie conoidali rette, si conosceranno tutte le defor- mazioni infinitesime della superficie derivate, dalle quali avremo dunque senz'altro infinite superficie suscettibili delle speciali deformazioni conside- rate da Cosserat. « Notevole è il caso speciale delle superficie di Voss. Allora si ha ti =} fi =0, quindi 4 = cost!*, e in ciascuna deformazione della classe considerata la prima e seconda curvatura delle geodetiche v, v ven- gono rispettivamente moltiplicate e divise per la medesima costante. Per le superficie pseudosferiche associate questa deformazione equivale, come facil- mente si dimostra, alla /rasformazione di Lie ». Fisica. — Metodo per la misura della costante dielettrica dello « Anche per l'Iso-santonone si fece l’esperienza crioscopica (in soluzione acetica) e si trovarono le seguenti cifre concordantissime. Concentrazione. Abbassamento Coefficiente Abbassamento Peso termometrico. d’abbassamento. molecolare. molecolaro. 0,9353 0,08 0,085 38,93 458. « L'Iso-santonone è una sostanza bianca, inalterabile alla luce, fonde a 280° decomponendosi. È affatto insolubile nell’acqua e nella ligroina. Pochis- simo solubile a freddo, negli alcooli etilico e metilico, molto più quando sono assoluti e bollenti in modo che questi due solventi si prestano benissimo per la sua purificazione. È molto solubile a freddo nel cloroformio e disereta- mente nel benzolo, ma non quanto il Santonone: da ambedue i solventi la sostanza può essere precipitata mediante l'aggiunta di un eccesso di ligroina. « È poco solubile nell'etere, discretamente nell’acido e nell’etere acetico. « Alla luce polarizzata è fortemente levogiro. = In soluzione acetica si ebbe: [a], = — 264,70. « È notevole il parallelismo tra le proprietà delle due iposantonine e dei due santononi. « L'Iposantonina (p. f.= 152°-53°), immediato prodotto di trasformazione della santoninammina, fonde ad una temp. più bassa della Iso-iposantonina (p. f.= 169°-5°); la prima è destrogira, la seconda levogira e con un potere rotatorio specifico inverso e. poco più che doppio di quello della prima. « Analogamente avviene per il Santonone e l’Iso-santonone, e questa ana- logia si può meglio rilevare dal seguente specchietto : Iposantonina. Iso-iposantonina. Santonone. Iso-santonone Paleagza: 154° 169° 223° 280° e 327 CT + 129,4 — 264,7. « Lo stesso può dirsi quanto al loro coefficiente di solubilità nei varî solventi. Così ad esempio: Il Santonone come l'Iposantonina è solubilissimo a freddo nel benzolo ed a caldo nell'alcool assoluto. « L'Iso-santonone, come l’Iso-iposantonina, invece è poco solubile a freddo nel benzolo e difficilmente a caldo nell’aleool assolato. « Queste ed altre proprietà del Santonone e del suo isomero confermano sempre più l'idea della riunione di due identici residui iposantoninici. « L'Isosantonone si può ottenere anche direttamente riducendo la santo- nina con acido acetico al 70 °/, e polvere di zinco. « In questo caso, però, durante la reazione non si ha alcuna separazione di sostanza dal solvente come avviene per il Santonone. « Si operò nel seguente modo: « Si sciolsero a caldo gr. 10 di santonina in 300 ce. di acido acetico al 70 °/,, si aggiunse a poco per volta dello zinco in polvere e si facilitò la riduzione versando alcune stille di cloruro platinico. = eg « La soluzione si colorò in giallo e dopo circa sei ore di riscaldamento su b. m. sì versò-in gran volume d'acqua. Si. ottenne così un voluminoso precipitato. Questo raccolto su filtro, fu lavato dapprima con acqua e poscia con alcool diluito che asportò la maggior parte della resina. Il residuo quasi bianco, ma tuttavia inquinato da poca resina, si sciolse nell’alcool assoluto bollente, da cui col raffreddamento si depositò sulle pareti del recipiente for- mando delle incrostazioni. Queste vennero ridisciolte nell'alcool assoluto e la- sciate depositare. Ciò si ripetè finchè l'alcool, anche ridotto a piccolo volume, restò perfettamente incoloro. « Così ottenuto. l’Iso-santonone è perfettamente bianco, fonde a 280° e presenta tutte le proprietà riferite per quello ottenuto dall’acido santononico. « L'analisi, la determinazione crioscopica e del potere rotatorio dànno nu- meri che coincidono con quelli già ottenuti. « In quanto alla genesi dell'Iso-santonone bisogna ammettere che dapprima l'idrogeno nascente agendo sulla santonina dia luogo alla formazione del Santonone. Questo, assumendo gli elementi dell’acqua, generi l’ossiacido corri- spondente, il quale in quelle condizioni perda di nuovo gli elementi dell'acqua per ridare non il lattone primitivo, ma il suo isomero. « Infatti sciogliendo a caldo il Santonone nell’acido acetico al 70°/ e raffreddando poco dopo si riottiene in belli aghetti la sostanza inalterata; ma se sì prolunga per un giorno il riscaldamento, dal liquido non si separano affatto tracce di sostanza. « Versando il liquido in un gran volume d'acqua si ottiene un precipi- tato che raccolto su filtro e disciolto nell’alcool assoluto, non cristallizza più in aghetti, ma nei soliti mammelloncini dal punto di fusione 280°. « Per dimostrare poi che il Santonone per trasformarsi nell’Iso-santonone bisogna che assuma gli elementi dell’acqua, rifeci l'esperienza adoperando l'acido acetico cristallizzabile. Scaldai la soluzione durante Io stesso tempo e ricuperai la sostanza con lo stesso metodo: dall'alcool riottenni il Santonone inalterato, cristallizzato in aghetti lucenti e col punto di fusione 223°. « Questa trasformazione dell'uno nell'altro lattone ricorda quella del- l'Iposantonina nell'Iso-iposantonina effettuata quasi nelle identiche condizioni. « Infine ridessi pure la santonina con polvere di zinco ed acido acetico cristallizzabile ed ottenni direttamente l’Iso-santonone. « In questo caso è da presumere che l’acqua di reazione sia sufficiente per determinare la suddetta trasformazione. Acido Iso-sautononico. « Per preparare quest'acido si scioglie a caldo l’Iso-santonone nella ba- rite ed attraverso la soluzione ben fredda si fa passare una corrente di ani- dride carbonica per eliminare l'eccesso di barite. « ]l liquido contenente il sale di bario, acidificato con acido acetico, dà STRO un precipitato bianco gelatinoso. Questo raccolto su filtro, lavato sino ad eli- minazione completa dell'acido acetico, compresso fra carta ed essiccato nel vuoto sull’acido solforico; si presenta sotto forma di una polvere candida, solu- bilissima a freddo nell'alcool, cui impartisce una reazione molto acida. « Preparato di recente fonde a 167°-68° senza alterarsi, innalzando però la temperatura sino a 200° risolidifica per fondere di nuovo a circa 280°. « Si può scaldare per poco a 100°, senza che si alteri; invece se lo si lascia per qualche tempo a sè, a differenza dell’acido santononico, perde la sua acidità e si trasforma completamente nell’Iso-santonone. « Tutti i tentativi per averlo in uno stato di purezza sufficiente per l’ana- lisi andarono a vuoto; mi limitai quindi a comprovare la sua bibasicità ana- lizzando il sale d’argento. Questo, ottenuto per doppia decomposizione da quello «di bario, diede alla calcinazione numeri concordanti pure con la formola Cz0 Hz O Ago. i « I sali di quest'acido in soluzione acquosa sono molto instabili, ed anche a temperatura ordinaria subiscono la decomposizione idrolitica. « La soluzione del sale di bario non solo a caldo, ma lasciata a sè per qualche tempo, a poco a poco s'intorbida e finisce dopo qualche tempo per dare un copioso precipitato misto di lattone e di carbonato baritico. « La soluzione del sale ammonico preparata sciogliendo l'acido in piccolo eccesso di ammoniaca, appena si scalda, dà luogo ad un abbondante preci- pitato gelatinoso dapprima e granuloso poco dopo. A temperatura ordinaria la soluzione si mantiene limpida per qualche tempo, ma in capo a pochi giorni dal liquido si separa l'acido isosantononico in forma di una massa gelatinosa simile all’acido silicico idrato, ed a poco a poco va trasformandosi nel lattone. « L'acido Iso-santononico anch'esso è attivo alla luce polarizzata. In so- suzione alcoolica è levogiro e con un potere rotatorio [@] = — 40,89. « L'analogia tra quest'acido e quello corrispondente all'iso-iposantonina è più evidente, specialmente in quanto riguarda la Joro instabilità. « Si differenziano però per il senso del loro potere rotatorio; dappoichè nel mentre nell’acido Iso-iposantoninico è in senso inverso a quello del cor- rispondente lattone, nell’acido Iso-santononico si mantiene, minore sì, ma nello stesso senso del corrispondente lattone. « La stessa differenza esiste tra gli acidi Ipo-santoninico e santononico. « Renderò noto fra breve i risultati della ossidazione degli acidi santo- nonici. Per ora ho creduto degno di interesse lo studio di questi prodotti di condensazione che per la prima volta si ottengono dalla santonina ». — 70 — Chimica. — Intorno all'influenza della dissociazione elettroli- tica sulla scomposizione del nitrito ammonico in soluzione acquosa. Nota di ANGELO ANGELI e GIOVANNI BOERIS, presentata dal Corrispon- dente G. CIAMICIAN. « È noto che le soluzioni diluite di nitrito ammonico si possono riscal- dare e svaporare fino ad un certo punto senza che subiscano decomposizione, mentre invece le soluzioni concentrate svolgono in queste condizioni abbon- dantemente azoto ('). Questo fatto ci ha suggerito l’idea che la scomposizione del nitrito ammonico in azoto ed acqua possa essere impedita dalla dissocia- zione elettrolitica, che questo sale senza dubbio subisce in soluzione acquosa. « Si potrebbe supporre che il radicale ammonio agisca sul radicale alo- genico dell'acido nitroso i NH..N0, = 2H,0 + N, soltanto quando questi due residui sono riuniti allo stato salino, ma che in- vece i due joni: i NH, ed NO,, forse in seguito alle loro cariche elettriche, non sieno in grado di reagire l’uno sull'altro. « Per vedere se le cose vanno realmente a questo modo abbiamo fatto alcune esperienze, che comunichiamo brevemente in questa Nota, studiando l'azione che differenti sali esercitano sulla velocità di decomposizione di solu zioni diluite di nitrito ammonico. « In seguito alle esperienze di Nernst, Noyes (2) ed altri, si deve am- mettere, che aggiungendo ad una soluzione di nitrtto d'ammonio una solu- zione di un altro nitrito o di un sale d'ammonio, che hanno col primo un jone in comune, il grado di dissociazione del nitrito ammonico venga dimi- nuito. Quindi l'aggiunta di cloruro ammonico o di nitrito sodico ad una soluzione diluita di nitrito ammonico dovrà produrre l'effetto di un aumento di concentra- zione. La quantità d'azoto, che si svolge dovrà, perciò in questo caso essere au- mentata. Gli altri sali invece non potranno influire sulla velocità di decomposizione. « L'apparato di cui ci servimmo a questo scopo era molto semplice, e consisteva in una campanella di vetro graduata, della capacità di circa 12 c.c. Vi s'introduceva dapprima un certo volume della soluzione, sì riempiva di mercurio e quindi vi si adattava, mediante un tappo di gomma, un tubo di (1) Bohlig, Liebig's Annalen, 125, 21; Berthelot, Berl. Berichte, VI, 1559: Loew, ibid., XXIII, 3018; Gmelin-Krant, Handbuch, I, Abth. 2, 576. (*) Zeitschrift fiùr Phys. Chem., 4, 372; 6, 241; 9, 603. DIS 1700 |P vetro, munito di una bolla per impedire l'efflusso del mercurio. L'apparato, capovolto, veniva immerso in un bagno d'acqua tenuto a circa 90°. Dopo un certo tempo si toglieva la campanella dal bagno, si apriva sotto l'acqua e, dopo raffreddamento, si faceva la lettura dell'azoto raccolto. I volumi d'azoto misurati direttamente non vennero ridotti a 0° e 760 mm., perchè operando sempre nelle stesse condizioni di temperatura e' pressione i risultati erano ugualmente fra Joro comparabili. Preparammo dapprima una soluzione di nitrito ammonico al 2°/,, decomponendo il nitrito d'argento con l'esatta quantità di cloruro d'ammonio. Si misero indi nella campanella graduata 2 c. c. per volta di questa soluzione allungandola con altrettanti c. c. di una soluzione di clo- ruro ammonico al 20 °/,, di nitrito sodico al 20 °/ o di acqua. I risultati sono ì seguenti: Sostanza aggiunta. Tempo. Azoto sviluppato. NH,Cl 5 minuti 5,0 c. c. Na NO, 8 n 3,5 > H.0 9005 0,8 » « Il fenomeno rimane lo stesso impiegando invece del nitrito ammonico un miscuglio di circa gr. 2 di solfato d'ammonio e dell'equivalente quantità di nitrito potassico sciolti in 100 c.c. d'acqua. Eseguendo le esperienze nel modo indicato, ed aggiungendo successivamente al liquido soluzioni, tutte al 20 °/o, di cloruro ammonico, nitrico sodico, cloruro di sodio, solfato di ma- gnesio, acetato di sodio, ottemmo questi risultati : Sostanza impiegata. Tempo. Azoto sviluppato. NH, CI 81 minuti 4,0 c. € Na NO, St 3,0 » H.0 39 n 0,1 » « Gli altri sali dettero lo stesso volume d'azoto, che si ebbe per aggiunta d'acqua. « Questi risultati, ottenuti con esperienze preliminari, e perciò di valore soltanto approssimato, mostrano, in ogni modo, assai bene come il cloruro am- monico ed il nitrito sodico esercitino una notevole influenza acceleratrice sulla decomposizione delle soluzioni diluite di nitrito d'ammonio. « Questi studî saranno continuati ed estesi ad altre scomposizioni ana- loghe ». PERSONALE ACCADEMICO Pervenne all'Accademia la dolorosa notizia della morte dell'ing. FELICE Giorpano, avvenuta il 16 luglio 1892. Apparteneva il defunto all'Accademia come Corrispondente, sino dal 4 febbraio 1890. ELEZIONI DI SOCI Colle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento, si procedette alla elezione di Soci e di Corrispondenti dell'Accademia. Le elezioni dettero i risultati seguenti per la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Furono eletti Soci nazionali: Nella Categoria I, per la Geografia matematica e fisica: LORENZONI GIOVANNI. Nella Categoria II, per la Fisica: FERRARIS GALILEO. Nella Categoria IV, per la Patologia: Foà Pro. Furono eletti Soci stranieri: Nella Categoria I, per la Matematica: Lie SopHus; per la Meccanica: LeAauTÈ ENRICO. Nella Categoria II, per la Fisica: HeRTZ ENRICO. Nella Categoria IV, per la Fisiologia: HrmENHAIN RopoLFo e ScHIFF MAURIZIO. Furono inoltre eletti Corrispondenti : Nella Categoria II, per la Fisica: NAccARI ANDREA. Nella Categoria IV, per la istologia: OrnL EusEBIo. L'esito delle votazioni venne proclamato dal PRESIDENTE con Circolare del 16 luglio 1892; le nomine dei Soci nazionali e stranieri furono sotto- poste all'approvazione di S. M. il Re. Pe 1 Qu RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del ? agosto 1892. Patologia. — Ulteriori ricerche sulla cura della rabbia svilup- pata (!). Nota del Corrispondente prof. Guio Tizzoni e del dott. Eu- GENIO CENTANNI. « In un nostro precedente lavoro (2) noi abbiamo largamente dimostrato che il siero di sangue di conigli immunizzati contro la rabbia a grado così elevato da sopportare senza alcun danno ripetute inoculazioni subdurali con virus fisso, serve non solo a prevenire la rabbia o ad impedirne lo sviluppo quando quel siero sia iniettato nei primi momenti del periodo d’incubazione, ma ancora a guarire quella malattia in uno stadio più avanzato di essa e quando il quadro morboso che le è proprio, sia più o meno completamente sviluppato. « E prima di questo, in un altro lavoro (3) col quale ebbero principio le (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Patologia generale di Bologna, diretto dal prof. Guido Tizzoni. (2) G. Tizzoni ed E. Centanni, Veber die Art, bei Thieren die schon ausgebrochene Rabies zu heilen. Deut. med. Wochen., n. 27, 1892. — Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, seduta 8 maggio 1892. — Riforma medica, n. 109, maggio 1892. (3) G. Tizzoni e R. Schwarz, Za profilassi e la cura della rabbia col sangue degli animali vaccinati contro quella malattia. Rif. medica, n. 18-19, gennaio 1892. — Rendiconti della R. Accademia delle scienze di Bologna, seduta 10 gennaio 1892. RexnpIcoNTI. 1892, Vor. I° 2 Sem. 10 rr ricerche eseguite in questo laboratorio sull'immunità nella rabbia, uno di noi insieme col dott. Schwarz, allora assistente a questo Istituto, aveva cercato di ottenere allo stato solido, per quanto non assolutamente pura, anzi com- mista a molti altri corpi albuminoidi, la sostanza attiva del siero di animali vaccinati contro la rabbia, e aveva dimostrato che quella sostanza viene pre- cipitata dall'alcool, e che il precipitato così ottenuto ripreso con acqua e me- scolato in vitro con emulsione di midollo di cane rabbioso, è capace di an- nullarne completamente la virulenza. « Studiando poi nell'organismo l’azione contro il virus rabido di questo precipitato alcoolico, al fine di determinare se essa fosse pari a quella del siero di animale immunizzato da cui quel precipitato derivava, non ottenemmo a tal riguardo nessun risultato positivo, cioè non riuscimmo con quello a sal- vare come col siero gli animali dalla rabbia. « Per altro, siccome per risolvere tale questione non fu fatto che un solo esperimento, e siccome questo venne eseguito con materiale ricavato da ani- mali che avevano raggiunto solo un primo grado d’immunizzazione e di cui il siero direttamente iniettato non dava risultato positivo costante, così le conclusioni tratte a tal riguardo nel lavoro citato non potevano e non dove- vano essere considerate come definitive. « Perciò volemmo vedere se conclusioni diverse si ottenessero invece con materiale avuto da animali immunizzati a grado più elevato, cioè contro il virus costante, e quali ulteriormente, per il perfezionamento dei metodi di vac- cinazione, siamo riusciti ad avere. « Il materiale per queste ricerche fu preso da animali immunizzati contro il virus fisso, che avevano resistito più volte alla inoculazione subdurale o endovenosa di questo virus; il sangue veniva preso col metodo solito da una grossa arteria e in modo del tutto asettico; il siero separato e raccolto da questo sangue, era precipitato con 10 volumi di alcool assoluto, ed il preci- pitato asciugato e disseccato nel vuoto sopra acido solforico. « Di questi animali alcuni avevano fornito già il siero per altri esperi- menti, e si aveva quindi la prova del potere immunizzante del loro sangue e della quantità necessaria di esso per salvare un animale dalla rabbia a un dato periodo di malattia; altri invece servivano per la prima volta. « La prova poi dell'avvenuta immunizzazione dopo l'iniezione del preci- pitato alcoolico ripreso con acqua, fu fatta sempre, come negli esperimenti coll'iniezione diretta di siero di sangue riportati nel nostro precedente lavoro, con inoculazione nel nervo sciatico di virus rabido di strada. Le iniezioni im- munizzanti furono sempre incominciate non prima di 8 giorni dacchè era stata con quel virus praticata l'infezione. Questo per esser certi che il precipitato alcoolico di cui si studiava l'azione, non solo valeva nell'organismo contro il virus rabido, ma godeva ancora di questa sua azione immunizzante a grado molto elevato, e tanto da essere efficace, oltre che come preservativo, anche ua Di come curativo della rabbia, ed eziandio quando il virus erasi diffuso al sistema nervoso centrale ed erano apparsi i sintomi della malattia. « Il precipitato alcoolico ottenuto da 14-21 cme. di siero di sangue, e del peso che per i varî esperimenti oscillava da gr. 0,90 a gr. 1,30, era diviso in 5 0 6 dosi di 0,18-0,25 gr. ciascuna, dosi che erano sciolte in poc' acqua sterilizzata (1-2 cme.), fino ad ottenere una soluzione giallognola, gommosa. che s'iniettava subito appena preparata nel connettivo sottocutaneo dell’'ani- male che si voleva curare. « Dopo questo, ecco senz'altro i protocolli dei nostri esperimenti. Esperimento 1°. — L'animale è infettato il 20 maggio 1892 e la cura comincia al 9° giorno d'incubazione. Il materiale viene preparato traendo il sangue a due animali im- minuzzati contro il virus fisso e mescolando il siero da entrambi ottenuto; della massa to- tale, cme. 42, una metà viene precipitata coll’alcool e l’altra metà iniettata ad un coni- glio di confronto. La sostanza secca pesa gr. 1,20 e viene divisa in 6 dosi uguali, che si iniettano ciascuna per 6 giorni consecutivi, cioè fino al 16° giorno dopo l’infezione. I fenomeni comparsi regrediscono rapidamente in seguito della cura, e l’animale fino al pre- sente, due mesi e mezzo dopo l'infezione, è vissuto sempre in ottime condizioni. Anche l’animale curato parallelamente col siero a dosi corrispondenti, dopo queste iniezioni, non ha presentato più nessun fenomeno rabbioso ed esso pure vive al presente. « Un terzo animale infettato contemporaneamente ai due curati e lasciato per controllo, morì di rabbia al 18° giorno. Esperimento 2°. — L'animale è infettato il 7 giugno 1892. La cura comincia al 9° giorno di malattia e dura 5 giorni consecutivi, iniettando in complesso gr. 1,00 di precipitato alcoo- lico, ottenuto da 20 cme. di siero di animale immunizzato. Dopo quella cura fino al pre- sente, due mesi dopo subìta l’infezione, non si è presentato mai nell’animale nessun feno- meno morboso. « Il controllo di questo animale è morto al 19° giorno. Esperimento 39. — L'infezione ha luogo il 24 giugno 1892. La cura comincia al prin- cipio dell’8° giorno dopo l’infezione, iniettando complessivamente gr. 1,80 di precipitato alcoolico proveniente da 17 cme. di siero d’animale immunizzato, diviso in 5 dosì per cinque giorni consecutivi. L'animale vive anch'esso al presente nelle migliori condizioni di salute. « Il suo controllo poi è morto al 20° giorno. Esperimento 4°. — L'animale è infettato il 27 giugno 1892 e se ne incomincia la cura all'8° giorno di malattia. Riceve gr. 0,90 di precipitato alcoolico ottenuto da 14 cme. di siero di animale immunizzato, diviso in cinque dosi quotidiane. Anche quest’animale vive ora in ottimo stato. « Il suo controllo morì al 20° giorno dopo l'infezione. « Questi i nostri esperimenti, a cui non abbiamo creduto conveniente ag- giungerne altri, sia per risparmiare del materiale prezioso, sia perchè il loro numero, avuto specialmente riguardo alla qualità dell'infezione, la quale non ore nella sua evoluzione sperimentale che rarissime eccezioni, e al modo sicuro con cui quella fu determinata, deve ritenersi più che sufficiente per giudicare. Bon « Non abbiamo poi creduto necessario, per dare il nostro giudizio, di atten- dere che nei nostri esperimenti fosse trascorso un tempo più lungo, poichè se questo può essere necessario nel concludere sulle iniezioni preservative, specie quando fatte con siero e suoi prodotti ricavati da animali a primo grado d'immunizzazione, che possono, riducendo in quantità e non distrug- gendo completamente il virus inoculato, avere per solo effetto quello di allun- gare il periodo d'incubazione della malattia, come se primitivamente di quel virus ne fossero inoculate quantità minime o molto piccole, lo stesso non deve accadere quando si incomincia la cura a malattia già sviluppata e si adopera del siero di forza molto grande. « Infatti si comprende facilmente che se in quest'ultimo caso sì riesce ad ottenere qualche effetto, molto più se si arriva a salvare l’animale, ciò non può aversi che a patto di adoperare un materiale di tal forza che valga a distruggere quantità grandissime di virus, tutto quanto se ne era oramai colonizzato nel sistema nervoso di quegli animali. Del resto nei nostri espe- rimenti, specie nei due primi, è già trascorso il tempo sufficiente per giudi- care con sicurezza; tutti poi indistintamente hanno di gran lunga sorpassato il tempo in cui, senza eccezione nessuna, ebbero a morire i rispettivi controlli. « Pertanto le ricerche qui esposte conducono per la rabbia a conclusioni analoghe a quelle già ottenute per il tetano (!), cioè che col mezzo della pre- cipitazione con alcool assoluto si può avere allo stato solido, insieme con altri corpi albuminoidi, la sostanza attiva del siero di animali vaccinati per quella malattia; e che quel precipitato, ridisciolto con acqua, può benissimo sosti- tuire il siero di sangue dal quale deriva, tanto nella sua azione in vitro contro il virus rabido, quanto in quella che dispiega nell’animale rabbioso. « Che poi il precipitato alcoolico conservi lo stesso grado di azione del siero del sangue, ciò è abbastanza chiaramente dimostrato dall’Esperimento 1°, in cui, sperimentando nelle stesse condizioni in due animali, si ebbe dal pre- cipitato alcoolico lo stesso effetto benefico che si ottenne per quantità di siero eguali a quelle da cui quel precipitato era stato ottenuto. « Questo è fatto certamente d'importanza non lieve scientifica e pratica. In vero esso, oltre a confermare le nostre precedenti ricerche sulla cura della rabbia sviluppata, ci fa conoscere ancora una delle proprietà di quella sostanza del siero di animali vaccinati che agisce contro il virus rabido, e ci permette inoltre di averla sotto una forma in cui è possibile conservarla indefinitamente inalterata. Così ci è dato il mezzo di poter raccogliere poco a poco dagli ani- mali vaccinati la sostanza attiva del loro siero. fino ad accumularne quelle quantità che sono necessarie per sperimentarla sull'uomo, di poterla sempre avere pronta per tale esperimento ed in forma che riesce facile per la spe- (1) G. Tizzoni e G. Cattani, Sulle proprietà dell’antitossina del tetano. Rif. medica, n. 102, maggio 1891. — Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, seduta del 5 aprile 1891. ve Mg dizione e per l’uso. Questo si può dire essere il primo passo per utilizzare nell'uomo il siero di sangue di animali vaccinati contro la rabbia, rispettiva- mente quella sostanza a cui esso deve le sue proprietà immunizzanti e curative. « Riguardo poi alla dose minima di precipitato alcoolico necessaria per curare un coniglio rabbioso, noi non possiamo pronunciarci in modo assoluto. Non possiamo escludere infatti che noi, pel desiderio di ottenere costantemente risultati positivi, non abbiamo adoperato dosi superiori a quelle necessarie, e che con quantità molto minori di precipitato, non potesse egualmente otte- nersì l’effetto desiderato. « Nè abbiamo creduto doverci ulteriormente fermare su questo punto, poichè azche stabilita pel coniglio la dose minima di precipitato alcoolico sufficiente per guarirlo dalla rabbia sviluppata, noi non avremmo potuto applicare questi dati direttamente all'uomo, facendo cioè una semplice proporzione, senza tene; conto della recettività diversa dell’uomo per quella malattia, della forza diversa del virus e di molte altre circostanze. « A quest'ultima cognizione non sarà possibile arrivare altro che facendo le prove direttamente sull'uomo ». Matematica. — Su due congruenze di rette di 2° ordine e di 6° classe. Nota di D. MonTESANO, presentata dal Corrispondente Prx- CHERLE. « Le congruenze di rette esaminate nella presente Nota sono entrambe costituite dalle generatrici di co! coni di 2° grado aventi i vertici su una linea razionale di 3° ordine che è gobba per la prima di esse e piana per la seconda. La prima delle congruenze studiate forma con un'altra di egual tipo la congruenza delle generatrici dei coni di una rete di quadriche i cui punti base si distribuiscono in quattro coppie costituite ciascuna da punti infinitamente vicini, mentre la seconda è costituita dalle generatrici dei coni di una rete di quadriche aventi in comune cinque punti e il piano tangente in uno di essi. « La prima congruenza appartiene ad un complesso tetraedrale, la seconda ad un complesso di 3° grado dotato di una stella di raggi doppî; entrambe sono rappresentabili su di un piano; nè oltre di esse ed oltre la congruenza esa- minata nell'altra mia Nota Su una congruenza di rette di 2° ordine e di 4° classe (!), vi è alcun’altra congruenza non degenere di 2° ordine costituita da le generatrici di co! coni quadrici aventi i vertici su di un'unica linea d'ordine superiore al primo (?). (1) Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, vol. XXVII. (2) Di tutte e tre queste congruenze fa cenno lo Sturm nella sua Nota sulle congruenze di rette di :2° ordine (Math. Annalen, Bd. XXXVI). Nelo e « 1. Nella Nota Su una congruenza di relte di 2° ordine e di 4° classe sono stati esaminati varî spezzamenti della curva nodale Kg di una rete R di quadriche, nell'ipotesi che le superficie della rete non avessero in comune alcuna linea, e che le polarità dovute ad esse non ammettessero alcuna coppia di elementi corrispondenti in comune. « Oltre gli spezamenti esaminati ve ne è un altro solo possibile nelle ipotesi anzidette, ed è quello in cui la curva nodale della rete R si scinde | in due cubiche gobbhbe Kz,K'; aventi quattro punti in comune. « Se tale spezzamento si verifica, nell’involuzione di 3° grado I dello spazio costituita dalle coppie di punti reciproci rispetto alle svperficie della rete, non potranno essere a due a due coniugate fra Toro le corde di ciascuna di queste due linee che risultano fondamentali per la I; ma alle corde dell'una linea do- vranno essere coniugate le corde dell'altra, perchè se si corrispondessero nella I due corde della K,, uno qualunque dei quattro punti di appoggio delle due corde con la curva avrebbe per corrispondente nella I una retta trisecante della K'; situata nel piano degli altri tre punti (Nota cit. $S 1) il che è as- surdo. Ne segue che alle tangenti #,, #, delle K3, K'3 in uno qualunque A, dei quattro punti A,,... A, comuni alle due linee, corrisponderanno nella I due corde c',,, e, delle K',, Kz e i due tetraedri che hanno per vertici l'uno i punti comuni alle K3, /, ed alle K'3, c,, l’altro i punti comuni alle K3, €» ed alle K';, 7, saranno autoreciproci il primo rispetto alle quadriche di un fascio g della R, l’altro rispetto alle quadriche di un secondo fascio g' della stessa R. E siccome in ciascuno del tetraedri accennati due vertici coincidono in A,,, perciò i due fasci saranno costituiti rispettivamente l'uno da quadriche tangenti in A,, al piano A,,c,, l’altro da quadriche tangenti nello stesso punto al piano A,6,, sicchè le quadriche della rete R saranno tangenti in A,, alla retta 4, comune ai piani accennati. « Resta con ciò dimostrato che per lo spezzamento della curva nodale K; di una rete R di quadriche in due cubiche gobbe, è necessario che gli olto punti base della rete R si distribuiscano in quattro coppie ciascuna costituita da due punti infinitamente vicini. « Inversamente è agevole riconoscere che questa condizione è aghe suf- ficiente per lo spezzamento in questione. « Si noti infatti da prima che presi ad arbitrio sei punti P,,... Ps nello spazio, le coppie di punti che con i precedenti formano gruppi base di reti di quadriche, costituiscono un'involuzione di 7° grado I, ('), nella quale cor- risponde per intero ad ogni suo punto la C3 = P,..P; ed una qualunque delle rette 7,,.... 71; che uniscono a due a due i punti P,,... Ps. Nella I risultano unite le corde della C; anzidetta e la superficie punteggiata unita (1) Vegg. Geiser, Veler zwei geometrische Probleme. Giornale di Crelle, vol. LXVII; e Reye, Geometria di posizione. Parte 22, lezione 802. E O è una U,=(P,... Ps)? Cz 71... 715 $1 + Sto, avendo indicato con s; la retta comune ad un piano che passi per tre dei punti P,,... P; ed al piano che contiene gli altri tre. Ogni punto P di tale superficie U, è vertice di un cono quadrico che passa per P,, ... P; ('); ed il secondo punto base della rete delle quadriche passanti per P, P,, .... P; è il punto infinitamente vicino a P su la corda e della C3 uscente da P, la quale corda sega ulteriormente la U, nel punto P' coniugato armonico a P rispetto ai due punti di appoggio della e con la C3. Da quest'ultimo fatto deriva che la U, è coniugata a se stessa nell’involuzione T3 dello spazio costituita dalle coppie di punti reciproci ri- spetto alle quadriche passanti per C3 (?). « Ora se i punti P,, P.; P3, P.; P;, Ps coincidono rispettivamente in A,, Ao, Az su le rette @,, 42, 43, dalla superficie U, del caso precedente si stacca il piano @ == A, A» À3 (perchè questo contato due volte forma un cono che contiene i sei punti dati) e la restante parte della U, risulta la super- ficie U3 coniugata al precedente piano nell’involuzione T; determinata dalla cubica gobba y, che passa per i punti A,, A3, Az e tocca in essi rispet- tivamente le rette 4,, 4», 43; sicchè la U; ha per punti doppî i punti A,, As, A3, e contiene le a,, 03, az e la y ora indicata. E se A, è un punto arbitrario della superficie che si trovi su la corda 4; della y°P, e che perciò risulta il coniugato armonico del punto di sezione della 4, col piano A, A» Az ri- spetto ai punti di appoggio della stessa retta con la y‘P, vi è una rete R costituita da quadriche che passano per i punti A;, ... A etoccano in essi rispettivamente le rette 4,,.... 44. La curva nodale di tale rete R dovendo trovarsi oltre che sulla superficie U3 = (A, A» A3)? 4 0203 Ay adesso indicata, su le superficie analoghe U's = (A; Az A+)? @1 0344 A3, Ul = (Ax A3 AL) ar 43 aL Aa U”.= (A, A3 A.) 424344 Ax, ammette per elementi doppî i punti A,, .... A, e quindi si spezza in due cubiche gobbe K:, K'; aventi in comune i punti Aha Agi « E siccome in generale ogni retta che unisce due punti base di una rete di quadriche, si appoggia alla curva nodale delle rete in due punti che trovansi anche sulla cubica gobba che passa per gli altri sei punti base della rete, perciò le rette 41, ... 44 sono corde comuni alle due cubiche K;, K'3 e i punti in cui una qualunque 4; di esse incontra oltre che in A; le K,, K',, sono i punti B,, B', in cui essa sega la cubica gobba y; che è tangente alle (1) Cfr. Battaglini, Sui complessi di 2° grado, $ 1. Memorie della R. Accademia dei Lincei, serie 32, vol. III (2) Per tale corrispondenza studiata da prima dal Geiser, Zur Theorie der Flichen zweiten und dritten Grades, $ XII. Giornale di Crelle t. LXIX e posteriormente da Sturm, Veber das Flachenneta 2weiter Ordnung. Giornale di Crelle, t. LXX, $ 49 veg. anche Reye, Geometria di posizione (Parte 2*, lez. 142); e Cantone, Z'eoremi sulla cubica gobba. Rendiconti della R. Accademia delle Scienze di Napoli, agosto 1886. ESCI I 07, Am, @n nei punti A,, A,,, A, rispettivamente (per %, /, m, n= 1,2, 3, 4 in qualunque ordine). « Di più per la proprietà già dimostrata che il coniugato armonico del punto A; rispetto ai punti B;, B'; trovasi sul piano a; = A; An An. si ha che in una qualunque trasformazione birazionale (3, 3) fra due sistemi dello spazio che ai piani dell'un sistema faccia corrispondere nell'altro sistema delle ®; = (A, ... A4)? [o delle D, = (A'... A',)?] alle cubiche K3, K'3 linee nodali della rete R corrispondono due rette %,%' si fatte che sulla retta a; della stella (A';) appoggiata alle %, #' i due punti di sezione con tali rette sono separati armonicamente dal punto A', e dal punto di sezione della 4’; col piano ef, == A”, A',, A", sicchè le %, #" appartengono ad una quadrica Ss, rispetto alla quale il tetraedro A’, A', A'3 A", è autoreciproco, e corri- spondentemente le K3, K'; appartengono ad una Ss = (A; ... A.)! che passa due volte per gli spigoli del tetraedro A, A» A3 A, ed è coniugata a se stessa nelle quattro omologie armoniche che hanno per centri i vertici di tale te- traedro e per piani assiali le faccie rispettivamente opposte di esso. « E dalla proprietà già dimostrata che ogni tetraedro autoreciproco ri- spetto alle quadriche di un fascio della rete R, la cui curva nodale si scinda in due cubiche K;, K';, ha due vertici su ciascuna di tali linee, si deduce che la congruenza costituita dalle generatrici dei coni della rete si spezza nel caso in quistione in due congruenze Q»2,6, Q'e,6 entrambe di egual tipo, di 2° ordine cioè e di 6° classe, costituite ciascuna da le generatrici di co coni quadrici aventi i vertici su una (K3 o K'3) delle curve nodali e passanti per i punti A;,... A, nei quali toccano le rette 4,,... 4, rispettivamente. « Uno qualunque dei punti A,,... A4 è vertice di due coni di ciascuna delle Q, Q'; l’uno è il cono della rete R, l'altro è quello che proietta la linea singolare della congruenza. «2. Le congruenze Qgg, Qass ora ottenute appartengono ciascuna ad un complesso tetraedrale i cui punti singolari sono Ai, ... A4. « Si consideri infatti il complesso tetraedrale Y che contiene le stelle di rette (A,),....(A.) e la congruenza Q,,: che ha per direttrici la retta «, e la conica y° = A. A3 A, sezione del piano a, = A: À3 À4 col cono y» che proietta da A, la linea singolare K3 della Q3, 6. « Il cono del complesso che ha per vertice un qualunque punto P dello spazio, sega la retta 4,, oltre che in A,, nel punto di sezione con il raggio 7 della Q,,: anzidetta uscente da P, sicchè se questo punto si trova sul cono x: ora indicato, il raggio 7 appartiene al cono x, e i due punti di sezione del cono del complesso di vertice P con la 4, coincidono in A. Ne segue che i coni del complesso TY che hanno i vertici sulla K:, passano per i punti A,,... A, e nel primo di questi punti toccano la retta «,, sicchè coincidono con i coni della Q,,6, e ne segue il teorema. « E pel fatto che i conì indicati sono del pari tangenti alle @2, 43, @4 SRO ne segue che queste rette sono prime direttrici di congruenze del complesso /° le cui seconde direttrici sono le proiezioni della curva K3 fatte rispettiva- mente dai vunti A,, A3, A4 sui piani oo = A3A,4A,, ag =A4A Aa, es = A, A3 A3; ed il ragionamento fatto permette di affermare inversamente che: «I coni di un complesso tetraedrale T che hanno i vertici su di una cubica gobba Kz passante per i punti singolari À;,... A, di T, formano una congruenza da, del tipo in esame, se le corde della Kz non apparten- gono al complesso. « Le rette a,,.. a, a cui risultano tangenti i coni della Qss sono le seconde direttrici di quelle congruenze del complesso che ammettono per prime direttrici le coniche proiezioni della Ks da i singoli vertici del tetraedro A,...A, sulle faccie opposte. «I sei raggi doppi A, A», .... A3 A, del complesso Y° sono anche doppi per la Q26, nè questa ammette piani singolari. «I coni di Y che hanno i vertici su una retta arbitraria » dello spazio segano la K;, oltre che in A,,...A,, in coppie di punti coniugati in una corrispondenza involutoria (2,2), i cui punti uniti sono dovuti ai punti della retta 7 situati sulla superficie focale ® della congruenza Q,6- « Questa superficie è perciò una D, = K3? a, ... 44 y .... yP, continuando a designare con y© la cubica gobba che ha per corda la 4; ed è tangente alle altre tre delle rette 4,,... 4, nei punti A situati su di esse. « Inversamente i coni di 2° grado circoscritti ad una superficie D, = K;? che hanno i vertici su tale linea doppia K3, sono costituiti da rette che appartengono ad una congruenza Q», del tipo in esame, perchè essi contengono tutti i quattro punti A,,... A, della K, peri quali passano coppie di genera- trici della superficie costituite ciascuna da rette infinitamente vicine, e toccano rispettivamente queste generatrici @,,...4, nei punti A,,...A4 da cui escono ('). « Due generatrici 9g, g° infinitamente vicine della ®, determinano con la K3 una quadrica su la quale la schiera delle secanti semplici della K, essendo costituita da rette tangenti alla ®, appoggiate alla Kz, fa parte della congruenza Qs.- « Questa perciò ammette oltre il sistema X dei coni che la formano, anche un sistema oo! 2” di schiere rigate di cui fanno parte i quattro coni che da A,,... A, proiettano la K3, i quali sono dovuti alle generatrici 4, ... & della superficie ®. (1) L'esistenza di questi punti può dedursi con la maggiore semplicità sia dalla con- siderazione diretta dei punti di sezione della Kg doppia con un qualunque cono della con- gruenza, sia dalla rappresentazione della superficie Py su di un piano, in riguardo alla quale veggasi: Armenante, Intorno alla rappresentazione delle superficie gobbe di genere p=0 sopra un piano. Annali di Matematica, serie 22, tom. IV, $ 8 e 9. RenpICONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 11 LIV « E siccome un raggio arbitrario della congruenza appartiene ad un solo cono di X e ad un'unica schiera di 2’, e viceversa un cono di X ed una schiera rigata di 2’ hanno un unico raggio in comune, perciò riferiti proiet- tivamente i sistemi > e 2° a due fasci di raggi distinti (S), (S°) di un me- desimo piano 7 (ciò che è possibile perchè i sistemi X, 2° sono riferiti con corrispondenza univoca al sistema dei punti della K ed a quello delle gene- ratrici della ®, = K°) si viene a rappresentare la congruenza Q»,6 sul piano 77, riguardando come corrispondente ad ogni raggio della Q» il punto comune alle rette dei fasci (S), (S°) che corrispondono al cono di X ed alla schiera di 2" che contengono il raggio considerato. « In tale rappresentazione i punti S, S' sono rispettivamente l'immagine di una schiera rigata di X e di un cono di 2°, le rette del piano 77 sono le immagini di superficie gobbe di 4° grado della Q., aventi per linea semplice la K3, ela Ss= Kg° (A, ..- A4)* costituita dai raggi comuni alla Q»,5 ed a un complesso lineare, ha per immagine su 7 una C,=="(SS')?, sicchè il rango della Q. (numero delle coppie di rette della congruenza situate in un me- desimo fascio di raggi con una retta assegnata ad arbitrio) è 5. « Le quadriche sostegno delle schiere rigate del sistema 2°, formano una varietà quadratica appartenente alla rete di superficie di 2° ordine che ha per base la K3. Ora si ha inversamente che: « Essendo Vs una varietà co e quadratica di superficie di 2° ordine appartenente ad una rete R, che abbia per linea base una cubica gobba Ks, le generatrici delle superficie della Vs che sono secanti semplici della K, formano una congruenza Qse del tipo che studiasi, i cui punti singolari sono i vertici A,,... A4 dei quattro con H,,...H, della Ro appartenenti alla Vs. « E notando che se g; è il fascio della R, che ha in comune con la V, due superficie coincidenti in H;, (per 2 = 1,... 4) la retta 4; che con la K; forma la base del fascio g;, è la tangente nel punto A; a tutti i coni della Q.s aventi i vertici sulla K3, si deduce che la Q,6 è del tutto indi- viduata quando se ne dia la linea singolare K3, i quattro punti singolari A... A, ed una qualunque delle rette 4, ... 44, 0 quando si diano tre dei punti A,,... A, e le rette a; uscenti da due di essi. « Si hanno invece 0co' congruenze Q.,; che ammettono per linea singo- lare una cubica assegnata K; e per punti singolari quattro punti A,,... À4 dati su tale linea. « Esse formano un fascio nel complesso delle seganti della K3; e le co! cubiche K'; che cor la K; formano la linea nodale delle corrispondenti reti K costituiscono la Ss = (A; ... A4)t K3 che passa con due falde per i sei spigoli del tetraedro A, A, A3 A, ed è coniugata a se stessa nelle quattro omologie armoniche che hanno per centri e per piani assiali i vertici e le faccie rispet- tivamente opposte di tale tetraedro. LE OSS «3. Volendo ora esaminare il caso di una rete R di quadriche le cui polarità ammettano una coppia di elementi corrispondenti in comune, suppor- remo da prima che tale coppia sia costituita da un punto O e da un piano w che non si appartengano. In tale caso gli otto punti base della R risul- tano a due a due coniugati nell'omologia armonica di centro O e di piano assiale w, sicchè si trovano su quattro rette della stella (0) formanti un angolo quadrispigolo completo di cui due faccie opposte formano una qua- drica degenere della R, e quindi la curva nodale della rete si spezza nei tre raggi diagonali del quadrispigolo indicato e nella curva di 8° ordine del piano © che è la jacobiana della rete di coniche sezioni di @ con la rete R. « Questa ultima linea yz contiene i tre vertici diversi da O del tetraedro autoreciproco rispetto alla quadriche di un qualsiasi fascio della R, sicchè la congruenza costituita dalle generatrici dei coni non degeneri della rete ri- sulta una Q3, che ha per linea singolare la y3. « Ma se il punto O ed il piano © si appartengono, se cioè le quadriche della rete R hanno in comune i punti 0, P,,... P, ed il piano tangente w nel primo di essi, allora in ogni fascio della R due coni coincidono ed hanno il vertice in O, mentre gli altri due hanno i vertici sulla jacobiana della rete di sezione del piano @ con la R, la quale curva è una C3 =" 0° T,... T;, avendo indicato con T; la traccia su © di una congiungente due dei punti P,,..P.; sicchè la congruenza dei coni non degeneri della rete si spezza nella stella di raggi (0) ed in una congruenza Q. avente per linea singo- lare la Cz ora indicata, e per punti singolari i punti P,,... P, da ognuno dei quali la C viene proiettata secondo un cono appartenente alla congruenza, la quale perciò contiene i sei spigoli del tetraedro P,... P,. Di più la Qas contiene anche il fascio di raggi (0 — @). « E può affermarsi che: «I coni che passano per cinque punti arbitrari O, P,,... Py dello spazio e toccano nel primo di essi un piano dato w, costituiscono una congruenza () di 2° ordine e di 6% classe avente per linea singolare la cubica Cz del piano w che ha in O un punto doppio e si appoggia alle congiungenti due a due è punti P,,... Py. « Per queste congiungenti e per la C, passa una superficie di 3° ordine ®, che ha in P,,... Py dei punti doppî e che è tangente in O al piano w. Es- sendo tale superficie correlativa nello spazio alla superficie di Steiner, il cono circoscritto ad essa avente per vertice un qualunque suo punto P, si spezza in due coni quadrici aventi in comune le rette PP,,.... PP,, sicchè se il punto P è sulla Cz ora indicata, essendovi fra le tangenti alla ®; che passano per P, la retta PO, uno dei eonì accennati è il cono della congruenza @., di ver- tice P, e quindi la superficie focale della congruenza si spezza nel piano e nella ®D3=(P,... P,)? 03 ora ottenuta. « Inversamente si ha che le tangenti ad una superficie di 3° ordine. SIRIA dotata di quattro punti doppî, che si appoggiano alla curva sezione della superficie con un suo piano tangente senza toccare la superficie su tale curva, formano due congruenze Qi, Qe,6, la seconda delle quali è del tipo in esame. « Nella rete R che contiene i coni della Q>6 esistono co! fasci le cui linee basi si spezzano. Una qualunque di queste C, degeneri è costituita da un raggio c del fascio (O —w) e dalla cubica gobba Cz che passa per i punti 0, 0', P,,... P, ed è tangente nel primo di tali punti al piano «, avendo indicato con O' il secondo punto di sezione del raggio e con la curva 102 it « Ora la cubica gobba secondo cui il cono della congruenza di vertice O' tocca la superficie focale ®;, passa per i punti 0’, 0, P,, ... P4 e quindi coin- cide con la 03, perciò la superficie ®; risulta il luogo delle cubiche gobbe @; che con i raggi del fascio (O — ©) formano le curve basi degeneri di fasci della rete R. « Le 93 costituiscono sulla ®; un fascio avente per base i punti O, P, ,... Pi, e si ha che la 03 che passa per un punto arbitrario A della ®; sega il piano w (a cui è tangente in O) nel punto A' che è la traccia su @ dell'unico raggio « della congruenza Q uscente da A. Sicchè fra i punti della ®; ed i raggi della Q2,6 vi è una corrispondenza univoca, mediante la quale può assai age- volmente ottenersi la rappresentazione più semplice della Q»,s su di un piano. « Basta rappresentare la ®; su di un piano o in modo che le @3="0P,...P, della superficie abbiano per immagini le rette di un fascio (S), e riguardare come corrispondente di un raggio 7 della Q,6 il punto R di o che nella rappresentazione data della ®, corrisponde al punto di contatto di questa su- perficie con la 7. Con ciò i coni quadrici della Q»,6 hanno per immagini le rette del fascio (S); i coni dovuti ai punti singolari P,,... P, hanno per immagini i lati del quadrilatero completo che ha per vertici i punti fonda- mentali A,,... As della rappresentazione della ®;; i raggi del fascio (0 — @) hanno per immagini i punti infinitamente vicini ad S ed i raggi P, P», ... PsP, della Qs,s hanno per immagini quegli stessi punti A,,... As che ne sono le immagini nella rappresentazione della ®; sul piano o. « Ne segue che la superficie Ss = C3° (P, ... P.)? costituita dai raggi comuni alla Q:,6 e ad un complesso lineare, ha per immagine su o una C3= 0, sicchè il rango della Q,g è ©. « Dalla rappresentazione data segue ancora che le superficie rigate di grado minimo contenute nella Qs.s sono delle S3 formanti sistema lineare 00° le quali toccano la ®, lungo le cubiche della rete di cui fa parte il fascio delle 03 = OP, ... Py. « Il complesso di grado minimo non dotato di linea direttrice a cui appartiene la Qs,6, è il complesso di 3° grado Z° costituito dalle generatrici delle quadriche della rete R che contiene i coni della congruenza. Tale complesso 7° ha per raggi doppî i raggi della stella (0) e per raggi semplici quelli delle stelle 23 Qui A (P;), .... (P.) ed ammette per superficie singolare la superficie focale ®; della Q:.6, per ogni punto della quale il cono del complesso 7° si scinde in un cono di secondo grado passante per O, P,,...P, ed in un fascio di raggi il cui piano passa per 0; come in ogni piano 7 tangente alla ®; l’inviluppo dei raggi del complesso I° ammette per raggio doppio il raggio della con- gruenza Q:6 che giace in t. «4. Restano ora ad esaminarsi semplicemente il caso di una rete R di quadriche le cui polarità abbiano una coppia di rette coniugate in comune ed il caso in cui le quadriche della R abbiano una retta, o una conica, 0 una cubica gobba in comune. « In tutti questi casi è agevole riconoscere che le generatrici dei coni non degeneri della rete costituiscono congruenze di tipi già noti, fra le quali non ve ne è alcuna non degenere e di 2° ordine che abbia un'unica linea sin- golare di ordine superiore al primo. « Perciò può affermarsi che: « Esistono semplicemente tre tipi di congruenze non degeneri di 2° ordine costituite dalle generatrici di ©! coni di 2° grado, i cui vertici appar- tengano ad un'unica linea di ordine superiore al primo ». Matematica. — 4 complemento di aleuni teoremi dei sig. Tche- bicheff. Nota di GrovANNI FRATTINI, presentata dal Socio BELTRAMI. « In una Memoria del sig. Tchebicheff (') si dimostra che, se l'equazione a°— Dy°=—N nella quale, come in quel che seguita, le lettere significano numeri interi e positivi, è risolubile in numeri interi e positivi, essa ammette qualche solu- zione non maggiore di / Nin) l 2D compresa cioè fra 0 e la limitazione qui scritta (?). (Con p, si è indicato il valore di 4 nella soluzione minima dell'equazione a —Dy?= 1). « Nella mia Nota, Due proposizioni della teoria dei numeri e loro in- tevpretazione geometrica (3), dimostrai il seguente teorema, del quale è im- (1) Sur les formes quadratiques, v. il « Journal de mathématiques pures et appli- quées » 1851. (2) Dicendo che una soluzione di un’equazione è compresa fra certe limitazioni, si alluderà sempre al valore di y, relativo a quella soluzione. Di più si riguarderanno le due limitazioni quali possibili valori della y. (3) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1892, vol. I, 1° sem. REI IR mediata conseguenza quello del sig. Tchebicheff: se 1, Pi ip: NeccA N siofnio i valori dix nelle successive soluzioni intere e positive del- l'equazione «° —Dy°= 1, la serie dei numeri 4/N(p\+1) LEI SEED ( —— rit. coso separa le soluzioni intere e positive dell’ equazione —Dy° =—N per modo, che il numero delle soluzioni comprese fra due termini consecutivi della serie è costante. « Ora, avendo il sig. Tchebicheff altresì dimostrato (!) che l'equazione a— Dy*= se risolubile, ammette qualche soluzione ix 0 e N(pi— 1) ln e non risultando dal contenuto del citato mio lavoro un teorema più gene- rale anche su questo proposito, mi propongo di trovarlo con questa Nota, dimostrando che: la serie dei numeri 2D 2D 2D separa le soluzioni intere e positive dell'equazione a°—Dy° = N per modo, che il numero delle soluzioni comprese fra due termini consecutivi della serie è costante (?). (3) Tese (?) La seguente interpretazione geometrica, che per brevità è solo accennata, pone in nuova ed ottima luce i due teoremi così generalizzati, mostrandone vie’ meglio l'indole e l’importanza. S' immagini un sistema di coordinate Cartesiane rettangolari % ed 7, e, mediante parallele agli assi delle coordinate, diviso il piano in quadrati di lato eguale all'unità. Si riguardi inoltre ogni nodo della rete dei quadrati come affetto da un indice intero, eguale al valore che le coordinate del nodo medesimo conferiscono alla forma x? — Dy?. Dei quattro angoli formati dalle rette 22 — Dy?=0, i due acuti saranno il campo dei nodi positivi, affetti cioè da indice positivo, e i due ottusi saranno il campo dei nodi negativi. — Ciò premesso, si considerino le sostituzioni lineari «mproprie che trasformano in sè medesima la forma x? — Dy?. Ognuna di tali sostituzioni determinerà una trasformazione lineare involutoria del piano, per la quale ad un punto (@, y) corrisponderà un punto (2, y°) e a questo il I mediante le Tormnole o= DE — ay’; significando @ e 8 due interi, positivi o negativi, che soddisfanno la condizione a*—Df?2=1. Se nelle precedenti formole si pone «= ed y=y", si trova che delle due equazioni risultanti l’una è conseguenza dell’altra; e che perciò ciascuna delle considerate trasfor- ig « 1. Risulta dalla ricordata mia Nota che il numero delle soluzioni del- l'equazione x° — Dy? =: N comprese fra due termini consecutivi della serie 0, qiV/N, gey/N, qsyN,-- (1) è costante ('). « Confrontando la precedente serie con l’altra N(Aaslb ME). AGE > V mp ma oserei SO è facile verificare che i termini della prima sono ordinatamente eguali ai suc- cessivi termini di posto dispari della seconda: che cioè ce Infatti, per un teorema noto, Das + das VD = (Pr+ 1 VD) = (i+ 9V/D) = 2Da* +14 2p, 9 /D e conseguentemente Spe 2Dgs° Sil ; NT N(pas cl) « Considerando ora un numero dispari di termini della (2) incominciando da 0, si supponga dimostrato che tante soluzioni sono comprese fra il primo termine e il medio, quante fra questo e l’ultimo. Potrà inferirsene senz'altro il teorema che è l'oggetto di questa Nota: che cioè il numero delle solu- mazioni lineari ammette una retta, luogo dei punti che si trasformano in sè medesimi. Tale retta, che può chiamarsi asse della trasformazione 0 della sostituzione, passa per l'origine delle coordinate ed ha per equazione 10 B al a+ Ecco pertanto come possono enunciarsi i due teoremi di Tchebicheff generalizzati: Gli assi delle sostituzioni lineari improprie per le quali x? — Dy? torna in sè medesima, dividono il campo dei nodi positivi di questa forma in settori angolari, col centro nel centro del campo: e in modo, che dentro ciascun settore, l'indice di qualsivoglia nodo positivo è contenuto lo stesso nu- mero (finito) di volte. — Nella stessa maniera si diportano gli assi delle sopraddette sostituzioni, per rispetto al campo dei nodi negativi della forma &* — Dy?. (1) Veramente, secondo la mia Nota, si dovrebbe escludere la limitazione superiore dai possibili valori di y, anche quando N fosse quadrato perfetto. Ma è evidente che il teorema sussiste, anche comprendendo tale limitazione : e che il numero costante relativo a questo caso si ottiene aggiungendo una unità a quello che è relativo al primo caso. LAICA zioni comprese fra due termini consecutivi della (2) è costante. Infatti, nel- l’ammessa ipotesi, tante soluzioni saranno comprese fra 0 e N (Poma I 1) 2D quante fra questa limitazione e RETI) | > 2D tante cioè fra il primo e il terzo termine della serie di cinque termini 0, | pra pa EST) ya (Pon 1) Is Pam1). 2D 2D quante fra il terzo e il quinto. D'altra parte la serie di cinque termini scritta qui sopra è uguale a quest'altra : = N(Poma — 1 = = 0, (mar y/N ’ TRS » Um VN » Q2m_ VN 3 e di più tante soluzioni sono fra 0 6 4-1 YN quante fra 4» YN e gen VIN (come facilmente si vede, ricordando che è costante il numero delle soluzioni comprese fra due termini consecutivi della (1) ). Perciò è chiaro che il nu- mero delle soluzioni comprese fra il secondo e il terzo termine dell'una o dell'altra delle precedenti due serie di cinque termini, dovrà essere uguale a quello delle soluzioni fra il terzo e il quarto. — Ponendo consecutivamente m= 1, 2,... e per ciascun valore dato ad 7 applicando quest’ultima con- clusione, si ottiene il teorema che si deve dimostrare. « 2. Rimane a dimostrarsi l'ipotesi ammessa finora, che cioè, conside- rando un numero dispari di termini della (2) incominciando da 0, il numero delle soluzioni comprese fra il primo termine e il medio è uguale a quello delle soluzioni fra il medio e l’ultimo. « Sia il termine della (2) che si considera come medio fra 0 e un altro termine. Quest’ altro termine sarà N27 IN y porri « Usando le formole di Eulero Yo = Ino — Pn Yo Lo = Punto D9n Yo IO es da una soluzione («co , y) dell'equazione <° — Dy? = N se ne deriva un'altra (20, yo). Da esse si ricava Yo = Indo — Pa Yo to=Pn Co — DinYo; il che mostra che le dette formole sono inverse di sè stesse, epperò stabili- scono fra le soluzioni dell'equazione «° — Dy? = N una corrispondenza invo- lutoria. Tale corrispondenza sussiste altresì fra le soluzioni intere e positive, entro i limiti 0 e gg y/N della y: ossia è tale che, se (o, Yo) è soluzione dell'equazione in numeri interi e positivi, dei quali yo = 4n{N, (40,90) è una soluzione altrettale dell'equazione mede- sima, e reciprocamente. — Supponendo infatti che 4, ed yo Sieno positive ed yo = qaWN , si verifica facilmente che «#4. =p,Y/N: e poi, che dn Lo = Pn Yo ; Pu Co = D4n Yo ; ossia yo = 0; <=0.— Che poi y" non superi 9, {/N, che cioè Un Ga Pa Yo Si Un VN È) risulta dal seguente calcolo : (co => y/N) (co + Il N) = Dyo° e conseguentemente, riguardando anche il caso yy = 0 ed 4, =|N, 1 ee N Co VN Yo] D 5 « Ora OE nni Din cl epperò Un y D <= n ° « Moltiplicando fra loro le due ultime disuguaglianze e semplificando, viene N La (o = I N) =Pn Yo ossia ei da Lo — Pa Yo In VN. « 3. Accade poi che, se una delle due soluzioni coniugate (0: Yo), (20, yo) è compresa fra le limitazioni EE 0 e) li 20 l'altra è compresa fra le limitazioni IN Pn — 1) ana e reciprocamente. Per dimostrarlo, basterà provare che due soluzioni coniugate disuguali non possono essere tutte e due comprese fra le prime li- » Un YN 5) ReNDICONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 12 = = mitazioni o fra le seconde; che cioè (facendo uso nel medesimo tempo dei segni > 0 dei segni <) non può essere i), = N((/2, 0) des Np.,— 1) - 2D N — IDEE « Infatti dalla prima di queste disuguaglianze e dalla 2° — Dy? = N seguirebbe : N In — 1 Lo Z V a, 9 L. Lo + Yo VD = y/N (id VD). « Perciò « Ed elevando al quadrato, sostituendo 4,° — Dyy° invece di N e sem- plificando, to + yo VD = (20— yo VD) (Pa +4n VD). «< Dalla quale do = DIG to T1+Pn ‘Ovvero Yo Z Un Lo — Pn Yo od anche UZYo- « Ma, per la seconda delle due diseguaglianze ipotetiche, si dimostre- rebbe similmente che OZYoi conclusione che contradice la precedente. «< Essendo possibile trasformare involutoriamente le soluzioni intere e positive comprese fra 0 e VE! conda limitazione e g,/N, le prime e le seconde debbono essere in egual numero. — C. B. D. in quelle comprese fra questa se- cn « 4. CoroLLARIO. — Se N è primo, fra 0 e LED non può essere compresa che una sola soluzione dell'equazione #4? — Dy? = =N(1). In tal caso le serie (a) e (0) separeranno le soluzioni intere e positive dell'equazione 2°—Dy°=="—N o dell'altra a°—-Dy°=N (1) Tchebicheff, Mem. cit. = oe (supposte possibili) per modo, che fra due numeri consecu- tivi dell'una o dell'altra serie sarà compresa una soluzione della relativa equazione, ed una sola » (1). Fisica. — Misura della costante dielettrica dello zolfo (°). Nota del prof. P. CARDANI, presentata dal Socio BLASERNA. 1. Preparazione delle lastre di zolfo. « Per avere delle lastre di zolfo a facce ben piane e sufficientemente parallele, ho fatto costruire due lastre di marmo quadrate di 35 cm. di lato e ben levigate. Dopo aver passata sopra le lastre della tela leggermente oleata, interposi fra di esse tre piccoli frammenti di vetro tolti da una la- stra da specchio e quindi di spessore perfettamente eguale. (3) Nel « Periodico di Matematica per l'insegnamento secondario » anni VI e VII, ho dimostrato che la formola generale per la risoluzione dell’equazione 4? —— Dy? = — N in numeri interi e positivi è la seguente: + yY VD =(), poi Kekulè e Zineke (3), ma non giunsero a risultati soddisfacenti, stante la decomposizione più o meno forte delle metaldeide in aldeide ordinaria. « Nel 1882 Hanriot et Oeconomides (*) fecero nuove esperienze, in base alle quali si credettero autorizzati di proporre per la metaldeide la stessa formola che per la paraldeide (C, H, 0);. Essi determinarono la densità di va- pore della metaldeide col metodo di Dumas e col metodo di Hofmann; cer- carono di tener conto della quantità d'aldeide prodottasi per la decomposi- zione della metaldeide, calcolarono indirettamente la densità del vapor della metaldeide rimasta inalterata, e giunsero così alla formola (C» H, 0)z. «I numeri ottenuti dagli autori suaccennati lasciano veramente assai a desiderare, come essi stessi riconoscono: l'influenza delle cause d'errore nelle loro esperienze, eseguite naturalmente su piccolissima quantità di sostanza, è assai rilevante. Aggiungo poi che non vi è la certezza, che, durante il riscal- damento, le proporzioni relative dell’aldeide e della metaldeide fossero le stesse che a esperienza finita; ci troviamo qui probabilmente davanti ad uno dei tanti casi di equilibrio delle sostanze polimere e allotropiche, e la pro- porzione, può darsi, varii col variare della temperatura e della pressione; nè può escludersi, che durante il riscaldamento si formi anche della paraldeide od altri prodotti. « Malgrado queste considerazioni la formola proposta da Hanriot et Oeco- nomides fu adottata da molti autori; così sì trova nel trattato del Beilstein (?) (1) Lavoro eseguito nell’Istituto chimico della R. Università di Padova. (2) Berl. Ber. III, pag. 590. Anno 1870. (3) Liebig?s, Annalen. T. CLXII, pag. 147. Anno 1872. (4) Annales de Chimie et de Physique (5). T. XXV, pag. 226, ann. 1882. (5) Beilstein, /andbuch der organischen Uhemie. T, I, pag. 750, 2% edizione. A) e in quello di Victor Meyer e Jacobsen ('). Anzi questi autori dicono che. essendo la paraldeide e la metaldeide della stessa grandezza molecolare, la loro isomeria non si può spiegare che ricorrendo alle formole nello spazio. « Mosso da queste considerazioni cercai di determinare il peso moleco- lare della metaldeide col metodo crioscopico e con quello ebulliscopico, me- todi che permettono di operare a temperature assai basse e di evitare quindi una decomposizione della metaldeide : pur troppo però la metaldeide non si presta molto per queste ricerche stante la sua poca solubilità nei diversi sol- venti. In questa Nota espongo i risultati delle esperienze da me fatte. « La metaldeide, come è noto, è una sostanza, che cristallizza in aghi finissimi bianchi, o in. prismi tetragoni, che sublimano a 115°, senza fondere. Essa è insolubile nell'acqua; nell'etere bollente si scioglie nelle proporzioni di 0,5 °/,, accennando ad una debole scomposizione, che si rende palese dal- l'odore di aldeide, che si mette in libertà. Nell'alcool bollente si scioglie in proporzione di 1,8°/, ed in questo solvente si nota appena la formazione di aldeide; è tanto piccola, che si può nelle esperienze non tenerne conto. Si può dire quasi insolubile nell’acido acetico, nella nitrobenzina, nel bro- muro di etilene bollenti. Nella benzina bollente si scioglie circa in propor- zione di 0,2 °/,. I solventi migliori della metaldeide sono il cloroformio ed il fenolo. « Il fenolo a 42°-45° scioglie più del 4 °/, di metaldeide senza che questa dia segno di decomposizione. « Nel cloroformio sì scioglie bene in proporzione del 3 °/,, nè sì seom- pone qualora si trovi in soluzioni diluite, mentre col crescere della concen- trazione la scomposizione della metaldeide si fa sempre più forte. < Hanriot ed Oeconomides mostrarono nella loro Nota (?) come si scom- ponga la metaldeide quasi totalmente nel cloroformio. Io volli rifare l’espe- rienza da loro accennata, per vedere se, nelle condizioni in cui si eseguiscono ordinariamente le esperienze ebullioscopiche, la decomposizione era tale da im- pedire l’uso del cloroformio come solvente. Presi, come Hanriot et Oecono- mides, gr. 3.9512 di metaldeide e grammi 93 di celoroformio e riscaldai a bagnomaria fino all’ebollizione, ma la sostanza non si sciolse completamente. Lasciai a sè e poi aggiunsi il cloroformio, che si era perduto durante l’ebo]- lizione, e riscaldai di nuovo fino all’ebollizione. Poi lasciai raffreddare e col raffreddamento cominciò a cristallizzare la metaldeide, che erasi disciolta, in aghi finissimi, che si conservarono quasi completamente per due giorni. Misi poi la beuta contenente la suddetta soluzione sotto una campana e ridussi la pressione a 10 centimetri. A poco a poco il cloroformio si evaporò, e con esso una gran parte della metaldeide primitiva si scompose, lasciandomi un (1) V. Meyer e P. Jacobson, Zehrbuch der organischen Chemie. T. I, pag. 407. (2) Nota cit. — 100 — residuo di 0,9210 di metaldeide invece che di 0,037 trovato da Hanriot ed Oeconomides. « Ripetei questa esperienza facendo evaporare la soluzione a pressione normale a 60°; prendendo srammi 3,9628 di metaldeide e 93 grammi di cloroformio, portai a secchezza e mi restò un residuo di grammi 2,2080 di metaldeide. « Osservando l'andamento di tale scomposizione potei constatare, che la metaldeide va maggiormente scomponendosi col crescere della concentrazione delle soluzioni. Per assicurarmi d'un tal fatto. che poteva essermi utile nelle mie ulteriori ricerche, presi 0,9208 di metaldeide, che sciolsi in 169 grammi di cloroformio, pesai la beuta contenente detta soluzione, e poi feci bollire a reflusso, onde non aver perdite sensibili del solvente. L'apertura esterna del refrigerante, mediante un tubo, la misi in comunicazione con una solu- zione di nitrato d'argento ammoniacale, avendo però la precauzione, che l'acqua che circolava nel refrigerante fosse fra i 20° e i 22°. « Feci bollire per mezz'ora senza avere riduzione sensibile nella soluzione di nitrato d'argento ammoniacale. « Ripesai dopo raffreddamento completo ed ebbi una minima perdita di peso, circa 0,2 dovuta allo svaporamento del solvente, come mi assicurai con una esperienza fatta in bianco. « Aggiunsi allora alla precedente soluzione grammi 1,1232 di metaldeide, feci bollire di nuovo nelle condizioni suaccennate e con questa concentrazione si manifestò nettamente una riduzione nella soluzione argentica, cioè c'era svi- luppo d'aldeide. « Da ciò dovetti concludere che la metaldeide in soluzione debole non sì scompone affatto o pochissimo. « In base a questo fatto mi servii anche di questo solvente nelle deter- minazioni del peso molecolare della metaldeide, facendo delle soluzioni di con- centrazione relativamente piccola, affine di renderne la scomposizione trascu- rabile. I solventi di cui mi son servito per le mie esperienze sono l'alcool, l'etere, il cloroformio ed il fenolo. « Coll’etere ottenni dei risultati molto discordanti per la poca solubilità, che ha la metaldeide in detto solvente; perciò non darò che i risultati ottenuti con gli altri tre. « Per l'alcool e pel cloroformio determinai il punto d'ebollizione delle soluzioni servendomi dell'apparecchio e del termometro di Beckmann; per il fenolo determinai il punto di congelamento delle soluzioni servendomi pure dell'apparecchio e del termometro di Beckmann e come controllo del depres- simetro di Eykman (?) (1) I. F. Eykman, Zur kryoscopischen Molekulargewichtsbestimmung. Zeitschrift fur physikalische Chemie. T. IV, pag. 497, anno 1889. — 101 — « L'alcool è fra i varî solventi che si adoperano nelle ricerche ebulli- scopiche uno dei migliori, ma nel caso attuale esso presenta l'inconveniente, che essendo da un lato assai piccolo l'innalzamento molecolare (11.5) ad esso relativo, e dall'altro essendo la metaldeide in esso poco solubile, ed avendo un peso molecolare elevato, gli innalzamenti termometrici sono assai piccoli, e non raggiungono nemmeno il decimo di grado; quindi gli errori sperimen- tali inevitabili influiscono molto sul risultato finale. « In questo solvente si può ammettere che la metaldeide non si scom- ponga, poichè facendo quel che feci per il cloroformio, cioè facendo bollire una soluzione alcoolica di metaldeide in apparecchio a ricaderè, non ebbi per- dita di peso, nè ebbi riduzione apprezzabile nella soluzione di nitrato d'ar- gento ammoniacale. « Ecco i risultati di alcune esperienze: Punto d'ebullizione delle soluzioni alcooliche di metaldeide. | GC onrentrazione Innalzamento Coefficiente Innalzamento | termometrico d'innalzamento molecolare 1.2742 0.030 0.02355 | 11.40 per (C:H,0);: | | 1.3296 0.075° 0.04348 11.48 » (C.H40x 1.8085 0.06° 0.08316 | 11.70 » (C.H.0) 1.9725 0.053° 0.02656 11.81 » (C:H4O)ko0 « Con questi dati non credo si possa concludere in modo preciso qual sia la vera formola, che spetta alla metaldeide; si può però asserire, che in soluzioni alcooliche il suo peso molecolare è assai più elevato, di quello cor- rispondente alla formola (Cs Hy 0)z. « La formola non sembrerebbe di certo minore di (C» Hi O);. « Ho antecedentemente mostrato il comportamento del cloroformio verso la metaldeide. Il cloroformio, ch'io sempre usai nelle mie esperienze non era punto acido; acidità, che talvolta si ha per i lavaggi che ha subìto preceden- temente. Bolliva a 62,1°. L'innalzamento molecolare per il cloroformio è 36,6. Punto d'ebullisione delle soluzioni cloroformiche di metaldeide. ‘Concentiazione | Innalzamento Coefficiente Innalzamento termometrico d’innalzamento molecolare 0.9100 0.14° 0.1648 36.25 per (C.H,0); | 12779 0.29° 0.1721 | 86.86 » (C.H.0); 1.2957 0.18° 0.1389 36.67 » (C.H40); 1.7716 0.24° , 0.1355 36.77 » (C.H10)s — 102 — « Da queste esperienze si dedurrebbe, tenendo conto principalmente di quelle che si riferiscono alle soluzioni più concentrate, che la grandezza mole- colare della metaldeide in soluzione nel cloroformio è (Cs Hi O). « Il fenolo non agisce sulla metaldeide in modo da decomporla in aldeide, come il cloroformio; nondimeno in via generale è un solvente che si presta poco a queste determinazioni, essendovi poco accordo fra i valori che esperimen- talmente si trovano in confronto di quelli calcolati, e nel caso speciale po- tendo esso agire sulla sostanza, malgrado non dia sviluppo d'aldeide, non essendo un solvente neutro, vero e proprio. Il valore per l'abbassamento mo- lecolare per il fenolo è 77. Facendo alcune esperienze con sostanze già stu- diate da Eykman, io ottenni per l’acqua il numero 65,73 e per l'acido ben- zoico 71,51, valori che si accordano con quelli trovati da Eykman. Punto di congelamento delle soluzioni fenoliche di metaldeide. Concentrazione | Abbassemento | Coefficiente | *iiseoiare. | © molecolare. termometrico d’abbassamento per (C0H,0)3 per (C,H,0), 1.5306 | 0.73? | 0.4768 62.94 83.92 78500008 0.80° 0.4479 59.12 76.83 1 8992 0.900 0.4738 66.63 83.39 Ori MOSTO 0 59.99 79.99 | | da Ras he « L'esperienze in soluzioni fenoliche porterebbero alla formola (C, H; 0), o meglio ad una formola compresa fra (C. H, 0); e (C. H, O),. « In conclusione mi sembra di poter affermare che tanto in soluzione clo- roformica quanto in soluzione alcoolica alla metaldeide spetta una formola o assai più complessa che alla paraldeide: invece le esperienze col fenolo por- terebbero alla formola (C. H, 0); o al più alla formola (C, Hi 0),. È però assai probabile che il fenolo eserciti qui un'azione decomponente, pur senza ridurre la metaldeide in aldeide ordinaria; ed è del rimanente assai proba- bile che la complessità molecolare della metaldeide varii molto a seconda delle condizioni nelle quali si fanno le esperienze. È probabile che il com- posto solido ché costituisce la metaldeide abbia una complessità molecolare assai grande, e che la sua molecola vada in alcune circostanze scindendosi in molecole più semplici, corrispondenti forse ad altri polimèri non ancora isolati e si stabiliscano così volta per volta dei casi speciali di equilibrio. Sarebbe forse utile di ripetere le esperienze di Hanriot e di Oeconomides facendo va- riare la quantità di sostanza che si riduce in vapore e le condizioni di tem- peratura e di pressione: probabilmente troveremmo formule diverse da quella da loro proposta ». — 103 — Morfologia. — /rtorno al preteso occhio anale delle larve degli Opistobranchi. Nota del dott. G. MAZzARELLI, presentata dal Socio TRINCHESE. È Cinque anni or sono, nei « Comptes Rendus » dell'Accademia di Pa- rigi, il Lacaze-Duthiers e il Pruvot, in una Nota intitolata: Sur un vez! anal larvaire des Gastéropodes opisthobranches, annunziarono di aver sco- perto nelle larve di diversi Opistobranchi (Aplysta, Philine, Hominea, Pleu- robranchus [= Oscanius ?], Doris, Aeolididae) un « occhio anale » assai grande che, secondo gli autori, varrebbe a supplire l'assenza degli occhi ce- falici nelle larve cieche, mentre in quelle fornite di occhi sarebbe in via di regresso. Quest’ « occhio » rappresenterebbe morfologicamente nelle larve degli Opistobranchi quello speciale organo di senso scoperto dal Lacaze-Duthiers nelle larve dei Pulmonati aquatici (organo olfattorio di Spengel), e sarebbe in rapporto con un piccolo ammasso cellulare, inizio dei gangli deutovisce- rali, o centro asimmetrico secondo la nomenclatura del Lacaze-Duthiers (!). « L'organo in parola, al quale il Lacaze-Duthiers e il Pruvot vollero attribuire le funzioni di un occhio, è conosciuto da lungo tempo, senza che alcuno abbia potuto attribuirgli una funzione precisa. Sin dal 1844 il Lovèn lo descrisse nelle larve di Philine (Bullaca) aperta (*). In seguito quest'or- gano fu visto da diversi altri osservatori. Così nel 1873 il Langerhans lo descrisse in una Dorzs e nell’Acera bullata, ritenendolo come rene (3). Con temporaneamente quasi il Lankester lo descriveva nelle larve di Ap/ys74, consi- derandolo come originato da un diverticolo dell'intestino, e gli attribuiva le fun- zioni di rene, ritenendolo omologo all'organo di Bojanus dei Lamellibranchi (4). Nel 1881 il Trinchese lo descriveva nelle larve di molti Nudibranchi e spe- cialmente in quelle di Ercolania Stottii, dove è assai carico di pigmento nero, col nome di « glandola anale » dalla posizione da esso occupata. Egli notò che quest'organo trae origine dal mesoderma (*). Nel 1882 l'Haddon lo vide (2) H. de Lacaze-Duthiers et Pruvot, Sur un oe anal larvaire des Gastéropodes opisthobranches, in: Compt. Rend. Accad. Paris, t. CV, p. 707. Séance du 24 Octobre 1887. (2) S. Lovèn, Om nordisbke Hafs-Mollusker, in: Oefversigt. Kongl. Vetensk. Akad. Forhandl. p. 49, 1844. Stokholm 1845. (3) P. Langerhans, Zur Entwicklung der Gastropoden Opisthobranchioten, in: Zeitschr. wiss. Zool. Bd. XXIII, 1873, p. 171. (4) E. Ray Lankester, Contribution to Developmental History of the Mollusca, in: Philos. Trans. London 1874. (3) S. Trinchese, Acolididae e famiglie affini del Porto di Genova, Parte seconda, p. 108, in: Mem. R. Accad. d. Lincei, vol. XI (3) Roma 1881. — 104 — nelle larve di £ysia viridis e di un Prosobranchio (Junthina) (1). Nel 1884 il Rho lo descrisse nella Ch7romodoris elegans ritenendolo come rene (2). Inoltre lo ha recentemente osservato (1891) H. Fischer nella Corambe te- studinaria, emettendo l'ipotesi che esso sia in rapporto genetico con una speciale e piccola glandola, la quale sbocca presso il poro renale, che egli chiama « mediana posteriore ». Egli esclude quindi implicitamente le idee del Lacaze-Duthiers e del Pruvot (3). Infine quest’ « occhio anale » è stato ossservato anche da R. Heymons nell'Umbrella mediterranea (4). « Da questo rapido sguardo storico si scorge che l’ « occhio » descritto dal Lacaze-Duthiers e dal Pruvot era conosciuto da molto tempo e ritenuto ad ogni modo come un organo glandolare. A quest'organo è stata attribuita successivamente un'origine entodermica (Lankester), mesodermica (Trinchese), ectodermica (Lacaze-Duthiers e Pruvot). « L'organo descritto come « occhio anale » trovasi d'ordinario nelle larve degli Opistobranchi. Esso si presenta quasi sempre come una vescicola piri- forme, relativamente molto grande, contenente una quantità variabile di pig- mento nero o variamente colorato. Nelle larve di £rcolania Stottii, secondo le osservazioni del Trinchese, il pigmento è nero ed è in grande abbondanza. Secondo le mie osservazioni nella Philine aperta esso è dapprima rosso car- minio e diventa più tardi rosso cupo, quasi nero, come videro anche Lovèn, Haddon, Lacaze-Duthiers e Pruvot. Nel Gastropteron Meckelii l' « occhio anale » è sviluppatissimo ed ha un pigmento color azzurro carico. Nelle larve di Aplysia punetata il pigmento è nero, ma è molto scarso. Tutte queste larve sono cieche. Secondo le osservazioni del Lacaze-Duthiers e del Pruvot nelle larve di Haminea (Bulla) hydatis, che sono fornite di occhi cefalici, l'organo in parola subirebbe uno sviluppo regressivo e terminerebbe con l’atrofizzarsi. Ma è veramente un’atrofia che hanno osservata i due autori menzionati, o non si tratta piuttosto di un semplice cambiamento di colore del pigmento, o anche di una diminuzione della quantità del pigmento medesimo ? Io non ho potuto avere larve di Zamznea, ma ho potuto però osservare quelle di Plew- robranchus plumula. Le larve di questa specie son fornite di occhi cefalici, e ciò non ostante posseggono un enorme « occhio anale », carico di un pigmento rosso bruno assai compatto, che lungi dal seguire uno sviluppo regressivo e di atrofizzarsi, si sviluppa maggiormente, e, quando la larva diventa libera, esso è tanto sviluppato quanto può esserlo in una larva cieca. Vi sono poi altre (1) A. Haddon, Notes on the Development of Mollusca, in: Quarterly Journ. Micr. Sc., vol. XXII. 1882. : (9) F. Rho, Studi sullo sviluppo della Chromodoris elegans, Napoli 1884, in: Mem. R. Accad. Sc. fis. e mat. vol. I (2). (3) H. Fischer, Recherches anat. sur un Mollusque nudibranche appartenant au genre Corambe, in: Bull. Scient. de la France et de la Belgique, T. XXIII. 1891. (4) Il lavoro dell’Heymons non è ancora pubblicato. — 105 — larve in cui l' « occhio anale » non ha pigmento e non è perciò meno svi- luppato. Ciò avviene per esempio, secondo le osservazioni del Trinchese, nelle larve di Amphorina coerulea (con occhi cefalici) e di Berghia coerulescens (cieche). Ciò ho potuto osservare anch'io nelle larve di Zlysia viridissima (cieche) e di Aplysia depilans e A. limacina (cieche). In queste ultime due specie l’ « occhio > è pieno di un liquido incoloro in cui notansi delle piccole concrezioni giallognole, simili a quelle che trovansi nei due reni cefalici delle medesime specie ('). Infine vi sono delle larve in cui invece di un solo « occhio anale > ve ne hanno due. Questo è il caso della Doto coronata le cui larve cieche, secondo le osservazioni del Trinchese, hanno due « occhi anali = privi di pigmento e interamente incolori. Tutti questi fatti non mi sembra che si accordino troppo bene con la funzione visiva che si è voluta attribuire a quest'organo. « D'altra parte anche lo sviluppo di quest'organo è in disaccordo con una tale opinione. Io ho finora studiato lo sviluppo dell’ « occhio anale » sol- tanto nelle tre specie di Ap/ysia del golfo di Napoli e lo esporrò qui bre- vemente. L'embrione, quando ha raggiunto lo stadio di gastrula (per epibolia) risulta semplicemente di due foglietti : ectoderma e entoderma, i quali sono addossati l’uno all’altro. Le cellule dell’entoderma sono tutte simili tra loro. Chiusosi il blastaporo, l'entoderma gradatamente si distacca dall’ectoderma, e resta così fra questo e quello una cavità blastocelica. Ciò avviene dapper- tutto, eccettuati i poli orale ed aborale dell'embrione. In corrispondenza di ciascuno di questi due celrule dell'entoderma, l'una a destra, l'altra a sinistra, diventano assai più grandi delle altre. Dimodochè a questo stadio l'embrione possiede nell’entoderma quattro grandi cellule: due al polo orale, due all'abo- rale. Apparsa al polo aborale l’introflessione preconchigliare, e successiva- mente l'introflessione orale all’altro polo, queste due introflessioni s insinuano tra le due corrispondenti grandi cellule entodermiche, le quali vengono allora respinte a destra e a sinistra dell'introflessione rispettiva. Esse allora rapi- damente si distaccano dall'entoderma, spinte dal rapido moltiplicarsi per di- visione indiretta delle piccole cellule entodermiche, e passano nella cavità bla- stocelica. In questa cavità ciascuna di esse resta tra l’'ectoderma e l’ento- derma nell'angolo che formasi tra questi due foglietti, rispettivamente a li- vello dell'introflessione preconchigliare e dell'orale. Si hanno quindi quattro grosse cellule entodermiche che passano tardivamente nella cavità blastoce- lica diventando le cellule primitive del mesoderma. Dopo ciò le grandi cel- (3) Nelle Aplisie si conoscono da lungo tempo (Lankester e Blochmann) due vesci- cole piene di corpuscoli giallognoli in alcune specie, rossi o violetti in altre che trovansi alla base del velo. Queste vescicole sono evidentemente omologhe ai reni cefalici o « ne- frocisti » delle larve di molti Nudibranchi. Esse, come osservò anche il Trinchese, compa- riscono assai presto nel mesoderma alla base del velo e non entrano mai in comunicazione con l’esterno. RenpICONTI. 1892, Vol. I, 29° Sem. 14 — 106 — lule mesodermiche che chiamerò « orali » si moltiplicano rapidamente pren- dendo parte attiva alla formazione del velo e del piede. Le altre due che chiamerò « aborali » restano invece inattive, sinchè avanzatosi lo sviluppo della larva e formatasi la conchiglia, sparisce l’introflessione preconchigliare e comincia la torsione dell'embrione, che perde la sua primitiva simmetria. Allora le due cellule mesodermiche aborali vengono in contatto tra loro e gradatamente sono spinte sempre più verso destra. Esse sono facilmente ri- conoscibili anche perchè presso di loro trovansi nell’ectoderma le due così dette « cellule anali » o del Langerhans. A questo stadio le due cellule abo- rali si moltiplicano e costituiscono così tra l'entoderma e l’ectoderma un piccolo ammasso cellulare. Intanto in corrispondenza di questo incomincia a manifestarsi un’introflessione ectodermica. In seguito le cellule dell'ammasso mesodermico suddetto si dispongono in modo da lasciare libera tra loro una cavità che si riempie di un liquido incoloro in cui scorgonsi delle concrezioni giallognole. Quasi contemporaneamente l'invaginazione ectodermica raggiunge quella sorta di sacco che si è così formato, e ne mette la cavità in comu- nicazione con l'esterno. Mentre ciò avviene, la torsione della larva si com- pleta e si forma l’ano, a sinistra del quale viene a trovarsi l'organo sacci- forme. Infine le pareti di quest'organo sì rivestono di fibre muscolari che gli formano intorno un vero reticolo. Quando la larva è diventata libera, l'organo che si è così formato si trova collocato a sinistra del retto ed ha poco ( Aplysza punctata) o punto pigmento (A. depilans e limacina). Il suo orifizio apresi all'esterno a sinistra dell'ano in fondo all’inizio della cavità palleale. Le sue pareti interne sono tappezzate di cellule relativamente grandi con protoplasma finamente granuloso e nucleo tondeggiante e piccolo, contenenti concrezioni giallognole, simili a quelle che trovansi ancora nel liquido incoloro che riempie la cavità del sacco. Tutta la porzione rigonfiata di quest'organo e parte del suo collo è di origine mesodermica (come osservò il Trinchese nelle Aeolididae) e solo l'estremità distale del suo collo è di origine ectodermica ('). “e Un tale organo non può certo essere un occhio; nè d'altra parte po- trebbe concepirsi un occhio privo di pigmento e bene sviluppato in larve man- canti di occhi cefalici che esso sarebbe destinato a supplire; come non spiegasi la presenza di un terzo occhio assai ricco di pigmento e bene sviluppato in larve provvedute di due occhi cefalici perfettamente sviluppati. Il modo di formazione di quest'organo, i suoi rapporti, le concrezioni che si trovano nelle cellule che lo costituiscono, mostrano chiaramente che esso è un reze, così come suppose il Langerhans circa vent'anni or sono, quando lo vide nelle larve di Acera bullata vuotarsi interamente del suo contenuto per contrazione delle sue pareti. (1) Queste osservazioni sono state fatte nella Stazione Zoologica di Napoli su embrioni e larve viventi, convenientemente colorate, e rischiarate e chiuse in balsamo ?n toto, e in sezioni seriali fatte col microtomo. — 107 — « Questo rene non è però certo un rene cefalico, come scorgesi sempli- cemente dalla posizione che esso cecupa. Un paio di reni cefalici esiste ge- neralmente nelle larve degli Opistobranchi ed hanno ricevuto il nome di « nefrocisti » (Trinchese) appunto perchè sono in forma di sacchetti chiusi senz’alcuna comunicazione con l'esterno e contengono concrezioni, e talvolta cristalli (nell'’/anus cristatus secondo il Trinchese), spesso vivacemente colo- rati. Questo rene anale — primitivamente anch'esso pari, come lo dimostra il suo sviluppo nell’Aplysta — rappresenta dunque il secondo paio di reni appartenente al secondo segmento del corpo del Mollusco. Inoltre esso corri- sponde esattamente per i suoi rapporti all’inizio del rene definitivo delle larve dei Prosobranchi. Infatti io stesso ho potuto osservare per cortesia del mio amico dott. R. von Erlanger delle larve di Cap/us in cui il rene definitivo corrisponde esattamente a questo rene anale delle larve degli Opistobranchi (!). Deve solo notarsi che essendo lo sviluppo degli Opistobranchi molto più lento di quello dei Prosobranchi (almeno dei Prosobranchi superiori), avviene che negli Opistobranchi le larve diventano libere quando il rene trovasi in uno stadio in cui trovasi il rene dei Prosobranchi molto prima della fuoriuscita delle larve. Cosicchè in uno stadio relativamente precoce dello sviluppo di Capulus, il rene definitivo occupa, come mi ha mostrato il dott. v. Erlanger, una posi- zione interamente simile a quella che occupa il rene di 4p/ysia nel momento in cui la larva diventa libera. In seguito però la sua posizione muta alquanto ed esso subisce nei Prosobranchi delle modificazioni di posizione e di strut- tura che non è possibile, sino ad ora, seguire negli Opistobranchi per mancanza di materiale, poichè negli acquari le larve muoiono tutte poco dopo la loro nascita. « Da tutto ciò io credo di poter conchiudere che il preteso « occhio anale » delle larve degli Opistobranchi è semplicemente il rene definitivo di questi Gasteropodi. Ne viene da ciò la completa omologia del rene definitivo nei Prosobranchi, nei Tectibranchi e nei Nudibranchi. Inoltre il fatto che nelle larve degli Opistobranchi il rene definitivo, dopo la torsione, viene a col- locarsi a s7nzstra del retto mostra, contrariamente alle vedute di R. Perrier (*), che ilrene che persiste nei Prosobranchi e negli Opistobranchi non è %/ destro, com'egli crede, ma 7 seristro. Ciò invero deve ora ammettersi non solo per i fatti embriologici ora esposti, che si accordano con quelli osservati dal (1) Ciò può anche dedursi osservando soltanto le figure di alcuni recenti lavori sullo sviluppo dei Prosobranchi, come ad esempio quello del Salensky sul Vermetus (Études sur le développement du Vermet, in: Arch. d. Biol. t. VI, p. 655, 1887) e quello più recente del von Erlanger sulla Paludina (Zur Entwicklung von Paludina vivipara, in: Morhp. Jahrb. Bd. 17; 1891). (2) R. Perrier, Recherches sun l'anatomie et l'histologie du rein des Gastéropodes Prosobranches, in: Ann. d. Sc. Nat. Zool. t. VIII (7) 1889. — 108 — v. Erlanger (!), ma anche per i fatti anatomici messi ora in luce dal von Erlanger medesimo nelle sue ricerche sul rene di alcuni Prosobranchi = (?). OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 3 luglio al 7 agosto 1892. Anspach L. Le role de l'eau dans les cylindres à vapeur. Liège, 1892. 8°. Matteveci R. V. — Note geologiche e studio chimico-petrografico sulla re- gione trachitica di Roccastrada in provincia di Grosseto. Memoria 2%. Roma, 1892. 08°. Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. Carta idrografica d'Italia- Lazio. Ruma, 1892. 8°. Stossich M. — 1 distomi dei mammiferi. Trieste, 1892. 8°. (3) R. v. Erlanger, op. cit. e inoltre: Leshige zur Entwicklungsgeschichte der Ga- steropoden (Bythinia tentaculata) in: Mitth. Zool. Stat. Neap. Bd. X, 1892 (2) R. v. Erlanger, On the paired Nephridia of Prosobranchs, ecc. in: Quarterly Journ. Micr. Se. vol. XXXIII, 1892. 9 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA RR. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. i MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 21 agosto 1892. Fisica. — Sulla distribuzione dei potenziali presso il catodo. Nota preventiva del Corrispondente Augusto RIGHT. « Un mio precedente lavoro (!) contiene la descrizione del seguente fe- nomeno. In un palloncino di vetro contenente aria rarefatta trovasi un elettrodo comunicante col polo — d'una pila il cui polo + è a terra, mentre è a terra pure la parete interna argentata del palloncino. Un secondo elettrodo, che è mobile, comunica con un elettrometro a quadranti. La deviazione che si ottiene, dopo un intervallo costante di tempo, cresce fino ad un massimo allorchè si ripete la misura aumentando di volta in volta gradatamente la distanza fra i due elettrodi, e poi diminuisce di nuovo. « Considerando che fra l'elettrodo negativo e la parete del pallone deve propagarsi in un modo continuato l'elettricità, e che l'elettrodo mobile altro non è che una sonda, che assume in tempi eguali potenziali sensibilmente proporzionali a quelli dei vari punti dell’aria rarefatta ove la sonda stessa si trova, ho istituito nuove esperienze sostituendo un galvanometro all’elet- trometro. La deviazione galvanometrica è in tal caso dovuta alla corrente derivata, essendo la sonda e l’anodo (parete argentata) i punti d'attacco della derivazione. Ammessa la proporzionalità fra le deviazioni osservate e la dif- (} Rend. vol. VI (1890) pag. 83 RenpIcoNTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 15 — 110 — ferenza fra il potenziale del punto ove trovasi la sonda ed il potenziale del- l'anodo, ho potuto stabilire i fatti seguenti. « Allontanandosi dal catodo si trovano potenziali di più in più bassi, sino ad una certa distanza, oltre la quale crescono nuovamente. Esiste dunque intorno al catodo una superficie ideale, nei vari punti della quale il poten- ciale ha il minimo valore (cioè anche più negativo che in punti immediata- mente vicini al catodo). La chiamo per brevità superficie negativa (1). La sua distanza dal catodo cresce colla rarefazione, e qualche poco anche al di- minuire della f. e. della pila, e al diminuire del raggio di curvatura del catodo. « Alle due parti di essa la discesa di potenziale non è egualmente ra- pida, ma lo è assai più fra il catodo e la superficie negativa, che non fra questa e l'anodo. Essa è poi più rapida alle pressioni relativamente più forti dell’aria, come pure quando s’'impiegano f. e. appena sufficienti affinchè la trasmissione dell’elettricità nell'aria rarefatta possa aver luogo. « Per esempio, con pressione dell'aria di 5 mm. e con una pila di f. e. appena bastante perchè passi l'elettricità fra il catodo e la parete argentata del pallone, il galvanometro non devia finchè la sonda è a distanza dal ca- todo minore di circa 1 mm. Alla distanza di circa 1 mm. si osserva una forte deviazione, mentre aumentando ancora di pochissimo la distanza suddetta il galvanometro torna quasi a zero. Si ha insomma lo stesso effetto come se la superficie negativa fosse un involuero metallico comunicante col polo ne- gativo della pila, e toccato ad un tratto dalla sonda quando la sua estremità giunge ad 1 mm. dal catodo. < Con pressioni minori o con maggiori f. e. le deviazioni decrescono più o meno lentamente allorchè la sonda si scosta, da una parte o dall'altra, dalla superficie negativa. « Se mentre uno dei reofori del galvanometro comunica ancora colla sonda, si pone l’altro in comunicazione col catodo, anzichè colla parete del recipiente, la quale fa da anodo, le deviazioni sono naturalmente invertite, ma non si riconosce più l’esistenza della superficie negativa. Infatti in tal caso le de- viazioni crescono gradatamente spostando la sonda dal catodo verso l’anodo. « Mi sembra che la ragione della differenza di risultati che sì ottengono nei due casi debba dipendere da ciò che la sonda nel primo caso fa da anodo, relativamente alla corrente derivata, e nel secondo fa invece da catodo. Se intorno ad essa in quest'ultimo caso si forma una distribuzione di potenziali simile a quella definita più sopra, potrà esservi una specie di compensazione che nasconderà l’esistenza della superficie negativa. Con ciò si spiegherebbe ancora come essa abbia potuto sfuggire agli altri sperimentatori. (1) Nel mio nuovo apparecchio catodo ed anodo sono sensibilmente sfere concetriche. Per simmetria anche la sup. neg. avrà tal forma. — 11 — « Esperienze dimostrative fatte coll’elettroscopio, mi hanno dato risultati affatto paralleli a quelli esposti. Se, infatti, la sonda comunica colla foglia d'oro d’un elettroscopio a pile secche, e se l’anodo (parete del pallone)\co- munica col suolo, la deviazione (negativa) della foglia d’oro cresce fino ad un massimo, allorchè la sonda viene allontanata dal catodo. Se invece è questo che comunica col suolo, la deviazione (positiva) cresce gradatamente. Stante il non mai assoluto isolamento, la spiegazione precedente si applica anche alle espe- rienze fatte coll’elettroscopio. « Nella Memoria completa che pubblicherò tra qualche tempo, darò i particolari delle esperienze, e farò un confronto fra i miei risultati e quelli anteriori di Warren de la Rue e Miller, di Schuster e di Crookes =». Matematica. — Sulle espressioni analitiche generali dei movi- menti oscillatori. Nota di CARLO SOMIGLIANA, presentata dal Socio BELTRAMI. l « $ 1. Nella Mathematische Optik di Kirchhoff, pubblicata l’anno scorso per cura del sig. dott. K. Hensel, è richiamato ('), senza riportarne la dimostra- zione, un teorema di Clebsch relativo alla decomposizione di qualsiasi movi- mento oscillatorio di un mezzo isotropo in due movimenti, l'uno longitudi- nale, l'altro trasversale (*). Anche nelle più recenti Vorlesungen dber die Theorie des Lichtes di Volkmann il lettore, per la stessa questione, è ri- mandato alla dimostrazione di Clebsch. Ora il procedimento seguito dall’illustre geometra per dimostrare il teorema in discorso non è molto semplice, ed inoltre richiede, a mio credere, qualche altra considerazione che lo completi. « Perciò non sarà forse priva di interesse, almeno per la sua semplicità, la dimostrazione che segue. « Supposto che non esistano forze di massa, le equazioni del movi- mento sono : d°U > 99 ; (3 DI o — IENE — di? dI 1) ==it : 2 dv , dI 7a Di h3 a? dt dy AE DS iS 2) — Dè ha (af Qi (RL (1) Erste Vorlesung, $ 3. (2) Clebsch, Weder die Reflezion an einer Kugelfliche, Borchardt's Journal fiir die reine und angewandte Mathematik, Bd. LXI. — 112 — dove v, v, 7 rappresentano le componenti di spostamento, £ il tempo, x,y, < coordinate rettangolari, ed inoltre dW dU dU 170) È dV dU == — VWE= == n DION zi od RI RIA a, b infine sono le velocità di propagazione delle onde piane trasversali e longitudinali. « Dalle equazioni (1) segue immediatamente, come è noto, (DE— 98.1) 6=0 (D/ — a 43) 9 —= 0 o (Dì — a 43) yes 0 , (D.° — a° 43) È — ab « Supponiamo dapprima che in un tempo £4 siano nulli in tutto lo spazio gli spostamenti e le velocità, cioè si abbia "du dV dWw 3 == == == = ) dille vi td At p_ p (di | dt 8 lo la at 2 L t t L L W= | dt | IM | di IC me = c | di far j lo lo lo lo uto (277) OR peri = « Se noi poniamo è chiaro che, integrando l'equazione (1) due volte rispetto al tempo fra 4 e 4, si trova u = = dI de dY 5) pi NIDI Y dI dg AMB Un TE dE 7 dY sz « Ora a cagione delle condizioni (3), e della regolarità che noi ammet- tiamo per le funzioni %, v, w e le loro derivate, almeno in tutto il campo, in cui fa d'uopo di considerarle, si ha Nt t dl t d°0 i Q°E ON: dit =. di dt dille dI dl° A) e/to llo e perciò L (a (DE — 8° 4:)0 (AT) t ele) p_o [di lo t t (Di — a 4,)U= a? (a (ue 43) È (AT) lla — 113 — ed altre due equazioni analoghe per V, W. A cagione delle (2) avremo dunque: (Del 8° 4,) PM (D°— a 4,)U=0, (D°—-a°4,)V=0, (D°— 14.) W=0. D'altra parte tutte la volte che queste equazioni sono soddisfatte, le (5) danno degli integrali delle equazioni (1); perciò, ammesse le condizioni (3), abbiamo il teorema di Clebsch: « Le soluzioni più generali delle equazioni(1) sono date dalle espressioni (5), dove P è una soluzione dell'equazione: (Di o 6 43) È _ 0 ed U, V, W sono soluzioni dell'equazione: (D°— dd 4))pgp=0. « Non è difficile ora liberarci dalla restrizione portata dalle (3). Suppo- niamo infatti che queste condizioni non siano più soddisfatte; ed indichiamo con d ; . 5 5 ; Yo, 1; i valori, per {= 4, di una funzione qualunque g e della sua deri- vata rispetto al tempo; inoltre poniamo dI Die e « È chiaro che integrando due volte fra 4, e £ le equazioni (1), invece di ottenere le (5), avremo PES QUEEN u — Ut = — È dano dY QP dW_ QU 6) v—- vt =—+T—È dY dI de RTP UMM d2 dY dI dove P, U, V, W sono ancora le stesse funzioni definite dalle (4). Per tro- vare le equazioni a cui ora soddisfanno queste funzioni, osserviamo che si ha t t D, P= be 0= e (a (di D 0+ b? 00% En e/o t t De = 969 (a (di Di £ + a? 5° I ZI quindi, per le (2), 7) (D° — 9° 41.)P=d° 0, (D*a4,)U=a° È, ed altre due equazioni analoghe per V, W. « Ora è noto che una terna di funzioni di x, y, s come wo, Vo, Wo, oppure le loro derivate rispetto al tempo, può sempre essere rappresentata con espressioni analoghe ai secondi membri delle (5), colla condizione inoltre — 114 — re - = — 0 per la terna U, V, W (!). Noi potremo quindi porre: DA dY ds È DIS dv dW' Uil dI da dY 3) , Ià r 8) = sa po ded dY dI dI NRE DUE dV' Wo} E= grossa dé dY dI colla condizione DU, = Cui lm Qu =-(0) dI dY Date e le funzioni P', U', V, W', al pari dei primi membri, saranno /unzzoni lineari del tempo. « Se ora poniamo : P U=U+U VaeV+V W=-W+W' le (6) divengono : dA de dY È VE RW SU 9) 0° sala! — dY QI d8 a DN e NB) da e dalle (8) si ha: (DE — 9° 4.) P'=— 0% (DE— a A,)U =— a 8° ed altre due equazioni analoghe per V', W'; per cui, sommando colle (7), troviamo : (D&— 0° 43) P=0 10) (DE— a 4) U=0 (DP—e4)V=0 (DE— 4) W=0. « Il teorema di Clebsch resta così dimostrato senza alcuna restrizione. « Le funzioni DE V, W, essendo : QU LI dW | 0, dI dY d& soddisfanno anche alla relazione : o MP dY PAN 10') H+ i DI dy dE (3) Una dimostrazione generale di questo teorema si può vedere in: Lipschitz, Lei trag zur Theorie der linearen partiellen Differentialgleichungen, Borchardt's Journal, Bd. LXIX; e del resto è facile rendersene ragione con considerazioni assai semplici. V. ad es. Picard, Traité d’anatyse, T. I, pag. 177 Paris. 1891. e quindi dalle (9) si ricava: ZRPI— 0 10") He A, AaN=g MW=. « Si può ora domandare se la determinazione delle funzioni P, U, V, W si possa fare in un sol modo, o se vi sia in esse qualche cosa di arbitrario. Se indichiamo con /, 4, m, w le differenze fra le funzioni di due quaderne, per le quali sussistano le formole (9), (10), (10'), è chiaro che dovremo avere: DEE CT — — i) d dA dE 11) dY Ò DI, 3) POTE, dE dY dI Eni dI | dm, dd de de dY d& da cui segue : AAA = Ag =0 e quindi dalle (10) abbiamo : 11') DEDE DEmn= Dar 0. « Reciprocamente possiamo sempre aggiungere rispettivamente a PRU V, W quattro funzioni /, Z, #, », le quali soddisfacciano le (11), (11’) senza che cessi la validità delle (9), (10), (10'). Possiamo quindi dire: le fun- zioni P, TU. Ve W sono determinate all'infuori di quattro fun- zioni lineari del tempo, che siano soluzioni delle equa- zioni (11). « $ 2. Oltre le (9), si conoscono altre espressioni per gli integrali delle equazioni dei movimenti oscillatori nei mezzi isotropi; non sarà perciò inop- portuno cercare quali relazioni abbiano colle (9) queste altre espressioni, e dimostrarne parimenti la gereralità col procedimento già seguito. « Poniamo : al t == DE , dW gi = 8 a (al << [ef i i dI dY to to ASP È >U dh (4 dt — n=— d° È a (3Y SA ) dY dr d&, lo lo s ilo 3 Ù Due ov Xi = d (a dt — x =— 0 | di a(' sa ) ds dY dA to ; lo to to So — 116 — Avuto riguardo alle (10”), avremo: dPr dYVi da pepe pi dda, BICE dI2 1) dI dY de dI dY de dYi DER da DI; dY Li dX2 perg gr de dY de dY d%1 dP 0 DUE de yi sy, dI de ; dI de D a d BIZE VAT , i DA) O — pi dY da dY da « Quindi, sostituendo nelle (9) le espressioni di P, U, V, W che risul- tano da queste formole, si ha: VIRA. dì 12) unta (a È I) ngi ed altre due equazioni analoghe. « Ora osservando che si ha: 3h; s(2V__2W Do, DA 7 p. D ga a at ( is DI) dI di 04 sl trova subito : dI (D°—-d4,)g,= dè dI 15) 00 ) OZIZONI (D°—g4o)g=—a ( E dY ) i e quindi aggiungendo membro a membro queste due uguaglianze alla (12), dopo aver moltiplicato questa per 0° — 4°, e le (13) per — 1, sì trova: MET au) RE Sd a dY RM O BA 2 (0°—a°) (u—u*)+0 = = (6° — a°) È S SH Da 3 2a) — 14) dI \da dY dé E ELAIIO) (0° HA a’) do Pa + (Di Sara bè? ds) Pi + (Dì TER uè 43) Pa= 5 PEPATI —=(D°—- 0° 4 b° — a } : ( i ; DEA “o; e ap =; Ora si ha: QEMICo AT SD ISSCO DIE DIE SATA Ra 2 (DI PAIA (0° — a?) wo b vai | —- 2, a i n - — 117 — e pel teorema già invocato al $ 1 noi potremo sempre determinare tre fun- zioni g', 4, y° per le quali si abbia: 15) e che risulteranno funzioni lineari del tempo. Avremo allora: 5 = dé de d dI DE dW' + E ( ) agg pei 2 + (6 d)37 NU ma) dY 08, « Sostituendo nella (14) e nelle due analoghe che si possono formare e ponendo inoltre : ni pt g' Ta, Por pecia oa troviamo : u=(D°— dA) p+ (0° —a)D, 2 16) v=(DE— WA) 0+(0— a) D, £ w=(D°— 64.) x +(0°— a) DL dove si è posto : Q—= D,g+D,w+ Dig. « Cerchiamo ora le equazioni, a cui soddisfanno g, 4, x. Dalle (13) noi ricaviamo immediatamente : (D° — a 4.) (D°— dA.) go = e quindi sommando : I) Die 4) DA) 0( « Ora dalle (15) si ricava inoltre : 7 A c 2 72 do Qlo 0 i) “i dE dY QA : dio” din) de de FRENI ne I UTEE VL 19 P = dI dY de e quindi : Slo) È Da MONA dea DI — a°Ss DIE "a ‘A, dop== 430° 2 i = —__ ) ) (00) ) (DE LA) = RA 19 cv(Se ria RenpiconTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. a lie « Sommando le (17) (17) troviamo che la funzione @ è un integrale dell'equazione : 18) (D°— @ 4:)(D°— 0 4,)f=0, a cui naturalmente soddisfanno anche le w, x D'altra parte le formole (16) danno sempre delle soluzioni delle equazioni del movimento, purchè le Y, w, x siano soluzioni della (18); vediamo quindi che le (16) forniscono una rap- presentazione generale delle soluzioni delle equazioni (1). « Di questa soluzione si è servito Cauchy per ottenere gli integrali gene- rali delle equazioni del movimento, quando sono dati i valori iniziali degli spostamenti e delle velocità. Alla forma (16) degli integrali porta appunto il procedimento generale di Cauchy per la formazione degli integrali di un sistema qualsiasi di equazioni lineari, omogenee, a coefficienti costanti me- diante integrali della così detta equazione caratteristica, rappresentata nel nostro caso dalla (18) ('). « Delle (16) si vale pure Weierstrass, in alcune considerazioni pubbli- cate dalla Kowalevski (*), per stabilire un metodo generale d'integrazione delle equazioni del movimento. « $ 3. Il procedimento, che cì ha servito nel $ 1 per arrivare al teorema di Clebsch, può essere applicato anche ad equazioni più generali delle (1). Se supponiamo che il mezzo oscillante, anzichè essere isotropo, sia il cosidetto mezzo di Green, le equazioni del movimento sono: du 5 09 Lp? dn a DI dl° dI de dY DAO, I > de DS 19) o AT+e$_ gg dl dY dI dé 90 DI DE - DU e — PS ol de dy dd ove A, a, d, c sono costanti. Le 0, È, », £ soddisfanno in questo caso alle equazioni : (DE -A°4,)0=0 IP a ® n PISÙ fa 9 n 2 (DECIO (DEIRA) DE dY de ove si è posto: S DS SEO, Co ® — 3 + VE REI Rea DA dY dE (1) Vedi particolarmente: Cauchy, Mémoire sur la transformation et la réduction des intégrales générales d'un sistome d'équations linéaires aun differences partselles, $ 5. Exercices d’Analyse et de Physique mathématique, T. I. Paris 1840. (2) Kowalevski, Veber die Brechung des Lichtes in cristallinischen Maitteln, Acta mathematica, VI, pg. 249. 1885. — 119 — ed il teorema analogo a quello di Clebsch, ma più generale, a cui si arriva in questo caso, è il seguente: «Le soluzioni più generali delle equazioni (19) sono date dalle espressioni: D, ds dY TT NE dW QU ari dY de... a (nà 20. dé dY DI dove P è una soluzione dell'equazione: (D° — A? 4,)P=0 ed U, V, W sono soluzioni del sistema di equazioni: BIS dS Dia 1)U+ To, Mira — © Dir 0 ove si è posto: QUE 2... dI elle, DI « È assai facile vedere quale è in questo caso la determinazione delle P, U, V, W analoga a quella delle P, U, V, W del S 1. « La decomponibilità di qualsiasi movimento oscillatorio di un mezzo di Green in due, l'uno trasversale e l’altro longitudinale, risulta immedia- tamente da questo teorema ('). « Le equazioni a cui soddisfanno le U, V, W non coincidono in questo caso, come in quello dell'isotropia, con quelle degli spostamenti nel moto trasversale; abbiamo invece due sistemi di equazioni differenti, i quali però hanno la stessa equazione caratteristica, come è facile verificare ». Fisica. — Contributo allo studio delle variazioni di resistenza del nichel nel campo magnetico (£). Nota del dott. MicHELE CANTONE, presentata dal Socio BLASERNA. « Im un precedente lavoro ho esposto i risultati di alcune ricerche rela- tive alle variazioni di resistenza del ferro e del nichel nel campo magne- tico; mi permetto ora di comunicare l'esito di ulteriori studi intrapresi allo scopo d'indagare la natura della legge di dipendenza fra le intensità magne- tiche e le variazioni di resistenza. (1) Una dimostrazione di tale decomponibilità si può vedere in fine della Memoria precedentemente citata, della Kowalevski. (?) Lavoro esesuito nel Laboratorio di fisica della R. Università di Palermo. — 120 — « Ho creduto opportuno usare nelle attuali ricerche il campo fornito da un rocchetto, come quello che, nel mentre si presta bene per una misura dei momenti magnetici, non dà luogo all’inconveniente che presentano le elettro- calamite col loro magnetismo residuo a circuito aperto. Non potendosi nelle nuove condizioni arrivare a valori elevati del campo senza provocare sul roc- chetto un forte riscaldamento che avevo tutto l'interesse di evitare, ho dovuto, lasciando da parte il ferro, limitarmi allo studio del nichel, per il quale, come è noto, si hanno variazioni di resistenza assai più grandi che per il primo. | « Vennero cimentati i due fili ed il nastro largo di nichel che furono ado- perati nelle precedenti ricerche. Preso di ciascuno di questi conduttori un tratto avente la lunghezza di 2 metri, lo si divise in 8 parti uguali, che disposte a fascio furono mediante saldatura collegate in serie per modo da formarne un conduttore unico. « Il rocchetto lungo 28°",6 e racchiudente 63, 65 giri per c.m. fu col- locato col suo asse nella direzione perpendicolare al meridiano magnetico e di fronte all'ago di un magnetometro. La sua azione su quest'ago fu compensata mediante un secondo rocchetto di piccolo numero di spire opportunamente situato al di là del magnetometro. « Nel circuito del rocchetto s'intercalarono una pila di tre elementi Bunsen, una bussola assoluta delle tangenti, un reocordo di sottili fili di pacfong ed un commutatore che fatto agire a mano poteva dare all'incirca 5 inversioni a secondo. Esso era destinato a riportare il nichel, già sottoposto all'azione del campo, allo stato neutro col processo di Ewing; e vi sì riuscì sempre in modo soddisfacente. «< La misura delle resistenza si fece come nelle precedenti esperienze ser- vendosi di un ponte a cassetta di Carpentier, nelle cui diagonali si aveano rispettivamente due coppie Bunsen ed un galvanometro Deprez-d'Arsouval. « Siccome la corrente magnetizzante si mantenne sempre inferiore ad un ampère ed il filo del rocchetto era molto grosso, il riscaldamento di questo apparecchio era tale da avere piccolissima influenza sullo stato termico dei conduttori sottoposti all’induzione: si vide infatti che le variazioni di resi- stenza prodotte dal magnetismo rimanevano inalterate se il passaggio della corrente per il rocchetto si protraeva per parecchi minuti. Ciò non pertanto si limitò questo passaggio al tempo necessario per fare le letture sulla scala del galvanometro, eccetto che nelle ricerche sui cicli, in cui dovea tenersi chiuso il circuito per circa 10°. « Le prime esperienze ebbero per iscopo di valutare le intensità magne- tiche e le corrispondenti variazioni di resistenza per forze magnetizzanti cre- scenti. Il campo si facea variare spostando il cassetto a mercurio che limitava la resistenza del reocordo, e volta per volta si misurava la deviazione sulla scala del galvanometro del ponte. Compiute tre o quattro di queste serie Filo sottile Filo medio | Nastro G,| da 1 ZE ZA aa Gi dl fi | ZIO Ai Ao 3 d | Axl 45 2,00| 2,10|2,10|0,05|1,75|] 1,75|[2,30|2,25|2,20|0,00|21,1| 21,1|[-3,80|-3,80|-3,950,07|11,4[11,4 2,05) 2,80|2,15/0,70/8,6 | 8,7 |[2,20|2,73/2,15|0,56|35,1| 51,0/|-4,00|-3,30|-4,00|0,70|28,7|34,6 2,00) 5,85|2,80|3,45|11,0/16,3 |{2,18/3,75/2,22|1,55/34,2| 76,2/[-4,00|-1,75/-3,80|2,15|31,8/56,0 2,40|10,15|3,30|7,30/9,3 {21,3 [[2,25/5,20/2,25|2,95|33,0| 94,1||-3,80| 0,80/-3,72|4,56|31,6/71,8 | 8,00|12,75|3,30/9,60|8,95|23,75][2,30|6,31|2,20|4,05|32,5|103,0/|-3,50| 1,70|-3,80|5,35|27,7|77,0|| na '| 8,00) 4,28|3,15|1,21| 1,5 | 18,0|{2,20/2,80/2,14|0,63| 4,8| 77,4||-4,00|-3,40|-4,20|0,70| 5,0[55 || 3.00 5,12|3,18|2,18| 2,3 | 18,7 |[2,20|3,10/2,12/0,94| 7,9| 80,9||-4,08|-2,90|-4,30|1,29| 8,0|58,1 3,00) 7,00|3,20|3,90| 3,5 | 20,0||2,30|3,95|2,20|1,70|13,3] 86,2/|-4,20|-2,00\-4,60|2,40|13,5|63,61 3,00]. 9,98|3,22/6.37| 5,8 | 22,1 |[2,30|5,18|2,18|2,94|22,9| 95,4||-4,20|-0,20|-4,70|2,25|22,3|72,4 3,00|12,25|3,20|9,15| 7,5 | 23,7 ||2,30|6,30|2,20|4,05|29,5|102,0/[-4,70| 0,70|-4,70|5,20|26,2/76,3 3,00| 4,30|3,15|1,23| 1,5 | 18,0||2,30|2,82/2,18/0,58| 4,8| 77,8/|-4,30|-3,75|-4,70[0,75|] 4,9|505,1| 8,00) 5,20|3,20|2.10| 2,3 | 18,7 [2,25|3,15|2,17|0,94| 7,8| 80,9[-4,30[-3,15|-4,70|1,35| 8,0[58.1 3,00) 7,00|3,20|3,90| 3,5 | 20,9/|2,22|3,88|2,04|1,75|13,4| 86,8[-4,30|-2,15|-4,75|2,37|13,4|63,5 3,08|10,05|3,22|6,90| 5,8 | 22,1|/2,20|5,10|2,10|2,95|22,6| 95,6/|-4,40|-0,40|-4,80|4,20|22,1|72,0 3,00|12,25|3,22/9,14| 7,5 | 23,7 |/2,20|6,15|2,00|4,05|29,2/102,2||-4,70|--0.35|-4,80|5,10|26,4|76.3 sì smagnetizzava il corpo, ricorrendo al commutatore, e si ripetevano le serie di magnetizzazioni per fare le letture sulle scale del magnetometro e della bussola. Siccome si avea cura in ciascuna serie di portare il cassetto del reo- cordo nelle stesse posizioni precedentemente segnate, e poichè l'intensità della corrente a pari resistenza esterna si conservava presso a poco costante, si riu- sciva a ricavare con sufficiente approssimazione dalle misure delle ultime serie le intensità e le forze magnetiche relative alle variazioni di resistenza prima ottenute. « Riporto i dati numerici forniti dalle esperienze. Con 41, 4», 4, in- dico le letture fatte al galvanometro Deprez prima, durante e dopo il pas- a+ 43 nia con 4, i valori di 4, — 2, , (essendo 2, e 2, le deviazioni ottenute al ma- gnetometro in corrispondenza ad 4, ed 4:), e con 4; le differenze fra le d, ed il primo valore di 4, nella prima serie. saggio della corrente nel rocchetto, con 4 le differenze fra 4, ed « Dall'esame delle colonne relative alle 4, si constata che le prime magne- tizzazioni, le quali, giusta quanto risulta dal confronto delle 4, e ./», lasciano 2 3 generata dall'induzione del campo, portano variazioni di resistenza permanenti nei tre corpi cimentati una polarità residua che arriva circa ai 3 di quella — 122 — poco pronunziate e forse anche nulle, giacchè nelle prime serie solo per il filo sottile si ha un aumento graduale delle 4, sino ad ii del valore mas- simo di 4; mentre per il filo medio e per il nastro si producono variazioni ancora più piccole ed in vario senso. Vi sono, è vero, differenze fra le a, e le corrispondenti 43, ma esse accennano ad influenze in gran parte tempo- rarie, sicchè è da argomentare sieno dovute o agli effetti termici della cor- rente che attraversa il conduttore in esame, o con maggiore probabilità, trat- tandosi in alcuni casi di aumento in altri di diminuzione di resistenza, alle variazioni di temperatura provocate dai moti dell’aria. Per la considerazione ora esposta e per essere le differenze 4, — 43 di piccola entità rispetto alle a — @, SÌ è creduto opportuno nel valutare le 4 di prendere come posizione di riposo a circuito magnetizzante aperto quella data dalla media di 4, ed 43. « Un particolare che non può sfuggire all'attenzione di chi esamini le -4 delle diverse serie per ogni tabella è l'aumento che presentano le varia- zioni di resistenza passando dalla 1* alla 2? serie, aumento che risulta in rapporto al valore primitivo tanto più grande quanto più piccola è forza ma- gnetizzante; ed il fatto si rende ancora più notevole per questo che le 4,, proporzionali alle variazioni dell'intensità magnetica, sono maggiori nelle prime serie. Sinora si è stati indotti ad ammettere che fossero le variazioni di resistenza dipendenti dalla intensità magnetica soltanto, e si è cercata una relazione fra questi due elementi senza preoccuparsi della influenza che esercita sul fenomeno lo stato magnetico iniziale del conduttore; ma le cir- costanze ora rilevate mostrano che si possono avere per uno stesso corpo risul- tati notevolmente diversi a seconda che questo sia allo stato neutro o dotato di magnetismo residuo, e che perciò una legge generale del fenomeno non si può facilmente dedurre. « A rendere più completo l'esame della questione che ho impreso a trat- tare mi è parso utile studiare le variazioni di resistenza nel caso che si faccia subire alla forza magnetizzante una serie di cicli. Il sig. Garbasso avea già visto che facendo variare l'intensità del campo in un senso e poi nell'altro si trovava isteresi nelle variazioni di resistenza. Nelle mie esperienze essendo i limiti del campo uguali e di segno opposto sì rivela più nettamente la natura del fenomeno. « Il metodo che si teneva nelle nuove ricerche era il seguente. Ridotto il corpo in esame allo stato neutro lo si assoggettava all'azione di forze ma- gnetiche F crescenti sino ad un massimo, ed in seguito gli si faceano com- piere tre cicli senza aprire il circuito del rocchetto se non nel caso in cui si dovesse passare per il valore zero di F. In questa serie si misuravano per le diverse posizioni del cassetto nel reocordo le deviazioni al galvanometro del ponte. Alla misura dei campi F e delle intensità magnetiche I serviva una seconda serie prodotta nelle identiche condizioni della prima. Si ebbero così SMR i risultati che trovansi nelle seguenti tabelle, dove con «@ si indicano le let- ture fatte sulla scala del galvanometro, con 4 le differenze fra ciascuna di queste lettere e quella fatta in principio a circuito magnetizzante aperto, e con d i rapporti fra le variazioni di resistenza e le resistenze totali. « Le F e le I sono espresse in unità assolute (C. G. S.); le d in cento- millesimi. Filo sottile | Filo medio | Nastro e|o|e|«|s|e|a|el | A E ACACANIO Î | | ER] Wi: 00 SOA Mo, 00 --| 00) 05,15) — | — 0,0 0-6,259 — | — 107) 65! 5,05 008) 3] 10,7) 62°5,15| 0,00 0 || 119 30|-6,25| 0,00) 0 17,8| 177| 6,00 1,00) 60| 17,3) 1625,28| 0,13 18] 194| 111-5,75| 0,50) 54 28,6| 308 | 9,20| 4,20| 254 || 28,7) 273'6,26| 1,11| 157|| 82,6| 198 |-4,90| 1,85) 147 47,A| 898 ‘18;74| 8,74| 528 || 47,6| 38517,78| 2,63| 872|| 55,0) 283 |-2,70] 3,55! 387 63,3] 441 |16,30'11,30! 683 || 640| 345/8,78| 3,63) 514|| 67,2] 272 |-040| 5,85) 637 47,4| 422 (14,75| 9,75 590||. no. VERRER | STIA SE RENE alal IRE 28,6| 387 (12,12| 7,12 | (8,24| 3,091 437] 67,2) 272/-1,70| 455) 495 17,8| 861 |10,30| 5,80| 321 || 47,6| 327|7,75| 2,60! 368|| 55,0) 262 (-2,30| 3,95| 430 10,7| 342 | 9;20| 4,20) 284 || 28,7| 301/6,77| 1,62) 229|| 32,6| 237 |-3,90| 2,35| 256 0,0| 305 | 7,25 2,25) 136 || 17,81 383/6,08| 093) 132|| 194) 218-490 1,85| 147 -10,7| 224| 5,251 0,25) 15|| 10,7| 2705,80| 0,65| 92|| 11,9] 204 |-5,75' 050) 54 -17,3'- 14 5,22) 0,22| 13] 0,0) 2445,15| 0,00) ol 0,0| 174|-6,90 -0,65|- 70 086 -280 | 9,05) 4,05| 245 |-10,7| 149|4,70 -0,45!- 64|\-11,9| 107 |-8,00) 1,75|-191 '-47,4/-392 |13,75| 8,75| 529 |-17,81- 55 4,80/-0,35 - 49-194- 69 |-7,771-1,52|-165 -63,3/-441 |16,40 11,40| 688 |-28,7/-221|5,92| 0,77 110|\-32,6-199 |-5,25| 1,00 109 -47,4/-422 14,70. 9,70| 587 |-47,6/-309/7,30! 2,151 305|-55,0-264 |-2,75| 3,50! 381 -28,61-387 112,10) 7,10] 429 |-64,0|-343|8,25| 3,10) 438|-67,2/-272 (-1,75| 450! 490 -17,3/-861 |10,25| 5,251 318 ||-47,6-327(7,78| 2,63) 872|-55,0/-262 ‘-2,30| 3,95| 430 -10,7|-342| 9,20. 4,20| 254 |--28,7.-801/6,82| 1,67. 236|-32,6|-237 -3,90| 2,35) 256 0,0-305 | 7,22 2,22) 134 |-17,3 -383/6,17| 1,02} 144|-19,4|-218 -4,95| 1,30) 142 10,71-224 | 5,22 0,22) 18 |-10,7.-270|5,82) 0,67) 94/-11,9|-204-5,78| 047) 51 17,8] 14| 5,20 020] 12)| 0,0/-244|5,151 0,001 Ol 0,0|-174 |-6;85|-0,60|- 65 28,6] 280 | 9,00. 4,00) 242 || 10,7/-149|4,70|-0,45|- 64|| 11,9 -107 |-8,05|-1,80|-196 47,4( 892 113,65 8,65 523|| 17,3] 55'4,82|-0,83|- 47|| 194 69|-7,77-152/-165 63,3| 441 16,28 11,28 682 || 28,7| 221/6,00) 0,85| 120|| 32,6 199 |-5,30| 0,95| 104 — | | | | || 476 309/7,88| 2,23) 315.||550'° 264|-2,75| 3,50) 381 — [= | | |: ||640-343/835| 3,10| 488 67,2 272-172) 4,53| 498 CSS do ei | ao e VI CES DI « Le linee punteggiate che si trovano nelle tabelle del filo medio e del nastro accennano alla soppressione dei risultati relativi al primo ciclo, nei. — 124 — quali apparivano valori di / maggiori di quelli avuti nei cicli successivi per ie F corrispondenti ad uguali fasi del ciclo. La cagione del fatto parmi sia da attribuire alle variazioni di temperatura che doveano aversi in questo caso per la frequente chiusura del circuito nel ponte, poichè ho visto con espe- rienze apposite prodursi in condizioni analoghe un lento spostamento nel gal- vanometro del ponte a circuito magnetizzante aperto fino a che non fosse rag- giunto il regime permanente. Ad un tale regime si perveniva di certo nelle attuali esperienze, come attesta la regolarità dei risultati ottenuti col filo medio e col nastro a cominciare dal secondo ciclo, regolarità che permette lo studio del fenomeno basandosi sulle variazioni di d. « Ad eliminare del tutto l'influenza dell’azione disturbatrice avanti rile- vata dovrebbero essere probabilmente i valori di 0 relativi alla seconda e terza tabella dopo la linea punteggiata accresciuti in ciascun caso della differenza fra le d che corrispondono al principio del 1° e del 2° ciclo. Con questa corre- zione, concordemente a quanto si ha per il filo sottile, non solo vengono a sparire quasi completamente i valori negativi di d, ma risultano altresì vici- nissime a » ” ” 0,3858 =» di CO? e 0,0846 » di H?°0 III 0,1518 » svolsero c. c. 18,9 di N a 9° e 7700" IV 0,1892 =» ” cc 29,0, diiNca: 7 telo « In 100 parti: trovato calcolato per C:* H!6(NO?)?NO* I II III IV CAO 50,73 = — 51,06 H 4,75 4,53 = a 4,25 N == = Oa ALI 14,89 « Il dinitroidrazone cantaridina è una sostanza di un giallo vivo, inso- lubile nell'acqua, nell’alcole e nella maggior parte degli altri solventi; solu- bile nell’acido acetico glaciale caldo, dal quale si deposita in minuti cristal - lini. A contatto degli alcali assume una tinta scarlatta. « La soluzione acetica gialla diventa di una bella tinta rosso-violacea introducendovi una lamina di zinco. « Questo composto può essere ridotto, ma con esito diverso a seconda del metodo che si segue. (1) Anderlini, Gazz. chim. it. XXI. MIO « 1° Riduzione con zinco ed acido acetico. « In un pallone munito di refrigerante a ricadere si introducono 2 gr. di dinitroidrazone, 10 gr. di polvere di zinco gr. 100 c. c. di acido acetico a 25 per °/ e si porta il miscuglio all’ebullizione. Il liquido dopo un po’ di tempo assume la tinta rossa sopra indicata ed il nitro idrazone entra lentamente in soluzione. A questo punto si aggiungono altri 5 gr. di zinco e si continua l’ebullizione fin che la tinta rossa dia luogo ad una gialla. Si sospende allora l’ebullizione e si distilla l'acido acetico eccedente a pres- sione ridotta fino a secchezza. Il residuo rimasto nel pallone, che si colora in parte in rosso appena viene a contatto dell’aria, si esaurisce con acqua bollente, la quale lascia indietro del zinco rimasto inattaccato misto a so- stanza bruna, mentre la soluzione acquosa è fortemente colorata in rosso. Svaporata tale soluzione a bh. m. fino a piccolo volume, si separa una sostanza cristallina fortemente colorata in bruno al pari del liquido. I cristalli rac- colti su di un filtro, ridisciolti nell'acqua bollente e scolorando con carbone animale, si depositano incolori. « Il punto di fusione 201° e la forma cristallina fecero riconoscere il prodotto della riduzione per cantaridinimide altrove da me descritto (!). « Oltre a questo corpo non riuscii ad isolarne altri. « 2° Riduzione con sodio ed alcole. « Gr. 2 di nitroidrazone con 25 ce. c. di alcole assoluto vennero intro- dotti in apparato a ricadere, si aggiunsero rapidamente 4 gr. di sodio in pezzi, scaldando solo quando il metallo non reagiva quasi più. « Per l'aggiunta dei primi pezzetti di sodio i cristallini di nitroidrazone assumono una tinta scarlatta e poi entrano lentamente in soluzione; il liquido pure assume una tinta rossa che man mano va verso il rosso-bruno. « Si lascia raffreddare la massa, dopo scomparso tutto il sodio, si tratta con acqua che tutto scioglie, e si distilla l’alcole a pressione ridotta. Il li- quido fortemente alcalino agitato ripetutamente con etere cede a questo una piccolissima quantità di sostanza colorata in giallo, che rimane come residuo dopo aver distillato il solvente, ma che non ho potuto studiare perchè in troppo piccola quantità. Il liquido alcalino venne soprasaturato con acido cloridrico che determinò la separazione di un precipitato bruno, il quale rac- colto su di un filtro venne bollito con alcole concentrato ripetutamente. Dalla soluzione alcolica si separarono pel raffreddamento dei cristalli ancora colo- vati ma che ridisciolti nell’alcole, scolorando con carbone animale si otten- nero bianchi. Il punto di fusione 214°, la forma dei cristalli, e la sua quasi insolubilità nell'acqua e la poca nell’alcole permisero di riconoscere questa sostanza per cantaridina. (*) Anderlini, Gazz. chim. XXI. Soi: « Anche dal liquido acquoso separato dal precipitato per agitazione coll’etere non ottenni che delle piccole quantità di cantaridina. Disidratazione della cantaridinimide. « Fra i deivati della cantaridina più semplici vi ha la cantaridinimide, C:'°H!3 03 N, in cui trovasi già un atomo di ossigeno in meno del corpo ge- neratore. Avendone in qualche occasione sperimentata la stabilità essa poteva offrire il destro per tentare reazioni limitate e quindi in opportune condi- zioni la possibilità di nuove eliminazioni di ossigeno. L'esito dei tentativi corrispose all'aspettativa, come verrà or ora dimostrato. « Gr. 4 di cantaridinimide con 14 gr. di ossicloruro di fosforo vennero introdotti in un matraccio a lungo collo e scaldati in bagno ad olio in modo da mantenere una moderata ebullizione. Dopo circa una mezz'ora si ottiene una soluzione perfetta, dalla quale, progredendo nel riscaldamento, si separa una sostanza solida che si deposita sulle pareti del recipiente, mentre il li- quido si fa bruno. Dopo circa due ore a due ore e mezza di ebullizione si versa il contenuto del matraccio in una capsula e si elimina l'ossicloruro di fosforo a b. m. Si introduce intanto nel matraccio un po’ di acqua per to- gliere la sostanza rimasta aderente alle pareti e si versa sul residuo rimasto nella capsula. Tale residuo forma una massa vischiosa, bruna che si conso- lida aggiungendovi qualche goccia di acqua e rimovendo con un bastoncino di vetro. Si stempera la massa consolidata nell'acqua si raccoglie su un filtro, si lava con un po’ di acqua, e si fa sciogliere nell'acqua bollente. Dalla soluzione si deposita pel raffreddamento un'olio che rende il liquido lattiginoso; col riposo si formano dei cristalli brillanti, ancora colorati in bruno, ma che però si ottengono bianchi ripetendo le cristallizzazioni dal- l’acqua, scolorando con carbone animale ed in fine cristallizzando dall’alcole bollente e diluito fino a raggiungere il punto di fusione costante a 137°. « Il composto così ottenuto analizzato diede numeri che conducono alla formola C'° H! 0° N I 0,1571 gr. di sostanze diedero: 0,3886 gr. di CO? e 0,0924 gr. di H?0 II 0,1662 » ” ” 0,4110 » di CO° e 0,0958 » di H?0 III 0,1759 » Ù ” C. 6. 12,2 dilNa 14° e 754nm. « In 100 parti: trovato calcolato per C'° H!! 03 N I I HI CO 67,46 67,44 67,79 H 6,53 6,40 6,21 N = — 8,20 7,90 — 132 — « Cristallizzato dall'acqua bollente questo corpo si deposita in cristalli aggruppati in forma di squame bianche assai brillanti di aspetto madreper- laceo; dall’alcole invece, per lenta evaporazione, in bei cristalli incolori, di aspetto vitreo. Quando contiene ancora anche piccolissime quantità delle so- stanze che la rendono impura si fonde sotto l’acqua bollente, pel raffred- damento si separa oleosa e tale rimane qualche tempo, mentre quando è pura si scioglie senza fondere e cristallizza senza divenire oleosa ». Chimica — Sopra una nuova acridina e su di un acido acridil- propionico (!). Nota di A. VoLPI, presentata dal Corrispondente NaAsINI. « In altra Nota pubblicata nella Gazzetta chimica italiana (?) ho descritto l'acridina pentadecilica ottenuta come prodotto di condensazione dell'acido pal- mitico colla difenilamina in presenza di cloruro di zinco. « Già allora faceva noto che la reazione colla difenilamina, avviene anche coll’acido stearico, e che se vi è un limite di reazione esso è al di là di questo termine, e ciò per quanto riguarda la serie degli acidi grassi Cn Hon O». « Nello stesso tempo accennava al fatto che reazioni analoghe avvengono con acidi d'altre serie, fra i quali l'acido succinico. In questa Nota esporrò i risultati ottenuti per l’azione della difenilamina sull’acido stearico e sul- l'acido succinico in presenza di cloruro di zinco. Azione dell’acido stearico sulla difenilamina. « Facendo reagire l'acido stearico con la difenilamina e cloruro di zinco sì ottiene un'acridina che fu preparata nel seguente modo: gr. 44 di acido stearico, avente il punto di fusione a 69°, uniti a gr. 84 di difenilamina ed a 80 gr. di cloruro di zinco vennero riscaldati per circa 20 ore innalzando len- tamente la temperatura sino a 180° ed in ultimo sino a 220°. La massa risul- tante d'un verde cupo fu estratta con alcoole ordinario, e dopo d’aver distillato l'eccesso di alcoole il residuo fu trattato con soda caustica in eccesso; il precipitato che si forma, costituito in gran parte della base libera e della difenilamina rimasta inalterata, venne raccolto su filtro e sciolto di bel nuovo nell'’alcoole concentrato: per l'aggiunta di quantità sufficiente di acido solforico, e successivamente di etere, si separa un prodotto cristallino fortemente colo- rato in bruno. La depurazione è lenta per la difficoltà di eliminare una resina rosso bruna che accompagna il prodotto ; si riesce nell'intento col sciogliere il solfato ottenuto nell’alcoole precipitando con etere e ripetendo più volte questo (1) Lavoro eseguito nell’Istituto chimico della R. Università di Padova. (2) Gazz. chim. il XXI, 228. — 133 — trattamento. Finalmente si completa la depurazione mettendo in libertà la base col trattare il solfato con soda caustica a caldo, filtrando il precipitato e lavando con acqua. La base libera sciolta nell'etere venne trasformata in cloroidrato facendovi gorgogliare una corrente di acido cloridrico gassoso. Il precipitato cristallino venne sciolto nell'alcoole e precipitato con etere, e così alternando queste operazioni sì arriva ad ottenere il cloridrato della base ben puro. La base libera si ottenne nel modo sopra descritto facendola in fine cristallizzare dall’alcoole. « Questa base è lievemente giallognola, si altera facilmente a contatto di vapori acidi che la fanno rapidamente ingiallire, inoltre è anche altera- bile alla luce. « Da una soluzione calda di alcoole diluito cristallizza in aghi lunghi e sottili, che formano una massa giallo-pallida, e per lenta evaporazione della stessa soluzione si deposita in lamine cristalline. È insolubile nell'acqua, solu- bile in tutti gli altri solventi ordinarî; le sue soluzioni diluite hanno fluore- scenza azzurra; quelle dei suoi sali hanno fluoresceza verde; l’acqua decom- pone i sali. Fonde a 69°-70°. « All’analisi: I. gr. 0,2128 di sostanza seccata nel vuoto sopra il cloruro di calcio diedero gr. 0,2070 di acqua e gr. 0,6730 di anidride carbonica. II gr. 0,2140 di sostanza seccata nel vuoto diedero c.c. 6,8 di azoto alla tem- peratura di 25° ed alla pressione di 759,8 mm. «In 100 parti: trovato calcolato per Css Hys N e 86,25 - 86,39 = 10,80 10,33 Ne= 3,62 3,39 « Il cloroidrato della base fu preparato direttamente da una soluzione al- coolica della base con acido cloridrico, precipitando con etere e ricristalliz- zandolo dall'alcoole. È solubile nell’alcoole e nel benzolo dai quali solventi cristallizza in aghi finissimi raggruppati gialli. Dall’alcool si ebbe in cristalli d'un certo sviluppo che però non si prestano alle misure perchè formati di più individui sovrapposti. « All’analisi: gr. 0,2290 di cloroidrato essiccato nel vuoto e bruciato secondo il metodo di Carius diedero gr. 0,0730 di Ag CI. «In 100 parti: trovato calcolato per Cso Hy3 N.HCI CI 7,87 7,82 « Il cloroplatinato fu ottenuto per precipitazione della soluzione alcoolica del cloroidrato con cloruro di platino e ricristallizzato dall’alcoole; si pre- senta in cristalli giallo-aranciati; fonde a 190°. RexpIconTI. 1892, Vor. I,° 2 Sem. 18 id — « All’analisi: I. gr. 0,2038 di cloroplatinato essiccato nel vuoto sull’acido solforico diedero gr. 0,032 di platino. II. gr. 0,1208 di cloroplatinato essiccato nel vuoto diedero gr. 0,0190 di platino. « In 100 parti: trovato calcolato per (Cso His N.HC1)» Pt Ch I. II. EM y0. do 15,62 « Il solfato acido di questa base si ha versando nella soluzione eterea della base alcune goccie di acido solforico, le quali determinano la separa- zione del solfato, oppure precipitando la soluzione del cloroidrato con acido solforico. « Il prodotto fu ricristallizzato dall'alcoole, i cristalli fondono a 149°; sono insolubili nell'acqua, dalla quale vengono decomposti specialmente a caldo; all'incontro si disciolgono facilmente nell’alcoole ed anche nel benzolo. « All'apalisi eseguita secondo il metodo di Carius: gr. 0,1156 di sostanza diedero gr. 0,0528 di SO, Ba « In 100 parti: trovato calcolato per Cso H43 N.Hs SO, St 6,27 6,21 « Visto che il punto di fusione di questa acridina è poco distante da quello dell’acridina ottenuta dall’acido palmitico, che fonde a 65°, e le stesse piccole differenze si osservano inoltre anche per i sali delle due basi, come del resto poco distanti sono i punti di fusione degli acidi che le originano, così sarà necessario uno studio più esteso tanto delle basi che dei rispettivi sali sinora esaminati. « L'analisi non è sufficiente per la loro identificazione, stando le diffe- renze percentuali dell'analisi comprese nei limiti degli errori di osservazione. « Perciò mi riservo un accurato esame di confronto, specialmente delle proprietà fisiche delle due acridine e dei loro derivati. Acido acridilpropionico (C,3HgN)C,H,C00H. « Avendo già osservato la formazione di un composto acridinico come prodotto di condensazione dell'acido succinico colla difenilamina volli stu- diarne la reazione per vedere di qual natura esso fosse. Sino ad ora degli acidi bibasici, due soli furono cimentati colla difenilamina, cioè l'acido ossa- lico e l’acido ftalico. Bernthsen (!) coll'acido ossalico e la difenilamina ottenne l’acridina ordinaria C,3 Hy N: Bernthsen e Traube (?) coll’acido ftalico ebbero l'acido acridilbenzoico. (1) Liebig's Annalen, t. CCXXIV, pag. 6. (2) Berl. Berichte, t. XVII, pag. 1508 e Liebig's Annalen, t. COXXIV, pag. 46. — 135 — « Ora si trattava di vedere in qual senso sarebbe andata la reazione data la formazione d'una acridina, e se l'acido succinico si sarebbe compor- tato come l'acido ossalico oppure come l'acido ftalico. Adunque diverso era l'indirizzo che poteva prendere la reazione, come dalle due equazioni (0% 5 H, COOH :C; H; 48 nia \ i VE "i IL (GS08h | NH Ci HK >Cs H. + 2H: 0 + 00» No00H' c; H; Ni N G. C, H.C00H COOH. C,.H; A N si / È IIL:G.H, di \_NH= G; HK CH, | 24, 0 DA / \C00H 0, H; NZ N nel primo caso si avrebbe avuto la formazione dell’acridina etilica, nel secondo la sintesi d'un acido acridilpropionico; un’altra ipotesi sarebbe stata quella della possibilità di ottenere una etilenacridina rn i A N VA E È A $ ; TA NILE C, Hx Do Ho, Hx SG H, Jr NV N N che però non aveva l'appoggio di esperienze precedenti. « Di queste sostanze ottenni quella che corrisponde alla seconda equa- zione e precisamente nel modo seguente: « Gr. 36 di acido succinico, 80 gr. di difenilamina e 90 gr. di cloruro di zinco vennero riscaldati per circa 20 ore innalzando la temperatura sino ai 200°, oppure mantenendo per circa 7 ore la temperatura dai 180-205°. La massa risultante triturata, la feci bollire in capsula di porcellana con soda caustica diluita, dopo acidificai con acido cloridrico, il quale determina la separazione d'una sostanza verde oscura e fioccosa. Questo modo di estrazione venne rin- novato per diverse volte sino a che un saggio del liquido alcalino convenien- temente diluito non dava più fluorescenza azzurra. I singoli liquidi d'estrazione furono riuniti portati a secco; il residuo lo ripresi con alcoole eliminando in tal modo la massima parte del cloruro sodico formatosi. « La soluzione alcoolica la trattai con acido solforico per eliminare lo zinco sotto forma di solfato insolubile nell’alcoole, distillai l’alcoole ripren- dendo il residuo con acque. La soluzione così ottenuta fu neutralizzata esat- tamente con soda caustica con che si precipita l’acido ancor impuro. Dopo varî tentativi il miglior mezzo che io trovai onde arrivare ad un prodotto — 136 — puro, si fu quello di trasformare l'acido in sale sodico. A questo scopo sospesi l'acido nell'acqua ed aggiunsi tanto di idrato sodico da ottenere soluzione com- pleta, che fu poi portata ad ebollizione. « Tolta la soluzione del fuoco aggiunsi tanto di soda caustica concen- trata da produrre un precipitato che fu ridisciolto portando il liquido ad ebol- lizione. Filtrai il liquido ancor caldo attraverso la lana di vetro, e per raf- freddamento ottenni il sale sodico sotto forma cristallina. Raccolto, ne feci una soluzione alcoolica che scolorai con carbone animale mantenendo ad ebol- lizione per circa mezz'ora. « Il liquido filtrato per raffreddamento lascia depositare il sale sodico che venne depurato ricristallizzandolo dall’alcoole. « Il sale sodico contiene dell’acqua di cristallizzazione; la perdita in peso subìta corrisponde approssimativamente a due molecole e mezzo di acqua. I. gr. 1,2372 di sostanza seccati spontaneamente all'aria ed a peso costante diedero a 100° una perdita di gr. 0,1700. Il.gr. 0,7542 di sostanza seccati spontaneamente all'aria ed a peso costante perdettero a 100° gr. 0,1048. « Da cuì in 100 parti: i trovato calcolato per C,6 Hi NO, +- 21% H20 JE II. hO = 13,74 13,89 14,15 « All’analisi: gr. 0,3050 di sale sodico seccato a 100° ed a peso costante diedero gr. 0,0810 di SO, Na;. « In 100 parti: trovato calcolato per Cis His NO». Na Nai= 8,59 ; 8,42 « Questo sale è molto solubile nell'acqua; la sua soluzione se concen- trata è giallo-chiara, se molto diluita dà una bella fluorescenza azzurra; è poco solubile nell’alcool assoluto, si scioglie all'incontro nell'alcool diluito dal quale cristallizza facilmente in aghi lunghi sottili e raggruppati di color giallo chiaro, è insolubile nell’etere e nel benzolo; sì decompone verso i 260° senza fondere. « Una soluzione acquosa del sale sodico trattata con cloruro mercurico dà un precipitato giallo fioccoso solubile a caldo; con nitrato mercuroso dà un precipitato giallo solubile in eccesso; con nitrato d’argento dà un precipitato giallo solubile: con cloruro di bario non dà precipitato; con solfato di rame dà un precipitato verdognolo; con acido picrico dà un precipitato giallo solu- bile a caldo che col raffreddamento si deposita cristallino. « L'acido acridilpropionico C16 H13 NO»; l’ottenni libero decomponendo una soluzione acquosa del sale sodico mediante l'acido carbonico, dal quale viene precipitato completamente sotto forma di una polvere cristallina giallognola — 137 — che osservata al microscopio si presenta formata di minutissimi aghi. Fu rac- ‘ colto su filtro, lavato con alcoole ed acqua bollente ed analizzato: I. gr. 0,1232 di acido seccato nel vuoto sul cloruro di calcio diedero gr. 0,0620 di H) 0 e gr. 0,3448 di CO.. II. gr. 0,1772 di acido seccato nel vuoto sul cloruro di calcio diedero gr. 0,0904 di H, 0 e gr. 0,4968 di CO,. II. gr. 0,1756 di acido seccato nel vuoto sul cloruro di calcio diedero gr. 0,0870 di H, O e gr. 0,4902 di CO,. IV. gr. 0,3046 di acido seccato nel vuoto sul cloruro di calcio diedero c.c. 15 di azoto alla temperatura di 25° ed alla pressione di 763 mm. « E su 100 parti: trovato calcolato per Cis Hia NO» I. II. INOG = ING (e 76,92 76,46 76,13 — 76,49 H= 5,98 5,96 9,90 — 0,18 Ni = — — 5,66 9,57 « Quest'acido è insolubile nell'acqua tanto a freddo che a caldo; nel- l'aleoole è insolubile a freddo e quasi insolubile a caldo; è insolubile nel benzolo, nell’etere e nel cloroformio. Non fonde nemmeno a 300°. È solubile negli acidi diluiti anche deboli e negli alcali diluiti; le soluzioni acide pos- siedono fluorescenza verde, quelle alcaline molto diluite dànno fluorescenza azzurra. « Il sale d'argento C,6 Hi NO, Ag fu preparato da una soluzione acquosa del sale sodico aggiungendo dapprima alcune goccie di soluzione di nitrato d’argento, filtrando la soluzione e precipitando poi interamente con nitrato d'argento; si deposita in fiocchi di color giallo chiaro. Il precipitato venne lavato con acqua calda, dove è poco solubile. « All'analisi : gr. 0,2632 di sale di argento seccato nel vuoto diedero per calcinazione gr. 0,0792 di argento. « In 100 parti: trovato calcolato per Cis Hi2 NO» Ag Age 30,09 30,10 « Il cloroidrato C,6 Hi3 NO». HCI, fu preparato da una soluzione con- centrata del sale sodico per l’aggiunta di acido cloridrico e fu ricristalliz- zato dall'alcoole. « All'analisi: gr. 0,2018 di sostanza seccata nel vuoto sul cloruro di calcio e bruciati se- condo il metodo di Carius diedero gr. 0,0950 di Ag CI. « In 100 parti: trovato calcolato per Cs His NO». HCI CI= WEA 12,34 — 138 — « Il cloroidrato è giallo; i cristalli sono abbastanza grandi, ma non mi- surabili; a 240° imbruniscono e fondono a 268° con decomposizione. « Il cloroplatinato (C,6 Hiz NO; HC1); Pt CI, si ottiene tanto da una soluzione acquosa che da una alcoolica per l'aggiunta di cloruro platinico. « Si precipita in cristalli microscopici giallo aranciati: a 259° si decom- pone. Il cloroplatinato probabilmente contiene una molecola d'acqua di cristal- lizzazione che perde a 115°-120°, come sembra lo dimostrino le seguenti analisi, e che non ho potuto determinare direttamente. I. gr. 0,1418 di sostanza seccata nel vuoto sull’acido solforico diedero gr. 0,0288 di platino. II. gr. 0,2026 di sostanza seccata nel vuoto sull’acido solforico diedero gr. 0,0416 di platino. « In 100 parti: trovato calcolato per (Cs Hi3 NO» . HC1) Pt CL, JE II. Pi 20,37 20,58 21,29 gr. 0,1032 di sostanza seccata a 120° sino a peso costante diedero gr. 0,0214 di platino. « In 100 parti: trovato calcolato per (Cis Hz NO». HC1). Pt CL bi 20,73 20,88. Chimica — /ecerche sui composti pirazolici (1). Nota di 0. SE- VERINI, presentata dal Corrispondente L. BALBIANO. «I derivati del pirazolo hanno caratteri che li riavvicinano da una parte ai derivati del pirrolo, come la sostituzione dell'idrogeno metinico coi radicali acidi (?), dall'altra posseggono pure una somma di caratteri che li riannoda alla piridina. Basta citare la facilità colla quale danno cloroplatinati, e come questi abbiano la proprietà di perdere acido cloridrico, dando composti pla- tino-pirazolici insolubili e stabilissimi che, a parte la minor quantità di cloro contenuta, possono paragonarsi al composto di Anderson, derivante dalla piridina (8). « Per accrescere le nostre cognizioni sul comportamento di questo nucleo carboazotato ho intrapreso, per consiglio del prof. Balbiano, lo studio dell’azione degli ipocloriti alcalini sul 1-fenilpirazolo, e sul 1-fenil-4 bromo-pirazolo. « Le belle ricerche di G. Ciamician e Silber (4) hanno stabilito che (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma. (2) Gazz, Chim. T. XIX, pag. 134. (3) Rend. Acc. Lincei vol. VII, 2° sem., pag. 26. (4) Gazz. Chim. T. XVI, pag. 19. — 139 — l'ipoclorito sodico in soluzione diluita (25-50 °/so di cloro attivo) reagendo sul pirrolo produce tetracloropirrolo, acido bicloromaleico e ammoniaca, mentre soluzioni più concentrate (90 °/) danno ammoniaca ed acido bicloroacetico. « Se invece si fa gorgogliare una corrente di cloro in una soluzione al- calina di piridina raffreddata, si ha, secondo H. S. Reiser ('), sviluppo di azoto e si produce cloroformio ed acido bicloroacetico, ma non si forma un pro- dotto di sostituzione clorurato della piridina. « Il 1-fenilpirazolo si comporta in modo intermedio dando un prodotto mono-sostituito, il I-fenil-cloro-pirazolo gr. 2.7 di l-fenilpirazolo si sono scaldati a b. m. con c.c. 150 di una solu- zione d'ipoclorito sodico, contenente il 50 °/5o di cloro attivo, per circa 8 ore. Sul collo del pallone si è depositata una sostanza cristallizzata in aghi splendenti molto volatili; perciò bisogna, per non aver perdite, munire il pallone di un refrigerante. « Ho separata la nuova sostanza mediante la distillazione in corrente di vapore, estrazione con etere, e ricristallizzazione dall'alcool del prodotto di- stillato. « All'analisi diede i seguenti risultati: I. gr. 0,114 di sostanza calcinata con CaO e Na?CO? richiesero di soluzione DI di AgNO? c.c. 6,50. 10 II.gr. 0,1286 diedero a 7° e 754""5 c.c. 16.8 di azoto trovato calcolato per C*H"7N2C1 TE C19/20;02 19,88 WEENE el 15,69 « Il 1-fenil-cloro-pirazolo cristallizza dall'alcoolin belli aghi bianchi setacei che sublimano facilmente. Fonde alla temperatura di 75°-75°.5. È insolubile nell'acqua, solubile nell’alcool, nell’etere, ed anche, a caldo, nell’alcool acquoso (volumi eguali di alcool concentrato ed acqua). « L'atomo d'idrogeno che viene sostituito dal cloro è con molta proba- bilità quella in posizione (4) e ciò per due ragioni: « 1° Perchè è l'atomo d'idrogeno più reazionabile del nucleo. « 2° Perchè avendo fatto reagire sopra 5 grammi di 1-fenil-4-bromo- pirazolo 300 c.c. di soluzione d'ipoclorito sodico contenente parimenti il 50 °/s0 di cloro attivo, ho riottenuto, operando tanto a freddo quanto a caldo, gr. 4,50 dello stesso composto bromurato fusibile a 80°.5. « Non ho potuto riscontrare la presenza di composti di natura acida, sia in questo caso, che nel caso precedente dell’1-fenil-pirazolo ». (®) Berl. Ber. Ref. IT. XX, p. 104. — 140 — Botanica. — Secondo pugillo di alghe tripolitane. Nota di G. B. DE Ton, presentata dal Socio PASSERINI. « In wna precedente Memoria (!) vennero presentate alcune notizie su parecchie alghe marine raccolte nel golfo e sulla spiaggia di Tripoli dal ch. prof. R. Spigai e tra esse alghe si segnalavano specialmente alcune forme nuove per il litorale africano bagnato dal Mediterraneo e cioè la Pteroela- dia? tripolitana n. sp., la Galaraura adriatica Zanard., la Grateloupia dichotoma J. Ag., l’Acrodiscus Vidovichii Zanard., la Contarinia peysso- nelliiformis Zanard., e la Ricardia Montagnei Derb. et Sol.; in quell’oc- casione si credette non inopportuno accennare ai principali contributi alla flora ficologica del Mediterraneo comparsi dopo l’opera ben nota di F. Ar- dissone ed altrettanto credo utile fare ora, nel pubblicare la presente serie seconda di determinazioni eseguite su esemplari pure inviatimi dal citato Spigai, vale a dire citare brevemente i lavori apparsi dopo la stampa del primo pugillo di alghe tripolitane. « Nè i lavori furono scarsi e parecchi anzi apportarono la conoscenza di nuove specie da aggiungersi alla flora mediterranea, ciò che dimostra quanto si sia lontani dalla conoscenza abbastanza completa delle alghe che vegetano in seno a detto bacino. « Ad opera del Rodriguez (?) venne illustrata la florula algologica marina delle isole Baleari. arricchendo la scienza di nuove specie (Vi/ophy!- lum carneum R., N. marmoratum R., Fauchea microspora Born., Cladhy- menia Borneti R.); ed al prof. Piccone (3) si è debitori di una interessante Memoria riguardo dette isole, coi materiali raccolti dal benemerito esplora- tore della flora marina Cap. E. A. d’Albertis durante la crociera del « Cor- saro », laonde, tenuto anche conto di una nuova Laminaria (Z. Rodriguezii Born.) descritta dal ch. Bornet (4), la fiorula delle Baleari può ritenersi ora ben conosciuta. « La classica isola di Caprera non venne trascurata e, su esemplari (1) G. B. De Toni e David Levi, Pugillo di alghe tripolitane (Rendic. della R. Ac- cademia dei Lincei, vol. IV, fasc. 5, p. 240-250). Roma 1888. (2) J. J. Rodriguez, Algas de las Baleares (Anal. de la Soc. Esp. de Hist. Nat. Tomo XVII, p. 811-830; XVIII, p. 199-274). Madrid 1889. — Datos algologicos I-II (loc. cit. Tomo XVIII, p. 405-412, lam. III). Madrid 1889. — Datos algolégicos II (loc. cit. Tomo XIX, p. 97-100, lam. Il). Madrid 1890. (3) A. Piecone, Elenco delle Alghe della crociera del Corsaro alle Baleari. Ge- nova 1889. (4) E. Bornet, Note sur une nouvelle espèce de Laminaire (Laminaria Rodri- quezii) de la Méditerranée (Bull. Soc. Bot. de France, l'ome XXXV, p. 361-366, pl. V). Paris 1888. — 141 — speditigli dal prof. D. Lovisato, il Piecone (') indicò parecchie specie da aggiungersi a quelle segnalate già per quell'isola. Contribuirono ad accre- scere le notizie sulla ficologia ligustica l'ora ricordato Piccone (?) e il Vi- nassa (3), il primo trattando della esistenza del Yweus vesiculosus L. in Liguria e di altri argomenti, il secondo fornendo muovi dati per la riviera ligure a Levanto (poco al di là di Spezia) e descrivendo nuove specie di Corallinacee mediterranee, raccolte dal Meneghini ed altri, lungo le coste toscane (Levanto, Livorno), nonchè a Capri e nell'Adriatico. « Il Tanfani (‘) (testè rapito alla scienza botanica), in occasione di una sua gita fanerogamica all'isoletta di Giannutri, non mancò di raccogliere alcune specie di alghe di cui in una Memoria riguardante la Florula di Giannutri inseriva la enumerazione. « Il nuovo genere di Ectocarpacee Zoslerocarpus (Zost. Oedogonium (Menegh.) Born.) venne proposto dal Bornet (?) per l'Ectocarpus 0edogo- nium Menegh., già noto della Dalmazia (Vidovich) e di Porto Maurizio (Strafforello) e raccolto poi dal Berthold nel golfo di Napoli e dal Rodri- guez all'isola Minorca. « E molto interessante è la indicazione della ZHaplospora Vidovichii (Menegh.) Born. data dallo stesso autore (5), poichè è questa la prima Ti- lopteridea che viene segnalata nel Mediterraneo. « Il mare Adriatico non mancò di essere oggetto di nuove ricerche ed illustrazioni in grazia agli studi di Hansgirg (7), Solla (8), Hauck (°) per le (1) A. Piccone, MNoterelle ficologiche IV-X (Nuova Notarisia I, p. 21-80, II, p. 346- 556). Padova 1890-91. (2) A. Piccone, Nuove spigolature per la ficologia della Liguria (Notarisia II, p. 437-443). Venezia 1888. — Noterelle ficologiche III (Notarisia IV, p. 664-671). Ve- nezia 1889; IV-X (Nuova Notarisia l. c.). (*) P. E. Vinassa, Contribuzione alla Ficologia ligustica (Proc. Verb. Soc. Tosc. di sc. nat. 1881, p. 219-230. — Seconda contribuzione alla Ficologia ligustica (1. c. p. 1- 9). — Nuove Coralline mediterranee, Coralline mediterranee raccolte dal prof. Mene- ghini (loc. cit. 1892, p. 55-60). — Mote algologiche 1-3 (loc. cit. p. 39-43). (4) E. Tanfani, Florula di Giannutri (Nuovo giorn. bot. italiano vol. XXII, n. 2, p. 210-214). Firenze 1890. (>) E. Bornet, Note sur deux Algues de la Meéditerrante: Fauchea et Zosterocar- pus (Bull. Soc. bot. de France Tome XXXVII, p. 139-148, pl. I). Paris 1890. (9) E. Bornet, Note sur quelques Ectocarpus (1. c. T. XXXVII, p. 353-372, pl. VI- VIII) *Paris 1892. 1 (7) Hansgirg, Beitrige cur Kenntniss der quarnerischen und dalmatinischen Mee- resalgen (Oesterr. bot. Zeits. 1889, n. 1-2). — Vorldufige Bemerkungen ber die Algen- gattungen Ochlochaete Crn und Phaeophila Hauck (loc. cit. 1892, n. 6). — Phystologi- sche und algologische Mittheilungen (Sitzungsber. K. bòhm. Ges. d. Wiss. 1890, p. 83). — Ueber neue Stisswasser -und Meeres-Algen und Bacterien (loc. cit. 1890, p. 3). (8) F. R. Solla, Bericht diber einen Ausflug nach dem sidlichen Istrien (Oesterr. bot. Zeits. 1891,n. 9-10). (9) F. Hauck, Veber das Vorkommen von Marchesettia spongioides in der Adria RenpIconTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 19 — 142 — coste istriane e dalmatiche ed al modesto lavoro da me testè pubblicato per quanto riguarda le mizoficee della costiera veneta (!); assai dubbiosa mi sembra la esistenza del Cystoclonium purpurascens nell'Adriatico avvertita da G. Istvanffi (?) in base ad un unico esemplare (senza località precisa) giacente nell'Erbario Kitaibel. « Sulla florula del mare Egeo nulla di nuovo venne pubblicato all'in- fuori della segnalazione del Callithamnion seirospermum Grif. fatta da Hauck (3) quando tale Ceramiacea nel gennaio 1889 comparve in quantità straordinaria sulle spugne presso l'isola Simy danneggiando la pesca di quei poriferi. « Per quanto riflette la fora del mare siculo conviene menzionare le poche ma interessanti specie raccolte nel 1887 con una dragata dal R. Avviso « Ischia» nel golfo di Palermo (‘) e la Zaminaria digitata L. nuova pel Mediterraneo estratta pure nel 1887 dall’àncora del « Dandolo » dalla pro- fondità di 60 metri nel canale di Messina (?); nè vuolsi passar sotto silen- zio la constatazione di una nuova Ectocarpacea (Pylazella fulvescens Thur.) raccolta la prima volta nel 1828 dallo Schousboe ad Agla nel Marocco (°) e il rinvenimento della Zamzinaria brevipes Ag. e del Zithophyllum agari- ciforme (Pall.), alghe raccolte durante il classico viaggio di circumnavigazione della « Vettor Pisani » (7). « Il mio lavoro era già stato presentato alla Reale Accademia dei Lincei, allorquando mi pervenne una Nota del più volte citato mio collega ed amico prof. Piccone (8) nella quale sono contenute le determinazioni di materiali alsologici (giacenti nell’Erbario dell’Università Romana) raccolti a Derna e Bengasi nel 1881 da G. Haimann e comunicatigli dal ch. prof. Romualdo Pirotta. « Da quanto sopra fu esposto apparisce chiaro che gli studiosi non ri- und das Massenauftreten von Callithamnion seirospermum Griff. im Aegoischen Meere (Hedwigia 1889, Heft 5, p. 147). (1) G. B. De Toni, Flora Algologica della Venezia, parte quarta: Le Mizoficee (Atti del R. Istituto Veneto, serie VII). Venezia 1892 (2) G. Istvanffi, Sur l'habitat de Cystoclonium purpurascens dans la Mer Adriati- que (Notarisia VI, n. 26, p. 1305). Venezia 1891. (3) F. Hauck, loc. cit. (4) A. Piccone, MNoterelle ficologiche I-II (Notarisia IV, p. 664-671). Venezia 1889. (5) G. Arcangeli, Za Laminaria digitata L.nel Mediterraneo (Proc. Verb. Soc. Tosc. di Sc. nat. VII, 1890, p. 178-180). (6) E. Bornet, Note sur l'Ectocarpus (Pylaiella) fulvescens Thur. (Revue génér. de Botan. Tome I, pl. I). Paris 1889. (7) A. Piccone, Nuove alghe del viaggio di circumnavigazione della « Vettor Pi- sani v (Memorie della R. Accademia dei Lincei, serie IV, vol. VI, p. 9-63). Roma 1889. (8) A. Piccone, Alghe della Cirenaica (Annuario del R. Ist. botanico di Roma, red. da R. Pirotta, vol. V, fasc. 2, p. 45-52). Roma 1892. — 143 — masero inoperosi, ma fecero tesoro dei materiali anche scarsi pur di accre- scere la conoscenza della ficologia mediterranea, sia in riguardo alla distri- buzione geografica o batimetrica delle diverse forme, sia in riguardo a specie da aggiungersi a quelle già conosciute. « Il presente pugillo, tutto che il numero delle specie in esso enume- rate sia relativamente esiguo, contribuirà a far un po’ meglio conoscere la flora algologica della costa africana, tanto più che tra dette specie una è in particolar modo interessante, il Rhodochorton Rothii (Turt.) Naeg., essendo rarissima nel Mediterraneo (!) ed altre non sono meno importanti perchè nuove per la costiera d'Africa bagnata dal Mediterraneo come ad esempio la Liagora ceranoides Lamour., la Wildemania laciniata (Lightf.), il Calli- thamnion scopulorum Ag. ecc. FLORIDEAE (!). KHIelminthocladiaceae J. Ag. « 1. Liagora ceranoides Lamour. Polip. f(6x., p.239;J. Ag. Sp. II, p. 426; Zanard. Icon. phyc. adriat. III, p. 89, t. CII, f. 1-3; Ardiss. Phye. Medit. I, p. 272; Ziagora viscida var. ceranoides Hauck Meresalgen, p. 65; De Toni e Levi FI. Alg. Ven. I, p. 99. « Rara sulla spiaggia, Tripoli. Questa specie è nuova per il litorale africano. KRhodomelaceae (Harv.) F. Schmitz. « 2. Polysiphonia sertularioides (Grat.) J. Ag. Sp. IT, p. 969; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 395; Hauck Meeresalgen, p. 219; De Toni e Levi #7. Alg. Ven. I, p. 133; Ceramium sertularioides Grat. Ceram. fig. IV in Append. Diss. Obs. sur la Const. été de 1806. « Sopra gli scogli e rigettata sulla spiaggia, Tripoli. « 3. Polysiphonia elongata (Huds.) Harv. in Hook. Br. Zora, p. 333; J. Ag. Sp. II, p. 1004; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 416; Hauck Meeresalgen, p. 227; De Toni e Levi 77. A4/g. Ven. I, p. 136; Conferva elongata Huds. FI. Angl. p. 599. « Come la specie precedente, Tripoli. Ceramiaceae (Rchb.) F. Schmitz. « 4. Griffithsia Schoushoei Mont. Otia hispan., p. 11, Expl. de V’AI- gérie, p. 143; J. Ag. Sp. II p. 78; Zanard. Icon. phyc. adriat. I, p. 83, (1) G. B. De Toni e D. Levi, Phycotheca italica n. 8. Venezia 1886. (2) Nella disposizione delle Floridee ho adottato il sistema proposto nel 1889 dal ch. F. Schmitz. — 144 — t. XX, A; Ardiss. Phye. Medit. I, p. 82; Hauck Meeresalgen, p. 92; De Toni e Levi FI. Alg. Ven. I, p. 38; Griffithsia imbricata Schoushoe mscr. « Sui piccoli ciottoli calcarei, non comune, Tripoli. « 5. Callithamnion scopulorum Ag. Sp. II, p. 166; J. Ag. Sp. II, p. 47; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 62; Hauck Meeresalgen, p. 79; Callitham- nion roseum tenue Lyngh. Hydrophyt. Dan., p. 126, t. 89. « Raro sulla spiaggia, Tripoli. Questa specie è nuova per il litorale africano. « 6. Antithamnion Plumula (Ellis) Thur. in Le Jol. 4/9. mar. Cherb., p. 112; De Toni e Levi Frammenti algologici I-II in Notarisia 1887, p. 296, Hauck Meeresalgen, p. 72; Conferva Plumula Ellis Phil. Trans. 57, p. 426; t. 18; Callithamnion Plumula Ag. Sp. II, p. 150; Mont. Zxpl. de l'Algérie, p. 147; J. Ag. Sp. II, p. 29; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 18; De Toni e Levi YI. Ag. Ven. I, p. 46. « Come la specie precedente, Tripoli. È specie frequente nel Mediter- raneo; per la costa africana era già nota come raccolta ad Algeri da Roussel e Deshayes secondo l’affermazione del Montagne. « 7. Ceramium rubrum (Huds.) Ag. Syn., p. 60, Sp. II, p. 146; J. Ag. Sp. II, p. 127; Mont. £xpl. de l'Algérie, p. 145; Ardiss. Phyc. Medit. 1g 113; Hauck Meeresalgen, p. 108; De Toni e Levi I. Alg. Ven. I, p. 34; Conferva rubra Huds. FI. Angl. p. 600; Dillw. Con). t. 34. « Raro tra le alghe reiette sulla spiaggia, Tripoli. « 8. Ceramium ciliatum (Ellis) Ducl. Zss., p. 64; JT. Ag. Sp. II, p. 133; Mont. £xpl. de l’Algérie, p. 146; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 117; Hauck Meeresalgen, p. 110; De Toni e Levi 7. Alg. Ven. I, p. 34; Conferva ci- liata Ellis Phil. Trans. 57, p. 425, t. 18, f. h H; Dillw. Conf. t. 53. « A poca profondità, raro sulla spiaggia, Tripoli. « 9. Rhodochorton Rothii (Turt.) Naeg. Ceram. p. 355, Hauck Mee- resalgen, p. 68 f. 23; Conferva Rothin Engl. Bot. +. 1702; Callithamnion Rothii Lyngb., J. Ag. Sp. II p. 17, III, p. 13; De Toni e Levi 77. 409. Ven. I, p. 44, Phycotheca italica, n. 3. « Sopra i ciottoli, raro, Tripoli. Ho confrontato gli scarsi esemplaretti di questa curiosa ceramiacea con altri esistenti nel mio erbario e ho dovuto convincermi che corrispondono perfettamente con la specie alla quale li ho riferiti. È una specie che per la sua minutezza è probabilmente sfuggita finora alle ricerche di molti esploratori. 1 Corallinaceae Harv. i « 10. Jania corniculata (L.) Lamour. P0/yp /léx., p. 274; Mont. Eepl. de VAlgérie, p.132; Aresch. in J. Ag. Sp. II, p. 558; Ardiss. Phye. Medit. I, p. 461; Hauck Meeresalgen, p. 279; De Toni e Levi //. Alg. Ven. I, p. 164; Corallina corniculata L. Syst. nat. ed. XII, vol. I, p. 1305. — 145 — « Sulla spiaggia, reietta dalle onde, non comune, Tripoli. Per le coste africane fu già segnalata nell’Algeria dal Montagne. Più frequente è la Ja- nia rubens (L.) Lamour. Cfr. De Toni e Levi Pugillo Alg. tripol. I, n. 18. Bangiaceae Berth. « 11. Ba gia fusco-purpurea (Dillw.) Lynogb. H7ydrophyt. Dan. p. 88 t. 24,C; Mont. Expl. de l’Algérie, p. 157; Ardiss: Phye. Medit. I, p. 471; Hauck Meeresalgen, p.22; De Toni e Levi #7. Alg. Ven. I, p. 169; Conferva fusco-purpurea Dillw. Conf. t. 92. « Sopra i sassi, Tripoli. « 12. Erythrotrichia carnea (Dillw.) J. Ag. 720 Algernes System. VI, p. 15; Conferva carnea Dillw. Conf. t. 84; Conferva ceramicola Lyngb. Hydrophyt. Dan., p. 144, t. 48, Di Bangia ceramicola Chauv. in Harv. Phye. Brit., t. 317; Ardiss. Phye. Medit. I, p. 473; Hauck Meeresalgen, p. 22; De Toni e Levi Y7. Alg. Ven. I, p. 169. « Sopra frammenti di Cystosezra, Tripoli. È specie per la prima volta rinvenuta lungo la costa africana bagnata dal Mediterraneo. « 13. Wildemania? laciniata (Lightf.), Porphyra laciniata Ag. Syst. p. 190; Ardiss. Phyc. Medit.I, p. 469 ex parte; Hauck Meeresalgen, p. 26 ex parte; Porphyra mubilicalis L. a. laciniata J. Ag. Till Algernes System. VI, p. 67; ZWva laciniata Lightf. FI. Scot., p. 974, t. XXXIII. « Sulla spiaggia, Tripoli. Possiedo un solo esemplare di questa specie rarissima nel Mediterraneo, dove all'incontro abbonda la Porphyra leuco- sticta Thur. La Wildemania? laciniata (Lightf.) secondo il Falkenberg sa- rebbe stata trovata anche nel golfo di Napoli; è specie comune nell'Oceano Atlantico. PHAEOPHYCKAE (!). Cystoseiraceae Kauetz. « 14. Cystoseira Hoppii Ag. Sp., p. 59; Mont. Zxp/. de lAlgér. p. 16; Valiante Cystos. p. 16, t. VII; De Toni e Levi #7. A/g. Ven. II, p. 32; Cystoscira Hoppii Ag. f. vesiculis magnis numerosis Ardiss. Phye. Medit. II, p. 26; Cystoseira barbata var. Hoppii J. Ag. Sp. I, p. 223. « Raramente sulla spiaggia, Tripoli. « 15. Cystoseira crinita (Desf.) Duby Bot. Gall. p. 936; J. Ag. Sp. I, p. 223; Valiante Cyszos. p. 18, t. VIII; Mont. Expl. de l’Algérie, p. 12, t. 8; Hauck Meeresalgen, p. 296; Ardiss. Phyc. Medit. II, p. 32; De Toni e Levi YI. Alg. Ven. II, p. 36; Fucus crinitus Desf. FI. Atlant. II, p. 425. « Non comune, a poca profondità, Tripoli. (1) Nella disposizione delle Feoficee seguo lo schema da me pubblicato l’anno scorso (Systematische Uebersicht ete. in Flora 1891, Heft 2). — 146 — Dictyotaceae (Lamour.) Zanard. « 16. Dictyota Fasciola (Roth) Lamour. in Desv. Jour. Bot. II (1809), p. 41; J. Ag. Sp. I, p. 89; Ardiss. Phyc. Medit. I, p. 480; Hauck Mecres- algen, p. 306; De Toni e Levi 7. Al9. Ven. I, p. 172; Fucus Fasciola Roth Catalecta bot. I, p. 146, t. 7, f. 1, II, p. 160. « Fra numerose alghe nel porto, rara sulla spiaggia, Tripoli. Encoeliaceae (Kuetz.) Kjellm. « 17. Asperococcus bullosus Lamour. Zss., p. 62, t. VI, f. 5; J. Ag. Sp. I, p. 77; Zanard. Icon. phyc. adriat. I, p. 103, t. XXV; Born. et Thur. Et. phyc. p. 16, t. VI; Hauck Meeresalgen, p. 338; Ardiss. Phyc. Medit. 1I, p. 134; De Toni e Levi 7. 4/9. Ven. II, p. 103. « Come la specie precedente, Tripoli. « 18. Hydroclathrus sinuosus (Roth) Zanard. con. phyc. adriat. 1, p.109; Hauck Meeresalgen, p. 393; Ardiss. Phyc. Medit.1I, p. 123; De Toni e Levi YZ. Alg. Ven. I, p. 94; Ulva sinuosa Roth Catalecta bot. III, p. 327, t. 12, f. a.; Colpomenia sinuosa Derb. et Sol. Phystol. Alg., p. 11, t. 22, f. 18-20. « Non comune, rigettato sulla spiaggia, Tripoli. « 19. Scytosiphon lomentarius (Lyngb.) J. Ag. Sp. I, p. 126; Hauck Meeresalgen, p. 396; Ardiss. Phyc. Medit. II, p. 117; De Tonie Levi 77. Alg. Ven. II, p. 95; Chorda lomentaria Lvnghb. Hydrophyt. Dan. p. 74, +. 18; Mont. Expl. de l'Algérie, p. 34. « Galleggiante nella rada, Tripoli. Sphacelariaceae (Decne) Kuetz. « 20. Stypocaulon scoparium (L.) Kuetz. Phyc., p. 293, t. 18, II; Spha- celaria scoparia Lyngh. Hydrophyt. Dan. p. 104, t. 31; Mont. Zepl. de VAlgerie p. 39; Hauck Meeresalgen, p. 347; Ardiss. Phyc. Med. II, p. 85; De Toni e Levi Y/. A/g. Ven. II, p. 71; Conferva scoparia L. Sp. plant. p. 1635. « Sugli scogli, a poca profondità, Tripoli. Ectocarpaceae (Ag.) Kuetz. « 21. Ectocarpus arctus Kuetz. Phyc. gener. p. 289, Sp. p. 449; Hauck Meeresalgen, p. 328; Ardiss. Phyc. Medit. II, p. 71; De Toni e Levi /Y. Alg. Ven. II, p. 55; Corticularia areta Kuetz. Tabulae phycol. vol. V, to 0A nE « Come la specie precedente, Tripoli. SERA — CHLOROPHYCEAE. Ulvaceae (Lamour.) Rabenh. « 22. Enteromorpha compressa (L.) Grev. A4/g. drét., p. 180 excl. var., t. VIII; J. Ag. 77/2 Algernes System. VI, p. 137; Hauck Meeresalgen, p. 428; De Toni SyUoge Algar. I, p. 126; Wva compressa L. FI. Suec. n. 1155; Ulva Enteromorpha var. compressa Le Jol. List. Alg. Cherb., p. 44; Ardiss. Phyc. Medit. Il, p. 198 ex parte. « Comunissima sugli scogli alla spiaggia, Tripoli. Cladophoraceae (Hass.) Wittr. em. « 23. Chaetomorpha aerea (Dillw.) Kuetz. Sp. p. 379, Zab. Phyc. II, t. 59, f. 1; Hauck Meeresalgen, p. 438; Ardiss. Phyc. Medit. II, p. 215; De Toni e Levi 7. 4/9. Ven.III, p. 144; De Toni Sy/loge Algar.1I, p. 272; Conferva aerea Dillw. Brit. Conf. t. 80; Harv. Phye. Brit. t. 99, B. « Come la precedente, reietta sulla spiaggia tra matasse d'alghe, Tripoli ». PERSONALE ACCADEMICO Pervenne all'Accademia la dolorosa notizia della morte del Socio nazio- nale EnrIco BETTI, mancato ai vivi in Soiana l’11 agosto corr.; apparteneva il defunto Socio all'Accademia sino dal 31 gennaio 1875. CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute: La KR. Accademia della Crusca di Firenze; il R. Istituto orientale di Napoli; la R. Società zoologica di Amsterdam; la Società filosofica di Cam- bridge; la Società geologica di Manchester: la Società degli antiquari di Londra; la Società di Scienze naturali di Emden; la Società degl’ inge- gneri civili di Parigi; il Museo di Geologia pratica di Londra; l'Università di Berkeley in California; l'Osservatorio di s. Fernando. PB; Sua Tv Koi È NA TANA ia di CI 4 d ink — 149 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 4 settembre 1892. mnarnnnrrFTETD2 Chimica. — Sopra alcuni derivati dell'acido fotosantomeo. Nota di S. CANNIZZARO e di Pretro Gucci. « Lo studio dell'acido santonoso (!) fatto da uno di noi, ha dimostrato che la santonina è il lattone dell'acido santoninico e questo un derivato della esaidrodimetilnaftalina con due metili in posizione para e contenente un CO cetonico, un ossidrile alcoolico o fenico ed una catena laterale, residuo dell'acido propionico. « Lo studio fatto dall'altro di noi e dal Grassi sui derivati della santo- ninossima e del santoninidrazone (*) ha confermato la suddetta costituzione della santonina ed avendo meglio stabilito la posizione relativa nei due anelli del nucleo naftalico, del CO cetonico e della catena laterale in rapporto ai due metili e fissato definitivamente la posizione para dei metili stessi, ha condotto a rappresentare la santonina colla seguente formula di struttura (1) Gazz. Chim. ital. t. XII, 1883. (2) P. Gucci e G. Grassi-Cristaldi, Gazz. Chim. ital. t. XXII, vol. I, 1892. RENDICONTI. 1892, Vot. I, 9° Sem. 20 — 150 — « Ora però, per mettere questa formula in accordo coi fatti che espor- remo, noi vi scriviamo il CO nel posto adiacente secondo lo schema CH; | C CH; cd \e LN HC N07 \CH; ! CH, OC / onda x A | CH--0——C0 senza che, per questo, vengano minimamente turbate le considerazioni già fatte dal Gucci e dal Grassi nella Memoria pubblicata da loro (1). «I risultati che pubblichiamo in questa Nota, ottenuti dallo studio dei derivati dell'acido fotosantonico, danno nuovi argomenti in favore di tale formula. « Il dott. Villavecchia ha dimostrato (?) che l'acido fotosantonico dissec- cato a 100° contiene il gruppo lattonico come la santonina e che si forma da questa per la fissazione degli elementi dell’acqua sotto l’azione della luce, aprendosi uno degli anelli del nucleo naftalico nel punto del CO cetonico. « Adottando per la santonina la formula sopra indicata, l'acido fotosan- tonico seccato a 100° deve essere dunque rappresentato così: CH; CH: | AN H, CCA CH; | HOOC_C=C\ VACH=©Hi | IA CHi _ CH-0—C0 salvo la disposizione dei doppi legami su cui per ora non ci possiamo pro- nunciare. «“ Lo stesso Villavecchia ha già ottenuto per l’azione dell'acido cloridrico sull’acido fotosantonico l’acido deidrofotosantonico (3), acido bibasico la cui (1) Gazz. Chim. ital. XXII, vol. I, 1892. (?) Rend. Acc. Lincei 1885, p. 722. (3) Rend. Acc. Lincei 1885, p. 724. — 151 — costituzione, in rapporto alla sopra indicata formula dell'acido fotosantonico, deve ora esprimersi nel modo. seguente: « Noi abbiamo ripreso lo studio di questo acido e confrontando, innanzi tutto, l’azione dell'acido cloridrico sull’acido fotosantonico, con quella dell’a- cido cloridrico stesso sui due isomeri iposantonina ed isoipo-santonina(!), anche essi lattoni, abbiamo visto che procede egualmente formandosi due acidi isomeri, uno attivo sulla luce polarizzata che chiamiamo «eido deidrofoto- santonico attivo ed uno inattivo che chiamiamo acido deidrofotosantonico inattivo. « La composizione di questi due acidi corrisponde con quella trovata dal Villavecchia per l'acido deidrofotosantonico da lui descritto, acido che doveva essere la miscela dei due, come si può rilevare dai punti di fusione e dal potere rotatorio specifico. « L'azione dunque dell'acido cloridrico, anche sull’acido fotosantonico sì localizza al gruppo lattonico. Abbiamo riscontrato la formazione di un etere clorurato intermedio instabilissimo che svolge acido cloridrico anche alla temperatura ordinaria, e questo si forma di preferenza quando si fa agire l'acido cloridrico lentamente sulla soluzione alcoolica di acido fotosantonico hen raffreddata. Però di questo etere non ci siamo occupati ed abbiamo pre- parato gli acidi deidrofotosantonici col processo già descritto dal Villavecchia operando come segue. « Gr. 25 di acido fotosantonico venivano disciolti nell'alcool a 90° e vi si faceva passare una corrente di acido cloridrico gassoso fino a rifiuto, man- tenendo il tutto freddo. Poi si scaldava presso all'ebollizione e si distillava l'alcool nel vuoto. Il residuo oleoso, che era la miscela degli eteri dei due acidi deidrofotosantonici, veniva lavato a freddo con soluzione di carbonato sodico diluito e quindi estratto con etere. L'estratto etereo, dopo averne di- stillato l'etere, veniva saponificato bollendolo per più ore con soda alcoolica assai concentrata, quindi, sostituito l'alcool con acqua, veniva trattato con acido cloridrico in eccesso col quale si precipitava una sostanza gialla, molle che in breve diveniva cristallina. « Tale sostanza veniva fatta cristallizzare un paio di volte nell’etere (1) P. Gucci e G. Grassi-Cristaldi, Gazz. Chim. ital. t. XXII, vol. I, 1882, p. 23. o — per privarla completamente della materia resinosa che la rendeva gialla e quindi sottoposta a ripetute ed accurate cristallizzazioni frazionate nell’etere, mediante le quali si giunge a fare cristallizzare prima l'acido attivo. « Abbiamo ripetutamente osservato che anche coll'acido fotosantonico si verifica ciò che fu già osservato da uno di noi e dal Grassi nella prepara- zione degli acidi biidro-santinici ('), cioè che più si spinge l’azione dell'acido cloridrico, meno acido attivo si ottiene; di più che l'acido attivo, già separato, quando si sottoponga nuovamente all’azione dell'acido cloridrico, e in special modo se si agevoli l’azione di questo col riscaldamento, si trasforma comple- tamente nell’inattivo; cosicchè facendo agire l'acido cloridrico sulla soluzione alcoolica bollente di acido fotosantonico per più ore, si ottiene esclusivamente acido deidrofotosantonico inattivo. « L'acido deidrofotosantonico attivo si presenta in grossi prismi aggrup- pati; fonde a 138,5-139° ed ha un potere rotatorio specifico espresso da [alb = + 48,91. « L'acido inattivo si presenta in romboedri e fonde a 134,5-135,50. « Ambedue sono solubilissimi nell'etere e nell’alcool e discretamente solubili nell'acqua bollente da cui, per raffreddamento, sì separano cristalliz- zati in aghi bianchi opachi. « Tanto l'uno, quanto l’altro di questi acidi, scaldati molto al disopra del loro punto di fusione, si consolidano, raffreddando, in una sostanza vetrosa che col tempo prende l'aspetto porcellanico. Essa fonde a 133,5-34,5° ed è inat- tiva sulla luce polarizzata : cristallizza nell’alcool acquoso in mammelloncini durissimi che fondono alla stessa temperatura; mentre dalle soluzioni eteree non si è potuto ottenere fin’ora cristallizzata. La stessa sostanza si ottiene distillando i detti acidi nel vuoto. La distillazione avviene fra 290-300° (term. nel bagno). « È acido bibasico : l’analisi dell’acido libero e quella dei sali di bario e di argento ci hanno condotto alla formula C,; Ha, 0,. Pare dunque che si tratti di una terza modificazione dell'acido deidrofotosantonico. « Non facciamo per ora alcuna ipotesi sulla causa di tali isomerie, aspet- tando che altri studi ci forniscano dati sufficienti per fare fondate supposi- zioni sulla disposizione e sul collegamento degli atomi, tanto nella molecola della santonina, quanto in quella dei suoi numerosi derivati. « Tutti e tre questi acidi, quando vengono distillati colla barite, danno, si può dire, in quantità teorica lo stesso idrocarburo. Esso distilla quasi totalmente a 225°, ed ha la composizione elementare e la densità del vapore corrispondenti alla formula C33 Hzo0 = C15 He0 04 — 200,. « Per ogni porzione di 5 gr. di acido si è sempre ottenuto da gr. 3,12 a gr. 3,16 di idrocarburo secco (teor. per C,; Ha, 04 — 200,= gr. 3,32). (1) P. Gucci e G. Grassi-Cristaldi, Gazz. Chim. it. t. XXII, vol. I, 1892, p. 28. —. lo — « Ora, partendo dalla formula dell'acido deidrofotosantonico, la struttura di questo idrocarburo verrebbe rappresentata, o dall'una, o dall'altra di queste formule CH. CH, CH CH, | ; ASX | i ZA El LE. NOE H, pi iL: HC=C\ bert HS CH =0H se/ | SZ CH; CH CH; CH « Anche riguardo a questo composto non abbiamo per ora argomenti da fissare la posizione dei doppi legami; peraltro facciamo osservare di non essere riusciti fin'ora ad addizionarvi bromo. Ossidazione dell’idrocarburo C,3 Hx e degli acidi deidrofotosantonici. « L'idrocarburo e ciascuna delle tre modificazioni dell'acido deidrofoto- santonico forniscono per ossidazione un identico prodotto. « L'ossidazione fu fatta come appresso: « Gr. 5, sia dell'idrocarburo, sia di ciascuno dei tre acidi deidrofoto- santonici, venivano disciolti a bagnomaria in circa 200 c.c. di acido ace- tico ordinario (al 66 °/) a cui si mischiava un poco di acido solforico con- centrato. A questo miscuglio, tenuto sempre a bagnomaria, si aggiungeva a poco per volta bicromato potassico soppesto ed acido solforico. Il bicromato veniva facilmente ridotto e si aveva manifesto svolgimento di anidride car- bonica. « Il migliore resultato si ebbe aggiungendo in tutto da 70 a 80 grammi di bicromato e da 120 a 150 grammi di acido solforico. « Cessato lo sviluppo dell'acido carbonico, ciò che richiedeva una gior- nata, veniva distillato l'acido acetico a pressione ridotta ed il residuo ripreso con circa !/> litro di acqua calda. Per raffreddamento cristallizzava alla su- perficie del liquido il prodotto di ossidazione in pagliette lucenti e scolorate. Si estraeva con etere e l'estratto etereo si distillava fino a secco dopo averlo liberato dall’acido cromico, che sempre asportava, lavandolo con soluzione di anidride solforosa, o di bisolfito di sodio. Restava un residuo bianco cristal- lino che fatto cristallizzare un paio di volte nell'acqua, formava aghi lunghi parecchi centimetri per lo più appiattiti, bianchissimi col punto di fusione costante a 205-206°. « Il rendimento coll’ossidazione dell’idrocarburo oscillava fra il 50 e il 59 per cento; con quella di ciascuno dei tre acidi oscillava fra il 27 e il 31 per cento. « Questo prodotto è un acido monobasico la cui composizione centesi- male corrisponde alla formula Cu Ho 04, come abbiamo potuto dedurre dai — 54. dati concordantissimi con questa formula ricavati dalle analisi elementari eseguite sull’acido libero, sull’etere etilico e sui sali di bario e di argento. L'etere etilico si presenta in prismi bianchi che fondono a 105-106°. « Scoprire la costituzione di tale acido era per noi di capitale impor- tanza, e perciò abbiamo sopra di esso rivolto maggiormente la nostra at- tenzione. « Non reagisce coll'anidride acetica, neanche in presenza di acetato di soda e neppure coll’idrossilamina e colla fenilidrazina. Anche il suo etere etilico si comporta egualmente. « Scaldato in tubi chiusi a 180-190° con acido jodidrico rinforzato con jodio e fosforo rosso, somma due atomi d'idrogeno formando, col rendi- mento del 50 °/, un composto bianco polverulento col punto di fusione co- stante a 236-236,5°. Però questo composto ossidato, sia col miscuglio ero- mico, sia col permanganato potassico, ridà quantitativamente l'acido da cui deriva. « Distillato a secco colla barite dà, verso 350°, benzina con piccole quantità di prodotti che bollono a temperature inferiori e superiori a 81°. « Scaldato cogli idrati di potassio e di sodio, verso 200° si scinde net- tamente in acetone ed acido isoftalico. « L'esperienze venivano fatte nel modo seguente: « S'introducevano in una storta 2 grammi di acido e vi si aggiungeva una quantità di soluzione satura di potassa o di soda, tripla di quella neces- saria per saturare l'acido stesso e si portava il tutto a secco scaldando a bagno d'olio verso 180°-185°. Poi si univa la storta con un collettore che tenevamo raffreddato con miscuglio di neve e sale e, sostituito al bagno ad olio uno di piombo e stagno, s'innalzava lentamente la temperatura oltre 200°. Si vedeva distillare un liquido che formava delle strie liquide lungo il collo della storta con minutissime gocce oleose. Quando la temperatura del bagno segnava circa 270°, l'operazione era finita. « Si è riconosciuto l’acetone nel distillato per il suo odore, per il punto d'ebollizione a 57-59° dopo averlo distillato sul carbonato potassico secco, per la proprietà di combinarsi col bisolfito sodico con forte svolgimento di calore formando una massa cristallina e, infine, per aver dato coll'aldeide ortonitrobenzoica e soda diluitissima l'indaco azzurro ('). « L'acido isoftalico si è dimostrato esaminando tutti i suoi caratteri, dopo averlo precipitato con acido cloridrico dalla soluzione del sale sodico e fatto cristallizzare nell'acqua. Ne abbiamo fatto anche l'etere metilico e si è trovato che fondeva esattamente a 65-66° e possedeva tutti gli altri carat- teri dell’isoftalato di metile. Era nella quantità calcolata. « La scissione in acetone ed acido isoftalico ci fa assegnare all'acido (1) Penzoldt, Fr. 24, 149. — 155 — in parola la formula di una dimetilftalide carbossilica, o acido dimelil-ftalid- carbonico espressa dallo schema seguente : e la sua scissione si potrà api, analogamente a quella dell'acido o fenilftalidcarbonico studiato da W. Hemilian ('), cioè I CH; CH; pi HO/ Te i no/ Der | » o 008 | | Hooo-o 70-06 sa Hooc-c\ \/ C- COOH ai S « La costituzione di quest'acido derivato dalla ossidazione dell'idrocar- buro proveniente dagli acidi deidrofotosantonici e da quella degli acidi deidrofo- tosantonici stessi, conferma la costituzione sopra attribuita all'acido deidro- fotosantonico e perciò anche quella attribuita all'acido fotosantonico ed alla santonina. « Partendo dalla santonina, il Gucci ed il Grassi, tolto l'ossigeno cetonico e disidrogenato l’anello del nucleo naftalico contenente i due metili (?), per reazioni successive (#) eliminarono l’altro anello contenente la catena propionica e giunsero al para-dimetil-benzolo. « Noi invece, essendo stato aperto l'anello contenente i due metili ed il CO cetonico, siamo giunti per reazioni successive all’acido dimetilftalid- carbonico, all'acido isoftalico e alla benzina conservando cioè quell’anello che nelle reazioni del Gucci e del Grassi fu distrutto. « La formazione dell'acido isoftalico dimostra la distanza respettiva nella molecola della santonina fra il CO cetonico e il punto d'inserzione della catena propionica; perciò, se ulteriori ricerche condurranno a determinare la posizione, o del CO nell'anello metilato, o della catena propionica nell'altro anello, saranno stabilite le posizioni di entrambi questi gruppi nella molecola stessa della santonina ». (1) Ber. XIX, p. 3068. (2) P. Gucci, Gazz. Chim. ital. t. XIX, p. 367 e G. Grassi-Cristaldi, Gazz. Chim. ital. t. XIX, p. 382. (3) Gazz. Chim. ital. t. XXII, vol. I, 1892. oo Matematica. — Sulla trasformazione di Bdcklund pei si- stemi tripli ortogonali pseudosferici. Nota del Corrispondente Lui BIANCHI. « Come già ho accennato alla fine della Nota precedente (!), il teorema di permutabilità delle trasformazioni di Backlund, con tutte le sue conse- guenze, vale non solo per le superficie pseudosferiche isolate, ma ben anche per quei sistemi tripli ortogonali che contengono una serie di superficie pseu- dosferiche, sia la curvatura di queste superficie una costante assoluta (sistemi di Weingarten) ovvero variabile colla superficie. Basterà qui che ci tratte- niamo sulla dimostrazione del teorema di permutabilità, riferendoci per la deduzione degli importanti corollarî alla Nota antecedente. IE Formole per la trasformazione di Biicllund. « Esprimendo le coordinate Cartesiane ortogonali «, 7, di un punto mobile nello spazio in funzione dei parametri v, v, w di un sistema triplo ortogonale pseudosferico, in cui le superficie w = cost! siano a curvatura costante — ma essendo R(w) funzione di w soltanto, l'elemento lineare dello spazio prende, come è noto, la forma (?). D 2 (1) daddy 4 de° — costo du’ sent wav 32h oi dw? . « Secondo i risultati della Nota ora citata, possiamo dedurre da questo sistema X, per mezzo della trasformazione di Bàcklund, nuovi sistemi della stessa specie. Indicando perciò con X una costante arbitraria e ponendo v coso = R' si determini la funzione @' di x, v, w dal sistema illimitatamente integrabile da La do seno' coso + seno coso seno de 0 l QoL DO coso sen + seno senw' coso (2) Coe =— dv du k do do coso dim seno dim seno — +— + ="=—=+he-e===0, dWw dWw cOSw dY dW seno dVdW (1) Questi Rendiconti 3 luglio 1892. (2) Vedi la mia Nota nei Rendiconti dell’Accademia 3 gennaio 1886. (2 — 157 — che ammette una soluzione @', contenente (oltre 7) una costante arbitraria ; il sistema derivato 2’ risulterà allora definito dalle formole | e = x + k(coso' X, + seno Xp) y =y + k(coso' Y,+ seno! Y») | 3 =2 +%(coso'Z, + seno Z;), in cui (X,, Y1, Z1), (X», Ya, Za), (X3, Ya, Z3) denotano i coseni di direzione delle rispettive normali alle superficie «, v, w del sistema X. Diremo che il sistema 2’ è derivato da 2 per mezzo di una trasformazione di Bicklund B,. Indicando coll’accento le quantità che per 2° sono le analoghe di Xi, Xs, X3 importa osservare le formole : (3) X', = (coso coso — seno seno’ senm) X, + (senw' coso + + seno coso' sen) Xs + coso senm X3 (4) X'a = (coso' seno + seno seno cosm) X, + (senw’ seno — — seno cosw' cosm) X, — coso cosm X3 X', = — coso seno X, + coso coso X, — seno X3 che sussistono colle analoghe in Y, Z. Dalle (3) risulta inoltre n VBA (5) de? + dy*+ ds? = coso' du + sen*o' dv + R° (>) diw® . II. Teorema di permutabilità. «Se 2°", 2” sono due sistemi tripli ortogonali pseudosfe- rici legati al medesimo sistema X da due trasformazioni di Bàcklund Bx, By a costanti %, #' diverse, esiste un quarto si- stema pseudosferico 2" legato rispettivamente a x, >” da trasformazioni di Baicklund B'y, B, colle costanti invertite /", £. « Per dimostrarlo scriviamo le formole del $ precedente applicate ai due sistemi derivati 2’, 2”, ponendo U k È Dea coso == , COso = R avremo così 0) =Xx+Rcoso (coso X,+ seno’ X») x" = x + R coso’ (coso X, + seno” X») colle analoghe per y, <, ove tra (0, @), (0”, ©) sussistono le rispettive re- lazioni : do, do seno coso + seno coso' senw VW OE R coso To) do do SSR coso’ senm + seno senw' cosm dv du R coso seno do —- Da + KR coso COSMO + R coso seno) Dia = dWw dw cosw dUdW sen@ dV dW RenpICONTI. 1892, Voc. I, '2° Sem. 21 58 — DOO seno” cos + seno” cosw” senm dU DOT R coso” (8) do nd cos” sen + seno’ senw” coso do R cos o' seno” DEA = 2°) Reoso! fesa, die + Rcoso' sen” a 0 dW dw cosm du dW senm IVIW « Se il quarto sistema 2" esiste effettivamente, come viene asserito dal teorema, indicando con tre apici le quantità ad esso relative, dovranno in- sieme sussistere le equazioni ( x" = x' 4 Reoso' (coso” X', + seno” X'3) ( &" = x" + Reoso (coso” X”, + seno!” X",) colle analoghe in y, 2. Se in queste per X',, X's sostituiamo i valori (4) e per X”,, X", le espressioni analoghe, dal paragone dei due valori di 4" deduciamo le due equazioni: { coso' | coso + coso’ cos (0 — ©) | + coso” seno senw' sen (0” — @) = = (C0S0% | coso’ + coso cos(w”" — ©) | + coso seno’ seno” sen(w” — m) sena)| coso + coso” cos (0 — ©) | — coso’ seno cosw' sen (0! — w) = I ,r — w) ci ER To seno | coso” + coso cos(w'” — ©) | — coso seno” coso” sen(w" « Moltiplicando queste una prima volta rispettivamente per coso’, senw', una seconda volta per coso”, seno” ed ogni volta sommando, indi risolvendo rapporto a sen (0” — ), cos (0” — @), otteniamo le due formole della pre- cedente Nota et (seno — seno’) sen (0 — w') Sen(os —w)= = 7 ; ; coso coso” cos (@" — w') + seno seno — 1 2 (8) cosr coso’ + (seno seno” — 1) cos (o” — w') coso coso’ cos (m" — w') + seno seno — 1, alle quali possiamo nuovamente sostituire l'equazione equivalente gi 0) 8*) ta (Ce _ee( >) (3 ng 9 "Ta Î cos (0° — @) = \ « Poichè adunque, se il 4° sistema 2” esiste, esso è determinato da quest'ultima equazione, resterà soltanto a verificare su questa equazione le pro- prietà asserite nel teorema (!). (1) Le equazioni (8) (8*) coincidono perfettamente colle analoghe della Nota prece- dente. Se osserviamo che quattro superficie pseudosferiche corrispondenti nei quattro si- stemi x, 2°, 2”, 2°” debbono trovarsi appunto nelle relazioni enunciate dal teorema di permutabilità (ibid., $ II), vediamo @ priori la ragione di questo fatto. Partendo da questa osservazione, si potrebbero senz'altro scrivere le (8) (8°). (ali — 159 — III. Verifica. « Possiamo conseguire lo scopo proposto in due modi diversi, cioè di- rettamente ovvero appoggiandoci ai risultati della Nota precedente. « Nel primo modo dobbiamo dimostrare che la funzione ©” definita dalle (8) (8*) è legata ad ©' dalle equazioni differenziali Now do sen ©" cos w + sen o” cos w” sen w' du : DI) R cos o' do!" Li do coso” seno + seno’ seno” cos w' (@) NOadEEvz Ta R cos o' | E, do!" Li do' Apia, ‘cos do Di Bbicog gen da da w si dwW dWw coso dU dW sen @ 90 dW0 e ad " dalle equazioni analoghe : Pd do seno” cos o” 4 sen o cos” sen w'” VO PIEIIEI R cos o I ROIO cos n!" sen w' +4 sen o sen n" cos (9) dv I R cos o DONO coso!” >? vl Senio Meno sen o + + coso = +R cos o > (0) dwWw dW cos md dW senm dV9dWw « Ora derivando la (8*) successivamente rapporto a x, v, w osservando le (8) (7) (73), nonchè le equazioni che seguono da queste ultime per deri- vazione, si trova facilmente che le (@) (8) sono identicamente verificate. « In altro modo perveniamo al risultato stesso osservando che, pei teo- remi della Nota precedente, la formola (8*) fa corrispondere ad ogni terna di superficie pseudosferiche corrispondenti S, S', S" nei sistemi X, 3”, 3" una quarta superficie pseudosferica S'' legata rispettivamente a S', S' da due trasformazioni di Bicklund a costanti /', %. « Per provare poi che la serie di superficie S'' appartiene ad un sistema triplo ortogonale, osserviamo che se P, P', P", P' sono quattro punti cor- rispondenti sopra S, S', S”, S'” e a P facciamo descrivere una delle curve C traiettorie ortogonali delle S nel sistema X, contemporaneamente P', P" de- scriveranno due curve 0’, C” traiettorie ortogonali delle rispettive serie S', S'. Indicando con ©” la curva descritta da P”’, basta ora osservare che i seg- menti P' P", P” P”" sono costanti e normali a C', C” per dedurne che essi sono perpendicolari in P"" alla curva 0”; ma questi segmenti giacciono nel piano tangente a S'' in P’, quindi le curve C°” sono traiettorie ortogonali delle superficie pseudosferiche S'. Se in fine ricordiamo che la trasforma- — 160 — zione di Backlund conserva le linee di curvatura, vediamo che le curve CO" uscenti dai punti di una linea di curvatura di una S'” formano una super- ficie, che taglia tutte le altre superficie della serie di S'' lungo linee di curvatura e in conseguenza le S'” appartengono ad un sistema triplo orto- gonale c.d.d. IV. Applicazioni. « Precisamente come nella Nota anteriore deduciamo dal teorema di per- mutabilità l'importante conseguenza : « Se di un sistema pseudosferico X conosciamo tutti i sistemi derivati di Baàcklund, per ciascuno di questi ultimi potremo determinare con soli calcoli algebrici e di deriva- zione tutti i nuovi sistemi derivati. « È inutile trascrivere qui le formole da impiegarsi per questa succes- siva applicazione dei metodi di trasformazione dei sistemi pseudosferici; esse rimangono le stesse della Nota precedente. « Scegliamo piuttosto un caso effettivo in cui la circostanza supposta nell'ultimo teorema si presenta realmente. Basterebbe per ciò, come nella mia Nota del gennaio 1886, considerare un sistema X le cui superficie pseudo- sferiche siano elicoidi del Dini aventi a comune l’asse e il profilo meridiano (trattrice) e differenti in generale fra loro pel passo, quindi per la curvatura. Limitiamoci qui a considerare il caso più semplice, in cui queste elicoidi siano tutte congruenti per rotazione attorno all'asse (sistema di Weingarten). Il corrispondente valore di + nella (1) è allora dato dalla equazione tO) u— V Sen O tono=:—te% a=———_+ w (0 costante). RA) , COS 0 ( ) « Secondo i risultati della Nota precedente ($ VI), una prima applica- zione della trasformazione di Backlund B- conduce alla formula : c; cc cost nr bo sen 2 (0) A+ 2) | cos o' 2 ec — eb u— Sent tang dove W è una funzione di 0. Per determinarla ricorriamo alle relazioni (2) che debbono legare @', w. Le prime due risultano identiche, mentre l’ultima dà: aW = fi o cot di ang COL T Ile « La formola f i Oa uv sen G uv sen T GOS +w —rttangioicoLrwi- r e cos0 e cost tang = gr 55 —vsenc u—vsenT = ue + 4 (tangocotT+1)w+c sen 9 @ determina adunque tutti i sistemi derivati per trasformazione di Backlund dal sistema elicoidale primitivo. L'applicazione successiva ed illimitata del metodo ai nuovi sistemi ora ottenuti richiederà soltanto calcoli algebrici e di derivazione ». Matematica. — Sulle vibrazioni luminose nei mezzi esotropi. Nota del Corrispondente Vito VOLTERRA. î « 1. Nel 1882 Kirchhoff (‘'), mediante una ingegnosa applicazione del teorema di Green, ha stabilito una formula, ormai celebre, che comprende in sè il principio di Huyghens, e la cui importanza resulta principalmente dall'applicazione fattane alla teoria della diffrazione. « È ben noto che il processo tenuto da Kirchhoff ha la sua base nella esistenza dell’integrale di Eulero f(r 4 at) Ki della equazione differenziale SAT OANDMII Li) DISAGI DIR dy° Me, (1) in cui / è una funzione arbitraria ed r=Vat+yg +. « Nel caso delle onde cilindriche, la equazione (1) si riduce all'altra Ù IMAA ( DA da Id? della quale manca un integrale analogo a quello di Eulero, cioè un integrale avente la forma (2) Af(r + at) in cui vr= Va? <* Y e Z è una funzione della sola 7. (1) Zur Theorie der Lichtstrahlen (Sitzb. d. Berliner Ak. v. Jahre 1882). — 162 — « Se si cercano anzi i casi nei quali l'equazione generale ?*V ml (3) = g? DE V dl ni dI ammette degli integrali aventi la forma (4) Af (1 + at) in cul e 4 è funzione della sola 7, si trova che essi si limitano a due soli; a quello cioè in cui 7.= 1, ed all’altro in cui m=3; al primo dei quali corrisponde il noto integrale di D'Alembert; al secondo quello di Eulero (1). « Ordinariamente quindi non si stabilisce pel caso delle onde cilindriche una formula simile a quella di Kirchhoff, nè si estende questa medesima formula al caso generale della equazione (3). « 2. L'equazione (1'), ed in generale l'equazione (3), ammettono degli integrali aventi la forma (4), quando si esclude la condizione che Z debba esser funzione della sola 7, ma si può provare che (all’infuori dei soliti due casì in cui m==1, m= 8) 4 resulta una funzione polidroma, o una fun- zione che possiede delle singolarità, oltre che nel punto 7 =0, anche in altri punti. « Si consideri infatti l'equazione (1’). Essa ammette gl integrali È cost a sent (5) UT (1 +300E =" f(r4 at) (7 VE essendo a=T 0082, yi Misente: i quali sono manifestamente polidromi. « Partendo da questi integrali è possibile procedere innanzi nel modo tenuto da Kirchhoff; ma è necessario fare una osservazione, la quale muta in modo sostanziale il resultato a cui si giunge. « Avendo infatti presente il metodo tenuto da Kirchhoff, si ricorderà che allorquando si applica il lemma di Green ad un campo nel cui interno sì trova il punto 7= 0, si deve escludere il punto stesso nel quale 1’ integrale di Eulero diviene infinito. Allorchè si applica il lemma di Green per due variabili facendo uso di una delle funzioni (5) è necessario, non solo di esclu- dere dal campo che si considera il punto 7 = 0, ma anche di eseguire un taglio che da questo punto vada al contorno del campo stesso in modo da (1) Duhem, Hydrodynamique, élasticité, acoustique. Cours professé en 1890-91. Tome second, livre INI, chap. VIII. ite e n; — 163 — impedire che si possa girare attorno al punto 7=0 che costituisce il punto di diramazione di ognuna delle due funzioni (5). « Si vede quindi che le formule che in tal modo si trovano, restano affette da termini che non compariscono in quella di Kirchhoff. Dunque, ben- chè ottenute con un uguale procedimento, le formole stesse non possono usarsi per ricavare il valore di un integrale regolare V della (1') in un punto, mediante i valori di V e delle sue derivate nei punti del contorno di un campo che racchiude il punto stesso. « Noi non staremo ad esporre i resultati che si trovano in questo modo, giacchè procederemo per altra via per ottenere delle formule analoghe a quella di Kirchhoff nel caso delle onde cilindriche, e per stabilire quindi delle formule generali da cui queste e quella di Kirchhoff possono ricavarsi come casì particolari. «3. Per semplicità supponiamo nella (1’)a=="1, cioè di aver scelto le unità in modo che la velocità di propagazione delle onde sia eguale ad 1, il che è evidentemente sempre possibile. « Supponendo V funzione di 7 e di 4 soltanto, potremo scrivere la (1’) e (DIL DIA DE Ri DI « Consideriamo gli integrali di questa equazione aventi la forma (1) Vi -| f (4 7) du ( I 0° 7 ci) ala, P yu? = Dee Vr "I MO, n (IV) Wa ri (4 Sr 1) log - des 1) dA _r 16 y V pè pesa uè i quali possono seriversi ancora (1) Vi sl (£4- # cosh vu) du 0 (II°) Vi =; (£— 7 cosh #) du : 1 (IT) Vs |A(04-7 sen 2) al 1 (IV) Vi= | /(£+ 7 sen w) log (7 cos) du. A — 164 — « Affinchè l'integrale (I) sia finito, supporremo che la funzione arbitra- ria /(/) per valori dell'argomento superiori ad un certo limite, si annulli, mentre, affinchè l'integrale (II) sia finito ammetteremo che /(2) si annulli per valori dell'argomento inferiori ad un certo limite. Gliintegrali (II1') e (IV') non sono altro che quelli dati da Poisson (!). « È facile dimostrare che se f è una funzione regolare, l'integrale V; è pure regolare, mentre gli integrali V,, V., V4 si conservano regolari pei valori di 7 diversi da zero, e si ha lim T = vi) =— f(t), lim (e ce ) =—f(8) r=0 nai ima, inf): « 4. Ciò premesso indichiamo succintamente la via che può seguirsi per stabilire le formule a cui alludevamo precedentemente « Siano w (7, y, t), (4,1) due integrali della (1°) regolari entro un campo o a due dimensioni limitato da un contorno s. Per il lemma di Green avremo dU Ly CA È. DI RC ie S ds )a= (( WA°X- y4° w)do= Wa 1x3; ) do essendo x la normale ad s diretta verso l'interno di o. Prendiamo y= V,, in cui 7 denota la distanza contata da un punto «, y, fisso nell'interno di o. Onde poter applicare l'equazione precedente, bisognerà escludere il punto «, y ove V, cessa di esser regolare. Questa esclusione potrà farsi mediante un pic- colo cerchio col centro nel punto stesso. Facendo decrescere indefinitamente il raggio di questo cerchio, otterremo al limite dV Ò dV D O +{& S Sim 7 D) ds= 2 ((0 = Vedo « Si supponga ora che la funzione w si annulli in tutti i punti del campo o per valori di / inferiori ad un certo limite. Per l'ipotesi fatta circa f (0), avremo che V, si annullerà per valori di { superiori ad un certo limite; quindi moltiplicando l'equazione precedente per df e integrando fra — co e 0, otterremo IÈ my (2,Y,t)f(t) dt + (e (( (3 Vi— DA )as=o (1) Journal de l’École Polytechnique, XIX, Cahier. — 165 — « Poniamo dI dY 3% 1 (£,7, 0). rap (Gi x, t) denotando con £, 1, le coordinate dei punti del contorno s ; allora con facili trasformazioni di calcolo, la formola precedente può scriversi Gli a (2,91) {()dU+ +(4j| ANO “TE =" IRA udu + È fan ps(È. no (104077 le, « Possiamo ora stabilire la formula di trasformazione | 4 (1) dt | 70 +) (7) du= | f(1) a (24 —u)u(u) du. « Applicandola alla equazione precedente essa diviene 1 Di o di 200 (24400) na fe (y,t—-u) LE 77 — r° "06 sdu ) i Y, - 1}, t{— u) Va nr | ai) e siccome /(/) è una funzione arbitraria, così avremo 3 ce) d arr (2,4) + ts) ui CENERE =| nr IL dv +2 ( (A ni 1òdr he udu _) +- ai n — Od | Wa(5, ves) Ur « Usiamo i due simboli 3a eg PO rappresentare le derivate rispetto ad x di una funzione di &, 7, 7 prese supponendo rispettivamente 7 costante e È, 7 costanti. Cioè P) d QE dQ 9 dn DEN NW dn drm RENDICONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. Do (No) —T166 — « Allora la formula precedente si potrà scrivere to) i du (A) 2 YW(2,Y,1)= 85, y(E,nt_- uu) ca — y° pu? D È ero du ) | eo Verger) fi « È evidente la analogia che passa fra questa formula e quella di Kir- chhoff, ponendo mente all’integrale (I) da cui siamo partiti, il quale corrisponde alla linea luminosa, come quello di Eulero corrisponde al centro luminoso. « Invece di far uso dell’integrale (I), possiamo impiegare l'integrale (II). Supponendo ora che la funzione w (x, y,%) per valori di / superiori ad un certo limite si annulli, otteniamo la formula d (B) dar w(ax,y,t = [ali fi (E me+) “ Di VOTE (de nit)ri “dl to fr: « Partiamo dall’integrale (III) lasciando da parte le ipotesi fatte prece- dentemente riguardo ai valori di w (7, y, 4) per valori di % inferiori o supe- riori a certi limiti. « Avremo allora dr c da; [CA ; i = 8 ( ) 48 Î dn dd (Gu Uh) |< 9 di 1 ?— I È ; du — RIE J(L ! 5 dm DÒ (5% 4 [pz — 4? « Finalmente partiamo dall'integrale (IV), pure tralasciando le ipotesi circa ai valori di w per / superiore o inferiore a certi limiti. Si troverà Di F \d — w du Dervio | °°) da 37 ve n, t_— u) log (— _ n Vr CA) -3(f | (En, e ulog (- sile ) « 5. Abbiamo così ottenuto quattro formule diverse; per vederne chiara- mente il significato, immaginiamo che { rappresenti una terza coordinata, — 167 — per modo che w (7, y,7) possa considerarsi come una funzione dei punti di uno spazio a tre dimensioni riferito al sistema di assi cartesiani x, y, 4. « Supponendo s costituita da una sola linea, immaginiamo un cilindro avente per direttrice questa linea e le cui generatrici siano parallele all'asse /. Si prenda un punto , y, £ nell'interno di questo c lindro e si conduca per esso un piano parallelo al piano 7. Quindi su ogni generatrice, al di sopra e al disotto di questo piano, si tagliano due segmenti uguali alla distanza del punto x y, dalla generatrice stessa. « Gli estremi di questi segmenti costituiranno due linee L,, Ls, le quali divideranno il cilindro in tre parti distinte. La formola (D) dà il valore di } ò BIUE1 . dYU Y (4,7, t) espresso mediante i valori di w e di A (e nei punti del cilindro compresi fra le due curve L,, La, mentre ciascuna delle formule (A), (B) UA = È } TO, Li QUI. dà il valore di w (x, y, #) espresso mediante i valori di w e di 3 in una VA delle due altre regioni in cui il cilindro è stato diviso. « Finalmente la formula (C) stabilisce una relazione che è la estensione di quella ben nota dV dn cs die =" a cui soddisfano le derivate normali lungo un contorno s, di una funzione armonica V regolare entro lo spazio racchiuso da s. « Quando si supponga che le vibrazioni siano armoniche le formule (C) e (D) conducono a delle formule date da Weber (!), le quali hanno rispetto alle (C) e (D) stesse la medesima relazione che una ben nota for- mula di Helmholtz (?) ha con quella di Kirchhoff. « 6. Esponiamo ora in poche parole la estensione alla equazione gene- rale (3). È necessario distinguere due casi, secondochè 7 è dispari o pari. « Nel primo caso posto 7 = 2p + 1, abbiamo che (2p—h-1)! f®P(e=0? (pun)! (h_1)! Ttisie p° WE= DE (2)! I in cui / è una funzione arbitraria e n Vaso SUO Viet? ne sono le derivate, è un integrale della equazione differenziale (3). (*) Mathematische Annalen. Bd. I. (®) Theorie der Luftschwingungen in Ròhren mit offenen Enden. — Wiss. Abhan- dlungen Bd. I. — 168 — « Applicando ora il procedimento di Kirchhoff si giunge a stabilire il teorema seguente: « Sia W(,...&nt) un integrale regolare della (3) ed S,, un campo a 72 dimensioni limitato dal contorno S,-, e che rac- chiude il punto «x, %...- n. Poniamo e chiamiamo é&,, &» ... én le coordinate dei punti del contorno Sn, n la sua normale. Avremo allora sem=2p+1, È ra —h_1)!{ di (É1--Emot 2) = a (00) (47) }R Udi my 4) | h Zia —Nh)! hi td LS In_1 pp a SZ) d | Uri Enter Uinor (E, Em.t 7) ) die dw popo «I due simboli di derivazione rispetto alla x hanno l'analogo signifi- cato che avevano nelle formule precedenti, cioè da MERE PI dn i PI OD) « Nel caso di #m pari la formula precedente non è evidentemente appli- cabile. Stabiliremo ora delle formule le quali valgono tanto se m è pari, quanto se è dispari. « A tal fine prenderemo gli integrali ” m=3 (I) Mer pi (feno (f+u)(e—r°)® du TR 9 m_3 (II) Me ques. ce (6(—-u)(u—r°) ® du m_3 (ITT,) Wai )(1°— 8) ? du Db O della equazione (3) in cui / denota una funzione arbitraria. Soltanto ammet- teremo, affinchè il primo integrale sia finito, che / si annulli per valori di / superiori ad un certo limite, e perchè il secondo integrale sia finito, suppor- remo che / si annulli per valori di £ inferiori ad un certo limite. « Applicando ora un metodo analogo a quello seguito nel $ 4 si giunge al teorema seguente: — 169 — « Restando le stesse le condizioni poste nelteorema prece- dente, solo non facendo più l'ipotesi che w sia dispari, si ha imI(m_—-1) (Au) Dar Tm) (00) (21 OC Tmy t) == m_-3 " | AS to, de Rs pui Emst_—u)(u— 7°) ? iv E 3 1 m_3 ) — = [= (; Y'mo (E1.-Em, ur?) ? dal Ù or mI(M— (Ba) 2° a Cm) = MEL ( d 1 gelo A R È E | dSm- Ln n 725 Li Y',m-o (E1.-Em, +) (U—7?°) da CT 1 m_3 = dn sia m_2 (E1..6 Em) +) ( (7 °—y? 4) du |; m_3 J eo Qi de (Ca) 0 Di dSm- pf tai) doh % mel d 1 Lama UA (Era sE de | —r nejla prima delle quali si suppone che w si annulli per valori di 7 inferiori ad un certo limite, e nella seconda si suppone invece che w si annulli per valori di 7 superiori ad un certo limite. La formula (A,) si riduce alla (E) nel caso di 2 dispari; soltanto è da osservare che nello stabilire la (E) non si è fatta alcuna ipotesi circa ai valori di yw per valori di # inferiori ad un certo limite. «7. Nel caso di w pari, la equazione (3) ammette anche un quarto inte- grale oltre (I), (II,), (LII,) da cui può ricavarsi una formula analoga alla (D). ; : È d 3 Denotiamo col simbolo Y la operazione 5 E o Allora questo quarto inte- grale potrà seriversi (INA WA i f((4 u) log iS — "i di 7 PP « Si riconosce facilmente che pr W, (= (2)? (1-2)! /0) DIS i perni DM x) x (—2) (1)! /(1) — 0 — ed applicando un procedimento simile a quello seguito nei $$ precedenti sì giunge al seguente teorema : « Restando le stesse le condizioni del 1° teorema del $ 6, supponendo soltanto che w, invece di esser dispari sia pari ed eguale a 2p, si ha (Da) Qp (— TW)ET: Y (Ca DIAEMI 00 Tap o t) = PI dc. San rw) du a ao pel Wi(£1--É2p, t_-u) log Eni S dn Va presa? QIDP 2p_1 d Di, gt | — (UG tu) log(* ; - Le Spa Ta: - 3 ] p/rr—w? Ed) Matematica. — Sulla superficie del 5° ordine dotata di cu- bica doppia e punto triplo. Nota di A. DeL Re, presentata dal Socio BATTAGLINI. « In questa Nota, quale continuazione dell'argomento riguardante le super- ficie fondamentali dei connessi spaziali (1, 2), io tratto della superficie del 5° ordine con cubica doppia e punto triplo ('). Io ne ho data una costru- zione nel Giornale di Battaglini del 1888 (*), riguardandola come superficie polare congiunta (8) rispetto ad un certo connesso piano-retta (2, 3) e ad una quadrica. Qui, partendo da una tale costruzione, mi propongo di cominciare uno studio della superficie che, come si vedrà anche dalle Note che segui- ranno la presente, condurrà ad importanti proprietà della medesima. SDA Provenienza della superficie — Rette pel punto triplo. ltappresentazione parametrica. « 1. Siano == 05 pae=Trrtdtx=0, Ea 0) (1) Cfr. le mie Note: Sulla superficie del 5° ordine ecc., questi Rend. Ann.-1890; Di cinque sup. del 5° ordine ecc. Ibib. Ann. 1891. Su una sup. del 5° ordine dotata ecc. Ibib. A proposito di quest’ultima superficie, colgo qui l’occasione per far notare come, da un punto di vista diverso da quello da me tenuto, essa venne incontrata, per la prima volta, dal Cremona nella sua classica Memoria Sulle trasformazioni birazionali dello spazio (Rend. Ist. Lombardo, An. 1871), trattando di un caso particolare di tali trasformazioni. (2) Cfr. Quistione 85. (8) Io ho definite e trattato delle proprietà generali di queste superficie nei Rend. della R. Ace. di Napoli, An. 1887. — 71 — le equazioni di tre quadriche non di uno stesso fascio. Se si forma il fascio delle prime due Af 4 ug=0 si avranno per ogni piano v; le equazioni O:tidCoi%3:%4 = || Un Ca Cia Cl13 Cra Uan Car Ca (l23. Ca4 (1) U3. C31 | C32 €33 634 U4i Car Cao l43 Ca ove si è messo per brevità ca = 4/fx + ug ((£ = 12, ..., 34); e queste equa- zioni rappresentano nel parametro Z:u una cubica gobba percorsa dal punto xi(0="1,...,4), e nei parametri w,:%3:3:v, un sistema lineare co di tali cubiche, aventi a comune i punti A, con coordinate che soddisfanno alle equazioni VI SÙ + “ 24 — () (de es: 4) (2) deli quando per Z:u si pongono successivamente le radici 0,(X=1,...,4) del- l'equazione : det. | Xfin + ug |=0. (3) « Se indichiamo con C,x il sub-determinante complementare dell'elemento cx in | cx), le (1) possono essere scritte, omettendo il fattore di proporzio- nalità o, così: 4d 4 4 4 i DN COSI Cu; (1) 1 1 1 1 da cui si vede che, se sono &; le coordinate di un punto fisso P, per avere punti di una superficie polare congiunta ®, (!), occorre, facendo intervenire la quadrica w=0, che si abbia . _ d vit ran Y On (£=1,...4) (4) « Ponendo DE = Cir Wis + Ca, Was + C3r Y35 + Ca Y' 15 (5) le precedenti equazioni si possono scrivere così : vi =(Di — ©) dr + Dia #0 + Dig & + Du 4 vé, = Da 21 + (Dar 0) 22 + Da3.23 + Dai 2 Î vés = Da 21 + Ds2 62 + (Dss— d) #3 + D34 £4 \ vi, = Da z.1 + Dar: + Da g3 + Mat 1) da ed è chiaramente Di Ds, |Da|=|Ox|-1ww||Ox|F]gwl (4) (1) Cfr. la mia citata Memoria nei Rend. di Napoli. = 172 « Le formule precedenti possono essere risolute rispetto alle «. Detto 4(t) il determinante dei coefficienti e 4,;(7) il complemento algebrico del- l'elemento sulla 7.9 orizz. ed s.!% verticale, si ha: TCiXCoiU3:H%4 = 3A; (©) . EiZAio (1) 6 EiZA;3 (1) ò EiZAu (©) Ò È; (6) « 2. Queste formule permettono di fare una rappresentazione uniforme della superficie sopra un piano. Esse mostrano già questo primo fatto che per la superficie ®, il punto P è triplo e che su essa giace il sistema delle cubiche sghembe rappresentate parametri- camente dalle (6) e corrispondenti ciascuna ad un determi- nato valore del parametro 4:u. « Queste cubiche, del resto, rispondono ad una definizione geometrica assai semplice: la cubica corrispondente al valore Z;:& del para- metro Z:u è la cubica luogo dei punti allineati con P e con i proprî corrispondenti nell’omografia risultante dal com- porre la polarità rispetto a w=0 con la polarità rispetto a Anf + uog=0. E da ciò segue senz altro che tali cubiche passano tutte per i4 punti Ax, e che quindi le rette PA,=, sono quattro rette della superficie uscenti dal punto triplo. Ma quest'ultima circo- stanza risulta anche dal ragionamento seguente, il quale fornisce ancora, con una certa rapidità, le equazioni delle 4 rette quando sono conosciute le ra- dici della (3). « Scriviamo per disteso i valori delle x forniti dalle (6); avremo, po- nendo D=|D,;| e facendo 7 = 1, il che non altera nulla: at a d_(3ID D\ CCA O E \ ) Tpe=SRE= (A S) Ke S7 $ GI: Wii 2 a TA. Lo i Di h pra toDa dD33 dDu Dia, ia Da VUDE SIDE ed espressioni analoghe per #>, 3, #4. — Supponendo, per semplicità | w,;|=1, cosa che può sempre farsi finchè wy=0 non degenera, ed osservando che allora è D=|C,s|= €, e quindi. anche ID Il 20, leaf 5 PIO Din Tdi ID Riel Dir DI D Na DE é IO DOS Î e | DI compl DE | Cik | di DO Dir dDpg Um PI077 ICmp Da QDpq i Um dEi dCmp ID dDpg — 173 — le formule precedenti mostrano che per un punto per cui Ziu= 0, si ha og, = (Dar 4 Da: 4- Du — 1) é1— Dio é— Dis fi — Du i , o, =— Da £1+ (Di + Da: + Du — 1) fi — Dog fa — Dai È Î È DI ; s os=—- Da gi —Da é4+ (Di + Doo | Du 1)É3 Da È, ( og, =— Day & — Duo fé — Das #54 (Dar + Doo + D33 1) £, / e quindi se, dopo aver diviso per «5, sì pone i | hi == ma (Dr + Dea sin D, ) Da &—- Dim Shi —Di, Sa (2,7,l,m=1,2,3,4) 1 ui nella ipotesi che sia 4:u = 0, le formule (8) possono essere messe nella forma k o xi= hE ° —_ GE; (Me= IH ad)) (9) dalla quale si vede che esse rappresentano una retta pel punto &;: la retta 4. Per X=1,..,4 si hanno così le equazioni di tutte le 4 rette 4. « 3. Se nelle (4) si mantengon ferme le x; e si suppongono variabili le &; si avrà il luogo dei punti le cui superficie polari congiunte passano per £;. Nella ipotesi dunque che al posto delle .; si pongono le È;, e vice- versa, le (4’) rappresentano nelle x; il cono C, tangente nel punto triplo della superficie ('); e questo, vista la sua rappresentazione parametrica, è eviden- temente razionale. D'altronde che sia razionale lo si vede anche da che, in grazia delle (1'), esso proietta da &; la cubica sghemba la cui rappresenta- zione parametrica è i=4 du LI Ck = I Cr SE (/ = ]l geo, 4) (10) i=1 COL « Questa cubica non è sulla superficie: noi la diremo Q*; essa è defi- nita geometricamente dalla proprietà di essere il luogo dei trasfomati del punto triplo per mezzo delle omografie £,, risultanti dal comporre la polarità rispetto a wW= 0 con le polarità rispetto a Af+ug=0. Sulla superficie giace, invece, il luogo dei trasformati di P nelle inverse delle omografie 2, : esso è la retta dei punti »; per cui dU d 2 stag MA 19) G=1,....4) (11) e si può anche definire come la polare, rispetto a w=0, della co- niugata del punto P rispetto al fascio 474 ug =0. Noi la di- remo d, mentre diremo c la generatrice doppia del cono C,; e ci sarà utile (1) Cf.. la mia cit. Memoria. RenpIcoNTI. 1892, Vor. I,° 2 Sem. 23 SUINA = di osservare che passando da punto a punto nello spazio la retta 2 della superficie polare congiunta e quella doppia e del cono polare congiunto descrivono due complessi tetraedrali 92,, 2. polari l'uno dell'altro rispetto a p=0. « Infatti, c è appoggiata in due punti alla cubica Q*; perciò essa con- tiene i poli P,, P: di uno stesso piano 7 rispetto a due delle superficie 2f4+ ug = 0, ed è quindi una retta del complesso £,, generato (') dalle polari dei punti dello spazio rispetto al fascio 2/-+- ug =0. Ma da ciò segue allora che 4 è nel complesso £, polare di £, rispetto a w = 0. In gene- rale però è ad osservarsi, ciò che del resto è evidente, che è e e non sono rette polari fra loro. sin Sestica fissa sulla superficie. — Intervento di nuove rette. Curva doppia. «4. Se si formano le equazioni SI (4/4 19) (MO (12) delle omografie del sistema £),,, e si pone ca Yin = ix (13) pei valori di o radici dell'equazione biquadratica dele (14) i punti dida 03104 == (Pa qa Pa): (Pa da Ta): (Pa Pe): (Pi de L3) ove p, g, 7 sono tre dei numeri 1,...,4, soddisfanno, indipendentemente dalle £, alle equazioni (4). Ma tali punti al variare del parametro 4:w de- scrivono la curva nodale (jacobiana) della rete (NM) = 7/4 ug+t rp= 0; dunque si può dire che dovunque sia scelto il polo Pla sua su- perficie polare congiunta D, passa per una curva fissa N° del sesto ordine, la quale è nel medesimo tempo il luogo dei vertici dei coni della rete (Mi) ed il luogo dei punti uniti delle omografie 9 (5) «5. La N° ha altre proprietà conosciute: i piani polari di un suo (1) Il complesso delle polari dei punti dello spazio rispetto ad un fascio di quadriche è il complesso che si ottiene dal congiungere le diverse coppie di punti corrispondenti, o dal trovare le intersezioni delle diverse coppie di piani corrispondenti nell’omografia risultante dal comporre le polarità rispetto a due delle quadriche del fascio (Cfr. Reye, Geométrie de Position, +. II). (2) Questi punti sono pure uniti per le omografie che risultano dalla composizione delle polarità rispetto a due quadriche qualunque della rete (M). — 175 — punto qualunque, rispetto alle quadriche di (N) formano fascio attorno ad una sua trisecante; e per ogni punto di N° passano perciò tre di tali trisecanti ('). Inoltre, poichè se una retta m si appoggia ad una trisecante di N° la polare del punto di appoggio rispetto a Z/ + ug = 0, incontra N°, ne segue che m incontra tante trisecanti quanti sono i punti comuni ad N° ed alla quadrica polare dei punti di 72, meno, ben inteso, 1 4 punti A,. E quindi la rigata R* luogo delle trisecantidi N° è dell’ 8° or- dine e possiede N° per curva tripla. Questa RS è del resto con- tenuta in una infinità di complessi tetraedrali, in quelli cioè che sono gene- rati dalle 2. « 6. Finchè la rete () è generale, niuna delle omografie £,,, è assiale; ma se per posizioni speciali della w = 0 rispetto a 4/4 ug =0 qualcuna lo fosse e possedesse X = 1, 2 assi di punti uniti, e quindi anche / assì di piani uniti, allora dalla N° si staccherebbero gli assi di punti uniti riducen- dosi tal curva ad una N°-*, e le sue trisecanti si ridurrebbero a delle (3 — %) secanti della N°. Possiamo noi dunque concludere che per degenera- zione della sestica N° la superficie assume altre rette: queste però sono allora comuni alle superficie polari congiunte di tutti i punti dello spazio. La degenerazione di N° è conseguenza dell'esservi o non un valore del parametro Z:% in virtù del quale una radice della equazione (14), oltre ad annullare il determinante | ix | annulli anche i suoi minori del 3° ordine senza annullare quelli del 2° ordine: quest'ultima circostanza farebbe dege- nerare la superficie. «7. Riserbandoci di fare altrove una classifica delle super» cie ®, dal punto di vista della situazione delle rette di cui si è ora parlato, di quelle di cui si è parlato nel SI, e delle altre rette che la superficie pos- siede, trattiamo della curva doppia. L'esistenza di questa è subito messa in rilievo dal fatto che, essendo il cono Cp il luogo dei punti P; le cui super- ficie ®,, passano per P, la generatrice doppia e del cono Gp è il luogo dei punti le cui superficie polari congiunte passano per P con due falde. Siccome un punto arbitrario P dello spazio sta in co! rette c, cioè sulle generatrici del cono quadrico (P) del complesso ®,, la superficie ®, passerà con due falde per tutti i punti P;, P compreso, pei cui coni Cp, sono P; P le generatrici doppie. Una tal curva, giacendo sopra un cono quadrico, e non avendo oltre del vertice di questo in comune che un sol punto con ogni generatrice di esso, è una cubica gobba. Noi con- cludiamo dunque che la superficie ®, ha una curva doppia del 3° ordine che passa pel punto triplo e sta sul cono del com- plesso tetraedrale £, che ha il vertice nel punto P. Noi diremo gp? una tal curva doppia: essa degenera in una retta per P se P è su RÈ (1) Cfr. Reye, Op. cit. Sa dino — ed in una conica, o in tre rette se P_è su N°. In questo secondo caso de- genera però anche la superficie. Vedremo in una Nota, che farà seguito alla presente, come costruire con facilità la curva doppia e come scriverne con ra- pidità le equazioni ». . Chimica. — Sopra alcuni derivati delle fenilendiammine (1). Nota di Pretro Gucci, presentata dal Socio CANNIZZARO. « Fino dal 1887 ho descritto la so//ocarbonilfenilendiammina (2) cor- rispondente alla formula C;H, (NH), CS, fino allora sconosciuta, che ottenni con ottimo rendimento facendo reagire in tubo chiuso a 150° il solfuro di carbonio sulla 77-fenilendiammina. « Ho voluto studiare ora l’azione del solfuro di carbonio anche sull'or/o- e sulla p-fenilendiammina, collo scopo di preparare direttamente le altre due solfocarbonilfenilendiammine o fenilensolfouree che vogliano chiamarsi. Solfocarbonil-orto-fenilendiammina 0 o-fenilensolfourea. « Questo composto fu già ottenuto dal Lellmann (8) per via indiretta, partendo dal cloridrato di o-fenilendiammina e solfocianato di ammonio e decomponendo poi col calore il solfocianato di fenilendiammina con essi pre- parato. Richiese poi decolorazione con carbone animale e ripetute cristalliz- zazioni nell'aleool acquoso. « Fu ottenuto anche dal Billeter e Steiner (‘) insieme ad altre sostanze nella reazione del cloruro di tionile sopra la o-fenilendiammina. «Io ho potuto preparare tale composto allo stato di chimica purezza, direttamente e con un rendimento, si può dire, teorico, adottando il processo sopra accennato con cui ottenni il composto corrispondente della 72-fenilen- diammina. « Introdussi in un tubo di vetro gr. 3 di o-fenilendiammina di recente preparata (p. eboll. 251-252°: p. fus. 102-103°), la sciolsi inun poco di alcool assoluto e vi aggiunsi circa gr. 2,5 di solfuro di carbonio (calcol. gr. 2,13). Chiusi il tubo alla lampada e scaldai nell'acqua bollente. « Dalla miscela liquida, in capo a due ore, cominciò a separarsi il composto formando al fondo del tubo una massa cristallina semitrasparente e scolorata. « Non avvertii separazione di composti intermedi come nel caso della fenilendiammina-meta (°). (1) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico di Roma. (2) Gazz. chim. ital. XVII, p. 528 (1887). (3) Ann. 221, p. 9. (i) ) 1 2 4) Ber. 20, 231. & Gazz. chim. ital. loco cit. — 177 — « Dopo sei ore, non vedendo più aumentare la massa cristallina, sospesi il riscaldamento e rammollii l'affilatura del tubo. Uscì con forza l'idrogeno solforato. La reazione era finita e difatti nel tubo, richiuso e nuovamente scaldato per più ore, non si accumulò più idrogeno solforato. Allora estrassi il prodotto, lo macinai sotto dell'alcool ordinario e lo raccolsi su filtro, aspi- rando colla pompa; poi l'asciugai fra carta e lo seccai a 100°. Pesava gr. 3,7 (quant. calcol. gr. 4, 1). « Il composto così preparato, a 292-294° si rammollisce prendendo una colorazione giallo-rossastra e fonde a 296-297° formando un liquido dello stesso colore che, però, raffreddando, si rapprende subito in massa cristallina appena giallastra. « La fenilensolfourea del Lellmann fonde a 290° e quella preparata da Billeter e Steiner a 298° e ambedue con decomposizione. « Fuso rapidamente non imbrunisce come fa la fenilensolfourea del Lellmann (!), ma dà un liquido perfettamente scolorato che col raffreddamento si consolida subito in massa cristallina bianchissima, la quale poi fonde alla stessa temperatura della sostanza non precedentemente fusa. « All’analisi fornì i seguenti resultati : I. gr. 0,1647 di sost. dettero c.c. 26,25 di azoto misurato a t 10° e B749,7 COIT. II. gr. 0,2094 di sost. bruciati col metodo di Carrius dettero gr. 0,3249 di BaS0,. « Dai quali dati deducendo la composizione centesimale e comparandola con quella calcolata per la formula Cs H.4(NH):CS si ha: calcolato trovato Ci %/ 56,00 ch HRS 4,00 — INS EMonali8:06 18,79 Si 602138 21:31 100,00 « Il peso molecolare cercato col metodo di Beckmann corrisponde colla detta formula; infatti concentrazione innalzam. termom. Coefficiente (solv. alcool assol.) d’innalzamento 1,547 0,123 0,0795 Peso molecolare per C; H,(NH); OS. calcolato trovato 150 145 (1) Ann. 221, p. 10. — 178 — « Cristallizzato nell’alcool, si presenta in tavole quadrate iridescenti e affatto scolorate. « La sua formazione dalla o-fenilendiammina e solfuro di carbonio può rappresentarsi colla seguente equazione : ALARE i SN, CHE -BRCSET “CH >CS + H:S. \NH, © \NH® Solfocarbonil-para-fenilendiammina 0 p-fenilensolfowrea. « Anche questo composto fu ottenuto per la prima volta dal Lellmann (!), però molto impuro ed insieme alla tiocarbanilide ed alla difenilparafenilen- ditiourea decomponendo col calore fra 200-250° la difenilparafenilenditiourea che preparava facendo reagire l'essenza di senapa colla p-fenilendiammina. I numeri che ne furono ricavati dall'analisi elementare differiscono assai da quelli calcolati per la formula C5H,(NH):CS (il C di 0,85°/ in più), e il Lellmann stesso attribuisce la causa delle materie estranee all'alta tempera- tura a cui il composto stesso si forma e alla sua insolubilità in tutti i sol- venti per cui non può esser depurato. « Lo descrive come una sostanza bruniccia che fonde a 270-271°. Ag- giunge però che colla sublimazione arrivò ad ottenerlo bianco e col p. fus. a 279°; ma, decomponendosi la più gran parte di esso, non potè raccoglierne una quantità sufficiente per l'analisi. « To sono riuscito col mio metodo sopra descritto ad ottenere anche questa solfocarbonilfenilendiammina, o fenilensolfourea direttamente, pura e con buonissimo rendimento. « Condussi l’esperienza come ho descritto per l’altra; solo partii da gr. 2,5 di fenilendiammina ed usai come solvente una quantità maggiore d'alcool per- chè la fenilendiammina-para vi è meno solubile anche della 07/0. La reazione avviene lentamente anche a freddo con svolgimento d’ idrogeno solforato. « La sostanza così preparata forma una polvere bianca, apparentemente amorfa, leggera, insolubile in tutti i solventi ordinari. « Bollita per un certo tempo e a più riprese con alcool e poi raccolta su filtro e seccata a 100°, pesava gr. 3,1 (quant. calcol. gr. 3,4). Fonde a 279° come quella sublimata del Lellmann decomponendosi. « All'analisi elementare dette i seguenti risultati : I. gr. 0,2119 di sost. bruciati con cromato di piombo dettero gr. 0,4359 di CO; e gr. 0,0790 di H,0. II. gr. 0,1531 di sost. dettero c.c. 24,5 di azoto misurati a t 10,9 e B748,7 corr. III. gr. 0,2071 di sost. bruciati col metodo di Carrius dettero gr. 0,3215 di Ba S0,. @) Ann. 221, 28-30. — 179 — « Per cui per C5H. (NH); CS. calcolato trovato C 56,00 o/° 56,10 H 4,00 4,14 N 18,66 138,80 S 21,33 21,32 100,00 100,36 « La reazione può dunque rappresentarsi colla seguente equazione: NH, (1) NH. CHiC (SCA. Mn \NH, (CO) \NE 4 « La formazione, si può dire, diretta e quantitativa di tutte e tre le solfocarbonilfenilendiammine che avviene per la reazione del solfuro di car- bonio colle fenilendiammine, com’ è stato descritto, oltre offrire un modo sem- plice e sicuro per la preparazione di tali sostanze non lascia alcun dubbio sulla costituzione di esse. « Le solfocarbonilfenilendiammine o fenilensolfouree potranno dunque si- curamente rappresentarsi cogli schemi seguenti : CH CH C Li FA NI 2 N / N A S AA N 76. DS Di N HO HN-|C HC HN—|C HC| NH CH US CS CS | - | HC| HN—-|C HO NH CH HC NH CH X A 4 A NA S A Sa N NA NA CH C C Solfocarbonil-orto-feni- Solfocarbonil-meta-feni- Solfocarbonil-para-feni- lendiammina o o-fe- lendiammina o m-fe- lendiammina o p-fe- nilensolfourea. nilensolfourea. nilensolfourea. « La facilità con cui ho potuto ottenere questi tre composti, che rispetto alla loro costituzione possono considerarsi come il prodotto del concatena- mento di nuclei nelle tre posizioni 07/0, mela e para, concatenamento che si opera mediante l'azoto, mi ha fatto nascere l'idea che si potessero otte- nere anche altri prodotti di simili condensazioni ed ho cominciato collo spe- rimentare l'azione del gliossal, sia libero, sia combinato col bisolfito di sodio, sulle fenilendiammine meta e para collo scopo di ottenere delle chinossaline isomere a quella preparata colla o-fenilendiammina da Hinsberg (') e colla metilen-o-fenilendiammina da Merz e Ris (?). (1) Ann. 237, 334. (©), Ber. 20, 1194. = « Ho ottenuto delle materie polverulente amorfe color marrone cupo, di cui quella proveniente dalla 7-fenilendiammina dà delle soluzioni alcoo- liche di una tal fluorescenza da confondersi colle soluzioni alcaline di re- sorcinftaleina. i « Queste materie non mi hanno finora presentato composizione costante e perciò la loro preparazione, innanzi tutto, sarà oggetto di ulteriori ricerche ». Chimica-fisica. — frazioni atomiche degli elementi rispetto alla luce gialla del sodio. Nota di F. ZeccHinI, presentata dal Corrispondente NASINI. « Per eseguire i calcoli che si riferiscono ad un mio lavoro di pros- sima pubblicazione sopra il potere rifrangente di molti composti organici ed inorganici del fosforo, determinati mediante un refrattometro totale di Pul- frich, fui costretto a calcolare le rifrazioni atomiche dei diversi elementi per la riga D e per la formola . Avendo eseguito questi calcoli credo gi d opportuno di pubblicarne i risultati, e stimo con ciò di fare cosa utile per tutti coloro che si occupano di chimica ottica e specialmente per quelli che fanno esperienze col refrattometro totale di Pulfrich. « Per calcolare i poteri rifrangenti atomici degli elementi, mi sono attenuto al metodo usato dal Landolt nelle sue ricerche (!). Ho seguito fedel- mente il processo di calcolo da lui adottato nel suo lavoro: Weber die Molecularrefraction fliissiger organischer Verbindungen, Berlin 1882 (2), nel quale egli, in base alle esperienze sue e di Briihl, calcolò le rifrazioni nl (n° + 2)d « Le sostanze, che ho scelto, sono quelle stesse prese in considerazione dal Landolt, ed i calcoli furono fatti nello stesso modo, salvo che io mi son servito dei poteri rifrangenti molecolari relativi alla riga D del sodio n_-1 d « Anche la disposizione delle tabelle è identica a quella del Landolt, solo che determinai anche i valori dei poteri rifrangenti atomici del bromo e dell’iodio. « Dalle tabelle si può comprendere facilmente il modo tenuto nel dedurre i diversi valori, solo per quello di CH, devo far notare com’esso non sia stato calcolato, prendendo semplicemente la media delle differenze fra termini omologhi successivi di ciascuna serie, ma invece ciascun membro della serie è stato combinato con tutti gli altri e si sono così avute le differenze per CH; in numero di !/, x(2 —1) e quindi è stata presa la media. In questo atomiche degli elementi rispetto alla riga C, ed alla formola ed alla formola , che ho appositamente calcolato. (1) Pogs. Ann. T. CXVII, pag. 353; CXXII, pag. 545; CXXIII, pag. 595. (*) Liebig's Annalen. T. CCXIII, pag. 75, anno 1882. — 181 — modo, in una serie con un numero impari di termini, soltanto quello di mezzo non fa sentire la sua influenza. « Nelle tabelle seguenti nella prima colonna c'è il nome dei composti; : hi a SOLETO nella seconda la formula; nella terza i valori P i , cioè le rifrazioni molecolari rispetto alla formola » e alla riga D, nella quarta le varie differenze. TABELLA I. Determinazione del potere rifrangente di CHs 3 au=l È per la formola e per la riga D. TOMASI folli | FACO OLSIM etiliI CON IRECARECNIO 13.25 — ” CIICONE OT (CASIO) 20.83 7.58 MERI SOpropilicoatst tar. C3Hs 0 28.48 7.61 TION SAS (GAIEEiO) 36.34 7.86 ” Miatioo solo do Solo CERRO. 44.19 7.86 ATAeIdeta Celica CRIETALO. 18.70 _ ” prOpilica si e CsHs 0 26.14 7.44 ” TSODUbIlIC Ae nente CHO. 33.83 7.69 » VOlLCrR CARRO ©; Ho, 0 41.81 7.97 » CADE C7H14 0 57.12 7.68 FAGICOMTORINICO RR CREO: 14.01 — VM AGCUICO RR (Chat: (04608 21.25 7.24 DIMPIOPLONICORE Ca Hs 0” 0”| 28.76 5) » DGRC OO (Ch dela (OX4(0X 36.49 Tata) p RvAleRieo 3 tolo oh (GE een 00% 44.85 7.86 IMM SOCAPLiLie OMAR ti (CREO 4(04 51.97 7.62 ” CIAILGLE ONOR RI O ZIO: 59.81 7.84 4° Eteri Media 7.694 AcetatoMe ti li CONRRSN (CATE) 36 40 — ” MMBUULOO o do oa CHETLO, 29.54 6.86 | ” PIO PILE ORSI OO C5 Ho O: 44.97! = » CHIICONO RO (CREGNOS 36.40 7.87 Butirrato Reni ICORi iMON (CH 5505 51.65 = » ME LILIC ON (CH 1eEo0A 44.26 7.39 Valerianato etilico. . . . . . CxH,4 0. 59 59 — ” MEDI ico ge CR lEta0a 52.06 EDO, IAGGLATO MEDI ICONE O e CAIFRZO, 36.40 7.02 Formiato etilico... ... CREO, 29.38 7.02 Valerianato metilico. . . . . Cs Hi 0: 52.06 = Butirrato metilico. . . ... C5H10 0» 44.26 7.80 Valerianato etilico. . . . .. GRISO] 59.59 — PIENO. Guilieos dd 0500 (CRIEEGLON 51.65 7.94 Media 7.49 Media delle medie 7,66 Il valore del potere rifrangente di CH, per la riga D e per la for- di] mola © 7 è eguale a 7.66 RenpicontI. 1892, Vox. I, 90 Sem. 24 — 182 — TABELLA II. Determinazione del potere rifrangente atomico dell'ossigeno legato per due valenze al carbonio. Acetaldeld'e sere CRHMOL 18.70 — (CHa)a 15.82 9.98 Aldeide propilica . . . ... C; Hg 0” 26.14 = (CHs)z 22.98 3.16 Aldeide butirrica 0.00 (OEO4 85.86 — (CES 30.64 3.22 DATE CHO I CRM E CHIe od 26.30 —_ (CHs)s 22.98 9192 Aldeide isobutirrica. . . . . CARLO 88.83 — (CHo), 30.64 3.19 Alldeidefvalericato. 90 CEHEOO4 41.81 — (CHs); 38.30 3.51 Aldeide enantica. . ..... CREO 57.12 — (CH); 53.62 3.50 Media 3.33 Il valore del potere rifrangente atomico dell’ossigeno legato per due valenze al carbonio secondo la formola © Ò 1 e per la riga D è uguale a 3.33 TaBELLA III. Determinazione del potere rifrangente atomico dell'ossigeno legato per una valenza al carbonio. AGIO MA CeticoMee siete na CHuia oo? 21.25 = Alldeide ‘acetica o... CHE O4 18.70 2.55 Acido propionico . . . ... Ca Hs 0” 0’ 28.76 — Aldeide propilica . |... . OH 0% 26.14 2.62 ‘Acido butirrico norm: ‘. .SNQNNCoHi 070% 36 49 — Aldeide butilica norm... . |C, Hg O” 33.86 2.63: Acido iIsobutirrico... ...0° CLERO4O: 3644 _ Aldeide isobutilica . . . . . Ca Eh 0% 33.83 2.61 AGICORVATerRICORS NO - er (Ch E 00) 44.35 _ Alderdetvalerica tito. CAEETO 41.81 2.54 AGICOMENANICONe Na e CAEO 04 59.81 — Aldeide enantica. . ..... . CREO, 57.12 2.69 INIGGIAR Media 2 60 AGIAOROrIMICORIE i CERMOSO% 14.01 — CH, 0” 10.99 3.02 IRA CLI CONA CRIsfeo 40% 21.25 _ (CH), O” 18 65 2.60 DAMUPrOpioniConino > co | Ca Hs O” 0° 28 76 _ (CHs); 0” 26 31 245 PUN DUtirricomnorm. SM O OO 36.49 — (CHs), O” 33.97 2.52 IBN SOVQ TELI CON ee CAEEO AO, 44.35 — (CH); 0% 41.70 2.65 » isocaprilico. ..... Cs Hi. 0” O” 51.97 = (CH»)s 0” 49.29 2.68 NAgNenanticoggn ee CRE OA0/ 59.81 — (C'Hs): 0” 56.95 2.86 Media 2.68 (Continua alla pag. seguente) Cs — Eteri Formiato etilico... . . .. Cs Hs 070° | 29.35 — (CH) O” 26.31 3.04 ACE HAtOMe tI CON (Cielo. LO6KOx 36.40 _ (CH)5 0% 33.97 2.43 Butirrato metilico. . . ... C5 Hi 0” 0° 44 26 — (CHx); 0” 41.653 2.63 Valerianato metilico... . . Cs Ho 0” 0” 52.06 = (CH»); 0% 49.29 2.77 Butirrato etilico. Ct... Cs Ba 0 0° 51.65 - (CH»)s 0” 49.29 2.36 Valerianato etilico. . .... (05 IElzai (OEROX 59 59 = (CHs); 0” 56.95 2.64 Valerianato amilico. . ... CroHzo 0% 0° 82.69 — (CHa)so 0/ 79.93 276 Media 2.66 Media delle medie 2.65 Il valore del potere rifrangente atomico dell’ossigeno legato per una valenza % n_ 1 3 UR Re al carbonio secondo la formola 7_ e per lariga D è eguale a 2.65. d TaBELLA IV. Determinazione del potere rifrangente atomico dell’Idrogeno. Ae oleme bilico Re (CIEl 00 13.25 — CERO; 10.31 2.94 DIEGO I Ca lig 0% 20.83 —_ (CH»)s O” 17.97 2.86 DIAMFISOPrOpilicoMRegeRe o Ca Hs O 28.48 — (CH»)s 0% || 425.63 2.85 PD INFIMIMOO 0 sta (Ch al 0 36.34 — (CH), O” 33.29 3.05 Di i ENNIO 4 et6 0 glo C;H,20" | 44.19 — (CH2); 0" | 40.95 0.24 | Media 2.95 Il valore del potere rifrangente atomico dell'idrogeno secondo la for- ii i 5 mE REI la riga D è eguale H =1.475 mola — 154 — TABELLA V. Determinazione del potere rifrangente atomico del Cloro. Cloruro di propile. . . . .. C, H, CI 34.28 — CH, 24.42 9.86 ” di propionile. . . . |Cs Hz 0” C1 35.19 — C; Hz O” 24.81 10.38 ” deputate 95 Ci H7 0” CI 42.60 - CH, 0” 32.46 10.14 ” d’isobutirrile. . . . |C,y Hz 0” CI 42.69 _ C, H, 0” 32 46 10.23 » d’etilene Sl SEO © (0 E, (IE 35 13 = C. Hi 15.80 9.91 » d’etilidene DISSUORO © Co 18h Cl, nani = C. Hi 15 30 OI Etere dicloroacetico. . . . . Ci Hr 0%0C1,| 53.72 — C, Hg 070 89 14 10 04 Cloroformio era int. a CHCI; 35.75 —_ CH 6.18 9.86 CIO RR tane cei CLTO4C] 44.45 _ C. HO” 14 22 10 08 Butl'cloralio eee C;, Hs 0” Clz 59 80 — C. Hz 0% 25.52 10 09 Etere tricloroacetico . ... |C,Hs O”0O/Ck| 6248 —_ C. Hz 070” 32.17 10.09 Tetracloruro di carbonio. . |CCl 44.58 — C 4.71 OT Media 10.05 Il valore del potere rifrangente atomico del Cloro secondo la for- mola È Ù i e per la risa D è uguale a 10.05 TABELLA VI. Determinazione del potere rifrangente atomico del Bromo. Bromuroedietile me e. I C, H; Br 9lezo -= ©» Hs 16.77 14.95 » diecilenesettà (e C. H. Bre 46.45 = C. Hi 15.30 15 57 7) d’isopropile . . . . C; H:; Br 39.92 — Cs Hz 24.49 15.50 ” GIUpropilerts.. 0 C; H, Br 39.31 — Cs Hi 24.42 14.99 D) CRANIO. ©; Hi. Br 55.40 —_ C5Hu 39.72 15 68 | Media 15.34 Il valore del potere rifrangente atomico del Bromo secondo la for- n d mola 1 e per la riga D è eguale a 15.94. — 185 — TaBELLA VII. Determinazione del potere rifrangente atomico del Jodio. Joduro di metile .. ...... CH, J 33.31 _ CHy 9.12 24.19 diete. nà C.H;J 41.44 — C. H; 16.77 24.67 ” di propile. . . ... C3 H7J 49.26 | — C; H; 24.49 24.84 d’isopropile. . . .. C, H7J 49.87 — Cs Hz 24.42 25 45 Ù) Gli TOI so ce eva CL HsJ 56.91 — Ci Hy 32.07 24.84 ” d’isobutile . .. .. Cs Hs J 56.83 = C; Hs 32.07 24.76 camme: #5 ba 6018 C;HyJ 66.07 _ CH 39.72 26.35 { Media 25.01 Il potere rifrangente atomico del Jodio secondo la formola L 7 i e per la riga D è eguale a 25.01. TaBELLA VIII. Determinazione del potere rifrangente del Carbonio legato per due valenze. Corpi con un doppio legame fra carbonio e carbonio. | osservato calcolato | differenza AGralalma: o ela siro oo CREO 26.62 23.34 3.28 Alcool alii ee CLERO, 28.07 25.60 247 Cloruro d’allile . ... .. CRE 88,88 3IE5S 295 fAlcetavondsaliile tenti (Ce 040) 43.60 41.29 DIO Bere valliletilico. . 0 . <@H7007 43.62 40.90 2072, Acido metacalico ses. i CE 0 407 36.54 33.64 2.90 FATE Ne o GERE 40.61 38.25 2.36 Media | 2.63 2.63 Corpi con due doppi legami fra carbonio e carbonio. Valeril'en cage en (3 866 40.12 35.31 4.81 DIA GHIELO 47.80 42.96 4.84 Media | 4.82:2=2.41 Corpi con tre doppi legami fra carbonio e carbonio. Paolo, 4 saro e a CRE 44.44 87.08 7.36 Reno oe ee eno Cs Hs 0° 48.33 39.73 8.60 Talmolo sg o (58h 52.66 44.73 7.98 Alcool benzilico. . . . . Co LEO | 55.87 47.38 8.49 Benzoato metilico. . . . | Cs Hg 0/0’ | 64.72 55.42 9.30 Benzoato etilico. . . . . (05 TEE0A0N 72.47 63.07 9.40 MESI en (05 debe 68.86 60.03 8.83 Alcool fenilpropilico . . | Cs His 0° 72.27 62.68 9.59 Idrocinnamato etilico. . | C,,:H,4070" 86.89 78.37 8.52 Media | 8.67:3 =2.89 Il valore del doppio legame fra carbonio e carbonio è eguale a 2.64. « Il potere rifrangente di CH, è eguale a 7.66 secondo Zoom la riga D. — 186 — « Il potere rifrangente atomico del carbonio viene dedotto dal potere rifrangente di CH», trovato nelle prime tavole. Il e per « Il potere rifrangente atomico dell'idrogeno è eguale a 1.475 come innanzi abbiamo, trovato perciò sottraendo il doppio di 1.47 dal valore 7.66 avremo il potere rifrangente atomico del carbonio, che è eguale a 4.71 per- ciò avremo : Rifrazioni atomiche degli elementi per la riga D Carboniont.r. Ce C TAKNOPEnNO Ro 0, RR Ossigeno alcoolico . . . O” ” aldeidico . . . O” CIOLO: i E CI BIOMASSE Br TOdionRs ali CE I Aumento per ogni doppio legame. ESE TapeLLa IX. Valori dati da Landolt e Briibl per la riga H, Mag 1 di Confronto tra le rifrazioni molecolari trovate e quelle calcolate. (Continua alla pag. seguente) Rifrazione Rifrazione | Differenza Nome delle sostanze Formula molecolare molecolare |frailcalcolato | O trovato calcolato | e il trovato Î ACQUARI Ho 0° 6.0 5.60 — 040 | Alcool metilico. . .... . CH, 0” 19325 13.26 SOON | » CHICCO: C, Hz O” 20.88 20.92 + 0.09 » propilico norm. . | C3 Hg 0 28.74 28.54 — 0.20 | » propilico iso... . | C,4Hg 0 28.48 28.54 -+ 0.06 ” butilico norm!" .. | C, Ho 36.46 36.24 | AVI D) butilico iso, =. | C4 Bio 36.34 30.24 | — 0.10 D) AMICO RP NOE C; Hi, 0 44.19 43.90 ati= 0:20 Aldeide acetica ...... C. Hi 0% 18.70 18.65 IEZZO DI PrOpilica gio. Cs Hg 0” 26.14 26.26 + 0.12 » butilica norm C, Hg O” 33.96 33.93 — 0.03 b) butilica iso. I ICHHROA 33.98 38.93 + 0.10 ”» valerica Resti. CERO 41.81 41.683 — 0.18 » Cnanti canapa, Riel (0% DIAZ 36.95 — 0.17 — 187 — ACI CORATO TIMO ORSI CEHSOMOMNI 14.01 | 13.64 e 0A ” ACEUICO MO CHILO, 21.25 21.30 | + 0.05 » propionico. . . . . (CR E O (04 28.76 28.61 RREZZONI5 ” PUtisLICO NR CHE OsO, 36.49 36.58 (RR: 10E09 ” isovalerico . . . . | C; Hio 0” O” 44.35 44.28 \ERS0T07 ». isocaprilico. . . . | Co Hx2 00? 51.97 DIA 40:03 PIMSSENADtI CORE ROTTO OR 59.81 59.60 021 Acetato etilico... .... MCREROSOAN 36.40 36.58 | + 0.18 Butirrato metilico . .. . . | C; Ho 0” 0” | 44.26 44.28 + 0.02 Butirrato etilico... . . . Ce Ela 040% 51.65 51.94 EN 0129 Valerianato etilico . . . . . ICARO ZOA] 59.59 59.60 2A0101: Alcool etilenico diodi >) (05 156 04 23.93 23.57 => 0.36 FACE tO CRM (CH E 074 26.30 26.28 RARO 01 AGO Ende ssi seo CELIO: 32.03 31.66 |MeeE=10537 Meli e i CHO 81.21 31.19 — 0.02 CICERO (CH IEO6 34.55 33.84 CEUTA Anidride acetica. . .... CETO 4KOA 36.81 37.00 + 0.19 Carbonato etilico. . ..... . INCIRENO 407 46.56 46.93 + 0.37 OssalatoNetilico. e eo 00. | Co H100”30% 55.51 54.97 — 0.54 IRISADORARNOO RSI. © Ha 48.89 48.91 280102 Acetal osDiial o ne Doro BINGO. A (01 Ea (O 54.20 54.21 = 0.01 Metilessilchetone . . .. . IICRERSON 65.07 64.61 — 0.46 Tetracloruro di carbonio . | Cll 44.58 44.91 + 0.33 CI OTOLO RITI ONERE N i CHCI; 35.83 36.34. + 0.51 Corale ta OSIO 44.45 44.37 SA00 Cloruro d’etilene. . . . . . INCRIEROG 35.13 35.42 | + 0.29 ” d’etilidene. . . .. (Oa la0 35.11 35.42 5) » di propionile... | C3 H5 0” C1 35.19 34.88 — 0.31 DIRRCISpropilersReto C; H_ CI 34.28 34.50 + 0.22 Etere dicloroacetico. . .. | CiH50/0’C1, 53.72 SEL M=0505 Etere tricloroacetico. . | C4H50707C]; 62.48 62.94 (RARE2=20109, ClosuroRdiNbutirriletMtRe it MACRERO/C] 42.60 42.55 2A) Dicloropropionato etilico . | C5Hs0”0"C1» 61.50 61.34 — 0.16 Clorobutirrato etilico . . . | CsHi,:070/C1 60.75 60.52 | — 0.28 «I valori delle rifrazioni atomiche degli elementi per la riga D non coincidono naturalmente con quelli relativi alla riga C; specialmente è im- portante a notarsi il fatto che il carbonio e l'ossigeno, tanto alcoolico che aldeidico, hanno delle rifrazioni atomiche minori per la riga D: ciò sembre- rebbe assai strano ove questi valori dovessero veramente rappresentare le rifrazioni atomiche degli elementi, giacchè in tal caso il potere rifrangente dovrebbe crescere colla rifrangibilità del raggio, ma se si considerano, come devonsi considerare, quali costanti empiriche, questo fatto non ha nulla di strano, perchè evidentemente esso dipende dal modo speciale, col quale sì fanno i confronti e i relativi calcoli. Simili anomalie aveva constatato il Conrady per la formula »°. « Se si calcolassero le rifrazioni atomiche degli elementi rispetto alla riga Hy, si troverebbero per alcuni di essi dei valori anche più piccoli (p. e. per l'ossigeno aldeidico). i « L'aumento per ogni doppio legame è invece assai più forte per la riga D, che per la riga C, e questo è naturale, perchè esso vien dedotto dal confronto di sostanze fortemente dispersive (specialmente quelle della serie aromatica, che pure contribuiscono alla media) con valori che si riferiscono invece a sostanze della serie grassa e quindi dotate di piccola dispersione ». — 1S3 — Chimica. — Azzone dell'acido cloridrico sui Santononi. Acido bis-diidro-santinico (1). Nota di G. GRASSI-CRISTALDI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. « In una Nota precedente comunicata a questa Accademia (?) descrissi i prodotti ottenuti dall'azione dell'idrogeno nascente sulla soluzione acetica della santonina, rilevando la grande analogia esistente tra le Iposantonine ed i Santononi e tra i rispettivi ossi-acidi corrispondenti; analogia che mi condusse alla conclusione che i Santononi possono considerarsi come risultanti dall'unione di due identici residui iposantoninici ed avere la seguente for- mola di struttura : CH, CH; CHSCH, 0 LE ge CH,-CH-—CH —CH | pl a DE dios | CH, de | gel QTA Lo studio dell'azione dell'acido cloridrico sui Santononi che espongo in questa Nota, conferma la presunta formola di struttura e corrobora la analogia colle Tposantonine. « È noto, difatti, che facendo agire l'acido cloridrico gassoso sulla solu- zione alcoolica dell'’Iposantonina o dell’Iso-iposantonina, si ottiene, in ambo 1 casì, l'etere di un acido che si chiamò biidro-santinico (3). La trasforma- zione in quest'acido che effettuò il passaggio dal composto tetra-idrogenato a quello bi-idrogenato, si spiegò ammettendo la sostituzione del cloro all’ossi- drile alcoolico e la susseguente eliminazione degli elementi dell'acido elori- drico dal cloruro appena formato. « Per i due Santononi si può ammettere che la reazione proceda nel modo identico: dapprima ciascun lattone assuma gli elementi dell’acqua per (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma. (2) Rendiconti, vol. I, pag. 62, anno 1892. (3) P. Gucci e G. Grassi-Cristaldi, Gazz. chim. ital., vol. I, pag. 23, anno 1892. — 189 — trasformarsi nell’ossi-acido corrispondente e poscia l'acido cloridrico, reagendo sugli ossidrili alcoolici, dia luogo al seguente cloruro: CH3 CHg . peo EH CH CH; CH—CH—CH —C=C—CH HO—0=C—CH —CH—CH-CH; ie CH, ui dal quale, eliminandosi due molecole di acido cloridrico, si abbia : CH, CH; CH:—CH,—C0=C—C—_C—0=C—CH,—CH, CH, CH—C = CH —C=CT—CH HC-@20=CH —C—CH-CHz CH; CHs COOH COOH acido bis-diidro-santinico « Ed anche qui dal composto otto-idrogenato si passa a quello tetra- idrogenato. Ora è sorprendente il fatto che in quest'azione dell'acido clori- drico gassoso sulla soluzione nell’alcool metilico tanto del Santonone, quanto dell’Iso-santonone, si pervenga all'etere metilico di un solo acido. « Questa reazione già sarebbe sufficiente da sè sola per dimostrare l’esat- tezza della formola di costituzione attribuita a questi prodotti di condensa- zione della santonina. Etere metilico dell'acido bis-diidro-santinico. « La preparazione di quest'etere è facile. Si sospendono gr. 10 di San- tonone, ridotto in polvere, nell’alcool metilico al 90 °/° (400 cm.8 circa) e in questo si dirige una rapida corrente di acido cloridrico gassoso e secco sino a rifiuto, rasfreddando esternamente per evitare il troppo sviluppo di ca- lore. A poco a poco la sostanza si scioglie, e quando l'alcool è saturo di gas cloridrico, si separa in fiocchi cristallini un precipitato bianco, il quale, rac- colto su filtro, si lava dapprima con poco alcool metilico che si riunisce al filtrato, e poi con acqua sino ad eliminazione completa dell’acidità. Distil- lando l'alcool filtrato a pressione ridotta e salificando con una soluzione di carbonato sodico il liquido residuale, si ricava dell’altra sostanza, la quale, liberata dalla resina che l'accompagna, si riunisce alla prima. Il prodotto vien cristallizzato dapprima dall'alcool un paio di volte e raggiunge così la RenpIcontI. 1892, Vol. I, 2° Sem. 25 — 190 — temperatura di fusione 125°. Per averla purissima, si scioglie a caldo nella più piccola quantità di etere anidro e lo si addiziona con alcool assoluto. Da questa soluzione si separa poco dopo l'etere metilico sotto forma di aghetti finissimi e lucenti che seccati a 100°, fondono costantemente a 131°. «< Facendo agire l'acido cloridrico sull'Iso-santonone e operando nelle identiche condizioni, si ottiene la stessa sostanza, che purificata nel modo suddetto, si presenta egualmente aciculare e collo stesso punto di fusione costante a 1309,5-131°. « All’analisi, tanto l'una quanto l’altra sostanza, fornirono numeri con- cordanti con quelli calcolati per la formola Cs H3g 0,. « Infatti : I gr. 0,2798 di sostanza diedero gr. 0,8095 di CO, e gr. 0,1979 di H,0 JAR: 0:3392065 ” n n 00;9817 ata e023 5080; III » 0,3328 » n n n ‘(0,9664 >. > n 7 20/2308 IV 0:2 519 ” ” n 08390 noia 02 0705006 « Da cui per cento si ha: calcolato a trovato : Vi dg II IVO C3° 79,01 78,90 78,98 1:99 78,91 Hsg 7,81 7,85 7,31 1,98 8,01 O, 13,18 100,00 « Le prime tre analisi furono fatte colla sostanza proveniente dall’Iso- santonone e da preparazioni diverse; la IV con quella proveniente dal San- tonone. « Quest'etere metilico, cristallizzato dall'alcool o dall’etere, si presenta sempre in aghetti incolori e di lucentezza setacea. « È solubile nell’alcool e nell'etere discretamente a freddo, moltissimo a caldo, da cui col raffreddamento cristallizza. Nell’etere, addizionato di alcool, la solubilità è alquanto minore. Nel benzolo etere ed acido acetico e cloro- formio è solubilissimo anche a freddo. Nella ligroina invece è poco solubile a freddo, molto a caldo. « È attivo alla luce polarizzata, ed in soluzione benzolica è destrogiro. « Per gr. 2,6528 di etere metilico, proveniente dal Santonone, sciolti nel benzolo al volume di 100 cm.3, si ebbe una deviazione a destra di 5°,60 (lunghezza del tubo del polarimetro = 220 mm. e # = 24°). Da cui, per la riga gialla del sodio, il potere rotatorio specifico è : [al = + 95,95 ol — E per gr. 2,7048 di etere proveniente dall'Iso-santonone, nelle stesse condi- zioni, si ebbe una deviazione a destra di 5°,85, da cui: [a] = + 98,31 Non vha dubbio quindi che da due sostanze differenti si pervenga allo stesso prodotto. « Le determinazioni crioscopiche confermarono la formola doppia già di- mostrata per le sostanze madri. Adoperando l'apparecchio di Beckmann con un termometro diviso in cinquantesimi di grado e come solvente il benzolo, si ebbero i seguenti risultati : Concentrazione Abbassamento Coefficiente Abbassamento eso termometrico d’abbassamento molecolare molecolare 3,1042 0,33 0,122 48,92 401 3,1186 0,35 0,112 48,94 437 8,3004 0,98 0,118 48,97 415 « Le cifre ottenute per il peso molecolare, sebbene si avvicinino al teo- retico, 486, pure non sono molto soddisfacenti. « L'esperienza, ripetuta sulla soluzione in acido acetico glaciale, diede miglior risultato. Infatti : Concentrazione Abbassamento Coefficiente Abbassamento Peso termometrico d’abbassamento molecolare molecolare 3,1557 0,26 0,081 38,96 481 Acido bis-ditdro-santinico. « Si saponificò l'etere metilico facendolo bollire per varie ore con barite alcoolica. Dapprima si sciolse e, quando la reazione fu completa, si separò la maggior parte del sale di bario, che andò aumentando col raffreddamento. Raccolto su filtro e lavato, fu sospeso nell'acqua e trattato con acido clori- drico diluito. Si scaldò leggermente su bagnomaria per agevolare la decom- posizione e si raccolse su filtro l'acido così ottenuto. Lavato per bene ed essiccato a 100°, venne cristallizzato dall'alcool assoluto finchè raggiunse il punto di fusione costante 215°. « Le acque madri della saponificazione, alcaline per l'eccesso di barite e leggermente colorate in giallo, acidificate, fornirono dell'altra sostanza molto meno pura della prima; però cristallizzandola nell'alcool o nell’acido acetico diluito, si arrivò, dopo reiterate cristallizzazioni, ad averla sufficientemente pura. « L'etere metilico proveniente dal Santonone e quello proveniente dall’Iso- santonone, condussero così alla stessa sostanza coll’identico punto di fusione. « L'analisi fatta col campione fornito dal Santonone, diede numeri con- cordanti con quelli calcolati per la formola C3z0 Hz4 04. — 192 — « Infatti : Gr. 0,2462 di sostanza diedero gr. 0,7088 di CO» e gr. 0,1698 di H:0 « Da cui per 100 si ha: calcolato trovato Go Ceo 78,51 on UT 7,06 O IE 596 100,00 « Stimai superfluo analizzare l'acido proveniente dall’Iso-santonone, per il fatto che ho creduto dare maggiore importanza al valore ed al senso del potere rotatorio, il quale, in questo caso, è l’unico indice che possa affermare l'identità delle due sostanze. E l'osservazione al polarimetro, difatti, prescin- dendo dalla piccola differenza, confermò che le due sostanze sono fisicamente e chimicamente identiche, in quanto che entrambi, in soluzione acetica, si presentarono destrogire e con lo stesso potere rotatorio specifico. « Per gr. 1,6488 di sostanza del campione analizzato, sciolti nell’acido acetico glaciale al volume di 100 em.*, si ebbe, col suddetto apparecchio, una deviazione a destra di 1°,65 (f= 24°), da cui: [a]h = + 34,46 « Per gr. 1,9312 di sostanza, proveniente dall’Iso-santonone, nelle iden- tiche condizioni, si ebbe una deviazione a destra di 1°,50 (f= 24°), da cui: [a] = + 85,95 « Talchè resta dimostrato che il Santonone e l'Iso-santonone, sostanze affatto diverse, per azione dell'acido cloridrico gassoso sulla loro soluzione nell’alcool metilico, dànno luogo alla produzione di un solo etere metilico di un solo acido dis-dzidro-santinico. « L'analoga trasformazione di questi due lattoni e delle Iposantonine, in presenza di acido cloridrico, giustifica quindi il nome con cui propongo chiamare questo nuovo derivato. « L'acido bis-diidro-santinico è poco solubile a freddo nell’aleool, da cui col raffreddamento cristallizza in forma aciculare e con lucentezza setacea. Nell’acido acetico glaciale è poco solubile a freddo, molto a caldo; diluendo convenientemente la soluzione ancor calda, cristallizza come dall'alcool. Nel benzolo e nell’etere è poco solubile sia a freddo, sia a caldo. « È solubile a freddo nei carbonati e idrati alcalini. La soluzione al- coolica arrossa fortemente la carta azzurra di tornasole. « La genesi di quest'acido e la sua composizione centesimale mi dispen- sano per ora da ulteriori considerazioni. Mi resta solo, per quanto riguarda allo studio di esso, da colmare una lacuna; provare, cioè, se per azione pro- tratta dell'acido cloridrico, si trasformerà nell'isomero inattivo. E le prove, spero, verranno fornite da esperienze già in corso ». e — 193 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dall'8 agosto al 4 settembre 1892. Bassani F. — Marmi e calcare litografico di Pietrarola (provincia di Be- nevento). Napoli, 1892. 4°. Id. — Sui fossili e sull'età degli schisti bituminosi di Monte Pettine presso Giffoni Valle Piana in provincia di Salerno. Napoli, 1892. 4°. Bianchi L. — Sui gruppi di sostituzioni lineari con coefficienti appartenenti a corpi quadratici immaginarî. s. 1. ed a. 8°. Bostung E. — Ueber das Erdòl Montechino. Karlsruhe, 1892. 8°. Bucca L. — Primo rapporto dell'eruzione dell'Etna scoppiata il 9 luglio 1892. Catania, 1892. 8°. Carazzi D. — La perforazione delle rocce calcaree per opera dei datteri. Genova, 1892. 8°. Delisle A. — Ueber die Umwandlung urgesittioter, zweibasischer Sauren in ihre Stereoisomeren. Karlsruhe, 1892. 8°. Keller Ph. — Nachtrigliches zur Abhandlung: Vergleichende Uebersicht der verschiedenen Messungsmethoden der mittlern Dichtigkeit der Erde. s. Ii Gola (C6H5 « Non abbiamo dati sufficienti per dimostrare o per escludere un tal fatto. Il pirrazolo greggio che si ottiene distilla fra 275° e 281°, e rettificato, i 3/, della massa distillano a 277°-278°, ed inoltre il prodotto greggio raffred- dato a —13° non accenna a cristallizzazione. Ciò parlerebbe in favore della formazione di un solo pirrazolo, come hanno dimostrato anche Claisen e Roosen (1. c.) formarsi nell'azione della fenil-idrazina sull’acido acetonossalico. « L'ossidazione del fenil-dimetil-pirrazolo rende anche pochissimo e quan- tunque la quantità di ossidante adoperata fosse superiore a quella richiesta per la trasformazione dei due metili in carbossili, pure si ebbe sempre il monocarboacido; si formarono anzi due monocarboacidi isomeri: un acido 1fenil-metil-carbopirrazolico fusibile a 191°,5-192°,5, ed un altro, in piccola quantità, fusibile a 133,5 - 1849,5. « Questi due acidi ulteriormente ossidati si trasformano nello stesso di- carboacido; ma questo è differente dal dicarboacido ottenuto dall'ossidazione del fenil-metil-etil-pirrazolo. « Mentre quest'ultimo fonde a 231°,5 e dà un etere metilico fusibile a 84°,5-85°,5, il primo fonde decomponendosi a 200° e l'etere metilico, diff:- rentissimo per l'abito cristallino, fonde a 74°,5 - 750,5. — 197 — Ossidazione dell’Ifenil-metil-etil-pirrazolo. «S'è tentata dapprima l'ossidazione colla quantità teorica di perman- ganato potassico in soluzione alcalina e riscaldando moderatamente a bagno maria, ma la maggior parte del pirrazolo rimase inalterato. Il miglior modo di compiere l'ossidazione è il seguente. « Gr. 5 di pirrazolo, sospesi in 50 ce. d’acqua addizionata di 1 cc. di liscivia di potassa al 50 °/,, si fanno bollire a bagno di soluzione di cloruro di calcio in un pallone munito di un condensatore e nella miscela bollente sì versa poco a poco una soluzione acquosa calda contenente 50 gr. di per- manganato potassico (quantità teorica gr. 25) in 250 ce. « In ogni operazione si adoperarono sempre 5 od al più 10 grammi di pirrazolo, ed in due ore di riscaldamento l'ossidazione è terminata e la massa scolorita. Si sottopose alla distillazione in corrente di vapor d’acqua, col quale si condensò distillando, una piccola quantità di pirrazolo inalterato. « La soluzione acquosa alcalina filtrata dall'ossido di manganese e con- centrata a piccolo volume, si decompose con acido cloridrico e si estrassero gli acidi coll’etere. Nell'acqua estratta si trova in soluzione una certa quantità di acido ossalico. Colla distillazione dell'etere rimase come residuo una so- stanza resinosa, colorata in giallo rosso, che versata nell'acqua poco a poco si fece più consistente ed alla fine dopo 5 o 6 giorni diventò dura cristallina. « La quantità di questa miscela di acidi è piccola. Da 100 gr. di pir- razolo si ebbero 10, e alle volte al più, 15 gr. di prodotto. « Sì cristallizzò 10 volte dall'acido acetico glaciale bollente, finchè sì ebbe un prodotto che presentava il punto di fusione 229°-230° decomponen- dosi, ma sottoposto all'analisi, il composto si dimostrò essere ancora una miscela. « Difatti l’analisi diede: trovato calcolato per C*H(CO?H)2N2C®H5 C 57,9 C 56,89 H 3,9 H 3,44 « Si depurò mediante cristallizzazione dell’etere metilico. Si eterificò il prodotto saturando con una corrente di acido cloridrico secco la sua soluzione nell'aleool metilico; l'etere metilico venne ricristallizzato un paio di volte dall'alcole etilico bollente. « All’analisi diede il seguente risultato: gr. 0,2086 di sostanza secca nel vuoto su ac. solforico diedero gr. 0,4516 di CO? e gr. 0,0932 di H°0. « Ossia in 100 parti: trovato calcolato per C*H(CO?CH*)2N2C6H5 CMMORCO:4e 60,00 H 5,08 4,61 — INS = « Quest'etere metilico cristallizza dall’alcole in belle tavole appiattite, dure, di splendore vitreo, solubili nell’alcool, etere, specialmente a caldo, in- solubile nell'acqua. Fonde senza decomporsi alla temperatura di 84°,5-85%,5. «Da 175 gr. di pirrazolo ottenemmo all'incirca 5 grammi di etere di- metilico, che saponificati ci ridiedero il dicarboacido. « Gr. 4,4 di etere metilico sciolti a caldo in 50 ce. di alcole a 90°/,, vennero addizionati di una soluzione di alcoolato sodico, preparata sciogliendo 1 gr. di sodio in 50 ce. di alcole assoluto. Si ebbe immediatamente il sale sodico sotto forma di un precipitato bianco gelatinoso. Si evaporò l'alcool a bagno maria ed il residuo sciolto nell'acqua si acidulò con acido solforico diluito e l’acido precipitatosi si cristallizzò dall'acqua bollente. « All’analisi ha dato il seguente risultato: gr. 0,2156 di sostanza secca sull’ac. solforico diedero cc. 23 di azoto alla temperatura di 21° e alla pressione di 757 mm. trovato calcolato per C*H(CO?H)®N®CSH5 N°/o 12,08 12,06 « L'acido 1fenil-dicarbopirrazolico cristallizza dall’acqua bollente in piccole laminette bianche di splendore madreperlaceo, poco solubile nell'acqua fredda e nell’etere, solubile nell'acqua calda e nell’alcool. Riscaldato in tu- bicino di vetro a pareti sottili fonde decomponendosi con sviluppo gassoso alla temperatura di 231,5. « Abbiamo fatto reagire sopra quest'acido il bromo nelle stesse condi- zioni nelle quali uno di noi (Gazz. chim. Ital. XX, p. 470) l’ha fatto reagire sull'acido 1fenil-3-5dicarbopirrazolico, ma non abbiamo ottenuto un pro- dotto bromo-sostituito, bensì l'acido primitivo inalterato. 1fenil-dimetil-pirrazolo. « Si sospesero gr. 47,2 di etilato sodico secco in 400 a 500 gr. di etere secco addizionati di gr. 50 di metil-etil-acetone e sulla miscela si versarono a piccole porzioni e raffreddando gr. 51,4 di formiato d’etile secco, agitando fortemente. Si abbandonò il tutto per 12 ore alla temperatura dell’ambiente, indi si acidulò con acido solforico diluito (gr. 32 di ac. concentrato, sciolto in 150 gr. di acqua); si aggiunse ancora acqua per disciogliere il solfato sodico e si separò lo strato acquoso mediante un’imbuto a robinetto. « L’etere si lavò ripetutamente con acqua, indi si addizionò nell’imbuto stesso di 75 gr. di fenilidrazina. « Non si notò grande sviluppo di calore, e subito cominciò a separarsi l’acqua, prodotto della reazione. La miscela si abbandonò per 24 ore alla temperatura ordinaria, perchè la reazione si completasse; in seguito si se- parò l’acqua e si distillò l’etere. Il residuo oleoso si addizionò di 50 gr. di acido ossalico in soluzione concentrata ed il magma cristallino prodottosi si sottopose alla distillazione in corrente di vapore. Col vapor d'acqua distillò — 199 — il pirrazolo, che abbiamo estratto con etere; la soluzione eterea fu nuova- mente agitata con soluzione acquosa diluita di acido ossalico, indi lavata con acqua, disseccata con cloruro di calcio fuso, e distillato lo sciogliente ; rimase come residuo il pirrazolo greggio. « In due preparazioni, fatte partendo da 50 gr. di acetone per volta, ab- biamo ottenuto in tutto gr. 85 di pirrazolo greggio, cioè un po meno del terzo della quantità teorica (100 gr. di metil-etil-acetone danno 260 gr. di pirrazolo). « Il pirrazolo greggio sottoposto alla distillazione passò tutto fra 275°-281°. All’analisi diede il seguente risultato : gr. 0,1579 di sostanza diedero gr. 0,4414 CO? e gr. 0,0992 H°0. gr. 0,1596 ” » cc. 19,5 di azoto alla temp. di 8,°2 ed alla pressione di 750 mm. « Ossia in 100 parti trovato calcolato per C!! Ht° N° C 76,28 76,74 H 6,97 6,97 N 16,62 16,27 « Abbiamo rettificata la massa dividendola in due frazioni; una piccola porzione distillò a 275°-277°; la maggior parte, circa i */, distillò alla tem- peratura di 277°-278°. Rimase un piccolo residuo nero catramoso. « Delle due frazioni si determinò l'azoto. « Frazione 275°-277°: Gr. 0,1672 sostanza diedero cc. 22,7 di azoto alla temperatura di 8°2 ed alla pressione di 760 mm. « Frazione 2779-2780: er. 0,1415 di sostanza diedero cc. 19,5 azoto alla temperatura di 9°,1 ed alla pressione di 750 mm. « Ossia in 100 parti: trovato calcolato per C!!H!?2N® Fraz. 275°-277° N 16,37 16,27 nil 1200-2718 116,94 « Abbiamo sottoposto il pirrazolo di prima distillazione (275°-281°) ad un abbassamento di temperatura di —13° per alcune ore, ma non abbiamo osservato deposito di materia solida. « Il punto di ebollizione quasi costante ed il non essersi depositata so- stanza solida col raffreddamento, sarebbero fino ad un certo punto una prova dell'omogeneità della sostanza, perchè i due metil-pirrazoli ottenuti da Claisen e Roosen (l. c.) se hanno lo stesso punto di ebollizione 254°,-255°, si com- portano in modo differente col raffreddamento ; il 1lenil-3metil-pirrazolo cri- stallizza e fonde a + 37°, ed in tal modo si può separare dall’isomero. « Il 1fenil-dimetil-pirrazolo è un liquido colorato in giallo chiaro, di odore aromatico, che bolle alla temperatura di 277°,278° (termometro nel — 200 — vapore): insolubile nell'acqua, solubile nell’ alcool e nell’etere. La sua den- sità, riferita all'acqua, è, alla temperatura di 0°, eguale a 1,0747. « Riscaldato con sodio ed alcool dà la reazione di Knorr cogli ossidanti; tanto col dicromato potassico, che coll'acido nitroso e percloruro di ferro si ottiene una bella colorazione rosso-viola. « La sua soluzione cloridrica precipita col cloruro platinico, dando un cloroplatinato cristallino giallo-chiaro, che però tosto imbrunisce e la de- composizione si accentua col disseccamento. Anche in soluzione acida il clo- roplatinato si altera depositando dei fiocchi bruni. Acidi 4ifenil-metil-carbo-pirrazolici. « 10 gr. di pirrazolo, sospesi in 200 ce. di acqua resa alcalina con 1 ce. di liscivia d'idrato potassico al 50 °/, e riscaldati a bagno maria, vengono addizionati poco a poco, con frequente agitazione, di una soluzione di 40 gr. di permanganato potassico in un litro di acqua. In 8 ore l'ossidazione è av- venuta: ed allora si elimina la metà quasi del pirrazolo inalterato mediante distillazione in corrente di vapore. « L'acido solforico precipita dal liquido alcalino il carboacido libero, che raccolto sopra un filtro, e asciugato sì sottomette a ripetute cristallizzazioni dall’alcole acquoso bollente. Questo prodotto greggio è una miscela di due carboacidi isomeri, che si separano per cristallizzazioni. Si scioglie il pro- dotto nell'alcole concentrato (94-95 °/,) bollente, indi si aggiunge acqua calda finchè principia un leggero inalbamento e si lascia raffreddare. Si ripete la cristallizzazione finchè il punto di fusione dei cristalli sia compreso fra 191°,-192°, 5. Si completa la depurazione convertendolo nuovamente in sale sodico, decomponendo il sale con acido solforico e cristallizzando ancora una volta dall'alcole acquoso l'acido libero. La rendita in acido greggio è molto scarsa, circa il 10°/, del pirrazolo adoperato. « All’analisi diede il seguente risultato : gr. 0,1456 di sostanza secca su ac. solforico diedero gr. 0,350 di CO? e gr. 0,069 di \EKO; gr. 0,1561 di sostanza diedero alla temperatura di 13° e alla pressione di 763 mm. cc. 17,8 di azoto. « Ossia in 100 parti: trovato calcolato per C*H(CH*)(CO*?H)N®C8H5 C 65,55 65,34 H 5,26 4,95 N 13,58 13,86 « L'acido 1fenil-metil-carbo-pirrazolico cristallizza in begli aghi fini, bianchi, quasi insolubili nell'acqua fredda, solubile nell’alcool specialmente a caldo; fonde a 191°,5- 192°,5. O — Sale di calcio. 2[C*H(CH")(CO?)N®C5H"]? Ca. 3H°0. Si satura l'acido con leggero eccesso di latte di calce, indi si elimina con ani- dride carbonica a caldo l'eccesso, si evapora la soluzione a bagno maria ed il residuo costituito da piccole laminette cristalline si lava con un po’ di alcole. Contiene 1 */, mol. di acqua che perde solo a 180°. « All’analisi diede il seguente risultato: gr. 0,2433 di sostanza secca sull’acido solforico, riscaldata a 100° non perde di peso, riscaldata a 180° perdette gr. 0,0146 di H?0, e diede gr. 0,0739 di Ca SO4. trovato calcolato per 2.C**H180*N4Ca.8H®0 H?0% 6 5,75 Ca 8,93 sale secco 9,04 « Le acque madri alcooliche del carboacido ora descritto, contengono in soluzione un isomero che, quando si evapori lo sciogliente, si ha sotto forma di una resina giallo-rossa che poco a poco solidifica. Per depurarlo se ne fece il Sale di calcio. [C*H(CH)(CO°)N®C6H" |? Ca. 2H°0. Si neutralizzò a caldo con latte di calce, e dopo passaggio di anidride car- bonica si filtrò, si svaporò a secchezza ed il residuo costituito da .scagliette cristalline, lavato coll’alcole dette all'analisi il seguente risultato : gr. 0,237 di sostanza perdette a 180° gr. 0,0173 H?O e dette gr. 0,0711 di Ca SO*. gr. 0,25387 di sostanza perdette a 180° gr. 0,0202 di H°O. « Ossia in 100 parti trovato calcolato C°°H19N404 Ca 2H?0 HE) 7.80 7,95 o Ca 8,82 sale secco 9.04 « La quantità di sale calcico ottenuta era all'incirca di gr. 2. « Le acque madri acide dalle quali s'era separata per filtrazione la mi- scela dei carboacidi, estratte con etere non cedono che tracce trascurabili di sostanza al detto sciogliente. « Dal sale calcico ora descritto si ebbe l'acido 1fenil-metil-carbo-pirra- zolico libero, sotto forma di laminette quadrate bianche lucenti, che fondono senza decomporsi a 133°,5-134°,5 solubili nell’alcool ed etere, pochissimo so- lubili nell'acqua a freddo. Ossidazione degli acidi 4fenil-metil-carbo-pirrazolici. « Gr. 2,2 di monocarboacido fusibile a 191°%,5-192°,5, disciolti in 200 cc. di acqua alcalinizzata con 2 ce. di liscivia potassica al 50 °/, vennero scaldati a bollore in un bagno a cloruro di calcio, e nella soluzione bollente si versò poco alla volta ce. 145 di una soluzione di permanganato potassico al 2,5°/o, impiegando gr. 3,60 di permanganato, mentre la quantità calcolata per la trasformazione del CH* in COOH è di gr. 3,45. « Il filtrato dell’ossido di manganese, evaporato a piccolo volume e de- composto con acido solforico diluito, diede luogo ad un precipitato che venne agitato con meno di due volumi di etere. « L'etere estrae, sciogliendolo, solo una piccola parte del precipitato, e la distillazione dello sciogliente lasciò un residuo, che constatammo essere un miscuglio di mono-carboacido inalterato e del dicarboacido. Le acque col precipitato in sospensione vennero ancora concentrate a metà volume, e quindi agitate ripetutamente con grande massa di etere fino a soluzione completa. Distillato l'etere rimase come residuo l'acido greggio, che venne cristallizzato una prima volta dall'acqua bollente e ricristallizzato dall'alcool acquoso. « All’analisi diede il seguente risultato. gr. 0,2115 di sostanza secca sull’ acido solforico diedero ce. 22,8 di azoto. misurati a 22° ed 760mm. « Ossia in 100 parti trovato calcolato p. C!'*H804N? N 11,93 12,06 « Questo acido 1fenil-dicarbo-pirrazolico cristallizza dall'alcole acquoso in laminette bianche madreperlacee, quasi insolubile nell’acqua fredda e po- chissimo solubile nell’etere; solubile nell'alcool, e nell'acqua bollente. Fonde decomponendosi con sviluppo gassoso a 200°,5. « Etere metilico. — Lo preparammo nel modo anzidescritto per il di- carboacido proveniente dal fenil-metil-etil-pirrazolo. Cristallizzato dall'alcool acquoso bollente forma dei lunghi aghi bianchi, setacei, insolubili nell'acqua, solubili nell’alcool ed etere ed anche nell'alcool acquoso bollente. Fonde senza subire alcuna decomposizione alla temperatura di 74°,5-75%,5. « All'analisi diede il seguente risultato : gr. 0,1536 di sostanza secca sull'acido solforico dettero cc. 14,8 di azoto misurati a 23° e 759 mm. trovato calcolato per C1*H12N204 N LOST 10,76 « L'ossidazione dell'acido 1fenil-metil-carbo-pirrazolico fusibile a 1339,5- 134,5, ci diede lo stesso dicarboacido, di cui constatammo l'identità dai ca- ratteri dell'acido libero e da quelli del suo etere metilico, senza però ana- lizzare i composti, causa la scarsezza del materiale ottenuto. « All'incirca gr. 0,9 di acido vennero ossidati nelle condizioni sopra- descritte; l'acido greggio si cristallizzò dall'acqua bollente. Filtrando la so- luzione bollente una porzione cristallizzò sul filtro, e questa si riconobbe essere una miscela di mono e dicarboacido. SARE « La soluzione filtrata col raffreddamento lasciò depositare delle lami- nette leggermente colorate in giallognolo che fondevano decomponendosi alla temperatura di 200°. Il suo etere metilico, ottenuto per azione del- l'acido cloridrico sulla soluzione metilica, cristallizza in begli aghi setacei che fondono alla temperatura di 74°. « Con queste ricerche si completa la serie dei dicarboacidi pirrazolici; rimane da stabilire la posizione dei carbossili negli acidi descritti in questa Nota. Di questo problema ci occuperemo, studiando il metilpirrazolo derivante dall'acido 1fenil-metil-carbo-pirrazolico fusibile a 191°,-1929,5 ». Matematica. — Ancora della superficie del 5° ordine con cubica doppia e punto triplo. Nota di A. DeL RE, presentata dal Socio BATTAGLINI. « Questa Nota contiene una nuova costruzione della superficie oggetto della Nota precedente, la costruzione della curva doppia, l'equazione del con- nesso piano-retta (2, 3) produttore della superficie, l'equazione di un connesso punto-piano (1, 2) di cui è superficie fondamentale, e poi anche due modi diversi di arrivare, con rapidità, all’equazione della superficie medesima. UD TE Costruzione della superficie. — Altre proprietà. « 1. Una osservazione molto semplice conduce ad una nuova costruzione della superficie, la quale oltre al metterne in rilievo varie altre proprietà la ravvicina a quell'altra categoria di superficie del 5° ordine ed a punti tripli che io feci provenire come superficie fondamentali di connessi punto-piano (1, 2) ed anche a quelle di ordine 7 (3 #4 2) che trattai nel S V del mio articolo Escursioni matematiche diverse (!). L'osservazione consiste in quanto segue. — Dimostrai già nella mia Memoria Sulle sup. pol. cong. rispetto ad un connesso ecc. (2) che le superficie polari congiunte dei punti di una retta passano per 7 (x — 1) punti fissi di questa retta, dove 7 è il grado di un complesso qualunque del connesso ed n è l'ordine della superficie fon- damentale. Ne segue, nel caso nostro, che gli ulteriori punti comuni alla ®, e ad una retta arbitraria p condotta per P hanno un significato indipendente dalla posizione di P sopra p: essi sono, nel fatto, i punti nei quali p incontra la rigata R,, polare reciproca rispetto a w =0 (8), della rigata polare di p (3) Giornale di Battaglini. An. 1890. (2) Rend. Acc. Napoli Ann. 1887. () Per le notazioni, pel richiamo e pel significato di certe equazioni si confronti la Nota precedente. RenpIcoNTI. 1892, Vor. I, 28 Sem. 27 004 rispetto al fascio 2/-+ ug = 0. Se si immaginano presi tre punti arbitrarî iP ((=1,...,4;%==1,2,3) non allineati nè coplanari con P, una retta arbitraria p per P si potrà immaginare rappresentata dalle equazioni «= 0 + (AI 4) (15) ove è gr =% GO + +3 e x, x, *3 sono tre parametri va- riabili colla retta; e la quadrica polare di p rispetto al fascio 4/ + ug = 0 si otterrà allora rendendo soddisfatta indipendentemente da 4,w l'equazione Mn + Upi = 0 dove 9-» è la forma polare del punto , rispetto alla forma 9(9=# 9). Ciò esige che si abbia Fea Pre Fa Pia 05 ovvero, osservando che fina A As

Ha Hu dI, dY Hz, Hz: H33 Hi dE3 w Ha Hy Hyz Hu dI DUETTO 0 REA RES dI3 dA « 4. Se i valori (25) delle x,, x, x3 si pongono, invece, nella (20), si ha, lasciando invariate le £;, istantaneamente, l'equazione SI F, +3 F, + ds F;=0 (28) — 208 — di un connesso punto-piano (1, 2), di cui si riconosce facilmente essere la superficie ®, fondamentale. Segue da ciò che, ponendo IVARd90 Sp QOSMIO, all’equazione della superficie, oltre della (27), si può dare la forma : Ti Ren Ti Ta Too T93 doo 0 (29) | «Ca Cg 3 L4 0 « Si osservi che i due ragionamenti precedenti sost:/uiscoro il processo di eliminazione delle 4, u, dalle (4). Questo processo, tenuto direttamente senza l'artificio dell'intervento dei connessi (26), (28) conduce generalmente ad un'equazione nella quale si trova incorporato un fattore estraneo alla super- ficie (1). (*) Per es., supponendo di prendere per tetraedro di riferimento il tetraedro auto-co- niugato del fascio 7f+ug=0, con che allora si ha f=50, fa=0 (1354), pu" 0, gix= 0; le equazioni (4) (cfr. Nota prec.) prendono la forma: ve, = (Cain — ) da 4 Cr (Vie La + Wi 3 + Wa La); = (Cra Woo — ea + Cao (Wa da + 23 Ca + was La); ve, = (C33 Ws3 — 1) Lg + 0, (Wai La + W32 Ls H+ Wsa a) 3 VEL = (Csa Pas — 1) Ca + Cas (Wai da + ao da + 43 D3). di dU 3 ; È Da queste, ponendo % =U, Cir Cr fé = pix si ha Di Pis (Css Eq Ug — Csa 3 va) = Ps4 (Cio fa ur — Cus É, Ua); Pes (Css E, ug — Cas Ea Ua) = Ps4 (Cas Es uo — Cas Ea Us); cosicchè, essendo cz», c1 fattori rispettivamente in entrambi i membri della 1% e 22 di queste equazioni, ed essendo Cu Cnn 9° foi fam + (fa punt fan Pu) IU 4 Pu par. 2? col porre (gi== LP), Li(9) = Pia Gra (Jas Eq Us — Ya 3 Ud) —- Pss Y33 (Jia fa ur — Ya Ev) (0 = 1,2) le due equazioni sa possono essere scritte così: (PI 2 gg ea DE+5 Dia n 5 e quindi ur’equazione cui soddisfanno le coordinate dei punti della si è v da le) DELI Q v da DEL Mn Se LA AICCESEZIOEA 2 -[ama@-2M2M]=0 — 209 — « Si osservi inoltre che, detto H il determinante delle H,, nella (27), e T quello delle T,, nella (29) si hanno le relazioni : SH DI Re La adi ia); a D Hix

,T3, quanto nella parte superiore dei tre rami A,, A3, A; del manometro al di sopra del mercurio; x, n' il numero delle divisioni di cui si abbassa il mercurio rispettivamente nei tubi graduati G, G'; o, o' la rispettiva sezione dei tubi graduati G e G/ supposti calibrati; t la temperatura iniziale dei recipienti al momento in cui si toglie la comu- nicazione coll’aria esterna; 6 la temperatura fino a cui si raffredda l’aria nel condensatore; t, t" la temperatura dell'ambiente nel momento in cui si fa la lettura nei due tubi graduati G e G; RenpicONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 29 noi — @ e w le tensioni massime del vapore acqueo alle temperature £ e 6; B la pressione barometrica a zero corrispondente al momento in cui si toglie la comunicaziene dei recipienti coll'atmosfera; « il coefficiente di dilatazione dell’aria; le il coefficiente di dilatazione cubica del vetro; la tensione del vapore acqueo contenuto nell'aria umida da analizzare è data dall'una o dall'altra delle seguenti due formole, secondo che si fa uso del primo o del secondo dei metodi di sperimentare sopra indicati: | eli | pi aaa i ea (a -Bralcezo H | V+% qy 1+ 0 | ) | 1 +(v, co n0) I AL Dr | 0 At i e geo la. i Vit VEE ia | si nl1+ a0 2g Vo TALE GI Dia ( Va + da ul 14 00 \ | dro EA | 14 00 94 (v: n'o') = rr pe tall 14 at Va t V 1+ aé 300! 3 lesa « Queste formole sono riuscite un poco complicate per aver voluto tener conto di tutte le condizioni dell'esperienza: ma facendo eguali all'unità al- cuni fattori di correzione i quali non influiscono sul risultato finale che ap- pena per qualche centesimo di millimetro, si giunge alle seguenti formole ridotte, di cui abbiamo fatto uso nei nostri calcoli: :-__B mo fa (Ve+o)[1+a(f— 0)]+ no nr n'o' Fee eli « Facciamo subito notare che le indicazioni del nostro igrometro cadono in difetto nel caso che la temperatura 0 non sia sufficientemente bassa da produrre precipitazione di vapore in R.. Questo fatto del resto sarebbe indi- cato dal valore nullo di x nel primo metodo e dalla discordanza dei valori { ed /', sempre più crescente coll’allontanarsi di 6 dalla temperatura di pre- cipitazione. Perchè ciò non avvenga bisognerà badare a produrre un sufficiente raffeddamento, che nell'estate potrà facilmente raggiungersi anche colla sem- plice acqua corrente; nell'inverno basterà ordinariamente il ghiaccio fondente, salvo a ricorrere in casì speciali ad opportune mescolanze frigorifere. DID ci (£ 10) — 221 — « Osserviamo inoltre che l’aria del recipiente R, non è necessario che sia perfettamente secca, a rigore basta soltanto che la tensione del vapore residuo sia inferiore alla tensione massima a @. Quanto al recipiente Rs, si può stare tranquilli che l'aria ivi racchiusa si trovi realmente sempre satura purchè si abbia cura di lasciarvi dentro un poco di acqua. « Dalla descrizione dell'apparecchio si vede che esso presenta il vantaggio di controllarsi da sè stesso, in quanto che sulla medesima massa d’aria sì esperimenta con due metodi essenzialmente diversi: quindi la concordanza dei valori ricavati coi due metodi costituisce una garanzia per il risultato otte- nuto. La determinazione dell'umidità col nuovo igrometro è senza dubbio lunga al pari di quella coll'igrometro chimico; ma si deve riflettere che analoga- mente a questo il nostro apparecchio non è destinato alle misure correnti, ma per servire a campionare altri igrometri. Però a differenza dell’igrometro chimico, il quale adoperato nel modo ordinario non dà che l'umidità media per il tempo in cui dura il passaggio dell’aria attraverso gli essiccanti, il nostro invece permette di misurare l'umidità dell’aria al momento voluto. « Il chiarissimo prof P. Blaserna direttore del R. Istituto fisico di Roma, che si è interessato alle nostre ricerche, ha voluto gentilmente far costruire il nuovo igrometro dalla casa Miller di Bonn. Con questo abbiamo intraprese nel suddetto Istituto e nel corrente anno 1892 alcune esperienze a fine di studiare il maneggio dell'apparecchio, e vedere di quale precisione fossero suscettibili le misure eseguite con esso. Per avere condizioni molto diverse. abbiamo sperimentato anche su aria inumidita od essiccata artificialmente, e riportiamo qui appresso una tabella dei risultati: MCO, 7253; | 1892. marzo 22 | 11° 0° | 11° || 5.52 | 5.78 |-026 » 0» 2 BI O MALUISAA 9.061 MORRA 0250 piaccio fondente » maggio 13 MEZ 0l 15:4||12.59, [112/92 —0.33 | » giugno 3 23.6 | 149 8.7 || 20.58 | 20.55 |—0.02 | ” ” Lil QilsT MOlI3:0 8.1.|| 18.60 | 18.59 |+0.01 ” ” 17 21.4 | 17.4 4. ||18.13 | 18.08 (4-0.05 ” » 18 20.7 | 13.2 7.5 || 12.99 | 13.02 |—0.03 ) acqua corrente e ee e ” D) 25 Zia Rai387, 8. | 14.26 14.04 !4+0.22 » luglio 4 22.6 | 13.7 8.9 || 14.98 | 15.09 |—0.11 | n giugno 21 21.1 3.2 17.9 || 12.97 | 13:42 |—-0.45 » ” 25 21.7 3. 18.6 || 13.49 | 13.55 Pari acqua raffreddata » luglio 4 | 226| 11 | 2151455 | 1476 021) ODE e niaccio: — 222 — « Da questa tabella si vede subito che la concordanza tra i due metodi è soddisfacente, qualora si rifletta alla difficoltà di ottenere in igrometria una precisione maggiore. Risulta poi manifesta la tendenza dei valori /' ottenuti col secondo metodo a rimanere superiori a quelli / del primo. Questo fatto non è di certo casuale, e probabilmente si connette con quanto fu già osservato da Regnault (!) che le tensioni massime del vapore acqueo nel vuoto sono alquanto superiori a quelle nell'aria, e di più che la differenza va sen- sthilmente crescendo colla temperatura. Infatti nel calcolo delle nostre espe- rienze noi abbiamo fatto uso delle tensioni massime del vapor acqueo nel vuoto, e nella formola relativa al secondo metodo figura la tensione ® del vapor acqueo ad una temperatura sempre superiore a quella della tensione w della formola relativa al primo metodo. « Dobbiamo pure accennare che da qualche esperienza fatta tanto col primo quanto col secondo metodo sopra una stessa massa d’aria, raffreddata però a tem- peralture sempre più basse, il valore che risulta per l'umidità assoluta, invece di mantenersi costante, accenna sensibilmente a diminuire col decrescere di 0. Ma per confermare il fatto ci riserviamo di fare ulteriori esperienze. Intanto ci sembra di poter concludere che non si può raggiungere una grande precisione anche col metodo da noi adottato, finchè non si avrà una chiara conoscenza dei fenomeni che intervengono nella precipitazione del vapor acqueo in seno all'aria e in ambienti chiusi, nei quali può temersi anche un'azione pertur- batrice delle pareti. « Sebbene dunque il nostro igrometro non abbia dato risultati di quella precisione che ci potevamo aspettare, ha però posto in chiaro le anomalie sopra indicate di cui generalmente non si ha sospetto. Infatti nella misura dell'umidità coi diversi igrometri si fa uso senz'altro delle tensioni massime del vapor acqueo nel vuoto, mentre in igrometria sarebbe indispensabile, come già fin dal 13545 fece giustamente osservare Regnault, servirsi delle forze elastiche non nel vuoto ma nell'aria a pressione atmosferica. Si dice, è vero, che la differenza si può trascurare perchè di piccola entità, ma quando si voglia introdurre della vera precisione anche nelle ricerche igrometriche, non può più bastare una prima approssimazione e conviene tener conto anche dei decimi di millimetro. Regnault fece egli stesso i primi studi in proposito, ma le sue misure poco concordanti non sono sufficienti allo scopo; e noi non sappiamo se altri dopo di lui abbiano fatto delle ricerche in proposito. Sarebbe perciò desiderabile che le esperienze dell’illustre fisico venissero riprese con queila precisione che consente lo stato attuale della scienza ». (1) Ann. de Chimie et de Physique, 3° série, t. XV, p. 129. — 223 — Ghimica. — Su/l'azione delle diammine sulla cantaridina (!). Nota di F. AnpERLINI, presentata dal Corrispondente NASINI. « Il modo di comportarsi della cantaridina come funzione chimica è quello di un'anidride di un acido bibasico, rispetto a vari metalli ed alcoli. Da ciò se ne inferì che questo corpo avesse a contenere due carbonili, peraltro senza altre esperienze dirette ad una dimostrazione della cosa. « Ammettendo pure giusta l'ipotesi soprariferita, si può anche ammettere che uno dei quattro atomi di ossigeno formi il gruppo anidridico collegando i due carbonili; resterebbe ancora a vedersi in quali condizioni si trova il quarto atomo di ossigeno. In ogni modo era possibile che due gruppi CO oppure COH e CO si trovassero vicini, in tal caso poteva avvenire condensa- zione della cantaridina colle ortodiammine con eliminazione di 2H° O. Le orto- diammine aromatiche da me cimentate danno realmente luogo ad una rea- zione in questo senso, mentre del tutto diverso è il comportamento della etilen diammina. I. Azione dell’etilendiammina. « La reazione che interviene fra la cantaridina e l’etilendiammina, varia d'indirizzo col variare di certe condizioni, quali lo stato di divisione della cantaridina e della temperatura, e sì possono seguire le diverse fasi della rea- zione che vengono interpretate colle equazioni seguenti: Il, (10 H!? (0), + (05 H4 (NH?)? = (10 H!? 04. C? H4! (NE) È II. C°H!°0'. C°H'(NH°)° = C'°H!8 08 N°-|- H?°0 ITT. 205° H?° 0* + C° H* (NH?)? — 201 H" 0° N + 2H°0 « La equazione I esprime la formazione di un prodotto di semplice addi- zione, la seconda di una base energica, e la terza di un corpo neutro, pro- babilmente di natura imidica, isomero col derivato metilico della cantaridi- nimide. « Il prodotto di addizione si ottiene mettendo a contatto la cantaridina coll'etilendiammina alla temperatura ordinaria. A. tale uopo si introducono in apparato a ricadere, o in un tubo da chiudere, quantità equimolecolari delle due sostanze con quattro o cinque volte il loro peso di alcole assoluto. La cantaridina deve essere in uno stato di grande divisione, quale si ottiene scio- (1) Lavoro eseguito nell’Istituto chimico della R. Università di Padova. — (224 — gliendola nell’acido nitrico concentrato e versando tale soluzione nell'acqua mentre si agita vivamente. « La temperatura del miscuglio si eleva sensibilmente dopo qualche mi- nuto di contatto e la cantaridina tende a formare una massa compatta; per ciò è necessario agitare il miscuglio energicamente fin dal primo momento che si forma. Quando la temperatura incomincia a diminuire, allora si scalda non al di là di 50° per 3-4 ore agitando di frequente. « La polvere bianchissima che per tal modo si forma, si raccoglie su di un filtro, si lava con alcole assoluto e con etere. Così ottenuto, questo corpo fonde a 190° con decomposizione ed è facilmente e completamente solubile nell'acqua fredda. Il rendimento è esattamente quantitativo, rappresentando la somma delle sostanze poste a reagire. « Per farne l'analisi, conviene sciogliere questo composto nella minima quantità di acqua fredda e poi precipitare con molti volumi di alcole assoluto ed un po’ di etere. Ripetendo tale trattamento, il punto di fusione e decom- posizione rimane costante a 195°. « Le analisi diedero numeri che concordano sufficientemente colla for- mola 0: HIZ0402H(NH%)g « Seccata nel vuoto sull’acido solforico I. 0,1399 gr. di sostanza diedero 0,2870 gr. di CO? e 0,1042 gr. di H? O. II.0,1699 » ” ” c. c. 16,2 di N misurato a 24° e 760 m.m. « In 100 parti: trovato calcolato per C10 H'? 04. C? H4 (NH?)? I. II. (0, 55,94 = 50,25 H sa e —- 7,81 N — 10,91 10,93 « Sostanza bianca, insolubile nell’alcole assoluto, nell'etere, nella benzina, solubile nell’alcole diluito, solubilissima nell'acqua fredda. Bollita con acido cloridrico lascia separare della cantaridina. « Allorquando si scalda a 100° in tubo chiuso la cantaridina coll’etil- endiamina nelle proporzioni e col solvente sopraindicati, il prodotto di addi- zione, ora descritto, scomparisce totalmente dopo circa 2 ore e si ottiene una completa soluzione che contiene due sostanze in porporzioni variabili a seconda delle condizioni in cui si effettua Ia reazione. « Se si impiega la cantaridina in cristalli piuttosto grossi e si scalda il miscuglio appena fatto a 100°, si formano due sostanze, come sopra è detto, una delle quali neutra ed è la prevalente per la quantità sopra l’altra, ener- gicamente basica, che discende così ad un rendimento minimo. Se invece si im- piega cantaridina nello stato di divisione, ottenuta nel modo sopra descritto, (4 O — si agita il miscuglio vivamente con frequenza e si indugia qualche ora prima di procedere al riscaldamento, ed anche durante questo, agitando tratto tratto, la soluzione della massa bianca si effettua in poco più di mezz'ora, il rendi- mento delle due sostanze varia in senso inverso a quello sopraindicato e il prodotto basico ha la prevalenza. « È probabile quindi che nel primo caso, l’azione dell’etilendiamina si limiti in sulle prime ad uno strato poco profondo dei cristalli di cantaridina formando il prodotto di addizione già descritto, e nella seconda fase della rea- zione si formi il corpo neutro per azione della cantaridina rimasta inalterata sul prodotto di addizione sopradetto. L'equazione III verrebbe quindi a modi- ficarsi nel modo seguente: (10 H!? 04 (02 H4 È (N°H)? d- (10 H!? 04 == 201 H!4 03 N + 2H? (0) « La separazione dei due composti sì effettua agevolmente allontanando prima l’alcole mediante la distillazione, ed il residuo, che rimane siropposo fin che non Jo si rimescola con un bastoncino di vetro, ed allora soltanto si con- solida, si tratta con acqua fredda. Ciò che rimane indisciolto è il corpo neutro, mentre passa in soluzione la base. « Si raccoglie su di un filtro la sostanza rimasta indisciolta e si depura sciogliendola nell'acqua bollente; pel raffreddamento cristallizza in belle squa- mette bianche, madreperlacee. Dopo qualche ricristallizzazione dall'acqua e dall’alcole diluito, si ottiene col punto di fusione costante a 219°-220°. Le analisi di questo corpo seccato a 100° diedero numeri concordanti colla for- mola C' H!4 03 N. I. 0,1382 gr. di sostanza diedero 0,3202 gr. di CO? e 0,0924 gr. di H ?0. TI.0,1282 sr. i) ) c. e. 8,2 di N misurato a 30° e 762 m.m. « In 100 parti: trovato calcolato per C'!? H!4 08 N IG II C 63,19 — 63,15 H 7,41 _ ZL N — 6,94 6,69 « Il prof. G. B. Negri mi comunicò cortesemente i dati cristallografici da lui trovati. Sistema cristallino monoclino. aAsibie 232811::1.7900 i = TESE Forme osservate : (100), (110), (111), (103). — 220 — «I risultati delle misure e del calcolo sono i seguenti: angoli misurati n calcolati limiti medie 100:110 659,28'— 650,52’ 650,41’ 12 di 100:111 74,29 — 74, 56 74, 45 12 hi Upi 114, 42 — 114, 49 111, 464 3 $ 110:110 48,23 — 48, 46 48, 36 8 48°,38' TO 28,37 — 28, 07 28, 47 7 28, 51 110:111 48,29 — 48,56 48, 45 7 48, 45 UD 32108) 61,27 —- 61,43 61, 32 8 61, 364 110:103 90, 31 Il 90, 28 100:103 82, 48 — 88,54 88, 51 ti 88, 52. « Cristalli incolori, trasparenti, allungati secondo 2 con abito prismatico, nella maggior parte dei casi, talvolta laminari secondo (100). Le facce di tutte le forme splendono immagini nette e regolari. La (103) presenta facce secondarie. « Un piano di massima estinzione su 110 forma a luce bianca con & verso l'angolo piano [110:100]:[110:111] un angolo di 34 circa. « Attraverso (100) esce un’asse ottico. « Poco solubile nell'acqua calda, si deposita da questa in belle squamette bianche, e madreperlacee pel raffreddamento, dall'alcole invece in cristalli incolori, Solubile negli altri solventi. « Scaldata a lungo con potassa o barite non sì decompone, non si com- bina cogli acidi e non dà reazioni apparenti coi reattivi metallici. « La base rimasta in soluzione nell'acqua che servì alla separazione del corpo precedente, resta sotto forma di una massa vischiosa, colorata legger- mente in bruno, che si consolida, rimestandola con bastone di vetro, in una massa cristallina. L'eccessiva solubilità di questo corpo in tuttii veicoli, rende malagevole la sua depurazione; per cui ho preferito di trasformarla in cloridrato, il quale essendo poco solubile nell’alcole concentrato a freddo, si può ottenere puro con alcune cristallizzazioni dall’alcole bollente. Rag- giunto il punto di fusione costante a 253°, sciolsi il cloridrato in picco- lissimo volume di acqua e mescolai, in un imbuto a spartimento, questa soluzione con una, in eccesso, concentrata di potassa caustica, allo scopo, oltre che di mettere in libertà la base, di renderla anche meno solubile. In fatti, benchè estremamente solubile nell'acqua, sopranuota al liquido alca- lino, formando uno strato che si toglie agitando ripetutamente con etere. Con- viene seccare la soluzione eterea diluita con alcuni bastoncini di potassa fusa, essendo la base organica molto meno solubile nell’etere anidro che in quello saturo di acqua. Alcune ricristallizzazioni dell'etere anidro caldo bastarono per una completa depurazione e raggiungere il punto di fusione costante 94°-95°. « Questa base è solida, cristallizza dall'acqua soltanto quando la solu- zione diventa siropposa. È solubile nell’etere dal quale si deposita, per lenta — 227 — evaporazione in cristalli bene sviluppati incolori, ma che all'aria effloriscono e diventano opachi. I cristalli appena tratti dall’etere fondono fra 50°-53°, ciò che rende probabile la congettura contengano dell'etere di cristallizzazione. Rea- gisce energicamente basica coi reattivi colorati, si combina agli acidi svilup- pando calore e dando sali ben definiti e cristallizzati. Reagisce e dà precipitato : col cloruro mercurio bianco ; coll’ioduco di potassio iodurato bruno, chiaro; coll’ioduro di cadmio e potassio ” » sol. in eccesso di reattivo; coll’acido fosfomolibdico giallo pallido; coll’acido picrico giallo-vivo cristallino; col tannino bianco. Cloridrato. — Si ottiene direttamente trattando la base con acido clo- ridrico. Sale che cristallizza in cristalli scolorati e regolari da una soluzione acquosa molto concentrata, essendo assai solubile anche a freddo nell’acqua. È solubile nell'alcole concentrato a caldo, molto meno a freddo. Si porta diffi- cilmente in soluzione in questo veicolo quando è in cristalli voluminosi ed è necessario allora bollire a lungo. Da una soluzione acquosa avendo potuto ottenerlo in cristalli regolari, questi furono esaminati dal prof. G. B. Negri il quale cortesemente mi fornì i dati seguenti : Sistema cristalliuo : triclino. a:b:c = 1.26395:1:0.55147 A = 105°,02 a = 759,27 B = 101, 55 R = 78,42 = 8604 y = 90, 55. Forme osservate: (100), (110), (010), (001), (111), (111) « I risultati delle misure e del calcolo sono i seguenti : angoli misurati n calcolati limiti medie 100:110 52°,30/— 529,40' 52°,35/ 7 ù 110:010 38, 15 — 88, 25 38, 20 9 L; 100:001 278, 63 78, 42 10 È 110:111 43, 11 — 43, 86 43,23 4 + 111:001 27,51 — 28, 00 27,53 6 si 010:100 89, 05 — 89, 13 89, 09 8 899,05 010:001 IE S098 75,274 2 75, 27 110:001 OST 70007 4 71, 16 100:111 63, 41 1 63, 45 111:010 55, 23 1 55, 64 100:111 570 = 52 57, 40 6 57, 38 010:111 5, 14 — 75,26 75,20 4 15 DI 001:111 35, 55 — 36, 19 36, 07 6 36, 04 111:110 97, 28 1 97,32 111:111 49, 16 1 49, 23. RenDICONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 30 — 228 — « Cristalli incolori, trasparenti, laminari secondo (100). Eccettuata la (100), le altre pinacoidi presentano facce poco estese, specialmente le (111), (110); però le facce di tutte le forme splendono bene e danno al goniome- tro immagini nette e semplici. Sopra la faccia 100, a luce bianca, un piano di massima estensione forma con lo spigolo [100:110] nell'angolo piano [100:110]:[100:111] un angolo di 72°4. « Attraverso (100) esce un’asse ottico. « Cloroplatinato. — Questo composto si deposita sotto forma di un pre- cipitato giallo-carico mescolando le soluzioni concentrate di cloridrato della base e di cloruro platinico. Il cloroplatinato così ottenuto è solubile nell’acqua bollente e si deposita in cristalli giallo-ranciati, brillanti, laminari. Da una soluzione acquosa per lenta evaporazione a freddo si separa in cristalli che affettano la forma prismatica colle facce striate longitudinalmente, forse perchè formati di più individui sovrapposti. In tubo capillare a 250° imbrunisce fortemente e a 257° si decompone rammollendosi ma senza liquefare. « Le analisi della base libera hanno dato numeri che concordano colla formola C*° H!8 0° N? più che colla formola C** H?®° 0? N?. Per i due sali i numeri teorici sono così vicini per le due formole rispettive, che l'analisi nulla può decidere. La base libera analizzata venne seccata a peso costante nel vuoto sull’acido solforico, i due sali invece furono seccati a 100°. I. 0,1778 gr. di base, diedero: 0,3936 gr. di CO? e 0,1258 gr. di H? 0. II. 0,1392 » , ’ 0,3080 gr. di CO? e 0,0984 gr. di H° O. III. 0,1485 » ” ” 15,4 c. c. di N misurato a 25° e 759 m. m. « In 100 parti: trovato calcolato I 108 III per C:? H18 03 Na per C!? H?° 0° N? C 60,37 60,34 — 60,50 60,00 H 7,86. 7,859. — 7,56 8,33 N _ — 11,90 11,76 11,66 0,1568 gr. di cloridrato, diedero 0,0818 di A — g CI. «In 100 parti: trovato calcolato per C1° H18 03 N°, H CI per C1° H2° 0° N® HCl Cl 12,87 12,90 12,80 I. 0,1570 gr. di cloroplatinato lasciò residuo Pt 0,0351 gr. II. 0,2092 gr. ; 7 » » 0,4666 gr. TE: 0X1192N0r. ” ” ” » 0,0262 gr. IV. 0,2750 gr. ’ ’ » n 0,0602 gr. «In 100 parti: trovato calcolato per calcolato per JE DOG II. IV. (Ci2H18*0®N2)? HCI. Pt C14, (C1 H20 03 N)? HCIBt Ci Pi 22,34 22,27 21,97 21,89 21,96 21,92 — 229 — « Le analisi del cloroplatinato I e II furono eseguite sul sale ricristal- lizzato dall’acqua acidulata con acido cloridrico, quelle ai numeri III e IV sul sale precipitato, lavato con alcole ed etere. Le porzioni di sale al n. I e ITI e quelle al n. IT e IV provengono da due diverse preparazioni. « La cantaridina reagisce colla o-fenilendiammina e colla o-toluilendiam- mina in modo analogo ai polichetoni. Questa reazione studiata da Netzki e Kermann (!) e da quest'ultimo più tardi sviluppata (*) ed in lavori successivi estesa a varî composti chetonici, potendo portare qualche luce sulla disposi- zione dei gruppi che fanno parte della molecola della cantaridina, ho ritenuto opera non inutile studiare l’azione di tutte e due le diammine. II. Azione della fenilendiammina. « La cantaridina e la fenilendiammina non reagiscono bene che in solu- zione acetica e perciò ho preceduto come segue. « In un pallone con refrigerante a riflusso ho introdotto 1,96 gr. di cantari- dina con 1,08 gr. di fenilendiammina e 10 c. c. di acido acetico glaciale; portai all’ebullizione che protrassi per cinque ore, tempo necessario per una com- pleta trasformazione. Il contenuto del pallone versai in una capsula e feci evaporare tutto l’acido acetico a h.m. Rimase un residuo vischioso forte- mente colorato in bruno, che per aggiunta di un po' di alcole e rimestato con un bastone di vetro si consolidò in una massa cristallina. Sciolta questa nel- l'alcole concentrato, vi mescolai tanta acqua in modo da ottenere un liquido lattiginoso che, abbandonato al riposo, lasciò separare e raccogliersi sul fondo del recipiente, una sostanza oleosa, bruna, che allontanai decantando il liquido, divenuto limpido, ma ancora colorato. Una nuova aggiunta di acqua determinò un nuovo intorbidamento e dopo qualche tempo la formazione di cristalli. Dopo alcune ricristallizzazioni dall’alcole e scolorando con carbone animale, ottenni un prodotto con punto di fusione costante a 1639. «I numeri dell'analisi della sostanza seccata nel vuoto sull’acido solfo- rico concordano colla formola C'° H?° 0? N?. I. 0,1392 gr. di sostanza hanno dato 0.3656 gr. di CO? e 0,0764 gr. H? 0. II. 0,1774 gr. ’ ” 0,4644 gr. di CO? e 0,0958 gr. H° O. III. 0,1335 gr. ” ” 12 e. c. di N misurato a 14° e 758,3 m.m. «In 100 parti: | trovato calcolato per C!6 H!6 02 N2 IL II. II C 71,62 71,39 — 71,64 H 6,09 6,00. — 5,97 N — — 10,61 10,44 (2) Ber. d‘.d- ch. (Ges: (XX 1322; (2) Kermann, Ber. XXIII, 2446. — Ra « Sostanza neutra ai reattivi colorati, insolubile negli acidi diluiti. Si scioglie nei solventi ordinari ad eccezione dell’acqua in cui è quasi insolu- bile anche a caldo. Da una soluzione alcolica si ottiene in cristalli in colori inalterabili all'aria. III. Azione della c-toluilendiammina. « Coll’o-toluilendiammina ho proceduto in modo identico come colla fenil- endiammina, salvo che l'ebullizione fu protratta per 7 ore prima che la tra- sformazione fosse completa. Anche in questo caso il residuo della evaporazione dell'acido acetico, nel cui seno si compi la reazione, è una massa bruna che si consolida col rimestamento e qualche goccia di alcole. « La depurazione del prodotto della reazione riescì però più laboriosa che con quello precedentemente descritto. Del resto fu effettuata nell'identico modo. Il punto di fusione costante è situato a 180-181°. «I numeri ottenuti coll’analisi corrispondono sufficientemente a quelli richiesti per la formula C1° H!° 0? N?. I. 0,1584 gr. di sostanza diedero 0,3646 gr. di CO? e 0,0834 gr. di H° O. II. 0,1158 gr. ” ” 0,3074 gr. di CO? e 0,0702 gr. di H? O. III. 0,1716 gr. ” ” 14,6 c.c. di N misurato a 14° e 758,3 m. m. « In 100 parti: trovato calcolato per C!" Ht? 0? N° I II. III. C 71,84 72,16 — 72,94 H 0:09 0,70 e 6,38 N -_ — 10,1 9,92 « L'aspetto e le proprietà di questo composto sono del tutto simili a quelle del derivato della fenilendiammina. Presenta la stessa solubilità ed insolubilità negli stessi solventi ed in fine è neutra ai reattivi colorati ». Chimica. — Sulla scissione delle ftalidi per azione degli alcali caustici. Nota di Pietro Gucci ('), presentata dal Socio CANNIZZARO. «In un lavoro eseguito in comune dal prof. Cannizzaro e da me (2). fu ottenuto un acido monobasico della formula C,1 Hio 04. « A quest'acido, per la sua origine, per il suo comportamento generale (1) Lavoro eseguito nel laboratorio del R. Istituto chimico di Roma. (2) V. questi Rendiconti pag. 149. — 281 — e, più di tutto, per essersi scisso nettamente coll’azione della potassa e della soda caustica in acido isoftalico ed acetone, fu assegnata la formula di struttura CH CH; CH, ANTI HC NES HOOCT— C | 0° NA Xx / CH considerandolo come una dimetilftalide carbossilica, o acido dimetil-ftalid- carbonico. « Si sa dalle ricerche di Baeyer e Burkhardt (!) che la fenolftaleina fusa con potassa si scinde in diossibenzofenone ed acido benzoico; e dalle ricerche di Hemilian (?) che l’acido difenilftalidcarbonico, pure fuso colla po- tassa, sì scinde in benzofenone ed acido isoftalico. « Io mi sono proposto pertanto di studiare se anche le ftalidi sostituite da radicali alcoolici si comportino realmente in modo analogo, come dal prof. Cannizzaro e da me è stato supposto attribuendo al citato acido C,1 Hi0 0, la formula sopra indicata. « La dimetilfatide, essendo per la sua costituzione il composto più vi- cino a tale acido, è stato l'oggetto delle mie prime ricerche. « Preparai la dimetilftalide col processo iniziato da Wislicenus (8) e applicato poi da Kothe (‘). A tale scopo ridussi l'anidride ftalica (gr. 65) pura dal p. fus. 128-129°, in polvere impalpabile e la mischiai intimamente con polvere di zinco liberata il meglio possibile dall’ossido di zinco e dal- l'umidità. « Misi tale miscuglio in un pallone e vi aggiunsi gr. 130 di joduro di metile seccato col cloruro di calcio di recente fusione. Unii il pallone con un refrigerante a ricadere munito di chiusura a mercurio (la colonna del mercurio era cm. 65) e scaldai a bagnomaria per una settimana, fino a tanto cioè, come Kothe suggerisce, non rifluiva più joduro di :etile. A quel punto venne rotto il pallone ed il prodotto della reazione triturato e distillato con acqua finchè passavano gocce oleose. Dal distillato potei ricavare estraendo con etere, oltre 6 grammi di dimetilftalide purissimi. in grossi cristalli affatto scolorati, con tutti i caratteri descritti dal Kothe e col punto di fus. a 68°; mentre il Kothe stesso dice di avere ottenuto solo 12 grammi di prodotto puro da 200 gr. di anidride ftalica. (1) Ber. XI, 1299. (2) Ber. XIX, 3068. (3) Ber. XVII, 2178. (4) Ann. 248, 56-59. — 292 — « Introdussi la dimetilftalide così preparata (gr. 2) e seccata nel vuoto, in una stortina con circa 5 gr. di soda caustica pura e un poco d’acqua, tanto da avere una soluzione omogenea, e poi scaldai lentamente a bagno d'olio fino a 200°. Distillò la più gran parte dell’acqua, rimanendo un residuo solido, perfettamente bianco. Durante questa distillazione non si avvertì odore di sorta. A questo punto unii la stortina con un piccolo collettore tubulato, comunicante per mezzo di una bolla ad acqua e di un tubo a sviluppo di gas, con una campanella capovolta e ripiena d'acqua. Raffreddai con ghiaccio e sale il collettore e con ghiaccio la bolla. Ciò fatto sostituii al bagno ad olio uno di lega di stagno e piombo e gradatamente andai aumentando il riscaldamento. Intanto continuava a distillare dell’acqua e quando la tem- peratura del bagno fu verso i 250°, comparvero lungo il collo della storta strie di liquido con minutissime gocce oleose; quando la temperatura del bagno fu verso i 300°, cessò ogni segno di reazione e rimase nella stortina un residuo gialliecio di aspetto omogeneo. Non si svolse mai gas. « Il liquido del collettore mandava spiccatissimo l'odore dell’acetone e ridistillato in presenza di carbonato potassico secco, mostrò il punto di ebol- lizione fra 57-59°, si combinò col bisolfito di sodio svolgendo forte calore e riottenuto dalla combinazione bisolfitica per distillazione con acqua e carbo- nato sodico, dette coll'aldeide ortonitrobenzoica e soda caustica diluitissima l’indaco azzurro ('). « Non resta dunque dubbio che tale prodotto fosse acetone. « La materia oleosa era in quantità piccolissima ed aveva l'odore di quella materia oleosa che si forma sempre quando si prepara l’acetone anche cogli acetati purissimi. « Il residuo della storta fu ripreso con acqua, in cui si sciolse comple- tamente, ed il soluto fu acidulato con acido cloridrico che dette luogo ad un abbondante precipitato bianco. Estrassi con etere e disciolsi il residuo etereo nell'acqua bollente; decolorai con carbone animale e feci raffreddare. Si separò una materia bianchissima voluminosa in lamelle cristalline che rac- colsi su filtro, lavai con acqua fredda e seccai nel vuoto. Fondeva a 121- 121,5° come l'acido benzoico purissimo e come questo sublimava in lamelle e prismi lucenti ed untuosi al tatto. I vapori possedevano quell’odore proprio dei vapori di acido benzoico, odore irritante che provocava la tosse. Scaldato con calce dette benzina. « Pesava gr, 1,01. Dalle acque madri , estraendo con etere, potei rica- vare altro acido benzoico che in tutto arrivò a formare gr. 1,21 (quant. teor. per gr. 2 di dimetilftalide gr. 1,50). « Mi sembra dunque dimostrato che la dimetilftalide nelle condizioni de- scritte si scinde nettamente in acetone ed acido benzoico. Questa maniera di (1) Penzoldt Fr. 24, 149. — 299 — scissione, conferma la formula di struttura data dal prof. Cannizzaro e da me al surricordato acido C,1H1004, corrispondendo perfettamente alla costitu- zione già assegnata alle ftalidi. « Il Kothe facendo agire la potassa concentrata sulla dimetilftalide alla temperatura del bagnomaria (!), ottenne il sale potassico dell'acido ortoossi- isopropilbenzoico Cs RA la cui formazione servì a dimostrar- gli la natura lattonica e con ciò la costituzione asimmetrica della dimetilfta- lide: quindi si può ammettere che anche colla soda si formi dapprima il sale analogo secondo la seguente equazione : vati gala 00): (CHa): CH VO -+NaH0O = CH, NA \cooNa Dimetilftalide Ortoossiisopropilbenzoato di sodio e che questo si scinda poi in acetone e benzoato alcalino secondo lo schema 9, CH» “o Son n LE COONa « Trattai la ftalide Duo con idrato sodico in modo eguale a quello sopra descritto; ma non ottenni l’acido benzoico e l'aldeide formica come avrebbe dovuto avvenire se la scissione si facesse come nella dimetilftalide: ottenni bensì acido ftalico in quantità, si può dire, teorica e idrogeno puro. In questo caso dunque è avvenuto che il gruppo alcoolico primario formatosi nella prima fase più reazione LEO CHESOHI Ce pc DI + IN 180). ==; MOI a ita Ortoossimetilben- zoato di sodio. in luogo di distaccarsi, è diventato gruppo carbossilico. « L'acido ftalico lo riconobbi perchè scaldato si scisse in acqua e nella sua anidride la quale fondeva esattamente a 128° e colla resorcina dava la resorcinftaleina. « Continuerò l’esperienze colle altre ftalidi alchiliche, sperimentando anche l’azione dell’idrato di potassio ». (®) Ann. 248, 59-60. — 234 — Chimica. — Sulla struttura fumaroide e maleinoide di alcuni derivati della santonina. Nota di G. GrASSsI-CRISTALDI, presentata dal Socio CANNIZZARO. « La grande analogia esistente tra le Iposantonine ed i Santononi, e quella ancor più evidente tra i rispettivi ossi-acidi corrispondenti, mi ha fatto sup- porre fin da principio che i Santononi siano il risultato dell'unione di due identici residui iposantoninici, legati insieme per mezzo dell'atomo di car- bonio che nella santonina è in forma cetonica. « La trasformazione degli acidi santononico ed isosantononico, per elimi- nazione degli elementi dell’acqua, nell’Iso-santonone, dice chiaramente che questo lattone è la forma di combinazione stabile, come è la stabile quella dell'Iso-iposantonina, analogamente generata dagli acidi iposantoninico ed iso-iposantoninico. « Inoltre, il fatto notevole che per azione dell'acido cloridrico e dell'alcool metilico tanto sul Santonone, quanto sull’Iso-santonone, si genera lo stesso etere metilico e, per conseguenza, lo stesso acido corrispondente, reazione che trova il perfetto riscontro nella genesi dell'acido biidro-santinico dall’Iposan- tonina o dall’Iso-iposantonina, dice pure chiaramente che la causa della trasfor- mazione del Santonone nell'Isosantonone e dell'Iposantonina nell’Iso-iposantonina debba risiedere in quel gruppo di atomi di carbonio costituenti la concatena- zione lattonica; e che, eliminato l'ossidrile alcoolico, cessi questa causa di trasformazione dell'uno nell'altro isomero. « Ora, dallo studio delle proprietà degli acidi iposantoninico e santono- nico, risulta che essi sono stabili al punto che il primo perde gli elementi dell’acqua a 100° e l’altro alla temperatura di fusione (215°); mentre invece gli acidi iso-iposantoninico ed iso-santononico si trasformano nel corrispondente lattone a temperatura ordinaria ed in poche ore. La interpretazione più fa- cile che si presenti per spiegare questo loro comportamento, si è quella di ammettere che nei primi ossi-acidi la distanza tra l’ossidile alcoolico ed il carbossile sia maggiore di quella esistente nei secondi, pur mantenendosi la posizione relativa atta alla eliminazione dell’acqua. « In altri termini, limitandoci alla considerazione di quel gruppo di atomi di carbonio impegnati nella concatenazione lattonica, nella forma stabile si può ammettere che abbiano la disposizione I, e in quella labile la II. CH; CH; COOL CH dH—000H cn tn noi Ilva I 1I Do; — « Dove nella I il carbossile può trovarsi nello stesso piano dell’ossidrile alcoolico e dalla parte opposta, oppure su un piano che faccia un dato angolo con quello in cui sta l’ossidrile; nella II invece si troverebbe nello stesso piano e dalla stessa parte in cui trovasi il detto ossidrile. « Allora, considerando dapprima i composti più semplici, gli acidi ipo- santoninico ed iso-iposantoninico, senza ricorrere alla rappresentazione ciclica, e prescindendo anche dalla loro configurazione nello spazio, potrebbero seri- versi così: CHs CH; SH—©=C—CH,—CHs 497 CHES=0=CH=0Hf DO C I CH» Lù ila I H—G | CH» o | CH—-C=C—CH— CH —CH.CH; CH—-C=C—CH —CH —CH.CH, OH OH COOH acido ipo-santoninico acido iso-iposantoninico (forma stabile) (forma labile) e i lattoni corrispondenti quindi sarebbero : UH; CH; CH—C0=C--CH,—CH, 50 CH—C=C—CH,.—CH, Il IT ice || i | CH-C=C—CH —CH.+CH-CE, CH—0=C—CH —CH —CH.-CH; i | CH, | O - (-=—====00) iposantonina iso-ijposantonina Talchè la trasformazione dell'acido iposantoninico in Iso-iposantonina si spie- gherebbe facilmente, ammettendo che il carbossile dapprima faccia una ro- tazione attorno al carbonio cui sta legato su un piaao perpendicolare al piano del foglio della carta e poscia avvenga la chiusura lattonica della catena. Il fatto che dall’Iso-iposantonina o dall’acido iso-iposantoninico non si è po- tuti finora pervenire all'Iposantonina, resterebbe così evidente da per sè, in quanto che prima che il carbossile faccia la detta rotazione in senso inverso, già si trova nella posizione più favorevole per eliminare gli elementi del- l'acqua con l'ossidrile alcoolico. « E servendomi della nomenclatura proposta da Baeyer('), chiamerei /uma- roide la forma di combinazione adottata per l'acido iposantoninico, e w24/24- noîde quella adottata per l'acido iso-iposantoninico. Estendendo quindi queste (1) Annalen, 245, p. 103. ReNDICONTI. 1892, Vor..I. 2° Sem. 51 — 236 — considerazioni agli acidi santononici ed ai lattoni corrispondenti, essì potreb- bero essere rapppresentati così : CH, CH, HO-C0 ene —— | —C=C—CH,—CH, COOH | | | CH;-HC—-HC—-CH—C=C-CH HC—C=CT—CH—T—CH— CH. CH; | CH, CI | OH OH Forma fumaroide dell’acido santononico CH; UH; n 1 “E = (O ou CH..-HCT-HC-CHT—C=-CT—CH HC—C—=C—CH— CH— CH -'!'CH; | CH, cd dl e o O LI Santonone CH, CHy | | | CH; - HO ——-HU-CH —C0= C0AH CS C=C—CH — CH- CH. CH; | CH, CH, COOH OH OH Forma maleinoide dell’acido iso-santononico COOH 0 CH; H,C—CH,—C=C—-C_-—T—CT—0=CT—CH,—CH, | CHOHE- a pon: 2 Lai HO—C=0—CH— CH—CH.GH | CH, | 0 pense > 1g Tso-santonone CO « Per azione dell'acido cloridrico, eliminandosi in definitiva gli elementi di una molecola d'acqua tra l’ossidrile alcoolico e l'idrogeno del carbonio adiacente, il carbossile assume la sua posizione relativa stabile (non sto a discutere quale possa essere tale posizione) e si genera uno ed un solo acido. Intendo dire l'acido attivo, in quanto che nell'azione protratta dell'acido cloridrico che tra- sforma l'acido biidro-santinico attivo in quello inattivo (!), molto probabil- (1) Gazzetta chim. ital, vol, I, p. 28, anno 1892. — 237 — mente deve avvenire, come si è detto nel lavoro fatto in comune con Gucci, una trasposizione molecolare. « Ma v'ha di più. Nelle Iposantonine e, per conseguenza, nella santonina, la formola di costituzione proposta dal prof. Cannizzaro e confermata dalle esperienze eseguite da me e da Gucci, non presenta alcun piano di simmetria, e conduce alla considerazione di tre atomi di carbonio dissimetrici segnati cogl’indici 1, 2, 3. H=C=©=0h=CHS | | | | | È a». (G=(0=0==El == GIsis(o8E CH; (O Iso-iposantonina Di questi tre atomi di carbonio, in seguito all'azione dell'acido cloridrico, due perdono la dissimetria, e precisamente quelli cogl'indici 1, 2, e ne resta un terzo che impartisce l’attività ottica agli acidi biidro-santinico e santinico (!). « Nel Santonone ed Iso-santonone abbiamo per conseguenza sei atomi di carbonio dissimetrici e la formola di costituzione condurrebbe a pensare che, essendo l'una metà eguale all'altra, costituirebbe un sistema di due forme enantiomorfe o simmetriche in rapporto ad un piano e che vi sarebbe la pos- sibilità di incontrarsi con derivati inattivi. « Non volendo quindi ammettere la enantiomorfia tra le due metà della formola di costituzione, potremmo rappresentare, senza sviluppare tutta la for- mola stereo-chimica, col seguente schema, ad esempio, l'ac. bis-diidro-santinico : CI, | | CHs COOH È i 3 | CHz: CH —U = CH —C—0—C — 0_0-C_CH —C—CH-CH; COOH CH, CHI « Naturalmente le due metà possono stare sullo stesso piano o su due piani facenti un dato angolo ». JE I (1) Memoria citata pag. 35. ved Aoo ARI EONIO SACE “EIA — 239 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA AR. ACCADEMIA DEI LINCHI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 2 ottobre 1892. DAO_____ 3 3 =) e integrando avremo (9) yw=log(9+6°—1) se 01 (10) w= arco sen @ se 01. « 4. Ciò premesso osserviamo che si potrà prendere nella (8) sie avvertendo di prendere il segno superiore o il segno inferiore secondochè siamo nel primo o nel secondo caso, affinchè la funzione risulti reale. « Ma sopra C abbiamo = (0 o t) 7, quindi D° DIE Xel0- Spia #0 onde la (8) si riduce a ovvero (11) (Mo sa) n glad) (QUINTE Jil = dr s{ £ +/( 7 ) 1)}dc : — 269 — « Facciamo tendere indefinitamente verso zero il raggio e del cilindro c. Avremo Lt ui ara i | Ti lim (| i ped Ale RHbIRE n i) Dale 200 ( V(& i {— e dr E E ) ti E 2: (40 y, bd, lo = De. Il il dr lim Qg= i + 1 DI e=0 fi v V(—i*— pe dN r V(4 — i°—r° d7 Pene vi A Mea e MI) vs(-( 7) )+] ( 7) ) 1) wai, ale chiamando £ la coordinata { del punto d'incontro dell'asse 4 colla superficie o. « La formula (11) diviene quindi al limite È Ca E î, '& = DUE it dI la ARC 3Yn36) di =I v( Va) rr Vr DE gf bf (fe TSE, {on dd dI IU do r % di dm da dn dYy dn ) R « Derivando rispetto a /, si otterrà Lada 1 Di O e CA a ali is td ht / th DWIT IVI ul iz 2 Toglf — — |} SII 2rt I ( ( r H ( r ) i di dn IILM dI i « Ora osserviamo che sl) è nullo lungo il contorno di 0, quindi 2 i DÀ N° _\/aud dvIa dv da I enni) ( PRES de ANT 2f (= TI È ] ( r ) ; (S Pebinz ani dy da (10 ee a ZLI da Roger PR, e perciò la formula sere sì potrà scrivere ti, Lt d7 y SI = o lr” 5 o rd lr 9 sla Ud VIE dw da) no do V pa n DARA dv III do doro — « È questa la formula generale a cui volevamo pervenire. Essa esprime w(41Y,t) mediante i valori di w e delle sue derivate lungo la superficie o. « 5. Mostriamo ora che la formula di Poisson è un caso particolare della (12), come pure sono casi particolari della formula stessa le (1) e (2). « Si supponga dapprima che la superficie o sia il piano Ly. È | (21 Yi È ) C, | De A | a Y i i (00) | | I i METE) « Avremo allora che o si ridurrà ad un cerchio di raggio |t,| Oltre a ciò si avrà sopra o DI; per conseguenza la (12) diverrà RAND Tal SA (AE ywdo = Vi 7° Li (Aralcaio Sa e] che non è altro che la formula (6). « 6. Si supponga ora di essere nel primo caso e che o si riduca ad un cilindro y colle generatrici parallele all'asse #, limitato da un piano w normale alle generatrici stesse come lo indica la fig. 3 che rappresenta una sezione (0) fatta con un piano passante per 4. Inoltre si ammetta che la intersezione di o col cono C appartenga al cilindro y. « In tali ipotesi avremo sopra y e sopra © b=- cost: —0ff dr OLE « Quindi chiamando s il contorno di ©, la (12) diverrà o 1 1 1 dw 13 SEUIISIÙ, === d +— EEE -do+ ( ) V( Yi e dar DS TO = perdi (09) Di di TRe® 1 i-t dY 1 1 dY pe ll ____ _ SZ yy, = Si = 276 dh (Cee: PA Vo er am Id 1 dY ZIA do + 2a esi au sel » tir ti—Y - DA Gel gg | PR Ie mM > Vr i? — rp? GEE — p? dn lo — On — « Ponendo f——/=v, ahbiamo t—r sa) ti o V(i—-b)*—r? dn 3 t,=t0 — sos AURA ra VU; ; a|v (&, yi — )j xa ati ti=lo » sli ee) — 1 dr d Ù at d == ZON (7, y, th—u)= PM DA V@a—i) —r 7 ELADIAI Vu — r° to (dir RE du put Da (2, y, tv) er — pe e per conseguenza la (13) potrà scriversi 0 169) 1 (14) W(21:7 0) = 2a di = A to) do+ l'o y (ib) td) 1 2a IE 7° ti-to tito du d du ) Al A 0 ine, | rr «7 Supponiamo che o si riduca ad un cilindro y limitato da un piano @ e che la intersezione di o con C appartenga a y, ma ammettiamo di essere nel secondo caso come lo indica la fig. 4; allora, ripetendo un calcolo per- fettamente analogo a quello fatto nel $ precedente, si giunge alla formula Wo (4,Y, i) du + VED 1 — 2 dd STA — Er? == sb) dm no a ere (=)? = (1 y 0) ipa tota d du "TOR L (ata fo (i Y, +) Ta — W(x, Yy, btu) di di DSG dn sto a Vu 7 (15) W(£17 Ya i) (7° Y to) da — / — 272 — « Le formule (14) e (15) che abbiamo ora ottenute comprendono evi- dentemente le (1) e (2). « Supponiamo dapprima che per valori di inferiori ad un certo limite, w (@, y, 2) si annulli; w allora basterà prendere nella (14) h=— 0 per- chè essa si riduca alla (1). Y «Se ammettiamo poi che w(x, y, 4) sia eguale a 0 per valori di / sufficientemente grandi la (15) dà luogo alla (2) prendendo f=c%. « 8. Passiamo ora a dare delle formule più generali delle (3) e (4) procedendo con un metodo analogo a quello seguito nei precedenti (Q1,Y,t) paragrafi. «A tal fine mediante una superficie o li- mitiamo uno spazio esterno al cono C adiacente Fic. 4. al vertice e togliamo da esso la porzione inclusa nel cilindro e di rotazione di raggio « avente per asse a. Chiamiamo $ il solido così ottenuto. | | | I I | | | | | | | | | | | I | I I Ì I « Il piano @ avente per equa- zione £ = #, divide ciascuna delle figure S, o, c, C in due parti che distingueremo ponendo alla lettera o corrispondente uno o due apici. Faremo la convenzione che i punti corrispondenti alle parti contras- segnate con un apice abbiano una coordinata £ superiore a #,; quelli corrispondenti alle parti contras- segnate con due apici abbiano una coordinata / inferiore a 7, (!). « Ciò premesso la formula (7) applicata agli spazî S' e ST dà CÈ dI dx IT DE INIT IM IL) digita (0a {e VAAEZZO ug dn zi; atm IaM dy Mm i 91 CAPILIV DI { di 2) a -( (1 DATE Te) de ((v2 Xp de La di I, ui nl e/0 (3) WIT dd dh (17) 0= v dadi dx IT MU) (3 di ME IU 4) o din daN dYyM dida dem dy da, là | | | | | | | A A x i Sira ZI n N V O | | I a | IBIGRo. (o all d BI dA 2 ni ( d Dod —- ww MORS 2—y de'— eo da ( (: dh 3) 5 {e dor DA GAD DUI i cl î (1) Vedi la fig. 5 che rappresenta una sezione di S eseguita con un piano passante per 4. — 2 — chiamando C,°, C,”, @, le parti residue di 0’, C”, @ togliendo quelle incluse entro €. « Prendiamo ora nella (16) = Pron cone. LL 20) 7 2 (Vedi $ 3, form. (10)). Avremo sopra C' = =. 3 « Quindi chiamando £' il primo integrale che comparisce nella (16) po- tremo scrivere questa equazione | 1 ih i A) = P4L === :C0 $ SENI 7 0 ti vw Sari + (arco sen — 9 ) > de + « Facendo impiccolire indefinitamente e, il secondo termine della espres- sione precedente tende verso zero, perciò al limite avremo (16) del gie + (61 + Pi) de. « Analogamente poniamo nella (17) —f, Si TT Va 2 y== arco sen si otterrà analogamente , "I d 17) oete - (( (vi 33) de chiamando £" il primo integrale che comparisce nella (17). Sommando membro a membro le equazioni (16°) e (17°) si otterrà DE da=0 (18) AES, nella quale potremo scrivere \ 1 O CESEN el Le a (9) { (1r-(-4)? (54 rd n i dI dI dW dI FADO) VCO. Miu (Fedi aurea do Iv dee gg 24 d; dt dn ded dYyIn dI, did dm dy du Gi ReNDICONTI. 1892, Voc. I, 29 Sem. 36 — 274 — « Osserviamo ora che la (18) vale comunque si prenda 7,. Derivando.a rispetto a 7, otterremo dunque 6 / II dY (20) (+0 dan de « Ma, come resulta facilmente, d ; d° TR È n RAIL sen(/2) ad denotando con / la intersezione di o con a. « Tenendo presente la (19) avremo poi È) n " dW di dYW dI dY dY dl ren (e-R i di a \ddn den dydw sen(@) ì 2 REANEZAIOA an Vre-(A) (H+ VD my do 1 UD IMI WY ai = EZIO Je) di dn dI dyn « Perciò la 29) sì scriverà d 1 dt, hw 21 da —__—-=— _f DE do GO Di Ve a r D)y e 1 Udi MIT IWy [= Zena)? mi- dan dedn dY 3) dea ( (È de IV 2 dl DRS, +: — PLL, ‘0. ( da i dy dn GO MELA AT Ù « Abbiamo 1 _cosna PRIA COS7Y - 22 — cong = È; 2 n= SM = = G D3 da su} sen((a) — dv dm sen(/2) sen(ér) DI essendo v la normale ad / situata nel piano @, diretta verso l'interno di «. Tenendo conto della relazione dY Di: d°Y Id? i AMI l’ultimo termine della (21) si scriverà (IV ARC o dA) ET di + ) n ay da O7r O che per il lemma di Green sappiamo essere eguale a zero. Otteniamo dunque la formula di Il S it, 07 di JN (a) \dr r | 1 DC di dda ay dI) de si: do Sr ae\dt dm ded dy dn « 9. Poniamo (23) È) ywdo + « Si verifica facilmente che Ewa ro—u?\ du A dà x = | log "=; - log 7°. arco sen ; ROD VTEETE n di soddisfa l'equazione (5). Quindi potremo prendere nella (16) x=n—f(1)— 5logr. « Poichè y risulta nullo sopra C", così nella (16) sparirà il secondo in- tegrale. Facendo impiccolire indefinitamente e, il terzo integrale tenderà verso zero; quindi chiamando 27’ il primo integrale, avremo (16) va {[ece+( + ( (1) +17 | Di [de = 0. « Analogamente prendendo nella (17) x=x+/(1)+ lgr e chiamando Z2"” il primo integrale otterremo w (|a £ (/ (1) + log DE Di lla =(0) onde sommando questa equazione membro a membro colle (16") risulterà (24) ui ui to gl (0) + log Ae Ga « Ma questa eguaglianza vale qualunque sia /,, perciò derivando rap- porto a %,; si avrà d ( rr d TT dU i LL Il = i == n fa vi € o, {0 9 logr)3 da = 0 — 276 — « Abbiamo ora r°_ (It JE 1 dI Il de I II! — | 1 mì = (= i-* DE pr SL se( CE, Vr (1-1)? vw POR re th (th it |{Iwor PM Doe e Jr LS n + log 7 arco sen —T 3 7 Di er eco) do + dI IM dy da {IWA U èd i # F(1)+-E log r)(fE dda da do' — dd _dIM dy dn, LD. VI du dI 2 È ri TA (10+5xg7) DOD De UTI) dg 2 di dn dI MN. dY dD quindi derivando otterremo PE) 1 Ad culo IW-- 1" ] ! ( 1 ) A CLLAGR 12) } x Di Z {el Ta Vr= (= Ps CGS) va. nd desta (3 dr 1 fin rr LE PZ Il Udi IMI IMI v log(| (4 1) ) I IE IU ge È P th) dI dn dae dm dy dn rg e ; dm sen(tn) -2 (0471 r)(EX Suda _ EI) dl è) de Renee) Va (40) ul « Inoltre si ha d TE oo 7 liga — F(1Nal PESI 3 [(r0+ Fue)itar0f , dt dn sen (tn) Ò IT | Ud ds IRR) +{ dI dt 2( jeca dI dn sen sen (#0) dea ai — 277 — « Avuto riguardo alle relazioni (22) ed al lemma di Green, la (25) potrà quindi seriversi I / ent )a) DAtoon Cc snf,e(È di (3; pae ia Lina 1 r_MmyYr—(-1) da log(— (2h) ai (Me d Iwa _W Udo + È 7 INr—()\ dI dn ded dY N 2 2 +2) ( (er 30 p 3leE2) dl + lr(a ca sl E) del—0. /1 = Wdo + dv dw dY ) « Ma pel teorema di Green, il termine scritto nell'ultima linea è eguale a 21°4(41,Y, 0), per conseguenza otteniamo finalmente la formula aux, IS A 1 Vi 2) | (27) —2n o(e19. =>. (e( P lhi ) AN ydo JE) 1 - 3 lea DM w do DS 3 7 INK) je ti 1 Ds PIANEA IL de (P Vr) di mn dI N dy dn “ Dio che la superficie o si riduca ad una superficie cilindrica avente le generatrici parallele all'asse 7 le due formule (27) e (23) si ridu- cono immediatamente alle (3) e (4) ». Fisica. — Influenza del magnetismo trasversale sulle varia zioni di resistenza del ferro e del michel magnetizzati longitudi- nalmente (!). Nota del dott. M. CANTONE, presentata dal Socio BLASERNA. « In altra Nota (*) ho esposto i risultati di alcune mie ricerche Sulle variazioni di resistenza del ferro e del nichel nel campo magnetico, mo- strando che per i fili come per i nastri di questi metalli, concordemente a quanto si era trovato per le lamine, si produce aumento di resistenza nella posizione /orgitudinale, cioè quando quei corpi sono disposti secondo la loro lunghezza nella direzione del campo, e decremento nella posizione fr’asversale, (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di fisica della R. Università di Palermo. Settem- bre, 1892. (2) Rend. Acc. dei Lincei, I, 1° sem., 1892, p. 424. ue — e facendo notare come la mancanza delle opportune cautele possa in questo secondo caso portare a risultati opposti a quelli da me avuti. « Per fili di ferro e di nichel disposti /ongitudinalmente si è trovato dai varî sperimentatori che hanno fatto ricerche in proposito, aumento di resi- stenza, eccezione fatta dell’Auerbach (!), il quale studiando l'influenza della intensità della corrente che attraversa i fili di ferro e di acciaio magnetiz- zati longiiudinalmente trova che in alcuni casì la resistenza aumenta, in altri diminuisce, e sviluppa una teoria per dare spiegazione dei fatti osservati. « Or siccome nelle mie precedenti ricerche non si è resa manifesta alcuna azione del magnetismo trasversale, dovuto al passaggio della corrente, sul fe- nomeno delle variazioni di resistenza nel campo magnetico, ho creduto oppor- tuno riprendere l'esame della questione, e qui mi permetto di comunicarne i risultati. « Prendo le mosse da talune esperienze sul nichel di cui mi sono occu- pato nella citata nota. In essa a pag. 423 si dice che nez casi în cui si sostituì un elemento Bunsen ai due agenti d'ordinario nel ponte non si mo- dificarono sensibilmente i valori delle variazioni di resistenza. « Per mostrare sin dove sia esatta una tale asserzione riporto nella se- guente tabella ì risultati avuti coi fili e nastri di nichel, quando si adoperò nel ponte per una serie la corrente di due coppie Bunsen e per un'altra quella di un solo elemento. Il campo magnetico in quelle ricerche era fornito da un'elettrocalamita messa in azione da una pila di 6 elementi Bunsen. Le forze magnetiche F sono qui espresse in unità assolute (C. G. S.) e le 4, in- dicanti in certomillesimi i rapporti fra le variazioni di resistenza e le resi- stenze totali, sono affette da indici che denotano il numero delle coppie Bunsen impiegate nel ponte. Posizione trasversale. Py® Py;® Zy® Rxy Swy F | Aa | 4, F ZE d, F ZE | di F ZE 4, F | da 4, be | sost 23|— 19] 125|— 30|-- 44| 136|— 29 84| 125|— al — | 128 A dl 602/— 187|— 198| 596/— 198|— 202 591|— 232|— 226| 571|— 7| — | 602|-- 24 16 1046/— 447|— 466|1024|— 427|— 419| 988|— 501|— 493| 977/— 30|— 29/1051|— 68/— ca 1640|— 897|— 911|1584|— 787|— 787|1518/— 886|/— 900|1506|—157|—-169|1631|/—221/—210 :2158|—1194/—1206|2081|-1033|—1051|1967/—1069/—1048|1953|—340|—330|2156/—441|—432 2414/—1256|—1246/2350|—1108|—1123|2233|—1137|—1132|2206|—490|/—475|2403|—590|—587 :2702|—1268|—1262|2633|—1180|—1201|2511|—1167|—1177|2489|—679|—-663|2686|—789/—770 28889/—1288|—1276|2810/(—1202/—1218 Sti —1283 io —748/2885|—907|—902 | (®) Wied. Ann. 5, p. 289, 1878. — 279 — Posizione longitudinale ZERI za Rulezzaleza ie; | nale za ze 27,6] 284| 250 304] 202] 1931 28,7] 2891 300| 27,6) 23 | 259 106,1] 774) 764|112,8| 602| 602]|125,5| 828| 852 |101,4| 645| 647 192,6| 992 |1003 | 212,8 833 | 821|227,2|1140|1073 180,2) 880| 866] 322,0| 1196 | 1195 | 360,4| 1054 | 1059 | 377,8|1341 | 1328 | 305,4|1098 | 1063 451,6| 1317 | 1300 | 493,3|1177 | 1177 | 536,4|1433 | 1383 | 417,6| 1215 |1189 È 1357 | 1381 | 576,2|1236 | 1220 | 618,2|1458 | 1456 | 472,6] 1256 |1216 618,8|1412 | 1410 | 662,5|1272 | 1265 | 695,6|1486 | 1497 | 562,1|1307 | 1252 671,0|1431 | 1435 | 700,6|1296 | 1286 | 738,7|1500 | 1534 | 602,5|1331 |1290 « È notevole, come si vede, l'accordo che presentano i valori di /, e 4, per ciascun filo o nastro; però è da osservare da una parte che i precedenti risultati si riferiscono ad esperienze fatte con forze maguetiche assai grandi, e d'altro canto che dall'esame ora riferito sono esclusi i metalli cimentati dall’Auerbach. Ulteriori esperienze furono quindi intraprese allo scopo di ren- dere completo il nostro studio. « Sì sostitutì per esse all’elettrocalamita il rocchetto usato nell'esame dell'isteresi relativa alle variazioni di resistenza (‘), vi si fece circolare la corrente di una pila Bunsen con un numero di coppie variabili da 1 a 3, ed in ciascun caso si fece variare l'intensità della corrente per mezzo di un reo- cordo: le forze magnetiche alle quali assoggettai i fili riuscirono così com- prese fra 4 e 80 u. a. « Con un magnetometro si procedè alla misura della intensità magnetica suscitata nel corpo che si cimentava dal rocchetto per le varie intensità di corrente che in esso circolavano. « Per la misura delle variazioni di resistenza operai col nichel come nel caso delle precedenti ricerche (?), usando cioè un ponte a cassetto di Carpen- tier, che mi permetteva di misurare direttamente i centesimi di 0/7 e di apprezzare con sicurezza, per mezzo della scala di un galvanometro Deprez e d'Arsonval annesso a quell’apparecchio, i decimillesimi di 04m. Nel ponte agiva una pila di elementi Bunsen variabili di numero da 1 a 3. « Le esperienze si condussero nel modo seguente. Allo scopo di eliminare le incertezze cui potevano dar luogo le prime magnetizzazioni, si cominciò col (1) V. Rend. Acc. dei Lincei I, 2° sem. 1892, p. 119. (?) Per maggiori dettagli V. 1. c., p. 120. — 280 — far passare per il rocchetto la corrente di massima intensità, per modo da fare acquistare al conduttore in esame il massimo magnetismo residuo di cui era suscettibile relativamente al limite più elevato di forza magnetica cui in seguito lo si sottopose ('). Si produssero quindi le serie di magnetizzazioni per forze crescenti con tre coppie nel rocchetto ed una nel ponte, e si deter- minò il valore di si di ohm in divisioni della scala del galvanometro. Ag- giunto poscia un elemento al ponte, si ripetè la serie di magnetizzazioni e si cercò il nuovo valore di quella resistenza. Allo stesso modo vennero condotte le altre serie nell'ordine con cui sono indicate nelle varie tabelle. « Quella che segue riguarda le esperienze eseguite col rocchettino di nichel R,,. Per ogni forza magnetizzante nelle diverse serie si fecero tre o quattro determinazioni di variazioni di resistenza, e poichè si ebbero nei sin- goli casi valori assai concordanti per gli spostamenti letti sulla scala del gal- vanometro, vennero registrate nelle colonne 4 le medie delle anzidette letture. La stessa tabella porta oltre nella prima riga orizzontale l'indicazione del numero di coppie che agivano nel rocchetto magnetizzante e nel ponte me- diante appositi indici apposti rispettivamente alle lettere R e P, che servono a denotare corrente al rocchetto e corrente al ponte. Nichel Rs IRA 3 IPS Rs P3 Ri Pi |A ASKTO8| Ea AMAZON A A VAS 5e6 n & 2 © È % Nitrato di cinconamina LE, e Condizioni 23 ie della D = |22 | disseccato a 100 sie O MO. ©. Su n 7 19 3 CalicM= ottenuto | calcolato CIR i precipitazione | I |0,1054|ce. 70 |gr.0,3474 | 0,3742 | 92,88| 7,17} — Soluzioni freddo è neutre, { Reattivo clorid. cinc. 1 oto. II 0,3272| » 70.) » 1,1472 1,2223 93,9 6,1 ) Soluzione cone. boll. di ni- >» tro acida pe 2Ò tico, Reat- III |0,1002| » 70 | » 0,338 OG Sire IV. |0;1006| »:20.| » 08462 | 0,3575 | 96,72] 3,28! Soluzi boll. centr. | V| 0,0997| » 19.» 0,3458 | /0,8548 | 97,5 | 2,5 | di nitro acida por ac. acetico, Reattivo, soluzione bollente VI |0,1004| » 18 | » 0,38442 0,3568 96,92 3,08 di solfato di cinconam. 10 Oto. VII | 0,1008| » 73 | » 0,3233 0,3582 90,0 10,0 « S'intende per volume d’acqua adoperata la somma dei volumi delle soluzioni primitive, della soluzione satura di nitrato di cinconamina e di quel po di acqua distillata colla quale si completava la lavatura del precipitato. Nelle determinazioni IV, V, VI. VII il precipitato di nitrato di cinconamina si raccoglieva in un imbuto cilindrico di vetro con tappo d’amianto e la filtra- zione si aiutava colla tromba a caduta d'acqua. « Dalle esperienze sunnotate riesce evidente che il metodo proposto dell'’Arnaud non è un metodo che dia risultati attendibili. Io non credo sia possibile nella manipolazione adoperare meno di 18 a 19 centimetri cubici di liquido, ed in tal caso si ha una perdita del 2,5 al 3 °/.. Nitrito di cinconamina C!° H?4N?° 0. HNO?. « Mi sono preparato il nitrito d'argento puro cristallizzando dall'acqua calda quello ottenuto per doppia decomposizione fra nitrato d'argento e nitrito sodico. All’analisi dava il seguente risultato : trovato calcolato Ag. /o 70,77 —70,07 70,12 « Con tale nitrito d'argento ho fatto una soluzione 10 di nitrito sodico, soluzione che ho controllato colla soluzione %/,0 di permanganato, il cui titolo era stato fissato con solfato ferroso-ammonico puro. « ] litro di soluzione contiene trovato calcolato Na NO? sr. 6,76 — 6,9 6,9 « D'altra parte preparai una soluzione perfettamente neutra di clori- drato di cinconamina all’ 1°/;, e mescolando volumi delle due soluzioni cor- — 294 — rispondenti ai pesi molecolari dei due composti avveniva specialmente coll’agi- tazione, la formazione di piccoli cristalli bianchi, che bisogna tenere al buio perchè alla luce ingialliscono. « Ho determinato l'acido nitroso colla soluzione “/10o di permanganato potassico; da saggi fatti risultandomi che le soluzioni acquose dei sali di cinconamina riducono il permanganato potassico a freddo ho proceduto all’ana- lisi nel modo seguente: « Un peso determinato di nitrito di cinconamina si scioglie in acqua distil- lata; si mette in libertà la base insolubile nell'acqua con un leggero eccesso di soluzione di idrato sodico puro, quindi il tutto si riduce ad un determi- nato volume, e su parte aliquota della soluzione limpida si dosa l'acido ni- troso colla soluzione “/10o0 di K Mn0*. « Gr. 0,1896 nitrito cinconamina decomposto con Na OH e la massa portata a 100 c.c. 10 c.c. della soluzione limpida richiesero c.c. 11,2 di soluz. “/100 K Mn 0* 15 c.c. della soluzione limpida richiesero c.c. 17 di soluz. “/100 K Mn 04 ossia in 100 parti. trovato calcolato HNO® 13,77 — 14,02 13,7 « Il nitrito di cinconamina cristallizza in piccoli prismi che fondono decomponendosi a 174°. Si scioglie facilmente nell’acido cloridrico e solforico diluiti, meno nell'acido acetico: T. gr. 12,493 di soluzione satura a 13°,8 lasciarono allo svaporamento gr. 0,0734 di residuo. II. gr. 10,38484 di soluzione satura a 10,4 lasciarono gr. 0,0536 di residuo. « Perciò 100 parti di soluzione contengono a 139,8 parti 0,63 di nitrito di cinconamina a 10°,4 parti 0,52 ” ” « È quindi più solubile del nitrato corrispondente ». Paleontologia. — /ossili cretacei dell'Emilia e delle Marche. Nota del prof. CARLO DE STEFANI, presentata dal Socio STRUEVER. « Dopo la pubblicazione de’ miei ,Stvd/ paleontologici sulla Creta supe- riore e media dell’'Apennino settentrionale, ho trovato fossili cretacei in posto in molti altri luoghi dell’Appennino predetto, che accennerò partendo da quelli più settentrionali e dal versante adriatico. « PracenTINO. — Un lembo, che è fra quelli meglio precisati dal punto di vista stratigrafico, lo ritrovai in Val di Trebbia, presso il Perino, rimpetto Pietra Marcia, lungo la strada rotabile, poco più di 150 m. a monte dell'Osteria — 295 — della Posta, passato un primo fossetto, avanti al chilom. 33. L'affioramento, che apparisce sulla strada dalla parte del monte, è ampio appena 8 o 10 m. q. ed è nettamente limitato da ogni parte. Gli strati sono affatto verticali e di- retti da sud a nord perciò sulla strada si presenta quasi solo la superficie di uno strato. Si tratta di un’'arenaria compattissima, calcarifera, con frammenti micacei apparenti e con minutissime traccie di vegetali terrestri, identica in tutto alle arenarie cretacee del rimanente Apennino. Sulla superficie dello strato è un grande Znoceramus Cripsit Mant., rotto pelle pressioni intime alla roccia ma conservante ancora il guscio, e da esso risulta l'età sicura- mente Senoniana della roccia. « Per la difficoltà di levarlo intero ho preferito lasciarlo sul posto. Senza la presenza di questo fossile sarebbe stato impossibile l'attribuire il brevis- simo affioramento alla Creta. « Questo è ricoperto, colla massima delle discordanze, da strati alti circa 5 m. di calcari marnosi ad Helminthoida costituenti la parte più antica del- l’Eocene superiore o la più recente dell’Eocene medio, i quali formano una piccola ma regolarissima cupola anticlinale attorno all'arenaria cretacea. « Succedono strati appartenenti alla parte più alta dell’Eocene superiore ed alla zona peridotifera, cioè, prima, Galestri scuri, alti circa 10 m., nascosti in molti punti da frane, formanti ancora un anticlinale regolare; poi Galestri rossi alti circa 12 m.; questi, a monte, sulla Trebbia, cioè ad ovest, seguitano regolarmente pendenti sopra l’anticlinale, ma ad est invece, verso il Perino, sî rovesciano ben tosto, pendendo 17° e più verso ovest. Rovesciati in tal modo seguitano a levante gli strati eocenici formanti ancora molte pieghe. Succe- dono 5 o 6 m. di arenarie, meno compatte di quelle cretacee, coperte poi da altri galestri eocenici. « Sono a notare l'estrema piccolezza del lembo cretaceo e l’estrema discor- danza sotto l’Eocene, con mancanza assoluta dell’Eocene inferiore e di grandis- sima parte almeno dell'Eocene medio. « Avendo attentamente esplorata la Val di Trebbia credo potere esclu- dere la presenza della Creta in altri punti lungo la medesima ; essa però po- trebbe ritrovarsi in alcune delle vallette laterali. « AIV/. Cripsii ed alla Creta superiore appartiene sicuramente l’Ino- ceramus trovato dal prof. Trabucco sulla destra della Nure, nel Rio Grande, sotto i Bruzzi, da lui figurato ed indicato col nome improprio d'/. suò- cardissoides (1). « Recenti sinonimi dell'/. Cripstî, specie già tanto ricca di sinonimie, sono l'/. Salisburgensis Fugg. et Kast., della Creta superiore di Salzburg (2), (3) G. Trabucco, Cronologia dei terreni detla provincia di Piacenza. Piacenza, 1890. (2) E. Fugger und E. Kastner, Naturwissenschaftliche Studien und Beobachtungen auf und tber Salzburg. Salzburg, Kerber, 1885, p. 77; p. 78, f. 7; p. 79, f. 8 e taf. I. — 296 — e l'/. Haueri Zugmayer dei dintorni di Vienna (!). L'/. Cripsii, che raggiunge spesso dimensioni colossali, varia molto secondo l’età e le parti del guscio, tanto che spesso le parti palleali e le parti umbonali ebbero nomi diversi. « MonTAGNA REGGIANA. — La Costa de' Grassi è nota da molti anni per resti di Acanthoceras della Creta media pubblicati dal prof. Mantovani; più tardi l'Abate Mazzetti notava l'Z. Cripséi ivi presso, a Vigolo, ed ulti- mamente un altro Inoceramus pur dei dintorni. Già prima, da qualche anno, il Mantovani mi comunicava altri fossili trovati alla Costa dei Grassi, nei quali riconoscevo l’Inoceramus conosciuto fra noi col nome di sudeardis- soîdes. Essendo però molto diverso, lo ponevo in collezione con un nome nuovo: nel frattempo Fugger e Kastner(?) pubblicavano l'7. montieuli di Muntigl e Bergheim presso Salzburg, diversissimo dall’. subcardissoides Schluter, tanto pella forma, quanto pegli ornamenti trasversali e longitudi- nali. A quella specie appunto vanno attribuiti gli esemplari di Costa de' Grassi e quelli di Montese nel Modenese conosciuti prima come /. subcardissoides. Gli esemplari di Costa de’ Grassi sono in un calcare; quelli di Montese in un'arenaria come tutti gli altri Inocerami dell'Appennino. « L'I. monticuli di Salzburg pare sia stato trovato coll. C7ipsi in un terreno che apparterrebbe perciò alla Creta superiore, ed insieme con Ostreae, tal quale come nell'Appennino fiorentino; però le circostanze stratigrafiche non fu- rono bene sceverate. Anche a Montese e presso la Costa de’ Grassi a Vigolo fu trovato l’Z. Cripsit della Creta superiore: però l'/. monticuli di quei luoghi potrebbe derivare da qualche terreno un poco più antico la cui presenza del resto è resa certa dalle Ammoniti della Costa. I rapporti generici con altri Inocerami clathrati rendono possibile la provenienza dell'/. monziculi da strati del Santoniano e del Coniaciano, cioè della Creta superiore immediata- mente sottostante al piano ad / Cripsii. L'I monticuli Fugg. et Kast., non ancora trovato altrove in Italia e l’Z. C7ripsi Mant., sono le uniche specie finora note nell’Appennino settentrionale ed in Brianza: la designazione di altre specie fatta con incertezza o sopra esemplari incompleti o sopra disegni, è per ora prematura od errata. « Nella Montagna reggiana, nell’Alta Val di Secchia, trovai, or sono molti lustri, un terreno cretaceo molto importante perchè è il più antico di tutto il versante adriatico dell'Appennino settentrionale e perchè la sua posizione stratigrafica è ben definita. « Deviando dalla strada nazionale Reggio-Aulla, presso il Cerreto del- l’Alpe, e di qui salendo verso Cavursella, giunti in cima al crinale che separa la valle del Cerreto da quella del Riarbero, nella pendice settentrio- nale del Monte Maccagnina, vien fuori un piccolo lembo di calcari compatti, (1) H. Zugmayer, Veber Petrefactenfunde aus dem Wiener Sandstein des Leopold- verges bei Wien (Verh. der k. k. geol. Reichsanstalt, 1875, p. 293). (oc. icits sp00fstaf II. — 297 — ceroidi, rosei, verdognoli, biancastri, per lo più molto schistosi, in lastre distin- tissime, alternanti pure con schisti calcarei del medesimo colore, e contenenti qualche lente o straterello di selce grigia, cerulea, di rado rosea. Le superfici delle lastre leggermente argilloso-schistose sono qua e là coperte da numerose fucoidi. Vi ho raccolto varie Chondrites, Fucoides latifrons H., Taonurus, Tae- nidium sp. diverso dal 7. Fischeri H. dell'Eocene. Le specie, come i caratteri litologici della roccia, sono identici a quelli degli schisti calcarei a fucoidi di Roggio e Careggine nelle Alpi Apuane e del Monte Amiata, appartenenti al Neocomiano superiore od Aptiano e riferibili agli Schisti detti 4 /wcoidz, cre- tacei, di gran parte dell'Appennino centrale e del versante tirreno dell’Apen- nino settentrionale. Perciò anche gli strati del M. Maccagnina sono da attri- buirsi al Neocomiano superiore. Essi sono conformati in piega ad ampio raggio, per modo che superiormente sono quasi orizzontali e scendendo dalla parte del Riarbero, dove sono più scoperti, appaiono gli strati via via meno recenti, nascosti però alla base da alluvioni altissime. « Essi sono ricoperti qua e là, con grande discordanza, da piccoli scogli di brecciole con grosse nummuliti, Ordi/oides e Lithothamnium, identiche a quelle che si trovano nel versante tirreno alla base dell’Eocene medio, e co- stituenti il più antico lembo di calcare nummulitico che appaia nel versante adriatico dell'Appennino settentrionale di Liguria e di Emilia. Con altra discor- danza appaiono poi tutto all’intorno gli strati appartenenti alla zona supe- riore, peridotifera, dell’Eocene superiore. Sono anche qui a notarsi l'estrema discordanza della Creta sotto l'Eocene e la mancanza di tanti terreni inter- medî, cioè della Creta media e superiore, dell’Eocene inferiore, e di massima parte dell’Eocene medio. « Il Doderlein conosceva questi calcari che, insieme ad altri terreni eo- cenici, aveva attribuito alla Creta: è probabile ne sia qualche altro piccolo lembo nella stessa Val di Secchia, come nell'alto Riarbero, giacchè ne vidi ghiaie nel torrente. « L'esistenza di altri terreni verosimilmente Neocomiani, non troppo lon- tano, a Gombola nel Modenese, sarebbe rivelata dall’ /ch/hyosaurus campy- lodon scopertovi dal Pantanelli e descritto dal Capellini. « MARCA PESARESE. — Nelle confinanti provincie di Ravenna e di Pe- saro, in molti luoghi e da varî anni, furono trovati dal Senatore Scarabelli esemplari d'/noceramus Cripsti, principalmente nei dintorni di Perticara. La detta specie è molto comune ed assai notevoli sono le circostanze stratigra- fiche dei terreni che la contengono. Nell’alto Fanantello presso Perticara in breve ora ne raccogliemmo, col prof. Canavari, almeno 5 esemplari, non con- tando i frammenti aragonitici isolati che pur attestano la presenza della spe- cie. Ivi la Creta e l’Eocene formuno ripetute e strette pieghe, in gran parte rovesciate, in mezzo a terreni del Miocene medio e superiore. La parte in- terna delle pieghe è costituita da galestri rosso-scuri, ferro-manganesiferi, con 90 RenpICONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 5‘ DI 908 — pochi calcari ed arenarie vivacemente colorati, contenenti Acanthoceras ed altri fossili della Creta media. « Al di sopra, con perfetta concordanza, ma con hiatus cronologico ab- bastanza ragguardevole, succedono le arenarie della Creta superiore, identiche a quelle di tutto l'Appennino settentrionale, alte pochi metri, con alcuni ga- lestri e calcari più scuri di quelli della Creta media. In queste arenarie ab- biamo trovato gl’ Inocerami. Concordanti, ma probabilmente con lieve inter- ruzione cronologica, al di sopra, si trovano sovente brevi strati di calcari num- mulitici contenenti, fra altri fossili, l’Axzlina exponens e probabilmente ap- partenenti all’Eocene inferiore. I calcari nummulitici sono ricoperti, con appa- rente concordanza, ma talora con lungo intervallo di tempo, da calcari del- l'’Eocene superiore o direttamente da marne ed argille del Miocene medio. «I terreni cretacei, sul Fanantello, formano due distintissime pieghe rovesciate, pendenti a sud, fra le miniere dello zolfo di Perticara ed Ugrigno, ed almeno un’altra, piega maggiormente estesa a monte di Ugrigno. La piega più a valle, a poca distanza dal giacimento solfifero ed in parte sopra a questo per via del rovesciamento, apparisce ben distinta, fino a poco più d'una qua- rantina di metri sopra il livello del torrente, larga appena una quindicina di metri, isolata in mezzo ai calcari eocenici ed al terreno miocenico, e con- formata, nel modo più evidente, ad anticlinale sdraiato. Le altre pieghe sono anche più rovesciate, sempre nello stesso verso, poco più larghe e più lun- ghe, essendo che arrivano fino alla cima delle colline e la volta dell’anticli- nale venne erosa dalla denudazione. « Queste circostanze stratigrafiche singolarissime e speciali, pelle quali terreni mesozoici alternano in mezzo a terreni terziarî dei più recenti, sono quasi normali nel Pesarese e si ripetono nell’Appenino meridionale, mentre scarsissimi esempi se ne hanno alla Porretta ed altrove nella parte più set- tentrionale dell'Appennino stesso. « Nel Pesarese comparisce pure altro minimo lembo d'un terreno che pe suoi caratteri litologici deve attribuirsi al Neocomiano. È un calcare bianco, assai compatto, con selce grigia, che si trova sotto la Creta media ai Biagioni, sulla sinistra della Marecchia, sopra Mercatino. Lo Scarabelli già lo aveva riunito ai terreni cretacei. — 299 — Anatomia. — Su//a presenza dei nervi nelle papille vascolari della cute dell’uomo (*). Comunicazione preventiva del dott. AncELO RUFFINI, presentata dal Socio GoLGI. « Nessuno, per quel ch'io mi sappia, ha fino ad oggi potuto dimostrare la presenza dei nervi nelle papille vascolari della cute dell’uomo, sebbene si fosse detto che non c'erano ragioni per escluderne in modo assoluto l’esistenza (Kolliker). I molti tentativi per altro fatti sull'argomento hanno constante- mente dato risultato negativo. « Avendo potuto di già ottenere una buona serie di preparati nei quali indiscutibilmente si osserva e con molta chiarezza questo fatto e parendomi il fatto stesso di un'importanza capitale sì per l'anatomia che per la fisio- logia, mi sono affrettato a rendere di pubblica ragione i primi risultati otte- nuti dalle mie ricerche, per potere così in seguito e con maggiore calma sta- bilire alcune particolarità molto interessanti e non troppo facili ad essere in- terpretate a cagione della loro estrema finezza. « Per ottenere dei risultati positivi in questa indagine c'era bisogno d'un metodo che desse una reazione molto delicata sulle fibre nervee, che mettesse contemporaneamente in evidenza con molta chiarezza anche i vasi della pa- pilla e che sciogliesse finalmente la dasement membrane, in modo da poter ottenere la separazione dell'epidermide dal derma; condizione quest’ultima indispensabile per la singola osservazione delle papille e per la buona riu- scita delle sezioni che in questo caso non possono essere praticate altro che a mano e senza inclusione dei pezzi. « Fui in grado di poter raggiungere le tre suaccennate condizioni valen- domi del metodo Fischer, opportunamente modificato all'uopo. « La pelle da me finora esaminata fu quella dei polpastrelli delle dita delle mani e dei piedi. « Nelle papille vascolari adunque vanno a distribuirsi dei ramoscelli nervosi, i quali provengono dal plesso nervoso superficiale del derma. Appena staccatasi dal tronchicino nervoso dal quale emanano, questi ramoscelli si diriggono verso l'apice della papilla e subito al disopra dell’ansa vascolare i nervi girano e sì ripiegano verso la base della papilla stessa cominciando a dividersi in filamenti sempre più sottili. Cotali filamenti poi girano e s'av- volgono variamente attorno ai vasi sanguigni cingendoli or più or meno stret- tamente, ed ei parrebbe che coi loro estremi liberi finissero sulle parcti va- scolari medesime. Ma come ciò accada e se invero accade così non ho potuto (1) Dal laboratorio della Clinica Medica di Bologna (A. Murri). — 300 — per ora osservare direttamente, sebbene abbia dei buoni argomenti per rite- nere che le cose avvengano in questa guisa. « Di filamenti nervosi se ne osservano in genere uno o due per ogni pa- pilla, ma non è punto raro il caso che ce ne sieno in tale copia da impar- tire.alla papilla l'aspetto di un vero cespo nervoso; in questi casi l'ansa vascolare è appena visibile tramezzo alla fitta rete dei filamenti nervosi che numerosissimi la cingono per ogni dove. « La maniera testè descritta di compostarsi della fibra nervea nelle pa- pille vascolari è quella che sì osserva nella maggior parte dei casi, ma non accade sempre così. « In altri casi si vede come una fibra nervosa penetrata nella papilla si dirige verso la punta di essa e la si vede terminare talvolta liberamente e disco- sto dall’ansa vascolare (a)tal’altra per converso sulla parete dell’ansa medesima (b); in ambedue questi casi la fibra ner- vea finisce a guisa d'una piastrina, o me- glio, d'un fiocchetto, venendo così ad assumere l'aspetto d'una vera fibra ter- minale, che termina o liberamente o sulle pareti vascolari. «Su questa maniera però di terminazione e sull’ultimo destino dei fila- menti nervosi nella prima descritta maniera di comportarsi dei filamenti stessi, non intendo aver detto l’ultima parola, perocchè l'osservazione è assai difficile e tale da mettere in imbarazzo il più oculato e diligente istologo. « Debbo ora far rilevare come tutte queste fibre nervose, qualunque sia il loro ultimo destino, sono sempre fibre amidollari. « E se qui mi fermassi anche a dire come oltre a quello che ho sopra descritto, osservai anche altre particolarità non prive certo d'interesse, rife- rentisi ad alcune forme di terminazioni libere, le quali accompagnano i cor- puscoli del Meissner o si trovano nelle papille vascolari medesime e riferen- tisi anche ad una rete diffusa di fibre amidollari sottilissime che trovasi su- bito al disotto delle papille, andrei fuori da quei giusti limiti entro i quali mi son proposto di restare. «A me basta solo di potere con la presente Nota far conoscere d'aver dimostrato indubbitatamente l’esistenza dei nervi nelle pupille vascolari. «< Reputo ora mi sia lecito di poter esprimere la mia opinione circa il significato che deve attribuirsi a cotali nervi. « E stando naturalmente alle sole apparenze anatomiche, io sono indotto a ritenere come i descritti nervi sieno deputati all'ufficio di vasomotori dei vasi papillari. Il modo di comportarsi nel loro tragitto, gli stretti rapporti AV che contraggono coi capillari, ed il probabile modo di terminare, non possono infatti far pensare ad altro. « Se poi oltre a questa funzione essi possono anche servire a quella del senso io non saprei davvero dire. Ma ciò non mi sembra probabile per il modo appunto di comportarsi delle fibre nervose, molto diverso da quello che oggi sì conosce in generale intorno alla terminazione delle fibre del senso. « È certo peraltro che oggi si sente da molti il bisogno di ritenere come nella cute, che è un organo deputato a tante e così svariate specie di sensibilità, debbano esistere delle altre e più numerose forme di terminazioni nervose oltre a quelle finora conosciute. Ma a questa grande lacuna mi pare, se non in tutto almeno in parte, d'aver riparato io stesso coi miei studî sui nervi della cute, intrapresi già da due anni circa. Coi quali studî m'è riu- scito poter dimostrare l'esistenza di nuove forme di organi terminali. « Tali risultati sono raccolti in un lavoro che fu da me presentato in questa Università di Bologna al concorso pel premio Vittorio Emanuele del corrente anno e che presto spero poter dare alla luce. È ciò volli dire affinchè non si abbia a credere del tutto erronea l’interpretazione funzionale che ho creduto poter dare ai nervi delle papille vascolari ». PB. CISTI — 303 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 6 novembre 1892. DINA - Fisica terrestre. — Sopra un nuovo pendolo sismografico. Nota del dott. G. AGAMENNONE, presentata dal Corrispondente P. TACCHINI. « Fin da quando ideai il fromometro fotografico (!), ritenni che il prin- cipio, sul quale era fondato, si prestasse bene per la costruzione di un sensibile sismografo. In un primo modello la moltiplicazione meccanica del movimento sì otteneva nel modo che mostra la fig. 1. La leva moltiplicatrice L, Ls Ls, connessa colla massa pendolare 1, aveva il centro di rotazione nella punta di acciaio g che poggia sopra una pietra d'agata; aveva un forellino / in alto, attraverso cui passava il filo F di sospensione della massa; ed alla estremità del braccio lungo portava un leggero ago 4 destinato a scrivere sopra un disco D affumicato. Essa era costruita in tubi- cini assai leggeri e portava in alto le viti wu, 2 %3 per renderla verticale, e le altre ©), ve, v3 per in- nalzare il centro di gravità del sistema affinchè, libera dalla massa, oscillasse lentamente al pari del giogo di sensibile bilancia. In siffatto sismo- grafo sarebbe stato estremamente tenue l'attrito che deriva dalla connessione della leva colla massa, e le indicazioni che avrebbe fornite sarebbero state indipendenti da qualsiasi movimento rotatorio nel Fia. 1. = 1/e. pendolo, in seguito a torsione nel filo F; ma l'espe- (1) Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. VI, p. 432, 18 maggio 1890. RenpICONTI. 1892, Vol. I, 2° Sem. 40 — 304 — rienza mi fece riconoscere alcuni inconvenienti, inerenti al sistema, per cui mi decisi a ricorrere ad altra disposizione, che però conservasse una grande sensibilità allo strumento ed ovviasse, in gran parte almeno, agli effetti dan- nosi della torsione. « La modificazione più importante ha consistito nel fare rettilinea la leva moltiplicatrice, bilicandola mediante sospensione cardanica. Altre innovazioni riguardano la forma della massa pendolare, il modo di sospenderla e di con- giungerla colla leva. La fig. 2 porge una chiara idea del nuovo apparecchio. La massa mm consiste in un massiccio anello di ghisa sospeso a tre fili F,, F., F3. Nel suo interno havvi una traversa diametrale K, nella cui parte mediana è sovrap- posta una piastrina con un forellino corrispon- dente al centro di gravità dell'anello. In questo forellino penetra un sottile ago @, col quale ter- mina l'estremità del braccio corto della leva moltiplicatrice; e come si vede, il sistema di connessione di questa colla massa è perfetta- mente analogo a quella della fig. 1, salvo che le parti sono invertite, poichè l'ago w sostituisce qui il filo F di sospensione, ed il foro / è por- tato dallo stesso pendolo invece che dalla leva. Siccome però / difficilmente coinciderà in pratica col centro di gravità dell'anello m, e per conseguenza l'estremità inferiore del braccio lungo della leva potendo andar soggetta a piccoli movimenti, in seguito al torcersi del filo di sospensione, così baste- rebbe sospendere la massa a tre fili di ugual lunghezza e paralleli tra loro per mantenerla in posizione fissa. « Se non che essendo difficile soddisfare bene a queste due condizioni, necessarie per conservare al pendolo la massima sensibilità, e divenendo alquanto complicato e costoso questo sistema di sospensione, sarà forse più opportuno nella pratica attaccare la massa a tre fili F,, F., F3 (fig. 2 e 3) che convergono ad un unico, corto e sufficientemente flessibile filo F, destinato a sop- portare l’intero peso. « Per portare la massa alla voluta altezza basta girare il bottone superiormente al sostegno N del pendolo; e perchè la stessa, durante la sua corsa verticale, non possa menomamente ruotare, la vite ha una scanalatura lungo una generatrice in cui penetra una spina fissata al disco d. Questo disco porta al- ( l’ingiro dei fori i quali permettono di spostarlo in azimut per DI E T: dare al pendolo la voluta orientazione. « Le particolarità della nuova leva moltiplicatrice sono mo- Fie.3.=- strato nella fig. 4. (PO) mar uan) | Fic. 4.= 1/n. — 805 — « Il braccio lungo L di essa si compone di tre tubicini metallici di dia- metro decrescente ed .a pareti sottili: alla sua estremità inferiore l'ago 4, scrivente sopra un disco affumicato D, è guidato da due piccoli fori, ed in occasione di forte scossa sussultoria è im- pedito di saltar via da un ostacolo o. Al disopra della sospensione cardanica e si hanno le solite tre viti di retti- fica w,, %», “3 per rendere verticale la leva, e più in alto l'unica vite v per innalzare il centro di gravità dell'intera leva, come sopra è stato detto. La sospensione cardanica deve presentare il minor attrito possibile; e col fare agire i perni dei due assetti entro pietre bucate, quali si ado- perano in orologeria, è sufficientemente raggiunto lo scopo. « Infatti con alcune esperienze comparative mi sono con- vinto che colla sospensione cardanica il sismografo perde assal poco in sensibilità in confronto dell'altro sistema mo- strato nella fig. 1. La leva moltiplicatrice è sopportata dallo stesso sostegno S, che si vede nella fig. 1. In esso si hanno le viti W, 0, e 0» che permettono di dare alla sospen- sione cardanica dei piccoli movimenti, la prima da avanti in dietro e viceversa, le due ultime lateralmente. « La fig. 5, riproduce la cavità centrale della massa 72 per mostrare più minutamente il modo di connessione di questa colla leva moltiplicatrice, che le rimane sottoposta e di cui si veggono le sole viti di rettifica w,, 2, 3. Il forellino f ha la forma di un piccolo triangolo equilatero, di cui due lati si trovano tagliati in una piastrina sottile fissa, mentre il terzo lato mobile è costituito dalla cerniera /, girevole attorno a w. La cerniera è mantenuta chiusa e premuta contro la suddetta piastrina da una molla a spirale 7 fissata all’altro estremo ad un Fia. DE = 1/0. punto < della massa stessa. Per poter togliere o porre a suo posto la leva moltiplicatrice, si gira di circa 90° la cerniera % mediante il pic- colo manubrio R, fino a che si mantenga aperta per effetto della stessa molla, che ora la tira in senso inverso. Quando si richiude la cer- niera, essa è obbligata a tornare esattamente a suo posto, guidata da una laminetta , e rin- serra l'ago w della leva entro il forellino /. « Comunemente si destinano i pendoli si- smografici a fornire soltanto il diagramma del movimento del suolo, mentre dal funzionamento di uno o più sismoscopî a parte si deduce l’ora della scossa. Però l’esperienza ha dimostrato che niuno — 306 — dei tanti sismoscopî finora ideati offre una vera garanzia nell’indicare il pas- saggio di onde sismiche, quantunque sensibili all'uomo. Convinto che un sem- plice pendolo, in buone condizioni di sensibilità, costituisce il più sicuro sismoscopio, ho pensato di ricavare anche l’ora della scossa dal nuovo sismo- grafo, riunendolo ad un sismoscopio a verghetta Brassart (!), da me però radicalmente modificato, come mostra la fig. 6. La verghetta V, invece di essere rettilinea, ha la forma di un triangolo rettangolo mobile attorno al ca- teto minore « orizzontale, ed è costruita in tubicini metallici a pareti sottili perchè risulti leggerissima. L'altro cateto è alquanto prolungato e caricato in alto di un piccolo peso in forma di cubo, di cui una faccia si appoggia contro una vite W di rettifica portata da apposito pilastrino, non visibile nella figura, perchè coperto dalla stessa verghetta. La testa di questa è attraversata da un’asti- cina d che si può spingere in avanti 0 indietro a piacere. La verghetta ed il [ sai Rel relativo pilastrino di appoggio pong fis- CE 1A sati sopra una lastra E, dotata di mo- Du i vimento perchè sia possibile fare restare l'ago scrivente 4 entro una piccola in- senatura dell'asticina 4, quando la ver- ghetta V sia stata già posta in posi- zione instabilissima. Con tale disposi- zione, o che la verghetta cada per proprio conto al sopraggiungere di una scossa, 0 sia costretta a cadere urtata dall'ago scrivente, l'orologio O, già fer- mo sulle XII, si pone con sicurezza in marcia, dappoichè l'asticina verticale 9 connessa al bilanciere viene trascinata dall’appendice 7 della V. Una volta posto in moto l'orologio, l'indice dei secondi immerge ad ogni rivoluzione la sua estremità di platino in una coppa di ebanite T, contenente mercurio, e fa agire ad intermittenza una suoneria elettrica per la chiamata dell'osservatore. « D'ordinario i sismografi tracciano le loro indicazioni sopra una super- ficie fissa; ma per impedire la grande confusione che generalmente risulta nei diagrammi così ottenuti, io ho preferito di rendere mobile durante la scossa il disco affumicato, non con moto uniforme, bensì a scatti e ad inter- valli uguali, in guisa che si possano ottenere altrettanti diagrammi corri- spondenti a varie fasi del fenomeno. La rotazione a scatti del disco si ottiene per mezzo di un semplice meccanismo di orologeria M, che si vede abbozzato nella stessa fig. 6, al di sotto del disco D, e che si pone in movimento anche Fic. 6. = 1/4. (1) Ann. dell’Uff. Centr. Met. e Geod. Ital. — Ser. 28, vol. VIII, parte IV, 1886, p. 1. — 307 — al cadere della verghetta V. Infatti l’'appendice 7 urtando nella leva /, che ruota attorno a 4, rende libera un'aletta del ventilatore A; ed il disco, in virtù di una molla racchiusa nel tamburo /, incomincia la sua rotazione a scatti, che si ottiene mediante otto pernetti p disposti a spirale al disotto della piattaforma del disco D. Per dare una idea di questo registratore, riporto nella fig. 7 in vera grandezza un fac-simile dei diagrammi ottenuti sul disco affumicato, relativi ad una scossa artificiale. « Nel nuovo sismografo si ha il modo di conoscere: 1.° l'ora della scossa; 2.° le successive direzioni della stessa; 3.° l'intensità nelle diverse sue fasi; 4.° la durata; 5.° il periodo oscillatorio del suolo; 6.° il diagramma di una seconda scossa senza che esso intralci le indicazioni già ottenute per la prima, nel caso che lo stru- mento non fosse stato ancora rimontato. 01- tre a ciò lo strumento funziona da due spe- cie distinte di sismo- scopî, che certamente sono sensibili a molte forme di terremoti; e funziona inoltre da reotomo intermittente per la chiamata del- l'osservatore. « Per dare una idea della sensibilità del nuovo sismografo, resta a dire che la lun- ghezza del pendolo è glia! di circa 1",5 ed il cm Li a il peso del corpo pendolare è di 108, mentre quello della leva di circa 208”, cioè 500 volte minore del primo. Quando si distacchi il disco affumicato dall’ago scrivente, questo entra tosto in sensibile movimento al pari della cuspide di un vero tromometro; ma quando si riporti il disco in contatto dell'ago, cessa ogni oscillazione a causa del nuovo attrito. Però anche questo è relativamente tenue, poichè per spostamenti iniziali della massa non superiori a due o tre mil- limetri, essa compie ancora una ventina di oscillazioni, sempre più piccole, prima di arrestarsi. « Questo sismografo è stato ideato allo scopo di destinarlo agli Osser- vatorî di 2° ordine della rete sismica italiana, ed è stato possibile costruirlo rapporto dei bracci della leva moltiplicatrice è di — 308 — e successivamente perfezionarlo grazie ai mezzi messi a mia disposizione dal chiarissimo prof. Pietro Tacchini, direttore dell’Ufficio centrale di Meteorologia e Geodinamica. Una particolareggiata descrizione di esso con alcune esperienze relative al medesimo e colle norme per il suo collocamento e maneggio si trova in corso di pubblicazione negli Annali del suddetto Ufficio (!). Intanto ho creduto opportuno riferirne brevemente all'Accademia, per continuare a te- nerla al corrente di quanto recentemente sì sta facendo in Italia per i pro- gressi della sismologia ». Fisica terrestre — Sopra un fenomeno analogo al fulmine globulare, provocato per induzione. Nota dell'ing. ERNESTO MANCINI, presentata dal Socio BLASERNA. : « Nel pomeriggio del primo novembre corrente, durante un improvviso temporale, un fulmine cadeva in Roma sulla chiesa di s. Giovanni della Malva in Trastevere. I danni prodotti dal fulmine, come potei rilevare da una Visita fatta sul luogo non furono molto gravi; una parte della scarica elettrica colpiva, infatti, e spezzava un palo sostenente i numerosi fili tele- fonici che attraversano il Tevere in prossimità di ponte Sisto, e fondeva per lungo tratto uno dei fili stessi. In parte il fulmine scaricavasi sulla coper- tura in piombo che riveste la cupola della chiesa, e divelte le tegole che stanno ai piedi della croce di ferro posta sul culmine, strappati i chiodi di sostegno alle lavagne sottostanti, di cui alcune vennero finamente scagliate, e smurata la scala che permette di salire sulla cupola, passò in una stanza inferiore e di lì si dileguò lasciando soltanto due striscie nerastre agli angoli della camera. « Il fatto della caduta del fulmine e gli effetti sopradescritti, non me- riterebbero di esser ricordati per la lora frequenza, se tale caduta non fosse stata accompagnata da un fenomeno poco comune, che mi sembra interes- sante di descrivere per le circostanze in cui potè essere osservato. A una breve distanza, circa metri 200, dalla chiesa di s. Giovanni, sorge il palazzo della R. Accademia de’ Lincei. Il giorno in cui cadde il fulmine, e precisamente nell'istante nel quale imperversava l’uragano, io mi trovava nella Segreteria dell’Accademia, in una camera colle finestre prospicenti verso la chiesa. Il cielo verso le tre pom. erasi andato sempre più oscurando a cagione di una grossa nube temporalesca che, preceduta da un improvviso e fortissimo vento, procedeva in direzione S. W. Non potendo più scrivere a causa della intensa oscurità, io stavo da qualche momento inoperoso guardando (1) Ann. dell’Uff. Centr. Met. e Geod. Ser. 2%, vol. XI, parte III, 1889. — 309 — in alto, quando uno schianto ed una luce inprovvisa all'esterno, mi annun- ciavano che la folgore era caduta molto vicina; e quasi nello stesso istante, con un intervallo di appena un mezzo secondo, io avevo la percezione netta di un corpo che al disopra e a poca distanza dal mio capo, risolvevasi con forte detonazione in minute scintille. « È evidente che quello da me osservato è un fenomeno d’induzione pro- vocato dalla forte scarica elettrica che passava in prossimità delle finestre della camera in cui mi trovavo; ed è evidente del pari che trattasi di un fenomeno analogo al fulmine globulare. È bene di far notare che sul tetto del palazzo corrono numerosi i fili telefonici, e che al disopra del tavolo presso il quale io stavo seduto, scende un lume a gas cui fa capo una delle numerose ramificazioni della condottura in piombo. Tuttavia il corpo che esplose trovavasi a distanza dal lume, e per di più lo spandersi delle scin- tille attorno ad un centro, esclude che siasi trattato di una scintilla scoc- cata fra l'armatura metallica del lume e qualche altro corpo vicino. Il ru- more della esplosione che susseguì allo schianto della folgore, in modo da permettermi di distinguer bene l'uno dall'altro, può essere paragonato a quello di una carica da pistola Flobert; il sussulto da cui fui eòlto per l' improv- visa detonazione, non mi permette di assicurare se io provassi o no una com- mozione elettrica qualsiasi. « Ormai sulla esistenza dei fulmini glebulari non si ha più alcun dubbio; le numerose e precise osservazioni che su di essi si vennero raccogliendo in questi ultimi tempi, provano anzi che sono numerosi. D'altra parte la impos sibilità, deplorata da Arago, di riprodurre il fulmine globulare, è stata eliminata dal Planté (!) che ricorrendo a correnti elettriche ad alta tensione, riescì a far assumere la forma globulare alla materia ponderabile, producendo ora globuli liquidi luminosi, e ora globuli di fuoco nell'aria satura di vapor acqueo. Secondo il Planté i globi fulminanti sarebbero formati da aria rare- fatta incandescente e da gas risultanti dalla decomposizione del vapor d’acqua, esso pure allo stato di rarefazione e d'incandescenza. L'aria umida mostrerebbesi favorevole alla produzione dei globi fulminanti. In verità, poi, questi globi, a causa della rarefazione dei gas di cui risultano formati, non racchiudono una miscèla detonante; essi costituiscono il punto d'elezione in cui si compie l'eftlusso della elettricità, efflusso che spesso può risolversi bruscamente sotto forma di scarica, non sempre innocua, accompagnata da scintille e da forte rumore. « Il caso di fulmine globulare descritto in questa Nota, malgrado le sue modeste proporzioni, accresce il numero delle osservazioni positive dello stesso genere, dalle quali si ha il mezzo di studiare sempre meglio una delle più singolari, e ancora mal note, trasformazioni della energia elettrica. Esso (1) Planté, Recherches sur VElectricité. Paris, 1883. — 310 — prova inoltre che i fenomeni d'induzione, o come suol dirsi di contraccolpo, provocati dalla caduta della folgore, possono assumere la forma di globi ful- minanti; fatto questo che viene segnalato forse per la prima volta, e che, d'altronde, fu osservato in condizioni così favorevoli da escludere completa- mente il dubbio di una illusione ». Chimica Biologica. — Su/a localizzazione microchimica del fosforo nei tessuti (1). Nota dei dottori Leon LILIENFELD è ACHILLE MonTI, presentata dal Socio GonLar. « Compito della chimica fisiologica non è soltanto il determinare quali sostanze compongano i diversi tessuti, ma anche il delimitare la distribuzione dei componenti riscontrati. « Con ciò si dischiude una via che deve guidare a comprendere l'essenza della costituzione istologica dei tessuti, ed a mettere in chiaro i rapporti della struttura colla funzione. « L'istochimica possiede finora ben poche reazioni, che conducano in modo veramente razionale a conoscere la composizione chimica delle parti che com- pongono un'immagine microscopica. « Delle colorazioni, onde va superba l’istologia, non possiamo ancor dire se poggino sopra una base chimica o se si debbano soltanto a fenomeni fisici, e perciò di tali colorazioni non possiamo affatto valerci per riconoscere la costituzione chimica dei tessuti. Tra i pochi metodi, che nella istologia ani- male hanno un fondamento chimico, dobbiamo invece ascrivere la reazione del ferro, quella del glicogene, quella dell'amiloide, le colorazioni prodotte dal- l'acido osmico, la reazione xantoproteica, quella di Millon, e il contegno dei diversi componenti dei tessuti rispetto ai mezzi solventi. Più ricca di siffatti metodi razionali è certamente l’istologia vegetale. « Noi, considerando l’importanza che hanno le combinazioni fosforate nella chimica fisiologica, abbiamo cercato una reazione che potesse dimostrarci al microscopio la presenza dell'acido fosforico. « In tale indagine noi dovevamo a priori aspettarci che l'acido fosforico contenuto nei tessuti reagisse diversamente, a seconda che esso si trovava sotto la forma di un fosfato o sotto quella di una combinazione organica (leci- tina, protagona, nucleina, paranucleina). « Noi abbiamo applicato all'uopo il molibdato di ammonio, che, in pre- senza dell’acido nitrico, si combina coi fosfati abbastanza rapidamente, dando luogo ad un precipitato, mentre colle anidridi dell'acido fosforico o colle com- €) Lavoro eseguito nella Sezione chimica dell'Istituto fisiologico di Berlino. — S11 — binazioni organiche del fosforo dà un precipitato soltanto dopo che dalle so- stanze anzidette si è formato dell'acido fosforico. « Se si porta un tessuto contenente acido fosforico in una soluzione nitrica di molibdato ammonico, l’acido molibdico si precipita nei punti dove esiste dell'acido fosforico. « Il precipitato che così si forma è giallo, e non molto facilmente rico- noscibile ad un esame microscopico; perciò noi abbiamo sentita la necessità di trasformare tale precipitato, per mezzo di una reazione chimica, in un corpo interamente colorato. « Tale scopo pensammo di raggiungere per mezzo di qualche processo di riduzione, la quale dall’acido molibdico derivi degli ossidi inferiori colorati (1). Noi abbiamo esperimentata l’azione di diversi mezzi riducenti. A tale scopo mettemmo dei pezzi di tessuto in molibdato di ammonio, li lavammo in acqua con molta cura, e poi li portammo nel liquido riducente. « Gli alcaloidi che, come è noto, in presenza di acido solforico danno col molibdato di ammonio reazioni colorate, si dimostrarono subito insuffi- cienti alla prova; facemmo in seguito dei tentativi col cloruro di zinco e col vetriolo di ferro: entrambi dettero in verità qualche colorazione azzurrastra 0 verdognola, ma tuttavia troppo debole per il nostro scopo. « Risultati sicuramente migliori dei precedenti ottenemmo coll’acido tan- nico, ma ottime colorazioni ci vennero date soltanto dall’acido pirogallico. « L'acido pirogallico, posto in contatto coll'acido fosfomolibdico anche in un tubo di saggio, da una colorazione molto intensa tra il bruno ed il nero. « Nel corso delle nostre indagini noi abbiamo poi potuto verificare che la colorazione si manifesta non soltanto in quei luoghi dove si trovano dei fosfati, ma anche là dove l'acido fosforico era organicamente combinato, e per- sino là dove esisteva dell'acido metafosforico. Con tutta probabilità in questi casi, durante la digestione in molibdato ammonico addizionato di acido ni- trico, avviene una parziale trasformazione in acido ortofosforico. « Noi ci siamo ben presto accorti che parecchi tessuti, se lasciati solo pochi istanti in contatto col molibdato di ammonio, si colorano poi debolmente coll’acido pirogallico, mentre invece altri tessuti si colorano con molta facilità. « Se poi 1 tessuti più resistenti si trattano prima con acqua di barite o con carbonato di soda; oppure se si lasciano per un tempo più lungo nella solu- zione nitrica di molibdato ammonico, allora la colorazione riesce anche qui molto intensa. In questi casi bisogna credere che l'acido fosforico, più stabil- mente combinato, sia stato scisso dalla hbarite o dall'azione prolungata del- l'acido nitrico. (1) Veggasi Stahl, Molybdinsiure als Farbereagens auf gewisse aromatische 0xy- kòrpern. Berichte d. deutsch. chem. Gesellschafft. N. 9. 1892. RexnpICcONTI. 1892, Vor. I,'2° Sem. 41 — 312 — «“ Pertanto il nostro metodo — fondato sulla fissaziohè del molibdato nei punti ricchi di acido fosforico, e sulla successiva riduzione del precipitato — veniva applicato nel modo seguente. « Credemmo innanzi tutto necessario di adoperare pezzi freschi, non sa- pendo quali alterazioni chimiche inducano i diversi metodi di indurimento applicati nell’Istologia. « E poichè il molibdato di ammonio ha una forza di imbibizione molto scarsa, così per abbreviare il lavoro ci siamo valsi di sezioni fresche eseguite a mano o col mierotomo a congelazione, oppure di preparati per dilacerazione o per raschiamento. Fin dai primi saggi ci siamo accorti che il molibdato di ammonio in soluzione nitrica è un eccellente liquido fissatore, che conserva in modo squisito anche i più minuti particolari di struttura. « Più tardi abbiamo potuto convincerci che la reazione riesce anche su pezzi conservati in alcool. «I nostri risultati peraltro si riferiscono ai preparati freschi. « Noi impiegaramo una soluzione di molibdato ammonico preparata se- condo la formola data nel trattato di Fresenius. « In questa soluzione i pezzi debbono restare un tempo variabile a se- conda dello stato in cui si trova l'acido fosforico che vi è contenuto. Se questo è libero, basta un attimo per determinare un precipitato microchimico, se invece l’acido fosforico è combinato in una molecola organica, l'immersione deve essere più lunga e proporzionale alla stabilità del composto, che si deve sdoppiare. « Perle combinazioni molto poco stabili bastano pochi minuti; per le più stabili si richiedono delle ore di immersione nel molibdato. Si può abbreviare questo tempo, trattando prima i pezzi coll’acqua di barite o col carbonato di soda. « Se i tessuti sono molto ricchi di fosforo, dopo breve tempo di immer- sione nel molibdato presentano una leggera colorazione gialla dovuta al pre- cipitato fosfomolibdico. «I pezzi, dopo una sufficiente immersione nel molibdato, si lavano accu- ratamente in acqua fino a che l’acqua di lavatura non contenga più molib- dato. Questo si riconosce coll’aggiunta di pirogallolo all'acqua di lavatura: se tale aggiunta produce una colorazione bruna, vuol dire che il molibdato non è ancora del tutto allontanato; se invece l’acqua rimane incolora, essa può dirsi libera di molibdato ammonico. Di regola basta risciacquare i pezzi tre volte. «I pezzi così lavati si portano in una soluzione di pirogallolo al 20 °/o. L'acido pirogallico riduce il fosfomolibdato dando luogo a delle colorazioni giallo-brune o nere a seconda della quantità di fosforo contenute nelle sin- gole parti. Nella soluzione acquosa di pirogallolo i pezzi non debbono restare troppo a lungo, altrimenti diminuisce la primitiva intensità della reazione. Pochi minuti bastano completamente per una buona reazione. — 313 — « Si lavano poi di nuovo i pezzi e si osservano in acqua. « Se peraltro i pezzi rimangono troppo a lungo nell'acqua, la bella reazione si altera, impallidisce, si fa diffusa. Per evitare tali svantaggi noi abbiamo cercato dapprima di studiare rapidamente i nostri preparati, poi ci provammo ad allestire preparati durevoli. Ma la glicerina agisce come decolorante; un po meglio conserva il liquido di Farrant: molto migliore è la montatura a secco in balsamo, dopo disidrataziene in alcool e rischiaramento in xilolo. « Il fatto della decolorazione delle sezioni rimaste a lungo in pirogallolo od in acqua ci ha condotto ad altre prove. Per evitare gli svantaggi della soluzione acquosa di pirogallolo, abbiamo cercato di sottoporre i tessuti al- l’azione di una soluzione eterea di pirogallolo, dopo averle disidratate nell’alcool. Tali sezioni rimasero incolore. « Ma quando noi riportammo le sezioni stesse in alcool e quindi in acqua e poi di nuovo nella soluzione eterea di pirogallolo, allora ottenemmo una intensa colorazione. Da ciò noi dobbiamo concludere che la presenza di acqua è assolutamente necessaria per la riuscita della reazione. « Quando poi portiamo le sezioni umettate di acqua nella soluzione eterea di pirogallolo, la colorazione si manifesta e persiste molto intensa, perchè la piccola quantità di acqua presente non hasta a permettere una diffusione del colore. « Infatti queste sezioni meglio disidratate in alcool assoluto, rischiarate in silolo e chiuse in balsamo, danno i migliori preparati. « Già al principio delle nostre osservazioni abbiamo noi stessi pensato che al nostro metodo si potevano fare delle obbiezioni. « Per raggiungere la certezza abbiamo cercato di mettere le obbiezioni alla prova. « La prima obbiezione che noi ci siamo fatti è che la colorazione da noi ottenuta non si debba ad una reazione del fosforo, ma a precipitati mec- canicamente trattenuti dai nuclei e da altre parti della cellula. Ed in verità ogni istologo può subito pensare che il nostro metodo non si fondi già su un processo chimico, ma su una semplice imbibizione fisica per mezzo della sostanza colorante che si origina dalla miscela del pirogallolo col molibdato di ammonio. Questa obbiezione apparisce ben presto insostenibile quando si pensa che il molibdato ammonico è molto solubile nell'acqua ed è facilmente allontanato dalla triplice lavatura: perciò non è più ammissibile che colla sezione si trasporti tanto molibdato ammonico che basti per produrre col pirrogallolo una quantità di colore sufficiente a tingere il tessuto. « Tuttavia noi siamo in grado di riferire un esperimento, che mette in chiaro la base della nostra reazione. Sezioni fresche di ovari di giglio trattate col molibdato ammonico vennero lavate tre volte nell'acqua, poi ben disidratate nell’alcool, indi trasportate in etere: di qui vennero di nuovo passate in al- — 514 — cool assoluto, indi in trementina, poi di nuovo in alcool assoluto, alcool comune, acqua e finalmente in pirogallolo. La tipica reazione colorata ha avuto luogo in queste sezioni altrettanto bene quanto nei pezzi semplice- mente lavati. « Da ciò bisogna concludere che dopo l'azione del molibdato ammonico nei tessuti si è formato un composto 7rs0/udz7/e, non allontanabile dalle mol- teplici e varie lavature, un composto capace di colorarsi per l’azione del suc- cessivo pirogallolo. , « Infatti alle proprietà di un tal composto corrisponde l’acido fosfomolibdico. « Come contraprova noi abbiamo sottoposti al trattamento inverso, cioè abbiamo dapprima immerso i pezzi nel pirogallolo, poi li abbiamo lavati e trasportati in molibdato. «I pezzi non si colorano affatto neppure quando si omettono le lavature : gli stessi pezzi passati di nuovo dal molibdato al pirogallolo assunsero invece una colorazione intensa. « Un'altra obbiezione possibile contro il nostro metodo sarebbe la seguente. Si potrebbe credere che l'acido nitrico dia cogli albuminoidi una reazione co- lorata che si rinforzi poi coll’aggiunta del pirogallolo, ma che non abbia alcun rapporto col fosforo. Per mezzo delle prove seguenti cercammo di stabilire il valore del metodo. Trattammo col nostro metodo un pezzo di albume tolto da un uovo sodo. Si ebbe una colorazione debole, ma evidente giallognola. Con ciò ci sì offriva il dilemma: 0 il nostro metodo era inattendibile o l’al- bume conteneva fosforo. Un pezzo dello stesso albume trattato con soda o nitro dette infatti la reazione del fosforo. « Provammo in seguito con del peptone assolutamente privo di fosforo : il peptone rimase bianchissimo. « Per contrapposto applicammo la reazione ad un componente del nucleo assai ricco di fosforo; alla leuconucleina. Questa divenne bruno-nera. « Nel corso delle nostre osservazioni, tra le altre cose ci venne dato di riconoscere che la sostanza fondamentale della cartilagine ialina non si colora: noi portammo dei pezzi freschi in acido metafosforico e poi li sottoponemmo alla nostra reazione. In questo caso la sostanza fondamentale si colorò inten- samente. « Studiammo poi dei pezzi di salamandra (larve), nei quali la nostra colo- razione si fissava principalmente sui nuclei. Immergemmo per lungo tempo alcuni di detti pezzi in una soluzione di acido nucleinico, il quale, come è noto, ha la facoltà di combinarsi coll'’albumina priva di fosforo: combinandosi cogli albuminoidi del citoplasma li trasforma per così dire in sostanza nu- cleare. Siffatti pezzi, sottoposti al nostro trattamento, presentarono una co- lorazione diffusa dei tessuti, dove era colorato il corpo cellulare al pari del nucleo. « Nello sperma fresco di alcuni animali il fosforo si trova in combina- — 315 — zione molto stabile come costitutivo della nucleina; perciò gli spermatozoi di alcuni animali sono molto resistenti al nostro metodo. « Quando sottoponemmo gli spermatozoi per un tempo breve all’azione del molibdato ammonico e li portammo direttamente in pirogallolo senza la- varli, non si colorarono affatto. Ma quando invece noi trattammo lo sperma per lungo tempo col molibdato e liberammo così l'acido fosforico, allora gli spermatozoi ben lavati si colorarono ottimamente. « Da tutte queste prove risulta evidente che il fosforo nelle sue combi- nazioni ossigenate è dimostrabile al microscopio coll’aiuto di questo metodo. Rimane certamente ancora aperta la possibilità che, oltre alle combinazioni fosforate, anche altre sostanze organiche sieno capaci di fissare in tali condi- zioni l'acido molibdico. Se un tale caso avesse a verificarsi, la nostra rea- zione non perderebbe tuttavia di valore, in quanto che, come è noto, sono pure impiegate molte altre reazioni chimiche non già esclusive, ma comuni a di- verse sostanze. « In ogni modo noi dobbiamo osservare che l'ammoniaca è in grado di sciogliere la combinazione intracellulare dell'acido molibdico, appunto come scioglie il fosfomolibdato ammonico. Infatti noi trattammo muimerose sezioni di gigli e fibre muscolari col molibdato ammonico, e dopo la solita lavatura, li passammo parte in ammoniaca allungata e parte in pirogallolo. I primi pezzi vennero poi ben lavati e poi egualmente immersi nel pirogallolo. Questi pezzi peraltro rimasero incolori, mentre gli altri non trattati coll’ammoniaca sì erano intensamente colorati. « Il microscopio confermò un tale reperto: i muscoli che non avevano avuto alcun contatto coll'ammoniaca erano intensamente colorati, presentavano cioè la reazione del fosforo, e così pure le sezioni di giglio; gli altri prepa- rati trattati coll'ammoniaca erano incolori: nelle sezioni di giglio non si po- tevano neppure riconoscere i nuclei. « La spiegazione di tale fatto è molto semplice. « Il molibdato ammonico si combina coll’acido fosforico formando acido fosfomolibdico insolubile in acqua alcool, etere ecc., solubile nell’ammoniaca. « L'ammoniaca sciogliendo l'acido fosfomolibdico rese impossibile la suc- cessiva reazione col pirogallolo. Se si trattano i pezzi prima coll’ammoniaca e poi, dopo conveniente lavatura, col molibdato ammonico e col pirogallolo, la colorazione si presenta come di norma ». Geologia. — Osservazioni geologiche nei dintorni di Lagonegro in Basilicata. Notizia preventiva di GrusePPE DE LORENZO, presen- tata dal Corrispondente BASSANI. « Il terreno più antico dei dintorni di Lagonegro è un calcare dolomi- tico chiaro, a struttura finamente cristallina, spesso colorato in roseo, che com- parisce in colline o promontori isolati al Monticello, al Roccazzo, nella valle del Chiotto ecc. Questo calcare, contenente in qualche punto dei pelecipodi e ricco di avanzi di Diplopora annulata Schafh. e di Posidonomya wengensis Wissm., deve certamente riferirsi alla parte superiore del piano zorico. Non è difficile che rappresenti la zona del 7rachyceras Archelaus e della Dao- nella Lommeli. « Il piano carrzico è rappresentato da tre formazioni nettamente distinte l'una dall'altra per i caratteri petrografici. « La più bassa risulta da una pila potente di calcari bene stratificati, con liste e noduli di selce cornea, che vanno crescendo di numero e di dimen- sione a misura che si procede dal basso all'alto, dove ai calcari sono anche intercalati scisti argillosi fissili, i quali a poco a poco prevalgono su quelli e finiscono col fondersi nella massa degli scisti silicei sovraincombenti. Questi calcari con selce cornea costituiscono il nucleo fondamentale dei monti più elevati, come il monte Papa (2007 m. sul mare), il monte Sirino (1889) ed altri, e possono seguirsi benissimo nelle loro pieghe numerose ma non complicate. Nella parte più alta di essi si trova una piccola fauna, composta quasi esclu- sivamente dei generi Postdonomya ed Halobia, fra cui predomina la HYalobia sicula Gemm., mostrando così tale somiglianza di facies con la parte supe- riore dei calcari con selce cornea della Sicilia occidentale, assegnata dal prof. Gemmellaro alla zona del Trachyceras Aonoides, da rivelarsi come una formazione isopica di quella. Vista la grande potenza di questo terreno nel Lagonegrese, non è improbabile che gli strati inferiori di esso rappre- sentino o tutta o una parte della zona del 7rachyceras Aon, come è certa- mente nel Trias siciliano. « Gli scisti silicei superiori ai calcari, colorati con tutte le gradazioni e passanti dalla costituzione argillosa fino a quella compatta diasprina, hanno fornito soltanto qualche fucoide mal conservato. Riesce quindi difficile indi- care con sicurezza la loro età; ma, siccome essi sono compresi fra i calcari della zona del Trachyceras Aonoides e le scarse dolomie della zona dell’ Avz- cula esilis, credo che siano una formazione eteropica di quest'ultima zona, di cui rappresenterebbero la parte più bassa e maggiormente sviluppata. La più alta è occupata dalle dolomie bianche farinose, non stratificate, che com- pariscono nel tratto inferiore del monte Foraporta, costituiscono tutto il monte — 317 — Arenazzo, affiorano nei monti Nizzullo e Jatile e sono ricchissime di gusci di pelecipodi, fra cui non è rara l'Avicula exilis Stopp. « Le osservazioni da me fatte non mi permettono di decidere se i calcari grigi, friabili e bituminosi, sovrapposti alle suddette dolomie, appartengano alla zona dell’'Avicula contorta o rappresentino gli strati inferiori del Lias, il quale, del resto, è bene sviluppato sulla sponda destra del corso medio del fimme Noce e mostra una certa affinità con la parte superiore del Lias infe- riore dei dintorni di Taormina. « Alcuni calcari arenacei giallastri o grigi, appoggiati sui calcari neri bituminosi del Lias, potrebbero forse appartenere a qualche piano del Giura, tanto più che nei dintorni di Trecchina, non lontano da Lagonegro, al disopra del Lias, gl'ing. Baldacci e Mezzena trovarono gli strati superiori del Tito- nico con Allipsactinia ellipsoides Steinm. « Seguono indubbiamente i calcari a rudiste, i quali formano la parte più aita dei monti Cervaro, Rotondo ecc. « Il fondo delle valli e dei bacini è generalmente occupato da argille scagliose e scisti argillosi, che da alcuni vennero riferiti all'Eocene medio e superiore, ma in cui io non ho potuto finora trovare alcun fossile. « Alcuni banchi di conglomerato, formatosi in posto col detrito delle montagne vicine, associati ad altri di travertino, appartengono forse al qua- ternario antico. « Nuovi nella geologia dell’Italia meridionale compariscono sicuri avanzi morenici di un antico ghiacciaio, che durante l’epoca glaciale occupò la lunga e stretta valle del Cacciatore, compresa fra la Spalla dell’Imperatrice e le falde settentrionali del monte Sirino. « In un lavoro, al quale sto attendendo e che pubblicherò fra breve, darò tutti i particolari relativi alle notizie su esposte ». Paleontologia. — Nuov: fossili cretacei di Liguria, della To- scana e del Lazio. Nota del prof. CARLO DE STEFANI, presentata dal Socio STRUEVER. « MonTI DELLA SPEZIA. — Da molti lustri è nota l’ammonite raccolta dal Cocchi ne' monti della Spezia presso Vezzano, lungo la strada fra Buon- viaggio e Carozzo, nelle cave, ora chiuse, del De Nobili. Il Meneghini deno- minò la specie Turrzlites Cocchi: come è noto essa è una Schloenbachia comune a Monteripaldi presso Firenze, la quale, pegli altri fossili coi quali sì trova in quest'ultimo luogo e pelle sue analogie colle Schloendbachiae tri- carinatae dee attribuirsi al Santoniano, sotto piano della Creta superiore o secondo alcuni della più alta Creta media. La roccia cretacea dei dintorni — 318 — di Vezzano è la solita arenaria alternante con pochi galestri e calcari. Essa è molto più estesa che non si credesse fin qui, e malagevolmente si distin- guerebbe dalle arenarie eoceniche, più tenere, pure assai estese, che le suc- cedono, se non fosse il calcare sereziato nummulitico che ho trovato a sud- est del Capitolo di Vezzano e che risponde al comunissimo calcare nummu- litico costituente in Toscana la base dell’Eocene medio, ed al calcare num- mulitico della Maccagnina nel Reggiano, non già ai calcari nummulitici più recenti dell'Appennino settentrionale. « Anche qui sono singolari a notare le circostanze stratigrafiche. « Nel Promontorio orientale della Spezia, i terreni titoniani ed in gran parte quelli cretacei ed eocenici, circa dalla Durasca alla Ressora, sono rove- sciati a nord-est contro la Magra, in senso opposto al rovesciamento, ben noto dal Pareto in poi, del Promontorio occidentale ; con questa differenza, che nel Promontorio occidentale è regolare l'estremità nord dell’ellissoide delle roccie antiche ed è rovesciata quella sud, mentre nell’orientale è regolare quella sud e rovesciata in parte quella nord. I rovesciamenti hanno luogo come se diver- gessero dalla regione del Golfo. In conclusione la Creta di Vezzano è appa- rentemente sovrapposta ai calcari nummulitici ed all'Eocene del Capitolo; le pendenze sono di 20 a 25° a nord-ovest e talora a sud-ovest. « DINTORNI DI FIRENZE. — A partire dai dintorni di Montecatini, in Val di Nievole e di Monsummano, pel Monte Albano, pei monti di Mosciano, per la bassa Val d'Ema, pei Colli di Fiesole e per la collina di Pistoia la Creta superiore, ed in qualche punto la Creta media, fanno un’ampia cerchia quando a quando interrotta da altri terreni più recenti. La stratigrafia, salvo lievi inversioni o contorsioni nei poggi della Golfolina, di Mosciano e di Fiesole, è assal regolare, ciò che rende importante lo studio stratigrafico di quella regione. Succedono alla Creta il piano nummulitico dell'Eocene inferiore a Nummulites sub-Lamarcki ed irregularis, il calcare ad Helminthoida la- byrinthica od il Macigno dell’'Eocene medio, indi le roccie sedimentarie ed eruttive dell’Eocene superiore. In Val d’Ema talora la Creta media è diret- tamente coperta da strati eocenici, con discordanza. I fossili, Cefalopodi ed Inocerami, son noti da molto tempo e non vi sarebbero ad aggiungere che gl'Inocerami indicati dal Lotti alla Casa al Vento presso Vincigliata ed a San Lorenzo a Seppiolle, e frammenti d'Izoceramus a Montebuono. « Più lontani da Firenze sono piccoli lembi cretacei, assai irregolarmente disposti sotto i calcari ad Ze/minthoida sulla destra dell'Arno ed intorno alla Sieve presso Pontassieve. Anche i fossili di questi luoghi (Torrente Vi- cano, Marnia) sono da lungo tempo conosciuti. Negli scritti del Meneghini e del Peruzzi e miei si trovano parecchie altre indicazioni di Inocerami cre- tacei nei dintorni di Firenze fondate sopra esemplari esistenti nei Musei di Firenze e di Pisa, indicazioni in parte troppo indeterminate, in parte inesatte. I detti esemplari furono acquistati quasi tutti, in breve periodo di tempo, da — 319 — un cercatore del defunto marchese Strozzi, il quale ne raccoglieva moltissimi lungo il torrente Vicano d'Altomena presso il Pontassieve. « Parecchie indicazioni dei predetti Musei, come Pratolino, San Piero a Sieve, Borgo nel comune di Vaglia, torrente Faltona e forse un'altra o due, sono certamente errate, essendo in quei luoghi soltanto terreni eocenici o per- fino miocenici. Così è impropria l'indicazione di Pontassieve, essendo la Creta un po’ distante dal paese, come non si trova la Creta a Montefiesole, ma gl'Inocerami indicativi come trovati dallo Strozzi che vi possedeva la Villa, provengono forse da strati arenacei situati qualche chilometro a levante. « Intorno Firenzuola non si trovano terreni cretacei ed il P/ycodus po- lygirus Ag., del quale esiste un modello in vari Musei proviene quasi cer- tamente dal Miocene medio, anzi che dalla Creta come si riteneva. « Nei dintorni di Firenze la distinzione paleontologica della Creta dal- l’Eocene è sempre sicura, mentre non lo è altrettanto quella litologica, e si può escludere nel modo il più certo che si trovino Nummwulites negli strati con Mmoceramus 0 sotto questi. « DINTORNI DI CAMPIGLIA (Pisa). — Nella provincia di Pisa non si erano ancora trovati fossili della Creta superiore. « Salendo da San Vincenzo al Monte Gabbro (comune di Castagneto), sotto la Trachite quarzifera, compaiono arenarie compatte e calcari con gruppi di fucoidi solite a trovarsi nella Creta come nell’Eocene. Ai Pianali racco- glievo un /moceramus Cripsti. Questo ritrovamento mostra che la Creta superiore deve essere estesa anche nelle Maremme toscane, e conferma che alla Creta superiore deve attribuirsi anche l'arenaria di Campiglia sottostante al calcare nummulitico. I terreni litologicamente sono quelli soliti dell'A p- pennino e collegano la Creta della Spezia e della Toscana con quella dei monti della Tolfa. « MonTE AMIATA. — L'esistenza dei terreni.cretacei più antichi nel Monte Amiata, nei dintorni di Castellazzara fu rivelata dalle numerosissime e variate fucoidi, che il dottor Rosselli scopriva nei calcari schistosi policromi sottostanti ai calcari nummulitici. Senza accennare nomi per tali fucoidi, che sono atte pur esse a ben distinguere i terreni, ma che, allo scopo di non rendere la paleontologia un vano meccanismo, vanno maturamente studiate, dirò che desse sono in tutto identiche a quelle della Maccagnina nel Reg- giano e dei calcari del Monte di Roggio nelle Alpi Apuane sottostanti agli strati con Inoceramus Cripsti, e che con queste vanno attribuite alla Creta più antica. « MontI DELLA ToLra. — I monti della Tolfa sono indicati in massima parte come eocenici. Molti anni sono sulla strada fra Civitavecchia e Santa Severa trovai infatti una ghiaia di calcare con evidenti nummuliti, alla quale, per averla trovata spersa, non detti alcuna importanza. Però la nuova fu divul- gata da altri e dopo d'allora in moltissimi tratti dei monti della Tolfa fu RenpICONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 42 — 320 — indicato il nummulitico in posto. Più tardi trovai che le ghiaie con nume- rose e grosse nummuliti provengono dalle colline quaternarie di Palo e di Cerveteri dove servono appunto per ghiaiare le strade, e le trovai pure nei dintorni di Canino. Ciò significa che il nummulitico in posto dee esistere ne monti circostanti; ma certo è ch’esso non esiste nei punti nei quali finora venne indicato, nè vi si può fondare l'esistenza del Nummulitico sopra una supposta Nummulite wmzcroscopica che si dice trovata entro i terreni cre- tacei al Fosso Cupo presso la Tolfa, giacchè la microscopicità esclude la Nummulite. La massima parte di quei terreni sono certo cretacei ed alla Creta superiore dovranno ascriversi le colline di Monte Romano e quelle, ben. deli- mitate, però coll’indicazione di Eocene superiore, nelle più recenti Carte della Campagna Romana, fra il Sasso e Santa Marinella. Alla Rotonda presso Monte Romano trovai infatti un /noceramus Cripsti; non sono rare nemmeno le Pennatulites della Creta superiore dei dintorni di Firenze, anche nei calcari; e le pinnule sono contraddistinte da materia carbonata nera che risalta pure spaccando la roccia, la qual cosa dimostra che non si tratta punto d'impronte ma di un corpo internamente fossilizzato. Colle Pernatulites sono esemplari di Gyrochorte porrecta De St., della Creta superiore di Roggio nelle Alpi Apuane, che credo pure un Alcionario. « Gli assi di Virguiaria che trovai qua e là sono fossili poco distin- tivi, comuni anche a terreni molto recenti ». Batteriologia. — Sopra lazione della luce sul fermento ellittico. Nota di GiruLio ToLoMEI, presentata dal Socio BLASERNA. « Se si ricercano sui grappoli d'uva, tagliati a diverse altezze da un medesimo ceppo, il numero e la natura dei fermenti che ricoprono gli acini e i graspi, si trova che l'uva posta più in basso dà una grande quantità di Saccharomyces, fra i quali predomina il S. apieulatus, mentre quella colta nel mezzo od in alto è accompagnata da un piccolissimo numero di fermenti. Tale fatto deve attribuirsi all’azione della luce, come fu dimostrato dal Mar- tinaud in una serie di esperienze, di cui i risultati furono pubblicati l’anno scorso (1). d « Da tali esperienze il Martinaud concluse che ogni volta che la durata dell’esposizione al sole è stata uguale o superiore a 4 ore, e la temperatura compresa fra 31° e 40°, il fermento apiculato è sempre ucciso, mentre a tem- perature più basse tale fermento, come pure il fermento ellittico qualche volta non muoiono con una esposizione al sole di 4 a 6 ore. Alla tempera- (1) Comptes rendus, t. CXIII, p 782. — 321 — tura di 36° i fermenti sono ancora uccisi, se si lasciano esposti al sole du- rante tre giorni. «Il Martinaud eseguì altre esperienze per determinare se la morte dei fermenti poteva essere attribuita al calore dei raggi solari, e arrivò a conclu- dere che, anche al di fuori del calore proprio di tali raggi, la luce esercita un'influenza sensibile sulla vita dei Saccharomyces. « Ciò posto non mi parve privo di interesse il ricercare se sono tutte le radiazioni che compongono la luce bianca che esercitano un'azione con- traria alla vita dei Saccharomyces, o se il fenomeno è dovuto solamente ad alcune di tali radiazioni. Per tale ricerca mi servii dello stesso apparecchio da me adoperato in un precedente studio Sopra l’azione della luce sulla fermentazione acetica (!), apparecchio che si riduce in ultima analisi ad avere recipienti nell'interno dei quali non possono penetrare che radiazioni lumi- nose di una data specie. Ognuno dei recipienti era costituito da due bottiglie a collo molto largo, della stessa forma, ma di dimensioni differenti, poste l'una nell'interno dell'altra. La bottiglia interna era chiusa da un turac- ciuolo, attraversato da un termometro diviso a quinti di grado, e da un tubo di vetro pieno di ovatta compressa e sterilizzata. « L'intervallo esistente fra le due bottiglie poteva essere ripieno con una soluzione colorata che lasciava passare solo talune radiazioni luminose. Le bottiglie adoperate furono nove. In una lo spazio esistente fra i due reci- pienti era ripieno di acqua distillata; in un’altra di una soluzione molto densa di inchiostro di china, dimodochè il liquido contenuto nell’interno si trovava perfettamente all'oscuro, e nelle altre furono poste delle soluzioni, colorate coi colori di anilina, che lasciavano passare i sette colori principali dello spettro solare. «Il Saccharomyces studiato fu l’ellittico, quello cioè che produce la fermentazione del mosto d'uva. Proveniva dal fermento di Champagne posto in commercio dalla ditta Schloesing frères di Marsiglia, e siccome era in istato di quiete e non avrebbe potuto produrre la fermentazione se non in capo ad un tempo molto lungo, fu ringiovanito moltiplicandolo in mosto ste- rilizzato. Il fermento veniva poi sospeso in soluzioni di gelatina pura al 10°/,, ed in queste erano immerse delle strisce di carta di filtri precedentemente sterilizzate. Tali striscie, appena tolte dal liquido venivano immediatamente sospese nell'interno dei recipinti a cui ho accennato sopra, nei quali subi- vano l’azione delle diverse radiazioni che costituiscono la luce bianca. « Dopo un certo tempo, che variava da un'esperienza all'altra, le striscie di carta erano immerse in mosto sterilizzato ed era notato il tempo in capo al quale aveva luogo la fermentazione. Nella seguente tabella sono raccolti alcuni dei risultati ottenuti. (1) Ze Stazioni sperimentali agr. ital, vol. XX, fasc. 4°. — 322 — Durata Temperatura Colore della soluzione Tempo in capo DATA dell’esposizione massima posta nell’interno al quale il mosto alla Ince solare osservata dei recipienti entra in fermentazione 0 Setttembre 10-11 12 ore 40,8 Inchiostro di china 40 ore » » 42 Bianca nessuna ferment. ” ” 41,4 Rossa 48 ore ” ” 41 Aranciata 48 ore i 2) 2 41,2 Gialla 50 ore D) ” 40,2 Verde 64 ore ” ” 40,8 Azzurra nessuna ferment. ” ” 40,2 Turchina ” ” ”» 40 Violetta » Settembre 14 8 ore 41 Inchiostro di china 96 ore ” » 42,6 Bianca nessuna ferment. » » 41,8 Rossa 40 ore ” ” 40,6 Aranciata 48 ore ” » 41 Gialla 48 ore ” ” 40,2 Verde 50 ore » ” 41 Azzurra nessuna ferment. ” » 414 Turchina 70 ore » ” 40,2 Violetta nessuna piana Settembre 17 6 ore 42,4 Inchiostro di china 40 ore ” ” 44 Bianca nessuna ferment. » » 429 Rossa 48 ore ” ” 41,8 Aranciata 52 ore ” » 49 Gialla 64 ore » » 40,6 Verde 78 ore » » 40 Azzurra 78 ore » D) 40,2 Turchina 84 ore ” ” 39 Violetta nessuna ferment. Settembre 20 4 ore 40,6 Inchiostro di china 24 ao 2, ” 43,8 Bianca 84 ore ” D) 41 Rossa 30. ore D ” 41,2 Aranciata 80 ore 2) » 40,4 Gialla 36 ore ” ” 40 Verde 596 ore ” ” 40,2 Azzurra 50 ore ” ” 40,4 Turchina 58 ore » » 40 Violetta 72 ore — 323 — « Dalla semplice ispezione di questi risultati mi sembra che possano de- dursi consegunnze abbastanza importanti. E prima di tutto si può affermare in modo assoluto che la luce esercita un'azione nociva sulla vita del .Sae- charomyces ellipsoideus, giacchè, mentre il fermento posto nell'interno della bottiglia contenente l’inchiostro di china, cioè soggetto alla sola azione dei raggi calorifici oscuri, produsse sempre la fermentazione del "mosto, in capo ad un tempo più o meno lungo, quello posto nella bottiglia contenente acqua distillata, cioè soggetto all’azione dei raggi luminosi e calorifici insieme, non la produsse o la produsse in capo ad un tempo molto più lungo con espo- sizione alla luce solare di ugual durata. « Aggiungerò che il procedimento adoperato mi sembra assai più spiccio di quello seguito dal Martinaud e permette, fino ad un certo punto e con una modificazione a cui ora accennerò, di vedere se siano i raggi luminosi o quelli calorifici che esercitano un'influenza predominante nel fenomeno. « Dalle cifre riportate si vede pure che i raggi rossi producono presso a poco la stessa azione dei raggi calorifici oscuri, e quindi è da ritenersi che l'azione nociva esercitata dalla luce sulla vita del Saccharomyces ellipsoideus deve essere attribuita ai raggi chimici. « Ciò posto, sarebbe stata mia intenzione di ripetere le stesse esperienze ponendomi al coperto da un aumento troppo grande di temperatura nell’in- terno dei recipienti, coll’unire alle soluzioni colorate dell’allume; ma siccome alcuni colori erano alterati da questo corpo, dovetti contentarmi di eseguire alcune esperienze con soluzioni incolore di allume. In tal modo trovai che con una esposizione alla luce del sole di circa 24 ore in quattro giorni e con una temperatura che non sorpassò mai i 32° nell'interno del recipiente, il Saccharomyces ellipsoideus era ucciso, mentre quello che era stato soggetto all'azione dei soli raggi calorifici oscuri nel recipiente contenente la soluzione di inchiostro di china, con una temperatura che variò dai 37° a 42°, durante lo stesso periodo di tempo, produsse la fermentazione in capo a 72 ore. « In un'ultima serie di esperienze, posi nell’intervallo esistente fra le due bottiglie delle soluzioni che non presentavano per trasparenza colori simili a quelli semplici dello spettro, ma colori qualunque. Tali soluzioni le ottenni mescolando i liquidi colorati di cui mi ero servito nella prima serie di espe- rienze e aggiungendo ad essi dell’allume fino a saturazione. Esse presenta- vano per trasparenza i seguenti colori: rosso-porpora, rosa-cupo, giallo-d’oro, giallo-verdastro, verde-cupo, giallo-bismark, verde-pallido, azzurro-verdastro e oltremare. « In ciascuna bottiglia, insieme alla striscia di carta imbevuta della soluzione di gelatina contenente il fermento, fu posta una strisciolina di carta sensibile, contrassegnata con un numero uguale a quello posto sulla prima striscia. Furono fatte tre esperienze con una esposizione di 8, 12 e 24 ore, e ogni volta furono fissate le striscioline di carta sensibile e furono — 3824 — poste nel mosto sterilizzato le altre, notando il tempo in capo al quale av- veniva la fermentazione. 1 « La carta sensibile si alterò sempre in tutte le bottiglie, ma in grado diverso, e ponendo le striscioline una di seguito all'altra, andando da quella meno alterata a quella quasi completamente annerita, e sotto di esse Seri- vendo, secondo i numeri portati dalle striscie, i tempi in capo ai quali si era prodotta nel mosto la fermentazione, si aveva una serie crescente che stava ad indicare che i colori che preservano meglio una carta sensibile dall'an- nerimento, hanno un'azione meno nociva sulla vita del Saccharomyces. el- lipsoideus ». | i CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute: La R. Società zoologica di Amsterdam; la Società Reale di Sydney; la Società Reale delle scienze di Throndhjem; la Società di scienze naturali di Emden; la Società geologica e di storia naturale di Ottawa; la Società di scienze naturali di Braunschweig; la Società geografica di Helsingfors; la Società degli ingegneri civili di Parigi; gli Osservatorî di Parigi e di S. Fer- nando; le Università di Glasgow, di Cambridge e di Berkeley. Annunciarono l'invio delle proprie pubblicazioni : La R. Società di scienze naturali di Budapest; la Società di scienze naturali di Gera; la Società geologica di Calcutta; la Società zoologica di Londra; la R. Scuola per gl’ ingegneri di Roma; la Scuola politecnica di Parigi. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 3 ottobre al 6 novembre 1892. Bajo A. — Contro le regole logaritmiche per evitare i complementi e le caratteristiche negative. Napoli, 1892. 8°. Berybohm J. — Entwwf einer neuen Integralrechnung auf Grund der Po- tenzial Logarithmal- und Numeralrechnung. Leipzig, 1892. 8°. Boccardo E. C. — Trattato elementare completo di geometria pratica. Disp. 35. Torino, 1892. 8°. Bogdanow A. — Association russe pour l'avancement des sciences physico- chimiques naturelles et biologiques. Rapport aux Congrès internationaux de Moscou. 1892. 4°. Id. — Quelle est la race plus ancienne de la Russie centrale. Moscou, 1892. 8°. — 325 — Bòttger 0. — Katalog der Batrachier-Sammlung im Museum der Senckenb. Naturforsch. Gesellschaft. Frankfurt, a/M. 8°. Casati G. — Unioro. Schizzo topografico a memoria, in scala approssimativa di 1:750,000. Congrès international d'Archéologie préhistorique et d'Anthropologie. 11° Sess. a Moscou aoùt 1892. Moscou, 1892. 8°. Congrès international de Zoologie. 2° Sess. a Moscou aoùt 1892. I° partie. Moscou, 1892. 8°. Consiglio Ponte S. — Contribuzione alla vulcanologia delle Isole Eolie. — I proiettili e l'interno meccanismo eruttivo di Vulcano. Catania, s. a. 4°. Id. — Fine del periodo eruttivo di Vulcano e stato attuale del cratere. Ca- tania, 1891. 4°. Daday J. — Literatura zoologica hungarica. Budapest, 1891. 8°. Ducovetzky F. — Congressi internazionali di Mosca. Mosca, 1892. 8°. Ferrero 0. — Le ricerche geologiche e le esplorazioni sotterranee dei mezzi fertilizzanti. Caserta, 19892. 8°. Jo. — Osservazioni e registrazioni sopra la rugiada. Asti, 1892. 8°. Garibaldi P. M. — Stato meteorologico e magnetico di Genova per l’anno 1891. Garnier Ch. et Eiffel G. — Coupole du grand équatorial (Observatoire de Nice). Application du flotteur annulaire. Paris, 1885. 4°. Gasperini R.— Prilog k dalmatinskoj Fauni (isopoda, myriopoda - arachnida). U Splitu, 1892. 8°. Gorinî C. — Studi sperimentali sul latte (Lab. scient. della Direz. della Sanità). Roma, 1392. 4°. Herman O. — Petényi, il fondatore dell’Ornitologia scientifica in Ungheria. Budapest, 1891. 4°. Loverin J. — Memorial. Cambridge, 1892. 8°. Mosso A. — Les phénomènes psychiques et la température du cerveau. London, 1892. 4°. Processo verbale della Seduta del Consiglio superiore dei lavori geodetici dello Stato tenuta in Roma, 7 aprile 1892. 4°. Pungur G. — Histoire naturelle des gryllides de Hongrie. Budapest, 1891. 4°. Saalmiller M. und v. Heyden L. — Lepidopteren von Madagascar. Abth. I, II. Frankfurt a/M. 1884-1891. 4°. Selavo A. — Di alcune nuove proprietà dello Spirillo colerigeno di Koch e degli Spirilli affini ecc. Roma, 1892. 4°. Stourdza Prince G. — Reponse è la critique que M. Goupil a faite è mon ouvrage sur les lois fondamentales de l’univers. Jassy, 1892. 8°. Weber W.— Die Werke herausg. von der k. Gesellschaft der Wissenschaften zu Gottingen. Bd. I, II. Berlin, 1892. 8°. Wirchow R. — Crania ethnica americana. Berlin, 1892. 8°. BE i rea (ES LI, La A LU dr SAU ini nni (abile È Pn Rae (or FICA Ì è det ri be SOIL: È GLIRISIRI dt — 327 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 20 novembre 1892. DADI X«<<« Matematica. — G% integrati algebrici dell'equazione di Lame. Nota del Socio FRANCESCO BRIOSCHI. « 1. In una Memoria che ha per titolo Sopra una classe di equazioni differenziali lineari del secondo ordine pubblicata negli Annali di Matema- tica (T. IX seconda Serie. Anno 1878) ho dimostrato che la equazione dif- ferenziale : DIA IR, (v-+2 Q TORRETTA ENI nella quale : p(s)=45 — gos—gs=4(s—e)(s— 2) (s— 63) v un numero dispari e Z una costante, ammette integrali algebrici. J — » . Ò V a « Indicando con P (s) un polinomio del grado econ é una qual- sivoglia delle radici e, e, €3, ponendo: v=1 Pani ema), “= 20 @ h(a=Vu()—yu(A—-2(s—-a), s(=Vu()+Vu (a —2(s— a) RenpICONTI. 1892, Vol. I, 2° Sem. 43 — we ho anche dimostrato che i valori degli integrali wi ,Y» della sa (1) sono: noe [t8] i [A] lvl Ca tz (È) ]° 2 | de(S) SE/pIz) ((< Aa 2251) sO I “o ponendo a= € ed a = s, nelle espressioni (2). « Questi valori di y,, s sì ponno trasformare nel modo seguente. Essendo: t (a) ls (A) =4(s—a)[2s+5—/(8) | sì hanno le: to (a) (A +4(—a)]=46—a[24+8+y5(0)] i (A (A+46—4a]=46—a[2a+E- Va] inoltre le : h(0|41@+46-4]=L, £(A)|6(A4+46—-9]=M posto : L(a=|V1()—yn(a) | 46— 0? M(a=|V1()+1r(a)|- 4-0? « Si ottengono così le due relazioni : 4(s— a) [24 ++ Vi (a) | 2 c =) 4(s— a) [24 LE Vi (a) | . o SUI) e per esse i valori di y,,7s, trascurando un coefficiente costante, prendono la forma: 1 RA 9 y=L'(£) II L° (5) (3) y— DIE palo i). « Si noti che posto : A>Vu(M—Ve®), B=26—3.,. C=Va(M4 VO) A=Vu(s)—Va). B=206 —5), Cln) + VO) — 329 — e quindi : L(&)=A*—B?, M(#)=0°—B? sono : L(s.)=(A—A,))—(B—B,)?, M(s.)=(C+A,)) —(B— B,)?. « 2.° I valori (3) possono essere nuovamente trasformati colle seguenti considerazioni. Sia F (1,2) la forma biquadratica : F (21 , 82) _ EE ia 601° 257 + Bio indicando con : H=3(FF). T=2(FH) 1 suoi due covarianti, si hanno pei loro valori : H=— goF — (90° — 1) 21° 22° T= (90° — 1) 21 ce (e: — 214). « Supponendo nelle formule del paragrafo precedente È = e, pongasi 1 1 0 H (4) see = 4) si ottengono le : KI/ (e,) 81 Bi 83 Se (ee PESI Dip? ima LA 4639), cei F —(c0° — 21°) e quindi : -— Vu(e) Va = LEO (2), « I valori di L (£), M (é), L (s,), M (s,), si trasformano così nei seguenti : 4 24 L(&)=4u(0) 2 M(5)=4u(0) F l L L L(s)=w|(0*—B9)° a" — (44—B) a? | le vi 2 M)=p[(&#—BA)? a (04 —B)° 5] e gli integrali y1, y» diventano : 2 U V (5) UE AM Fi Fi essendo : US (4) V:RASi((z:20 2,2) al (2). I coefficienti delle più . TA e L ed S un polimonio in «°, 23° del grado (1) Pick, Veber die Integration der Lamé'schen Differential gleichung. Accademia delle scienze di Vienna. Anno 1887. (?) Alphen, Zraité des fonctions elliptiques. T. II, pag. 474. — 330 — alte potenze di #,° in U e di 2° in V potendo ritenersi eguali all'unità, i polinomi U, V contengono ciascuno gli stessi coefficienti in numero c_ « 3. Per determinare il valore di questi coefficienti si osservi che posto s==— dalla relazione (4) si ha: de E) de ma pel valore di T: Wi 00) Erg] Ei F° (7) = 03) quindi : ds 2 1g (s) e derivando di nuovo : —|y (5) LA +1 TT) "(s va - I alli ee Da opp pio! nona Sa (44 v (r +2) ‘/9 x v] Co-€3 ma U—=-,0, U=r(—1)U,, F=4F F=12F, si avrà perciò: per la (1) SA Lu el em Gtaga o rammentando il valore (4) di s, si avrà: At CU: een SI) ossia : 21° Una + 602122 Ur + 22° Un = 4U posto : 4t (1) (=) =) Ki-0 ia — 331 — « Da quest'ultima equazione si ottengono i valori dei coefficienti di U e quello di X; quest'ultimo sarà dato evidentemente da una equazione del dad ai « Pei casi di v= 1,3,5 si avranno: t=0, @=29,, 8— 7ggit 209, =0. grado « 4.° Una speciale proprietà degli integrali y1, y» dell'equazione differen- ziale (1) rilevasi dalle seguenti considerazioni. Sia /(Y1,%:) una forma bi- quadratica a coefficienti costanti, e supposto sostituiti in essa per y1,, ya i loro valori, sarà : f (Y13 Y2) = 8 (8) essendo < un polinomio in s, il quale, come è noto, deve soddisfare ad una equazione differenziale lineare del quinto ordine. Questa equazione è la seguente : SP +5ggev +5] tg + 4(65-w) g]e"+ +5|6@—w)9+668s—) g |? +[6(8— 44)g" + 485(35 — 54) + 644? | + 164 (44 —35):=0 nella quale : pps 282) sl « Posto : vel v=3 e=s? Las? +La, 2 i x «v+3 ST ; 7 sx la equazione superiore dà i relazioni, ma il coefficiente della più alta ; : hi 730 ae DO potenza di s essendo eguale a zero riduconsi a — 9° cioè sufficienti a de- terminare i valori di @,, 42... ay e di 4. 2 «RPergoiiWsiihaf<_d, 0: perg 2 si ha = =s—=#,e = ig,; per v==3 si ottiene s=s°—5fs+ (23£— 819) e 3 —-T7g,t + 2093 =0 n». — 332 — Chimica-Fisica. — Spostamento della nicotina dai suoi sali e azione dell’ alcool sopra di essi. Memoria del Corrispondente R. NAsINI e di A. PEZZOLATO. « Uno di noi, in un lavoro che aveva principalmente per scopo di dosare rapidamente e con sicurezza la nicotina in presenza dell’ammoniaca, mostrò che la nicotina in soluzione nell’alcool a 96° non esercita nessuna azione sopra certi indicatori, quali la laccamuffa e la alizarina ('): la ragione di questo comportamento, analogo a quello già constatato dal Menschutkin (?) per l'anilina in soluzione acquosa rispetto all’acido rosolico e per la trietilam- mina e l’ammoniaca in soluzione alcoolica rispetto alla fenolftaleina, dipende con tutta probabilità dal fatto che la nicotina essendo una base assai debole non si unisce in soluzione alcoolica cogli acidi degli indicatori o non ne può spostare la base. « In questa Memoria noi studiamo il comportamento della nicotina come base e specialmente ci occupiamo degli spostamenti di essa dai suoi sali quando si trova in presenza di basi più energiche. « La nicotina impiegata nelle nostre ricerche o era stata estratta da noi direttamente dal tabacco oppure proveniva dalla fabbrica del Trommsdorff: essa fu sempre purificata secondo le indicazioni date dal Landolt (3) e della sua purezza ci accertammo sempre determinandone il potere rotatorio e facen- done valutazioni con acido solforico titolato. « Che la nicotina sia una base debole è noto (4): noi facemmo delle misure sulla conducibilità elettrica delle sue soluzioni acquose seguendo esattamente il metodo del Kohlrausch e le prescrizioni dell’Ostwald: la nicotina impie- gata per queste esperienze proveniva dalla fabbrica Trommsdorff e purificata con tutte le cure aveva il potere rotatorio specifico seguente alla tempera- tura di 18°: [e] = — 161.09 (1) A. Pezzolato, Sul modo di determinare la nicotina in presenza dell’ammoniaca. Atti della R. Acc. dei Lincei. — Gazzetta chimica italiana, t. XX, pag. 780, anno 1890. (2) N. Menschutkin, Veber die gegenseitige Verdringung der Basen in den Lòsungen ahrer neutralen Salze. Berl. Ber., t. XVI, pag. 315, anno 1883. (3) Landolt, Das optische Drehungsvermogen, pag. 68. (4) Vedere la memoria del Colson, Mémoire sur une application de la thermochimie. Bull. 39, t. III, pag. 8, anno 1890. — 333 — Le misure sulla conducibilità elettrica furono eseguite alla temperatura di 25°: Peso molecolare Conducibilità della nicotina sciolto in molecolare 16 litri 1.831 82 n 1.874 64» 3.163 128.» 4.889 256. » 9.773 bI20 > 17.916 1024 > 51.964 2048. » 57.756 La conducibilità molecolare della nicotina è minore di quella della ammo- niaca: essa cresce col crescere della diluizione presso a poco in modo ana- logo a quella dell’ammoniaca. « Anche la contrazione di volume che avviene quando si forma un sale di nicotina mostra quanto essa sia una base debole. « Fu preparata una soluzione acquosa di nicotina tale che in un chilo- grammo era contenuto il peso molecolare della base: di questa soluzione determinammo il peso specifico mediante un picnometro di Sprengel e tro- vammo a 20°: dî° = 1.010387 Fu poi preparata una soluzione acquosa di acido cloridrico contenente ugual- mente il peso molecolare di acido in un chilogrammo: il peso specifico fu trovato: i dî0 — 1.015875 Furono mescolate le soluzioni in proporzioni equimolecolari ed il peso spe- cifico della soluzione risultante fu trovato : dî° — 1.014351 « Di qui si deduce: Volume di un chilogramma di soluzione di nicotina. . . . . . ce. 989.717 Volume di un chilogramma di soluzione di acido cloridrico. . » 984.363 Sommazde volume e... n 1974.080 Volume di due chilogrammi della soluzione risultante dalla me- Sola de e... de... » 1971.680 quindi c'è stata una contrazione di volume di cc. 2.400. « È noto che colle basi forti e gli acidi forti si ha una dilatazione, invece che una contrazione; coll’acido acetico la contrazione è ancora maggiore. « Il volume di un chilogrammo di soluzione di nicotina essendo ce. 989.717 e quello di un chilogrammo di soluzione equimolecolare di acido acetico — 334 — essendo cc. 998.687 la loro somma è cc. 1988.404: invece il volume di due chilogrammi della soluzione risultante dalla loro mescolanza è di ce. 1970.186: quindi si è avuto una contrazione corrispondente a cc. 18.218. « Contrazione vi è anche quando l’acido acetico puro si unisce colla nicotina pura: | « Un peso molecolare di nicotina occupa a 20° il volume di cc. 160.335 giacchè dî —= 1.01038 : « Un peso molecolare di acido acetico occupa a 20° il volume di cc. 57.282 giacchè dî = 1.04745. « La somma dei volumi sarebbe cc. 217.615: invece il volume mole- colare a 20° dell’acetato di nicotina, o per dir meglio del miscuglio equi- molecolare, essendo il suo peso specifico dî° — 1.04410, è di cc. 212.619. « Quindi: Volume calcolato 217.615 Volume trovato 212.619 4.996 Di questo miscuglio equimolecolare di acido acetico e di nicotina, che non crediamo possa ritenersi costituito 7r/egralmente da acetato di nicotina, de- terminammo il potere rotatorio specifico. Le determinazioni di potere rota- torio che compariscono in questo lavoro furono quasi tutte eseguite con un polarimetro di Laurent grande modello: alcune con un grande polarimetro Landolt-Lippich. Per il miscuglio equimolecolare di cui sopra, trovammo alla temperatura di 20°: [e]p = — 72.215 La rotazione fu verificata dopo due giorni e fu trovata uguale. « L'acetato di nicotina era stato studiato in soluzione acquosa da P. Schwebel (1): egli esaminò tre soluzioni acquose ottenute neutralizzando solu- zioni titolate di nicotina con soluzioni titolate di acido acetico e trovò i resultati seguenti: Acetato di nicotina °/o [e] a 20° 4.85 41381 11.087 L 14.75 23.002 -+- 17.10 E di qui dedusse per l’acetato di nicotina in soluzione acquosa la formola generale : [a ]o = + 49.680 — 0.6189 9g + 0.002542 g° (1) P. Schwebel, Veder das optische Drehungsvermogen einiger Salze des Nicotins. Berl. Ber., t. XV, pag. 2850, anno 1882. — 335 — dove g rappresenta il °/, di acqua nella soluzione: di qui si dedurrebbe per l’acetato senza acqua: [@]) = + 49.680. Per maggiore comodità abbiamo calcolato l'equazione dello Sechwebel invece che in funzione del percentuale %, in funzione di e, vale a dire della concentrazione delle soluzioni (peso in 100 ce.): si ha in tal modo: [a Jp = 13.204 + 0.11406 c + 0.002073 e°. « Evidentemente la mescolanza equimolecolare di acido acetico e di nicotina ha un potere rotatorio che non corrisponde a quello dell’acetato dello Sehwebel, che dovrebbe essere destrogiro. Nemmeno però si può sup- porre che la nicotina non siasi combinata affatto coll’acido acetico, giacchè in tal caso, ove non si ammetta una speciale influenza del solvente, il potere rotatorio specifico avrebbe dovuto essere: [o] = — 98.62. « Noi ci siamo assicurati che la formula dello Schwebel dà resultati concordanti con quelli che esperimentalmente si ottengono anche per con- centrazioni assai forti; così ad esempio per una soluzione avente la concen- trazione c = 64.735 trovammo [@«]) == + 28.58, mentre [@] calcolato colla formula dello Schwebel sarebbe + 29.27. « È a notarsi che questa soluzione da principio dava valori un po' mi- nori e fu soltanto dopo averla lasciata a se per più di un giorno che dette il valore più elevato che non cambiò più. Alla mescolanza equimolecolare di nicotina e acido acetico che devia fortemente a sinistra, secondo è stato già detto, aggiungendo acqua si ha da principio sempre deviazione a sinistra che va mano a mano diminuendo coll’aumentare dell’acqua e poi deviazione a destra: sino a che la quantità d’acqua era inferiore a cinque molecole circa per una di nicotina noi abbiamo sempre avuto rotazione a sinistra, poi rotazione a destra, la quale, quando si è raggiunta una certa diluizione, può considerarsi uguale a quella che si calcola colla formula dello Schwebel: bene inteso però che le soluzioni vanno lasciate a se un certo tempo sino a che non si abbia rotazione costante. Noi ci asteniamo dal riferire i dati numerosissimi delle nostre espe:ienze; giacchè, sebbene esse non lascino alcun dubbio sul senso del fenomeno, sono nondimeno troppo penose e difficili a farsi perchè possano permettere resultati esatti. Non sapremo dire se in solu- zione acquosa di una certa concentrazione ci sia veramente l’acetato: certo vi è un composto che si comporta otticamente come una sostanza ben defi- nita: in soluzioni più concentrate poi noi abbiamo evidentemente delle rota- zioni dovute al composto studiate dallo Schwebel ed alla nicotina che si è messa in libertà per la dissociazione del composto stesso: oppure, come diremo a suo tempo, ad un altro acetato: anche nel miscuglio equimolecolare di nico- tina e acido acetico noi abbiamo probabilmente acetato di nicotina e nico- tina e acido acetico non combinati. Del rimanente che dalla mescolanza di RenpIcoNTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 44 — 396 — basi deboli come l'anilina con acido acetico non risulti integralmente l'ace- tato, ma si abbia invece una mescolanza in cui solo una parte delle due sostanze si uniscono, resulta anche dalle esperienze termochimiche del Ber- thelot e segnatamente da quelle riportate nella sua Memoria, Recherches nouvelles sur la stabilité relative des sels, tant à l'état isolé qu'en présence de Veau. Sels d’amiline (!). Ma di tutto ciò diremo più tardi. « L'acetato di nicotina, cioè il miscuglio equimolecolare di nicotina e acido acetico, è sempre levogiro in soluzione alcoolica: il potere rotatorio cresce col crescere della diluizione: ottenemmo i seguenti numeri alla tem- peratura di 20°: c [&]o 3 UPA2A] — 58.94 12.972 — 65.27 Anche questi numeri li diamo con riserva attese le difficoltà delle letture. « Se alle soluzioni alcooliche di acetato di nicotina si aggiunge acqua la deviazione verso sinistra va successivamente diminuendo coll’aumentare dell'acqua e si ottengono poi dei liquidi che deviano a destra: se invece alle soluzioni acquose di acetato si aggiunge alcool ha luogo il fenomeno contrario: la deviazione a destra diminuisce e si hanno poi liquidi che deviano a sinistra. « Anche le soluzioni acquose di solfato e di cloridrato di nicotina si comportano in modo analogo. Anche il cloridrato e il solfato di nicotina furono esaminati otticamente in soluzione acquosa dallo Schwebel (!): pel cloridrato egli esperimentò sopra quattro soluzioni con un percentuale in sale tra 9.988 e 42.870: trovò che le soluzioni deviavano a destra e che il potere rotatorio specifico poteva esprimersi con la equazione: [a], = + 51.50 — 0.79319+ 0.004238 9? (£= 20°); pel solfato esaminò sei soluzioni il cui contenuto era compreso tra 9.946 e 69.445: anche esse deviavano a destra e le variazioni del potere rotatorio potevano esprimersi con l'equazione : [a] = + 19.77 — 0.05911q. Ora se alle soluzioni acquose di questi sali che deviano a destra si aggiunge alcool il potere rotatorio a destra diminuisce e si hanno poi liquidi che deviano a sinistra: se l'aggiunta di alcool è forte, circa 50°/, si hanno delle deviazioni di poco inferiori a quelie che darebbe la nicotina se sì trovasse sciolta a uguale concentrazione nell'acqua e alcool: una soluzione in alcool al 50 °/, contenente gr. 12.463 di solfato di nicotina in 100 cc. aveva un potere rotatorio specifico di — 69.01 alla temperatura di 20°: la stessa (1) Loco citato. — 337 — quantità di nicotina contenuta nel solfato avrebbe dovuto dare nelle stesse condizioni un potere rotatorio specifico — 75. Il potere rotatorio verso sini- stra aumenta coll’aumentare dell'alcool: ciò dipende naturalmente da due cause: dissociazione, se così può chiamarsi, del sale destrogiro effettuata dal- l'alcool e maggior potere rotatorio che la nicotina ha nell’alcool in confronto di quello che ha nell'acqua. « Ci siamo assicurati che in soluzione alcoolica la nicotina unita col- l’acido acetico è completamente spostata dalla trietilammina: si prese una soluzione alcoolica di acetato di nicotina cui fu aggiunta la quantità cor- rispondente di trietilammina: si trovò come potere rotatorio specifico [a] = — 140.95: invece il potere rotatorio specifico calcolato secondo la formula del Landolt sarebbe : [e]p= — 141.13. Con l’anilina lo spostamento non è completo e nemmeno con l'ammoniaca. L'aggiunta di acido borico a una soluzione alcoolica di nicotina produce una leggera diminuzione nel potere rotatorio: una soluzione che avrebbe dovuto deviare — 141 deviò — 156. « Non vi ha dubbio che la soda e la potassa in soluzione alcoolica spostano completamente la nicotina dai suoi sali anche da quelli di acidi energici, dal momento che fondandosi su questo fatto si può titolare la nico- tina stessa, come mostrò uno di noi ('): non è però sempre facile dare di ciò una prova diretta per le soluzioni acquose, giacchè se a una soluzione nell'acqua di solfato o di cloridrato si aggiunge soda o potassa si ha subito un forte intorbidamento dovuto all'insolubilità della nicotina nelle soluzioni dei sali e specialmente dei solfati: alle soluzioni acquose del cloridrato aggiun- gendo ammoniaca lo spostamento è quasi completo: a una soluzione acquosa di cloridrato la quale conteneva tanta nicotina che avrebbe dovuto dare [al = — 76.03 fu aggiunta ammoniaca nella quantità strettamente necessaria: si ebbe [a] == 60.44 Poi fu aggiunta in quantità maggiore (invece che una molecola una e mezza per una di nicotina) e si ebbe: [a] = — 69.18: poi in quantità doppia di quella teorica e si ebbe: [a] = — 73.42. La soda sposta completamente la nicotina dell’acetato anche in soluzione acquosa: si prese una stessa quantità di una soluzione di nicotina: ad una (1) A. Pezzolato, loc. cit. — 338 — si aggiunse acqua a fare 50 cc.: all'altra acido acetico per fare l'acetato, poi la quantità equivalente di soda e si portò con acqua al volume di 50 ce.: sì ebbe identica deviazione. La trietilammina sposta la n'cotina in grandis- sima parte dal cloridrato, quasi totalmente dal solfato. « Il Gladstone sino dal 1862 si era occupato di studiare mediante il polarimetro lo spostamento della nicotina dai suoi sali per opera delle basi (!): egli ammetteva che mentre, come è realmente, la nicotina ha un forte potere rotatorio a sinistra, la sua combinazione coll’acido cloridrico è priva affatto di potere rotatorio, il che, come risulta dalle esperienze dello Schwebel, non è esatto: egli trovò che aggiungendo a una soluzione di nicotina la propor- zione stechiometricamente equivalente di cloruro ammonico la rotazione verso sinistra diminuisce assai, mentre diminuisce meno aggiungendo cloruro sodico: il Gladstone dedusse anche la composizione del liquido che risultava dopo l'aggiunta dei sali, ma naturalmente tale composizione essendo dedotta in base alla supposta inattività del cloridrato di nicotina non è da ritenersi esatta: esatta invece è la deduzione del Gladstone che la soda ha maggiore tendenza della ammoniaca a stare unita coll’acido cloridrico e quindi è meno spostata dalla nicotina. « Abbiamo voluto studiare il comportamento ottico del miscuglio equi molecolare di acido acetico e nicotina sciolto nel benzolo. La nicotina nel benzolo conserva il potere rotatorio specifico che possiede quando è pura: ciò risulta dalle seguenti esperienze: I. °/o di nicotina p= 46.385; dî = 0.93472; c = 43.397 [@]> = — 161.65 Il. °/o di nicotina p= 17.762; d28 = 0.89994; c = 15.985 [e] = — 162.77. Dalla soluzione più concentrata, e che perciò fornisce i dati più attendibili si ricava per la nicotina esattamente il valore trovato dal Landolt; dalla seconda un numero che differisce tanto poco dall'altro che la differenza sem- brerebbe doversi attribuire ad errori di osservazione. « Il miscuglio equimolecolare di acido acetico e di nicotina sciolto nel benzolo dètte sempre soluzioni che deviavano fortemente a sinistra: quindi anche in questo solvente bisogna ammettere o che l’acetato è fortemente dissociato oppure che la sostanza che si trova nell'acqua e che devia a destra non è semplicemente acetato: nemmeno però è a ritenersi che la nicotina nel benzolo non siasi unita affatto coll’acido acetico giacchè per il potere rotatorio specifico, riferendosi alla sola nicotina, si hanno dei numeri troppo bassi. Riportiamo qui i dati che si riferiscono a tre soluzioni benzoliche del (1) Additional Notes on Reciprocal Decomposition among Salts in Solution by I. H. Gladstone. Journ. of the Chem. Soc., t. XV, pag. 302, anno 1862. — 539 — miscuglio equimolecolare sopra detto: le esperienze furono eseguite alla tem- peratura di 20°: c (in miscuglio [@] [@]p c (in nicotina) equimolecolare) riferito alla nicotina riferito al miscuglio 0.259 7.207 — 109.64 — 80.07 8.894 12.187 — 110.54 — 80.67 10.116 13.868 — 110.64 — 80.73 I numeri che si ottengono pel potere rotatorio specifico del miscuglio equi- molecolare di acido acetico e di nicotina sì avvicinano assai a quelli che si sono avuti pel miscuglio stesso senza solvente: tenuto conto degli errori di osservazione, che per questo miscuglio non sono piccoli, si può dire con molta probabilità che il miscuglio conserva nel benzolo il suo potere rotatorio specifico. « Il miscuglio equimolecolare di nicotina e acido acetico avrebbe quindi potere rotatorio a sinistra presso a poco uguale sia che si esamini da solo sia che si esamini in soluzione benzolica: in ogni caso, se le differenze non si debbono a errori di osservazione, il potere rotatorio specifico più elevato si ricaverebbe dalle soluzioni benzoliche: nell’aleool il suo potere rotatorio specifico è sempre a sinistra, va aumentando colla diluizione, ma è un po' mi- nore: finalmente nell'acqua il potere rotatorio specifico si mantiene a sinistra per concentrazioni molto forti, pure essendo assai piccolo: quando l'acqua è in proporzione maggiore di cinque molecole circa per una di nicotina passa a destra e segue poi nelle sue variazioni in funzione della concentrazione la curva tracciata dallo Schwebel. « Sebbene non sia raro il caso che per influenza del solvente il potere rotatorio specifico di una sostanza varî non solo ma cambi anche di segno, pure se si pensa alle enormi differenze nel potere rotatorio che il miscuglio equimolecolare di acido acetico e di nicotina presenta quando è sciolto nel- l’acqua e quando si esamina da solo o sciolto nel benzolo e nell’alcool bisogna concludere che non si tratti della stessa sostanza. E tenendo conto del fatto che l'alcool esercita un'azione analoga su tutti i sali di nicotina, cioè quella di far passare a sinistra il potere rotatorio che è a destra nelle soluzioni acquose, e dell'altro fatto che nell’alcool la nicotina non fa cambiare il colore di certi indicatori mentre nell'acqua si, l'ipotesi più semplice che si presenta è che nell'alcool e in altri solventi neutri la combinazione della nicotina con gli acidi non avvenga o avvenga molto incompletamente e che l'alcool stesso dissoci ì sali di nicotina quando si aggiunge alle loro soluzioni acquose: il potere rotatorio a sinistra dipenderebbe quindi dalla nicotina messa in libertà e naturalmente si ottengono numeri minori che per la nicotina libera perchè una certa parte si è combinata coll’acido: naturalmente quanto più energico sarà l'acido e tanto più grande sarà la quantità di nicotina combi- —. 340 — nata. Ma ipotesi più probabile ancora ci sembrerebbe la seguente: la nico- tina coll'acqua dà luogo a una fortissima reazione già studiata da molti espe- rimentatori e che si manifesta con vivo sviluppo di calore e con forte contrazione di volume: il massimo di questi fenomeni si ha appunto quando si aggiunge acqua alla nicotina nella proporzione di cinque molecole circa per una di nicotina. Non sembrerebbe quindi impossibile che il prodotto studiato dallo Schwebel in soluzione acquosa fosse l’acetato di una base idrata : e che fosse appunto questa base idrata che possiede proprietà più energica- mente alcaline : l'azione dell'alcool si spiegherebbe assai facilmente: in seno ad esso non potrebbe formarsi la base idrata che più facilmente si combina cogli acidi: sulle soluzioni aequose esso agirebbe togliendo acqua al sale della base idrata. Il comportamento crioscopico delle soluzioni acquose di acetato di nicotina non ci illumina molto: l’acetato di nicotina si comporta presso a poco come altri acetati studiati dal Raoult e da altri esperimentatori. La nicotina di per sè si comporta normalmente e cioè come una base debole rispetto alla legge del Raoult: il suo abbassamento molecolare è di 20.2 (!). L'acetato ci ha dato i seguenti numeri: Abbassamento Coefficiente Abbassamento molecolare Concentrazione termometrico d’abbassamento per Cio Hi4 Na. CaHy 0. 2.4943 0.43 0.1723 38.25 1.2540 0.24 0.1913 42.47 0.7201 0.14 0.1944 43.16 « L'acetato di nicotina in soluzione acquosa si comporta come gli altri acetati di basi deboli (2) ed in modo poco differente dagli acetati di soda e di potassa (*): evidentemente esso è dissociato: l'acetato di anilina, compara- bile a quello di nicotina, sebbene l’anilina sia una base molto più debole, è dissociato in soluzione acquosa, come risulta dalle esperienze del Walker (‘) e dell’Arrhenius (*). Si ammette che per basi deboli e acidi deboli si tratti preva- lentamente di dissociazione idrolitica: i fenomeni ottici non anderebbero vera- mente troppo d'accordo con simile ipotesi. « Le esperienze crioscopiche fatte sulle soluzioni benzoliche del miscuglio (1) F. M. Raoult, Sur le point de congélation des dissolutions alcalines. Ann. de Chimie et de Phisique. 6° t. II, pag. 115, anno 1884. (2) Vedere il lavoro di prossima pubblicazione di A. Ghira, Comportamento criosco- pico di alcuni acetati di basi deboli. (3) F.M. Raoult, Zoi générale de congélation des dissolvants. Annales de Chemie et de Physique. 6°. T. II, pag. 83, anno 1884. (4) I. Walker, Zur Affinititsbestimmung organischer Basen. Zeitschrift fiùr physika- lische Chemie. T. IV, pag. 319, anno 1889. (9) S. Arrhenius, ZVeder die Gleichgewichtsverhiltnisse awischen Elektrolyten. Zeitschrift fur physikalische Chemie. T. V, pag. 1, anno 1890. — 341 — equimolecolare di nicotina e acido acetico ci dimostrerebbero che esso è real- mente una combinazione: la nicotina nel benzolo dà un abbassamento di poco superiore al normale: la piccola differenza in più è probabile che dipenda da un po d'acqua che la nicotina, come è noto, assorbe con straordinaria faci- lità: abbiamo infatti: Abbassamento Coefficiente Abbassamento molecolare Concentrazione termometrico d'abbassamento per Cio Hia Na 8.215 1.08 0.3361 54.45 « Ora il miscuglio equimolecolare dà numeri pochissimo differenti per una concentrazione presso a poco uguale: coll’aumentare della diluizione il coefficiente d'abbassamento va crescendo : Abbassamento Coefficiente Abbassamento molecolare Concentrazione termometrico d’abbassamento per Cio Hy Ns. C:H. 0, 3.652 0.37 0.2382 52.88 2.874 0.71 0.2469 04.82 « Sembrerebbe quindi indubitato che nel benzolo abbiamo una vera com- binazione di acido acetico e di nicotina e che il potere rotatorio osservato per le soluzioni benzoliche spetta realmente ad essa: se la nicotina non si fosse unita all'acido acetico o si fosse soltanto unita in piccola parte avremmo dovuto ottenere un abbassamento molecolare molto più elevato, pur tenendo conto che nel benzolo l’acido acetico è bimolecolare. Se l'acetato esista nel- l'acido acetico è difficile a dirsi: la nicotina sciolta nell’acido acetico dà un valore normale e naturalmente ‘valore normale si ha pure supponendo che essa stia combinata col solvente: noi abbiamo ottenuto : Abbassamento Coefficiente Abbassamento molecolare Concentrazione termometrico d’abbassamento per Cio His Na 2.778 0.71 0.2550 41.31 « Valori normali ebbe il Raoult per diversi alcaloidi sciolti nell’acido acetico: egli calcolò che vi fossero disciolti allo stato di sale. « Riepilogando dunque la spiegazione più semplice che possa darsi dei fatti da noi osservati ci sembra la seguente che può formularsi in due modi diversi. La nicotina coll’acqua forma un idrato come si può arguire dai feno- meni che accompagnano la sua soluzione : è noto d'altra parte che molti alcaloidi formano idrati, alcuni dei quali spesso ben definiti come quello di piridina. Questa base idrata ha un potere rotatorio a sinistra assai minore di quello della nicotina pura, come risulta dalle esperienze del Landolt che mostrano come il potere rotatorio dell’alcaoloide diminuisce straordinariamente coll’ag- giunta di acqua in modo molto rapido da principio, lentamente poi: la sostanza che devia a destra in soluzione acquosa sarebbe l'acetato della base idrata: — 342 — questo acetato sarà più o meno decomposto nell'acqua, ma tale decomposi- zione sia essa elettrolitica o idrolitica o non modifica il potere rotatorio o se lo modifica predomina sempre il potere rotatorio a destra dell’acetato rimasto inde- composto cosicchè si hanno in definitiva dei liquidi destrogiri. Negli altri sol- venti, come l'alcool e il benzolo, e nel miscuglio equimolecolare si ha invece l’acetato della base anidra più o meno decomposto il cui potere rotatorio è verso sinistra: quando alle soluzioni acquose di acetato si aggiunge alcool in certe proporzioni il potere rotatorio passa a sinistra perchè dell'acqua viene tolta all'acetato ed inversamente procedono le cose quando alle soluzioni al- cooliche si aggiunge acqua: ciò che è stato detto per l’acetato vale anche per gli altri sali come il cloridrato e il solfato che deviano a destra in soluzione acquosa ed a sinistra in soluzione acquosa alcoolica. Facciamo anche notare come alla nicotina idrata spetterebbe una maggiore energia come base, la qual cosa sì rileva dal suo comportamento cogli indicatori e dalla più facile spo- stabilità della nicotina stessa in soluzione alcoolica: ci sembra molto interes- sante di studiare sotto questo nuovo punto di vista le basi che si comportano in modo analogo, così quelle esaminate dal Menschutkin ed altre per vedere se realmente per basi non contenenti ossidrile la presenza dell’acqua sia necessaria perchè le proprietà alcaline si manifestino, o si manifestino in grado più ele- vato (!). Ponendoci da un altro punto di vista più in correlazione colle at- tuali vedute sulla causa del potere rotatorio noi possiamo anche dire che l'acqua di per sè fa diminuire il potere rotatorio della nicotina perchè alcune molecole di essa attaccandosi alla molecola dell’alcaloide ne spostano il centro di gravità che si avvicina a un piano di simmetria: l’acido acetico di per sè produce uno spostamento nello stesso senso: quando agiscono insieme le due sostanze lo spostamento è tale che il centro di gravità passa dall'altra parte del piano di simmetria ed il potere rotatorio cambia di segno. «I risultati più importanti di queste nostre ricerche, che necessaria- riamente sono riuscite un po' incomplete dal lato quantitativo a cagione delle difficoltà esperimentali, ci sembrano essere i seguenti: « 1.° di avere stabilito che la nicotina si comporta come le altre basi studiate dal Menschutkin cioè manifesta proprietà alcaline assai più ener- giche in soluzione acquosa che in soluzione alcoolica e di avere dimostrato inoltre, anche fondandosi sul potere rotatorio, che essa può essere spostata com- pletamente dai suoi sali da basi più energiche anche in soluzione acquosa, ma più facilmente poi in soluzione alcoolica: risultato questo, come già nei loro (1) Vedere gli studî del Berthelot specialmente quelli Recherches sur les alcalis or- ganiques (Ann. de Chemie etc. 5°, t. XXIII, pag. 423, anno 1881). Recherches nouvelles sur la stabilité relative des sels tant à l’état isolé qu'en présence de V’eau. Ibidem. 6°. t. XXI, pag. 355, anno 1890), in cui si mette in rilievo l’azione dell’acqua sopra diverse basi e si mostra che realmente si formano idrati. — 343 — lavori notarono il Berthelot e il Menschutkin, che non sembra troppo in ar- monia colle leggi del Berthollet; « 2.° di aver mostrato che il comportamento ottico dell’acetato e in genere dei sali di nicotina è assai diverso in soluzione acquosa e in solu- zione alcoolica o benzolica ed inoltre che le equazioni stabilite per esprimere il potere rotatorio dei sali di nicotina in soluzione acquosa in funzione della concentrazione non hanno più valore per soluzioni molto concentrate ; «3.° che con tutta probabilità la nicotina e basi analoghe nell'acqua acquistano proprietà alcaline più energiche formandosi degli idrati e che i sali che si formano in soluzione acquosa sono i sali di queste basi idrate più energiche, mentre negli altri solventi si formano più o meno completamente i sali delle basi anidre ». Matematica. — Altre proprietà relative alla superficie del 5° ordine con cubica doppia e punto triplo. Nota di A. DeL RE, presentata dal Socio CREMONA. « In questa Nota, prendendo argomento dalle proprietà della superficie del 5° ordine sviluppate in due Note precedenti ('), e dalla rappresentazione piana della medesima, io mi occupo della costruzione di essa per mezzo di ciascuna di undici corrispondenze univoche, distinte in due sistemi, l'uno di sette, l'altro di quattro, aventi caratteri diversi, e della costruzione di undici corrispondenti connessi rispetto a ciascuno dei quali, e rispetto ad una qua- drica fissa, può provenire al modo delle superficie polari congiunte. Mi occupo pure di qualche quistione più generale. TE Cenno intorno alla rappresentazione piana. « 1. La proiezione sghemba della superficie, fatta mediante le corde della sua curva doppia sul piano », seguita da una trasformazione quadra- tica arbitraria ® coi punti fondamentali in 7.g*° = 1, 2, 3 fornisce la rappre- sentazione piana di ordine minimo della superficie. Posto T[.ax, 0]= Ax, B (X=1,...,4) le sezioni piane vengono rappresentate da curve del 4° ordine pei punti Ax, B con soltanto cinque intersezioni mobili, epperò con 6 altri punti fissi che diremo Bx(£X= 1,..., 6). Ciascuno di questi rappresenta una retta della superficie, distinta dalle ax, 0; sulla superficie vi sono quindi altre sei rette bi, ..., bs tutte corde della curva doppia (*) e tagliate dal (1) Cfr. questi Rend., fascicoli settembre 1892. (2) Cfr. per la rappresentazione piana della sup. del 5° ordine con cubica doppia: Clebsh, Math. Ann.III; e poi Cremona, Math. Ann. IV; Caporali, Memorie di Geometria. RenpIconTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 45 — 344 — piano , nei punti ®-2[B,]=Bx. — Frai punti fondamentali i quattro Ax sono allineati, e Za retta a, che li contiene, è l’immagine del punto triplo; poichè i punti 7.4, da cui provengono gli Ax per mezzo di ® sono in una conica che passa per 1, 2, 3, cioè sulla conica 7.(P). Si possono subito de- durre da ciò moltissime proprietà delle curve situate sulla superficie; noi ci limitiamo a far cenno di quelle soltanto che interessano al nostro scopo. Dicendo B,, 2, rispettivamente in luogo di B, è, si ha che una retta arbi- trariamente condotta per B, è rappresentata da una cubica sghemba che passa pel punto triplo e che è appoggiata in un punto alla retta 5, ed in nessun punto alla retta d;(k4=1,...,7;%=5=4%); una retta condotta per Ax ha, in vece, per immagine una cubica che incontra la retta 4,, ma che in generale non passa pel punto triplo. Diremo (by) i primi sette e (ax) i secondi quattro fra gli undici sistemi di cubiche che così si hanno; e diremo (h;) dl sistema coordinato alla retta h;(h= 5,0). « 2. Fra le cubiche del sistema (2;) vi sono 6 coniche, ciascuna delle quali è appoggiata oltre che a d; anche ad una retta 2,(/==%), e passa pel punto triplo; e 4 coniche appoggiate oltre che a 2, anche ad una retta 4 senza generalmente passare pel punto triplo. Fra le cubiche del sistema (4;) vi sono poi 7 coniche, ciascuna appoggiata oltre che ad 4; anche ad una dy. Si hanno così 49 coniche sulla superficie, e di esse 21 sol- tanto passano pel punto triplo; sì possono immaginare rappresentate coi simboli i i 7 (00)im ANI tto (MERE ZEE 53 B7). « Corrispondentemente a queste coniche la superficie possiede 21 cubiche piane con un punto doppio nel punto triplo; e sono quelle che insieme alle 21 coniche precedenti completano la sezione dei piani di queste colla superficie. Sul piano rappresentativo hanno per imma- gini le coniche condotte per 5 dei 7 punti B,. Ognuna di tali cubiche è appoggiata a cinque delle rette 2;, e si può indicare con 25,» quella appog- giata alle cinque rette d; (4 4. Z,m). Si ha pure che 5°,» è appoggiata in due punti a ciascuna delle coniche d°,n, (00)m, (00)ma (£="1,..., 4) ed in nessun punto alla conica 2°,9(p, ni ZL, m). II Undici modi diversi di generare la superficie per corrispondenze (1,1). « 3. Se per la retta h,(h=d,0), e per la cubica g? si fa passare una quadrica, questa, avendo a comune colla superficie la curva 2g° + h,, avrà ulteriormente a comune una cubica sghemba che passa pel punto triplo se è h=5d, e che è appoggiata in un punto alla hx. Tal cubica appartiene — 345 — perciò al sistema (h,), e si può quindi dire: Le cubiche degli 11 si- stemi (hx) sono le cubiche che le quadriche dei fasci (n, hanno ulteriormente a comune colla superficie. « Da ciò segue allora che una qualunque delle cubiche dei primi 7 sistemi si appoggia, oltre che nel punto triplo, in altri 4 punti alla cubica doppia; mentre che le cubiche de- gli altri 4 sistemi si appoggiano a questa curva in 5 punti, distinti dal punto triplo. « 4. Consideriamo uno (g*+ dx) dei primi 7 fasci, ed in questo una quadrica F,° e la corrispondente cubica /,5. Proiettando /x% da P si ha un cono quadrico P,°, il quale ha ulteriormente a comune con F,? una retta uscente da P, e precisamente quella 4% di F,° che appartiene al sistema op- posto a quello cui appartiene by. Di coni Py° ve ne sono tanti quante sono le quadriche Fx: è facile però di riconoscere che tutti questi coni sono in un sistema di indice %, dove % è la soluzione dell'equazione 2h — o = 3, o essendo l'ordine del luogo descritto dalla retta %. In fatti, prendendo un punto M su una retta arbitraria 7, per esso passano % coni del sistema, ep- però si hanno altrettante quadriche corrispondenti F,°, e quindi anche altret- tante coppie di punti M, M',,...,M, M7 su 7. Viceversa, dato un punto di una di queste coppie, per esso passa una sola quadrica F°, epperò si ha corrispon- dentemente un sol cono del sistema ed una sola coppia di punti MM’. Su 7 si ha dunque una corrispondenza (2, 2/) i cui punti uniti sono quelli in cui 7 taglia la superficie, ed anche, fra essi, quelli in cui 7 taglia il luogo delle rette X; ma la superficie è del 5° ordine, dunque si deve avere 24 2hT-o=5, cioè precisamente 2h —o =3. Ora il luogo delle rette 7% è il piano PU, perchè dx sta su tutte le Fy° del fascio; perciò è o=1, e quindi A=2. Supponendo che % percorra i numeri 1,...,Y7 si ha il risultato seguente: « Vi sono sette modi diversi di generare la superficie per mezzo di un fascio di quadriche con base decomposta ed un sistema, d’'indice 2, di coni quadratici in corrispondenza univoca. « 5. Consideriamo ora una (g*+ &) degli altri 4 fasci di cui sopra, ed in esso una quadrica Fx; consideriamo la cubica /x* ulteriore sezione di F,° colla superficie ed il cono cubico P,? (razionale) che la proietta da P. Al variare di F,° questo cono cubico descrive un sistema d'indice 2, poichè, ragionando come nel numero 4,su una retta arbitraria 7, si viene ad avere una corrispondenza (3,2%) i cui punti uniti sono i punti d’ incontro di 7 con — 346 — la superficie, e col luogo, contato due volte, delle generatrici doppie dei coni P,°. Ora questo luogo è il piano di a, e della tangente a gin P; quindi è, indice del sistema descritto da P,?, deve soddisfare all’equazione S+2h—-2=5, epperò deve essere 7 = 2. Facendo X==1,...,4 si ha quest'altro risultato: « Vi sono 4 modi diversi di generare la superficie per mezzo di un fascio di quadriche con base decomposta, ed un sistema, d'indice 2, di coni cubici razionali in corrispondenza univoca. « 6. I due teoremi precedenti mostrano che la superficie D, si presenta come caso di degenerazione delle superficie del 6° e del 7° ordine, le cui equa- zioni vengono formate come segue. « Si dicano Pi (di, de, ds) =0, Po (KS) =0, Pa (Sio Se da) = 0 tre forme arbitrarie di grado i(=2, 3) negli invarianti Y1, Fe, Gs ed fi, 1) A Cai) = due forme quadratiche arbitrarie nelle coordinate x,,...,&4 di un punto. Si formi il sistema, d’indice 2, 2°. p, + 24u. po + n. gg = 0 (a) ed il fascio Af+ pfa= 0; (8) per eliminazione del parametro Z:w si ha l'equazione Pr. fa —— 292. fa fo + 93. ff =0 (7) che rappresenta, quando si tengono ferme le è; e si identificano le variabili che entrano nelle Y1, Ge, Fs con le #1, ..., 44, una superficie dell’or- dine i+2.2=i+4(=6,7) con la quartica doppia {=0, f.=0 e col punto i” in È. « Se nell'equazione (y) si mantengono ferme le È dopo averle scambiate con le #, si avrà l'equazione del cono tangente nel punto i”. Se dunque le é si considerano come variabili, la (y) dà insiememente un sistema di superficie dell'ordine i-4- 4 e di coni d'ordine i, che sono fra loro nelle stesse relazioni in cui si trovano le superficie polari congiunte ed i coni polari con- giunti. Possiamo mostrare che una tale relazione non è soltanto apparente poichè ha luogo il teorema: Le superficie date dalla (y) quando si mantengono fisse le & e variabili le «, ed i coni dati dalla medesima equazione, quando sono, in vece, fisse le x e varia- bili le é, sono superficie polari congiunte e coni congiunti ri- spetto ad un connesso (i, 4) e ad una quadrica. — 347 — « In fatti, ricordando le espressioni di Y1, Ve; ds e ponendo pia=tiza—Éxd; (@E_=12,...,84) si ha: SX 499 SD MO) da Fe DOO end (0) cosicchè, mutando in (y) le #; per mezzo della corrispondenza polare rispetto a 4 Y ee=0 (e) 1 dopo di che diremo /1', f2' ciò che diventano /,,/»; e facendo nelle gi(i:=1,2,3) le sostituzioni (0), dopo di che le diremo g;, noi avremo l'equazione Pi fas ri 2g'3 fi oi SR Y's i == (7) di un connesso piano-retta (i, 4) che insieme alla quadrica («) risponde al- l'asserto. III. Undici connessi rispetto a cui ®» proviene come superficie polare congiunta. « 8. L'equazione (y) diventa quella di una superficie come la ®, se la quartica //=0, /2=0 si scinde in una cubica y* ed in una corda % di questa; e poi se sono soddisfatte le seguenti condizioni : 1° per i=2 il punto È deve essere su g? senza essere su È, e poi la generatrice della quadrica 2/1 + uf: = 0 di sistema opposto a quello cui appartiene A, e che passa per È, deve essere pure generatrice del cono 4 pri + 2yugg + u° g3 = 0; e ciò qualunque sia Z:u. Allora il primo membro della (y) sarà divisibile per (E4° 102), dove h,, Ri (7/=1,...,4) sono ordinatamente le coordinate dei due punti %.g* =H,, Hi; ed il quo- ziente uguagliato a zero sarà precisamente l'equazione di una superficie come la ®,; 2° per i= 3, il punto & deve essere uno dei punti H, , H, ed inoltre le funzioni 4), 2, 93 devono essere scelte per modo, che detta { la tan- gente a g* in £ e T,, Ts, 3 i valori che Ji, Se, Is acquistano per essa si abbia contemporaneamente di dY2 dz a _—2 = + fa? —_i0) = 4205) fe IS fa 3g, IG; (J ) dii da ‘Ss |=0 (4) OO Di Da Ds ove è ©, ilvalore che prende per % l'invariante &,. Allora l'equazione (7) si scinderà nella equazione (w), contata due volte, ed in una equazione resi- duale che sarà quella di una superficie come la ®,. — 248 — « Avvicinando questi risultati a quello stabilito nel n. 7 noi dunque possiamo dire, per la superficie ®,, che «Vi sono sette enti connessi (2,3) e quattro enti con- nessi (3, 2) rispetto a ciascuno dei quali e rispetto alla qua- 4 ” drica Das=0 la superficie ®, può provenire come superfi- cie polare congiunta. « Rispetto a ciascuno dei 4 connessi (3, 2) il punto È è singolare pel complesso quadratico del connesso che corrisponde al piano polare di £ ri- 4° spetto a Y x: —0. 4 «9. È ad osservarsi che nel teorema precedente si parla di enti con- nessi distinti nel senso che non soltanto non si può con una trasformazione unica di variabili passare dall'uno all'altro, conservando la superficie, ma neppure con una sola trasformazione eseguita sulle variabili u;. Usando di questa si possono ottenere una infinità di connessi rispondenti allo scopo. Se, nel fatto, nella (y), p. e., si rimpiazzano le x; delle /; per mezzo della sostituzione ati, dove Y=0 è la forma aggiunta di una forma quadratica arbi- dUa traria nelle 4, w==0, si avrà il connesso Ui, => DITO: >” (=) rispetto al quale, ed anche rispetto a w=0, se si precede la superficie polare congiunta, siccome si dovrà sulla precedente equazione rifare la sosti- tuzione n= si ritornerà sulla stessa (y'), a meno di una potenza del Ù determinante [w;x] fattore in tutti i termini dell’equazione (!) ». Geologia. — Avarz:; morenici di un antico ghiacciaio del monte Sirino nei dintorni di Lagonegro (Basilicata). Nota di GiosePPE DE LoRENZO, presentata dal Corrispondente FR. BASSANI. « Nel 1872 Stoppani scopriva. la morena della valle d'Arni e ne faceva argomento di una Nota (*), confermando così le previsioni del prof. Igino Cocchi (8). Da quel tempo, tanto lo Sioppani quanto il Cocchi, il Lotti e il (1) Questo fatto è del resto generale. | (2) Sulla esistenza di un antico ghiacciaio nelle Alpi Apuane (Rend. Ist. Lomb. 18 luglio 1872). i (3) L'uomo fossile nell'Italia centrale (Soc. it. sc. nat., vol. II, p. 36, anno 1867). — 349 — De Stefani pubblicarono varî lavori sui ghiacciai apuani, e ultimamente il De Stefani, raccogliendo le osservazioni fatte dagli altri e aggiungendone moltissime sue, descrisse minutamente gli antichi fenomeni glaciali di quella interessante regione (!). L'esistenza di un antico ghiacciaio nella Majella, supposta dal sig. Ferrero (?), non venne ritenuta dallo Stoppani come suffi- cientemente dimostrata (3). Con ciò si chiuse (per quanto io conosco) la serie delle pubblicazioni rivolte ad assodare tracce di antichi ghiacciai negli Apen- nini, e restarono sempre una ipotesi le parole dello Stoppani: «..... Rico- nosciuta ad ogni modo l’esistenza di antichi ghiacciai nelle Alpi Apuane, mi pare che la si debba indubbiamente presupporre per le regioni dell’Apennino, dove le ragioni di un clima più meridionale dovrebbero essere annullate dalla maggiore elevazione » (4). « Una delle regioni dell'Italia meridionale più adatta a tradurre in realtà le parole dello Stoppani è quel tratto dell'Apennino, che si svolge al confine della Basilicata con la Calabria, comprendendo un fitto gruppo di monti, che si serrano e si innalzano rapidamente, raggiungendo nella Serra di Dolcedorme (gruppo del Pollino) l'elevazione massima di 2271 m. sul li- vello del mare. Infatti, facendo uno studio geologico in questa regione e pro- priamente nei monti dei dintorni di Lagonegro, mi sono imbattuto in tracce di un antico ghiacciaio, la cui descrizione forma lo scopo di questa Nota. « Nei dintorni immediati di Lagonegro è vano cercare qualsiasi accenno ad una pianura: un intreccio di valli e di burroni, di colline e di alti monti dà a quel tratto di paese un aspetto selvaggio e pittoresco. I monti, di un'al- tezza variabile dai 1000 ai 2000 e più metri, si stipano intorno al gruppo del Sirino e ne fanno un luogo adattissimo allo sviluppo possibile di un ghiacciaio. Infatti, questa accidentata regione si trova a circa 15 km. dal mare, e i venti, che spirano da sud, sud-ovest ed ovest, carichi di umidità, ap- pena abbandonato il mare, urtano contro questo gigantesco condensatore e si risolvono in piogge diluviali. e incessanti o in copiose nevicate. Il Libeccio porta il contributo maggiore a questa abbondante precipitazione atmosferica. Le cime dei monti più elevati durante i cinque o sei mesi di freddo sono coperte da un fitto mantello di neve, che a volte si estende rapidamente e copre di un bianco lenzuolo tutta la sottostante regione. « Dato questo ambiente così opportuno allo sviluppo di un ghiacciaio anche nei tempi nostri, per poco che diminuisse la temperatura media an- nuale, non c'è da meravigliarsi se in qualche punto di questo paese, più conveniente per speciali condizioni topografiche, si trovino tracce di antichi (1) Gli antichi ghiacciai delle Alpi Apuane (Boll. Club alp. it., vol. XXIV, anno 1890, n. 57). (£) L'antico ghiacciaio della Majella. Caserta, 1862. (3) A. Stoppani, L'era neozoica, Milano, p. 130. (IO pait30 — 350 — ghiacciai, perchè qui appunto, come diceva lo Stoppani, la maggior elevazione annulla le ragioni di un clima più meridionale. Per esaminare questo punto più opportuno è necessario premettere pochi cenni topografici su questa re- gione (!). « Lagonegro si trova a 40° 7° 5” di latitudine nord e 3° 19' di longi- tudine est dal meridiano di monte Mario, a 670 m. sul livello del mare, nel fondo di un imbuto, formato dai monti che si svolgono d’intorno. I tre lati di questo profondo bacino situati a sud, ovest e nord sono costituiti da una serie di alture variabili da 800 a 1400 metri; il quarto — il lato orientale — è sbarrato dal gruppo del monte Sirino, che si presenta come un'enorme muraglia di più di 1000 m. di altezza a chi lo guarda da Lagonegro. Questo gruppo montuoso occupa una superficie di circa 25 km. q., e si può considerare come il complesso di due masse minori, di due ellissoidi, i cui assi maggiori sono press'a poco paralleli e diretti da nord a sud. Nella massa occidentale il vertice è rappresentato dalla cima più alta del Sirino (1889 m.); la vetta del Tapparo e il Cervo costituiscono le pendici settentrionali, mentre la costa del Capraro e Mazzapecora si arrotondano per formare le falde me- ridionali. I fianchi rivolti a ponente si stendono quasi senza interruzione per una lunghezza di 8 km. e con una pendenza media di 33°-35°; mentre quelli di levante, più accidentati, vanno a confondersi con i contrafforti del secondo gruppo. Il vertice di questo è dato dalla sommità del monte Papa (2007 m.): le falde settentrionali e meridionali sono rispettivamente formate dalla Spalla del’Imperatrice e dalla Serra Orticosa. Anche qui i fianchi orientali, quantunque presentino un numero di valli maggiore di quello del lato occi- dentale del primo gruppo, pure in complesso non sono molto accidentati. Se invece si guarda alla tortuosa linea di congiunzione fra le due masse, si vede che essa è segnata da due valli, lunghe, strette e profonde, di cui una è di- retta a sud e l’altra a nord. La prima parte dalla cima del monte Papa e si presenta come un gomito lungo 4 km., il cui fondo è occupato dal tor- rente Niello, da cui riceve il nome. L'altra, detta del Cacciatore, presenta tutti i requisiti necessari allo sviluppo di un ghiacciaio. Lunga pressa poco 3 km. e mezzo; compresa fra due barriere molto elevate, la spalla del- l Imperatrice a destra e le pendici settentrionali del Sirino a sinistra; di- fesa dal sole di mezzogiorno per mezzo dell’alta cresta (1906 m.) che con- giunge la cima del Sirino a quella del monte Papa, è invece completamente aperta ai venti freddi del nord. Non sarebbe strano se anche adesso il suo fondo fosse occupato da piccoli depositi di neve durante tutto l’anno. È questo dunque il luogo più adatto allo sviluppo di un antico ghiacciaio in detta regione. Ed i fatti lo provano. (1) Non parlo della costituzione geologica, essendo essa argomento di uno studio che pubblicherò fra breve e del quale ho già dato una notizia preventiva nei Rendiconti di questa Accademia (vol. I, fasc. 9°, 2 sem. 1892). — 351 — « Il malagevole sentiero, che mena dalla valle del Chiotto al lago Remmo, passa per la valle del Cacciatore a un chilometro circa al disopra del suo sbocco, tagliando così il ruscelletto che percorre il fondo della valle e che, ingrossato più in giù da sorgenti numerose e potenti, diventa più tardi il fiume Noce, il principale corso d’acqua di questa regione. Precisamente a questo punto i due fianchi della vaile, per una lunghezza superiore ai 300 e un'al- tezza di circa 100 metri, sono occupati da una accumulazione di materiale detritico, che ad un attento esame si rivela come la morena terminale del- l'antico ghiacciaio che si stendeva lungo la valle del Cacciatore. « Questo deposito è costituito da una grande quantità di materia fangosa, inglobante caoticamente massi grandi e piccoli e ciottoli di dimensione varia- bile, provenienti dalle circostanti formazioni calcaree e silicee. Spesso le acque carboniche solventi hanno cambiato in qualche puato il materiale incoerente in un grossolano conglomerato. « Sarebbe assurdo il pensare che questo cumulo di fango e di frammenti rocciosi si sia formato in posto con il detrito caduto dai monti vicini o sia un deposito di origine alluvionale: la sua posizione e la sua costituzione non danno alcun appoggio all'una nè all'altra delle due ipotesi. « Per la prima, non si potrebbe spiegarne la posizione così perfetta- mente delimitata, giacchè sarebbe strano supporre che in quel punto sì sia accumulata una sì grande quantità di detrito, quando a monte e a valle di esso, con le medesime condizioni topografiche e elimatologiche, non se ne trova più traccia. Rimarrebbe poi del pari inesplicabile la presenza di nu- merosi ciottoli lisciati, perchè in una caduta diretta e non alta, è impossi- bile che si produca quel levisamento così perfetto. La seconda delle due ipo- tesi urta anch’ essa contro insormontabili difficoltà. Anzitutto, di nuovo la sua posizione, a un chilometro più in su dello sbocco della valle e in una gola abbastanza stretta, quando si sa che i torrenti cominciano a deporre il materiale fluitato allorchè, finito il corso ripido e montuoso, sboccano in una vallata più larga e più piana. Altri argomenti contrari son dati dalla gran quantità di materia fangosa mista a pezzi di roccia di qualunque dimensione, e dalla mancanza assoluta di qualsiasi ciottolo, che ricordi la forma ellissoi- dale caratteristica dei ciottoli trasportati e lisciati dalle acque correnti. « Quello però che fornisce una prova inconfutabile a favore della ori- gine glaciale di questo deposito è la presenza abbastanza frequente di ciot- toli, che, sulle facce lisciate, presentano in gran numero le caratteristiche strie glaciali, prodotte in questo caso da grani di quarzo e da frammenti delle rocce silicee, che pigliano parte nella costituzione dei fianchi della valle. Questo effetto è del tutto diverso da quello che risulta dall'azione dell’acqua o di un torrente fangoso che trascina delle pietre pesanti, perchè queste, non essendo tenute fisse come i frammenti di roccia inclusi nel ghiaccio, e non essendo spinte sotto una forte pressione, non solo non possono produrre, RenpIconTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 46 — DIA ma non possono neanche ricevere da altri corpi delle strie profonde, retti- linee e parallele fra di loro ('). « Uno di questi ciottoli striati, da me raccolto nella morena della valle del Cacciatore, si trova nel Museo geologico dell’Università di Napoli. È un frammento del calcare triasico del monte Sirino, della lunghezza di 21 cm. e dello spessore medio di 8 a 9, il quale offre molto grossolanamente la forma triquetra descritta e spiegata dallo Stoppani (?). Delle tre facce, una, quasi rozza, non presenta alcuna scalfittura; le altre due sono lisciate e percorse da numerosissime strie, che si possono osservare molto bene sulla faccia mag- giore e più piana. In questa, fatta eccezione delle piccole scalfitture irregolari, tutte le striature si possono riunire in due sistemi o fasci principali, ciascuno dei quali è costituito da un certo numero di linee parallele fra di loro e che incrociano quelle dell'altro fascio, corrispondendo così esattamente alle parole del Lyell «... the smoothed surfaces usually exhibit many seratches parallel to each other, one set of which often crosses an older set.» (8). Tanto le strie dell’un fascio che quelle dell'altro deviano pochissimo dalla direzione dell'asse longitudinale del ciottolo, il quale, naturalmente, sotto- posto alla grande pressione del ghiacciaio, doveva disporsi secondo la linea della minore resistenza. « A questi indizi, già sufficienti da sè soli a designare con sicurezza l'origine di quel materiale detritico, sì aggiunga che, sui due fianchi della valle, le rocce si mostrano arrotondate e solcate, molto imperfettamente però a causa della natura calcarea di esse e del conseguente disfacimento a cui andarono soggette. « Dall'esame di tutti questi fatti risulta in modo indiscutibile che, du- rante l'epoca glaciale, la valle del Cacciatore era occupata da un ghiacciaio, di cui ancora esiste una parte della morena terminale da esso abbandonata durante il suo ritiro. « Nei due schizzi qui annessi ho cercato di riprodurre, sugl'indizi ri- masti, il corso di questo antico ghiacciaio. Durante l'epoca glaciale le cime del monte Papa e del Sirino dovevano essere coperte di nevi permanenti, che, ammassandosi nel circo da esse compreso, andavano poi ad alimentare il ghiacciaio. Se questo mantello di neve era molto esteso, s'incassava, senza alcuna interruzione, direttamente nella valle e dava quindi origine ad un ghiacciaio senza diramazioni. Se invece queste nevi erano piuttosto limitate alle parti più alte, i due speroni, che partono dalla cima del monte Papa e dalla cresta che congiunge questo al Sirino, dovevano sporgere fuori del bianco mantello e dare così origine a tre bracci minori, che, riunendosi nel fondo della valle, costituivano il ghiacciaio principale. Questo, in tal caso, (1) Charles Lyell, Principes de Géologie, trad. p. Ginestou, p. 494, Paris 1873. (2) A. Stoppani, Corso di Geologia, vol. II, pag. 616. (3) Ch. Lyell, 7he students elements of Geology, p. 144. — 353 — aveva un apparato morenico completo, formato dalle due morene laterali e da due mediane, le quali tutte portavano il loro contributo alla morena ter- minale, deposta dal ghiacciaio a circa tre chilometri dalla sua origine. A 100 NORD « Come fenomeno annes- so alla deposizione della mo- i rena terminale, debbo menzio- | TT A nare la formazione del lago LI e 2. = Zapano. È questo un piccolo 7 IIS Y, i). n da E 10] TT ì Ì (i i stagno, d'una cinquantina di metri di diametro, considere- volmente profondo, che si trova sulla Spalla dell'Imperatricce a circa 1400 metri di altezza. Nel punto da esso occupato una piccola elevazione calca- rea limita a nord un seno, che, chiuso ad est e a sud dalle falde inclinate del monte, sa- rebbe rimasto aperto ad ovest verso la valle se la morena del ghiacciaio, addossandosi sulla sponda destra di essa, non Probabile sviluppo dell’antico ghiacciaio avesse precluso quell’ unica della valle del Cacciatore (Scala 1:50.000). uscita. Le acque piovane e di scolo, non potendo così più fluire verso la valle, si debbono raccogliere in quel ristretto imbuto e formano quello stagno che è conosciuto col nome di lago Zapano. Spalla dell’ Imperatrice M. PAPA 2007 M. PAPA 2007 LAGO ZAPANO 1400 Sezione longitudinale del ghiacciaio. « Quando il tempo e le occupazioni me lo permetteranno, mi propongo di ritornare in quella interessante regione, per esaminare più minutamente la valle del Cacciatore ed osservare se anche nelle valli vicine esistano tracce di antichi fenomeni glaciali ». Chimica Biologica. — .Su/a localizzazione microchimica del fosforo nei tessuti ('). Nota dei dottori Lon LILIENFELD e ACHILLE MonTI, presentata dal Socio GoLGI. « Passiamo ora a riferire i risultati delle nostre prove. « I. CELLULE IN GENERALE. — Noi abbiamo sottoposto alla nostra rea- zione dottoni ed ovari di gigli e teste di asparagi nell'intento di studiare le grosse cellule contenute in tali tessuti. Dappertutto si ebbe una intensa colorazione bruna del nucleo ed una colorazione gialla dell'otricello primordiale. « Parve a noi dapprima che anche i contorni delle cellule fossero colo- rati; ma poi nelle sezioni un po’ macerate, dalle quali facilmente si isolavano cellule col sacco primordiale contratto, potemmo accertare che la membrana cellulare era assolutamente scolorata. Ciò concorda colle osservazioni macro- chimiche, le quali già da un pezzo hanno dimostrato essere la cellulosa priva di fosforo. Abbiamo inoltre veduto che non si colorano i granuli di amido, mentre i citomicrosomi prendono una tinta giallo-pallida. « Nel nucleo si colorano molto intensamente i cariomicrosomi, vale e dire le sezioni ottiche del cariomitoma. « Negli ovari di gigli fecondati trovammo degli embrioni: questi si colo- rarono molto più intensamente di ogni altro elemento: si mostrarono quindi ricchi di fosforo. « Di grande importanza è senza dubbio la questione della distribuzione del fosforo durante i fenomeni di riproduzione delle cellule. Nei giovani em- brioni di giglio noi trovammo molte mztosî, che ci fornirono dei preparati abbastanza istruttivi. « La nostra reazione, applicata ai detti embrioni, ha colorato assai bene il cariomitoma, mentre rimasero assai pallidi il carioenchilema e il proto- plasma cellulare. Noi potemmo così riconoscere belle forme di gomitolo, di di mezza botte, di amfiastro ecc., nei quali i cromosomi erano ben colorati. Ciò dimostra che negli embrioni di giglio, durante la riproduzione delle cel- lule, il fosforo suscettibile di reagire è legato specialmente al cariomitoma. « Qui si potrebbe ancora sollevare l’obbiezione che le mitosi si colorano così bene solo perchè esse, come è noto, hanno una grande affinità per le so- stanze coloranti. Ma non tutti gli elementi in mitosi si comportano di fronte al nostro metedo come gli embrioni di giglio. Ben diversamente sì compor- tano per esempio le cellule del testicolo di salamandra. Noi abbiamo sotto- posto al nostro metodo dei frammenti di testicolo maturo, nei quali coi me- (1) Nella Nota precedente (v. pag. 310) noi abbiamo descritto un nuovo metodo micro- chimico che vale a dimostrare la distribuzione del fosforo nei tessuti. — 355 — todi ordinari si potevano riscontrare moltissime mitosi. Ma dopo il tratta- mento col molibdato ed il pirogallolo, le intere cellule testicolari diventavano bruno-nere, per modo che non era più possibile riconoscere una differenza tra nucleo e protoplasma. Noi dobbiamo quindi credere che le cellule testicolari sieno molto ricche di fosforo e che questo sia diffuso anche nel protoplasma. Il contegno di queste cellule testicolari in confronto cogli embrioni di giglio sembra ben dimostrare che la nostra reazione non è da considerarsi come una colorazione ordinaria, ma bensì come un processo chimico. « È noto che in molte cellule vegetali si contengono dei cristalli. Noi abbiamo avuto l'occasione di osservare i cristalloidi isolati dalla Berthol- letia excelsa: abbiamo fissato i detti finissimi cristalli su un coproggetti per mezzo di colla di pesce, e poi sottoponemmo tale coproggetti al nostro metodo. I piccoli cristalli dettero la reazione, mentre la colla di pesce rimase perfet- tamente incolora. « Ora è noto che i cristalloidi dei frutti di Bertholletia contengono del fosforo, mentre la gelatina ne è priva. « Ci parve interessante di osservare detti cristalli in posto nelle sezioni delle noci di Bertholletia. « Le sezioni eseguite a mano, incollate sul coproggetti colla gelatina (per non perdere i cristalli nel corso delle operazioni) furono sottoposte al solito trattamento. Anche qui si colorarono assai bene i cristalloidi, ma accanto ad essi si tinsero i nuclei delle cellule e gli otricelli primordiali. « Tutte queste parti quindi debbono contenere fosforo, mentre le mem- brane cellulari, che rimasero incolore, ne sembrano affatto prive. « Le sezioni di midollo di sambuco sottoposte al medesimo metodo rima- sero affatto incolore. «I daeteri (bacillo del fieno, delle patate, sarcina dell’aria ecc.) si co- lorano debolmente in bruno: essi quindi debbono contenere fosforo. « Tra i tessuti animali noi abbiamo osservato i seguenti: « EpiteLII. — Nelle cellule epiteliali della pelle di rana e di sala- mandra abbiamo ottenuto una colorazione bruna del nucleo, mentre il pro- toplasma rimase quasi incolore. Però nelle cellule degli strati profondi ed in quelle delle ghiandole cutanee si è colorato anche il protoplasma. «I filie gli strati di muciza, che non mancavano in tali preparati, rima- sero affatto incolori, e ciò si accorda assai bene colla chimica macroscopica che dimostra la mucina essere priva di fosforo. « Le cellule piatte superficiali dell’epi/elio della lingua umana presen- tarono colorati solo il nucleo: altre grosse cellule epiteliali del testicolo di salamandra mostrarono un nucleo molto scuro e perciò molto ricco di fosforo, mentre il citoplasma appariva giallo: anch'esso quindi, quantunque in minor grado, conteneva fosforo. — 356 — « Fra gli animali inferiori osservammo dalle idre, dove potemmo stu- diare la distribuzione del fosforo nelle cellule dell’ectoderma specialmente dei tentacoli. « Quivi gli elementi ci apparvero abbastanza ricchi di fosforo: i contorni delle cellule si riconoscono bene: i nuclei sono più colorati del citoplasma. I nematocisti sono scaricati: i flagelli sono incolori. « Negli epiteli renali del coniglio il citoplasma si colora meglio del nucleo: ciò sta forse in rapporto coll’acido fosforico che si elimina colle- orine. « Una particolare attenzione da parte nostra meritarono le ghiandole salivari. Kossel ci aveva più volte manifestato l'idea che le semilune di Gian- nuzzi dovessero essere particolarmente ricche di nucleina. Nelle sezioni di sottolinguale e di sottomascellare di cane noi ottenemmo col nostro metodo una intensa colorazione bruna delle semilune di Giannuzzi, mentre gli altri elementi rimasero affatto incolori. « SpeRMATOZOI. — Noi studiammo lo sperma di maiale, di cane e di rana. Se gli spermatozoi freschi di maiale o di cane venivano sottoposti solo per brevissimo tempo all’azione del molibdato, allora ottenevamo solo una de- bolissima reazione. Se peraltro si prolunga l'immersione in molibdato, la rea- zione diventa più evidente. « Ciò si spiega facilmente quando si considera che nello sperma di alcuni animali, il fosforo si trova molto stabilmente combinato nella nucleina. La reazione avviene solo dopo che l'acido nitrico ha in parte separato l'acido fosfo- rico dalla nucleina. Tale concetto è confermato dal fatto che la reazione può essere facilitata dal carbonato di soda o dall'acqua di barite che appunto sdop- piano la nucleina. « Gli spermatozoi di rana danno la reazione molto più presto, quantunque non più intensa; il fosforo deve trovarsi qui in una combinazione più debole. « Negli spermatozoi di rana la colorazione è specialmente localizzata alla testa. Nel maiale sono ben colorate la testa e la porzione intermediaria, più pallida sembra la coda. Nel cane la colorazione è massima alla parte poste- riore della testa. « SANGUE. — Abbiamo applicato la nostra reazione al sangue di uomo e di rana. I preparati esiccati secondo Ehrlich non si mostrarono adatti alla nostra reazione: sembra che l'essiccamento ed il calore modifichino talune con- dizioni fisiche e chimiche del sangue, rendendo impossibile la reazione. « Noi ci siamo attenuti ad altro metodo: abbiamo cioè disteso il sangue in sottile strato su un coproggetti e poi, prima che essiccasse, lo immergemmo nel molibdato. « Questo come sempre si mostrò un buon fissatore. « Nel sangue di rana si colorarono assai bene i globuli rossi, ed i nuclei di questi apparvero più oscuri del protoplasma. — 357 — « Nel sangue umano i globuli rossi si colorano intensamente in giallo bruno, e ciò sta in perfetto accordo col loro contenuto di protagone e di lecitina. « Nei leucociti il nucleo si colora in bruno: però anche il protoplasma sembra contenere fosforo in quanto che si colora debolmente in giallo. Risultati analoghi ci diede il pus. « Interessanti sono i dati relativi alle piastrine. Queste si colorano in bruno scuro: appaiono quindi ricche di fosforo. Tale reperto conferma le osser- vazioni di uno di noi, secondo le quali le piastrine contengono nucleina. Nei preparati di sangue coagulato la fibrina non si colora quasi affatto, mentre le piastrine ed i nuclei dei leucociti si tingono molto intensamente. « Tessuti conNETTIVI. — Noi abbiamo osservato del fessuto connettivo lasso tolto dalla lingua della rana: la sostanza fondamentale ne apparve inco- lora, mentre erano ben colorati i nuclei delle cellule connettive. Nel connet- tivo compatto dei tendini della rana e della melolonta ci parve pure che la sostanza fondamentale non contenesse fosforo. « Noi sottoponemmo alla reazione le carzilagini ialine di salamandra e di rana. La sostanza fondamentale rimase incolora mentre si coloravano le cellule e specialmente i nuclei. Notammo dei nuclei più e degli altri meno colorati. I piccoli nuclei omogenei apparivano più oscuri, i grandi nuclei gra- nulari presentavano colorati solo i microsomi. Non è impossibile che tale differenza sia da riferirsi a diversi stati di sviluppo. « Le cartilagini artificialmente impregnate con acido ortofosforico ci det- tero fenomeni analoghi a quelli presentati dalle ossa: abbondanti precipitati e colorazione sporca nerastra. « Nelle cartilagini impregnate di acido nucleinico si colorò diffusamente anche la sostanza fondamentale. « Per studiare le ossa portammo dei pezzi freschi, tolti dalla carena del passero o dal cranio di topo, nel molibdato. Tosto ebbe luogo una grande effervescenza in quanto che l'acido nitrico della soluzione decompose 1 carbo- nati delle ossa. Nello stesso tempo si formò un abbondantissimo precipitato giallo di acido fosfomolibdico, che accennava chiaramente alla presenza del- l’acido fosforico libero. Quando i sali calcari furono interamente sciolti, noi pensammo che l'acido fosforico fosse stato sottratto all'osso. Ma non era così: i pezzi lavati portati in pirogallolo annerirono ancora. Tali preparati però non erano osservabili al microscopio: i precipitati e le bolle gasose li rendevano inservibili. « CELLULE NERVOSE. — Cervelli di topo o di coniglio vennero dapprima induriti nell’acido nitrico al 5-10 °/,. Le sezioni poscia eseguite, trattate col nostro metodo, ne dimostrarono già ad occhio nudo che la corteccia si colora ancora più intensamente che non il midollo. Però è molto evidente anche la — 358 — colorazione di questo. Nella corteccia non era facile orientarsi perchè la colo- razione appariva diffusa; tuttavia noi abbiamo potuto riconoscere che in molte cellule di natura certamente nervosa, il protoplasma era più intensamente colo- rato del nucleo. In molti casi i nuclei non erano riconoscibili. Però nelle stesse sezioni abbiamo potuto veder dei nuclei ben colorati; forse questi erano da riferirsi alla nevroglia. « MuscoLi. — Noi studiammo il tessuto muscolare striato della melolonta, della rana e del coniglio. I risultati furono molto caratteristici e dettero una novella prova del valore della nostra reazione. «IT muscoli, come è noto, contengono molto acido fosforico, probabil- mente sotto la forma di fosfato di potassa. Noi ci attendevamo quindi dai muscoli una subitanea ed intensa reazione, come precisamente è avvenuto. « Dopo due minuti di immersione in molibdato, i muscoli ben lavati e passati in pirogallolo assumono una colorazione bruno-nera così intensa che non permette più di riconoscore alcun particolare di struttura. « Nei preparati più pallidi o in quelli a lungo conservati in liquido di Farrant, la colorazione appare più specialmente circoscritta alle strie oscure: perciò noi siamo inclinati a credere, che le strie oscure sieno più ricche di fosforo. « Per concludere vogliamo accennare ad un'idea che i nostri risultati su- scitarono in noi. Abbiamo veduto che i nuclei delle giovani cellule capaci di sviluppo sono sempre ricchi di fosforo, mentre che le cellule, nelle quali il potere riproduttivo ha fatto posto ad una funzione specifica, hanno nuclei assai poveri di fosforo. Come esempio citeremo le cellule nervose, che perdettero il loro potere di riproduzione per assumere funzioni psichiche. I nuovi lavori in questo campo dimostrarono sperimentalmente che le cellule nervose dei mam- miferi adulti non si possono più riprodurre, e perciò è facile pensare che il contenuto di fosforo nel nucleo sia il costante compagno del potere riprodut- tivo. Questa idea corrisponde alle osservazioni di Kossel (!), sulla quantità di nucleina contenuta nei tessuti embrionali in confronto coi tessuti animali adulti; trova anche una conferma in un lavoro di Szymkiewiez (2) sul con- tenuto fosforico nelle cellule epatiche: secondo questo autore le cellule epa- tiche sono ricchissime di fosforo nel periodo fetale, ma dopo la nascita il fosforo contenuto discende al 17 °/, e collo sviluppo ulteriore diminuisce an- cora. Senza dubbio trattasi qui del fosforo della nucleina. « Porgiamo infine un caldo ringraziamento al prof. A. Kossel per il vivo interesse che prese al corso delle nostre osservazioni ». P. HB; (1) A. Kossel, Zur Chemie des Zellkerns. Zeitschrift f. physiol. Chemie Bd. VII, Heft 1. (*) F. St. Szymkiewiez, Veber den Schwefel und Phosphorgehalt der Leberzellen: des Rindes in den verschiedenen Lebensaltern. Inaug. Diss. Dorpat, 1891. — 3599 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI n° °°—-———-—°—<©°-<7—°y <<“ Seduta del 4 dicembre 1892. F. BrIoscHI Presidente MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica generale. — Sopra una nuova serie di combinazioni basiche del platino. Nota del Socio ALFonso Cossa. « Nello scorso anno (!) comunicai a questa Accademia un cenno preven- tivo di ricerche dirette a ottenere combinazioni di basi platiniche contenenti i cloruri di platososemipiridina e di platososemietilammina, e per conseguenza omologhe al nuovo isomero del sale verde del Magnus da me ottenuto e de- scritto in un precedente lavoro (2). « Le ricerche a cui si accennava nella mia comunicazione dello scorso anno, sono ultimate e formano l'argomento di una Nota piuttosto estesa, recentemente presentata all'Accademia delle scienze di Torino, e di cui mi onoro di offrire un esemplare all'Accademia dei Lincei. « Con questo nuovo lavoro ho dimostrato che si possono realmente otte- nere le nove combinazioni prevedute dalla Teoria quando si sostituiscono nel nuovo isomero del sale verde del Magnus ai due gruppi (NH;) e (NH3),, i gruppi corrispondenti di piridina e di etilammina. « Confido che questo mio lavoro potrà richiamare la benevola attenzione dei chimici, non già per il solo fatto che in esso sono descritte delle com- (1) Rend. d. R. Acc. dei Lincei. Vol. VII, serie 4%, 1891. (2) Mem. della R. Acc. delle Sc. di Torino, serie 2°, t. XLI. ReENDICONTI. 1892, Voc. I, 2° Sem. 47 — 360 — binazioni nuove, ma specialmente perchè da queste mie ricerche emergono due conseguenze che mi sembrano importanti. « 1.2 Le ricerche istituite colla piridina e colla etilammina confermano in un modo indiretto ma sicuro, che il cloruro platinoso è suscettibile di unirsi anche ad una sola molecola di una base. « 2.* La proprietà che ho riscontrato per la prima volta nel cloroplati- nato di platosodiammina di trasformarsi per una reazione intermolecolare nel cloroplatinato della base platinica corrispondente, è comune ai cloroplatinati delle basi platosopiridiniche ed etilamininiche, e perciò essa acquista il carat- tere di una reazione generale ». Chimica. — A proposito di un recente libro sulla stereochi- mica. Nota del Socio E. PATERNÒ. « Il signor Besrjedka ha recentemente pubblicato ad Odessa un Saggio storico sullo sviluppo della stereochimica, nel quale a p. 3 citando un mio lavoro così dice: « Paternò lavorando sul pentacloroetane provò che la so- « stanza C,HC1;, preparata in tre modi diversi, ha la medesima struttura: « da questo fatto (nel 1869) egli dedusse, e ciò, si comprende, del tutto « erroneamente, di aver da fare con un caso d'isomeria più delicato nello «“ spazio, ma egli aveva fra le mani unico composto. Però questa conclusione « erronea lo condusse a considerazioni straordinariamente interessanti per la « loro arditezza e novità. Senza entrare nell'esame minuto del ragionamento « del Paternò, ci limitiamo ad osservare che quì per la prima volta troviamo « nettamente espressa l'ipotesi sulla configurazione tetraedrica della molecola, « la quale dopo soli cinque anni servi di base alla teoria di Van't Hoff e « Le Bel ». « Ora, pur ringraziando il signor Besrjedka del ricordo molto lusinghiero che fa del mio modesto lavoro, mi preme di osservare che l'errore che egli mi attribuisce non è punto vero, ed evidentemente proviene da una lettura incompleta o inesatta della mia Memoria, pubblicata nel 1869 nel Giornale di Scienze Naturali ed Economiche di Palermo. Ecco invero quello ch'io dissi, dopo aver sostenuto che r0% esistevano isomeri della formola C,H Cl: « Questo risultato non è privo di una certa importanza. Infatti uno dei principi « fondamentali della teoria della costituzione dei composti organici, basata « sull’atomicità degli elementi ed in particolar modo sulla nozione della tetra- « tomicità del carbonio, è quello che le quattro valenze dell'atomo del car- « bonio hanno funzioni chimiche identiche, cosicchè non è possibile che l'esi- « stenza di un solo cloruro di metile, di un solo alcool metilico ecc. ecc. « Ora l'esistenza di isomeri per composti della formola C,H Cl; non può « spiegarsi senza rinunziare all’idea della equivalenza delle quattro affinità — 361 — « dell'atomo del carbonio. E questo era il solo esempio finora conosciuto che « si opponesse a tale idea generalmente adottata; giacchè tre isomeri C, H, Bro. « posto che realmente esistono, s7 spiegano facilmente, senza bisogno di am- « mettere una differenza fra le quattro affinità dell'atomo del carbonio come « crede Butlerow, quando si suppongono le quattro valenze dell'atomo del « carbonio disposte nel senso dei quattro angoli del tetraedro regolare; allora « la prima modificazione avrebbe i due atomi di bromo (o altro gruppo mo- « novalente qualsiasi) connessi allo stesso atomo di carbonio; mentre nelle « due altre modificazioni ciascuno dei due atomi di bromo sarebbe legato «con un atomo di carbonio diverso, con la differenza che in uno dei casì i « due atomi di bromo sarebbero disposti simmetricamente, nell'altro no ». È dunque più che evidente che le mie considerazioni non furono fondate sulla possibilità dell'esistenza di più isomeri C, H X;, il che sarebbe stato erroneo, ma sulla possibilità dell’esistenza di tre isomeri CHX». Mineralogia. — Swi minerali del granito di Alzo. Nota del Socio GIOVANNI STRiVER. « Fin dal 1870 mi era noto che nel granito di Alzo sul lago d'Orta sì trovano delle geodi tappezzate di minerali cristallizzati simili a quelli che nel granito di Baveno si conoscono dal secolo scorso. In una breve visita fatta allora ad Alzo dal compianto Gastaldi e da me, ebbimo alcuni pochi esemplari di ortoclasio, quarzo ecc., che furono depositati nel Museo mine- ralogico del Valentino a Torino. Solo nell'estate testè decorsa mi fu dato di ritornare ad Alzo e visitare di nuovo quelle cave che nel frattempo hanno preso un notevole sviluppo. Mercè la gentilezza sovrattutto dei signori Fratelli Simonetti di Novara, proprietarî di cave di granito bianco ad Alzo, potei avere, tanto sul posto, quanto poscia qui a Roma, una quarantina circa di campioni, il cui studio mi dette i risultati che seguono. Colgo questa oc- casione di esprimere anche pubblicamente le mie più sentite grazie ai signori Simonetti. « Si sa, dai lavori del Gerlach e di altri, che dalla Bassa Valsesia si estende ad oriente sino alla sponda occidentale del lago di Orta, nelle vici- nanze di Pella e di Alzo, un ammasso enorme di granito. In questo ultimo luogo, come al Monteorfano tra il lago di Mergozzo e la Toce, il granito è di tinta generale bianca e si compone essenzialmente di quarzo bigio vitreo, ortoclasio e plagioclasio bianchi opachi, e di laminette bruno-nerastre di mica- biotite. Pur troppo sovente sono disseminate nella roccia piccole masserelle di pirrotite, dalla cui facile e rapida decomposizione risulta la limonite che macchia in tinte ocracee la pietra, inconveniente, del resto, comune ad altri — 362 — simili graniti bianchi della stessa regione, come p. e., di Monteorfano, e di Roccapietra in Valsesia. « Il mineralista che si trova di contro quelle bianche, abbaglianti pareti del granito di Alzo, dispera quasi di trovare in esso delle geodi, tanto è uni- forme la struttura della roccia, con grande vantaggio degli scavatori. Pure non mancano, in qualche parte delle cave, quelle geodi e quei nidi che !re- sero celebrato fra i mineralogi il granito rosso di Baveno. Non avendo tro- vato, per quante ricerche ne facessi, alcuna pubblicazione relativa ai mine- rali di Alzo, credo di far opera grata ai mineralisti, dando un breve elenco delle specie da me osservate sopra i relativamente pochi campioni che ho sott'occhio, tanto più che vi ha fra esse qualcuna da me, or sono più di venti anni, descritta a Baveno e, a quanto sembra, ivi non più incontrata da altri. « Vengo senz'altro alla enumerazione delle specie. « 1. Il quarzo delle geodi ora è incolore e trasparente, ora grigia- stro o biancastro tralucido, ora trasparente e affumicato con tinte anche ca- riche da rassomigliare al quarzo affumicato del Gottardo e del Tirolo (Ziller- thal). Oltre alle solite forme del prisma j211{ e dei due romboedri }100} {221} vi sono quasi sempre visibili le faccie rombe {412} ora striate da destra a sinistra, ora da sinistra a destra, e assai sovente anche faccie trapezoidali, tanto superiori quanto inferiori alle faccie rombe, tanto a destra quanto a sinistra di esse. Qua e là si osservano ancora romboedri assai acuti diretti e inversi. Mentre le faccie del prisma, dei romboedri e della piramide trigo- nale }412} sono per lo più lucenti, quelle degli emiscalenoedri sono ruvide e appannate in modo da non ammettere esatte misure. Quasi tutti i cristalli sono gemelli a penetrazione, ad asse [111], come di leggeri si scorge dalla presenza di faccie rombe e trapezoidali sovra spigoli contigui del prisma e dalle linee irregolari che corrono sovra le faccie dei romboedri separando parti di disuguale aspetto fisico. Tutte poi le modalità di detta legge di gemina- zione sono rappresentate: vi ha dei gemelli composti di due individui de- strorsi, altri che constano di due individui sinistrorsi, e altri ancora in cui un cristallo destrorso è riunito ad un cristallo sinistrorso, nel qual caso una medesima faccia romba è accompagnata, a sinistra e a destra, da faccie tra- pezoidali appartenenti alla medesima forma oloedrica. Frequenti sono asso- ciazioni parallele di più cristalli o piuttosto gemelli, e non meno sovente sì 0s- servano esemplari in cui è evidente una interruzione nella cristallizzazione del quarzo. Di fatti, individui preesistenti furono coperti da numerosi cri- stallini di un minerale micaceo e poscia, in posizione parallela, da altra so- stanza quarzosa. Le dimensioni dei cristalli variano entro limiti assai larghi; vi sono di quelli minutissimi di appena un millimetro di lunghezza, sino a cristalli, non rari, della lunghezza di un decimetro e più, e del diametro di 4-5 e più centimetri. —- 363 — «2. Come a Baveno, così anche ad Alzo si trova la 7alifte mammello- nare e incolore che riveste qua e là altri minerali delle geodi. «3. L'ortoclasio è bianco opaco, come quello del granito di Monte- orfano, e evidentemente già alquanto alterato. Vi si osservano le solite forme }110} {130} }010} 3001} }101{ {201} {111{et alora anche la pinacoide }100}, relativamente rara altresì a Baveno. Oltre a cristalli semplici, non comuni, si trovano ad Alzo numerosi gemelli con asse di geminazione normale a (021) (legge di Baveno), assai meno sovente con asse normale a (001) (legge di Manebach), e con asse [111] (legge di Karlsbad). Fra i geminati secondo la legge di Baveno ve ne ha di quelli formati di due individui soli, altri di tre. Non mi fu dato di scorgere alcuno, fra questi geminati secondo la legge di Baveno, terminato alle due estremità della zona [100], mentre, altra volta, fra i gemelli provenienti dal granito di Baveno, ne potei mettere assieme almeno una dozzina per la collezione del Valentino a Torino. «4. Il plagioclasio è assai meno abbondante dell'ortoclasio nelle geodi. Esso forma delle associazioni parallele di piccoli geminati secondo la solita legge dell’albite, è bianco opaco come l’ortoclasio, ma evidentemente assai meno alterato, ossia più fresco di questo, poichè conserva ancora un residuo di splendore vitreo. Misure o analisi chimiche non si poterono fare, ma se fosse permesso di giudicare dall’analogia col granito di Baveno, si direbbe trattarsi di albite. Però sui miei campioni manca quella regolare sovrappo- sizione dell'albite all'ortoclasio, da tanto tempo nota a Baveno; non se ne vede la benchè menoma traccia sulle pareti delle fratture del granito, mentre ciò è frequente nel granito rosso di Baveno, nè si riesce a riconoscere con certezza l’albite in quella sottilissima patina lucente che si osserva qua e là sulle faccie della zona [001] nei cristalli di ortoclasio. Con tutto iciò, mi sembra assai probabile che col tempo si troverà anche ad Alzo l’accennato fenomeno, comune a tanti graniti. « 5. Astrazione fatta dalla d/ozife che sembra trovarsi solo nella massa del granito, si osservano nelle geodi minuti cristallini di una mica giallo- gnola o verdognola a grande angolo degli assi ottici; ma sinora, per la scar- sezza di materia, non riuscii a determinarne la specie. « 6. La elorite di color verde-nerastro, poco abbondante, s'incontra in laminette irregolarniente contornate e in minutissimi cristallini. «7. L'assinite, da me trovata a Baveno e descritta sin dalla fine del 1867 (!), si trova altresì nel granito di Alzo, nè vi sembra rara, poichè sui pochi miei campioni si vedono parecchi di quei piccoli aggruppamenti di cri- stallini a foggia di rosetta e di color bruno-garofano chiaro che menziona anche lo Streng (?) nel granito di Baveno. Non trovai però cristalli misurabili. « 8. La /luorite sembra piuttosto comune. È vero che sopra i campioni (1) Atti. R. Acc. d. sc. di Torino. Adunanza 29 dic. 1867. (2) N. Jahrbuch f. Min. 1887. Bd. I, p. 100. — 364 — che vennero in mio possesso non sì osservano che qua e là delle piccole mas- serelle di fiuorite verdognola senza regolare forma, e, sopra uno di essi, pic- coli cubi in parte gemelli a penetrazione con asse [111] quasi incolori; ma vidi ad Alzo stesso parecchi pezzi di sfaldatura di notevoli dimensioni, quasi incolori o di leggiera tinta verdognola. « 9. L'apatite del granito bianco di Baveno fu da me descritta nel 1871 (!) ma. pare quasi che quell’esemplare allora da me trovato fra le tante migliaia di campioni minerali di Baveno che passarono in quei tempi per le mie mani, sia rimasto sino ad ora unico, almeno lo Streng (?) dice di non essere riu- scito a trovare l’apatite fra i suoi campioni, e il Molinari (8) si limita a ci- tarla fra i minerali da me trovati a Baveno. Ora fra i miei campioni di Alzo ne trovai già tre con della apatite. In uno di essi si vedono sopra un bel gemello di ortoclasio (legge di Baveno) due cristallini, separati l’uno dall'altro, di circa un millimetro ‘di diametro, incolori, splendidissimi, in mezzo alla patina di minerale micaceo e di laumontite decomposta che ricuopre in parte il feldspato. Ne staccai uno per sottoporlo a misure goniometriche, le quali dettero il seguente risultato. Combinazione — forma fondamentale del Miller. Miller {111} }101} /211) {821} {210 j31I{ 100,22I{ }502,4231 Bravais }0001} }1120} {1010} }1126{ {1123} }2243} }1011{ 15273! Forma fondamentale del Naumann. Miller }111} {211 {101} }110,411} }100,221} 111,511} 3412} {814,212 Bravais }0001}}1010}}1120} {1012}} $1011j }2021} {1121} j3141{ « La forma }502,423| è, come al solito, emiedrica, cioè sviluppata come piramide esagonale di terzo ordine, le faccie di }211: sono strettissime, ap- pena visibili ad occhio nudo. « Ecco gli angoli misurati cui pongo di fronte i valori rispettivi dati dal Kokscharow (4) per l’apatite di Ehrenfriedersdorf in Sassonia e delle cave di smeraldo negli Urali, i quali valori sussistono, secondo lo stesso osservatore, anche per i cristalli così detti del Gottardo. mis. cale. mis. calce. (111) (821)=22°59" 22°59. (101) (502)=22°35/5 22041’ (821) (210) = 17013 17°19 © (502) (100) = 21° 48’ 21° 36 (210) (311) 008201 19° 11° MINFAAA]805 44° 17! (311) (101) — 43090274 80° 31‘ 89° 59' 90° (1) Atti R. Acc. d. scienze di Torino, vol. VI. Adunanza 16 aprile 1871. (2) N. Jahrbuch f. Min. 1887. Bd. I, p. 99-101. | (8) Atti Soc. Ital. di sc. nat. vol. XXVIIT. Milano, 1885. (4) Mat. zur Min. Russlands. Bd. II, pag. 73-76. 1857. — 365. — « Per le due forme {100,221{ e }502,423{ si verificarono anche le zone [101, 502, 100, 201], [311, 100, 311] e analoghe. Le faccie di }210{ riflettono assai meno bene la luce delle altre, a motivo di una finissima striatura orizzontale. « Un secondo campione mostra un aggruppamento di una decina di cri- stallini del diametro di circa due millimetri, impiantato sopra il feldspato accompagnato da quarzo affumicato, in mezzo alla solita incrostazione di mica e laumontite. I cristalli sono di leggera tinta rosea e rivelano la stessa com- binazione di sopra, solo che in qualcuno di essi la base è così poco svilup- pata, che la terminazione del cristallo è formata principalmente dalla pira- mide }321%. Nel terzo campione si vede un solo cristallo biancastro, della medesima combinazione, ma colla base largamente sviluppata, impiantato sopra un gruppo di feldspato e quarzo affumicato, accompagnato da mica, laumontite, e calcite. « 10. Di minerali del gruppo delle zeoliti trovai soltanto la laumontize in cristalli sino a due centimetri di lunghezza e 4-5 millimetri di diametro trasversale, e della abituale forma }110} }102{ (cf. Phillips-Miller). Il mi- nerale, già interamente imbianchito, opaco, e fragile in modo da cadere in polvere al semplice contatto delle dita, è assai abbondante; esso ricuopre, colla mica, sovrattutto i cristalli di ortoclasio, e serve altresì, unitamente alla calcite, a cementare una accumulazione di grossi cristalli di feldspato e di quarzo affumicato, staccati dalle pareti delle geodi e caduti sul fondo di esse, ad analogia di ciò che si osserva nei giganteschi campioni di granito elbano della collezione Foresi, conservati nel Museo mineralogico di Firenze. « 11. La calcite è assai abbondante. Non si osservano cristalli distinti; solo in alcuni campioni scorgonsi larghe tavole a contorni irregolari, ma colla base lucentissima, bianca, a striatura trigonale parallela alle intersezioni di }111} colle faccie più vicine del romboedro di sfaldatura. Altre volte sovra tali lamelle sono impiantati in posizione parallela dei romboedri imperfetti di color grigio-giallognolo, a superficie come corrosa, o come impedita di svi- lupparsi, dalla resistenza di altre sostanze, colle quali la calcite venne a contatto durante la cristallizzazione. Talora la calcite è in croste mammel- lonari da confondersi a prima vista colla ialite; altre volte si presenta in mi- nuti cristalli imperfetti floriformi che in piccolo imitano i noti campioni delle miniere di Pribram; in qualche caso poi essa si presenta in minute forme stallattitiche di color verde da rassomigliare a certi campioni di prehnite. « 12-15. Di particolare interesse parrebbe la presenza di solfuri e sol- farseniuri nel granito di Alzo. Già da molti anni segnalai nel granito bianco di Monteorfano la pirrotite, la pirite e l’arsenopirite, da poco nei graniti della Bassa Valsesia la pirrotite e la pirite; posso ora aggiungere la calcopirite nel granito rosso di Baveno trovata, due anni fa, in una nuova visita fatta a quelle cave, e tutti e quattro i minerali sopra menzionati nel granito di — 366 — Alzo. Ho già sopra fatto menzione della pirrotite non di rado disseminata nella massa della roccia; ma oltre a questa specie, trovai le tre altre in un nucleo sferoidale di mezzo decimetro, favoritomi dal sig. Simonetti. Aderiscono ancora al nucleo i minerali costituenti la roccia, a dimostrare ch’'esso formò realmente un nido nel granito. Il nucleo si compone essenzialmente di arse- nopirite in massa, cui va frammista poca calcopirite, ma nelle piccole geo- dette di esso sì osservano, da una parte cristalli 110} }101{ di arsenopirite, dall'altra cristalli }100{ }111} di pirzte. « Da ciò che precede risulta ad evidenza l'analogia massima fra i gra- niti bianchi di Alzo, Baveno e Monteorfano; ed essendo il granito bianco di Baveno una immediata continuazione di quello rosso di Baveno, viene spon- tanea l'idea che tutti questi graniti (o granititi) benchè più o meno separati l'uno dall'altro alla superficie, sieno uniti in profondità e costituiscano un solo grandioso ammasso eruttivo coi graniti della Bassa Valsesia tra Rocca- pietra e Borgosesia, coi quali quello di Alzo è direttamente congiunto, anche alla superficie del terreno, per la Colma di Civiasco, per il Monte Navigno, per Cellio ecc. Che, del resto, il granito della Bassa Valsesia sta realmente sotto gli schisti cristallini, è ovvio sulla strada da Varallo a Civiasco, come spero di poter fra poco dimostrare in altro mio lavoro ». Chimica. — Sopra è composti Plato-pirrazolici. Nota II del Corrispondente L. BALBIANO (!). « Nella mia Nota « Sopra una nuova serie di composti del platino de- rivanti dai pirrazoli (?) ho suggerito come reazione caratteristica di questo nucleo carboazotato, la formazione di composti platopirrazolici che si origi- nano per eliminazione di quattro molecole di acido cloridrico dai cloroplati- nati col riscaldamento moderato. Il dott. G. Marchetti (*) ha studiato tre nuovi cloroplatinati di pirrazoli ed ha trovato, che mentre i cloroplatinati di 3-5 dimetilpirrazolo e di 3 o 5 metilpirrazolo si comportano nel modo generale, il cloroplatinato di 3-5 dimetil-1-tetraidrofenilpirrazolo si decom- pone profondamente. « Ho ripetuto l’esperienza sopra quest’ ultimo cloroplatinato ed ho veri- ficato che riscaldandolo per 8 ore a 140° perdette 18 °/, di peso, ma pro- lungando il riscaldamento alla stessa temperatura per altre 3 ore, la perdita arrivò al 23,48 °°, mentre per l'eliminazione di 4 molecole di acido clori- drico la perdita calcolata sarebbe del 19,18°/. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto chimico della R. Università di Roma. (2) Rend. Acc. Lincei. Vol. VII 2° semestre p. 26. (3) Idem, p. 376 e serie V, vol. I p. 856. — 367 -— « Finora non conosciamo il comportamento dei cloroplatinati di pirrazoli nei quali l'idrogeno imidico sia sostituito da radicali alcolici saturi, ai quali il composto del Marchetti può paragonarsi secondo le. ricerche sui nuclei idrogenati di E. Bamberger, perciò, prima di generalizzare la reazione, dovrò fare esperienze sopra gli anzidetti cloroplatinati. « Come già accennavo nella Nota sopracitata questo comportamento del nucleo pirrazolo dimostra in esso un carattere piridico, carattere che viene meglio accentuato dalle reazioni che descrivo in questa Nota. « Infatti, mentre l’'1-fenilpirrazolo e l’ 1-fenil-3-5-dimetilpirrazolo ri- scaldati all’ebollizione con una soluzione di cloroplatinato sodico danno com- posti Platopirrazolici del tipo (Pz)? Pi CI? indicando col simbolo Pz un residuo pirrazolico, i pirrazoli che contengono l'idrogeno imidico danno, nelle stesse condizioni, assai facilmente composti Platopirrazolici del tipo (Pz)? Pi CI corrispondenti ai piridici. « Per chiarezza chiamerò Dieloroplatopirrazolici i primi e Tetraclo- roplatopirrazolici i secondi. « Inoltre ho trovato che un composto tetracloroplatopirrazolico si forma anche per ebollizione della soluzione acquosa del cloroplatinato di pirrazolo. « Quest’ ultima reazione, propria dei cloroplatinati delle basi piridiche, ha reso necessario di studiare il comportamento della piridina col cloropla- tinato sodico, ed il comportamento del cloroplatinato di piridina al riscalda- mento moderato. < Tanto nel primo quanto nel secondo caso si ottenne sempre il com- posto di Anderson, perciò la quantità di ac. cloridrico che si elimina per riscaldamento del cloroplatinato serve a caratterizzare i Pirrazoli. TÈ Composti Tetracloroplatopirrazolici. « Tetracloroplatopirrazolo (C* H* N° H)? Pt C1* — Si ottenne facendo bollire una soluzione di gr. 0,407 di pirrazolo in 30 ce. di acqua, addizio- nata di una soluzione acquosa di cloroplatinato sodico contenente gr. 1,68 di sale cristallizzato in 20 cc. di acqua. Perchè il composto si formi è ne- cessaria una ebollizione prolungata per 15 minuti. Si filtra ed il filtrato evaporato a bagno-maria, lascia un piccolo residuo che si unisce, dopo la- vatura con acqua, al primo composto depositatosi. La reazione è quantitativa. RenpIcontI. 1892, Vor. I, 29 Sem. 48 —— 368 — « Difatti le quantità suddette di reagenti dovrebbero dare secondo l'equazione : 2 C3 H? N° H+- Na? Pt CI°, GH*° O = 2 Na C1-+ 6H°0 +[C® H° N° H |? Pt 014 gr. 1,4 di tetracloroplatopirrazolo; se ne ottenne gr. 1,2. « Il nuovo composto, dopo averlo ben lavato con acqua fredda, asciugato fra carta e diseccato nella stufa a 140°, diede all'analisi il seguente risultato. gr. 0,1558 sostanza dettero per residuo alla calcinazione gr. 0,056 di Platino gr. 0,2138 sostanza richiesero cc. 18,05 di soluz. i di Ag NO?. « Ossia in 100 parti: trovato calcolato Re ZIR23 41,13 CI 29,96 30,07. « Si presenta sotto forma di una polvere che al microscopio polarizza- tore si manifesta cristallina; ha un colore giallo-chiaro come il cromato di piombo precipitato e dall'aspetto non si differenzia dal composto platopiridico di Anderson. È quasi insolubile nell'acqua anche a caldo, nell’alcool assoluto, nella benzina. Riscaldato alla temperatura di 230°-240° perde di peso, ma subisce una decomposizione profonda perchè si mette in libertà del Platino. « Da ciò si stabilisce che una volta formatosi il composto (C*H*N?H)? PtC1*, non è più suscettibile di eliminare 2 HCl e dare il composto dicloroplato- pirrazolo. « Tetracloroplatopirrazolo dal Cloroplatinato. — Gr. 0,25 all'incirca di cloroplatinato di pirrazolo anidro sciolti in 8 a 10 ce. di acqua, vennero fatti bollire in un’'apparecchio a ricadere. Dopo un 10 a 15 minuti, cominciò a depositarsi una polvere cristallina giallo-chiara, ed il liquido, dapprima colorato in giallo rosso, assunse una colorazione giallo-chiara. Si filtrò, dopo raffreddamento, si lavò il precipitato con acqua fredda ed il composto, dis- seccato sull’acido solforico, diede all'analisi il seguente risultato. gr. 0,1436 sostanza secca sull’ac. solforico lasciarono alla calcinazione gr. 0,059 di Platino. « Ossia in 100 parti: trovato Calcolato (C* H3 N? H)? Pt C14 Pt 41,08 41,13 « La reazione in questo caso è molto più rapida che pel cloroplatinato di piridina, bastando un quarto d’ora d’ebollizione perchè il composto inso- lubile si depositi. « Tetracloroplato 3 0 5 metilpirrazolo | C3 H° (CH*) N° H }? Pt CI*. — Gr. 0,548 di metilpirrazolo sciolti in 20 cc. di acqua vennero bolliti per mezz'ora a ricadere con una soluzione di gr. 1,514 di cloroplatinato sodico — 369 — disseccato, in 30 cc. di acqua. Il composto platopirrazolico ottenuto pesava gr. 1,5 mentre la quantità teorica sarebbe stata 1,67. All’analisi diede il seguente risultato. gr. 0,2466 sostanza secca sull’ac. solforico lasciarono alla calcinazione gr. 0,0954 di Platino. « Ossia in 100 parti: irovato calcolato Pt 38,68 38,85. È una polvere micro cristallina di color giallo-chiaro, quasi insolubile nel- l’acqua e nell’alcool. « Tetracloroplato 3-5 dimetilpirrazolo. [C* H (CH?)? N° H] Pt Cf. — Vennero adoperati gr. 0,4102 dimetilpirrazolo. gr. 1,328 Cloroplatinato sodico cristallizzato. Il tutto sciolto in circa 50 cc. di acqua, e si ottenne gr. 0,9 di composto, mentre la teoria ne richiederebbe gr. 1,12. « Il composto è una polvere gialla micro-cristallina che all'aspetto ed alle proprietà fisiche non si differenzia dagli altri due descritti. « All'analisi diede il seguente risultato. gr. 0,1013 sostanza lasciarono come residuo alla calcinazione gr. 0,0373 di Plateismo. « Ossia in 100 parti: trovato calcolato Pt 36,82 30,77 Composto piridico di Anderson. « Si ottenne questo composto per via umida nel modo seguente: gr. 10 di cloromercurato di piridina C° H° NHC1.2Hg C1?, fusibile a 176° e che all'analisi dava 60,83 °/ di Hg (calcolato 60,83) venne sospeso in poca acqua; addizionato di un grande eccesso di liscivia potassica al 50 °/, e sottoposto quindi alla distillazione in corrente di vapore. Si raccolse 500 ce. di distillato, al quale si aggiunse una soluzione di gr. 3,442 di cloroplati- nato sodico secco in circa 30 ce. di acqua. Già a freddo la miscela inco- mincia ad intorbidarsi: sottoposta in apparecchio a ricadere ad un'ebollizione prolungata per mezz'ora si forma un precipitato giallo-chiaro cristallino. Nuova quantità di tale sostanza si ottiene evaporando a secco la soluzione ottenuta colla filtrazione e ripigliando il residuo con acqua. In tutto si ebbero gr. 3,2 di composto di Anderson, mentre la quantità prevista dal- l'equazione 205 H5 N + Na? Pt C1° — 2Na CI + (0° H3 N)? Pt C1*. = SÙ sarebbe stata di gr. 3,7. Bisogna però notare che la maggior parte della perdita proviene dal non potersi staccare completamente dalle pareti del matraccio, il composto che vi aderisce fortemente. Che la reazione avvenga completa lo dimostra l'assenza del cloroplatinato sodico nelle acque di la- vaggio del residuo. « All'analisi diede il seguente risultato : gr. 0,2758 di sostanza disseccata a 100° lasciarono alla calcinazione gr. 0,1090 di Platino. gr. 0,1638 di sostanza disseccata a 100° richiesero ce. 13,38 di soluzione Ti è Nigi. i To di Agno”. « Ossia in 100 parti: trovato calcolato Pt. 39,48 39,50 CI 28,99 i 28,72 « Per via secca ottenni il composto di Anderson nel modo seguente. gr. 1,5826 cloroplatinato di piridina cristallizzato, fusibile a 240°-241°, e contenente il 34,46 °/, di Platino (Teoria 34,24) vennero riscaldati a 140°-155° per 8 ore e perdettero di peso gr. 0,0116 ossia 0,7 °/p. 180°-190° per 8 ore e perdettero » gr. 0,2856 » 18,6%. « Si sospese il riscaldamento perchè nel residuo si vedeva nettamente attaccato alle pareti del crogiuolo uno straterello lucente di platino ridotto, ed inoltre la perdita di peso era di già superiore a quella richiesta dalla decomposizione espressa dall'equazione [C> H° NHC]]? Pt CI*= 2HC1 +#- (C* H> N)? Pt Cles, che richiede per 2HCI la perdita di peso del 12,86 °/,. « Il residuo, consistente in una polvere giallo-bruna per platino ridotto, sì trattò dapprima con acqua bollente, ed avendo ottenuto un liquido per- fettamente scolorito alla filtrazione e che inoltre non lasciava residuo all’eva- porazione si concluse che tutto il cloroplatinato di piridina s'era modificato. Esperienze che descriverò in seguito, mi dimostrarono che il composto di Anderson non viene per niente alterato, se riscaldato con acqua regia; perciò riscaldai ripetutamente a bagno-maria il residuo ottenuto con acqua regia di media concentrazione (HNO? psp. 1,20 — HCI psp. 1,16). La colorazione della polvere diventò più chiara, e mediante ripetuti lavaggi con acqua calda si riuscì ad eliminare quasi completamente il platino ridotto. « Il composto asciugato fra carta e disseccato sull'acido solforico dette all'analisi i seguenti risultati. gr. 0,3452 sostanza lasciarono alla calcinazione gr. 0,1372 di platino. P. Né gr. 0,231 richiesero cc. 18,5 di soluzione 10 di Ag NO?. — 371 — « Ossia in 10 parti: trovato calcolato per (C*H5N)? Pt CI Pt 39,74 39,30 CI 28,42 28,72 « Da questi dati analitici si rileva che il composto non è completa- mente privo di platino ridotto, ma rimane dimostrato indubitatamente che per azione del calore sul cloroplatinato di piridina si eliminano 2 molecole di acido cloridrico e si forma il composto di Anderson. II. « Nell’intento di scoprire dei fatti differenziali che mi permettessero di venire a qualche conclusione sulle relazioni strutturali che passano fra il derivato platopiridico di Anderson ed i derivati platopirrazolici ho studiato l’azione che esercitano l'idrogeno solforato e l’acqua regia sopra le diverse serie di composti. Idrogeno solforato e composto Platopiridico. « Gr. 0,5 composto di Anderson vennero chiusi in un tubo di vetro con 50 gr. di una soluzione di idrogeno solforato satura a 0°. Non avvenendo reazione sensibile alla temperatura ordinaria si riscaldò il tubo per 5 a 6 ore alla temperatura di 100°. Si separò del solfuro di Platino nero ed il liquido liberato dall'idrogeno solforato, ed evaporato a secco a bagno-maria, lasciò per residuo il cloridrato di piridina che venne per l’analisi convertito in cloroplatinato. Il cloroplatinato ottenuto fondeva con decomposizione alla tem- peratura di 240°-241°; presentava tutti caratteri fisici di quello della piri- dina ed all'analisi dette il seguente risultato: gr. 0,1354 sostanza secca nel vuoto sull’acido solforico dettero alla calcina- zione gr. 0.0466 di Platino « Ossia in 100 parti: trovato calcolato per (CFHSNHC]))? Pt Cl Pt 34,41 34,24 Idrogeno solforato e composto dicloroplato-1-fenilpirrazolo. « Gr. 0,5 di composto platopirrazolico vennero riscaldati per 5 a 6 ore alla temperatura di 100° (non avvenendo reazione alla temperatura ordinaria) con 50 gr. di soluzione satura di idrogeno solforato. Si eliminò in seguito l'idrogeno solforato con una corrente di aria senza riscaldare ed infine si agitò con etere per estrarre il pirrazolo. I residui eterei di tre preparazioni vennero sciolti in acido cloridrico concentrato e, trattata la soluzione con cloruro di platino in leggero eccesso, si ebbe il precipitato cristallino di — 372 — cloroplatinato di 1-fenilpirrazolo che lavato con un po’ di acido cloridrico, dette all'analisi i seguenti risultati: gr. 0,8974 sale secco sull’acido solforico perdettero a 100° gr. 0,043 di H?0 gr. 0,2584 sale secco a 100° lasciarono gr. 0,0718 di Platino alla calcina- zione. « Da questi dati si calcola in 100 parti: trovato calcolato (C*H*N?(SH5HC])? Pt Cl: 2H?0 H°0 4,79 4,90 sale secco Pte 27,85 Inoltre il cloroplatinato anidro fondeva a 170°170,0°,5. Acqua regia e composto Platopiridico. « L'acqua regia adoperata in queste esperienze era formata da 1 volume di ac. nitrico psp. 1,40 e 3 volumi di HCI psp. 1,16. « Gr. 2 circa di composto di Anderson, aggiunti di 50 ce. di acqua regia, vennero riscaldati a bagno maria per 7 ad 8 ore fino a che cessasse lo sviluppo di cloro. Il composto non cambiò sensibilmente d'aspetto; ripreso con acqua, lavato ripetutamente e disseccato, indi sottoposto all'analisi, diede il seguente risultato : gr. 0,150 sostanza lasciarono alla calcinazione gr. 0,059 di platino « Ossia in 100 parti: trovato celcolato (C5H5N)? Pt C14 Pt 39,33 39,30 Era dunque il composto primitivo inalterato, perciò l’acqua regia non eser- cita azione alcuna sul composto di Anderson. Acqua regia e dicloroplatopirrazolo. « Il dicloroplatopirrazolo (!) trattato nelle stesse condizioni con acqua regia si distrugge completamente lasciando una piccola quantità di resina; tutto il platino si trasforma in tetracloruro che si ottenne cristallizzato in begli aghi. (1) Trascrivo i dati ottenuti nella preparazione di questo composto: r. 2,5156 di cloroplatinato seccato all’aria perdettero a 100° gr. 0,1564 di acqua r. 0,6156 di cloroplatinato seccato all’aria perdettero a 100° gr. 0,0404 di acqua. Ossia in 100 parti. trovato calcolato (C*H*N*HHC])? Pt C15.2H20 H?0 6,21 . 6,56 6,19 r. 1,5748 di cloroplatinato anidro perdettero a 190°-200° gr. 0,4194 di acido cloridrico r. 0,5752 di cloroplatinato anidro perdettero a 190°-200° sr. 0,1558 di acido cloridrico trovato calcolato (C*H*N?HHC])? Pt CI'—4HC1 HC1 26,63 — 27,08 26,77 (oc) (P{S) UEMICE — 373 — Acqua regia e dicloroplato-1-fenilpirrazolo. «1 grammo di composto ‘si trattò a caldo con 40 ce. di acqua regia e si prolungò il riscaldamento a bagno-maria per 7 ad 8 ore. Il composto assunse una colorazione giallo-rossa. Si lavò ripetutamente con acqua e nelle acque di lavatura si riconobbe una piccola quantità di cloruro platinico. « All’analisi dette il seguente risultato: gr. 0,144 sostanza seccata sull’acido solforico lasciarono per residuo alla cal- cinazione gr. 0,0376 di Platino gr. 0,1016 richiesero ce. 9,7 di sali di Ag NO?. 10 « Da questi dati si calcola in 100 parti: Rb2.031t1 Cl 33,8. « L'analisi dimostrò che si era introdotto cloro, e che il composto ana- lizzato era una miscela di I° (C°H°N?C1°)? Pt CI? pel quale si calcola: Pt 28,18 CI 30,90 e di II° (C*H4N?C15)? Pt CI? pel quale si calcola: Pt 25,62 CI 37,45. « Si sottopose di nuovo il residuo all’azione di 30 cc. di acqua regia. La quantità di cloro aumentò, e diminui di conseguenza il percentuale di Platino. Il composto sottoposto all'analisi presentava una colorazione giallo- rossa. Il risultato analitico fu il seguente : gr. 0,1458 sostanza seccata sull'acido solforico diedero gr. 0,0354 di Platino gr. 0,1528 sostanza richiesero cc. 17,4 di soluzione 3 di Ag NO?. « Ossia in 100 parti: Pt 24,27 CI 40,42. « Ora un composto rappresentato dalla formola (C°H®N?C14)? Pt CI? richiederebbe : Pi 23,48 CI 42,01. « Per ulteriore azione dell’acqua regia s'è formato quindi un derivato dicloroplato-1-feniltetracloropirrazolo, il quale però è ancora inquinato da piccola quantità del composto triclorurato rappresentato dalla formola II°. — 374 — Acqua regia e tetracloropirrazolo. «1 grammo circa di composto riscaldato a bagno-maria con 40 cc. di acqua regia, si scioglie quasi completamente con grande sviluppo di gas. Rimane una piccola quantità di residuo (gr. 0,01 circa) e dalla soluzione coll’evaporazione si ottiene l'acido cloroplatinico cristallizzato. Acqua regia e tetracloroplatometilpirrazolo. « Gr. 1,195 del composto vennero riscaldati a bagno maria con 40 cc. di acqua regia e prolungato il riscaldamento per 7 ad 8 ore fino a completo sviluppo di clogo. La maggior parte della sostanza si disciolse con sviluppo di gas; rimasero gr. 0,375 .di una sostanza giallo-chiara, che lavata con acqua, asciugata fra carta e disseccata sull’acido solforico dette all'analisi il seguente risultato : gr. 0,1664 sostanza lasciò gr. 0,0572 di Platino alla calcinazione; gr. 0,1466 sostanza richiesero cc. 15,4 soluzione DI di Ag NO?. 10 « Da questi dati si calcola in 100 parti: trovato calcolato (C*4H5N?C1)? Pt C14 Pi 34,31 34,12 Cl 37,29 37,41 « S'è formato un /elracloroplato-clorometilpirrazolo, il quale si pre- senta come una polvere giallo-chiara, che esaminata al microscopio polariz- zante si manifesta cristallina. i « Le acque di lavaggio di questa sostanza convenientemente evaporate lasciano depositare l’acido cloroplatinico nei begli aghi caratteristici. Acqua regia e tetracloroplaio8-5dimetilpirrazolo. « Gr. 1,4 di composto trattati nello stesso modo con 40 ce. di acqua regia lasciarono un piccolo residuo indisciolto, all'incirca gr. 0,17 che all'ana- lisi diede il seguente risultato: gr. 0,1692 diedero gr. 0,042 di Platino alla calcinazione. « Ossia in 100 parti. trovato calcolato per (C*H©C1?N?)? Pt Cl* per (C5*H4Cl4N?)? Pt CI* Pi 24,82 28,73 24,15 In questo caso s'è formato un derivato tetraclorurato cioè il fetracloro-3-5- tetraclorodimetilpirrazolo inquinato però da piccole quantità del derivato di clorurato. — 3875 — « E una polvere giallo-chiaro che si manifesta cristallina al microscopio polarizzante. « Riassumendo le esperienze descritte in questa Nota posso dedurre le seguenti conclusioni : « 1.° I pirrazoli che contengono l'idrogeno imidico possono dare due serie di derivati platopirrazolici. La prima serie, caratteristica pel gruppo di sostanze che contengono nel nucleo il residuo dell’idrazina ('), si ha per riscaldamento dei cloroplatinati. La seconda serie, comune ai derivati della piridina, si ha per ebollizione di soluzioni di pirrazoli contenenti il gruppo imidico e di cloroplatinato sodico, ovvero per semplice ebollizione della solu- zione acquosa dei loro cloroplatinati. « 2.° Ho dimostrato che il cloroplatinato di piridina sottoposto all’azione del calore elimina parimenti acido cloridrico e dà il composto di Anderson, composto, che ho anche ottenuto dal cloroplatinato sodico e piridina. « Piridina e pirrazoli contenenti il gruppo imidico reagiscono adunque egualmente per via umida, mentre la quantità di acido cloridrico che si eli- mina per riscaldamento dei cloroplatinati li differenzia. «3.9 L'idrogeno solforato ripristina; piridina, dal composto di An- derson; 1fenilpirrazolo, dal composto dicloroplato-1-fenilpirrazolo. Questa rea- zione accenna in qualche modo che il Platino nei due nuclei carboazotati è collegato in maniera identica, perciò accettando le idee del Blomstrand, se nel composto platopiridico ammettiamo che il Platino sia collegato all’azoto, la stessa ipotesi possiamo fare con qualche fondamento nei composti dicloropla- topirrazolici, ed allora ne viene di conseguenza, come già accennavo nella mia prima Nota, che l'atomo di carbonio metinico, il quale cede il proprio idrogeno per la formazione dell'acido cloridrico e l'atomo di azoto al quale sì collega il platino, debbano unirsi più intimamente fra di loro. «4.° L'acqua regia, mentre lascia intatto il composto platopiridico, decompone tanto il dicloroplatopirrazolo quanto il tetracloroplatopirrazolo, e ciò può essere dovuto al gruppo idrazinico che è parte del nucleo. Ma se ben consideriamo questo sfacelo nel caso del dicloroplatopirrazolo, possiamo anche trovarne la ragione nel collegamento più intimo che può avvenire fra carbonio ed azoto. « Difatti i nuclei più idrogenati nei quali l'equilibrio centrico viene disturbato, presentano un punto di più facile attacco ai reagenti laddove esiste un doppio legame, ossia un collegamento più intimo. Ora è logico anche ammettere che il collegamento più intimo dell’azoto ad un'atomo di carbonio metinico, presenti nella molecola del composto dicloroplatopirrazolo un punto più vulnerabile; punto che il composto platopiridico non presenta, (1) Andreocci, Rend. Acc. Lincei, serie 4%, vol. VII, pag. 157. RexpIcontTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 49 — 300 — non essendo disturbato in questo l'equilibrio centrico del nucleo. Una prova l'abbiamo nell’1-tetraidrofenil-3-5-dimetilpirrazolo. H-C — C-CH? « Il Marchetti (') ha dimostrato che nel punto in cui l'anello benzo- lico presenta un dupplice legame, il nucleo benzolico si distacca dal nucleo pirrazolo, e si ossida a freddo trasformandosi in acido adipico. « Se poi nel composto di-cloroplatopirrazolico esistono catene laterali, allora, l’acqua regia non lo distrugge e nel caso che la catena laterale è un nucleo aromatico, il cloro agisce esclusivamente da sostituente. « Così dal dicloroplato 1-fenilpirrazolo si ebbe il derivato tetraclorurato (CHENG? HE) Et CE) (CH N“CH) ARC « La stessa cosa parzialmente si osserva nei due tetracloroplatopirra- zoli esaminati. (C® HCH® Nz H)? Pt Qlé dà (€ HS.CINI) REC ed il tetracloroplato-3-5-dimetilpirrazolo dà il derivato tetraclorurato. (C3 H (CH)? N? H)? Pt C14 (C> H* C1* N?)? Pt C1* come se in ogni metile, catena laterale, atomi d'idrogeno venissero sosti- tuiti da atomi di cloro ». Botanica. — Intorno ai serbatoi mucipari delle Hypoxis. Nota del Corrispondente R. PrroTTA. « In una Nota presentata all'Accademia lo scorso anno (?), riassumendo le mie osservazioni sui serbatoi mucipari delle Cureu/igo, ricordavo, che ser- batoi analoghi avevo trovati nelle specie del genere 4ypox?s, il che confer- mavo anche in una comunicazione fatta alla Società botanica italiana (8). (1) Rendic. Acc. Line. serie 5°, vol. I, pag. 91. (2) Sulla presenza di serbatoi mucipari nella Curculigo recurvata (Herb.). Ren- diconti della R. Acc. de’ Lincei. Classe di scienze fisiche ecc., 1891, 2° sem., p. 291. (3) Sulla presenza di serbatoi mucipari nella Hypoaxis erecta L. Bull. Soc. bot. ital., 1892, p. 112. DSn, — « Rendo ora noti i risultati delle ricerche da me istituite sopra le Yypo- is, di alcune delle quali ho potuto studiare anche le piantine. « Piantina. — Nelle radici delle piantine di Yypozis villosa L. e di IH. obtusa Ker. mancano sempre serbatoi mucipari. « Nell’asse ipocotileo, quando la struttura radicale fa passaggio a quella caulinare, compariscono verso la periferia del parenchima corticale ricchissimo di amido, dapprima uno, poi due, tre, quattro serbatoi mucipari, in forma di canale a decorso flessuoso, disposti a distanza ineguale in una serie unica interrotta. Questi canali cessano ben tosto verso l'apice del tuberetto, dove sta la gemma. .« Nelle giovani foglie, sieno esse le esterne catafilliche o le interne a lamina quasi filiforme, non ho osservato serbatoi mucipari. « Pianta adulta. Le mie osservazioni furono fatte specialmente sulla Hypoxis erecta L. « Il rizoma assai grosso, compatto, ovale, tuberoide è rivestito nella sua parte superiore dalla guaina delle foglie vecchie e da numerose radici laterali. Le foglie giovani formano colle loro guaine dilatate come una specie di bulbo, che sembra la continuazione del tubero. Nel rizoma i serbatoi mucipari sono numerosissimi. Si riscontrano esclusivamente nella regione corticale e vi costi- tuiscono delle serie irregolari flessuose, numerose, tangenziali. Sono a calibro più piccolo verso la periferia, e non presentano, almeno apparentemente, rap- porti coi fasci vascolari. Avvicinandosi alle gemme, si piegano verso le foglie, nelle quali entrano. Nel loro percorso variano di dimensioni; si ramificano, si anastomizzano e fondono, costituendo un reticolo irregolare quando fitto, quando lasso, o formano delle specie di plessi verso la periferia del rizoma adulto o ancora si dilatano in lacune o borse irregolari. « Nella lamina delle foglie normali non si riscontrano serbatoi mucipari. Invece nelle grandi e carnose guaine delle foglie esteriori, che formano come un involucro alle gemme, si trova una serie di grandi canali mucipari di- sposti specialmente al di sotto dei fasci vascolari, di rado al di sopra o late- ralmente ad essi. « A differenza di quanto pare avvenire nel rizoma, i serbatoi mucipari seguono nelle guaine fogliari il percorso dei fasci e con essi entrano nel ri- zoma, piegandosi flessuosi in ogni direzione. « Nelle radici laterali del rizoma non ho mai incontrato serbatoi mucipari. « Mancano questi serbatoi anche nel peduncolo fiorale, nelle brattee e nei fillomi fiorali. « L'origine e la struttura dei serbatoi mucipari delle Z7ypowzs da me esa- minate sono le stesse di quelle già descritte per le Curcu/igo. Parimenti somi- glianti sono i caratteri della mucilaggine, che essi contengono. « Riassumendo in brevi parole i risultati delle mie osservazioni e ri- 08 — cerche sulle Zypox:daceae, sommariamente esposte in questa e nelle citate Note, possiamo concludere : « 1.° Nelle Z7ypowridaceae esistono serbatoi mucipari caratteristici, finora non riscontrati nei gruppi delle Monocotiledoni affini a questo. « 2.° Tali serbatoi mancano nelle radici, siano primarie, siano laterali, e mancano pure in tutte le parti, che costituiscono la regione fiorale. «3.° Essì sì riscontrano sempre nel rizoma e nei fillomi della regione vegetativa. Però la loro distribuzione in questi due membri del corpo della pianta è diversa pei due generi che costituiscono il gruppo. Nelle Hypoxzs infatti i serbatoi occupano nel rizoma la sola regione corticale e non si tro- vano che nelle guaine delle foglie normali e delle vaginanti. Nelle Curculigo si hanno serbatoi sia nella regione corticale, che nella centrale del rizoma, e si riscontrano non solo nella guaina delle foglie tutte, ma anche nel pic- ciolo delle normali. In tutti e due i generi mancano nella lamina della foglia. « 4.° Questo carattere anatomico pare di considerevole valore per staccare il gruppo delle 7ypow:daceae dalla famiglia delle Amarillidacee, nella quale dai più è collocato. La costituzione di una famiglia a sè è anche consigliata dalla presenza di altri caratteri distintivi (!) e dalla considerazione che un recentissimo studio in corso di pubblicazione (?) condotto sopra gruppi o fami- glie, che si ritengono affini alle Hypoxridaceae (quali Emodoracee, Connaracee, Conostilidee ecc.) mostra che il ricordato carattere anatomico di valore siste- matico non si riscontra che nelle Hypoxis e nelle Curculigo ». Matematica. — Sopra alcune varietà della superficie. del 5° ordine con cubica doppia e punto triplo. Nota di A. DeL RE, presentata dal Socio CREMONA. « Questa Nota contiene l'esame dei varii casi di decomposizione della cubica doppia della superficie del 5° ordine di cui mi sono occupato in varie Note precedenti (3), e l'esame dei casi che può presentare la superficie stessa dal punto di vista della configurazione delle sue rette. È indispensabile, per l’in- telligenza di questo scritto, tener presente quanto ho sviluppato in quelle Note. (1) Pirotta R., Sulla costituzione della famiglia delle Hypoxidaceae. Bull. Soc. Botan. ital., 1892, p. 112. (2) Scharf W., Beitr. zur Anatomie der Hypowidaceen u. einig. verwandt. Phanzen. — Botan. Centralbl. B. LII, 1892, p. 178. — Lo Scharf accenna brevissimamente e in modo affatto superficiale ai canali mucipari delle Aypowidaceae e mostra di non conoscere i lavori già pubblicati sull’argomento. (3) Cfr. questi Rend., fasc. settembre 1° e 2°; novembre 2°. — Citerò queste Note quando occorrerà scrivendo rispettivamente I, II, III. — 379 — E La superficie con cubica doppia decomposta. « 1. Una cubica prodotta per corrispondenza proiettiva fra le generatrici di un cono di 2° ordine (P) ed un fascio di piani (0) degenera nei seguenti casi: 1° quando la generatrice di (P) corrispondente al piano Pd giace in questo piano; ed allora la cubica si riduce a quella generatrice e ad una conica che, in generale, non passa per P, ma è appoggiata alla generatrice; 2° quando (P) si spezza in due piani 7), 71»; ed allora la cubica si riduce ad una conica che passa per P, giacente in uno di quei piani, ed in una retta dell'altro piano, ma appoggiata alla conica; 3° quando la conica dei due casi precedenti essa stessa si decompone in due rette; 4° quando è passa per P, senza che (P) degeneri, ed allora la cubica si riduce a 3 rette di P; 5° quando d passa per P e (P) degenera. « 2. Cerchiamo come deve essere scelto il polo £; della superficie perchè si verifichiano i precedenti casi di degenerazione della cubica doppia di essa, e quali altre particolarità si presentano. « Supponiamo, pel momento, sempre generale la rete (Mi). Allora avremo: 1° Essendo le generatrici di (P) le polari dei punti di 2’ rispetto al fascio Af + ug = 0, ed inoltre, essendo i piani di (2), corrispondenti a quelle generatrici, i piani polari di quegli stessi punti rispetto a w=0, la gene- ratrice di (P) corrispondente del piano Pd di (2) sarà e. Ora lo stare di e in Pd esige che c sia coniugata a tutti i punti di 2’ rispetto alla rete (M), cioè che c sia una trisecante della N°; epperò che P sia su R5. Viceversa, è stato visto (cfr. I n. 6) che per ogni punto preso su R? e che non sia su N° la cubica g* si decompone. Dunque, noi possiamo dire che i punti P periquali la superficie ®, ha una retta doppia per Ped una conica doppia che non passa per P sono i punti della ri- gata R*, eccettuato quelli che sono pure punti di N°. « Si osservi che nel caso in esame la retta doppia della superficie è precisamente la generatrice della rigata R* che passa pel punto triplo, e che essa è pure la generatrice doppia del cono tangente in questo punto. 2° Il cono (P) essendo il cono del complesso £; che ha il vertice in P, si spezza quando P giace in una qualunque delle facce del tetraedro A, A3 43 A4. Supponendo, p. e., che sia stato preso in A3 A3 A4="@, il cono (P) si riduce ad @, e ad un piano e", che passa per A;; @'", è quello che contiene la conica doppia della superficie ed @, quello che contiene la retta doppia: questa è poi, riportandosi alla costruzione data nella Nota II n. 2°, la retta @,e/,= È; (II, 1). Si può dunque dire: i punti P per i — 380 — quali la superficie ®, ha una conica doppia pel punto triplo ed una retta doppia altrove sono i punti delle 4 facce del te- traedro dei punti À,. « È ad osservarsi che pei punti presi su una stessa delle facce @; del tetraedro A, A. A3 A, le superficie ®, hanno tutte la medesima retta dop- pia, che è la aj @';= hi: la conica doppia varia da una superficie ad un’altra: il suo piano descrive la retta «. 5° La conica di cui è parola in 1° non può degenerare senza che de- generi il cono (P); rimane dunque a far degenerare la conica di cui è parola in 2°. Ciò accade precisamente quando i due fasci generatori della conica sono prospettivi, cioè quando, essendo P in uno dei piani «;,, è P anche sulla rigata RS. Il caso attuale 3° si presenta, dunque, quando P è all’interse- zione di R* con uno qualunque dei piani «;; epperò si può dire che i punti P periquali le superficie ® assumono tre rette doppie, di cui una soltanto passa per P, sono i punti della sezione della ri- gata R° con i piani a; (£==1,...,4) eccettuati quelli che sono pure punti di N°. « Si deve osservare che fa parte della sezione della rigata R$ col piano «, la retta 4. 4° e 5°. In questi due casi degenera anche la superficie. In fatti, es- sendo d la polare di 2' rispetto a w= 0, quando d passa per P vuol dire che 2’ è nel piano 7, cioè che 2" è una generatrice di R3, epperò che P è su N°. L'essere P_su N° importa che il cono polare congiunto di P risulta iudeterminato, e C, come sono proiettante la cubica Q? (I, 3) si riduce ad un cono del 2° ordine perchè Q* contiene P. La superficie quindi diventa del 4° ordine con P quale punto doppio conico. Sicchè pei punti P della sestica N°, la superficie Dx è del4° ordine e possiede trerette doppie per P;e queste sono le tre trisecanti della N° uscenti da P. Se P è nno dei punti comuni ad N° ed ai piani @,, ma non uno dei punti A;, (P)==C si spezza in due piani; e se è P=A; la ®, diventa del 3° ordine con un punto doppio in P. DE Decomposizione del cono tangente al punto triplo. «3. Accanto ai casi precedenti, in cui si sono avute di mira le varietà della superficie rispetto al modo di degenerare della sua cubica doppia, vi sono quelli in cui è il cono tangente al punto triplo che si decompone. Que- sto può ridursi ad un piano ed un cono del 2° ordine, o a tre piani. 1° Se il punto P si prende nel piano e’, (II, 1) il piano 7 passa per A; e la cubica Q? si riduce ad una retta p; per A; con una conica w in &;. © Il cono C, si spezza quindi nel piano Pp;, e nel cono quadrico Pe. — 381 — 2° Se P si prende, in vece, sulla retta &;/ «7, il piano 77 passa per A; Ax, la cubica Q? si decompone in due rette l'una p; per Ai, l'altra px per Ax e nella retta A, A,n (6%, lm = 12, ..., 34) e C» diventa Pp;4-PprtPA An. 3° Se P è uno dei punti A”, =, e, sarà r=a;,, Q=A; (Ax + A+ Ap) e CO=P(AAx 4A;A/+- A;Am). Questo caso è distinto dal precedente perchè nell’uno i piani nou formano fascio, nell'altro sì. « Da quest'ultimo caso segue che le superficie ®» dei punti della retta A; A'; hanno tutte, oltre che in P, anche in A’ un punto triplo. 4° Se, in fine, P, preso sulla «, è pure sulla @x, allora si decompon- gono insieme cubica doppia e cono tangente al punto triplo; e se è 7 = quest’ultimo si riduce ad una terna di piani di cui due coincidenti in a;. JOE La superficie rispetto alle rette uscenti dal punto triplo. « 4. Si è visto che la conoscenza delle rette 4, della superficie dipende dalla conoscenza delle 4 radici dell'equazione (cfr. I, equ.® 3). |ea|=0 (1) e che quindi le particolarità di questa equazione sono altrettante particola- rità della distribuzione di quelle rette, e della superficie. « Supponiamo che la (1) possegga / radici uguali ad una quantità 4, % uguali a d, / uguali a c ed m uguali a d, sicchè sia 14 %kK+/+m=4. Allora corrispondentemente si avranno i seguenti casi: 1° caso 2° caso 3° caso TT —===fF==—-R3P —_-_ —-.r"F FEET) Tr Tessa" rai ===, madre == 2 V=im = 0; 4° caso 5° caso TT_==rr _ _t_t__ gas TT ——====# _—__1+ymmeeoIG9unu __ hi = AME =im = lA MA ==m = « Supponiamo inoltre che nei casi da 2° a 5° niuna delle radici mul- tiple annulli, oltre del determinante | cx |, tutti i suoi minori del 3° ordine. Allora, mantenendo generale la posizione di w==0 rispetto a 4/+ ug = 0, la sestica N° non degenererà, e quindi nemmeno ®, perP arbitrario. In cor- rispondenza dei casi sopra nominati noi avremo, dunque, quanto segue : a) Il caso 1° è il caso generale. Supponendo reali le 4 radici potremo prendere il tetraedro auto-coniugato comune alle quadriche del fascio A/+ug=0 come tetraedro di riferimento. Allora f=0, p=-0 potranno rispettivamente essere scritte nella forma: fifa + fac + fre + feat =0; p== Gal + Por + P3 3 +4 997 = 0 — 382 — ed avendosi allora DIO i (0=f, 9; 9=E, 99; i=1,..,4;k=1,2,8) coli porre figa = (0/14) Ne N09) Sen pa Tir $i con che è pf = 0 l'equazione della superficie sarà la 27 data nella Nota II, quando le H;, si rimpiazzino con espressioni della forma Si I 3 Cn 0). nStPik 5 1 PS Il e per avere l'equazione di una superficie del 5° ordine con conica doppia fuori del punto triplo e con una retta doppia per questo punto basta nel- l'equazione così ottenuta di porre, p. e., &j = 0. « Si osservi che nel caso in esame le formule (4’) della rappresenta- zione parametrica, diventano quelle date nella Nota II (nota 1 al n.° 4). 5) Nel 2° caso due delle rotte 4, coincidono; sicchè la superficie presenta pel punto triplo tre rette, lungo una delle quali è toccata sia dal cono (P) che dal cono Cp. c) Nel 8° caso le rette 4; coincidono due a due, sicchè la superficie ha pel punto triplo due rette lungo ciascuna delle quali è toccata da Cp e (P). d) Nel 4° caso tre delle rette 4, coincidono; e la superficie presenta pel punto triplo due rette, lungo una delle quali è osculata sia da C, che da (P). e) Nel 5° caso la superficie presenta una sol retta pel punto triplo, lungo la quale è sovra-osculata da C» e da (P). « Per brevità di esposizione io raccoglierò ora in un quadro le formule che nei diversi casi da 2° a 5° conducono all’ equazione della superficie. Terrò perciò presenti la equazione 27 della II, ed il significato che in essa hanno le quantità H;x. i « Scegliendo convenientemente il tetraedro di riferimento, si può prendere : nel ‘2° ‘caso yî =laz:4- baz Sala? 2043445 p= 4 La 23 4 ni oca RE READ A» nf = GUIDE } b(x3* Ì Da201) H2.K20% 5 Pi; dai sui DRS = 243 4 » » 5°» f=2a(210:+-x2 0) &3°—221%3; p= 2 (0102 + £2%3) 2aXC2 basta; = Co + Cada — 383 — VEE gia — Pe 0 AE, 0 api 53 4) 9e TATE INI las RA 0 pil °3 pid ‘5 (9 PERI. D) nai pil 53 api 403 (0 st q) ==) È Te re VA 0 SEAZIO, —) pil 3 (9g —D)—pî0'5 pil ‘5 (04- ») (NS DA È 3 7 TESS ASS ; l%5s da /, 8s RA pedi — pil 3 miu Sd) op'l?s — pt493(9d—2) ap'i*3 (0 4-2) ape *3 e) s Sì - CIN MAS) ES AUS. Me=IE)S 7], @S IRIS l,3 ARR nil (E5 sati 19) = xa CREO 69) (4) hi "3 e” pid ‘3 apt ‘$ (9 n) ap’ 3 api GSC apt 5(0 us q) = È 2 9 2 z CAS li ts Mese = (ATMIG, REATO pil — pil A gp!) 55 ES — lg ts MEL 3 — plz an'U°59 — 4130 = CANSSÌ °) — D 0 0 0 (pile 5483) 2 = S ») S) S S Hz VATRA — Ch api pl3+ pl '5— 13 apfli*3 — api %3 0 apilz — ls GS È è } S J S SMI 0 AU IUS pid 3 — ap!4 3 0 ="g9 s 3E 3S ch 15 Ea pil — ®3 0 ale 3 — pil !3 0 = OSR05G OStO cf | OSEO 06 OSE9) 06 | 1 :5‘**‘T=y ded ‘oqoue qraddo ce x pi "Eprd Si) a | = GL < £ ta == 6 0 SE SG ‘Gala 0 69 3 CIT (Ri SOR CAN E ) A I £ < < £ v PACS % ato PEAS nin. n 0,1574007 607 ’ » 16 ore a 204°-205° >» AMO 2081 « Il residuo era una massa bruna che dava una polvere color rosso-mattone. gr. 0,2098 di questo residuo lasciarono alla calcinazione gr. 0,0654 di Pt, ossia 01:17. II. gr. 3,6628 di cloroplatinato idratato riscaldati a 100°-180°-190°-230° in una stufa ordinaria di Rammelsberg perdettero di peso gr. 0,9248, ossia il 25,24 °/o. « Anche in questo caso il residuo era una massa colorata in rosso-bruno, che polverizzata dava una polvere giallognola attaccaticcia. gr. 0,2942 di questo residuo lasciarono alla calcinazione gr. 0,0926 di pla- tino, ossia 31,47 °/.. « Le due frazioni di residuo rimaste, ridotte in polvere fina, si fecero bollire con 500 c.c. di alcool assoluto. La maggior parte si disciolse, e colla distillazione della soluzione filtrata rimase una sostanza amorfa colorata in giallo-chiaro, che all'analisi diede il seguente risultato: gr. 0,1608 sostanza secca sull’acido solforico lasciarono gr. 0,0498 di platino gr. 0,267 sostanza diedero gr. 0,445 CO? e gr. 0,1036 H?0. Be — gr. 0,1996 sostanza diedero c.c. 14 Azoto alla temp. di 14°,4 ed alla pres- sione ridotta a 0° di mm. 754,54. N: gr. 0,1722 sostanza, richiesero c.c. 5,2 soluz. 1 di AgNO?. «Da questi dati si calcola in 100 parti: Pi 80,97: 0 45,31 .H 4,30 N-8,18 Cl 10,72. « Da questi dati analitici si dedusse, che il composto generatosi per azione del calore sul cloroplatinato di 1fenil-dimetil-etil-pirrazolo è rappresen- tato dalla formola [IC#(CEO)X(CZH°)N?C*Heg]gEmn0]E la quale richiede in 100 parti: Rr30,9 80452600 4,09 N38 00] 11. « Questo nuovo composto differenzia dal cloroplatinato per 2 CH®CI e 2 HCl in meno. 3 /0H° 2 4 cH° ATE ve, HCl} Pioli — 20H°01+ 2H014 ie Ptol? NO H \ 2065 NN2C6H3 SSD « Ora la perdita di 2 CH*Cl1 + 2 HCI corrisponde al 21,50 °/,, enl/esperienza mimi ha dato. i. een 120,81. « Nella seconda determinazione fatta col cloroplatinato idratato la per- dita trovata fu del 25,24°/o « Calcolato per 2H°0 +4 2CH*C1 + 2HC1 — 24,84°/,. « Ho creduto necessario corredare il risultato interessante ottenuto, con altre determinazioni quantitative che mi hanno fatto conoscere a fondo il meccanismo di questa eliminazione. « La prima determinazione da farsi era di dimostrare che veramente si isolava cloruro di metile e misurarlo. Perciò riscaldai una quantità pesata di cloroplatinato in un tubo di vetro chiuso ad una estremità ed all’ altra unito con una pompa a mercurio. Fatto il vuoto nell’apparecchio ed adattata una campanella per la raccolta dei gas, si riscaldò lentamente e gradatamente a 150°-180°. Trascorse otto ore di riscaldamento si rifece il vuoto; ed il gas raccolto, dopo assorbimento dell'acido cloridrico coll’idrato sodico, si riconobbe essere nient'altro che azoto. Nel tubo era rimasto platino misto a sostanza carboniosa. « Lo stesso risultato ottenni operando il riscaldamento in un'atmosfera di anidride carbonica secca. Una quantità pesata di cloroplatinato riscaldata lentamente e gradatamente per 8 ore da 150°-190° ha perduto di peso il 35,6 °/, ed il gas sviluppatosi, non assorbibile degli idrati alcalini, era azoto. « Con queste esperienze rimase indiscutibilmente stabilito che la decom- posizione del cloroplatinato in queste condizioni era stata profonda; che non RenDICONTI. 1892, Vot. TL 2° Sem. 54 A — s'era eliminato cloruro di metile e che l'ossigeno era un elemento necessario per la trasformazione. « Mi occupai in secondo luogo di determinare l'acido cloridrico che si eliminerebbe da un dato peso di cloroplatinato riscaldato in una corrente d’aria. « In un tubo a disseccamento di Liebig s'introdusse gr. 0,1704 di clo- roplatinato seccato all'aria e si riscaldò in bagno di limatura di ferro facendo contemporaneamente passare una lenta corrente di aria purificata e disseccata. All'uscita del tubo di Liebig era disposto un apparato condensatore conte- nente acqua per trattenere l'acido cloridrico. Riscaldamento 8 ore a 100°-110° perdita gr. 0,0254 14,8% , 8 ore a 140°-145° » n. (0,027205I900 : 8 ore a 160°-180° » n OOC SION « Durante il riscaldamento s'era condensata nella parte fredda del tubo di Liebig una piccola quantità di sostanza oleosa, che nel 3° periodo di ri- scaldamento s'era poco a poco trasformata quasi tutta in una massa solida porcellanea bianca. Riscaldata in una corrente d’aria questa sostanza dava vapori irritanti. Si scioglieva lentamente nell'acqua, e la soluzione acquosa, addizionata di poche goccie di idrato sodico e di nitrato d'argento ammonia- cale, riscaldata a bagno maria dava un bellissimo specchio di argento metallico. « Tutte queste proprietà e reazioni mi dimostrano che la sostanza in parola è il triossimetilene, il quale secondo Butlerow (Liebig's Ann. T. 115, p. 326) si combina coll’acido cloridrico secco dando un composto oleoso. La quantità di questa sostanza era di gr. 0,0132, ossia il 7,74 °/,. « La perdita complessiva subita dai gr. 0,1704 di cloroplatinato fu di gr. 0,0418 che corrisponde al 24,53 °/o. « La quantità di acido cloridrico svoltasi e passata in soluzione, quindi dosata coll’ ammoniaca , fu di gr. 0,02233, ossia il 13,1 °/o. Hi 100 « La formazione di triossimetilene, polimero dell’aldeide formica, mi permette di spiegare l'intervento dell'ossigeno atmosferico nella reazione. La decomposizione ha luogo secondo la seguente equazione: 3058 ? + CH? 2 i HC1 }Pt01,2H*0+0*—=2H0+4HC1+2CH°0+( ({c°Hs }pLor ire Nw-0°Hs la quale richiede per la parte volatile, 2H?0 + 4HC1 + 2CH? — 2H?0 + 2HC14- 2CH5C1 — 415 — appunto la perdita del 24,84 °/, trovato 24,53 per la formazione di 2CH°O calcolato °/ 7,1 trovato 7,74 (FASI ” 8,6 mi”, ”» » SHCI1 z) 12,95 » 19,1 la ; a « In quest'ultima determinazione bisogna osservare che non sappiamo quanto acido cloridrico assorbe il triossimetilene; inoltre la massa ottenuta era evidentemente una miscela di triossimetilene e del composto di Butlerow, perchè non completamente solida. « In una seconda determinazione fatta con gr. 0,366 di cloroplatinato seccato sull’acido solforico ho ottenuto gr. 0,1294 di HCI, ossia il 14,9 °/0. Anche in questo caso ottenni un sublimato, in parte solido, che riduceva il nitrato d'argento ammoniacale. « Il residuo del sale rimasto nel tubo di Liebig era una sostanza amorfa, giallo-rossiccia, che polverizzata dava una polvere giallo-chiara. All’analisi dette il seguente risultato: gr. 0,1239 sostanza dettero gr. 0,0381 di Platino. gr. 0,1659 sostanza risultante dal riscaldamento dei gr. 0,866 di cloroplati- nato dettero gr. 0,0505 di platino. © «In 100 parti: trovato cale. per. (C1°H1?N2}:PtC1? Pt 30,75 30,81 30,58 « Tentai di ottenere il 1fenil-metil-etil-pirrazolo dal composto platinico per riscaldamento in tubo chiuso con soluzione satura di idrogeno solforato (Rend. Ace. Lincei. Vol. I p.371). Allo scopo ho riscaldato per 5 a 6 ore alla temperatura di 120°-130°, grammi 2 di composto con 50 c.c. di soluzione satura a 0° di gas solfidrico, ma non ebbi reazione. Si elevò Ia temperatura a 200°-210°; il tubo non resistette quantunque fosse chiuso colla massima cura. « Ho provato ancora a trattare il nuovo composto con acqua regia, ed ho verificato che esso si comporta nello stesso modo degli altri dicloroplato- pirrazoli sostituiti (Rend. Acc. Lincei, vol. I, 2° sem., p. 366). « Gr. 2 di composto vennero riscaldati a bagno maria con 40 c.c. di acqua regia nel modo descritto nella mia Nota: Sopra è composti Platopirrazolici. Il prodotto risultante si lavò bene con acqua, che esporta appena traccie di cloruro platinico; si asciugò fra carta e si seccò sull’acido solforico. All’ana- lisi diede il seguente risultato: gr. 0,1364 sostanza lasciarono alla calcinazione gr. 0,0324 di platino. gr. 0,1336 sostanza richiesero c.c. 11,2 soluz. D di AgNO?. « Ossia in 100 parti: Pt 23,68 CI 29,76 — 416 — « Ora un composto diclorurato (C*°H!!N?C1°)*?Pt C1?, richiede Pit 25,12 CI 27,54 ed un composto triclorurato (C!*H'°N?°C1*)*?Pt CI? richiede Pt 23,01 Cl. 33,71 « Per trasformare la miscela in un composto unico, trattai la porzione residua con altri 40 c.c. d'acqua regia. Il composto ben lavato e disseccato diede all’analisi il seguente risultato : gr. 0,1443 sostanza dettero gr. 0,0331 di platino. gr. 0,1922 sostanza richiesero c.c. 18 soluz. DI di AgNO?. « Ossia in 100 parti: trovato cale. [ C1*H1°N?C]3]® Pt Cl? Pt 23,09 23,01 CI 33,24 39,71 « Il dicloroplatometiletilfeniltricloropirrazolo si presenta sotto forma di una polvere giallo-rossiccia che al microscopio polarizzatore presenta una strut- tura cristallina. È insolubile nell'acqua e pell’alcool. « Finalmente ho fatto reagire quantità equimolecolari di 1fenil-dimetil- etil-pirrazolo e cloroplatinato sodico in soluzione acquoso-alcolica, ma anche dopo una prolungata ebollizione in apparecchio a ricadere, ho avuto una piccola parziale resinificazione e riottenni la maggior parte delle due so- stanze inalterate. « Riepilogando i fatti descritti ermergono le seguenti conclusioni. « Un pirrazolo nel quale tutto l’ idrogeno, sia metinico che imidico, è sostituito da radicali idrocarbonici, dà un cloroplatinato il quale per azione del calore si trasforma in un composto dzcloroplatopirrazolico. Perciò anche i pirrazoli completamente sostituiti seguono la regola, da me scoperta, carat- teristica di tale serie di composti. « Per controprova ho dimostrato che il composto dicloroplatopirrazolico ottenuto dà un tricloro-derivato, come i composti dicloroplatopirrazolici so- stituiti (Rend. Acc. Lincei, I, p. 366) quando viene trattato con acqua regia. « Il meccanismo della trasformazione in dicloroplatopirrazolo non è così semplice, come quando nel nucleo carboazotato si trova ancora idrogeno me- tinico. Allora si eliminano nettamente quattro molecole di acido cloridrico, mentre in questo caso non avviene semplicemente l'eliminazione di 2 mol. di acido cloridrico e 2 mol. di cloruro di metile, quantunque come somma la perdita di peso ammonti precisamente alla eliminazione di questi due composti. Ho dimostrato che per la trasformazione è necessario l’ intervento dell'ossigeno perchè essa non ha luogo nel vuoto, nè in un'atmosfera di ani- dride carbonica, e l'ossigeno interviene per ossidare il gruppo metilene CH° — 417 — e trasformarlo in aldeide formica. Questo modo di decomposizione dobbiamo dunque rappresentarlo coll'equazione 3/CH° 2 3/08? 2 Sa CH 4 2 Sh: 5 2 Ò\C°H5 HOMES 20 =? CH 0S24H0]5 È OH PtCl NN? C°H5 } NN?06H5 « È molto probabile che quest’assorbimento di ossigeno abbia luogo sotto l'influenza di una piccolissima quantità di platino, molto diviso, che per una decomposizione profonda della molecola si genera in prima fase, ed in ap- poggio a ciò sta il fatto che nelle diverse analisi del dicloroplatopirrazolo ho sempre trovato una quantità di platino un po' maggiore di quella richiesta dalla teoria. trovato calcolato Pt 51,47 30,75 30,81 30,58 « Nel terminare debbo esprimere i miei ringraziamenti al sig. G. De- Sanctis studente in questo laboratorio, che mi aiutò efficacemente nelle sopra- descritte ricerche ». Matematica. — cerche sugli aggruppamenti formati colle 315 comiche coordinate alla curva piana generale di 4° ordine. Nota II. di ERNESTO Pasca, presentata dal Socio CREMONA. « Questa Nota è la continuazione di quella che ho già avuto occasione di presentare all'Accademia(!). Nella prima Nota io mi sono fermato alle coppie di coniche esterne l'una all'altra, cioè non incontrantesi sulla curva di 4° ordine. Ho trovato che esistono due specie distinte di tali coppie, caratterizzate da proprietà geometriche assai singolari. In questa Nota mi propongo di classi- ficare le varie specie di terne di coniche. $ 4. — Gruppo di sostiluzioni corrispondenti alla coppia di 1% specie. « Abbiamo già studiato il gruppo delle sostituzioni che lasciano inal- terata una delle 315 coniche. Supponiamo ora che debba restar fissa anche un'altra conica formante colla prima una coppia di 1? specie. Allora si ha 9.8.8.8 18 se noi vogliamo che le due coniche possano anche scambiarsi fra loro, cioè vogliamo propriamente il gruppo corrispondente alla coppia. un sottogruppo di ordine — 4.8.8, e l'ordine diventerà poi doppio (1) V. pag. 385. — 4185 — « Se le due coniche sono, come nella Nota precedente, a=(12.23.34.41) , &6=(13.24.56.78) e debbono restar fisse, allora resterà fisso il primo dei sistemi d'imprimiti- vità corrispondente alla prima conica (v. $ 2). «I sistemi d’imprimitività corrispondenti alle due coniche sono rispet- tivamente : 13.24 , 56.78 , 57.68 , 58.67 \ 12.34 , 14.23 , 57.68 , 58.67 a. 15.35 , 16.36 , 17.37 , 18.38. d.< 15.36 , 16.35 , 27.48 , 28.47 | 25.45 , 26.46 , 27.47 , 28.48 Î 25.46 , 26.45 , 17.38 , 18.37 e da essi si scorge subito che restando fisse le due coniche, ne resta fissa una terza che forma coppia di prima specie con ciascuna delle due date, e che è — (57.68.58. 67). « Possiamo dunque intanto dire: « Una coppia di 1* specie di coniche ne individua una terza esterna ad «“ esse, che chiameremo coniugata alla coppia. « La tabella dei sistemi d’imprimitività corrispondenti a e è: 12.34 , 14.28 , 13.24 , 56.78 c. < 15.16 , 35.86 , 25.26 , 45.46 { 17.18 , 37.88 , 27.28 , 47.48 « Si vede intanto che nel gruppo che lascia fisse le due coniche dat> si stabiliscono quattro sistemi d'imprimitività, cioè: 15.35.16. 36 1A SCORRETTO 25.45.26. 46 27.47.28.48 che esauriscono tutte le 16 rette esterne alle tre coniche 4. d. e. « È facile vedere che fra questi quattro sistemi sono possibili solo quattro sostituzioni nel caso in cui le tre, coniche sono, ciascuna, fisse. Infatti se uno di essi è fisso, resteranno fissi tutti gli altri. Queste quattro sostituzioni sono le solite quattro note sostituzioni del gruppo quadruplo di 4 elementi (quello chiamato vierergruppe), cioè chiamando s, ss 83 84 i quattro sistemi, le sosti- tuzioni sono: s=[1., (6152) (8354); (6153) (5254) ; (6154) (5253) « Se i quattro sistemi debbono restar fissi, allora le sostituzioni saranno solo in numero di 4.4.4., e possiamo rappresentare in modo facile queste 64 sostituzioni, combinando il gruppo quadruplo delle 4 rette di 4 con quello delle 4 rette di 5 e con quello delle 4 rette di c. In effetti dalle cose dette nella Nota precedente risulta che lasciando fissa la retta (13) della conica è e volendo che sieno fissi i sistemi relativi alle tre coniche, il gruppo risulta solo di quattro permutazioni fra i punti 1, 2, 8, 4, e di altre quattro fra i — 419 — punti 5, 6, 7, 8, ed è inoltre transitivo fra le quattro rette della conica 4, ed anche fra le quattro rette di c, e questa seconda transitività è indipen- dente dalla prima. A causa della simmetria colla quale compariscono 4 d € si capisce allora che il gruppo deve essere transitivo separatamente nelle quattro rette di 4, d, c, e in ciascuna di queste quaterne si possono operare quattro sostituzioni. Si hanno precisamente le 4.4.4. 64 sostituzioni che debbono ritrovarsi. Ogni retta di 4 con ogni retta di % e con ogni retta di e forma una terna pari; ora in ciascuno dei quattro sistemi esiste una sola retta che con una qualunque di queste terne dia luogo ad una quaterna in cui tutte le terne sono pari, come è agevole verificare. Quindi si vede che stabi- lita la permutazione fra le rette di «, 2, c resta stabilita quella fra le rette di qualunque altro sistema. « Con questi cenni riguardanti la formazione del gruppo relativo alla coppia data, possiamo passare a considerare la equivalenza o no delle co- niche esterne alle date. $ 5. — Coniche esterne a quelle di una coppia di 1* specie. « Esistono 77 coniche esterne alle due date 4,0; ed esse si possono costruire e raggruppare fra loro tenendo presente il quadro dei sistemi d’im- primitività. 1. conica ce= (57.68.58. 67) 2. coniche formate con due rette di c come p. es.: (57.58.17.18)=e, « Queste sono tutte fra loro equivalenti e sono in numero di 16. 3. coniche formate colle quattro rette di uno dei sistemi d'imprimi- tività, p. es.: (15.35 .16.36)=c: « Queste sono in numero di 4, e fra loro equivalenti. 4. coniche formate con due rette del primo sistema e due del secondo, ovvero due del 3° sistema e due del 4°, come p. es.: (15.35.17.37)=% « Queste coniche formano coppia di 1 specie colla prima delle date, e coppia di 2* specie colla 2% delle date. Di esse ve ne sono 8. Ve ne sono poi altrettante formate con due rette del 1° sistema e due del 4°, o due rette del 2° e due del 3°. Queste debbono ritenersi equivalenti alle prime se le due coniche date possono permutarsi fra loro. In tutto ve ne sono 16. ò. coniche formate con due rette del 1° sistema e due del 3°, o due del 2° e due del 4°. Come p. es.: (15.16.25.26) = — 420 — . « Di esse ve ne sono 8, ed esse formano coppia di 2* specie con 4, è, mentre formano coppia di 1* specie con c. 6. coniche formate con una retta di ciascuno dei quattro sistemi. PIge8.E (15.17.25 .27)=6; e di queste ve ne sono 32 fra loro equivalenti. Esse formano coppia di 2* specie con 4, bd, c. « Possiamo dunque dire: « Il gruppo di sostituzioni che lascia fissa una coppia di 1* specie, non « è transitivo in tutte le altre coniche esterne, ma le separa in 1+16+4+ 1648432 ». « Aggiungendo alla coppia data una conica di ciascuno di questi gruppi abbiamo sei diverse specie di terne contenenti una coppia di 1* specie. Dimo- streremo che queste terne sono tutte fra loro distinte, e intanto tenendo presenti i risultati ultimamente ottenuti possiamo dire. « Rispetto ad una terna fondamentale come 4 .d.c non esistono coniche, « formanti coppia di 2* specie con una sola di queste e coppie di 1% specie «“ colle altre due. « Esistono 6 diverse specie di terne di coniche esterne l'una all’altra « contenenti almeno una coppia di 1° specte. « Queste sei terne possono essere rappresentate rispettivamente dalle: “Qdc A, VCI 5 A 0 OOC PIO « Le chiameremo rispettivamente di 1, 2*, ... 6 specie, e ne esistono « rispettivamente È 9. 315.9. 4 dic 945 , 3815.9.16 = 458360 , La sui. 3780 , 319-000 22680 “ 315.9.8 = 22680 , 315.9.32 = 90720. « La prima e la terza contengono tutte coppie di 1% specie, la quarta « contiene due coppie di 1% specie ed una di 2?, e finalmente le altre (22, « 52, 62) contengono una coppia di 1* specie e le altre di 2% specie ». « Come si vede, queste proprietà non possono bastare per differenziare fra loro le 6 diverse specie di terne. « Dobbiamo quindi passare a ricercare le proprietà di queste diverse terne analogamente a ciò che abbiamo fatto per le coppie, nella Nota pre- cedente. $ 6. — Proprietà geometriche delle terne di coniche contenenti tutte coppie di 1% specie. « Abbiamo visto nel S$ precedente che vi sono due specie diverse di terne di coniche contenenti tutte coppie di 1% specie, ed esse sono rappre- sentate dalle due terne: GSIDONCHE Aa — 421 — « Ora passando ad esaminare le rette di cui risulta la terna @.d.e (quella che possiamo chiamare fondamentale) si vede che una retta di 4 con una di è e con una di c dà sempre una terna pari di rette (v. Mem. cit.), e ciò corrisponde al fatto geometrico: « La terna fondamentale (di 1 specie) risulta di tali tre coniche che «non esiste altra conica (fra le 315) che tagli contemporaneamente le tre date « (si intende, sulla curva del 4° ordine) ». « Invece questo non si verifica per la terna 4 dc». In questo caso si può subito riconoscere che si possono formare delle quaterne-zero contenenti una retta di 4, una di d, ed una di c,, e propriamente di tali quaterne se ne possono formare 32; dunque: « Esistono 32 coniche (fra le 315) che intersecano (sulla curva di 4° « ordine) in due soli punti ciascuna delle tre coniche @, è, cs di una terna « di 32 specie. Non esistono coniche intersecanti in 4 punti una delle date «e in 2 punti le altre due ». « Sappiamo che ogni coppia di 1® specie determina una conica coniu- gata ad essa. Troviamo le coniche coniugate a ciascuna delle tre coppie della terna che ci occupa. « Adoperando i quadri del $ 4 si ottengono facilmente le tre coniche: (27.48.28.47) (17.37.18.38) (57.68.58. 67) che, come si vede (tenendo p. es. presente il quadro ce del $ 4), formano una terna di 1? specie. « Dunque abbiamo questo rimarchevole risultato : « In una terna di 38 specie, prendendo le coniche coniugate alle tre « coppie contenutevi, esse formano una terna fondamentale di 1 specie ». « Questo risultato ricorda quello relativo alla configurazione delle 27 rette della superficie di 3° ordine, laddove si studia gli assiemi di piani non aventi rette in comune (della superficie). Anche ivi si trova che i piani coniu- gati alle coppie contenute in un triedro di 2° specie, costituiscono un triedro di 3? specie ('). $ 7. — Proprietà geometriche delle tre terne di coniche contenenti una coppia di 1% specie e due di 2°. « Abbiamo già detto che esistono tre di queste terne e sono rappresen- tate da: (1) Vedi Mem. II. negli Annali di matematica, t. XX, 1892. ReENDpICONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 55 — 422 — « Una prima differenza caratteristica fra queste tre terne l'abbiamo impli- citamente già notata. Infatti consideriamo l’unica coppia di 1° specie esi- stente in queste terne, e la conica e coniugata a questa coppia. Dalle cose dette nel $ 5 risulta che nella terna 4,d,c,, la 3° conica c, passa per quattro punti (sulla curva di 4° ordine) della conica coniugata e; nella terna a,b,c4, la terza conica c, forma coppia di 1° specie con ec; e finalmente nella terna @,d,c;, la terza conica e; forma coppia di 2* specie con c. « Possiamo ancora trovare delle proprietà geometriche delle varie terne. « Le tre coniche della prima terna sono rappresentate da: (12.23 .34.41) (13.24.56.78) (57.58.17 18) « Ora si vede che le rette 57.58 combinate con due qualunque delle prime due quaterne, danno sempre una terna par di rette, mentre che (17) combinato p. es. con (12) (24) dà una terna dispari, dunque: « Nella terna di coniche a, è, c, (di 2° specie), esistono 16 coniche che « tagliano in 2 punti ciascuna delle tre date, e di esse 8 passano sempre « per gli stessi due punti, e le altre 8 passano per altri due punti fissi « (s'intende, sempre sulla curva del 4° ordine) ». « Non esistono coniche incontranti in due punti due delle date e in « quattro la terza ». « La terna di 5° specie è rappresentata da (12.23.34.41) (13.24.56.78) (15.16.2526) « Ora si vede subito che si possono formare 8 quaterne-zero con una retta della prima, una della seconda, e due della terza, così per es. le quaterne : (12.56.15.26) (12.56.16.25) (23.13.15.25) (23.13.26.16) ece. ecc. e inoltre si possono formare 16 quaterne con una retta della prima, una della seconda e una della terza conica, onde possiamo dire: « Per una terna di 5° specie esistono 8 coniche che tagliano in due punti «“ ciascuna di due delle date, e in 4 punti la terza, ed esistono poi 16 altre « coniche intersecanti in soli due punti ciascuna delle tre date ». « La terna di 6* specie è rappresentata da (12.23.84.41) (13.24.56.78) (15.17.25.27) e si vede che si possono formare solo 4 quaterne contenenti due rette della terza, e una retta della prima e una della seconda delle tre date. Esse sono: (14:24. 15 25)(424. 1720) 02813817220) 28518 165925) e, come si vede, possono ordinarsi in modo che ciascuna abbia due rette co- muni colla seguente e colla precedente e con nessun’ altra, e l’ultima abbia due rette comuni colla prima. — 423 — « Si possono poi formare 24 coniche passanti per due punti della prima, due della seconda e due della terza. Onde: « Per una terna di 6° specie esistono solo 4 coniche intersecanti due « delle date in due punti, e la terza in 4 punti; ed esistono poi 24 altre «“ coniche intersecanti in soli 2 punti ciascuna delle date. Le prime 4 for- «mano un aggruppamento, che possiamo chiamare circolare, cioè si possono « ordinare in modo che ciascuna abbia 4 punti comuni colla seguente e colla « precedente e l’ultima colla prima ». $ 8. — Proprietà geometrica della terna contenente due coppie di 41% specie e una di 29. « Questa terna è rappresentata da 4, 2, €3, cioè: (12.23 .34.41) (13.24.56.78) (15.35 .17.37) e si può riconoscere facilmente che possono formarsi 32 coniche intersecanti in due punti ciascuna delle date, come per es.: (12.13.35.25) , (23.56.35. 26) , ecc. ecc. « Rispetto alla terna di 4% specie esistono 32 coniche che intersecano «in 2 soli punti ciascuna delle date, e non ne esistono di quelle che inter- « secano in due punti due delle date e in quattro punti la terza ». « Questa proprietà è analoga a quella della terna di 3* specie studiata nel $ 6, ma, oltre che si potrebbe facilmente riconoscere che in questa le 32 coniche trovate, si configurano fra loro in maniera diversa che le 32 coniche del $ 6, resta però sempre che la differenza fra le due terne (la 3? e la 42) è data dalla diversa natura delle coppie che contengono. « Questo è lo studio completo delle terne contenenti almeno una coppia di 1° specie. In una prossima Nota considererò le terne contenenti tutte coppie di 2 specie ». Fisica. — Sw punto critico e sui fenomeni che lo accompa- gquano. Nota di GruLIio ZAMBIASI, presentata dal Socio BLASERNA. « La equazione caratteristica dei fluidi nella forma datale da Van der Waals e da Clausius, è applicabile direttamente agli aeriformi, e si estende ai liquidi nella supposizione che vi sia continuità fra questi stati. Essa esige l'esistenza d'uno stato particolare e determinato, detto crz//co, in cui i vo- lumi specifici del liquido e del suo vapore saturo sono uguali, che ha una importanza fondamentale in termodinamica, perchè coi suoi elementi critici si determinano le costanti di ciascun corpo, si costruisce la equazione is0- SOA — termica ridotta comune a tutti i corpi (Blaserna, Teoria cinetica dei gas, p. 139), e col calore specifico se ne ricava la equazione caratteristica di M. Massieu, (Poincarè, 7hermodyn., n. 125), donde le proprietà termiche e meccaniche dei fluidi. i « Io ho tentato di portare un piccolo contributo allo studio sperimen- tale del punto critico, perchè i dati della esperienza sono ben lungi dal ri- spondere alla precisione delle teorie: anzi i fisici sperimentatori non sono ben d'accordo sul modo di concepire lo stato critico, meno ancora sui segni ai quali si riconosce: donde la mancanza di precisione di linguaggio, e la di- screpanza nelle misure degli elementi critici. Questo lavoro si riduce ad una investigazione del contorno del punto critico. « Dati della esperienza. — Cagniard Latour, nel 1822, pel primo chiamò critico lo stato d'un corpo allo sparire della superficie di separazione del liquido dal suo vapore saturo, quando si riscalda in un vaso chiuso: e lo definì: una ebollizione totale del liquido, senza mutamento di volume. Dopo di lui molti hanno preso per elementi critici la temperatura, la pressione e il volume che ha il corpo alla sparizione del menisco. « Drion, 1845, estese l’esperienza di Cagniard Latour a diversi corpi. « Faraday, 1845, accennò alla possibilità di liquefare i gas detti per- manenti, col portarli a temperatura inferiore alla critica. « Andrews, 1861, col noto digramma delle isoterme diede la illustra- zione geometrica della equazione dei fluidi. Il campo è diviso in due regioni dalla isoterma critica. Lo stato unico possibile nella regione superiore è il gas; la inferiore è divisa in tre dalla linea del liquido 0 dei volumi spe- cifici (MCN fig. D): I* regione di puro vapore; II* di puro liquido; III? di liquido e vapore saturo. Il punto (C), al quale fanno termine tutte le regioni, è il punto critico (Annales de Ch. et de Phys. s. 2%, v. 21, 22, IV 21). « Amagat, 1878 e 1891 (Comptes-Rendus) estese il digramma delle isoterme a più larghi limiti di temperatura e pressione. « Pictet et Cailletet, 1877, Hautefeuille, et Chappuis, 1882, Wroblewski e Olzewski, 1883, confermarono il concetto teorico di temperatura critica, liquefacendo i gas permanenti come predisse Faraday (Journal etc.). « Wolf e Haunay, 1881, presero per indizio di temperatura critica lo stabilirsi del livello nei tubi capillari. « Vincent, et Schappuis, 1886, misurarono la temperatura critica facendo la media delle temperature vicine alla sparizione del menisco, (Journal, s. 2* Vordev): « Ramsay, Haunay, 1880, Jamin, 1883, Cailletet et Mathias, 1886, Cailletet et Collardeau, 1889 (1. ce. I, X, s. 2, v. I, II, V, VIII), e poi nel 1891 (Comptes Rendus 563), ritengono che lo stato liquido perduri dopo la sparizione del menisco, perchè conserva le proprietà spettroscopiche, e quella di disciogliere sostanze solide e di colorarsi, mentre il vapore non ne manifesta — 425 — alcuna. Golitzine ne vede una prova nel fatto che il menisco scompare a diverse altezze nel tubo, secondo le diverse quantità del corpo. « Cailletet, et Collardeau lo dimostrarono coll’esperzienza del tubo ad 0, che consisteva nell’inchiudervi del mercurio o acido solforico, sulle cui super- ficie libere disponevano due diverse colonne liquide di acido carbonico pro- ducendo un dislivello. Col riscaldamento diminuiva il dislivello, ma non essendo cessato allo sparire del menisco, quei signori conchiusero che la tem- peratura critica non è temperatura di eguale densità dei due stati, nè di ebollizione totale; ma di miscuglio di liquido e vapore più o meno denso secondo il rapporto delle loro masse. Il corpo passa dallo stato liquido a quello di gas con variazione continua della densità, per uno stato intermedio di dissoluzione di liquido e di vapore « Wroblewski, 1886, (Journal II, V) non persuaso che la isoterma cri- tica sia limite tra i due stati liquido e gas, sostituisce le sua curva fon- damentale, cioè la curva delle tensioni massime dei vapori; prolungata oltre al punto critico colla curva delle pressioni dei prodotti minimi p v che sembra coincidere colla curva della densità critica (fig. E e C). Le curve di eguali densità cadono al disopra (regione del liquido), o al disotto (regione del gas) secondochè la densità è maggiore o minore della critica. « Cailletet et Collardeau, 1889, osservando che le curve di tensione massima dell'acido carbonico coincidevano fino alla sparizione del menisco, e poi divergevano per ogni rapporto del liquido al suo vapore, tennero per punto critico il punto di divergenza. Accortisi nel 1891 sull'acqua che va- riando assai quel rapporto, il diagramma prendeva una configurazione penni- forme; limitarono le diverse quantità del corpo per poter raggiungere lo stato critico e misurarne gli elementi. « Gli stessi autori costruirono direttamente le linee dei volumi specifici del liquido e del vapore. misurando il volume occupato dal liquido allo scom- parire dell'ultima bollicina di vapore colla compressione o al ricomparire rarefacendo; similmente il volume del vapore allo scomparire l’ultima goccia di liquido colla rarefazione e viceversa. Il punto d'incontro delle due linee è il critico. « Avenarius non ottenne un incontro soddisfacente (vedi A. Battelli, Memorie della R. Accad. delle Sc. di Torino, XL, XLI, s, 2?). « Amagat, 1892 (Journal, luglio) modificò questo metodo, misurando i volumi V e V' del liquido e vapore del corpo in istato d'equilibrio normale ad ogni temperatura, sulle curve di rapporto costante sa = cost.; e misurando le variazioni 4V e 4V' al variare del volume totale colla compressione per ogni temperatura, dette D e D' le due densità ne calcolava i valori colla D d , relazione dei vapori saturi: ALL, e colla seguente: DV+D'V=P — 426 — che dà il peso della massa inchiusa. Ottenne una curva (fig. E) sensibilmente parabolica, il cui diametro, luogo delle medie delle densità, è rettilineo e leggermente inclinato sull'asse delle temperature. L'estremità (C) del diametro è punto critico; e la sua ordinata (isoterma critica) determina il punto (C) critico sulla curva delle tensioni massime. Sullo stesso diagramma costruì la curva dei volumi specifici, ‘col diametro perpendicolare a quello delle densità, e ne dimostrò la reciproca dipendenza. « Lasciando altri lavori che non hanno metodi speciali ma sono diretti ad estendere il campo delle esperienze, ricordo la Memoria di H. Pellat, Sulla definizione e determinazione del punto critico (Journal, giugno 1892). Dalla considerazione delle isoterme di Andrews prevede i risultati dei sig.! Cail- letet, e Collardeau: / liquido e il vapore persistono con densità diverse oltre la temperatura di sparizione del menisco, Ragiona così: « L'esperienza « prova che si può variare in larghi limiti il rapporto della massa liquida «a quella del vapore, eppure avviene la sparizione a certa temperatura, « prima per conseguenza che la retta (0'C) figurativa dello scaldamento a « volume (critico) costante incontri la curva (MC N) dei volumi specifici ». La Memoria arriva a questa conclusione: « È impossibile conservare lo stesso «nome alla temperatura # di sparizione del menisco, e alla critica T,. Non « si sa di certo se 7, sia la stessa per un medesimo corpo; del resto #. non « riguarda che il fenomeno di sparizione ». « Le mie esperienze, sì riducono a tre gruppi: «I. Applicazione dell'esperienza del tubo ad O all’'etere commune. « IT. Produzione del fenomeno di Cagniard-Latour con tubi semplici contenenti diverse quantità di etere. « III. Produzione dello stesso comparativa, con due o tre tubi riscal- dati nello stesso bagno. « Preparazione. — Ho scelto l'etere commune perchè ad esso non fu applicata da alcuno la prova del tubo ad O. Nelle prime prove usai dell'etere favoritomi gentilmente dal prof. Cannizzaro, e rettificato da me all'Istituto Chi- mico. Lo lavai ripetutamente con acqua distillata, lo distillai più volte sulla calce; finalmente col sodio levai le ultime traccie di acqua. Feci le ultime prove con etere purissimo donato a quest'uopo dall’illustre Pictet al prof. Blaserna. « Lavai diligentemente i tubi di vetro con potassa, con acido. nitrico, con acqua distillata, e li asciugai con aria calda. Per eliminare l'aria ri- sciacquava il tubo collo stesso etere, lo riempiva e lo riscaldava a bagno- maria, facendo evaporare finchè restava la quantità di etere che io desiderava, e tosto lo chiudeva al cannello. Il tubo ad O fu costruito da Augusto Zanchi sottomeccanico dell'Istituto fisico di Roma; ha i due lati raccostati e paral- leli per comodità di misura e per uniformità di riscaldamento. « L'apparecchio di riscaldamento consta: 1.° Di un astuccio cilindrico di ghisa, chiuso alla base di doppia reticella, con due fessure (a4’d0') sullo AZ — stesso piano meridiano che permettono d'illuminare e osservare l'interno. 2.° D'un vaso di vetro sottile pel bagno, vestito di reticella nella parte infe- riore, sospeso lungo l’asse del cilindro senza toccare le pareti nè il fondo. Il bagno era di olio di colza. 3.° D'un tubo di vetro aperto disposto simme- tricamente all'asse del vaso, con una strozzatura verso la base che serviva a tenere sospesi in mezzo al bagno i tubi di prova inchiusi. « Il riscaldamento era fatto con una lampada Bunsen opportunamente regolata: l'illuminazione con una fiamma di gas a ventaglio. « Modo di procedere nell’esperienza del tubo ad O. — 1l tubo era della forma descritta nella fig. (a). Conteneva tanto mercurio che le superficie di livello arrivavano ai lati paralleli: il resto era occupato dall'etere: il rapporto iniziale dei volumi del liquido e del suo vapore era = a 18°0. « Distribuiva inizialmente l'etere in parti disuguali nei due lati del tubo, sicchè producevano un dislivello nel mercurio: e poi riscaldava l’appa- recchio lentamente. Non procedeva alle misure se prima non era sicuro che il riscaldamento era uniforme: il che era facile a riconoscere perchè il tubo accusava tosto la diversa temperatura dei due lati funzionando da apparec- chio distillatore. — Leggeva sul termometro le temperature e misurava col catetometro i dislivelli corrispondenti nel mercurio, come dice la seguente tavola: I. prova 1I. prova III. prova | IV. prova temp. |dislivello| temp. |dislivello| temp. |dislivello, temp. |dislivello m.m. m.m. m.m. ud rai 1420 3,28 148° 3,27 145° 0,90 144° 2,76 I 1579 2,90 170° 2,66 162° 0,86 160° 2,55 173,5 2,40 176° 2,41 165,5 0,83 168° 2,36 182° 1,96 181° 2,10 178° 0,76 198 1,96 188° 1,46 185° 1,86 184° 0,65 183° 1,62 194°,2 0,60 190° 1,40 190° 0,50 185° 1,46 195° 0,47 1939,5 0,85 194° 0,26 IiSTORR 5836 1969,2 0,00 195° 0,50 195,9 0,00 TOS IE, 196° 0,00 Tie 0,92 193° 0,68 194,5 0,40 196° 0,00 «I dislivelli sono segnati in mm. ma in realtà erano numeri propor- zionali; inoltre sono ridotti ad una stessa temperatura per mezzo della for- mola AD, =D: (4 e D sono dislivello e densità del mercurio), colla tavola delle densità del mercurio di von Levy, tolta dal Landolt. Non ho fatto le — 428 — solite correzioni termometriche perchè le misure non hanno valore assoluto ma relativo. Colla tavola ho costruito un diagramma portando le temperature sull'asse delle ascisse e i dislivelli sull’asse delle coordinate; e ne ho ricavato la seguente tabella che indica l'andamento del dislivello alle diverse tem- perature : II. prova {IV. prova dislivello| dislivello I. prova | II. prova temp. |dislivello| dislivello 140° 3,27 3,40 0,90 2,83 145° 3,18 | 3,82 0,89 2,78 150° 3,07 3,21 0,88 2,70 155° 2,96 3,10 0,87 2,62 160° 2,84 | 2,98 0,85 2,54 165° 2,70 | 984 0,83 2,41 170° 2,53 2,66 0,81 2,28 175° 2,32 | 2,48 0,78 2,10 180° 2,05 2,18 0,72 1,87 185° 1,71 1,84 0,63 1,50 190° 1,20 1,87 0,50 1,05 198° | 0,82 | 0,92 | 0,84 | 0,68 195° 0,47 0,53 0,17 0,32 196° 0,00 0,00 0,00 0,00 « La temperatura 193° segna la sparizione del menisco; 196° segna il livello del mercurio. Evidentemente il risultato è quello stesso di Cailletet: alla sparizione rimane un dislivello diverso secondo il valore iniziale. È con- fermato da un fatto sempre da me osservato sulla posizione relativa dei due menischi, che prima della sparizione mantenevano distanza uguale, ma dopo riapparivano alla stessa distanza, ovvero livellati, secondochè la tempera- tura si abbassava tosto, ovvero a qualche grado (3° almeno) sopra la temperatura di sparizione. Inoltre è da notarsi: che il livello del mer- curio era raggiunto a 196° col solo riscaldamento, indipendentemente dal dislivello iniziale, e che il dislivello dapprincipio decresce lentamente, poi rapidamente; l'andamento segna approssimativamente quello della differenza delle densità del liquido e del vapore. « Infatti chiamando D;, D,, D,n, le densità del liquido, del vapore e del mercurio, X e #' l'altezza delle colonne d’etere liquido; sarà #—(#-+d) quella del vapore che tende a stabilire il livello del mercurio. Per la legge d'idrostatica che esprime le condizioni d’equilibrio di più liquidi in vasi communicanti si avrà: hD, = ADn + WD + [RA (+4 d)]} Do — 429 — « Per conoscere l'andamento della differenza delle densità si può scrivere: | (h-MR)(Di—-D,)= 4Dn— dD, (1) « Ora il dislivello #—#' dell'etere cresce così poco colla temperatura, che si può considerare come costante. D,, è costante perchè si riduce alla tem- peratura iniziale. Il termine 4D, è piccolo assai ad a) ogni temperatura e tende allo zero con d. Si può quindi ritenexe che la differenza D,— D, sia sensi- bilmente proporzionale al dislivello 4 del mercurio CONGO: h « Inoltre al limite per d = 0 cioè quando è raggiunto il livello del mercurio si avrà dalla (1) (G-RN)(D—-D.)=0 (2) ma A — W' non tende a zero, ma a crescere colla temperatura per la legge della dilatazione, dunque sarà: Di — Dy = 0 che è la relazione di defini- zione di stato critico. Era mia intenzione di riscon- trare colla mia esperienza questo fatto fisico dell'uguaglianza delle due densità allo sparire del menisco; Dj = D,; ma in vero non riuscì la prova: a 193° sparve il menisco cioè & — /' divenne indeterminato; a 196° ebbi d=0, ma non sì può dire che: D—D,=0 non avendovi separazione dei due stati; piuttosto ottenni uno stato equivalente a % — #' = 0 cioè una distribuzione omogenea della massa nel tubo, e n'è prova il fenomeno inverso della con- densazione dell'etere in parti eguali nei due lati del tubo. Per rendermi conto di questo risultato, ricorsi ad altre esperienze, che riferisco, riservandomi a trarre tutte le conclusioni in altro scritto. n « II. Riscaldai separatamente una dozzina di tubi semplici, ma per gli inevitabili scoppî non ne conservai che sette, sui quali misurai il rapporto dei volumi del liquido e del vapore alla temperatura ordinaria 18° C. che Sai DATES OE. « Nel tubo dove il rapporto era Pila colonna liquida crebbe di qualche mm., poi diminuì finchè evaporò totalmente il liquido. « Nel tubo dove il rapporto era sd il liquido dilatò fino a riem- pire il tubo condensando tutto il vapore. I iu 64 I BRR 5 10 innalzò fino ad un certo limite per ogni rapporto e poi scomparve. « Negli altri tubi dove il rapporto era il menisco si RenpICcONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 56 — 430 — « Nel tubo dove il rapporto iniziale era Li il rapporto finale era r Le DTS : 27 ©3000 i vp incirea = La misura è difficile a farsi col catetometro perchè il me- 0) È n sa OA 3 ; s nisco s'innalza con moto sensibile. Nel tubo E il menisco s'alzò quasi un centimetro poi ricalò alla posizione iniziale e scomparve. Si può conchiu- dere: che è rapporti limiti entro è quali può avvenire la sparizione del menisco sono compresi: « Il rapporto limite inferiore tra « Il rapporto limite superiore tra « Il rapporto + tende ad un valore massimo colla temperatura tanto maggiore quanto più l'iniziale è vicino al limite superiore; sicchè — varia v tanto meno quanto più s' accosta al limite inferiore che perciò si dovrebbe mantenere costante. « III. Prove comparative. — Riscaldai nello stesso bagno due tubi v OTO } È ; ESSI ; e dove cenno potei far scomparire e ricomparire il menisco più volte nel primo, senza che nell'altro accennasse neppure. Rifeci la prova con tre altri tubi e già era scomparso nel primo e nel secondo dov'era maggiore il rapporto - quando scoppiò l'apparecchio. Finalmente ne preparai altri tre tagliati dalla stessa canna di vetro, colla stessa lavatura, e chiusi al cannello colle stesse precauzioni, sempre coll’etere di Pictet. La prima prova fu fatta a riscaldamento lentissimo: 2 menisco scomparve secondo l'ordine decre- scente dei rapporti : Br 0105 ANZIO 20 Fra la sparizione del III e del II, intervallo: 58” Fra la no del II e del I, » 63”. « Il menisco riapparve nell'ordine inverso : tra la apparizione del I e del II, intervallo: 50” ” del II e del III ” 41°. « Rifeci le prove col termometro, costruito da Baudin: — 481 — « La sparizione del menisco avvenne nel tubo : : v 16 di rapporto 7 NE temp. 189°,8 0) 10 ” —pie=teaa ” 90° D) 20 LAO 0) 8 ” p E= 920 » 190 15), Gli intervalli di tempo tra le due sparizioni erano: 44” e 58”, tra le appa- rizioni in ordine inverso: 38” e 31". La apparizione avviene costantemente alla stessa temperatura della sparizione. « Di qui si può conchiudere che la temperatura di sparizione del menisco non è costante per uno stesso corpo; ma dipende dalla diversa quantità del corpo che s'inchiude in dato volume. « Lasciando ogni discussione, noto soltanto che il punto di sparizione si può colpire con molta precisione perchè il menisco diviene piano e presenta sulla faccia inferiore una riflessione totale che lo rende splendente; e allo sparire s'oscura essendo sostituito da una sezione opaca che dà l'apparenza d'una strozzatura nelle generatrici del tubo che non sembrano più spezzate ma incurvate verso l’asse del tubo. Pare che gli indici di rifrazione variino con continuità. La riapparizione è preceduta da una nubecola bianchissima, che svanisce restringendosi in un disco splendente colpito da doppia pioggia apparente, all’ingiù pel condensarsi dei vapori sovrasaturi, all'insù per lo sprigionarsi del vapore dalla massa liquida. « NB. La diversità delle temperature di sparizione nella I e nella III esperienza si deve alla diversità dell’etere usato; inoltre nella I adoperai il termometro di Solaz, nella III quello di Baudin ». Fisica. — // punto critico e il fenomeno di sparizione del menisco, nel riscaldamento d'un liquido a volume costante. Nota di GruLio ZAMBIASI, presentata dal Socio BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Elettricità. — Sur le champ electrique tournant. Nota dell’ing. Desire KoRDA, presentata dal Socio BLASERNA. « J'ai l’honneur de vous prier de vouloir bien faire droit è ma récla- mation suivante: « Je viens de lire dans le fascicule du 16 octobre des « Rendiconti delle sedute della R. Accademia dei Lincei » la communication de M. Riccardo Arnò — 432 — sur le champ électrique tournant. Or j'ai exécuté, il y a déja plus d'un an, au Laboratoire de Recherches (Physique) à la Sorbonne chez M. le Professeur Lippmann, un appareil (un condensateur que j'utilise è la fabrication de l’ozone), dans lequel j'ai réalisé le champ électrostatique è axe tournant. Le brevet de cet appareil fut demandé en France le 30 janvier 1892 et fut ac- cordé le 2 Mai 1892 sous le N.° 219033 et sous le titre que voici: « dispo- sitif d'un champ électrostatique è axe tournant etc. etc. » La description en a paru dans le numéro du 18 juin 1892 du journal bien connu « La Lumière Electrique », page 583 (tome XLIV®), où il est dit textuellement: «Au moyen de 4 balais, ou peut prendre du collecteur de n'importe « quelle dynamo deux courants alternatifs ayant un quart de retard l’un sur « l’autre. Il s'ensuit que si l'on relie le tube 4 è l’un pòle et le tube e è « l’autre pòle d'un des courants, et, d'un autre còté, le tube è à l'un pòle « et le tube d à l’autre pòle de l’autre courant (chacun de ces pòles est re- « présenté par un des 4 balais), on obtiendra de cette facon une différence « alternative de potentiel entre 4 et e qui aura également un quart d'onde «de déphasage par rapport à la différence de potentiel réalisée entre d et d, « c'est à dire que, quand la première aura sa valeur maxima, la seconde sera « zéro et inversement ». « Le résultat sera un champ électrique dont les lignes. de force ont «une direction tournante » . « Il est, du reste, tout è fait indifférent, comment je produis les deux courants déphasés. Le mode que j'ai indiqué a l'avantage d'étre très simple. « Je tiens d’autant plus à sauvegarder ma priorité qu'à la séance du 14 novembre dernier de l’Académie Royale des sciences de Hongrie, j'ai fait présenté par M. Coloman Szily, secrétaire perpétuel, un travail approfondi sur la théorie du champ électrostatique en question, où jai également tenu compte, entre autres, de la loi empirique formulée pour l’hystérésis diélectrique par M. Steinmetz et où j'indique mon petit moteur électrostatique biphasé, réalisé au moyen des 4 quadrants d’un électromètre de Sir William Thomson, travail qui sera reproduit prochainement en langue frangaise dans les « Na- turwissenschaftliche Berichte aus Ungarn » de la dite Académie, ainsi que pu- blié en France. « Par contre je n'ai pas employé mon dispositif à la mesure du retard de la polarisation des diélectriques, do è l’hystérésis, et, sous ce rapport, je rends hommage è l'application intéressante que compte en faire M. Arnò ». — 433 — Chimica-fisica. — Sw potere rifrangente del fosforo. I. Po- tere rifrangente del fosforo libero e delle sue combinazioni cogli elementi 0 gruppi monovalenti (!). Nota del dott. FiLiPPO ZECCHINI, presentata a nome del Corrispondente NASINI. « Le determinazioni che si hanno sul potere rifrangente delle combina- zioni inorganiche ed organiche del fosforo non sono molte: manca assoluta- mente uno studio metodico sopra di esse. Per consiglio del prof. Nasini io ho intrapreso una lunga serie di esperienze allo scopo specialmente di studiare se e quali relazioni esistano tra le variazioni del potere rifrangente dell’ele- mento e le variazioni nella forma delle sue combinazioni o, per una stessa forma, nella natura degli elementi che fanno parte del composto. In questa prima Nota espongo i risultati che si riferiscono al fosforo elementare nei diversi stati di aggregazione e ad alcune delle sue combinazioni coll’idrogeno, coi radicali organici e cogli alogeni. « Alcune sostanze tanto in questo che nei seguenti lavori furono esami- nate in soluzione: il potere rifrangente della sostanza disciolta fu dedotto colla semplice formula dei miscugli; visto lo scopo del lavoro credo che l’approssimazione che si ha sia più che sufficiente per venire a delle conclu- sioni positive (2). « Le esperienze ottiche furono eseguite o con un refrattometro totale di Pulfrich (3) o con uno spettrometro di Eiss in Vienna, messo gentilmente a nostra disposizione dal prof. Battelli e che permette l’approssimazione di 10": le misure si riferiscono sempre alla riga D dello spettro solare. I pesi specifici dei liquidi e delle soluzioni furono determinati rispetto all'acqua a 4° e ridotti al vuoto. Oltre ai risultati miei, riporto anche quelli ottenuti da altri esperimentatori. « Come rifrazioni atomiche degli elementi rispetto alla riga D furono adottati i valori da me appositamente calcolati per la formula (4): per la formula n° i valori calcolati dal Conrady (?). « FosroRo. — Sul fosforo elementare solido, liquido e in soluzione nel solfuro di carbonio sono state fatte sino dal 1870 determinazioni dal Gladstone (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Padova. (3) Nasini e Costa, Sulle variazioni del potere rifrangente e dispersivo dello zolfo nei suoi composti, pag. 9 (Pubblicazione dell'Istituto chimico di Roma, anno 1891). (3) Pulfrich, Das Totalrefractometer ete. Leipzig. W. Engelmann, 1890. (4) F. Zecchini, Rifrazioni atomiche degli elementi rispetto alla luce gialla del sodio. Rendiconti della R. Ace. dei Lincei. Classe di scienze fisiche ecc. Vol. I, 2° sem. pag. 180. Anno 1892. (>) Zeitschrift fùr physikalische Chemie. T. III, pag. 226, anno 1889. — 434 — e dal Dale (') e più recentemente dal Damien (2); sul fosforo gassoso abbiamo delle esperienze del Le Roux (8). Non riporto che i dati che più ci interessano. « Il Gladstone trovò i seguenti valori: un—l unel tu Up La IR n) Fosforo solido — 2.1168 — 18.68 Fosforo liquido —2.0389 2.0746 18.89 — « Il Damien esperimentò sopra il fosforo solido e liquido per le righe e f y dello spettro dell'idrogeno: calcolò i valori È I (costante A della for- mula del Cauchy) è trovò che c'era buon accordo tra i dati relativi all’ele- mento solido e a quelli relativi al liquido: il Landolt (4) calcolò poi i valori p°_1 (L°+2)d questo accordo mi limito a riportare i numeri che si riferiscono a una deter- minazione qualsiasi, p. es. a quella sul fosforo solido alla temperatura di 29.2°. d,°°?—=1.8244; pn, =2.09300; Uin,=2.15831; un =2.19885 da cui il Damien calcolò le seguenti costanti della formula di Cauchy: A =2.02478; B= 2.67467; C= 11.464 per mezzo delle quali si può dedurre: e trovò pure un accordo soddisfacente, ma in grado minore. Dato u, = 2.11131 e quindi: un zl_ pol gini pro 7 —0.60914; P 7 —18.68; ey RI « Come si vede c'è un eccellente accordo tra le esperienze del Gladstone e quelle del Damien. « Il Le Roux esperimentò sul fosforo gassoso rispetto alla luce solare che faceva passare a traverso un vetro rosso, sembrerebbe alla temperatura del rosso scuro: ecco i suoi resultati: indice assoluto =1.001364; densità =4.335 (è la densità di vapore data dal Dumas). « Non credo opportuno di dedurre il potere rifrangente atomico dell’ele- mento, giacchè mancano i dati necessari e non potrei fare che dei calcoli troppo arbitrari. (1) J. H. Gladstone, On the Refraction Equivalents of the Elements. Transactions of the Royal Society. Vol. CLX, part. I, pag. 9, anno 1870. (2) Journal de Physique. T. X, pag. 394, anno 1881. (3) Annales de Chimie et de Physique, 3°, LXI, pag. 385, anno 1861. (4) H. Landolt, leder die Molekularrefraktion flissiger organischer Verbindungen Berl. Ber. t. XV, pag. 1031, anno 1882. — 435 — « Dalle esperienze del Gladstone e del Dale sopra il fosforo sciolto nel solfuro di carbonio non ho potuto ricavare la rifrazione atomica dell'elemento, giacchè manca il percentuale delle soluzioni. « IproGENO FoscFoRATO PHz.— Sull'idrogeno fosforato vi è una esperienza del Dulong (!) fatta rispetto alla luce bianca: la densità rispetto all'acqua a 4° e stata calcolata dal Briihl (°): usim luce: bianca —1.000789; gd, 00m) — 0,0015200 da cui: 1 u—1l u°—1l ul ar —17.65; ——_=0.3461; P IMA, O e TI > PO) « Si deduce: n n° « Rifrazione atomica di P 13.75 8.63 « Sull'idrogeno fosforato liquefatto vi è una esperienza del Bleekrode (8) eseguita alla temperatura di 18° rispetto alla luce bianca: d=0.622; u=1.323 u?—1 Cart 0 eo pi E 0519; PE=17.65 7 170822; Pai rr — 0:95: n n° « Rifrazione atomica di P 13.75 7.81 « L'accordo è eccellente tra le due determinazioni. « TRIETILFOSFINA P(C:H;). — Il prodotto proveniva dalla fabbrica Kahlbaum: fu rettificato e bolliva alla temperatura di 128°: d,38°— 080006; u,=1.45799 Pot . Mu là Mo nl gs n, ( pra a Ta 9) « Di qui: n n° « Rifrazione atomica di P 17.24 9.47 « JODURO DI TETRAETILFOSFONIO (CH;),PJ. — Fu preparato coi soliti metodi della fosfina trietilica: una determinazione di jodio dette: trovato calcolato per P(C2H;)sJ J Dt, 46.93 46.35 « Fu esaminata una soluzione acquosa che ne conteneva il 14.6034°/°: per l'acqua furono presi i seguenti valori che si riferiscono alle esperienze del Rihlmann: U, a 20°=1.33294; d,°°—0.99826 (!) Annales de Chimie et de Physique. 2° t. XXXI, pag. 154, anno 1826. (°) J. V. Briihl, Veder die Beziehungen awischen der Refraktion der Gase und Dimpfe etc. Zeitschrift fir physikalische Chemie. T. VII, pag. 1, anno 1891. (3) Proceedings London Roy. Soc. t. XXXVII, pag. 389, anno 1884, — 436 — (Tabelle, Landolt-Bòornstein): No Te: 1 n—-1 i = 0.93392 ; ir ea) i 0,20602. « Per la soluzione ottenemmo: np — 1 e si Li cri (sol.)=0.34367; su (sost.)-=0.40300:; pio ci 110.42 Up bpî—1 5; (sol. = 0.21081; Ta (sost. = 0.23885; rn 65.44. « Da cui: NOTA n° « Rifrazione atomica di P 18.24 10.29 « TRIcLoRURO DI FosForo PCl;. — Su questo composto abbiamo delle determinazioni del Gladstone e del Dale ('), del Haagen (2), del Nasini e del Costa (8). « Il Gladstone è il Dale trovarono come equivalente di rifrazione il nu- mero 48.8 per la riga A dello spettro solare, numero assai differente da quelli trovati dagli altri esperimentatori. Il Haagen trovò per la riga « dello spettro dell'idrogeno : fo gra i o. 3 i .90. « Il Nasini e il Costa esperimentarono rispetto alle righe @ $ y dello spettro dell'idrogeno: d,3>4 = 1.59838 ; un, = 1.51971; un ==1.53302; un, = 1.54306. « Dai valori un, e Ung Si sono calcolati le costanti A_e B della formula di Cauchy: A=1.50356; B=0.69631 da cui: up==1.52361 un—l un—l —1 to ?2_1 ____-0.32759;P = 45.04; cia l;p_—_=26.31. 5 5 ;(u =: 0.1913 i era 2)d = « Di qui si deduce n ne « Rifrazione atomica di P 14.89 8.32. « PENTACLORURO DI Fosroro PCl;.. — Furono esaminate due soluzioni nel solfuro di carbonio. Del solfuro di carbonio furono determinate le costanti e fu trovato: d4°9:=1:24018; o —=1.61631 po—l = A i = 0.49695 ; ap =_r2)d 0.28189. (1) Loco citato. (2) Pogg. Ann. T. CXXXI, pag. 117, anno 1861. (3) Locat citato; pag. 111. Per un errore di calcolo è ivi dato un numero erroneo per na—1l il valore P__— a Invece di 34.03 si deve porre il numero 26.14. (Una +2). — 437 — I. Pentacloruro di fosforo 6.5191 °/, de 2023: tu —0259 Dia 1 ì Dion Das 7) 5 7 SIT ia SO e o) 0.27532; 2 (sost.)=0.18116; pio i 37 77 (>+2)d la Tola (o Tron i: « Da cui: n nè « Rifrazione atomica di P 14.45. TC II. Pentacloruro di fosforo 6.0775 °/o. d,e44=1.26114: u,=1.61323 = (801)=0.48625; “cop )=0.32089; pioli 66.91 pe 2" 27608 n t.)=0.18610; pini — 38.80 (u°+2)d x Ceo SD CR (ri « Da cui: n nè « Rifrazione atomica di P 16.65 8.81 « Le esperienze, come è facile a comprendersi, sono assai difficili e quindi non era da sperarsi, che si potessero avere dei numeri esattissimi: nondimeno i risultati ottenuti non lasciano alcun dubbio che gli stessi valori ottici del fosforo e del cloro che valgono pel tricloruro valgono anche pel pentacloruro. « OssicLoRURO DI Fosroro POCl;. — Sull’ossicloruro di fosforo c'è una determinazione del Gladstone e del Dale (') che trovarono come suo equiva- lente di ‘rifrazione il numero 43.79 per la riga A dello spettro solare. Io esperimentai sopra un prodotto proveniente dalla fabbrica Kahlbaum di Ber- lino che rettificai con tutte le cure e che bolliva a 108.5°-109.5°. Il peso specifico lo calcolai mediante la formula del Thorpe (°) Vi=14-0.001064309 +-0.00000112666 £°+-0.000000005299 8 essendo d°=1.71163. « Feci due determinazioni: IL d,2—=1,66580; w,=1.46019 i glo 1 n29Ì up—1 SIA 7027626; PE4241; o” o)g 7016448; ga 925.25 Te d,265—1.66305; u,=1.45921 tot _ 097613: peo! — 42.39; ii e 0.16445; pit Ab] di ve dna > (un°+2)d — ria)gl (1) Loco citato. (?) Berl. Ber. t. VIII, pag. 327, anno 1875. RenDICONTI. 1892, Vol. I, 2° Sem. 57 — 438 — « Da cui: attribuendo all'ossigeno il valore così detto aldeidico: n n° « Rifrazione atomica di P 8.92 4.97 attribuendo invece all’ossigeno il valore così detto alcoolico : n nè « Rifrazione atomica di P 9.60 5.74 « La presenza di un atomo di ossigeno come si vede ha fatto notevolmente diminuire il potere rifrangente del fosforo che ha qui circa la metà del va- lore che ha allo stato libero. « SoLFocLoRURO DI FoscoRo PSCl;. — Il solfocloruro di fosforo fu studiato dal Nasini e dal Costa (!) i quali trovarono: d3'3:1=1.6535; fn ==1.56319; Un,=1.57547,; tin =1.58607. Dai valori pa, € Lug ho calcolato le costanti A e B della formula di Cauchy : A—=1.54829; B=0.64243 da cui un=1.56679 ul Pra ss | DE oo rr — 042 n, 58.106 liu poi 19750; spie 2)d 33.48. « Pel valore del fosforo, ammettendo che lo zolfo abbia la rifrazione ato- mica 14 (2) e 8 (2°) che ha nei solfuri organici, si ricaverebbe n n° « Rifrazione atomica del fosforo 13.95 7.49 «I valori pel fosforo sono presso a poco gli stessi che nel cloruro, pur tenendo conto che la scelta dei numeri attribuiti allo zolfo è un po’ arbi- traria: ad ogni modo non si nota nel solfocloruro quella straordinaria dimi- nuzione nel potere rifrangente che si osserva nell’ossicloruro. « TRIBROMURO DI Fosroro PBr:. — Sul tribromuro di fosforo abbiamo una determinazione del Gladstone e del Dale: il Gladstone in una sua Nota (2) parla di questa determinazione, ma sì limita a dire che l'equiva- lente di rifrazione del composto è 63.4, mentre sommando l'equivalente di rifrazione del fosforo (18.3) con quello di tre atomi di bromo (50.7) si avrebbe 69. Le determinazioni del Gladstone si riferiscono alla riga A dello spettro solare. « Il tribromuro di fosforo che adoperai per le mie esperienze proveniva (1) Loco citato. Anche qui è sbagliato il valore pres : invece di 42.97 va posto (i or il numero 33.30. (2) J.H. Gladstone, On the specific Refractive Energy of Elements and Their Com- pounds. Journ. Chem. Soc. New Series, vol. III, pag. 115, anno 1885. — 439 — dalla fabbrica Kahlbaum di Berlino: lo rettificai e bolliva alla temperatura di 173°. Il peso specifico lo calcolai colla formula data dal Pierre ('): Vi=14-0.00084720% +0.000000436724 +-0.0000000025287? essendo : diî==2.9249: da cui: d,266—2.85908 : u,=1.69662 n= plib—l pl BEST n = i — 06.035 mona tray, —0.13468; ilo) DE Y 36.50. n n° « Rifrazione atomica di P 20.01 9.72 « C'è una differenza assai notevole fra la mia determinazione e quella del Gladstone; nondimeno valgono anche per il numero da me ottenuto le considerazioni che egli fece. « BrJopuro DI Fosroro. PJs. (2) — Preparai del bijoduro di fosforo e lo esa- minai in soluzione nel solfuro di carbonio: pel solfuro di carbonio dètti già le costanti ottiche quando parlai del pentacloruro di fosforo. Esaminai due soluzioni : I. Bijoduro di fosforo 7.1896 °/,. d,3-3=1.30690: u,=1.62736 sui (sol.)=0.48004; Si (sost.)=0.26177: pill — 74.60 È € a 0.27131; Top 6) —=0.13380; E — 98.18. II. Bijoduro di fosforo 6.3215 °/ di'=1.29873; u=1.62592 mr” (sol.)=0.48195; IRE (sost.)=0.25975; ra = 74.03. oa Di a =_= (I, 2. ____-= 88.19, (a = (sol.)=0.27254; T ni (sost.)=0.13399; ia da 38 « Di qui si deduce prendendo la media delle rifrazioni molecolari : n d° « Potere rifrangente del fosforo 24.12 9.92. (1) Annales de Chimie et de Physique. 8°, t. XX, pag. 5, anno 1847. (2) Veramente la formula del bijoduro dovrebbe scriversi Pa I.: ho determinato il suo peso molecolare per mezzo dell’innalzamento del punto di ebullizione delle soluzioni nel solfuro di carbonio ed ho ottenuto i seguenti valori che corrispondono alla formola doppia, essendo 23.7 l’innalzamento molecolare teorico: Concentrazione Innalzamento termometrico Coefficiente -di innalzamento Innalzamento molecolare per PS TR I 5.2383 0.23 0.0437 24.90 II 3 8877 0.17 0.0437 24.90 — 440 — « È notevole come il potere rifrangente del fosforo va aumentando dal cloruro passando al bromuro e al joduro: notevole è pure che mentre per la formula » si hanno valori tanto diversi, per la formula x? si hanno invece dei valori crescenti sì, ma poco differenti gli uni dagli altri. « TRIJopURO DI rosroRo PJ?. — Preparai del trioduro di fosforo e lo esaminai in soluzione nel solfuro di carbonio. Non potei esperimentare sopra soluzioni molto concentrate: una soluzione al 4 °/, era già talmente colorata che non permetteva di vedere la riga gialla. Credo inutile riportare i risul- tati delle esperienze da me fatte, giacchè stante la piccola concentrazione delle soluzioni e la difficoltà sia nel determinare il percentuale e il peso spe- cifico di esse, sia nel fare le letture allo spettrometro, non mi fu possibile di avere numeri concordanti. È « Confrontando le rifrazioni molecolari del tricloruro e del tribromuro di fosforo con quelle atomiche degli elementi, si trova che per il cloruro tanto per la formula » che per la formula n? c'è abbastanza accordo tra l’espe- rienza ed il calcolo; s'intende che quali rifrazioni atomiche degli elementi lo adottate quelle del fosforo che si ricavano dalle esperienze di Damien e quelle degli alogeni dedotte dall'esperienza diretta ('), non quelle ricavate dallo studio dei composti organici. « Rifrazione molecolare di PC; (2) 44.69 calcolata ” ” ” » 45.04 trovata ’ ’ » (n°) 26.44 calcolata n ” ” » 26.31 trovata. « Pel pentacloruro non ho fatto questo calcolo, giacchè i dati relativi a questa sostanza sono un po’ più incerti. « Pel tribromuro le cose vanno molto diversamente: « Rifrazione molecolare di PBrs (n) 56.72 calcolata ” ” ” » 66.083 trovata 7 7 » (n°) 34.68 trovata ” ” ” » 36.50 trovata. « Mentre pel tricloruro si ha la regola della somma, essa non si verifica più affatto pel tribromuro, come già il Gladstone aveva accennato. « I risultati più importanti di questa prima Nota mi sembra sieno i seguenti : « 1.° Che il potere rifrangente atomico del fosforo varia assai col va- riare degli elementi a cui esso è unito pur restando lo stesso il tipo di com- binazione: così il potere rifrangente aumenta e per quantità assai forti dal cloruro andando al joduro: infatti mentre nel tricloruro si hanno per la rifra- zione atomica dell'elemento i valori 14.89 (2), 8.32 (22), nel bromuro si ha invece 20.01 (x), 9.72 (n?) e nel bijoduro 24.12 (n), 9.92 (n°); bene inteso (1) Briihl, loco citato. Le esperienze pel cloro sono del Dulong e del Mascart, quelle del bromo del Mascart. — 44l — che dò con molta riserva i numeri che si riferiscono al bijoduro. Questo fatto trova analogia nell'altro scoperto dal Nasini e dal Costa che nei composti solfinici alogenati il massimo potere rifrangente spetta al joduro, il minimo al cloruro ('); « 2.° che nell’idrogeno fosforato PH; si hanno dei valori minori assai che nei composti alogenati dello stesso tipo. Sarà opportuno notare che in modo analogo si comporta l'idrogeno solforato; « 3.° Che nel joduro di tetraetilfosfonio si nota che il potere rifran- gente molecolare è maggiore della somma di quelli della trietilfosfina e del Joduro di etile: fatto questo analogo a quello osservato dal Nasini e dal Costa per i composti solfinici, tetinici e betainici; «4.° Che in alcuni casi il variare della forma di combinazione non influisce sensibilmente sulla rifrazione: bellissimo esempio ne sono il tri- e il pentacloruro di fosforo; « 5.° Che l'ossicloruro di fosforo appartenente allo stesso tipo di com- binazione del pentacloruro ha un potere rifrangente assai piccolo, cosicchè per il fosforo si ricava un valore che è circa la metà di quello che ha nei cloruri e una frazione più piccola ancora di quello che ha allo stato libero: ciò vale tanto per la formula x che per la formula 7; « 6.° che la formula 7 in questi come in molti altri casi è una for- mula più costitutiva della formula 7° ». Chimica Fisica. — Sul potere rifrangente del fosforo. II. Potere rifrangente degli acidi del fosforo e dei loro sali so- dici. Nota del dott. FILIPPO ZECCHINI, presentata a nome del Corri- spondente NASINI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sopra un nuovo passaggio dalla canfora all’acido canforico. Nota del dott. AncEeLO ANGELI, presentata a nome del Corrispondente CIAMICIAN. « Per dare ai miei studî sui perossidi delle diossime e sulle loro inte- ressanti trasformazioni (*) un più largo sviluppo, ho dovuto preparare molte sostanze di questo genere, sia facendo reagire l'acido nitroso sopra alcuni com- (2) Nasini e Costa, loco citato. (*) In una prossima comunicazione dimostrerò che anche dai perossidi del tipo Ria CO, Ci C.\CORR | | NO—ON seguendo il metodo di riduzione da me ultimamente proposto, si può passare alle corri- spondenti diossime. — 442 — posti non saturi della serie aromatica, oppure per azione dell’ idrossilamina sopra i dichetoni od isonitrosochetoni. Siccome fra questi ultimi composti ho scelto, naturalmente, quelli che sono più facilmente accessibili, così ho avuto occasione di preparare anche la nitrosocanfora, seguendo il metodo proposto da Claisen e Manasse (!). « Sebbene io non intenda occuparmi del problema che riguarda la costi- tuzione della canfora e dei suoi derivati, tuttavia avendo in questa circostanza osservata una elegante trasformazione della nitrosocanfora in imide canforica, comunico brevemente i risultati delle mie esperienze, nell'interesse princi- palmente di coloro, che si occupano di questo argomento. « È noto che le sostanze che contengono il residuo isonitroso (ossime) R.C(NOH). R' si possono, in generale, trasformare con facilità in composti isomeri (amidi), contenenti invece l’aggruppamento RTICOPENHNRERA oppure R.NH.CO.R!. « Un'analoga trasformazione la possono subìre anche gli isonitrosochetoni R.CO.C(NOH).R' , ma le esperienze fatte in proposito sono pochissime. Un esempio di questo genere è stato dato da Wegerhoff (?) il quale ha ottenuta la difenimide dalla monossima del fenantrenchinone : ER AN | n CO 4 NS Po \CNOH S C N 2 A (010) 196) va Ora, siccome l’isonitrosocanfora di Claisen e Manasse, contiene senza dubbio l’aggruppamento — CO— C(NOH)— (3), (1) Berl. Berichte XXII, 530. (2) Berl. Berichte XXI, 2356. (8) Cazeneuve (Bulletin 51, I, 558; II, 199), descrive una nitrosocanfora, isomera a quella di Claisen e Manasse, che egli ottiene per riduzione della cloronitrocanfora; egli — CH. NO ammette che il suo prodotto contenga il gruppo IO . Questa formola mi pare — 443 — era da aspettarsi che anche questa sostanza dovesse trasformarsi nell’imide di un acido bibasico, in questo caso il canforico. « L'esperienza ha pienamente confermata la mia previsione. « Si discioglie un grammo di nitrosocanfora in circa 10 volte il proprio peso di acido solforico concentrato ed il liquido, lievemente colorato in bruno, viene riscaldato per cinque minuti a b. m. Diluendo con acqua si separano aghettini bianchissimi, che si purificano facilmente ricristallizzandoli un paio di volte dall'acqua bollente. Si ottengono in tal modo grandi squame, perfet- tamente incolore, che fondono a 248° (non corr.), ma che sublimano già poco al di sopra di 100°. gr. 0,2403 di sostanza diedero gr. 0,5819 di CO, e gr. 0,1837 di H;0. « In 100 parti: trovato calcolato per CioHisNO: C 66,04 66,29 IHaee8:49 8,28 « La composizione di questa sostanza corrisponde quindi a quella del- l'imide dell'acido canforico e le sue proprietà coincidono esattamente con quelle indicate recentemente da Winzer (!). Laurent (?) descrive questa imide come una massa gommosa che dopo qualche tempo cristallizza; Ballo (*) dice che in tubo chiuso fonde a 180°; evidentemente questi autori non ebbero il com- posto allo stato di sufficiente purezza. « Finora l'imide dell'acido canforico era stata ottenuta soltanto partendo dall’acido corrispondente oppure da derivati dello stesso come p. e. dall'etere comferilmalonico (4); l'acido canforico a sua volta era stato preparato dalla canfora, o da suoi derivati, mediante processi di ossidazione, che possono essere interpretati in vario modo (°). La reazione da me trovata presenta quindi a questo riguardo uno speciale interesse, giacchè senza l'impiego di ossidanti, permette di passare nettamente, mediante il derivato nitrosilico, dalla canfora all'imide dell'acido canforico. Questa trasformazione si può espri- mere con lo schema: CH, CNOH Aa Cs Hr | > Gs H.K | Qorni: o >NH ’ CO CO \c0- molto inverosimile, giacchè in tutti i casi finora osservati, in cui il resto —NO si attacca ad un atomo di carbonio, cui è già unito un atomo d’ idrogeno, assume l’aggruppamento = NOH (Veggasi anche Wallach, Berl. Berichte XXIV, 1547). (1) Liebig's Annalen, 257, 308. (2) Ibid., 60, 239. (3) Ibid., 197, 332. (4) Ibid., 257, 298. (5) Berl. Berichte XXV, 1116. — 444 — il quale dimostra che é due carbossili dell'acido canforico non possono derivare che dal gruppo —CO—CH,— contenuto nella canfora. « Non è certamente mia intenzione, per ora almeno, di discutere le diverse formole di costituzione che sono state proposte per queste sostanze, e mi limi- terò quindi a far osservare che soltanto quelle formole che soddisfano alla condizione ora enunciata, sono in buona armonia con la trasformazione descritta. Non mi sembra perciò necessario ammettere con I. N. Collie ('), che nel passaggio della canfora all’acido canforico avvenga un profondo mutamento nell’assetto della molecola. « Se nel corso delle mie ricerche troverò altri fatti i quali possano avere interesse relativamente al problema della costituzione della canfora, non man- cherò di renderli noti. « Accennerò infine che una trasformazione analoga si potrà senza dubbio applicare con vantaggio anche ad altre sostanze naturali, od a derivati di esse, che contengono l’aggruppamento —CO—CH,— nella lora molecola ». Chimica. — £icerche sopra le sostanze che contengono il gruppo ©, N, 0,. Nota di A. AnGELI, presentata a nome del Corri- spondente CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Picerche sul gruppo della Canfora. Nota IL di Uco ALvisi, presentata dal Corrispondente L. BALBIANO. « In una Nota presentata all'Accademia nella seduta del 22 novem- bre 1891, riferivo i risultati dell'ossidazione dell’a-bibromocanfora e dell’azione della fenildrazina sulla medesima, e mi proponevo di studiare nello ‘stesso senso la f8-bibromocanfora. Rendo conto ora di queste ricerche. Azione della fenilidrazina sulla $-bibromocanfora. « La f-bibromocanfora adoperata proveniva dalla fabbrica del dott. Th. Schuchardt e non si ebbe che a depurarla per cristallizzazione dall’alcole. Fondeva a 115°-115°.5 e conteneva 52,13 °/ di bromo (Teoria 51, 61). « Si fecero reagire 4 pesi molecolari di fenildrazina sopra uno di f-bi- bromocanfora, cioè secondo l'equazione : C'°H'4Br°0 + 4C°H5N°H° = 206H5N°H*. HBr + H*0 + C'°H'4(C°H5N°H)?. (1) Ibid., loco citato. — 445 — « Le quantità adoperate in tutti i saggi furono le seguenti : B-bibromocanfora . . . < . gr òd HemildrazieaR Ang: . SM 7) « Adoperando quantità maggiori la reazione accade violenta con forma- zione di gran quantità di resine e sviluppo di ammoniaca. Le condizioni del- l'esperienza furono le seguenti: Si riscaldò il miscuglio in bagno d’acqua a 100° per un'ora. A poco a poco si deposero delle laminette bianche splendenti e la massa si colorò in rosso senza che si avesse sviluppo di gas. Dopo raf- freddamento fu trattata con etere; rimasero indisciolti gr. 4,35 di composto cristallino, che era bromidrato di fenilidrazina, come lo comprovò la seguente determinazione di azoto : gr. 0,2395 di sostanza diedero c.c. 31,1 di Az. alla temperatura di 18°,4 ed alla pressione barometrica di 758"", quindi in 100 p. trovato calce. per C8H5N®H*. HBr Az 14,87 14,81 « Riscaldando per un tempo più lungo le sostanze messe in reazione non si ha reddito maggiore. Se la reazione fosse stata completa nel senso indicato dall'equazione sovrascritta, si sarebbero dovuti ottenere gr. 6,4 di bromidrato di fenildrazina. « La soluzione eterea sì agitò ripetutamente con una soluzione acquosa diluita di acido ossalico per asportare la fenilidrazina inalterata, quindi, di- stillato l'etere, il residuo, che era una massa rossastra vischiosa solidifican- tesi a freddo, si sottopose alla distillazione in corrente di vapor d’acqua, col quale passarono gr. 1,3 di 8-bibromocanfora inalterata, fondente a 115°. Stante la poca volatilità della 8-bibromocanfora, essa si separa molto diffi- cilmente dal composto canfoidrazinico e non è che dopo ripetute distillazioni in corrente di vapor d’acqua che si riesce ad avere un prodotto abbastanza puro per l'analisi. La #-bibromocanfora, rimasta inalterata nelle diverse pre- parazioni fatte, venne sottoposta ad un frazionamento metodico dall’alcole, per cercare se si fosse trasformata in parte in prodotto monobromurato, ma tutte le frazioni presentarono lo stesso punto di fusione (115°-116°) e le pro- prietà della 8-bibromocanfora. In altre preparazioni non si asportò con acido ossalico la fenildrazina rimasta inalterata nella reazione, ma si sottopose di- rettamente il miscuglio alla corrente di vapor d’acqua. « Il residuo della distillazione in corrente di vapor d’acqua è un liquido giallo rossastro, che col raffreddamento sirappiglia in una massa solida amorfa, facilmente polverizzabile di color giallo-canario e del peso di gr. 3,66. « Da due preparazioni diverse ottenni prodotti che all'analisi di Az, C ed H diedero i seguenti risultati : gr. 0,2525 di sostanza disseccata nel vuoto sull’acido solforico, diedero c.c. 33,5 di Az alla temperatura di 14° ed alla pressione barometrica di 759,5"; RenpIconTI. 1892, Vor. I, :2° Sem. 58 — 446 — gr. 0,2629 diedero c.c. 34,5 di Az alla temperatura di 10°.9 ed alla pres- sione barometrica di 760%; gr. 0,2718 di sostanza, disseccata c. s., diedero gr. 0,7576 di CO? e gr. 0,1823 CRE SRO > gr. 0,2237 diedero gr. 0,6243 di CO? e gr. 0,1550 di H?0, quindi in 100 p. trovato A7 15,55 15,62 C 76,01 76,11 H 7,45 7,69. 6HSN2 « Un composto della formola dna richiede in 100 p. Azio. 0. (e 0 (Once "cena eo eo oe « Nel dubbio che l’acqua, formantesi nella reazione, impedisse l'ulteriore azione della fenilidrazina sulla f#-bibromocanfora, tentai la reazione riscal- dando il miscuglio in bagno d'acqua a 100° nel vuoto per due ore. Distillò dell'acqua ed operando nel modo sovradescritto, ottenni : gr. 6,2 di bromidrato di fenilidrazina (Teor. 6,4) gr. 5,4 di composto camfoidrazinico | (> 5,5) gr. 0,2401 di quest'ultimo, disseccato nel vuoto sull’acido solforico, diedero all'analisi c.c. 33 di Az alla temperatura di 14° ed alla pressione barometrica di 753" quindi in 100 p. trovato calc. per C1°H14(C*H5N?H)? Az 15,97 16,18 « Riscaldato in tubicino di vetro sottile questo nuovo idrazone, alla tem- peratura di 58°-60° si addensa e fonde a 689,5; è insolubile nell’acqua, ma si scioglie nell’alcole, nell’etere, nel benzolo e nell’acido acetico. La sua so- luzione nell’acido solforico concentrato è di un bel colore rosso-viola intenso: da questa con alcali riprecipita inalterato. Agitato con acido solforico (1 p. per 3 p. d'acqua) e addizionato di una soluzione acquosa di bicromato potas- sico, dà una colorazione rosso-violacea. Agitato con acido cloridrico si rag- gruma, e solo in un eccesso disciogliesi completamente; la soluzione cloridrica dà un precipitato giallo con cloruro platinico, ma ben presto il cloroplatinato si decompone. « Il professor Balbiano (Rend. Acc. Lincei, 1886, pag. 101, e Gazz. chim. It. T. XVII, 1887), per azione dell’acido cloridrico sulla canfofenilidrazina e sulla canfildifenildiidrazina, ottenne sempre formazione di cloridrato di ani- lina, e nel 1° caso il nitrile C°H!:—C=N dell’acido canfolenico, che il Nîigeli (Berl. Ber. T. XVI, pag. 2982) aveva avuto dall'azione del cloruro di acetile sulla canforossima e di cui H. Goldschmidt (Berl. Ber. T. XVII, p. 2069) aveva — 447 — poi dimostrata la funzione; e nel 2° caso una sostanza che con idrato potas- sico svolgeva ammoniaca e all’ idrogenazione dava la base C°H!4< CCENT te) 5 le) NNN#HEC5H5 ’ parallela alla camfilammina C°H'*CH*NH? ottenuta dal Goldsehmidt dal nitrile canfolenico. La canfilfenilidrazinammina non poteva provenire quindi che dal nitrile CE Waron E « Io ho tentato sull'idrazone C!°H!'(C°H°N?H)? una serie di reazioni dirette nello stesso senso allo scopo di ottenere il nitrile di un acido 08 (008 secondo l'equazione : C:°H4(C°H5N?H)? = 2C5H°NH? + CECO za s /CH?°NH? r idrogenazi la base corrispondente C*H?® FRESE e da esso per idrogenazione ase corrispo È < CH:NH° a fo mazione di questo nitrile necessita la separazione di anilina, perciò ne' diversi saggi ricercai prima di ogni cosa se questa base s'era prodotta. « 1.° Facendo bollire per un'ora la soluzione del composto canfoidra- zinico nell’acido cloridrico ordinario o in quello fumante, ha luogo una par- ziale resinificazione. La soluzione cloridrica, trattata con idrato potassico, viene sottoposta alla distillazione in corrente di vapor d’acqua; nel distillato non fu possibile scoprire traccie di anilina, e nella parte fissa si riebbe il composto primitivo. « Così pure facendo gorgogliare una corrente di acido cloridrico gassoso e secco attraverso la soluzione del composto canfoidrazinico nell’etere secco, formasi un precipitato bianco cristallino che già in seno all’etere si resinifica; la resina rossa vischiosa viene raccolta, trattata con idrato potassico e sot- toposta alla distillazione in corrente di vapor d'acqua, col quale pure questa volta non passano neanche traccie di anilina. 2.° Gr. 1 di composto canfoidrazinico venne disciolto in 25 c.c. di cloruro d’acetile e si fece bollire il miscuglio a ricadere per un'ora. Distil- lato il cloruro d’acetile, si operò sul residuo bruno rossastro la distillazione in corrente di vapor d’acqua che non asportò nulla; la massa diventò verde e rimase in forma di gocciole che a freddo solidificarono. Questa resina pol- verizzata fu disciolta nell’alcole, donde l’acqua la riprecipitò finamente divisa e bastarono per raggrumarla in piccoli fiocchi poche goccie di una soluzione acquosa di cloruro di calcio; così fu filtrata, lavata alla pompa e, seccata sull’acido solforico nel vuoto; diede all'analisi di azoto il seguente risultato: or. 0,1687 di sostanza diedero c.c. 18 di Az alla temperatura di 14° ed alla pressione barometrica di 756%", quindi in 100 p. trovato Az 12,43. — 448 — « Un composto della formola C!°H!4(N°C°H*COCH?)? richiede 13,02 °/ di Az. Per assicurarmi che si trattava in realtà di un derivato acetilico, non completamente puro, operai sulla resina la reazione dell'anidride arseniosa e quella dell'acido solforico concentrato ed alcole; ottenni nel 1° caso forma- zione di cacodile, e nel 2° di etere acetico. Trattando inoltre la resina con idrato potassico e sottoponendo il tutto alla distillazione in corrente di vapor d'acqua, questo non trasporta nemmeno traccie di anilina e resta indietro il composto canfoidrazinico primitivo inalterato. Non avendo ottenuto da queste reazioni la formazione del nitrile, ho tentato l’ idrogenazione diretta del com- posto canfoidrazinico per aver la base C*H!° (CN?NH?)?, secondo l'equazione: /0H?NH? "N C6H°N°H \6K]T5 ) 2 C!° H° Z 3 H + 5H?° — 2C°H*NH® + CES CRENH? o ALOE « L'idrogenazione è stata eseguita nelle condizioni seguenti : « 1.° 1 gr. di sostanza, disciolta in alcole e riscaldata all’ebollizione in apparecchio a ricadere, venne poco per volta addizionata di gr. 5 di sodio. Parte della sostanza si resinificò, parte riprecipitò inalterata dall’alcole per aggiunta di acqua; dall'insieme la corrente di vapor d’acqua non asportò nulla. « 2.9 1 gr. di sostanza, disciolta in alcole, venne addizionata lentamente di amalgama di sodio al 5 °/,, mantenendo il miscuglio freddo e lievemente acido per acido acetico. Separato il liquido dalle resine, fu trattato con alcali e sottoposto alla distillazione in corrente di vapor d'acqua, col quale anche questa volta non passarono nemmeno traccie di anilina e restò indietro por- zione del composto primitivo inalterato. Si ottengono gli stessi risultati ope- rando con amalgame di sodio al 2 °/0. « Si può concludere da queste esperienze come il comportamento chi- mico dell’idrazone C!°H!4(C°H5N?°H)? sia molto diverso da quello de’ composti CiopiecoH®N°H e C!0H15/7H°N°H citenuti dal prof. Balbiano. N C°HSNEHE « Volli finalmente tentare sul nuovo composto canfoidrazinico la reazione di Bayer e Zincke, secondo i dettagli di L. Gattermann e R. Hòlzle (Ber. d. chem. Ges. Vol. XXV, pag. 1074-1892), allo scopo di ottenere un idrocarburo clorosostituito. Disciolsi in un matraccio gr. 60 di solfato ramico puro, e, quando il miscuglio bolliva, vi feci cadere a goccie per mezzo di un imbuto a robinetto, gr. 3 di composto canfoidrazinico disciolti in acido cloridrico concentratissimo. Si svolsero circa 150 c.c. di gas azoto (Teor. = c. c. 388 a 0°), misurati alla temperatura di 15° ed alla pressione barometrica di 760%: il miscuglio sì resinificò profondamente e, sottoposto alla distillazione in corrente di vapor d'acqua, questo trasportò solo traccie di un olio giallo dell’odore de’ terpeni. « La formazione dell'idrazone C'°H'*(C5H°N°H)® in quantità teorica dimostra che nella 8-bibromocanfora si conserva il gruppo carbonilo, mentre — 449 — non sembra essere lo stesso per l’a-bibromocanfora, che per azione della fe- nilidrazina, si riduce a monobromocanfora. Ossidazione della $-bibromocanfora. « Se la 8-bibromocanfora si ossida con permanganato potassico in solu- zione acida, in modo che per un peso molecolare di 8-bibromocanfora rea- giscano 3 atomi di ossigeno, essa viene bruciata completamente trasforman- dosi in acido carbonico. « Difatti da 1 gr. di f-bibromocanfora, sciolta in 40 e. c. di acido ace- tico e bollita con gr. 0,6 di permanganato potassico fino a completa decolo- razione della soluzione, non si ebbe attro che -bibromocanfora inalterata (gr. 0,62), fusibile a 115°,5 e nella soluzione acida era passata una piccola quantità di bromo, corrispondente a gr. 0,35 di #-bibromocanfora. « In soluzione alcalina l'ossidazione pare meno profonda, ma non ho potuto isolare nessun composto definito. « Ho provato dapprima che l’idrato potassico acquoso in soluzioni di diversa concentrazione (1 p. per 1 p. d'acqua e 1 p. per 5 p. d'acqua) trasforma la 8-bibromocanfora in acido canfolenico. Perciò nell’ossidazione ho evitato l’impiego di una grande quantità d'idrato alcalino e l'ho compita in queste precise condizioni : gr. 10 di #-bibromocanfora furono sospesi in 50 c. c. di acqua e si aggiun- sero a poco a poco gr. 10 di permanganato potassico (cale. = gr. 9,8) sciolti in 450 c. c. di acqua; sì riscaldò il miscuglio ad 80°-90° agitando continua- mente. Ad intervalli vennero aggiunti, uno alla volta, c.c. 7 di una solu- zione acquosa d' idrato: sodico, privo di cloruri, al 5,8°/. Dopo 12 ore il liquido era completamente decolorato; venne ridotto a 575 c.c. e 10 c.c. di questa soluzione richiesero c.c. 4,50 di Agi, quindi trovato cale. per gr. 10 di C:°H'4Br?0 Br 2,07 5,16 cioè circa la metà della 8-bibromocanfora adoperata erasi ossidata. « Il biossido di manganese, raccolto a freddo su filtro, venne trattato con alcole che asportò gr. 6,5 di f-bibromocanfora inalterata, fondente a 115°. Il liquido alcalino, rimasto limpido dopo trattamento con acido solforico, fu agitato ripetutamente con etere, che estrasse gr. 3,1 di sostanza liquida densa, cui erano miste traccie di altra sostanza cristallina. Per vedere di ossidare tutta la #-bibromocanfora, in due altre preparazioni si adoperò una quantità doppia di permanganato. 10 c. c. del liquido alcalino, ridotto a 1211 c.c., richeisero c.c. 7,1 di Agi, quindi trovato calce. per 20 gr. di C10H!4Br?0 Br 6,37 10,32 — 450 — « La reazione era proceduta quindi nello stesso senso della precedente. Da queste due preparazioni si ottennero gr. 7,4 di sostanza acida, dello stesso aspetto di quella ottenuta nella 1° preparazione, e alla quale venne quindi riunita. « Gli acidi estratti costituiscono uno sciroppo, colorato leggermente in rosso, solubile nell'acqua. La soluzione acquosa, addizionata di ammoniaca in leggero eccesso e bollita per 3 a 4 ore con soluzione di cloruro di bario, non lascia depositare che una traccia di sostanza resinosa, ma nessun sale cristallino insolubile (assenza di acido canforonico). « Ripristinati gli acidi ed estratti con etere, si salificarono con Ba (0H)? e la soluzione acquosa si trattò con alcole, che precipitò un sale contenente 41,62 °/ di bario e che con nitrato di piombo dava un sale contenente il 57,22 °/, di piombo. «“ Dalla parte solubile nell'alcole acquoso si ebbe un sale baritico, che conteneva il 34,60 °/, di bario. Azione della fenilidrazina sull’acido canfolenico. « L'acido canfolenico viene considerato da H. Goldschmidt (Ber. vol. XVII, pag. 2717) come un vero acido organico, contenente la catena carbossilica, mentre I. Kachler e F. V. Spitzer (Ber. vol. XVII, pag. 2400) lo ritengono un composto, a tipo fenolico, contenente cioè l’aggruppamenio o, molto probabilmente, in seguito alle esperienze descritte nella prima parte —CHOH di questa Nota, contenente l’aggruppamento | , perchè nella #-bibro- CO mocanfora, dalla quale l'acido canfolenico deriva, c'è il gruppo carbonilo. « Nel 1° caso la fenilidrazina avrebbe dato in prima fase di reazione il sale corrispondente, mentre, ammessa la formola chetonica, si sarebbe dovuto ottenere subito un idrazone con eliminazione di acqua. « Feci perciò reagire la fenilidrazina sull’acido canfolenico, ottenuto dalla canforossima e rettificato. « 1 gr. di acido confolenico si discioglie in 2 c.c. di benzina del petrolio (punto d’ebollizione 30°-100°) e vi si aggiungono gr. 0,6 (cale. 0,7) di feni- lidrazina disciolti in 2 c.c. della stessa benzina e il miscuglio si tiene nel vuoto sopra trucioli di paraffina. Si ottengono così de’ cristalli aciculari, disposti a ventaglio o a raggiera, insolubili nell'acqua, e che, purificati tra carta, fondono a 48°,5-49°,5. — 451 — « All’analisi di Az, C e H ebbi i seguenti risultati: gr. 0,2452 di sostanza diedero c.c. 20,99 di Az. alla temperatura di 7°,25 ed alla pressione barometrica di 755". gr. 0,2020 diedero gr. 0,5158 di CO? e gr. 0,17 di H°O, quindi in 100 p. trovato cale. per Cio H16 02. C° H5 N? H3 N 10,40 10,14 Cc 69,60 69,56 H 9,3 8,69 « Il canfolenato di fenilidrazina, riscaldato sopra il suo punto di fusione (50°-100°) perde di peso e si trasforma in una resina vischiosa. « Se la reazione fra l'acido canfolenico e la fenilidrazina ha luogo a caldo, accade violenta e si ha sviluppo di ammoniaca ». Chimica. — Dosamento del Cromo mei prodotti Siderurgici. Nota di G. GroreIs('), presentata dal Corrispondente BALBIANO. « Dacchè M. Fremy fece notare le buone qualità che il cromo comunica all’acciajo, questo metallo prese un posto nella metallurgia del ferro e molti studi vennero fatti sull'argomento. « Il dosamento del-eromo per conseguenza veniva ad assumere una grande importanza e si spiega quindi come diversi metodi siano stati studiati e proposti. i «Se si tratta di determinare il cromo in un prodotto siderurgico che ne contenga una quantità rilevante, allora i metodi per pesata si prestano abbastanza bene; non così nel caso di un acciaio in cui il cromo raggiunge al massimo l’1 :/, od il 2°/;, con un minimo di una frazione di unità; nel qual caso un errore realmente piccolo, viene ad aumentare di molto; d'altra parte pei metodi per pesata occorre un tempo sempre considerevole ed una perizia non comune. « Queste ultime considerazioni furono quelle che indussero diversi autori a tentare di applicare a tale dosamento i processi volumetrici. « Avendo avuto occasione di studiare anch'io l'argomento, ne descrivo uno che mi ha dati ottimi risultati. « Il mio metodo è basato sulla reazione osservata da Reynoso e così da lui espressa (?): « Si l'on ajoute è une dissolution de sesquioxide de chrome dans l'hydrate « de potasse, une dissolution de hypermanganate de potasse, il se forme du « chromate de potasse et il se sépare de l’hydrate de sesquioxide de manganèse ».. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma. (°) H. Rose, Zraité de Chimie analytique. Analyse qualitative, I, pag. 362. — 452 — « Fatta quindi la soluzione del mio prodotto metallurgico cromato, nel modo che dirò in seguito lo tratto con idrato di potassio, fino a reazione de- cisamente alcalina e poi con permanganato di potassio in eccesso, a caldo. « In questo modo tutto il ferro resta precipitato allo stato di idrato, il manganese allo stato di biossido ed il cromo si ossida passando a cromato di potassio che resta disciolto. « Si trattava di scomporre l'eccesso di permanganato di potassio ed io dapprima ciò facevo basandomi sulla proprietà del cloruro d'ammonio di rea- gire sul permanganato potassico a caldo. « Per la buona riuscita del metodo bisognava però che dopo che io avevo scomposto il permanganato, eliminassi l'eccesso di cloruro d'ammonio me- diante l’idrato di potassio ciò che richiedeva molto tempo; inoltre la forma- zione di cloruro di potassio, che si aveva in abbondanza come prodotto di tale reazione, danneggiava quelle che seguono; su cui il mio metodo è basato; per cui dovetti cercare un altro mezzo di scomposizione del permanyganato. « Tentai allora l'impiego dell’acqua ossigenata che in soluzione alcalina non ha reazione alcuna sul cromato, mentre scompone istantaneamente il per- manganato. « Dopo il trattamento coll’acqua ossigenata avevo così un liquido che conteneva tutto il cromo, come cromato di potassio ed un precipitato che con- teneva tutto il ferro ed il manganese; portavo allora il tutto ad un volume noto e per filtrazione mediante filtro secco, ne separavo una parte aliquota, che acidificavo con acido solforico, riducendo poi con anidride solforosa il cro- mato a sale di cromo. « Scaldavo per scacciare l'eccesso di anidride solforosa e per concentrare, poichè nel caso di un acciajo, che come si sa è poco ricco in cromo, bisogna avere un liquido concentrato per la buona riuscita della determinazione. « Riportavo allora ad un volume noto, ed in ultima analisi venivo così ad avere una parte aliquota del cromo contenuto nel mio acciaio sciolta in un volume conosciuto ed allo stato di sale di cromo. « Giunto a questo punto mi sono servito di uno studio praticato fin dal 1881 da Ed. Donath ('). « Questo studio è fondato sul fatto che quando una soluzione di sequi- ossido di cromo nell’idrato di potassio si aggiunge ad una soluzione di per- manganato di potassio, si separa dell’idrato di biossido di manganese [ Rey- noso (?)]. « Appoggiandosi su questo fatto Donath propone un metodo volumetrico per dosare il cromo in presenza di ferro e di alluminio impiegando il per- manganato di potassio in soluzione alcalina per carbonato ed idrato potassico. (1) Ed. Donath, Veder eine volumetrische Bestimmung von Chrom und Mangan ueber Eisenoxyd und Thonerde, Berichte der Deutschen ecc. XIV-I, pag. 982. (2) H. Rose, Zraité de Chimie analytique. Analyse qualitative, I, pag. 362. — 453 — « Il fine della reazione è segnato dalla colorazione giallo d’oro che as- sume il liquido, dovuta alla formazione del cromato di potassio. « Siccome il Donath non descrive i particolari dell'operazione, e tace sul modo di preparare il liquido titolato di permanganato, dovetti intrapren- dere apposite esperienze che qui riferisco. « Io ho trovato che si ottiene un liquido adatto allo scopo, impiegando gr. 40 di carbonato di potassio e gr. 0,5 di idrato per ogni litro di reattivo. Riguardo alla titolazione io procedevo nel modo seguente: « Preparato il liquido di permanganato un po' più forte del richiesto scio- gliendo gr. 6 di questo sale per ogni 1000 c. c. di acqua distillata in cui erano preventivamente sciolte le sovradette quantità ponderali di carbonato e di idrato potassico; preparavo d'altra parte una soluzione contenente il 12 °/x0 di acido ossalico, soluzione che avevo cura di acidulare prima con gr. 36 di acido solforico, quantità di acido più che sufficiente a salificare i gr. 40 di carbonato potassico, e gr. 0,5 di idrato. « Volli allora provare se la reazione quantitativamente procedeva nello stesso modo, sia facendo bollire il permanganato e versandovi, mentre bolliva, la soluzione di acido ossalico, sia facendo la stessa cosa a freddo. « Nel 1° caso prendevo in una capsula c.c. 10 della soluzione di per- manganato, e mentre bolliva versavo c. c. 12 della soluzione di acido ossalico; ottenevo subito la scolorazione del permanganato; allora cessavo di far bol- lire e versavo a goccia a goccia una soluzione di permanganato RI comune fino ad avere la colorazione permanente; ne impiegai in due determinazioni successive c.c. 3,8 per ciascuna. « Nel 2° caso prendevo c. c. di soluzione di acido ossalico, e poi a goccia a goccia vi versavo la soluzione di permanganato, perchè facendo il contrario non si aveva reazione senza riscaldare. « Rititolavo allora l'eccesso di acido ossalico mediante la soluzione di permanganato Di comune, e ne impiegai in due determinazioni successive c.c. 3,8 per ciascuna, ossia la stessa quantità che nel primo caso. « Questa identità di risultati mi provava che durante l’ebullizione che sì deve praticare per eseguire il metodo di dosamento del cromo, il perman- ganato non si altera minimamente. « Dai risultati ottenuti mediante le surriferite determinazioni mi era com- pletamente nota la quantità ponderale di permanganato contenuta nel liquido da me preparato, e quindi mi riusciva facilissimo ridurlo ad essere me- N 10? diante l'aggiunta della quantità voluta di acqua distillata. « Ciò premesso ecco i particolari del processo che io propongo: « Nel caso di un acciaio ne prendo gr. 10 e li tratto con un miscuglio di RenpIcONTI. 1892, Vor. I, 2° Sem. 59 Adi 3 volumi di acido solforico (densità 1,13) ed 1 volume di acido nitrico (den- sità 1,14) come consiglia Volhard ('). La soluzione come fa notare l’autore avviene in pochi minuti e quando è completa porto ad un litro con acqua distillata. « Di questa soluzione ne prendo 250 c.c. e li tratto con idrato sodico fino a reazione alcalina; allora ossido con permanganato potassico a caldo fino ad avere nettamente la colorazione rossa. « Bisogna badare che il liquido non sia troppo alcalino per evitare la formazione di manganato potassico verde; nel caso che questo siasi formato bisogna cercare di scomporlo. « Lascio raffreddare, tolgo l'eccesso di permanganato mediante l’acqua ossigenata e verso il tutto in un pallone di 500 c.c. portando a 500 c. e. con acqua distillata. « Filtro per filtro secco 400 c. c.; questi mi staranno a rappresentare 200 c.c. della soluzione primitiva dell'acciaio. « Acidifico con acido solforico, riduco con SO? e concentro fino a 200, oppure a 100 c.c. a seconda della quantità di cromo contenuta nell'acciaio. « In tal modo ho il liquido preparato per applicare il metodo sopraci- tato proposto da Donath. « Pongo in una capsula di porcellana un certo numero di c.c. di per- manganato B preparato nel modo anzidetto, per es.10 c. c., poi scaldo e mentre bolle vi faccio scendere la mia soluzione di sale di cromo da un'apposita buretta. « La soluzione di permanganato va man mano scolorandosi, e prendendo una colorazione rossastra risultante di quella rossa del permanganato e di quella gialla del cromato; colorazione che diminuisce d'intensità per l'ag- giunta del sale cromico; finchè quando il permanganato sia tutto scomposto il liquido diviene giallo d’oro. « Il calcolo del percentuale di cromo è allora facilissimo. Sapendo quanti c.c. di permanganato si erano posti nella capsula, sarà facile sapere la quan- tità di ossigeno che esso potevo dare, poichè ogni c.c. di permanganato na ne dà gr. 0,0008. Saputa poi la quantità di ossigeno si deduce quella di cromo basandosi sulla reazione : Cr? 0° + 0° — 20703 da cui risulta che 104 di cromo hanno bisogno per passare a cromato di 48 di ossigeno, per cui chiamando «@ il quantitativo di ossigeno si ha: 104:48 = x:a (1) Zur Scheidung und Bestimmung des Mangans von J. Volhard. — Justus Liebigs' Annalen Band 198-199. 1879, pag. 352. — 455 — x ne rappresenterà dunque in grammi il quantitativo di cromo contenuto nel numero di c.c. di soluzione di sale di cromo impiegata e ne sarà facile cal- colarne allora il percentuale nell’acciaio. « Nel caso di una ghisa con molto cromo, si può scioglierne una quan- tità minore, a seconda della ricchezza in cromo; nulla però impedisce di tener fermo il peso della ghisa da sciogliersi, purchè si aumenti in propor- zione del cromo il quantitativo di permanganato di potassio con cui si ossida il sale di cromo. Nel caso di ferro cromato, questo non è attaccato dal miscuglio di acido solforico ed acido nitrico. « Io provai ad impiegare acido solforico e bromo, ma nemmeno con questo miscuglio riuscii ad avere la soluzione, dovetti pertanto ricorrere alla fusione con carbonato potassico e nitrato di potassio. « A dare un'idea della bontà del metodo riporto qui alcune analisi; anzi- tutto di una soluzione contenente : « Solfato ferrico. « Cloruro cromico ('). « Solfato di manganese; ed ottenuta sciogliendo le quantità sottonotate dei detti sali purissimi e poscia di alcuni acciai analizzati prima per pesata. « Come si vedrà dai risultati qui sotto trascritti, il metodo non lascia quanto all’esattezza nulla a desiderare; non monta poi che io faccia notare che il tempo impiegato col metodo da me proposto non può per nulla para- gonarsi con quello che occorre per uno qualunque dei metodi per pesata. « Riguardo alle soluzioni di sali di ferro, manganese e cromo, io ho cercato di sciogliere in 1000 c.c. le quantità di essi che si produrrebbero sciogliendo gr. 10 di acciaio. Il percentuale quindi del cromo, sia nel caso di soluzioni di sali, quanto nel caso di acciaj, si deve rapportare al peso dell’ac- ciaio e non al volume delle soluzioni. « Solfato ferrico gr. 50,000. « Solfato manganoso » 0,377. « Cloruro cromico _» 0,5807 Cr gr. 0,1133 si sciolsero in acqua distillata portando a 1000 c. c. trovato °/ calcolato °/o 1* determinazione Cr 1,14 Cr TS 2a ” « 15 ” (1) Ho impiegato il cloruro cromico verde invece del solfato, poichè mi fu favorito purissimo dal dott. G. Marchetti a cui aveva servito per uno studio Sul comportamento crio- scopico delle soluzioni acquose del cloruro cromico violetto e del cloruro cromico verde (Rendiconti Acc. Lincei, vol. I, serie 5%, 1° Semestre 1892). — 456 — « Cloruro ferrico gr. 28,000. « Solfato manganoso » 0,377. « Cloruro cromico » 0,5137 Cr gr. 0,1002 sì sciolsero in acqua distillata portando a 1000 c.c. trovato °% calcolato °/ 18 determinazione Cr 1,10 Cr 1,002 DE ” ” 1,08 ’ ” « Cloruro ferrico gr. 12,000. « Solfato manganoso ». 0,512. « Cloruro cromico » 10,00 Cr gr. 1,95 sì sciolsero in acqua distillata portando a 1000 c. c. trovato °/ calcolato %o 18 determinazione Cr 19,63 Cri 19,50 2° ” ” 19,58 ” ” « Grammi 10 di acciaio cromato si sciolsero nel noto miscuglio di acido solforico e nitrico e si portò a 1000 c. c. metodo volumetrico Cr °/ metodo per pesata Cr °% 1® determinazione 1,12 1,04 (1) 2° ” 1,09 ” gr. 10,0018 di acciaio stesso si sciolsero nel noto miscuglio di acido solforico e nitrico e si portò a 1000 c.c. metodo volumetrico Cr °/ metodo per pesata Cr °%o i 1,12 1,04 « Potrei riportare altre numerose determinazioni da me fatte, ma credo che quelle riportate sieno più che sufficienti a dare un'idea della bontà del metodo che propongo ». Chimica. — Sul! idrogenazione dei 1-fenilpirrazoli sostituiti. Nota di G. MaRrcHETTI, presentata dal Corrispondente L. BALBIANO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (1) R. Fresenius, Zraité d'analys2 chimique quantitative. 4% edizione francese pag. 493-904. E I8E — 457 — INDICE DEL VOLUME I, SERIE 5°. — RENDICONTI 1892 — 2° SEMESTRE. ; INDICE PER AUTORI A AGAMENNONE. « Sopra un nuovo registra- tore di terremoti a doppia velocità ». 247. -- « Sopra un nuovo pendolo sismogra- fico ». 303. Ip. e BonETTI. « Sopra un nuovo tipo d’igro- metro ». 216. ALvisi. « Ricerche sul gruppo della can- fora ». 391; 444. ANDERLINI. « Sopra alcuni derivati della cantaridina ». 127. — «Sull’azione delle diammine sulla can- taridina ». 223. Ip. e Borisr. « Sulla condensazione degli eteri formico e succinico ». 2583. AnGELI. « Azione dell’acido nitroso sopra i composti non saturi». 25. — «Sopra un nuovo passaggio dalla can- fora all’acido canforico ». 391; 441. — « Ricerche sopra le sostanze che con- tengono il gruppo Cs Na 02». 444. Ip. e BoeRIs. « Intorno all'influenza della dissociazione elettrolitica sulla scom- posizione del nitrato ammonico in solu- zione acquosa». 70. Arnò. « Campo elettrico rotante e rotazioni dovute all’isteresi elettrostatica». 284. B BaLBIANO. « Sopra i composti plato-pirra- zolici ». 866. — «Sul fenil-etil-dimetil-pirrazolo ». 410. BALBIANO e SEVERINI. « Sopra alcuni acidi della serie pirrazolica ». 195. BeTTI. « Annuncio della sua morte ». 147; 399. — Deliberazione dell’Accademia di pub- blicare i lavori scientifici del Socio Betti. 399. BrancHI. « Sulla trasformazione di Bàcklund per le superficie pseudosferiche ». 3. — « Sulle deformazioni infinitesime delle superficie flessibili ed inestendibili ». 41. — « Sulle trasformazioni di Bicklund pei sistemi tripli ortogonali pseudosferi- ci ». 156. BLASERNA (Segretario). Dà conto delle cor- rispondenza relativa al cambio degli Atti. 402. — Pone a disposizione dei Soci le schede di sottoscrizione pel Congresso medico internazionale che avrà luogo in Roma nel 1893. 402. — Dà comunicazione dei concorsi banditi dal R. Istituto Veneto di scienze, let- tere ed arti. 401. — Presenta le pubblicazioni dei Soci: Lu- ciani, Arcangeli, Riccò, Daubrée, Poin- caré, Virchow; dei signori: Corradi, De Toni, Saccardo, Fischer, Lubbock, Salmiller e von Heyden. 400. — Presenta due volumi delle opere di W. Weber e una pubblicazione inviata dal Principe Alderto I di Monaco. 400. — Riferisce sulla Memoria del dott. Reina. 398. — 458 — BonatELLI.È delegato a rappresentare l’Ac- cademia alle onoranze che si rende- ranno in Padova a Galileo Galilei. 400. Bonetti. — V. Agamennone. BoerIs. — V. Angeli. Borisi. — V. Anderlini.. BrioscH:. « Gli integrali algebrici dell’equa- zione di Lamé ». 327. C CannIZzzaRO e Gucci. « Sopra alcuni deri- vati dell’acido fotosantonico ». 149. Cantone. « Contributo allo studio delle variazioni di resistenza del nichel nel campo magnetico ». 119. — « Influenza del magnetismo trasversale sulle variazioni di resistenza del ferro e del nichel magnetizzati longitudi- nalmente ». 277. CantonI. « Sul valore filosofico degli scritti di Galileo Galilei ». 405. CAPELLINI. Fa omaggio di una sua pub- blicazione. 401. CARDANI. « Metodo per la misura della co- stante dielettrica dello zolfo ». 48. — « Misura della costante dielettrica dello zolfo ». 91. CARRARA. « Sul peso molecolare e sul po- tere rifrangente dell’acqua ossigenata». 19. CENTANNI. — V. Tizzoni. CeERRUTI. Presenta una pubblicazione del prof. Caldarera. 401. Cossa. « Sopra una nuova serie di combi- nazioni basiche del platino ». 359. CrEMonA. Presenta una pubblicazione del Corrispondente Segre, contenente al- cuni cenni bibliografici del defunto Corrispondente De Paolis, e ne discorre. 399. D De AngELIS. Invia, per esame, la sua Me- moria: « Gli antozoi terziarî della col- lezione Michelotti ». 398. De Leva. È delegato a rappresentare l’Ac- cademia alle onoranze che si rende- ranno in Padova a Galileo Galilei. 400. De Lorenzo. « Osservazioni geologiche nei dintorni di Lagonegro in Basilicata ». 316. — « Avanzi morenici di un antico ghiac- ciaio del monte Sirino nei dintorni di Lagonegro (Basilicata) ». 348. De PaAoLIS. Annuncio della sua morte. 88; Sua necrologia. 399. DeL RE. « Sulla superficie del 5° ordine dotata di cubica doppia e punto tri- plo ». 170. — « Ancora della superficie del 5° ordine con cubica doppia e punto triplo ». 203. — « Altre proprietà relative alla superficie del 5° ordine con cubica doppia e punto triplo ». 343. — « Sopra alcune varietà della superficie del 5° ordine con cubica doppia e punto triplo ». 378. De STEFANI. « Fossili cretacei dell'Emilia e delle Marche «. 294. — « Nuovi fossili cretacei di Liguria, della Toscana e del Lazio ». 317. — «Terreni cristallini e paleozoici della Corsica ». 394. De Tonr. « Secondo pugillo di alghe tri- politane ». 140. FE FasrINI. « Su alcuni felini del Pliocene italiano ». 257. FERRARIS. Sua elezione a Socio nazionale. 72. — Ringrazia. 399. FERRATINI e GARELLI. «Sul comportamento dell’indolo e d’alcuni suoi derivati ri- spetto alla legge di Raoult». 54. Foà. Sua elezione a Socio nazionale. 72. — Ringrazia. 400. FrarTINI. « A complemento di alcuni teo- remi del sig. Tchebicheff ». 85. G GAMMARELLI. « Sulla determinazione del- l’acido nitrico mediante i sali di cin- conamina »n. 290. GARELLI. V. Ferratini. — 459 — Grorpano. Annunzio della sua morte. 71; 399. Grorgis. « Dosamento del cromo nei pro- dotti Siderurgici». 391; 451. GoLeI. Presenta due pubblicazioni del prof. Brunetti. 401. Grassi-CrIstALDI. « Su alcuni prodotti di riduzione della Santonina-Santonone ed Iso-santonone ». 62. — « Azione dell’acido cloridrico sui San- tononi. Acido bis-diidro-santinico ». 188. — « Sulla struttura fumaroide e malenoide d’alcuni derivati della santonina ». 234. — « Sui prodotti di ossidazione degli acidi santononinici. Di-para-xilille e difeni- le ». 255. Gucci. « Sopra alcuni derivati delle fenil- endiammine ». 176. — « Sulla scissione delle ftalidi per azione degli alcali caustici». 230. — V. Camizzaro. GueLieLMo. « Sulle tensioni di vapore delle soluzioni di zolfo e di fosforo nel sol- furo di carbonio ». 210. — « Descrizione di alcune nuove pompe # mercurio n. 289. H HeIDENHAIN. Sua elezione a Socio stra- niero. 72. — Ringrazia. 400. Hertz. Sua elezione a Socio straniero. 72. — Ringrazia. 400. K Korpa. « Sur le champ électrique tour- nant ». 431. L Leaure. Sua elezione a Socio straniero. 72. — Ringrazia. 400. Lie. Sua elezione a Socio straniero. 72. — Ringrazia. 400. LiLrencrELD e Monti. « Sulla localizzazione microchimica del fosforo nei tessuti ». 310; 354. LorenzonI. Sua elezione a Socio nazionale. 72. — Ringrazia. 400. — È delegato a rappresentare l'Accademia alle onoranze che si renderanno in Pa- dova a Galileo Galilei. 400. — Fa parte della Commissione esamina- trice della Memoria del dott. Reina. 398. M MaAncInI. « Sopra un fenomeno analogo al fulmine globulare, provocato per indu- zione ». 308. MarcHETTI. « Sull’idrogenazione dei 1-fe- nilpirrazoli sostituiti ». 456. MazzaRELLI. «Intorno al preteso occhio ana- le delle larve degli Opistobranchi ». 103. Montesano. « Su due congruenze di rette di secondo ordine e di sesta classe ». 77. N Naccari. Sua elezione a Corrispondente. 72. Nasini e PezzoLaTo. « Spostamento della nicotina dai suoi sali e azione dell’al- cool sopra di essi ». 332. (0) OruHL. Sua elezione a Corrispondente. 72. P Pascat. « Sulle 315 coniche coordinate alla curva piana generale di 4° ordine ». 385. — « Ricerche sugli aggruppamenti formati colle 315 coniche coordinate alla curva piana generale del 4° ordine ». 417. PATERNÒ. « À proposito di un recente libro sulla stereochimica ». 360. PezzoLato. V. Nasini. PrrortA. « Intorno ai serbatoi mucipari delle Hypoxis ». 376. R RrInA. Approvazione della sua Memoria: « Sulla lunghezza del pendolo a se- condi in Roma. Esperienze eseguite dai professori Pisati e Pucci ». 398. — 460 — IGHI. « Sulla distribuzione dei potenziali presso il catodo ». 109. RurFrFinI. « Sulla terminazione nervosa nei fusi muscolari e sul loro significato fisiologico ». 81. — «Sulla presenza dei nervi nelle papille vascolari della cute dell’uomo ». 299. S SanI. « Ricerche intorno alla composizione della Cochlearia Armoracia ». 17. ScHirr. Sua elezione a Socio straniero. 72. — Ringrazia. 400. SEVERINI. « Ricerche sui composti pirrazo- lici ». 138. — « Azione degli alogeni sull’1-fenil-pirra- zolo ». 891. — V. Balbiano. SoMIGLIANA. « Sulle espressioni analitiche generali dei movimenti oscillatorî ».111. STRiver. Presenta, perchè sia sottoposta all’esame di una Commissione, una Me- moria del sig. De Angelis. 398. — «Sui minerali di granito di Alzo ». 361. T Terza. È delegato a rappresentare l'Acca- demia alle onoranze che si renderanno in Padova a Galileo Galilei. 400. Tizzoni e CENTANNI. « Ulteriori ricerche sulla cura della rabbia sviluppata ». 73. ToLomet. « Sopra l’azione della luce sul fermento ellittico ». 320. V VICENTINI. « Fenomeni luminosi prodotti dai conduttori percorsi dalle scariche elettriche e posti nell’aria rarefatta ». 13. VoLpi. « Sopra una nuova acridina e su di un acido acridilpropionico ». 182. VoLtERRA. « Sulle vibrazioni luminose nei mezzi isotropi ». 161. — Sulle onde cilindriche nei mezzi iso- tropi ». 265. Z ZamBrasi. « Sul punto critico e sui feno- meni che lo accompagnano ». 391; 423. — «Il punto critico e il fenomeno di spa- rizione del menisco, nel riscaldamento d’un liquido a volume costante ». 481. ZeccHini. « Sul peso molecolare della me- taldeide ». 98. — « Rifrazioni atomiche degli elementi ri- spetto alla luce gialla del sodio ». 180. — « Sul potere rifrangente del fosforo. — I. Potere rifrangente del fosforo libero e delle sue combinazioni cogli elementi o gruppî monovalenti ». 394; 433. — «Sul potere rifrangente del fosforo. — II. Potere rifrangente degli acidi del fosforo e dei loro sali sodici ». 411. — 461 INDICE PER MATERIE A AnaroMIA. Sulla terminazione nervosa nei fusi muscolari e sul loro significato fi- siologico. A. Ruffini. 31. — Sulla presenza dei nervi nelle papille vascolari della cute dell’uomo. /0. 299. B BarTERIOLOGIA. Sopra l’azione della luce sul fermento ellittico. £. Z’olomer. 320. Boranica. Intorno ai serbatoi mucipari delle Hypoxis.//. Pirotta. 376. — Secondo pugillo di alghe tripolitane. G. B. De Toni. 140. C CÒimica. Ricerche sul gruppo della canfora U. Alvisi. 391; 444. — Sopra alcuni derivati della cantaridina. FP. Anderlini. 127. — Sull’azione delle diammine sulla canta- ridina. /d. 223. — Sulla condensazione degli eteri formico e succinico. /d. e Borisi. 253. — Azione dell’acido nitroso sopra i com- posti non saturi. A. Angeli. 25. — Sopra un nuovo passaggio dalla can- fora all’acido canforico. /d. 391; 441. — Ricerche sopra le sostanze che conten- gono il gruppo Cs N: 0». /d. 444. — Intorno all’influenza della dissociazione elettrolitica sulla scomposizione del nitrito ammonico in soluzione acquosa. Id. e G. Boeris. 70. — Sopra i composti plato-pirrazolici. £. Balbiano. 366. - — Sul fenil-etil-dimetil-pirrazolo. /d. 410. RenpICcONTI. 1892, Vor. I, 9° Sem. CHimica. Sopra alcuni acidi della serie pir- razolica. Id. e O. Severini. 195. — Sopra alcuni derivati dell’acido fotosan- tonico. S. Cannizzaro e P. Gucci. 149. — Sopra una nuova serie di combinazioni basiche del platino. Z. Cossa. 359. — Sul comportamento dell’indolo e d’al- cuni suoi derivati rispetto alla legge di Raoult. A. Ferratini e F. Garelli. 4. — Sulla determinazione dell’acido nitrico mediante i sali di cinconamina. P. Gam- marelli. 290. Dosamento del cromo nei prodotti Side- rurgici. G. Giorgis. 391; 451. — Su alcuni prodotti di riduzione della Santonina-Santonone ed Iso-santonone. G. Grassi-Cristaldi. 62. — Azione dell’acido cloridrico sui Santononi. Acido bis-diidro-santinico. /d. 188. — Sulla struttura fumaroide e malenoide d’alcuni derivati della santonina. /d. 234. — Sui prodotti di ossidazione degli acidi santononici. Di-para-xilile e difenile. Id. 255. Sopra alcuni derivati delle fenilendiam- mine. P. Gucci. 176. — Sulla scissione delle ftalidi per azione degli alcali caustici. /d. 230. — Sull’idrogenazione dei 1-fenilpirrazoli so- stituiti. Marchetti. 456. — A proposito di un recente libro sulla stereochimica. £. Paternò. 360. — Ricerche intorno alla composizione della Cochlearia Armoracia. G. Sani. 17. — Ricerche sui composti pirazolici. 0. Se- verini. 138. — Azione degli alogeni sull’1-fenil-pirra- zolo. Id. 391. | | 60 — 462 — CHÙimica. Sopra una nuova acridina e su d’un acido acridilpropionico. A. Volpi. 132. CHImIcA BIOLOGICA. Sulla locazizzazione mi- crochimica del fosfcro nei tessuti. £. Lilienfeld e A. Monti. 310; 354. CHimica FISICA. Sul peso molecolare e sul potere rifrangente dell’acqua ossige- nata. G. Carrara. 19. — Spostamento della nicotina dai suoi sali e azione dell'alcool sopra di essi. ft. Nasini e A. Pezzolato. 332. — Sul peso molecolare della metaldeide. ‘ P. Zecchini. 98. — Rifrazioni atomiche degli elementi ri- spetto alla luce gialla del sodio. /d. 180. — Sul potere rifrangente del fosforo. — I. Potere rifrangente del fosforo libero e delle sue combinazioni cogli elementi o gruppi monovalenti. /d. 394; 433. — Sul potere rifrangente del fosforo. — II. Potere rifrangente degli acidi del fosforo e dei loro sali sodici. /d4. 411. Concorsi a premî. Elenco dei lavori presentati al premio Santoro pel 1892. 38. -- Temi dei concorsi banditi dal R. Isti- tuto Veneto di scienze, lettere ed arti. 401. Corrispondenza relativa al cambio de- gli Atti. 38; 147; 263; 402. E ELETTRICITÀ. Campo elettrico rotante e ro- tazioni dovute all’isteresi elettrostatica. E. Arnò. 284. — Sur le champ électrique tournant. D. Korda. 431. Elezioni di Soci. Risultato delle ele- zioni per la Classe di scienze fisiche, ma- tematiche e naturali. 72. F Fisica. Contributo allo studio delle varia- zioni di resistenza del nichel nel campo magnetico. M. Cantone. 119. — Influenza del magnetismo ‘trasversale sulle variazioni di resistenza del ferro e del nichel magnetizzati longitudinal- mente. /d. 277. — Metodo per la misura della costante die- lettrica dello zolfo. P. Cardani. 48. — Misura della costante dielettrica dello zolfo. Id. 91. — Sulle tensioni di vapore delle soluzioni di zolfo e di fosforo nel solfuro di car- bonio. G. Guglielmo. 210. — Descrizione di alcune nuove pompe a mercurio. /d. 239. — Sulla distribuzione dei potenziali presso il catodo. A. Righi. 109. — Fenomeni luminosi prodotti dai condut- tori percorsi dalle scariche elettriche e posti nell’aria rarefatta. G. Vicen- tini. 13. — Sul punto critico e sui fenomeni che lo accompagnano. G. Zambiasi. 3891 ; 423. — Il punto critico e il fenomeno di spa- rizione del menisco, nel riscaldamento d’un liquido a volume costante. /d. 431. FISICA TERRESTRE. Sopra un nuovo regi stratore di terremoti a doppia velocità. G. Agamennone. 247. — Sopra un nuovo pendolo sismografico. Id. 303. — Sopra un nuovo tipo d’igrometro. /d. e F. Bonetti. 216. — Sopra un fenomeno analogo al fulmine globulare, provocato per induzione. /7. Mancini. 308. G GeoLOoGIA. Osservazioni geologiche dei din- torni di Lagonegro in Basilicata. G. De Lorenzo. 316. — Avanzi morenici di un antico ghiacciaio del monte Sirino nei dintorni di La- gonegro (Basilicata). /d. 348. — Terreni cristallini e paleozoici della Cor- sica. C. De Stefani. 394. M MarEemaTICA. Sulla trasformazione di Bàck- lund per le superficie pseudosferiche. L. Bianchi. 3. — 463 — MarEMaTICA. Sulle deformazioni infinitesi- me delle superficie flessibili ed irre- stendibili. /d. 41. — Sulle trasformazioni Bicklund pei siste- mi tripli ortogonali pseudosferici. /d. 156. — Gli integrali algebrici dell’equazione di Lamé. H. Brioschi. 327. — Sulla superficie del 5° ordine dotata di cubica doppia e punto triplo. A. Del Re. 170. :-- Ancora della superficie del 5° ordine con cubica doppia e punto triplo. /d. 203. — Altre proprietà relative alla superficie del 5° ordine con cubica doppia e punto triplo. /d. 343. — Sopra alcune varietà della superficie del 5° ordine con cubica doppia e punto triplo. /d. 378. — AÀ complemento di alcuni teoremi del sig. Tchebicheff. G. Frattini. 85. — Su due congruenze di rette di secondo ordine e di sesta classe. D. Montesano. To — Sulle 315 coniche coordinate alla curva piana generale di 4° ordine. £. Pascal. 385. — Ricerche sugli aggruppamenti formati colle 815 coniche coordinate alla curva piana generale del 4° ordine. /4. 417. — Sulle espressioni analitiche generali dei movimenti oscillatorî. C. Somigliana. Tot Miremarica. Sulle vibrazioni luminose nei mezzi isotropi. V. Volterra. 161. — Sulle onde cilindriche nei mezzi iso- tropi. Jd. 265. MrxeraLogia. Sui minerali di granito di Alzo. G. Striiver. 361. — Intorno al preteso occhio anale delle larve degli Opsistobranchi. G. Mazza- relli. 103. N Necrologie. Annuncio della morte del Socio Betti. 147; 399; dei Corrispon- denti: De Paolis. 38; 399; Giordano. 71; 399. P PaLeontoLOGIA. Fossili cretacei dell'Emilia e delle Marche. C. De Stefani. 294. — Nuovi fossili cretacei della Liguria, della Toscana e del Lazio. /d. 317. — Su alcuni felini del Pliocene italiano. E. Fabrini. 257. ParoLoGIA. Ulteriori ricerche sulla cura della rabbia sviluppata G. Zizzoni e E. Centanni. 73. S STORIA DELLA SCIENZA. Sul valore filosofico degli scritti di Galileo Galilei. G. Can- toni. 405. ERRATA CORRIGE Rendiconti — 1° Semestre 1892. Delle due Note Vicentini e Cattaneo a pagina 383 e 419 deve essere invertito l'ordine di pubblicazione. Rendiconti — 2° Semestre 1892. A pag. 382, cominciando dal basso, nella 1% linea si legga «14 invece di 2; %.; nella 3? linea si legga 43% invece di #.°, e si dia il fattore 2 all’espressione di g; nella linea 4* si ponga poi il segno — davanti ai termini 2c&3 wa, 2273 da. A pag. 384, nel titolo del $ IV, invece di acquista altre rette si legga «si decom- pone la sestica N° ». A pag. 385, linea 11, invece di acquista si legga: ha come parte della sestica NS; e nella linea 12 si sopprima la parola « altre ». N. B. Anche nel quadro di formule dato a pag. 383 occorrono alcune correzioni, che si troveranno in un successivo lavoro intorno al medesimo argomento. ATTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCLXXXIX. 1892 Shi ces dei QI NE RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume I.° — Fascicolo 12° e Indice del volume. 2° SEMESTRE Seduta del 18 Dicembre 1892. MD Ce ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1892 ; parte, desiderano ne sia fatt: Cal 1892 si è iniziata la dn quinta (i pubblicazioni della Bor Accademia. dei Lincei. ; Inoltre i i Rendicongi della nuoya serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti.della Classe dî scienze i fisiche; matematiche enaturali valgono le norme seguenti :_ NE LAO DIES Rendiconti ‘della. Classe nn ‘scienze -fi- siche matematiche € naturali si pubblicano Te- golarmente . «due. ‘volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie. ‘presentate da Soci e- estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettin bibliografico, Dodici fascicoli n, un volume, due volumi formano un'annata. :2..Le Note presentate da Qui O) i denti non possono è oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ‘ne assumono dar dla, SONO portate! a 8 pagine. 20 3. L'Accademia dà per queste ‘comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci € Corrispondenti, e.25 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un | numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a. suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono. 5 discus- | sioni verbali che si fanno. no seno dell’Acca- demia: tuttavia se 1 Soci, € sono. tenuti & consegnare al Segretario, seduta stante. una Nota. Po iscaité RESTA: hanno preso | enzione, essi Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. i Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. INI. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE deha Classe di scienze fisiche, Ras LESIONE o At fr | matematiche e naturali. Re: se 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, È: storiche e filologiche. 9 Vol. IV. V. VI. VIL VII. Î Serie 3* — Transonmi. Vol. I-VII. (1876-84). 8 . Memorie della Classe di scienze fisiche; matematiche e naturali. fi voti) — I 9) DX Memorie della Classe. di ‘scienze morali, storiche e filologiche. ia Vol. -XII. -3 Serie 4° — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). o: Memorie della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. MewmorIE della Classe di scienze. morali, storiche ‘e filologiche. ES Vol. I-VIII. È. Serie 5° — RenpiconTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1892). 1° Sem. — 2° Sem. Fasc. 1-12. RenpICONTI della Classe di scienze ‘morali, storiche e filologiche. Vol. I. (1892). — Fase. 1°-11°. let i iari Se CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI "I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche ''e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano i due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corri- | spondenti ognuno ad un semestre. 5 Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta î FItalia di L. 10; per glialtri paesi le spese di posta in più. “Le associazioni si ricevono esclusivamente Ji seguenti ! editori-librai: È Ermanno LoescHer & €.° — Roma, Torino e Firenze. UtrIco Hoepi. — Milano, Pisa e Napoli. Cantoni. Sul valore filosofico degli scritti di Sala ui e a ale costante - UNE I A 5 Soda: RI, le champ dt LONOTAN (E Lo) Con TOR del cromo nei prodotti Sidenigio mei DI DEI Marchetti. Sull’idrogenazione dei 1-fenilpirrazoli sostituiti (pres. a si NEI aiglisopi TINA 3 9088 01356 8