Pubblicazione bimensile. | Itoma ? gennaio 1906. 20 4 DELLA N. 1. REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCIII. 1906, SHiRMETH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 gennaio 1906. Volume XV.° — Fascicolo 1° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1906 i i ua ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO l. Col 1892 si è iniziata la Serse quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le gus seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di Ri. fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la. responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per questo comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le a sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risco in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto 0 in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia, 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in_più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. SRI: DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCRI ANNO CCCIII. 1906 SPERO TENTERCA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME XV. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1906 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del ? gennaio 1906. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Geologia. — Za Rovina delle Rocche di S. Pietro a Porto Venere. Nota del Socio G. CAPELLINI. Sei anni or sono, in una mia Nota: Za rovina della Piana del Soldato a Porto Venere ('), annunziavo che la stessa sorte era riservata alle pit- toresche masse rocciose che si ammiravano sulla destra di chi attraversava la piazza Lazzaro Spallanzani, per recarsi a visitare il grazioso monumen- tale tempietto di S. Pietro. Quel complesso di strati di calcare compatto e schistoso grigio cupo, indicato col nome di Rocche di S. Pietro, era ricercato dai pittori e dai naturalisti; i primi per ritrarne le bizzarre forme, i secondi per raccogliervi fossili dell’ interessante: piano retico, pei quali fin dal principio del secolo passato furono particolarmente ricordati gli scogli dei dintorni di Porto Venere. : Spallanzani non vi aveva notato avanzi fossili, perchè mentre era a Porto Venere si interessava più specialmente degli animali marini, e ricordava ancor troppo la ricchezza di fossili del calcare del Finale; il geologo Cordier in- vece ve ne scoprì e pel primo li segnalò nei 1811. Nel 1830, Guidoni confermò quella scoperta informandone Paolo Savi e, un anno dopo, Hoffmann raccolse ricca messe paleontologica negli scogli (*) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei. Cl. di sc. fis. mat. e nat. vol. IX, 2° sem. 1900. ria = s__=———_o — ——- e di Porto Venere, e più tardi descrisse quei fossili del calcare nero riferendoli al Lias. Pilla visitò il Golfo della Spezia nel 1844, ma solamente nel 1847 fece conoscere alla Società geologica di Francia come egli interpretava la vera posizione stratigrafica e cronologica del calcare nero fossilifero e, in quella memoria e nel suo trattato di Geologia, per la prima volta è menzio- nata la Grotta dell’ Arpaia. Nella seconda metà del secolo passato i lavori di Savi, di Meneghini e di Cocchi, nonchè le mie pubblicazioni sulla geologia dei dintorni della Spezia resero celebre la Grotta dell’Arpaia e quegli scogli furono più fre- quentemente visitati da naturalisti e da curiosi. Le Rocche di S. Pietro coronavano la Grotta dell'Arpaia, erano pittore- sche se si ammiravano dalla piazza o dall'alto, imponenti e minacciose appa- rivano viste dal mare. La discesa negli scogli dell’Arpaia, per arrivare alla pic- cola grotta lambita dal mare e accessibile soltanto in giorni di perfetta calma, già un tempo difficile e pericolosa, in seguito era stata resa agevole per attirarvi visitatori; ma il mare continuava l’opera sua demolitrice, battendo in breccia la base delle Rocche di S. Pietro, particolarmente quando imperversava il li- beccio. Dopo la pubblicazione della ricordata Nota nella quale dichiarai esplici- tamente che la rovina era inevitabile e che occorreva di provvedere per preve- nire disastri, per ordine governativo fu murato il cancello posto a capo della scaletta che, improvvidamente, era stata costruita per condurre forastieri al piccolo antro. Ma i ragazzi passavano per le fratture delle Rocche e attra- verso il cancello, coloro che si recavano alla Vista da S. Pietro non si ren- devano conto del grave pericolo che correvano andando anche alla Visfetta presso le Rocche, e si arrampicavano sopra quei massì per farsi fotografare; solamente dal mare si poteva vedere come le Rocche erano erose e minate alla base, sicchè le mie previsioni non avrebbero tardato ad avverarsi. Mi ero accorto che quel complesso stratigrafico, basato sopra lo strato di calcare compatto con Plicatula intusstriata che forma il tetto della Grotta Arpaia, aveva cominciato a piegare dal lato «del mare, staccandosi dalla sua base; avvertii allora che presto le Rocche sarebbero scivolate e precipitate. Malgrado i miei avvertimenti, nel mese di settembre ultimo scorso una comitiva di dame e cavalieri, per la maggior parte forestieri ma alcuni di- moranti a Porto Venere e non ignari delle mie predizioni e del pericolo che andavo avvertendo che si faceva sempre più grave e imminente, si arrampica- rono e si disposero artisticamente sopra e attorno alle Rocche di S. Pietro per farsi fotografare. Nell'ottobre visital ancora le ormai famose Rocche in compagnia del prof. Morini, ma al collega ed amico non permisi di avvicinarsi, e meno ancora di avanzarsi fino al muretto d'onde si godeva la vista dell’ aperto » - — )g —_ mare; avevo osservato che le Rocche si erano staccate maggiormente dalla base, ero atterrito dal presentimento che il disastro poteva avvenire da un momento all’altro. Tornato a Bologna in novembre, fui informato di violenti tempeste, di furiose libecciate, ma presto tornò la calma e non si poteva affatto sospettare che le Rocche di S. Pietro sarebbero precipitate prima del nuovo anno; spe- ravo di rivederle, speravo di farle ancora fotografare per serbarne ricordo, poichè ormai avevo rinunziato a cercarvi fossili. Il 9 dicembre il mare era calmo, l’aria tranquilla e tiepida come in una bella giornata di primavera, col vaporetto che arriva alle 18 circa sbar- cavano parecchi forastieri per recarsi a visitare i monumenti e le curiosità dell’antico borgo, quando alle 13,15' un rumor cupo e una piccola scossa avvertita, questa, soltanto delle case vicine a S. Pietro, avvisava del frana- mento delle Rocche. Per fortuna in quell'ora il luogo era deserto; a qualche distanza sulla piazza Spallanzani qualche donnicciola e un ragazzo che per l’ impeto del- l'aria commossa si ebbe asportato in mare il berretto e fuggì atterrito re- cando la triste novella. I forastieri andando a S. Pietro più non trovarono le famose Rocche, bensì una pericolosa frana che minaccia ancora altre rovine. Il denudato strato di calcare con Plicatule e Rinconelle forma provvi- soriamente una bella spianata dalla quale, in estate, si potranno contemplare melanconicamente i rosei tramonti, i quali col picco dolomitico del Muzze- rone ricordano perfettamente lo spettacolo del Sole a mezzanotte al Capo Nord. Le tempeste degli ultimi mesi dello scorso anno, le violenti piogge dell’au- tunno, le continue mine che da qualche tempo si fanno esplodere nella riat- tivata cava di pietre, detta di Carlo Alberto, all'isola Palmaria a breve di- stanza dalla Punta di S. Pietro, tutto deve aver contribuito ad affrettare ciò che ormai era inevitabile. La fotografia che ho sopra accennata, fatta dal sig. Codevilla di Genova, nella quale si contano più di trenta persone arrampicate e poggiate contro le Rocche di S. Pietro ricorderà il gravissimo pericolo al quale scampò quella lieta comitiva, l'immane disastro che poteva far registrare tra i dì nefasti la frana spaventevole, la fiducia che si dovrebbe avere negli studî accurati e diligenti degli Scrutatori del sotterraneo mondo! Matematica. — Sulle differenze finite. Nota del Corrispon- dente G. PrANO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Astronomia. — Intorno al calcolo della rifrazione astrono- mica, senza speciali ipotesi sul modo di variare della tempera- tura dell’aria coll’altezza. Nota del Corrispondente P. PizzeTTI. Cristallografia. — Za trasformazione delle coordinate dei cristalli. Nota del Corrispondente C. VroLa. Matematica — Sur le développement en fraetion continue de la fonction Q de M. Prym. Nota di NreLs NIELSEN, presen- tata dal Socio U. Dini. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisica. — Influenza degli orli sulla capacità elettrostatica di un condensatore ('). Nota del dott. R. MacinI, presentata dal Corrispondente BATTELLI. 1. È noto che la densità elettrica sulle armature di un condensatore non ha dappertutto lo stesso valore, e che, mentre può ritenersi come co- stante nelle loro parti centrali, essa tende a prendere dei valori tanto più grandi, quanto più i punti considerati sono prossimi agli orli che limitano la superficie delle armature. Conseguentemente, quando si voglia desumere dal calcolo la capacità elettrostatica di un condensatore, tenendo conto sol- tanto delle sue dimensioni, occorre esaminare e valutare la perturbazione prodotta dagli orli nella distribuzione elettrica dei conduttori; altrimenti il valore così ricavato risulta inferiore, e non poco, a quello dato dall’espe- rienza. Le formole comuni, supponendo costante la densità, esprimono solo la capacità corrispondente ad una distribuzione puramente immaginaria, e non possono, al contrario, rappresentare più esattamente la cosa, se non quando sì prendano per le dimensioni del condensatore dei valori più grandi di quelli reali, ed in modo tale che l'aumento delle dimensioni compensi, con la supposta densità uniforme, l'aumento effettivo della densità in vicinanza degli orli e sugli orli. In varî lavori (°) eseguiti in questo Istituto di Fisica, si è presentata più volte la necessità di tener conto di questa influenza degli orli; e la (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica dell’Università di Pisa. (3) Cfr. Battelli e Magri, Sulle scariche oscillatorie, N. Ci »ento, S. V, vol. III, 1902. “agio incertezza riscontrata sull'argomento ha suggerito in quei casi l’idea di farne uno studio sistematico e, possibilmente, completo. Mi propongo in questa Nota, come pure in quella che seguirà sull’influenza sopra un condensatore munito o no di anello di guardia, di fare una disa- mina preliminare delle varie e più importanti soluzioni e formole proposte per il calcolo della capacità. E ciò nell'intento di liberare il lavoro speri- mentale da inutili esperienze di controllo, e di ricavare alcune leggi o sug- gerire alcuni artifici, da verificare od usare nella parte sperimentale, di cui questa Nota e la successiva cercano di essere la direttiva. 2. Il primo ad occuparsi di questa perturbazione fu Cavendish (!), cui il confronto fra le capacità di condensatori di eguale area, ma di differente contorno, consigliò subito l'espediente dell'aggiunta di una striscia addizio- zionale avvolgente l’intero orlo. Egli però non si preoccupò di cercare le relazioni intercedenti fra la larghezza della striscia, e le dimensioni e forma del condensatore. Ciò venne in seguito fatto da Maxwell (?), che nel capitolo sulle funzioni coniugate e negli esempi successivi, studiò in Z/ectricity and Magnetism molto estesamente il problema, e dette le soluzioni di parecchi casi. Clausius (3) suggerì una soluzione assai esatta del caso importante — come quello che capita spesso nella pratica — di un condensatore formato da due dischi finiti, circolari, di cui la grossezza sia piccolissima rispetto alla loro distanza. Questa restrizione fu rimossa dal Kirchhoff (4) che si propose di risolvere per altra via il caso di un condensatore circolare con o senza anello di guardia, tenendo nel debito conto la grossezza dei dischi. Il metodo da lui usato è quello già indicato da Helmholtz e fondato sulle funzioni di variabile complessa; questo metodo, se unito all’altro notissimo di Schwarz e Christoffel per la rappresentazione di una porzione di un piano limitata da linee rette sopra un’altra, permette appunto di introdurre nel calcolo la grossezza finita del piatto. T. I. Thomson e G. F. C. Searle (*) d'altra parte studiarono in un loro im- portante lavoro. per mezzo delle trasformazioni schwarziane prima, dell’espe- rienza poi, la correzione da introdursi nel calcolo della capacità di un conden- satore cilindrico munito di anelli di guardia. Lo stesso Thomson (6), dedicò un intero capitolo di Notes on Recent researches ecc. alla trattazione dell’ in- fluenza degli orli, esponendo elegantemente, mediante le suddette trasforma- zioni, i risultati già ottenuti da Maxwell, ed altri ancora. (1) The elect. researches of the Hon. Hr. Cavendish, F. R. S. 1771-81; F. R. S. Cambridge Univ., 1879, pag. 144. (®) Maxwell, Electricity and Magnetism. (3) Pogg. Ann., Bd. 86. (4) Monatsb:r. der Akad. d. Wiss. zu Ber., v. 15, 1877. (5) Sulla determinazione di «v» ecc. Phil Trans., A. 1890. (°) I. I Thomson, Recent Researches in Electricity and Magnetism, cap. II. ao Anche altri fisici si occuparono incidentalmente di questo argomento; sono da citare, fra essi, O. I. Lodge e R. T. Glazebrook ('), che modifica- rono leggermente la più semplice formola di Maxwell in seguito ad analogie acustiche (cfr. Rayleigh, Suono, v. II, SS 307, 314). In questi ultimi tempi poi, sono comparsi due lavori di Boulgakoff (*) sulla teoria del condensatore piano. Egli ha studiato un condensatore che ha delle parti piane ed è formato da due ellissoidi di rivoluzione appiattiti nelle parti affacciate e coassiali, caricati di quantità eguali d'elettricità e di segno opposto. Le superficie equipotenziali sono state calcolate dall'autore e possono servire per la forma di un condensatore reale. 3. Un condensatore adatto alla verifica dei calcoli teorici dovrà essere anzitutto ad isolamento d'aria per rimuovere, il più possibile, la dispersione; inoltre, sarà bene che esso abbia anche una curvatura costante lungo il con- torno, od almeno sufficientemente grande in ogni suo punto, e che di più il contorno stesso sia privo di parti rientranti. A tal fine è consigliabile di adoperare un condensatore piano a contorno circolare od ellittico, scartando a priori il contorno rettangolare, in cui l'influenza dei vertici si unirebbe a quella degli orli. Queste condizioni sarebbero soddisfatte anche dal con- densatore cilindrico; però, a parte l’assai più grande difficoltà di costruzione esatta e scrupolosa ed il concorso di parecchie cause di errore, quali la mancanza di coincidenza fra gli assi dei due cilindri, la ellitticità delle se- zioni trasversali ecc., il condensatore circolare od ellittico è sempre prefe- ribile come quello che possiede, a parità di capacità, un contorno non piccolo, e che permette di essere più facilmente maneggiato, nonchè facilmente mo- dificato nella grandezza, nello spessore e nella posizione di un piatto ri- spetto all'altro o agli altri piatti. La grossezza del condensatore circolare dovrà essere supposta tale da impedire ogni deformazione del disco sospeso. Per fissare le idee e per ren- dersi conto delle correzioni da introdurre, si supporrà che questo disco abbia un raggio di cm. 15 ed una grossezza di cm. 0,5. 4. Si prendano anzitutto a considerare le formole di Maxwell, e s' in- cominci dalla più semplice: (1) n= & log. 2, dove 4 è la larghezza della « striscia addizionale » e 4 la distanza di due grandi piatti paralleli, fra i quali è posto un terzo piatto che dista egual- mente dagli altri due. I due grandi piatti sono supposti al potenziale V ed il conduttore intermedio al potenziale zero, oppure inversamente. La formola vale tanto per un contorno rettilineo, quanto per uno curvilineo, di cui il (') Cambridge, Phil. Trans., v. 18, 1899. (2) Giorn. della Soc. Fis. Chim. russa, f. 6, 1902; f. 17, 1904. ISO) raggio di curvatura in ogni punto sia grande rispetto alla distanza dei piatti. Applicando quindi la (1) ad un disco circolare di raggio R, si ha subito per la capacità corretta C del disco: 2rRA _ a) o= tei og, Ora, mentre dalla (1) risulta che l'influenza dell’orlo (che deve appunto valutarsi dalla larghezza della striscia addizionale anzichè dalla correzione della capacità) è proporzionale a d, si vede dalla (2) che la correzione è una costante rispetto alla distanza e alla grossezza dei dischi, il che non è invece molto verosimile. Più corrette della (1) e quindi della (2), sono le altre due espressioni per la capacità, date da Maxwell (loc. cit., S 200) per un disco circolare, e cioè: (3) Che Li log. 24 { La (4) = Dl log, 2 + 3 DTA I Sebbene per esse la correzione della capacità non sia più una costante ri- spetto a d, è facile mostrare che per distanze piccole, le espressioni (2), (3), (4) si equivalgono quasi perfettamente. Infatti è: Co -C=0,254 ; C.—C=0,112604 ; C.—C.=0,13739 d; il che significa questo: che mentre l’uso della (2), p. es., introduce per il disco di raggio eguale a cm. 15 una correzione nella capacità equivalente ad una parte su 340, se d= cm. 0,1, e ad una parte su 34 se d= cm. 1; l'uso invece dell'una anzichè dell'altra fra le tre formole, non influisce rispettivamente che di una parte su 45000, o di una parte su 99911, o di una su 81884 se d=cm. 0,1, e rispettivamente di una su 450, su 999, o su 818 parti se invece d=cm. 2. Le divergenze incominciano quindi ad essere rilevanti solo per queste grandi distanze; ma allora nessuna più di quelle tre formole è sicuramente applicabile. 5. Di più, esse non tengono conto della grossezza è del disco centrale; anzi suppongono che essa sia trascurabile rispetto alla distanza fra i piatti. Infatti, se la grossezza fosse rilevante, d andrebbe evidentemente computato in modo diverso. Della grossezza tiene invece conto l’altra formola data da Maxwell: Val) (5) 1 o, —, TT, 2d valevole peraltro soltanto per un orlo arrotondato. Inoltre, dato il modo nel RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. © 2 arca “= cm a È }° i ori <—— ho st - — tt e SS | quale essa suppone contata la distanza, deve essere forzatamente 2 < 4. Ora invece capita spesso il caso in cui, non la distanza d fra i grandi piatti, ma la somma 2d degli spazî d’aria esistenti fra essi ed il piatto centrale sia effettivamente minore della grossezza di questo. In tal caso si potrebbe, es- sendo allora d —d= 20, dare alla (5) l’altra forma più appropriata: (5) À= - log, 2 cos Ti ] che presenta minori inconvenienti di quella di Maxwell. Ma, anche così tras- formata, essa si riduce alla (1), ossia non tiene conto della ui; ogni e costo < 0. db 3 db volta che 20 = 4° È non dice nulla quando 20/0 I] Inoltre, nè la (5), nè la (5') suppongono nulla del modo nel quale può esser fatto l'arrotondamento; e questa è un’altra ragione per dubitare che esse non rappresentino che molto genericamente il fenomeno. Sarebbe anche facile mostrare che 4, cioè l'influenza dell’orlo, cresce con la distanza e, a parità di questa, diminuisce col crescere della grossezza. Ciò, s intende, per uno stesso condensatore o per condensatori eguali. Infatti, scrivendo la (5) come segue: d th al 1og,24£ logo 008 57 ; basta notare che, posto e < 4, il secondo termine varia in modo continuo ed è negativo, e quindi Z diminuisce per 2 crescente; e che è inoltre DIA (I) RR) = (34 cos od © 2d sen al quantità essenzialmente positiva, sempre per 2<4d, e significante perciò che 4 cresce con d. 6. Si consideri ora la formola data da Thomson (!) per l'orlo a sezione rettangolare, di grossezza 5 e valevole per un piatto a contorno rettilineo posto in mezzo a due grandi piatti situati ad una distanza d tra loro, come nei casi precedenti. Si ha allora, sostituendo e trasformando: d a pi Questa espressione non si presta, così come è, ad una fi ne permette, derivandola, di vedere facilmente come cambi 4 col variare di 4 e di d. Si chiami, come prima, d la distanza fra il piatto di mezzo ed uno (1) Loc. cit., $ 237. SEAN], E dei grandi piatti, contata fra le superficie piane affacciate; essendo è sempre la grossezza del piatto intermedio, avremo subito: par, , ossia: d= 204 d. Ono Sostituendo allora nella (6) si avrà: DO 40 o to 120 OT Z= 2rt Se ala 27 logo (20)? Ù e questa può scriversi: MRO: a b(4d + 5) 40 + d 1-5 (log. T 108: of Tor ba 7 ossia i od 4d + d Roi 40 4 d CAS Ca ed infine 20 db 40 (7) —2 log:(2+33) +2 e(1+7). Da questa formola risulta subito che se facciamo crescere o diminuire in- sieme d e d nello stesso rapporto /%, si ha per la striscia addizionale del nuovo condensatore il valore #Z,, dove 4, è il valore di Z per il conden- satore di confronto. In altre parole, se la (6) rappresenta realmente la entità dell'influenza esercitata dall’orlo sulla distribuzione elettrica, quest’ influenza non può essere che proporzionale alla variazione contemporanea e simile della grossezza e della distanza del piatto mediano dagli altri due. È facile, valendosi della (7), vedere come varia 4; infatti, se teniamo costante 4, si scorge subito che il secondo termine del secondo membro cresce e diminuisce con d; inoltre, anche il primo termine varia nella stessa guisa con d, perchè, indicandolo con g, si trova appunto: Digit adn a ad (4046)? d dg 25(125+8) dd n(40 4 dd Quest'ultima quantità è essenzialmente positiva, perchè 4 e d sono quantità esprimenti delle dimensioni; quindi g è crescente con d, ossia 4 cresce col crescere della distanza. po Lo stesso procedimento può ripetersi per 2, lasciando costante d. Infatti i due termini del secondo membro hanno la stessa forma. Risulta quindi che l'influenza dell'orlo sulla capacità di un condensatore a bordo quadrangolare cresce e diminuisce col crescere e diminuire sia della grossezza, sia della distanza dei piatti. Rispetto alla grossezza, l'orlo a sezione rettangolare si comporta quindi a rovescio di quello arrotondato (S$ 5). 7. D'altra parte è da ritenersi che la (7) si possa applicare con suffi- ciente approssimazione ad un contorno curvilineo, purchè il raggio di cur- vatura sia in ogni suo punto assai grande in confronto della distanza fra i piatti. In tal caso, analogamente al procedimento tenuto da Maxwell nel S 196 per la formola (1), si può considerare quel contorno come sensibil- mente rettilineo, e supporre che sul piatto accresciuto di una corona di lar- ghezza 4, la densità sia uniforme ed eguale a quella effettivamente esistente nei punti della parte centrale, e quindi lontani dal contorno. Per la capacità corretta di un condensatore circolare si avrà perciò, rammentando che lo spazio d'aria realmente esistente fra i piatti è 20 e non d, e che 2d0=4— d: © ‘ey catalelta)t ge (a) Da quest’ultima espressione si vede che facendo 9= 0, essa si riduce alla (2), come era da aspettarsi. Inoltre, se è e d cambiano nello stesso rapporto, il secondo termine del secondo membro, che è il termine di correzione per la influenza dell’orlo, resta immutato. Ciò vale evidentemente per contorni di eguale lunghezza ma di forma qualunque, purchè sia rispettata in ogni punto la condizione suesposta e relativa al raggio di curvatura. Per condensatori differenti che abbiano la stessa grossezza e la stessa distanza fra i piatti, o per i quali questi valori siano, respettivamente, proporzionali fra loro, il termine di correzione è pure proporzionale alla lunghezza del relativo contorno. Applicando la (8) al condensatore circolare, per il quale R= cm. 15, b=cm.0,5 e d=0,05 sì ha una correzione di cm. 10,571, che equivale all'aggiunta di una parte su 106. Se si fosse invece usata la (2), computando la distanza nel modo che sopra, si sarebbe aggiunta soltanto una parte su 840; mentre, supponendo di arrotondare l’orlo, e quindi di usare la (399) essa non ci condurrebbe a nessun valore significativo per il termine di cor- rezione cercato, perchè in tal caso, coi dati precedenti, troveremmo: b log, cos > = log, COS (2a + da i SÙ Per un altro disco circolare di em. 0,1 di grossezza, di cm. 15 di raggio, ie troveremmo per d — em. 0,2, applicando successivamente la (5), la (5’) e la (8), i seguenti valori per la correzione della capacità: dalla (5): cm. 3,070, che equivale all’aggiunta di una parte su 91; dalla (5'): cm. 2,931, equivalente all'aggiunta di una parte su 94; dalla (8): cm. 6,494, che equivale all’aggiunta di una parte su 43. Da quest ultimo esempio si scorge quanto sia piccola la differenza fra i risultati ottenuti mediante la (5) e la (5’), e quanto sia invece rilevante quella fra i risultati precedenti e quello ricavato dalla formola (8). Il che, mentre conferma le considerazioni precedenti, consiglia di fare una verifica sperimentale per vedere se veramente la (8) sia la formola che meglio rap- presenta la cosa, e per sapere con qual grado di precisione essa può venire applicata. 8. Una prima verifica della (8), come pure delle altre formole (1), (5), (5'), può essere fatta indipendentemente dalla conoscenza della capacità vera, e può servire a vedere se la (7) sia realmente applicabile ad un contorno curvilineo per il quale sia soddisfatta la condizione posta relativamente al raggio di curvatura; ed in caso affermativo, può anche farci sapere per quali valori non troppo piccoli della distanza, la (7) e le altre siano con sufficiente approssimazione applicabili. Si supponga perciò di ritagliare da una stessa lastra metallica, perfet- tamente piallata o tornita su ambe le faccie, due dischi di area esattamente equivalente, di cui l'uno abbia contorno circolare, l’altro ellittico. Si con- trollino con lo sferometro e con ogni altro strumento di misura, e si formi con ciascuno di essi un condensatore da usare, occorrendo, anche con anelli di guardia. Indicando con /, e Z, le lunghezze dei due orli, con R il raggio del disco circolare e con 4 e d i semiassi di quello ellittico, con d la co- mune distanza contata nel solito modo, con Z la larghezza della striscia addizionale data da una'qualunque delle formole precedenti, e con C, e 0, le capacità corrette e relative ai due condensatori, sarà: o Tab + hd o TRET lA “e e Mg e (e 1)4 Calo And Ora è: LL (1.3 Ì VA2760) 1-(5°) (2.9) mi; L=2nR=2n|/ab=2ra)/1— è, e quindi: AA 8 .\ (0) ot 35} (50) —3(74°) pietà Sa (7, Detta 4 la capacità dell’elettrometro e dei fili di congiunzione fra esso e l’uno o l'altro condensatore; detto V il potenziale di carica; V,, il poten- ziale assunto dall’elettrometro, dai fili e dal condensatore ellittico; V,, il potenziale assunto dallo stesso elettrometro, dagli stessi fili e dal conden- satore circolare; allora, se le formole in esame o soltanto alcune di esse esprimono con sufficiente esattezza le capacità dei condensatori, sarà: CV= (C+ 4) Ve, CEV= (C+ 4) Ver dalle quali, sostituendo prima ai potenziali V,V,,V, le deviazioni 4,4,,4 direttamente osservate all’elettrometro, e poi risolvendo e sottraendo, si avrà: 4, 4, ie) Questa espressione, se confrontata con la (9), dà subito: a Oc. Reale ed 4: ) cl(ge) —ii_e| sn pi — ° ma % è una costante, e quindi se le espressioni di Z sono esatte, deve esistere proporzionalità fra il termine in parentesi del secondo membro, che diremo Q, ed il primo membro, e ciò qualunque sia il valore di d, purchè non eccessiva- mente grande. Ossia, dati due valori di d, d' e 0", dovrà essere anche: , » A QU R = È In altra Nota esporrò altre considerazioni sull'influenza degli orli in un condensatore circolare, privo oppure munito di anello di guardia. Fisica. — Sulla radioattività dei fanghi termali depositati dalle acque degli Stabilimenti dei Bagni di Lucca (Toscana). Nota del dott. G. Maori, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica terrestre. — Sulla misura della velocità di propaga- zione delle perturbazioni sismiche in rapporto alla sismometria razionale. Nota di V. MonTI, presentata dal Corrispondente A. BAT- TELLI. Per quanto la misura della velocità superficiale di propagazione delle perturbazioni sismiche sia sempre stata considerata come argomento pieno di difficoltà, queste appaiono tuttavia ancor più gravi di quanto si è finora, a ciò che mi consta, pensato, se i sismogrammi che servono di base alla misura vengano considerati da un punto di vista rigorosamente razionale. Prendere i diagrammi forniti da due Osservatorî, scegliere in essi dei tratti corrispondenti, determinarne gl'istanti relativi ad assumere la diffe- renza tra questi come uguale al tempo che una certa fase della perturba- zione ha impiegato per propagarsi da un osservatorio all’altro, tutto ciò sa- rebbe abbastanza facile e logico se non fosse necessario alcun lavoro di riduzione per risalire dai sismogrammi al movimento vero del suolo, o se, quanto meno, le riduzioni relative ai due osservatorî si elidessero a vicenda. Per mostrare che così non è, io considererò un caso particolare, che, per quanto si presenti subito con qualche complicazione, è il più semplice che si possa immaginare. Si supponga una perturbazione tale che le particelle del suolo compiano delle vibrazioni orizzontali, rettilinee e parallele; la forza sia proporzionale allo spostamento, e le vibrazioni sì vengano smorzando sotto l'azione di una resistenza proporzionale alla velocità. ‘ Preso come asse delle 4 una retta parallela alla direzione delle vibra- zioni, per una particella qualunque ha luogo, com'è noto, l'equazione diffe- renziale (1) d'4 ded 4 na=0, essendo e ed 7 due costanti, la prima delle quali dipende dalla resistenza che produce lo smorzamento. Supporremo 7 > «, con che la (1) corrisponde ad un moto oscillatorio di ampiezza decrescente. Supponiamo adesso che, nel luogo stesso dove ha luogo tutto ciò, si trovi un pendolo orizzontale funzionante secondo la direzione delle x. Come ha mostrato B. Galitzin ('), l'equazione differenziale del moto dello stru- mento si può scrivere nella forma (2) XL 2e,X+mX+2"=0. (IC. R. de la Comm. Sismique permanente ; St. Petersbourg, 1902, 1904. CES Ip Qui X è l’ordinata del diagramma corrispondente all’epoca #;, e n, sono due costanti dipendenti dallo smorzamento, dalle dimensioni e dalla figura del pendolo. Supporremo x, > «1, cosicchè le oscillazioni strumentali siano di ampiezza decrescente senza che abbia luogo l’aperiodicità. Queste corrispondono all'equazione differenziale X"A 26, X'+n,X=0 il cui integrale generale è (3) X= Ae sen(pt + a) essendo pi V ni sì. Per applicare alla (2) il metodo della variazione delle costanti arbitrarie, scriviamo la (3) nella forma X= Ce! sen pi + Ca e cos pi, e, posto Wie sen pi We—'esticosipi5 risolviamo il sistema delle due equazioni algebriche: Ce ON — 20: Viene (4) ci= — È et cos pi p (5) 0 n ef: sen pi. Per avere C, e C., occorre notare che, per n>8, x" = e7(Psengi — Q cos 97), essendo P,Q,g costanti dipendenti da «. Allora: Ci= -; [efec sen gt cos pt di — Q | e" cos gt cos pi di | C,= DI fer sengt sen pi di — Q | e" cos gt sen pi d | ; A essendo m =, —s. Fatte le operazioni indicate, e posto Dbg=h i p_q=k; IEEE Pas; 0 PA_Qm_; (PID PERTS aim 1 nale km? sì ha per integrale generale della (2) et x=_ ile sen hl — $ cos hi — y sen kt + d cos | sen pi + +|6 sen hl + @ cos h4 — d sent — y cos | cos pL| 5 la quale, perchè per t=0,X=0, dà 1 o: ossia CO cosiechè (ORE az | e(Sen ht — senkt) — f cos ht 4- d cos ki | sen pt + 2p | "e |A sen hf — d sen kt + a(cos ht — cos kt) | cos pi 7 La (6) mostra che il tracciato del pendolo orizzontale risulta dalla so- vrapposizione di un certo numero di curve sinuose. Derivando la (6), ponendo uguale a 0 la derivata e risolvendo rispetto a #, si avrebbero le epoche dei massimi e dei minimi del tracciato, le quali, come si vede subito, ven- gono a dipendere da =. Così le fasi del tracciato del pendolo orizzontale dipendono dal va- lore che lo smorzamento delle oscillazioni telluriche ha nel luogo dove il pendolo orizzontale si trova. Ne segue che se la perturbazione sismica si propaga dal punto consi- derato a un altro ove sia collocato un secondo pendolo orizzontale, e ove, per la diversa costituzione geologica del suolo, e abbia un valore diverso dal primo punto, la rassomiglianza fra i tracciati dei due pendoli sarà pura- mente apparente e i loro massimi e minimi saranno spostati in modo diffe- rente rispetto ai massimi e minimi della perturbazione sismica. Nulla si potrà dedurre dal confronto dei due tracciati sulla velocità di propagazione delle diverse fasi della perturbazione sismica, perchè i due valori di s sono, com'è evidente, ignoti. RenpIcoNTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 3 Pe pio — L'unico modo possibile per arrivare alla conoscenza della detta velocità è quello di costituire degli Osservatorî geodinamici forniti di una combina- zione di strumenti appropriati a risolvere il movimento del suolo in tre spostamenti paralleli ad una terna di assi coordinati ortogonali e nelle tre rotazioni intorno agli assi stessi per ogni istante della perturbazione; rico- struire sui tracciati di tali strumenti il moto vero del suolo, e paragonare finalmente la ricostruzione ottenuta in un Osservatorio con quella ottenuta in un altro. | A proposito di queste combinazioni di strumenti è noto che M. Con- tarini (!) e B. Galitzin (*) ne hanno proposte diverse, il primo partendo esclu- sivamente dagli strumenti già in uso, il secondo introducendone dei nuovi. Su tali proposte giova fare alcune osservazioni. I. Benchè gli Autori insegnino il modo di determinare sperimentalmente le varie costanti da introdurre nelle equazioni differenziali relative al movi- mento di ciascuno strumento, col far oscillare lo strumento stesso in assenza di ogni perturbazione sismica, tuttavia l'attrito delle penne scriventi contro la carta avvolta sul tamburo (nel caso della registrazione meccanica) non si può determinare a questo modo perchè, come già notava il Contarini stesso, esso varia da punto a punto del tracciato. Lo stesso dicasi dell’ef- fetto della tensione superficiale dell'inchiostro scendente dalle penne sulla carta. Per evitare l'introduzione nei calcoli di grandezze di cui non sì sa precisare il valore, o, quanto meno, per ridurne l’importanza al minimo possibile, gioverebbe, se non si vuole ricorrere alla registazione fotografica, adottare il sistema di registrazione in uso nei Microsismografi Vicentini, che rende minimo l'attrito e sopprime l’effetto della tensione superficiale del- l’ inchiostro. Il. Lo stesso sistema di registrazione si raccomanda anche per l'estrema sottigliezza dei tracciati. È infatti questa una condizione indispensabile affin- chè si possano fare delle misure di grande sensibilità sui tracciati stessi, come si richiedono per sapere quale funzione del tempo sia l'ordinata, e risalire quindi alle derivate prima e seconda di tale funzione, necessarie per le equazioni differenziali atte a fornire il moto vero del suolo. III. È bene evitare l’uso di pendoli verticali troppo lunghi, perchè su questi può avere un'influenza perturbatrice l'elasticità degli alti fabbricati da cui pendono, come già notava il Burgatti (*). Nè siffatta influenza si può misurare col fare oscillare il pendolo in assenza di ogni perturbazione sismica, perchè le onde elastiche che a questo modo sì propagano dal punto d'attacco al fabbricato sono evidentemente diverse da quelle che, partendo dal suolo, arrivano, pel fabbricato, al punto d'attacco quando si verifichi una perturbazione sismica. (1) Rend. dell’Acc. dei Lincei, 1901, 1902. (2) Loc. cit. (3) Rend. dell’Acc. dei Lincei, 1900. Ein Fisica terrestre. — /sultati pireliometrici ottenuti dal 22 agosto a tutto giugno 1903 al R. Osservatorio Geofisico di Modena. Nota di Ctro CHISTONI, presentata dal Socio P. BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Su taluni derivati del pirazolo (*). Nota di Gax- TANO MIinuNNI e G. LAZZARINI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. In una Nota (?) comunicata all'Accademia da uno di noi nella seduta del 5 novembre u. s., furono esposti sommariamente i risultati teorici delle ricerche da noi intraprese sull’azione dell'etere acetoacetico sui fenilidrazoni delle aldeidi aromatiche in presenza di cloruro di zinco. Questa reazione ha luogo fra una molecola di etere acetoacetico ed una molecola di idrazone con eliminazione di una molecola d’acqua e di due atomi di idrogeno. Il prodotto di condensazione, C,9 Hig0: N, che si ottiene dal benzalfenilidra- zone secondo l'equazione: Cis HaN: + Ce Hio 0g = Cio Hs0» N + H.0 + H, fu riconosciuto identico all’'elere etilico dell’acido 5-metil-1.3-difenilpirazol- 4-carbonico di Knorr e Blank (8). In modo analogo procede la reazione con gli altri idrazoni finora stu- diati. cioè coi fenilidrazoni delle aldeidi nitrobenzoiche (meta e para) e del- l'aldeide salicilica. In questa Nota ci proponiamo di descrivere brevemente le esperienze eseguite e le proprietà dei composti pirazolici ottenuti secondo il nuovo metodo sintetico. I composti derivanti dai nitrobenzalfenilidrazoni e dall'o-ossibenzalidrazone erano finora sconosciuti. I. — dcido 5-metil-1.3- difenilpirazol- 4- carbonico, N.C6H; HOOCC0:0H,° L'etere etilico di questo acido, ottenuto per la prima volta da L. Knorr ed A. Blank (4) per azione della fenilidrazina sull’etere acetbenzalacetico, (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica farmaceutica e tossicologica della R. Uni- versità di Sassari. (2) Rendiconti, vol. XIV, 2° sem. 1905, 414. (3) Berichte /8, 932. (4) Loc. cit. OEZE sì può preparare in modo più semplice per azione dell'etere acetoacetico sul benzalfenilidrazone. In un palloncino munito di canna ascendente si riscalda un miscuglio di 10 gr. di idrazone, 10 gr. di etere acetoacetico ed alcuni pezzetti di cloruro di zinco, per circa due ore a 125-130° in bagno di pa- raffina. Verso 110° l’idrazone incomincia a sciogliersi; contemporaneamente si inizia uno sviluppo di gas che diviene verso i 125° assai vivo. La rea- zione si mantiene intensa per circa mezz'ora, poi diminuisce rapidamente. Dopo il raffreddamento si ottiene una massa rossastra, semisolida, limpida ed amorfa, che a contatto dell'alcool si trasforma lentamente in una polti- glia di cristalli. Per la purificazione del prodotto conviene aggiungere alla massa ancora calda e fluida un egual volume di alcool e riscaldare fino ad avere una massa uniforme, la quale dopo circa 24 ore si trasforma in una densa poltiglia di cristalli. Si filtra, si lava ripetutamente alla pompa con alcool e si cristallizza dall'alcool caldo fino a punto di fusione costante. La composizione della sostanza corrisponde a quella dell’etere etilico di un acido metildifenilpirazolcarbonico. Infatti : I. gr. 0.24380 di sostanza fornirono gr. 0.1325 di acqua e gr. 0.6672 di anidride carbonica; II. gr. 0.2297 di sostanza fornirono gr. 0.1257 di acqua e gr. 0.6304 di anidride carbonica; III. gr. 0,2708 di sostanza diedero 21.9 cm? di azoto misurati alla pressione di 736.0 mm. ed alla temperatura di 14.5°; IV. gr. 0.2442 di sostanza diedero 19.7 cm? di azoto misurati a 14.5° ed a 734 mm. di pressione. In 100 parti: Calcolato per Trovato TT gt ——__s con iposolfito Na purissimo, venne prima conservata per circa venti giorni nel buio, allo scopo di per- mettere che tutto l'acido carbonico contenuto nell'acqua distillata esercitasse quella decomposizione che è causa in principio di una rapida variazione di titolo della soluzione stessa. È noto infatti che l’acido carbonico reagisce coll’ iposolfito Na nel seguente modo: Na», So, (07 + DIES CO; ai 2Na HCO; + H, S, 0; EIISS 05=#H3 SO; +- S per cui il titolo va lentamente aumentando perchè l’acido solforoso che si (1) Treadwel, Analytisch. Chem., III, Aufl., pag. 473. (2) L’ impiego dell’ H, SO, è da evitarsi perchè 1’ Idopo qualche ora rimane inqui- nato di tale acido; il grasso dell’essiccatore viene facilmente intaccato dai vapori d’Iodio, con formazione di acido iodidrico, che può inquinare 1’ Iodio. Pe 9) forma consuma più iodio che non la quantità di acido iposolforoso da cuì esso deriva. H; SO; + 21+4- H,0=2HI+- H,S0,, mentre cono 2Nas NE 0; + 5 === 2Na I + Na, S, (07 (O) In un piccolo tubo per pesata con tappo a smeriglio a perfetta chiu- sura, si introducono 2, 2,5 gr. di KI purissimo e 4 cm? di acqua distillata, si chiude e si pesa esattamente. Quindi si aggiungono gr. 0,35-0,45 di Iodio puro, si chiude e si pesa nuovamente. La differenza mi dà il peso di Iodio. L'Iodio si scioglie in tal modo quasi istantaneamente nella soluzione concentrata di ioduro di potassio. Si fa quindi cadere il tubo in un pallone di Erlenmayer, della capacità di circa 500 cm? e contenente 200 cm di acqua distillata più un grammo di ioduro potassico. Si toglie il tappo al momento dell’ in- troduzione, e si fa cadere dentro contemporaneamente al tubo. In questo modo ogni perdita di Iodio è evitata. Si fa quindi gocciolare entro al pal- lone la soluzione di iposolfito da una buretta di Baudin, fino ad ottenere una colorazione giallognola. Si aggiungono allora 2-3 cm? di salda d'amido e si continua a far agire a goccia a goccia la soluzione di iposolfito fino a che la colorazione da bleu diventa ametista e poi sparisce completamente. La salda d’amido venne preparata nel seguente modo (2): 5 gr. d'amido vennero triturati finemente e spappolati con pochissima acqua fredda. Si versò poi lentamente il miscuglio in un litro di acqua bollente contenuta in una capsula di porcellana. Si prolungò quindi per 2 minuti ancora l'ebollizione, si lasciò raffreddare e riposare per una notte. Si filtrò la soluzione in tanti tubi da saggio; i quali vennero collocati in bagno maria, e riscaldati per circa due ore, e chiusi quindi con ovatta sterilizzata, prima di toglierli dal bagno. In questo modo sterilizzata, la salda d'amido si conserva per lungo tempo e manifesta sempre la bellissima colorazione bleu come se preparata di fresco. i In queste titolazioni poi ebbi sempre l'avvertenza, sia nel caso dell’ im- piego dell’ iodio per titolare la soluzione, sia nelle determinazioni di Iodio dopo l'elettrolisi, di conservare sempre presso a poco la stessa diluizione, perchè come è noto (3) colla stessa quantità di ioduro e diverse quantità di liquido possono essere richieste quantità diverse di Iodio per ottenere la co- lorazione bleu. Ad ogni determinazione poi facevo una titolazione di confronto (‘) La soluzione di iposolfito era conservata al buio, perchè altrimenti il suo titolo va poi continuamente diminuendo. (2) Treadwel, 1. cit. (3) Treadwel, 1. cit. PISO della soluzione di iposolfito, per constatare se il titolo di questa fosse rimasto costante. Le pesate tanto per l’Ag come per l’I vennero sempre ridotte al vuoto. Per l'I assumendo come p. es. il numero 4,933 (2) venne introdotta per ogni grammo apparente la correzione + 0,000102 gr. L'ioduro potassico fornitomi dalla casa Erba era purissimo e non ebbe bisogno di speciali trattamenti. La concentrazione della soluzione da me im- piegata fu ordinariamente al 10°/,, ma ho potuto constatare, che anche va- riando entro larghi limiti la concentrazione, purchè non si raggiunga una diluizione eccessiva, i risultati non vengono punto influenzati (!). Una speciale attenzione ha richiesto la determinazine del voltaggio op- portuno, per evitare lo sviluppo di ossigeno all’anodo. Nelle condizioni del mio apparecchio questo non doveva altrepassare i 6 Volt durante l'esperienza, (ordinariamente tre accumulatori) altrimenti si correva pericolo di avere svi- luppo di ossigeno, e quindi si avevano risultati sensibilmente inferiori. L' in- tensità media di corrente impiegata fu di A: 0,005-0,002. Le pesate ven- nero eseguite con un'ottima bilancia Sartorius, a braccia corte della portata di 100 gr. e della sensibilità di 1/,, di mmgr. Tutti i pesi vennero prima controllati. L'acqua era stata prima distillata in presenza di una soluzione alcalina di permanganato potassico, quindi ridistillata in alambicco di stagno, rifiutando le prime e le ultime porzioni. Ogni determinazione richiedeva tre giorni, due circa per l’elettrolisi, l'altro per lavaggi, essiccazione, conservazione nel vuoto e pesate. Come si disse nel mio citato lavoro, tutti gli apparecchi erano diligentemente isolati dal tavolo di lavoro, ed i due voltametri ad Ag, e l'apparecchio di elettro- lisi erano riuniti in serie mediante fili aerei dal sertafilo di partenza a quello di arrivo della corrente dal quadro distributore dell'elettricità. Nella seguente tabella riporto i risultati delle determinazioni eseguite. (!) Ladenburg, Ber. Deut. chem. Gesell. 35, 1256. P—@—@PPPERRERMI\ = Argento Argento Media Ag Peso del- | Peso atomico ; 5 Durata deposto deposto corretta nel | 'Iodio cor- | .dell' Iodio Medie ì E in rapporto Media finale È FAMTOre nel nel vuoto e per retto all’Ag = parziali I voltametro | II voltametro | l'acqua madre | nel vuoto 107,93 1 8:/.| 0,18055 | 0,18060| 0,18054| 0,21230 | 126,92 — aa ONES] 0,2187 | 0,213 0,21860 | 0,251309| 126,98 8.| 16 0,2311 | 0,2310 | 0,23103 | 0,27181| 126,90 — 126,886 DU LE 0,2403 | 0,2399 | 0,24005 | 0,28213 | 126,85 5 | 9:/| 0,15460| 0,15455| 0,15454| 0,18167| 126,85 6 | 16 0,25985 | 0,25965 | 0,2597 | 0,30515| 126,82 — 7 8 9 91/,| 0,1628 0,16235 | 0,16229 | 0,19080 | 126,89 —7 29 0,30095 | 0,30115 | 0,300988| 0,35411 | 126,98 11 0,2682 0,2683 | 0,26819 | 0,31528 | 126,88 LL 126,903 10 ”» 0,25885 | 0,2588 | 0,25877 | 0,30425| 126,90 IRE 0,2444 0,24415 | 0,24422 | 028703 | 126,85 12 9 0,20835 | 0,2085 0,20838 | 0,24516 | 126,92 | 13 | .16 0,25055 | 0,2505 | 0,25047 | 0,29445 | 126,88 — 14 ” 0,2028 0,2026 | 020266 | 0,23826 | 126,89 | 15 9 0,18815 | 0,18325 | 0,18316 | 0,21533 | 126,89 ess TGA Mod 0,37285 | 0,37285 | 0,87278 | 0,43809 | 126,84 | 120 0,28225 | 0,2823 | 0,28221| 0,33207 | 126,90 i3nn22 0,2584 0,2582 0,2582 0,30356 | 126,89 _ 19 | 36 0,3397 0,8397 | 0,33963 | 0,39923 | 126,88 — 20 » 0,3349 0,8346 | 0,83461 | 0,39345 | 126,91 21 » 0,3362 0,33595 | 0,3360 0,39502 | 126,89 L 126,890 22 | 34 0,3704 0,37025 | 0,87025 | 0,43526 | 126,88 | 23 | 31 0,3084 0,3084 | 0,30824 | 0,36233 | 126,87 24 | 36 0,36395 | 0,3640 | 0,36390 | 0,42789 | 126,91 | 126,89 Discussione dei risultati ottenuti. Dalla tabella riportata nella pagina precedente si deduce come media - aritmetica delle determinazioni il numero 126,89 (0 = 16) come peso atomico dell’ Iodio. Nel fare tale media io ho creduto più opportuno sommare i singoli va- lori dei pesi atomici ottenuti e dividere il numero finale per il numero delle esperienze, anzichè sommare le quantità di Ag e di I trovate in ogni singola esperienza e stabilire il rapporto fra le somme ottenute. A quest'ultimo si- stema si attennero Lothar Meyer e il Seubert (') nei loro calcoli ritenendolo più sicuro del primo, poichè le determinazioni eseguite con maggior quantità di materia e quindi presumibilmente più esatte vengono ad avere una pre- ponderanza nel calcolo. Ma il Clarke (*) non trova del tutto giustificato que- st'ultimo metodo di calcolo, perchè gli errori probabili dovuti alle pesate diminuiscono è vero proporzionalmente con l'aumentare della sostanza, ma sono in realtà piccolissimi con gli apparecchi moderni, mentre assai maggiori sono quelli dovuti a cause diverse; perchè p. es. anche le minime traccie di impurezze contenute nelle sostanze impiegate vengono ad aumentare in tal caso la portata della loro influenza. La media erdinaria quindi di una serie di osservazioni, con la sua misura di concordanza, cioè l'errore probabile, val meglio (8) del numero ottenuto calcolando come il Lothar Meyer e il Seubert. Il tentativo però di potere con questo metodo arrivare ad un peso ato- mico dell’ Iodio superiore a quello del Tellurio è dunque completamente fallito, ed un'altra prova è quindi venuta ad avvalorare la grave obbiezione che con tale elemento viene fatta alla classificazione del Mendeleefi. Non solo, ma anzi il risultato delle mie esperienze mi condurrebbe a ridurre di circa */,0 di unità il valore trovato dagli ultimi sperimentatori (126,98), per avvici- narmi invece ancora una volta al numero dedotto dalle esperienze classiche dello Stas. Quantunque non si possa escludere in modo assoluto che qualche errore si sia fatto strada ad onta delle delicate precauzioni prese, nei valori ottenuti dallo Stas, sembra però assai probabile che questo errore sia di grande entità quando si rifletta alla straordinaria abilità e pertinacia del- l’esperimentatore, e alle numerose e severe verifiche a cui un tal valore era stato sottoposto prima che gli ultimi sperimentatori, il Ladenburg, lo Scott ed il Baxter arrivassero in seguito alle loro determinazioni all’ I= 126,98. Inoltre il fatto che tali scienziati hanno dovuto riferirsi nel loro calcolo, come fece lo Stas, oltre che al peso atomico dell'’Ag, a quello del cloro e del bromo, non rende improbabile che un piccolo errore da cui possono essere affetti i pesi atomici di tali elementi, determini un errore poi sul peso ato- mico dell’ Iodio da quelli dedotti. D'altra parte uno studio accurato dei pro- cessi adottati da tali autori (non ostante la straordinaria difficoltà che pre- sentano tutte le numerose operazioni di purificazione, lavaggio, filtrazione, essiccamento), non lascerebbe adito ad alcun dubbio che le precauzioni prese siano anche in questo caso tali da ritenere certo il loro risultato, e quindi che il numero dello Stas sia alquanto inferiore al vero; e ad avvalorare questa ipotesi più probabile concorre anche il fatto che le ultime determinazioni del (0) Die Atomgewichte der Elemente, pag. 4. (2) A recalculation of the atomic weights, pag. 5. (3) Piccini, Determinazione dei pesi atomici. Enciclopedia chim., vol. I, pag. 817. ReNnDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 5 Pag peso atomico del cloro, fatte dai signori Richard e Wells (') conducono a mo- dificare il numero 35,45 ammesso fin qui, nel numero 35,473. Ma d'altra parte non può sembrare non sintomatico il fatto che il La- denburg mentre nella trasformazione dell’ ioduro di argento in cloruro me- diante il cloro gassoso ottiene I = 126,96, colla sintesi dell’ ioduro di argento ottenga invece I= 126,86, numero analogo a quello ottenuto dal Marignac e Stas collo stesso metodo, numero infine che si avvicina di più a quello da me ottenuto 126,89. E mi pare che questo sia il procedimento analitico che meglio si presta ad essere messo in confronto col metodo elettrolitico da me impiegato, perchè anche nel mio caso il rapporto si fa semplicemente fra argento e Iodio. Comunque sia, io non posso e non voglio escludere che delle piccole cause d'errore non possano avere influito sui miei risultati, e che il mio va- ‘ lore possa essere alquanto inferiore al vero. Non è improbabile infatti che io possa non avere avvertito un piccolissimo svolgimento di gas all’ anodo, quantunque le precauzioni prese siano sufficienti per escluderlo, non è impro- babile inoltre che la formazione d'una traccia minima di ipoiodito e di iodato possa aver determinato una piccola causa d'errore, quantunque le ricerche analitiche di tali sostanze eseguite ogni volta nella. soluzione anodica, ne abbiano sempre esclusa la presenza. Non è improbabile infine che l’I si separi in minima parte anche allo stato di ione polivalente, ciò che del resto sembra poco verosimile. Io propenderei quindi a ritenere dai risultati delle mie esperienze, come alquanto elevato il peso atomico dell’ Iodio dedotto dai signori Ladenburg, Scott e Baxter, ed affermo d'altra parte con certezza che il peso atomico dell’ Todio non può essere inferiore a 126,89. In quanto che le eventuali piccole cause d'errore sarebbero nel mio caso sempre d'ordine sottrattivo, e quindi il valore 126,89 è il valore minimo che si deve adottare. Può darsi che ulteriori ricerche confermino questo mio modo di vedere. Del resto m' in- teressa far rilevare come i valori ottenuti con questo metodo concordino sod- disfacentemente fra loro, in modo da permettere con esso la determinazione del peso atomico di un elemento, qualora naturalmente si possa escludere ogni causa d'errore. Che se vogliamo spingerci poi anche nel campo delle applicazioni, mi pare che il piccolo apparecchio ideato per queste esperienze, di semplice e facile costruzione, potrebbe venire utilmente impiegato come voltametro a tito- lazione di Iodio, per piccole e grandi intensità di corrente. Riassumendo, le conclusioni che si possono trarre dal presente lavoro sono le seguenti : 1) Il peso atomico dell’ Iodio determinato in base alla legge di Fa- raday sarebbe = 126,89 (0= 16). (*) Richard e Wells, Pubblication of the Carnegie Institution, n° 28, (1905). n A 2) L'Iodio nelle soluzioni di ioduri sì comporta sempre come ione monovalente. 8) L'apparecchio impiegato in queste determinazioni può venire adot- tato come voltametro a titolazione di Iodio fino a tanto che non si abbia svolgimento di ossigeno. Ad un equivalente di Iodio (126,89) corrispondono 96537 Coulomb. Chimica. — £Eterificazione del y-piridone con diazoidrocar- buri grassi. Nota di A. PERATONER ed E. AzzARELLO, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Prodotti di condensazione dell’acido rodaninico colle aldeidi. Nota di G. BARGELLINI, presentata dal Socio E. PA- TERNÒ. Nencki nel 1877 (') facendo reagire insieme acido monocloracetico e solfocianato ammonico ottenne un composto, che chiamò acido rodaninico, della formula 03 H3 Sì NO al quale, specialmente in base alla sua decompo- sizione, per azione degli alcali, in acido solfocianico e acido tioglicolico (?) assegnò la formula strutturale CH, : SH | CO - S. CN Studi ulteriori di Liebermann e Lange (*) attribuirono a questa sostanza, per la sua analogia colle tioidantoine e coi tiouretani, la formula CH,—S N | pes COSNEH formula che fu poi dimostrata definitivamente dalle tre eleganti sintesi che Miolati (4) fece di questo composto. Nel corso delle sue ricerche su questa sostanza per stabilirne la costi- tuzione, prima che essa fosse dimostrata da Miolati, Nencki notò che l'acido () Nencki, J. fir prak. Ch. (2) 16, 1. (2) Nencki, B. 17, 2279. (8) Liebermann e Lange, B. 12, 1594. (4) Miolati, A. 262, 82. logo rodaninico dà prodotti di condensazione colle aldeidi. Di questi prodotti fu studiato da Nencki soltanto l'acido etilidenrodaninico, ottenuto dall'aldeidam- moniaca CHBeH= 0g Nos | CO—NH7 e l'acido benzilidenrodaninico, ottenuto dall’aldeide benzoica CIMSCH=-C 3 1 | Vos CO-NH7 Bondzynsky (!) dall’acido benzilidenrodaninico, per riscaldamento a b. m. con soluzione di idrato di bario, ottenne l'acido solfidrilcinnamico che si forma secondo la reazione: Î )s+H0= Î + HSCN CO-NH CO OH Fu dapprima mio pensiero di studiare questa decomposizione in altri simili prodotti di condensazione e tentar di passare dall’acido solfidrilcinna- mico all'acido cinnamico corrispondente. Questa reazione mi dava la spe- ranza, partendomi da varie aldeidi aromatiche, di ottenere con un metodo generale di preparazione i corrispondenti acidi cinnamici. Fra le altre avrei potuto così fare nuove sintesi della cumarina (dall’aldeide salicilica), dell’ um- belliferone (dall’aldeide resorcilica), dell'acido caffeico (dall’ aldeide proto- catechica), dell'acido ferulico (dalla vaniglina), dell'acido esperetinico (dal- l’isovaniglina) ecc. ecc. Ho già cominciato a fare ricerche su questo argomento, ed ho ottenuto per ora resultati soddisfacenti sui quali mi riserbo di far presto una comu- nicazione. Prima però di andare avanti, ho creduto opportuno studiare sistemati- camente questi prodotti di condensazione che l'acido rodaninico fa colle al- deidi: e a tale scopo ho cominciato a preparare i prodotti di condensazione dell’acido rodaninico con diverse aldeidi aromatiche, usando come mezzo con- densante l'acido solforico concentrato e l'acido cloridrico concentrato. Tutti i prodotti di condensazione che ho preparati, come. l'acido benzili- denrodaninico di Nencki, hanno proprietà acide. Aggiungendo soluzione al- coolica di acetato di piombo alle loro soluzioni alcooliche, si precipitano i respettivi sali di piombo giallognoli o giallo rossastri. Versando soluzione (1) Bondzynsky, M. 8, 349. SORA di nitrato d'argento ammoniacale nelle loro soluzioni alcooliche, si precipi- tano i respettivi sali di argento gialli o rossastri, che divengono più scuri alla luce. Tutti i prodotti che ho ottenuti e che descrivo nella Nota presente, si sciolgono facilmente nelle soluzioni, anche diluite, di soda. Però le soluzioni gialle o rosse dopo un certo tempo, lasciandole a sè, e più rapidamente con un blando riscaldamento, perdono il colore primitivo, indizio certo di alte- razione che il prodotto ha subìto per opera dell’alcali. La medesima altera- zione si ha più facilmente ancora, usando una soluzione di soda concentrata. Alcuni di questi prodotti che io descrivo erano già stati ottenuti ed io non ho fatto altro che ripeterne la preparazione, per imparare meglio a conoscerli prima di proseguire nello studio sistematico della loro decompo- sizione per opera della barite. Nencki (') aveva già avvertito che anche l'aldeide salicilica e l’aldeide p.ossibenzoica dànno composti di condensazione coll’acido rodaninico, ma non li descrisse affatto e non ne riportò neppure il punto di fusione. Bondzynsky (*) in seguito preparò i prodotti di condensazione colle aldeidi orto- e para- nitro-benzoica. Infine Zipser (*) e Andreasch e Zipser (4) prepararono quelli coll’aldeide salicilica, l’aldeide anisica, l’aldeide cinnamica e il piperonalio. Dapprima mi sembrò inutile fare uno studio particolareggiato dei composti già ottenuti da Zipser e Andreasch; ma, avendo io ripreparato il prodotto di con- densazione dell'acido rodaninico coll’aldeide salicilica ed avendo trovato che il suo punto di fusione costante è 218°-219°, cioè molto più alto di quello che riferisce Zipser, volli riprepararli tutti, usando come mezzo condensante l'acido solforico o l'acido cloridrico, e per giunta sottoporli all'analisi per accertarmi della composizione dei composti ottenuti da me: e le analisi delle mie sostanze mi hanno dato numeri pienamente concordanti. Il prodotto di condensazione dell’acido rodaninico coll’aldeide anisica, che io ho ripreparato usando come condensante l’ acido solforico, come quello di Andreasch e Zipser, si fonde decomponendosi fra 230° e 242°. Il prodotto che io ho ottenuto per condensazione dell’acido rodaninico col- l'aldeide cinnamica si fonde costantemente a 220°-221° decomponendosi, mentre Zipser per il suo prodotto riporta il punto di fusione 211°; il pro- dotto di condensazione col piperonalio che, secondo Andreasch e Zipser, co- mincia a 245° a decomporsi senza fondere, a 255° è ancora giallo e per- fettamente inalterato: soltanto a 256°-258° si decompone. Io credo quindi che i prodotti preparati da Zipser e Andreasch non siano stati sufficiente- (*) Nencki, loc. cit. (*) Bondzynsky, loc. cit. (3) Andreasch e Zipser, M. 24, 499. (*) Zipser, M. 23, 958. mente puri: e questo sì spiega pensando che essi hanno usato come conden- sante la soda e che la soda appunto scompone abbastanza facilmente tutti questi prodotti di condensazione, come ho detto più avanti. Colle aldeidi grasse e coi chetoni, sia grassi che aromatici, ho fatto per ora soltanto qualche assaggio, usando come condensante l’acido solforico o l'acido cloridrico. Dai tentativi che ho fatto, però, mi risulta che coll’acido rodaninico non sì condensa nessuno dei seguenti composti: aldeide propionica, aldeide butirrica, aldeide isovalerianica, aldeide enantica, gliossale, cloralio, acetone, metil-nonilchetone, etere acetacetico, acetofenone e benzile. Ho fatto anche qualche tentativo usando come condensante la soda, ed ho osservato che l'acido rodaninico dà col eloralio come anche col bromalio e col butil- cloralio, in presenza di soda, intense colorazioni rosse, intorno alla natura delle quali non ho fatto alcuna speciale ricerca, perchè avendo Andreasch e Zipser (!) ottenuto nel 1904 simili colorazioni coll’acido v-metil- e col- l'acido »v-etil-rodaninico, è probabile che abbiano già cominciato ricerche in questo senso e non voglio invadere il loro campo di studio. Io mi propongo di fare ulteriori tentativi per trovare le condizioni in cui anche le aldeidi grasse e i chetoni sì possano condensare coll’acido rodaninico. Tutti i prodotti di condensazione che ho preparati da acido rodaninico e aldeidi aromatiche hanno notevoli proprietà coloranti: le loro soluzioni tingono la lana e la seta in un bel color giallo. Ma la poca stabilità delle colorazioni ottenute impedisce che queste sostanze possano trovare un'appli- cazione pratica. METODO DI PREPARAZIONE. I prodotti che descrivo nella Nota presente li ho tutti ottenuti con due metodi generali di preparazione, che per brevità preferisco descriver qui piut- tosto che ripeterli volta per volta nella descrizione dei composti ottenuti. Il primo consiste nel disciogliere 1 p. di acido rodaninico insieme ad una quantità di aldeide poco superiore alle quantità molecolari, in 5-10 p. di alcool e aggiungere a questa soluzione, scaldata a b. m., 8 p. di acido solforico concentrato del commercio, continuando poi il riscaldamento per mezz'ora o un'ora. Il secondo invece consiste nell’aggiungere 5-10 p. di acido cloridrico (4=1,19) ad una soluzione di 1 p. di acido rodaninico e una quan- tità di aldeide un po maggiore del calcolato in 5-10 p. di alcool, e scal- dare per mezz'ora o un'ora a hb. m. I prodotti di condensazione si depositano generalmente subito dopo l’ag- giunta dell’acido solforico o dell'acido cloridrico: quelli che sono più facil- mente solubili nell'alcool si depositano per raffreddamento del liquido: ag- giungendo, invece, acqua al prodotto della reazione caldo si può provocare (!) Andreasch e Zipser, M. 25, 159. AZ subito la separazione della nuova sostanza formatasi, poichè tutti sono po- chissimo solubili nell'acqua. I rendimenti furono in ogni caso buonissimi (80-90 °/, e anche più) ('). I prodotti greggi furono poi purificati come dirò nella descrizione dei singoli composti. Acido rodaninico e aldeide benzoica C,H.:-CH=C-—S < | (0/9) CONE Nencki ottenne per il primo questo prodotto di condensazione che chiamò acido benzilidenrodaninico, facendo agire a b. m. l'acido solforico concentrato sopra una soluzione alcoolica di acido rodaninico e aldeide benzoica. Io ho potuto prepararlo di nuovo, usando come condensante tanto l'acido solforico con- centrato che l'acido cloridrico concentrato. Il prodotto ottenuto presentava il medesimo punto di fusione 200° e tutte le altre proprietà del composto descritto da Nencki. Ho osservato inoltre, e credo utile riferirlo, che si scioglie facilmente nell'alcool etilico, alcool amilico, acido acetico, etere acetico, ace- tone, cloroformio, benzolo, mentre è insolubile nella ligroina. 208 (2) Acido rodaninico e aldeide salicilica CH, CH=C-—S N | CS CO-NH7 Il prodotto greggio lo cristallizzai più volte nell’alcool diluito, finchè presentò il punto di fusione costante 218°-219° decomponendosi (Zipser dice che si fonde a 200° con decomposizione). Seccato a 100° dette all'analisi i seguenti resultati: Trovato Calcolato per C:0H70, NS» Cho), 50,65 50,63 HÎ%; 8,18 2:96 N° 5,98 5,90 Questo prodotto di condensazione (acido 0- ossi- benzilidenrodaninico) forma aghetti giallo rossastri facilmente solubili nell’alcool etilico, alcool amilico, etere acetico, acido acetico, acetone, un po' meno solubili nel clo- roformio e nel benzolo, insolubili nella ligroina. (1) Invece dell’acido solforico o dell’acido cloridrico, si può usare come condensante anche l’acido fosforico sciropposo: con questo metodo però il rendimento è scarso e il prodotto poco puro. E 40, OH (3) Acido rodaninico e aldeide m- ossi- benzoica CH ,-CH=C-S Vw | CS CO-NH7 Cristallizzai più volte nell’alcool diluito il prodotto greggio della rea- zione, finchè potei ottenerlo in aghetti col punto di fusione costante 244°-245°. Seccato a 100° dette all’analisi i seguenti resultati: Trovato Calcolato per Cio EH 02 NS: Gio” 50,46 50,63 Hi 3,14 2,96 N 9,95 5,90 Quest'acido m- ossi- benzilidenrodaninico si distingue dagli altri per il suo colore giallo verdastro. Si scioglie facilmente nell’alcool, acido acetico, etere acetico, acetone, poco nel benzolo e nel cloroformio; non si scioglie nella ligroina. OH (4) Acido rodaninico e aldeide p- ossi- benzoica CH, -CH=C0—S a CO—NH7 Il prodotto greggio ottenuto lo feci cristallizzare più volte nell’alcool acquoso caldo, da cui per raffreddamento si deposita in aghetti giallo rossa- stri che a 260° cominciano a decomporsi fondendosi. Seccato a 100° dette all'analisi i seguenti resultati: Trovato Calcolato per Cio. H70: NS» C°%/ 50,77 50,63 H°/ 3,19 2,96 N% 6,01 5,90 Quest'acido p- ossi- benzilidenrodaninico si scioglie facilmente nell’alcool etilico, alcool amilico, acido acetico, etere acetico, etere, acetone, un po’ meno nel benzolo e nel cloroformio; è insolubile neila ligroina. 0CH; (4) Acido rodaninico e aldeide anisica CH -CH=C—S ù CS CO—NH7 Il prodotto greggio ottenuto per condensazione dell’acido rodaninico col- l'aldeide anisica in presenza di acido solforico concentrato, lo feci cristallizzare più volte nell'acido acetico caldo: giunsi così ad ottenerlo in aghetti gialli So pira che si fondono con decomposizione fra 230° e 242°, come riferiscono An- dreasch e Zipser ('). Non ho perciò creduto necessario analizzarlo. Quest’acido p- metossi-benzilidenrodaninico è solubile nell’alcool, acido acetico, etere acetico, etere, acetone, poco nel benzolo e nel cloroformio, inso- lubile nella ligroina. OH (2) : o i gi: CH; (5) Acido rodaninico e aldeide p- omosalicilica CH: > *$ "i ) sd È lo dI D 3 pg a. Chiusura certa, totale ed immediata dell'occhio si ottiene costante- mente mediante la stimolazione meccanica anche lievissima della cornea. b. Parimenti si ottiene costantemente la certa, totale ed immediata chiusura dell'occhio, mediante lievissima stimolazione meccanica della cute im- mediatamente intorno all'occhio, e specialmente di quella della palpebra in- feriore, e dell'arcata orbitale, e di quella intorno allo sfiatatoio. c. Chiusura spesso incerta, spesso non totale, nè immediata, si può otte- nere con minor costanza dalla stimolazione meccanica leggera 0 mediocre- mente intensa della cute del lato equilaterale del capo entro un territorio limitato all'interno dalla linea mediana dorsale, in avanti e lateralmente da una linea che divide la faccia inferiore (bianca) del capo da quella superiore, pigmentata. All’indietro ho trovata la delimitazione più difficile e meno si- cura. Talvolta non poteva, con stimoli di mediocre intensità (strisciare colla punta d'una spilla) ottener il riflesso dalla cute al livello della 1 fessura branchiale.Talora invece ho visto con certezza che questo stimolo provocava il riflesso perfino dall'opercolo dell’ultima fissura branchiale. Più indietro di questo punto non l'ho ottenuto mai mai con questo stimolo. d. Chiusura certa, totale ed immediata dell'occhio si ottiene con stimolo più forte (pinza) dalla cute della mascella inferiore. e. Da tutto il resto della cute del corpo la stimolazione meccanica in- tensissima può provocare la chiusura dell'occhio, ma ciò non è costante, e la chiusura non è mai totale ma si riduce per lo più ad un lieve strizzamento. /. La stimolazione meccanica lievissima della mucosa dell'apertura na- sale produce costantemente la chiusura certa, totale ed immediata dell'occhio dello stesso lato. g. La stimolazione meccanica della mucosa buccale, dello sfiatatoio e delle branchie, provoca chiusura dell’occhio soltanto quando ha luogo contem- poraneamente il riflesso della violenta espulsione dell’acqua dalla cavità orale e dalle branchie. Infatti, la medesima stimolazione, applicata nei punti detti, quando si tiene l’animale fuori dell'acqua, non provoca quasi mai la chiu- sura dell'occhio, come non provoca quasi mai uno sforzo espulsivo, inutile in quelle condizioni. Riassumendo. si può dire che una certa azione riflessa sulla chiusura dell'occhio si può esercitare da qualunque punto della superficie del corpo, ma che una determinata zona di cute e di mucosa nel capo è atta a ciò in. modo speciale. Le attuali conoscenze morfologiche assai scarse intorno all’esatta distri- buzione periferica dei nervi encefalici dei selacei, ci permettono di dire poco di sicuro sul probabile sostrato anatomico dei fatti enunciati. E probabile però che le vie afferenti della zona ove il riflesso è più vivo, più pronto e più costante, decorrano tutte nel trigemino, il quale è anche negli Scilli un nervo potentissimo e che domina un territorio cutaneo esteso. Le vie efferenti SIE poi sono certamente costituite dal facciale, il quale è pure il nervo motore principale dei movimenti respiratorii, cui appartiene anche il riflesso espulsivo dell’acqua dalla cavità orale. La correlazione sopra notata tra questo riflesso e la chiusura dell'occhio si può dunque interpretare facilmente. In base a quanto precede credo poter formulare, colle debite riserve ora espresse, le seguenti conclusioni. 1. Negli Scilli si può ottenere la chiusura riflessa dell'occhio, con sti- moli meccanici relativamente leggeri da tutto il territorio di distribuzione cutanea del trigemino, e dalla mucosa nasale. 2. Dalla mucosa orale e branchiale invece il riflesso ha luogo soltanto in correlazione e subordinatamente a quello dell'espulsione dell’acqua dalle cavità respiratorie. Biologia. — Sulla distruzione degli oociti nelle regine dei Termitidi infette da Protozoi ed altre ricerche sull'ovario degli insetti. Nota di G. BRUNELLI, presentata dal Socio B. GRASSI. 1. Facendo seguito alla mia precedente Nota nella quale ho dimostrato che nelle regine dei Termitidi infette da Protozoi si ha un vero caso di castrazione parassitaria indiretta, io voglio qui esporre, come annunciai, quale sia lo stato attuale delle nostre conoscenze rispetto alla produzione della ste- rilità nelle caste neutre dei diversi insetti sociali. Ormai, in generale, tutti sono d'accordo nell’ammettere che le caste dei neutri siano un'acquisizione secondaria nella vita sociale degli insetti (!). A proposito della produzione della sterilità sono nate molte discussioni, e poichè si è parlato di una castrazione alimentare e nutriciale, sento qui l'obbligo di ricordare lo stato attuale della quistione, tanto più che le sco- perte di Grassi sui Termiti hanno offerto argomento a coloro che di tale pro- blema si sono occupati, a cominciare dallo stesso Spencer (?). S'intende che io non voglio qui entrare nella discussione concernente la differenziazione di diverse forme nelle caste sterili, ma s'intende pure che il problema che riguarda l'origine della sterilità, si confonde col problema com- plesso del polimorfismo degli insetti sociali. 2. È noto che Weismann (8) con delle esperienze sulla Ca/liphora ha cercato di dimostrare che dalle larve male Inutrite provengono degli individui (1) Cope, E. D., Heredity in the Social Colonies of the Hymenoptera. Proc. Acad. N. Sc. Philadelphia, 1893, pag. 436-438; Plate, L., Veber die Bedeutung des Darwin' schen Selectionsprincips und Probleme der Artbildung. 2. Aufl. Leipzig, 1903; Buttel- Reepen H. von, Die Stammesgeschichtliche Entstehung des Bienenstaates. Leipzig, 1903. (®) Spencer, H., Weismannism once more. Contemp. Rev. V. 66. Oct. 1694, pag. 592- 608, vedi pagg. 606-7. (3) Weismann, A., Vortrige tiber Descendenztheorie. 2. Auf. 1. Bd. Jena, 1904. ZIA sessualmente maturi, così rapidamente come dalle larve ben nutrite. Le con- clusioni però che l'illustre autore ha tratto da questa esperienza, sembrano eccessive rispetto alla ipotesi che negli insetti sociali la nutrizione non in- fluisca se non in quanto nel plasma germinativo esistono già i determinanti differenti per le caste neutre ('). Come si sa, le due opposte teorie per spiegare la differenziazione in individui sterili e in individui fecondi sono offerte dai neo-Lamarckiani con Spencer e dai neo-Darwiniani con Weismann, anzi come dice lo Spencer (2), il cavallo di battaglia di Weismann contro il neo-lamarckismo è offerto dagli insetti sociali. La teoria dello Spencer (Fiitterungstheorie) ammette che l'influenza della nutrizione determini essenzialmente il dimorfismo e il polimorfismo degli insetti sociali. Come è ben noto, a questa teoria si è opposto il Weismann, negli in- setti sociali trovando facilmente a sostenere la non ereditarietà dei caratteri acquisiti per la sterilità delle operaie. Spencer ha lasciato a sua volta facile presa ai Weismanniani soste- nendo la ipotesi poco probabile che le caratteristiche delle operaie proven- gano loro da uno stato presociale. Le celebri polemiche apparse nella The Contemporary Review (anni 1893- 1894) ebbero un lungo seguito. I nuovi attacchi di Weisman (Neu Gedanken zur Vererbungsfrage. Jena, 1895) allo Spencer lasciarono l'argomento tutt'altro che soluto. i 8. Secondo Weismann la selezione naturale ha prodotto nel plasma germinativo dei determinanti speciali per le operaie e per le regine, e questi determinanti sotto l'influenza di cause esterne agenti come stimoli (Ent- wicklungsreize) (3), possono essere spinti a svolgersi in modo indipendente prevalendo gli uni sugli altri, o per esprimerci col Wasmann (‘), le differen - ziazioni sono blastogene nel loro abbozzo, e solo nella realizzazione soma- togene. (1) Lo stesso prof. Emery ha scritto: « Tant que des recherches plus nombreuses et plus exactes n’auront pas été faites sur l’influence de différentes qualités et quantités d'aliment sur le développement larvaire des organes sexuels, les résultats négatifs obtenus par M. Weismann, par la simple réduction quantitative de l’aliment sur les larves de Calliphora vomitoria, ne suffiront pas è exclure la possibilité d’une castration alimentaire chez des Insectes non sociaux, ni à prouver que, chez les Insectes sociaux, le germe doit renfermer des déterminants particuliers de stérilité pour la formation des neutres ». C. Emery., Le polymorphisme des fourmis et la castration alimentaire. C. R. 3° Congrès Zool. intern. Leyde, 1895, pag. 395-4J0. (2) Spencer, H., A rejoinder to Prof. Weismann. Contemp. Rev. V. 64. Dec. 1893, pag. 893-912. (8) Weismann, A., Avssere Einflusse als Entwickelungsreize. Jena, 1894. (4) Wasmann, E., Die ergatogynen Formen bei den Ameisen und ihre Erklarung. 15 Bd. 1895. N. 16 pag. 606-622. N. 17 pag. 625-646. MIO La teoria di Weismann però, come ricorda il Marchal ('), pecca nelle sue basi, secondo O. Hertwig e Delage, e nel caso speciale degli insetti sociali la complicazione del plasma germinativo ammessa da Weismann sembra poco probabile. 4. Il prof. Emery (°) partendo dal fatto esattamente provato che nelle Api e nelle Termiti (secondo la scoperta di Grassi) lo sviluppo della fecondità dipende dal nutrimento che ricevono le larve, ha supposto che lo stesso avvenga per le formiche, e che la formazione dei neutri in generale sia do- vuta a una castrazione alimentare. Diversi elementi somatogeni intervengono, secondo Emery, nel risultato definitivo e di essi essenzialmente è la nutrizione di cui la qualità determina la fecondità e la sterilità, e la quantità gli altri caratteri somatici diffe- renziali (determinazione delle diverse caste dei neutri). O. Hertwig ha creduto di poter rivolgere contro la teoria dei determi- nanti di Weismann e il principio della preformazione in generale, gli argo- menti prima addotti dall'Emery, sostenendo che sotto diversi influssi esterni può lo stesso germe sviluppare diversi prodotti finali. Emery (3) esprimendosi allora con maggior determinazione, ha rilevato che pur astraendo da ogni teoria toccante la struttura intima del plasma germi- nativo, è spinto ad ammettere che le forme degli Imenotteri polimorfi non siano soltanto di origine somatogena (risiedente nella qualità e quantità del- l'alimento fornito alle larve, nella temperatura, ecc.), ma in parte blastogena per l’esistenza nel plasma germinativo di un elemento blastogeno in rela- zione con una capacità di assimilazione o di accrescimento determinata. Si deve poi ricordare che il Forel ha cercato di negare l’importanza della nutrizione nella determinazione delle caste sterili delle formiche, di- chiarando il fattore del nutrimento impotente a spiegare nelle formiche la produzione di quelle forme intermedie tra regine e operaie, che diconsi ergatogine. Da un altro punto di vista Forel, specialmente in base agli studî di Janet e di Wheeler (sulla impossibilità di una qualitativa distri- buzione di alimento in certe formiche) è tornato (‘) anche di recente ad op- porsi all'Emery, (1) Marchal, P., La reproduction et l'evolution des guépes sociales. Arch. de Zool. exp. et gén. 3° sér., t. 4, 1896. Paris, pag. 1-100. (*) Emery, C., Die Enstehung und Ausbildung des Arbeiterstandes bei den Ameisen. Biol. Cbl. 14. Bd. N. 2. 1894, pagg. 53-59. (3) Emery, C.,, Ze polymorphisme des fourmis et la castration alimentaire. C. R. 3° Congrès Zool. intern. Leyde, 1895, pagg. 395-410. Per le idee di Hertwig sui neutri degli insetti sociali si consultino: Hertwig, O., Die Zelle und die Gewebe. Grundzige der allgemeinen Anatomie und Physiologie. Jena, 1893 e seg.; Zeit- und Streitfragen der Biologie. Heft 1: Praeformation oder Epigenese? Grundzige einer Entwicklungstheorie der Organismen. Jena, 1894. (4) Forel, A., Veber Polymorphismus und Variation bei den Ameisen. Zool. Jahr. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. - 8 zge sì i— a = A Lai Kat; 118] il IR Però le nostre cognizioni sulla evoluzione della vita sociale nelle for- miche non sembrano sufficienti per giustificare l'opposizione del Forel, e il prof. Emery fece già notare che nei Termiti, benchè tanto diversi nella con- formazione dalle api, non può negarsi l’importanza della nutrizione nei feno- meni che ci occupano. 5. La pura teoria di Weismann ha in ogni modo perduto terreno, e non sì può negare che per le suddette idee la dottrina Spenceriana non abbia invece guadagnato. È importante notare che quelle speciali forme di ergato- gine le quali secondo Weismann e Forel avrebbero una origine esclusiva- mente blastogena, hanno invece una causa somatogena, come ha posto in luce il Wasmann (!). Che questi poi, malgrado ciò, seguiti ad ammettere plasmi doppi e multipli di Weismann è un'altra quistione (Wasmann avverte che la espressione causa somatogena non è da lui usata nello stesso senso che per le variazioni occasionate nelle imagini dagli stimoli esterni, poichè la vita larvale è un prolungamento della vita embrionale!). È noto che nei formicai della Formica sanguinea la Lomechusa stru- mosa e nella Formica rufa l’Atemeles pubicollis, usufruendo del nutrimento destinato alle larve delle formiche e divorando anche le larve stesse, costrin- gono indirettamente alla sterilità altre larve che avevano cominciato a evol- versi secondo il tipo sessuato; si originano così delle forme intermedie tra le regine, le operaie e le così dette pseudogine (Wasmann). La Hemmungs-Lomechusa-Hypothese del Wasmann stabilita sui no- minati fatti è molto importante, perchè fa vedere quale importanza abbia la nutrizione nei fenomeni di polimorfismo, di più poichè in fin dei conti è una « parasitische Hypothese » mostra come il Wasmann ha rilevato dei punti di contatto tra la sinfilia e il parassitismo. Sotto certi punti di vista i suddetti Coleotteri si comportano infatti da parassiti, e la produzione delle il | pseudogine in certo modo rientra nei fenomeni di castrazione parassitaria (?). Mii 6. Marchal basandosi sui suoi studî relativi all'evoluzione delle Vespe | Suppl. 7. A. Weismann's Festschrift. pagg. 571-586, 1904. Sulle ricerche di Janet e di Di Wheeler vedi anche Buttel-Reepen, Soziologisches und Biologisches von Ameisen und Bienenstaat. Wie ensteht eine Ameisenkolonie? Archiv. f. Rassen und Gesellschafts-Bio- ig! logie 2. Jahr. 1 Heft. 1905. Berlino, pag. 1-16. | (*) Wasmann, E., Mem. cit.,; vedi pure Die Mirmekophilen und Termitophilen. C. | R. 8° Congrès. Zool. intern. Leyde, 1895, pag. 410-440; Neue Bestotigungen der Lomechusa- Rai | Pseudogynentheorie. Verh. Deutsch. Zool. Ges. 1902, pag. 98-108. | Il (2?) Marchal, P., in Année biologique, 1 an. (1896) 1898. Chap. XVI, pag. 485. Si | noti che un altro fenomeno di vero parassitismo ha importanza nelle formiche rispetto alla i produzione del polimorfismo, alludo cioè alle modificazioni prodotte dal parassitismo dei salt (Ml Mermis nelle formiche americane. Wheeler, W. M., Z'he parasitic origin of macroergates lett | among ants. Amer. Nat. V. 35. 1901, pag. 877-886; Emery, C., Zur KAenntniss des Po- Hiji | lymorphismus der Ameisen. Zool. Jahr. Suppl. 7. A. Weismann's Festschrift. 1904, tl pag. 587-610. 5130) sociali, ammette che la sterilità nell'origine delle caste sociali sia dovuta a ciò che la regina fondatrice non poteva avere un nutrimento sufficiente per la prole troppo numerosa della prima generazione. Quindi gli ovarî delle gio- vani femmine non potevano arrivare a maturità: 1° per l'insufficienza dei materiali di riserva (tessuto adiposo) immagazzinati dalle larve; 2° perchè subito dopo la loro schiusa le giovani femmine debbono consacrarsi alle cure richieste da una numerosa colonia larvale. La funzione di nutrice alle quali le giovani femmine debbono consacrarsi ha preso dunque il sopravvento sulla funzione riproduttiva accentrata dalla regina. Solo le ultime generazioni allevate verso la fine dell’anno (allevamento autunnale) nell'epoca nella quale la colonia adulta è estremamente nume- rosa, possono avere delle uova arrivanti a maturità. Ora è questo allevamento autunnale con uno speciale nutrimento che deve aver modificato il plasma germinativo primitivo della specie, essendo la generazione autunnale desti- nata a ricostituire nel nuovo anno la società. L'uovo deposto dalla regina nella primavera contiene per ciò questo plasma germinativo modificato dal regime autunnale e in condizioni rispon- denti dovrebbe dare origine a una femmina feconda, ma la larva che se ne schiude trova condizioni esterne (temperatura, nutrimento) diverse dalle au- tunnali, che tuttavia permettono un certo sviluppo dell'essere, per cui si ori- gina l’operaia, una forma in certo modo teratologica e realizzante un caso di dicogenia sperimentale. Per Marchal (!) se havvi una causa blastogena, questa risiede in ciò che la selezione ha dovuto intervenire per dare il vantaggio alle regine presentanti le particolarità del plasma germinativo le più proprie a questi casi di dicogenia. Quindi, secondo il Marchal, si hanno due sorta di castrazioni influenti nella produzione degli sterili, la castrazione alimentare di Spencer e quella che l’autore denomina castrazione nutriciale, dovuta alle condizioni ricordate delle vespe e così denominata per la funzione in antitesi colla funzione ri- produttiva, cioè la funzione di nutrici assunta dalle operaie. 7. Tenuto conto di ciò che si disse delle pseudogine e di ciò che io ho trovato nei Termitidi, devesi aggiungere anche la castrazione parassitaria tra le cause determinanti la sterilità, senza escludere che nei Termitidi in- tervengano sì la castrazione parassitaria che l’alimentare. Mi sembra per ciò molta giusta l'opinione espressa da Buttel Reepen (1) Marchal, P., op. cit.. in Année biologique, 2 nn. (1896) 1898, chap. 10, pag. 251. Si accorda colla teoria del Marchal il fatto da me riscontrato nella stagione estiva di una continuata distruzione degli oociti nelle operaie della Polistes gallica. G. Brunelli, Ricerche sull’ovario degli insetti sociali, Rend. R Acc. dei Lincei, vol. XIII, 1° sem. 1904, pag. 350-356. > pera Pn BEI MUTI SRI [N che il modo come la sterilità si è prodotta nei diversi gruppi di insetti so- ciali è probabilmente diversa. Hanno ragione i puri Weismanniani oi neo-Lamarckiani, o riguardo al caso speciale che ci occupa non è più giusta una via di mezzo? Io credo che altri fatti possano scaturire dallo studio dell’ovario degli insetti sociali e fornire nuovi argomenti per la dibattuta quistione. Quello da me esposto, in quanto accenna a una influenza dei Protozoi sulla possibilità che hanno le uova di arrivare a maturazione, congiunto col- l’altro fatto intimamente legato di un nutrimento speciale che nei Termitidi serve alla maturazione degli organi stessi, parlano in favore di una causa somatogena influente sulla sterilità. Il Weismann (!) ha creduto di trovare un appoggio alle sue teorie negli studi di E. Bickford (?) sull’ovario delle formiche, poichè la Bickford nella Formica rufa che possiede diversi tubi ovarici non ha mai trovato uova, mentre che nel Zasius che ha un sol tubo ovarico ha trovato uova bene sviluppate, ed ha quindi concluso che la diminuzione della possibilità del funzionamento non è parallela alla regressione morfologica. Ma poichè in una operaia dove sono pochi tubi ovarici questi, appunto perchè sono in piccol numero, hanno la pos- sibilità di funzionare anche quando l’alimento sarebbe insufficiente rispetto a un numero maggiore, noi ci troviamo dinanzi a un fatto che ci pone in un cireulus vitiosus tra il puro reperto anatomico e la interpretazione fisiologica. Io ritengo, come altra volta ebbi a dire, non esaurienti le ricerche di E. Bickford. 8. Concludendo: Si sapeva che nei Termitidi havvi una relazione tra la scomparsa dei Protozoi e la maturazione degli organi genitali (Grassi); le mie ricerche seguitando quelle di Grassi e accordandosi con esse mostrano che la presenza dei Protozoi nell'intestino delle regine è accompagnata da una distruzione degli oociti. Questo fenomeno è molto chiaramente visibile nel Calotermes fiavicollis, ma si verifica pure nel 7'ermes lucifugus. Il detto risultato insieme a quelli mirabilissimi di Grassi, parla in fa- vore di una influenza somatogena nella produzione della sterilità. È probabile che nella sterilità delle caste neutre dei Termitidi la pre- senza dei Protozoi abbia influito e influisca tuttora, essendo tali caste costan- temente infette da Protozoi. Il fatto che un'alimentazione speciale serve nei Termitidi alla maturazione delle larve, secondo le scoperte di Grassi, non contrasta con la detta supposizione, poichè un primo effetto di questo ali- mento si ha nella scomparsa di Protozoi. Negli insetti sociali si è ammessa una castrazione alimentare (Emery), una castrazione nutriciale (Marchal), ma il caso della produzione delle pseu- dogine per influenza dei Coleotteri sinfili (Wasmann) allude anche alla pre- (1) Weismann, A., Vortràge uber Descendenatheorie, 2 Aufl., Jena 1904. (2) Bickford, E., Veber Morphologie und Physiologie der Ovarien der Ameisen-Ar- beiterinnen, Zool. Jahrb. Abth. f. Syst. 9 Bd., 1895, pag. 558-561. AT n senza di una castrazione parassitaria, alla quale ancor più si avvicina secondo il mio vedere il fatto da me riscontrato nei Termitidi. In questi è verosimile che agiscano così la castrazione alimentare come la parassitaria. 9. Appendice. — Dal lato citologico mi interessa rilevare come la spe- ciale formazione vitellogena da me descritta nei Termitidi e che per ora sembra caratteristica di questo gruppo, presenta un minore sviluppo ed è talora assente negli individui reali affetti da Protozoi. Quindi la sna impor- tanza trofica risulta sempre più evidente, anzi è offerta una prova indiretta di essa che finora mancava anche per formazioni simili di altri organismi. Anche la sostanza nucleolare assume un minore sviluppo, il che mi conferma sempre più nelle opinioni precedentemente espresse. Si può però domandare se la detta formazione vitellogena non si riscontri in forme rite- nute affini ai Termitidi. Io stesso ho cercato, nel miglior modo che ho creduto possibile, di eser- citare una critica sulla mia conclusione che la formazione vitellogena sia in relazione da una parte colla grande prolificità dei Termitidi, dall'altra col possedere essi un ovario panoistico. Ho per ciò intrapreso lo studio dell’ovario delle Embidine. Su questo argomento, come di recente ha avuto occasione di scrivere il Gross (!), manca ogni notizia. Le ricerche da me istituite dimostrano innanzi tutto che l'ovario delle Embidine si discosta per l'assenza di cellule nutrici dall'ova- rio dei Mallofaghi e dei Pediculidi. D'altra parte le ricerche del Grassi tendono ad allontanare le Embidine dai Termitidi. To posso dire che l’oocite delle Embie si discosta da quello dei Termiti 1° per il minore sviluppo della formazione vitellogena, 2° per la diversa natura del nucleolo, 3° per la presenza nell'ooplasma di formazioni che per ora mi sembrano paragonabili a nuclei di Blochmann. La presenza di tali nuclei allontanerebbe l’ovario delle Embidine anche da quello degli Ortotteri. Negli Ortotteri, infatti, nuclei di Blochmann sì son detti esistere nella grillotalpa, ma le mie ricerche mi portano a metterne in dubbio l’esistenza, tanto più che anche in altri Ortotteri tali nuclei sono stati cercati invano (dal Giardina che cortesemente mi ha fornito tale no- tizia). Nella grillotalpa è visibile una zona plasmatica nel senso di Giardina, che per ora non ho riscontrato nelle Embidine. È molto probabile che i nuclei di Blochmann siano in rapporto coi fe- nomeni di nutrizione, la loro origine dall'epitelio, come nella Polzstes io ho (1) Gross; I., Untersuchungen ber die Ovarien von Mallophagen ‘und Pediculiden, Zool. Jahr. Abth. f. An. u. On. d. Th. 22. Bd. 1905, pag. 347-386. tipe Masio determinata, togliendo ad essi ogni valore nei fenomeni della riduzione cro- matica quantitativa, in relazione colla quale si sono supposti esistere. Le sovraccennate notizie sull'ovario delle Embidine, giustificano l’opi- nione del Gross sopra un possibile smembramento del gruppo dei Corrodenti in base ai caratteri dell’ovario. Patologia vegetale. — Morda di piantoni di gelso cagionata da Gibberella moricola (De Not.) Sacc. Nota del dott. Vir- TORIO PEGLION, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Un impianto di circa 600 gelsi, eseguito nella scorsa primavera in un'azienda di S. Maria Maddalena (Rovigo) andò completamente a male in seguito ad uno speciale disseccamento del tronco. Le piante collocate a dimora, colle dovute cautele, dopo un inizio di vegetazione, non tardarono a disseccare. Trattavasi, secondo il solito di giovani piantine di 4 anni circa oriunde da seme, innestate con varietà gentile, ed era da escludersi nel modo più assoluto che il deperimento fosse dovuto a marciume delle radici, ovvero ad imperizia all'atto dell’ impianto. Le piante stesse portatemi in esame nel novembre, hanno la corteccia profondamente disorganizzata verso la regione del colletto, a tal segno che in alcune essa si riduce a brandelli inconsistenti. In tutte le piante esaminate, la regione del colletto, ed il fusto per un tratto variabile mostransi cosparsi da innumerevoli verruche nere, che l'esame microscopico dimostra essere i caratteristici periteci stromatici della Gibbderella moricola (De Not.) Sace. e da acervuletti di color rosso-mattone di Yusarium lateritium. In alcuni esemplari vi si associano i periteci immaturi di una MNectria. Il nesso genetico che intercorre fra Gibberella moricola e Fusarium lateritium è stato chiaramente dimostrato dalle ricerche sperimentali di Briosi e Farneti. A questi stessi Autori spetta il merito di aver dimostrato che il cosidetto avvizeiento dei germogli del gelso è dovuto al parassi- tismo del Fusarium lateritium Nees., e che la Gibberella moricola sarebbe la forma autunnale alla quale si deve l'infezione delle gemme formatesi durante l'estate. Prima che per merito degli Autori predetti fosse definita l’origine pa- rassitaria del male, questi consideravasi come cagionato da. agenti meteo- rici (nebbie, geli, sbalzi di temperatura), a cui ora può attribuirsi solo un effetto indiretto. È probabile cioè che questi agenti, al pari della sfogliatura cui è soggetto il gelso, predispongano la pianta all'infezione, tanto più che le lesioni conseguenti alla sfogliatura stessa possono fungere da vie aperte alla penetrazione dei conidi germoglianti. Nel caso da me osservato, ritengo MOR che la causa predisponente all’ infezione sia stata data dalle condizioni me- teoriche della scorsa primavera: le temperature rigide del marzo, epoca in cui avvenne l'impianto, la forte brinata della notte del 6-7 aprile, possono considerarsi come cagioni predisponenti le piante stesse all'infezione. Di questa possibile correlazione di fatti è bene che tengano il dovuto conto i vivaisti ed in generale i produttori di piantine da commercio. È bene procrastinare quanto più sia possibile l’escavo delle piante destinate a viag- giare, e sarà prudente prima di porre le stesse a dimora di praticare non soltanto la consueta potatura, ma di integrare questa coll’asportazione di tutti gli organi offesi, disinfettando quindi tronco e radici mediante pennel- lature con soluzione di solfato di rame all’1°/,, che sarà assai più efficace di certi trattamenti empirici (incalcinamento, biacca, sterco) che si sogliono praticare da taluni coltivatori. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI A. CesaRrIs DeMEL. Sulla varia tingibilità e sulla differenziazione della sostanza cromatica contenuta in alcuni eritrociti. Pres. dal Socio PSE OAN RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio G. StRUEVER, relatore, a nome anche del Corrispondente A. SELLA, legge una Relazione sulla Memoria del dott. U. PANICHI intitolata: Sulle variazioni dei fenomeni ottici dei minerali, al variare della tem- peratura, proponendo l'inserzione del lavoro negli Atti accademici. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, poste ai voti dal PRE- SIDENTE, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle dei Soci BrancHI L., PAscaL. LustIG, von BarvER. Fa inoltre particolare menzione di un volume dell'ing. C. GuIpi, intitolato: Ze costru- zioni in beton armato; dell’altro volume del prof. F. Amopeo: Gli Istituti Accademici di Napoli intorno al 1800, e di due cospicui doni di pubbli- cazioni dell’Accademia delle scienze di Copenaghen e della Società olandese delle scienze di Harlem. LÀ LR 9) pira Il Presidente BLAsERNA presenta una Relazione dell'ing. E. MANCINI sopra L’Industria frigorifica in Italia e ne parla. CONCORSI A PREMI Il Segretario CERRUTI dà comunicazione degli elenchi dei lavori presen- tati per prender parte ai concorsi ai premi Reali e Ministeriali, scaduti col 81 dicembre 1905. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio di S. M. il Re per la Chimica. (Premio L. 10,000. — Scadenza 31 dicembre 1905). - 1. AnGELI ANGELO. 1) « Azione dell’acido nitroso sopra le chetoam- mine » (st.). — 2) « Azione dell'acido nitroso sopra l'amminocanfora » (st.). — 3) Azione dell'acido nitroso sopra l’amminouracile » (st.). — 4 « Azione dell'acido nitroso sopra l’amminocanfora » (st.), — 5) « Sopra la formazione del sale AgN; » (st.). — 6) « Sopra l'esodiazoacetofenone » (in collab. con Pic- cININI) (st.). — ?) « Ricerche sopra alcuni composti dell'azoto » (st... — 8) « Sopra una reazione delle ammine secondarie » (in collab. con CAsTEL- LANA) (st.), — 9) « Sopra la nitrazione delle ammine » (in collab. con Ma- RAGLIANO) (st.). — 10) « Una nuova reazione della biossiammoniaca » (Id.) (st... — 11) « Sopra alcuni nitrosoindoli » (in collab. con Spica) (st.). — 12) « Sopra alcuni nitroindoli » (in collab. con AnGELICO) (st.). — 18) « Derivati del pirrolo » (in collab. con AnceLICO e CaLveLLo) (st.). — 14) « Sopra i nitroderivati del pirrolo » (in collab. con AnGELICO) (st.). — 15) « Ricerche sopra i nitroindoli » (Id.) (st.). — 16) « Sopra i diazoindoli » (in collab. con D’AnGELO) (st.). 9. BaLpiano Lurci. 1) « Ricerche analitiche sull’acido canforico, con an- nesse le due Note: 4) Brevi osservazioni sulla Nota dei signori Fr. Mahla e Jul. Tiemann « Zum abbon der comphat. saure ». 2) «Sugli acidi lattonici isomeri derivati dall’acido metil.2.dimetil.3.0ssì.2.4.pentandioico » (st.). — 2) « Sulla saponificazione della tribenzoina», comprendente due Note « Sulla teoria del processo della saponificazione » (st.). — 3) « Azione della solu- zione acquosa di acetato mercurico sui composti olefinici » (st.). 3. Oppo Giuseppe. 1) « Eterificazione per mezzo dei sali inorganici » (st.).. — 2) « Preparazione dell'etere n-propilico e sul processo d'eterifica- zione per mezzo dell'acido solforico » (st.). — 3) « Clorurazione diretta degli eteri semplici » (st... — 4) « Sull'etere etilico triclorurato 1-2-2 » Note I-II (in collab. con MameLI) (st.). — 5) « Sull’etere n-propilico ed i suoi pro- dotti di clorurazione diretta » (in collab. con Cusmano) (st.). — 9) « Clo- rurazione dell'alcool propilico normale » (Id.) (st.), — 7) « Sugli eteri 1.2, Sign) — 1.2.2" e 1:2:1°-2". n-propilici » (ms.). — 8) « Decomposizioni per mezzo del- l'acido solforico » (ms.). — 9) Condensazioni aldeidiche per mezzo degli eteri clorurati » (ms.). — 10) « Sui 5-azoengenoli e la loro costituzione » (in collab. con PuxEDDU) (st.). — 11) « Sul 5-aminoengenolo » (Id.) (ms.). — 12) « Ri- duzione degli ossiazocomposti in amino fenoli per mezzo della fenilidrazina » (Id.) (ms.). — 18) « Sui 5-azoengenoli e la loro costituzione » (Id.) (ms.). — 14) « Sintesi metallorganiche nel gruppo della canfora » (st.). — 15) « Sul dicanfochinone e l’isodicanfochinone » (ms.). — 16) « Sulla costituzione degli acidi che si formano nell'azione del sodio sulla bromocanfora o sulla can- fora » (ms.). — 17) « Sulla solanina estratta dal Solanum sodomaeum Linn. » Memorie 3 (in collab. con CoLomBano) (st. e ms.). — 18) « L'ossicloruro di fosforo come solvente in crioscopia » (st.). — 19) « Sui due monocloruri di iodio » (st.). — 20) « Sul tricloruro di iodio » (st... — 21) « Comportamento crioscopico dei composti alogenati in soluzione nell'ossicloruro di fosforo » (in collab. con TrALDI) (st.). — 22) « Sulle anidridi solforica e disolforica » (st.). — 23)» Ebullioscopio delle sostanze volatili » (st.). — 24) « Apparecchio e processo generale d’ebullioscopia » (st.). — 25) « Per la storia della costi- tuzione della canfora » (st.). — 26) Sulla reazione di Kolbe in presenza di solventi indifferenti » (in collab. con MawmELI) (st.). — 27) « Su un nuovo azotometro applicabile alla pompa Sprengel » (st.). 4. SantoRo RarraeLE. « Della formazione dell'acqua » (ms.). Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio di S. M. il Re per la Matematica. (Premio L. 10,000. — Scadenza 31 dicembre 1905). 1. ARZzELÀ CEsaRE. 1) « Sulle serie di fanzioni (parte prima) » (st.). — 2) « Sulle serie di funzioni (parte seconda) » (st.). — 3) « Sulle serie di funzioni di variabili reali » (st.). — 4 « Sulle serie di funzioni egualmente oscillanti » (st.). — 5) « Sulle serie di funzioni analitiche » (st.). — 9 « Sulle funzioni di linee » (st.). — 7) Sull’esistenza degli integrali nelle equazioni differenziali ordinarie » (st). — 8) Sulle integrabilità delle equazioni diffe- renziali ordinarie » (st.). — 9) « Sul principio di Dirichlet » (st.). — 10) « Sul secondo teorema della media per gl’'integrali doppi » (st.). — 11) « Sulla inver- sione di un sistema di funzioni » (st.). 2. BoxueLi EmiLio. « Nuove ipotesi sul Sistema Cosmico, ovvero Cilin- dro del Mondo » (ms.). 3. CAPELLI ALFREDO. 1) « Sulla separazione delle radici delle equazioni mediante il calcolo delle differenze ». Nota I, II (st.). — 2) « Sull'uso delle progressioni ricorrenti nella risoluzione delle equazioni algebriche » (st.). — 3) « Sopra un principio generale di aritmetica ed una nuova dimostrazione RenpiIcontI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 9 === 3 == 38 == SG === = ee 00 del teorema di Hilbert » (st.). — 4) « Estensione del teorema di Hilbert al caso di polinomii con infiniti termini » (st.). — 5) « Saggio sulla introdu- zione dei numeri irrazionali col metodo della classi contigue » (st.). — 6) « Sulla riduttibilità delle equazioni algebriche » Note I, II, III (st.). — 7) « Le iperaritmetiche e l'indirizzo combinatorio dell’aritmetica ordina- ria » (st.), — 8) « Sulla continuità delle funzioni di più variabili reali » (st.). — 9) « Lezioni sulla teoria delle forme algebriche » (lit.). — 10) « Istitu- zioni di Analisi Algebrica » (st.). — 11) « Sulle relazioni algebriche fra le funzioni + di una variabile e sul teorema di addizione ». Note I, II (st.). — 12) Nuova dimostrazione di una formola relativa alle operazioni di po- lare (st.). — 13) Intorno all'algoritmo di Euclide » (st.). — 14) « Sulle pro- gressioni infinite di numeri reali » (st.). — 15) « Sull’arbitrarietà delle carat- teristiche nelle formole di addizione delle funzioni + di una variabile (st.). — 16) « Sulle formole generali di addizione delle funzioni + di più argo- menti » (st.). — 17) « Sulle progressioni infinite di numeri reali » Nota II (st.). — 18) « Sull’inversione delle corrispondenze » Note I e II (st.). — 19) « So- pra la teoria delle funzioni algebriche di più variabili » (st.). — 20) « So- pra un'estensione dello sviluppo per polari delle forme algebriche a più serie di variabili » (st.). — 21) « Sopra la teoria degl’irrazionali algebrici » (st.). — 22) « Nuova dimostrazione del teorema sullo sviluppo per polari delle forme algebriche a più serie di variabili » (st.). — 23) « Sulla risoluzione generale delle equazioni ed in ispecie delle trinomie per mezzo di integrali definiti » (st.). — 24) « Sul sistema completo delle operazioni di polare per- mutabili con ogni altra operazione fra le stesse serie di variabili (st.). — 25) « Dell'impossibilità di Sizigie fra le operazioni fondamentali permuta- bili con ogni altra operazione fra le stesse teorie di variabili » (st.). — 4. CasteLnuovo Guipo. 1) « Sulla razionalità delle involuzioni piane » (st.). — 2) « Sulle superficie algebriche che ammettono un sistema doppia- mente infinito di sezioni piane riduttibili » (st.). — 3) « Sulle superficie algebriche le cui sezioni piane sono curve ellittiche » (st.). — 4) « Sulle su- perficie algebriche che contengono una rete di curve iperellitiche » (st.). — 5) « Alcuni risultati sui sistemi lineari di curve appartenenti ad una super- ficie algebrica (st.). — 6) « Sulle superficie di genere zero » (st.). — 7) « Al- cune proprietà fondamentali dei sistemi lineari di curve tracciati sopra una superficie algebrica » (st.). — 8) « Sul genere lineare di una superficie e sulla classificazione a cui esso dà luogo » (st.). — 9) « Le trasformazioni genera- trici del sruppo Cremoniano nel piano » (st.). — 10) « Sugli integrali sem- plici appartenenti ad una superficie irregolare » (st.).. — 11) « Sulle super- ficie aventi il genere aritmetico negativo » (st.). 5. Cesàro Ernesto. 1) « Corso di Analisi algebrica, con introduzione al Calcolo infinitesimale » (st.). — 2) « Introduzione alla teoria matematica della Elasticità » (st.). — 3) Elementi di Calcolo infinitesimale » (st.). — A 4) « Nuova contribuzione .ai principi fondamentali dell’Aritmetica assintotica » (st... — 5) « Sulla geometria intrinseca degli spazii curvi » (st.). — 6) « Le formule di Codazzi negli iperspazii » (st.). — 7) « Sulla geometria intrinseca delle congruenze » (st.). — 8) « Teoria intrinseca delle deformazioni infini- tesime » (st.). — 9) « I numeri di Grassmann in Geometria intrinseca » (st.). — 10) « Sulle equazioni della elasticità negli iperspazii » (st.). — 11) « Sulla trattazione intrinseca delle questioni baricentriche » (st.). — 12) « Le defor- mazioni infinitesime degli iperspazii » (st.). — 13) « Sulla distribuzione dei numeri primi » (st.). — 14 « Sulle radici dell’ hessiana d'una cubica in rela- zione con quelle della cubica stessa » (st.). — 15) « Sopra un'equazione fun- zionale trattata da Beltrami » (st.). — 16) « Sulle superficie isotermiche » (st.). — 17) « Formole per l’analisi intrinseca delle superficie e delle loro defor- mazioni infinitesime » (st.). — 18) « Sull’uso delle condizioni d’immobilità in Geometria intrinseca » (st.). — 19) « Sopra un modo di utilizzare, nella teoria intrinseca delle superficie, le condizioni d'immobilità dei punti » (st.). — 20) « Sulle deformazioni infinitesime delle superficie » (st.). — 21) « In- torno ad una limitazione di costanti nella teoria analitica del calore » (st.). — 22) « Analisi intrinseca delle eliche policoniche » (st.). — 23) « Per l’ana- lisi intrinseca delle superficie rotonde » (st.). — 24) « Sulla rappresentazione intrinseca delle superficie » (st.). — 25) « Sui fondamenti della Geometria intrinseca non-euclidea » (st.). — 26) « Geometria intrinseca negli spazii di curvatura costante » (st.). — 27) Nuova teoria intrinseca degli spazii curvi » (st.). — 28) « Fondamento intrinseco della pangeometria » (st.). — 29) « Sulle immagini delle geodetiche nella rappresentazione piana delle superficie » (st.). — 30) « Per l’analisi intrinseca delle figure tracciate sopra una superficie » (st.). — « Sopra alcune proprietà delle traiettorie in un dato campo di forze » (st.). 6. DAaLMASSO AGNESE. « Humilitas et simplicitas a majore charitate. P. II. Progetto degli edifici in accordo solenne tra Stato e Chiesa » (ms.). 7. FrancHINI GiuseppE. « Nuova verità matematica » (ms.). 8. PeGRassi AncELO. « Relazioni tra la Planimetria e la Stereome- tria » (ms.). 9. PLeBANI BENEDETTO. « Il Zatus rectum della spirale archime- dèa > (st.). 10. Rosst Rarmonpo. « Scomposizione di solidi geometrici » (ms. e modelli). 11. UGoLini Giulio. « Inscrizione dell’ Ennagono regolare » (ms.). 12. ViLLanI NicoLa. « Saggio di una nuova teoria — Analisi inde- terminata applicata ai numeri primi » (ms.). 13. Anonimo. (Col motto: « Vagliami il lungo studio e il grand'amore ») Manoscritto. rd ® Ùh Ml gg Elenco dei lavori presentati per concorrere ai premi del Ministero della P. I. per le Scienze fisiche e chimiche. (Due premi del valore di L. 2,600. — Scadenza 31 dicembre 1905). 1. PLATANIA GiovannI. 1) « I cavi telegrafici e le correnti sottomarine nello stretto di Messina » (st.). — 2) « Le librazioni del mare con particolare riguardo al Golfo di Catania » (st.).. — 3) «I cavi telegrafici e le correnti sottomarine nello stretto di Messina » (st.). — 4) « Effets magnétiques de la foudre sur les roches volcaniques » (st.). — 5) « Sugli effetti magnetici pro- dotti dal fulmine » (in coll. con G. PLATANIA) (st.). 2. BonacinI CarLo. 1) « Sulla cromofotografia per mezzo di sostanze cromoplastiche » (st.). — 2) « Ricerche sulla radioattività» (ms.). — 3) « Sul- l'origine dell'energia emessa dai corpi radioattivi » (st.). — 4) « Sul rilievo deì suoni nelle riproduzioni foniche. Stereofonografo » (st.). — 5) « Considera- zioni sul timbro dei suoni » (ms.). — 6) « Sulle fotografie colorite » (st.). — 7) « La lastra fotografica nello studio delle radiazioni » (st.). — 8) « La fo- tografia dei colori nell'arte » (st.). 3. CorBino Orso Maro. 1) « La rotazione magnetica del piano di pola- rizzazione nell'interno di una riga d'assorbimento » (st.). — 2) « Sull'ineguale assorbimento delle vibrazioni circolari inverse per il passaggio attraverso a un vapore incandescente in un campo magnetico » (st... — 3) « Sull’arco cantante e la sua osservazione stroboscopica » (st.). — 4) « Sulla possibilità di ricavare da un sistema di correnti trifasiche una differenza di potenziale rigorosamente costante » (st.). — 5) « Sul meccanismo di produzione delle correnti di Duddel » (st.). — 6) « Sulla magnetizzazione del ferro a frequenze elevate » (st.). — 7) « Su alcune applicazioni di una proprietà della dinamo in serie » (st.), — 8) « Sulla produzione di campi rotanti per mezzo di cor- renti di scarica sinusoidali o smorzate » (st.). — 9) « Funzionamento con cor- renti alternate dei motori in derivazione » (st.). — 10) « Sulla viscosità die- lettrica dei condensatori » (st.). 11) « Coppie destate su una sfera conduttrice da un campo rotante » (st.). — 12) « Sull'osservazione spettroscopica della della luce di intensità periodicamente variabile » (st.). 4. PerorTI PieRLUIGI. 1) « Nuovo interruttore microfonico di un roc- chetto d'induzione » (st.). — 2) « Nuovo indicatore delle onde elettromagne- tiche » (ms.). — 3) « Azione dell’organismo dello sperimentatore » (ms.). — 4) « Commutatore dimostrativo per lezione » (ms.). CORRISPONDENZA Il Presidente BLASERNA presenta un piego suggellato trasmesso dal sig. N. MATALONI per esser conservato negli Archivi accademici. seggi Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze e lettere di Copenaghen; l'Accademia delle scienze di Nuova York; la Società Reale di Vittoria; le Società geologiche di Washington e di Edinburgo; i Musei di storia naturale di Amburgo e di Nuova York: il Museo di scienze ed arti di Filadelfia; il Museo colo- niale di Wellington; le Università di Cambridge Mass. e di St. Louis; gli Osservatorii di Arcetri, di San Fernando e di Cambridge Mass. - dereio <%"qei=—- <.< L, "= sò * = 64 Fusi 68 ari Dà conto della corrispondenza relativa, lc cambio i Atti. 2. mn 69 RENDICONTI — Gennaio 1906. INDICE | Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 gennaio 1906. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI il| Capellini. La Rovina delle Rocche di S. Pietro a Porto Venere . . . . . +... Pag. 3 | Peano. Sulle differenze finite (*) . i Me... . È x TT DE) 5) | Pizzetti. Intorno al calcolo della riftazione astronomica, senza pestati ipotesi al modo di ill variare della temperatura dell'ària coll’altezza (*) ././}-/./././.22 4.» 6 Ii Viola. La trasformazione delle coordinate dei cristalli (*) . . . È ” ” | Nielsen. Sur le développement en fraction continue de la fonction Q Go M. Pym wi fi i tali SocloRZ 7) E: È dC SELE) ” Magini. Influenza degli orli sulla dbicità i ioziatica di un cosi {pres dal Corrisp. iL | Bath) Rain ” br | Magri. Sulla radioattività dei fanghi (lati Sonetti so acque (degni Stabilimenti dei Juni Bagni di Lucca (Toscana) (pres. 090. . . . - . È A I in Monti. Sulla misura della velocità di propagazione delle perturbazioni sicniiche in rapporto i alla sismometria razionale (pres, /d.). . . . . SSTALE TE n 155 Li Chastoni. Risultati pireliometrici ottenuti dal 22 ieosto a tatto) giugno 1903 al R Osserva- IR) torio Geofisico di Modena (pres, dal Socio Blaserna)(*) . . . . GRES ESE, Minunni e Lazzarini. Su taluni derivati del pirazolo (pres. dal Socio Pater) GEIE) Gallo. L'equivalente elettrochimico dell’ Iodio (pres. Id.) . . .. . n 24 Peratoner e Azzarello. Eterificazione del y-piridone con diazoidrocarburi grassi oi 1) O » 35 Bargellini. Prodotti di condensazione dell'acido rodaninico colle aldeidi (pres. /d.). . . » » Ottolenghi. Su una nuova reazione colorata della colesterina (pres. dal Socio Menozzi) . » 44 Perotti. Sulla spontanea formazione della diciandiamide nei Ta concimanti contenenti | cianamide calcica (pres. dal Sotio Patern0) . . A . n 48 i | Van Rynberk. Sul riflesso orbicolate delle PR da pescecane (Seglli) (ei DI Socio LIDI ; PARI 3° | Brunelli. Sulla 0 degli ooditi dl regine dei Termitidi infette dE Piotoagi ed altre i ricerche sull’ovario degli insetti (pres. dal Socio Grassi) . . . n 55 Peglion. Morìa di piantoni di gelsi cagionata da Gibberella morico a CL Not.) San (pres. dal Socio Ciamician). è... . deg pi 102 MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Cesaris Demel. Sulla varia tingibilità e sulla differenziazione della sostanza cromatica con- tenuta in alcuni eritrociti (pref daliSoci0 040) RI RELAZIONI DI COMMISSIONI Struever (relatore) e Sella. Relazione sulla Memoria del dott. V. Panichi intitolata: Sulle variazioni dei fenomeni ottici dei minerali, al variare della temperatura . . . .. » » RESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle ‘dei Soci Bianchi L., Pascal, Lustig, von Baeyer, dell'ing. C. Guidi, del prof. A. Amodeo, dell’Acca- demia delle scienze di Copenaghen e della Società olandese delle scienze di Harlem. » » Blaserna (Presidente). Presenta una Relazione dell'ing. £. Mancini e ne parla. . . . » 64 (Segue in terza pagina) (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. | iù K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Ioma 21 gennaio 1906. NR: AI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO C GI@SERE, #906 8 Sere ®, UREENE EE A- RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 24 gennaio 1906. Volume XV.° — VWascicolo 2! 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1906 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE 1. Col 1892 si è iniziata la Serie quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- ‘ sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. Laspesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ne PAD - Seduta del 21 gennaio 1906. F. D'Ovipro, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle differenze finite. Nota del Corrispon- dente G. PEANO. A note formule di calcolo differenziale e integrale corrispondono altre formule per le differenze finite, utili nelle applicazioni pratiche, e che qui esporrò rapidamente. 1. Sia a un numero intero, positivo o negativo, x un numero naturale, e d un intero maggiore di 4 -+ ». Indichiamo con f una funzione reale dei numeri interi compresi fra « e d. Allora il valore fd è espresso mediante fa, le sue successive differenze fino all'ordine 7, e dalle differenze di ordine n-+-1 di f, pei valori da a a db —n— 1 della variabile, dalla formula fb=3[C(0— a, 4" fa|r, 0 n] + + 3[C(0(—-x—-1,n 4" fa|a,av(b—-n—-1)]. I simboli hanno il valore conforme al « Formulario Matematico » (vedasi tomo V, pp. 131, 134). Esiste qualche varietà nelle notazioni usate dagli Autori nel calcolo delle differenze finite. Il primo sommatorio, a cui si ridurrebbe la formula per 9=a4+%, è l’espressione del valore della funzione mediante le successive differenze, quale fu data dal Mercator nel 1668. Il secondo termine ne esprime il resto. RenpiconTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. . 10 MO Tutta la formula è analoga a quella di Taylor, col resto sotto forma di integrale definito. 2. Nelle stesse ipotesi, la differenza fra 7% e la somma dei primi a + 1 termini dello sviluppo di Mercator, cioè il resto di cui sopra si parla, è della forma C(f—a,# +1) moltiplicato per un valore medio fra quelli assunti da 4”*1 fx, per «x intero compreso fra a e b—-n—- 1. Risponde alla formula di Taylor, col resto di Lagrange. 3. Avendo 4,0, il significato precedente, e è >a+1, se « è un intero compreso fra « e d, allora la differenza fra fa, e fa+(e—a)(fb—fa)/(6—a), funzione di primo grado che per 7 =a ed z=d assume i valori fa e fb, vale (2 — a) (ce — b)/2 moltiplicato per un valore medio fra quelli assunti da 4°fz, variando « da aa b—2 (per valori interi). È analogo al teorema di calcolo differenziale che esprime l’errore nel- l’interpolazione di primo grado mediante la derivata seconda (Formulario, pag. 290). 4. Nelle ipotesi 3, la somma dei valori di fi, quando « varia per va- lori interi da 4 a 2, è per approssimazione eguale al loro numero 9 — 4 + 1, moltiplicato per la media aritmetica dei due valori estremi. L'errore in questa approssimazione si può esprimere colle differenze seconde, e sì ha: x(f,a-b)=(b—a+1)(/a+/0)/2— — 3[e—-a(0—2)42/(e—1)|2,(e+1"(0—1) analoga alla formula di calcolo, che esprime un integrale definito colla for- mula dei trapezî, più un resto sotto forma di integrale. 5. Il resto nell'approssimazione precedente è riduttibile alla forma: — C(0—a+1,3)X valore medio di 4°fz, quando x varia da a a è — 2, diviso per 2. Le formule precedenti si possono dimostrare come le corrispondenti di calcolo, con opportune variazioni. Mi sono occorse in calcoli su rendite vita- lizie; e non mi fu dato di incontrarle nelle pubblicazioni ordinarie. { Lea if Astronomia. — Intorno al calcolo della rifrazione astrono- mica, senza speciali ipotesi sul modo di variare della tempera- tura dell’aria coll’altezza. Nota del Corrispondente P. PizzETTI. Il modo di variare della densità atmosferica secondo l'altezza ha, come è noto, una influenza relativa assai piccola sul calcolo della rifrazione astro- nomica, fino a che la distanza zenitale del raggio luminoso non si appros- sima all'angolo retto. Così una ipotesi, qual'è quella di Bessel, la quale tanto vivamente contrasta coi dati dell'osservazione, da supporre un gradiente ter- mico verticale minore di 09,12 nella temperatura centesimale dell'aria (per 100 metri di elevazione a partire dal livello del mare), conduce tuttavia, nel calcolo della rifrazione, a risultati teorici dei quali l'applicazione pra- tica è stata, per comune esperienza degli astronomi, riconosciuta soddisfa- cente nella maggior parte dei casi. Le speciali ipotesi intorno alla costituzione fisica dell'atmosfera e i labo- riosi sviluppi di calcolo cui esse danno luogo, rappresentano quindi, per così dire, un lavoro perduto, ed è invece naturale ed opportuno, sia dal punto di vista didattico, sia rispetto alla discussione critica dei risultati dell’osser- vazione, il ricercare con quale grado di approssimazione si possa calcolare la rifrazione astronomica quando si rinunci a particolari ipotesi intorno al modo di variare della temperatura dell’aria coll’altezza. La ricerca che qui ci proponiamo non è nuova. Del determinare la rifra- zione supponendo soltanto che la temperatura non cresca coll’altezza, si occupò diffusamente Ossian Bonnet, nella sua Théorîe de la réfraction Astronomique (*), ma essendosi egli proposto a priori di risolvere il pro- blema per mezzo di una serie procedente secondo le potenze di tang e (s = distanza zenitale iniziale) ha ottenuto un grado di approssimazione minore di quello che si può in realtà raggiungere. Il sig. Andoyer nella sua Nota (*): Sur la théorie de la réfraction ha dato una formola estremamente semplice e indipendente da ipotesi sulla (1) Nouvelles Annales de Mathematiques, VI, 1887. Anche il sig. Radau nella ben nota sua Memoria: Recherches sur la théorie des refractions astronomiques (Annales de l’Obs. de Paris, t* XVI) dà lo sviluppo della rifrazione per le potenze di tang z, e pone in evidenza come taluni importanti elementi di questo sviluppo siano indipendenti dalla costituzione dell'atmosfera. Il sig. Bemporad nella sua recente Memoria: Sulla teoria della refrazione astronomica (Mem. Soc. Spettroscopisti, vol. XXXIV) dà una formola del tipo A tangz+ Btang? z, la quale è indipendente dal modo di decremento della tem- peratura coll’altezza. Egli fa vedere come, fino a 75° di distanza zenitale, il calcolo nu- merico di questa formola fornisca per la rifrazione dei valori che presentano differenze trascurabili-da quelli calcolati colla formola di Bessel. (*) Bulletin Astronomique, octobre 1905. SET costituzione dell'atmosfera, pel caso di distanze zenitali non superiori a 75°. Ma anche per questa formola si parte dallo sviluppo per le potenze di tang <; e non è poi assegnato un limite superiore dell'errore cui la formola stessa è soggetta ('). Mi propongo di risolvere qui il problema sopraenunciato e precisamente di trattare le quistioni seguenti: 1° con quale precisione è possibile calcolare la rifrazione astrono- mica quando (ammessa, al solito, la distribuzione regolare per strati sferici di egual densità) si faccia, riguardo alla temperatura dell’aria, la sola ipotesi che essa non cresca coll’altezza; 2° qual'è l'errore massimo cui può dar luogo il non verificarsi di questa ipotesi, il fatto cioè di una inversione della temperatura; 3° di quanto cresce la precisione, quando si supponga, in base alla osservazione, conosciuta la legge di variazione della temperatura, dal livello del mare fino ad una certa altezza. Restano, naturalmente, escluse dai calcoli che seguono le distanze zeni- tali molto vicine a 90°, ma d'altra parte è chiaro a priori, e ben confermato dall'esperienza, come l'andamento delle visuali prossime all'orizzonte sia tanto strettamente legato alle condizioni degli strati bassi dell’aria, da render vano ogni tentativo di esatta ricerca a priori. 2. Stabiliamo alcune formole preliminari. Chiamiamo p,0,%,n la pres- sione, la densità, la temperatura assoluta e l'indice di rifrazione dell’aria alla distanza 7 dal centro della Terra, e segnamo coll’indice 0 queste lettere quando si riferiscano al luogo d'osservazione. E intendiamo, salvo avviso con- trario, che gli integrali che figurano nelle formole seguenti siano sempre estesi dal luogo d'osservazione fino al limite superiore dell’atmosfera. Avremo e posto (2) als, (3) dp== — go: dr = — To 0 - ds ove 9g e 9 sono le accelerazioni della gravità alle distanze 7 ed 7, risp. dal centro terrestre. (!) La Memoria del sig. Andoyer contiene pure una pregevole trattazione relativa al caso di distanze zenitali superiori a 75°. La formula da lui adottata corrisponde ad un modo di variare della temperatura che concorda coi dati dell’osservazione per quanto riguarda il valore iniziale del gradiente termico verticale. Aa ALA Posto Po 4 = 5 (4) B raoni le (1) e (3) danno dp Q 5 La=—- ds. (5) dr n D'altra parte (6) n=1 tab, n=l+a, (0) dove a«= 0,0002927 se o, è la densità corrisp. a 760%" di barometro e a 0° di temperatura centigrada. Quindi posto n (7) di sarà, tenuto conto della (5): d (8) (y—m)ds=— ay © ds=agy È, o Po L'integrazione per parti dà quindi: (9) fea= -dy-n)=—1f7—) SIT ds = — MALE 108 fys s poichè la s si annulla al limite inferiore, la y— #, al superiore. Con una nuova integrazione per parti (supposto 9 > 1) dp p TONDE 10 — fare — a st1.d — Das y.- ds (10) TT n yv+(a—-1 7 y 20 giacchè p si annulla al limite superiore. Poichè 2 non cresce coll’altezza, la (1) dà SETA LAN] Po Sy quindi la (5): IL Zia 8 ©p s Po Po L'ultimo termine, nel secondo membro della (10), è dunque tutt'al più uguale a ; dp . ii # Do i (4 )8 | ys Po rg ovvero, in grazia della (9) ove si cangi g ing —1, tutt'al più uguale a 1 gel 2 fs - dy . Quanto al primo termine nel secondo membro della (10), esso è eviden- temente minore di fin « dy . Quindi dalle (9) (10) deduciamo: a) ferdy 1) SEL E, i _ Sfampras=—c fim. E poichè il massimo valore di y è 20, il massimo di nn —yè n—1=0, sarà a) flap 0° i che è il massimo valore del prodotto y°(1 — s)?. Col valore di @ dato più hi sopra, ciò equivale a supporre | ii 2< 88°.86.50". A Posto Pai piece 1—s Ò Very (1 gf Pa il abbiamo, collo sviluppo di Taylor per potenze di s pa dh 1 es d 1 = ——— — — i G: o vang @ugatÈ ii dove i) 3 e°y°s(1 —s) o Ri B=3 <<; 0 i: | legano SISI I. (si osservi che s nel caso nostro è sempre compreso fra 0 ed 1). Quindi i) SCESE n A EESTOL Le (15) (16) danno pertanto Se (SE i 4 o: Capi pi dove 4 SE dy + 5° 2 Conto ì, E = fr. dy bo. In questo caso, posto nl O alla diseguaglianza = sì dovrà nel paragrafo 3 sostituire la 0 0 PONE Po MENOO con che la disuguaglianza (11) si muta nella (1) Set dy< Bg +19) fs dy le (18) e (18) nello fe TA0+) sen? £ (1 — nî sen? 2)". (18) e<3Ba(1-+ af (1 +) Attesa la piccolezza di @, si può dedurre dal paragone delle (18) (18') che per effetto dell’inversione della temperatura, il limite superiore dell'errore 8 cresce, circa, nel rapporto da 1 a 7 ossia da / a n. Supposto un massimo di 15° per la differenza (n=, ® posto £,=278 si ha — 1,055 circa. L'effetto dell’inversione della temperatura (entro i limiti in cui questo fatto può praticamente verificarsi), può dunque ritenersi trascurabile per quanto riguarda il grado di precisione nel calcolo della rifrazione. 5. Vediamo finalmente di quanto possa crescere questo grado di preci- sione pel fatto della conoscenza empirica della costituzione dell'atmosfera a partire dal suolo fino ad una certa altezza. Indichiamo con /,,,,z rispettivamente la superficie di livello del luogo di osservazione, quella che limita superiormente la regione esplorata dell'atmosfera, e la superficie limite esteriore. Possiamo allora esprimere la rifrazione totale colla somma R= R, + R. ’ ove Ri esprime l'integrale nel secondo membro della (15) esteso fra i limiti lol, mentre Rs è lo stesso integrale fra /, ed /,. Poichè la costituzione del- l'atmosfera è nota fra 2, ed /,, si possono supporre calcolati i valori nume- rici dell'indice » per i valori di 7 entro questi limiti, epperò l'integrale R, può supporsi calcolato con una quadratura meccanica, con quanta approssi- mazione si vuole. Quanto al rimanente integrale KR, non c'è altro a fare che applicare al calcolo di esso la formola approssimativa (24) dove però i valori delle costanti iniziali 70, Po; lo; o, Siano quelli relativi alla superficie /, limite superiore della regione esplorata e la distanza zenitale # è quella della trajettoria luminosa nel punto in cui essa attraversa la superficie /,. Trascurando tut- tavia, il che qui è lecito di fare, la variazione di 2 e di 2, senz e tenendo conto delle (25) si vede facilmente che, dette, come sopra, po, to 70 le co- stanti relative al luogo di osservazione, po, 0,75 le cose analoghe per la superficie /,, la conoscenza dello stato dell'atmosfera nello strato Zon 4, ci dà modo di far diminuire i limiti di errore indicati con smax € Omo nel rapporto , da LA 2 Jf: ; » (3 > per tenne r 2 r e) a per 02: 0 (26) Supposto che si conosca la costituzione dell'atmosfera fino all'altezza di 10 km., ed ammesso, in conformità, 122 Ioia 2950 ro = 6380 km Po = 760 to = 280 ra=210910 i due rapporti ora detti diventano rispettivamente 1:0,232 1:0,104; Si ridurrebbe dunque a meno di un quarto il limite superiore dell'er- rore teorico nel calcolo della rifrazione. È poi chiaro che la sola conoscenza del valore iniziale del gradiente termico verticale dell'aria può accrescere di poco o nulla la precisione nel calcolo della rifrazione. Infatti poichè, per concorde risultato delle osserva- zioni recenti (*) la variazione di temperatura da 1 a 2 km. d'altezza è già notevolmente differente di quella da 0 a 1 km., è chiaro che la conoscenza di quel valore iniziale equivale all’assegnare lo stato dell'atmosfera per una altezza non superiore a 1 km.; nel qual caso i rapporti (26) vengono a dif- ferire ben poco dall'unità. (*) Vedi p. es. De Marchi, Meteorologia generale. pag. 113 e segg. (Milano, 1905). MERO Fisica tecnologica. — Circa alle influenze della temperatura, delle vibrazioni, della umidità, dell’elettrolisi, e della untuosità, sull’adesione e sull’attrito nello sfregamento fra vari corpi, e sul lavoro di alcuni aratri; riassunto di appunti sperimentali. Nota del Socio ANTONIO PACINOTTI. Con lo scopo di trovar modo di diminuire un poco il lavoro occorrente nella trazione di arnesi aratorii, ho fatto qualche misura di coefficienti di attrito e di adesione fra alcuni corpi, e specialmente fra il ferro ed alcune terre, cercando di riconoscere se tali coefficienti possano diminuirsi col fare intervenire circostanze convenienti. Ho anche alquanto cercato di misurare direttamente il volume del terreno lavorato da un aratro e da un coltro, ed il corrispondente lavoro meccanico occorso, tanto stando nelle ordinarie con- dizioni della lavorazione del terreno, quanto adoprando influenze favorevoli alla diminuzione della trazione. Sebbene molto tuttora rimanga da fare sia per estendere le prove, sia per aumentarne l'accuratezza, tuttavia cerco di raccogliere succintamente diversi risultati conseguiti, e di presentarli come una prima approssimazione. Un resoconto sufficientemente particolareggiato della massima parte delle prove fino ad ora fatte, si va stampando pel volume XXII delle Memorie della Società toscana di Scienze naturali; di tal resoconto presento all'Accademia una copia manoscritta, perchè in esso possono riscontrarsi parecchi particolari che per brevità tralascio in questo riassunto dei risultati principali ottenuti. Nei capitoli 1, 3, 15 di quel resoconto sono riferite misure dell'angolo limite per lo scorrimento prodotto dal peso di una piccola slitta sopra un piccolo piano inclinato, alla temperatura ambiente ed alla alta temperatura generata dalla fiammella di un bruciatore di gaz posto sotto al piano incli- nato; dalle quali misure in diversi casi sono conseguiti i valori del coeffi- ciente d'attrito fra il piano inclinato e la slitta. Dicendo P il peso della slitta, « la inclinazione con l'orizzonte del piano su cui appoggia, s la superficie del vero appoggio, / il coefficiente di attrito, 4 il coefficiente di adesione; allorchè @ sia il minimo angolo mantenente la discesa sul piano inclinato; si ha /P cosa + 4s= P sena e posson bastare due prove, nelle quali si sappia che / e 4 rimangono inva- riati e P ed s abbiano valori ben conosciuti non del tutto uguali nelle due prove, per conseguire due relazioni che assegnino separatamente il valore di f e quello di 2. Se si adopra una medesima slitta differentemente carica nelle due prove, e che la slitta ed il piano inclinato siano sufficientemente rigidi in modo da poter considerare invariata la estensione s del vero appoggio della slitta SEC sul piano di scorrimento, qualora nelle due prove si consegua lo stesso va- lore @ dell'angolo limite di scorrimento, si può ritenere essere 4=0 ed f=tang @. Allora l'angolo @ si dice angolo limite di attrito. Dalle misure dell'angolo limite di attrito sono risultati, in diversi casi, a temperature elevate coefficienti di attrito più grandi che a bassa temperatura; giacchè si è avuto: Pel ferro limato scorrevole sulla superficie divenuta violetta dell’acciaio alla temperatura bassa dell'ambiente / = tang 13°30' = 0,2400; ed a circa 390°, /= tang 23°10' = 0,4279. Per l’ottone non lucente sulla superficie divenuta violetta dell'acciaio alla temperatura ambiente /= tang 19°30' = 0,3541; ed a circa 390°, f= tang 25° = 0,4245. Pel platino sopra il platino alla temperatura ambiente di 11°, /= tang 18° = 0,3249; ed a circa 165°, /= tang 23°30' = 0,4348. Per una terra sciolta secca, sulla superficie leggermente ossidata dell'acciaio alla temperatura ambiente, f= tang 29° — 0,5543; e verso 390°, 7 = tang 31° — 0,6008. Per terra argilla asciutta sull’acciaio abbrunito da leggera ossidazione alla temperatura ambiente /= tang 21° = 0,3838; ed a circa 390°, /= tang 30°30' = 0,5891. Avvertiamo che nel caso del ferro a temperatura molto elevata esposto all'aria, si ha aumento di ossidazione al quale è attribuibile l'aumento del- l'attrito. Ma per i corpi che rimangono inalterati si può considerare come regola generale che l’attrito diminuisca coll’aumentare della temperatura. con allu- minio sopra alluminio a 131° ho ottenuto f= tang 25°15 = 0,4716 e dopo il lento ritorno alla temperatura ambiente 11°, /= tang 28°45' — = 0,5486. Il cristallo sopra cristallo ha somministrato alla temperatura 11°, /= tang 14° = 0,2493; ed a 125° circa, /= tang 8°20" = 0,1465. Il platino sul cristallo pure ha somministrato alla temperatura 11°, /= tang 12° = 0,2125; edUatli25e circa, fi—‘tang 8°208_1031465. Il cristallo finamente spulito sopra cristallo finamente spulito ha dato alla temperatura 9° circa /= tang 19°30' = 0,3541; e con/125° circa, f = tang 14°30' = 0,2586. Mica sopra mica ip lamine trasparenti non colorate a 9° circa f=tang 19°35' = 0,3558; ed a 125° circa, f= tang 13° = 2308. I (a Per non riconoscere la diminuzione dell'attrito con l'aumentare della temperatura se si volesse sottilizzare, potremmo nel caso dell'alluminio av- vertire che il leggerissimo strato di ossidazione prodotto. dall’ innalzamento di temperatura darà luogo ad un poco di adesione, e non resterà rigido du- rante lo scorrimento; e nel caso del cristallo si potrebbe dubitare che la maggior resistenza allo scorrimento ottenuta a bassa temperatura, quando il fornello era spento, fosse da attribuirsi ad attrazione elettrica fra una carica per lo sfregamento presa dalla capsulina che faceva da slitta, ed una carica di nome contrario lasciata sul camino percorso sul cristallo; avvertendo che tali cariche non si produrranno quando, acceso il fornello, la lastretta di cristallo è lambita dai gaz caldi della combustione, e tenuta da essi in comunicazione col suolo. Ma queste sottigliezze non valgono a sufficienza. Ho avvicinato al piatto di un elettroscopio a foglie d'oro la lastretta di cristallo, e non solo la ho trovata scarica quando era calda e da poco stata lambita dai prodotti della fiamma; ma anche quando essendo alla tempera- tura ambiente la avevo appositamente, molto ripetutamente, sfregata con la capsulina di platino, o con quella di cristallo. E l'elettroscopio adoprato era assai sensibile, giacchè una bacchetta di cristallo sfregata fortemente con panno lano ed avvicinata ad esso, ne faceva divergere le fogliette enormemente. Del resto, son tornato recentemente a guardare l'angolo limite d'attrito fra la piccola slitta di ferro ed il piccolo piano inclinato di acciaio a varie temperature, con l'avvertenza di non spingere l'inalzamento di temperatura oltre ai 100° onde non avvenga sensibile ossidazione; e fino a tal limite, ho visto che l'attrito diminuisce col crescere della temperatura, e quando le superficie di ferro e acciaio sono metalliche, e quando sono rivestite di ossi- dazione che le rende violette. Soltanto il platino sembra fare eccezione alla regola; ma quando anche ciò sì confermasse, non vi sarebbe incompatibilità nel crescere l'attrito col crescere della temperatura se lo sfregamento avviene fra platino e platino, ed invece decrescere se lo sfregamento avviene sul cristallo; soltanto questa diversa influenza delle vibrazioni calorifiche nella modificazione che l'aumento della loro ampiezza apporta sulla resistenza di attrito, può far pensare che si producano con lunghezze d'onda estremamente piccole vibrazioni concor- danti nel cristallo, ed invece fra loro discordanti fra platino e platino. Si può vedere qualche influenza alquanto analoga delle vibrazioni acu- stiche sull’attrito. Sopra una lastra sonora di ottone, avvitata sul centro ad una colonnetta di un lungo banchetto che porta similmente altre cinque lastre, ho posato un piccolo parallelepipedo di legno; e sottoponendo ad una estre- mità del banchetto un sostegno inalzabile, ho trovato occorrere prossimamente l'angolo 35°30' fra la lastra e l'orizzonte per ottenere che continuasse la discesa del pezzetto di legno sulla lastra allorchè veniva un poco smosso in discesa. La superficie della lastra è leggermente ossidata; la sua forma 85 — è quadrata con 20 centimetri di lato, e con grossezza poco minore a due mil- limetri. Il parallelepipedo di legno pesa 4 grammi; è lungo centimetri 3,1, largo 1,6, alto 1,2; esso non parte da sè in discesa sebbene la lastra sia inclinata a 35°30’, quando la lastra è in quiete: ma se con l’archetto di crini si sfrega leggermente uno spigolo della lastra in modo da farla un poco suonare, avviene la discesa rapida del pezzetto di legno. Ho abbassato il sostegno in modo che l'inclinazione della lastra con l'orizzonte era ridotta a 20°, ed era di gran lunga insufficiente a mantenere la discesa del prismetto di legno anche dopo il di lui smovimento. Il prismetto di legno essendo posto presso il canto diagonalmente opposto alla punta della lastra che fra l'indice ed il pollice della mano sinistra stringevo onde facili- tare la formazione delle linee nodali diagonali; quando ho attaccato con l’ar- chetto il mezzo del lato in modo che corrispondentemente alle linee nodali dia- gonali, la lastra suonasse il sol3, avveniva decisamente la discesa del prismetto. Ma se appoggiando sul lembo della lastra le dita indice e medio della sinistra sfregavo con l'archetto fra esse interposto, in modo che la lastra anche inten- samente producesse un suono acuto corrispondente a piccoli compartimenti vibranti, il prismetto di legno trovava subito qualche luogo da cui non discen- deva, dove copriva due compartimenti di inversa fase. Analoghi risultati si ottengono con soli due gradi di inclinazione, e specialmente con lastre più grosse. Per esprimere come le vibrazioni calorifiche discordanti possano aumen- tare l'attrito, ed invece le vibrazioni calorifiche concordanti lo possano dimi- nuire; avverto che l'appoggio della slitta in ogni caso si fa sopra un gran numero di minimi compartimenti vibranti, e che se le vibrazioni si suppon- gono discordanti nell'insieme non risulta da esse una impulsione sulla slitta, ma soltanto per l'inalzamento di temperatura le superficie d'appoggio diven- gono più scabrose di scabrosità minime varianti che possono accrescerne gli addentellamenti particellari e l'attrito; mentre invece se le vibrazioni calo- rifiche si suppongono concordanti, in modo che due compartimenti contigui posti ai due lati di una medesima linea nodale siano in opposizione di fase, non solo contemporaneamente alcuni compartimenti presenteranno il massimo di avvallamento ed altrettanti il massimo di rilievo, ma anche contempo- raneamente torneranno tutti insieme a ricostituire la superficie nella sua posizione di equilibrio; e da tal posizione di equilibrio durante il tempo di mezza vibrazione semplice la slitta verrà spinta in fuori normalmente alla superficie, a disimpegnare le sue rugosità, talmente che l'attrito ne resulterà diminuito. Nello sfregamento del ferro dell’aratro con la terra alquanto umida non è trascurabile la adesione, e per apprezzarne il coefficiente separatamente dal coefficiente d'attrito, bisognerebbe anche osservare e misurare precisamente la estensione s della superficie veramente appoggiata ed aderente della slitta; cosa non sempre tanto facile, e che per ora nelle prove fatte col metodo Bg del piano inclinato non ho nemmeno approssimativamente realizzato. Tuttavia la misura dell'angolo limite di scorrimento @, e del peso P della slitta fa conoscere la resistenza complessiva risultante dalla adesione e dallo attrito Psene, e non è inutile lo apprezzare come questa varia col variare della temperatura. Per la terra sciolta un poco umida trovai come angolo limite sull’ac- ciaio leggermente spontaneamente ossidato, alla temperatura ambiente l’angolo di 41 gradi, ed invece verso 390° ebbi 28°89". E giacchè SETE —10,7273, pel riscaldamento la resistenza complessiva era ridotta a circa tre quarti. Per un parallelepipedo di argilla un poco umida, pesante P = 0%,026 con circa il 12 per cento in. peso di acqua facilmente evaporabile, la cui faccia rivolta contro l'acciaio misurava centimetri quadrati 9,88, ebbi alla temperatura ambiente come angolo limite 71°, e portata la lastretta d'acciaio verso 390° la discesa del parallepipedo fumante avvenne colla inclinazione 2 di soli 12 gradi; e giacchè 227 = 0,22 pel riscaldamento a circa 390° Sens/d° la resistenza complessiva atteso lo sprigionarsi del vapor d'acqua fra l'acciaio caldo ed il prismetto di argilla umida era ridotta a meno di un quarto. Sulla lastretta calda avendo lasciato asciugare il parallelepipedo di argilla, l'angolo limite ad alta temperatura è salito a 30°30'; e considerando come nulla la adesione della argilla secca contro l'acciaio caldo, si può con- siderare come coefficiente d'attrito fra questi corpi ad alta temperatura {= tang 30°30'= 0,5891. Siccome i punti veramente sfreganti della argilla sulla lastra calda saranno divenuti quasi subito asciutti, si può ammettere che anche mentre fumava e scorreva con a = 12° il prismetto avesse per coefficiente d'attrito 7 = 0,5891, e si può valutare la forza F che il vapore faceva contro tutta la faccia del prismetto sotto la quale si sviluppava con l’avvertire che tal forza diminuiva la pressione P cosa che sarebbe stata data dal peso, e che la adesione si poteva supporre nulla, in modo che si avesse la relazione (Pcosa —F)f= Psena dalla quale si ricava {Pcosa— Psena li del caso riferito, si ottiene F = 0%,01625 sopra tutti i 9,88 centimetri qua- drati della faccia appoggiata del prismetto; ossia in media sopra ciascun centimetro quadrato grammi 1,645. E tenendo 13,59 grammi come peso di un centimetro cubico di mercurio, l'eccesso della pressione del vapore che si produceva sotto il prismetto sulla pressione atmosferica, avrebbe eguagliato la pressione data da una colonna di mercurio alta 1,645:13,59 = 0,12 cen- timetri; ossia 1,2 millimetri. La resistenza allo sfregamento del marmo sul marmo, che si trovava cresciuta dopo di aver riscaldato il marmo oltre 200° e di averlo lasciato Hi . Nella quale espressione ponendo i valori numerici TR ( E ice È 3 — Vv 14 2 a+. qui est certainement convergente, pourvu que v soit 7ée/, tandis que # doit étre posttif. Cela posé, appliquons ces deux identités évidentes (13) li(e:)=—Q(2,0) , L(a)=+.Q(e°,3), nous aurons de (12), en y mettant v=0, la fraction continue de Soldner 1 VA Di IR A a a (14) ip eel 14 um a pe — ISS: tandis que l'hypothèse v==4 donnera de méme la fraction continue de — e li(e®)= & | bo & |w | tl cl il — 102 — Laplace db 2 cosa (i = 3 DURA ù' “ra 2 (15) Tei de 24° È 1+ > Li 2a IL. li + ip TESE i Étudions ensuite les réduites de la fraction continue de Legendre ou, ce qui revient au méme, de celle-ci: 1—-»v Ca) a) =1 ? OG) ME LD % Di Q2—- v x 1+ O ie et il est évident que les numérateurs et les dénominateurs de nos réduites ultérieures doivent satisfaire è ces équations fonctionnelles ci Pu (3) Pa) +5-r(0) (17) Es G) —H (3) ip; (3) 3 xd où nous avons posé pour abréger F,=/, ou bien F,=9n- — 103 — Cela posé, la conclusion ordinaire de % è +1 donnera sans peine pour les numérateurs ces expressions générales: « CRAS e 6 (19) fn (2)=1+ (++!) Api onlera). @Tst9n) Vai ? tandis qu'il ne semble pas possible de donner sous simple forme l’expression générale du dénominateur g,. Le cas particulier de (18) qui correspond è v=0 a été connu par Laguerre. Éliminons maintenant de (16) la fonction F»,-,, ce qui s'effectuera en appliquant (17), puis traitons de la méme manière la formule nouvelle ainsi obtenue, il résulte cette autre équation fonctionnelle 00 (1) =(142222)r..()CSM0=2 (1) tandis que (17) donnera par le méème procédé cette formule analogue ds 5 (1 JT) o I Pme(7). na Cela posé, mettons pour abréger Il 1 (22) a S Gant (7) > Pnti (€) ’ ola) fonti E 5) = Wny, (©) nous aurons (23) li Pn (2) Ji 3 cin (7) Q( ) IN =.= 00: Va n=% W, ( ) n=%0 feS G) LU, V combinons ensuite les deux formules (21) et (22), il résulte ces deux équa- tions fonctionelles: Pnrr (d)=(£ +2 +1—-) pre) — a(n—2) pn (2) Yn+ (a) = (1 +2n+1—-2)W(a)— Mn) wa (2), d'où sans peine, en vertu de (23), cette fraction continue i aL Res) L+1_-v_ 24) E 2 (Ol o 54 DO EM a+T-v—_-.- qui est certainement convergente pour 4 posiii) et v réel. RenpicONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 1 i 14 BRE, — 104 — Mettons dans (24) <= 1, il résulte la fraction continue de M. J. Tan- nery, tandis que l’hypothèse v=0 nous conduira è celle que Laguerre a déduite pour le logarithme-intégral. Remarquons encore que l’hypothesè v=+ donnera immédiatement la fraction continue pour la fonetion L(x) mentionnée par Laguerre. Posons ensuite n 1 r n 1 / (25) DA gu(7)= 9% ‘ Ha fn(T)= Van), il résulte cette valeur limite (26) lim Mina). ce TAOZONE zo Wn(€) Sa tandis que la formule (20) donnera ces deux autres pua=(+ 2) Pur MA) (0) n) = (2 +22) nr (2) — (—1) (2-0) War (0), d'où cette autre fraction continue E° A 0g 97 Pi, (27) pp I) E sbsly == arL+6_-v—-: qui semble étre nouvelle. Il est évident que la fraction continue (27), convergente pour v réel et x positif, nous permet de déduire immédiatement des fractions continues pour les deux fonetions L(x) et Zi(e-”), analogues à celle de Laguerre. Meccanica. — Sulla deformazione di un ellissoide elastico. Nota di Tommaso Bocaro, presentata dal Corrispondente 0. Somi- GLIANA. In questa Nota espongo un procedimento assai semplice per determinare, nel campo racchiuso da un ellissoide, tre funzioni che verificano un certo sistema di tre equazioni indefinite di secondo ordine, e di tre equazioni ai limiti di primo ordine. Come casi particolari si ottiene l'integrazione delle equazioni dell’equi- librio di un ellissoide elastico, soggetto a tensioni date, agenti sul contorno, nel caso in cui le componenti delle tensioni siano il prodotto di polinomi di un grado qualunque, per la distanza del centro dell'ellissoide dal piano ini — 105 — tangente; ovvero l'integrazione delle equazioni di un ellissoide elastico, sog- getto a riscaldamento, supponendo che il riscaldamento sia rappresentato da un polinomio. 1. Consideriamo il campo S racchiuso dall’ellissoide o di equazione: (1) a i: b* Le e denotiamo con P la distanza del centro di o dal piano tangente in un punto qualunque (# , 7,4) di o, con x la normale a o diretta all’ interno di S. Indichiamo poi, per brevità, genericamente con 4,s un'operazione diffe- renziale lineare, omogenea di 2° ordine, della forma: e mi: d* dr = tn PE atto nt bp +! di dy de ’ OVe @rs 3 drs... lrs sono coefficienti costanti conosciuti, e con D,s un'espres- sione lineare, omogenea di 1° ordine della forma: dé " dé rr da DoS da At Ars ae rs dz pt pg di Tal: de + do a de & To, ho in cui @,;, @,5,...,7,s Sono coefficienti costanti dati e #, 7, funzioni in- cognite. Ciò posto, cerchiamo tre funzioni é, 7,6, regolari in S, che verifichino in S le equazioni indefinite: 4AéÈt+42Nt4136=0 (2) Asé + 492) + 4938 =0 (E, e nei punti di o le equazioni ai limiti: d d de Dig + De gg + De 3P È dy de (3) Da È Da pol) ron Ci Je da e dp. Dai TA + D dipl P, ove F,G,H sono funzioni regolari date. Supporremo ancora che le costanti @,s,--+34;---,@rs3---:7rs Siano tali che i sistemi (2), (3) non ammettano più di una soluzione, cioè, in altri termini, che se le funzioni F,G,H sono nulle in ogni punto di 0, le funzioni £, 7, é siano identicamente nulle in ogni punto di S. — 106 — E noto intanto che i coseni degli angoli che la normale interna all’el- lissoide fa cogli assi coordinati sono dati da: (4) di < @& gg e du e? & i+ Dia a+ Daga =—F di Yy 8 Daga 1 Dee pa 1 Do =-@ xd & su + Dar + Dn g= E. Queste equazioni sussistono nei punti di o, per conseguenza, nel campo SÌ sì può porre: 8 DE y È i + De + Da F+(E+ +51) n 2 x 1 & Ba È (5) A ++ 5-1) 1419) c 2 yè 2? Dai 4 Da D+ Da g=—H+(£ C+L+, 1) 6,49, essendo Z,w,v tre funzioni regolari nei punti di S. 2. Supponendo ora che F,G,H siano polinomi di grado #m, cioè siano esprimibili mediante le formole: m Lezi t F DA 1 Brist 2 Y 8 o m (6) G=Y Bag = (+s+i="m) 0 m H=} Crise e” Yy 8, dn T,83t le A,B,C essendo coefficienti costanti dati, è facile dimostrare che anche le funzioni £, 7,6 saranno polinomi di grado m. Infatti esprimiamo &,7,6 colle formole: m lho: la E=D gt rd ye (7) — gia) 2000: rtbsttiem ” thà] P3I À — 107 — ove 4,0,c sono coefficienti costanti da determinarsi, ed assumiamo Z,w,», che saranno in conseguenza polinomi di grado m —2, sotto la forma: m_2 — 1 q)S pl À cine DI Qn,s;t LY 8 0 =D srbros eye (r+stiaem—2) 0 m_2 V= Igp lr ®"Yf, le @,$,y indicando altri coefficienti da determinarsi. Sostituendo i valori precedenti nelle (2), (5) si hanno tre equazioni di grado m, e tre equazioni di grado m — 2 nelle variabili 2, 7,4; perciò iden- tificando nei due membri di ognuna di esse i coefficienti dei termini simili si hanno complessivamente: vo 1) (1) equazioni lineari fra i coefficienti 4,,51, +, @r,5,t3 +3 7Yr,s,t; Che in tutto sono evidentemente pure in numero di N. Abbiamo dunque un sistema > di N equazioni lineari con N incognite : queste equazioni saranno poi compatibili, cioè il determinante dei loro coef- ficienti sarà certamente diverso da zero; poichè, nel caso contrario, attri- buendo alle costanti A,B,C il valore zero (ossia, a tenore delle (6), rite- nendo nulle le funzioni F,G,H) le equazioni di ) diventerebbero omogenee, e allora sarebbero soddisfatte da valori non tutti nulli delle incognite, e perciò esisterebbero tre funzioni £,7,, non nulle in $, e che verifiche- rebbero le (2), (3) nel caso in cui F=G=H=0: e ciò contraddice al- l'ipotesi fatta nel $ 1 circa i sistemi (2), (3). Dal sistema DI potremo dunque ricavare le incognite @,,s.t3-. -, 77,56» e in tal modo risulteranno note, mediante le (7), le funzioni &,#,$ che risolvono la questione proposta. È chiaro che il precedente metodo d’ integrazione può applicarsi al caso di quante si vogliano variabili, e anche nell'ipotesi che l'equazione dell’el- lissoide, anzichè sotto la forma (1), sia data sotto la forma più generale. 3. Supponiamo ora che lo spazio S sia occupato da un corpo elastico isotropo, sul contorno del quale agiscano delle tensioni, le cui componenti siano date da: REsPaea GP. Ha ove F,G,H sono polinomi noti di grado m. “= ae — 108 — Indicando con £,,é le componenti dello spostamento di un punto qualunque di S, dovranno essere soddisfatte in S le equazioni indefinite: E dÌ d0 A. = ST] pg ded gio: e da? 3P 2 “= 2 1 Mo dy° | da (8) SAM —=0 l1_-2xdy lo 1 ‘0006 2 di d 26 “> uni dx de =0 , e sopra o le equazioni ai limiti: de dn , dE\dy 6 (o vr: A dn hglas ] z p(E A dz dn E dy | da fre 9 di (0) e mit 1- 2x dr dy) dn | ‘dé dn\ de ir) x) ST - 3 7 cla E Coal (irta) at (apt) at +25 79+2 Ae ST Lp, | dn ove x, E sono costanti. Dalle (8), (9) si deduce facilmente, com'è noto, che debbono essere soddisfatte le equazioni, che esprimono del resto condizioni d’equilibrio: | fre do = fGP do — fap do:0i | far-0 Pdo= f(s®— ah) Pde= |(G—yMPdo=0. CA0. (10) Poichè le (8), (9) sono un caso particolare delle (2), (3) ed è inoltre sod- disfatta la condizione della unicità della soluzione, si conclude che per de- terminare le funzioni £, 7, basterà applicare il procedimento esposto nei paragrafi precedenti (*), e così si avrà la deformazione dell’ellissoide consi- derato (°). (1) Le funzioni £,7,% risultano notoriamente determinate a meno di sez costanti, le quali corrispondono ad una traslazione e ad una rotazione del corpo, e poichè pure sei sono le equazioni (10), si conclude che nel sistema di equazioni lineari, corrispondente | al sistema , potremo omettere sei equazioni. (2) Dal risultato ora stabilito appare l'utilità — mi dice il prof. Somigliana — di indagare se, e sotto quali condizioni, sia possibile rappresentare delle tensioni, date arbi- — 109 — La deformazione di un ellissoide nel caso in cui sul contorno si cono- scono gli spostamenti, che siano espressi da polinomi, trovasi determinata in una mia Nota precedente (*); nel caso di un ellissoide di rotazione, e per spostamenti qualunque, la deformazione è stata determinata dal profes- sore Tedone (°). 4. Supponiamo ora che il solido elastico isotropo S venga deformato per effetto del calore, e che inizialmente esso sia soggetto in ogni punto alla stessa temperatura. Considerando allora un punto qualunque (,y,z) di S e chiamando u,v,w le componenti dello spostamento di esso e ® il riscaldamento a cui, in quel punto, si assoggetta il solido, dovranno essere soddisfatte, nei punti di S, le equazioni indefinite (*): dp ,d® du + (1420) = dy , dP du, dv. dw (i) jse+ +2) e (tate) - d 4304 (1+ 2a) = 7 ove x,x' sono costanti che dipendono dalla natura del solido. Sulla superticie o devono poi essere verificate le equazioni ai limiti: 3 du\ da CI dw (1 ph a) gg (7 sE dl da +(% TT Dn da CORANA. dv\ dy dv. dw\ dz (12) ke +) ate) + (+7) = du de dv\dy dw\ ds _ IG +alat(ota) ++? de) 0 p=2xp — x'D. ove: trariamente sul contorno dell’ellissoide, nella forma di somme di polinomi moltiplicati per il fattore P. (1) Boggio, Sopra alcune funzioni armoniche 0 biarmoniche, ecc. (Atti del R. Isti- tuto Veneto, t. LX, parte 2°, a. 1901). (*) Tedone, Sul problema dell'equilibrio elastico di un ellissoide di rotazione (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XIV, 1° sem. 1905). (*) Cfr. Borchardt, Gesammelte Werke, pag, 250 (Berlin, a. 1888), ovvero: Cesàro, Introduzione alla teoria matematica della Elasticità, cap. XV (Torino, a. 1894). ni zi deu is — 110 — Conviene ridurre le (11) a forma omogenea. Poniamo perciò: e=5+ x (13) o=n+ 7 m=tp È ++ ove £,7,€,F sono funzioni da determinarsi; le (11) diventano allora: 4,84 (1420) È — € rv@ 2144) AF] ; “da da gio r do des (11’) 4:74 (1+ 2a) = 740-214») 47] Y Yy do de e se poi si determina la F in modo che sia verificata l'equazione: x (14) ASI 214%) D e sia regolare in S, le (11') si ridurranno alla forma omogenea: \ CA 4:54 (14-2x)77=0 Eseguendo la sostituzione (13) le (12) diventano: (230 # > > 35 (3 Lu) ca di dn (2 ala di dn dy * da da dF de d'F dy. d'F de = (xD — 2x4,F) = — vr ci Ci «dari? E dn de dy dn da de 2) (15) od ancora, ricordando la (14) e le (4): a di pis Lea da? + x o) t°% ton po dd ai — 111 — Supponendo ora che il riscaldamento ® sia un polinomio dato di grado 2, potremo determinare un polinomio F, di grado m --- 2, che verifichi la (14) (!), e allora nelle (16) le espressioni entro le parentesi quadre risultano polinomi di grado m+- 1, perciò la ricerca delle funzioni £, 7,6, che saranno pure polinomi di grado m + 1, si può fare col procedimento adoperato per i si- stemi (8), (9). 5. Come è già stato detto, le considerazioni dei $$ 1, 2 valgono per un numero qualunque di variabili: in particolare, per 2 variabili, permet- tono di determinare la deformazione di una piastra elastica, isotropa, piana, infinitamente sottile, non soggetta a forze di massa, e il cui contorno sia sollecitato da tensioni date, agenti nel piano della piastra, supponendo che le componenti di dette tensioni siano eguali al prodotto di un polinomio, di un grado qualunque 7, per la distanza del centro dell’ellisse dalla tangente nel punto considerato. Questa questione può però esser trattata, togliendo anche la restrizione ora posta circa le componenti della tensione, con un altro procedimento : infatti essa equivale (°) a quella di costruire la funzione biarmonica U nel- l’area considerata, conoscendo sul suo contorno i valori della U e della sua derivata normale. E poichè la determinazione della funzione U, nel caso dell'ellisse, si sa fare (8), si conclude che si saprà anche determinare la defor- mazione della piastra ellittica. Fisica. — Sulla radioattività dei fanghi termali depositati dalle acque degli Stabilimenti dei Bagni di Lucca (Toscana) (*). Nota del dott. G. MAGRI, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. In questa Comunicazione riporto i risultati ottenuti dallo studio della radioattività dei fanghi e delle acque termali dei Bagni di Lucca. Lo studio fu già cominciato sul luogo, ove mi recai per incarico del prof. Ubaldo Antony. Al prof. Antony vadano quindi i miei ringraziamenti; così pure vadano al cav. dott. Adriano Bastiani per aver messo a mia disposizione il locale ed il materiale di studio. Degli stabilimenti da me visitati ricordo: (1) Di questi polinomi ne esistono infiniti; si può ad esempio assumere quello che si annulla su o e che si può ottenere facilmente come è mostrato nella mia Nota del- l’Istituto Veneto già citata. (*) Boggio, Sulla deformazione delle piastre elastiche cilindriche di grossezza qua- lunque (Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XIII, 2° sem. (1904); Lauri- cella, Sulle equazioni della deformazione delle piastre elastiche cilindriche (Id., vol, XIV, 1° sem. 1905). (*) Boggio, Integrazione dell'equazione 4s 4:=0 în un’area ellittica (Atti del R. Istituto Veneto, t. LX, parte 2°, a. 1901). (4) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica della R. Università di Pisa. RenpIcoONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 15 dc spe Î\ dl — 112 — lo stabilimento dei « Bagni caldi », delle « Docce basse », « Bernabò » e della « Villa ». Le acque che alimentano questi stabilimenti sgorgano da numerose sor- genti e sono in parte termali; queste ultime, che raggiungono alte tempera- ture (fino a 54° 1), costituiscono la ricchezza degli stabilimenti. Esse con- tengono disciolti sali diversi (!) e depositano sul loro percorso ed in vasti, serbatoi, appositamente costruiti, dei fiocchi leggieri, varianti dal color mar- rone al rosso e al giallo, i quali, raccogliendosi al fondo, costituiscono un « fango » molto apprezzato come uso terapeutico. Dalle scaturigini delle sorgenti termali dei vari stabilimenti non si sviluppano affatto dei gas, talchè le mie ricerche si dovettero limitare allo studio della radioattività dell’aria nelle vicinanze dello stabilimento principale (Bagni caldi), delle acque di questo stesso stabilimento e dei vari depositi ferruginosi delle sorgenti surri- cordate. Di questi depositi si occuparono già: incidentalmente il Moscheni in un interessante Tra/tato dei Bagni di Lucca (1792) e più tardi Davy, il quale ne fece il primo studio con una breve Comunicazione alla R. Acca- demia di Scienze di Napoli. Or non è molto il prof. Antony esaminando tali fanghi, potè riconoscere del manganese in quello del Doccione. Ho rivolto specialmente la mia attenzione a questi depositi che, come si vedrà più avanti, presentano un'attività molto notevole ed interessante. Per lo studio questi fanghi venivano stacciati ancora molli per uno staccio a maglie non troppo strette e ciò non tanto per liberarli subito dai più grossi residui calcarei che si staccano dalla roccia su cui scorre l’acqua, quanto anche per raccoglierli come là si usa. Così stacciati e mantenuti sotto la propria acqua, i fanghi rimangono stabili e quando sì vogliono esaminare non resta altro che seccarli prima a bh. m. poi in stufa a secco fra 80° e 90°, staccian- doli poi nuovamente per uno staccio fine e prendendo la polvere. Ciò che ri- mane sullo staccio è ancora un po’ attivo. Si capisce come la composizione di questi fanghi sia varia essendo essi mescolanze di idrati ossidi di ferro e di silice in rapporti abbastanza costanti, ma ancora in modo vario, di tutto ciò che può eventualmente trascinare l’acqua con sè. Sicchè la presa del campione è sempre incerta, ed è ben difficile poterne prendere due che si corrispondano perfettamente. Io ho distinto i fanghi in aderenti, quelli cioè che si depositano là ove scorre l'acqua e che richiedono un certo sforzo per essere staccati; ed in depositi soffici o non aderenti, quelli che si de- positano ai fondo ove l’acqua ristagna. Sembra che i depositi aderenti siano quelli che più degli altri si corrispondono campione a campione, a meno che non venga fatto, nel distaccarli, di portar via dei pezzi di roccia, come più volte mi è accaduto. Mi preme far notare subito che questi depositi aderenti (1) Relazione dell'analisi chimica dell'acqua del Doccione dei Bagni caldi. U. An- tony, 1904, Lucca, cart. e tipo-lit. Amedei. — 113 — sono i più attivi, sia perchè più vecchi, ma può darsi anche perchè meno inquinati da sostanze inerti. Metodo di misura. Ho studiato l’attività di tali fanghi misurando coi soliti sistemi la ca- duta in Volta del potenziale di carica di un elettroscopio. L'apparecchio che ho costruito è rappresentato sotto due forme nelle figure 1 e 2 (*). In sostanza Forma A = Resi, esso è un solo apparecchio cui si possono dare due disposizioni, sia che si voglia usare l’elettroscopio solo, sia che si voglia ad esso adattare un disper- sore. Nella fig. 1 in basso è rappresentato l’elettroscopio costruito sul modello di quelli del Righi, cui ho dato la disposizione là raffigurata. L' isolante dell'elettroscopio è racchiuso in un piccolo ambiente, il quale non ha quasi scambio di gas coll’esterno ed è tenuto costantemente asciutto per mezzo di due ampolline di vetro laterali contenenti del sodio. (1) Fu costruito dal meccanico dell'Istituto di Fisica di questa Università. Orfeo Di Nasso. PSE a ge iene | = "rea Ero | — ll4 — L'asticella cui è attaccata la foglia d'oro passa al di sotto del fondo del cilindro per un piccolo foro centrale ; e siccome non è facile poter attaccare tutto ad un sistema rigido, data la difficoltà di costruire bene imperniato il filo che tiene lo zolfo, lo zolfo e l’asticella dell’elettroscopio, così il tappo superiore del cilindro è di sughero, e quando i vari pezzi si facciano con cura sì può comodamente e facilmente centrare nel foro, l’asticella dell’elettro- scopio. Nella fig. 1 è rappresentato l’astuccio che si applica per salvaguardare 7. ro VZIZA B VA fla foglia d'oro e rendere l’elettroscopio trasportabile. Il resto dell’appa- recchio si comprende facilmente dalla sezione: la parte A che costituisce l'elettroscopio va a sfregamento e a tenuta al di sopra di una campana di ottone della capacità di circa cm? 200. Questa campana porta due aperture opposte o che sono ricoperte da lastre di vetro e che servono per leggere, mediante un cannocchiale munito di micrometro oculare, gli spostamenti della fogliolina. L'apertura chiusa con un tappo a vite 4 serve per caricare l’elettroscopio, i due cannelli 9, è per immettere dei gas nella campana od attaccarvi delle ampolline con sodio. La campana 8 per mezzo di due attacchi — 115 — che penetrano in due gole a baionetta si può fissare su di un anello 2 sorretto da un piede #. Una riparella di cuoio serve a rendere la chiusura perfetta. Al di sotto dell'anello penetra un coperchio di scatola €, pur esso attaccato nel modo suddetto e che serve per la sostanza in esame. L'anello D porta inoltre un foro centrale tagliato ad imbuto, cui va a sfregamento un diaframma di ottone 9 che nel mezzo porta una sottile lamina circolare di alluminio in foglia < sorretta da due pezzi di rete a larghe ma- glie. Così l’ambiente in cui si trova l’elettroscopio resta perfettamente chiuso, separato dall'esterno, separato anche dalla camera ove si trova la sostanza radioattiva. Si può anche usare l'apparecchio in un’altra maniera, qual'è quella rap- presentata nella forma 8 della fig. 2. In questo caso al posto del coperchio € della fig. 1 si sostituisce la scatola cilindrica d’ottone € della fig. 2 imper- niata nell’anello al solito modo. È tolto il diaframma di alluminio % descritto precedentemente, ed a questo ne è sostituito un altro g' che va a sfregamento nella campana 8 e che porta un foro di mm. 5 di diametro. All’elettroscopio si unisce un dispersore formato da una scatola 7, costi- tuita da un piattello unito coi soliti attacchi ad un anello sormontato da una rete metallica a maglie abbastanza strette 7. A questa rete è saldato un filo di ottone che sorregge tutta la scatola e che nella parte superiore è ricurvo e si attacca per il piccolo gancio all'asta dell'elettroscopio. La cassa grande € è munita di due tubicini c e per far circolare quando si voglia dei gas nella campana, e di un tappo a vite a' che serve volendo per caricare l’elettro- scopio. Per ricerche di radioattività indotta al cestello 7, sostituivo dei dischi di argento simili a quelli disegnati in M (fig. 2). Quest'elettroscopio, quando sia scelta con cura la fogliolina d’oro, si presta a dare letture precise, specialmento usando, come ho fatto io per questo scopo, un cannocchiale munito di micrometro oculare; cosicchè mi- sure successive fatte sullo stesso fango danno resultati molto concordanti. Inoltre la quantità di sostanza necessaria per le misure è pochissima ed io non ho mai oltrepassato i 5 gr.: le misure qui riportate furono eseguite sempre su tale quantità di fango. Gli isolanti di zolfo presentano sempre un ottimo stato di isolamento. Per avere Ja misura della radioattività della sostanza, caricavo negati- vamente il piccolo elettroscopio con una pila Zamboni attraverso l'apposita apertura, mediante un sottile filo metallico attaccato ad un estremo della pila. Il massimo di deviazione dell'elettroscopio corrispondeva a 250 Volta. Poi determinavo successivamente la caduta del potenziale di carica dell'elet- troscopio, prima e dopo aver posto la sostanza nel piattello €, riferendola al minuto primo. OT Lig i © fag'er - | rari — 116 — Nelle mie determinazioni di rado spinsi la scarica dell’ elettroscopio al di sotto di 100 Volta; ad ogni modo anche pei materiali più attivi mi man- tenni sempre ad un potenziale sufficientemente elevato per non scendere al di sotto della corrente di saturazione. Questo lo dimostravano evidentemente le curve della dispersione dell’ elettroscopio che erano molto vicine ad una retta, tranne qualche volta in cui col diminuire del potenziale aumentava un pochino la dispersione in virtù di una leggerissima attivazione che assu- meva l’elettroscopio. Per questo la misura dell'attività mi veniva data sen- z'altro dalla dispersione in Volta per un minuto primo, corretta naturalmente della dispersione iniziale dell’elettroscopio. Coll’elettroscopio della forma B operavo nello stesso modo. Interponevo almeno quattro ore fra una lettura e l’altra, perchè i valori della dispersione iniziale fossero sempre gli stessi e le osservazioni sui fanghi non fossero influenzate dalla leggiera attivazione che qualche volta acquistava l’elettro- scopio. In generale ho sperimentato coll’apparecchio della forma A più comodo per queste ricerche; però ho osservato valori concordanti tra loro, usando sia l'una sia l’altra forma. Sarebbe troppo lungo il descrivere singolarmente le diverse sorgenti dalle quali furono tolti i campioni dei fanghi; mi limiterò a ricordare che: 1. Nello stabilimento « Bagni caldi » si trovano due sorgenti: quella del « Doccione » e quella che alimenta il « Bagno dei poveri ». 2. Alimentano lo stabilimento delle « Docce basse » le sorgenti « Rossa », « Disperata », « Coronale », « Maritata », « Trastullina » e la « Gialla »; di quest'ultima non potei prendere campioni perchè era otturata. 3. Nello stabilimento « Bernabò » si trova una sorgente termale. 4. Lo stabilimento « alla Villa » pur esso è alimentato da un'unica sorgente termale. Queste acque ricordate sono tutte termali, variando le temperature dal- l'una all'altra; io non misurai direttamente queste temperature, credendo di trovarle registrate nelle relazioni chimiche di tali acque che furono fatte a più riprese; disgraziatamente non tutte le sorgenti sono ricordate, special- mente nelle relazioni più recenti, talchè ho dovuto prendere le temperature in gradi Réaumur che dà il Moscheni. ESPERIENZE. Nel seguente prospetto, ove raduno i risultati delle mie osservazioni, nella colonna delle temperature sotto R riporto quelle date dal Moscheni, e sotto C i gradi centigradi registrati dall’Antony ('). ()) Relazione citata. — 117 — Temperatura Dispersione FANGHI —_—_—__________@z Tempo Grammi | in Volta jR | c all’ora (SE aderente I 16 giorni 5 322,44 ss Eee non aderente >) 43 54,1 MS 5 283,03 SÒ = id. più di 1 anno] 5 280,10 = © | Sorgente del ani 25 Fieno dl | aderente ) 48 145 16 giomni 5) 143,74 D Poveri (non aderente \ J6r id. 5 139,08 vo # Z aderent 17 giorni 5 1062,70 ee ; Ù 38 41,5 i (ce) v0ssa non aderente \ id. 5 259,36 D $ Sorgente | aderente per id. 5 488,13 A Disperata {non aderente \ id. 5 429,82 D 3 Sorgente | aderente ) 35 18 giorni 5) 668,88 e Coronale | non aderente pri id. 5 306,78 È Sorgente | aderente 85 id. 5 496,98 E Maritata (non aderente id. 5 875,80 I 7) Sorgente aderente 29,5 19 giorni | 5 281,52 Trastuliina o. Ts Sorgente TO 6 SE BERO non aderente 35 40 19 giorni 5) 120,36 DA Se FIS mi. SS Sorsente | aderente ) 33 9/ 99 19 giorni 5 1695,94 d5; IT < hà d Se | della Villa {non aderente gg id. 5 836,28 zo DO Campione di Pechblenda SEE | dell'Istituto di Chimica | | | Dito Dando uno sguardo alla tabella, ci possiamo facilmente convincere che i depositi aderenti sono in generale più attivi dei non aderenti; un'eccezione è presentata dal fango della sorgente « Maritata ». I fanghi mantengono inalterata la loro attività anche col volger del tempo; campioni sperimentati successivamente diedero sempre lo stesso nu- mero, e nella tabella è riportato un fango del « Doccione » il quale dopo più di un anno presenta sempre la stessa attività. Quasi sempre si nota che i fanghi più attivi sono quelli deposti dalle acque a più bassa temperatura ; e non solo col variare della temperatura cambia l’attività, ma cambiano ancora gli altri caratteri chimici e fisici: così il colore dei fanghi dal rosso-bruno pei « Bagni caldi » (54°,1) va al rosso-ocraceo della « Villa = e « Bernabò » (39° a 40°) fino al giallo-chiaro CIA eorz e ei I n n Su _ SI _ _ — 118 — dell’acqua « Gialla » (38°), mentre l’idrazione va aumentando via via che la temperatura si abbassa. Per altro da questa legge si scosta il fango « dei poveri = che dovrebbe dare dei valori un poco maggiori del « Doccione » e il fango « Bernabò »: però questi due depositi sono diversi da tutti gli altri per l'aspetto fisico almeno. Così pure un valore molto elevato si trova nel numero del fango aderente dell’acqua « Rossa ». Queste divergenze in meno si potrebbero spiegare col fatto dell’impurità del campione e che il deposito della « Rossa » aderente abbia soggiornato molto tempo nei crepacci della roccia. Certo si è che da un minimo di 322 per i « Bagni caldi » si va salendo sino ad un massimo di 1695 di. disper- sione per la « Villa » e che il « Doccione > ha una temperatura molto più elevata di questa. In fondo alla tabella è posto il valore ricavato dallo stesso apparecchio per due decigrammi di un vecchio campione di Pechblenda esistente nel nostro laboratorio; ciò feci allo scopo di poter fare dei confronti fra la grandezza della radioattività dei fanghi studiati e quella già nota della Pechblenda. Questa fu finamente polverizzata e distribuita nel piattello in modo che occupasse la maggiore superficie possibile. Esaminai inoltre la radioattività indotta in oggetti di argento posti sia nell'aria della grotta a vapore, nell’ acqua e nei fanghi dei « Bagni caldi »; e questa si mostrò molto evidente; così pure si mostrò molto maggiore l’atti- vazione acquistata da due piattelli d’argento caricati contemporaneamente ad uno stesso potenziale negativo e di cui uno nell’aria della grotta, l’altro nell'aria esterna dello stabilimento. A queste ricerche eseguite coll'elettroscopio, corrispondono le proprietà dei fanghi di impressionare le lastre fotografiche. Le prove furono eseguite su lastre Lumière delle dimensioni 9 X 12 involte in carta nera. Su questa, dalla parte corrispondente alla gelatina, ponevo delle lettere di piombo grandi e spesse e poi spargevo da 20 a 25 gr. di fango bene asciutto sulle lettere e sulla carta nera ponendo tutto in scatole ben chiuse. Con pose varianti da 10 a 15 giorni si ottengono dei fotogrammi ben netti. Esperienze di confronto eseguite con fanghi debolmente attivi di altre regioni, diedero dei risultati negativi. Da tutto ciò che ho esposto si può tirare una conclusione importante : la grande radioattività che presentano i fanghi dei Bagni di Lucca. Per quanto io abbia letto sulle relazioni di autori diversi intorno all'attività dei fanghi termali, non ho visto rammentato alcun deposito che presenti in ma- niera così ragguardevole la radioattività che si riscontra nei fanghi da me studiati. Dato un prodotto così attivo, non deve essere impossibile il cercare di concentrare con qualche frazionamento sistematico la materia attiva, e cono- scere così se questa debba ascriversi a Radio o piuttosto ad uno degli altri elementi radioattivi. Di questo studio stiamo occupandoci attualmente il prof. Antony ed io. 19 — Fisica. — Misura del coefficiente di attrito interno dell’aria a basse temperature ('). Nota del dott. SiLvio CHELLA, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. La propagazione del movimento nei gas è stata l'oggetto delle più accu- rate ricerche da parte dei fisici, come quella che, legata direttamente al percorso medio molecolare, sembrava poter farci conoscere per la via più diretta la costituzione interna dei gas stessi. È noto infatti che dal percorso medio di una molecola si può risalire alle sue dimensioni, le quali con- cordano, almeno come ordine di grandezza, con quelle che si possono dedurre per vie affatto diverse. È pur nota la semplice relazione che lega il coefficiente di viscosità » al percorso medio 4: Y) MI Vpo dove p e o sono rispettivamente la pressione e la densità del gas, mentre % sta a rappresentare un coefficiente puramente numerico molto prossimo a 1,8. Però mentre son numerosissime le misure di attrito interno fra limiti di temperatura varianti fra 0 e 300°, scarseggiano quelle effettuate a tem- perature inferiori a 0°, e le ricerche mancano poi totalmente al disotto di — 20°. Mi è quindi sembrato opera di un qualche interesse, il completare lo studio del coefficiente di attrito interno dell’aria, a temperature molto basse; tanto più che l'impianto per la produzione dell’aria liquida nell’ Isti- tuto Fisico di Pisa, veniva opportunamente ad agevolare il lavoro. Il metodo da me usato per la misura della viscosità dell’aria, e che consiste essenzialmente in quello dello smorzamento delle oscillazioni di un solido di rotazione, si trova esposto in una Nota precedente (*), assieme alla descrizione d'un apparecchio costruito appositamente per ovviare ad alcune cause di errore, che affettavano le determinazioni fatte da altri sperimen- tatori. Esso consiste nella sua parte più importante in due cilindri coassiali tenuti fissi, fra i quali vien sostenuto, per mezzo di una sospensione bifilare, (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisica della R. Università di Pisa, diretto dal ‘prof. A. Battelli. (2) Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. XIV, 1° sem. 1905, p. 23. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 16 *=it RI A Tse 41 - È — 120 — provveduta del solito specchietto per le letture sopra una scala divisa, un cilindro cavo di pareti sottilissime. Tanto la sospensione che il sistema dei cilindri sono rinchiusi in un apparecchio a tenuta, e il movimento all'equipaggio mobile viene trasmesso per mezzo di un ago magnetico, a cui è raccomandata la sospensione bifilare ; Cd AUT DAIG/ZE ; 4, liptos lE l'ago è mosso da un potente magnete permanente situato all’esterno e vi- sibile in alto nella fig. 1°. La parte cilindrica dell'apparecchio ove avvenivano i fenomeni di attrito era immersa in una grossa provetta contenente un liquido che poteva esser tenuto agitato; e la provetta era a sua volta contenuta in un vaso cilindrico di vetro a doppia parete, in cui versavasi il refrigerante per portar il sistema dei cilindri alla temperatura voluta. Per eliminare gli errori cui sopra ho accennato, i cilindri mobili ado- perati nelle esperienze erano due, di ugual diametro e spessore, ma di al- tezze inversamente proporzionali alla densità dei due metalli diversi, di cui detti cilindri erano costituiti. La misura delle due campanine mobili, una di ottone e l’altra di allu- minio, le cui dimensioni figurano nella formula che dà il coefficienie di attrito — 21 —- in funzione dello smorzamento delle oscillazioni, è stata fatta a mezzo di un comparatore di Froment dell’approssimazione di */r0o di mm. Questo com- paratore fu verificato all’ Ufficio Centrale di pesi e misure e la differenza per una lunghezza di cm. 20 è stata trovata di u. 5. Le dimensioni corrette sono, tenendo i simboli della Nota precitata, cioè chiamando con R, e R, rispettivamente il raggio esterno ed interno, e con A, e hs l'altezza esterna ed interna: Campana di ottone Campana di alluminio Ri, cm. 2,9317 cm. 2,928 Rs » 2,2635 » 2,2595 hi » 2,993 » 10,079 hag » 2,914 »Mi93948 Come si vede, i raggi delle due campanine, per quanto assai prossimi, non sono perfettamente uguali; d'altra parte, anche se si fosse potuta raggiun- gere questa identità per una determinata temperatura, essa sarebbe scomparsa per l’ineguale dilatazione dei metalli tosto che la temperatura fosse variata. Val meglio quindi adoprare la formula ZA palo in Mo °) dove #, ed « sono decrementi ottenuti colle due diverse campane, M, e My i loro momenti di inerzia, T, e T; i due periodi di oscillazione. k, e &» sono due coefficienti numerici tali, però, che per una data coppia di campane %, — o sia proporzionale prossimamente alla differenza delle loro altezze. M, e M;, T,e T,, come risulta dalla Nota antecedente, deb- bono risultar vicinissimi. Per la misura di tali momenti d'inerzia, come per quella dei periodi, disponevo di un cronometro del tipo usato nella R. Marina, della fabbrica Dent, il quale portava il n. 3089. L'equazione del tempo per questo cronometro era stata recentemente determinata nell’osservatorio astronomico di Arcetri. Per quel che riguarda la misura delle temperature, mi son servito di due coppie termoelettriche identiche rame-constantana. Ho saldato una delle coppie sulla parete esterna del cilindro fisso di diametro maggiore, e l’altra sull’interna del minore; mediante un commu- tatore a pozzette di mercurio, chiudevo l'una o l'altra delle due coppie sopra un galvanometro di grande resistenza (518 ohm), a cui avevo aggiunto 1500 ohm di resistenza interna. Tale resistenza era sufficiente perchè potessi trascurare gli errori pro- venienti dalle variazioni di resistenza, necessariamente irregolari e malage- 7 ea. AT e è — 122 — voli per la misura, che avvenivano in quella parte del circuito del resto abbastanza esigua, la quale trovandosi nell'interno o nelle vicinanze dell’ap- parecchio di attrito, era esposta al raffreddamento dell’aria liquida. Ho calibrato le coppie mediante un termometro campione di Baudin ad etere di petrolio. L'approssimazione di tale termometro è di 4 grado per la temperatura di — 200° F C. Difficoltà molto gravi si presentarono allorchè volli ottenere, nei vari casì, una temperatura uniforme nel gas che sottoponevo all'esperienza, in modo che tale si mantenesse durante il tempo in cui facevo le determinazioni di smorzamento delle ampiezze delle oscillazioni. La bocca del recipiente a doppia parete, nel quale era contenuto il re- frigerante (aria liquida), era causa di un forte irraggiamento, così che do- vetti ricorrere a un bagno di temperatura. Dopo molti e laboriosi tentativi osservai che il metodo migliore consi- steva nel portare tutto il sistema dei cilindri, fissi e mobili, alla più bassa temperatura realizzabile, pazientando che questa acquistasse una distribuzione bene uniforme. Dipoi lasciavo riscaldare l'apparecchio avendo cura di agitar incessantemente il bagno. Bastava che l'agitatore ristasse dal funzionare pochi minuti, perchè la differenza segnata dalle due coppie termoelettriche salisse a 3 o 4 centigradi. Ad ogni modo non raggiunsi pienamente l’intento, se non quando asse- gnai all'insieme dei cilindri fissi una capacità termica piuttosto considere- vole; condizione questa che, se rendeva difficoltoso il raffreddamento, — al che potevasi rimediare impiegando maggior quantità di refrigerante — faceva sì che la variazione della temperatura fosse assai più regolare. Per il bagno di temperatura che circonda la provetta, in cui si trova racchiusa la parte oscillante dell'apparecchio, dopo aver cimentato invano varie sostanze e miscugli, trovai conveniente usare l'etere di petrolio. È l’unico liquido che possa resistere alla temperatura dell’aria liquida senza gelare completamente; debbo tuttavia avvertire che, dovendo il bagno restare in presenza dell’aria, per poter essere agitato senza troppo complicare l'apparecchio, non tardava ad impregnarsi di sostanze estranee, di modo che s intorbidava e a — 150 gradi prendeva l’aspetto di un liquido assai vi- schioso, ma che pur si poteva sempre agitare in modo da mantenere la tem- peratura abbastanza uniforme. A compiere le misure di smorzamento aspettavo che le due coppie se- gnassero la stessa temperatura nei limiti di 4 centigrado. Per il calcolo del coefficiente di attrito facevo due determinazioni, una colla campana di alluminio e l'altra con quella di ottone, assai prossime per modo da esser certo che le condizioni della sospensione bifilare non fossero variate. Scelte nelle due determinazioni due temperature molto prossime, ne facevo la media, e per l'una e l’altra campana riducevo il decremento logaritmico alla temperatura media per via di interpolazioni. Erano questi gli «, e so che introducevo nella formula. Le tabelle qui riportate dànno i valori ottenuti per il cofficiente di attrito in diverse serie di tali esperienze. Nella prima di esse sono stati riportati tutti gli elementi dei calcoli, e sono stati soppressi per ragione di brevità nelle altre. DI 1 ESITO) " To ==927,05 Temperatura E | E0 | E1- 0 | N Temperatura SESTO interno + 21 | 0,0883886 | 0,054153 | 0,029733 | 0,0001983 21 | 0,000192 0 | 0,080575 | 0,051151 | 0,029424 191| — 37 156 — 21 |0,077496 | 0,0508383 | 0,0271153 176| — 46 152 — 38 | 0,074159 | 0,050071 | 0,024188 157/55 137 — 48 | 0,072279 | 0,049994 | 0,022285 155 | — 72 120 — 54 |0,067512 | 0,046407 | 0,021105 137 |— 82 106 — 70 | 0,0644834 | 0,045640 | 0,018794 122| — 97 097 — 87 | 0,056160 | 0,040300 | 0,015867 103| — 115 059 — 118 |0,049374 | 0,0389822 | 0,009552 | 0,000062 | — 145 024 — 130 | 0,047379 | 0,039676 | 0,007703 50 = = — 143 | 0,042652 | 0,0388985 | 0,003697 24 — _ Temperatura | ai attrito interno Temperatura | di attrito interno 19 0,000191 18 0,000190 0 188 — 5 187 — ll 184 — 30 186 — 22 173 — 43 155 — 45 152 — 59 187 — 60 133 — 74 117 —. ia, 177 — 86 102 == (E) 098 — 102 OG6I — 98 087 — 123 051 — 106 079 — 140 028 — 132 042 = —_ — 144 021 = = Ri SX - \e- »_=-a Temperatura | a; attrito interno Ludie 0,000191 dr 185 pa 0190 175 di I 152 sa — 58 136 5: Sr; 118 n PA33 105 do S.0) 082 DI Non potendosi qui trattare di medie, non essendo i punti di temperatura uguali per tutte le serie, ho preferito determinare l'andamento dell’attrito i interno coi soliti metodi grafici. BOSuSE i) ERRE ESSE ez Sou: IMEMG Una sa areata BaRSiEnna: RIGi92: Ho ottenuto una curva riportata nella fig. 2%, assieme alla grafica dei valori teorici calcolati colla formula parabolica. Temperatura 113 Coefficiente di attrito interno “e = 0,000189 184 172 159 143 125 110 088 076 064 — 125 — Da questa tavola risulta a colpo d'occhio il rapido scostarsi del coeffi- ciente di attrito interno dalla legge parabolica. Ora, se riguardiamo le molecole come centri di una forza repulsiva, è naturale che al diminuire della temperatura, ossia della velocità molecolare, una molecola si possa meno avanzare nella sfera di azione di un'altra mole- cola. È quindi evidente, che nella teoria degli urti, il diametro fittizio di una molecola decresca quando la temperatura si eleva, giacchè l'urto in tale ipotesi comincia quando la traiettoria della molecola urtante devia dalla linea retta, ossia quando principia l’azione repulsiva della molecola urtata. Sotto questo punto di vista le mie esperienze, d'accordo con quelle fatte a più elevate temperature, non sarebbero che una riconferma della teoria. Se non che, per le temperature alle quali ho cimentato il gas, la diver- genza dell'attrito interno dalla legge parabolica è notevolmente maggiore di quella osservata per temperature più elevate, e a spiegare la quale il Boltz- mann avanzava l'ipotesi, che la forza repulsiva, posseduta dalla molecola, fosse proporzionale all’inversa della quinta potenza della distanza. Per le temperature più basse la repulsione crescerebbe assai più rapi- SI0E2 È 1 damente, e se vogliamo supporre l’azione molecolare proporzionale a. — persi, r essendo la distanza di due centri di forza, n dovrebbe farsi molto mag- giore di 5. Ma d'altra parte l'ipotesi del Boltzmann non è forse che un puro artifizio, per dedurre in forma matematica alcune proprietà dei gas, ipotesi che potrebbe anche non aver alcun reale riscontro nel meccanismo con cui i gas trasmettono il movimento. Se si deve attribuire l’azione molecolare tutta quanta al movimento trasmesso per mezzo dell'etere agli %on2, come ne fanno vedere la possibi- lità i lavori puramente teorici del Lorentz, a spiegare il rapido decremento dell'attrito, basterebbe supporre che, al diminuire della temperatura, oltre che la forza viva molecolare, decresca notevolmente il rapporto fra il nu- mero delle molecole e degli ioni liberi; ipotesi che invero sembra essere confermata dall'esperienza. Per ora le esperienze sull’attrito interno, fatte tenendo soltanto conto della variazione della temperatura, non possono darci una risposta atten- dibile; ma forse essa ci può essere fornita dallo studio dell'influenza che eventualmente possono esercitare nella viscosità dei gas le varie specie di radiazioni: studio a cui ora mi sto accingendo. è AYA vi ili e — pair o — 126 — Fisica terrestre. — isultati pireliometrici ottenuti. dal 22 agosto a tutto giugno 1903 al R. Osservatorio Geofisico di Modena. Nota di Ciro CHISTONI, presentata dal Socio P. BLASERNA. Le misure pireliometriche nel periodo di tempo sopraindicato, vennero sempre eseguite col pireliometro di Angstrom N° 39, al quale stava unito l'amperimetro S. H. 66234 con derivazione 14894 (!). Come al solito l’ora è data in tempo medio dall’ Europa centrale, ed = altezza media del sole, durante il tempo dell’osservazione. 6 = temperatura media indicata dal termometro unito al pireliometro. B = pressione barometrica a 0°, diminuita di 700 mm. t = temperatura dell’aria. f = forza elastica del vapore acqueo contenuto nell'atmosfera. u= umidità relativa dell'atmosfera. {= intensità (in Amp.) della corrente elettrica compensatrice. Q= intensità della radiazione espressa in gr. cal. per minuto primo e cm. (1) I coefficienti relativi a questi apparecchi si trovano riferiti nella Nota Sul pi- reliometro a compensazione elettrica dell’Angstròm (Rend. della R. Accad. dei Lincei; vol. XIV, 1° sem. 1905, pag. 340 e pag. 451). Il pireliometro del R. Osservatorio Geofisieo di Modena è a metri 64 sul livello del mare; e l'Osservatorio è alla latitudine ho- reale 449, 88‘, 53” ed alla longitudine E da Gr. 0°, 48, 428. Per ridurre la pressione atmosferica ad essere espressa in millimetri di mercurio a 0° ed alla densità normale, occorre diminuire i valori di B (aumentati di 700) di 0,031. or — MopENaA 1902 Giorno Ora h 22 agosto 2 settembre ” »” 8.19 9.19 15.19 16.19 TW719. 8.19 11.19 12.19 15.19| 16.19 INTO) 8.19 9319) 10.19 11.19 12.19 13.19 14.19 15.19 16.19 9.18 10.18 11.18 12.18 13.18 14.18 16.13 17.18 8.18 9.18 10.18 11.18 12.18 13.18 14.18 15.18 16.18 8.16 9.16 a 29,5 39,5 39,5 29,5 18,9 29,3 54,5 56,9 39,8 29,8 18,7 29,0 39,0 47,8 54,1 56,5 54,1 47,8 39,0 29.0 38,7 47,5 53,8 56,2 53,8 47,5 28,8 18,2 28,5 38,5 47,2 53,5 55,8 53,5 47,2 38,5 28,5 26,8 36,6 24,8 26,8 32,3 30,3 29,9 29,3 26,3 31,1 31,5 30,8 30,4 29,8 25,4 28,3 28,3 28,7 28,5 29,1 29,5 29,2 25,5 28,2 28,4 30,1 29,2 30,0 28,5 29,3 29,7 25,5 28,0 29,1 98,1 30,5 31,6 32,5 32,0 24,8 27,3 i | OB t | fai Annotazioni 0,384|0,990| 58,2] 22,9| 11,455) Aureola; Ci prossimi al © 0,399|1,070) 58,5) 23,4| 11,755) Cu e Ci prossimi al @ 0,402|1,088| 57,6| 26,2) 9,437| Bianchiccio; aureola; Cu a Sud 0,379|0,967| 57,4| 26,0) 8,9/36| Bianchiccio 0,344|0,796| 57,2) 25,9) 8,7/85 Id. 0,364|0,888| 59,5] 22,2] 11,9|60 Id. 0,392/1,032| 59,7| 23,2) 8,842) Aureola; Cu e Ci in vicinanza del © 0,390/1,024| 59,1] 24,3] 7,8/35 Id. 0,392|1,035| 58,1| 25,2) 7,9/38| Bianchiccio; aureola 0,372/0,931| 57,8| 25,4) 7,432 Id. 0,334/0,751| 57,4] 25,0) 7,281 Id. 0,376/0,948| 58,1| 19,9) 8,750) Biancastro 0,402|1,085| 58,0) 21,8| 9,1|47| Sereno 0,411|1,136) 58,0| 22,2|10,3/52| Id. 0,408|1,119) 57,9] 23,7 9.745! Id. 0,415|1,158| 57,7| 24,0) 9,5|43] . Id. 0,416|1,163| 57,1| 24,5] 9,140) Lucido intorno al @ 0,408|1,119| 56,7| 25,0 9,2|39) Sereno 0,402|1,087| 56,2) 25,8) 9,037) Id. 0,372/0,931| 55,8) 26,0) 9,1/37| Biancastro; aureola 0,389|1,016| 55,5) 23,6] 11,955) Ameola; nebbia fitta all'orizzonte bianchiccio 0,403)1,091| 55,8) 24,2) 10,045 Id. 0,404|1,097| 55,6] 25,0) 10,344 Id. 0,419|1,181| 55,0) 25,7|10,4|42| Lucido intorno al @ 0,413|1,148| 54,6) 26,4| 11,2|39| Sereno 0,413/1,148| 54,2) 27,0) 9,8/38)_ Id. 0,358|1,036| 54,3) 27,2) 8,382] Aureola; Ci e S in prossimità del @ 0,305/0,626| 54,1) 27,1) 7,930] Bianchiccio; aureola 0,374/0,988| 55,2) 21,8) 12,4|64| Biancastro 0,396/1,053| 55,6) 23,2) 12,5/59| Sereno 0,408|1,119| 55,5| 24,0/12,38|56) Id. 0,409|1,126| 55,3) 25,5 11,5|48| Id. 0;415/1,158| 55,2) 26,8 11,2/43] Id. 0,418|1,176| 54,9) 27,5) 9,987) Lucido intorno al @ 0,889/1,019| 54,6] 28,5| 11,138] Caliginoso 0,365/0,898| 54,0) 28,6|12.5043] Aureola; bianchiccio 0,843/0,792| 53,8] 28,5|13,4147| Aureola; Ci e S sparsi in prossimità del © 0,396|1,053| 57,4| 22,6) 12,963 Limpido intorno al ®@ 0,428/1,202| 57,7| 23,1) 12,258 Id. RenpIcONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 17 fo sane tt bi ect de ———— 9-21 — 128 — MopEeNA 1902 Giorno Ora | A hm o 2 settembre |10.16| 45,1 » b) 11.16| 51,1 » ” 12.16| 59,4 » » 14.16] 45,1 ” ”» 15.16| 36,6 » » 16.16| 26,8 dI » 9.16| 36,9 ” ” 10.16] 44,7 ” ” 12.16| 53,0 ” ” 15.16] 36,3 4 » 9.15] 36,0 ” ” 12.15| 52,6 D) ” 15.15| 36,0 5 ” 9.15] 35,7 ” D) 12.15] 52,2 ” » 15.15| 35,7| 6 ” 15.15] 35,4 7 ” 9.14] 35,1 ” D) 15.14| 35,1 8 ” 15.14| 34,8 9 ” 9.14| 34,5] ” ” 15.14| 34,5 10 ”» 9.13| 34,2 D) ’ 12.13| 50,4 16 D) 9.11] 32,4 » ” 15.11| 32,4 17 ” 9.11| 82,1 ” ” 12.11| 47,7 18 ” 9.11| 31,8 ” ”» 12.11|47,9 20 ”» 9.10] 31,2 » » 12.10| 46,5 ” ” 15.10) 31,2 21 ”» 9.9 | 30,8 ” ” 12.9 | 46,1 ” ” 15.9 [30,8 22 ” 9.9 [30,5 » ”» 12.9 | 45,7 0,443 0,432 0,435 0,483 0,414 0,385 0,392 0,416 0,424 0,388 0,405 0,428 0,405 0,394 0,413 0,375 0,403 0,409 0,418 0,396 0,368 0,369 0,365 0,395 0,377 0,379 0,387 0,416 0,367 0,396 0,397 0,404 0,388 0,389 0,410 0,389 0,390 0,409 1,320 1,255 1,273 1,263 1,153 0,998 1,033 1,168 1,210 1,014 1,105 1,233 1,105 1,044 1,148 0,947 1,098 1,123 LX 1,054 0,910 0,916 0,895 1,048 0,953 0,966 1,007 1,164 0,904 1,058 1,056 1,096 1,012 1,015 1,128 1,017 1,020 1,123 f 57,9| 23,4|11,7 57,8| 24,6| 11,0 57,6| 25,1| 10,8 57,4|26,0| 9,1 56,9 26,6] 10,4 56,6| 26,6| 10,8 58,5| 24,2] 14,8 58,8| 24,4] 14,2 58,5|27,4|13,1 57,4| 28,8| 10,3 59,5| 25,6| 13,3 59,2 27,8| 11,5 58,2| 29,3| 10,7 58,1| 26,0| 13,4 57,4| 28,6| 11,6 55,9|30,1|11,2 54,0| 26,0| 12,4 58,1|22,0| 9,9 57,6|25,8| 6,4 58,8| 26,6| 8,5 58,6| 22,0 12,6 56,4| 26,8] 10,3 56,7| 23,0] 13,2 56,2| 26,5] 12,6 58,8|19,0| 11,1 57,2|23,2| 9,4 57,6/20,6| 9,3 56,8 23,7| 7,6 57,1| 21,8] 10,3 57,3 28,5] 9,0 64,8/17,0] 8,21: 64,3] 20,2] 8,8 63,0| 21,8| 7,1 62,0 17,0) 9,0 61,5 20,8) 7,0 60,0| 22,2) 6,6 61,3) 16,61 8,7 60,7] 20,4] 83,6 u 55 48 63 49 39 DÒ 43 35 58 40 35 50 50 39 33 62 49 Annotazioni Limpido intorno al @ Sereno Id. e leggera aureola Limpido intorno al @ Sereno Id. Ci e S in vicinanza del @; veli vaganti Biancastro Id. e Ci; @ libero Biancastro Id. Sereno Biancastro; aureola intorno al @ Biancastro; aureola Id. Bianchiccio Aureola; Cu in vicinanza del @ Sereno Ci; S lontani dal @; biancastro Ci in vicinanza del @; aureola Bianchiccio; aureola Id. Id. Bianchiccio ed intensa aureola Biancastro; aureola Id. e Cu sparsi Biancastro; lieve aureola Id. e Ci e Cu sparsi Ci e Cu sparsi; @ libero Aureola; Cu sparsi Biancastro; aureola Id. Cu e Ci sparsi; aureola Biancastro ; aureola i Id. Id.; qualche Ci verso l'orizzonte Biancastro ; aureola Sereno — 129 — MopEnA 1902 h É Giorno cre Annotazioni hm o 22 settembre |15.9 |30,5|27,5 0,389|1,017| 59,8 22,2| 7,5/37| Bianchiecio; Cu e Ci sparsi 27 D) 15.7 | 28,9 24,1 |0,387|1,005| 59,9) 21,0| 5,8/31| Bianchiccio ; aureola 30 » 9.6 | 28,3/20,5 |0,391|1,024| 51,8) 15,2) 8,8|64 Biancastro ; aureola 3 ottobre 12.5 | 41,5/25,1 (0,420|1,184| 53,8) 19,2 7,847] Aureola intorno al ® D) L) 15.5 | 27,0 22,5 |0,380/0,969| 53,5) 21,0! 7,741! Cu sparsi; aureola 14 ” 9.2 | 23,5|23,0 |0,372/0,928| 62,5) 16,2) 10,3175| Biancastro; C verso Sud 15 ” 9.2 | 23,2/18,2|0,386|0,997| 57,8] 16,8} 9,9)70|' sereno 18 ” 9.2 | 22,3/16,5 |0,398|1,059| 52,8 12,2) 5,7|54| 1a. ” ” 12.2 | 35,8/18,0 |0,422]|1,192| 54,0) 14,4| 3,7/31 Id.; aureola ” 15.2 | 22,3|20,6 (0,403|1,088| 54,7| 14,61 5,4\44| Sereno 20 ” 9.1 | 21,7/13,5 [0,379|0,960) 60,6) 11,0) ‘7,880 sereno ; aureola, ” ” 12.1 | 35,1|16,8|0,421|1,186| 60,2) 19,8) 10,3/60 Ta. ” 15.1 | 21,7|19,8 |0,382/0,977| 59,8 16,0] 6,850 Qualche Cu; aureola 23 ” 9.1 | 20,8/16,5 (0,370|0,916] 61,5) 10,6| 7,4|77| Biancastro » D) 15.1 | 20,8/18,5 |0,359/0,863| 60,9) 14,2) 4,537 Bianchiccio; Cu e Ci sparsi 13 novembre [15.1 |15,2|13,8 (0,275/0,505| 61,9) 11,8} 6,2/60 Ci e $S in prossimità del © 14 4 12.1 | 27,014,10,383/0,980) 63,4 10,2) 5,662! Ci in vicinanza al @ ; aureola 15.1 | 14,6/21,4 [0,345/0,798| 56,4| 10,2] 4,953 Ia 20 n 9.2 | 13,4| 0,3 (0,347(0,800| 61,5}-2,8| 3,1182| sereno Seco 12.2 | 25,3] 8,6(0,392/1,024| 61,7| 1,7| 3,466] 1q n». |15.2 |13,4/15,6(0,3380,742| 61,7) 3,8) 3,558! 1q, 10 dicembre |15.9 |10,9| 6,5[0,284(0,537| 61,5) 4,6 3.962 veli intorno al © 15 “ 12.11) 22,1(11,9 (0,369(0,909) 64,5) 4,8) 4,671 Bianchiccio ; aureola ” ” 15.11] 10,6/11,3 (0,264/0,465| 63,3] 5,8) 4,4/64 Id. dog 12.12) 22,0) 7,0 |0,315/0,661| 64,1| 4,5] 5,080 Caliginoso ” ” 15.12] 10,6/10,8 |0,255|0,484| 64,1| 5,4| 4,466 Ta, TU 12.12) 22,0 9,1(0,307(0,628/ 64,91 4,7 46/71 Aureola intorno al @; cielo bianchiccio TE) o 9.13| 10,5) 9,5 |0,290/0,561| 53,9| 8,2) 2,2/27| Bianchiccio ” ” 12.13) 21,9/15,0 |0,395|1,043| 54,0 11,6. 2,5|26! sereno ” ” 15.13) 10,5/15,0 (0,308/0,634| 52,3| 12,0 2,2/21| @ libero ; Ci sparsi 20.» 15.14) 10,5/14,3 |0,316|0,667| 58,0) 8,6) 2,5181| sereno 21» 12.14) 21,9/15,0 |0,349|0,814| 53,8] 8,8] 3,9|45 Bianchicecio; aureola Id. Bianchiccio » 15.14| 10,517,1 |0,300|0,602| 52,7] 10,6| 3,4|36 22 dicembre | 9.15) 10,5| 4,3 |0,299|0,595| 60,6| 2,8) 4,5/80 — 150 — Mopena 1902 Giorno Ora| è | 6 i Q | Bat Tini Annotazioni hm () 22 dicembre |12.15|21,9|12,6|0,851|0,823| 62,5| 6,8| 4,8 [66] Bianchiccio » ” 15.15|10,5| 16,0/0,290/0,562) 63,0] 8,2| 4,8 |59 Id. 23 ” 9.15|10,5|] 2,8/0,255/0,482) 66,4| 0,0| 3,1 |67 Id. ” ” 12.15/21,9| 11,9|0,352|0,827| 67,8| 4,1| 3,6 [61 Id. Dj ” 15.15|10,5| 11,8/0,258[0,444| 68,0) 5,4| 4,6 [69 Td. 24 ” 12.16|21,9| 11,2/0,324/0,700| 71,3] 1,3| 4,2(84| Bianchiccio aureola ” ” 15.16|10,5| 11,0/0,261|0,454| 70,0] 3,6| 4,3 |73] Bianchiccio 25 ” 9.16|10,5| 2,0/0,257/0,439| 67,1] 0,2| 3,5 |74| Sereno ” ” 12.16/22,0| 9,6|0,358/0,855| 66,7] 4,0| 3,9[64| Id. ”» » 15.16|10,5| 16,0/0,271/0,491| 64,7] 5,4| 3,8[58|] Id. Mopena 1903 Giorno Ora| h | @ i | Q | B t oe [22 Annotazioni | 2 gennaio 12.20 923 9,0/0,369[0,908| 59,9] 3,1| 4,4|76| Aureola; caligine all'orizzonte 5 » 12.20) 22,6] 10,0|0,292/0,569| 59,6] 4,5| 5,4|87 Id. e veli intorno al ®@ 16 ” 12.26) 24,2| 6,0|0,346/0,797| 68,4|--1,0| 3,0|71| Aureola; caliginoso 18 ” 12.27| 24,6] 4,5/0,855|0,839| 72,7/-1,9| 2,458 Id. ” ” 15.27| 12,8] 8,0|0,282/0,530| 71,7,-1,0, 1,8/43 Id. 19 D) 12.27; 24,8| 3,5|0,364|0,881| 69,9—0,5) 2,0 45| Bianchiccio ; aureola ” » 15.27| 13,0] 8,0/0,298/0,592| 69,3] 0,2] 1,943 Id. 20 » 12.27] 25,0] 6,0|0,365|0,887| 69,1j—1,6} 1,844 Id. ” ” 15.27] 13,1] 11,0|0,283/0,534|67,5/—0,2) 2,556 Id. 22 ” 12.28| 25,4 6,0/0,357/0,848| 64,0.--1,3 2,1/51| Caliginoso » ” 15.28| 13,5] 7,410,280|0,522| 63,0 0,01 2,453 Id. 25 ” 12.29 26,1] 5,8|0,347/0,802| 68,5] 1,9. 3,5;68 Id. ed aureola ” » 15.29| 14,1| 8,0|0,271[0,489| 68,3] 3,8) 3,2:54 Id. Id. 26 ” 12.29] 26,3] 9,8/0,361|0,869| 70,4 4,9) 3,0.47| Caliginoso » » 15.29| 14,3| 12,0/0,313/0,654| 69,6] 5,4| 2,943] S sparsi; bianchiccio 27 ” 12.29| 26,6] 12,0|0,364/0,885| 71,1] 5,2) 3,2/47| Ci e S in prossimità del @ » ” 15.29| 14,5| 12,9/0,301/0,605| 69,6] 7,0| 3,344) Veli sparsi; bianchiccio 28 ” 12.29| 26,9) 13,2|0,341|0,777| 66,3] 7,9 4,051] Caliginoso ” ” 15.29| 14,7] 15,0/0,260/0,452| 64,8] 8,6) 4,452 Id. 29 ” 12.30) 27,1] 11,3|0,349/0,813| 68,2) 4,1| 4,677 Id. ” ” 15.30| 15,0| 12,6[0,251/0,421| 68,0] 6,2| 5,070 Id. 30 gennaio |12.30| 27,4|10,9(0,347|0,804| 70,6) 4,1] 4,6/75 Id. n » 15.30| 15,2] 14,8/0,285/0,548| 69,1| 6,0) 5,1|73 Id. » — 131 — MopENA 1903 Giorno Ora| h£ | 0 1 | Q | B t ; || Annotazioni 3 febbraio 12.30 98,5 9,80,356|0,845| 56,3) 5,4| 4,871) Caliginoso ed aureola ” 15.30] 16,1| 14,00,285|0,548| 56,3] 8,0) 5,062) Bianchiccio ” 12.30] 28,8| 11,0(0,361|0,870| 66,9 5,1 3,6|55| Bianchiccio ed aureola » 15.30| 16,4| 15,0/0,310|0,642) 66,2| 7,0) 3,7/49 Id. ” 12.80] 29,1|11,2/0,353/0.831| 68,5] 5,2 4,3|65| Caliginoso ” 15.30] 16,7|13,310,292)0,570| 67,8| 7,2) 4,2|55 Id. » 12.31] 29,4| 11,00,363|0,879| 66,4 7,4 4,6/60 Id. ” 15.31| 16,9| 19,5]0,313|0,656| 65,8| 8,8| 4,453) Bianchiccio ” 12.31| 29,7| 13,0|0,345/0,795| 67,3 6,0 5,376 Id. ” 15.31| 17,2] 16,00,293(0,574| 67,0) 9,0) 5,4|63 Id. » 12.31] 30,0| 12,8|0,355|0,841| 71,9) 7,1| 5,8178| Caliginoso ” 15.31| 17,4] 16,0|0,295|0,582| 70,6 10,2) 6,5|70| Bianchiccio ” 11.0 | 30,9] 11,0|0,886/0,994| 71,1| 2,8 2,8/52| Caliginoso 9 11.15| 31,3] 11,50,386/0,995| 71,1| 3,0) 2,8)50 Id. ” 11.30| 31,7| 13,4/0,387|1,000| 71,1) 3,5) 2,7/47 Id. » 11.40| 32,0] 14,0|0,389|1,011| 71,0| 4,0 2,745 Id. » 12.30| 33,38| 11,4/0,390|1,015| 71,0) 4,8) 2,741 Id. ” 15.19| 21,0| 14,8(0,356/0,847| 69,9 6,6) 2,5135 Id. 3 15.30| 20,8] 13,0/0,353/0,832| 69,9) 6,7| 2,6135| Veli intorno al @ » 15.37| 19,5| 13,0(0,353|0,832| 69,9) 6,6] 2,535 Id. D) 12.30| 33,7|11,80,376/0,944| 74,81 6,51 3,6/51| Caliginoso ” 15.30 20,5| 15,210,324/0,702| 73,6) 8,4| 3,4|42 Ta. ” 15.30| 20,8] 20,6|0,858/0,859| 69,0) 12,6| 3,634 Id. ” 12.30) 34,4] 17,410,388|1,007| 70,0 12,8 4,945 Id. ” 15.30 21,1| 22,0/0,322(0,695| 68,4 16,2) 3,5|26| Bianchiccio ” 15.29| 22,6| 13,3|0,284|0,539| 64,5) 10,2) 6,772) Caliginoso marzo 12.28| 38,9| 15,1|0,398|1,059| 52,5, 13,0| 5,045 Id. ” 15.28] 24,9| 21,5/0,369/0,913| 53,1|16,0 2,619) Bianchiccio » 12.24| 45,1| 17,8|0,881|0,971| 69,0| 13,0) 3,9/35| Caliginoso ”» 12.24] 45,5| 18,410,389/1,013) 69,9 14,5| 4,4137| Bianchiccio » 15.24) 30,3| 31,0|0,372/0,932| 68,7 15,6) 3,1|24 Id. » 12.28) 45,9| 21,3|0,394|1,041 68,2) 16,2) 4,835) Caliginoso ” 15.23| 30,7] 31,0|0,870|0,922| 66,8) 18,2) 4,1|27 Id. n 15.28] 31,0| 18,10,875|0,941| 63,4| 19,2) 4,8/29 Id. 5 11.16] 44,1|21,8/0,402|1,084| 60,9) 16,2 5,5140/ Bianchiccio 11.34| 45,1| 23,2/0,406|1,106| 60,7) 16,5] 5,338 Id. 11.50| 45,8| 25,0[0,407|1,112| 60,5| 17,0] 5,3]37 Id. b 12.0-| 46,4| 26,0/0,408|1,118| 60,3] 17,1| 5,3/37 Id,; @ con aureola » 19.28| 46,7! 26,0/0,407(1,113] 60,0] 17,6] 5,738 Id. — 152 — Mopena 1903 Giorno [or h | 60 i Q | Bee ff 9 Annotazioni hm (o | I 24 marzo 14.15 39,8] 24,0)0,388/1,010| 59,2|19,5| 5,0|29| Bianchiccio; @ con aureola » » 14.35] 37,9] 27,00,375|0,945| 59,2] 19,8| 4,5|27 Id. » » 14.52] 35,5] 27,0/0,377|0,955| 59,0| 19,8) 4,5|26 Id. » » 15.28] 81,8| 27,0/0,365/0,895| 58,9) 20,0] 4,3/25| Caliginoso; Ci ed S all’orizzonte Sud 25 ” 15.22] 31,6| 23,8|0,342/0,785| 59,8| 17,4| 4,7|32| Caliginoso i 1 aprile 12.20) 49,8| 20,0/0,402|1,083] 52,0] 14,8] 3,7|30] Bianchiccio ” » 15.20| 33,8] 22,0|0,380/0,968| 52,5] 16,0] 1,9/14| Biancastro 12 ” 11.35] 52,8] 19,5/0,406/1,104| 47,2] 16,6| 5,0/38 Id. » ” 11.40] 53,0] 20,3|0,407|1,110| 47,2|16,6| 5,038 Id. ” » 12.17] 54,0| 21,2/0,413/1,143| 46,3|18,2| 4,7/80 Id. » » 15.17] 37,1] 19,9]0.380|0,967| 45,81 20,6| 2,915 Id. 9 maggio |12.13]| 62,7] 22,00,409/1,122) 53,4|21,8| 4,9/25| Sereno intorno al @; Cu sparsi 22 » 11.34] 63,9] 24,8/0,385[0,995| 62,6|23,7| 8,0/37| Bianchiccio ” ” 12.13] 65,7] 28,4/0,394[1,044| 62,4| 24,8] 8,0/34 Id. » ” 15.13] 45,7] 25,5|0,381[0,975| 61,7| 25,2) 7,1[/30| Caliginoso 24 » 12.13] 66,1| 30,0|0,377]0,957| 59,0|23,4|11,5/54| Caliginoso ed aureola intorno al ® » ” 15.13] 46,0] 27,9/0,375/0,945| 57,9] 25,0] 10,8|46| Caliginoso 25 ” 9.13] 46,1] 22,3|0,357[0,855| 58,4|20,8|10,6/58| Leggera aureola; caliginoso » ” 12.13] 66,3] 27,510,375/0,945| 57,1) 23,5| 9,946 Id. » » 15.13] 46,1] 27,6[0,351[0,828] 55,7|26,2) 9,4/37 Id.; Ci ed S sparsi 26 » 12.13] 66,5] 29,4|0,898|1,066| 54,9| 23,01 8,3/40| Aureola attorno al @; cielo bianchiccio O) » 15.13) 46,8] 28,5|0,379/0,966| 53,1| 24,2} 9,1|41| Biancastro 30 » 9.14| 46,7] 23,5|0,394[1,042| 51,7|22,2) 9,8|49| Sereno 6 giugno 12.15) 68,0) 29,9|0,379[0,967| 57,0| 22,5| 9,1|45| Caliginoso » ” 15.15| 47,3] 27,0|0,371|0,925| 55,9|23,4| 7,0/38| Sereno; nebbia all’orizzonte al) ” 12.17) 68,7| 26,4|0,362/0,881| 54,1|22,2| 6,2|32| Bianchiccio ; Cu sparsi 18 ” 9.17| 47,8| 22,0[0,357/0,855| 54,3|21,8| 8,9|45|] Bianchiccio 24 » 15.18] 47,8] 26,4|0,374/0,940| 54,3| 25,8) 7,6/31 Id. 25 ” 12.18) 68,7| 28,5/0,386]|1,002| 56,2] 25,1| 10,847 Id. e Cu sparsi » » 15.18) 47,8] 27,6|0,366/0,901| 55,5| 26,0) 10,3/43 Id. Id. 26 » 12.19) 68,7| 28,4/0,392/1,033] 58,1|27,2| 9,7/37| Biancastro » » 15.19) 47,8] 32,4/0,382/0,983] 57,5| 28,2) 7,9/28 Id. Hari » 9.19] 47,7 25,810,373[0,935| 58,7| 26,0] 11,1|44| Caliginoso; aureola; C ed S all’orizzonte » » 12.19] 68,7| 33,0|0,384[0,994| 58,1|27,1| 10,7|40| Caliginoso; aureola; Ci e Sad WSW ” ” 15.19) 47,7| 33,4|0,370/0,923| 57,4|28,4| 9,934) Caliginoso; aureola; Ci e Cu sparsi 28 ” 15.19; 47,7| 30,0/0,375/0,946! 58,2] 28,2] 10,4)36) Bianchiccio; aureola 29 » 9.19! 47,7| 31,2/0,370/0,922| 58,3) 25,2] 13,5/57! Bianchiccio » » 12.19] 68,6] 28,5|0,392/1,033| 57,5|28,0| 12,4/44 Id. » ” 15.19| 47,7| 32,4|0,379|0,968| 56,9| 30,0] 11,9|38 Id. — 133 — Fisica terrestre. — Misure pireliometriche eseguite sul Monte Cimone nell’estate del 1902 e nell’estate del 1903. Nota di Ciro CHisTtoNI presentata dal Socio BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Geologia. — Delle sabbie fossilifere di Malagrotta sulla via Aurelia. Nota dell’ing. EnRICO CLERICI, presentata dal Socio V. CERRUTI. I collettori di fossili dei dintorni di Roma, che conobbero la località di Malagrotta sulla via Aurelia, la compresero fra le adiacenze del Monte Mario ritenendo probabilmente che le sabbie fossilifere, che ivi appariscono, fossero una continuazione laterale delle sabbie gialle classiche. Il prof. Meli, nel catalogo dei molluschi fossili del Monte Mario com- pilato insieme al Ponzi (!), indicando le singole località in cui furono tro- vate le varie specie, fece pure menzione di Malagrotta e notò che quelle sabbie « sembrano alquanto più recenti di quelle del Monte Mario ». Anche io (*) le ritenni posteriori al giacimento classico e, di più, equi- valenti alle argille salmastre del fosso della Rimessola e del Casale del Merlo: ed ora, dopo le osservazioni di dettaglio per la Rimessola, riportate in questi Rendiconti (*), stimo utile riferire altre notizie che contribuiscano a meglio precisare la posizione stratigrafica delle sabbie di Malagrotta, e ciò in continuazione delle ricerche fatte intorno alle sedimentazioni anteriori alla formazione del tufo granulare. Nella figura qui unita è rappresentata una parte della sezione visibile in una cava di ghiaia, attualmente attiva, nel fianco settentrionale della collina posta a sinistra della via Aurelia, alla colonnetta del miglio VIII, poco oltre il casale di. Malagrotta. Il n. 1 è costituito da ghiaia frammista a sabbia di colore giallognolo variamente intenso, con elementi bene arrotondati, spesso discoidali, di calcari svariati, prevalentemente eocenici a piccole nummulitidee, con altri rosati e (1) Molluschi fossili del Monte Mario presso Roma. Atti R. Acc. dei Lincei, serie 4°, Mem. della cl. di sc. fis. mat. e nat., vol. III (1886). (*) Sul Castor fiber, sull’Elephas meridionalis e sul periodo glaciale nei dintorni di Roma, Boll. Soc. Geol. It., vol. X (1891), pag. 351; Za formazione salmastra nei dintorni di Roma, Rendiconti R. Acc. Lincei, 2° sem. 1903, fasc. 8°. (3) Vol. XIV, 1° sem. 1905. Osservazioni sui sedimenti del Monte Mario anteriori alla formazione del tufo granulare. — 134 — con piromache. Vi rinvenni frammenti di corna di Cervus cfr. elaphus Lin. e di ossami di Bos. La sabbia vi è in quantità assai variabile, talvolta as- solutamente mancante in modo che la ghiaia sembra artificialmente lavata, tal'altra è invece tanto abbondante, a discapito della parte ghiaiosa, da co- stituire strati a sè. Nella parte superiore la stratificazione apparisce meno regolare, ma più evidente, con straterelli fra loro inclinati o di colore oscuro, quasi nero, per arricchimento di minerali colorati. Vi prevalgono allora la magnetite, il ferro titanato, l'augite verde-bottiglia in piccoli cristalli isolati ed in cri- stalliti irti di punte alle estremità. Fra gli altri minerali pesanti si notano, ma in quantità molto scarsa, apatite, granato roseo, staurolite, zircone, tor- malina; fra i leggeri il quarzo è in prevalenza con pochi feldspati e fram- menti di vetri bollosi. Anche quando la sabbia è di color chiaro e non mostra con evidenza i cristallini di augite, questi vi si possono sempre estrarre in discreta quantità mediante separazione meccanica. La potenza complessiva conosciuta del banco ghiaioso è di circa 7 m. Segue uno strato n. 2, alto m. 0,50, di sabbia marnosa di color cenere- giallastro, ocraceo verso il termine superiore, ricca di granellini oscuri di piromaca e con molti fossili continentali, Melia (cfr. H. nemoralis Lin. var.), Succinea, Pupa, Vertigo cfr. antivertigo Drap., Planorbis, ma per solito resi assai fragili. Il n. 3 è formato di sabbia, quasi sciolta, di color chiaro-giallognolo con fascie più marcate, contenente augite e qualche ghiaiuzza disseminata. A questa fa seguito altra sabbia, n. 4, un po’ argillosa, di color grigio- chiaro, in sommità piuttosto verdiccio, contenente noduli o concrezioni calcaree, nella quale, come in quella del n. 3, non si scorgono fossili macroscopici. Lo strato n. 5 è costituito da sabbia fossilifera, alla parte inferiore quasi bianca, gialla invece con graduale passaggio, alla parte superiore. La sabbia biancastra è cosparsa di grani neri formati nella quasi totalità da piromaca, e contiene in abbondanza Cardium Lamarcki Reeve, Myrtea lactea Lin., Tapes caudata D'Ane., Nassa reticulata Lin. — 135 — La parte gialla è invece ricca di Ostrea edulis Lin. e di Pecten sul- catus Born, che taluno ritiene varietà del 2. gaber Lin., a valve prevalen- temente scompagnate, ma ben conservate, di grandi dimensioni (fino a 65 mm. di massimo diametro), spesso cosparse di Ba/anus spongicola Brown. Oltre le specie ora ricordate per la loro frequenza, molti altri fossili vi si possono raccogliere e nel complesso sono quelli propri delle formazioni salmastre, o più esattamente a salsedine variabile, con qualche specie affatto littorale ('). Sullo strato di ostriche v'è circa 30 cm. di argilla compatta color avana seguìta da altri 40 cm. di argilla plastica verdiccia contenente qualche Cor- bula gibba Olivi, Arca diluvii Lamk., Cardium paucicostatum Sow., Nassa reticulata Lin., Chenopus pespelecani Lin., molte foraminifere (rotalie e po- listomelle). Queste argille sono indicate insieme dal n. 6. Il n. 7 è di sabbia un po argillosa, di colore giallastro-sporco, rico- perta, in questo tratto di sezione, da terra vegetale; ma poco oltre, in altre escavazioni, sopporta una ghiaia a piccoli elementi e colorata in giallo intenso. Le stesse roccie ora indicate si rivedono nelle vicine colline con qualche locale variazione di spessore facilmente spiegabile in una formazione preva- lentemente di spiaggia. Vi si constata inoltre che la serie è ricoperta dal tufo granulare colle sue ormai ben note variazioni a pallottole pisolitiche e ad affinamenti argillosi chiari. Le ghiaie del n. 1(?), per la relativa abbondanza dell’augite e per la probabile assenza di quei ciottoli trachitici che scopersi in altre località e qui non trovai, o per la maggiore rarità loro, potrebbero costituire un tipo da interporsi, per esempio, fra le ghiaie di Decima rimarchevoli per i rari ciot- toli trachitici, e quelle dette di Ponte Molle, le quali contengono in grande abbondanza svariate roccie vulcaniche e loro minerali isolati. Si potrebbe tentare una ulteriore distinzione nelle nostre ghiaie più antiche: cioè ghiaje che contengono allo stato di ciottoli i frammenti di (1) Oltre che per questa sabbia fossilifera, la località di Malagrotta è importante per le estese formazioni d’acqua dolce con farine fossili e marne tripolacee gremite di By- thinia tentaculata Lin., Valvata piscinalis Miùll., Planorbis, Limnaea. Neritina, ecc., come per esempio alla collina della Casetta, al Quarto delle Colonne, alla Riserva del- l’Isolotto. Al Quarto della Vipera le marne sono indurite in calcare argilloso e traverti- noso gremito dei detti fossili. (2) Analogamente le ghiaie della tenuta Torretta Massimi, presso il ponte della Pisana, contengono cristalli di augite, ma in piccolissima quantità. Sulle ghiaie si trovano sabbie, talvolta ghiaiose, racchiudenti straterelli caolinici e sostenenti argilla a Cardium Lamarcki, visibile lungo la strada alla salita presso il Casale della Pisana, prima di rag- giungere la sommità che è ricoperta dai tufi. Nella valletta a sud del detto ponte, in una cava di ghiaia forse abbandonata, fra gli straterelli sabbiosi oscuri ve ne ha uno di 10 cm. quasi per intero costituito da grani e cristalli di magnetite e di granato roseo con alquanta augite e scarso zircone, rutilo ecc. ReENDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 18 — 136 — masse trachitiche in denudazione, e ghiaie che, pur essendo la immediata continuazione delle prime, per le variate condizioni geologiche più non ne ricevettero. Per converso queste altre ghiaie si arricchirono di augite, che vi troviamo ottimamente conservata, e che, pervenuta per trasporto eolico di ceneri e lapilli, o per dilavamento di materiali augitici comunque originati, fa testimonianza di un'attività vulcanica posteriore, sia pur di poco, a quella che aveva prodotto le accennate lave trachitiche. Chimica. — Sull’acido 5- metil- 1- fenil- 3- ossifenilpirazol- 4-carbonico ed il suo lattone ('). Nota di G. MinunnI e G. Laz- ZARINI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. L'idrazone dell’aldeide salicilica reagisce facilmente con l'etere aceto- acetico in presenza di cloruro di zinco, fornendo un prodotto di condensa- zione C,xH20: N; ben cristallizzato che per azione della potassa alcoolica sì trasforma in un acido C,,H,,j0;3 N: e per riscaldamento o per azione dei cloruri acidi perde facilmente una molecola d'acqua rigenerando il composto primitivo. In base ai risultati delle esperienze da noi eseguite con altri idrazoni e descritte in una Nota precedente (*), il composto C,: H1403 Na deve considerarsi come un acido metilfenilossifenilpirazolcarbonico e la so- stanza C,; Hj30, N; come il relativo lattone formatosi dall’ o- ossibenzalfenil]- idrazone ed etere acetoacetico secondo l'equazione : C3Hs80Na + C6é Ho 03 a Cia H,90 N° + C.H;0H 4 H,0+ H, . Questa reazione procede evidentemente in due tempi. Dapprima si forma l'etere etilico dell'acido suddetto, il quale in una seconda fase perde una molecola di alcool, dando origine al lattone. Come fu fatto rilevare da uno di noi in una Nota precedente (*), la formazione del lattone dimostra che nell’acido metilfenilossifenilpirazolearbonico il gruppo ossifenile ed il carbos- sile si trovano rispettivamente nelle posizioni 3 e 4. Possiamo quindi rap- presentare le due fasi della reazione fra l'etere acetoacetico e l’idrazone del- l'aldeide salicilica, mediante gli schemi seguenti: JR HN.C;H; N.C;H5 > AN CH:.C0 N CH CEN +] — (Co +H.0+H;. C,H;0 0C.CH, HC.C;H..0H C,H;0 00.0 — C.C;H,.0H (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Chimica farmaceutica e tossicologica della R. Uni versità di Sassari. (2) Vedi fasc. precedente. (8) Questi Rendiconti, vol. XIV, 2° sem. 1905, pag. 414. — 137 — TT CH CH CH CH Lara ‘AZINET AK 708 AK 708 N=C 6 CH N—C Cc CH H:NC | aa —CH:0H4 CH.N@ | | cc oh C=C_ 0 FORO | RNA CH; \C0.:0C,H; dA CO Lattone dell’acido 5-metil-1-fenil-3-ossifenilpirazol-4-carbonico Descrizione delle esperienze. In un palloncino da 50 cm* si riscalda un miscuglio di 10 gr. di 0- ossi- benzalfenilidrazone e 10 gr. di etere acetoacetico con dei pezzetti di cloruro di zinco a 130-135° per un'ora circa. Verso 120° la massa si liquefà com- pletamente ed a 130° incomincia un forte sviluppo di gas che dopo circa mezz'ora cessa quasi completamente. Il prodotto della reazione che si presenta come una massa semisolida, amorfa, rossobruna, viene mescolato ancora caldo con egual volume di alcool, riscaldando a b. m. fino ad avere una soluzione completa, che, versata in un bicchiere e lasciata a sè, si rapprende dopo alcune ore quasi completamente in una poltiglia di piccoli cristalli. Si filtra alla pompa, si lava ripetutamente con alcool e si ricristallizza il prodotto quasi bianco dall'alcool. La sostanza dopo un paio di cristallizzazioni dal- l'alcool fondeva a 178-180°; dopo cinque cristallizzazioni dall'alcool si rag- giunse il punto di fusione costante 182-183°. L'analisi diede i seguenti risultati : I. gr. 0,2321 di sostanza fornirono gr. 0,6308 di anidride carbonica e gr. 0,0916 di acqua; II. gr. 0,2060 di sostanza diedero gr. 0,5604 di anidride carbonica e gr. 0,0863 di acqua; III. gr. 0,2386 di sostanza fornirono cm* 21,3 di azoto misurati a 12° ed a 742 mm. di pressione. In 100 parti: Calcolato per Trovato _—rr--_c" pe r__—____ C17H130aNs I II III Carbonio 73,91 74,12 74,18 — Idrogeno 4,35 4,98 4,65 _ Azoto 10,14 —- —_ 10,34 Il lattone dell'acido 5-metil-1- fenil- 3- ossifenilpirazol- 4- carbonico cri- stallizza dall'alcool in aghi bianchi finissimi. E quasi insolubile in acqua — 138 — a freddo, pochissimo solubile in acqua bollente ed in ligroina: è poco solu- bile in alcool freddo, si scioglie bene in alcool caldo, in etere ed in hen- zolo; è solubilissimo in cloroformio ed in acetone. Il rendimento in prodotto puro è di circa 50 °/, del teorico. Dalle acque alcooliche primitive del lat- tone si ebbe. per distillazione dapprima a bagno maria e poi in corrente di vapore, un residuo scuro, resinoso, friabile, solubile in alcool ed in benzolo. Da queste soluzioni però non si separava nulla di cristallino. Solo estraendo a caldo con ligroina bollente sopra 100°, si ebbero piccole quantità di pro- dotto cristallino, che dal punto di fusione e dalle altre proprietà fu ricono- sciuto identico al lattone. Per ottenere l'acido 5-metil- 1- fenil-3- ossifenilpirazol- 4- carbonico libero si riscaldano a b. m. per circa mezz'ora a ricadere 10 gr. di lattone con 200 cm'* di potassa alcoolica al 10°/. Il lattone si scioglie facilmente con colorazione rosso-violetta intensa che rapidamente passa al giallo. Dopo alcuni minuti di riscaldamento si separa già a caldo una sostanza bianca, cristallizzata in lunghi aghi sottili e completamente solubile in acqua. Questa sostanza, costituita dal sale potassico dell’acido, viene filtrata alla pompa, lavata sul filtro con un po di alcool e sciolta in acqua. Dalla solu- zione acquosa per aggiunta di acido cloridrico diluito, precipita in fiocchi cristallini bianchissimi l'acido libero che fu purificato per cristallizzazione dall'alcool, da cui si separa in aghi sottili e bianchi. All'analisi si ebbero i risultati seguenti: I. gr. 0,3131 di sostanza diedero gr. 0,7978 di anidride carbonica e gr. 0,1369 di acqua; II. gr. 0,2272 di sostanza fornirono cm? 19,6 di azoto misurati a 21° ed a 744 mm. di pressione. In 100 parti: Calcolato per Trovato C:H403 No freni Carbonio 69,38 69,49 - Idrogeno 4,76 4,85 —_ Azoto 9,52 _ 9,60 L'acido metilfenilossifenilpirazolcarbonico fonde a circa 160° con svi- luppo di gas; è insolubile in acqua ed iu ligroina anche a caldo, sì scioglie bene in alcool ed in benzolo caldo, è solubilissimo in cloroformio, in ace- tone ed in etere. A differenza di altri acidi metilfenilpirazolcarbonici, i quali riscaldati al di sopra del loro punto di fusione perdono anidride car- bonica trasformandosi nei corrispondenti metildifenilpirazoli (*), l'acido metil- fenilossifenilpirazolcarbonico perde per riscaldamento a circa 200° una mo- lecola d’acqua, trasformandosi nel lattone fusibile a 182°. La stessa trasfor- mazione ha luogo riscaldando l'acido a b. m. con cloruro di benzoile. (1) Ber. 18, 932, 2257. I, — Chimica. — £terificazione del y-piridone con diazoidrocar- buri grassi('). Nota di A. PERATONER ed E. AZZARELLO, presentata dal Socio E. PATERNÒ. È noto che molte ossipiridine non reagiscono sempre da composti ossi- drilici, ma anche in una forma tautomera e cioè da chetodiidropiridine (piridoni): forme enoliche forme chetoniche CHT—-N=C-0H CH — NH— CO a-derivato || | | | CH—CH=CH CH—CH=CH CH — N = CH CH NH CH y-derivato || | Î | CH — C(0H) — CH CH — CO — CH Così nella loro eterificazione, a seconda delle condizioni dell'esperienza, non si formano soltanto eteri con il radicale all'ossigeno (O-eteri), ma anche di quelli con il radicale alcoolico legato all’azoto (N-eteri); e precisamente H. v. Pechmann e Baltzer (*), per azione di ioduri alcoolici sul sale d’argento dell’@-ossipiridina, ottennero O-eteri: CH—N= C0-0CH; CH —N= C-0C.H; ] | | CH—CH=CH CHT—CH=CH «-metossipiridina c-etossipiridina (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto chimico di Palermo. — Le presenti esperienze erano destinate a venir pubblicate fra una serie di ricerche sopra derivati dell’ossipirone, con cui stanno strettamente connesse e di cui soltanto una parte è già comparsa per le stampe (A. Peratoner, Ricerche sull’ossipirone ed alcuni suoi derivati. Parte I. — De- rivati non azotati. Giorn. di Scienze Nat. ed Econ. di Palermo, vol. XXV, pag. 239), mentre un’altra attende di essere completata. Però vedendo annunziato nella copertina del fasci- colo di agosto dei « Monatshefte fiir Chemie (pubblicato il 23 settembre 1905), un lavoro del sig. H. Meyer, Veber die Einwirkung von Diazomethan auf Pyridone und Oxypy- ridincarbonsiure, riteniamo opportuno di rendere note fin da ora quelle esperienze che potrebbero forse essere analoghe, se non identiche, ad alcune del sig. H. Meyer, quan- tunque la priorità di questo argomento ci sia già stata precedentemente assicurata. Infatti una Nota preliminare delle esperienze attuali, per quanto non completate, fu comunicata alla Società chimica di Roma nella seduta del 10 aprile, 1904 (E. Azzarello, Eterifica- zione del y-piridone con diazometano ed -etano) ed un cenno sui risultati definitivi otte- nuti venne fatto ancora dal dott. Palazzo in una nota posta nel suo lavoro Azione del- Vidrossilamina sull’etere dimetilpirondicarbonico, presentato nei primi del luglio 1905 a questa R. Accademia dei Lincei e pubblicato nei relativi Rendiconti vol. XIV, 2° sem. 1905, fasc. 4°, pag. 244. (2) Berichte 24-3147, ‘| i — 140 — ed invece N-eteri per azione di ioduri alcoolici sull'@-piridone libero CH — N(CH;) — C0 CH— N(0;H;)— C0 | | CH a CH=iCH CH ==CH=WH N-metil — «-piridone N-etil — @-piridone La stessa «-metossipiridina potè essere in seguito ottenuta da v. Pech- mann eterificando l’a-piridone con diazometano (*), ed è notevole il fatto che in questa reazione non si forma traccia di N-etere. Anche della y-ossipiridina sono noti due eteri metilici isomeri CH — N(CH.) — CH CH ——IN°—=@H ] | | | CHE=-:C0 —CH CH —C(0CH;)— CH N-metil — y-piridone y-metossipiridina però mentre il primo era già stato ottenuto da Haitinger e Lieben (?) in modo analogo nel quale poi Pechmann preparò 1’ N-etere dell'a-piridone, al secondo sì era potuto giungere solo per via indiretta e cioè per azione di metilato sodico sulla y-cloropiridina (*). La grande analogia di comportamento che il y-piridone mostra con l’iso- mero &, faceva prevedere che il primo dovesse reagire con i diazoidrocar- buri grassi anche analogamente al secondo: per azione di diazometano e diazoetano sul y-piridone avrebbero dovuto formarsi esclusivamente O-eteri. Ed invero le prime esperienze che uno di noi (‘) istituì in questo senso sem- bravano di confermare tale assunto; senonchè, essendosi impiegata una quantità troppo esigua di prodotto di partenza (y-piridone), il risultato non potè essere del tutto decisivo. È questa la ragione per cui noi abbiamo ripreso lo studio della cennata reazione, impiegando rilevanti quantità di sostanza e mettendoci in condizioni da poter esaminare tutti i prodotti della reazione. I risultati finali non hanno confermata la prima previsione, giacchè da diazometano e y-pi- ridone formasi bensì y-metossipiridina, ma insieme a questa sì forma anche N-metil — y-piridone ed anzi in quantità prevalente. Anche impiegando dia- zoetano non è evitata del tutto la formazione di N-etere, quantunque il pro- dotto principale sia in questo caso l'O-etere. (1) Berichte 28-1624. (2) Monatshefte firr Chemie, 6-307. (3) Monatshefte fiìur Chemie, loc. cit. (4) E. Azzarello, Rendiconti Soc. chimica di Roma, seduta 10 aprile 1904. — ldl — AZIONE DEL DIAZOMETANO. In una soluzione eterea di diazometano (da 3cm? di nitroso metilcar- bammato etilico) si sospende 1gr. di piridone (') secco polverizzato: tosto sì ha un energico sviluppo di azoto che va diminuendo poco a poco e cessa nello spazio di circa un'ora. Si forma un denso olio bruno che, separato per svaporamento dall'eccesso di soluzione di diazoidrocarburo, si dimostra solu- bile in acqua ed alcool, ha reazione alcalina e contiene prodotto inalterato colorando ancora il cloruro ferrico. Disseccata la massa di reazione oleosa, proveniente da diverse preparazioni, su acido solforico e paraffina, venne dapprima, senz'altra depurazione, saggiata qualitativamente nell’apparecchio per la determinazione dell’ossimetile seguita da quella dell’ N-metile col metodo di Herzig e Meyer (*). Constatandosi che il prodotto conteneva tanto del- l'ossimetile quanto azometile, si passò al dosaggio quantitativo di questi gruppi adoperando unica quantità di sostanza per entrambe le determinazioni. I tre prodotti analizzati provenivano da preparazioni differenti. I. gr.0,3007 di sost. fornirono gr. 0,1207 di AgJ (metodo Zeisel). II. » 0,6231> » 1) » 0,2528-+ 0,5180 di AgJ (met. Herzio e Meyer) III.» 0,5203 » >» ” » 0,1380+4-0,3624 » > ” ” ” Trovato Mar” ma ZE CH.0 BIoi059 30 = NCH; SI nin 9,9 8,5 Calcolando da questi dati la percentuale di prodotto eterificato, si viene alla conclusione che il y-piridone si eterifica soltanto parzialmente e cioè nel rapporto di 46 °/, all'incirca. Questo risultato dal punto di vista quan- titativo non è molto dissimile da quello ottenuto da Pechmann (*), il quale constatò che l’a-piridone neppure si eterifica completamente. Però mentre l’a-derivato reagisce col diazometano soltanto sotto la forma enolica dando esclusivamente l’etere ossimetilico, il y-piridone in questa reazione si ha di (1) Fu preparato svaporando ripetutamente (4-6 volte) a bagnomaria del pirone puris- simo (dall’acido chelidonico) con eccesso di ammoniaca acquosa concentrata. Il prodotto che così ottenemmo era quasi puro e fu adoperato per le nostre ricerche solo dopo com- pleta essiccazione nel vuoto su acido solforico. (*) «Berichte 27-319; Monatshefte fiir Chemie, /5-613 e /6-599. Gli apparecchi neces- sarî, non riscontrandosi nei cataloghi ordinarî delle fabbriche di vetreria ad uso chimico, furono da noi fatti soffirre dai sigg. C. Kob & C. (Stiitzerbach) e dal sig. Anastasio Ca- rosi (Roma). (3) Berichte 28-1625. — 142 — preferenza sotto la forma chetonica; infatti fornisce un miscuglio in cui tro- vasi il 16°/, circa di O-etere (14°/, del rendimento teorico) e il 35 °/, di N-etere (32 °/, del rendimento teorico). Sulla separazione diretta dei due eteri isomeri formatisi, del resto cono- sciuti, non abbiamo insistito. AZIONE DEL DIAZOETANO. A porzioni di soluzioni eteree di diazoetano (proveniente ciascuna da 5cm? di nitroso-etilcarbammato etilico) si aggiungeva ogni volta 1gr. di piridone secco polverizzato: la reazione procedeva con maggiore energia e molto più rapidamente di quella descritta per il diazometano, ottenendosi anche qui alla fine un olio contenente pure O-etere ed N-etere. Il vivace sviluppo di azoto osservato nella reazione, e che in generale si verifica quando i diazoidrocarburi grassi reagiscono con prodotti di natura acida spiccata, faceva supporre di già che il risultato dovesse differire da quello avutosi con il diazometano relativamente alla quatità di O-etere generatosi. Ed infatti, disseccato nel vuoto il prodotto di reazione e sottopostolo direttamente ad analisi, grezzo così come si trovava, si ottennero i seguenti risultati: I. gr. 0,1671 di sost. fornirono, col metodo dell’ossietile di Zeisel, gr. 0,2126 di AgJ; II. gr. 0,5106 di sost., sottoposti secondo Herzig e Meyer alla determina- zione dell'ossietile seguita da quella dell’azoetile, fornirono gr. 0,6503 + 0,0813 di AgJ; a I II 20 HU/ 243 244 — NC,H;°/ MEO Calcolando da questi numeri le quantità di eteri contenuti nel prodotto greggio si ha: appena 8°/, di N-etere ed il 66°/, di O-etere. Da questo miscuglio inoltre fu agevole separare l’ossietilpiridina per sem- plice distillazione nel vuoto (a 15 mm. di pressione) essendo sostanza facil- mente volatile. In tal modo si ricava quasi tutto il prodotto contenuto nel miscuglio primitivo. HO __N== CH La y-etossipiridina | | HC— C(0C,H;)= CH è un liquido incolore di odore piridico, bollente a 96° sotto la pressione di — 143 — 15 mm., miscibile con alcool, non con acqua. Col metodo Zeisel fornì la quantità teorica di ossietile : gr. 0,2100 di sost. diedero gr. 0,4010 di AgJ Trovato Calcolato per CHsNO — 0C,H; °/o 36,54 36,58 Per azione dell’acqua di bromo sulla soluzione alcoolica dell'etere si ha un precipitato voluminoso che, trattato con anidride solforosa, diviene quasi incoloro. Cristallizzata questa sostanza dall'acqua calda, si ebbe in piccoli aghi incolori, i quali, assai probabilmente, rappresentano un bromidrato di un derivato bromosostituito. Infatti la soluzione acquosa di idrato sodico ne eliminò acido bromidrico, mettendo in libertà un olio bromurato volatile, incoloro, estraibile con etere, che malauguratamente non potè essere ana- lizzato. Dalla presente ricerca si rileva che l’eterificazione del y-piridone con diazometano non avviene secondo una regola generale osservata da v. Pech- mann per quelle sostanze che presentano il fenomeno della tautomeria: se- condo questo autore (') si ottengono di preferenza i metilderivati di quelle forme che posseggono il carattere acido più forte. Si hanno perciò in gene- rale gli O-teri, mentre la formazione di C- od N-eteri avviene solo di raro. Eccezione a tale regola costituiva sinora solamente il comportamento di alcune nitramine (*), per le quali possono prendersi in considerazione le formule OH NH-NO, NL AX AZIO i) LD x / x Talune di queste sostanze reagiscono sotto la formula I che è certamente la meno acida. Un'ulteriore eccezione viene presentata ora dal y-piridone il quale reagisce pure sotto la forma meno acida — la chetonica — ed anche in questa assai stentatamente con un mezzo così potente di eterificazione come il diazometano. Non è privo d'interesse tener presente a questo riguardo che il y-piri- done non è affatto eterificabile con cloruro d’'acetile o anidride acetica, che certamente sono reattivi assai più blandi (?). (*) Pechmann e Degner. Berichte 230-646. (?) Ibidem. (3) Vedi Roscoe-Schorlemmer, Lehrbuch der org. Chemie v. Briihl, ecc., V_ Theil 1899, pag. 154. RenpIconTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 20 \itaicnrtttti | Il | | | — 144 — Il diazoetano sia in queste osservazioni, sia in altre fatte in questo laboratorio, mostra una energia di reazione superiore a quella del diazome- tano. Questo diazocomposto infatti è capace di eterificare il y-piridone con un rendimento di molto superiore (53 °/, del teorico) a quello fornito dal diazometano, e per giunta si nota che in tale reazione il piridone si discosta di poco dalla regola del Pechmann fornendo quasi esclusivamente O-etere. Botanica. — Sui tubercoli radicali della Datisca canna- bina L. (0). Nota del dott. Lurcr MONTEMARTINI, presentata dal Socio R. PIROTTA. In una comunicazione fatta tre anni or sono alla Società Botanica Ita- liana (*) il dott. A. Trotter ha rilevato l’esistenza sulle radici di Dazisca cannabina, a Padova, di speciali tubercoli che egli così descrive: « Sono cilindrici, arrotondati all'estremità, lunghi 3-4 mm., 2 mm. circa « grossi. Tali tubercoli, che chiamerò semplici, non sono però i più comuni, « poichè d'ordinario, da uno stesso punto della radichetta se ne sviluppano «da 2 a 4, ed in questo caso o sono saldati per la loro base, divaricando « più o meno superiormente, o sono anche fusi in un'unica massa un po’ « lobata alla sua estremità libera. Talora si possono anche presentare in agglo- « merazioni assai vistose, grandi quanto una noce e più, specialmente quando « sì sviluppino dalle radichette laterali di vecchie e grosse radici ». Per il loro modo di comportarsi, poichè scompaiono durante l'inverno e raggiungono le massime dimensioni in primavera, il Trotter ritiene queste formazioni analoghe ai tubercoli radicali delle Leguminose ed ammette trat- tarsi di un caso finora non mai visto di simbiosi simile osservata in piante non appartenenti a questa famiglia. La interessante osservazione del Trotter viene integralmente riportata dal Lutz (*) nel suo recente lavoro sui microorganismi fissatori di azoto, senza aggiunta di altre osservazioni. Lo studio morfologico, anatomico e biologico da me intrapreso su questi tubercoli, mi ha condotto invece a stabilire importanti differenze tra essi e quelli delle Leguminose. Anzitutto i tubercoli della Da/isca sono di origine nettamente radicale e si presentano quasi come le basi ipertrofiche di radici secondarie. Inoltre mentre nelle Leguminose l’ingrossamento è dovuto ad ipertrofia del tessuto midollare, nel quale si annidano i bacterî, con spostamento dei fasci libro-le- (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto Botanico di Roma. (2) A. Trotter, Intorno a tubercoli radicali di Datisca cannabina L. (Bull. d. Soc. Bot. Italiana, 1902, pagg. 50-52). (8) L. Lutz, Les microorganismes fixateurs d’azote (Paris, 1904). — 145 — gnosi verso la periferia, nella Datisca invece il cilindro centrale rimane pres- sochè intatto ed è il parenchima corticale che, per lo sviluppo dei microorga- nismi patogeni, diventa ipertrofico. Finalmente anche la struttura. delle cellule nelle quali si annidano i bacterî è nella Datzsca affatto diversa da quella delle cellule corrispondenti delle Leguminose, come avrò occasione di descrivere in maniera particolareggiata in un lavoro più completo. Il microorganismo che vive nei tubercoli della Datzsca, e che io ho esattamente studiato nel laboratorio di Anatomia Patologica di Pavia col- l’aiuto del dott. R. Traina che qui vivamente ringrazio, si presenta esso pure diverso dal ben noto Bacillus radicicola delle Leguminose, sia all'esame diretto, sia alle colture nei mezzi ordinarî di nutrizione. Riservandomi di caratterizzarlo completamente e denominarlo quando avrò ultimato alcune osservazioni di culture ed esperienze di inoculazione, ne descrivo qui i caratteri principali finora accertati: Aspetto microscopico. Sono grossi e robusti bastoncini, lunghi 4-5 w su 0,8-1 4 di spessore, rotondeggianti alle estremità, spesso disposti in catene di 2-3 membri e raramente di più (sempre però nettamente distinti l’uno dall'altro), talvolta anche disposti in posizioni angolari o parallele. Colorabilità. Si colorano con tutti i colori comuni di anilina, meglio però col violetto di genziana secondo la formola di Ehrlich. Certi punti del loro corpo manifestano una affinità più pronunciata riguardo alle sostanze coloranti (endospore?). Intensità di sviluppo rispetto ai substrati nutritizi ed alla tempera- tura. Crescono bene, ma molto lentamente, nei comuni terreni nutritivi; meglio però in un terreno composto di infuso di radici e altri organi di Datisca con gelatina al 10°/,. L'accrescimento è molto stentato nei primi giorni, tanto che 4-5 giorni dopo l'innesto non si vede sviluppo alcuno: in seguito la coltura comincia a dar segno di vita e raggiunge lo sviluppo mas- simo in 15 a 20 giorni. Riguardo alla temperatura, basta quella dell'ambiente, però in termostato l'accrescimento è più rapido: l’optimum si ha tra 25° e 30° C. Coltura in agar. Con infissione, lo sviluppo è molto lento e superfi- ciale, cioè non solo nel punto di penetrazione dell’innesto, ma anche tutt’at- torno nella superficie libera. Lungo il canale d'infissione si ha sviluppo assai scarso, sotto forma di sottili barbe o ciglia parallele, ora più ora meno lunghe, ma che vanno diminuendo dall'alto al basso. Con strisezo, lo sviluppo non rimane limitato al punto o alla linea di innesto, ma si estende su quasi tutta la superficie libera dell’agar restando quasi sempre libera la parte superiore (forse perchè più secca). Anche qui l'accrescimento è assai lento nei primi giorni, piuttosto rapido in seguito, e dopo 15 o 20 giorni si osserva sull’agar una patina poco elevata (più spessa però nella parte centrale, corrispondente alla striscia d’innesto), a margini — 146 — assai irregolari, sinuosi, frastagliati, come fatti da corti fili di bambagia, di aspetto sempre opaco, di colore bianco grigiastro senza riflessi, di consistenza mucilaginosa. L'acqua di condensazione è torbida, con abbondante precipi- tato fiocconoso. Coltura in gelatina. L'infissione in gelatina con infuso di Datisca dà uno sviluppo abbastanza rigoglioso in superficie e lungo il canale d'innesto. Dopo 15-20 giorni si osserva fusione della gelatina superficiale a guisa di coppa, e la fusione procede in seguito gradatamente verso le parti più pro- fonde, sì che la coppa si trasforma in imbuto; poi il fenomeno continua anche oltre il canale d'innesto, di guisa che dopo un paio di mesi si ha la lique- fazione di tutta la gelatina contenuta nella provetta. L'infissione in gelatina con brodo di carne dà invece uno sviluppo più lento e limitato al canale d’innesto, da cui si dipartono sottili filamenti late- rali a guisa delle barbe di una penna d'oca. Questi filamenti sono assai sot- tili, tenui e bianchicci. Non si ha fusione della gelatina. Coltura in brodo. Dà sedimento abbondante, fiocconoso, di colore gial- lastro scuro, mentre il brodo resta quasi limpido, con una sottile nubecola in sospensione. Coltura su patata. Patina sottile, poco rilevata e poco evidente, di co- lore bianco grigiastro, con margine irregolare, finamente dentellato. Piastra in agar. Ad occhio nudo, sì osservano colonie superficiali pun- tiformi, rotondeggianti, poco lucide e poco rilevate, di colore bianchiccio quasi trasparenti, sì da confondersi colla superficie dell’agar. Si hanno anche co- lonie profonde, ma poco evidenti, rotondeggianti o, di raro, a cote. Ad un ingrandimento di 50 diametri, si osservano colonie superficiali rotondeggianti, a margini irregolari ma netti e come formati da tanti segmenti di cerchio, di colore giallo carico tendente all'arancio. La zona marginale è formata da blocchi più grossi e più intensamente colorati, ma a contorno liscio, uniforme, senza prolungamenti. Le colonie profonde sono assai scarse, rotondeggianti, press’ a poco cogli stessi caratteri di quelle superticiali, più chiare. VARCO: Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 8 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. WoE EV. V.-VI. VII: VII. “Serie 3 — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — III-XIX. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. ‘Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MeMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze Aste matematiche e UIF Vol. I-XIV. (1892-1906). Fasc. 2°. 1° sem. RENDICONTI della Classe di scienze mordi storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fasc. 7°-8°. MEMORIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIO IONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. £®; per gli altri pacs: le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHER & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. HENDICONTI — Gennaio 1906. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 gennaio 1906. MEMORIE È NOTE DI SOCI O PRESEN'T'ATE DA SOCI LC0NOFSERINFEICNZE ZIA Re een Pizzetti. Intorno al calcolo della rifrazione astronomica, senza speciali ipotesi sul modo di variare della temperatura dell’aria coll’altezza . . . ESRI Pacinotti. Circa alle influenze della temperatura, delle asi ai i nt lisi, e della untuosità, sull'atlesione e sull’attrito nello sfregamento fra vari corpi, e sul lavoro di alcuni aratri; riasstihto di appunti sperimentali... /.//X/ 0» Viola. La trasformazione: delle dbordinaterdentenistallii. Co. Mosso. Cranî preistorici del Foro! Romano (®*). . .... i » Nielsen. Sur le développement ef fraction continue de la foco Q È M. Poi (pres “da Socio nz) rene RIE ie Boggio. Sulla omnia di uti liga tico e ‘n csaaà Somiglina) | PRO Magri. Sulla radioattività dei fanghi termali depositati dalle acque degli Stabilimenti dei Bagni di Lucca (Toscana) (pies. dal Corrisp. Battell) . . . . sa Chella. Misura del coefficiente di attrito interno dell’aria a basse ‘cmperdio. ii IO Chastoni. Risultati pireliometrici ottenuti dal 22 agosto a tutto giugno 1903 al R. Osserva- torio Geofisico di Modena (pres. dal Socio Blaserza) . . rn) Id. Misure pireliometriche eseguite sul Monte Cimone ino fa 1902 e sellissiaie delt1903% (presi) Re ; BT) Clerici. Delle sabbie fossilifere di Mala diko via ad (o dal Socio ‘Cert » Minunni e Lazzarini. Sull'’acido 5- metil- 1- fenil- 3- SR 4- carbonico ed il. suo lattone (pres. dal Socio Paternò). . . SE Peratoner e Azzarello. Eterificazione del y- o con dr grassi TI a » Montemartini. Sui tubercoli radicali della Datisca cannabina (pres. dal Socio Pirotta) » ERRATA-CORRIGE A pag. 75, lin. 6 a. f. la formula a {SE deve correggersi in LoL. o o Po Lo d » 78, lin. 3, il primo membro della tormala {= dl = ce—- c (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. (#* Questa Memoria sarà pubblicata nelle Motizie degli Scavi. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. 2 a 2 5; dy eve correggersi n (ea = 144 e DELLA REALE ACCADEMIA DEL LINCHI ANNO COGCIII. 1.510 RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 4 febbraio 1906. Volume XV.° — Fascicolo è 1° SEMESTRE. SEE, UdenRgHt A: ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1906 ESTRA"TO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispone denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Jie Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, sedutà stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com. missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti ‘o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra. ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L°Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di unnumero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANANAS“ Seduta del 4 febbraio 1906. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Osservazioni delle comete 1905 b e 1906 x fatte all'equatoriale di 39 cm. dell’Osservatorio astronomico al Collegio Romano. Nota del Socio E. MILLOSEVICH, Nella seduta del 3 dicembre u. s. ho comunicato all'Accademia le prime osservazioni della cometa Schaer (1905 2) fino al 2 dicembre 1905. Aggiungo qua tutte le altre osservazioni sulla prefata cometa fino all’ invisibilità col- l’equatoriale di 39 cm. IRSAMANR: CORI « apparente cometa d' apparente cometa 1905 dic. 39530398 23430m 85,39 (9. 467) + 0°39/14”.2 (0.763) 000) 23:31 32. 44 (72.925) — 91843. 2 (0.835) DIE O a) 283 81 49. 61 (8. 436) — 9 53 39. 50.838) po do, air aa 23 32 9. 37 (8. 763) — 10 2535. 1(0.841) pi 0 23 33. 11. 34 (8. 645) — 11 47 5. 7(0.849) Do DI AGIO 283 34 23. 07 (8. 996) — 12 5221. 7 (0.853) DI AIM 19RE2.6 23 35 40. 23 (9. 022) — 13 45 17. 9 (0.857) Della nuova cometa 1906 4 do qua le due prime posizioni, la seconda delle quali spetta al dott. Emilio Bianchi. 1906 febbr. 1. 99550275 16h]18m485.65 (92.676) + 56939’ 97.6 (0.882) ” 2 946 58 1612 8.45 (9".691) +58 81 14. 7 (0.880) RenpicontI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 20 — 148 — Fisica. — esistenza elettrica dei solenoidi per correnti di alta frequenza. Nota del Corrispondente A. BATTELLI. La resistenza elettrica dei conduttori metallici non è fisicamente deter- minata se non quando sia preventivamente assegnata la legge con cui la corrente elettrica si distribuisce nei varî punti del conduttore medesimo. Tale distribuzione varia notevolmente col variare del carattere della corrente; ma la legge che sovrasta a siffatte variazioni non si conosce bene se non nel caso di un ordinario conduttore rettilineo a sezione circolare. Questo caso sì presenta assai di rado nelle ricerche sperimentali, dove il più delle volte sì richiede che il circuito abbia una considerevole energia magnetica, e si adoperano perciò conduttori avvolti a solenoidi. Per tali con- duttori, in un precedente lavoro (') da me pubblicato insieme col dott. Magri, abbiamo avuto occasione di osservare che la distribuzione della corrente nello spessore del filo differisce moltissimo da quella che vale per i conduttori me- desimi distesi in linea retta. Noi ci siamo accorti di ciò facendo passare delle correnti di alta fre- quenza attraverso un solenoide ed un conduttore rettilineo disposti in serie; si misurava le”quantità di calore che si svolgevano nei due conduttori e il loro rapporto ci esprimeva il rapporto fra le resistenze elettriche dei con- duttori per quelle date correnti. Si trovò costantemente che per correnti oscillatorie la resistenza di un solenoide, fatto con un filo di spessore non estremamente piccolo, è sempre maggiore di quella che avrebbe lo stesso filo se fosse disteso in linea retta; la differenza cresce col'crescere della frequenza delle correnti, ed è tanto più rilevante quanto maggiore è lo spessore del filo e quanto più piccolo è il passo della spirale. Se ne concluse che, mentre in un conduttore rettilineo le correnti alter- nate non passano che per un sottile strato superficiale, quando lo stesso con- duttore è avvolto a spirale viene accresciuta la porzione di conduttore che non prende parte al passaggio delle correnti, ossia viene ancor più dimi- nuita la sezione utile del conduttore. Posteriormente i nostri risultati sono stati confermati dal Dolazelek (?), il quale indipendentemente dalle nostre osservazioni, occupandosi di misure di coefficienti di autoinduzione di alcuni rocchetti per correnti della frequenza di 300 oscillazioni per secondo, notò che la resistenza di tali rocchetti era (1) Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, 2, 51, pag. 371, 1902. (*) Ann. d. Phys., 12, pag. 1142, 1903. — 149 — maggiore di quella che essi presentavano per correnti continue, ed attribuì questo aumento a correnti di Foucault ed a difetti di uniformità della di- stribuzione della corrente nella sezione del filo. Più tardi il Wien (') discutendo i risultati del Dolazelek mostrò che, conformemente a ciò che era stato già da noi stabilito, questi aumenti di resistenza non erano attribuibili a difetti di uniformità calcolabili in base alle leggi già note per i conduttori rettilinei. Egli stesso propose un’interpretazione teorica dei risultati del Dolazelek, e le sue formule finali concordano assai bene con le esperienze, purchè queste siano fatte con rocchetti a parecchi strati di filo; lo dimostrano le misure fatte a tal uopo dal Dolazelek, le quali sono state spinte fino a frequenza di 3000 alternanze per secondo. Il ‘caso di un solenoide ad un solo strato di spire — caso importantissimo per la pratica, specialmente quando, lavorando con correnti di alta tensione, è sopratutto necessario non compromettere il buon isolamento fra le varie parti dello stesso conduttore — è stato trattato a parte dal Wien; egli è ve- nuto alla conclusione che la resistenza R per correnti di frequenza N è data da una serie del tipo (1) R=R,--aN° — GNi— eN°—.... dove Ro è la resistenza per correnti continue, 4,d,c... sono costanti che dipendono dallo spessore del filo e dal passo del solenoide. Il calcolo effettivo di tali costanti è molto laborioso, tanto che il Wien stesso si è contentato di trovare soltanto il valore della prima di esse: ciò costituisce un primo inconveniente della trattazione del Wien, tanto più che per alti valori di N, specialmente se la grossezza del filo non è molto pic- colo, la serie (1) converge così lentamente che si deve assolutamente rinun- ziare a calcolare R, sia pure con approssimazione molto grossolana. Infatti il Wien applicando il suo calcolo ad un solenoide fatto con un filo di rame della grossezza di 2 mm. e del passo di 2,12 mm. trovò risultati molto di- scordanti con l’esperienza; ed invero i valori da lui calcolati per le variazioni di resistenza che avrebbero dovuto manifestarsi nel solenoide — quando in esso alla corrente continua si sostituiscano correnti alternate di frequenza variabile fra 4000 e 8000 alternanze per secondo — risultarono quasi il doppio di quelli che forniscono direttamente le esperienze. Indipendentemente da questo inconveniente, che fu rilevato dal Wien stesso, la serie (1) non può fornire un valore sufficientemente esatto di R, perchè nei ragionamenti fatti dal Wien per stabilirla è supposto implicita- mente che la distribuzione della corrente nella sezione del filo sia uniforme in tutti i punti che si trovano alla stessa distanza dall'asse del solenoide, (1) Ann. d. Phys., 14, pag. 1, 1904. — 150 — cioè sopra i punti di un cilindro coassiale col solenoide. Infatti il Wien im- magina il solenoide scomposto in sottili solenoidi elementari con tagli fatti mediante superficie cilindriche coassiali, due delle quali sono rappresentate in sezione dalle due rette AB infinitamente vicine (fig. 1), ed ammette che, indicando con 7 il raggio medio CD della spirale, con #, ed 2,4 dz: le distanze delle due rette AB dal centro D della sezione, con 20 lo spessore del filo e con o la resistenza specifica del conduttore, la resistenza di mm spire di tale solenoide elementare sia data da 2ra(r + 21) Ole =" , 2]/0? Dani xi X dx, cioè, dalla stessa espressione che rappresenta la resistenza di quel solenoide elementare per correnti continue. A €) } ro g D, € 0 I Asse del solenoide D Socio 3 BIG Ora è presumibile che, come nel caso di un conduttore rettilineo la corrente tende a localizzarsi alla superficie del conduttore, così pure nel caso presente la densità della corrente sia maggiore nei punti M, che sono in prossimità della superficie del conduttore, anzichè in quelli N, che sono nel- l'interno, ossia che anche nel caso di un solenoide si presenti, oltre al fe- nomeno studiato dal Wien, un fenomeno analogo allo s/ineffeXkt dei condut- tori rettilinei; per effetto di esso la resistenza dei solenoidi elementari con- pr — 151 — siderati dal Wien non può ritenersi come una quantità indipendente dalla frequenza delle correnti. L'ipotesi del Wien richiederebbe che il campo ma- gnetico avesse lo stesso valore sia in N che in M, ossia che in questi due punti M ed N fosse trascurabile il campo magnetico H, dovuto alla corrente che circola soltanto nella spira a cui appartiene M, rispetto al campo ma- gnetico H dovuto all'intero solenoide. Ora si ha approssimativamente per H il valore __4nmi H TE ’ c dove # è il numero delle spire, c la lunghezza del solenoide ed ; l'inten- sità della corrente. Invece per H,, facendo astrazione dalla non uniformità della distribu- zione della corrente nella sezione del conduttore, si ha nei punti posti come M alla superficie del conduttore e quindi Hisi9rmo Ora, non essendo mai le spire in contatto le une con le altre, si ha che il diametro del conduttore è minore del passo della spirale, ossia 20/0, e quindi BR fl mon cn cioè H, JI H 1° si vede da ciò che non è affatto lecito trascurare H; rispetto ad H. Per queste ragioni la trattazione del Wien non risolve affatto il pro- blema della determinazione della resistenza di un solenoide per correnti di alta frequenza. Più recentemente il Sommerfeld (!) ha ripreso lo stesso problema, pas- sando dal caso dei solenoidi usuali formati da spire distinte l'una dall'altra, a quello di un solenoide ideale costituito da un tubo vuoto internamente e in cui la corrente sia obbligata a descrivere linee circolari aventi per asse (5) Aun. d. Phys., 15, pag. 673, 1904. — Retta — 152 — l'asse del tubo; tale solenoide potrebbe in certo modo essere realizzato con un filo a sezione rettangolare anzichè circolare, avvolgendo tale filo sopra un tubo isolante in modo che ogni spira stia quasi a contatto con quelle adiacenti. Il Sommerfeld suppone addirittura ridotto a zero lo spazio compreso tra una spira e l’altra, ammette che nello spazio compreso fra le due super- ficie cilindriche fra cui è compreso il tubo esistano da per tutto, il campo magnetico, la densità della corrente e le loro derivate prime e seconde ri- spetto agli assi coordinati, ed applica a queste quantità le note equazioni di Maxwell facendo astrazione dalle correnti di spostamento. Se sì tiene presente che in questo caso le linee di forza magnetica sono rette parallele al tubo e le linee di corrente sono cerchi coassiali col tubo, mentre nel caso dei conduttori rettilinei si ha proprio la disposizione inversa, si capisce che, essendo d'altra parte le equazioni del Maxwell di aspetto simmetrico rispetto al campo magnetico ed alla densità della corrente elettrica, l'integrazione delle equazioni relative al caso di questo solenoide debba potersi fare, scambiando i simboli, con funzioni analoghe a quelle che servono per i conduttori rettilinei; e difatti il Sommerfeld, analogamente al noto risultato ottenuto dal Thomson nel cercare l’espressione della densità della corrente, trova che l’espressione generale del campo magnetico in un punto qualsiasi è una combinazione lineare ed omogenea delle due funzioni di Bessel di ordine zero ed il cui argomento è proporzionale al prodotto della distanza del punto dall'asse della spirale, per la frequenza delle cor- renti e per la resistenza specifica del conduttore. Servendosi di sviluppi approssimati delle funzioni di Bessel, egli calcola la resistenza per alte e per basse frequenze di una porzione anulare del tubo (fig. 2) compresa fra due piani AB, CD, la cui distanza sia uguale alla grossezza delle pareti del tubo; tale porzione costituisce perciò una spira a sezione quadrata. La resistenza di tale spira cresce colla frequenza, perchè la corrente tende ad invadere solo la parte della spira più vicina all'asse del solenoide, ed il Sommerfeld volle confrontare tali variazioni calcolate con quelle che risultano dalle nostre esperienze e da quelle del. Wien. Per stabilire il con- fronto egli immagina le nostre spire a sezione circolare sostituite con spire a sezione quadrata con sezione di eguale area, ma trova che il valore cal- colato risulta sempre assai diverso da quello misurato (il primo risulta quasi doppio del secondo). La giustificazione che egli indica per tale discordanza è la seguente che: « der quadratische Querschnitt bietet auch bei gleichem Flicheninhalt dem nach der Innenseite konzentrierten Strom mehr Fliche dar als der kreis- formige (fig. 3). Die Wiirmeentwikelung und daher auch die Widerstandserhòh- ung wird somit bei der in der Rechnung zugrunde gelegten Quersch- nittsform grosser (!!) sein, als bei der Messung ». A me pare che qui il — 159 — Sommerfeld sia caduto in una svista; la ragione da lui addotta conduce pro- prio alla conseguenza opposta di quella a cui egli vorrebbe arrivare, essendo logico che con l'aumentare della sezione debba diminuire anzichè aumen- tare la resistenza del conduttore. solenoide È era i C - D 5 U=] D m w < Fis. 2. Certamente è inoppugnabile che la ragione delle discordanze tra i ri- sultati del Sommerfeld e le esperienze debba ritrovarsi nel fatto che un IMIEHCAR ordinario solenoide fatto con filo a sezione circolare, si comporta differente- mente che un solenoide del genere di quelli considerati dal Sommerfeld co- struibile con filo a sezione quadrata ed a spire ciascuna in contatto con le due adiacenti; la sola condizione che i fili dei due solenoidi abbiano sezioni di uguale area è infatti insufficiente a legittimare la supposta identità di comportamento dei due solenoidi. su e nua Si ©. sale /4 imorhrze ie*ee=e — 154 — Ma oltre alla differenza di forma delle due sezioni, si deve qui tener presente che nel caso di un ordinario solenoide due altre circostanze com- plicano il fenomeno; infatti non solo — come si è già dovuto osservare a proposito del lavoro del Wien — viene a mancare l'ipotesi fondamentale ammessa dal Sommerfeld, cioè che in vicinanza di ciascuna spira il campo magnetico sia dappertutto diretto secondo l’asse del solenoide e sia perciò trascurabile il campo magnetico vorticoso dovuto alla spira medesima, ma è anche naturale pensare che le variazioni di resistenza in istudio devono essere influenzate dalla maggiore o minore distanza fra due spire adiacenti. Il Sommerfeld ritiene che dal caso del solenoide fatto con filo a sezione quadrata, possa passarsi a quello di un solenoide fatto con filo a sezione circolare moltiplicando per un fattore costante y i valori da lui calcolati come aumenti di resistenza del primo solenoide; e valendosi di pochi risul- tati sperimentali riferiti dal Wien e di una serie delle misure calorimetriche da noi fatte nel lavoro sopra citato, afferma che tale fattore può ritenersi realmente costante e che approssimatamente ha il valore y = 0,6. In particolare tale fattore è, secondo il Sommerfeld, indipendente dal valore del passo del solenoide, ciò che non solo sembra a priori molto strano, ma è anche contradetto dalle esperienze che noi abbiamo fatto in proposito (1). Il problema in quistione è reso ancor più difficile dalla circostanza che a priori non si può nemmeno stabilire con precisione quale sia la direzione della corrente nei varî punti del conduttore che è avvolto a solenoide. Infatti si concepisca il solenoide come se fosse generato da un cerchiettino di se- zione uguale a quella del conduttore adoperato, il quale cerchiettino venga fatto scorrere in modo che il suo centro descriva un'elica ed il piano del medesimo si mantenga sempre normale alla tangente a detta elica; allora sembra naturale ammettere che ogni punto del cerchiettino descriva una linea di corrente, cioè una linea in ogni punto della quale la direzione della tangente coincida con la direzione della corrente. Ora noi ci siamo fatti questa ipotesi e l'abbiamo sviluppata in calcoli di cui qui sotto riferisco i risultati. Essi dimostrano che l’ipotesi stessa non è conciliabile con le equazioni della elettrodinamica, le quali porterebbero alla conclusione che la distribuzione della corrente nella sezione del conduttore, e quindi anche la resistenza del medesimo, dovrebbero essere indipendenti dalla frequenza delle correnti alternate adoperate. Infatti si sa che indicando con %,v,w le tre componenti della densità della corrente secondo tre assi coordinati cartesiani, con 7 il tempo, con € la conducibilità specifica del conduttore e con d°f d.f= e ta (5) Phys. Mag., 5, pag. 28, 1903; Memorie della R. Acc. delle Scienze di Torino, 51, pag. 235, 1902. — 1559 — il noto parametro differenziale secondo di una funzione qualsiasi /, è richiesto dall'elettrodinamica che si abbia dU 4, = ul (1) SU TC > dv P) ) (3) A:w=4nc 3 dU dI dv dW og Li pag (4) Essendo nota la direzione del vettore densità di corrente, si indichino con @,8,y i coseni di direzione del medesimo e si ponga per brevità ®=|/u 40° 4 w®, cioè si indichi con ® la grandezza del vettore mede- simo. Allora oa 6) v=p® —WDL Si prenda adesso l'equazione (1) e si osservi che da IP, daIV, da dd A Mi ineigidno cli De Cal d.(a®D =aA,D 2 eat (Manziiy DAN + PA, x $ la quantità racchiusa entro parentesi nel secondo membro non è altro che il parametro differenziale misto delle due funzioni @ e ®. Rappresentandolo col noto simbolo y7 si ha: A,(a®)=a4,D-+ 2r(aM) 4 DA, a. Operando in modo analogo sui primi membri delle (2) e (3), si vede che il gruppo di equazioni (1), (2), (8), (4) si trasforma nel sistema di equazioni (6) aA4,® | 2r(a, D)4+ Ph,a = Arca 2 dP (7) Ai AD) DA dP (8) A e nc ID ID PI (Qe ADSM) LE Se ie o io n SIAM 0) “om, sin t Una | n mi 4 ReNDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 21 — 156 — Moltiplicando la (6) per y e la (8) per — @ e sommando si ottiene una equazione in cui riescono eliminate simultaneamente le espressioni 4,® e 2° : Analogamente si può operare sulla (7) e (8); si ottengono così le due equazioni (10) yr(a, 0) — (1,0) +5 (rea — &437)=0 (11) vr(8.0)— #r(7,0) +3 04.8 B49)=0, Se a queste equazioni viene associata la (9) e si dividono tutti i termini per ®, si ottiene 3 log D 23 log D > log D (du INA) 12 Set gi 650 u, 8 ___. 2 ped ae da urli dY pi da ox gna, (13) ye (a, log D) — ag(y, log D)=+]ad2y — y420| (14) yy:(8, log ®) — B7(y,log®)=+}|P42y—7y4:BX. Queste equazioni sono generali e valgono qualunque siano i valori dei coseni di direzione @,#,y e qualunque sia la forma del conduttore in esame. Esse inoltre valgono sia per correnti continue che per correnti variabili, purchè sia soddisfatta l'ipotesi che la direzione delle linee di corrente sia invaria- bile col tempo. Esse in varî casi si riducono ad identità, ed allora non giovano per la risoluzione del problema a cui sì riferiscono. Così per es. nel caso di conduttori cilindrici, se la corrente ha la dire- zione dell'asse delle #, si ha: ed allora le equazioni (13) e (14) diventano identicamente soddisfatte, e la (12) dà questa eguaglianza esprime che lungo una linea di corrente, la grandezza della densità di corrente è costante, cosa che era ben naturale prevedere. Nel caso di un solenoide, si supponga come già è stato sopra indicato, che esso sia generato da un cerchiettino in moto. Tale cerchio sia quello rappresentato dalla figura 4, in dimensioni molto ingrandite; in essa siano x, ed #5 le coordinate polari di un punto M qualsiasi e sia 3 la lunghezza dell'arco descritto dal centro O del cerchio a partire da un punto fisso A. — 157 — Il solenoide generato col movimento del cerchio sia quello rappresentato dalla figura 5; lo si riferisca ad una terna di assi ortogonali di cui l’asse Fic. 4. delle # coincida con l'asse del solenoide e l’asse delle 4 passi per il punto A a partire dal quale si contano le lunghezze degli archi 3. BGN. Allora la linea di corrente descritta dal punto M è rappresentata dalle equazioni : 27 xa=(r +, 00822) cos < 2 (15) y=(r +, cos 7») sen sg ) Gi = 4 == 2rrr Ct 3g 21504, a a | — 158 — dove le costanti 7,p,S caratterizzano l'elica descritta dal centro O del cerchio e rappresentano rispettivamente la distanza fra i punti della mede- sima e l'asse Oz, il passo dell’elica e l’arco della medesima compreso fra due posizioni successive del punto O distanti di un passo intero; queste tre costanti sono legate dalla relazione S= |/4n?r? + p?. Col variare del parametro #3 dal valore 0 al valore /, dove / è la lunghezza del filo di cui è formato il solenoide, le formule precedenti danno le coordinate dei varî punti di una determinata linea di corrente; tutte le linee di corrente comprese entro il solenoide si ottengono facendo variare indipendentemente l’uno dall'altro i due parametri x, ed x, il prima fra 0 e a dove a è il raggio della sezione del filo e il secondo fra 0 e 277. Messe le cose in questo modo, è naturale ammettere che per qualunque valore di 43, 2,3 compreso entro i limiti sopra definiti — eccetto tutto al più per x,= — esistano sempre la funzione ® e le sue derivate ri- spetto ad x1,4%2,%s. Quanto ai coseni di direzione della linea di corrente descritta da M, essi sono: (16) B=% dove (17) pPe'e-._ 1... V4r°(r + x, c08 23)? + p° Con tali ipotesi riesce agevole verficare che il secondo membro della (12) è identicamente nullo; l'equazione medesima diventa allora: > log D LO RA AREA, dY dI3 DE TI”a ossia dlog® dE3 uo: questa equazione esprime, come era ben naturale prevedere, che lungo ogni linea di corrente la densità della corrente è costante. Per vedere come si trasformano le equazioni (18) e (14), basta appli- care le formule generali che servono al calcolo dei parametri differenziali secondo e misto in coordinate curvilinee qualsiasi. A tal uopo differenziando le (16) si calcoli l’espressione do? = da° + dy° 4- de, Celi e si ponga per brevità do° = dax* + dy° + de? = = Gnd&° + a99 dx + 433425 + 2410 dardo» + 2413 der d%3 + 2423 des d&3, si chiami 4 il discriminante: Ai Aa A3 dar 022 423 031 432 033 ed A, il complemento algebrico di 4, nel discriminante 4, diviso per & stesso. Allora il parametro differenziale secondo di una funzione qualsiasi / ed il parametro differenziale misto di due funzioni / ed /', si esprimono con le formule se Va F dI 3 d$ =) Ap —=— TAI 9) Ds ) day DI: Applicando queste formule alle equazioni (13) e (14), con lunghe ma assai semplici trasformazioni che io qui tralascio di riportare, si trova che il si- d log D A d log ® DZA dl stema di quelle due equazioni si può risolvere rispetto a è) e si ottengono così due equazioni del tipo: log D \ St Xi(41, Za) 18 li 06) Î d log D dx: 2( LUNE) 2), Le funzioni X,, X, sono tali che risulta identicamente soddisfatta la nota condizione di integrabilità: | DI, dI. DT RIA perciò il sistema delle equazioni (18) è integrabile e fornisce una equazione del tipo: log'® = E(21, 22) +0 dove C è una costante rispetto ad x, , x, ed 43, € perciò è in generale una funzione di #. Ne segue che ® è della forma: =y() We. 22), mena ia e — 160 — il che appunto dimostra che la distribuzione della corrente dovrebbe risul- tare indipendente dalla specie di corrente adoperata. Da queste sommarie considerazioni risulta che lo studio teorico della resistenza dei solenoidi per correnti variabili è molto più complesso di quanto appare dai riferiti lavori del Wien e del Sommerfeld, i cui risultati teorici non sembrano ancora suscettibili di una pratica applicazione. Paleontologia. — 'ossil turoniani della Tripolitania. Nota del Corrispondente 0. F. PARONA. Il prof. P. Vinassa de Regny, riferendo sui risultati di un viaggio in Tripolitania ('), fra le altre interessanti notizie, accennò al rinvenimento di alcuni fossili cretacei in un calcare compatto giallastro di Tarahuna presso Homs (Tripolitania settentrionale), che provvisoriamente attribuì al Cretaceo superiore. Questi fossili egli volle offrirmeli in esame, con atto di cortesia pel quale io gli sono obbligatissimo, ed in questa comunicazione intendo ap- punto di riassumere le conclusioni dello studio fattone. Le specie ricono- sclute sono: Caprinula Sharpei, Choffat (?) Biradiolites Arnaudi, Choffat (?) Sphaerulites cfr. patera, Arnaud Radiolites lusitanicus Choffat Salenia n. f. Orthopsis cfr miliaris Cotteau Orbitolina (tre forme). Le riserve sui riferimenti specifici dipendono dallo stato di conservazione degli esemplari e sono facilmente spiegabili, se si pensa alla scarsità, gene- rale nei giacimenti a rudiste, di esemplari, che conservino riconoscibili i caratteri interni ed esterni, richiesti per la determinazione, secondo le mo- derne vedute, riguardo l’interpretazione dei generi e della specie nelle rudiste. Ma queste incertezze permettono tuttavia di riconoscere all'insieme della pic- cola fauna la sua spiccata somiglianza colla fauna a rudiste del Turoniano medio e superiore del Portogallo (?), e quindi anche dell'Appennino, dove le faune turoniane presentano notevoli affinità con quelle portoghesi. (1) P. Vipassa de Regny, Note geologiche sulla Tripolitania, Rend. r. Accad. d. Sc. dell’Ist. di Bologna, 1902. (2) P. Choffat, Facies ammonitig. et facies récifal du Turonien portugais. Bull Soc. Géol. de France, 1897, XXV, pag. 470. — Rec. des Monogr. strat. sur le Syst. Crét. du Portugal, Deux. Ét., Le Crét. sup. au nord du Tage, Lisbonne, 1900, pag. 167 e seg. — 161 — Per quanto mi risulta, finora si avevano notizie assai scarse, specialmente paleontologiche, sul Cretaceo superiore della Tripolitania. Rolland ('), trat- tando del Cretaceo dell'Africa settentrionale e riassumendo le osservazioni degli autori che lo avevano preceduto, non accenna alla esistenza di calcari a rudiste nella Tripolitania. Ma evidentemente i calcari a rudiste riconosciuti dal prof. Vinassa appartengono, e ne costituiscono la prosecuzione ad oriente, alla serie che si sviluppa negli altipiani della Tunisia e dell’Algeria e che contiene quel Radiolites Lefebvrei (Bayle) (), il quale nel Turoniano del Portogallo è rappresentato da una forma che le è strettamente affine, se non identica (Radiolites Peroni Choffat) (8). Questa associazione di forme, Caprinula, Biradiolites, Sphaeralites, Radiolites, in un calcare ad Orbitolina non era stata prima d'ora, io credo, segnalata pel nord-Africa; e finora non sì era riscontrata la presenza di orbi- toline in orizzonti superiori al Cenomaniano superiore (4). E notisi che non è il caso di dubitare della convivenza delle orbitoline colle rudiste, in con- siderazione della abbondanza delle orbitoline stesse nella roccia, all’esterno e nell'interno dei fossili e della loro buona conservazione; ciò che permette di escludere che si tratti di fossili rimestati. Il fatto mi pare quindi inte- ressante e meritevole di essere comunicato all'Accademia, anche a soddisfa- zione del prof. Vinassa, al quale spetta il merito di avere scoperto il gia- cimento fossilifero. A schiarimento dei suesposti riferimenti specifici, ritengo opportuno di aggiungere ora qualche cenno descrittivo dei fossili. Caprinula Sharpei Choftat (?). H. Douvillé, #6. sur les Caprines, Bull. S. G. d. France, XVI, 1888, pag. 708, tav. 22, fig. 4, tav. 23, fig. 5. Dei tre esemplari avuti in esame, uno solo presenta traccie sufficientemente conservate, per un confronto colla citata specie, dell’apparato cardinale e della struttura interna, offerte dalle sezioni condotte nella valva superiore ed inferiore ad una certa distanza dalla commessura. I caratteri messi in evi- denza dalla sezione attraverso la valva inferiore potrebbero lasciare incerti tra la C. Sharpei e la C. olisiponensis Choffat, per la forma del canale della forchetta e per la disposizione delle lamine miofore, anteriore e poste- riore; ma il dubbio parmi venga escluso dai caratteri della sezione della valva superiore appartenente allo stesso individuo; tuttavia credo prudente (1) G. Rolland, Sur le terr. Crét du Sahara sept., Bull. d. 1. Sve. Géol. de France, 1881, IX, pag. 508 e seg. (2) G. Rolland, Mem. cit., pag. 526. — A Peron, Descript. des invertéb. foss. d. terr. crét. de la région sud des Hauts-Plateaua de la Tunisie, Paris, 1889-1893, pag. 287. (3) A. Peron, Za zone à Placent. Uhligi et la cone à Marsup. ornatus dans le Creét. de lAlgérie. Bull. Soc. Géol. de France, 1898, XXVI, pag. 500 e seg. (4) H. Douvillé, Distridut. des Orbitolites et des Orbditoides dans la Craie du sud-ovest. Ball. d. 1. Soc. Géol. de France, II, 190°, prospetto a pag. 812. sii Tee | — 162 — lasciare dubbio il riferimento specifico. La C. Sharpei si trova in Portogallo nel Turoniamo medio e superiore col Radiol. lusitanicus (Bayle), Biradio- lites Arnaudi Choffat, Sauvagesia Sharpei Bayle, ecc. Radiolites lusitanicus (Bayle). P. Choffat, Rec. d’ét. paléontol. sur la faune creét. du Portugal, 1886, pag. 32, tav. IV, figg. 2-8; 1901, pag. 144, tav. X (var. rigida, tav. XI). Numerosi sono gli esemplari di radioliti, oltre la trentina, ma pochi, non più di dieci, per quanto di forma variabile sono riconoscibili ed appartengono al A. lusitanicus. Non eseludo tuttavia che qualche altro esemplare fra quelli irriconoscibili specificamente, perchè troppo incompleti od erosi, possa appartenere ad altra specie, segnatamente al £. Peroni Choffat (= AR. Lefebvrei Bayle). Quelli riferibili al A. lusitanicus, sono tutti esemplari di piccole dimensioni, più piccoli in generale dell'esemplare di media dimensione figurato da Choffat (tav. IV, fig. 4); i più piccoli hanno la valva infe- riore larga quanto alta, mentre nei maggiori, irregolarmente conici ed alquanto ritorti, l'altezza è notevolmente maggiore della larghezza; i più sono individui isolati, quattro sono riuniti a coppia. Nessuna valva superiore è completa, ma quanto rimane di parecchie di esse, basta a dimostrare che questa valva è liscia, piana o leggermente cupoliforme per rigonfiamento centrale, corrispondendo quindi perfettamente alla descrizione fattane da Chof- fat. L'A. distinse diverse forme per questa specie riguardo alla valva infe- riore, ed è alla « forme élancée à lames courtes et étalées » che appartengono gli esemplari in esame meglio conservati. Pochi hanno le fascette sporgenti dei seni non sciupate; ma tuttavia è evidente la maggiore larghezza di quella anteriore, e sono visibili le tre costicine longitudinali occupanti lo spazio interposto; il margine della stessa valva è ondulato, ed un esemplare che sì presenta scoperchiato, per la scomparsa di gran parte della valva supe- riore, mostra ben conservata la cresta cardinale e le fossette dentali late- rali, corrispondenti alla estremità bifida dei denti della valva superiore. Già notammo le altre specie di rudiste che in Portogallo si associano al R. lusitanicus, ad un livello paleontologico che, secondo Douvillé (!), è caratterizzato nel nord d'Africa dai Rad. Choffati Thomas et Peron e È. Lefebvrei Bayle, i quali più all’est sono associati a specie del Turoniano portoghese. In Italia io riconobbi questa specie nel Turoniano dell'Avelli- nese (?), insieme al Birad. samniticus Par., ed al Bir. Arnaudî Choffat. Sphaerulites cfr. patera Arnaud H., Mém. sur le Terr. Crét. du S. O. de la France, Mém. Soc. Géol. di France, X, 1877, pag. 80, tavv. IV, V, VI. — L'unico esemplare, di poco più piccolo di quello figurato da Ar- (1) H. Douvillé, Classific. des Radiolites. Bull. Soc. Géol. d. France, 1902, t. II, pag. 471. (®) C. F. Parona, Appunto per lo studio vel Cret. sup. nell’ Appennino. Boll. Soc. Geol. Ital., 1905, XXIV. — 163 — naud alla tav. VI, è alquanto schiacciato dall'alto al basso e mutilato ai fianchi, di guisa che non è possibile farsi un'idea esatta del grado di con- vessità della valva superiore e del lembo della inferiore; si aggiunga che la valva superiore ed il lembo marginale della inferiore sono ellittici, an- zichè subcircolari. In queste condizioni non è possibile stabilire l'identità dell'esemplare africano colla specie turoniana di Arnaud, alla quale tuttavia somiglia assai, più che alla Sphaerul. foltaceus Lam., per lo stato di super- ficie della valva superiore, per le grosse pieghe radianti sul lembo della valva inferiore, per le lamine sporgenti orizzontalmente sui fianchi, per le traccie della larga zona liscia fra le fascette dei seni. Una rottura laterale lascia vedere parzialmente la cavità interna ingombra di incrostazioni. Biradiolites Arnaudi Choffat, op. cit., 1901, pag. 138, tav. VI e VII. Trattandosi di frammenti espongo come dubbia la determinazione specifica; la ritengo tuttavia probabilissima, anzi, a giudicare dai caratteri ornamen- tali, parmi di poter aggiungere, che la forma tipo è accompagnata dal 2ira- diol. runaensis, da Choffat considerato come varietà del Bir. Arnaudi, seb- bene ne sia così distinto da poter essere ritenuto specie a sè. Salenta f. n. Esemplare incompleto, appartenente ad una forma che si distingue da tutte le congeneri, come mi fa osservare il prof. C. Airaghi, per le piccole dimensioni dell'apparato speciale, più piccolo della metà del diametro dell’echino stesso. La specie che più le si avvicina è la Sal. lu- sitanica De Loriol del Bellasiano, orizzonte di passaggio dall’Aptiano al Cenomaniano (P. De Loriol, Réc. d'ét. pal. sur la faune crét. du Portug., IT, Descript. des Echinod., Lisbonne, 1887-88, pag. 16, tav. III, fig. 4). Orthopsis cfr. miliaris Cotteau, Paléont. frang., Echinod. erét. VII, 1862-67, tav. 1131, pag. 558. L'Orzthopsis miliaris si trova nel Ce- nomaniano (?), nel Turoniano e nel Senoniano; mi astengo dal rifervi senza riserva l'esemplare di Tarahuna perchè ridotto in un frammento della por- zione marginale, sicchè non è possibile controllare i caratteri dell’apice. È tuttavia probabile, che si tratti realmente della specie di Cotteau, tanto più che essa venne già trovata in Algeria. (Cotteau, Peron et Gauthier, Zehin. foss. de l’Algérie, Paris, 1876-84. pag. 213). Orbitolina. Il dott. P. L. Prever, per un suo studio comparativo di orbitoline di diverse provenienze e dei diversi orizzonti del Cretaceo, ebbe anche occasione di esaminare gli esemplari di Tarahuna comunicatigli dal prof. Vinassa. Egli mi informa di avere riconosciuto tre forme. Una forma regolarmente conica, colla faccia conica liscia ed a colletto molto pronunciato e con quella inferiore piana o leggermente convessa: è affine alla O. dulgarica (Desh.) dell'Albiano ed alla 0. Paronai n. f. del Cenomaniano del Veneto orientale e dell'Appennino aquilano, differendone per il colletto basale e per la faccia inferiore che non è mai concava. Una seconda forma appartiene pure al gruppo della 0. corozdea, ma RenDpIcONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 22 — 164 — è più tozza e nella faccia inferiore è provvista al centro di una depressione assai limitata, all'ingiro della quale si rialza, divenendo convessa ed assu- mendo quindi, per la faccia inferiore, un profilo simile a quello della 0. di- scoidea. Per questi caratteri è simile, ma non identica, alla 0. Boehmi n. f. pure del Cenomaniano veneto ed appennino. Una terza forma è pure conica ma più schiacciata, colla faccia infe- riore convessa, ma senza depressione centrale; pei quali caratteri ha qualche somiglianza colla 0. Ayliani n. f., compagna delle 0. Paronai ed O. Boehmi (1). Queste orbitoline differiscono inoltre dalle forme citate per la loro pic- colezza; così che, se teniamo calcolo della tendenza allo sviluppo regressivo, generale nelle orbitoline a partire dai Cenomaniano, si può ritenere, che queste tre orbitoline turoniane siano derivati evolutivi delle tre suaccennate forme cenomaniane. Meccanica. — Su/ problema dei due corpi nella ipotesi di un potenziale newtoniano ritardato. Nota di GIULIO PAVANINI, presen- tata dal Corrispondente T. LevI-CIvITA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Modificazione del detector magneto-elastico del Sella ©). Nota del dott. LaurETO TrerI, presentata dal Corrispon- dente A. SELLA. Nel 1903 (3) il Sella trovò che un filo di ferro è sensibile alle onde elettriche anche quando l’'isteresi magnetica, anzichè essere generata da un cambiamento del campo esterno, come pel detector Marconi, fosse generata da una deformazione elastica. L'apparecchio usato dal Sella per dimostrare il fenomeno era costituito da un fascio di fili di ferro (lungo circa 40 centimetri) saldati alle due estremità ed infilato in un tubicino di vetro della lunghezza di circa 30 cm. intorno a cui erano disposti due avvolgimenti; l'uno, l'interno, costituito da un solo strato, serviva per lanciare attorno al nucleo le onde elettromagnetiche, l'altro, costituito da quattro strati, era chiuso su un telefono. Tutte le volte (1) Queste n. f. di orbitoline saranno prossimamente descritte ed illustrate dal dott. Prever. (2) Lavoro eseguito nell’Istituto fisico della R. Università di Roma. (8) V. Rend. Acc. Lincei, 1° sem. 1903, pag. 340. — 165 — che si torceva il fascio da una parte e dall'altra della posizione di riposo, e si lanciavano le onde nella bobina a ciò destinata, il telefono accusava la presenza di esse con un caratteristico ronzio. Però, come osserva il Sella stesso in un’altra sua Nota {!), la sensibi- lità di questo nuovo detector era ben lontana dal poter competere con quella del detector ordinario. To ho ricercato le condizioni di migliore sensi- bilità di questo nuovo rivelatore di onde elettroma- gnetiche, e dopo una lunga serie di tentativi fatti ini nel passato anno, sono riuscito a costruire un de- ea tector magneto-elastico più sensibile di un detector = Marconi esistente nell’ Istituto Fisico della R. Uni- versità di Roma. La principale modificazione apportata all’ap- parecchio del Sella è consistita nel mantenere il fascio di fili di ferro magnetizzato circolarmente o longitudinalmente (meglio circolarmente) mentre sl torce. L'apparecchio è costituito nel modo seguente: (fig. 1). Un fascio di 14 fili di ferro ricotto, saldati insieme ai due estremi e della lunghezza di circa 10 centimetri è infilato in un tubicino di vetro lungo cm. 9 ed avente il diametro esterno di cm. 0,49. (Il filo di ferro che adopero ha il dia- metro di mm. 0,5, essendo esso il più sensibile fra le molte qualità che avevo a disposizione). Il tubicino di vetro è ricoperto per la lunghezza di cm. 7 da un avvol- gimento di filo di rame del diametro di circa !/so di millimetro: di esso avvolgimento, l'un capo T è in comunicazione con la conduttura del gas, l’altro A è libero. 7 = | TI BICRE Sul tubo di vetro è infilato un rocchettino di legno B che porta una scanalatura profonda della larghezza di circa 3 mm., nella quale è avvolto per parecchi strati del filo di rame dello stesso spessore di quello che forma la bobina dell'onda. La bobina telefonica è costruita in modo che la sua resistenza eguagli presso a poco la resistenza del telefono chiuso su di essa. Il fascio è saldato per un estremo ad un solido sostegno S; per l’altro estremo ad una sbarretta che permette di torcerlo. Inoltre, gli estremi del fascio di fili di ferro sono congiunti ai poli di una pila Grenet P. Date le condizioni in cui esperimento, tenendo aperto il circuito in cui è inserito il fascio di fili di ferro e torcendo esso fascio, l'apparecchio non è affatto sensibile alle onde generate da un campanello elettrico (chiuso nel (*) V. Rend. Acc. Lincei, 2° sem. 1903, pag. 182. — rr un n n — n | | | | — 166 — circuito di una pila Grenet e con un punto del circuito in comunicazione con la conduttura del gas), posto a pochi metri di distanza: però, non appena si chiude il detto circuito, cioè non appena si magnetizza il fascio circolar- mente, si sente neltelefono un ronzio abbastanza forte tutte le volte che si torce e detorce il fascio. Se dopo di ciò si interrompe nuovamente la cor- rente che magnetizza il fascio, e si torna a torcerlo, per la prima torsione il ronzio nel telefono ha quasi la stessa intensità di quella che avrebbe se la corrente seguitasse a passare pel fascio; per le torsioni successive il ronzio va man mano diminuendo d'intensità, fino a scomparire di nuovo completa- mente. Ciò avviene però quando nella torsione si fa oltrepassare al fascio di fili di ferro per un buon tratto da una parte e dall'altra della posizione di riposo, due certi angoli dei quali è fatta parola più in basso. Se invece dopo aver torto il fascio tenendolo magnetizzato circolarmente, si interrompe la magnetizzazione circolare e si seguita a torcerlo senza però oltrepassare i detti angoli di torsione, l'intensità del ronzio diminuisce solo fino a un certo limite, cioè il fascio rimane in condizioni migliori di sensibilità di quel che non era prima della magnetizzazione circolare. Sarebbe importante vedere se il fascio viene a perdere col tempo questo aumento di sensibilità. È anche degno di nota il fatto che la rapidità con cui va diminuendo l'intensità del ronzio telefonico varia col variare della qualità del ferro di cui è costituito il fascio. Il fenomeno è ancora più caratteristico pel nichel: questo metallo perde con maggiore rapidità la sensibilità che acquista allorquando si torce e de- torce tenendolo magnetizzato circolarmente. Per quel che precede credo di potermi spiegare perchè in un mio pre- cedente lavoro, in cui ho studiato l’azione delle onde elettriche sui cicli d’isteresi magnetica per torsione e per trazione ('), ho trovato che la magne- tizzazione circolare per alcuni fasci altera, per altri no, l’effetto delle onde. Però tornerò sulla questione, dovendo riprendere questi studî per vedere come viene alterato a causa delle onde un ciclo d’isteresi dato da una de- formazione elastica di un fascio di fili di ferro o di nichel, magnetizzato circolarmente o longitudinalmente per tutto il tempo che dura l’esperienza. Il detector magneto-elastico è sensibile alle onde elettro-magnetiche fino a che non si fa oltrepassare al fascio di fili di ferro un certo angolo di torsione, il quale dipende dalla qualità di filo di ferro adoperato. Arrivati al detto angolo di torsione, perchè l’apparecchio continui a rivelarci la pre- senza delle onde, bisogna detorcere il fascio, passare per la posizione di riposo di esso a seguitare a torcerlo in senso contrario fino a non oltrepassare anche qui un certo angolo di torsione, dopo di che bisogna nuovamente tornare indietro e così di seguito. In altre parole, perchè l'apparecchio rimanga sempre (1) V. Mem. Ace. Lincei, 1905, vol. V, pag. 592. — 167 — sensibile alle onde elettromagnetiche, bisogna torcere il fascio da una parte e dall'altra del punto di riposo di esso, avendo l'avvertenza di non mai oltre- passare nella torsione un certo limite dall’una e dall'altra parte. Si comprende facilmente però come si debbano avere due punti morti tutte le volte che il fascio, giunto al massimo di torsione sia dall’una che dall'altra parte della posizione di riposo, deve tornare indietro. Infatti in quei punti il fascio resta fermo per un istante: conseguentemente per quell’istante l'apparecchio non può essere sensibile alle onde elettriche. Perciò il detector magneto-elastico, così come l’ho descritto precedentemente, non potrebbe ser- vire per la recezione di radiotelegrammi. Ho eliminato il precedente inconveniente adoperando due detector disposti in modo che i due fasci di fili di ferro di essi non siano torti nella mede- sima fase, ma siano torti in guisa che mentre l'un fascio si trova nel punto morto, l’altro si trovi nel punto di massima sensibilità. ua — 168 — DESCRIZIONE. DELL'APPARECCHIO COMPLETO. Due detector magneto-elastici identici a quello descritto a pag. 165 (v. fig. 1) sono posti verticalmente su un piano orizzontale di legno portante due colonnine c, c, ripiegate superiormente ad angolo retto (v. fig. 2). Alla estremità superiore di ciascuna di queste è saldato il fascio di fili di ferro. Ogni fascio è saldato per l’altro estremo ad una carrucola che porta infe- riormente un gambo cilindrico che penetra e può girare in un foro praticato sul piano di legno, in modo che, girando le carrucole, i fasci vengono ad essere torti. Per la scanalatura di ciascuna carrucola, passa un filo legato per un estremo ad un saltaleone 72, per l'altro estremo ad un martelletto girevole intorno ad un perno O. In un punto conveniente del piano di legno è imperniato un eccentrico €; nella parte superiore di questo è fissata una carrucola, nella scanalatura della quale passa una cinghia che va ad un motorino K. I martelletti sono sempre tenuti a contatto dell’eccentrico per mezzo dei saltaleoni m'. Le estremità superiori delle bobine dell'onda vanno all’antenna A, le estremità inferiori a terra. Inoltre, ogni bobina telefonica è chiusa su un telefono 7, e ogni fascio è inserito nel circuito di una pila Grenet P. Facendo agire il motorino, l'eccentrico gira e conseguentemente i fasci sono torti ora dall'una ora dall'altra parte della posizione di riposo. L'eccentrico è costruito in modo che i fasci non oltrepassino nella tor- sione il limite al di là del quale non sarebbero più sensibili alle onde, e i martelletti sono posti in maniera che mentre l'un fascio si trova al punto morto, l’altro si trovi nel punto di massima sensibilità. Con tale apparecchio sì ricevono molto bene i radiotelegrammi. Fisica. — Perfezionamenti allo Spettroelioscopio. Nota di AN- TONIO SAUVE, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. Nei Comptes Rendus de l’Académie des Sciences (11 décembre 1905) è inserita una Nota del sig. Nodon intorno ad una nuova disposizione per ottenere un'immagine monocromatica delle sorgenti luminose, da servire più specialmente allo studio della superficie solare. Ora, fin dai primi mesi del 1904, nelle Memorie degli Spettroscopisti italiani (vol. XXXIII, a. 1904, dispensa 3*) ho pubblicato la descrizione di un apparecchio, a cui ho dato il nome di Spettroelioscopio, che ha lo stesso scopo e si fonda sull'identico principio. Con la presente Nota mi propongo di' far constatare i miei diritti di priorità all'invenzione dell'apparecchio, e di esporne alcuni ulteriori per- fezionamenti. — 169 — La parte caratteristica dell'apparecchio del sig. Nodon consiste in due piccoli specchi piani circolari, fissati uno sopra l’altro ad un asse verticale, e che fanno un certo angolo fra loro. L'asse è animato da un movimento alternativo rapido e regolare, per mezzo di un movimento di orologeria. Un siderostato diretto sul sole ne rimanda i raggi in una direzione costante. L'ap- parecchio è disposto in modo che il fascio cade sopra uno degli specchi, che lo riflette secondo l’asse di un cannocchiale orizzontale che dà un'immagine del sole sopra la fessura di uno spettroscopio fisso. L'immagine dello spettro vien ricevuta sopra un piano sulla superficie del quale scorre una fessura mobile che permette d'isolare una riga determinata. Questa riga si riflette sopra un terzo specchio, che la rimanda sul secondo specchio oscillante. Quest'ultimo è fissato in modo da rimandare i raggi riflessi in un cannoc- chiale fisso, donde pervengono all'occhio dell'osservatore. A causa del movi- mento oscillatorio rapido e regolare da cui sono animati gli specchi circolari, le successive immagini sovrapposte sulla retina danno l'impressione di una immagine continua. Per fare un confronto tra il metodo del sig. Nodon ed il mio, dovrei ri- petere la descrizione del mio apparecchio, già data nella Nota citata. Prefe- risco descriverne un nuovo modello, che in sostanza è uguale al primo, e ne differisce soltanto per una modificazione che permette di far uso di uno spettroscopio qualunque, mentre nel primo lo spettroscopio di forma speciale era una modificazione di quello adoperato da Hale in un suo Spettroelio- grafo ('). Del resto, per auanto riguarda il confronto tra il mio metodo e quello del sig. Nodon, ciò che dirò relativamente al secondo modello vale anche relativamente al primo. Otterrò così, con maggior brevità, il doppio scopo di dimostrare il mio diritto di priorità, e di presentare un ulteriore perfezionamento pratico del mio apparecchio. Nel mio apparecchio la parte caratteristica consiste in uno specchio oscillante P di debole spessore e con ambedue le faccie riflettenti. Adopero anch'io uno spettroscopio con due fessure 4, 2. Inoltre due specchi fissi Q, A, sono situati rispettivamente innanzi alla prima fessura e dopo la seconda. Il fascio luminoso che esce dall’obbiettivo di un cannocchiale dà l’immagine del sole sopra il piano della prima fessura 4, dopo aver subìto una riflessione sulla prima faccia dello specchio oscillante P? ed un’altra sullo specchio fisso Q. La seconda fessura è serve ad isolare una determinata riga dello spettro. I raggi che escono da questa fessura si riflettono sullo specchio , attraversano un obbiettivo D, e si riflettono sulla seconda faccia dello spec- (*) Nel primo modello un riflettore stava nell’interno dello spettroscopio ; l'ho sosti- tuito con un riflettore esterno £. Inoltre nel primo modello i raggi pervenivano all'occhio dopo avere attraversato un cannocchiale; ho spostato l'obbiettivo di questo cannocchiale collocandolo fra gli specchi A e P. e > 0 35 SIAE ur ose marc TI | — 170 — chio P formando in 2' l'immagine della fessura d. Inoltre debbono essere soddisfatte le seguenti condizioni : 1. L'apparecchio deve essere tale, che se due raggi coincidessero cogli assi delle lenti dello spettroscopio, attraverserebbero rispettivamente le fes- sure 4, d, e dopo riflessione sugli specchi @, £, s'incontrerebbero in un punto per cui passa lo specchio P (considerato di spessore trascurabile) e l'asse di oscillazione del medesimo. 2. Il percorso PQ+- Qu deve essere uguale al percorso P2'. 3. La grandezza dell'immagine 2' della fessura d deve essere uguale alla grandezza di questa ('), ciò che sì ottiene facendo uso di un obbiettivo D la cui distanza focale sia uguale alla quarta parte del percorso BR + RP + Pò, e collocandolo nel punto medio del detto percorso. (') Ciò presuppone che nello spettroscopio abbiano la medesima distanza focale la lente di collimazione e l’altra lente che forma l’immagine dello spettro. — 171 — Soddisfatte che siano le precedenti condizioni, se si fa ruotare lo spec- chio P, l'immagine del sole si sposterà sulla prima fessura 4, e simultanea- mente l’immagine d' della fessura d si sposterà disegnando un'immagine monocromatica del sole. Questa immagine può servire ad impressionare una lastra fotografica, ovvero può essere osservata direttamente con un oculare. In tal caso, affinchè la persistenza delle immagini sulla retina produca il suo effetto, bisogna che lo specchio P oscilli rapidamente. È chiaro che, ogni volta che lo specchio ritorna in una medesima posi- zione, per la fessura 4 passa la medesima sottile porzione dell’ immagine solare, e l'immagine 2’ della fessura dè occupa identicamente lo stesso posto, cosicchè le immagini monocromatiche del sole che si ottengono nelle succes- sive oscillazioni si sovrappongono esattamente. Ora si presenta una difficoltà. Coll'oscillar dello specchio P, l'imma- gine piana del sole non si sposta sul piano della fessura 4, ma rimane tan- gente ad un cilindro. Inoltre l'immagine 2’ della fessura d si sposta sopra un cilindro. In pratica però tale difficoltà non ha importanza, se le oscilla- zioni dello specchio P sono piccole, ciò che si può ottenere disponendolo in modo che il percorso PQ+ Qu sia sufficientemente grande. Per esempio, se l'immagine del sole ha un diametro di due centimetri, e se l'apertura dell’obbiettivo del cannocchiale sta alla distanza focale nel rapporto di !/»,, basta che il percorso PQ-+ Qu sia di 40 centimetri affinchè i coni luminosi che formano l'immagine solare siano tagliati dal piano della fessura 4 secondo circoli che hanno il massimo diametro di ’/,go di milli- metro, con oscillazioni tali da ottenere l'immagine monocromatica dell'intero disco solare. Tale approssimazione può anche raddoppiarsi facendo cadere l'immagine solare non già esattamente sul piano della fessura 4, ma un poco più in basso. Se poi l'immagine solare è n volte più piccola, ovvero se se ne osserva una porzione 7 volte più piccola, l'ampiezza delle oscillazioni può ridursi di altrettanto, ed in tal caso l’approssimazione è * volte maggiore. Quindi praticamente si può ritenere che l’immagine solare si sposti sul piano della fessura 4. Per analoghe ragioni si può anche ritenere che l'immagine /2' della fessura 4 si sposti sopra un piano. Il percorso PQ+Qa deve essere sufficientemente grande anche per un altro scopo, cioè affinchè i raggi possano attraversare lo spettroscopio durante le oscillazioni dello specchio P. Un accurato esame mi ha mostrato che l'uno e l’altro intento possono sempre ottenersi senza difficoltà pratiche. Facciamo ora il confronto fra il metodo del sig. Nodon ed il mio. Nei due metodi il principio è identico, cioè di spostare l’immagine del sole sulla prima fessura dello spettroscopio, e simultaneamente di spostare l'im- magine della seconda fessura. Inoltre, per ottenere questo intento, si fa ugual- mente uso di due specchi fissati ad un medesimo asse di oscillazione. Quindi i due metodi sono in sostanza identici, e non differiscono che per alcune RenpIcONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 23 eroe —stunia comsee = re — 172 — particolarità. Una di queste però merita esame. Nell'apparecchio del sig. Nodon il fascio luminoso si riflette sopra uno degli specchi oscillanti prima di giun- gere all'obbiettivo del cannocchiale. Nel mio apparecchio il fascio luminoso sì riflette sulla prima faccia dello specchio oscillante dopo aver attraversato il detto obbiettivo. Ne segue che in quell'apparecchio l’immagine del sole si sposta sul piano della fessura, mentre nel mio si sposta rimanendo tan- gente ad un cilindro. Ciò costituisce teoricamente un vantaggio a favore dell'apparecchio del sig. Nodon, ma si è visto precedentemente che un tal vantaggio è del tutto trascurabile in pratica. Invece mi pare che la dispo- sizione da me adottata sia più vantaggiosa, poichè permette di utilizzare un obbiettivo di grande apertura, ciò che non può aver luogo praticamente coll'altra. Nell' immaginare il nuovo modello del mio apparecchio, ho avuto sol- tanto di mira di trovare il modo di utilizzare uno spettroscopio qualsiasi, ma mi sono accorto che la nuova disposizione possiede altresì una proprietà inattesa. Sì è visto che, coll’oscillar dello specchio /, si può praticamente rite- nere che l'immagine solare si sposti sul piano della fessura 4, e che l’im- magine d' della fessura d si sposti sopra un piano; a condizione però che le oscillazioni dello specchio P siano piccole. Ora ho trovato che, indipen- dentemente dall’ampiezza delle oscillazioni del detto specchio, l'immagine solare in 5' è piana. Darò un cenno della dimostrazione di questa proprietà. Supponiamo per un momento che le fessure 4, d, siano soppresse, e che i raggi solari siano monocromatici. Se l'immagine solare si forma sul piano della fessura 4, si formerà un'altra immagine solare sul piano della fessura ., ed un'altra in un piano che passa per 5". Facciamo ora ruotare lo specchio ? di un certo angolo. Si può dimostrare che, mentre cambia di posto l’imma- gine solare in 4, quella in d' rimane immobile. Consideriamo ora al loro posto le fessure. È chiaro che se durante le oscillazioni dello specchio P i raggi appartenenti a ciascun cono luminoso non passeranno sempre simulta- neamente nelle fessure, anderanno pur tuttavia successivamente a convergere nei punti corrispondenti dell'immagine solare piana in 2’, ciò che dimostra la detta proprietà. Nel mio apparecchio lo specchio @ non è necessario. L'ho posto, sia perchè mi sembra praticamente utile quando si faccia uso di uno spettro- scopio come quello rappresentato nella figura, sia perchè senza di esso non si verificherebbe più la proprietà detta poc'anzi. Invece, per altri spettroscopi speciali può essere preferibile di sopprimere lo specchio @, per esempio sè si utilizza lo spettroscopio di cui fa uso Hale in un suo Spettroeliografo ('), nel quale uno specchio situato nell’interno dell'apparecchio permette che le due (!*) Vedi Memorie della Società degli Spettroscopisti Italiani, vol. XXIV, anno 1895, tav. CCCXII, — 173 — fessure stiano sopra un medesimo piano. Anzi in tal caso devesi sopprimere lo specchio @ se si vuole che si verifichi la proprietà detta poc'anzi. Dirò ancora alcune parole intorno al modo di dare allo specchio P delle oscillazioni rapide e regolari. Nella mia Nota citata ho suggerito di unire lo specchio P rigidamente ad un'asta coll'estremità alquanto ripiegata, che è costretta da una molla ad appoggiarsi ai denti opportunamente curvi di una ruota dentata animata da un moto uniforme di rotazione. Aggiungerò che mi sembra forse più pratico di far uso di un'asta diritta, la quale rimane tan- gente ai denti opportunamente curvi di una ruota dentata. Bisogna in tal caso che la lunghezza dell'asta sia tale che non cessi di rimanere tangente a ciascun dente, fino al momento in cui passa al dente successivo. Meteorologia. — Su//a probabile origine della distribuzione dei temporali italiani a seconda delle stagioni. Nota di V. MontI, pre- sentata dal Corrispondente A. BATTELLI. La Nota presente ha il suo punto di partenza nella Memoria che sotto il titolo: Sulla distribuzione dei temporali e della grandine in Italia a seconda dei luoghi e delle stagioni ho pubblicato, or fa un anno, nel vol. XX, parte I, degli Annali dell’Ufficio Centrale Meteorologico e Geodinamico ; e più precisamente nella tabella riassuntiva che si trova alle pagg. 266-269 della detta Memoria. In tale tabella sono, tra l’altro, assegnati i numeri che rappresentano la frequenza media normale dei temporali per ogni settimana dell’anao e per ciascuna delle regioni in cui si suol dividere l’Italia. Chi provasse a servirsi senz'altro di quei numeri per tracciare dei dia- grammi, prendendo p. e. per ascisse i numeri d'ordine delle settimane e per ordinate le frequenze normali dei temporali, otterrebbe delle curve ad anda- mento troppo irregolare per avere un significato reale od una pratica utilità. E ciò si deve alle numerose cause d'errore che influiscono su quei numeri e che sono state da me enumerate e discusse nelle pagg. 13-15 della Me- moria citata. i Ho pertanto applicato ai numeri della tabella il metodo dei valori pe- requati dello Schiaparelli, nel modo seguente. La media dei numeri riportati per le settimane 1, 2, 3, 4 e 5 è stata assunta come corrispondente alla settimana 3; quella dei numeri riportati per le settimane 2, 3, 4, 5 e 6 come corrispondente alla settimana 4, e così via. Da ultimo, le medie dei gruppi 49, 50, 51, 52, 1 DORSION5ON 1,2 pIMi52/00l, 02,3 SOMMO. 3, 4 fornitono i valori corrispondenti alle settimane 51, 52, 1 e 2. — 174. Mercè questa riduzione preliminare, e seguendo le solite norme con cui si tracciano le curve destinate a indicare l'andamento dei fenomeni fisici, ho costruito per ogni regione un diagramma indicante la frequenza dei tem- porali in ogni singola settimana. I risultati furono i seguenti: Liguria. — Due massimi quasi uguali nelle settimane 24 e 85; un minimo principale fra le settimane 51 e 1, e un altro assai meno accentuato alla settimana 29. Piemonte. — Un massimo fra le settimane 24 e 28; un minimo fra quelle 48 e 5. Lombardia. — Un massimo fra le settimane 24 e 25; un minimo fra le settimane 48 e 9. Veneto. — Un massimo fra le settimane 24 e 25; un minimo fra quelle 50 e 7. Emilia. — Un massimo alla settimana 24; un minimo fra le settimane 50 e 9. Marche ed Umbria. — Un massimo principale fra le settimane 24 e 25; un massimo secondario alla settimana 33; un minimo principale fra le set- timane 47 e 7; un minimo secondario alla settimana 30. Toscana e Lazio. — Un massimo principale alla settimana 35, e uno secondario alla 24; un minimo principale alla 4 e uno secondario fra le 20 e 30. Regione meridionale adriatica. — Un massimo principale alla setti- mana 25 e uno secondario fra le 34 e 35; un minimo principale tra le 49 e 6 e uno secondario alla 80. Regione meridionale mediterranea. — Un massimo principale alla set- timana 36, e uno secondario alla 24; un minimo principale alla 5, e uno secondario fra le 29 e 30. Sicilia — Un massimo principale fra le settimane 37 e 39; ‘parecchi massimi secondarî poco accentuati tra la metà della primavera e quella del- l'estate; un minimo principale tra le settimane 50 e 15. Per la Sardegna, com'è noto a chi ha consultato la Memoria citata, la scarsità dei dati numerici non permette conclusioni generali e sicure. In complesso risulta che verso la metà di giugno v'ha un massimo assoluto di frequenza temporalesca in tutto il versante Adriatico. Su quello Tirrenico il massimo assoluto cade invece tra la metà d'agosto e quella di settembre. I due climi reagiscono poi, per così dire, l’uno sull'altro, in quanto che al massimo principale Adriatico corrisponde per epoca un massimo se- condario Tirrenico; e. viceversa, al massimo principale Tirrenico ne corri- sponde uno secondario pei paesi situati sul fianco Est dell'Appennino. Ho potuto, come si vedrà or ora, rendermi, in qualche modo, ragione del massimo di giugno, caratteristico del versante Adriatico, almeno per quella parte che riguarda la valle del Po. Era questa, ai miei occhi, la cosa prin- — 1795 — cipale, dato il posto preponderante che nella storia temporalesca italiana spetta alla valle del Po. Quando poi si pensi che il comparire del massimo principale in una medesima settimana per una così vasta distesa di territorio, qual'è quella che corre dalle Alpi alla penisola Salentina, accenna all’ in- fluenza prevalente di temporali di propagazione, partiti per la maggior parte, secondo ogni probabilità, dalla valle del Po, si comprende che la ragione che sto per esporre, vale quasi certamente anche per il medio e basso versante Adriatico. Per incominciare dall'esame delle cause indigene, mi costruii, sui dati di Lugli (Ann. dell’Uff. Centr. Met. e Geod., IV, 2) le carte delle tem- perature medie d’Italia ridotte al livello del mare, pei mesi del periodo mag- gio-settembre. Ne ebbi subito per risultato, che la nota area di alte tempe- rature sulla valle del Po incomincia a delinearsi, in media, nel mese di giugno, il che è certamente in relazione colla questione che ci occupa. Venendo poi a considerazioni di ordine più generale, mi parve naturale che il massimo di giugno fosse collegato ad una maggior frequenza di qual- cuna di quelle configurazioni barometriche, trovate da Schiaparelli più favo- revoli alla formazione dei temporali padani. Esaminai all'uopo le belle carte pubblicate nel 1893 da H. H. C. Dunwoody del Weather Bureau d'America. Sono esse carte mensili delle pressioni e temperature medie normali per tutto l'emisfero boreale. Risulta da queste carte che la distribuzione barometrica normale dell'Occidente Europeo incomincia in maggio, e più ancora fa in giugno, ad avvicinarsi a quella configurazione che lo Schiaparelli chiamò Atlantica, e a cui egli attribuì una buona metà dei nostri temporali. Infatti, da maggio a giugno è in aumento la pressione a ovest della Spagna e sulle coste Algerine e Tunisine, mentre rimane invariata sull'Europa Centrale e sulla penisola Balcanica. Da giugno a luglio la situazione barometrica media rimane presso a poco inalterata; dal luglio all'agosto essa si modifica leggermente, in quanto sull'Atlantico, a ovest della Spagna, la pressione diminuisce un poco. Non pare dunque improbabile che il massimo della frequenza tempora- lesca in giugno abbia per causa principale un massimo di frequenza di una situazione baromettica corrispondente più o meno al tipo Atlantico. Molta incertezza ho invece incontrato nel cercare di rendermi ragione dal massimo che si verifica tra agosto e settembre pel versante Tirrenico. Forse esso è dovuto, più che ad altro, ad un grande affollarsi di temporali locali. Questa ipotesi può essere avvalorata dal fatto, che, come mostrano le carte delle temperature costruite sui dati del Lugli, dall'agosto al settembre la temperatura decresce meno fortemente sul versante Tirrenico che non su quello Adriatico. ee | | — 176 — Fisica terrestre. — Contributo allo studio del pireliometro a compensazione elettrica dell'Angstròm. Nota di EmrLio TEGLIO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Geologia. — Nuovi studi sul Mesozoico montenegrino. Nota del dott. ALessanpro MARTELLI, presentata dal Socio C. DE STEFANI. 1. Il Muschelkalk superiore della Kostitza e dei dintorni settentrionali di Sozina. — Dovendosi, per cause indipendenti da me, ritardare ancora la pubblicazione di un mio lavoro già da tempo pronto per la stampa sul Mu- schelialk superiore del Montenegro, credo conveniente di render conto, con questa Nota, di due importanti faune ladiniche provenienti dalle due distinte località di Radec Velje nella Kostitza (territorio sud-orientale del: Monte- negro) e di Skala Vucetina presso Sozina nella catena littoranea dalmata- montenegrina fra il Lago di Scutari e l'Adriatico. Tale lavoro fa seguito alle mie precedenti Memorie sul MuschelXkalX inferiore di Boljevici presso Vir (') e sul livello di Wengen (2), e completa l'illustrazione geo-paleontologica del Trias medio del Montenegre meridionale. Nella Kostitza. alla base delle assise calcareo-dolomitiche con fossili del Trias superiore e presso alla sorgente di Radec Velje lungo l’irregolare e angusta gola fra la massa triasica dello Zijovo-Hum Orahovsky e del Kugni Kostic, una forte erosione ha posto allo scoperto una poco potente formazione di calcari rossi con resti di cefalopodi, fra i quali ho riconosciuto esemplari delle seguenti forme: Dinarites Misanii Mojs. Proarcestes subtridentinus Mojs. Arpadites arpadis Mojs. ” Reyeri Mojs. Protrachyceras Richthofeni Mojs. ” Spallanzanii Tom. ’ sp. ind. ” Sp. Acrochordiceras enode Hau. Ptychites reductus Mojs. ” sp. ind. ” confr. princeps Mart. Procladiscites Sp. 7) Sp. Monophyllites wengensis Klipst. sp. Orthoceras politum Klipst. ” Sp. Orthoceras campanile Mojs. (1) Martelli A.. /l Muschelkalk di Boljevici nel Montenegro meridionale, Rend. R. Accad. dei Lincei, vol. XII, 2° sem., fasc. 3°, 1903. — Cefalopodi triasici di Boljevici presso Vir nel Montenegro, Palaeontographia italica, vol. X, 1904. (2) IL livello di Wengen nel Montenegro meridionale, Boll. Soc. geol. it.. vol. XXIII (1904). — 177 — Tutte queste forme sono, salvo due o tre eccezioni, proprie del Muscehel- halk superiore e a comune con quelle di Skala Vucetina, così che rimane pure giustificata per parte mia la illustrazione delle predette due faune in uno stesso lavoro. Agli strati geologicamente equivalenti a quelli di Wengen e sviluppati nell'alta valle della Zermnitza, si sovrappongono calcari rossi, grigi e bianchi fossiliferi al Sutorman e a Skala Vucetina presso Sozina. L'età dei calcari del Sutorman fu già riferita da Vinassa de Regny al Muschellalk superiore (!), e per le corrispondenze statigrafiche fra i calcari del Sutorman e gli analoghi di Skala Vucetina, 9 km. più a nord-ovest e lungo l’erta mulattiera dal Gluhi do per Sozina, è facile indurne quel sincronismo che l'esame dei fossili pienamente conferma. A Skala Vucetina, il calcare bianco e rosso fossilifero soprapposto alle marne variegate e agli strati argillosi con Spiriferina (Mentzelia) Mentzelii Dunk. sp. e con Balatonites prezzanus Mojs, è ricco di numerosi individui delle seguenti forme: BRACHIOPODI. Spiriferina ( Mentselia) Mentzelti Rhynchonella illyrica Bittn. Dunk. sp. var. dinarica Bitta. Rh. dinarica Bitta. Sp. (Mentz.) hòveskalliensis Suess in. Rh. bogumilorum Bitta. Boeck. Eh. decurtata Gir. sp. Sp. (Mentz.) microglossa Bitta. Rh. sp. nov. Sp. af. pia Bittn. Rh. (Norella) refractifrons Bittn. Sp. pia. Bittn. var. dinarica Bitto. Rh.(Norella) refractifrons Bittn var. Spirigera (Tetractinella) trigonella intumescens Bittn. Schloth. Rh. (Norella) refractifrons Bittn. Spiringera marmorea Bittn. var. Dosniaca Bittn. ’ heragonalis Bittn. Rh. (Norella) manganophylla Bitta. CEFALOPODI. Ceratites Riccardi Mojs. Proarcestes subtridentinus Mojs. Ceratites sp. nov. ” Reyeri Mois. Pinacoceras sp. nov. 2. ” ventricosus Hau. Protrachyceras Richtofeni Mojs. ” Sp. ’ sp. ind. Ptychites patens Hau. Acrochordiceras enode Hau. 7 reductus Mojs. ” sp. nov. ” sp. nov. 4. Procladiscites sp. n. (Spsindi Monophyllites wengensis Klipst. sp. Orthoceras politum Klipst. sp. Monophyllites sp. nov. (del gruppo ” Mojsisoviesi Salom. del M. Suessi). 9 campanile Mojs. Monophyllites sp. ind. (id.). n Sp. (1) Vinassa de Regny P. E., Osservazioni geologiche sul Montenegro orientale e meridionale, Boll. Soc. geol. it., vol. XXI (1902), pag. 517. ra _—rqoo sm == }— + TA M0____{-. |_P——P-—————€Èm—__—AE i" *grrippot -— “= ge; Be — 178 — Rari, di piccole dimensioni e indeterminabili sono i gasteropodi e lamel- libranchi che prendono una parte insignificante in questa fauna. Non sono molte le comunanze specifiche fra i brachiopodi di Skala Vu- cetina e quelli del Sutorman, ma ciò si giustifica riflettendo alla differente associazione faunistica per la quale i calcari a brachiopodi e cefalopodi di Skala Vucetina si distinguono dai calcari a brachiopodi, lamellibranchi e gasteropodi del Sutorman. Comparando i riportati elenchi di specie con quelli di altre località iso- piche e ben conosciute, spiccano chiare le analogie che le forme degli strati di Wengen nella valle della Zermnitza, del Sutorman, di Skala Vucetina e di Radec Velje, hanno con le faune ladiniche della regione mediterranea, e più precisamente col Ladinico inferiore quelle del livello di Wengen nella Zermnitza e col Ladinico superiore le altre, intendendo per piano Ladinico di Bittner, l'equivalente del piano Norico del Mojsisovics, che val quauto dire la parte superiore del Trias medio o Muschelkalk. Ma per altro non devesi dimenticare che, secondo la classificazione del Bittner, il piano Ladinico com- prende non solo le zone a Protrachyceras Reitsi et Archelaus costituenti il piano Norico, ma anche la successiva zona a 7rachyceras Aon con la quale il Mojsisovies sincronizza la base del piano Carnico, giacchè è noto che il Bittner nel comprendere nel Trias medio, Muschelkalk o Franconiano che dir si voglia, tutta la serie delle formazioni fra gli scisti di Werfen e il Raibl, la suddivise in Recoariano inferiormente e Ladinico superiormente. Prendendo ad esaminare le sole specie già note e complessivamente citate per i calcari di Skala Vucetina e di Radec Velje, troviamo solo cinque specie a comune col Muschelkalk inferiore della Schreyer Alpe, di Recoaro e di Boljevici e nove con la fauna di Han Bulog e Haliluci in Bosnia, dove al pari che in altre località degli stessi dintorni di Sarajevo non è solo rap- presentato il MuschelXall inferiore o piano Recoariano, ma anche il Ladi- nico. Più costanti ed evidenti sono le corrispondenze con le faune ladiniche del monte Clapsavon nella Carnia — undici specie di cefalopodi — e della Marmolata — sei specie —, e, particolarmente basandosi sulle specie dei brachiopodi, strettissime sono le analogie con le faune brachiopodiche ladi- niche della Dalmazia e della Bosnia illustrate di recente dal Bittner (*). | In buon numero sono le forme nuove, ma ciò non sorprende perchè spe- cialmente a Skala Vucetina si ha una fauna ladinica che nello stesso strato fossilifero presenta un'associazione di forme assai rara nel Muschelkalk supe- riore della regione dinarica; ed invero, i cefalopodi già noti che vi prendono parte, non trovano, come i brachiopodi che li accompagnano, corrispondenze numerose in faune locali, ma sibbene in forme di località diverse e spesso anche eterotipe, cosicchè unitamente alle specie nuove, imprimono al Muschel- (3) Bittner A., Brachiopoden und Lamellibranchiaten aus der Trias von Bosnien, Dalmatien, und Venetien, Jahrb. der k. K. geolog. Reichsanstalt Bd. LII, Wien, 1992. — 179 — kalk superiore di Skala Vucetina una /uczes peculiare che non trova riscontro nelle formazioni sincrone e fino ad oggi conosciute nel Trias meridionale. 2. L’oolite inferiore nella catena costiera del Montenegro. — Sebbene le indagini del Bukovsky nel territorio dalmata a confine con la regione antivarina abbiano condotto a riconoscere sporadiche comparse di Giura nella catena costiera fra l'Adriatico e il versante montenegrino del lago di Scutari, discordi erano le opinioni sulla presenza delle formazioni giuresi nel Monte- negro, negate quasi completamente dai geologi Tietze e Hassert e ricono- sciute da Baldacci, Canavari e da prima ammesse e poi negate da Vinassa, quasi soltanto in base al ritrovamento di calcari con ellipsactinidi comuni pure agli strati titonici di Stramberg; ma fortunate ricerche mi hanno consentito di esporre in un lavoro di prossima pubblicazione ulteriori argo- menti stratigrafici e paleontologici per confermare la presenza del Malm non solo, ma anche dell’oolite inferiore della cui fauna a brachiopodi do qui un accenno preventivo, riservandomi di renderne nota quanto prima l'illustra- zione paleontologica. Tutte le indicazioni geologiche date dagli autori pel territorio della Krajina comprendente il versante orientale del Rumija fino al distretto di Scutari e al lago omonimo, sono quasi interamente errate, giacchè mentre solo sulle indicazioni di Baldacci le più recenti carte segnano un lembo giurese all'estremità settentrionale della Krajina presso Godinje, seguono pel resto del territorio gli apprezzamenti induttivi del Tietze. Per attenermi all'argomento, qui mi limito ad affermare soltanto che al Retico fossilifero delle pendici orientali superiori del Rumija, succedono nella Krajina formazioni di calcari oolitici in trasgressione con i soprapposti cal- cari ad ellipsactinie, coralli e gasteropodi titoniani, e, particolarmente fra i villaggi di Livari e Ftijani, zeppi di brachiopodi. All’abbondanza degli individui non corrisponde un'adeguata ricchezza di forme, ma nondimeno, escludendo le non poche nuove, nel seguente breve elenco di specie si ha quanto occorre per comprovare il riferimento all’oolite inferiore dei predetti calcari. basandosi principalmente sulle corrispondenze che i nostri fossili trovano non solo in quelli delle località classiche del Dogger inferiore mediterraneo quali il capo S. Vigilio alle falde del monte Baldo nel Garda (a) e il monte S. Giuliano presso Trapani (2), ma anche dell'Alpe di Vils (e), dell'oolite del Veneto (4), di Rossano Calabro (e) e del monte Foraporta presso Lagonegro (/). Ecco pertanto la nota delle specie determinate e già conosciute : Terebratula pectorosa Rothpl. (c). Terebratula Salvatoris Grec. (e, f). RIynchonella infirma Rothpl. (e, f). RenpiIcoNTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 24 — 180 — Rh. Ximenesi Di Stef. (d, c, e, f). Rh. Vigilii Leps. var. Erycina Di Stef. (a, b, e, f). Rh. Maleniana Grec. (e, f). Rh. confr. Clesiana Leps. (c, d). Oltre che nella Krajina, ho trovato calcare oolitico con brachiopodi pure del Dogger inferiore lungo la via fra Niegusi e Cettigne presso Cekanje fra la Bukovica e il Golo Brdo, e anche questa è una costatazione nuova che in- sieme al rinvenimento di Apéic: del Malm fatto dal Lipold circa cinquanta anni fa (efr. Verhandl. der k. k. geolog. Reichsanstalt 1859) viene a confer- mare ancora una volta nel modo più esplicito l'esistenza del Giura nella catena costiera montenegrina. Le specie isolate dal calcare di Cekanje, eccet- tuate le nuove, vennero da me così determinate salvo ulterioriori aggiunte : Waldheimia confr. angustipectus Rothpl. (c). Zeilleria confr. Ippolitae Di Stef. (b, e, f). Terebratula Salvatoris Grec. (e, f). Rhynchonelea Wahneri Di Stef. (b, c, e). Rh. confr. Ximenesi Di Stef. (0, c, e, f). Tanto nella Krajina quanto fra Niegusi e Cettigne si hanno dunque formazioni oolitiche inferiori corrispondenti alle zone giuresi con Zzoceras opalinum e Ludwigia Murchisonae del bacino mediterraneo, a proposito delle quali zone il Vacek (') ritiene, com'è noto, che in ogni parte della regione mediterranea dove si abbia una serie giurese molto sviluppata, esse debbano ritrovarsi sempre soprapposte ai terreni liasici e in trasgressione con i piani del Malm. Le idee del Vacek trovano nel Montenegro una parziale conferma, poichè mentre nella Krajina mi apparve evidentissima la trasgressione fra i depositi del Dogger inferiore e quelli con ellipsactinie e nerinee titoniane, a Cekanje non potei constatare direttamente lo stesso fatto; ma se i riferimenti del Lipold sono esatti, è certo che ciò deve ripetersi tantopiù che i calcari oolitici con brachipodi non mi sembrano veramente alla sommità della serie mesozoica locale. Riguardo però alla loro diretta soprapposizione al Lias, non sono in grado di ammetterla o di negarla per i dintorni di Niegusì dove non ebbi occasione di compiere le necessarie ricerche, ma posso senz’ altro escluderla per il territorio della Krajina dove invece si ripete presso a poco la stessa trasgressione che il De Lorenzo mise già in evidenza nei suoi la- vori sui dintorni di Lagonegro, dimostrando la soprapposizione in concordanza sul Dachsteinkalk, dei calcari da prima ritenuti liasici superiori e poi oolitici inferiori. (1) Veber die Fauna der oolithe von Cap. S. Vigilio, Abhandl. der k. k. geolog. R-A. Bd. XII. Wien 1886. — bBl — Chimica. — Prodotti di condensazione dell'acido rodaninico colle aldeidi (*). Nota di Guipo BARGELLINI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. In una Nota precedente (?) descrissi una serie di prodotti di conden- sazione dell'acido rodaninico con alcune aldeidi aromatiche, premettendo che avevo preparati questi composti per imparare meglio a conoscerli prima di andare avanti nello studio sistematico della loro decomposizione cogli alcali. Comunico adesso la descrizione dei prodotti che ho preparato per condensa- zione, in presenza di acido solforico, dell'acido rodaninico colle aldeidi m-nitrobenzoica, p-dimetilaminobenzoica, cuminica, timotinica, f-ossinaftoica e colla dialdeide timotinica. Il prodotto di condensazione dell'acido rodaninico coll’aldeide p-dime- tilaminobenzoica era già stato ottenuto da Andreasch e Zipser (3): io volli riprepararlo unicamente per vedere se anche esso mostrasse differenza fra il punto di fusione osservato da me e quello dato da Andreasch e Zipser, come, nella mia Nota precedente, avevo fatto notare per i prodotti ottenuti dalle aldeidi salicilica, piperonilica e cinnamica. Infatti, mentre Andreasch e Zipser riferiscono che l'acido p-dimetilaminobenzilidenrodaninico, comincia a 200° a rammollirsi e a 246° si fonde completamente, io notai che soltanto a 240° comincia a decomporsi fondendosi e non si fonde completamente che a 270° circa. Le medesime divergenze ho osservato anche per l'acido furfurilidenroda- ninico che descrissi nella mia Nota precedente e riguardo al quale non potei far notare che era già stato preparato da Andreasch e Zipser perchè, non avendo a Siena i Monatshefte, non ne ebbi notizia che dal Central Blatt (1905, II, fascicolo 24 del 13 decembre) quando cioè avevo già consegnato il lavoro alla Tipografia. Per questo prodotto di condensazione io osservai il punto di fusione e decomposizione 220-230°, mentre Andreasch e Zipser dicono che comincia a 204° a rammollirsi e ad annerirsi. Tutti i prodotti che descrivo nella Nota presente, li ho preparati facendo agire 3 p. di acido solforico concentrato commerciale, sopra una soluzione di 1 p. di acido rodaninico e una quantità di aldeide poco superiore alle quan- tità molecolari in 5-10 p. di alcool, e scaldando poi per circa 1 ora a Db. m. Approfittando poi della loro insolubilità nell'acqua, si provoca la separazione (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Generale della R. Università di Siena. (2) G. Bargellini, Rend. R. Accademia dei Lincei, XV, 1° sem. 1906, p. 35. (3) Andreasch e Zipser, M. 26, 1191. | Ì j | | i — 182 — completa del composto di condensazione, aggiungendo acqua al prodotto della reazione. Il rendimento fu sempre dell’ 80-90 °/, e anche più. Per non stare a ripetere quello che dissi nella mia Nota precedente riguardo alle proprietà generali di questi composti, dirò soltanto che anche i prodotti che descrivo nella Nota presente hanno proprietà acide (si pos- sono facilmente ottenere i loro sali di Ag, di Ph ecc.) e sono facilmente decomponibili dagli alcali. Ioltre, hanno anche questi proprietà coloranti, ma, come quelli precedentemente descritti, dànno luogo a colorazioni poco stabili. NO, (2) Acido rodaninico e aldeide 0- nitrobenzoica Ced. CH=C S vi | CS CO—NH7 L'acido 2- nitrobenzilidenrodanirico fu preparato da Bondzynsky (!) riscaldando a b. m. una soluzione alcoolica di acido rodaninico e aldeide o-nitro- benzoica con acido solforico concentrato. Il prodotto cristallizzato nell'alcool, si fonde, secondo il medesimo autore a 188-189°. Dal solfato ferroso in so- luzione ammoniacale viene ridotto a acido 0- amidobenzilidenrodaninico, che si deposita dall’alcool acquoso in cristallini color rosso sangue i quali a 200° divengono gialli e a 265-269° si decompongono. /N0, (8) Acido rodaninico e aldeide m-nitrobenzoica C,H,—CH=C-—S S CS CO-NHZ7 Preparai questo nuovo prodotto di condensazione col metodo generale che ho seguito per tutti gli altri, facendo cioè agire l'acido solforico concentrato sopra una soluzione alcoolica di acido rodaninico e aldeide m- nitrobenzoica. Il prodotto greggio lo depurai con ripetute cristallizzazioni nell’acido acetico caldo. Seccato in stufa, dette all'analisi i seguenti risultati: Trovato Calcolato per Cio Hs O; Na Ss C°/ 45,05 45,11 HH 2,50 2,25 Quest'acido 3- nitrobenzilidenrodaninico si presenta in aghetti di co- lore giallo citrino che a 245° cominciano a fondersi decomponendosi, e a 255° sono completamente fusi e decomposti. È insolubile nella ligroina, discretamente solubile nel benzolo, etere, cloroformio, di più nell'alcool, acido acetico, etere acetico e acetone. (*) Bondzynsky, M. 8, 349. — 183 — NO»; (4) Acido rodaninico e aldeide p- nitrobenzoica CH :_CH=C-——S < CS CO—NH7 Bondzynsky (') preparò quest'acido 4- nitrobenzilidenrodaninico scal- dando a b.m. con acido solforico concentrato una soluzione alcoolica di acido rodaninico e aldeide p- nitrobenzoica. Cristallizzato nell’ alcool, si pre- senta in lunghi aghi gialli fusibili a 250-252°. Io non ho preparato di nuovo questo prodotto di condensazione, come non ho creduto necessario ripreparare quello dell'acido rodaninico coll’aldeide o- nitrobenzoica, ma mi è sembrato utile riportare qui in succinto le loro proprietà per poterli confrontare col composto che io ho preparato dall'aldeide m- nitrobenzoica. Benchè sia già stato ottenuto da Andreasch e Zipser (*), ho invece pre- parato di nuovo il prodotto di. condensazione da N(CH)? (4) Ac. rodanin. e ald. p- dimetilaminobenzoica CH .x-CH=C_S È Î 08 CO—NH7 Il prodotto greggio ottenuto facendo agire l'acido solforico sulla solu- zione alcoolica di acido rodaninico e aldeide p- dimetilaminobenzoica, fu pu- rificato facendolo cristallizzare più volte nell'alcool caldo da cui si deposita per raffreddamento in minutissimi aghetti rosso-sangue. Riscaldato in un tubetto capillare il prodotto puro ottenuto, osservai che soltanto a 240° co- mincia a fondersi in alcuni punti e non si fonde completamente che a 270° circa (Andreasch e Zipser dàonno 200-246°). Quest'acido 4- dimetilaminobenzilidenrodaninico è insolubile nella li- groina, discretamente nel cloroformio, etere, benzolo, di più nell'alcool, nel- l'acido acetico e nell’acetone. C3H; (4) Acido rodaninico e aldeide cuminica CH. CH=C-—S TL | CO—NH” Il prodotto greggio ricavato dalla condensazione dell'acido rodaninico coll’ aldeide cuminica in presenza di acido solforico lo purificai facendolo cristallizzare più volte nell’alcool diluito, finchè si fuse costantemente a 154-157° in un liquido rosso. (1) Bondzynsky, loc. cit. (2) Andreasch e Zipser, loc. cit. — 184 — Seccato a 100°, dette all'analisi i seguenti risultati: Trovato Calcolato per C,3 H13 ONS» (I 59,50 59,31 H° © 5.00 4,95 N° 5,94 9,93 Quest'acido 4- isopropilbenzilidenrodaninico si presenta in forma di aghetti rossi (la di cui polvere è gialla) insolubili nella ligroina, discre- tamente solubili nel benzolo e nell’etere, facilmente nel cloroformio, alcool, acido acetico e acetone. OH . (4) CHI) Acido rodaninico e aldeide timotinica Cosa (5) CH=C-—S | Vos CO—NH7 Per azione dell'acido solforico o dell'acido cloridrico sulla soluzione alcoo- lica di acido rodaninico e di aldeide timotinica, preparata secondo le indi- cazioni di Kobek ('), si forma una massa di lunghi cristalli lanosi di un bel colore aranciato. Questi, fatti cristallizzare nell’alcool diluito finchè si fusero costantemente a 220-221°, furono seccati a 100° e analizzati. Trovato Calcolato per Ci, H1; 02 NS: C°% 57,08 57,32 HEes 5,99 5,12 N° 5/00 4,78 Questo prodotto di condensazione (acido 4- ossi- 2- metil- 5- isopropil- benzilidenrodaninico) si scioglie facilmente nell’alcool, etere, etere acetico, acido acetico, acetone, poco nel benzolo e nel cloroformio: è insolubile nella ligroina. 2083 Acido rodaninico e dialdeide timotinica Gi CHO Nus S | coNHZ7 93 Dalla dialdeide timotinica che preparai insieme coll'aldeide timotinica per azione del cloroformio e soda sul timolo, ottenni il prodotto di conden- sazione coll’acido rodaninico, impiegando come condensante l'acido solforico concentrato. (!) Kubek, B. 16, 2096. — 185 — Il composto ottenuto fu purificato facendolo cristallizzare nell’ alcool, finchè si fuse costantemente a 239-240°. Seccato a 100°, dette all'analisi i seguenti risultati: n Trovato Calcolato per C,4H15 0, NSa C°% 06,22 56,07 HRoS 4,75 4,68 N 4,43 4,56 Questo prodotto di condensazione di una molecola di acido rodaninico con una di dialdeide timotinica, forma aghetti gialli solubili nell’alcool, etere, etere acetico, acetone, acido acetico, poco nel benzolo, insolubili nella ligroina, solubilissimi nel cloroformio. Credo conveniente di far qui rilevare che non mi è stato possibile otte- nere il composto CH; Cul CGH—0H __—_—____-, Non=eS00 nas NGH==CC00- NH Ss lie nen per condensazione di una molecola di dialdeide timotinica con due molecole di acido rodaninico in presenza di acido solforico o di acido cloridrico. E neppure potei ottenerlo facendo agire, in presenza di acido solforico, una molecola di acido rodaninico con una molecola del prodotto di condensazione sopra descritto nel quale ha reagito coll’acido rodaninico soltanto uno (e per ora non si può dire quale) dei due gruppi aldeidici della dialdeide. OH Acido rodaninico e aldeide B- ossinaftoica C,.A:—CH=0—S Preparai questo prodotto di condensazione facendo agire in soluzione alcoolica, in presenza di acido solforico, l'acido rodaminico sull’aldeide - ossi- naftoica che gentilmente mi fu inviata dai sigg. Betti e Mundici. Il prodotto greggio fu purificato facendolo cristallizzare nell'alcool diluito caldo, da cui per raffreddamento si deposita in aghetti di colore rosso marrone scuro, che a 210° cominciano a annerirsi e a 220° sono completamente fusi e decomposti. Seccato a 100°, dette all'analisi i seguenti risultati : Trovato Calcolato per C14 Hg 0. NS» (ORO 58,40 58,53 H °/o 3,99 8,13 È insolubile nella ligroina, mentre si scioglie facilmente nell’etere, ben- zolo, cloroformio, acetone, acido acetico e alcool. a ea Fisiologia. — Su//a Fisiologia della respirazione. I. Osser- vazioni su di un caso di fistola bronchiale nell'uomo. Nota di V. DuccEescHI, presentata dal Socio L. LUCIANI. Patologia vegetale. — Ricerche intorno al modo di caratte- riszare le alterazioni prodotte alle piante coltivate dalle emana- zioni gassose degli stabilimenti industriali. Nota del dott. UGo BRIZI, presentata dal Socio G. CUBONI. Le due Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLAsERNA dà il triste annuncio della morte del Socio prof. ALiPRANDO MoRIGGIA, mancato ai vivi il 25 gennaio 1906; apparte- neva il defunto all'Accademia, per la Fisiologia, sino dal 7 gennaio 1872. Il Socio Bassani legge una Commemorazione del defunto accademico sen. prof. G. ScARABELLI GomMI FLAMINI. Questa Commemorazione sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle del Socio BassanI, del Corrispondente Fusari e del Socio stra- niero PrLuEGER: fa inoltre menzione del vol. I del Catalogo fotografico del cielo, pubblicato dall’Osservatorio di Bordeaux. Il Socio MiLLosevicHa fa omaggio a nome dell'autore sig. A. SAUVE, delle due pubblicazioni: Spettroeltoscopio ; Filtro spettroscopico. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio B. Grassi, a nome anche del Socio Foà, relatore, legge una Relazione colla quale si propone la inserzione nei volumi accademici, di un lavoro del prof. A. CesARIS DEMEL, avente per titolo: Sulla varia tingi- — 187 — bilità e sulla differenziazione della sostanza cromatica contenuta in alcuni eritrociti. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, poste ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. CORRISPONDENZA Il Presidente BLASERNA presenta un piego suggellato, trasmesso dal prof. C. GREGORY perchè sia conservato negli Archivi accademici. Il Segretario CeRRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti: Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la R. Accademia di scienze ed Arti di Barcellona; la R. Società delle scienze di Upsala; le Società Reali di Londra e di Vittoria; l'Accademia delle scienze di Nuova York; la Società zoologica di Tokyo; la Società geologica di Washington; la So- cietà geografica del Cairo; il Museo di storia naturale di Nuova York; le Università di Cambridge Mass., di Glasgow, di Upsala; la R. Scuola Na- vale superiore di Genova; gli Osservatorî di San Fernando, di Praga e di Cambridge Mass. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 25 — 188 — OPRRE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 novembre 1905. Amopro F. — Gli Istituti accademici di Na- poli intorno al 1800. (Memoria letta all'Accademia Pontaniana nelle tornate del 5 marzo e 5 novembre 1905. Na- poli, 1905. 4°. AnGELIS (DE) p'’Ossat G. — Bonifica idrau- lica del pantano di Granaraccio nella campagna romana. (Estratto dal Bollet- tino della Società degli Ingegneri e degli Architetti italiani, 1905, n. 50). Roma, 1905. 4°. BaEYER (von) A. — Gesammelte Werke. He- rausgegeben zur Feier des siebzigsten Geburtstages des Autors von seinen Schiilern und Freunden. Vol. 1-2. Bra- unschweig, 1905. 8°. Brancui L. — Teoria delle trasformazioni delle superficie applicabili sulle qua- dratiche rotonde. (Memoria). Roma, 1905. 4°. Boccarpi G. — L’Annuario astronomico dell’Osservatorio di Torino pel 1905. Fatti e considerazioni. (Estratto dai Rend. e Mem. della R. Accad. di Scienze, Lettere e Arti dei Zelanti di Acireale. Vol. III, serie 3*, Classe di Scienze). Acireale, 1905. 8°. Boer G. — Le segnalazioni marittime. (Isti- tuto idrografico della R*. Marina). Ge- nova, 1905. 4°. Bra. — Recherches microbiologiques sur l'épilepsie. (Extrait des Archives de Neurologie, 1905). Paris, 1905. 8°. Comune di Venezia. Case popolari. Ber- gamo, 1905. 40. Cooke W.E.— Meteorological Observations made at the Perth Observatory and other places in Western Australia dur- ing the Year 1903, under the direc- tion of C. W. E. Perth, 1904. 4°. Guipi 0. — Le costruzioni in beton armato. Appendice con 5 tavole e 46 figure nel testo. (Lezioni sulla Scienza delle Costruzioni date dall’Ing. Prof. C. G. nella R. Scuola d'applicazione per gl’In- gegneri in Torino). Torino, 1906. 8°. LustiG A. — Trattato di Patologia Generale. Seconda edizione in gran parte rifatta, riveduta ed ampliata. Vol. 2°. Milano, 1906. 8°. Mancini E. — L'industria frigorifica in Italia. Relazione a S. E. il Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio. (Estratto dagli Annali dell’ Industria e del Commercio, 1905). Roma, 1905. 8°. 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Im Anschluss an einen Fall von Polyneuritis nach Influenza. Jena, 1905. 8°. PLATHNERA.— Zurpalliativen Behandlung des Uteruscarcinoms. Jena, 1904. 8°. Ranm F. — I. Ueber die Unlagerung des Methylenbisace tessigesters in einen cyklischen Ketonalkohol. — II. Ueber die Konstitution der sogenannten Hage- mannschen Ester. Jena, 1904. 8°. RascH F. — Die in der Universitàtsau- genklinik zu Jena im Jahre 1904 aus- gefiihrten Operationen mit besonderer Beriicksichtisung der Operationen am Trinensack. Jena, 1905. 8°. ReicamAnN V. — Beitrag zur Kenntnis der direkten Sehnervenverletzungen. Jena, 1905. 8°. Rep J. H. — Beitrige zur Kenntnis der Aldehydammoniake. Jena, 1904. 8°. RuLe A. — Ueber Abkòmmlinge des Bi- scyclopentadiens. Ein Beitrag zur Po- lymerisation ungesiittigter Kohlenwas- serstoffe. Jena, 1904. 8°. ScHanpER R. — Ueber die physiologische Wirkung der Kupfervitriolkalkbrihe. Merseburg, 1904. 8°. — 195 — ScuwarBack E. — Ein Fall von Nekrose der Lider und des Orbitalinhaltes nach Trauma. Aus der Augenklinik zu Jena. Jena, 1905. 89. Sostmann À. — Ueber Darmruptur und ilber eine nach Sturz aufgetretene Duo- denalruptur mit ungewòhnlichen Ver- laufe. Jena, 1904. 8°. Spence D. — Ueber die Isomericerschei- nung bei den sogenannten Hagemann- schen Estern. Jena, 1905. 8°. SrAarGarRD P. — Ueber Neurome: Mittei- lung der in der chirurgischen Universi. tits-Klinik zu Jena beobachteten stamm- und Rankenneurome. Danzig, 1905. 8°. StoLL H. — Temperaturmessungen bei Operationen. — Jena 1904. 8°. TauBeRT C. — Beitrag zur Kenntnis po- lymorpher Kérper. Blankenhain Thiir, 1905. 8°. WertE F. — Ueber Sensibilitàtsstorungen am Rumpî bei Tabes dorsalis. Jena, 1904. 8°. Wickr F. — Ueber ultra-bernoallische und ultra-eulersche Zahlen und Funktionen und deren Anwendung auf die Sum- mation von unendlichen Reihen. Dres- den, 1905. 8°. do VARIANTI Y br IT A (te (RCA: i SEICII Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 12 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1 TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. s* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol VIVE: VIENIVIRE Serie 3* — TransUNTI. Vol. I-VIII. (1376-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — I-XIX. MemorIi® della Classe. di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4% — RenpiIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoriIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1906). Fasc. 3°. 1° sem. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fasc. 79-89. MemoRIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-V. . MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI KENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCFI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte ai mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispo»- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HoepLi. — Milano, P:sa e Napol. RENDICONTI — Febbraio 1906. TDI: E Classe di sciellze fisiche, matematiche e naturali. Sedia del 4 febbraio 1906. MEMORIE E NOIE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Maillosevich. Osservazioni delle comete 1905 b e 1906 a fatte all’equatoriale di 39 cm. del- l'Osservatorio astronomico al Collegio Romano . . . ; ian egia. Battelli. Resistenza elettrica dei solervidi per correnti di Di finan AREA i a Parona. Fossili turoniani della Tripolitania... Bora 6 ” Pavanini. Sul problema dei due corpi nella toi di un eo i n (pres. dal Corrisp. Zevi-Civita) (0) 00. sE MIC Rise o T'ieri. Modificazione del detector magtlieto-elastico dal Sella (ui dal Corrisp. Sella) BUA a) Sauve. Perfezionamenti allo Spettroeliòscopio (pres. dal Socio I/illosevich) . /. 0.» Monti. Sulla probabile origine della distribuzione dei temporali italiani a seconda delle sta- gioni (pres. dal Corrisp. Battell)i . 0... 3 ; ” Teglio. Contributo allo studio del pireliometro a compensazione Aa del'Anzcanta di daliiSo como (as e20)) (CENA E Martelli. Nuovi-studî sul Mesozoico E CA dal Sa De Sei i; ” Bargellini. Prodotti di condensazione dell’acido rodaninico colle aldeidi (pres. dal hai De Cern) EGR i 5 DIST È . D) Ducceschi. Sulla n. dans a DAR JE, Ptizioi su di un caso di fistola ticuciiaie nell'uomo (pres. dal Socio Zucia®) (Mii... È : BID Brizi. Ricerche intorno al modo di caratterizzare le i snodo Di SI Ce dalle emanazioni gassose degli stabilimenti industriali (pres. dal Socio Cudori) (È) . » PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio prof. Aliprando Moriggia . + » Bassani. Commemorazione del Socio senatore prof. G. Scaramelli Gommi Flamini . . » PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta, le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Bassani, Pusari e Pflueger; fa invltre menzione di un volume pubblicato dall’Osserva- totio.\di Bordealxz ka se 0 100) a ARM RARO Millosevich. Fa omaggio di due pubblicazioni del sig. Souve. . /.L///0 RELAZIONI DI COMMISSIONI Foà (relatore) e Grassi. Relazione sulla. Memoria del prof. A. Cesaris Demel intitolata: « Sulla varia tingibilità e sulla differenziazione della sostanza eromatica contenuta in alcuni eritrociti. ee e COMM O ER o CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Presenta un piego, inviato dal prof. 0. Gregory perchè sia conser- vato negli ‘AxchividdellAccademia: AMMAN 0. Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti... 0» BULLETTINO; BIBLIOGRAFIGOLSER III OR A TIA SONIA RR IT 188 (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. | È È 4 3 Pubblicazione bimensile. Toma 18 febbraio 1906. N. 4. 5 n IEZZO ATTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCOTII. 1906 SEE ERO, USBNIEA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 febbraio 1906. Volume X V.° — Fascicolo 4° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV, V. SALVIUCCI 1906 a | | Î ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE 1 E] Îì Î Col 1892 si è iniziata la Serse quanta delle | pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due. Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze ni siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono. le Note ed i titoli delle Memorie presentate da. Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un Vo due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o con ‘ denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da ‘ Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. ) 3. L' Accademia dà per queste comunicazioni : 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti; e 50. | agli estranei: qualora l’autore ne desideri un | numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. I 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- IG demiai tuttavia se i Soci, che vi hanno preso. : parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta i | stante, "ima Nota per iscritto. Il 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro | priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate | da estranei, la Presidenza nomina una Com. . missione la quale esamina il lavoro e ne rife- | risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una .proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti | i contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte | che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L° Accademia dà gratis 75 estratti agli au- I tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se | estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NANNNNANNNl«-<---- Seduta del 18 febbraio 1906. F. D'Ovipro, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Meccanica. — .Su/ problema dei due corpi nella ipotesi di un potenziale newtoniano ritardato. Nota di GIULIO PAVANINI, presen- tata dal Corrispondente T. LeEvI-CIVITA. L'ipotesi che le azioni a distanza si propaghino con velocità finita, fu dall’elettrodinamica trasportata all'astronomia, nella speranza che essa valesse a render conto di alcune poche ed eccezionali divergenze fra le osservazioni e le previsioni teoriche basate sulla legge di Newton. Così Zòollner (!) applicò al moto dei corpi celesti la legge di Weber, Lévy (?) quella di Riemann. Fra le leggi di propagazione, che sono state considerate nella elettro- dinamica, è senza alcun dubbio particolarmente notevole quella che si fonda sulla sostituzione dei potenziali ritardati ai potenziali ordinari (3). L'impiego di tali potenziali in astronomia non fu per anco discusso, ed è perciò che io mi permetto di farne un primo tentativo nella presente Nota, trattando del problema dei due corpi. Arrivo facilmente a stabilire le equazioni che reggono il moto relativo, le quali sono insieme differenziali e funzionali. Per quanto interessante dal (1) Principien einer electrodynamischen Theorie der Materie, Leipzig 1876. (2) Comptes rendus, t. CX, pag. 545. (3) Cfr. T. Levi-Civita, Sul campo elettromagnetico generato dalla traslazione uni- forme di una carica elettrica. Nuovo Cimento, serie V, vol. VI. Pisa, settembre 1903. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 26 i i fr esce seit 8 Mr - art — Use punto di vista analitico, la integrazione rigorosa di queste equazioni sembra presentare gravissime difficoltà. Tuttavia per lo scopo astronomico è sufficiente considerare il caso in cui la velocità di propagazione sia grandissima e ci sì limiti alla prima approssimazione. Si è allora ricondotti ad equazioni dif- ferenziali ordinarie, che si potrebbero rigorosamente integrare a mezzo di funzioni ellittiche. Però in questo modo non apparirebbero direttamente i ca- ratteri intuitivi del movimento. Ho quindi preferito di interpretare i termini addizionali, che si presentano nelle equazioni del moto, come componenti di una forza perturbatrice e di determinare gli effetti di tale forza col solito metodo della variazione delle costanti arbitrarie. Ecco i risultati principali ottenuti: la forza perturbatrice è definita per mezzo degli elementi del moto re- lativo; contiene il fattore A*, essendo È la velocità di propagazione del- l'attrazione, ed è interamente situata sul piano dell'orbita; l'asse maggiore e con esso quindi il moto medio non subiscono che va- riazioni periodiche; le variazioni secolari dell'eccentricità e non s'annullano per e= 0; ciò porterebbe a concludere non essere possibile l'esistenza d'un moto relativo rigorosamente circolare. Ricorderò ancora come già Lehmann-Filhès (!) ed Hepperger (*) consi- derarono gli effetti dovuti alla velocità di propagazione della gravitazione. Essi partono, però, dalla espressione dell'intensità della forza newtoniana mo- dificata per questa causa, anzichè da quella del potenziale. In tal guisa le disuguaglianze riescono espresse per mezzo degli elementi del moto assoluto, donde l'impossibilità di trarne risultati positivi, applicandole ad esempi del sistema planetario, causa l'ignoranza in cui ci troviamo circa il moto del sole. Notisi ancora, che le disuguaglianze stesse risultano proporzionali al- l’inversa A della supposta velocità di propagazione, il che conduce Hepperger alla strana conclusione che tale velocità debba essere più di 500 volte quella della luce. Ciò si evita con la mia ipotesi, in quanto essa dà origine a di- suguaglianze tutte affette dal fattore A°. 1. Potenziale newtoniano ritardato. — Consideriamo una massa M la quale sia animata d'un movimento noto. Sia P, la posizione ch'essa occupa in un generico istante e P rappresenti un punto sul quale agisce la forza newtoniana dovuta alla massa M. Conformemente alla legge di Newton il potenziale unitario delle azioni esercitate da P, su P sarebbe = (1) Astronomische Nachrichten, n. 2650; 1884. (2) Sitsungsberichte der Mathematiche Classe, Vienna 1888. — 199 — Introducendo l'ipotesi che le azioni a distanza si propaghino in linea retta con velocità finità, si deduce (') invece come espressione del potenziale d L pi Il E=--Ax, dove A rappresenta il valore inverso della suddetta velocità, ed 7 la distanza del punto potenziato P, non precisamente da P,, ma da quella posizione anteriore P Fra. 1. P' (sulla traiettoria della massa potenziante) donde azioni propagantesi con velocità È arrivano in P proprio nell'istante considerato. Così F sarà l’espressione del potenziale newtoniano ritardato, e la 1 3 x ARE costante Ti rappresenterà la velocità colla quale si propaga la gravitazione. Fia. 2. 2. Equazione del moto. — Supponiamo che due corpi di masse rispet- tive m ed m, occupino in un generico istante £ le posizioni, riferite ad un sistema di assi fissi, P(5,7,), P. (#1, , 1); 7 rappresenti la distanza PP.. Indichiamo con o la distanza PP{ essendo Pi la posizione occupata dal corpo di massa #, nell'istante — Ao. Attribuiamo a @; analogo significato. Perciò o=PPi=r(t— Ae) e o=P\P=r(f— Ao). (1) Cfr. T. Levi-Civita. loc. cit. pag. 20. ee ra RR ae A — 200 — In seguito a quanto dicemmo nel numero precedente, rappresentando rispettivamente con U ed U, i potenziali della forza che sollecita P e di quella che sollecita P,, avremo: 3) con mentre il moto di P, è determinato dalle equazioni analoghe: d?E, DI d°n, dU, 156, QU; (2) 3 == ’ pacino) > Ire 3 di di di dM di dii Sviluppando 9 in serie di Taylor ed arrestandosi alle seconde potenze abbiamo dr r d*r dr ,(dr eri Arta (+56) dove le derivate s'intendono riferite all’istante £. Da questa espressione di g risulta b) dt dt? ne segue quindi dee Uta di Analogamente i Se, Uni +; i Poniamo E E=A% ’ OY , t_- =, cosicchè 2,y,z sono le coordinate di P, riferite ad un sistema di assì pa- ralleli agli assi fissi ed avente l'origine in P: ne segue r=(E- + (Mn +0 = ++. — 201 — Dalle espressioni di U, U, ed 7 si deduce allora Le equazioni del moto di P, rispetto a P_ si ottengono sottraendo le (2) dalle (1): esse sono adunque di CAR dt° ee 2 SA gel (3) d*y SÙ RYO FA" dt? n 2 War 32. CINA | dt? Tù 2: ‘WA dove w=f(m+ 1) Confrontando le (3) con le equazioni ben note del moto ellittico risulta che o £ Y Li di pes, d* Li d* Sn KEN NP RANGE: 7 IAT 4 soa ESA MU A () È DI SOA NE n Didi”. De È Didi? sono le componenti della forza perturbatrice dovuta alla velocità di propa- gazione della attrazione newtoniana. È notevole come queste componenti non contengano le prime potenze di A, e dipendano solo dagli elementi del moto relativo. 3. Componenti S, T, W della forza perturbatrice. — Allo scopo di determinare gli effetti della forza perturbatrice dovuta alla velocità di pro- pagazione della attrazione newtoniana, ci serviremo dalle equazioni che danno la variazione delle costanti arbitrarie. Per l’uso di tali equazioni necessita conoscere le componenti della forza perturbatrice stessa secondo la direzione del raggio vettore (S), della normale a questo raggio contenuta nel piano dell'orbita osculatrice (T), e della normale a questo piano (W). nr I fe è see ente e sn — 202 — Indicheremo i coseni degli angoli che queste direzioni formano con gli assi x, y, g a norma dello specchietto |a Avendo indicato con X,Y,Z le componenti della forza perturbatrice secondo gli assi 7, y, 2, risulta: S=Xo + Y8 +Zy, T=Xo' + YP 4+-Zy', W = Xo"k+ Ye" Zy". Per esprimere in forma definitiva S, T, W ricordiamo che, rappresen- tando con p, v, w rispettivamente il parametro dell’orbita, la longitudine vera, e l'anomalia vera, abbiamo: E do _dw _ kyp. — 1+ecosw * GIRONE i DEI dà dv r dv r dv ro De i__dE SOY Cile ’ BET ’ oi DETRI Vv dv dv Dalle (4) si deduce inoltre 1 1 d- dit La E pa r) Sa edrmaan ° o Il Il d- dd RAM oil r) Ig let ae il 1 di dc KA? (4 RA 7 Ao nio Lin 7, leer EI Relazioni analoghe si trovano per y, y", e", e”. Abbiamo dunque 1 gl 1dr_do 1, dfn, di ; DO PA'd mio di di dedi gle voi gp KA? d°v ua 2 de’ ed infine A Sa — mp tie est Mu=i00 Dall'essere W=0 si deduce che la forza perturbatrice è interamente situata sul piano dell’ orbita. S e T risultano poi funzioni della sola anomalia vera. 4. Disuguaglianze secolari. — Per la determinazione di queste disugua- glianze partiremo dalle note equazioni, le quali danno la variazione delle costanti arbitrarie, equazioni che per maggior chiarezza trascriveremo (e M_ 24 \esnws +2 Ti ca LI }son08 + (cosu + 0084) T T{ ATTI A seng I = o snn or =0o sent ER ILS onsw8 4 (14! 2) sen! a gti pavia e? sen: £ E. In queste formule è noto che 4, @,0,w,8,7,%, rappresentano rispet- tivamente, il semi grand'asse, V inclinazione, la longitudine del nodo, la longitudine media all'epoca 0, l'argomento della latitudine, e l'anomalia eccentrica: sappiamo ancora che _cosw + € cosu = o 1+e cosw » (!) Cfr. ad es. Tisserand, Mécanique Celeste, t. I, pag. 433. I, sn Eu — 204 — Sostituendo in queste equazioni i valori di S, T, W dedotti nel numero 2 precedente, e ricordando che dee" do, si ha: kV de dé pra — Cri d=— i eseno(1 +60), 272 ne = — 57 sene(1 + 2e°+ Ge cosw + Be cos), da A?%? So 24 464 (1— 2e?) cos w + 6e cos* 20 + Be cos* dt, de A°k° e? dw rave mn (14 e cosw) + isa TRE Integrando queste equazioni e tenendo conto dei soli termini secolari abbiamo i valori delle cercate disuguaglianze: cioè da. 0 de > (1 +52) w, lo) -1% w, de = (0-1 e?) w Vediamo così anzitutto che (almeno quando non si tenga conto dei ter- mini di ordine superiore al secondo) la forza perturbatrice da noi considerata non influisce affatto sulla posizione del nodo e sulla inclinazione. Essa determina sole variazioni periodiche sull'asse dell'orbita, e con esso perciò anche sul moto medio, mentre Hepperger trova che l’ effetto mag- giore della forza in questione si manifesta appunto sulla variazione seco- lare dell'asse. Le perturbazioni di e, w,, dipendono solo dalle masse, dall'asse, e dall' eccentricità. Se si trascura il quadrato dell’eccentricità, le variazioni sono le mede- sime per i tre elementi e, @w, #. Notiamo in ultimo come non è ammissibile con le nostre ipotesi un movimento circolare poichè de si mantiene diverso da 0 per e—0. 0 Fisica matematica. — A/cune applicazioni dell’integrale di Fourier. Nota del dott. L. ORLANDO, presentata dal Socio V. CERRUTI. Nel testo di Weber (!), ottimo libro, che io direi necessario ad ognuno che studî fisica matematica, il problema dell'equilibrio elastico del suolo isotropo è ricondotto all’integrale di Fourier. Noi non vogliamo qui riassu- mere tale metodo, ma far vedere come possa utilmente applicarsi anche al problema, certamente meno semplice, ma più utile in pratica (2) delle v/dr4- zioni del suolo isotropo. Prescindendo dalle forze di massa, noi possiamo, per i piccoli moti elastici dei solidi omogenei ed isotropi, scrivere, come è noto, le seguenti equazioni : (2° 3) IS dI PIO) Ol ara Ri (1) (2° — 0°) » Do V (@- 0) _=o0, dove «,v,w rappresentano le componenti dello spostamento del punto di coordinate x, y,4, secondo i tre assi coordinati; poi du dv dWw O—= — -—-- == dI ali dY DR de misura la dilatazione cubica unitaria della particella che intornia tale punto. Il simbolo D è definito dalla relazione generale DE DE DI D D = LE TI kE poeti i, ERA E ou dY° w 3) dove # denota il tempo e X una grandezza indipendente da x,7,2,7; e poi dobbiamo ancora aggiungere che £ e @ rappresentano rispettivamente le velocità delle onde longitudinali e trasversali che possono propagarsi nel solido: non variano da un punto all’altro, e sono grandezze note nel problema. Pure evitando le difficili e lunghe questioni d’esistenza, noi avremo da trattare tuttavia un problema poco agevole. E supporremo che il semispazio, (1) Die partiellen differential-Gleichungen der math. Physik, nach Riemann's Vorlesungen. (2?) Per esempio, in sismologia. ReENDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 27 wc Rd — 206 — luogo dei punti che hanno la # positiva, limitato dunque dal piano d’equa- zione #“= 0, sia tutto occupato da materiale omogeneo, elastico, sul quale non agiscano forze di massa. Noi ammettiamo che, in ogni punto del piano limite, siano verificate le condizioni u(c 00) = U(d0y,0) (2) e a w(d,y9,0,69)=W(2,Y,3), dove U,V,W rappresentano funzioni note; poi ammettiamo ancora che, in ogni punto del piano limite, si conoscano le tre componenti L(x,y,t), M(x,y,t) , N(2,y,t) della tensione che agisce sopra questo punto. Se non figurasse, insieme colle altre, la variabile #, non sarebbe necessaria quest’'abbondanza di funzioni note, per il calcolo dello spostamento in un arbitrario punto del campo, ma qui cerchiamo «(2 ,y,2,4), v(2,4,2,3), w(x,Y,8,t), in un arbitrario punto del campo ed in un arbitrario tempo. Scriviamo subito le tre note equazioni, valide in ogni punto del contorno, Ie y,g=_v(42) e dE DIG : dv dW 3 Mep = O) (3) 7 (2,93) n N(,4.)=— (2-20) 0—200 DO. Le equazioni (1), (2) e (3) debbono lasciarci risolvere il nostro pro- blema. Con e abbiamo rappresentato la densità costante del solido. Intanto non sarà male procurarci un metodo, abbastanza semplice, per integrare l'equazione (4) Dr g(2,9,5,)=0 quando per la funzione g sono date le due condizioni, valide sul piano limite er (5) Pro = D(£,y3 0) > (i = D£,Y,1). ° /2=0 Noi poniamo (6) PURA) 00 dove sia Playa = ff ficardera, 9,9 acerra, 00. 00 (ORE) = ff da, dB, de, B(o,, B13 1) gicano+Biy+1z+810, —.00 o e le funzioni A e B siano da determinarsi, e valgano fra le grandezze a,f,yY,€, ,B1,Y1,81, indipendenti da 4,y,t, le relazioni (@+8° +) E —e=0 . d . È 2 DI 9 o Dia td ala + Bi+- ri) 8° — s—2in k#=0. Queste due relazioni (!) mostrano che è verificata la (4). Perchè anche le due condizioni limiti (5) siano verificate, noi dobbiamo determinare A e B. Il teorema di Fourier per le funzioni di tre variabili, circa la dedu- zione del quale è già largo cenno nello stesso libro di Weber, può così formularsi : f(@,y,1)= 00 00 (9) = da d$ de { { (6 7,9) gia eb+B umts] dé du de. Sa 25 E, giacchè, per s=0, g siriduce a P soltanto, così vediamo che, ponendo 00 (10) A(a,f,e)= e SSfee mite) e TO dé dn da, otteniamo che resti verificata la prima condizione (5). Ciò determina P(4,7,4,t). DIM SAso) 3; , e poniamo, per ogni punto del Ora facciamo la derivata piano limite (11) mey = e-(C) . Si vede subito che, se noi determiniamo B(@, f,) colla formula 1 0 (12) AB; ohi (E, 0) e nto de dn de (00) e osserviamo (9),(8),(6) e (11), ci persuadiamo che anche la seconda con- dizione (5) è verificata. Possiamo dunque dire d'avere integrato l'equazione (4), tenendo conto delle due condizioni (5). Ma ora, se deriviamo le (1) rispetto a 2,7, e sommiamo, ricaviamo subito (13) DerO0=0. Ma le due prime (2) e la terza (3) lasciano agevolmente calcolare © in (1) Noi possiamo sempre regolare le radici 7 ,y: in modo che |eY], et] risultino <1, perchè 2 è soltanto positivo. a — 208 — ogni punto del piano limite. Poi dalla terza (2), dalie prime due (3) e dalla terza (1), ricaviamo anche l in ogni punto del piano limite; sarà dunque facile integrare, col precedente metodo la (18), e ricavare 0(4,7,4,0). Ormai non è difficile ricavare u(x,7,2,%), v(47,6,%). w(4,Y,3,t), osservando che in superficie possiamo ricavarci quante derivate vogliamo di queste funzioni, rispetto a <, e che queste funzioni verificano evidentemente la QoDea=0. Riassumendo, noi possiamo dire d'aver determinato, in modo che non è semplicissimo, ma è pure abbastanza semplice, la deformazione interna di un semispazio isotropo quando si conoscano gli spostamenti e le tensioni superficiali. In pratica, poco si presentano i corpi isotropi, ma può qualche volta essere bastante un risultato approssimativo. Noi non potremmo, per esempio, rimanere scontenti d'uno studio, il quale, da osservazioni eseguite sulla superficie di ragioni soggette a terremoto, ci lasciasse arguire. anche in modo grossolano, la posizione del centro sismico, e stabilire se l’agita- zione fu cagionata da scoppio, o, invece, da frana. Fisica. — Influenza degli orli sulla capacità elettrostatica di un condensatore. Nota del dott. R. MAGINI, presentata dal Corri- spondente A. BATTELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica terrestre. — Misure pireliometriche eseguite sul Monte Cimone nell'estate del 1902 e nell'estate del 1903. Nota di Ciro CHISTONI, presentata dal Socio BLASERNA. Negli anni precedenti il 1902, ossia dal 1899 al 1901 le misure pire- liometriche, che istituii sul Monte Cimone (lat. bor. 44°.12’; long. E da Gr. 10°.42'; 2165 m. sul livello del mare) vennero sempre eseguite con atti- nometri a sistema Violie (*). Dal 1902 ho avuto modo di potermi servire del pireliometro Angstròm a compensazione elettrica; e precisamente negli anni 1902 e 1903 servì il pireliometro n. 19 munito dell'amperimetro S. H. (?) Veggansi le note seguenti: Misure pireliometriche eseguite a: Sestola ed al Monte Cimone nell'estate del 1899 (Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol. XII, 1° sem. 1903, pagg. 258-263). Misure pireliometriche eseguite a Sestola ed al Monte Cimone nell'estate del 1900 (Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. XII, 2° sem. 1903, pagg. 625-627). Misure pireliometriche fatte sul Monte Cimone nell’estate del 1901 (Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol. XI, 1° sem. 1902, pagg. 479-486 e 539-541). — 209 — 53352 con derivazione 12320; dei quali apparecchi in altra circostanza ho pubblicato i relativi coefficienti e le correzioni da applicarsi ('). Il pireliometro è stato sempre collocato sulla terrazza di pietra che copre la torre destinata ad Osservatorio metereologico sul Monte Cimone; terrazza contornata da un muro formato con pietra lavorata. La terrazza ha forma ottagonale; la lunghezza media del lato ottagonale è di metri 3,380; la di- stanza fra due lati opposti è di m. 8; l'altezza del parapetto è di m. 1,10 e lo spessore del muro del parapetto è di m. 0,30. Collocando l'apparecchio nel mezzo della terrazza, e tenendolo di poco elevato, si riesce facilmente a sottrarlo all'influenza del vento, che in generale si fa sentire sulla vetta del Cimone. Una misura pireliometrica completa, consiste generalmente di tre deter- minazioni successive, fatte coprendo una striscia del pireliometro p. e. quella di destra, ed esponendo al sole quella di sinistra; poi coprendo questa ed espo- nendo quella di destra, ed infine coprendo questa e riesponendo quella di si- nistra. I valori di 0 (temperatura indicata dal termometro unito al pirelio- metro) e di ? (intensità in amp. della corrente elettrica compensatrice) che servono per calcolare @ (intensità della radiazione espressa in gr-cal. per min. e per cm?) sono il risultato della media aritmetica, fra la media arit- metica del primo e terzo valore col secondo valore trovato. Qualora, per circostanze di cielo variabile con rapidità, si stimi neces- sario, invece di tre osservazioni successive sì eseguiscono sei o più osserva- zioni, affinchè il risultato finale corrisponda il meglio possibile alle condi- zioni di trasparenza dello strato d’aria compreso fra il pireliometro ed il sole. Lo stato del cielo, in ispecie in prossimità del disco solare, viene osser- vato sempre colla massima cura, adoprando adatti vetri colorati. Il valore B della pressione atmosferica è espresso in millimetri di mer- curio a 0°, diminuito di 500. Qualora si volesse B espresso in altezza di mercurio a densità normale, ossia colla densità che questo liquido ha a 45° di latitudine ed a livello del mare, converrebbe diminuire i valori nelle sot- tostanti tabelle di 0,29 mm. Come al solito, le ore sono espresse in tempo medio dell'Europa Cen- trale: e l'altezza media % del sole durante il tempo dell’osservazione com- pleta, che è indicata nelle tabelle, è approssimata entro i due decimi di grado sessagesimale. Con £ è espressa la tempe:atura dell’aria, con / la forza elastica del vapore acqueo e con v l'umidità relativa dell'atmosfera. (1) Sul pireliometro a compensazione elettrica dell''Àngstròm (Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol. XIV. 1° sem. pagg. 340-346 e pagg. 451-456). — 210 — Monte Cimone 1902 Giorno Ora h Annotazioni 28 luglio 13,5/0,446 20,0 (0,444 21,8/0,446 20,4/0,436 12,4|0,418 15,0/0,486 15,0/0,433 16,3/0,4388 19,0/0,444 20,5(0,450 20,0 0,450 20,00,453 91,4/0,454 21,4/0,446 20,0/0,447 19,0|0,427 18,0(0,402 19,0(0,422 18,9/0,417 18,010,420 10,8/0,416 14,00,430 15,8/0,444 18,3/0,449 12,5/0,413 14,5/0,429 5| 15,7/0,444 17,5/0,450 18,8/0,447 19,0/0,451 17,5/0,417 18,5/0,431 21,0/0,448 23,0/0,447 22,5|0,449 20,5 0,444 13,5 0,419 17,0(0,427 18,5 0,428 1,331 1,323 1,336 1,276 1,169 1,273 1,255 1,285 1,322 1,359 1,359 1,377 1,384 1,886 1,841 1,293 1,084 1,194 1,166 1,188 1,156 1,237 1,820 1,352 1,141 1,232 1,320 1,357 1,340 1,364 1,166 1,246 1;917 1,342 1,354 1,323 1,174 1,222 1,229 13,6 14,2 14,0 14,4 8,8 9,4 11,8 11,8 12,0 (a) Has, 12,5 13,0 13,2 13,4 1353 11353 13,4 15,0 14,4 14,2 11,0 11,6 12,0 1122 12,0 112,2 12,4 13,0 13,2 12,8 13,6 12,8 14,0| 14,5 14,4 15,0 13,2 14,2 14,4 @ libero; Cu vaganti, vento forte da SW @ velato; Ci e Cu vaganti @ libero; Cu vaganti @ libero; Cu-Ni a SE; tuono lontano Bianchiccio; orizzonte caliginoso @ libero; veli vaganti e Cu @ libero; caligine bassa Id. © libero; Cu vaganti Id. Id. © libero; colpi di vento; Cu vaganti Lucido intorno al @; Cu vaganti @ libero; Cu vaganti Id. Id. Biancastro Id. Id. Bianchiccio @ libero; Cu e veli bassi @ libero; Cu vaganti Id. Id. Bianchiccio Veli sparsi Id. Sereno Cu all'orizzonte i Cu sparsi Orizzonte caliginoso Id. Biancastro Sereno Id. Cu all'orizzonte; biancastro Orizzonte nebbioso; vento forte da SW Cu a E; Aureola; vento forte da SW Veli vaganti i i È | 3 — 211 — Monte Cimone 1902 rr wmmmrm_rrrrssl Giorno [on () Q B Annotazioni 500+ hm 11.23 20,4/0,436]|1,276| 91,6) 14,7| 7,2/54| Veli vaganti 7.40 11,5)0,417|1,163| 87,7| 12,8] 6,5/55] Cu all’orizzonte; veli lontani dal ®© 8.22 12,7|0,454|1,379| 87,8] 13,6] 5,7145| Sereno 9.22 14,8/0,455|1,386| 88,5] 13,0| 5,8|50| Id. 10.22 18,0|0,453[1,376| 88,5| 13,2] 6,5/53] © libero; Cu vaganti 11.22 19,0|0,455|1,388| 88,7] 13,3] 7,765] © libero A-Cu 11.22 9,5/0,463|1,432| 87,6) 3,6) 3,3|51| Sereno 12.22 10,5/0,460/1,414| 87,7] 4,0] 3,5/52| © libero; Cu TED iS. 1,185] 87,8] 9,4| 5,5|59| Aureola; orizzonte caliginoso 8.21 1g} 1,272] 90,9] 9,6| 5,1|54| Sereno 9.21 15,5 1,332|-21,6| 9,6] 5,3/59/\) Id. 10.21 16,0) 1,350] 91,6] 10,2) 6,97: Id. 11.21 15,8! 1,886| 91,6] 10,0 Cu e veli vaganti 14.21 15,2; 1,886| 91,5| 10,5 Id. 15.21 14,0 1,385| 91,5] 11,0 Id. 9.21 13,3 1,295| 91,8] 10,4 Sereno 10.21 14,2] 1,313] 91,9] 10,7 Id. 11.21 17,5) 1,327| 92,1| 11,6 Id. 12.21 19,3 1,365 92,2] 12,2 Cu vaganti; @ libero 13.21 21,5 1,384| 92,1|12,2 Id. 14.21 19,5 1,395| 92,0] 13,0 Id. "7.21 | 18,0 1,155] 93,3 13,2 © libero; Cuvaganti; orizzonte caliginoso 8.21 22,2 1,162] 93,3| 13,2] 4,3,33|-Sereno 9.21 24,0}0,446/1,337| 93,3|13,4| 4,132) Id. 1241 2 23,0; 1,385| 93,2| 13,6) 10,285] © libero; Cu e veli vaganti 13.21 29,5| 1,367] 93,5| 14,4 3.76) © libero; Cu vaganti 14.21 23,9:0,448|1,319| 93,4| 14,4 5183 Id. 18.21 16,5 0,747| 92,8] 13,8 73| Aureola; leggerissimi veli 8.50 16,5 1,077) 90,9] 13,6 50| Bianchiccio 9.20 16,5 1,088| 91,0] 13,6 | Id. 10.20 19,1|0,412|1,139| 90,9] 13,8 Id. e veli vaganti Monte Cimone 1903 8.23 34,4] 15,3]0,406|1,104| 89,5] 12,7) 4,7|45| Aureola 9.28] 44,8| 14,1|0,424|1,203| 89,5| 12,6 Id. e veli vaganti 10.28| 54,4|15,7|0,423|1,198| 89,5] 12,0 6,8165| Aureola 11,23] 61,7| 17,1|0,427|1,222| 89,6|12,5 Id. 12.23] 64,6 18,2|0,426|1,217| 89,6| 13,0 Id. e grossi Cu intorno al @ Bano, | ; î î b Î; ir dee —- 212.— Monte Crmone 1903 Giorno Ora| 4 | 0 i Q si GTI Annotazioni 8 agosto 10,98 53/4 15,7/0,419|1,176| 89,7] 13,7] 5,749) Aureola ‘ » » 11.23| 60,6] 18,0|0,421/1,188 89,6 12,9) 7,2/65] Veli vaganti » » 12.23] 63,4| 19,1|0,417|1,166| 89,6] 13,8| 7,8/67| Veli e Cu 4 ” 7.23] 22,7| 11,5/0,390|1,017| 87,4| 9,6] 4,8/54| Aureola; orizzonte nebbioso » ” 8.23] 33,4| 13,0|0,408|1,114| 87,8| 10,6] 2,2/21 Id. » ” 9.23] 43,8) 14,1|0,4283|1,198| 88,3] 12,0] 3,0/29 Id. » ” 10.28] 53,2] 14,7/0,483/1,255| 88,4) 13,0] 2,8/25 Id. » ” 11.28| 60,3] 17,5/0,434|1,262| 89,1| 13,9] 3,3/28 Id. » ” 12.23] 63,2) 18,3/0,434/1,263| 89,4 13,8) 4,942) Aureola e Cu vaganti » » 13.28] 60,3] 18,510,424/1,205| 89,9) 15,2| 4,1|33) Bianchiccio » » 14,28| 53,2] 19,0/0,423|1,200| 89,9| 14,0) 4,8/40 Id. » ” 15.23] 43,8| 17,8|0,422|1,194| 90,0| 14,4| 4,2/34 Id. 5 DI 8.28] 32,2] 20,4/0,411|1,134| 93,4 14,4) 4,2/34| Biancastro; aureola » ” 9.28] 43,6| 21,8/0,425]|1,213| 94,0] 15,1| 4,2|33 Id. ” ” 110.23] 53,0) 23,5/0,426|1,220| 94,2) 15,2] 4,1|33 Id. » ” 11.23] 60,6] 21,0/0,429|1,235| 94,2) 16,0) 6,4/47 Id. ” » 12.23| 62,9] 23,5/0,430|1,243| 94,4|16,4| 6,5]47 Id. » » 13.23] 60,6| 23,5|0,427/1,226) 94,5] 18,4} 7,648 Id. ” » 14.28] 53,0] 24,5/0,422/1,197| 94,6 17,0 9,5|66| Str-Cu presso il ©. 6 » 7.23| 22,3] 15,0/0,378/0,957| 93,1] 14,01 6,0/51| Aureola; Biancastro ” » 8.23] 33,0| 16,5/0,411|1,132| 93,4| 14,6| 5,948 Id. ”» ” 9.23] 43,4| 17,7|0,428]1,228| 93,7| 15,5) 5,6|43 Id. » » 10.28] 52,7] 17,9/0,486|1,274| 94,0 16,0] 7,3|50 Id. » » 11.28] 59,8] 20,7/0,438|1,288| 94,1| 18,0| 7,3/43 Id. » » 12.23] 62,6| 20,7|0,440|1,300) 94,1|19,7| 6,735 Id. ” » 13.23] 59,8] 21,2/0,437|1,282| 94,1|17,4| 7,951 Id. ” » 14.28| 57,2| 20,5/0,422|1,195| 94,0| 17,3] 8,9|58 Id. e Cu all’orizzonte 7 » 7.23| 22,1| 14,6/0,396/1,050| 92,2] 13,0} 7,059) Nebbia e Cu all'orizzonte; aureola » » 8.23] 32,8| 15,9/0,415|1,154| 99;8| 13,0 6,453 Id. » ” 9.23] 43,2) 16,9]0,421|1,188| 92,38 14,0) 6,1/47 Id. » ” 10.28] 52,5] 19,8/0,430/1,241| 92,5| 15,0). 6,850 Id. » » 11.23) 59,6] 20,7/0,437|1,282| 92,5| 16,1] 8,2155| Aureola e Cu intorno al @ ” ” 12.23] 62,3] 19,7|0,427|1,224| 92,5|15,4| 7,456 Id. 13 » 8.22] 31,6| 14,1/0,413]|1,142| 91,8|12,5| 5,752) © velato ” » 9.22] 41,9) 15,9(0,417]|1,165| 91,2|13,8] 6,3|54| Aureola; veli sparsi ” ” 10.22) 51,1| 17,0|0,419|1,176| 91,5| 14,5] 5,646 Id. DI ” 13.22| 57,9| 21,4|0,424|1,207| 91,6|16,3] 6,7|47| Cu e veli intorno al @ ” ” 15.22] 41,9) 19,0/0,408|1,116| 91,4|15,6j 8,866. Aureola; veli sparsi 17 ” 10.21| 50,1] 14,50,424|1,208| 88,38| 9,0) 3,7|41| Aureola; veli intorno al @; Cu all’orizzonte oi Dr Sentieri > Aia SRO nd MonTE Cimone 1903 Giorno Oral AU 6 | z BAR Annotazioni 500+ valo Ù 18 agosto 7.21] 19,7 0200 0,991| 88,1] 9,0) 3,943] Leggera aureola; orizzonte nebbioso | ” ”» 8.21| 30,3] 16,0 0,413/1,142| 88,4| 11,4| 2,4/24| Bianchiccio i o, 9.21| 40,5| 17,8/0,434|1,263| 88,7 10,4] 45148 12. i PI » 10.21| 49,5) 18,5 0,436/1,275| 88,8] 12,6] 4,6|42 Id. e Cu all’orizzonte f 24 » 8.19| 29,2) 14,5,0,488|1,284| 91,1|12,0| 7,1|70) @ in plaga lucida; sereno perfetto | I) 9.19| 39,3| 14,5/0,448|1,843| 91,1|18,5| 6,859 Id. î » » 10.19| 48,1) 17,0 0,448|1,345| 91,4| 15,0] 6,652] Cielo biancastro; Cu ali’orizzonte » ”» 11.19 54,6 17,5,0,449|1,351| 91,7] 12,4] 7,8|72| Cielo bianchiccio; Cu all’orizzonte » » 12.19| 57,0) 15,7,0,452/1,868| 91,5 11,9] 8,4|S1| Aureola; Str-Cu all’orizzonte; veli sparsi 927 5) | 9,19| 88,5) 19,0/0,412 1,189 94,4| 11,6) 7,170 gni il Cimone è contornato da una corona ”» » ‘110.19 47,3) 18,5/0,483|1,257| 94,7|12,2| 7,9|74| Nebbia in giro; Cu vaganti; @ libero » n |15.19|38,5|22,5[0,405|1,102| 94,6|13,9| 8,2/70 1a. 28 ” | 8.18 28,2 18,5/0,418|1,172| 93,7|11,8| 6,0j58| Bianchiccio; caligine bassa; calma ” Pi ‘10.18 47,0) 23,5/0,440]1,801| 93,7|12,5|] 6,2/56| © libero; caligine bassa; calma fi » ” 11.18| 53,3, 23,5|0,448/1,319| 94,2 12,5| 6,8|62| @ libero; caligine bassa; brezza 2 i ti glo) 12.18| 55,6] 23,7/0,451/1,367| 94,2 12,6] 6,9/63 Id. Fi » ” 13.18| 53.5] 24,0/0,442/1,313| 94,3| 13,0] 7,668 Id. Ù >» |14.18|47,0|23,5|0,433|1,260] 94,2|13,3| 7,7/67 1a. f n» |15.18|38,2|21,50,421|1,190] 94,2|13,5| 7,8/67 Id. I 1 ‘116.18| 28,2|18,5/0,403/1,089| 93,8 13,0| 9,079 Aureola; caligine bassa 929 ” 8.18| 27,9) 17,5]0,414|1,149| 92,9 13.4] 3,0/27| Bianchiccio; nebbia bassa; Str Pi 5) 9.18|37,7|18,8|0,425/1,211| 92,7|13,8| 3,9|32| © libero; veli e Str; caligine bassa È x 110.18| 46,7| 19,50,399|1,068| 92,8|14,2| 4,939 Nebbiabassa; veli vaganti; Strall’orizzonte 2 settembre |12.17| 53,8] 21,8/0,439|1,294| 96,4| 14,0] 5,5|45 Sr orizzonte Sud; caligine all'orizzonte ; bian ” » 13.17] 51,6] 23,5|0,432|1,254| 96,2|13,6| 5,1|45 Td. © ti) ” ” 114.17] 45,4] 24,8|0,431|1,249| 96,0] 13,8) 5,6/48| Orizzonte caliginoso; Str-Cu a NW 3» | 7.17|16,1|15,7|0,864|0,887| 945|12,4| 2,8|25| Bianchiccio; veli sparsi a W È » » | 8.17| 26,6) 17,5|0,405/1,099| 94,5] 12,5] 3,6/52| Bianchiccio; veli ad WSW e a NNW pi ” » | 9.17] 36,6| 18.5/0,423|1,200| 94,7|12,8| 3,8/30| Bianchiccio; veli sparsi » 5) 10.17] 45,1| 20,1/0,434|1,264| 94,8| 13,0] 3,5|29 Td. Str-Cu a WNW i SI, 11.17|51,2| 21,5|0,485|1,271| 95,1|13,8| 5,246 Id. " » ” 13.17| 51,2) 24,1|0,414|1,152| 95,2|13,6| 7,3/62] @ welato ”» ” 15.17] 36,6] 25,6/0,418|1,147| 95,0] 13,8] 8,0/68 Id. = A 16.17] 26,6] 23,5/0,385|0,996| 94,9|13,8 7,7|c4] 1a. ZORO) 8.16| 26,4! 18,5|0,408|1,087| 93,4|11,4| 1,7115| Bianchiccio È e; 9.16 36,3 15,4/0,436|1,270j 93,7|11,6| 4,2}40] Id. { ReNnDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 28 i È Pe OlA — Fisica terrestre. — Misure pireliometriche eseguite sul Monte Cimone nell'estate del 1904 e nell'estate del 1905. Nota di Ciro CHISTONI, presentata dal Socio BLASERNA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica terrestre. — Contributo allo studio del pireliometro « compensazione elettrica dell'’Angstròm('). Nota di EmiLio TEGLIO, presentata dal Socio P. BLASERNA. In altra circostanza il prof. Chistoni ebbe ad occuparsi del pireliometro a compensazione elettrica dell'Angstròm (?). Nel 1905 l'illustre Angstròm inviò al R. Osservatorio Geofisico quattro pireliometri affinchè venissero confrontati; due di essi hanno poi servito al prof. Chistoni per le misure eseguite ad Alcalà de Chisbert (Spagna) durante l'eclisse totale del 30 agosto; gli altri due erano destinati al R. Osserva- torio « Regina Margherita » sul Monte Rosa. Di questi uno (il n. 51) venne invece usato dal prof. Palazzo, direttore del R. Ufficio Centrale di Meteoro- logia, per le osservazioni che fece a Tripoli, ove egli si recò, in occasione dell'eclisse del 30 agosto. Il prof. Chistoni volle affidare a me l'esecuzione dei confronti, fino dal principio di giugno; ma, in causa della stagione poco propizia, perchè quasi sempre nuvolosa, il lavoro non potè essere sollecito e durò fino al 12 luglio. Come istrumento campione venne adoperato il pireliometro n. 39 dis del quale il prof. Chistoni ha già parlato nel lavoro sopracitato. i Per misuratori della corrente sì adoperarono i due milli-amperimetri Siemens und Halske portanti i numeri 99630 e 99631, cui erano rispetti- vamente applicate le derivazioni 19881 e 19882, per modo che ogni divi- sione della graduazione corrisponda a 0,01 di amp. Questi due amperimetri erano stati prima da me stesso confrontati coll'amperimetro Hartmann und Braun 131913-1293, che ha servito di campione anche al prof. Chistoni. Le differenze trovate fra il campione ed ognuno dei due amperimetri S. H. non arrivarono mai a 0,001 di amp., così che potei ritenerli praticamente. esatti. (1) Lavoro eseguito nell’Osservatorio Geofisico della R. Università di Modena. (®) Chistoni Ciro, Sul pireliometro a compensazione elettrica dell'Angstròm. (Rend.. R. Accad. dei Lincei, vol. XIV, 1° sem. 1905, pagg. 340-346 e pagg. 451-456). sti iii — 215 — È noto che l'intensità della radiazione, ottenuta col pireliometro Ang- strom, è data dalla formola: Q= DIVE gr. cal. per min. e per cm.° ASO o oi ; Î (= intensità di corrente in amp.; 4 = potere assorbente delle superficie; b=larghezza delle striscie in cm.; 7= resistenza elettrica delle striscie per cm., in Ohm). Quando la 7 non vari al variare della temperatura, e tale è il caso dei quattro pireliometri esaminati, allora la formola indicata può scriversi: = essendo 7 costante per un dato istrumento. TI coefficienti pei quattro pireliometri in questione, sono riportati nella seguente tabella: Resistenza delle striscie per cm. in Ohm (7) 0,217 0;2205 0,2196 0,2198 Larghezza delle striscie in cm. (5) 0,2023 0,1965 0,1997 0,1992 Potere assorbente delle superficie (a) 0,98 0,98 0,98 0,98 k 15,70 16,47 16,10 16,12 Il pireliometro n. 19 ha l’affusto del vecchio 19, al quale vennero cam- biate le striscie perchè si erano alterate. I valori di % che riferisco più sotto non sono il risultato di una sem- plice osservazione, ma la media di successive misure fatte contemporaneamente coi due pireliometri, in numero variabile secondo le circostanze da tre a nove. I confronti fra ii n. 89 dis ed il n. 19 vennero eseguiti parte il 16 giugno da 11°0® a 11.45”, parte il giorno 17 da 9"50% a 11°10%. Si ottennero i seguenti risultati: i col 39 dis e=0,205; 0,203; 0,205; 0,205; 0,206 col 19 i= 0,280; 0,277; 0,278; 0,279; 0,280. Eseguendo i calcoli si ottengono i seguenti valori: col 39 bis Q= 1,219; 1,195; 1,219; 1,219; 1,230 col 19. Q=231; 1,203; 1,213;1,222; 1,231. La massima differenza fra i corrispondenti valori di Q arriva a 0,012; per cui, per le ragioni già esposte dal prof. Chistoni nelle note sopracitate, si può ritenere che i due apparecchi non abbiano correzione relativa. I confronti fra il n. 39 dis ed il n. 66 vennero eseguiti, parte il 18 giugno da 10°30" a 11235" e parte il 21 giugno da 9250 a 11°80". hi — 216 — Si ottennero i seguenti risultati: col 39 dis è= 0,204; 0,200; 0,205; 0,201; 0,199; 0,198 col 66 i= 0,270; 0,267; 0,272; 0,266; 0,264; 0,263. Eseguiti i calcoli si ha: col 39 bis Q= 1,207; 4160; 1,219; 1,171; 1,148; 1,137 col 66 Q=1,200;346/74; 1.218; 1,165; 1,1485 10140: La massima differenza fra i corrispondenti valori di Q, arriva in questo caso a 0,014; però anche in questo caso si deve ritenere non esista prati- camente correzione relativa fra i due istrumenti. I confronti fra il n. 39 dis ed il n. 51 vennero eseguiti tutti il giorno 11 luglio da 9°25" a 11°50". Si ottenne: col 39 dis 7 = 0,200; 0,201; 0,198; 0,199; 0,200 col 51 i = 0,269; 0,269; 0,266; 0,268; 0,269. Eseguiti i calcoli: col-39%is-Q=1M60F41171: 1,137 ;T4448528/0L600, col 51 Q= 14165 1,165., 1,140; 44502951058 In questo caso la massima differenza fra i corrispondenti valori di Q arriva a 0,008; anche in questo caso è da ritenere quindi non esista corre- zione relativa fra i due istrumenti. i I confronti fra il n. 39 bis e il n. 57 vennero tutti eseguiti il giorno 12 iuglio da 9250 a 11"45®. Si ottenne: col 39 dis #= 0,195; 0,195; 0,196; 0,198; 0,196 col 57 i= 0,262; 0,261; 0,263; 0,266;:‘0,264. Eseguiti i calcoli: col:t39'07500 = 108: 71,103; LITTA: IRIS A col 57 Q'= 107109871154 24 In questo caso la massima differenza arriva a 0,010 che fa pure rite- nere non esista correzione relativa nemmeno fra questi due pireliometri. I risultati precedenti, insieme a quelli riferiti dal prof. Chistoni, dimo- strano che in una misura completa, eseguita con cautela, mediante il pire- liometro Angstròm, difficilmente si commette un errore che arriva a 0,01 di cal. gram., per minuto e per cm.°; ed appoggiano sempre più quanto asserì il prof. Chistoni, cioè che nelle attuali condizioni, il pireliometro a compen- sazione elettrica dell’Angstròm è preferibile a qualunque altro attinometro, asserzione accolta dal Comitato internazionale per gli studi solari, il quale dichiarò che per le misure di radiazione solare, attualmente, lo strumento da preferirsi è il pireliometro Angstròm a compensazione elettrica. Soia Fisica terrestre. — Sullnterpretazione matematica dei sismo- grammi. Nota di V. MONTI, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. È noto che quando dai tracciati degli strumenti sismici si vuole risa- lire agli elementi del movimento vero del suolo, occorre in primo luogo dis- porre d’un'appropriata combinazione di sismografi atti a fornire per ciascun istante gli spostamenti del terreno paralleli a tre assi cartesiani prestabiliti e le rotazioni intorno agli stessi. Su tali strumenti si possono consultare le Note pubblicate sulla determinazione dei moti sismici e sul problema gene- rale della sismografia da M. Contarini (Rend. dell’Acc. dei Lincei, 1901 e 1902), le due Memorie Weber seismometrische Beobachtungen e Zur Me- thodik der seismometrischen Beobachtungen di B. Galitzin (C. R. de la Comm. Sismique permanente, St. Petersbourg, 1902, 1904), e le osserva- zioni con cui io chiudevo una mia Nota precedente sulla misura della velo- cità di propagazione delle perturbazioni sismiche in rapporto alla sismome- tria razionale (Rend. dell'Acc. dei Lincei, 7 gennaio 1906). Occorre, in secondo luogo, per ciascun istante della perturbazione e per ogni tracciato, determinare il valore della funzione /() che esprime l'elon- gazione dello strumento relativo, e quelli delle derivate /'(:) e /"() da in- trodurre, insieme alla /(7), nelle equazioni differenziali necessarie allo scopo. Quest'ultimo còmpito è certamente di una difficoltà estrema, quando lo si voglia intendere in tutta la sua generalità; tratti anche brevi di sismogramma presentano spessissimo complicazioni così gravi e così affollate da rendere disperata l'impresa di trovare 4 prior: una unica funzione /(4) che vi si adatti; e, se si pensa al genere di forze a cui il tracciamento del sismogram- ma si deve, la cosa non può recar maraviglia. Qualche volta dei tratti più o meno lunghi son costituiti da vibrazioni o onde sensibilmente isocrone d'ampiezza continuamente crescente o decre- scente; quest'ultimo caso, p. es., è abbastanza frequente nei diagrammi di terremoti locali. Può allora prestare buoni servigi la funzione f() = Ae sen ft, dove le costanti A, a e 8 si determinano facilmente dalla considerazione dei punti del sismogramma in cui /() si annulla oppure diventa massima o mi- nima, colle risorse più usuali della matematica elementare e del calcolo dif- ferenziale. Maggior generalità, ma sempre nel caso di onde o vibrazioni isocrone, può presentare la funzione /(0) = (0 sen È, — 218 — nella quale si può tentare di trovar la forma del fattore (4), dopo aver misurato 8, applicando p. es. la formola d'interpolazione di Lagrange a un certo quantitativo di numeri ottenuti dalla divisione delle ordinate dei mas- simi e minimi del sismogramma per i valori corrispondenti di sen ff. La funzione può trovare qualche utile applicazione non solo nel caso di terre- moti locali, ma anche in quello di terremoti lontani. Però, quando si prova a eseguir misure un poco precise sui sismogrammi, si constata subito che questi non sono che casi particolari ben lontani dal costituire la maggioranza di tutti i casi possibili. Per misure siffatte non può davvero considerarsi come sufficiente l’uso del doppio decimetro, tanto in voga negli osservatorî geodinamici per le ana- lisi di sismogrammi da redigersi in linguaggio ordinario. D'altra parte, è provato che anche coll’uso dei sismografi attuali, purchè razionalmente combinati, si possono ottenere dei tracciati che permettono, fino ad un certo punto, l’analisi delle vere condizioni meccaniche del suolo durante una perturbazione sismica. Perciò ragion vuole che lo strumento adoperato alla misura dei sismogrammi unisca alla sensibilità ed all'esattezza pregi d'economia tali che lo rendano raccomandabile per quel qualunque osserva- torio geodinamico, dove, per avventura, si addivenisse finalmente ad una siffatta razionale combinazione di sismografi. Il Pomerantzeff (C. R. de la Comm. Sismique permanente, St. Peters- bourg, 1902), nella sua analisi del sismogramma tracciato da un pendolo orizzontale Bosch a Strasburgo il 24 giugno 1901, si servì d'una macchina da dividere, apparecchio non certo destinato, pel suo costo, a diventare d'un uso alquanto generale. Dopo qualche tentativo, io mi sono arrestato alla disposizione seguente, la quale mi pare, almeno pei sismogrammi un poco sviluppati, assai adatta. Una piattaforma orizzontale è scorrevole lungo un breve binario formato da due regoli d'acciaio, e, al di sopra di essa e fisso in modo invariabile, si trova un microscopio a debole ingrandimento e fornito di reticolo. La piatttaforma è pure suscettibile di movimenti laterali e di rotazioni orizzontali, per mezzo di un congegno simile a quello che si trova impiegato nel così detto 1avolzzo dei microscopî. Per i movimenti lungo il binario, la piattaforma è comandata dalla vite micrometrica d'uno sferometro, sensibile al millesimo di millimetro e collocato orizzontalmente; tale vite è atta a spingere la piattaforma in un senso, mentre pel senso contrario, quando cioè la vite vien girata a ritroso, una molla anta- gonista provvede automaticamente al retrocedere della piattaforma e la man- tiene in contatto colla punta della vite. Presa poi una lastrina di vetro da specchi, vi s'incide col diamante una quadrigliatura, ogni elemento della quale abbia p. es. un millimetro o due di lato. Senza che questa quadrigliatura debba essere di grande esattezza, si — 219 — colloca la lastrina sulla piattaforma mobile e si misurano, con tutte le cau- tele che sono del caso e che non occorre ripetere qui, le lunghezze delle singole parti in cui ogni retta della quadrigliatura risulta divisa. Assunto poi come origine un vertice di uno degli elementi, si misurano anche le di- stanze di questo da tutti gli altri punti d'intersezione della quadrigliatura. Ciò fatto si sottopone alla lastrina il tratto di sismogramma da esami- narsi, per modo che il vertice origine si sovrapponga a quel punto della di- rettrice del sismogramma che sì assume come corrispondente all'origine dei tempi; si fa pure in modo che la direttrice stessa coincida con una delle rette della quadrigliatura, e, spostando secondo che occorre la piattaforma mobile, si cerca per mezzo del microscopio quali intersezioni della quadrigliatura cor- rispondono a panti del sismogramma. Le coordinate di tali punti possono allora ottenersi con calcoli semplicissimi di matematica elementare. Determinati così i valori numerici di £,, {3 63... e di /(4), /(4), f(6&3)... per un certo numero di punti abbastanza vicini tra loro, si può ottenere il valore /(4) corrispondente a un'epoca qualunque # compresa nell’ intervallo, ricorrendo p. es. alla formola d'interpolazione di Lagrange, e la stessa for- mola permette il calcolo delle derivate di /(). Chimica. — Sw prodotti di idrogenazione del pirrolo a mezzo del mickel ridotto. Nota di MauRIZIO Papo4A ('), presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In questi ultimi anni venne sperimentato con pieno successo da Saba- tier e Senderens (*) un elegante processo di riduzione basato sull'azione cata- litica esercitata da alcuni metalli finamente suddivisi, a specialmente fra questi in grado eminente dal nickel, in presenza dei vapori della sostanza da idrogenare mescolati ad idrogeno. Questo processo permette di operare riduzioni che con altri metodi pre- sentano grandi difficoltà o non riescono affatto, come la riduzione del benzolo a cicloesano, del fenolo a cicloesanolo e cicloesanone, dell’anilina a cicloesil- ammina e molte altre ancora. Gli autori citati nè altri non si sono occupati finora, per quanto mi consta, di tentare con questo metodo la riduzione di corpi eterociclici; e fra questi ve ne sono parecchi pei quali le difficoltà della idrogenazione sono assai grandi o addirittura ancora insuperate. Uno dei passaggi che ancora non si potè compiere e che pure sarebbe (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Generale della R. Università di Bologna. (*) Sabatier e Senderens, Nouvelles méthodes générales d’hidrogénation, ece. (1905). 09) — stato interessante poter effettuare è quello diretto dal pirrolo alla pirrolidina: e di questo appunto ho voluto in primo luogo occuparmi. Il pirrolo ridotto a mezzo dell'idrogeno nascente (zinco e acido acetico o cloridrico) conduce a un primo stadio della idrogenazione, cioè dà pirro- lina ('); ed è soltanto riducendo la pirrolina con acido iodidrico e fosforo che si può ottenere la pirrolidina (?). Molti sono i processi di formazione della pirrolidina; si può ottenerla, oltre che nel modo già detto, dalla succinimide e dal pirrolidone (*) dal cia- nuro di etilene (‘), dalla d-clorobutilammina (5), dall’ornitina (acido «-d-dia- minovalerianico) (5) e dalla y-aminobutiraldeide ("). Ma per quanto i metodi siano numerosi nessuno è agevole a seguirsi, talchè si può dire che la pirroli- dina è ancora una sostanza di difficile preparazione. Prima di sperimentare sul pirrolo il metodo di idrogenazione degli autori già citati, volli effettuare una riduzione su sostanza già da essi impiegata; e facendo agire nelle condizioni descritte da questi autori il nickel ridotto su una miscela di idrogeno e vapori di benzolo, ottenni con buon rendimento il cicloesano. Ciò posto, per sperimentare col pirrolo, preparai una certa quantità di questa sostanza allo stato puro partendo da un pirrolo comune di Kalle che bolliva da 125° a 135°, e preparandone il sale potassico ; ottenni così del pirrolo puro che distillava costantemente a 130°. Il nickel venne preparato per ridu- zione dal suo carbonato con idrogeno alla temperatura di 350°, indicata dagli autori citati per ottenere un nickel di cui l’attività sia notevole e in pari tempo di lunga durata; l'operazione venne compiuta nello stesso tubo che poi servì al passaggio dell'idrogeno e del pirrolo. Quest'ultimo veniva intro- dotto nella canna a mezzo di un tubo capillare comunicante con un piccolo serbatoio cilindrico munito di rubinetto (il tutto in vetro); in tal modo si poteva regolare perfettamente l’efflusso del liquido e questo man mano che giungeva a contatto delle pareti calde del tubo si volatizzava. La quantità di pirrolo che passava in un'ora era di circa 5 cem?. Impiegai l'idrogeno elettrolitico che prima di venire introdotto nel tubo passava attraverso amianto platinato rovente e gorgogliava per una Drechsel ad acido solforico. il tubo che conteneva il nickel veniva tenuto a una temperatura oscillante tra 180° e 190° tenendolo immerso in una gronda di ferro piena di sabbia, situata sopra un comune fornello per combustione; la temperatura veniva osservata (!) Ciamician e Dennstedt, Gazz. Chim. Ital. XIII, 395 (1883). (2) Ciamician e Magnaghi, Gazz. Chim. Ital. XV, 480 (1885). — Knorr und Rabe. Berichte XXXIV, 3491. (3) Ladenburg, Berichte, XX, 2215. — Gabriel, Berichte, XXII, 3335. (4) Ladenburg, Berichte, XIX, 782; XX, 442. — Petersen, Berichte, XXI, 290. () Gabriel, Berichte, XXIV, 3233. — Schlink, Berichte, XXXII, 947. (6) Schulze und Winterstein, Berichte, XXXII, 3191. (7) Wokl, Schàifer e Thiele, Berichte, XXXVIII, 4157. — 221 — con un termometro avente il bulbo immerso nella sabbia. I prodotti della reazione venivano condensati all'uscita in un palloncino raffreddato con acqua corrente. Operando in tal modo ottenni come prodotto un liquido limpido e inco- loro di forte odore ammoniacale; durante l'operazione si sviluppava anche am- moniaca. Il prodotto liquido trattato con acqua non si scioglieva che in parte; per separare i prodotti basici dal pirrolo rimasto inalterato, aggiunsi al liquido etere ed estrassi la miscela con acido cloridrico diluito. Dalla soluzione eterea rimasta, seccata con potassa, riottenni per distil- lazione il pirrolo puro che impiegai per una successiva riduzione; operando per due o tre volte allo stesso modo accumulai una certa quantità di clo- ridrati. La soluzione di questi, che ancora conteneva una certa quantità di pir- rolo, venne distillata in corrente di vapore; in tal modo una pazte del pir- rolo si resinifica ed il resto distilla. Successivamente distillando pure in cor- rente di vapore la soluzione dopo avervi aggiunto un eccesso di potassa, passò una notevole quantità di prodotti basici: una parte di essi, solubile in acqua; il resto si separò come olio incoloro. Per ottenere la completa separazione delle basi dall'acqua, saturai il liquido con potassa; le basi oleose così sepa- rate vennero fatte bollire a ricadere su potassa fusa per seccarle completa- meute e per eliminarne l’ammoniaca; poi le distillai frazionatamente sul- l’ossido di bario. La maggior parte del prodotto distillò al disotto di 110°; poi il termometro salì rapidamente e distillò un prodotto che passava inal- terato, ma di cui per l’esigua quantità non potei determinare il punto d'ebul- lizione esatto. Il prodotto distillato al disotto di 110° era completamente miscibile con l'acqua; quello che bolliva alto era un olio fortemente basico poco solubile in acqua. Del prodotto più volatile la maggior parte distillò fra 80° e 90°: temperature che potevano corrispondere ai punti d’ebullizione della pirro- lina (90°) o della pirrolidina (86°-88°); mi accinsi dunque ad identificare. il prodotto basico ottenuto. Il cloridrato della base diede con cloruro d'oro un abbondante precipitato giallo; ottenutane la cristallizzazione, il cloroaurato si presentò nella forma caratteristica di aghi raggruppati a spina di pesce, propria del cloroaurato di pirrolidina. Ciò venne poi confermato dal punto di fusione (206°) e dall'analisi di cui seguono i dati Calcolato Trovato Au 47,97 47,01 Cn 11,67 11,87 H » 2,45 2,59 Preparai poi della stessa base il clorop/alinato che si presenta in belli aghi gialli che anneriscono a 190° e fondono a 200° scomponendosi; ed .il RenpICcONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem.. 29 Seo09 — picrato che si separa dalla seluzione acquosa in cristalli giallo-chiari fon- denti a 112°. Questi dati corrispondono tutti a quelli riferiti dagli autori (1). La pirrolidina rimase così identificata; e questa trasformazione del pir- rolo in pirrolidina può essere considerata, meglio che gli altri procedimenti noti, un metodo di separazione di questa base; il rendimento ottenuto in queste prime esperienze non è molto elevato (non più del 25 °/,) e ciò è do- vuto, più che alla formazione di prodotti secondari, alla perdita di pirrolo nei successivi passaggi e ricuperi. Ma non è improbabile che studiando .meglio, come mi propongo di fare, le condizioni dell'esperienza (lunghezza del tubo, temperatura, ecc.), sì possa migliorare il rendimento. — Ed ora rimane a parlare del prodotto basico meno volatile; questo si sciogliera completamente in acido cloridrico; dal cloridrato con acido pi- crico acquoso si separò un picrato assai poco solubile in acqua a freddo. Lo cristallizzai dall'alcool: si presenta in bellissimi aghi gialli sericei, fondenti a 123°; dopo averlo cristallizzato più volte dal medesimo solvente procedetti all'analisi: Calcolato per CsH,;N.C5Hz(NOs)..0H Trovato O 47,42 47,07 H 9,12 0,99 N 15,81 15,93 Come si vede l'analisi conduce ad ammettere per questa base la formola CsH,;N. Di questa sostanza mi riserbo di studiare più a fondo la proprietà e la costituzione; tuttavia voglio dire fin d'ora che la formula trovata cor- risponde a quella di un indolo completamente idrogenato, che si potrebbe chiamare esazdroindolina e che non è improbabile che il pirrolo che ha spiccate tendenze alla condensazione dia luogo nelle condizioni descritte a una con- densazione e contemporanea riduzione di questo genere: 2C,H;N +4H,= G:H,;N+ NH.. È noto infatti che dal tripirrolo si ottiene indolo (2), e che dallo stesso pirrolo si può ottenere indolo (*); che dall'a-8-dimetilpirrolo si può passare al tetrametilindolo (‘). Altri notevoli esempi della tendenza dei pirroli alle (1) Vedi ad es. Wohl, Schàfer e Thiele, 1. c. (?) Dennstedt e Zimmermann, Berichte, XXI, 1478. — Dennstedt, ibidem, XXI, 3429. — Dennstedt e Voigtlinder, ibidem, XXVII, 476. (3) Dennstedt, Chem. Zeit. 1901, II, 1018. (4) Dennstedt, Berichte, XXI, 3429. — 228 — condensazioni sono dati da quelle ottenute da Plancher e Tornani ‘coi dime- tilpirroli (!). Per risolvere definitivamente la questione, è necessario sottoporre l’indolo e i suoi omologhi al medesimo processo di idrogenazione, ciò che mi propongo di fare; come pure mi propongo di tentare la riduzione di altri nuclei ete-. rociclici, come il tiofene, il furano e i composti ‘piridici e chinolinici. Fisiologia. — Sulla istologia della respirazione. I. Osser- vazioni su di un caso di fistola bronchiale nell’ uomo. Nota di V. DuccescHI, presentata dal Socio L. LUCIANI. Il soggetto delle osservazioni che mi accingo ad esporre fu uno studente di medicina, il sig. O. M., il quale presentava una fistola bronchiale po- steriormente sul torace e che si prestò di buon grado alle mie ricerche. Il sig. M. cadde malato di febbre tifoidea nel settembre del 1903 e fu ricoverato all'Ospedale di S. Spirito in Roma; estintasi l’infezione intestinale comparvero i sintomi evidenti di un ascesso polmonare a sinistra del torace ed il paziente fu trasportato nel dicembre all'Ospedale della Consolazione, dove il 20 febbraio del 1904 fu sottoposto ad.un atto operativo (prof. R. Bastianelli) per-un ascesso situato nella parte superiore del lobo inferiore del polmone sininistro. Il polmone aderiva alla pleura parietale e l'operazione consistè nello svuotamento dell’ascesso previa resezione di 8 cm. della quinta costa tra la linea paravertebrale e la scapolare. Ne residuò un seno in corrispondenza della ferita, lungo circa 7 cm., che non immetteva in alcuna cavità ma comunicava con un grosso bronco. Questo seno persistè vari mesi dopo che il paziente fu dimesso dall’Ospedale in discrete condizioni. di salute ed in stato di attendere a gran parte delle sue ‘solite occu- pazioni. 24 Verso la fine del 1904il seno si chiuse e la guarigione fu completa; l’anno seguente il soggetto godè ottima salute e fu in grado di laurearsi nella sessione autunnale del 1905. : A i ; To ebbi il sig. M. in osservazione per alcuni giorni del. mese di ottobre del 1904. Si trattava di un individuo di media taglia, normalmente costituito ed in uno stato di- screto di nutrizione. Sulla metà sinistra del.torace, posteriormente, all’altezza della quinta costa, sì scorgeva la cicatrice guarita della ferita operatoria; verso il terzo più interno della cicatrice, 9 cm. all’esterno della linea mediana della colonna vertebrale, ed in un punto cor- rispondente al quinto spazio intercostale, si notava un piccolo orificio rotondeggiante, dai bordi cicatrizzati, avente un lume di quattro mm. all'incirca; l’aria ne fuorusciva e vi penetrava in rapporto rispettivamente con la espirazione e la inspirazione, producendo un leggiero rumore di soffio che diveniva più intenso quando il soggetto parlava o faceva uno sforzo espiratorio. Il soggetto non risentiva alcuna sofferenza sulla parte; egli usava tener chiusa la fistola con an tamponcino di garza fissatovi con una fascia. Dalla fistola gemevano nella giornata poche gocce di un liquido sieroso che non ‘aveva alcun odore. Se se ne eccettui la preoccupazione sull’esito della fistola, il soggetto si sentiva bene. Il (1) Gazz. Chim. Italiana 1905, I, 461. — 224 — respiro era normale; le escursioni delle due metà del torace si compievano contempora nea- mente ma apparivano un poco disuguali in ampiezza, con scapito della metà sinistra. La percussione mostrava una breve zona di ottusità attorno alla fistola e lungo la cicatrice; sulla stessa estensione il respiro era soffiante. Nel resto del torace i reperti della percus- sione e dell’ascoltazione erano normali. Il soggetto aveva solo raramente qualche colpo di tosse. La posizione della fistola e le notizie riguardanti l’atto operativo ed i dati della specillazione facevano ritenere che. il seno fistoloso comunicasse direttamente, e con mag- gior probabilità per mezzo di una o più diramazioni principali, col bronco che si ramifica al lobo inferiore del polmone sinistro. Che non si trattasse di una piccola comunicazione, si poteva dedurre dall’ampiezza della colonna d’aria che usciva dalla fistola nella espira- zione. Il seno fistoloso comunicava certamente con l’albero bronchiale perchè se si appli- cava all’apertura esterna una sostanza non molto odorosa contenuta in un piccolo batuf- folo di cotone ricoperto con un imbuto, il soggetto ne avvertiva subito l’odore, in modo assai intenso, mentre lo stesso odore non era avvertito dagli astanti. Il reperto della specillazione faceva escludere inoltre che il seno fistoloso comunicasse con una cavità modificante il suo volume con i moti del respiro e che determinasse così il getto d’aria attraverso la fistola. 1. Rapporti fra i movimenti respiratori del torace e del diaframma. — Le prime richerche furono dirette a vedere quale fosse il decorso della pressione bronchiale in rapporto con iì movimenti respiratorî del torace e dell'addome. Mi servii del metodo spirografico; per compiere questa spiro- grafia bronchiale io introduceva nell'apertura esterna della fistola, che appa- riva un poco più ristretta del condotto che gli succedeva, una cannula di vetro del diametro interno di 6 mm. e provvista, in vicinanza della estremità che si introduceva nella fistola, di una leggiera strozzatura la quale corrispon- deva appunto all’orificio della fistola stessa. Il tubo di vetro era lungo 35 mm. e sporgeva al di fuori del seno fistoloso per circa 15 mm.; esso aveva lo scopo di mantenere sempre uniforme il diametro dell'apertura della fistola durante la serie delle ricerche. Al disopra del tubo si applicava col mastice un imbutino di vetro che si fissava al torace mediante una leggiera fascia elastica; l'imbuto era in comunicazione per mezzo di un tubo di gomma con un tamburo del Marey. A questo modo le modificazioni di pressione dell'interno della fistola si trasmettevano alla cavità chiusa dell'imbuto, e da questa al tamburo registratore. I movimenti del torace si scrivevano ser- vendosi di un doppio tamburo ricevitore del Marey (il comune cardiografo a tamburo del Verdin) fissato con dei nastri al torace. Per l'addome si usò un tamburo provvisto di bottone che appoggiava sulla cute della fossa epi- gastrica; il tamburo era tenuto in posto da un apposito sostegno. Tanto per il torace quanto per l'addome, la curva dell’inspirazione era segnata da una linea ascendente. In alcune ricerche il soggetto era seduto, in altre era di- steso orizzontalmente. Ciò che colpì l'attenzione fin dai primi esperimenti, fu che nella respi- razione tranquilla il decorso della curva dei movimenti toracici non corri- — 225 — spondeva a quello della curva spirografica bronchiale, in rapporto con le fasi della respirazione; le oscillazioni inspiratorie ed espiratorie della pressione bronchiale sembravano precedere le curve rispettive dovute ai movimenti del torace. Dirò ora con maggior precisione e sulla guida di una figura come stassero le cose. Nella fig. 1 la linea superiore (T) è la curva ottenuta dal pneumografo applicato al torace, la linea inferiore (B) è la curva delle modificazioni della pressione nell'albero bronchiale. L'’inspirazione è indicata nel tracciato pneu- mografico da una linea ascendente, nel tracciato spirogratico da una linea discendente che segna il divenir negativa della pressione intrabronchiale nella fase inspiratoria. L'esame del tracciato mostra che la pressione nell'interno dei bronchi si abbassa prima che cominci l'espansione del torace e sì inalza prima che l’inspirazione toracica cessi, per tornare ad abbassarsi prima che sia terminata l'espirazione toracica. Il fenomeno risulta chiaramente se sì comincia l'esame delle curve dopo di aver fatto eseguire al soggetto un bre- vissimo arresto espiratorio o se si fa rallentare il ritmo nel respiro, come nella fig. 1; si rilevano così assai meglio i rapporti tra le fasi della respi- razione; ma tali rapporti non si modificano, se si eccettua la assenza della pausa, nel ritmo ordinario del respiro. L'interferenza tra le due curve sì pro- duce costantemente in tutta la serie delle respirazioni, per quanto la registra- zione sia prolungata anche per varî minuti e ripetuta a lunghi intervalli. Per riguardo ai rapporti di tempo del fenomeno dirò che il ritardo fra l'abhassa- mento della pressione bronchiale ed il movimento inspiratorio del torace era di 1/5 ad !/, dell'intero atto respiratorio toracico, che durava circa due mi- nuti secondi. Il ritardo fra il rialzarsi della pressione intrabronchiale e l’espi- razione toracica era alquanto maggiore, potendo giungere a quasi un terzo dell'intera respirazione. Se le oscillazioni della pressione bronchiale relative alie singole fasi del respiro fossero avvenute in ritardo sui movimenti del torace, si sarebbe potuto pensare che vi fosse una stenosi nel seno fistoloso per cui la trasmissione delle variazioni della pressione intrabronchiale all’apparecchio registratore fosse ostacolata. Ma poichè invece l'abbassamento inspiratorio e l'innalzamento espiratorio della pressione intrabronchiale precedevano i movimenti inspira- torio ed espiratorio del torace, bisognava ammettere che la curva spirome- trica fosse infiuenzata da un fattore diverso dalla contrazione dei muscoli intercostali e cioè dal diaframma. La registrazione dei movimenti respiratorî dell'addome e delle oscillazioni della pressione bronchiale confermò questa supposizione, come apparisce dalla fig. 2, nella quale la dissociazione delle due curve quale si osserva nella fig. 1 è quasi del tutto scomparsa. Vi è ancora una piccola differenza, ma questa volta è a vantaggio del movimento dell'addome, ed è forse dovuta a che quando comincia l’inspirazione diafram- matica perdura ancora l’espirazione toracica; ora la pressione bronchiale non ‘] ‘54 ©[[oUu 9109 ICIIINIO 9I1)[e og (QWOppe,[[?p quewurAoUI 19p BAIMO SA i IT ‘eIjsap ? BAISIUIS Cp 9889] 18 ‘MuanSas 1 sind 1809 a ‘0zeI9otI) 035000) *,,I pe ouosgeAmbo oduo) [ep IUoISIAIP 9g *euvIZ -vardsa è][op ‘a ‘ouoIzeItdsuUI E[[op oIzIuL ‘2 fo[erouoIquIgui euorssoId tI]ap oqeIoorI) “Y :09V10} Tp IQuowTaduI TOp gAImmO “] — I ‘PI d SSTDO — è che la risultante di queste due influenze. Dunque l'interferenza delle oscil- lazioni della pressione bronchiale con i movimenti del torace si deve a che il movimento dell'aria nei bronchi ubbidisce principalmente ai moti del diaframma, sebbene nei suoi particolari rappresenti la risultante delle due azioni combinate della contrazione dei muscoli intercostali e del diaframma. Osservando attentamente il succedersi dei movimenti respiratorî del to- race e dell'addome, non era difficile l'accorgersi che l'atto inspiratorio si ini- ziava col sollevamento delle pareti addominali e che l'abbassamento espira- torio di queste ultime precedeva la espirazione toracica. La fig. 3 ottenuta Fre. 3. — 7’, curva dei movimenti del torace; A, curva dei movimenti dell’addome; 4, termine della inspirazione; e, termine della espirazione. applicando il pneumografo al torace ed il tamburo semplice sulla fossa epi- gastrica serviranno a dare una immagine obiettiva del fenomeno. Nel soggetto in esame esisteva dunque una dissociazione dei movimenti dei muscoli intercostali e del diaframma, costituita più specialmente dall’en- trare essi in azione in tempi diversi durante l'atto respiratorio. L'interesse. del fenomeno sta in ciò che esso fu notato costantemente, salvo alcune mo- dificazioni nella intensità e nella forma, per tutta la durata delle mie ri- cerche che si estesero, con alcune interruzioni, dal giorno 11 al giorno 30 dell'ottobre 1904. Non si trattava quindi di un episodio passeggiero ma di un vero e proprio tipo di respirazione. Le differenze che si notavano da un giorno all'altro consistevano più specialmente nella. diversa durata dell’ in- tervallo che separava l'inizio delle due fasi dell’atto respiratorio nel torace e nel diaframma. Uno dei tipi più notevoli di tali modificazioni è dato dal tracciato della fig. 4, in cui la dissociazione interessa solo l'atto inspiratorio; in questo tracciato è rimarchevole anche la diversa durata che hanno la fase inspiratoria ed espiratoria nel torace e nel diaframma. Raccogliendo la curva spirografica buccale per mezzo di un ampio tubo di vetro comunicante con una bottiglia della capacità di due litri in rapporto con un tamburo del Marey e tenendo chiuse le narici, se nello stesso tempo — e sì raccoglieva il tracciato dei moti del torace si poteva convincersi che la curva spirografica orale presentava le stesse caratteristiche della curva spi- rografica bronchiale, le stesse interferenze con i movimenti toracici. Ciò faceva escludere che il tracciato raccolto attraverso alla fistola bronchiale dovesse le particolarità che ho descritte a condizioni di stenosi o ad altro che deformasse la vera curva della pressione bronchiale. La posizione seduta o la giacitura distesa, supina, del soggetto non mo- dificarono sensibilmente i fenomeni osservati. Fig. 4. — 7, B, è, e, come nella fis. 1. 5 Era mia intenzione di compiere sullo stesso individuo altre ricerche oltre quelle descritte ed oltre alle osservazioni sulle modificazioni della pres- sione bronchiale nella fonazione, delle quali mi occuperò fra breve; ma il sig. M. fu costretto ad allontanarsi improvvisamente da Roma restando as- sente oltre un mese, e quando ritornò, nel dicembre 1904, la fistola era quasi totalmente richiusa. Il fatto più importante che nella serie di ricerche compiuta mi fu dato di osservare ripetutamente e di controllare in più modi, è la dissociazione già descritta dei movimenti del diaframma e dei muscoli intercostali, che nel soggetto in esame era divenuta il tipo ordinario del respiro. Le nostre conoscenze sulle varie forme di dissociazione nell'attività dei muscoli respiratorî si devono quasi esclusivamente al Mosso; nelle sue Me- morie sulla respirazione (!) quei fenomeni hanno trovata un'ampia e rigo- rosa illustrazione. (*) Mosso A., Sui rapporti della respirazione addominale e toracica nell'uomo, Arch. per le scienze mediche, 1878, pag. 433; Za respirazione periodica e la respira- — 229 — Le « interferenze nei movimenti addominali e toracici » descritte dal Mosso sono rappresentate o dalla diversa intensità con cui si compiono in un dato istante le contrazioni dei muscoli intercostali — o dal diverso stato di tonicità di quei muscoli — o dai differenti rapporti di tempo con cui si iniziano e decorrono in essi le fasi inspiratoria ed espiratoria. Nei rapporti cronologici tali interferenze derivano o da che quelle fasi iniziano in tempi diversi nel torace e nel diaframma, oppure dalla differente durata delia in- spirazione e della espirazione in quei due ordini di muscoli. Questi fenomeni possono presentarsi isolati o formare una serie di combinazioni che troppo lungo sarebbe il descrivere partitamente e le quali trovano nelle pubblica- zioni del Mosso una estesa documentazione grafica; la loro importanza sta nel dimostrarci essi la relativa indipendenza funzionale dei centri nervosi dei singoli gruppi di muscoli respiratorî. Le dissociazioni e gli antagonismi nell'attività del diaframma e dei muscoli intercostali che qui ho ricordate, vennero osservate per la maggior parte nell'uomo in circostanze del tutto fisiologiche; ma sì tratta sempre di fenomeni transitorî legati a determinate condizioni funzionali. Il primo cenno di questa dissociazione nei movimenti del diaframma e dei muscoli intercostali, in condizioni normali e nell'uomo, spetta per quanto io mi sappia all'Hutchinson ('), il quale facendo la ben nota distinzione dei due tipi respiratorî, il costale ed il diaframmatico, notava che nel primo il movimento respiratorio si osserva sempre in antecedenza nelle coste superiori e poi nell’addome, mentre nel secondo tipo di respirazione l’atto respiratorio comincia sempre dall’addome. Nel 1890 H. Sewall ed E. Pollard (?) con- statarono graficamente in una serie di individui normali che nella posizione eretta i moti del respiro si iniziano il più spesso nel torace, ma che l’espan- sione estrema ed il rilasciamento espiratorio del torace e dell'addome sono simultanei. Il ritardo del movimento inspiratorio nell’addome era maggiore quando gli individui stavano distesi sul dorso. Quegli autori videro anche che nel canto la partecipazione del torace e del diaframma con i muscoli addominali è assai diversa a seconda delle variazioni del tono e della voce emessa; ci occuperemo fra breve delle osservazioni da essi fatte riguardanti la fonazione semplice. Il risultato di tutte queste ricerche si è che le varie forme di disso- ciazione nei movimenti respiratorî del diaframma e del torace possono rap- zione superflua 0 di lusso, Mem. della R. Accad. dei Lincei, 1885, pag. 457; / movimenti respiratori del torace e del diaframma, Mem. della R. Accad. delle Scienze di Torino, 1903, pag. 307. (1) Hutchinson Art. Thkorax nella Todd and Bowmann's Cyclopedia of Anat. and Physiol. citato da Sewall e Pollard. (2) H. Sewall and M. E. Pollard, On the relation of diaphragmatie and costal respiration, etc., Journal of Physiol. vol. II, 1890, pag. 159. RenpIcoNTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 30 00 presentare, almeno fino ad un certo limite ed in determinate circostanze, dei fenomeni del tutto normali. Che in altro grado ed in altre condizioni del- l'organismo essi assumano un significato patologico si può argomentare da una recente pubblicazione del Grocco ('), che ha osservato tali dissociazioni nel- l'attività dei muscoli respiratorî più specialmente in forme morbose in cui era interessato il midollo allungato. Ma quali caratteri facciano distinguere queste dissociazioni respiratorie patologiche da quelle fisiologiche e conferi- scano alle prime il carattere prognostico sinistro che gli attribuisce il Clinico di Firenze, non apparisce dalla pubblicazione ora citata. Fia. 5. — 7, B, come nella fis. 1. In P, il soggetto pronunzia la parola duor giorno. Nel nostro soggetto è ammissibile che la prevalenza della respirazione diaframmatica effettuatasi durante il periodo acuto della malattia polmonare, e più tardi i postumi di essa, abbiano resa stabile la forma della respira- zione dissociata che si osservava nel sig. M. anche quando ogni traccia del processo acuto polmonare si era dileguata. La curva della pressione intra- bronchiale ci dette una immagine fedele della precedenza nel ritmo e della prevalenza funzionale nella contrazione del diaframma sulla contrazione dei muscoli intercostali. Il grado notevole e la fissità del fenomeno osservato mi parvero meri- tevoli di illustrazione e di breve commento, costituendo essi un documento assai valido a favore della dottrina della relativa indipendenza funzionale dei vari centri nervosi dei muscoli respiratori. 2. Modificazioni della pressione bronchiale nella fonazione. — Il caso di fistola bronchiale che ebbbi in osservazione mi fornì l'opportunità di compiere qualche ricerca sulle modificazioni della pressione intrabronchiale (1) P. Grocco, Respirazione dissdeiata, ossia di una speciale alterazione dei mo- vimenti respiratori. Rivista crit. di Clinica med., vol. V, pag. 833. K — 231 — durante la fonazione. Sewal e Pollard che studiarono i movimenti del to- race e dell'addome mentre i soggetti in esame pronunziavano qualche parola, videro che nella fonazione entravano in attività specialmente i muscoli ad- dominali ed il diaframma. Le ricerche che io feci scrivendo le oscillazioni della pressione intrabronchiale ed i movimenti del torace mì fecero consta- Fic. 6. — 7, B, come nella fis. 1. In P il soggetto dice wo. tare che anche il mio soggetto di studio si serviva di preferenza del dia- framma per espirare nella fonazione. La fig. 5 corrisponde al momento in Fic. 7. — 7, B, come nella fig. 1. In 5, il soggetto dice si, in 6 dice ro. cui il soggetto pronunzia la parola duo 9g/0r20; anche il torace si trova in attitudine espiratoria, ma è facile accorgersi che i notevoli aumenti della pressione bronchiale non possono essere dovuti ai muscoli intercostali; d'altra parte era facile constatare con l'ispezione l'energico abbassarsi della regione epigastrica che coincideva con la fonazione. Lo stesso valga per la fig. 6, che — 232 — rappresenta il movimento del torace e le oscillazioni della pressione bronchiale nel momento in cui il soggetto pronunzia il monosillabo 70; in questo caso l'espirazione toracica è minore che nelle ordinarie respirazioni, mentre l’ele- vazione della pressione è assai ampia. Nella fig. 7 è rappresentato un feno- meno che io ho osservato più volte durante la fonazione energica ed in special modo nell'emissione di monosillabi staccati; in questo caso non solo il torace non partecipa all’espirazione fonetica, ma sotto l'impulso del ra- pido ed energico movimento del diaframma, esso si dilata passivamente. Questa dilatazione della cassa toracica quando si compiono rapidi ed in- tensi moti del diaframma può constatarsi anche poggiando la mano sul to- race stesso. Naturalmente anche i muscoli dell'addome partecipano alle brusche scosse espiratorie che avvengono durante la fonazione; si può infatti constatare che durante la fonazione a voce alta, le pareti addominali sì ten- dono contraendosi vivacemente. Ma quale parte spetti alle pareti addominali e quale al diaframma nel processo della fonazione non è agevole il deter- minarlo con precisione. x Patologia vegetale. — Ricerche intorno al modo di caratte- rizzare le alterazioni prodotie alle piante coltivate, dalle emana- zioni gassose degli stabilimenti industriali (!). Nota del dott. Uso BRIZI, presentata dal Socio G. CUBONI. Nelle vicinanze di stabilimenti industriali le emanazioni gasose che fuoriescono, producono, come è noto, assai di frequente, lesioni o disturbi fun- zionali nelle piante coltivate, a distanza alcune volte assai grande dal luogo di produzione di esse. Ciò è causa di quotidiane controversie fra industriali ed agricoltori, che danno luogo sovente a perizie legali per accertare le cause di danno. Di questo argomento moltissimi autori si sono occupati, ed abbiamo già, sia nell’analisi chimica, sia nella ricerca microscopica, dei mezzi sufficienti per potere nella maggior parte dei casi fare, abbastanza sicuramente, diagnosi generica di danni prodotti da vapori acidi. Come è noto i gas che più frequentemente sono causa di danni, sono in primo luogo i vapori solforosi, anidride solforosa od acido solforoso o sol- forico, meno frequenti i vapori fluoridrici ed idroclorici. Nella pratica non è sempre possibile fare una più precisa diagnosi, ed attribuire le lesioni che si trovano sulle piante all'uno piuttosto che all’altro gas, per cui nelle località dove diverse fabbriche o stabilimenti funzionano (!) Laboratorio di Patologia vegetale della R. Scuola Superiore di Agricoltura di Milano, febbraio 1906. — 233. — contemporaneamente, producendo gas diversi, non sì sa spesso a chi attri- buire la responsabilità dei danni. L'analisi chimica non ci dà però sempre un grande aiuto in tale questione, perchè molti dei composti che l'analisi rivela, entrano come costituenti normali e in quantità assai variabili, delle ceneri delle piante. La stessa ricerca chi- mica non potrebbe dar risultati sicuri se non con analisi comparative e mi- nute non sempre facili o possibili, giacchè l’esperienza dimostra che alcuni gas, come l'acido fluoridrico, possono danneggiare gravemente le foglie verdi, pur essendo in quantità estremamente piccola, e tale da non lasciar spesso neppure traccia all'analisi chimica. Di più l’analisi chimica comparativa fra piante sane e supposte dan- neggiate da vapori acidi, ha il grave inconveniente che spesso le piante che sì suppongono alterate da fumi, sono invece danneggiate da altre cause so- pratutto parassitarie, e in tal caso presentano ugualmente una differenza, alcune volte assai grande, di dati analitici, differenza che potrebbe venir attribuita all’azione dei fumi. L'esame microscopico è di un prezioso aiuto, in primo luogo perchè ci permette di determinare subito se trattasi invece di malattia parassitaria, ed anche perchè ci permette di avere dei caratteri, come lo scrivente dimostrò ampiamente in altra pubblicazione, per determinare quando le lesioni sulle foglie siano prodotte da acido solforoso, da acido cloridrico, o da disturbi fisiologici, come scottatura per colpo di sole o per freddo intenso. Finora però non furono mai descritti o indicati caratteri netti e precisi per poter distinguere, colla ricerca microscopica minuta, le lesioni prodotte esclusivamente da vapori idrofluorici. La questione è di grande importanza pel fatto che vapori idrofluorici si producono e sfuggono, più o meno, salvo dove-gli apparecchi di conden- sazione sono perfetti, funzionano bene e costantemente, dalle oramai nume- rose fabbriche di concimi chimici che producono perfosfati, partendo dalle fosforiti, le quali contengono sempre una certa quantità di fluoruri, special- mente di calcio. All’intento di contribuire a risolvere questo interessante problema per la pratica, ho eseguite nello scorso anno numerose esperienze, studiando i ca- ratteri delle lesioni sperimentali prodotte dall'azione di vapori idrofluorici, e confrontandole con quelle che ho di fatto riscontrate in vicinanza di fabbriche di perfosfati minerali. Riservandomi di pubblicare, col sussidio di figure, l’intero lavoro, descri- vendo anche in modo particolareggiato le modalità delle esperienze, riassumo le conclusioni alle quali sono giunto, che dimostrano come sia possibile, in certe condizioni, affermare con certezza se, certe lesioni che si manifestano sulle foglie di alcune piante coltivate, sopratutto dei gelsi, siano dovute o meno all’azione nociva di vapori idrofluorici. o Le esperienze furono eseguite sottoponendo rami di gelso, in atmosfera confinata, all’azione di quantità variabili di vapori di acido fluoridrico puro, e, per avere condizioni simili a quanto può avvenire in natura, anche a vapori di fluoruro di silicio i quali ultimi appunto si svolgono nelle fabbriche. di perfosfati, in seguito al trattamento delle fosforiti con acido solforico. | In tutti i casi, il modo di comportarsi e i caratteri delle lesioni spe- rimentali furono, nelle foglie di gelso, che sole vennero per ora studiate, quasi identici. ll metodo usato fu lo stesso già adoperato da Ost e da Schmitz-Dumont, soltanto che le campane di vetro di determinata capacità, e tutte le parti in vetro dell'apparecchio vennero spalmati di paraffina per evitare l'azione corrosiva dei vapori idrofluorici. In una prima serie di esperienze, alcuni rami giovani di gelso furono sottoposti per circa tre ore all'azione di una piccola quantità di vapori di acido fluoridrico puro fumante, circa 1/.000 in volume. Mantenendo l’aria nell'interno dell’apparecchio perfettamente secca, ed evitando con particolari disposizioni l'entrata di vapore d'acqua nell'interno dell'apparecchio, dopo un'ora circa si notava che le foglie giovanissime co- minciavano ad imbrunire leggermente all'apice, imbrunimento che in seguito rapidamente si estendeva a tutto il margine della foglia, la quale già dopo due ore cominciava ad accartocciarsi leggermente. Le foglie così colpite venivano tolte successivamente e sottoposte alla indagine microscopica, in modo da avere la opportunità di osservare il pro- gressivo sviluppo delle alterazioni. Ulteriori esperienze furono fatte facendo agire i vapori di acido idro- fluorico in presenza di acqua allo stato di vapore, iniziando cioè l’esperienza quando le foglie dei rami di gelso avevano quasi saturata l'aria contenuta nell'apparecchio con vapor d’acqua di traspirazione. Prove analoghe furono poi istituite con rami di gelso adulti, adoperando, con aria mantenuta perfettamente secca, vapori di fluoruro di silicio. In tutti i casi, le porzioni della lamina foliare del gelso imbrunite per opera dei gas, perdono immediatamente la facoltà di traspirare. La sottrazione di acqua d'imbibizione delle pareti delle cellule epidermiche è tanto violenta che, quando peraltro la foglia non è ancora appassita e quando le parti im- brunite si conservano ancora turgide, la porzione imbrunita è resa imper- meabile, verosimilmente perchè riesce profondamente alterata la sua struttura molecolare. Infatti tutte le prove eseguite, senza eccezione, quando l'azione dei vapori acidi era recente, sulle foglie di gelso, hanno dimostrato che, in corrispondenza della porzione di lamina imbrunita, non vi era più elimina- zione d'acqua nè per traspirazione cuticolare, nè stomatica, il che era assai fa- cile provare col metodo solito della carta al cobalto o alla pellicola di col- lodion. — 239 — Tale sottrazione d'acqua è meno rapida e meno violenta, quanto più è spessa la cuticola, la quale oppone una valida resistenza. È questa Ja ragione per la quale le foglie già adulte risentono danni molto minori e occorre per queste, a tutte le altre circostanze pari, una quantità di vapori di HF, e una durata d'azione assai più lunga per determinare le caratteristiche lesioni sulla lamina. Nelle foglie giovani nelle quali la cuticola è in formazione ed è assai sottile, la disidratazione della membrana delle cellule epidermiche è invece rapidissima, e si inizia precisamente ai margini e all'apice di accrescimento della foglia, dove la cuticola è anche meno spessa, come l'esame istologico di- mostra. Che a ciò sia dovuta questa maggior facilità di disidratarsi della epi- dermide delle foglie giovani, ho potuto dimostrare ripetendo le esperienze con foglie di gelso ugualmente giovani, preventivamente spalmate di un sottile strato di vaselina pura. In tal modo le foglie, a tutte altre circostanze uguali, resistettero fin a quattro ore di più, prima di presentare traccie di imbruni- mento all'apice; si dimostrarono in qualche caso molto più resistenti delle foglie adulte Non è perciò affatto esatto quanto alcuni affermano, e come general- mente sì ritiene, che cioè simili lesioni che si formano sulle foglie di gelso, siano dovute alla causticità della soluzione acida che si forma in presenza di acqua liquida, la quale scorrendo o localizzandosi ai margini e all'apice vi determina dalle bruciature. Il fenomeno avviene, è vero, con intensità alquanto maggiore, nell'aria umida, probabilmente perchè il fluoruro di silicio, quando l'aria è umida si trasforma, come è noto, dando silice gelatinosa ed acido idrofluosilicico, il quale è assai dannoso e di azione più pronta, ma si produce perfettamente anche quando la superficie delle foglie sia completamente asciutta. Spruzzando leggermente le foglie di un ramo di gelso con una soluzione acquosa di acido fluoridrico al 0,5°/, ed esponendo le foglie in esperimento ai sole o all'aria in modo da provocare una rapida evaporazione, si formano solo allora delle vere bruciature dovute all'azione caustica della soluzione acida, la quale nelle singole goccioline, aumentando man mano il titolo di con- centrazione colla evaporazione, finisce col bruciare l'epidermide della foglia. Ma in tal caso le bruciature sono circoscritte all'area bagnata, sono almeno in principio di un colore rossastro o rosso vivo, analoghe a quelle già de- scritte altrove e cagionate dalla azione caustica dell’acido solforoso, e ben diverse anche nei caratteri anatomici ed istologici da quelle prodotte invece dalla sottrazione d'acqua di imbibizione. Infatti, nelle prime la porzione ustionata diventa fragilissima e ma- nifesta una vera e propria distruzione di tessuti, che non si ha invece quando i vapori agiscono allo stato gasoso, come nelle esperienze accennate. =296, — L'esame microscopico delle lesioni sperimentali ottenute nel modo suin- dicato ha dimostrato che esse sono ben diverse da quelle prodotte sia natu- ralmente, sia artificialmente, da vapori solforosi, e sopratutto da SO.. Infatti in queste ultime si nota, quando l'alterazione è recente, una contrazione e depressione di tessuti che denota la scomparsa del turgore in tutto il mesofillo, il che non avviene nel caso delle lesioni sperimentali da HF. In esse è solo la parete esterna delle cellule della epidermide che, privata con violenza dell'acqua di imbibizione, perde la permeabilità, ma il tessuto a palizzata resta turgido per molto tempo, Infatti nessun fenomeno plasmolisico si nota negli elementi del palizzata in corrispondenza delle le- sioni recenti, il che avverrebbe senza fallo se la sottrazione d’acqua si esten- desse e propagasse al mesofillo, come avviene invece nelle lesioni da SO,, nelle quali il carattere più saliente delle ustioni fresche, osservate e preparate colla nota tecnica, è appunto quello di presentare nelle cellule del mesofillo il progressivo distacco dell'ectoplasma, e la conseguente rapida perdita delle proprietà vitali di tutto il protoplasto. Non ho osservata mai vera plasmolisi in nessuna delle iesioni speri- mentali ottenute con HF, non solo quando esse sono appena iniziali, ma anche se spinte fino al punto in cui l'intera foglia di gelso era circondata da un largo bordo marginale di color bruno nerastro, che si spingeva attra- verso gli spazi interneurali. Questo carattere basta a far distinguere subito le lesioni da SO» da quelle prodotte invece da HF, come ho potuto convin- cermi anche con prove sperimentali comparative, trattando contemporaneamente foglie di gelso giovani con SO, col metodo già altrove descritto. Le lesioni da HF, come risulta da quanto ho accennato, non meritano perciò il nome di ustioni o corrosioni come alcuni autori, quali Ost, Schmitz- Dumont, Haselhoff le chiamano, giacchè non vi è affatto corrosione di tessuti. Altri caratteri differenziali presenta l'esame istologico del mesofillo. La membrana delle cellule del palizzata imbrunisce leggermente pur rimanendo le cellule turgide, turgore che si può mantenere artificialmente a lungo su grossi frammenti di foglia di gelso, e che dimostra come l’ectoplasma non abbia perduta la sua vitalità. Ciò è anche provato dal fatto facile a consta- tare, che quest'ultimo per lungo tempo non assorbe e non lascia passare una soluzione acquosa di eosina; quando in seguito il protoplasto ha perduto le proprietà vitali, e che lascia passare la sostanza colorante, esso non presenta un apprezzabile distacco dalla membrana. In seguito i cloroplastidi si scolorano ingiallendo e facendosi poi di una tinta dorata, ma non presentano mai il fenomeno del rapido gonfiamento se- guito dalla dissoluzione completa, come nel caso dell’ SO... Questo carattere, facile ad osservarsi ed assai evidente, ci permette, oltre che di distinguere le lesioni dovute ad HF da quelle dovute a SO., anche quelle prodotte da HCI. Infatti in quest'ultimo caso, almeno nelle lesioni — 237 — iniziali, 1 cloroplastidi si scolorano interamente, disorganizzandosi anch'essi in seguito, sebbene lentamente. Inoltre i cloroplastidi del palizzata, in corrispondenza delle lesioni ar- tificiali da HF, anche dodici ore dopo cessata l’esperienza, in preparati a fresco, si colorano subito e facilmente in rosso intenso col reattivo di Millon, colorazione, che come è noto, e come è facile constatare operando su prepa- rati a fresco di foglie sane, non si ottiene, nel caso normale, che difficilmente, questa colorazione invece non assumono affatto i cloroplastidi nel caso delle lesioni da SO, e da HCI. Di più, i granuli d’amido fuorusciti dai cloroplastidi, ed abbondanti nelle cellule del palizzata delle giovani foglie del gelso, non subiscono no- tevoli alterazioni nè si rigonfiano affatto, mentre nel caso di lesioni da SO, sì rigonfiano grandemente, fino a scomparire. Questi caratteri ed altre particolarità che accennerò nel lavoro completo, sono, a mio giudizio, bastevoli quando la lesione sia recente, a distinguere sufficientemente se le foglie di gelso (giacchè le esperienze per ora sono li- mitate a questa pianta) siano alterate per causa di gas nocivi. Fra i tre nocivi più frequenti, cioè vapori di HF, di SO. o di HC1, credo, collegando le presenti ricerche con quelle altrove (!) pubblicate, di poter affermare la possibilità di riuscire a distinguere qualle prodotte da ciascuno di essi. Le esperienze accennate nella presente Nota, ebbero poi la conferma nello studio di lesioni recenti, non sperimentali ma prodottesi su gelsi in vicinanza di fabbriche di perfosfati in varie località dell’ Italia setten- trionale. Ho detto che, naturalmente, è indispensabile che le lesioni siano molto recenti perchè siano visibili e controllabili, i caratteri microscopici suesposti. Infatti nelle foglie del gelso, sopratutto in quelle giovanissime, le porzioni imbrunite e lesionate, subito muoiono, presto si alterano e facilmente ven- gono assalite con rapidità da muffe ubiquitarie se l'ambiente è umido, fini- scono col disseccarsi, diventando fragilissime, se è invece asciutto. (1) Staz. Sperim. Agrar. ital., XXXVI, pagg. 279-384. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 31 — 238 — Patologia vegetale. — Nuove ricerche sopra i batteri della Mosca olearia. Nota di L. PeTRI, presentata dal Corrispondente G. CUBONI. Ho già fatto conoscere in altre due Note preliminari (') come l’' intero periodo larvale della mosca olearia si svolga con la coesistenza, nei ciechi cardiaci, di un batterio riferibile (*) all’ Ascobacterium luteum Babes. Questo microorganismo nei suoi rapporti con la vita della larva non presenta i ca- ratteri di una specie banale, non si trova infatti mai nel pericarpio delle ulive attaccate dall’insetto e la sua presenza quindi nell'intestino non può esser attribuita all’ingestione di un nutrimento inquinato. Inoltre la parti- ticolare e costante localizzazione nel tubo digerente unitamente alla sua ener- gica azione lipolitica, lasciano supporre che esso almeno parzialmente sosti- tuisca nella funzione digestiva le secrezioni dei ciechi gastrici nell’alimenta- zione della larva. È probabile quindi che veri rapporti simbiotici esistano fra insetto e batteri, e per determinare se effettivamente si verifichi un mutualismo fra i due organismi le mie ricerche sono state rivolte alla realizzazione di quelle condizioni sperimentali per le quali, escluso l'intervento di germi esterni, lo sviluppo della mosca si svolgesse in modo da poter fornire i dati che contri- buissero alla risoluzione di alcuni quesiti i quali necessariamente per primi sì presentano ; e cioè se i batteri sieno completamente espulsi dalla larva prima della ninfosi o se, passati all’adulto, sieno poi da questo nuovamente trasmessi alla larva. Le ricerche eseguite in questi ultimi mesi e che per ora riassumo bre- vemente, aggiungendo qualche figura per meglio chiarire la concisa descri- zione, si riferiscono alla coltura della mosca in ambiente sterile ed ai rap- porti del batterio coi diversi stadi di sviluppo dell'insetto. Esse confermano innanzi tutto la costanza della presenza dell'ascobatterio nell'intero periodo larvale e questo fatto acquista già una certa importanza quando larve costi- tuite, specialmente nel tubo digerente, come quelle della mosca olearia (per es. quella della mosca delle ciliege) presentano i quattro ciechi sempre comple- tamente vuoti di microrganismi, anche quando questi ultimi sieno contenuti abbondantemente nei frutti attaccati dalle larve (specialmente saccaromiceti). (1) Questi Rendiconti, vol. XIII e XIV, 1904-05. (2) Questo riferimento non deve esser ritenuto ancora per definitivo; le ricerche in proposito continuano anche riguardo alla sua identificazione con un ascobatterio a colonie gialle comune nei tubercoli della rogna dell'ulivo. — 239 — Per effettuare la coltura della mosca in ambiente perfettamente sterile, le ninfe di 6 a 8 giorni sono state sterilizzate esternamente mediante il pas- saggio successivo: 1° in una soluzione acquosa di sublimato al 2°/ (per 3 minuti), 2° in alcool a 90° (’/» minuto), 3° in tubi sterili completamente asciutti per esser poi rapidamente fatte cadere nei recipienti di coltura. Questi ultimi sono disposti in modo da poter provvedere al nutrimento delle mosche, RIGonle Iaidep LI e nello stesso tempo fornire un controllo costante della sterilità del reci- piente dove le mosche sono allevate. Le figure quì unite ne mostrano sche- maticamente la costruzione. Un pallone di vetro della capacità di un litro a due aperture è munito .a una di queste di un tappo di sughero portante in un foro centrale un lungo e grosso tubo da saggio, di 25 mm. circa di diametro, riempito per metà del seguente substrato nutritivo: agar gr. 1,5; peptone (Merck) gr. 1; glucosio anidro gr. 1; saccarosio gr. 6, acqua distil- lata gr. 100. L'altra apertura del pallone è chiusa da cotone contro il quale è spinto il tubo da saggio che viene in tal modo otturato per impedire, du- rante la sterilizzazione, un parziale essiccamento dell'agar e una conseguente condensazione di vapor acqueo sulle pareti del pallone, inconveniente che spesso si verifica malgrado le più accurate precauzioni e che rende il pal- lone inadatto alla vita delle mosche. Del cotone è pure posto fra il collo del pallone e il tubo da saggio. Prima da versare l’agar nel tubo, tutto II } — 240 — l'apparecchio meno il tappo di sughero è sterilizzato a 150° C. per mezz'ora. La sterilizzazione definitiva, tenendo l'apparecchio come mostra la fig. 1, è ese- guita in una stufa ad aria secca a 100° C. per un quarto d'ora per tre giorni consecutivi. La stufa a vapore circolante non può esser adoperata per l'inconveniente già lamentato della condensazione del vapor acqueo sulla superficie interna delle pareti del pallone. Il raffredamento dell'apparecchio dopo l’ultima ste- rilizzazione è compiuto mentre l'apparecchio stesso trovasi in una posizione tale da determinare il consolidamento dell'agar secondo una superficie incli- nata. Le ninfe dopo la sterilizzazione esterna vengono rapidamente fatte ca- dere dal tubo dell'ultimo passaggio in quello contenente l’agar dell’appa- recchio di coltura. Quest'ultima operazione è così rapida, che il contatto del- l’aria esterna non è più lungo di quello che sì verifica in un trapianto or- dinario di coltura. Il tubo da saggio dell'apparecchio è ora allontanato, tirandolo dall'estre- mità esterna, dal cotone che chiude l'apertura per cui sono passate le ninfe (fig. 2). L'agar nutritiva adoperata è un substrato favorevole allo sviluppo delle mosche e a quello dei batteri più comuni dell’aria, in special modo poi vi si sviluppano abbondantemente i bacilli della larva. Apparecchi più semplici e più sensibili per ciò che riguarda il controllo della sterilità del recipiente di coltura sono stati adoperati facendo uso di matracci Erlenmeyer con uno strato di agar al fondo, oppure dei grossi tubi da saggio contenenti alcuni centimetri cubici della medesima agar. Gl’insuccessi più comunemente sono dovuti allo sviluppo di Pericillium glaucum. Dopo un mese circa da che le mosche erano nate, venivano gettate rapidamente nei recipienti di col- tura da un tubo sterilizzato, due o tre olive sterilizzate pur esse all’esterno con sublimato. La deposizione delle uova nelle condizioni descritte avviene dal 35° al 45° giorno dalla nascita. (Temperatura media 25° C.). Gli esperimenti furono ripetuti per due generazioni di mosche serven- dosi di 20 ninfe di 5-8 giorni per ciascun apparecchio di coltura. I risultati ottenuti in quelle colture, nelle quali la sterilizzazione dell'apparecchio e quella esterna delle ninfe si è dimostrata perfettamente effettuata e gl'in- quinamenti dall’ esterno non si sono verificati, si possono riassumere come segue: 1° Le larve nate da uova depositate in olive sterili da mosche nate e vissute in ambiente sterile, presentano i soliti batteri nelle tasche gastriche anche prima di uscire dall’involucro dell'uovo. 2° La maggior parte delle colture in ambiente sterile condotte nel modo descritto, presentano dopo 10 giorni circa dalla nascita dell'adulto un abbondante sviluppo dei batteri della larva sopra la superficie dell'agar. 3° Con l'originarsi delle colonie batteriche, coincide la morte della maggior parte delle femmine e più raramente dei maschi. — 24l — Se la trasmissione dei batteri dall’adulto all'uovo avvenga quando questo è ancora contenuto nei tubi ovarici, oppure durante la deposizione, lo ignoro completamente. Il fatto di trovare 1 batteri nell'intestino della larva quando questa è ancora racchiusa nell'involucro dell'uovo avvalora forse la prima supposizione, ma sussiste sempre il dubbio se in questo stadio della larva perfettamente costituita l'involucro dell'uovo non presenti qualche soluzione di continuità in corrispondenza dell'armatura boccale. Gli esperimenti eseguiti per ottenere in mezzi artificiali sterili lo sviluppo della larva da uova tolte asetticamente dagli ovari della mosca al momento della deposizione, hanno dato per ora risultati negativi. Le piastre d'agar sementate col prodotto dello spappolamento delle uova rimangono sempre sterili; quest’ ultimo risultato ha però un valore molto relativo come mostrerò in seguito. Un fatto degno di nota è 1l trovare, dopo la deposizione, un certo numero di batteri nella cavità che nel pericarpio dell’oliva accoglie l'uovo. Se questi batteri siano della stessa specie di quelli che si trovano nell'intestino della larva non ho potuto determinarlo, giacchè trasportati sui mezzi ordinari di coltura non si sono mai moltiplicati. Lo sviluppo del bacillo della larva che si verifica nella maggior parte delle colture della mosca in ambiente sterile dopo alcuni giorni dalla nascita degli adulti, dimostra innanzi tutto che il bacillo stesso trovasi effettivamente nell’ insetto perfetto. Esso non poteva provenire che dalle mosche, giacchè le ninfe deposte da più di un mese sopra l’agar non avevano mai dato origine a nessuna colonia. Inoltre alcuni tubi aperti e contenenti agar nutritiva esposti periodica- mente come controllo nel termostato dove erano le colture, non mostrarono mai sviluppo di colonie del batterio in questione. La formazione di queste colonie coincide d'altra parte con la morte delle femmine e in rari casì di qualche maschio. L'intestino delle mosche appena morte si presenta comple- tamente vuoto, scomparendo pure i grossi accumuli di batteri che nello stato normale dell'insetto vi sono contenuti. Questi batteri trasmessi dalla larva all'adulto, come dimostrano le colture della mosca in ambiente sterile, espulsi per un fenomeno patologico dall'intestino, riprendono nel substrato favorevole al loro sviluppo la vita soprafitaria dimostrando con le caratteristiche mor- fologiche delle loro colonie l’indentità con i batteri dell'intestino larvale. Probabilmente la natura speciale del uutrimento fornito alle mosche ha provocato nel loro tubo digerente la moltiplicazione anormale del microorga- nismo e la conseguente espulsione seguita dalla morte dell'insetto. L' inge- stione dei batteri insieme all’alimento sembra non avvenire, o avvenendo, non è questa una causa di morte per quelle mosche che sono sopravvissute, giacchè alcuni maschi per lungo tempo hanno potuto vivere negli apparecchi di col- tura inquinati dal batterio. Lo sviluppo anormale di quest'ultimo sembra av- venire più spesso nelle femmine e forse esclusivamente; ricerche ulteriori — 242 — sono necessarie per determinare bene questo punto; la temperatura elevata (28°-30° C.) favorisce il verificarsi del fenomeno che coincide allora anche col 4° giorno della nascita degli adulti. La sola natura del nutrimento non sembra sufficiente a provocarlo; concorrono senza dubbio altre condizioni ri- guardanti specialmente lo stato fisiologico in cui trovasi il batterio nell’in- testino della mosca. Devo far notare che i risultati delle colture dell'insetto in ambiente sterile sono in aperta contraddizione con quanto avrebbesi potuto supporre riferendosi ai dati dell'analisi batteriologica fatta coi metodi ordinari (per aerobi ed anaerobi) della ninfa, del tubo intestinale e degli ovari del- l'adulto. Infatti sono sempre rimaste sterili le piastre preparate con agar nutritiva e sementate con diluizioni derivate dallo spappolamento della ninfa sterilizzata previamente all’esterno, degli ovarî e dell'intestino medio tolti asetticamente dalla mosca. Anche le piastre sementate col contenuto delle tasche gastriche della larva spesso rimangono sterili, e ciò si verifica special- mente quando si tratti di larve giovani; e anche nei casi di abbondante svi- luppo di colonie il materiale batterico di sementa è sempre di una quantità grandissima in confronto al numero delle colonie formatesi, ciò che dimostra che molti dei batteri non si moltiplicano. Il numero di queste forme non coltivabili varia a seconda dell'età e delle condizioni biologiche della larva; nei primi stadî infatti gli elementi coltivabili mancano quasi del tutto, au- mentano e costituiscono la maggioranza dei batteri contenuti nei ciechi ga- strici negli ultimi periodi larvali precedenti la ninfa, e quando la larva per cause esterne venga a morte. In questi casi il batterio si moltiplica attiva- mente dando origine anche ad elementi capsulati come nelle colture. Questo diverso comportamento del microorganismo di fronte ai terreni colturali or- dinari è in relazione a una modificazione morfologica. Le forme allungate, che non sono forme d’'involuzione, non si moltiplicano coi metodi ordinari, e queste costituiscono la maggior parte del contenuto batterico intestinale; quelle brevi cocciformi, corrispondenti alla forma saprofitica quale si riscontra nelle colture, si moltiplicano attivamente coi metodi ordinari e vanno aumentando di numero con l’età della larva e in dati periodi della vita dell'adulto. Spe- rimentalmente ho potuto dimostrare che tanto le forme allungate che quelle brevi sono realmente modificazioni della stessa specie. Delle larve giovani, dopo essere state sterilizzate all’esterno mediante una soluzione acquosa di sublimato al 2°/, e lavate poi in acqua distillata bollita sono state immerse in agar nutritiva liquida (a 39° C.) contenuta in tubi da coltura. Questi ultimi erano agitati in modo da fare andare al fondo le larve e quindi rapidamente posti nell'acqua fredda; le larve così rima- nevano imprigionate negli strati profondi dell'agar che si consolidava e mo- rivano ben presto per asfissia. Dopo 15 o 20 giorni (temp. 27°C.) si for- mava un’aureola intorno al corpo delle larve prodotta dallo sviluppo del bacillo capsulato. Al decimo giorno, togliendo le larve dal tubo ed esaminando al micro- scopio i ciechi gastrici, questi si mostrano ripieni dei soliti batteri allun- gati ora in filamenti che si segmentano in articoli brevi cocciformi. Gli insuccessi che si verificano in colture cosifatte sono dovuti al fatto che le larve riescono talvolta ad aprirsi una via attraverso l’agar, risalendo nella parte superiore del tubo ed andando a formare la pupa fra il cotone di chiusura. Per ovviare a questo inconveniente ho trovato utile adoperare agar al 2°/ anzichè all'1,5 °/,. Altre volte prende grande sviluppo un bacillo sapro- fita che ordinariamente entra a far parte dei processi di marcescenza delle olive bacate, esso sfugge all’azione del sublimato perchè probabilmente ri- mane chiuso nelle cavità stimmatiche della larva durante la sterilizzazione. Questo batterio forma delle colonie bianche perlacee. Quando la ninfa si forma alla superficie dell’agar, si sviluppa anche allora l’ascobatterio in corrispondenza dell'apertura anale da cui insieme all’ intima intestinale viene espulso all’esterno prima della ninfosi. A questo momento esso ha riacquistato le piccole dimensioni della forma comune saprofitaria. L'esistenza di uno stato d'imcoltivabilità del batterio coi mezzi ordinari, spiega i risultati in apparenza contraddittori delle colture delle mosche in ambiente sterile e quelli dell'analisi batteriologiche dei diversi periodi di sviluppo e degli organi dell'adulto. Infatti, basandosi sui dati di queste ul- time, nè la ninfa, nè l'insetto perfetto presenterebbero il bacillo capsulato, asserzione che le colture delle mosche in ambiente sterile hanno dimostrata falsa. E d'altra parte l'esame microscopico viene a confermare i dati delle esperienze ed a colmare le lacune lasciate dal semplice metodo colturale di indagine batteriologica. Mi era nota sino dal principio di queste ricerche la presenza di batteri nell'intestino dell'adulto; ma perchè le colture di questi microorganismi non erano mai riuscite e perchè nell’insetto appena nato erano sfuggiti alla mia osservazione, ritenni allora che si trattasse di germi ingeriti con gli elementi senza alcun rapporto con quelli larvali. Riassumo ora brevemente i risultati sin qui ottenuti mediante l’esame microscopico. Nella larva, dalla schiusa dell'uovo all’incrisalidamento, i bat- teri sono contenuti, come ho già detto, nei quattro grossi ciechi cardiaci, la loro localizzazione rispetto alla intima dell’imbuto sarà descritta in se- guito, essi mancano nell’esofago, nelle ghiandule salivari e solo di rado ne ho osservati nell'intestino medio evidentemente da considerarsi come il pro- dotto di una esuberante moltiplicazione dei batteri stessi nei quattro ciechi. Nella larva matura vicina allo stadio di proninfa, ma ancora mobile, le tasche gastriche si presentano completamente vuote di batteri, l'intestino medio invece ne presenta dei forti accumuli in via di espulsione. La larva già rac- BIO A, colta su sè stessa ma nella quale l'acqua bollente produce la completa distensione, presenta uno scarso numero di batteri in generale subito sotto l’imbuto. Nello stadio susseguente quando cioè l’acqua bollente non provoca più l'allungamento del corpo, i pochi batteri rimasti si trovano nell’imbuto e nell’esofago. Nella ninfa del 6° giorno fino a quella del 17° giorno non ho per ora trovato traccia di batteri; la ricerca delle spore eseguita col metodo di Mòoller ha dato risultati negativi. Non escludo però che durante i processi d'istolisìi il batterio sporifichi; è da notare che esso entra nel numero di quelle specie che negli ordinari terreni colturali non formano mai spore. Quando l'adulto è quasi completamente formato e vicino alla nascita, allora in piccolissimo numero i batteri sì presentano in un diverticolo eso- fageo impari, dorsale, provvisto nella regione distale di un epitelio ghiando- lare în attiva secrezione. I batteri si trovano nel lume molto ridotto di questa regione ghiandolare e molto probabilmente ivi si moltiplicano a spese del secreto epiteliale. Nel rimanente del tubo intestinale non se ne ha traccia. L’adulto ap- pena nato non differisce, per quanto riguarda la localizzazione dei batteri, da ciò che ho già detto; dopo 20 ore dalla nascita effettuata in ambiente sterile, e mantenuto l’insetto in completo digiuno, ì batteri si sono note- volmente moltiplicati nel diverticolo esofageo nel quale diminuisce la secre- zione aumentando il lume quasi completamente riempito dai batteri. Nel resto dell'intestino non se ne ha traccia. Dopo 30 ore dalla nascita, l'adulto nato e mantenuto in ambiente sterile e in completo digiuno, mostra i primi batteri nell'intestino medio e nell'esofago. Le sezioni dimostrano come av- venga un passaggio dei batteri del diverticolo esofageo nell’esofago e nel- l'intestino medio, probabilmente come prodotto di rifluto in seguito a ecces- sivo sviluppo del microorganismo: questa migrazione certamente passiva dalla regione esofagea all’intestino medio avviene per tutta la vita dell'adulto, e una grande quantità di batteri si trovano riuniti così in ammassi ovoidali o poligonali prendendo l'aspetto di un bolo alimentare. Io non posso affer- mare con sicurezza se questi agglomerati batterici sieno espulsi all’esterno; essi si trovano sempre nell'intestino medio per tutta la vita dell'adulto. Non ho mai notata una batteriolisi; anzi nella regione intestinale confinante coi tubi ovarici i batteri si presentano in attiva moltiplicazione, non ne ho mai notati negli ovarî. Nelle mosche morte in seguito a una moltiplicazione anormale del- l’ascobatterio nell'interno del loro tubo digerente (pag. 241) questi agglome- rati batterici mancano completamente. La diversità sessuale sembra non ap- portare alcuna differente disposizione dei batteri nell'intestino dell’adulto; forse una differenza esiste nello stato fisiologico in cui trovansi questi ul- timi nel maschio e nella femmina. — 245 — Il cieco impari, dorsale dell'esofago, misura dai 240 ai 250 w nel suo maggiore diametro, è posto innanzi al ganglio sopraesofageo e presenta una parte superiore sferoidale biloba con un epitelio ghiandolare inegualmente sviluppato, e un’altra inferiore conica allungata in dotto escretore sboccante nell’esofago quasi al principio della faringe. Fic. 3. — Schema di una sezione sagittale mediana della testa dell'adulto; @, antenna; 6, agglomerati di batteri nel dotto escretore di d, diverticolo impari dorsale dell’eso- fago pieno di batteri; e, esofago; 7, fulcrum; 9, ganglio sopraesofageo; i, ipofaringe; in, intestino boccale; 2, labello (in parte); 0 labbro superiore; p, palpo (in parte). La contrattilità di questa grossa vescicola permette un’eiaculazione dei batteri che la riempiono o all’esterno, o nell'intestino medio, e questo fatto ben dimostrato dalle sezioni microtomiche spiega la comparsa delle colonie del batterio larvale dopo la nascita degli adulti nelle colture della mosca in ambiente sterile. L'emissione del batterio per l'apertura boccale, è forse in rapporto con la trasmissione del microrganismo stesso dall’adulto alla larva avvenendo sempre, durante la deposizione dell’ uovo, un contatto re- plicato della proboscide con l'ovopositore. Tutti questi fatti i quali ora ho accennato e che senza dubbio sono di notevole interesse per la conoscenza della biologia della mosca olearia, saranno largamente descritti quando con altre ricerche saranno tolte molte lacune che lo scarso materiale della sta- gione passata non mi ha permesso ancora di colmare. (0) DO RenpIcONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. - —__rr—r_— __—— _mòtmz-mnz—er__. — 246 — I fatti principali messi in evidenza dalle presenti ricerche si possono riassumere nelle conclusioni seguenti : 1° I batteri non vengono espulsi completamente dall’intestino della larva prima della ninfosi. 2° I batteri tornano a svilupparsi e a rendersi visibili in un diver- ticolo esofageo degli ultimi stadi ninfali. 3° Nell’adulto appena nato i batteri si sviluppano attivamente nella ghiandola esofagea e da questa migrano anche nell'intestino medio anche in insetti mantenuti in completo digiuno. 4° I batteri nella ninfa, nell'adulto e in minor grado nella larva, sì trovano in uno stato speciale tale da non permettere ordinariamente la loro coltura diretta sui mezzi artificiali. 5° Il passaggio da questo stato speciale, probabilmente dovuto alla esistenza simbiotica, a quello puramente saprofitario sembra avvenire nel- l'intestino stesso, quando in condizioni non ancora ben determinate il nutri- mento delle mosche sia favorevole allo sviluppo del batterio. Nelle larve morte questo passaggio avviene costantemente. 6° Le larve che si sviluppano da uova deposte in ulive sterilizzate esternamente da mosche nate e vissute in ambiente sterile, posseggono i bat- teri nel loro tubo digerente. Batteriologia casearia. — /icerche bacteriologiche sul for- maggio Gorgonzola. Nota del prof. CosranTINO GORINI, presen- tata dal Socio G. BRIOSI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. PERSONALE ACCADEMICO Commemorazione del Socio senatore G. ScARABELLI GoMmMI FLAMINI, letta dal Socio F. Bassani nella seduta del 4 febbraio 1906. Invitato dal signor Presidente a commemorare il compianto socio nazionale senatore Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini, morto il 28 Ottobre 1905, adempio con trepidanza al mesto ufficio, poichè sento purtroppo ch'io non riu- scirò a rendergli un omaggio corrispondente ai suoi meriti. Il buon volere mi valga e mi sorregga l’indulgenza dell’Accademia, che anche in questi ultimi mesi, chiamandomi fra i suoi membri effettivi, mi ha dato una grande prova di benevolenza, per la quale rinnovo oggi l'espressione della mia grati- tudine. — 247 — Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini nacque ad Imola il 16 Settembre del 1820 da Giovanni, medico, e da Elena Gommi (!). La sua vita è un bell'esempio di operosità intellettuale, uno di quegli esempî che, per il de- coro e il vantaggio della società, dovrebbero essere largamente imitati. Ap- partenente a una famiglia cospicua per natali e per censo, preferì agli ozî dell'esistenza lo studio e il lavoro, e dedicò tutto sè stesso al bene della scienza e della patria. Istruito fino ai vent'anni in famiglia, dove attinse sodi principî di morale pratica, che trovarono in lui un terreno particolar- mente adatto, egli mostrò dalla prima giovinezza una spiccata tendenza per la geologia, al cui svolgimento contribuirono in modo notevole le bellezze na- turali dei dintorni della sua città nativa e sopratutto, com’egli stesso rac- conta, quell'amena collinetta del Castellaccio, posta a breve distanza da Imola, che lo attraera con le sue conchiglie sparse tra le sabbie e che più tardi doveva essere illustrata così sapientemente da lui. Verso il 1841, de- sideroso di coltivarsi nelle scienze naturali, si recò a Bologna, indi a Fi- renze e poco dopo a Pisa, dove col Savi, col Piria e col Matteucci, inse- gnava allora mineralogia e geologia Leopoldo Pilla. Certo i precetti di questo naturalista, il cui nome glorioso è stato recentemente ricordato in quest'aula dall'efficace parola del socio prof. Taramelli, che ne ha messo in rilievo il fervido ingegno e l’opera feconda di scienziato e d’insegnante, esercitarono un'influenza benefica sullo Scarabelli, educandone la mente alle ricerche geo- logiche e sviluppandone lo spirito di osservazione. E al maestro, senza dubbio, volle porgere un tributo di riconoscenza il nostro compianto collega quando, il 12 Giugno del 1844, gli esponeva in una lettera, inserita nei Nuovi Annali delle Scienze naturali di Bologna, il risultato delle sue prime indagini scien- tifiche. È un tenue lavoretto giovanile, costituito di due sole pagine, che dà alcuni cenni geologici sui dintorni del lago di Lugano, ma già si scorge, tra le incertezze del principiante, oltre il suo fervore per la geologia, l’attitudine a osservare e descrivere i fenomeni naturali. Di essa fornì poco dopo un altro saggio con la relazione di una gita al Vesuvio, fatta il 24 Gennaio del 1845, al ritorno da un viaggio scientifico in Sicilia, e diede in progresso di tempo le prove migliori, pubblicando numerose opere di geologia pura e applicata. di geodinamica, di geografia fisica e di paletnologia. (1) Il 21 Aprile 1722 Giacomo Gommi sposò Alessandra Codronchi e ne ebbe due figli: Giovanni (capostipite del ramo che per Nicola ed Ermogene sopravvive nel conte Riccardo Gommi) e Nicola. Dal matrimonio di quest'ultimo, avvenuto il 24 Ottobre 1746, con Geltrude Merighi (che, figlia unica di Francesco Merighi di Mordano e di Elena Flamini, ultima della gente Flaminia, aveva unito, per testamento materno, alle sostanze e al nome dei Merighi le sostanze e il nome dei Flamini) nacque il 14 Aprile 1751 Fran- cesco Gommi Flamini, che fu padre a Giacomo e ad Elena, madre del nostro socio, al quale lo zio Giacomo, morto senza figli, lasciò nel 1860 beni e nomi. In Giuseppe Sca- rabelli, dunque, si sono spenti un ramo dei Gommi e la progenie deì Flamini. ! er —5 DLE Campo principale delle sue ricerche fu la Romagna e sopratutto il cir- condario della sua città nativa, alla quale portò grande affezione e rivolse, per più di mezzo secolo cure intelligenti ed assidue. Il lavoro sui depositi miocenici del versante Nord-Est dell'Appennino fra Bologna e Senigallia, ch'egli comunicò nel '51 alla Società geologica di Francia, pur tenuto conto degli appunti che gli mosse il Rivière, con- tiene osservazioni interessanti sui loro rapporti reciproci e ingegnose rifles- sioni intorno alla formazione dei varî minerali nei gessi e al metamorfismo di questi. Anche i suoi studî geologici, con la carta relativa, sulla Repubblica di S. Marino, fino allora pochissimo nota, ch'egli aveva percorsa rapidamente nel 44 e che visitò un’altra volta quattr'anni dopo allo scopo di farne un esame particolareggiato, sparsero luce sulla vera posizione dei gessi e delle argille da cui questi sono accompagnati e rafforzarono l'opinione di lui sulla esistenza di un antico lago nella valle del Senio, di cui, rilevando e con- fermando una tradizione popolare, aveva precedentemente trattato con buona copia di fatti, esponendone le cause di origine, l'estensione e le vicende. I caratteri litologici dei varî sedimenti che compongono il Monte Titano e delle sostanze minerali che vi stanno racchiuse vi sono esposti con accura- tezza e perizia, al pari delle aggiunte introdotte alla bella e minuta descri- zione delle argille scagliose data dal Bianconi. Così possono dirsi esatte le determinazioni dei fossili (sebbene, in generale, quegli avanzi si presentino, com'è noto, in uno stato di conservazione assai difettoso, che lascia spesso dei dubbî) e la sua opinione, lievemente modificata più tardi, sull'età, tuttora controversa, dell’arenaria calcarea, ch'egli riferisce al Miocene medio. Un'altra Memoria, messa fuori due anni più tardi, comprende la deseri- zione della carta geologica della provincia di Bologna, alla quale, spinto dal consiglio. di qualche collega, si accinse con esitazione per le difficoltà che presentava lo studio di una regione già investigata da molti. Naturalmente, la monografia ha parecchie lacune e può dar luogo a varie obiezioni; tut- tavia segna un progresso nelle conoscenze di allora, perchè fornisce nuove prove a conferma di alcune risultanze cronologiche ottenute da precedenti osservatori e specialmente dal Murchison, che in un rapido esame aveva pro- fondamente compreso la natura e l'andamento generale dei depositi mioce- nici di quella regione; e ne modifica altre, discutendo, per esempio, intorno ai limiti fra l’ Eocene e il Miocene, inclinando ad ascrivere a quest'ultimo sistema una larga zona di terreno riferito dianzi all'Eocene, dissentendo par- zialmente dal predetto geologo inglese sull'età pliocenica delle marne bian- castre, delle argille e delle sabbie ferruginose, dando notizie sui giacimenti fossiliferi e su quelli contenenti avanzi dell’ uomo e della sua industria, par- lando sui minerali utili e riassumendo le conclusioni di ogni ordine a mano a mano ottenute, le quali talvolta sono forse sproporzionate ai fatti osservati, ma dimostrano in ogni modo la diligenza e l'impegno delle ricerche eseguite. — 249 — Così la descrizione della carta geologica della provincia di Ravenna, che gli parve opportuno di pubblicare quasi a complemento della precedente, sebbene molto sommaria, comprende interessanti considerazioni sulle ragioni dell'andamento dei corsi d'acqua che solcano quella contrada e accurate 0s- servazioni sui terreni che la costituiscono, in rapporto con quelli del Bolo- gnese, sulle abbondanti ossa di mammiferi scoperte nei sedimenti quaternarî, sui resti umani trovati nei depositi moderni, molto estesi, sulle cause dei fenomeni offerti dai vulcanetti di fango, sulla natura delle acque minerali e sui materiali di cui può giovarsi l'industria. Altre carte geologiche da lui rilevate riguardano le provincie di Ancona e di Forlì e il Monte Castellaccio presso Imola. Per le sapienti ricerche di Vito Procaccini Ricci, benemerito cultore di studî geologici, nei primi anni del secolo scorso erano state raccolte nel territorio senigalliese molte ricchezze paleontologiche, delle quali lo stesso Procaccini aveva dato fin dal 1828 qualche notizia preliminare e s'era poi fatto nuovamente parola nel primo Congresso degli Scienziati italiani tenuto a Pisa nel 1849. Lo Scarabelli acquistò la ricca collezione dagli eredi dello scopritore, e Abramo Massalongo ne illustrò gli avanzi vegetali in quella splendida « Flora fossile del Senigalliese », comparsa nel ’59 e corredata di 45 bellissime tavole, che può considerarsi come una delle migliori mono- grafie del celebre naturalista veronese. Il nostro socio svolse la parte geolo- gica dell’opera, alla quale unì la menzionata carta geologica del Senigal- liese e dell’Anconitano. descrivendo la natura e l'estensione del deposito e i suoi rapporti stratigrafici con i terreni che gli sono associati, paragonan- dolo con altri che per il complesso dei caratteri erano da ritenersi contem- poranei ad essi e dando l'elenco, accompagnato da brevi cenni, dei fossili animali, che, in verità, meriterebbero uno studio completo. Alcuni di questi, già prima citati da altri e conservati male, sono, secondo ogni verisimi- glianza, determinati inesattamente; così com'è inesatta la supposta corrispon- denza di una parte delle filliti con quelle di Novale, rel Vicentino, certa- mente più antiche. Invece vi è giustamente confermata l’opinione espressa dal Pilla nel suo trattato di geologia sulla contemporaneità del giacimento senigalliese con l'analogo della Sicilia, e vi è dichiarato altrettanto giusta- mente che i fossili marchigiani in discorso offrono i maggiori rapporti con la fauna e la flora plioceniche. Di molto interesse è il volume, venuto alla luce nel 1880, sulla geo- logia della provincia di Forlì, frutto di lunghe e minuziose ricerche, che lo Scarabelli aveva iniziate trent'anni prima, quando le condizioni politiche del paese le rendevano assai malagevoli. Nel 1863 il Consiglio provinciale di Forlì, con lodevolissima deliberazione, decideva la formazione della carta geologica della propria provincia, ordinando che fosse rilevata nella scala di 1:50000, eguale a quella adottata dal Governo per la gran Carta geolo- i i IE*—****;*.Ei.eEEEEEÈÉ | — pes gica dell'Italia decretata nel 1861, e disponendo che formasse parte della intera monografia economica amministrativa della provincia stessa. L'incarico di rilevare la detta carta venne affidato a lui e al socio prof. Capellini, che avrebbe portato nell'impresa laboriosa il prezioso contributo della sua com- petenza. Ma questi, colpito pochi giorni dopo da grave lutto di famiglia, dovette rinunciare all'ufficio, che lo Scarabelli continuò da solo, attendendovi con ogni cura e riuscendo a dare una veramente buona Memoria, ricca di os- servazioni e di risultati importanti. Studî più recenti hanno dimostrato in- vero che ampie zone calcaree e marnoso-arenacee da lui ascritte al Oreta- cico spettano invece all’ Eocene, e che qualche altro riferimento cronologico va lievemente cambiato o non è sufficientemente avvalorato da prove paleon- tologiche. Inoltre la recisa opinione dell'autore (a quanto pare, da lui stesso modificata più tardi) sull'età esclusivamente cretacea delle argille scagliose non può essere accettata integralmente. Ciò non toglie peraltro il valore del- l'opera, nella quale lo Scarabelli abbandona opportunamente qualche idea espressa in lavori precedenti, come quella sulla partecipazione delle rocce serpentinose a determinare il sollevamento dell'Appennino. È pure assai pre- gevole l'annessa carta geologica, accompagnata da molte sezioni naturali e teoretiche: rilevata prima al 50000, sopra la topografica eseguita apposita- mente dall' Ufficio tecnico provinciale di Forlì (ed esposta fuori concorso alla Mostra industriale di Bologna del 1869 e due anni dopo a quella di Forlì, dove venne premiata insieme con l’intera collezione di rocce, di minerali e di fossili), fu poi ridotta per ragioni economiche al 100.000, e più tardi, riprodotta in scale diverse, fisgurò nel '73 all’ Esposizione di Vienna e nel ’78 all'altra di Parigi. Ai precedenti lavori di geologia storica ne vanno aggiunti altri minori, fra i quali giova ricordarne due per le interessanti osservazioni di strati- grafia e di geodinamica che vi sono contenute. Uno di essi, pubblicato nel ‘64, riguarda un argomento già trattato dallo Scarabelli molti anni prima, vale a dire i gessi di una parte del versante Nord-Est dell'Appennino tra Bologna ed Ancona, la. cui carta geologica era stata presentata e premiata alla prima Esposizione italiana di Firenze. Vi è parlato sulla posizione reciproca di alcuni membri di quei terreni terziarî, in paragone con gli omologhi del Bolognese, e specialmente sull’origine meta- morfica dei gessi, in appoggio della quale egli aveva scritto in varie riprese fin dal 1847, discutendo una volta anche col Coquand a proposito dei gessi di Pomarance nel Volterrano, da lui messi a confronto con quelli della Per- ticara e invocati, contro l'opinione del geologo francese, a sostegno della pre- detta genesi. L'altro, stampato nel '97, quand’ egli aveva già settantasei anni. costi- tuisce la parte geologica dello studio compiuto dal Foresti sui fossili del Pliocene inferiore raccolti nei colli fiancheggianti il Santerno presso Imola, — 2501 — ch’erano stati parzialmente esaminati in addietro dal Meneghini, e stabilisce la stratigrafia della regione, presentando in un profilo l'andamento dei depo- siti miocenici e pliocenici fra Ancona e l'Idice, in relazione con l'Eocene e col Cretacico prima del loro sollevamento, e dando due sezioni dei colli dianzi accennati. Lo Scarabelli volle anche tentare ardui problemi di geotettonica e di orogenesi (che, in verità, per essere risoluti o semplicemente dilucidati richie- derebbero studî molto profondi), trattando brevemente sulle cause dinamiche delle dislocazioni degli strati negli Appennini e sulla probabilità che il sol- levamento delle Alpi si sia effettuato sopra una linea curva. Per ciò che si riferisce al primo soggetto, egli inclinava a credere che gl'invertimenti della Spezia e i sollevamenti delle elissoidi apuane e pisane fossero stati prodotti da un generale e graduato arretramento dell'Appennino ligure-bolognese verso il Mediterraneo, per effetto di una pressione laterale sofferta dell'Appennino stesso a Nord-Est, allorchè precisamente il grande asse sinclinale entro cui scorre ora il Po assumeva l'attuale sua direzione, industriandosi di chiarire e di avvalorare l’ipotesi col ricorso a sezioni natu- rali e col sussidio di esperimenti pratici. Quanto al sollevamento delle Alpi, lo Scarabelli dall'esame analitico dell’orografia e della idrografia di queste montagne e della valle padana cerca di rimontare alla causa dell'una e dell'altra. Egli traccia le direzioni medie dei crinali delle Alpi e degli Appennini e delle vallate dei principali fiumi dell'Italia settentrionale, e trova che i varî tratti della valle del Po corri- spondono alle basi di triangoli isosceli, i cui lati eguali sono costituiti dalle direzioni dei relativi prossimi tratti della catena alpina. Questa ed altre con- siderazioni ed astrazioni teoriche lo inducono a ritenere che le Alpi si sieno generate per effetto di un sollevamento curvilineo con consecutiva frattura- zione in poliedri spostati ai lati di questo asse curvo di sollevamento, e che il tratto maggiore della valle padana, parallelo all'Appennino, rappresenti una grande sinclinale tra questo e le Alpi. Ardite concezioni invero, specialmente per quel tempo (1866), le quali dinotano la mente speculativa dell'autore, che si attentava di affrontare questioni tanto difficili. Altri lavori del nostro socio dimostrano la praticità del suo ingegno e la tendenza a ricerche sperimentali. Egli costrusse infatti parecchi modelli di stratigrafia generale didattica e di stratigrafia speciale bolognese-imolese ; istituì esperimenti per definire se le impronte così dette problematiche pro- vengano dalla superficie superiore o inferiore degli strati e per dedurne con- seguentemente l’origine diversa, ed eseguì saggi intorno alle figure dovute a viscosità e a quelle analoghe ai Nemertiliti, che, studiati su esemplari caratte- ristici, con sezioni variamente dirette, gli pareva doversi piuttosto considerare come deiezioni di un animale ancora sconosciuto. Ideò e fece comporre uno strumento, l’ « orizo-clinometro », presentato all’ Esposizione di Genova MIO. i del 1892, il quale ha lo scopo di determinare con rapidità ed esattezza la direzione e l'inclinazione di quei filoni e di quegli strati che lasciano allo scoperto, al tetto delle osservazioni, soltanto un breve tratto della loro super- ficie inferiore, come avviene spesso nelle gallerie di miniere e in quelle fer- roviarie. Rilevò inoltre la notevole flessione subìta da una croce in arenaria, eretta nel 1750 in Imola e ‘adesso non più esistente, spiegandone le cause, e compilò un abbozzo di guida geologica nella regione appenninica compresa fra il percorso ferroviario Pistoia-Bologna- Ancona-Fossato, tracciando sopra una grande carta geografica della regione accennata parecchie sezioni dalla cresta dell'Appennino al mare, e aggiungendo l'indicazione dei punti più inte- ressanti da esaminare e delle collezioni paleontologiche degne di essere vi- sitate. Lo Scarabelli non si occupò soltanto di geologia pura, ma anche di geo- logia applicata, alla quale annetteva molta importanza. Già nel ’44 egli sosteneva l'utilità degli studî geologici per gl'ingegneri, e in varî lavori suc- cessivi eccitava con insistenza la gioventù a coltivare con interesse questa scienza, la quale, ritenuta quasi di lusso da coloro che non la professano, contiene invece, al pari di altre, in grado eminente applicazioni utilissime. E nelle monografie geologiche delle varie provincie illustrate curava sempre di mettere in evidenza i prodotti naturali vantaggiosi e gli usi molteplici a cui possono servire, insistendo sulla convenienza che molti s'industriassero di trarne profitto e proponendo la istituzione di premî per coloro che ricer- cassero e rinvenissero nuovi giacimenti coltivabili o intraprendessero su larga scala l'estrazione di materiali già noti, e ne estendessero l'impiego a scopi non ancora tentati in quei luoghi, con la introduzione di metodi di preparazione più economici e più perfezionati. Anche la questione relativa ai pozzi bianchi e neri della città d’Imola, in relazione con l’idrografia sotterranea e con l'igiene, gli offrì oggetto di utili ricerche, quando, nel '72, assessore di quelfComune, fu nominato membro e relatore della Commissione incaricata di riferire sull’importante problema, ch'egli studiò con molta diligenza e con l'esattezza richiesta dalla natura del lavoro, suggerendo i provvedimenti opportuni, fra i quali la costruzione delle fogne, l'abolizione dei pozzi neri assorbenti e una trivellazione verti- cale, che avrebbe fornito la città di buona acqua potabile. A quest'ultimo argomento dei fori artesiani egli rivolse cure assidue e notevoli, dandogli il contributo della sua competenza di geologo pratico e della sua fede in un lieto successo. Considerando i benefici effetti che ne avrebbe potuto ritrarre la regione, provveduta generalmente di acqua potabile scarsa e insalubre, e allo scopo di far evitare indagini infruttuose e spese inutili, già nel 1850, in un lavoretto elementare e senza pretese, destinato, per così dire, ai profani, egli fece conoscere le sue idee sulla diversa probabilità di riuscita di questi fori nel territorio imolese. Esposta la legge sulla quale il ZA — fatto si basa, le necessarie condizioni litologiche e di giacitura dei terreni acquiferi e i processi di ricerca, indica, con la scorta delle sue osservazioni geologiche e di esperimenti eseguiti da lul stesso e da altri, i punti del predetto territorio che meglio sì prestano allo scopo e quelli dove i tentativi riuscirebbero vani, e conchiude augurandosi che si pratichino numerose tri- vellazioni, le quali, pur non fornendo acqua zampillante, darebbero tuttavia risultati soddisfacenti, perchè questa si sarebbe incontrata a piccola profondità, nè la spesa per estrarla col mezzo di pompe sarebbe stata notevole. Qualche anno dopo, sempre col fine d' incoraggiare l' intraprendenza del pubblico, diede i particolari di un artesiano praticato a Conselice, presso Lugo di Ravenna, dall'ingegnere Eugenio Canevazzi e ottimamente riuscito, la cui acqua zam- pillante, incontrata alla profondità di solo 50 metri, si elevava a circa due dal suolo, con una temperatura di 15° centigradi. Più tardi, trattando delle condizioni igieniche d'Imola, mostrò l'opportunità di scavarvi un pozzo arte- siano; e più tardi ancora, quasi ottantenne, ritornando sull'argomento con una lettera a stampa, indirizzata al direttore di quella Cassa di Risparmio, di cui chiedeva l'appoggio, sostenne che le condizioni stratigrafiche favorivano il progetto di una trivellazione nella predetta città, posta in una leggera sinclinale di strati costituiti da sabbie gialle e da argille turchine, nella quale il Santerno depose le proprie alluvioni terrazzate, e fabbricata appunto sopra una di queste. Ed aggiunse che, contrariamente all'opinione da lui espressa in addietro, la zona acquifera scorrente fra le sabbie e le argille presenta un dis- livello con la città di 80 metri, sufficiente, a suo giudizio, per ottenere dal pozzo acque zampillanti. Il progetto venne eseguito nell'ultimo trimestre del 98, a spese della citata Cassa di Risparmio, dalla Ditta Ing. A. Bonariva, e la per- forazione arrivò alla profondità di 136 metri. L'acqua fu incontrata a 56, dove saliva fino a 6 metri e mezzo sotto suolo; a 126, giunse e si arrestò a un metro e ottanta centimetri, presentandosi limpida, incolora, inodora e chimi- camente potabile. Di paleontologia non si occupò che all’inizio de' suoi studî, dando nel 1846 il catalogo dei resti di mammiferi raccolti dal suo concittadino Giuseppe Cer- chiari nelle sabbie gialle dell’ Imolese, che allora aseriveva al Pliocene, ma qualche anno dopo riferì giustamente al Quaternario. Tuttavia intorno a questa giovane scienza egli aveva concetti molto sagaci. Era convinto dell'importanza dei fossili e riconosceva il grande valore del criterio paleontologico per la determinazione cronologica dei terreni; e nelle sue pubblicazioni di geologia pura, come in quelle di geologia applicata, citava costantemente gli avanzi organici rinvenuti da lui o da altri, curando sempre di dare precise notizie sulla loro provenienza e tenendone stretto conto. Solo rarissime volte azzar- dava qualche dubbio, parendogli di riscontrare in uno stesso giacimento specie comuni a più di un piano: il che fino a un certo punto era realmente vero, ma dipendeva sopratutto da determinazioni specifiche parzialmente ine- (06) RenpiconTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. - Bi — 254 — satte o da rimestamento di fossili. Non andava peraltro all'esagerazione: per esempio, non ammetteva che si potessero stabilire basi di ordinamenti stratigrafici con la sola scorta delle osservazioni paleontologiche, nè appro- vava le soverchie distinzioni di forme, quasi fondate sopra un'idea precon- cetta, della presenza, cioè, esclusiva ed assoluta di certe forme in ogni assisa, dando luogo ad un eccessivo frazionamento di piani geologici, ingiustificato e dannoso. Così deplorava il metodo di coloro che vorrebbero rintracciare minutamente la corrispondenza di depositi situati a grande distanza gli uni dagli altri, in modo da stabilire il sineronismo non solo fra membro e membro, ma, potrebbe dirsi, fra strato e strato, come se la vita animale e vegetale di cui celano gli avanzi non fosse dovuta andar soggetta in addietro, al pari di oggi, al complesso di molte influenze locali. Invece lo Scarabelli coltivò con zelo indefesso la paletnologia, in cui raggiunse un posto molto notevole mediante la pubblicazione d’ importanti lavori, concernenti la Romagna e le Marche. Già nel 1850 egli aveva richiamato, uno fra i primi in Italia, l’atten- zione degli studiosi sulle armi di pietra, illustrando in una Nota corredata di belle figure quelle scoperte nei dintorni di Goccianello, a pochi chilometri da Imola. Di esse e di altre trovate successivamente nell’ Imolese riparlò più tardi, indicando tutti i luoghi e le condizioni speciali del suolo in cui si rinvennero e dando per maggiore chiarezza una cartina geologica. Pubblicò anche due tavole disegnate da lui stesso e destinate a dimostrare la scheg- giatura delle pietre levigate quaternarie della predetta regione: la prima riproduce le forme delle pietre mounstieriane, ordinate secondo il numero pro- gressivo delle loro scheggiature; la seconda dà le figure che dimostrano il passaggio dalle forme mounstieriane a quelle acheuliane mediante scheggia- ture fatte in contorno alle superficie concoidi delle pietre. Ma la sua principale produzione in questo ramo di scienza si svolse a cominciare dal 1870 con gli scavi nella caverna detta del Re Tiberio, nella valle del Senio, già prima esplorata a scopo scientifico dal Tassinari e dallo Zauli. Tali scavi, eseguiti con la massima cura, gli diedero agio di racco- gliere nei varî piani del terriccio numerose ossa e avanzi copiosi dell'indu- stria umana, i quali gli permisero di stabilire il progressivo avanzamento di civiltà degli uomini che vi si erano ricoverati e sparsero nuova luce sulle lunghe vicende da loro successivamente subìte. Anche la rinomata grotta di Frasassi presso Fabriano, che era già stata studiata da parecchi scienziati, gli fornì argomento di nuove indagini, con- tenute in una monografia inserita nelle Memorie di questa Accademia e assai pregevole non solo per i risultati paletnologici, ma eziandio, e sopratutto, per le osservazioni geologiche, poichè studia particolarmente i terreni di quella contrada e i loro fossili, dando pure l'elenco delle specie di cefalo- podi e di brachiopodi raccolte da lui nel Lias superiore e nel Titoniano — 2559 — dell'Appennino centrale. Egli scruta le cause probabili che produssero e ampliarono la caverna; ne descrive separatamente gli avanzi rinvenuti nello strato inferiore dell'ammasso terroso, comprese le ossa di mammiferi, deter- minate insieme con lo Strobel, e gli altri scoperti nello strato superiore, cercando d'interpretarne gli usi, istituendo numerosi ed efficaci confronti e giungendo a conclusioni di molto interesse, riconosciute anche dalla Società geologica italiana, quando, nell’ 83, essa visitò la grotta sotto la presidenza del senatore Capellini e con la guida dello Scarabelli, che per l'occasione aveva pubblicato un bel profilo geologico da Colcetto a Serra S. Quirico. Nel ’72 iniziò le ricerche nella piccola collinetta del Castellaccio, co- stituita di sabbie, di ghiaie e di argille sabbiose plistoceniche (e della quale, come s'è detto dianzi, pubblicò più tardi anche la carta geologica), che si eleva a meno di 40 metri sulla riva destra del Santerno, a poco più di un chilometro da Imola. L’ameno piano che ne forma la vetta e la distesa incan- tevole di paese che si gode di lassù fecero sorgere nella mente dello Sca- rabelli l’idea che tali condizioni di luogo avessero dovuto invitare qualche antichissima famiglia umana a piantarvi la propria dimora. Nè le sue sup- posizioni, confortate pure da cronache patrie, furono fallaci, giacchè le co- scienziose e prolungate ricerche, che fin dal principio avevano destato l’ inte- resse e provocato il parere del socio prof. Pigorini, dello Strobel, del Chierici e di altri specialisti, lo posero in grado d'illustrare nel 1887 la stazione preistorica sul Monte del Castellaccio, riferibile a un'età compresa tra la fine dell'epoca della pietra e l’inizio di quella del bronzo, in una monografia molto pregevole, la cui pubblicazione fu largamente sussidiata dal Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio e riscosse il plauso generale. L’opera è fornita di ottime tavole, comprendenti le fisure di numerosi e interessan- tissimi oggetti scoperti e i rilievi di piante e sezioni, per i quali l’autore ebbe successivamente a collaboratori gl’ ingegneri Domenico Casati e Giu- seppe Marani. Da ultimo, lo Scarabelli fece tra il 1892 e il 1898 il rilevamento di un'altra stazione preistorica dell’ Imolese, da lui scoperta a S. Giuliano, casa colonica della parrocchia di Toscanella, nel comune di Dozza: è da sperare che il lavoro, ultimato nel 1900 e ancora inedito, del quale il socio prof. Brizio diede poco tempo fa comunicazione alla R. Deputazione di Storia patria per le provincie di Romagna, vegga presto la luce ('). (1) La stazione preistorica di Toscanella, simile per l'impianto a quella del Castel- laccio, ma assai più recente di questa, sorgeva circa due chilometri a valle della via Emilia, sulla sponda sinistra del torrente Sellustra. Il senatore Scarabelli ne rilevò con esattezza la pianta e le sezioni di varie trincee e vi raccolse molta copia di oggetti in terra cotta, osso e bronzo, ora in gran parte esposti nel Museo di Bologna, per conto del quale ven- nero eseguiti tutti gli scavi. Di essa egli ebbe la fortuna di scoprire anche il sepolereto, che però consisteva esclusivamente di scheletri distesi con il cranio a Nord-Ovest e i piedi — 256 — A ragione dunque può dirsi ch'egli portò un contributo molto efficace allo studio della paletnologia, intorno alla quale aveva idee pratiche e lo- giche, che esprimeva tra il ‘70 e il '90. Così, per esempio, riteneva che questa scienza « non sempre fosse stata abbastanza coltivata geologicamente, tanto rispetto alla condotta dei lavori di ricerca, quanto nella loro descri- zione =; onde ne erano derivate, a giudizio di lui, incertezze e oscurità e asserzioni inesatte e dannose. Così gli pareva che la nostra paletnologia, sorta da poco tempo e da ricerche ristrette e incomplete, « troppo si affret- tasse a voler sempre vedere tribù diverse quasi in tutti i luoghi dove un oggetto più, un oggetto meno, di una forma piuttosto che di un’ altra, era stato scoperto »; per modo che ne risultavano distinzioni e frazionamenti eccessivi, forse tutt'altro che utili. Così, pur non dichiarandosi incredulo verso le grandi scoperte scientifiche, disapprovava la facilità con la quale talvolta si vuole decidere sulla maggiore o minore antichità di certe armi e utensili, preten- dendo di definirla unicamente dal grado diverso di perfezione di lavoro con cui sono formati; mentre tuttodì si hanno sott'occhio le prove più chiare di utensili od ornamenti che, secondo i luoghi e le persone che ne usano, si tro- vano, contemporaneamente ed anche a breve distanza, foggiati rudemente o con molta eleganza e costituiti di materia grossolana o preziosa. Così dubitava che la levigatura di certe armi di pietra (valgano le asce e i mazzuoli) fosse criterio sufficiente per giudicarle tutte posteriori, senza alcuna eccezione, ad altre, come le frecce in selce, rozzamente scheggiate; poichè la differente preparazione poteva dipendere non tanto dall’epoca, quanto dalla opportunità o dalla necessità di servirsi di rocce diverse secondo l’uso a cui erano de- stinate le singole specie di armi o in base alle condizioni litologiche locali, e di lavorarle variamente in rapporto con la natura del materiale adoperato e con l’impiego delle armi stesse. — Può darsi che tutte queste riflessioni dello Scarabelli si ritengano ovvie, ma ciò non toglie che siano anche giuste. Da quanto s'è detto fin qui risulta che l'opera scientifica del compianto nostro socio durò quasi sessant'anni e sì svolse con profitto intorno a varî rami delle discipline naturali, quantunque egli, nella sua modestia, si chia- masse talvolta « amatore geologo, semplice osservatore di fatti e poco più di un paziente raccoglitore di oggetti ». Fornito di una bella intelligenza e di una mente equilibrata e serena, egli era anche provveduto di una forte volontà, che, associata alla robustezza dell'organismo, gli dava una particolare resistenza al lavoro e gli permetteva di lottare quasi sempre vittoriosamente contro gli ostacoli. Naturalista vero, amava l’intima essenza delle cose, anzichè la loro su- perficiale apparenza, e si atteneva strettamente all'esposizione dei fatti, a Sud-Est. I crani di questi scheletri, esaminati dal prof. Sergi, furono attribuiti a indi- vidui della razza da lui detta Mediterranea (E. Brizio, in Atti e Memorie della R. De- pntazione di Storia patria per le provincie di Romagna, serie III, vol. XVIII, pagg. 337- 338, Bologna, 1900). — (257 — quali si mostravano nella loro integrità, rilevando con diligenza lodevole, ma senza uggiosa pedanteria, anche quelli che a primo aspetto potevano sem- brare inconcludenti e sapendone trarre interessanti deduzioni. Pieno di buon senso e di logica, non dava soverchio valore a certi fenomeni osservati in un luogo e non ne generalizzava la spiegazione a quelli del medesimo ordine riscontrati altrove senza essersi prima assicurato ch’essi vi si riproducevano con un aspetto simile. Interprete perspicace dei fenomeni naturali, era cauto e prudente nei giudizî, ripetendo più volte le osservazioni e cercando il perchè di ogni fatto; nè rifuggiva dal dichiarare la sua ignoranza piuttosto di esporre un concetto non sufficientemente fondato. Pertinace nelle sue idee scientifiche, quando gli sembravano giuste e di utile applicazione, le soste- neva con fervore, cercando di renderle sempre più convincenti con l'aggiunta di nuovi fatti; pronto d'altra parte a modificarle se le riconosceva inesatte. Nella trattazione delle varie questioni esponeva lealmente gli argomenti con- trarî al suo modo di vedere e li esaminava con calma efficace. Persuaso che dal dissenso fra le diverse opinioni scaturisce la luce, che è guida alla verità, non era alieno dalla discussione, che serbava sempre nel campo obiettivo, accogliendo con attenzione deferente gli appunti che gli venivano mossi e oppugnandoli con garbo, da gentiluomo. Lodava volentieri il buono e criticava con forma cortese ciò che non gli pareva tale, dicendone serena- mente le ragioni. Nei suoi lavori citava sempre chi l'aveva aiutato, dando a ciascuno il suo. Di essi, alcuni, eseguiti cinquant'anni fa e con mezzi assai scarsi, sono molto sommarî e, naturalmente, non armonizzano in ogni punto con i moderni progressi della scienza; ma tutti, in generale, sono condotti con buon metodo di ricerca e specialmente con un ordine esemplare e conten- gono osservazioni originali e giudiziose riflessioni. Sono anche scritti bene, con una leggera sfumatura di sentimento artistico che piace; nei più vecchi, forse, lo stile è un po’ antiquato e prolisso e qualche volta lievemente reto- rico, benchè sempre dignitoso, ma poi s' è venuto a mano a mano modifi- cando nei successivi. Non sono studî affrettati, ma stesi con calma, con pon- derazione, senza la febbre deplorevole di chi vuol produrre a ogni costo. Molte altre benemerenze dello Scarabelli, che gli procurarono altissimi onori, meritamente conferiti alla sua intelligente attività e al suo patriottismo, ne resero il nome vie più caro e apprezzato. Italiano fervente, offrì il braccio all'impresa generosa del riscatto nazionale e nel ’48 si arruolò volontario, combattendo contro gli Austriaci come maggiore addetto allo Stato maggiore del colonnello Ferrari; in seguito fece parte delle cospirazioni della Giovane Italia, nè mai si lasciò intimidire dalle terribili circostanze in cui ebbe a svolgersi la sua opera di patriotta. Nel '59 fu membro della Giunta provvi- soria di Governo, consigliere di Stato presso il Commissariato delle Romagne, vice-presidente della Deputazione provinciale di Bologna e presidente della Commissione che presentò a Vittorio Emanuele II il voto di annessione delle” sue provincie al Regno d’Italia. Primo sindaco d' Imola, dal ’60 al 66, v'iniziò 08 — un notevole rinnovamento edilizio e scolastico, conseguendo nel 61 la meda- glia d'argento per i lavori di statistica comunale. Nella stessa città ebbe altri ufficì onorifici: fu presidente a vita dell’Asilo infantile, fatto sorgere da lui prima del 59 e largamente beneficato nel suo testamento; della Cassa di Risparmio, pure istituita dallo Scarabelli nel 1855, del Consorzio dei Mulini e del Museo civico di Storia naturale, ch'egli fondò nel 57 con Giuseppe Liverani, Odoardo Pirazzoli, Giacomo Tassinari e Vincenzo Toschi, donando al Comune le loro private collezioni, e che si accrebbe a mano a mano sopra- tutto col materiale scientifico raccolto 0 acquistato da lui, raggiungendo ben presto un notevole interesse locale. Per moltissimi anni fu capo del Consorzio agrario circondariale imolese e, come tale, attivissimo precursore del risveglio agricolo di quella regione. Nel 64, mentr'era sindaco, venne eletto senatore. Fu tra i soci fondatori della Società geologica italiana, che lo chiamò subito fra i suoi consiglieri e nell'88 lo acclamò presidente. Fece parte per lungo tempo del Reale Comitato geologico d'Italia. Il 2 Agosto 1898 fu nominato socio nazionale di questa Accademia, alla quale apparteneva in qualità di corrispondente dal 1° Agosto 1887. Nel disimpegno di questi molteplici ufficî e di altri che gli vennero più volte affidati dal Governo intorno a questioni agrarie e geologiche, egli im- piegò tutta la sua attività, portandovi il prezioso contributo della mente e del cuore. Sì, anche del cuore. Poichè Giuseppe Scarabelli non soltanto possedeva ingegno e dottrina, ma aveva pure una bell'anima. Di carattere integro e vigoroso, si prefisse di non piegare mai verso qualsivoglia men che onesta tendenza. In apparenza austero, nutrì sentimenti delicati. Franco e leale con tutti, dignitosamente gentile, buono e caritatevole, fu riverito ed amato. Ebbe affezione immensa per la moglie, contessa Giovanna Alessandretti, vedova del conte Pietro Faella, che sposò verso il '60, e, non avendone avuto figliuoli, adottò generosamente come suoi i due figli che le erano nati dal primo ma- trimonio. Nel 94 gli morì la consorte, lasciandogli un gran vuoto nel cuore. D'altra parte, la lunga durata della sua esistenza gli aveva prodotto un gra- duale isolamento, e già da varî anni ripeteva tristamente al nipote caris- simo prof. Giovanni Toldo (*), geologo (il quale segue con molto onore la via luminosa tracciata dall'estinto), che quasi più nessuno viveva dei compagni della sua gioventù. Ma, sorretto dalla tempra fortissima, non soffrì mai avvi- limento morale e, confortato dallo studio e dalle tenere cure della famiglia adottiva, visse serenamente fino all'ultimo dì. (1) A questo egregio collega, il quale, accogliendo la mia preghiera, mi fornì con grandissima cortesia molte notizie sulla vita del senatore Scarabelli, desidero esprimere pubblicamente i sentimenti della mia riconoscenza. E tanto più gli sono grato, poichè an- ch’egli, per incarico della Presidenza della Società geologica italiana, ebbe a scrivere la commemorazione del compianto geologo, che già da alcuni giorni ha trasmessa alla Segre- teria della predetta Società. — 259 — In Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini si è spento il Nestore dei geo- logi italiani, alla cui memoria benedetta s’'inchinano riverenti la Scienza e lneRatno: I SSvR0OR I DEL SENATORE GIUSEPPE SCARABELLI GOMMI FLAMINI a) — Pubblicazioni. - Osservazioni geologiche nelle vicinanze del Lago di Lugano in Lombardia. Brano di lettera al Prof. Leopoldo Pilla. — Cimento, anno II, pp. 242-244, in-8°. Pisa, Tip. della Minerva, 1844. Cenno sopra un viaggio in Sicilia com- piuto nei mesi di Dicembre e Gen- naio 1845 e relazione di una gita al Vesuvio fatta nel dì 24 Gennaio dello stesso anno. Lettera al Prof. Silvestro Gherardi. — Nuovi Annali delle Scien- ze naturali, serie II, tomo III, pp. 227- 231, in-8°. Bologna, Tip. Sassi nelle Spaderie, 1845. Una parola sulle ossa fossili dell’Imolese. — Nuovi Annali delle Scienze naturali, ser. II, tom. VI, pp. 81-84. Bologna, 1846. Catalogue des mammifères fossiles du ter- rain pliocène d’Imola, en Romagne. — Bull. de la Société géol. de France, 2€ série, tom. III, p. 442. Paris, 1846 [in A. Toschi, Ossements fossiles dé- couverts à Imola. Loc. cit., p. 440-442]. Sui depositi delle ossa fossili esistenti nel- l’Imolese. Lettera al ch. sig. Antonio Toschi. — Nuovi Annali delle Scienze naturali, serie II, tom. X, pp. 297-302, con una sez. geologica. Bologna, 1848. Sulla diversa probabilità di riescita dei pozzi artesiani nel territorio imolese. Osservazioni. — Opuscolo di pp. 22, in-8°, con una tavola di sezioni ge: - logiche. Imola, presso Vincenzo Dal Pozzo, 1850. Intorno alle armi antiche di pietra dura che sono state raccolte nell’Imolese. — Nuovi Annali delle Scienze naturali, serie III, tomo II, pp. 258-266, in-8°, con una tavola (V). Bologna, Tip. Sas- si, 1850. Note sur l’existence d’un ancien lac dans Sur la vallée du Senio en Romagne. — Bulletin de la Société géol. de France, II° série, tom. VIII, pp. 195-202, con una tavola (IV). Paris, 1851 [Letta nella riunione straordinaria della detta Società tenuta ad Épinal nel 1847]. la formation miocène (terrain tertiaire moyen) du versant N.-E. de l’Apennin, de Bologne à Sinigaglia. — Bull. de la Société géol. de France, II© série, tom. VIII, pp. 239-251, con una ta- vola (IV). Paris, 1851. Studi geologici sul territorio della Repub- blica di S. Marino fatti nel 1848. — Opuscolo di pp. 26, in-89, con carta e sezioni geologiche. Imola, Dal Pozzo, 1851. Sopra i depositi quaternari dell’ Imolese. Rettifica di alcune opinioni intorno alla giacitura delle ossa fossili. Let- tera al ch. sig. Dott. Antonio Toschi. — Annali di scienzematematiche e fisiche, tomo III, pp. 83-41, in-8°, con una tavola. di sezioni geologiche. Roma, Tip. delle Belle Arti, 1852. Carta geologica della Provincia di Bologna e descrizione della medesima. — Opu- scolo di pp. 27, in-8°, con la detta — 260 — Carta. Imola, Ignazio Galeati e figlio, Sui 1853. Sopra di un conglomerato calcare gessifi- cato. Lettera al ch. sig. Antonio To- schi. — Nuovi Annali delle Scienze naturali, serie III, tom. IX, pp. 71-76, gessi di una parte del versante N.-E. dell'Appennino. Lettera al Professore Domenico Santagata. — Opuscolo di pp. 21, in-8°, con una tav. di sezioni. Imola, Tip. d’Ignazio Galeati e figlio, 1864. in-8°. Bologna, Tip. Sassi nelle Spa- Sulle cause dinamiche delle dislocazioni derie, 1854 [ Vedi la Nota seguente]. Note sur le métamorphisme de certains gypses (indicata anche col titolo: Sur le eypse de Pomarance en Toscane). — Bull. de la Société géol. de France, degli strati negli Apennini. Lettera al Prof. G: Capellini. — Atti della So- cietà ital. di Scienze naturali, vol. VIII, pp. 362-364. Milano, Giuseppe Bernar- doni, 1865. II° série, tom. XI, pp. 346-347. Paris, Sulla probabilità che il sollevamento delle 1854 [Vedi la Nota precedente]. Descrizione della Carta geologica della Pro- vincia di Ravenna. Opuscolo di pp. 27, in-8°, con la detta Carta. — Nuovi Annali delle Scienze naturali, serie III, tomo X, pp. 211-228 e 337-346, con tav. II. Bologna, Tip.dell’Ancora, 1854. Alpi siasi effettuato sopra una linea curva. Lettera al ch. sig. Dott. Cesare D'Ancona. — Opuscolo di pp. 29, in-8°. con una tavola rappresentante la valle del Po dopo il sollevamento delle de- posizioni plioceniche. Firenze, Succ." Le Monnier, 1866. Sur un sondage artésien exécuté à Con- Guida del viaggiatore geologo nella regione selice, près Ferrare (pres. il 15 Set- tembre 1856). — Bull. de la Soc. géol. de France, II° série, tom. XIV, pp.102- 105. Paris, 1857. (Vedi anche l’Inco- raggiamento, giornale di Agric., Ind. e Comm., anno 8°, nuova serie, n.° 35, p.- 138. Ferrara, 1856) [I fossili trovati Apennina compresa fra le ferrovie ita- liane Pistoia-Bologna, Bologna-Ancona e Ancona-Fossato. Scala per le distanze 1:400000; scala per le altezze, ideale. [Fatta nel 1866]. — Un foglio lungo 70 centimetri e largo 50. Milano, Stab. Giuseppe Civelli, Gennaio 1870. nella trivellazione sono determinati da Notizie sulla Caverna del Re Tiberio. Let- G. Tassinari]. Sur une Nassa des marnes subapennines voisine de N. prismatica Brocchi sp. (N. Deshayesi n. sp.). Extrait d'une lettre è M. Deshayes. — Bull. de la tera al ch. sig. Prof. Antonio Stop: pani. — Atti della Società italiana di Scienze naturali, vol. XV, pp. 40-57, con una figura intere. Milano, Tip. di Giuseppe Bernardoni, 1872. Société séolog. de France, II° série, La Croce dei Cappuccini in Imola. Lettera tom. XIV, p. 105. Paris; 1857. Carta geologica del Senigalliese e dell’An- conitano, rilevata nel 1857. Bologna, Lit. Pancaldi [Vedi Studi sulla flora fossile e geologia stratigrafica del Se- nigalliese ]. Studii sulla flora fossile e geologia strati scientifica scritta dal Cav. Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini alla signora Isabella Toldo il giorno delle sue nozze col signor Rinaldo Ricci Bitti. — Un opuscolo di pp. 11, in-8°, con figura. Imola, Tip. d’Ignazio Galeati e figlio, 1873. grafica del Senigalliese. — Un vol. Brano di lettera al Prof. Pigorini intorno di pp. vir-506, in-4° [Parte I: Scara- belli, Geologia stratigrafica, di pp. 37, con la Carta geologica del Senigal- liese e dell’ Anconitano. - Parte II: alle scoperte fatte sul Castellaccio. — Annuario scientifico ed industriale, an- no X (1873), pp. 219-220, in-8°. Mi- lano, Fratelli Treves, 1874. A. Massalongo, Flora fossile, con 45 I pozzi bianchi e neri della città d’Imola tavole]. Imola, Tip. d’Ignazio Galeati e figlio, 1859. in relazione colla idrografia e l'igiene. Rapporto dell'Assessore Comm. Giu- — 261 — seppe Scarabelli Gommi Flamini al R. Sindaco d’Imola. — Opuscolo di pp. 18, in-4°. Con una tavola indicante l’area della città d’Imola divisa in quadrati di 300 metri ciascuno, por- tanti l'indicazione delle medie profon- dità dei peli d’acqua dei pozzi ivi esi- stenti. Imola, Tip. d’Ignazio Galeati e figlio, 1874. Scavi nella terramara del Castellaccio pres- so Imola. Lettera al Prof. Strobel. — Bullettino di Paletnologia it., anno I, pp. 150-151. Parma, Tip. della Società per gli operai tipografici, 1875. La terramara del Castellaccio presso Imola. Lettera al Prof. Strobel. — Bullet- tino di Paletnologia italiana, anno 3°, pp. 21-24, in-8°. Reggio dell’ Emilia, Tip. degli Artigianelli, 1877. Sugli scavi eseguiti nella Caverna detta di Frasassi (Provincia di Ancona). — Mem. della R. Acc. dei Lincei, Classe di Scienze fis., mat. e nat., serie 3°, tomo V, pp. 78-106, con 2 tavole. Roma, Tip. Salviucci, 1880. Descrizione della Carta geologica del ver- sante settentrionale dell'Appennino fra il Montone e la Foglia [o Geologia della Provincia di Forlì]. — Un vol. di pp. 106, in-4°, con 7 fig. intercalate nel testo, carta geologica e tavola di sezioni. Questa opera fa parte della Monografia statistica, economica, am- ministrativa della Provincia di Forlì (Geologia) [Tip. d’Ignazio Galeati e figlio in Imola]. — Forlì, a spese pro- vinciali, 1880. Carta geologica del versante settentrionale dell’Apennino compreso fra i fiumi Montone e Foglia, rilevata alla scala di 1:50000 e ridotta a quella di 1:100000. — Bologna, Stab. lit. G. Thumb, 1880. [Vedi Descrizione geo- logica del versante ecc.]. Carta geologica del Monte Castellaccio e dintorni presso Imola, alla scala di 1:5000. (Con sezione alla scala di 1: 2500). — Stab. Lit. Virano e Teano. Roma, 1881. Sulla età delle argille scagliose. — Boll. della Soc. geol. it., vol. II, p. 98. Roma, Tip. Salviucci, 1883. Sezione geologica nelle valli del Sentino e dell’Esino (Provincia di Ancona). Stab. lit. C. Virano, Roma, 1883. — Bollettino della Società geologica it., vol. II, tav. V. Roma, 1883. Stazione preistorica del Monte del Castel- laccio presso Imola scoperta ed inte- ramente esplorata da G. Scarabelli Gommi Flamini. Un vol di pp. vr + 95, in-4° gr., con 23 tavole in litografia, delle quali 3 grandi colorate. — Imola, tip. d’I. Galeati e figlio, 1887. Tavole due (I e II), dimostranti la scheg- giatura delle pietre lavorate, quater- narie, dell’Imolese. — Bologna, Lit Wenk, 1888. Discorso d’apertura dell'adunanza generale della Società geologica italiana tenuta in Rimini il 6 Settembre 1888. — Boll. della Soc. geol. ital., vol. VII, pp. 241-245. Roma, Tip. della R. Acc. dei Lincei, 1888. Sulle pietre lavorate a grandi scheggie del Quaternario presso Imola. — Bullet- tino di Paletnologia italiana, serie II, tomo VI, anno XVI, pp. 157-166, in-89, con una cartina geologica (tav. V). Parma, Luigi Battei, 1890. Necessità di accertare se le impronte così dette fisiche e fisiologiche provengono dalle superfici superiori o dalle infe- riori degli strati. Osservazioni sopra il Nemertilites Strozzii Meng. — Bol- lettino della Soc. geol. it., vol. IX, pp. 349-357, in-8°, con 2 tav. (IX e X). Roma, 1890. Orizo-clinometro (Scarabelli). Nota esplica- tiva intorno al modo di servirsene. — Pp. 2, in-fol., con fig. Imola, Tip. Ga- leati, 1892. Sopra alcuni fossili raccolti nei colli fian- cheggianti il fiume Santerno nelle vi- cinanze d’Imola. — Boll. della Società geol. it., vol. XVI, pp. 201-241, con due tavole. Roma, 1897. Nuovi studi sulla probabilità di felice ri- sultato di una perforazione artesiana in Imola. Lettera al Direttore della n —E rr rr —rr—_—__—r——_1r—r'r_r——_—_— _——__21___t 72°40' 1 111.181 28°11'-28°27’ 28°19' 28°21' 2 eali3i 44929" — 44°56' Il 101.181 27°21 — ZIAL 1 Teelea02 74°58" = GSIIA 1 102 . 102 43042’ = 43938" 1 111.114 37921’ = 87°46' 1 101.205 25954 = 25922" l Nessuna misura attendibile potei ottenere per il prisma 100, sebbene in molti cristalli abbia potuto accertarmi della sua presenza. Tra le forme già note nella scheelite in generale, ma non osservate ancora a Traversella, la più comune è la 115, la quale in alcuni cristalli si presenta con belle facce le quali permettono delle misure abbastanza esatte : MULSILIS valori trovati 29024'-29°25" valore teorico 29°23’ 113.113 ” ” 71°45'-71°46" ” ” 71048’ Molto meno frequente è la 313; mi occorse di incontrarla in alcuni cristalli di tinta rosso ranciata e rosso brunastra e nei quali era sempre ben — 284 — distinta la 101; in essi le facce 813 comparivano sotto forma lineare ed in molti casi erano talmente striate da non poter ottenere che misure ap- prossimative; però due cristalli di tinta rosso bruna mi permisero di avere dei valori angolari abbastanza precisi : IINE9IS valori trovati 24°19"-24°21 valore teorico 24°-22” 101818 ” ” 032% ” ” 15036! La 120 è poco frequente ed ancora nella massima parte dei casi ha le facce assolutamente inadatte ad ogni misura; tuttavia in alcuni piccoli cri- stallini, alti poco più di mezzo centimetro, osservai delle facce discreta- mente speculari ed in uno ottenni i seguenti valori: 120.111 valore trovato 30° 7’ valore teorico 30°35’ 120.101 ” ” 41958’ ” ” 41°27' Rarissima è la 001; la incontrai in un solo cristallo che presentava la combinazione 111, 101, 118, 102, 001 (fig. 1) e nel quale, mentre le Fic. 1 facce 111 e 101 erano striate, invece si mostravano molto nitide le 113, 102, 001 dalle quali ricavai le seguenti misure: 113.001 valore trovato 35953" valore teorico 35°54" 102. 001 ” 37024 n ” 310321 Le forme da me osservate del tutto nuove nella scheelite debbono considerarsi come molto rare; dei sei emidiottaedri, due e precisamente la 323 e la 232 appartengono alle note zone costituite da coppie di facce come 131, 111; 311, 111 ed alle quali appartengono pure le facce della 313; gli altri appartengono invece alle altre zone costituite ancora dalle facce della 131 e da quelle della 111 e determinate da coppie di facce come 131, 111; 3II, 111 e nelle quali fino ad ora non si conoscevano forme ben determinate avendo solo Bauer osservato in un cristallo di Traversella una forma indeterminabile giacente in essa. È degno di nota poi il fatto che nello stesso cristallo Bauer aveva pure osservato un’altra forma indeterminabile giacente nelle zone prima accennate — 285 — e che probabilmente è da identificarsi con la 282 da me osservata, essendo essa, come risulta dalle figure di Bauer, compresa fra le facce della 131 e quelle della 111. i Osservài la 323 in alcuni cristalli bruno rossastri nei quali era pure presente la 313; essa era sotto forma di facce lineari molto striate; in un cristallo che mostrava la combinazione 111, 101, 313, 323, 131 (fig. 2) ottenni per essa la seguente misura approssimativa: 322.101 valore trovato 29°-29°30’ valore teorico 29°12' RIGRI: B1G5r3” Osservai invece la 232 in alcuni cristalli giallognoli e fra questi in modo molto evidente in uno che presentava la combinazione 111, 101, 1831, 885, 714, 756 e rappresentato dalla fig. 3; questo cristallo, alto poco più di 7 od 8 millimetri, era incompleto, mancando in esso le parti terminali; tuttavia sebbene molte delle sue facce fossero poco nitide, alcune se ne osservavano sufficientemente speculari. La 232 appariva sotto forma di faccettine addossate alla 131; da una ottenni la misura seguente: DS valore trovato 11°18' valore teorico 11°32' Le 756 e 714 erano sotto forma di faccettine lineari addossate pure alla 131 ma dalla parte opposta della 232; i loro simboli furono ricavati dalle seguenti misure: OOO valore trovato 8°34' valore teorico 8°36’ 714.111 ” ” 34° 7' ” ” 34°15' — 286 — L'ottaedro 885, presente solamente nel detto cristallo, si presentava con faccette lineari sottostanti alle 111; esse mi diedero le seguenti misure: 885.111 valori trovati 8°33'- 8°45' valore medio 8°40’ valore teorico 8°34' 885. 885 ” ” 73°49'-75°058" n sO Doe ” 13050! La 735 fu osservata in un solo cristallo che presentava la combina- zione 111, 101, 735 essendo terminato da alcune di quelle facce anormali a cui già accennai; la 21 1 11 sì osservava in due cristalli della combina- zione 111.101.21111 di cui uno era dotato di facce sufficientemente spe- culari. I valori angolari trovati sono i seguenti: (IINAIA valore trovato 19°42' valore teorico 59°56' 7350 ” ’ 61°20' ” 2 NOIA ATI, ’ ’ 40°33' ” ” 40922" QLL ’ 7 45°-45°30' ” » 44°27' Malgrado la discreta corrispondenza del primo dei valori riguardanti la 21111, considero questa forma come incerta in causa della sensibile differenza fra il valore teorico dell'altro angolo e quello ottenuto a semplice bagliore, non permettendomi essa di affermare in modo sicuro ‘che la detta forma sia nella zona 811.111; in quanto alla 323, la cattiva misura otte- nuta dipendeva dalla grande diffusione presentata su di essa dalle immagini. Nella tabella dei valori angolari ottenuti per le forme già note e più comuni della scheelite di Traversella, si osserva che pur essendo i valori medi assai prossimi ai teorici, i valori estremi oscillano entro limiti assai estesi; il che se in parte può dipendere dal non essere le facce sufficîente- mente nitide, in parte credo derivi da vere variazioni nel valore delle co- stanti cristallografiche. Invero in molti casi osservai che le dette differenze erano collegate con le differenze di tinta che frequentemente si notano nei cristalli di Traver- sella; fra i numerosissimi cristalli da me esaminati, ne trovai alcuni, di tinte differenti, i quali per la nitidezza delle loro facce si prestavano molto bene ad ottenere delle misure angolari molto precise e tali da poter essere impiegate per determinare il valore di c; il che rivestiva un certo interesse per il fatto che corrispondendo alle diverse tinte delle differenze nella com- posizione chimica, queste determinazioni potevano essere utili in confronto con l’ipotesi di Traube (') secondo la quale vi sarebbero nella scheelite delle variazioni nel valore di e in rapporto delle proporzioni in cui l'acido molibdico, spesso presente nella scheelite, entra a sostituire l'acido tungstico. I cristalli da me impiegati a questo scopo appartenevano alle varietà incolora, giallo ranciata, bruno verdiccia e bruno rossastra; esse vennero (1) Veber den Molybdin-Gehalt des Scheelits ecc. N. Jahrb. fur Miner. ecc. Beil. Bd. VII (1891) pag. 232. — 287 — analizzate seguendo il metodo di Traube e, sebbene risultassero tutte povere in acido molibdico, tuttavia in alcune notai come il detto acido fosse in proporzioni maggiori di quelle osservate da Traube, come si vede dal seguente specchio ove sono riportate le analisi del detto autore e le mie (?): WO; Mo0; CaQ0 Mg 0 Totali Varietà incolora (Colomba) . . . 77,03 8,15 19,73 — 9991 ” bruno rossastra (Colomba). 77,35 2,46 18,33 1,67 99,81 » giallo grigiastra (Traube) . 78,57 1,62 19,37 — 99,56 ” bruno verdiccia (Colomba). 78,75 1,47 19,23 0,55 100,00 n enigiallo miele (Traube) .. 79,68 (06° 19,29" — 99,73 ” giallo ranciata (Colomba) . 79,68 0,72 19,43. tr. 99,83 Le varietà che meglio potei utilizzare per la determinazione della co- stante cristallografica, furono l’incolora e la bruno verdiecia; dai cristalli giallo miele e bruno rossastri non potei ricavare dei valori molto esatti in causa della costante diffusione presentata dalle immagini. Cristalli incolori: ISRRIN NI —49°91-49°99%%;° media 49921030”; ‘€ —=1,5397 n (TOL. 101 = 65939 cec= 1,5403 2 MISI 4992074999779 dA 9R2090 ie 15394 Cristalli bruno verdieci: DAI 001— 35953! e= 1,5356 MO 22:001 —137029301 ec= 1,9349 Da questi valori si ricava come valore medio o IE, poco lontano da quello dato da Dauber (?) ed assunto da Dana (3) c=1,5356 e molto prossimo pure a quello desunto da Traube dall’unica misura del- l'angolo 111.111 compiuta da von Rath (‘), pari a 1,5364. Da questi miei valori, come pure da quello ricavato dalla misura di von Rath, risulta che anche per queste varietà di scheelite, si avvera il fatto già notato da Traube, della esistenza cioè di relazioni fra la presenza (1) In tutte queste varietà, seguendo il metodo di Cossa (Ricerche chimiche e mi- neralegiche su minerali e rocce d’Italia, 1881) notai la presenza di piccole tracce di Dis 03 e Ces 03, ma anche in quella giallo ranciata, per quanto fosse la varietà che, secondo le ricerche di Cossa, dava molto più distintamente gli spettri di assorbimento dei detti metalli, si trattava di minime tracce. Esse vennero sempre calcolate con la calce. (2) Pogg. Ann. (1859) cvir pag. 272. (8) System of Mineralogy (1892) pag. 985. (4) Sitz. Ber. der Niedezzhein. Gesellsch. in Bonn (1882) (Estratto). — 288 — o no di acido molibdico nella scheelite ed il valore della sua costante cri- stallografica, poichè assumendo rispettivamente per la scheelite pura e per il molibdato calcico, per c, i valori ammessi da Traube e pari a 1,5815 e 1,5458, i valori desunti dalle misure compiute sui cristalli di Traversella sarebbero appunto intermedî fra i due sopra indicati. Occorre però di notare come pur non negando la esistenza della rela- zione ammessa da Traube, non sia possibile dare ad essa un significato molto preciso nel senso che variando le proporzioni dell'acido molibdico varii nella stessa ragione il valore di e; poichè, come si vede dai risultati ottenuti da Traube e dai miei, si hanno nel detto valore delle oscillazioni affatto indipendenti dalle proporzioni di acido molibdico; e ciò è ancora confermato dalle osservazioni compiute da Pelloux (!) nella scheelite del Sempione, affatto priva di acido molibdico e nella quale trovò l’angolo 111.111 pari ad 80°10', superiore cioè a quello della stessa powellite. La forma prevalente nei cristalli di Traversella è, come già è noto, la 111, le cui facce sono spesso striate; però oltre alle striature già osservate da Bauer, parallele agli spigoli d'intersezione delle 111 e 101 e quindi giacenti nella zona determinata da queste facce, altre se ne hanno che si presentano normali agli spigoli orizzontali della 111 e che quindi si possono considerare come giacenti nelle zone a cui appartengono le nuove forme 714 e 756, poichè appunto gli spigoli di queste zone debbono essere normali ai detti spigoli orizzontali. Frequentissima è pure la 101, ma Îe sue facce hanno sempre uno svi- luppo molto piccolo in confronto a quelle della 111; fatto questo che fu finora osservato, oltre che nella scheelite di Traversella, solamente in quella già citata del Sempione. Le altre forme sono molto meno frequenti, come già dissi, ed alcune sembrano direttamente collegate col colore dei cristalli; così ad esempio le 313 e 323 si osservano esclusivamente sui cristalli di tinta rosso bru- nastra o rosso ranciata. Notevole è poi il modo in cui si presentano associate le facce degli ottaedri terminali 113, 114 102, e 205. Se si considerano le due coppie di zone formate rispettivamente dalle facce 102 e dalle facce 205 con le facce laterali delle 111, come ad esempio sarebbero le zone 111.102 e 111.102 (fig. 1) e le zone 111.205 e 111.205 si nota come nelle prime siano comprese facce della 113 e nelle seconde facce della 114 e precisamente nei casi sopra accennati nelle zone sopra indicate saranno comprese rispet- tivamente le facce 113 e 113 e le facce 114 e 114. Ora nei cristalli di (1) Scheelite ed altri minerali rinvenuti in una roccia proveniente dal traforo del Sempione. Boll. del Naturalista XXI (1901) (Estratto). — 2389 — Traversella si osserva che costantemente quando è presente la 102 ad essa è associata la 113, mentre quando è presente la 205 ad essa è associata la 114. Mai ho avuto occasione di osservare dei cristalli che fossero terminati dalle facce da un solo degli ottaedri 113, 114, 102, 205. Non infrequentemente si notano dei cristalli che presentano una spiccata pseudosimmetria monoclina dipendente dall’anormale sviluppo di una coppia di facce opposte della 101, e fatto degno di nota si è (fig. 4) che anche quando si hanno delle altre forme associate alle 111 e 101, esse pure si presentano anormalmente sviluppate in modo da accentuare ancora di più il tipo pseudosimmetrico dei cristalli in questione. Essi presentano in tal modo una grandissima analogia con i cristalli di wolframite, analogia che è resa più sensibile ancora dal fatto del quasi perfetto isogonismo esistente, almeno per quanto riguarda le forme più comuni, fra la zona 111.101 della scheelite e la zona 110.100 della wolframite : Scheelite Wolframite Telesai01i==*39058% INOSIIO0/= 394]: 111.111 = 79955’ 110.110 = 79°23' QMZAON22044! 2000 —:22032/ SU ER10N=#5236t STORaA00= 15928" Degna pure di essere ricordata è la scheelite di Traversella per quanto riguarda le sfaldature che si osservano nei suoi cristalli ; invero, mentre gli autori danno come prevalente nella scheelite le sfaldature secondo 111 e 101, essendo la prima molto più facile della seconda, trascurano affatto oppure considerano come priva di ogni importanza quella secondo 001. Invece nei cristalli di Traversella, questa si può dire è la sola che si manifesti in modo assai evidente ed anzi, pur non potendola considerare RenpIcoNTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 37 Îl II — 290 — come perfetta, è sempre molto facile, dando luogo in molti casi a facce assai nitide e speculari. , Le dimensioni dei cristalli di scheelite sono variabilissime e, sebbene raramente, possono essere molto grandi; il nostro Museo possiede un bel- lissimo cristallo, del peso di 650 grammi, costituito oltre che da un terzo di una delle piramidi, da tutta l’altra la quale misura un'altezza che supera i 6 centimetri. Maggiori ancora sono le dimensioni di un cristallo apparte- nente alla collezione mineralogica della Scuola d'applicazione degli Inge- gneri; esso, pur essendo solamente costituito da una delle due piramidi e neppure completa, ha un'altezza che supera i 10 centimetri ed ha un peso uguale a kg. 1,275. Interessante è poi, nei grossi cristalli di scheelite associati alla dolomite, la presenza di inclusioni costituite da altri piccolissimi cristalli di scheelite nitidi e completamente terminati; essi non presentano mai alcuna relazione di isorientazione con i grossi cristalli che li includono, ed anzi si hanno dei casi in cui si osserva nell’ interno di un solo individuo voluminoso la pre- senza di più cristallini inclusi, diversamente disposti gli uni dagli altri.’ Ciò lascia supporre la presenza nella scheelite di Traversella di più fasi successive e staccate di deposito, non potendosi a parer mio, in causa della costante mancanza di isorientazione fra i cristalli includenti e quelli inclusi, ammettere che si tratti di accrescimento continuo intorno ai piccoli cristalli inclusi considerati come nuclei iniziali. D'altra parte la esistenza di queste fasi distinte di deposito è pure confermata da quanto osservai in un interessante cristallo policromo da me raccolto; esso presentava una delle estremità troncata in causa dell'essersi in esso manifestata in conseguenza di una qualche rottura, una sfaldatura naturale secondo 001; su questa faccia si osservava un'altra porzione di cri- stallo, ben discernibile perchè di tinta più chiara, costituita da una delle piramidi della 111, la quale non copriva interamente la faccia di sfaldatura su cui era appoggiata colla sua base. Evidentemente questa seconda por- zione di cristallo non solo aveva dovuto depositarsi posteriormente alla prima, ma pur anche indipendentemente da essa, essendo la sua formazione avvenuta dopo che il cristallo preesistente aveva subìto la rottura da cui era deri- vata la faccia naturale di sfaldatura. Mineralogia. — Sopra alcuni minerali di Val d' Aosta. Nota di FepERICO MILLOSEVICH, presentata dal Socio G. STRUÙVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 291 — Mineralogia. — .Su/a costituzione della titanite. Nota di FER- RUCCIO ZAMBONINI, presentata dal Socio G. STRIivER. In un lavoro pubblicato or fa un anno ('), ho avuto occasione di occuparmi incidentalmente della costituzione della titanite, senza manifestare alcuna opinione decisa. Non trascurai però in seguito l'interessante questione e mi permetto ora di comunicare brevemente il risultato delle mie indagini, benchè esse sieno di carattere esclusivamente teorico. Le ipotesi principali finora emesse sulla costituzione della titanite si possono riassumere così. H. Rose (?) ritenne che il titanio funzionasse da catione e stabilì la formula Ca? Si + ‘i? Si, che fu da Berzelius (3) con- siderata come teoricamente poco accettabile e propose l’altra 2Ca Si + Ca Ti. Blomstrand (‘) ritornò all'ipotesi di Rose sulla funzione del titanio e con- siderò la titanite come un silicato di calcio e titanile Ti0. 0° g; Ca.085: Per le titaniti contenenti elementi trivalenti si hanno due ipotesi. Se- condo Blomstrand, il titanile sarebbe sostituibile dal complesso ugualmente bivalente R. 0. (R indica un metallo trivalente), cosicchè si avrebbe la se- guente formula generale per la titanite: H NI i 2(R,R:0,, Ti0)O , Siò.. Secondo Groth (5), invece, le titaniti in questione sarebbero miscele di due composti CaTiSiO; e (A1,Y),Si0;. (1) Veber die Drusenmineralien des Syenits der Gegend von Biella. Groth's Zeitsch. f. Kryst. u. s. w. 1905, XL, 246-248. Colgo quest'occasione per correggere un’evidente svista nella quale sono incorso parlando delle proprietà ottiche della titanite biellese. A pag. 245 negli angoli segnati come c: € sono, invece, come del resto risulta chiaramente dal testo, gli angoli che la normale a (102) fa con le bisettrici acute pei diversi colori. (*) Veber die T'itansàure: ber die titansiurehaltigen Mineralien; 2 Titanit. Pogg. Ann. 1844, 62, 253. (®) Arsberdttelse, 1845, pag. 275. (4) Zitanater fron Smàland jemte nàgra anmàrkningar ròrande dylika mineraliers undersòkning. Denksk. kongl. physiograph. Fòrenig. i Lund 1878. (5) Z'abellarische Uebersicht der Mineralien 1882, 118. © 999 — È certo che l'ipotesi di Blomstrand, che è rimasta poco conosciuta, forse perchè enunciata in un periodico pochissimo diffuso, è in accordo assai soddisfacente con le analisi. Altrettanto non si può dire per quella di Groth, che vale, come ho accennato nel mio ricordato lavoro, solo per un numero ristretto di analisi. Per accettare un'ipotesi non basta, peraltro, che essa si accordi coi nu- meri forniti dall'esperienza: deve anche essere accettabile teoricamente. Ora, può proprio ammettersi che il titanio nella titanite abbia funzione cationica ? Mi è sembrato che una risposta ci possa essere fornita dai numerosi lavori pubblicati in questi ultimi anni sulla chimica del titanio, del suo omologo superiore nel sistema periodico, lo zirconio, e dello stagno, elemento che con gli altri due ha tanta somiglianza. Ora tutti questi lavori sono concordi nel dimostrare la tendenza di questi elementi a formare anioni complessi. Per il titanio mi limiterò, per brevità, a citare i lavori di Péchard (') e di Ro- senheim e Cohn (*) e Rosenheim e Schiitte (3), dai quali è risultata l’esi- stenza di sali di un acido titanossalico TiO = (C00-COOH),, di un acido clorotitanico H, Ti Cl;, di un acido titansolforico TiO S0,.S0,H., di un acido tetrarodantitanico H.(Ti0)(SCN),, di acidi titanotartarici, ecc. Com- posti di analoga natura sono noti per lo stagno: non ricorderò che l'acido Hs(Sn0) (C, Hs 0g) (4), del quale son conosciuti i sali alcalini, i clorostannati ecc. La tendenza dello stagno a formare anioni complessi è, per noi, di grande importanza, se si pensa che Bourgeois (*) ha ottenuto artificialmente un composto Ca Sn Si0;, isomorfo con la titanite, e che è evidentemente una titanite nella quale il titanio è sostituito dallo stagno. Il comportamento del titanio che chiaro risulta dalla formazione dei composti riferiti e di molti altri che stimo inutile riportare, è confermato dalle analogie che, in questi ultimi tempi, specialmente per opera del Ruer (5) si sono constatate nello zirconio. Questo chimico ha, infatti, potuto dimo- strare che il solfato neutro di zirconio, in soluzione acquosa, ha un compor- tamento che nel modo migliore è espresso dalla formula ZrO.S0,.S0,H3, (1) Sur le combinaisons de l’acide oralique avec les acides titanique et stannique. Compt. rend. 1893, CXVI, 1513. (2) Veber Doppelverbindungen des vierwertigen Titans. Zeitsch. f. anorg. Chemie 1901, XXVI, 239. (3) Rhodanide des vierwertigen Titans. Zeitsch. f. anorg. Chemie 1901, XXVIII. 167. (4) Rosenheim und Aron: Veber cinige Komplexsalze des vierwertingen Zinns. Zeitsch. anerg. Chemie 1904, XXXIX, 170. (3) Sur la préparation d'un silicostannate de chaux correspondant au sphène. Compt. rend. 1887, CIV, 231. (6) Veber das Verhalten einiger Zirkonsalze und die Konstitution des neutralen Zirkonsulfats. Zeitsch. f. anorg. Chemie 1904, XLII, 87. Ruer e Levin: Zur Aenntnis der Zirkonschwefelsiuren. Ibiden 1905, XLVI, 449. — 295 — perfettamente analoga a quella dell’acido titansolforico, il cui sale di am- monio fu descritto da Rosenheim e Schiitte (vedi sopra). Da tutti questi fatti mi sembra risulti poco probabile che il titanio nella titanite faccia parte di un catione complesso. So bene che in molti composti, specialmente in seguito agli studî di Abegg e Bodlinder sulla elet- troaffinità, si è riconosciuta la presenza di cationi complessi, ma mi sembra assai più d'accordo col comportamento generale del titanio, del zirconio e dello stagno, ammettere che la titanite sia il sale di calcio di un acido com- plesso titansilicico RO—iS10,. Ca. Si torna, così, alla formula del Blomstrand, ma con una variazione essen- ziale: mentre, infatti, questo chimico considerava TiO come facente parte del catione, io ritengo che appartenga all’anione complesso. Dobbiamo ora brevemente occuparci dell'alluminio, del ferro ferrico, dell’ittrio e del cerio che si rinvengono sopra tutto in alcune varietà di ti- tanite. È, a mio parere, probabilissimo che questi elementi facciano parte III dell'’anione e sostituiscano il titanile bivalente con due gruppi RO monova- lenti. Ciò è d'accordo con le analisi, le quali appunto dicono che quando i sud- detti elementi trivalenti sono presenti, diminuisce, in generale, la quantità di biossido di titanio. Per il ferro al massimo e l'alluminio non si possono muo- vere gravi obbiezioni all'ipotesi che esistano nella titanite sotto forma di gruppi II RO, che sono ammessi in moltissimi silicati, e che facciano parte dell’anione. Come è noto, il Vernadsky (*), qualche anno fa, ha pubblicato una completa ed attraente teoria sugli allumo- e ferrisilicati: è ben conosciuta poi la ten- denza di questi elementi a far parte di anioni complessi: basterà che io citi, come composti di recente scoperta, gli acidi allumo- e ferrisolforici di Re- coura (?) e Baud (*). E per quel che riguarda gli elementi rari, il bel la- voro di Brauner e Picek (‘) sugli acidi « terrosolforici » permette di ritenere che anche questi elementi possano far parte di anioni complessi. E la pos- ò INI sibilità che essi si trovino allo stato di gruppi RO risulta dal lavoro della signora Cleve-Euler (3) sull’itterbio, il quale metallo dà un wolframato € Zur Theorie der Silikate. Zeitsch. f. Kryst. 1901, XXXIV, 37. (2) Action de l’acide chlorhydrique sur les sulfates de sesquioeyde d’aluminium, de chrome et de fer. Compt. rend. 1902, CXXXV, 163. Combinaisons du sulfate ferrique avec l’acide sulfurique. Ibidem 1903, CXXXVII, 118. (3) Sur une combinaison du sulfate d’aluminium avec l’acide sulfurique. Compt. rend. 1903, CXXXVII, 492. (4) Saure Sulfate der seltenen Erden. (Erdschwefelsiuren). Zeitsch. f. anorg. Chemie 1904, XXXVIII, 322. (3) Beitrige zur Kenntniss des Ytterbiums. Zeitsch. f. anorg. Chemie 1902, XXXII, 153. — 294 — III (YbO), WO, nel quale appunto si ha il gruppo RO: già molto prima, il Pettersson aveva ammesso il gruppo YO nella sua formula della gadolinite. Più recentemente il Brill (*) ha descritto diversi solfati delle terre rare di formula (RO). SO,. Resta a vedersi se le analisi di titaniti contenenti elementi trivalenti finora pubblicate sono d'accordo con la teoria ora esposta. È certo, però, che da queste analisi non si può trarre alcuna deduzione molto sicura, poichè le analisi della titanite lasciano, in generale, parecchio a desiderare. Molte ana- lisi di varietà prive di sesquiossidi, come ho già notato nel mio citato la- voro, conducono a rapporti assai diversi da quelli richiesti dalla formula Ca Ti Si 0;, che è sicuramente quella della titanite pura (?). Per le varietà ricche in ferro, alluminio e terre rare non sono mai di- II III stinte le quantità rispettive di Fe e Fe, ed in pochissime sono determinati gli alcali, che pure si trovano in molte titaniti. Dai calcoli da me istituiti sulle diverse analisi finora conosciute e che stimo inutile riportare qui in esteso, risulta che alcune, come, per esempio, le seguenti: Monroe (Busz) Si O, : Ti 0, : Ca0(*)= 1,01: 1: 0,86 Renfrew ‘(Busz)! .. tl... ee 090: Plauenscher Grund ((Groth) . . . —1 0,8766605 ” (Emtze) .. 0. = ileesaIN0110296 Biella"(Zambonini) eni i Ul = : 0,90 : 1,03 Eucolite-titanite (Lindstrom). . . = : 0,89 : 1,07 Alsheda I (Blomstraid). . . . =1 4:02 ” II 7 SI RTRRAAR EI ge : 1,02 : 0,98 Buò, amorfa, (Rammelsberg). . . =1 :0,95 : 0,86 Narestò, ” CH E :0,96:1 stanno in accordo soddisfacente o discreto con la mia ipotesi, mentre solo (1) Veber Atomgewichtsbestimmung von seltenen Erden. Zeitsch. f. anorg. Chemie 1905, XLVII, 464. (2) Si ha perfino: Si Op: Ti0,,: ‘RO ___1: 0,94 : 0,67 Hosensackstation (Knerr e Smith) “1: 0,98 : 0,70 Wildtkreuzjoch (Busz). Nè migliori risultati si hanno da analisi più recenti. Quella eseguita da Kovar della tita- nite di Vicz presso Bistritz dà Si 0, :'RIOSPRO = 1 :0,96:0,86. (3) In Ti O»: si sono riuniti Als 03 , Fes 03, Ya 03, Ces Og : in Ca0 gli ossidi dei me- talli bivalenti, gli alcali e l’acqua. — 295 — quelle di Monroe e di Plauenscher Grund (Hintze) si possono calcolare bene con quella di Groth. Altre analisi, ad esempio quella della titanite di Waldheim (Schmòger) con Si0, : Ti 0, : Ca0=1:1,04:0,77, soddisfanno male alle condizioni ri- chieste dalla formula proposta in questo lavoro, ed ancor peggio a quelle volute dall'ipotesi di Groth. Altre, come quelle di Buò eseguite da Erdmann, nelle quali si ha Si 0: Ti 0,:Ca0=1:1,02:0,70 = li DO260N] contraddicono la mia formula e sono in perfetto accordo con quella di Groth. Altre analisi, infine, non si prestano a nessun calcolo. Come si vede, la maggioranza delle analisi, e specialmente quelle più complete di Rammelsberg, di Blomstrand e di Hintze, non si oppongono alla formula da me proposta, che merita quindi, mi sembra, di esser considerata almeno come verosimile. Bacteriologia agraria. — Distribuzione dell’ Azotobacterio in Italia (*). Nota del dott. R. PEROTTI, presentata dal Corrispondente G. CUBONI. La forma di Azotobacter che, in una precedente Nota (?), riferiî aver isolato da un terreno di Roma, sottoposta ad un ulteriore studio, per le caratteristiche morfologiche e per il comportamento verso i differenti mezzi nutritivi, deve indubbiamente essere identificata con la specie A. chroococcum Beyerinck. Eseguito anche un confronto con una cultura pura del croococco fattami espressamente inviare dal laboratorio bacteriologico del dott. Kral di Praga, rimase pienamente confermata tale mia conclusione. Stabilito adunque questo fatto, con il quale per il primo veniva a consta- tare la presenza in Italia dell'azotobacterio nella sua forma tipica rinvenuta e descritta dal Beyerinck nei terreni dell’ Europa settentrionale, volli pro- cedere ad uno studio di ricognizione per venire a conoscere se, ed in quale misura la medesima forma, che deve godere un ufficio di grande interesse nell'economia generale della natura, fosse diffusa nei varî terreni d’Italia. E poichè per altri miei studî in corso sui microorganismi della nitrificazione, (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Bacteriologia agraria annesso alla R. Stazione di Patologia vegetale. (*) Dott. R. Perotti, Bacteri oligo- e mesonitrofili della campagna romana. V. questi Rendiconti, vol. XIV. 2° sem., fasc. 2°, pag. 623. — 296 — per cortese invio di molti professori e direttori d’istituti agrari italiani (!), avevo nel mio laboratorio numerosi campioni di terreno di varia natura e di differenti provenienze recentemente raccolti, istituii con essi alcune ricerche, i cui risultati sono nella presente Nota esposti. Metodi. — Seguii il metodo del Beyerinck tanto per l'allestimento delle culture brute quanto per l'isolamento e lo studio delle forme. In Erlenmeyer dal contenuto di cm.8 250 versai 25 cm.8 di soluzione Beyerinck — acqua marcia, 100; mannite, 2; fosfato bipotassico, 0,02 — in modo da formare sul fondo un sottile strato di liquido nel quale faceva cadere gr. 0,2 del terreno da esaminarsi. Dopo un primo rimescolamento lasciai i recipienti in riposo alla temperatura di 28° C. per dieci giorni. Al decimo giorno procedetti sia macroscopicamente che microscopicamente al- l'esame del liquido di queste culture brute. Agarizzando lo stesso liquido del Beyerinck, eseguii alcune culture in piastre, delle quali mi valsi per lo studio delle colonie e delle forme pure che passai in mezzi nutritivi contenenti maggiori o minori quantità di so- stanze azotate (agar Beyerinck, agar al peptone, gelatina di carne, albumose di Heyden). Allo scopo d'evitare inutili ripetizioni rimando, per quanto si riferisce ad una più particolareggiata esposizione dei metodi, alla mia precitata Nota. Terreni esaminati. — Fra i campioni di terreno ch'erano a mia dispo- sizione, prescelsi quelli aventi una composizione che più s'avvicinasse a quella dell’impasto predominante sul luogo e provenienti da disparate località di molte parti d'Italia. Più particolarmente formarono oggetto del mio studio i seguenti terreni: 1. Avellino, località « Cappuccini ». Terreno sciolto, siliceo, coltivato a nocciuolo con colture intercalari avvi- cendate di lupino o fava con frumento e patate. 2. Caltagirone, podere « Mazzivecchi » della R. scuola pratica di agri- coltura. Terreno di natura siliceo-calcarea-argillosa del tipo predominante nella località. 8. Cerignola, località « Pavoni » appezzamento « Conca d’oro ». Terreno di medio impasto, con sottosuolo costituito di roccia calcarea, seminativo. 4. Fabriano, località « Cancelli » podere dell’on. Milani. Terreno ghiaioso-argilloso. i 5. Messina, località « S. Placido Calocero » podere della R. scuola pratica di agricoltura. (1) Colgo con piacere questa occasione per ringraziare sentitamente tutti quei si- gnori che vollero prendersi il disturbo di raccogliere, preparare ed inviare alla R. sta- zione di Patologia vegetale i campioni occorsi per il presente studio. — ae Terreno argilloso-siliceo, di mezzano impasto, discretamente ricco in potassa, povero in anidride fosforica ed in azoto. 6. Perugia, orto del KR. istituto superiore agrario. Terreno argilloso-calcare, discretamente ricco di materia organica e di media fertilità: coltivato a tutte le principali piante utili. 7. Porto Maurizio, proprietà cap. Castaldi. Terreno formato di detriti del colle sovrastante, coltivato ad ortaggi. 8. Rieti, campo reatino. Terreno calcare siliceo argillo-ferruginoso. 9. Scafati, R. istituto sperimentale per la coltivazione dei tabacchi. Terreno di natura silicea, poroso, povero di sostanza organica: coltivato a tabacco. 10. Torino, frazione « Lingotto =, campo sperimentale della R. stazione agraria. Terreno quaternario, pianeggiante, di natura argilloso-sabbiosa, assoluta- mente privo di calcare. Risultati. — Trascorsi dieci giorni dalla inoculazione del liquido di Beyerinek con i campioni di terreno suddetti, procedetti all'esame delle cul- ture brute pervenendo a quei risultati che sono qui appresso riuniti con i numeri corrispondenti a quelli dei campioni già elencati. 1. Leggera produzione di membrane: scarse forme di Azozobacter. 2. Mediocre formazione di membrane sospese nel liquido: rare forme di Azotobacter. 3. Produzione di pellicola superficiale iridiscente e di membrane al fondo: numerosi gli Azotobacter. 4. Formazione di membrane e di pellicola superficiale iridiscente: liquido leggermente vischioso: pochi elementi di Azotobacter. 5. Produzione notevolissima di membrane gelatinose: numerosissimi gli Azotobacter. 6. Pellicola superficiale sottile e piccola formazione di membrane: pochi Azotobacter. 7. Mediocri formazioni gelatinose e pellicola superficiale: presenti gli Azotobacter. 8. Notevole produzione di membrane gelatinose: leggera formazione di pellicola superficiale iridiscente: abbondantissimi gli Asotobacter. 9. Formazione piuttosto abbondante di pellicola superficiale iridiscente : liquido viscoso: scarseggianti gli Asotobacter. 10. Sottile pellicola superficiale: poche membrane: scarseggianti gli Azoiobacter. La preparazione e l'esame delle culture in piastre portò nei vari terreni all'isolamento della forma, che fu con sicurezza identificata mediante i suoi caratteri morfologici e culturali. ReNnDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 98 — 298 — Si vede, adunque, come l'Azotobacterio è presente in punti disparati e lontani d'Italia, con una costanza la quale rende molto attendibile la suppo- sizione che la presenza di esso debba verificarsi in tutti i terreni della nostra penisola. Dipendentemente dalla natura fisico-chimica del suolo potrà la forma trovarsi in uno stato di maggiore o minore « attività », ciò che spiega, in questo studio, il differente comportamento delle culture brute, le quali pur tuttavia furono mantenute tutte nelle identiche condizioni di ambiente (tem- peratura, luce, ecc.). In particolar modo è degno di nota lo sviluppo degli sotobacteri ottenutosi con alcuni campioni, quali ad es. quei di Rieti, di Messina e di Cerignola; e si deve perciò ritenere che tali terre godano di una certa fertilità, come è di fatto. Relativamente poi al terreno del podere della R. scuola pratica d'agri- coltura di Messina, debbo riferire di aver notato nelle culture brute alcune forme, che pur presentandosi molto simili all'Azotobacterio del Beyerinck, potrebbero per alcuni caratteri rappresentarne almeno una varietà. Sto quindi proseguendo gli studî con detto campione di terreno per tentare di isolare tali forme e per descriverle. Batteriologia casearia. — cerche bacteriologiche sul for- maggio Gorgonzola ('). Nota del prof. CosrAnTINO GORINI, presen- tata dal Socio G. BRIOSI. Già più volte in precedenti scritti diedi prova delle norme vantaggiose per l'industria casearia che si possono derivare dallo studio microbiologico del caseificio. Così, ad es., fondandomi sopra ricerche e considerazioni bacteriologiche, ho indicato diversi accorgimenti relativi alla pulizia della camera del latte (?), alla scolatura delle bacinelle di latteria (3), alla scelta dei termometri (°), alla manutenzione della salamoia per formaggi (4) che ebbi la soddisfazione di vedere bene accolti nel mondo caseario italiano e straniero. Ora son venuto in possesso di un fatto che mi sembra meritevole di particolare menzione, perchè adatto quanto altri mai a dimostrare come le moderne cognizioni microbiologiche possano contribuire al perfezionamento (‘) Lavoro eseguito nel laboratorio di Batteriologia della R. Scuola Superiore di Agricoltura di Milano. Presentato all'Accademia il 13 febbraio 1906. (2) Industria del latte, 1903, pag. 87. (3) Agricoltura moderna, 1904, n. 41. (4) Idem., 1905, n. 16. (5) Idem., 1904, n. 47. — 299 — di un'industria così fiorente e promettente qual'è quella del formaggio, o stracchino detto di Gorgonzola. È noto che la caratteristica dello stracchino Gorgonzola è la presenza, nell'interno della pasta, di macchie verdognole che, richiamando l'aspetto del prezzemolo, vengono dette con vocabolo milanese erdorinature. Queste macchie sono legate allo sviluppo di un ifomicete o muffa del genere Pe- nicillum. Siccome questo microbio spesse volte tarda a manifestarsi più di quello che il negoziante avrebbe bisogno per soddisfare alle richieste dei compra- tori, così per promuovere la formazione delle macchie si usa punzecchiare i formaggi in parecchi punti in guisa da farvi penetrare dell'aria. Questa pratica empirica viene ora spiegata dalla microbiologia, la quale ci insegna che l’aria favorisce lo sviluppo del suddetto ifomicete. E infatti non è difficile verificare che le macchie verdognole sono di solito più intense lungo i canaletti che segnano il percorso delle punzecchiature. Chi però ha avuto frequente occasione di osservare del Gorgonzola, avrà rilevato che, oltre alle ambite macchie verdi, esso presenta non di rado, nel suo interno, delle macchie di altro colore che ne costituiscono invece altret- tanti difetti. Queste anomalie di colorazione sono di maggior danno di quanto si creda per la buona accoglienza del Gorgonzola specialmente all’estero. Di ciò ho potuto persuadermi nei miei ultimi viaggi nel Belgio e in Francia, dove si fa (ed a ragione) il confronto con altri tipi similari di formaggio, quale ad es. il Roquefort, che meno facilmente è colpito da difetti di co- lorazione. Io mi sono pertanto domandato come si potesse spiegare la frequenza di questi difetti nel nostro rinomato stracchino. Ed ecco in riassunto i risultati delle mie indagini. Una delle colorazioni anormali che mi sembrano più comuni nel Gor- gonzola, è la rossa o rosea la quale sotto forma di striscie e talora persino di vere geodi invade qua e là la pasta dello stracchino. In un caso da me esaminato potei accertare, mediante culture isolanti, la presenza di un bat- terio del tipo del BaczMlus lactis erythrogenes Hùppe, il quale vi si trovava così abbondante e così nettamente limitato alla zona rossa, da non lasciarmi dubbio che ad esso dovesse ascriversi il difetto medesimo. Volli allora andare in traccia della possibile origine di quel germe estraneo. Esaminando attentamente, constatai che la sede delle macchie rosse stava in istretto rapporto coi canaletti che erano stati praticati artificial- mente nella pasta per lo scopo sovraccennato. Le striscie rossastre seguivano, in altre parole, il percorso delle punture, partendo dalla superficie esterna e avanzandosi verso l'interno della massa. Ciò mi indusse a ricercare se il medesimo bacterio si trovasse anche sulla superficie del formaggio; le ri- 00, cerche diedero esito positivo, poichè dalla crosta dello stracchino in esame, accanto ad altri microbi di varia natura, potei isolare per l'appunto dei rap- presentanti dello stesso 2. erythrogenes. Era quindi logico supporre che il suddetto germe fosse stato innestato nello stracchino per via delle perfora- zioni. Tale supposizione fu in me rinsaldata dopochè mi riuscì (grazie alla cortese ospitalità di alcuni fabbricanti, fra cui piacemi segnalare la Ditta Gallone di Lecco) di presenziare al procedimento che abitualmente si adotta per praticare le perforazioni. Trattasi di un metodo molto primitivo: con lunghi aghi di metallo sì attraversano in diverse direzioni e ripetutamente i caci, lasciando che l'ago trascini seco lungo il suo percorso il sudiciume ricoprente la super- ficie esterna dei cacì stessi. Ora è degna di nota la circostanza che, avendo sottoposto ad analisi micrografica il sudiciume esterno di parecchi stracchini, mi risultò che, in mezzo agli innumerevoli germi ivi alberganti, ve ne è una gran parte di colorati (cosidetti cromogerni), fra cui prevalgono precisamente i rossi, appar- tenenti non soltanto agli schizomiceti, ma anche agli ifomiceti e ai blasto- miceti. Inoltre avendo fatto attenzione alla sede delle colorazioni rosse e di altre colorazioni anormali in parecchi stracchini che mi capitarono sott'occhio dopo le ricerche surriferite, ho verificato ripetersi in generale il sopraccennato rap- porto coi segni indicanti il percorso delle punture. Tutto concorre adunque a far ritenere che le colorazioni anormali in- terne dello stracchino Gorgonzola, fra cui predomina la rossa, possano essere provocate da inquinazioni microbiche trapiantatevi dalla superficie in causa dell'operazione della foratura, Ripensando ora a quanto asseriscono gli stranieri, che nel formaggio Ro- quefort i difetti di colorazione interna sono molto più rari, verrebbe da cre- dere che questo stracchino non vada sottoposto alla perforazione. Ma così non è; anche i Roquefort sono punzecchiati per lo stesso motivo per cui si punzecchiano i Gorgonzola; salvo che, siccome appresi verbalmente dai fab- bricanti di Roquefort e come vidi confermato in recenti pubblicazioni, i Ro- quefort, prima di essere punzecchiati, vengono ripuliti, raschiati dalla pa- tina sudicia che li riveste. Non si potrebbe fare lo stesso ed anche meglio pel nostro classico stracchino ? Ecco adunque come la scienza microbiologica, mettendo a nudo la causa di un difetto, sia in grado di suggerire il mezzo per migliorare sensibilmente la riuscita di un importante prodotto caseario. Dico: sensibilmente, perchè non è a credere che i difetti provenienti dal sistema sudicio di perforazione del Gorgonzola si limitino a colorazioni eterogenee; evidentemente per lo sviluppo di germi estranei entro la pasta — 301 — si possono determinare altresì alterazioni di sapore, di consistenza, di pro- fumo ecc. Ripeto: sensidilmente, giacchè nuoce molto alla riputazione del nostro cacio la mancanza di quell’omogeneità e purezza di colorito e di sapore che invece è meglio raggiunta nei formaggi similari francesi e inglesi (cacio Stilton). E ciò mi fu assicurato non solamente da gente francese, la quale potrebbe avere peculiare interesse a sostenere il Roquefort, ma benanco da cultori di caseificio degli Stati Uniti d'America e dell’ Inghilterra, dove il Gorgonzola trova pure grande smercio. Ed è un vero peccato, — soggiungevano quei miei egregi colleghi — | perchè quanto a bontà intrinseca il Gorgonzola è bene spesso preferito ai suoi competitori. Tanto che vi sono già all’estero dei propositi di fabbricare delle imi- tazioni del Gorgonzola, prendendo da noi i lati buoni della sua preparazione, e correggendola nelle parti difettose alla stregua dei criteri e delle esigenze moderne. Io non voglio dire al certo che un tale pericolo sovrastante al nostro Gorgonzola sarà sventato col solo perfezionarne il sistema di perforazione. Esso non è peraltro uno dei meno importanti emendamenti che urge intro- durre per presentare sempre meglio questo nostro prodotto, fonte non indif- ferente di ricchezza nazionale; dappoichè credo di non scostarmi troppo dal vero valutando (in base a rilievi eseguiti sopra luogo) a circa 15 milioni di lire il movimento annuo di cacio Gorgonzola in Italia. Con questa mia Nota ho inteso inoltre di fare per il Gorgonzola ciò che già feci per altri prodotti caseari e segnatamente per il formaggio di Grana: dimostrare cioè coi risultati di ricerche bacteriologiche l'utilità non solamente scientifica ma anche pratica di studiare la lavorazione dei nostri latticini se- condo un indirizzo igienico-microbiologico, che finora, per forza di cose, è ri- masto trascurato. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI F. ZAmBONINI. Ulteriori ricerche sulle zeoliti. Presentata dal Socio G. STRUEVER. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLAsERNA dà il triste annuncio della morte del Socio straniero prof. SamueLE LANGLEY; apparteneva il defunto all'Accademia, per la Fisica, sino dal 25 settembre 1900. 302 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CeRRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle dei Soci Foà, TARAMELLI, SAccARDO, BERLESE, DARBOUX, HAECKEL, HELMERT, PFLUEGER, e dei signori prof. CAMPANA, e dott. VER- BEcK. Fa inoltre menzione di un A4/0um descrittivo del Policlinico Um- berto I di Roma inviato in dono dal Ministero della Pubblica Istruzione, e dei volumi 3° e 4° del Rapporto del Governo di Ceylan, sulle pescherie di ostriche perlifere nel golfo di Manaar. CORRISPONDENZA Il Presidente BLASERNA presenta un piego suggellato, trasmesso dai dottori G. A. BLANc e 0. ANGELUCCI, perchè sia conservato negli Archivi accademici. Lo stesso PRESIDENTE comunica poscia un invito della Università di Aberdeen che celebrerà nel prossimo settembre il suo quarto centenario. Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona: la R. Accademia delle scienze di Amsterdam; l'Accademia delle scienze di Nuova York; le Società Reali di Londra e di Vittoria; la Società geologica di Ottawa; il Museo Britannico di Londra; il Museo di storia naturale di Nuova York; l’Istituto geodetico di Potsdam; l'Osservatorio Harvard di Cambridge Mass. — 303 — DISSERTAZIONI ACCADEMICHE DELLA UNIVERSITÀ DI BERN. I. — BERN. AcHNER A — Beitrige zur Kenntnis der falschen Chinarinden. Ziirich, 1904. 80, Apamorr W. — Ein Beitrag zur Physio- logie des Glykogens. Miinchen, 1904, 8°. ArTINGER K. — Beitrige zur Kenntnis von Kérperform und Leistung des Rindes. Leipzig, s. a. 8°. BAacHMANN A. — Ueber die Indikationen des kiinstlichen Abortus. s. 1., 1905. 8°, BacrLierI L. — Ueber kongenitale Luxa- tionen im Kniegelenk. Wiesbaden, 1905. 8°. _BarrauD S. — Ueber Extremititengan- grin im jugendlichen Alter nach in- fektiésen Erkrankungen. Leipzig, 1904. (a BemELMANS E. C. H. A. M. — Beitrag zur Kenntnis der Veriinderlichkeit der Nie- derlindischen Butterkonstanten. Bern, 1904. 8°. BerTHOuD G. — Beitrige zur Kenntnis des Copaivaharnes. Bern, 1905. 8°, BiLanp J. — Ueber die fibrinòsen Ge- rinnungen an der placentaren Fliche des Chorion. Berlin, 1904, 8°. BLumsreIn-JupIinA B. — Die Pneumatisa- tion des Markes der Vogelknochen. Wiesbaden, 1905. 8°. Borssonnas L. — Zur Casuistik der Zun- genkrebse. Strassburg, 1905. 8°. Bonme R. — Ueber den Intestinaltractus von Clarias melanoderma Bleeker. Bern, 1904. 8°, BorLe J. — Contribution è l’étude de l’Embolie graisseuse après le redresse- ment brusque des contractures articu- laires. Genève, 1905. 8°. Brann M. — Ueber Molybdate, Sulfomo- lybdate u. Phospormolybdate des Li- thiums. Bern, 1905. 8°. Bruck S. — Ueber den Zusammenhang zwischen Diurese und Organtàtigheit. Bern, 1904, 8°. BricGer J. — Das Vieh Graubiindens und seine Beziehung zur brachycephalen Urrasse. Bern, 1904, 4°, Brunnineer M. G. — Kongenitale Kam- merscheidewanddefekte mit konseku- tiver Pulmonaliserweiterung. Berlin, 1904. 8°. Bussenius H. — Tierreste aus der « Grotte Aiguebelle » am kleinen Salève. Jena, 1905. 4°. Crevisca A. — Ueber die Bildung des Mikronucleus bei Ichthyophthirius multifiliis (Fouquet). Minchen, 1904. 8°, Conen S. — Synthese des 3, 4, 2” Trioxy- Flavonols. Amsterdam, s..a. 80. Darcaes P. — Endresultate der Radikalo- peration von Hernien speziell der In- guinalhernien. Leipzig, 1904. 8°. Diem E. — Beitrige zur Kenntnis der Arsenvanadinmolybdate. Bern, 1904. 8°. DorBRITz E. — Bakterienflora der Vaccine. Bonn, 1904, 8°. DragnewIrsca M. — Ueber Kaliumpho- sphorvanadinmolybdate. Bern, 1905. 8°. EsenHUSsEN K. — Ueber Borowolframate. Bern, 1905. 8°, EseRHARDT A. — Contribution è l’étude de Cystopus Candidus Lév. Jena, 1904. 8°. Farkowrrsca K. — Horprifungen bei den Zòglingen in der Taubstummen-Anstalt Wabern bei Bern. Bern, 1905. 8°, FeLDBACA S. — Beitrag zur Ernihrung magendarmkranker Siuglinge mit But- termilch. Bern, 1905. 8°, FéLicine L. — Ueber die Beziehungen zwischen dem Blutgefisssystem und den Zellen der Nebenniere. Bern, 1905. 80. FencHeL A. — Ueber Tubularia Larynx Ellis. Geneve, 1905. 8°. FraLeiewITsca M. — Ueber die Beziehun- gen zwischen Bau und Funktion der Lymphdrisen. Minchen, 1905. 8°. — 904 — Fiscuer H. — Die Bedeutung der Agglu- tination zur Diagnose der pathogenen und saprophytischen Streptokokken. Jena, 1904. 8°. Forster K. — Beitrag zur Kenntnis des Xeroderma pigmentosum. Berlin, 1904. 89 FroòuLIcH A. — Die Verinderungen des Hufbeins bei Strahlkrebs. Stuttgart, 1905. 8°. Funk C. — Zur Kenntnis des Brasilins und Himatoxylins. Bern, 1904. 8°. Gasser A. — Ueber die Nullstellen der Besselschen Funktionen. Bern, 1904. 8°, Gemuseus A. — Das Stovaîn, ein neunes Lokalanisthetikum. Bern, 1905. 8°. GerpTs C. L. — Bau und Entwickelung der Kompositenfrucht mit besonderer Beriicksichtigung der offizinellen Arten. Leipzig, 1905. 8°. Gertzowa S. — Ueber die Thyreoidea von Kretinen und Idioten. Berlin, 1905. 8°. Gezowa L. — Ein Klinischer Beitrag zur Frage der feuchten Asepsis. Bern, 1905. 8°. GLAsManN B. —- Ueber die Trennung von Chrom und Vanadin und itber Chrom- vanadate. Riga, 1904. 8°. Greverz W. v. — Ueber die oberhalb von Dickdarmverengerungen auftretenden Darmgeschwiire. Leipzig, 1905. 8°. GroLL M. — Der Oeschinensee im Berner Oberland. Bern, 1904. 8°. GuecIisseRG H. — Ueber Komplikationen der Retroflexio uteri und deren Ein- fluss auf die operative l'herapie. Bern, 1905. 8°. Hagicuart C. — Die Steinerschen Kreisrei- hen. Bern, 1904. 8°. HasencLEvER P. — Uber die Anwendung des Salzsiuren Hydroxylamins in der quantitativen Analyse. Wiesbaden1905. 80, HauswirtH A. — Die chirurgische Be- handlung der Varicocele. Bern, 1905. So He1iLBorNn E. — Fuchs, Schakal und Wolf. Vergleichende Morphologie des Schi- dels. Bern, 1905. 8°. Hrinricas B. — Hirudineen der Umge- bung von Bern. Beitrag zur Kenntnis der schweizerischen Hirudineenfauna. Hannover, 1905. 8°. HeLeers J. H. E. — Beitrige zur Geolo- gie der westlichen Gehîinge des Lau- terbrunnenthales. Bern, 1905. 8°. Hinsen A. — Ueber Ammoniumphosphor- vanadinmolybdate. Bonn, 1904, 8°. HopeL H. — Beitrag zur Frage der Ge- burtspragnose nach Prolapsoperatio- nen, Amputation des Cervix und der Vaginalportion. Luzern, 1904. 8°. HorrBAuER R. — Beitrige zur Kenntnis der Aloe. Berlin, 1905. 8°. HirrEMANN W. — Beitrag zur Kenntnis der Bakterienflora im normalen Darm- traktus des Rindes. Strassburg, 1905. 80, InHtELDER A. — Fille von Polydactylie bei Menschen und Haustieren. St. Gallen, 1904. 89. Jacopius L. — Ueber Metalltrennungen im Salzs&urestrom. Breslau, 1905. 8°. Kanan E. — Ueber die Morbiditit nach Eihaut und Placentarlosungen bei Su- blimatantisepsis des Genitalkanals. Charlottenburg, 1904. 89. KapLan L. — Die Driisen des Stimmban- des und ihre Ausfiihrungsgiinge Bern, 1905. 8°. KarnowsKit M. — Zur Kenntnis des Ca- techins. Bern, 1905. 8°. KenREN L. — Ueber die Umlagerung von By-ungesittioten «-Hydroxysàuren in y-Ketonsiuren. Strassburg, 1904. 8°. Kern F. — Studien ber das Wesen der Beschilseuche. Jena, 1905. 8°. Korransgky E. — Ueber eigentimliche Formationen in den Leberzellen der Amphibien. Jena, 1904. 8°. Kisrer E. — Die Innervation und Ent- wicklung der Tastfeder. Leipzig, 1905. Sh LAHRMANN H. — Beitrige zur Kenntnis der Ammoniumphosphorvanadinmolyb- date. Bern, 1904. 8°. Lieseranz F. — Die parasitischen Pro- tozoen des Wiederkinermagens. Bern, 1905. 8°. — 305 — Lipp A. — Beitrige zur Kenntnis der Einwirkung von Aldehyden auf Phe- nole. Ueber einige gefirbte Hydrazo- verbindungen. Bern, 1905. 8°. Marti H. — Beitrige zur Chirurgie des Magenkreibses iber 97 Magenresek- tionen wegen Carcinom mit Beriick- sichtigung der Fernresultate hinsicht- lich Radikalheilung und Wiederher- stellung der Magenfunktionen. Leipzig, 1905. 8°. Mavus 0. — Die Peridienzellen der Ure- dineen in ihrer Abhingigkeit von Standortsverhàltnissen. Bern, 1904. 8°. MennEKING F. — Ueber die Anordnung der Schuppen und das Kanalsystem bei Stachyodes ambigua (Stud.) Cali- gorgia flabellum (Ehrbg.) Calyptro- phora Agassizii (Stud.), Amphilaphis abietina (Stud.) und Thouarella varia- bilis (Stud.). Berlin, 1905. 8°. MervrILLEUX R. (de) — Fréquence et ré- partition du Sarcòme en Suisse de 1892-1901. Berne, 1905. 8°. Meyer L. — Ueber Darmverengerungen nach unblutiger oder blutiger Reposi- tion eingeklemmter Briiche. Leipzig, 1905, 8°. MryER P. E. — Die Kiemenhéhle und das Kiemengertist bei den Labyrintfischen. Bern, 1904, 89, NeuBAUER J. — Ueber anagrobe Bakterien im Rinderdarm. Berlin, 1905. 8°. NIEDERHAEUSERN D. v. — Die Skopalamin- Morphium-Narkose. Bern, 1905. 8°. NieRENSTEIN M. — Synthese des 2-Oxy- flavonols. Bern, 1904. 8°. NopirscuH E. — Beitrige zur Kenntnis des Pinzgauer Rindes. Traumstein, 1904. 8°. OrstERN K. — Beitrag zur Kenntnis der Bakterienflora der erweichten tuberku- losen Herde des Rindes. Jena, 1904. 89°. OnLer K. W. — Der Einfluss des Gesch- lechtslebens der Tiere, insbesondere der Vogel auf die Epidermoidalgebilde der Haut. Neustadt, 1905. 8°. OppLER P. — Feinere Anatomie der im Kopf- und Halsteil von Hirudo vorkom- menden Driisen. Neu-Ruppin, 1904. 8°. Oort E. D. v. — Beitrag zur Osteologie des Vogelschwanzes. Leiden, 1904. 8°. OrtengeER6 G. — Spektralanalytische, mit dem Quarz-Spektrographen vorgenom- mene Untersuchungen reiner und ka- pillaranalytisch abgetrennter gelber Farbstoffe, mit besonderer Bericksich- ticung pharmakognostisch wichtiger Kérper. Berlin, 1904. 8°. Over K. — Untersuchungen iber die fé- tale Circulation. Utrecht, 1904. 8°. PeRLBERGER H. — Ueber Kupfer- und Kad- mium-Phosphormolybdate. Bern, 1904. 8°. Picarp J. H. — Ueber den Wert der bio- logischen Reaktion als Erkennungs- mittel von Fleischarten. Utrecht, 1904. 8°, PLate E. — Ueber die Resorptionsinfek- tion mit Tuberkelbazillen vom Magen- darmkanal aus. Bern, 1905. 8°. PorscHEL K. — Ueber die Anwendung der Inhalation bei den Haustieren. Nirn- berg, 1905. 8°. PRETSCHISTENSKAJA K. — Ueber den Ein- fluss der Temperatur auf die Wirk- samkeit des Vagus. Minchen, 1905. 8°. Promnitz B. — Untersuchungen iber Ly- soform. Jena, s. a. 4°. ReBER H. — Zweite Mitteilung. Ueber Ag- glutination der Vaginalstreptokokken gravider Frauen und die durch diesel- ben hervorgerufene Himolyse. Stutt- gart, 1905. 89. RreissinceR A. — Vergleichende Unter- suchungen iber den mikroscopischen Bau der arteriellen Blutgefisse des Kopfes und Halses der Haussiugetiere. Amorbach, 1904. 8°. Ries J. — Ueber die Erschépfung und Erholung des zentralen Nervensystems. Minchen, 1905. 8°. Rosca A. — Der Kontakt zwischen dem Flysch und der Molasse im Allgàu. Minchen, 1905. 8°. Rusin K. — Ueber Wolfram- & Silicium- bestimmungen im Stahl. Bern, 1905. 8°. Ruca FI. — Besteht ein Zusammenhang zwischen Struma und Cataract ? Bern, 1905. 8°. — 306 — SameLson-KLIwANsKy L. — Ein Beitrag zur Kenntnis der Mammacysten mit butteràhnlichem Inhalt. Berlin, 1905. 8°. ScuNnEIDER A. — Das Achsenskelet der Gorgoniden. Berlin, 1905. 8°. ScaneIDER J. — Untersuchungen iber die Tiefsee-Fauna des Bielersees mit be- sonderer Bericksichtigung der Biolo- gie der Dipterenlarven der Grund- Fauna. Bern, 1905. 8°. ScHEveE A. — Beitrige zur Kenntnis der Vanadylverbindungen. Bern, 1905. 8°. ScHinpLER C. — Untersuchungen iber das Auftreten der Myelocyten im Blute. Zugleich ein Beitrag zur Himatologie infectiéser und anderer Krankheits- zustinde. Berlin, 1904. 8°. ScHorrt F. — Beitrige zur Kenntnis der Oxalvanadinmolybdate. Bern, 1904. 8°. ScuuLtz K. — Untersuchungen iber das Verhalten der Leukocyten-Zahl im Wiederkiuerblut, 1. unter normalen (physiologischen) Verhàltnissen; 2. bei innerlichen Krankheiten (spez. Gastri- tis sowie Pericarditis traumatica). Ti- bingen, 1905. 8°. Scniùrz A. — Ist der Katheterismus (Luft- dusche) bei der akuten Otitis media parulenta wegen einer komplizierenden Mastoiditis indiziert oder kontraindi- ziert? Luzern, 1905. 8°. SeMADENI F. 0. — Beitrige zur Kenntnis der Umbelliferen Puccinien. Jena, 1904. 8°. SramM H. — Ueber Phosphorvanadinmo- lybdate. Bern, 1905. 8°. StepowskI M. — Vergleichend-anatomi- sche Untersuchungen iiber die oberir- dischen Vegetationsorgane der Burse- raceae, Dipterocarpeae und Guttiferae, mit besonderer Beriicksichtigung der Sekretbehalter. Krakau, 1905. 8°. STERN P. — Beitrige zur Therapie der Syphilis. Berlin, 1905. 8°. Sipmersen H. J. — On an Infectious Pneumonia of Rabbitis, and its Treat- ment by Antiserum. Jena, 1905. 8°. SuLser J. — Synthesen einiger Stilbende- rivate. Bern. 1905. 4°. Svenpsen C. J. I. B. — Ueber den Harzfluss bei den Dicotylen speziell bei Styrax, Canarium, Shorrea, Toluifera und Li- quidambar. Kristiania, 1905. 8°. Taurer J. — Beitrige zur Kenntnis der himorrhagischen Septikàmie der Haus- tiere auf Grund einiger Beobachtungen u. Untersuchungen. Berlin, s. a. 8°. VerMaAT P. — Untersuchungen tiber das Oberfliichen-Epithel des Magens. Bern, 1904. 89. Wacener 0. — Virulenzsteigerung von Ty- phusbazillen durch Zuchtung in Jauche. Stuttgart, 1905. 8°. WaLrHER F. — Uber Dauererfolge bei Sa- natoriumsbehandlung und den Wert von Volksheilstàtten. Bern, 1904. 4°. WegELIn K. — Ueber das Adenokarzinom und Adenom der Leber. Berlin, 1905. 8°. WersILarr M. — Zur Kenntnis der firbba- ren Kérnchen in den Schweissdriisen. Bern, 1904. 8°. WiLmer F. — Beitrige zur Kenntnis des diluvialen Addagletschers. Bern, 1904. So WurtH T.— Rubiaceen bewohnende Puc- cinien vom Typus der Puccinia Galii. Jena, 1905. 8°. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). | Vol. III (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 22 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. s® MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TransuNnTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. Memorie della Classe di scienge morali, storiche: e filologiche. Vol. XIII. Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1906). Fasc. 5°. 1° sem. RENDICONTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fase. 79-89. MEMORIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fase. 1°-20. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XI. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Frmanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULaico Horpri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1906. FRNIDICE Classe di scienze fisiche,, matematiche e naturali. Seduta del 4 marzo 1906. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI MiUosevich. Osservazioni della cometa 1905 e Giacobini fatte all’equatoriale di 39 cm. d'apertura all'Osservatorio al Collegio Romano . . . . . SCA (IMRE RO DO: Battelli. Sulla resistenza elettrica dei solenoidi per correnti di sito ini (Iene 266: Orlando. Sull’integrazione di una notevole equazione differenziale a derivate parziali (pres. dal\SociO NO erz:a NIE £ » ; » 0» Magini. Influenza degli orlî sulla gi dia di un i ves! dal Conto. Batte MISI 1 ) ; h » 270 Chistoni. Misure no a, sal Monte ATO nell’ o gal 1904. e lag del 1905 (pres. dal Socio Blaserna) . °°. » 276 Levi e Voghera. Sopra la formazione elettrolitica DCS nà CH bi Coin Na © » 281 Colomba. Sulla scheelite di Traversella (pres. dal Socio Strwver) 0/0. 0400 Zambonini. Sulla costituzione della titanite (pres. Id.) . . . . E INZONA Perotti. Distribuzione dell’Azotobacterio in Italia (pres. dal di i): Cana O Gorini. Ricerche bacteriologiche sul formaggio Gorgonzola (pres. dal Socio Briost). . . » 298 MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Zambonini. Ulteriori ricerche sulle zeoliti (pres. dal Socio StrWver) . . . .. +...» 801 PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio straniero prof. Samuele Langley» » PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Foà, Taramelli, Saccardo, Berlese, Darboua, Haeckel, Helmert, Phlueger, dei professori Campana, Verbeck, e del Ministero dellagubblica Istruzione. ee ee 802 CORRISPONDENZA Blaserna, (Presidente). Presenta un piego, inviato dai dottori Blanc e ut perchè sia conservato negli Archivi dell’Accademia . . . i REA) CIRO Id. Comunica un invito della Università di Aberdeen per È CIAO doi suo A, cen- HEMEARIO oli a ATI SCI SAMI SIGNO Cerruti (Segretario). Dì Sn della coni ta oo dI o deli At TERA) BULLETTINO, BIBLIOGRABIGO 00 ceh MMM O O ZAN ERRATA-CORRIGE A pag. 249, lin. 17, invece di 1849 legg. 1839. ” 261, al titolo He penultima pubblicazione dello Scarabelli, vanno aggiunte le parole: (in collaborazione col dott. L. Foresti). (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 18 marzo 1906. N. 6. RIESI caaZ 30M | so DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINORI ANNO CGGTI. ieoe Sg, dan Q UNITE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 marzo 1906. Velume XV.° — Fascicolo 6° J° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1906 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE i. Col 1892 si è iniziata la Serie quarta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una. proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra; ziamento ell’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.1’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei, La spesa di un numero di copie in più che ‘osso richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANNA _---- Seduta del 18 marzo 1906. F. D'Ovipro, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Sulla radioattività della sorgente di Fiuggi presso Anticoli. Nota preliminare del Corrispondente R. NASINI e di M. G. Levi ('). Occupati da vario tempo nello studio della radioattività di prodotti italiani abbiamo rivolta ultimamente la nostra attenzione sulla celebre sor- gente di Fiuggi presso Anticoli e sull'acqua che da essa scaturisce. Fin dall'agosto dell’anno scorso abbiamo esaminato con un elettroscopio a cam- pana, assai adatto per ricerche sui gas, la radioattività del gas che si può estrarre dall'acqua di Fiuggi facendovi gorgogliare a traverso una corrente d'aria. Il gas si dimostrò assai ricco di emanazione, giacchè ci risultò di un'attività circa la metà di quella del gas della sorgente di Gastein (Gra- benbéickerquelle) che noi stessi abbiamo avuto l'opportunità di esaminare e che, come risulta anche dagli studi del Curie, è il gas più radioattivo che si conosca. Il chino prof. C. Engler del Politecnico di Karlsruhe, nella escursione che fece in Italia nel settembre p. p. per esaminare la radioattività delle nostre acque coll’apparecchio semplice ed esatto da lui ideato, rivolse il suo studio, in seguito alle nostre indicazioni, anche sull'acqua di Fiuggi e, da quanto egli gentilmente ci comunicò per lettera, risulta pure dalle sue espe- rienze che quest'acqua è molto radioattiva. Crediamo che non vi sia dubbio, come ci siamo persuasi con ulteriori indagini, che essa è la più attiva tra le acque italiane di radioattività nota. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 39 308 — Abbiamo continuato e continuiamo tuttora le nostre ricerche non solo sull'acqua di Fiuggi, ma su tutti i materiali che si trovano in prossimità della sorgente, ricerche che promettono di condurci a risultati interessanti sia dal punto di vista della radioattività dei materiali stessi e dell’acqua, sia dal punto di vista della loro composizione chimica. Speriamo di potere fra breve render conto di questi risultati. Meccanica. — Sugl: integrali delle equazioni dell’elettrodi- namica. Nota del prof. R. MARCcOLONGO, presentata dal Socio V. CERRUTI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Influenza degli orli sulla capacità elettrostatica di un condensatore ('). Nota del dott. R. MAGINI, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI (?). 1. La diseguaglianza di distribuzione prodotta dallo spazio d’aria esi- stente fra un condensatore munito di anello di guardia e l'anello stesso potrebbe condurre a conclusioni inesatte o almeno non del tutto rigorose quando, come capiterà spesso, dovrà farsi il confronto fra le capacità del condensatore con e senza anello di guardia e quelle ricavate in ambo i casi dalle sue dimensioni. Sarà quindi conveniente, prima di adoprare la nota formola To di formarsi un'idea della grandezza dell'influenza del taglio. 2. Maxwell, studiando il caso dell'anello nel $ 201 di Zlectricity and Magnetism, dè per la capacità di un condensatore circolare, la seguente espressione : ; (1) c-F + BRR Ro 8d 84 dHkbe dove d è la distanza dei piatti; R, il raggio del disco (collettore); R', il raggio interno dell'anello di guardia, per modo che la larghezza del taglio è RT— R; e @, una quantità tale che R—R TE id log, 2, ossia @' < 0,22 (R' — R) (8). (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Fisica della R. Università di Pisa. (2) V. pag. 270. (8) Questa quantità «' fu introdotta nel calcolo della capacità studiando il sistema formato da due superficie equipotenziali ondulate create da una serie di semipiani paral- — 309 — Chiamando allora 2c la larghezza del taglio, si ha subito dalla (1): RESP) R°-— (RLEOS a' 8d sd era + a'’ dalla quale, sviluppando e riducendo si ottiene: ReecR a' e? a' Palo) 4 che può scriversi: RE ic(R eta c) og Ra (1+-20)È Allora, chiamando C, la correzione della capacità espressa dal primo termine nella supposizione che sia nulla l'influenza dell’orlo, e chiamando, come solito, Z la larghezza della striscia addizionale, avremo subito: ai e) Ora, in esperienze rigorose la larghezza 2e del solco deve essere sempre piccolissima, più piccola che sia possibile; per modo che c riesce estrema- mente piccolo rispetto ad R. Quindi, poichè là Yi Co STEMIERREANRO x N e gr quasi infinitesimo e (1 a) è di poco superiore ad uno, si (02 potrà anche scrivere senza sensibile errore a' ca' “ tao) e leli posti a distanza B. Una delle due superficie è scelta in modo da essere pressochè piana, ed allora, se A è la distanza da essa alla sommità della superficie ondulata e D l'altezza di questa ondulazione contata dal suo punto più alto al suo punto più basso, Maxwell dimostra che la capacità del suddetto sistema equivale a quella di due superficie piane poste alla distanza A + a’, essendo: = DE 44 T_- B liebe Considerando allora la faccia del solco compreso fra il collettore e l’anello, Maxwell dere trova per la carica su quella, la quantità g= 7 R(R'— R) DIA donde la (1). 1 Sr 4 Ata — 810 — Ora, sostituendo nel secondo termine ad a' il suo limite superiore 0,44c, si ha che il valore massimo assunto da quel termine è 0.44 e? d+ 0,440 * che si può ritenere trascurabile. Quindi, partendo dalla formola (1) di Maxwell, si ricava che la larghezza della striscia addizionale da usarsi per compen- sare la influenza dell’orlo e dello spazio d’aria, è sensibilmente eguale alla metà della larghezza dell'intervallo esistente fra il collettore e l’anello di guardia. 3. Dalla (2) risulta che 4 cresce col crescere di questo intervallo e diminuisce lievemente col crescere della distanza. Questa seconda conclusione non è confermata dall'esame di altre espressioni di 4. Infatti per un bordo rettilineo, J. J. Thomson (*) dà le formole: TT Cc di “EE (8) Ma 2716 | i 106; Q À:=e le quali valgono rispettivamente nei casi che qa piccolissimo, che sia grandissimo, e che il taglio sia di profondità infinita, con e piccolissimo rispetto a d. Ora dalla prima (che è quella che fa al caso nostro) come dalla seconda formola, segue invece che 4 cresce con d. Ciò risulterà anche dall'esame della formola di Kirchhoff. Si noti anche che, mentre per la formola (2) 4 è eguale alla metà del taglio più una quantità piccolissima, per la for- mola (3) di Thomson, 4 è sensibilmente più piccolo della metà del taglio. 4. Ed ora consideriamo la formola data dal Kirchhoff (*) per la capa- cità corretta di un disco circolare munito di anello di guardia, posto in pre- senza di un gran piatto. Il disco e l’anello sono supposti al potenziale uni- tario, ed il gran piatto al potenziale zero. Il raggio del disco è R'— c; quello interno dell'anello, R'-+c; è è la grossezza d'entrambi, e d è la loro comune distanza dal gran piatto. Le quantità 4,0, sono supposte come molto piccole rispetto ad R', mentre la larghezza dell'anello si suppone dello stesso ordine di R'. Anche in questo caso, come in quello del condensatore privo di anello, il calcolo si riduce a trovare l'espressione della funzione di flusso che, confrontata con un'altra contenente una costante, permette di (1) J. J. Thomson, Notes on Recent ecc., $$ 241, 243. (2) Kirchhoff, Monatsber. der Akad. d. Wiss. zu Berl., v. 15, 1877. — 311 — conoscere questa costante, ossia il doppio della quantità di elettricità sparsa nel disco. È noto (') che quando la grossezza di questo è di grandezza finita, l’in- tegrazione delle equazioni differenziali originate dalla trasformazione schwarz- iana e dai calcoli successivi richiede l’uso delle funzioni ellittiche. Il Kir- chhoff, giunto a determinare l’espressione di quella costante, afferma che il calcolo di essa è assai malagevole, perchè si richiede prima la risoluzione di tre equazioni secondo tre determinati parametri, e che al contrario il calcolo stesso riesce molto semplificato se si suppone che 2 sia grande ri- spetto a e, ossia che la grossezza del disco sia rilevante di fronte alla semi- larghezza del taglio. Ciò ammesso, il Kirchhoff dà, contentandosi dei termini finiti e degli infinitesimi del primo ordine, per la quantità di elettricità sparsa sul disco, la seguente espressione: Ri R/ (4) 11 x (Bo tangBo +log. coso + 4g sen fr), Po € 9g essendo due quantità tali che tang Po =; , S Bo dò TT 5 — log,g = > IR 6) log.g=2(14+É_+25 5. Si analizzi ora la formola (4), incominciando dal mostrare che essa può essere semplificata senza che i valori numerici subiscano alcuna varia- zione sensibile, e che può senz'altro adoprarsi l’altra formola: RA (6) an (8, tang 80 + log. cos Bo), data anch'essa dal Kirchhoff, ma da questi ritenuta non esatta. Infatti dalla (5) si ha subito: 1 ea — asl ta ma l'esponente di e è molto grande, perchè è assai grande il rapporto È e quindi anche il terzo termine. D'altra parte è positivo ed assai pros- Po tang Po simo ad uno, essendo c piccolissimo, e d non divenendo mai infinitesimo, nè troppo piccolo, per evitare scintille fra lo due armature. Nel caso del (1) Cfr. I. I. Thomson, loc. cit., $ 241. — 312 — disco già preso ad esempio nelle Note precedenti, sì può supporre che l’in- tervallo 2c fra esso e l'anello possa ridursi, malgrado le difficoltà della sospensione di entrambi, a cm. 0,1 o meno; ed essendo db = cm. 0,5, si ha b ) i xa 10, che non è un numero molto grande, ma tale da poter ritenere che la (4) sia praticamente applicabile al condensatore in discorso. Allora l’espo- die tang fo = 2(2-+ 5) = 85,414; nente « di e diventa, prendendo e poichè è anche log, 10-15 — 35/461... ossia CS 1015 034,539 così risulta subito che 9 è minore di 10-!°. Quindi l’ultimo termine della (4): ea qsen® Bo, LÀ Bigi : : dove palo finito e sen°8, <1, è assolutamente trascurabile, non potendo influire nemmeno sulla decima cifra decimale. 6. Si chiami ora R il raggio del disco; allora la (6) diventa: id Tie 6, tang 8, + log cos 8), che può scriversi: n o) So 4d (8, tang 8, + log cos Bo), onde risulta subito per la correzione della capacità: e(2R+ e) mito 1) Cra (8, tang Bo + log cos Bo) . Indicando, come sempre, con Z la larghezza della striscia addizionale, si ha subito dalla formola precedente: 240%» o) air =c(1 bo E (1 DL A (Br tang 8, + logcos/fi); s CU ; i dti e se notiamo che RÈ estremamente piccolo c che è moltiplicato per ter- mini piccoli anch'essi, così potremo scrivere sensibilmente: (10) a=0— È (p, tang 8, +-log eos fi), — 313 — la quale ci dice subito che per dischi di raggio assai grande, la larghezza della striscia addizionale è praticamente indipendente dal raggio. In altre parole, la perturbazione prodotta dall'orlo è indipendente dalla curvatura e la correzione della capacità è solo proporzionale alla lunghezza dell’orlo. Ciò risulta, del resto, anche dalla (2). E poichè nella (10) il secondo termine è generalmente molto piccolo, così si vede che 4 è eguale alla metà della larghezza del taglio, diminuita di una piccola quantità. 7. Derivando la (10) (o, ciò che è lo stesso, la (9)) rispetto a d, te- nendo presente che tang 86 = ù , ossia fo =arc tang È i’ e che la (10) equivale all’altra espressione ENO Gi (10') dic A paro tang È dr 108 cos (are tang \ si ha BRR LISA. BA, RA sento cd’ | aid d(e+d)" cost de + d9)}” e poichè è sen Bo Cc cosfo d’ DÀ 2 (11) “im 10 003 E E derivando di nuovo: DACI 2 ddt è md(e+ dé) DA 20° (e + d°) +24 "vili stro che è una quantità essenzialmente positiva; perciò la perturbazione prodotta dall’orlo e dallo spazio d'aria esistente fra il collettore e l'anello di guardia, cresce 0 diminuisce con l'aumentare o diminuire della distanza dei piatti. Ciò si vede anche dalla (11), perchè #, essendo generalmente assai piccolo e positivo, è: log cos fà <0. Derivando la (10) rispetto a c si ha dd 280 — 23 == sal. = are tang i. — 314 — Ora sarà 2 c 1__- aretang > 0, se CIT arc tang <3 F ma ciò avviene sempre, perchè le due quantità c e d sono entrambe positive e d non può mai essere zero; dunque, l'influenza dell’orlo e del taglio sulla capacità del condensatore cresce con l'aumentare della larghezza del taglio, come era da aspettarsi. 8. Dalle espressioni (9) e (10’) si scorge subito che se c,d ed R si accrescono o sì diminuiscono nello stesso rapporto, i termini tra parentesi rimangono gli stessi; onde, se chiamiamo n il valore numerico del rapporto di similitudine di due determinati condensatori, e se 4 e 4’ sono le lar- ghezze delle striscie addizionali, si ha senz'altro AZZ La quale relazione sussiste anche quando (R essendo sufficientemente grande) soltanto e e d si trovano in quelle condizioni. Supponendo di confrontare due condensatori che non differiscono che per la grandezza del raggio, e supponendo che questo sia R per l'uno e R=nR per l'altro, ponendo Bo tang Bo + log cos fà =%, dove X è una costante, si ha dalla (S), per la correzione della capacità rela- tiva al nuovo condensatore di raggio R', l’espressione e k Con = Cn FRI): 9. Confrontando i risultati ottenuti nei paragrafi precedenti con quelli trovati per il condensatore privo di anello di guardia, si giunge alla con- clusione che sebbene l’artificio dell’anello diminuisca fortemente la pertur- bazione creata dall’orlo nella distribuzione elettrica, questa perturbazione seguita a sussistere nel condensatore anche in quel caso e non si annulla se non diviene zero la larghezza del taglio, e presenta nel complesso il medesimo andamento e le medesime leggi che se l'orlo non fosse in presenza dell'anello. Per formarsi un'idea della grandezza di questa perturbazione quale risulta dalle espressioni teoriche precedentemente esaminate, applichiamo la formola 4=c e le (3), (9), (10) al disco circolare per cui è R=cm. 15, b=m.0,5,c=cm.0,05, de=iem. 0,1. Si ha: da 2=.: 7î=‘cm. 0,05; dalla (3): A= cm. 0,04026; dalla (9): A= cm. 0,04205; dalla (10): = cm. 0,04235. — 315 — E per le correzioni di capacità si hanno i seguenti valori: Ca= cm. 3,7500, equivalente a 1 parte su 150; C,== cem. 3,0195, ” ” ninni 1:86: C.,= cm. 3,1807, ” ” 0 I TOR che sono rispettivamente trovate prendendo A=ec= cm. 0,05, usando il valore di 4 ricavato dalla (3), e applicando direttamente la formola (8). 10. Ora vogliamo mostrare che le espressioni (9) e (10) trovate per il condensatore piano valgono sensibilmente anche per la larghezza della stri- scia addizionale di un condensatore cilindrico munito di anello di guardia, e che perciò si possono estendere all'orlo di quest’ultimo ed alla sua in- fluenza sulla capacità le considerazioni già fatte per l'orlo del condensa- tore piano, alcune integralmente, altre con lievi modificazioni, quando, per maggiore esattezza, si voglia tenere conto della curvatura della superficie. Infatti J. J. Thomson e G. F. C. Scarle (*) in un loro studio per la determinazione del rapporto della unità elettromagnetica all'unità elettro- statica ed in cui adoprarono un condensatore cilindrico munito di anelli, dànno per la larghezza della striscia addizionale la seguente espressione n a-a[s(1- Suor) de(1+9)](1+10) dove e e d hanno il significato di prima, e R indica il raggio del cilindro interno munito di anelli. E poichè in questa disposizione gli anelli sono due, due essendo gli orli, e poichè la lunghezza del cilindro è da supporsi assai grande, per guisa che ciascun orlo si comporti come se fosse solo, ed inoltre i due termini 2 c d CÈ "i tang! nali = log (i + a) non sono, come risulta dai passaggi di calcolo usati dagli autori, che gli svi- luppi incompleti di ra12 d TR e — - 10g 008 Po, dove #0 = arc tang SA così per un solo orlo si ha subito, sostituendo nella (12): Te ai ALLA » gl Le AR 1 mf 7 198 008 Po, L4R è che può scriversi: Sor oi c__2d o S Ì ld ino ng" pai 108; 008 af 14+3R . (1) J. J. Thomson e G. F. C. Scarle, Phys. Trans., A. 1870. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 40 — 316 — Ce E poichè gl tang Bo, risulta: 2d (13) 1=}c— 52 (Betang f0+10g cos #0) {(1+7%). La quale espressione non differisce dalla (10) che per il fattore (1 +i%) vicinissimo all'unità nella maggior parte dei casi, e che non serve che per introdurre la correzione relativa alla curvatura del condensatore cilindrico. Dunque, poichè a meno di quel fattore, la (10) e la (18) hanno la stessa forma, si possono ricavare da quest’ultima, e con la massima facilità, risultati analoghi o perfettamente identici a quelli avuti per l'orlo del con- densatore piano e circolare. Ma la (9) e la (13) presentano anche più grande analogia, e se nel 1° termine del secondo membro della (9) e C (1 + sta) a noi prendiamo se invece di de con che si erra in più della quantità Der pre R 12 Peli d 2R che è più che trascurabile (per il disco preso ad esempio è eguale a em. 0,000083), possiamo scrivere la (9) nel seguente modo: MI ISLA : 1 ) e i=)et (P, tang 6, log cos #,)}(1+£). la quale, confrontata con la (13), ci dice che se d non è troppo grande (come deve accadere affinchè tutte le formole esaminate sieno sicuramente applicabili), se cioè c è dello stesso ordine di grandezza di È, allora la (9) è senz'altro applicabile con molta approssimazione anche al condensatore cilindrico, e tanto più, quanto più grande è il raggio del condensatore. Nella stessa guisa la (10) è rigorosamente applicabile al caso dell’orlo rettilineo, e sensibilmente ad ogni orlo per il quale il raggio di curvatura in tutti i suoi punti sia abbastanza grande. 11. Si consideri ora uno stesso condensatore circolare, oppure se ne considerino due rigorosamente eguali, da usarsi una volta senza anello ed una volta con anello di guardia; e con un metodo qualunque, ma preciso, di confronto, si regoli la distanza fra i dischi dell’uno o dell'altro sinchè essi abbiano esattamente la stessa capacità. Naturalmente, la distanza esi- stente nell’ uno non potrà essere eguale a quella dei dischi nell'altro; infatti, il condensatore senza anello avrà, a parità di distanza, una maggiore capa- cità ed allora converrà diminuire la distanza fra le armature del primo per — 317 — rendere eguali le capacità. In tal caso, dette 4 e d' quelle distanze, se le formole esaminate rappresentano bene lo stato delle cose, le due espressioni R°_ Rf 4de(24+6) d 24 palo rn +27 2e(1+5) R? c(2R+ ce R+ e pi peli Aeg, tangRi + log cosg), dove Bh = are tang 7» devono dare identici risultati numerici. Variando allora d, e conseguentemente d', e ripetendo il confronto delle capacità e dei valori numerici per le successive distanze, le due formole resteranno contemporaneamente verificate. In altra Nota mostrerò alcuni esempi sperimentali. Mineralogia. — Sopra alcuni minerali di Val d'Aosta (1). Nota di FepERICO MILLOSEVICH, presentata dal Socio G. STRiVER. Da qualche tempo mi occupo dello studio dei minerali del Vallone di S. Barthélemy in Val d’ Aosta e mi riservo di descrivere compiutamente in avvenire, dopo ulteriori ricerche e possibilmente dopo una visita sopra luogo, il giacimento in cui si trovarono i cristalli di danburite, di cui feci cenno in altra mia Nota (?); tale giacimento è estremamente interessante per ciò che riguarda la minerogenesi e la paragenesi. Per ora il materiale che è a mia disposizione non mi permette conclusioni definitive sotto tal punto di vista; e, non potendo prevedere quando tale studio possa essere ultimato e compiuto, faccio noti per ora alcuni risultati, che credo abbastanza interes- santi, dei miei studî sui minerali di Val d'Aosta. Rodocrosite di S. Barthelemy. Tale minerale, che non è certo una delle forme di combinazione del manganese più abbondanti in natura, è raro come specie ben definita, aven- dosi più spesso delle manganocalciti o delle sideriti manganesifere, che non la vera e propria rodocrosite con un tenore elevato e assolutamente prepon- derante di carbonato manganoso sopra gli altri carbonati. Scarsissime sono le notizie che si hanno circa la sua presenza in Italia: il Colomba (8) la indica semplicemente fra i minerali della Beaume presso Oulx (Alta valle (1) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Sassari. (*) F. Millosevich, Dandurite di S. Barthélemy in Val d’ Aosta. Rend. R. Acc. Lincei, 13, 1904, 1° sem., 197. (*) L. Colomba, Sulla mohsite della Beaume (alta valle della Dora Riparia) Atti R. Acc. Scienze, Torino, 37, 1902. e SI, ini > a — 318 — della Dora Riparia) dei quali si riserva di dare più ampia descrizione; Jervis tace della sua presenza in Val d'Aosta e ricorda soltanto (*) l'esi- stenza di carbonato roseo di manganese negli schisti e in ciottoli erratici al piede dei ghiacciai nei dintorni di Chiesa in Val Malenco; Fuchs e De Launay (*) parlano di carbonato di manganese rosso della miniera di S. Marcel, ma la notizia appare incerta, perchè non confermata da altri investigatori. Ho constatato la presenza di rodocrosite in cristalli in un campione, che mi fu inviato dall’ottimo mio amico e cultore degli studî mineralogici capitano Alberto Pelloux, e da lui stesso raccolto nelle discariche di vecchi lavori per estrazione di minerale di manganese presso S. Barthélemy. I cristalli, che misurano fino a 3 mm. di diametro maggiore, presen- tano soltanto il romboedro fondamentale }100{ con facce curve e distorte: in altre parole si tratta dei soliti cristalli selliformi, così comuni nella serie dei carbonati romboedrici. Colla sfaldatura ho ottenuto dei piccoli romboedri con facce abbastanza piane e perfette dei quali ho misurato con discreta esattezza l'angolo ottenendo un valore medio di 73°10'. Il teorico secondo Sansoni (*) è di 73°0". Il colore dei cristalli è bruno con riflessi rossastri: ma questa tinta bruna è dovuta certamente ad una alterazione superficiale, perchè, frantu- mando i cristalli, ci si accorge che la parte interna è di un roseo violaceo piuttosto chiaro: anzi in alcuni cristalli si può osservare una patina nerastra superficiale, dovuta a pirolusite o ad un altro ossido di manganese. Ho ese- guita un'analisi quantitativa, scartando naturalmente questi cristalli con pa- tina nerastra, che si possono in certo modo considerare come una pseudo- morfosi, ed ho avuto i seguenti risultati : Mmni0s, . “I... .. . (00.00 Het. e .. ... 2:04 Cao... 0 Mp0... 0. atracce CO. Se. . . . [08,00] L'anidride carbonica fu determinata per differenza, non potendosi dosarla direttamente per la poca quantità di materiale puro disponibile. Dai dati suesposti la composizione del minerale risulta la seguente: Mn C0®. mm... 90070 FeC03. MM i 4909 CaC0*.. MT... .. . 15,95 Mge.C0®. Mi. i ‘tracce (3) G. Jervis, / tesori sotterranei dell'Italia. Parte I, 1873, pag. 221. (2) E. Fuchs e L. De Launay, Traité des gites minéraua ecc. Paris, 1893, II, 9. (3) Dana, sixth edition, 1899, pag. 278. — 319 — Confrontando quest'analisi con le altre conosciute, si vede che la rodo- crosite di S. Barthélemy per la percentuale di carbonato manganoso si av- vicina a quella pur ugualmente colorata di Kapnik (Ungheria). I cristalli si trovano sopra una matrice di quarzo e braunite e sono ac- compagnati da piccoli cristalli di quarzo e di albite. Il carbonato di manganese non cristallizzato è comune poi in tutto il giacimento manganesifero di S. Barthélemy. A tetto e a muro del minerale, che è poi una miscela di braunite e di pirolusite in minor quantità, si tro- vano grossi banchi formati generalmente di straterelli alternati e in vario modo disposti di materiale quarzoso, talora puro, talora verde per la presenza di epidoto, talora di un color roseo grigiastro per la presenza di carbonato misto di manganese e calcio. Su questo carbonato, che è assai diffuso, ho fatto solo dei saggi qualitativi, per la quasi assoluta impossibilità di sepa- rarlo dal quarzo, con cuì è intimamente commisto, ed ho trovato che con- tiene in prevalenza carbonato di manganese con quantità considerevole di carbonato di calcio: sarebbe quindi una varietà intermedia fra la calcite e la rodocrosite, una specie cioè di mangano-calcite. Bisogna anche notare in questi banchi, che limitano il giacimento minerario, la presenza di una bella varietà di d/erda di color giallo-rosso disseminata in granuli o in venette nella roccia. Se dalla osservazione dei minerali che lo costituiscono vogliamo risalire alla origine del deposito metallifero di S. Barthélemy, bisogna anzitutto no- tare, che la presenza del carbonato manganoso sia puro, sia misto a quan- tità più o meno grandi di carbonato di calcio e di altri carbonati, dà a questo giacimento un carattere che lo differenzia da quello pur vicino di Pralorgnan nel Vallone di S. Marcel. D'altra parte nessuno dei minerali tanto caratteristici e tanto noti di quest ultimo giacimento si è trovato a S. Barthélemy, almeno fino ad ora. Come minerale caratteristico non credo si debba considerare l’albite, che del resto si è trovata a S. Barthélemy in rari cristalli, mentre è parte importante del giacimento di Pralorgnan. Il complesso dei fatti osservati a S. Barthélemy farebbe ritenere valida l’ipo- tesi di Boussingault, che il minerale di manganese si sia deposto allo stato di carbonato da acque, che lo avrebbero tenuto disciolto allo stato di car- bonato acido, e che la trasformazione da carbonato in ossido sia stata suc- cessiva e soltanto parziale: confermerebbero tale ipotesi anche i cristalli di rodocrosite da me osservati con una alterazione superficiale in ossido di man- ganese. L'origine del deposito di Pralorgnan invece parrebbe diversa. Ho isti- tuito, a solo scopo di confronto e senza alcuna pretesa di intraprendere lo studio di sì delicato argomento, delle osservazioni su minerali di Pralorgnan, grazie alla cortesia del prof. Brugnatelli e del capitano Pelloux, che mi fa- vorirono abbondante e scelto materiale: tali osservazioni, unitamente a quelle red ge °° — cat — 320 — di tanti altri che mi precedettero, darebbero maggiori argomenti a sostegno dell'ipotesi, che il minerale di manganese qui sia stato portato in soluzione da acque cariche di silice e precipitato direttamente allo stato di ossido. Anche per l'origine, oltre che per i minerali che lo accompagnano, il gia- cimento di S. Barthélemy sarebbe diverso da quello di S. Marcel, per quanto la loro vicinanza possa a prima vista far ritenere il contrario; ma, torno a ripetere, che è mia intenzione di approfondire la questione con nuove inda- gini, perchè parmi più utile e più prudente, allo stato attuale degli studî sulla minerogenesi, piuttosto che azzardare delle ipotesi, sempre criticabili, accumulare il maggior numero di osservazioni di fatto e possibilmente di esperimenti. Oro cristallizzato di Pralorgnan (S. Marcel). Molti giacimenti d'oro, sì primarî che secondarî, sono noti in Italia, avendo il valore del metallo fatto dare importanza anche a piccole tracce di esso: ma, per quanto io sappia, non furono finora descritti cristalli d'oro nativo di località italiana. Per tale ragione descrivo qui brevemente un campione con siffatti cristalli proveniente dalla miniera di manganese di Pralorgnan. Esso mi fu inviato dal prof. Luigi Brugnatelli della Università di Pavia, il quale, avendovi riscontrato la presenza dell'oro in cristalli e, sapendo che mi sto occupando dello studio di minerali di Val d'Aosta, ebbe il gentile pensiero di inviarmelo: di che lo ringrazio vivamente. La presenza dell'oro nella miniera di Pralorgnan è nuova: Jervis (!) parla di una ricerca di minerale d'oro (pirite aurifera) nella regione Laures del territorio di Brissogne, che si estende anche nel territorio di S. Marcel; ma nessuno, che io sappia, ha aggiunto tale minerale al lungo elenco delle specie interessanti di Pralorgnan. Ho potuto confrontare il campione man- datomi dal Brugnatelli con altri inviatimi dal Pelloux ed ho potuto consta- tarne la perfetta identità, tranne, sì intende, la presenza della pochissima quantità d’oro: ciò permette di indicarne la provenienza in modo assoluto e preciso, perchè i campioni di Pelloux furono da lui stesso raccolti sul posto. L'oro sì presenta in minuti cristalli nei filoncelli essenzialmente albi- tici, che si trovano al tetto del giacimento manganesifero di Pralorgnan ed appunto detti cristalli sono immersi nella a/bife compatta, la quale presenta costantemente anche delle masserelle o delle lamine di ematite titanifera e della e/orite verdastra: in altri campioni della medesima provenienza ho constatato anche la presenza di granato, di quarzo e di titanite in minuti cristalli verdognoli. Di questi filoncelli albitici fece menzione ultimamente Colomba (*) per la rodomnite cristallizzata che vi si trova. Come si vede, (!) Loc. cit. pag. 100. (2) Colomba Luigi. Rodonite cristallizzata di S. Marcel(Valle d'Aosta). Atti R. Acc. Scienze Torino, 39, 1904. — 5321 — anche per il modo di giacimento e per i minerali che lo accompagnano, la presenza dell'oro a Pralorgnan è di particolare interesse. I cristalli d'oro sono assai piccoli: uno solo, il migliore, che del resto non raggiunge il mm. di diametro, è riuscito adatto a misure goniometriche, perchè ha faccettine particolarmente lucenti e di buon riflesso. La combinazione abbastanza semplice che esso presenta è la seguente: 110 }111t }100{ }211t. Maggior sviluppo ha il rombododecaedro, minore l’ottaedro, minimo il cubo; qualche spigolo del rombododecaedro è troncato da esili faccettine di un icositetraedro di simbolo }211{: interessante è la presenza di questa forma, che il Dana (') dà come incerta e che pare assai rara nell’oro, in confronto alla }311{ molto più frequente. Le facce di }110{ sono lievemente striate parallelamente allo spigolo di combinazione con }111{. Ematite titanifera di Pralorgnan (S. Marcel). Associata con l’albite contenente tracce d'oro, si trova in quantità della ematite titanifera in lamine grigie, metalliche, nella quale Colomba (*) de- terminò un contenuto di 0,92 °/ di biossido di titanio. Questa ematite, benchè molto raramente, pure talvolta si trova in cristalli definiti: io ne devo alcuni alla cortesia dell'amico Pelloux. Sono cristalli laminari molte volte costituiti unicamente dalla base }111{ e da un prisma esagonale: qual- cuno presenta la seguente combinazione : 3111 3107 3217 }100{ }311{. Anche in questa combinazione predominano la base ed il prisma {101{, meno sviluppate sono le facce dell'altro prisma }211{ e del romboedro fon- damentale }100; gli spigoli tra le facce di questo e la base sono troncati da listerelle sottili che rappresentano il romboedro }311{: infatti si ha: 3111}:}311} = misurato 32°28 calcolato (Kokscharow) 32°14'4. (*) Sixth edition, 1899, pag. 14. (AMI ocacit. 8 ZI I rt Sl — 322 — Elettrochimica. — Sopra la formazione elettrolitica degli iposolfiti ('). Nota di M. G. Levi e M. VoGHERA, presentata dal Corrispondente R. NASINI. In una Nota precedente presentata alla R. Accademia dei Lincei nella seduta del 5 novembre 1905, ci siamo occupati della formazione elettroli- tica dell'iposolfito sodico, partendo da soluzioni di solfito e di solfuro ed elet- trolizzandole in condizioni diverse. Alla fine di quella stessa Nota noi accen- navamo alla possibilità che oltre ad iposolfito si venisse a trovare nel nostro liquido anodico anche del tetrationato, e che la presenza di questo e la sua conseguente decomposizione con deposito di zolfo potesse condurci a calcoli sbagliati di rendimento in iposolfito, facendoci calcolare come derivante da iposolfito quello zolfo che in realtà derivava da tetrationato. Accennavamo ancora però ad alcune valide ragioni, per le quali la for- mazione di tetrationato nei nostri casi era resa assai poco probabile. Prima di continuare ora il nostro studio sulla formazione elettrolitica dell’ iposolfito, riportiamo i risultati di una serie di esperienze eseguite allo scopo di vedere se, in condizioni confrontabili con quelle delle nostre precedenti esperienze, e confrontabili tra loro, l'ossidazione dell’ iposolfito a tetrationato fosse tra- scurabile di fronte a quella di solfito a solfato o a ditionato e di iposolfito pure a solfato: non era il caso nel nostro studio di riferirci alle esperienze di Thatcher già citate nel nostro precedente lavoro, essendo le nostre condi- zioni di esperienza molto diverse dalle sue. Ossidazione elettrolitica del solfito sodico. — Si adoperò per questo scopo una cella senza diaframma contenente 400 ce. di una soluzione al 10 9/5 di solfito sodico (calcolato anidro) alcalina per carbonato sodico: gli elettrodi erano di platino liscio con superficie di 12 cm. q.; si adoperò un' intensità di corrente di 2 Amp., la temperatura salì gradatamente sino a 40°. L’elet- trolisi venne continuata per 6 ore, ad ogni ora si prelevavano 5 cc. di solu- zione, si portavano a 100 e di questa soluzione si titolavano 10 cc., previa acidificazione con acido acetico, con soluzione titolata di iodio; la diminu- zione di titolo in iodio della soluzione elettrolizzata, ci rappresenta evidente- mente la quantità di solfito che è sparita dalla soluzione trasformandosi in solfato o in ditionato. Come risulta dalla tabella seguente in 6, ore di elet- trolisi il 90°/, del solfito esistente in soluzione venne trasformato: nell’ul- tima colonna della tabella è data, in per cento della quantità totale, la (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova, finito nel febbraio 1906. — 323 — quantità di solfito trasformata in eguali intervalli di tempo di 1 ora. Di- ciamo trasformata e non ossidata, quantunque nelle nostre condizioni di elet- trolisi paragonabili a quelle di A. Friessner già ripetutamente citate nel nostro precedente lavoro, non si possa parlare che di ossidazione poichè il solfito non viene affatto ridotto al catodo. n ‘ Ce. di soluzione di iodio Ossidazione per ogni ora , Tempo, T'ensione ‘ corrispondenti a 1 cc. di espressain® o della uan- Igt Li nelizelettrodi azione tità dardi È Differenze 0 5.5 volt 19.2 3.8 60° 5.2 15.4 19.8 3.3 120’ Dell 12.1 TI 3.0 180” 5.8 9.1 15.6 24 240" 58 6.7 12.5 ì 24 300° 9.7 4.3 12.5 24 360” 5.5 1.9 1255 90.0 Ossidazione elettrolitica dell'iposolfito. — Per avere un elettrolisi di confronto con soluzione di iposolfito, le cose non erano così semplici come per il solfito; infatti, nel caso dell’ iposolfito, oltrechè la velocità di trasfor- mazione anodica, era anche importante a conoscersi l'eventuale quantità di tetrationato e di solfato che contemporaneamente potevano formarsi per ossi- dazione; quindi una complicazione per l’analisi, alla quale poi se ne aggiun- geva subito un’altra per il fatto che l’iposolfito viene ridotto al catodo con formazione di idrogeno solforato e di solfito secondo l'equazione Na» S, 0; + H, _ Nas SO3 + ES S ed i prodotti di questa reazione vanno ad influire sui risultati della titola- zione con iodio. Per raggiungere ciononostante alla meglio il nostro scopo, operammo nel seguente modo: l’elettrolisi fu fatta con diaframma contenente il catodo immerso in soluzione di idrato sodico al 15°/,, all’anodo si pose soluzione di iposolfito mantenuta sempre alcalina per idrato sodico: in tal modo, nessun prodotto che possa reagire con lo iodio può passare dal catodo all'’anodo. Si elettrolizzò con 2 Amp. e con gli stessi elettrodi delle espe- rienze precedenti. A determinati intervalli di tempo si analizzavano delle porzioni di so- luzione determinando da una parte il titolo in iodio, e dall'altra la quantità di zolfo precipitabile per aggiunta di acido cloridrico secondo il nostro solito metodo: i due numeri ci davano facilmente la quantità di iposolfito trasfor- mata e quella eventuale di tetrationato. La soluzione di iposolfito adoperata conteneva il 4-2°/, di Na, 9S,03-5H.0. RenDpIcoONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 41 — 324 — Riportiamo nella tabella seguente i risultati ottenuti: DE peas | Ses SE gt ese Tempo IS NIGIOE SiR 385 23° ss°ì È .__.,. | Temperatura Sa CIA E) 3 sé & 53 E 2858 5 SE È in minuti BE s2ES Sta SIE SES FEEPE 29 2 AS = 832 52 Zo02 EE DL ins SEDE EI geo CESANO DE 0 — = cc. 2 gr. 0.542 —_ gr. 4.201 — 60° 26° 6.7 » 1.78 0.482 | 0.477 313000 MOTI 120’ 39° 6.5 » 1.50 0.406 | 0.384 3.147 | 14.01 180' 300 6.6 » 1.16 0.314 | 0.289 2.434 | 16.9 245" 340 6.6 » 0.76 0.205 | 0.162 (?) 1.590 | 20.09 305' 34° 6.8 » 0.34 0.092 | 0.074 0.713 | 20.8 82.87 Dal confronto specialmente dei numeri contenuti nelle colonne V e VI, risulta subito il fatto seguente: la quantità di zolfo trovata è sempre inferiore alla quantità teorica che avrebbe dovuto dare l’iposolfito presente; in quasi tutte le determinazioni le differenze in meno sono così rilevanti da non essere nem- meno tollerabili in una comune determinazione analitica; questo è dovuto principalmente al fatto che le determinazioni venivano necessariamente ese- guite su piccoli volumi di soluzione anodica (si riportavano poi col calcolo a 100 cc.), il che evidentemente veniva ad aumentare l'inevitabile errore in meno del nostro metodo d'analisi. Se si pensa però che, qualora fosse stato presente del tetrationato, si avrebbe dovuto trovare sempre più zolfo di quello corrispondente al solo iposolfito, si capisce subito come i nostri numeri sieno sempre dimostrativi e costituiscano una nuova prova dell'assenza di tetra- tionato nei prodotti anodici delle nostre elettrolisi. I risultati nostri confer- mano poi ancora quelli già citati di Thatcher (*) dai quali risulta come per la formazione di tetrationato dall'iposolfito, sieno necessari potenziali all'anodo piuttosto bassi e precisamente come il processo Ss 03" — S,0;" si compia a potenziali compresi tra — 0,75 e — 0,95 Volt, mentre in tutte le nostre elettrolisi, data la forte intensità di corrente e la elevata tensione agli elet- trodi, il potenziale anodico fu sempre necessariamente molto più elevato. Inoltre il fatto stesso che noi tenevamo sempre agitato il liquido anodico con idrogeno dovrebbe, sempre secondo i risultati di Thatcher, impedire asso- lutamente la formazione di tetrationato nel senso che quello eventuale che si (1) Lo zolfo è calcolato supponendo che la soluzione anodica contenga soltanto ipo- solfito e precisamente quello che risulta dalla titolazione con iodio. (2) L’iposolfito è calcolato come Nas Se 0}, 5Hs 0. (*) Zeitschr. f. phys. Chemie, 47, 1904, pag. 641. — 8925 — fosse formato, si sarebbe anche immediatamente ridotto ad iposolfito secondo la reazione Nas S, 06 + Hr =—iNa5 So 0: + H: S, 0; e l'acido iposolforoso formatosi sarebbe stato neutralizzato dall’alcali sempre presente. Da una parte, quindi, la facile e rapida ossidabilità del solfito, e dal- l’altra la quasi assoluta impossibilità di trasformazione dell'iposolfito a te- trationato nelle nostre condizioni di elettrolisi, convincevano sempre più che la formazione di tetrationato non poteva per nulla alterare le nostre conclu- sioni; continuammo quindi lo studio sistematico della nostra formazione elettrochimica di iposolfito in relazione ai diversi fattori che la possono in- fluenzare. Influenza del inateriale costituente l’anodo. — Furono eseguite diverse elettrolisi con elettrodi di platino platinato, di nickel, di ferro, di piombo e di piombo perossidato per vedere se e quale influenza esercitasse sul ren- dimento in iposolfito il materiale anodico. Le èlettrolisi vennero sempre ese- guite con diaframma, con catodo di platino e con anodi di metalli diversi sempre della superficie di 12 cmq. La soluzione di solfuro veniva fatta con sale cristallizzato che non dava o quasi reazione di polisolfuro. Si tenne sempre una concentrazione di circa il 30 °/, di sale cristallizzato con 5 mo- lecole d'H;0; la soluzione anodica di solfito fu sempre al 17 °/, circa; la temperatura oscillò sempre intorno a 25°. Riassumiamo nella tabella seguente i risultati ottenuti, facendoli se- guire dalle necessarie osservazioni riguardanti le singole elettrolisi ed il ri- sultato generale delle stesse. Platino Piombo Materiale costituente l’anodo . . . pla- Nickel Piombo peros- Ferro tinato sidato Durata dell’elettrolisi in ore (circa). 6 8 Spin Moi 00/a Intensità di correntein Ampères. . . 2 2 2 2 2 Densità anodica n niiiperil'dmg: 16.6. 16.06/0i6:6.)..16.6 (|. (16.6 Tensione agli elettrodi in Volta . . 5.7 7,9-5,9 6.9 _ 6.6 Riaymegdeposto ste e 14.6, 19./00M0620.01 118.43) 15.32 ANNE a e 19.5 16:50 55 13 Tposolfito trovato gr.. . . . . . 9.004 2.218 4.938 2.969 1.777 ’ teorico: mill. (i (0. 86.28 48.080 49.95 45.72. 38:35 Rendymento {iper hi i 024,8 4.6 S59 6.4 4.6 Per quanto riguarda l’anodo platinato non c è niente da osservare, se non che durante tutta l’elettrolisi si osservò all'elettrodo un abbondante svi- luppo d'ossigeno che lasciò prevedere un discreto rendimento in iposolfito, — 326 — come in realtà si ottenne. L'anodo di nickel prima di essere adoperato venne riscaldato ad una fiamma; all’inizio dell'elettrolisi si aveva all’anodo sviluppo d'ossigeno e l'elettrodo funzionava come passivo senza che traccie visibili del nickel passassero in soluzione; dopo un po’ di tempo cominciò a formarsi del solfuro di nickel e la soluzione agli elettrodi si abbassò con- temporaneamente da 7,9 Volt a 5,9 Volt. Per l'analisi, si separò per filtra- zione il solfuro precipitato e nel filtrato si determirò lo zolfo nel solito modo: il precipitato di solfuro venne poi disciolto in acqua regia ed il nickel determinato come ossido risultò corrispondente e gr. 0,342. Per l'anodo di piombo non si osservò alcun fatto speciale, senonchè dopo l’elettrolisi il piombo apparve ricoperto di uno strato scuro di peros- sido e forse in parte anche di solfuro. L'anodo di piombo perossidato venne preparato elettrolizzando una so- luzione diluita di acido solforico fra elettrodi di piombo che fungevano al- ternativamente da anodi e da catodi; si ottenne in questa maniera uno strato resistente e continuo di PhbO,. Dopo l’elettrolisi col solfito e solfuro, l'anodo appariva ricoperto di uno strato nero di solfuro di piombo. Per l’anodo di ferro si osservò, durante tutta l’elettrolisi, abbondante formazione di solfuro, finchè sì dovette sospen- dere, essendo enormemente aumentata la resistenza della cella. Uno sguardo generale ai risultati ottenuti ci dice subito che la nostra reazione non può andare che con elettrodi di platino e che si ottengono migliori risultati col platino platinato che col platino liscio; in tutti gli altri casi in cui l’elet- trodo viene attaccato, il rendimento è naturalmente minore, minimo per l’anodo di nickel e di ferro per i quali è massima la formazione del solfuro me- tallico. Influenza della concentrazione in solfito. — Vennero eseguiti due elet- trolisi usando come liquido anodico soluzioni di solfito meno concentrate delle precedenti e mantenendo sempre costante la solita concentrazione in solfuro: si elettrolizzò naturalmente sempre in modo che restasse presente un eccesso di solfito di cui ci si accorgeva all'atto del trattamento con HCl. Riportiamo i risultati ottenuti che non esigono ulteriori spiegazioni: il diminuire della quantità di solfito presente fa diminuire notevolmente il rendimento fino quasi ad annullarlo. 1 It Liquido anodico . . . 350ce. soluz. Na, SO; al 350 ce. soluz. Na, SO; al 8,5% + 20 ce. soluz. 4,2°/ + 20cc. soluz. Na 0H al 40 °/ Na OH al 40°/ Anodow tit 0. iui platmogliscio platino liscio Durata dell’elettrolisi . ore 6 4 Intensità di corrente . 2 Amp. 2 Amp. SO — IL II. Densità anod. > LIAN Te TI ni Tensione agli elettrodi . 7.4 — 6 Volt 7.3 — 6.3 Volt Rame deposto. . . . gr. 13.88 gr. 9.55 Ampere-ora nta d.0 00, 11.7 S Iposolfito trovato . gr. 3.09 traccie ” teorico. . . gr. 94.5 = Rendimento 90 _ La I di queste elettrolisi in cui la concentrazione del solfito era la metà della solita, diede già un rendimento molto più basso; è da osservare però che in questo caso c'era più alcali presente del solito e questo, come vedremo, influenza notevolmente il rendimento: nella II elettrolisi invece eseguita in condizioni di alcalinità confrontabili con la I il rendimento in iposolfito divenne quasi nullo. Notevole il fatto che in tutte due le elettrolisi l’aumentata quantità di alcali presente fu la probabile causa di una notevole formazione di solfuro sodico all’anodo, che si dovette sempre separare con carbonato di cadmio. Queste elettrolisi confermano anche in parte il dubbio espresso a proposito dell’elettrolisi IV nella nostra Nota precedente, che cioè il basso rendimento ottenuto allora fosse dovuto, oltrechè alla più bassa temperatura, anche alla minore concentrazione in solfito. Inftuenza dell’olcali presente nel liquido anodico. — Il fatto che aumentando l’alcalinità del liquido anodico aumentava notevolmente la quan- tità di solfuro presente nello spazio anodico dopo l'elettrolisi, faceva presup- porre che si compiesse in queste condizioni @ preferenza una reazione tra lo zolfo-ione migrante e l’alcali, e che quindi la presenza di quest'ultimo anche in piccola quantità portasse ad una diminuzione di rendimento in iposolfito. La supposizione venne confermata dall'esito delle elettrolisi che qui ri- portiamo e che furono eseguite con elettrodi di platino liscio in condizioni diverse di alcalinità: nelle due prime elettrolisi si aggiunsero alla soluzione di solfito quantità diverse di soluzione di idrato sodico, nella III non si aggiunse affatto soda, ma il liquido restò tuttavia sempre alcalino per l’ec- cesso di carbonato sodico presente nella soluzione di solfito. I IG DI Titolo della soluz. anod. prima dell’elettrolisi; N 1 cc. corrisponde a . —2.54cc di HCIT 3.21 ce. I9iccs Intensità di corr . . 2 Amp. 2 Amp. 2 Amp. Mit IE DIC LIE Ip IROT 16.6 Amp. 16.6 Amp. 16.6 Amp. | 1 dmq. i dmq. 1 dmg. Tensione agli elettrodi 5.6 — 6.1 Volt 5.6 Volt 5.7 Volt Durata: 6 ore 6 ore 6 ore Rame deposto... er. RM gr. 13.7 gr. 14.4 Ambpére-ora tt: 40 S00k 11.9 11.5 12.1 Iposolfito trovato . . gr. 3.664 gr. 111936 ST 0118 ” teorico... :gr..0001 gr. 35.92 gr. 35.69 Rendimento... ..... °° 10495 D00/0 EMA Mentre nelle due prime elettrolisi si trovò una forte quantità di sol- furo all'anodo, non se ne trovò affatto nella III; quest'ultima diede anche il rendimento massimo in confronto di tutte le elettrolisi precedenti nelle quali si aggiungeva sempre un po’ d'alcali nel liquido anodico: evidentemente è lo zolfo-ione che può reagire con l’'idrato sodico, mentre non reagisce col carbonato che rende alcalina la soluzione di solfito. Fisica. — cerche suun nuovo elemento presentante è carat- teri radioattivi del torio. Nota di G. A. BLanc, presentata dal Corrispondente A. SELLA. Al primo Congresso internazionale di Radiologia riunitosi a Liegi nel settembre scorso, venivano da me comunicati (*) i risultati di ricerche pro- seguite per più di un anno allo scopo di determinare la natura delle so- stanze radioattive contenute nei sedimenti formati dalle acque delle sorgenti termali di Echaillon e di Salins-Moutiers in Savoia, dei quali avevo avuto già campo di occuparmi in una precedente Nota (?). Questi sedimenti presentavano a differenza di quelli sino allora studiati da varî fisici la particolarità di emettere un'emanazione simile a quella dei sali di torio e capace come quest'ultima di produrre un'attività indotta ridu- centesi a metà in circa undici ore, analogamente a ciò che.si osserva nel caso dell'attività indotta del torio. Nella suddetta Nota al Congresso di Liegi annunciavo di essere riuscito a separare dalla massa dei sedimenti stessi alcuni prodotti i quali pur pre- (0) G. A. Blane, Sur la nature des substances radioactives contenues dans les sédi- ments d'Echaillon et de Salins-Moutiers. Comptes-Rendus, 1e° Congrès intern. de Radio- logie, Liège 1905. (2) Philosophical Magazine, gennaio 1905. — 329 — sentando dei caratteri radioattivi (costanti di disattivazione dell'emanazione e dell'attività indotta) simili a quelli del torio, erano dotati di un'attività e di un potere emanante assai superiori a quelli di un egual peso del sale torico corrispondente. Tra gli altri descrivevo la separazione di una piccola quantità di idrati, in gran parte di ferro, i quali mostravansi dotati di un'attività e di un po- tere emanante varie centinaia di volte superiori a quelli di un egual peso di idrato di torio. L'ipotesi di una separazione del prodotto noto sotto il nome di forzo X da torio eventualmente contenuto nei sedimenti, era assolutamente da esclu- dersi pel fatto che l’attività dei prodotti da me ottenuti, invece di diminuire col tempo, come il torio X, andava aumentando gradatamente sino a rag- giungere un massimo, qualche settimana dopo la loro preparazione, massimo al quale si manteneva poi costante nel tempo. Rimaneva peraltro da considerare l'ipotesi che la forte attività dei prodotti da me estratti dai fanghi potesse essere dovuta a tracce di uno degli elementi radioattivi già noti. Ora la presenza di radio o di attinio (emanio) veniva esclusa in modo non dubbio dalle determinazioni fatte intorno alle leggi di disattivazione dell'emanazione e dell'attività indotta. Come è noto, la disattivazione delle emanazioni del radio e dell’attinio segue la legge esponenziale comune a tutti i processi radioattivi, riducendosi l’attività a metà rispettivamente in 4 giorni e in 3 secondi. Nel caso degli idrati estratti dai sedimenti, l’attività dell'emanazione si riduceva invece, come ho mostrato, di metà in circa un minuto primo, similmente a ciò che si verifica nel caso dell'emanazione torica. Così pure l'attività indotta dai miei prodotti era di tipo torio spicca- tissimo, riducendosi essa a metà in circa undici ore. È evidente peraltro che la presenza di radio o di attinio avrebbe certamente provocato una modifi- cazione notevole nell'andamento di tale processo, vista la grande differenza esistente tra i tempi caratteristici (radio: 27 minuti primi; attinio: 40 mi- nuti primi). Aggiungerò che in causa della tendenza che hanno i sali di radio allo stato solido ‘di mantenere occlusa l'emanazione che essi vanno producendo, le verifiche suddette vennero anche eseguite coi prodotti allo stato di soluzione cloridrica. In quanto poi alla possibilità di attribuire la forte attività dei miei preparati a tracce di sostanze non producenti emana- zione, come il polonio o radio-tellurio ed il radio-piombo, essa era da scar- tarsi, visto il loro forte potere emanante; il rapporto esistente tra l'attività diretta ed il potere emanante dei varî idrati da me ottenuti era, dopo rag- giunto lo stato di equilibrio radioattivo, quello stesso riscontrato in espe- rienze di controllo per l'idrato di torio. La conclusione da me tratta da questi fatti fu, come dissi al Congresso di Liegi, che i fanghi di Echaillon e di Salins-Moutiers contenevano un — 330 — nuovo corpo presentante caratteri radioattivi simili a quelli dei sali ordinari di torio, e che le proprietà radioattive mostrate da questi ultimi dovevano secondo ogni probabilità attribuirsi a tracce del nuovo elemento in essi contenute e da esse difficilmente separabili in causa di una grande analogia di caratteri chimici. Al medesimo Congresso venne letta una Nota di Sir William Ramsay riferentesi aì risultati ottenuti nel Laboratorio di University College a Londra dal sig. O. Hahn; questi, tentando di estrarre il radio contenuto inr esidui di un minerale ricco di torio, detto torianite, aveva ottenuto dei prodotti i quali pur producendo un'emanazione simile a quella del torio, presentavano un'attività immensamente superiore a quella di un eguale peso di questo corpo, senza che si potesse attribuire tale attività alla presenza di radio o attinio. Questi risultati del sig. Hahn erano del resto stati preannunziati in una Nota preliminare sino dal maggio (!), Nota nella quale esso emetteva l'opi- nione che i fenomeni da me osservati coi fanghi di Echaillon e di Salins- Moutiers, come pure altri dello stesso genere riportati dai sigg. Elster e Geitel (?) dovessero attribuirsi alla sostanza medesima contenuta nella torianite. Ora, se sì ricordano i lavori di Hoffmann e Zerban (3) i quali hanno di- chiarato aver estratto dalla gadolinite del torio inattivo, si comprenderà come la questione della identità di questo nuovo elemento con l’ipotetico costi- tuente radioattivo dei sali di torio mi sia sembrata di tale importanza, da richiedere una serie di esperienze accurate aventi per iscopo di stabilire colla maggior esattezza possibile i caratteri radioattivi di esso, confrontandoli volta per volta con quelli presentati nelle medesime condizioni degli ordi- nari sali di torio. Durante il corso delle mie esperienze è comparso un lavoro del sig. Hahn nel quale sono riportati degli sperimenti in parte simili ai miei. Credo utile tuttavia riportare in dettaglio i risultati da me ottenuti, i quali oltre a con- fermare in modo definitivo l'identità dei fenomeni osservati da Hahn e da me, dimostrano in modo evidente che l’attività presentata dai sali di torio ordinari, finora creduta una proprietà dell'atomo di questo elemento, va invece attribuita alla presenza in essi di un nuovo elemento intensamente attivo, da essi molto difficilmente separabile in causa di una grande simi- litudine di proprietà chimiche. Passo quindi a descrivere le mie esperienze, le quali sono state ese- guite in parte coi prodotti da me estratti dai fanghi durante lo scorso anno, ed in parte con preparati assai più attivi che mi sono stati procurati dal (1) Zeitschrift fiùr Phys. Chem., 9 maggio 1905. (*) Physik. Zeitschr., 1 febbraio 1905. (8) Ber. deutsch. chem. Ges., 1903, pag. 3093. — 331 — dott. Angelucci, col quale mi sto ora occupando dello studio del nuovo elemento. Separazione del prodotto noto sotto il nome di torio X. — Nel 1902 Rutherford e Soddy, sperimentando con composti di torio, videro che era possibile, mediante una unica operazione chimica, separare da essi delle quan- tità piccolissime di materia dotate di un'attività immensamente superiore a quella di un egual peso di torio. Se, per esempio, da una soluzione di ni- trato di torio si precipita questo corpo alle stato d’idrato mediante ammo- niaca, e si evapora il liquido risultante dalla filtrazione, si osserva che gran parte dell'attività e quasi tutto il potere emanante appartengono al residuo di questa evaporazione, sebbene in esso non esistano tracce apprezzabili di torio, essendo esso in massima parte costituito da impurità contenute nel nitrato. Ripetendo più volte l'operazione suddetta, sì ottengono dei residui sempre meno attivi, finchè si finisce coll'avere da una parte dell’ idrato di torio il quale non produce più emanazione e la cui attività misurata dalla radiazione diretta è ridotta al 25°/, del valore primitivo, e dall'altro dei residui, alle volte imponderabili, presentanti il 75 °/, dell'attività diretta e la totalità del potere emanante prima posseduti dal sale di torio. Coll’andare del tempo tuttavia l’ idrato disemanato va riacquistando le perdute proprietà, mentre contemporaneamente i residui del liquido filtrato si vanno disattivando. Rutherford e Soddy interpretarono i fenomeni suddetti coll’ ammettere, che una parte degli atomi del torio si vadano continuamente trasformando in atomi di un'altra specie di materia radioattiva alla quale essi diedero il nome di torio X. Questo prodotto di trasformazione è, a differenza del torio, solubile in ammoniaca. L'emanazione torica sarebbe poi alla sua volta un prodotto della disintegrazione dell'atomo di torio X. I due fenomeni, della disattivazione del torio X e della riattivazione del torio dal quale esso è stato separato, si possono rappresentare mediante due equazioni del solito tipo esponenziale, e cioè rispetttivamente L=lhe®X ; I=Ib(1— e) in cui I, è l’attività ad un tempo £ qualunque, I, l'attività ad un tempo che si sceglie per iniziale, e la base dei logaritmi ordinari e Z una costante caratteristica che ha lo stesso valore nei due casi. Le curve che rappre- sentano i due fenomeni, sono complementari l'una dell'altra, la somma delle attività del torio e del torio X_ mantenendosi sempre costante. Nei sali di torio in condizioni normali, vale a dire nei quali l’attività si mantiene sen- sibilmente costante, bisogna ammettere che la quantità di torio X formata in ogni istante compensi esattamente la quantità di quello giù formato che sì disintegra. RexpIconTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 42 — 332 — Ora, come ho detto altrove, gli idrati attivi ottenuti dai fanghi mostrano dopo la loro preparazione un incremento di attività che perdura per un pe- riodo di tempo più o meno lungo, e che può anch'essere di qualche setti- mana. Ciò mi condusse a tentare di ripetere l'esperienza di Rutherford e Soddy. A tale uopo un precipitato di idrati preparato alcune settimane prima e di attività tre mila volte superiore a quella di un ugual peso di torio, venne sciolto in acido cloridrico e riprecipitato con ammoniaca; dopo filtra- zione, il liquido venne evaporato e calcinato per eliminare i sali di ammonio; il leggerissimo residuo così ottenuto venne quindi raccolto. L'operazione diede ottimi risultati; gl' idrati appena precipitati non mostravano più che il 25 o il 30 °/ della loro attività totale; in quanto al potere emanante, esso non si manifestava più se non in proporzioni minime. Il residuo dell’evaporazione del liquido filtrato mostrava invece una notevole attività ed emanava in modo rimarchevole. Dopo un breve periodo di comportamento irregolare, ana- logo a quello osservato da Rutherford e Soddy col torio, l’attività ed il potere emanante del residuo cominciarono a decrescere mentre contemporaneamente quelli degli idrati andavano aumentando. Allo scopo di paragonare questi risultati con quelli che si ottengono operando col torio, alcuni grammi di sale di torio vennero precipitati con ammoniaca in condizioni, per quanto possibile, identiche. Le misure della disattivazione dei residui dei liquidi filtrati sono ri- portate nelle seguenti tabelle: Torio X estratto dal torio Residuo evaporazione filtrato di Echaillon Attività Attività tempi in ore val. cale. val. oss. tempi in ore val. cale. val. oss. 0.0 —_ 100.0 0.0 —_ 100.0 5.5 _ 104.0 TIRO) — 105.0 52.2 82.6 85.1 19.2 102.9 100.0 94.3 60.1 62.9 49.6 84.1 84.1 120.0 50.2 49.9 96.0 60.7 61.6 149.7 40.9 41.9 115.2 93.1 53.0 190.0 30.8 29.4 169.2 36.4 36.5 214.5 26.0 24.9 216.5 26.1 25.8 241.0 21.6 20.8 233.2 23.2 22.6 Da queste due serie di misure, avendo cura di eliminare i valori corri- spondenti al periodo di irregolarità iniziale, sono stati calcolati col metodo dei minimi quadrati i valori delle costanti che compariscono nella equazione (1) della pagina 4, le quali sono risultate: pel torio, Z = 0.00696 e pei prodotti estratti dal fango, à4= 0.0070, assumendo per unità di tempo l'ora. Ruther- ford dà per la costante di disattivazione del suo torio X il valore 4 = 0.0072. — 393 — In quanto poi alla riattivazione degli idrati, essa diede i risultati ripor- tati qui apppresso: Idrato di torio Idvati dai sedimenti Attività Attività tempi in ore val. cale. val. oss. tempi in ore val. cale. val. oss. 0.0 —_ 20.8 0.0 — 22.4 183.5 —_ 29.4 5.9 _ 25.9 41.0 = 43.5 21.6 _ 31.3 66.5 52.0 99.0 48.0 42.0 45.4 87.5 64.0 64.9 (12 98.5 62.5 105.8 73.1 76.9 100.0 70.5 71.4 130.5 83.5 85.9 148.0 90.3 90.0 154.8 89.1 89.3 175.4 98.5 98.5 I valori calcolati sono stati ottenuti applicando la formola 2 della pagina 4, e prendendo per 4 i valori trovati nel caso del torio X. [og 20 ko 60 80 100. 120 ik0 160 180 200 220 240 lempo in oe Fie. 1 Queste misure della riattivazione degli idrati non furono potute prose- guire al di là di un dato limite di tempo, essendochè l’attività acquistata dai prodotti rendeva molto difficili delle misure esatte coll'apparecchio sen- sibile da me adoperato. Esse bastano tuttavia a mostrare l'identità di com- portamento del torio e del mio preparato. Le curve corrispondenti ai due fenomeni di disattivazione e di riattivazione sono rappresentate alla fig. 1. Emanazione. — Benchè siano state già da me pubblicate delle misure fatte sulla velocità di disattivazione dell'emanazione generata dai preparati — 334 — estratti dai fanghi di Echaillon, credo utile riportare qui i risultati di espe- rienze da me fatte allo scopo di paragonare direttamente la legge di decre- mento dell'attività di quest'emanazione con quella corrispondente all'emana- zione torica. | o idrati doi fanghi | idrato di torio dempo in secondi Fre. 2. Sono qui riportati i risultati di due delle serie di osservazioni da me eseguite, insieme ai valori calcolati col metodo dei minimi quadrati, appli- cando la formola (1) della pagina 4. Emanazione del torio Emanazione dei prodotti di Echaillon Attività Attività tempi in secondi val. cale. val. oss. tempi in secondi val. cale. val. oss. 0 100.1 100.0 0 9r9 100.0 15 84.2 33.7 15 83.2 82.9 30 (1.4 71.6 30 70.8 68.9 45 59.6 60.1 45 60.1 58.1 I 60 50.6 50.7 60 01.2 00.0 I 75 42.2 42.9 75 43.5 43.2 | 90 35.8 36.1 90 37.0 36.5 o 105 29.9 29.9 105 31.5 31.1 120 25.3 25.4 120 26.7 26.3 135 21.2 21.6 135 22.8 23.2 150 19/59 17.8 Nelle curve della fig. 2 sono segnati alternativamente un valore corri- spondente alla prima di queste serie, ed un valore corrispondente alla =—=—- erre, =?” — 335 — seconda. Per la costante ho trovato i valori seguenti, e cioè pel torio ZA=0.0115 e pel mio preparato 4= 0.0108. Che questi valori si possano considerare come concordanti, lo prova poi il fatto che in un'altra serie di misure eseguita col prodotto estratto dai fanghi ho trovato per la costante 4 il valore 0.0120. In una prossima Nota riferirò intorno ad altre esperienze le quali anch'esse dimostrano in modo indiscutibile l'identità dei caratteri radioattivi dei sali di torio con quelli presentati dal nuovo elemento. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1° TRANSUNTI, 2° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 38 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRransUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL. (1, 2). — III-XIX. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5® — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1906). Fasc. 6°. 1° sem. RENDICONTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fase. 9°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fasc. 1°-2°. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Fase. 1°. AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. A®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e. Firenze. ULrIco HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. e — onice. — eeesce-csete. g_-— | RENDICONTI — Marzo 1906. | INDICE | ; i | - ; 2 lee Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 marzo 1906. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI ll Nasini e Levi. Sulla radioattività della sorgente di Fiuggi presso Anticoli . . . . Pag. | Marcolongo. Sugli integrali delle equazioni dell’elettrodinamica (*) . . : » | Magini. Influenza degli orli sulla capacità elettrostatica di un condensatore (onde dal Li; Il IBRA) © 6 6 SR) | Millosevich. Sopra alcuni trinciali di Val di usto di; ibi uu Str i AR a | Levi e Voghera. Sopra la formazione elettrolitica degli iposolfiti (pres. dal Corrisp. Wo » Blanc. Ricerche su un nuovo elemento presentante i caratteri radioattivi del torio (pres. dal Corrisp. Sella) ca | ERRATA-CORRIGE | A pag. 286 lin. 4, invece di: valori trovati 73°, 49'-75°, 58/ legg.: 730, 497-730, 58". il n» » 10, » » valoteteorico 59°, 56° legg.: valore teorico 19°, 56°. | n 287 n 24, n n c=],58773 legg.: c= 153798. (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Pubblicazione bimensile. Roma 1° aprile 1906. N. ". ATTO DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCRI ANNO CGGIII. 129) perg PERI Q, UBEN TECA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° aprile 1906. Volume XV.° — Fascicolo 7° 1° SEMESTRE. RO M A TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI Va Wrc] > 1006 STIRIA REINA | EI A E I ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formane una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : i 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri! un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci e da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risco in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - 4) Colla semplice pro- posta dell'invio della. Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è date ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoseritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è raeraa a carico degli autori RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANANDIA Seduta del 1° aprile 1906. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle serie algebriche di gruppi di punti appartenenti ad una curva algebrica. Nota del Corrispondente G. CA- STELNUOVO. In varie ricerche sulle curve algebriche si presentano, accanto alle note serie lineari, certe serie algebriche di gruppi di punti. E si deve decidere se una data serie algebrica sia contenuta in una serie lineare dello stesso ordine, e dimensione più elevata, oppur no; giacchè solo nel secondo caso lo studio della serie costituisce un problema essenzialmente nuovo. Sotto l'aspetto algebrico, limitandoci a considerare serie co, la questione può esser posta così. È noto che ogni serie algebrica co!, giacente sulla curva algebrica (1) ilesz)i=0, può rappresentarsi mediante due equazioni razionali in 4,7, contenenti algebricamente un parametro, o razionalmente due parametri È, n legati da una relazione algebrica (2) p(E, n) =0; siano (3) P(a,y;E,n)=0 , QUc,y; é,mn)=0 le due equazioni nominate. In corrispondenza ad ogni puzto (£, n) della curva @, la (1) e le (3) devono avere un certo numero finito n > 0 di soluzioni (x, y) comuni, indi- RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 43 0005 — 338 — viduanti un gruppo di » punti della curva /; al variare di (£, n) il gruppo descrive una serie algebrica o, di ordine n. Un punto generico (4,7) di f appartiene ad un certo numero finito v >0 di gruppi della serie, dove v, indice della serie, è il numero delle soluzioni (£ , 7) delle (2) e (3) in corrispondenza a quei valori di 4, 7. Ora si osservi che anche una sola equazione algebrica (4) R(2,y; #,9)=0 definisce una serie algebrica co! sopra la curva f. Ma questa serie, come si riconosce facilmente, presenta la particolarità di esser contenuta in una serie lineare dello stesso ordine. E sussiste pure la proprietà inversa. In conseguenza, la questione proposta consiste nello stabilire un criterio per decidere se dl sistema delle quattro equazioni (1), (2), (3), aventi infi- nite soluzioni comuni, possa esser sostituito da un sistema equivalente com- posto di tre sole equazioni (1), (2), (4) (1). Il criterio, che viene esposto in questa Nota, esige solo la conoscenza del genere p della curva /, ed inoltre dei caratteri numerici della serie algebrica, che sono l'ordine x, l'indice v, ed il numero d dei punti doppi, in ciascuno dei quali vengono a coincidere due punti di uno stesso gruppo della serie. Vedremo infatti, nel n° 1, che, noti 2, v e p, si può fissare un limite superiore per d4, e che, quando il limite è raggiunto, allora, ed allora sol- tanto, la serie algebrica fa parte di una serie lineare d'ordine 7 . Questo criterio viene applicato, nel n° 2, a dimostrare un lemma no- tevole sulle serie algebriche dovuto al Severi (2), di cui egli approfitta per stabilire varie proprietà delle superficie irregolari, e, in particolare, la rela- zione fondamentale tra l'irregolarità ed il numero degli integrali di Picard di prima specie appartenenti alla superficie. Nella stessa mia dimostrazione di quest’ultimo teorema, pur fondata su concetti diversi, ho dovuto ricorrere a quel lemma per evitare complicate discussioni di Analysis situs. Vista dunque l’importanza del lemma, pur riconoscendo i pregi ed il rigore della dimostrazione trascendente che il Severi ne dà, era sorto in me il desiderio di ritrovare quella proposizione per una via più conforme alla sua natura algebrica. Così ebbe origine la breve Nota che segue. La quale contiene an- cora, nel n° 3, una nuova interpretazione del risultato del n° 1; e, nel n° 4, un complemento ad un altro risultato del Severi relativo alle superficie che contengono due fasci di curve unisecantisi. (1) Si ricordi che, nel valutare l'equivalenza dei due sistemi, ammettiamo si possa trascurare un numero finito di soluzioni (@ ,y), 0 (É, 7), cui corrispondano valori indeter- minati per É, 7, 0 per, y, rispettivamente. Ciò equivale, in linguaggio geometrico, a fare astrazione dagli eventuali punti di f, che fossero comuni a tutti i gruppi della serie. (*) Il teorema di Abel sulle superficie algebriche, n. 1 (Annali. di Matematica, S.CILI t. XII) — 339 — 1. Sopra la curva f, di genere p, sia data una serie algebrica 00°, y,, di ordine x e indice v. Noi supporremo la serie priva di punti fissi (comuni a tutti i suoi gruppi) ed irriducibile, tale cioè che i suoi gruppi non siano composti coi gruppi di due serie algebriche di ordini inferiori. La rappre- sentazione analitica (1), (2), (8) della serie fa vedere che essa ha origine da una corrispondenza algebrica (n,v) tra due curve f, g, in virtù della quale ad ogni punto di g corrispondono n punti di /, formanti un gruppo della y,, mentre ad ogni punto di / corrispondono v punti di g, formanti un gruppo di una nuova serie algebrica y,, di ordine v e indice x; sia 7 il genere di p. I numeri d e d dei punti doppi delle due serie y,,yy danno i numeri delle coznezdenze della corrispondenza su / e g, od anche i nu- meri dei punti di diramazione che giacciono su g ed /, rispettivamente. Insieme alle due curve / e @, conviene spesso considerare una terza curva K, i cui punti rappresentano le singole coppie della corrispondenza nomi- nata ('). Questa curva K ha, nello spazio a quattro dimensioni (2,7 , È ,7), le equazioni (1), (2), (3), ed appartiene per conseguenza alla superficie (S) (ahi (E, n)e_205 che è la intersezione dei coni (a tre dimensioni) proiettanti le curve piane f, dalle rette all'infinito dei piani &,y rispettivamente. La curva K contiene due involuzioni (serie algebriche d'indice 1), la prima d'ordine v e genere p segata dai piani del coro f, la seconda d'ordine n e genere 7r segata dai piani del cono @. Fra il genere P della curva K ed i caratteri sopra indicati passano le due relazioni (di Zeuthen) (5) 2P—2=2n(r—1)+d=2(p—1) +59. Ricordato ciò, costruiamo sulla curva / una qualsiasi serie lineare, non speciale, gr_t+p, di ordine #7 —1--p e dimensione x —1. Dato l’arbitrio nella scelta di un gruppo della serie, si può sempre ottenere che un gruppo prefisso della y, non formi parte di nessun gruppo di quella serie lineare oo! . Allora il problema algebrico di determinare quei gruppi di y,, che sono contenuti in gruppi della serie lineare, è determinato, ed ammette un numero finito # = 0 di soluzioni. Il numero # è fornito da una formola no- tevole dovuta al Segre (?). Questa assegna il numero dei gruppi di 7 + 1 (') Si veda, ad es., il $ 10 della Introduzione alla Geometria sopra un ente alge- brico del Segre (Annali di Matematica, s. II, t. XXII), (2) Sulle varietà algebriche composte di una serie co! di spazi (Rendiconti della R. Accad. d. Lincei, ottobre 1887); oppure Introduzione... citata, $ 18. Un'altra dimo- strazione di quella formola, nel caso particolare 1 =0, si trova in una mia Nota Ricer- che di geometria sulle curve algebriche (Atti della R. Accad. d. Scienze di Torino, 1889); nella quale approfitto della formola stessa, in un modo che ha qualche analogia con quello qui tenuto, per dimostrare geometricamente il teorema di Riemann-Roch, senza ricorrere — 340 — punti, che son comuni ad una serie lineare 97, e ad una involuzione di ordine n># e genere 7, sopra una curva di genere p. Il detto numero, nel caso r=n—1 che a noi interessa, vale precisamente m-(—1)—p+wx. Qui però si noti che la serie y, assegnata non è, in generale, una invo- luzione, perchè l'indice v di essa può superare l’unità. Ma, come osserva il Segre nel secondo dei lavori citati, la formola scritta si applica anche a questo caso, purchè si riguardi la curva sostegno / come vupla, con d punti di diramazione, cioè si operi sulla curva K, anzichè sulla /. Si tien conto di ciò, ponendo nella formola mv al posto di #2, e P al posto di p. Con queste sostituzioni, e ricordando che nella nostra questione è m=r—14+-p, si ottiene z=v(n—-l+p)—(n_-1)—P+na, ossia, in virtù delle (5), (6) :=vn+p—)-î=x+a—-1)—3. Ma deve essere < =0, dunque (7) d=2(n+p—1), disuguaglianza che fissa un limite superiore a d. Interessa esaminare la ipotesi che il limite venga raggiunto. Allora è z=0, quindi una serie lineare 97_i+, sopra / non contiene, in generale, nessun gruppo della serie y,. Ma se quella serie è costruita in guisa da contenere un gruppo T, di y, (il che è possibile in co?! modi), la serie stessa contiene ogni gruppo di y,. Questa proprietà può anche enunciarsi così. Si costruisca sopra / una qualsiasi serie lineare g7+p; se un punto « di / è tale, che la 974», residua di a contenga il gruppo T,,, il punto « ha la stessa proprietà rispetto ad ogni altro gruppo di y,. Ora di punti come 4 ve ne sono p, formanti il gruppo G, residuo di TY, rispetto a 974»; quel gruppo G, sarà dunque residuo di ogni altro gruppo di y,. E, in con- seguenza, y, apparterrà alla serie lineare g,, che è residua di G, rispetto a Yn+p- Risulta di qua che, se d raggiunge il limite superiore, la y, è conte- nuta in una serie lineare d'ordine 2. Ed è pur vera la proprietà inversa, come si vede, sia invertendo il ragionamento che precede, sia mediante sem- plici considerazioni dirette. nè al Restsatz, nè al Reductionssatz. Ed in una Nota successiva (Rendic. della R. Accad. dei Lincei, novembre 1891) ho potuto estendere il detto teorema alle involuzioni irrazio- nali, ricorrendo alla formola del Segre. Queste applicazioni (che si trovano riprodotte nel $ 17 della citata /ntroduzione... del Segre) fanno sperare che altre proprietà delle serie algebriche possano dedursi dalla detta formola. — 341 — Vale dunque il teorema: Una serie algebrica, irriducibile, co*, d'ordine n ed indice v, sopra una curva di genere p, possiede al più 2v(n+p—1) punti doppi; se il massimo è raggiunto, ed in questo solo caso, la serie è contenuta in una serie lineare dello stesso ordine. Od anche: Condizione necessaria e sufficiente, perchè una corrispondenza alge- brica (n,v) tra due curve di generi p,n possa rappresentarsi mediante una sola equazione (razionale nelle coordinate di punti corrispondenti), è che il numero dei punti di diramazione della seconda curva valga 2v(n+p—1); in tal caso il numero dei punti di diramazione della prima curva è 2n(v + — 1). E viceversa. Le espressioni scritte assegnano i 724sstmi, che possono raggiungere (con- temporaneamente) i caratteri 4 e d della corrispondenza; dei quali caratteri la formola di Zeuthen fornisce soltanto la differenza. 2. Il criterio contenuto nel primo teorema permette di dimostrare, nel modo più semplice, il lemma nominato del Severi. Eccone l’enunciato: Se una serie algebrica, irriducibile, 0°, yn, giacente sopra una curva, è tale che l'insieme dei v gruppi di yn contenenti un punto della curva st muova, al variare del punto, entro una serie lineare d'ordine mv, allora tutti i gruppi di yn appartengono ad una medesima serie lineare d'ordine n . Calcoliamo infatti il numero 4 dei punti doppi di y,. Questi cadono nelle coincidenze della corrispondenza, che si viene a stabilire sulla curva sostegno /, quando ad ogni punto 4 di essa si facciano corrispondere i v(2—1) punti, che, insieme ad x, costituiscono i v gruppi di y, conte- nenti 7. La detta corrispondenza ha i due indici uguali a v(n — 1), ed ha la valenza (Werthigkeit) v, giacchè, per ipotesi, il punto contato » volte, insieme coi punti ad esso corrispondenti, dà un gruppo di nv punti variabili in una serie lineare. Dunque, detto pil genere di f, il numero richiesto d delle coincidenze è fornito della formola di corrispondenza di Cayley-Brill (!). Si trova pre- cisamente d=2v(n-1)+2pv=2(n+p— 1), che coincide col valore massimo, di cui parla il teorema del n° 1. Sussiste dunque il lemma in questione. 3. Riprendiamo ora in esame la curva K (n° 1), che possiede due in- voluzioni, una d'ordine v e genere p, l'altra d'ordine n e genere 7. La (1) Cfr. la citata /ntroduzione ... del Segre, $ 12. — 342 — formola (5), tenuto conto della (7), ci dice che il genere P di K è soggetto alla limitazione (8) P=e(n-b)(0-1)+a7r+ vp. Dunque: Se una curva possiede due involuzioni di ordini v,n e generi p,r rispettivamente, il genere P della curva non può superare il limite fissato dalla (8). Se il limite è raggiunto, allora l'insieme degli n gruppi della prima involuzione, che hanno ciascuno un punto in un gruppo della se- conda, st muove, al variare di questo, entro una serie lineare d'ordine nv ; ed un'altra serie siffatta (distinta, 0 coincidente colla prima) si ottiene scambiando le veci delle due involuzioni. Un esempio di una tal curva K si ottiene, considerando la intersezione di due superficie rigate di ordini n, v e generi p, 7 rispettivamente, situate in posizione generica nello spazio ordinario (!). Lo stesso teorema può anche enunciarsi in altra forma, ricordando la rappresentazione analitica (1), (2), (3) della curva K ; dalla quale risulta, come dicemmo, che la K appartiene alla superficie (S) f(@ ,9)=0 , g(5,9)=0 dello spazio a quattro dimensioni. Questa superficie S contiene un fascio, di genere 77, di curve F_omografiche alla curva /, ed un secondo fascio, di ge- nere p, di curve ® omografiche alla curva g; ogni curva F sega in un sol punto ogni curva ®. La curva K poi sega in punti ogni F ed in v punti ogni DD. Possiamo dire, in conseguenza, che la formola (8) assegna un limite su- periore al genere P di una curva K tracciata sulla superficie S, e secante in ne v punti le curve F e ® di S. Il limite è raggiunto allora (e solo allora), quando la curva K, sulla superficie S, può rappresentarsi mediante una sola equazione (4); quando cioè K è la intersezione di S con una varietà algebrica dello spazio a quattro dimensioni, passante eventualmente per un numero finito di curve Fe ®. 4. Ora conviene confrontare l’ultimo risultato con una formola stabilita dal Severi in una notevole Memoria Sulle corrispondenze fra è punti di una curva algebrica...(*). Il Severi introduce ivi la superficie S, i cui punti corrispondono alle coppie di punti di due curve / e g, ed esamina i sistemi di curve esistenti sopra di essa. Si presentano anzitutto le. curve, che sulla superficie S (definita nel modo da noi seguito) possono rappresentarsi (1) Cfr. Amodeo, Contribuzione alla teoria delle serie irrazionali ..., Annali di Matematica, s. II, t. XX. (2) Memorie della R. Accademia delle Scienze di Torino, s. II, t. LIV 1892 si veda, in particolare, la Parte II della Memoria. — 843 — analiticamente mediante una sola equazione (4), nel senso sopra precisato. Il Severi le chiama curve a valenza zero , e dimostra che esse possono otte- nersi mediante l'operazione di addizione applicata, una o più volte, alle curve F e ® componenti i due fasci esistenti su S. Ma, all'infuori delle curve a valenza zero, possono esistere su S altre curve T,,T2,...,T;,..., la cui rappresentazione analitica esiga, per ciascuna, due equazioni (8). Scelte # di queste curve, il Severi dice che esse sono diper- denti, se si possono determinare % interi, positivi, non tutti nulli, 2,,42,...,4, tali che la curva AT.+AT: +-+ 4I: sia a valenza zero; indipendenti nel caso opposto. E qui si noti che, in luogo di questa curva composta, che potrebbe non esistere per certi valori delle 4, è lecito considerare una curva K definita dall’equivalenza (9) K=CH44,514+4F+--+AI, dove C è una curva a valenza zero, scelta in guisa che K esista e sia irri- ducibile. Un criterio per decidere sulla dipendenza delle curve 7), T,..., I} è for- nito dall'esame del discriminante relativo ad esse. Con questo nome il Severi indica un determinante simmetrico, di ordine £, il cui elemento generico è Cih = MVx + NxVi — Vik» dove 2,,,,... sono i numeri delle intersezioni di 7, ,..., con una curva F e con una curva D, mentre yz è il numero delle intersezioni di 7; con Ty. Il Severi dimostra che, se le curve 7), Ta ,...,7; sono dipendenti, il discri- minante è zero. Sarà vero il teorema inverso? Il Severi lo ritiene vero; ma, non pervenendo a dimostrarlo coi mezzi di cui fa uso in quella Memoria, lo introduce, in un punto ove viene applicato, come una ipotesi eventualmente restrittiva. Ora il teorema inverso sussiste. Esso risulta subito dal paragone della nostra formola (8) colla formola, che il Severi stabilisce (indipendentemente da quella ipotesi) per ‘esprimere il genere della curva (9): 1 Pel Deo e CE dove x e v hanno gli stessi significati che nella (8), e gli indici 7, % possono assumere i valori 1,2,...,%. Dal paragone risulta infatti che (per valori interi delle Z) si ha (10) D cadi, 20, ik il segno di eguaglianza sussistendo solo nella ipotesi che la curva K sia a valenza zero. Se supponiamo dunque che il discriminante delle 7°, cioè il determinante formato coi numeri inferi cn, sia zero, allora esistono valori — 344 — interi e non tutti nulli delle 2, tali da annullare la forma (10), e da far sì quindi che la curva K risulti a valenza zero. E di qua segue che le curve T,,T>,...,T sono dipendenti, come dovevasi dimostrare. Nella ipotesi opposta la forma quadratica (10) è essenzialmente positiva, ed il suo discriminante, non solo è diverso da zero, ma è positivo; e tali sono tutti i suoi minori principali. La ipotesi del Severi è dunque sempre verificata. E sussiste, senza alcuna restrizione, il teorema seguente, che il Sereri deduce da quella ipotesi e da un teorema di Hurwitz sulle corrispondenze algebriche appartenenti ad una curva (!): Sopra una superficie contenente due fasci di curve unisecantisi F e ® , si può fissare un numero finito di curve indipendenti T,,T2,...,T; (co- stituenti una base), tali che ogni curva tracciata sulla superficie possa rappresentarsi sotto la forma (9), dove C è una curva composta di curve Fe ®. Il discriminante della base è essenzialmente positivo, e tali sono pure tutti i suoi minori principali dei vari ordini. Geologia. — Su/l'esistenza dell’ Eocene nella Penisola Salen- tina. Nota del Corrispondente G. Di STEFANO. i Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica matematica. — Sugli integrali delle equazioni del- l’elettro dinamica. Nota di R. MARcoLONGO, presentata dal Socio V. CERRUTI. 1. Le equazioni fondamentali dell’elettrodinamica date dal Lorentz si riassumono nelle cinque seguenti: rtH=a - + treV) — rotE=gq Qu (1) di divE=4n005/dvH=0 Dosi G; A Se 4 div (Ve) =0, (1) Recentemente il Severi è pervenuto a dimostrare che, sopra ogni superficie, si può fissare un numero finito di sistemi algebrici, tali da fornire, mediante addizione o sottrazione, un multiplo conveniente di un qualsiasi altro sistema assegnato sulla super- ficie (Comptes Rendus de l’Acad. des Sciences, 6 février 1905). Il teorema del resto, seb- bene, sotto un certo rapporto, sia un caso particolarissimo della nuova proposizione, è tuttavia più preciso di questa (perchè il coefficiente di K nella (9) vale 1), e può essere ottenuto con procedimenti meno elevati. Valeva la pena perciò di liberarlo da ogni re- strizione. — 345 — dove H ed E rappresentano rispettivamente la forza magnetica ed elettrica; V è il vettore velocità degli elettroni rispetto all'etere supposto in riposo, o la carica elettrica, @ è la reciproca della velocità della luce nel vuoto (!). Queste equazioni ammettono il seguente sistema di integrali funzionali: dI (n) E=—a > — grad g H=rot J° essendo < il potenziale elettrostatico (scalare), J il vettore potenziale cor- rispondente al vettore j della corrente totale, e pecno 4nj = x + 47r0V. Ma se si suppone conosciuto il movimento degli elettroni, e quindi cono- sciuti o e V in ogni punto dello spazio e per ogni valore del tempo; e di più si suppone che lo stato iniziale sia quello di riposo e che tutte le fun- zioni considerate si annullino all'infinito, il sistema (1) ammette dei veri e propri integrali (*). La ricerca diretta di questi integrali, sempre fondata sulle proprietà note dei potenziali ritardati, si può ottenere assai facilmente ed elegantemente nel modo che ci permettiamo di esporre. 2. Si osservi anzitutto che, per le ipotesi fatte, il sistema (I) non può ammettere che al più una soluzione. Se infatti fossero possibili due valori distinti per H ed E, per le rispet- tive differenze % ed e, avremmo: de dh i , um > div h == 3 div e'=/0% Se della prima calcoliamo la rot, si ha : dot e dh ‘ot rot è = grad _ == 0° rot ro grad divhà.—A4,h=0 % a=ge° cioè Mei _0. Di qui, tenute presenti le condizioni iniziali e all'infinito, si deduce h= 0 in tutto lo spazio (3). Lo stesso dicasi per e; dunque la soluzione è unica. (1) Adoperiamo le notazioni e i metodi del calcolo vettoriale; vedi: Foòppl u. Abraham, Zinfuihrung in die Maxwellsche Theorie der Elektrizitàt, I Band (1904); Elektromagnetische Theorie der Strahlung, IT Band (1905). Vedere ancora: Gans, Zin- fiihrung in die Vektoranalysis mit Anwendungen auf die mathematische Physik, 1905, Leipzig. (*) Poincaré, Electricité et optique, 2me édition, Paris, 1901, pp. 455-460. (*) Oltre le dimostrazioni note del Poincaré, Z'Réorie mathématique de la lumière, II, pag. 134 (1892), si vegga quella assai semplice e diretta del Boussinesq, ZAéorie ana- lytique de îa chaleur ecc., tom. II, pp. 540 e seg. (1903); e valida anche per equazioni di forma più generale che s'incontrano in alcune teorie di ottica. RenpIconTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 44 Me. — 346 — Per trovare una soluzione osserviamo che la quarta equazione del sistema (I) suggerisce di porre (1) B—rotw; sostituendo questo valore nella seconda dello stesso sistema, si ha dY . t SES è ro (o+ett)o; dunque potremo porre: (2) E=-< Di — grad g'. Sostituendo quindi (1) e (2) nella prima di (I), otteniamo dd y rotrotyw= — a? gard grad g' + 4zra0V, e questa può scriversi (3) grad (div w+ a 2 =0O0w + 4rra0V. Pongasi y=yw+y" e la yw', oltre alle solite condizioni iniziali e all'infinito, soddisfi in tutto lo spazio, la Oy = — 4raoV. Si deduce quindi che (4) y=a (tag. cioè w' è il valore, in P, del vettore potenziale ritardato (con velocità 1:4) relativo alla sola corrente di convezione; P' è un punto variabile dello spazio ed 7 è il modulo di P— P'. Dopo ciò per g' e w" abbiamo, dalla (3), (5) grad (air w + div yw" + a 5) SUC Calcolando la div w', colla (4), si ha, con metodo noto, divy = a {(aiv oV) D ; intendendo calcolata (div oV) rispetto a un punto variabile e come se t — ar fosse costante. — 347 — Quindi, in virtù della quinta del sistema (I) (equazione di continuità), valida per qualunque valore del tempo, si deduce (pe, dr divy = aì (o(P,(—ar) mi: Prendiamo dunque Ù/ , dr 0) g= (ePi—an®, e sarà g' il potenziale elettrostatico (scalare) ritardato. Per determinare w” avremo quindi l’equazione (7) grad div y"=0vy", che ha la stessa forma dell'equazione dei moti vibratorî liberi di un corpo elastico isotropo ('). Ma allora è chiaro, per le poste condizioni, che in tutto lo spazio sarà w' = 0. Del resto possiamo procedere così. Pongasi u= div y" e della (7) si prenda la divergenza. Avremo subito d,u=U% onde d°U mu e quindi sempre e in ogni punto dello spazio, v=0; allora la (7) ridu- cendosi alla Oyw”"=0, ci dà pure y"=0. Abbiamo dunque per gl’integrali richiesti la forma: ELA o = — — DT d (n) | E ds GIASIE | H=roty, essendo g' e y' dati dalle (4) e (6). Si verifica subito che anche la terza di (I) è soddisfatta. 3. Lo stesso metodo è applicabile anche alle equazioni di Maxwell-Hertz nell'ipotesi che non vi sia magnetismo libero. Se infatti si parte dal sistema OE 2dH bili — odia \ ro c(e x +4nj) 3 rttE=aw VA) (1°) ì d Mate Mina, St drj=0, (') Detto infatti o il vettore spostamento, l'equazione dei moti vibratorî liberi è: Keri È x "n ) grad divo= 0 — E Ue. wi dt i — 548 — sì giunge al sistema di integrali funzionali 1} È rad g— aut (II) 5 CL og H=otiJ": g' è il potenziale elettrostatico, J' il vettore potenziale, entrambi ritardati con la velocità l:aVsu. Sostituendo ai potenziali ritardati, i potenziali ordinari abbiamo in (II) le equazioni di Helmholtz (') e quindi la riduci- bilità dell'un sistema all'altro dimostrata dal prof. Levi-Civita (?). 4. Se nelle formule precedenti, supposto 4 = 1, immaginiamo sostituito t con zu, l'operazione O coincide colla 4, relativa alle quattro variabili indipendenti 4,y,4,%; e però eseguendo una trasformazione ortogonale, definita da: a=oLg+Byt+ynzt+du,..... ,u=a4yx+Pyt+ ya +du, la O si trasforma in sè stessa. Diciamo £,7,6 le componenti del vettore V, e poniamo oE=o(aEÈ+Pnt+tnlî=id),..... so =o(04EÈ + Pin tyî— id). Per quanto è noto sulle trasformazioni ortogonali, risulterà trasformata in sè stessa l'equazione di continuità, cioè la 5* del sistema (I). Quindi: de | dei deg, del — al neo pi dy' de a Di qui segue subito che se riguardiamo o’ come una nuova carica elettrica e le £", 77,6" come componenti di un nuovo vettore V'; poscia consideriamo rispetto alle nuove variabili il potenziale scalare ritardato g' ed il vettore potenziale J' e definiamo un nuovo campo elettro-magnetico mediante for- mule analoghe alle (1) e (2), cioè: ’ be = grad g' H'it06i, otterremo un sistema di equazioni differenziali identico al sistema (I). Quindi la trasformazione considerata trasforma in sè stesso il sistema (I). Questa trasformazione, come può subito vedersi, comprende come caso par- ticolare quella di Lorentz (8). (1) Veber die Bewegungsgleichungen der Elektricitàt fiir ruhende leitende Kòrper, Journal f. reine u. angew. Mathematik, Bd. 72, pp. 57-129. 1870. (2) Sulla riducibilità delle equazioni elettrodinamiche di Helmholtz alla forma Hertziana, Nuovo Cimento, 6 (4), agosto 1897. (3) Su questa trasformazione vedi la recente Memoria del Poincaré: Sur la dyna- mique de l’électron (Rend. Circolo matem. Palermo. Tomo XXI, pp. 129-176). La trasfor- mazione ivi considerata non ha il determinante eguale ad 1; ma è noto come ci possiamo ridurre a questo caso. Si veda specialmente il $ 4 della Memoria del Poincaré. — 349 — Si trovano subito le relazioni tra i potenziali J e g del primo ed Je g' del sistema trasformato. Diciamo Jx, JJ; le componenti di J; ed Jr, ecc., quelle di J'. Poichè OJ = — 408 = —4no(a8 | Bn4niΗ dd) e OJ=—47eV, Ogp=—4n70 , Og=— 479, si deduce OJo =U(a, Ja + Ba Jy 4 Vidi — dd, P), ecc. Quindi : Jr= Ir +03 + Ja dd: P e due analoghe; e poscia gp = iasJe 4 (B4Jy + ir Je + dp. Assai agevolmente poi si deduce che le componenti delle nuove forze elettriche e magnetiche sono funzioni lineari ed omogenee delle componenti delle primitive. Meccanica. — Sul integrazione delle equazioni dell’equilibrio dei corpi elastici isotropi. Nota del prof. G. LAURICELLA, presen- tata dal Socio U. DINI. Matematica. — Sur quelques propriétées nouvelles de fon- ctions cylindriques. Nota di NreLs NIELSEN, presentata dal Socio U. DINI. Matematica. — Teorie et Construction de Tables permet- tant de trouver rapidement les facteurs premiers d'un nombre. Nota di ERNEST LeBON, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Le precedenti Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Fisica. — Aicerche su un nuovo elemento presentante i carat- teri radioattivi del torio. Nota di G. A. BLanc, presentata dal Corrispondente A. SELLA. In una precedente Nota (!) ho dimostrato come certi preparati estratti dai sedimenti delle sorgenti termali di Echaillon, i quali presentano un'attività immensamente superiore a quella di un ugual peso di idrato di torio, abbiano la proprietà di generare continuamente un prodotto in tutto analogo al torio | X di Rutherford, prodotto al quale è dovuta la totalità del potere emanante e gran parte dell'attività diretta dei preparati stessi. (1) Questi Rendic. XV, pag. 328, 1° sem. 1906. — 850 — Ho anche mostrato come l'emanazione emessa dai prodotti estratti da quei sedimenti abbia una costante di disattivazione che si può considerare come identica a quella dell'emanazione torica. Ora è noto che l'emanazione del torio ha la proprietà di rendere tempora- neamente radioattivi i corpi coi quali essa viene in contatto, specialmente se questi sono carichi di elettricità negativa. È noto pure come dalle ricerche di Rutherford tale fenomeno vada attribuito al depositarsi su quei corpi di un deposito di materia radioattiva, la quale materia non è altro che un pro- dotto della disintegrazione dell'emanazione, il quale alla sua volta si va tra- sformando in un nuovo tipo di materia. Riporterò qui i risultati di alcune esperienze le quali dimostrano in modo evidente l’ identità dei fenomeni d’attività indotta prodotti dai miei pre- parati, con quelli prodotti dai sali di torio. Attività indotta per lunga esposizione all'emanazione. — Per comin- ciare, due lamine di stagnola comunicanti ambedue col polo negativo di una medesima pila di Zamboni vennero lasciate per tre giorni consecutivi, la prima sotto una campana di vetro contenente alcuni milligrammi di idrati estratti dai sedimenti, di attività pari a circa 3000 unità toriche, e l’altra sotto un’altra campana contenente una diecina di grammi di idrato di torio, dopo di che il variare delle attività delle due lamine col tempo venne ac- curatamente determinato per mezzo di un elettrometro. Dopo un periodo di alcune ore durante il quale l’attività di ambedue le lamine si mantenne pressochè costante, l'attività stessa incominciò a de- crescere assumendo l'andamento caratteristico di quel genere di fenomeni, vale a dire riducendosi di metà in tempi uguali, e precisamente in circa undici ore. Nella seguente tabella sono riportati i risultati delle singole osserva- zioni, nonchè i valori calcolati per le attività applicando la solita formola: TL = JE edi risultando per la costante i valori 4=0.0624 nel caso della lamina atti- vata in presenza degli idrati estratti dai sedimenti e 4 = 0.0618 nel caso della lamina attivata dall’ idrato di torio. Idrato di torio Idrati dai fanghi Attività Attività tempi in ore val. cale. val. oss. tempi in ore val. cale. val. oss. 0 98.0 100.0 0 974, a ge0 000 1.5 89.3 90.8 4.4 74.0 74.0 5.7 63.9 68.4 10.0 52.2 52.5 1 ATE 47.5 47.3 15.0 38.2 86.1 27.2 18.2 18.1 22.6 23.7 23.9 45.3 6.0 6.5 36.0 10.3 10.6 59.2 2.5 2.3 02.0 3.8 3.7 77.8 0.8 0.8 69.3 1.3 1.3 — sol — La curva corrispondente è riprodotta nella fig. 1, dalla quale appare evidente l’ identità dei due fenomeni. Attività indotta per brevi esposizioni all'emanazione. — Come hanno dimostrato Sella ('), Miss Brookes (?) e Rutherford (3) l’attività presentata da un corpo il quale sia stato esposto per periodi di tempo non superanti poche ore all'emanazione del torio, mostra un incremento iniziale per un certo tempo succes- sivo all'istante in cui esso è stato sottratto all’azione del gas radioattivo. Questo incremento è tanto più pronunziato per quanto minore è stato il tempo du- rante il quale il corpo da attivarsi è stato lasciato in presenza dell’emana- zione. Per esposizioni più lunghe, vale a dire di qualche giorno, l' irregola- rità iniziale nel processo di disattivazione si riduce ad un periodo di attività stazionaria; per periodi di esposizione più lunghi ancora l’attività incomincia a decrescere secondo la legge esponenziale solita, sin dal momento in cui il corpo viene sottratto all’azione dell'emanazione. Avendo io notato, come ho detto poco prima, qualche cosa di analogo coi preparati estratti dai sedimenti di Echaillon, ho voluto assicurarmi del- l'identità di questo fenomeno con quello presentato dai sali di torio. A tal uopo ho attivato separatamente due lamine di stagnola, una me- diante l'emanazione di alcuni grammi di idrato di torio, e l’altra mediante l'emanazione prodotta da alcuni milligrammi di un preparato estratto dai fanghi. Per ottenere effetti paragonabili, la quantità di idrato di torio venne (1) Questi Rendic. XI, pag. 242, 1° sem. 1902. (*) Phil. Mag. Settembre 1904. (3) Phil. Mag. Gennaio 1903. — 352 — da me scelta in modo che la quantità di emanazione da esso prodotta fosse sen- sibilmente uguale a quella prodotta dal mio preparato. Il metodo di attivazione adottato in questo caso fu quello dell’effluvio elettrico descritto dal Sella (!); le sostanze emananti ricoperte di un foglio di carta da. filtro, vennero poste ciascuna sotto una campana di vetro nella quale veniva prodotto un continuo effluvio fra tre punte ed un piano metallico, comunicanti le prime col polo negativo e il secondo col polo positivo di una macchina di Holtz. L'’effluvio, come ha dimostrato Sella, ha la proprietà di liberare completamente l' aria di un ambiente contenente emanazione torica, dal materiale radioattivo che vi si trova in sospensione, fissando questo materiale (che non è altro poi che la sostanza alla quale sono dovuti i fenomeni di attività indotta) su un piano metallico il quale sia affacciato alle punte stesse. Questo metodo si dimostrò assai più conveniente per ottenere risultati direttamente paragonabili fra loro, che non il solito metodo dell'attivazione per semplice carica negativa. Dopo varî tentativi sono riuscito ad ottenere alcune buone serie di mi- sure, delle quali riporto la seguente, ottenuta cimentando due lamine rimaste esposte all’effluvio in presenza delle emanazioni durante un'ora. Idrato di torio Idrati dai fanghi tempi in minuti attività tempi in minuti attività î 52.9 5) 61.6 23 68.0 28 72.2 51 85.0 41 81.8 63 91.9 65 90.0 108 100.0 eb) 93.7 107 100.0 La curva corrispondente a questa serie di misure è riprodotta nella fig. 2. (1) Questi Rendic. XI, pag. 57, 1° sem. 1902. — 359 — Separazione dei due prodotti noti come torio A e torio B. — Come è noto, Rutherford interpreta il fenomeno suddetto ammettendo che l’emana- zione del torio dia origine ad un primo tipo di materia detta torio A, la quale non emette raggi osservabili coi soliti mezzi, ma che va trasforman- dosi alla sua volta in un altro prodotto intensamente attivo detto torio B. Dalle curve del tipo di quella della fig. 2, Rutherford (!) dedusse per via teorica i valori delle costanti di disattivazione del torio A e del torio B, trovando che i loro tempi caratteristici dovevano essere rispettivamente di 11 ore e di circa 55 minuti. alltivita SEL i Le (0, 20 40 60 80 100 120 {ko 160 180 200 tempo en minuti RIGO: Miss Slater (*) è poi riuscita a separare il torio A dal torio B. Uno dei metodi da essa adoperati consiste nel riscaldare per alcuni minuti al calor rosso una lamina di platino la quale sia stata mantenuta a lungo in presenza dell'emanazione. Il torio A è infatti più volatile del torio B, sicchè dopo un simile trattamento l’attività della lamina incomincia a scemare rapidamente riducendosi a metà non più in 11 ore ma in circa 1 ora. Dopo varî tentativi sono riuscito a ripetere l’esperienza di Miss Slater tanto sul torio quanto sui prodotti estratti dai sedimenti. Ho constatato che per una lamina di platino attivata per circa 48 ore, basta un arroventamento al calor rosso per circa 5 minuti per trasformare la legge di disattivazione data al S 3 in una molto simile a quella data da Miss Slater pel suo torio B. I risultati di una di queste mie esperienze sono i seguenti: i valori calcolati applicando l'equazione della pag. 350 ed il metodo dei minimi qua- drati sono anch'essi riportati. I valori trovati per la costante 4 sono in ciascun caso, pel torio 4 = 0.01084 e per l'idrato estratto dai fanghi Z = 0,01083, (!) Rutherford, Radioactivity, 2° Ediz. pag. 351. (2) Phil. Mag. 1905. RenpicontTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 45 | — 354 — valori questi concordanti in modo rimarchevole; il tempo caratteristico sa- rebbe in questo caso di poco più di 1 ora. Idrato di torio Idrati dai fanghi Attività Attività tempi in minuti val. cale. val. oss. tempi in minuti val. cale. val. oss. 0 100.6 100.0 0 999 100.0 23 78.4 30.8 28 73.8 75.0 54 56.1 56.0 62 51.0 90.0 77 45.7 42.5 87 38.9 38.6 120 27.4 25.6 124 26.1 25.7 205 10.9 134 188 13.0 13.2 La curva corrispondente è riportata nella fig. 3. CONCLUSIONE Come appare dai risultati sopra riportati, la radioattività dei prodotti estratti dai sedimenti delle sorgenti termali di Echaillon presenta caratteri che si possono considerare come identici con quelli propri dei sali di torio. Siccome peraltro la sproporzione immensa esistente tra il potere radioattivo dei sali di torio e quello dei prodotti da me studiati non permette di attri- buire l’attività di questi ultimi a torio in essi contenuto, bisogna necessa- riamente e definitivamente concludere che l’attività loro è dovuta ad un nuovo elemento. Ora può sorgere la domanda: sono i caratteri radioattivi sufficienti ad identificare una sostanza allo stesso modo come lo sono i caratteri spettrosco- pici? La risposta secondo me è affermativa; se, infatti, nella serie delle trasformazioni successive di due sostanze radioattive diverse vi possono essere due prodotti i quali presentino delle costanti di disattivazione abbastanza simili, come ad esempio è il caso per l'emanazione del radio e pel torio X, le cui attività si riducono ambedue a metà in circa 4 giorni, non sembra am- missibile che due corpi possano dar luogo a due serie di prodotti aventi tutti le identiche costanti di disattivazione, come pure non è per lo meno pro- babile che due corpi diversi possano dar luogo ad una medesima serie di prodotti di trasformazione. In tali condizioni si deve concludere che i sali di torio ordinari de- vono la loro attività a tracce del nuovo elemento in essi contenute e da essi difficilmente separabili a causa di una grande similitudine di caratteri chimici. Ramsay ha proposto per il costituente radioattivo dei prodotti estratti da Hahn dalla Torianite il nome di radzotorio. Siccome sembra ormai evi- dente l'identità di quella sostanza con quella contenuta nei fanghi di Echaillon, designerò d'ora innanzi con quel nome il principio attivante dei miei preparati. — 359 — Nella mia Nota al Congresso di Liegi esprimevo il dubbio che il nuovo elemento potesse non essere un prodotto di trasformazione del torio, contra- riamente a ciò che crede Sir William Ramsay. Tale mia opinione era basata sul fatto che non mi era stato possibile di mettere in evidenza la presenza nei fanghi di tracce apprezzabili di torio. Sembrerebbe infatti difficile a spie- gare che vi potessero essere nei fanghi stessi delle quantità relativamente notevoli del nuovo elemento senza che vi si trovi anche la sostanza produt- trice, vale a dire il torio, se i due corpi hanno, come sembra, caratteri chi- mici molto simili. Inoltre è notevole il fatto che nelle regioni ove sorgono le acque di Echaillon non esistono, a quanto si sappia, giacimenti toriferi. È facile comprendere come il complemento logico di queste mie ricerche dovessero essere dei tentativi aventi per iscopo di separare il nuovo elemento dagli ordinari sali di torio. Tale problema è da varî mesi oggetto di studio per parte tanto del dottor Angelucci quanto mia, e ci auguriamo di poter presto comunicare dei risultati definitivi in proposito. Fisica. — Sw comportamento foto-elettrico dell’ Antracene. Nota di A. PocHETTINO, presentata dal Corrispondente A. SELLA. G. C. Schmidt ('), ha fatto una serie di esperienze intese a stabilire se vi fosse una relazione intima fra i fenomeni di fluorescenza delle soluzioni e l'effetto foto-elettrico, ossia la capacità di emettere degli elettroni sotto l'influenza della luce ultravioletta. Riprendendo queste ricerche ho avuto occa- sione di notare come alcune soluzioni di Antracene in Benzolo, per quanto necessariamente poco ricche di Antracene, fossero capaci di manifestare un effetto fotoelettrico abbastanza rimarchevole; cimentando poi l’Antracene so- lido, ho constatato ch’esso presentava questa proprietà in modo molto più notevole ancora; non essendosi ancora, a mia saputa, mai constatata questa proprietà nell'Antracene ed affini, credo non privo d'interesse riferire intanto qui i risultati preliminari di questa ricerca che, per una quantità di feno- meni concomitanti che complicano non poco il fenomeno foto-elettrico puro e semplice, mi riserbo di proseguire in seguito. Ho successivamente sperimentato su tre qualità di Antracene di pu- rezza molto differente: La prima qualità, proveniente dalla fabbrica Kahlbaum, designata in catalogo semplicemente coll’aggettivo puro, ha un colore giallo verdastro citrino, si presenta in piccoli cristallini e alla luce dell’arco voltaico dà una fluorescenza vivace di colore verde smeraldo; la seconda qualità, proveniente dalla fabbrica in Hòchst #/x, ha l’aspetto di una polvere finissima di colore (*) Wied. Ann. 64, pag. 708, 1898. e e ee —e= anodico . N HOT Anodo . platino liscio Intensità . 0.15 Amp. Durata. 10 ore Rame deposto gr. 1.94 Ampère-ora 1.63 Iposolfito teorico gr. 4.8 ” trovato traccie — 369 — nto Tensione l Anodo | liq. anodico agli elettrodi N elettrodo 10 15 2.50 0.546 30 2.54 0.561 45 2.56 0.578 60 2.62 0.600 90 2.64 0.618 120 2.66 0.631 150 2.69 0.654 180 2.66 0.633? 240 2.70 0.675 300 2.72 0.686 STO 2.73 0.702 435 2.74 0.709 480 2.72 0.712 40 2.72 0.705 600 2.72 0.700 Da questi risultati viene ora messa in evidenza l'influenza della densità anodica di corrente sul rendimento, un po' meglio che nelle nostre prime espe- rienze: con piccole intensità si favorisce la formazione di iposolfito. Si può obbiettare che nell'elettrolisi con 0,15 Ampère si sarebbe anche in condi- zioni di formazione di tetrationato e quindi i rendimenti potrebbero risultare un po superiori ai reali, dato il metodo d'analisi: ma in realtà se anche la reazione 2505 +20 = S,07 può avere luogo, non devono essere che pic- colissime le quantità di tetrationato che si formano per le ragioni che già esponemmo nella nostra precedente Nota, ed inoltre anche l'errore portato nell'analisi non potrebbe essere che minimo per il fatto che il tetrationato non è così facilmente scomponibile, come si trova detto in qualche luogo, nè in soluzione acida, nè in soluzione alcalina (). Concludendo, possiamo affermare che le condizioni più favorevoli perchè si compia il processo SO; 4 S"+2@ = $:03 che è stato oggetto del nostro studio, sono le seguenti: anodo di platino platinato, piccola densità anodica di corrente, soluzione concentrata di solfito alcalina sempre, ma nel minimo grado possibile e per carbonato alcalino. La presenza di polisolfuro nello spazio catodico aumenta la quantità assoluta di iposolfito che si forma. (1) La scomposizione avviene bensì, ma non così rapidamente come noi stessi ave- vamo asserito a pag. 10 della nostra precedente Nota. RenpIcontI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 47 — 370 — Chimica. — Sulla riduzione del Ferricianuro di potassio. Nota di D. VENDITORI, presentata dal Socio S. CANNIZZARO. Presenta certamente grande interesse la stabilità di molti sali inorga- nici complessi di fronte ai mezzi più energici di ossidazione e riduzione. Molti complessi salini infatti si comportano come è noto unitariamente di fronte ai più energici mezzi ossidanti e riducenti, così come si comporterebbe un sale semplice qualsiasi. Se noi prendiamo infatti ad esaminare un qua- lunque sale complesso, ad es. il cloroplatinato potassico [PtCi5]K?, sap- piamo che per azione dell'acido solfidrico esso subisce una riduzione secondo l'equazione seguente: [Pt01:]E* + H?S=[PtCH]K? + 2H01+ $S in cui si vede come l’azione dell'acido solfidrico non riveli il platino ma si limiti al passaggio da un sale platinico complesso ad un sale platinoso, dal cloroplatinato cioè al cloroplatinito, senza che il sale al minimo perda il suo carattere. Analoghe considerazioni possono farsi per molti composti metallo- ammoniacali. Così se facciamo agire ad es. sul sale Pt C1*.2NH? l'acido solfidrico, questo riduce il composto dal tipo platinico al platinoso secondo la seguente reazione: Pt Cl. 2NH® + H?S = PtC1?. 2NH* + 2HC1 + $ rimanendo però le molecole di ammoniaca integralmente congiunte al cloruro di platino. Anche qui adunque, come nel caso del cloroplatinato potassico, si passa da un composto al massimo del platino, ad un composto al minimo, perma- nendo inalterato il tipo complesso del sale. Il contrario può dirsi per l’azione che molti ossidanti esercitano su un gran numero di sali complessi, azione che si effettua naturalmente in senso contrario a quella dei riduttori. Rimanendo ai due esempi sopra citati, per azione del cloro abbiamo infatti la possibilità di una reazione inversa di quella effettuata dall’acido solfidrico. Possiamo rappresentare i due processi nel modo seguente: H?S (rione) nd (tons) — 371 — Analogo comportamento presentano altri sali complessi molto numerosi, tra cui i più comuni i prussiati alcalini [ Fe Cy5] K®,[FeCy°]K4, i quali mostrano una grande stabilità e permettono agevolmente il passaggio dal ferro trivalente al bivalente e viceversa, per opera di svariati ed energici mezzi di ossidazione (Cl, HNO?, ecc.) e di riduzione (H°S . SO? ecc.). A_pro- fosito di questi ultimi, nella presente Nota riferisco intorno alla riduzione cui vanno incont;o i ferricianuri alcalini per opera dell'acido solfidrico, per la quale, come si vedrà, ho potuto stabilire una equazione diversa da quella data in proposito parecchi anni or sono da Williamson ('). PARTE SPERIMENTALE. Il ferricianuro di potassio si trasforma per azione dell'acido solfidrico lentamente a temperatura ordinaria, rapidamente a caldo, in parte in ferro- cianuro di potassio, nel mentre si forma un precipitato in sulle prime di color verdognolo che si trasforma tosto in uno di color celeste chiaro, si libera un po’ di zolfo, si svolge acido cianidrico. Il precipitato color celeste lungamente esaurito in Soxhlet con solfuro di carbonio, per liberarlo dallo zolfo cui era frammisto, venne sottoposto al- l’analisi, seccato a 100°. Ai saggi qualitativi esso mostrò contenere ferro, cianogeno, potassio. Bollito con soluzione di idrato di potassio, si precipitava da esso dell’idrato di ferro, e passava in soluzione il ferrocianuro di potassio. Fu analizzato quantitativamente riscaldandone una data quantità in crogiuolo in presenza di acido solforico concentrato, indi calcinando previa aggiunta di qualche goccia di acido nitrico. Il residuo di Fe? 0? e K?SO* si lisciviava con acqua calda pesando l’ Fe? 0* rimasto indisciolto ed il sol- fato alcalino asportato. Il gruppo cianogeno venne dosato allo stato di azoto, facendo la com- bustione della sostanza con i mezzi ordinari. Riferisco qui sotto i risultati delle analisi: I. sost. gr. 0,3424 — gr. 0,1570 lFe?0° — 0,1703 K?SO* TO » 0,2818 — =» 0,1299 » -—- 0,1398 » IN. » >» 0,1569 — cme. 32,9 di N (mm. 749,7; 150,5). Riportandosi a 100 gr. di sostanza si ha: Trovato Calcolato per Fe Cy® Fe K2 eee JI: Fe 32,09 32,12 — 32,32 K 22,33 22,27 —_ 32,60 N = = 24,16 24,31 (1) Ann. der Pharm, 57, 237, 1846. oa Da ciò risulta come il precipitato formatosi per azione dell'acido sol- fidrico sulla soluzione di ferricianuro di potassio, non è altro che ferrocia- nuro ferroso bipotassico Fe Cy°FeK?, quello stesso che Erlenmeyer trovò ri- manere come residuo della preparazione dell'acido cianidrico dal ferrocianuro potassico e acido solforico diluito. Allo scopo di seguire quantitativamente questa reazione tra acido solfi® drico e ferricianuro potassico, onde poterne stabilire un'equazione, si partì da una quantità ber pesata di ferricianuro potassico purissimo e seccato a 100°. La soluzione acquosa di questo sale veniva fatta attraversare da una corrente di acido solfidrico, intercalando il recipiente ove si trovava tra due bocce di lavaggio in modo che essa, durante la reazione, rimanesse all’in- fuori del contatto dell’aria. Il passaggio del gas si protraeva per circa 4 ore durante le quali il recipiente contenente la soluzione era mantenuto su bagno maria bollente. Dopo aver lasciato raffreddare in corrente di acido solfidrico, si separava il liquido dal precipitato formatosi raccogliendo questo su filtro tarato. Il filtrato leggermente opalescente per zolfo in sospensione, avente il color giallo, proprio della soluzione di ferrocianuro potassico, veniva portato a secco su bagno maria, in piccola capsula tarata (filtrando all'occorrenza per separare lo zolfo raggrumatosi); indi mantenuto a 100°-105° e pesato fino a costanza di peso. Si pesava in tal modo il ferrocianuro potassico allo stato anidro, poichè questo sale perde completamente le sue molecole d'acqua di cristallizzazione a 100°-105°, onde in definitiva si partiva dal ferricia- nuro anidro, e si pesava il ferrocianuro pure allo stato anidro. D'altra parte il residuo raccolto come si è detto su filtro tarato, ben lavato con acqua a temperatura ordinaria, seccato in stufa a 100° era lun- gamente esaurito in Soxhlet con solfuro di carbonio, onde privarlo dalle forti quantità di zolfo frammisto, indi nuovamente seccato a 100° e pesato. I dati ottenuti in tre prove eseguite furono î seguenti: Fe Fe Cy° K® Fe Cy* K4 Fe Cy° to T..igr. sost... 193990 gr. 7,220 gra dya70 blica 9,325 n, .0,927 » 1,662 IT: »° ‘n° 13,919 » 9,836 » 2,450 Riferendo questi numeri a 100 parti di ferricianuro si ha: I II III Fe Cy° K* 73,75 71,28 73,90 Fe Cy° Fe K° 18,09 17,82 18,40 Derivando da questi dati centesimali i rapporti molecolari se ne deduce l'equazione seguente: Fe 6Fe Cy° K3 + 3H°S= 4Fe Cy° K'+- Fe Cy° + 6H Cv+ 38 K? — 373 — per la quale si calcola che da 100 parti di ferricianuro potassico devono ottenersene 74,57 di ferrocianuro potassico e 17,52 di ferrocianuro ferroso bipotassico FeCy® Fe K?; numeri come vedesi, molto ben concordanti con i risultati sperimentali sopra esposti. Mentre stando a quello che asserisce Williamson (loc. cit.), l'equazione sarebbe andata nel senso: 8Fe Cy° K* + 3H°S = 6Fe Cy° K* 4+- 2Fe Cy° H° + 35 = 6Fe Cy° K* + Fe Cy? + 3HCy Secondo la quale equazione, 100 parti di ferricianuro dovrebbero dare 83,91 parti di ferrocianuro potassico e 10,17 parti di residuo in discordanza notevole con i risultati sperimentali su riportati. Ù Botanica. — Aicerche sul Pico e sul Caprifico. Nota di B. Lonco, presentata dal Socio R. PiroTTA (!). Già ho avuto occasione di pubblicare di aver trovato nel Fico quel particolar modo di percorso del tubetto pollinico distinto col nome di acro- gamia aporogama: nell'ovulo di questa pianta, infatti, manca il canale mi- cropilare ed al suo posto si trova uno speciale tessuto, attraverso il quale scorre il tubetto pollinico per raggiungere l'apice della nucella (?). Lo studio embriologico, che mi condusse a stabilire questo speciale modo di percorso del tubetto pollinico nel Fico, fu l’inizio di una serie di ricerche da me intraprese oltre che sul Fico anche sul Caprifico con lo scopo di occu- parmi non solo della caprificazione, dell'importanza o meno di essa, ma anche di ricercare il valore sistematico da assegnarsi al Fico ed al Caprifico ed i loro rapporti di parentela. A queste ricerche sto tuttora attendendo e, non appena saranno ultimate, pubblicherò in una Memoria i risultati ottenuti con i relativi disegni. Ma poichè la piccolezza dei fiori, la diversità di essi in uno stesso ricettacolo e nelle varie sorta di ricettacoli sia del Fico che del Caprifico, non che nelle numerosissime razze dell'uno e dell'altro, rendono l'esame del materiale molto lungo e laborioso, credo opportuno fare frattanto una breve GRETA dei principali risultati ai quali sono finora giunto. Studiando i fiori (pistilliferi) delle due infiorescenze (forniti e fioroni) del Fico ho potuto fare alcune osservazioni che non concordano con quanto dicono il Gasparrini ed il Solms-Laubach. Per quanto riguarda intanto i fiori dei forniti, io non vi ho trovato un canale stilare come descrive il Gasparrini, (!) Lavoro eseguito nel R. Istituto Botanico di Roma. (?) Longo B., Acrogamia aporogama nel Fico domestico (Ficus Carica L.). Annali di Botanica, vol. III, fase. 1° (luglio 1905), pag. 14. — 374 — bensì lo stilo pieno, occupato nella sua parte assile da un tessuto collenchi- matico. Inoltre nei fiori dei fioroni, contrariamente a quanto espongono il Gasparrini ed il Solms-Laubach, ho trovato esistente il sacco embrionale. Infatti, nei fiori dei fioroni del Fico, ‘può presentarsi un unico ovulo oppure possono esservene parecchi. Quando l'ovulo è unico, esso è costituito come quello dei fiori dei forniti: è, cioè, anfitropo, provveduto di due tegumenti dei quali solo l'interno copre l’apice della nucella, non presenta canale mi- cropilare ed è anche, come quello, provveduto di un sacco embrionale normal- mente sviluppato. Quando, invece, si vengono a formare nella cavità ovarica parecchi ovuli, essi sì comprimono a vicenda, di modo che, nella cavità ovarica più meno deformata, viene a trovarsi un mucchio di ovuli spesso deformati, o con sviluppo ridotto o mancato addirittura. Essi non sono tutti della stessa forma, nè della stessa grandezza, nè si trovano nello stesso stadio di svi- luppo: si allontanano più o meno dal tipo normale ed anzi alcuni non hanno affatto la forma nè la costituzione di ovuli e mancano di ogni traccia di sacco embrionale. Però sempre, in ogni ovario, alcuni, o almeno uno, degli ovuli sì presentano ben differenziati e con un sacco embrionale quasi sempre nor- malmente costituito, quantunque anch'essi deviino più o meno dal tipo nor- male: sono, infatti, spesso ortotropi, ma possono anche presentare modifica- zioni di questa forma fino a campilotropi o quasi; talora la nucella non è coperta dal tegumento interno, ma fuoresce da esso a guisa di un mammel- lone più o meno appuntito, ed anche i tegumenti possono presentarsi più o meno modificati. 1 Generalmente i fiori dei fioroni del Fico differiscono da quelli dei forniti per diversi caratteri. Comparando i fioroni del Fico conosciuto a Roma col nome di Yzco di S. Antonio, con i forniti di uno qualsiasi dei Fichi da me studiati, ho potuto stabilire le seguenti differenze: i fiori dei fioroni presen- tano due stimmi egualmente sviluppati, lo stilo cavo e provveduto di due fasci vascolari, mentre nei fiori dei forniti uno degli stimmi si presenta ordi- nariamente molto più sviluppato dell’altro e lo stilo, pieno, è percorso da un solo fascio vascolare; inoltre nei primi la cavità ovarica può contenere uno o più ovuli che, come ho detto, possono avere forma diversa e sviluppo diverso; nei secondi, invece, la cavità ovarica contiene sempre un unico ovulo anfitropo. Però nei fioroni di altre razze (ico ottato, Pico brusciotto bianco), non che in quelli di Fichi selvatici da me raccolti su vecchi muri a Roma, ho trovato nella struttura del pistillo tutti i gradi di passaggio dalla strut- tura su descritta a quella del pistillo dei fiori dei forniti. Talora, infatti, uno degli stimmi è più sviluppato dell'altro e lo stilo è percorso da un solo fascio vascolare; talora lo stilo è cavo soltanto in alto od anche del tutto pieno; talora, in fine, in tutti i fiori di un ricettacolo l’ovario contiene un solo ovulo anfitropo. Per quanto riguarda i fiori dei fioroni del Fico, aggiungerò ancora che — 375 — non ho mai trovato in essi ovario biloculare, mentre il Gasparrini ed anche altri autori dicono esservi esso frequente. Nel caso in cui l'ovario contiene parecchi ovuli si può, infatti, aver l'impressione che si tratti di un ovario biloculare, però le sezioni in serie, trasversali e longitudinali, mostrano evi- dente l'unilocularità dell'ovario. Come è noto il Caprifico è ordinariamente #r//ero, presenta cioè tre sorta di ricettacoli: fioroni, forniti e cratiri, tutti e tre galligeni; nei fioroni sono abbondanti i fiori staminiferi. Il Fico è, invece, generalmente bifero; esso non porta infatti che due sorta di ricettacoli: fioroni e forniti, entrambi non galligeni e generalmente privi di fiori staminiferi. Un'eccezione degna di nota relativamente alla qualità dei ricettacoli portati dal Caprifico, io ho osservato sopra un individuo vivente sulle mura di Roma. In questo Caprifico, oltre a numerosi fioroni normali, io ho trovato sopra un ramo due ricettacoli che presentavano, invece, tutti i caratteri dei fioroni del Fico: in essi man- cavano, infatti, i fiori staminiferi ed i fiori pistilliferi erano longistili, con lo stilo cavo, percorso da due fasci vascolari e terminato da due stimmi molto sviluppati; l'ovario conteneva sempre un unico ovulo anfitropo e con sacco embrionale normalmente sviluppato. Questo individuo per i suoi fioroni pre- sentava quindi caratteri sia del Caprifico che del Fico, per cui non ho dif- ficoltà ad ammettere che il Pontedera abbia realmente potuto trovare un individuo portante fioronz come quelli del Caprifico e /orzit7 come quelli del Fico, coi caratteri cioè di quella forma intermedia fra il Caprifico ed il Fico da lui distinta col nome di Zrzmosyce e che gli autori posteriori hanno messo fortemente in dubbio, anzi negato addirittura. Per quanto riguarda la deposizione dell'uovo della Blastofaga (B/asto- phaga grossorum Grav.) nei fiori pistilliferi dei fioroni del Caprifico ed i fe- nomeni che avvengono nell’ovulo successivamente a tale deposizione, noterò anzi tutto che, come esattamente descrive il Solms-Laubach, l'uovo dell’in- setto viene a trovarsi collocato fra il tegumento interno e la nucella del- l’ovulo e non, come ritenne il Gasparrini, nella: stretta cavità ovarica fra la superticie esterna dell'ovulo e la parete dell’ovario. Inoltre, dopo la deposi- zione dell'ovulo della. Blastofaga, mentre da esso si va sviluppando la larva, ho osservato nel sacco embrionale la presenza di alcuni nuclei endospermici ('), come pure ho osservato moltiplicazione dei nuclei anche in cellule della nu- cella. Però, sia nel sacco embrionale che in queste cellule nucellari non ho mai osservato figure cariocinetiche, ciò che mi induce a ritenere che, proba- bilmente, tale moltiplicazione nucleare avverrà per frammentazione; e questo è anche avvalorato dal fatto che in qualche nucleo delle suddette cellule (!) Il Solms-Laubach non fa cenno della presenza di tali nuclei. i — 376 — della nucella ho osservato delle lobature ed anche talora delle strozzature più o meno pronunziate. Questa moltiplicazione di nuclei sia nel sacco embrio- nale che nelle cellule della nucella è certo in stretto rapporto con la pre- senza dell'uovo dell'insetto: infatti essa non solo è successiva alla deposizione di que st'uovo, ma non l'ho affatto osservata nei fiori in cui l'uovo non era stato deposto. Un'altra osservazione da me fatta riguarda anche i rapporti fra il Ca- prifico e la Blastofaga. È un fatto reso noto dai diversi autori che, per l’alle- gamento dei ricettacoli del Caprifico, è necessario che la Blastofaga vi penetri e vi deponga le uova nei fiori pistilliferi; ed è così squisito tale adattamento che, quando per esempio durante l'inverno, per il gelo o per altre cause, i ricettacoli ibernanti (cratiri) cadono, per fare allegare i fioroni occorre capri- ficare lo stesso Caprifico. Anch'io ho generalmente constatato la necessità della visita dell'insetto per l'allegamento dei fioroni del Caprifico, però ho anche potuto constatare che vi sono dei Caprifichi i cui fioroni, pur non essendo stati visitati dall'insetto, persistono sulla pianta e portano il polline a ma- turità, come ho appunto osservato in qualche Caprifico vivente sulle mura di Roma. Riguardo alla questione già tanto discussa del significato e della impor- tanza della caprificazione, si può dire che il risultato sicuro a cui conducono le ricerche e le esperienze fatte è la conferma di un’ opinione che già era stata emessa da Teofrasto, che se vi sono, cioè, delle razze di Fico che non hanno bisogno della caprificazione per l’allegamento e la maturazione dei ricettacoli, ve ne sono però altre per le quali essa è, invece, assolutamente indispensabile. Perciò possiamo spiegarci perchè siano state così contraddit- torie le opinioni emesse dai diversi autori sul valore della caprificazione. La Blastofaga, sulla cui azione sono pur stati diversi i pareri degli autori, rap- presenta l'agente naturale della impollinazione, giacchè per mezzo di essa è reso possibile il trasporto del polline dai fioroni del Caprifico nei forniti del Fico. È vero che vi sono anche autori i quali pretendono che l’insetto, prima del suo ingresso nel giovane fornito dal Fico, si forbisca così bene da non introdurre con sè nel ricettacolo granelli di polline; ma, per ritenere ciò, bisogna non aver mai aperto un ricettacolo caprificato e non averne mai osser- vati i fiori al microscopio, giacchè non può certamente sfuggire all'osserva- zione la notevole quantità di granelli pollinici che si trovano, anche germi- nati, sugli stimmi, Un altro fatto al quale credo anche opportuno accennare qui è quello per cui alcune sostanze come l'olio, l'acido solforico ecc., poste sull’ostiolo dei ricettacoli già abbastanza sviluppati dei Fichi ne accelerano la matura- zione. Questo processo non si può però paragonare alla caprificazione; esso — 377 — del resto viene eseguito molto tempo dopo il tempo utile per la caprificazione e non ha alcun rapporto con l’'allegamento o meno dei ricettacoli, nè con l’abbonimento o meno dei semi. E tanto meno deve ritenersi che l'olio, posto sull'ostiolo, sia un mezzo che faciliti l'ingresso alla Blastofaga come avrebbe opinato qualche autore! Anche sui rapporti di parentela fra il Fico ed il Caprifico non tutti gli autori che si sono occupati dell'argomento sono stati dello stesso parere. Ma l'opinione che deve oramai accettarsi è quella che il Fico ed il Caprifico altro non siano che individui appartenenti alla medesima specie, per quanto distinti per la qualità dei fiori, e come una delle più belle prove va senza dubbio ricordato il fatto dimostrato sperimentalmente che dai semi del Fico si svi- luppano sia Fichi che Caprifichi. Il Caprifico non va però considerato, come è comunemente ammesso, come il Fico selvatico: noi possiamo, infatti, trovare allo stato selvatico anche degl'individui ben distinti dal Caprifico, che hanno i caratteri dei veri Fichi e che portano dei ricettacoli maturi, ricchi di zuc- chero e buoni a mangiarsi come quelli del Fico coltivato. Ne ho trovati su vecchi muri a Roma, e del resto nella valle del fiume Lao in Calabria essi sono anche distinti e conosciuti dai contadini. Fisiologia vegetale. — Infiuenca dei colloidi su la secrezione e l’azione dell’invertasi. Nota di E. PANTANELLI, presentata dal Socio R. PIROTTA (). Con un lavoro precedente (*?) ho iniziato una serie di ricerche su la meccanica cellulare della secrezione. Indico con secrezione (da non confon- dersi con la produzione intracellulare dell'enzima) una funzione vitale, e precisamente: « l’emissione di sostanze dal protoplasto vivo, resa possibile da un cambiamento autoregolato delle condizioni di permeabilità della membrana plasmica, tale, che l'organismo possa a piacere revertirlo » (1. c., pag. 115). Simili studî sono in fisiologia animale assai difficili, per non dire impos- sibili, perchè, oltre alla differenziazione maggiore degli organi, le influenze suì nervi interferiscono con le influenze dirette su le cellule secretrici, e perchè anche i movimenti muscolari possono intervenire a modificare l'atti- vità di parecchie glandule. Invece, nei vegetali è facilmente controllabile lo stato di salute, di attività moltiplicativa e di omogeneità delle cellule (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto Botanico di Roma. (2) Meccanismo di secrezione degli enzimi. Annali di Botanica, III, pagg. 113-142 (1905). RenpicontI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 48 — 378 — secernenti, tanto più poi l'assenza di organismi estranei. Quest'ultima con- dizione è difficilmente raggiungibile nelle mucose animali. Le piante, inoltre, possono variare la superficie secernente, adattarsi più facilmente a secernere sostanze che normalmente non secernono e viceversa, come pure regolare le loro attività entro ampli limiti. Però anche nelle piante non è facile procurarsi il materiale adatto. La maggior parte delle piante verdi non secernono altro che prodotti gasosi in condizioni normali, e specialmente se si vuole un'abbondante secrezione di enzimi, paragonabile a le secrezioni animali, bisogna ricorrere a Funghi e Bacterii. Di questi ultimi però non sono ancora riuscito a controllare con sicurezza lo stato di salute. Anche i micelii dei Funghi pluricellulari non sì prestano per studî precisi, perchè (!) le ife più affondate nel substrato muoiono presto, specialmente dopo la fabbricazione delle spore ed anche indipendentemente da queste. Rimangono quindi i Funghi unicellulari ed i Lieviti, di cui mi sono appunto servito. Per i metodi di cultura e di analisi, specialmente di determinazione dell’ attività inversiva (invertasi) rimando al citato lavoro, nel quale è anche esposta la ragione, per cui ho cominciato con lo studio dell'invertasi, la quale viene realmente secreta dagli orga- nismi adoperati. Ed ecco sorge una domanda: « in caso di reale secrezione, come può l'enzima, cioè un colloide a molecola assai grossa, e certamente non troppo solubile nei lipoidi della membrana plasmica, attraversare questa con tanta rapidità? » (*). Su questo punto s' impernia la questione della meccanica di secrezione degli enzimi (3). Il mio procedere è questo: frenare o aumentare la secrezione dell’ en- zima diminuendo o aumentando la permeabilità cellulare. Dove era possibile, p. e.. nei Lieviti, ho misurato anche la permeabilità cellulare per alcuni sali e per lo zucchero ed ho trovato, che essa aumenta durante la fermen- (1) Su le regolazioni del turgore nelle volgari muffe. Novo Giorn. Botan., (2), Vol. XI, pag. 841 (1904); Zur Aenntniss der Turgorregulationen usw., Jahrb. f. wiss. Botan., XL, pag. 308 (1904). — La gravità di questa fonte di errore negli studî su la secrezione è riconosciuta ormai anche da Czapek, Biochemie der Pflanzen, Vol. II, pag. 81 (1895). (2) Loc. cit, pag. 118. — Recentemente, E. Reiss, Veber das Verhalten von Fer- menten zu kolloidalen Lòsungen, Beitr. 2. chem, Physiol. u. Pathol., Bd. VII, pagg. 151-152 (1905), ha mostrato che la chimosina e la tripsina passano dall’ acqua al cloroformio, e che la catalasi del latte sta nelle goccette di grasso del medesimo. Inoltre Dauwe (Ibid., Bd. VI, pagg. 426-453 (1905) ha trovato che la pepsina viene assobita da diversi colloidi, fra cui anche l’albumina, tanto disciolta che coagulata, formandovi una soluzione solida. (3) 0° Sullivan, Journ. chem. Society, Trans., Vol. LXI, pagg. 598 e 926 (1892) per l’invertasi e Beijerinck (Centr. f. Bakter., (2), Bd. III, pagg. 450, 524 (1897); Bd. IV, pag. 723 (1898), come pure Hahn e Geret (in Buchner, Zymasegirung, 1903, pag. 257) per la proteasi del lievito hanno già mostrato, che la secrezione d’ enzima è possibile solo per un'alterazione della permeabilità. — 379 — tazione parallelamente alla produzione di alcool. Siccome l'alcool è una so- stanza eminentemente permeante, così esso aumenta la permeabilità anche per altre sostanze per sè stesse poco permeanti, un fatto comune in tutte le cellule vegetali (*) e forse anche animali (*). In generale, si può tentare di far variare la permeabilità facendo agire su la membrana plasmica sostanze disciolte permeanti o non permeanti, mentre i colloidi non dovrebbero influen- zare affatto la permeabilità cellulare, a meno che essi non producano sfiocca- mento, cioè diminuzione di superficie delle micelle, nei colloidi protoplasma- tici. Inoltre i colloidi, con l'aumentare la viscosità o attrito interno del liquido ambiente, dovrebbero diminuire la velocità di secrezione e di azione del- l'enzima. Nel lavoro precedente mi ero occupato solamente, per stabilire il fatto, delle variazioni dell'attività inversiva estracellulare, comparata con la pro- duzione intracellulare di enzima, ed avevo trovato che la gomma arabica, la gelatina ed il peptone favoriscono grandemente lo sviluppo degli orga- nismi sperimentali (Mucor stolonifer, razza di lievito di pane romano, razza di Ellipsotdeus da un vino Chianti) mentre tanto l’attività inversiva interna come l’attività inversiva esterna (che io assumevo senz'altro come indice della secrezione dell'enzima) vengono notevolmente diminuite da la gomma e dal peptone, che la gelatina pareva senza effetto, e che la permeabilità di protoplasti per l’invertina variava nei detti lieviti consentaneamente a la permeabilità per alcuni sali (Na Cl, Mg SO,, NH, Cl) e per lo zucchero. Infatti essa è per lo più massima durante la massima attività fermentativa e viene notevolmente diminuita dai colloidi su detti, specialmente dalla gomma e dal peptone. Ulteriori esperienze mi permettono di confermare, ampliare e interpre- tare meglio questi resultati. Anzitutto anche la gelatina frena nel Lievito Chianti la secrezione (intesa nel senso su detto), non però la produzione d’invertasi, mentre favo- risce lo sviluppo del lievito. Questa influenza si rende evidente ad una con- centrazione di gelatina più elevata che per gli altri colloidi e nel Mucor è anche più spiccata che nei Lieviti, perchè nel Mucor la gelatina frena anche la produzione intracellulare dell’ enzima. Esempio (Mucor stolonifer): Substrato Invertasi esterna Invertasi interna 8° giorno 5° giorno 9° giorno alla fine Cultura A_norm. — 38 259 178 4071 ” B_» -+2°/gelatina 5.6 126 125 4070 Mii Ceno SISI 0/ 1A tracce tracce 40 2476 ED e 4 nulla tracce 12 1876 (‘) Pantanelli, Esplosione delle cellule. Annali di Botanica, Vol. II, pagg. 297-358 (1905). (*) Così p. es. la secrezione del succo gastrico è aumentata da le bevande alcoo- liche, gli aromi, i nervini, tutte sostanze facilmente permeabili. — 380 — Anche la silice colloidale (Si (OH), (!), impedisce parzialmente la secre- zione d'invertasi, non sempre però ne frena la produzione intracellulare. Le esperienze con la silice dànno resultati meno netti, perchè la silice stessa favorisce lazione inversiva, senza però che la silice da sola, a la concen- trazione da me impiegata ed a la temperatura d’inversione (56°), basti a scindere il saccarosio. Prova: Di uno stesso liquido culturale (di Lievito) contenente silice (circa 25 °/0) e invertasi, 10 cme. vennero messi ad invertire, a 56°, 10 cme. di sacca- rosio al 40 °/. Hexosio formatosi in un'ora (oltre quello esistente di già): 2330 (mg. CuO). Altri 10 cme. vennero prima della prova d'inversione tenuti a 98° C. per 25 minuti. Poi: hexosio formatosi in un'ora (per azione della sola silice): 5. La cultura parallela senza silice conteneva tanta inver- tasi esterna, che in un'ora dava 320 (mg. Cu0) hexosio. La silice appoggia l’azione dell’invertina, ma questa azione non comincia ad essere notevole che a temperatura elevata, ciò che mi ha permesso di stabilire, che a 25° (temperatura di cultura) la silice frena, al pari degli altri colloidi, l'attività inversiva estracellulare. Però nel lievito le esperienze con la silice non sempre riescono, perchè il lievito si agglutina facilmente e fa aggrumare anche la silice. Allora l’invertasi si ripartisce tra la fase acquosa e la fase colloidale a favore di quest'ultima, la quale assorbe anche i sali e gli zuccheri. Più chiaro è il resultato con Mucor, nel quale si può ridurre la secrezione dell’invertasi a meno della metà facendo uso di una silice al 4-5 °/,, che ha consistenza quasi gelatinosa. La produzione intracellulare però viene poco influenzata, talora anzi aumentata da la silice. Con la dimostrazione, che la silice esercita la stessa azione inibente dei colloidi organici, si previene l'obbiezione teleologica, che questi colloidi rendano inutile l'uscita dell’ invertasi per correlazione alimentare, e siccome il peptone non frena la secrezione più degli altri colloidi, è chiaro, che deci- dono anzi tutto le condizioni fisiche. Influenza dell’ età. — Con l’invecchiare delle cellule, risp. della cul- tura, aumenta sempre l'attività inversiva estracellulare, ciò che nei Lieviti coincide con l'aumento di permeabilità dovuto all’ azione dell'alcool e degli altri prodotti di fermentazione, fra cui anche l'acido carbonico, che notoria- mente ed al pari di qualunque sostanza nociva fa aumentare la permeabilità (°). Nel Mucor è pure evidente l’ aumento di secrezione dell’invertasi con l'età, (1) Preparata mescolando soluzioni diluite di HCl e K, Si 0, in egual volume, e poi dialisando. (*) Per i corpuscoli rossi, v. Bottazzi, Fistologia generale, Vol. I, pag. 288 (1906). Il primo a constatare che l’insufficiente aereazione determina l'uscita di invertasi fu Fernbach, Ann. d. Institut Pasteur, IV, pagg. 1 e 641 (1890). Effetto dell’CO, sul lie- vito: Pantanelli, Ricerche sul turgore del lievito. Annali di Botanica, Vol. IV, pag. 1 (1906). — 381 — che dipenderà egualmente da l’azione dei prodotti del ricambio escreti e da l’insufficiente aereazione della parte sommersa del micelio. A questi risul- tati ero già arrivato nel precedente lavoro. Ulteriori ricerche, in cui venne seguita anche la produzione interna d'invertasi, mostrano che nelle cellule dei detti Lieviti l’invertina raggiunge un massimo in principio dello sviluppo Lievito Chianti (Razza Nr. 31), a 16° c. norm. norm. ++ 2.5 °/, gomma Età Invertasi Aumento Invertasi Aumento interna esterna del peso secco interna esterna del peso secco lgiorno 513600 1620 0.8524 g. 423200 240 0.7612 g. 3 giorni 123100 152 1.8152 » 286900 430 1.3388 » o” 135100 1081.8372 » 130500. 710 1.7204 » da? 111100 110 1.8876 » 124500 160 2.3317 » Zucchero Zucchero totale riduttore saccarosio totale riduttore saccarosio Prima: 2490 O 2490 2490 0 2490 lgiorno 2310 1460 850 2260 960 1200 3 giorni 1360 1148 212 1380. 1110 270 9 ” 984 900 84 1170 910 260 CS, 775 700 45 450 380 70 e poi diminuisce consentaneamente dentro e fuori la cellula, se il liquido ambiente è privo di colloidi (!). Invece in presenza di questi, essa raggiunge egualmente il massimo al principio della fermentazione nell'interno della cellula, ma di fuori solamente più tardi. In seguito diminuisce ancora come in A. La mancanza di coincidenza fra le variazioni dell’invertina esterna ed interna mostra, che la secrezione di invertasi non è semplicemente una funzione della superficie secernente. Lo zucchero viene assorbito più presto in assenza del colloide; l'assorbimento maggiore negli ultimi giorni nelle culture B è in relazione con il maggior numero di cellule formatesi. Il fatto che il sac- carosio scompare più presto di quel che non aumenti lo zucchero invertito e la lentezza con cui questo poi sparisce, provano che il saccarosio viene, specialmente nei primi giorni, assorbito come tale (?). Nei Mucor (stolonifer è Mucedo) l'invertina interna raggiunge un massimo verso il 6° giorno nelle culture a substrato non colloidale, mentre in Mucor Mucedo, a 25° C. i norm. norm. + 2.5 °/, gomma Età Invertasi Messe Invertasi Messe interna esterna secca raccolta interna esterna secca raccolta 4 giorni 10400 162 3.060 g. 6659 ORNi7703 g, 6» 14240 1803.4228 » 7249. . 68 8.1480 » Ie” 9548 215 6.7162 » 7415 255. 114521 » (1) Cfr. Fernbach, loc. cit., pagg. 1 e 641; O’ Sullivan, loc. cit., pag. 593. (*) Cfr. i lavori citati di Fernbach e O’ Sullivan, nonchè il lavoro precedente. — 382 — Zucchero Zucchero totale riduttore saccarosio totale riduttore saccarosio Prima: 2620 108 2512 2620 108 2512 4 giorni 2100 115 1985 2066 155 1911 0003 1600. 187 1413 1800 202 1598 Qta 390 755 135 890 330 560 presenza di colloide aumenta lentamente, ma continuamente, con l’ età. L’in- vertasi esterna in ambedue i casi aumenta continuamente, sebbene sia sempre in quantità esigua; anzi in substrato colloidale non c'è nei primi giorni se- crezione. Lo zucchero viene assorbito a preferenza come saccarosio. La bene- fica influenza del colloide su lo sviluppo si manifesta tardi, nei Mucor come nei Lieviti, ed anzi nei primi giorni l'accrescimento è minore in substrato colloidale (*). Portamento di altri funghi. — Il micelio unicellulare di Phycomyees nitens si comporta come quello di Mucor, anzi nel primo la natura colloi- dale del substrato ostacola l’attività inversiva estracellulare e favorisce lo sviluppo assai più che nel Mucor; quest'ultimo fatto è probabilmente in relazione col bisogno, che ha il Phycomyces, di un substrato abbastanza con- sistente per erigere i suoi giganteschi sporangiofori. Micelii pluricellulari, come quelli di Pericillium glaucum e Botrytis cinerea, si scostano in alcuni punti da quelli delle Mucorinee, perchè è vero che il colloide frena leggermente l’attività inversiva esterna, ma ostacola anche lo sviluppo e fa aumentare notevolmente la produzione intracellulare d’invertasi. Probabilmente lo studio di altri organismi porterebbe a resul- tati anche più svariati, ma la diminuzione dell’inversione estracellulare in presenza di colloidi è un fatto generale. Influenza dei colloidi su l’attività dell’invertasi. — Stabiliti i fatti, tentiamo di addentrarci nell’ essenza del fenomeno. Influenzano i colloidi sola- mente la secrezione, o anche l’attività dell'invertasi, o piuttosto solamente questa? La domanda è un po’ malsicura, perchè la sostanza « enzima » nes- suno l’ha mai vista; noi conosciamo dell'enzima solamente la sua attività. Siccome però in generale l'attività degli enzimi non varia proporzionalmente alla loro concentrazione, ma dipende da un gran numero di fattori, quasi tutti di natura fisica, così è lecito obbiettare, che le variazioni nell’attività inversiva estracellulare non debbono sempre essere consentanee con le varia- zioni nella secrezione d'invertasi. Ciò mi ha condotto a studiare l'azione dei quattro colloidi sperimen- tati su l’attività dell’ invertasi. (!) Cfr. Meccanica dell'accrescimento dei filamenti miceliari ecc., Ann. di Botanica, II, pag. 195 (1905). — 3839 — 4 Levi (!) ha trovato, che la silice (1.5 —2°/) non ha influenza su l'inversione del saccarosio con HCl diluito, nè diminuisce la conducibilità elettrolitica nè la pressione osmotica di soluzioni, ciò che non fanno neppure la gelatina al 0.6°/ e l’agar a l'1°/,. In ciò egli si trova d'accordo con precedenti autori, ma recentemente (*) numerose osservazioni scuotono questo punto, mostrando come i colloidi, tanto più quanto maggiore è la viscosità, diminuiscono la velocità di diffusione delle sostanze disciolte, quindi anche la velocità di reazione enzimatica, perchè, ammesso che le soluzioni enzima- tiche sieno sistemi eterogenei, ad esse è applicabile la teoria di Nernst (8), secondo cui la velocità di reazione nei sistemi eterogenei dipende puramente da la velocità di diffusione attraverso le superficie limitanti le fasi. Infatti secondo Brunner se è diminuita la velocità di diffusione per la presenza di gomma dragante, la velocità di soluzione di un corpo solido in acqua o in acidi è pure diminuita (4). Del resto Senter sostiene, che anche indipenden- temente da la teoria di Nernst, che egli non ritiene applicabile agli enzimi, l'attività di questi diminuisce proporzionalmente a l’ aumento della viscosità (°). Egualmente è noto, che il peptone frena l’attività presamica della chi- mosina, e la diminuzione di attività della proteasi di lievito per l’ aggiunta di albumine diverse è pure ben nota. Osservazioni del genere mancano però per l'invertasi. Le mie misure hanno portato al resultato, che la gelatina, anche al 2.5 °/,, cioè quasi gelatinosa, non ha alcuna influenza sull'attività dell’ in- vertasi dei detti Mwxcor, mentre anzi accelera l’azione dell'invertasi di Lievito; a maggior concentrazione però, cioè se anche il miscuglio d’ inver- sione diventa gelatinoso, essa frena assai l'enzima. Quest’ azione deprimente della gelatina dipende essenzialmente da la sua viscosità (5), ma non comincia ad essere sensibile che oltre i 2 — 2.5 °/, di gelatina. Nelle mie esperienze precedenti (loc. cit., pagg. 135-139) adoperavo la gelatina al 2.5 °/,, ma « essa venne tenuta lungo tempo (10 — 12°) in bagno- maria a 100° per saponificare la gelatina ed impedirne la successiva gela- tinazione » (pag. 136). Siccome poi nel miscuglio d'inversione la concentra- zione della gelatina era ridotta a metà, si comprende come non ne osservassi alcun effetto su l’invertasi del lievito. In tali condizioni, si dovrebbe anzi (1) Gazzetta chimica italiana, Vol. XXX (II), pagg. 64-70 (1900). Qui la letteratura precedente. A l’autore è sfuggito il lavoro di N. Pringsheim, Jahrb. f. wiss. Botan., Bd. XXVIII, pag, 1 (1895). (®) Meyer K., Beitr. z. chem. Physiol. u. Pathol., Bd. VII. pagg. 393-410 (1905); Nell P., Annalen d. Physik, (4), Bd. XVIII, pagg. 323-347 (1905). (8) Zeitschr. f. physik. Chem., Bd. XLVII, pagg. 52-55 (1904). (4) Zeitschr. f. physik. Chem., Bd. XLVII, pag. 56 (1904). (*) Journal of physical Chemistry, Vol. IX, pagg. 811-319 (1905). (9) Misurata con viscosimetro Ostwald a 25°. Viscosità dell’acqua pura= 108 (secondi), — 384 — notare una maggiore attività inversiva in presenza di gelatina, e se questo non è il caso, vuol dire che la secrezione d'invertasi fu realmente minore. Lo stesso vale per i Mucor, nei quali la gelatina fluida non ha influenza alcuna su l'invertasi, mentre si ha una minore secrezione di enzima anche in substrati che contengono appena 2 — 2.5 °/, di gelatina. Per la silice, abbiamo visto di già, che essa accelera assai l’ azione dell’invertasi, così che il trovarsi eguale o minore attività invertasica estra- cellulare in presenza di silice non può essere ascritto ad altro, se non ad una minor secrezione d' enzima. La gomma arabica frena considerevolmente l’azione dell’invertasi, e ancor più il peptone. Esempio: Viscosità Inversione a 560 5 cme. liquido invertasico + 5 cme. acqua + 10 cme. saccarosio val 4009/:.- RMBe. . ... ene 125.8 200 5 cme. liquido invertasico + 5 cme. gomma al 5 °/ + 10 cme. saccarosio al 40%/........ «lu 2492 125.9 5 cme. liquido invertasico + 5 cme. peptone al 5 °/o “L- .10 cme. saccarosio fAlB400/. . . 0.08 83.9 Si potrebbe quindi credere, che queste sostanze diminuiscano solo l’azione e non la secrezione dell'enzima, ma non è così. Anzitutto in presenza di gomma l’attività estracellulare diminuisce assai di più che in presenza di peptone, mentre questo frena l'invertasi più di quella. Inoltre, con l'età aumenta in tutte le condizioni l'inversione estracellulare, mentre la visco- sità nelle soluzioni con gomma non diminuisce e in quelle con gelatina o peptone si fa minore. Poi il lievito che è stato in gomma cede a le acque di lavaggio, prive di gomma, meno invertina, ciò che prova direttamente che ne esce meno. L'unico colloide, per cui si potrebbe rimanere in dubbio, è il peptone, ma anche per questo la considerazione particolareggiata delle singole espe- rienze, che qui non posso riportare, porta a concludere, che esso frena anche la secrezione. Esiste inoltre un metodo, per provare se l'invertina è presente in minor quantità od è solamente frenata nella sua azione, ed è la diluizione succes- siva del liquido invertasico, lasciando invariati l'acidità e la concentrazione del saccarosio da invertire. A questo modo si arriva a una diluizione, a cui il colloide non ha più effetto, per cui l’invertina può sviluppare liberamente la sua attività. Si moltiplica allora questa attività assoluta, misurata, per il fattore di diluizione e si trova l'attività invertasica che il liquido iniziale possederebbe, se non fosse presente il colloide. L'esperienza ha confermato la giustezza della previsione, e con questo metodo ho potuto stabilire, che in presenza di peptone non solo c'è meno attività invertasica, ma anche meno invertasi. — 385 — Inftuenza della viscosità. — Per la teoria è importante stabilire, se il colloide agisce puramente in funzione della sua viscosità. Ho appunto misu- rato sempre le variazioni di viscosità dei liquidi culturali, ma, sebbene con la diminuzione di viscosità (fluidificazione) della gelatina, del peptone ed anche della silice durante il progredire della cultura, aumenti la secrezione e l’attività estracellulare dell’ enzima, i quattro colloidi in soluzioni is0vi- scose non fanno diminuire egualmente le due srandezze, ma bensì rispetto a la secrezione l’azione deprimente diminuisce, anche in soluzioni isoviscose, nell'ordine seguente: gomma > peptone > gelatina > silice, mentre rispetto a l'azione dell'enzima diminuisce così: peptone > gomma > gelatina. La silice anzi accelera l’azione dell’invertasi. Come si vede, la viscosità non è il fattore principale in queste azioni dei colloidi su l’ invertasi. Fisiologia. — .Sul meccanismo respiratorio dei pesci ossei (*). Nota del dott. TAco KurpER, presentata dal Socio L. LUCIANI. Nell intraprendere uno studio sulla respirazione dei pesci ossei, urtai fin dal principio contro una difficoltà inaspettata: la poca sicurezza delle at- tuali cognizioni sullo stesso meccanismo respiratorio di questi animali. Ep- però s'impose innanzi tutto come ricerca preliminare, di stabilire e inter- pretare bene i particolari di questo meccanismo. I risultati di questa ricerca sono contenuti nella presente Nota, la quale serve come introduzione e punto di partenza indispensabile al lavoro completo che uscirà tra breve. PARTE sTORICA. — Darò qui una breve analisi delle descrizioni del meccanismo respiratorio dei pesci ossei, fatte dai diversi autori che si sono occupati dall'argomento (*). Duverney (1701) distinse due momenti principali nell'insieme dei movimenti respi- ratorî. In un primo momento tutte le parti dell’apparecchio, la bocca, il faringe, l’arcata palatina, gli opercoli, le membrane e gli archi branchiali si allargano e si dilatano: l’acqua entra per la bocca e ciò costituisce l’inspirazione. In un secondo momento tutte le parti enumerate ora, si avvicinano e si contraggono; l’acqua premuta da ogni dove, esce per le fessure branchiali: l’espirazione. Una descrizione ben diversa dalla precedente fu fatta, un secolo dopo, da Duméril (1809) secondo il quale in un primo tempo, la bocca si apre ed il laringe si dilata mentre le fessure branchiali sono del tutto chiuse; in un secondo tempo la bocca si chiude ed il faringe si restringe mentre gli opercoli si distaccano, sicchè l’acqua esce dopo essere stata « filtrata » attraverso le lamine branchiali. Duvernoy (1839) amplificò ancora la descrizione di Duméril. « L'acqua che va alle branchie penetra prima nella cavità orale, «la cui apertura si apre a questo scopo, mentre la sua capacità aumenta. L'acqua che (!) Lavoro eseguito nell’Istituto di Fisiologia della R. Università di Roma. (*) Per l’analisi storica completa e per la bibliografia si vegga: G. Van Rynberk, Ricerche sulla respirazione dei pesci. Questi Rendiconti, vol. XIV, ff. 9, 10, 12, 2° sem. 1905. ReNDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. - 49 tI] i) — 386 — «vi si precipita trova, nel momento che la bocca si chiude in avanti ed il faringe « indietro, e mentre le pareti mobili della cavità orale si contraggono, cinque uscite per « ogni lato: le aperture che conducono nella cavità branchiale comune. In questo secondo « istante dunque, l’acqua inghiottita vi penetra, cacciando avanti a sè l’acqua che vi « era penetrata prima, la quale esce immediatamente dall’apertura esterna che l’animale « può a sua volontà aprire o chiudere mediante l’opercolo osseo o membranaceo... « Vi sono dunque due movimenti: quello dell’introduzione dell’acqua nella cavità buc- « cale, per la dilatazione di questa. Poi segue il suo restringimento per cui l’acqua per «una specie di deglutizione passa nella cavità branchiale. Finalmente c’ è il terzo atto: «il diaframma branchiale si contrae e l’acqua viene spinta fuori della fessura branchiale ». Questo modo di concepire il meccanismo respiratorio dei pesci ossei come una degluti- zione deviata o laterale passò quasi invariato nelle descrizioni degli autori successivi fino a P. Bert. Questi (1870) cominciò dall’analizzare l'opinione di Duméril e Duvernoy riguardo l’antagonismo che esisterebbe tra i movimenti d'apertura e chiusura della bocca e delle fessure branchiali; tra la dilatazione e la contrazione delle pareti della cavità buccale e branchiale. Per risolvere il problema se questo antagonismo esista realmente, Bert ricorse al metodo grafico. Egli introdusse a quest'uopo dei palloncini di gomma, in comunica- zione con dei tamburi di Marey, nella bocca, in una fessura branchiale, e nel faringe. In tal modo trascrisse in diversi esperimenti contemporaneamente i movimenti della bocca e del faringe; del faringe e dell’opercolo; di questo e della bocca. Non gli riuscì mai di trascrivere contemporaneamente i movimenti di tutti e tre questi organi. Le conclu- sioni di queste esperienze fatte sul barbo (Cyprinus dardus) sono le seguenti: innanzi- tutto, « appare a colpo d’occhio dai tracciati, che tutti i movimenti sono simultanei nella « bocca, nel faringe e nell'apparecchio opercolare (1)... Non è dunque in due tempi che si « effettuano i movimenti delle cavità artificialmente delimitate coi nomi di buccale e bran- « chiale: in un sol tempo tutto si dilata, la bocca s’apre, le branchie si spiegano e si «avanzano, l’opercolo si stacca; l’acqua è chiamata nello stesso istante da tutti i lati. « Poi, ancora simultaneamente la bocca si chiude, il faringe si restringe, l’opercolo s’ap- « plica contro la fessura branchiale; l’acqua è scacciata nello stesso istante da tutte le « parti » (*). A questa affermazione recisa segue poi, poche righe più in là, la seguente restrizione: « Pur tuttavia la più grande quantità d’acqua entra per la bocca ed esce dalle « fessure branchiali. Ed ecco perchè. Il margine libero dell’opercolo non è formato dallo « scheletro osseo, ma da una membrana fluttuante. Quando l’opercolo si distacca brusca- « mente durante l’inspirazione, questa membrana premuta dalla resistenza dell’acqua « esterna, funziona da valvola, sicchè l’acqua stessa non può penetrare nella cavità bran- « chiale. Il giuoco di questa membrana è ancora favorito da un piccolo muscolo margi- « nale scoperto da Remak ». Queste conclusioni si basano e sono illustrate da quattro figure di tracciati, due delle quali io qui riproduco per l’interesse che hanno per la questione che mi occupa. Nella prima sono registrati contemporaneamente i movimenti della bocca e dell’opercolo, nella seconda quelli dell’opercolo e del faringe (v. figg. 1 e 2). Nel primo di questi trac- ciati Bert riunisce con una ordinata il punto piu basso della curva dell’opercolo, con il punto più basso di quello della bocca; questi punti rappresentano dunque per lui due momenti sincronici di queste curve. Ora siccome il primo di questi punti equivale al- l'istante di massimo distacco dell’opercolo, ed il secondo all'istante della massima aper- tura della bocca, questa, secondo Bert, corrisponde al momento di massima apertura della fessura branchiale. Nello stesso modo risulta da questi tracciati che l’aprirsi ed il chiu- (1?) Pag. 280 dell’opera citata. (2) Ibidem, passim. — 387 — dersi della bocca e della fessura branchiale si effettuano contemporaneamente. Dagli stessi tracciati si rileva inoltre che l’opercolo si chiude lentamente e con un intervallo; rimane chiuso per un istante e poi si riapre rapidamente. La bocca invece si chiude ra- pidamente, rimane chiusa un istante e si riapre più lentamente con velocità non costante. Invece nell’altro tracciato (fig. 2) e specialmente nella Sua prima metà, la chiusura del- Fic. 1. — Cyprinus barbus. Tracciato superiore = movimenti dell’opercolo, tracciato infe- riore = della bocca. (Riprodotta da P. Bert). l'opercolo si effettua rapidamente e l'apertura lentamente con un intervallo. Questi dati non collimano e non è ben chiaro su che cosa Bert si basa quando asserisce anche per i pesci il fatto «... pressochè costante in tutti i vertebrati, che cioè l'ispirazione è più rapida che l’espirazione ». In ogni modo la sua conclusione netta e precisa citata sopra, che i movimenti d’apertura e chiusura della bocca e dell’opercolo sono rispettivamente simultanei, è in opposizione alla tesi di Duméril e Duvernoy, mentre si accorda piena- mente colla descrizione di Duverney, che egli sembra non aver conosciuto. Fre. 2. — Cyprinus barbus. Tracciato superiore = movimenti dell’opercolo, tracciato infe- riore = della faringe. (Riprodotta da P. Bert). Finalmente Van Rynberk (*) (1905) osserva che « la chiusura degli opercoli è sempre «un po’ in ritardo sulla chiusura della bocca. E ciò s'intende, chè se la chiusura fosse « assolutamente sincrona, l’acqua pressata nella cavità orale e branchiale non troverebbe « pervia alcuna via d’ascita ». Questa osservazione sembra razionale, ed io vi aggiungo che il modo nel quale Bert descrive il meccanismo respiratorio è equivoco ed illogico. Infatti egli dice, come vedemmo, che bocca ed opercolo si divaricano e si chiudono si- multaneamente, ma siccome. durante la divaricazione dell’opercolo la fessura branchiale è chiusa dalla membrana fluttuante, insorge la domanda, quando dunque la fessura bran- chiale si trova aperta per lasciar uscir l’acqua, se, come Bert sostiene pure, l’opercolo si riaccosta subito dopo divaricato ? In conclusione dai diversi autori sono state sostenute tesi diversissime, le quali però si possono riunire in tre gruppi. 1. La bocca e l’opercolo si divaricano e si chiudono simultaneamente (Duvernoy, Bert). 2. La bocca si apre quando l'opercolo si chiude ed alternativamente (Duméril, Duvernoy). 3. La bocca e l’opercolo si divaricano e si chiudono simultaneamente ma la chiusura dell’opercolo è un po’ in ritardo su quella della bocca (Van Ryn- (1) Loco citato. — 388 — berk). Fin qui quel che riguarda i rapporti reciproci dei movimenti buccali ed opercolari. Poi vi è diversità di opinione sul significato dell'apertura buc- cale e della fessura branchiale rispetto al movimento dell’acqua. Duverney dice che la bocca serve per.l’inspirazione e la fessura branchiale per l’espi- razione. Duméril e Duvernoy sebbene discordanti con lui sui rapporti nel tempo dei movimenti buccali ed. opercolari, s'accordano con lui sul significato della apertura buccale e della fessura opercolare. Bert sostiene che nell’aprirsi delle due aperture, l'acqua entri da ambedue, e che esca da ambedue quando sì chiudono, sicchè la bocca e la fessura branchiale servirebbero alternati- vamente per l’inspirazione e per l’espirazione, però colla restrizione che quando la fessura branchiale si apre non è pervia, perchè otturata dalla mem- brana fluttuante, il che costituisce una contradizione insolubile. Van Rynberk poi chiama il divaricarsi dell'opercolo « fase inspiratoria » ed il chiudersi « fase espiratoria ». RICERCHE ORIGINALI. — Ho eseguite le mie ricerche personali su tre specie di pesci ossei: Bardus fuviatilis (seu plebeius), Telestes muticellus e Cyprinus auratus, seguendo quattro metodi: l'osservazione diretta pura e semplice dei movimenti respiratorî, l'osservazione dello spostamento dell’acqua durante i movimenti respiratorî, col sussidio d'una sospensione d'inchiostro di China, la registrazione dei movimenti respiratorî col metodo grafico e finalmente la fotografia istantanea. A. L'osservazione diretta, pura e semplice dei movimenti respiratorî di un piccolo pesce d’acquario, non riesce a dar conto di molti particolari per la rapidità e complicazione dei movimenti eseguiti dalle diverse parti ed organi dell'apparecchio respiratorio. Pur tuttavia è possibile stabilire alcuni rapporti, abbastanza sicuramente. Per esempio: l’aprirsi della bocca è imme- diatamente seguito dall’abbassarsi del pavimento orale, e dalla divaricazione degli opercoli, senza che però la membrana marginale libera di questi, si stacchi dal corpo. Il chiudersi della bocca è seguito immediatamente dall'in- nalzarsi del pavimento orale e dal distaccarsi dal corpo della membrana libera degli opercoli, per cui la fessura branchiale viene ad essere aperta. Appena la bocca si è chiusa del tutto, gli opercoli si chiudono pur essi rapidissimamente, per cui anche le fessure branchiali vengono ad essere chiuse. Riassumendo si possono dunque osservare due serie successive di mo- vimenti quasi contemporanei. Nella prima si ha l’aprirsi della bocca, l'ab- bassarsi del pavimento orale, ed il divaricarsi degli opercoli, tutti movimenti tendenti ad aumentare la capacità della cavità oro-branchiale. Durante questi movimenti di dilatazione l’unica via di comunicazione della cavità respira- toria coll’ambiente che sia pervia è la bocca, la quale è in via d'’aprirsi. L'altra serie di movimenti quasi contemporanei è il chiudersi della bocca, l’innalzarsi del pavimento orale ed il distaccarsi della membrana libera degli opercoli. I due primi di questi movimenti tendono a restringere la — 389 — cavità orale ed a chiuderne la comunicazione diretta coll'ambiente. L'altro movimento costituisce il rendersi pervie le fessure branchiali. L'osservazione e l'analisi dei movimenti respiratorî dei pesci ossei esaminati, tenderebbero dunque a far supporre che la prima serie dei movimenti descritti costituisca un meccanismo inspiratorio mediante il quale l’acqua venga aspirata per la bocca. La seconda serie dei movimenti sembrerebbe espiratoria; però per quali vie l’acqua inspirata venga espulsa, non può venir assodato in questo modo. B. Per studiare il movimento dell’acqua durante i movimenti respira- torî si fa scorrere mediante una pipetta di vetro una sospensione d'inchiostro di China, alternativamente davanti alla bocca ed alle fessure branchiali d'un pesce in riposo. In questo esperimento si vede con tutta evidenza che quando si tiene la pipetta davanti alla bocca, ad ogni apertura di questa, un'ondata d'acqua colorata vi penetra, mentre durante la chiusura nulla ri- gurgita. Inoltre si vede che l’acqua colorata entrata per la bocca riesce dalle fessure branchiali. Quando si tiene la pipetta davanti alle fessure branchiali non si vede penetrare mai acqua colorata in esse, ma ogni volta che la membrana libera dell’opercolo si stacca dal corpo ne esce un'ondata di liquido che spazza via la nubecola di colore che si era fatta scorrere dalla pipetta. Quando, prima di quest'ultimo esperimento, si recide colle forbici la membrana marginale libera dell’opercolo di un lato, si vede che ad ogni divaricazione dell’opercolo, un po’ d'acqua colorata penetra per la fessura, nella cavità bran- chiale, per venirne riespulsa subito dopo. L'acqua colorata entrata in tal modo nella cavità branchiale, non si vede mai riuscire dalla bocca. Queste esperienze completano in modo soddisfacente le osservazioni di- rette. L'acqua penetra esclusivamente per l'apertura orale, e riesce esclusiva- mente dalla fessura branchiale quando questa è resa pervia dal distacco della membrana opercolare libera. L'apertura orale serve dunque esclusivamente per l'inspirazione, la fessura branchiale per l’espirazione. L'aprirsi della bocca, l’abbassarsi del pavimento orale ed il divaricarsi degli opercoli sono dunque movimenti inspiratorî. Il chiudersi della bocca, l’innalzarsi del pavi- mento orale ed il distaccarsi della membrana marginale degli opercoli sono movimenti espiratorî. Il richiudersi degli opercoli sembrerebbe costituire l'ultimo atto espiratorio. C. Per determinare con più precisione il succedersi nel tempo d’alcuni dei movimenti sopra descritti, ricorsi finalmente al metodo grafico. Tracciati di movimenti respiratorî di pesci ossei furono, come rilevai sopra, già nel 1870 pubblicati da Bert. Dopo di lui soltanto recentemente Van Rynberk ha riprodotti alcuni tracciati dei movimenti opercolari di una specie marina (Pagellus mormyrus). Egli trasmetteva i movimenti mediante un filo attaccato coll’uno dei capi ad un uncino infisso nell’opercolo, e coll’altro da una semplice leva scrivente munita di ruota. Ho seguìto anch'io questo sistema, che mi sembra più esatto di quello di Bert; la presenza infatti d'uno o due palloncini di gomma nelle aperture respiratorie non può non aver alterata più o meno la regolarità e la caratteristicità dei movimenti. Anzichè raccogliere però il solo tracciato dei — 390 — movimenti opercolari ho trascritto mediante un doppio miografo, contemporaneamente anche i movimenti della bocca. In questi esperimenti io procedeva come segue. I pesci che dovevano servire per l’esperienza venivano ritirati dalla vasca del giardino dell'Istituto e pesati. Poi si determinava il loro volume. Indi venivano immobilizzati nell’apparecchio in- dicato da Von Uexkiill un po’ modificato (!), posti orizzontalmente in una bacinella smaltata contenente due litri d'acqua della stessa condottura che si immette nella vasca del giardino, e tenuti alla stessa temperatura dell’acqua di questa. Siccome poi l’acqua della bacinella si rinnovava di frequente, le condizioni degli esperimenti si avvicinavano quanto era pos- sibile alle normali. Per la trasmissione dei movimenti della bocca si perforava con Fia. 3 — Barbus Nuviatilis, peso 105 g., volume 100 cme. Temperatura dell'acqua 14° C. Tracciato superiore, tratti discendenti = divaricazione dell’opercolo. Tracciato inferiore, tratti discendenti = apertura della bocca. un ago il pavimento di questa verso il margine labiale e vi si annodava un filo di seta, il quale si innalzava direttamente e veniva fissato all'una delle leve scriventi d’un doppio miografu. Per l’opercolo si procedeva in modo simile; qualche volta si perforava la placca ossea o la membrana libera e vi si annodava il filo, oppure questo si attaccava ad una pinzettina di alluminio di Kronecker la quale si fissava all’estremo lembo della membrana marginale dell’opercolo. Comunque fissato all’organo, questo filo procedeva sempre orizzontale per un certo tratto, poi si piegava ad angolo retto intorno ad una bac- chettina sottilissima di vetro e si innalzava perpendicolare all’altra leva scrivente del mio- grafo. I punti d'attacco dei fili alle leve non sono stati sempre gli stessi; ora erano un po' più distanti, ora un po' più vicini all'asse girevole, la moltiplicazione dei movimenti non è stata quindi costante nelle diverse esperienze. Il filo che partiva dalla mascella infe- riore è stato nei diversi esperimenti attaccato ora all’uno, ora all’altro braccio di leva del miografo, per cui in alcuni tracciati la direzione del movimento è inversa rispetto a quella in altri. In tutte le esperienze però si studiò sempre di ottenere curve per quanto era pos- sibile sincrone, determinando ripetutamente e controllando con un filo a piombo la posizione delle due leve tenute orizzontali e parallele. Il tempo segnava in tutti gli esperimenti 0,5”. La rapidità di rotazione del cilindro è stata varia nelle diverse esperienze. Passiamo ora all’analisi dei tracciati, ed innanzi tutto osserviamo quelli della bocca e dell’opercolo separatamente. Nei tracciati dei movimenti della bocca, il passaggio del tratto di curva che rappresenta l'apertura, in quello che rappresenta la chiusura è sempre brusco. Il movimento di chiusura della bocca (1) Questo apparecchio modificato dal sig. L. Pigorini, consta d’una placca rettango- lare di piombo, nella quale, a regolare distanza, sono ritagliate delle strisce che si piegano in modo da abbracciare e fissare il pesce, senza. premerlo troppo e senza produrre lesioni di sorta. — 391 — rallenta nel suo ultimo tratto, oppure ha luogo una pausa più o meno lunga. Il passaggio del tratto di curva che rappresenta la chiusura, in quello che rap- presenta l'apertura della bocca non è mai brusco. Nei tracciati del Telestes © del Barbus l'apertura si effettua più rapidamente della chiusura; nel Cy- prinus invece la bocca viene più rapidamente chiusa che aperta, ma essa rimane chiusa più a lungo che nelle altre specie, siechè in ultima analisi anche nel ciprino l’aprirsi della bocca si effettua più rapidamente che l' in- tera fase di chiusura. Nei tracciati dell’opercolo, colpisce innanzi tutto che la curva che rappresenta il movimento di chiusura dell’opercolo è ripi- dissima, il che significa che il movimento stesso sì eseguisce assai rapida- mente. La curva che rappresenta il movimento di divaricazione dell'oper- Fic. 4. — Telestes muticellus peso 110 g. vol. 100 cme. Fi. 5. — Cyprinus Auratus, peso 50 g. vol. 55 cme. Temp. 10°. Tracciato superiore, tratti ascendenti temp. 14°. Tracciato superiore, tratti discendenti = chiusura; tratti discendenti = divaricazione del- divaricazione dell’opercolo. Tracciato inferiore, tratti l’opercolo. Tracciato inferiore, tratti ascendenti = ascendenti = chiusura, tratti discendenti = apertura chiusura, tratti discendenti = apertura della bocca. della bocca. colo consta nel tracciato della fig. 3 in un tratto discendente ininterrotto, seguìto da un tratto orizzontale, la pausa dell'opercolo. Nell’esperimento nel quale è stato raccolto questo tracciato, il filo trasmettitore del movimento era fissato con un nodo dietro la placca ossea dell’opercolo e trasmetteva quindi soltanto i movimenti della parte rigida dell'opercolo. Nel tracciato delle figo. 4,5, 6, 7 invece la curva che rappresenta il movimento di divaricazione dell’opercolo presenta pure una pausa (tratto orizzontale), ma il tratto discen- dente consta di due parti di diversa inclinazione divisi da un breve intervallo. Negli esperimenti nei quali furono raccolti questi tracciati, il filo trasmettitore era attaccato alla membrana mobile dell’opercolo e trasmetteva quindi anche i movimenti della membrana fluttuante. Dai tracciati si può dunque argo- mentare che l’opercolo chiusosi rapidamente, resta chiuso un istante, poi sl divarica più lentamente e resta divaricato un momento. Ma da che cosa è data la differenza della curva discendente negli esperimenti, ove si sono re- gistrati i soli movimenti della parte rigida dell'opercolo, ed in quelli ove si sono registrati anche i movimenti della membrana? Dall'osservazione diretta noi abbiamo imparato che mentre l'opercolo rigido divarica in un primo tempo, — 392 — la membrana libera rimane addossata alla fessura branchiale, per distaccarsi anch'essa in un secondo tempo nel quale soltanto la fessura branchiale è pervia. Rappresentiamo questi dati d'osservazione schematicamente nella fig. 8. In 1 si ha l’opercolo chiuso, in 2 l'opercolo rigido è divaricato ma la mem- Fic. 6. — Barbus fluviatilis peso 105 g vol. 100 eme. Temp. 13°. — Tracciato superiore, tratti ascendenti = chiusura; tratti discendenti = divaricazione dell’opercolo. Tracciato inferiore, tratti ascendenti = chiusura; tratti discendenti = apertura della bocca. brana è tutt'ora addossata alla fessura branchiale, in 8 finalmente si distacca anche la membrana e si rende pervia la fessura branchiale. È chiaro ora in che cosa consista la differenza notata nei tracciati. In quello ove non si re- Fic. 7. — Telestes muticellus, peso 110 g. vol. 100 cme. temp. 12.5°. — Tracciato supe- riore, tratti ascendenti = chiusura; tratti discendenti = divaricazione del- l’opercolo. Tracciato inferiore, tratti ascendenti = apertura; tratti discendenti = chiusura della bocca. gistravano che i movimenti dell'opercolo rigido si ha nell'apertura una curva discendente uniforme ed una pausa. Nel tracciato ove si registravano i mo- vimenti della membrana marginale, il primo tratto della curva discendente rappresenta il divaricarsi dell'opercolo rigido; il secondo tratto il distaccarsi della membrana stessa. In riguardo alla condizione della fessura branchiale, sì conferma quindi che essa rimane chiusa nel primo tratto della curva di- scendente, mentre è pervia nel secondo tratto. Vediamo ora che cosa insegna il confronto dei tracciati dei movimenti buccali ed opercolari. Riuniamo perciò mediante ordinate (presa per ascissa la linea tracciata dal segnale del — 393 — tempo) i punti caratteristici delle due grafiche. Ne risulta: 1° Il rapidissimo chiudersi dell’opercolo coincide col tempuscolo nel quale la bocca comincia ad aprirsi. 2. L'istante nel quale la bocca comincia per chiudersi coincide col punto x —.uc11t1@r1<1t@119,, ove la curva discendente dell’opercolo cambia ir direzione, nei tracciati delle figg. 4, 5, 6, 7; Si î coincide col punto medio della curva discen- a dente nel tracciato ‘della fig. 3. Cioè nel- a900 l’intera fase dell’aprirsi della bocca, in un Fis. 8. primo tempuscolo che introduce l'apertura della bocca. si chiude rapidissi- mamente l'opercolo, poi si riapre. Nel chiudersi della bocca l’opercolo rigido si apre poco più, la membrana marginale si distacca e la fessura branchiale si rende pervia. La divaricazione dell'opercolo rigido prima che si renda pervia la fessura branchiale costituisce dunque un movimento attivo di aspi- razione dell’acqua nella cavità oro-branchiale attraverso la bocca. Questa parte del movimento oper- colare è dunque nettamente inspi- ratoria. Ma la seconda parte del divaricarsi dell’opercolo rigido, accompagnata dal distaccarsi e sol- levarsi della membrana marginale (che sembra un movimento piut- tosto passivo prodotto dalla forza propulsiva dell’acqua. cacciata dalla cavità oro-branchiale per il chiudersi della bocca, il sollevarsi del pavimento boccale ecc.) è dunque espiratoria. Espiratoria parimenti è la rapida chiusura dell’opercolo, per cui l'ultima por- zione d'acqua viene cacciata attra- verso la fessura branchiale. Questo movimento coincide, come si è visto, col tempuscolo che introduce l’aprirsi della bocca. Questo istante rappresenta dunque la chiusura completa della cavità oro-branchiale e l’ultima fase di un'intera rivoluzione respiratoria, la quale fase è però brevissima e del tutto virtuale perchè già in essa la bocca sta aprendosi, col quale movimento si inizia una nuova inspirazione. D. In ultimo ho cercato di illustrare quanto le fin qui riferite ricerche mi avevano dato conoscere, mediante la fotografia istantanea. A quest’ uopo veniva fissato nell’apparecchio di Uexkill un barbo, col ventre in alto, e disposto sott'acqua in una bacinella di vetro. Dinnanzi gli si poneva uno RenpICONTI. 1906, Vol. XV. 1° Sem. 50 — 394 — specchietto inclinato di circa 45° in modo che dall'alto si vedeva diretta- mente la parte ventrale della fessura branchiale, col suo opercolo e relativa membrana marginale, e riflessa nello specchio l’imagine della rima buccale. Riproduco quì (fig. 9) tre istantanee le quali rispettivamente mostrano: in 1 la bocca aperta, gli opercoli rigidi semiaperti le fessure branchiali ricoperte dalle membrane marginali; in 2 la bocca chiusa, gli opercoli del tutto divaricati, le fessure branchiali aperte e le membrane marginali distaccate; in 3 la bocca chiusa, gli opercoli del tutto accostati al corpo, le fessure branchiali chiuse. Da quanto precede appare che non si può parlare nè di simultaneità e neppure di alternanza del complesso dei movimenti. Però nei particolari ciascuno degli autori sopracitati ha visto qualche cosa di giusto. CONCLUSIONI. 1. L'inspirazione è data dall'aprirsi della bocca, dall’abbassarsi del pa- vimento buccale, e da una moderata divaricazione degli opercoli. Durante questa fase le fessure branchiali sono chiuse e l’acqua entra esclusivamente per la bocca. 2. L’'espirazione è data dal chiudersi della bocca, dall'innalzarsi del pavimento buccale, da un ulteriore divaricarsi degli opercoli branchiali e dal distacco della membrana marginale degli opercoli. Durante questa fase le fessure branchiali si aprono e restano aperte e l'acqua esce esclusivamente da esse. 8. Alla fine dell'espirazione avviene il rapido accostarsi al corpo degli opercoli. Questo movimento forma il termine dell'intera rivoluzione respira- toria. Però in questo tempuscolo stesso già la bocca comincia di nuovo 2 ‘riaprirsi e si inizia quindi una successiva inspirazione. Anatomia. — Sulle capsule surrenali e sul simpatico dei Dipnoi. Ricerche in Protoplerus annectens. Nota preliminare di ER- coLe GiacOMINI, presentata dal Socio C. EmERy. Sul sistema delle capsule surrenali dei Dipnoi si avevano finora notizie molto incerte e inesatte, così per quanto riguarda l’interrenale (sostanza cor- ticale) come per quello che concerne i corpi soprarenali (aiatema feocromo 0 tessuto cromaffine o sostanza midollare) ('). (1) Fiir die Dipnoern liegen sowohl was das Vorkommen, wie den Bau der Stannius' schen Kérper anlangt, nur ungenaue Angaben vor. Das phiochrome System ist vòllig un- bekannt (H. Poll, Die vergleich. Entwickelungsgeschichte der Nebennierensysteme der Wirbeltiere. In: Handbuch der vergleich. und experim. Entwickelungslehre der Wirbel- tiere, herausg. von 0. Hertwig, Jena, 1905). — 395 — Relativamente poi al simpatico dei Dipnoi nessuno fino ad oggi era giunto a dimostrarne l’esistenza, e a tale proposito il Wiedersheim nella sesta edizione del suo trattato di Anatomia comparata, pubblicato a principio di quest'anno, doveva ancora serivere: « Bei Dipnoérn ist bis dato noch keine Spur eines Sympathicus nachgewiesen ». Oggetto delle mie ricerche turono quattro giovani esemplari di Pro- topterus annectens, della lunghezza totale di circa 17-18 cm., molto gene- rosamente donatimi dal prof. Wiedersheim, al quale rendo qui con animo gratissimo le mie più vive grazie. Uno dei detti esemplari venne da me ridotto in numerose sezioni se- riali trasverso-verticali dal capo fino all’inizio della coda. Di due altri se- zionai, pure trasversalmente in serie, pezzi delle varie regioni del tronco e della coda. E finalmente in uno, quantunque si trattasse di materiale già fissato e conservato in alcool, feci delle dissezioni coll’aiuto del microscopio binoculare. Passando ora ad esporre brevemente i principali risultati delle mie ri- cerche, mi trovo costretto a chiarire anzitutto un equivoco. Il Wiedersheim (!) recentemente credette di poter additare i corpi sopra- renali (tessuto cromaffine) di Protopterus annectens in un tessuto addossato dorsalmente e in parte medialmente a quei vasi, che egli, nella sua descri- zione e nelle annesse figure (?), indica come vene cardinali posteriori. L'esame accurato delle mie sezioni seriali mi ha dimostrato che gli organi ritenuti dal Wiedersheim quali corpi soprarenali sono i rami polmo- nari del vago e che i vasi, interpetrati per vene cardinali posteriori, sono in- vece le arterie polmonari costeggiate appunto da quei rami del vago, dalla loro origine fino al momento in cui rami nervosi e arterie s' incrociano fra di loro (3) per poi decorrere indietro lungo i polmoni. Certamente il Wie- dersheim fu tratto in inganno dalla posizione di quegli organi, dall'aspetto particolare che i medesimi offrono nei tagli trasversi ed inoltre dall’essergli mancata l'opportunità di seguirli in una serie completa di sezioni. Lo studio dei miei preparati mentre da un lato mi dimostrò l’esistenza degli organi soprarenali in Protopterus annectens; valse dall'altro lato a per- suadermi che in questo Dipnoo manca l’ interrenale. (1) Wiedersheim R., Veber das Vorkommen eines Khelkopfes bei Ganoiden und Dip- noérn. Zool. Jahrbiicher, Suppl. VII, Jena 1904 e Vergleichende Anatomie der Wierbel- tiere, Sechste Auflage, Jena, 1906. (?) Figg. 27 e 28 della tav. 5 del citato lavoro e fig. 801 del trattato. (*) A tale riguardo veggasi la Memoria di W. N. Parker (On the anatomy and phy- stology of Protopterus annectens, in: The Transactions of the R. Irish Acad., vol. XXX, part. II, Dublin, 1892) in cui è descritto il chiasma formato dai rami polmonari del vago e dalle arterie polmonari. In conseguenza di questo incrocio il ramo nervoso e l’ar- teria d'un lato passano sul polmone del lato opposto. — 396 — In ciò si avrebbe un riscontro con quanto ebbi a constatare nei Missi- noidi, dove, in Bdellostoma, esiste il tessuto cromaffine, rappresentante dei corpi soprarenali, ed è assente l’interrenale ('). Considerando che in ambedue i casi si ha una straordinaria ricchezza di tessuto linfoide, caratterizzato anche da una struttura del tutto speciale, il quale occupa pure gran parte della parete intestinale, potrebbe supporsi che qui la funzione dell'interrenale sia in qualche modo disimpegnata, al- meno parzialmente, da cotesto particolare tessuto linfoadenoide (?). I corpi soprarenali offrono in Pro/opterus una disposizione assai carat- teristica. Essi stanno in rapporto con le arterie intercostali e sono perciò distribuiti a paia segmentalmente. Le arterie intercostali non sono tutte ugualmente sviluppate, chè anzi alcune di esse si presentano regredite ed obliterate, ma anche con questi resti di arterie intercostali si trova con- nesso il tessuto cromaffine (tessuto feocromo). Per tutta la regione del tronco, all’intorno d'ogni arteria intercostale. in quel tratto del vaso che si estende dalla sua origine dall’aorta fino al punto di sua biforcazione in ramo dor- sale e ramo ventrale, si riscontrano cellule cromaffini (cellule feocrome) rag- gruppate a nidi. Questi elementi, come ben dimostra l'esame di arterie in- tercostali isolate ed osservate nel loro insieme. al microscopio dopo le op- portune manipolazioni, sono più specialmente situati lungo il margine cra- niale.e lungo il margine caudale dell'arteria. Inoltre tessuto cromaffine rinvenni pure nella parete della porzione più craniale della vena cardinale posteriore sinistra sino al suo sbocco (dotto di Cuvier) nell'atrio destro. Similmente trovai cellule feocrome nella parete dell’azygos destra, che rappresenta la porzione craniale della vena cardinale destra (3) e che, unendosi alla succlavia dello stesso lato, si versa anch'essa per mezzo di un dotto venoso nell'atrio destro. Cellule feocrome circondano (1) Giacomini E., Contributo alla conoscenza delle capsule surrenali dei Ciclostomi. Sulle capsule surrenali dei Missinoidi. Rend. delle Sess. della R. Accad. delle Scienze dell'Istituto di Bologna, 1904. (2) A. Pettit (Recherches sur les capsules surrénales, in Journal de l’Anat. et de la Phys., Année 32, Paris, 1896) annunziò di aver trovato le capsule surrenali in Pro- topterus annectens, ma nulla riferì sulla loro struttura ed è certo che i corpi da lui ve- duti non erano altro che cumuli di tessuto linfoide. Vincent (On the Morphology and Phy- siology of the Suprarenal Capsules in Fishes, in: Anat. Anz. Bd. XIII, 1897) esaminò in Protopterus e Lepidosiren il tessuto linfoide, descritto dal Parker attorno ai reni e che secondo questi rammenterebbe i corpi adrenali (la sostanza corticale) degli Anfibii, e con- cluse che nulla avea che fare con le capsule surrenali. (8) Il rimanente di questa vena, ossia tutta la sua porzione posteriore forma, come ha dimostrato Parker, la vena cava posteriore, la quale si apre nel seno venoso. Però Parker aggiunge: « non esiste traccia di una azygos destra, rappresentante la porzione anteriore della cardinale destra: apparentemente questa scomparirebbe del tutto ». Secondo le mie ricerche invece devesi ammettere che il tratto craniale della vena cardinale posteriore destra permane come azygos destra. — 397 — poi la parete di tale dotto sin presso al suo sbocco. È da notarsi che gli elementi feocromi, posti nelle mentovate porzioni delle vene cardinali, guar- dano il lume vasale, da cui rimangono separati soltanto per mezzo della sottile lamina di endotelio. La disposizione dei corpi soprarenali in Protopterus molto somiglia a quella da me riscontrata nei Petromizonti (') e d'altra parte, per quanto concerne la presenza di tessuto cromaffine attorno alla porzione craniale delle vene cardinali posteriori, ricorda assai da vicino la disposizione consimile posta in evidenza nei Teleostei (°). Avuto riguardo ai loro rapporti con le arterie intercostali e col simpa- tico e alla loro distribuzione segmentale, i corpi soprarenali di Protopterus possono anche paragonarsi agli organi omologhi degli Elasmobranchi. L'accurato studio dei corpi soprarenali mi condusse infine a dimostrare assai chiaramente in Protopterus la esistenza del sistema nervoso simpatico, ricercatovi invano dal Parker, il quale a questo riguardo in una nota del suo lavoro scrisse: « I should add that in Protopterus I have not succeeded in finding a sympathetic — not even such rudimentary traces as have been descri- bed in Petromyzon by Dohrn. A sympathetic is not known to exist in the other genera of Dipnoi ». Nel Protopterus il simpatico è rappresentato da due tenuissimi tronchi nervosi (tronchi del simpatico) che corrono continui lungo i lati dell'aorta, addossati alla corda dorsale: fu senza dubbio per la loro estrema sottigliezza che essi si sottrassero all'occhio di altri osservatori. Questi tronchicini seguii nelle sezioni seriali cranialmente fino a livello della glottide e caudalmente fino alla radice della coda. Riuscii anche ad isolarli per mezzo della disse- zione fatta col sussidio del microscopio binoculare. Non è improbabile che il simpatico si spinga ancora più in avanti nella regione cefalica ponendosi in rapporto con i nervi cranici. Nella regione caudale non mi fu più possi- bile scorgerlo, forse a causa della sua straordinaria esilità. Lungo ogni tron- chicino si trovano sparse singole cellule nervose simpatiche e vi s'incontrano inoltre manifesti gangli nervosi relativamente grandi, rispetto all’esiguo vo- lume del tronchicino nel quale essi s' intercalano.. Interessa qui rilevare che ì detti gangli stanno in stretto rapporto con le arterie intercostali e con il tessuto cromaffine dal quale queste sono circondate. Lungo il tronco del simpa- tico stesso viene dato di rintracciare qualche piccolo nido di cellule feocrome. (1) E. Giacomini, Contributo alla conoscenza delle capsule surrenali nei Ciclostomi. Sulle capsule surrenali dei Petromizonti. Monit. Zool. Ital., anno XIII, Firenze, 1902. (*) E. Giacomini, Sulla esistenza della sostanza midollare nelle capsule surrenali dei Teleostei, Monit. Zool. Ital., anno XIII, Firenze, 1902; Contributo alla conoscenza del sistema delle capsule surrenali dei Teleostei. Sulla sostanza midollare (organi sopra- renali o tessuto cromaffine) di Amiurus catus L., Rend. delle Sess. della R. Accad. delle Scienze dell'Istituto di Bologna, 1905. — 398 — Devo da ultimo ricordare che rinvenni numerose cellule nervose, spesso raggruppate in cospicui ganglietti, nei rami polmari del vago, lungo tutto quel loro tratto che dal punto del loro incrocio, ossia dal chiasma dei detti rami, decorre fin presso all'estremo caudale dei polmoni. Nell’altro tratto che dal chiasma portasi cranialmente fino alla sua origine dal vago, correndo dorsalmente all’arteria polmonare, non appariscono cellule nervose. Ne vidi una sola nel ramo di un lato. I rami polmonari del vago mostransi assai grossi, e non è improbabile che la estrema sottigliezza dei tronchicini del simpatico stia in correlazione col notevole sviluppo di quei rami. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI G. ZAMBIASI. Verifica dei Coristi normali dell’ Ufficio centrale italiano per Corista uniforme. Presentata dal Socio BLASERNA. RELAZIONI DI COMMISSIONI I) Socio STRUEVER, relatore, a nome anche del Corrisp. BALBIANO, legge una Relazione sulla Memoria del dott. F. ZAMBONINI, intitolata: ZW/terzori ricerche sulle zeoliti, proponendo l'inserzione del lavoro nei volumi delle Memorie. Le conclusioni della Commissione esaminatrice sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLaserNA legge la seguente Commemorazione del Socio S. P. LANGLEY. SaMUuEL PieRpont LANGLEY nacque a Boston (Mass.) nel 1831; fu Direttore dell’Osservatorio di Alleghany, indi Segretario della Smithsonian Institution, Direttore del Museo Nazionale e Direttore dell’Osservatorio astro- fisico di Washington. Nella lunga sua vita sviluppò una attività meravigliosa nei campi dell'Astronomia, della Fisica e della Storia naturale. A lui si deve l’organizzazione dell'Osservatorio astronomico di Alleghany in Pensilvania, dove eseguì bellissimi disegni della superficie solare, che sono ancora oggidì ricordati per la loro finezza e precisione, e si occupò inoltre della misura del tempo. Prese parte alle osservazioni di quasi tutte — 399 — le eclissi solari. Egli rimarrà poi sempre celebre per le sue ricerche col bolometro. Prendendo per punto di partenza una disposizione proposta da Svanberg fino dal 1849, ma poi caduta in dimenticanza, il Langley intro- dusse nella scienza un ammirabile istrumento di ricerca, che prima chiamò col nome di bilancia attinica e poi di bolometro. Il primo apparecchio di questo genere comparve verso il 1881 e fu poi successivamente portato a tale grado di perfezione, che egli potè misurare negli spettri luminosi e calorifici variazioni di temperatura di un diecimilionesimo di grado. Un istrumento di così squisita sensibilità fu da lui impiegato in svariatissime ricerche: ricor- derò soltanto il grandioso suo studio sulla distribuzione del calore nello spettro solare é specialmente nell’infrarosso sino a lunghezze d'onda di 5 e più micron, determinando in questa regione parecchie centinaia di linee di Fraunhofer; poscia lo studio dello spettro lunare e degli spettri di emis- sione di un grande numero di corpi, fra limiti estesi di temperatura e scen- dendo fino alla temperatura del ghiaccio fondente. Tutti questi lavori sono d'importanza capitale. Voglio anche ricordare le sue interessanti ricerche sul colore proprio della luce solare, le quali lo condussero a ritenere che esso colore, a causa dell’assorbimento solare e molto più del terrestre, venga fortemente spostato verso il rosso; dimodochè, senza tali assorbimenti, il sole si presenterebbe a noi con una tinta azzur- rognola. Nè meno notevoli sono le sue ricerche sulle condizioni del volo mec- canico. Il Langley affrontò il problema dal punto di vista teorico, coi suoi studî sul lavoro interno del vento. Osservò acutamente come gli uccelli sappiano utilizzare nel loro volo le brusche variazioni d’intensità nel vento, la cui esistenza egli dimostrò sperimentalmente. E passò infine alla costru- zione del suo daerodromo, col quale istituì, nel 1896, sul fiume Potomac delle prove rimaste celebri nella storia dell’aeronautica, perchè confermarono fino all'evidenza la possibilità delle macchine volanti. Il Langley dimostrò infine il multiforme suo interesse alla scienza nel ventennio, in cui fu Segretario influentissimo della Smithsonian Institution. A lui si deve il riordinamento dei Musei, l’organizzazione dell'ufficio di etno- logia e la creazione di un vasto parco zoologico, in cui gli animali indigeni potessero vivere in condizioni possibilmente identiche al loro stato naturale ; con che egli salvò l'esistenza di molte specie ed aprì nuove ricerche di bio- logia e di arti zoologiche. Fu anche un brillante scrittore di scienza popo- lare; e non vi fu impresa scientifica che non appoggiasse colla grande sua autorità e col suo consiglio. Uno degli scienziati più eminenti dell'America, il Langley salì nella più alta fama e conseguì onori accademici anche in Europa. Ci basti ricordare che fu eletto membro straniero della R. Society di Londra nel 1895, e che fino dal 1901 appartenne alla nostra Accademia come Socio straniero. — 400 — È certamente una grave perdita, che tutto il mondo scientifico ha fatto colla morte improvvisa di questo grande scienziato, e a questo lutto la nostra Accademia si associa con sentimento particolare e profondo. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle dei Corrispondenti: GRASSI Gurpo, LEONARDI CATTOLICA, e del Socio straniero LANGLEY ; richiama inoltre l’attenzione della Classe sul vol. 1° delle Opere di CARLO HERMITE, e sul 33° fascicolo dei Risultati delle cam- pagne scientifiche del Principe di Monaco. Il Presidente BLASERNA, a nome del Corrispondente VioLa, fa omaggio della pubblicazione: ZVeder bromsaures Silber. CORRISPONDENZA Il Segretario CeRRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; la R. Accademia di scienze ed arti di Barcellona: la Società di scienze naturali di Tokyo; la R. Società zoologica di Amsterdam; la Società di scienze naturali di Braunschweig; l'Associazione per l'avanzamento della scienza di Sydney; l’Istituto Smithso- niano di Washington; l'Università di Glasgow; gli Osservatorii di Oxford e di San Fernando. V. C. — 401 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA presentate nella seduta del 4 marzo 1906. AnpREINI A. — Sulle reti di poliedri re- golari e semiregolari e sulle corrispon- denti reti correlative. Roma, 1905. 4°, BerLESsE A. — Gl'insetti, loro organizza- zione, sviluppo, abitudini e rapporti coll’uomo. Vol. 1°. Milano, 1906. 4°, Campana R. — Dei morbi sifilitici e ve- nerei. 4* ed. Torino, 1906. 8°. Carnera L. e VoLta L. — L'attività della stazione astronomica internazionale di Carloforte dall'ottobre 1903 a tutto l’anno 1904. Relazione (R. Comm. Geod. Ital.). Firenze, 1905. 4°. CasraGnERIS G. — L'Istituto speciale di aerodinamica di Koutchino e lo svi- luppo tecnico mondiale dell’aerodina- mica. (Boll. della Soc. Aerodinamica italiana, nov.-dic. 1905. Roma. 1905. 4°. DarBoux G. — Notice historique sur Char- les Hermite, lue dans la Séance publ. ann. du Lundi 18 déc. 1905 de l’Insti- tut de France. Acad. des Sciences. Pa- ris, 1905. 4°. FLINT J. M. — A contribution to the Ocea- nography of the Pacific. (Bull. of the U.S. National Museum. N.° 55. Smith- sonian Institution. Washington 1905.8°, HaeckeL E. — Prinzipien der generellen Morphologie der Organismen. Berlin, 1906. 8°. HeLmeRT R. — Generalleutnant Dr. Oscar Schreiber. (Vierteljahrsschrift d. As- tron. Gesellsch. 40 Jahrg. 4 Heft. Leip- zig 1905). Leip- zig, 1905. 80. HeRDMAN W. A. — Report to the Govern- ment of Ceylon on the Pearl Oyster Fisheries of the Gulf of Manaar, with supplementary Reports upon the Ma- rine Biology of Ceylon by other Na- turalists. Part III-IV. London, 1905. 4°, JAEGERSKI6LD L. A. — Results of the Swedish Zoological Expedition to Egypt and the White Nile 1901, un- der the direction of L. A. Jigerski6]d. II. Uppsala, 1905. 8°. RenpIcontI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. Lavori dell'Istituto d’Anatomia patologica dell’Università di Torino, diretto dal prof. P. Foà. Anno 1905. Torino, 1906. 8°, Longo B. — Contribuzione alla Flora della Basilicata. (Annali di Bot., vol. IV, fasc. 1°). Roma, 1905. 8°. PrLueceR E. — Ueber Ernihrung mit Ei- weiss und Glykogenanalyse. (Physiol. Laboratorium in Bonn). Bonn, 1906. 8°. PrranpeLLo E. — L'’utilizzazione della forza motrice delle onde del mare e dei laghi, con appendice circa l’im- piego ed il lavoro dei Galleggianti- Motori. Roma 1906. 8°. PLATANIA G. — I cavi telegrafici e le cor- renti sottomarine nelle Stretto di Mes- sina. 2* ed. Messina, 1905. 8°. PLATANIA G. — Le librazioni del mare con particolare riguardo al golfo di Cata- nia. (Atti del Congr. Geogr. Ital. 1904, vol. 2°, sez. I). Napoli, 1905. 8°. Policlinico Umberto I. Ricordo della co- struzione. (Ministero dei LL. PP., Uf- ficio del Genio Civile di Roma). Roma, 1905. f. RicHarRDpsoR H. — A monography of the Isopods of North America. (Bull. of the U. S. National Museum. Smithso- nian Institution). Washington, 1905. 8°. Saccarno P. A. — Sylloge fungorum om- nium hucusque cognitorum. Vol. XVIII, Suppl. Univers. Pars VII. Patavii, 1906. 8°. Seitz W. — Die Leber als Vorrathskam- mer fiir Eiweissstoffe. (Physiol. Labo- ratorium in Bonn). Bonn, 1906. 8°. TARAMELLI T. — Discorso letto nell’adu- nanza della Soc. Geol. Ital. tenuta in Tolmezzo il 20 agosto 1905. Roma, 1905. 8°. VerBeek R. D. M. — Description géologi- que de l’Ile d'’Ambon (avec Atlas in f°.). Batavia, 1905. 8°. 51 — 402 — DISSERTAZIONI ACCADEMICHE DELLE UNIVERSITÀ DI BaseL, Bonx, HALLE, TiBINGEN. I. — BASEL. Apeee G. — Ueber quantitative Bestim- mung von Zink durch Destillation der zinkhaltigen Stoffe im Clorwasserstoff- gasstrom. Aachen, s. a. 8°, ALBeR E. — Ueber Benzylerotonsiure. Zur Kenntnis der Attraktion zwischen Phenylgruppe und Doppelbildung. Ba- sel, 1905. 89. Boesca H. — Der Aquaeductus vestibuli als Infektionsweg. Wiesbaden, 1905. 8°, BrascH L. — I Ueber die Einwirkung von Pheny]lhydrazin aufItadibrombrenz- weinsiure. — II Ueber die Anhydro- base der Isoamylessigsiure. Basel, 1905. 8°. Braune H. — Ueber eine schnelle Me- thode fiùr die Bestimmung des Stick- stoffcehaltes in Eisen und Stahl und eine Untersuchung von prihistorischen Fisen aus Castaneda(Sud-Graubinden). Basel, 1905. 8°. Burow R. — Beitrige zur Entscheidung der Frage, ob die Caseine verschie- dener Tierarten identisch sind. Basel, 1905. 89. Curistie W. A. K. — Ueber die quanti- tative Bestimmung von Chlor und Kohlensiure nebeneinander und iiber die Titerstellung von Permanganat- losungen mittelst elektrolytischen Ei- sens. Zurich, 1905. 8°. EGcer A. S. — Zur Kasuistik des Rhino- phyma. Wiirzburg, 1905. 8°. ExcHaquert L. — Contribution è l’étude de la Laminectomie, avec 9 observa- tions recueillies è l’hòpital de Bàle. Lausanne, 1904, 89. FreipeL R. — Ueber das durch Typhus- ihnliche Bacillen und abweichende Typhusrassen erzeugte Krankheitsbild. Basel, 1905. 8°. FriseLL G. — Ueber den Cinnamalcam- pher und seine Reduktionsprodukte. Basel, 1904. 89, Fire G. — I. Ueber 1-Phenil-3-methyl-5- pyrazolidon-carbonsiure. — II. Ueber a-Methyl-yd-Pentensiure. Basel, 1904. 88. Gaceur R. — Beitrige am Kenntnis Pe- riamidonaphtols. Basel, 1904. 8°, GesHarD. N. L. — Ueber Tetramethyl- benzidindioxyd und die Oxydation von p-Dimethylaminobenzaldehyd mit Sul- fomonopersàure. Zirich, 1905. 8°. Gisicer E. —- I. Ueber 8-Methyl-8y-Pen- tensiure und $-Methyl-@g-Pentensàure. — II. Ueber Tolilsiure. Basel, 1905. 8°. HassLer A. — Ueber symmetrische und unsymmetrische Phenylhydrazine. Ba- sel, 1905. 8°. HeLBInG H. — Beitrige zur Anatomie und Systematik der Laemargiden. 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Vortisca H. — Ueber Sehnervenerkran- kungen bei Turmschàdel. Tibingen, 19017802 WaLpBsaur A. — Untersuchungen iber die Einwirkung des alkoholischen Ka- lis auf Monobromisobuttersiure und des feinvertheilten Silbers auf den Aethylester derselben. Stuttgart, 1878. 8% Wassmann T. — Ueber Brom- nitro- und Brom- amidosubstitutionsprodukte des Phenetols. Tibingen, 1881. 8°. WrrcaseL G. — Unterbindung der Nie- rengefisse zum Studium der fettigen Degeneration. Rudolstadt. 1904. 8°. WerzeL A. — Ein Beitrag zur Frage des toxischen Eiweisszerfalls beim Carci- nom. Tibingen, 1904. 8°. WoLrr A. — Ueber die Reductionsfihig- keit der Bacterien einschliesslich der Anagrobien. Braunschweig, 1901. SA WuLrr H. F. — Der primire Leberkrebs. Tuùbingen, 1876. 8°. — 415 — WursremBERGER A. R. C. v. — Ueber Lias Epsilon. Stuttgart, 1896. 8°. WirranER E. — Vergleichende Untersu- chungen iber das chemische Verhal- ten aromatischer und fetter Diamine. Tibingen, 1884, 8°. Wisr A. — Theorie der Centrifugal- Re- gulatoren. Stuttgart, 1871. 8°. Zeca J. — Zur Methode der kleinsten Quadrate. Tiùbingen, 1857. 4°, ZeLLer E. — Ueber primire Tuberkulose der quergestreiften Muskeln. Tibin- gen, 1903. 8°. OPERE PERVENUTE iN DONO ALL’'ACCADEMIA presentate nella seduta del 1° aprile 1906. BeLL Dawson W. — Solar and Lunar Cycles Implied in the Prophetic Num- bers in the Book of Daniel. (From the « Transactions of the R. Soc. of Ca- nada » Second series, 1905-06, vol. XI. Sect. III). London, 1905. 8°. Boccarpi G. — Apparenza del pianeta Marte. (Mem. della C1. di Scienze della R. Accad. degli Zelanti. 3° serie, vol. IV.1905-06). Aci- reale, 1906. 8°. Durour G. et GautIER R. — Les ombres volantes. Observations. (Arch. des scien. phys. et nat. Cent onzième année. Tome XXI). Genève, 1906. 8°. FaLBo. — Interviste capitoline. I grandi servizi pubblici e l’Amministrazione comunale. (Com. « Pro Roma Marit- tima »). Roma, 1906, 89, GautiER R. (et autres). — L’éclipse totale du soleil du 30 aoùt 1905. Observa- tions de la Mission astronomique suisse à Santa Ponza. (Arch. des scien. phys. et nat. Cent dixième année. Tome XX). Genève, 1905. 89. Grassi G. — Corso di elettrotecnica, vol. II. (Grande bibliot. tecnica). Roma-Torino, 1906. 8°. Guipi C. — Sul calcolo delle sezioni in be- ton armato (dal « Cemento » n. 1, anno III, 1906. 8°. Guipi C. — Influenza della temperatura sulle costruzioni murarie. (Accad. delle scien- ze di Torino, 1905-1906). Torino, 1906. 8°. Hermite Ch. — Ocuvres publiées par E. Picard. Tome I. Paris, 1905. 8°. LAnGLEY S. P. — Experiments with the Langley Aerodrome (from the Smiths. Report for 1904). Washiugton, 1905. 8°. LeronarDI CattOLICA P. — Trattato di Idro- grafia. Libro di testo per la R. Acca- domia navale. Parte II. Fascicolo II. Rilievo sottomarino. Parte II. Fasci- colo IV. Disegno delle carte nautiche e sua riproduzione. Genova, 1905. 8°. Mrver M. — Die Nervositiit in der Armée. (Separatabd. aus « Der Militàrarzt » N°s 3 und 4 1906). Wien, 1906). 89. Ip. — Zur Behandlung der entzindlichen Erkrankungen der oberen Harnwege. (Sonderabd.aus: «Theraup. Monatssh. » 1906, Màrz) Berlin, 1906, 1906. 8°. Oris Hovey E. The Grande Soufrière of Guadeloupe. (Bull. ofthe American Geo- graphical Society. Sept. 1904). Russo A. — Prime ricerche dirette a de- terminare la permeabilità e la struttura istochimica della zona pellucida dei mammiferi. Nota preliminare. (Boll. del- l’Ace. Gioenia di scienze nat. in Ca- tania. Fasc. LXKXXVIII. Febb. 1906). SinicaGLIA F. — La surchauffe appliquée à la machine è vapeur d’eau. (Revue de Mécanique, 1905). Paris, 1906. 4°. SOoMMERFELDT E. — Geometrische Kristal lographie. Leipzig. 1906. 8°. Sorauer P. — Zeitschrift fir Pflanzen- krankheiten. Organ fiir die Gesamtinte- ressen des Pflauzenschutzes herausg. von D. F. Sorauer. XVI, B. I. H. Stutt- gart, 1906. 80. Tommasina T.— Sur un dispositif pour me- surer la radioactivité des végétaux. Ra- dioactivité de la lave de la dernière — 416 — éruption du Vésuve (1904). (Premier Congrès internat. pour l’étude de la Radiologie et de l’Ionisation. Liége). Bruxelles, 1906. 8°. Tommasina T. — Sur la théorie cinétique de l’electron qui doit servir de base è la théorie électronique des radiations. (Premier Congrès internat. pou rl’étude de la Radiologie etc. Liége). Bruxelles, 1906. 8°. Tommasina T. — Ueber die kinetische Theorie des Elektrons als Grundlage der Elektronentheorie der Strahlungen. (Sonderabd. aus der Physikalischen Zeit- schrift. 7. Jahrg. N. 2). Leipzig, 1905. 4°, Tommasina T. (et autres). — Etude de l’ef- fet Elster et Geitel: Radioactivité in- duite. (Premier Congrès intern. pour l’étude de la Radiologie etc. Liége). Bru- xelles, 1906, 8°. Toni G. B. (De). — Sull’origine degli er- barii. Nuovi appunti dai manoscritti aldrovandiani. Modena, 1906. 8°. Toni G. B. (Dr). — Una interessante sco- perta del modenese Giamb. Amici e dei suoi progressi. Discorso inaugurale letto nella R. Univ. di Modena. 4 nov. 1905. Modena, 1906. 8°. Verney L. — Sul bonificamento idraulico dell'Agro Romano. (Giorn. di Geologia pratica. Perugia, 1905). Roma, 1906. 8°. VioLa C. — Ueber bromsaures Silber. (Son- derabd. aus « Zeitschrift fiv Krystal- lographie usw. ». XLI Band. 5. Heft). Leipzig, 1906. 8°. DISSERTAZIONI ACCADEMICHE DELLA UNIVERSITÀ DI UTRECHT. UTRECHT. Busca P. W. C. M. — Over de localisatie van het glycoseen bij enkele darmpa- rasieten. Utrecht, 1905. 8°. DaLHUIsEN A. A. — Over eenige aantallen van kegelsneden, die aan acht voor- waarden voldoen. Utrecht, 1905. 8°. HoocEnHUYzE C. E. A. (v.). — Bijdrage tot de kennis van den dood door verbran- ding. Utrecht, 1904. 8°, HuBrecHT P. F. — Ueber Cerussitviellinge von Surdinien. Leipzig, 1904. 8°. MAANEN A. (v.) — De ocorzaack van den dood na het afbinden der Ureteren. Utrecht, 1905. 8°. Minkema H. F. — De gevoeligheid van het Menschelijk oor voor verschillende tonen der toonladder. Arnhem, s. a. 8°. MuLpER A. — Bijdrage tot de kennis der 24-dinitroanilinen. Utrecht, 1905. 8°. MuLLer F. — De wederzijdsche verhou- ding tusschen ei en uturus bij de knaag- dieren meer in het bijzonder bij sciurus vulgaris. Leiden, 1905. 8°. Turnzine E. C. — Over den invloed van halssympathicus op de accomodatie. Rotterdam, 1905. 8°. UBrEcHT P. F. — Ueber Cerussitviellinge von Sardinien. Leipzig, 1905. VaLEWINK G. C. A. — Over asymptotische ontwikkeligen. Haarlem, 1905. 8°. VrEESWIJK I. A. — Involuties op rationale krommen. Utrecht, 1905. 8°. Ne0G> Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 13 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 38 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Mot 1VsVVESVIESVEIN: Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — IL (1, 2). — II-XIX. MemoriE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII Serie 4* — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. i MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol, I-X. Serie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1906). Fasc. 7°. 1° sem. RENDICONTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fasc. 99-10, MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fase. 19-20. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIT. Fasc. 1°. CONDIZIONI DI ASSOCTA ZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. #0; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & €C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Aprile 1906. DNIDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° aprile 1906. MEMORIE KH NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Castelnuovo. Sulle serie algebriche di gruppi di punti appartenenti ad una curva alge- DLC : CEONII, asse Di Stefano. Sall'osistenta dell'Isoche. nella ora Saloritina (e 5 7) Marcolongo. Sugli integrali delle equazioni dell’elettrodinamica (pres. dal Socio Corvalti)” ” Lauricella. Sull'integrazione delle equazioni dell'equilibrio dei corpi elastici isotropi (pres. dall'Socio Vr OREEER seo Nielsen. Sur quelques propriétés tibuvell di Girickione ipliuani (a 1a) 0. vo Lebon. Théorie et Construction de Tables permettant de trouver rapidement les facteurs Pre- miers d'un nombre (pres. dal Socio Volterra) (*) . . 0... } Su) Blanc. Ricerche su un nuovo elemento presentante i caratteri iadtoa i di dono i dal Corrs pets 2/1) Peano ; PR I a a) Pochettino. Sul comportamento foto- ‘eletteito fol intracine i Ta) E SET Eredia. La pioggia a Roma (pres. dal Socio Millosevich) (*). . 0. e ey F. Millosevich. Appunti di mineralogia sarda. Bournonite del Sana (pres. dal Socio SURE) è “67 Levi e Voghera. Sopra la Monazione elettrolitica degli iposolfiti i dal Ci vi » Venditori. Sulla riduzione del Ferricianuro di potassio (pres. dal Socio Cannizzaro) . . » Longo. Ricerche sul Fico e sul Caprifico (pres. dal Socio Pirotta) . . . ROIO) Pantanelli. Influenza dei colloidi su la secrezione e l’azione dell’ invertasi (ore Ie Kuiper. Sul meccanismo respiratorio dei pesci ossei (pres. dal Socio Zucdazi) . . . . » Giacomini. Sulle capsule surrenali e sul CI dei RUI Ricerche in CE an- nectens (pres. dal Socio Amery)) . +... . . «TR MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Zambiasi. Verifica dei Coristi novinali dell'Ufficio centrale italiano pel Corista uniforme (pres. dal'Socio Blaserga)bon 0. i OO A Go RELAZIONI DI COMMISSIONI Striver (relatore) e Balbiano. Relazione sulla Memoria del dott. Zambonini, intitolata: « Ulte- TIOLI.TICELCHE SULIBEZEONIti 19; PRE SO E I AS O PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Commemorazione del Socio straniero S. P. Langley . ... +. » PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Corri- spondenti Grassì G., Leonardi Cattolica, del Socio straniero Langley, il 1°-vol. delle Opere di C. Hermite, e il 38° fascicolo dei «Risultati delle campagne scientifiche » del Prin- cipe di Monaco . . . MS 0 iano i iP AMARE A e Blaserna (Presidente). Fa omaggio di una pubblicazione del Corrispondente Viola. . . » CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti... » BULLETPINO BIBLIOGRARICON: 7A AE ON SI ENO SR (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. K. Mancini Segretario d'ufficio, respousabile. 398 LIS _ | Pubblicazione bimensile. Itoma 22 aprile 1906. N. 8. ir -—T# AT BE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCOCIII. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 22 «aprile 1906. Volume XV.° — Fascicolo 23° 1° SEMESTRE. SOG SEO. Q, BEEN A: ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1906 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli dello Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti ‘o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è date. ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. n° Seduta del 22 aprile 1906. F. D'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Condizioni di esistenza degli integrali nelle equazioni a derivate parziali. Nota del Corrispondente CESARE ARZELÀ. 1. Per un'equazione differenziale dy dove 4 e y sono variabili reali in un certo campo, è dimostrato che, pre- supposta la continuità della /(z,y), o anche solo la integrabilità in # e la continuità in y, preso ivi a piacere un punto (Yo), sempre esiste al- meno una funzione continua y=y(z) che per x =%, assume il valore y="% e soddisfa, per un certo intervallo, all’equazione differenziale. Se si aggiunge la condizione di Cauchy, o quella di Lipschitz, quella funzione è unica. Se poi /(x,y) è funzione analitica delle 2 e y variabili complesse, allora un procedimento ben noto, fondato sul cosidetto Calcolo dei limiti di Cauchy, assicura l’esistenza di una funzione analitica y(x) della # che in L= o diviene y(z0)=%, e soddisfa all’equazione differenziale. Per un'equazione a derivate parziali DM, 8,9)5 l’esistenza dell’integrale è stabilita nell'ipotesi che il secondo membro sia funzione analitica degli argomenti x, y,,9, con dimostrazione pure fondata RENDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 53 TZ Di, pi | D) In Ù NO (EZI — 413 — sul Calcolo dei limiti: ma, come nota E. von Weber ('), un teorema ge- nerale di esistenza, nel dominio delle quantità reali, analogo a quello ri- cordato qui a principio, ancora non è stato dato. In una Nota Sull'esistenza degli integrali ecc. (Memorie dell’Accademia delle scienze di Bologna, 1896), come anche nell’altra 1895 Sull'integra- bilità delle equazioni differenziali ordinarie, dimostravo per queste l’esi- stenza della soluzione servendomi del teorema generale relativo alla condi sione per l’esistenza di una funzione limite continua per una successione di funzioni qualunque, comprese tra limiti finiti; e annunciavo che, se- guendo via analoga, mi ripromettevo di pervenire a un analogo teorema di esistenza degli integrali nelle equazioni a derivate parziali. Ma la cosa non mi riuscì, e così, anche più tardi dovetti pur rimandare la pubblicazione della Memoria relativa, annunciata nei Rendiconti del 1903 dell’Accademia di Bologna. Ora giudico di avere ottenuto in modo semplice mediante opportuna costruzione di una successione di funzioni discontinue, la dimostrazione di che si tratta, e nella Memoria, di cui gui si espone il sunto, precisamente stabilisco che: Presupposta nella funzione f(2,y,8,q) la sola continuità rispetto alle variabili in un certo dominio, data ad arbitrio una funzione go(y) della y continua essa e la sua derivata gg) in un certo intervallo e con rap- Py + 4) — PLY) porto incrementale n sempre compreso tra —L e L, L finito, l'equazione ammette sempre una, o infinite soluzioni, s= (a ,y) finite e continue dt 7 ; 3 O SSR insieme con le rispettive derivate sea in un certo campo, e che per e=% Sì riducono e(x0,Y)= Pay). Questo lavoro è da riguardarsi come un’applicazione del teorema gene- rale relativo alla convergenza verso funzioni limiti continue, di una succes- sione, o di una varietà di funzioni discontinue solo supposte comprese tra limiti finiti. Darò in altra Nota condizioni semplici per la unicità della soluzione. 2. Ecco i teoremi sui quali si fonda la dimostrazione. 1°. Data una varietà G di funzioni, delle quali è solamente presup- posto che siano tutte contenute tra limiti finiti, la condizione necessaria (1) Encyklopedie der mathematischen Wissenschaften ece. TI Band, Heft 2, 3. — 419 — e sufficiente affinchè essa ammetta una 0 più, o anche infinite funzioni limiti egualmente continue, è, che si possa assegnare una successione di numeri 0,,92).> positivi, decrescenti indefinitamente, e insieme anche un’altra successione di numeri pure positivi. Aa tali che nella varietà G si trovino infinite sotto-varietà, che indicheremo con G(0,)..G(0%),.... ognuna di infinite funzioni e contenuta in quella che la precede, ‘equal- mente oscillanti, rispettivamente per meno di i Cuioni i în ogni cerchio, di raggio d, ) d, CIC) rispettivamente. 2°. Se la varietà G si riduce a una successione ordinata w(£,Y) (1,4)... la condizione sarà verificata se per ogni o, esiste un intero m e un nu- mero positivo d tale che in ogni area di massima corda d, oscillino per meno di a tutte le Une CO) Um ; VELE 3°. Se le successioni Ui(&U) Ud, Y) VCO) convergono rispettivamente in egual grado alle funzioni continue u(x,y) e v(x,y) e în ogni cerchio comunque piccolo e per ogni intero m, si trova sempre per qualche indice n > m un punto (x,y) nel quale è Un(£ ’ Y) = DAL 9 Y)., sarà în ogni punto del campo uc,y)=%,7). 3. È data l'equazione a derivate parziali ovvero p=flasy,4:9)0 — 420 — La /(2,y,8,9) è supposta funzione continua nelle variabili x, y,,% nel dominio limitato dalle disuguaglianze Ina" = XK Me y= Vo —ZL 28 = Zo —Q=gq= do È data la X=%%,,8= @o(y) continua essa e la sua derivata prima g'(y) nell’ intervallo 6 con |LPUTA 9 7 , sempre minore di L, per ogni ye y+ A ivi. Deve essere ancora —M< 9l(y) P1(4) PAY)» continue esse e le rispettive derivate Po(Y) > Po(Y) > PAY) è» nell’intervallo yo... Yo e i cui rapporti incrementali Ps (Y SPO) 9s(Y) h siano pur sempre compresi tra —L e L. Le PAY) P1(Y) PAY) siano tutte comprese tra — M, e M, essendo M=eM<4%; le Pi(Y) PLY) PAY) 3» comprese tra — M; e Mj con M'= M PAY + (21 — 20) PM) è PAY + (21 — 20) PM + (2-21) PAY) che indicheremo con Pay) Vi(4) We(4), ... Queste saranno contenute dentro i limiti —Z, e Z e le rispettive de- rivate dentro i limiti —Qo e Qo, se si prenderà XX — 2 al più eguale al minore dei due numeri SEGUE Zi—-M Q — M' Zo ; Qo I rapporti incrementali delle +(y) saranno sempre compresi tra — LL +Xo— 4%) e L(1+-X0— 2%), dove XX — , ha il valore ora detto, e con ciò le w(y) saranno tutte esual- mente continue. Mediante rette 4 = ey A CITI I JI Y0,Y1, Ya, ++ Ri(2,4:40; qualunque sia il punto Po= (0 ,Y0,%0) = (0) di 0, saranno nulle in tutti i punti (2,7,2) di S. Avremo quindi: lim P.(2,9,5)v = lim Q:(4,7,5), = lim R(2,y,2)0=0; 10 — Po) P=Po P=Po e, in virtù dell'ultimo risultato al $ precedente, lim P(2,y,2)) = lim Q;(2,7,))=lim Ri(2,7, 4) =0. p'=po p'=ps P'=po (1) Vedi loc. cit, $ 2, n. 10; $ 6, n. 16. — 432 — Queste espressioni rappresentano, a meno del segno, le funzioni X5, Y5,Zo, corrispondenti agli integrali (13) delle equazioni (1), considerati come fun- zioni dei punti (2,7,4) del campo indefinito S'; per cui risulterà, in forza del secondo risultato al $ 1, (in tutto S') ®:(X,y,2)=D(2,4,0)=X(%,y,2)=0. D'altra parte si ha dalle (8): 0= lim D(7,yY,°)=— Pi(%,Îo) +7 f 1X%(2,43 00,89) pi(a,P)4 --{do, p'==Po i 2) . b) sicchè, tenendo conto delle (12), risulterà, come si voleva dimostrare, p(a,})=y(a,P)=y(e,B)=0. 5. Dimostrata così l'esistenza delle funzioni g(a,8),w(e,f),x(@, 8), che soddisfanno alle equazioni funzionali (11), si considerino le funzioni dei punti p=" (4 ,y,2) del campo S: Uty:)=35 [xk g(e, 8) + Ys Wa, 8) +2 xe, 9) do, LEG) è) Esse soddisfanno alle equazioni (1) e ci dànno, in forza delle (8) e delle (11), lim (2,7,2)= (0 8)+t f }Xo(e, ; @0, Bo) 9(a, BP) + {do =u(c0, Bo), P=Po lim 0(2,yY,4)=%v(00,P) , limu(e,y,4)=w(% Bo). p=Po p=po Adunque Ze funzioni u(x,Yy,8) , 0(£,Y,8) ,w(0,yY,%) dei punti di S, per k> 3) soddisfanno alle equazioni (1) e nei punti di 0 prendono i valori arbitrariamente dati ua, B),v(a,B), v(a, f). — 433 — Matematica. — A/cerche sulle funzioni derivate. Nota di Beppo Levi, presentata dal Socio C. SrGRE. Il sig. Lebesgue ha indicato a più riprese come la nozione dell’inte- grale generalizzato introdotta da lui, rendendo possibile l'integrazione di funzioni derivate che non lo sarebbero colla definizione del Riemann rende altresì possibile la risoluzione del problema delle funzioni primitive con generalità molto maggiore che precedentemente. Il Lebesgue ha dato precisamente i due enunciati seguenti: a) Condizione necessaria e sufficiente perchè l'integrale della derivata (limitata o non) di una funzione derivabile esista, è che la funzione sia a variazione limitata. In tal caso la funzione è un integrale indefinito della sua derivata (!). b) Condizione necessaria e sufficiente perchè esista l'integrale di uno dei numeri derivati d'una funzione (supposto finito) è che la funzione sia a variazione limitata. In tal caso l'integrale indefinito di quel numero derivato è la funzione primitiva (?). I due enunciati sono appena differenti in ciò che nel secondo non sì suppone la derivabilità della funzione primitiva, ma si aggiunge una con- dizione nelle parole « supposto finito » che può esser dubbio se chieda o non la limitazione del numero derivato considerato. La costante differenza che il Lebesgue fa tra le parole « limitato » e « finito » (3) stabilirebbe fra i due enunciati la massima affinità: cionondimeno nella dimostrazione della seconda proposizione l'ipotesi della limitazione del numero derivato è es- senziale. Ma quanto massimamente importa qui di rilevare è che entrambe le dimostrazioni, quantunque fondate su principî diversi, sono in più punti manchevoli. i In questa prima Nota io mi propongo di portare a tali proposizioni una analisi più accurata, nell'indirizzo medesimo del Lebesgue: in Note succes- sive, collo stesso titolo, darò, spero, qualche nuovo contributo allo studio delle proprietà delle funzioni derivate. 1. I numeri derivati — superiori 0 inferiori, a destra 0 a sinistra — (1) Lebesgue, Intégrale, ongueur, aire, Annali di Mat. (3), 7, pag. 265, n. 30. (?) Lebesgue, Zecons sur l'intégration ete., Paris, Gauthier-Villars, 1904, pp. 122-3. Cfr. pure Ann. di Mat., loc. cit., pp. 272-274. (*) Per cui una funzione puù esser finita per ogni valore della variabile, ma non li- mitata in quando, per convenienti valori della variabile assuma valori grandi a piacere. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 55 — 434 — di una funzione continua f(x) costituiscono una funzione di 2° classe del Baire; quindi una funzione misurabile ('). Sia infatti #,% s Az... una successione di numeri positivi decrescenti tale che lim R;= 0. Si chiami v, la funzione che, per ogni valore di 7 e uguale al mas- simo di 7[/(2),2,e#+A]() per 4= A, e peril valore fissato di x ; uz la funzione che, per ogni valore di 7, è uguale al massimo di 7[/(), 2, t+Ah]per h=>lh= ha; ...; ; la funzione che, per ogni 7, è uguale al mas- simo di 7[/(@),a,2+ 4] per hi, > h= hi. Ogni funzione v; è continua : sia infatti u(a.)=r[f(21), 2a, di + RK]. ue) = 7[/(02) ce, +48] (Ne 4° compresi fra 4,-, e /;) e sia, per es. vi(21) > ui(c0): sarà 7[/(22), za +] =r[f(%2), 22,0: +-h"]=ui(,); quindi 0 = (71) — vi(0) = ua.) — 7 [/(2), ca, #2 + #]. Ma 7[f(2), a, + 4] (per W' costante) è funzione continua di #; quindi esiste un g' tale che, tosto che |a, — 22| = o’, l ul- timo membro è piccolo a piacere (minore di un # assegnato); cosicchè, per ogni # tale che w(a) = uc) |a € =", si ha |u(2) — (2) wu(1), da £ =", si ha |u(z.) — ui(e)|>&. Basterà aliora che |z,— z| sia minore del minimo fra o' e o” perchè sia in ogni caso |w;(z,) — (2)|< e: onde la continuità di w;(@). La funzione %(x) costituita dai numeri derivati superiori a destra di f(&) assume, per ogni x, il valor limite per hh =0 (cioè per #= 00) del limite superiore delle v;(7) per 7 =. Essa può quindi definirsi come segue (5): Si chiami v() la funzione che, per ogni «, è uguale al massimo valore delle un un+1 « va+i-15 la funzione 0 (4) è crescente (o almeno non decrescente) con i: si ponga w®(z)=lim w"(x); la funzione w® (2) è 090 decrescente col tendere di % ad co, ed il suo limite è u(#); ora si vede (!) Cfr. Lebesgue, Zecons, pag. 121. Ann. di Mat., pag. 278. Le due dimostrazioni sono entrambe erronee, poichè in sostanza si ammette in entrambe (nella seconda in modo esplicito) che la funzione costituita dai numeri derivati si possa definire come la funzione dei limiti superiori od inferiori di r[/(2), 2,2 *= h] ove ad A si fa assumere una suc- cessione discreta di valori tendenti a 0, gli stessi per ogni 2. h)— f(e ©) Ore e[/(0),e,0+M= {e tD210). (8) Il procedimento qui indicato non differisce sostanzialmente da quello esposto dal Lebesgue nelle prime linee della pag. 121 delle Zecons. Nella forma precisa adottata dal Lebesgue il procedimento però non è esatto. — 435 — facilmente che le © sono continue, come le w;, le w (4) sono dunque funzioni di 1° classe del Baire (') e quindi «(x) è funzione di 2* classe. Analogamente si ragiona per le altre funzioni di numeri derivati. 2. Ciò posto, si può dimostrare che, se la funzione u(a) dei numeri derivati superiori a destra (e lo stesso sarebbe per ogni altra funzione di numeri derivati) della funzione f(@) è limitata (*) (nel qual caso, a causa della sua misurabilità, è certo integrabile (°)) in un intervallo a... db, l'inte- grale di essa esteso a questo intervallo è uguale all'incremento della f(x) in esso. Sia infatti, per ogni z in a...b, L= w(x) =; si può sempre supporre che L e / siano entrambi positivi, poichè nella contraria ipotesi, basterà considerare, in luogo della /(<), (2) + mx la cui derivata superiore a destra è u(x) + m ed è quindi costantemente positiva ove si scelga m sufficiente- mente grande. Si divida l'intervallo L.../ in intervalli parziali di ampiezza = mediante i numeri /;(//=,0 (#) = la. Esso potrà rinchiudersi in un aggre- gato numerabile A, di segmenti, uno generico dei quali indicheremo con Anp, e si potrà fare in modo che la misura totale di A, differisca dalla misura di e, per meno di un 7, arbitrariamente assegnato: cosicchè dette m(en) e M(A,) le misure di e, e di A, 0 nm(B,) —e(0—@a)=f(0)—/(a)=Y Inm(B,)+e(b—a). D'altra parte si ha 0=m(A,) — m(B,) = > [m(A,) — m(B,)]= > m(A,) — > m(Ba) n > m(By) =—bT—-a= > m(en) onde Ù i m(An) — m(Bn) “ DI m(An) — > m(cn)i=% D Mn e infine 0= Inm(An) — > Inm(Ba) =D ln[m(A,) — m(Ba)] 5, M(en) = > Ue x Un ; n n» n onde infine ancora > Ln Men) — > in in(Bi)= D ln MA) — » a m(By)} — LL VS) e IL È n sun SE (4 mA n) ra DI Da m(en))| Inm(Bn) — [f(0) — f(a)]|+ ih). Si faccia ora tendere e a 0, e di conseguenza crescere 7 indefinitamente ; sì avrà, al limite, fide=/M-/. 3. Il ragionamento si può ripetere per le altre funzioni di numeri de- rivati. D'altronde se (x) si chiama la funzione dei numeri derivati infe- riori a destra di /(2), — (x) è la funzione dei numeri derivati superiori a destra di — /(z), cosicchè, applicando senz'altro alla — /(#) la prece- dente proposizione, fusa -/0M+/0 ossia fui= (6) =/0-{@ onde ) Ji [u(a) — Ua)]da=0. Siccome la funzione (7) — (x) non è mai negativa, segue tosto che essa è ovunque nulla, tolto al più un aggregato di punti di misura nulla (*). Applicando ancora il teorema alla funzione — /(— 2) che ha per numeri derivati a destra i numeri derivati a sinistra di /(7) si riconosce infine che ha misura nulla l’aggregato dei punti in cui sono diversi i numeri derivati a destra e a sinistra (?) di /(), onde si conclude che: La funzione continua f(x) a numeri derivati limitati nell'intervallo a...b ha derivata în ‘ogni punto dell'intervallo, fatta al più eccezione per un aggregato di misura nulla (8). 4. Si può però affermare di più, e con grande semplicità di mezzi, che l’aggregato dei punti in cui, esistendo derivata così a destra come a si- nistra le due derivate sono però diverse, è numerabile. Si consideri infatti (1) Cfr. Lebesgue, Zecons, pag. 123. L'osservazione che (2) — (0) => 0 è d'altronde superflua per questa conclusione come mostrò il Vitali, Sulle funzioni ad integrale nullo (Rend. del Circ. mat. di Palermo, XX-1905). (?) Qui occorre precisamente ricorrere alla proposizione del Vitali, ora citata. (3) Cfr. Lebesgue, Zecons, pp. 123-125, dove però la dimostrazione è assai più la- boriosa. — 438 — la funzione g(e; m) = /(2) + mx; ogni punto in cui esistono ma son diverse le derivate a destra e a sinistra di /() gode della stessa proprietà rispetto a g(2;m). Orbene i punti in cui queste due derivate di g(4;7m) sono di segno contrario sono per g(2 ; 7) punti di massimo o di minimo proprio: questi punti formano quindi un aggregato numerabile (!). Si considerino allora le funzioni g(7;%), 9(2;2),... per una serie di valori di w tali che Imi: — mi+,| =; in ogni punto in cui le due derivate (a destra e a sinistra) differiscono per più di #£, una almeno di queste funzioni avrà le sue derivate di segno contrario; questi punti formano adunque un aggregato numerabile. Attribuendo allora a e una successione di valori «, «» ... tale che lim E ==10} sì ottiene infine la proposizione enunciata. E 5. Conseguenza immediata della proposizione del n. 2 è che l'inlegrale indefinito d'una funzione limitata misurabile ha in ogni punto, ad eccezione di quelli di un aggregato di misura nulla, derivata limitata ed uguale alla funzione integrando (*). Sia infatti g(z) la funzione che si integra, e sia, per ogni x in un intervallo 4 .. è M= g(x)= N; si ponga f() = [sy da. (a =21=0)f Si ha a+ =] f gle) de x onde Ma=r[f(e), a, x +4] =N. I numeri derivati di /() sono dunque limitati; sia u(x) una qualunque funzione dei numeri derivati di /(z): pel teorema del n. 2 si ha quindi [(a) = {© dei (a ==) Segue che ; Sist od=0 onde, pel citato teorema del Vitali, le due funzioni (x) ed (x) possono differire fra loro solo pei valori di 4 appartenenti a un aggregato di mi- sura nulla. (1) Schoenflies, Bericht ber Mengenlehre (Jahresbericht d. D. Math.-Vereinigung 8-1900, pp. 157-158. (3) In una Nota seguente dimostreremo che in questa proposizione è superflua la condizione che la funzione integrando sia limitata: si può anzi supporre che questa fun- zione possa anche assumere valori infiniti, purchè sia integrabile. Il Lebesgue, Zecons, pag. 124) afferma già questa proposizione in questa sua forma generalissima; ma la di- mostrazione ch'egli ne dà non pare attendibile; quando infatti si ammette che la funzione integrando sia illimitata, il ragionamento della pag. 124 citata ammette implicitamente che una certa serie si possa derivare termine a termine del che manca la prova. 439 — Matematica. — TAéorie et construction de tables permettant de trouver rapidement les facteurs premiers d'un nombre. Nota di Ernest LEBON, presentata dal Socio V. VOLTERRA. En m'appuyant sur des propriétés non encore signalées de certaines progressions arithmétiques, je suis arrivé à construire des tables donnant très rapidement la solution du double problème suivant : Un nombre étant donné, reconnaître s'il est premier ou compost, et, dans le second cas, trouver ses facteurs premiers. Le procédé que j'emploie est applicable è de grands nombres. Mon Mémoire sur ce sujet a été signalé è l’Académie des Sciences de Paris, dans la séance du 3 juillet 1905 ('). 1. Soient B le produit &8...Z de nombres premiers consécutifs @,f,...,4, à partir de 2; P le produit (e —1)(£ —1)...(4—1); I l'un quelconque des P nombres premiers à B et inférieurs è B; K un nombre successivement égal aux entiers positifs, è partir de 0. On reconnaît aisément que: Chacun des systèmes des P_progressions artthinétiques de terme général BK +1 renferme tous les nombres pre- miers autres que ceux qui forment B. On peut dire que B est la dase du système considéré et que I est l’indicateur d'un terme de ce système. Deux indicateurs sont dits complémentaires lorsque leur somme est égale à la base. 2. Soient N, D et M des nombres d'un système de progressions de base B. Pour éviter l’ambigiité dans les explications, j'écrirai ainsi: BK'+1I' la forme du diviseur D. Il est évident que Ze nombre N est ou non divisible par le diviseur D selon que K et M sont ou non tels que l’équation (a) BEL I=MD sott satisfaite, B,I et D étant connus. 8. Soient % et m les valeurs minima de K et M satisfaisant è l'équa- tion (a) et n un nombre successivement égal aux entiers positifs, è partir de 0. L'égalité K=%+4nD (') Comptes Rendus, Tome CXLI, n. 1, Paris, 1905, in 4°, pag. 78. — 440 — donne la valeur de K à laquelle correspondent tous les nombres N divisibles par le diviseur D. De cette égalité, on tire la formule K k 1 . — anti ( ) n D , où K est le quotient entier obtenu en divisant N par B; le reste de cette division est la valeur de I. On voit que: Selon que la valeur trouvée pour n, en appliquant la formule (1), est entière ou fractionnaire, le nombre N est ou non multiple du diviseur D. Done la Table des nombres k établie pour un système de base B permet de reconnaître si N est premier, en divisant K par les nombres premiers inferieurs à VIN, è partir de 2, et, si N n'est pas premier, de trouver ses facteurs premiers. On congoit que cette méthode est d'autant plus expéditive que la base B est plus grande. Avant d'appliquer la formule (1), il ne faut pas oublier que, si l'on considère un nombre N', on doit d'abord, pour avoir N, eniever de N' les facteurs premiers de la base B. 4. J'appellerai caractéristigues les nombres %. 5. Pour trouver méthodiquement et rapidement les caractéristiques % qui correspondent aux P progressions arithmétiques d'un système de base B, on peut se servir de la formule suivante, obtenue après avoir remplacé, dans l'équation (a), K et M par % et m, D par sa forme: (2) ka Pei + Km. La formule (2) donne la caractéristique / quand la valeur de m est telle que le binòme I'm — I soit divisible par B. 6. Les trois théorèmes suivants, faciles à démontrer, permettent de réduire notablement les opérations pour le calcul des caractéristiques %. I. Au produit I'm des deux indicateurs I et m correspondent un indicateur I et une caractéristique k; cette caractéristique k convient aua deux diviseurs I et m du nombre I'm de la progression arithmétique de base B et d’indicateur I donné par ce produit. I. Zes P_progressions arithmétiques d'un systòome de base B étant rangées dans l'ordre croissant des indicateurs I de leurs termes, la somme des deuc caractéristiques k et celle des deua valeurs de m, relatives à — 44l — un méme diviseur D ei àù deux progressions équidistantes des extrémes, sont respectivement égales à D—1 et à B. III. St les valeurs de I, de ki, de l' et de m sont telles que l’égalité Bh+I=1Im existe, et si l’on considère l'équation Bksa1+(B—1)=(B-I)m, où les deux indicateurs B—1 et B—I' sont complémentaires des deux indicateurs I et I de l’égalité précédente, la caractéristique inconnue liner est donnée par la formule (GR) -—1—-%. 7. D'après les théorèmes II et III, il suffit, pour calculer le binòme l'mn—1I, d'associer è la première moitié des P valeurs de I° la première moitié des P valeurs de m, rangées dans l'ordre croissant. Le reste obtenu en divisant I'm par B est l’indicateur I relatif è une progression du système de base B. Quand K' est nul, le premier terme de la formule (2) donne, dans chacune des P progressions du système de base B, les P caractéristiques / correspondant aux P valeurs de T'. D'après le théorème I, comme les caractéristiques # correspondant è l’indicateur I sont les mémes quand D égale soit I°, soit m, il suffit de commencer les produits I'm è partir de la valeur de m égale à la valeur considérée de I°, c'est-à-dire au carré de I". On sait que l’on applique le premier terme de la formule (2) seulement aux valeurs de m qui égalent les È premiers indicateurs. D'ailleurs, aux produits de 1 par les indicateurs correspondent des caractéristiques % évidemment égales è 0. Par suite, parmi les P* caractéristiques X relatives aux P diviseurs qui égalent les indica- P(P—2) 8 exige une multiplication et une division. S. La Table de caractéristiques £ relatives à la hase 30030, avec les diviseurs premiers de 17 à 30029 permet de résoudre le problème en ques- tion entre 1 et 30030? ou 901800900, c’est-à-dire pour des nombres beau- coup plus grands que le nombre 8999999 auquel s'arrétent les Tables im- primées de facteurs premiers des nombres. Elle a de plus l’avantage de donner souvent plus d'un des facteurs premiers du nombre considéré, sans obliger à faire des divisions. Soit N un nombre de la forme 30030K +1I. Pour faire les essais, on sarrétera au diviseur premier D, immédiatement inférieur è y/N. RenpiconTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. — 56 teurs, il y a au plus caractéristiques X dont la détermination — 442 — Si l'on ne trouve aucune différence K — % divisible par les diviseurs premiers de 17 è D,, N est premier. Si l'on arrive à une différence K — % divisible par le diviseur premier D, inférieur à D,, N admet ce diviseur premier D. On divise N par D, le quotient obtenu par D, ete. Soit N, le dernier quotient ainsi obtenu: on opère avec N, comme on vient d'opérer avec N, en commengant par le diviseur premier qui suit D et on trouve que N, égale le produit de ca- ractéristiques ou que N, est premier. On reconnaît si une difference K —% est divisible par le diviseur D correspondant le plus souvent sans effecteur la division par D de cette dif- férence. Pour reconnaître /nstantanément si une différence K —% est divisible par le diviseur D correspondant, il suffit d’avoir, en méme temps que la Table des caractéristiques relatives à la base 30030 jusqu'au diviseur 30029, une Table des restes R obtenus en divisant par les diviseurs D les nombres entiers consécutifs de 17 à 30029: en effet, une difference K — X est divi- sible par le diviseur D correspondant, lorsque les valeurs de R et de % qui correspondent è ce diviseur sont égales. La nouvelle Table occuperait une surface au moins 10 fois plus petite que celle qui serait occupée par les Tables qui existent et celles que l'on construirait jusqu'à 901800900, en adoptant l’ancienne disposition. Fisica. — Influenza degli orli sulla capacità elettrostatica di un condensatore ('). Nota del dott. R. MAGINI, presentata dal Corrispondente A. BATTELLI. 1. Nelle precedenti Note su questo stesso argomento ho esaminato le formole principali da usarsi per la correzione della capacità dipendentemente dalla perturbazione provocata dall'orlo nella distribuzione elettrica di un con- densatore. In questa mi propongo di sviluppare un artificio, già indicato nel principio del presente lavoro, che potrà permettere di isolare e di mettere in maggiore evidenza l'influenza dell’orlo, specialmente nel caso in cui venga usato l'anello di guardia, che riduce quell'influenza così notevolmente da farla quasi scomparire di fronte alla capacità del condensatore e da impedire una verifica diretta e rigorosa. D'altra parte, mi sono anche proposto di darne una conferma sperimentale, e di fare un esame sommario delle formole studiate sin qui per tre soli valori della distanza, per vedere se esse sono delle semplici astrazioni o seppure trovano una qualche rispondenza sperimentale. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica della R. Università di Pisa. — 443 — 92. A tal fine ho usato due condensatori, uno circolare, l'altro ellittico, con o senza anelli di guardia, e d'area pressochè equivalente. Il metodo seguito per le misure è puramente elettrostatico, limitandosi esso a determinare successivamente, mediante un elettrometro di Thomson- Mascart, la forza elettromotrice di quattro accumulatori ed i potenziali rispet- tivamente assunti da ciascun condensatore con e senza anello, quando si sta- biliva la comunicazione tra la batteria ed un condensatore e poi tra questo e l'elettrometro. Per evitare la dispersione è stato preferito tener conto della deviazione impulsiva dell'ago anzichè della definitiva, che si manteneva molto sensibil- mente metà della prima, purchè venisse ridotto d'assai il sistema di smorza- mento. I condensatori furono ritagliati da una lastra di zinco tornita su ambe le faccie, e di cm. 0,5 di spessore; quello circolare fu ritagliato al tornio, quello ellittico con seghe da traforo, meglio che fu possibile. Gli anelli di guardia avevano lo stesso spessore ed una larghezza di cm. 9,2 per il circolare, e di cm. 8,5 per quello ellittico. Lo spazio d'aria (taglio) fra ciascun conden- satore e ciascun anello fu, a montatura eseguita, sensibilmente di cm. 0,1. La parte centrale del condensatore (collettore) fu fissata ad una robusta asta di vetro mediante una ghiera ingessata; l'asta di vetro era poi tenuta su- periormente da un sostegno e poteva essere alzata ed abbassata per mezzo di una grossa vite micrometrica di cm. 0,1 di passo e con la testa divisa in 200 parti. L'anello era sostenuto da cordoncini di seta raccomandati a varie viti e veniva, volta per volta, assai facilmente posto ad egual distanza dal col- lettore; e mediante un catetometro si procurava che le faccie inferiori del- l'anello e del collettore fossero nello stesso piano ed inoltre parallele perfet- tamente alla faccia superiore del grande piatto legato alla terra, nonchè alla distanza desiderata da quest’ultimo. L'ago dell’ elettrometro era portato ad un determinato potenziale me- diante una batteria di 200 piccoli accumulatori Planté ben isolati; una coppia di quadranti era tenuta isolata e l’altra coppia in buona communicazione col suolo, col quale comunicava anche un polo della batteria suddetta. La di- stanza fra la scala e lo specchietto era di m. 1,15. Le comunicazioni fra le varie parti furono fatte per mezzo di adatti e rapidi commutatori e di fili sottili di rame, fasciati ed isolati con ogni cura. Stabilita la comunicazione fra i quattro accumulatori e la coppia di quadranti isolati, veniva letta la deviazione impulsiva dell'ago; poi, la coppia stessa era posta in comunicazione col suolo e, ritornato a zero l'ago, veniva stabilita quella tra gli accumulatori ed il condensatore (e l'anello, se ne era munito), ed immediatamente dopo, l’altra fra il condensatore e l’elettrometro, mentre l'anello veniva posto al suolo. i — 444 — 3. Nel $ 8 della I* Nota ho mostrato che se le formole delle striscie addizionali rappresentano con sufficiente precisione la influenza dell’orlo sulla capacità di un condensatore e che se esse sono effettivamente applicabili ad un contorno qualunque per il quale il raggio di curvatura in ogni punto sia abbastanza grande, presi due condensatori equivalenti in superficie e di cui l'uno l'abbia contorno circolare e l’altro ellittico, deve rimanere verificata, qualunque sia la distanza d, la relazione: (1) dì il n (F)-3 Ge e) "i vie * ni fear dove A è la grandezza dell'asse maggiore del contorno ellittico; e, l'eccen- tricità; X#, la capacità dell’elettrometro e dei fili di congiunzione con ciascuno dei condensatori; 4, 4,, 4, sono le deviazioni direttamente osservate al- l’elettrometro quando è posto in comunicazione con la sorgente di carica, e con essa e con l'uno o l'altro dei due condensatori; 4, la larghezza della striscia addizionale di cui si vuole la verifica. In altre parole, se le formole 4 vanno bene, il valore di % ricavato dalla (1) deve essere costante con la distanza, purchè questa non sia troppo grande; esso poi ci darà, nel caso che sia costante solo in parte, per quali valori di 4 quelle formole sieno effettivamente applicabili. 4. De dimensioni dei condensatori erano: per il condensatore circolare: raggio R= cm. 15,296; grossezza 2= cm. 0,5; per il condensatore ellittico : semiassi: A = cm. 21,66; B= cm. 10,83; spess. 9= cm. 0,5. I due condensatori non erano rigorosamente equivalenti; infatti: R° — cm? 28350070) .. - diffi 20.6 E e ne oso (e uerenza (cms /0,0102: per cui, chiamando e la differenza di capacità dovuta soltanto alla non per- fetta equivalenza delle superficie, sarà subito per i vari valori di d, _0,6102 4d Di essa si dovrà tenere conto per il calcolo di %. Sostituendo nella (1) i valori numerici, e notando che AV ba e=i ; Ser esa V2 — 445 — s1 ha per il primo membro, approssimativamente: 5 512 DE15 , 0,097594683 = LODE, La somma dei termini della serie è stata arrestata al 4° termine, perchè il 5° è già eguale a 1,2297 x 107°. Ora, l’espressione (1) risulta dal calcolo di C, — Cc, dove C, e C, sono le capacità corrette dei due condensatori nell'ipotesi che le aree dei dischi sieno esattamente equivalenti; quindi, per allontanarsi il meno possibile dalla realtà, occorre aggiungere e al 1° membro della (1), ed occorrerebbe anche tener conto per il contorno di un’altra correzione derivante dal fatto che 2rrR e 27rj/AB non sono rigorosamente eguali, come invece suppone il calcolo della (1). Trascurando però quest'ultima come assai piccola, si ha la relazione: 0,6102 . 1,05451 4 4, mita A— AMM) Riporto qui appresso nella tabella I-II le deviazioni 4,4,,4, relative 0 0 o . . . 4 4 1 ‘ » n ’ "t et —_ , al due condensatori e i valori dei rapporti ; e i TABELLA I. TABELLA II. Condensatore ellittico Condensatore circolare di 4 4 Le Medi d 4 4 ne Media e ne Da Medla e 4 Hi ' 180,3 71938 MET9:033 | 1748 166,0 | 18,864 em. 0,1 180,4 171,3 | 18,822| 18,955 ||cm. 0,1 174,6 165,8 18,840 | 18,825 180,1 Ilzicit 19,011 174,0 165,2 | 18,772 176,2 159,5 9,550 149,7 135,4 | 9,468 cem. 0,2 176,0 159,2 9,595 9,519 cm. 0,2) 149,5 195,2 9,454 | 9,445 175,9 159,1 |. 9,470 149,3 134,7 9,440 179.0 123,0 2,196 170,8 116,8 2,165 178,8 122,9 2,198 170,5 116,6 | 2,168 St irgisi (1908) oifog Io em. 1 | rig | 2155] 2162 178,5 19287 2,199 170,3 116,4 2,162 Applichiamo alla (2) le due formole : (3) pen 92; IT 2A OVE dd (4) 1-2 log (242) +5 (14 n): già esaminate nelle Note precedenti. — 446 — Riporto nella seguente tabella i valori dei vari termini della (2) e quelli di % ottenuti valendosi della (3) o della (4): TABELLA III 1,05451 4 n 5 cur” Mi DE Capacità % cm. cm. dT_- de [Ted Ae dalla (3) | dalla (4) dalla (3) | dalla (4) em. em. em. em. 0,1 1,525ò 0,4653 1,5029 0,130 1991 2309, 0,2 0,7627 0.4653 1,1894 0,074 16,59 26,38 1 0,1525 0,4653 0,7287 0,035 17,4 25,81 I valori di X ricavati da una stessa formola sono abbastanza concor- danti; mentre essi differiscono notevolmente per tutte le distanze, se ricavati da formole diverse. Ciò dipende naturalmente dal fatto che, come abbiamo già visto, la (3) e la (4) rappresentano assai diversamente l’entità dell’ in- fluenza dell’orlo. 5. Ma è proprio questa entità che il metodo in discorso permette di giudicare con esattezza, come quello che dà modo di osservare diretta- mente V'influenza dell'orlo isolatamente presa ed il comportamento delle formole teoriche, invece di rimettersi all'esame delle capacità corrette, per le quali si può dire che, nel confronto, la correzione dovuta all’orlo quasi scompaia di fronte ad esse, che di quella correzione sono sempre tanto più grandi. Di ciò è facile darne subito una dilucidazione ed una prova speri- mentale. e È = EE AIA A, Infatti i rapporti non rappresentano altro, come è evidente, che i rapporti n e da, dove C, e C, sono le capacità vere dei , due condensatori. Prendendo allora, invece di esse, ì valori delle capacità corrette ottenute dalle formole (5) te, S L db db 4d (6) gt gra flor: (2+ 33) +age(1+3)) che derivano dalla (3) e dalla (4), e valendosi dei valori sperimentali delle tabelle I e II, si hanno per % i seguenti valori: — 447 — TABELLA IV. 1) dal condensatore ellittico: d Capacità teorica (corretta) ; Capacità £ CÙ dalla (5) dalla (6) TN 7 dalla (5) dalla (6) i em. cm. y em. cm. 0,1 588,366 598,837 18,955 81,041 81,593 0,2 295,144 803,074 9,519 31,006 31,839 1 60,566 64,666 2,197 27,568 29,434 TABELLA V. 2) dal condensatore circolare : 0,1 586,606 595,819 18,825 81,161 31,650 0,2 294,146 301,105 9,445 29,577 30,277 1 60,178 63,776 2,162 27,884 29,498 Come si scorge subito, i valori di % ottenuti dall'uno o dall'altro con- densatore, dall'una o dall'altra formola, sono sempre assai prossimi, ed ec- tuate forse le distanze assai grandi, non sarebbe possibile con un metodo simile o con un altro metodo di confronto analogo a questo, giungere a ri- sultati attendibili. Le notevoli differenze fra i dati della seconda e quelli della terza colonna di entrambe le tabelle si risolvono poi in variazioni irri- sorie della capacità X, come di ogni altra presa per confronto. Invece, una volta conosciuta con precisione e sperimentalmente, sia diret- tamente, sia indirettamente mediante qualche artificio, quella capacità %, la tabella III ci dice che sarà facile seguire l'andamento di ciascuna for- mola per i vari valori della distanza e farne quindi la scelta. La stessa considerazione può ripetersi anche per lo spessore e per la verifica dei risultati delle Note precedenti. D'altra parte, la conoscenza di % permetterà di ricavare direttamente dalla (2) il valore vero di 2, ossia di giudicare della infuenza effettiva dell'orlo sulla capacità del condensatore. Un metodo come questo è poi assolutamente vantaggioso per lo studio della formola (4), in quanto non si può fare per essa il confronto fra la capacità del condensatore e quella dello stesso quando è munito di anello di guardia, perchè bisogna forzatamente trascurare l'influenza dello spazio d'aria (taglio); altrimenti, usando per questa una qualunque delle formole esaminate, sì giunge all’assurdo che la capacità del condensatore è più grande quando esso è circondato dall’anello che quando ne è privo. — 443 — Gli unici inconvenienti che presenta questo metodo sono: dal punto di vista teorico, la difficoltà di applicarlo, anche radicalmente modificato, alla verifica delle formole di Kirchhoff, e dal lato sperimentale, la costruzione del condensatore ellittico. Confido però che in un lavoro sistematico queste difficoltà potranno essere girate completamente. Per converso le formole di Kirchhoff ammettono una verifica diretta e simultanea, come ho già detto nella Nota precedente. 6. Le precedenti considerazioni possono senz'altro essere estese al caso in cui il condensatore sia munito di anello di guardia; infatti in tal caso basta supporre che 4 esprima l'influenza dell’orlo quando esso si trova in presenza dell'anello, perchè la (1) e la (2) sieno subito applicabili alla nuova disposizione e perchè si possa fare la verifica delle espressioni date per correggere l'influenza dovuta allo spazio d'aria esistente fra il disco e l'anello di guardia, e con vantaggio anche più notevole che nel caso pre- cedente, essendo ora assai più piccoli i valori di 4. Si potrebbero quindi, valendosi dei valori 4", 47,4 delle deviazioni date dall’elettrometro nel nuovo caso, rifare i calcoli di X e costruire delle tabelle perfettamente analoghe alle tabelle III, IV, V per le varie espres- sioni da esaminare. ; i RE AG 6 . Ecco intanto i valori di 4", 4/,4,, 7 Pigi 3 yi): per i due condensatori con anelli di guardia. TABELLA VI. Condensatori con anelli di guardia ) Condensatore ellittico Condensatore circolare (dA de i ; 3 do o cm. 4 Ac 7 37, Media 4 do | Di n) Media 178,2 164,5 18,908 180,1 171,0 18,791 0,1 173.0 164,9 18,885 18,888 180,0 170,6 18,747 18,773 172,9 164,2 18,873 179,8 170,7 18,780 1794 162,2 9,430 168,4 Lo2i2 9,395 0,2 179,1 162,0 9,473 9,456 166,2 150,2 9,387 9,369 179,0 161,9 9,467 165,4 149,9 9,308 169,8 111,4 1,907 178,0 116,8 1,884 169,6 110,8 1,884 177,6 od 1,869 1 169,6 | 1118) 1909] 19%. 1774) 1156 1,870 | 1874 169,4 111,3 1,915 lì 177,8 115,6 |» 1,878 IS 7. Ora però, anzichè ripetere le tabelle di cui si è parlato più sopra e che condurrebbero a risultati del tutto simili a quelli avuti per l’orlo libero, sarà invece utile, valendosi dei dati precedenti, formarsi un'idea, sia pure incompleta, di tutte le formole studiate sin qui, per ciò che almeno riguarda la loro rispondenza sperimentale. ii — 449 — A tale scopo nella tabella VII sono stati riportati: nella 1* colonna, i valori delle distanze; poi, successivamente, i valori di delle capa- S 0 4nd cità teoriche corrette dei dune condensatori senza anello (C) e degli stessi 4, 4 A= A MMNESA: Ù , 3 A ì . (GA 4; 4; È tratta dell'uno o dell'altro condensatore; di n eguale a 792 go ego muniti di anello (0’); di Ò, eguale a a seconda che si ed infine i valori feorzez di ni ricavati dai dati della 3% e 4% colonna e quelli sperimentali avuti dai rapporti È e - dedotti dall'esperienza. Superiormente ad ogni serie sono indicate le espressioni di 4 e 4' usate per il calcolo di C e di C° TABELLA VII _—-: dl AS C Cc lo; Cc Valori di € ; 4nd FT % C em em. em. k k DIE ) J | cm. teorici sperimentali . Condensatore ellittico 2d = 2 Il O) Li 08 (+33) +7e(1+37) eci 0.1 586,444 598,837 590,801 18,955 18,888 1,0136 1,0035 0,2 293,229 303,074 295,400 9,519 9,456 1,0260 1,006? 1 58,644 64,666 59,089 2,197 1,904 1,0944 I Condensatore circolare 2d ò d 4d A tan Me(24-2)4t0e(14-4) | 2'=c 0,1 584,919 595,819 588.743 18,825 18,773 1,0120 1,0028 0,2 292,459 301,105 294,371 9,445 9,369 1,0229 1,0081 1 58,491 63,776 58,878 2,162 1,874 1,0833 1,159% d 8aR @) \a milee W=.c 0,1 584,919 602,578 688,743 18,825 18,773 | 1,0235 1,0028 0,2 292,459 308,428 294,371 9,445 9,369 1,0478 1,0081 Il 58,491 70,542 58,873 2,162 1,874 1,1982 1,1537 \a-f log EOCEOR, + lo 8 (14-52 d)} 0) diana | X=c — FT tan Fo + log cos 80) 0,1 584,919 607,677 988,162 18,825 18,773 10332 1,0028 0,2 292,459 312,195 294,219 9,445 9,369 1,0611 1,0081 Il 58,491 72,068 58,872 2,162 1,874 1, 2241 1,1537 RenpIcONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 57 —.450 — 8. Se da questo esame sommario e fatto a solo titolo dimostrativo è permesso, dopo quello che è stato esposto innanzi rispetto alla attendibilità delle interpretazioni dei rapporti fra capacità, di trarre una conclusione qual- siasi, essa non può esser che questa: che, cioè, le varie formole esami- nate sono tutte applicabili alla correzione della capacità con un approssi- mazione molto relativa e con differenze più o meno lievi a seconda della distanza fra le armature. Però, è anche da notare che esse non si compor- tano egualmente: infatti, mentre la (1) deve essere sicuramente rispondente alla realtà per entrambi i condensatori, ossia per qualunque contorno, in un certo intervallo dei valori della distanza compreso fra cm. 0,2 e cm. 1, dal momento che i valori sperimentali di c, dapprima minori di quelli ricavati dal calcolo, invertono il loro andamento con l'aumentare della di- stanza; l'insieme delle formole (2) e (3) dedotte da quelle di Kirchhoff, sembra invece in eccesso per i valori di d = cm. 1. Può darsi che restino verificate per valori maggiori. Però, in tutto questo, un giuoco non indiffe- rente deve forse venire esercitato anche dalla forma più o meno rigorosamente tagliente dell’orlo. Ed è ciò che sarà bene venga osservato da vicino. Altri studi ed altre indagini più precise e sistematiche sono in corso in questo stesso Istituto, e ne saranno quanto prima comunicati i risultati. Meteorologia. — Za pioggia a Roma. Nota del dott. FiLtPPO EREDIA, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. Nella vecchia torre al Collegio Romano le osservazioni meteorologiche cominciarono nel 1788 sotto la direzione dell’abate Giuseppe Calandrelli; esse furono continuate là sotto le direzioni dei PP. Stefano Dumouchel, Francesco Vico ed Angelo Secchi. Nel nuovo Osservatorio sopra la chiesa di Sant'Ignazio furono proseguite sotto le direzioni del P. Angelo Secchi, del P. Stanislao Ferrari, di Pietro Tacchini e di Elia Millosevich, attuale direttore dell’Osservatorio. Secondo l'autorevole parere di Angelo Secchi le serie delle osservazioni udometriche acquistano uniformità, continuità e sicu- rezza soltanto dal 1825. L'altitudine dell'udometro fino al 1855 incluso fu di m. 65, l'attuale apparecchio è, dal 1856, all'altezza di m. 56,7. Sopra il palazzo del Campidoglio, trovansi l'omonimo R. Osservatorio Astronomico dove sin dal 1873 e successivamente sotto la direzione del Respighi e del Di Legge si eseguiscono regolarmente osservazioni meteoro- logiche. Il pluviometro si trova a m. 69,6 sul livello del mare. I cerchi meridiani dei due Osservatorî distano 704 metri ed i due plu- viometri si trovano quasi nelle stesse condizioni di esposizione. — 451 — Col presente studio, ci proponiamo di esaminare le osservazioni plu- viometriche che sin dal 1825 si sono accumulate, e di assegnare i valori normali della pioggia ('). E in questa prima Nota, ci occupiamo della distri- buzione mensile ed annua. Nella tabella qui sotto trascritta, consegniamo le medie mensili ed annue che spettano ai due R. Osservatorî considerando l’uguale periodo di 33 anni (1873-1905). Trovansi pure le differenze tra i valori medi dei due Osservatorî e dalle quali risulta che da Agosto ad Aprile, nell’Osservatorio del Collegio Romano, si è registrata una quantità di pioggia superiore a quella notata nell'Osservatorio del Campidoglio e da Maggio a Luglio minore. La minore altitudine del pluviometro dell’Osservatorio del Collegio Romano, ha certamente contribuito ad aumentare quivi la registrazione plu- viometrica poichè, come è noto, in basso sì registra più precipitazione. La minore registrazione nei mesi estivi, potrà forse dipendere dal fatto che essendo, in detta stagione, gli strati inferiori dell'atmosfera più caldi, nel caso di non intense precipitazioni, le goccie di acqua si evaporano produ- cendo semplicemente delle quantità di precipitazione quasi non misurabili. Però la piccolezza delle differenze ci dice come poca variabilità riscontrasi nelle due serie di osservazioni. Gen- | Feb- i | Mag- | Giu- " Set- Ot- No- Di- È . |Marzo|Aprile È Luglio|Agosto Anno naio | braio io gno tembre| tobre |vembre | cembre Osservat. Collegio Ro- | mano (1873-1905) . 85,1] 695] 75,8] - 828] 59.1] 43,8] 20,1] 243) 77,8 140,7 117,8 103,3 900,1 Osservat. Campidoglio (1373-1905) . . ... 82,8] 65,0] 74,8| 82,0] 59,9) 44,3] 20,6] 23,4) 748 136,0 112.9 98,9 875,4 Osservat. Collegio Ro- mano — Osservat. Campidoglio... .. + 23/+ Ss 1,0|+ 0,8|— 0,8/[— 0,5|— 0,5|+ 0,9|+ 3014 4,74 49/4 44/4 24,7 . Però per potere studiare la pioggia nel clima di Roma, non si può fare a meno dal considerare le osservazioni eseguite tanto nell’Osservatorio del Col- legio Romano quanto nell'Osservatorio del Campidoglio. E per avere delle serie tra di loro paragonabili e nello stesso tempo racchiudenti l'intero periodo di 81 anni di osservazioni, nella tabella seguente, trovansi i valori medi () Per l'Osservatorio del Collegio Romano, non avendo potuto, per alcune circo- stanze, esaminare le osservazioni originali, i dati dal 1825 al 1882 furono tolti dalla pregiata pubblicazione del prof. E. Millosevich: Sulla distribuzione della pioggia in Italia, dal 1883 al 1892 furono tolti dagli Annali del R. Ufficio Centrale di Meteoro- logia e dal 1893 al 1905 furono direttamente calcolati sulle schede decadiche che 1° Os- servatoriv Astronomico invia al predetto Ufficio Centrale. Per l'Osservatorio del Campi- doglio, i dati dal 1873 al 1882 furono tolti dalla prelodata pubblicazione del Millosevich, e dal 1883 al 1892 dagli Annali di Meteorologia e dal 1893 al 1905 furono direttamente calcolati sulle schede decadiche che l'Osservatorio invia al predetto Ufficio Centrale. — 452 — mensili dell’Osservatorio del Collegio Romano per l'intero periodo (1825-1905) ed i valori medi mensili dell’Osservatorio del Campidoglio, pel medesimo periodo, ottenuti applicando alle prime le differenze poc'anzi notate; e tra- scurando, d'altra parte, la piccola correzione che si sarebbe dovuto applicare pel fatto che dal 1825 al 1855 il pluviometro del Collegio Romano trovavasi di poco più elevato, attesochè le differenze che intercedono fra i valori medii dei due Osservatorî sono molto minime. Gen- | Feb- IRE. TE | Set- | Ot- No- Di- a ._ | Marzo | Aprile i Luglio | Agosto! Anno naio | braio gio gno | Farzo tobre | vembre | cembre E ] Osservat. Collegio Ro- mano (1825-1905). . 79,4] 62,8] 68,2] 65,6] 56,7 40,1] 18,0) 27,6| 71,7 114,5 113,3 90,0 807,4 Osservat. Campidoglio (1825-1905) 14/001, 77,1) 57,8] 67,2] 648] 57,5] 40,6] 18,51 26,7] 68,7 109,8 108,4 85,6 782,7 Per meglio paragonare le due serie di osservazioni, calcoliamo la pzo- vosità relativa dei varii mesi; intendendo con tale espressione il rapporto tra le altezze di pioggia registrate nei varii mesi e l’altezza della pioggia registrata nell’anno. Tali valori, supponendo il totale annuo uguale a 1000, trovansi qui sotto riportati. È Gen- | Feb- 7 Mag- | Giu- | Set- Ot- No- Di- Î i ._ [Marzo |Aprile g Luglio | Agosto Anno î naio | braio gi gno tembre| tobre vembre | cembre Osservat. Collegio Ro- Mandate et 98 77 85 81 70 50 22 34 89 142 140 112 1000 Osservat. Campiloglio | 99 74 86 83 73 52 24 34 88 140 138 109 1000 Percorrendo tale tabella, appare come cada nelle due località quasi la stessa frazione della pioggia totale dell’anno. Però siccome altri hanno notato (') nel calcolo della piovosità relativa, non si tiene conto della durata ineguale dei mesi. Tale difficoltà si può eliminare nel seguente modo: se la riparti- zione della pioggia fosse uniforme in tutto l’anno, in un mese di 31 giorni I ne cadrebbe 0,085 del totale annuo, in un mese di 30 giorni 0,082 e in un mese di 28 giorni 0,077. Ora sottraendo rispettivamente uno di questi numeri | 85, 82, 77 da quelli che rappresentano la piovosità relativa del mese, avremo ; l'eccesso pluviometrico relativo del mese, cioè a dire la frazione di cui la | pioggia di tale mese differisce da quella che corrisponderebbe ad una distri- buzione uniforme durante l’anno. Applicando questo calcolo ai numeri scritti avanti, sì ottengono i seguenti risultati. (1) A. Angot, Valeurs normales de la température, de la pression et de la pluie à Paris. Annales du Bureau central Météorologique de France, année 1890, Paris 1892. gi Gen-| Feb- Giu- ot- No- Di- Mag- i tobre | vembre | cembre Marzo | Aprile Lugli Vi to mi gio | g ng ti 5095 ltembre naio | braio Osservat. Collegio Ro- È MANO + 13 0 o|— 0,1|— 15|— 32|— 63|— 51|4+0,7 [+ 57|+ 584 27 Osservat. Campidoglio |-- 14|— 0,3|— 0,1/+ 0,1|— 12|— 30|— 61|/— 51/406 [+ 55|+ 564 24 Media . .. |+ 14|— 0,1 0 o 13 31 62 51] + 0,65|4+ = 56|+ 54 25, La differenza tra i valori relativi ai due Osservatorî è molto piccola, cosicchè prendendo la media avremo la rappresentazione della legge della distribuzione annua della pioggia. E risulta che l’anno è diviso in due pe- riodi: uno comprende i mesi da Settembre a Gennaio incluso, in ciascuno dei quali la quantità di pioggia registrata è più grande di quella che cor- risponderebbe ad una ripartizione uniforme in tutto l'anno. l'altro periodo comprende i rimanenti mesi dei quali in uno (Aprile) si ha una pioggia uguale a quella che corrisponderebbe ad una ripartizione uniforme e nei rimanenti minore. Diamo qui appresso la distribuzione per decennio trascrivendo la somma delle precipitazioni corrispondente a ciascun decennio del periodo considerato, per mese, per stagioni meteorologiche e per anno, e dove i massimi e i minimi sono notati in carattere corsivo. rl Mo” Gsn- | Feb | Marzo Aprile Magna a Giua Luglio aio SA Do Di inverno] E° | Estate| 4" | Anno Romano naio | braio gio | gno |fembre tobre | vembre | cembre mavera tunno Î 1825 — 1834 | 763,1/393,9| 395,2] 484,9) 523,7] 427,9) 211,4| 222,2] 716,2 605,0 961,6) 656,2 18182\1403,8| 861,5|]2282,8|6366,3 1835 — 1844 | 582,6] 809,7] 614,5] 583,2] 668,6|248,4| 113,7| 315,8] 724,5) 800,4] 877,4 664,31 2059,6) 18366,3] 677,9) 2402,3] 7006,1 1845 — 1854 | 674,0) 499,5) 521,8| 609,4) 485,6] 461,4) 225,9] 406,5] 729,4) 8844| 13493 858,4] 2031,9| 1616,8| 1093,8) 2963,1| 7705,6 1855 — 1864 | 889,8) 700,0] 707,0] 508,6| 725,7| 311,0) 27,8] 267,9] 648,1) 1382,9| 1264,3| 1C00,3) 2590,1| 1941,3| 670,7| 3295,3| 8497,4 1865 — 1874 | 814,8) 501,0 842,3| 610,91 373,3] 373,5] 196,1] 249,6] 602,0|1355,6| 10692 860,2) 2176,0| 1826,5| 819,2) 8026,8| 7348,5 1875 — 1884 | 747,9) 505,8) 697,7] 9146) 586,0) 522,8| 99,5] 237,5|1030,5' 1259,9 937,7 941,1) 2194,3| 2198,3| 859,8] 3228,1| 8480,5 1885 — 1894 | 1212,1|] 668,1] 824,4] 854,9] 444,5) 285,8) 231,6| 213,8] 653,7|1183,1| 1145,7 950,2) 2830,4| 2123,8| 731,2) 2982,5| 8657,9 13895 — 1904 | 675,0. 835,2] 850,5] 661,8) 647,5| 523,7| 255,0 281,8] 666,3) 1737,5] 1316,6| 1330,4| 2840,6! 2159,8| 1067,8| 3713,1| 9781,3 In fine della presente Nota, trovasi la quantità di pioggia notata in ciascun mese e in ciascuna stagione e nell'anno per ciascun anno del pe- riodo anzidetto e per ciascun Osservatorio. Utilizzando i valori relativi all’ Osservatorio del Collegio Romano ab- biamo esaminato in quale mese di ciascun anno del periodo è stata regi- strata la maggior quantità di precipitazione; e qui sotto trovasi indicato quante volte ciascun mese dell’anno ha registrato il più elevato valore plu- viometrico. — Gennaio {Febbraio} Marzo Settem- Ottobre Novem- Di- bre bre cembre 9 ! 4 ! 6 16 | 18 16 Percorrendo tali valori, risulta che Novembre, Dicembre, Ottobre, sono i mesi che hanno più frequentemente la massima pioggia mensile dell’anno, ossia che in detti mesi più frequentemente suole verificarsi la massima precipitazione. Diamo ora la massima e la minima precipitazione di ciascun mese per l'intero periodo di 81 anni. Massima ita MINIMA Ed esaminando la differenza tra la massima e la minima, Set- tembre Ot- tobre 328,6 8,2 320,4 No- Di- vembre | cembre 372,5 273,6 12,6 0,1 359,9 273,5 risulta che la maggiore variazione dell'altezza della pioggia si ha in Novembre, Ottobre, Dicembre, cioè nei mesi che sogliono possedere la massima precipitazione. R. OsseRvaTORIO AsTRONOMICO DEL CoLLEGIO RoMmaANO. 2 e ® s o = = 5 ui (gialli se Sil S| E MS | SaS i Sul So | 2 e E E E| 3 2: PHRA SVCD E = SA SN SALI IN | (©) Ei 5 < = 5 A < n IS) Z A Ss 4 A 39,9] 0,8] 8,9f 15,8] 9,2] 24,0] 9,5) 3,8/ 22,8| 32,1| 39,3/1142,7|183,4| 33,9] 37,8 59,6| 36,1) 67,1) 56,7] 97,5] 51,6] 21,1| 9,6] 732) 97,8/346,0/ 19,0] 114,7|221,3| 82,3 110,8] 72,7] 29,6] 25,1] 60,2) 81,9] 24,7] 21,7| 88,8| 90,2) 60,3] 19,1|202,6|114,9| 123,3 41,4) 68,4) 66,7] 36,5] 37,9) 39,6] 0 0,2/ 18,8] 96,2) 54,4| 13,1|122,9|141,1{ 39,8 161,6| 5,51 48,1] 45,1] 50,0] 80,2| 6,9] 23,9/123,8| 92.4| 104,3] 164,1|331,2|143,2{ 111,0 131,7] 43.5] 45) 0,1] 46,4] 8,4| 10,2 77,4] 69,9] 40,0] 61,1|187,0| 862,2] 51,0] 96,0 91,9/ 14,9) 25,8| 135.2] 91,6| 18,2| 55,8) 29,1|104,7| 61,0| 68,8| 42,2| 149,0| 252,6] 103,1 88,7] 56,8) 91,3] 44,0] 33,7|118,2] 5,7] 30,7] 4,1] 8,2] 98,1| 86,6| 182,1| 169,0] 154,6 12,3] 59,8] 53,2| 121,0] 26,2) 3,6| 43,6] 14,7/190,3) 60,9 57,3) 20,2] 92,3|200,4| 61,9 30,2| 35.4) 0 5,4] 71,0) 2,2) 33,9] 11,1] 19,8) 26,2| 72,0] 12,2] 77,8] 76,4] 47,2 12,2] 18.4| 58,0] 29,6] 77,2] 910| 148) 93,4| 67,2] 37,7) 52,6 36,3] 66,9 164,8/ 199,2 10,2] 147,8| 47,9] 87,6] 97,0] 13.7] 6,7] 27,9] 86,1| 70,1| 75,9] 64,5| 222,5] 232,5| 48,3 68,8] 38,8) 116,2] 83,7] 81,5] 12,7) 27,2| 12,8] 70,2] 34,0) 81,0) 38,9| 146,5] 281,4] 52,2 114,4|126,0| 64,9| 80,8| 51,4] 20,3] 21,0| 28,5| 40,8] 103,8] 74,9] 81,5] 321,9| 197,1] 69,8 62,1| 10,5) 127,9 47,3] 39,2 10,2) 23,2) 66,7|111,9| 110,9] $0,8| 98,4| 171,0|214,4|100,1 17,2) 66,0) 51,1] 83,5) 394| 0,2) 2,7| 0,1] 40,7) 40,2| 88,7 67,1| 150,3] 194,0| 3,0 109,8] 105,2) 29,5] 73,2 19,8] 40,6| 3,1) 13,7] 56,6|113,4| 64,6] 84,5|299,5|122,5] 57,4/2 111,9] 17.5] 27,8] 66,2/116,1| 13,5] 9,6] 70,6|113,2|178,6| 76,8) 17,7|147,1| 210,1] 93,7 48,6| 1S1.6| 358,1] 20,2| 35,0] 15,5] 3.| 0 39,5] 45,7| 107,5 0,1| 230,3] 113,8] 18,6 30,4 97,9) 33.1] 11,1) 92,0) 30,7] 2,3] 2,6) 98,3] 66,0 175,1| 175,3) 303,6| 136,2) 35,6 104,8] 59,5) 47,7] 96,1) 51,1) 36,8] 3,7] 36,6] 94,4) 58,3|296,1| 93,8| 258,1| 194,9] 77,1 36,6] 8,2) 43,2| 36.0] 546 1,4| 0,1] 94,8) 164,4| 224,7| 84,3| 217,2] 262,0] 133,8] 96,3 90,0j 80,5] 65,3] 68,9) 20,9] 46,2] 91,7| 61,4| 5,9] 39,5| 63,0 165,4| 335,9| 155,1] 199,3 55,0/ 66,2|105,0| 59,2| 60,9| 8,1| 24,7| 0,1] 50,7[1130| 74,6| 20,3|141,5|225,1| 32,9 32,3] 0,9| 17,8 129,4| 31,1] 69,6| 34,4| 22.7] 38,6| 33,8] 37,8 632) 96,4| 178,3] 126,7 112,7| 31,7| 16,5] 60,1] 57,6|1390| 11,4| 25,4| 65,9|145,0| 37,4| 39,1| 183,5] 124,2] 175.8 15,6] 18,7| 64,9| 29,1] 57,2] 28,5| 19,7] 43,5] 166,3] 40,9|317,9| 4,9] 39,2| 151,2] 85,7 97,8| 37,2] 38,1] 36,7] 334 1,4] 31,3] 59,2] 65,1] 89,0| 34.7| 20,2| 155,2| 108,21 101.9 68,5| 173,1|108,6| 67,7| 27,2/114,2| 2,3] 44,2] 40,7| 89,2| 87,7|139,0| 380,6| 203,5] 160,7 60,7] 23,5] 14,7| 26.2] 91,6| 16,2) 12,6| 8,6| 37,4 51,2|315,8| 95,3) 179,5] 132,5] 37,4 93,3] 78.1|133,5| 49,7| 44,3] 82,5] 0 8,2) 82,6/ 110,3] 102,9] 58,2| 229,6/ 227,5] 90,7 118,0| 56,7] 45,7| 74,0 114,5] 13,3] 10,2) 12,0| 70,0| 56.8| 59,7|173,7| 348,4| 234,2] 35,5 125,5] 15,6] 71,5] 875) 45,8 7,9 7,0] 43,6] 50,7|216,8| 89,2| 19,5] 160,6] 204,8] 58,5 40,5] 99,7 71,1] 27,0] 37,5| 55,9) 90| 67,6| 52,0|154,3]156,7|110,8| 251,0] 135,6] 132,5 13,5| 47,0] 45,0] 16,8) 126,2] 39,5| 13.9] 53,5] 31,0| 116,5] 81,6 133,3| 193,8| 188,0] 106,9 168,6] 91,3) 54,1|156,0| 82,9) 14,1] 192 1,1| 31,8) 26,9] 151,4|173.0| 432,9] 293,0] 34,4 89,1] 98,5] 54,9 49,7/ 30,9| 41,3| 32.1j 2.0) 98,0|106,0| 63,4| 10.5| 198,1| 135,5] 75,4 82,5] 76,6] 57,0] 32,0| 43,6| 28,3 0,1] 64,6|135,6|109,1| 223,1| 95,5) 254,6| 132,6| 93,0 117,4) 0 5,9) 9,0] 116,5) 0,8| 0 15,1 19 6|338,5| 167,7 83,1|200,5| 201,0 15,9 41,4|136,5| 98,7] 6.9] 83,5| 27,4] 0,3) 0,2) 76,8|147,7|163,6|142,7|320,6|189,1] 27,9 99,0| 59,2|135,6| 2,2) 42] 39,2) 12,9) 42) 17,5|134,9|146,6| 343|192,5|1420| 56,3 44,7] 19,8| 134,6] 73,8) 40,3] 22,3) 0,38) 7,5! 35,1j 844] 38,9) 240| 88,5/248,7| 30,1 152,6| 21,5] 75,5| 20,7 9,0] 18,8] 12,6| 104,9] 46,2|183,1| 22,1] 71,5 245,6| 105,2] 136,3 127,0) 6,3 36,6] 57,5| 63,1] 92,5] 798| 335|133,5|121,7| 126,4] 37.1|1704| 157,2] 205,8 13,3] 22,1|153,9| 574| 1,3) 21,8| 12,1] 28,8| 65,5| 81,3| 83,1|182/3 217,7| 212,6] 62,7 53,2] 97,1) 23,7| 62,0] 24,5| 67,2) 37,0] 10,6| 146| 71,8] 122,2|227,1|382/4| 110,2] 114,8 112,2] 37,1|111,1| 41,8| 32,9] 48,6| 0,2) 1,0 18,3] 40,3! 196,9] 21,7| 1710| 185,8| 498 92,5] 86,6|115,3| 76,1] 59,9] 48,4| 3,2) 30,9 91,4|238,4| 105,2| 1024 281,5] 251,3] 82,5 65,9| 110,9| 36,1|119,1| 32,5) 144| 0 0,4| 79,9| 283,1] 98,9 8,6|185,4| 187,7] 14,8 49,4/ 40,4] 19,9|100,3/ 105,6 0,3| 38,0| 27,8 100,0| 111,6) 128,9|151,2| 24100] 225,8] 66,1 47,9] 72,8/165,0| 93,0] 0,7|112,9| 20.5] 18,0] 155,8]: 87,3 85,6| 52,9) 82,7] 69,4| 49,7 22.1| 472| 279 59,9] 23,5] 94,9 76,51 20,5] 73,8| 11,5] 12,0] 840] < 42,8| 9,1] 57,1] 43,9) 0,8 192) 200) 5,6/1133 74,9) 1341| 38,1/183,7|1481| 02] 0,1] 1,9 50,0) € 17,7) 47,0) 37,1| 84,7 83,0] 7,0) 0 62,4| 44,8 199,4| 16,6] 43,6| 75,5] 106,2| 63,0| 0 7,1) 105,7| 2% 52,8] 7,5] 33,0] 58,3] 26,7| 19,9 23,2] 26,5] 195,4 108,7| 77,1/126,6| 106,4] 50,0) 85,3] 1,1| 48|101,6 96,9] 32,0] 47,4, 109,9) 75,6| 86,81 1,0| 52,0|2020| 728| 53,0 149,9] 238,8] 232,9| 139,8 Ì | tS Ut (x) S w 2 D È È o 3 i D Fee SR | ica 5 (e A < i (do) 4 < (22) (©) Zi A Hi inni A SI < 1885] 205,4f 58,4] 68,9] 171,7) 40,4f 316 3,2] 40,6]. 49,4] 129,1] 140,7f 15,0] 278,8 281,0| 75.4) 319,2] 9544 86| 150,6} 84,1] 34,6| 88,4] 388] 31,5] 13,3 Tal 86,7) 897] 55:81 170/0| 7404 |/F 16135281822) ‘8005 87| 108,0] 47,0) 83,5] 72,1] 41,8] 29,8] 30,1] 29,5] 186,5] 101,9 121,0] 152,0] 307,0] 196,9) 89,4] 409,4] 1002,7 88) 64,0] 154,5] 95,1] 64,5) 57,1 3,5] 18,5] 42,1] 50,2] 110,8| 80,0] 47,1 265,6] 216,71 64,1] 241,0] 7874 89] 113,7] 104,8] 106,6] 159,8| 22,6 80,8] 10,5 2,9]. 51,9] 309,6] 122,7 101,3] -319,8| 289,0] 442] 4842| 1137,2 90] 39,5] 19,8] 171,5] 68,7] 84,7 80,8] ‘365 2,1] 48,9] 120,4| 151,2) 83.1 147,4] 324,9] 69,4] 320,5| 862,2 91| 196,6 0 58,5] 58,1) 47,7] 102,1 0 20,0] 57,4] 144,4] 68,4| 71,6] 268,2] 164,3] 122,1] 270,2] 824,8 92) 142,6] 129,2) 109,5] -94,5] .82,6 5,5 6,4] 24,9| 118,4] 119,4] 68,9f 118,7] 390,53 236,6| 36,81 806,7| 970,6 93). ‘(36/71 (694 0,1 0,7| 43,8] 17,1| 113,1] 442 0,7] 18,0] 272,6} 60,21 166,3 44,6) 174,4] 291,8| 676,6 1894| 155,0 0,9] 96;1] 76,4] (36,0 3,1 0 0 54,6] 39,8] 63,4f 126,2) 282, 208,5 3,1] 157,8] 671,5 1895| 134,1] 114,8] 848) 65,4] 70,0] 873 0 0,3 5,8! 158,3) 80,6] 130,1| 3790] 220,2] 87,6] 244,7] 931,5 96] 15,2] 48,01 37,3] 109,0) 70,4] 14,9 1,7) 79,7) 22,1] 328,6] 139,4] ‘163,4/ 221,6] 216,7]. 96,3]. 490,1] 1024,7 97] 12632//'43:0)*52;6) 158:7/.:-36.5 3,2] 54,9] 39,0f 49,1] 124,0| 90,2] 180,5] 349,7]. 142,8| 97,1]. 263,3] 852,9 93] 25;1] 68,0) 160,I] 67,6| 65,01 16,2 1,3] 18,4| 33,81 89,2] 246,01 73,8] 166,9] 292.7) 35.9] 869,0] 864,5 99) 51,5] 19,8] 35,3] 58,3f 50,3] 79,0] 66.5] 26,9f 146,4] 207,0] 52,3] 110,9] 181,7) 143,9) 172,4] 405,7) 903,7 00) 115,7] 96,8] 122,2) 91,9) 110,0] - 56,0] 44,9] 81,0] 82,7] 257,0] 328,5] 83,61 296,1| 324,1| 181,9] 668,2) 1470,3 Ol) 17,7] 136,0] 121,8] 25,1| -96,7| - 36,9 6,0 8,5] 225,5] 147,5] 49,3) 1844f 338.1] 243,6] 51,4] 422,8] 1055,4 02) 41:2//-169/21-. (52:30 16219] 9018] 021:9 4,0 Pola) 9,2) 238,0] 122,0] 43,1] 247,5] 206,0] 35,1j 362,5] 851,1 03) 85,2) 40,1] 79,2). 165,9) 138,81] 133,9] 125/00, 18,1] 82,8] 159,6] 273,9] 399,2) 183,9) 146,4| 260,5]. 990,0 04/ 63,1] 111,0) 104,9) 62,0) 19,0] 74,4] 63,2) 26,1] 73,0] 105,1| 48,7] 86,7]. 260,8) 185,9] 163,7] 226,8] 837,2 1905] 60,6] 134,5] 71,4] &2,9] 134,21 98,1] 37,8] 41,2] 35,5] 63,4] 259,50 26,0] 221,1] 288,5] 177,1] 358,4) 1045,1 TOTALE 1825-1905] 6427,9] 5047,2| 5524,8| 5311,2| 4589,1| 3252,6| 1462,8 2236,3| 5807,2|9272,2| 9180,3| 7287,1| 18762,2| 15425,1| 6959,0| 24252,4| 65398,7 1873 ‘ 24,8) 107,9 145] 00,1) 0,5] 72,5] 266,8) 942] 87) 1772) 175,9] 15,1) 433,5] 801,7 12) 438 81,7) 101,8 0.6| 1324] 151] 1048) 99,0) 141,0) 149,1) 243,1] 241,1| 48,1) 3448] 8771 75 : 161,6] 90,6 107,7] 19,1) 17,3] 123,9] 302,2] 1446] 712] 196,5) 253,8] 1441| 570,7 1165,1 76 te 474] 818 5477) 24,4] 457 271) 285) 89,4) 136,3) 3045) 197,2] 1248| 1450] 771,5 TI) 55,3] 27.0) 896) 750 771) 13,6 16,3] 35,9) 81U7| 70,1) 152.8) 235,1) 196,1) 107,0| 187,7] 725,9 78 ;3|. 821. 547| 503 941). 198) 82| 112,8) 1934) 343,9 1442] 1992] 107,0) 52,1] 655,1) 1013,4 79| 77,8] 120,4) 58,5) 2041 09) 0 16} 46,1) 970) 542) 22,6) 220.8] 4102) 2,5] 197,3) 830,8 so) 226] 452) 425) 858 9.6) 0 59,5) 435) 60,1| 927) 82) 760) 2205] 691) 1963) 561,9 81 183,4] 22.7! 508) 658 674) 02| 11,8) 102,1] 240,4| 100) 941] 8002 218,5] 79,4 3525) 950,9 1382) 549] 6,3) 419) 544 241| 26,5) 219) 178.1] 119,1) 620 106,2) 167,4] 123,8] ‘72,51 3592] 722,9 3; 772| 1348] 1025) 51,1] 995) 25) 9,7 1106 250,6] 287,9) 111,7| 181,7) 831,9 i 31,6| 57,0| 118,5| 76,1] 89,1) (20) 45,6 212,3 221.4) 251,6] 136,7 343,5| 953,2 85 57,8| 66,3] 155,4] 366 314) (6,1) 472) 46,5 261,7 258,3) S&7| 313,9) 918,6 86 830) 299) 925] 349 298) 102) 124) 461 4132] 1573] 53,4) 1931 817,0 3 43,8) 83,4] 73,9] 43,1] 28,5) ‘37.9| 23.5) 179,6 304,0) 205,4] 94,9) 418,5] 1022,8 88| 53.8] 150,0 97,9] 8Lo| 53,9). 44| 183] 421) 475 230,6| 232,8/ 648) 242,0) 790,2 89| 114,1) 95,7| 95,4| 1629) 152) 26,7 134] 0,8] 51,1 313,0 2735) 40,4 469,4| 1096,3 90) 41,5] 23,5) 1825] 75,6] 862) 320) 308| 3,4) 55,1 155,3] 3463) 662) 3272] 8930 91| 174,7] 0,1) 56,3| 533 91,3] 11 192,2) 56,1 233,8 152,1] 1046| 248,2) 738,7 1892] 123,7] 1141) 994) 864 6,6| 10,38] 27,3) 112,0 358,7] 215,1] 442) 303,9 921,9 1893] 34.1] 63,0] 0,5) 2,4] 44,8] 18,0] 119,9) 3438) 4,1| 20,8) 252,5] 62,6] 164,7). 472] 1652] 277,4] 654,5 94] 1204] 1,5] 894) 762) 4031 461 0 0 481) 40,4] 630) 1052| 227,1] 205,9] 4,6] 151,5| 5891 95] 131,6] 99,6] 739) 591f evil 854/ of 17) 00 | 1470) 750) 120.7] 3519] (1941) (872) 222,0| 8552 96] 13,3) 36,5] 374) 1041) 834/137) 5/0). 71,1) 15,2) ‘333,2) 1346) 133,6| 183,4| 2249] 90,4) 483,0] 981,1 97] 129.0] 40,7) 48,9] 494| 378] 5,7] 588] 037,4) 46,3] 1343] 80,0) 166,5]. 335,2] 136,1] 101,4| 260,6] 834,3 98] 634| 22,1] 158,3] 63,8) 579) 96] 46| 198) 30,1] 984) 225,1] 75,7] 1612] 255,0) 340) 353,61 833,6 99] 492] 17,1) 36,5] 5200] 586| 823) 60/8|- 27,9) 143,8] 1752) 46,9) 102,0] 168,3f 147,1] 171,0| 365,4) 851,8 00] 110.2) 93,7] 118,0) 866) 115,9Î 485) 503] 743] so] 205,8) 2549) 816| 285,5] 321,3] 173,1] 540.7] 1320,6 ol 11,7] 125,0) 106,9] 218 978| 387 60] 95] 2023] 1334 466] 150,8] 287,5] 226,5] 542) 382,3) 950,5 1902] 41,4] 1522) 444] 65,1) 836] 3201 74f 0,3] 88) 239,9] 108,9) 45,6] 239,2) 1931) 39,7] 357,6] 8346 1903] 78,9] 40,5] 71,6] 594| 36,8) 1465] 178) 0 23,1) 78,1) 147,8| 2588) 3782) 167,3] 1638| 2490/9583 04] 63.6] 1065] 975) 639 209] 707) 471] 265) 732) 1008] 46,5) 90,8| 260,9] 182,3] 144,3] 220,0] -807,5 1905] 60,7] 126,9| 666] 79,1) 1475) 849) 394| 43,7) 30,7] 64,5) 241,1] 27,6| 215,2 293,2| 1680) 336,6] 1013,0 — 457 — Mineralogia. — Appunti di mineralogia sarda. Bournonite del Sarrabus ('). Nota di FepERICO MILLOSEVICH, presentata dal Socio G. STRUEVER. Nella importante e numerosa collezione lasciata in dono dal prof. Do- menico Lovisato al Museo di Mineralogia della R. Università di Sassari, sono molti e bei campioni provenienti dalle varie miniere del Sarrabus. In uno di essi destarono la mia attenzione alcuni cristalli poco appariscenti e mezzo nascosti fra una bella varietà di blenda di color colofonia, che costituisce il minerale più vistoso ed abbondante in detto campione; questi cristalli per il colore, per la forma e sopratutto per la caratteristica geminazione mi par- vero a prima vista bournonite e mi affrettai a rendermene certo con la mi- sura preliminare di qualche angolo. Il campione, secondo l'indicazione scritta dallo stesso prof. Lovisato, proviene dal filone di Canale Figu (livello n. 2). Canale Figu appartiene alla miniera Giovanni Bonu, seguendo verso Est il filone principale del Sarrabus e quindi si trova fra Giovanni Bonu e Nonte Narba. Benchè si trovi spesso bournonite in giacimenti plumbo-argentiferi, tut- tavia questo minerale non figura nell'elenco delle specie finora ritrovate al Sarrabus e non ne fanno menzione, nè gli scritti speciali di tanti valorosi mineralisti (*), nè la monografia descrittiva del Traverso (8). In Sardegna fu fino ad ora rinvenuta bournonite, non in distinti cri- stalli, alla miniera dell’Argentiera nella Nurra e descritta recentemente dal Lovisato (*), il quale già da molti anni ne aveva constatata la presenza in parecchi campioni di questa miniera lasciati in dono al Museo di Sassari. Per quel che riguarda altre località italiane, ricorderò che Tervis (*) cita bournonite con galena a Gravere (Val di Susa), con tetraedrite a Ceresole Reale, con pirite e tetraedrite a Testa della Deserta e Sutore presso Noasca (Val di Locana), con calcopirite e galena ad Antey S. André (Val Tournan- che), con pirite e calcopirite a Brosso, con galena all’Argentaria presso Pie- (!) Lavoro eseguito nel Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Sassari. (°) Ho consultato in proposito le pubblicazioni su minerali del Sarrabus di Bombicci, Von Rath, Lovisato, Miers, Traverso, Artini, Corsi, D’Achiardi G., Mattirolo, Tacconi, De Castro. (3) Traverso G. B., Sarradus e suoi minerali. Alba, 1898. (4) Lovisato D., La bournonite nella miniera dell’ Argentiera della Nurra (Portotarres, Sardegna). Roma, Rend. Acc. Lincei (ser. 5), XI, 1902, 2° sem., pag. 357. (5) Jervis G. I., / tesori sotterranei dell’ Italia. Torino, I, 1873, pagg. 51, 73, 74, 105, 118 e II, 1874, pag. 350. RenpIcoONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 58 — 458 — trasanta (Lucca). Ancora Iervis (') e più recentemente La Valle (2) ricordano la bournonite fra i minerali dei giacimenti metalliferi dei Monti Peloritani a Fiumedinisi, a Francavilla di Sicilia e a Novara di Sicilia. Ma i soli cri- stalli di bournonite di località italiane finora conosciuti, sono quelli della ri- cordata miniera dell’Argentaria presso Pietrasanta, descritti da A. D'Achiardi (?) e che presentano la semplice combinazione }00L{ {100{}010} {101} }011{. La bournonite di Canale Figu si presenta in cristalli di color nero ferro a lucentezza non troppo viva, di dimensioni variabili, ma generalmente piut- tosto piccoli: i più lucenti e più adatti alle misure goniometriche sono quelli di abito spiccatamente tabulare ed hanno una lunghezza media di 3 mm. per una larghezza di 2 mm. ed uno spessore di circa 1 mm. Le forme da me osservate sono, secondo l' orientazione comunemente adottata, le seguenti: a }100} co Po. b}010! coP o. c }001} 0 P. m }110{ 00 P. 1}3820{ 00 P3. n }011t P oo. y }111{P. u }112{4 P. o \l2lC9 Po, Le combinazioni osservate sono le seguenti: 18. }100{,}010}, 001}, {L10t,}011t,}112t (fig. 1) che è la più fre- quente e si presenta in cristalli di abito tabulare secondo la base, allungati nella direzione dell'asse [y]; in questi, dopo la base, ha maggior sviluppo il pinacoide }100!. 2. }100t,}010,}001{,$110,}320},}011t,}111{,}112t di abito come la precedente con l'aggiunta di faccettine sempre molto piccole della pira- mide }111{ e del prisma }320f. 3*. 3100} ,}010f,}001t,}110t,30114, }111t,}112t, }121{: anch' essa abbastanza frequente: con abito prismatico e con grande sviluppo oltrechè delle facce di }001! e 11004 anche di quelle della zona [100] e specialmente (1) Loc. cit., III, 1881, pagg. 204, 313, 315. () La Valle G., / giacimenti metalliferi di Sicilia in Provincia di Messina. Messina, I, 1899, pag. 14 e II, 1904, pagg. 44 e 58. (*) D’Achiardi A., Mineralogia della Toscana. Pisa, II, 1873, pag. 336. — 459 — del brachidoma }011|. In essa sono osservabili anche piccole faccettine della piramide }J21{. 4%, 3100t,}010t, 5001{, 3110} ,}320t,}011;}111{,}112:,}121{: come la 3%, ma con l'aggiunta anche di }320{ ed è la più ricca di facce fra quelle osservate (fig. 2). I cristalli sono tutti geminati secondo la comune legge: piano di ge- minazione una faccia del prisma }110{. Sono generalmente dei gruppi di 4 individui, che formano uno dei noti aggruppamenti cruciformi; ciò che vi ha di notevole, e che differisce questi aggruppamenti da altri consimili della bournonite di altre località, è il notevole sviluppo secondo l'asse [y] che Fis. 2. presenta ciascun individuo, in modo che le braccia della croce sporgono di molto e sono anche in qualche caso abbastanza regolarmente sviluppate: co- sicchè il gruppo si accosta alla forma modello rappresentata nella fig. 1. Frequente è un'associazione di più cristalli, che si può descrivere in tal modo: ad un individuo più grande si uniscono in posizione di gemello da un lato e dall'altro due più piccoli e in ciascuno degli angoli rientranti fra l’indi- viduo maggiore e i due minori si dispone nn altro individuo in posizione pa- rallela al primo. Gruppi più complicati come il vero e proprio Rddelere un- gherese non si osservano; e neanche ho potuto constatare l’esistenza di la- melle di geminazione intercalate fra gli individui principali. Per quanto riguarda l'aspetto fisico delle facce delle singole forme, si osserva che le facce del pinacoide }010t sono piane, lucenti, perfette e che tali pure sono le facce di }011{ e di }112! costantemente presenti e ben svi- luppate: talora soltanto si osservano su 5011 e anche sulle facce contigue di }112{ delle striature dovute alla loro combinazione alternante. Le facce di }110{ hanno una lievissima striatura verticale; una simile striatura verticale è invece molto accentuata sul pinacoide {100}. Molto interessante è l'osservazione dell'aspetto fisico delle facce di base, quale si rivela al microscopio anche con debole ingrandimento, e quale ho tentato di rappresentare, in modo alquanto schematico, nella fig. 3. Si notano in queste facce dei rilievi di contorno triangolare, formati da piccole piramidi triangolari troncate superiormente da un piano parallelo a quello basale: i tudo — 460 — lati della base di queste piramidi sono paralleli agli spigoli di combinazione di (001) rispettivamente con (011), con (112) e con (112) e disposti in modo, che questi due ultimi lati sieno rivolti verso l'interno, e quindi paralleli alle linee di demarcazione fra gli individui geminati. Le facce di queste piccole piramidi molto probabilmente corrispondono rispettivamente alla (011) e a due facce di una protopiramide, forse la stessa }112. Nella base degli in- dividui gemelli si riscontrano analoghi rilievi con i lati paralleli ai medesimi spigoli di combinazione e quindi disposti rispetto ai primi in posizione di gemello. La linea che limita gli individui geminati è una spezzata formata di tratti di varia lunghezza, ma sempre paralleli a un lato o ad un altro di questi rilievi triangolari. La presenza di tali rilievi, collegata col fatto della marcata striatura verticale del pinacoide }100!, potrebbe far ritenere che la struttura dei singoli cristalli risulti costituita di lamelle verticali parallele a (010), che vanno decrescendo di estensione dall’ esterno all’ interno dei gruppi di cristalli associati, corrispondentemente al piano di giustapposizione dei geminati. Per di più la disposizione di tali rilievi non lascia alcun dubbio sulla costituzione dei semplici geminati a croce, che risulterebbero sempre formati di 4 individui a giustapposizione. E ciò concorda con i risultati delle osservazioni di Miers (*) e di Peck (*). Da quanto ho detto riguardo l'aspetto fisico delle facce, risulta che le più adatte alle misure goniometriche sono quelle di }010t, di }011{, di }110f e di }1124; le altre, o sono troppo piccole, o presentano irregolarità e stria- ture. Da alcune misure esatte, eseguite sopra queste facce più perfette, mi (1) Min. Soc. London, 1885, VI, 68. (*) Zeitsch. f. Kryst. XXXII, 298. 29 — 461 — risultarono costantemente dei valori un po' diversi da quelli teorici secondo le costanti di Miller, adattate dai principali trattati: infatti gli angoli (110): (010) e(011):(010) sono, secondo Miller, rispettivamente di 46° 50' e di 48° 6 45”, mentre io da valori abbastanza prossimi fra di loro e sempre un po’ supe- riori a questi ho trovato una media di 46° 57’ per (110):(0190) e di 48° 12° per (011):(010). Ciò mi ha indotto a calcolare il rapporto parametrico se- guente: a:b:ce=0,93415:1:0,89410 Quello di Miller è: abc —'0:93797: 1: 9,89686 Nel seguente quadro riporto il risultato delle misure e dei calcoli secondo le costanti da me ottenute e secondo quelle di Miller, e da esso si scorge che, se l'accordo fra osservazione e calcolo non è sempre assolutamente ottimo anche secondo le mie costanti, esso è tuttavia migliore di quello che si avrebbe adottando il rapporto parametrico di Miller. o Misurati Calcolati Calcolati Angoli N. ; . i Limiti Medie (Millosevich) (Miller) (010) : (110) 8 AGOS ATA! 46957" _ 46°50” (010) : (011) |7| 48 7 — 4816 48 12 se 48 645” (110): (112) |4]| 5647 — 5658 56 49 56047 56 45 (Idro) Aa] 29, 9 — 2917 29 13 29 12 29 11 30 (112) : (112) 1 @ 4710 47 12 47 8 (110) : (011) |3| 6256 — 63 7 GIN 62 56 62 49 (110) : (111) 2 37°18" — 37 34 37 26 817.21 30” 87.20 (010) : (111) | 1 - 57 0 57 8380 57 3 G0):t(820) 2] 01120 11 10 TNT Testo (010) : (121) | 1 _ 37 58 37 4430 37 39 io) 20) = 31 40 31 53 31 50 Il confronto vale sopratutto per i primi sei angoli di questa tabella, quelli cioè ottenuti su facce adatte a buone misure. La bournonite nel campione di Canale Figu sì trova sopra una matrice di quarzo compatto e in minuti cristallini: essa è intimamente legata con blenda in cristalli color colofonia e in lamine brunastre; la accompagnano anche argentite, argento nativo, pirite e forse anche tetraedrite. — 462 — Geologia. — A/cune osservazioni geologiche sul Vulcano La- ziale e specialmente sul Monte Cavo. Nota di Pompeo MODERNI, presentata dal Socio T. TARAMELLI. Fra i vulcani spenti dell’Italia centrale, il Vulcano Laziale è certa- mente quello al quale un maggior numero di studiosi rivolsero la loro atten- zione e le loro osservazioni, scegliendolo a meta di scientifiche e piacevoli escursioni: la vicinanza sua a Roma e la facilità di accedervi da questa città per vie diverse; l'esistenza di molti e grossi centri abitati dissemi- nati su tutta l'area dell'antico vulcano, i quali permettono di far stazione su qualunque settore di esso, e perciò di percorrerne con facilità ogni sua più recondita parte; l'aria salubre ed ossigenata dei Colli Laziali, ricoperti da ville, da splendidi vigneti e da folti boschi di castagni, sono tutti fattori che esercitarono il loro fascino su scienziati e /ourzsfes, e danno la ragione della numerosa schiera di coloro che si occuparono e scrissero del Vulcano Laziale. Per quanto un campo sia stato ben mietuto, pur tuttavia qualche spiga resta sempre da cogliervi; lo studio di un vulcano spento, che ha avuto di- versi periodi di attività, è così complesso, che, frugando bene, si trova sempre qualche cosa non veduta o dimenticata dagli altri. Come è noto, il Vulcano Laziale ha avuto tre periodi differenti indi- cati, il 1° dalla cinta craterica esterna dell’Artemisio, il 2° dalla cinta cra- terica interna del Monte Faete ed il 3° dai crateri eccentrici di Albano, Nemi e Valle Ariccia. Ognuno di questi edifici principali. è accompagnato da un certo numero di edifici minori o coni avventizi, formatisi il più delle volte fra una conflagrazione e l’altra dell'edificio principale, ovvero rappre- sentano la continuazione, in proporzioni ridotte, dell’attività di quello. Lo studio particolareggiato di tutte le boche eruttive, comprendente la loro ricostruzione, la cronologia delle loro eruzioni, il riconoscimento delle colate di lava ed altri materiali caratteristici appartenenti rispettivamente ad ognuna d'esse, è quello che offre ancora il campo sul quale vi è più pos- sibilità di trovare delle spighe da raccogliere. È vero che vi è chi crede che a questo studio non si debba dare so- verchia importanza, ma è un'opinione questa che non ha serio fondamento, poichè nello studio complesso di un vulcano spento, quello delle bocche erut- tive è per lo appunto il più importante di tutti: infatti, se lo studio ana- litico dei materiali eruttati fa conoscere le loro varietà; se lo studio strati- grafico con l'ammasso dei prodotti, dà un'idea della durata del vulcanismo in una data regione; con le intercluse erosioni, indica appossimativamente — 463 — il tempo più o meno lungo trascorso tra un’eruzione e l’altra; con la di- versità dei prodotti sovrapposti, avverte della possibilità di più fasi distinte dell'attività del vulcano; soltanto lo studio attento ed accurato delle bocche eruttive permette di riconoscere la provenienza di tutti i materiali eruttati, ed integrando tutte le altre osservazioni, offre una base per la ricostruzione a grandi linee della storia di un vulcano. K x x Dopo un'ultima conflragrazione, sventratosi ad Ovest il primitivo cono del Vulcano Laziale, del quale, come si è detto, resta la catena dell’Arte- misio a segnarne la parte orientale, ed i colli di Rocca Priora quella set- tentrionale, ebbe termine il primo periodo dell'edificio principale. Quasi nel mezzo del primitivo grandioso cratere, indicato dalla Valle della Molara, sorse gradatamente un secondo cono, di dimensioni assai più mo- deste, a segnare un secondo periodo nella storia di questo vulcano, così come in tempi storici si è visto sorgere ed ingrandire il cono del Vesuvio nel mezzo dello squarciato cratere del Somma. Anche il secondo periodo ebbe termine con lo slabbramento della parte occidentale di cinta craterica del secondo edificio vulcanico, del quale la catena del Monte Faete, la cui punta più elevata raggiunge la quota di m. 956 sul livello del mare, rappresenta ancora la parte orientale del recinto craterico. Prima che il condotto eruttivo si spostasse verso Sud-Ovest originando 1 crateri di Nemi, di Albano e di Valle Ariccia, i quali segnarono le ma- nifestazioni del terzo periodo, entro lo slabbrato cratere del secondo periodo, indicato dall’altipiano circolare che porta il nome di Campi d’Annibale, cominciò a formarsi un terzo cono, indicato oggi dalla collinetta chiamata Colle del Vescovo, avente una cinquantina di metri d'altezza, il quale rimase però quasi allo stato embrionale, perchè tutta l’attività eruttiva del vulcano sì concentrò in altri due punti poco distanti: questi due punti sono il Monte Jano, conosciuto più comunemente nella regione con il nome di Monte Pila, ed il Monte Cavo, i quali da semplici fumarole situate su l’orlo craterico, come probabilmente dovevano essere in principio, vennero gradatamente at- tivandosi supplantando la bocca principale. Per quanto a questi due edifici convenga il nome di bocche avventizie, pur tuttavia rappresentano un’appen- dice e un'appendice importante del secondo periodo, poichè con il Colle del Vescovo estintasi la bocca principale, per i due coni del Monte Jano e di Monte Cavo, continuarono ancora per qualche tempo le manifestazioni erut- tive del secondo periodo. I due coni, dei quali il Monte Jano raggiunge la quota di 988 metri sul mare ed il Monte Cavo quella di 949 metri, sono contemporanei, all’in- circa della stessa grandezza e costituiti da materiali identici; si svilupparono rispettivamente alle due estremità della catena di Monte Faete che alta e ll — 464 — dirupata s' innalza sui Campi d'Annibale, mostrando le testate degli strati fortemente inclinate all’esterno, e rappresenta ancora caratteristicamente una quarta parte, circa, dell'intera cinta craterica. Nel Monte Jano tutti riconobbero un cono avventizio dell'edificio vul- canico del secondo periodo: è costituito da banchi di lapilli e scorie di color rosso e bruno, da ogni parte fortemente rialzati (') verso la sommità su la quale si riconosce ancora il piccolo cratere, malgrado il folto bosco che ri- veste tutto il colle. Un mantello di lava scoriacea giallastra, detta Sperone, ricopre quasi interamente i fianchi del cono: di questa bocca eruttiva si hanno descrizioni particolareggiate della sua forma, del posto che gli spetta nell'ordine cronologico delle eruzioni laziali, nonchè dei materiali eruttati. Fra quelli che più recentemente scrissero del Vulcano Laziale, sonv da citare il Sabatini ed il Verri: il primo considera il Monte Cavo come la continuazione del Monte Faete e come quello crede che rappresenti una parte (quella Sud-Ovest) della cinta craterica del secondo periodo (*). Il Verri invece lo ritiene un cono avventizio e così lo descrive: « Il Monte Cavo con prodotti eguali a quelli del Monte Jano, posto sulla linea dei crateri terminali del cono antico e del cono centrale, sorgente pur esso sulla piattaforma rimasta dopo il diroccamento del cratere che vo- mitò le lave ricche di leuciti ed augiti, incastrato tra i ruderi del recinto di quel cratere nel punto dove il cono centrale deve essersi squarciato per versare i peperini nel settore Ovest, segna aliro cono eruttivo » (8). Il Monte Cavo è infatti un cono vulcanico e dalla forma così caratte- ristica che lo si giudica tale anche a distanza, senza bisogno di recarsi sul posto ad esaminarne la struttura e i materiali che lo compongono. Anzitutto il profilo del Monte Cavo si distacca dalla linea generale del cono princi- pale del secondo periodo, sicchè avvicinandosi ad esso l'osservatore sì con- ferma sempre più nel convincimento che il Monte Cavo sia un cono svilup- patosi su l'orlo dello slabbrato cono interno. Giunto poi sul posto, dovunque l’osservatore volge lo squardo, trova elementi che provano essere il Monte Cavo una bocca eruttiva distinta e posteriore al cono interno, sviluppatasi durante il secondo periodo del Vulcano Laziale. La prova che si offre più evidente è quella del forte 6 caratteristico rialzamento degli strati da tutte le parti verso la sommità del Monte Cavo: (1) La parola rialzati presa alla lettera non è esatta, perchè infatti nelle forma- zioni vulcaniche non si tratta di strati rialzati 0 sollevati dalla loro primitiva giacitura in un'altra; però la medesima è generalmente usata indicando assai efficacemente un fatto, la descrizione del quale richiederebbe altrimenti un lungo giro di parole. (9) Sabatini V., / Vulcani dell’ Italia centrale e i loro prodotti. Parte I. Vulcano Laziale. Memorie descrittive della Carta Geologica d’Italia, Vol. X, Roma, 1900. () Verri A., Note per la storia del Vulcano Laziale (gruppo dei crateri). Bollettino della Società Geologica Italiana, Vol. XII, Roma, 1893. — 465 — tale rialzamento si vede specialmente bene su la strada che dalla piazza Regina Margherita di Rocca di Papa conduce al viale della Madonna del Tufo. Oltre a ciò nel fondo di alcune grotte esistenti lungo questa strada di circonvallazione e non molto distanti dalla piazza, al disotto degli strati di lapilli appartenenti alle eruzioni del Monte Cavo, si scoprono lave e scorie del cono principale, macroscopicamente alquanto diverse e quel che più monta diversamente inclinate dalle prime. Su la mulattiera che dal viale della Madonna del Tufo sale ai Campi d’Annibale, rasentando il villino De Rossi, l'erosione ha messo in luce delle lave estremamente leucitiche, anzi che si possono chiamare un ammasso di leuciti tenute assieme da poco magma lavico, del tutto eguali a quelle delle colate di cui si vedono le testate nell'interno del Monte Faete. Queste lave molto alterate, dallo aspetto antico, così diverse dalle lave esistenti su i fianchi del Monte Cavo, povere di leuciti in cristalli macroscopici e che sembrano assai meno antiche, sono un'altra prova che si è di fronte a pro- dotti di due fasi diverse, nello stesso tempo che il Monte Cavo, per i suoi materiali che si sovrappongono a quelli del Monte Faete, dimostra di essere di questo più recente. Su la strada che dai Campi d’Annibale, seguendo più o meno l’an- tica strada romana, sale alla sommità del Monte Cavo, si vedono le colate di lava e gli strati di lapilli fortemente rialzati verso quella sommità e non verso un punto imaginario al disopra della parte centrale dei Campi d'An- nibale; osservazione identica si può fare lungo il viale che conduce alla Madonna del Tufo. Dove però l'osservatore può constatare un fatto che fa sparire ogni dubbio su la genesi del Monte Cavo, è nell'interno stesso del cratere del secondo periodo: su la mulattiera che da Rocca di Papa, attra- versati i Campi d'Annibale, passando nella sella che separa, non acciden- talmente, il Monte Faete dal Monte Cavo, scende a Nemi, al disotto del Monte Cavo stesso vi sono strati di lapillo fortemente rialzati verso la cima del monte. Se nell'interno del cratere questo monte invece di mostrare le testate degli strati inclinate verso l'esterno, come si osservano appunto nel- l'attiguo Monte Faete, mostra invece i medesimi inclinati all’interno, mentre da tutte le altre parti si vedono sempre egualmente rialzati verso la som- mità del monte, è segno evidente che al Monte Faete trattasi di un fram- mento di cinta craterica ed al Monte Cavo invece di un cono ben distinto e riconoscibile. Anzi dalle osservazioni che si possono fare nell’accennata lo- calità e meno chiaramente in qualche altra, sembrerebbe che al posto del Monte Cavo dovesse sorgere un cono di maggior altezza, il quale come av- viene sovente, demolito in qualche più forte conflagrazione, siasi poi rifor- mato di dimensioni minori, quali oggi noi le vediamo. Percorrendo il delizioso viale che da Rocca di Papa conduce alla Ma- donna del Tufo, più volte nominato, in prossimità del paese si osservano RenDICONTI. 1906, Vol. XV. 1° Sem. 59 n — 466 — degli strati di lapillo la cui convessità è rivolta in senso opposto a quella di altri strati che sì possono vedere poco prima di giungere alla chiesa, come se fossero le due parti opposte di uno stesso cono. Nella parte più bassa della mulattiera che dai Campi d'Annibale conduce su la vetta del Monte Cavo, si vedono degli strati rialzati verso Ovest: queste due osserva- zioni unite insieme, le quali ci mostrerebbero tre parti diverse della super- ficie dello stesso cono, farebbero supporre che a Nord dell’attuale cono. di Monte Cavo, ne esistesse antecedentemente uno più piccolo, il quale per uno spostamento verso Sud del canale eruttivo, sarebbe rimasto in parte distrutto ed in parte incluso nel posteriore e maggiore cono del Monte Cavo. Potrebbe anche darsi che questi dne ultimi fatti fossero indipendenti l'uno dall'altro e che le due parti opposte di cono, che sembrano vedersi lungo il viale della Madonna del Tufo, siano veramente le rovine di un pic- colo conetto il quale segnerebbe una prima fase del Monte Cavo. L'altro fatto invece che si osserva su la parte più bassa della mulattiera che dai Campi d'Annibale ascende a Monte Cavo, potrebbe anche essere un altro dato riferentesi al cono maggiore più sopra accennato, che avrebbe segnato una seconda fase di questa bocca eruttiva, la quale nella terza fase poi, rappresentata dall'attuale Monte Cavo, sarebbesi spenta. Non insisto molto su la interpretazione da me data agli avanzi di questa bocca eruttiva, poichè la medesima essendo per la massima parte coperta da folto bosco, non da per tutto si possono fare le osservazioni che sarebbero necessarie; però della medesima si può affermare che fra le bocche secondarie è una delle più grandi ed interessanti, facilmente riconoscibile non solo, ma dal suo buono stato di conservazione, è permesso anche farsi la convinzione che deve avere avuto varie fasi, le quali ne hanno replica- tamente modificato le dimensioni. La spianata che corona la sommità del Monte Cavo rappresenta certa- mente il piccolo cratere di questo cono, ma la superficie essendo stata qui troppe volte modificata dalle mani dell'uomo, spiega facilmente il perchè del cratere non rimanga più alcuna traccia. Tutte le bocche avventizie situate fra il recinto esterno ed il cono cen- trale furono dal Sabatini (') classificate come manifestazioni eccentriche appar- tenenti al secondo periodo; anche il Verri (*) attribuisce i coni avventizi della Val Molara al secondo periodo. Fra quelli però che si trovano dalla parte opposta, cioè a Sud e Sud-Est del cono centrale, i dne conetti gemelli situati poco lontano l'uno dall'altro, rispettivamente a Nord ed Est della Fon- tana Tempesta, si devono logicamente comprendere fra i coni avventizi del terzo periodo. (1) Sabatini V., op. cit. (2) Verri A., op. cit. — 467 — Queste due piccole bocche eruttive si trovano, è vero, ai piedi del cono centrale ma vi è da osservare ch'esse si trovano anche presso l’orlo craterico di Nemi non solo, ma da quella situata ad Est di Fontana Tempesta è uscita un'abbondante colata di lava che si è precipitata nella conca lacustre, come dimostra la sua direzione e la sua inclinazione, e vedesi per oltre un chi- lometro, dai piedi del conetto fino a Nemi; mentre all’altro piccolo edificio vulcanico, situato a Nord di Fontana Tempesta, appartiene forse la lava che, a Sud di esso, sì vede sul fianco del recinto craterico di Nemi. Se dunque le lave di queste due bocche avventizie, e più specialmente di quella situata ad Est di Fontana Tempesta, si sono rovesciate nella conca craterica di Nemi, è segno evidente che questa preesisteva, edi due conetti sviluppatisi sul di lei orlo devono considerarsi come bocche avventizie del cratere di Nemi an- zichè del cono centrale e perciò da comprendersi fra le manifestazioni vul- niche del terzo periodo e non del secondo. Chiuderò questa breve Nota con alcune osservazioni sud Peperini, le quali se non potranno vantare il pregio della novità, varranno almeno a con- fermare sempre più quelle fatte da altri geologi: su la strada rotabile che da Rocca di Papa scende ad Ariccia, poco dopo aver oltrepassato il santuario della Madonna del Tufo, s'incontrano banchi di Peperino fortemente rialzati verso i Campi d'Annibale, banchi che furono rimarcati anche dal Verri (!). Nel bosco, fra il lago di Albano ed il tratto di strada rotabile che passa davanti al suaccennato Santuario, svolgendosi sul fianco Sud-Ovest del cono centrale, la superficie è essenzialmente costituita da Peperino i di cui strati sono pure fortemente rialzati verso i Campi d’Annibale: questo Peperino, al pari di quello di Albano e Nemi, contiene incastrati nella sua pasta tu- facea grossi blocchi di calcare bianco di cui se ne trovano pure molti isolati sparsi per il bosco. Agli Squarciarelli, alla base Nord-Ovest del cono centrale, intercalati ad altri materiali vulcanici vi sono banchi di Peperino rialzati pure verso i Campi d'Annibale, come rialzato da questa parte è il Peperino che nel Vallone Arcioni raggiunge, secondo il Verri, la quota di 600 metri sul mare. Il Di Tucci ha trovato dei Peperini in Val Molara al piede del piccolo cono avventizio di Monte Pennolo, nel vallone Barbarossa (versante Sud del cono centrale) ad 850 metri di elevazione e su la vetta stessa del Monte Cavo; altro Peperino affiora ai Campi d'Annibale e lungo la mulattiera che, scendendo per il versante Nord del cono centrale, conduce a Rocca Priora. Questi Peperini che si trovano su tutti i versanti del cono centrale devono, evidentemente, essersi formati con i materiali proiettati dalle eruzioni del cono stesso e da quelle delle sue bocche avventizie; perciò non devono con- fondersi con il Peperino dovuto alle eruzioni dei crateri di Albano e Nemi, (*) Verri A., op. cit. — 468 — Peperino i cui strati rialzati rispettivamente verso quelle bocche eruttive, chiaramente ne indicano la provenienza : l'inclinazione varia dei Peperini vedesi in molte località fra le quali citerò la parte inferiore della già nominata strada che da Rocca di Papa scende ad Ariccia, dove i medesimi che poco più in alto erano rialzati fortemente verso i Campi d'Annibale, si vedono ora più ora meno accentuatamente rialzati verso la conca craterica di Albano o verso quella di Nemi. Inoltre il Verri cita l’esistenza del Peperino nelle conche crateriche di Pratoporci e di Pantano Secco, alle falde settentrionali del primitivo grande cono esterno del sistema laziale; il Meli (') a sua volta ha trovato il Pepe- rino alla Fonte del Pilozzo sotto Monte Porzio ed ai piedi della collina del Tuscolo presso Frascati, località anche queste sul versante settentrionale del grande cono esterno; altro Peperino ha trovato il Meli presso Civita-Lavinia e nella Valle di S. Gennaro fra questo paese e Velletri, sul fianco meridio- nale del grade cono esterno; altro Peperino il Verri ed il Meli, per tacere di altri, citano in diversi punti alle falde occidentali dello stesso grande cono esterno. Però se per i Peperini che si trovano su questo ultimo versante citato del cono esterno, è difficile distinguere quelli formatisi con i materiali dovuti alle eruzioni di questa grande bocca da quelli del terzo periodo, cioè forma- tisi con i materiali eruttati dai crateri di Albano e Nemi, apertisi più tardi da questa parte su l'orlo craterico della medesima, per i Peperini che si tro- vano su i versanti settentrionale e meridionale del cono esterno tale dubbio non è possibile, e perciò si devono ritenere formati con i materiali proiettati dal grande cratere contenuto in esso cono. Vi è chi ha espresso l'opinione che il Peperino notato dal Meli alla Fonte del Pilozzo sotto Monte Porzio, possa essere un prodotto locale di quel conetto avventizio » ammesso pure che l'osservazione sia esatta, di fronte al fatto dell’esistenza del Peperino a Frascati, a Civita-Lavinia e nella Valle di S. Gennaro, il quale dimostra che in ogni parte del cono esterno, come in ogni parte di quello interno o centrale si trova del Peperino, si è obbli- gati a ben altre conclusioni. Il Meli osserva inoltre, molto opportunamente, che strati di Peperino devono giacere ancora inavvertiti in molti altri luoghi, perchè ricoperti dal terreno vegetale, o dai detriti moderni trasportati dalle acque, non appariscono od affiorano soltanto in qualche punto, come hanno re- centemente dimostrato le trincee tagliate nel terreno per la ferrovia dei Ca- stelli Romani. Questi fatti conducono necessariamente a concludere che nel Vulcano Laziale il Peperino non è prodotto speciale del suo terzo periodo, cioè dei (1) Meli R., Sopra i resti fossili di un grande avvoltoio (Gy ps) racchiuso nei Peperini laziali. Boll. della Soc. geolog. ital., vol. XVIII, fasc. 3°, Roma, 1889. — 469 — crateri di Albano e Nemi, ma che Peperino si è formato in tutti e tre i pe- riodi di esso vulcano, come lo attestano gli strati di questa roccia che si rin- vengono tanto nell’ossatura del cono esterno quanto in quella del cono cen- trale od interno. I Peperini dei due primi periodi sono meno visibili, meno conosciuti e meno studiati, 1° perchè da quanto si vede sembra ch’ essi non siano così potenti come quelli del terzo periodo; 2° perchè sono rimasti sep- pelliti sotto le deiezioni di eruzioni succedutesi durante i tre periodi del vulcano. Dal resto anche il Vulcano di Montefiascone, il quale è uno dei quattro che costituiscono il gruppo dei Vulsini (!) presenta la specialità di aver emesso in tutte le sue fasi dei materiali, con i quali si formò un Peperino, anzi questa è una delle caratteristiche che lo distingue degli altri tre vulcani del gruppo; sicchè la formazione del Peperino durante i diversi periodi di un vulcano non sarebbe un fatto verificatosi soltanto al Vulcano Laziale, ma come vedesi, ve ne sono già due esempi fra i vulcani stessi dell’Italia cen- trale. Anche i Peperini di Montefiascone e del Cimino contengono degl'inclusi, che sono però diversi da quelli del Vulcano Laziale; così, tanto a Monte- fiascone ed al Cimino come al Laziale, vi è del Peperino più fortemente ce- mentato e di quello che lo è in grado minore. Queste accidentalità, che si spiegano assai facilmente, non hanno importanza alcuna per quanto riguarda la genesi della roccia, che è identica a quella degli altri tufi vulcanici, ma la dividono in diverse specie più o meno atte ad essere impiegate nelle co- struzioni. Chimica. — Sulle forme superiori di combinazione dell’ar- gento. Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI F. pe HELGUERO. Per la risoluzione delle curve dimorfiche. Pres. dal Socio VOLTERRA. V. C (1) Moderni P., Contribuzione allo studio geologico dei Vulcani Vulsini. Boll. del R. Comitato Geologico, annate 1903 e 1904, Roma, 1904. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali storiche e filologiche. Pi >» Vol lVi Ni VISVIOS-VIIT. Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MeMoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — IL (1, 2). — DI-XIX. MeMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcoONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRrIE della Classe di scienze. fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. -X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1892-1906). Fasc. 8°. 1° sem. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1905). Fasc. 9°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fasc. 1°-3°. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIT. Fasc. 1°. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HoepLi. — Milano, lisa e Napoli. RENDICONTI — Aprile 1906. INDICE Classe di scieilze fisiche, matematiche e naturali. Sedtita del 22 aprile 1906. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Arzelà. Condizioni di esistenza degli integrali nelle equazioni a derivate parziali . . Pag. Di Stefano. Sull’esistenza dell’Eocene nella penisola Salentina . 0/20. 04 +0.» Angeli e Marchetti. Sopra gli azossitomposti (#). . . . . . ) . . 559) Lauricella. Sull’integrazione delle eqiiazioni dell’equilibrio dei corpi slanci i (pres. dallSocio0) 70) ea RE Levi. Ricerche sulle funzioni Dole (ei dal Socio Cic TO Ao i O) Lebon. Théorie et construction de tables permettant de trouver pin les feb pre- miers d'un nombre (pres. dal Socio Wolferra) . . . i È D) Magini. Influenza degli orli sulla capacità elettrostatica di un di. Ge dal Cini BUS MM Eredia. La pioggia a Ri ei dal Son Mii). sa n I) F. Millosevich. Appunti di mineralogia sarda. Bournonite del Sab (pres. dal Socio ISAUOCI ; » Moderni. Alcune osservazioni O a Hilcano ata e specie al Monte DS (pres. dal Socio Z'aramelli). .. .. : 1 » Barbieri. Sulle forme superiori di combo iii, dia dal Socio di) Do) » MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI De Helguero. Per la risoluzione delle curve dimorfiche (pres. dal Socio Volterra) . . . » (*) Questa Nota verrà pubblicata nél prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, respousabile. Pubblicazione bimensile. pool ii ti up etnia elio ra ts tit ioni tal nr ni» Ri le, alt e ela alieni lid ell u ii core t'nii only! a o (li “usi afro Dire Roma 6 maggio 1906. N. 9. ia REALE ACCADEMIA DEI LINCKI ANNO CCOIII. IND IEEE RE t®, Usi A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 maggio 1906. Volume XYV.° — Fascicolo 9° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1906 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO | PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE vr. Col 1892 si è iniziata la Serte quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. . 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le dele sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. i IG 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- - guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia 0 in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 2) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Meme agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è — date ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NANANAANNINSIIAIIT-IAN Seduta del 6 maggio 1906. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI.O PRESENTATE DA SOCI Fisica. — esistenza elettrica dei solenoidi per correnti di alta frequenza. Nota del Corrispondente A. BATTELLI. Occupandomi della resistenza elettrica dei solenoidi per correnti alter- nate ho mostrato (!), in una mia antecedente Nota, che i risultati teorici, trovati su tale argomento dal Wien, praticamente valgono soltanto per cor- renti di bassa frequenza, per le quali del resto il valore della resistenza differisce assai poco da quello che spetta alle correnti continue. In quella Nota io ho anche discusso i risultati teorici a cui era pervenuto posteriormente il Sommerfeld occupandosi dello stesso problema; essi si riferi- scono a solenoidi ideali, che. per esempio, potrebbero costruirsi avvolgendo ad elica un nastro metallico sopra un cilindro, in modo che sia ridotto a zero lo spazio isolante compreso fra due spire consecutive. In pratica invece i sole- noidi sono sempre costruiti con filo a sezione circolare, anzichè con nastro a sezione rettangolare; e ciò fa sì, che ai medesimi non possono affatto appli- carsi i risultati teorici del Sommerfeld, nè per basse, nè per alte frequenze. Veramente il Sommerfeld, confrontando la resistenza R dei suoi solenoidi ideali, supposti costruiti con nastro a sezione quadrata, con le corrispondenti resistenze R', che l’esperienza assegna a quei solenoidi quando la loro sezione, a parità di area, venga trasformata in un cerchio, era venuto alla conclusione che fra R ed R' c'è bensì una notevolissima discordanza — pari circa al 50 °/ r di R' — ma che il rapporto i è una costante y, che ha lo stesso valore (1) Rendiconti R. Acc. Lincei, seduta del 17 dicembre 1905, e del 4 febbraio 1906. RenpIcontI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 60 = == cr Tr e — 472 — (= 0,6) sia per le alte, che per le basse frequenze. In realtà però la co- stanza del rapporto R° nei casì esaminati dal Sommerfeld, deve probabilmente attribuirsi più ad una casuale coincidenza, che ad una vera legge fisica. E r infatti veramente improbabile che il rapporto i il quale per correnti con- tinue ha il valore 1, debba poi acquistare, in maniera quasi discontinua, il valore 0,6 appena la corrente diviene alternata e debba conservare costante- mente quel valore sia per le basse, che per le alte frequenze. Parrebbe perfino, secondo le conclusioni del Sommerfeld, che per le alte frequenze la resistenza di un filo avvolto ad elica debba essere indipen- dente dal passo dell'elica, il che è addirittura contradetto dalle esperienze. Se poi si volessero accettare i risultati del Sommerfeld, generalizzandoli con l'ammettere che al fattore y debba attribuirsi un valore compreso fra 1 ed ’/, e variabile da caso a caso, è chiaro che essi lascerebbero nelle for- mule una indeterminazione, per effetto della quale il valore calcolato per la resistenza può subire oscillazioni che arrivano al 50 °/, del valore reale; senza dubbio, nella maggior parte dei casi, si otterrebbe un'approssimazione mag- giore, assumendo senz'altro per valore della resistenza quello che, per cor- renti di quella data frequenza, si calcola colle formule che si riferiscono ai fili rettilinei. Infatti, in pratica il rapporto fra la resistenza di un filo avvolto a solenoide e la resistenza dello stesso filo disteso in linea retta si comincia sensibilmente a scostare dall'unità, solo per frequenze assai elevate; acciocchè tale rapporto possa acquistare il valore 2, si richiedono, nei casi sperimentali da me osservati (!), frequenze superiori a 100 mila alternanze per secondo. Io ho tentato per altra via la risoluzione teorica di questo importante problema, occupandomi unicamente del caso di frequenze molto elevate, perchè per le correnti di bassa frequenza servono assai bene i risultati del Wien. Io ho fondato la mia trattazione sopra un'osservazione di carattere assai generale, la quale estende notevolmente la portata teorica delle leggi ben note, che, per i conduttori rettilinei, esprimono il localizzarsi delle cor- renti di alta frequenza alla superficie. È noto che in un conduttore di forma qualsiasi le tre componenti v, v, w della densità della corrente, se questa è variabile col tempo 7, soddisfanno alle equazioni : 4ArTu dd A iu — I PI, 4rtu 4, rp MALA od ('*) Mem. R. Acc. delle Scienze di Torino, 51, pag. 514. A — dove di, 10 dy * da d* OE e le costanti w e o rappresentano rispettivamente la permeabilità magnetica e la resistenza specifica del conduttore. Queste equazioni sono state integrate in due casi particolari: quello in cui il conduttore sia costituito da una piastra metallica e quello in cui il conduttore sia costituito da un cilindro pieno o cavo; nell’un caso e nel- l'altro, se la frequenza delle correnti è sufficientemente alta, si trova che ('), indicando con wo = À c08 wl la densità della corrente alla superficie del conduttore e rappresentando IMerdk quindi con w il numero di alternanze che fa la corrente in 277 secondi, in un punto M (fig. 1) interno al conduttore e posto alla distanza s dalla su- perficie, la densità della correrte è (2) w= Ae" cos(wl — as), dove @ è una costante .e precisamente (3) DV piro o Come si vede l’ampiezza Ae 9 della densità della corrente decresce, con legge esponenziale, col crescere di s (1) J. J. Thomson, Recent Reseaches in Electricity and Magnetism, $ 257 e segg. Nel servirmi delle formole, riferite dal Thomson, io ammetto che sia m=0, cioè che le dimensioni del conduttore siano trascurabili di fronte alla lunghezza d’onda delle correnti. — 474 — e ciò fa sì che, per frequenze molto alte, per le quali « ha un valore molto grande, la corrente può quasi del tutto considerarsi localizzata in un sotti- lissimo strato superficiale del conduttore; oltre a ciò la fase della corrente diminuisce col crescere di s, nella stessa misura con cui va crescendo, in valore assoluto, l'esponente che comparisce nella precedente espressione del- l'ampiezza Si osservi che, per conduttori cilindrici a sezione circolare, la distribu- zione della corrente è simmetrica intorno all'asse del filo; perciò, assumendo questo come asse delle #, si ha u=v=0 e w diverso da zero e dipendente solo dalla distanza o del punto generico dell'asse medesimo. Si ha quindi dWI MPI dw - dw IDO Vh = —= 2W da Tag * de? d0° Q 30 12) e sostituendo nelle (1) si ottiene: d°w | 190 _ 4au ww de lede o dI Ora, indicando con « il raggio della sezione del filo, si ha q=a— 8, quindi dw ___3w eos piw. —. d'W del st (4) 3 310 D'altra parte è facile verificare che l'espressione (2) soddisfa alla equazione diw 4ru9dw (5) = DS PN Si è dunque condotti ad ammettere, che per frequenze molto elevate, nell'equazione (4) il termine è trascurabile di fronte ai rimanenti, ossia che il conduttore si comporta come se il raggio di curvatura @ della sezione del filo fosse infinitamente grande. — 475 — Considero adesso il caso generale di un conduttore di forma qualsiasi. Io suppongo che siano noti i coseni di direzione @, #, y della corrente; allora, indicando con g la grandezza della densità della corrente nel punto di coordinate x, y, 4, sì ha: u=ga = v=pf w=9y, ed una qualunque delle equazioni (1) può servire alla determinazione effet- tiva di g. Per maggior simmetria di trattazione è più vantaggioso servirsi di una loro particolare combinazione lineare. Si osservi a tal uopo che Ayu=a4,p +2/(a,p) + pia, dove 4, ha il significato anzidetto e / è il simbolo del parametro differen- ziale misto, cioè de IY dA dI 2a I@_| de IP tag ili da Dan r(a,9)= La prima delle (1) sì può dunque mettere sotto la forma: 1 dig dr Ea +27(2,9) +ghia=0 ; moltiplicando per @ e sommando con le altre due equazioni analoghe, che riguardano le componenti v e w, si ha (6) Ag — inu22 +2jar(e,9)+87(8,9+77(7, 9) + + g \a Aya + p4:,8 +7427| =0. Porrò per brevità aV(a,g) + PY(B,9)+y7(7,9)= E (7) cAd,0 4 BPA,}+-y4,y=—D, e riguardo alla E osservo subito che, ordinando i suoi termini secondo le derivate di g, si ha E da db dy\ dg (adt4a i +3 4 da dP_L,IY\ | a+ (#4 de dP_L,Y\2P (ce de pg e + + Ora dall’ identità e a — 476 — sì ottiene derivando rapporto ad 4 ) de dl 8 eee +y=0, (8) “o e similmente, derivando rapporto ad y ed a 2, si ottiene ie db dY (9) v iu, li, =0 dA Lg dP CIAZE (10) cui —@ Si ha dunque identicamente Ei_0, Quanto all'altra espressione, rappresentata con —D, essa si può anzi- tutto semplificare facendovi comparire le derivate prime di @, e y, invece delle derivate seconde. Infatti, derivando rapporto ad % la (8), si ottiene aa nah dalle (9) e (10) si ha i ui trae) Fe RE IRE Ro) Da queste tre relazioni, sommando membro a membro, si ricava (11) DE Me A4Ay, dove DE d ) È) il 4={- - |. i (a i i Attribuendo dunque a D o il significato espresso dalla (11) o quello equivalente espresso dalla (7), si ha 2 “ù 4rtu > (12) dig = = TL D.g Nel caso che la corrente abbia direzione costante, @, 8, y sono costanti e quindi D= 0; allora @ soddisfa alle stesse equazioni, a cui soddisfa una qualunque delle sue componenti. Ma se la direzione della corrente non è costante, D in generale riesce diversa da zero e l'equazione (12) a cui soddisfa la grandezza della den- n sità della corrente risulta in generale diversa da quelle a cui soddisfanno le componenti «,v,w della densità medesima. L'importanza più o meno grande che nei casi più comuni può assumere il termine D-g rispetto ai rimanenti che entrano nell'equazione (12), è su- bordinata alla natura delle espressioni effettive di a, e y in funzione di BOITO Limitando le mie considerazioni al caso più interessante per il pro- blema che io mi sono proposto, supporrò che, almeno entro un campo suffi- cientemente ristretto intorno ad un punto generico qualsiasi del conduttore, le linee di corrente possano approssimatamente considerarsi come archi di cerchi aventi tutti un medesimo asse. Assumendo quest’asse per asse delle 2 ed orientando convenientemente gli altri due assi coordinati, le coordinate <,Y, del punto generico di una particolare linea di corrente il cui raggio sia 7, si possono esprimere con formole del tipo: DM C08 À YE7:Se0% z = Costante . Ora la tangente nel punto generico di quest'arco segna la direzione della corrente; si ha dunque derivando rispetto a 4, 3) di — y VOTE! Va +? e analogamente e 00 Va? + y° Se ne deduce facilmente che è 1 DEA + Ae L'equazione (7) diventa dunque: 4ru dp 1 2) = — agg Nella generalità dei casi le linee di corrente hanno una curvatura trascu- rabile e quindi questa equazione si può scrivere semplicemente così: (8) dop a Per venire adesso alla generalizzazione sopra accennata, si consideri la — 478 — famiglia di superficie, su ciascuna delle quali la densità della corrente abbia un valore costante g. Sia si=(2:4) una di queste superficie. Suppongo che l'origine delle coordinate appartenga alla superficie e che gli assi delle x e y siano orientati come le tangenti alle linee principali di curvatura. Colle notazioni di Monge dE de DÉ5 DEG DES Reno rin s dI dY pia indicando con / una funzione qualsiasi delle coordinate #,7,4 di un punto af dr ° d intendendo che tali derivate siano calcolate col vincolare il punto a muoversi sulla superficie <= (x,y); si ha evidentemente generico, si cerchino anzitutto le espressioni delle due derivate totali 1. me DI Nel: ci dx, e derivando una seconda volta: 2 2/ n x; f 2. qs, A dove mancano i termini in p e g, perchè queste formule si intendono riferite all'origine, nella quale, per il modo con cui sono stati orientati gli assi, è p=q=0. In queste due ultime formule si ponga 4 al posto di f e sì ricordi : > SE Sd d? che sulla superficie «= 2(4,%) è g = costante, e quindi 2 = a {DE ne segue senz'altro che DD i 00 DIA j DICI ARRMPACI dW 8° onde ossia, indicando con s la distanza normale della superficie «= (4,7) e ricordando che 1 p a E Q 1 à : È 3 dove n è la curvatura media della superficie medesima, si ha È 2 d A,g= È LE I di , ‘ds Q ds (0) Piva PA 29 Ds AMM on o Ad Come si vede, questa formula coincide con quella (4), che vale pei con- duttori cilindrici a sezione circolare, e si può ritenere come una generalizza- zione di quest'ultima, ottenuta con l'attribuire ad — il significato di curva- Q tura media della superficie, sulla quale è costante la grandezza della den- sità della corrente. IBITGR2: d Come nella (4) il termine = di per correnti di alta frequenza, è tra- . . ne . > . . CS . . . scurabile di fronte agli altri due, così si è indotti a ritenere che anche nella (9) il termine (Val è trascurabile di fronte ai rimanenti e con grande approsimazione si può so- stituire alla (9) l'equazione Conseguentemente, indicando con g, il valore della grandezza della den- sità della corrente sopra una delle superficie, sulle quali è p= costante e considerando un arco MN=s (fig. 2) di una delle traiettorie ortogonali RenpIconTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 61 — 480 — alla famiglia delle superficie medesime, contato a partire dalla superficie fissa S, per la quale p= go, sì ha: (10) p=0 Pe cos(of — as) dove, al solito (11) a={/2708, o Dunque per correnti di alta frequenza nel passaggio da una super- ficie all'altra della famiglia di superficie, sulle quali R = costante, la densità della corrente varia con le stesse leggi che si riferiscono ai con- duttori cilindrici ed alle lastre piane. Questa appunto è la generalizzazione, a cui è stato accennato da principio. Essa è applicabile a tutti i casi in cui le linee di corrente siano cerchi di diametro molto grande aventi un medesimo asse, siano essi formati con spire di ugual diametro o di diametro differente, con spire di passo costante o di passo variabile, con filo di sezione circolare o di sezione differente ecc. Mostrerò in un’altra Nota le conseguenze che se ne possono trarre rela- tivamente alla resistenza dei solenoidi ordinari. Chimica. — Sopra gli azossicomposti. Nota del Corrispondente A. ANGELI e di G. MARCHETTI. Le ricerche eseguite in questi ultimi anni da uno di noi hanno dimo- strato che l’idrossilammina e nitrobenzolo e reciprocamente il nitrato di etile ed anilina, in presenza di sodio metallico, reagiscono fra di loro per dare origine a due prodotti isomeri (sotto forma di sali sodici) la cui struttura è senza dubbio da rappresentarsi per mezzo delle formole: C:H;.N= N(0H) | 0 C:H;.N= N(0H) | (0) L'una differisce dall’ altra per la diversa posizione cui è unito l’atomo di! ossigeno nell’idrato di diazobenzolo da cui si possono immaginare derivate: CH;.N= N(0H) . Siccome taluni ammettono che tali composti contengano l'anello: EN NL 904 — 481 — sì vede subito che la costituzione di queste sostanze è intimamente collegata a quella degli azossicomposti aromatici nei quali pure, in modo arbitrario e senza nessuna base sperimentale, viene supposta la presenza dello stesso aggruppamento ciclico. Per dare maggiore generalità alla reazione da noi scoperta ed anche per portare un nuovo contributo che servisse a chiarire la costituzione dei composti in parola, noi abbiamo fatto reagire i nitrocomposti aromatici sopra le ammine. Era da prevedersi che anche in questo caso la reazione dovesse procedere in modo perfettamente analogo. Trattando infatti anilina e nitro- benzolo con sodio metallico, dopo brevissimo tempo, si ottiene un sale che all'aria si accende spontaneamente; una determinazione di sodio rende molto probabile che al prodotto spetti la struttura (*): CH; . NOONa | CH; . NNa Per azione dell’acqua viene facilmente idrolizzato e fra i prodotti di decom- posizione sì riscontrano notevoli quantità di acossibenzolo. Nello stesso modo si compie la condensazione della «-naftilammina con la «-nitronaftalina; in questo caso si ottiene, con buon rendimento, la a-azossinaftalina. Stabilito che per mezzo della nuova reazione si formano azossicomposti aromatici, identici a quelli già noti: R.NH,+ NO..R=R(N:0)R+ H;0 , noi abbiamo fatto reagire l’anilina sopra la «-nitronaftalina C;H;. NH; 4- NO». CroHr e reciprocamente il nitrobenzolo sopra la «-naftilammina CsH; . NO; + NH, . CooH, . In tal modo siamo arrivati a due prodotti che differiscono fra di loro in modo notevole e le cui formole saranno con grande probabilità da rappre- sentarsi per mezzo degli schemi: (*) L'azione del sodio metallico sopra il nitrobenzolo procede in modo straordina- riamente lento. Secondo I. Schmidt si ottiene in tal modo il sale bisodico della fenil- idrossilammina : CsHs. NONa: . Il prodotto da noi ottenuto non riduce il liquido di Fehling. — 482 — trascurando per il momento isomerie, poco verosimili, dovute a differente configurazione delle molecole (1). Il processo di condensazione delle ammine con i nitroderivati (in pre- senza di sodio) è quindi di indole generale e nel seguente specchietto riu- niremo i casi più importanti a cui finora l abbiamo esteso: (1) (HO). NH, + NO, “(;H; = HO(N:0)C:Hy -+H;0 (2) (HO). NH, + NO: .00.H; = HO(N:0)OH + CH;0 (3) CH; . NH; -- NO, . 0C,H; = C;Hx(N:0)0H + CH; 0 (4) CH; . NH, + NO; ICH, = C5Hs(N:0)C;H; -EH70 Come si è già detto, la (1) e la (3) conducono a prodotti isomeri e non identici. Comunichiamo con tutto riserbo questi risultati ancora preliminari, riserbandoci di far seguire in una prossima comunicazione la descrizione delle esperienze che si riferiscono alla presente Nota. Chimica. — Nuove ricerche intorno alle sostanze dette aro- matiche a 6 atomi di carbonio. Nota del Socio G. KORNER. Chimica. — Intorno alla sesta nitrobibromobenzina. Nota del Socio G. K6oRNER e del dott. A. CONTARDI. Botanica. — £icerche sulla produzione artificiale della me- lata sulle foglie dell'olivo. Nota del Corrispondente G. CUBONI. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (®) Il processo di formazione degli azossicomposti scoperto da E. Bamberger (azione dei nitrosoderivati sopra le idrossilammine aromatiche) conduce sempre, come è noto, ad un prodotto simmetrico od a miscugli di prodotti simmetrici. — 483 — Matematica. — Sopra alcuni caratteri di una varietà alge- brica a tre dimensioni. Nota di MARINO PANNELLI, presentata dal Corrispondente G. CASTELNUOVO. Nell'ultimo paragrafo della sua classica Memoria: Zur Theorie des ein- deutigen Entsprechens algebraischen Gebilde, pubblicata nel volume VIII dei Mathematische Annalen, Noether esamina alcuni caratteri di una varietà a tre dimensioni, definita da un'equazione omogenea fra cinque variabili, deducendoli dalla considerazione del sistema delle superficie canoniche, trac- ciato sulla varietà stessa, supposta d'ordine n, dalle varietà aggiunte d’or- dine n — 5. Essi sono: il numero p, Raumgeschlecht, di queste varietà aggiunte linearmente indipendenti fra loro; il Flichengeschlecht p° e il Curvengeschlecht p‘’ di una superficie canonica; il genere p° della curva d'intersezione di due di tali superficie; e il numero p dei punti comuni a tre delle superficie medesime. Accanto a questi invarianti, che, in virtù del loro significato, si dicono geometrici, se ne possono considerare altri, che sì denominano numerici, perchè definiti da espressioni numeriche formate con ì caratteri di un sistema qualunque di superficie dato nella varietà, e con quelli del sistema aggiunto. Siffatti invarianti sostituiscono i precedenti, nel casì in cui questi non hanno più senso; coincidono con essi, quando la varietà data soddisfa a certe condizioni; infine sono nuovi caratteri invariantivi per le varietà, nelle quali queste condizioni non si trovano verificate. Lo studio degli invarianti numerici di una varietà costituisce l'oggetto della presente Nota. Il procedimento col quale si riesce a trovare questi invarianti è natu- ralmente simile a quello che si segue per la ricerca degli invarianti analoghi sopra una superficie. Qui si è in particolar modo tenuta presente la Memoria di Enriques: Intorno ai fondamenti della Geometria sopra le superficie algebriche, inserita nel volume XXXVII degli Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino. Riguardo alla varietà data, si suppone che essa possa trasformarsi in un'altra W di un iperspazio affatto priva di singolarità; e a quest'ultima si intendono sempre riferite le ulteriori considerazioni. Sui sistemi lineari |S|di superficie S, che si prenderanno in esame nella varietà W, si fanno ipotesi e convenzioni analoghe a quelle, che vengono ammesse nella citata Memoria di Enriques, per i sistemi lineari di curve tracciati sopra una superficie. 1. In questo primo numero si trovano esposte alcune proprietà, di cui si fa uso in seguito, sulla dimostrazione delle quali qui per brevità si sorvola. — 484 — I. « Il genere aritmetico P e l’invariante 2 di Castelnuovo-Enriques « di una superficie F, somma di 7 superficie F,, sono rispettivamente dati « dalle formole: (1) P— SP, + Sg(F;F)} + 3(F;F;Fa) _(—-Dle-2) 2 (2) Q== SQ + 3| 20.2) ct (Fa) — “A ori [22(F; F Fx) + 2(F; F; Fj) + 9 Fama 19) « dove P; ed ; sono gli invarianti analoghi di una qualunque F; di quelle «7 superficie; 9(F.,F;) rappresenta il genere della curva d’ intersezione (va- « riabile) di due F; e F; delle superficie medesime; (F;F;F;), il grado del « sistema lineare di curve tracciato sopra F; dal sistema lineare di super- « ficie cui appartiene F;; ed (F;F;F,), il numero dei punti comuni (varia- « bili) di tre F;, F;, F, delle superficie date. Infine le somme 2 debbono «essere estese a tutti gli enti simili a quelli messi in evidenza » (!). Dalle due formole precedenti segue immediatamente l'altra: (3) SP — 9=85P, — 20,4. 22(F,F;F,) + S(F,EF){ 9-1). II. « Le superficie Iacohbiane S; dei sistemi lineari co 8 contenuti in un « sistema lineare |S| (co? almeno) di superficie S, dato nella varietà W, « appartengono ad un medesimo sistema lineare >. Questo sistema può contenere elementi fissi; ed effettivamente contiene una curva fissa, o un determinato numero di punti fissi, se il sistema |S| è 004, oppure 00°. Tali elementi si riguardano come virtualmente non esi- stenti, e così risulta un sistema lineare completo, che sì chiama szstema Iacobiano, e sì indica col simbolo |S;|. III. « Ogni superficie S; del sistema |S;| taglia una superficie assegnata $ « del sistema dato |S| secondo una curva che appartiene al sistema Iacobiano « determinato sopra questa superficie dal sistema caratteristico della super- « ficie medesima ». IV. « Dato nella varietà W un sistema lineare 008 di superficie S, « virtualmente privo di elementi base, la Iacobiana del sistema [S+ T|, « che si ottiene sommando ad |S| una superficie T, si compone della Iaco- « biana del sistema |S| e della superficie T contata quattro volte ». Si dice sistema aggiunto ad un sistema dato |S| e si indica con |Sc il sistema definito dalla relazione simbolica : (4) |Sa|l=1S; — 88]. 4 (!) Per un caso particolare delle formole (1) e (2), veggasi il n. 40) del $ 1° della Memoria di Severi: Su alcune questioni di postulazione. Rendiconti del Circolo Matema- tico di Palermo, tomo XVII. — 485 — Si indicherà con x il grado del sistema |S|, e con p il genere della curva d’intersezione (variabile) di due superficie del sistema medesimo; 7, e p, avranno i significati analoghi rispetto al sistema aggiunto |S,|; ossia sì porrà: i SRMZEe ESAME In virtù del teorema IV e della data definizione di sistema aggiunto, si dimostra come nel caso delle superficie : V. «Se |S| ed |S'| sono due sistemi lineari irriducibili, virtualmente privi « di elementi base, si ha: (6) \S+S]a=|S+S8|=]S2+S1: Dalla relazione (4) segue: (882) =|(5S) — 3($S)| e di qui, tenendo presente il teorema III e ricordando che una curva cano- nica di una superficie, presa insieme alle curve eccezionali e a tre curve di una qualunque rete irriducibile, costituisce una curva appartenente al siste- ma lineare completo determinato dalla Iacobiana della rete, si deduce: VI. « Ogni superficie S, del sistema |Sx| taglia una superficie assegnata S « del sistema |S|, fuori delle curve eccezionali di questa superficie, secondo «una curva canonica della superficie medesima ». Quindi detto 2 l’ invariante di Castelnuovo-Enriques di una superficie $, si hanno le relazioni: (7) g(SSo)= Le (5,8) Ri dalle quali segue: (8) 9($Sa) 3 (SS, Sa) ila 1. Infine si osservi che si ha ancora: (9) . (8SS)=2%p— 1). 2. Si applichi la relazione (8) anzichè al sistema |S|, al sistema |S+ S|; osservando che il sistema aggiunto a quest'ultimo, per la proprietà V del numero precedente è |S, + S.|=|2S2|, si ottiene: (10) g(S+S,,2S,)=(S4+S,,25,,29S) +1. Ora si ha: 9($ + Sa ; 250) = 29($Sa) + 29(Sa Sa) + 3($S2 Sa) + (82 Sa Sa) — 3 ossia per le formole (5) e (7): 9(S+ Sa, 259) = 524 2pa + na—_ 6. — 486 — Inoltre: (S+ S,., 28, , 282) = 488,5) + 45, SaS) = 42 + 4a — 4. Sostituendo questi valori nell'eguaglianza (10), si trova: I. « Fra il grado x, e il genere p, ha luogo la relazione: (11) It Pa=L£ 3. In virtù della prima delle formole (7), il genere della curva (S+ S,, 282) è dato dall' invariante di Castelnuovo-Enriques relativo alla superficie S + Sx. Quindi calcolando questo invariante per mezzo della formola (2), si ha altresì: 9G(S+ Sa, 25) =2+ 2, + 89(SS,) — (588) — (SS, 8,) — 9 ossia per le (7) e la (9): I(S4 Sa, 28 = La +82 — PH n 6. Con questa nuova espressione del 9(S +- Sa , 25,) e conservando per (S + Sa, 2Sa , 254) il valore precedentemente calcolato, l'eguaglianza (10) somministra ancora: II. « Fra i caratteri n, ed £, ha luogo la relazione: (12) Ita — Q=42—2p4+n_-3. Eliminando £ fra la (11) e la (12) si ha infine: III. « Fra i tre caratteri n, pa ed £, ha luogo la relazione: (13) Q,+ 8na—P)=2P—n_-9. 3. In virtà del teorema V del n. 1, il genere aritmetico di una super- ficie S4- S7 è eguale a quello di una superficie S, + S'. Quindi per la for- mola (1), si ha intanto: (14) P+P,+g(88)=P+P+ g(8°8,) Inoltre dalla relazione (6) segue ancora: (5218) + (Sa Sa) = (Sa Sa) + (528) (S.9) + (Sa Sa) = (SS) + (8.97) donde, sommando, si ricava: (Sa) + (882) + (8250) = (8 Sa) + (9°S,) + (82.84) epperò : 9(88a) + 9(882) + 9(Sa Sa) + (5a 8a) + (58250) = g(8 82) + 9(8" Sa) + 982 Sa) + (9° 87 Sa) + (98,8) — 487 — La stessa relazione (6) dà: (SS: 8a) + (8.9.9) = (9,9,8) + (88,8) (88-81) + (8 Sa be 088) +(8°828) (SSa Sa) + (Sa Si Sa) = (828, 5) + (982 Sì) donde, sommando, si deduce: ($S282) 1 (58451) + (88290) +(525284) (988) 1988) +9 880) +(ISaSa) - Sottraendo, questa eguaglianza dalla precedente, si ottiene: 9(SSa) + 9(5Sa) + 9(Sa Sa) — (88280) — (868580) = 9(8' Sa) + 98 Sa) + 9880) — (98750) — (Sa Sa Sa) ossia, per le formole (5) e (7), e le analoghe relative ai sistemi |S"| ed |S/|: Da — Na + 9(SS) = Pa — na + 9(8°Sa) » Infine, si sottragga questa eguaglianza dalla (14); dalla risultante segue immediatamente : RS Ci le + Na la == Pi du” pi + Na — Di . Dunque: I. « L'espressione (15) A=P,—-PHn_ Pa +8 «è un invariante della varietà » Sostituendo ad %,— p, il suo valore dato dalla (13), si ha ancora: II. « L'invariante 4 è anche espresso dalla formola: (16) 84 =8P, — Q2,—8PH42p—n+ 15. 4. In virtù della relazione (6), si ha: I(S48,8+S)=9(8+8,94$S,) donde, calcolando questi due generi segue : 9(SS) + g(882) + 9(8° Sa) + (SSS) + (SSS7) + 2(99" 82) = 9(8°8) + 9(9'S2) + AI) + (ES) + (VI SL 2A IC) La stessa relazione (6) dà: (585) +- (8852) = (985) + ($$8)) (SSIS) + (SS) (VIS) (99) (SS'S) + (SS'S) = (SS Sa) + (89° S) RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 62 — 488 — donde facilmente si deduce : (SSS') + (SSS7) + 2(9S' 81) +(S'S' SA) — (S°S'S) = (SS S) + (S'S' Sa) + 2(9' SS) + (99S.) — (SSS) . Sottraendo questa eguaglianza dalla precedente, si ottiene: 9(8S) + 9(8S2) + g(9°S) — (99° Sa) + (898) = ISS) 4 9(8'Sa) + g(55a) — (888) + (S$S) ossia, per le formole (5), (7) e (9), e le analoghe relative ai sistemi |S'| ed |Sz|: 2 + pT—_ 2p + 2n + g(SS) = 24 p — 2p+ 2n+ 98 8). Infine, si sottragga questa eguaglianza dalla (14); dalla risultante segue immediatamente : P,—P_Q+3p—-2n=P,—P'—L'4 39 — 2w' Dunque: I. « L'espressione (17) AV=P,-P_Q+3p—2n —3 « è un invariante della varietà ». Dalle relazioni (16) e (17) segue subito: S(4AO — M)=2,— 82-+ 22p — 15n — 39 e quindi posto: (18) AO =Q,—-82-+ 22p — 15n — 14 si ha intanto: II. « L'espressione 4° è un invariante della varietà ». Ed inoltre: III. « Fra gli invarianti 4, 4° e 4° ha luogo la relazione: (19) (AV — d)= 40 — 25. 5. In virtù del teorema V del n. 1, il grado del sistema |S+ Sg| è eguale a quello del sistema |S'#+- S|; quindi, calcolando questi due gradi, si ha: (SSS) + 3(SSS,) + 3(SS7 Sa) + (87 Sa Sa) = (999) + 3(9°S° Sa) + 3(S Sa Sa) + (Sa Sa Sa) La relazione (6) dà ancora: (SSS7) + (84.892) = (Sa SS) + (8 SS) (SS'S,) + (849 Sa) = (Sa 9 Sa) + (98 Sa) (52882) + (9892) = (899) + (9 SS.) (S48' Sa) + (98/82) = (9882) + (8.85) — 489 — donde facilmente si deduce: ($SSa) + (SSa Sa) — (9Sa Sa) — (88 Sa) = (95 Sa) + (88,80) — (S°S, Sa) — (898,) . Sottraendo questa eguaglianza, dopo averne moltiplicati ambo i membri per 3, dalla precedente, si ottiene: ($$) + 3(SS Sa) + 3(9°9' Sk) + (8782 Sa) = (998) + 3(9' Sa Sa) + 3(8$S2) + (So Sa Sa) donde, per le formole (5), (7) e (9) e le analoghe relative ai sistemi |ST| e |S,|, segue immediatamente: N — IL 6p — An=n, — 32 + 6p' — 4n' . Dunque: I. « L'espressione (20) AV =NUT-B3LH 6p— 4n —3 « è un invariante della varietà ». Dalle relazioni (15), (17) e (20) segue subito: 40 LAO — A=pa — 40+-9P— 6n—-9 e quindi posto: (21) AO = Ph, — 404 9p—_ 60n—-5 si ha intanto: II. « L'espressione 4°‘ è un invariante della varietà ». Ed inoltre: III. « Fra gli invarianti 4, 40,49 e 4° ha luogo la relazione: (22) AM + AO - AV ATA. Infine, se dalle formole (18), (20) e (21) si ricavano i valori di 2,, Na ® Pa, ® Questi si sostituiscono nelle (11) e (12), si ottiene ancora: IV. « Fra gli invarianti 4®, 4° e 4 hanno luogo le due relazioni: AO -1=44® (23) DAD — 92 34 s Facendo le medesime sostituzioni nella formola (13), si ricava un'altra relazione fra questi stessi invarianti 4, 4 , 4, che è quella stessa che sì otterrebbe eliminando 4°) — 4 fra la (19) e la (22): essa però è una conseguenza delle due precedenti (23). Sarà dimostrato in una prossima Nota, che 4 è un invariante assoluto, mentre 40, 4, 4° e 49 sono invarianti relativi; ed inoltre che questi coincidono con gli invarianti p®, p®, p? e p di Noether nel caso in cui la varietà non contenga elementi eccezionali. fr '—_—_—T_—T__"*‘*l{l%kKx<%<——_"—, — 490 — Matematica. — Su! Principio dei lavori virtuali in rapporto all’attrito. Nota di E. ALMANSI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Meccanica. — Sulla risoluzione del problema di Dirichlet col metodo di Fredholm e sull’integrazione delle equazioni del- l’equilibrio dei solidi elastici indefiniti. Nota di Gruserpe LAuRI- CELLA, presentata dal Socio U. Dini. Matematica. — Sopra una ricerca di limite. Nota di ETTORE BoRTOLOTTI, presentata dal Corrispondente E. CESAÀRO. Matematica. — Sulle trasformazioni che lasciano invariata la frequenza di insiemi lineari. Nota di ErToRE BORTOLOTTI, presentata dal Corrispondente E. CeEsÀRO. Matematica. — A:cerche sulle funzioni derivate. Nota di Beppo LEVI, presentata dal Socio C. SEGRE. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sur quelques propriétés nouvelles des fonetions cylindriques. Nota di NreLs NIELSEN, presentata dal Socio U. Dini. $S 1. Développements des deux produits I'a)J® (ix). — Dans mon Traite des fonctions cylindriques (') j ai donné la formule générale (1) Deo) Ipo) =a PS (IVA(E) où il faut admettre e P(-r-a a 1+0,5) (2) Ance n!IT0+1)T+4+a-+1) il saute aux yeux que le cas particulier a = =1 présente un intérét par- (1) Handbuch der Theorie der Zylinderfunktionen, p. 20. Leipzig 1904. — 491 — ticulier, parce que la formule de Gauss nous permet de donner sous simple forme la série hypergéométrique qui figure au second membre de (2). Or, il est très intéressant, co me semble, que ces deux autres cas par- ticuliers a=1,f=%,0= +» nous conduisent è des résultats analogues et aussi simples que le précédent. En effet, étudions tout d'abord le cas o=v, il s'agit de déterminer sous simple forme la série hypergéométrique | F—-r-n,n,1+v,-1)=1+ be ee 1) See 1) i) (4) O+)0+2)...0+3) Cela posé, remarquons que nous avons évidemment F—-v—-2n—-1,—2n-1,1+v,—-1)=0, ce qui s'accorde bien avec la forme méme de la série ordinaire qui repré- | sente la fonction cylindrique de première espèce, il ne nous reste qu'à la détermination de la somme susdite pour des valeurs pazres de x. | A cet effet, écrivons sous cette forme plus simple la somme dont il s'agit so) 2-+2. (_1):(? 10m) ee EI) (3) Ca S| VS) W+1)0+2).. (+5) pe (20) ©4200-4214 +1) ui De(#) +1)@+2).. +") i nous aurons, après une simple réduction, cette équation aux différences finies Sha —i (#51) (#9a0) Remarquons ensuite qu'un calcul direct donnera, en vertu de (3), pour de petites valeurs de 7, une expression de la forme (2)r! 1 e r! +1)(0+2).. (+7) puis supposons vraie pour #=n —1 la formule (5), l’équation aux diffé- rences finies (4) aura comme solution générale une fonetion de la forme A 2n)! 1 6) OS s ——eee®— __ _ _o_.; I rt (ES TERI) +Sppcan ii) où C(») désigne une fonction arbitraire assujettie è satisfaire è la condition de périodicité C(r +1) = C(»). Or, dans le cas particulier, où la fonction f,(v) est une fonction ra- tronnelle de v, C(v) doit ètre indépendante de v, de plus, remarquons 1’ iden- tité S,(00)=0, tirée directement de (3), nous aurons dans le cas particulier (4) So-+P)=S0= Ban (0). (5) S,(v)= (1) — 492 — susdit C(v)=0, ce qui montrera clairement que la formule (5) est vraie pour une valeur quelconque de 7. Cela posé, la formule générale (1) donnera finalement la série de puis- sances très intéressante Q 2V+45S ce (5) Gi S!II0+s+1)T+2s+41)? qui est certainement nouvelle, Dans le second cas 0=— », il s'agit de trouver sous simple forme la somme % (7) IN) NES F(—-—r-n,n,1-v,-1). A cet effet, prenons pour point de départ la formule de Gauss (1) (B—-1—-(y— 0)2).F(a,f,y+1,2)+(y—8+1):F(e,B—1,y+1,0)= = y(ll—2)-F(e,f,y,2) nous aurons immédiatement F—1—-r-n,—n,—v,—-1)= = LIL. Ia», -2-1,1-s,-1) d’où après une simple réduction Fil 2a ed 1 STIRIA 2 2 2 Fiov=2a- lar) eni io Deo 2 2 2 ce qui donnera en vertu des propriétés fondamentales et très connues de la fonction gamma : LC 45 SE=% 92 "Pa Tia) = 008 E. S° "pls 4 22) . Ie ito pe Va 4S+2 VIENI (5) — sin —— » e e Team.) (1) Disquisitiones generales circa functiones a serie infinita etc. $ 8. Comment. Gotting. t. 2; 1813. — 493 — d'où en mettant — 7 au lieu de #, ces deux formules plus élégantes PIAI + Pi) IN) = — 2 cos n Me 5 dere) D) Ia I Ca) — (AA) ; S_00 BOL È DI les trois dernières formules sont certainement nouvelles aussi. $ 2. Applications: Equation différentielle, intégrales définies. — Le développement trouvé de (8) pour la fonction = Va)" a) nous conduira naturellement è chercher pour y une équation différentielle de la forme CT b e a d (10) y0+4 40 +2 90+L90+(£+£)y=o0. A cet effet, introduisons dans (10) la série susdite, puis mettons O —-V (12) 5 , Sele DPS — a il résulte, en cherchant le coefficient de la puissance «**?5*, une condition de la forme om —1)(0—2)(o—3)+ 400 —1)(o—-2)+d0(0—1)+4+c0 +d+ + 4a0(0 — 1) (0° — v°)=0 qui doit étre satisfaite par une infinité de valeurs de w, ce qui donnera immédiatement l'équation différentielle cherchée (11) yo+ go + 2 L Ven. 1 Ty gallo; qui est extrèmement simple. Cherchons maintenant l’intégrale complète de (11) en y introduisant la série Ss=%w0 y= DI 6s* gl+3, s=0 — 494 — nous aurons, après une légère transformation de la variable indépendante, la proposition suivante : L’intéegrale complète de l'équation différeniielle ea = 4y? (12) go pi. go pid go 1.0 _4=0 La x se présente sous la forme (13) Z= ce) Ilie) + code) Via) + coTUia) Te) + Ya) Y(2), où Y deésigne la fonction eylindrique de seconde espèce, tandis que les c sont des constantes par rapport à x. Comme une autre application des formules du $ 1 nous avons à dé- terminer quelques intégrales définies d'une simple forme. A cet effet, appliquons tout d'abord l'intégrale eulérzenne de seconde espèce I) ceto pr de = TO) , R@)=0 , RO, WAd nous aurons immédiatement, en vertu de (7) et (8), ces deux formules intégrales (c°) (14) i f P(aFaby= Eat (15) © Di 7 (V2+ a) I (V—2+ e) etdt= ia) — i Xiz), où Z/ et X désignent les fonctions de Poisson-Anger (*), savoir: ETA < »(5) dr en) dans (14) il faut supposer Fiv) > —1, tandis que (15) est valable pour une valeur finie quelconque de ». Cela posé, appliquons la formule de Weierstrass (?) Il ei OA TASENI Ana DITA A 16 da Mo) re) 2a (*) Handbuch der Theorie der Zylinderfunktionen, p. 47. Leipzig 1904. (*) Voir mon: Handbuch der Theorie der Gammafunktion, p. 147. Leipzig 1906. — 495 — où w désigne un chemin d'intégration qui renferme l’axe des nombres né- gatifs avec l’orgine en entourant dans le sens direct ce dernier point, nous aurons immédiatement ces inversions des formules (14) (15) (17) P(VAT(V- = Sii fl CP) dt 2ri 18), P(Va) IE 2)= -; fe z (#(5) de (2)) di, formules qui sont valables pour des valeurs finies quelconques de x et v. $S 3. Séries analogues à celles de C. Neumann. — L'intégrale curvi- ligne (17) que nous venons de développer est d'un grand intérét. En effet, considérons en premier lieu cette série neumanzienne de pre- mière espèce (!) a\\_C(0+25)T(r+s (19) 2\= Corro +) 2 = sl / s=0 se valable pour une valeur finie quelconque de #, tandis que v ne doit pas ètre écal à un négatif entier, les formules (16), (17) donnent immédiate- ment ce développement analogue UNE “08 Ce OE = ea v+2s x v+2s pn: n n "we. valable où l’est (19). En second lieu introduisons la série kapteynienne (2) de première espèce ND Eeks Di 91 L E2h3,25 I __., TV+2s 9 (21) e IMe+2)2), où v ne doit pas étre égal è un négatif entier; dans le cas v=0, la for- mule (21) se réduit à l’identité 1=1, tandis que la série générale (21) est certainement absolument convergente pourvu que |27|<@, où © désigne la racine positive de cette équation transcendante (20) — - € 4 = Il 9 = 0,659... Cela posé, nous aurons évidemment, en vertu de (17), ce développement analogue di) _ SEI H-5) È eli pa - J+5(V/@ +29) 2): I+8(V/— (+25) 2) (1) Zylinderfunktionen, p. 273. (*) Ibid., p. 303. RenpIcoNTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 63 — 496 — qui est valable pour une valeur finie quelconque de .7, pourvu que v ne soit pas égal è un négatif entier. Considérons maintenant la série de puissances (23) = ta($) +e (2) +@(£) + dont le rayon de convergence et égal è 0, puis mettons dans (21) (22) v+1,v{+2,v+3,... au lieu de v, une application de la méthode que Jai expliquée dans mes recherches sur les séries neumanniennes (*) donnera ce théorème nouveau : La série de puissances (23) est développable en séries de fonetions cylindriques, comme suit: n ia (a) È AT) 2) 4 V ZI. SEEM HB). i Grido (8) M@=() IBIWOTIA EEA, où nous avons posé pour abréger (26) A,=(vr+%)- Di ila Twta_-254+1)T(+n—s) ns pesi 1 FED'O+n-29 2 _ Di i (27) Bn (Ceo Ae SOTTO TI4+nT_-25+1)T(+1T— 5) Gn: Les deux séries ainsi obtenues et la série de puissances donnée sont en méme temps convergentes, oscillantes ou divergentes, et la convergence est toujours du méme caractère: absolue ou non, uniforme ou non. Remarquons encore que les deux séries (24) et (25) présentent la méme analogie que j'ai développée, dans mon 7raété (*) susdit, entre les séries neumanniennes et apteyniennes. On voit du reste que les deux coefficients A,, et B, deviennent généra- lement plus compliqués que ceux obtenus en développant en séries neuman- niennes ou kapteyniennes la méme fonction (7). La raison de ce fait est à chercher dans le diviseur Tr + 1) qui figure aux premiers membres des deux développements fondamentaux (20) et (22). (1) Loc. cit. p. 266. (?) Zylinderfunktionen, p. 303. ON — Considérons maintenant ce développement bien connu (') re 2s) T(v È Rea: (28) Perna YO Morta, ns, +1,09)) 2s(x) applicable pour des valeurs finies quelconques de 4 et @, la formule (17) donnera immédiatement la formule analogue: 29) Ieri a) = VO+MIO+A, (DO) VAIO) (Var) J (1 cs) a QAR n) -F+s,—8,0v+1,a9)J®*(V/ a) T**(V/— 2), qui est valable où l’est (28). Pour accentuer la flexibilité extrèmement grande des fonctions cylin- driques nous avons è citer encore ces développements particuliers a) ESSE — Yao = Yat) Ia), où nous avons posé pour abréger @==1;&= 2 pour s = 1. Les deux der- nières de ces formules (30) sont des conséquences immédiates de la première, comme le montrent clairement la formule intégrale (17) et une formule analogue que jai développée dans une Note qui paraîtra dans le Journal de Crelle. Fisica. — Separazione quantititativa del radiotorio dai fanghi di Echaillon e Salins Moutier (€) Nota di 0. ANGELUCCI, presen- tata dal Corrispondente A. SELLA. Fin dai primi studi di Blanc (3) Sui costituenti radiovattivi dei sedi- menti di Echaillon e Salins Moutiers veniva dimostrata chiaramente la stretta analogia che la nuova sostanza radioattiva ha col torio. Era dunque di grande interesse poterne avere a disposizione una certa quantità per com- pletarne lo studio fisico, e per stabilire, ove fosse possibile, oltre al peso atomico, qualche tipo di combinazione che permettesse di classificare il nuovo elemento nel sistema di Mendelejeff. Contemporaneamente a Blanc, Hahn (‘) aveva intrapreso questo studio, e dalle misure eseguite da Sackur (5) e da altri, riuscì a stabilire la so- (VElocsreitasp: 275, (*) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico-Farmaceutico della R. Università di Roma. (°) Phil. Mag., gennaio 1905; Comptes Rendus 1°". Congrès Radiologie, Liège, 1906; Rendic. Ace. Lincei, XIV, 2° sem. pag. 322; XV, 1° sem. pagg. 328, 349. (ZIE Chl 7,7 (3) Ber. 38, 1756. — 498 — miglianza delle proprietà radioattive di esso con quelle dei sali di torio, ed appunto per questo lo chiamò radzotorzo. Chimicamente crede che appartenga al gruppo dell'ammoniaca; ma a me sembra ancora prematuro un giudizio in proposito, perchè sebbene questo elemento precipiti quantitativamente con ammoniaca, precipita quantitativa- mente anche insieme al solfato ed al carbonato di calcio ed ha l’ossalato insolubile; quindi potrebbe con maggior probabilità appartenere al gruppo del carbonato ammonico. Ed è anche da osservare che il precipitato che si ottiene con l’ammoniaca, può darsi che sia costituito non dall’ idrato, ma dal carbonato formantesi per azione dell'anidride carbonica dell’aria. Il materiale di cui Hahn si servì per l'estrazione del radiotorio fu un campione di torianite del Ceylan acquistato da Sir William Ramsay, che venne lavorato nella fabbrica Tyrer e C° di Londra e dal dott. Denison. Da k. 250 di minerale si ebbero 18 gr. di carbonati insolubili, da cui fu separato il radio col metodo di Giesel. Le acque madri furono trattate con idrogeno solforato, e nel liquido filtrato fu precipitato il radiotorio con ammoniaca. La quantità estremamente piccola di materiale che io avevo a dispo- sizione (circa 200 gr. di fango) rendevano impossibile l’applicazione del me- todo adoperato nella lavorazione della torianite; e nemmeno potevo servirmi della cristallizazione frazionata della parte di fango solubile in acido clori- drico, perchè la grande quantità di ferro presente penetrava nei cristalli che si formavano ed anche perchè parte della sostanza attiva veniva trascinata da essi. Anche gli altri metodi studiati da Hahn non erano applicabili, non solo perchè non permettevano una separazione quantitativa dell'elemento at- tivo, ma anche perchè non era con essi possibile isolarlo dal ferro. Era perciò necessario di trovare un metodo nuovo che permettesse di separare una quantità infinitamente piccola di sostanza da un complesso di sali di cui una parte avevano molte proprietà chimiche comuni. Una concentrazione di attività abbastanza considerevole era già stata ottenuta da Blanc precipitando con ammoniaca la soluzione cloridrica del fango. Da questo precipitato non era però possibile isolare la parte attiva dagli altri idrati (costituiti per la massima parte da ferro e manganese) con cui era mescolata; inoltre nel liquido ne rimaneva ancora una quantità rilevante. Dopo una numerosa serie di tentativi diretti specialmente alla separa- zione del radiotorio dagli elementi che precipitano con ammoniaca, mi ac- corsì che precipitando il calcio allo stato di solfato dalla soluzione cloridrica del fango, la parte attiva veniva quasi totalmente asportata. Lavando però con acqua il precipitato raccolto su di un filtro per eli- minare i sali di ferro la parte attiva si discioglieva, e nel precipitato non ne rimanevano che piccole traccie. Sicchè anche questo metodo che sembrava dare così buoni risultati, non era praticabile; ciò non ostante rendeva pos- sibile una concentrazione abbastanza forte della sostanza attiva. e e ii TESA [r=- — 499 — Per questo, prima di abbandonarlo, volli provare se, profittando della solubilità del cloruro ferrico nell’alcool e dell’insolubilità del solfato di calcio nello stesso solvente, fosse possibile ottenere un precipitato contenente sol- tanto solfato di calcio e radiotorio. Alla soluzione cloridrica del fango aggiunsi metà del suo volume di alcool e alcuni cm* di acido solforico. Dopo poco tempo si incominciarono a formare dei cristallini di solfato di calcio, che il giorno vegnente raccolsi filtrandoli alla pompa e lavandoli ripetutamente con alcool a 90 per libe- rarli di tutto il cloruro ferrico di cui erano impegnati. In questo modo riuscii ad ottenere un solfato di calcio la cui soluzione dava apppena la reazione del ferro col solfocianato, e che, dalle misure fatte dal dott. Blanc, risultava contenere la totalità della sostanza attiva. Con questo artifizio così semplice mi era perciò possibile di isolare quantitativamente la parte attiva degli altri elementi contenuti nel fango, e, ciò che più interessava, da quelli che precipitano con ammoniaca. 1l solfato di calcio attivo così ottenuto lo discioglievo in acqua acidu- lata con acido cloridrico e aggiungendo ammoniaca alla soluzione, ottenevo un precipitato contenente tutta la parte attiva. Di questo metodo di separazione ho fatto il seguente controllo: ho trat- tati gr. 100 di fango ben polverizzati e secchi con due litri circa di acido cloridrico concentrato, facendo digerire a leggero calore in modo da non di- sciogliere la silice (60-70) per tre giorni. Sul principio si notava un copioso schiumeggiamento dovuto all’anidride carbonica messa in libertà, ed un ab- bondante sviluppo di cloro prodotto dalla presenza di ossidi superiori di man- ganese. Terminata la reazione, diluii con acqua la soluzione cloridrica con- centrata e raccolsi su di un filtro la parte rimasta indisciolta, costituita per la massima parte di silice, lavandola accuratamente. La parte indisciolta rappresentava il 15 °/ del fango. Bollita con carbonato sodico si potè estrarre da questa qualche traccia di attività tipo radio. Alla soluzione cloridrica convenientemente concentrata insieme alle acque di lavaggio, aggiunsi alcuni cm? di acido solforico e circa !/» litro d'alcool, disturbando di quando in quando la cristallizzazione del solfato di calcio per ottenerlo in piccoli cristallini. Dopo un giorno raccolsi alla pompa il precipitato lavandolo diligentemente con alcool a 90, fino ad eliminare completamente il ferro. Trattando questo solfato di calcio così purificato più volte con acqua acidulata con acido cloridrico, e precipitando le diverse soluzioni con am- moniaca, ottenni dei precipitati tenuissimi che contenevano appena traccie di ferro. La sostanza attiva era quasi totalmente contenuta nei primi tre preci- pitati. Nel liquido insieme al solfato di calcio rimaneva disciolto il torio X = a = ni = =: 2 <= > aes DE nr —_— __— ‘_ "e ee rr _—_ —_y—er?—--- — 500 — che si poteva estrarre insieme al carbonato di calce, precipitando con car- bonato ammonico. Questi risultati mi facevano sperare nella possibilità di estrarre dai sali di torio la sostanza attiva adoperando il metodo seguito per i fanghi. Dalle esperienze fatte in proposito, e non ancora condotte a termine, ho potuto però constatare che il solfato di calcio è solubile in una soluzione di cloruro o nitrato di torio con formazione di sali doppi che ora sto studiando e su cui spero di poter riferire tra non molto tempo. Anche il solfato di bario si comporta come quello di calcio: quello di stronzio avrà naturalmente la stesse proprietà. Chimica. — Su/le forme superiori di combinazione dell’ar- gento ('). Nota di G. A. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Berthélot (?), Sule (#), Mulder (‘) e Tanatar (°), cui dobbiamo le ricerche più accurate sulla composizione della sostanza che si deposita all'anodo in forma di cristalli neri, nell'elettrolisi delle soluzioni neutre di nitrato di argento, pure attribuendole formole diverse, concordano nell'ammettere che, appena formata, essa contenga più ossigeno del calcolato per Ag» O; e che, soltanto in seguito, si trasformi, perdendo ossigeno, in Ag,0, lentamente a temperatura ordinaria, più rapidamente a caldo o per ripetuti lavaggi con acqua. Questa riduzione spontanea che subisce il così detto peros- sido elettrolitico di argento, spiega perchè i primi (5) che ne determinarono la composizione, avendolo lavato ripetutamente con acqua per purificarlo, e seccato a lieve calore, ottennero dei risultati analitici in accordo colla for- mola Ag:0.. Secondo Berthélot e Tanatar il primo prodotto dell’ossidazione anodica dell'argento sarebbe l’ossido estremamente instabile Ag: 03. Prescindendo ora dalle questioni se il composto anodico cristallizzi anidro e se il nitrato di argento che sempre lo accompagna faccia parte della sua molecola o sia, come ritiene Margrete Bose (7) intercluso quale sostanza estranea, è certo che l'ipotesi della formazione primaria di un ossido superiore a Ag 0, è (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della L. Università di Ferrara. (2) C. R., 90 653 (1880). (3) Z. f. anorg. Ch., 1289,180 (1896), 24305 (1900). (4) Rec. trav. chim. Pays.-Bas., 151,236 (1896), 16.57 (1897), 17 129 (1898), 1891 (1899), 19115 (1900), 22385, 405 (1903). (5) Z. f. anorg. Ch., 28331 (1901). (6) Fischer J. prakt. Ch., 33237 (1844); Mahla, Ann. d. Ch., 82295 (1852). (7) Z. f. anorg. Ch., 44237 (1905). — 501 — assai più verosimile di quella di Mulder che attribuisce al composto anodico la formola 3Ag,0,. AgNO; ammettendo l'esistenza di un acido pernitrico HNO:: ipotesi non confortata da nessun altro fatto. Di più Tanatar ha ottenuto per elettrolisi del fluoruro di argento un composto contenente argento, ossi- geno e fluoro, in cui il contenuto in ossigeno è superiore al calcolato per Ag0:. Non volendo ammettere l’esistenza di un ossido superiore a Ag» 0», bisognerebbe fare la supposizione che parte dell'ossigeno fosse combinato col fluoro: ciò che è assai poco probabile. A mio parere anche la posizione che occupa l'argento nel sistema pe- riodico fra il rame e l'oro, sta in accordo coll'esistenza di un ossido Ag, 03. Finora vennero messi in rilievo soltanto i rapporti di somiglianza che il rame, l'argento e l'oro presentano nella loro forma inferiore di combina- zione MX, mentre è noto che per tutti gli altri elementi le analogie si manifestano essenzialmente nelle forme limiti. Ricordiamo che secondo Men- deleieff (') e Brauner (?) il rame, l'argento e l'oro, oltre che appartenere al primo gruppo, fanno parte del gruppo ottavo: essi devono quindi presen- tare nella loro forma limite quel passaggio graduale di proprietà che si riscontra per esempio nei loro eterologhi nickel, palladio e platino e in ge- nerale fra termini analoghi in tutti i gruppi. La forma limite dell'oro è AuX;. Quanto al rame l’esistenza di un ossido Cus 0; affermata da Kriger (8), da Crum (4), da Th. Osborn (5), esclusa da Mawrow (°) con esperienze invero poco convincenti, venne messa fuori di dubbio soltanto recentemente dal dott. Kuzma (7) con ricerche eseguite nel laboratorio del prof. Brauner. Per l'argento che sta fra il rame e l'oro è prevedibile quindi una forma limite AgX; più stabile della CuX3 e meno dell’AuX,. Da quanto precede risulta che lo studio delle forme superiori di com- binazione dell'argento ha grande importanza, oltre che per sè stesso, per l'interessante problema di sistematica chimica ch'esso può aiutare a risolvere. Ho inteso di portare un contributo a tale studio ricercando: 1° se l’ossido che si ottiene per elettrolisi sia un vero perossido, giacchè in tal caso non potrebbe servire per fissare il limite di combina- zione dell'argento; 2° se l'argento possa dare composti al massimo in ambiente alcalino a somiglianza del rame e dell'oro. (°) Lieb. Ann. Suppl., VIII (1872). (2) Z. f. anorg. Ch., 38218 (1902). (8) Pogg. Ann., 62445 (1844). (4) Ann. d. Ch. 55213 (1845). (5) Am. Journ. [3], 32333 (1886). (5) Z. f. anorg. Ch., 83233 (1900). (7) Z. f. anorg. Ch., 329 (1902). — 502 — A. Piccini (') nella sua classica Memoria: / perossidi in relazione al sistema periodico degli elementi, ha insegnato a distinguere gli ossidi che corrispondono all'acqua, dagli ossidi che corrispondono all'acqua ossigenata, cioè dai veri perossidi, mediante la proprietà caratteristica che hanno questi ultimi di ridurre in soluzione acida alcuni composti ricchi di ossigeno — Mn0,, PbO,, KMnO, — riducendosi essi stessi. Allo scopo di riconoscere se il cosidetto perossido d'argento che si ha per via elettrolitica, sia un vero perossido, ho pensato di farlo agire in solu- zione acida sul permanganato di potassio, sul biossido di manganese e sul biossido di piombo. Il perossido di argento venne preparato secondo le indi- cazioni di Sule (*) per elettrolisi di una soluzione di nitrato di argento. Esso si scioglie, com'è noto, assai facilmente in acido nitrico concentrato, dando un liquido di color nero seppia che viene istantaneamente decolorato dai riducenti e dall’acqua ossigenata. Se il perossido di argento in soluzione nitrica provocasse la riduzione del permanganato a sale manganoso riducendosi per parte sua a nitrato di argento, si dovrebbe osservare, mescolando le due soluzioni intensamente colorate di perossido e di permanganato, una reciproca decolorazione. In realtà la soluzione mista di perossido di argento e di permanganato potassico ha un colore bruno rossastro. Che in tale soluzione sia contenuto il permanganato inalterato si può dimostrare in modo molto semplice. Basta aggiungere a goccia a goccia alla soluzione mista una soluzione diluitissima di acqua ossigenata. Siccome questa riduce il perossido. di argento prima del permanganato, si arriva a un punto in cui tutto il perossido è stato ridotto e il liquido mostra il colore violetto caratteristico del permanganato. Si può eseguire un'esperienza analoga, impiegando invece dell’acqua ossi- genata una soluzione di nitrato ceroso. Io ho osservato che i sali cerosi ven- gono ossidati a freddo istantaneamente a cerici dalla soluzione nitrica di perossido di argento, mentre è noto (*) che il permanganato a freddo li ossida con estrema lentezza. La soluzione nitrica di perossido di argento e di per- manganato per aggiunta di un sale ceroso diventa violetta. Anche il biossido di manganese e il biossido di piombo non agiscono come riducenti sulla soluzione nitrica di perossido di argento. Se si accetta come esatta la regola di Piccini, non si può dunque con- siderare il composto che si forma all’anodo nell'elettrolisi del nitrato di argento come un vero perossido ma come un ossido superiore di argento, e si deve ritenere come erronea la supposizione di Mulder (‘) che per tratta- (1) Z. f. anorg. Ch., 12169 (1896); L'Orosi, 1937 (1896). (2) Z. f. anorg. Ch., 24309 (1900). (3) Von Knorre, Z. angew. Ch., 1897, 685. (4) Rec. trav. Ch. Pays-Bas, 17129-176 (1898). — 503 — mento del cosidetto perossido di argento con acqua si formi dell'acqua ossigenata. Nel suo comportamento coll’acqua ossigenata e coi sali cerosi, l’ossido superiore di argento presenta molta analogia col biossido di piombo. È noto infatti che i sali cerosi vengono ossidati a cerici per azione del PhO, e acido nitrico a freddo (!) e che il PbO; im ambiente acido viene istantanea- mente ridotto dall'acqua ossigenata.. Inoltre Kister e Steinwehr (?) ritengono che l'ossido elettrolitico di argento si formi per un processo perfettamente analogo a quello secondo il quale negli accumulatori si forma il biossido di piombo, e recentemente Margrete Bose (3) ha riconosciuto che l'ossido elettro- litico di argento presenta conducibilità metallica come il biossido di piombo e il biossido di manganese. I tentativi per ottenere dei composti di argento al massimo in soluzione alcalina non mi hanno ancora condotto ad un risultato definitivo: voglio tuttavia riferire alcune esperienze che mi sembrano presentare qualche in- teresse. Elettrolizzando una soluzione satura a freddo di KHCO,; con elettrodi di argento, ho osservato che l'anodo si copre dapprima di uno strato di ossido nero che a poco a poco passa in soluzione colorando il liquido anodico in rosso-bruno. L'esperienza venne eseguita in un piccolo bicchiere diviso in due scompartimenti da un cartone di amianto che fungeva da setto poroso. Gli elettrodi erano costituiti da due strette lamine di argento puro. La cor- rente era fornita da una pila Gilcher di cinquanta elementi. Togliendo la corrente, il liquido anodico abbandonato a sè, si scolorava a poco a poco. La decolorazione si produceva istantaneamente per aggiunta o di ammoniaca o di acqua ossigenata o di qualunque sostanza riduttrice. Molto facilmente si può ottenere una soluzione avente gli stessi caratteri della precedente ossidando a caldo con persolfato di potassio una soluzione di carbonato di argento in bicarbonato potassico. Si prepara una soluzione satura a 80° di bicarbonato potassico e vi si fa cadere a goccia a goccia una soluzione molto diluita di nitrato di argento, finchè il precipitato di car- bonato di argento non si scioglie più nell’eccesso di bicarbonato alcalino. Si aggiunge allora una soluzione concentrata di persolfato potassico e si scalda: il liquido assume un'intensa colorazione rosso-granato. Se invece del bicarbonato potassico s'impiega il pirofosfato sodico, si ottiene una soluzione molto più stabile della precedente perchè si può conser- vare (al riparo della luce) per parecchie settimane. 25 gr. di pirofosfato so- dico sciolti in 100 gr. di acqua possono mantenere in soluzione circa un decigrammo di nitrato di argento. Aggiungendo a questa soluzione alcalina (1) Von Knorre, Ber., 33 1924 (1900). (*) Zeitschr. f. Elektr., 4451 (1898). (°) Z. f. anorg. Ch., 44264 (1905). RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 64 — 504 — di argento 100 ce. di una soluzione al 10°/, di persolfato potassico si ha tosto una colorazione rossastra che a caldo aumenta rapidamente e in pochi minuti si cambia in un bel colore rosso-granato. Tutte queste soluzioni rosse di argento vengono decolorate per aggiunta di ammoniaca, di acqua ossigenata, di sali d’idrazina e d'idrossilamina. Che in esse l'argento sia contenuto in una forma di combinazione supe- riore alla MX, è dimostrato dal loro comportamento coi sali ferrosi e cobal- tosi. Facendo agire sopra una soluzione alcalina di argento, ossidata con per- solfato di potassio, una soluzione di solfato ferroso in bicarbonato o in piro- fosfato alcalino, il liquido argentico viene istantaneamente decolorato, poi si separa argento metallico. Se invece del solfato ferroso si impiega solfato co- baltoso, le soluzioni argentiche da rosse diventano verdi perchè si forma del bicarbonato o del pirofosfato cobaltico. L'ossidazione del cobalto è certamente dovuta all’argento che passa da una forma polivalente alla forma comune monovalente, e non può venire attribuita al persolfato in eccesso presente nella soluzione argentica perchè ho constatato che il persolfato solo, a freddo e alla luce diffusa, non ossida i sali cobaltosi sciolti in bicarbonati o piro- fosfati alcalini che molto lentamente. È degno di nota questo altro fatto. Se si fa agire il persolfato sopra soluzioni di carbonato o di pirofosfato di argento in bicarbonati o pirofosfati alcalini, che siano torbide perchè contenenti in sospensione un po’ di carbo- nato o di pirofosfato di argento, si ottengono ugualmente delle soluzioni rosse limpidissime. Dunque il sale di argento in causa dell'ossidazione diventa più solubile nel sale alcalino. Un fatto perfettamente analogo venne osservato da A. Job (*) per il cobalto. Il carbonato cobaltico è circa dieci volte più solubile del carbonato cobaltoso nei bicarbonati alcalini. Siccome nelle so- luzioni dei sali di metalli pesanti in bicarbonati (?) e pirofosfati alcalini, verosimilmente i metalli entrano a far parte di anioni complessi, si può spiegare l’aumentata solubilità dei sali di argento dopo l'ossidazione, am- mettendo che nella forma superiore l'argento abbia maggior tendenza a dare origine a complessi, ciò che del resto è previsto dalla teoria di Abegg e Bod- linder sull’elettro-affinità (*) e si verifica per vari altri metalli, p. es. per il rame e per l'oro. Quale forma di combinazione raggiunga l'argento nei liquidi rossi su descritti, per ora non è possibile dire. Forse potrà portare luce sull'argomento lo studio del composto nero insolubile che si ottiene trattando a freddo il nitrato di argento con persolfato potassico e sulla composizione del quale vennero emesse le opinioni più disparate (‘). (!) Ann. chim. phys. [7], 20205 (1900). () R. Luther e B. Krsnjavi, Z. f. anorg. Ch., 46170 (1905). (3) Z. f. anorg. Ch., 20482 (1899). (4) H. Marshall, Journ. chem. Soc., 59 771 (1891); R. Namias, L’Orosi, 23 218 (1900); N. Tarugi, Gazz. Ch., 32, II, 390 (1902). LL — 505 — Mineralogia. — Appunti sulla scheelite di Traversella. Nota di FERRUCCIO ZAMBONINI, presentata dal Socio G. STRUVER. Chimica. — Decomposizione elettrolitica di acidi organici bicarbossilici. Acido adipico ('). Nota del dott. B. Lino VANZETTI, presentata dal Socio G. KOERNER. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Mineralogia. — Su alcuni minerali del granito di S. Fe- delino (Lago di Como)('). Nota di EmiLIo Repossi, presentata dal Socio G. STRÒVER. Già da qualche anno sto occupandomi del rilievo geologico e petro- grafico delle valli Codera e dei Ratti, poste a nord del lago di Como e comprese tra la valle del Masino ad oriente e quella della Mera, sotto Chia- venna, ad occidente, e ciò col particolare scopo di delimitare e studiare compiutamente la massa granitica detta di Riva di Novate o di S. Fedelino. Le mie osservazioni però, data l'estensione e la poca praticabilità della regione considerata, sono lungi dal potersi dir complete, e richiederanno ancora qualche tempo, prima che i risultati loro meritino di essere resi noti. In considerazione di ciò, e perchè trattasi di argomento puramente mine- ralogico, e quindi non strettamente legato allo scopo finale del mio studio, credo opportuno dare fin d'ora notizia di alcuni minerali, forse non privi d'interesse, che rinvenni la scorsa estate in talune piccole litoclasi della massa granitica del monte Avedè in vicinanza di Novate, riservandomi, s6 sarà il caso, di tornare ‘sull'argomento a lavoro compiuto. Risalendo la valle Codera pel sentiero che segue il fianco destro della valle, superato il Dosso ed oltrepassate le alpi di Avedè, si attraversa un erto canalone, scendente dal monte Avedè, ingombro di massi granitici, che frequentemente si staccano dalle soprastanti pemdici. In uno di questi massi, recentissimamente caduto, potei constatare la presenza, eccezionalmente rara nel granito di S. Fedelino, di alcune sottili spaccature parallele, le cui pia- neggianti pareti erano totalmente ricoperte di minuti cristalli, degni di (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Mineralogia del Museo Civico di Storia Na- turale in Milano. — 506 — qualche attenzione per la varietà delle specie minerali rappresentate e pre la freschezza e nitidezza delle facce. Le specie minerali, la cui esistenza fu constatata, sono: il quarzo, la calcite, la titanite, l'epidoto, la prehnite, la muscovite, la clorite e la laumontite. Il quarzo predomina largamente sugli altri minerali. I suoi cristalli, lim- pidi ed incolori, impiantati direttamente sulle pareti delle litoclasi granitiche, sono allungati secondo l’asse verticale e presentano in questa direzione una dimensione massima di 6-7 millimetri con una media di 3-4 mm. L'abito cristallino è caratterizzato dalla presenza costante del prisma {211}; accom- pagnato sempre dai romboedri }100{, {221}, le cui facce sono ordinariamente assai limitate per lo sviluppo dei due romboedri acuti diretti (13 2 2), {311}, FIGi2i della bipiramide {412{ e dei due trapezoedri {412},{8 5 10}. Queste ultime due forme, di solito molto sviluppate e frequentemente associate sul me- desimo individuo (vedi fig. 1, che riproduce, ridotto quasi a modello, uno dei migliori cristalli), contribuiscono insieme coi romboedri acuti ad impar- tire ai cristalli una caratteristica forma acuminata, e costituiscono con la loro associazione la particolarità cristallograficamente più notevole del quarzo del S. Fedelino. E difatti la combinazione di due trapezoedri corrispondenti diretto ed inverso è nel quarzo, almeno per quanto so, un fatto molto raro. Le facce appartenenti a queste due forme sono sempre nettamente distinte anche pel loro aspetto: le facce del trapezoedro diretto {412}, che più fre- quentemente di quelle dell’inverso si trovano anche isolate (vedi fig. 2), sono infatti sempre perfettamente piane e lucenti, tanto da prestarsi in modo egregio alla misura goniometrica, mentre invece le facce del trapezoedro}8 5 10), costantemente striate e rigate parallelamente allo spigolo [8 5 10. 412], solo — 507 — in pochi casi forniscono un'immagine riconoscibile e determinabile in modo sicuro. Pure striate sono sempre le facce della bipiramide trigonale e la dispo- sizione di queste strie, parallele allo spigolo [412.100], insieme all’osser- vazione delle figure di corrosione, ottenute mediante il solito attacco con acido fluoridrico, servì alla orientazione delle forme cristalline. I romboedri acuti rappresentati da facce abbastanza ampie e sicuramente distinguibili, sono tutti diretti: oltre i due già rieordati, sono pure discre- tamente frequenti quelli di simbolo (13 5 5} e {944}: più rari (1144) e {733}, il quale ultimo trovai una volta sola, ma con una faccia ampia e brillante. Oltre i cristalli semplici, non son rari nel materiale raccolto anche i soliti geminati di compenetrazione completa, svelati, oltre che dalle figure di corrosione, dall'esistenza su di essi di facce di bipiramide e di trape- zoedro sopra vertici consecutivi. Le forme semplici osservate sono dunque le seguenti: Nella tabella qui riportata i risultati della misura sono posti a confronto coi dati del calcolo, ai quali si giunge in base al valore (100) . (221) = 46°15/52” dato dal Kuppfer ed accettato dall’ Hintze (‘): ANGOLI OSSERVATI SPIGOLI ANGOLI misurati N. Limiti Medie calcolati 211:100 15 88°. 4° — 889.18" | 382.13 88°.13° 100:212 14 | 103.30 — 103.45 |103. 35 103. 34 100:221 19 46. 6 — 46.26 46. 18 46. 16 1322:100 6 12.96 — 13.14 12. 50 12. 56 311:100 ll 26.56 — 27.22 27. 6 27. 5 1144:100 2 29.13 — 29.14 29.13 I 29. 16 1915:5:2100/0R|210X|N30528—..31.. 5 30. 45 30. 44 $ 733:100 1 —_ _ 59. 41 39. 43 944:100 84.33 — 35. 7 s4. 51 Sd. 45 412:100 | 28 28.45 — 29. 8 28. 54 28. 54 410201 012 387.43 — 37.59 37 57 37. 58 412:412 11 29,48, i. 26. 4 25. 53 25. 57 412:211 1 11.48 -— 12.18 IZ. 5 N: 412:221 6 54.30 — 55. 8 54. 47 od. 51 8510:412 4 25.85 — 26.11 26. 52 25. 57 85 10:112 3 1147 — 12.11 129009, 12. 1 8510:100 3 54.40 — 55. 1 54. 50 84. 51 (1) C. Hintze, Handbuch der Mineralogie, vol. I, pag. 1266. — 5908 —- La calcite, poco abbondante, si presenta in tavolette ed in lamelle a contorno esagonale e del diametro massimo di 6-7 mm., adagiate sui cri- stallini di quarzo. L'abito lamellare è dato dal prevalente sviluppo della base, la quale trovasi in combinazione con un romboedro, il cui simbolo non si potè determinare in causa della estrema imperfezione delle sue facce, che, come quelle della base, sono di solito profondamente corrose. Le lamelle calcitiche sono incolore ed abbastanza limpide e trasparenti, tanto da dare a luce convergente delle bellissime immagini assiali. Pure adagiati fra i cristalli di quarzo, e specialmente raggruppati nei punti ove al quarzo si accompagnano anche altri minerali, si notano non infrequentemente nelle litoclasi osservate minuti cristalli di ?ifamzte. Una viva lucentezza adamantina ed un bel colore azzurro-lavanda, invero poco frequente in questa specie minerale, li rende facilmente manifesti, non ostante che siano tanto piccoli da raggiungere di rado il mezzo millimetro nella loro massima dimensione. Le forme osservate, il cui simbolo potè essere stabilito con un discreto numero di soddisfacenti misure, sono le seguenti: {100} , (0016, {102{, {021}, {111}, {111}. brass3: L'abito cristallino, di cui si può dare un'idea la fig. 3, è molto costante ed è caratterizzato dallo sviluppo prevalente della {111}, della {021} e specie della base {001}. Le facce delle rimanenti forme, di rado molto sviluppate, si distinguono però per essere così piane e lucenti da dare ottime immagini alla osservazione goniometrica, nonostante la loro estrema piccolezza. Le facce di |111} sono invece costantemente striate parallelamente allo spigolo [111.111]; le facce di {021} di solito non sono brillanti e quelle di {001} sono sempre ondulate e bruttissime, tanto che poche volte e le une e le altre dànno al goniometro immagini di cui si possa ragionevolmente tener conto. La {102} è non di rado sostituita da facce vicinali rispondenti ad un simbolo molto più complesso: per un gruppo di tali facce, che hanno dato misure in soddisfacente accordo tra loro, ho potuto stabilire il simbolo 35 0 11{. — 509 — Nella tabella che segue i risultati dell'osservazione sono posti a con- fronto coì dati del calcolo: l'orientazione scelta è quella di Des Cloizeaux (*) e le costanti adottate: a:b:c=0.75467:1:0.85429 B= 600.17’ ANGOLI OSSERVATI SPIGOLI ANGOLI mitis ua N. Limiti Medie calcolati 100:001 4| 59°%44 — 60°51 | 60°18| 600.17 100:102 6 ‘3983]0#225039).47 39.40 | 39.17 100-502 |.) 40.81 — 41. 8 40,40 | 40,41 001:102 GONO O ME l@MSS O]: 3 20.40 | 21.00 001:5012| 4| 198 — 19.49 19.38 | 19.36 100:111 | 11] 84.46 — 35.25 SM 95 RI TOO-INO TON] ‘60.800 61.15 60. 52 | 60.53 100:I11 1 2° 22 145.10 | 144.561 001:111 O. BIS So ASMNBUl (38:16 001:Î11 CAMORRA 70. 49 70.28 | 70.23 100:021 1 4 DI 73.54 | 73.55 111:111 SASA ROSSA 18 SSM5ON I OS4 BI 11:13 O gie = Soy 71.25 | 71.20 Iu:ill Ses 59 99.19 | Reoeiag i (69.09 111:1I1 SIA 445 44. 10 3. 49 Il:111 4 \IITO41 —111:34 | (MON 110. 51 111:102 4| 24.21 — 24.46 24.33 | 24.29 111:5012| 4| 25. 6 — 25.22 25.16 | 25. 7 111:021 ARIUNCITO ORI 40. 4 41.52 | 41.84 In un piccolo cristallino con {102} abbastanza sviluppata ho potuto verificare che il piano degli assi ottici coincide col piano di simmetria e che appunto dalle facce di {102} emerge quasi normalmente la bisettrice acuta positiva. L'epidoto si presenta in cristallini aghiformi riuniti in fasci e ciuffetti. Il colore è verde-bruno con forte pleocroismo dal verde-bruno al bruno. Questa specie minerale è scarsissimamente rappresentata. Abbondante nelle litoclasi del granito di S. Fedelino è invece la prekmnite, di color bianchiccio o giallognolo chiaro, quasi limpida, che co’suoi aggregati a ventaglio di tavolette rombiche forma frequentemente delle croste cristalline sopra gli altri minerali e specie sul quarzo. L'abito tabulare de’suoi indi- (1) Manuel de minéralogie, Paris 1862, vol. I, pag. 145. — 510 — vidui cristallini è dato dal predominante sviluppo della |001}, alla quale sì associano sempre la |100} ed il prisma {110}. L'aggruppamento quasi co- stante dei cristalli, che non arrivano al millimetro nella loro massima dimensione, e la poca perfezione delle facce, rendono difficile la misura goniometrica dei pochi angoli risultanti da una così semplice combinazione cristallina. Alcune misure hanno tuttavia fornito i risultati, che nello spec- chietto che segue sono posti a confronto coi dati del calcolo, ai quali si giunge con le costanti di Beutell ('), accettate anche dall’ Hintze: abete = 08420111272 ANGOLI OSSERVATI SPIGOLI ANGOLI misurati N. Uimiti Medie calcolati 100:110 4 99% — 409.92! 40°. 5° 40°. 6" 110:110 6 79.51. — 80.45 80. 31 80. 12 100:001 2 89.49 — 89.55 89. 52 90. 00 La trasparenza delle lamelle prehnitiche permise qualche ricerca ottica, che, sebbene limitata dalla grande piccolezza degli individui cristallini, dimostrò nella prehnite del S. Fedelino una costante struttura anomala. Nella fig. 4 è riprodotta una delle migliori laminette studiate: non ho cre- duto opportuno rappresentare con una figura schematica la struttura dei cristallini di S. Fedelino, perchè, quantunque risponda in tutti ad un identico disegno generale, pur tuttavia varia molto in essi la forma delle plaghe in cui risultano divisi ed il valore dell'angolo che in queste plaghe il piano degli assi ottici fa con {100}. Come si vede dalla figura, le tavolette di prehnite sono divise quasi completamente ed in modo abbastanza regolare in due metà, parallelamente ad (100). Il piano degli assi ottici è in esse pressochè coincidente, presen- tando una deviazione massima di 1° o 2°, ed è sensibilmente normale a {100}; (1) Vedi C. Hintze, op. cit., vol. II, pag. 470. — 511 — solo in rasi casì esso piano s allontana di 4°-5° da questa direzione. In questi due individui principali sono poi inserite quasi costantemente quattro plaghe più o meno estese, di solito cuneiformi, non di rado suddivise in plaghe minori a contorno molto vario, ed aventi per base le facce di {110}. In queste plaghe, come mostra la figura, il piano degli assi ottici, lungi dal coincidere con (010), come avviene nelle prehniti normali, forma con questa direzione un angolo, variabile nei varî cristalli e nelle varie plaghe dello stesso cristallo da 14°-15° fin verso i 30°, nello stesso senso in settori opposti ed in senso contrario nei settori successivi. Talvolta si nota anche un accenno alla struttura zonale, rivelata da una leggera differenza nel valore degli angoli d'estinzione. Il valore dell'angolo degli assi ottici non si potè determinare per la piccolezza dei cristalli osservati, ma è sempre grande. La bisettrice acuta, normale a (001), è sempre positiva. Della prehnite del granito di S. Fedelino fu determinato anche il peso specifico col metodo delle soluzioni pesanti (Thoulet) mediante la bilancia di Westphal, e si trovò uguale a 2.88, valore che corrisponde esattamente a quello dato in media dagli autori. La celorite, pulverulenta ed assai somigliante a quella delle litoclasi del Gottardo, e minute e non abbondanti lamelle micacee, che mostrano i caratteri della muscovite, non si prestano ad osservazioni particolari. Della laumontite, che si presenta in sottili prismetti di 1-2 mm. di lunghezza, di color bianco, impiantati sugli altri minerali, ho potuto invece prendere qualche misura goniometrica, che, sebbene molto imperfetta per la striatura ed il cattivo stato delle facce, mi permise di stabilire con suffi- ciente esattezza la presenza delle due forme {110} , {201}. I valori ottenuti nella misura sono qui posti a confronto coi dati del calcolo, dedotti in base alle costanti di Miller, accettate dall’ Hintze (1): ‘oabre=1I451: 1: 05906 Bi= 689.461" ANGOLI OSSERVATI SPIGOLI ANGOLI Etre STE Limiti Medio | calcolati 110:110 3 939.86 — 939.50’ | 930.43’ 99°.44" 110:20I 2 65. 42 — 67. 6 66. 22 66. 30 110:201 5) 11244 — 114. 1 |-113521 115. 30 (1) C. Hintze, op. cit., vol. II, pag. 1670. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem: D (9A | nn n —_——_—_—crg|-T/ —<« «ovU'vO_—ov®«x—x—x:!" r—-crv--—-—- mP"”P — 512 — L'estinzione, misurata su (110), ha dato un valore medio di 51° nell'angolo acuto di (110) . (201). Volendo infine, a mo' di conclusione, fare dei confronti fra i minerali del granito di S. Fedelino e quelli che in condizioni analoghe si trovano in località già note, si può facilmente rilevare come i minerali da me stu- diati e per la natura loro e per l'associazione delle specie, fra le quali è notevole l'assenza dei felspati, somiglino piuttosto a quelli che tappezzano le litoclasi dei gneiss alpini, che a quelli delle druse pegmatitiche dei nostri graniti, notissimo tra i quali quello di Baveno. Bacteriologia agraria. — Sopra la forma italiana del Ni- trosomonas ecuropaca Win.(') Nota del dott. R. PEROTTI, presentata dal Corrispondente G. CuBoNI. Per i classici lavori di S. Winogradsky e degli altri che a lui seguirono, quali: Omelianski, Rullmann, Fraenkel, Gartner, Boullanger, Massol, ecc., sì venne ad accertare l'esistenza del genere Ni/rosomonas Win. con forme più o meno diverse a seconda dei luoghi, per taluni aventi valore di specie, per altri di semplici varietà, che tuttavia possono riunirsi in due gruppi ca- ratterizzati soprattutto dai due tipi principali di batteriacee: quello bacillare e quello cocciforme. Nei paesi dell'Europa occidentale si trovò dominare una forma a corti bacteri, nei paesi dell'Europa orientale e nella bassa Asia si trovò diffusa la forma a cocchi; e dalla descrizione e dalle figure che i vari autori dettero di esse, apparisce evidente, marcata, la diversità dei due tipi. Quando nel decorso anno intrapresi lo studio della microflora nitrosante delle nostre regioni, potei segnalare la presenza, qui in Roma, di una varietà di Nitrosomonas la quale mi fornì occasione d'instituire un confronto con quelle già note e di stabilire conseguentemente come essa appartenesse al tipo cocciforme e presentasse alcuni punti di analogia con la forma, che per essere stata rinvenuta in Giava, fu denominata dal Winogradsky aszatica (2). Un tale fatto evidentemente destava un certo interesse per il quale io intesi di procedere ad una più vasta ricognizione della microflora nitrosante dei vari terreni italiani allo scopo di poter fissare i rapporti di distribuzione della varietà isolata del terreno di Roma con quelle rinvenute altrove. Ed intrapresi l'esame dei numerosi campioni di terreno agrario, di varia pro- (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Bacteriologia agraria annesso alla R. Sta- zione di Patologia vegetale, di Roma. (9) Dott. R. Perotti, Di una forma nitrosante isolata da un terreno di Roma, Ann. Bot., vol. III, fasc. 2, pag. 43. — 513 — venienza, di natura differente, che potei ottenere per gentile e premuroso invio di molti direttori d'istituti scientifici e d'importanti aziende agrarie. Riferisco in questa Nota gli ottenuti risultati con i quali posso venire a stabilire che in tutti i terreni d'Italia da me studiati è presente la varietà cocciforme del nitrosomonade, senza, peraltro, poter con sicurezza escludere, specialmente nelle terre dell’Italia settentrionale, la presenza della forma bacillare. I campioni di terreno che sottoposi ad esame appartenevano a differenti località scelte in punti lontani e disparati della penisola e delle isole. Le varie provenienze di essi furono: Avellino: località « Cappuccini ». Si esaminò il terreno naturale, umoso, con castagno, quercia e vegetazione erbacea spontanea ed il terreno vignato. Caltagirone: podere « Mazzivecchi ». Cerignola: località « Pavoni », appezzamento « Conca d’Oro » e località « Posticciola » appezzamento medesimo, proprietà dell'on. Pavoncelli. Fabriano: podere del conte Cerbelli in località « Troila » e dell'on. Mi- liani in località « Cancelli ». Messina: podere in contrada s. Placido, della scuola pratica di agri- coltura. Perugia: orto dell'istituto superiore agrario e campo sperimentale dal me- desimo dipendente. Porto Maurizio: territorio di Vallecrosia. Rieti: Campo reatino. Scafati: R. istituto sperimentale per la coltivazione dei tabacchi. Fu esa- minato tanto il terreno coltivato a mais, quanto quello coltivato a tabacco. Torino: campo sperimentale della R. stazione agraria nella frazione « Lingotto ». Nella scelta di essi volli tenere in particolar modo presente la varia costituzione fisico-chimica dei terreni e procurai quindi che da questo punto di vista i campioni fossero per quanto possibile differenti. Fra i vari cam- pioni sperimentati vi erano difatti rappresentate quasi tutte le principali com- posizioni possibili; dai ‘terreni magri, sabbiosi sciolti, s'andava a quelli ar- gillosi, compatti, umosi (1). La preparazione e l'invio dei campioni furono eseguiti in modo che si avessero le necessarie garanzie. Secondo le istruzioni che vennero impartite alle persone destinate a raccoglierli, i prelevamenti si fecero dal soprasuolo e dalla mescolanza di più di essi appartenenti ad un medesimo appezzamento di terreno si ottenne un campione medio ch'era quello inviato al laboratorio. (1) Per alcune notizie riguardanti la composizione fisico-chimica dei campioni di terreno, v. questi Rendiconti, vol. XV, 1° sem. 1906, fase. 5, la mia Nota: Distridu- zione dell’ Azotobacterio in Italia. — 514 — Per eseguire il trasporto nel miglior modo possibile, s impiegarono tubicini di vetro bene puliti e previamente sterilizzati a secco. Essi riempironsi sul luogo stesso con la terra prelevata chiudendoli subito con tappo di sughero a tenuta, così che non avesse potuto scemare o perdersi durante il viaggio il naturale contenuto in acqua del campione: indi si avvolsero con carta nera e sì spedirono per mezzo postale. Con ciascuno dei quindici campioni suddetti, man mano che pervenivano al laboratorio, eseguii il procedimento qui appresso descritto, che va dalle culture di presa ai passaggi selezionati proposti dall’Omelianski ed all’isola- mento delle forme con la modificazione del metodo da me stesso proposta. In Erlenmeyer di 250 cm.? di contenuto, introdussi una certa quantità di scorie e gr. 0,5 di carbonato di magnesio in polvere, e, dopo sterilizza- zione nella stufa ad aria, aggiunsi 50 cm. del liquido selezionante, sterile, d'Omelianski : Solfato: la mmmoneort se: en 2,0 cloruro sodicomp@e@i i. ini 2,0 fosfato potassitore -v. . le 1,0 solfato di magnesio. . . . . 0,5 solfato. ferroso. . . .... 0,4 acqua: distillatanio .. . ..-.0: 1100050 L'inoculazione di ciascun recipiente veniva fatta con grammi 0,5 del ter- reno da sottoporsi ad esame e le culture erano mantenute in termostato a 28° C. Quando nei liquidi di cultura, trattati con il reattivo iodo-amidico del Tromsdorfî, appariva molto forte la reazione dell'acido nitroso, ciò che in media s’otteneva dopo trascorsi circa 10-12 giorni dall'innesto, si procedeva ai passaggi selezionanti consigliati dall'Omelianski. In provette, piuttosto larghe, preparate con scorie, carbonato di magnesio e soluzione di Omelianski nel modo di sopra detto e nelle già determinate proporzioni, sì eseguiva l'innesto con una sola ansa di materiale infettante, dopo di che i tubicini si ponevano in termostato a 28° C. adagiati quasi oriz- zontalmente. Regolandomi anche qui con la reazione di Tromsdorff, coglieva il momento più opportuno per eseguire nella stessa maniera il successivo pas- saggio. I passaggi selezionanti che sì susseguirono a distanze sempre più abbre- viate di tempo, per la diminuzione del cosidetto periodo d’imneudazione, dovuta all'aumentante virulenza del microrganismo, furono, per ciascun campione di terreno, tre. La modificazione che introdussi nel metodo d’isolamento dei microrga- nismi della nitrificazione (*), eliminando la poco agevole preparazione del (1) V. questi -Rend., vol. XIV, 1° sem. 1905, fasc. 49, pag. 228. — 515 — substrato solido all’acido silicico del Winogradsky, mi riuscì di grande aiuto nel presente studio, dove per la formazione delle colonie mi valsi esclusiva- mente dei blocchi di carbonato di magnesio, tagliati a parallelepipedi ed in- trodotti in provette, sterilizzati a secco, cui veniva aggiunta una certa quan- tità del liquido nutritivo a base di solfato ammoniaco, pur esso sterile. La semina fu eseguita con una piccola quantità del materiale del terzo passaggio selezionante e portò, dopo 15-20 giorni di cultura in termostato a 28° C., alla formazione delle piccole cavità contenenti la sostanza giallo- sporca costituita in massima parte da materiale bacterico puro. Con questo eseguii passaggi nella soluzione di Omelianski contenente frammenti di scorie e carbonato di magnesio, ottenendo costantemente dal liquido la reazione dell'acido nitroso. Come mezzo diagnostico per i micror- ganismi mi valsi anche dei risultati delle semine in brodo che riuscirono assolutamente negativi per qualsiasi sviluppo di forme. Il risultato, dell'esame dei campioni di terreno sottoposti ai sopradescritti trattamenti, fu quello di ottenere costantemente all’ isolamento di forme nitrosanti uguali a quella isolata dal terreno della stazione agraria speri- mentale di Roma, segnalata anche nel terreno della villa Venosa di Albano e della quale già detti un'accurata descrizione. Piccole oscillazioni nelle di- mensioni potei notare esaminando la forma predominante nelle culture brute. I microrganismi aventi le minori dimensioni si notarono specialmente nei cam- pioni di terreno provenienti da Avellino e da Porto Maurizio. Tuttavia qual- siasi differenza tendeva a scomparire man mano che si procedeva nei pas- saggi selezionanti, nei quali tutti i microrganismi venivano a trovarsi nelle identiche condizioni culturali, come nei terreni naturali non potevano verifi- carsi. La conclusione quindi che io sono in grado di trarre dalle mie ricerche, è quella di stabilire che sulla penisola italiana, con una rimarchevole costanza, è largamente diffusa una forma di Mitrosomonas con uguali caratteri morfo- logici. Se dessa sia l’unica ivi presente, con certezza non si può asserire. Stando alle osservazioni del Winogradsky, risulterebbe che di una grande estensione di superficie sarebbe propria una determinata forma con caratteri costanti e che da uno stesso campione di terreno non fu mai possibile iso- lare più d'una varietà. Si accordano con questo modo di vedere anche i miei risultati, per i quali in nessun caso mi fu dato d'ottenere l'isolamento di due differenti varietà da uno stesso campione e neppure da due campioni diffe- renti dei terreni esaminati della nostra penisola. Tuttavia l'aver constatato nelle culture brute del campione proveniente da Torino, oltre alle solite pseu- domonadi, la presenza di numerose forme allungate, mi impone una certa riserva su la constatazione di questo fatto. — 516 — Se poi tra le caratteristiche morfologiche della forma da me isolata nei terreni italiani e quelle delle forme dell'Europa occidentale ed asiatica Win., corrano divergenze tali che autorizzino gli scienziati ad attribuire alle varie forme valore di specie differenti o solamente di varietà, è una questione che lascio impregiudicata, poichè sarebbe necessario che gli studiosi d'oltre Alpe, valendosi anche di questi miei modesti contributi, tornassero con altre ricerche sull'argomento. Per ora a me basta d’aver posto sufficientemente in luce, se non l'unica, almeno la più diffusa forma di microrganismo nitrosante dei terreni italiani. Sistematicamente la forma si deve far rientrare nella specie Pseudo- monas europaea del Migula o Mtrosomonas europaea del Winogradsky, e mi limito ad attribuire ad essa non altro valore che quello di una varietà che, come in una precedente pubblicazione feci notare ('), presenterebbe degli accenni di passaggio tra la varietà europea dell'ovest e quella asiatica. Ad ogni modo, per distinguerla propongo di denominarla Var. italiana, non nel senso ch'essa sia limitata alla nostra penisola, ma perchè essa ivi fu dap- prima isolata e descritta. La breve diagnosi ne sarebbe la seguente: « Piccoli cocchi di 0,6-0,8 w di diametro, con accenni di passaggio a forma di bacteri: presentano uno stadio di monade, nel quale sono muniti di un ciglio di quasi uguale lunghezza con cui isolati od in pic- coli gruppi si muovono lentamente ed a sbalzi. Non si sviluppano in mezzi contenenti sostanza organica; producono acido nitroso dai sali am- moniacali » . PRESENTAZIONE DI MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI G. CARRARA. Zlettrochimica delle soluzioni non acquose. Presentata dal Corrispondente R. NASINI. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio VOLTERRA, a nome anche del Corrispondente V. REINA, relatore, legge una Relazione colla quale si propone la inserzione nei volumi delle Memorie, del lavoro del dott. F. pe HELGUERO, intitolato : Per la risoluzione delle curve dimorfiche. Il Corrispondente SeLLA, relatore, a nome anche del Socio BLASERNA, legge una Relazione sul lavoro del dott. G. ZamBrIaSI, intitolata: Verz/ica (1) V. op. cit., in Ann. Bot., vol. III. fase. 2, pag. 56. — 517 — dei coristi normali dell'Ufficio centrale italiano per il corista uniforme, concludendo per la inserzione del lavoro stesso nei volumi delle Memorie. Le conclusioni delle due Commissioni esaminatrici, messe partitamente ai voti dal Presidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CERRUTI presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle inviate dai Soci VERONESE, BassaNI, PascaL, RAJNA, KLEIN, SorAUER, dal dott. Loew e dalla Commissione Reale svedese per la misura di un arco di meridiano allo Spitzherg. Il Presidente BLASERNA fa omaggio, a nome dell'autore senatore MA- Razio, della pubblicazione: / partito socialista italiano e il Governo, (13 febbraio 1801-4 marzo 1905), e ne parla. Il Socio VoLTERRA offre il 8° volume del Trattato di Meccanica ra- zionale, del prof. CALDARERA. CORRISPONDENZA Il Segretario CERRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia delle scienze di Lisbona; l'Accademia delle scienze di Nuova York; la R. Società zoologica di Amsterdam; la Società zoologica di Tokyo; la Società Reale di Vittoria; la Società geografica del Cairo; il Museo coloniale di Wellington; il Museo di storia naturale di Nuova York; il Museo di Cape Town; l'Università di Glasgow; gli Osservatorii di Vienna e di Cambridge Mass. V. C Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. II (1875-76). Parte 1° Tue 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, 3 storiche e filologiche. Vols IVI Vo VIS VENITE Serie 3* — TransuNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — II-XIX. MemoRrIE della Classe do scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. sa Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche , matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XIV. (1392-1906). Fasc. 9°. 1° sem. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1905). MemoRIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fase. 1°-3°. MEMORIE della Classe di scienze malati storiche e filologiche. Vol. IX. Base 19. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE SCA LET INIOONEl: DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI « DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 1 Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due ‘volte ai. mese. Essi formano due volumi all anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esulboramente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHeR & C.° — Ra Torino e Firenze. . ULRICO sori — Milano, Pisa €e Napoli. o _—_—————rrr e _rr —r————— | i i Il È | i RENDICONTI — Maggio 1906. FRMEIICE IA Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 6 maggio 1906. MEMORIE E NOTI DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Battelli. Resistenza elettrica dei solenoidi per correnti di alta frequenza . . . . . Pag. Angeli e Marchetti. Sopra gli azossicomposti . . . . 5 SR) Korner. Nuove ricerche intorno alle sostanze dette Sia 2 6 SO di casbanio Men Id. ‘e Contardi. Intorno alla sesta nitrobibromobenzina (*). .. 0. - SARI) Cuboni. Ricerche sulla produzione artificiale della melata uc foglie deltoino È SITI Pannelli. Sopra alcuni caratteri di una varietà algebrica a tre dimensioni (pres. dal Corrisp. Castelnuovo) . . . . . «FUR + COURT Nino Almansi. Sul principio dei e situati in tto all attrito (pres. dal Socio Volterra) È)» Lauricella. Sulla risoluzione del problema di Dirichlet col metodo di Fredholm e sull’ inte- grazione delle equazioni dell'equilibrio dei solidi elastici indefiniti (pres. dal Socio Dizd)(}) » Bortolotti. Sopra una ricerca di limite (pres. dal Corrisp. Cesaro) (È) 0/0... Dn Id. Sulle trasformazioni che lasciano invariata la frequenza di insiemi tineari (pres. Id) (*)» Levi. Ricerche sulle funzioni derivate (pres. dal Socio Segre) (È) . LL. » Nielsen. Sur quelques propriétés nouvelles des fonetions cylindriques (pres. dal <> a) ” Angelucci. Separazione quantitativa del radiotorio dei fanghi di Echaillon e Salins Moutier (pres. dal Corrisp. Sella)... |. SIRO) Barbieri. Sulle forme superiori di combinano dell Dir i SI Sco Cami) ” Zambonini. Appunti sulla scheelite di l'raversella (pres. dal Socio Strwver) (5)... » Vanzetti. Decomposizione elettrolitica di acidi organici bicarbossilici. Acido adipico (pres. dal SocioR(o ene )A(0) AO ci DPL GR Repossi. Su alcuni minerali del LO di s. AE AElino ta di Goo) (pres. dal Socio ISO 1) NE - È AME I TA Perotti. Sopra la vi: inno del N Ì 4 rosomonas europaea Win. (pres. dal Corrisp. CUDONDE SOTTO RI 14 PB e e RR I MR PRESENTAZIONI DI MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Carrara. Elettrochimica delle soluzioni non acquose (pres. dal Corrisp. Nasi). +... » RELAZIONI DI COMMISSIONI Volterra e Reina (velatore). Relazione sulla Memoria del dott. De Zelguero intitolata: « Per la risoluzione delle curve dimorfiche» . . . 3 PERE «Sella (relatore) e Blaserna. Relazione sulla Mimcria del dott Zani uo « Verifica dei coristi normali dell’ Ufficio centrale italiano per il corista uniforme n... . > PRESENTAZIONE DI LIBRI Cerruti (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci Veronese, Bassani, Pascal, Rajna, Klein, Sorauer, dal dott. Loew e dalla Commissione Reale svedese per la misura di un arco di meridiano allo Spitzberg. .. » Blaserna (Presidente). Fa omaggio di una to del senatore Jarazio e ne parla. > Volterra. Offre un volume del prof. Caldarera. . . MNPRMPROA A) CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti . . . » (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, respousabile. 516 Pubblicazione bimensile. Roma 20 maggio 1906. N. 10. Nlra perte A DELLA | REALE ACCADEMIA DEI LINORI ANNO CCCIII. 906 SERI QUEEN TA; RENDICONTI | Classe di scienze fisiche, matematiche e io Seduta del 20 maggio 1906. Volume XV.° — Fascicolo 10° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1906 nn | ———— ——T—m6T—_— —_—_—__—@Tr—__—_—_—_—_—_oÒlboog re 111 ‘’@—@———————en8_0_’o'y tu e sn ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Rendiconti dela nuova serie formano una pubblicazione distin:a per ciascuna delle due Classi. Per i Rendicontidella Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti dell Classe di scienze fi- siche matematiche e natirali sì pubblicano re- golarmente due volte almese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di esiranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Vorrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. | 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno hel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, the vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto, II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’ invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è date. ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di unnumero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ZI ANNI Seduta del 20 maggio 1906. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Nuovi studì sulle distorsioni dei solidi ela- stici. Nota del Socio Vito VOLTERRA. 1. In due Note aventi per titolo: Contributo allo studio delle distor- sioni dei solidi elastici — Sulle distorsioni generate da tagli uniformi (1), ho considerate le distorsioni di un cilindro cavo di rivoluzione dovute ad un taglio radiale e ad un taglio a faccie parallele, cioè le distorsioni d’ordine 6 e d'ordine 2 (?). Volendo considerare tutte le distorsioni possibili dovremo dunque esaminare quelle di ordini 1, 3, 4, 5. Ma quelle di ordine 1 possono senz'altro ricondursi a quelle d’ordine 2 mediante un semplice cambiamento di assi coordinati e così pure quelle di ordini 4 e 5 sono riconducibili l'una all'altra con un analogo cambiamento di assi. Restano dunque da studiare le sole distorsioni di ordine 3 e di or- dine 4. Osserviamo che il calcolo della deformazione del cilindro si è ese- guito coll'eliminare tutte le azioni lungo le superficie laterali mantenendo solo le azioni sulle basi. Ora nelle formole che ho date (nella Nota (*) avente per titolo: Un teorema sulla teoria della elasticità) sulle distorsioni d'ordine 3, sono già eliminate le azioni laterali. Vi è perciò da approfon- dire solamente il caso delle distorsioni d'ordine 4. (!) Seduta del 18 giugno 1905 e Comunicazioni del 1° ottobre 1905. (2) Sulle distorsioni dei solidi elastici più volte connessi. Seduta del 2 aprile 1905. (3) Seduta del 5 febbraio 1905, Art. III, Esempio 2°. ReNnDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 66 51 tetti — 520 — Mostreremo in questa Nota che anche questo caso è riconducibile a quello della distorsione d'ordine 2 (') e perciò potremo dire che 7/ problema della deformazione di un cilindro di rivoluzione cavo, che ha subìto la distorsione più generale, e che non è sollecitato lateralmente, ma solo alle basi, resta risoluto. Abbiamo poi veduto come, eliminando anche le sollecitazioni alle basi, sì possa ottenere in manzera approssimata la forma che assume il cilindro in virtù della pura distorsione senza che esistano sollecitazioni esterne. 2. Nelle formule trovate nell'Art. III della mia Nota: Sull’equilibrio dei corpi elastici più volte connessi (*) facciamo successivamente (iemepi=qg=r=0 otterremo rispettivamente i valori seguenti per ì secondi membri: 1 ZE — Ing sin/0) (1) m arcote È 2rr %. 0 lepe 3 e Inf 108° + 9°) l : G (2) or 0° arco tg a Y Lora È 49? (0 DI arco tg t 72% log (2° + y°). Le (1) dànno gli spostamenti corrispondenti ad una distorsione di or- dine 2 e le (2) quelli corrispondenti ad una distorsione di ordine 4. Ora è facile riconoscere che le prime due espressioni (2) possono ricavarsi dalle corrispondenti (1) moltiplicando quest ultime per Pg. D'altra parle nella Nota: Sulle distorsioni generate da tagli uniformi, S 2 (*), abbiamo mo- strato che nel caso di un cilindro cavo di rivoluzione le cui superficie late- rali hanno i raggi R, e R» possono eliminarsi le tensioni lungo le superficie (1) Il metodo tenuto è analogo a quello impiegato dal prof. Almansi nella sua Me- moria: Sopra la deformazione dei cilindri sollecitati lateralmente. Sedute del 5 e 19 maggio 1901. (2) Seduta del 19 febbraio 1905. (3) Vedi Nota precedentemente citata, $ 2. — 521 — laterali aggiungendo alle espressioni (1) respettivamente le quantità u' + Au” + Bu" (3) v + Av" 4 Bo" 0 e scegliendo convenientemente le costanti A e B ('). Cerchiamo quindi di eliminare le tensioni laterali nel caso della distorsione d'ordine 4 prendendo le componenti degli spostamenti dati da aa SEL 2 2 SRI; 7 e a=L:( dn 0g +9) + + Au + Bu zU | oa Ly Bo") av 4) o=Le(3, marcotg L4o' + Ao + Bo & w=— Ly arco tg LI + Long log(x? -|- y°) + 2rr TIRATE È + Dx, y)= W+ De, 9) in cui (7,7) è una funzione regolare incognita da determinarsi. Le U e V si otterranno sostituendo nelle formule (I) dell'ultima Nota citata, p alla lettera #m, onde saranno SE K L+K (- Ri R; ) e” Ii RR A nei pi) ga 1 ; 5 2 + (LA 1 + Da], (5) < Dio p Y L+EK € Ri Rs \ 3° logr lana Jarco tg! + 21 + 2K) (e wr ma) nani I e|-3K — (L+2K) (Ri + Rò) n}: Avremo poi (5) W=t- e arco tg È + 1 pa log r 27 xi. 270 eo: avendo posto AAA y°. (1) Nel luglio 1905 il dott. Timpe mi spedì un esemplare della sua Dissertazione: Probleme der Spannungsverteilung in ebenen Systemen einfach gelòst mit Hilfe der Airyschen Function, ove questo stesso problema ed altri analoghi erano stati risoluti con metodo diverso. A causa della mia assenza da Roma io non ne ebbi però conoscenza al- lorchè scrissi nel settembre a St. Moritz la mia Nota: Sulle distorsioni generate da tagli uniformi. Sono lieto ora di poter fare la citazione della bella Memoria del dott. Timpe, la quale è stata anche riprodotta nel 4° fascicolo del 52° volume del Zeitschrift fùr Ma- thematik und Physik. 3. Delle tre equazioni indefinite dell'equilibrio elastico Ko + (1+K) = dI 2309 È KA? 0 0+(L+E) 5; lo) K4%0+(L+K)T=0 in cui dU PORTI A LI vl WY Ta le prime due sono soddisfatte dai valori (4) e la terza diviene USM 6 KA°®-|+-(L4+K)(_-+_-)= (6) ++) (+3) Chiamiamo 11 3 £20 ; £33 , É23, #31, t1o le sei caratteristiche delle tensioni corrispondenti agli spostamenti (4). Si verifica facilmente che, lungo le su- perficie laterali del cilindro cavo, si ha ty 008 2.2 + ho cos #Y + 413 cos na = 0 ta, COS n + 129 COS NY + £o3 COS na = t3, COS 24 + t32 COS 2Y + #33 cos ne = >W 30 IW 3D —(v+ % + Do) cosne + (v+ >y + Sa) cos ns. ove # denota la normale al contorno. Quindi, affinchè gli spostamenti (4) cor- rispondano a tensioni laterali nulle, sarà necessario e sufficiente che dW MEA dW dY D D (7) (v+ +3E )cos net (V+ +37) cy =o. 4. Il problema è quindi ricondotto a determinare la funzione D(x,Y) nello spazio w compreso entro due circonferenze o, e 0, di raggi R, e Ri aventi il centro nell'origine, la quale soddisfa in questo campo all’equa- zione differenziale À LTK/03U, IV { d°D=— == =" (6) K (3 ig "i e al contorno alla condizione (7°) Dt A) cos ne + V cos my) . da vs: dn — 523 — Ora con calcoli facili la (6') si trasforma in fa 1.008 3 RI gl eflas(d)jon (3>®___p(L+8K __ MB dh bi: E i NT E COS SONIA 0, )3P DIE Rito K Rî rio — e e 19 oi iS DE (Fip st! LT 42K Ri4- Ri cosd, sopra 03 in cui così = cOSnr. Si verifica poi facilmente che feod +3 da +/G dos—0 supponendo di prendere la normale x diretta verso l'interno del campo . Infatti ciascuno dei tre integrali della formola precedente è separatamente nullo. Ne segue che Ze condizioni (6) e (7°) sono fra di loro compatibili. Posto Wo 1 2 “le ; (8) ® = (1087 2 RR + d avremo che la (6') si trasformerà in A°*pP=0 SL+E Ri sto 9 II 7 “fia DE RIor SER: > ana 3L+K _Rî e \ Jean 9 sopra o, < (Am pa(1+2+ 3K Ri--Rî Quindi e) così, sopra 0» con M e N costanti. Queste si calcolano facilmente e si trova Kx 8L-+K , Rilog Rî — Ri log È) 9 ta EA NS = pub E) CI AA (9) Sori K È Ri — Rì TE + Et (ceingti 3L4+K 1 ) r Ri — Ri 2K Ri+R3/) da cui finalmente combinando le formule (5'), (8) e (9) si ricava il valore di w — 524 — Tenendo da presenti le formule (4) e (5) avremo OK, READIEG log re È i "#24 2E) (e De) vi TSI ps | Y ti. fe Ri Rs ele e ct a oi) Rî + Rî) 329yY L+38K 2y}, n) — (&+ 2K)(R+ 89) DPY. y Mpa K 03, bt An 21 Sg REL +2K (2 K Rî log Rî — R; log Rs 1 JESI RieRs Di Rî —logR; , 3L+K 1 ) do 2 ae +e | ReECRMMMS 2E RIERI e da queste equazioni si ricava facilmente i pEL zs(1 00 = (Mese) | — RE UERI (8) {ig 0 (0+3%) (a—0R (v a Zi onde sono determinate le tensioni agenti sulle due basi. Arcos. 5. Per ottenere praticamente una distorsione d’ordine 4 basta fare nel cilindro cavo una fessura cuneiforme come è indicato nella fig. 1 in modo che le due faccie della fessura si incontrino lungo un raggio di una delle due basi. Quindi accostare le due faccie della fessura e saldarle. Se le due — 525 — faccie della fessura sono egualmente inclinate sulla base, la forma del solido deformato dopo la saldatura è simmetrico rispetto al piano di questa. Applicando ai resultati del paragrafo precedente dei ragionamenti ana- loghi a quelli che abbiamo fatto nelle due Note precedenti, sarebbe a priori possibile formarsi un'idea approssimata della forma che assume il cilindro | per la pura distorsione allorchè si immaginano eliminate le tensioni alle basi. Noi ci limitiamo però a riprodurre (figg. 2 e 3) l'immagine di un ci- lindro di caoufchowe che ha subìta la indicata distorsione. Le due fotografie Fic. 2. Fic. 3. (figg. 2 e 3) dello stampo in gesso del solido deformato, veduto da due parti diverse, mostrano chiaramente la forma delle due basi. Lo spigolo cor- risponde alla saldatura. Il cilindro di eaoufchove aveva prima della distor- sione il diametro esterno di 10°",6, quello interno di 6°", l'altezza di 50,9. L'apertura angolare della fessura cuneiforme era di circa 38°. Debbo ringraziare l'ing. E. Jona del modello in e4outehove che mi ha procurato, i dottori Zambiasi e Pochettino delle fotografie ed il prof. Ales- sandrini del disegno eseguito. Chimica. — Nuove ricerche intorno alle sostanze dette aro- matiche a 6 atomi di carbonio. Nota del Socio G. KORNER. Nonostante il grandissimo numero di ricerche eseguite dai più insigni chimici intorno ai prodotti alogeno- e nitrosostituiti della benzina, questo gruppo di sostanze presenta tuttora non poche lacune essendo rimasti scono- sciuti in quasi ogni serie alcuni dei termini più semplici e più importanti dal punto di vista, di stabilire la dipendenza delle proprietà fisiche e chi- miche dalla composizione e costituzione di essi prodotti. Inoltre la letteratura è gremita di dati erronei, provenienti anche dal fatto che in epoche diffe- — 526 — renti autori diversi hanno compreso sotto la medesima denominazione sostanze affatto diverse. In questo stato di cose ho ripreso le ricerche iniziate da oltre trent'anni, e sto eseguendo unitamente ad alcuni miei colleghi un lavoro di revisione dell'intero materiale di fatti risguardanti formazione e proprietà delle sostanze aromatiche a 6 atomi di carbonio, allo scopo di ottenere i dati necessari per stabilire la parte che spetta ad ogni atomo o gruppo, in causa della sua na- tura e del posto occupato dallo stesso, delle proprietà finali della molecola. Sono state così preparate parecchie centinaia di sostanze nuove e completate alcune serie di questi derivati, la maggior parte dei quali si è potuta ottenere in cristalli nitidi e ben sviluppati, ed il prof. Artini ne ha assunto lo studio ottico e cristallografico. Per molti di questi derivati furono escogitati metodi nuovi di prepa- razione e si ebbe il risultato non prevedibile che si ottennero dai medesimi materiali in condizioni leggerissimamente variate prodotti del tutto differenti per qualità e quantità, il qual fatto poi spiega molte contradizioni nella let- teratura. È mia intenzione di pubblicare, assieme ai rispettivi collaboratori, in brevi Note i risultati di queste ricerche man mano che le singole serie o gruppi si completano, salvo di riservare ad una Memoria più completa e rias- suntiva la descrizione dettagliata delle esperienze e dei risultati. Chimica. — Intorno alla sesta nitrobibromobenzina. Nota del Socio G. KORNER e del dott. A. CONTARDI. Sin dal 1874 uno di noi aveva notato nella nitrazione della ortobibro- mobenzina la formazione in piccolissima quantità d'un secondo nitrocomposto (!) che allora non potè essere separato dal suo isomero 1.3.4 (NO; in 1) C, H» NO, HBr Br, che forma il prodotto principale della reazione, in causa della difficoltà di poter disporre di quantità alquanto notevoli di ortobibromo- benzina. Nel 1894 tale difficoltà venne superata colla scoperta di un metodo per la preparazione in grande e facile di tale prodotto, partendo da mate- riali del commercio (?). Abbiamo con questo processo preparato oltre un chilogrammo di ortobi- bromobenzina allo stato di chimica purezza e bollente entro 2 decimi di grado e cioè tra 225° e 225°,2. Nitroortobibromobenzine 1.3.4 1.2.3 e loro separazione. — 50 gr. di ortobibromobenzina s' introducono poco per volta in 100 gr. di ac. ni- trico di 1,54 p. s.; indi si lava il vaso in cui trovavasi la bibromoben- (1) Gazz. chim. ital., vol. IV, pag. 328 (1374). (*) Rendic. Acc. Lincei, vol. III, Serie V, 1894. — 527 — zina con 25 gr. di ac. nitrico, e, compiutasi la reazione violenta, si versa il tutto, dopo 10 minuti, in acqua fredda. La massa oleosa che si separa dal liquido acido non tarda a solidificarsi; la si rifonde più volte sotto rin- novata acqua bollente, agitando fortemente sino a solidificazione. Il prodotto raccolto, lavato ed essiccato si discioglie in 4 parti di alcool di 95 °/, e si lascia raffreddare. Risulta così trasformata oltre 60 per cento della bibromobenzina in nitro-bibromobenzina 1.3.4, fusibile a 57°-58°, che una sola volta ricristalliz- zata da alcool (1 a 4) è chimicamente pura e fonde a 57°,8. Le acque madri unite e concentrate dànno più volte nuovamente cristalli di punto di fusione più basso. Ricristallizzando questa parte più fusibile si ottengono frazioni di assai diversi punti di fusione e fra esse sì riscontra una fondente a 42° e che man- tiene questo punto di fusione anche dopo un'altra cristallizzazione dall'alcool. Se questa frazione si scioglie in ac. acetico glaciale bollente, nella pro- porzione di 5 a 9, la soluzione separa per raffreddamento dopo 24 ore circa cristalli aghiformi, splendenti di tinta verdognola assai più pronunciata di quella del suo isomero 1.3.4. I cristalli che risultano nella quantità di 10 p. c. della miscela fusibile a 42° fondono a 859,2. Si sciolgono facilmente in 3 parti di ac. acetico bollente, separandosi per raffreddameuto per oltre 85 p. c. Essi similmente sono assai meno solubili in alcool conc. freddo dell’isomero 1.3 . 4. In acetone e cloroformio soro solubilissimi, meno invece in etere e in acetato etilico. Per lentissima evaporazione tanto dall’acido acetico, quanto dall’ etere etilacetico, si può ottenere questa sostanza cristallizzata in grossi prismi mo- noclini di cui le costanti date dal dott. E. Repossi sono a: d:c: = 1,031: 1: 0, 282; 8# = 80, 8" 30". Per dimostrare la costituzione di questa nitrobibromobenzina, la sì tra- sformò in tribromobenzina, riducendola prima in bibromoanilina e sostituendo in questa, passando per il perbromuro del corrispondente diazocomposto, il gruppo ammidico con un atomo di bromo. Come era da aspettarsi si ottenne la tribromobenzina 1.2.3 fusibile a 879,4. La nuova nitrobibromobenzina descritta, scaldata con ammoniaca alcoo- lica per 2 giorni a 180°, diede una nuova nitrobromanilina in aghi giallo- chiari, facilmente volatile col vapor acqueo, abbastanza solubile nell’alcool e del punto di fusione 739,4. Eliminando da questo prodotto il gruppo NH» mediante etere nitroso sì ottenne la metanitrobromobenzina C, H; NO, H Br, fusibile a 569,4. Una miscela calda di ac. solforico concentrato e acido nitrico di 1,54 p. s. trasforma la nitrobibromobenzina in una miscela di 3 binitro derivati. Ortobibromoanilina 1.2.3 (NH, in 1) G; Hz NH, Br Br. — Si ottiene facilmente questa sostanza scaldando la nuova nitrobibromobenzina con una soluzione cloridrica di cloruro stannoso impiegato nella quantità teorica (3 mol.). La potassa precipita l’anilina che si purifica distillando la miscela alcalina RenpIconTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 67 col vapor acqueo. È base meno energica dell'altra ortobibromanilina, distilla facilmente col vapor acqueo, è poco solubile in acqua, solubilissima invece in alcool, in etere e in acetato etilico. Dall'alcool diluito cristallizza in tavole trasparenti ed incolore fon- denti a 48°. Ortobibromacetanilide 1.2.3 (NHA in 1). — L'anidride acetica bol- lente trasforma la nuova bibromanilina rapidamente nel derivato acetilico, il quale è presso a poco insolubile nell'acqua fredda e poco solubile nell’alcool caldo; si separa da quest'ultimo in cristalli aghiformi che fondono a 164°. La sopradescritta nitrobibromobenzina 1.2.3 abbiamo potuto ottenere anche per altra via, partendo dall’acetanilide. Questa sciolta in acido solforico, trattata a freddo con acido nitrico concentrato 1,54 p. s., come è noto, for- nisce l'acido nitrosolfanilico 1.2.5 (NO: (1); NH» (2); SO3H (5), il quale, tra- sformato nel sale baritico, pel trattamento in soluzione acquosa diluita con soluzione di bromo nel bromuro potassico, diede, a fianco a poca bibromoor- tonitroanilina, il corrispondente nitrobromoamidosolfonato baritico 1.2 .3.5 (bromo in 3, gli altri gruppi come sopra). L'eliminazione del residuo solfonico riesce facilmente, scaldando l'acido libero con acido solforico diluito in tubo chiuso a 185°, oppure con ac. solforico concentrato (60 B°) a 160° sotto pres- sione ordinaria. Il prodotto della reazione sottoposto alla distillazione col vapor acqueo fornisce una sostanza gialla, cristallina, che altro non è che la sopradescritta nitrobromoanilina del punto di fusione 73°,4. Questa, trasfor- mata nel diazocomposto e successivamente nel corrispondente perbromuro, con- duce nella scomposizione con alcool assoluto bollente, come era da prevedersi, alla sopradescritta nuova nitrobibromobenzina 1.2.3. Il quale ultimo com- posto si ottiene ancor meglio facendo cadere goccia a goccia la soluzione del diazocomposto sopra il bromuro rameoso bollente, e di stillando il prodotto di reazione col vapor d'acqua. Nitroiodobromobenzina 1.2.3. — Abbiamo preparato questo composto sostituendo il gruppo ammidico della nitrobromanilina nuova con un atomo di iodio. Essa si presenta sotto forma di prismi trasparenti di tinta legger- mente verdognola, appartenenti, secondo le determinazioni del dott. E. Repossi, al sistema monoclino: a: d:c:= 0,634: 1: 0,568; 8 = 74°, 56: si fondono a 119°-120°. Nitroclorobromobenzina 1.2.3. — Si ottiene tale prodotto se la soluzione del diazocomposto dell’anilina pf' 73°,4 si fa cadere sopra del cloruro rameoso bol- lente e si distilla quindi in corrente di vapor acqueo. Essa è una sostanza facil- mente volatile, molto solubile in alcool ed in etere; dai quali solventi si separa in aghi piatti verdognoli, fusibili a 65°. I cristalli non poterono fino ad ora esser misurati. Fisica. — resistenza elettrica dei solenoidi per correnti di alta frequenza. Nota del Corrispondente A. BATTELLI. Le considerazioni generali che ho svolto in una mia precedente Nota (') mi permettono di stabilire nelle sue linee principali le leggi con cui le cor- renti di alta frequenza si distribuiscono nella sezione di un filo che sia av- volto a solenoide. SHOTAFOrde Q Fic. 1 In pratica i solenoidi sono formati avvolgendo un filo metallico a sezione circolare sopra un cilindro, sul quale l’asse del filo forma un'elica di passo costante p. Per semplicità conviene però immaginare che le varie spire siano addi- rittura di forma circolare; io, riferendomi ad una qualunque di esse, assumo come asse delle 2 la tangente al filo nel centro O (fig. 1) di una sezione meridiana della spira. Allora v=o=0,g=w edil problema è ridotto a determinare w in funzione di «x ed y. Nel piano y, io assumo per asse delle + la perpendicolare dell'asse PQ del solenoide e per asse delle y la parallela alla PQ; si indichi con f(e,y)=0 (1) Rend. Acc. Lincei, fase. 99, 1° sem. 1906 — 530. — una delle linee, sulle quali w= cost; si tratta anzitutto di mettere gros- solanamente in evidenza la forma di tali linee. Esse evidentemente coincidono con quelle sulle quali ha un valore costante la forza elettrica; ora questa si compone di due termini, l'uno costante per tutti i punti del conduttore e dovuto alla forza elettromotrice esterna applicata ai due capi del solenoide, e l’altro variabile col variare di 4 ed y e rappresentante l'intensità elettro- motrice, indotta sopra ciascun punto del solenoide, dalla corrente variabile, che circola negli altri punti della stessa spira e delle spire vicine. Tale in- tensità elettromotrice indotta M si compone, a sua volta, di due termini, uno F,, dipendente unicamente dalla corrente, che circola nella spira, a cui appartiene il punto considerato; e l’altro F., dipendente dalla corrente che circola nelle rimanenti spire. Indicando con o la distanza di un punto generico del conduttore dall'asse del filo, si può avere un'espressione approssimata di F,, ammettendo per un momento che la corrente sia uniformemente distribuita intorno all'asse medesimo. In tale caso F, dipende unicamente da 0; d'altro canto, immaginando F>. sviluppata con la formola del Taylor secondo le potenze ascendenti di x ed y, e trascurando i termini di grado superiore al 1°, sì può porre: F.=a+bx+ cy. D'altra parte, per ragioni di simmetria il valore di M, e quindi anche di F., deve restare inalterato scambiandovi y con — y, onde CI—10 (2) M=F;(0)+a+ de. Io ammetto che l'equazione delle linee, sulle quali la densità w della corrente è costante, sia realmente rappresentata da un'equazione del tipo della (2), dove tutti i coefficienti abbiano un valore costante eccetto che M, che varia da linea a linea. Ne segue che w= w(M) ed il problema è ridotto a trovare l'espressione effettiva di w sopra ogni superficie. Sia adesso s un arco, che sia in ogni punto ortogonale alla famiglia di superficie: M=cost. Si ha: dM 2M IM ds 698688) > + cos(s7) a d'altra parte DI COS (Su) _—_____ DG: ou y ( da L y dM cos(sy) = —= D- onde “ Ali Ora per la (1) è 29M TN so = FT +I, IM YI ER (0) 7 1(0) 0 Sostituendo in (2) si ha Ufo so = Pier +8 +2F0) 87 Quanto al segno della quantità Fi (0) bisogna osservare che il valore di Fi diminuisce col crescere della distanza 0 e che quindi la sua derivata è negativa; invece il segno di 2 è negativo. La precedente uguaglianza, ser- vendosi delle coordinate polari 0 e 9, cioè ponendo: x= Q così y=05en0, è quindi del tipo i IOETETE coso , dove p e g sono soltanto funzioni di o . Se ne ricava Vp° + 29° cos Ora in coordinate polari è: (4) M=F,(0) +a4+ do cos@; — 532 — inoltre 92M 2M dM = — — de: riferendomi dapprima unicamente ai punti, che stanno sulla superficie del conduttore, per essi è @ = cost. e perciò, nel passaggio da un punto all'altro del contorno, è aM= E 3 sen0d0. PL onde ig ME do sen 0 dé — Vp + 29° così Per valori piccoli di 0 si ha cosìò=1 , sen0=80, e quindi, attribuendo ad s il valore zero nel punto A (fig. 2) di coordinate 3 S Ta N Ò 9 Fic. 2. e=0,6=0, il valore s) di s sul contorno del conduttore ed in vicinanza di A risulta: (5) si=f°6°, dove si è posto — bo 6 >= ne i 2Vp° + 29° Per ciò che si riferisce al valore di s sempre in vicinanza di A, ma nel- l'interno del conduttore, conduco dal punto generico P la perpendicolare PP, — 599 — al contorno ed indico con 4 la distanza PP,. Sviluppando s colla formola del Taylor, per valori di 4 sufficientemente piccoli, si ha: ds SES 4 ASSI BRA 1, RIOT \ I 3 Per calcolare D si consideri la superficie di densità di corrente uni- forme passante per P, e sia P,Q la sua normale nel punto P,. È chiaro che Is " — cos(QP P). D'altra parte si può ritenere che in vicinanza del punto A le superficie di ugual densità di corrente siano parallele all'asse del solenoide; ne risulta che in vicinanza del punto A è l'angolo Q P,P 0 ’ e quindi s=s +4= °0° + 4. Si applichi adesso il risultato generale espresso dalla formola (10) sta- bilita nella mia Nota precedente e si osservi che in questo caso è pfp=w; indicando con w,coswf la densità della corrente nel punto A, nei punti vicini si ha: (7) w= wo e70+8°8> cos(ot — a [4-+ B° 0°]. Questa formola dà un'idea assai chiara della legge, con cui è distribuita la corrente nella sezione del filo: l'ampiezza della densità della corrente è Wo e-00+830%) e, come si vede, quest'ampiezza decresce con legge esponenziale, sia col cre- scere della distanza 4 del punto generico dal contorno del conduttore, sia col crescere dell’azimut 0. Tali variazioni della densità sono tanto più con- siderevoli quanto più grande è il valore di « e quindi quanto più alta è la frequenza delle correnti. Per ciò che si riferisce ai punti che non sono vicini ad A non si può affermare se la (7) continui a valere rigorosamente. Si osservi però che si sa già a priori, da quanto è stato mostrato in proposito dal Wien e dal Som- merfeld, che è superfluo preoccuparsi di tali punti, perchè in essi la densità della corrente è praticamente trascurabile. Siccome anche la formula (7) ri- specchia questa circostanza, così io nel seguito ammetterò che essa valga anche per grandi valori di Z e di @. In base alla formula medesima si può dunque eZ } | | o 3 A rr — 594 — dire che per frequenze molto alte si può ritenere che la corrente resti localiz- zata in un piccolo intorno dei punti A più vicini dell'asse del solenoide. Nella figura 3 la parte della sezione del filo la quale è praticamente utilizzata nel passaggio della corrente è sparsa di punti. Passo adesso al calcolo della resistenza R del solenoide. A tal uopo, in- dicando con W il calore svolto dalla corrente nel circuito in un secondo, ho Wa o {ui, dv, ove dv è l'elemento di volume, w?, è la media dei valori assunti dal qua- drato di w nel corso di un periodo e l'integrazione va estesa a tutto il volume 6) 6 SRO STO 9 IMteRsÌ occupato dal conduttore. Detta 7 la lunghezza del conduttore ed « il raggio della sezione del medesimo dv=l(a—4)did, e quindi WS. ta (fw di de — cl {fron 2ard0. Qui si intende che l'integrazione rispetto a Z vada estesa da zero ad « e quella rispetto a 0 da — ra+7. Sarà superfluo occuparsi anche del secondo termine cioè di ol [ j wi, AdA di ; infatti esso è trascurabile di fronte al primo per i punti che stanno in un — 599 — piccolo intorno di A; al di fuori di tale intorno w7, diventa trascurabile e quindi, senza alterare notevolmente i risultati, si può porre : Wi= cla (di f wi, do, 5 wi NERI wi, Pra DI e-220+B38%. dove per la (7) Sostituendo ottengo: W= e fer di fase dé . Quanto ai limiti di integrazione, come già si è detto, essi sono 0 ed 4 per il primo integrale, — e +7 per il secondo. Si noti però che le fun- zioni integrande e-?° ed e-?*5292 tendono assintoticamente verso lo zero col crescere di Z e di = @ e che, per alte frequenze cioè per grandi valori di @, i valori delle funzioni medesime sono sensibilmente diverse da zero soltanto per valori delle variabili 2 e 0 molto vicini a zero; ne segue che il valore degli integrali in discorso resta sensibilmente inalterato, anche se come limiti di integrazione si assumono per il primo integrale 0 ed co e per il secondo = 00) (01007. Ne segue che Wa SLGLÌ (psi | erat dé . Ora, cercando prima l'integrale indefinito di e-°, si trova facilmente che “A 1 20) iS fe ahi Da. * Quanto all’altro integrale è noto che fi cei di I 7 ; +% 1 e-2B?0* 46 p Pra du L : se ne deduce che e conseguentemente ® __claw Va fi: 48/2 D'altra parte, indicando con I l’intensità totale della corrente, si ha I= fwd ; RenDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 68 — 536 — dove 4S è l'elemento di area della sezione del filo, ossia dS= (a — A) dA de. Con considerazioni del tutto analoghe a quelle or ora fatte per il calcolo di W, sì ottiene I=a fd "pd@. Ora È w = parte realefdil 0, e 30829” gotinanaBi0na n . » Wo esti ed0+8*901+Ò e quindi q cd +9 I=parte reale di awre®! fenarnaa f er3Bra+d8:g9, «70 /-0 Eseguendo le integrazioni ho: ( eaasoga e: bia vo (1-2) cari i Ji IT ero 0+002]0 — — Li ——_ , JE eV aa+à e sostituendo I= parte reale di suli os goti(1 4g)". Siccome 1+4i= es si ha 3/ Sr (0 = O e quindi I= parte reale di (PIL Pl Ce RO so = se 2 a- "12 cos (00 _ dl Il valore medio del quadrato di I, nel corso di un periodo è quindi a wì rt mE Be a73 Ward 3 > Il rapporto E dà, come è noto, la resistenza del conduttore. Si ha dunque: 4 Reni ee) A TE, 40 V2r 2a oT dove si è indicato con T il periodo della corrente. — 9397 — Se lo stesso filo fosse steso in linea retta, si troverebbe, secondo la nota formula del Rayleigh, per la sua resistenza R' il valore F 2 SEI 0 PO e quindi di (9) È = sà V Pas oT ovvero R I 10 — = — ( ) R K T ») dove la costante K ha il valore ” en fn lea 2 o Il risultato, espresso dalla formola (9), differisce essenzialmente da quello trovato dal Sommerfeld e rispecchia una importantissima circostanza, R R' dalla frequenza delle correnti; come si vede dalla (9), il valore di questo rapporto cresce proporzionalmente alla radice quarta della frequenza. Ora il Sommerfeld, confrontando la resistenza R del solenoide per correnti di alta frequenza, non con R' ma con quella R, dello stesso solenoide per correnti continue, trova che il rapporto che realmente si verifica nella pratica, cioè la dipendenza del rapporto Ro è proporzionale alla radice quadrata della frequenza. Per stabilire un con- fronto tra il risultato del Sommerfeld ed il mio, basta osservare che, secondo la formola del Rayleigh, sopra ricordata, si ha per la resistenza di un filo rettilineo con correnti di alta frequenza i i = <(4) —Re(#) ; RICR ( a : I rapporti ed Di sono dunque tutti e due proporzionali alla radice 0 (0) quadrata della frequenza e perciò, combinando insieme il risultato del Som- merfeld con quello del Rayleigh, il quoziente di questi due rapporti, cioè l'espressione R tisi dovrebbe, al contrario di quanto è indicato dalla mia formola (21), essere indipendente dalla frequenza. Per decidere la cosa sperimentalmente basta — 598 — dare un'occhiata al seguente quadro in cui sono riassunti i risultati delle poche esperienze che finora si conoscono su questo proposito e che sono quelle da me fatte nel citato lavoro sulle scariche oscillatorie ('). PEodo R __ Resistenza del solenoide R Resistenza del filo rettilineo AZIONA LO SC0 1,96 3,0 X 1075 sec 2,15 2,2 X 107° sec 2rler Si vede senz'altro che, conformemente alla mia conclusione, col crescere della frequenza va sempre crescendo il valore del rapporto z. Ma c'è di più: anche la legge quantitativa, espressa dalla (22), si può ritenere, con discreta approssimazione, confermata dalle esperienze medesime. Infatti, se- condo la mia formola, l’espressione : dovrebbe, per alte frequenze, conservare un valore costante. Ora, se con i dati sopra riferiti si calcola il valore della costante K=È{/T si ha: T Zur R | ASP 2,82 X 107» 01078 2,88 X 107°/ 2,2 X 10-56 2,64 X 10-9/a Come si vede, specialmente per le prime due frequenze, la concordanza fra la mia formola e le esperienze, se non è casuale, è addirittura perfetta. RI posa molto più piccolo del vero; pare infatti poco probabile, esaminando la pe- nultima tabella, che, mentre per il passaggio dal periodo Quanto alla terza frequenza ritengo che il valore sperimentale di SAZXI00 al periodo ; 10 = SSR il rapporto È subisce un notevole aumento, debba poi quel rapporto nel (1) 1. c., pag. 374. pen — 539 — successivo intervallo, relativamente più ampio, compreso fra il periodo 0078 e il periodo 2921038 mantenere un valore costante. Per avvalorare le mie conclusioni con una maggior copia di dati speri mentali, ho già da qualche tempo ripreso le misure di resistenza di speciali solenoidi per correnti di alta frequenza, e fra poco ne comunicherò i risultati a questa Accademia. Finalmente è da rilevarsi che il coefficiente di proporzionalità K dipende certamente dal passo della spirale, e dai ragionamenti da me fatti per venire alla formola finale si capisce che, col crescere del passo, diminuisce il valore del coefficiente > che comparisce nella (1) e con esso il valore della co- stante K. Anche ciò è pienamente confermato dalle esperienze da me rife- rite a pag. 375 del citato lavoro. Meccanica. — Sul principio dei lavori virtuali in rapporto all’attrito. Nota di G. ALMANSI, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. È oggetto di questa Nota esaminare se il Principio dei lavori vir- tuali, in quanto rappresenta la condizione necessaria e sufficiente per l’equi- librio, non possa applicarsi a quei sistemi di corpi fra le cui superficie sì esercita attrito. Dallo studio di alcuni casi fra i più semplici, apparirà chiaramente quali ipotesi è necessario fare affinchè il detto Principio possa ritenersi valido. 2. Consideriamo da prima un sistema costituito di due corpi a contatto, C e C', i quali sì presentano ai nostri sensi come indeformabili, e separati dal piano IZ. Il corpo C' sia fisso, C mobile. Le forze esterne agenti sopra C si riducano ad una forza F, applicata ad un suo punto P. Diciamo » la normale a ZZ, condotta da P e rivolta verso C', 6 l'angolo che F forma con n. Ammettendo che il Principio de' lavori virtuali sia valido, e denotando con L il lavoro eseguito dalla forza F per uno spostamento di C, la con- dizione necessaria e sufficiente per l'equilibrio di questo corpo sarà espressa dalla formula ez, che dovrà esser verificata per tutti gli spostamenti infinitesimi di C compa- — 540 — tibili coi vincoli, ossia colla presenza del corpo C'. È superfluo ricordare che nella formula con cui si esprime il Principio de lavori virtuali non devono figurare le resistenze passive (reazioni dei vincoli) e che il segno < è neces- sario quando sì hanno vincoli unilaterali. In alcuni casì l'esperienza ci dirà che l'equilibrio di C non sussiste se non quando 6 abbia sensibilmente il valore sero. Supponiamo, invece, di aver constatato che C sta in equilibrio anche se l'angolo 6 è diverso da zero, purchè |a non superi un certo valore © compreso fra 0 e Noi diciamo in tal caso DO che fra la superficie di C e quella di O’ si esercita attrito. TI Quando ciò accade, non potremo ritenere che C e C' siano esattamente separati dal piano ZZ: poichè, se ciò fosse, noi potremmo dare a C una trasla- zione formante un angolo ottuso con #, ma un angolo acuto con F; e per un tale spostamento, a cui i vincoli non si opporrebbero, la forza F eseguirebbe un lavoro L>Q0. Se dunque il Principio de’ lavori virtuali si vuol ritenere valido anche quando fra le superficie di C e C' si esercita attrito, e d'altra parte non vogliamo introdurre arbitrariamente nuove forze esterne, dobbiamo intanto ab- bandonare l'ipotesi che i due corpi siano esattamente separati dal piano 2. Noi potremo supporre che si abbiano particelle appartenenti a C situate, ri- spetto al piano Z7, dalla parte verso cui è rivolta la normale 2, e particelle di C' situate dal lato opposto, le quali, finchè @ non supera ®, impediscono a C tutti quegli spostamenti infinitesimi per cui la forza F eseguirebbe un lavoro positivo. Denoteremo con % tali particelle. Le particelle 7, potranno essere, per esempio, dei piccoli coni di rivolu- zione, aventi gli assi normali al piano Z7, le basi su questo piano, e le gene- ratrici inclinate dell'angolo © sul piano stesso: ma è evidente che infinite altre forme si potrebbero loro attribuire. Per ciascuna delle particelle X appartenenti a C o C', dovremo immagi- nare, in C' o C, una cavità entro la quale la particella si trova: e non sarà necessario che ogni particella riempia del tutto la cavità corrispondente. — 541 — Poichè, conservando a © il suo valore, possiamo attribuire alle particelle % dimensioni piccole ad arbitrio, non v'è difficoltà ad ammettere che la loro presenza possa sfuggire alla nostra osservazione. Noi d'altronde non vogliamo affermare che tali particelle esistono, ma che /utto accade come se esse est- stessero, e il Principio de’ lavori virtuali fosse valido. 3. In questo primo caso esaminato, si può conservare l'ipotesi che i due corpi a contatto siano assolutamente indeformabili. Ma ciò in generale non è possibile. Consideriamo ancora un corpo C apparentemente indeformabile, compreso fra due corpi fissi C', C”, limitati dai piani paralleli ZZ", Z2”. Fra la superficie di C, e quelle dei due corpi, coi quali esso è a contatto, si eserciti attrito. Le forze esterne agenti sopra C si riducono ad una forza F, applicata ad un suo punto P e parallela ai due piani. L'esperienza ci mostrerà che l'equilibrio di C sussiste finchè la grandezza della forza non supera un certo valore F,. Analogamente a quanto accadeva nell'altro caso, se si ammette che il Principio d. l. v. sia valido, non potremo ritenere che i corpi C, C', C” siano esattamente separati dai piani 7’, IZ"; poichè se ciò fosse, supposto C in equilibrio sotto l’azione di una forza F diversa da zero, noi potremmo dare ad esso una traslazione infinitesima nella direzione e nel verso della forza, che eseguirebbe così un lavoro positivo. Supporremo dunque che vi siano particelle di C fuori dello spazio com- preso fra i due piani, e particelle di C' e C" entro questo spazio, le quali, finchè itre corpi non subiscono deformazioni, impediscono a C qualsiasi spo- stamento. Ma poichè, quando F supera in grandezza il valore F,, noi constatiamo uno spostamento di C, dovremo ammettere che i corpi del nostro sistema possono deformarsi. Per attenerci all'ipotesi più semplice, supporremo che essì presentino, sia pure in grado piccolissimo, le proprietà degli ordinarî so- lidi elastici. Diciamo, per una deformazione qualunque del sistema, L il lavoro delle forze esterne, L; il lavoro delle forze interne: la condizione ne- cessaria e sufficiente per l'equilibrio sarà espressa dalla formula (1) DES =0, che dovrà esser verificata per tutte le deformazioni infinitesime che il si- stema può subire. 4. Abbiasi ora un sistema di quanti corpi C si voglia, limitati apparen- temente dalle superficie Y. Denoti o la totale superficie apparente di con- tatto (nei casi esaminati o fa parte dei piani IZ, IZ’, 17"). La presenza delle particelle % che si trovano fuori delle sup. X, se tra- scuriamo le deformazioni elastiche che tali particelle potranno subire, avrà unicamente l’effetto d’ introdurre nel sistema un nuovo vincolo, che denoteremo. — 542 — con V. Fissato il verso della normale x, in ogni punto di o, e detto w %/ vettore differenza geometrica fra gli spostamenti virtuali di due punti vicinissimi ad un punto P_di 0, e appartenenti l'uno al corpo situato dalla parte di n, l’altro all’altro corpo, il vincolo V consiste in questo, che l'angolo formato da w con n non può superare il valore TT O. Introdotto il vincolo V, noi potremo ragionare come se le particelle £ non esistessero, e o fosse la vera superficie di contatto fra i corpi del sistema. 5. Posto così il problema, passiamo senz'altro a trasformare, nel caso generale, la formula (1). Le superficie ® dei corpi C potranno avere dei punti di contatto con altri corpi (p. es. i punti della superficie AB nel primo caso esaminato). Questi punti, per non complicare inutilmente la questione, li supporremo fissi. Consideriamo da prima quelle deformazioni per cui lo spostamento è continuo anche nei punti di o (u= 0). Si cadrà nel caso di un ordinario so- , È ; GREGSDI) lido elastico, e ritroveremo le note relazioni - +-+ X=0, ecc. che le- gano le tensioni interne alle forze esterne. Teniamo poi conto di tutte le altre possibili deformazioni del sistema. Per ogni corpo C il lavoro (rta 4 ny 4280] do (An TE 4a, (EE i -} 00 hi QI fit ar Ag ria eseguito dalle forze esterne (forze di massa) e dalle forze interne (forze elastiche), avendo presenti le relazioni già stabilite, potremo trasformarlo in un integrale esteso alla sup. 2 di C. Esso sarà uguale a — (GE+m+ 005, ove per ogni punto P di o, g,7,$ rappresentano le componenti, secondo la normale interna e due direzioni ortogonali tangenti a 0, dello spostamento di P,pdX,qAX,rdX le componenti, secondo le stesse direzioni, della forza che agisce sulla faccia esterna dell'elemento d£. Nei punti di X non a contatto con altri corpi del sistema, non appar- tenenti cioè a 0°, l'elemento dell’ integrale è nullo. Il lavoro totale sarà dato dalla formola L+l=—fE+m+r0d, ove £,,$ rappresenteranno le componenti del vettore 4 (spostamento rela- — 543 — lativo) se intendiamo che pdo , gdo , rdo sieno le componenti della forza / che agisce sulla faccia dell'elemento do opposta ad x. Poichè £, n, sono arbitrarie, salvo a soldisfare la condizione imposta dal vincolo V, dovrà essere, in tutti i punti di 0, DK4gn+r6=0, per qualunque direzione di w formante con 7 un angolo non maggiore di TT È . RO y Die: ©; quindi se 9 è l'angolo che Y forma con #, dovrà essere (i) ZA Questa è appunto la condizione d'equilibrio, quale risulta dall'esperienza. Dunque l'ipotesi che un sistema di corpi a contatto, fra le cui super- ficie si esercita attrito, sia soggetto al vincolo V, ci permette di stabilire le condizioni necessarie e sufficienti per l'equilibrio, applicando rigorosamente il Principio dei lavori virtuali. Se diciamo 4 la grandezza del vettore proiezione di w sul piano tangente a o, la condizione imposta dal vincolo V sarà espressa dalla formula È = A tag ©, ovvero, posto tag O = K, E => KA. (£= comp. normale di wu). 6. Nel linguaggio ordinario, quando si studiano le condizioni d'equilibrio di un sistema di corpi, le cui superfice presentano attrito, non si parla di vincoli, ma di forze d'attrito. Noi vogliamo trasformare la formula (1) in modo da poter esprimere la condizione che essa rappresenta, adoperando i termini ordinariamente usati. Perciò diciamo ora $,n,% le componenti del vettore w in una defor- mazione infinitesima D che sarebbe possibile se 72 vincolo V non esistesse: la condizione £ > K potrà non esser verificata. Poniamo stan t=E a Meat?) g essendo una funzione di £, 7,%, tale che risulti sempre è = K4. Quando èé = KA, supporremo gp=0, quando :=0,g=K. Una deformazione D' a cui corrisponda il vettore w' di componenti E, ,6' sarà compatibile anche col vincolo V. E tutte le deformazioni D' compatibili col vincolo V saranno comprese nelle D. Nella deformazione D' il lavoro L'-+ Li eseguito dalle forze esterne ed interne è dato dalla formula L'+L=— f we + 994+rî)do, RenpIcoNTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 69 — 544 — la quale, sostituendo a &,',é' le loro espressioni é + gA, n, 7, e ponendo n= -{ pà pdo , sì potrà scrivere L'PRELILH4L, ove L ed L; rappresentano i lavori che eseguirebbero le forze nella def. D. La condizione necessaria e sufficiente per l'equilibrio del sistema (L'+ L= 0) sarà quindi espressa dalla formula LES--L,=0, la quale dovrà esser verificata per tutte le deformazioni infinitesime D che il sistema potrebbe subire se il vincolo V non esistesse. Possiamo dunque dire che, per quanto riguarda l'equilibrio, #2 fenomeno ci st presenta come se tutte le deformazioni D fossero possibili, ma per pro- durre tali deformazioni si dovessero vincere delle forze il cui lavoro fosse uguale ad L,. Secondo la rappresentazione che noi abbiamo dato del feno- meno, questo lavoro si riferisce invece ad una deformazione, la quale, composta con D, ci dà una deformazione D' compatibile con tutti i vincoli a cui il sistema si suppone assoggettato. Quando il vettore w è tangente a o (4= wu), l'elemento dell’integrale esteso a o che dà il valore di L,, è il prodotto della costante — K per la componente normale pdo della pressione che agisce su do, e per lo sposta- mento tangenziale 4%. La costante positiva K— tag © avrà in ogni punto di o un valore de- terminato, dipendente dalla natura dei due corpi a contatto e delle loro su- perficie realé. Essa non è altro che il coefficiente d’attrito (di primo distacco). Si noti che il lavoro L, può esser diverso da zero anche se in nessun punto di o lo spostamento relativo 4 giace sul piano tangente. Ciò apparirà ben naturale quando si pensi che o non è la vera superficie di contatto fra 1 corpi del sistema. Per una qualsiasi deformazione D diremo che L, rappresenta il /avoro delle forze d’attrito. Chiameremo poi vincoli apparenti tutti i vincoli ai quali il sistema si suppone assoggettato, escluso il vincolo V. Onde avremo il teorema: La condizione necessaria e sufficiente per l'equilibrio di un sistema di corpi a contatto, fra le cui superfice si esercita attrito, è questa: che per qualunque deformazione infinitesima compatibile cor vincoli apparenti, la somma dei lavori eseguiti dalle forse esterne, dalle forze interne, e dalle forze d'attrito sia nulla 0 negativa. — 545 — Matematica. — Sopra una ricerca di limite. Nota di ErroRE BoRTOLOTTI, presentata dal Corrispondente E. CESARO. Il teorema: p) lim ab t@bet + im di 5P da + Di + An n=% bi - VE + oisie + Da n=%wv n dal quale, direttamente od indirettamente, hanno preso origine molte ricerche del Cesàro sulla Aritmetica assintotica ('), e quelle del Borel sulle Serie sommabili; è dimostrato solo nel caso in cui la variabile positiva 2, vada allo zero sempre decrescendo, e la somma 2, + ds +-+, cresca oltre ogni limite (?). Questo è infatti il caso che più naturalmente si presenta nella teoria delle serie a termini positivi; ma il teorema medesimo si presta a molte altre importanti applicazioni, per le quali occorre che le 2, sieno assogget- tate a condizioni più larghe. In particolare, ho dovuto applicarlo allo studio della frequenza di in- stemi lineari, ed a quello generale della convergenza di algoritmi infiniti; in casì in cui le 2, dovevano essere supposte infinite, ed in altri in cui la somma 21 + db: +-+ d,, era infinitesima per n= 00. Ho visto, che pur conservando per la variabile 2, la massima genera- lità di definizione, il teorema è valido anche in cotesti casi, quando si am- metta che la variabile monotona B,= +0 +--+d abbia ordine finito di infinito o di infinitesimo; ma che non è più valido, senza che per le a, si introducano speciali ipotesi, per variabili B, cre- scenti più rapidamente di qualsiasi potenze positiva n°, o decrescenti più rapidamente di qualunque potenza negativa 77% 1. Teorema 1°. Se, crescendo n all'infinito, la variabile bn si con- serva monotona e la somma (1) By= by + do + +8 (1) Rend. Acc. Sc. fisiche e mat. di Napoli, 1893, pag. 187; Mathesis, 1893, pag. 241, Atti Ace. Sc. di Napoli, 1894, n. 11; Rend. Circ. Mat. di Palermo, tomo I, pp. 224-293. (*) Vedasi p. es. Cesàro, Analisi algebrica, pag. 103. — 546 — è infinita di ordine finito, si ha (2) Tim Alter de deo si Dite dale dra in ie dr dee ) n=% Dik be +4 da n=% n purchè il secondo membro esista e sia finito (0 nullo). Se la variabile B, è infinita del primo ordine (secondo la definizione di Cauchy) (!), il teorema ha luogo anche nella ipotesi che esista solo il primo membro, purchè si sappia che il valore assoluto del secondo membro ha massimo limite finito. (Questa condizione è in particolare soddisfatta se il valore assoluto |a,] ha massimo limite finito). Il teorema è noto per variabili 2, infinitesime; se la variabile mono- tona è, non è infinitesima, la somma B,=b + bd + Dati + da, è infinita del primo ordine almeno. Se B, è infinita del primo ordine, dovremo avere (?): (3) lim se ha ordine finito, maggiore di 1, determineremo due numeri positivi «,&, con la condizione: 4B, min. tim 2 :1=14e, (4) e | max. lim Pn : } ZU. n= Bre Pongasi : (5) abate td an= nh, (6) Cn = Mbn+r — dn), (7) C,= 01402 + nef + Cn NMbnti ni (7 + da + on + Dn) = n4B, Eee B7e Avremo le identità: ad, + do da + Anbn = d di + (24» TR À,) da + E + (nà, ap (n Gas I) ÀAn-1) On = An}b bb + +ontedeoe ++ sr (4,6, + A, 62 Sf seta Àn CHE @bi + doba + + @nbn 3 AL Di dda 4 4 dn Wo o debe, _ her t doo ++ Ann Tae 0 na (1) Qeuvres, sér. II, t. IV, pag. 281. Vedi ancora: E. Borel, Lecons sur les séries à termes positifs; E. Bortolotti, Lezioni pel calcolo degli infinitesimi (Modena 1905). (2) Cfr. Bortolotti, Contributo alla teoria degli infiniti, Ann. di Mat. t. XI della serie III, pag. 50; Lezioni sul calcolo degli infinitesimi, pag. 50. da cui (8) — 547 — Ora 9 eiteot ton AB, — Ba _ABn.l_}. ( ) bit bt + ba B, Bn n i onde, ricordando la (3), si vede che, se la B, è infinita del primo ordine, st ha . Ci + Ca +. - + Cn lim ————_—_—_—-i=0. do n=% db, ini da +. -t Bn Poichè |Z,| ha massimo limite finito, indicando questo con L, avremo: max. lim |Z,| = L, . dcr 4 Ao02 4 +-An Cn max. lim = no | tette | onde ancora: È À c + Aaco + + 46, max. lim peì ann 2L, so ipa e, per la (10): O e __hertet Ann) _ e Dalla identità (8) ricaviamo dunque: © di bi + da da + + And n ia re 1 i dn: CO ne}, 0 quando uno dei due membri esista. Sia invece B, infinita di ordine superiore al 1°. Considerando che, in questa ipotesi, la 2, non può essere decrescente; vediamo che la Cn = AUT qui bn) è sempre positiva o nulla, /a C, è dunque monotona; mentre, dalla prima delle (4), ricaviamo Ch = B,, la quale ci assicura che la C, è infinita per n= 0. Supposto dunque che esista il limite della variabile À,, sì avrà per un noto teorema: , Anci + Aaco + © ‘+ An Cn ò lim ——________-:a1 sd; Ci + (1) + + + Cn LA, ln; ed in conseguenza, se 4, è finito o nullo, n À, € + 4 cot+ +46 lim Reset Ate to ae n—=w | co+et: Cn =) — 548 — Si ha poi, per le (4), (9), cit etto 4B, 1 at Llano ua; po martim(GE:j—1) e, converge dunque verso la somma co. pi! Si ha poi la una Ao bdo orse adi Fr VO ona Ann = i Ao do I 4, b san (24, Tera À,) da EdMar (2Àn VETO (n an Ji) Àn-1) bn = Rote — dir — hs 03 « — Nn Orta — 549 — Da cui (14) dobo — abi — << — Unbn = cn ZA Cona À, Gis À» Con An Cn + An(Pa ca Yn) . Osserviamo anzitutto che lim À0 00 == À, 61 = ÀoC2 _ tia Arch == 0, n= 00 cioè che le serie D_ Anen converge verso la somma csào. I In secondo luogo poi, dividendo per #,, abbiamo dalla (14): Qobo — Mb, — < — Unbn Yn (4060 Ae — Anln — rr_____eomel=}/\\|.-_"°"_wi.... i... (15) hell 35) Go = BIZ, Poichè la variabile Vini i n al crescere indefinito di 7, tende allo zero, senza mai crescere; ed anche la variabile doto — dici | — Anlny è infinitesima, avremo feta ai — Ac, n=% Corri Cieli = Cri n=20 si purchè esista il secondo membro, ed anche perciò: lim Sf ner — data 3 220 n=% | Clair Ca 4 PRON Siccome poi È) o_O). gli a Dia Me 1: n+1 ed è noto che, se la variabile #, ha ordine finito di infinitesimo, si può determinare un numero L tale che 2000 G) Ta 5 Dai 1: n così rimane provato, che ni Tn (dico he in 400 32 no Pn ( atei ._ Godo — abi — < — pb È lim —_—_——__‘*’’— limZ,. n=W0 do 7.8 b, AI DE n= 3. I risultamenti ottenuti si possono riassumere nell'enunciato seguente: Teorema 3°. Date due serie: delle quali la seconda è a termini positivi, monotoni; se al tendere di n all'infinito, esiste limite determinato e finito per la media: ez Un st +7). dei rapporti dei primi n termini corrispondenti; allo stesso limite tende il rapporto Wa uwdbut- + % Bo Did bo d-- 4 da i delle loro somme, quando la XD, sia divergente; od il rapporto Ra _ Unsa + Uinio Pe Ba È: Basi + bn+a + BL dei loro resti, se entrambe convergano ; purché la variabile B, non diverga nel primo caso più rapidamente di qualunque potenza positiva n° della n, o la B, non sta, nel secondo caso, infinitesima di ordine superiore a quello di qualunque potenza negativa , della n. 4. Le condizioni che in questo enunciato si sono imposte, circa la rapi- dità di crescenza della B,,, o la rapidità di evanescenza della #,, sono es- senziali. Senza entrare qui in particolari minuti, che troveranno posto in una Memoria di prossima pubblicazione negli Atti dell'Accademia di Scienze lettere ed arti in Modena; mi basti osservare, che fatto È Ui Uo U gti Uras (tà a Na _0R = 0; — il —_Wilo —Me di da 7 bea Orso UNE gr Ur+T41 Uy+T+9 TETI Gina r) carmen 0) 9 bry Tur (RELA Sire lgr Une Uy3 Con Urt+i 1 Uy2+9 E n ‘ag To) 1 6 re ’ 6 an , b Và o) , b r2 essi) na r°+1 r2+2 r2+ (ig 7)a dove si è scritto brevemente invece dei massimi interi contenuti in quelle espressioni; si ha im 16% Lui nb Ua Uri) IO suina) al: Se poi si prende 2, = e"° porto Oi Un DEV |Bn non cessa di oscillare fra i limiti 0,1. , & positivo arbitrario, sì trova che il rap- Matematica. — A:cerehe sulle funzioni derivate. Nota di Beppo LEVI, presentata dal Socio C. SEGRE. Riprendo in questa Nota e nella successiva lo studio delle relazioni fra il comportamento delle funzioni derivate e quello delle loro funzioni primi- tive, di cui già trattai in altra Nota (') portante lo stesso titolo. E con nuove argomentazioni mostrerò come i risultati già ottenuti per le funzioni a fun- zioni derivate limitate si estendano ancora a casi molto più generali. 1. Se una funzione continua W(x) ha in un intervallo a... b un incre- mento di valor assoluto K e se si sa che, tolto dall’intervallo a... b un aggregato A di punti cui corrisponde un aggregato di valori di Y(x) di misura H< K (?), în tutti i punti residui, fatta eccezione per quelli di un aggregato di misura nulla, la derivata superiore a destra della W(a) è nulla, esistono în a...b infiniti punti non appartenenti ad A ed in cui almeno una derivata di W(x) è infinita (La proposizione rimane evidente- mente vera se in luogo della derivata superiore a destra si considera uno qualunque degli altri tre numeri derivati (*)). (1) Vedi pag. 433. (*) La dimostrazione si semplifica notevolmente nell’ipotesi della non esistenza dell’ag- gregato A; il lettore potrà ottenere tal semplificazione considerando come nulli i segmenti e aggregati di segmenti $,S,5;,6;, e nulli pure i numeri H, y e come non esistenti quindi le considerazioni che a questi elementi si riferiscono. (®) Il ragionamento si ripete per questi altri numeri derivati, per semplice analogia. D'altronde una osservazione già fatta nella Nota precedente (n. 3) permette di dedurre le proposizioni analoghe direttamente da quella del testo, senza riprendere il ragionamento. Nel seguito le proposizioni analoghe a quelle enunciate, per le singole funzioni derivate, saranno costantemente sottintese. ReEnDICONTI. 1906, Vol. XV. 1° Sem. 70 SO — Si chiami B l'aggregato dei punti di 4...d, non appartenenti ad A, ed in cui si sa che la derivata superiore a destra di w(z) è nulla; C l’ag- gregato di misura nulla di punti non appartenenti ad A in cuì non sì conosce la derivata di w(z), A l’aggregato dei valori di w() corrispondenti ai punti di A. Assegnato arbitrariamente un y> 0, si può determinare un aggregato $ di segmenti di misura totale compresa fra H e H+ y, contenente nel suo interno A. Se 4, è un punto di A, il valore corrispondente W(co) di W(x) sarà interno a qualche segmento di $ e, per la continuità di w, si potrà determinare un intervallo contenente 4, nel suo interno e tale che ai punti di esso corrispondano solo valori di w() interni a quel segmento di $. Per tal modo si verrà a rinchiudere A dentro un aggregato S di segmenti ai cui punti corrispondono solo valori di w(x) interni ad $; e riunendo con- venientemente in un unico più segmenti di tale aggregato quando si sovrap- pongano parzialmente, o totalmente, od abbiano un estremo comune, si potrà supporre che questo aggregato consti di una infinità numerabile di segmenti non aventi punti comuni. Gli estremi dei segmenti di S appartengono a Be a C. Si supponga scomposto l'intervallo 4... d in una somma qualsiasi di segmenti 4: la somma degli incrementi di yw nei segmenti di questo aggre- gato è in valore assoluto = K: ma l’aggregato dei valori di w corrispon- denti a punti di S ha misura K—H— xy. In S potrà esser contenuta una parte di C; il ragionamento che segue mostrerà che questa parte non può estendersi a tutto C: in ogni modo si chiami C' la parte di C esterna ad S, ammettendo, al bisogno ch'essa possa esser nulla. Si supponga ora fissata una numerazione dei segmenti di S, ed i seg- menti così numerati si chiamino $), $2,.. Si rinchiuda allora C' in un aggregato T.,, di segmenti non aventi fra loro punti comuni e aventi comuni con s, al più estremi, e di misura totale <<, Ove ), è un numero che si può assegnare arbitrariamente e di cui ci riserviamo di disporre. Vogliamo dimostrare che in T,, è contenuto qualche segmento tale che, detta ©, la sua lunghezza, il valore assoluto della somma degli incrementi di w(x) nei segmenti che si ottengono sopprimendo în esso un aggregato qualsiasi (che può essere nullo) di segmenti contenuti in S, sia sempre >(K—H—y—- 8) Su > /1 — 559 — Consideriamo perciò l'aggregato S+ T.,,: qualora avvenisse ch'esso ri- copra tutto l'intervallo 4... d, lo si pensi ridotto ad un aggregato semplice di segmenti senza parti comuni e di cui sia parte l’aggregato T,,; si potrà considerare questo come l’aggregato 4 delle linee precedenti. Se in questo aggregato si pensano quindi soppressi i segmenti (contenuti in S) esterni ai sesmenti di T,, ed un aggregato arbitrario o, di altri segmenti contenuti in S, il valore assoluto della somma degli incrementi di w nei segmenti di T,, — 0, è, qualunque sia 0, (eventualmente anche nullo), >K—H—y (> 0 perchè H< K e quindi, per x sufficientemente piccolo, H 4 x < K). Per unità di linguaggio con quanto segue, potremo, a maggior ragione, asse- rire che il valore assoluto di tal somma è >K—H— yx— e e si potranno chiamare, nella presente ipotesi, { i segmenti di T,, e T,, l'aggregato T,, medesimo. Se invece S+4 T,,, non ricopre tutto l'intervallo 4... d, si consideri l'aggregato U dei segmenti senza punti comuni che contiene tutti e soli i punti di S+ T,,,, e si pensino numerati in un modo qualsiasi questi seg- menti, e quindi i loro estremi destri. Ciascuno di questi estremi appartiene a B. Assegnato arbitrariamente un «, ad ogni punto . di B si può far cor- rispondere un intervallo 4... 4 A(h > 0) massimo tale che |W(z + 4) — -U(E=a il il punto 2 + 4 non apparterrà a B perchè, qualora vi e egli corrisponderebbe un X, > 0 tale che |f(c + h+ %) — S E | —Wx+A)|<= Tgr (0: sarebbe |wW(x + oo y(2)|=|Yxr+h+ +) W+ ++) — (0) 77 (M+%): l'intervallo e..L4h4h, dovrebbe quindi sostituirsi a x... Wai È quanto dire che ciascun punto z 4 4% è inferno a un segmento di U. Ciò posto sia %, il primo estremo destro di segmenti di U nella nume- razione dianzi supposta, 4, il corrispondente valore di %, secondo la prece- dente definizione: si chiami /, il segmento 2, ...z1-+ 41; se inoltre l'estremo Tit è interno ad ‘un segmento @,...f, di T,, (@ 0). Si chiami /. il segmento x»... 2» + hs e, se 7 + 4: è interno all'intervallo @» ... 83 di T,,, sì chiami £, il segmento x» + As... fs. Analoga operazione si ripeta per l'estremo destro di segmenti di U, primo, nella supposta numerazione, fra quelli esterni a #,...214 hh, #3... -+ ho, chiedendo che il corrispondente — 554 — segmento 23... 23 + #3 = /3 non abbia punti comuni coi segmenti precedenti e così via. Si chiami L l’aggregato dei segmenti /; si chiamino poi segmenti t, oltre quelli or ora definiti, ancora tutti i segmenti di T,,, completamente esterni ai segmenti / e si chiami T,, l'aggregato dei segmenti £. L'aggre- gato S4+-L+T,, ricopre interamente 4... d; si può quindi ripetere per esso l'osservazione fatta poco fa, nell'ipotesi che S+4 T,, ricoprisse 4... d e considerarlo cioè come l'aggregato 4 del principio: si conclude che il va- lore assoluto della somma degli incrementi di w(.7) nei segmenti / e in quelli dell’aggregato L+ T,, — 0, ottenuto sopprimendo in L + T,, un aggregato qualunque o, di segmenti contenuti in S è >K—H_— y. Questo valore assoluto non può che accrescersi se a qualcuno degli incrementi addendi si sostituisce il suo valore assoluto; ora la somma dei valori assoluti degli incrementi di w() nei segmenti / è E b—- a Si DE li <& poichè ox liK—H—y— (1). Sia y' la misura totale di T,,(7 <=»); fra i segmenti £ dovrà esservene qualcuno tale che, detta È, la lunghezza dell'intervallo, il valore assoluto della somma degli incrementi di y(x) nei segmenti contenuti in esso ed esterni a 0, è, qualunque sia 07 (*), e Ig 0). 1] Mi Si chiami 7, un segmento per cui questo fatto si verifichi. Si può ripetere sopra 7, il ragionamento ora fatto per il segmento 4... d, con poche modificazioni; si costruirà cioè un aggregato di segmenti T.,, di misura totale 7, < £,, contenenti nel loro interno la parte di C' contenuta in 7, e non aventi fra loro punti comuri, ed aventi al più estremi comuni con s2, e, scegliendo il numero «&, a far l'ufficio di e, si concluderà esistere (1) Se cioè, per ciascun segmento £ esistesse un o, contenuto in esso per cui questa disuguaglianza non fosse soddisfatta quando si considerano gli incrementi nei soli segmenti di t— 6; , si osservi che i segmenti t sono esterni tutti l’uno all’altro, e si consideri quindi l'aggregato di segmenti ottenuto sopprimendo da T”,, la somma di questi aggregati 01 contenuti nei singoli t; in questo aggregato non potrebbe la somma di incrementi di cui sopra essere in valore assoluto >K—H_—gy-- 8. (2) Per la continuità w(x) la misura di T",, e quindi quella di T,, non potrebbe dunque esser nulla: non potrebbe cioè mancare l’aggregato C°. — 559 — in 7, un segmento 7» di lunghezza £» tale che il valore assoluto della somma degli incrementi di w(x) nei segmenti ottenuti sopprimendovi un (qualunque) aggregato o, di segmenti contenuti in S è >}K-H—-x_-(1+m)s na: E del pari in 73 si riuscirà a determinare un di tz di lunghezza È; non avente punti comuni con sa e tale che il valore assoluto della somma degli incrementi di w(7) nei segmenti ottenuti sopprimendovi un qualunque aggregato 0; di segmenti contenuti in S è Sr Co ba ar +e. INRLIERIIE) e così via. I numeri n; restano arbitrari: si prenda E bai sli, ’ i+ = Si Il valore assoluto della somma degli incrementi di w(x) in ogni aggre- gato di segmenti ottenuto sopprimendo in 7; un aggregato di segmenti con- tenuti in S risulterà ei) n. seni ) a li :5( ki (&) 71 N° +4 orta +7 D+ y) di) e quindi, poichè mae << 16 (KE H=—_2 Mi 1) UA iv sli + n o) (K wi H “i € ) y(7 G 2057 e) LA im Si osservi ora che, per la scelta fatta di 7, e<(K—H 2) e si ponga (K —H — 2) (1—-x,)—e=M (>0): l’espressione (a) risulta M così > ae Si supponga ora ciascuno degli aggregati c; nullo; risulterà, in parti- colare, che il valore assoluto dell'incremento di W(x) in ciascun segmento Pasca e M na n) ni(1 nen) (‘) Il risultato finale trova quindi solo applicazione nell’ipotesi che gli aggregati o; siano nulli: cionondimeno tale ipotesi non poteva farsi fin da principio, perchè è invece essenziale nel passaggio da un segmento 7; al successivo che si possa valutare l'incremento totale di w(x) in un aggregato di segmenti ottenuti sopprimendo in 7; un aggregato con- tenuto in S. Si, ed il rapporto incrementale è quindi > — 556 — Col crescere indefinito di ; i segmenti 7;, tutti interni l'uno all’altro e di lunghezze $; tendenti a 0 (&#—K-—H; infatti quando un aggregato di tali punti fosse noto, e l'aggregato dei valori corrispondenti di (7) avesse misura e ha misura nulla nel senso «di Jordan, qualunque sia e; 2° nell’aggregato dei punti nell’intorno di ciascuno dei «quali essa derivata può assumere valori assoluti grandi a piacere, la funzione assume «un aggregato di valori di misura nulla (nel senso di Jordan)». Ora è ben vero che l'aggregato eccezionale dello Scheeffer — pur avendo misura nulla nel senso di Borel- Lebesgue — non ha però misura nulla nel senso di Jordan, avvicinandosi con ciò agli aggregati nostri, senza però rappresentarne il tipo più generale, ma la parte di questo ag- gregato in cui la funzione derivata considerata non è limitata si suppone abbia per cor- rispondente un aggregato di valori della funzione primitiva di misura nulla nel senso di Jordan. — 558 — nei punti in cui almeno una derivata è infinita ha allora misura eguale alla variazione totale di w(x). 3. Corollario immediato delle precedenti proposizioni è che: Date due funzioni F(e),D(x), una delle quali ® abbia derivata unica a destra in tutti è punti di un intervallo a...b, tolti al più i punti di un aggregato di misura nulla, l’altra F abbia negli stessi punti la derivata superiore a destra uguale alla nominata derivata di ®; se inoltre le due funzioni hanno tutte le derivate finite în tutti punti dell'intervallo tolti al più quelli di un aggregato cui corrisponde un aggregato di valori di F — ® di misura nulla; si potrà affermare che F e ® non possono differire fra loro che per una costante. Indichino infatti i segni D+ D. Je derivate a destra, superiore ed infe- riore; si ha D+1°(2) — DL D(x) > D*(F(«) — D(«)) > D+ F(x) — Dt De). Dalle fatte ipotesi risulta quindi che F(4) — ®(x) ha derivata superiore a destra nulla in tutti i punti di @... 0 tolti al più i punti di un aggregato di misura nulla; d'altra parte le disuguaglianze analoghe che legano le altre derivate di F(7) — D(4) a quelle di F(4x) e di ®(x) e l'ipotesi fatta nel- l'enunciato, relativamente all'’aggregato di punti in cui qualcuna delle deri- vate di F(4) o di @(x) può non essere finita, ci dicono che tutte le derivate di F(x) — ®(4) sono finite in ogni punto di 4... d, tolti al più i punti di un aggregato cui corrisponde un aggregato di misura nulla di valori di F—-®. La funzione F(x) — ®(x) non potrebbe quindi subire un incre- mento qualsiasi in alcun intervallo contenuto in «...d, senza contraddire alla proposizione del n. 1. Mineralogia. — Appunti sulla scheelite di Traversella. Nota di FERRUCCIO ZAMBONINI, presentata dal Socio G. STRUVER. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Da circa due anni mi stavo occupando dello studio della scheelite di Traversella, ma la Nota testè pubblicata dal dott. Colomba (') sullo stesso argomento mi costringe a render noti brevemente soltanto quei risultati da me ottenuti che possono, in certo modo, completare il lavoro del Colomba. E ciò tanto più che il materiale che io ho avuto a mia disposizione era meno interessante di quello che il Colomba ha illustrato. Le forme da me osservate sono le seguenti: e }001|, a }100{,g1}120!, p }1114, 8 }1184, v }1124, f 3114{, e {101 ,, 03102}, d 105%, s1 13314, (1) Sulla scheelite di Traversella. Rendiconti R. Acc. Lincei, 1° sem. 1906, XV, 281. — 559 — x 34164, già note nella scheelite, e u 3338} , € j2271, 23507, v }407{ nuove per il minerale. Di queste ultime 3407! è da considerarsi come incerta. Delle forme già note, c,8,g e # sono nuove per la località, ma le prime tre sono state già descritte dal Colomba. Dalla semplice ispezione delle forme semplici trovate rispettivamente dal Colomba e da me risulta la dif- ferenza nel materiale studiato: in quello di Colomba, infatti, sono presenti spesso gli emidiottaedri; nel mio, invece, notevoli e frequenti sono gli ottaedri. I cristalli da me studiati provengono, infatti, in gran prevalenza dagli strati cloritici, talcosi e serpentinosi, mentre quelli di Colomba sì tro- vano diffusamente « dove i giacimenti presentano la caratterisca alternanza degli strati di dolomite o di magnetite ». La diffusione relativa delle diverse forme nei 310 cristalli da me osser- osservati risulta dalla seguente tabella: 3111: 8310 volte 3001 11 volte oli (81 > 3131 Da 4» 3102 21 > 100} }338{ 2» 31134 18» tutte le RE una sola volta. Nei 306 cristalli che erano in tale stato da permettere di determinare con certezza la combinazione presente, si osservarono 22 diverse combinazioni e cioè: (1) 1) p (205); 2) pe (59); 8) po (7); 4) po (3); 5) pe (8); 0) pa (1): 7) pce (2); 8) pof (4); 9) pesi (2); 10) ped (1); 11) peo (1); 12) peo (2) 13) pe# (1); 14) pea (2); 15) pofî (1); 16) peo8 (5); 17) peou (1); 18) peB4 (1); 19) pes: q1 (1); 20) peov (1); 21) peeof (1); 22) peoBf (2). Si ha perciò: 1 combinazione di 1 forma 5 combinazioni » 2 forme 8 » » 3 ” 6 ” »°-4 n 2 » » 5 ” Dalle tabelle riportate risulta anche che soltanto 1 forma si presenta in 205 cristalli » 2 formesipresentano» 73» ” 3» ” 2. lo ” » 4 n È n. ZIO,» » 5 » ” » 3 ”» Lo scheelite di Traversella da me studiata ha, perciò, una gran ten- denza a formare combinazioni semplicissime. I cristalli, infatti, che possie- (1) In parentesi è posto il numero dei cristalli nei quali fu osservata la combinazione. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 71 MS É — 560 — dono più di tre forme non costituiscono che il 4,20 °/ dei cristalli nei quali si determinò la combinazione. Questo comportamento è notevole e diverso da quello di altri minerali per i quali esistono statistiche di questo genere. Dal classico lavoro del prof. Striver (!) sulla pirite di Brosso e Traversella, risulta che in questi giacimenti il 45,4 °/, dei cristalli studiati presenta quattro forme semplici. La scheelite di Traversella si comporta sotto questo aspetto diversa- mente anche da altri giacimenti di questo minerale. È probabile che ciò sia causato dalle condizioni di formazione dei cristalli di Traversella. È noto che generalmente nella scheelite domina }101{, mentre a Traversella ed in poche altre località (2) l'ottaedro più sviluppato è }111{. È possibile che le cause che hanno determinato il predominio di }111{ abbiano agito in modo da rendere difficile la formazione di altre forme (3). Accennerò brevemente alle caratteristiche delle diverse forme da me osservate. Per }111} non ho che da riferirmi a quanto ha scritto Colomba. }101{ ha quasi sempre facce piccole, precisamente come ha osservato Colomba. Devo aggingere che nel mio materiale sono una vera rarità i cri- stalli nei quali }101} ha tutte le sue otto facce: in generale non ne presenta che un numero limitato (sovente anche soltanto una o due). }113: ha facce di variabile grandezza, sempre, però, più piccole di quelle di }111{. Solo di rado si hanno ad un' estremità dell'asse c le quattro facce di questa forma richieste dalla simmetria della classe cristallina, spesso se ne hanno solo due (113) e (113), sovente anche una soltanto (fig. 1). (') Studi sulla mineralogia italiana. Pirite del Piemonte e dell'Elba. Memorie R. Acc. delle Scienze di Torino, 1869. D'altronde le regolarità osservate dallo Striiver e dal Sella (Relazione sulla Memoria ora citata) nella pirite non hanno valore generale come ha fatto notare il prof. Striiver (Memorie R. Acc. dei Lincei, 1886 (4°), III, 228). (2) Non solo al Sempione, come ricorda Colomba, ma anche al Monte Mulat, (vedi Cathrein, Veber einige Mineralvorkommen bei Predazzo ecc. Zeitsch. f. Kryst. 1883, 8, 220). (5) La statistica da me eseguita sulle forme dell’anglesite di Traversella, permette — 561 — }112{ era stata notata dal Bauer, ma Colomba l’ha esclusa, benchè avesse realmente notato delle forme che per la loro posizione si avvicinavano al simbolo }112{. Io ho trovato questa forma in un solo cristallo, con facce abbastanza grandi, che hanno permesso una misura discreta, cosicchè la pre- senza di questa forma a Traversella è da considerarsi come accertata. (111) :(112) = 17°54' mis. 17°57 4' cale. (con le mie costanti: ved. appresso). }1024 è raramente unito solo ad }111{, più frequentemente anche a }101{, ed in questo caso le sue facce sono spesso più grandi di }101f. È notevole che sovente mentre }101{ ha pochissime facce, nello stesso cristallo }102{ le presenta tutte. 3001t ha facce ora piane, ora scabre, ma quasi sempre pochissimo splen- denti. Potrebbe darsi che in una parte dei cristalli nei quali fu osservata questa forma si abbia a che fare con facce naturali di sfaldatura. bra. }131f è molto raro, ed in tre dei quattro cristalli nei quali fu trovato aveva una sola faccia: nel quarto aveva due facce soltanto, abbastanza grandi, ma scabre e senza splendore. }114{ è stato osservato da me in due cristalli incompleti ed in due che presentavano la comb. 22. Ambedue questi ultimi erano terminati ad una sola estremità ed avevano l'aspetto della fig. 2: }101t aveva due grandi di discutere il metodo adoperato da Hermann (nella anglesite: Zeitsch. f. Kryst. 1904, XXXIX, 463) e da Hubrecht (nella cerussite: ibidem, 1905, XL, 147) per stabilire la dif- fusione delle forme cristalline di un minerale, in base al numero delle combinazioni nelle quali le forme semplici stesse si presentano. Che questo metodo sia inesatto, risulta chia- ramente dai numeri surriportati per la scheelite di Traversella. Non darò che un esempio. {113} fu trovato in 8 delle 22 combinazioni osservate: secondo Hermann la sua frequenza sarebbe espressa da 36,4°/,, mentre la frequenza vera di questa forma non è che all’in- circa 6°/, perchè su 310 cristalli fu osservata soltanto in 18. Il — 5602 — facce adiacenti, ed una terza molto più piccola: }102! possedeva, invece, le sue quattro facce. Di }118{ sono presenti due facce, una sola di }114{. Se- condo Colomba, nella scheelite di Traversella costantemente quando è pre- sente }102{ a questa è associata }113f, mentre quando è presente }205t ad essa è associata }114t. I fatti ricordati in questo lavoro stabiliscono che queste osservazioni non hanno valore generale. }105| era stata ricordata dal Bauer per Traversella, ma Colomba l’ha esclusa, come ha fatto per }112!. Io ho trovato questa forma con facce pic- cole, ma abbastanza splendenti, che hanno dato una discreta misura: (101) : (105) = 40° ca mis. 39°47 4 cale. }120|, trovato già da Colomba, si presentò con una piccola faccia un po’ arrotondata nel cristallo della fig. 3, così che io non ritenevo questa forma Hc. come sicura per Traversella, ma le ricerche di Colombà hanno tolto ogni dubbio sull’ esistenza di questo prisma nella scheelite di Traversella. Nuova per Traversella sarebbe }416!, scoperta da Bauer-in alcuni cri- stalli di Riesengrund. Fu osservata in un solo cristallo incompleto, con una faccia abbastanza grande, ma scabra e pochissimo splendente. Misure appros- simative dettero il seguente risultato : (111) :(416)= 32° ca mis. 31°264' cale. CCI) iz MRC o Non considero questa forma come certa per Traversella. — 5603 — E veniamo alle forme nuove. }227 fu osservata in un cristallo (fig. 4), con una faccia abbastanza grande, splendente, che dette buone misure. (AIRTRIO)ESA (Ii DIM) 33936" mis. 3329Mcalo. 227)j—='96 81» 9674000 }338{ fu trovato in due cristalli: uno era rotto e in esso }338{ presen- tava una faccia grandissima e splendente, nell'altro (comb. 17), (101, }102t BIGad: e }338{ avevano tutte solo una faccia (all'estremità esistente del cristallo). (111):(338)=26°23' nel primo cristallo METTO Ù 26 30 ca » secondo » | mis. 26°9' calce }507 fu osservata in un cristallo quasi incoloro, incompleto, nel quale si riconobbero, inoltre le forme }111t,}101{,}113f. Il nuovo ottaedro aveva una faccia piccola, ma piana e splendente: (OMIi(507i902 mis. 9175648calc }4074, ugualmente nuova per la scheelite, è da considerarsi come incerta: sì trovò con una piccola faccia splendente, nel primo cristallo che dette }338{: (101) : (407) = 15°58' mis. 15°404#' cale. Le nuove forme, e così pure alcune delle già note per questo giaci- mento (per es. {114}, hanno un carattere singolare per il fatto che esse si presentano con una sola faccia, che sostituisce, in certo modo, una faccia di una delle forme più comuni (}102t o }113{), dalla quale non sono per posi- zione, molto lontane, senza, però, che possano considerarsi come facce vici- nali. Ho creduto, perciò, interessante di stabilire, col metodo di V. Gold- schmidt (!), se queste forme nuove hanno un posto normale nella serie delle (1) Veber Entwickelung der Krystallformen. 1. Theil, Zeitsch. f. Kryst. 1897, XXVIII, 1; 2. Theil, ibid., pag. 414. Devo ringraziare vivamente il prof. Goldschmidt per l’aiuto datomi in questa discussione. sd — forme note della scheelite appartenenti alle zone [110] e [010]. La discus- sione, che non riporto qui per brevità, dimostra che le nuove forme trovano facilmente il loro posto in queste due zone. Di angoli veramente precisi io non ne ho potuto misurare che quattro, in cristalli debolmente giallicci, che, come potei stabilire, non contengono che una quantità piccolissima di molibdeno. Essi sono i seguenti: (111) :(111)=79°504 — 79°49';(101):(111)=39°53’;(111):(111)= 49°32 Questi angoli sono alquanto diversi da quelli che sì calcolano dalle costanti stabilite dal Traube (') per la scheelite senza molibdeno. Li trovai però confermati da misure eseguite su cristalli artificiali, preparati molti anni fa dal prof. Cossa, e che si possono considerare come praticamente privi di molibdeno. Stabilii perciò le costanti a : c — 1 : 1,5268, che io ritengo migliori di quelle di Traube per il Ca WO, puro (*). Colomba ha trovato per e valori più elevati, e ciò è d'accordo col più elevato tenore in Mo 03 dei suoi cri- stalli. Che, infatti, Mo O, innalzi il valore di c è ormai indiscutibilmente dimostrato dalle ricerche di Hjortdahl e mie sui molibdati e wolframati di Ca, Sr, Ba (5). È, però, anche verissimo quanto dice il Colomba, che, cioè, nei cristalli naturali di scheelite si hanno variazioni angolari indipendenti dalla composizione: io stesso ho notato il fatto già da tempo per altri mi- nerali (*). Gli importanti studî di Novarese (*) su Brosso e Traversella hanno con- dotto al risultato che questi giacimenti metalliferi devono la loro origine alle soluzioni ed alle emanazioni metallifere che si svolsero in relazione con la massa dioritica ben nota. Bonacossa è di avviso che i giacimenti di Brosso sieno stati originati da un'attività termale. L'azione delle emana- zioni e delle soluzioni sulle rocce con carbonati (dolomite e calcare) della regione può benissimo, io credo, spiegare l'origine della scheelite di Tra- versella. Ho pensato di eseguire qualche esperienza per tentar di riprodurre la scheelite per via umida, poichè finora si è, per lo più, seguita per questo minerale la via secca (Manross, Geuther e Forsherg, Cossa, Michel ecc.). Haushofer ottenne cristalli di Ca WO, prismatici, spesso cubiformi e gemi- (1) Veber den Molybdingehalt des Scheelits u. s. w. Neues Jahrb. f. Min. Geol. u. s. w. Beil., Bd. VII, 232. (2) Queste costanti furono da me pubblicate già lo scorso anno: Beitriàge zur Ary- stallographischen Kenntniss einiger amorganischer Verbindungen. Zeitsch. f. Kryst. 1905, XLI, 61-62. (3) Cfr. F. Zambonini, Veber die Drusenmineralien des Syenits der Gegend von Biella. Zeitsch. f. Kryst. XL, specialmente pagg. 233 e 237. (4) Die Erzlagerstitten von Brosso und Traversella in Piemont. Zeitsch. f. prak- tische Geol., 1902, pag. 179. (3) Monografia sulle miniere di Brosso di V. Sclopis e A. Bonacossa. Torino, 1900. — 565 — nati, mescolando una soluzione di sali di calcio con una di wolframati alca- lini: la produzione di questi cristalli non è, però, facile. De Schulten (*) ha ottenuto cristalli ottaedrici aggiungendo lentissimamente ad una soluzione diluita di Ca Cl, leggermente acida per HCl a bagno maria, una di Na, WO0,,2H,0. Mescolando a freddo soluzioni molto diluite di Na, WO,, 2 H: O e Ca Cl, non si ottengono che precipitati apparentemente amorfi, nei quali non si ve- dono che raramente dei cristallini piccolissimi, mal formati. Lasciando il pre- cipitato per tre mesi in contatto del liquido dal quale si è deposto, si otten- gono graziosi prismi pseudo-cubici di circa '/16o mm. raramente ’/so mm. Questi prismi sono spesso disposti in certo numero uno dietro l’altro, con gli assi c sulla stessa linea. Migliori risultati ottenni coi metodi di Drevermann e di Macé. Col metodo di Drevermann feci una serie di esperienze, ponendo le solite solu- zioni saline in due cilindri di vetro che furono collocati in un vaso più grande che si riempì d'acqua. Ca WO, si formò sopra tutto nel cilindro conte- nente il tungstato sodico. I cristalli ottenuti erano prismetti allungati secondo c, terminati da un ottaedro inverso rispetto al prisma, spessissimo geminati a ginocchio e a croce. Ponendo nei due cilindri i sali solidi invece delle solu- zioni, col che si veniva a rendere più lenta la diffusione, si ottennero pic- coli prismi per lo più allungati secondo c, ma assai raramente geminati e di più soltanto a croce. Col metodo di Macé si ottenne dopo due mesi, nel filo che univa le due soluzioni saline una massa cristallina, composta di Ca WO, e Na, WO,, 2 H 0. I cristalli di Ca WO, sono quasi sempre pseudocubici, raramente allungati, mai geminati. Presentano di solito un prisma quadrato e la base, di rado l'altro prisma, molto più piccolo. Dimensioni variabilissime (fino 0,1 mm. benchè molto di rado). Da queste esperienze risulta che l'abito dei cristalli di wolframato di calcio è assai fortemente influenzato dalle condizioni di formazione: le espe- rienze eseguite non possono, inoltre, corrispondere alle condizioni nelle quali sì formarono in natura i cristalli di scheelite perchè questi non hanno, finora, mai presentato abito prismatico. (1) Bull. soc. frang. de minéralogie, 1903, XXVI, 112. Fisica. — Variazioni magnetiche prodotte nel ferro colla tor- stone ('). Nota di F. ProLa ed L. TreRrI, presentata dal Corrispon- dente SELLA. Lo studio delle modificazioni magnetiche prodotte colla torsione nel ferro incomincia col Matteucci nel 1847 e viene proseguito più tardi col Wertheim, con E. Becquerel, col Wiedemann, con lord Kelvin e poi ancora col Wiedemann. Gli sperimentatori che seguirono in questo campo o si occu- parono di prefereza del nickel, come fra altri il Nagaoka (?), il Banti (*), il Cantone (4), o fissarono la loro attenzione sul fenomeno inverso, ossia sulle modificazioni nella torsione prodotte dalla magnetizzazione. L'Ewing (°), nel 1900, riassumendo lo stato delle conoscenze sull’argo- mento, osservava che l’effetto della torsione e detorsione in un filo di ferro, soggetto ad un campo magnetico longitudinale, è di diminuire la sua ma- gnetizzazione. Tale effetto, egli dice, può essere distinto in due: l’uno ini- ziale, irreversibile, dipendente dalla storia del filo, l’altro di regime, ciclico. Quest'ultimo effetto egli lo considera come indipendente dalla storia del filo e quale sia per l’effetto #rreversidele la dipendenza dalla storia egli non dice, e se pur il Cantone (°) nel 1904 accennò a stabilire — quasi incidental- mente — qualche cosa in proposito, nessuno, per quanto a noi risulta, studiò l'argomento, sistematicamente, nei vari particolari. La ricerca che abbiamo intrapresa è rivolta a portare un contributo alla conoscenza delle relazioni esistenti fra le variazioni magnetiche prodotte in un filo di ferro dalla torsione e la storia del filo stesso. Nella presente Nota ci limitiamo a comunicare i risultati ottenuti per stati magnetici ai quali si giunga mercè processi magnetici simmetrici: ci riserviamo di completare le esperienze relative a stati magnetici qualsiasi, ma fin d'ora ci pare di poter asserire che esiste un grande accordo fra i risultati da noi ottenuti per la trazione e quelli ai quali è giunto l'Ascoli (7) per l'urto. Il metodo seguito nella ricerca è il seguente: (1) Lavoro essguito nell’ Istituto Fisico della R. Università di Roma. (2) Phil. Mag., 27, pag. 117. (8) Acc. Lincei, Memorie, vol. 7, 1°3, 1891. (4) Nuovo Cimento, s. 4, t. 5 pagg. 110 e 267. (5) Magnetic Induction in Iron, 1900, pag. 281. (6) Rend. Ist. Lomb. 1904, pag. 435. (7) Nuovo Cimento, s. 5, t. 3, pag. 5. — 567 — Un filo di ferro viene ciclizzato magneticamente fra due valori del campo magnetico, uguali e di segno contrario. Raggiunta la ciclizzazione, in un determinato punto del ciclo viene arrestata la variazione del campo magnetico, ed il filo viene torto e detorto, nei due sensi, di uguali angoli. Ripetendo i cicli elastici, sempre nello stesso modo e fra gli stessi estremi, si trova che le successive variazioni del momento. magnetico vanno dimi- nuendo fino a che si arriva ad un valore limite di questo: la variazione complessiva sarà l'effetto GISTRE| 84 [Gta 929 9:91 67918 ELIO 8 | LL 880 (880 621 LZ [221 [091 cea |r'oz 4a leza [ge Gr n° atta v: o DES do Bi DI cc peo mò = do : ; cea lisa |os: |g'ez RI ba - TE È ce 5 DRG hs do De. 0 5 . ; " Go |ece |seg |983 |9Fe [621 |6&t [et |T81 [181 |I8I |I8L foto for for lost fett le'st [est [ser [ser {2:81 S'EG |G06 sec [616 [Sca | 0° 0% ia 9% LF FI 86 08 l'a ST II c BE 145 L'8 1g s'og |stsr |a [stero [etor fto —|go [rt [etto fer [oa der rr sto [oto —fatr —[atr foto —[1°0. 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Essi sono sempre percorsi nel solito modo, ossia col ramo di ritorno più lontano dal- l’asse delle torsioni di quello che non sia il ramo di andata. erre T L -160_|-80_|0 |j80__{6o_ |-160 |-80 (0 go [160 _(|-160 |-fo_ |o g0__1160 a } ; ; | I {154 Fig 4 Fyg.3 Da misure che verranno riferite in altra Nota risulta pure che: 9.° Variando l'ampiezza delle torsioni, partendo sempre da punti del ciclo magnetico, raggiunto il punto limite, sì hanno effetti ciclici differenti secondo i differenti casi. 10.° Per torsioni sufficientemente ampie il ciclo elastico di un filo di ferro invece di essere percorso nel solito senso, è percorso in senso contrario presentando la zs/eresî negativa, come, in certe condizioni, il nickel. 11.° Esiste un'ampiezza di torsione per la quale l'area del ciclo elastico sensibilmente sparisce, come era stato già argomentato dal Cantone (!) pel nickel. Volendo renderci ragione della disimmetria presentata dai cicli elastici, pensando che essa provenisse da una disimmetria del filo, abbiamo spostato lo zero delle torsioni. Difatti, con uno spostamento di + 42° pel ciclo del punto /f abbiamo ottenuto l'intento. Ma la simmetria, raggiunta per una certa ampiezza di torsione, non era mantenuta per ampiezze differenti e, per ampiezze molto grandi, quando l'isteresi riusciva negativa, le lunghezze dei rami venivano invertite, presentando la curva aspetto analogo a quella data dal Nagaoka pel nickel. La causa del fenomeno doveva quindi trovarsi in altro. (!) Nuovo Cimento, S. 4, t. 5, pag. 290. Parga e eil : ta — 574 — È da notare, come s'è detto, che le torsioni venivano sempre iniziate nel senso positivo, cioè nel senso nel quale, con ampiezza di * 180°, il ramo del ciclo riusciva più corto. Tenendo conto della isteresi elastica, detta F la forza necessaria a produrre la torsione di 4 g°, per produrre la torsione di — g° occorreva, evidentemente, una forza — F' tale da essere, in valore assoluto, F' = F secodo il segno della isteresi. Ossia si impiegava forza mag- giore a produrre ramo più lungo e quindi maggiore variazione magnetica. La causa della disimmetria è da ricercarsi quindi nel fatto, già asso- dato dal Cantone, che l'effetto magnetico dipende non dalle deformazioni ma dalle forze che le producono. Chimica. — Decomposizione elettrolitica di acidi orgamiei bicarbossilici. Acido adipico ('). Nota del dott. B. Lino VANZETTI, presentata dal Socio G. KOERNER. La decomposizione elettrolitica degli acidi organici bicarbossilici della serie alifatica e dei loro sali in soluzione, può dar luogo ad un certo numero di reazioni più o meno complesse, che in parte però sì possono prevedere, quando si tenga conto dei risultati che l’esperienza ha fornito nello studio dei fenomeni analoghi che si hanno nella decomposizione di acidi organici appartenenti ad altre serie. È certo però che si tratta di reazioni di ordine piuttosto complesso, sia perchè gli elementi che vi concorrono, per il fatto stesso della elettrolisi, si scindono alla lor volta in gruppi di varia natura e di varia capacità di reazione, sia perchè differenze, apparentemente trascu- rabili, ne! modo di condurre l'esperimento, possono trarre a risultati diversi nei vari casì. Lo studio della dinamica chimica di questi processi urta subito contro la difficoltà di stabilire le concentrazioni dei vari elementi che vi concorrono, al momento della reazione nei vari punti della massa reagente e viene ancora complicata dalla formazione di sistemi eterogenei tra le varie fasi, già esi- stenti in seno alla miscela reagente, o formatesi durante il processo elettro- chimico. Inoltre, i derivati di questa serie organica tranne i primi tre termini, sono di preparazione piuttosto lunga e laboriosa, il che impedisce di speri- mentare su quantità rilevanti, in modo da poter seguire successivamente, ed in varie condizioni, le singole fasi della reazione, scindendone a tempo i pro- dotti intermedi. (') R°. Scuola Sup. di Agricoltura. Labor. di Chim. organica. Milano. — 575 — In una comunicazione precedente (*) ho già esposto come lo studio della decomposizione elettrolitica del quarto termine della serie bicarbossilica, l'acido glutarico, mi abbia condotto alla separazione di un idrocarburo non saturo, già sfuggito alle ricerche di Reboul Bourgoin (*), i quali pure avevano sperimentato in condizioni perfettamente analoghe a quelle da me allora de- scritte. Questo idrocarburo era il propilene ordinario proveniente dalla decom- posizione dell'anione complesso glutarico: — 00C.CHs.CH,.CHs. COOT, che giunto all'elettrodo positivo si scarica e si trova così pronto a reagire per virtù di quelle due valenze libere che gliene risultano e che provocano in esso la ricerca di un assetto molecolare più stabile. La prima reazione che ne segue è dunque una parziale demolizione del complesso, con la separa- zione dei due gruppi COO, che vanno a formare due molecole di anidride carbonica libera, mentre resta l’aggruppamento bivalente — CH;.CH,. CH, — instabilissimo e capace di iniziare per suo conto ed immediatamente una nuova reazione. Purchè esso almeno in parte arrivi a sottrarsi alla ossida- zione, che è l'azione caratteristica dello spazio anodico, si troverà subito nella possibilità di saturare reciprocamente le sue valenze, o chiudendosi ad anello trimetilenico, v formando una doppia legatura e convertendosi in derivato olefinico. — CH..CH.,.CHj,— ca CH. :CH.CH;; ne risulterebbe così il passaggio di un atomo di idrogeno, da uno ad un altro degli atomi di carbonio vicini. Che ciò avvenga di preferenza ad una chiu- sura dell’anello trimetilenico è verosimile, data la considerevole tensione in cui verrebbero a trovarsi le valenze degli atomi di carbonio unendosi tra di loro ad anello. Ed invero tutti i tentativi fatti per isolare questo idrocar- buro diedero risultato negativo. Restava a vedersi come si sarebbero comportati gli acidi omologhi su- periori, nei quali, data la maggior lunghezza della catena metilenica, acqui- stava maggior probabilità la chiusura dell'anello carbonico, con formazione dell'idrocarburo ciclico. La migliore disposizione ad una tale chiusura do- vrebbe dimostrarla il derivato pentametilenico: acido pimelico; disgrazia- tamente la preparazione di quantità rilevanti di questo prodotto puro, con i metodì finora accessibili riesce lunga e dispendiosa; rivolsi perciò da prima l'attenzione ai suoi due omologhi prossimi, l’acido adipico e l'acido suberico. Decomposizione elettrolitica dell'acido adipico. — L'acido fu preparato per via elettrolitica secondo il metodo di C. Brown e Walker leggermente modificato (*), venne poi trasformato, previa purificazione, in sale bipotassico (4) R. Acc. Lincei, vol. XIII, 2° sem. 1904, fase. 2°, (2) C. R. 84, pag. 1395. (3) R. Acc. Lincei, vol. XII, 2° sem. 1903, fase. 5°. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. I (01) — 576 — di cui sì fece una soluzione piuttosto concentrata (ca. 27 °/,). Tale soluzione fu poi sottoposta ad elettrolisi in condizioni analoghe a quelle già descritte per l'acido glutarico. Era prevedibile che l’acido adipico avrebbe resistito meglio alla decomposizione, per la sua maggiore stabilità che lo fa rasso- migliare nel comportamento agli acidi inorganici; avrebbe cioè avuto il so- pravvento il fenomeno della riabilitazione della molecola acida all’anodo, con la conseguente separazione di ossigeno molecolare, in quantità corrispondente, o quasi, all'idrogeno liberato al catodo. Si constata però, che anche l'acido adipico, o i prodotti che si formano per la depolarizzazione del suo anione, presentano ancora una certa sensibilità all'azione dell'ossigeno anodico, così da provocare altre reazioni secondarie, sulla cui natura noi non possiamo pro- nunciarci ancora con sicurezza. Alcune prove fatte per trovare le condizioni di miglior rendimento, va- riando i fattori della reazione, indicarono però subito che la formazione di idrocarburo non saturo aveva luogo e che il rendimento aumentava col cre- scere della concentrazione e della densità di corrente, a patto che la tempe- ratura non si innalzasse di troppo, (a ciò si può provvedere facilmente, tenendo immersa la cellula nella quale sì compie la reazione, in una miscela frigorifera di ghiaccio e sale). Così si constata che, mentre la densità di corrente salisce da 0.18 a 0.25-0.3-0.4-1.0, restando press'a poco costante la temperatura, la quantità di idrocarburi non saturi formatisi, da 0.6 °/, della miscela gasosa, saliscera::0:8;::1:0,.1:3,1:8 Yo Per poter raccogliere una maggior quantità di gas, si prepararono 50 gr. della soluzione al 27 °/, di adipato bipotassico e si elettrolizzò per alcune ore, impiegando una densità di corrente di circa 0.6 e mantenendo la tem- peratura sotto 30°. Il gas che si svolgeva bolla a bolla, dopo averlo spo- gliato della CO; che l'accompagnava, era condotto direttamente in un appa- recchino per l'assorbimento, contenente bromo liquido e costituito da una serie di numerose piccole bolle disposte in modo da costringere il gas a mescolarsi intimamente con i vapori dell'alogeno, durante il passaggio a tra- verso; seguiva poi un refrigerante a serpentino immerso in miscela frigorifera, per trattenere il meglio possibile i prodotti della bromurazione, in vista delle piccole quantità che si sarebbero potute isolare. Il gas non assorbito, dopo lavato con soluzione di KOH, si raccoglieva in gasometro. Dopo raccolti così ca. 6 litri di gas, la soluzione si sostituiva con altrettanta nuova, perchè protraendo la elettrolisi nello stesso liquido, una troppo profonda alterazione incominciava a rendersi manifesta. Il prodotto della bromurazione liquido, separato dall'alogeno, lavato, essiccato fu sottoposto ad analisi. La determinazione del punto di ebollizione diede, che, l'intervallo entro il quale il liquido passa, per reiterate distillazioni, è tra 156° e 167°, dalla prima all'ultima goccia (term. nel vap.), mentre solo una leggera traccia carboniosa rimane nel fondo del palloncino. Appariva subito evidente, che il SE — liquido era costituito da una mescolanza di due o più prodotti e più proba- bilmente dei due isomeri butileni bibromurati 2-3, 1-2 i cui punti di ebul- lizione sono risp. 158° e 165°-6°. La determinazione di bromo diede: 72.58, , [teor. 74.07 per (CH); Bra]. Il peso specifico era: 1.805 a 18.5°, mentre quello dei due prodotti sumenzionati è rispett. di 1.80 e 1.82. Quanto al terzo termine possibile, il bibromoderivato 1-4, il cui punto di ebullizione è molto più elevato (189°), sì poteva tutt'al più sospettare che l’idrocarburo da cui dovrebbe derivarsi, il ciclotetrano, fosse rimasto nella massa gasosa non assorbita dal bromo, giacchè la sua indifferenza verso l’alogeno dovrebb'essere ancora maggiore che quella del suo omologo inferiore, il trimetilene o ciclopropane. L'analisi del gas dopo il primo assorbimento indicava ancora la pre- senza di una piccola quantità di idrocarburo residuo. Fatto passare tutto ancora una volta per il bromo, si potè così separare una piccola quantità di prodotto bromurato solido giallo chiaro, che diventava oleoso in contatto del- l'aria, ma che per la piccola quantità sì sottrasse all'indagine analitica. Per analoga ragione si dovette rinunciare anche alla separazione dei costituenti la miscela dei prodotti bromurati, sopra descritta. Il gas che rimane nel gasometro dopo quest'ultimo passaggio a traverso il bromo, è affatto spoglio di idrocarburi, e non contiene più che idrogeno, ossigeno e tracce di ossido di carbonio. La sua composizione all'uscita della cellula elettrolitica era, in media, la seguente: COMI 290 idrocarbucisnonesaturi -.. :.. sano 5 OSSISCNOR ie dei. SAR OSSIdORAIEFarDONIOnnic > GAMBERI CO 1 UrOCEHOR gir i 60. e varia a poco a poco, col procedere della reazione, a scapito del rendimento in idrocarburo. Il rapporto tra ossigeno ed idrogeno rivela già la intensità del processo anodico di ossidazione, il quale vien reso manifesto anche dalla presenza di ossido di carbonio. Inoltre il liquido assume potere riducente per la formazione di sostanze a gruppo aldeidico, la cui origine si può interpretare anche ammet- tendo una azione diretta dell'ossigeno sull’idrocarburo non saturo o sul resto dell'anione depolarizzato: CHICH. CHEAGH, —. CH; GE. CH;.CHO 2g OHRCR.SCH,.CH, — CHI WBU/CH,.CHO i —_g — 578 — Da quanto è sopra esposto risulta quindi che la decomposizione del- l'acido adipico per azione della corrente elettrica, in soluzione del suo sale bipotassico, è più profonda che non si sia ammesso finora, ciò è reso evi- dente dalla grande quantità di anidride carbonica che si separa all'anodo. Resta anche constatato che questa decomposizione può avvenire con la sepa- razione di idrocarburi non saturi (butileni); la spiegazione più semplice, che si presenta alla mente, sarebbe data da una reazione primaria, che avrebbe per oggetto l’anione, il quale depositata la carica all'elettrodo. dando luogo alla formazione del complesso instabile: — 00C.CH,.CH,.CH,.CH,.C00—, dopo aver subito una parziale demolizione per la perdita dei due gruppi COO, metterebbe in libertà il gruppo bivalente — CH,.CH,.CH..CH.—, il quale può divenire stabile, solo con la formazione di un assetto molecolare, che risponda alle esigenze della teoria di valenza. Delle tre forme possibili, in questo caso, resta esclusa quella ciclica CH, — CH, e compaiono invece le CH, — CH, due altre: CH;.CH,CH:CH; e CH;.CH:CH.CH;. Si avrebbe dunque anche in questo caso un trasporto di atomi di idrogeno, per la formazione della doppia legatura. Il rendimento è molto basso. Forse con l'aggiunta di un depolarizzatore anodico adatto, sul quale si potesse riversare l'azione del- l'ossigeno all'anodo, si arriverà ad ottenere una maggiore quantità di idro- carburo; questa sarebbe inoltre la migliore dimostrazione, che la formazione sua non è che il risultato di una reazione primaria, anzichè il prodotto di reazione più complesse. Lo studio della decomposizione elettrolitica dell'acido suberico, già ini- ziata, porterà, spero, maggior luce anche su questo fatto, sul quale vertono tutt'ora opinioni contradittorie. Quanto all'odore speciale etereo, che caratterizza i prodotti della rea- zione nel liquido elettrolisato, si spiega abbastanza facilmente, se si tien conto delle reazioni secondarie (formazione di alcoli ecc.), che accompagnano il fenomeno della decomposizione elettrolitica, e che danno luogo a forma zione di sali eterei, tra i quali troviamo di frequente quelli di acidi non saturi. Chimica. — Azione del eloroformio e idrato sodico sui fe- noli in soluzione nell’acetone ('). Nota di Guipo BARGELLINI, pre- sentata dal Socio S. CANNIZZARO. In un brevetto tedesco del luglio 1894, Link (?) descrisse un prodotto ottenuto riscaldando a b. m. per 5-6 ore una soluzione di fenolo nell’acetone insieme con cloroformio e idrato sodico (o potassico). Si forma così un com- posto di formula C,0H1203 che Link riguardò come osszisopropil- ossifenil- chetone (opp. ossiisobutiril- fenolo) CH 0Hs \CO—C—CH; \OH Considerando questo prodotto, la cui formula però non era stata dimo- strata in alcuna maniera nè da Link nè da altri, mi parve utile rivolgere l'attenzione su questa reazione per vedere se sì potesse, con opportune modi- ficazioni, applicarne il principio per avere un metodo generale di preparazione dei chetoni. Non mi sembrò quindi privo di interesse ripreparare dapprima questo composto, studiarlo poi per fissare la maniera di ottenerlo con buona rendita e purificarlo, e stabilire infine la posizione della catena laterale rispetto all’ossidrile fenico. Io potei infatti riprepararlo secondo le indicazioni del brevetto ed averlo con proprietà identiche a quelle del composto descritto da Link. Naturalmente, trovandosi in esso, secondo la formula di Link, due dei gruppi della chimica organica che più si prestano per dare derivati caratte- ristici, cioè l’ossidrile fenico e il carbonile chetonico, volli prepararne qual- cuno. Ma, per quanti tentativi abbia fatto, io non potei ottenere nè l'acetil- derivato, nè il benzoilderivato, nè l'etere metilico. Era quindi da escludersi che questo prodotto contenesse un ossidrile fenico. D'altra parte osservai che esso non reagisce affatto nè coll’idrossilammina, nè colla semicarbazide, nè colla fenilidrazina, ciò che fa evidentemente cadere l'ipotesi che esso sia un chetone. Mi si presentava dunque il problema di dover studiare di nuovo la costituzione di questo composto, la cui analisi elementare conduceva alla formula C,0H,303. La questione fu risolta colla osservazione da me fatta che esso sì scioglie nelle soluzioni dei carbonati alcalini e riprecipita da queste per aggiunta di acido cloridrico. Esso contiene dunque un carbossile. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto Chimico della R. Università di Roma. (*) Link, B. 28, R. 665 — D. R. P. 80986. — 680 — Esclusa così la presenza dell’ossidrile fenico e del carbonile chetonico e provata l'esistenza di un carbossile, la formula strutturale più probabile per questo composto C,0H,:0;, era quella di un etere fenico dell'acido @- ossiiso- butirrico CHÉS: 0__C.H, cH,7k;reevWmÙÙ(®»” >. cme. !/,, norm. iniziale finale revertito in °/ dell’hexosio iniziale 10) VE 5,6 3776,1 3212 — 464,1 12,29 9/0 Esp. II. 3,8 3790 3080 — 710 18,74 » Come si vede, si tratta di sintesi ben più vigorose di quelle osservate da Visser, ciò che è dovuto, come si vedrà meglio nel lavoro esteso, a tre cause: 1) la reversione in ambiente acido diventa considerevole solo a tem- peratura elevata; 2) la concentrazione totale dello zucchero (20 °/,) era nelle riferite esperienze superiore a quella adottata da Visser; 3) l'invertasi di Mucor tende a revertire assai più dell'invertasi di lievito. Inoltre la reversione varia inversamente a l'acidità del mezzo e in am- biente alcalino cresce, entro certi limiti, proporzionalmente a la concentra- zione degli ioni OH=. Alcuni esempî: il liquido invertito fu preparato come sopra, poi fu aggiunta l'invertasi, indi alcalificato il miscuglio, che soggior- nava asetticamente a 18,5°. Reversione a 18,5° in ambiente alcalino: Alcalinità Zucchero riduttore Zucchero revertito eme.!/s norm. a Ro 4 re NO! °/o dell’hexosio iniziale Esp di 13:0 3742,8 3440 — 302,8 8:09 Dopo 48 ore Esp. II: 14,4 3776,1 3408 — 368,1 9,738 » Esp. III. 16,2 3790 2880 —:910 24,01» (1) Lo studio di questi fenomeni col metodo polarimetrico è assai più inesatto che col metodo di determinazione gravimetrica. Infatti, oltre a gli errori prodotti da la pre- senza di sostanze estranee in esperienze come le mie, 0° Sullivan e Tompson (loc. cit. pag. 865) hanno trovato, che il destrosio formantesi dal saccarosio è nei primi momenti birotante, per cui l'osservazione polarimetrica non indica esattamente la quantità di hexosio che si forma. Pur troppo a tutti gli autori, Henri, Herzog, Visser ecc., è sfuggito questo fatto. — 594 — Infine un esempio di inversione a 56° in ambiente acido (0,2 cme. 2/0 norm.), seguita, nello stesso saggio, da inversione a 18,5° in ambiente de- bolmente alcalino (0,2 cme. !/,, norm.) : zucchero invertito a 56° in un'ora in presenza di acido: 345; zucchero revertito in 24 ore a 18,5° in presenza di alcali: 260. È da considerarsi, che mentre in ambiente acido l’enzima ha bisogno di una concentrazione dei prodotti d'idrolisi pari a quella dell’ idrolito per compiere la sintesi, in ambiente alcalino reverte anche se la concentrazione del saccarosio è molto superiore a quella dello zucchero invertito. Fisiologicamente, la facile reversibilità anche a bassa temperatura in ambiente alcalino ha un'importanza altissima, perchè il citoplasma è debol- mente alcalino ('), mentre il succo cellulare ha reazione acida. A la comune temperatura si compiranno quindi le sintesi più facilmente nel citoplasma, e difatti le cellule giovani, dove più vivace è il lavorìo formativo, ne sono di regola totalmente ripiene. Nel succo dei vacuoli invece predomineranno a la temperatura ordinaria le scissioni. Infatti le cellule adulte, le cellule in autodigestione, sogliono avere grandi vacuoli circondati da un sottile strate- rello di protoplasma. Patologia vegetale. — Zrtorzo alla peronospora della canapa. Nota del dott. VirroRIO PEGLION, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. La peronospora della canapa (Peronospora cannabina), è stata osservata per la prima volta in Isvizzera presso Steffisburgh e sommariamente descritta dall’Otth. Nel 1898, segnalandone la presenza nei canepai del Ferrarese, il chiaro prof. C. Massalongo dava un'accurata illustrazione dei caratteri mor- fologici del micelio e dei conidiofori del parassita e descriveva le deforma- zioni specifiche subite dalle foglioline di canapa peronosporate. I dati raccolti dal prof. Massalongo e dal prof. Aducco erano tali da far ritenere il paras- sita della canapa pochissimo diffuso ed affatto benigno. Nel materiale di studio raccolto in quelle circostanze non furono rinvenute altre fruttificazioni all'infuori delle conidiali, onde rimaneva ipotetico il modo di svernare del parassita. Difatti, mentre non è punto raro rinvenire dal maggio in poi delle foglie di canapa contorte e deformate dalla peronospora in questione e di osservare le copiose fruttificazioni conidiche che ne ricoprono di un denso strato bruno- violaceo la pagina inferiore, le più accurate indagini praticate su queste foglie, anche serbate a lungo in camera umida, non rivelano formazioni neppure inci- pienti di fruttificazioni più evolute, di oospore. Le ripetute osservazioni com- piute durante un quinquennio nei canepai del Ferrarese, confermano a tale (1) Pfeffer, P/lanzenphysiologie, II Auft.., Bd. I, pag. 490 (1897). riguardo le conclusioni cui era giunto il Massalongo, e nessuna lagnanza spe- ciale dei pratici agricoltori era stata mossa verso questo parassita della canapa. Tuttavia seguendo lo sviluppo dei canepai durante le prime fasi vege- tative, non è difficile accorgersi che la peronospora della canapa può dive- nire un’ entità parassitaria tutt'altro che trascurabile dal punto di vista pratico. A questa conclusione sono giunto in seguito all’ esame microscopico di alcune piantine di canapa, deperenti in seguito al cosidetto incappucciamento. Com'è noto, è questa una malattia dovuta al parassitismo del 7y/ernchus deva- stator: le piante recatemi in esame presentavano una strana associazione bio- logica, inquantochè nei tessuti ipertrofici, in seno ai quali formicolano le larve e gli adulti del nematode predetto, si notava eziandio un fitto reticolato di ife a decorso intercellulare, munite di austori che si addensavano nel mi- dollo e terminavano in conidiofori sporgenti lungo il canale midollare. I ca- ratteri del fungo corrispondono a quelli della Peronospora cannabina, come ho potuto accertarmi anche col paragone con esemplari originali. Lo sviluppo dei conidiofori stessi lungo il canale midollare è così rigo- glioso da conferire alla superficie di esso la colorazione caratteristica violacea tendente al brunastro. In alcuni esemplari il lume del canale è completamente ostruito. Negli spazi intercellulari, esistenti tra gli elementi ipertrofici del midollo e dello pseudo-libro interno si formano le oospore o spore ibernanti del pa- rassita: esse sì rinvengono numerosissime se sì assoggettino ad esame fram- menti di stelo nel quale sia cessata la formazione di conidiofori. Basta al- l'uopo raschiare i tessuti predetti e dissociare in soluzione debole di potassa il materiale così asportato. Le oospore sono irregolarmente sferiche: la parete oogoniale è irregolarmente ispessita ed addossata all'oospora; le dimensioni di questi organi variano da 50 a 55 wu. La scoperta delle oospore permette di completare il ciclo biologico della Peronospora cannabina, senza ricorrere all’ ipotesi che la conservazione di questa specie sia affidata ai conidi o al micelio ibernante. Le osservazioni sommarie compiute sinora e che mi propongo di prose- guire, permettono inoltre di chiarire alcuni fatti che si verificano in pratica e sono tuttora misteriosi: come ho detto sino dall'inizio, le piante di canapa oggetto di questo studio erano deformate da 7y/enchus, incappucciate per usare l'espressione corrente. Ora i pratici ben sanno che l'andamento della vegetazione delle piante incappucciate subisce delle variazioni notevoli: « non è raro il caso che le piantine malate sorrette da un complesso di condizioni favorevoli continuino a vivere e crescano, per poi ad un certo punto superare il male e svilupparsi quasi come non fossero mai state prima ammalate. Era questa una delle ragioni per cui prima poco spaventava l’ incappuccia- — 596 — mento. Ma in quest'anno (1898) le piantine o hanno continuato a cre- scere stentatamente, deformi, o come è avvenuto per il maggior numero, non sono riescite a sopraffare il male e hanno dovuto soccombere in un tempo più o meno breve ». Così i prof. Aducco e Neppi nel loro studio sull’incap- pucciamento della canapa. Anche in altre riprese essi esprimono il dubbio se col nome volgare di incappucciamento non si indichino fenomeni di natura diversa. Ho avuto la prova che realmente questo dubbio è giustificato dall'esame degli appezzamenti di canapa da cui provenivano le piante infette; raccolti numerosissimi esemplari di piantine incappucciate, alcune erano irrimediabil- mente compromesse e mostravano concomitante ai 7ylenchus la peronospora della canapa. Gli altri più o meno gravemente deformati dai nematodi, pote- vano considerarsi in condizioni non disperate e suscettibili di riaversi se cor- roborati da adeguate somministrazioni di concime a pronta azione (nitrato sodico). Le esperienze iniziate varranno o meno a confermare l'esattezza di queste asserzioni. Ma quest’'eventuale associazione biologica di un nematode con una pero- nospora apre l'adito a nuove ulteriori investigazioni circa le condizioni di sviluppo di quest'ultimo parassita. Le piante incappucciate subiscono pro- fonde deviazioni morfo-biologiche: la differenziazione dei tessuti è intralciata, le neoformazioni sono costituite da tessuti iperplastici e da ipertrofie degli elementi cellulari. Tenendo conto del comportamento di altre peronosporacee (Cystopus candidus, Phythopht. omnivora, ete.) le quali sono capaci di infettare le piante ospiti solo durante le prime fasi vegetative, non sembrebbe sover- chiamente arrischiata l'ipotesi di ritenere la P. camnabdina, dotata di atti- tudine parassitaria analogamente subordinata ad una data fase di sviluppo della canapa. In tal supposizione l’anzidetta associazione eventuale potrebbe concepirsi come un caso caratteristico di metabiosi, inquantochè sotto l'influenza del nematode i tessuti dell'ospite conserverebbero a lungo lo stato di recet- tività alla peronospora che cessa in breve tempo nelle piantine normali. Ho iniziato delle prove di infezione delle piantine di canapa in ger- minazione, derivandomi da queste sommarie resultanze non pochi dubbi circa la probabile vera causa cui attribuire un fatto lamentato quasi ovunque sia intensivamente coltivata la canapa e contro cui la pratica è oggi im- potente: ed è la perdita di molte piante che si verifica dalla nascita del canepaio alla prima roncatura. I vecchi coltivatori ricordano gli splendidi canepai che si ottenevano allorquando si praticavano semine in ragione di 20 chili di seme per Ha. Oggi, colle migliorate condizioni colturali, col razionale impiego di macchine seminatrici e concimi, pur raddoppiando il quantitativo di seme (40-50 chili per Ha), non sempre si riesce ad otte- nere i canepai così fitti come sì ritiene necessario per conciliare qualità — 597 — e quantità di prodotto. Tale è specificatamente la condizione di fatto del podere di Fossanova ove ho riscontrato le canapi peronosporate; ora, pre- scindendo pure dalle numerose fallanze di piante che possono dipendere da condizioni d'ambiente o da parassiti animali, non è chi non veda l'importanza di accertare se a questa perdita di piantine cui consegue il dannoso dirada- mento dei canepai, partecipi ed in quale misura anche la P. cannabina, nel qual caso si potrebbe provare ad ovviarvi, traendo profitto delle nozioni che si possiedono intorno alla difesa delle piante coltivate in genere dalle infe- zioni peronosporiche. Mi riserbo di riferire a suo tempo intorno ai resultati delle esperienze ora iniziate intorno alla propagazione del parassita ed ai mezzi di difesa. Il Presidente BLASERNA, all'aprirsi della seduta, annuncia che assistono all’adunanza S. E. Don GonzaLo Esteva, Ministro degli Stati Uniti del Messico, e il prof. AcHiLLe LoucHAIRrE dell'Istituto di Francia e professore all’ Università di Parigi. Ringrazia S. E. il Ministro Esteva di aver vo- luto assistere all'odierna seduta, in cui l'Accademia, per invito della Società di Geografia e di Statistica di Mexico, commemora il quarto centenario della morte di Cristoforo Colombo. Il Socio DaLLa Vepova legge una Commemorazione (!) di Cristoforo Colombo, occupandosi in particolar modo dei lavori di critica pubblicati di recente sul grande Navigatore. Egli pone in rilievo la figura di Cristoforo Colombo, mostrando quale sia il vero carattere de’. suoi meriti, e quanta parte abbia avuto l'Italia nelle ulteriori scoperte di terre nuove. Il Socio MaRrIOTTI aggiunge alcune parole per ricordare l’esistenza, in Genova, di due lettere di Cristoforo Colombo, le quali provano il di lui disinteresse e il desiderio che sempre egli ebbe di beneficare le classi di- sagiate. (1) Questa Commemorazione sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. == PT—r—re== ee " «—___ _ _ _————_r—r —=t e o —= rem. ” Re sh stia cien — citi); erchnatei. seacar ret) di Ae È Pv ARTO e — 598 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 20 maggio 1906. Bassani F. e GaLpiERI À. — Notizie sul- l’attuale eruzione del Vesuvio. Aprile 1906). Napoli, 1906. 8°. BortHEN L. — Die Blindenverhàltnisse bei der Lepra. Klinische Studien. (Kon. Norweg. Frederiks Universitàt). Chri- stiania, 1902, 89, Bureau central de l’Association géodésique internationale. Rapport sur les travaux du Bureau Central de l’Association géodésique internationale en 1905 et Programme des travaux pour l'exercice de 1906, Leyde, 1906. 4°. Catalogue of 1772 Stars, chiefly comprised within the zone $5°-90° N. P. D. for the epoch 1900, deduced from obser- vations made at the Radcliffe Obser- vatory, Oxford, during years 1894-1903. Oxford, 1906. 8°. Commission Royale pour la mesure d’un Are de Méridien au Spitzberg. Missions SCIENTIN Queste entreprises en 1899-1902. Mission Suédoise. Tomes I, II. Stockholm, 1903-06. 4°. Guerrini G. — Sulla funzione dei muscoli degenerati. II° Comunicazione (Tempo di eccitazione latente). Dallo Speri- mentale (Archivio di Biologia normale e patologica. Anno LIX, fasc. VI). Na- poli, 1905. 8°. Gue®Rini G. — Ueber die Gleichgewichte zwischen Eiweisskérpern und Elektro- lyten. II. Mitteilung. Ueber die Fiillung des Eieralbumins durch Natriumsulfat. (Hoppe-Syler's Zeitschrift fiur Physio- logische Chemie. Separat-Abdruch aus Band XLVIII. Heft 2. u. 3). Strassburg, 1906. 8°. GUERRINI G. — Sur la fonetion des muscles dégénérés. II Communication. Temps d’excitation latente. (Arch. 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(In Son- derheit: Ueber Erzeugurg himolyti- scher Sera mittels kleiner Dosen Ery- throcyten und die Wirkungen von Ader- lissen auf derart vorbehandelte Ka- ninchen). Kénigsberg, 1905. 8°. FRIEDLAENDER A. — Persistenz des Wolff schen Ganges beim Leguan. Mit 1 Tafel und 1 Textabbildung. Kéonigsberg, 1905. 8°. FrIEDRICH H. — Zur Kenntnis der Man- delsiure. Konigsberg, 1904. 8°. Fromm K. — Verkriimmung der Tibia durch Narbenzug. Kònigsberg, 1905. 8°. ReNDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. GLaGe G. — F. E. Neumann’s Methode zur Bestimmung der Wirmeleitungs- fahigkeit gut leitender Korper in Stab- und Ringform und ihre Durchfihrung an Eisen, Stahl, Kupfer, Silber, Blei, Zinn, Zink, Messing, Neusilber. Ké- nigsberg, 1905. 8°. GoLpBERG J. — Ein Fall von Balkenman- gel im menschlichen Grosshirn. K6- nigsberg, 1905. 8°. GraBowsKy W. — Beitrige zur Feststel- lung der wahren Oberflichenspannung wisseriger Chloridlésungen (zwischen 10 und 30° C.) und zu ihrer physika- lisch-chemischen Verwertung. Gràfen- hainichen, 1904. 8°, GrunER 0. — Beitrag zur Kenntnis der myasthenischen Paralyse. Vier Falle (mit einem Sektionsbefunde). Konigs- berg, 1905. 8°. HassensTEIN W. — Neue Bearbeitung von William Herschels Beobachtungen der inneren Saturnmonde (1789). Kénig- sberg, 1905. 4°. Hrymann G. — Neue Distomen aus Che- loniern. Mit 1 Tafel und 2 Abbildun- gen im Text. Jena, 1905. 8°. HorrMmann C. — Ein Fall von totaler an- geborener und bleibender Atrichie. Ké- nigsberg, 1905. 8°. HurwITz S. — Beitrag zur Lehre von den himorrhagischen Erosionen des Ma- gens. Kònigsberg, 1904. 8°, KADGIEN A. — Untersuchungen iber den Kalkgehalt ostpreussischer Bodenarten und seine Beziehungen zu einigen wichtigen Kulturpflanzen (unter spe- zieller Bericksichtigung litauischer und einiger masurischen Kreise. Kò- nigsberg, 1904. 8°. 76 — 600 — KarLIn M. M. — Die geschichtliche Ent- wicklung unserer Kenntnisse vom Baue des Gehérorganes. Kénigsberg, s. a. 8°. KLEIN War. — Neue Distomen aus Rana hexadactyla. Mit 1 Tafel. Jena, 1905. 8°. KLEIN WiL. — Die Operationsmethoden der Stirnhohlenentzindungen, nebst Mitteilung von 13 nach Killian ope- rierten Fallen. Kénigsberg, 1905. 8°. Ko B. — Ueber die Behandlung der ischà- mischen Lihmungen des Vorderarms durch Resektion der Vorderarmkno- chen. Konigsberg, 1905. 8°. Kurz E. — Die Diinengestalten der Ku- rischen Nehrung. Kénigsberg, 1904. 8°. Lack E. — Beitrag zur Lehre von der Hautdiphtherie. Kònigsberg, 1905. 8°. Lomauss C. — Beitrige zur Anatomie der Laubblatter einiger Festucaceen-Grup- pen. Kénigsberg, 1905. 4°. Mevyerowirz F. — Ueber Skoliose bei Halsrippen. Tiibingen, 1905. 8°. Moses H. — Beitrag zum Wesen der kon- genital-syphilitischen « Tibia en lame de sabre ». Tiibingen, 1904. 8°. Neumann R. — Ueber ausgedehnte Me- senterialabreissungen bei Kontusion des Abdomens. Tiibingen, 1904. 8°, Nrrz K. — Anwendungen der Theorie der Fehler in der Ebene auf Konstruktio- nen mit Zirkel und Linea]. Konigsherg. 1905. 8°. PacanIio F. — Ueber Dauerresultate der Colopéxie bei hochgradisem Rectum- prolaps. Tilbingen, 1905. 8°. Prenske G. — Ueber Phtalylhydroxyla- min und Camphorylhydroxylamin. Ké- nigsberg, 1904. 8°. PuppeL R. — Die Tuberkulose der Parotis. Konigsberg, 1905. 8°. ReuTteR H. — Beitriàge zur Praxis der Molekulargewichtsbestimmungen. Kò- nigsberg, 1905. 8°. RicaTER G. — Ein Beitrag zur Kenntnis der Lungenrupturen.Tiibingen, 1904. 8°. Rogsmann E. — Ueber retraperitoneale Cysten der Bauchhòhle. Kéonigsberg, 1904. 8°. SaLeckER P. -—— Ueber die Einwirkung einiger chemischer Einfliisse auf die Verdaulickeit des Proteins. Konigsberg. 1904. 8°. ScnerFLER K. — Beitrige zur Kenntnis der Alkylarsonsàuren. Kénigsberg, 1905. 8°. ScHIMMELFENNIG S. — Ueber Blutgesch- wiilste in den oberen Luftwegen. K6- nigsberg, 1904. 8°. ScHImscHELEWITZ B. — Ueber die Einwir- kung von Jod auf Kaliumchlorat, Na- triumehlorat und Baryumchlorat. Ké- nigsberg, 1905. 8°. ScHLESIGER H. — Zur Statistik der Eklam- psie. Koònigsberg, 1905. 8°. ScauseRT E. — Ein Beitrag zur Sympto- matologie der Uterusmyome. Kénigs- berg, 1905. 8°. ScHuLz A. — Untersuchungen iber die Wirkung von Eisenvitriol und schwe- felsiurem Ammoniak sowie von Mi- schungen beider Salze als Unkrautver- tilgungsmittel. Kénigsberg, 1904. 89. ScauLz E. — Ein neuer Fall von Akrome- galie mit Sektionsbefund. Kénigsberg, 1905. 8°. SegaL N. — Ueber Cataracta perinu- clearis congenita. Konigsberg, 1905. SPE Stires J. — Ueber die fractura radii ty- pica. Ein Beitrag zur Therapie. Ké- nigsberg, s. a. 89. TresLer G. — Tuberkulose und Schwan- gerschaft. Koònissberg, 1905. 8°. Trerz P. — Zur Qualitàtsermittelung von Weizen, Gerste und Hafer. Kénigsherg, 1905. 8°. Tirrus A. — Ueber eine eigenartige Form derjugendlichen Paralyse. Kònigsberg, 1905. 8°. TòiRKHEIMER A. — Beitrag zur genaueren Kenntnis der Diphenylenglycolsàure und einiger ihrer Abkòmmlinge. Die Tetraphenylenbernsteinsiure. Konigs- berg, 1904. 8°. UrIinsoan U. — Ueber die Einwirkung von Brom auf Paraoxybenzoesiure. Konigsberg, 1905. 8°. — 601 — Winter 0: — Ein Beitrag zur Kenntnis der sacrococcygealen Tumoren. Kénigs- berg, 1905. 8°. Wirrt W. — Beitrag zur Behandlung der Coxitis in vorgeschrittenen Fallen. K6- nigsberg, 1904. 8°. Wospe P. — Die Behandlung des Brust- krebses mit besonderer Bericksichti- gung ihrer geschichtlichen Entwicke- lung. Kénigsberg, 1905. 8°. WoLosewicz J. E. (v.) — Die quantitative Bestimmung des Stickstoffs der Ei- weisstoffe und deren Trennung von anderen stickstoffhaltigen Verbindun- gen der Nahrungs- und Futtermittel. Konigsberg, 1905. 8°. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 13 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti «della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. | Serie 2* — Vol. I. (1873-74). i Vol. II. (1874-75). | Vol. III. (1875-76). Parte 13 TRANSUNTI. | : 2* MemoRIE della Classe di scienze fisiche, N matematiche e naturali. v 8 MEMORIE della Classe di scienze morali, | storiche e filologiche. | VolSIV= Ve VIESVNEE:S VITI Serie 3* — TRrANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e natural. id Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — III-XIX. Îl O | MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII x | Serie 4* — RenpIcoNnTI Vol. I-VII. (1884-91). NÉ MemorIE della. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. || Vol. I-VII. | | MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. |; Vol. I-X. |) Serie 5* — ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. |} Vol. I-XV. (1892-1906). Fasc. 10°. 1° sem. | RENDICONTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. iL Vol. I-XIV. (1892-1905). i MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fase. 10-40. 1 MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. il Vol. I-XIT. Fasc. 1°. N CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE | AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI | DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI e res" — _———c— I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche | e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti | editori-librai : | I Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. i Utrico HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. à posta | î RENDICONTI — Maggio 1906. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 maggio 1906. MEMORIE © NOTE un SOCI O PRESENTATE DA SOCI Volterra. Nuovi studî sulle distorsioni dei solidi elastici. . . i 3 ESE Pag. 4 Korner. Nuove ricerche intorno allè sostanze dette aromatiche a 6 da di Gartionio deo Id. e Contardi. Intorno alla sesta nitrobibromobenzina . dl RR RM Battelli. Resistenza elettrica dei solénoidi per correnti di alta feeguonia Sai LS » Almansi. Sul principio dei lavori vittuali in rapporto all’attrito (pres. dal Socio Vottori Q)i Bortolotti. Sopra una ricerca di limite (pres. {dalkGorrisp. 6520) REMO e e, Levi. Ricerche sulle funzioni derivate (pres. dal Socio Segre) . . . sE (O Zambonini. Appunti sulla scheelite di Traversella (pres. dal Socio 0, sa Eri cp » 5 Piola e Teri. Variazioni magnetiche prodotte nel ferro colla torsione (pres. dal Corrisp. 3 SUO ATE e ) a di È Hi) Vanzetti. Decomposizione elettrolitica di acidi organici Licei to, nio ire dal SOCIOMAOEn7C7) TE GRES 4 SEO Di ez Bargellini. Azione del aa e ia sodico sui fenoli in solo nali (pres. 3 dal Socio MCannizzoro) Vi CAO ; n 2 . Pantanelli. Proinvertasi e reversibilità dell’ i nei Mise o Gai Socio Pirotta) Peglion. Intorno alla peronospera cella canapa es dal'SocrorCramica A) RR vi, 5 Blaserna (Presidente). Informa la Classe che assistono alla seduta S. E. Don Gonzalo Esteva e il prof. Achille Louchaire ©. . . ì nà Dalla Vedova. Commemorazione dì nica zio 0) E Mariotti. Aggiunge alcune parole alla precedente Commemorazione... LL...» BULLELTINOGBIBMOGRARIG OR 0.0 OMR MER 0 DOTI Aa RE ARSA (*) Questa Commemorazione sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. E. Mancini Segretario d'ufficio, respousabile. Pubblicazione bimensile. . Roma 2 giugno 1906. N. 11. F | i SR i DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCHI ANNO CGCCIII. 96 Sio i @ UOEERNSTOA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 giugno 1906. Volume XV.° — Fascicolo 11° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEI. CAV. V. SALVIUCCI 1906 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte guenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze. fisiche, matematiche e naturali valgono le norme — seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi-. -|- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da. nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Soci e estranei, Dodici fascicoli compongono un vo due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- . denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Lie Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3.L’Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta i stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro: — posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. ° 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è date. ricevuta con lettera, nella quale si avverte — che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 cohiethi ca au: tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. se estranei. La spesa di unnumero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. pie i e Ae Vie RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 2° Seduta del 2 qiugno 1906. P. BLASERNA, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle singolarità di una funzione che di- pende da due funzioni date. Nota del Socio S. PINCHERLE. Nel marzo del 1899 presentavo alla R. Accademia una Nota recante lo stesso titolo di questa, in cui dimostravo per altra via e generalizzavo il seguente teorema dato dall’ Hurwitz (!): « se due funzioni analitiche, uni- « formi regolari per il punto 4 = 00, sono rappresentate in un intorno di « quel punto rispettivamente da (1) dear ga Vi, — x « la serie A va=Y (0, Ro + never + () one + + 40 tu) 2 « rappresenta una funzione i cui punti singolari sono i punti p; + gj, ?i es- « sendo i punti singolari di @(x) e g; quelli di #(z) ». La dimostrazione era data dall'A. per il caso che p;, g; fossero poli di prim'ordine; quella da me data si applicava a punti singolari isolati qualunque, ammessa l’ uniformità delle funzioni. Ora, nella presente Nota, mi propongo di mostrare: 1° come la proposizione possa valere per il caso di singolarità qua- lunque, costituite da punti, linee od aree; (1) Comptes rendus de l’Académie des sciences, 6 février 1899. RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 77 — 604 — 2° come una seconda espressione, analoga a (2) per le sue proprietà, ma ben diversa di forma, valga a definire una funzione formata con due fun- zioni date e le cui singolarità sono legate nello stesso modo con quelle delle date; 3° come, dalle singolarità di una funzione definita da uno sviluppo D Cndn sia possibile, in molti casi, di dedurre immediatamente il luogo delle sin- golarità della funzione definita da (8) I onpPa(0) essendo p,(#) un sistema determinato di funzioni analitiche. 1. Abbiansi due funzioni analitiche (2), @(t) aventi singolarità qual- siansi: punti, linee od aree. Se le funzioni sono polidrome, siano fatti fra i luoghi di singolarità tali tagli da introdurre la monodromia: in tale caso, comprenderemo codesti tagli fra i luoghi di singolarità. Sia U l'insieme delle singolarità di (4), V l'insieme di quelle di «(#); « indichi un punto ge- nerico di U, v un punto generico di V. Togliendo dal piano-sfera su cui sì rappresenta la variabile £ l'insieme di punti indicato con U, rimanga un’area U'; togliendo V, rimanga un'area V'; supporremo U' e V' connesse, e contenenti entrambe il punto £#= co. Veniamo dunque a considerare due rami ad un valore (4) ed «(t) di funzioni analitiche, regolari in U' e V' rispettivamente, compreso il punto {= co. 2. Tracciamo nel piano # una linea / chiusa, finita e semplice, che in- cluda tutto l'insieme U: i punti di / appartengano tutti ad U’. Questa linea si può deformare con continuità fra i seguenti estremi: da una parte, un cerchio (R) di centro arbitrario, p. es. {= 0, e di raggio R grande a pia- cere; dall'altra, l' insieme delle linee (/;) chiuse, semplici, circondanti le varie parti staccate U; di U, e prossime al contorno di U; tanto quanto si vuole; così, se U; consta di un punto isolato, (/;) sarà un cerchio avente per centro questo punto e raggio arbitrariamente piccolo. Indichiamo con U, l'area inclusa dalla /, contorno compreso; con U} ciò che rimane dal piano # dopo tolta U,; analogamente U,, è l'insieme delle aree incluse dalle (7;), con- torni compresi, ed U/(,) ciò che rimane dopo tolto Ug al piano £. Ad ogni punto v di U, facciamo corrispondere il punto « — v, v essendo un punto generico di V; quando w descrive U,, u—v descrive un’area congruente: variando v in V, si ha un complesso di aree che indicheremo complessiva- mente con (U — V),. Sia infine W, ciò che rimane dal piano { quando vi si tolga l’area (U — V),; analoga definizione per W). Sia 2 un punto di W,; allora il punto 2 + v ci darà, per ogni v, un punto di U}; se infatti così non fosse, < +-v appartenendo ad U,, 4 ap- parterrebbe ad (U — V),. | [| o | — 605 — Se / va restringendosi e tendendo alle (/;), W, in corrispondenza andrà dilatandosi; cioè se 2 appartiene a W,, esso appartiene ad ogni Wy dove /' è compresa fra / e le /;, ed a fortiori appartiene a W). 8. Ciò posto, consideriamo l’espressione N 2rrt 0) = Ma, (0) x essendo un punto arbitrariamente preso in una delle parti connesse che costituiscono W,. Per tali determinazioni di 4, la linea / non conterrà sin- golarità nè di (4), nè di e(£— «) fra i suoi punti; l’espressione (4) rap- presenta pertanto un ramo ad un valore di funzione analitica, e variando la linea (/) facendola tendere verso Wx), quel ramo di funzione analitica sarà rappresentato in un'area connessa sempre maggiore e tendente ad una delle parti connesse che costituiscono W,). L'espressione della funzione anali- tica 4(x) si può fare coincidere con (5) Ma) = na i IO a(f—a)dt. Da Se accade che W,) sia un'area connessa, la (5) rappresenterà in tutta W,, una funzione analitica le cui singolarità o linee di discontinuità saranno esclusivamente nell’area (U — V)r). In particolare, se tanto l'insieme U delle singolarità di (4) come quello V delle singolarità di «(/) constano di punti separati wu; e v; rispet- tivamente, e le funzioni g(:) ed @(4) sono uniformi, la 4(x) sarà uniforme, coi soli punti singolari vu; — v;. Se le g(t) ed @(4) non sono uniformi, ma occorre tracciare dei tagli w;...,,%;...vx per stabilire la monodromia di un ramo di ciascuna di queste funzioni, anche 4(x) sarà in generale uni- forme, e ai tagli ora accennati corrisponderanno tagli w; — v;... % — % CUT Vj... Un Dj. 4. Poichè tanto U' che V' contengono il punto all’ infinito del piano-sfera, lo stesso sarà evidentemente di W,; perciò, per |z| abbastanza grande, la (x) sarà sviluppabile in serie di potenze intere negative di x, mentre per |{] ab- bastanza grande, si ha =, gx; LL N41 lr IN+1? t / precisamente il primo di questi sviluppi vale per |£| >, dove 7 è il mas- simo modulo dei punti v; il secondo per |{|>7', essendo 7’ il massimo mo- dulo dei punti u. Si prenda come linea / il cerchio (R), facendosi R>7'; indi si prenda \a|\>R+r. e ————_———_c——‘mme ri oe" se lis = > W “Se — rs ei ee | MIS —— i N — n= Si avrà: (6) a(t = 5) = DI MERE a (fe)! ? ed essendo |t|[>7",|e|>R+r>7 +7", sarà |t—x)>r. Perciò la serie (6) si può sviluppare per le potenze decrescenti di 2, dando lo sviluppo DI d 00 ) 1 a(t SEE x) andai DA (4 d — vay DI! + RI Oy Po + (— 19} ©) pH y=0 assolutamente ed uniformemente convergente per tutti i punti # del cerchio R e sotto la posta condizione |2|>R+ 7. Sostituendo in (4) e integrando termine a termine, si ottiene: ; < DR SIE sa LIA (7) 24) —_ > ob oralot inlob, e questo sviluppo, valido per l’intorno di 4 = 0, serve a definire mediante la continuazione analitica in tutta l'area W), un ramo ad un valore di funzione analitica, le cui singolarità non possono trovarsi che nei punti di (U—V)). Nel caso che le singolarità di «() e (4) siano punti iso- lati, v e v; rispettivamente, e le funzioni siano uniformi, la 4(#) dà, colla continuazione analitica, una funzione pure uniforme e che può avere singo- larità solo nei punti « — v;: questo risultato contiene quello dell’ Hurwitz come caso particolare. 5. Possiamo ora ottenere una formula che lega in modo analogo due fun- zioni date, in guisa cioè che le singolarità della funzione risultante dipen- dano colla stessa legge dianzi indicata da quelle delle funzioni componenti, mentre fra i coefficienti di questo nuovo sviluppo e quelli della (7) si pre- senta una correlazione notevole: quella stessa che ha luogo fra lo sviluppo binomiale per esponente intero positivo e quello per esponente intero nega- tivo. A questo effetto, sia (1) una funzione definita come precedentemente ; sia (:) una funzione o ramo di funzione analitica data regolare entro una stella U' di vertice {=0; (4) ammetterà dunque, nell'intorno di {= 0, uno sviluppo (8) g(i)= I kit. Indichiamo con U l'insieme dei punti posti al contorno o all’esterno della stella U'. Infine supponiamo che l'insieme V dei punti singolari v di @() sia tutto interno ad U”. Descriviamo una linea / semplice, chiusa, tutta contenuta entro U', circondante il punto {= 0 e racchiudente l'insieme V: sia U} l’area chiusa da /, U, l'insieme dei punti esterni e sul contorno di /. — 607 — Per ogni punto « di U,, costruiamo di ogni punto v di V il corrispon- dente punto u— v; l'insieme di questi punti costituirà un'area U, — V, e tolta questa dal piano della variabile, resterà un’area W,, in cui, per le ipotesi, è certamente contenuto il punto zero. Sia X, la parte semplicemente connessa di W, che contiene il punto zero; quando la linea / si deforma con continuità, avvicinandosi al contorno della stella U’, si deformerà cor- rispondentemente, ampliandosi, anche l'area X,, in guisa che se / è incluso in x, anche X, fa parte di X,,. Fissiamo una posizione di /, sia o la mi- nima distanza di / dai punti di V, e descriviamo il cerchio (0) di centro zero e raggio 0. Ciò posto, consideriamo l’espressione (9) 4) alli gp(i) a(l — x) dt. Per la scelta della linea d'integrazione e per essere preso entro W,, le singolarità di @(f— ) sono i punti {= x + »v, che cadono tutti entro U/. Al contorno /, g() ed @(f — «) sono prive di singolarità, e pertanto 4(x) rappresenta entro X, un ramo ad un valore di funzione analitica, continua- bile analiticamente in tutta la stella X di vertice 2 =0 cui tende X, quando U, tende ad U’. Ma, fatto |2|<0, si può sviluppare @(£— «) collo sviluppo di Taylor 0 > ESSA... y=0 CA e questo convergerà uniformemente per tutti i valori di { su / e di # entro (0). Si potrà quindi integrare termine a termine, e verrà così lo sviluppo di 4() in serie di potenze di 4, valido entro (9): (10) e ga SI} 2rivl. f 1 g(i) «© (1) dt. La serie (10) è dedotta dalla (8) mediante un'operazione distributiva, appartenente al gruppo permutabile colla derivazione, nel modo stesso della (2), e la funzione analitica che essa definisce non può avere le sue singolarità fuori dei posti x — v. Se, in particolare, l' insieme delle singolarità U consta di un numero finito di aree semplicemente connesse finite, escludenti il punto #=0, e più particolarmente ancora se consta di punti isolati, e se in U' e V', g(£) ed &(#) sono uniformi e g(0)=0, la 7(x) sarà una fun- zione uniforme che coincide all'infuori del segno, con quella definita al $ 3. 6. La formula che si è annunciata al principio del $ 5 per porla in riscontro colla (2), si deduce facilmente dalla (10). Supponiamo che il mas- PE n ne — e Nr Sr. Meer nn n = "i. “e li "eroe _ me roi ——————_r_— cr e ee" — 608 — simo modulo dei punti v sia inferiore al minimo modulo dei punti v. In tale caso si può descrivere una linea / chiusa, circondante il punto # = ( ed i punti v, e tutta posta entro la corona circolare in cui convergono ad un tempo gli sviluppi DI LA t di g(t) in serie di potenze intere positive a] pa pt! di «(?) in serie di potenze intere negative. Il coefficiente 9y [[for- mula (10) ] viene allora dato da Ù P } 9 7 go= a+ + Da +("5 Vate e si ottiene in tale guisa la serie (e 0) (11) > (% Egli Daka+ =) o yv=0 come definizione di una funzione analitica che fa perfetto riscontro a quella definita dalla (7), con cui può anche coincidere come nel caso accennato alla fine del paragrafo precedente, e le cui singolarità non possono trovarsi che nei punti wu — v. Non mi sembra fuori di luogo di insistere sul riscontro che passa fra le successioni dei coefficienti degli sviluppi (7) e (11); esse si possono rap- presentare simbolicamente con (a+ 4) , (a +4) formate con le successioni date 4, e /y sviluppando secondo la regola bino- miale e sostituendo, secondo un’ovvia convenzione, gli indici agli esponenti, e fra simili successioni, in più di un caso, viene fatto di notare un mani- festo parallelismo. 7. Consideriamo la funzione g(7), uniforme, regolare nell'intorno di t=00 e che, per |{|[>7r, ammetta lo sviluppo (12) gui Le singolarità di g(/) siano nei punti isolati w, , u»,... up. Sia poi a(£, 4) una funzione analitica delle due variabili #, 2, regolare per tutte le coppie di valori delle variabili, ad eccezione di quelle che verificano una o più re- lazioni analitiche (13) mut.g)=0. Si circondino i punti singolari w; di (4) mediante una linea finita / chiusa e semplice o composta di un numero finito di curve semplici chiuse non includentisi nè intersecantisi; indichiamo con U, l’area (di uno o più — 609 — pezzi) racchiusa da /; sia % un punto generico di U, o del contorno. Ad ogni punto w, la relazione (14) n(i,c)=0 fa corrispondere un sistema di punti x che, quando % descrive U, ed il con- torno, descrivono nel piano 7 un sistema di aree che indicheremo con V,. Se la linea / si deforma, restringendosi, e tendendo ad un sistema di p cerchi (v;) di centri w; e di raggi piccoli a piacere, varieranno in corrispon- denza le aree V,, tendendo ad un sistema di aree Vj; sia X, ciò che rimane dal piano x togliendovi V,, X; ciò che rimane togliendovi V;; è chiaro che X, è compreso in X;, mentre da X; sono esclusi, in generale con aree piccole a piacere, i punti radici delle equazioni (15) aree 1, 200290)! Consideriamo ora l'integrale, in cui / è percorsa nel senso positivo: 1 2rri (16) Je p(t) a(t, 7) dt. Per ogni punto x di X,, non cade alcuna singolarità di «(f,) sulla linea / nè nel campo U, da essa racchiuso, poichè se % fosse una tale sin- golarità, x sarebbe radice della (14), cioè apparterrebbe a V,. Perciò, per « in X,, l'integrale (16) è uguale a (17) Ac) = SS g(t) a(t, a) dt, dri Ei (ui) e se i punti radici delle (15) sono separati, 4(x) è una funzione analitica, rappresentata da (16) entro X, e da (17) entro tutto X,. Ciò posto, abbiasi per «(#,) uno sviluppo in serie di potenze di # (18) (909) = 2 a(2) AA le @,(2) sono funzioni analitiche determinate ed il raggio di convergenza dello sviluppo è, in generale, funzione di #: ad un raggio di convergenza superiore ad un numero positivo e corrisponde un campo R, nel piano x, e per c > ce, Ry è contenuto in R,. Per un dato #, |t| — 3° (in tutto S') u=v=w=0. RE che u,v,w siano integrali delle equazioni (1) della (L) o spazio S, e che nei punti di o si abbia: — 615 — PA AE Risulta anche qui dalle (2), (3) della (L) per O Sl indicando con a,b,c tre costanti arbitrarie, (in tutto S) u=ta vd, WC 6. Siano u(@, 8), v(a, 8), w(a@,f) tre funzioni finite e continue dei punti di o, date ad arbitrio. Si consideri il sistema di equazioni funzionali ('): - —u( , Bo) — P(& » Bo) — = | }Xo(a ,P;3% ,Bo)-g(a, B)

i rappresentano nei punti del campo infinito S' gli integrali dell'equilibrio dei solidi elastici isotropi, corrispondenti ai va- lori arbitrariamente dati su o: u(a, 8), v(a,L),v(a, f). Meccanica. — Su/ problema derivato di Dirichlet, sul problema dell’elettrostatistica e sull’integrazione delle equazioni dell’ela- sticità. Nota di G. LAURICELLA, presentata dal Socio V. VOLTERRA Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sopra gli invarianti di una varietà algebrica a tre dimensioni rispetto alle trasformazioni birazionali. Nota del prof. MARINO PANNELLI, presentata dal Corrispondente G. CASTEL- NUOVO. In una precedente Nota (') ho dimostrato l’esistenza di alcuni inva- rianti numerici di una varietà algebrica a tre dimensioni; in questa, studio il loro modo di comportarsi rispetto alle trasformazioni birazionali della varietà (*). 1. Si trasformi dunque birazionalmente la varietà W, supposta im- mersa in un iperspazio e priva di elementi singolari, in un’altra W'. In W si abbiano o punti T,(h=1,2,3,...0) e curve R(f=1,2,83,... 7) fon- damentali per la trasformazione. Sia o, il genere di un curva Rx, 4 il numero dei suoi rami passanti per T, ed 7, il suo grado di multiplicità per (1) Sopra alcuni caratteri di una varietà algebrica a tre dimensioni. Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. XV, 1° sem. 1906. (2) Le dimostrazioni dei risultati qui esposti sono in alcuni punti forse troppo con- cise; ciò è dovuto soltanto alla ristrettezza dello spazio concessomi. Così non ho potuto riprodurre gli esempi esaminati per chiarire e confermare i risultati stessi. RenpIcONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 79 — 620 — una superficie generica del sistema trasformante la varietà W in W'. Ri- guardo a questi gradi di multiplicità può sempre supporsi che sia NE (6 NAEANESZATO In fine si indichi con d, il numero totale dei punti d'appoggio di una curva R, con tutte le altre curve fondamentali i cui gradi di multiplicità sono inferiori ad 27; e con d, quello dei punti d'appoggio della medesima curva con tutte le successive. Ad ogni curva fondamentale R, di W corrisponde in W' una super- ficie R, contenente un fascio, di genere 0,, costituito dalle curve razionali corrispondenti ai punti di Rx. Quindi il genere aritmetico di questa super- ficie è — ox. Inoltre il fascio anzidetto possiede d, curve, ciascuna spezzan- tesi in due, aventi un punto comune, ed oltre queste non contiene nessun'altra curva dotata di un punto doppio. Perciò l'invariante di Castelnuovo-Enriques della medesima superficie Ry è: — Bor di +9. Ad ogni punto fondamentale T, di W corrisponde in W' una superficie razionale T},, dotata di D An curve eccezionali, corrispondenti ai punti infi- k nitamente vicini a T, e appartenenti ai rami delle curve Ry passanti per Tx. Quindi il genere aritmetico di questa superficie T}, è O, e l'invariante di Castelnuovo-Enriques ad essa relativo è: 10 = DE Znk k Come è noto (*) la formazione degli invarianti numerici della varietà W per mezzo di un sistema |S| di superficie S, è indipendente dalla scelta del sistema medesimo; perciò può supporsi che questo abbia una posizione ge- nerale rispetto agli elementi di W, che sono fondamentali per la trasforma- zione, come accade p. es. per il sistema delle sezioni spaziali. Se sì indica con P il genere aritmetico di una superficie S di un sistema siffatto; con p il genere dell’intersezione di due qualsivogliano delle sue superficie : con x il numero dei punti comuni a tre delle superficie medesime; e se inoltre P', p',w hanno gli analoghi significati rispetto agli enti corrispondenti del si- stema |S'| che in W' corrisponde ad |S|, si ha: (1) Pie — pin Una superficie del sistema aggiunto ad |S'| si compone di una superficie S;, corrispondente ad una superficie S, del sistema |S,| aggiunto ad |S|; di (') Pannelli, loc. cit. — 621 — tutte le superficie R,, ciascuna contata una sola volta; e di tutte le super- ficie T},, ciascuna contata due volte (!). Il sistema aggiunto ad |S'| è dunque: 2) i+ > R+2X Ti]. 2. Ciò premesso, si vuole in primo luogo dimostrare che 4 è un inva- riante assoluto. A tale oggetto si ricordi che questo-invariante formato per la varietà W, per mezzo del sistema |S|, è definito dalla formola: 84=8P,— Q,—SP+2p-n_-15 dove P,p,% hanno significati già loro attribuiti, ed inoltre P, ed £, sono il genere aritmetico e l'invariante di Castelnuovo-Enriques di una super- ficie S,. Quindi, se per formare l'invariante analogo 4’ della varietà W' si fa uso del sistema trasformato |S'|, si ha: ed ="8P: — RL — 8P+ 29 Da 15 dove P',p',n' hanno ancora i significati già loro attribuiti, ed inoltre P/, ed 2 sono il genere aritmetico e l’invariante di Castelnuovo-Enriques di una superficie del sistema (2). Dal confronto delle due formole precedenti, segue subito, tenendo conto delle (1), che l’invarianza assoluta di 4 rimane dimostrata, se si prova l'eguaglianza: (3) SP, — Q,= 8P, — a. Ora per calcolare la prima di queste due differenze si applichi la for- mola (°) relativa alla somma di v superficie F. Nel caso attuale in cui questa somma è quella che costituisce una su- perficie del sistema (2), si ha dapprima: v=204 +1 epperò: (5) 9v—-1)= 180 + 9. (1) Questa proprietà si dimostra come l’analoga sulle superficie ; Enriques, /ntorno ai fondamenti della Geometria ecc. n. 21. Atti dell’Acc. di Torino, vol. XXXVII. (2) Pannelli, loc. cit., n. 1. Inoltre: a) Il genere aritmetico di una superficie S,, è eguale a quello P, della superficie corrispondente S,; di più (n. 1) il genere aritmetico di una superficie R. è — ox, e quello di una T} è 0. Quindi: (6) DIE, a at, —_ dor. k 5) Una superficie generica S, non passa per nessun punto T,, mentre incontra ogni curva Rx in @ punti. Quindi la superficie corrispondente S/ possiede > @, curve eccezionali. Perciò, siccome si è già indicato con 2, k l'invariante di Castelnuovo-Enriques di una superficie S,, così quello della superficie Sì, è: 2, pars day o TE Gli invarianti analoghi delle superficie R,, e T} sono già stati determinati (n. 1). Si ha dunque: (7) Do=Q2—-Ya—8Yor— dd + 9 + 200 — 2 Y Ann. k k k hk c) Si ha poi: D (FE; Fi) = D (8 Bk Bi) + 25 (8 TA Tha) + DST TA) + 2 (Sa Bk Th) + 23 (Tx Ty Tam) + 2) (TT, Th) dove gli indici XK, %",%" e h,hN,h'" debbono variare da 1 sino a 7, 0a 0, rispettivamente; ma nello stesso termine non possono prendere valori eguali. Ora, una superficie generica S, non passa per nessun punto T,, nè per nessuno dei punti comuni a due curve R,; perciò si ha intanto: (SR Ro) VEDI DIRT) NRE Tre curve fondamentali Rx non hanno in generale punti comuni, e così due di esse non hanno punti comuni infinitamente vicini ad uno stesso punto fondamentale T,; quindi in tale ipotesi, si ha ancora: > (Ri Rw Rim))= > (Ri Rat) 00! (1) Non è difficile vedere come si modificano queste e le altre formole, se l’ipotesi ora fatta non è verificata; ma le modificazioni, che si debbono introdurre, non alterano il risultato finale. — 623 — Le superficie corrispondenti a due punti fondamentali non si tagliano in linee variabili; epperò: DIRTI) SITI) = DAREI) =0. Infine, una curva Rx ha 4 punti infinitamente vicini a T,; e per con- seguenza la superficie R; ha in comune con la superficie T}, altrettante curve razionali, eccezionali tanto per l'una quanto per l’altra superficie. Considerate come appartenenti ad R;, il grado d’intersezione di ciascuna di esse con sè stessa è 0, e conseguentemente: > (Ri 1A Th) — ik Si ha dunque: (8) D(F;F;F)=0. d) Infine è: X(E;E:E)= Y-(8,86R4) +23 (8585 TH) + Y(R4R4 8%) + Y (RR Ri) +2 Y (Ri RKTH) + 2[ DOTI 84) + DDT RE) + DOTT) + DTA) ]. Ora, una curva generica (S,5,) non si appoggia alle curve Rx, nè passa per i punti Ty; perciò si ha intanto: DS 85 Br) = D_ (SS T1)=0. Agli @; punti d’intersezione di una superficie S, con una curva Rx cor- rispondono sulla superficie S,, altrettante curve eccezionali, e il grado d'in- tersezione di ciascuna con sè stessa è — 1. Quindi si ha ancora: > (BB) =— da k Ogni curva Rx viene incontrata in 4, punti complessivamente dalle curve Rw, i cui gradi di multiplicità per le superficie del sistema trasfor- mante la varietà W in W' sono inferiori ad éx. A ciascuno di questi punti corrisponde una curva composta da altre due, aventi un punto comune, una delle quali appartiene alle due superficie R, ed Ry. Il grado d'intersezione di questa componente con sè stessa, considerata sulla superficie R., è — 1, mentre, considerata sulla superficie R,r, è 0. Per conseguenza si trova: DB; Bi Bh) = — Di. — 624 — In modo analogo, osservando che una superficie T;, ha in comune 4 curve eccezionali con una superficie R;., si ottiene: D (Rx R, T,) tu Din . hk Inoltre, si è già trovato precedentemente (c): xe = MIT VM T)=0. Le superficie S, del sistema |S| passanti per un medesimo punto T, formano un sistema |S,|, contenuto in |S|, del grado x — 1, cui corrisponde in W' un sistema costituito da superficie, ciascuna delle quali è la somma della superficie T;}, con una superficie St di un determinato sistema |St| del medesimo grado n — 1 di |S|. Tre superficie St + T} si debbono incontrare in » punti; epperò si ha l'eguaglianza: (9) (Si Si 81) + 3(S1 81 Th) 4 3(SIT, T.) + (I TT) = nella quale, in virtù del grado del sistema |S:|, è intanto: (SS Si) = — 1. Inoltre, poichè la curva (S,8,) ha un sol punto infinitamente vicino a T,, si ha ancora: (SOT) = 1. Infine, a T,, che è un punto fondamentale per una superficie S, , corrisponde sopra Si una curva eccezionale, il cui grado d’'intersezione con sè stessa è — 1; quindi: (ST TI) = —1 Con ciò l'eguaglianza (9) somministra (T,T,T,)=1 epperò sì ha infine: VT T)=0. Dunque: (10) > (F; F, Fi) = — dar — > da =" 2) Ar + 20% k k hk In tal modo sono noti i valori di tutti i termini della formola (4), quando essa si applichi per calcolare la differenza 8P, — 2, valori dati dalle (5), (6), (7), (S8) e (10). Facendo le sostituzioni si trova che la formola — 625 — stessa (4) si riduce alla eguaglianza (3), la quale così rimane dimostrata, e quindi, come si è osservato in principio, si può concludere: L’invariante 4 è un invariante assoluto. 3. Si passi ora a studiare il modo di comportarsi degli altri inva- rianti, rispetto alle trasformazioni birazionali della varietà. Si ricordi dapprima, che fra 4, 4%, 4,4 hanno luogo le rela- zioni ('): (AV Taane 4) — AO e 95 AO A 1 —_- 4A, Se 4%, AP, 4 sono gli stessi invarianti per la varietà trasformata W'. essendo 4 un invariante assoluto (n. 2), si ha analogamente: BAD - A) 49-25, AP-1=44?. Da queste relazioni e dalle precedenti segue: (11) ANTA AI) - 49. Ciò premesso, conviene anzitutto esaminare l'invariante 4° definito dalla formola (?): (12) AO =NR—-BLH4 6p — An—3 dove £ è l’invariante di Castelnuovo-Enriques di una superficie del sistema S|, p ed x hannoi significati già loro attribuiti ed 7, è il grado del sistema aggiunto |Sa|. Quindi, facendo uso del sistema |S'| corrispondente ad |S|, si cerchi l'espressione dell'invariante analogo 4°, per la varietà W', dedotta da W mediante una trasformazione birazionale, che abbia in W un sol punto fon- damentale T. In questa ipotesi, il sistema aggiunto ad |S'| è [Sg + 2T"|, il cui grado è: (81.88) + 6(8.8T) + 128.1 T)+8(1"T 1) Na + 8 perchè il grado (S.S Sa) del sistema |S,| è eguale a quello, n, di |S.|, e di più (n. 2, c) e d)) si ha: (GST)=(STT)=-0 , (PET)=1. ossia: Inoltre, l’invariante £'’ di Castelnuovo-Enriques di una superficie S' è eguale a quello 2 di S, poichè, per le ipotesi fatte, sopra la superficie S' non si hanno curve eccezionali. Quindi, tenendo presenti le relazioni (1) sì trova: A?P=n+8—-3L2+4+ 6p— 4n — 3 (1) Pannelli, loc. cit., n. 4 e 5. (2) Pannelli, loc. cit., n. 5. — 626 — donde, per la (12), segue: AR =A4® La) epperò : 1°) In virtù della particolare trasformazione birazionale considerata l’invariante 4° di W aumenta di 8 unità. Dalla relazione precedente e dalla (11) si deduce: 4° — AV | 4° e quindi sì ha ancora: 2°) In virtù della medesima trasformazione, l’invariante 4 di W aumenta di 4 unità. L'invariante 4 di W è definito dalla formola (!): (13) AV=P,—P_L4+3p—2n—-3 dove P, è il genere aritmetico di una superficie S,, e gli altri simboli hanno significati già stabiliti. Quindi, facendo uso del sistema |S'| corrispondente ad |S|, si calcoli l’invariante 4” della varietà W', dedotta da W mediante una trasforma- zione birazionale, che abbia in W un numero o di punti fondamentali T,. In questa ipotesi, il sistema aggiunto ad |S'| è |SL +2 D_T,|, e il ge- h nere aritmetico di una sua superficie è (*): (14) Py +-X dove per lo scopo che qui si ha in mira, è inutile scrivere esplicitamente i termini contenuti in X.. Come nel caso precedente, è £'= 2. Quindi tenendo presenti le rela- zioni (1), si trova: AN=P, +X—-P_Q43p— 2a —3 donde, per la (13), segue: AD A + X. D'altra parte, per la proprietà 2°), si ha: AV=AIVH 40, Dal confronto di questa eguaglianza con la precedente, si deduce: X= 40 e quindi, in virtù della (14), si conclude: 3°) Il genere aritmetico di una superficie 8, +2 > T, è Pa + 40. h (2) Pannelli, loc. cit., n. 4. (2) Pannelli, loc. cit., n. 1. — 627 — 4. Ciò stabilito, si consideri la trasformazione generale della varietà W in un'altra W', definita nel n. 1, e in questa ipotesi si calcoli l’invariante 41” di W', per mezzo del sistema |S'|. Il sistema aggiunto ad |S'| è il sistema (2), e il genere aritmetico di una sua superficie è eguale alla somma dei generi aritmetici delle due superficie S, +2 > T; e > R;, aumentata del genere della intersezione h k delle superficie medesime. a) Il modo di comportarsi delle superficie T, fra loro e rispetto alla superficie S,, è indipendente dalla esistenza in W delle curve R,, queste curve non avendo altro effetto, quando passano per i punti T,, come qui sì suppone, che di introdurre sulle superficie T}, delle curve eccezionali, le quali non influiscono sul genere aritmetico della superficie S, +2 > T}. Quindi h (n. 3, 3°)) questo genere aritmetico è P, | 40. 5) Con un procedimento di ripetizione, si trova che il genere arit- metico della superficio > R} è: k k=T-1 =1 E poichè una curva R, si appoggia complessivamente in d, punti a tutte le curve successive (n. 1), si ha: g(Ri , Riti + Ris + i + R.) — di dx + di donde: k=tT-1 D: 9(Rr, Ria + Rie + + RI =—LV +1. k=1 Quindi il genere aritmetico della superficie DARE è: k —\Yeor—- Md +e—-1 n — Gi k k indicando con g il genere della curva composta da tutte le curve fondamen- . tali kx . È c) L'intersezione delle due superficie S +2 > T} e > R; si com- h k pone di 7 4+- 207 curve, due qualunque delle quali non hanno punti comuni; quindi il suo genere è: D o(8;R) +2 g(T1R) — e 20e +1. hk Ora, poichè una curva Rx incontra una superficie S, in @, punti, si ha: DIR) — date RenpICONTI. 1906, Vol. XV. 1° Sem. 80 — 628 — Inoltre, siccome una curva Ry possiede in ogni T, un punto multiplo secondo Znx, così si ha ancora: Dg(T,R)=— YaAmt+oc=—4+07 nh Tk ove si chiami 4 il numero totale dei rami delle curve Rx passanti per i punti T,. Ì Così per il genere dell'intersezione delle due superficie S, +2 > T} h e \ Ri si trova: k — NAM k Quindi, per quanto si è osservato in principio, il genere aritmetico di una superficie del sistema (2), è: P,+4-0-2—Yea+1. k Se si dice #, il numero delle intersezioni di una superficie S con una curva R,, l'invariante di Castelnuovo-Enriques della superficie corrispon- dente S' è: Qo_-) Br. k Infine, i valori di P',p',%' sono dati dalle formole (1). Così si hanno tutti gli elementi necessari per calcolare l’invariante 4”, definito dalla formola (13) applicata al sistema |S'| della varietà W'; quindi sl trova: AN=P,+do — 9—-24—) a +1—-P_L+D f+3p—2n—-3 Rk k donde, tenendo presente la stessa formola (13) ed osservando che l’espressione: SI (kio Dir: k k è il carattere d'immersione @ della curva composta da tutte le curve fonda- mentali Ry ('), segue: AV = AM Ag (049 DI (1) In virtù della proprietà fondamentale delle superficie aggiunte (Pannelli, loc. cit., n. 1, teor. IV), si ha: |Sa — S|=1S— S' donde, indicando con K una curva qualunque (semplice o composta) della varietà W segue (KSa) — (KS) = (KS) — (KS) il che dimostra che il numero (KSa) — (KS) non dipende dalla scelta del sistema [S|], ma solo dalla curva K in quanto è data nella varietà W. Questo numero chiamasi carattere d'immersione della curva K nella varietà W. Dunque: Se la varietà W si trasforma birazionalmente nella varietà W', l'invariante AV di W aumenta del numero: [4o — (©-+-0+22—1)]—[4o— (+9 +22 — 1)] dove o è il numero dei punti, 0 il genere e 0 il carattere d'immersione della curva composta dalle curve. che insieme a quei punti costituiscono in W gli elementi fondamentali della trasformazione e À è il numero totale dei rami di queste curve passanti per i punti medesimi. Inoltre o' , g',0' e d' hanno i medesimi significati rispetto agli elementi fondamentali di W', che sono semplici per questa varietà. Per mezzo delle relazioni che legano 4° agli altri invarianti 4°, 4%, 4 è facile, volendo, trovare le modificazioni che subiscono questi stessi invarianti nelle trasformazioni birazionali della varietà. Matematica. — Sur les fonctions derivées. Nota di HENRI LeBESGUE, presentata dal Socio C. SEGRE. Fisica. — Sopra un nuovo sistema di telegrafia senza filo. Nota di ALESSANDRO ARTOM, presentata dal Corrispondente G. GRASSI. Fisica. — Sulla variazione di isteresi nei corpi magnetici in campi Ferraris sotto l’azione di correnti continue, interrotte ed alternate e di onde hertziane. Nota del prof. RiccARDO ARNÒ, presentata dal Socio G. CoLomBo. Le precedenti Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Contributo allo studio dell’isomorfismo fra il tellurio ed èl selenio (). Nota di GrovANnNI PELLINI, presentata dal Corrispondente R. NASINI. La posizione del tellurio nel gruppo sesto del sistema periodico, mentre è resa ragionevole dalle spiccate analogie di questo elemento con lo zolfo ed il selenio, è ostacolata dai caratteri principali che determinarono Ja posizione degli elementi nel sistema, il peso atomico e le relazioni di isomorfismo. (') Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale dell’Università di Padova. — 630 — Per ciò che si riferisce al peso atomico, noi abbiamo una serie di deter- minazioni concordanti nel valore di 127,6: valore troppo elevato in confronto a quello dello iodio che sì trova nella stessa serie eterologa nel gruppo set- timo. La differenza è piccola, e tanto più piccola dopo le ultime ricerche sul peso atomico dello iodio: per cui non è improbabile che si possa abbassare il valore spettante al tellurio, con lo studio più accurato dei suoi composti ed in special modo con il perfezionamento dei metodi analitici. Del resto, anche col peso atomico attuale, l'Ostwald (') ed il Seubert (?) ritengono che non vi sia sufficiente ragione di separare un elemento dai suoi omologhi per piccole variazioni nel suo peso atomico, in modo analogo ai casi nichel- cobalto e argo-potassio: ed a maggior ragione quando un altro carattere pecu- liare per la determinazione del posto degli elementi nella classificazione, come l'isomorfismo, venga ad essere posto in tutta la sua evidenza anche per il tellurio: le ricerche sul peso atomico acquisterebbero una nuova e maggiore importanza. Ora la questione dell'isomorfismo è rimasta pressochè insoluta, avendo gli studî compiuti in tale argomento portato un contributo troppo piccolo e troppo incerto. Nella serie degli elementi isomorfogeni, il tellurio viene collocato tanto coi metalli del platino, quanto con lo zolfo ed il selenio (5). Per la prima serie stanno le argomentazioni del Retgers (‘) fondate principalmente sulla somiglianza cristallina dell’osmiato potassico col tellurato potassico da una parte, e dall'altra sulla mancanza di somiglianza cristallina dei tellurati coi ferrati, manganati, solfati e seleniati. Inoltre il tellurio è come molti metalli della serie del platino esagonale-romboedrico: ed infine si hanno composti del tipo R!R'" CL che cristallizzano in ottaedri regolari, dove R! è Te, Pt, Sn,Si, ecc. Invece la posizione del tellurio nella serie isomorfogena dello zolfo è sostenuta dal Muthmann (*) per l'isomorfismo del tellurio con la modifica- zione metallica del selenio (sistema esagonale), e l'isomorfismo del bromuro di selenio e potassio ed il cloruro di tellurio e potassio. Recentemente poi Norris e Mommers (°) hanno riscontrato l’isomorfismo fra cloruri e bromuri doppî di selenio e tellurio con la dimetilammina, mentre il composto ana- logo del platino non è isomorfo con quelli. (1) Grundlinien der anorg. Chemie. (2) Zeit. fiir anorg. Chemie, 33. 246. (3) A. Arzruni, Die Beziehungen zwischen Krystallform und chem. Zusammenset- zung, pagg. 106 e 110; Graham-Otto, I Band. (4) Zeit. fir anorg. Chemie, /2. 98. (5) Zeit. Kryst., /7. 857; Berichte, 26. 1008. (6) American chem. Journ., 23. 486. — 631 — È evidente che le relazioni di isomorfismo fra selenio e tellurio sono assai poco spiccate, ed assai meno furono trovate con lo zolfo. Nè sarebbe ragionevole ritenere probabile una stretta analogia del tellurio coi suoi omo- loghi dato il suo peso atomico elevato: col crescere del peso atomico le rela- zioni di isomorfismo si fanno, per regola generale, meno spiccate; e ciò in accordo colla variazione dei caratteri chimici e fisici che sono tanto diversi fra selenio e tellurio ed ancor più fra tellurio e zolfo. Per cui lo studio di Norris e Mommers sui cloruri e bromuri doppî di selenio e tellurio con la dimetilammina, ci rappresenta finora la prova più attendibile delle relazioni di isomorfismo del tellurio col selenio: benchè si tratti di composti isomorfogeni molto complessi, dove i caratteri individuali degli elementi sono mascherati dai gruppi che vi sono uniti; e benchè i citati autori si siano limitati ad osservare sotto il campo del microscopio la for- mazione di cristalli misti col metodo di Retgers, basato sulla colorazione assunta da cristalli di miscela fra componente colorato e componente incoloro : per cui non si può stabilire se si tratta di vero isomorfismo o di isodimor- fismo. Notevole poi il fatto della mancanza di miscibilità col composto cor- rispondente del platino. Una maggior somma di dati stanno invece a provare la mancanza di isomorfismo fra solfo, selenio e tellurio. Finora non si è avuto un solo caso di isomorfismo fra solfati o seleniati coi tellurati. Lo studio deve essere limitato ai tellurati alcalini, gli unici solubili nell'acqua. Essi differenziano dai solfati e seleniati per la loro scarsa solubilità, per la forma cristallina e per il contenuto in acqua di cristallizzazione. Lo studio sui tellurati è ancora incompleto specie per ciò che riguarda i tellurati di ammonio e di litio, e non è perciò esclusa la possibilità di rinvenire una forma la quale stia in relazione isomorfa coi seleniati e solfati. Finora gli studî del Ret- gers (!) dello Staudenmayer (*), del Norris (*) diedero risultati negativi. Il Retgers si è servito del metodo microscopico, ed ha dimostrato come il manganato potassico ed il ferrato potassico diano miscela isomorfa coi solfati, seleniati, cromati, volframati, molibdati, mentre ciò non avviene col tellurato potassico. Alle prove negative del Retgers si aggiungono quelle dello Staudenmayer, il quale ritenendo che il metodo del Retgers non possa prestarsi ad una affermazione decisiva, ha istituito una serie di esperienze in grande. Però facendo cristallizzare alla temperatura ambiente soluzioni di solfato-cromato-molibdato-volframato potassico con aggiunta di tellurato po- tassico, non ha ottenuto nessuna formazione di cristalli misti. Così pure Norris e Kingmann, ritenendo che il piccolo contenuto in acqua di cristal- (1) Zeit. fir phys. Chemìe, 8. 70; 10. 529. (2) Zeit. fir anorg. Chemie, /0. 217. — 632 — lizzazione del tellurato acido di rubidio (Rb H Te0,+!/H,0) non costi- tuisce un ostacolo rilevante alla possibile formazione di cristalli misti col seleniato acido di rubidio (Rb H Se0,) hanno sottoposto a lenta cristalliz- zazione alla temperatura ordinaria quantità equimolecolari dei due sali senza poter stabilire in modo decisivo una qualsiasi relazione di isomorfismo. Le prove dei citati autori non ci rendono però conto della incapacità assoluta dei tellurati a dare miscele isomorfe coi solfati, seleniati, ecc., poichè non furono provate tutte quelle condizioni fisiche che permettono l'esplicazione dell'iso- morfismo nei casi in cui la posizione degli elementi nel sistema periodico lo renda assai meno evidente e più difficile ad ottenersi. Il Retgers (') sempre col metodo microscopico riscontrò isomorfismo fra l'osmiato potassico ed il tellurato potassico. E specialmente per questo fatto a cui aggiunge la grandezza del peso atomico e la mancanza di isomorfismo nelle forme tipiche del gruppo sesto, sì ritiene autorizzato a collocare il tel- lurio nell'ottavo gruppo col rutenio e l’osmio. Si noti che il tellurato potassico cristallizza comunemente con cinque molecole di acqua e solo in condizioni speciali con due molecole. Ed è precisamente quest'ultima forma (KsTe0,+ 2H,0) che si mostra isomorfa coll’osmiato potassico (Ks 050,+-2H,0). Il sistema periodico ci insegna come l'identità della forma di combinazione sia accompagnata da relazioni di isomorfismo; ciò che si verifica per elementi i quali hanno una posizione ben determinata e diversa nella classificazione. E qui appunto si tratta di uno di questi casi, causato dall’uguale contenuto di acqua di cristallizzazione. Del resto perchè il rutenato potassico (K,Ru0, + H,0) esperimentato dal Retgers (?) non è isomorfo con l’'osmiato corrispon- dente? Eppure rutenio ed osmio stanno fra loro in serie omologa. Questa man- canza deve attribuirsi al contenuto diverso in acqua di cristallizzazione dei due sali, da cui dipende anche la mancanza di isomorfismo dei rutenati coi solfati e seleniati. Invece la constatazione di isomorfia fra solfati e seleniati coi tellurati avrebbe ben altra importanza: poichè malgrado l'osservazione che l'isomorfismo sì possa attribuire alla stessa forma di combinazione è però in questo caso la forma più elevata e limite del gruppo sesto. In favore dell’isomorfismo del tellurio con lo zolfo ed il selenio stanno le ricerche del Muthmann. I doppî alogenati del tellurio e selenio col potassio e l'ammonio cristal lizzano in ottaedri regolari (3): ma questo fatto non può avere grande impor- tanza, poichè sali doppî regolari della stessa composizione li danno anche ele- menti com silicio, piombo, stagno, platino che non sono isomorfi fra loro (*). (1) Zeit. fir phys. Chemie, 2/0. 593. (*) Zeit. fir phys. Chemie, 10. 588. (8) Berichte chem. Gesell., 26. 1008. (4) Retgers, Zeit. fiir phys. Chemie, /2. 595. — 633 — Il Muthmann (') si fonda anche sulla riscontrata isomorfia del tellurio con la modificazione romboedrica del selenio, ma secondo il Retgers (*) ciò non è una prova convincente di isomorfismo, poichè la maggior parte degli elementi cristallizzano monometrici od esagonali e possono cristallizzare inoltre in romboedri prossimi al cubo come è il caso del selenio e tellurio. Il Muthmann cita inoltre come esempio di isomorfia fra selenio e tellurio il rinvenimento frequente in natura di tellurio elementare mescolato a selenio, come nei cristalli di tellurio di Faczebaya che contengono 5,8 °/, di selenio corrispondenti cristallograficamente a quelli di selenio da lui studiati, e come nei cristalli di tellurio dell'Honduras contenenti il 29,31 °/, di selenio. Il Retgers però afferma che a causa della mancanza di trasparenza dei cristalli, la prova chimica non è indizio sufficiente di miscuglio isomorfo e potrebbe anche trattarsi di semplici miscugli meccanici: occorrerebbe dimo- strare che le proprietà fisiche (prove di corrosione) sono una funzione della variazione di composizione chimica. Le ricerche da lui istituite sulla forma- zione di cristalli misti di zolfo e tellurio depositantesi dalla soluzione unica dei due elementi nel ioduro di metilene, hanno dato risultati negativi (*). Entrambi gli elementi cristallizzano separati. Però riguardo a queste prove di solubilità nel ioduro di metilene anche le conclusioni del Retgers sono errate, perchè tanto il Muthmann (4) quanto recentemente il Gutbier (*) hanno di- mostrato che la solubilità del tellurio nel ioduro di metilene dipende per lo meno in massima parte da una combinazione chimica fra iodio e tellurio, e non può avere che pochissima importanza nella ricerca dell’isomorfismo data la piccolissima solubilità (gr. 0,1 di tellurio in 100 gr. di ioduro di metilene). Infine si vorrebbe riconoscere una relazione di isomorfismo fra tellurio, se- lenio e zolfo dal fatto che i tellururi, seleniuri, solfuri di piombo (°) ed argento (Ags Te-Pb Te-Ag,Se-Pb Se-Ag,S-Pb S) cristallizzano tutti regolari: ma in causa della troppa semplicità della forma di combinazione è anche naturale che essi si presentino in forme semplici monometriche: potrebbe trattarsi di puro iso- gonismo per il fatto che sono monometrici: delle esperienze di corrosione su questi cristalli porterebbero certamente una maggior luce in proposito. Tut- tavia il trovarsi questi minerali spesso mescolati ha un certo valore e ci rammenta una analogia di formazione. Gli studî sulla tetradimite (Bi, Te) costituiscono un argomento in fa- vore dell'isomorfismo fra tellurio e solfo. Il Groth (*) pone in serie isomorfa (*) Zeit. Kryst., 17. 857. (2) Zeit. fiùr phys. Chemie, 9. 399; Zeit. fùr anorg. Chemie, /2. 103. (3) Zeit. fir phys. Chemie, 12. 593. (4) Zeit. fir anorg. Chem. 70. 218. (5) Zeit. fr anorg. Chemie, 32. 42. (°) Zeit. fur phys. Chemie, /4. pag. 17 e 16. 654. (°) Tabellar. Uebersicht der Mineralien, 1889, pagg. 14-16. — 634 — l’arsenico, l'antimonio, il bismuto, il tellurio, la tetradimite che cristallizzano in romboedri simili al cubo. Egli ritiene che la tetradimite sia un miscuglio isomorfo di bismuto e tellurio piuttosto che una combinazione chimica avente relazione isomorfa con i solfuri di arsenico, antimonio, bismuto. Il Retgers (') combatte queste opinioni: perchè bismuto e tellurio si comportano chimica- mente in modo diverso: perchè l'analisi delle tetradimiti più pure ci dimostra la presenza degli elementi in rapporti stechiometrici definiti: perchè pur avendo il composto Bi, Tez lo stesso sistema cristallino del tellurio e bismuto ne diversifica notevolmente per i rapporti assiali. Ritiene poi dubbio l’ag- gruppamento delle tetradimiti col gruppo As, Ss, Sb, S3 , Bi,S3 a causa della semplice forma cristallina che spesso si verifica in natura, senza che altri criterî fisici abbiano ad avvalorare l'ipotesi di una isomorfia. Per la tetra- dimite sembra oramai fuori di dubbio che si tratti di un vero composto, come lo comprova anche lo studio recente chimico fisico del Mòonkemeyer (?). Notevoli sono le analisi di Muthmann e Schoder (*) su alcune tetradimiti le quali dimostrano come lo solfo si possa sostituire in rapporti variabili al tellurio senza variazioni nell’abito cristallino: il che parla in favore di una spiccata relazione di isomorfismo dei due elementi. Nell'affrontare l'intricato e complesso problema, io mi sono proposto lo studio delle più svariate forme di combinazioni del selenio e tellurio per met- tere in evidenza qualunque analogia possibile fra loro. I metodi di ricerca seguiti per la prima volta in questo studio, sono fondati sulla applicazione della regola delle fasi, come quella che ha la maggior probabilità di condurci a risultati esaurienti e decisivi. PARTE SPERIMENTALE. Solubilità di cristalli misti di bromotellururo di fenile e bromoseleniuro di fenile. Uno studio cristallografico su queste due sostanze preparate per la prima volta da Kraft e Lions (') venne fatto dal dott. Billows (*) dell'Istituto di Mine- ralogia dell'Università di Padova. Da esso risulta che il dibromotellururo di fenile [(C3 H;)» Te Br,] è dimorfo: dal solfuro di carbonio cristallizza nel sistema dimetrico, dal benzolo cristallizza nel sistema triclino: i cristalli di color giallo-solfo si mantengono inalterati e lucenti all'aria se ottenuti dal solfuro di carbonio; si alterano nella massa e divengono opachi all'aria se ) Zeit. fiir phys. Chemie, 76. 610 e Zeit. fir anorg. 12. 103. 2) Zeit. fiur anorg. Chemie, 46. 415. ) (4) Ber. chem. Gesell., 27 1768. (©) Rivista di mineralogia e cristallografia italiana, vol. 28., pag. 33. — 6359 — ottenuti dal benzolo. Invece il dibromoseleniuro di fenile [(Cs H;), Se Br.] tanto dal solfuro di carbonio come dal benzolo si presenta in forme del sistema trimetrico. Gli individui cristallini sono rossi e si mantengono lucenti all'aria. Sembrerebbe perciò che anche in composti complessi selenio e tellurio non fossero isomorfogeni: ma diverse prove preliminari di forma- zione di cristalli misti hanno dimostrato come si possano ottenere cristalli a colorazione intermedia fra quella del composto del tellurio (giallo) e quella del composto del selenio (rosso): cristalli i quali all'analisi risultano conte- nere entrambi gli elementi. Ho perciò studiato la curva completa di solubilità dei cristalli misti dei due composti nel benzolo. Le soluzioni sature a freddo dei rispettivi composti vennero mescolate fra loro in differenti rapporti e poscia lasciate evaporare spontaneamente a temperatura costante di 21° gradi in un termostato. Le soluzioni erano poste in bevute a collo stretto chiuse con un tampone di ovatta leggermente com- presso per impedire una evaporazione troppo rapida del solvente. Il tutto veniva agitato frequentemente. Dopo parecchi giorni venne determinato il rapporto dei componenti su parte delle soluzioni: i cristalli depostisi in piccola quan- tità vennero separati, lavati dapprima con un po’ di benzolo, poi con alcool, etere, asciugati ed analizzati. Il metodo di analisi era il seguente: i cristalli della fase solida e quelli ottenuti per evaporazione della soluzione venivano ossidati con acido nitrico in tubo chiuso. Il prodotto di ossidazione era ripreso parecchie volte a bagno- maria con acido cloridrico (con aggiunta di cloruro sodico per impedire perdite di cloruro di selenio) fino a che cessato lo sviluppo di cloro, l'acido selenico e tellurico fossero ridotti ad acido selenioso e telluroso. Poscia, dalla soluzione acquosa cloridrica si separava il selenio con solfato di idrazina in presenza di tartrato acido di ammonio (!): nel liquido filtrato si precipitava il tellurio allo stato di solfuro con corrente di H,S: il solfuro insieme al filtro su cui veniva raccolto si trattava con acido nitrico fumante: scacciato l'acido nitrico si riprendeva con 10 cm? di acido solforico concentrato a caldo fino a scom- parsa della colorazione rossa dipendente da formazione di ossisolfuro di tellurio TeSO;. Si aggiungevano poi circa 250 cm? di soluzione satura a freddo di tartrato acido ammonico, e da questo bagno il tellurio veniva deposto elettroliticamente con l'impiego del catodo rotante (?). Il mio metodo di analisi fornisce risultati esattissimi. Dalle quantità di tellurio e selenio ottenute, si risaliva alla quantità dei singoli composti organici nei cristalli misti e nella soluzione. (') Pellini, Separazione del selenio dal tellurio. Gazz. chim. italiana, 1905, a. 514. (*) Pellini, Determinazione quantitativa del tellurio per elettrolisi. Gazz. chim. ital., 1903, a. 515. RenDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 81 — 696 — Nella tabella che segue sono riportati i risultati. Ta s 1 litro di soluzione contiene: 2& È SE Di. 5 È gr. gr. milligrammo-molecole — cs y= e ci ® 53 ta STE 3|(CsHs) TeBr: |(CxHs)s Se Bro|(CsHs)o TeBrs' (CoHy) Se Bre SS ci co aa 1 18.614 — 42.15 —_ 42.15 0 2 17.400 1.448 39.40 3.65 43.05 8.47 4.91 3 16.152 4.172 36.57 10 61 47.18 22.48 10.51 15.030 6.210 84.04 15.80 49.84 31.70 18.21 5 13.320 8.148 30.16 20.72 50 88 40.72 24.98 6 11.940 11 420 27.03 29.05 56.08 51.80 34.94 Yi 10.224 14.608 23.15 37.16 60.31 61.61 44.89 8 T.544 19.876 17.08 50.56 67.64 T4.74 51.18 9 6.780 18.984 1535 48.29 63.64 75.87 94 25 10 3.184 17.392 7.25 44.24 51.45 85 98 95.82 11 — 18.984 _ 48.29 48.29 | 100 100 Mediante i dati di questa tabella esprimendo graficamente i rapporti fra x e y si ottiene la figura qui disegnata: La figura è completamente analoga a quella data dal tipo 4° di Roo- zeboom ('). (*) Zeit. fùr phys. Chemie, 8. 525. — 637 — La serie di cristalli misti presenta una lacuna fra 51,18 — = 94,25. La soluzione, la quale dà luogo ai cristalli misti limite, contiene più composto selenico che composto tellurico ed ha il valore di 75,9 °/,. La prima specie di cristalli misti (0-51,18%, di composto selenico) appartiene al sistema triclino, cioè al tipo del tellurio-composto: la seconda serie di cristalli misti assai più limitata (94,25-100°/) appartiene al sistema trimetrico, cioè al tipo del selenio-composto. Si è dunque, nelle condizioni di temperatura da me sperimentata, in presenza di un caso assai netto di isodimorfismo. In composti complessi il tellurio è isodimorfo col selenio. Chimica. — Contributo allo studio dell’isomorfismo fra il tellurio ed il selenio. Nota di GrovANNI PELLINI, presentata dal Corrispondente R. NASINI. Chimica. — Contributo allo studio dell'isomorfismo fra se- lenio e tellurio. Nota dei dott. GrovannI PELLINI e GIOVANNI Vio, presentata dal Corrispondente R. NASINI. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sulle reazioni di doppia decomposizione fra al- cooli ed eteri composti. Nota di G. BRUNI e A. CONTARDI, presen- tata dal Socio G. KORNER. Il fatto che quando sopra un etere composto si faccia agire un alcool di- verso da quello da cui deriva l’etere, si ha in certi casi una reazione di doppio scambio secondo lo schema: RA+R,0H = R 0H-+R;A (R, e R: rappresentano due radicali alchilici e A un radicale acido) è noto già da moltissimo tempo. Le prime osservazioni degne di nota su questo argomento si debbono a Friedel e Crafts ('). Questi autori scaldando per 40 ore a 240° una miscela di acetato amilico ed alcool etilico, osservarono la formazione di una conside- vole quantità di acetato etilico. Inversamente per riscaldamento di un mi- (!) Bull. Soc. chim., 2, 108 (1864); Lieb. Ann, 133, 208 (1864). — 638 — scuglio di benzoato etilico ed alcool amilico si forma benzoato amilico. Essi conclusero quindi che « questo scambio procede in modo invertibile nel senso « che il radicale con peso equivalente maggiore sposta l’altro e viene a sua « volta spostato da questo ». Queste osservazioni rimasero isolate per quasi venti anni fino alle ri- cerche di (+. Bertoni (*) sui nitriti alchilici che costituiscono senza dubbio il gruppo più importante e relativamente completo di lavori su questo argo- mento. Questo autore, richiamando le osservazioni di Friedel e Crafts, osserva assai giustamente come quando si voglia rendere il più possibile completa una reazione di questo genere, convenga eliminare man mano che si forma uno dei nnovi prodotti affinchè esso non agisca a sua volta contro la forma- zione di nuove quantità. Basandosi su questo principio, egli fece agire sul nitrito d'amile varii alcooli a numero d'atomi di carbonio inferiore all'amilico ed osservò sempre abbondante formazione del nitrito corrispondente che egli lasciava distillare. Come era da aspettarsi, osservò che la reazione avveniva più facilmente ed in modo più completo per l'alcool metilico, indi per l'etilico e così via, in relazione alla decrescente volatilità dei nitriti relativi. Abbiamo in seguito una estesa ricerca di T. Purdie (*) il quale però fa agire gli alcooli sugli eteri composti in presenza di piccole quantità di alchi- lato sodico o di certi sali quali carbonati alcalini e cloruro di zinco, ed in quasi tutti i casi osserva uno scambio. È chiaro però che qui il fenomeno risulta meno netto e si presta a varie interpretazioni, tanto che il Purdie seguendo le idee di Claisen ammette che la reazione avvenga previa addizione di una molecola di alchilato sodico all'etere già presente. Peters (*) applicò poi il metodo di Purdie agli eteri acetacetici; egli notò che partendo dall’etere eti- lico lo scambio si ha tanto con alcool metilico, quanto con alcooli superiori, fatto da cui risulta senz'altro evidente la natura invertibile della reazione. Verosimilmente però, mentre la presenza dell’alchilato sodico facilita la rea- zione, essa non è necessaria; infatti più tardi Cohn (4) trovò che scaldando a 150° per quattro ore un miscuglio equimolecolare di mentolo e di etere acetacetico, distilla la quantità pressochè teorica di alcool etilico e il resto della massa è costituito sostanzialmente da acetato mentilico. Veniamo ora alle ricerche di Gattermann e Ritschke (*) sugli eteri del p. azossifenolo. Essi trovarono che riducendo con soluzioni di soda caustica in alcool etilico o metilico, p. nitro anisolo o p. nitrofenetolo si ottiene sempre un miscuglio di tre corpi e cioè il p. azossianisolo, il p. azossifenetolo e (1) Gazz. chim. ital, 12, 485 (1882); 74, 23 (1884). (2) Journ. chem. Soc. 5/, 627 (1887); Berichte, 20, 1554 (1887). (3) Lieb. Ann., 257, 858 (1890). (4) Monatsh. f. Ch., 2/, 200 (1900). (®) Berichte, 23, 1738 (1890). — 639 — l’etere misto metiletilico. Qui si può ripetere quanto si disse a proposito delle ricerche di Purdie; gli autori però osservarono che anche prima che cominci la riduzione, gli stessi eteri del nitrofenolo subiscono lo scambio, e che trattando ripetutamente con poco alcool, l’azossianisolo passa in soluzione l'etere metiletilico. Questo fatto che la doppia decomposizione avvenga per sem- plice azione dell'alcool all'infuori della presenza di alcali, è confermato anche da esperienze eseguite l’anno scorso da me nel laboratorio di Bologna. Infine ultimamente G. Errera (') comunicò di aver osservato che riscal- dando con alcool etilico in presenza di piccola quantità di etilato sodico l'etere metilico dell'acido naftalico, si forma l'etere etilico corrispondente. Noi abbiamo creduto interessante di studiare qualcuna di queste rea- zioni in modo quantitativo dal punto di vista chimico-fisico, stabilendo lo stato d'equilibrio cui può pervenire la reazione partendo da entrambi i due sistemi reciproci, la velocità di reazione con cui questo punto viene raggiunto, e le varie condizioni che possono avere un'influenza come la temperatura 0 la concentrazione dei corpi reagenti. In quasi tutti i casi succitati si ha questa circostanza, che uno dei prodotti della reazione viene ad essere man mano eliminato, o allo stato di vapore come nei lavori di Bertoni e di Cohn, o allo stato solido come in quelli di Gattermann, ciò che contribuisce a spo- stare continuamente l'equilibrio in un dato senso. Nei primi due lavori questa circostanza è anzi espressamente voluta, ciò che dal punto di vista prepara- tivo è infatti perfettamente razionale. Pel nostro scopo è invece necessario di mantenere il sistema sempre omogeneo e cercare di avere una indicazione sul punto a cui è giunta la reazione in seno ad essi. Questo problema presenta difficoltà grandi ed in molti casi, crediamo noi, non superabili. La determinazione quantitativa è possibile, ad esempio, nell’eterificazione perchè si può titolare l'acido eccedente, cioè ricorrere ad un processo di una velocità tanto sproporzionatamente grande rispetto a quello studiato, da non poter avere un effetto apprezzabile sullo spostamento del- l'equilibrio. Una reazione di questo genere è qui, data la natura dei corpi studiati, ben difficile a trovare. Anche il metodo di Friedel e Crafts in cui durante il riscaldamento la miscela rimane omogenea, non è però attendi- bile perchè durante la separazione dei prodotti per distillazione l'equilibrio può evidentemente spostarsi. Noi abbiamo pensato che una misura facile ad eseguirsi ed esatta po- teva aversi quando uno dei due alcooli impiegati sia otticamente attivo, purchè l'etere corrispondente abbia un potere rotatorio notevolmente differente, di- modochè spostamenti anche piccoli della reazione producano cambiamenti apprezzabili dell'angolo di rotazione. Un alcool che corrisponde alle condizioni volute fu trovato nel mentolo. (1) Rend. Soc. chim. Roma, 8, 52 (1905). — 640 — Esso ha infatti un forte potere rotatorio (!): [@]) = — 49,9° in soluzione alcoolica 20 °/,; i suoi eteri posseggono tutti un potere rotatorio notevolmente maggiore, per esempio: Acetato (?): [a].hg= — 79,42° Ossalato (*): ” — 101,59 Acetacetato (4): » — 63,5° Benzoato (*): 7 — 90.9° Facendo quindi un miscuglio del mentolo con eteri di alcooli inattivi, la formazione progressiva di eteri mentilici sarà accusata da un successivo aumento del potere rotatorio. Abbiamo anzitutto voluto esaminare se, oltre al caso già trovato dal Cohn dell'acetacetato, anche altri eteri etilici possano subire una scomposi- zione quando siano riscaldati con mentolo. Noi abbiamo quindi sperimentato sull'acetato, sul benzoato, sul malonato e sull'ossalato etilico; nei primi due casi abbiamo avuto un risultato negativo, almeno nelle condizioni da noi realizzate; negli ultimi due invece la doppia decomposizione ha luogo in mi- sura assai notevole. 1. Acetato etilico + mentolo. Si fece un miscuglio equimolecolare dei due corpi (gr. 44 di etere ace- tico + gr. 78 di mentolo): Densità a 18° = 0,898; deviazione osservata a, = — 28°,17° da cui ICZIO = — 49,099. Lasciato a sè a temperatura ordinaria dopo 20 ore si dimostrò inalterato. Si richiuse in tubo e si scaldò per 10 ore a bagno maria; riaperto il tubo si ebbe una deviazione identica alla primitiva. 2. Benzoato etilico + mentolo. Si fece un miscuglio di gr. 33,5 di etere benzoico e gr. 39 di mentolo: Dis = 0,970; ap = — 24,20° da cui [a], = — 46,22°. Riscaldato in tubo chiuso a 80° per 12 ore il miscuglio si dimostrò inalterato. Nell'ipotesi che una traccia di alcool etilico potesse agire come catalizzatore se ne aggiunsero tre goccie ad un’altra porzione che fu riscaldata come la prima. Anche questa rimase inalterata. (?) Beckmann, Journ. prakt. Ch. [2] 35, 15. (2) Tschugaeff, Berichte, .3/, 364 (1898). (3) Tschugaeff, Berichte, 35, 2473 (1902). (4) Lapworth e Hann, Journ. chem. Soc., 87, 1499 (1902). (5) Tutte le osservazioni polarimetriche qui accennate furono fatte in tubi di lun- ghezza di 1 decimetro. — 641 — 8. Ossalato dietilico + mentolo. Si mescolarono gr. 15,6 di mentolo (1 molecola) con gr. 43,8 di etere ossalico (3 molecole) (!). D.,= 1,022, a, = —12,40° da cui [ab=— 46,20". Scaldato a bagno maria dimostrò un notevole aumento del potere rota- torio; da tre tubi chiusi si ebbe infatti: dopo 4 ore: n = =BI2,040 » IVO n — —S6li3,)90° » 24 7 » = — 14,85°. 4. Malonato dietilico + mentolo. Si mescolarono gr. 15,6 di mentolo (1 molecola) con gr. 32,0 di etere malonico (2 molecole). Da = 0,994, an = — 14,90° da cui [a], = 45,740. La reazione sembra procedere assai lentamente anche a freddo; infatti dopo 18 ore si ebbe ap = — 15,100. Si scaldarono 3 tubi a bagno maria e si ebbe: dopo 4 ore: an = — 16,07° » 12°/% » n = —i17,59° » 24 ’ » = — 19,00°. Si vede quindi che tanto nel caso dell'ossalato come in quello del ma- lonato la reazione procede con discreta velocità. Nell'impiego di questi due eteri per una ricerca quantitativa sorge però una difficoltà non lieve e cioè il dubbio di una possibile formazione, oltrechè dell'etere dimentilico, anche dell’etere misto mentiletilico. Ci riserviamo di stabilire se ciò avvenga realmente; frattanto però credemmo opportuno ope- rare sull’etere di un acido monobasico e scegliemmo l'etere acetacetico già studiato dal Cohn e dal Lapworth e Hann (1. c.). Etere acetacetico + mentolo. Le esperienze qui descritte furono eseguite su miscele fatte nelle pro- porzioni seguenti: 1). Gr. 180 di acetacetato etilico (2 molecole) + gr. 78 di mentolo (1 molecola); adoperammo questa proporzione perchè il mentolo non si scioglie maggiormente a temperatura ordinaria. La miscela ora detta presentava una densità: D., = 0,970, ap = 17,20° da cui [a], = — 47,25°. 2) Ci preparammo poi una miscela uguale a quella a cui condurrebbe la reazione qualora procedesse in modo completo e cioè nel rapporto: 1 mol. (1) Il mentolo non si scioglie a temperatura ordinaria in proporzione maggiore. — 642 — acetacetato mentilico + 1 mol. alcool etilico 4+- 1 mol. acetacetato etilico. L'etere mentilico fu ottenuto secondo le indicazioni degli autori succitati e corrispondeva alle proprietà date da essi. La densità della soluzione ottenuta mescolando gr. 24 di acetacetato mentilico, gr. 4,6 di alcool etilico e gr. 13 di acetacetato etilico era: D2,° = 0,969, cioè non sensibilmente diversa da quella della miscela reciproca. Il potere rotatorio e: a, = — 36,33° da cui sì calcola per l'etere men- tilico [a], = — 64,630. Entrambe queste miscele lasciate a sè alla temperatura ambiente di circa 20° non alterano sensibilmente il loro potere rotatorio, nemmeno dopo varii giorni; ricercheremo in seguito se effettivamente la reazione non proceda in queste condizioni o se solamente la sua velocità sia divenuta così piccola da non essere apprezzabile. Comunque questo fatto ci fu di grande utilità, perchè permette dopo di aver riscaldato per un certo tempo alla tempera- tura voluta, raffreddando poi bruscamente il tubo, di eseguire le misure po- larimetriche a temperatura ordinaria anche dopo un certo tempo senza intro- durre un errore apprezzabile. Si trattava anzitutto di stabilire se la reazione sia invertibile e quale sia il punto di equilibrio a cui si giunge. Per raggiungere più rapidamente tale risultato, abbiamo operato a 100° riempiendo colle due miscele tubi che sì tenevano immersi completamente in un recipiente di acqua bollente. I ri- sultati furono i seguenti: 1) la miscela di etere acetacetico e mentolo che aveva prima un po- tere rotatorio = — 17,20° mostrava: dopo 6 ore an = — 26,07° n 14 n n = —_— 27,90° » 20 » » = — 26,26°. 2) La miscela inversa il cui angolo di rotazione iniziale era a, = — 36,33° dava dopo 24 ore ap = — 28,20°. La differenza fra i due valori finali è tanto piccola da cadere entro gli errori d'osservazione. Ammettendo per ora în via approssimativa che il potere rotatorio spe- cifico del mentolo e dell'acido mentilico restino invariati anche nelle loro so- luzioni miste, si calcolerebbe che la reazione: C3 H3 0 - COO - C, H; + Cio Hg : OH pressi C3 H- 0 - COO - C,, Hi9 + CH; - OH è a 100° in equilibrio quando su 100 parti di mentolo 57,6 si sono tras- formate nel corrispondente etere acetacetico. Questo almeno per una miscela della composizione da noi impiegata ; certamente variando i rapporti fra men- tolo ed etere acetacetico varierà anche il punto di equilibrio e su ciò abbiamo — 643 — in corso esperienze. Avendo osservato che la reazione procede a 100° con ve- locità così considerevole, abbiamo pensato che operando a temperatura alquanto inferiore si sarebbe potuto studiare più esattamente la velocità di reazione. Abbiamo quindi sperimentato a circa 80° riscaldando numerosi tubi delle due miscele nel vapore di benzolo bollente, mediante una disposizione che descri- veremo più dettagliatamente altrove; la temperatura si manteneva così esat- tamente a 79,9°. La reazione procede infatti anche a questa temperatura ma assai più lentamente. La diminuzione della velocità col decrescere della temperatura è anzi in questa reazione assai più sensibile che nella maggior parte dei casi finora studiati. Diamo senz'altro i risultati ottenuti: 1) partendo dalla miscela primitiva che presenta una deviazione ini- ziale: ap= — 17,20° si ebbe: dopo 1 ora: a, = — 17,58° ” 2 ore: IT ” 2 118:13° L) 6 L) 18,53° ” 9» 19,10° , 105 19,60° » 18» 20,63° ’ DAI 21,33° ” 80» 22,13° ” 40.» 22,83° i nl00Ngz? 25,73° 2) Partendo dalla miscela inversa di un potere rotatorio iniziale @p = — 36,33° si osservò: dopo 6 ore: a, = — 35,50° ” IUS) Ne) 33,90° È 40» 92,47° » 100 » 29,85° lobi» 28,73° A quanto si vede anche dopo 155 ore, sia partendo da un lato, sia dal- l'altro le due reazioni non si sono incontrate. Per stabilire più sollecitamente il punto di equilibrio, e nello stesso tempo per vedere se e come questo varii colla temperatura, abbiamo posto a 79,9° un tubo della miscela 1) che era stato previamente riscaldato a 100° per 24 ore e cioè per un tempo più che sufficiente a raggiungere lo stato di equilibrio, e ve lo abbiamo mantenuto per altre 16 ore; aperto abbiamo trovato a» =— 28,20° identico cioè al valore raggiunto a bagno maria. RenpICONTI: 1906, Vol. XV, 1° Sem. 82 = \ N SE eis wc SS erre LT dll PASS nt = cr E TI pe E 4 — 644 — Sembra dunque che la temperatura non abbia una influenza sensibile su questo equilibrio, analogamente a questo si osserva per l'’eterificazione dell’acido acetico. Ciò implica la condizione che la reazione avvenga senza apprezzabile svolgimento od assorbimento di calore, fatto che noi ci proponiamo di verificare. Abbiamo tentato di applicare alle due serie 1) e 2) le formole relative alla velocità delle reazioni bimolecolari e precisamente alla 1) l'equazione __.log(A —@)i==log (B —2)— (log à —log.B) s 0,4343 (A — B) 6 che vale per quantità non equivalenti dei due reattivi, alla 2) l'equazione più da A(A— 2)0 Non si ottengono però in nessuno dei due casi valori di K che presen- tino una costanza soddisfacente, ma questi valori vanno alquanto decrescendo col crescere del tempo. Ci proponiamo di studiare le cause di queste deviazioni. A queste ricerche che hauno un carattere di esperienze preliminari ed orientatrici, ne faremo seguire numerose altre che abbiamo già iniziate se- guendo un piano assai vasto. semplice K = Chimica. — Sulla formazione e scomposizione del nueleo in- dolico per mezzo dell’azione catalitica del nickel. Nota di 0. CAR- Rrasco e M. PADOA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Chimica. — Azzone dello zolfo sulle soluzioni dei sali me- tallici. Nota preliminare di A. MANUELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Chimica. — Azione det cloruro di solforile sul pirazolo. Nota di G. Mazzara e A. Borco, presentata dal Socio E. Pa- TERNÒ. Chimica. — Studio cristallografico di alcune nuove sostanze organiche. Nota del dott. FrAncESCO RANFALDI, presentata dal Socio G. STRUEVER. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 645 — Geologia. — Studio microscopico di alcune rocce della Li- quria occidentale. Nota del dott. ArIsTIDE ROSATI, presentata dal Socio G. STRUEVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Azione della benzilammina sull’a-crotonato eti- lico ('). Nota di G. SANI, presentata del Socio G. KORNER. La possibilità di sostituire una doppia legatura fra due atomi di car- bonio cogli elementi di una molecola di ammoniaca, fu da tempo dimostrata dai professori Kérner e Menozzi per gli acidi maleico e fumarico e successi- vamente, con parecchi lavori, venne affermato che tale reazione era affatto generale. Ciò che ancora ha interesse non dubbio si è lo studio dei composti con- tenenti residui delle vere ammine aromatiche in luogo di doppie legature in acidi della serie grassa, anche per vedere se prevalgono in essi le proprietà inerenti al gruppo ciclico in confronto di quelle della parte della molecola a catena aperta. Ho a tale scopo fatto agire sull’alfacrotonato etilico la benzilammina nel rapporto di 1 mol. del primo a 2 mol. della seconda, assieme ad alcool assoluto, scaldando per due giorni a 150° in tubi chiusi. Dopo questo tempo si ha abbondante formazione di cristalli raggruppati a grandi rose che, estratti dai tubi, eliminato l'alcool, vennero lavati alla pompa con grande quantità d'acqua nella quale sono perfettamente insolu- bili. La massa cristallina essiccata sopra piastre porose venne disciolta in alcool e fatta cristallizzare, poscia ricristallizzata da alcool ed etere lenta- mente. Si ebbero così cristalli splendidi, brillanti, bene sviluppati, anidri, fon- denti a 115°-116°. In ‘essi venne determinato l'azoto col metodo Kyeldhal e col metodo Dumas e fornirono i seguenti risultati: Metodo Kyeldhal. Sostanzai\presa;lisf n... < .080,3913 Cm? H° SO* normale occorsi . . 2,8 pardadtazo to See 0. van 0992 il ‘che da o, =10,107. (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Agraria del R. Istituto Superiore Agr. di Perugia. — 646 — Metodo Dumas. Sostanza ‘presa . o. 0.0.0 \gr.00,3927 Azoto ottenuto . . . . . . V= 86,30 alla pressione@i.. ;:\ \.. . . Pi=%24 alla temperatura . . . . .#=18° pari.iadi azoto. also 10/0405 il che da °/, azoto = 10.32 Ora per CH? CENHO? HE CH? CONTO H che non è altro che l'ammide benzilata dell'acido benzilamminobutirrico ; si calcola azoto °/ = 9,80 Di questo composto il prof. Artini ebbe la bontà di fare lo studio cri- stallografico e mi comunicò i seguenti risultati : « Sistema trimetrico : di PRO AMTIRTISOTAZIAR « Forme osservate: (100} - {001} - {110} - {101}. cristalli allungati secondo l’asse y . (100) - (110) = 48°, 1°. (100) - (101) = 65°, 45”. « Sfaldatura perfetta secondo {100}. Piano degli assi ottici {010}; bi- settrice acuta normale a }100{ ». Non solo il comportamento di questa distanza di fronte ai solventi e la sua forma cristallina sono caratteristici, ma ancora le sue proprietà chimiche presentano il più grande interesse; infatti la presenza di residui della ben- zilammina imparte tale stabilità alla molecola che non si riesce a separare, per saponificazione con barite, quel residuo di benzilammina che è contenuto sotto forma ammidica, mentre è noto che nelle ammidi naturali l'azoto am- midico è labilissimo. — 647 — Geologia. — A proposito della esistenza del Culm nelle Alpi Carniche. Nota di P. Vinassa DE REGNY, presentata dal Socio G. CAPELLINI. Recentemente P. G. Krause ha riaperta la questione dell’esistenza del Culm nella catena principale delle Alpi Carniche, con alcune osservazioni le quali a mio parere non apportano nuove convincenti ragioni ('). È noto che Foetterle e Stur prima e Stache più tardi, avevano espresso le loro ragioni a favore dell'esistenza del Culm nelle Alpi Carniche. Il Ta- ramelli invece in varî lavori si era dimostrato contrario. Il Frech, la cui noncuranza per qualsiasi studio nostro risulta ben chiara ad ogni pagina della sua opera, non tenne alcun conto dell'opinione del geologo italiano e segnò estesamente il Culm nelle Alpi Carniche (?). Di uguale opinione fu pure il Geyer fino al 1897. Ma in quell’epoca anche il Geyer(*) accolse l'idea del Taramelli negando l'esistenza del Culm e riferendo al Siluriano i terreni sin'allora da lui ascritti al Carbonifero inferiore. Le ricerche mie e del dott Gortani (‘), per quanto limitate a pochi ma tipici punti delle Alpi Carniche, hanno confermata la mancanza del Culm, poichè abbiamo trovato immediatamente sovrastanti ai calcari devoniani fos- siliferi ed agli scisti e calcari siluriani gli scisti pure fossiliferi del Carbo- nifero superiore, in trasgressione. Una scoperta di grande interesse fu quella della Nevrodontopteris auri- culata negli scisti nerastri addossati al devoniano del Coglians presso al ricovero Marinelli. Di essa parlai subito nella adunanza straordinaria apposi- tamente tenuta al Ricovero la sera del 22 agosto 1905 (5). Per tale scoperta, unita ad altri risultati della campagna geologica della estate scorsa, la trasgressione carbonifera veniva estesa per parecchi chilometri, come ho dimostrato in un mio recente lavoro sull'argomento (°). (1) Veber das Vorkommen von Kulm in der karnischen Hauptkette, Verh. d. k. k. geol. Reichsanst., 1906, 2, pag. 64, adun. 30 gennaio 1906. (2) Frech F., Die Xarnischen Alpen, pag. 303 e carta. (8) Veber neue Fundpunkte von Graptolitenschiefern in den Sidalpen und deren Bedeutung fiir den alpinen « Kulm », Verh. d. k. k. geol. Reichsan., 1897, 12-13. (4) Osservazioni geologiche sui dintorni di Paularo, Boll. S. geol. it., XXIV, 1, pagg. 1-16 e carta; Fossili carboniferi del M. Pizzul e del Piano di Lanza, ibidem, XXIV, 2, pagg. 461-605; Nuove ricerche geologiche sui terreni compresi nella tavola « Paluzza », ibidem, XXIV, 2, pagg. 720-723. (5) Boll. Soc. geol. it., XXIX, pag. LvI-LVII. (8) Sull’estensione del Carbonifero nelle Alpi Carniché, Boll. S. g. it., XXV, 2,seduta del 4 marzo 1905. — 6483 — Evidentemente il Krause ignorava completamente la scoperta della felce e le poche ma importanti deduzioni che credei doverne ritrarre, quantunque il Bollettino della nostra Società geologica fosse pubblicato già da qualche tempo quando egli fece la sua comunicazione. Ed io credo che se avesse avuto notizia di quanto avevo scritto non avrebbe forse pubblicato, almeno nella forma attuale, la sua Nota. Non era infatti il caso di dire: « Geyer und die Italiener halten eben, weil diese Gesteine (Kieselschiefer) in der in der Rede stehenden Schiefergruppe (Graptolithenfihrend) vorkommen, diese in ihrer Ge- sammtheit fir silurisch »('). Le ragioni per cui il Krause trova che gli scisti in questione apparten- gono al Culm sono di due ordini: tettoniche cioè e paleontologiche. Egli avverte, e con ragione, che in molti luoghi gli scisti ricoprono i calcari devoniani. « Die oberdevonischen Plattenkalke, egli scrive, haben hier (am Grossen Pal) eine ganz schwach, unregelmissig wellige Oberfiàche. An diese schmiegen sich auf das engste die Sedimente der Schiefergruppe an. Sie machen den Eindruck, als ob sie darauf gegossen wàren, wenn ich so sagen darf. So fest und innig ist der beiderseitige Verband » (?). Effettivamente è così: gli scisti carboniferi riempiono le più piccole insenature, le più dolci curve dei calcari devoniani. Ma questo si vede non solo a Pal Grande, ma in altri luoghi ancora e più specialmente alla base del Coglians, come ad esempio lungo la discesa dal Ricovero Marinelli a Timau. Questi scisti però non sono del Culm, ma sibbene del Carbonifero superiore trasgressivo. Il Krause avrebbe ragione se tali scisti, come volle il Geyer generaliz- zando troppo, si considerassero tutti siluriani: occorrerebbe infatti imma- ginare un rovesciamento fortissimo e difficilmente esplicabile. Ma ammet- tendo, come credo di aver dimostrato, che si abbiano scisti abbastanza si- mili non solo siluriani ma anche carboniferi e talvolta, come ad esempio al Ricovero Marinelli, anche a contatto, e che la trasgressione neocarboni- fera sia molto più estesa di quanto sinora non si credesse (3), cessa ogni possibile opposizione tettonica posta innanzi dal Krause. Resta adunque la sola quistione paleontologica. Il Taramelli, il Geyer, il Frech avevano trovati dei frammenti mal determinabili di tipo calami- toide. Com'è ben naturale, il Frech che in essi voleva riconoscere dei *ipi del Culm li ha determinati come tali (‘); il Geyer che credeva tutti gli scisti (1) Krause, op. cit, pag. 67. (°) Krause, op. cit, pag. 65. (3) Vedi la cartina schematica annessa al mio lavoro: Sull'estensione del carbonifero superiore nelle Alpi Carniche, Boll. S. g. it, XXV, 2,. La trasgressione è però certamente anche più estesa. (4) Veber tektonische Vertiinderungen in der Form untercarbonischer Calamarien, N. Jahrb. fir Min. Geol. u. Pal. 1889, I. pagg. 259-261. — 649 — siluriani per aver trovato graptoliti in altri scisti da lui creduti identici a quelli con avanzi di piante, diceva a ragione che gli esemplari non permet- tevano determinazione sicura e li chiamava pseudocalamiti. La fortunata scoperta della Nevrodontopteris auriculata e quella suc- cessiva di una tipica Calamztes Cisti Brgrt. (!), ha quindi per la quistione che ci occupa una grande importanza. Anche il Krause ha avuto la ventura di sco- prire due impronte vegetali, che egli non figura, e che il Potonié ha deter- minato come Stigmaria ficoides ed Asterocalamites scrobiculatus. Di questi due fossili, solo l’Asferocalamites è tipico del Culm; ma è ben noto come la determinazione di questi avanzi, quando non siano perfettamense conservati, riesca abbastanza difficile. Dal canto mio faccio notare come l'esemplare di Nevrodontopteris auri- culata sia talmente identico come forma e tipo di fossilizzazione agli esem- plari del M. Pizzul, da poter essere scambiato con uno di essi. Resterebbe infine la stranezza rilevata dal Krause della esistenza del Carbonifero inferiore a Nòtsch e della mancanza del Culm nella catena car- nica. Ora a me sembra logico che a spiegare tale stranezza due modi si pre- sentino: o la effettiva presenza del Culm nella catena carnica, come vuole il Krause, o una revisione della fauna di Notsch che potrebbe anche riserbare qualche sorpresa. Concludendo quindi, a me pare che la Nota del Krause non apporti sino ad oggi alcun nuovo valido fondamento per dimostrare l’esistenza del Culm nella catena principale delle Alpi Carniche; ma che intanto si possa ammet- tere l’esistenza di scisti, arenarie ecc., del Neocarbonifero fossilifero, discor- danti sul Devoniano non solo, ma anche sopra scisti pure fossiliferi apparte- nenti al Siluriano. Biologia. — Sulla possibilità di accumulare arsenico nei frutti di talune piante. Nota preliminare di B. Gosto, presentata dal Socio R. PIROTTA. Biologia. — Sulla produzione di cumarine fermentative nello sviluppo di taluni ifomiceti. Nota preliminare di B. Gosro, pre- sentata dal Socio R. PIROTTA. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (!) Vinassa de Regny P., Sull’estensione del Carbonifero superiore nelle Alpi Car- niche, Boll. S. geol. it. XXV, 2, figg. 1, 2, 3; Gortani M., Sopra alcuni fossili ne:car- boniferi delle Alpi Carniche, Boll. S. geol. it., XXV, 2, figg. 2. 3. — 650 — Zoologia. — Sozluppo dellAgeniaspis fuscicollis (Dalm.) Thoms. (Chalcididae). Nota preliminare di FirLippo SILVESTRI, pre- sentata dal Socio B. GRASSI. Continuando ad occuparmi della biologia degli Imenotteri parassiti ho scelto per oggetto di ricerche l'Ageniaspis fuscicollis (Dalm.) Thoms, la stessa specie nello sviluppo della quale fu scoperto dal Marchal il primo caso di una singolare poliembrionia tra gli insetti. L'autore ricordato pubblicò nel 1904 (') un esteso lavoro, assai interessante, sullo sviluppo di tale insetto, però non si occupò della formazione dei globuli polari e dell'origine dell’ in- volucro degli embrioni, che egli chiamò /rophamnios. Su tali punti io ho specialmente fermato la mia attenzione. L'Ageniaspis fuscicollis da me studiato è parassita del Prays oleellus e sembra, secondo il parere di valenti conoscitori di microimenotteri, spe- cificamente non diverso dall’Agenzaspis fuscicollis parassita di varie specie di Hyponomeuta, che fu studiato dal Marchal. Mi riserbo però più tardi, quando avrò abbondante e fresco materiale di detta specie ottenuto da H7ypo- nomeuta, di fare un minuto esame comparativo tra gli esemplari parassiti dell'ultimo genere ricordato e quelli parassiti del Prays, poichè essendo il numero delle loro generazioni, come dirò appresso, molto diverso e diverso il numero degli embrioni, che si sviluppano da un uovo, dubito che possa trat- tarsi almeno di una sottospecie distinta. Uovo ovarico a completo sviluppo. L'uovo ovarico di Ageniaspis fuscicollis allo stadio di ovocite di 1° or- dine ha la forma di un fiasco della lunghezza di pw. 66 (*) dei quali 29 spettano alla pancia del fiasco, che ha una larghezza massima di w. 13, e 37 al collo. Questo è molto più largo all'apice che verso la parte mediana. Tutto l'uovo è circondato da un sottilissimo chorion che in corrispondenza alla parte anteriore del collo presenta una piccola introflessione imbutiforme, che forse rappresenta il micropilo, come ritenne il Bugnion (8). L'ooplasma ha una struttura finamente granulosa e contiene poche e piccole sfere di grasso variamente disposte. (*) Archivio di zool. exp. et gén. (£), IL (*) Secondo il Bugnion ed il Marchal l'uovo di questo Agertaspis parassita del- l’Myponomeuta misura in lunghezza mm. 0,14. (*) Recueil zoologique suisse, tome V, fascicules 3-4 (1891). = — 651 — Il nucleo dell’ovocite di 1° ordine si trova sempre presso l'estremità anteriore del collo e si presenta sotto forma di tre o quattro masse di cro- matina compatte, allungate e separate fra di loro da un solco chiaro. Il nu- cleolo è sferico e situato al polo opposto dell'uovo, poco lungi dalla base della parte allargata di esso. Il Bugnion ed il Marchal non osservarono il vero nucleo dell’uovo e ritennero come tale il nucleolo. La struttura dell'uovo dell’Ageniaspis fuscicollis (Dalm.) corrisponde a quella da me descritta (!), per l'uovo del Zilomastia truncatellus (Dalm.). Deposizione dell'uovo. L'uovo viene deposto nello stadio sopradescritto nell'uovo di Prays oleellus tanto da femmine ancora vergini come da femmine, che hanno subìto l’ac- coppiamento; in quest’ultimo caso l'uovo però ora è deposto fecondato ed ora non fecondato come nel caso di femmine vergini. L'uovo appena deposto conserva la forma a fiasco, ma presto il suo collo si ritira verso la parte allargata insieme al nucleo restando di esso per qualche tempo una piccola porzione come appendice dell'uovo, che in seguito viene del tutto riassorbita. L'uovo deposto, nei preparati dopo fissa- zione e le altre manipolazioni necessarie alla loro colorazione e conserva- zione in balsamo, misura in lunghezza w. 38-44 e in larghezza w. 13-14. Il nucleo dell'uovo appena deposto sì presenta sotto forma più o meno sferica o leggermente ovale e con la cromatina in grossi granuli ammassati insieme a guisa di morula. Il nucleolo conserva la sua forma sferica e presso a poco la posizione che aveva nell'uovo ancora contenuto nell’ovario. Maturazione dell'uovo. La maturazione dell'uovo avviene in modo identico nelle uova partenoge- netiche come in quelle fecondate. Dopo la deposizione il nucleo dell’ovocite di 1° ordine passa nello spazio di 10-20 minuti allo stadio di anafasi (in metafasi non ho potuto osservarlo in alcun uovo) avente la posizione più o meno obliqua rispetto all'asse lon- gitudinale dell'uovo e quindi dà origine a due masse cromatiniche delle quali una rappresenta il 1° globulo polare, l’altro il nucleo dell’ovocite di 2° ordine. Il 1° globulo polare è più o meno avvicinato alla parte anteriore del- l'uovo, il nucleo dell'ovocite di 2° ordine per lo più non giunge oltre la metà anteriore dell'uovo, alle volte un poco più indietro. (!) Cfr. questi stessi Rendiconti (5), vol. XIV, 2° sem. 1905, pag. 535 e Ann. R. Scuola Sup. Agricolt. Portici, vol. VI (1906). RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 83 — 652 — A mezz'ora dalla deposizione il 1° globulo polare ed il nucleo dell’ovo- cite di 2° ordine sono già passati ciascuno allo stadio di metafasi con fuso tronco agli estremi e avente l’asse longitudinale parallelo o di poco obliquo all'asse longitudinale dell'uovo. Dallo stadio di metafasi si passa a quello d'anafasi e quindi si ha il 1° globulo polare diviso in due nuclei come pure il nucleo dell’ovocite di 2° ordine, che dà origine al 2° globulo polare ed al pronucleo femminile. Questo resta nella parte posteriore dell'uovo presso il nucleolo e presto si ricompone in un grosso nucleo completo sferico con membrana e reticolo, il 2° globulo polare e i due nuclei derivati dalla divisione del 1° globulo po- lare si avvicinano fra di loro nella parte anteriore dell'uovo, ma il nucleo anteriore del 1° globulo polare è sempre un poco distante dal posteriore, che invece è vicinissimo, contiguo spesso, al 2° globulo polare. Questi tre nuclei appariscono sotto forma di masse cromatiniche più o meno compatte, mentre il pronucleo femminile si è composto, come ho detto, in nucleo completo allo stato di riposo. In alcune uova ho osservato una fusione completa delle tre masse polari di cromatina. La parte anteriore dell'ooplasma, che contiene i globuli polari, appare in questo stadio distinta dal resto dell'ooplasma per mezzo di un tenue solco e assume con minore intensità i colori plasmatici; abbiamo perciò a tale stadio diviso l'uovo in una parte anteriore, meno tingibile, corrispondente alla terza o quarta parte dell'uovo intero e contenente tre masse di cromatina, delle quali due rappresentano i nuclei derivati dalla divisione del 1° globulo polare ed una il 2° globulo polare, ed una parte, che comprende tutto il resto dell'uovo e che contiene il pronucleo femminile, il pronucleo maschile, se l'uovo è stato fecondato, ed il nucleolo: la prima parte dell'uovo contenente i globuli polari si può designare col nome di parte polare, l'altra di parte embrionale. Il nucleolo durante la formazione dei globuli polari non cambia nè di forma, nè di posizione. Fecondazione dell’ uovo. Nell’uovo fecondato appena deposto si osserva lo spermatozoo nella parte posteriore dell'uovo sempre più o meno avvicinato al nucleolo e con la coda ben distinta. In seguito la testa dello spermatozoo, che era a forma di un pistillo con la parte assottigliata corrispondente al polo libero, si accorcia, si separa dalla coda, sì arrotonda dapprima, poi si scinde nei suoi cromosomi e forma un nucleo completo con membrana e reticolo, il pronucleo maschile, che si addossa a quello femminile e con esso si fonde dando così il 1° nucleo di segmentazione, — 653 — Mentre si compie il sopradescritto fenomeno, il nucleolo conserva ancora la sua forma e posizione. Segmentazione. Il primo nucleo di segmentazione, derivato soltanto dal pronucleo fem- minile nelle uova partenogenetiche o dall'unione del pronucleo maschile col femminile in quelle fecondate, si trova sempre verso la parte mediana o terza parte posteriore della regione embrionale dell'uovo ed ha poco lungi da esso il nucleolo. Prima divisione di segmentazione. — A circa 3 ore dalla deposizione il 1° nucleo di segmentazione passa allo stadio di profasi e poi a quello di me- tafasi tipica con l’asse longitudinale del fuso parallelo all'asse longitudinale dell'uovo o di poco obliquo, così da esso derivano i primi due nuclei di segmentazione, che vengono a trovarsi in una posizione più o meno parallela allo stesso asse longitudinale dell'uovo. Con la divisione del 1° nucleo di segmentazione anche l'ooplasma embrionale si divide in due parti e si hanno così le prime due cellule di segmentazione che sono più o meno sferiche e situate nella metà posteriore dell'uovo l’una innanzi all'altra. Il nucleolo passa intero ad una delle due cellule di segmentazione, la quale è per lo più quella situata presso il polo posteriore dell'uovo, alle volte l’altra. Mentre nella parte embrionale dell'uovo è avvenuta la formazione delle prime due cellule di segmentazione, la parte polare di esso si è estesa late- ralmente e posteriormente a circondare con porzione di protoplasma le due cellule di segmentazione, ed itre nuclei polari si sono scissi nei loro cromo- somi formando tre nuclei completi con membrana e reticolo. Invece di ritenere che la parte polare dell'uovo si estende posteriormente a circondare le prime due cellule di segmentazione, si può anche ammettere che la parte periferica dell’ooplasma embrionale non prende parte alla forma- zione delle prime due cellule di segmentazione e che resta continua con l'ooplasma polare a formare un involucro intorno a dette cellule, che sono le embrionali. i Durante questo stadio, che si completa in circa 4 ore dalla deposizione, la parte polare dell'uovo è ancora molto estesa anteriormente. i suoi tre nuclei sono addossati variamente l’uno all’altro ed il suo protoplasma co- mincia a presentarsi non più omogeneo, ma come formato da una sostanza spugnosa più tingibile nelle pareti divisorie delle cavità. L'uovo intero si presenta in questo stadio più o meno ellittico e senza appendici alla parte anteriore polare. Seconda divisione di segmentazione. — La seconda divisione di segmen- tazione non avviene sincronicamente in ambedue le cellule embrionali, ma — 654 — con notevole distanza di tempo tra quella della cellula, alla quale non è passato il nucleolo e quella dell'altra, in ambedue però con le fasi tipiche della divisione indiretta. La prima cellula, che si divide, è quella senza nucleolo ed il suo fuso è disposto con l’asse longitudinale più o meno obliquamente all'asse longi- tudinale dell'uovo. p Verso la 15* ora dalla deposizione è completata la divisione della cel- lula embrionale senza nucleolo ed allora la regione embrionale è composta di tre cellule. Nello spazio di circa 5-8 ore avviene Ja divisione della cellula, alla quale era passato intero il nucleolo e così si ha completata la seconda divisione di segmentazione, risultato della quale è la formazione di 4 cellule embrionali. Il nucleolo è sempre molto ben visibile addossato al nucleo di una delle due cellule embrionali fino a che quella, che ne è sprovvista, non si è divisa, mentre però avviene la divisione di quest'ultima cellula, il nucleolo comincia a frazionarsi e a disperdersi per il protoplasma della cellula che lo contiene, così che quando si hanno tre cellule embrionali esso non si rileva affatto o poco e solo per la maggiore tingibilità del protoplasma. La parte polare dell'uovo circonda sempre le cellule embrionali, è an- cora più estesa nella parte anteriore dell'uovo ed i suoi nuclei si sono allar- gati molto ed in parte od in tutto frazionati o divisi direttamente ed irre- golarmente per il protoplasma. Terza divisione di segmentazione. — Durante questo stadio continuando a ritardare la divisione delle due cellule derivate da quella col nucleolo si ha una divisione delle due cellule senza nucleolo, alla quale non ne corrisponde una delle prime nominate; per tal modo si ottiene uno stadio, in cui la regione embrionale è composta di sei cellule. Ciò ha luogo a circa due giorni dalla deposizione. Quarta divisione di segmentazione. — La quarta divisione di segmen- tazione porta il numero delle cellule embrionali senza nucleolo a otto e du- rante questa compiendosi anche la terza divisione delle cellule embrionali, che hanno ricevuto la sostanza nucleolare, si ottiene uno stadio in cui l'uovo di Ageniaspis è composto di dodici cellule embrionali e di un involucro, che possiamo chiamare senz’altro col Marchal trophamnios, derivato dal- l'ooplasma polare e contenente pure i nuclei polari, i quali sì sono diffusi per la massa protoplasmatica dividendosi, come ho detto, direttamente e irregolarmente, e formano ciò che il Marchal chiamò paranucleo. Ulteriori stadii di sviluppo. Col materiale, che ho avuto fino ad ora a mia disposizione, non ho potuto seguire la segmentazione oltre lo stadio di dodici cellule embrionali; però non c'è alcuna ragione di credere che essa non avvenga in seguito in modo affatto normale. — 655 — Io non ho osservato la prima separazione di gruppi di cellule embrio- nali, che avviene per mezzo del #rophamnios, che aumentando di volume si insinua tra le cellule embrionali stesse dividendole in tanti gruppi, ciascuno dei quali darà origine ad un embrione, ma dall'osservazione degli stadî po- steriori ritengo che avvenga come fu descritta dal Marchal. Negli stadî posteriori io ho osservato complessi poliembrionali derivati da un uovo, che sono formati da uno strato esterno molto sottile di cellule, che io ritengo adipose, da uno strato interno di protoplasma ricchissimo di nuclei, che è il frophamnios, e che si continua a guisa di maglie più o meno grosse intorno a ciascun gruppo di cellule embrionali, il quale rappresenta una vera morula. Di queste morule il numero maggiore da me esaminato in una massa poliembrionale è stato di 17, il minore di 11. Il Bugnion ed il Marchal descrissero l'involucro esterno del complesso poliembrionale o membrana avventizia dell'Agerzaspis come formato da un epitelio disposto similmente a quello pavimentoso, ma a me sembra che sia costituito da cellule adipose molto irregolari per forma. In qualche massa poliembrionale situata in mezzo a tessuto adiposo io non ho visto alcuna cisti interposta fra esso e il /rophamnios; ciò mi fa ritenere che la membrana esterna o cisti della massa poliembrionale sia sempre derivata da tessuto adiposo soltanto. Rispetto alla struttura del rophamnios noterò che in preparati fissati con acqua bollente esso appare composto di un protoplasma contenente grandi nuclei a contorni irregolari e con granuli di cromatina fittamente disposti ; in preparati fissati invece con sublimato alcoolico-acetico e che sembrano bene conservati, nella massa protoplasmatica granulosa esso presenta numerosis- simi nuclei vescicolari con piccoli granuli di cromatina e grossi granuli di altre sostanze in numero vario. La massa poliembrionale dell’Agenzaspis fuscicollis nel Prays oleellus, quando contiene embrioni prossimi a diventare liberi e in numero di undici, è nastriforme e misura in lunghezza circa mm. 4. Gli embrioni si trovano allineati l'uno di seguito all’altro, spesso verso la parte anteriore e la po- steriore qualcuno di fianco ad un altro. Note biologiche. L'Ageniaspis fuscicollis diventa adulto molto raramente nelle larve di Prays (almeno per ciò, che ho osservato fino ad ora su materiale della Ca- labria), di regola lo diventa nelle crisalidi di tale specie, mentre secondo il Bugnion ed il Marchal la stessa specie di Agerzaspis diventa adulto nelle larve di Zyponomeuta. L'Ageniaspis fuscicollis parassita nel Prays compie tre generazioni in un anno quante ne ha la specie, che lo ospita, mentre la stessa specie pa- rassita nell'/yponomeuta ha una generazione per anno. — 656 — Se gli studî comparativi, che io farò tra breve, confermeranno in modo assoluto l'identità specifica dell’Agerziaspis parassita del Prays con quello dell'’Hyponomeuta, si dovrà concludere che lo sviluppo di un parassita endo- fago è in questo, ed io credo in molti altri casi, sincrono a quello della specie che lo ospita, anche quando esso attacca specie molto diverse per cielo biologico, per modo che ad un dato numero di generazioni di ciascuna specie corrisponde un ugual numero di generazioni del parassita. Numeri di individui che si sviluppano da una Crisalide di Prays e loro sesso. Alla fine di aprile posi 21 crisalidi di Prays oleellus parassitizzate, separate l'una dall'altra, in tubi di vetro ed ottenni gli individui qui sotto indicati. 29 Sci l*:crisalide; >. aan. «sal I1® crisalideatation astenga 2 ’ dl aiar 12 ” stia e 3) ’ sati? Se 1) ’ neri dat, asedo, 4 ” RIA O) 14 ” Sale itaca 5 ” La 15 » settato 6 ” ATI STOREME I LI 16 ’ - Gila ridtganio 1 ” sara; Lora 17 ” adrelledente8 8 ’ rasi eroglo 18 - METIS I 9 , id ana eo 19 ” «jpg hiitenatl0 10 » 6 20 ’ sogiaa Sd3 21 ” sica Da tale elenco risulta che il numero maggiore di individui ottenuti da una crisalide è stato di 15, il minore di 5 ed il più frequente di 10-13. Come sopra ho notato, in una massa poliembrionale contai 17 morule, perciò in qualche caso si potranno ottenere alcuni individui in più di 15; oppure alcuni individui possono andar perduti? Tornerò su questo argomento in seguito. Dall'uovo di Ageniaspis fuscicollis deposto nell'Hyponomeuta, secondo le osservazioni del Bugnion e del Marchal, si ottengono in media un cen- tinaio di individui; pertanto tra l’Agenzaspis fuscicollis, che parassitizza il Prays e quello che parassitizza l’HAyponomeuta, si ha una grande differenza nel numero degli individui, che si sviluppano da un uovo. Se realmente l'Ageniaspis fuscicollis del Prays non è distinto specificamente da quello dell’yponomeuta, si deve ammettere che individui di una stessa specie com- pletamente isolati per molte generazioni, pur conservando inalterati i loro caratteri specifici, sono giunti in seguito a continuata selezione a produrre — 657 — uova capaci di dare origine a tanti embrioni quanti è capace di nutrirne il corpo della specie, nella quale vengono depositate. Risulta pure dall'elenco degli individui di Agerzaspis ottenuti da 21 crisalidi di Pyays, che gli individui di ciascuna crisalide sono tutti del me- desimo sesso. Avendo io constatato che tanto nell'uovo partenogenetico come in quello fecondato avviene la formazione di ambedue i globuli polari, e che il pronucleo femminile da solo si sviluppa ulteriormente nelle uova parte- nogenetiche, si può ritenere come certo che la determinazione del sesso è dovuta, come nel Zitomastia truncatellus, alla fecondazione; che cioè uova fecondate diano soltanto femmine e uova partenogeniche soltanto maschi. Conclusione. I fatti principali che risultano dalle mie ricerche sullo sviluppo del- l’Ageniaspis fuscicollis parassita endofago del Prays oleellus, sono: 1° Che nella maturazione dell'uovo partenogenetico come in quello fecondato si ha la formazione di due globuli polari e che essi per lo più restano fra di loro distinti e formano ciò che il Marchal chiamò paranu- cleo del trophamnios, che si divide sempre direttamente e irregolarmente; 2° Che non tutto il protoplasma dell'uovo prende parte alla forma- ziene delle cellule embrionali, ma che la parte anteriore di esso contenente i globuli polari e forse la parte periferica di tutto il resto di esso, costi- tuisce un involucro, prima intorno a tutte le cellule embrionali, poi intorno a tutta la massa poliembrionale ed a ciascun embrione, involucro che dal Marchal ha ricevuto per la sua funzione il nome di frophamnios. Nell’Ageniaspis fuscicollis la parte polare dell’ooplasma ed i globuli polari assumono una funzione protettiva e di nutrizione della parte embrio- nale dell'uovo come appunto avevo io sospettato dopo lo studio della forma- zione e del destino dei globuli polari nel ZLifomastie iruncatellus. Ormai anche per l’amnios o trophamnios dei Proctotrypidae ed altri Imenotteri parassiti, sì può con molta probabilità di non errare ammettere una origine uguale a quella da me per il primo descritta nel Zitomastia truncatellus ed ora nell’Agenzaspis fuscicollis. Pertanto intorno al particolare destino dei globuli polari in molti Ime- notteri parassiti non può cadere ormai dubbio alcuno, e con la scorta di tali fatti si potrà in altri insetti ed in altri animali riprendere le ricerche intorno ai globuli polari con probabilità di scoprire altre cose interessanti. — 658 — Commemorazione di Cristororo Coromso, letta dal Socio DALLA VE- Dova, nella seduta del 20 maggio 1906. In questo giorno si compiono i quattrocent'anni dalla morte di CRISTOFORO CoLomBo, mancato a’ vivi il 20 maggio 1506. Parecchi comitati e parecchi sodalizi scientifici in Italia e fuori si disposero a solennizzare questa ricorrenza storica e la nostra Accademia fu espressamente invitata dalla Sociedad Mexicana de Geografia y Estadi- stica ad associarsi alla sua commemorazione. In verità noi Italiani non dureremo fatica ad assentire di gran cuore a questo omaggio tributato alla memoria del nostro glorioso connazionale; e ciò tanto più, venendoci l'invito da un paese, verso il quale fu il Colombo stesso ad aprire per sempre la via attraverso il temuto Mare tenebrosum e dai discendenti di quella nazione spagnuola, senza la cui magnanima Regina sarebbero forse svanite infruttuosamente le insigni virtù del grande na- vigatore. La quale ultima osservazione mi è particolarmente suggerita dalla me- moria di uno strano monito, che sentii rivolgere all'Italia nel VII Congresso internazionale degli Americanisti, tenuto a Berlino nel 1888; dove, avendo io riferito su quanto stava allora facendosi in Italia per celebrare degna- mente il IV Centenario della scoperta dell'America, cioè a dire avendo for- nito qualche particolare sui lavori avviati a Roma per la pubblicazione della monumentale Raccolta Colombiana, uno Spagnuolo venne su a dire, che avreb- bero fatto bene gl'Italiani a restringere le loro ricerche alla sola genealogia di Cristoforo Colombo, perchè infine, quanto alla grande impresa, tutte le navi e tutti gli equipaggi, tranne Colombo, erano spagnuoli (!). Non fu difficile allora ridurre alla giusta misura l’intemperante osser- vazione; ma le risposte migliori vennero qualche anno più tardi, quando uscirono i 14 grandi volumi della Raccolta Colombiana ed il Presidente della R. Società Geografica di Londra ne dava notizia a' suoi colleghi con parole di alta ammirazione, notando che l'Italia « non avrebbe potuto con- « tribuire in modo più degno e più splendido a solennizzare il IV Cente- « nario della scoperta fatta dal suo illustre figlio » (*) e Sophus Ruge, il più competente storico delle scoperte geografiche allora vivente in Germania, scriveva che la nostra Raccolta « fu l'unica grande opera compiuta a spese « di uno Stato, che sia comparsa in occasione del giubileo colombiano. (*) V. Congrès intern. des Américanistes, Compte rendu de la septième Session, Berlin, 1890, pag. 69. (°) V. Geographical Journal, Londra, 1894, luglio, pag. 33. — 659 — La « Spagna (così continuava il Ruge) si contentò di organizzare delle feste » (1). Ma ora, l'invito che ci giunge dal Messico s'inspira a concetti ben più larghi ed elevati; e noi non possiamo che accoglierlo con animo riconoscente ed unirci alla nobile nazione messicana nel rivolgere un mesto pensiero alla data memoranda. To non credo che in questa sede ed in questa occasione convenga ripe- tere ciò che tutti sanno della gloria e delle avversità di Cristoforo Colombo o della importanza della sua scoperta. Dopo quattro secoli di pensiero e di lavoro rivolti allo studio del celebre Ligure, dopochè intorno al grandioso soggetto si provarono come a gara storici, letterati e poeti, filosofi, critici, eruditi, tutti insomma i generi della letteratura, come tutte le forme del- l’arte, non sarebbe guari difficile, ma non giudico altrettanto opportuno, di far posto qui ad uno dei soliti compendî più o meno generici delle glorie co- lombiane. Sarò quindi assai breve. Tutti sanno qui, che nello stato presente degli studi conviene distinguere un Cristoforo Colombo della leggenda ed un Cristoforo Colombo della critica; che ormai si considerano come leggenda molte delle notizie recate dalla biografia di Cristoforo Colombo scritta da suo figlio Fernando; che fra i critici una parte attende ad assalire ed una parte a difendere e che quando talvolta si potrebbe credere acquetata la disputa, questa di bel nuovo si riaccende rifa- cendosi da capo. Così alle glorificazioni che accompagnarono le feste colombiane del 1892 segue ora un nuovo periodo di accuse; e quasi parodiando il fato cui soggiacque Colombo in vita, pare si vogliano far seguire alla apoteosi del primo ritorno l'ingratitudine e le persecuzioni che lo trassero a morir dimenticato a Val- ladolid. Certo si può affermare che non vha movimento del suo pensiero, non ripostiglio del suo animo che non siano stati scerutati, rovistati, sottoposti alla tortura d'una critica non sempre equanime, non di rado pedantesca ed inutile. Infatti tutte queste critiche delle gesta di Colombo possono raccogliersi in tre gruppi, cioè quelle che riguardano il suo grado di cultura, quelle che si appuntano alle sue qualità morali, quelle che ricercano l'originalità della sua impresa. Ma infine, che cosa si vuole ora dimostrare? Che Cristoforo Colombo non assomiglia troppo agli esploratori scientifici dei secoli XVIII e XIX, ai La Perouse, ai James Cook, ad Alessandro di Humboldt, a John Franklin e via dicendo, ma piuttosto ai navigatori di ventura del secolo XV? Dav- vero una bella novità; vecchia però di almeno quarant'anni, dacchè era stata messa innanzi e anatomizzata in ogni sua parte tra gli altri anche da quel (1) V. Peterm. Geograph. Mitt., Gotha, 1895, dicembre, pag. 279. ReENDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 84 — 660 — critico poderoso che fu Oscar Peschel ('); una novità per la quale un cri- tico poco attento potrebbe trovarsi a dover concludere che tra le colpe di Colombo va registrata anche questa di non essere nato un tre secoli più tardi! E intanto sì passa in seconda linea o si dimentica un'altra considera- zione ben altrimenti di gran peso. Più o meno virtuoso o vizioso ch'egli fosse, più o meno dotto od igno- rante; antiche o nuove che fossero le idee da lui poste a fondamento della sua navigazione; l’importanza ed il merito essenziale della sua opera riman- gono sostanzialmente gli stessi. Anzi noi andiamo anche più in là. La possibilità teorica di raggiun- gere l'estremo oriente navigando, dall'estremo occidente d’ Europa, verso occidente, cioè il proposito, come ripeteva Colombo, di duscar el levante por el poniente era anche ai tempi suoi così poco un'idea nuova, che egli stesso e gli altri contemporanei intendevano corroborarla richiamandosi addirittura alla classica antichità. Ed è pur noto d'altra parte con quanta cura Colombo stesso andò raccogliendo indizî sulla esistenza di terre lontane oltre il gran Mare Oceano, per dimostrare a sè stesso, e sopratutto agli altri, cioè a chi doveva fornirgli i mezzi di viaggio, la sodezza del suo disegno. Intorno ai quali indizî si rimise a nuovo, or non è molto, anche una questione discussa ed abbandonata da tempo: intendo riferirmi a talune affermazioni del Vignaud e di alcuni suoi seguaci, alle quali per verità ri- sposero già vittoriosamente autorevoli critici, tra cui in prima linea il nostro Gustavo Uzielli (*). Per i nuovi censori Colombo non sarebbe stato il primo Europeo che approdò alle isole dell'America centrale; perchè le cose sarebbero andate così. Mentre Colombo, alcuni anni prima della sua celebre traversata, dimorava a Madera, egli avrebbe ospitati taluni naviganti, unici superstiti dell'equipaggio d'una nave spinta dai venti alle Antille e di là ritornata a stento ed approdata a Madera. Ma qui in breve i superstiti mori- rono tutti, non morì però con loro il segreto delle nuove terre: giacchè l’ul- timo di loro, il pilota, che si spense proprio nella stessa casa di Colombo ed era suo amico, confidò al suo ospite tutte le sue informazioni e gli appunti di bordo e spirò. Ecco dunque dimostrato come Colombo conosceva già da prima la via da seguire e la terra ove dar fondo. Tutto questo si conclude e si afferma ora, imbastendo insieme notizie di varî autori, vaghe, tardive, discordanti, note e screditate da gran tempo e che, all'infuori di altre ragioni, hanno in sè stesse, secondo me, la prova più sicura della loro inconsistenza. Una delle due infatti. Se Colombo avesse posseduto quel segreto, come mai non si sarebbe servito di un argomento (1) V. Peschel O., Das Zeitalter der Entdeckungen e Geschichte der Erdkunde, Mo- naco, 1865, seconda ediz. 1877, ecc. (?) V. Uzielli G., Toscanelli, Colombo e la leggenda del pilota, in Rivista geograf. ital. Roma, 1902, I. 3 ed altrove. — 661 — così irresistibile a persuadere chi doveva somministrargli i mezzi per na- vigare, della certezza assoluta di future scoperte? E se ciò allora non fece, giacchè ciò non risulta in nessun modo, se in quel momento decisivo egli preferì tenere per sè il segreto di cui, notisi bene, egli era ormai l’unico posses- sore, quale inaudita imprudenza non sarebbe stata la sua di lasciarselo sfug- gire più tardi, senza bisogno, senza prò, anzi con tanto pregiudizio della sua gloria? Giacchè, se non lo svelava egli stesso, si domanda come gli sto- rici lo avrebbero poi potuto conoscere! Ma lasciamo da parte la storiella del pilota. Per me il fatto più im- portante da mettere in sodo, si trova altrove e rimane intatto nel suo va- lore anche dopo tutte le contestazioni e tutte le censure. Ed il fatto è questo. L'opera di Cristoforo Colombo si differenzia sostanzialmente da quella degli esploratori che lo precedettero ed inaugura un metodo di ricerca del tutto nuovo e che d'allora in poi non fu più abbandonato. Prima di lui si procedeva nelle navigazioni di scoperta sulla scorta di un grossolano empirismo: il concetto fondamentale di Colombo era invece assolutamente razionale, assolutamente scientifico. Per le esplorazioni dei Portoghesi, i quali cercavano, non altrimenti di Colombo, la via delle Indie, non occorreva affrontare in pratica la dottrina scientifica della sfericità della Terra. Girando l'Africa, i Portoghesi avrebbero dovuto giungere alle Indie che diciamo orientali, sferica o piana che fosse la forma della Terra. Per Co- lombo la dottrina della sfericità era il postulato ed il caposaldo di tutta l'impresa. Sta bene che per gli astronomi di professione era ormai dottrina indiscutibile: ma era un procedimento inusitato, era un fatto assolutamente nuovo quello di mettere in giuoco su di essa per la prima volta la riputazione, l'avvenire e la vita. Agli scienziati, poco numerosi allora, questo poteva non parere un grande sforzo; ma non si può dimenticare che, fuori dall’osserva- torio, nella vita d'azione, erano a quei tempi ancora in pieno vigore i pregiu- dizî medievali; che nel caso migliore bisognava affrontare i terrori dell’ ignoto per una distesa di molte migliaia di miglia, attraverso un mare popolato dalla fantasia e dall’ignoranza di ogni sorta di chimere paurose: e quando s' insiste tanto a ripetere che Colombo era uomo di poca cultura, si accresce a dismi- sura la nostra ammirazione che, ciò malgrado, egli abbia riconosciuta la solidità delle conclusioni teoriche con quella fede incrollabile che tanto faticò ad infondere negli altri e che finalmente lo condusse al trionfo. Un abisso divideva allora il concetto d'una navigazione occidentale dalla sua pratica attrazione. All'abbrivo di Colombo dalla Spagna nel 1492 era stata dimostrata ai Portoghesi già da diciott'anni, non che la possibilità, la singolare opportunità del tragitto occidentale, senza che nel frattempo essi, tanto intraprendenti, ardimentosi ed esperti marinai, sostenuti proprio in quei giorni dalla munificenza della corte, avessero neppur tentato seriamente il i i IN e Se sn T — 662 — grande problema. Colombo che la sostenne, fu giudicato per tanto tempo un visionario! Intanto badiamo agli effetti. A progredire nelle scoperte lungo le coste africane dal Marocco al Capo di Buona Speranza, i Portoghesi col loro metodo avevano penato più di 60 anni: Colombo col metodo suo giungeva dalle Ca- narie in America, aprendosi il varco d'un tratto, e per una via non molto meno lunga della portoghese, in non più di 34 giorni ('). E da allora in poi il metodo razionale ch'egli primo adottò rimase acqui- sito alla pratica di tutte le esplorazioni, dalle epopee dei conquistatori spa- gnuoli alle navigazioni di Magellano e di tutti i posteriori. In ciò Colombo fu un innovatore, un vero caposcuola e vanno fuori di strada i critici che, come scrisse testè Benedetto Croce « introducono nei Sepoleri i vizii di Ugo Foscolo o nel Novum organum le baratterie di Francesco Bacone » (?); e che indugiandosi troppo a sottilizzare su caratteri che furono comuni a Colombo ed agli uomini della sua classe e del suo tempo, trascurano di mettere in piena luce ciò per cui egli indiscutibilmente sta solo e « sovra gli altri com'aquila vola ». Tutto questo è lecito affermare in omaggio alla storia generale dei pro- gressi umani, cioè senza tener conto per nulla del fatto che Colombo nacque in Italia; perchè ci giova stare in guardia contro noi stessi e non dar esca alla gelosia di certi studiosi stranieri, i quali, come lo Spagnuolo di Berlino cui accennai, non ammettono affatto che noi abbiamo ad accorgerci delle glorie nostre. Penso questa volta ad un'amara osservazione, o più veramente ad un'aspra requisitoria a noi dedicata da Enrico Harrisse, l'insigne cultore di studî sulla scoperta dell'America. In un suo lavoro uscito colla data com- memorativa del 12 ottobre 1892 egli non ci può perdonare di aver osato intraprendere un’opera come la nostra Raccolta Colombiana e finisce col sen- tenziare che il nostro « venire a parlare della parte avuta dall'Italia nella scoperta d'America è una pretensione orgogliosa, non giustificata nè dalla ve- rità, nè dalla storia » (5). Ed è proprio vero! Altri Stati v'ebbero parte, come la Spagna, l'Inghil- terra, il Portogallo, la Francia ecc., ma non v’ebbe nessuna parte l’Italia, per ragioni molto ovvie: che l’Italia, come Stato, pur troppo, non esisteva e che gli Stati allora in Italia fiorenti avevano più motivo di temere che d'’in- coraggiare l'apertura della nuova via. Non fu dunque l’Italia; ma tuttavia sarà permesso di affermare senza offesa della storia che v'ebbero parte, ed una parte principale, cioè non come (1) V. Dalla Vedova G., Cristoforo Colombo ed il sig. Oscarre Peschel in: L’avve- nire, rivista universitaria, Padova, 1867, pag. 809; id. Commemorazione di Cristoforo Co- lombo in Atti del I Congresso geograf. ital. Genova, 1904, pag. 177. (2) V. Giornale d'Italia 1906, n. 139. (3) Harrisse H, Christophe Colomb devant l’histoire. Parigi, Welter, 1892, pag. 86-90. — 663 — gregarî, ma come consiglieri, come sollecitatori, come condottieri, non uno solo, ma molti Italiani, da Paolo dal Pozzo Toscanelli, al Vespucci, ai Caboto, al Verazzano, al Pigafetta ed altri minori; e questa medesima molteplicità di nomi sta a provare che non dovette essere un puro caso se anche il sommo fra essi fu un Italiano, come era stato un Italiano, due secoli prima, il più grande degli esploratori di terre, il rivelatore dell'Asia Orientale, Marco Polo. Iniziative singole, certamente, ma poderose, geniali, a cui gl’'Italiani di quei secoli, e non di quei secoli soltanto, erano ben disposti, meglio che al- l’azione disciplinata collettiva. Iniziative del resto che avevano la loro radice, oltrechè nella tempra nazionale immaginosa e versatile, nell'antica e multi- forme esperienza di pubblici negozî, di traffici vicini e lontani, di navigazioni, propria di quella nostra età storica gloriosa. La nostra Raccolta Colombiana non fu dunque il frutto d'una pretensione orgogliosa; anzi al contrario essa sta a provare luminosamente il rispetto di- sinteressato che noi professiamo alla più rigorosa verità, anche quando questa viene a ferire i nostri più cari sentimenti: tant’ è vero che sono proprio le indagini e i documenti in essa contenuti, ai quali i nuovi critici ci fanno l'onore di attingere i materiali su cui fondare molte delle loro conclusioni ('). Ma orgogliosi di che, se la scoperta del nuovo mondo non fruttò all'Italia nè vantaggi, nè onori, se anzi tutt'altro che giovare al nostro paese ebbe la sua parte nell’affrettarne la decadenza? Perchè, come tutti sanno, per effetto delle nuove vie aperte dai nostri, il centro di gravitazione dei commerci e della civiltà, che fino allora era il Mediterraneo, andò trasportandosi sul- l'Atlantico e noi per tre secoli e mezzo, fino all'apertura del Canale di Suez, ci trorammo di mano in mano respinti alle spalle del gran movimento dei commerci mondiali; di modo che in uno stesso tempo e per opera di quei nostri e noi eravamo aiutati a decadere e si rafforzavano gli Stati che dove- vano far pesare su noi il loro dominio! Noi fummo giudicati orgogliosi colla stessa giustizia con cui altri volle vedere in Cristoforo Colombo null'altro che un venturiero ardito e fortunato. Invero Colombo cercava il Cipangu di Marco Polo, il Giappone, voleva pas- sare 4 donde nacen las especerias e scoperse un nuovo mondo. Frattanto se a qualunque nocchiero che primo si spingesse oltre verso occidente, la fortuna aveva preparata questa sorpresa, Colombo ebbe a farsele incontro dopo d’aver superate resistenze e ripugnanze infinite in Europa e viaggiando deliberata- mente a quella volta per migliaia di miglia. Più propriamente fortunato fu Cabral, gittato contro voglia dalle cor- renti e dai venti alle spiaggie del Brasile; più fortunato Vasco di Gama (1) Vedi ad es. il gran conto ed uso che ne fa G. Marcel nella sua accurata me- moria: Christophe Colomb devant la critique in: La Géographie, Parigi, Bayle, 1905, XII, pag. 149-162. A Ss na dry 137) — 664 — che, voltato per favore speciale di venti il Capo di Buona Speranza già da dieci anni scoperto dai suoi, si vide ben presto guidato alla meta so- spirata, alle Indie, dall'antica pratica dei piloti africani. La fortuna della scoperta di America non fu di Colombo, fu del genere umano; e Cristoforo non che ne menasse vanto o ritraesse in vita, per essa, alcuna fama, ma neppur mai, com'è noto, la conobbe; ed il genere umano, quasi a prova che la tenne per sua, rifiutò perfino alla scoperta il nome dello scopritore, per darle quello di un altro Italiano che, al pari di Colombo, morì credendo di aver visitate e descritte non altre contrade che dell'Asia. E se Colombo fosse più a lungo vissuto (i critici non sono d'accordo sulla sua età ed in at- tesa di nuovi documenti differiscono fra loro di decine d'anni), egli avrebbe dovuto sacrificare a quella sua usuraia fortuna le più ferme convinzioni e veder crollare i suoi principali asserti per opera di coloro ch'egli aveva ri- morchiati nell'occidente. Sic vos non vobis: questo possono ripetere gli Italiani de’ grandi suc- cessi allora ottenuti da Colombo e dagli altri scopritori connazionali; questo poteva ripetere anche Colombo a sè stesso nell'abbandono e nella tristezza de suoi ultimi giorni. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio CramIcIAN, relatore, a nome anche del Corrispondente NASINI, legge una Relazione sul lavoro del prof. G. Carrara intitolato: Z/ettrochi- mica delle soluzioni non acquose, proponendone l'inserzione nei volumi delle Memorie. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, poste ai voti dal Pre- sidente, sono approvate salvo le consuete riserve. CORRISPONDENZA Il Segretario CeRRUTI dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. Ringraziano per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia di scienze, lettere ed arti di Lucca; l'Accademia delle scienze di Nuova York; l'Accademia delle scienze di Lisbona; l’Acca- demia di scienze ed arti di Barcellona; le Società Reali di Londra e di Vittoria; le Società geologiche di Manchester, di Sydney e di Edinburgo; la Società zoologica di Tokyo; la Società geografica del Cairo; il Museo na- zionale di Copenaghen; il Museo di storia naturale di Nuova York; l'Osser- vatorio di S. Fernando; le Università di Glasgow, di St. Louis e di Cam- bridge Mass. Va. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. | — Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Ml iserie(2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 12 TRANSUNTI. 2* MemoRIE della Classe di scienze fisiche, _ matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. [i Vol. AV..V. VI. VII. VIL * ro (Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). » MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale. do) 172). — MED. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. peg Vol. I-XIIL »; = SUE? Serie 4a — - RENDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). SE MemoRIE della Classe di scienze fisiche, MATE e naturali. i Vol. I-VIL } MemoRIE della Classe di scienze morali storiche e filologiche. Vol. I-X. i Goro 53 — RENDICONTI della Classe di scienze de matematiche e naturali. Vol. I-XV. (1892-1906). Fasc. Ira 1° sem. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1905). n MEMORIE della Classe di scienze dp matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fasc. 19-49. xd MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. TLXII. Fasc. 1°. > ) CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI } I - I Roudiconli della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei. Îlincei sl pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- dA denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta le spese di posta in più. clu ivamente dai seguenti perl l’Italia di L. 19; per gli altri pae Le associazioni sì ricevono ese È 2 editori- librai: 200 dl Ermanno Losscuea & c. oi Rome Li a N Urrico Horru. i Milano, Page Dopola Torino e Firenze. a PE x er” Pas po __» TY ——9©y9P T "= a) ee rey a mi ii — irene A RE Pe —_—___—e ==; gt, ee 4 9) a ul pronta CEEMOTA A] pena Me DE / == è: £E TASÒÀ RENDICONTI — Giugno 1906. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 giugno 1906. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Pincherle. Sulle singolarità di una flmzione che dipende da due funzioni date . . . Pag. Pascal. Sui simboli di Riemann nel’ Calcolo differenziale assoluto (7° 7 er Righi. Su alcuni casì, apparentemettte paradossali, di trasmissione dell’elettricità attraverso une eee 3 è ” Lauricella. Sulla risoluzione del aa di Dirichlet. col ine di Bedi e sull ione grazione delle equazioni dell’equi]ibrio dei solidi elastici indefiniti (pres. dal Socio Dirt) » Id. Sul problema derivato di Dirichlet, sul problema dell’elettrostatica e sull’ integrazione delle equazioni dell’elasticità (pres. dal Socio Volterra) (€). . .. 5 RENO) Pannelli. Sopra gli invarianti di una varietà algebrica a tre di o alle trasfor- mazioni: birazionali (pres. dal QITTispet00Ste2/14000) Lebesgue. Sur les fonctions dérivées (pres. dal Socio Segre) Ole ” Artom. Sopra un nuovo sistema di télegrafia senza filo (pres. dal Corrisp. G. Gras) © " Arnò. Sulla variazione di isteresi nei; corpi magnetici in campi Ferraris sotto l’azione di correnti continue, interrotte ed alternate e di onde hertziane (pres. dal Socio Colombo) (È) » Pellini. Contributo allo studio dell’ìisomorfismo fra il tellurio ed il selenio dc dal Corrisp. NASO Rao A eo Id. e Vio. Contributo allo 0 dall 0000 fra dan e ni ni tt) ©. dio) Bruni e Contardi. Sulle reazioni di doppia aa fra alcooli ed eteri composti (pres. daliSocloMA071221) Roe e ESSE) Carrasco e Padoa. Sulla formazione è scomposizione ‘del a i per mezzo dell'azione catalitica del nickel (pres. dal Socio Ciamician) (@) . . . . . Bi a Ce) Manuelli. Azione dello zolfo sulle soluzioni dei sali metallici (pres. 14) (9) SR an) Mazzara e Borgo. Azione del cloruro di solforile sul pirazolo (pres. dal Socio Paterno) (*) » Ranfaldi. Studio cristallografico di alcune nuove sostanze organiche (pres. dal Socio Strwver) (®)» Rosati. Studio microscopico di alcume rocce della Liguria occidentale (pres. Zd.)(®) .. » Sani. Azione della benzilammina sull’e-crotonato etilico (pres. dal Socio Aòrzer). . . . » Vinassa de Regny. A proposito della esistenza del Culm nelle Alpi Carniche (pres. dal Socio Cel de EI Gosto. Sulla possibilità di scalato arsenico nei fratti i ine Tianie Gui dal Socio Poco RR : . ani) Id. Sulla produzione di cumarine formintatine n impro di taluni ifomiceti di Id)(C) » Silvestri. Sviluppo dell'A geniaspis fuscicollis (Dalm.) Thoms. (Chalcididae) (pres.-«dal'Socior2a Grass). © OSSEgren.. CRCR Dalla Vedova. Commemorazione di Giistoforo Colombo... RELAZIONI DI COMMISSIONI Ciamician (relatore) e Nasini. Relazione sulla Memoria del prof. G. Carrara, intitolata: « Elettrochimica delle soluzioni pon acquosen iL. CORRISPONDENZA Cerruti (Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti . .. » (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. K. Mancini Segretario d'ufficio, rc.pousabile. Pubblicazione bimensile. Ioma 17 giugno 1906. 5 SLI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCOIII. 1906 SHEETH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 giugno 1906. Volume X V.° — Fascicolo 12° e Indice del volume. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1906 1RS9S1 Pac, ===: Imre SUL "=== =» sa lane = == === = Terne i ————_—_ ue n rr 01 e I LS droit n = = acta A n» îi— e; REA mid VIET) ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta dellò pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. oltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta perciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golàrmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- - l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da. Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. &. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi ranno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi . sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici sè provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, Ia Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina illavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria ‘negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto, - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della = Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è date. ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.1’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- . tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più © che fosse richiesto. è messa 2 carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. NANNA ©-- Seduta del 17 giugno 1906. F. D'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Su alcuni casi, apparentemente paradossali, di trasmissione dell’elettricità attraverso un gas. Nota del Socio Aucusto RIGHI. Passando in rivista alcune mie esperienze, già in varie epoche pubbli- cate, allo scopo d’interpretarle secondo la teoria degli elettroni, ho notato Ri: A ci I | i il i Bice: certe analogie tra fatti, che sembravano avere in comune soltanto il loro ca- rattere strano e quasi paradossale, e tali analogie mi hanno suggerito l'idea di una nuova esperienza. Benchè il descrivere quest'ultima sia lo scopo prin- cipale della presente Nota, pur tuttavia credo utile richiamare dapprima quei fatti, ed additarne le spiegazioni che se ne diedero, o se ne pos- sono dare. a) Un disco metallico A (fig. 1) posto nell’aria rarefatta e caricato dal polo negativo isolato d'una pila, riceve un fascio di radiazioni ultravio- RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 85 — 666 — lette attraverso una reticella metallica R comunicante con un elettrometro. Le deviazioni ottenute in tempi eguali misureranno la corrente fotoelettrica. Trovai (') che l'intensità di questa cresce al crescere (entro certi limiti) della distanza fra R ed A. Ciò venne confermato poco dopo da Stoletow (?), che presumibilmente non conosceva ancora questo mio risultato. La spiegazione che si dà oggi di questo fenomeno è la seguente (*). Quando la differenza di potenziale fra i due conduttori è abbastanza grande, i ioni negativi formatisi presso il disco A acquistano sufficiente velocità per ionizzare l’aria col loro urto e creare così nuovi ioni, che alimentano la corrente; ma se i due con- duttori sono molto vicini, i detti ioni negativi raggiungono in parte la reti- cella senza ionizzare l'aria, e così rimane minore il numero di ioni dispo- nibili. Si può obiettare però, che il fenomeno da me osservato si produsse anche con differenze di potenziale assai piccole, per esempio minori di 5 volta. IMDCENZE 5) Un tubo con aria rarefatta contiene due elettrodi A, B (fig. 2) uno dei quali è mobile. Messo un tal tubo in circuito con una pila (qualche centinaio di coppie di Volta) ed un galvanometro trovai (4), che la corrente era massima per una certa distanza fra A e B, e perciò diminuiva sin anche ad annullarsi accostandosi gli elettrodi. Con moderata rarefazione e forza elettro- motrice appena sufficiente il passaggio della corrente aveva luogo quasi per un unico valore della detta distanza, ed occorreva una maggior differenza di potenziale perchè per altre distanze la corrente potesse stabilirsi. Al galva- nometro si può naturalmente sostituire un elettrometro od un elettroscopio. c) Se R ed A sono nell'aria all'ordinaria pressione, ionizzata da raggi X (nel qual caso R potrà essere un disco anzichè una rete metallica) si verifica un fenomeno analogo ai precedenti. Trovai infatti (*), che in de- terminate circostanze l'intensità della corrente fra i dischi cresce d'intensità, al crescere della loro reciproca distanza. Il fatto venne, anche questa volta, riscontrato più tardi da altri sperimentatori (°), ed oggi lo si spiega ammet- 1) Mem. della R. Acc. di Bologna, serie 4, t. X, pag. 107 (1890). 2) J. J. Thomson, Conduction of Electricity through Gases, pag. 232. 3) Journal de Physique, septembre 1890. 4) Mem. della R. Acc. di Bologna, loc. cit,, pag. 112. 5) Rend. della R. Ace. dei Lincei, 3 maggio 1896. ( ( ( ( ( (9) J. J. Thomson and Rutherford, Phil. Mag., t. 42 (1896). SERGI — tendo, che coll’aumento della detta distanza si mettono a contribuzione ioni in maggior numero per alimentare la corrente ('). d) Le coppie di quadranti di un elettrometro E (fig. 3), il cui ago è mantenuto ad un potenziale costante, comunicano separatamente coi dischi metallici paralleli A, B, fra i quali e ad eguale distanza trovasi un terzo disco C caricato dal polo isolato d'una pila. L'aria fra i dischi è ionizzata dalle radiazioni d'un corpo radioattivo. Se si sposta C verso uno dei dischi estremi si ha una deviazione di tal senso da indicare, che il passaggio del- ez di l'elettricità fra C ed il disco da cui C venne allontanato è più abbondante di quello fra C ed il disco a cui venne avvicinato (*). Benchè non ne abbia fatto la prova, non dubito che questa esperienza riescirebbe anche adope- rando i raggi X al posto del corpo radioattivo, come riescirebbe la c) fa- cendo il cambiamento inverso. e) Se si ripetono le esperienze 4) e è) mentre agisce un intenso campo magnetico diretto perpendicolarmente alle linee di forza elettriche, l'andamento anomalo dei fenomeni si attenua o sparisce, e cioè, per esempio nel caso della fig. 2, la corrente cresce regolarmente al diminuire della distanza fra gli elettrodi (8). Come si è visto, del fenomeno 4) si è data una spiegazione, ed un’altra assai simile si è data pel fenomeno c), che forse vale anche per quello d), il quale in sostanza sembra differire dal c) solo pel modo in cui l’aria viene ionizzata. Ma resta a discutere la causa probabile di 3) ed e). Del fenomeno d) si può dare una spiegazione simile a quella che si dà pel fenomeno a); si può ammettere cioè, che quando è scarso il numero delle molecole gassose comprese fra i due elettrodi, sia per essere questi molto (1) J. J. Tomson, Conduction of Electricity, ecc., pag. 13. (*) Rend. della R. Ace. dei Lincei, t. XII, pag. 237 (1904). (*) Mem. della R. Acc. di Bologna, 13 nov. 1892. — 668 — vicini, sia per essere bassissima la pressione del gas, la formazione di nuovi ioni per urto dei ioni già esistenti contro le molecole del gas è del pari troppo scarsa, e non può prodursi la scarica (se i due conduttori comunicano colle armature d'un condensatore) o la corrente (se essi comunicano coi poli d'una pila). A questa spiegazione si può opporre, che con essa rimane difficile render conto del fenomeno e), e cioè dell’azione di un campo magnetico. Perciò mi sembra probabile che tutte le precedenti spiegazioni siano incomplete, e che si debba tener conto di altre circostanze, le quali poi permettono, come mostrerò fra poco, di dare ragione anche del fenomeno e). Conviene perciò prendere in considerazione la presenza di un'atmosfera di ioni positivi intorno al catodo. L'esistenza di essa fu da me per la prima volta dimostrata in modo da non lasciar dubbio ('), e più tardi fu ripetuta- mente confermata, sempre però nel caso del continuato passaggio della cor- rente attraverso il gas rarefatto. Trovai, infatti, che il potenziale nel gas presso il catodo cresce andando verso il catodo stesso, ed in tal maniera, da rendere manifesta la presenza di un'atmosfera di ioni positivi avvolgente il catodo e che va diradandosi sino ad una certa distanza. Ora sembra lecito il supporre, che nel caso della esperienza 4) si inizî il passaggio della corrente nel gas, ma rimanga poi sospesa appunto per la formazione della detta atmo- sfera, la quale ha per effetto di rendere necessaria una maggior differenza di potenziale perchè la corrente possa continuare; anzi un aumento tanto più grande quanto più si avvicinano gli elettrodi. Ammessa questa spiegazione, quella del fenomeno e) diviene facilissima. I ioni positivi hanno origine dagli urti contro le molecole gassose degli elet- troni emessi dal catodo; ora il campo magnetico incurva fortemente le loro traiettorie, e così rende più scarsi i detti urti, l'atmosfera di ioni positivi non può formarsi, e la corrente continua liberamente, e tanto meglio quanto più vengono avvicinati gli elettrodi, senza che a ciò si richiegga un maggior potenziale. Ai cinque fenomeni richiamati possono aggiungersene due altri come molto affini, se non identici ad uno di essi. Il fenomeno ) si può evidentemente enunciare dicendo, che il potenziale di scarica è minimo per una certa distanza critica degli elettrodi A, B (fig. 2), e perciò è richiesta una differenza di potenziale maggiore se si di- minuisce la distanza suddetta. Considerato in tal modo, il fenomeno 8) coin- cide con uno recentemente enunciato dal sig. Carr e prima ancora dal sig. Peace (?). Per ultimo farò osservare, che il fenomeno è) sembra analogo a quello (1) Mem. della R. Acc. di Bologna, 13 novembre 1892. (°) J. J. Thomson, loc. cit. pag. 356. — 669 — ben noto, che fu descritto da Hittorf(*), e che consiste nella grande diffi- coltà d'ottenere la scarica fra elettrodi vicinissimi immersi in un gas estrema- mente rarefatto. In un tubo, nel quale si è fatto il miglior vuoto possibile, trovansi due elettrodi filiformi AB, CD (fig. 4), le cui estremità B, C quasi si toccano, e comunicanti con due altri elettrodi M, N terminati da palline poste nell'aria all’ordinaria pressione. Un condensatore o una macchina elettrica E, F produrrà una scintilla di qualche centimetro fra le palline M, N, piuttosto che dar luogo alla scarica fra gli elettrodi nel gas estremamente rarefatto. Fic. 4. Se veramente questo fenomeno è della stessa natura del fenomeno 2), dovrà verificarsi l’effetto e) anche col tubo descritto or ora. È questa la nuova esperienza che mi proponevo di descrivere. Per eseguirla, collocai il tubo AD in direzione equatoriale fra i poli della grande elettrocalamita di Ruhmkorff, della quale i cerchi segnati nella figura rappresentano il contorno dei rocchetti e del nucleo di ferro. Constatato il fenomeno noto, e cioè la produzione delle scintille MN , eccitai l’elettro- calamita con una corrente di 10 a 12 ampère. Immediatamente cessarono le scintille nell'aria e la scarica si produsse nel tubo, ove si manifestò colla viva fluorescenza verde delle pareti provocata dai raggi catodici. Interrotta la cor- rente magnetizzante, l'effetto di essa sparì con una certa lentezza, dovuta evidentemente, almeno in gran parte, al magnetismo residuo dei nuclei del- l'elettrocalamita. Questa esperienza, che riesce colla massima facilità, conduce a supporre, che anche quando le scintille scoccano in MN, un fenomeno di scarica di breve (*) Pogg. Ann., t. 136, pag. 201. — 670 — durata abbia luogo entro il tubo. Infatti non si capirebbe altrimenti come mai il campo magnetico dovesse facilitare la scarica attraverso il gas estre- mamente rarefatto. Se invece si suppone, che sempre si inizi il fenomeno della scarica entro il tubo, e che ciò dia luogo (come si è detto più sopra per spiegare il fenomeno e)) alla formazione di un accumulo di ioni positivi presso il catodo, che impedisce la continuazione della scarica stessa, allora sì comprende bene che il campo magnetico possa esercitare un'azione sul tubo. Quest'azione, secondo quanto fu detto più sopra, sarebbe precisamente quella di deviare gli elettroni e d'impedire in tal modo quella specie d’in- gorgo dei ioni positivi che, secondo la spiegazione da me proposta pel feno- meno e), costituisce l'ostacolo alla continuazione della scarica. Matematica. — Sull'applicazione del metodo delle immagini alle equazioni del tipo iperbolico. Nota del Socio V. VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. Matematica. — Sulle equazioni a derivate parziali. Nota del Corrispondente C. ARZELÀ. Nella mia recente Nota: Esistenza degli integrali nelle equazioni a derivate parziali, la costruzione delle funzioni w,(7), W:(4),... deve essere, per la piena validità del resultato, alquanto modificata, nel modo che spie- gherò prossimamente. Matematica. — Swi simboli di Riemann nel Calcolo diffe- renziale assoluto. Nota del Corrispondente ERNESTO PASCAL. Questa breve Nota ha per oggetto una osservazione sui simboli a quattro indici (detti di Riemann) che hanno, come si sa, un'importanza tanto fon- damentale nella teoria delle forme differenziali quadratiche e nel Calcolo differenziale assoluto. Per evitare di ripetere inutilmente cose note, mi riferirò per quanto riguarda le denominazioni, le notazioni e le succitate teorie al vol. I della Geometria differenziale del Bianchi (Pisa, 2* ediz., 1902), e alla Memoria di Ricci e Levi Civita nei Math. Annalen, t. 54, pag. 125. Un simbolo di Riemann di 1 specie (che indicheremo con Ry.1,15,5,) è la differenza di due espressioni formate in modo analogo mediante simboli — 671 — di Christoffel a tre indici; propriamente, indicando con D; l'operazione che applicata ad un simbolo di Christoffel a tre indici è: I © ale e) one D, [E] DIE]. I simboli di Christoffel a tre indici non formano un sistema covariante nel senso del Calcolo differenziale assoluto, e non lo formano neanche le loro dedotte D definite dalla (1), ma (e questa è la nota proprietà fonda- mentale dei simboli Riemanniani) lo formano invece le differenze di queste ultime combinate secondo la formola (2). L'osservazione cui si riferisce la presente Nota è questa: che introdu- cendo oltre i coefficienti a due indici della forma quadratica fondamentale, altri coefficienti a tre e quattro indici, che si trasformino come quelli di una forma differenziale completa di 4° ordine, il simbolo di Riemann si può comporre come la differenza di due elementi di un medesimo sistema co- variante. Insieme ai coefficienti X;; della forma differenziale quadratica fonda- mentale (3) DE Kg dx; dx; introduciamo i coefficienti X;;,, X;jnx che si trasformino come quelli di una forma differenziale di 4° ordine di cui siano zero i coefficienti ad un solo indice, e di cui siano i medesimi X;; i coefficienti a due indici: (4) Ni SX; dd + DI Xin di, ar n Xijni 08, Gr ih ihk essendo le d quelle formazioni differenziali ben note che io ho introdotte e studiate in lavori precedenti ('); la forma differenziale quadratica (3) è un covariante della forma (4). In una Nota del 1903 (*) ho introdotto per le forme differenziali ge- nerali delle formazioni fondamentali, che ho rappresentate con delle doppie parentesi rotonde, formazioni alle quali direttamente o indirettamente fanno capo tutte le altre che è necessario introdurre nella teorica delle forme dif- ferenziali. (1) V. p. es. Rend. Acc. Lincei (5), t. XII. 1° sem. 1903, pag. 325. (©) Ibid., pae. 367. (6) - — 672 — La derivata di una tale formazione si esprime colla semplice formola 6) (ian JOE dUN e la loro trasformazione si fa come quella del prodotto delle due X, aventi rispettivamente per indici quelli del primo e quelli del secondo gruppo del simbolo. Se ora poniamo in generale: (((d1 ima fi Se FD (fi im) = mju (((d1 ce dm af cd EDT ((f1 et e im) = inf Îu) otteniamo da (5) le formole: "pa, Sin ce ima froSut = (im fig) (im gi Ju) (7) d ; : E LL ” , È ; 3 : ; - (d1 e im fr) im fi + mf fe. Si riconosce subito che il simbolo di Christoffel di 1 specie Bei rela- tivo alla forma (3) è, a meno di un fattore, il simbolo (7 s,) relativo alla forma (4); propriamente è: [E 1 (8) Le] na e che il simbolo di Christoffel di 2* specie è similmente (rs te 1 N (9) = Au(r8,h), essendo al solito le A, i rapporti dei complementi algebrici degli elementi del determinante |X;;|, per il determinante stesso. Di qui si ha che la prima parte del simbolo di Riemann (2) diventa (10) ita Apy (71.852) (13859) = {1 813 72 Sa — Li PISO PETS N Ang (Fis) jin 13 Di 152; ica P9 e ponendo 1 I (11) [risi rasl=— rs reso — 7 DI Ap(1 SÌ, D) (12.520,49) p 2 il simbolo di Riemann si esprimerà colla differenza (12) Br. r,,0,,== L18172 8] — 188, 12 81]. — 673 — Ora io dico che gli elementi (11) formano un sistema covariante nel senso del calcolo differenziale assoluto. Infatti, immaginando una trasformazione delle variabili 4 nelle y, le formazioni di cui risulta il secondo membro di (11) si trasformano con formole che, tenendo conto di (6), si deducono facilmente da quelle da noi esposte nelle succitate Note. Indichiamo con Y i coefficienti della trasformata di (4), con A:; i rapporti analoghi agli A,, ma formati colle Y, anzichè colle X, e ricordiamo che sui i ul Abbiamo allora, esprimendo per le Y il secondo membro di (11) che è calcolato per le X: [ri 81, 728]: = — È 1 2 —;X, oi Diva ROMPA (A dYn dYk d°Y1 SA ri dr, ds ddrg dd, oz DI dA RZ) d£8, 2 2 Ad, “i: d°Yk dY dI, dI, dI, dI, 1 dep dd dYn dEL_dW d°%_ Wi 3) ga, 21 TIRA o i TARA Sor. 4 fi i Yi dj DI dr ddr, dds, dp po” ZI tr dI, d0s, ddp TATA aL dYN dY dYv d°Yn | X Nb) Rae — |. Di )r DER Dr DO di À | ir dAp, dle, dig Osservando ora che ij dYi dY; dIp dI è eguale ad 1 solo quando 7 =/ e j=/", edè eguale a zero in ogni altro caso; che, essendo zero i coefficienti ad un solo indice della forma differen- ziale (4) e quindi anche della sua trasformata, i simboli }7, /{y sono eguali a —2Yy, @ quindi 1 è i i 5 DAG} ke = > AV pil se Dic ij 77 core i a sej=*%, e infine osservando che (2,h%)=(#7,!), si riconosce che il secondo membro della precedente formola può porsi sotto la forma 1 1 | 2 DI [3a kn sha ini tg D Ai; (fi fr î)s (ha ks db | dn, dYki dYno dYks ij =" dr, dI, dI, dilsy RenpIcoNTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 86 — 674 — cioè si ha la formola (18) Crisi re sodi =D Didi de i dio Dia Mn dir, dlsi ddr, d%s, che dimostra il nostro assunto. I simboli di Riemann dunque, oltre che formare essi stessi un sistema covariante, possono comporsi come differenze di due elementi di un altro sistema covariante nel senso del Calcolo differenziale assoluto. Matematica. — vcerche sopra le funzioni derivate. Nota di Beppo LEVI, presentata dal Socio C. SEGRE. In questa Nota vogliamo riannodare alle proposizioni relative alle fun- zioni derivate, dimostrate nella Nota precedente ('), il problema delle funzioni primitive e il teorema fondamentale del calcolo integrale, e dedurne ancora alcuni corollari per le funzioni derivate medesime. Dobbiamo perciò premettere una proposizione relativa all’ integrale inde- finito di una funzione integrabile nel senso del Lebesgue: 1. L'integrale indefinito di una funzione integrabile in un intervallo a. b nel senso del Lebesque, ammette in tutti i punti dell'intervallo, fatta al più eccezione per quelli di un aggregato di misura nulla, deri- vata unica e determinata ed uguale precisamente alla funzione integrando. La proposizione sarà evidentemente dimostrata quando sia provato che, separatamente, la funzione integrale ammette derivate determinate a destra e a sinistra uguali ciascuna alla funzione integrando, in tutti i punti del- l'intervallo 4... è fatta al più eccezione per quelli di un aggregato di mi- sura nulla. Ci occuperemo, per fissare le idee, della derivata a destra. Sia /(x) la funzione che si integra e si ponga Pa) - (10) d [D(2) 2 +- 11 =] | {de Sarà Per l'ipotesi dell'integrabilità di /(z), dato arbitrariamente un s, si può determinare nell'intervallo «... dò un aggregato K: tale che: 1° La misura di K. sia < 8; (*) Questi Rendiconti, pag. 551. — 675 — 2° Esista uno & tale che in ogni punto di &... d, fuori di K., |/(2)| = $; o Jifo|ae=e. Si chiami /:(x) la funzione che è uguale a /(4) in ogni punto di 4... d non appartenente a K. ed è nulla nei punti di K:; /:(#) sarà misurabile e, per un teorema dovuto ai sig. Borel, Lebesgue e Vitali (*), si può deter- . . . . . E ò minare in 4...d un aggregato chiuso di misura > db — a— È tale che i valori di /:(z) in esso formino una funzione continua. Si chiamino rispetti- vamente C.: la parte di questo aggregato e D. la parte dell’aggregato com- è . n € plementare esterne a K:. La misura di C. sarà cc>d—a—e—, quella È i DL O SR IppaNendo = E Sarà Lo+h Xo+h Lo+h Lo+h (1) {10 de= | f(a)de+ \ f.(2)da+ | f(a) da Lo (CE) Xo0(DE) Lo (K£) dove gli indici C:, D:, K: apposti ai tre integrali significano che essi sono presi negli aggregati di punti dell'intervallo xo... wo +4 appartenenti ri- spettivamente a C:,D:, K:. Chiameremo rispettivamente y:(z0 4), d:(201), x:(co h) le misure di queste tre parti di 0... #0 +4, per modo che sarà V:+0+a:= Ah. Noi porteremo ora la nostra attenzione sui soli punti 4, che apparten- gono a C.. Si ricordi che, in ogni punto, |/:(2)] = $; sarà quindi xro+h IC da Lo (DE) Ciascuno dei numeri y:,0d:,x: è funzione di % e di 2, e tende a 0 = Ed:(x0h). . . . . . — £d. . . . con 4: sì può quindi considerare il lim 7 come funzione di >, e consi- h=0 derare l'aggregato M., dei punti (di C:) per cui = nia ah) _ h= (1) Borel, Un théorème sur les ensembles mesurables, Comptes-rendus, déc. 1903; Lebesgue, Sur une propriété des fonctions, Comptes-rendus, déc. 1903, Vitali, Una pro- prietà delle funzioni misurabili, Rend. dell'Istituto Lombardo (2) 38, 1905, $ 3, pag. 601. | — 676 — dove ) è un numero positivo arbitrariamente assegnato; sia w la misura di Men. L'aggregato M., si può generare come segue: Si consideri l’aggregato dei punti x, di C: per ciascuno dei quali av- U Ò. viene che, per qualche ’ tale che o=i=r>0 el, (Ne 0), Menzoe è chiuso perchè se #, è il limite d’ una serie di punti 4, appartenenti a Menzoe e 4 è un limite di valori corrispondenti di 4, sarà pure o =>%= xt; inoltre d:(#, 4) sarà il limite dei numeri d:(4 4) relativi a questi punti x; e a questi ci Il 1 IDA e h, e quindi SOA TAI) => Ne. Sarà M.,= lim lim (lim Meyzoe). h ny=" o=0NT=0 si Se co è un punto qualunque di M.,-c-, si chiami » il massimo valore Ed: (0 h) h di A per cui = ne; il punto 20.4» non potrà appartenere a Menroe, perchè in tale ipotesi si potrebbe determinare un y > 0 (anzi = 7) tale che SO o a) n- e sarebbe quindi ancora LA, x hot % di ciò, e perchè M.,-5- è chiuso, ha un senso ben determinato il parlare del primo punto di M:n:ce seguente z0 + o. Ciò posto, sia x; il primo punto (a sinistra) del segmento «... d appartenente a M:nroe, #j il corrispondente valore di %o, 5 il primo punto di M:,:5c seguente x + #6, il valore corrispondente di /, e così via. L'aggregato M:,-0- sarà tutto contenuto nel- l'aggregato numerabile di segmenti esterni l'uno all'altro «0.0 +40, e se Ure è la sua misura, Uzcc = Di 19°. Ma se dO è la misura della parte = Ne. A causa di D: contenuta in 4... 20 + 29, si ha, per ipotesi, d@ do E (1) e = o h° ‘lc dunque infine COMMENTS È 8 lis = Vili Didi = a “EMMI Mc UG Ne ed anche . . » E i — gsm miu mo= T=0 T=0 (/, Lo+h Allo stesso modo si può ragionare quando, considerando | |/(x)|dx Lo (KE) come funzione di z, e di /, si determina l'aggregato N., dei punti di C. in cui Loth mi (|/(de=n h=0 Xx (KE) — 677 — Chiamando v la misura di tale aggregato, si otterrà quindi pure file, nz sz 7 “o L'aggregato C: — Min — Nin avrà quindi misura E E > 0—-2->b-raT_--2T-2-— Ù È n Dopo ciò, si supponga che il punto 4, appartenga a C: — Min — Nen; sarà per esso Loth Lo+h Lo+h lim\z fee) da ; lim È f(@)\da. lmz If(a)| de Q0 tale che, per ogni h= hs e per ogni 4 di C. appartenente all'intervallo zo... wo + A, sia fi(e)—0=f(4)= fe) +0 e quindi Lcoth Lf) — 61r:(20, mM) = | f(&) de = [2 +0 y:(00, È La (2) dà quindi (tin unalli (fe) — 9) —2n = lim ; il 0) o (3) 1 Xo+h x =Îm} /@) da = (n Vo, da) (f(a) +0) +27. Per valutare i due limiti di 5 sì tenga presente la relazione | Ve:+d:+x:=h; — 678 — sì osservi inoltre che, dalla relazione lim del segue lol. h=0 h Ai=0 h e poichè in K: è sempre Xo+h lm} If(@)|dce < n segue lim n È < F. A=0 Lo (KE) Risulta ru Ve a PIT 27 limi =da681 —=21-1 1_ 7. = nilo È O ae Dunque infine, osservando ancora che /:(2,) = (o) e che 6 si può assu- mere arbitrariamente piccolo, la (3) diviene Lot} Lo+h fi) È f(a) —2n= Lug i ia di lim} 1855, da = = fe) +2 ovvero, poichè |/(x.)|= &, Lo+h Lo+h 1 (4) /(@)-49=lim,_ si fi(@);da = lim} 7) )de = f(a) +27. Lo Si scelga ora p= V e: facendo tendere « a 0, i due membri estremi della disuguaglianza tendono al medesimo limite /(x), onde potremo con- eludere che, se 2 punto x, è tale che, per i valori di e di una conveniente successione tendente a 0, esso è costantemente contenuto in C:—Ma— Nan, XL în tal punto x, la funzione (x) =f f(a) dx ha derivata a destra, e precisamente uguale a f(x). Ma, per la scelta fatta di n, la misura di C— Ma — Na, è =(—a_2/5—z—e e quindi, tosto che È è sufficientemente grande ed e sufficientemente piccolo, =>(b—a)—3Ve. Si consideri quindi una successione di numeri Eee 0) i=% tale che la serie Di) s; sia convergente: la misura dell'aggregato comune a tutti i C,— Mn N», prj>i è =>(f—a)—8 Va e tende 5 i 69 | quindi a b— a col tendere di £ a 0: si può quindi assegnare nell'inter- vallo a...b un aggregaio B di misura nulla tale che, tosto che &, non ap- partiene ad E, è soddisfatta la condizione precedentemente enunciata per cui si può affermare l’esistenza della derivata a destra di ®(x) in a, e la sua uguaglianza a f(x). Tale aggregato E è il complementare di #00 lim II (Ce, n M.. Tone Ne, n;) (1) i=% j=i od anche l’aggregato, contenuto in questo, complementare di j Li 2 Ma Ne;n)) i Non altrimenti si ragionerà per le derivate a sinistra. 2. Veniamo ora a stabilire il teorema fondamentale del calcolo integrale per le funzioni a numeri derivati non limitati : Se l’aggregato dei valori della funzione f(@) in un qualunque aggre- gato di punti di misura nulla contenuto in a...b ha misura nulla, e se ha misura nulla l'aggregato dei punti in cui qualcuna delle funzioni dei numeri derivati di f(x) può divenire infinita, se inoltre esiste l'integrale del Lebesque esteso all'intervallo a... b (?) di una delle dette funzioni derivate (per es. della funzione (x) derivata superiore a destra), la funzione f(x) differisce al più per una costante dall’integrale in- definito di tal funzione derivata. Si ponga infatti Le due funzioni /(.c), D(4) si comportano come le funzioni F(x), D(x) del n. 3 della Nota precedente. Infatti dalla proposizione del n. 1, per quanto riguarda la ®(x), dalle ipotesi presenti, per la /(«), risulta evidente che sono soddisfatte tutte le ipotesi di quella proposizione se appena si astrae da quella relativa ai valori della differenza F(2) — D(4). Riguardo a questa si osservi che, a causa della proposizione del n. prec., l’aggregato dei punti in cui P(x) può avere una derivata infinita ha misura nulla e che l’aggre- gato dei valori di una funzione integrale qualunque nei punti di un aggre- (') Indicando con ZZ©, l’aggregato comune a tutti gli aggregati A; (prodotto logico di essi aggregati) e analogamente, in seguito. con ZO; la somma degli aggregati me- desimi. (?) E quindi ad ogni intervallo contenuto in 4... Esistono funzioni derivate le quali non ammettono integrale del Lebesgue. Cfr. per un esempio: Lebesgue, Annali di matematica (3) 7, pag. 269-70. NI — 6380 — gato di misura nulla ha misura nulla ('); siccome quindi, per le ipotesi fatte, nell'aggregato di misura nulla in cui le derivate di /(4) o di ®(x) possono essere infinite, ciascuna delle due funzioni assume un aggregato di valori di misura nulla, un aggregato di valori di misura nulla assumerà pure in detti punti la differenza /(2) — D(2)(?). 3. Notevole corollario di questa proposizione è il seguente: Se di una delle quattro funzioni derivate della funzione f(x) (per es. della funzione %(x) derivata superiore a destra) esiste l'integrale del Le- besque esteso all'intervallo a...b; se inoltre le quattro funzioni dei nu- meri derivati della funzione f(x) sono finite nell'intervallo a...b, 0 più generalmente se l'aggregato dei punti di a... b in cui qualcuna delle funzioni dei numeri derivati di f(x) può divenire infinita è riducibile, la funzione f(x) differisce al più per una costante da Hi (AA): a (1) È questa conseguenza immediata della definizione dell’integrale. Un aggregato di punti 2 di misura nulla si può racchiudere entro un aggregato S di segmenti di mi- sura totale e piccola a piacere: si spezzi l'integrale dei valori assoluti della funzione integrando in due parti: l’una relativa ai punti in cui la funzione integrando è in valore assoluto > É, l’altra relativa ai punti residui. La prima parte diviene piccola a piacere prendendo £ sufficientemente grande; la seconda parte, considerata solo nei segmenti di Sè = e e quindi piccola a piacere per e sufficientemente piccolo; dunque l'integrale dei valori assoluti, esteso a S è piccolo a piacere. Ora questo integrale è minore o uguale alla variazione totale dell’integrale dato nei segmenti di S, e quindi maggiore o uguale alla misura dei valori dell’integrale nei punti dell’aggregato considerato. (*) Lo si vede facilmente osservando che l'aggregato dei valori considerati di (2) si può racchiudere in un aggregato numerabile di segmenti s; di misura totale < #': si pensi allora numerato questo aggregato di segmenti e all’-mo si faccia corrispondere un ni tale che 7; < e”: si immagini ancora racchiuso l’aggregato dei valori considerati di (x) in aggregati di segmenti di misure totali rispettivamente < 7:; i valori della dif- ferenza f(@) — (x) per gli 4 considerati e per f(x) in s;, sono compresi fra i valori di A —w per 4 in s; e 4 nel nominato aggregato di segmenti di misura <7%;. Si con- clude facilmente che l’aggregato dei valori considerati per la differenza f(x) — £(x) ha misura <& + e”. (3) Per vero tosto che le funzioni dei numeri derivati sono finite, sono verificate le ipotesi del precedente enunciato ; inquantochè, se l’aggregato dei valori della /(x) in un aggregato © di punti di misura nulla ha misura non nulla, esiste un aggregato di punti in cui almeno una derivata di /(#) diviene infinita. Per provarlo basta ripetere un ragio- namento analogo a quello del n. 1 della Nota precedente. Si racchiuda l’aggregato A in un aggregato Ser di segmenti di misura s': se l’aggregato dei valori di (x) nei punti di © ha misura = è, in uno almeno di questi segmenti è contenuto un segmento in cui . E 7 > v ; a Gua il rapporto incrementale di f(x) è = +, e dentro ad esso si può determinare simil- G . . . . x v x . . . mente un segmento in cui il rapporto incrementale è =7g e così via; scegliendo i numeri 8,8”... <1 (e si possono prendere piccoli a piacere), si ottiene una serie di se- p p p — 681 — Però la considerazione simultanea delle quattro derivate porta in queste proposizioni una complicazione superiore al necessario. Sulla riduzione delle ipotesi alla considerazione d'una derivata sola, quella che sì integra, ritor- nerò ancora una volta. 4. L'identità, a meno d'una costante, delle funzioni /(x) e D(4) ci per- mette di applicare alla prima le proprietà dimostrate per la seconda nel n. 1. Si può quindi affermare che: Se una funzione è tale che l’aggregato dei valori di essa în ogni aggregato di misura nulla abbia misura nulla, che l'aggregato dei punti in cui qualcuna delle sue funzioni derivate può essere infinita abbia mi- sura nulla; tale infine che una qualunque di queste funzioni derivate am- metta l'integrale del Lebesgue esteso all'intervallo a... b, tal funzione ha derivata determinata e finita in tutti i punti dell'intervallo a... b, tolto al più un aggregato di punti di misura nulla. Applicando questa osservazione alla proposizione del n. 3 della Nota prece- dente si vede che si possono in essa alterare alcun poco le ipotesi e dire che: Si potrà affermare che due funzioni continue F(x) e D(x) non pos- sono differire in un intervallo a... b che per una costante tosto che si sappia che le due funzioni hanno una coppia di derivate omonime uguali in tutti i punti dell'intervallo, fatta astrazione dai punti di un aggregato di misura nulla, e che inoltre le due funzioni hanno finite le derivate in tutti i punti dell’intervallo, tolti al più i punti di un aggregato di misura nulla, purchè ciascuna delle due funzioni 0 più generalmente la loro dif- ferenza assuma in ogni aggregato di punti di misura nulla un aggregato di valori di misura nulla. 5. Terminerò questa Nota con alcune considerazioni sul problema delle funzioni primitive che hanno derivata determinata in tutti i punti. A queste funzioni sì applicano intanto le proposizioni precedenti: Ogni funzione avente derivata determinata e finita in tutti i punti dell'intervallo a... b ed inte- grabile in tale intervallo è uguale — a meno d'una costante — all’inte- gmenti contenuti ciascuno nel precedente e che ha per limite un punto in cui almeno una derivata è infinita. È chiaro che: 1° l’aggregato € non è numerabile, perchè sarebbe numerabile e quindi di misura nulla l’aggregato dei valori corrispondenti di /(2); 2° l’aggregato A è contenuto in ogni derivato dell'aggregato dei punti in cui una derivata è infinita, od almeno sì possono da esso sopprimere senza danno i punti che non appartengono a questo deri- vato, perchè l’aggregato dei valori di /(x) in essi ha misura nulla. Quindi se in un aggregato di punti di misura nulla l’aggregato dei valori della funzione ha misura non nulla, l’aggregato dei punti in cui una derivata di f(x) è infinita non può essere riducibile. RenpIcoONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 87 — 682 — grale indefinito della propria derivata ('). Quando poi la derivata della funzione possa divenire infinita, la proposizione resterà pur vera purchè l'ag- gregato dei valori della funzione in ogni aggregato di punti di misura nulla abbia misura nulla. Quando questa condizione non fosse soddisfatta, la propo- sizione non potrebbe sussistere perchè, come sì osservò poc'anzi, una funzione integrale non può assumere un aggregato di valori di misura non nulla in un aggregato di punti di misura nulla. Cionondimeno si può dimostrare che il problema delle funzioni primitive è ancora perfettamente determinato: se cioè una funzione ha derivata unica e determinata in tutti è punti d’un intervallo, la funzione medesima è determinata nell'intervallo, a meno d'una costante, dai valori della sua derivata in un aggregato di punti dell’in- tervallo, il cui aggregato complementare abbia misura nulla (?). 6. Per mostrarlo osserveremo anzitutto che: Se una funzione ha derivata unica e determinata in tutti i punti di un intervallo a... b e se tal derivata è nulla od infinita in tutti i punti che non appartengono ad un aggregato di misura nulla, la derivata medesima e nulla in tutto l'intervallo e la funzione si riduce quindi ad una costante. Nelle presenti ipotesi esistono infatti in ogni segmento punti in cui la derivata è nulla o infinita; ma la derivata non può allora essere costante- mente d'uno stesso segno (non nulla) in tutti i punti di un segmento, perchè una funzione monotona non può avere derivata infinita in tutti i punti di un aggregato di misura « > 0 (*); e, per un noto teorema del sig. Dar- (1) Quando la derivata è integrabile nel senso di Riemann-Cauchy, la proposizione è nota (cfr. Schoenflies, Bericht. ù. Mengenlehre, pag. 213). (*) Questa proposizione può essere confrontata, almeno nei termini in cui è espressa, con altre note, per es. la seguente dovuta al Volterra (V. Sut principi del calcolo inte- grale, Giornale di Battaglini, 19, pag. 333) « Se la derivata di una funzione si conosce «in tutti i punti di un intervallo esclusi quelli appartenenti ad un gruppo di punti ed «ai suoi punti limiti, la condizione necessaria e sufficiente affinchè si possa determinare «la funzione primitiva (conoscendone il valore in un punto) è che il gruppo sia rinchiu- « dibile in intervalli arbitrariamente piccoli ». Qui si osservi però che il Volterra ammette implicitamente di ragionar sempre sopra funzioni finite; nella proposizione in questione la derivata medesima della funzione incognita deve supporsi finita. Una notevole divergenza si mostra inoltre fra la proposizione citata e quella del testo, in quanto la prima enuncia come condizione necessaria una che non è affatto rispettata nell’enunciato del testo. Di ciò deve ricercarsi la ragione nella condizione che il Volterra viene ad imporre all’aggre- gato eccezionale di essere chiuso ed in qualche dubbio che può nascere su ciò che le fun- zioni che si offrono come esempio, diverse fra loro ed aventi la stessa derivata fuori del gruppo eccezionale, possano non aver derivata nei punti di questo gruppo eccezionale. In- vero, se si abbandona l’ipotesi che il gruppo eccezionale sia chiuso, si troverà che una proposizione in contraddizione coll’enunciata necessità, fu dimostrata dallo Scheeffer fin dal 1885 (Acta Mathematica, vol. 5, pag. 282). (*) Altrimenti, scelto arbitrariamente un e e un u1<&, prossimo quanto si vuole a 4, esisterebbe un y tale che l’aggregato dei punti «x iu cui il rapporto incrementale È È È 1 3 della funzione nell’intervallo @...x +4, per ogni h= % è =7 ha misura > %; — 683 — boux (*) in ogni segmento in cui la derivata abbia valori di segno contrario, esistono punti in cui la derivata è nulla: in ogni intervallo esistono dunque punti in cui la derivata è nulla. * Si aggiunga a questa osservazione il fatto che la derivata (supposta unica e determinata in ogni punto di 4... è) costituisce una funzione di 12 classe del Baire e quindi rispetto ad ogni aggregato chiuso di valori della variabile possiede punti di continuità in ogni intervallo (*); segue che in ogni intervallo esisteranno segmenti in cui essa derivata resta piccola a pia- cere. In un tal segmento non esisteranno punti in cui la derivata sia infinita: quindi (pei n. 1, 2 della mia Nota precedente) la funzione sarà costante in esso e la derivata vi sarà ovunque nulla. Negli estremi di tal segmento la derivata sarà ancora nulla: infatti, per la già citata proposizione del sig. Darboux fra due punti in cui la derivata assuma valori diversi, ne esistono di quelli in cui la derivata assume valori intermedi; si conclude che non potrebbe la derivata esser +0 negli estremi del segmento senza esser + 0 in qualche punto del segmento medesimo. L'aggregato dei punti in cui la derivata può esser + 0 deve dunque esser corzenuto nell’aggregato non denso — perfetto — complementare a un aggregato di segmenti (e non può contenere gli estremi di questi segmenti). E si deve supporre che in questo aggregato esso sia denso, perchè ogni sesmento in cui non esistano punti a derivata + 0 si può pensare previamente soppresso dall’aggregato. In ogni segmento contenente punti di questo aggregato perfetto, son pure contenuti punti in cui la derivata è nulla e che appartengono ad esso aggregato (gli estremi dei segmenti com- plementari); quindi, per la ricordata proprietà delle funzioni di 1 classe, esi- — sterà in esso un segmento contenente punti dell'aggregato medesimo ed in cui la derivata resta piccola quanto si vuole; e riapplicando la proposizione già ricordata (Nota precedente n. 1, 2) tale derivata sarà ancora nulla in tutti i punti del nominato aggregato perfetto, contenuti in tal segmento. Ora questa conclusione contraddice alla definizione di quell'aggregato. Ne segue la non esistenza dell'aggregato medesimo. 7. Segue dalla proposizione ora dimostrata che se due funzioni hanno derivata in tutti i punti dell'intervallo 4... è, e, se si astrae da un aggre- gato di misura nulla, vi hanno precisamente la stessa derivata, la loro diffe- questo aggregato è chiuso, e ripetendo per esso un ragionamento analogo a quello fatto nel n. 1 per l’aggregato è chiuso Menros e nel n. 1 della Nota precedente per l’aggre- gato B, si concluderebbe che si può determinare un aggregato di segmenti contenuto 6 s È 5 Ò y Ui ò 1990: in a...b în cui l'incremento della funzione è DR e cioè grande a piacere. (1) Cfr. Lebesgue, Zegons sur l'intégration ete. pag. 89. Dini, Fondamenti per una teoria delle funzioni di variabile reale, n. 172. (°) Baire, 7'hese, Sur les fonctions de variables réelles, pag. 30 (Annali di Mate- matica, 1899). — 684 — renza — la quale in tutti i punti di 4... d ha derivata, e precisamente deri- vata nulla o infinita, se si astrae dal nominato aggregato — deve ridursi ad una costante onde risulta la proposizione enunciata alla fine del n. 4. Si può ancora rilevare che una funzione la quale abbia derivata in tuttè i punti di un intervallo e precisamente derivata nulla nell'aggregato com- plementare di un aggregato di misura nulla, dovendo essere costante, non differirà dall'integrale della propria derivata; fatto notevole se si osserva che appunto per esemplificare i casi d'eccezione al teorema fondamentale del cal- colo integrale furono immaginate le funzioni continue costanti a tratti, per cui l'integrale della derivata è nullo senza che sia costante la funzione (*): tali funzioni non hanno derivata determinata in tutti i punti dell'intervallo e non possono quindi illuminare il problema nelle presenti ipotesi. Matematica. — Sulle trasformazioni che lasciano invariata la frequenza di insiemi lineari. Nota di ErrtoRE BORTOLOTTI, presentata dal Corrispondente E. CESÀRO. Se si indica con 7, il numero degli elementi di una data classe C, che sono compresi fra i primi n della successione %,,%2,... Un,..., (4 probabilità, per un termine preso a caso fra i primi n di quella successione, di appar- s UE CPCIICAGNOO, tenere alla classe C, è espressa dal rapporto ce ed 0, Une ; n (a finito); n=x. O Lu (3) lim a,=%, i) lim Un — In —0/A((a/—f00d): n=%0 Kn-1. 774 | ) la frequenza a sinistra nel punto « a distanza finita si potrà calcolare cer- cando il limite . S(4n , a) . S(Zn , in) + Sa sL 1) + de 4 lim —T— = lim tt | ti stnti/ I ( ) 7i_—-20" (ARI Cn n=% (Ci e) A) + (Cate — ot) + SOA 9, e quella nel punto dell'infinito, cercando il limite SS Ze ea) (1) SIA) 5 lim —— = = lim ___ LL, ( ) n=0 HWn Lo n=v (rt (ee + + (n — n) 6. Se noi ora supponiamo che la variabile Ba —Aa—- Ins abbia ordine finito di infinitesimo; osservando che 4Bn = Un-1 7 Tn, ed applicando il teorema 2° (v. anche l'enunciato del teor. 3°) della mia Nota: Sopra una ricerca di limite, avremo dalla formola (4), che se esiste il limite (6) e o) n=c0 ( VA Dmiiza) Te si la In) | do 21 A) sl ee Re ci dà la frequenza dell'insieme dato nel punio a (*). 7. Similmente, se la variabile B, — Uni A è infinita di ordine finito, dalla (5) si deduce che, quando esiste il limite lim = Lise S(%o , 99) | L_ SII) È) = nari - + Sa , Un) ) e VAI == 0 Lg En Cn- 1 ) ; (*) La condizione A 0, che noi richiediamo per la successione gn = 4 — n #7 (per a, finito, pn = %,, per « infinito), è soddisfatta da tutte le variabili monotone gn, che decrescono meno rapidamente di e7*, o che crescono meno rapidamente di e?” (cfr. Bor- tolotti, Sul limite del quoziente di due funzioni, Ann. di Mat. t. VIII, serie III, pag. 273 e seguenti. (2) Intendiamo la frequenza a sinistra, altrettanto può dirsi per /a frequenza a destra; per punti a distanza finita noi ci limiteremo, in seguito, a considerare la fre- quenza a sinistra. — 687 — questo ci dà l’espressione della frequenza del dato insieme, nel punto del- l’infinito. Se la variabile Bi.=xn— %, è infinita del primo ordine il limite (6) esiste sempre in tutti i casi in cui esiste il limite (5), cioè in cui è determinata la frequenza che l'insieme dato ha nel punto dell’infi- nito (*). 8. Riassumendo si ha il teorema: Se la successione sempre crescente x, tende al punto a (all'infinito) e le differenze a— an(en — do), sono per n= co, infinitesime (infinite) di ordine finito, la frequenza dell'insieme [E] nel punto a è espressa dal limite (se esiste) per n= co della media delle probabilità, che i punti [£], hanno, rispettivamente, negli intervalli xo tr, X2, Ener Xn, deter- minati dai punti della ‘successione x, . Questo limite sicuramente esiste, se l'insieme dato ha, nel punto dEn= %, frequenza determinata, e se la successione an — xo è infinita del primo ordine per n=. 9. Sia g(x) la indicatrice di frequenza (*) dei punti [5]. La estensione esteriore della parte di [$] contenuta nel segmento x “X, sarà data dall’integrale definito: (7) S(z,X) = [ol da. 10. Se, mediante la funzione continua, derivabile, sempre crescente o sempre decrescente y(4), si fanno corrispondere ai punti del segmento 2 "X, quelli del segmento y(2) 7y(X); all'insieme [$] corrisponderà un insieme [Y], la cui estensione esteriore sarà parimenti espressa dalla formola S(Y(@) 93) = i ‘D(y) dy, (8) y=y(a) Y=y(X); P(y) indicatrice di frequenza dell'insieme iI; o dall'altra equivalente: (9) $y,D= f XL 3 9().y/(2) de; e se supponiamo la y' continua nel tratto 2 TX, avremo la relazione (Sy,Y)=y(@+0X—2)) 8,2) COZOZIL (1) Cfr. la Nota: Sopra una ricerca di limite, al teorema 1°. (*) Si prenda cioè p[f]=1, g(2)=0, per «+ É. Cfr. Cesàro, Sull'uso della in- tegrazione in alcune questioni di Aritmetica. Rendiconti Circ. Mat. di Palermo t. I, pag. 293 e seguenti. (10) — 68383 — 11. Teorema. Sia y(4) una funzione reale della variabile reale &, infinita di ordine finito per £r = %, monotona, insieme con la sua derivata y'(x), în tutti è punti a distanza finita di un determinato intorno To 0 dell'infinito; la quale trasformi biunivocamente i punti del raggio ag 70 in quelli del raggio y,T®. Ad ogni insieme [E], di punti x, con frequenza determinata nel punto dell'infinito, corrisponde un insieme [n= y(€)], di eguale frequenza. Preso ad arbitrio il numero positivo %, si costruisca la successione , (11) Mn= Co nh. Ponendo (12) YUn= Y(%n), dalla formola (10) ricaviamo S(Yna è) Yn) iS S(Znu1 . 4) gino, SaS ‘ 4) h . VA + 055 h) h Ln roi Un_1 i e, per la applicazione del teorema suì limiti già ricordato ('), n D Si: 4) i=l $(Y0,1 limi = lim. (Yo 3 Yn) MD My +0) Dt 8) 1 d TRL S Lil sidi De in pg SOL n=x NW Eno 4 Gai Lio1 Ma il secondo membro rappresenta la frequenza dell'insieme [$] nel punto dell'infinito; indicando tale frequenza con ©, avremo dunque: S(Yo + Yn) o — lime TOSTAyi (4 0) Lo D'altro canto sì ha DI hy (cin + dh) = y(cn) — yo) + My (14) — (20) 1 —N1ZIZ h; ricordando che lim y(2) =) n=w Y(&) (1) Questa applicazione è lecita perchè >y'(2) è infinita di ordine finito; vediamo 1 infatti, che si comporta assintoticamente come y(#n), ed essendo #, infinito del primo ordine, y(7,) ha, rispetto alla n, lo stesso ordine che y(x) ha per 2= 0%. — 689 — abbiamo dunque: S(Yo s Yn) A o=lim ——<; n=» Yn — Yo e ciò, per quanto si è detto al n. 6, e per le ipotesi poste sulla crescenza della y, mostra appunto che /a frequenza dell’insieme [n= y(€)] nel punto y=% è determinata ed eguale ad @. 12. Volendo esaminare la possibilità di estendere il risultamento trovato a funzioni y(«), crescenti più rapidamente di qualunque potenza reale 2° di 4, (come sarebbero 209%, e, x? ..--); osservo anzitutto che, preso un nu- mero positivo % arbitrario, la successione Yn= Yo + nk corrisponde ad una successione z,, determinata dalla relazione Yn= y(cn) , la quale cresce tanto più lentamente, quanto più rapida è la crescenza della y(x). Essendo y, infinita del primo ordine, rispetto ad 7, avremo la fre- quenza dell’ insieme [n= y(£)], cercando il limite TOS i ù lim li > S(Yin 1 Yi) 1 n=%0%0 N =T Yi — Yi-r ma, per la (10), n $é DA i n SM, , pa 6;- ; Eee eo eo 49) — n=» N =T Yi TC Yi n=x NET VI CSI ll Sas) = lim- ) —_—___--!-----. n=% I Z (Yi t 0) (Yi Yi) (11) i LE CS no NET Yi Yi n=0o NET Li Ti Se questo limite esiste, sì ha: SZ. : lim = Sesta lim n=o NET KH His n=x Hn — Ho S (ae) >) perchè siamo in uno dei casi in cui il teorema sui limiti, più volte citato è valido; precisamente in quello noto da lungo tempo, di variabili 0, = «n — — Xn-, positive infinitesime, e di variabili B, = 4, — %, infinite, per 2 = co. Se dunque l'insieme [= y(é) ] ha frequenza determinata nel punto dell'infinito, l'insieme dato [#] ha la stessa frequenza; onde potremo dire, che per effetto della trasformazione y=y(2), RENDICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 88 — 690 — quando la y(x) abbia, per x= ©, ordine di infinito superiore a quello di qualunque potenza reale x* della x, un insieme di data frequenza si tra- sforma in un insieme di eguale frequenza, o che non ha frequenza deter- minata, per y= ©. 13. Un esempio di insieme [$] a frequenza nulla, cui, per la trasfor- mazione y = e corrisponde un insieme a frequenza non infinitesima, ci è dato dai punti contenuti nei segmenti 2 2 AO AI n \a- ANTE. 3 =a4(i). ZIO) +(5,) PIE a Subito si verifica, infatti, che il massimo limite del rapporto o) quello verso cui tende la successione s(o. dr (ga .)) pe pe la (i ) Dir sro] È e. «da e che questo è zero. La corrispondente successione n a_\n a n o_\n 3; i s 2 (1) ) (pres .) Sì È A (È si) Ve 2) ha tutti i suoi termini maggiori di quelli della successione A a_\n CCI ft È (i a n E a’ la quale tende al limite 1. 14. Un esempio di insiemi [£] pei quali il limite (11) sicuramente esiste, qualunque sia la rapidità di crescenza della y, l'abbiamo quando si ammetta la possibilità di far corrispondere ad ogni numero dato positivo e, un numero x: tale, che = (000, DR Ki He =A69l = Si ha allora: lim esa n (0, #n) _ 0) è) n=x Hi Ki n=zo Nn Ci CP Liei n=2o Un — Lo ed anche (formule (11)), lim Sete) o, n=0 Yn — Yo cioè, l'insieme dato ed il suo trasformato hanno frequenza infinitesima. Questo caso è particolarmente interessante per lo studio della conver- genza. 15. Esistono teoremi analoghi per la frequenza in punti a distanza finita, e per operazioni che fanno corrispondere il punto dell'infinito a punti a di- stanza finita, o reciprocamente; le cui dimostrazioni, fondate sugli stessi principî di quelle superiormente esposte, si troveranno in una Memoria che presto sarà stampata negli Atti della R. Accademia di Scienze di Modena. Fisica. — Sulla variazione di isteresi nei corpi magnetici in campi Ferraris sotto l’azione di correnti continue, interrotte ed alternate e di onde hertziane (*). Nota del prof. RiccARDO ARNÒ, presentata dal Socio G. CoLomBo. In correlazione ai miei precedenti lavori sulla variazione di isteresi nei corpi magnetici in campi Ferraris sotto l’azione di correnti continue, inter- rotte ed alternate e di onde hertziane (?), ho stabilito una nuova ricerca spe- rimentale con lo scopo precipuo di studiare gli effetti di una corrente alternata di data intensità e frequenza sul ciclo di isteresi di un cilindro di acciaio sospeso in campi magnetici rotanti della stessa intensità, ma di frequenza diversa (8). (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di elettrotecnica del R. Istituto Tecnico Supe- riore di Milano (Istituzione Carlo Erba). (?) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1° sem., 1904, pag. 272; Atti dell’Asso- ciazione elettrotecnica italiana (Comunicazione fatta alla sezione di Milano nella seduta del 25 maggio 1904); Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, 1905, serie 2, vol. XXXVIII, pag. 142; Rendiconti della R, Accademia dei Lincei, 1° sem., 1905, pag. 278; Rendiconti del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere, 1905, serie 2, vol. XXXVIII, pag. 438; Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1° sem., 1905, pag. 368; Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 1° sem., 1905, pag. 512; Atti dell’Associazione elettro- tecnica italiana (Comunicazione fatta 1'11 ottobre 1905 all'Assemblea Generale di Firenze); Società italiana di Fisica (Comunicazione fatta alla Riunione annuale del 1906 in Roma). (*) Osservo che, per tenere conto della variazione della resistenza induttiva delle spi- rali induttrici destinate ad essere percorse dalle correnti alternate di frequenza diversa — 692 — Nella mia ultima Nota presentata a questa R. Accademia (Rendiconti, 1° sem., 1905, pag. 512) ho succintamente riepilogati in undici paragrafi i risultati principali delle precedenti mie ricerche; e quivi in appresso sono esposti i nuovi fatti da me ultimamente constatati: 12°. Gli effetti di una data corrente alternata sul ciclo di isteresi del- l'acciaio sono diversi a seconda della frequenza del campo Ferraris in cui si trova sospeso il cilindro di materiale magnetico; 15°. Col variare della frequenza del campo magnetico rotante, e man- tenendo inalterate tutte le altre condizioni in cui si sperimenta, si può avere diminuzione od aumento di isteresi: e la variazione della frequenza del campo Ferraris ha come conseguenza la variazione dell'aumento o della diminuzione di isteresi; 14°. Può accadere che, per una corrente alternata di data intensità e frequenza, e per una data intensità del campo rotante, esista un valore della frequenza del campo stesso per cui non si abbia nè aumento, nè diminuzione di isteresi nel materiale magnetico sperimentato. Fisica. — Sopra un nuovo sistema di telegrafia senza filo. Nota di ALESSANDRO ARTOM, presentata dal Corrispondente G. GRASSI. Nella Nota del 15 marzo 1903 ho riferito le idee generali su cui si fonda il sistema di radiotelegrafia da me ideato e nella successiva Nota del 5 febbraio 1905 ho reso conto dei risultati ottenuti nelle esperienze ese- guite col concorso della R. Marina italiana nelle stazioni radiotelegrafiche di Spezia, di Monte Mario (Roma), di Anzio, di Ponza e dell’ Isola della Mad- dalena. Quegli esperimenti hanno chiaramente provato che col mio sistema si ottiene l’importantissimo risultato di poter rendere le segnalazioni assal intense in una determinata direzione, riducendo e praticamente annul- lando le segnalazioni nelle direzioni non necessarie. Tali effetti di dirigibi- lità delle onde elettriche furono per i miei apparati nettamente constatati a distanze di oltre 300 chilometri dalla stazione trasmettente e questi de- cisivi risultati non erano prima d'allora da alcuno stati ottenuti. Fino dai primi mesi del 1903 ho pure ideato l'apparato ricevente che, più tardi, nel 1905 ho modificato. producenti i vari campi Ferraris su cui ho sperimentato, in ogni singolo esperimento veni vano opportunamente modificate le resistenze ohmiche addizionali inserite nei circuiti delle spirali induttrici medesime: per modo che in ogni caso le impedenze dei detti cir- cuiti avessero a risultare assolutamente invariate. — 693 — Questo apparato ricevente presenta a sua volta molti vantaggi pratici fra i quali ricorderò quello di ricevere solamente le segnalazioni che pro- vengono da apparati situati in un determinato settore, e l'altro di eliminare gli effetti dannosi prodotti sugli apparati ricevitori dalla elettricità atmo- sferica. Scopo della presente Nota si è di descrivere alcune delle disposizioni da me adoperate nelle esperienze eseguite colla R. Marina italiana e che furono iniziate nel febbraio 1903. Apparato trasmettente. — La forma e disposizione degli aerei trasmet- titori è rappresentata nella fig. 1. 1OII7 Meg il Ciascun aereo è costituito, come mostra la fig. 2, da un certo numero di conduttori paralleli e giacenti in un piano. I due aerei così formati sono inclinati fra di loro e rispetto alla terra: l'angolo che i due aerei formano fra loro è preferibilmente in relazione colla differenza di fase fra le oscillazioni elettriche da cui sono percorsi gli aerei. La forma degli aerei, la posizione relativa e la situazione rispetto alla superficie della terra, sono condizioni di capitale importanza per lo studio della questione che mi sono proposto. Esperimenti eseguiti fino dal 1899 mi avevano convinto della importanza delle accennate condizioni: essa risulta chiara quando si consideri che il campo elettromagnetico prodotto da una sola antenna verticale è simmetrico rispetto ad esso. Per contrario il campo elettromagnetico generato da una o da più antenne diversamente di- poste rispetto alla superficie terrestre, risulta dissimmetrico rispetto alla sta- zione trasmettente. Così fra le diverse disposizioni che ho ideato ricorderò i risultati otténuti nel novembre 1903 colla forma di aerei indicata nella fig. 1. L'apparato trasmettitore era situato a Monte Mario (Roma) l'apparato ricevitore ad Anzio (km. 55). — 694 — Quando gli aerei trasmettitori presentavano il piano detta figura rivolto verso Anzio, la ricezione era forte e chiara. Quando gli aerei presentavano il loro fianco alla stazione di Anzio, cioè erano rivolti verso la Sardegna, la ricezione ad Anzio cessava com- pletamente. L'egregio comandante della stazione radiotelegrafica di Monte Mario, cav. Vittorio Pullino, mi informava che anche alimentando gli apparati tra- smettitori con energia doppia di quella prima impiegata, la ricezione era an- cora negativa ad Anzio. La radiazione elettromagnetica lanciata dagli aerei trasmettitori si estendeva però da due parti essenzialmente, cioè tanto dalla parte rivolta verso la stazione ricevente, quanto dalla parte opposta. Per ovviare a tale fatto ho lungamente ripetuto l'esperimento seguente: Ho aggiunto agli aerei descritti, gli aerei ausiliarî 14" e 16’ e li ho distesi quasi orizzontalmente nella direzione della stazione ricevente come mostra la fig. 3 ('). Constatai questo fatto che ho lungamente ripetuto nelle prove eseguite tra la stazione di Monte Mario e le riceventi di Maddalena (frontale) e di Ponza (laterale): quando gli aerei supplementari erano tirati verso la sta- zione ricevente di Maddalena, la ricezione avveniva. Facendo ruotare di un certo numero di gradi nella direzione opposta gli aerei supplementari, la ricezione all'isola della Maddalena cessava com- pletamente. | (1) Attestato di privativa degli Stati Uniti, Germania, ecc., maggio 1904. — 695 — I circuiti che mi servirono per la produzione delle due oscillazioni differenti di fase sono i seguenti: Il primo, fig. 4, comprende un circuito di oscillazione principale 1, 2, 1, 8, M, N, da cui si diramano due circuiti derivati, l'uno contenente in prevalenza resistenza ohmica e selfinduzione, l’altro contenente capacità. I due trasformatori 43 e 44 servono per inviare alle antenne le due oscillazioni differenti di fase. _Un altro circuito oscillatore che mi si dimostrò molto adatto nella pra- tica, è quello indicato nella fig. 5. Fia. 4. In un circuito di oscillazione principale 1—2 — 20 — 21— 22 — 23 sono inserite convenienti capacità ed i due avvolgimenti primarî dei trasfor- matori di oscillazione. In un secondo circuito indotto dal primo, 25, 26, 27, 28 viene gene- rata la seconda oscillazione, e gli elementi elettrici sono in esso così modificati, da poter ottenere la voluta differenza di fase colla oscillazione generata nel circuito induttore. Questi due circuiti, come l'esperimento ha provato, possono essere messi in risonanza fra di loro, dopo pochi tentativi, e sono quindi praticamente capaci di fare in modo che l'apparato trasmettitore possieda un periodo di oscillazione e quindi una lunghezza d'onda ben definita. Risulta poi dai prin- cipî fondamentali dell’elettrotecnica che quando i due circuiti, induttore ed indotto, sono in risonanza, i due circuiti risultano percorsi da oscillazioni prossimamente uguali e presentanti una differenza di fase assai prossima ad un quarto di periodo. — 696 — Apparato ricevitore (*). — Gli aerei ricevitori sono della stessa forma descritta per l'apparato trasmettente, e fra le varie disposizioni ideate per il circuito del ricevitore, ricorderò la seguente, disegnata nella fig. 6. Le estremità inferiori degli aerei 4 e sono riunite a due avvolgimenti 43 e 44, così disposti rispetto ad un terzo circuito indotto 40, da produrre sopra di esso flussi magnetici uguali e contrarî quando i due aerei sono sede di correnti di uguale ampiezza e di uguale fase. 99° b Le estremità 118 e 119 del circuito indotto, sono a loro volta riunite all'apparato ricevitore di onde elettromagnetiche, e nella figura sono schema- ticamente indicati con 63 il coherer, con 64 il relais e 65 la macchina Morse. Sperimentando coll'apparato descritto, ho constatato diversi importanti fatti fra cui espongo i seguenti. Anzitutto i nocivi effetti prodotti sopra gli apparati dalla elettricità atmosferica, che spesso sono causa di sospensione del servizio, sono colla de- seritta disposizione completamente annullati. Infatti le cariche elettriche che sui due aerei sono indotte dalla elet- tricità atmosferica sono identiche, essendo identici o potendo essere resi iden- tici gli elementi elettrici del sistema. (1) Attestato di privativa 14 aprile 1905. — 697 — I due flussi magnetici hanno quindi sul circuito indotto effetti eguali e contrarî e perciò il ricevitore non le avverte. Concorrono poi ad ottenere il completo risultato, Ia posizione relativa degli aerei fra loro, come mostra la fig. 6, le cui estremità superiori sono Fic. 6, vicinissime e la proprietà da me preveduta e constatata, cioè che la rice- zione per questi miei apparati si effettua egualmente bene, quando si sop- prima la comunicazione colla terra. Un altro vantaggio notevolissimo fra gli altri che ho potuto constatare colla disposizione della fig. 6, si è che per l'apparato ricevitore esiste un piano per cui la ricezione è massima: la ricezione cessa completamente quando si sposta l'apparecchio di un numero di gradi che può essere a pia- cimento ridotto ad un minimo di pochissimi gradi. RenpIcoNTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 89 TA i — 698 — Le posizioni rispettive del trasmettitore e del ricevitore, ho constatato, fra le altre ragioni, dipendere dalle condizioni in cui si opera alla trasmis- sione e dalla natura ed estensione dello spazio interposto fra gli apparati. È ovvio che questa proprietà permette di ricevere le segnalazioni con- temporaneamente ed indipendentemente da un grande numero di stazioni tra- smettitrici collocate in posizioni diverse rispetto alla ricevitrice. Le disposizioni descritte in questa Nota risolvono quindi le più grandi difficoltà che finora si opponevano allo sviluppo pratico della radiotelegrafia, ed assicurano il funzionamento regolare ed indipendente di molte stazioni radiotelegrafiche anche vicine. Questi progressi furono da me constatati nelle esperienze eseguite presso la R. Marina italiana e S. E. il Ministro della Marina, ammiraglio Mirabello per dimostrare l'alto suo compiacimento, ne dava nello scorso anno pubblica comunicazione alla Camera dei Deputati nella seduta del 16 giugno 1905 (). In altra Nota riferirò ulteriori ricerche, e compio intanto al gradito do- vere di porgere espressioni di viva riconoscenza al prof. Guido Grassi per i suoi benevoli consigli. Fisica. — Dispositivo per lo studio dell’ Isteresi magnetica sotto l’azione di campi magnetici oscillanti. Nota di F. PrIoLA, presentata dal Corrispondente A. SELLA. Fisica. — Sw! modo di comportarsi del selenio rispetto alle correnti alternanti. Nota di A. PocHETTINO e G. C. TRABACCHI, presentata dal Corrispondente A. SELLA. Fisica. — Sull'effetto fotoelettrico nell’Antracene. Nota di A. PocHETTINO, presentata dal Corrispondente A. SELLA. Fisica. — Ricerche sperimentali sulla resistenza dei sole- noidi alle correnti d'alta frequenza. Nota del Corrispondente A. BATTELLI. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (') Atti Parlamentari CXXI. PGOOi Chimica. — Sulla formazione e scomposizione del nucleo in- dolico per mezzo dell’azione catalitica del nickel ('). Nota di 0. CAR- RAsco e M. PADOA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. L'idrogenazione del pirrolo in presenza del nickel suddiviso conduce, come ebbe a rilevare uno di noi (?), oltre che alla formazione della pirro- lidina, ad un prodotto basico, della formula Cs H,; N che corrisponderebbe per la composizione sua ad un indolo completamente idrogenato. Per questa ragione e per assodare la costituzione di questa base, fummo condotti a ten- tare la idrogenazione diretta dell’indolo iu presenza del nickel. Senonchè i risultati ottenuti, che ora qui esporremo, furono diversi da quelli attesi; ma non per questo ci sembrano privi d'interesse. L'indolo è notoriamente una sostanza di difficile preparazione benchè esso sì formi in numerose reazioni. Fra i tanti metodi che furono proposti per ottenerlo, quello che ancora era più conveniente consisteva nella trasfor- mazione del metilchetolo in acido @-indolcarbonico per fusione con potassa; quest'ultimo acido distillato con calce sodata dà l’indolo (3). Preparammo in tal modo dopo molti stenti alcuni grammi di indolo. Ciò posto procedemmo alla idrogenazione; dopo aver fuso l’indolo in due navicelle di porcellana, le disponemmo all’interno di un tubo di vetro che conteneva pure il nickel ridotto e pel quale passava una corrente di idrogeno. La temperatura veniva mantenuta intorno a 200°; in tali condi- zioni l'indolo volatilizzava lentamente e veniva portato sul nickel insieme all'idrogeno. All'uscita del tubo condensammo con un refrigerante i prodotti della riduzione; ottenemmo così un liquido basico che secondo le nostre pre- visioni doveva essere un indolo completamente o almeno parzialmente idro- genato (indolina) (*). Da questo prodotto basico preparammo facilmente un picrato che fon- deva, scomponendosi, a :212°-215° e che all'analisi diede i seguenti risultati: Calcolato per Cs Hs (NO»); OH-C; Hy N Trovato CA 46,40 46,53 Hi95 3,60 3,70 N° 16,70 16,87 (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di Bologna. (£?) M. Padoa, Questi Rendiconti, 1° sem., 1906, pag. 219. (*) Ciamician e Zatti, Ber. XXII, pag. 1976. (4) Plancher e Ravenna, Questi Rendiconti, 1° sem., 1905, pag. 682. . — 700 — L'analisi conduce dunque per la base ottenuta alla formula C; Hg N; e però dimostra che il prodotto di idrogenazione dell’indolo contiene un atomo di carbonio in meno dell’indolo stesso. Questo ci fece pensare che fosse avve- nuta l'apertura del nucleo azotato, con successivo distacco di un atomo di carbonio, eliminatosi sotto forma di metano; tale processo poteva avvenire in due modi CH, CIG cHe Zi \NH, ca NcH NE = C, H,-NH-CH, e cioè avrebbe potuto formarsi la o-toluidina o la metilanilina; il primo caso era senza dubbio il più probabile poichè notoriamente è più facile il distacco di un metile legato all'azoto di quello legato direttamente al carbonio; in- fatti il picrato di questa base, da noi preparato, fonde come quello del pro- dotto di idrogenaziene dell’indolo e mescolato con questo non ne abbassa il punto di fusione: ciò che dimostra l'identità delle due sostanze. Inoltre la base ottenuta dall’indolo presenta tutte le proprietà caratte- ristiche della o-toluidina: con una soluzione acquosa di ipoclorito di calcio dà una colorazione bruna, assai differente da quella bleu data dall’anilina col medesimo reattivo; con acido cromico ed acido solforico dà una colora- zione bleu che passa al rosso violetto, aggiungendo acqua. Per ragioni che saranno chiarite in seguito, noi pensiamo che l’azione idrogenante del nickel sull’indolo si svolga in questo modo: che dapprima si rompa il doppio legame del nucleo azotato con formazione transitoria di monometil-o-toluidina CH CH; roi SEE vo Si Se e che subito dopo questa sostanza, perdendo il metile legato all’azoto, passi alla o-toluidina da noi effettivamente riscontrata. Questo modo di considerare la reazione è confermato dal fatto che, assog- gettando il metilchetolo al medesimo trattamento a cui venne sottoposto l’ in- dolo, sì ottiene pure o-toluidina. Ciò venne dimostrato dall’'identità del pi- crato della base proveniente dal metilchetolo col picrato della o-toluidina; ri- tenemmo superflua una nuova analisi. Secondo quanto abbiamo detto pel caso dell’ indolo, il metilchetolo si tras- formerà nel seguente modo: Hg H c; "i "No (0B5- MO Ba BCE — Gi AC NH NH NH, — 701 — Non possiamo addurre alcuna ragione per ritenere che all'apertura del nucleo indolico preceda la formazione di indolina, per addizione di due soli atomi di idrogeno, ma non possiamo però escluderlo in modo assoluto. Ciò posto per rendere ragione delle altre esperienze che ora anderemo esponendo, dobbiamo richiamare una delle proprietà caratteristiche del nickel come catalizzatore: a temperature basse fino ai 200°-250° circa, esso agisce in presenza di idrogeno, in generale come idrogenante; a temperature più elevate tende al contrario ad eliminare idrogeno anche in presenza dell'idro- geno stesso, provocando reazioni inverse a quelle che avvengono a bassa tem- peratura; tipico in proposito è il caso del benzolo che si idrogena in pre- senza del nickel a 180°, passando a cicloesano; mentre il cicloesano fatto passare sul nickel a 270° circa perde idrogeno e ridà benzolo ('). Questa circostanza ci ha fatto sperare di effettuare la reazione inversa a quella da noi precedentemente descritta e cioò di passare dalla monometil- o-toluidina all’indolo, eliminando dalla prima due molecole di idrogeno CH, CH e cn cul. CH 2H, rr 3 6 ‘\xH7 + Vogliamo qui ricordare che da alcune aniline sostituite si ottennero già piccole quantità d’indolo (*) facendole passare entro canne roventi e queste, come tutte le altre reazioni pirogeniche, vanno nel senso della eliminazione di idrogeno. Tuttavia, per quanto ci consta, la monometil-o-toluidina non venne sottoposta a tentativi di quel genere; mentre a noi, come è facile compren- dere, interessava appunto di verificare una simile condensazione con questa sostanza. A tale scopo adoperammo della monometil-o-t_luidina proveniente dalla Badische Anilin- u. Soda-Fabrik. Facciamo notare, innanzi tutto, che questa toluidina, come le indoline, ossidata col metodo di Tafel (3), in tubetto d’assaggio, tende già a conden- sarsi e dà nettamente la colorazione dell’indolo col fuscello di abete, sebbene il rendimento in questa reazione sia estremamente piccolo. Per condensarla a mezzo del nickel suddiviso operammo nel seguente modo. Il liquido si faceva gocciolare lentamente entro una canna di vetro con- tenente il nickel ridotto riscaldato da 300° a 380° circa. I prodotti conden- sati all'uscita del tubo presentavano immediatamente una intensa colorazione col fuscello d'abete e l'odore indolico caratteristico, indizio certo che la for- mazione dell’indolo aveva luogo; il liquido ottenuto era limpido e pressochè incoloro e quasi esente di nitrili: dopo aver neutralizzata la parte basica (1) Sabatier e Senderens, Nouvelles méthodes genérales d'hydrogénation ecc. pag. 45. (?) A. Bayer u. H. Caro, Ber., vol. X, pagg. 692 e 1262. (*) Kann u. Tafel, Ber., vol. XXVII, pag. 826. — 702 — con lieve eccesso di acido cloridrico, lo distillammo in corrente di vapore; il distillato fu estratto con etere e l'estratto etereo, seccato con potassa fusa, fu concentrato a bagno maria e poi nel vuoto. Il residuo etereo ripreso con benzolo secco, fu trattato con lieve eccesso di acido picrico in sostanza: ottenemmo così il picrato rosso caratteristico che cristallizzammo più volte dal benzolo. Questo picrato può cristallizzarsi anche assai bene dall'alcool assoluto. Per identificare il prodotto, non poteva servirci il punto di fusione che in questo caso non è netto; ne eseguimmo adunque senz'altro l'analisi dopo averlo tenuto in stufa a vuoto a 40° per alcune ore e poi nel vuoto pneu- matico con acido solforico e ritagli di paraffina, e ciò per togliere le ultime traccie di benzolo che il picrato stesso trattiene ostinatamente. L'analisi diede i numeri seguenti: Calcolato per Cs Hs (NO»); OH. Cs H: N Trovato (GROA 43,59 48,77 HRS 2,91 3,22 La composizione corrisponde dunque a quella dell'indolo; e che la so- stanza da noi ottenuta sia realmente tale, venne posto fuor di dubbio da tutte le reazioni particolari che l'indolo fornisce. Il rendimento di questa reazione, calcolato per indolo dal picrato puro, è del 6°/, circa. Il fatto che dalla metil-o-toluidina si formi indolo non esclude che si abbiano pure altri prodotti; e così poteva supporsi che, eliminandosi una sola molecola di idrogeno, potesse formarsi, almeno in piccole quantità, della in- dolina. Facemmo dunque una selezione sistematica dei prodotti basici, libe- rati dall'indolo, a mezzo dell'acido nitroso, ma non ottenemmo che piccolis- sime quantità di nitroso-derivato che scomposto con acido cloridrico e stagno fornì una base unica che fu identificata facilmente per monometil-o-toluidina rimasta inalterata. Quasi la totalità del prodotto basico, dopo l'azione del- l'acido nitroso e successivo riscaldamento, si convertì in o-cresolo. Ciò signi- fica che fra le sostanze basiche ottenute vi era gran quantità di o-toluidina e però che una parte notevole della monometil-o-toluidina impiegata venne dal nickel smetilata. Rimane così esclusa la formazione di indolina. Si conclude adunque che la monometil-o-toluidina passando sul nickel ridotto, a 300 gradi viene in parte trasformata in indolo, in parte smetilata per dare o-toluidina ed in piccolissima quantità rimane inalterata. Riassumendo noi vogliamo porre in rilievo principalmente i seguenti fatti: 1° Che il nueleo indolico, ridotto sul nickel a 200°, si apre per dare come prodotto finale o-toluidina; che inversamente la monometil-o- toluidina — 703 — a 300° in presenza del nickel si condensa per dare indolo; si realizza così con questa sostanza una reazione invertibile. 2° Che l’azione catalitica del nickel si manifesta, oltre che nel modo sopra detto, sulla monometil-o-toluidina e probabilmente su altri corpi me- tilati all’azoto, nel senso di provocare la smetilazione. Su tale argomento ci proponiamo di fare ulteriori ricerche. Chimica. — Azione dello zolfo sulle soluzioni dei sali me- tallici (*). Nota preliminare di A. MANUELLI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Da qualche tempo sto studiando l’azione dello zolfo sui sali metallici in soluzione acquosa e le ricerche fatte finora dimostrano come esso agisca da riducente. Ho condotto le mie esperienze in questo modo: la soluzione del sale metallico viene chiusa in tubo con dello zolfo, dopo di avere scacciato l’aria con anidride carbonica, e riscaldata in stufa fra 150° e 180°. Sperimentai sul cloruro rameico in soluzione acida per acido cloridrico. Che nella soluzione così ottenuta sia contenuto accanto al sale rameico del sale rameoso si può vedere benissimo, poichè precipitando con potassa e sciogliendo l’idrato rameico con bicarbonato potassico, si ottiene in seno al liquido azzurro un precipitato rosso di ossido rameoso. Osservai pure che il bicromato potassico in soluzione messo a reagire in tubo chiuso con zolfo si riduce a sesquiossido di cromo. In entrambi i casì nella soluzione si ha formazione abbondante di acido solforico. Devo rendere noti questi fatti, quantunque le mie esperienze siano ancora qualitative ed incomplete, perchè recentemente K. Briickner, stu- diando l'azione dello zolfo sui solfati di diversi metalli (?) e sul cromato e bicromato potassico (*), ha osservato che lo zolfo agisce come riducente. Il mio lavoro ha un indirizzo diverso da quello del sig. K. Brickner, poichè le condizioni di esperienza sono assai differenti; Briickner opera per fusione, mentre io opero in soluzione acquosa. Mi riserbo di continuare l'argomento sperimentando su soluzioni di altri sali quali quelli di F,, M,, Mo, W e di vedere l’andamento della rea- zione. Inoltre ho intenzione di studiare l’azione del selenio sui detti sali metallici. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica Generale della R. Università di Bologna. (2) Monatshefte fiir Chemie, 27, 199, 1906. (*) Monatshefte fiv Chemie, 27, 49, 1906. — 704 — Chimica. — Azzone del cloruro di solforile sul pirazolo('). Nota di G. MazzaRA e A. Borco, presentata dal Socio E. Pa- TERNÒ. Facendo seguito alle nostre precedenti ricerche intorno all’azione del cloruro di solforile sui derivati eterociclici di natura imidica, abbiamo cre- duto opportuno di estendere detta azione al pirazol, il quale, potendosi con- siderare come pirrolo avente invece di un gruppo metinico un atomo di azoto, dovrebbe al pari di esso pirrolo dare origine ad un derivato cloru- rato di sostituzione. Non abbiamo ancora abbandonato questo campo di ricerche, non tanto per aggiungere nuovi derivati al numero considerevole di quelli già esistenti, o per preparare con nuovi metodi quelli già noti, ma principalmente per illustrare in un modo più esauriente l'analogia di comportamento di questi derivati eterociclici imidatì di fronte al predetto cloruro di solforile, ed anche per dimostrare una volta di più la bontà di tale metodo di clorurazione, col quale abbiamo ottenuto dei risultati quasi quantitativi, pel fatto che operando in soluzione di etere perfettamente secco si evita la dissociazione dell'acido cloridrico che si forma nel processo di clorurazione, togliendo così la causa principale della resinificazione della maggior parte del prodotto. Le esperienze che sono oggetto di questa Comunicazione, vengono a confermare le nostre previsioni, avendoci condotti alla preparazione di un cloropirazolo mediante il cloruro di solforile. Fra i diversi cloropirazoli previsti dalla teoria non si conosce che il 4-cloropirazolo GI UIO FEE (ita HC O N SIA NH ottenuto da Knorr (*) sia facendo agire direttamente l'acqua di cloro, o clo- rurando col gas cloro l'acido pirazol-3-5- dicarbonico, e decomponendolo in seguito alla temperatura di 285-286°. 1l cloropirazol, che noi possiamo descrivere, per le sue proprietà fisiche ed anche per la sua genesi, sembra identico a quello preparato da Knorr, per quanto il punto di fusione da noi trovato in 77°, sia superiore di circa (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio dell'Istituto di Chimica di Parma. (2) Knorr, Berichte, 28. 715. — 705 — sei gradi di quello dato da Knorr. Il fatto però che quest'ultimo sperimenta- tore si è riservato di dare in avvenire i risultati analitici e la descrizione più dettagliata delle proprietà del prodotto in discorso, ci induce a ritenere che tale differenza debba attribuirsi ad impurezze del prodotto preparato da lui. PARTE SPERIMENTALE. Preparazione del pirazol. — Coloro che in passato hanno dovuto pre- parare quantità rilevanti di pirazolo, conoscono di certo le difficoltà del me- todo più generalmente seguito, cioè a dire quello di Buchner (*), il quale si fonda sulla decomposizione dell'etere etilico dell'acido pirazolbicarbonico per azione del calore. Di questo metodo si può senz'altro constatare la soverchia lunghezza, dovuta alla necessità di preparare gli eteri etilici degli acidi diazoacetico e acetilendicarbonico. Non parliamo poi delle non poche difficoltà che si oppon- gono alla completa purificazione di quest'ultimo, che si forma contempora- neamente a piccola quantità di acido fumarico. Noi quindi richiamiamo l’at- tenzione dei ricercatori sopra il metodo di Pechmann (*), fondato sull'azione dell'acetilene sopra il diazometano, in soluzione eterea. L'autore, preoccupan- dosi principalmente del comportamento del diazometano, non ha messo in sufficiente rilievo l'importanza pratica di questo metodo di preparazione sin- tetica del pirazolo. Noi l'abbiamo seguito dopo di avere provate le difficoltà di cui è irto il metodo di Buchner. Seguendo i consigli di Pechmann, abbiamo fatto agire l'acetilene sotto una pressione maggiore, ricorrendo, all'uopo, a un lungo tubo che abbiamo adattato all’apparecchio di Kipp, ove si trovava il carburo di calcio. Con tale modificazione il gas che si sviluppava agiva sulla soluzione eterea di diazometano sotto la pressione di una colonna d'acqua alta oltre un metro. Non abbiamo poi creduto opportuno, nonostante l'impiego di una maggiore pressione, di abbreviare la durata dell’operazione. In questo modo, partendo da cc. 64 di nitrosometiluretano, che vennero trattati a porzioni di 8 ce. per volta, si ebbero gr. 15 di pirazolo puro. Una delle ragioni di tale notevole rendimento consiste nel fatto di avere noi distillato il prodotto della reazione, sottoponendo poi nuovamente all'opera prolungata dell’acetilene il distillato, contenente in soluzione l'eccesso di dia- zometano. Malgrado questo nuovo trattamento non siamo riusciti a fissare in- (') Berichte 22. 842; Curtius, Journal fiir praktische Chemie, 37. 157, 38. 401; Bayer, Berichte, 18. 677, 2169; (*) Berichte, 31. 2950: RenpICONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 90 — 706 — teramente il diazometano; però il rendimento da noi ottenuto in questo modo fu di circa l'85°/,, in luogo del 50 trovato da Pechmann. Il processo sintetico di Pechmann oltre ai vantaggi pratici che abbiamo già posti in evidenza, vale a chiarire il comportamento del diazometano di fronte al pirazolo. Per il fatto stesso che quest'ultimo si forma in presenza di un eccesso di diazometano, risulta evidente l'impossibilità di sostituire tanto l'idrogeno imidico, quanto quello metinico con radicale metilico, per opera dello stesso diazometano. Questa indifferenza, per quanto fosse prevedibile nel primo caso della eterificazione del pirazolo, non lo era invece nel secondo, cioè in quello della sostituzione dell'idrogeno metinico; dappoichè l'etere dell'acido diazoacetico, che si comporta come il diazometano, agisce, sebbene a 120°, sul pirrol e sull’ N- metilpirrol dando luogo all’etere etilico dell'acido N- metilpirril- acetico (!). Hesse CH si CCH., C00C,H;. NIZZA 2 5 NCH; Analogamente per l'azione del diazometano sul pirazolo si avrebbe do- vuto ottenere un metilpirazol CHz C3H, NNH. Noi abbiamo sperimentato l’azione del diazometano sul pirrolo, a pres- sione normale e alle temperature di 0° e di 60°, ottenendo in entrambi i casì risultati negativi. Ora se tanto col pirazolo quanto col pirrolo si osserva l'impossibilità di ottenere prodotti di eterificazione operando però alla pressione e tempe- ratura ordinaria, noi possiamo ritenere che ciò sia un carattere differenziale fra le predette sostanze di natura fenolica aromatica ed i fenoli propriamente detti, i quali, come è noto, sono eterificati da diazometano ; tale diversità di comportamento è probabilmente dovuta alla natura basica dei predetti com- posti imidici. Azione di una molecola di cloruro di solforile sul pirazol. Sopra gr. 10 di pirazol, sciolti in gr. 100 di etere solforico, perfetta- mente assoluto, si fecero sgocciolare lentamente, mediante imbuto a chia- vetta, gr. 24 di cloruro di solforile distillato di recente. La soluzione eterea di pirazol durante la clorurazione venne mantenuta a 0 gradi. Mano a mano che il cloruro di solforile cadeva nel liquido si notava che questo diveniva lattiginoso, precipitando al fondo del pallone in una (!) Piccinini, R. Ace. Line. [5], 8, I 314. — 707 — massa amorfa giallastra, mentre lentamente andavano formandosi sulle pareti dei cristalli aghiformi, incolori. Terminata la clorurazione, il prodotto venne abbandonato a sè stesso per qualche tempo, poscia sottoposto alla distillazione a bagno-maria. Già durante la distillazione notammo che lo sviluppo di acido clori- drico non era quale si doveva prevedere, mentre era abbondante quello del- l'anidride solforosa. Questo fatto, e più ancora l'insolubilità del prodotto in etere, ci indussero fin da principio a ritenere che si fosse formato il cloridrato di cloropirazol, e che cioè la clorurazione avesse seguìto un corso analogo a quello osservato da Buchner e Fritsch (') quando fecero agire l’acqua di bromo sopra una soluzione di pirazol, ottenendo il bromidrato di bromopi- razol, invece della base bromurata libera. Infatti il residuo della distillazione perdeva quantità rilevanti di acido cloridrico, rese visibili dall'umidità dell’aria. L'abbiamo poi addizionato con acqua, e mentre abbiamo osservata la progressiva scomparizione del residuo solido, abbiamo visto d'altra parte formarsi al fondo del pallone una massa oleosa, che dopo qualche tempo divenne solida. Il tutto, messo in un imbuto a rubinetto, venne per ben due volte estratto con etere. La soluzione eterea distillata a bagno-maria lasciò un residuo solido, che dopo esser stato spremuto tra carta assorbente per separarlo da un po' di sostanza oleosa che l’accompagna, fu purificato cristallizzandolo un paio di volte dall'etere di petrolio bollente. Si ottennero così dei magnifici cri- stalli incolori in forma di pagliette, il cui punto di fusione, invece di essere ‘69°-71°, come trovò Knorr, è di 77°. Per identificare perfettamente il prodotto ottenuto avremmo voluto de- terminare il suo punto di ebullizione, ma la scarsezza del prodotto avrebbe tolto ogni attendibilità a tale determinazione. Del resto è evidente che nel caso attuale l'acqua di cloro ed il cloruro di solforile rappresentano due metodi analoghi di clorurazione, e quindi ab- biamo diritto di supporre che diano luogo agli stessi derivati. Ad ogni modo un'altra considerazione sufficientemente fondata ci fa rite- nere che la bassezza del punto di fusione trovato da Knorr sia dovuto ad impurità. È noto che l’entrata di un atomo di cloro al posto dell'idrogeno meti- nico, nel metilchetolo, nello scatolo e nell’indolo, innalza il punto di fusione del composto; e questo innalzamento è di 17 gradi per lo scatolo, e di oltre 40 gradi per l'indolo e per il metilchetolo: sarebbe quindi per lo meno strano che nel caso di un composto appartenente alla stessa serie, si trovasse nn punto di fusione del cloroderivato coincidente con quello della base da cui deriva. Del resto, un esempio ancora più convincente di ciò ci viene offerto (1) Annalen, 272-273. ===» — 708 — da un derivato dello stesso pirazolo; infatti, mentre il fenilpirazolo fonde a 119,5, il suo derivato clorurato fonde a 75°. Il cloropirazolo ha odore caratteristico aromatico. Dalle quantità sopra indicate di pirazolo abbiamo ottenuti circa 8 grammi di cloropirazol puro. All’analisi ha dato i seguenti risultati : gr. 0,4498 di cloropirazolo diedero gr. 0,6295 di cloruro d'argento, che in rap- porti centesimali dà : Cloro: —= 34,62. La teoria per un composto della formola C3H,CINNH richiede su cento parti: Cloro = 34,63. Il chiarissimo prof. C. Viola, che gentilmente si è offerto di misurare i cristalli di cloropirazolo, ci ha comunicato quanto segue : « Le costanti cristallografice del 4-cloropirazolo sona le seguenti: « Sistema cristallino trimetrico, simmetria trimetrico sfenoidale. a:b:e 0,8026:1:0,8284. « Sfaldatura perfetta || (010). « Sfaldatura meno perfetta || {100). « Sfaldatura distinta l (001). « Piano degli assì ottici |CACLO0HE « Direzioni principali ottiche : “a || [100] «8 | [010] “7 || [001] « Angolo degli assi ottici acuto nell'aria 2E= + 100°, 0= ». «I cristalli del cloropirazolo ottenuti dall'etere di petrolio sono bianchi « trasparenti di lucentezza adamantina a madraperlacea, di forma allungata «a forma di lancia. Ho assunto la zona [010]in questa direzione di allun- « gamento, e la faccia dominante (001). « Le faccie sviluppate nella zona [100] sono {001}, 1010} e {012}. « Le faccie (010} non danno riflessi distinti. Si hanno riflessi deboli ma « distinti dalle faccie {012}. — 709 — « L'angolo (012) : (001) varia da 22° a 23°. Ho dedotto da sei misure « l'angolo (012) : (001) = 22030". « Oltre questi riflessi ve ne sono altri nella stessa zona, i quali col « riflesso prodotto dalla faccia (001) danno un angolo che sta intorno a 60°. « Ciò significa che per l'armonia della zona converrà ritenere le faccie « dei primi riflessi come quelli appartenenti al prisma {012} e quelli dei « secondi appartenenti al prisma {021}, il quale apparisce di rado e « incompleto. Infatti si ha (001) :(021) = 580,53' « Con ciò l’angolo fondamentale calcolato è: (011): (011) = 79°,16°%. « Solamente i piccoli cristalli microscopici hanno terminazione }110!. «I cristalli grandicelli hanno terminazione lanceolata e non servono per « le misure della zona [001]. » All’incontro l'angolo fondamentale (110):(110) dei cristalli microsco- « pici risulta molto bene colle misure microscopiche. Infatti essendo i cri- « stallini appoggiati colla faccia (001) sul portaoggetti, ne risulta che l’an- « golo (100):(110) varia da 39° a 38°, 30’. Io dedussi l'angolo da otto misure: (110) : (110) = 38°, 45" x 2= 77°. 30/. « La sfaldatura è perfetta secondo (010); infatti i cristalli compressi fra « portaoggetti si sfaldano facilmente secondo questa direzione. La sfaldatura « (100) è visibile nettamente al microscopio. I cristalli si sfaldano pure se- condo (001). « Non è stato possibile determinare tutti e tre gli indici principali di « rifrazione. L'indice medio risulta da questo, che i cristalli immersi nell’olio « di cassia perdono i loro rilievi. Ritengo quindi che l’indice $ sia vicino a « quello dell'olio di cassia = 1,65. Le faccie (001) sono colme di figure di « corrosione naturali con contorni paralleli allo spigolo [100] e allo spigolo « (110) . (001). Questa asimmetria delte figure di corrosione sulla faccia (001) « può provare che la. simmetria del cloropirazolo è trimetrica-sfenoidale ». 1- Metil- 4 - cloropirazol. CIC___CH HC o NZ NCH; Per la preparazione di questa base abbiamo creduto conveniente di seguire il processo impiegato nell’eterificazione dei derivati del pirrolo, del metil- chetolo, ecc, ecc., processo che del resto è generalmente seguito. — 710 — A tale scopo gr. 4 di cloropirazolo, sciolti in alcool metilico, vennero trat- tati con gr. 2,5 di potassa anch'essi sciolti in alcool metilico, e con un leg- giero eccesso di ioduro di metile. Il tutto fu scaldato per qualche tempo a bagno-maria, ed osserrammo come indizio sicuro di avvenuta reazione la sepa- razione di molti cristalli di ioduro potassico. Il prodotto della reazione venne abbandonato a sè stesso per oltre 12 ore, indi liberato per distillazione a bagno-maria della maggior parte dell'alcool. Il residuo fu diluito con acqua, ed estratto parecchie volte con etere. Distil- lando l'estratto etereo si ottenne come residuo, un liquido oleoso giallo, che venne purificato per distillazione. Esso distillò quasi completamente alla temperatura di 167° e alla pressione di 756!" sotto forma di un liquido giallo, che per prolungata azione della luce diventò rossastro. Ha odore penetrante ed irritante, raffreddato a circa 10° sotto zero si mantenne liquido. È degno di nota il fatto che l'ingresso di un radicale metilico in luogo dell'idrogeno imidico ha prodotto nel 4-cloropirazol un abbassamento del punto di ebullizione di circa 60 gradi, abbassamento che corrisponde con grande approssimazione a quello dovuto all'ingresso di un uguale radicale nella molecola del pirazol. Il seguente specchietto illustra con maggiore evidenza tale relazione. Pirazol N-metilpirazol Pile; ‘1869-1888 P.i e. 1269-1270 {-Cloropirazol N-metil-4-cloropirazo] P..e, 220° (corr) P. e. 167° (756) All'analisi ha dato i seguenti risultati : gr. 0,3936 di sostanza diedero gr. 0,4894 di AgCl che equivalgono su 100 parti a Cloro = 30,75. La teoria per la formola C3H,C1NNCH; richiede su 100 parti: Cloro = 80,47. Ci ripromettiamo prossimamente di riferire sopra i derivati di questa nuova base. — 711. — Chimica. — Contributo allo studio dell’isomorfismo fra il tellurio ed il selenio (*). Nota di GiovanNI PELLINI, presentata dal Corrispondente R. NASINI. Le ricerche che vengono riportate in questa Nota si riferiscono ai tel- lurati e seleniati. La possibile constatazione di una relazione di isomorfismo fra essi avrebbe un valore decisivo per la questione trattata, in quanto che l'isomorfia verrebbe stabilita sulla forma limite e tipica del gruppo sesto del sistema periodico. Gli studi finora eseguiti sui tellurati e seleniati non hanno condotto ad alcun risultato positivo (*). Ma nel riprendere in esame i lavori compiuti dagli altri sperimentatori, la mia attenzione è stata attratta specialmente sulle ricerche dei signori Norris e Kingman (*) riferentisi al tellurato e se- leniato acido di rubidio. Un ostacolo alla formazione di miscele isomorfe fra seleniati e tellu- rati dipende dal contenuto diverso in acqua di cristallizzazione. I tellurati, tanto acidi che neutri, cristallizzano tutti con acqua: nulla di preciso si può dire dei tellurati di ammonio e litio che non si sono ottenuti finora cri- stallini e non sono stati sufficientemente studiati. I seleniati cristallizzano invece in forma anidra, eccettuato quello di sodio che si presenta anche con dieci molecole di acqua come il solfato, senza che però vi corrisponda lo stesso idrato per il tellurato sodico (4). Il seleniato di litio cristallizza con una molecola di acqua. Le recenti ricerche sembrano poi escludere la possibilità di ottenere tellurati anidri (*). Il tellurato anidro di potassio descritto da Handl e Van Lang (°) come completamente isomorfo col solfato e seleniato potassico, non è stato più ripreparato ("). Pur tuttavia non è escluso il caso che studiando completamente le curve di solubilità dei cristalli depositantisi dalle solu- zioni miste di seleniati e tellurati a diverse temperature, si abbiano a rag- giungere quelle condizioni di esistenza che permettono la deposizione di cristalli di miscela. — (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale dell’ Università di Padova. (2) Vedi la mia prima Nota sullo stesso argomento, a pag. 629. (8) American chemical Journal. Vol. 26, pag. 318. (4) Gutbier, Zeit. fiir anorg. Chemie, 3/, 340; Funk, Ber. chem. Gesell., 33, 3696; Mylius, Ber. chem. Gesell., 34, 2208. (5) Gutbier e Funk, loc. cit. (8) Wiener Akad. Ber. 43 e 45. (7) Rammelsberg, Kristallogr. Chem., 1, 605, 1881; Retgers, Zeit. fiir phys. Chemie $, pag. 70. — 712 — Anche la limitata solubilità in acqua dei tellurati in confronto dei se- leniati che sono solubilissimi, se non può in senso assoluto essere un osta- colo alla formazione di cristalli misti, rende certamente più difficili le con- dizioni della loro formazione. Perciò il tellurato acido di rubidio che cristallizza con sola mezza mo- lecola di acqua e la perde facilmente, ed inoltre presenta su altri tellurati una discreta solubilità, è apparso come il sale più adatto ad uno studio di isomorfismo col corrispondente seleniato. Le stesse ragioni valgono anche per i corrispondenti sali di cesio (!). Tellurato acido di rubidio e seleniato acido di rubidio. Questi due sali vennero preparati e studiati per la prima volta da Norris e Kingman. RbHTe0, + ‘/».H;0. Il tellurato acido di rubidio si ottiene quando si mescolano le soluzioni acquose concentrate di due molecole di acido tellurico per una di carbonato di rubidio. A freddo non avviene quasi nessuna reazione, mentre che a bagno maria si ha abbondante sviluppo di anidride carbonica. Per evaporazione a caldo si deposita una polvere amorfa, per evaporazione lenta alla ordinaria temperatura si ottengono delle croste cristalline. La preparazione di questo sale in apparenza semplicissima, presenta invece non lievi difficoltà, ed è ben difficile ottenere un prodotto unico. Il tellurato acido di rubidio cristallizza con mezza molecola di acqua (RbHTe0,+-!/:H,0) che perde alla temperatura di 120° secondo Norris e Kingman. Le mie esperienze invece dimostrano come a 120° la diminuzione di peso corrisponde a più di mezza molecola di acqua ed avviene anche una decomposizione della molecola anidra. La mezza molecola di acqua viene eli- minata, quando si faccia passare una corrente di aria asciutta alla tempera- tura ambiente sul sale idrato asciutto all'aria. 1° gr. 0,5135 di RbHTe0,+?/.H:0 perdettero di peso a 120° gr. 0,0425 e fornirono gr. 0,234 di tellurio. (Calcolato per ’'/» H:0 = gr. 0,015 ) (SE) ” Te =gr. 0,2282) gr. 0,471 di sale secco a 120° diedero gr. 0,284 di tellurio. (Calcolato per Rb H Te 0,= Te gr. 0,2161 — per Rb; Te. 0, = Te gr. 0,2234) 2° gr. 0,597 di RbHTe0,+ !/2.H;0 perdettero di peso in corrente d'aria secca gr. 0,0192 e a 120° gr. 0,047 e fornirono gr. 0,2665 di Te. (Calcolato per !/s H.0= gr. 0,0187 Ù 0) ( ” » Te — lor (') Norris e Kingman, loc. cit — 713 —- 3° gr. 0,4485 di RbHTe0,+-'!/» H;0 perdettero di peso in corrente d’aria secca gr. 0,0145 ed a 100° gr. 0,04 e fornirono gr. 0,189 di Te. (Calcolato per !/» H:0 = gr. 0,014 ) » TUO =gr. 0,1981) 5 Il sale si scioglie lentamente in acqua fredda e la sua solubilità è di circa il 4°/, a temperatura ordinaria: è un po’ più solubile a caldo. Rb H Se 0, Il seleniato acido di rubidio si ottiene facilmente per azione dell'acido selenico sul carbonato di rubidio. Dalla soluzione acquosa si ha in cristalli grossi ma che si prestano malissimo a misure cristallografiche. I cristalli sono leggermente delique- scenti. 100 p. di acqua sciolgono 140 gr. di sale a 17,5°. Scaldati a 120° sì mantengono lucenti e non perdono di peso. Norris e Mommers mescolarono le soluzioni dei due sali in proporzioni equimolecolari e lasciarono cristallizzare spontaneamente. La prima crosta di cristalli formatasi era costituita quasi interamente da tellurato acido di rubibio e conteneva pochissimo selenio: la seconda crosta conteneva un po’ più di selenio della prima. Conclusero senz'altro che non vi era isomorfismo fra i due sali. Questa affermazione mi era parsa assai affrettata; due sole esperienze ad eguali condizioni di temperatura e con variazione di concentrazione assai piccola, non sono sufficienti a giustificare una conclusione così importante. Si noti che calcolando in base ai dati delle loro analisi la percentuale di molecole di seleniato nei possibili cristalli misti, si ha: gr. 0,3029 di miscela contengono gr. 0,0029 di Se gr. 0,3327 » 1) gr. 0,0087 di Se Da cui si calcola per i primi cristalli il 3,1 °/ di molecole di seleniato, e per i secondi cristalli il 9°/, Queste quantità non mi sembrano trascurabill; aumenta il contenuto in selenio col concentrarsi della soluzione in seleniato e benchè i valori siano piccoli non sono però tali da essere trascurati. È noto infatti che di- versi sali presentano fra loro relazioni di isomorfismo entro limiti assai ri- stretti. Guidato da queste considerazioni ho ripreso in esame i due composti ed espongo i risultati preliminari delle mie ricerche. Le soluzioni acquose dei due sali quasi sature alla temperatura ordi- naria vennero mescolate fra loro in diversi rapporti, poi evaporate a tempe- RenpICcONTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. 91 — 714 — ratura di circa 50-80° fino a che per raffreddamento avveniva deposizione di cristalli. Dopo qualche giorno i cristalli venivano raccolti, lavati con poca acqua, asciugati fra carta da filtro e poscia analizzati. Le soluzioni contenenti una forte percentuale di tellurato, depositarono una polvere di aspetto simile al composto tellurico: scaldati a 120° perdono di peso: l’ana- lisi dimostra l'assoluta mancanza di selenio. Le soluzioni contenenti invece percentuali di seleniato superiori all'equi- molecolare depositarono tutte dei bellissimi cristalli; quelli studiati sono monoclini: scaldati per diverso tempo a 120° non perdono affatto di peso e all'analisi dimostrano di contenere molto selenio. Vennero analizzati anche dei cristalli unici. Sono dunque dei cristalli misti appartenenti al tipo del seleniato. Cristalli di miscela del tipo del tellurato, nelle condizioni finora stu- diate non vennero osservati. I risultati delle analisi sono i seguenti: N. Peso dei cristalli misti Molecole °/, di RbHSe0, (RbDHTe0,+ Rb HSe0,) nei cristalli misti 1 gr. 0,615 diedero gr. 0,0895 di selenio 50.2 9 006150 ) 43.98 5) » 1,0175 ” » 0,183 > 42.49 4 » 0,0755 ” » 0,0125 ” 52.76 5) » 0,263 ” » 0,0375 ” 46.03 6 » 0,4785 ” » 0,068 Li 45.09 Si osserva dunque una variabilità di rapporti entro i limiti di 42-53 °/, mol. di seleniato. 1 risultati sono indubbiamente degni di attenzione: pur tuttavia io non voglio finora affermare che l isomorfismo fra seleniati e tellurati esiste; poichè la composizione dei cristalli misti è limitata e perchè cristalli misti del tipo del tellurato non furono finora ottenuti. Attendo ora allo studio della formazione e della solubilità dei cristalli misti a diverse temperature e pubblicherò tra poco i risultati completi delle mie ricerche. — 715 — Cristallografia. — Studio cristallografico di alcune nuove sostanze organiche (*). Nota del dott. FRANCESCO RANFALDI, pre- sentata dal Socio G. STRUEVER. Sale sodico aell’acido 2-ortonitroparatolilamino-5-5-dinitrobenzoico NO: (5) NO, (83) CH 2 i eHoS - (001): (IT). (| (2 -55.56 —56785 56. 27 = _ (001) : (101) | 1 nl 32. 50 389.127 7/ SARO (101) (111). 421 46/158. 2 7606 46. 59 46. 46. 49 SOS (IT1) : (010) 1 se 57.58 57. 52. 58 n 2 (i (01) 91256 07 28. 31 28. 31.3 SERE] (011) : (010) | 2| 54 29 — 54.49 54. 33 54.19.» 14.» (011): (100). (| (50759, 5. (1° .50409 59. 88 59. 53, 19 E pgl9 (101) : (010) .| ‘1 S 80. 81 80. 37. 44 ENGRAL (101) : (011) | 2| 52.38 — 52.40 52. 39 52. 40, 15 E TI (101): (111) | be 738.14 73. 8.16 5. 44 (101) : (001) 3il 28.18 -—- 2885 28. 26 23. 40. 16 CAIANO La dimensione dei cristalli misurabili varia da 1a 2 mm. circa. Essi sì potrebbero distinguere in due tipi, secondo che predomina la pinacoide 3011 (v. fig. 1) o la }100} (v. fig. 2) le quali con la }001{ costituiscono in ogni caso le forme prevalenti. Abbastanza sviluppata si mostra la }101{, di cui talvolta manca una faccia; le altre forme seguono l'ordine decre- scente: {101}, j0104, }I11{ e, salvo rare eccezioni, sono assai ristrette. — Tutte le facce al goniometro si mostrano molto splendenti, però quelle delia zona [010], meno quelle della }100| e della (001) che talvolta sono piane, si presentano alquanto incurvate nel senso della zona stessa; la (011) si mostra piana, incurvata ordinariamente la sua parallela; le }010{ e }111{ talora non riflettono immagini pel loro esiguo sviluppo. Non fu osservata sfaldatura perfetta, pare ne esista una, poco distinta, secondo }101{. I cristalli sono di colore giallo-cromo, con splendore vitreo e tra- sparenti. Fra i cristalli avuti a mia disposizione, osservai dei geminati. Essì sono molto semplici: sono geminati di contatto, ed il contatto avviene secondo (100) che è pure piano di geminazione. La fig. 3 rappresenta appunto uno di tali geminati: nella tabella se- guente riporto alcuno degli angoli di geminazione più caratteristici. ” — 717 —- Angoli | N. | Osservati Calcolati DEI esp. — cale. (001) : (001) | 1 169.55” 1799067 — 1 (BD) BREA 19. 32 19. 48 — 16 B:reono. Sale di piridina dell'acido 2-ortonitroparatolilamino-53.5-dinitrobenzoico. SR cai N°: x000-C:H;N CH; NH — CH; xo, I cristalli furono ottenuti da S. Cuttitta (!), facendo agire la piridina (in ragione di una molecola) su una soluzione alcoolica di acido 2-cloro-3.5- dinitrobenzoico e 2-nitro-4-toluidina, prese in quantità equimolecolari. — Punto di fusione 200°. Sistema cristallino: ériclino a:b:c=1,35414:1:1,09430 a= 879.161; 8= 76°.36' ; y = 929.14'.6” Forme osservate: 3100} , 30016, }010f , }101t, 3011{ , }I10t, {I1l{. (1) Loc. cit. Combinazioni osservate: 4) 12 }100{, }010{, }001} , }Io1{, 3110 (Il rarissima (v. fig. 5). 2° }100} , 3010, }001t, }T01{, 101 > Nyfli it ' 0 fe 1 x —i — SI LI S Fia. 4. Fio. d. Angoli Misurati | Calcolati sa (001) : (100) 769,36 _ = (001) : (011) 48. 16 _ — (001) : (101) 44,09, — _ (101) : (OI1) 63. 8 _ Di (011) : (010) 44. 28 — —_ (010) : (110) 36. 25 360 IRON (010) : (II1) 48. 42 48.50.» — 8.» (111) : (100) 69. 8 69. 5.47 2.13 (111) : (101) 45. 26 45. 11. » 15. » (111): (001) 59. 18 59.,25. 87 — 7.37 (111): (0I1) 32. » PIOVE 4 (111) : (110) 72.14 72. 20. 42 — 6.42 (110) : (011) 48. » 47.46. 58 JISSANZ (110) : (001) 84.10 84.15. 5 — 5. 5 I cristalli misurabili hanno una dimensione massima di qualche mil- limetro, ma se ne ottennero anche di molto più grandi. Essi sono allungati nel senso dell'asse [001] e, salvo poche eccezioni, alquanto schiacciati secondo }010j, pinacoide sempre predominante, ora seguita, ora raggiunta per estensione dalla }100}, mentre la }110{, che talora è rappresentata da una sola faccia, si mostra sempre ad esse subordinata. — Le forme terminali talvolta presentano quasi eguale sviluppo, tal’altra la — 719 — }011t e la }IIl1{ si mostrano subordinate alla 5001} e }101f, le quali ora hanno facce equidimensionali, ora l'una prevale sull'altra. Inoltre le facce della }100{ d'ordinario sono inegualmente estese, ed i cristalli si mostrano diversamente conformati alle due estremità dell'asse [001], poichè ad una di esse sono presenti tutte le facce delle forme terminali, con le combina- zioni sovra indicate, e dall'altra si mostra solo la (001), e se in qualche individuo si scorge eccezionalmente qualche faccia di altra forma, questa è sempre appena visibile anche a forte ingrandimento. Tutte le facce al goniometro si presentano molto brillanti, ma quelle della }001{ si mostrano foggiate a tremìa nei cristalli grandi, mentre nei piccoli vi sì scorge appena una delicata striatura nel senso della zona [010]; tutte le altre facce sono incurvate in tutti i sensi e riflettono immagini multiple; per ciò il calcolo per la determinazione delle sovra indicate co- stanti, fu fondato sulle misure eseguite su di un cristallino scelto fra i migliori, dopo di essermi assicurato però che tutte le buone misure istituite sugli spigoli omologhi di altri individui, vanno abbastanza di accordo con quelle scelte per fondamentali. Non havvi alcuna sfaldatura perfetta; ne esiste però una poco distinta secondo }001{ ed un'altra || a }111{. I cristalli sono di colore rosso-aranciato, a splendore vitreo e traspa- renti. Dai valori sovra indicati assunti per @, e y nei cristalli dei due sali, sì ha: pel sale sodico: iO So 1930201 pelfsale di piridina: a. — 87°.16/; fi. 760.366: — 920.14".6", Quindi, allo scopo di stabilire un’analogia più intima fra i cristalli delle due sostanze, si è indotti a prima vista ad orientare una delle proiezioni in modo che, restando fisso il valore assunto per y, si venissero a scambiare fra loro i valori di a e f. — Orientando in tale senso i cristalli del sale di piridina la {001} conserverebbe il proprio simbolo, si permuterebbero fra loro i sim- boli delle {010} e {100} e tutte le altre forme cambierebbero conseguente- mente di simbolo, pur restando la grandezza dei loro indici sempre limitata all’ unità. Ma in tal caso il rapporto parametrico di questi cristalli risulterebbe : ab: 073848: 1: 080812 e quindi si scosterebbe di più dal corrispondente rapporto trovato pel sale di sodio, che non adottando la prima orientazione, nel quale caso anche la disposizione degli spigoli, tenendo conto del loro valore angolare, presenta una più stretta analogia nel confronto dei cristalli delle due sostanze. Pertanto ho creduto più conveniente tenere l’orientazione adottata. n SEZ — 720 — Cloroplatinato di I-Lupanina. (C,;H,,N,0HC1); Pt CI, Questa sostanza fu preparata dal prof. A. Soldaini e dal dott. T. Bor- raccia (!) insieme ad altri cloroplatinati, per azione del cloro gassoso sulla soluzione eterea di I-Lupanina (inattiva). Il composto a 185° comincia ad imbrunirsi, a 197° circa fonde, verso 210° si decompone. Sistema cristallino: monoclino a:b:c=2,6124:1:1,3428 — 1930.4639" Forme osservate : 3100} 80016, 3 ID ORTI 020: Combinazioni osservate : TATO E ‘30013 (v. fig. 6) }I11 ) 201008, STELE 3111 — }210% Ill 32 3100! , 31115, JT11t, 30014, }2104 (v. fig. 7). EN AX SN T4A vo ELLI ) 10 \ { \ \ (1) Il composto era stato ottenuto dal prof. Soldaini fin dal 1892 (vedi Acc. dei Lincei, VII, 12. — Gazzetta Chimica ital. Marzo 1892. — Archiv der Pharmacie, 230, Heft 1. Berlin 1893) però lo studio cristallografico non ne fu fatto, perchè non si pote- rono ottenere cristalli misurabili. — 21 Misurati Differenze Angoli N_____________— Calcolati Limiti Medie esp. — cale. (111) : (001) | 9|53°.6/1 — 532.50 53° 38 ca = (001) : (111) | 9| 56.20 — 56.45 56. 33 = 2a (0): (111), |13}| 33.45. /—=8428 34.12 = = (LI) (ll) || -2|:82. 36. — 82.88 82. 37 820,36" 3 0. I dEi 716918, — 70.17 69. 57 69. 54 3 (111) : (210) | 5| 35.27 — 36.20 35. 50 SCRAOI ili (111) : (100) |10| 69.185— 70. 2 69. 35 69. 30 (100) : (210) | 5|52. 8° — 52. 53 52. 24 52. 24 (210) : (LI) | 4| 40.22 — 40. 86 40. 28 40. 221 1 e 4715 77048 77.29 77. 87 ca (210) : (001) | 1 = 85 51 86. 121 SSIOJNEE I cristalli si presentano generalmente regolari, con abito tabulare secondo {100}. Le loro dimensioni variano da 4 mm. a poco più di 3 mm., che solo pochissimi raggiungono. La 1% combinazione si osserva in numerosi cristalli, meno frequente sie@noto la r9s,Tarissima la 22 La forma {100} predomina sempre largamente su tutte le altre, e mentre in taluni cristalli la {111} ha facce più estese della {111}, in altri avviene il contrario; non è raro poi il caso in cui queste due forme hanno facce quasi equidimensionali. La {210} si presenta solo eccezionalmente con facce mediocremente sviluppate, ed in tal caso, queste hanno estensione variabile anche sullo stesso cristallo, il cui abito morfologico viene sensibilmente modificato; ma quasi sempre la {001} e la {210} si mostrano con facce tanto ristrette che al goniometro si scorgono appena come punti brillanti. Tutte le facce sono abbastanza splendenti, però quelle del pinacoide {100}, essendo costantemente foggiate a tremìa, riflettono immagini multiple; le altre, anche quando appartengono alla stessa forma, dànno immagini la cui nettezza varia nei diversi cristalli, perciò per ogni spigolo si hanno ordinariamente valori che oscillano fra limiti abbastanza ampi. Sfaldatura facile e perfetta secondo {001}. I cristalli sono di colore giallo-arancio, a splendore vitreo e trasparenti. Il piano degli assi ottici è parallelo al piano di simmetria. Su di una lamina tagliata parallelamente al piano di simmetria, una direzione di massima estinzione fa un angolo di circa 42° (luce ordinaria) con lo spigolo [100 : 010] verso lo spigolo [010 :11]]. ReEnDpICONTI. 1906, Vol. XV. 1° Sem. 92 Naftalato di etile. H.0,-000-C C-C00-C,H, H-C C-H H-0 È C-H C C H H Il prof. G. Errera mi ha fornito questa sostanza, che ottenne (') riscal- dando naftalato di metile con alcool etilico ed etilato sodico. a 58°-60°. Sistema cristallino: monocelino ARTS IRIS 1 SME Forme osservate: {001}, {110}, {T11{, {113}, {114} {101} (01012 Combinazioni osservate: Fic. 8. Fic. 9. 12 {001}, {110} , {101} (v. fig. 8) 23: (001), (110) (1) Ancora inedito. — Fonde 01}, {111}, {113} , {114}, {011} ; {012} (v. fig.19). Misurati Angoli || 1P_ _—_—__ e. Calcolati D ereneo Limiti Medie esp. — cale. (110) : (110) Ti I8S9 A] 8991527 899.48" = de: (001) : (101) 7| 89.49 — 89.55 89. 52 — 2 (001) : (110) |11| 76.15 — 76. 39 76. 30 — = (110) : (111) DIR N28 185/40) 13. 36 1/, 13935/17, 0”. 9/4 (111) : (113) 31251 25022 25,55. 25. 40%/ 25. 46 2/4 220r616 5 (113) : (114) il Esa TON173/ 10. 8 9. 3/, (110) : (011) DI Mo 20059828 58. 211/a b38125 ESTIIA (110) : (101) DMA474501 (48510, 48. 11/4 48. 4 1/4 CZIIGNI (E) (101) : (111) 2| 46.32 — 46.35 46. 33 1/% 46. 32 3/4 Dis, (101) : (113) 2 51. 43. —51.47 51. 45 51.41 2/4 3. 1/4 (101) : (114) 1 - 56. 4 56. 6 SIONI (113) : (012) I — 38. 12 38.13 3/ 23 il 8% (011) : (110) 2| 41.54 — 41. 56 41.55 41.58 1/4 RZ, (00I) : (012) | 1 = 56. 25 56.20 1/» 4. 1/s (001) : (011) 1 — H1393 Me35 — 2. !/ Le dimensioni dei cristalli variano da un minimo di qualche milli- metro ad un massimo di 4 mm. circa. Tutti sono pressochè egualmente sviluppati nel senso degli assi [100] e [010]; però taluni si presentano allungati nel senso dell'asse [001] e si mostrano con abito prismatico secondo }110! (v. fig. 8); altri invece sono alquanto schiacciati secondo }001f che, nei cristalli di questo tipo, è sempre molto sviluppata (v. fig. 9). I cristalli più ricchi di forme sono quelli del 2° tipo, fra queste preval- gono però costantemente 3}001{ ,}110{ , }101{, 3011}, le quali sono sempre presenti, mentre }111{ , }113} , {114} , {012} si presentano raramente e tanto ristrette, che al goniometro si mostrano come liste estremamente sottili, più o meno brillanti. Nei cristalli del 1° tipo tutte le forme sono abbastanza sviluppate e seguono l'ordine decrescente: {110} , {001}, {101}. Inoltre, come rilevasi dalle fisure, in tutti gli individui osservati non ho mai trovato presenti tutte le facce delle {011}, {012}. I cristalli del 1° tipo si riscontrano di frequente fra quelli che si ebbero direttamente nella formazione della sostanza; ma da diverse cristallizzazioni da me ottenute, da soluzioni alcooliche del composto, si ebbero sempre indi- vidui del 2° tipo, in cui però ho riscontrato solo la combinazione del pina- coide {001} col prisma |110)}. VERTZ=Z= = emo_———__—— @, ED Yi ” incrociata @ > y, SD) Si tratta quindi di albite. La mica è una biotite in laminette fortemente pleocroiche da a giallo a c bruno-scuro; spesso si altera in clorite e limonite. Le laminette spesso piegate o contorte si riuniscono in fascetti paralleli alla direzione di sci- stosità. Altro minerale relativamente abbondante è l’epidoto, che si presenta in forme granulari o in cristalli allungati secondo [b] e con sfaldatura pa- rallela a }001{; ha colore giallo-limone con debole pleocroismo dal giallo all’ incoloro. La magnetite si presenta in minutissimi granuli; è poco diffusa. Gneiss cloritico-epidotico. « Lente nella besimaudite permiana, sulla sinistra della Bormida, presso Rive (Isola Grande) ». All'esame esterno è una roccia di color bianco-verdastro a struttura granulare tendente alla scistosa. Si distingue una parte bianca fatta princi- palmenie di quarzo granulare, ed un materiale verdastro luccicante cloritico- — 726 — micaceo; le due parti si compenetrano insieme, così che la struttura gneis- sica non riesce distinta. Al microscopio si notano i seguenti minerali: clorite, quarzo, ortose, oligoclasio, mica bianca, epidoto, ilmenite, magnetite, zircone. Sono tutti allotriomorfi, salvo lo zircone, che alcune volte presenta la combinazione del prisma {110} con la piramide {111}. Dei feldspati prevale l’ortoclasio in grandi cristalli tabulari caratteriz- zati da linee di sfaldatura molto nette. I pochi cristalli di oligoclasio si distinguono per la geminazione dell’albite e per avere nella zona | a (010) un angolo d'estinzione molto piccolo. Il quarzo è abbondantissimo e presenta i soliti caratteri sviluppandosi spesso in forme lenticolari. Quarzo e feldspato hanno spesso inclusioni di altri minerali come epidoto, magnetite, mica, zircone. Anche l’epidoto è abbondante, e si presenta per lo più in forme gra- nulari; ha leggiero pleocroismo dal giallo-pallido all’incoloro. La mica bianca forma piccoli straccetti o laminette più o meno con- torte e si unisce alla clorite per formare gli straterelli cloritico-micacei. L'ilmenite e la magnetite hanno i soliti caratteri, e del resto sono poco abbondanti. Il microscopio fa vedere una struttura cataclastica, una specie di mo- saico dovuto principalmente all’intreccio dei cristalli di quarzo e feldspato. Gneiss micascistoso. « In lenti nella besimaudite ed a contatto coll'amfibolite del monte Spi- narda presso Calizzano ». Roccia grigio-cenere di struttura granulare e scistosa. Macroscopicamente lascia riconoscere grandi lamine lucenti di muscovite parallele alla direzione di scistosità, e molto quarzo in grossi granuli cenerognoli frammisto ad un minerale biancastro feldspatico. L'alternanza di zone micacee con zone quar- zoso-feldspatiche, che è carattere delle rocce gneissiche tipiche, non è molto distinta, sicchè a prima vista data anche la prevalenza della mica la nostra roccia sembra un micascisto. Al microscopio risulta che i costituenti essenziali della roccia sono: mu- scovite quarzo e feldspato. La muscovite forma grandi lamine incolore e ordinariamente freschissime ; è raro che si abbia un principio di alterazione in limonite e clorite. Alcune sezioni basali o prossime alla base offrono distintissime figure d’interferenza dalle quali si ottiene un angolo apparente degli assi otticì di circa 66° con at>v. Il quarzo è rappresentato da grandi sezioni incolore limpide a contorni irregolarissimi. Poche inclusioni di apatite e zircone ; talvolta estinzione ondu- losa; spesso bellissime figure d'interferenza uniassiche. — 20 — Il feldspato si riferisce in parte ad ortose e microclino, in parte a plagio- clasio. L'ortose, che prevale sul plagioclasio, forma grandi cristalli allotrio- morfi, provvisti di distinte linee di sfaldatura. Generalmente è fresco, ma non mancano esempi di alterazione in muscovite che preferisce formarsi nell’in- terno dei cristalli. Il microclino molto raro è freschissimo e sì distingue per la sua caratteristica Gi//erstructur. Anche il plagioclasio sì sviluppa in grandi cristalli, che sono geminati polisintetici secondo la legge dell'albite. Deve rife- rirsi all'albite, giacchè il valore massimo dell'angolo d'estinzione simmetrica nella zona | a (010) è di circa 16° e il metodo di Becke applicato nei fre- quenti contati col quarzo ha dato i seguenti schemi: posizione || posizione +- > a > Yi EDI ED a Sono minerali del tutto accessorî: zircone, apatite e magnetite, i primi due inclusi nel quarzo e nel feldspato. Nelle sezioni trasversali comparisce la disposizione scistosa dei minerali costituenti la roccia alternando straterelli micacei con quelli in cui prevale l'impasto quarzoso-feldspatico. Data la notevole quantità di feldspato, la presente roccia va classificata come gneiss. Rocce prasinitiche. Per maggior chiarezza riporto qui la definizione di roccie prasinitiche data dall’egregio ing. V. Novarese nella sua interessante Memoria: Momen- clatura sistematica delle rocce verdi nelle Alpi occidentali, Boll. Com. Geol. 1895. « Nel quadro annesso abbiamo tenuto distinto da tutto il resto il gruppo « delle rocce prasinitiche la cui caratteristica sta nell'essere le rocce in esso « comprese costituite sempre da uno o più dei seguenti elementi: un feld- « spato sodico-calcare più o meno vicino all’albite; un minerale del gruppo « degli amfiboli, che ora è un amfibolo verde attinolitico, ora invece «un amfibolo sodico verde-azzurro o violetto; un minerale epidotico, che « può essere epidoto propriamente detto oppure zoisite, ed infine una clo- « rite. Tutti questi minerali hanno un carattere comune; o per la loro na- « tura stessa o per il loro abito appartengono sempre alla categoria di quelli « che siamo soliti a considerare come secondarî. Perciò le rocce del gruppo « delle prasiniti sono composte essenzialmente di minerali secondarî; e salvo « rare eccezioni, nella loro composizione non presentano mai elementi che si « possano ritenere primitivi ». Prasinite amfibolica — Campione A. « Massa lentiforme nella besimaudite fra il gneiss micascitoso sopra- descritto e l’'amfibolite scistosa, Campione A, che è descritta in seguito. Sa- lendo dal colle di Vetria al monte Spinarda, presso Calizzano. » Roccia grigio-verdastra, granosa. Una pasta bianca, saccaroide, feldspa- tico-quarzosa è finamente commista al minerale verde, da cui risulta la mas- sima parte della roccia; in taluni punti è visibile la pirite. Al microscopio l’amfibolo negli individui più sviluppati ha forma irre- golare o granulare e manca di sfaldatura prismatica distinta. Pleocroismo: a = giallo-verdiccio 6 = verde-grasso c= verde-bluastro onde sì tratta di comune orneblenda. Poche inclusioni di rutilo e magnetite. Alterazione in limonite poco diffusa; alcuni cristalli all'esterno sono tra- sformati in amfibolo azzurro. Oltre l’orneblenda, vi è molto amfibolo di color verde-chiaro e di abito attinolitico, i cui cristalli aciculari o microlitici pre- feriscono costituire le inclusioni verdi del feldspato. Il feldspato è allotriomorfo, e non presenta caratteri sufficienti a deter- minarlo. Alcuni cristalli sono geminati secondo la legge dell'albite. Frequen- temente è saussuritizzato; molto diffuse le inclusioni di amfibolo aciculare. Sono minerali accessorî: Magnetite granulare, Ilmenite in forme allungate, spesso circondata da leucosseno, Granato in associazioni granulari di colore leggermente roseo, talvolta birifrangenti, Rutilo in piccoli cristalli giallognoli, Tîtanite, Epidoto in granuli, Pirite con avanzata alterazione in limonite. Prasinite amfibolica — Campione B. « Massa lentiforme accompagnata da micascisto fra gli scisti carboniferi e la besimaudite permiana, presso Montefreddo (Mallare) ». Campione di roccia alterata a struttura scistosa e colore grigio-verda- stro. Lascia riconoscere macroscopicamente cristallini d'amfibolo commisti a materiale feldspatico-quarzoso, che forma una pasta bianca granuiare. Venule di quarzo attraversano la roccia in vario senso. Al microscopio la parte bianca risulta costituita da un intimo aggre- gato granofirico di quarzo e feldspato. — 729 — Il quarzo meno diffuso del feldspato si distingue da questo per la lim- pidezza dei suoi cristalli generalmente scevri d’inclusioni ed inalterati. Il feldspato forma granulazioni ad estinzione ondulosa ripiene di apa- tite aciculare e di zircone, e che tendono ad alterarsi in saussurite. Non si riconosce quasi mai geminazione dell’albite, ma alcune deter- minazioni col metodo di Becke nei frequenti contatti col quarzo hanno dato: posizione | o> a, SUI ” + WET € > x per cui deve riferirsi alla serie dell'oligoclasio acido. Di elementi colorati principalissimo l’amfibolo in cristalli molto allun- gati secondo il prisma }110{ e quindi di abito attinolitico, ma a contorni molto irregolari e di dimensioni variabilissime. Pleocroismo: a giallo-chiaro 6 verde c verde-cupo Estinzione massima di 15° dalle linee di sfaldatura. Si altera in limo- nite e allo stato mierolitico forma inclusioni nel feldspato. La biotite in laminette contorte e quasi sempre più o meno alterate in clorite è rara. È raro anche l'epidoto in granuli giallognoli pleocroici. Sono del tutto accessorî: Granato, Zircone, talvolta in forma di prisma verticale terminato dalla pira- mide }111f, Ilmenite con orlo leucossenico, Magnetite, Titanite, Pirite, spesso limonitizzata. La struttura scistosa della roccia nella sezione sottile non risulta molto evidente, avendosi una statificazione alquanto irregolare dei minerali che hanno forme frammentarie e quindi dànno luogo piuttosto ad una struttura cataclastica. Questi due campioni certamente non rappresentauo prasiniti tipiche, perchè quantunque in generale i minerali costituenti hanno caratteri tali da doverli ritenere di formazione secondaria, pure questa non sempre riesce evi- dente specialmente per l’amfibolo. Tuttavia, tenuto conto dei loro caratteri mineralogici complessivi, credo non essermi allontanato troppo dal vero clas- sificandoli fra le rocce prasinitiche. RenpICONTI. 1906, Vol XV, 1° Sem. 98 ieri = === — 30 — Fisiologia. — L'azione dei gaz compressi sulla vita dei mi- croorganismi e sui fermenti. Nota del dott. CARLO Foà, pre- sentata dal Socio A. Mosso. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Biologia. — Sulla possibilità di accumulare arsenico nei frutti di talune piante ('). Nota preliminare di B. Gosto, presentata dal Socio R. PIROTTA. Da parecchi anni intrapresi ricerche sistematiche sul passaggio dell’ar- senico nei vegetali. Per quanto si conosce dalla fisiologia di questi ultimi, se alle loro radici si offre un soluto troppo ricco di arsenico, è ovvio suc- ceda come per gli stessi arseniomiceti, cioè l'intolleranza: può anche acca- dere l’avvelenamento delle cellule delle radici e quindi minacciarsi la vita dell'organismo. Nelle mie ricerche però io mi servii di soluzioni arsenicali molto di- luite: (1 parte di arsenito sodico per 100000 di acqua — 1:10000). Incominciai colla soluzione più debole per passare più tardi alla più. forte (1:10000) ed innaffiavo spesso le piante nelle ore più opportune. Le prime ricerche riguardarono piantagioni di mais e di fagiuoli. In entrambi i casi, a mezzo della sensibilissima reazione biologica, potei con- statare il passaggio dell’As in pochi giorni del trattamento. Il saggio riuscì però poco intenso anche per i frutti: la causa dello scarso successo dovette risiedere nelle particolari condizioni, in cui dette piante vennero coltivate. si trattava infatti di colture in terreno libero ed esposto alle vicende atmo- sferiche: e ciò ha notevole influenza sul quantitativo d'arsenico assorbibile dalle radici, massime nei periodi di pioggia, che nel caso mio furono ripe- tuti ed abbondanti. All'inconveniente posi in seguito completo riparo, sia con una più acconcia scelta della pianta, sia con un’adatta copertura del terreno. Utilizzai una cucurbitacea: cucurbita pepo - varietas verrucosa - forma aurantiaca. Il seme fu deposto nell'aprile: l’accolse una gran cassa piena di terra, protetta da un ampia tettoia aperta da un lato. L'innaffiamento venne fatto con acqua comune, fino a che la pianticella raggiunse l'altezza di mezzo (') Lavoro eseguito nel Laboratorio microbiologico della Sanità pubblica. — BI — metro circa. À questo punto l'acqua semplice fu sostituita con quella arse- nicale all’ 1:100000; dopo un mese si passò all’ 1:10000, colla quale so- luzione si proseguì l’innaffiamento fino alle ultime fasi vegetative. Coll'avanzarsi dello sviluppo, la pianta fu congiunta ad un palo, che le permise d’arrampicarsi fin sopra la tettoia, dove si potè espandere con piena libertà, mentre la parte inferiore del caule e tutto il terreno adiacente rimasero protetti dalle pioggie. Numerosi saggi qualitativi dell’arsenico vennero fatti col metodo biolo- gico sulle foglie, sui fiori e finalmente sui frutti. Questi ultimi sì raccolsero nel mese di ottobre in numero di due soli: essi avevano il peso rispettivo der9re 61. Tutte le prove ebbero esito certo, con maggior evidenza nel periodo del maggior rigoglio nello sviluppo della pianta. Però il massimo contenuto di arsenico si rivelò nel frutto, dove i saggi riuscirono intensissimi, dimostrando che là doveva essersi costituito un vero accumulo del metalloide. Le deter- minazioni quantitative (*) furono fatte su 36 grammi di sostanza fresca: questa venne con un trattamento nitrico preparata a subire il processo della distillazione in presenza d’'acido cloridrico; così si ricuperò l’arsenico sotto forma di tricloruro. Si precipitò quindi colle dovute regole a mezzo del sol- fidrico e si ottenne così il trisolfuro d’arsenico, il cui peso alla bilancia ammontò a gr. 0,0036; da ciò si calcola gr. 0,0015 di arsenico metallico. Riportando a 100 parti, si può contare su una percentuale d’oltre gr. 0,0041, sempre calcolando in puro arsenico metallico. Risulta adunque, che certe piante, anche se innaffiate con diluitissime soluzioni dell'elemento attivo, riescono ad accumulare arsenico nei frutti e con ogni verosimiglianza la cifra ottenuta può elevarsi considerevolmente, se si provvede ad una graduale immunizzazione delle radici mercè soluti man mano più ricchi del metalloide, od anche spingendo l'innaffiamento oltre il necessario. Io vado estendendo le ricerche in tale indirizzo, prendendo in esame varie altre piante, e spero poter giungere a qualche corollario utile anche dal punto di vista pratico, poichè già fin d'ora s'intuisce la probabilità di poter propinare l’arsenico medicamentoso in una forma più efficace, che non coi comuni preparati officinali. A quest’ultimo riguardo voglio anche ricordare che intrapresi anche ricerche sull’accumulo dell’arsenico nelle uova, appro- dando a risultati molto convincenti. (1) Ringrazio vivamente il dott. Manuelli per la scrupolosa pratica del dosaggio. — 792 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Presidente BLASERNA presenta tre volumi di una ricca pubblica- zione intitolata: Ze Mexique, son évolution sociale, offerta in dono all'Ac- cademia dal Governo degli Stati Uniti del Messico; fa inoltre omaggio del tomo V del Traîté de Chimie minérale del prof. Moissan, e di alcune pubblicazioni del prof. PISANI. CORRISPONDENZA Il Presidente BLASERNA presenta un piego suggellato, trasmesso dal dott. MuNARON per essere conservato negli Archivi accademici. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 17 giugno 1906. Agamennone G. — Winke iber die Kon- struktion der Erdbebenmesser in Ita- lien. (Sondrabd. aus der Monatschrift « Die Erdbebenwarte » 1904-05). Lai- bach, 1905. 8°. BartAGLIA M. — Pleurite da tetragono. Taranto, 1906. 8°. Biconi G. — Dopo Lissa (1811). Milano, 1906. 8°. CaBREIRA A. — Biographie de Antonio Ca- breira: (Collection des grands diction- naires; Dictionnaire biographique in- ternat. des Ecrivains ecc. Tomes XIV et XV). Paris, s. a. 8°. Ip. — Sur le problème relatif è la réso- lution d'un triangle dont on connaît deux còtés et l’angle opposé èà l'un d’eux. (Bull. de Sciences math. et phys. élément., fondé par M. Niewenglowski. Onzieme année. N. 12). Paris, 1906. 8°. Ip. — Sur les proprietés de deux Cercles égaux et tangents. Coimbra, 1906. 8°, CaLpARERA F. — Corso di meccanica ra- zionale. Vol. III. Equilibrio e moto dei sistemi continui. Idrostatica.. Idro- dinamica. Palermo, 1906. 8°. Comune di Venezia. Case sane, economiche e popolari. Bergamo, s. a. 8°. Expédition antarctique belge. Résultats du voyage du S. Y. Belgica en 1897- 1898-1899 sous commandement de A. de Gerlache de Gomery. Rapports scientifiques. Zoologie, Météorologie. Botanique. Cartes. Anvers, 1903-1904. f. FERRARIS C. — Gli inscritti nelle Univer- sità e negli Istituti superiori del Re- gno nel dodicennio scolastico dal 1893- 94 al 1904-05. (Dalla Riforma Sociale, fasc. 5. Ann. XIII). Torino, 1906. 8°. Lamas A. — Desde la Carcel. Santiago, TIVO Russo A. — Differenti stati dei corpi cro- matici nell’ooplasma dei mammiferi e loro riproduzione sperimentale. II. Nota prel. (dal Bollett. dell’Acc. Gioenia di sc. nat. in Catania, Fasc. LXXXIX). s. 1. 1906. 8°. StaBILE F. — Del suffisso Ositas. Cava, Sa Mon “= — 739 — INDICE DEL VOLUME XV, SERIE 5°. — RENDICONTI 1906 — 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A ALmansI. « Sul principio dei lavori vir- tuali in rapporto all’attrito ». 490; 539. AnGELI e MAaRcHETTI. « Sopra gli azossi- composti ». 426; 480. AnGELUCCI. « Separazione quantitativa del radiotorio dei fanghi di Echaillon e Salins Moutier ». 497. — V. Blanc. Arnò. « Sulla variazione di isteresi nei corpi magnetici in campi Ferraris sotto l’azione di correnti continue, inter- rotte ed alternate e di onde hertziane ». 629; 691. Artom. « Sopra un nuovo sistema di te- legrafia senza filo ». 629; 692. ArzeLÀ. « Condizioni di esistenza degli integrali nelle equazioni a derivate parziali ». 417. — « Sulle equazioni a derivate parziali ». 670. AzzarELLO. V. Peratoner. B BaLBIano. Fa parte della Commissione esaminatrice della Memoria Zambo- nini. 398. BARBIERI. « Sulle forme superiori di com- binazione dell’argento ». 469; 500. BARGELLINI. « Prodotti di condensazione dell’acido rodaninico colle aldeidi ». BP Lapo — « Azione del cloroformio e idrato so- dico sui fenoli in soluzione nell’ace- tone ». 579. Bassani. « Commemorazione del Socio Scarabelli Gommi-Flamini ». 186; 246. BaTTELLI. « Resistenza elettrica dei sole- noidi ver correnti di alta frequenza ». 148; 266; 471; 529. — « Ricerche sperimentali sulla resistenza dei solenoidi alle correnti d’alta fre- quenza ». 698. BLanc. « Ricerche su un nuovo elemento presentante i caratteri radioattivi del torio n. 328; 349. Ip. e AneeLucci. Trasmettono un piego suggellato. 302. BLASERNA (Presidente). Annunzia che alla seduta assistono S. E. G. Esteva e il prof. Louchaire. 597. — Comunica un invito della Università di Aberdeen per la celebrazione del sua quarto centenario. 302. — Presenta un piego suggellato inviato dal sig. Mataloni. 68; dal sig. Gre- gory. 187; dai dottori Blanc e Ange- lucci. 302; dal dott. Munaron. 732. — Presenta una pubblicazione dell’ing. — 7384 — Mancini e ne parla. 64. Id. del Cor- rispondente Viola. 400. Id. del sena- tore IMarazio. 517; tre volumi del- l’opera: « Le Mexique, son évolution sociale ». 732. BLasERNA (Presidente). Fa parte della Commissione esaminatrice della Me- moria Zambiasi. 516. — « Commemorazione del Socio straniero Langley ». 398. Boero. « Sulla deformazione di un ellis- solide elastico ». 104. Borso. V. Mazzara. BorTOLOTTI. « Sopra una ricerca di li- mite ». 490; 545. — « Sulle trasformazioni che lasciano in- variata la frequenza di insiemi li- neari ». 490; 684. BriIzi. « Ricerche intorno al modo di ca- ratterizzare le alterazioni prodotte alle piante coltivate dalle emanazioni gas- sose degli stabilimenti industriali ». 186; 232. BruNnELLI. « Sulla distruzione degli oociti nelle regine dei termitidi infette da Protozoi ed altre ricerche sull’ovario degl’insetti ». 55. Bruni e ContarpI. « Sulle reazioni di doppia decomposizione fra alcooli ed eteri composti ». 637. C CapeLLInI. « La Rovina delle Rocche di S. Pietro a Porto Venere ». 3. Carrara. Invia per esame la sua Me- moria: « Elettrochimica delle solu- zioni non acquose ». 516. — Sua appro- vazione. 664. Carrasco e Papoa. « Sulla formazione e scomposizione del nucleo indolico per mezzo dell’azione catalitica delnickel ». 644; 699. CasteLnuovo. « Sulle serie algebriche di gruppi di punti appartenenti ad una curva algebrica ». 337. CERRUTI (Segretario) « Dà conto della cor- rispondenza relativa al cambio degli Atti ». 69; 187; 8302; 400; 517; 664. — Presenta le pubblicazioni dei Soci: vor Baeyer. 63; Bassani. 186; Berlese. 302; Bianchi. 63; Darboua, Foà. 302; Fusari. 186; Haeckel, Helmert. 302; Hermite. 400; Klein. 517; Langley, Leonardi-Cattolica. 400; Lustig. 63; Pascal. 63; 517; Pflueger. 186; 302; Raina. 517; Saccardo. 302; Sorauer. 517; Zaramelli. 302; Veronese. 517. — e dei signori: Amodeo. 63; Cam- pana. 302; Guidi C. 63; Loew. 517; Verbeck. 302. CeRRUTI (Segretario). Fa particolare men- zione delle pubblicazioni: dell’Acca- demia delle scienze di Copenaghen e della Società olandese delle scienze di Harlem. 64; dell’Osservatorio di Bor- deaurx. 186; del fasc. 38° dei « Ri- sultati delle campagne scientifiche » del Principe di Monaco. 400; della Commissione svedese per la misura di un arco di meridiano. 517. — Comunica gli elenchi dei lavori presen- tati per concorrere ai premi Reali per la Chimica e per la Matematica, e a quelli del Ministero della P. I. per le Scienze fisiche e chimiche, del 1905. 64. CesarIs-DemEL. Invia per esame, la sua Memoria: « Sulla varia tingibilità e sulla differenziazione della sostanza cromatica contenuta in alcuni eritro- citi » 63. — Sua approvazione. 186. CÒeLLa. « Misura del coefficiente di at- trito interno dell’aria a basse tempe- rature ». 119. CHistoniI. « Risultati pireliometrici otte- nuti dal 22 agosto 1902 a tutto giugno 1903 al R. Osservatorio Geofisico di Modena ». 19; 126. — « Misure pireliometriche eseguite sul Monte Cimone nell'estate del 1902 e nell’estate del 1903 ». 133; 208. — « Misure pireliometriche eseguite sul Monte Cimone nell’estate del 1904 e nell’estate del 1905 ». 214; 276. Cramician. Riferisce sulla Memoria Car- rara. 664. CLERICI. « Delle sabbie fossilifere di Ma- lagrotta sulla via Aurelia ». 133. CoLomBa, « Sulla scheelite di Traversella ». 281. ContarpI. V. Bruni e Koerner. — 735 — CuBoni « Ricerche sulla produzione arti- ficiale della melata sulle foglie del- l’olivo ». 482. D DaLLa VeDova. « Commemorazione di Cri- stoforo Colombo ». 597; 658. De HeLGUERO. Invia per esame la sua Me- moria: « Per la risoluzione delle curve dimorfiche ». 469. — Sua approvazione. 516. Di STEFANO. « Sull’esistenza dell’ Eocene nella penisola salentina ». 344; 423. DuccescnI. « Sulla fisiologia della respi- razione, I. Osservazioni su di un caso di fistola bronchiale nell’uomo », 186; 223. E ERrEDIA. « La pioggia a Roma ». 363; 450. EstEVa. Assiste alla seduta accademica. 597. F FasoLI. V. Tizzoni. Foà C. « L'azione dei gas compressi sulla vita dei microrganismi e sui fermenti ». 730. Foà P. Riferisce sulla Memoria Cesaris- Demel. 186. G GaLo. « L’equivalente elettrochimico del- l’Iodio ». 24. Gracomini. « Sulle capsule surrenali e sul simpatico dei Dipnoi. Ricerche in Pro- topterus annectens ». 394. Gorini. « Ricerche batteriologiche sul for- maggio Gorgonzola ». 246; 298. Gosro. « Sulla possibilità di accumulare arsenico nei frutti di talune piante ». 649; 730. — « Sulla produzione di cumarine fermen- tative nello sviluppo di taluni ifomi- ceti ». 649. Grassi. Fa parte della Commissione esa- minatrice della Memoria Cesaris-De- mel. 186. GrEGORY. Trasmette un piego suggellato. 187. K KéRrNER. « Nuove ricerche intorno alle so- stanze dette aromatiche a 6 atomi di carbonio ». 482; 525. — e ContarpI. « Intorno alla sesta nitro- bibromobenzina ». 482; 526, KurpeR. « Sul meccanismo respiratorio dei pesci ossei ». 385, L LanGLEY. Annuncio della sua morte. 301. Sua commemorazione. 398. LAURICELLA. « Sull'integrazione delle equa- zioni dell’equilibrio dei corpi elastici isotropi ». 349; 426. — « Sulla risoluzione del problema di Di- richlet col metodo di Fredholm e sulla integrazione delle equazioni dell’equi- librio dei solidi elastici indefiniti ». 490; 611. — « Sul problema derivato di Dirichlet, sul problema dell’elettrostatica e sul- l'integrazione delle equazioni dell’elas- ticità ». 619. Lazzarini. V. Minunni. LeBesGuE. « Sur les fonctions dérivées ». 629. LeBon. « Théorie et construction de tables permettant de trouver rapidement les facteurs premiers d’un nombre ». 349; 439. Levi B. « Ricerche sulle funzioni derivate». 433; 490; 551; 674. Levi M. G. e VocHERrA. « Sopra la forma- zione elettrolitica degliiposolfiti ». 281; 322. — V. Nasini. Longo. « Ricerche sul Fico e sul Caprifico ». 873. LoucHarrE. Assiste alla seduta accade- mica. 597. — 1736 — M. MacinI. « Influenza degli orli sulla capacità elettrostatica di un condensatore ». 6; 208; 270.; 308; 442. Magri. « Sulla radioattività dei fanghi ter- mali depositati dalle acque degli sta- bilimenti dei Bagni di Lucca(Toscana)». 14; 11. ManuvELLI. «Azione dello zolfo sulle solu- zioni dei sali metallici». 644; 703. MarcHeTTI. V. Angeli. MarcoLonco. «Sugl’integrali delle equazioni dell’elettrodinamica ». 308; 344. MariortI. Aggiunge alcune parole alla Com- memorazione di Cristoforo Colombo. 597. MarteLLI. « Nuovistudî sul Mesozoico Mon- tenegrino». 176. MaraLoNI. Trasmette un piego suggellato. 68. Mazzara e Borgo. » Azione del cloruro di solforile sul pirazolo ». 644; 704. Mirrosevica F. « Sopra alcuni minerali di Val d’Aosta ». 317. — « Appunti di mineralogia sarda. Bour- nonite del Sarrabus ». 363; 457. MiLLosevica E. Fa omaggio di due pubbli- cazioni del sig. Sauve. 186. — «Osservazioni delle comete 19054 e 1906 fatte all’equatoriale di 39 cm. dell’Osservatorio astronomico del Col- legio Romano ». 147. — «Osservazioni della cometa 1905 c Gia- cobini fatte all’equatoriale di 39 cm. d’apertura all'Osservatorio del Collegio Romano ». 265. Minunni e Lazzarini. « Su taluni derivati del pirazolo ». 19. — « Sull’acido 5-metil-1-fenil-3-ossifenilpi- razol-4-carbonico edilsuo lattone ». 136. MopeRrnI. «Alcune osservazioni geologiche sul Vulcano Laziale e specialmente sul Monte Cavo ». 462. MonreMmARTINI. « Sui tubercoli radicali della Datisca cannabina». 144. Monti. «Sulla misura della velocità di pro- pagazione delle perturbazioni sismiche inrapporto alla sismometria razionale ». 15. Monti. «Sulla probabile origine della di- stribuzione dei temporali italiani a seconda delle stagioni ». 173. — « Sull’interpretazione matematica dei sismogrammi ». 217. MorIGGIA. Annuncio della sua morte. 186. Mosso. « Crani preistorici del Foro Ro- mano ». 98. Munaron. Trasmette un piego suggellato. 182: N Nasini. Fa parte della Commissione esa- minatrice della Memoria Carrara. 664. — e Levi. « Sulla radioattività della sor- gente di Fiuggi presso Anticoli ». 307. NieLsen. « Sur le développement en frac- tion continue de la fonetion Q de M. Prym ». 6; 98. — « Sur quelques propriétés nouvelles des fonctions cylindriques ». 349; 490. 0 OrLanDO. « Alcune applicazioni dell’inte- grale di Fourier». 205. — «Sull’integrazione di una notevole equa- zione differenziale a derivate parziali ». 266. OrTOLENGHI. « Su una nuova reazione co- lorata della colesterina ». 44. P PacinorTI. « Circa alle influenze della tem- peratura, delle vibrazioni, della umi- dità, dell’elettrolisi, e dell’untuosità, sull’adesione e sull’attrito nello sfre- gamento fra varî corpi, e sul lavoro di alcuni aratri; riassunto di appunti sperimentali ». 82. Papoa. « Sui prodotti di idrogenazione del pirrolo a mezzo del nickel ridotto ». 219. — V. Carrasco. PanicHi U. È approvata la stampa della sua Memoria: « Sulle variazioni dei fenomeni ottici dei minerali, al variare della temperatura ». 63. — 737 — PANNELLI « Sopra alcuni caratteri di una varietà algebrica a tre dimensioni ». 483. — «Sopra gl’invarianti di una varietà al- gebrica a tre dimensioni rispetto alle trasformazioni birazionali ». 619. PanTANELLI. « Influenza dei colloidi su la secrezione e l’azione dell’invertasi ». 377. — « Proinvertasi e reversibilità dell’ inver- tasi nei Mucor ». 587. Parona. « Fossili turoniani della Tripoli- tania ». 160. PascaL. « Sui simboli di Riemann nel Calcolo differenziale assoluto ». 610; 670. Pavanini. «Sul problema dei due corpi nell’ipotesi di un potenziale newtoniano ritardato ». 164; 197. Prano. «Sulle differenze finite». 5; 71. PeGLION. «Morìa di piantoni di gelsi ca- gionata da Gibberella moricola (De Not.) Sacc.». 62. — «Intorno alla peronospora della ca- napa». 594. PeLLINI. « Contributo allo studio dell’iso- morfismo fra il tellurio ed il selenio ». 629; 711. — e Vio. « Contributo allo studio dell’iso- morfismo fra selenio e tellurio ». 637. PERATONER e AzzaRELLO. « Eterificazione del y-piridone con diazoidrocarburi grassi ». 35; 139. PerorTtI. « Sulla spontanea formazione della diciandiamide nei prodotti concimanti contenenti cianamide calcica ». 48. — «Distribuzione dell’ Azotobacterio in Italia ». 295. : — « Sopra la forma italiana del Nitro- somonas europaea Win. ». 512. PerRI. « Nuove ricerche sopra i batteri della Mosca olearia ». 238. PincHerLEe. « Sulle singolarità di una fun- zione che dipende da due funzioni date ». 603. PioLa. « Dispositivo per lo studio dell’iste- resi magnetica sotto l’azione di campi magnetici oscillanti ». 698. — e Tieri. « Variazioni magnetiche pro- dotte nel ferro colla torsione ». 566. RenpIcoNTI. 1906, Vol. XV, 1° Sem. PizzeTTI. «Intorno al calcolo della rifra- zione astronomica, senza speciali ipo- tesi sul modo di variare della tempe- ratura dell’aria coll’altezza », 6; 73. PocHeTTINO. « Sul comportamento foto- elettrico dell’Antracene ». 355. — « Sull’effetto fotoelettrico nell’Antra- cene ». 698. — e TraBaccHI. «Sul modo di compor- tarsi del selenio rispetto alle correnti alternanti n. 698. R RanraLpI. « Studio cristallografico di al- cune nuove sostanze organiche ». 644; 715. ReIna. Riferisce sulla Memoria DeMelguero. 516. Repossi. « Su alcuni minerali del granito di S. Fedelino (Lago di Como) ». 505. RieuHI. « Su alcuni casi, apparentemente paradossali, di trasmissione dell’elet- tricità attraverso un gas». 610; 665. Rosati. « Studio microscopico di alcune rocce della Liguria occidentale ». 645; 724. S SANI. « Azione della benzilammina sull’a- crotonato etilico ». 645, Sauve. « Perfezionamenti allo spettroelio- scopio ». 168. ScARABELLI GommIi FLAMINI. Sua comme- morazione. 186; 246. SeLLA. Fa parte della Commissione esami- natrice della Memoria Panichi. 63. — Riferisce sulla Memoria Zambiasi. 516. SIiLvestRI. « Sviluppo dell’ Ageniaspis fuscicollis (Dalm.) Thoms. (Chal- cididae) ». 650. SrriiveRr. Riferisce sulla Memoria Panichi. 63. — Id. sulla Memoria Zambdonini. 398. A TegLio. « Contributo allo studio del pire- liometro a compensazione elettrica del- l’Àngstrom ». 176; 214. 94 — 738 — TierI. « Modificazione del detector ma- gneto-elastico del Sella ». 164. Tizzoni e FasoLI. « Saggio di ricerche bat- teriologiche sulla pellagra ». (V.Errata corrige). TraBaccHi. V. Pochettino. V Van RynBERK. « Sul riflesso orbicolare delle palpebre nel pescecane (Scyl- lium) ». 53. Vanzetti. « Decomposizione elettrolitica di acidi organici bicarbossilici. Acido adipico n. 505; 574. VenpITORI. « Sulla riduzione del ferricia- nuro di potassio ». 370. Vinassa DE REGNY. «A proposito della esistenza del Culm nelle Alpi Carni- che ». 647. VrioLa. « La trasformazione delle coordi- nate dei cristalli ». 6; 89. VoguÒeRA. V. Levi M. G. VoLTERRA. Offre un volume del prof. Cal- darera. 517. — Fa parte della Commissione esamina- trice della Memoria De Helguero. 516. — « Nuovi studî sulle distorsioni dei so- lidi elastici ». 519. — « Sull’applicazione del metodo delle im- magini alle equazioni del tipo iperbo- lico ». 670. Z ZamBIasi. Invia per esame la sua Memoria: « Verifica dei coristi normali dell’Uf- ficio centrale italiano pel corista uni- forme ». 398. — Sua approvazione. 516. ZamBonInI. Invia per esame la sua Me- moria: « Ulteriori ricerche sulle zeo- liti ». 801. — Sua approvazione 398. — « Sulla costituzione della titanite ». 291. — « Appunti sulla scheelite di Traver- sella ». 505; 558. — 739 — INDICE PER MATERIE A Anatomia. « Sulle capsule surrenali e sul simpatico dei Dipnoi. Ricerche in Pro- topterus annectens ». £. Giaco- mini. 394. AntRopoLogIa. « Crani preistorici del Foro Romano ». A Mosso. 98. Astronomia. « Osservazioni delle comete 19055 e 1906 a fatte all’equatoriale di 39 cm. dell’Osservatorio astronomico del Collegio Romano ». £. Millosevich. 147. — « Osservazioni della cometa 1905c Giacobini fatte all’equatoriale di 89cm. d'apertura all’Osservatorio del Collegio Romano ». /d. 265. — « Intorno al calcolo della rifrazione astronomica, senza speciali ipotesi sul modo di variare della temperatura dell’aria coll’altezza ». P. Pizzetti. 6; 73. B BATTERIOLOGIA AGRARIA. « Distribuzione dell’Azotobacterio in Italia ». A. Pe- rotti. 295. — « Sopra la forma italiana del Nitro- somonas europaea. Win. ». /d. 512. BATTERIOLOGIA CASEARIA. « Ricerche bat- teriologiche sul formaggio Gorgon- zola ». C. Gorini. 246; 298. BroGRAFIA. « Commemorazione di Cristo- oro Colombo ». G. Dalla Vedova. 597; 658. BroLogra. « Sulla distruzione degli oociti nelle regine dei termitidi infette da Protozoi ed altre ricerche sull’ovario degl’insetti ». G. Brunelli. 55. BroLogIa. « Sulla possibilità di accumulare arsenico nei frutti di talune piante ». B. Gosio. 649; 730. — « Sulla produzione di cumarine fermen- tative nello sviluppo di taluni ifomi- ceti ». Id. 649. Bollettino bibliografico. 188; 263; 303; 401; 598; 732. BorAnIcA. « Ricerche sulla produzione ar- tificiale della melata sulle foglie del- l’olivo ». G. Cuboni. 482. — « Ricerche sul Fico e sul Caprifico ». B. Longo. 373. — « Sui tubercoli radicali della Dati- sca cannabina ». Z. Montemar- tini. 144. C Chimica. « Sopra gli azossicomposti ». C. Angeli e G. Marchetti. 426; 480. — « Sulle forme superiori di combina- zione dell'argento ». G. A. Barbieri. 469; 500. — « Prodotti di condensazione dell’acido rodaninico colle aldeidi ». G. Bargel- lini. 35; 181. — « Azione del cloroformio e idrato so- dico sui fenoli in soluzione nell’ace- tone ». Zd. 579. — « Sulle reazioni di doppia decomposi- zione fra alcooli ed eteri composti ». G. Bruni e A. Contardi. 637. — « Sulla formazione e scomposizione del nucleo indolico per mezzo dell’a- zione catalitica del nickel ». 0. Car- rasco e JM. Padoa. 644: 699. — 740 — Cuimica. « L’equivalente elettrochimico dell’Iodio ». G. Gallo. 24. — « Nuove ricerche intorno alle sostanze dette aromatiche a 6 atomi di car- bonio ». G. Aòrner. 482; 525. — « Intorno alla sesta nitrobibromoben- zina ». Id. e A. Contardi. 482; 526. — « Sopra la formazione elettrolitica degli iposolfiti ». M. G. Levi e M. Voghera. 281; 322. — « Azione dello zolfo sulle soluzioni dei sali metallici ». A. JI/anuelli. 644; 703. — « Azione del cloruro di solforile sul pi- razolo ». G. Mazzara e A. Borgo. 644; 704. — «Su taluni derivati del pirazolo ». G. Minunni e G. Lazzarini. 19. -- « Sull’acido 5-metil-1-fenil-8-ossifenil- pirazol-4-carbonico ed il suo lattone ». Id. Id. 136. — «Su una nuova reazione colorata della colesterina ». D. Ottolenghi. 44. — « Sui prodotti di idrogenazione del pir- rolo a mezzo del nichel ridotto ». IM. Padoa. 219. — « Contributo allo studio dell’ isomor- fismo fra il tellurio ed il selenio ». G Pellini. 629; 711. — « Contributo allo studio dell’ isomor- fismo fra selenio e tellurio ». ZU. e Vio. 637. — « Etcrificazione del y-piridone con dia- zoidrocarburi grassi ». A. Peratoner ed E. Azzarello. 35; 139. — « Azione della benzilammina sull’a-cro- tonato etilico ». G. Sani. 645. — « Decomposizione elettrolitica di acidi organici bicarbossilici. Acido adipico ». B. L. Vanzetti. 505; 574. — « Sulla riduzione del ferricianuro di po- tassio ». D. Venditori. 370. CHIMICA AGRARIA. « Sulla spontanea for- mazione della diciandiamide nei pro- dotti concimanti contenenti cianamide calcica ». ?. Perotti. 48. Concorsi a premi. Elenchi dei lavori presentati per concorrere ai premi Reali per la Chimica e per la Matematica, e a quelli del Ministero della P.I. per le Scienze fisiche e chimiche, del 1905. 64. CRISTALLOGRAFIA. « Studio cristallografico di alcune nuove sostanze organiche ». F. Ranfaldi. 644; 715. — « Latrasformazione delle coordinate dei cristalli ». C. Viola. 6; 89. F Fisica. « Separazione quantitativa del ra- diotorio dei fanghi di Echaillon e Sa- lins Moutier ». 0. Angelucci. 497. — « Sulla variazione di isteresi nei corpi magnetici in campi Ferraris sotto l’azione di correnti continue, inter- rotte ed alternate e di onde hertziane ». R. Arno. 629; 691. — « Sopra un nuovo sistema di telegrafia senza filo ». A. Artom. 629; 692. — « Resistenza elettrica dei solenoidi per correnti di alta frequenza. » A. Bat- telli. 148; 266; 471; 529. — « Ricerche su un nuovo elemento pre- sentante i caratteri radioattivi del torio ». G. A. Blanc. 328; 349. — « Misura del coefficiente di attrito in- terno dell’aria a basse temperature ». S. Chella. 119. — « Influenza degli orli sulla capacità elettrostatica di un condensatore ». FR. Magini. 6; 208; 270; 308; 442. — « Sulla radioattività dei fanghi termali depositati dalle acque degli stabili- menti dei Bagni di Lucca (Toscana) ». G. Magri. 14; 111. — «Sulla radioattività della sorgente di Fiuggi presso Anticoli». A. Nasizi e M. G. Levi. 307. — « Dispositivo per lo studio dell’isteresi magnetica sotto l’azione di campi ma- gnetici oscillanti ». F. Piola. 698. — « Variazioni magnetiche prodotte nel ferro colla torsione ».. /d. e L. Tieri. 566. — «Sul comportamento foto-elettrico del- l’Antracene ». A _Pochettino. 355. — « Sull’ effetto fotoelettrico nell’ Antra- cene n. Id. 698. — «Sul modo di comportarsi del selenio — T4l — rispetto alle correnti alternanti ». /d. e G. C. Trabacchi. 698. Fisica. « Su alcuni casi, apparentemente paradossali, di trasmissione dell’elet- tricità attraverso un gas». A. fighi. 610; 665. — « Perfezionamenti allo spettroeliosco- pio ». A. Sauve. 168. — « Modificazione del detector magneto- elastico del Sella ». L. Tieri. 164. — « Ricerche sperimentali sulla resistenza dei solenoidi alle correnti d'alta fre- quenza ». A. Battelli. 698. Fisica MATEMATICA. « Alcune applicazioni dell’integrale di Fourier n. ZL. Orlando. 205. Fisica TECNOLOGICA. « Circa alle influenze della temperatura, delle vibrazioni, della umidità, dell’elettrolisi, e del- l’untuosità, sull’adesione e sull’attrito nello sfregamento fra varî corpi, e sul lavoro di alcuni aratri; riassunto di appunti sperimentali ». A.Pacinotti.82. FISICA TERRESTRE. « Risultati pireliome- trici ottenuti dal 22 agosto 1902 a tutto giugno 1903 al R. Osservatorio Geo- fisico di Modena ». C. Chistoni. 19; 126. — « Misure pireliometriche eseguite sul Monte Cimone nell’estate del 1902 e nell’estate del 1903». /d. 133; 208. — « Misure pireliometriche eseguite sul Monte Cimone nell’estate del 1904 e nell’estate del 1905 ». /d. 214; 276. — « Sulla misura della velocità di propa- gazione delle perturbazioni sismiche in rapporto alla sismometria razio- nale ». V. Monti. 15. — « Sulla probabile origine della distri- ‘buzione di temporali italiani a seconda delle stagioni ». /d. 173. — « Sull’interpretazione matematica dei sismogrammi ». /d. 217. — « Contributo allo studio del pireliome- tro a compensazione elettrica dell'Àng- stròm ». E. Teglio. 176; 214. FisroLogIa. « Sulla fisiologia della respi- razione. I. Osservazioni su di un caso di fistola bronchiale nell'uomo ». V. Ducceschi. 186; 223. FisroLoGIa. « L'azione dei gas compressi sulla vita dei microrganismi e sui fe- rmenti ». C. Foà; 730. — « Sul maccanismo respiratorio dei pesci ossei » 7. Kwiper. 385. — Sul riflesso orbicolare .delle palpebre nel pescecane (Scyllium) » G. var Rynberk ». 53. FISIOLOGIA vEGETALE. « Influenza dei col- loidi su la secrezione e l’azione del- l’invertasi ». E. Pantanelli. 377. — « Proinvertasi e reversibilità dell’inver- tasi nei Mucor ». /d. 587. G GeoLogIa. « La Rovina delle Rocche di s. Pietro a Porto Venere». G. Capel- lini. 3. — « Delle sabbie fossilifere di Malagrotta sulla via Aurelia ». E. Clerici. 133. — Sull’esistenza dell’Eocene nella peni- sola salentina ». G. Di Stefano. B4A ; 493. GroLogia. « Nuovi studi sul Mesozoico Montenegrino ». A. Martelli. 176. — « Alcune osservazioni geologiche sul Vulcano Laziale e specialmente sul Monte Cavo ». P. Moderni. 462. — « Fossili turoniani della Tripolitania ». C. F. Parona. 160. — « Studio microscopico di alcune rocce della Liguria occidentale ». A. Rosati. 645; 724. — « A proposito della esistenza del Culm nelle Alpi Carniche ». P. Vinassa de Regny. 647. M MATEMATICA. « Sul principio dei lavori virtuali in rapporto all’attrito ». £. Almansi. 490; 539. — « Condizioni di esistenza degli inte- grali nelle equazioni a derivate par- ziali ». C. Arzelà. 417. — « Sulle equazioni a derivate parziali ». Id. 670. — « Sopra una ricerca di limite ». £. Bortolotti. 490; 545. — imp MaTteMaTICA. « Sulle trasformazioni che lasciano invariata la frequenza di in- siemi lineari». /d. 490; 684. — « Sulle serie algebriche di sruppi di punti appartenenti ad una curva alge- brica n. G. Castelnuovo. 337. — « Sur les fonctions dérivées ». 7. Le- besque. 629. — « Théorie et construction de tables per- mettant de trouver rapidement les fac- teurs premiers d'un nombre ». E. Ledon. 349; 439. — « Ricerche sulle funzioni derivate ». B. Levi. 433; 490; 551; 674. — « Sur le développement en fraction continue de la fonction Q. de M. Prym». N. Nielsen. 6; 98. — « Sur quelques propriétés nouvelles des fonetions cylindriques ». /d. 8349; 490, — « Sull’integrazione di una notevole equa- zione differenziale a derivate parziali ». L. Orlando. 266. — « Sopra alcuni caratteri di una varietà algebrica a tre dimensioni». I. Pan- nelli. 483. — « Sopra gl’invarianti di una varietà al- gebrica a tre dimensioni rispetto alle trasformazioni birazionali ». /d. 619. — « Sui simboli di Riemann nel Calcolo differenziale assoluto ». £. Pascal. 610; 670. — « Sulle differenze finite » G. Peano. 5; le — «Sulle singolarità di una funzione che dipende da due funzioni date ». S. Pin- cherle. 603. — « Nuovi studî sulle distorsioni dei so- lidi elastici ». V. Volterra. 519. — «Sull’applicazione del metodo delle im- magini alle equazioni del tipo iperbo- lico » Jd. 670. Meccanica. «Sulla deformazione di un ellis- soide elastico ». 7. Boggio. 104. — «Sull’integrazione delle equazioni del- l'equilibrio dei corpi elastici isotropi». G. Lauricella. 349; 426. — «Sulla risoluzione del problema di Di- richlet col metodo di Fredholm e sulla integrazione delle equazioni dell’equi- librio dei solidi elastici indefiniti ». /d. 490; 610. Meccanica. «Sul problema derivato di Di- richlet, sul problema dell’elettrosta- tica e sull’integrazione delle equazioni dell’elasticità ». /d. 619. — «Sugl’integrali delle equazioni dell’elet- trodinamica ». A. Marcolongo. 308; 344. —- « Sul problema dei due corpi nell'ipotesi di un potenziale newtoniano ritardato ». G. Pavanini. 164; 197. MerEoROLOGIA. «La pioggia a Roma» Y. Eredia. 363; 450. MinERALOGIA. « Sulla scheelite di Traver- sella». ZL. Colomba. 281. — « Sopra alcuni minerali di Val d'Aosta». F. Millosevich. 317. — «Appunti di mineralogia sarda. Bourno- nite del Sarrabus ». /d. 363; 457. — « Su alcuni minerali del granito di S. Fe- delino (Lago di Como)». £. Repossi. 505. — « Sulla costituzione della titanite ». F. Zambonini. 291. — «Appunti sulla scheelite di Traver- sella ». /d. 505; 558. N Necrologie e Commemorazioni dei Soci: Scarabelli Gommi-Flamini. 186; 246; Moriggia. 186; Langley. 301; 398. P Pieghi suggellati inviati: dal sig. I/a- taloni. 68; dal sig. Gregory. 187; dai dottori Blanc e Angelucci. 302; dal dott. Munaron. 782. ParoLOoGIA. « Saggio di ricerche batterio- logiche sulla pellagra ». G. Z'iszoni e G. Fasoli. (V. Errata-corrige). PATOLOGIA VEGETALE. « Ricerche intorno al modo di caratterizzare le alterazioni prodotte alle piante coltivate dalle ema- nazioni gassose degli stabilimenti in- dustriali ». V. Brizi. 186; 232. — 743 — PATOLOGIA vEGETALE. « Morìa di piantoni PATOLOGIA VEGETALE. « Nuove ricerche di gelsi cagionata da Gibberella sopra i batteri della Mosca olearia ». moricola (De Not.) Sacc. ». V. L. Petri. 288. Peglion. 62. — «Sviluppo dell’Ageniaspis fusci- — «Intorno alla peronospora della canapa». collis (Dalm.) Thoms. (Chalcididae ». Id. 594. F. Silvestri. 650. ERRATA-CORRIGE A pag. 75, lin. 6 a. f. la formula di — de ,. deve correggersi in e CI 0 0 Po (o) PE: dy SE dy » 78, » 3,il primo membro della formula | 7—=== deve correggersi in meri Ve? — c? il ce — Y? » 249, » 17, invece di 1849 legg. 1839. » 261, al titolo della penultima pubblicazione dello Scarabelli, vanno aggiunte le parole: (in collaborazione col dott. L. Foresti). » 286 lin. 4, invece di: valori trovati 78°, 49/-759, 58’ legg.: 739, 497-739, 58". » » » 10, » » valore teorico 59°, 56’ legg.: valore teorico 19°, 56". DIO SMR n eo 3 Neg: e = 1531988 Nella seduta del 1° aprile 1906, deve essere inclusa la presentazione della Memoria del Socio Tizzoni e del dott. FasoLI: « Saggio di ricerche batteriologiche sulla pellagra». simone (coi Siria di. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. IL. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 92 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. | ‘Vol. IV. V. VI. VII. VII. Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). a MemoRIE della «Classe. di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. .I. (1,2). — IL. (1, 2). — II-XIX. . MemoRrIE della Classe. di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII I ‘ : SAue 4 — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze. fisiche, matematiche e naturali. ‘Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XV. (1892-1906). Fasc. 12°. 1° sem. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIV. (1892-1905). . MeMmoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. Fasc. 1°-5°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Do TXII. Fasc. 1°. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche ‘e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte ai mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- . denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti ‘*editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Giugno 1906. INDICE dial - : Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 giugno 1906. MEMORIA fî NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Righi. Su alcuni casi, apparerltemente e di trasmissione dell'elettricità attraverso Unipass sno MIESTta inn Vi snap: Volterra. Sali del metodo delle immagini Dn equazioni di tip iperbolico (*) » Arzelà. Sulle equazioni ‘a derivate parziali... ...0.°. RD e Pascal. Sui simboli di Riematit hel Calcolo differenziale astuta e Sh Levi. Ricerche sopra le funzioni:derivate (pres. dal Socio Segre) <. . +. +... +.» Bortolotti. Sulle trasformazioni Ghe lasciano invariata la frequenza di insiemi lineari (pres. dal Comiso CS) I EEA. È - ERE) Arnò. Sulla variazione di istetesi nei corpi magnetici in campi Tola so lisione di correnti continue, interrotté ed alternate e di onde hertziane (pres. dal Socio Colombo). » Artom. Sopra un nuovo sistema di telegrafia senza filo (pres. dal Corrisp. G. Grassi). . » Piola. Dispositivo per lo studio dell’ Isteresi magnetica sotto l’azione di campi magnetici oscillanti (pres. dal ‘Corrisp. Sella) E). . —. Ae a SO, Pochettino. Sull’effetto fotoelettiico nell’Antracene dr SCA) Eee x FERA) Id. e Trabacchi. Sul modo di comportarsi del selenio rispetto alle dani dig (presi x E Ra Battelli. Ricerche sperimentali sulla io dei sani alle cofati ‘atalta SE (È) » Carrasco e Padoa. Sulla formazione e scomposizione del nucleo indolico per mezzo dell’azione catalitica del nickel (pres, dal Socio Ciamician). . . ERO Manuelli. Azione dello zolfo sulle soluzioni dei sali metallici e 14) FRENO ID) Mazzara e Borgo. Azione del cloruro di solforile sul pirazolo (pres. dal Socio Paternò) . » Pellini. Contributo allo studio dell’isomorfismo fra il tellurio ed il selenio (pres. dal Corrisp. NS) SRO e 0 ANA ; ra Ranfaldi. Studio cristallografico di alcune nuove riposto sreaui cho fore ‘dal Socio Strilver) D) Rosati. Studio microscopico di alcune rocce della Liguria occidentale (pres. Id.) +...» Foà. L'azione dei gaz compressi sulla vita dei PSE e sui fermenti (pres. dal Socio Moss. VARO : ISRSRE SEO ” Gosio. Sulla possibilità di sccumui arsenico nei frutti di ialoni Six De dal - POtto): ERRO ESSERE INADE RIOLERG ICRAM RAS IA SI PRESENTAZIONE DI LIBRI Blaserna (Presidente). Presenta tre volumi offerti dal Governo degli Stati Uniti del Messico, e alcune pubblicazioni del prof. Moissan e del prof. Pisani . . . . <<. +... CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Presenta un piego suggellato, inviato dal dott. Muraron, perchè sia conservato ‘DegliAFCHIViI ACCAdemMiCi 00. 800 0 O NATO a O a BULLETTINO BIBLIOGRAFICO .., SUR I Indice-delivol:XWlorsemerstre 190600 ORI RI (*) Questa Nota verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. / 524 IST “ i n it ici RR RA RI tici ni titan mg SA IRR IERI TIE indi ato, Ò ESRI SERE a 2 Dei e rea FE en atiCaz x vt rali .-- te rie tit IAT RS AR Ea SIE RASO ti ° r- map gt 2 a ci E ara Aa MS E PP PIET 0 nre er 4 RIE PEIRCE ZUR IALIA TIZI reni ari È “tota RIZZI ITALIA DI Ar 72 a do re pens® a: a ne _ rat nai