lo e ti Iata Rat terapie Crati sian n “tree . vv . w +rnir x * ls Leb hl ta» CI ‘è È r* o Ci * vo È . lo LI . . ri nine nta n * e » , sè. ba Tra Pit li veste 5 : È resa muer. _. cs irilagsee MERE ino ra sa MES ee. Lee RETI drenata: . + cornice ii - n Pe QUA ) SUPE Go Pubblicazione bimensile. Roma ? gennaio 1912. Ne LATER DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI | ANNO GCCIX. 1912 Seo ee CRT INREDRTA: RENDIGONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 gennaio 1942. Volume XXI. — Fascicolo 1° 1° SEMESTRE. TOI ata ' Hi conan li A TT Cal Ut FEB 20 1949 MEZFZIAT Ri NAZIO If Sano Là al È i ao >> Sue % i Re ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | 4 PROPRIETÀ NFL CAVI Vi SALVIUCCI 15132 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Coi 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine. di stampa. lie Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soc) a Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano né sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - 2) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all'antore. - 4) Colla semplice pro: posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell? Accademia, 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, uell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L’ Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. PIT DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCKI ANNO CGCCIX. 1912 STERIREVUINE ® U INVE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME XXI. 1° SEMESTRE. ROMA PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1912 gi RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del ? gennaio 1912. P. BLASERNA Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Meccanica. — Sulle onde di canale. Nota del Socio T. LEvi- CIVITA. Fra le caratteristiche qualitative delle onde di canale spicca quella che fu per la prima volta segnalata da Leonardo colle parole seguenti (*): « L'impeto [cioè la propagazione della perturbazione superficiale] è molto più veloce che l’acqua; poichè molte sono le volte che l'onda fugge il luogo della sua creazione e l’acqua non si muove dal sito. A simiglianza dell’onda fatta il maggio nelle hiade dal corso dei venti, che si vede correre l'onda per le campagne, e le biade non si muovono dal loro sito ». A prima vista si sarebbe tratti ad interpretare con più moderno lin- guaggio il passo citato, assumendo che: Nel moto ondoso le singole parti- celle fiuide oscillano intorno a posizioni medie, fisse nello spazio, senza dar luogo a traslazione d'insieme. In realtà questa condizione è rispecchiata nelle onde rotazionali di Gerstner (*), nonchè nelle onde oscillatorie semplici di Airy (*). Ma già Stokes (4) ebbe a rilevare, studiando in seconda approssimazione le onde * (+) Cfr. Raccolta d’autori italiani che trattano del moto dell’acqua, t. X [Bologna, 1826], pag. 320. (®) Cfr. per es. Appell, 7raité de mécanique rationnelle, +. III (seconda edizione). pp. 494-501; ovvero Lamb, HAydrodynamics (terza edizione), pp. 395-398. (3) Ibidem, pp. 472-473, o, rispettivamente, 347-358. (4) Math. and phys. papers, vol. I, pp. 198, 207. L240, ( periodiche irrotazionali di tipo permanente, che esse sono di necessità ac- compagnate da un piccolo trasporto superficiale. Lord Rayleigh provò poi, con una osservazione geometrica quanto mai suggestiva ed elegante, che, nel caso limite di una profondità infinita ('), il trasporto superficiale è una conseguenza inevitabile dell’assenza di rota- zione molecolare, indipendente dalla condizione che la pressione sia costante sopra la superficie libera: si tratta perciò di cinematica (non di dinamica) del moto ondoso. Comunque, rimane accertato che l’assoluta assenza di trasporto non può figurare fra i caratteri distintivi del moto ondoso. Ciò non contradice del resto all'originaria intuizione di Leonardo, dato l’inciso « molte sono le volte », che sembra anzi consigliare meno restrittiva interpretazione. Essa sì concreta come segue: Se c'è un trasporto globale di massa, questo va esclusivamente attribuito alle disuguaglianze superficiali; gli strati profondi non vi apportano alcun contributo. Di qua la designazione di onde superfi- ciali, attribuita da alcuni autori alle onde di cui si tratta. Nella presente Nota mi propongo in primo luogo di dar veste analitica precisa all'anzidetta caratteristica di massa, e di ricavarne poi, come con- segueaza necessaria della irrotazionalità, una espressione del flusso totale, che lascia immediatamente scorgere le proposizioni di Stokes e di Rayleigh, e le estende, contemplando canali di profondità comunque assegnata e onde pur qualunque (anche non periodiche) di tipo permanente. Ne deduco altresì una relazione generale fra elementi di media: forza viva per unità di lun- ghezza, livello medio, velocità di propagazione, portata relativa (quale cioè apparisce ad un osservatore collegato col profilo superiore dell'onda). l. — PRELIMINARI. In un canale a fondo orizzontale e pareti verticali si propaghino, pa- rallelamente alle sponde, onde di tipo permanente con velocità costante €. Il fenomeno si può studiare in due dimensioni, considerando un gene- rico piano verticale parallelo alle sponde. Riterremo che tutto abbia carattere (*) Questa restrizione non è espressamente enunciata nel celebre scritto del Rayleigh On waves (Scientific papers, vol. I, pp. 263-264), ma rimane implicita nell’ammettere che il flusso, a profondità sufficiente, sia sensibilmente uniforme. Con ciò infatti si ven- gono a considerare costanti, lungo una stessa orizzontale, tanto la funzione di correntè w quanto la sua derivata normale. Ora, se non si dovesse intendere « orizzontale infinita- mente profonda », avremmo una funzione w, la quale si mantiene costante, assieme alla sua derivata normale, sopra una retta ben determinata. Una tale funzione sarebbe di necessità lineare, e si tratterebbe di flusso uniforme, contro l’ipotesi che, almeno alla superficie libera, si riscontri un'effettiva perturbazione ondosa. = permanente rispetto ad assi 0xy animati dalla velocità stessa con cui av- viene la propagazione (!). Assumeremo l'asse Oy verticale verso l’alto, e l’asse Ox scorrente sul fondo, colla direzione positiva rivolta i serso opposto alla propagazione. Rispetto a questi assi, il campo in cui si svolge il moto non varia col tempo: esso sarà a ritenersi una striscia indefinita L (cfr. la fig. 1), limi- tata inferiormente dall’orizzontale y=0 (fondo), superiormente da una linea libera L, la quale, senza scostarsi troppo da una stessa orizzontale, può 4 priori assumere andamento comunque sinuoso ed irregolare. Analiti- camente, c è da supporre soltanto che l’ordinata y(x) di / (finita, continua e derivabile) rimanga compresa fra due limiti positivi, al variare di x fra Piano z =z+iy Fie 1. — o e +. Va da sè che, se si tratta in particolare di onde periodiche, la funzione y(x) ammette un periodo ben determinato 4 (lunghezza d'onda). Indicheremo con % e v le componenti della velocità relatzva delle par- ticelle liquide, rispetto al sistema Oxy: esse sono a ritenersi funzioni delle coordinate #,y dei punti del campo (e non del tempo #, attesa la stazio- narietà del moto rispetto ai detti assi), continue, e finite ovunque (anche all’ infinito). Trattandosi di moto irrotazionale di un liquido (fluido incompressibile), saranno differenziali esatti (1) dp=udx +vdy, e (2) dyp= —vde +udy. Il campo L essendo semplicemente connesso, le due funzioni p e w (poten- ziale di velocità e funzione di corrente) rimangono univocamente definite a meno di costanti additive, che fisseremo convenendo p. es. che sia g=w=0 nell'origine O. (!) Si potrebbe limitarsi ad ammettere che il solo profilo superiore (pelo libero) si sposta rigidamente, con velocità c. Basta questo perchè un moto irrotazionale di fluido incompressibile risulti di necessità permanente. EL E Siccome tanto il fondo, quanto il pelo libero Z costituiscono linee di flusso, sarà su entrambe dw= 0. La funzione w, che si annulla in O, ha dunque il valore zero su tutto l’asse delle ascisse, ed un valore, pure co- stante, che designerò con g, sulla linea /. Data la forma del campo L, ogni punto si può raggiungere dal fondo innalzandosi di un tratto finito (non superiore alla massima ordinata della linea libera). In base a ciò, segue immediatamente dalla (2) che w (nulla sul fondo) si mantiene finita, anche all'infinito. Non così g: vedremo più innanzi quale sia il suo com- portamento asintotico. 9. — CARATTERISTICA CINEMATICA. Dacchè i nostri assi sono animati da traslazione uniforme con velocità €, nel senso zegativo dell'asse 0x, saranno «—c, v le componenti della ve- locità assoluta di una particella generica. Ora il carattere essenziale del moto ondoso è che, mentre il fenomeno ha l'apparenza di una traslazione con velocità c, il moto effettivo delle sin- gole particelle fluide si riduce a piccole, o almeno non grandi, perturbazioni locali intorno a posizioni medie. Ciò val quanto dire che il rapporto _W@—=or+e8] Cc B fra la velocità assoluta e la velocità di propagazione deve mantenersi piut- tosto piccolo: dal punto di vista matematico basta ritenere #<1, 0, più precisamente, minore dell'unità il limite inferiore dei valori assunti da £ in tutto il campo del moto. Ne risulta in particolare che vu deve essere dappertutto > 0. Pure po- sitivo è quindi il valore di g, come risulta dalla (2), immaginando di in- tegrare lungo una verticale, a partire dal fondo fino alla linea libera. 8. — PORTATA RELATIVA E PORTATA ASSOLUTA. Prendendo la densità del liquido eguale ad 1, il flusso, nel senso della propagazione (cioè nella direzione negativa dell’sse Ox), attraverso un ele- mento dy di verticale (riferito all'unità di tempo e all’unità di larghezza del canale), vale manifestamente — udy, se si considera la verticale collegata cogli assi Oxy; vale invece (ec — w) dy, ove si tratti di una verticale fissa nello spazio. Spree: Nel primo caso, la verticale stessa ha per equazione x = costante; nel secondo = £+ ct (dove È è una costante). Comunque, la portata totale si ha integrando, rispetto ad y, dal fondo fin sulla linea libera. A norma della (2), lungo ogni verticale, vdy = dw, quindi la portata relativa è — q, ® l'assoluta (8) a=fC—wwy=ey-q, indicando y l’ordinata di / (in generale variabile col tempo) che corrisponde alla verticale fissa considerata. Se y(x) è l'espressione dell’ordinata di / corrispondente all’ascissa generica x, nell'ultimo membro della (8), si deve intendere y(£ + ct). 4. — CARATTERISTICA DI MASSA: ASSENZA DI TRASPORTO NEGLI STRATI PROFONDI. Chiamiamo profondo un punto o un tratto di canale sempre immersi, situati cioè al disotto della minima ordinata della linea libera. Ove sia # un generico elemento profondo di verticale fissa, la caratteristica di massa consiste in questo (!): La quantità d'acqua che passa attraverso e (in un senso determinato), durante un tempo comunque lungo, rimane sempre finita. Valutiamo in primo luogo la quantità d’acqua in questione. Ove la si designi con m (considerandola come positiva nel senso della propagazione), e sia (#,%s) l'intervallo di tempo che si vuol considerare, si avrà manife- stamente (*) m= dove 7,s ricevono valori positivi o negativi tali che rntsnd>o0. Pertanto se sopra una curva ellittica C si suppone dato unicamente un gruppo G,, bisogna supporre che la curva © stessa sia proiettivamente data mediante una serie multipla di g,, cioè che la C sia d'un certo or- dine 7%, con 7 intero => 1, e che G, sia il gruppo dei punti di contatto d'una retta (o d'un piano ...) avente x contatti 7-punti colla curva. In particolare quando si parlerà di una curva ellittica su cui è dato razionalmente wr punto, si dovrà riferirsi a una curva C, d'un certo or- dine » che apparterrà ad uno spazio S,-, 0 sarà proiezione di una siffatta curva normale, sulla quale il punto dato sia il punto di contatto d'un iper- piano n tangente. Sarà in nostro arbitrio di fissare il valore di x, e — pren- dendo n=3 — si potrà avere in funzione razionale del punto dato una trasformazione della nostra curva in una cubica su cui è dato un flesso. Data una curva ellittica e sopra di essa un punto qualsiasi è sempre possibile trasformarla in una cubica su cui è dato un flesso, senza aggiunta (!) Cfr. F. Enriques, Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, tomo XX, 5 marzo 1905. SSR (CR d'irrazionalità numeriche. Invece data una cubica con un flesso, ogni tras- formazione di questa che conduca per es. ad una nuova cubica su cui sia dato un punto non di flesso, richiede operazioni irrazionali sui coefficienti dell'equazione della curva e sulle coordinate del punto dato. Così appare che sopra una curva ellittica su cui è dato un punto non è possibile x generale costruire razionalmente un altro punto. 8. Ora suppongasi data una superficie F_ contenente un fascio lineare di curve ellittiche C, ed una curva K unisecante le C. In base alle osser- vazioni precedenti si può sempre trasformare le C in cubiche su cui è dato un flesso, e poichè questa trasformazione si compie razionalmente per ogni C, essendo data la K, così si riesce a trasformare birazionalmente la superficie data in una F, d'un certo ordine 7 con retta (n — 3)pla e con un punto (n — 2)plo su questa, costituente un flesso per le cubiche C. Si può anche supporre che la retta (x — 8)pla sia tangente di flesso per tutte le cubiche C. Dal punto (n — 2)plo la superficie sì lascia proiettare sopra un piano doppio con curva di diramazione D d’un certo ordine 2 dotata d'un punto (2m — 3)plo 0. 1 Consideriamo, in questo piano, le curve d'ordine p passanti p—1 volte per 0; esse formano un sistema lineare di dimensione fold ®) — VOI) 2 i an Una di esse, interseca D nel punto 0 contato (22 — 3) (p — 1) volte e in 2mp— (2m —3)(p—1)=2m+3(p_- 1) punti variabili; se p è dispari, e quindi p —1 è pari, in 0 non cadono punti di diramazione della curva doppia L. Inoltre per ogni contatto che L abbia con D, spariscono 2 fra i 2mw + 8(p — 1) punti di diramazione. Se si hanno m + SÒ contatti, cioè se la L tocca la D ovunque la in- contra, l’immagine di L sulla superficie F, dovrà spezzarsi in due curve unisecanti le C. La determinazione di una L per cui ciò avvenga importa AM) mt 3 equazioni, provenienti dalla bisezione dei periodi delle funzioni abeliane re- lative a D; a codeste equazioni si può soddisfare certo in un numero finito di modi se si prende 3(p— 1 ap m4+ SET cioè p=2m_3. Simi Per tal guisa si determinano dunque sopra F, due curve unisecanti le C, ed è facile vedere che — considerando una qualunque di esse L, — il punto che L, determina sopra una C generica è tale che un suo multiplo qualsiasi non è equivalente all’equimultiplo del flesso dato, giacchè in cor- rispondenza alle tangenti ad L in 0 si hanno curve ellittiche C su cui i due punti vengono a coincidere, il che importa che la differenza dei valori dell’integrale ellittico C nei due nominati punti non possa essere sempre uguale ad una frazione di periodo, al variare di C. In conclusione, se una superficie F contiene un fascio lineare di curve ellittiche C ed una curva unisecante le C, si può costruire una seconda uni- secante, per modo che i punti segati dalle due unisecanti sopra una C ge- nerica sieno disequivalenti insieme coi loro multipli. 4. Si abbia ora una superficio F contenente un fascio di curve ellit- tiche C ed una curva K secante le C in un certo numero x di punti, per modo che su ogni C venga data una gr. Siamo in questo caso se per es. le curve C sono d'ordine x. Consideriamo tutte le g77! di una curva ellittica C. Esse costituiscono gli elementi (punti) d'un ente ellittico C', che può ritenersi come una curva nascente da C per mezzo di una nota trasformazione. Alla serie g, che si suppone data sulla C corrisponde un punto razio- nalmente dato su C". Al variare di C, C' varia pure e descrive un ente algebrico a due di- mensioni o superficie F', contenente un fascio lineare di curve ellittiche C' ed una curva K' unisecante le C". In forza del n. 3 sì può determinare su F' una seconda unisecante L’, e così si riesce a determinare sopra ogni C un’altra serie 9, disequivalente alla data 9,, ed anzi tale che due multipli delle anzidette serie non sono equivalenti. Tanto basta perchè sopra ogni C venga razionalmente determinata una trasformazione birazionale non ciclica ASZA+4+9— In e quindi perchè si ottenga una trasformazione birazionale non ciclica della superficie F. c-dd: RenDICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 3 Sa Fisica Matematica. — Sulla distribuzione della massa nel- l'interno dei pianeti. Nota del Corrisp. G. LAURICELLA. Il metodo, comunissimo nelle questioni di Fisica-matematica, che ge- neralmente si segue per ]o siudio della struttura dei pianeti, consiste nel fare alcune ipotesi, suggerite dall'osservazione e dall'intuizione, sulla loro forma e sulla distribuzione della massa nel loro interno, e nel trarre poi da tali ipotesi la maggior copia di conseguenze. Finchè queste conseguenze non contradicono ai dati dell’osservazione, le ipotesi fatte saranno dette plausi- bili; mentre saranno rigettate, non appena si sarà riscontrata qualche incom- patibilità. In questo modo i risultati che fin ora si hanno sulla distribuzione della massa nell'interno dei pianeti, sono quasi tutti negativi. Tali risultati negativi, pur avendo il loro valore, non apportano sempre un vero progresso nella questione; mentre di maggiore interesse sono gene- ralmente quei risultati, i quali stabiliscono delle condizioni analitiche ne- cessarie e sufficienti a cui deve soddisfare la funzione densità, affinchè certi fatti, stabiliti dall’osservazione o in qualsiasi altro modo, siano verificati. Infatti qualunque sia l’ipotesi che si fa sulla variabilità della densità nel- l'interno dei pianeti, in armonia con le condizioni analitiche stabilite, non potrà mai aversi incompatibilità con i fatti che a queste condizioni hanno dato luogo. Una condizione necessaria e sufficiente sulla espressione analitica della densità si ottiene facendo il 4* della formola (2) [o (2)'] della mia Nota: Sulla funzione potenziale di spazio corrispondente ad una assegnata azione esterna. Essa pone in evidenza il contributo che la conoscenza dell'azione esterna del pianeta apporta sulla determinazione della densità. Ora ci si può domandare: 1°) qual contributo dà sulla determinazione della densità la conoscenza del moto del pianeta, supposto rigido, attorno al proprio baricentro? 2°) qual contributo totale dà sulla determinazione della densità la conoscenza dell’azione esterna del pianeta e del suo moto attorno al baricentro? Nella presente Nota mi propongo appunto di rispondere a queste due domande. In un primo paragrafo premetterò l’analisi relativa alla risoluzione di un particolare sistema di equazioni integrali, dal quale, come si vedrà nel secondo paragrafo, si possono far dipendere le due quistioni propo- stemi. Su 1. Siano dati 7 costanti qualsiasi A,, As ,... A;; e siano pure date, in un qualsiasi campo finito 7, ; funzioni %, , », ... v; non identicamente nulle, oa che per semplicità supporremo finite e continue (!). Ci proponiamo di tro- vare l’espressione analitica più generale di una funzione 0, la quale soddi- sfaccia al sistema di equazioni integrali di 1* specie: 1) fued=A, (LR: I T Posto: fu Usdt = Vas, T Vir see Vi is-1) Ur Vi(s+1) ce Vii DE Var see Vas-1) U2 Vas+1) ce Voi Sia ’ ‘op nelle} Toi (e) V®. 23, 0, diol (e, o 0 ‘o)ilionizo si ha ovviamente : __(D per s==0, Spusde=}b per s*+ 0; e quindi, supposto D+ 0, e posto: (2) cl ab È i > p(4. -f ua rt te) | con 7 funzione arbitraria atta all’integrazione nel campo ©, si verifica su- bito che la (2) soddisfa al sistema (1). È poi evidente che, viceversa, qua- lunque soluzione del sistema (1) può mettersi sotto la forma (2). Adunque, se il determinante D è diverso da zero, la soluzione generale del sistema di equazioni integrali (1) è data dall'espressione (2) di 0, nella quale rr è una funzione arbitraria atta all'integrazione nel campo 1. 2. Se D=0, sia p=1 la caratteristica di D. Allora esisteranno i —p sistemi linearmente indipendenti, ed 7 —p solamente, di valori costanti: (3) 15 3 Cas 3 ee is; [(s=1,2,. (—p)], (1) Basterebbe supporre che siano integrabili secondo Lebesgue. CISITC OR tali che: i Cis Vi + 2g Viz + So + Gis vi= 0, is Var + 23 Var + RE î Gis Vi= 0, Cig Via + 23 Via sla) ty” = is Vi = :0. (4) Da queste risulta: f (Cis %a + Cas Un H- 4 Qis U;)} de = È = Gis(@15 Un un A25Vi2 + sRe + Cis ii) + + 2g (215 Vai + 4; Var + "+ Vai) + + Cis (215 Vi + 95 Vir + nos + Cis Vi) = 0 3 e quindi, in virtù della continuità delle ,,u2,...%;, sî avrà in tutto il campo t; (5) ci n (GU ©) E poichè gli é —p sistemi (8) sono linearmente indipendenti, avremo che le i —p relazioni lineari omogenee (5) tra le w ,u2,...U; saranno anch'esse linearmente indipendenti. 3. Viceversa supponiamo che le 1,2, ...%; Siano legate da 7 — p re- lazioni, ed 7—p solamente, linearmente indipendenti come le (5). Allora gli 2 —p sistemi di costanti @,;,@»;,...@ saranno linearmente indipen- denti. Inoltre dalle (5) si avrà: 10 - | Us(&1s Ui + Xas Ua + “" + Ais ui) det = @150) + X25 Vaa + See Las Voi» T ossia gli < — p sistemi di costanti @,;,@33;... @;s soddisferanno al sistema di equazioni (4); e quindi la caratteristica. del determinante è non mag- giore di p. Per altro la caratteristica di D. non può essere minore di p; perchè altrimenti, in virtù del risultato precedente, dovrebbero sussistere tra le %1,U2,...% più di £.— p relazioni lineari omogenee e linearmente indi- pendenti, contrariamente all'ipotesi fatta; quindi /a caratteristica di D deve essere uguale a p. Riepilogando si ha: se la caratteristica del determinante D è p, le funzioni ui Us... saranno legate da i — p relazioni lineari Maga ec linearmente indipendenti ; e viceversa. 4. Il risultato precedente si può enunciare dicendo che se p è la ca- ratteristica di D, p delle funzioni %, 2, ...%;, € p solamente, saranno li- SEMO: nearmente indipendenti. Supponendo, per fissare le idee, che queste p fun- zioni siano le u,,%2,... Up, avremo: Up+r = Un Ui + 4,2 U2 + pat + Urp Up > (6) E TA ORI a MARAN I Ui = Ai-p i + Acxi-p)2 Ue + Uci-pyp Up con è, costanti determinate. i In queste condizioni se esiste una soluzione del sistema di equazioni integrali (1), in virtù delle (6), si deve necessariamente avere: eo PL. A+ + ‘FapÀ DI (7) E a di Ai I, Ui-p2 A, Se La LU Si sati il Selo di equazioni integrali : (1)' fewde=A., ($=1,2,..p). UT Poichè è 4+0, posto: Vil ceo Vis) Ur Vis+1) eci Vip Var ice Vas) Us DEE) 000 Vap 4; == \ / Upi «se Ups Up Ups+i) + Upp la: soluzione generale del sistema (1)' sarà data da. (2) I I e=r+ {E 4(4.- fuerea0)} con 7 funzione arbitraria atta all’ integrazione nel campo T. Supposte soddisfatte le condizioni (7), in virtù delle (6), si avrà poi: Seupade= an f gu dear | ud ++ ag oupdr = T CT CT T = dn À, L do A.t--+apAp= ptt o (f=1,2.. i —DE ÙL199 — La (2) rappresenterà quindi la soluzione più generale del sistema di equazioni integrali (1). Riepilogando si ha: se p è la i. del determinante D, p e p solamente delle funzioni u, jus, ...U; saranno linearmente mat denti: se ur, U2;... Up sono le p funzioni linearmente indipendenti, se le (6) esprimono le psi Upsrs + Ui mediante le u,,U2,... Up; condizione necessaria e sufficiente affinchè il sistema di equazioni integrali (1) am- metta una soluzione è che le Ax, Ax,...A; soddisfacciano alle condizioni (1); se queste condizioni sono soddisfatte, la soluzione più generale del st- stema (1) sarà data dall'espressione (2) di 0, nella quale rr è una fun- zione arbitraria del campo atta all'integrazione. 5. Ci proponiamo ora di determinare le relazioni (6), e quindi ancora le condizioni (7), nell'ipotesi sempre che i, , 2, ... Up siano linearmente in- dipendenti, ossia nell'ipotesi che 4 sia il minore simmetrico di ordine più alto che non si annulla nel determinante D. A tal uopo si osservi che si ha, come è facile verificare, OMNIA SZ | Via» Vip Viper (8) Upi s00 Vpp Up da = Vii V29 see Vpp Upi vee Vpp Vipd+1) a 0; T Vp+t)1 «-° Ucp+typ Up+t | Vp+i)1 «ee Vip+trp Vp+t) (p+1) quindi ('), in virtù della continuità delle funzioni «, si avrà in tutto il campo ©: Vii DCO Vip Up (6) O «Vo = Up+iyi + Vep+typ Uptt Facendo variare t da 1 ad î—p, sî hanno i— p equazioni, che sono appunto le equazioni (6); e quindi Ze condizioni (7) saranno: (7) dai ed A E Li Vp+tyi «e Up+bp Apt (1) Dall'analisi che precede risulta indirettamente che se tutti i minori simmetrici del determinante D di ordine superiore a 7 si annullano, mentre uno almeno tra quelli di ordine p è diverso da zero, la caratteristica di D è p. Questa proposizione ha un valore pratico nei casi particolari; essa può dimostrarsi direttamente, valendosi di for- mole analoghe alle (8). MORA 6. Passiamo ora a determinare il contributo che la conoscenza del moto del pianeta, supposto rigido, attorno al suo baricentro, dà sulla determina- zione della densità, ossia la condizione analitica necessaria e sufficiente a cui deve soddisfare la densità del pianeta, affinchè il suo moto rigido at- torno al baricentro sia quello dato. Prendiamo per assi x,y,4, invariabilmente collegati col pianeta, gli assi principali centrali d'inerzia; adottiamo qui senz’altro le notazioni in- trodotte nella mia citata Nota dei Lincei; e poniamo: (9) A- feed , B= fred. c= [fede T e i Osserviamo che le equazioni di Eulero ci dànno le condizioni necessarie e sufficienti a cui devono soddisfare i momenti principali d'inerzia A,B,C, supposte note le componenti di rotazione del moto rigido del pianeta; e poichè esse sono lineari omogenee in A,B,C, avremo che, supposto noto il moto rigido del pianeta attorno al proprio baricentro, saranno pure noti i rapporti di A, Be C (1). Posto: ANTO — 0h con X, 7 costanti dipendenti dal moto del pianeta, supposto noto, si avrà dalle (9): (I fe-wned=o 5 for — k)o de =0. T s Condizione necessaria e sufficiente affinchè il moto rigido del pianeta sia quello presupposto, è che la densità o del pianeta soddisfaccia simultaneamente alle equazioni integrali (1)"”, le quali sono un caso particolare del sistema (1). Osserviamo che 7/ determinante D corrispondente al sistema (1) è certamente diverso da zero. Infatti nel caso contrario, in virtù dei risultati del $ precedente, le funzioni: ut — NM, u=M kt, che non sono identicamente nulle, dovrebbero essere legate da una relazione lineare omogenea a coefficienti costanti : o1(E° — NC) + a(n° — k6°)= 0; e ciò è impossibile, se le costanti @,,@» non sono tutte e due nulle. (1) Escluso il caso in cui tutti i minori del 2° ordine, tratti dal determinante dei coefficienti di A, B, C nelle equazioni di Eulero, siano nulli; ossia escluso il caso in cui il moto rotatorio avviene, come si verifica facilmente, attorno ad un asse fisso nel pianeta con velocità costante. Questo caso, come è noto, non sì presenta per la terra, e noi lo . riterremo escluso dalle nostre considerazioni. a igi: Applicando la formola (2), avremo per l’espressione più generale della densità o del pianeta, corrispondente al dato moto rigido, i T qa dove 7 è una funzione arbitraria atta all'integrazione nel campo «, e dove. D,,Ds sono due determinanti di 2° ordine che sì ottengono ME dalle posizioni fatte al $ 1, n. 1. 7. Supponiamo ora che, oltre al moto rigido del pianeta attorno al suo baricentro, sia nota la sua azione esterna. Osserviamo anzitutto che, come è stato notato nell'introduzione, in virtù della conoscenza dell’azione esterna, la densità 0 deve soddisfare ad una certa condizione analitica. Per scriverla rammentiamo che nella mia citata Nota fu posto: DI DI A4?° — ne I deo: £,,% essendo le coordinate di un punto generico di x rispetto agli assi XY ,4; e poniamo qui: DÎ d° +: ag 13 ve” x,y, essendo le coordinate di un punto qualsiasi dello spazio. Allora si avrà dalle (1), (2) di detta Nota, in virtù del teorema di Poisson, dAi?°Gog dV SAI ra 2 r2 2 . (10) o(x,y,2)= SA Go. A*o0dr +4 S{ 7 V da 4° G:) 8 e se si rammenta (cfr. cit. Nota, $ 2) che prestabilita l'azione esterna di una massa distribuita nel campo r, ciò che rimane di arbitrario circa alla densità (x ,y,) è il suo 42, avremo che, qualunque sia la funzione che si pone nella formola (10) al posto di A*o, la distribuzione fatta in © con la densità o(x ,y,), data dalla (10) stessa, avrà sempre per azione esterna quella prestabilita. È superfluo notare che qualunque funzione o(x ,y,), per la quale la espressione 4*o sia finita ed atta all'integrazione nel campo 7, può sempre esprimersi mediante la formola (10). 8. Volendo ora considerare il contributo complessivo sulla determina- zione della densità del pianeta, dovuto alla conoscenza dell’azione esterna del pianeta e del suo moto rigido attorno al baricentro, dovremo esaminare dapprima se, avendo tenuto conto dell’azione esterna, la conoscenza di tale moto rigido apporta effettivamente un ulteriore contributo. Per questo rammenteremo intanto che, come per la prima volta fu sta- bilito esattamente dal prof. Pizzetti (!), nota l’azione esterna di un pianeta, sono determinate le differenze fra i momenti principali d'inerzia del pianeta stesso. Allora, poichè per ipotesi è noto ancora il moto rigido del pianeta attorno al suo baricentro, facendo uso delle equazioni di Eulero, risulteranno determinati i tre momenti principali d'inerzia A,B,0. Osserviamo che basta qui tener conto della conoscenza di uno solo dei tre momenti principali d'inerzia; infatti se per es. si suppone noto A. gli altri due B e C si potranno determinare mediante le suddette differenze, e quindi, in virtù del teorema di Pizzetti, mediante l'azione esterna del pianeta. Ora si rammenti che, come fu dimostrato nella mia citata Nota ($ 6), condizione necessaria e sufficiente affinchè l'integrale fever sia invariante rispetto a 4*?0, è che la funzione U sia armonica; sicchè, essendo 4?5° — 2, avremo che nessuno dei momenti principali d'inerzia è pienamente determinato dalla sola conoscenza dell’azione esterna del pianeta; e per conseguenza la ulteriore conoscenza dei momenti principali d'inerzia del pianeta, ossia l'ulteriore conoscenza del moto rigido del pianeta attorno al suo baricentro deve dare un nuovo contributo sulla determinazione della densità 0. 9. Per la determinazione di questo nuovo contributo basterà, come sì è gia osservato, tenere conto della conoscenza di uno solo dei momenti prin- cipali d'inerzia, ad es. di A, e indi fare uso dell'espressione analitica di A, che si ottiene sostituendo nella prima delle (9) al posto di @ il secondo membro della (10). Noi però qui ci varremo dell’espessione equivalente più semplice, che si ottiene dalla formola generale (9) della mia citata Nota, facendo U = £?. In questo modo si avrà: (11) A= for de = fw — w).d00.de + dA*°W dV VEE —. Y2 SA + £1 dn CANI “l di dove Il Sa Mete, e dove W, ha un significato che qui è superfluo richiamare; sicchè posto: dA°W, dV =iogida > AWINEE AG ZA Jo -_ ; =) d&, (1) Intorno alle possibili distribuzioni della massa nell'interno della Terra (An- nali di matematica, tom. XVII, ser. II, pag. 233). Cfr. mia cit. Nota, $$ 4, d). RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 4 Bo, — avremo per 4°o la seguente equazione integrale: (if {ow _ W,)d®odr=A, con W— W, funzione nota e À, costante pure nota. Osserviamo ‘che la fanzione W—W, non può essere identicamente nulla nel campo ©; perchè altrimenti (cfr. mia cit. Nota, pag. 105) si dovrebbe avere: d°22° — 0, che è un'uguaglianza assurda (*). Dalla (1)" si avrà quindi, in virtù dei risul- tati del S 1, che l’espressione più generale di 4°o è data dalla formola: frenata \(W—- W)md fwd ti con 7 funzione arbitraria atta all'integrazione nel campo 7. Sostituendo questa espressione di 4?o nella formola (10), avremo la espressione più generale della densità (4 ,y,4) corrispondente alla data azione esterna e al dato moto rigido del pianeta. OssERVAZIONE. — L'espressione, che così si ottiene, di o(x , y,) con- tiene la funzione arbitraria 77; della quale bisognerà valersi per determinare nuovi contributi, corrispondenti a nuovi eventuali dati. S' intende che in certi casì può essere più conveniente scegliere una via diversa. Così ad es., se si suppone che, oltre all’azione esterna e al moto rigilo attorno al baricentro, sia nota nei punti della superficie S del pia- neta, la densità e la sua derivata normale sarà più semplice valersi delle formole contenute nei $$ 7, 8 e 9 della mia citata Nota, ed operare sul 40, come si è operato sul 4*o nei nn. 8 e 9 della presenta Nota. Meccanica. — Sulla risoluzione delle equazioni integro- differenziali dell'equilibrio dei corpi elastici isotropi per dati spostamenti in superficie. Nota del Corrisp. G. LAURICELLA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (!) Di qui risulta nuovamente che l’ulteriore conoscenza del moto rigido del pianeta attorno al suo baricentro deve dare un nuovo contributo sulla determinazione della densità. EMO Cristallografia. — Za legge di Hauy nei cristalli solidi, fluenti e liquidi. Nota del Corrisp. C. VioLa. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Meccanica. — Sulla teorta della gravitazione. Nota di Max ABRAHAM, presentata dal Socio T. LEvI-CIVITA. Alle dieci componenti del tensore gravitazionale assegniamo i valori seguenti : b fiubo PLAN Li) sl (LP Ì L= gl a +9): bai Gal arto 1 (0 = i (3) +y). Co) 1 3DID 1 3I®PI3P IN EA 471) dd dY 4rty dY de pig dir) la da; 4rty de dXE ro e EEA A E 4rty du dL 47) dU dY E 4rty du de 1 ID? (105) ui i(R) +. Essendo ® e li IP\? dD 2 2a) dD 2 oa) v=3}(%5) Hi) +3 la) | scalari quattrodimensionali, le dieci componenti (10), (10a), (100) si trasfor- mano come i quadrati e prodotti delle coordinate x,%,4,%, cioè come BED — componenti di un tensore quattrodimensionale. Da esse derivano le compo- nenti della forza motrice relativa all'unità di volume: vr DG +57 quite du du | Via i DL (11) dU ZE dA Di Zu Aim. ea I) dU, dU, DU vi, = > pt e ce pie 3 Introducendo le espressioni delle dieci componenti del tensore gravitazionale, e tenendo conto della (1), si giunge all'espressione della forza motrice: (12) vyE= —vGrad D identica alla (2). Interpretiamo le espressioni assegnate alle componenti del tensore gra- vitazionale. Le sei prime componenti (10) del tensore dànno le « fenszoni fittizie »; nel campo di gravità stazionario; le fensioni normali sono: e Die oe al ai el c IL è (122) well: 1a, ni dp 4ny dI WY 4rty dYy de 1 I®I3D 7, =Be—_Ga È 47) dE dL Esse corrispondono ad una pressione lungo le linee di forza, ed a trazioni normali a queste linee, entrambe proporzionali al quadrato della forza motrice F, e, per un campo stazionario, eguali alla densità dell'energia (v. 13). Per un campo variabile col tempo bisogna sottrarre dalle tensioni normali (124) la pressione idrostatica: (12c) degl: (al ; PO pe La densità dell'energia è data da: (0 semgpl(a)+)++Nt Essa risulta essenzialmente positiva e, per campi stazionari, proporzionale al quadrato della forza motrice F. La corrente di energia ha le componenti (’): Co, Sg 00 de =, di modo che si ottiene dalle (10) 1 3D (14) S=— day SAT — qa di ID vale a dire: Za corrente dell’energia ha la direzione della forza motrice del campo; il suo valore è proporzionale, tanto al valore della forza, quanto all'incremento, che il potenziale subisce col tempo. Moltiplicando l’ultima delle (11) per — ze, essa si scrive (*) ; d (140) LR SURE | DIA Quindi ID do (140) — tcvF,=icv =v—- dU di sarà l'energia, la quale, nell'unità di spazio e tempo, viene trasmessa dal campo alla materia. Siccome poi, come risulta dalle tre prime delle (11), z î î me xo, pra DI, org Zu (G (A (4 sono le componenti dell’#mpulso writario (I) del campo gravitazionale, dalla (100) segue (!): Jl IND. 15 ——-S=-—_- (a) ! Gi 2 drrye® Di La simmetria del tensore quattrodimensionale importa questa relazione ge- nerale tra la corrente dell'energia e l'impulso unitario (?). (1) Qui la velocità della luce è considerata come costante, trascurando l’influenza suindicata del potenziale. (*) Il postulato, che non soltanto l’impulso elettromagnetico, ma anche 1’ impulso meccanico unitario di un campo sia sempre eguale al flusso corrispondente dell'energia, diviso per il quadrato di c, fu enunciata dal Planck, Physikalische Zeitschrift, 9 (1908), ‘pag. 828. IAT Matematica. — Sulle condizioni sufficienti per il minimo nel calcolo delle variazioni. (Gli integrali sotto forma parametrica). Nota IV di EuceNIo ELIA Levi, presentata dal Socio L. BIANCHI. 4. Per dimostrare il teorema enunciato al num. 1 della Nota III (!) cominciamo col calcolare la variazione totale di I quando si passa da C a È. (0) (0) Indichiamo con F, F,... i valori di F, F,... quando per €,y,2,y si ponga €,Y,€ ,y: saranno queste funzioni di s. Avremo: AI = ("ty ;a'y)dt— | Fds= 0 (1) — (‘Tr(y;2) RS] U= 0) (21) 3 0 i ; = ("60y; 89:29) + fTPoy 89) — PISU+ (1) 0 È OIAl, , Op Op r ©) , o, or + fe snErEm+ 2 ey ITA poichè per le note proprietà di omogeneità di F è o,©y 6(2y 84 04) = [F(0y 04) — Fay ;2Y)]+ + y' [Fy(24 509) — Fay; 2Y)]= = F(0y 84) — F(2y; d'Y)S — (e' — Ss) FA2y;d4)— — 4 —ys)Ey(cy;84). Sviluppiamo mediante la formula di Taylor la differenza contenuta nel secondo integrale dell'ultimo membro di (21): da (5) si avrà S "cry sy) — F]sdt = {Fe (F59 — Fy2') s' dt + (22) ; ; ; ; Li o o Dr o, ©r DI SEL. r U r ( +af o' [Pg — 277,84 tè 8Te44+gf Vo s'di C] 0 . dove 4' è un polinomio in £'Y/, i cui coefficienti sono valori delle derivate (1) Questi Rendiconti, pag. 541. In questa Nota per maggiore comodità la numera- zione dei n. e delle formule continua quella della Nota precedente. (3) In questo e negli integrali che seguono quando la variabile di integrazione è £ si sottintende che nelle funzioni di s si pone per s la s(f) definita nel n. 2. Si noti ancora che generalmente la formula del cambiamento delle variabili negli integrali si enuncia nell'ipotesi che il cambiamento di variabile sia invertibile: però almeno per scrivere TO TO l'uguaglianza che qui ci bisogna {, F(s) ds =I F(s(t)) dt, tale ipotesi non è neces- 0) O) saria; cfr. ad es. Baire, Lecons sur les théories ginérales de l’analyse, vol. I, pag. 82. PRE | pren terze di F' calcolati per i valori #,7, 2/,y/, dove 7,7 rappresentano conve- (0) nienti valori intermedii tra X,y e #,y: sarà dunque |2|<8M. Ma E è eg ARA pag DA un estremale: quindi F,s= di lo MES = onde of (e) liu TT ©) RI o[E' "és sde= 01) LyT-iata (dt= De; [E Y ] di i | [RT +) Et o. Per (6) questo integrale coincide coll’ultimo integrale di (21), colla sola differenza che in Fr, Fly a «y sono sostituiti £y. Segue che IIC Dig i + [ie ey: + 4 EI) Floyd = = | og + af) Poley: è) — Pe) — — (0'£ + 0x5) (Ejr(2y seg) — E de = {low [ay — 2, +) #74 E ETUH Tr È O, yy So Oy Or, rr CIANI ol x! +) [Rpg eg eg + Lt db - | oo HU GE ks'4" di I de) dove 4” e 4” sono espressioni analoghe a 4’, e cioè polinomii di 3° grado in £'y', per cui si veritica ancora che |2'|<8M,|2"|<8M. Integriamo per parti il primo integrale dell’ ultimo membro di questa relazione e ricordiamo (22), avremo subito: {ey ;L'y)— F)sd+ 0 + [e #0 Blend + SIE mal i 2 È ay pu Ora fo dig + BI) o, 9, ml. Jet, nu / Dit dB", \ 972 Din, ST ) r sr ie gg VE (Pay) bs + 1 +; ‘0° [BA + s'o(4 + 32%)] dt. e/0 DAR ca e Rammentiamo il valore di F, (') e le limitazioni sopra ottenute per 2',4",A": otterremo subito, sostituendo in (21) AI — f ‘sy ; Ly ;2'y)d+ 3 [lo F, sdt + 1 [oo + 430') dt, 0 0 SZ40 dove 2, = S(7 + 34”%),2,= 84" sono funzioni di £ tali che (23) |2,]<16M (14 3x) , |R:|< 24M. Sostituendo nella formula precedente la (19), sì ha at= |" È (Pro? + F.0* 3) + (20 + 2,0) 0° + 0 1 VII ss gi (A0 + 420 ) 0° + A,(1—(1+44%)s)(dt. Essendo 43 e 4, discontinue gli integrali sì intenderanno qui nel senso di Lebesgue. Inoltre essendo A,= 0 in g, 1’ integrale relativo all'ultimo termine potrebbe estendersi a x, soltanto. 5. Ciò posto si introduca l'ipotesi 3*: e sia u(s) una soluzione di d È 0) (24) ARA Rai 00 finita, di classe C” e +0 in (0,0). Supponiamo precisamente (25) O0 0, sarà per (11) fo u? di > for 1 = f (°° — peu'*s? — 2 pp'uu's') dt = o v% di — ( (0414 #0) (I-(+ #0)9)— (9228 +-2pp/ n) Tate 7 (28) i RA peli, 3 =>|[1—-s(1+4+%0o4 pus 4 2ppuu)] dt > x il [1—s(1+Hm)]dt=x-(14 Hr) f s'di y v (1) Cfr. ad es. Kneser Lehrbuch der Variationsrechnung, pag. 92. Sio LEE dove per (8)" e (26) si pone Gi Mi pg MEI n; il numero H dipende quindi da x,7,,wms,,m, soltanto. Trasformiamo ancora d'altra parte l'espressione AI mediante la posi- zione (26): per essa e per (24) avremo 14 Putsa= f “pu d Ur o (Pv) de = — fi Fiu dop u) dt onde T 0 (1) CT (0) (29) if (Fiw°+F,w°s') dt = | F,p° u° dt + (1) 0 + f'Rpdpus + 2p'u)(s'— 1) dt. (1) Osserviamo ancora che si può scrivere (30) ie a ei o) dove Rel n (° u* dî , 1) onde per (25) e (28) sarà in particolare 63), I=9H "n° di 9 (33) =, su Hr) (su=%, -5 Sura, 2: X re H,=m?,H,=2H essendo costanti positive indipendenti da 7 e 7 e di- pendenti solo da M,w,,x,wm1,#,,m3. L'integrale J» è la somma di tanti integrali, i cui integrandi contengono un fattore limitato, in virtù delle di- suguaglianze (15), (18), (23), (31), in funzione di M,w,,x,M,Ms, Mz soltanto ed un fattore di uno dei tipi p*, p°p', pp”. Ma p annullandosi in 0 et è fpu=5 È L "REZZA fra Rea pila =3( +5)f t; onde per J» sarà (34). 3: = (Le +H)r (ped; 0 H,,H, essendo costanti del solito tipo. Del resto per (27) si vede diretta- mente che sì ha pure (34)» |J:1 20. 1° Caso: 7 = 20. Per (33),, (34), (35), si avrà: (36), AI> [ra — (40°H, + H)r | oi p'° dî () onde basta imporre ancora ad 7 di essere Di perchè sia 2(402H, + H,) AI>0. 2° Caso: 7>20. Si applichino le (33)», (34)., (35). e sì osservi che Seth, sdi= sdt=0, e che y+y,= rt: si avrà x 1 () (86). AI=5 (—0)—(Hy+Hm+Hsr)r= =|f-@+m+1)s|s. onde basta prendere r< ———°— perchè sia AI>0. Ù Stan)? ni Riassumendo, basterà quindi supporre che 7 sia minore del più piccolo i : Il Mi Mi Mi CIANO : fat SE LI PART RIO ; 5 dei numeri 1, Da H,, na en) perchè G dia il minimo rispetto a tutte le curve passanti per P, e Ps per cui |@|]; costituita dalle spezzate estremali chiuse che: 1° avvolgono uno almeno dei contorni interni di A; 9° non hanno più di N4-n—2 lati. Tale varietà dipende da un numero finz/o di parametri, quindi l'insieme dei valori assunti da © sulle spezzate appartenenti a 2 ammetterà un mi- nimo assoluto a cui corrisponderanno una 0 più spezzate della varietà stessa che diremo minimizzanti. Evidentemente il nostro teorema resterà dimostrato se faremo vedere che ciascuna delle spezzate minimizzanti non ha punti angolosi: perchè ciò porta di conseguenza che ciascuna di tali spezzate è un’estremale chiusa dell’ integrale A. Cominciamo dal dimostrare che una spezzata minimizzante Sm non può avere più di N lati. Se S, ha più di N lati, due almeno di essi dovranno avere ambedue gli estremi sul contorno di una stessa areola a. Siano allora P,Q due ver- tici di S,, appartenenti ai due lati in questione, ma non consecutivi sulla S,. I due punti P, Q giacendo sul contorno di una stessa areola 4, esisterà un segmento estremale avente per estremi i punti stessi: segmento estremale che non farà parte della S, — perchè i suoi estremi appartengono al con- torno di una stessa areola 4 e non sono vertici consecutivi di Sm — e co- 5 3}0) I stituirà insieme a ciascuna delle due successioni di segmenti estremali in cui la S, resta decomposta dai punti P,Q, due spezzate estremali chiuse SÙ, S@. Per la proprietà di minimo dei segmenti estremali, è evidente che su ciascuna di queste due spezzate il valore di A è minore che sulla S,. D'altra parte, appartenendo S, alla varietà 2, uno almeno dei contornì in- terni di A dovrà essere incluso in Sm, e quindi anche in S® o S®, essendo queste due curve totalmente interne ad A. Vediamo dunque che l'ipotesi che S, abbia più di N lati porta di conseguenza che esiste un elemento di X pel quale il valore di A è minore che su Sm; e questo è as- surdo. Dimostrato che S, non può avere più di N lati, potremo far vedere facilmente che S,, non ha punti angolosi. Supposto infatti che S, abbia un punto angoloso. sopprimiamo in Sn i due lati ad esso adiacenti, e congiungiamo gli estremi P,Q della curva aperta così ottenuta (cioè punti appartenenti al contorno di una stesso areola 4 o di due areole a adiacenti) mediante il segmento estremale da essi indivi- duato. Per provare il nostro asserto, basterà dimostrare che la curva chiusa S$ cui così perveniamo è una spezzata estremale chiusa della varietà X, perchè per la proprietà di minimo dei segmenti estremali possiamo esser sicuri che il valore dell'integrale & sopra St è minore che sopra S,. Intanto St è certamente una spezzata estremale chiusa, essendo costi- tuita dall'insieme di più segmenti estremali aventi i loro estremi sopra R. Inoltre il numero dei suoi lati non può superare N + — 2, perchè il segmento estremale avente i suoi estremi in P e Q può fornire alla S$ al più x lati, e d'altra parte il numero dei lati di S,,, per quanto abbiamo precedentemente dimostrato, non può superare N. Infine è facile vedere che in St è incluso uno almeno dei contorni interni di A: basta per questo aver presente che uno almeno di tali contorni è incluso in S,,. La St è dunque una spezzata estremale chiusa della varietà X, e ciò è sufficiente, come abbiamo già detto, per dimostrare il nostro asserto. Osserveremo infine che ogni spezzata minimizzante rende minimo A non solo in 2 ma anche nella varietà (X) costituita da tutte quante le curve ordinarie chiuse interne ad A, che avvolgono uno almeno dei contorni di A. Infatti se C è una tale curva, esisterà sempre una spezzata S di X avente i suoi vertici sopra C. Il valore di A sopra C sarà certamente su- periore al valore di A sopra S, e questo prova quanto volevamo. L'esistenza di un minimo assoluto per l'insieme dei valori assunti da A sulla varietà (2), è appunto ciò che è ammesso @ priori nel ragionamento addotto dal Whittaker per giustificare il suo criterio per la ricerca di or- bite periodiche. MA i Fisica. — Masse luminose del Righi in scariche ottenute con differenza di potenziale alternativa. Nota di Lavoro AmADuZZI, presentata dal Socio A. RIGHI. 1. Lo studio delle scariche elettriche si è fatto in condizioni varie per ciò che riguarda il materiale da esse attraversato e per ciò che riguarda il carattere della differenza di potenziale eccitatrice. Vi è però un caso che merita attenzione e che, per quanto mi consta non è stato preso in esame attento e sistematico da alcuno: è quello in cui si faccia uso di una con- veniente differenza di potenziale alternativa. Non entra manifestamente in questa categoria di differenze di potenziale quella che provoca la scarica oscillatoria, giacchè nella migliore delle circostanze si è sempre di fronte ad un processo di smorzamento che nuoce alla produzione di uno stato di re- gime per qualche tempo costante. E (sia permesso dire qui per incidenza ciò che qualche esperienza sembra bene dimostrare) in materia di scariche in generale, forse è corretto parlare oltre che di periodo preparatorio privo di effetti luminosi, di un periodo variabile che precede il periodo permanente 0 di regime, accompagnato come questo da effetti luminosi. Una differenza di potenziale alternativa più o meno rigorosamente si- nussoidale reca con sè, nel modo più semplice e regolare, una periodicità che può consentire lo stabilirsi di una condizione di regime nell’oscillare della polarità agli elettrodi. E questa mi sembra una condizione di studio degna di considerazione; ragione per cui ho su questa via intraprese alcune ricerche. 2. Di alcuni risultati di queste ricerche intendo brevemente riferire in questa Nota. Si tratta di un particolare e bello aspetto che assume la sca- rica in un gas cor differenza di potenziale alternativo in corrispondenza di certi valori della pressione che oscillano fra i 10 ed i 15 mm. di mercurio. Quando si è raggiunta tale pressione, la scarica è costituita da chiazze luminose (rosso-violacee nell'aria e di altro colore in altri gas) di una certa estensione, separate da intervalli pressochè oscuri e disposte in linea fra un elettrodo e l'altro. A questa successione di chiazze ovoidali molto allungate è posto limite ai due lati da pennacchi dello stesso loro colore che partono dagli elettrodi. Questi poi sono coinvolti alla superficie laterale da una au- reola di color violaceo. Indico qui in succinto i principali elementi raccolti da un esame del fatto, riserbando ad una Memoria più estesa la descrizione del dispositivo EE sperimentale, le particolarità del fatto medesimo e quelle congetture sulla suna natura che qui sotto mi limito ad accennare. 4) Il fenomeno netto si produce entro un intervallo ristretto di pres- sione, al disotto del quale muta di aspetto. 5) Tale intervallo apparisce dipendere da varî elementi, quali la forma degli elettrodi, la distanza di questi, la natura del gas. c) Entro i limiti fissati da tale intervallo, a parità di tutti gli altri elementi, il numero delle masse diminunisce colla pressione aumentando di lunghezza. d) Fissa la pressione, il numero delle masse, che hanno per quella pressione una certa lunghezza, diminuisce col diminuire della distanza degli elettrodi, sino a ridursi a zero quando la distanza fra gli elettrodi sia al- l'incirca inferiore all'estensione occupata dai due pennacchi agli elettrodi da una massa mediana. e) L'aumento di autoinduzione nel circuito al quale appartiene il primario del trasformatore usato per ottenere la necessaria differenza di po- tenziale alternativa, fa diminuire il numero delle masse luminose aumentan- done la lunghezza. f) Un effetto molto marcato della variazione di autoinduzione nel circuito al quale appartiene il primario si ha sull'aspetto della scarica anche in quel casi nei quali la troppo piccola distanza fra gli elettrodi non dà che i due pennacchi agli elettrodi. 3. Osservazioni della scarica descritta allo specchio girante e sotto la influenza di un opportuno campo magnetico, mostrano in modo abbastanza chiaro che essa è una particolare manifestazione del noto fenomeno delle masse luminose in moto (*) del Righi. E consentono di riattaccare a questo medesimo fenomeno certi risultati da me altra volta ottenuti (*), producendo in gas rarefatti la scarica di un rocchetto di Ruhmkorff usato con interrut- tore elettrolitico. Chimica-fisica. — /drolisi di sali dei metalli bi- e trivalenti. 2° Nota preliminare. di F. AceNO è di E. VALLA, presentata dal Socio R. NASINI. Chimica-fisica. — Sulla ripartizione della soda fra acido bo- rico e Gcido carbonico. Nota di F. AcENO, presentata dal Socio R. NASINI. Le precedenti Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (') Memorie Accad. Bologna, 1891 e 1895; Questi Rendiconti, 19 aprile 1891. (3) Nuovo Cimento, serie V, tomo X, 1905. ReNDICONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 6 MEO Chimica. — Sulla costituzione del diisoeugenolo (*). Nota del dott. E. PuxeDpDu, presentata dal Corrisp. A. PERATONER. Sulla costituzione del diisoeugenolo le nostre conoscenze sono assai li- mitate. Si ammette dai più che in esso sia presente un gruppo tetrameti- lenico, come aveva indicato Tiemann; a finora se il procedimento sintetico e le proprietà del composto rendono verosimile questo modo di vedere, non si è ancora riusciti a darne una prova sperimentale. A questo scopo io ho intrapreso una serie di csperienze. In una Nota precedente (*) e in una di imminente pubblicazione ho di- mostrato che esistono due eteri dietilici del diisoeugenolo che si devono ri- tenere molto probabilmente isomeri di strnttura. Questo fatto è in accordo con la formula ciclometilecina. L'azione del bromo sul diisoeugenolo (*) con- duce a un dibromuro, derivato di sostituzione, e l’azione del bromo sul di- metil- e dietildiisoeugenolo conduce a derivati monosostituiti. Per cui, tanto nel diisoeugenolo quanto nei suoi eteri la presenza dei doppî legami è da escludersi senz'altro. La via più sicura per dimostrare la costituzione del diisoengenolo e dei composti analoghi è lo studio dei prodotti di ossidazione: al riguardo debbo dire che io ho in corso delle esperienze, che finora non mi hanno dato ri- sultati decisivi, e che pubblicherò prossimamente quando saranno completate. In questa Nota espongo le sintesi fatte, per azione della luce, sull'iso- eugenolo e sui suoi eteri metilico, etilico e propilico, come anche i risultati negativi ottenuti nello studio comparativo sull'eugenolo e derivati. Ho stu- diato anche l’azione dell'acido nitroso sull’etilisoeugenolo e sul dietildiiso- eugenolo. Il primo, comportandosi come il metilisoeugenolo studiato da Ma- lagnini (4), dà luogo a un perossido al quale si attribuisce la seguente co- stituzione : in cui il radicale R rappresenta gori) Il dietildiisoeugenolo invece (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Cagliari. (2) Gazz. Chim. It., 39, I, 131. () Gazz. Chim. It., 39, I, 202. (4) Gazz. Chim. It.; 24, II 7. Soto non reagisce affatto. Questo comportamento differenziale è, ai fini della co- stituzione del diisoeugenolo, di notevole rilievo. Infatti l’ isafrolo, l’ isapiolo, composti etilenici con catena laterale non satura dello stesso tipo dell’ iso- eugenolo, dànno, quando reagiscono con l'acido nitroso, dei perossidi analoghi a quello indicato più sopra. Se nel diisoeugenolo ci fossero delle catene non sature, queste dovrebbero reagire con l'acido nitroso nel senso ora ricordato: la prova fatta con il dietildiisoeugenolo esclude tale ipotesi. Azione della luce sull’ isoeugenolo. L'isoeugenolo fornitomi da Kahlbaum, fu impiegato, senza ulteriore puri- ficazione, in quasi tutte le esperienze: ma furono anche fatte preparazioni di diisoeugenolo col prodotto purificato per distillazione. Gr. 100 di isoeugenolo puro si sciolgono in 200 c. c. di alcool ordinario e vi si aggiungono 25 c. c. di acido cloridrico fumante. La miscela si espone alla luce in una canna di vetro chiusa alla lampada. Dopo pochi minuti la soluzione alcoolica si colora in giallo un po’ bruno e incomincia la polimerizzazione. I cristalli si depon-. gono dopo una mezz'ora circa, e Ja formazione del diisoeugenolo procede ra- pidamente tanto che in poche ore si può raccogliere oltre il 50 °/, dell’iso- eugenolo impiegato, sotto forma di polimero solido cristallizzato. Raccogliendo invece il precipitato dopo due giorni, il rendimento è del 60 0/,. La polimerizzazione è in seguito lentissima; ma continua sempre, dando origine a un prodotto meno puro ma che è sempre il diisoeugenolo. Filtrando dopo due giorni il diisoeugenolo formatosi ed esponendo nuovamente alla luce il liquido limpido filtrato, dopo due giorni si raccolgono altri 7 gr. di polimero; filtrando ancora ed esponendo il filtrato all’azione della luce, si ottiene una grossa quantità di diisoeugenolo, e così si può continuare per pa- recchie volte fino ad ottenere una resa totale che non è mai inferiore al 75 %. Si può anzi dire che la polimerizzazione tende verso un limite che viene raggiunto dopo molto tempo. Le acque madri presentano una magnifica fluo- rescenza azzurra. Il liquido alcoolico restante dopo la separazione del diisoeugenolo, for- matosi in più riprese, è stato evaporato a bagno maria ed ha lasciato un residuo oleoso bruno. Quest’ultimo, lavato con acqua, si rapprende pian piano fino a diventare una polvere bruna amorfa, friabile, mischiata con sostanza resinosa. Sciolta in alcool ed abbandonata a sè, non lascia deporre che pic- colissima quantità di diisoeugenolo impuro. La maggior parte riprecipita sotto forma di olio denso bruno. Impiegai 100 gr. di diisoeugenolo grezzo che cristallizzai dall'alcool raccogliendolo successivamente in sei distinte porzioni. Ciascuna di queste fu poi ricristallizzata a parte parecchie volte fino a punto di fusione costante. Tutte queste porzioni hanno la stessa forma cristallina e fondono alla stessa 20 ne temperatura (180°). Non è il caso quindi di supporre che nella polimeriz- zazione dell'isoeugenolo per azione della luce prendano origine degli isomeri. La quantità di acido cloridrico da impiegare per provocare la polime- rizzazione può variare: si può dire in generale che bastano pochi e. c. di acido per dare origine a notevole quantità di diisoeugenolo. All'acido clori- drico ho sostituito l’acido solforico in diverse prove. In una, gr. 10 di iso- eugenolo furono sciolti in c. c. 50 di alcool con aggiunta di gr. 10 di H. SO, e gr. 30 di acqua. Furono tenuti esposti alla luce per tre mesi, senza che si separasse il diisoeugenolo; ma raffreddando la soluzione, una piccola quan- tità di polimero si deposita e la polimerizzazione continua con estrema len- tezza. Altre esperienze furono eseguite con cloruro di calcio e cloruro di zinco al posto dell'acido cloridrico, ma, dopo cinque mesi d'insolazione, non si è separato del diisoeugenolo nemmeno in tracce. All’acido cloridrico spetta per- tanto la massima attività polimerizzante così in questa come nelle altre reazioni descritte in seguito; ed il meccanismo della reazione è probabilmente da ricercarsi nella decomposizione di questo prodotto d’addizione con conse- guente sintesi del polimero. Dimetildiisoeugenolo. Partii dal metilisoeugenolo preparato per azione del solfato dimetilico sull'isoeugenolo. Gr. 10 di metilisoeugenolo puro, distillato a 162°-163° e a pressione normale, si sciolgono in 30 c.c. di alcool ordinario con aggiunta di 5 c. ec. di acido cloridrico fumante. La miscela si mette in un tubo di vetro chiuso alla lampada. Dopo alcune ore di esposizione alla luce solare diretta, la soluzione ingiallisce: e sebbene il polimero non si depositi subito, pure è da ritenersi che esso prenda origine assai presto. Dopo tre giorni d'insola- zione, evaporando un po’ di alcool e lasciando raffreddare, si depositano ab- bondantemente i cristalli del dimetildiisoeugenolo in piccoli ammassi. Il pro- dotto purificato si mostra identico col dimetildiisoeugenolo già conosciuto, col suo punto di fusione di 106°. È stato attribuito a questo etere un punto di fusione più largo: e veramente, quando lo si purifichi per semplice cristal- lizzazione dall'alcool, non si giunge mai a un punto di fusione superiore a 96°. Per arrivare a 106° si deve cristallizzarlo o dall'etere di petrolio o da un miscuglio di etere solforico ed etere di petrolio. Dietildiisoeugenolo. L’etilisoeugenolo, preparato per azione del solfato etilico sull’ isoeugenolo, si presenta in scaglie brillanti, quasi incolore, fondenti a 64°. Di esso ho sciolto 10 gr. in alcool ordinario in presenza di piccole quantità di acido St) cloridrico. Dopo poche ore di esposizione alla luce solare diretta, la soluzione alcoolica si colora in giallo-rosso: abbbandona dopo due giorni una massa cristallina abbondante, costituita da aghi prismatici. Il prodotto purificato concorda nelle sue proprietà col dietildiisoeugenolo da me ottenuto in varii modi. Dipropildiisoeugenolo Il propilisoeugenolo necessario per la reazione l'ho preparato nel se- guente modo: Gr. 10 di isoeugenolo si sciolgono in 60 c.c. di alcool pro- pilico puro. A questa soluzione se ne aggiunge un'altra di gr. 2 di sodio nello stesso alcool con aggiunta di un eccesso di ioduro di propile. La mi- scela si riscalda a bagno maria per 15 ore. Il prodotto della reazione si lascia evaporare sino a piccolo volume; poi si riprende con acqua. Col riposo, sì depongono dei bellissimi cristalli incolori e un olio rosso bruno che odora di isoeugenolo. La parte cristallizzata, lavata accuratamente con potassa e acqua e poi cristallizzata dall'alcool ordinario, dà il propilisoeugenolo puro. Anche l'olio rosso-bruno, agitato con potassa, abbondona una parte densa che sì solidifica dando nuova quantità di propilisoeugenolo. gr. 0,2788 di sostanza : gr. 0,7735 di CO, e gr. 0,2308 di H.0 Trovato °/o Calcolato per Ci3 Hi8 0a C 75,6 759,0 H 8,8 SZ Il propilisoeugenolo si presenta in aghi prismatici lunghi, riuniti in fa- scetti o in croce: fonde a 54°, senza decomporsi, in un liquido trasparente. È solubile in alcool, etere e benzolo. Per preparare il polimero di questo etere, se ne impiegarono 10 gr. sciolti in alcool con aggiunta di 5 gr. di acido cloridrico concentrato. Dopo due giorni la soluzione depone una massa cristallina che è stata purificata per ripetute cristallizzazioni dall'alcool. gr. 0,2020 di sostanza : CO, gr. 0,5583 ; H20 gr. 0,1694 Trovato °/o Calcolato per (Ci3H180,)s C 75,9 MONA H 9,3 8,7 Il dipropildiisoeugenolo cristallizza in aghi prismatici. È insolubile negli idrati alcalini. Si scioglie nei solventi organici, come etere, benzolo. Il suo punto di fusione è a 94°. Mi Azione della luce sull’eugenolo e sui suoi eteri. Parallelamente alle reazioni dinanzi descritte, fu studiata l’azione della luce sull’eugenolo e sugli eteri metilico ed etilico. L'eugenolo in soluzione alcoolica con aggiunta di acido cloridrico, dopo una lunga insolazione, sì è colorato in giallo bruno, ma non ha dato nessuna sostanza nuova, almeno in quantità apprezzabile. In varie prove fatte usando altri reagenti al posto dell'acido cloridrico non ho potuto ottenere risultati migliori. Anche il metil- e l'etileugenolo non mostrano nessuna tendenza a trasformarsi o a polime- rizzarsi per azione della luce. In diversi saggi fatti con questi due eteri purissimi, essi sono restati affatto inalterati, senza neanche cambiar di colore. Azione dell'acido nitroso sull’etilisocugenolo e sul dietildiisocugenoto. (Perossido del diisonitrosoisoetileugenolo). Gr. 13,6 di etilisoeugenolo puro si sciolgono in gr. 50 di acido acetico anidro: a questa soluzione raffreddata esteriormente, si aggiunge, goccia a goccia, una soluzione concentratissima di nitrato potassico (14 gr.) in acqua. Quando si è aggiunto tutto il nitrito, il liquido rosso-bruno sì lascia in ri- poso per 20 ore. Si depone una sostanza cristallina gialla, che, separata per filtrazione e cristallizzata dall’alcool fonde, a 85°. Sostanza gr. 0,8138 : CO? gr. 0,6605 : Hs,0 gr. 0,1672. ” > 0,1780 : N c.c. 17,8 alla temp. di 21,5 e alla pr. di 753. Trovato °/ Calcolato per C,3H140, Na C 57,4 57,6 H D59 5,6 N 11,2 11,2 Il perossido è cristallizzato in prismi tabulari, poco solubili in acqua, assai solubili in alcool. Per azione della potassa alcoolica fornisce un isomero. L'azione dell'acido nitroso sul dietildiisoeugenolo fu fatta comparativa- mente. Gr. 10 dell’etere, sciolti in piccole quantità di acido acetico, furono trattati con nitrito potassico nel modo descritto più avanti. Dopo una gior- nata di riposo, il prodotto della reazione, che non aveva lasciato deporre nes- suna sostanza cristallizzata, fu ripreso con acqua ma non si potè separare altro che dietildiisoeugenolo inalterato. 20/7 ga Chimica. — Sui chetoni derivati dall’isomiristicina (*). Nota di EveRARDO ScaNDOLA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. È noto che i derivati bibromurati degli eteri fenolici a catena laterale propenilica, trattati con metilato od etilato sodico, dànno, per distillazione in corrente di vapore del prodotto della reazione, i corrispondenti chetoni saturi col carbonile in posizione @ rispetto al nucleo aromatico. È pure dimostrato (?) che tale formazione è dovuta alla saponificazione di un etere ossido non saturo R.C(OR) C=CH.CH; ed alla conseguente trasposizione molecolare che subisce l’alcool terziario che ne deriva. Tale reazione fu applicata a numerosi composti di questo tipo: così Wallach e Pond prepararono l’a-chetone dell’anetolo, dell’isoetileugenolo, del- l’isosafrolo (*), Hell e Hollemberg quello del monobromoeugenolo (4), più re- centemente I. Pond, O. P. Maxwell e G. M. Norman ottennero l’a-cheto- isoapiolo (); Paolini infine preparò il chetoasarone. Ho voluto applicare tale reazione ad una sostanza che da non molto tempo è entrata nel novero dei derivati propenilici (°), all’ isomiristicina. A tale scopo ho preparato il bibromuro di isomiristicina secondo le prescrizioni di Thoms (?). Gr. 16 di tale composto sciolti nella minima quantità di alcool metilico assoluto vennero versati in una soluzione di gr. 4,4 di sodio in 64 cc. di alcool metilico assoluto. La reazione non av- viene subito ma, per riscaldamento a h. m., comincia a separarsi bromuro di sodio; è bene prolungare il riscaldamento per alcune ore. Si elimina poi l'alcool metilico per distillazione ed il residuo si riprende con acqua e si sottopone alla distillazione in corrente di vapore. Passa lentamente un olio leggermente giallognolo che, estratto con etere e seccato (dopo distillazione dell’etere) nel vuoto su acido solforico e paraffina, costituisce l’a-chetone greggio. Il rendimento considerato in chetone greggio è pressochè teorico. Il chetone, sotto forma di un olio giallo bruno, piuttosto denso, fu sottoposto alla distillazione frazionata nel vuoto. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologica della R. Università di Pavia. (*) Vedi Hell e Portmann, Ber. 29, I (1896), pag. 680. (3) Ber. 28. 2715 e seguenti. (4) Ber. 29, 676. (5) C. B. 1899 (2), 1117. () Rimini, Gazz. XXXIV (II), pag. 281; Gazz. XXXYV (I), pag. 406; Rimini e Oli- vari, Rendic. dell'Acc. dei Lincei, 1907, pag. 663. (*) Ber. 36, 3446. LUCA Alla pressione di 20 mm. passò tutto da 204° a 225°, la frazione da 210° a 225°, lasciata a sè, cristallizzò dopo qualche giorno in aghetti che asciugati tra carta bibula, e cristallizzati ripetutamente dall'alcool diluito, si fusero a 90°-91°. Gr. 0,1412 di sostanza diedero gr. 0,3306 di CO» e gr. 0,0794 di H,0 Calcolato per Ci1H1204 Trovato GO 63,9 63,8 H°/ 5,9 6,8 It modo migliore per ottenere il chetone puro consiste nel preparare dall'olio greggio il semicarbazone o l’ossima, purificarli per cristallizzazione, e scomporli poi con acido solforico diluito. Si ottiene così, dopo una sola cristallizzazione dall'alcool diluito, il chetone già quasi puro e pronto per l’analisi. Cristallizza in piccoli aghi setacei p. f. 93° solubili negli ordinarî sol- venti e nell’alcool diluito, insolubili in acqua. La soluzione alcoolica dà, per agitazione con bisolfito sodico un deri- vato bisolfitico cristallino che non fonde neppure a 230°. Gr. 0.2203 di sostanza diedero gr. 0,5106 di CO, e gr. 0,1139 di H,0 Calcolato per C11H120 Trovato C°% 63,50 63,21 H°/ 0,90 5,78 Preparazione dell’ossima: gr. 5 di chetone greggio sciolti in alcool a 95° vennero addizionati di 3 gr. di cloridrato di idrossilammina, di 14 cc. di una soluzione acquosa concentrata di potassa e posti a ricadere a b. m. per un’ora circa. Versando in acqua precipita abbondantemente un olio che non tarda a solidificare in piccolissimi prismi che, filtrati alla pompa e cristallizzati dall’etere, fondono a 124°. L’ossima è solubile in acqua a caldo, solubile in alcool, benzolo, etere, poco solu- bile in etere di petrolio e ligroina. Gr. 0,1875 di sostanza diedero gr. 0,4074 di CO, e gr. 0,0990 di H,0 Calcolato per C1,H1304N Trovato C/o 59,19 59,26 H°/o 5,82 5,91 Preparazione del semicarbazone: gr. 5 di olio greggio con gr. 7,35 di acetato so- dico fuso sciolto in poca acqua e gr. 4,02 di cloridrato di semicarbazide, furono posti a ricadere a b. m. per 4 ore: per diluizione con acqua si separò un olio che cristallizzò ben presto in piccoli aghi solubili in acqua bollente, alcool e cloroformio, poco solubili in etere, benzolo, solfuro di carbonio. Sì purifica filtrando alla pompa il prodotto greggio, lavando con etere e cristallizzando da alcool diluito. P. f. 180°. Gr. 0,2060 di sostanza diedero cc. 18,8 di N idrazinico (1) a 16° e 757 mm. di pressione. Calcolato per CisH1604Ns Trovato Azoto idrazinico °/o 10,56 10,73 () Rimini, Gazz. 84 (1904), pag. 224. SES pen È così dimostrato che il composto preparato per scomposizione del bibro- muro di isomiristicina con metilato sodico e successiva distillazione in cor- rente di vapore contiene un carbonile chetonico e non aldeidico perchè non reagisce con acido di Piloty per dare un acido idrossamico. Nonostante che, per analogia di preparazione coi chetoni preparati da altri in condizioni identiche non vi potesse essere dubbio che il carbonile fosse in posizione @ rispetto al nucleo aromatico, tuttavia non ho creduto superfluo dimostrarlo ossidando il chetone ad acido propionico che identificai dal suo sale di argento. Per preparare il f-chetone dell’isomiristicina ho seguito il metodo con- sigliato da Hoering. Come è noto (') i bibromuri delle combinazioni pro- peniliche, riscaldati a bagno maria con acetone acquoso, si lasciano sostituire il bromo in posizione @ con l'ossidrile per dare degli «-ossi-8-bromoderivati saturi. Questi composti, riscaldati con potassa alcoolica, si trasformano nel glicole corrispondente che perde con grande facilità acqua formando un os- sido, che per semplice riscaldamento, o da solo, o con acidi minerali diluiti, o meglio con acido acetico glaciale addizionato con qualche goccia di acido solforico si isomerizza in chetone: Ax CHBr-CHBr-CH, 2°etene TH:0 A1-CHOH-CHBr-CH; KOH Ar-CH,C0-CH; ©! Ar-CH—CH-CH; :° Ar-CHOH-CHOH-CH; Di Il bibromuro di isomiristicina ricavato partendo da 40 gr. di questa, insieme a gr. 160 di acetone, 40 gr. di acqua, e 12 gr. di marmo in pic- coli pezzi venne riscaldato due ore a b. m. Dopo separazioned ello strato acquoso che teneva in soluzione bromuro di calcio, si proseguì il riscalda- mento per altre due ore. Eliminato per distillazione l'acetone, si separò un olio che venne lavato tre volte con acqua e seccato nel vuoto su acido sol- forico. Rendimento gr. 56. L'a-ossi-8-bromodiidroisomiristicina così ottenuta sì presenta sotto forma di un olio densissimo, giallo bruno, d’odore pungente, che irrita gli occhi fino alle lagrime. Non è purificabile in nessun modo perchè non cristallizza nemmeno raffreddato in miscela frigorifera e, per distillazione nel vuoto, si scompone subito dando sostanze resinose. Tuttavia il prodotto greggio analizzato, diede una percentuale di Br sufficientemente corrispondente a quella richiesta dalla formula di ossibromodiidromiristicina. (!) P. Hoering, Ber. 38, 3477. RenpICONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. SÌ SLI Gr. 0.2535 di sostanza diedero (Carius) gr. 0,0962 di Ag ridotto dal bro- Muro. Calcolato per C,,H1304Br Trovato Bah 27,7 28,1 Gr. 40 di @-ossi-8-bromodiidroisomiristicina vennero sciolti in 50 ce. di alcool e versati in una soluzione di 12 gr. di potassa in 100 ce. di al- cool; si produsse subito un precipitato bianco di KBr; tuttavia la reazione venne continuata riscaldando a b. m. per 4 ore. Si versò poi il prodotto della reazione in acqua e si separò così un olio giallo bruno che si estrasse con etere dopo aver neutralizzato con acido acetico. Scacciato l'etere rima- sero 31 gr. di un olio denso, giallo rossastro, che non conteneva traccia di bromo. Questo olio sottoposto alla distillazione nel vuoto a 30 mm., comincia a distillare a 190°, e passa quasi tutto da 230° a 240°; la frazione bol- lente fra questi limiti di temperatura, lasciata a sè, cristallizza in mammel- loni che, spremuti fra carta da filtro, fondono a 44°-45°. Ricristallizzati dall’etere petrolico fondono a 549-559, e conservano tale punto di fusione cri- stallizzati ancora una volta dall'acqua bollente. La sostanza, cristallizzata dall'acqua, si presenta in lunghi aghi setacei, solubili in alcool ed etere. All'analisi si ebbero numerì corrispondenti alla formola di ossido o di chetone. Gr. 0,1422 di sostanza diedero gr. 0,3290 di CO. e gr. 0,0712 di H:0 Calcolato per C,:H1204 Trovato Go MAMNG35 63,1 OL 6 5,9 Ma, poichè il prodotto combinavasi assai facilmente con bisolfito sodico per dare un derivato cristallino, reagiva pure coll'idrossilammina e la se- micarbazide, si trattava senza alcun dubbio del chetone formatosi dall'os- sido liquido durante la distillazione a pressione ridotta. Infatti, il prodotto greggio della reazione fra potassa alcoolica e @-ossi-8-bromodiidroisomiristi- cina, non si combinò col bisolfito nè accennò mai a cristallizzare. Non era dunque possibile purificare l'ossido per cristallizzazione o distillazione fra- zionata, tuttavia all’analisi ottenni numeri che corrisposero abbastanza bene alla formola attribuita; le differenze riscontrate nelle percentuali si possono facilmente spiegare colla presenza di una certa quantità di glicole C:Hs(0CHx) (0,CH,) CHOH. CHOH .CH; e colle impurità inevitabilmente contenute nel prodotto greggio. Gr. 0,2146 di sostanza diedero gr. 0,4798 di CO. e gr. 0,1306 di H.0 Calcolato per C,1H120, (ossido) CY, 63,5 Ho/o 5,8 n n (CHO (plicole) 0 pos ANAAO ANG Trovato C/o 61 H°/, 6,8 ESILI ODA Tl riscaldamento diretto dell'ossido a pressione ordinaria lo isomerizza solo in piccola parte, mentre il rimanente vien trasformato in prodotti ca- tramosi. Anche l’ebullizione con acido solforico diluito si mostrò poco adatta a compiere la isomerizzazione perchè si forma in tal modo gran quantità di resina. Il metodo più conveniente per ottenere con rendimento buono il chetone è quello di riscaldare l’ossido grezzo, sciolto in acido acetico gla- ciale, con qualche goccia di acido solforico concentrato, versare il prodotto in acqua, estrarre con etere e dibattere l’olio bruno, che resta come re- siduo dopo la distillazione dell'etere, con bisolfito sodico: si ottiene così un derivato bisolfitico cristallino che peraltro trattiene molta resina dalla quale si libera con ripetuti lavaggi con etere. Per scomposizione del composto bisolfitico si ha un olio che non tarda a rapprendersi in massa cristallina che si purifica ulteriormente per cristal- lizzazione dall'acqua previo trattamento con nero animale. Si ottengono così gli aghi sericei; p. f. 55°. Gr. 0,1713 di sostanza diedero gr. 0,3974 di CO, e gr. 0,0850 di H,0 Calcolato per C11H130 Trovato (09 63,5 63,9 HIRCA 0,8 5,6 Semicarbazone: gr. 2 del chetone sciolti in alcool vennero posti a ricadere con 2 gr. di cloridrato di semicarbazide e 4 gr. di acetato sodico fuso sciolto in poca acqua. Dopo 4 ore di riscaldamento versando in acqua il prodotto della reazione si separò un clio che si rapprese ben presto in cristalli che, lavati con poco etere e cristallizzati dal benzolo, fusero a 148°144°. Solubili in acqua calda, alcool, benzolo, poco solubili in li- groina, insolubili in etere petrolico. Analisi: gr. 0,1026 diedero ce. 9,4 di N idrazinico a 749 mm. e 16°. Calcolato per C,3H,;04N Trovato Azoto idrazinico °/o 10,56 10,66 Il chetone ripristinato dal semicarbazone aveva un punto di fusione 94°-55°. Ossima: gr. 3,5 di chetone vennero sciolti in alcool ed addizionati coù gr. 2,1 di cloridrato di idrossilammina e con 10 cc. di soluzione acquosa concentrata di KOH. Si lasciò ricadere a b. m. per 8 ore dopodichè si versò in acqua fredda; si formò un leg- gero intorbidamento che divenne precipitato abbondante neutralizzando con acido solfo- rico diluito. Col riposo il precipitato diviene cristallino (prismi riuniti a ciuffi) e fonde a 100°-104°: cristallizzato dalla ligroina fonde a 111°-112°. Solubile in alcool, acqua bollente ed alcali, pochissimo solubile ia etere di petrolio, discretamente solubile in ligroina bol- lente, solubile in benzolo. Gr. 0,1445 di sostanza diedero cc. 8,1 di N a 20° e 755 mm. Calcolato per Ci1H1304N Trovato Soa 0 6,5 / SA Il metodo di preparazione seguito per questo composto e le notevoli differenze nelle proprietà fisiche che presenta in confronto all'a-chetone del- l’isomiristicina non lasciano nessun dubbio trattarsi del $#-chetone. Nonostante ho preparato questo chetone, per riduzione della -nitroisomiristicina e suc- cessiva idrolisi dell'ossima (metodo Wallach (*). La -nitroisomiristicina fu preparata seguendo le indicazioni di Rimini (?). Gr. 0,75 di f-nitroisomiristicina vennero sospesi in 30 cc. di acido acetico glaciale e 6 cc. di acqua e addizionati, operando a freddo, con gr. l di zinco in polvere. La miscela si lasciò reagire a temperatura ordinaria fino a scomparsa del colorito giallo, poi versata in acqua e acidificata net- tamente con acido solforico diluito, portata all’ebullizione ed estratta con etere. L’etere per evaporazione lasciò un residuo che, dopo cristallizzazione dall'acqua, fuse a 55°. Si trattava dunque del chetone già prima ottenuto rimanendo così completamente dimostrata la posizione del carbonile. Accennerò ora ad alcuni tentativi fatti per preparare il dimero dell’iso- miristicina. Come è noto la massima parte dei composti propenilici si polimerizzano facilmente per azione degli acidi e del calore. Così Orndoff, Terraye e Morton (*) ottengono un dimero dell'anetolo scaldando questo composto a 250°-275° sotto pressione; Tiemann ottiene quello dell’isoeugenolo per azione di cloruro di acetile sull'eugenolo e successiva saponificazione del derivato acetilico (‘). Heiden brevettò (*) un metodo per preparare i polimeri dell’isoeugenolo basato sul riscaldamento con piccole quantità di mezzi condensanti. Angeli e Mola (5) prepararono il diisosafrolo riscaldando in tubi chiusi a 160° per 5 ore volumi eguali di isosafrolo e di alcool saturo di HC]; mentre Tibor Szeki (") preparò i dimeri dell’isoapiolo, del metilisoeugenolo e dell’asarone saturando con HCl gassoso una soluzione eterea della sostanza e scaldando poi, in qualche caso, il residuo della distillazione in tubo chiuso. A questi diversi metodi vanno aggiunti quelli recentemente pubblicati (*) da Francesconi e Puxeddu che consistono nel sottoporre all'azione della luce o del calore moderato (100°) soluzioni alcooliche di sostanza addizionate con piccola quantità dell’ordinaria soluzione acquosa di HCl. ( ( ( (È ( ( ( 7) Ber. 39 (2422). (8) Gazz., 39, II, pag. 202. Tutti questi metodi peraltro non permisero di polimerizzare l’isomiri- sticina perchè, se in qualche caso (come nel metodo dell’azione chimica della luce) si ottiene la sostanza inalterata, in altri casi si hanno resine. Riassumerò i tentativi fatti: a) Riscaldamento in tubo chiuso per 5 ore a 160° (metodo di Angeli e Mola). Il contenuto del tubo è bruno e versato in acqua lascia separare una resina violacea, solubile negli ordinarî solventi, ma non cristallizzabile. 5) Azione dell’HC] su una soluzione di isomiristicina in etere anidro e successivo riscaldamento a 200° in tubo chiuso (metodo di Tibor Szeki); sì ottiene una massa solida bruna incristallizzabile. Miglior riuscita non ebbe l'esperienza ripetuta senza il riscaldamento in tubo chiuso. c) Esposizione alla luce solare per 4 ore di una soluzione di isomi- risticina in alcool assoluto addizionata di un po di HC1 densità 1,19 (me- todo di Francesconi e Puxeddu): la sostanza rimane inalterata. d) Riscaldamento per 2 ore a 100° della stessa soluzione. La sostanza non rimane inalterata ma dà, versata in acqua, un olio incolore dal quale non sì arriva a separare nulla di definito nè per distillazione nel vuoto, nè per azione del Br a freddo. Il tentativo ripetuto riscaldando a 150° per 6 ore non diede miglior risultato poichè si ottennero resine brune. Analogamente ho invano tentato il riscaldamento della isomiristicina con altri mezzi condensanti, quali l’acido solforico, il cloruro d’acetile, l'anidride acetica. Riscaldando per qualche tempo l’isomiristicina sciolta in acido ace- tico con qualche goccia d’'acido solforico, si ottiene con piccolissimo ren- dimento una sostanza che mostra i caratteri di un polimero della isomiri- sticina. 30 gr. di isomiristicina si sciolgono in 50 ce. di acido acetico glaciale, si addizionano con sei goccie di acido solforico concentrato e si riscaldano a ricadere per 5-10 minuti. Durante il riscaldamento la soluzione dapprima incolora si colora in giallo, poi in bruno violaceo con bellissima fluorescenza azzurra; col raffreddamento e col riposo si depositano dei cristallini che lavati su filtro con acido acetico fondono a 215°222°. Sono poco solubili in quasi tutti i solventi, si sciolgono discretamente nel benzolo bollente dal quale cristallizzano in piccoli prismi p. f. 232°-233°. La sostanza fusa mostra una magnifica fluorescenza verde-azzurra. Il rendimento è minimo e non rag- giunge il 2°/. Le determinazioni del peso molecolare diedero risultati poco soddisfa- centi per la poca solubilità della sostanza; così non fu possibile una deter- minazione crioscopica in benzolo, nitrobenzolo, uretano perchè la solubilità a freddo è notevolmente inferiore al 0,5 °/. A ata Una determinazione ebullioscopica in benzolo, per quanto risponda suffi- cientemente al peso molecolare di un dimero, non può ritenersi sicura per il piccolo innalzamento ottenuto: Solvente Sost. Conc. Inn M 12,25 0,1149 0,94 0,070 396 Calcolato per (C,,H120;),= 9884. Non è improbabile che il prodotto ottenuto per azione dell'acido sol- forico concentrato sull’isomiristicina sciolta in acido acetico glaciale corri- sponda al dimero di quest'ultima, e però mi riservo di continuarne lo studio. Porgo vivissimi ringraziamenti al prof. Enrico Rimini che mi ha indi- rizzato in queste ricerche, ed al laureando sig. Muzio Fedele che mi ha coadiuvato in alcune delle su riferite esperienze. Mineralogia. — Anfiboli di Monte Plebi presso Terranova Pausania (Sardegna). Nota di DomeNIco LovisaTo, presentata dal Socio G. STRUEVER. Geologia. — Contributo allo studio del Cambriano della Sar- degna. Nota dell'ing. dott. M. TaRICcO, presentata dal Socio ©. F. PARONA. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisiologia vegetale. — Su la formazione del glicogeno nella cellula di lievito. Nota di Diana BRuscHI, presentata dal Socio R. PIROTTA. L'unico argomento per sostenere che la formazione del glicogeno nella cellula di lievito sia dovuta ad un enzima sintetico, si ha in una esperienza di Cremer (Ber. chem. Ges., 32, 1899, pag. 2002), il quale, avendo mescolato succo di lievito, spremuto col metodo di Buchner, ad una soluzione di frut- tosio, vide formarsi in dodici ore una sostanza che si colorava in bruno con Jodio. Per chiarire la natura enzimatica del processo di formazione del glico- geno, ho fatto alcune esperienze, movendo dal seguente principio: 1. Se la formazione del glicogeno è dovuta ad un enzima, narcottz- zando il lievito nel momento in cui sta per cominciare, essa dovrebbe aver luogo ugualmente come nel medesimo lievito non narcotizzato, visto che le OI condizioni del liquido esterno non cambiano. A queste prove servì una razza pura isolata da un vino di Milazzo, nota per la facilità con cui forma il glicogeno, allevandola in mosto d’uva defecato e filtrato, addizionato di 5 gr. di tartrato ammonico per litro, in ampolle eguali, contenenti ognuna 100 ce. di mosto a 25° C. Così l'etere come il cloroformio non impediscono la formazione del glicogeno se si applicano gradatamente al lievito in dose tale da non arrestare la fermentazione; la impediscono totalmente quando arrestano la fermentazione. Questo risultato è ambiguo e si potrebbe spie- gare ammettendo che la glicogensinteàsi sia della stessa natura della zimasi, o che la formazione del glicogeno dipenda dal processo di fermentazione, anzichè rappresentare una condensazione indipendente dello zucchero assorbito. 2. Ricorsi anche ad antzsettici in dosi tali che notoriamente bastano a sospendere l’attività vitale senza molto danno degli enzimi, per lo meno di taluni enzimi, e cioè al timolo, alla formalina, al bisolfito di potassio. Il molo però in dose appena sufficiente per arrestare la fermentazione im- pedisce totalmente la formazione di glicogeno; in quantità minore nou im- pedisce nè l'uno, nè l’altro processo. Egualmente si comporta la formalina. Il bisolfito invece, in dose crescente da 60-80 mgr. per litro eccita note- volmente la fermentazione e la formazione di glicogeno; in dose crescente da 10 a 30 mgr. per 100 cc., ha una minore azione attivante, ma sempre pa- rallela su ambo ì processi; in dose crescente da 20 a 40 mgr. (per 100 ce.) attiva la fermentazione e limita la formazione di glicogeno a poche e piccole goccioline per ogni cellula, che si ridisciolgono più presto che nel controllo: ha quindi un’azione attivante su la glicogenasi e contraria alla sintesi. 3. Ho provato infine un antisettico più blando, che, in dose limitata, agisce come narcotico anche sul lievito (cfr. Pantanelli, Ann. di Bot., II, 1905, pag. 345; IV, 1906, pag. 33): voglio dire l’a/coo/ etilico. Aggiungendo un mol. di alcool (per 100 ce.) a lievito a piena fermentazione. ma ancora privo di glicogeno, questo si forma immediatamente in quantità tale da riempire total- mente la cellula, plasma e vacuoli; e se si aumenta gradatamente, per es. di 6 in 6 ore, la dose dell'alcool fino ad arrestare la fermentazione (quindi anche la moltiplicazione), le cellule restano cariche di glicogeno per 10-15 giorni, fino a che muoiono senza discioglierlo. Se invece si aggiunge in una volta una dose di alcool sufficiente per arrestare subito la fermentazione, ciò che porta anche una leggera contrazione delle cellule. il glicogeno com- pare egualmente più presto che nelle culture di controllo; ma in minutissimi granuli, poi aumenta gradatamente, ma non di più che nel controllo e si ridiscioglie con eguale rapidità. È dunque escluso che anche in questo modo si riesca a separare l’at- tività glicogenetica dall'attività vitale: si tratta piuttosto di un'azione nu- tritiva o stimolante dell'alcool, ed anzi, giacchè l'esperimento lo dimostra. possiamo ritenere che anche in condizioni ordinarie di fermentazione, il gli- SSIECT E cogeno compaia quando appunto si fa sentire su la cellula di lievito l’azione dell'alcool prodotto dalla fermentazione stessa. Mon è dunque la concentra- zione dello zucchero presente ed assorbito, ma la produzione dell'alcool il fattore che determina la formazione del glicogeno nel lievito (*). 4. Questa osservazione mi ha fatto pensare che la spinta alla conden- sazione dello zucchero in glicerina potrebbe essere data dall'azione disidra- tante dell'alcool ed ho allora provato, se ricorrendo, anzichè alla semplice narcosi, ad un’azione disidratante (plasmolitica) energica, combinata a nar- così si possa sospendere l’attività vitale del lievito e stabilire nello stesso tempo le condizioni di concentrazione del mestruo cellulare, che verisimil- mente sono indispensabili alla condensazione dello zucchero in glicogeno, come per altri enzimi è stato dimostrato (cfr. Pantanelli, Rendic. Accad. Lincei (5), XVII, 1907, II sem., pag. 419; Ber. bot. ges., XXVI, 1908, pag. 494; Pantanelli e Faure, Rendic. Acc. Lincei (5), XIX, 1910, I sem., pag. 489). A questo scopo, a lievito in piena fermentazione in 100 ce. del solito mosto e ancora privo di glicogeno, ho aggiunto !/10 di mol. di manmte, glicerina, saccarosio, cloruro di calcio, basandomi su misure di Pantanelli (Ann. di Bot., IV, 1906, pag. 1), secondo cui, il limite plasmolitico del lievito non arriva quasi mai a 10 7s. (= 1 mol. (litro) di KN0O;). Ad una prima serie di culture furono fatte queste aggiunte, ad una seconda serie furono prima aggiunti 3 cc. di etere, e subito dopo le dette sostanze; ad una terza serie 1/10 di mol. di alcool e subito dopo le dette sostanze, lasciando per ogni serie i relativi controlli senza narcotico o senza disidratante. La mannite ed il cloruro di calcio da soli hanno plasmoliz- zato le cellule, senza impedire del tutto la formazione di glicogeno, che in- vece non si è formato affatto in presenza di queste sostanze e di etere o di alcool. La glicerina, com'era da prevedersi, data la sua permeabilità (Pan- tanelli, Rendic. Accad. Lincei (5), XV, 1905, I sem., pag. 719; Swellen- grebel, Centr. f. Bakter. (2), XIV, 1905, pag. 374), non ha plasmolizzato alcuna cellula nè arrestato la fermentazione ed ha favorito grandemente la formazione di glicogeno: ma lo stesso è accaduto dopo l'aggiunta di etere 0 di alcool. Il saccarosio non ha prodotto plasmolisi nè arrestata la fermen- tazione: ha favorito la formazione di glicogeno e ne ha impedito il discio- glimento, così che dopo qualche settimana le cellule ancora ne rigurgitavano, sebbene la fermentazione fosse cessata da un pezzo. In presenza di etere il (*) Infatti, nel lievito di birra 0 di distilleria, coltivato in substrato liquido, si forma glicogeno secondo Cremer (Zeitschr. f. Biol., XXXI, 1894, pag. 183) e Henneberg (Zeitschr. f. Spiritusind., 1902, n. 35), solamente in presenza di zucchero fermentescibile, non di lattosio, arabinosio, sorbosio, glicerina, mannite, amido, destrina, asparagina, peptone. I dati di Laurent (Ann. Inst. Pasteur, IL 1888, pag. 113; Bull. Soc. Belge de Microse., XIV, 1890, pag. 29), che avrebbe ottenuto formazione di glicogeno anche in presenza di mannite, glicerina, lattosio, asparagina, peptone, glutamina, albumina, sono stati contra- detti da Cremer ed Henneberg. PE 7 II saccarosio ha favorito la produzione del glicogeno, però meno che nelle cel- lule non eterizzate, e ne ha egualmente impedito la digestione. Invece in presenza di alcool si è avuto dapprima plasmolisi ed arresto della fermenta- zione; poi, scomparsa lentamente la plasmolisi, le cellule hanno ripreso a gemmare, a fermentare e in seguito è ricomparso il glicogeno in gran quantità. Ho ripetuto la prova con la glicerina raddoppiando la dose (?/,o di mol. per 100 ce.) ed ho ottenuto una transitoria plasmolisi tanto senza come in presenza di etere e dopo aggiunta di alcool: scomparsa la plasmolisi, le cellule hanno ripreso a sviluppare ed a fermentare e poco dopo è comparso il glicogeno. Dunque, anche combinando l’azione di un narcotico 0 di una sostanza che favorisce la formazione di glicogeno, quale è l'alcool, con l’azione di sostanze disidratanti, le quali dovrebbero favorire i processi sintetici, di condensazione, 207 st riesce a separare la produzione del glicogeno dalla piena attività vitale. Basta per molte cellule lo stato plasmolitico, che non rappresenta certo la sospensione dell’attività vitale, per impedire la formazione del glicogeno; scomparsa la plasmolisi, la facoltà di formare al glicogeno ricompare. 5. Un altro mezzo per favorire le condensazioni enzimatiche consiste, secondo osservazioni di Pantanelli (Rendic. Acc. Lincei (5), XVI, 1906, pag. 419; XIX. 1910, pag. 489; Ann. di Bot., V, 1907, pag. 355; Ber. bot. Ges., XXVI, 1908, pag. 494), nel neutralizzare l’acidità, la quale si mostra invece favorevole alle idrolisi enzimatiche. Nel nostro caso questo mezzo presentava probabilità di riuscita, perchè Kayser e Boulanger (Chem. Centr., 1898, II, pag. 440) hanno trovato che il lievito forma tanto più gli- cogeno quanto minore è l'acidità dell’ambiente e che l'acido tartarico — il quale si trovava anche nel mosto d’uva da me adoperato — ha la mas- sima azione inibente su la formazione del glicogeno. Anche Will (Centr. f. Bakter. (2), XVII, 1907, pag. 696) ha osservato più glicogeno in alcune razze di lievito coltivate in acqua di lievito mewtra che in mosto d'orzo acido. Si sa poi che il glicogeno è digerito più presto nei liquidi molto acidi (Heinze, Centr. f. Bakter. (2), XII, 1904, pag. 360). Quando il lievito era entrato in piena fermentazione e stava per for» mare il glicogeno, neutralizzavo con soda !/; norm., con o senza aggiunta di etere o di alcool nelle proporzioni su dette. Nelle culture non narcotizzate si osserva allora la formazione immediata di un'enorme quantità di glicogeno, che si ridiscioglie dopo 3-4 giorni. Nelle culture narcotizzate con etere si forma più glicogeno che nei controlli rimasti acidi, purchè la narcosi non sia spinta fino all’arresto della fermentazione, nel qual caso il glicogeno non si forma affatto; inoltre la quantità di glicogeno è minore che nelle culture neutralizzate. ma non eterizzate. Aggiungendo gradatamente alcool alle culture Rexpiconti. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 8 PS 58 SE neutralizzate, non si forma glicogeno, quando neppure è arrestata completa- mente la fermentazione, Quindi. anche in ambiente neutro, non sî riesce a provocare la formazione di glicogeno in cellule di lievito narcotiszate (quando la fermentazione è avanzata). 6. Ho tentato allora di procedere per un'altra via: culture in piena fermentazione furono neutralizzate e addizionate di tanto alcool da rallentare fortemente la fermentazione; non si formò glicogeno e quando la fermenta- zione fu cessata (dopo circa 12-13 giorni) fu sostituito il liquido con mosto fresco, addizionato di 2 ce. di etere (per 100 cc.). Za fermentazione non riprese, le cellule non si moltiplicarono, rimasero però vive € dopo tre giorni comparvero granuli di glicogeno in varie cellule. Avevo dunque tinalmente realizzato una condizione sperimentale, in cui, dopo aver sospeso con la narcosi l’attività fermentativa e moltiplicativa delle cellule di lievito, si poteva determinare la formazione del glicogeno. Probabilmente nel primo periodo avevo, con l'aggiunta di alcool, impedito l'attivazione dello zimogeno (prosinteàsi), già formato nelle cellule, processo che si svolse poi lentamente (tre giorni) quando ebbi sostituito il mosto fresco acido. È noto, da ricerche di Pantanelli e mie (Ann. di Bot., VIII, 1910, pag. 133), che la trasfor- mazione degli zimogeni in enzimi attivi è possibile al di fuori dell'attività vitale, mentre la formazione degli zimogeni è opera del protoplasma vivo (proinvertàsi, proamilàsi). 7. Anche un’altra via fu battuta con leggero successo: ad una cultura in mosto normale, in cui il glicogeno si sia formato e ridisciolto, così da far ritenere che le cellule non contengano più prosinteàsi, tolgo il liquido e lo sostituisco col liquido di un'altra cultura, in cui, con l’aggiunta di molto saccarosio (*/,0 mol = 34,2%) e di alcool (/io mol = 4,6 %), non solo ho provocato un'abbondante formazione di glicogeno, ma ne ho impedito il discioglimento; questo liquido dovrebbe quindi avere una composizione tale da favorire la produzione del glicogeno. Subito dopo la sostituzione, aggiungo 1 ce. di etere. Dopo circa 24 ore compare il glicogeno in varie cellule ed aumenta nei giorni successivi, sebbene la fermentazione e la moltiplica- zione non riprendano e le cellule si mostrino piuttosto sofferenti. In questo caso, pare che anche la prosinteàsi si formi in cellule narcotizzate. È un resultato che va d'accordo con l’esperienza di Cremer, in cui il fruttosio, aggiunto al succo spremuto dal lievito e già privo di glicogeno, determinò nuovamente la formazione di questa. sostanza. 8. I resultati positivi di questa e della precedente serie di esperienze mi hanno fatto pensare che. per realizzare la formazione di glicogeno în cel. lule narcotizzate o versanti in necrobiosi per azione di un antisettico blando, abbia molta importanza la scelta del momento in cui sì sottopone il lievito al trattamento, sopra tutto in rapporto con lo stadio di fermentazione. Per dilucidare questo punto, ho tolto il liquido fermentato ad un certo numero di culture già prive di glicogeno e l'ho sostituito con mosto fresco, esatta- mente neutralizzato, poi ogni due ore ho narcotizzato con efere una di esse, in dose tale da arrestare via via l'ulteriore gemmazione e la fermentazione. Accade allora che nelle cellule già esistenti si forma glicogeno, finchè la «fermentazione non è ancora visibile, mentre non si forma ancora nelle cel- lule non eterizzate e neppure nelle nuove cellule eterizzate. Quando invece la fermentazione è appena cominciata, allora, in presenza di etere, si forma glicogeno in tutte le cellule vecchie e nuove, sebbene in piccola quantità, mentre nei controlli non è ancora comparso. Infine, quando la fermentazione è in pieno vigore, la narcosi impedisce la produzione di glicogeno paralle- lamente all'arresto della fermentazione. Resultati analoghi ho avuto adope- rando un antisettico, il bisolfito di potassio (200 mgr. per litro) al posto del narcotico. Questi fatti mostrano che la spinta alla condensazione del glicogeno, cioè la formazione del proenzima sintetico si ha nel plasma subito dopo l'assorbimento dello zucchero, ma soltanto in plasma che abbia già passato una fermentazione o abbia appena cominciato a fermentare la sinteàsi e/feliua la condensazione del glicogeno anche in cellule narcotizzate. Invece, in cel- lule già in piena fermentasione, la narcosi impedisce anche l’azione della sinteàsi. Questa apparente contraddizione dimostra che il glicogeno si forma per condensazione di qualche prodotto intermedio della fermentazione, pro- babilmente da un prodotto delle prime fasi del processo, ossia /a formazione del glicogeno rappresenta una reversione parziale di un processo singolo nella catena dei processi di digestione dello zucchero, che noi percepiamo nell'insieme con fermentazione alcoolica. Si potrebbe cioè paragonare la sintesi del glicogeno alla formazione dell’asparagina dagli aminoacidi e da ammoniaca durante la digestione delle albumine nelle piante verdi: un pro- cesso laterale regressivo di sintesi, che si innesta sopra una delle fasi prin- cipali del processo principale di digestione. Ciò spiega perchè solo in un dato momento della fermentazione sia pos- sibile separare questa sinteàsi enzimatica dalla piena attività vitale, e perchè l'aggiunta di alcool (che per l'azione di massa ostacola le ultime fasi del processo fermentativo) e la plasmolisi con sostanze inerti (mannite, cloruro di calcio) favoriscono o provocano la formazione di glicogeno (!). Data la sua natura di processo laterale, si comprende perchè 1) la formazione del glicogeno non sia di alcuna utilità per il lievito incondizioni di normale fermentazione, come hanno riconosciuto Will (Allgem. Brauer u. Hopfenztg., 1892, pag. 1088) Lindner (Mikrosk. Betriebskontr., 1398, pag. 254), Meissner (Centr. f. Bakter. (2), IV, 1900, pag. 517; Wortmann (Landw. Jahrb., XXII, 1892, pag. 557); Henneberg (Zeitschr. () La neutralizzazione del liquido ambiente può invece agire fuvorevolmente perchè inibisce il lavorìo della glicogenàsi (enzima idrolitico). f. Spiritusind., 25, 1902, n. 35), Heinze (Centr. f. Bakter. (2); XII 1904- 1905, pag. 60), mentre il glicogeno può, tutt'al più, rappresentare una so- stanza di riserva per lievito che venga artificialmente messo a digiunare; 2) perchè il glicogeno scompare dal lievito quando lo zucchero non è ancora tutto fermentato (Jodlbauer, Zeitschr. f. Ribenzuckerind., 1888; Gontscharuk, Centr. f. Bakter (2), VI, 1900, pag. 546; Meissner; Wortmann, Ber. 20. Weinbaukongress, Mainz, 1902, pag. 31; Henneberg, Zeitschr. f. Spiritusind., 38, 1910, pag. 242; Heinze); 3) perchè il glicogeno si formi in maggior quantità nel lievito molto aereato (Henneberg), dove i prodotti di digestione dello zucchero sono utiliz- zati meglio per la costruzione di materiali cellulari diversi; 4) infine, perchè il glicogeno si forma, a preferenza in presenza di zuccheri fermentiscibili, mentre non è del tutto impossibile la sua origine anche da materiali non fermentiscibili, ma che possono comparire durante la digestione degli zuccheri, come la glicerina, l'acido lattico, l'acido succinico (Laurent). Applicando anzi i nostri procedimenti di narcosi, plasmolisi ecc., sì po- trebbe passare in rassegna una gran quantità di composti organici e vedere quali di essi cadano sotto l’azione della glicogensinteàsi: si arriverebbe così a stabilire, da una parte, quale sia il prodotto intermedio della fermenta- zione, da cui il glicogeno si suole formare nel lievito; dall'altra parte, si por- rebbe appunto la mano su almeno uno di quei prodotti intermedii della fermentazione alcoolica, la cui identificazione affatica da tanto tempo i ricercatori. Agronomia. — Siderazione o Biocoltura? Nota del professore C. Lumia, presentata dal Socio R. PIROTTA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Segretario MiLLosevicH, a nome dei Soci Cramician. relatore, e NAsinI, legge una Relazione, colla quale si propone la inserzione negli Atti accademici della Memoria del prof. G. BRUNI, avente per titolo: Ré-. cerche teoriche e sperimentali sulle soluzioni solide. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, messe ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PERSONALE ACCADEMICO Il Corrispondente VroLa legge la seguente Commemorazione del Socio nazionale prof. Giorgio SPEZIA. I Quando, pochi mesi fa, io vidi l’uomo, di cui oggi l’ Accademia com- memora la perdita. egli mi sembrava così forte, florido e giovane di ispirito, che mi figuravo di vederlo ancora molti anni donato ai suoi studî e ai | suol apparecchi; rimasi scosso e attonito davanti a questa incognita della | sorte, quando il giorno 10 novembre 1911 mi fu telegrafato la sua morte I improvvisa, perchè la leggera indisposizione, da cui egli fu colto due giorni prima, non lasciava presagire la catastrofe imminente. Ed io credo che tutti, conoscitori dello Spezia, amici, colleghi, discepoli, siano stati dolorosamente impressionati di questa subitanea sparizione, mentre un mese prima appa- rivano ancora i risultati della sua attività scientifica, si seguiva l’anda- mento dei suoi lavori sperimentali, e si era in aspettazione per la fine di una sua esperienza. Perchè lo Spezia fu un grande sperimentatore, a diffe- renza di molti eminenti mineralogisti, sempre fedele al principio, che egli spesso ripeteva con Leonardo da Vinci, e che dava l'impronta del suo carat- tere, essere superfluo una discussione o una teoria, quando una sola esperienza può risolvere un dubbio. Giorgio Spezia nacque l'8 giugno 1842 in Piedimulera in provincia di Novara da genitori e progenitori dediti alla coltivazione delle miniere auri- fere di Pestarena in Vall’Anzasca, ed ebbe così coi natali l'amore per gli studî mineralogici, in cui lavorò, si perfezionò sempre e divenne grande. Studiò e finì gli studî universitarî in Pavia, e distintosi nella battaglia del Volturno, ove si arruolò con la spedizione Cosenz, continuò e finì gli stndî di ingegneria al Valentino con una tesi di laurea, che ha per titolo: Sulle ventilazione delle miniere, uscita nel 1867. MO Ebbe per maestri quelli che tenevano allora alto in Piemonte la scienza mineratogica, il Gastaldi, il Sella, lo Strilver, e si perfezionò ancora in Ger- mania nelle Università di Gottinga e di Berlino, ma sovratutto con la guida del Wéhler. Ritornato in patria, fu dapprima assistente di mineralogia del Gastaldi, e indi, pochi anni dopo, compiuto il trasporto del museo mineralogico nella attuale sede, dove dimostrò coltura, costanza e amore per le collezioni, suc- cedette ai mineralogisti piemontesi nella cattedra di quella Università, dap- prima come incaricato, e definitivamente nel 1878, assumendo inoltre la direzione del museo. La scelta dello Spezia a direttore del museo mineralogico, che oggi è fra i più belli d’ Europa, fu effettivamente felice; fu uno di quei pochi casi, in cui un giovane modesto, intelligente, di animo forte e di carattere aperto e leale, prometteva più di quanto dimostrassero le sue semplici pubblica- zioni; esempio che ancora oggi dovrebbesi tenere in seria considerazione in varî concorsi ed in varie offerte di cattedre universitarie; ed in effetto la carriera scientifica dello Spezia fu una delle più brillanti, come il Sella aveva presentito, tutta dovuta alla sua costante operosità ed al suo in- gegno. La sua attività scientifica formata di esperienze proprie e di proprî con- cetti, si iniziò nel 1871 con lo studio sugli avvallamenti di sponde avve- nuti lungo le rive del Lago Maggiore, e si chiuse, singolare coincidenza, con lo studio intorno all’avvallamento delle sponde dei laghi, basato su scan- dagli nei luoghi franati. Egli pubblicò circa quaranta Memorie scientifiche, in generale esili di mole, ma frutto di lunghe esperienze; talune di più anni di indagini, e tutte recanti un'impronta personale. Per sollevarsi fino al giusto valore dello scienziato, per impadronirsi, direi, dell'ideale che sempre lo guidava nella sua vita di lavoratore, è me- stieri aggruppare i suoi lavori in due distinte categorie, benchè anch'esse abbiano qualcosa di singolarmente comune, nell’una delle quali si devono comprendere lavori di osservazioni mineralogiche, petrografiche e di geologia dinamica, nell'altra lavori propriamente sperimentali, che riguardano non solo la mineralogenesi, ma assicurano eziandio le basi di una parte importante della geologia chimica. Egli fu infatti non solamente mineralogista, ma anche geologo e petrografo nel vero senso; perchè per lui la geologia dovrebbe progredire con l’esperienza, come insegnarono il Bischof, il Bunsen, il Daubrée e pochi altri. Le sue prime esperienze furono istituite nell'intento di indagare le cause del colore dello zircone, lavoro pubblicato nel 1876; quindi si estesero alla melanoflogite della Sicilia, alla plasticità dell’itacolumite, alla forma- zione dell’anidrite, alla fusibilità dei minerali, all'origine dello zolfo nei gia- cimenti siciliani. Ma le esperienze che più lo distinsero, e resero noto presso ogni nazione il nome di Spezia, hanno per oggetto l'influenza della tempe- ratura nella solubilità e nella genesi dei minerali, esperienze che egli iniziò intorno al 1886 e proseguì senza interruzione fino alla sua morte. È noto che i geologi e i petrografi, per la maggior parte, attribuirono come attribuiscono ancora molta importanza al fattore pressione nella genesi e nella rigenerazione dei minerali costituenti le roccie. In appoggio di questo modo di vedere sorse il grande mineralogista Sartorius von Waltershausen, il quale asseriva essere la cristallizzazione del- l'apofillite sciolta a 180° C. di temperatura in un tubo chiuso, un fenomeno dovuto unicamente all'azione, che può produrre la pressione di 12 atmosfere; e nonostante le esperienze di Bunsen e di Daubrée quelle idee continuarono a conservarsi se non a rafforzarsi in riguardo di altri fenomeni dinamome- tamorfici non controllati dall'esperienza, e non ostante le esperienze dello Spring sulle reazioni chimiche sotto forti pressioni, le quali in ultima analisi sono avverse alle dette idee. Da questo postulato geologico, che ha dominato per molto tempo nella vecchia geologia e si è infiltrato nella nuova, ha origine la campagna in- defessa e condotta con tenacità di propositi dallo Spezia, il solo che rimase in campo contro una falange di teorici, e che vinse, avendo netta la im- magine di quanto l’esperienza avanza sulla teoria. Egli comprese che nuove esperienze a nulla varrebbero o a poca utilità condurrebbero, ove innanzi tutto non si eliminassero i dubbî, che lasciarono dietro di loro i risultali sperimentali di precedenti osservatori, e che radica- rono nei geologi una serie di equivoci, divenuti principî fondamentali. Onde iniziò le sue esperienze, ripetendo quelle di altri nelle stesse condizioni e in condizioni diverse. Nel 1886 intraprese l’esperienza sulla formazione dell’anidrite, dimo- strando che essa non è possibile nemmeno alla pressione di 500 atmosfere equivalente ad un'altezza idrostatica di circa 5000 metri, confutando così l’asserzione del Bischof. Con esperienze analoghe lo Spezia dimostrò che nella decomposizione del vetro nell'acqua riscaldata ad alta pressione, il fattore causale che entra in vigore, non è la pressione, ma l'elevata temperatura che ne è la conseguenza. I conoscitori profondi degli studî e delle esperienze dello Spezia, che seguirono passo passo il cammino da lui percorso nel campo scientifico, pos- sono facilmente sintetizzare il valore del nostro caro estinto con brevi parole, poichè un grande naturalista e sperimentatore, quale fu lo Spezia, non ha bisogno che sì rilevi questo o quel pregio in questo o quel lavoro eminente. Ma chi si assume il còmpito di imprimere nella mente altrui tutta la bellezza dell'edificio da lui costruito in quasi 40 anni di operosità, è obbligato a trattare più diffusamente, non dico per enumerarne i varî lavori e per tes- serne gli elogi, chè mi sembrerebbe codesto ufficio, semplice sì, ma anche — (Gel == poco gradito e poco degno. e non rispondente al tributo che lo Spezia ha por- tato in un campo nuovo; conviene soffermarvisi alquanto, specialmente poi in riguardo di tutti coloro, che non poterono seguire la corrente scientifica da lui vivificata, eppure oggi sentono il vuoto che la sua morte ha lasciato. La personalità spiccata dell'estinto esige anzi che si parli di alcune esperienze con minuti particolari, perchè è propriamente nei particolari, nell’esattezza e nella intima connessione fra il fine e i mezzi, che rifulge il carattere del nostro compianto mineralogista. | È noto che lo Spring ottenne il solfuro di rame sottoponendo ad alta pressione una miscela di solfo e rame; e così ancora il bijoduro di mercurio da una miscela di joduro potassico e bicloruro di mercurio; ma è altresì noto che questi risultati dello Spring non poterono confortare i sostenitori della teoria che la pressione statica funge come fattore importante nelle reazioni chimiche; ma è in ogni modo merito dello Spezia, avere dimostrato non essere possibili le dette reazioni alla temperatura di — 18° C, qualunque pressione d'altronde vi si impieghi, purchè la pressione non provochi sorgenti di calore, come una pressione dinamica. In seguito l'intento dello Spezia era di dimostrare che la pressione ha effetto insignificante nei processi chimici in confronto di quanto invece ha la temperatura; e fece perciò reagire una soluzione di silicato sodico sullo zolfo, a due distinte pressioni, dapprima a 100 atmosfere, indi a 1600, quella alla temperatura di 300° C., questa alla temperatura ordinaria. Nella prima esperienza lo Spezia ottenne cristalli di quarzo e solfuro sodico dopo sole 43 ore, nella seconda egli non ottenne alcuna reazione nemmeno dopo 6 mesi. A misura che lo Spezia ideava nuovi apparecchi e le esperienze gli in- segnavano nuove modificazioni da apportarsi agli elementi determinanti lo stato di un corpo, i risultati divenivano più precisi ed inconfutabili; e perciò vediamo nei lavori dello Spezia ripetersi numerose e difficili esperienze sulla cristallizzazione del quarzo, che lo tennero occupato in questi ultimi anni. La modificazione della silice amorfa in silice cristallizzata avviene a tem- peratura elevata e in varie forme. Una soluzione di silicato sodico reagisce sul- l'opale alla temperatura di circa 300° e alla pressione di 100 atmosfere pro- ducendo quarzo; la stessa modificazione non si è verificata alla temperatura ordinaria e a qualsiasi pressione nemmeno a 6000 atmosfere, comechè il con- tatto sia durato S anni. Allo Spezia premeva ancora di eliminare una falsa interpretazione data alle esperienze di Pfaff, il quale ammetteva d’aver dimostrato che una parte di quarzo si scioglie in 4700 parti di acqua nel termine di 4 giorni, quando la pressione fosse di 290 atmosfere. Ebbene lo Spezia, rilevando al- cuni errori incorsi nelle precedenti misure, dimostrò che il quarzo non si scioglie nell'acqua a temperatura ordinaria nemmeno sotto la pressione di 1750 atmosfere, ma invece vi è solubile a 100° e alla pressione ordinaria. LI E proseguì inoltre le esperienze sulla solubilità del quarzo. variando oppor- tunamente temperatura < pressione, fino a riuscire nell'intento, dimostrando che un accrescimento della pressione, anche notevole, non modifica affatto il grado di solubilità del quarzo nell'acqua. Con analoghe esperienze egli dimostrò che l'accrescimento del quarzo è massimo nella direzione del suo asse ternario, e minimo nella direzione normale ad esso. Le esperienze sulla solubilità e cristallizzazione del quarzo continuarono senza posa; e chi oggi ancora visita il Museo di Torino, ha agio di vedere colà gli apparecchi ideati dallo Spezia, ove sono rinchiusi frammenti di quarzo in via di accrescimento, i quali dovevano essere levati soltanto fra mesi e mesi. Tutti ricordano i bellissimi cristalli di quarzo, limpidissimi, che lo Spezia portò seco a Roma nell'epoca del congresso internazionale di chimica applicata; quei prodotti artificiali assomiglianti ai quarzi del Del- finato con intreccio di fili d'oro per dimostrarne la provenienza artificiale, riscossero gli applausi e l'ammirazione di tutti gli intervenuti. Non si deve immaginare che i cristalli di quarzo ottenuti dallo Spezia nel corso delle sue esperienze, siano un prodotto accidentale, presentatosi durante le indagini aventi per primo fine la legge che governa la solubilità del quarzo. La sua genesi, la formazione di bei cristalli, come si presentano in natura, dà propriamente la prova di detta legge, ricercata con assidua cura. Infatti il problema che tormentava lo Spezia in questi ultimi anni, era quello di seguire la traccia di questa prova, che la pressione non altera la so- lubilità del quarzo e di altri minerali, ma che solo il grado di temperatura è fattore indispensabile in tale processo. A quest'intento egli costruì un apparecchio, il quale doveva dimostrare insieme l'una e l'altra parte del problema; e con esso ottenne in un regime la soluzione, nell’altro l'accrescimento di cristalli di quarzo in soluzione di silicato sodico, come egli aveva preveduto all’inizio dell'esperienza. Le due fasi, solida e liquida, venivano sottoposte alla stessa pressione, ma a due diverse temperature; superiormente a temperatura più elevata, dove i frammenti si scioglievano, inferiormente a temperatura più bassa, dove la soluzione più densa poteva raccogliersi e dar luogo all’accrescimento dei cristalli di quarzo, i quali rappresentavano così il risultato finale di un processo continuo. Oggi la chimica-fisica ha fatto sparire molti equivoci, avendo fissato bene i punti cardinali circa i luoghi di trasformazione, che separano le re- gioni stabili dei composti e degli stati di questi composti, e circa il con- cetto di soluzione; sicchè vi sono soluzioni liquide, come vi sono soluzioni solide a diverse pressioni e temperature, e le leggi che governano le une, valgono anche per le altre. Lo Spezia, con i risultati inconfutabili sopra oggetti poco solubili, offre un ricco contingente in varî campi attigui della RenpicontI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 9 gg scienza; egli fissa dati importanti nella genesi dei minerali, consolida un punto di appoggio nella geologia chimica eliminando vecchi e falsi principî, e porta aiuto alla chimica fisica, aiuto che ingrandisce pensando ai sacrifici costati al nostro caro. Con commozione si seguì l’attività tenace dello Spezia nel campo geolo- gico e petrografico, ovunque sorgevano modi di vedere contrarî a quelli che potevano essere provati da misure dirette. Così possiamo ricordare la for- mazione della Wollastonite, che secondo alcuni dovrebbe essere possibile con l'intervento di una forte pressione fra calcare e silice in intimo contatto fra di loro, perchè il volume molecolare della Wollastonite è minore della; somma dei volumi molecolari dei suoi componenti. Ma lo Spezia dimostrò in due modi che questa reazione non è possibile, e che non è il caso di invocare la teoria dei volumi molecolari, quando altre condizioni, per l’effet-, tuarsi della reazione, non sono soddisfatte. Egli impiegò 6000 atmosfere per comprimere quarzo contro calcare senza ottenere la Wollastonite; e dimostrò che nelle roccie delle gallerie del Frejus e del Sempione, ove la pressione può valutarsi a 1000 atmosfere, la Wollastonite non esiste nel contatto fra calcari e quarziti, benchè altri l'abbiano osservata in analoghe contingenze. Lo Spezia avrà così la riconoscenza dei geologi, tutti, che si occupano di giaciture minerarie, per avere chiaramente indicato essere la diminuzione della temperatura, non della pressione, la causa del riempimento di litoclasi. quarzifere; e dei petrografi ancora, che parlando di metamorfosi dinamica dei minerali costituenti le roccie, ricorderanno sempre i lavori sperimentali dello Spezia, e si troveranno nella necessità di ripetere, seguendo la scuola di lui, una esperienza innanzi che una qualsiasi teoria o discussione sorga sopra un fatto osservato. I lavori ricordati dello Spezia servono a ridarci il carattere dell'in- signe mineralogista, a consacrare il nome di lui; ma giammai a far sup- porre che lo Spezia si limitasse esclusivamente alla scienza da lui profes- sata, perchè parecchie altre pubblicazioni dimostrano il suo ingegno versatile, la sua vasta coltura. Come critico fu sempre ascoltato, sia che la sua autorevole voce sì elevasse a favore dell’ insegnamento superiore, sia che egli scrivesse in difesa della dignità nazionale, come quando esortava gli italiani a non sottoscrivere in. favore di un osservatorio vulcanologico internazionale da istituirsi in Napoli. L'Accademia dei Lincei, che lo ebbe Corrispondente fino al 1901, e quindi Socio nazionale, ha voluto tributargli due volte onore e riconoscenza in merito ai suoi lavori pazienti e importantissimi. Ed essa, così facendo, non premiava le sue modeste pubblicazioni, ma il frutto del suo lavoro di lunghi anni. La prima volta l Accademia proponeva lo Spezia al premio reale per la mineralogia in vista di un suo pregiato lavoro sull'origine dello zolfo nei A (17 RAS giacimenti siciliani, che veniva pubblicato in un’epoca, in cui sembrava de- finitivameute risolto il problema geologico con l'ipotesi della riduzione dei gessi. Lo Spezia rimise in vigore l'antica ipotesi basata sul vulcanismo, già avanzata dal Humboldt nel 1824 per altri giacimenti solfiferi, ipotesi che questa volta è sostenuta dalla paragenesi dei minerali, specialmente solfo, celestina e silice, e controllata da esperienze di laboratorio. La seconda volta lo Spezia ebbe il premio reale in merito dei suoi la- vori, non del tutto ultimati, ma esposti chiaramente in brevissime Note, sulla solubilità e genesi dei minerali, nell'intento di dimostrare che la curva di essa sale con la temperatura. L'Accademia ha dovuto riconoscere la costanza dello scienziato nel raggiungere il fine prefissosi, malgrado polemiche o ta- cite o esposte, che si sollevarono contro di lui. L'anno dopo lo elesse Socio nazionale. Giunto al fine del mio dire, col vivo desiderio di mettere in vera luce l'uomo di scienza, sdegnoso di ogni vanità che passa, e solo appassionato per le conquiste scientifiche che rimangono, un'angoscia mi assale, se le mie poche e disadorne parole possano raffigurare la grandezza dell’uomo, che molto taceva, moltissimo operava e con commozione esponeva, ma sempre freddamente, i risultati delle sue esperienze. L'invito a me fatto dal nostro illustre Presidente, mi ha molto spronato a vincere questa angoscia, e nel ringraziarlo della sua benevolenza verso di me, mi conforta il pensiero, che se le mie parole non aggiungono gloria all'amato estinto, possano almeno giovare ai più, che ricorderanno sempre i nostri maggiori, i quali si sono resi utili alla scienza nonchè alla patria. Ha io sento in questa occasione il bisogno di ricordare ancora che gli uomini di scienza resisi illustri con lavoro faticoso e indefesso, amarono la patria e la famiglia e furono sempre pronti ad ogni evento per l'utilità al- trui, come se il dovere per le ricerche scientifiche, con lavori austeri nel conseguire il vero, richiamasse con forza un dovere più elevato quale è quello di figlio, sposo, padre e cittadino, ed ambidue si sorreggessero per il conse- guimento del bene comune. Lo Spezia fu di carattere franco e leale, padre affettuoso, insegnante e maestro scrupoloso, cittadino pronto in più incontri per la cosa pubblica, dove si adoperò spesso con saggezza e utilmente. E quanto lo Spezia fu illustre nella scienza, altrettanto spiegò un amore tenerissimo per l'alpinismo, e fu come il Sella uno dei più gagliardi soci del Club alpino italiano, che così altamente contribuisce all'educazione mo- rale e fisica della gioventù. Per lui 1’ Ossola non aveva confronti per bel- lezze e ricchezze alpine, ed era conoscitore profondo non delle Alpi soltanto. Chi parlerà con più competenza di me, delle lotte alpine vinte dallo Spezia, ricorderà con soddisfazione che il famoso alpinista del Monte Rosa fu illustre nella mineralogia, dove vinse altrettante lotte, forse non meno difficili. ie — Il PRESIDENTE dà il triste annunzio della perdita fatta dall'Accademia nella persona del Socio straniero prof. G. DaLton Hooker, Direttore del- l'Orto botanico di Kew, mancato ai vivi il 10 dicembre 1911, nell'età di 92. anni. Apparteneva all'Accademia, per la Botanica, sino dal 2 luglio 1875, ed era il più anziano dei Soci stranieri. A 23 anni prese parte alla spe- dizione di F. C. Ross al polo antartico, e ne riportò la descrizione di 3 mila specie di piante. Esplorò, per studiarne la flora, il Tibet, l’ Imalaia, l'India, il Marocco, l'Atlante, il Colorado, la California. Il Presidente BLASERNA comunica che, conosciuta la nomina del Cor- rispondente CaGnI a Contrammiraglio, si affrettò ad inviargli, anche a nome dell'Accademia, felicitazioni ed auguri, e che ne ebbe la se ueute risposta: Illustre professore, La ringrazio per le sue gentili felicitazioni e la prego di aggradire col sincero au- gurio di un felicissimo nuovo anno i miei più deferenti saluti. UMBERTO CAGNI. CONCORSI A PREMI Il Segretario MiLLosevicH dà comunicazione degli elenchi dei concor- renti ai premi scaduti col 31 dicembre 1911. Elenco dei lavori presentati per concorrere al premio di S. M. il Re per la Chimica. (Premio L. 10,000. — Scadenza 31 dicembre 1911). BarBIERI NicoLa ALBERTO. 1) « Composizione chimica della Retina » (ms.). — 2) « Riassunto sulla composizione chimica della Bile » (ms.). — 3) « Sulla composizione chimica del rosso d'ovo o sulla non esistenza delle lecitine libere o combinate » (ms.). 1. Bruni GrusePPE. 1) « Sul riconoscimento dei composti racemici » (st.). — 2) « Soluzioni solide e miscele isomorfe fra composti a catena aperta, saturi e non saturi. Note 12 e 2* (con F. GoRNI)” (st.). — 3) « Sui fe- nomeni di equilibrio fisico nelle miscele di sostanze isomorfe. Nota 2% (con F. GoRNI) » (st... — 4) « Soluzioni solide e miscele isomorfe » (st.). — 5) « Sulle soluzioni solide nelle miscele di tre sostanze. Nota 1° » (st.). — 6) «Sulle soluzioni solide nelle miscele di tre sostanze. Nota 2° (con F. GoRNI)» (st.). -—— 7) « Sulle soluzioni solide » (st.). — 8) « Sugli equilibri eterogenei fra cristalli mistl di idrati salini isomorfi (con W. MEYERBOFFER) » EA (st... — 9) « Sulla formazione dei cristalli misti per sublimazione (con M. L'aDOA) » (st... — 10) « Sulla distinzione fra polimorfismo ed isomeria chi- mica » (st... — 11) « Ricerche sulle soluzioni solide e sull’isomorfismo (con M. Papoa)» (st.). — 12) « Ricerche sulle soluzioni solide e sull’isomor- fismo (con L. MAscARELLI) » (st.). — 18) « Sulle relazioni fra le proprietà dei varî corpi come solventi crioscopici e le loro costanti di cristallizzazione (con M. Papoa)» (st.). — 14) « Ricerche sulle soluzioni solide e sull’iso- morfismo (con M. Papoa)» (st.). — 15) « Ricerche sulle soluzioni solide e sull'isomorfismo » (st.). — 16) « Sul comportamento delle soluzioni insol- venti dimorfi (con A. CALLEGARI) » (st.). — 17) « Soluzioni solide fra nitro e nitroso-derivati (con A. CALLEGARI) » (st.). — 18) « Sulla configurazione degli stereoisomeri mateici e fumarici e dei corrispondenti composti aceti- lenici » (st.). — 19) « Ricerche sulle soluzioni solide e sull’isomorfismo (con A TROVANELLI)» (st.). — 20) « Studii sulla racemia (con F. Finzi) » (st.). — 21) « Soluzioni solide e isomorfismo » (st.). — 22) « Formazione e scom- posizione di cristalli misti fra nitrati e nitriti alcalini (con D. MENEGHINI) » (st... — 23) « Sul peso molecolare dell’acqua sciolta in varî solventi (con M. AmADORI) » (st.). — 24) « Isomeria chimica e polimorfismo » (st.). — 25) « Soluzioni solide e colloidi » (st.). — 26) « Sulle soluzioni dello Jodio in alcuni idrocarburi ciclici (con M. AmapoRI) » (st.). — 27) « Formazione di soluzioni solide metalliche per diffusione allo stato solido. Nota 1% (con D. MENEGHINI) » (st.). — 28) « Formazione di soluzioni solide metalliche per diffusione allo stato solido. Nola 2* (con D. MENEGHINI) » (st.). — 29) « Sulla formazione di soluzioni solide fra sali alcalini per diffusione allo stato cristallino (con D. MENEGHINI) » (st.). — 30) « Sul calore di forma- zione delle soluzioni solide (con M. Amapori) » (st.). 2. PALLADINO PIETRO. — « I composti chimici nello spazio » (ms.). 3. PERATONER ALBERTO — 1) « Sulla costituzione degli acidi meco- nico, comenico e piromeconico » (st.). — 2) « Sopra un prodotto di conden- sazione dell'alcol acetolico » (st.). — 3) « Sulla tautomeria dell'acido piro- meconico » (st.). — 4) « Sulla trasformazione di derivati dell'acido meconico in ossipiridine (e LEONARDI) » (st.). — 5) « Sopra una pretesa ossima del- l'acido meconico » (e TAMBURELLO) » (st.). — 6) « Identità dell'acido laricico di Stenhause col maltolo » (st.). — 7) « Ricerche sull'ossipirone ed alcuni suoi derivati I » (st). — 8) « Sulla costituzione dell’acido comenico (e PALAZZO) » (st... — 9) « Sopra alcuni eteri alchilici dell'acido piromeconico (e SPAL- LINO) » (st... — 10) « Sulla costituzione dell'acido omicomenico (e CasTEL- LANA » (st... — 11) « Sulla costituzione del maltolo (e TAMBURELLO) » (st.). — 12) « Sopra alcuni pirideni dell’acido piromeconico e del maltolo » (st... — 13) « Eterificazione del piridone con diazoidrocarburi grassi (e Az- ZARELLO) » (st.).. — 14) « Ricerche sull’ossipirone e sopra alcuni suoi deri- vati » (st.). — 15) « Sull’acido isonitroso-dipiromeconico di Ost » (st.). — SS? 16) « Sull’acido piromecazonico di Ost (e TamBuRELI.O) » (st.). — 17)e Sul- l'acido ossi-piromecazonico di Ost» (st... — 18) « Sintesi di N-ossi-piri- doni (e TAMBURELLO) » (st.). — 19) « Idrazone dell'acido piromeconico e suoi derivati (e CarapELLO) » (st.), — 20) « Sulla struttura dell'acido hi- bromocomenico e sulla tantomeria dell'acido comenico (e D'AnGELO) » (st.). — 21) « Sintesi dell'acido piromeconico » (st.). 4. Prurri ARNALDO — 1) « Sul potere assorbente per l'aria di alcune varietà di carboni vegetali (e MaGL1) » (st... — 2) « L'Elio nell'aria di Napoli e nel Vesuvio » (st.). — 3) « L'Elio nei minerali recenti » (st.). — 4) « Sull'assorbimento dell’Elio nei sali e nei minerali » (st.). — 5) « La ricerca dell’Elio nell'atmosfera » (st.). — 6) « Ricerche sull’Elio » (st.). — 7) « Sulla radioattività dei prodotti della recente eruzione dell'Etna (e MAGLI) » (st.). — 8) « Sopra i derivati di amminofenoli con anidridi ed acidi bibasici » (st... — 9) « Sopra alcuni ammidati di acidi ftalici (e Apami)» (st.). — 10) « Sopra modificazioni diversamente colorate di alcuni composti chi- mici » (st... — 11) « Sopra alcuni derivati dell'acido 1. ©. amminosalici- lico » (st.). — 12) « Azione degli idrati ed alcoolati alcalini sopra immidi non sature » (st.). — 13) « La velocità di addizione del bromo agli acidi itaconico citraconico e meraconico (e CaLcaGnI) » (st.).. — 14) « Velocità di addizione del bromo alle immidi di alcuni acidi maleinammici sostituiti » (st.). — 15) « Derivati maleinici e fumarici di P. amminofenoli » (st.). — 16) « Comunicazioni dell'Istituto di Chimica Farmaceutica e Tossicologia della R. Università di Napoli diretto dal prof. Piutti » (st.). — 17) « Azione di acidi dicarbonici non saturi sui P.-ammiuofenoli » (st.). — 18) « Sulle cronoisomerie (e DE Conno) » (st.). « Sulla densità delle asparigine » (st.). — 19) « Infiuenza della temperatura e della concentrazione sul potere rota- torio delle soluzioni acquose ed alcuni asportati monoalcolici » (st.). — 20) « Sull’aria liquida » (st.), — 21) Sull’impiego dell'aria liquida nelle ana- lisi tossicologiche » (st.). — 22) « Sopra gli acidi delle Bzgonza Catalpa (e ComanpucciI » (st... — 23) « Sulla presenza del bismuto nelle piriti di Agordo (e HorFanI)» (st.). — 24) Sull’impiego del tetracloruro di carbonio nella ricerca delle materie coloranti proibite dalla Legge Sanitaria nelle paste alimentari (e BenTIvOGLIO) » (st). — 25) « Sul formaggio Molz- terno (e De' Conno) » (st... — 26) « Analisi chimica dell'acqua termomi- nerale Grego (e ComanpucoI)» (st... — 27) « Analisi dell’acqua minerale Apollo (e D'Emizio) » (st... — 28) « Analisi chimica dell’acqua minerale da tavola Rio d'Oliveto (e ComanpUCCI) » (st.). Elenco dei lavori presentati al concorso alla Fondazione Santoro (1911). 1. CanoveTTI Cosimo — 1) « Resoconto delle esperienze sulla resistenza dell’aria a Maggio Valsamina » (ms.). — 2) « Propulsori aerei e stato attuale dell'aviazione. Resoconto » (st.). SI (n 2. GORINI COSTANTINO — 1) « Studi sulla fabbricazione nazionale dei formaggi grana, ecc. » (st). — 2) «I fermenti selezionati e il trattamento igienico del latte nelle bacinelle contro lo smagrimento e l’inverdimento del Grana » (st... — 3) « Ricerche batteriologiche sui foraggi conservati nel silos » (st.). — 4) « Le polpe di barbiabietola fresche, conservate e secche in rapporto colla microflora e colla sanità del latte » (st.). — 5) « Ricerche sulla virulenza dei fermenti lattici contenuti nelle dejezioni delle vaccine » (st.) — 6) « Un saggio di penetrazione scientifica nel caseificio alpino » (st... — 7) « Ricerche sui cocachi acido-presamigeni del formaggio (micrococcus casei acido-proteolyticus I e II)» (st... — 8) « Il comporta- mento dei batterî acidopresamigeni (acidoproteolitici) del formaggio di fronte alle temperature basse in rapporto col loro intervento nella maturazione dei formaggi » (st.).. — 9) « L’istituzione agraria Ponti e i silò con fermenti selezionati » (st.).. — 10) « Per l'applicazione dei fermenti selezionati ai formaggi reggiani e svizzeri » (st.). PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci: PincHERLE, TARAMELLI; dei Corrispondenti: BeRLESE, Lustie, PascaL, SiLvestRI; e dei signori: De Toni, Rosin. Fa poi particolare menzione della pubblicazione della R. Accademia delle scienze di ‘Torino: Onoranze centenarie internazionali ad Amedeo Avo- gadro; dell'Allante della Finlandia, dono della Società geografica finlandese; e del grande A//ante di spettri tipici edito per cura della R. Accademia delle scienze di Vienna. Il Presidente BLASERNA fa omaggio. a nome dell'autore, di un interes- sante trattato del prof. Korn, trattato che riguarda la storia delle espe- rienze relative alla trasmissione delle immagini a distanza, e le recenti e pratiche applicazioni fatte dallo stesso Korn. Il Presidente presenta inoltre un volume, dandone notizia, degli Annales dell’Osservatorio d’astronomia fisica di Parigi, nel quale il Socio straniero H. DESLANDRES espone le ricerche da lui compiute sull’atmosfera solare. Il Socio PrrRoTTA offre due Memorie a stampa del prof. Lonco: Su le nespole senza noccioli e Sul Ficus Carica, e ne rileva l’importanza. E. M. CONCORSI A PREMI Millosevich (Segretario). Comunica gli elenchi dei lavori presentati per concorrere al premio Reale per la Chimica e alla Fondazione Santoro del 1911...) 0.0, Pag. PRESENTAZIONI DI LIBRI Maillosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate «dai Soci: Pincherle, Taramelli, Berlese, Lustig, Pascal, Silvestri, dai sigg. De Toni, e Kosen, dalla Società geografica finlandese e dalla R. Accademia di scienze di Vienna » Blaserna (Presidente). Fa omaggio di un’opera del prof. Korn sulla trasmissione telegrafica ORESTE IONI SCOTTO STO IONI e IR Pirotta. Offre due pubblicazioni del prof. Longo e ne parla. ././/././.... 0» 68 71 RENDICONTI — Gennaio 1912. i; PO Rage 4 Ò INDICE Classe di scioni@ ‘fisiche, matematiche e naturali Selludao ivi 7 gennaio 1912. MEMORIE A NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Levi- Civita. Salle onde di canale. . Hi + Pag Borzì e Catalano: Ricerche sulla morfologia.e i cerstimento dal stipite ih ‘Palme (Yin 4 Enriques. Sulle superficie algebriche con mn fascio di curve ellittiche . ... .......® 0» Lauricella. Sulla distribuzione della massa nell'interno dei pianeti . . . . + LIA Td. Sulla risoluzione delle equazioni integro-diferenziali SER dei corpi casio iso- tropi per dati spostamenti in superfiele (*) . . ni E SER TSI 2.0 Viola. La legge di Hauy nei cristalli solidi, fluenti e Hani O. ie SA SIANO Abraham. Sulla teoria della gravitazione (pres. dal Socio Levi-Cinti) i O LO Levi. Sulle condizioni sufficienti per il minimo nel calcolo delle variazioni (Gli integrali sotto forma parametrica) (pres. dal Socio Bianchi). iL. Sie e RI Stgnorini. Sul teorema di OWnitta come URI 8 Di | Amaduzzi. Masse luminose del Righi in scariche alice. con differenza di potere alter- > nativa (pres. dal Socio Righi) . e . + N, DERE Ageno e Valla. Idrolisi di sali dei metalli bi- e zia us fi a Nasini) 0. » 41 Id. Sulla ripartizione della soda fra. acido borico e acido carbonico (pres. /d.) (*) » » Puseddu. Sulla costituzione del diisoeugenolo (pres. dal Corrisp. Peratoner). E n» 42 Scandola. Sui chetoni derivati dall’isomiristicina (pres. dal Socio Ciamician) » 47 Lovisato. Anfiboli di Monte Plebi presso Terranova Pausania (Sardegna) (pres. dal Socio Struever) (€) . I A) Pi Taricco. Contributo allo ‘end del Casa della Li di du sui Parona) (*)n » Bruschi. Su la formazione del glicogeno nella cellula di lievito (pres. dal Socio Porotta) » » ‘ Lumia. Siderazione o Biocoltità? (pres.- 24.) (9)... . 0.0.0. 60 RELAZIONI DI COMMISSIONI Ciamician (relatore) e Masini. Relazione sulla Memoria del prof. G. Brunt, intitolata: Ri- cerche teoriche e sperimentali sulle EolziIonIEso de OI 61 PERSONALE ACCADEMICO Viola: Commemorazione del Sotio nazionale prof. G. Spezia . . . BI e o N) Blaserna (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio straniero sot: Dalton Hooker e commemora: brevemente l’estinto &... . . : SCE Ie ATEI IVa A 7 Id. Comunica i ringraziamenti del Corrisp. dii per i a inviategli a nome dell’Accademia, in seguito alla sîaà nomina a Contrammiraglio . . . +... ®_® Segue in terza pagina. ll mt. . 9 Lem ———————P——— (*) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 21 gennaio 1912. N, 2. A hl; ch I a ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CGOCCIX. iz Sv rEoERiBito QUINTA | RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 gennaio 192. Volume XXI. — Fascicolo 2° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1912 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Coi 892 si è iniziata la Serie quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : I. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano ve- gularmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ue assumono la responsabilità, sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, cha vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II I. Le Note che oltrepassino i limiti indi= cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro= priamente dette, sono senz'altro inserite neì Volumi accademici se provengono da Soci «, dla Corrispondenti. Per le Memorie presentati: da estranei, la Presidenza nomina ang Gom missione la quale esamina il lavoro e ne rife risce in una prossima tornata della Classe. 2. Ta relazione conclude con nna delle se guenti risolnzioni. - 2) Con: una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desideric di far conoscere taluni fatti o ragionamentì contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell? Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre: cedente, la relazione è letta in seduta pubblies, nell’ ultimo in seduta. segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si a. verte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli an- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50. ar estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli antori. hKENDICONTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. RARCCAEZRRA Seduta del 21 gennaio 1912. F. D' Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Botanica. — Aicerche sulla morfologia e sull’accrescimento dello stipite delle Palme. Nota preventiva del Socio A. Borzì e del dott. G. CATALANO. Che lo stipite delle Palme sia suscettivo di crescere in ispessore è stato accertato fin dalla prima metà del secolo scorso dal Mohl mediante misure dirette; ma egli non ci dà alcuna notizia certa sul modo come l’ispessimento sì verifichi. Al De Bary per il primo si deve la spiegazione dell'aumento diame- trale degli stipiti delle Palme, ammettendo un semplice aumento di volume dei singoli costituenti istologici primarii e degli spazi intercellulari; spie- gazione giunta fino a noi pressochè immutata e confermata nei lavori del- l’Eichler, dello Strassburger, del Petersen, del Potoniég, del Mòller, del Kraus, del Barsikow. Recentemente lo Zodda ha messo in rilievo la parte che ha in certe Palme nel processo d'ispessimento diametrale la segmentazione in massa del parenchima fondamentale; e lo Strassburger quella della formazione delle radici avventizie nelle specie di Washingtonia con la presenza dei relativi focolari neoformativi; ed infine anche il Baccarini ha lumeggiato molto la questione, meglio acclarando e particolareggiando i fatti. Una grave lacuna rimane tuttavia aperta, mancando, allo stato attuale delle nostre conoscenze, una prova diretta, epperò sicura, circa il comporta- RenpicontI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 10 MO Ti mento degli stipiti nelle loro varie fasi di sviluppo, relativamente alle loro dimensioni diametrali; ed un’altra lacuna esiste inoltre nel fatto che tutt'ora manca una analisi lucida del meccanismo onde agiscono le vere cause del- l'accrescimento. Già uno di noi (Borzì) aveva fin dal 1894 pensato di colmare tali la- cune, istituendo a tal uopo una serie di misure della circonferenza di due esemplari di Washingtonia filifera, crescenti nel Giardino botanico di Pa- lermo, a differenti altezze, anno per anno, alla stessa epoca. Cosicchè oggidì, dopo circa 19 anni, siamo in possesso di una serie pre- ziosa di dati, che saranno riferiti nel lavoro 7 extenso, ma che ci permet- tono di comunicarne fin d’ora i risultati di non lieve importanza, perchè, oltre a risolvere in modo definitivo l'antica questione dell’accrescimengo dia- metrale del fusto delle Palme, sono ricchi di conseguenze sulla morfologia generale del corpo di queste piante. Le presenti ricerche sono state rivolte su due tipi di stipiti, dei quali l'uno, di cui ci porge esempio appunto la Washingtonia filifera, comprende gli ordinarii stipiti eretti e cilindrici che abbiamo chiamato, avuto riguardo al loro modo di accrescimento eguale in tutte le direzioni rispetto all'asse longitudinale, col nome di stipiti ad accrescimento eguale simmetrico. Ac- canto ad essi però vi è un altro tipo che comprende i pochi singolari casì di stipiti in forma di rizomi, ma crescenti fnori del suolo in direzione più o meno obliqua e dotati di un accrescimento unilaterale, i quali perciò ab- biamo designato coll’espressione di stipiti ad accrescimento unilaterale, astim- metrico. I. Stipiti ad accrescimento eguale simmetrico. In una sezione trasversale dello stipite di una Palma adulta, ad es. di Washingtonia filifera, troviamo un numero di elementi istologici (cellule del parenchima fondamentale ed elementi vascolari) di gran lunga superiore a quello che si trova in una sezione corrispondente dello stipite giovane. Questo fatto basta da solo a dimostrare come sia per lo meno insufficiente la causa dell'aumento di volume dei singoli elementi istologici e degli spazii intercellulari invocata da quasi tutti gli autori a spiegare il fenomeno del- l'incremento diametrale. Infatti, se questa causa valesse da sola, dovremmo trovare nella sezione trasversale di uno stipite adulto delle cellule gigan- tesche, in proporzione alla dimensione diametrale della corrispondente se- zione di uno stipite giovane, cosa che qualunque elementare osservazione destituisce di ogni realtà. E poichè le Palme non hanno meristemi capaci di attività neoformativa alla maniera del cambio delle Dicotiledoni, resta @ spiegarsi da dove provengano e come si aggiungano ai preesistenti i nuovi costituenti istologici. Sue o e Come ha osservato il Baccarini, l’intero meccanismo dell’accrescimento diametrale degli stipiti dipende anzitutto dalla particolare « orientazione » che vengono a prendere i tessuti generati dal cono di vegetazione rispetto all'asse longitudinale e da un successivo processo di spostamento verso il basso dei tessuti già formati. Per i tratti inferiori degli stipiti ha pure qualche importanza nell’accre- scimento la formazione delle radici avventizie, come vuole lo Strassburger. Fig. 1. — Spaccato longitudinale semischematico di una Washingtonia filifera di 4-5 anni d’età. (Tipo ad accrescimento eguale simmetrico). — S, stipite precedentemente for- mate; VV, nuove porzioni di stipite derivanti dalle basi fogliari (corteccia degli Au- tori); la linea di separazione tra le antiche formazioni e le nuove corrisponde al periciclo dello Strassburger o « zona limite » dello Zodda. /, internodii; (€, cicatrici fooliari vecchie; &, radici; A, cono di vegetazione; 1, 2, 3, 4,... foglie attive. Volendo ora analizzare in particolare la maniera onde agiscono le sud- dette cause, converrà rivolgere la nostra attenzione ai gruppi di tessuti che vengono mano mano prodotti dal cono di vegetazione, poichè a quest'ultimo risale sempre l'origine prima di ogni fattore dell’accrescimento. Esaminiamo perciò lo stipite di una giovane Palma, ad es. di una Wa- shingtonia filifera, di 5 o 6 anni di età. Liberatolo da tutte le foglie fin nella loro inserzione, esso presenta la forma grossolana di due coni uniti per la base, la quale corrisponde al diametro massimo dello stipite; quello inferiore, in posizione capovolta, si approfonda nel suolo ed è coperto dalle radici, tanto più giovani quanto più vicine all'orlo della base massima; mentre quello superiore, in posizione normale, sporge fuori del suolo, portando le foglie sulla sua superficie (ved. fig. 1). Però, mentre il cono inferiore è regolarmente sviluppato nel senso del- l'altezza, quello superiore è invece assai schiacciato, non avendo che una altezza limitatissima in confronto al diametro della base comune col primo. ge Codesto rapidissimo sviluppo del diametro trasversale a qualche mil- limetro sotto il brere cono di vegetazione, dipende dalla già accennata parti- colare orientazione dei tessuti generati dall'apice, orientazione, cioè, lungo una direzione assai obbliqua rispetto all'asse verticale, che è quella appunto delle generatrici del cono superiore. Come è noto, i tessuti originati all’apice consistono negli abbozzi fo- gliari, i quali trovano la loro inserzione in una superficie, che, piccola dap- prima, si estende in seguito in una vasta area circolare che giunge ad ab- bracciare l’intero contorno del corpo. Col successivo prodursi di nuove foglie, le preesistenti vengono spinte gradatamente lungo le generatrici del cono a partire dal centro comune che è l'apice di vegetazione; di guisa che le più vecchie cicatrici fogliari oltre- passano l'orlo della base massima e scendono in giù lungo i fianchi del cono inferiore, dove si ritrovano già vecchie, ricoperte dalle più giovani radici. Ma perchè ciò avvenga, bisogna necessariamente ammettere che i tessuti sottostanti alla inserzione della guaina fogliare e la guaina fogliare stessa, fino a un certo punto, siano in grado di assumere successivamente una posi- zione via via più lontana dal centro, dove furono originariamente prodotti, il che non può avverarsi se non in seguito ad una attività dei tessuti delle basi fogliari stesse, persistente oltre il cono di vegetazione e il cui risultato sia la costruzione di materiali, cioè di plessi di tessuti, necessari a tenere occupata una zona circolare più vasta. È facile quindi capire come avvenga l'accrescimento diametrale dello stipite. Arrivando successivamente sempre nuovi tessuti appartenenti alle basi fogliari via via, più recenti all'orlo periferico della base massima dei due coni sovrapposti, si ha una progressiva aggiunta di plessi istologici, che poichè si verifica omogeneamente in ogni direzione laterale, ha per risultato la dilatazione dello stipite nella direzione concentrica. Evidentemente dunque dipende dal numero e dalla grandezza delle foglie attive presenti in un dato momento della vita della pianta il valore assoluto del diametro in quello stesso momento; tal numero e tal grandezza essendo, come è noto, limitati, nella prima età della pianta si ha, in questa stessa età, un valore assoluto del diametro corrispondentemente piccolo. Au- mentando mano mano con l’età il numero e le dimensioni delle foglie attive, aumenta pure in proporzione il valore del diametro. Ma questo aumento non è indefinito. È noto a tutti che il numero delle foglie che costituiscono il ciuffo terminale di una Palma adulta in condizioni normali di vegetazione si mantiene pressochè costante fino alla fine della sua vita. Seguendo il principio su esposto, questo fatto dimostrerebbe che il diametro del fusto della Palma, a partire da una certa età, si debba mante- nere costante, e lo stipite cioè debba avere una forma cilindrica. Sa 0077 n Ora uno dei risultati più notevoli dei dati raccolti sul diametro delle specie di Washzugtonia, cui abbiamo accennato nella introduzione, è senza dubbio quello che ci permette di confermare con la prova diretta il suddetto principio e di stabilire ciò che può chiamarsi la dimensione diametrale specifica, ossia la dimensione diametrale definitiva dello stipite, il cui valore oscilla, secondo le condizioni di paese e di cultura, intorno ad una media costante. Infatti, le misure istituite sui nostri due esemplari, di Vashingionia filifera, hanno dato dal 1906 per l'uno, e dal 1907 per l’altro fino ad oggi (*), valori costanti del diametro, dall’altezza di m. 2,50 dal suolo in su; il che significa che da sei anni circa, gli stipiti si sono arrestati nel loro sviluppo diametrale, presentando una forma esattamente cilindrica da quell'altezza in su e conica solamente verso la base per effetto della forma- zione delle radici avventizie. Il valore del diametro della porzione cilindrica è di m. 0,76 nell’uno, e di m. 0,77 nell'altro; cifre che forse rappresentano dei massimi di valore specifico, date le eccellenti condizioni di sviluppo e di cultura di cui godono i nostri esemplari in questo Giardino botanico. Lo esame di altri esemplari della medesima specie e della stessa età colti- vati in varî giardini di Palermo, conferma la esattezza di tale cifra. L'osservazione di tanti anni poi, intorno alle vicende della crescita dello stipite di parecchi esemplari di altre specie di Palme, coltivati all'aperto sotto il clima di Palermo, ci permette di stabilire la dimensione diametrale delle dette specie nelle seguenti cifre, che rappresentano le medie di nume- rose accurate misure: Archontophoenix Cunningamii Wendl. . . Diametro cm. 20 Chamaedorea elatior Mart. ue: PSE ’ naz Olamaesropsthumilistb i... SU ” agi9 CocosnifieauosagiMait. tn I Rn ’ » 832 ». komanzofiana Cham... . ...°. ” »_ 25 Livistona australis Mart. . .... . ’ » 35 Phoenix dactylifera Li qs. ” » 50 ” cononiensisaHortafton o Rn ” “zi ” andai o Ba ’ » 20 Saba liprincepsWHoxt end Me ’ » 4l N blackbunnionoiClazi,...- do ” » 30 alri olo death PE ’ » 383 (*) Si tratta di due esemplari quasi eguali e piantati alla stessa epoca (1876). ((——=_____n_——oo e -e=e=«iciîiii {n II. Stipiti ed accrescimento unilaterale asimmetrico. Come si è detto, dei due tipi nei quali, avuto riguardo al modo di accrescimento dello stipite, abbiamo diviso le Palme, il secondo comprende quelle poche specie nelle quali la massa caulinare prende l’apparenza di un rizoma sporgente dal suolo in direzione più o meno obbliqua. Questa forma, descritta per la prima volta dal Martius per la Sabal mexicana, corrisponde ad una varietà di uno dei cinque tipi descritti dal Mohl, sotto il nome di « Palme acauli », nella quale varietà la sporgenza del rizoma viene vaga- mente attribuita alla spinta delle radici che da esso ne dipartono. Sfortu- natamente, non avendo avuto l'Autore alcun esemplare delle Palme in aue- stione non si hanno da lui ulteriori delucidazioni sulla morfologia di queste singolari piante. Al Karsten si debbono veramente dei raggnagli di qualche importanza sull’argomento, giacchè egli in due lavori successivi descrive siffatte forme di stipiti nella X/opstockia cerifera, nella Sabal minor (S. Adansonit) è nei generi Dyplotemium. Trithrinax ed Acroconium, e rappresenta uno stadio giovanile dello stipite a forma eretta e cilindrica, il quale è suscettivo di persistere lungamente in modo che la medesima specie assume due diffe- renti fisonomie e può ricevere due nomi diversi secondo che venga considerata nell’uno o nell'altro stadio. Lo stesso troviamo indicato nelle « Pflanzenfa- milien » dell’Engler e Prantl, dove accanto alla forma adulta normale di un Ceratoxilon è rappresentata la forma giovanile a rizoma della stessa specie. Limitandoci per ora al caso della Sabal Adansonit Gurn. che è certo uno degli esempî più tipici, vediamo come se ne costituisce lo stipite. Il rizoma sporgente ha la forma di un semicono, leggermente incavato a doccia nella faccia interna. Tutta la superficie è coperta dalle aree d’in- serzione delle antiche foglie, e poichè si tratta di foglie ampiamente guai- nanti, tali aree d’inserzione o cicatrici fogliari sono dei semianelli che sì completano sul lato interno. Nel loro spessore si vedono decorrere i fasci, in direzione che va dall'alto, dove trovano innesto nei fasci radicali, verso il basso. Con questi anelli alternano tratti di rizomi nudi, dai quali partono, in numero di tre o più gli assi radicali quasi allo stesso livello. Cosicchè l'intero organo pare formato da tanti articoli via via più grandi procedendo verso il basso, data la forma conica dell'organo, e le relative superficii di inserzione fogliare appartengono alle foglie via via più recenti. L'estremità inferiore, ingrossata e arrotondata, cioè la base del semicono, è involta dalle guaine di queste ultime foglie, le quali, girandola, guadagnano le ultime su- perficii d'inserzione. Le più esterne sono però stracciate e disseccate. L'intero rizoma fa, rispetto al resto della pianta che si solleva verti- calmente da terra, un angolo che varia, secondo i soggetti, da un massimo di 45° ad un minimo di pochi gradi, giungendo perfino al quasi perfetto parallellismo con la parte aerea. (V. fig. 2). È facile comprendere a questo punto che noi avremmo ricostituito la forma solita degli stipiti cilindrici ed eretti ove immaginassimo di piegare il rizoma facendolo girare attorno alla estremità ingrossata ed arrotondata che sta sotto terra fino a portarlo sul prolungamento inferiore dell’asse della Fi. 2. — Spaccato longitudinale semischematico di una Sadal Adansonii, di 4-5 anni d’età. (Tipo ad accrescimento unilaterale, asimetrico). I numeri progressivi indicano le porzioni di stipite via via più recenti; i numeri 12, 18, 14,... indicano le foglie attive. Lo sviluppo degli internodii (/) è stato, per ciascuna foglia, massimo sotto la superficie d’inserzione (S. #). di destra, minimo sotto quella (87. è) di sinistra. Le altre lettere come nella fig. 1. parte aerea. Infatti le radici verrebbero a trovarsi nella posizione normale ed i fasci decorrerebbero normalmente dal basso verso l’alto, e l'estremità ingrossata ed arrotondata corrisponderebbe alla massima dimensione diame- trale (base dei due coni sovrapposti) che abbiamo descritta nel tipo della Washingtonia filifera. Ma non è altrettanto facile stabilire le cause che hanno determinato siffatto piegamento dello stipite per un angolo di quasi 180°, fenomeno che sembrerebbe quasi un’anomalia se la sua generalità e relativa diffusione non stessero a provarci il contrario. Le nostre ricerche in proposito hanno dato una spiegazione del fenomeno fondata sulla considerazione degli ordinarî processi di accrescimento che già abbiamo esposto nella prima parte del presente lavoro. ne f— yu ni nio) Abbiamo stabilito infatti come la persistente attività dei tessuti sotto- stanti alla superficie d'inserzione delle bozze fogliari sia la causa ultima della produzione di porzioni di stipiti via via più estese; però procedendo codesta attività omogeneamente in ogni punto si aveva la costituzione di un corpo assile cilindrico, regolare, dalla cui superficie venivano ad emergere le foglie, disposte secondo l'ordine fillotassico proprio della specie. Ora nella Sabal Adansonti l'attività del tessuto sottostante alla super- ficie d'inserzione fogliare non interessa tutta quanta la zona d’inserzione stessa, ma è quasi nulla in metà di questa zona, cioè sotto una semicircofe- renza, che ha costante orientazione rispetto all'asse verticale. Ne deriva l’annullameuto o quasi di una metà longitudinale di stipite o in altri termini la crescita unilaterale dell'organo. Il cono di vegetazione, che nei tipi normali viene spinto sempre più in alto, qui rimane sempre nella sua posizione originaria; le più antiche inser- zioni fogliari, invece di trovarsi sottostanti alle più recenti, si trovano sopra a queste; ciò perchè le aggiunte delle nuove porzioni di stipiti, pur verifi- candosi, come sempre, in direzione basifuga, subiscono, per effetto della man- cata formazione dell'altra porzione, una vera rotazione di circa 180°, spin- gendo così in su le porzioni di stipiti preesistenti. La metà di guaina fogliare, sotto la cui inserzione avviene appunto la produzione del plesso caulinare segue fin che può codesta rotazione della rispettiva superficie d’inserzione semicircolare; poi, girato l'angolo, sì straccia e cade via sfogliandosi. Senza spendere altre parole in descrizioni, rimandiamo il lettore alla ispezione della figura schematica, che meglio acclarerà i fatti. Venendo ora alla sintesi del nostro lavoro, ci preme essenzialmente di far rilevare il fatto, già dimostrato, che la produzione dello stipite dipende dall'attività dei tessuti sottostanti alle basi fogliari, il che ci dà ragione di seguire il concetto Delpiniano, considerando tali tessuti come di natura fillo- podiale. Ed infatti, da quanto si è detto sin qui e meglio ancora dall'esame delle nostre figure semischematiche, risulta che le muove porzioni di stipiti, che, aggiungendosi alle preesistenti determinano l'accrescimento del fusto di queste piante, si identificano con i plessi di tessuti sottostanti alle basi fogliari, e che quindi nulla giustifica il comune concetto del fusto quale entità morfo- logica distinta, sia per la continuità istologica, che v'è tra foglie ed inter- nodî e sia per quanto le osservazioni organogenetiche dimostrano, come sarà meglio esposto nel lavoro 7 extenso. Appena compiutamente abbozzata la lamina fogliare e il picciolo, l'attività di queste basi continua ancora per qualche tempo verso il basso per una durata ed estensione longitudinale e per una larghezza che variano secondo le specie. Da ciò dipende la svariata fisonomia esteriore che prende lo stipite delle Palme. Ad una attività limi- SSR tata nel senso del contorno circolare devonsi gli stipiti sottili canniformi di Chamaedorea, Geonoma, Bactris, Hyospathe, ecc., come ad una attività preponderante nel senso longitudinale si devono quelli ampiamente articolati dei Cocos, delle Archontophoenix, delle Howeae, dei Calamus, ecc. Il caso singolare della Saba/ Adansonii che abbiamo testè illustrato, costituisce, a parer nostro, la riprova sperimentale del principio anzidetto, già intravisto per la prima volta dal nostro insigne Delpino, in quanto che con meravigliosa evidenza risalta la origine del rizoma di questa Palma e di simili formazioni in altre specie, origine riferibile a quella di un vero simpodio, di cui le articolazioni sono manifestamente di natura fogliare e precisamente vanno attribuite ad incremento seguito da concrescenza delle basi degli organi di cui è parola. Codesta dimostrazione porge elementi sicuri per la interpretazione del caso comune e normale degli stipiti cilindrici a sviluppo simmetrico; ci sembra quindi di potere affermare che le Palme, queste grandi colonie di foglie, di cui Linneo mirabilmente intuì la natura, definendole: « Mira est singularis ... familia, quae, si ipsam planctam spectes, nec arbor, nec frutex, nec suffrutex, nec herba est» siano l'esempio più bello ed evidente che possa portarsi alla teorica delpiniana del fillopodio. Matematica. — Sopra una involuzione non razionale dello spazio. Nota del Corrisp. FepERICO ENRIQUES. 1. Un noto teorema del sig Lilroth dice che « e involuzioni sopra la retta sono razionali ». Il sig. Castelnuovo ha esteso questo teorema al caso di due variabili, dimostrando la « razionalità delle involuzioni piane ». Si è cercato lungamente di fornire una dimostrazione generale del teo- tema, applicabile al caso di x > 2 variabili; ma i tentativi fatti sono riu- sciti infruttuosi. In questa Nota risolvo negativamente la questione costruendo una invo- luzione non razionale nello spazio a 3 dimensioni. Risulta dunque che: Essendo data un'equazione algebrica (Gago) —10) con n>3, e supposto che l'equazione stessa sia risolubile per mezzo di funzioni razionali non invertibili di n—1 variabili: \ DA ni Pi(%, DOO Un) 4 ° 0 CI | GEMONA) non è possibile in generale ottenere una nuova risoluzione della f=0 per mezzo di funzioni razionali invertibili. RenDICONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 1l se 99, L'esempio che fornisce la prova dell'affermazione precedente mi è porto dalla nota varietà V, del 6° ordine di S;, intersezione di due varietà degli ordini 2, 3. Già il sig. Fano (!), mediante un'analisi profonda, ha provato che co- desta varietà (immagine del complesso cubico di rette) è in generale row razionale. To dimostro qui che essa può essere rappresentata sopra una in- voluzione dello spazio Ss. 2. Consideriamo la varietà Vs, a 3 dimensioni, dello spazio Ss, inter- sezione di una quadrica Q e di una varietà cubica. Ci sono sopra Vs due sistemi co di linee piane, cubiche, C, sezioni dei piani appartenenti a @, i quali formano appunto due sistemi X, 3°. Consideriamo le C segate dei piani di X. Le C di questo sistema pas- santi per un punto A_ di Vy costituiscono una serie razionale, che viene razionalmente rappresentata sopra una retta, senza aggiunta di irrazionalità dipendenti dal punto A, come si vede mercè la rappresentazione kleineiana di V, nello spazio rigato, dove ai piani di 2 corrispondono i punti di questo spazio. Ora sopra ogni C per A sì può determinare razionalmente vr punto, cioè il tangenziale di A; al variare di C questo punto descrive una curva razionale, K, passante per A con una certa molteplicità, che si trova facil- mente essere 4. Ripetiamo la costruzione a partire da un punto À variabile su V, e avremo infinite curve razionali K generanti una superficie razio- nale F. Ripetiamo ancora la costruzione facendo variare A su F, ed otter- remo co? curve razionali K che invaderanno tutta la varietà Vs. Queste K si possono riferire birazionalmente alle rette di una stella data in Ss. Per tal modo ad ogni punto di S, corrisponderà un punto di Vs, ma Viceversa ad un punto di Vs, corrisponderanno più punti di S;, e i gruppi di punti analoghi (al variare del punto corrispondente su Vs) genereranno in Ss una involuzione. Dunque la varietà Vs sì può rappresentare sopra una involuzione di S3, la quale risulta non razionale. cMdidi 3. Come è stato notato dal sig. Noether (e successivamente da me) la varietà cubica generale Vs di Sy si può rappresentare sopra una involuzione di coppie di punti in S3. Il teorema sopra stabilito rende assai probabile che la Vs non sia razionale. À questa convinzione io sono giunto da qualche anno per mezzo di un procedimento che aspetta ancora di essere rigorosa- mente dimostrato, e che si basa sulle considerazioni seguenti : 1) Se la Vs è razionale esiste una sua rappresentazione su Ss che non degenera quando la Vs acquista un punto doppio. (*) Sopra alcune varietà algebriche a tre dimensioni aventi tutti i generi nulli. Atti Accad, di Torino, 1908. CR 23) 2) In tale ipotesi il sistema delle superficie cubiche di Sz passanti per una sestica di genere 4, si può considerare come limite di un sistema lineare d'ordine x > 3, rappresentativo della V3 generale, e quindi esiste una super- ficie (riducibile o irriducibile) d'ordine x — 3, che sommata alle cubiche suddette, dà luogo a superficie (connesse) di genere 0. Il che è impossibile. Chimica. — Interessante decomposizione di alcune ossime. Nota del Socio A. ANGELI. Recentemente, nell'eseguire una determinazione di azoto sopra l’ossima del benzofenone, già nota da lungo tempo e che preparammo allo scopo di identificare questo chetone, ho osservato che quando il calore si avvicina a quella parte del tubo dove l’ossido di rame è mescolato alla sostanza, questa d'un tratto si decompone con improvviso sviluppo gassoso. In sulle prime ho creduto che la determinazione fosse andata perduta, ma invece i numeri tro- vati corrisposero esattamente a quelli richiesti dalla teoria. Ho voluto perciò esaminare come si comportasse la sostanza da sola, al riscaldamento, ed ho potuto accertare che anche in tubo da saggio, verso la temperatura di 180°, essa si decompone nello stesso modo. Il gas che si sviluppa è azoto; nello stesso tempo si forma ammoniaca e rimane indietro benzofenone puro. Senza dubbio la reazione si potrà rap- presentare per mezzo dell'eguaglianza: Ce N Que Cs Hi C:NOH = CA@ CO + NH ed il residuo NH si scinderà successivamente in azoto ed ammoniaca: 3NH=N,+ NH;. Si comprende subito che la trasposizione di Beckmann delle ossime è in stretto rapporto con la nuova trasformazione: La sola differenza risiede nel fatto che il residuo NH invece di stac- carsi dalla molecola, va a porsi fra il carbonile ed un residuo benzolico; in tutti e due però ricompare il carbonile primitivo. eci "o —=-:_e== > | NEVE E da notarsi che la nuova trasformazione presenta pure una certa ana- logia con la decomposizione che subiscono spontaneamente alcuni acidi ni- tronici e che venne scoperta da Nef: 2NOH = N,0 + H,0 e come si sa anche gli acidi nitronici possono, a loro volta, venire isomeriz- zati ad acidi idrossammici, senza dubbio in seguito ad una reazione perfet- tamente simile a quella che si compie nella trasposizione di Beckmann. Accennerò infine che ultimamente F. D. Chattaway, Ch. L. Cumming e B. H. Wilsdon (‘) hanno descritta una decomposizione della ftalilidrazide, che si compie del pari per mezzo del calore: CO SUC 3 | PANE =9 | OSL Lolli + N: + NH; CsHy CoHy e che, senza dubbio, è da intendersi nello stesso modo di quella presentata dalla benzofenonossima. Ciò stabilisce una nuova rassomiglianza di comportamento fra derivati dell’idrossilammina e dell’ idrazina. Sopra altre scissioni analoghe riferirò in altra Comunicazione. Cristallografia. — Za legge di Houy nei cristalli solidi, fluenti e liquidi. Nota del Corrispondente 0. VroLa. Non è raro che la legge di Hauy dei cristalli è data sotto l’espressione di legge degli indici razionali, senza calcolare che una tale espressione non ha senso, se essa non è connessa col grado di probabilità delle faccie. Il Panebianco (?) ben a ragione rileva che la legge di Hauy ha assunto una trasformazione così fallace, persino in libri di cristallografia ottimi per varî aspetti; e come esempio egli riporta opportunamente il caso che le faccie di un dodecaedro pentagonale regolare possono assumere indici razionali, quando l'errore piccolissimo degli angoli cada nel limite degli errori di osservazione. Innumerevoli di simili esempî potrebbero essere riferiti. (1) Chemiker Zeitung (1911). pag. 864 (dai Rendiconti della Chemical Society). (*) R. Panebianco, L'isogonismo. Rivista di mineralogia e cristallografia italiana, voll SI 1, 3 1001, i ie Recentemente la legge di Hauy ha assunto una precisa espressione nella legge delle complicazioni (!), le quali sono tanto più probabili, quanto più esse sono semplici. Del resto la legge dei numeri piccoli, in cui la legge di Hauy viene così tradotta, non è solo una legge cristallografica, ma è legge generale che si ripete in una grande serie di fenomeni naturali, come la legge dei numeri grandi di Poisson, tanto nella fisica quanto nella chimica. Questa legge di Poisson si osserva infatti nelle faccie vicinali dei cristalli, le quali hanno indici grandi ed appariscono con frequenza in tutti i cristalli con sviluppo notevole. Benchè la legge di Hauy sia una legge sperimentale, tuttavia essa non può essere dimostrata direttamente con l’esperienza. Con la teoria della strut- tura omogenea Bravais, e già prima di lui Hauy, svilupparono le condizioni, a cui le faccie fondamentali devono soddisfare, e così ancora diedero il primo impulso alla legge delle complicazioni, che però ha preso recentemente una forma diversa. I Non pochi cristallografi si infatuarono nella teoria della struttura, come Inezzo per rendersi ragione della figura dei cristalli, e credettero come cre- dono ancora che con ciò sia tutto risolto (*). Fra questi va annoverato anche il Becke (*), il quale anzi trova che la teoria della struttura è lo spediente didattico eccellente per dimostrare ciò che con la teoria della struttura non è dimostrabile; senza nemmeno badare che con la teoria della struttura non si spiega altro che lo stato omogeneo e anisotropo della sostanza cristalliz- zata. Essi trascurano un fattore importantissimo, che si risolve nella tensione superficiale, come ben a ragione ha dimostrato 0. Lehmann (4), nei suoi numerosi scritti; questa tensione superficiale può avere un'azione energica sulla figura di alcuni cristalli, e senza che la legge di Hauy manchi del suo vigore. Anzi i sostenitori della teoria della struttura omogenea cristallina tro- vano manchevoli le argomentazioni del Lehmann, che un cristallo possa avere forma sferica e possedere struttura regolare, quasi ciò manchi ai molti cri- (*) V. Goldschmidt. Veder Entwickelung der Kristallformen. Zeits. f. Krystall. 1897, I Theil., XXVIII Bd. 1; II Thl. XXVIII Bd. 414; E.v. Fedorow, Bertrige cur Zonalen Krystallogr. Zeitsch. f. Krystall., 1902, XXXV, 25; H. Baumbhauer, Veber den Ursprung und die gegenseitigen Beziehungen der Krystallformen, Freiburg, 1901; Id., Geometrische Kristallographie. Fortschritte der Mineralogie, Kristallographie und Petrographie, 1 NOME (°) C. Viola, Veber das Grundgesetz der Kristalle. Centralblatt fir Miner. Geol. etc. Stuttgart, 1905, 225. (®) Fr. Becke, 7'schermal's Min. u. petrogr. Mitt, Wien, 1904, 23.462; Ar. Schwantke, Centralblatt fir Min. geol. etc., Stuttgart, 1905, 559. (*) Fra le numerose pubblicazioni di 0. Lehmann vedi: Die Gestaltungskrafît fliessender Kristalle. Physikalische Zeitschr., annata 72, n. 21, pp. 722 e 789. 9 ei — stalli plastici, quali il gesso, il nitrato di ammonio, il ioduro d'argento, il talco, la calcite ecc., che ci appariscono spesso in bellissime figure con faccie ricurve e con omogeneità perfetta, che i fenomeni ottici rivelano. Io entro così nel problema prefissomi, se e come la legge di Hauy è applicabile a tutti i cristalli indistintamente, solidi, fluenti e liquidi (*). Come per un liquido, si deve ammettere anche per un solido in con- tatto con un mezzo liquido, che le molecole vicine alla superficie di contatto, la cui sfera d'azione è tagliata da questa //, fig. 1, in due parti C, e Ca, sono sottoposte a una forza normale proveniente dall’attrazione delle mole- cole del solido, situate nella callotta Ci della sfera, e da quella delle molecole del liquido, situate nella callotta eguale ed opposta C,, della sfera di azione. La risultante di queste due attrazioni può essere rivolta, ora verso l'interno del solido, ora verso l’esterno, ora essere nulla; nel primo caso avvenendo crescenza del solido, nel secondo decrescenza, e nel terzo caso equilibrio fra solido e liquido. L'accrescimento del cristallo a spese del liquido in una direzione, la quale è normale alla superficie, sarà naturalmente funzione di detta risul- tante normale, e come prima approssimazione si può anzi supporre che l’in- cremento in una unità di tempo sia proporzionale alla forza (©) Ma oltre la forza normale che attira le molecole della superficie, e che può essere positiva, negativa e nulla, esiste una forza tangenziale, la ten- sione superficiale, la quale tende a tenere unita la superficie stessa. Questa ultima non è mai nulla, finchè esiste contatto discontinuo fra due fasi, so- lido e liquido, solido e gas, liquido e liquido, liquido e gas. La tensione superficiale, che si misura, come è noto, per unità lineare, cade nel piano tangente della superficie, e porta perciò su una superficie piana mai feno- meno di inflessione, ma sempre accorciamento o dilatazione. (1) Fra solido e liquido Lehmann fa una stridente differenza. In quello vi è sempre una resistenza interna tangenziale, in questo essa è nulla. I cristalli fluenti sono molli, aventi una grande plasticità, e quindi una piccolissima resistenza interna tangenziale; essi appartengono dunque alla classe dei cristalli solidi. (€) C. Viola, op. cit. Le fer Se la superficie di contatto fra due stati eterogenei è curva o piegata, la tensione superficiale genera una pressione, che diremo pressione esterna, la quale può avere per effetto una deformazione della superficie stessa o vincere forze esterne o di massa, a cui il corpo è sottoposto. Così p. e. quando i liquidi acquistano una superficie curva come con- seguenza dell'adesione alle pareti di un vaso, in cui essi sono contenuti, la pressione esterna tiene equilibrio al peso di una colonna di liquido, come nei tubi capillari; e il liquido in tal caso si alza, quando la sua superficie è concava verso l'esterno, o si abbassa nel caso opposto. Il fenomeno della deformazione per effetto della pressione esterna avviene nei solidi come nei liquidi, solamente che la pressione esterna non è sempre in grado di vincere la resistenza interna del solido. Per vedere come la pressione esterna possa esercitare azione deforma- trice nei cristalli, consideriamo i cristalli limitati da superficie perfettamente piane, immersi in un mezzo amorfo (liquido). A questo intento sarà neces- sario tenere conto di due forze, l’attrazione normale alla superficie, la quale è nulla nel caso che il cristallo non si sciolga nè si accresca, e la tensione superficiale, la quale in nessun caso può annullarsi. Immaginiamo che rispetto alla prima il cristallo si trovi in perfetto equilibrio, come in una soluzione satura o in un liquido di fusione al limite della sua trasformazione, e incominciamo con la tensione superficiale, rispetto alla quale esaminiamo il possibile stato di equilibrio. La tensione superficiale, che cade nei piani limitanti il cristallo ed è la stessa in tutti i punti per unità lineare, non può produrre, come si è detto, altro effetto che di dilatare o comprimere la superficie, quando questa vi sì possa prestare; per lo più essa comprime la superficie. All'incontro la tensione superficiale applicata ai punti di spigoli o ai vertici del cristallo nella direzione delle faccie, deve dar luogo a una pressione esterna. Per presentare la questione da un punto di vista molto semplice, e possibilmente chiaro, consideriamo una zona del cristallo con due sole coppie di faccie parallele. Immaginiamo che questa zona sia normale al piano del disegno, in guisa che le coppie di faccie ci appariscano quali coppie di rette a,a,b,b, fig 2, e gli spigoli relativi, quali punti 0, 0, 0”, o". Par- lando di queste rette e rispettivamente di questi punti intenderemo di esten- dere il ragionamento alle faccie e rispettivamente agli spigoli, che essi rap- presentano. Sopra 4, 4, è, è agiscono tensioni superficiali, la cui grandezza vo- gliamo indicare con T, fig. 2. Consideriamo a parte il punto 0; possiamo applicare in esso due tensioni del valore T, le cui direzioni cadono in a e d. La loro risultante di grandezza To è la pressione esterna, che tende a spin- gere lo spigolo o verso l'interno del cristallo. Altrettanto si avrà nei punti o', 0" e 0", che rappresentano spigoli normali al piano del disegno. — ig La pressione esterna To applicata in o troverà la sua opposta eguale interna nel caso di equilibrio e allora il cristallo, crescendo, rimarrà limitato dalle coppie a, @, è, è nella zona in esame. Ma se la resistenza interna sarà minore della pressione esterna To, questa produrrà una deformazione del cristallo, presumibilmente solo nelle vicinanze del punto 0. Nel supposto che il cristallo rimanga una sostanza omogenea, la deformazione consisterà in uno scorrimento o scivolamento delle particelle cristalline lungo una faccia, che dovrà formarsi smussando lo spigolo 0. In altre parole l’esistenza della pressione esterna To maggiore della resistenza interna del cristallo, farà spa- rire lo spigolo o, e in luogo delle sole faccie a, 0, si avrà nella stessa zona ancora una faccia che chiameremo con la stessa lettera 0, fig. 2 e 3, Fic. 2. RIG. 3: e che taglia a, 6 secondo due spigoli, ì quali nella fig. 3 sono rappresentati dai punti w, € ws. Se la fase cristallo e la fase amorfa, da cui esso è cir- condato, si trovano in equilibrio, la deformazione del cristallo per effetto della pressione esterna To , non potendo alterare il volume del cristallo, con- sisterà naturalmente in uno scorrimento delle particelle da @ verso b o vice- versa, in guisa però che in luogo dello spigolo 0 subentri una faccia 0, con la formazione della quale cessa la pressione esterna To . Ora il ragionamento fatto per il punto o e per la pressione esterna To si può estendere ai punti w, e ©». Infatti in w,, fig. 3, vi sono due ten- sioni superficiali T nelle direzioni di @ e di o, le quali compongono la pressione esterna Tw, applicata in @,. Questa pressione esterna può essere minore, eguale o maggiore della resistenza interna alla plasticità; in questo ultimo caso non vi sarà equilibrio, il quale invece potrà essere raggiunto con una deformazione del cristallo in vicinanza di ©, , e con la formazione di una faccia che smussa lo spigolo in @1. Questa nuova faccia, che possiamo indicare con la stessa lettera w,, rappresenta una faccia di scorrimento (1), (1) Questa faccia di scorrimento non è naturalmente la stessa come quella che entra nella definizione di Reusch. e 00 determinerà due nuovi spigoli v, e vs, fig. 4, rispetto ai quali si può ripe- tere il ragionamento fin qui svolto. Nel punto ©,, fig. 5, vi sarà la pres- sione esterna Tos, atta a produrre deformazione, e così via. Da qui si può concludere che l’esistenza delle pressioni esterne deri- vanti dalla tensione superficiale, sono generatrici di faccie, quando esse siano capaci di vincere le resistenze interne. Esse sono le sole che nell'equilibrio di un cristallo in una fase amorfa possono essere prese in considerazione. Mercè loro il cristallo assume poche faccie, quando è poco plastico, e ne assnme molte quando è molto plastico, ceferi paribus relativamente alla tensione della fase amorfa. Nei cristalli fluenti, ove la plasticità assume un grado elevato e diversamente nelle diverse direzioni, la figura dovrà essere Pie. 4. eo ricurva dove la plasticità è maggiore, perchè ogni piccola pressione esterna è sempre capace di vincere la resistenza interna, fig. 5. Nei cristalli liquidi, ogni pressione esterna sia pure piccola vince sempre la resistenza interna che è nulla. La figura dei cristalli liquidi deve perciò essere dovunque ri- curva; e poichè in questo caso l’equilibrio di tali cristalli è solo ammissi- bile, quando le pressioni esterne sono le stesse in tutti i punti della super- ficie, ne viene che la forma dei cristalli liquidi è una sfera, purchè natu- ralmente l'influenza della gravità ne sia tolta. Da questo sviluppo emerge che le pressioni esterne derivanti dalla ten- sione superficiale tengono equilibrio alle resistenze interne del cristallo, e trasforma questo in guisa che la superficie riesca la minima possibile e con- dizionata con la plasticità del cristallo senza alcun detrimento della strut- tura omogenea di questo, poichè le deformazioni avvengono secondo piani. Esaurito il primo problema relativo alla tensione superficiale, possiamo ora passare al secondo, vale a dire considerare l'attrazione normale, nel caso naturalmente che il cristallo sia in via di accrescimento. Supponiamo si tratti di una zona p. e. la zona [(010) , (100)], normale al piano del disegno, come poc'anzi, la quale per semplicità è stata rappre- sentata dalle rette 4 (010), 4 (010), 5 (100) e è (100), fig. 6. RenpIcontI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 12 eo) — L'attrazione normale alla superficie è la sola che è in grado di acere- scere o di diminuire il cristallo nel senso di detta forza, mentre la tensione superficiale non fa che distendere le particelle sulla superficie. La forza nor- male Ra accresce il cristallo normalmente ad a e la forza RO accresce il cristallo normalmente a d, e così ogni qualvolta vi è una superficie, nor- malmente a questa vi è una attrazione, che fa crescere il cristallo propor- zionatamente ad essa (*). Di questa forza si può dire che essa varia con la direzione, non altrimenti potrebbesi ammettere lo stato omogeneo e aniso- tropo della sostanza cristallizzata. E concesso che essa varia, vi devono essere direzioni di forza attrattiva minima, come vi devono essere direzioni di forza massima. Vi sono dunque direzioni secondo le quali l'accrescimento del cristallo è minimo. Con Ra e Rò, fig. 6, abbiamo appunto indicato le di- rezioni di forza attrattiva minima. È evidente che un cristallo di qualunque figura incipiente essa sia, per il solo effetto dell’accrescimento dovrà in ultimo essere limitato dalle sole faccie a, a, è, b che sono rispettivamente normali ad Ra e Rd, considerando solo la zona in esame. Il punto 0, che rappresenta un loro spigolo comune, è cimentato con- temporaneamente dalle forze Ra e Rò e quindi dalla loro risultante Ro, fig. 7. La sola faccia che potrà sorgere nella zona in luogo dello spigolo o, sarà necessariamente normale ad Ro, sempre che in o vi si possa formare una faccia, vale a dire se la pressione esterna To possa in o vincere la plasticità del cristallo. Ammesso dunque che To provochi una deformazione, la faccia 0, che verrà a formarsi, taglia su 4 e b parametri a, e bi, che stanno nel rapporto: a,:b,= Ra: Rd. (1) Vedi anche Grassmann, Zur physischen Kristallonomie und geometrischen K'om- binationslehre, 1829. E 0) SA Con la formazione della faccia o si ottiene la prima complicazione nella zona [001] in esame: (010) , (110) , (100), indicando con o la faccia unitaria nella detta zona. RIG. I nuovi spigoli, indicati con i punti ©, e ©, nella fig. 7, possono ora essere oggetto di nuovo esame, poichè quello che si è detto intorno al punto 0, 5 Fic. 8. sì può ripetere identicamente intorno ai punti w, e co,. Incominciamo dal punto , . Qui agiscono due forze normali Ra e Ro perpendicolari rispettivamente ad 4 e 0, e quindi la loro risultante Ro,, fig. 8. Se l'accrescimento del mi (99 cristallo dovesse avere luogo nella direzione di Rw,, esso sarebbe propor- zionale a Rw,, ma solamente nel caso che esista una faccia normale a Rw}; e questa sarebbe possibile a sua volta, quando la pressione esterna Two, fosse capace di vincere la resistenza interna alla plasticità. Ammettiamo che Tw, sia maggiore della resistenza interna, e allora vi si formerà una faccia nor- male a R@;, la quale vogliamo di nuovo rappresentare con una retta e de- nominare con la stessa lettera , . Quest'ultima taglia sopra « e 2 due parametri a» e 52, che stanno come: Ue Og = AIMIBINDE ossia, formando gli indici con i parametri unitari precedenti 4, e d,, sì avrà: di s di 1 pai 2 Pic. 9. La zona, o meglio il tratto îdi zona, consisterà della seconda compli- i cazione: wasrnn>- (010) , (120) , (110) , (100). Non è difficile trasportare lo sviluppo al punto ws come si è fatto per w,. Se anche in c,, fig. 9, la pressione esterna Te, vincerà la resistenza interna, avremo una faccia w,, della quale si dirà che i suoi parametri «5 e d, stanno come: az: bj= Ra : 2 Rb e quindi aio AOP, ail ° o azei Di IR (02) Con la faccia w, la seconda complicazione nella stessa zona sarà al completo, vale a dire: (010) , (120), (110) , (210) , (100) e propriamente limitata nel segmento teso fra (010) e (100). Non possiamo nè dobbiamo discutere se la terza complicazione: (010) , (130) , (120) , (230) , (110) , (320) , (210) , (310) , (100) nello stesso segmento potrà avverarsi. Essa sarà infatti possibile ove le pres- sioni esterne saranno capaci di vincere la resistenza interna e produrre scor- rimento. Nei cristalli poco plastici (fragili) la terza complicazione sarà poco probabile. Nei cristalli molto plastici, molli o fluenti vi potranno esistere complicazioni di grado superiore incomplete o complete. E nei cristalli liquidi le complicazioni saranno senza limite in tutte le zone, essendo dovunque nulla la resistenza allo scorrimento. In seguito a queste considerazioni, osserviamo che le due forze, le quali agiscono sulla superficie di un cristallo, l’attrazione normale interna e la tensione superficiale, hanno funzione oltremodo diverse, anzi opposte. In virtù dell'attrazione normale il cristallo tende a limitarsi secondo faccie, rispetto alle quali l'accrescimento è minimo; con la tensione superficiale la superficie limite tende a schiacciarsi per formare nuove faccie in numero ed estensione secondo il grado di plasticità del cristallo. Cosicchè con la prima azione il cristallo tende ad assumere una grande superficie, con la seconda una superficie minima condizionata. Durante la formazione del cristallo vi è dunque una continua oscillazione fra questi due estremi, ove i luoghi di ‘accrescimento minimo rimangono naturalmente fissi, come nodi, i quali hanno indici razionali semplicissimi. Come immagine grossolana, ma chiara, per rappresentare l'andamento nella formazione di faccie in una zona, può servire una corda elastica tesa messa in oscillazione. Quivi si formano varî nodi, per lo più in piccolo numero, a distanze razionali semplici dalle estremità e formanti con queste gruppi armonici. Ma oltre queste oscillazioni semplici nella corda tesa, vi sono infinite piccole e complicate, che tuttavia non alterano i suoni prin- cipali. L'attrazione normale alla superficie del cristallo tende a conservare i detti nodi razionali; mentre la tensione superficiale, che si oppone alla re- sistenza interna, tende a eliminarli. Da questo antagonismo delle due azioni risulta nella zona un certo numero di faccie, che si raccolgono intorno a nodi, ed hanno tanto maggiore probabilità, quanto più le complicazioni sono semplici. Sy a Messa sotto questa forma la legge di Hauy, essa ha vigore per tutti i cristalli, siano solidi, fluenti o liquidi, poichè in tutti la forza di attrazione ha massimi e minimi, che sono situati in nodi a indici razionali e semplici. La differenza fra i cristalli a stato di aggregazione solido, o fluente, o liquido consiste in questo che fra cristalli solidi e fluenti la legge di Hany è evi- dente, e può perciò essere accertata con l'esperienza, facendo uso della legge sui numeri grandi; nei cristalli liquidi essa è mascherata dalla tensione super- ficiale e potrebbe essere resa evidente, sperimentando sulle forze di attrazione superficiale. Un problema che si connette con questo riguarda le faccie vicinali nei cristalli, la differenza di plasticità nelle diverse direzioni come conseguenza della legge di Hauy nelle singole specie cristalline e i cristalli geminati. Una prossima Nota tratterà appunto di questo secondo problema. Meccanica. — Sulla legge elementare della gravitazione. Nota di Max ABRAHAM, presentata dal Socio T. LeEvI-CIVITA. Nella Nota precedente ho proposto una teoria della gravitazione; secondo questa teoria il potenziale soddisfa all'equazione differenziale (1): d°D PADERYD ID da? sti dy° 1 92° ate de SUE (1) Deduciamo da essa la legge elementare per l'attrazione gravitazionale di due punti materiali in moto. Evidentemente questa legge sarà più semplice, di quella, che vale per due cariche elettriche (*), in quanto che non entra espli- citamente la velocità del punto attratto. Ci contentiamo di un'approssima- zione, trascurando l'influenza — allora contemplata — esercitata dal poten- ziale Igravitazionale sulla velocità c di propagazione della luce e della gra- vità; questa influenza è tanto minore, quanto lo sono le masse dei due punti. L'integrazione della (1) si compie nel modo più spedito col metodo del Herglotz (?), interpretandola come equazione di Poisson per un poten- ziale quattrodimensionale. Siano € y2w le coordinate del punto attraente P ed x0%o 40% le coordinate del punto attratto Pi, e sia (2) R=|(a— a) +(y— gv +(5—s)°+v— ww) (1) K. Schwarschild, Gottinger Nachrichten, 1903, pag. 132; M. Abraham, Z'heorie der Elektrizitàt II, sec. ed., pag. 97. (®) G. Herglotz, Gottinger Nachrichten, 1904. PO A la loro distanza nello spazio quattrodimensionale. Allora dalla (1) si ottiene il potenziale: 8) o=— (fedele Passando al limite di una massa puntiforme m, porremo lim ) du SS dx dy dz =icdv.m (t tempo proprio di P); allora il potenziale diventa nen) da (4) ® = © R°: Questo integrale si può calcolare (*) col metodo dei residui del Cauchy. Il residuo sì riferisce a R=0, ciò u—wm=—ir , b—t= SIS dove 7 è la distanza (tredimensionale) tra la posizione del punto poten- tenziante P nell'istante # e la posizione del punto potenziato P., nell'istante i=1+1. Essendo, nella vicinanza di questo punto (?} R°= 2rceS, dove S è l’invariante 1 È ì : IO (5) Selo 2)z+(y—-y)y+(—2)4—îrut, sì ottiene, come valore del potenziale ritardato (?) mM (6) Sdi is Naturalmente nella espressione (5) occorre porre per eye cysui valori relativi all'istante # dell’emissione, invece per 5 Yo &, le coordinate dal punto P, nell'istante £ = De ; nel quale esso è incontrato dall’onda emessa nell'istante # dal punto potenziante P. (*) Vedi A. Sommerfeld, Annalen der Physik, 33 (1910), pag. 665. Sitzungsberichte d. Bayerischen Akademie d. Wissensch. 1911, pag. 51. (*) Sui potenziali ritardati vedi anche T. Levi-Civita. Nuovo Cimento VI, 1903. ARIA Per calcolare il gradiente di @, giova derivare prima la (8) rispetto A do Yos Boro, ® passare poi al caso limite della massa puntiforme. Si ottiene così: 9 da sem (le 2a) Da Mi CRU muco) dXL0 e come residuo dell'integrale, relativo a R=0, il valore corrispondente di (ama) Zi Li Ì S? | [O] dove T indica l’invariante L w -a)z+y=vY+E— a) ire. (7) T= Ne segue come prima componente della forza motrice agente su P mE= —m grad D il valore seguente: 1—T a mimmo 4a) ed analogamente per le altre componenti 1-T),:; mbar amo) +77 | mf, = mm — 3 n, qui ni Mo bi, = vano Queste formole mostrano, che la forza motrice elementare, esercitata da P su P,, si compone da due vettori quattrodimensionali, dei quali il primo è spiccato dal punto attratto Po(£0:%0:40,%) al punto attraente P(xyz,uo—îr), mentre che il secondo è parallelo alla velocità del punto attraente. Ciò corrisponde ai risultati del Poincaré (*) e del Minkowski (?). (1) H. Poincaré, Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, 1906, I, pag. 174. (3) H. Minkowski, loc. cit., Gottinger Nachrichten, 1908, pag. 57; vedi anche À. Sommerfeld, Annalen der Physik, 33 (1911), pag. 684. N07, A Però la nostra legge elementare è più semplice, perchè non vi entra la velocità del punto attratto, e più generale, perchè tiene conto anche del- l'accelerazione del punto attraente. Il suo confronto coll’osservazione astro- nomica potrebbe servire per provare la teoria proposta nella Nota prece- dente. (1). Meccanica. — Sopra l’efflusso a stramazzo. Nota di U. Ci- SOTTI, presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. 1. Si consideri un e/fusso 4 stramazzo, in regime permanente. L'andamento qualitativo del moto, in una generica sezione longitudinale (in piano verticale) sia quella che risulta schematicamente dalla figura. Si Y = 2 Da supponga che, in ogni altra analoga sezione il moto del liquido abbia, sen- sibilmente, identico comportamento, corrispondendosi i punti di una stessa retta normale alle sezioni stesse. Si ha così il vantaggio di poter trattare la questione in due dimensioni. Si prenda in esame, nel piano di una delle accennate sezioni longitu- dinali, la porzione di vena compresa tra la sezione OP che misura lo spessore dello stramazzo, ed una sezione trasversale 0,P, comunque prefis- sata, a valle; di modo che la regione C in cui si considera il moto, è in questo piano limitata: dalle accennate sezioni OP e O;P,, e dai due peli (4) Nella Nota precedente idl = icdt determina il differenziale du, di modo che dx, dy, dz, du sono le componenti di uno spostamento infinitesimo nello spazio a quattro dimensioni. Renpiconti. 1912, Vol. XXI. 1° Sem. 13 "<__de— —_ gii MER liberi (superiore e inferiore) %" e 2” (!). Si assuma il piano stesso cume piano <= 0 di un sistema di riferimento cartesiano ortogonale, e sì fissi su esso una coppia di assi (x, y) coll’origine sulla soglia O, l'asse y verticale e diretto verso l'alto, e l’asse x diretto nel senso della corrente. Sieno: g la portata; % — OP lo spessore dello stramazzo; e la velocità media in OP, così che, dato il regime permanente, si ha g=" ch. Introduciamo infine l'ipotesi che il moto abbia luogo senza vortici, e che sia regolare e diversa da zero la velocità in ogni punto di C. 2. Poichè il moto è irrotazionale, esistono notoriamente: un potenziale di velocità p(x,y) e una funzione di corrente W(x ,y), regolari in O e definite dalle equazioni (1) dp=udx + vdy , dp=—vdax+udy, colle determinazioni p=w= 0 per «=y=0, essendosi indicato con %,V le componenti della velocità nel punto generico ( , y). Sopra 2’ e 2”, trattandosi di linee di flusso, la w deve assumere — com'è ben noto — valori costanti differenti yw' e 4", e di più deve essere y =y"=gq; ma poichè nell'origine è w=0 avremo y'=0ew=g, cioè (2) w=q sopra 7, w= 0 sopra 4°. Rammentiamo ancora che zero e g sono, rispettivamente, i valori mi- nimo e massimo assunti da w in C. Assumiamo eguale ad 1 la densità (costante) del liquido; chiamiamo p la pressione specifica; 9 l'accelerazione della gravità, e V=|/u + v°| il valore assoluto della velocità. Trattandosi di moto stazionario rispetto ad. assi fissi, le ordinarie equazioni jidrodinamiche si compendiano, nel nostro caso, nella relazione seguente : (3) + V?+gy + p= costante. Sopra i peli liberi 2’ e 2” la pressione deve essere costante, sarà perciò (4) V? + 2gy = costante, sopra 2' e sopra 4". (!) Zeoricamente nulla impedirebbe di prefissare la sezione 0,P, ad una distanza comunque grande dalla soglia. Considerazioni pratiche però impongono che questa di- stanza non superi un certo limite. Basta pensare che in realtà, il moto della vena non segue indefinitamente le leggi della continuità: a partire da una certa sezione trasversale in poi le particelle cominciano a staccarsi dalla massa liquida, e dànno principio ad un complesso fenomeno discontinuo. Segue da ciò la convenienza di non seguire il moto oltre tale sezione. 5. Se si pone, al solito, cbiy =. (5) \u—W=Ww, (0 w ed / risultano, per le (1), funzioni della variabile complessa 2 = x +, e le (1) stesse si compendiano nella relazione (6) di, Variando 4 in C la w si mantiene regolare © tale che [n. 1] |o|=V>0. df a (08 Considerando il piano complesso f = + w, si vede immediatamente che la f= /(2) consente di rappresentare in modo conforme il campo C nella porzione S di striscia w=0,%w=y, del piano f, limitata tra due linee, immagini rispettivamente delle sezioni OP e ONPiAiinZCE Tutti gli elementi del moto (velocità e pressione) si possono così rife- rire, quando occorra, alla variabile IMBLO RISI 4. Cerchiamo ora una prima soluzione approssimata, sfruttando sostan- zialmente il metodo adoperato da Lord Rayleigh nel problema dell'onda solitaria, e di cui ho dato recentemente un’altra applicazione idrodina- mica (!). Considerata «= x + /y come funzione di f= p-+ îw, applichiamo ad essa lo sviluppo, secondo le potenze di w, arrestato alla seconda. La / è pure regolare e, per la (6), Posto 5(9)= (9) + 2(9), con w e » reali, (7) w? "I y? "n Ri= ol fo Ro avremo (8) ctiy=utiv+iy(w+ i!) +MR +8), essendosi indicato con apici le derivazioni rispetto a , e essendo (!) Sopra il regime permanente nei canali a rapido corso [Questi Rendiconti, vol. XX (1911), pp. 633-637]. — 100 — dove u" e v” designano i valori assunti da u” e »” per convenienti valori “di gin C. Da (8), separando la parte reale dalla immaginaria, e ritenendo trascu- rabili R, ed R» (salvo giustificare in seguito i limiti entro cui ciò è per- fettamente legittimo), si ricava (9) s=u—y , y=v+ ue. La (6), per le precedenti, porge dp ld Vani —y i+ ww). Da queste — colla accennata approssimazione — sì ricava 1 u'v' dI u'v' 2 (10) ilo i i Per questa e per la seconda delle (9), la condizione (4) dà luogo alle se- guenti equazioni SLC LIRA Mi uv DR, uv pala (11) urp? + 29v= costante , ao my: +gu=0. Queste equazioni, che determinano le due funzioni incognite u(g) © v(g), stanno ad esprimere che V? + 2gy è costante, non solo sopra i peli liberi wV=0, w=g (com'era prescritto) ma pur anco sopra ogni altra linea di flusso w= costante. Per integrare il precedente sistema giova introdurre due nuove funzioni o e 3, legate a w e v dalle relazioni (12) u= 060894 , v=oesend. Il sistema (11) si trasforma così (dopo di avere derivato ambo i membri della prima rispetto a g) nul seguente (13) CE sen & = — go d. Tr go3 cos de s) dp La integrazione di questo sistema è immediata. Per divisione sì ricava se = —otgd, che integrata porge (14) o= 008%, essendo 0, la costante di integrazione. Se si porta questa espressione di @ nella seconda delle (13) si può facilmente ricavare la 4(g) e quindi, per la (14) stessa, la o(g). Per dedurre le equazioni parametriche delle linee di flusso non abbiamo bisogno — come ora vedremo — di conoscere queste — 101 — espressioni; notiamo soltanto che la #(g) risultando determinata a meno di una costante arbitraria, potremo disporre di essa in modo che nel punto O sia 3= 3, dove % è arbitrario. Per ottenere u e v in funzione di 3, basta ricorrere alla (12), notare che pid dI e v=0 - 9, e tenere presenti la seconda delle (13) e la (14). Si ottengono allora due equazioni di primo ordine nelle funzioni w e v della variabile 4, che integrate porgono tg d 1+ tg? d 15 Cipe = Mito, Se ca Ao geî 290ì Mo 8 v essendo le costanti di integrazione. Portando nelle (9): le espressioni di w e »v definite dalle precedenti, e quelle di w' e »v' ricavate dalle (12) quando in esse si sostituisce a @ il suo valore (14), si ottengono le equazioni parametriche delle linee di flusso. Per W=0 e per W=g si ottengono rispettivamente le equazioni dei peli liberi 2” e 2'. Se si tiene presente che: a) il pelo libero 7”(w= 0) deve partire orizzontalmente dal punto x=y=0; 8%) il pelo libero 2'(W=gq=ch) deve partire orizzontalmente dal punto 2,=0 , y=}; e si pone, per semplicità tg 4 = — 0; le quattro costanti arbitrarie &o,%0; igdo= — assumono i valori seguenti GE 1 16 3 ae == e= 2 ( ) Io 0 ’ 0 0 ’ Vo 2908 ’ Lo e è) e le equazioni delle linee di flusso, che in tal guisa sono completamente definite, assumono l'aspetto definitivo seguente 2 SATA ca Oa 17 va Wet + Call (17) 7 (per o => 0). O 29 celo? Come si vede % pelo libero inferiore X'(p=0) è una parabola avente per asse il semiasse negativo delle y; tutte le altre linee di flusso — tra cui, in particolare, il pelo libero superiore N(wW=ch) — sono quintiche razionali. 5. Precisiamo ora le condizioni per le quali si può ritenere R,==R,=0 [cfr. n. 4]. Poichè dalle (12), derivando e tenendo conto della seconda delle (13) e dell'ultima delle (16), si ricava TAM u'—£ - sen 29 costò , = — 3 608 29 cost d, IS 9 si deduce che tanto |u”| quanto |y/"| non superano mai val c — 102 — Di qua, se si tiene presente che il massimo valore di w è ch [efr. n. 2], scendono le ; TIA I | " 6 NE Ve] 0 (122) alli. ESE 0), h Ga c h c e quindi, per le (7), tanto |R:| quanto |Rs| sono minori del quadrato del 1/2gh pe Possiamo concludere che i risultati dei numeri che precedono sono va- lidi tutte le volte che, la velocità media dello stramazzo alla soglia è rapporto abbastanza rilevante rispetto alla velocità di caduta libera (V/29h) di un grave da una altezza pori allo spessore dello stramazeo (2), da potersi trascurare le potenze eguali e superiori alla seconda, del rap- porto peo c In complesso questa teoria di prima approssimazione rende conto in modo soddisfacente dell'andamento di lame stramazzanti, di piccolo spessore. Matematica. — Su/ vantaggio che presenta un'estensione delle funzioni di Green. Nota di A.M. MoLiNARI, presentata dal Corri- spondente A. Di LEGGE. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Sul valore delle componenti la forza elettromo- trice delle coppie voltaiche costanti. Nota di G. GUGLIELMO, pre- sentata dal Socio P. BLASERNA. In una Nota antecedente (Rendiconti dell'Acc. dei Lincei, 2° semestre 1910) considerando l'irregolarità ed il disaccordo dei valori ottenuti da diversi fisici. con misure dirette, per la differenza di potenziale di contatto fra un metallo ed un elettrolito, ho esposto come cercassi di ricavarli ter- modinamicamente dal calore dovuto alla reazione chimica che si produce presso il metallo quando passa la corrente. sile) Chiamando = C questo calore per un certo peso di metallo disciolto, 0 deposto, e la corrispondente quantità di elettricità che è passata dal me- tallo all’elettrolito o viceversa, + e la corrispondente quantità di calore che si manifesta o è assorbita localmente, presso il metallo, V la differenza di potenziale cercata fra il metallo e l’elettrolito, T la temperatura assoluta, cuci — 103 — sì deduce dal principio della conservazione dell’energia che il calore C do- vuto alla reazione deve comparire necessariamente come calore locale e come calore Joule (che un semplice calcolo dimostra uguale ad eV) nel circuito quindi dev'essere: 9) C=cH4 eV V=(C— e)/e, dove V è espresso in Volt, e in Coulomb, C e e in Joule; se come di so- lito si considera 2=1 unità elettrochimica = 96540 Coulomb e C e e sono quindi i calori corrispondenti alla combinazione di 1 grammo equiva- lente di metallo e sono espressi in grammi-calorie come si ottengono dalle Tavole si ha: (1) V=(C— c) 4,838.10-5 =(0— e) (4-+ 1/3) 10-5. Supposto il processo invertibile, applicando nei modi soliti entrambi Ì principî di termodinamica si ottiene anche per un solo metallo ed elettrolito la formula di Heh]lmoltz: 2) V=0.4,333.10-* + TdV/dT. Nel caso di una coppia voltaica completa, cioè quando C,c e V si riferiscono alla somma dei calori dovuti alle reazioni presso 1 due metalli ed alla somma delle relative differenze di potenziale la formula (1) è teorica- mente generalissima, non si potrebbe immaginare che non fosse soddisfatta senza ammettere la possibilità della creazione o distruzione di energia; in pratica però essa è soggetta a limitazioni che possono talora farla apparire erronea. Così essa suppone il passaggio d'una corrente, quindi in generale non è applicabile ad una coppia a circuito aperto ; difatti in questo caso possono agire fra metallo ed elettrolito forze chimico-elettriche 0 d'adesione, o catalitiche capaci di produrre una differenza di potenziale ma non una reazione chimica fra quantità apprezzabili di sostanza, dimodochè i valori di C e € che corrisponderebbero al valore osservabile di V rimangono inco- gniti, e rimane quindi incognito il valore teorico di V. La formula (1) può quindi esser applicata alle coppie a circuito aperto solo quando la loro forza elettromotrice non cambia per effetto del passaggio della corrente, ossia quando questa non modifica essenzialmente la superficie dei due metalli, (perchè in quanto all’elettrolito esso può supporsi in grande quantità e continuamente rinnovato dimodochè può considerarsi come inva- riabile). Come è noto, questo caso si ha nelle coppie costanti e specialmente quando ciascun metallo è immerso nella soluzione del sale che si forma quando la corrente passa dal metallo all’elettrolito. L'applicabilità della formula suddetta al calcolo della differenza di po- tenziale fra un solo dei metalli della coppia ed il relativo elettrolito è sog- — 104 — getta ad un altro dubbio, come accennai nella Nota suddetta. Poichè il modo come si produce questa differenza di potenziale è quasi completamente ignoto ed è ignoto per es. perchè per alcuni metalli ed elettroliti il calore locale è piccolissimo (dimodochè per essi può valere la formula V= 0/e) e per altri no, non si può asserire con assoluta certezza che tutto il calore do- vuto alla reazione fra un metallo e la soluzione si presenti come calore Joule e come calore locale (o effetto Peltier) presso di tale metallo, poichè potrebbe comparire altresì in parte come calore locale o effetto Peltier presso l’altro metallo della coppia, quindi la dimostrazione termodinamica perde ogni valore. È facile però evitare questa obbiezione applicando lo stesso ragiona- mento al passaggio dell'elettricità da un metallo ad un elettrolito o vice- versa, quando essi siano isolati ed a diverso potenziale e vengano messì a contatto; tale passaggio non può effettuarsi che per elettrolisi cioè mediante una reazione chimica cui corrisponderà la diminuzione o l’aumento C del- l'energia chimica la produzione 0 assorbimento di calore locale e quindi una differenza di potenziale di contatto. Tutte le disposizioni immaginabili con- ducono sempre alla formula (1). Eccone alcuni esempî: 1°. Considero anzitutto due conduttori di ugual capacità K entrambi di zinco o entrambi di soluzione, la carica elettrica dell’uno sia Q ed il potenziale relativo A, dimodochè Q= KA e la carica ed il potenziale re- lativo dell'altro conduttore siano nulli. L'energia elettrica del sistema sarà: n= QA/2= KA?/2= Q?/2K. Pongo ora i due conduttori in comunicazione mediante un filo sottilis- simo della stessa sostanza, ma di grandissima resistenza dimodochè il pas- saggio dell'elettricità avvenga lentamente, e interrompo la comunicazione quando la differenza di potenziale fra i due conduttori sia V e quindi il 1° conduttore abbia un potenziale A’, il 2° un potenziale AU=A'— V. La quantità d'elettricità nel 1° conduttore sarà Q'= KA' quella nel 9° conduttore sarà Q"= K(A' — V)= Q— KA', donde si ricava A'=(Q+KVW)/2K e quindi Q=(Q+KW/2 , Q"=(Q—KV)/2. L'energia elettrica del 1° conduttore sarà y=Q%2K=(Q+KV)/8K quella del 2° conduttore sarà n'-—(Q—KV)/8K e l'energia complessiva sarà y+y'"=(0Q° + K°V?)/4K. La perdita d'energia del sistema )— (97+ 1) cioè (Q* — K°V*)/4K è compensata dal calore Joule. Siano difatti in un certo istante g' e g'" le quantità d'elettricità pos- sedute dai due conduttori, a' edi a” i relativi potenziali, il passaggio d'una — 105 — quantità d'elettricità dg’ dal primo al secondo conduttore produrrà una per- dita d'energia elettrica dg'(a’' — a") che dovrà comparire come calore Joule dJ. Poichè a'=g/K , a'=q"/K=(Q—g)/K e quindi d — = =(29 — Q)/K, si ha dunque d=— df/—Q/E ,J=— f ‘aes — gyr=@- VUE. Dunque: p= + g°+-J ossia, come era prevedibile, nel passaggio dell’elet- tricità dal primo al secondo conduttore non si è creata nè distrutta energia. Supponiamo ora che il primo conduttore a potenziale A sia p. es. una soluzione di solfato di zinco, e l’altro a potenziale zero sia di zinco metal- lico, che siano posti in comunicazione mediante un filo di zinco o di solu- zione e che al contatto dei due corpi esista sempre una differenza di poten- ziale V costante ed incognita, l'equilibrio sarà raggiunto quando il metallo avrà un certo potenziale A"— A"— V. La carica elettrica della soluzione sarà allora, come nel caso precedente, Q'=(Q + KV/2), quella dello zinco sarà QU=(Q—KV)/2 che rappresenta la quantità d'’elettricità passata mediante elettrolisi dalla soluzione allo zinco e rimarranno immutate le espressioni 9 ed n". Il sistema però in seguito alla deposizione di un peso (Q — KV)/2e gr. equiv. di zinco (e = 96540 Coulomb) avrà subìto un aumento di energia chimica C(Q — KV)/2e compensato in parte da un as- sorbimento di calore locale c(Q — KV)/2e, ma d’altra parte se in un certo istante sono come precedentemente 9’ e 9” le quantità d’elettricità possedute dai due conduttori, a' ed 4" i relativi potenziali ed z,x —V sono i po- tenziali della soluzione e dello zinco nel punto di contatto, il passaggio di una quantità d'elettricità dg’ dal primo al secondo conduttore produrrà un calore Joule Na —a)dg +4 (e —V—a"”)dg= (a — a") dg' — Vdq' = dJ — Vdg' ed il calore Joule totale sarà Je v['g= J-v(Q—- Em) e sì avrà quindi: n= +9" +J+(C—c)(Q—KV)/2e— VQ— KV)/2 ossia poichè p=7 +g7+J sarà: V=(C— e)/e. Il calcolo diviene più spedito se si considerano solamente le variazioni d'energia che si producono in un tempuscolo infinitesimo, oppure, ciò che torna lo stesso, se si suppone che i due conduttori abbiano capacità infinita RenpICcONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 14 — 106 — o almeno così grande, che nell'unità di tempo, piccola quanto si vuole, i potenziali non variino apprezzabilmente e si considerino le variazioni di energia che avvengono durante la medesima. Suppongo che dai due condut- tori partano due fili rispettivamente della stessa sostanza messi a contatto. Sia A il potenziale dello zinco B quello della soluzione, x ed x + V quelli dello zinco e della soluzione nel punto di contatto, 7 ed 7' le resi- stenze elettriche dei due fili di comunicazione, e sia A > B quindi A> x x + V>B. L'intensità della corrente sarà: i=(A—2)/r=(r +V—B)M=(A_B+V)(et?), ed il calore Joule sarà (7 +7!) ossia (A—B-+V)? per secondo. Ora in un secondo la quantità d’elettricità 7 passando dal potenziale A a quello B perderà una quantità d'energia (A — B), il peso dello zinco discioltosi sarà ie gr. equiv., la corrispondente perdita d'energia chimica, compensata in parte dalla produzione di calore locale sarà i(C— c)/e e perchè la somma di tutte variazioni d'energia sia nulla dovrà essere: i(A—B) +(C—e)/e=i(A_—BHV) V=(C— c)/e. ossia Se i due conduttori suddetti si suppongono ancora di capacità infinita ed inoltre si suppone A=B=0 l'andamento dei potenziali e la corrente nei fili di comunicazione, saranno quegli stessi che si osserverebbero nel circuito d'una coppia di forza elettromotrice V e con un punto del circuito a potenziale zero; non si avrebbero altre variazioni d'energia che la com- binazione dello zinco, la produzione di calore locale e di calore Joule e si otterrebbe nel modo più semplice la suddetta relazione. Nei suddetti ragionamenti non sì tien conto dell’azione diversa dell’aria sullo zinco e sulla soluzione, capace come l'esperienza dimostra di produrre una corrente e quindi calore Joule, di cui sarebbe difficile tener conto. Sic- come però l’esperienza dimostra che la differenza di potenziale fra lo zinco e l’aria e quindi la corrente che questa preduce non dipende dal valore del potenziale dello zinco, e niente. vieta di prender questo grande quanto si vuole, si può far sì che l’effetto Joule prodotto dall'azione dell’aria sia effet- tivamente trascurabile rispetto a quello prodotto dalla differenza di poten- ziale fra zinco e soluzione. Quando però si suppone A=B=0 si deve ammettere che la variazione d'energia chimica del sistema zinco-soluzione ed il relativo calore Joule e locale possano esser considerati a parte dal sistema zinco-aria e dall'effetto relativo e quindi si possa far astrazione da questi. 2°. Questo caso non differisce essenzialmente da quello che precede e si potrebbe quindi omettere, tuttavia credo che non sia privo d’interesse. — 107 — Si abbia un conduttore metallico o elettrolitico, per esempio sferico, di raggio R, cavo, con un foro pel quale si possa introdurre nel suo interno una sferetta della stessa sostanza, di raggio 7, tenuta da un manico iso- lante. Caricando questa ad un potenziale costante B (facendola comunicare mediante un filo lungo e sottilissimo con una sorgente o conduttore di ca- pacità infinita avente tale potenziale) portandola nell'interno del conduttore ed ivi ponendola in comunicazione con esso e ripetendo l'operazione un nu- mero sufficiente di volte si potrà far crescere quanto si vuole la carica ed il pogenziale di questo. Ad un certo punto sia essa Q e sia A il potenziale, inoltre sia 9= Br la carica costante che ogni volta è trasportata dalla sfe- retta, e Bg/2 la relativa energia. Quando però la sferetta ancora carica si trova nell’interno del condut- tore, per es. nel centro, la sua energia, cresciuta a spese del lavoro mecca- nico eseguito nel vincere la repulsione elettrica, sarà (B+- A)g/2 e l'energia totale del sistema sarà: Q(A+g/R)2-+(B+A)g/2. Dopo stabilita la comunicazione questa sarà divenuta: (Q + 9) (A+ g/R)/2 + dI, essendo dJ il calore Joule prodotto dal movimento dell'elettricità, e queste due quan- tità d'energia dovendo essere uguali se ne ricava (trascurando q*/2R che si può render piccolo quanto si vuole): dJ = Bg/2. Se però si suppone che il conduttore sia elettrolitico, per. es. una so- luzione di solfato di zinco imbevente un recipiente poroso, e che la sferetta sia invece di zinco, bisognerebbe inoltre considerare che si scioglie un peso g/e gr. mol. di zinco con una perdita Cg/e di energia chimica compensata in parte da una produzione cg/e di calore locale e che in compenso si ha, rispetto el caso precedente un aumento gqV perchè la quantità d'’elettricità deve superare la differenza di potenziale V al contatto; siccome ciò si verifica per ogni singola operazione si ricava Q(C — c)/e= QV ossia V=(C—c)/e. Allo stesso risultato si giungerebbe considerando la carica della sferetta supponendo prima che essa avvenga mediante contatto di sostanze identiche e poi mediante contatto di una sferetta di zinco con una soluzione. 3°. Considero finalmente una soluzione di solfato di zinco, di capa- cità elettrica infinita (praticamente grandissima) a potenziale zero, comuni- cante mediante un disco di zinco, il cui potenziale sarà —V, sostenuto da un piede isolante; al disopra di questo disco ad una distanza >, piccola rispetto al raggio, se ne trovi un altro parallelo, di ugual raggio, pure di zinco, comunicante con una massa di zinco di capacità infinita, a potenziale costante À, e questo disco sia sostenuto per es. da una molla, affinchè l’equi- librio sia stabile. La quantità di elettricità in qnesto condensatore sarà 0 — (A+ V)/4m per cm°, positiva nel disco superiore e negativa in quello inferiore, e l’energia sarà (A 4 V)?/879 per cm? (trascurando l'influenza degli orli che si po- trebbe evitare mediante anelli di guardia). Se si collocano gradatamente dei — 108 — pesi infinitesimi in numero infinito in modo che il disco superiore s'avvicini all’altro riversibilmente e la distanza divenga 3d< >, la quantità d'elettri- cità per em? diverrà (A + V)/47>' ossia una quantità d’elettricità positiva q=(A+V)@— 2d)/4033 andrà dalla sorgente A nel disco superiore ed una ugual quantità d'elettricità negativa affluirà nel disco inferiore causando l’elettrolisi della soluzione mediante deposizione di un peso g/e gr. mol. di zinco. Le variazioni d'energia avvenute in questa operazione per em.? sono: 1°) Aumento dell'energia potenziale della molla, eguale a IL noe = f (A+ V) dtd = (A+ A— MEM =IATV. 2°) Aumento dell'energia elettrica del condensatore 2gA+V). 3°) Au- mento dell'energia chimica dello zinco compensata in parte dall’assorbimento di calor locale (C— c) g/e. 4°) Perdita d'energia gA della sorgente a po- tenziale A. Affinchè la variazione totale d'energia sia nulla dovrà essere dA+(C—ce)gle=g(A+V) V=(C—o)fe. In questo calcolo l’azione dell’aria sullo zinco è certamente esclusa, perchè tale azione è la stessa su entrambe le armature del condensatore, inoltre si potrebbe ripetere il ragionamento con un condensatore le cui armature siano entrambe formate con soluzione, che probabilmente è meno soggetta all’azione dell’aria. Qualora l'armatura superiore del suddetto condensatore (la quale comu- nichi con una sorgente d’elettricità a potenziale costante positivo), venga successivamente e alternativamente innalzata e abbassata (senza che sia necessario produrre questi movimenti in modo riversibile) e che durante l'innalzamento il disco inferiore comunichi con un elettrodo di zinco pe- scante in una soluzione di solfato a potenziale zero, e che durante l’abbas- samento lo stesso disco comunichi con un secondo elettrodo pesante nella stessa soluzione, ad ogni innalzamento del disco superiore sul primo elettrodo si deporrà dello zinco, ad ogni abbassamento un po' di zinco del secondo elettrodo si scioglierà, quindi teoricamente sarà possibile di far crescere quanto si vuole il peso d'un elettrodo e diminuire quello dell'altro. Ripetendo volte l'innalzamento e l'abbassamento si avrebbe una va- riazione p= 2r9/96540 gr. mol. della differenza di peso dei due elettrodi, quindi misurato p si potrebbe ricavarne 9 © siccome d'altronde g=(A—V) (a — d)/47>I noti >, 3' ed A si potrebbe determinare V in modo diretto, senza ricorrere al calore di combinazione e quello locale. Occorrerebbe però un tempo straordinariamente lungo perchè si deponesse e sciogliesse un peso apprezzabile di zinco; è dubbio perciò se questa determinazione sia possi- — 109 — bile, anche colle bilancie più sensibili, usate per le trasformazioni dei corpi radioattivi. [Invece di avvicinare i due dischi della distanza dd potrebbe esten- dere la loro superficie di d3/4779* per cm?, le quantità d’elettricità che affluirebbero nel condensatore sarebbero le stesse come nel caso dell’avvici- namento e così anche tutte le relative variazioni d'energia. Ne segue che il lavoro fornito dalle forze elettriche è lo stesso sia che si avvicinano i dischi, sia che si estendano purchè siano uguali le quantità d’elettricità messe in moto nelle due operazioni]. Mi par dunque che non possa rimaner alcun dubbio sulla legittimità dell'applicazione delle formule (1) e (2) ad un solo metallo a contatto della soluzione d'un suo sale. Mineralogia. — Anfiboli di Monte Plebi presso Terranova Pausania (Sardegna). Nota di Domenico Lovisaro, presentata dal Socio G. STRUEVER. Chi volge lo sguardo a settentrione di Terranova Pausania, vede spiccare con dossi arrotondati in mezzo a bizzarre aguglie un monticolo, che nelle carte porta il nome di Monte Plebi, ma che quei terrazzani, colle solite storpiature isolane, chiamano Prebi. Distano poco più di 7 chilometri dalla borgata le falde più vicine di questa singolare elevazione, che per la sua posizione centrale in mezzo all’altipiano granitoide ha qualche cosa di vera- mente caratteristico. È bello infatti vedere codesta massa verde colle sue due cupole principali elevarsi nel mezzo, cinta e serrata da aspre cime di gra- nuliti da tutti i lati, all'infuori di quello che conduce a Terranova, dove le roccie granitoidi, erose dalle meteore, sono basse, mammellonate; però sempre anche da questa parte il contatto e la separazione sono netti. Ed anche la flora marca una separazione netta della massa incuneata di M. Plebi fra le roccie granitoidi, giacchè in queste noi troviamo abbondantissimo il Myrtus communis in bellissime e forti macchie, mentre nelle vere forme litologiche di M. Plebi non vediamo una sola pianta. M. Plebi è un frammento di quella massa arcaica, così bene sviluppata nella parte settentrionale-orientale dell’isola bella, abbracciata tutto all'in- torno da roccie eruttive, forse non più antiche del carbonifero. Quella massa antichissima, formata da gneiss e da una serie variata di micaschisti, alter- nati con straterelli e vene e lenti di quarzo, e talvolta di quarzo con feldispato, contenenti non infrequentemente grossi cristalli di tormalina e talora anche del rutilo, mostranti colle loro diverse colorazioni una netta stratificazione generale, è così potentemente metamorfizzata, da essere trasformata qua e là — 110 — in lenti più o meno grandi di schisti anfibolici coi prodotti della loro de- composizione, che formano lo scopo principale di questa mia breve Nota. La schistosità, che non ci lascia mai nella salita del monte, è masche- rata solo là dove troviamo tali lenti, ma ricompare tosto a, destra od a sinistra, sopra o sotto le stesse lenti, che hanno sempre per base i banchi di mica- schisti, i quali in molti punti della salita, e quindi anche lungo i sentieri che conducono all'alto, si vedono pieghettati, contorti, rotti e talvolta anche rovesciati. Alle volte, in mezzo a quegli strati vediamo qualche piccolo banco oscuro brillante, che si direbbe di micaschisto, ricchissimo in biotite nera, mentre invece le lamelline lucentissime sono di ferro oligisto, che abbonda poi nei monticoli, che seguono verso settentrione, andando specialmente nella direzione del golfo di Arzachena. In varî punti, ed anche per zone discreta- mente estese in quella direzione, troviamo masse più o meno decomposte, raramente fresche, di dioriti non quarzifere, nelle quali l’anfibolo in larghe plaghe, di color giallastro, originariamente verde, è così alterato da produrre abbondanti squamette di ematite rossa. La schistosità generale della massa di M. Plebi, che non ci abbandona mai, come abbiamo già detto, oltrechè dalle colorazioni varie degli strati, ci è attestata pure da filoni di roccie lamprofiriche, che non mancano di com- parire in mezzo a quelle belle roccie prepaleozoiche. Veramente, non avrei dovuto dirle belle quelle roccie, ma interessanti, e per la scienza presentano effettivamente il massimo interesse. Tutta la massa di M. Plebi, intensamente metamorfizzata, la possiamo dire quasi interamente in decomposizione, particolarmente in quella specie di lenti, formanti plaghe speciali, e trasformate in masse anfiboliche, nelle quali, però, più che l’ormiblenda, predominano l’actinolite e la tremolite coll’asbesto, la steatite, il talco, la mica, ecc., non mancando belle secrezioni pure di serpentino. Anche tutte queste specie minerali, raramente le troviamo fresche; sono generalmente decomposte come i micaschisti, sui quali poggiano tali plaghe speciali, essendo come trasformati in una miscela di prodotti micacei. M. Plebi, in piccolo, il 6 giugno u. s., quando lo visitai, mi trasportava colla mente ai micaschisti alpini, e per qualche momento mi sembrava di essere fra le belle roccie di Val Malenco in Valtellina nella provincia di Sondrio, oppure fra le analoghe formazioni del Tirolo e della Svizzera, colla differenza, però, che in Sardegna mancano quei bei massicci serpentinosi coi superbi e ricchi amianti, che li accompagnano lassù, trovando noi, per eccezione, qualche ciuffetto di questi ultimi con appena qualche secrezione di serpentino. Di un'altra differenza ancora dobbiamo tener conto, quella dell’età delle roccie, che comprendono il minerale tessile, l'amianto: a M. Plebi sono prepaleo- zoiche le roccie, coll’asbesto e coi minerali accessori, mentre lassù in Val- tellina ed anche nel Piemonte esse potrebbero essere triassiche, quando non siano anche più recenti. — lll — Da massecole isolate e come accessorie nelle roccie gneissico-micaschi- stose di M. Plebi passiamo a masse di parecchi metri cubi, interamente formate dagli anfiboli e dai loro derivati, fra i quali non dimenticheremo gli ossidi di ferro col predominio della magnetite. L'actinolite si presenta in cristalli aghiformi, ma anche bacillari, quindi allungati secondo l’asse verticale e non raramente per parecchi centimetri, con faccie nette e lucenti nella zona prismatica, generalmente contorti, eli- coidali, ma mancanti sempre di sommità distinte. Questi cristalli, raramente isolati, sono per lo più raggruppati in masse fibrose, e, più che in fasci pa- ralleli, in aggruppamenti raggiati, o formano aggregati irregolari intrecciati, che vanno dal bacillare al fibroso, talvolta anche al fibro-lamellare ed alle volte frammisti con squamette di mica. Il color generale, se fresca, è il verde chiaro, ma per decomposizione anche il bianco sporco, il giallognolo ed il giallo per prodotti ferruginosi secondarî. Si comprende che quasi sempre abbiamo coll'actinolite la tremolite, generalmente nella parte superiore dei gneiss nella vera zona dei micaschisti, o frammezzo a questi, che non in- frequentemente sono accompagnati da vene di feldispato e quarzo con mica muscovite in larghe lamelle e con grossi cristalli di tormalina ed eccezio- .nalmente anche con rutilo: dei primi di questi ho raccolto grossi fram- menti di cristalli nella salita, ed altri mi furono portati da Punta d’Aspro dai fratelli Salvatore e Tommaso Degosci: questi cristalli di tormalina mi rammentano quelli della penisola di Punta Rossa a Caprera. La differenza fra la tremolite e l’actinolite sta in ciò, che, mentre la prima è priva o poverissima di ferro e perciò ineolora 0 biancastra, l’actino- lite contiene sempre ferro in sensibile quantità, ed è quindi verde o con una delle altre tinte ricordate. I prodotti di alterazione degli anfiboli, che, devo osservare, non sono tanto frequenti negli schisti cristallini sardi. sono coll’asbesto e coll'amianto il talco, il serpentino ed accessoriamente la steatite, la clorite, l’epidoto, gli ossidi di ferro, ecc. Di questi minerali non ho trovato l'epidoto e la clorite. Il talco, che si vede in alcuni degli ammassi, credo possa derivare dalla pseudomorfosi dell’asbesto e quindi dalla tremolite, formandosi sulle faccie prismatiche di quella varietà d'anfibolo, epigenizzandolo a poco a poco. Credo che nello scavo verso settentrione presso le case di Michele Orecchioni, mia guida nell’escursione del 6 giugno, se ne possa trovare parecchio, se debbo badare ai campioni prelevati in quella località. Il serpentino, pure d'origine secondaria, deriverebbe probabilmente per la massima parte dalla idratazione dei silicati di magnesia, quindi dall’acti- nolite o dalla tremolite; e così pure la steatite, che in quelle masse e spe- cialmente presso alle case ricordate dell'Orecchioni, si trova col talco. Questo serpentino massiccio, verde oscuro, quasi nero, ed in qualche punto bruno-rossastro, avrebbe, secondo il collega prof. Guglielmo, il peso — 112 — specifico di 2,674 alla temperatura di 29° C., ed è la prima volta che mi avviene di trovare in posto un vero serpentino in Sardegna, conoscendosi solo la steatite od una specie di pietra ollare, ma solo in tenui venuzze, nei cal- cari di Santa Maria di Gonari, nelle formazioni d'Illorai e nei marmi di Telada. Il serpentino, assumendo allumina, darebbe della clorite, che non vidi a M. Plebi, dove non trovai neppure la pietra ollare, formata dal talco con variabile quantità di clorite. L’asbesto in masse fibrose, bianco sporco od anche verdiccio, è abba- stanza frequente in quelle lenti, ma della varietà tessile, a fibre lunghe e fine, e dalla lucentezza sericea, cioè vero amianto, ne ho visto solo eccezio- nalmente; esso può derivare dalla tremolite o dalla stessa actinolite, non certamente dal serpentino, che è pure d'origine secondaria. Il vero amianto di Valtellina e d'Aosta è amianto di serpentino, come quello delle principali località alpine e del Canadà, e questo dovrebbero ricordare i fanatici ricer- catori di miniere di M. Plebi. A Santa Maria di Gonari, in quegli splendidi calcari si trova anche un anfibolo verde chiaro in aggregati fibrosi, che il Riva (*) riferisce ad un anfibolo attinolitico o vero attinoto. Forse alla stessa specie saranno da rife- rirsi gli aggregati fibrosi verdi, che si veggono nelle roccie clastiche del Sarrabus, conosciute ordinariamente col nome di quarziti ed accompagnanti i giacimenti argentiferi; ma un vero attinoto od actinolite, finora, non fu ancora trovato in Sardegna. Questo di M. Plebi ha le maggiori analogie con quello di Valtellina. Fresco — e come tale lo si trova assai raramente — è di un verde sme- raldo chiaro, come s'è detto superiormente, passante al cupo, al giallognolo, al giallo, al bianco sporco per alterazione ; talvolta presenta anche tinte oscure, tendenti all’azzurrastro; la polvere è bianca o bianco-verdastra; la sfaldatura netta prismatica laterale; fragile; la sua durezza va dal 5 al 6; il suo peso specifico, calcolato dal collega prof. Guglielmo alla temperatura di 29° C., sarebbe di 2,913; la lucentezza è vitrea, un po’ madreperlacea sulle faccie di sfaldatura; da trasparente nei cristalli non grossi, al translucido. Al can- nello imbianca e fonde difficilmente ai bordi in uno smalto grigiastro; col borace e sal di fosforo dà le reazioni del ferro. È inattaccabile dagli acidi, od almeno assai difficilmente dall’acido cloridrico e dall'acido solforico. Il dott. Manis, nell'analisi quantitativa che fece su abbondante materiale di questa sostanza, avrebbe ottenuto: (1) Ze roccie granitoidi e filoniane della Sardegna. Atti della R. Accademia delle Scienze fis. e mat. di Napoli, 1905, vol. XII, serie 2°, n. 9, pp. 85 e 86. — 113 — SUONI Reni: 0. AMO Noi direi 00; 0 IMRO; 1 ROROSPME MO. leer 15 BOO ornate. ADR 0190 MOR 1. A: 09. (Caonun Mienenasi ape) RSR18:00 Mo (0 Rni Ener i 10192 COMA Eee. 019, INLODNI Sara poniiagoni.. 015 Naro) ic. RR:07 KRonatornterssnrdidio::. URN: Hr ORttrR Ariete. ESMAr0590 100,17 Le prove anche spettroscopiche pel litio, fluoro, acido cromico, zinco, titanio ed acido fosforico, che si trovano presenti in alcune specie di anfi- boli, come si può vedere consultando le 285 analisi date dall’ Hintze (!), riuscirono negative: però l'analisi ottenuta dimostra l’importanza della nostra actinolite, la quale, sebbene priva del litio, contiene gli altri alcali, e merita speciale attenzione per la presenza in essa del rame e del nichelio. Infatti, se noi esaminiamo le 285 analisi d'anfiboli, date dall’ Hintze sopra citato, ne troviamo due sole, che contengono rame: la I colle quantità di 0,71°/,,0la XXXVIII con 0,40 °/,, mentre la nostra actinolite avrebbe dato 0,19 °/,. Sempre nelle 285 analisi, ne troviamo tre contenenti nichelio, e sarebbero la I, già ricordata pel rame, ma senza determinazione per la quantità di nichelio, la CXCIX con NîO= 0,65 e la CUCVI con NiO= 0,21, mentre la nostra ci diede NîO = 0,15. Complessivamente quindi una sola compren- derebbe i due metalli, come la nostra actinolite, cioè l’analisi I, che si riferisco ad anfiboli del Granducato di Baden, levati da una fonolite dell'Hohenkràhen (?) e che quindi non possiamo paragonare col nostro anfibolo, che si trova in formazioni prepaleozoiche, sebbene il Kaisersthul m'abbia condotto alla sco- perta per la Sardegna della picotite e di altre specie minerali semplicemente per analogia colle formazioni di quella contrada; ma pel caso nostro non possiamo fare il confronto dell’anfibolo di M. Plebi con quello badese, anche per essere riuscite infruttuose per la nostra actinolite le ricerche del cobalto, (*) Handbuch der Mineralogie. Zweiter Band. Silicate und Titanate. Leipzig, 1897, pp. 1179-1271. i (?) Hintze, op. cit., pag. 1205. RENDICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 15 — 114 — dello zinco, dello stagno, dell'antimonio e del piombo, contenuti nell'analisi I dell’ Hintze. L'anfibolo dell'analisi CXCIX corrisponde alla Kup/ferite di Koksharow nell'Ural e di tante altre località russe: essa sarebbe la specie d’anfibolo più ricca in magnesia, essendo nientemeno in essa MgO= 30,88, e com- prendendo col nichelio anche l’acido cromico (Cr, 03 = 1,21): è di color verde smeraldo, come la nostra actinolite, che però non comprende acido cromico ; e sebbene sia stata trovata la Aupfferite in aggregati cristallini anche nel granito, pure è specie che generalmente sì rinviene nei calcari, che non sappiamo però a quale età appartengano e quindi non possiamo permetterci di confrontare colla nostra actinolite. Pure l’analisi CCVI si riferisce ad un anfibolo di colore dal verde sme- raldo al verde erba, come il nostro; però in grani sfaldabili con Xokscha- rowite nella miniera di Cullakenee della Carolina del Nord, mescolato con corindone ed un minerale feldspatico, colla densità di 3,120; ma il nostro anfibolo non lo possiamo paragonare con questo, specialmente per la sua com- posizione chimica, perchè, oltre all'essere l'americano ricco in allumina, per contenerne 17,59 °/,, è assai meno acido del nostro, presentando solo 45,14 °/; di anidride silicica, più povero in ferro (3,45) ed anche in magnesia (16,69), contenendo anche quantità considerevoli di alcali e pure acido cromico, che manca nella nostra actinolite. Non possiamo paragonare il nostro anfibolo neppure con quello dell’ana- lisi XXXVIII dell’Hintze, contenente 0,40 di ossido di rame e derivante da formazione granito-porfirica del piccolo Kohlberg presso Follmersdorf, non lungi da Reichenstein nella Slesia, perchè i cristalli slesiani sono neri, seb- bene pure presso Reichenstein stesso, in formazioni cristalline a diopside, sì trovino cristalli verdi, pure mescolati con tremolite, passante al talco. In complesso, l’actinolite sarda colla tremolite che l’accompagna, specie minerali essenzialmente alpine, legate a determinate roccie cristallino, diffuse specialmente nelle nostre Alpi occidentali e settentrionali, ha le sue maggiori analogie coll’actinolite dei giacimenti, già menzionati, di Val Malenco in Valtellina nella provincia di Sondrio. Colassù, in alcune valli laterali, come Val Brutta, Val Lanterna, Franscia e altre vallecole sopra Lanzada, piccola borgata, che insieme con Chiesa e Torre forma i popolati della stessa Val Malenco, negli schisti cristallini e particolarmente nei talcoschisti, comparisce questa actinolite verde smeraldo in abbondanza, mescolata con mica, clorite, magnetite e diverse varietà d’asbesto, alla dipendenza di potenti masse serpentinose, che hanno offerto in quantità bellissimo amianto, che nella mia visita a M. Plebi non ho saputo trovare mai in belle fibre nelle for- mazioni isolane, fra le quali non rinvenni neppure tutte le altre specie mi- nerali sopra ricordate, nè in calcari, nè in dolomie saccaroidi, che nelle lenti actinolitiche e tremolitiche isolane mancano affatto. A M. Plebi ed a Punta — 115 — d'Aspro il serpentino e la steatite sono accessorî, eccezionali, mentre nella Valtellina, in Val d'Aosta, in Savoia, in Francia, nella Svizzera, e special- mente nel Canadà, sono assai potentemente sviluppati. Pure nelle Alpi valtellinesi l’actinolite in aggregazioni bacillari si trova talvolta in tanta quantità da formare veri strati di schisti actinolitici ed anche grandi masse, mentre secondo me, a M. Plebi forma, colle tremoliti, semplici lenti, non vaste concentrazioni: sì, le concentrazioni di minerali anfibolici coi loro prodotti di decomposizione a M. Plebi io le ritengo ben ridotte, non molto vaste, tali insomma da non poter rappresentare un grande interesse industriale, cioè non rimunerative per la lavorazione e l'estrazione dell’asbesto. Non dobbiamo illuderci sulla ricchezza di quelle lenti anfiboliche coi minerali concomitanti accessorî, e credere che in profondità o sul prosegui- mento degli scavi incominciati tale ricchezza si debba far maggiore, giacchè, alle volte, coll’innoltrarsi negli scavi iniziati, potrà avvenire un restringimento nella lente, che potrà poi novellamente allargarsi più avanti, dando origine ad altra od altre lenti: ma col restringimento potremo anche avere la spa- rizione completa della lente, contenente le varietà d’asbesto, che in grande quantità potrebbe essere certamente rimunerativo. Per me quelle lenti rappresentano un interesse puramente scientifico, ed i musei di mineralogia nazionali ed esteri potranno arricchirsi con bellissimi campioni di minerali, finora ignoti o quasi per l'isola bella. E tale mia opinione manifestai netta ai pochi fanatici che me la ri- chiesero: in ogni modo, sento l'obbligo di dichiarare francamente che anche in quella mia visita mi sono guardato bene dal consigliare la continuazione dei lavori per la ricerca e l'estrazione dell'amianto a que’ poveri terrazzani, mettendo loro le cose in chiaro secondo le mie vedute, pur convinto di fare opera vana. Fra i tanti malanni che affliggono la disgraziata Sardegna, questa sirena del Mediterraneo, questa terra delle sorprese, da parecchi anni è diventata endemica la malattia delle miniere, ed il povero sardo, ribelle per natura alle scienze naturali e specialmente alla Mineralogia ed alla Geologia, crede ciecamente a chi lo segue, lo seconda, quando non lo animi ancora nei suoi sogni fantastici di tesori sotterranei: illuso da qualche briccone di mestiere, invita un ingegnere, magari direttore od ex-direttore di miniere, un profes- sore che passa per la grande in fatto di mineralogia, un supposto luminare delle scienze geologiche qualunque, ecc., a visitare la sua cosiddetta miniera, i suoi immaginarî punti mineralogici; il misero illuso tratta principescamente i suoi visitatori con lauto pranzo, nel quale non mancano il tradizionale por- chetto e la celebrata malvasìa; e felice, se lo si lusinga nelle sue idee di ricchezze pei minerali nascosti nelle viscere della terra, proclama sempre dio colui, che per la sua visita gli chiede la somma maggiore (alle volte parecchie centinaia di lire, che gli snocciola subito), tenendo poco conto del giudizio — 116 — del visitatore, che pel suo incomodo s’accontenta di qualche centinaio di lire, e non tenendo poi conto alcuno del parere di colui, il quale, compassionan- dolo e cercando distruggere le illusioni nel disgraziato, si guarda bene dal domandare a lui compenso alcuno per la sua visita. ‘ Ed a questo proposito non posso qui tacere, anzi mi gode l'animo di manifestarlo pubblicamente, che, dacchè mi trovo nell'isola bella, prima per alcuni anni a Sassari e poi qui a Cagliari, ho dato migliaia e migliaia di pareri e di consigli in fatto di minerali e di roccie; ho fornito centinaia e centinaia di analisi qualitative ed anche quantitative; ho fatto moltissime visite a giacimenti di minerali d'argento, di rame, di piombo, di zinco, di nichelio, di cobalto, di antimonio, di ferro, di manganese, ecc., ma non ho mai chiesto, nè accettato un solo centesimo da nessuno: pur troppo, invece, molte volte ho avuto il dolore, ripassando per luoghi visitati varî anni prima, d' incon- trarmi con poveri sardi, che da me avevano sentito franca la mia parola, e di udire ripetermi: « Oh, avessimo ascoltato voi nella visita fatta alla nostra miniera! avremmo ora qualche migliaio di lire e non sarebbe consumata anche la dote della povera moglie !». E questa dolorosa verità mi tocca sentire ancora oggi, e non raramente, nelle mie escursioni per l'isola bella. Geologia. — Contributo allo siudio del Cambriano della Sar- degna. Nota dell’ing. dott. M. TarIcco, presentata dal Socio U. F. PARONA. Nelle arenarie che costituiscono una delle zone più caratteristiche del Cambriano nell’Iglesiente ho notato due anni fa lungo la strada che dal- l'Arco di Genna Bogai (a circa metà strada da Iglesias a Flumini) conduce a Grugua e a poche centinaia di metri da quest'ultima località una larga placca arenacea con grosse tracce fossilifere relativamente ben conservate, ma a me perfettamente sconosciute; ne trassi qualche pezzo che più tardi inviai al prof. Parona, il quale vi ravvisò una forma di Zophyton (cfr. tav. LXXV, Haug, Tratté de Géol., 1901-1911). Non ho potuto mantenere la promessa fattagli di inviare altro buon materiale, essendo rare le occasioni che mi si presentano di poter fare qualche ricerca un po' lontano da Igle- sias; ho tuttavia trovato altri esemplari meno belli in due punti a Canal- grande e cioè sul versante occidentale dell’altura di Punta Pintau, poco a monte delle case della miniera, e alla Grotta di Canalgrande, località fa- mosa per ricchezza di fossili illustrati dal Meneghini e dal Bornemann; in quest’ultima località le tracce di Zophyton sono assai schiacciate, ma le onde del mare le mettono abbastanza bene in evidenza. — 117 — Tracce dubbie rinvenni a Cala Domestica alla confluenza del Gutturu Cardaxiu col Gutturu Sartu e in quest'ultimo sotto P. sa Gloria. All’Arco di Genna Bogai sono pure frequenti le tracce di Eophyton; esse sono però assai mal conservate, erose o ripiene di materiale polveru- lento limonitico. Resti migliori ho raccolto a circa due chilometri a S.S.E. di Iglesias, nelle arenarie che coprono i calcari della miniera di Campopisano; quivi, sulla collina fra C. Armosini e C. Pilia (q. 199) in R. Crucueddu le are- narie contengono anche altre tracce fossilifere, verosimilmente di frammenti di grandi forme di Crusiana (1); alle arenarie si accompagnano scisti ricchis- simi di Pa/geospongia prisca Born., fossile assai comune nel Cambriano dell'Iglesiente. Qualche traccia di Zophyton si ha pure sull’altura posta a sud di Case Castangia nei dintorni di Campera, in banchi arenacei verticali diretti quasi E-O. Ricordo infine che discreti esemplari senza determinazione ho notato nel Museo Geologico di Roma, raccolti a metà salita del Gutturu Sorgiu tia Nebida e San Pietro, se ben ricordo, dal prof. De Angelis d’Ossat. Quivi lo scrivente fece recentemente larga messe di Hophyton in un banco are- naceo-quarzifico quasi verticale diretto NNO-SSE affiorante visibilmente alla confluenza del canale Sa Ruixina col Gutturu Sorgiu (nelle carte topografiche segnato Can.le di Cuccu Aspu) presso la quota 352. Le località fossilifere finora citate sono poste nelle vicinanze del con- tatto tra il calcare metallifero e le arenarie, ad eccezione di quella di Serra Bogai che, stando alla carta geologica dell'Iglesiente, ne dista poco più di un chilometro. Non ho notato altre tracce analoghe in altri punti della Sardegna. Maggiore importanza per la geologia della Sardegna credo debba avere la scoperta di un altro fossile nuovo. Ne ho trovato i primi esemplari, co- stituiti da macchie giallognole a contorni regolari ellittici o circolari di circa un centimetro di diametro in scisti verdognolî compatti diretti a NO-SE con pendenza a NE che compaiono a sud del Castello di s' Acqua Frida, sulla sinistra e a poche centinaia di metri dalla strada Siliqua-Santadi. dove essa, dopo aver attraversato l'ampia vallata Iglesias-Decimo, comincia a risalirne il fianco destro. Ho in seguito notato le stesse tracce giallognole nella vallata di Ca- bitza, già nota per la sua fauna a Paradoxides ecc., studiata dal Pom- pecky e da questo paragonata a quella, pure a Paradoxides, della Scandi- navia, della Francia del Sud, della Spagna e dell'America del Nord. Gli esemplari migliori furono trovati nelle discariche delle trincee della ferrovia (*) Già Meneghini (Atti Soc. Tosc. 1883) e Bornemann (Nova Acta Acad. C. L. C. Germ. Nat. Cur., t. 51, 1887) hanno trattato delle Cruzianae di Sardegna. — 113 — poste nei dintorni della stazione di Cabitza, in scisti verdastri-giallognoli a grossi banchi, a separazione scagliosa-subconcoidale assai facile nel mate- riale esposto agli agenti atmosferici. Ho trovato campioni in posto nella profonda trincea posta a qualche decina di metri dalla stazione di Cabitza andando verso Iglesias. Quivi esse si accompagnano ad altre tracce orga- niche. Sono rilievi nastriformi larghi circa 1 cent. con rialzo mediano a guisa di cordoncino e decorrenti lungo certe irregolari impronte rossastre, che spiccano sul fondo verdiccio dello scisto. Al prof. Parona non pare che si possono interpretare come Bi/obétes, ed egli ricorda che A. Schenk Pa- Iéophytol. (in Zittel, Traité de Paléont. 1891, pag. 51), a proposito del gen. Arshrophycus del Silurico più antico, avvertì di possederne una forma proveniente dagli scisti micacei verdi della Sardegna. — Gli scisti della trincea sono diretti NNO-SSE con forte pendenza ad est. Ad essi si appog- giano successivamente i calcoscisti, il calcare metallifero e le arenarie (1) con altri scisti. Gli scisti della trincea, per lo più in grossi banchi compatti, sono qua e là attraversati in perfetta concordanza colla stratificazione da sottili zone grossolanamente cariate da vuoti irregolari dendroidi di 2-3 cen- timetri di diametro medio, talvolta riempiti di materiale argilloso, nerastro o biancastro, che ricordano da vicino gli scisti ad Archaeocyathus e a Cosci- nocyathus studiati dal Bornemann. Più tardi ritrovai le impronte giallognole nel Salto di Oridda e — cioè — lungo la valletta del torrente Crucueu, in scisti diretti NE-SO, immersione a SO, sottostanti a calcoscisti e al calcare metallifero, in giacitura quindi identica a quella di Cabitza. Poco tempo dopo trovai le stesse tracce ad est di Villasalto nel Gerrei, tra Bruncu Bullai e Bruncu Coettu, negli scisti già ritenuti huroniani 0 siluriani dagli studiosi che si occuparono della geologia del Gerrei o della Miniera Su Suergiu. Tali scisti vengono a contatto discordante cogli scisti neri a Monograthus e calcari-scistosi del Gotlandiano e con calcari del De- voniano, come ho riferito recentemente nel Bollettino della Società Geo- logica. A questo punto parendomi l'accertamento delle stesse tracce in punti così lontani di grande interesse, mandai i campioni anche questa volta al prof. Parona; e con vivissima soddisfazione appresi trattarsi, per quanto si può giudicare dall’imperfetto stato di conservazione, di O/4hamia (cfr. Oldh. radiata Forb.); impronte problematiche, attribuite a idrozoi, o interpretate come increspature meccaniche alla superficie degli scisti, ma caratteristiche. (1) In un campione di arenaria sì osservano dei corpi, che secondo il prof. Parona possono essere confrontati collo Scolithus Defrenoyi (Rou.) (J. F. N. Delgado, Ft. sur les Bilobites et autres fossiles des quarzites de la base du Syst. Silurique du Portugal. Travanx géol. de Portug., 1886, pag. 80, tavv. 32 e 33). — lo — In seguito ebbi la ventura di trovare ancora tracce delle su pposte Oldha- miae negli scisti posti a qualche centinaio di metri a nord del Tacco Ortuabis, al confine tra Aritzo e Meana Sardo. Queste tracce sono le meno chiare, anche perchè gli scisti che le contengono sono più o meno metamorfizzati e cri- stallini e spesso nodulosi. La località è a OSO e a non più di quattro chi- lometri dagli scisti a Monograptus di R. Piscia Quaddu (Gadoni). Recentemente ho trovato le stesse tracce di O/4hamia conservate come quelle di Siliqua, Cabitza e Villasalto alla Miniera di M. Onixeddu-M. Oi (Gonnesa) sul piazzale della Casa di amministrazione; anche qui agli scisti ad Oldhamia seguono i calcoscisti, e quindi il metallifero e le arenarie, in serie perfettamente uguale a quella di Cabitza, di cui la serie di M. Oni- xeddu con tutta verosimiglianza è l'estensione a SO. Non è mio intendimento affrontare per ora il problema tettonico del- l'Iglesiente; ma assai verosimile e logica mi pare l’interpretazione, che pone alla base gli scisti a Paradozxides e ad Oldhamia di Cabitza e quindi in ordine ascendente i calcoscisti, il meta/lifero e le arenarie, sempre rimanendo nel Cambriano. i Questo piano si estende poi indubbiamente per estese zone nel Sulci- tano; oltre che nella località ad O/dhamia posta presso il Castello di Si- liqua, il Cambriano è rappresentato a Santa Bra (Santadi) da calcari ooli- tici trovati dal collega ing. A. Busachi, e nel comune di Serbariu da una caratteristica serie trovata dallo scrivente. Partendo dai casolari di Cannas e risalendo la valletta omonima, si incontrano dapprima scisti violacei, poi quarziti invece di calcoscisti, sostituzione che si nota pure nella stessa val- lata di Cabitza verso San Giovanni e alla Grotta di Domusnovas, ma sulla quale è per ora prudente il riserbo; vengono in seguito i calcari del metal- lifero diretti N-S e poco prima di arrivare sotto la punta di Niu s'Achili il caratteristico complesso di scisti a Palacospongia, di calcari oolitici, di calcari ad Archaeocyathus e di arenarie, che non lascia il più tenue dubbio sulla sua identificazione con quello dell’Iglesiente. Concludendo e riassumendo anche qualche dato non accennato nella pre- sente Nota, il Cambriano ha in Sardegna uno sviluppo ben maggiore di quello fino ad ora ammesso. Nella Nurra oltre ai fossili di M. Bainzu Melinu che, sia pure con ri- serva, farebbero ritenere una parte degli scisti come appartenenti alla zona superiore del Cambriano iglesiente, ciò che spero potrà in seguito confer- mare lo studio di fossili che ho trovato a Porto Lampiano ('), in parte assai (*) A Porto Lampiano raccolsi parecchi campioni di scisti con traccie fucoidiformi, ed in una di queste il prof. Parona riconobbe una forma strettamente somigliante al Palaeophycus plumosus Whitf. del Potsdamiano (Cambriano sup.). (Geology of Wisconsin- Survey of 1873-79, vol. IV (1882), pag. 169, tav. I, fig. 1). — 120 — diversi e un po’ meglio conservati di quelli di Bainzu Melinu, si trovano le note rocce oolitiche ferrifere (P. Lampiano, la Colti, M. Canaglia, M. Bainzu Melina, M. Trudda e Gioli) che richiamano suggestivamente (e del confronto spero di occuparmi più tardi) le rocce oolitiche calcaree e quar- zitiche frequentissime nel Cambriano dell'Iglesiente (M. Altare, Campera: in più punti, tra Porta Gesus e Porta is Coris in vistoso banco, sotto Punta Craccadroxiu poco a monte del serbatoio d'Iglesias, presso C. Ca- biddu. Gennarta, in numerosi punti lungo il R. Canonica tra il ponte della provinciale e la sorgente s' Acqua Frida, lungo la strada per Marganai presso la Dispensa Boldetti, Canalgrande, Cala Domestica, Cuccu Egaiu di Gonnesa, Gutturu Sorgiu ad est e poco lontano dai banchi ad Zophyton Val Ma- toppa ecc. ecc.). Nella Barbagia si hanno scisti verdi-giallastri ad O/dhamza e nel Gerrei scisti verdi-giallastri ad Olahamia — ed arenarie (Miniera Su Suergiu) che verosimilmente corrispondono a quelle dell’Iglesiente. Nel Sulcis, oltre agli scisti ad O/dhamia e presso Siliqua, rappresen- tano il Cambiano i calcari oolitici presso Santadi, la serie calcare metal- lifero-arenarie e scisti fossiliferi della valle di Cannas. Nell’Iglesiente il Cambriano comprende assai verosimilmente gran parte della zona meridionale della carta geologica unita all'opera dello Zoppi e cioè, limitandomi ad accennare a località da me viste, nuove o non: 4a) buona parte della vallata di Cabitza con scisti a Paradorides e ad Oldhamia; parte di quelli dell'Oridda e quelli di M. Onixeddu ad Oldhamia; b) i cal- coscisti (Vallata di Cabitza- M. Poni); c) il calcare metallifero (M. Poni, Buggerru, Marganai, San Giorgio, San Giovanni e parte almeno delle isole calcaree del Sulcis (Serbariu)); d) gli scisti a Palaeospongia (Canalgrande, Grugua, Campera, Bon Camino, R. is Lois presso M. Altare, Gennarta, col- lina ad est di Campopisano, strada per Marganai allo svolto sotto Conca Ollastus); gli scisti a Zingula (Canalgrande, strada per Marganai nel punto ora detto); gli scisti a trilobiti (grotta di Canalgrande); e) calcari e quar- ziti oolitici delle località già dette; /) calcari e scisti ad Archaeocyathus e Coscinocyathus (San Pietro di Masua e vicina Val Matoppa, valletta a nord di Cuccu Egaiu a Gonnesa, R. Bingiargia e tra Porta Gesus e Porta Is Coris con calcari oolitici a NO di Iglesias, Val Canonica — lungo l’acque- dotto di Iglesias, M. Sebera e O. Fratelli — lungo la strada Iglesias-Flumini, Fonte Calomba lungo la strada dell’arco di Genna Bogai a Grugua, Cabitza (?); g) e in fine le arenarie a trilobiti (Campo Pisano, Canalgrande, Cala Dome- stica (2), Gutturu Sartu) e ad Eophyton (Grugua, Canalgrande, Genna Bogai, Campopisano, Cala Domestica (?), Gutturu Sartu (?) sotto P. sa Gloria, Gut- turu Sorgiu, Campera). Gli strati a, d, c, sono in ordine ascendente; su quelli da d ad f non ho elementi sufficienti, dovendo accontentarmi di quelli che mi si offrono, — 21 — pur essendo molti quelli che occorrerebbe ricercare; si può osservare che gli strati d e g pare sì presentino di preferenza al contatto col metallifero e che gli e ed f si accompagnano spesso a piccole distanze fra loro ed hanno speciale importanza per lo studio della tettonica, data la facilità con cui si possono riconoscere e la loro frequenza, dimostrata quest'ultima dal numero delle località citate, la maggior parte delle quali è nuova, e di quelle che le pubblicazioni di varî autori sull’Iglesiente possono somministrare. Chimica-fisica. — Sy//a ripartizione della soda fra acido bo- rico e Gcido carbonico (*). Nota preliminare di F. AGENO, presentata dal Socio R. NASINI. E. Schweizer (*), studiando il comportamento del borace verso gli acidi deboli, rileva come una soluzione satura a freddo di borace assorba tanta anidride carbonica, quanto basta per trasformare la soda corrispondente in bicarbonato, e come una tale soluzione reagisca debolmente acida e, per eva- porazione o trattamento con un acido più forte, sviluppi anidride carbonica in abbondanza. D'altra parte nel processo usuale di fabbricazione del borace sì tratta il carbonato sodico con acido borico in quantità calcolata e si eli- mina col riscaldamento l’anidride carbonica. La reazione è dunque inverti- bile, e la posizione di equilibrio dipende soprattutto dalla temperatura e dalla concentrazione dell'anidride carbonica. Presenta inoltre speciale inte- resse, perchè sono stati escogitati alcuni processi per la fabbricazione della soda, fondati appunto sull'uso del borace (°), e soprattutto per esperienze tecniche che il prof. Nasini ha fatto intraprendere. L'equazione che regola la ripartizione della soda caustica fra i due acidi è la seguente: H, C0; + BO} = HB0, + HC0}, quando la soluzione sia satura di anidride carbonica per modo che si formi solo del bicarbonato. La costante _ (E00))(HB0.) _& = (B0)(A,00,) © &, vien data dal rapporto delle costanti di dissociazione dei due acidi. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale dell’Università di Pisa. (*) Jahres. Ber., 1850, pag. 257. (*) Lunge, Handbuch der Soda-industrie, III vol., pag. 165. ReENDICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 16 — 122 — Per l'acido carbonico si ha, a 18°, #,= 3,04 X 1077; per l'acido borico, pure a 18°, 1,7 Xx 10-°. Quindi tale rapporto dovrebbe essere teoricamente 3,04 X 107° To AO Però già a priori ci si deve aspettare che il rapporto determinato spe- rimentalmente risulti ben diverso dal rapporto teorico. L'acido borico infatti ha estrema tendenza a formare anioni molto complessi, dotati quindi di una elettroaffinità notevolmente maggiore. Auerbach (*), studiando la ripartizione della soda fra acido borico e acido arsenioso, ha già messo in rilievo che l'acido borico manifesta un'energia assai superiore @ quella prevista dalla sua costante di dissociazione, e che tale comportamento va indubbiamente ascritto alla formazione di complessi. Ad analoghe conclusioni giunge Mac Lauchlan (*) nella ripartizione fra acido borico e acido solfidrico. Le esperienze qui riportate, si riferiscono solo alla temperatura di 25°; però per una conoscenza esatta della reazione presa in esame è necessario ricercare come si sposti l'equilibrio colla temperatura : quindi i dati finora ottenuti servono solo d'orientamento e come punto di partenza per ricerche ulteriori. Con un dispositivo analogo nelle linee essenziali a quello che si ado- pera comunemente per le solubilità dei gas, e che sarà descritto in altra Nota, si determinò la quantità di anidride carbonica disciolta da un volume noto di soluzione di acido borico e borace a titolo determinato. Nella prima serie di esperienze la soluzione fu mantenuta satura di acido borico per avere una concentrazione costante in acido borico libero. Come acido carbonico libero si considerò quello disciolto alla stessa temperatura e pressione da un egual volume di acqua distillata: quindi la sua concentrazione, a pres- sione costante, era pure costante. La differenza fra questo e l'acido carbonico totale si riguardò come entrata in combinazione a formar bicarbonato. In- dicando quindi con a la soda totale, con quella richiesta dall'acido car- bonico entrato in combinazione, con e la concentrazione totale dell'acido car- bonico, siccome la concentrazione dell'acido borico in soluzione satura è 0,90 grammimolecole in un litro, si ha: uguale 2 ilo. x X 0,90 (a-2)(c_ 2)” Re = Tutte le concentrazioni sono date su equivalenti per litro. (*) Zeit. f. anorg. Chem. 37. 893. (®) Zeit. f. phys. Chem. 44, 600, 1903. Mage Volume di soluzione Pressione Soda totale Acido borico | HaC03 libero H3003 sisorbezio RI È; VOTATO a VE k 31.7 765 0.070 1.200 0.0342 0.0058 2.97 32.2 705 0.175 1.680 0.0340 0.0120 1.95 91.2 765 0.254 1.985 0.0341 0.0140 1.54 812 762 0.510 3.000 0.0413 0.0190 0.843 31.7 762 0.990 4.820 0.0340 0.030 0.827 La costante K, oltre che essere enormemente inferiore al valore teorico, va diminuendo man mano che aumenta la soda. Come una delle cause deve plausibilmente riguardarsi in primo luogo la variazione di solubilità della anidride carbonica, per la presenza così del borato come del bicarbonato ; dalla formula si scorge subito che un errore nella determinazione di (c— «) in- fluisce enormemente sul valore del costante K. Tale presumibile causa va studiata determinando la variazione di solubilità di CO, per azione di bi- carbonato, o di altri sali di sodio. In secondo luogo si potrebbe ricercare la ragione della variazione di K, nell’aumentare della concentrazione dei po- liborati, coll'aumentare della concentrazione totale della soda. Questo è reso plausibile già dalle esperienze di Christoff (*) il quale trova che la reazione fra borace e acido carbonico è tanto più incompleta, quanto più concentrata è la soluzione di borace. I suoi dati non permettono però di calcolare il coefficiente di ripartizione. L'influenza della concentra- zione in soda è messa bene in rilievo dalle seguenti nostre esperienze: Una soluzione satura di borace, 0,34 normale, ma senza borace solido come corpo di fondo, fu saturata di anidride carbonica alla pressione di 763 (H00;) (BO) La stessa soluzione, ma con borace come corpo di fondo, fu saturata con anidride carbonica nelle stesse condizioni. L'alcalinità salì a 0,932 normale, e il rapporto i fu trovato uguale a 1,7. Dunque nella prima esperienza il 67,7°/ di soda in soluzione fu tras- formata in bicarbonato, mentre nella seconda solo il 63,5 /0. Inoltre il coefficiente di ripartizione si sposta notevolmente con la tem- peratura: da prove per ora d'indole qualitativa si deduce che a bassa tem- peratura si forma bicarbonato in proporzione più notevole che non ad alte temperature. Le esperienze ora in corso tendono a stabilire la dipendenza del coef- ficiente di ripartizione da tutte queste cause, come pure a determinare la natura degli anioni complessi poliborici che si formano. (1) Zeit. f. phys. Chem. 53. 336, 1905. e alla temperatura di 25°. Il rapporto fu trovato uguale a 2,27. .— 124 — Chimica. — Za supposta complessità del tellurio. Nota di GrovannI PELLINI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. | Chimica. — Sulla esistenza di complessi tra sostanze puri- niche e il salicilato sodico Nota di G. PeLLINI e M. AMADORI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Isomeria negli eteri del diisoeugenolo (*). Nota di ERNESTO PuxEDDU, presentata dal Corrisp. G. PERATONER. In una Nota precedente (*) sul diisoeugenolo mettevo in rilievo il fatto che l'etere dietilico del diisoeugenolo da me preparato in modo diverso da quello già conosciuto non coincide col polimero che Wassermann (°) ha ot- tenuto per la prima volta frazionando in modo conveniente l'etere etilico dell’eugenolo. Nella mia Nota dianzi ricordata ponevo la questione di una possibile isomeria nel dietildiisoeugenolo ragionando nel modo seguente: Il diisoeugenolo è, com’ è noto, un polimero dell’ isoeugenolo e questo alla sua volta deriva dall’eugenolo per riscaldamento con potassa. La diffe- renza nel comportamento chimico e fisico tra l’eugenolo e l'isoeugenolo è da attribuirsi alla catena non satura che in essi è presente in una identica posizione rispetto agli altri gruppi sostituenti nell'anello benzoico: la catena propenilica —CH,—CH = CH, nell’eugenolo e la catena allilica —CH = CH—CH,; nell’ isoeugenolo. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Cagliari. (2) Gazz. Chim. It., XXXIX (1909) (I), pag. 131. (3) Annalen, 179, pag. 175. — 125 — Si conoscono oramai moltissime reazioni differenziali tra i due tipi di composti. Specialmente interessante è il fatto che l'esperienza ha costantemente confermato, per cui il primo tipo a catena propenilica non ha tendenza a polimerizzarsi, mentre tale proprietà occorre quasi sempre nei composti a catena allilica. Tale comportamento avvalora 1° ipotesi che la polimerizza- zione osservata dal Wassermann, nella quale dall’etileugenolo si passa a un composto con molecola doppia, è preceduta assai probabilmente da una iso- merizzazione della molecola dell’eugenolo in quella dell’isoeugenolo. Il poli- mero di Wassermann si dovrebbe allora interpretare come un dietildiisoeu- genolo isomero di struttura del dietildiisoeugenolo da me preparato per altra via e dal quale si distingue nettamente. L'isomeria si può spiegare mediante i seguenti schemi: CH pd or 1) CH Ser gn c.H (00.1.) 0CH, (6 CH.) C.H:—CH-—CH—CH, II) OCH CHE cH2 Hi ( È (nu) Se invece si volesse ammettere che la proprietà di polimerizzarsi può spettare anche ai composti a catena propenilica (ipotesi contradetta dai fatti) allora bisognerebbe attribuire al polimero di Wassermann una formola ana- loga ad una qualsiasi delle precedenti ma con l’anello tetrametilenico formato con le due coppie di atomi più lontani, nelle catene laterali, dai nuclei benzenici. In questa Nota io ho studiato meglio i due eteri che sono da riguar- darsi, con molta probabilità, come due isomeri di struttura. Il polimero di Wassermann, oltre che nel modo indicato da questo sperimentatore, l’ ho preparato anche riscaldando a bagno di lega l’etileugenolo puro: in tutti i due processi di preparazione il polimero ha un punto di fusione più elevato di quello indicato da Wassermann. Sfortunatamente la resa della polimeriz- zazione è molto scarsa: col riscaldamento dell’etileugenolo puro la resa è molto superiore a quella realizzabile col metodo di Wassermann ma è sempre piccola in valore assoluto. L'altro etere che è verosimilmente isomero di struttura con il polimero di Wassermann si ottiene invece partendo o dall'etilisoeugenolo e polimeriz- — 126 — zando questo con corrente di acido cloridrico secco 0 dal diisoeugenolo me- diante eterificazione. In queste preparazioni compare sempre con le sue pro- prietà ben definite e distinte da quelle del polimero di Wassermann. PARTE SPERIMENTALE. Etileugenolo. Per preparare l’etileugenolo ho impiegato gr. 50 di eugenolo sciolti in 250 cc. di idrato potassico al 10°%/ e l'ho fatti reagire con 40 cc. di sol- fato etilico. Per facilitare la soluzione dell’eugenato potassico è bene aggiun- gere 200 cc. di acqua all'eugenolo prima di trattarlo con la potassa. Il miscuglio si agita vivamente per due o tre ore: indi si esaurisce la reazione riscaldandolo a bagno-maria. Alla superficie del liquido compare uno strato oleoso giallastro che galleggia finchè la soluzione acquosa alcalina ha una certa densità ma che precipita al fondo del recipiente quando si lava con molta acqua. Ho estratto in seguito con etere lavando ripetutamente con potassa e con acqua. L'estratto etereo è stato seccato con cloruro di calcio fuso. Filtrando e distillando l’etere etilico rimane indietro un olio giallo-rossastro che si purifica per distillazione frazionata. i Tra 254° e 255° passa l’etileugenolo: quando nel palloncino è restata solo una piccola quantità di sostanza il termometro s' innalza ancora fino a 260 mentre la distillazione prosegue. La porzione 254-255° deve essere ridistillata ancora due o tre volte finchè la si ottiene completamente inco- lora. Dell’etileugenolo così ottenuto, che è una sostanza incolora e di gra- devole odore aromatica è stata fatta l'analisi. Sostanza gr. 0,4001: CO, gr. 1,1010; H,0 gr. 0,2901. Trovato °/o Calcolato per Cis His Os C 75,0 75,0 H 8,0 8,9 Il poso specifico dell'olio è alquanto maggiore dell’acqua: a 0° è 1,0260. È quasi insolubile nell'acqua. È insolubile negli idrati, e nei carbonati al- calini e negli acidi inorganici diluiti. Si scioglie facilmente nell’acido ace- tico, etere, alcool, benzolo. Tenuto in essicatore ad acido solforico si colora lentamente in giallo: esposto in boccetta a tappo smerigliato all'azione della luce si colora ugualmente. Nel prepasare l’etileugenolo nel modo dianzi descritto bisogna aver la massima cura nel decomporre con potassa l'eccesso di solfato dietilico che non ha reagito. — 127 — Etileugenolo (secondo Wassermann). Wassermann ha preparato l'etileugenolo facendo agire il bromuro di etile sull'eugenato potassico. Nel ripetere questa preparazione ho sostituito soltanto con ioduro di etile il bromuro. A gr. 50 di eugenolo in un pallon- cino si aggiungono gr. 17 di idrato potassico sciolto in 40 cc. di acqua e gr. 33 di ioduro di etile puro. Si agita la miscela a caldo finchè si scioglie e si tiene poi all’ebollizione a bagno-maria per parecchie ore fino a far scomparire l'odore dell’ioduro d'’etile. L'etileugenolo preparato in questo secondo modo. Si ha con rendimento un po minore ma si ottiene egualmente puro e coincide esattamente con l'altro. Polimero dell’etileugenolo. Wassermann frazionando l’etileugenolo, ottenne un polimero solido dal punto di fusione 125°, cristallizzato con iscaglie e assai poco solubile nel- l'etere. Io ho ripetuto l'esperienza e son riuscito dopo alcuni tentativi in- fruttuosi ad ottenere lo stesso prodotto con un punto di fusione più alto. Ho in un saggio adoperato l'etileugenolo grezzo ottenuto per azione del solfato dietilico sull'eugenolo. Gr. 50 di etileugenolo furono sottoposti a distillazione frazionata. Raccolta a parte la porzione che distilla a bassa temperatura, quando il termometro sale a 254° si raccoglie la maggior parte di prodotto fino a che non si nota un nuovo innalzamento della colonna termometrica, che raggiunge pian piano i 260°. Generalmente ho osservato che a questa temperatura compare nel palloncino di distillazione una specie di nebbia formata come da minutissimi cristalli. È in questo momento che conviene interrompere il riscaldamento. Il residuo è una sostanza bruna vi- schiosa che abbandonata a sè cristallizza dopo qualche tempo. Lavandolo ripetutamente con etere rimane indietro una piccola massa cristallizzata e giallastra che si può facilmente purificare per cristallizzazione dall'alcool ordinario. Essa si presenta cristallizzata in tavolette romboidali e spesso con due spigoli opposti smussati: ha un punto di fusione di 140°. Insolu- bile in acqua, in idrato alcalino, si scioglie invece assai bene nel cloroformio. È da notarsi che a differenza del dietildiisoeugenolo è assai poco solubile in etere, in benzolo e nell’acido acetico. Del prodotto purificato con gran cura fu fatta una analisi: Sostanza gr. 0,3450; CO, gr. 75,0; Hs0 gr. 0,2550. Trovato % Calcolato per (Cis H1603); Ch 75,0 75,0 H 8,2 8,3 — 128 — In un'altra prova fatta, invece di adoperare l’etileugenolo grezzo, ho preso dell'etere già purificato per ripetute distillazioni : anche in questo caso si ha lo stesso polimero fondente a 140°. La resa in polimero è sempre molto scarsa. In tubi chiusi a tempera- ture varie (150°, 170°, 200°, 240°) e per diversi giorni non si ha traccia di polimero operando sull'etileugenolo. Unendo a questo acido cloridrico concentrato 0 cloruro di zinco e operando in condizioni svariate il risultato è sempre negativo. L'unico modo che assicura un rendimento discreto è di riscaldare direttamente l’etileugenolo. Bisogna anzitutto procurarsi l’etileugenolo puro ridistillando il prodotto grezzo. Gr. 50 di etileugenolo secco si riscaldano in un palloncino a rica- dere a bagno di lega finchè la temperatura del bagno abbia raggiunto i 270 gradi circa. Interrompendo il riscaldamento dopo tre ore e lasciando raffreddare il palloncino non si osserva la formazione del polimero; l’olio però appare più denso. Riscaldando ancora la densità dell'etileugenolo au- menta sempre tanto che non bolle più; dopo altre 12 ore si è nuovamente interrotto il riscaldamento. Col raffreddamento il contenuto del palloncino si rapprende in una massa cristallina. Si è formato il polimero che si può separare dal magma cristallino per lavaggio con etere, dove si scioglie l’etil- eugenolo inalterato. La parte insolubile è bianca, cristallizzata e pesa gr. 6,5. Il rendimento è quindi del 13°. Ha forma romboidale e talora con due spigoli opposti smezzati in modo da avere un contorno quasi ellittico. Il punto di fusione è a 140° e coincide perfettamente per le sue proprietà con quello preparato seguendo le istruzioni di Wassermann. Azione del bromo sul polimero. A gr. 5 di polimero in soluzione cloroformica si aggiunge goccia a goccia un piccolo eccesso di bromo (calcolato per due atomi) e si raffredda con ghiaccio e sale. Il bromo è assorbito prontamente e in ultimo il liquido si colora in giallo. Facendo evaporare dopo 10 ore la soluzione si ha ab- bondante sviluppo di acido bromidrico: rimane indietro una sostanza peciosa, che si lava con acqua. Questa è solubile in etere ma non tende a cristal- lizzare: contiene bromo ed è bianco-giallastra. Dietildiisoeugenolo. Questo prodotto è stato già descritto in una noticina precedente (!): si presenta come una sostanza bianca in aghi prismatici fondenti a 129-130°, solubile in alcool, etere, acido acetico e benzolo. (') Gazz. Chim. It.. 39 (1909), 131. — 129 — Come è stato detto nella parte generale questo composto è verosimil- mente da riguardarsi come isomero di struttura del polimero di Wassermann. Monobromodietildiisoeugenolo. Gr. 7 di dietildiisoeugenolo si sciolgono in etere secco in una boccetta immersa in un miscuglio di ghiaccio e sale e si aggiungono gr. 2 di bromo sciolti nello stesso solvente a piccole porzioni. La soluzione dopo un po’ si colora in giallo-rosso e dopo una notte di riposo sviluppa vapori acidi: eva- porando il solvente si depongono dei cristalli mischiati a una sostanza rossa oleosa, che si rapprende anch’essa in una massa friabile. Il prodotto cristal- lizzato dall'alcool e poi dall’etere è in cristalli romboedrici giallo-verdi fon- denti a 118°. Sostanza gr. 0,2090; CO. gr. 0,4758; H.0 gr. 0,1373. ” » 0,3343; Br gr. 0,0592. Trovato o Calcolato per Ca Hs1 04 Br 0 62,1 62,2 H 7,2 6,6 Br yi 17,2 Il composto è insolubile in acqua, in potassa: si scioglie nei solventi organici Il polimero dell’etileugenolo e il dietildiisoeugenolo sono, come risulta dai fatti precedenti, due sostanze assolutamente distinte. Essi si differenziano principalmente perchè: a) il 1° è pochissimo solubile in etere e in cloroformio, il 2° è in essi solubilissimo ; 5) il 1° fonde a 140° con forme romboidali e spesso ad angoli smus- sati: il 2° fonde a 129-180° ed è in aghi prismatici; c) il 1° dà col bromo un prodotto tutto diverso da quello che fornisce il secondo. ReNDICONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 17 — 150 — Chimica. — Sulle soluzioni citrofosfatiche (*). Nota di A. QuaR- TAROLI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. L'azione solvente del citrato ammonico sopra i fosfati alcalino-terrosi e l'impedita precipitazione di detti fosfati sciolti in acidi per aggiunta di am- moniaca, rendono molto verosimile, anche senza il sussidio di speciali inda- gini fisico-chimiche, l'ipotesi che si formino sali complessi, con scomparsa 0 diminuzione dei cationi alcalino-terrosi e degli anioni PO,. Su tale argomento ho eseguito alcune ricerche (?), non solo allo scopo di provare la formazione di anioni complessi, ma di studiare la costituzione di questi. Da tali ricerche conclusi che, per es., nelle soluzioni di fosfato bibaritico in citrato ammonico, tanto Ba che PO, facevano parte di un me- desimo anione complesso, tanto che un eccesso di ioni Ba, facendo diminuire ancora la parziale dissociazione dell’anione stesso, rendeva impossibile la precipitazione di Mg NH, PO,. Notai pure che nelle soluzioni citrofosfatiche, in determinate condizioni, sì debole era la concentrazione degli ioni Ba o Ca da raggiungere appena, con ioni SO, o C.0,, non in eccesso, i piccolis- simi prodotti di solubilità di BaSO, o Ca C,0,. Su tali interessanti questioni ha intrapreso una serie di ricerche il Pra- tolongo, il quale in una prima Nota (*) studia, col sussidio della crioscopia, le soluzioni citro-fosfatiche. Da tali ricerche conclude, pure facendo delle riserve e proponendosi di completare lo studio con misure di conducibilità elettrica, che i dati ottenuti confermano l’ipotesi di una doppia decomposi- zione già sostenuta da Grupe e Tollens (‘) e non portano invece conferma alcuna alle vedute già espresse da Herzfeld e Feuerlein (*) e recentemente riprese da Barillè (5) e dallo scrivente ("), sulla formazione di ioni com- plessi.. Ora è facile accorgersi che, facendo una tale affermazione, il Pratolongo è caduto in uno strano equivoco. Il lavoro di Herzfeld e Feuerlein rimonta al 1881, e quindi in esso non si poteva parlare certo di ioni complessi; nel lavoro poi del Barillè, per quanto recente, si parla di sali doppî e non di (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica del R. Istituto tecnico di Viterbo. (?) Stazioni sper. agrarie, 1910, pag. 558. (3) Questi Rendiconti, 1° semestre 1911, pag. 812. (4) Ber. d. Chem. Ges. /3. 1267 (1880). (5) Zeit. Anat. Ch. 20, 191 (1881). (€) Journal de Pharm. et Chimie (6) 27, 437. (7) Loc. citato. — 131 — sali complessi. Quindi, o l'A. non ha letto attentamente tali Memorie, o non conosce la distinzione di sali doppî e complessi secondo la teoria della dis- sociazione elettrolitica. Ma nei dati sperimentali e nell’interpretazione di essi, ben più gravi sono le inesattezze, sì da infirmare le deduzioni, sia pure condizionatamente fatte, e da pregiudicare anche i risultati che V'A. si propone di raggiungere poi colle esperienze di conducibilità destinate a completare le prime. Mi propongo infatti di dimostrare: 1) Che nelle ricerche crioscopiche il Pratolongo è partito da un pre- | supposto erroneo, poichè, credendo di sperimentare con soluzioni di citrato | diammonico, non aveva in realtà che mescolanze di citrato diammonico e citrato triammonico con forte prevalenza di quest'ultimo. 2) Che, indipendentemente da tale errore, è inesatto che le differenze fra i dati trovati e le depressioni normali calcolabili, per le soluzioni di citrato ammonico, siano dovute prevalentemente a fenomeni idrolitici; mentre si tratta quasi esclusivamente di dissociazione elettrolitica, come è facile dimostrare anche senza esperienze di conducibilità. 8) I dati crioscopici delle soluzioni citrofosfatiche stanno a favore dell'ipotesi della formazione di sali complessi ed escludono quella della doppia decomposizione, ammessa oltre a trenta anni fa da Grupe e Tolleus, quando non era ancora possibile trovare una migliore spiegazione del comportamento chimico delle soluzioni citrofosfatiche. L'A. prepara il citrato diammonico suturando una soluzione di acîdo citrico con ammoniaca fino a neutralità. Ora, nessuno dei più comuni in- dicatori permette di poter ottenere in tal modo, neanche approssimativa- mente, del citrato diammonico. Con cartine sensibili di tornasole si raggiunge all'incirca la neutralità con equivalenti 2,85 di idrato ammonico e la rea- zione alcalina con 2,95, evidentemente per una leggera idrolisi. Forse l'A. ha titolato con tale mezzo, poichè i dati crioscopici coincidono approssimativa- mente con quelli ottenuti saturando una gr. molecola di acido citrico con gr. molecole 2,80 circa di idrato ammonico. Ciò è provato da una serie di ricerche che mi propongo esporre nella presente Nota. Anzitutto ho preparato soluzioni titolate di acido citrico pesando quan- tità determinate di acido purissimo e portando a volume. Tali soluzioni, con potassa n. e fenolftaleina mostravano un titolo un po' inferiore al prevedi- bile, per una leggera idrolisi, come vedremo in seguito. Poi ho preparato a parte soluzioni titolate di ammoniaca, controllandole con acido solforico n. e tornasole. Unendo queste alle prime nelle quantità volute, preparavo soluzioni di citrato ammonico col rapporto richiesto fra acido e base, eliminando così le incertezze degli indicatori nel caso di acidi e basi ambedue deboli. aio — Su tali soluzioni ho eseguito determinazioni crioscopiche coll'apparecchio di Beckmann e coi procedimenti noti. A queste ho fatto seguire pure alcune ricerche con soluzioni dei fosfati ammonici e dei sali potassici dell'acido citrico, per avere tutti gli elementi per discutere la esposta questione. Con V indico il volume (in litri) nel quale è sciolta la gr. molecola; con 4 l'abbassamento del punto di conge- lamento. Con citrato ammonico 2,2; 2,4 ecc. indico le soluzioni ottenute, aggiungendo a una gr. molecola di acido citrico, rispettivamente, gr. mole- cole 2,2; 2,4... di idrato ammonico. Per v=2, vicino alla temperatura di congelamento, precipita fosfato triammonico, onde, a tale concentrazione, non è possibile la determinazione crioscopica di questo sale. V d V d Acido citrico . . . . » 1 2,295 || Citrato triammonico . 2 2,700 2 1,060 4 1,365 10 0,225 10 0,580 Citrato monoammonico . 2 1,570 || Citrato monopotassico . 4 0,830 4 0,820 10 0,355 10 0,365 Citrato bipotassico . , 4 1,125 Citrato biammonico . . 9 2,060 10 0,470 4 1,125 Citrato tripotassico . . 4 1,355 10 0,475 10 0,575 Citrato ammonico 2,2. . 2 2,185 Fosfato monoammonico . 4 0,825 4 1,130 10 0,350 10 0,480 Fosfato biammonico . . 4 0,965 Citrato ammonico 2,4 . . 2 2,920 10 0,435 4 1,270 10 0,535 || Fosfato triammonico . . 4 1,430 10 0,625 Citrato ammonico 2,6 . . 2 2,410 4 1,210 Citrato triammonico 2 2,645 + CaHPO, , V= 0,03 10 0,545 Citrato triammonico 4 1,360 + CaHP0, , V= 0,01 Citrato ammonico 2,8... 2 2,575 Citrato triammonico 2 2,665 4 1,280 + BaHP0O, , V= 0,03 10 0,550 || Citrato triammonico 4 1,335 + BaHPO, , V= 0,01 Ma suli — 133 — Ciò che per lo scopo della presente Nota più ci interessa è il compor- tamento crioscopico delle soluzioni di citrato ammonico. Rileviamo anzitutto che il citrato diammonico per v=2, dà 4=2,060 invece che 2,553, come trova il Pratolongo. Quest'ultimo dato, come segue dalla tavola precedente, è assai vicino a quello di un citrato ammonico di basicità 2,8. Onde le soluzioni odi citrato diammonico ammettono il coef- ficiente #=2,21 (rammentando che, per v= 1 ,4=1,86); le soluzioni del Pratolongo, é=2,74. Tali valori saranno in realtà un pò minori essendo la gr. mol. sciolta non in un litro di acqua ma di soluzione. | Ora, questo elevatissimo coefficiente è attribuito dall'A. in prevalenza, anzi, a rigor di logica, quasi esclusivamente, a dissociazione idrolitica. Infatti, parlando di intensi fenomeni idrolitici nelle soluzioni di citrato ammonico in base a dati crioscopici, si viene ad escludere @ priori la dis- sociazione elettrolitica, altrimenti la supposizione non avrebbe senso. Ora, col coefficiente £ dedotto dalle esperienze del Pratolongo, cioè 2,74, l'idrolisi toccherebbe non solo il citrato diammonico, ma per 3/4 lo stesso citrato monoammonico; anche col coefficiente 2.21, bisognerebbe ammettere per !/5 circa idrolizzato anche lo stesso citrato monoammonico. Ora non Vè certo bisogno di esperienze di conducibilità per dimostrare quanto una tale conclusione sia assurda. Lasciamo pure i dati crioscopici rela- tivi ai citrati di potassio tanto vicini a quelli dei corrispondenti citrati ammonici; volendo sottilizzare, potrebbero i primi essere isotonici dei se- condi per la stessa ragione che il cloruro potassico è presso a poco isotonico del fenato di anilina. Volendo parlare di idrolisi senza misure dirette, come, in via d’induzione, fa l’A., bisogna almeno attenersi a ciò che è comprovato e acquisito rela- tivamente agli effetti della debole dissociazione dell’acqua: la teoria del- l'idrolisi, largamente comprovata dalle ricerche sperimentali di Arrhenius, Bredig, Ley ecc., è ormai tanto sicura che può essere utilizzata anche per dedurre in via indiretta la costante di dissociazione di basi debolissime e poco solubili. Ora le costanti di dissociazione dell’idrato ammonico e del- l'acido citrico sono ben note e ci permettono anzitutto di stabilire che il citrato monoammonico non può essere che trascurabilmenee idrolizzato. Infatti il prodotto della costante di dissociazione dell'idrato ammonico per quella dell’acido citrico è di gran lunga superiore alla costante di dissocia- zione dell’acqua, sì che l’idrolisi data da E 1,9, 10 y Ki. 2,8.10-X 82.105 1886 Xx 10" è affatto trascurabile. — 134 — Dunque, l’elevato coefficiente 7 riscontrato per le soluzioni di citrato monoammonico (1,68), non può essere dovuto che a dissociazione elettrolitica; e l'aversi quasi lo stesso coefficiente pel citrato monopotassico mostra (anche a prescindere dalla possibilità che, per v=2, i dati crioscopici siano un po superiori agli elettrici) che presso a poco il citrato monoammonico e mo- nopotassico sono egualmente dissociati. Ciò posto, possiamo allora valerci della seconda costante di dissocia- zione dell'acido citrico, stabilita dallo Schmidt mediante i citrati biacidi alcalini e da me controllata mediante la catalisi dell'etere etildiazoacetico, cioè K=3,2.10-? circa, e stabilire, col solito calcolo, che l'idrolisi nel ci- trato diammonico è all'incirca 0,4°/ del sale, cioè una quantità affatto trascurabile rispetto all’abbassamento del punto di congelamento. Dunque, anche la depressione notata pel citrato diammonico è dovuta unicamente a dissociazione elettrolitica. Pel citrato triammonico, tutto al più, si potrà avere un'idrolisi, per quanto non molto notevole. La terza costante dell'acido citrico, data come incerta dallo Schmidt (0,07 .107°) e da me di nuovo determinata col sensibilissimo metodo sopra indicato, è 0,12. 107, ciò che porterebbe a un’idrolisi del 6 °/, circa, cui non potrebbe cor- rispondere, per v= 2, un aumento di depressione superiore a tre centesimi di grado e minore certo pel citrato ammonico 2,8-2,9 studiato dall'A. Si vede dunque quale influenza trascurabile abbia anche in questo ultimo caso l’idrolisi del sale nel determinare l'alto valore del coefficiente %. Le determinazioni col fosfato ammonico mostrano l'impossibilità di sostenere l'ipotesi di una doppia decomposizione, già in disaccordo col com- portamento chimico delle soluzioni citrofosfatiche. Se, per es., fra citrato biammonico e Ca HPO, interviene la reazione (indicando con R l'anione ci- trico) Ca HPO, + (NH,),HR = Ca HR + (NH,), HPO, e il citrato biammonico è, per es., alla concentrazione 0,25, dalla depressione 4=1,125 si dovrebbe arrivare, per aggiunta del fosfato in quantità equi- valente, a 4 = 0,955 + 0,465 > 1,430, essendo la costante di dissocia- zione del citrato di calcio. È inutile dire che con minori quantità di fosfato di calcio restano inalterate le relazioni di disuguaglianza. Analizzando gli altri casi possibili di doppia composizione è facile pre- vedere in tutti i casi un rilevante aumento di 4, specie poi partendo dal citrato triammonico, poichè il fosfato triammonico, a differenza di questo, è in realtà completamente idrolizzato in fosfato biammonico e idrato am- monico. Invece l'ipotesi della formazione di sali complessi non prevede aumento alcuno e non esclude nemmeno una leggera diminuzione (quale ho riscon- trato tanto con CaHPO,, quanto con BaHPO,), potendo questi far variare la — 1835 — dissociazione del nuovo sale e, per l’influenza di elementi sì fortemente me- tallici nell'anione citrico, diminuirla. Perciò è evidente che i dati crioscopici portano un nuovo appoggio alle idee da me espresse, mentre l'ipotesi della doppia decomposizione, oltre ad essere in disaccordo con quelli, non spiega come, data la notevole dissocia- zione dei fosfati ammonici e dei citrati alcalino-terrosi, non sia raggiunto il prodotto di solubilità dei fosfati di questi metalli e a mala pena sia rag- giunto quello bassissimo del solfato di bario e ossalato di calcio. Chimica. — Analisi termica di miscele binarie di eloruri di elementi bivalenti. Nota di CARLO SANDONNINI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica fisica. — .S4/ comportamento anodico dell’ Uranio (). Nota del dott. UMBERTO SBoRgì, presentata dal Socio R, NASINI. Dal punto di vista del comportamento elettrochimico si possono distin- guere due categorie di metalli: quelli (come lo zinco, il cadmio ecc.) che sottoposti alla corrente anodica si sciolgono quantitativamente secondo una valenza costante e quelli (come per es. il ferro ed il cromo) che in date condizioni si sciolgono secondo una certa valenza; in altre o si sciolgono secondo valenza diversa dalla prima o non si sciolgono affatto (2). Questi ultimi sono i metalli cosiddetti « passivabili ». Ci sono anche alcuni metalli che in certi elettroliti ber azione della corrente si coprono subito visibil- mente di uno strato insolubile (per es. il piombo in acido solforico) e la soluzione anche per questi o varia 0 cessa. Ma qui la causa che impedisce il disciogliersi è manifesta e non è dubbia (chè sull’anodo si stratifica un composto insolubile la cui formazione è perfettamente spiegabile dati i pro- dotti dell’elettroliti) mentre questo non avviene, o per lo meno non avviene manifestamente nel caso dei metalli passivi ì quali, anzi, durante lo stato di passività si mantengono all'aspetto lucidi e inalterati. A queste anomalie nella solubilità anodica fanno riscontro come è na- turale anomalie nei potenziali. I metalli passivabili infatti possono presentare (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale dell’Università di Pisa. (?) Hittorf, Z. phys. Chemie, 25, 729 (1908); 30, 480 (1899); 34, 385 (1900). — 136 — di fronte ad uno stesso elettrolita tutta una serie di potenziali diversi (*) a seconda del trattamento subìto e precisamente presentano potenziali più positivi (*) se sono stati prima in contatto più o meno lungo con liquidi detti appunto attivanti o se sono stati scaldati o più ancora se sono stati sottoposti alcun tempo alla corrente catodica. Con questa spostabilità del potenziale sta in relazione l'attitudine che il metallo ha in certe condizioni e non ha in altre a spostare un dato catione da un elettrolita in cui venga immerso. Caratteristica è poi la forma della curva di polarizzazione anodica che si ottiene per i metalli passivabili. Per valori crescenti della tensione esterna applicata alla cella, la intensità di corrente ed il potenziale anodico variano regolarmente fino al punto del passivamento : in questo punto il potenziale precipita d'improvviso a valori anormalmente negativi e la corrente si ri- duce al valore di una corrente residua: la curva intensità-potenziale presenta dunque una forte discontinuità caratteristica (°). i Poichè i fenomeni di passività furono più specialmente riscontrati nei metalli del 5°, del 6° e dell'8° gruppo, € poichè quelli del 6° sono stati tutti sperimentati ad eccezione dell'uranio, mi parve interessante studiare il comportamento anodico di questo metallo. L’uranio da me adoperato era preparato col metodo Moissan: conteneva sempre del carbonio e dell'azoto: non mi fu possibile avere dell'uranio puro. Malgrado questo non rinunciai alle esperienze, perchè le ricerche di Mario sul Molibdeno (4), quelle di Le Blanc e Byers sul Wolframio (5) dimostrano che il comportamento elettrolitico di questi metalli impuri per carburo non differisce di solito notevolmente da quello del metallo puro. Inoltre ebbi luogo di accertare che campioni di uranio provenienti da ditte diverse e contenenti diverse quantità di impurezza presentavano all'incirca lo stesso comportamento. I blocchetti di uranio che avevo a disposizione erano irregolari e pre- sentavano talvolta delle cavità: questo rendeva assai difficile calcolare con esattezza la densità di corrente. Durante l’elettrolisi il metallo si copriva di uno strato bruno il quale peraltro non impediva il passaggio della cor- rente; inoltre più o meno presto l'elettrodo si sgretolava notevolmente. Quasi sempre si ebbe ad accertare durante Velettrolisi svolgimento di gas: talvolta in quantità minima e trascurabile, tal’altra — se il metallo era molto im- (*) Muthmann e Fraumberger, Sitzungsberichten der Kgl. Bayer. Akad. der Wissen- schaften, Bd. XXXIV, 1904, Heft II, S. 201. (2) Per segno del potenziale intendo quello della soluzione. (®) Fredenhagen, Z. f. phys. Ch. 48, 1 (1908). (4) Gazz. Chim. Ital. 35, p. II (1905). (5) Zeitschr. f. phys. Ch. 69. (1909). — 137 — puro per carbone — in quantità notevole, che non fu trascurata come dirò meglio dopo. I blocchetti metallici venivano posti in cima a un tubicino di vetro e fermati tutto intorno con ceralacca: nell'interno del tubicino si poneva del mercurio e in questo si immergeva il filo che conduceva la corrente. Lo spazio anodico era costituito da un piccolo recipiente qualche volta chiuso (per le ragioni che dirò dopo) e per mezzo di un sifone comunicava con un vasetto poroso posto in un altro recipiente che costituiva lo spazio catodico. Il catodo era una lamina di platino. Nel circuito veniva intercalato un am- perometro ed un voltametro ad argento: la cella elettrolitica era in connes- sione con un voltmetro. Talvolta fu pesato l'elettrodo prima e dopo l’esperienza: a questo scopo la sgretolatura separatasi durante l’elettrolisi si raccoglieva su filtro tarato e si pesava a parte. Ma si preferì determinare sempre nel liquido l’uranio disciolto. Fu tenuto per questo il metodo di Abeligoff. Ho già detto che quando l’uranio era molto impuro per carbonio (7-8°/,) si osservava uno sviluppo di gas che non poteva venir trascurato: questo gas si dimostrò essere costituito tutto o in gran parte da anidride carbonica. Per determinarla, il liquido anodico prima dell'esperienza veniva bollito e poi lasciato freddare nel recipiente anodico chiuso, in presenza di aria priva di anidride carbonica. Questo recipiente era chiuso da un tappo a tre fori. Per uno di questi passava la branca del sifone in comunicazione collo spazio catodico. Per un altro un tubo di vetro che pescava nell’elettrolita e portava aria priva di CO?: per il terzo foro un tubo in connessione con un refrigerante, ‘cogli apparecchi di assorbimento e con un aspiratore. La branca del sifone era chiusa da un tappo attraverso al quale passava l’anodo piegato in fondo ad un uncino in modo che si potesse far sporgere dalla branca e che i pro- dotti gassosi si raccogliessero nello spazio sovrastante al liquido anodico. Finita l’elettrosi, si ritirava l’anodo dal liquido senza aprire il recipiente e sì scaldava fin quasi all’ebollizione : frattanto si aspirava attraverso le bolle di Geissler. I risultati delle esperienze furono i seguenti : In acido solforico e solfati, in acido nitrico e nitrati, in acido cloridrico e cloruri, in bromuri, in acetati, in clorato si ebbe sempre soluzione del metallo. In ioduri si ebbe in parte soluzione del metallo, in parte separa- zione dell’alogeno. La valenza secondo la quale il metallo si scioglie fu riscontrato essere la valenza 4. In molte esperienze la quantità di uranio disciolta si riscontrò intermedia tra la quantità teorica rispondente alla valenza 4 e quella ri- spondente alla valenza 5: sempre però si aveva disciolto più uranio di quello rispondente alla valenza 5. Questi risultati si ottennero trascurando — perchè difficilmente determinabile — la piccolà quantità di gas svolgentesi durante RenpicoNTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 18 — 138 — l'elettrolisi. Ora è opportuno considerare che piccolissime quantità di gas svolgentesi rispondono come consumo di corrente a quantità relativamente alte di uranio e che questo spiega la differenza in meno riscontrata in con- fronto al calcolato come U'/,. Tenuto conto che venne trovata sempre una quantità disciolta superiore a quella calcolata come uranio ‘/5 e tenuto conto che per la complessità del fenomeno anodico (sviluppo di gas ecc.) è da prevedersi piuttosto una differenza in meno che non in più sul calcolato teoricamente, si può concludere che i risultati sperimentali indicano che la valenza secondo la quale il metallo si scioglie è la valenza 4. Quando poi si tenne conto della anidride carbonica svolgentesi, i risul- tati ottenuti furono i seguenti. In due esperienze in solfati e in una in nitrati si trovò che il ricavato si avvicinava al calcolato come U!/ e questi risultati sono in disaccordo con tutti gli altri ottenuti: se questo fosse dovuto a una coincidenza ca- suale o se non si trattasse di una influenza dell’alto contenuto in carbonio non potei deciderlo perchè mi venne a mancare e non potei avere di nuovo la qualità di uranio sperimentata, la quale dava uno sviluppo di CO? suffi- ciente per essere determinata. In cloruri invece tenendo conto della anidride carbonica svolgentesi, quando l’uranio elettrolizzato era molto impuro e dava una quantità determinabile di gas, si trovarono valori molto vicini a quelli calcolati per uranio '/, . Riassumendo: quando la quantità di gas (in prevalenza CO?) fu tale da non essere trascurata, la quantità di uranio disciolto era assai inferiore a quella calcolata come U '/, e come U !/; ma calcolando l’uranio rispon- dente all’anidride carbonica svolta, il ricavato totale si avvicinava alla quan- tità teorica per U !/, (eccetto il risultato delle tre elettrolisi citate): quando poi la quantità di gas svolgentesi non fu determinata perchè minima, la quantità di uranio effettivamente disciolta superava già il calcolato per uranio '/5 e si avvicinava talvolta ad U:/,, talchè la perdita in confronto al calcolato era con ogni probabilità da riportarsi tutta al piccolo sviluppo di gas; in alcuni casì (in acido solforico, nitrico e cloridrico 2/10) il rica- vato rispose esattamente al’ calcolato teoricamente per uranio !/,. In fosfati ed in alcali l'elettrodo si ricopriva di uno strato giallo e la corrente cadeva a valori minimi. Se però si staccava meccanicamente il pre- cipitato formatosi, la corrente risaliva al valore iniziale. Tentativi di impe- dire il formarsi del precipitato per mezzo di una rapidissima rotazione del- l’anodo si dimostrarono inutili. A rigore si deve dunque in questi casì concludere per la insolubilità. Tuttavia in alcune elettrolisi in soda caustica staccando continuamente il precipitato formantesi e determinando l’uranio si trovò in alcuni casi un valore molto inferiore ad U !/,, ma in altri quan- titativamente U !/,. ù presumibile che nei primi casi non si fosse riusciti a staccare sempre il precipitato appena formatosi. — 139 — Quanto all'influenza della densità di corrente ho già detto come essa fosse difficile a computarsi data l'irregolarità dei blocchetti adoperati. Tut- tavia in alcuni casi essa dovette essere straordinariamente alta. In una esperienza con un blocchetto assai regolare di uranio essa ammontò certo a non meno di 7-8 Amp. per dm?. L'elettrolisi fu eseguita a 0°, o in ni- trato potassico ®/,. Si riunirono così le condizioni più adatte al passivamento e cioè alta densità di corrente, alta concentrazione di un anione di solito passivante, bassa temperatura (quest'ultima condizione era particolarmente interessante, data l'ipotesi di Hollis (!) che esista una specie di temperatura critica per il passivamento). I risultati — tenuto conto che si ebbe sviluppo di gas — permettono di concludere che anche in queste condizioni la solu- zione non avviene in modo diverso da quello osservato in tutti gli altri casi. Dal complesso di tutte le esperienze — sempre avuto riguardo al fatto che il fenomeno anodico è qui complicato dalla presenza delle impurezze del metallo — si può dunque concludere che la valenza sotto la quale esso Si scioglie è la valenza 4. Devesi tuttavia porre in rilievo che la conclu- sione tratta dalle risultanze sperimentali è strettamente subordinata all ipo- tesì che il comportamento elettrolitico del metallo impuro per carburo non differisca sostanzialmente dal comportamento del metallo puro: ho già detto le ragioni di questa ipotesi: mi riservo però di controllarne il valore nel presente caso se mi sia possibile di avere a disposizione dell'uranio purissimo. Per quanto riguarda la passivabilità del metallo studiato, i risultati ottenuti concordano colle misure di potenziale di Muthmann e Fraun- herger (*) e sono confermati da esperienze di polarizzazione anodica da me eseguite in nitrati, solfati e cloruri. Il metodo adoperato in queste misure fu il seguente. Alla cella costi- tuita da uno dei soliti anodi di uranio e da un catodo di platino immersi nell'elettrolita da sperimentare (senza diafragma) veniva applicata una f.e.m. che si derivava da un ponte, gli estremi del quale erano in connessione con accumulatori. Un voltmetro inserito tra i morsetti della cella indicava la f. e. m. applicata che si poteva variare a piacere per mezzo del tasto mobile del ponte. Di fronte all'uranio anodo pescava l'estremità di un sifone: l’altra estre- mità di questo era immersa in un piccolo recipiente contenente lo stesso elettrolita della cella e qui era immersa anche la branca di un elettrodo decinormale a calomelano. Si adoperò il metodo di compensazione: come stru- mento a zero serviva un elettrometro capillare. Nel circuito della cella era inserito un milliamperometro (In una prima serie di esperienze si era inserito invece di un milliamperometro un galva- (!) Proc. Phil. Soc. 12. 462. (3) Loc. cit. — 140 — nometro, ma dopochè fu constatato che la corrente non ascendeva mai a va- lori minimi si sostituì il milliamperometro). La misura veniva effettuata così. Non appena applicata la f. e. m. vo- luta, si leggeva la intensità di corrente e poi subito sì effettuava la misura per il potenziale: le due osservazioni si ripetevano dopo un minuto o due: poi di nuovo dopo un altro po’ di tempo e così per tre o quattro e se oc- correva per più volte. Quando le ultime letture coincidevano si considerava raggiunto l'equilibrio del potenziale alla tensione esterna applicata. Si accertò così che in presenza di tutti gli anioni sperimentati la in- tensità di corrente cresce continuamente col crescere della tensione esterna, ed il potenziale si sposta verso valori più negativi senza però precipitar mai in alcun punto a valori anormalmente negativi: facendo poi decrescere la ten- sione esterna, la intensità ed il potenziale si spostano ancora regolarmente, senza però assumere i valori osservati per la tensione corrispondente nel cammino crescente. Aprendo il circuito alla fine dell'esperienza l’uranio anodo assume quasi subito il potenziale dell'inizio dell'esperienza o un potenziale vicinissimo quello. Tutti i fatti sperimentali dimostrano dunque concordemente che l'uranio — a differenza di alcuni dei suoi omologhi inferiori — non è un metallo passivabile. Agronomia. — Siderazione o Biocultura? Nota del professore C. Lumia, presentata dal Socio R. PIROTTA. Con questo breve scritto mi propongo di dimostrare: 1° Che le parole siderazione, cultura, siderale, azoto sidereo, indu zione dell'azoto, ecc., se rispondevano alle insufficienti conoscenze scientifiche del tempo in cui il Ville propose la pratica agricola del sovescio concimato, non rispondono ‘affatto alle odierne conoscenze di fisiologia vegetale e di bat- teriologia agraria. 9° Che le espressioni sopra ricordate. falsando i concetti scientifici che sono il naturale fondamento del sovescio concimato, precludono la via ad ogni possibile miglioramento di questa importantissima pratica agricola. 8° Che dati i nuovi orizzonti aperti nell’ultimo quarto di secolo dalla batteriologia agraria sulle funzioni microbiologiche del terreno. rivelasi ne- cessaria una parola nuova che affermi i fondamenti scientifici della cultura a base di sovesci concimati di leguminose, e che abbracci, possibilmente, ogni qualsiasi metodo di coltura che si proponga di ottenere una parte notevole dell'azoto necessario alle piante della rotazione mediante il sussidio degli speciali microrganismi che utilizzano l'azoto libero dell'aria. — 141 — Disconoscere la necessità di un più corretto linguaggio nei riguardi della pratica suindicata, sarebbe pregiudizievole per il progresso agricolo, dap- poichè incerto e lento è lo sviluppo industriale, quando la tecnica non si appoggia sulle conoscenze scientifiche, 0, peggio ancora, quando vuol proce- dere in antagonismo coi risultati di esse. A x x Giorgio Ville, nel 1884, suggerì l’uso dei sovesci concimati con concimi minerali (esclusi i concimi azotati) per accrescere la produzione del fru- mento, e diede a questa pratica il nome di siderazione (1) Il 31 dicembre 1885 Pasquale Visocchi, con maggior prudenza, riferì in un articolo intitolato: Amélioration du sol par les légumineuses (2), i risultati di 13 anni di esperienze (1872-1885) da lui eseguite ad Atina (Caserta). Egli, intercalando fra il frumento ed il granturco il sovescio di leguminose varianti successivamente, e concimando con concimi fosfatici e potassici, ottenne dei risultati tecnici ed economici veramente splendidi. Illustrò la parola siderazione il Lecouteux, il quale chiamò il sistema Ville « l'exploitation intensive de la couche atmosphérique, qui, è l’opposé du sol, se renouvelle sans cesse sous l'action des lois naturelles qui la rendent inépuisable par l'industrie humaine » (*). E più oltre il Lecouteux si do- mandò: « Pourquoi ce mot sidération? ». E così rispose: « Voilà l’idée qui a poussé l'infatigable chercheur à appeler l'agriculture l' industrie sidérale par excellence, parce que, plus que toute autre, elle associe les forces natu- relles, la force solaire surtout, a son oeuvre de production » ! Lo stesso Lecouteux, il 18 febbraio 1886, scrisse un articolo dal ti- tolo: Il sole, l’acqua e l'azoto nell'agricoltura meridionale (4) nel quale volle ancora meglio spiegare il nome dato al nuovo sistema culturale: « È sotto l'influenza di questo astro (cioè del sole) centro del sistema del mondo, che l’azoto passa dall'atmosfera alle piante. Ecco perchè Giorgio Ville chiama siderazione il sistema agricolo che utilizza in grado massimo questa forza generatrice, la forza di tutte le forze ». Giova poi notare che il Ville applicava il suo sistema siderale, indiffe- rentemente, col sovescio del trifoglio o del grano saraceno (5), cosicchè la stessa parola serviva ad indicare due sovesci che ormai sappiamo quanto siano differenti nei loro effetti. Però il Ville, nel battezzare come fece il suo nuovo sistema culturale, trovavasi perfettamente di accordo con le sue vedute teoriche manifestate sin dal 1852, che, cioè, l'azoto libero atmosfe- (*) Georges Ville, Ze proprietaire devant sa ferme délaissée. (*) Journal d’agriculture pratique, 1885, pag. 947. (°) Journal d’agriculture pratique, 19 novembre 1885, n. 47: L’agriculture sidérale. (*) Journal d’agric. prat, n. 7 del 1886. (5) Georges Vllle, Za sidération. Journal d’agric. prat. del 18 marzo 1886. duo rico può essere utilissato per mezzo delle foglie dalle piante e spectai- mente dalle leguminose. Ma la imperfetta conoscenza delle varie ragioni scientifiche del sistema fece sì, che ne venissero esagerati gli effetti dal Ville e dal Lecouteux, i quali, come s'è visto, misero in ballo il sole in una quistione riflettente un particolare metodo di cultura. Ma i due insigni agronomi non sì sarebbero permessi di attribuire al sole i vantaggi del nuovo sistema culturale, se avessero potuto supporre che l'arricchimento del terreno in azoto combinato doveva attribuirsi a delle numerose falangi di esseri invi- sibili che popolano la terra coltivata. Quali erano infatti le conoscenze scientifiche fino al 1885 sulla quistione dell’utilizzazione dell'azoto libero dell’aria per parte delle piante superiori? Nèl 1854, dopo le classiche esperienze del Boussingault (1851-1854) venne, come è noto, nominata una commissione dall'Accademia di Francia, per riferire sulle ricerche del Ville. E questa commissione, della quale fe- cero parte Dumas, Regnault, Payen, Decaisne, Péligot e Chevreul, che ne era il relatore, nel 1858 concluse, che « le ricerche del Ville, quantunque non erronee, non presentavano tutto il rigore scientifico che era necessario nell’importante e delicata vertenza ». Dunque il mondo scientifico rimase soggiogato dalle conclusioni del Boussingault, e continuò ad ammettere che tutte le piante superiori sono incapaci di utilizzare l'azoto libero. Solamente nel 1886, in seguito alle note esperienze dell' Hellriegel, confermate dal Willfarth, si accertò che « le sole leguminose posseggono la facoltà di assimilare l'azoto libero, ma l'utilizzazione non è fatta diretta- mente dalla pianta, e non ha luogo nelle foglie o nelle parti verdi, ma vien fatta indirettamente ed ha luogo nelle radici » (?). In seguito a questa importante scoperta vennero ripresi gli studî, già bene avviati dal Gasparini, sui tubercoli radicali delle leguminose. E sola- mente nel 1888 il Beyerinck dimostrò con la cultura, che nei tubercoli tro- vasi un batterio (Bacillus radicicola) denominato dal Franck Ahisobium leguminosarum, che vive in simbiosi con le leguminose. E, successivamente, analoghe indagini vennero eseguite dall’ Hellriegel, da Bréal, da Prazmovsky, dal Laurent e da altri, i quali coltivarono il microrganismo in apposita s0- luzione nutritiva. Dunque fino al 1885 non si conosceva la vera funzione dei tubercoli radicali delle leguminose e non potevasi, per conseguenza, conoscere la vera funzione agricola che le dette piante compiono nelle rotazioni. Nessuna me- raviglia quindi che il Ville non abbia saputo dare, nè il vero valore, nè la precisa denominazione alla importante pratica del sovescio concimato, della quale, con felice intuito, egli, e con lui il nostro Visocchi, si fecero auto- (1) R. Pirotta, Fisiologia vegetale, pag. 135. — 143 — revoli banditori. Ma non si riesce a Spiegare il fatto che son trascorsi 25 anni dalle geniali scoperte dell'Hellriegel e nessuno ha creduto di rilevare che la parola siderazione non risponde affatto ai risultati delle ricerche di fisiologia vegetale e di batteriologia agraria, eseguite in quest ultimo quarto di secolo. Anzi, contro ogni aspettazione, l’espressione cultura stderale passò rapidamente dai giornali tecnici ai trattati di agricoltura, e da questi ai libri scolastici minori; ed alle espressioni azoto sidereo è cultura siderale fecero seguito le parole piante induttrici 0 asotarifere e fu chiamato azo- tariferia il sistema siderale; tutte parole prive di contenuto e che non ac- cennano, nemmeno alla lontana, alla parte cospicua che prendono nella vita delle leguminose i bacilli specifici delle loro radici. Ora a me sembra che sia tempo che gli agronomi si accordino nella adozione di una parola esatta e che abbia un contenuto razionale. Nè sarebbe opportuno di ritornare all'espressione sovescio concimato, perchè il sovescio può farsi con piante accumulatrici di azoto (leguminose) e può farsi con di- voratrici di fosfati non aventi la detta facoltà (crucifere e grano saraceno) (1), e le due pratiche sono sostanzialmente diverse. Invero, il sovescio di leguminose richiede concimi fosfatici, potassici e calcarei; mentre quello delle crucifere richiede concimi azotati e potassici. E oltre a ciò, il sovescio di leguminose mira ad accrescere la dotazione in azoto combinato del terreno: quello delle crucifere, e di tutte le piante do- tate di alto potere digestivo pei fosfati, mira ad accrescere i fosfati assi- milabili a spese dei fosfati poco assimilabili preesistenti nel terreno. Allo stato delle odierne conoscenze, a me sembra che la parola più ri- spondente allo scopo sia microbiocultura, e, per la necessaria semplicità, biocultura, che val quanto dire cultura fatta col sussidio dell'attività mi- crorganica. E intendo per biocultura qualunque sistema culturale che si proponga di ottenere una gran parte dell’azoto necessario alle piante della rotazione con il sussidio dei microrganismi fissatori dell'azoto libero. Dico una gran parte dell'azoto, perchè date le notevoli perdite di questo elemento che il terreno annualmente subisce, sono frequenti i casi nei quali conviene attingere una parte di quella necessaria alle piante divoratrici di azoto (cereali, ecc.) dalle riserve del terreno, o, meglio, dai concimi azotati. La biocoltura si applica: a) con él maggese alternato coi cereali ; 5) con él maggese preceduto dal pascolo e seguito dal cereale; c) con le leguminose da SOvVEscio ; d) con Ze leguminose da reddito, distinte in produttrici di semi e produttrici di foraggi, e queste ultime distinte, a loro volta, in annue è vivACI. (*) D. Prianischnikow, Sul valore relativo dei diversi fosfati (Ann. agr., XXVIII, 7-1902). i — 144 — La bioculturd col maggese nudo alternato coi cereali è basata sull'at- tività generalmente assai debole dei microrganismi fissatori dell'azoto, che vivono liberi, in ambienti poco arieggiati e che operano insieme coi solubi- lizzatori dei fosfati insolubili (*). La biocultura col maggese preceduto da uno 0 più pascoli sì basa sull’attivita dei precedenti batteri (Clostridium Pasteurianum Win. ed altri) e su quella dei bacilli delle leguminose spontanee. Entrambi questi sistemi sono proprî dei paesi poveri, a popolazione rada; e devono gradatamente scomparire nei paesi a densa popolazione e agrono- micamente evoluti. La biocultura con le leguminose da sovescio è indubbiamente vantag- giosa quando la pianta da sovescio coltivasi in dérobée; ma può o no sod- disfare al fine economico, quando la leguminosa occupa un anno della rota- zione. Gioverà quindi, con esperienze dirette, valutarne, caso per caso, la convenienza, in confronto col costo della concimazione azotata. La biocultura con leguminose da seme è propria delle regioni meridio- nali d'Europa; ed essa reclama nuovi ed accurati reperti scientifici, che ac- certino l'arricchimento dei terreno 72 42000 organico ed organizzato, in se- guito allo svuotamento dei tubercoli radicali che accompagna la maturazione dei semi (?). La biocultura con leguminose da foraggio è di grande importanza nelle regioni meridionali d'Europa € più ancora nelle regioni centrali e set- tentrionali. Essa permette lo sviluppo della cerealicultura e dell'allevamento del bestiame. Con l'uso di foraggere vivaci (medica, ecc.) si possono conse- guire aumenti notevoli nell’azoto combinato del terreno e per uno spessore rilevante dello strato attivo, tanto da rendere possibili due o tre colture successive di cereali. Questa forma di biocultura ha indubbiamente un grande avvenire, e giova quindi che essa venga largamente e praticamente speri- mentata. * %OX ConcLusioni. — Dalle conoscenze attuali sulla biologia dei mierorga- nismi fissatori dell'azoto libero si desume: 1°. La biocultura intensiva importa apparecchiamento nel terreno col- tivabile di condizioni fisico-chimiche favorevoli alle leguminose ed ai bacilli delle loro radici. i 2°, Quantunque le leguminose vengano ascritte fra le divoratrici di fosfati, la pratica c' insegna che esse sviluppano più tubercoli radicali e pro- (*) Dott. Renato Perotti, Sul ciclo biochimico dell'anidride fosforica nel terreno agrario. Roma, 1909, pp. 47-54. () R. Pirotta, Fisiologia vegetale, pag: 139. > — 145 — ducono più semi con il sussidio delle concimazioni chimiche non azotate; e ciò induce a ritenere che questi materiali giovino alla vita libera, saprofitica dei bacilli che aspettano i nuovi ospiti (1). 3°. Promuovendo coi lavori profondi lo sviluppo delle radici delle leguminose, si accresce il numero dei tubercoli e quindi la quantità del- l'azoto libero utilizzato. 4°. Nell'applicazione dei sistemi di biocultura bisogna tener presente il fatto, che lo sviluppo dei tubercoli radicali è scarso o nullo, quando il terreno è ricco di azoto combinato, e specialmente se in forma nitrica. La cultura reiterata dei cereali è perciò un efficace stimolo all’attività dei microrganismi fissatori dell'azoto. 5°. L'importanza che ha la biocultura nel bilancio dell'azoto combi- nato del terreno, verrà maggiormente messa in evidenza, quando si saranno meglio studiate e ponderalmente determinate le rilevanti perdite in azoto combinato che subisce il terreno annualmente. K x x Ed ora un voto: sgombrato il terreno del fallace linguaggio, scienza e pratica s'incamminino di conserva nel campo fecondo della sperimentazione, e diano alle future generazioni di agricoltori sicure direttive per un più pro- ficuo e più intensivo sfruttamento delle energie naturali, fisiche, chimiche e biologiche. Chimica. — Zicerche intorno a sostanze aromatiche contenenti odio plurivalente. Nota di L. MascARELLI e B. ToscHi (*), presen- tata dal Socio G. CIAMICIAN. Le ricerche precedentemente compiute (*) avevano dimostrato che ogni qualvolta si applica la reazione diazoica a derivati del difenile contenenti due gruppi amminici nelle due posizioni 0770 e poi si scompone il prodotto tetrazoico, così ottenuto, con ioduro di potassio, l'andamento della reazione non è completamente normale. Difatti la sostituzione dello iodio ai gruppi amminici avviene (per tutti i derivati del difenile con cui sperimentammo sinora: e cioè 0-0'-diamminodifenile; o-0'-diammino-p-p'-dimetildifenile; 0-0'- (‘) Com'è noto, il Laurent coltivò il Baci/lus radicicola in soluzione contenente 1/000 di fosfato potassico e 0.1 0/00 di solfato di magnesio, oltre ad alcune sostanze azotate che potevano mancare quando nel liquido trovavasi dello zucchero. (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. (*) L. Mascarelli, Rend. R. Accad. Lincei, /6, II, 562 (1907); 17, II, 580 (1908); 18, II, 190 (1909); £9, II, 308 (1910); e Chemiker Zeitung, 1910, nr. 2. RenpIconTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 19 — 146 — diammino-m-m'dimetildifenile) con rendimento scarso: invece del prodotto biiodurato in posizione orto, si ottiene un composto isomero con esso. Tale an- damento anomalo della reazione venne spiegato colla tendenza che ha lo iodio di funzionare da trivalente, per cui il prodotto, che in tali condizioni si ori- gina, deve ritenersi essere ;l ioduro di una base iodonica avente un nucleo eterociclico costituito da quattro atomi di carbonio e uno di iodio trivalente (*).. Data la facilità con cui lo iodio tende a costituire nuclei eterociclici pentatomici, noi ci siamo proposti di applicare la stessa reazione a derivati del difenilmetano, i quali, per analogia, avrebbero dovuto dar origine a pro- dotti ciclici aventi lo iodio in un nucleo di sei termini. Già abbiamo accennato in una Nota precedente (*) quale era la via che ci proponemmo di seguire. Le ultime esperienze confermarono quanto già osserrammo allora; nelle ripetute ricerche fatte non ottenemmo prove con- vincenti di formazione di basi iodoniche quando si scompone con ioduro po- tassico il composto tetrazoico derivante dall’ 0-0'-diammino-p-p'-diclorodifeni]- metano : 4) US 0: (4 >. Hs — CH: — O Hc ; 1) NHy NH; (1 Una sola volta, operando con o-0'-diammino-p-p'-tetrametildiammino- difenilmetano 4) (CHa): N 1) NH: \NH: ni N(CH3)» (4 riuscimmo ad isolare pochi centigrammi di una polvere gialliccia, fondente a 220-225°, la quale dava in modo non dubbio le reazioni proprie delle basi iodoniche. La scarsità del prodotto non ci permise di stabilire la natura vera della sostanza, e solo può lasciarci qualche speranza in un risultato più fortunato di nuovi tentativi. La maggiore difficoltà, che sì incontra nell’operare con 0-0'-diammino-p-p'-tetrametildiammino-difenilmetano, è quella già accennata (1) Da qualche tempo ho intrapreso delle ricerche sull'andamento della reazione di Sandmeyer nella serie dei derivati 0-0-diamminici del difenile : sfortunatamente, esse, per varî contrattempi, non poterono ancora essere condotte a termine. Recentemente Dobbie, Fox e Gauge (Journ. Chem. Soc. London, 1911, 1615) hanno preparato l'o-0/-dibromodi- fenile e l’o-o-diclorodifenile partendo dall'o-o-diamminodifenile. I risultati ottenuti da questi autori, e specialmente la constatazione della formazione di fenazone, concordano per- fettamente con alcuni miei risultati, i quali fin dal 1910 sono raccolti nella tesi di laurea del dott. Braccio e che poi vennero di nuovo presi in esame nella tesi del dott. Treche nel 1911. Avrò modo di ritornare su questo argomento, quando saranno finite le ricerche in proposito. L. MASCARELLI. (£) Rendic. R. Acc. Lincei, 19, II, 338 (1910). — 147 — nella Nota precedente (loc. cit.), cioè la tendenza del suo derivato tetrazoico a passare, per scomposizione, a derivato ossidrilato. Sebbene i tentativi ulteriori da noi fatti coll’-0-0'-diammino-p-p'-dicloro- difenilmetano abbiano avuto esito negativo per quanto riguarda la formazione di composti ciclici contenenti lo iodio plurivalente in un nucleo di sei atomi, tuttavia non ci pare privo di interesse riassumere i risultati avuti, anche per mettere in evidenza le reazioni secondarie che avvengono, le quali, se non sono forse la causa diretta dell'insuccesso, a determinar questo certo contribuiscono. Quando si sottopone l'o-o-diammino-p-p’-dicloro-difenilmetano alla azione dell'acido nitroso, se ne ottiene con facilità il derivato tetrazoico; questo poi, a contatto con ioduro potassico, reagisce e forma in prevalenza l’o-o'-di- lodio-p-p'- dicloro-difenilmetano : 4) Ni 201 (4 20 Hs — CH, — Co LN 3 1) J J (1 contemporaneamente però si origina in quantità non trascurabile una sostanza praticamente insolubile a freddo negli ordinarî solventi, la quale, dopo pu- rificazione da molto alcool bollente, si presenta in scagliette di color giallo oro, brillanti, scomponentisi a 260-265°. L'analisi elementare diede valori corrispondenti alla formula CH NUCI,. Le condizioni in cui tale sostanza prende origine, e il suo contegno, ci fanno attribuire ad essa la costituzione: ARAN + PS SuSE Sonic NA NA Difatti Duval (*), facendo agire l'acido nitroso (da nitrito alcalino e un acido) su derivati del difenilmetano contenenti due gruppi amminici in po- sizione orto, potè ottenere ultimamente composti aventi proprietà simili a questa sostanza, ai quali egli attribuisce la costituzione sopra accennata e che egli chiama derivati endobisazoici. Sono caratteristici di questi prodotti non solo la stabilità e la poca solubilità, ma anche il fatto che, per azione dell'acido solforico, uno solo dei nuclei azotati si apre, e si origina il derivato o-ossiendoazoico relativo (3). (3) Bull., (4), 7, 852. (*) Duval, Bull., (4), 7, 915. — 148 — Il nostro prodotto, fondente a 260-265° ( p-p'-dicloroendobisazodifenilmetano), ci fornì per tale trattamento un derivato dal p. f. 249-252°, solubile facil- mente in alcali, contenente ancora azoto, e che col cloruro ferrico si colora in verde; analoga reazione colorata è data anche dai prodotti ottenuti da Duval. La scarsità di tale sostanza non ci permise di sottoporla alla analisi, ma noi non abbiamo dubbio che esso debba (per analogia con quanto ri- tiene Duval) considerarsi come o-ossi-endoazo-p-p'-diclorodifenilmetano a cui spetta la costituzione: AG. "gh nd la Non è forse improbabile che la formazione di composti endobisazoici in tale reazione possa disturbare la chiusura dell'anello mediante lo iodio. Questa interpretazione sarebbe anche in accordo col risultato che noi avemmo operando con 0-0'-diammino-p-p'-tetrametildiammino-difenilmetano a cui ab- biamo accennato più sopra. Mentre noi ottenemmo da questo prodotto qualche indizio relativo alla formazione della base iodonica, Duval non ebbe il corrispondente derivato endobisazoico ; sembra infatti che la formazione di tali derivati richieda la presenza di un gruppo negativo in posizione para. Siccome le prove fatte in questo senso non ci condussero ai risultati che speravamo, noi provammo @ cambiare strada, e tentammo una via più lunga per giungere alla chiusura dell'anello, e precisamente quella indicata dallo schema: I JU CH, CH, Ghio Got Nilo — OL. CH: DO Ha. 01 SA jd JONCII II IV CH, CH, CIC 0. H< pente o CH: pecnre pe JO 0J JO, 0,3 Vv CH, ra: ll Cso: ; DOH. dI, J la quale avrebbe potuto essere accorciata parecchio, se si fosse verificato anche qui quanto già venne dimostrato da uno di noi (*) a proposito di pas- (1) Rend. R. Ace. Lincei, 16, TI, 562 (1907), e Gazz. Ch. It., 38, II, 619 (1908). — 149 — saggi analoghi compiuti nella serie del difenile. Senonchè, anche qui ci in- contrammo in difficoltà, che non potemmo superare. Mentre ci fu cosa assai facile ottenere il tetracloruro dell'o-o'-diiodoso-p-p'-diclorodifenilmetano (II) applicando il solito metodo di Willgerodt, non ci fu più possibile trasfor- marlo successivamente in derivato iodoso (III) e iodilico (IV). Il composto (II) si mostra così stabile, che non reagisce più colla solu- zione di idrato potassico per dare il iodoso composto. Per azione prolungata della potassa e dell’ipoclorito di sodio, si riottiene l’o-0"-diiodio-p-p'-dicloro- difenilmetano, e così per azione dell’ossido d'argento umido. Il metodo Orto- leva (!), che in alcuni casi permette di passare direttamente dai iodio-deri- vati ai derivati-iodilici, si mostrò inefficace, come pure si mostrò inefficace l'ossidazione del composto (I) a composto iodilico col liquido di Caro, altre volte impiegato con buon successo da Bamberger e Hill (?). È questo (II) un tetracloruro che deve aggiungersi a quei pochissimi esempî di bicloruri descritti da Willgerodt, che non sono capaci di trasfor- marsi normalmente. Per tal modo ci rimase chiusa la via ad ogni ulteriore indagine. PARTE SPERIMENTALE. Derivato endobisazoico del p-p'-diclorodifenilmetano : CIRCEO CsH3. CI y:nllyin_ Esso si forma quando si scompone con ioduro di potassio il derivato tetrazoico dell’o-o‘-diammino-p-p'-dicloro-difenilmetano. In questa scomposi- zione si separa tosto una massa giallo-bruna, inquinata di iodio. Si trattò il prodotto della reazione con anidride solforosa, agitando e scaldando a bagnomaria, finchè la parte solida si trasformò in polvere gialla-ranciata: questa, raccolta su filtro e seccata, venne estratta con etere, il quale scio- glie l'o-o'-diiodio-p-p'-dicloro-difenilmetano. mentre lascia indisciolta una pol- vere gialla, che senza ulteriore purificazione, fonde scomponendosi a 280° circa. Questa polvere è praticamente insolubile a freddo negli ordinarî solventi; a caldo si scioglie in piccola quantità nell'etere, da cui si separa per raffred- damento in polvere amorfa. Venne cristallizzata da molto alcool bollente; così si ebbero pagliette giallo-vivo a riflessi d’oro. Queste anneriscono a 260° circa e si rigonfiano, scomponendosi, a 265°. L'analisi ha dato risultati (1) Gazz. Ch. It., 30, II, 1 (1900). (*) Bull., 33, 533 (1900). > O corrispondenti alla formula C;3 Hg N,C1, (Calcolato per 100: C 53,99 x H 2,09 ; N 19,43 ; C1 24,93; Trovato: C 54,28; H 2,65; N 19,26 ; Cl 24,67). o-Ossi-endoazo-p-p'-dicloro-difenilmetano : Cl. Cs H3 ca CH — CREO | Lore OH Si ottiene dal precedente composto per azione dell’acido solforico, se- condo le indicazioni di Duval (*). Versando in acqua il prodotto della rea- zione, si separa una massa fioccosa, leggera, giallastra, che si purifica cristallizzandola dalla piridina acquosa. Cristalli che si scompongono a 949-2592°: solubili in alcool, etere, piridina e negli idrati alcalini; dalle soluzioni alcaline la sostanza è riprecipitabile per acidificazione. La solu- zione alcoolica, trattata con cloruro ferrico, si colora in verde intenso. La scarsità di prodotto non ci permise di farne l’analisi: potemmo però verifi- care che esso conteneva alogeni ed azoto. Tetracloruro dell'o-0'-diiodoso-p-p'-dicloro-difenilmetano : 1) 01,37 Mal, a Si ha subito in bei cristalli gialli, facendo passare una corrente di cloro nella soluzione cloroformica dell’o-o'-diiodio-p-p'-dicloro-difenilmetano, tenuto a 0°. I cristalli, dopo essere stati seccati all'aria, fondono a 102° circa, svol- gendo cloro. La determinazione del cloro attivo, fatta titolando il iodio che vien messo in libertà dal ioduro potassico, diede: Calcolato per cento: C,3Hs C13(JC1o)s : CI 22,58. Trovato 22,42; 22,70. A temperatura ordinaria ed all'aria esso è assai stabile: non è capace di trasformarsi in derivato iodoso e jodilico a contatto coi soliti reattivi, che producono tale trasformazione. Infatti esso venne dibattuto per due giorni con soluzione diluita di potassa, come pure venne triturato in mortaio con soluzione di ipoclorito sodico (*), oppure con soluzione di carbonato e idrato sodico (3): in tutti questi casì esso rimane in buona parte inalterato, e la parte che reagisce rigenera l'o-0'-diiodio-p-p'-dicloro-difenilmetano. Si cercò allora di ottenerne il derivato o-o'-diiodilico, seguendo le indicazioni di Or- (1) Bull. (4), 7, 918 (1910). (®) Willgerodt, Ber. 27, 2333 (1894). (3) Willgerodt e Kock, Ber. 41, 2078 (1908). o O n° Gel toleva (!), cioò facendo passare una lenta corrente di cloro attraverso ad una soluzione piridica-acquosa dell’o-o'-diiodio-p-p'-dicloro-difenilmetano; sì provò anche ad ossidare direttamente l'o-o'-diiodio-p-p'-dicloro-difenilmetano col li- quido di Caro, sperando di ottenerne il derivato iodilico, nell’istesso modo che Bamberger e Hill (*) avevano ossidato per tale via il iodiobenzolo a iodilbenzolo; ma in tutte queste prove avemmo risultati negativi. (1) Gazz. Ch. It, 20, II, 1 (1900). (3) Ber. 33, 533 (1900). ae OPRRE PERVENUTE IN DONO ALL’ ACCADEMIA presentate nella seduta del 7 gennaio 1912. AnUARIO Estadistico de la Republica Orien- tal del Uruguay. Tomo II, Parte 12. 1907-908. Montevideo, 1911. 4°. ALas de Finlande, 1910. (Société de Géo- graphie de Finlande). Helsingfors, 1910. Fol. BerLEsE A. — Acarorum Species novae quindecim. (Estr. dal « Redia », vol. VII). Firenze, 1911. 8°. BerLESsE A. — Brevi comunicazioni. 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Longo B. — Su la nespola senza noccioli. (Estr. dal «Bull. d. Soc. bot. it. », 1911). Firenze, 1911. Foglietto. Longo B. — Sul Ficus carica. (« Annali di Botanica, vol ». IX). Voghera, 1911. 8°. Lusrie A. — Importante atto di profilassi pubblica della tubercolosi nel Gran- ducato di Toscana (1754). Pisa, 1911. 4°, MaRcHIAFAVA E. — Ueber System-Degene- ration der Kommissurbahnen des Ge- hirns bei chronischem Alkoholismus. (Sonder-Abd. aus Bd. XXIX, 1911). Berlin, 1911, 8°. NAazaRI A. — Ueber System-Degeneration der Kommissurbahnen des Gehirns bei chronischem Alkoholismus. (Sonder- Abd. aus Band XXIX, 1911). Ber- i d9 80 OnoRANZE centenarie internazionali ad Amedeo Avogadro, 24 settembre 1911. (R. Accademia delle Scienze di Torino). Torino, 1911, 4°, PamPANINI R. — Per la protezione della Flora italiana. Relaz. presentata alla Riunione gener. d. Soc. bot. ital. in Roma (12-16 ottobre 1911). Firenze, 1911. 8°, RENDICONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. PampaÒL P.— Sur la composition chimi- que et l’uniformité pétrographique des roches qui accompagnent la dunite dans les gisements platinifòres. (Extr. du « Bull. de la Soc. frang. de Miné- ralogie », t. XXXIII). Paris, 1911, 8°. PampHiL G. — Sur l’issite, une nouvelle roche filonienne dans la dunite. Paris, 1911. 4°, PascaL E. — Di un nuovo integrafo per quadrature ed equazioni differenziali. (Integrafo polare). (Estr. dal « Rend. d. R. Acc. d. Sc. fis. e mat. di Na- poli », 1911). Napoli, 1911. 8°. PINcHERLE S. — Appunti di calcolo fun- zionale. Memoria prima. (Estr. dalle « Memorie d. R. Acc. delle Sc, dell’Ist. di Bologna », Sc. USS ASTVIIOT VIII, 1910-11). Bologna, 1911. 4°, RamBAUT A. — Results of Meteorological Observations made at the Radcliffe Observatory, Oxford, in the six Years 1900-1905. Oxford, 1911. 8°, Rosen P. G. — Meridiangradmatning vid sveriges vistra Kust. Upsala, 1911. 40, Sapor R. — Contribution è la connais- sance des minéraux des pegmatites. (Deuxième Note). (Evir. du « Bull]. de la Soc. frang. de Mineral. »,t. XXXIV). Paris, 1911. 8°. SiLvestrI F. — Nuove Termiti della Tu- nisia. (Estr. dal « Boll. del Laboratorio di Zoologia gener. e agraria » della R. Scuola Super. di Portici, vol. VI). Portici, 1911, 8°, TARAMELLI T. — Quelques observations sur les changements du climat post- glaciaire en Italie. (Extr. des « Post- glaziale Klimaveranderungen ». Stock- holm, 1910). TepEscHi Corrfa Neves G — As expe- riencias aerostaticas de Bartholomeu Lourenco de Gusmào. (Separata do « Boletim do Aeroclub de Portugal »). Lisboa, 1911. 8°, UGoLINI R. — I terreni di Rosignano e Castiglioncello. Studi e ricerche di Geologia agraria. Pisa, 1910. 8°, UgoLInI R. — Joyaite pirossenica di San Vincenzo di Capo Verde. Pisa, 1911. 4°. 20 — 154 — UgoLini R. — Kinzigite di Monteleone Calabro. (Estr. dagli « Atti della Soc. Tosc. di Sc. Natur. », vol. XXVII). Pisa, 1911. 8°. VaLentA E. — Atlas typischer Spektren (testo e tavole). Wien, 1911. 4°. Wunper M. — Contribution è la connais- sance des minéraux des pegmatites (Deuxième Note). (Extr. du « Bullet. de la Soc. frang. de Minéralogie », t. XXXIV). Paris, 1911. 8°. Wunper M. — Sur les serpentines du Krebet-Salatim (Oural du Nord). Paris, JONSN40) Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, ‘l'omo I-XXIILL Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 38 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di sctenze fisiche, matematiche e natural. VOLTAMAL PES ga (1, 2). — IIIT-XIX. MemoRIE della Classe da scienze morali, storiche flologiche. Vol. I-XII. Serie 4* — RENDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche , matematiche e naturali Vol. I-VII. | MEMORIE della Classe di scienze morali » Storiche e flologiche. | Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. | Vol. 1-XXI, (1892-1912). 1° Sem. Fase, 20, | RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XX (1892-1911). Fase. 50-60. MEMORIE della . Class? di scienze fisiche, matematiche e naturali. | Vol. I-VIII. Fasc. 24°, MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol. I-XII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI ( DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | | | I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche | . naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : | Ermanno Lorscara & (o Roma. Torino e Firenze. UtrIco Hogpri. — YUilano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Gennaio 1912. 3E INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Seduta del 21 gennaio 1912. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI È Borzî e Catalano. Ricerche sulla morfologia e sull'accrescimento dello stipite delle Palme Pag. 78: Enriques. Sopra una involuzione monrazigrale dello; spazio. bh SE NE » 81 Angeli. Interessante decomposizione di fine. oSsime, cl. LARE 83 Viola. La legge di Hauy nei cristalli solidi, fluenti e liquidi SIA IRE Abraham. Sulla legge elementare della gravitazione (pres. dal Socio Levi-Ciowta) . . «n 9 Cisotti. Sopra l’efflusso a stramazzo (pres: A e Ve ENTI 97 Molinari. Sul vantaggio che presenta un'estensione delle funzioni di Green (pres. dal Corrisp. e a «0» 102 Guglielmo. Sul valore delle componenti la forza elettromotrice delle coppie voltaiche costanti (pres. dal Sedie Dlaserna) DUI A 0 Se I N) Lovisato. Anfiboli di Monte Plebi presso Terranova Pausania (Sardegna) (pres. dal Socio Struever) e E Taricco. Contributo allo studio del Cambriano della Sardegna (pres. dal Socio Parona). n 116 Ageno Sulla ripartizione della soda fra acido borico e acido carbonico (pres. dal Socio Nasini)» 121 Pellini. La supposta complessità del tellurio (pres. dal Socio Camion) A 124 Pellini e Amadori. Sulla esistenza di complessi tra sostanze puriniche e il salicilato sodico ROS a” Puzxeddu. Tsomeria negli eteri del diisotugenolo (pres. dal Corrisp. Peratoner) . . +. + 9 Quartaroli. Sulle soluzioni citrofosfatichiei (pres. dal Socjo Paterno) wi Ga ona » 130 Sandonnini. Analisi termica di miscele binarie di cloruri di elementi bivalenti (pres. dal Pi Fi Socio Ciamician) (3) MAMI. © pl RI AO Sborgi. Sul comportamento anodico dell’Uranio (pres. dal Socio INASIMA) E Lumia. Siderazione o Biocultura? (pres. dii Socio. Pirotta) a I 140 Mascarelli e Toschi. Ricerche intorno @ sostanze aromatiche contenenti iodio plurivalente pres. dal Socio Ciomictan) ‘0° AMBIENT 0-0 I eee CL » 145 Pure sitaionnatiogi; 010 CIBO 0 e e 152 e nea MIC IIE [I IMORASI IGOR I ce e (Ir Aceto =; (© Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli » ci E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. È Pubblicazione bimensile. Roma 4 febbraio 1912. N, 3: A. de DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO: CECI. T912 STES Q, IUMEENTER. LA; RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 4 febbraio 1912. Volume XXI. — Fascicolo DB° T° SEMESTRE. pn cen esist Riad tela” n ASOMUE fre x, ì IS vi Pira i) MAR None ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DFL CAV. V. SALVIUCCI 1912 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano ve- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci 0 Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, cho vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II I. Le Note che oltzepassino i limiti indiî» cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volnmi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Gom: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro. posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblies, nell ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è date ricevuta con lettera, nella quale si a\verte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50) sé estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli antori. RENDICONTI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 4 febbraio 1912. P. BLASERNA Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Wotosintesi di un alcaloide dall’acetofenone e da l’ammoniaca. Nota del Socio E. ParERNÒ e C. MosELLI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica fisica. — Za materia allo stato di sovraffusione e discontinuità in alcune sue proprietà fisiche col variare della temperatura. Memoria del Socio R. Nasini e del dott. BRESCIANI. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Chimica. — Nuovi studi sopra gli azossicomposti (°). Nota del Socio A. ANGELI e di BRUNO VALORI. Nell'ultima comunicazione (*) sopra questo argomento venne dimostrato che, per azione dell’acqua ossigenata sopra il paranitroazobenzolo NO». CsH,.N=N. CH; sì ottiene un azossicomposto isomero a quello che molti anni addietro venne preparato da Zinin (*), facendo reagire l’acido nitrico sopra l’azossibenzolo. (') Lavoro eseguito nel R. Istituto di Studî superiori in Firenze. (*) Questi Rendiconti, vol. XX (1911), 2° sem., pag. 170. (*) Annalen der Chemie, 114, pag. 28. Renpiconti. 1912. Vol. XXI. 1° Sem. 21 — 156 — Le due sostanze differiscono nelle proprietà fisiche, e, soprattutto nel comportamento chimico; non si possono in nessun modo trasformare l’ una nell'altra e perciò si tratta di due isomeri, ai quali vennero assegnate le formule di struttura: NO, . CsH, è N=N 5 CH; NO, ° CéH, ° N=N ° CsHy | | (0) (0) In questo caso, per azione dell'acqua ossigenata, si ottiene solamente una delle due forme possibili. Siccome lo studio ulteriore di questi prodotti presenta diverse difficoltà sperimentali, dovute in gran parte alla presenza del gruppo nitrico, che rendono quasi impossibile un esame più approfondito, così noi abbiamo rivolta la nostra attenzione ad altri derivati asimmetrici, ma che fossero del pari facilmente accessibili. Come termine particolarmente adatto, si presentava uno dei derivati bromurati dell’azossibenzolo, ma sebbene questo campo sia stato tanto col- tivato, non ne trovammo menzione nella letteratura; è accennato solamente ad una esperienza di A. Wohl (*), che si riferisce ad un prodotto di addi- zione dell’azossibenzolo con una molecola di bromo: Ci: Ho N:0 + Brs ma che però facilmente perde l’alogeno. Invece, come venne già accennato da Angeli e Alessandri, noi trovammo che l’azossibenzolo, trattato con bromo, senza impiego di solvente, fornisce con tutta facilità un derivato monoalogenato, che fonde a 73°; siccome esso, per riduzione, perde facilmente l’atomo di ossigeno, per dare il parabromo- azobenzolo : Br. CH,.N=N.C;H; così il composto da noi ottenuto, si deve considerare come un parabromo- azossibenzolo : Br. OH, ° (N20) è C;H; ° Stabilito questo, ed avendo avuto in tal modo uno degli eventuali ter- mini di confronto, siamo passati a studiare l’azione dell'acqua ossigenata sopra il parabromoazobenzolo, cui prima si è accennato. Evidentemente le possibilità erano tre: si poteva arrivare ad un pro- dotto identico all’azossicomposto ottenuto come prima si è detto, che fonde a 73°; ovvero, come nel caso dei nitroderivati, pervenire ad un isomero; oppure, (1) Berliner Berichte, 36 (1903) pag. 4140. — 157 — infine, era possibile arrivare contemporaneamente a due prodotti: alla so- stanza che fonde a 73° assieme all'isomero da noi previsto. L'esperienza ha subito dimostrato che è appunto quest’ultimo caso quello che si realizza. Il p-bromo-azobenzolo, sciolto in acido acetico glaciale, addizionato di acqua ossigenata (peridrol della casa Merck), assume rapidamente un atomo di ossigeno per dare un miscuglio, costituito dai prodotti, che chiameremo: a-parabromoazossibenzoto, che fonde a 73°, B-parabromoasossibenzolo, che fonde a 92°, e che facilmente si separano l'uno dall’altro per la diversa solubilità nel- l’etere di petrolio; come al solito, anche in questo caso, la forma che fonde più alta è anche la meno solubile. Entrambe le forme, per riduzione, forniscono lo stesso p-bromoazoben- zolo, da cui si è partiti, ma in nessun modo ci fu possibile trasformarle l'una nell'altra. Esse però non hanno nulla di comune con gli azossicomposti descritti da Reissert (') e che facilmente si trasformano gli uni negli altri e che perciò sono da considerarsi come stereoisomeri. Anche il loro compor- tamento chimico è molto diverso, e delle due, la forma # è quella che più facilmente reagisce. Così, mentre la forma @&, com'era da aspettarsi, è indif- ferente all’azione del bromo, la forma f fornisce immediatamente il parabi- bromoazossibenzolo Br. C:H,.(N:0).CH, Br. A questo riguardo faremo notare, che i prodotti di sostituzione che menzioneremo nelle righe seguenti sono tutti paraderivati; essi sono meno solubili degli altri isomeri che eventualmente possono formarsi contempora- neamente, si purificano in modo più facile e perciò torna anche più agevole l'isolarli ed il caratterizzarli. Questi fatti per noi sono stati di grande in- teresse, giacchè appunto dallo studio del modo di comportarsi delle forme &« e 8 rispetto al bromo ed all’acido nitrico, abbiamo potuto avere dei dati, i quali ci hanno permesso di fissare la loro più probabile forma di struttura. Noi abbiamo osservato, infatti, che il parabromoazobenzolo, per azione diretta del bromo, fornisce il para-bromoazobenzolo Br. CsH, ° N=N . CséH; ED Br. CH, . =N 0 CeH. 5 Br o, Similmente fa il p-nitroazobenzolo, che da il p-nitro-p-bromoazobenzolo. NO..CsH,.N=N. CH; a NO, .CsH, .N=N.CsH,. Br ° identico a quello che si può avere per azione dell'acido nitrico sul p-bromo- azobenzolo. (') Berliner Berichte, 42 (1909) pag. 1364. — 158 — L'azobenzolo ordinario invece, per analogo trattamento, può dare il pa- rabibromoazobenzolo, eguale a quello cui prima si è accennato: CsH,; 5 N=N è CH; => Br . CH, è N=N ° Coll è Br ° Questi esempi dimostrano che un atomo di bromo in posizione para entra per ogni residuo: => N » CH; contenuto nel composto da cui si parte. Ciò dipende molto probabilmente dal fatto che in una prima fase, si forma un bibromuro che poi si scinde in bromoderivato ed acido bromidrico: Bro | INMOHE > INIMICHHS == = N.CH,.Br+ HBr. Tenendo conto del fatto scoperto da A. Wohl (*), che l’ordinario azossiben- zolo fornisce facilmente un tale bibromuro, ne risulta fissata con grande probabilità anche la struttura dell’a-bromoderivato da noi ottenuto: CeH; .N=N. CoHB Tae CH, . N=N o CsH, Bre I | (0) Al f-bromoderivato invece spetterà l’altra CsHs . N=N ° CeH, . Br | e come tale esso fornisce, per l'analogo trattamento, un bibromoderivato CsH,.Br.N=N.C6H,.Br LI identico a quello già noto e che noi pure ottenemmo anche per azione del- l'acqua ossigenata sul p-bibromoazobenzolo: CséH, Br ° N=N è CsH, . Br + Hs0, ria CH . Br È N=N è CH, 5 Br + H.0 . | Trattandosi di un azocomposto simmetrico, questa è l’unica forma che sì ottiene. (!) Berliner Berichte, 36 (1903), pag. 4140. — 159 — In modo analogo al bromo, noi abbiamo trovato che in molti casi rea- gisce anche l’acido nitrico; anche qui vennero presi in considerazione i soli paraderivati. Come esempi, diremo che il -bromoazossibenzolo fornisce per tratta- mento con questo reattivo il p-bromo-p-nitroazossibenzolo Br. CsH, . N=N . CeH; > Br. CH, o N=N . CéH, . NO, . Î | (0) Esso è identico al prodotto che si ottiene anche ossidando con acqua ossi- genata il p-bromo-p-nitroazobenzolo Br. CsH,.N=N.C:;H,.NO, + H,0,= Br. CH,.N=N.C;H,. NO, + H,0 | (0) e dà ciò ne segue anche la struttura dell’azossicomposto : Br ° CsH, . N=N ° CsH, . NO, | (0) che si prepara facendo agire il bromo sopra il $-paranitroazossibenzolo di Angeli e Alessandri: CeH; ° N=N ° CsH, . NO; EEN Br ° CsH, Ù N=N ° CsH, . NO, | | Le stesse considerazioni permettono pure di fissare la struttura: CeH; . N=N ° CsH4 ° NO, Il (0) per il p-nitroazossibenzolo di Zinin (forma @), e l’altra: CH; . =N . CH, . NO, | per il p-nitroazossibenzolo (forma #) di Angeli e Alessandri. — 160 — Per maggiore chiarezza, riuniremo in questa tabella le formule di strut- tura dei principali composti, che si riferiscono alla presente Nota: ( «-parabromoazossibenzolo CsH;.N=N.C;H,.Br Da IR VOE L Le arabromoazossibenzolo C.H;.N=N.C,H,.Br n DO | p. f. 194° B-parabromoparanitroazossibenzolo Br.CsH,.N=N.CH,.N0, PANf2.03? LI a-paranitroazossibenzolo di Zinin C5H;.N=N.C;H,.N0, p. f. 153° Il (0) B-paranitroazossibenzolo di Angeli C$H;.N=N.C;H,.NO0, Il a- parabromoparanitroazossibenzolo Br.C;H,.N=N.C;H,.N0, | e Alessandri, p. f. 148° PARTE SPERIMENTALE. 1. Azione del bromo sull’azossibenzolo (a.parabromoazossibenzolo). — Sopra gr. 12 di azossibenzolo vengono versati cc. 4 di bromo. Lasciato a sè per qualche tempo, viene in seguito eliminato completamente il bromo con bisolfito ed il derivato, ripetutamente cristallizzato da alcool, si presenta in lunghi aghi sottili, colorati in giallo paglierino, che fondono a 73°. Gr. 0,2102 della sostanza danno cc. 18.5 di azoto a 13° e 737 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,: Hs N30 Br N 10.19 10.11 2. Riduzione dell'a-p-bromoazossibenzolo a p-bromoazobenzolo. — Il prodotto viene trattato, in soluzione eterea, con eccesso di amalgama di alluminio. Alla soluzione, poco colorata e separata per filtrazione, viene aggiunto a poco a poco, dell’ossido giallo di mercurio, tino a che questo non annerisce ulteriormente. La soluzione eterea si colora in rosso-ranciato. — 161 — Evaporato il solvente, il residuo viene cristallizzato da alcool. I cristalli appaiono sotto forma di squame lucenti, colorate in rosso, che fondono a 89°. Gr. 0,2249 di sostanza danno cc. 19,8 di azoto a 13°5 e 770 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Cis Hs N, Br N 10.63 10.73 È identico al para-bromoazobenzolo già noto. 8. Ossidazione del parabromoazobenzolo con acqua ossigenata (a e B-parabromoazossibenzolo). — Siamo partiti da para-bromoazobenzolo, pre- parato secondo Bamberger. La soluzione del prodotto in acido acetico gla- ciale viene addizionata con peridrol (Merck) in eccesso. Il colore rosso del liquido alla temperatura invernale passa lentissimamente al color giallo arancio; perciò la soluzione si mantenne per qualche giorno alla temperatura di 40-50°, per affrettare e completare la reazione. La soluzione giallo-chiara avuta, viene diluita con acqua ed il precipitato cristallino, lavato e asciu- gato, viene ripreso con etere di petrolio, a punto di ebullizione basso. Per mezzo di cristallizzazioni successive da tale solvente, si accertò che si era in presenza di una mescolanza di due prodotti. Il meno solubile si presenta in cristalli gialli, che fondono a 92°, l’altro in scaglie gialle più chiare che fondono a 73°. Per l’analisi, il prodotto di punto di fusione 92°, venne seccato in stufa, verso 80°. I. Gr. 0,2365 di sostanza danno gr. 0,0714 di acqua e gr. 0,4497 di CO». II. Gr. 0,1502 di sostanza danno cc. 12.9 di azoto a 13°,5 e 765 mm. In 100 parti : Trovato Calcolato per Cs Hs N30 Br I II C 51.86 = 02.00 H 3.98 — 3.25 N — 10.30 10.11 Per l'analisi, il prodotto di punto di fusione 73° viene purificato, cri- stallizzandolo ripetutamente da alcool, che meglio si presta alla purificazione. Gr. 0,1457 di sostanza danno cc. 12.8 di azoto a 15° e 750 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato Cia Hs N:0 Br N 10:28 10.11 La sostanza analizzata, mescolata con quella ottenuta per bromurazione dell’azossibenzolo, ha per punto di fusione 73°. È dunque identica con essa. — o Il prodotto di punto di fusione 92°, disciolto in acido acetico ed ad- dizionato con alcune gocce di bromo, viene lasciato a sè per sei ore. La soluzione, decolorata con bisolfito e diluita con eccesso di acqua, da cristalli che fondono esattamente come il prodotto di partenza. Neppure scaldando più volte il prodotto medesimo a 200°, lasciando raffreddare e ripetendo il punto di fusione, si ebbe variazione. Queste esperienze mostrano che il pro- dotto non si trasforma nel suo isomero con punto di fusione: 739. 4. Riduzione del B-parabromoazossibenzolo a parabromoazobenzolo. — Il composto è ridotto con amalgama di alluminio, quindi ossidato con ossido giallo di mercurio, come abbiamo già descritto, e si ottiene il parabromo- azobenzolo, che fonde a 89°. La mescolanza del composto così ottenuto col parabromoazobenzolo di partenza, fonde pure a 89°. In tal modo restano quindi realizzati i passaggi: CH; C5Hs CsH; N= ME [rog N e CH, Br CH, Br CH, Br La trasformazione della forma @ nella forma # è quindi possibile; essa, però, non si può fare direttamente, ma soltanto passando per l’azocomposto. o. Bromurazione del B-parabromoazossibenzolo. — Sopra una piccola quantità del composto si versa una molecola di bromo in lieve eccesso. Il prodotto, ripreso con acqua e lavato con bisolfito sodico, viene cristallizzato da alcool, ove è poco solubile. Fonde a 168-169° ed è parabibromoazossi- benzolo identico a quello già noto. Gr. 0,1913 di sostanza danno cc. 12.6 di azoto a 11° e 764mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Cia Hs N30 Bry N 7.96 7.87 6. Azione del bromo sul paranitroazobenzolo (paranitroparabromoazo- benzolo). — Il bromo non agisce sul paranitroazobenzolo sciolto in acido acetico, neppure per azione della luce solare. Si aggiunge allora direttamente eccesso di bromo al composto, in presenza di traccie di iodio, e si lascia a sè per un'ora e mezzo circa. Lavato con acqua e tolto il bromo con bi- solfito sodico, si ottiene il prodotto da benzolo, in cristalli rosso-scuri, che fondono a 203°. Gr. 0,1490 di sostanza danno ce. 17.5 di azoto a 14° e 753 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per ©€,s Hs N30, Br N 13.84 13.73 N 9) 2 163 =; 7. Agione dell'acido nitrico sul parabromoazobenzolo (paranitropara- bromoazobenzolo). — Gr. 2 di parabromoazobenzolo vengono sciolti in cc. 20 di acido nitrico di densità 1.45. Dalla soluzione limpida cristallizza presto un prodotto. Dopo un quarto d’ora viene addizionata acqua, ed il composto si purifica cristallizzando molte volte da acido acetico ed infine da benzolo. Cristalli rosso scuri, che hanno i caratteri del precedente. Gr. 0,1645 di sostanza danno cc. 18.8 a 12° e 760 mm. In 100 parti: i Trovato Calcolato per C,» Hz N;0% Br N 13.69 13.73 Questa sostanza, mescolata con quella avuta per bromurazione del paranitro- azobenzolo, fonde alla stessa temperatura. In questo modo è più difficile arrivare ad un prodotto puro, molto probabilmente perchè, in seguito alla azione ossidante dell’acido nitrico, si forma contemporaneamente l’azossicom- posto, forse isomorfo. 8. Azione dell'acqua ossigenata sul paranitroparabromoazobenzolo (e-paranitroparabromoazossibenzolo). — Alla soluzione in acido acetico gla- ciale viene aggiunto peridrol in eccesso. La soluzione; mantenuta per una giornata verso 100° per tenere sciolto il composto, assume lentamente un color giallo chiaro. Precipitato e lavato con acqua e cristallizzato da alcool, il composto fonde a 194°. Gr. 0,1809 di sostanza danno cc. 19.8 di azoto a 12°.5 e 765 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Cis Hs N;0; Br N 13.17 13.05 9. Azione del bromo sul 8-paranitroazossibenzolo. — Una piccola, quantità di composto finamente polverizzato si tratta con eccesso di bromo, in presenza di qualche cristallino di iodio. La reazione viene accelerata, scaldando leggermente a bagnomaria. Dopo eliminazione della maggior parte del bromo, il prodotto, lavato con soluzione di bisolfito sodico ed acqua, viene ripreso con alcool caldo, nel quale una parte rimane indisciolta. Se- parata per decantazione e sciolta in molto alcool bollente, questa porzione di prodotto cristallizza in prismi minutissimi, giallo chiari che fondono a 203°. Gr. 0,1741 di sostanza danno ce. 19,3 di azoto a 14° e 750 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,. Hs Ns 0 Br N 13.01 13.05 10. Azione dell'acido nitrico sul 8-parabromoazossibenzolo (a-para- nitroparabromoazossibenzolo). — Il composto, sciolto in acido nitrico di densità 1.45 da un prodotto che, purificato da alcool, ove è poco solubile, fonde a 194°, 3 Renpiconti, 1912 Vol. XXI, 1° Sem. 22 — 164 — Gr. 0,1436 di sostanza danno ce. 15.6 a 11° e 762 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C1s Hs N50; Br N 13.09 13.05 Mescolato col prodotto avuto per azione di acqua ossigenata sul paranitro- parabromoazobenzolo, fonde pure alla stessa temperatura, ed è perciò iden- tico a quello. 11. Formazione di parabibromoazobenzolo e sua ossidazione con acqua ossigenata. — Sul parabromoazobenzolo si versa bromo in eccesso. Il pro- dotto, lavato con acqua e con soluzione di acido solforoso, cristallizza bene da benzolo bollente. I suoi cristalli, di colore giallo-arancio scuro, fondono a 204°. Gr. 0,2029 di sostanza danno cc. 14.4 di azoto a 9° e 761 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Css Hs Na Bra N 8.60 8.24 11 parabibromoazobenzolo così avuto, viene disciolto in acido acetico glaciale; a tale soluzione si aggiunge peridrol in eccesso. Mantenuta ‘la soluzione per dodici ore circa, verso 100°, fino a che il colore dal rosso passa al giallo- chiaro, per aggiunta di acqua si separa un prodotto che, cristallizzato da alcool, fonde a 168-169°. Gr. 0,1943 di sostanza danno cc. 12.8 di aznto a 11° e 767 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Cis He N,0 Bra N 7.99 7.87 Questo prodotto è identico quindi col derivato avuto bromurando il #-para- bromoazossibenzolo. 12. Azione dell'acido nitrico sull’a-parabomoasossibenzolo. A gr. 0.5 del prodotto vengono aggiunti ce. 5 di acido nitrico di densità 1.45. Il composto passa in soluzione per debole riscaldamento, e dopo breve tempo, si separa il derivato. Ripreso con acqua, filtrato e cristallizzato da alcool, il composto fonde a 99°. Gr. 0,1858 di sostanza danno ce. 19.7 di azoto a 11° e 764 mm. In 100 parti Trovato Calcolato per Cs Hg N30, Br N 12.81 13.05 Molto probabilmente, in questo derivato il bromo ed il residuo nitrico si trovano in uno stesso anello benzolico. 13. Azione dell’acido solforico concentrato sull'a-parabromoazossiben- zolo (parabromoossiazobenzolo). — Gr. 3 del composto vengono disciolti in — 165 — 20 ce. di acido solforico concentrato e riscaldati a bagnomaria per circa un'ora. Si versa allora in acqua ed il prodotto che si separa viene seccato e ricristallizzato da benzolo bollente. Si ottiene una sostanza giallo-bruna, cristallina, che fonde a 157°, solubile negli alcali e che è identica al pa- rabromoossiazobenzolo : Br. C:H,.N=N.C,H,(0H) già noto. Gr. 0,0843 di sostanza danno cc. 7 di azoto a 8° e 769 mm. In 100 parti: Trovatu Calcolato per C,1 Hs N30Br N 10.21 10.11 Il benzolo da cui venne separata la sostanza, concentrato fortemente, lascia una massa cristallina rossa, costituita da parabromoazobenzolo, che rappre- senta la maggior parte del prodotto. La reazione è quindi poco netta e for- nisce scarso rendimento. Fisica-matematica. — Su/la risoluzione delle equazioni in- tegro-differenziali dell'equilibrio dei corpi elastici isotropi per dati spostamenti in superficie. Nota del Corrisp. G. LAURICELLA. Il prof. Volterra, in una serie di Note inserite in questi Rendiconti, ha istituita la teoria matematica generale della fisica ereditaria, studiando sistematicamente le equazioni integro-differenziali, dalle quali essa può farsi dipendere, mediante una nuova analisi, avente origine dal concetto del pas- saggio al limite, in base al quale egli aveva già da molti anni fondata la teoria delle funzioni di linea e successivamente quella delle equazioni inte- grali. Uno dei problemi di fisica-ereditaria, particolarmente considerato dal Volterra, è quello dell'equilibrio dei corpi elastici, relativamente al quale egli ha generalizzato le classiche teorie di Betti e di Somigliana, illustrando i risultati generali ottenuti con lo studio della deformazione di una sfera elastica isotropa per dati spostamenti in superficie e per date tensioni pure in superficie. In alcune mie Note di questi Rendiconti, i cui risultati furono poi raccolti in una Memoria del Nuovo Cimento (') risolvetti i problemi interno ed esterno dell’equilibrio dei corpi elastici isotropi per dati spostamenti in superficie e per altri dati analoghi alle tensioni, applicando la teoria delle equazioni integrali di Fredholm. La prima difficoltà, che si incontra nel- l'applicare questa teoria ai problemi di elasticità, consiste nel fatto che i (‘) Serie V, vol. XIII, 1907 (Alcune applicazioni della teoria delle equazioni fun- zionali alla fisica-matematica). = 166 |— nuclei del sistema di equazioni integrali, tratto dalle formole di Somigliana, hanno delle singolarità tali che i risultati di Fredholm non possono essere applicati; e nelle mie citate Note, come nella mia detta Memoria, essa è superata mediante l'introduzione del concetto di pseudo-tensione (*). Qualora si vogliano risolvere con metodo analogo i problemi di equilibrio elastico nel caso ereditario, se si ricorre ai doppî strati generali, contenuti nelle formole del Volterra, generalizzazione di quelle del Somigliana, la detta difficoltà si presenta ancora, aggravata dalle condizioni di ereditarietà; però. essa può similmente essere superata, mediante una conveniente generalizza- zione del concetto di pseudo-tensione, la quale richiede la risoluzione di un'equazione integrale di 12 specie di Volterra. Bisogna avvertire che le equazioni integrali, che in questo modo si hanno per la risoluzione dei problemi di equilibrio nel caso ereditario, non sono più del tipo di quelle studiate da Fredholm; ma sono di natura più complessa; però possono facilmente ricondursi al detto tipo mediante artifici assai semplici, che saranno qui spiegati. Per brevità nella presente Nota sarà considerato il solo problema LL l'equilibrio di un corpo elastico isotropo finito) per dati spostamenti in super- ficie nel caso ereditario, e saranno omessi gli altri problemi analoghi che po- trebbero essere similmente risoluti. Per la medesima ragione mi varrò qui dei risultati e delle notazioni contenute nelle due Note del prof. Volterra: Sulle equazioni integro-differenziali della teoria dell’elasticità (*); Equazioni integro-differenziali dell’elasticità nel caso della isotropia (*), che indicherò rispettivamente con Nota I e Nota II, e dei risultati e delle notazioni con- tenute nella mia citata Memoria; inoltre in qualche punto le dimostrazioni, che non presentano difficoltà, saranno risparmiate, e qualche volta i teoremi stessi non saranno enunciati. 1. Le equazioni indefinite tra le componenti «,v,w della deformazione di un solido elastico isotropo nel caso ereditario e nel caso in cui le forze di massa (come si può sempre supporre senza togliere nulla alla generalità) sono nulle, sì possono scrivere (4): (1) Effettivamente l'introduzione delle pseudo-tensioni non è necessaria per vincere questa difficoltà; infatti i doppî strati corrispondenti alle pseudo-tensioni erano stati da me scritti per applicare il metodo di Neumann, indipendentemente dal concetto di pseudo- tensione, nella mia tesi di abilitazione ZAguilibrio dei corpi elastici isotropi (Cap. IV, $ 1; Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, 1894). Il concetto di pseudo- tensione invece è necessario per discutere in modo esauriente le equazioni integrali. re- lative al problema che si vuole risolvere. Analoga osservazione può ripetersi nel caso ereditario. (?) Rendiconti dei Lincei, vol. XVIII, 2° sem., 1909, fasc. 9. (8) Ibid., fasc. 12. (4) Ibid, form. (3). — 167 — du) + OL (1) +S. [60.44 pt, +y(£, 3) val de=0, Sia una costante finita qualsiasi; e sia J(t,t) una funzione qualsiasi della medesima natura delle funzioni g(t, ©), W(#, ©). Posto: Xo,i,j = LEVI + K60(t) cos na + in pill + eg SÙ — fc Sl cos a) + ©) +f fe, ME 4g +4) (0) cos id + + /( (Ra 0) cos + cos —...)l de, YVagg =": : Wo , sì ha dalle (1), integrando per parti, o= | suis VESEZOnEI i +S. [we e). du) +]p+ 4} si dt dS'= 2 d°w d°v d°w ) da dY d° dE = dYy dI d8 dd = fred +4 (22 + + [t92404++ + +j(t,0) (Le —..)]e]s= ste. dI dY È dda = — [ao +40 + dw + k0° + ‘Qdu(t) deli DURIVERDO DU IUPVIMOVIVBVIRTDÀdIDU + o E De TIZIO ESTE ESTORTA Et MAA (I AIA dL dI du0) dd) OO “ra dY MAM, }{es+ — [suo . Xa,i,j do . e — 168 — Insieme alle equazioni (1) è utile considerare le equazioni aggiunte (1)/, che per brevità non scriveremo, e insieme alle (2), che chiameremo compo- nenti delle tensioni generali ereditarie, converrà pure considerare le com- ponenti aggiunte, che senza qui scrivere esplicitamente, indicheremo con VC 30) ’ a, ’ A ° 2. Le espressioni: 0° O A) «letti lio, dove @ e 8 sono legate dalla condizione integrale: 6) A+A#T,0+ f Tg, 0+20(7,01A19) de + d0(1,9+ +f to 9+ ve, Malt, a=o, formano (1) una soluzione delle equazioni (1)'; e se, oltre alle posizioni con- tenute nella Nota II (S 10) del prof. Volterra, facciamo le altre analoghe: (6) PT, )=T,)+ (7,050, a, (7) OT. )= ict) + f TENGU oa: si avrà, per le componenti aggiunte delle tensioni generali ereditarie cor- rispondenti alle (4), de al O, A GT a 2 ( da) fida dx SL , N-+P (è 4 r 1 2 Ie e ISLA SME (he ( > +9) i 3a AM + N-+Pòr vela a e 2 dx dy da 3. Tra le soluzioni u,v,w delle equazioni (1), le soluzioni /, v', w' delle equazioni aggiunte (1)', e le corrispondenti espressioni X,i,j ; Yoi,jr-*; X'ai,j > «+, ++ sussiste una formola di reciprocità, generalizzazione di quella di Betti, identica alla (1) della Nota I del prof. Volterra. Allora, isolando (1) Volterra, Nota II, $ 10. — 169 — il punto (£, 7,6) dell'interno del corpo elastico S ed applicando nel campo rimanente tale formola di reciprocità ad una soluzione qualsiasi della (1) e alle (4), si avrà, mediante artificii ben noti (!), (8) = Artu(È mb la 3 T) —== TS, di (fo Nati do — fs X'a,î,; do Posto poi: i SO=I1O+ fi) de= Ar, si ricava (?): d È Toi Si ni P(T, è) F() di = (Ax — AD) A3F(T), La si ‘Q(T, 6) F() de = ApA,F(T); e quindi (°): 1 13? — dre 3) = f TAN Roig +3 ZE Ap — AP) Ko + LORA RE era 23x dY (A; Ai )Yorid +5 So; (A5 Ai!) Za ij do +- DE i ay Saretta E) rapa ara nu+ 1 1 1 r A da N 1 1 1 slo agita (Az'A1 + Az'As +Ar'A3—1)o+ 1 d = FRA A, — AHI Cal — 2 3x dyY 0 (A; A+ A; Ag Ai A3-1)v+ do . 4. Si determini la funzione j(7,#) in modo che sia soddisfatta la con- dizione: N+P ® Sil Lo=o, ossia in modo che sia soddisfatta l'equazione integrale : 0) ATIO+i}20(0,) +80, + f #0 00,9 de + +f 01271, +40,0}de=0. (') Volterra, Nota II, $ 10. (3) Volterra, Nota II, $ 11. (3) Volterra, Nota II, $ 12. — 170 — Poichè, come risulta dalla ne) e dalla (15) contenuta nella Nota; I II del Volterra, .' i o(t,t,.=1, B(t, ont , 2a(t,6) + B(,0)= o Ì supposto: =» SIOE (10) de, risulta dalla teoria delle equazioni integrali di 1° specie di Volterra (*) che per kK=> -i sì può certamente assegnare un limite SUREnIO finito‘ dei va- lori di J(@e, 0) g 3 Distingueremo il caso relativo alle ipotesi 0), do), chiamandolo delle pseudo tensioni ereditarie. TI i In questo caso, o di trasformazioni identiche a quelle conte- nute nei $$ 7 e 8 al Cap. I della mia citata Memoria e seguendo il proce: dimento tenuto dal prof. Volterra al S 3 della sua Nota: Su//e equazioni integro-differenziali (£), sì ottengono alcuni teoremi di ‘unicità,’ analoghi a quelli contenuti nei $$ 7, 8 e 9 della mia citava Mamo, Ci limiteremo -qui ad enunciare solo il “seguente ja 3 u,v,w stano integrali delle equazioni (1) nel campo S, tali che valga per essi la formola di integrazione per parti 8 e tali ancora -Che per un certo intervallo di tempo st abbia: i | (neì punti di 0) u=v=w=0, si avrà per i= È e per tutto l'intervallo di tempo: (nei punti di $) =v=w=0. . 04 5. Osserviamo ‘che, nel ‘caso delle pseudo-tensioni ereditarie, in aim (UTO (9°), si ha, qualunque sia la funzione F(T), (AA: PAZ PAPA — DEM 0, (AZ'A, + AFLA: — AF ‘Ag —-.1) E(I) = — 24744, EE {a e così, posto: i DN ig DE i inplogli x n Î ì dre pt Lola My Da . Jo (11) hd ti (33 CKARII RRAMBBOTA O Vi Mi A dn dr r Ne go da di da (!) Annali di Matematica, t. XXV, serie II, pag. 153, $ 1I (anno 1897). ; (2) Rendiconti dei Lincei, vol. XVIII, serie 52, 1° sem. fasc: 4. ta a) — 71 il secondo integrale al secondo membro della formola (8') diviene in questo caso: al EVAENNE HACSI ) fi ZIA AI Ciò premesso, si considerino le tre espressioni (pseudo-doppi strati ela- stici ereditari): 1 d= USA NAGE )= 27 Jai (0 — SL Artdzul do, (12) DI V(E nt )= 7 (iL) aLApAsul do, ; 2a Val dn \ o) dove Lo",..., Lo”,... sono le espressioni analoghe alle (11), e dove u(%), v(i), w(t) sono funzioni finite e continue dei punti di o e del tempo +, date ad arbitrio. Le espressioni (12) formano una soluzione delle equazioni (1) in tutto il campo S; e se si considera sulla superficie o un sistema di coordinate curvilinee @,f; e se si indicano con U(a',£',%), VE), W(a',',t) rispettivamente ciò che divengono le (12), quando il punto P=($,7,) coincide col punto P'=(@', 8')dio, avremo, ripetendo i ra- gionamenti contenuti nel $ 7 (Cap. Il) della mia citata Memoria, se i punto P=(£,n,$) si avvicina indefinitamente al punto P'= (e ,8) di 0, mantenendosi sempre nell'interno del campo finito S, varranno le formole : | Jim DEL Mt, = a AHT 850), (13) \ per qualunque valore del tempo t. Altri risultati analoghi si hanno, come estensione dei noti teoremi sui doppî strati e sugli strati semplici (cfr. mia cit. Memoria, $S 7, 8, 9, 10 del Cap. II), che ci risparmiamo di enunciare. Tutti i risultati fin qui considerati relativamente al sistema di equa- zioni integro-differenziali (1) possono ripetersi, con le dovute modificazioni, per il sistema aggiunto (1)'. 6. Per la determinazione di una soluzione u,v,w delle equazioni (1), nel campo S corrispondente a dati valori di queste funzioni nei punti di RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 23 — 1722 — o durante un certo intervallo di tempo, osserviamo anzitutto che nel caso delle pseudo-tensioni ereditarie si ha, qualunque sia la funzione F(t), — Ap'A3F() = — — ; soluzione alcuna; allora neppure il sistema omogeneo corrispondente al sistema (16’) ammette soluzione alcuna. Di qui si deduce, in virtù della teoria di Fredholm, che il sistema (16°), ossia il sistema (14) per £ = ammette una soluzione finita e continua g(@',8,t),w(a,8,t),y(e'",B',t) ed una solamente. Ciò premesso, è facile dimostrare (1), valendosi del teorema sui doppi strati generali, enunciato al $ 5, e delle equazioni (14), che il sistema di pseudo-doppi strati elastici ereditari aventi per densità le funzioni g(@', 8,4), y(a',8",t),y(a',B',t), risolve per 4> -3 il problema interno proposto. Fisica. — I conduttori a più periodi e la loro possibile ap- plicazione nella pratica della telegrafia senza filo. Nota del Cor- risp. A_GaRBASSO. Chimica fisica. — Zo spettro di assorbimento della santo- nina bianca e gialla. Nota del Corrisp. A. PiuTTI. Le due Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sul vantaggio che presenta un’estenione delle funzioni di Green. Nota della Sig." A. M. MOLINARI, presentata dal Corrisp. A. Di LEGGE. Il metodo delle immagini di Lord Kelvin, lascia speditamente risolvere il problema della A? per un campo limitato da due piani paralleli; esso sì presta, infatti, ad una facile determinazione della cosiddetta funzione di Green relativa a tale campo. Ma dobbiamo, purtroppo, osservare che, non ostante l'eleganza del metodo e la semplicità del risultato, noi non possiamo contentarcene, per la lentissima convergenza della serie che esprime la fun- zione di Green. (1) Cfr. mia cit. Memoria, Cap. IV, $ 3. — 175 — Il metodo di Fourier (sul quale ho in corso di stampa un lavoro negli Annali dell'Accademia Politecnica di Oporto) conduce, è vero, ad un risul- tato di più breve apparenza; e, forse, anche effettivamente più breve dal punto di vista pratico: ma il vantaggio non è tanto, quanto quello che può ricavarsi da un procedimento, già da un pezzo esistente, che ha servito ad applicare il metodo delle immagini a casi ai quali pareva inapplicabile. Tale metodo è un'estensione naturale del metodo di Green. Esso si trova esposto in una Memoria del dott. Luciano Orlando: Sopra alcuni problemi di Fisica Matematica, inserita negli Atti della R. Acca- demia di Messina del 1905. Noi vogliamo qui brevemente farne cenno. Se u(£, 7,6) e H(£,»,%) rappresentano, in un campo S a tre dimen- sioni, due funzioni regolari, valgono tanto il teorema di Green 4; 1 du (1) 4nu(x,y,2)= AGR AA do} A? u dS quanto il lemma (2) = HO) do+ f (van HA? 7) d$,, intendendo per x la normale rivolta verso l'interno di S, e che gli inte- grali in dS, do siano riferiti ad elementi che circondano A(é, n.6) 0, ri- spettivamente estesi a tutto S od a tutto o. Per sottrazione, si ricava ave DL a an )_ de (1_n) Jac S| at een 8. Supponiamo ora che della funzione « regolare in S sia noto A°u in ogni punto del campo, u in ogni punto del contorno: allora risulta incognita nell'espressione (3) la quantità du (1 Ji ; (4) Sl n) de+ _uA?H d$ poichè incognite sono (%)s I) : — 176 — Se ora conosciamo una funzione H tale che nel secondo membro della (3) rimangano soltanto da determinarsi alcune costanti, allora diremo H prima funzione ausiliare. Per esempio, se =—H in ogni punto del contorno , A? H in ogni punto del campo fossero polinomî nelle coordinate del polo A(x ,y,), anche la grandezza (4) sarebbe un polinomio nelle coordinate del polo. I coefficienti (costanti) si potrebbero calcolare facendo successivamente tendere il polo verso altrettanti punti del contorno (ove w è nota). La nostra ipotesi è più generale di quella di Green, poichè, posto al contorno Cao r e e nel campo (A?H)s=0; la funzione regolare H diventa la funzione di Green. Per un campo S limitato da due piani paralleli si determina facilmente la funzione di Green, cioè, dunque, la funzione ausiliare che verifica rego- larmente la A*?=0 in ogni punto, e acquista in ogni punto del contorno un valore eguale a quello ivi acquistato dalla funzione ; (che è invece di- scontinua nel polo). Siano é=%, = —h idue rispettivi piani; sia A;(7,7,4) un polo in S, A, il punto simmetrico di A, rispetto a 0,, e Ai il punto simme- trico di A, sispetto a 0,; diremo in generale A»; il punto simmetrico di As, rispetto a 0, (lasciando che 7 prenda i valori dei numeri naturali): e diremo A3;+, il punto simmetrico di A»; rispetto a 07. In modo analogo Ag;,,, Ay saranno fra di loro simmetrici rispetto a 0%, e A5;-1, Ag; rispetto al piano 0,. La distanza fra A, ed un punto A di coordinate (£, 7,6) indichiamola con 7; poi con 7y,7y le rispettive distanze di A da A,, A} ; cioè scriveremo (5) (ERRO e] (6) (Fe (ie) (E Ciò premesso, la serie 0 a=S CU FE — 177 — somma di due serie che, come è chiaro, convergono uniformemente in S, è la prima funzione di Green; noi la possiamo anche scrivere (8) Gi=s1+s1, avendo posto Poichè le due serie s1,s1 sono perfettamente analoghe, ci basterà conside- rare la prima. Supponiamo di voler ottenere l’approssimazione 1/1000 nella valutazione della serie G,. Si sa che i termini di s, sono, in valore assoluto, decrescenti, hanno i segni alternati, e che l'errore è più piccolo del modulo del primo termine trascurato. Chiamandolo 7y, possiamo scrivere (9) r>2îh, cioè deve essere 2hv > 1000 Se ne ricava (10) vh > 500. Per h=1 occorrerebbero, 500 termini della serie s, per avere l’appros- simazione di 1/1000 che non ne occorrano meno si dimostra molto facil- mente con considerazioni analoghe a quelle che seguiranno. Per ovviare all’inconveniente di dover sommare tanti termini per avere una approssimazione melto modesta, osserviamo che l’ introduzione delle fun- zioni ausiliari, più generali delle funzioni di Green, lascia raggiungere, con maggior rapidità, un'approssimazione migliore. Scriviamo dioalalee) Jl i) intendendo per (7,), il valore di 7, in un polo ausiliare (per esempio a metà distanza fra i due piani); essa equivarrà per la convergenza 2 Zon Ma possiamo anche proseguire, adoperando, per esempio la serie 1 Sol | 1 1 (È e) (HAS (ae) (12) ba | 7 Di AES rali => 7) meri = Mit Osserviamo che il termine generale di questa serie rappresenta 1 1 DT) de) (1) NGI dove m denota un opportuno punto intermedio: esso non supera dunque cer- tamente, in valore assoluto, il valore ho 14 si ( ) (Ai come si può vedere dalla formula al 2 ZO) dI" — po+1 Ù che è la (6) del citato lavoro del dott. Orlando. La formula (9) mostra allora che, se consideriamo la serie ha di > Gioi noi avremo considerato una serie maggiorante. L’ integrale definito e h si 7) m (o Tp 941 hm” serve (come è noto da un teorema generale di Cauchy) a dare un'idea del- l’approssimazione del resto della serie (15). È facile vedere con quanta rapidità si possa, disponendo opportunamente di m, 0 di n, 0 di m, x insieme, raggiungere la richiesta approssimazione. Anche nel caso semplicissimo del semispazio, si può sostituire alla funzione di Green (rappresentata dall’inversa della distanza del punto mo- bile dal simmetrico del polo) una funzione ausiliare del tipo indicato dal termine che si trova nella formula (12). Con ciò non si semplifica certamente la funzione di Green, che è sem- plicissima, essendo costituita da un termine solo, ma sì rende più facilmente valutabile per approssimazione l'integrale sotto cui questa funzione verrà a figurare nella formula risolutiva, nel caso (frequentissimo) nel quale la valu- tazione di questo integrale non si possa fare esattamente. — 179 — Astronomia. — La sincronizzazione elettrica ordinaria usata intermittentemente, per subordinare un pendolo oscillante secondo il tempo medio, ad uno oscillante secondo il tempo siderale. Nota del dott. Guino Horn, presentata dal Corrisp. M. RaJna. Il problema della compensazione del pendolo, studiato e risolto in varie maniere negli ultimi 200 anni, dall'epoca di Harrison in poi, fu affrontato nell'anno 1847 anche dall’astronomo Faye ('), il quale pensò che collocando un orologio in quello strato della crosta terrestre (circa 25 metri sotto il suolo, per la latitudine ed il clima di Parigi), per il quale le variazioni di temperatura sono quasi nulle, sarebbe stata soppressa la causa principale degli andamenti irregolari. Per trasmettere poi all’osservatore il tempo del- l'orologio, relegato a quella profondità, egli proponeva di servirsi (come so- vente ancora si fa) d'un quadrante animato non già dal solito meccanismo d'orologeria, ma da un elettromagnete, congiunto con l'orologio sotterraneo in modo, che gli scatti dell’àncora e dell’indice dei secondi fossero sincroni alle oscillazioni del pendolo. L'inconveniente presentato dal quadrante, che cessa di segnare il tempo quando s'arresti l'orologio motore, indusse il Foucault (*) a modificare il progetto del Faye: egli sostituì al quadrante vuoto un orologio completo il cui pendolo era munito alla sua estremità libera d'un’àncora di ferro dolce, che s'incontrava in due elettromagneti, fissati sulla cassa dell'orologio, a breve distanza dalle massime elongazioni dell’àncora. Congiungendo quindi gli elettromagneti con l'orologio principale in modo, che la corrente vi pas- sasse nel momento in cui il pendolo principale raggiungeva le sue elonga- zioni massime, il pendolo secondario veniva ricondotto ogni secondo, se non vi si trovava già di per sè, nella posizione che avrebbe dovuto occupare, quando il suo andamento fosse stato identico a quello del pendolo principale. L'utilità di questo sistema fu riconosciuta subito e dovunque; si ottiene la perfetta sincronizzazione con una corrente debolissima (15 m. amp.), anche quando l'orologio secondario sia di mediocre costruzione, e raggiunge lo scopo mirato da Foucault, d’assicurare all’osservatore l’ininterrotta segnalazione del tempo, pur quando s’arresti l'orologio principale. I diversi costruttori in- trodussero qualche variante sia nel numero che nella disposizione degli elet- tromagneti, ed il sistema fu applicato finora per sincronizzare pendoli che oscillano secondo il medesimo tempo. (!) Comptes rendus d. s. de l’Acad. des Sciences, 1847, pag. 380. (*) Comptes rendus, loc. cit. RaenpIgontI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 24 — 180 — Ma esso può servire anche per subordinare l’un l'altro due orologi i cui pendoli oscillino, l'uno secondo il tempo medio e l’altro secondo il tempo siderale, approfittando della circostanza che questi due pendoli si trovano contemporaneamente nella medesima fase d'oscillazione ogni 6" 65,242 di tempo siderale (ossia ogni 6" 55, 242 di tempo medio); quindi facendo agire il congegno della sincronizzazione ordinaria non già ogni secondo, ma ogni 6" 6°, 242 di tempo siderale (per la durata di qualche secondo), l’an- damento del pendolo di tempo medio sincronizzato sarà legato a quello del pendolo di tempo siderale sincronizzante. Quest' intermittenza della corrente s'ottiene inserendo nel circuito della sincronizzazione ordinaria due ruote, ingrananti l’una nell’altra, la minore delle quali è imperniata nell'asse che porta l'indice dei secondi dell’oro- logio di tempo siderale ed è munita di 10 denti; la maggiore ne ha invece 61 e ruota intorno ad un asse indipendente, chiudendo ogni volta che compie una rotazione il circuito della sincronizzazione ordinaria, per la du- rata di 4 0 5 secondi. Per ottenere tra due ruote dentate un rapporto uguale a 6% 65,242, il numero dei denti dovrebbe essere troppo grande e sarebbe praticamente impossibile introdurre ruote di tali dimensioni nel meccanismo d’orologeria, mentre ruote di 61 e 10 denti che dànno il rapporto 6” 65, 0 sono di facile adattamento anche in un orologio di piccole dimensioni. La frazione di tempo che sì trascura così è di 0*,00066, essendo 366 secondi di tempo siderale uguali a 365,00066 di tempo medio. Il pendolo di tempo medio sarà quindi costretto ad oscillare, durante 366 secondi di tempo siderale, 365 volte, invece di 365,00066; esso ritarderà ogni 6 minuti circa: 05,00066, ossia in un giorno medio 05,156 secondi di tempo medio, vale a dire: ammesso che la variazione diurna del pendolo di tempo siderale sincronizzante sia eguale a zero, il pendolo di tempo medio sincronizzato ritarderà giornalmente rispetto al tempo medio esatto: 0°,156 secondi. Il sineronismo dei due pendoli ha luogo naturalmente durante un'unica oscillazione; nell'oscillazione successiva il pendolo di tempo siderale precede già l’altro di 1/366: converrà quindi abbreviare al minimo tempo possibile l'azione della sincronizzazione ordinaria. Facendola agire, per es., per cinque secondi successivi, l'accelerazione provocata al quinto secondo dal pendolo di tempo siderale sarà appena d'un centesimo di secondo, praticamente inav- vertibile. L'esperienza ha dimostrato che la sincronizzazione ordinaria può rima- nere esclusa per più di due ore senza che il pendolo sincronizzato muti il suo andamento, purchè questo, privato il pendolo della sincronizzazione, non ecceda i 15 secondi giornalieri; e sì può a ragione prevedere che neanche l'esclusione della corrente per la durata di 6 minuti permetterà al pendolo sincronizzato di riacquistare la sua indipendenza. — LB1 — Modificando convenientemente il rapporto tra i denti delle due ruote si potrà subordinare invece il pendolo di tempo siderale a quello di tempo medio; tuttavia il primo sistema sarà preferito, essendo il tempo siderale la conseguenza immediata della rotazione perfettamente uniforme della terra e perciò molto più agevole a determinarsi del tempo medio, non rappresentato dal movimento di nessun corpo celeste. Matematica. — Sopra alcune questioni riguardanti due fasci di curve dati in una superficie algebrica. Nota del prof. M. PAN- NELLI, presentata dal Corrisp. G. CASTELNUOVO. Meccanica celeste. — Sulle orbite periodiche. Nota di Leo- NIDA TONELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. Economia matematica. — Contributo alla teoria matematica della dinamica economica. Nota del dott. L. Amoroso, presentata dal Corrisp. M. PANTALEONI. Le precedenti Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisica. — Sulla misura del calore specifico dei metalli a temperature elevate. Nota di 0. M. CorBINO, presentata dal Socio P. BLASERNA. 1. Ho avuto due volte l’occasione di riferire all'Accademia (!) su alcune proprietà dei filamenti molto sottili percorsi da correnti elettriche variabili. Ebbi allora a dimostrare che alle oscillazioni periodiche della potenza elettrica consumata nel filo corrispondono variazioni periodiche nella sua tem- peratura, e quindi nella sua resistenza; le oscillazioni di temperatura si compiono con uno spostamento di fase rispetto a quelle della potenza; tale ritardo di fase, e la escursione massima, dipendono da alcune costanti caratte- ristiche del filo, in modo che la teoria esattamente prevede. Le variazioni periodiche di resistenza, con pulsazione doppia di quella della f. e. m., creano un terzo armonico nella corrente che traversa il filo, e la teoria ne prevede l'ampiezza e la fase in funzione degli elementi sopra (*) O. M. Corbino, Rend. Lincei, XIX, 1° sem, pag. 133, 1910; ibid. XX, 1° sem., pag. 222, GAD, — 182 — indicati. L'esperienza, eseguita con un particolare dispositivo delicatissimo atto all'esame col tubo di Braun del terzo armonico introdotto, diede il risultato previsto, e si potè dalle fotografie delle curve di Lissajous ottenute dedurre il valore di -: cioè del rapporto tra la capacità calorifica e il coeffi- ciente termico di variabilità della resistenza del filo, nei limiti in cui ne variava la temperatura. L'esperienza mi aveva già dato la conferma di un’altra previsione della teoria, che cioè il filamento possiede un effetto parzialmente raddrizzatore sulla corrente alternata, e dà luogo perciò alla produzione di una compo- nente di corrente continua, quando la f. e. m. agente non è puramente si- nusoidale, ma contiene il secondo armonico. Il risultato naturale di tutte queste ricerche doveva essere lo studio sistematico dei valori di 5 per diversi filamenti, e a tutte le temperature possibili; quel rapporto rappresenta, come ebbi allora a notare, una costante fisica ben definita del corpo, indipendente dalla conoscenza così difficile della temperatura vera di esso; e precisamente esprime il rapporto tra la quan- tità di calore assorbita dal filo nel riscaldarsi e la corrispondente alterazione relativa della resistenza. Così sì ottenne allora che alla temperatura di re- gime della lampada Osram occorrono circa 0,1 piccole calorie per scaldare di tanto ogni grammo della sua massa che la sua resistenza risulti variata di un millesimo. Un dato numerico di questo genere resta assolutamente incontrollabile, non esistendo altri metodi che permettano di ottenere indi- cazioni qualsiansi sulla capacità calorifica del filo a quelle temperature elevate. Ma ciò accresce l'interesse a estendere le ricerca, atta a fornirci dei dati inaccessibili per altra via. Purtroppo la ricerca col tubo Braun richiede un numero rilevante di lampade, con funzionamento a temperatura elevata; diminuendo la temperatura di funzionamento l'ampiezza del terzo armonico diviene invero troppo piccola per essere misurata; occorre inoltre che il filamento sia di estrema sottigliezza, qualora non si possa abbas- sare convenientemente la frequenza della corrente alternata. 2. Dopo una serie di tentativi in varie direzioni mi son fermato a un nuovo metodo che passo a descrivere, e che sembra il più adatto a una ri- cerca sistematica, perchè di sensibilità quasi illimitata, e di impiego age- vole e sicuro, richiedendo solo una lampadina montata col filo in esame, e un ponte di Wheatstone. Si considerano in questo metodo i processi termici che hanno luogo nel filamento quando trovandosi esso inserito, oltre a una resistenza zavorra R, in un circuito nel quale agisce la f. e. m. e, si opera una piccola e brusca diminuzione —4R nella resistenza R. La temperatura del filamento passa da T, a T, + ®; ma il passaggio non è istantaneo a causa della sua inerzia calorifica. — 183 — Indicando con 4 l’eccesso raggiunto al tempo # sulla temperatura ini- ziale T,, con e la capacità calorifica (in unità meccaniche), con & il coeffi- ciente di variazione della resistenza ro con la temperatura, fra i limiti T, eT.-® e riferito a ”,, ed esprimendo infine con /(T) la quantità di energia emessa per unità di tempo alla temperatura attuale T= TH9, sì avrà: e (1) (OT ga) rir=W i CAM GNTTALI (2) cn t/® Pesa. roi Si noti che 4 denota, come si è detto, il coefficiente di variazione ri- ferito alla resistenza 7» a T,, e nonalla resistenza allo zero centigrado. Il coefficiente a, che fu da me già adoperato nelle due Note citate, si iden- tifica perciò col coefficiente termico vero considerato recentemente dal Pi- rani ('). Il numero 43 rappresenta così la variazione relativa al tempo £ della resistenza iniziale 0: essa sarà molto piccola se si suppone piccola 4R; noi riterremo perciò trascurabili i termini di second’ordine in SISI e R+4 7% in ad. Si potrà allora scrivere: did = ad — T+% 1+2__- cgil +9 |. Si sviluppi /(T, + 9) in serie di Taylor limitandola al 2° termine; e sì tenga presente la (1) nella quale W denota l'energia consumata nelle condizioni iniziali. Si avrà: dg 4R RIE VAL = = 2 ° +9/T1) w(1 2) + ur o anche, ponendo Lim, 1, (8) rr So) potremo scrivere e dg W AR GT So uni Questa relazione ci dice che la temperatura aumenta nel filamento, a partire da T,, con la stessa legge con cui aumenta la corrente nel periodo variabile in un circuito induttivo di resistenza Pe autoinduzione — . a (') Pirani v. M., Berichte der Deutsch. Physik. Gesell., XIII Jahrg., pag. 929, 1911. i — 134 — E perciò, detto © l'accrescimento totale di temperatura al di sopra della temperatura iniziale T,, si avrà (4) I=@(1-0-,1') Si conserva cioè ancora in questo caso l'analogia tra le variazioni di temperatura del filamento e la corrente nei circuiti induttivi, analogia messa in luce nelle mie precedenti Note per il caso delle f. e. m. alternate. 3. Si supponga adesso che il filamento costituisca una delle branche di un ponte di Wheatstone, e che a un certo istante, mentre il ponte è in equilibrio, si faccia corto circuito tra i punti « e d, mettendo così fuori delle branche del ponte le resistenze nm ,#. a bh Si modificherà, allora, la resistenza complessiva del tratto 1, 2, e perciò muterà la temperatura e la resistenza del filamento L, poichè esso viene percorso da una corrente alquanto più intensa. Ma scegliendo opportunamente le resistenze m ed 7, soppresse a destra e a sinistra di C, si può facilmente ottenere che malgrado la mutata resistenza di L si abbia ancora l'equilibrio finale nel ponte, poichè vengono anche mutate le resistenze totali dei rami 1 e 2. Si siano realizzate queste condizioni di duplice equilibrio permanente nel ponte; comunque, cioè, si trovi chiuso o aperto il corto circuito «è. La chiusura di 4 modifica bruscamente la resistenza zavorra del circuito di cui fa parte la lampada, e modifica contemporaneamente le resistenze delle branche 1 e 2 del ponte; ma poichè il filamento non assume istantanea- mente la nuova temperatura, per cui è regolato l'equilibrio, in tutto il breve tempo impiegato a raggiungerla il galvanometro sarà traversato da una cor- rente variabile, che comunicherà all’equipaggio un impulso temporaneo, come se una delle branche fosse provveduta di forte auto-induzione. — 185 — Si può facilmente calcolare la quantità di elettricità che traversa il galvanometro in questo periodo che precede il nuovo regime di equilibrio. Sia é l'intensità della corrente costante che traverserebbe il galvanometro per una data variazione 4/7 di resistenza nel ramo 1 del ponte, a tasto 42 chiuso, e si ponga ig=k4r. L'alterazione 4 di resistenza nel ramo 1, rispetto al regime finale per cui è stabilito l'equilibrio con la chiusura di 40, è data da dr=rna(d — 0), ove + è espresso dalla (4). Si avrà perciò nel galvanometro la corrente variabile bo. ig=krna®e “la e perciò nell'intero periodo variabile il galvanometro sarà traversato dalla quantità di elettricità da. = igdt=kr,a® P Si indichi con I la corrente permanente che si avrebbe al galvanometro per la variazione di resistenza finale 7, 4© avvenuta nel filamento, qualora non la si fosse compensata col giuoco delle resistenze m,x a sinistra e a destra di C. Sarà I=kra® e perciò c/ le da cui Gp di di I La misura degli elementi P,g e I ci darà quindi, in modo semplicis- simo, il valore cercato di =, ricavabile così intorno a una temperatura T, n) qualsiasi. Si noti infine che in luogo del corto circuito assoluto, che sopprime le resistenze #,%, si può, attraverso al tasto 48, derivare un circuito di resistenza non nulla; al variare di questa si potranno produrre diverse va- riazioni, sempre piccole, nell’intensità della corrente che traversa la lam- pada, e quindi diverse variazioni finali © della sua temperatura Tr. — 186 — 4. Misura di q e di I. — Si può ricorrere all'unico galvanometro in- serito nel ponte, purchè lo sì sia tarato, melle condizioni attuali di smor- zamento, per le correnti e per le quantità di elettricità. Con ciò la misura di g non offre alcuna difficoltà, bastando solo regolare le resistenze m, in modo che aprendo o chiudendo il tasto ad si abbia una deviazione brusca al galvanometro, ma questo ritorni subito a zero. Per la misura di I, corrente permanente che si avrebbe nel galvano- metro per la stessa variazione finale non compensata r»4©® di resistenza nel ramo 1, ho proceduto nel modo seguente. Con un dispositivo potenzio- metrico connesso alla piccola resistenza 2 del ponte si equilibrava la ten- sione ai poli di 2, servendosi di una tensione derivata su un circuito per- corso dalla corrente di una coppia di accumulatori e. Il galvanometro G, serviva a constatare la compensazione. Chiuso il tasto ad (fig. 1) aumentava un poco la corrente nel ramo 2, e il galvano- metro G, deviava fortemente; si inseriva allora una resistenza crescente 0, nel circuito principale, regolandola in modo che il galvanometro G, della compensazione tornasse a zero. In tal modo con la soppressione della resi- stenza 0, a tasto ad chiuso, o con la chiusura del tasto 40, mentre la re- sistenza 0 è soppressa, si produceva l’identica variazione della corrente nella lampada; ma mentre la prima manovra perturbava l’equilibrio nel ponte permanentemente, la seconda lo perturbava solo nei primi istanti che se- guono la chiusura del tasto ad. La prima deviazione permanente dava l' in- tensità I che comparisce nella formola, la seconda, impulsiva, dava invece la quantità g. 5. Misura di P. — Resta solo da misurare P per avere la grandezza cercata. Abbiamo intanto per la (3) _ wo da _ yo R dW PW too ai fo poichè Supponiamo che a una variazione 4é della intensità della corrente nella lampada corrisponda la variazione permanente 47, della resistenza di questa. Sarà nelle prime condizioni di regime del filamento Vac e nelle successive WLAW=(+ 4) (hn+4r,). Si ottiene così e quindi dii sn E + R pr ue) } E sì riconosce subito che la disposizione sperimentale adottata fornisce tosto tutti gli elementi che occorrono per la misura di P, în perfetta in- dipendenza dalla legge sconosciuta con cui il filamento perde energia alle varie temperature. E infatti, mantenendo chiuso il tasto 42, basterà inse- rire ed escludere, successivamente, una resistenza @ nel circuito principale, e misurare col sistema compensatore derivato su 2 la variazione relativa Aiji della intensità, e col ponte la variazione relativa corrispondente della resistenza 47/r, nel ramo della lampada. Quanto a W essa risulta imme- diatamente determinata, solo che si inserisca nel ramo 1 della lampada un buon amperometro. 6. Condizioni sperimentali. — Descriverò le condizioni quali sono state da me disposte per lo studio di una lampadina Osram da 32 candele e 105 volt. La batteria è costituita da 50 accumulatori; si prende cura che altre correnti non ne siano distratte nel tempo della misura, poichè si manifesta uno squilibrio nel ponte a ogni variazione anche lieve della tensione. Le branche 2, 3, 4 (fig. 1) hanno il valore rispettivamente di 4, 3900, 50 ohm. La branca 3 è variabile per decimi di ohm, ed è quella che si manovra per raggiungere l'equilibrio. Delle resistenze m ed x la prima è variabile in modo continuo fino a 10 ohm; la seconda è fissa e molto piccola. Il galvanometro è un ottimo aperiodico Siemens e Halske a bobina mobile; questa ha circa 25 ohm di resistenza, ma si aggiungono in serie circa 1200 ohm, con che la sensibilità è ancora più che sufficiente, e si attenua lo smorzamento. In queste condizioni di smorzamento, cioè con l'equipaggio chiuso su circa 1200 ohm, si determina la sensibilità dell'apparecchio al passaggio di un micro-ampère o alla scarica di un micro-coulomb. Come si riconosce dalla (4), l'intensità decorre nel ramo del galvano- metro secondo un'esponenziale, la cui costante di rapidità è — E poichè nel caso mio questo rapporto era circa 35, già dopo una piccola frazione di secondo la quantità di elettricità è passata quasi interamente. Non oc- correva perciò ricorrere ad un galvanometro con grande periodo di oscilla- RenDICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 25 — 188 — zione, essendosi verificato che con scariche esponenziali della stessa rapidità esso conservava la sensibilità normale. Trascrivo qui i risultati di una misura che può eseguirsi, disposte bene le cose, in breve tempo. Lampadina Osram da 32 candele, e 105 volt. Tensione agli estremi V= 95 volt; 7 = 0,310 ampère: che è in ottimo accordo con quello ottenuto l’anno precedente per mezzo del tubo Brau (4,4) alla stessa tensione di 103 Volt. Di maggior interesse sono i risultati ottenuti sperimentando con un filamento di nota costituzione, come quello delle lampade a tungsteno; poichè per questi filamenti, e così anche per quelli di platino e di tantalio, esi- stono delle misure assai pregevoli di Pirani, da cui si può desumere il valore del coefficiente termico a; e quindi. noto il rapporto a° Si può cal- colare la capacità calorifica c a diverse temperature. Ma richiedendosi per la discussione dei risultati tutto un ordine di considerazioni diverso, ne ri- ferirò all'Accademia in un’altra Nota. Fisica. — Ze costanti termiche del lungsteno ad alta tem- peratura. Nota di 0. M. CorBINO, presentata dal Socio P. BLa- SERNA. In una Nota precedente ho esposto all'Accademia la teoria e la realiz- zazione di un metodo elettrico per la misura della capacità calorifica di un filamento sottile conduttore; esso è fondato sullo studio, col ponte di Wheat- stone, del periodo variabile nel quale, per una brusca e piccola diminu- zione della resistenza complessiva nel circuito contenente il tilamento, la temperatura di questo si porta dalla temperatura T, a quella T. +®, poco diversa. Il metodo fu applicato allo studio di una lampadina Osram, per la quale avevo in precedenza ottenuto, con un metodo elettrico più indiretto, il — 159 — valore del rapporto = tra la capacità calorifica del filamento e il coefficiente vero di variazione della sua resistenza con la temperatura. In questa seconda Nota comunico i risultati di una ricerca analoga ese- guita con filamento di nota composizione, e precisamente di una lampada in tungsteno da 50 candele e 105 volt. Essa era stata tenuta in funzione per un tempo molto lungo: in queste condizioni, com'è noto per le ricerche del Pirani ('), i filamenti di tungsteno delle più diverse provenienze finiscono con l’assumere la stessa resistenza specifica e un eguale coefficiente di variazione della resistenza con la tem- peratura. Effettivamente, riscaldando la lampada con una stufa ad acqua da 17° a 96°, si trovò un coefficiente medio molto prossimo al valore ottenuto coi suoi filamenti dal Pirani. La lampada fu poscia studiata col dispositivo del ponte descritto nella Nota precedente, sotto tensioni diverse ai poli. La pic- cola e brusca variazione di tensione poteva modificarsi entro larghi limiti, senza che si alterasse sensibilmente il valore dedotto per 4 La seguente tabella I riassume i risultati ottenuti; in essa 47/i e A4r/r denotano le alterazioni relative della corrente che traversa la lampada, e della sua resi- stenza: la grandezza P rappresenta l’espressione Sla oe Adili Podi |a vi n ove W denota la potenza consumata nel filamento, 7, la resistenza di questo e R la resistenza zavorra contenuta nel circuito complessivo che fa capo agli accumulatori. TABELLA I. Tensione Corrente 4ili P È Ed volt ampère Ar/r 17) cla 10,9 0,132 1,50 7,1 4,6 1,5 22,0 0,200 1,54 29,5 6,0 3,8 29,2 0,252 1,54 32,0 6,9 4,6 49,2 0,328 1,49 80,0 8,4 9,5 94,5 0,481 1,46 220,0 11,4 19,4 109,0 0,513 1,41 267,0 11,8 23,6 Nell'ultima colonna sono riportati i coefficienti del tempo nella esponen- ziale secondo cui, com’ebbi a dimostrare, decorre la temperatura da Tia (*) Pirani v. M., Berichte der D. Phys. Ges. 12, pag. 301, an. 1910. — 190 — T,-- ©. Come si vede, essi sono molto più piccoli di quelli ottenuti con la lampada Osram; e, specialmente nelle basse tensioni, dànno un troppo lento decrescimento della esponenziale che rappresenta la corrente nel galvanometro. Per questo fui obbligato a servirmi, per le tre tensioni più basse, di un galvanometro diverso, un Hartmann e Braun, a periodo più lento; e fu pur tuttavia necessario di tracciare la curva rappresentante le sensibilità per sca- riche più o meno lente, quali si possono ottenere modificando la resistenza del circuito di scarica di un condensatore. La sensibilità si alterava fino al 10 per cento quando il coefficiente di nell’esponenziale di scarica scendeva fino a 2. Questi risultati si prestano già a qualche osservazione d'importanza notevole. Com'è noto, il Pirani, dopo aver studiato l'andamento della resi- stenza colla temperatura, misurando questa coi metodi diretti fino a circa 1500°, estese la curva rappresentatrice anche per le temperature più elevate, misurando queste indirettamente, per estrapolazione della legge di Stefan con esponente caratteristico del metallo; questa legge egli aveva trovato ye- rificata abbastanza bene fino a che la temperatura potè misurarsi diret- tamente. Tracciata così la intera curva delle resistenze che assume il tungsteno in funzione della temperatura, da essa si possono desumere i valori del coef- ficiente 4 alle diverse temperature, o anche in corrispondenza dei valori assunti dalla resistenza a caldo del filo riferita a quella a freddo. E si può ? 7 così calcolare, dal valore noto di ni) quello di e. Volendo tener conto dell’azione raffreddatrice dei piccoli sostegni del filamento, che fan giudicare la temperatura dedotta dalle variazioni di resi- stenza più bassa del vero, son venuto, dopo un esame analitico alquanto laborioso, alla seguente conclusione. Se una parte non troppo grande del fila- mento trovasi a temperatura più bassa del resto (per azione raffreddatrice dei sostegni) e si valuta l’energia W che comparisce nel coefficiente P ser- vendosi della resistenza totale del filamento, e il coefficiente a in corrispon- denza di questa resistenza totale riferendola a quella a 20° e ricorrendo alla tabella di Pirani valida per fili a temperatura uniforme, sì commettono alquanti piccoli errori; questi però sé compensano tra loro, in modo che la capacità calorifica misurata risulta esattamente quella che è propria del- l’intero filamento. Si ottengono così per le sei tensioni sperimentate i seguenti valori della resistenza 7, presa come unità la resistenza, a 20°, della temperatura ap- VOS gui prossimativa, e di pui — 191 — TABELLA II. Tensione r a > aX 104 cX104 10,9 4,74 800° 4,6 12,4 07,0 22,00 6,9 1050° 6,00 9,4 00,4 29,2 7,9 1250° 6,9 8,1 09,9 49,9 8,7 1450° 8,4 6,7 56,9 94,5 11,3 1800° 11,4 7,9 89,9 109,00 1357 1850° INDO. 7,6 89,7 Una prima constatazione, indipendente da ogni incertezza, relativa alla conoscenza del coefficiente @, riguarda /a proporzionalità evidente tra i valori di — e quelli della resistenza r. I lievissimi scarti, non ostante il a loro andamento sistematico, non meritano molto peso, poichè dall'esame delle condizioni e dei risultati dell'esperienza ho dovuto riconoscere che i valori di — sono affètti da un errore complessivo, il quale può elevarsi talvolta fino al due o al tre per cento. Se poi si tengono presenti i valori di 4, che, come si è detto, sono da considerare come veramente sicuri solo fino a 1500°, allora si riconosce dal- l'ultima colonna che: é/ valore ottenuto per la capacità calorifica del filo resta costante fino a che la temperatura è determinata con metodi diretti. Si manifesta invece un aumento molto sensibile della capacità calorifica nel campo in cui la temperatura venne dedotta, dal Pirani, coi metodi di estra- polazione. Ora un aumento così pronunziato del calore specifico oltre ai 1500°, sembra in verità assai improbabile, poichè esso si manifesta solo quando la conoscenza di a diviene malsicura; mentre d'altra parte, secondo le vedute di Einstein, aumentando la temperatura, il calore specifico atomico dovrebbe tendere, come limite massimo, verso il valore teorico sei, limite che si rag- giunge già, pel tungsteno, a temperatura ordinaria. Questa previsione della teoria risulta confermata dalle mie esperienze, finchè si è veramente sicuri del valore di 4 cioè fino a 1500°; sembra quindi ragionevole ammettere che la costanza del valore limite del calore specifico sì continuerebbe a verificare anche al di là, se fossero attendibili le determi- nazioni del coefficiente medesimo. Non sarà inutile a questo proposito l’osservare che la invariabilità di c sì sarebbe verificata fino alla temperatura estrema di circa 2000° se il Pi- rani, anzichè prolungare la curva delle resistenze in funzione della tempe- ratura, ricavando queste per estrapolazione dalla legge di Stefan, si fosse go accontentato di estendere direttamente la curva delle resistenze, prolungando fino a 2000° l'andamento perfettamente rettilineo ch'essa presenta da 700° a 1500°, cioè fino al limite direttamente sperimentato. Nella tabellina III che segue sono indicati, accanto ai valori di -, due serie dei valori di 4: 7 7) cioè quella (1) di pag. 191 e l’altra (2) ottenuta estrapolando direttamente dalla curva delle resistenze col criterio ora esposto; seguono i valori corri- spondenti di c: TaBELLA III c 1 2 4,74 4,6 12, 97,0 12.4 97,0 6,9 6,04 9,4 06,4 9,4 06,4 7,9 6,9 8,1 99,9 8,1 559,9 SA 84 6,7 56,9 6,7 56,9 11,8 IRE 7,9 859,9 9,2 59,9 INIST 11,8 7.6 89.7 9,0 09,5 Come si riconosce dalla tabella, basta seguire questo altro criterio di estrapolazione, prolungare cioè la curva delle resistenze 7 =7(T) anzichè la curva logaritmica dell'energia W= W(T ass.), per eliminare la singolarità constatata nell'andamento del calore specifico, e per poterne affermare la invariabilità da 800° a 2000° circa. Or non c'è dubbio che si tratta sempre di un procedimento arbitrario: tanto se si prolunga la curva logaritmica W(T ass.), quanto se si estende la curva 7°(T). Sembra tuttavia, che il primo criterio, seguìto dal Pirani, sia meno legittimo, poichè noi siamo già ben sicuri che la curva W (T ass.) deve modificarsi alle temperature altissime, senza di che, a un certo punto, si potrebbe perfino superare l'emissione del corpo nero, avendosi per T un esponente eguale a 5 all'incirca. Perciò, mentre questa estrapolazione della legge esponenziale per W è, a priori, sospetta, l'altra relativa alla curva 7.(T) non ha nulla, in principio, di assurdo: ed essa conduce, come si vede dalla tabella, al risultato semplicissimo di confermare la costanza del calore specifico, nelle temperature elevate, richiesta dalle vedute di Einstein. Posto ciò, le ricerche riferite in questa Nota, oltre a costituire una ve-- rifica di queste vedute di Einstein nel campo delle temperature elevate (come si va facendo dal Nernst e dai suoi allievi per le temperature bassis- sime), forniscono un nuovo modo per attaccare il problema della pirometria dei metalli incandescenti. Basta invero ammettere che la capacità caloritica c sia costante, a temperature elevate: e allora la determinazione sperimentale — 1939 — di >. fatta col metodo sopra esposto, permette di dedurre 4, e quindi la temperatura vera del metallo. Si preciserebbe con ciò in modo notevole la nozione così incerta di temperatura vera di un filo incandescente: eguali innalzamenti di temperatura corrisponderebbero, cioè, a eguali quantità di calore assorbite nella elevazione termica. E come la pirometria del corpo per- fettamente nero, che si fonda sull'impiego della legge di Stefan o di quella di Wien, ha la sua base nelle teorie dell’irraggiamento, così la termometria dei corpi reali, fondata sulla ipotesi ora verificata della costanza del calore Specifico, avrebbe per giustificazione la teoria di Einstein. Così nel caso del tungsteno in fili a temperatura uniforme, da questa ipotesi e dalle esperienze descritte, risultano le seguenti temperature in corrispondenza dei diversi valori della resistenza riferita alla resistenza a 20° presa coma unità: TABELLA IV. Resistenza Temperatura Temperatura secondo Pirani 4 650 650 5) 820 820 6 1000 1000 7 1160 1160 8 1330 1330 9 1500 1500 10 1665 1650 al 1835 1780 12 2000 1390 Si noti che se veramente, com'è prevedibile, la legge analoga a quella di Stefan, W=o T”ass., con m 4, comincia a non essere più valida per temperature molto alte, ciò avverrà nel senso d'una progressiva diminuzione di m; è quindi naturale che le temperature siano stimate dal Pirani, nella ipotesi di m costante, come più basse del vero. E a giustificare la divergenza massima a 2000° basterebbe ammettere una lievissima diminuzione di my la quale diminuzione raggiunga, all'estremo, appena il sei per mille del suo valore. Resterebbe da verificare ancora in un altro punto la teoria di Einstein : provare, cioè, che veramente il calore atomico del metallo acquista ad alta temperatura il valore teorico 6, eguale al numero di gradi di libertà delle molecole. Non volendo per adesso spezzare la lampadina e pesarne il filamento, ciò che mi riserbo di fare a esperienze finite, ho tentato sin da ora una — 194 — ricerca indiretta del suo peso, misurandone le dimensioni e tenendo conto del peso specifico noto del tungsteno. A tal fine si produsse, per mezzo d'una grande lente acromatica Zeiss, una immagine ingrandita del filo incandescente al rosso, e la si misurò con un buon micrometro oculare, tarando il dispositivo ottico con la misura di 1 millimetro, collocato nella posizione del filo. Si ottenne, così, come valore del diametro vero, mm. 0,068. La lunghezza del filo fu stimata 710 milli- metri; ne risulta un volume di mm.? 2,2 e un peso di 4/7 milligrammi, posto eguale a 18,7 il peso specifico. Ora, assumendo per la capacità calo- rifica il valore 57,4 X 1074 joule, che è esattamente la media tra i valori trovati, si ottiene in piccole calorìe 13,7 X 10-74; e quindi, come numero esprimente il calore specifico, 0,0334. Risulta così per il calore atomico il valore 0,0334 X 182,5 = 6,09, che dal valore teorico 6 differisce appena dell'uno e mezzo per cento. Ed è veramente notevole che il valore ottenuto pel calore specifico, malgrado l’altissima temperatura, sia in così buon accordo con quelli già noti per la temperatura ordinaria. Esperienze su diversi filamenti, spinte fino alle temperature vicino alla fusione, e altre sul ferro, per il riconoscimento delle anomalie del calore specifico alla temperatura d’annullamento del magnetismo, sono attualmente in corso di esecuzione. Fisica. — Sul valore delle componenti la forza elettromo- trice delle coppie voltaiche costanti e sulla teoria della pila. Nota di G. GucLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Dalla relazione V=(C — c)/e (dove V è la differenza di potenziale che si produce fra un metallo e la soluzione d'un suo sale), quello stesso che si forma quando la corrente passa dal metallo alla soluzione (C il calore dovuto alla formazione di esso sale corrispondente al passaggio di una quantità e d’elettricità, c il corrisponente calore locale), si possono dedurre parecchie conseguenze importanti. 1°. Essa dimostra l’inesistenza di una differenza di potenziale (fuorchè piccolissima) al contatto dei due metalli di una coppia voltaica. Difatti con- sideriamo una coppia Daniell completa, cioè: Zinco-S0, Zn-S0,Cu-Rame-Zinco, e siano ordinatamente V, x, —V',y le differenze di potenziale ai successivi contatti, V” la differenza di potenziale degli zinchi estremi cioè la forza elettromotrice della coppia, questa sarà uguale alla somma algebrica delle suddette singole differenze di potenziale, cioè sarà: V'=VH4 x —V4y. Ora risulta da molte determinazioni che, se C e c sono il calore di combi- — 195 — nazione e quello locale per lo zinco, e C',c' quelli per il rame, si ha per la coppia Daniell. con molta approssimazione, V"=(C — C’)/e quindi a V e V' sostituendo (O — c)/e, (CT — e')/e si avrà: V'=(0— C)/e=(C— e)le+x — (0 — e’)/e+y ossia tt+y=(c—c')/e, e siccome dalle esperienze di Jahn e di altri fisici risulta che i calori locali c' e c" per lo zinco e pel rame sono approssimativamente uguali ed è inoltre generalmente ammesso che la differenza di potenziale fra le due soluzioni è trascurabile (ciò che risulta anche dalla diffusibilità quasi uguale dei due ioni Cu e Zn e dalla identità degli anioni) ne consegue y=0, ossia la differenza di potenziale dello zinco e del rame a contatto è nulla. Questa dimostrazione è più completa di quelle termodinamiche dirette, (fra le quali credo sotto ogni aspetto inoppugnabile quella che ho data re- centemente) perchè esse dimostrano bensì che la corrente prodotta da una coppia voltaica non può esser dovuta ad una differenza di potenziale fra i due metalli a contatto, ma rimane tuttavia possibile che questa esista e sia inef- ficace. Così nell'identità: V'= V+ x —V+y possiamo aggiungere ad y una differenza di potenziale Y qualsiasi, purchè a V e V' aggiungiamo rispet- tivamente le differenze di potenziale v e v' tali che sia v—v=— Y; la somma V”, cioè la forza elettromotrice della coppia, e quindi la corrente che questa fornisce in determinate condizioni non ne rimangono alterate, quindi le suddette dimostrazioni rimangono valide, ma i nuovi valori V+v e V+ o non soddisfacendo più alla relazione generale V=(C — c)/e non potranno essere ammessi. È necessario dunque che sia v=v =0 e quindi come è stato dimostrato poc'anzi Y-+y=0, cioè che la differenza di potenziale fra zinco e rame a contatto sia approssimativamente nulla. i Siccome al contatto di due metalli esiste certamente una differenza di potenziale (molto piccola) causa dei fenomeni termoelettrici, si presenta il dubbio se essa sia o no efficace nelle coppie idroelettriche (vale a dire se la legge di Volta vale anche quando nel circuito dei metalli siano inter- posti degli elettroliti, e si faccia astrazione dalle f. e. elettrochimiche), dubbio che potrà esser risolo solo quando si conoscano con grandissima esattezza C,c,0',c' per due metalli termoelettricamente molto più attivi di quello che lo siano lo zinco ed il rame a contatto. 2°. Nella relazione eV=C—c, eV rappresenta il calore Joule pro- dotto dalla corrente, il quale non può mai esser negativo, quindi il calore locale c dev'esser sempre minore del calore C dovuto alla reazione che si produce ed inoltre la differenza di potenziale V fra metallo e soluzione non RenpICcONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 26 — 190 — può mai cambiar segno, quindi: qualsiasi metallo a contatto di una solu- zione di un suo sale, prende un potenziale inferiore a quello della soluzione ossia seguendo la teoria osmotica della pila: in qualsiasi metallo non elet- trizsato, la pressione degli ioni (metallici, elettropositivi), supposti pree- +. sistenti, è maggiore di quella degli stessi ioni in qualsiasi soluzione, onde ne segue che posti a contatto soluzione e metallo questo emetterà degli ioni (elettropositivi) caricando la soluzione di elettricità positiva e rimanendo carico di elettricità negativa finchè la differenza di potenziale che così si produce non impedisca un ulteriore emissione di ioni [Pare probabile che una simile emissione di ioni avvenga anche nell'aria, producendo la relativa differenza di potenziale ripetutamente constatata, e che questi ioni emessi, tro- vandosi principalmente nello strato d'aria aderente al metallo, non possano facilmente essere asportati da correnti d’aria, ma solo lentissimamente si dif- fondano all'esterno]. - 1 C i , | A C A { 4, DI metullo Ln eci IZ Mi nel | _7 CAI H 4 a G e — Soluzione 4 (= Gi — G 12 Cc A Fis. 1. Generalmente viene ammesso invece che i metalli nobili a contatto con le soluzioni dei rispettivi sali, si carichino positivamente e queste invece ne- gativamente, dimodochè il potenziale del metallo sarebbe più alto di quello della soluzione; si ammette cioè che la pressione degli ioni elettropositivi nel metallo non elettrizzato sia minore di quella degli stessi ioni nella solu- zione, pure non elettrizzata (la quale potrebbe esser considerata come sovra- satura di essi ioni rispetto al metallo), laonde su di esso avverrebbe un de- posito di essi ioni e quindi una carica elettropositiva, mentre la soluzione rimarrebbe carica elettronegativamente. Si può dimostrare anche nel modo seguente che il potenziale di un metallo qualsiasi, nobile o no, a contatto colla soluzione di un suo sale è più basso del potenziale di questa. Considero due masse infinite o grandissime M ed S rispettivamente di metallo e di soluzione, di capacità elettrica che per semplicità suppongo infinita, senza carica elettrica ed a potenziale zero, e suppongo che esse vengano messe in comunicazione mediante due fili rispettivamenle di me- tallo MC e di soluzione CS con ingrossamenti nel punto di contatto C. Se si ammette che nel punto di contatto il potenziale del metallo sia più basso di quello della soluzione, l'andamento del potenziale nei fili di comunicazione sarà rappresentato nel modo solito delle ordinate della linea spezzata MCCS, si produrrà una corrente elettrica da M verso di S e quindi — 197 — anche la soluzione dello zinco, ed appar chiaro che le variazioni di energia del sì compensano in conformità del 1° principio di Termodinamica. Difatti l'elettricità passando da M ad S, entrambi a potenziale zero, non guadagna nè perde energia, però in C essa passa da un potenziale più basso ad uno più alto acquistando energia a spese di un’altra energia che è quella chimica perduta dal metallo che si scioglie (o reciprocamente il metallo si combina perdendo energia chimica senza la corrispondente produzione di calore che è impiegato nel far passare l'elettricità ad un potenziale più alto): lungo i fili di comunicazione, da M ad $, l'elettricità passa grada- tamente ad un potenziale sempre più basso perdendo energia ina producendo in compenso calore Joule; è utile notare che la totalità di questo calore è necessariamente uguale a quello richiesto perchè l'elettricità superi la diffe- renza di potenziale di contatto. , K C mi Soluzione y Metallo | pezza S < Toh dA Be! 2. Supponiamo ora invece che il potenziale del metallo. p. es. rame, sia più alto di quello della soluzione adiacente, l'andamento del potenziale nei fili di comunicazione dovrà essere rappresentato dalla spezzata MC'C'S, la cor- rente andrà dalla soluzione al metallo, depositando su di esso nuovo metallo, e si avranno le seguenti variazioni di energia. L'elettricità andando da S ad M passa gradatamente ad un potenziale sempre più basso quindi perde energia che sì manifesta come calore Joule, come nel caso precedente, ma inoltre si ha che essa elettricità passando in C' da un potenziale più basso ad uno più alto acquista energia, mentre il metallo deponendosi pe elettro- liti acquista energia chimica; nel caso precedente queste due variazioni d'energia erano contrarie e si compensavano, nel caso attuale invece si som- mano, non sono compensate da nessuna perdita d'energia, equivajgono ad una creazione d'energia e sono quindi impossibili, ed è impossibile che il poten- ziale del metallo possa essere più in alto di quello della soluzione. 3°. Se si calcola colle formule suddette, la differenza di potenziale zinco- soluzione di solfato, oppure quella dell’elettrodo normale mercurio-calomelano in soluzione di KCI, con quel grado di esattezza che solo consentono i dati disponibili, si trova nel primo caso + 2,10 Volt, nel secondo + 1,20 Volt invece di + 0,49 e — 0,56 generalmente ammessi, e quindi ne segue che questi valori e quelli di tutte le singole diverse differenze di potenziale, mi- surate riferendosi all’elettrodo normale o allo zinco in soluzione di solfato, devono esser corrette coll'asgiunta di circa 1,70 Volt. — 198 — Effettuata questa correzione appare manifesta una semplice e notevole regola cui obbediscono le differenze di potenziale fra metallo e soluzione, cioè i metalli più ossidabili, quelli il cui calore di combinazione (coll’ossi- geno col cloro, con SO, ecc.) è maggiore (in una soluzione p. es. di cloruro), presentano, dal potassio all'oro, una maggior differenza di potenziale, ciò che d'altronde risulta dalla formula: V=(C— c)/e quando si supponga c molto piccolo. Un'esatta proporzionalità fra VW e C non credo che si osservi mai, quindi c non è mai nullo, si osservano inoltre varie irregolarità che indicano che c non è neppure costante. Non è certo supponibile che questa regolarità sia dovuta al caso, e per spiegarla si presentano due modi: uno basato sull’antica teoria chimica della pila e sull'antica teoria dell’affinità chimica e l’altro basato sulla teoria osmotica della pila; credo utile esporre entrambe le spiegazioni sebbene la prima sia certamente inammissibile. Considerando che la combinazione di due corpi è generalmente accom- pagnata da produzione di calore, e quindi da perdita d'energia potenziale, si può credere che quest'energia sia dovuta ad un’attrazione fra gli atomi che si combinano. Da ciò deriva quasi necessariamente che immerso un metallo ossidabile, p. es. zinco, in una soluzione parzialmente dissociata, per es. di solfato, il metallo eserciti una attrazione sugli ioni SO, (a preferenza di quelli Zn) coi quali si combini formando molecole di sale senza elettricità libera, che potranno sciogliersi e dissociarsi, ma col risultato che il metallo perdendo Zn (+) si carica d'elettricità negativa, e la soluzione perdendo S0*(—) si carica d'elettricità positiva. ossia di Zn (-+) in eccesso. L'equilibrio dina- mico o statistico si avrà quando la forza elettrica derivante dalla differenza di potenziale così prodottasi, compenserà l'effetto della forza chimica suddetta, ed è chiaro che quanto maggiore sarà questo, tanto maggiore dovrà essere la forza d'origine elettrica cioè la differenza di potenziale che la produce. Due gravissime obbiezioni possono farsi a questa spiegazione così sem- plice e chiara. Secondo essa l'affinità o l’attrazione che tiene unita ciasenna molecola di nitrato o di cloruro di potassio è notevolmente maggiore di quella che tiene unita ciascuna molecola di nitrato d'argento o cloruro d'oro, poichè il calore di combinazione per queste due molecole è assai minore, e perchè esse facilmente si decompongono. Ne segue che esse in soluzione do- vrebbero più facilmente dissociarsi e si dovrebbe osservare in generale che il grado di dissociazione, e quindi a parità delle altre condizioni la conduci- bilità elettrica, aumenta col decrescer dell’affinità fra gli ioni, ciò che non si verifica. Inoltre l'affinità fra l'elettrodo e l’ione elettronegativo dipende anche dalla natura di questo e proporzionalmente o almeno nello stesso senso do- — 199 — vrebbe variare la differenza di potenziale fra uno stesso metallo e soluzioni di diversi sali dello stesso, mentre invece risulta che la natura dell’ ione elettronegativo, sia esso iodio o fluoro, radicale dell'acido acetico o dell'acido solforico non ha intluenza sulla differenza di potenziale suddetta. [Non avendo a mia disposizione i molti lavori su questo argomento, e siccome i varî trattati si limitano a brevi affermazioni alquanto dogmatiche, ho eseguito varie esperienze in proposito e credo utile riferire i risultati di qualcuna di esse. Preparata una soluzione di 3 gr. di ioduro di zinco in 50 gr. d’acqua (1 gr, mol. in 300 gr. mol.) lasciata lungamente a contatto ed agitata con limatura di zinco, determinai la differenza di potenziale dei poli della coppia zinco, soluzione di ioduro, elettrodo normale, mediante l’elettrometro a qua- dranti, in confronto con un campione di Volt ed ottenni 1,04 Volt da cui risulta per la differenza di potenziale zinco-soluzione di ioduro, 2,74 Volt, trascurando la differenza di potenziale fra le soluzioni a contatto di ioduro di zinco e di cloruro di potassio. Preparata invece una soluzione di fluoruro di zinco, sciogliendo zinco puro in acido fluoridrico contenuto in un crogiolo di piombo, lasciando un eccesso di acido per aumentare la solubilità del fluoruro e quindi concentrazione incognita della soluzione, ottenni per la differenza di potenziale fra i poli della coppia zinco-soluzione acida di fluoruro-elettrodo normale 1,03 Volt ossia per la differenza di potenziale fra lo zinco e la soluzione di fluoruro 2,73 Volt, trascurando ancora la differenza di potenziale fra le soluzioni. Quindi questa differenza di potenziale non risente affatto l'influenza della natura dell'ione elettronegativo nonostante la grande differenza del calore di combinazione dello zinco coll’iodio e col fiuoro. La stessa indi- pendenza risultò colle soluzioni di fluoruro e di ioduro di cadmio. Dubitando che la differenza di potenziale osservata si riferisse allo zinco in presenza non di Cl (—) o di Fl (—) ma bensì di HO (—) che non cambia in entrambe le soluzioni, ed anche per assicurarmi della riversibilità del feno- meno elettrolitico (in vista dell'applicabilità della formula di Helmholtz) ho fatto passare la corrente di 1 Grenet (in media 0,4 Ampère) nella soluzione suddetta di ioduro di zinco, mediante elettrodi di zinco puro. Il catodo si coprì rapidamente di cristalli o pagliette brillanti, di zinco metallico e l’anodo si sciolse conservando inalterato il suo splendore quindi senza nessuna traccia di formazione di ossido o idrato di zinco]. Risulta dunque in modo indubbio che la differenza di potenziale fra soluzione e metallo non è dovuta ad una azione reciproca fra questo e gli ioni clettronegativi ma bensì è una proprietà specifica del metallo, poichè dipende solo dalla natura di questo; secondo la teoria osmotica di Nernst tale differenza è prodotta dalla pressione degli ioni, elettropositivi nel me- tallo, sempre maggiore, come s’è visto, di quella degli stessi ioni nella so- — 200 — lazione, donde risulta un emissione di essi ioni dal metallo nella soluzione e quindi le cariche elettriche opposte di questi due corpi a contatto, e la relativa differenza di potenziale. La regola suesposta diviene così: Za pressione degli ioni elettroposi- tivi în ogni metallo, ossia la forza viva ionica elettropositiva, (perchè questa pressione non potrebbe esser spiegata altrimenti) cresce al crescere dell'ossidabilità del metallo, ossia al crescer del calore di combinazione, coll’ossigeno, col cloro ecc. Una formulazione più precisa di questa regola sarà possibile quando si conoscano più esattamente i valori delle differenze di potenziale in questione. Questa regola si Spiega facilmente, tantochè diventa una tautologia, quando si ammetta che il calore di combinazione di due corpi sia dovuto, in tutto o in massima parte, non già, come si è supposto per molto tempo, alla perdita d'energia potenziale degli atomi (o piuttosto dei relativi ioni) che sì attirano, ma bensì alla perdita di energia cinetica degli ioni elettropositivi, perdita che si produce nel modo e secondo le norme date dalla teoria di Nernst. Così p. es. il potassio combinandosi coll’ossigeno produrrebbe molto più calore per grammo molecola che non l'argento perchè nel potassio cia- scun ione elettropositivo possiede e perde una forza viva molto maggiore che nell’argento, e reciprocamente la difficoltà notevole della decomposizione del- l'ossido di potassio deriverebbe non dall’attrazione del Ks (+) e dell'O (—) ma bensì dal fatto che per effettuare la riduzione dobbiamo fornire al po- tassio che è messo in libertà nua notevole quantità di energia ionica. La stessa spiegazione vale certamente anche se la combinazione dei due corpi avviene fuori d'una coppia voltaica, p. es. se il potassio o Jo zinco in Vapore si combinano coll'ossigeno o col cloro gazoso, quindi pare che si possa estendere al caso di qualunque combinazione come p. es. dell'idrogeno col- l'ossigeno o col cloro o del carbonio coll’ossigeno ecc. ecc. nei quali casi tutta la produzione di calore sarebbe dovuta a una perdita dell'energia in- terna (ionica) della molecola. È probabile che nello stesso modo possa esser spiegata la diversa affi- nità dei corpi elettronegativi, sebbene per essi non valga la suddetta dimo- strazione. Questa energia non è certo da confondere coll'energia esterna della mole- cola, semimassa X quadrato dellave locità di traslazione, che nei gaz sì mani- festa nella pressione esterna, e che nei liquidi è collegata colla coesione, e neppure deve essere confusa colla forza viva del movimento rotatorio (o vibra- torio) quale risulta dai valori dei calori specifici dei gar a pressione 0 vo- lume costanti, la quale è nulla per le molecole monoatoniche. Piuttosto par probabile che a questo movimento ionico si debbano le onde termiche 0 luminose (se la temperatura è abbastanza elevata) emesse dai corpi semplici o composti; la variazione della lunghezza d'onda al crescer della tempera- — 201 — tura indicherebbe che questa influisce anche su questo movimento ionico. Coi dati che attualmente si possiedono, cioè massa e forza viva media (de- dotta dalla differenza di potenziale suddetta) di ciascun ione, e lunghezza d'onda o durata della vibrazione è forse possibile ricavare dati interessanti, ciò che potrà esser oggetto di un ulteriore studio. 4°. Rimarrebbe ora da calcolare mediante le formule (1) e (2) il va- lore numerico di qualche differenza di potenziale fra metallo e soluzione, e da esporre i risultati di molte esperienze fatte a tale scopo; siccome queste devono essere completate e lo spazio concesso a questa Nota è esaurito, esperienze e calcoli saranno oggetto di una prossima Nota. Sono altresì in corso esperienze per determinare la produzione e l'assorbimento di calore, tanto all'anodo che al catado. Fisica terrestre. — Sw//a velocità di propagazione del ter- remoto Laziale del 10 aprile 1911. Nota di G. AGAMENNONE, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. In una Nota precedente (*) ho comunicato alcune notizie sul terremoto in questione ed-ho terminato coll’assegnare la posizione dell’epicentro al NW del Vulcano Laziale, alla distanza di c. km. 6 da Rocca di Papa e di 18 da Roma, basandomi tanto sulla distribuzione dell’ intensità nell’area colpita, quanto sulle ore esatte che si sono potute determinare questa volta così a Roma come a Rocca di Papa. Per la determinazione delle velocità superficiali V, e Vs, supposte costanti, delle onde sismiche che produssero l’inizio ed il rinforzo nei sismo- grammi, riprendo le equazioni generali allora adoperate, e cioè: Va4+yg=V 4 | (0) Vd—aP+g=V ts | Va +y=V.0, | VAd—-af+y5=V;0; | dove 7, e 0, indicano i tempi presi dalle due specie d’onde per propagarsi dall'epicentro fino a Roma e #5 e 05 dall'epicentro a Rocca di Papa, d la distanza tra queste due località, e x ed y le coordinate cartesiane rettan- golari dell'epicentro. Sottraendo le (8) dalle (@), si avrà rispettivamente VO (ea iii a Da t— ts i a 0,— 9; (®) G. Agamennone, 1 terremòto laziale del 10 aprile 1911. (Rend. della R. Acc. dei Lincei, seduta del 2 luglio 1911, ser. 52, vol. XX, pag. 12). — 202 — e quindi V 0,—- 0 V = qu = costante. Nel caso speciale di y=0, già contemplato nella Nota citata, e cioè che l'epicentro: cada proprio tra le due località, si avrà: i 2a —-d 2a—-d vd Via = MOST). 1=" E poichè abbiam già trovato x =18 km. e conosciamo, come dati d'osservazione, le differenze 1—f5=2"c. e 0, — 0,=45c. , cosìsi otterrà: Vi = (0) lam, , Vo —_itotkim® , Vi In base a queste velocità, l'ora all'epicentro risulta 10*43"885, e perciò le onde sismiche più veloci avrebbero impiegato rispettivamente 15 e 3° e. per propagarsi dall’epicentro a Rocca di Papa ed a Roma, e quelle meno veloci rispettivamente 2° e 65 c. Nel terremoto da noi considerato, a seconda della posizione che potrebbe assumere l'epicentro sulla circonferenza, luogo geo- metrico, la velocità delle onde più veloci avrebbe potuto variare da un massimo di 12 km. ad un minimo di 6 km. al secondo; ma per le consi- derazioni già da noi esposte sulla posizione più probabile dell’epicentro, vien fuori, nel nostro caso, giusto la velocità più piccola (6 km.). Malgrado ciò, questo valore è di molto superiore a quelli ordinariamente accettati quando sì tratti di distanze così piccole quali sono quelle da noi prese in esame. Eppure posso assicurare che i dati orarî per Rocca di Papa e Roma sono esattissimi, dappoichè l’ora dell'inizio (10, 43, 39) si ebbe concorde- mente nella 12 località non solo da numerosi sismoscopî sensibilissimi, ma anche da due microsismometrografi, nei quali il tempo è segnato di minuto in minuto sopra le zone da un buon cronometro di marina, e le zone stesse si spostano con una velocità sufficiente (10 nell’una e 12% nell'altra per ogni minuto). In quanto a Roma, l'ora dell'inizio (10. 43m 415) fu ricavata da un sismografo in cui la velocità del registratore è più che doppia delle precedenti, ed il tempo vi è pure tracciato ogni minuto da un eccellente cronometro. Nè si può sollevare il minimo dubbio sulla attendibilità del” tempo campione, se non altro per la ragione che i cronometri registratori di Roma e Rocca di Papa sono ogni giorno confrontati con lo stesso segnale del mezzodì, fatto dalla R. Specola del Collegio Romano in Roma. (°) Evidentemente, a questi stessi risultati si poteva subito giungere, basandosi sulla differenza dei dati orarî delle due località e su quella delle loro distanze per ri- spetto all’epicentro, già calcolate nella precedente Nota. — 203 — A proposito dell'alta velocità da me trovata, mi piace ricordare come, essendomi risultata pel terremoto di Paramythia del 14-15 maggio 1895 (!) una, velocità di quasi 4 km. al secondo per le onde più veloci e per una distanza massima di km. 1250 (Nicolaiew), il mio risultato parve allora meritevole di conferma (?). E lo stesso prof. J. Milne aveva assegnato fin dal 1898 per i tremiti preliminari una velocità superficiale non superiore a km. 2,75 al secondo fino a distanze di ben 2220 km. dall'epicentro (8). Questa stessa velocità era da lui confermata nel Seventh Report (Belfort, 1902, pag. 7). Soltanto nell'&ighth Report (Southport, 1903, pag. 7) il pag. 7, il Milne ammetteva per i tremiti preliminari una velocità di 3-5 km. fino a distanze di un buon migliaio di chilometri. * xx A questo punto sarà utile di esaminare anche i dati orarî di altri Osservatorî italiani e di alcuni pochi esteri, fino ai quali si è propagata, sotto forma microsismica, la scossa di cui ci occupiamo (4). I dati si trovano riportati nella seguente tabella, la cui 4* colonna contiene le velocità super- ficiali, quali risultano dal confronto dell’inizio della registrazione nelle varie località con l'ora calcolata per l'epicentro: (*) G. Agamennone, Vitesse de propagation du tremblement de terre de Paramy- thia (Bpire) dans la nuit 13-14 Mai 1895. (Boll. della Soc. Sism. Ital., Vol. I 1885, pag. 121). (*) Il dott. A. Battandier, infatti, terminava così la recensione del mio lavoro in un suo articolo intitolato Vitesse de propagation des tremblements de terre: «Ces conclu- « sions de M. Agamennone, répondent aux diverses données sur lesquelles il les 6taye, et «semblent logiques. Il faudra toutefois de nombreuses observations faites dans les cir- «constances les plus diverses avant que la théorie admise et les chiffres trouvés passent «dans la pratique» (Le Cosmos, evue des Sc. et de leurs applications. T. XXXV. Nouvelle série, 1896, pag. 448, Paris). (*) On Certain Characteristics of Earthquake Motion. (Third Report of the Com- mittee on Seism. Investigation. — Bristol Meeting, 1898, pag. 218). (*) Nessuna registrazione s’ebbe negli osservatorî di Valle di Pompei (presso Napoli), Quarto-Castello (presso Firenze), Moggia, Taranto, Padova, Catania e Moncalieri. Non era in azione in quel giorno il sismografo Agamennone a pendoli orizzontali dell’osser- vatorio « Moris» a Massa Marittima, e si trovarono perturbati artificialmente, al mo- mento della scossa, i tromometrografi di J/ileto. Non si ha ancora notizia di qualche altro osservatorio italiano ed estero; ma è assai probabile che la scossa non sia stata registrata in alcuna altra località. RenpICcONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 27 — 204 — ——r__t__É__e__ Distanza Inizio Velocità Intervallo dall’ epi- Località della a abio — ino E Tuigiol Cento, sino secondo seconda fase | massimo e ge Sn km. h m s 0 Epicentro . . 10 43.38 fa — — x km. se sec. 6 c.| Rocca di P. » 43.39 6,0 c. Jsec. O 140 ce. 18 c.|Roma . ... » 43 41 6,0 c. 3 4 c. 397 c. 105 c.| M. Cassino . » 44. 6 3,8 c. 12 24 €. 156 c. N 43. n Ze: oi ? CAR Mii Mi o < (E » 44. 0c. 7,8. 19*/c pe 180 e 190 c.| Benevento. .| » 45. 0 0) Gg — SP > 60 c Macro s. n 43. 48 20.0 c. | — 102 c. 972) e 200 c.| Siena .. \ dl sno i Omori » 43.50 16,7 c. = 130 c.| 1090 c. | Vicent. » 48.50 167408 [NUNIO T00se | 10228 0c8 200 c. | Siena... . » 44.45 3,0 c. — Do 15 c. (Università) 220 c.| Urbino. . .. » 42.44 MAINE, = cati 16 c. NE 43. 42 ,9 C. —_ ue SONA 250 c.| Firenze . .. î i SOe THA (Coll. Querce) NW n 44.24 0,4 C. = e 116 c. 250 c. | Firenze . . .| n 48.52? 0,8 c. n 45. Ca IOZIOA (Oss. Xim.) 255 c. | Capannoli. . n 44.85 4,9 C. = SÈ = (presso Pisa) 440 c.| Trieste ... » 45.42 8,6 c. = 19 c. 718 c. 495 c.|Laibach .. . » 52. 09? 1,0 c. — 75 c. 180 c. 510 c.|Agram. ... » 45. 0c. 6,2 c. 48 (NW 85e.l 300 c. (NE 120c. I valori, così discordanti tra loro, che risultano, nella 4* colonna, e che sussistono anzi per differenti osservatorî esistenti nella stessa località, come Siena e Firenze, possono essere spiegati in varî modi ('). Anzitutto, devesi tener presente la diversa sensibilità degli strumenti adoperati, ed anche la diversa distanza dei medesimi dall’epicentro, ciò che ha fatto sì che in taluni osservatorî (forse quelli dell'Università di Szera, di Capannoli e di Trieste) abbia potuto sfuggire la 1 fase preliminare ed a Benevento forse anche la 2* fase. In qualche osservatorio poi, ad es. Urbino, dev'essere (4) Pur troppo, queste discordanze così rilevanti si sono sempre verificate anche in altri terremoti, ed ebbi a riscontrarle anche per quello Calabro dell’8 settembre 1905. Tutto ciò dovrebbe convincere dell’inutilità di far funzionare gli strumenti sismici, quando non si possa disporre d’un esatto tempo campione, oppure non si posseggano buoni regi- stratori che permettano la registrazione esatta dei minuti sulle zone, dotate di sufficiente velocità, o infine non si abbia il tempo disponibile per dedicarsi al buon funzionamento degli strumenti posseduti, specialmente quando questi sono troppo numerosi. — 205 — addirittura manchevole il tempo campione, dedotto appunto da una meridiana solare non bene controllata; e in taluni altri, come in quello « Ximeniano » di Zrenze, dev'essersi per lo meno incorso in qualche grosso equivoco o nella correzione dell'orologio o nel calcolo delle ore sul sismogramma. Una qualche incertezza nel tempo parrebbe doversi ammettere anche per l'osservatorio di M. Cassino (*) e per quello dell’« Osservanza » a Stena (*). Finalmente è probabile — nel caso che non vogliasi ammettere alcuna delle altre cause d'errore testè accennate — che in qualche osservatorio, ad es. quello del « Collegio alla Querce » in Yirenze, siasi potuto scambiare, per il tracciato NE, l'inizio della lieve perturbazione sismica con qualche irregolarità del tracciato, dovuta a tutt'altra causa; e non è impossibile che all’osservatorio di Zazibach si tratti effettivamente di qualche lievissima accidentale irre- golarità del tracciato press'a poco corrispondente all'ora del terremoto laziale. Per tutte queste considerazioni, è prudente di tralasciare molti dei dati sopra riportati, i quali non possono dare un sufficiente affidamento. Nella Seguente tabella sono ordinati tutti gli altri dati orarî, riferiti alle varie fasi nel modo che a me è sembrato più rispondente alla effettiva propaga- zione del movimento sismico nelle varie località. Le colonne 4%, 6% ed 82 contengono le velocità superficiali V, , V., V, con cui rispettivamente si propagarono le onde sismiche costituenti l’inizio dei primi e dei secondi tremiti preliminari, e quelle relative alla fase massima (?) (') La poca regolarità nella rotazione del tamburo, sul quale scorre la zona a rag- guardevole velocità, ed un’occasionale interruzione nel tracciamento dei minuti hanno potuto produrre un'incertezza nei dati orarì per lo meno di = 65, (*) Infatti, a M. Cassino, assai più vicino all’epicentro per rispetto ad Ischia, e pur trovandosi quasi sullo stesso percorso delle onde sismiche, la perturbazione sarebbe co- minciata 6-8S più tardi; e viceversa, a quello dell’Osservanza (Siena), il quale è notevol- mente più lontano dall’epicentro rispetto ad Ischia, sebbene in opposta direzione, l’inizio del sismogramma sarebbe avvenuto 10-19s prima! Trattandosi di una grande velocità di propagazione per le onde costituenti la fase preliminare d’una perturbazione sismica, egli è evidente che un’incertezza, anche di pochi secondi, può avere una grande influenza sul valore della velocità, quando s’abbia da fare, come nel caso nostro, con distanze rela- tivamente tenui, (*) Data la grande vicinanza di Rocca di Papa all’epicentro, si sarebbero avuti sensibilmente gli stessi risultati, nel caso che i dati delle altre località, invece che con l'ora calcolata per l’epicentro, fossero senz'altro stati confrontati con quelli stessi di Rocca di Papa. — 206 — Distanza n dall’ epi- Località Inizio V, Inizio va Ora va Conto prima fase seconda fase del massimo km, ; h m s hm s he TRA 0 Epicentro . . 10. 43. 38 — 10. 43. 38 = 10. 43. 38 = km. km. km 6 Rocca di P. » 43.39 | 6,0c.| » 43.40 3,0 e » 43.42c.! 1,5 18 Roma... .. » 43.41 | 6,0c.| » 43.44 8,0 c. » 48.45c.| 2,6 c 105 M. Cassino . = = CANE = » 44.30 | 2,0c N» 43.58c.| 8,0 c. 190 | iso a AT GIS, 44/1218] #60) i E » 44. 0c.| 7,9 c. 190 Benevento. . E — — = n 45. 02] 2,3 200 Siena . .. — — — — » 45.30 | 1,8 c. (Osservanza) 200 STEN = -_ » 44.45 3,0 c. — — (Università) due Capannoli . . _ — » 44.35 4,5 C. = — 440 Trieste. . . . — — » 45.42 3,6 c. DZ DI epile, 510 |Agram....| » 45. 0c| 6,20] » 45.48 |3,9 c.ÎNW» 46,25 | 3.1 c. INE» 47. 0 | 2,56. \ Risulta da questa tabella che nel nostro caso la velocità superficiale delle onde costituenti l’inizio dei sismogrammi è stata di ben 6-3 km., quella delle onde costituenti il principio della cosidetta 2* fase preliminare, di 3-44 km., e quella delle onde costituenti il massimo, di 2-3 km. L'im- portanza di questi risultati consiste in ciò, che si sono trovate velocità così ragguardevoli, specie per le prime onde, non solo per distanze di c. 500 km.; (Agram), ma anche per altre assai minori: ad es., di 160 km. (Ischia) e perfino di 18 km. (Roma) (*). E poichè questo è uno dei rari casi in cui (1) Abbiam sempre parlato di velocità superficiali, e perciò si potrebbe giustamente sospettare che la notevole velocità di c. 6 km., che vien fuori, per le onde più veloci, dal combinare l'ora di Rocca di Papa con quella di Roma, possa essere notevolmente superiore a quella effettiva, quando cioè si tenga conto della profondità del focolare sismico e della tenue distanza di entrambe le località dall’epicentro. Per molte ragioni io sono portato a credere che si tratti, nel nostro caso, d’un focolare relativamente poco profondo, avuto anche riguardo alla rapida decrescenza dell'intensità sismica a partire dalla zona macrosismica; ma anche volendo ammettere per l’ ipocentro, o focolare sismico, una profondità di ben 6 km., ciò che per me costituisce già un’esagerazione, in tale ipotesi la velocità superficiale da noi trovata tra Rocca di Papa e Roma non potrebbe che diminuire assai poco. Infatti, se, invece della differenza tra le distanze di queste due località dall’epicentro (cioè 18 km. — 6km. = 12 km.), si assumesse quella delle rispet- tive distanze dall’ipocentro (cioè km.18,97 c. -- km. 8,48 c. = 10km, 5 c.) verrebbe fuori una velocità effettiva di Ra 105 i Palm ig ZO, un osservatorio di 1° ordine s'è trovato quasi all’epicentro, e per conseguenza se ne è potuta conoscere l'ora con tutta sicurezza, così è naturale che si debba accogliere i predetti risultati con grande fiducia ("). Mi piace, in ultimo, di comunicare come a valori che si avvicinano ai miei, per ciò che riguarda la velocità dei tremiti preliminari, è giunto recen- temente il sig. G. Negri, sebbene per altra via. Ecco quello che egli con- clude nel suo lavoro (?): « Dalla considerazione, dunque, tanto delle formole « giapponesi dedotte da numerose osservazioni con sismogrammi relativi a « terremoti vicini giapponesi, quanto dalle formole italiane rispetto a terre- « moti vicini italiani, si scorge che la velocità dei primi tremiti preliminari « si mantiene pressochè costante fino verso i 1000 km. circa, costante rap- « presentata da 6 km. per secondo circa pei terremoti giapponesi, e di 5 km. « per secondo pei terremoti italiani ». Però, stando alle mie misure, le velocità giapponesi sarebbero perfino sorpassate da, quelle italiane, e ciò proverebbe, una volta di più, quanto bisogna andar cauti nell'attribuire importanza a piccole divergenze in tal genere di ricerche, per loro natura difficilissime. Chimica-fisica. — Sulla dissociazione dei sali misti idrati. Nota di Lurar RoLLa e GIOVANNI ANSALDO, presentata dal Corrisp. A. GARBASSO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (") È vero che un caso simile s’ebbe pure per l’altra scossa laziale del 19 luglio 1899, quasi con lo stesso epicentro, quantunque più forte; ma disgraziatamente i dati orarî dell’osservatorio di Rocca di Papa, non ancora sotto la mia direzione, non poterono in quel tempo essere inappuntabili, come avrò occasione di provare in un altro lavoro in corso. (*) Sulla velocità media apparente dei primi tremiti preliminari di terremoti vi- cini(Anales de la Sociedad Cientifica Argentina, tom. LXXII, pag. 97. Buenos Aires, 1911). — 208 — Chimica. — Analisi termica di miscele binarie di cloruri di elementi bivalenti ('). Nota di CARLO SANDONNINI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. 1. Il sistema BaCl,- MnClg (?). La curva di cristallizzazione primaria discende dal punto di solidifica- zione del cloruro di bario sino a 540° e a 52 molecole °/, di cloruro man- ganoso ove si nota un evidente gomito, per ridiscendere poi a 505° ad un punto eutettico a 63 molecole °/ di cloruro manganoso, e risalire quindi al punto di solidificazione del cloruro manganoso puro. Per tutte le miscele da 10 a 52 molecole °/, nelle curve di raffreddamento si nota un punto di ar- resto che oscilla da 533° a 554°, la cui durata non è calcolabile in causa dei frequenti sopraraffreddamenti; oltre a questo per quasi tutte queste mi- scele si nota ancora l'arresto eutettico a 503°. Assai verosimilmente l'arresto tra 533° e 544° è dovuto alla forma- zione di un composto decomponibile alla fusione, la cui composizione non si può dedurre nè dalle durate di arresto nè dallo scomparire dell’eutettico esattamente, ma che tuttavia deve essere compresa tra 30 e 40 mol. °/, di cloruro manganoso (Tabella 1, fig. 1). La miscela eutettica giace circa a 64 mol. °/, di MnCls. Vennero sempre usati 20 gr. di miscela. TABELLA 12. Molecole °/o | Temperature Durate Punto : di cristallizz.| ]° 0% o | del secondo | di trasform. di Mn 0], primaria fi RARO arresto di Ba Cl. 0 960° —- ni — 925° 98 943 940° —_ = 923 10 904 ? 500° — = 20 858 589 —_ — —_ 30 770 594 497 3074 —- 35 720 504 493 = — 40 667 554 496 = = 45 ? 584 495 40 _ 50 904 — 498 50 — 55 532 _ 505 100 _ 60 520 - 206 100 — 65 ? — 903 120 _ 70 556 — 508 100 — 80 995 — 504 80 = 90 623 _ 498 90 — 95 693 — 495 10 a 100 650 — == — —_ (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Pa- dova, diretto dal prof. G. Bruni. (*) Vedi Note precedenti. Questi Rendiconti, vol. XX, pp. 61, 496. LAN 1050 800 800 BaC], Mol. °/, di Mn Cla MnC], Cloruro di bario — Cloruro manganoso. Fis. 1. Essendo che il cloruro manganoso ed il cloruro di bario cristallizzano dalle loro soluzioni con diverse quantità di acqua di cristallizzazione, non eredetti opportuno di ricercare se per soluzione acquosa mista dei due com- ponenti si formasse un composto, non potendo poi trarre dai rapporti dei due sali in soluzione alcuna certa relazione coi loro rapporti ad alta temperatura. 2. Il sistema CACl,- PbCI,. Il sistema venne già esperimentato da G. Hermann (1). La tempera- tura di cristallizzazione eutettica secondo questo esperimentatore giace a 585°, cioè un po’ più bassa di quella da me trovata; tuttavia le concentrazioni eutettiche praticamente coincidono. Vennero sempre usati 10 gr. di miscela (Tabella 28, fig. 2). (1) Zeit. f. An. Chem. 77, 264, 1911. o (MESS TABELLA 2°. ————————————--+-+-+++-+-+«=+ _—+_—t__orrrymto_+v°v’yY+e_--+-+e-e----Ò->- Molecole °/0 | Temperature | Tempereture Durate i di cristalliz. | dell'arresto in di Pb Cla primaria eutettico secondi 0 5680 —_ = 5 555 384° Ss 10 543 389 20” 20 524 385 30 30 510 388 50 40 472 390 60 50 428 390 80 60 400 389 90 65 eut. 889 120 70 405 389 60 80 440 389 30 90 460 385 20 95 485 385 — 100 495 = 600 | “| 600 Pas | 500. |- 3 500 Cd (GI Mol. °/o di Pb Cla Pb (Ch Cloruro di cadmio — Uloruro di piombo. Fic. 2. 3. Il sistema CAI,-HglI,. Il punto di solidificazione dell’ioduro di cadmio è dato da Carnelley (*) a 404° e da Ruff e Plato (*) a 350°; dalle mie esperienze esso risultò a 380°. Quello dell’ioduro di mercurio è dato da Reinders (5) a 255°,4 ed il suo punto di trasformazione a 127°, da Padoa e Tibaldi (4) rispettiva- mente a 254° e a 1319,9; dalle mie esperienze questi punti risultarono a 298° e a 128°. I punti di solidificazione di tutte le miscele sono intermedî a quelli 1 (1) Journ. Chem. Soc., 1878. (8) Ber. d. d. Chem. Gesch., 36, 2, 2857, 1908. (*) Zeitschr. f. Phys. Ch., 32, 494, 1900. (4) Gazz. Chim. It. 24, 92, 1904. — 211 — dei componenti, che formano così una serie continua di cristalli misti. dei quali si potè cogliere con sicurezza solo l’inizio di cristallizzazione. TABELLA 8A, ——_—__rr—______nc || Molecole °/o Inizio Trasformaz. della di HgI, |cristallizzaz.| di Hgl: (0) 8800 = 10 366 — 20 345 — 30 334 _ 40 325 — 50 814 — 60 309 _ 70 300 105° 80 290 118 90 270 124 100 2583 128 400 |_ CAI, Mol. °/, di HgI, HgI, Joduro di cadmio — Joduro di mercurio Fia. 3. Il punto di trasformazione dell’ioduro di mercurio potè essere seguito soltanto sino a miscele contenenti 30 mol. °/ di ioduro di cadmio e si nota nelle curve di raffreddamento con deboli gomiti. 4. Il sistema HgBr,- Pb Br. Il punto di solidificazione del bromuro di mercurio è dato da Reinders (1. cit.) a 236°,5: dalle mie esperienze risultò a 238°, quello del bromuro di piombo a 366° (1). (*) Questi Rendiconti, 20, 61, 191. RenpICONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 28 — 212 — Fu possibile esperimentare miscele da 0 a 83.8 mol. °/, di bromuro di piombo; per miscele più ricche la massa entra in ebollizione prima che tutto il bromuro di piombo sia fuso. Molto verosimilmente il bromuro di mercurio non scioglie allo stato so- lido il bromuro di piombo. Non si può però dire se il bromuro di piombo sciolga allo stato solido il bromuro di mercurio, ma certamente una quan- tità inferiore a 16.2 mol. °/, di HgBr,, poichè a questa concentrazione l’ar- resto eutettico è ancora ben evidente. La miscela eutettica giace a 5 mol. °/, di bromuro di piombo e a 232°. TABELLA 49. | Molecole °/, | Temperature | T'emperature Durata È di cristallizz. | di cristallizz. in di Pb Bra primaria eutettica secondi 0 238° — — 2.5 236 232° 40” 5 eut. 232 200 6 240 233 120 7.5 244 234 100 10 252 232 80 20 271 233 70 30.4 279 233 80 41.2 288 232 60 51.1 289 232 50 63.0 301 232 40 73.3 214 232 30 83.8 322 232 20 160 366 = — 0 10 20. 30. 40 50 60 70 80 90 100 Hg Bra Mol. di Pb Br, Pb Br» Bromuro di mercurio — bromuro di piombo. Fia. 4. — 213 — Riassumendo : 1. Il cloruro di bario dà col cloruro manganoso assai probabilmente un composto, la cui composizione varia tra 30 e 40 mol. °/ di cloruro manganoso. 2. Il cloruro di piombo dà col cloruro di cadmio un semplice eutettico ; analogamente si comporta il bromuro di piombo col bromuro di mercurio. 8. L'ioduro di cadmio dà cristalli misti in ogni rapporto coll’ioduro di mercurio. Chimica agraria. — Sull’ufficio fisiologico del Magnesio nella pianta verde. Nota di Lurcr BERNARDINI e GrusEPPE MORELLI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Chimica agraria. — Sulla composizione chimica dell'embrione del riso. Nota di Lurer BERNARDINI, presentata dal Socio E. Pa- TERNÒ. Le precedenti Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Azione dell’acido tioacetico sulla cianquanidina. (Sintesi della metil-imino-tio-triazina). Nota preliminare di A. OsTtROGOVICA, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Nel 1880, G. Pràtorius-Seidler (*), riprendendo in esame un'esperienza fatta sette anni prima dal Baumann (?), dalla quale risultava che l’acido tioacetico reagendo colla cianamide dà origine alla tiourea, potè dimostrare che accanto a questa sostanza si produce anche una certa quantità di ace- til-tiourea, dovuta all'unione diretta dell'acido tioacetico colla cianamide. Ora, avendo la cianamide una grande analogia di costituzione colla cian- guanidina, mi parve interessante di cercare se l’acido tioacetico non fosse capace di addizionarsi anche a quest'ultima sostanza. Si poteva sperare di giungere in questo modo alla acetil-tioureido-qua- nidina: CH3—C—-NH—C—NH—C— NH, | | | (0) S la quale poi, per eliminazione di una molecola d’acqua, avrebbe dovuto tras- (4) J. f. pr. Ch. [2] XXI, 140 e 147 (1880). (2) Ber. VI, 1403 (1873). — 214 — formarsi in metil-imino-tio-triazina, nello stesso modo come dall’acetil-gua- nil-urea e dall'acetil-biureto si passa alla metil-imino-ossi- (*) e alla metil- diossi-triazina (?). L'esperienza mi ha dimostrato infatti che per azione dell’acido tioacetico sulla cianguanidina si ottiene la triazina sulfurata prevista e con un rendi- mento di poco inferiore a quello calcolato. Finora, però, non posso dare una spiegazione sicura circa il meccanismo della formazione di questa tio-triazina, poichè non sono riuscito ancora ad isolare nè l’acetil-tioureido-guanidina, accennata più sopra, nè alcun altro prodotto intermediario. Tuttavia, tenendo conto del fatto che, durante l'operazione, si svolge una grande quantità d'idrogeno solforato, sono indotto a ritenere che debba aver luogo un processo normale di acetilazione della cianguanidina, processo che deve essere preceduto o seguìto da un altro di solforazione del gruppo cianogeno, esistente nella cianguanidina stessa. Ora, siccome il rendimento in tio-triazina è quasi quantitativo, non si può in alcun modo ammettere che questo processo di solforazione si produca per addizione dell'idrogeno solforato al gruppo cianogeno, poichè in questo caso l'idrogeno solforato dovrebbe essere completamente assorbito. Non si può perciò ammettere che l'acetil-cianguanidina, formata in una prima fase, ad- dizioni idrogeno solforato e si trasformi perciò in acetil-guanil-tionrea CH} —C—NH—C—NH—C—NH, | | | 0 NH S e che infine questa, perdendo una molecola d'acqua, dia origine alla tio- triazina. Io credo, piuttosto, che (sia avanti, sia dopo l’acetilazione normale della cianguanidina) si produca l’addizione di un'intera molecola di acido tioace- tico (5) al gruppo cianogeno, producendo così la diacetil-guanil-tiourea CH —C—NH—C—NH—C—-NH—C—CH; | I | | 0 NH S (0) la quale, perdendo poi una molecola di acido acetico, darebbe origine alla tio-triazina. Considerato che tanto l’acetil-tioureido-guanidina, quanto il suo isomero l’acetil-guanil-tiourea, come pure l’acetil-cianguanidina, sono ancora sconosciute, (1) A. Ostrogovich, Gazz. ch., XXXIX, I, 540 (1909). (2) Idem., ibid., XLI, II, 70 (1911). () Nelle esperienze eseguite finora, ho adoperato infatti un eccesso forte di acido tioacetico. — 215 — mi riserbo di continuare queste ricerche e di istituire altre esperienze per cercare di prepararle, collo scopo appunto di chiarire il meccanismo della formazione di questa tio-triazina. Così, per esempio, facendo reagire il clo- ruro d'acetile sulla guanil-tiourea, spero di ottenere, almeno sotto forma di cloridrato, una delle due acetil-guanil-tiouree isomere, analogamente a quanto ho ottenuto colla guanil-urea (*). La metil-imino-tio-triazina è, per quanto io sappia, la prima tio-alchil- triazina che si conosca; i soli composti solforati, di questa serie delle tria- zine simmetriche, che ho trovato descritti nella letteratura, appartengono tutti al gruppo dell'acido cianurico. Essi sono gli acidi monotio-, ditio- e tritio-cianurico e i loro eteri (?), la ditio-ammelide e la tio-ammelina e i loro eteri (*), come pure gli eteri metilici di alcune alchil-tivammeline e ditivammelidi, aventi gli alchili legati all'’amidogeno di queste basi (4). * x x In un palloncino, munito di refrigerante a ricadere, si scaldano a bagno- maria, sul principio leggermente, 10 gr. di cianguanidina secca e ben pol- verizzata, con un miscuglio di 50 c.c. di acido tioacetico e 80 c.c. di etere acetico anidro. Agitando il palloncino, tutta la sostanza si scioglie in brevissimo tempo, anche prima che l’etere acetico cominci a bollire. Alzando allora la tempe- ratura del bagno, per fare entrare in ebullizione il solvente, comincia quasi subito a svilupparsi una grande quantità d'idrogeno solforato, che si fa arri- vare in una boccia di lavaggio contenente una soluzione di permanganato di potassio. A questo punto, il liquido, che dapprima era limpido e di color giallo pallido, comincia ad intorbidarsi e ad acquistare una tinta molto pìù carica, e dopo breve tempo lascia deporre una sostanza cristallina, la quale aumenta moltissimo col prolungare il riscaldamento, tanto che ad un certo punto è necessario di agitare quasi continuamente il palloncino per evitare sussulti troppo forti. Si seguita così a scaldare fino a che non sia cessato (1) A. Ostrogovich, loc. cit. (°) 0. Diels e M. Liebermann, Ber., 26, pag. 3196 (1903); Peter Klason, Jour. pr. Ch., [2], 33, pp. 116, 120, 122 (1886); A. W. Hofmann, Ber., /3, pag. 1351 (1880), e 18, pp. 2197, 2201 (1885). (°) Peter Klason, loc. cit, pag. 296 e seg.; A. W. Hofmann, loc. cit., pag. 2756 e seg.; O Diels, Ber., 22, pp. 696 (1899); B. Rathke, Ber, 78, pp. 3106 (1885), e 20, pag. 1059 (1887); A. Jamieson, Ann. 59, pas. 339 (1846); J. Ponomarew, 3K, 8. pp. 217 e 222 (1876): vedi anche Bull., 24, pag. 491 (1875). N. B. — Rispetto alla nomenclatura, ho adottato, per maggiore semplicità, il termine ammelide invece di acido melanurenico, seguendo la proposta di P. Klason (J. pr. Ch., [2], 33, pag. 295). (4) A. W. Hofmann, loc. cit., pp. 2761 e seg. — 216 — lo sviluppo dell'idrogeno solforato, ciò che richiede all'incirca due ore, e quindi si lascia freddare. Ciò fatto, si filtra alla pompa e si lava con etere acetico e poi con un po’ di cloroformio, ottenendo così gr. 13,5 di metil- imino-tio-triazina, sotto forma di piccoli cristallini appena colorati in giallino. Distillando a pressione ridotta il liquido filtrato, si ottiene una massa cristallina, umettata da un liquido fortemente colorato in rosso. Per aggiunta di cloroformio, la sostanza colorata si scioglie e rimane insolubile una pol- vere cristallina, la quale, filtrata e lavata con cloroformio, pesa gr. 2,2. Essa è identica al prodotto precedente, ma alquanto più impura e colorata in giallo. Il rendimento in sostanza greggia è quindi di gr. 15,7, pari al 93°/% circa del calcolato. Per purificare il prodotto, il miglior modo è di scioglierlo in ammoniaca diluita, di decolorare per quanto si può la soluzione con carbone animale, avendo cura di mantenere sempre un leggero eccesso di ammoniaca in solu- zione e di precipitare quindi frazionatamente con acido acetico. La prima porzione è quasi sempre leggerissimamente colorata, mentre il resto della sostanza sì precipita sotto forma di piccoli cristallini bianchi. Si ripete, se è necessario, quest'operazione, e così si ottengono circa gr. 12 di sostanza pura e perfettamente bianca. Il rendimento in sostanza pura è quindi di circa il 71°/, del calcolato. Scaldata sulla lamina di platino, essa si decompone senza fondere, la- sciando un forte residuo di carbone. È assai poco solubile in acqua fredda; discretamente solubile, invece, in acqua bollente, dalla quale per raffredda- mento si depone sotto forma di piccoli prismettini incolori e lucenti. L'analisi, eseguita sulla sostanza ricristallizzata, ha dato valori che cor- rispondono perfettamente a quelli che si calcolano per la metil-imino-tio- triazina. È da osservare che, per avere valori giusti, bisogna adoperare una lunga spirale di rame ridotto, tanto nella determinazione del C e dell’H, quanto in quella dell’ N, perchè durante la combustione si producono quan- tità rilevanti di vapori rossi. I Sostanza gr. 0,1120; CO; gr. 0,1388; H;0 gr. 0,0423. IOI id. 2071852 IN etero a 23 ee rane INDC rick » 0,3235; SO,4Ba gr. 0,5289 (!). Trovato Calcolato per C, Hx N4 S I II TII 0% 32,82 — — 33,76 1EEO/, 4,20 — = 4,25 N% = 39,30 = 39,42 S°% — = 22,46 22,56 (1) Lo zolfo è stato dosato col metodo di Antony e Lucchesi (Gazz. Chim., 29. I. pag. 181 (1399)), aumentando però quasi al doppio la quantità di carbonato di sodio, pur mantenendo le quantità di biossido di manganese e di permanganato di potassio date dagli autori. — 217 — Non essendo ancora riuscito, come ho detto più sopra, a isolare alcun prodotto intermediario che permetta di spiegare il meccanismo della forma- zione di questa tio-triazina, rappresenterò provvisoriamente la sintesi di questa sostanza per mezzo dell'equazione seguente: CH, CH; HS—-C=0 NH; C=N atei La CISTITE N C= NH na NE ALIDA C—N OC pr: HI H SH (oppure la sua forma tau- tomera tionica). La metil-imino-tio-triazina è solubile, già a freddo, tanto negli acidi mi- nerali, quanto negli idrati alcalini, anche se diluiti. È pure facilmente so- lubile nell'ammoniaca, a differenza del corrispondente derivato ossigenato, la metil-imino-ossi-triazina, che è quasi insolubile in questo reattivo, special- mente se è diluito. Dalla soluzione negli acidi minerali si può riottenere la sostanza per mezzo dei carbonati alcalini, oppure anche per mezzo degli acetati, poichè essa è pochissimo solubile nell’acido acetico. Per contro, dalla soluzione negli idrati alcalini, oppure nell'ammoniaca, sì precipita totalmente la sostanza. sia acidificando con acido acetico, sia saturando completamente l’alcali con acido carbonico- È da menzionare poi che la soluzione ammoniacale abbandona la sostanza inalterata, anche per semplice riscaldamento, quando cioè si sia eliminata l'’ammoniaca. È appunto perciò che, parlando della puriticazione di questa sostanza, ho menzionato esser necessario di mantenere in soluzione un leggero eccesso di ammoniaca durante il riscaldamento con carbone animale. Spero fra non molto di poter comunicare nuovi risultati e di estendere queste ricerche anche alla cianurea (acido amido-dicianico) collo scopo di ten- tare la sintesi della metil-tio-ossi-triazina, ancora sconosciuta. La maggior parte di questo lavoro è stata eseguita l’estate scorsa, a Firenze, nel laboratorio del prof Ugo Schiff. Mi è grato perciò di esprimere al mio illustre maestro, anche in questa occasione, la mia affettuosa rico- noscenza per la gentile ospitalità accordatami. Ringrazio pure sentitamente l'egregio dott. Arrigo Linari per l’amabilità dimostratami, assumendosi il compito di eseguire le analisi più sopra riportate. | DD i (0/0) Chimica. — Sugli ossisolfuri di Antimonio. Nota del dott. EX. QUERCIGH, presentata dal Corrisp. A. PIUTTI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Za supposta complessità del tellurio (). Nota di GIOVANNI PELLINI, presentata dal Socio G. CrAMICIAN. L'esatta conoscenza del peso atomico del tellurio ha ripreso recentemente maggior interesse in seguito ai risultati ottenuti nelle ricerche dei due chi- mici Browning e Flint. In una prima Nota questi autori (*) affermarono che sottoponendo il tellurio a un processo di frazionamento, era possibile sepa- rarlo in due parti di cui l’una aveva un peso atomico inferiore al valore noto di 127.5, l’altra un peso atomico maggiore. In una seconda pubblica- zione Flint (*) non solo confermava i risultati precedenti, ma annunziava di essere riuscito ad ottenere con lo stesso metodo una frazione avente il peso atomico di 124.3. Fino dalla pubblicazione della prima Nota, mi sono proposto di con- trollare i dati di Browning e Flint, con lo stesso metodo. Il processo di frazionamento si basa sul seguente principio: se ad una soluzione di tetracloruro di tellurio (ottenuto per soluzione dell'anidride tel- lurosa nella minor quantità possibile di acido cloridrico concentrato) si aggiunge una forte quantità di acqua bollente, si precipita per idrolisi una parte del- l'anidride tellurosa: il resto rimane in soluzione e si può ricuperare per l'aggiunta di ammoniaca in eccesso e poi per aggiunta di acido acetico fino a lievissima acidità. Browning e Flint procedendo con gr. 114 di Te0, ad un frazionamento per precipitazione abbastanza numeroso, con metodo analogo a quello in uso per la separazione delle terre rare, sarebbero riusciti a ottenere, nelle fra- zioni di capo, dei prodotti a basso peso atomico, nelle frazioni di coda dei prodotti ad alto peso atomico. E precisamente nelle frazioni di capo il peso atomico medio di 126.49; nelle frazioni di coda il peso atomico medio di 128.85. (*) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova. (") American Journal of Science, vol. XXVIII, 112 e 347 (1909); Zeit. Anorg. Chemie 64, 112 (1909). (?) American Journal of Science, vol. XXX, 209 (1910); Zeit. Anorg. Chemie 68, 251 (1910). In seguito Flint operando sopra una maggiore quantità di tellurio, gr. 500, ottenne per l'ultima frazione di capo il peso atomico di 124.3: delle frazioni di coda non fece nessuna analisi, mentre ciò sarebbe stato molto importante. Si accontentò di un esame sommario qualitativo senza risultati sicuri. Il comportamento analitico corrispondeva a quello del tellurio. È opportuno di far notare a questo punto, che l'idea di idrolizzare il tetracloruro di tellurio non è nuova. Venne già compiuta su pochi grammi di tetracloruro da Baker e Bennett (*) spingendo l’idrolisi fino ad ottenere la precipitazione dell’ossicloruro. Il risultato era stato che le quattro fra- zioni avevano un ugual peso atomico. Te = 127.6. Negli ultimi mesi è apparsa una Nota di Harcourt e Baker (*) nella quale si nega la complessità del tellurio pretesa dal Flint. Questi autori trasformarono gr. 200 di acido tellurico puro, impiegato altra volta dal prof. Marckwald (*) per determinazione di peso atomico, in tetracloruro e lo idrolizzarono per quattro volte nel preciso modo di Flint. La quarta fra- zione di capo analizzata con grande esattezza diede per il tellurio il peso atomico di 127.54: mentre che il tellurio puro, ma senza frazionamento, aveva il peso atomico di 127.53. Sebbene le analisi eseguite tanto per il metodo quanto per l'esattezza siano oltremodo soddisfacenti, sarebbe stato tuttavia desiderabile che i si- gnori Harcourt e Baker avessero proseguito nel frazionamento ed avessero analizzato frazioni di capo e di coda. La loro ricerca sarebbe stata in tal caso più convincente. Invece io ho proceduto a un frazionamento più completo ed ho inoltre analizzato frazioni di capo e di coda: tuttavia il risultato finale è in com- pleto accordo con quello di Harcourt e Baker. PARTE SPERIMENTALE. Il frazionamento del tellurio per idrolisi del tetracloruro. — Gr. 200 di tellurio puro e fuso, di Kahlbaum, vennero distillati nel vuoto e poi sciolti in acido nitrico (4 = 1.255) e per evaporazione a 70-80° in capsula di porcellana sì ottenne il nitrato basico in cristalli. Questo venne ridisciolto in acido nitrico e riottenuto per nuova evaporazione. Il nitrato lavato e asciugato alla pompa venne calcinato a biossido in crogiuolo di porcellana. Con gr. 222 di TeO, ho proceduto al frazionamento, nell'ordine indi- cato dalla figura 1. (') Journal Chem. Soc. 1907, 91, 1849. (°) Journal Chem. Soc. 1911, 99, 1311. (3) Ber. 1910, 43, 1710. ReNDICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 29 — 220 — Il biossido sciolto nella minore quantità possibile di acido cloridrico venne diluito con litri 7,7 di acqua bollente, cioè nella proporzione di Brow- ning e Flint. Il precipitato raccolto e lavato con acqua venne nuovamente sciolto e precipitato per sei volte con una quantità d’acqua in proporzione di 3 litri per gr. 100 di TeO,. L'anidride tellurosa rimasta nelle sei solu- zioni venne ricuperata con ammoniaca ed acido acetico: poi la 6 frazione © \oxo olo) (o) (010) (0) co O SIE TT TIA 9 10 19 7279 76 O OG 00 olo, (olo) olo, (o) = 72, O CIOMMOO 00 00 O = i 10 o) 00 eXo) 00 (e) der? ast] Fux g O 00 O © 9 00 (o) A É O lo) Ed 44 (2-2) o) Io) O cino # © @® REA Fre. 1. di capo e le sei ricuperate vennero di nuovo idrolizzate. Si ottennero così 14 frazioni. La prima venne messa a parte e chiamata frazione di capo. Le altre vennero riunite a due a due, cioè 2 e 3, 4 e 5, 6e 7,89, 10 e 11, 12 e 13. La 14 frazione venne messa a parte. Si procedette ad un nuovo frazionamento: la frazione prima ed ultima vennero separate. Le altre riunite e frazionate di nuovo fino a ridursi a due frazioni: l’una pro- dotto dell’idrolisi, l’altra ricuperata nel solito modo. Le frazioni di coda furono di nuovo idrolizzate. La frazione 148 (gr. 6.55) a parte; le frazioni 12, 10, 8, 6, 4, 2 riunite (gr. 6,47) pure idrolizzate. Si ottennero così 4 frazioni nuove. La seconda a la terza riunite, furono pure idrolizzate. La frazione 1’ venne chiamata frazione penultima di coda. Le frazioni 4 e 2’ riunite vennero chiamate /razione ultima di coda. — 221 — Procedendo nel frazionamento in modo analogo a Browning e Flint ho riscontrato una notevole differenza, nel rapporto esistente fra le quantità di anidride tellurosa idrolizzata e quella non idrolizzata. Nella prima Nota Browning e Flint dicono che da gr. 114 di Te0, sciolti in acido cloridrico e idrolizzati con 4 litri di acqua, si separarono per idrolisi 76 gr. di TeO, e gr. 38 rimasero in soluzione: cioè la parte non precipitata è il 33,3 °/, dell'anidride tellurosa. Io invece trovai per gr. 222 di TeO, idrolizzati gr. 201, in soluzione gr. 21, cioè il 9,5 °/, dell'anidride impiegata. Maggior divario esiste fra i miei dati e quelli di Flint. Queste diversità si possono spiegare ammettendo che Browning e Flint non sì siano mai posti in condizione di avere un completo equilibrio fra la parte idrolizzata e quella non idrolizzata. A questo proposito si noti che Flint dopo l'ottavo frazionamento separò la soluzione dell'ottavo precipitato e la fece bollire per 10-15 minuti: si depositarono ben gr. 42 di Te0,, che avrebbero dovuto esser già precipitati se l'operazione fosse stata ben condotta. Un'altra causa di divario può risiedere nella quantità di acido cloridrico impiegata: sebbene questa causa non possa produrre una grande variazione nei risultati per la grande diluizione. Avendo poi pesato mano mano ciascuna frazione posso affermare che un frazionamento, in forma ap- prossimativamente quantitativa, non esiste, perchè il rapporto in peso tra la parte idrolizzata e quella non idrolizzata di ciascuna frazione rimase in- variato dal principio alla fine. Per poter dedurre dai dati di frazionamento se i rapporti in peso va- riano ed in che senso ebbi sempre cura di stabilire un perfetto equilibrio fra la parte precipitata e quella in soluzione, facendo a tale scopo digerire a bagno maria per diverso tempo il precipitato con la soluzione. I metodi di analisi. — I metodi di analisi impiegati furono due, indi- pendenti fra loro. 1° Metodo. Consiste nel preparare il nitrato basico di tellurio secondo le prescrizioni di Norris ('), pesarlo, calcinarlo, e ripesare l'anidride tellurosa. La calcinazione venne compiuta in modo analogo a quello di Kothner (?). Il nitrato basico di tellurio si trovava in un crogiuolo di platino coperto della capacità di circa cm? 50, sostenuto da un trepiede di platino poggiante in una capsula di platino. Tra il fondo del crogiuolo e quello della capsula vi era la distanza di circa un millimetro. Esternamente ed a lato del cro- giuolo si trovava un termometro da 0° a 550°. La calcinazione veniva com- piuta in circa 10 ore partendo da 175° e arrivando ad un massimo di 425°. (*) Journal Amer. Chem. Soc. 28, 1675. (°) Liebig*s Annalen 3/9, 1 (1901). — 222 — Si manteneva a quest’ultima temperatura fino a costanza di peso. 1 fe- nomeni osservati nella calcinazione corrispondono esattamente a quelli osser- vati da Kòéthner. 2° Metodo. Consiste nel sciogliere il biossido in acido solforico e tar- trato acido ammonico ('), e depositarlo poi per elettrolisi sopra un elettrodo cilindrico di platino. L'elettrodo col deposito veniva posto poi in una lunga provetta di vetro di Jena, in seguito, sciolto completamente entro la provetta il tellurio con acido nitrico (4 = 1.255), si evapora in stufa di porcellana, poi si calcinava, avendo messo sulla provetta un coperchio di porcellana, in un bagno ad aria costituito da un grossissimo crogiuolo di platino fino a 460° circa. Poi si pesava, si calcinava di nuovo e da ultimo per breve tempo a fiamma diretta fino a incipiente fusione di Te O... Questi due metodi IC 2 Te 0, ° HNO; > Te 0, 20 Te — TeO0, si controllano a vicenda. Una delle cause più probabili d'errore è la perdita di peso per calcinazione. Ora nel 1° metodo una perdita di peso importa un abbassamento di peso atomico, nel 2° metodo un innalzamento del peso atomico del tellurio. I risultati analitici. — « 1°. Frazione di capo ». Una parte di questa frazione, che sommava in tutto gr. 124, venne sciolta in acido cloridrico, riprecipitata col metodo all’ammoniaca e acido acetico, poi calcinata. Era perfettamente bianca. Vennero eseguite tre determinazioni col secondo metodo. N° Gr. Te Gr. Te 0, Peso atomico 1 0.9895 1.23870 127.42 2 1.1167 1.3965 127.71 3 1.6507 2.0655 127.34 Media 127.49 Un'altra parte venne ridotta a tellurio metallico con cloridrato d'idrazina: il tellurio venne trasformato in nitrato basico, che poi fu ricristallizzato. NO Gr. 2 Te O, . HNO,; Gr. Te 0, Peso atomico 4 ‘3.0255 2.5268 127.64 6) 3.3243 2.7758 127.46 6 3.95758 2.9861 127.55 Media 127.55 « 2°. Frazione penultima di coda ». Venne disciolta completamente e ricuperata come sopra. Era bianca. NO Gr. Te Gr. Te 0, Peso atomico 9 ILOSZ7 1.2975 127.81 10 0.8755 1.09435 128.01 (1) Gazz. Chim. Italiana, XXXYV, a. 514 (1905). STD) — « 39. Frazione ultima di coda ». Venne sciolta e riprecipitata con am- moniaca e acido acetico, poi calcinata. Era leggermente giallognola. IN” Gr. Te Gr.Te 0, Peso atomico 7 0.5285 0.6592 129.39 Il tellurio venne di nuovo ricuperato e ripetuta la determinazione. N° Gr. Te Gr. Te 0, Peso atomico 8 0.4366 0.5444 129.60 « 4°. Frazioni ultima e penultima di coda, riunite =. Venne fatta una unica soluzione ed elettrolizzata in tre volte. N.° Gr. Te Gr. Te 0, Peso atomico piestrazi A Me4939 1.8680 127.78 la Qee na 1.6037 2.0062 127.49 IRSA 1.5845 1.9804 127.99 Si ricuperò e si ripetè la determinazione della 1 frazione. INS Gr. Te Gr. Te 0, Peso atomico 14 1.3866 1.7351 127.32 Dai diversi bagni elettrolitici venne ricuperata una piccola quantità di tellurio con cloruro stannoso: quantità che veniva lasciata in soluzione per poter ottenere un deposito lucente e non leggermente spugnoso come quando la deposizione è quantitativa. Poi tutto il tellurio, ottenuto per riduzione da TeO, son cloridrato d’idrazina, venne trasformato in nitrato basico e questo purificato. N.9 Gr. Te 0,. HNO,; Gr. Te 0a Peso atomico 15 1.9524 1.1291 127.83 16 1.0218 0.8584 127.64 Da queste determinazioni risulta che la frazione di capo possiede peso atomico normale: in una serie di determinazioni si ha in media Teo= 127.49: in un'altra Te= 127.55; due valori in accordo con quello adottato dalla Commissione internazionale dei pesi atomici, cioè 127.5. Nelle frazioni di coda si hanno apparentemente dei valori elevati nel peso atomico: però in seguito a successivi trattamenti di purificazione si ritorna al peso atomico normale. Durante il lungo periodo di frazionamento è ben difficile evitare la presenza di piccole impurezze che poi si fanno ri- sentire nelle determinazioni analitiche. Il frazionamento elettrico del tellurio. — Esaurito il primo com- pito di controllo del metodo di Flint, ho fatto anche un tentativo di fra- zionamento per elettrolisi. — 224 — A me sembra che il frazionamento per elettrolisi debba portare un con- tributo nettamente risolutivo della questione. Infatti, due o più elementi sottoposti ad un processo di frazionamento elettrolitico, si possono sempre separare fra loro, almeno parzialmente. i A questa conclusione ci permettono di arrivare tutte le ricerche teoriche sul fenomeno dell'elettrolisi, sulla determinazione dei valori di scomposizione, Sarebbe anzi desiderabile che una tale ricerca fosse istituita anche per il tellurio, studiando i fenomeni di polarizzazione nelle soluzioni nelle quali esso è contenuto. Si potrebbe così giungere ad una conclusione definitiva. Baker e Bennet (') avevano già tentato un piccolo frazionamente elet- trolitico con esito negativo. Nel caso mio mi sono limitato di procedere alla elettrolisi nelle con- dizioni identiche a quelle che mi hanno da parecchio tempo permesso di ottenere un deposito ben aderente e quantitativo del tellurio. Circa, gr. 25 di anidride tellurosa della « frazione di capo » cioè a peso atomico normale, vennero sottoposti a 10 successivi frazionamenti. L'anidride venne sciolta in circa 60 cem. di H, SO, concentrato, e gr. 125 di tartrato acido ammonico, diluito a un litro di acqua, e elet- trolizzato a 50-60° con catodo rotante. Superficie del catodo cm? 82. Intensità in Ampère = 0,38. Tensione agli elettrodi in Volta = 1.78 - 2.25. Per i successivi frazionamenti si toglieva il tellurio dall’elettrodo con acido nitrico, si evaporava la soluzione nitrica ed il residuo si scioglieva di nuovo come sopra. In ciascun frazionamento si separava una piccola frazione di capo, poi una grande frazione centrale, e si lasciava in soluzione una piccola frazione di coda. La frazione centrale veniva di nuovo elettrolizzata e così di seguito per 10 volte. Le « frazioni di capo » riunite diedero il seguente risultato: INTO Gr. Te Gr. l'e O, Peso atomico IL 1.5529 1.9420 127.71 La « frazione decima centrale » diede all'analisi INIO Gr. Te Gr. Te 0, Peso atomico 13 0.9966 1.2462 127.76 Venne di questa frazione analizzato il nitrato basico di due preparazioni [(n. 19) e (nn. 20, 21)] N.0 Gr. 2Te0,. HNO,; Gr. Te 0, Peso atomico 19 1.4145 1.1814 127.71 20 0.9674 3.3128 127.46 21 2.4144 2.0164 127.63 Media 127.60 (1) Loc. cit. — 225 — Le « frazioni riunite di coda » vennero ricuperate dal bagno elettroli- tico con acido solfidrico. Il precipitato fu ossidato con acido nitrico: poi dopo aver scacciato l’acido e aver sciolto il residuo in acido cloridrico, si ricuperò il tellurio con ammoniaca e acido acetico. N.° Gr. Te Gr. Te 0, Peso atomico 22 0.8529 1.0666 127.71 Anche il frazionamento elettrolitico ha avuto esito negativo circa la com- plessità del tellurio. CONCLUSIONE. Ripetendo esattamente il metodo di frazionamento di Browning e Flint ho avuto risultati negativi sulla complessità del tellurio, complessità affer- mata da quegli autori. Così pure il metodo di frazionamento elettrolitico ha dato risultati negativi. Le mie conclusioni si accordano con quelli di Harcourt e Baker. 1l tellurio possiede natura elementare. Botanica. — Ricerche anatomo-fisiologiche sopra le vie acqui- fere delle piante. 'Nota preliminare del dott. L. MONTEMARTINI, presentata dal Socio G. BRIOSI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Patologia vegetale. — Attività enzimatiche di alcuni funghi parassiti di frutti (). Nota di Drama BRruscuHI, presentata dal Socio G. CUBONI. Ad Hartig (Zersetzungsersch. d. Holzes, 1878) si debbono le prime os- servazioni su enzimi citasici nei funghi parassiti del legno di alberi viventi. La Sclerotinia libertiana, secondo de Bary (Bot. Zeitung, 1886, pag. 415), secerne una citàsi, che scioglie la lamella mediana e distrugge la cellulosa, ed una sostanza tossica di natura enzimatica (non chiaramente dimostrata) che uccide il protoplasma; ambedue agiscono solamente in reazione acida e sono efficacemente aiutate dall’acido ossalico fabbricato dallo stesso fungo. Marshall Ward (Ann. of Bot., II, 1888, pag. 346) ha osservato in una forma di Botrytis parassita del giglio la secrezione di un enzima che scioglie la lamella mediana delle pareti cellulari (pectinàsi) e perfora le membrane cel- lulosiche (citàsi o cellulàsi). ') Ricerche eseguite nella R. Stazione di Patologia vegetale di Roma. R26 — Kissling (Zur Biol. d. Botrytis cinerea, Diss., Dresden 1889) ha con- fermato, quanto alla Bo/rytis cimerea, i dati di de Bary, sebbene non tenga chiaramente distinte l’azione tossica e l’azione disgregatrice. Anche Nord- hausen (Jabrb. f. wiss. Bot., XXXIII, 1899, pag. 1) ha ritrovato la secre- zione di un veleno enzimatico e di enzimi che hanno ambo le aziori, pecti- nasica e cellulasica, nella Botrytis cinerea e Peziza sclerotiorum (ctr. Beau- verie, Comptes rendus, CKXXIII, 1901, pag. 107), mentre Behrens (Zeitschr. f. Pflanzenkr., III, 1894, pag. 84) conferma la presenza di enzima pectina- sico e cellulasico nella Botrytis, ma dimostra (Centr. f. Bakteriol., [2], IV, 1898, pag. 549) che l’estratto di questo fungo, come pure di Penicillium luteum, Mucor stolonifer e Monilia fructigena è velenoso anche dopo la cottura, contiene cioè un veleno fisso, nè enzimatico, nè volatile. Anche Petri (questi Rendic., [3], XVIII, 1909, I sem., pag. 545) ha trovato un po- tere citasico e secrezione di ossalato acido di potassio nella Scler. l2ber- tiana, e questo sale costituisce probabilmente il veleno in questione, ma nes- suna produzione di veleni di natura tossinica. A parte tale lato della questione, concernente l’azione tossica dei funghi parassiti, le ricerche più estese sui loro enzimi si debbono a Behrens. Egli ha trovato in una Pseudodematophora isolata da legno marcio di vite (Centr. f. Bakteriol., [2], II, 1897, pag. 640) cellulasi, amilasi, invertasi, gelatinasi, emulsina: a proposito dei funghi produttori del marciume nelle frutta, ha trovato una vera cellulasi nella sola Botrytis cinerea (mentre Miyoshi — Bot. Zeitung, 1894, pag. 1 — aveva osservato che il Perscellium glaucum e il Mucor stolonifer forano le membrane cellulosiche per puro sforzo mec- canico (*), in seguito ad un sufficiente stimolo chemotropico), una vivace pectinasi nella Botrytis, M. stolonifer, P. luteum, mentre manca nella M. fructigena; un'invertasi in tutti questi funghi, tranne nel M. stolonefer (5; un’amilasi (forse una maltasi) in tutti; una proteasi (tripsina e pepsina) in tutti, tranne nella Monzlia (8); un’emulsina nei Penicillium, Botrytis, Monilia. La presenza di citasi (non sempre distinguendo l’azione cellulasica dalla pectinasica) è indicata da Hartig (ved. sopra), Czapek (Ber. botan. Ges., XVII, 1899, pag. 166), Kohnstamm (Beihefte Bot. Centr., X, 1901, pag. 116), Harder (Naturwiss. Zeitschr. f. Land. u. Forstw., VII, 1909, pag. 446) per i funghi parassiti del legno; da Herzberg (Beitrige z. Biol. d. Pilze, V, 1895, pag. 1) per le Ustilago, da Biffen (Ann. of Bot., XV, 1901, pag. 127) per la Bulgaria inquinans. Schorstein (Centr. f. Bakteriol., [2]], IX, 1902, pag. 436; (1) Una Phyllosticta studiata E. W. Schmidt, Zeitschr. f. Pfanzenkr., XIX, 1909, pag. 102, perfora anche lamelle di celloidina se è stimolata chemotropicamente. (®) Pantanelli invece (Ann. di Bot., III, 1905, pag. 1 13) si servì di questo fungo per studiare la secrezione di invertasi; Behrens forse si riferisce a culture su frutto. (*) Nel testo di Behrens la Monilia è taciuta a questo riguardo. — 227 — XVIII, 1907, pag. 402) ritiene di aver trovato nei funghi del legno un enzima che attacca i pentosani; del resto, anche Behrens (1898) ha trovato nella Mon. fructigena e nella Botr. cinerea un’emulsina che idrolizza la querci- trina, che è un pentoside (del ramnosio). Czapek (1899) indica come hadro- màsi l'enzima che scinde la combinazione eterea della cellulosa con l'ha- dromate e che sotto altro nome era stato già studiato da Hartig e Marzell. Le ricerche di de Bary, Behrens e Nordhausen sono inquinate dal fatto di avere adoperato senz'altro gli estratti della parte marcia (tuberi, frutti, foglie), in cui si potevano trovare anche i veleni o gli enzimi autoctoni della parte offesa, che probabilmente per le cellule similari sono anche più dan- nosì o più attivi dei veleni od enzimi secreti dal parassita. Inoltre, tranne la Botrytis e la Monilia, gli altri funghi studiati da Behrens sono più sa- profiti che parassiti. Io invece ho fatto uso di culture pure di tre forme nettamente parassite: Musarium niveum, Y. lycopersici e Monilia cinerea, su substrato artificiale a base di gelatina nutritizia contenente anche estratto dell'organo su cui si doveva fare agire il parassita. Quando il fungo aveva raggiunto un notevole sviluppo e totalmente disciolto il substrato, veniva triturato, con aggiunta di circa 5 volumi di acqua e la poltiglia addizionata di una quantità di timolo appena sufficiente a impedire lo sviluppo di bat- teri. Dopo due giorni di autolisi a 30° C., una parte della poltiglia era fil- trata per porcellana, e nell’estratto limpido, privo di germi, erano immersì pezzi o fettoline del frutto vivente, prelevate con le debite cautele asettiche. Questa prova, conservata in condizioni asettiche a 30° C., serviva per la ricerca di enzimi attivi sulle diverse lamelle della parete cellulare del frutto. Il resto della poltiglia, non filtrata, veniva diviso in due parti, di cui una veniva mescolata con egual volume di poltiglia del medesimo frutto, l'altra lasciata a sè, e ambedue con aggiunta di timolo poste in autolisi a 30° C., accanto alla poltiglia del fratto egualmente addizionata di timolo (1 cc. di soluzione alcoolica satura per 100 ec.). Prima e dopo l’autolisi fu determinata l'acidità totale; gli zuccheri riduttori, dopo defecazione, secondo il metodo di Allihn, e così gli zuccheri non riduttori per idrolisi con H; SO, t/io norm. a 75° C. per 20 minuti; l’azoto totale secondo Kjeldal-Gunning, l'azoto proteico secondo Barnstein. Dell’azoto totale, che in tali poltiglie acide non ebbe mai a variare, è riportata nelle tabelle la media delle determina- zioni fatte prima e dopo l’autolisi. Tutti i dati si riferiscono a 10 ce. delle poltiglie o miscele. Fusarium niveum Atk. La forma da me adoperata è quella isolata dal dott. E. Pantanelli da piantine di cocomero affètte da avvizzimento (cfr. Italia Agricola, XLVI, 1909, RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 30 — 228 — pag. 132). Si lascia facilmente coltivare in substrato artificiale: per le se- guenti prove fu allevato in bèvute da un litro, contenenti ognuna: Niibiato fia MMonico Re OE DU Br Fosfato monopotassico . . . . ... . . Din Solfato di magnesio cristallizzato . . . 2,9» Estratto di 50 gr. di zucchetti maturi . . = Gelatina 1. 00". SMS cc I ” Acquaddi fonte, AMB 00 i) Su questa gelatina il 7. niveum si sviluppa rapidamente 25°, e in 20 giorni ha totalmente disciolto la gelatina e le albumine dello zucchetto. Si lascia sgocciolare completamente il liquido esterno, limpido, giallo-bruno, senza ledere nè sommergere la grossa coperta nivea, ricca di macroconidii e di clamidospore; poi questa si trita, e si opera con la poltiglia come si è detto. Azione tossica — 20 minuti dopo che le fettoline di zucchetto (non ancora maturo) sono immerse nel filtrato sterile, crudo, della poltiglia del micelio (autolizzata), le cellule degli strati esterni hanno il protoplasma coartato e coagulato; il nucleo è ben visibile, rigonfiato, ma irregolare, tor- bido, coagulato. Aggiungendo una soluzione diluita di bleu di anilina o rosso- congo al liquido fungino, si può constatare che, a mano a mano che questo penetra nel tessuto, provoca la morte dei protoplasti: il processo mortale è completo in 5-10". Nel medesimo liquido riscaldato a 100° in bagnomaria per 10’ si ha la morte di talune cellule superficiali dopo un'ora, ma talune restano in vita fino al terzo giorno, mentre nel liquido crudo tutte le cellule muoiono entro le prime 4-5 ore, anche in tocchetti di 5 mm. di spessore. Attacco delle pareti cellulari — 16 ore dopo l'immersione nel succo erudo, la polpa di zucchetto vivo si lascia facilmente disgregare, e ciò prova che la pectinasi ha cominciato ad agire; il 2° giorno le cellule superficiali del pezzo sono già isolate, e il 3° giorno sono separate le une dalle altre tutte le cellule, anche in pezzi di 1-2 cm. di spessore; la membrana cel- lulosica (parete propria) è intatta. Anche coltivando il /. niveum su zuc- chetto intero, vivo, ove si sviluppa rapidamente a 25° C., ho constatato la rapida disgregazione del tessuto senza attacco della cellulosa. Il F. niveum secerne dunque una pectinàsi che scioglie le materie pectiche della lamella mediana, ma non fabbrica cellulàsi, almeno nelle condizioni delle mie esperienze. Nel liquido fungino cotto la disgregazione del tessuto comincia dopo il 10° giorno, a 25° C. — 229 — Enzima proteolitico — Come si vede dall’annessa tabella. in 7 giorni di autolisi a 30° C. nel succo di zucchetto, e molto più ancora nella pol- SUCCO DI ZUCCHETTO POLTIGLIA DI 7. niveum | MiscELA DEI DUE SUCCHI In 10 ce. prima dopo variaz. | prima dopo variaz. prima dopo variaz. l’autolisi °/o l’autolisi o l’autolisi lo Acidità totale ce. 1/10 normale . Noia 0 0,3 — 1,7 1087 - 0,851 0,85) — Zucchero totale mg.|118,8 | 103,4 |— 12,9) 39,8 22,4 | 45,7] 79,38 | 547 |— 31,0 Zucchero facilmente idrolizzabile . »| 21,9 | 12,6 |— 42,4 160 7,5 !'— 53,1] 18,9 0 |— 100 Zucchero riduttore » | 96,9 | 90,8 |— 63 23,8 | 14,9 |— 37,3) 60,4 | 548 |— 93 Azoto totale . . »| 10,10) 10,10) — 28,59] 28,531 — Og Jos. — » proteico . » 6,74] 4,88|— 27,6| 23,86| 13,19|— 44,7| 15.30 17,55|.+-14,7 n mon proteico » 3,36] 5,22|+- 55,8] 4,671 15,24 +228,4| 4,01] 1,76|—56,1 tiglia del micelio di /. niveum, si svolse una vivace proteolisi, mentre nel miscuglio delle due poltiglie non solo non si ebbe proteolisi, ma anzi creb- bero le sostanze azotate precipitabili con idrato di rame. Fra le molte spie- gazioni possibili, si potrebbe anzitutto pensare che uno dei due succhi (quello del fungo?) contenesse una prosinteasi, che venisse attivata da una cinasi contenuta nell'altro succo. Per chiarire questo punto, fu ripetuta l'esperienza facendo agire la pol- tiglia del micelio su sueco di zucchetto riscaldato a 100° in bagnomaria per 10', in modo da annullare i suoi enzimi : —=«==«wr*Rmnreneina re “A Succo POLTIGLIA DI Y. niveum MISCELA DEI DUE SUCCHI di TTTTrTr_ Tr | ——___________________m6 In 10 ce. zucchetto prima | dopo variazioni prima | dopo variazioni cotto l’autolisi °/o l’autolisi °/o ===> n il ORI Azoto totale. . . mg.| 12,35| 26,50) 2650) — 19,42| 1942) — n proteico. 8,42 22,66 12,26/— 45,8 15,54 15,28 D 1,67 » mon proteico » 3,93 3,84 14,24 |+- 270,8 3,88 4,14 [+ 6,70 In questo caso l'azione sintetica non superò l'azione proteolitica; però è manifesto che l'attività dtll’enzima proteolitico del fungo subiva un forte impedimento dal succo, pur cotto, dello zucchetto. Si tratta dunque anche di un altro fattore sfavorevole, e si può pensare all'acidità, che nel sugo degli zucchetti era debole o nulla, per cui l'acidità della poltiglia mice- liare era ridotta a metà nella miscela. Ripetei quindi ancora la prova por- — 230 — tando con acido malico l'acidità del succo cotto di zucchetto ad egual grado (1,5) della poltiglia del micelio: _ rar Treo t re t_T_rr——— _T—=ctì: |jiffftft-«=*&##&iÉ{f@f lil“ “VV Succo POLTIGLIA DI /. niveum MISCELA DEI DUE SUCCHI di —_________________|—-—.rrrr-z-z>=<—=©- In 10 cc. zucchetto | prima | dopo variazioni | prima | dopo variazioni cotto l’autolisi °/o l’autolisi ° lo eo ter I oo lc‘ ‘co Azoto totale. . . mg. 11,42 28,78 28,73 — 20,08 20,08 — i IO 0 0 8,05 23,40 14,75|— 36,9 15,72 13,20 |— 16,03 » non proteico » 3,97 5,93 13,98 |4- 162,2 4.36 6,88 |H- 57,7 Questa volta la proteasi del Musarium potè sviluppare meglio la sua attività, grazie al mantenimento dell’acidità, però non ancora come nella poltiglia del solo micelio. Pur considerando che la proteasi era diluita 2 metà nella miscela (a tali diluizioni già forti si può ritenere che l’attività proteolitica diminuisca linearmente con la concentrazione), resta ancora una azione ostacolante la proteolisi, quando si mettono a contatto i due succhi, e ciò può essere dovuto ad un'azione reversiva, pallido ricordo dell'attività costruttrice di albumine nel fungo a spese di componenti azotati dello zuc- chetto, o ad una influenza antiproteolitica di qualche sostanza dello zucchetto. Resta ad ogni modo il fatto che: 1°) tanto il 7. niveum, quanto lo zucchetto quasi maturo contengono una proteasi capace di scindere le proprie albumine in autolisi ; 2°) mescolando i due succhi la proteolisi è impedita, o mascherata da un'azione sintetica, la quale appare dovuta a) in parte a cause eliminabili col riscaldamento del succo di zuc- chetto (cinasi che attiva l'enzima sintetico del fungo? antiproteasi? sostanza volatile antiproteolitica ?); b) in parte a cause che persistono dopo il riscaldamento del succo di zucchetto (diminuzione dell’acidità della poltiglia miceliare a contatto del succo neutro dello zucchetto; sostanze antiproteolitiche (tannino od altri composti aromatici?); prodotti di idrolisi che tendono a condensarsi). A questo proposito è opportuno ricordare che Cook, Thompson, Bassett e Taubenhaus (.Serence, XXXIII, 1911, pag. 624) hanno stabilito che uno dei mozzi di difesa dei frutti non ancora maturi contro l'invasione dei funghi è la trasformazione ossidasica di sostanze tanniche in polifenoli nocivi per il fungo. Ora, il micelio di 7. niveum contiene un’energica ossidasi. Enzimi respiratorii. Gli enzimi respiratori prevalgono nel . niveum; gli zuccheri furono distrutti in maggior proporzione nella poltiglia del suo micelio che nella miscela dei due succhi; l’acidità per altro rimase inva- riata, forse perchè anche l’acido fu distrutto. Anche nel succo di zucchetto una piccola parte di zucchero scomparve durante l’autolisi, ma qui l'acidità aumentò leggermente. iz Parassitologia. — L’Anaplasma canis in Italia (1). Nota preventiva del dott. C. BAstLE, presentata dal Socio B. GRASSI. Theiler, nel 1910 (?), creò il genere Anaplasma, per designare un protozoo parassita dei globuli rossi dei buoi, caratterizzato da un corpuscolo di cromatina privo di plasma. Il genere Araplasma è già noto in varie specie di animali; Gilrut, Sveet, Dodd l'hanno di già osservato e descritto nel sangue periferico di un giovine Canis Dingo (8) di Melbourne. Nel corso delle mie ricerche sui protozoi dei mammiferi, in un paese presso Messina, ho potuto trovare, nel sangue periferico ed epatico di un cane, tra le tante specie di animali esaminati, dei corpi che morfologicamente sì avvicinano a quelli descritti dal Theiler col nome di Anaplasma margi- nale bovis; per due volte consecutive ne ho potuto ottenere la riproduzione sperimentale in cagnolini neonati da qualche mese. Della morfologia di questo protozoo del cane mi occuperò in una Nota di prossima pubblicazione, nella quale esporrò anche gli esperimenti già da me fatti. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio Levi-CIviTA, a nome anche del Socio VOLTERRA, legge una relazione colla quale si propone la inserzione negli Atti accademici della Memoria avente per titolo: Studio critico sulla teoria del Poynting, del- l'ing. CarLo Fossa-MancinI. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, poste ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLOSEvICH presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci: TARAMELLI. GREENHILL, CANAVARI, IsseL, PARONA, SILVESTRI, VENTURI; e dai signori: ANGELITTI, MASSINI. 1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia cemparata della R. Università di Roma. (6) (*) Bull. Soc. Path. Exot., marzo 1910. (*) Parasitology, marzo 1911. — 232 — Fa inoltre menzione di una pubblicazione che ricorda le Onoranze rese alla memoria di Michele Stefano De Rossi per cura della Società sismologica italiana; di un altra pubblicazione fatta in occasione del 500° anniversario della fondazione della Università di S. Andrea in Scozia; e delle pubblicazioni dell'Osservatorio di Santiago nel Cile. Il Socio Luciani fa omaggio dell'ultimo volume della sua opera: Fisiologia dell’uomo, e ne parla. CONCORSI A PREMI Elenco dei lavori presentati ai concorsi ai premi del Ministero aleUt e, dl, per le Scezenze fisiche e chimiche (Scadeza 31 dicembre 1911; due premi di L. 2000 ciascuno). 1. AmERIO ALEssanDRO. 1) « La determinazione della temperatura del sole » (st.) — 2) « Sulla emissione della fotosfera solare » (st... — 3) « Ri- cerche sullo spettro e sulla temperatura della fotosfera solare 1-2 » (st.) — 4) « Una proposta riguardo la misura della temperatura delle stelle » (st.). — 5) « Recenti scoperte e progresso nell’astrofisica 1-2» (st.). — 6) « Recenti progressi nello studio delle radiazioni di temperatura 1-2 » (st.), — 7) « Un'esperienza da lezione sulla ricomposizione della luce » (st.). — 8) « Le correnti telluriche al monte Rosa » (st.). 2. BerNINI ArcirRro. 1) « Sul moto ondulatorio nell' insegnamento ele- mentare » (st.). — 2) « Fenomeni d'influenza prodotti dagli ioni emessi da una fiamma posta in un campo elettrico » (st... — 3) « Esperienze da le- zione per mettere in evidenza il campo elettrostatico degli ioni » (st.). — 4) « Sulla macchina idroelettrica ad influenza di R. W. Thomson » (st.). — 5) « Sulla radioattività dei gas emananti dalle sorgenti termali di S. Satur- nino (Benetutti, Sardegna) » (st... — $) « Contributo allo studio della ve- locità degli ioni di fiamma » (st). — ? « Magnetoskope fiìr Unterricht- siwecke » (st... — 8) « Sul magnetismo susseguente del ferro. I» (st), II, III (ms.). — 9 « Sulla velocità degli ioni uscenti dalle fiamme salate e non salate » (ms.). 3. ErcoLIini Guipo. 1) « Intorno alle recenti esperienze di elasticità » (st). — 2) « Ampiezza d'oscillazione e intensità sonora » (st... — 3) « Sulla polarizzazione degli elettrodi » (st.). — 4) « Esperienze col fischio di Galton circa la stabilità e lo stato limite del suono » (st.). — 5) « L'effetto. Vil- lari nel ferro assoggettato ad un campo periodicamente variabile » (st.). — 6) » Sulle variazioni magnetiche prodotte nel ferro delle deformazioni » (st.). — 7) « Sulle variazioni magnetiche prodotte nel nichel dalle deformazioni » — 233 — (st... — 8) « Sulla magnetizzazione del ferro per effetto di due campi orto- gonali » (st.). — 9) « Alcuni fenomeni magneto-elastici del ferro e del nichel » (st.). 4. DeL Lungo CarLo. 1) « Leggi e principi di fisica, p.i° I, II e IMI » (st). 5. Minozzi ArnaLDO. 1) « Sui seleniuri di platino » (st... — 2) « Pre- parazione di alcuni selencianoplatinati, n. I-II » (st.). — 3) « Sulla solu- bilizzazione del cloruro cromico » (ms.). 6. PappADÀ NicoLa. 1) «I colloidi » (st... — 2) « Sulla coagulazione del ferroianuro di rame » (st... — 3) « Sulia coagulazione dell’azzurro di Berlino » (st... — 4 « Sulla coagulazione dell’idrato ferrico » (st.). — 5) « Sulla gelatina dell’acido silicico » (st... — 6) « Sulla natura della coa- gulazione e gelatinizzazione dell'acido silico » (st.). — 7) « Argento colloi- dale » (ms.). — 8) « Oro e platino colloidale » (ms.). 7. PeRoTTI PieRLUIGI. 1) « Telefonografia » (st.).. — 2) « Semplicis- simo indicatore delle onde elettromagnetiche » (ms.).. — 3) « Sul fnnziona- mento dei microfoni del tipo Hughes come interruttori automatici » (ms.). 8. PLaTANIA Giovanni. 1) «I fenomeni marittimi che accompagna- tono il terremoto di Messina del 28 dicembre 1908. Prime osservazioni » (st... — 2) « Risultati delle misure pireliometriche eseguite sull’ Etna » (st... — 3) « Il maremoto dello stretto di Messina del 28 dicembre 1908 » (st... — 4) « Intorno a una recente pubblicazione sulle correnti dello Stretto di Messina » (st... — 5) « L'inaugurazione del museo oceanografico del Principe di Monaco » (st.). — 6) « Ricerche oceanografiche norvegesi » (st.). — 7) « Osservazioni pireliometriche eseguite sull'Etna » (st... — 8) « In- torno ad alcune sorgenti termali delle Isole Eolie » (st.). — 9) « Radio- attività di materiali etnei » (st.). — 10) « Il marrobbio. Oscillazioni del mare nelle coste di Sicilia » (st... — 11) « Ricerche sulle oscillazioni del mare nelle coste di Sicilia » (st.) — 12) « Osservazioni dei punti neutri di Arago e di Babinet eseguite in Catania » (st... — 13) « Oscillazioni del mare nelle coste di Sicilia » (st.). 9. QUARTAROLI ALFREDO. 1) « Sull'energia degli elementi e sulla quan- tità che resta nelle combinazioni. Saggio di una teoria energetica dell’iso- meria » (st... — 2) « Citrati e tartarati basici di bario » (st.) — 3) « Ri- cerche su di un fosfato insolubile di sodio e sui composti complessi de] citrato ammonico coi fosfati alcalino terrosi » (st.). — 4) « Sulla determi- nazione dell’energia acidi nei vini, nei mosti e negli aceti » (st.). — 5) « Sul problema della ripartizione delle basi fra gli acidi del vino » (st.).. — 6) « Nuovo metodo per la preparazione del protossido d'azoto e applicazioni all'analisi dei nitrati » (st.). — 7 « Sull'analisi dei nitrati mediante l’acido formico » (st... — 8) « Di un caso di autocatalisi e catalisi negativa simul- tanee » (st... — 9) « Sulla determinazione dell’energia acida nei vini » (ms.). — 9300 10. SaLvapori RoseRTO. 1) « Combinazioni complesse del cobalto con gli acidi clorico e perclorico » (st... — 2) « Sull'uso del perclorato di am- monico come reattivo. Perclorati metallo-ammonici » (st.). — 3) « Perelo- rati idrati ed ammoniacati di cobalto, nichel, manganese, cadmio, zinco, came » (st.). 11. ScuincagLiA Ienazio. 1) « I raggi X » (st.).. — 2) « Esercizî elementari di elettrotecnica n (st... — 3) « Un capitolo di tecnologia fisica dei raggi Rontgen » (ms.) CORRISPONDENZA Il Presidente BLASERNA dà comunicazione di un invito pervenuto dalla Società Reale di Londra, la quale nel prossimo luglio celebrerà il 250° anniversario della propria fondazione. Il Segretario MrLLosEvicA partecipa che l'Accademia di Scienze natu- rali di Filadelfia celebrerà nel prossimo luglio il suo primo centenario, e che ha inviato un cortese invito per assistere alla cerimonia. E. M. Quercigh. Sugli ossisolfuri di Antimonio (pres. dal Corrisp. Piuttî) (@). ..... Pag. 218 Pellini. La supposta complessità del tellurio (pres. dal Socio Ciamaenan) i. iL n » Montemartini. Ricerche anatomo-fisiologiche sopra le vie acquifere delle piante (pres. dal AO 225 Bruschi. Attività enzimatiche di alcuni funghi parassiti di frutti (pres. dal Socio Cuboni) n» Basile. L'Anaplasma canis in Italia (pres. dal Socio GRASSO OM cn 0 pc ARL RELAZIONI DI COMMISSIONI Levi-Civita (relatore) e Volterra. Relazione sulla Memoria dell’ ing. Carlo Fossa-Mancini intitolata: « Studio critico sulla teoria del LOVItli e PAM NR PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci: Zaramelli, Greenhill, Canavari, Issel, Parona, Silvestri, Venturi e dai signori; Angelitti, Massini, dalla Società sismologica italiana e dall’Osservatorio di Santiago titti EI OO RENE ESSE (Vr GRAB (COCCO Pe Luciani. Fa omaggio di una sua pubblicazione e ne PARE ER n n 900 CONCORSI A PREMI Maillosevich (Segretario). Comunica l’elenco dei lavori presentati ai concorsi ai premî del Mi- nistero della P. I. per le Scienze fisiche e chimiche, del 1911... . . RANE E, CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Dà comunicazione di un invito della Società Reale di Londra.. . » 284 Millosevich (Segretario). Informa la Classe di un invito pervenuto dalla Accademia di scienze tic iti GUIDE CIR Re SI MAIO CO N ” ERRATA-CORRIGE A pag. 69 linea 26 agg.: 31) « Ricerche teoriche e sperimentali sulle soluzioni solide » (ms.). 4 3 " (*) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. RENDICONTI — Febbraio 1912. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali . Seduta del 4 febbraio 1912. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Paternò è Moselli. Fotosintesi di un alcaloide dall’acetofenone e dall'ammoniaca (*). Pag. 155 Nasini e Bresciani. La materia allo stato di sovraffusione e discontinuità in alcune sue pro- prietà fisiche col variare della temperatura (GR O Angeli e Valori. Nuovi studî sopra gli azossicomposti. . . . PML MES) Lauricella. Sulla risoluzione delle equazioni integro- -differenziali dell'equiibao da corpi ela- stici isotropi per dati spostamenti in superficie . . . . O 05 Garbasso. I conduttori a più periodi e la loro possibile so do pratica della tele- grafia senza filo (*). . . GUZZI o RE Piutti. Lo spettro di o della ina Dia: e piana ©) e Molinari. Sul vantaggio che presenta un'estensione delle funzioni di Green (pres, dal Corrisp. Diego E Mn. } MINO 3 3 dI ef Dal O ZIA Horn. La sincronizzazione Lira ordinaria 1074 n per sob piingre un pendolo oscillante secondo il tempo medio, ad uno oscillante secondo il tempo siderale (pres. dal Corrisp. Rajna) . . î * È E Pannelli. Sopra alcune questioni ricuanti due kad di curve dati in una Sun alge- brica (pres. dal Corrisp. Castel2uovo) (8) DR RO ee Tonelli. Sulle orbite periodiche (pres. dal Socio EA è. BENT Di LIAN DI Amoroso. Contributo alla teoria matematica della dinamica economica (e. nu) Corrisp. Linigoni (6) alette REA Corbino. Sulla misura del calore speetfico dei Mictalli a pe diano ui ‘ca Socio BIAsee n SUI , Si, Varani» MICA Id. Le costanti termiche del i estcla ad dita iii (o 1.) SILE » 188: Guglielmo. Sul valore delle componenti la forza elettromotrice delle coppie cole e, e sulla teoria della pila (pres. /4.) in 104 Agamennone. Sulla velocità di propagazione del II imiale i 10 onilo 1911 (pres. dal Socio MiWMosevich). : EIZO, Bolla e Ansaldo. Sulla dissociazione dei or sui idrati 3 di ORLO fo. (#9) » 207 Sandonnini. Analisi termica di miscele binarie di cloruri di elementi bivalenti (pres. dal Socio Ciamician) . . » 208 Bernardini e Morelli. Sall'ufficio fsiclogio del iu Sn Dont vote i Na) soa PACO AMANI E LR ZIE Bernardini. Sulla composizione ng 1 RObrione ca riso (ni vi) O. MI Ostrogovich. Azione dell'acido ticacetico sulla cianguanidina (Sintesi della metil-imino-tio- iriazina) (pres Md.) 0.00 A e AA ia 213. Segue in terza pagina. (*) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli (**) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 18 febbio 1912. N, 4: | LEA i A DELLA REALE ACCADEMIA DI LINCEI ANNO CCCIX. | ROT12 Sei O UBEEN "A: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche» naturali. Seduta del 18 febbraio 194. Volume XXI — Fascicdo 1, due e due soli periodi. Per 2=3 una delle onde corrisponde all'ottava dell'altra. 3. L'oscillatore a catena è costituito da n 4-1 capacità uguali, riunite due a due da 7 fili uguali. Il filo v riunisce la capacità C, alla capacità C,..;; e l'indice v prende tutti i valori da 1 ad ». Con le ipotesi e le notazioni di prima, ponendo ancora S$=— (CLD*? +2) la caratteristica dell'oscillatore a catena prenderà la forma SA TOT NOR = 0 ONZONSO Î The ca] Ig 0 2 Tesi 0 3 0= SÉ i 0 DE CTACINE 1: Ono o 0 Guaine i o Ms sais 0 (Ora ala 05 SOMME ni vale a dire Dn. () 0 tape) n_l — h soa MY (È x ) AZIO, [n dispari]. uoù ; Se ne conclude che l’oscillatore a catena ha in generale x periodi di vibrazione. — 246 — Per » dispari uno di questi periodi è dato sempre dalla tz j/ e. 2 È facile determinare le condizioni di eccitazione che danno origine alle due onde nel caso dell'oscillatore a stella, o quelle che determinano il pe- riodo singolare (per x dispari) nel caso dell’oscillatore a catena. 4. Per n=2 l’oscillatore a stella e l’oscillatore a catena coincidono. Ho studiato sperimentalmente questo caso più semplice, e dei risultati delle esperienze mi riservo di scrivere altrove; essi sono in pieno accordo con la teoria, e lasciano appunto sperare l'applicabilità pratica del sistema che SÌ propone. Matematica. — Sopra alcune questioni riguardanti due fasci di curve dati in una superficie algebrica. Nota del prof. M. Pan- NELLI, presentata dal Corrisp. G. CAsTELNUOVO. Questa breve Nota ha per oggetto lo studio dei caratteri della curva, luogo dei punti di contatto fra le curve di due fasci, dati in una superficie algebrica, e il numero delle curve dei fasci medesimi, che fra loro si oscu- lano, oppure hanno un doppio contatto ('). 1. La superficie F sulla quale sono dati i due fasci di curve (C) e (0), si supporrà affatto priva di singolarità, il che, come è noto, non impone ad essa alcuna restrizione, purchè si imagini immersa in nno spazio ad un numero di dimensioni eguale o superiore a cinque. Si indicherà con w% l’or- dine e con p il genere di una curva C del fascio (C), al quale si attribuirà un numero o di punti-base, ciascuno multiplo ordinario secondo 7 per ogni curva del fascio stesso e a tangenti variabili con la curva. I simboli x‘, p, n',è avranno significati analoghi rispetto all'altro fascio (C'). Inoltre, si farà l'ipotesi che i due fasci (C) e (C0') non abbiano punti-base comuni, e si rappresenterà con 7 il numero dei punti in cui sì tagliano due curve (*) Questi problemi sono stati sin qui risoluti in modo completo soltanto per il piano. Si consultino in proposito le due seguenti Note, entrambe inserite nel vol XXXI dell’Accad. della Scienze di Torino: Segre, Intorno ad un carattere delle superficie ecc.; Berzolari, Sulle curve piane che in due dati fasci hanno un semplice 0 un doppio con- tatto, oppure si osculano. Per più ampie notizie storiche sull’argomento veggasi l'articolo del Berzolari stesso: Allgemeine Theorie der hòheren ebenen algebraischen Curven, $ 38, pubblicato nella Rivista: Encyklopadie der mathematischen Wissenschaften, Band III, Theil II dog — generiche C e C’, essendo m = 2. Infine, si chiamerà T la curva luogo dei punti di contatto fra le curve dei due fasci dati. I due fasci (C) e (C') determinano il sistema lineare di curve |C+ C'|. In virtù di un teorema di Enriques (*), le Jacobiane (C+ C'); di tutte le reti contenute in questo sistema, appartengono ad un medesimo sistema li- neare [(C + C');|. Fra le reti anzidette ve ne sono infinite, ciascuna delle quali viene individuata da due fasci C,(C°) e Ci(C), formati l'uno dalle curve composte da una curva fissa (ma arbitraria) Co di (C) e dalle curve di (0°), e l’altro da quelle composte da una curva fissa (anche essa arbi- traria) Co di (C') e dalle curve di (C), i quali fasci hanno in comune la curva composta da C, e Cs. Ora si consideri una qualunque di siffatte reti. Per ogni punto M di C (o di C;) passa una curva ed una sola del fascio (C), 0 (C); e questa curva insieme con C, (o Ci), costituisce una curva (composta) della rete considerata, la quale possiede in M un punto doppio. Ciò dimostra intanto che le due curve C, e Ci fanno parte della Jacobiana della rete medesima. Sia poi P un punto qualunque della curva, che com- pleta questa Jacobiana. Tutte le curve della rete, che passano per P, sono ivi tangenti fra loro. Fra queste curve ve n' ha una, Ci, che appartiene al fascio Co (0), ed una, C,, che appartiene al fascio C(C); queste due curve Ci e C, si toccano dunque nel punto P, il quale per conseguenza giace sulla curva T. La Jacobiana della rete particolare presa in considerazione, si com- pone pertanto delle tre curve T,C,e Co. Facendo variare le curve C, e C{ nei due fasci (C) e (C’), varia questa rete; ma la curva T fa sempre parte della sua Jacobiana. Dunque: I. « Le Jacobiane (C+- C'); e le curve composte T4+ C+ 0" appar- « tengono ad un medesimo sistema lineare: al sistema Jacobiano determi- « nato dal sistema |C +4 C'|». Questo teorema, che può essere espresso mediante la seguente egua- glianza simbolica: (CRAC: E CERO permette di dedurre facilmente le proprietà della curva T da quelle note della Jacobiana (0 +4- C”);. | Iunanzi tutto esso mostra che l'ordine di questa Jacobiana è uguale alla somma degli ordini delle tre curve T, C e C'. Quindi poichè l'ordine della Jacobiana medesima è (?): U(a+4n)—3u+4v (!) Enriques, Intorno ai fondamenti della geometria sopra le superficie algetriche, n. ]3. Atti dell’Accad. delle Scienze di Torino, vol. XXXVII. (*) Pannelli, Sopra un carattere di una varietà algebrica a tre dimensioni, $ 3, n. 4, nota 11, Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXII, 1911. — 248 — dove w indica l'ordine della superficie Fe v la sua prima classe, e gli ordini delle curve C e C' sono 7 ed 2’, sì trova: II. « La curva T è dell’ordine: 2n+a)-38nH4». Inoltre, il grado di moltiplicità per la Jacobiana (C+ C'); di un punto- base del fascio (C), o (C’), è eguale alla somma dei gradi di moltiplicità dello stesso punto per le tre curve T,C e C'. Quindi poichè il primo di questi gradi è 3 — 1, oppure 35" — 1, e quelli relativi alle curve O e C° sono anche noti, si ha ('). III. « La curva T possiede ciascun punto-base del fascio (C), o (0°), « come punto multiplo secondo 27 —1, o 22 —1 ». Infine, indicando con il simbolo gA il genere di una curva A tracciata sulla superficie F, lo stesso teorema I somministra la eguaglianza: g(C+ 0);=g(T+0+0). Ora è noto (*) che il genere 7 della Jacobiana di una rete (7°) di curve T, del genere P, con X punti-base, data sopra una superficie F, è legato all’invariante £ di Castelnuovo-Enriques, che si riferisce alla super- ficie medesima, dalla relazione: (1) o= 9pP_Lx49. Nel caso attuale è : (P)=(C+0) z=c+o. Quindi si ha intanto: g(C+ = 2+99(0+0)—(o+0)—9. D'altra parte, ricordando la formula con cui si calcola il genere di una curva composta, si trova: g(T + C+ 0) =gT+g(C+0)+(T0)4 (T0)—1, dove i simboli (TC) e (TC’) indicano i numeri dei punti d'incontro della (1) Cfr. Segre, loc. cit., n. 3. (3) Severi, ZI genere aritmetico e il genere lineare ecc., n. 7, Atti dell’Accad. delle Scienze di Torino, vol. XXXVII (1902). — 249 — curva T con le curve C e C', situati fuori dei punti base. Dalle eguaglianze precedenti segue l’altra: gT=2+89(C+ C)— (TC) — (TC) — (C+ 0)—8. Qui, rammentando che i generi delle due curve C e C" sono stati chiamati p e p', e che le curve medesime s'incontrano in m punti variabili si ha: (C+ C)=pt+p+m-1. Inoltre, il fascio (C') sega sopra una curva generica C una serie lineare di ordine m, la quale possiede 2(72 + p — 1) punti doppî; tanti sono dunque i punti di incontro (variabili) della curva T con C (‘); epperò si ha ancora: (T0)=2(2+p—1) e analogamente: (TC)= 2(m+p —1). Infine, ponendo i valori di y(C-+ C'), (TC) e (TC’) dati dalle formule pre- cedenti, in quella che somministra il genere della curva T, e indicando questo genere con 7, si conclude: IV. « La curva T è del genere: ) a=Q+4m+6(p+p)—(c+0)—12. 2. Determinato in tal modo il genere 7 della curva T, si calcola fa- cilmente prima il numero 7 delle curve dei due fasci (C) e (C'), che fra loro si osculano, e poi quello d delle curve, che hanno un doppio contatto, valendosi delle relazioni, che legano questi due numeri a quel genere, rela- zioni dovute al Segre, e dal Segre stesso applicate per risolvere i medesimi problemi nel caso in cui la superficie F sia un piano (?). La prima delle due anzidette relazioni è questa: o_-2Qx=4m—-(0+0)—-I—- 6 nella quale I indica l’invariante di Zeuthen-Segre della superficie F. Po- nendo in essa in luogo di sr il suo valore dato dalla formula (2), si ottiene: I. «Il numero delle curve dei due fasci (C) e (C’), che fra loro si osculano, è: t=22_-I+12(m+p+p)—3(o+0)— 80. () Segre, loc. cit., n. 2. (?) Segre, loc. cit., n. 6. — 250 — La seconda relazione è la seguente: dtbeta=(2m42p—3) (2m + 2p — 3) dalla quale si deduce subito: LI. «Il numero delle curve dei due fasci (C) e (C'), che hanno fra « loro un doppio contatto, è; d=1— 824 4[m(m-+ pm) + pp — 6(p + 9) — To elrok Dalle formule precedenti si ricavano quelle che si riferiscono al caso in cui due fasci giacciono in un piano, ricordando che per questa superficie particolare si ha: 2=10,I=— IL 3. Sin qui si è supposto che i due fasci (C) e (C’) non avessero alcun punto-base comune. Ora si tolga questa restrizione: ma si continui a chia- mare 0 e o' i numeri dei punti base non comuni, e sì dica poi s quello dei punti-base comuni ; 7 indichi ancora il numero dei punti (variabili) comuni a due curve generiche C e C°. In questa ipotesi, ogni rete contenuta nel si- stema |C + C'| possiede o + 0o'-+-s punti-base, e quindi in virtù della re- lazione (1), il genere w della curva T è dato dalla formula, che si deduce dalla (2), mettendo in essa 0. 4-0'+s al posto di o + o. In tal modo e ricordando che è un invariante (relativo) della superficie F, si conclude : « L'espressione : (8) o=n- 4m—6p+p)+(0+0+s9+12 « formata con i caratteri di due fasci di curve dati ad arbitrio sopra una « superficie algebrica, non dipende dalla scelta dei fasci medesimi ». L’invariantività di questa espressione può essere dimostrata direttamente, con un metodo affatto analogo a quello seguìto da Enriques (*) per stabilire l’invariantività del carattere £2. Se poi i due fasci (C) e (C') si prendono in una medesima rete, e si osserva che in questo caso la curva T si spezza nella Jacobiana della rete e nella curva, che i due fasci hanno in comune, la espressione (8) si riduce alla (1), e allora l'invariantività di questa ultima espressione è una conse- guenza di quella della prima. Si noti infine che la espressione (3) può servire a calcolare l’invariante 9, relativo ad una data superficie F, quando si scelgano i due fasci di curve (C) e (C') in modo, che sia possibile calcolare direttamente il genere 7 della curva T da essi determinata. Ecco due esempî: (1) Enriques, [Introduzione alla geometria sulle superficie algebriche, n. 41, Memorie della Società italiana delle Scienze, ser. III, tomo X, 1896. — 261 — 1°. La superficie F sia un piano. Come fasci (C) e (C') si prendano un fascio di rette, avente per centro un punto O, e un fascio di coniche avente per base quattro punti, distinti da O. Si ha intanto: (00820005 =»p'=0 SO: ]: © SMR = 4000 SEU} Inoltre in questo caso, T è la curva generata dal dato fascio di coniche e dal fascio ad esso proiettivo formato dalle rette polari, rispetto a queste coniche, del centro O, e quindi è una curva del terzo ordine del genere m=l. Così si ritrova: 2= 10. 2°. La superficio F_sia una superficio generale di ordine x dello spazio ordinario. Come fasci (0) e (C’) si prendano quelli formati dalle curve, che si ottengono segando la superficie con due fasci di piani, aventi per assi due rette sghembe R ed R'. Si ha intanto: Era) Mez go BE do Inoltre, come è facile riconoscere, la curva T è in questo caso il luogo dei punti di contatto delle tangenti alla superficie F, che si appoggiano alle due rette R ed R', e quindi è l'intersezione di F con la superficie H, di ordine 7, generata dal fascio di piani (R), o (R'), con il fascio (E') formato dalle prime polari F', rispetto ad F, dei punti della retta R' od R,i due fasci resi proiettivi, facendo corrispondere ad un piano del fascio (R), o (R'), la polare F' del punto in cui il piano medesimo incontra la retta R' od R. Perciò la curva è del genere 7 = 73 — 20° 4-1. Così si ritrova: Q= an 4) +1. Meccanica celeste. — Sulle orbite periodiche. Nota I° di Lro- NIDA TONELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. Si vogliono dare qui dei criterî atti a far riconoscere l'esistenza di orbite periodiche, per punti materiali liberi, sollecitati, da forze conserva- tive, a muoversi in piano. È nota l’importanza di tale questione; ed è anche noto che l’unico criterio — veramente pratico — che si conosca è quello dato da E. T. Whittaker (!). Se non che, tale criterio ha il grave torto di essere stabilito per via tutt'altro che rigorosa. Esso consiste in ciò: se su due curve chiuse L,, Ls, tali che la prima sia tutta circondata dalla : U LED UR i seconda, una certa espressione (to. ERA in cul entrano, in modo molto semplice, la curvatura della linea, la componente della forza () On Periodic Orbits (Manthly Notices of the Royal Astronomical Society, vo- lume LXII, n. 8, 1902). RenpicontI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. (J6) (O) — 00 normale alla linea e la funzione delle forze) è rispettivamente positiva, ne- gativa, allora tra L, e Ls esiste un'orbita periodica. La dimostrazione del criterio, data da Whittaker, è fondata sull'esistenza di una curva che renda massimo l'integrale dell'azione; la quale esistenza non si vede come possa essere rigorosamente stabilita ('). In questa Nota e in altra successiva, riprendendo la questione, si perviene a due criterî: il primo dei quali è quello stesso enunciato più sopra, quando si invertano i segni della espres- sione T sulle due curve L,,Ls (*); il secondo poi è di ancor più facile applicazione, perchè in esso si elimina la considerazione della seconda linea Le (8). 1. Sia U(x,y) la funzione delle forze, % la costante delle forze vive. Le equazioni del moto sono (prendendo uguale all'unità la massa del punto) CERA dI d°y QU de WET de TH (1) Se a è l'angolo che la direzione positiva della normale x alla traiettoria nel punto M(x y) (‘) fa con la direzione positiva dell’asse x, abbiamo, mol- tiplicando le equazioni (1) rispettivamente per cos @ e sen a, e sommando d*x d°y QU ==> —* S n] die cose tr en a 5 E poichè il primo membro di questa uguaglianza rappresenta l'accelerazione normale alla traiettoria, presa col proprio segno o con segno contrario, a seeonda che la traiettoria stessa rivolge la sua concavità verso l'interno o verso l'esterno, abbiamo ancora v? QU o Me dove v indica la velocità del punto e (*) Si osservi che, in ogni caso, qui non può trattarsi che di massimo relativo, debole, perchè la funzione che si deve integrare è sempre positiva. (2) Con ciò, invece di un massimo, si può mostrare l’esistenza di un minimo. (*) Una dimostrazione rigorosa del primo dei due criteri da noi stabiliti ci è perve- nuta dal Dott. A. Signorini (« Sul teorema di Whittaker » in questi Rendiconti, 7 gennaio 1912) durante la correzione delle bozze di queste due Note. (4) Prenderemo come senso positivo, su una curva chiusa, quello che lascia alla sua sinistra i punti della regione interna della curva che sono prossimi all’arco percorso. Prendiamo poi come direzione positiva della normale, quella che va verso l’interno della curva. — 258 — la curvatura della traiettoria (che è positiva o negativa a seconda che quest'ultima rivolge la sua concavità verso l'interno o verso l'esterno). In- troducendo perciò l’ integrale delle forze vive, le equazioni del moto diventano ) =2(U(2,9) +1), U(2,9) +7 QU — (3) Sa. la seconda delle quali determina le curve lungo cui il punto considerato può muoversi sotto l’azione delle forze date, mentre la prima fissa, per ogni posizione del punto la relativa velocità. Orbene, si tratta di riconoscere se il punto mobile, posto nel campo di forza definito dalla U(,y), può percorrere delle traiettorie chiuse; vale a dire, si tratta di vedere se esistono degli integrali periodici per l'equa- zione differenziale del secondo ordine (3). La teoria delle equazioni differenziali non insegna a risolvere problemi di simile natura; i quali perciò devono essere trattati con altri mezzi, che variano di indole a seconda dei casi. Una via, pertanto, si presenta natu- rale alla mente. È nota la relazione che passa tra i problemi di esistenza degli integrali delle equazioni differenziali ed il calcolo delle variazioni; più precisamente, è noto come la dimostrazione dell'esistenza di integrali di certe equazioni differenziali ordinarie 0 a derivate parziali, i quali sod- disfino a prefissate condizioni, si riconduca a quelle dell'esistenza della so- luzione di determinati problemi di minimo. Ebbene, questa intima relazione fra questioni di natura apparentemente diversa, ed il successo che talvolta ha coronato analoghi tentativi, ci suggeriscono di avviarci verso la trasfor- mazione del nostro problema in un problema di minimo, per poi tentare la risoluzione di quest’ultimo. Disgraziatamente, se la trasformazione detta ce l’offre senz'altro il principio della minor azione, il calcolo delle variazioni non è altrettanto sollecito a darci la risoluzione del problema così ottenuto. Il metodo classico che ha dominato finora il calcolo delle variazioni. presup- ponendo la esistenza dell’ integrale della relativa equazione differenziale di Eulero, ci riporterebbe, con un giro vizioso, al punto di partenza, senza averci procurato vantaggio alcuno. Tuttavia la questione non è disperata. All’ infuori del metodo classico vi è ancora spiraglio di luce: vi sono altri modi di ra- gionare, che permettono, in taluni casi, di mostrare direttamente l’esistenza della soluzione in problemi di minimo. Ed è da questa parte che noi ci rivolgeremo, e ci gioveremo dei risultati ottenuti, nell’indirizzo detto, nella nostra Memoria: Sui massimi e minimi assoluti del calcolo delle varia- siori (*). Vero è che non riusciremo per questa via a determinare la condi- (5) Reud. del Circolo Matem. di Palerm, t. XXXII (1911). — 254 — zione necessaria e sufficiente per l’esistenza di orbite chiuse; giungeremo però a stabilire dei criterî atti a far riconoscere tale esistenza, il che è appunto quanto abbiamo a principio annunciato. 2. In base al principio della minor azione di Maupertuis, una curva aperta C(A,B), la quale sia interna al campo definito dalla disuguaglianza U(x,y) +7X>0 ed abbia la tangente variabile in modo continuo, soddisfa certamente all’equazione differenziale (8) delle traiettorie, se, lungo essa, l’azione (nel senso di Tait e Thomson) è minima in confronto di quella relativa a tutte le altre curve C'(A , B) che congiungono gli estremi A e B di C(A, B), che sono prossime a C. e che hanno tangente variabile, anche essa, in modo continuo. In simboli. la condizione si traduce nella disugua- glianza ftoc + h) ds = (+ h) ds. C(A,B) C'(A,B) Di qui si deduce immediatamente che, se C è una curva chiusa interna al campo definito dalla disuguaglianza U--XD0 ed avente tangente che varia in modo continuo, e se è [ava = (TFR Cc / per ogni altra curva 0’, analoga alla C ed appartenente ad un intorno di questa sufficientemente piccolo, la C è un'orbita periodica che un punto materiale libero può descrivere sotto l’azione di forze provenienti dalla fun- zione U. Non si dice con ciò che tutte le orbite chiuse diano dei minimi per l'integrale di 2(U + %), ma quello che a noi importa è che, se un minimo esiste nelle condizioni dette, quel minimo dà senz'altro una traiet- toria chiusa. 3. Ciò premesso, siano Li e L» due curve chiuse, delle quali la prima interamente circondata dalla seconda e tali che le loro coordinate, considerate come funzioni dell'arco, siano continue insieme alle loro derivate dei primi due ordini. Sia poi, in tutto il campo A limitato dalle due curve, ed in prossimità di esso, U(x,y) + sempre maggiore di zero, ed inoltre, con- tinua insieme alle sue derivate parziali dei primi due ordini. Ci proponiamo, allora, di dimostrare che se sulle Li e Ls st ha sempre, rispettivamente (i); lor E. ino (ge). G degli (Vefg0) (!) Il senso positivo sulle curve è quello fissato nella Nota al n. 1. ION —. esiste certamente un integrale periodico dell'equazione differenziale T=0, vale a dire, esiste un'orbita periodica per il problema dinamico qui con- siderato, la quale risulta compresa fra le curve Li, Ls. 4. Indichiamo con C una qualunque curva chiusa, rettificabile, appar- tenente al campo A e racchiudente la L, (*). Per la sua rettificabilità, esiste determinato e finito l’ integrale (vox: ds; Cc e poichè, per la continuità di U-+4-% e per l' ipotesi U+%#>0, si può trovare un numero 7 > 0 tale che, in tutto un campo A’ contenente nel suo interno il campo A, sia VU+Ak>wm, cl troviamo nelle condizioni volute per la validità di un noto teorema di minimo dovuto al Lebesgue (?). Pos- siamo quindi affermare che esiste, fra le C, almeno una curva C,, per la quale l’integrale della {/ UILp assume un valore minore o tutto al più uguale a quello relativo a qualsiasi altra curva C. La C,, appartenendo alla famiglia delle C è di certo continua, rettificabile e chiusa. Per poter però affermare, secondo quanto si è detto alla fine del n. 2, che essa dà un integrale dell'equazione (8), T= 0, occorre mostrare: 1°) che essa ha, in ogni suo punto, tangente determinata, che varia in modo continuo; 2°) che è completamente iuterna al campo A, vale a dire, che non ha punti sulle Li, Ls. Sfortunatamente, se è possibile mostrare che la C, soddisfa alla prima delle due condizioni dette, non sembra si possa escludere che essa abbia punti sulle curve L,,L,. Tuttavia non ci lasceremo arrestare da questa difficoltà, che noi gireremo completamente mostrando, per altra via, come la C, soddisfi in fatto all’equazione (3). 5. Prima di proseguire occorre ricordare la seguente proposizione sta- bilita da G. A. Bliss (3): se la funzione F(2,9,2',y), per tutti i punti (2 ,y) di un determinato campo e per ogni coppia (2, y') di valori non ambedue nulli, è continua insieme alle due derivate parziali dei primi tre ordini (4) e soddisfa alle relazioni F(e,y,kx' ,ky)=KF(e,y,0,y) per ogni 4#>0 1 1 1 Pe Pa = rg Par = iu 0; (!) Questa C può anche coincidere, in tutto o in parte, con le curve Li, L,. (*) Zatégrale, Longeur, Aire (Annali di Matematica, 1902, n. 96). Vedi anche, per una proposizione più generale, la nostra Memoria già citata. (*) Sufficient condition for a minimum... (Transactions of the American Math. So- ciety, 1904). (*) È però solo necessaria l’esistenza e la continuità di quelle derivate parziali del 3° ordine che contengono almeno una derivazione rispetto a 4” 0 y/. n Soa e se, inoltre, sull'arco di curva C(P,, Ps), interna al campo detto — e tale che le funzioni x(s),y(s), che rappresentano le coordinate di un suo punto qualunque, siano continue insieme alle loro derivate dei primi due ordini — è sempre Foy — Fyai 4 Filey — ay) ZO (oppure > 0); allora è possibile congiungere i due punti P,, Ps con un’altra linea C'(P,, Ps), situata alla sinistra (destra) di C (!) ed avente a comune con questa solo i punti P,, P,, in modo che l'integrale di F(x,y,2",y") (?), esteso alle C(P, , P+), sia minore dello stesso integrale calcolato lungo un'altra qualsiasi curva congiungente i punti detti, appartenente al campo limitato dalle C(P,, P:) , C((P, Pa), e dotata ovunque, ad eccezione al più di un numero finito di punti, di tangente variabile in modo continuo. 6. Sia ora P un punto di C,, appartenente a L, (oppure a Lo) e P,.P due punti di L, che comprendono fra loro P. Se poniamo P(2,y, 0 ,y)=VU@,M)+h.Va+y", per questa funzione sono soddisfatte le condizioni dell'enunciato precedente (tenuto conto della nota relativa alle derivate terze) ed è, per le ipotesi fatte al n. 3, vm My 1 U+#% dl per e i o O n ni in n oa? o mali su tutto l'arco L,(P,,P:). Potremo dunque determinare la curva C'(P,, Ps), di cui si parla al numero precedente; e questa, trovandosi alla sinistra di Li(P,,P:), risulterà esterna al campo A. Siano, poi, Pi, P; due punti di Li;(P,,P) distinti da P, e P, e compresi, il primo, fra P, e P, e il secondo fra P e Ps. Congiungiamo Pi e P; con una curva continua che si trovi tra la L;(P,, P:) e la C'(P,,P.), e che non abbia punti comuni con queste, ad eccezione di Pi e Pi. Inoltre, tale arco di linea C'(Pi, P3) rimanga tutto interno al campo A' (nel quale si ha VU +1 m). Indichiamo con A, il campo che si ottiene da A sostituendo, all'arco L;(Pi,Ps) del suo con- torno, l'arco C"(Pi,P3); e con B il campo che così si viene ad aggiun- gere ad A. Il punto P, che non era interno ad À, viene ora a risultare 2r/erz0 ad A,. Di più, vogliamo mostrare che la C,, che dava il minimo di Suva +7 ds per tutte le curve di A continue, rettificabili, chiuse e cir- costanti L,, dà ancora il minimo per tutte le curve analoghe contenute in A, . (1) Il senso positivo di C(P., Ps) va da Pi a IS o (£) Qui 2/,y/ indicano le derivate delle coordinate del punto corrente sulla ©. — 257 — Invero, sia C, una di queste ultime. Se essa appartiene per intero ad A, la cosa è chiara di per sè. Supponiamo, invece, che esca da A, vale a dire, che si inoltri fra le C"(Pi,P;), L;(Pi, P)). Sia C.(P3, P,) un arco di GC, appartenente a B, il quale abbia su L, solo gli estremi P3, P,. Scegliamo sopra esso i punti Q'=0Q,,0Q:...,Q,=0Q" distinti da Pz, P, e tali che i segmenti rettilinei che ordinatamente li congiungono due a due, non. incontrino mai nè C’ nè L,. Si indichi con C,(Q',Q") la poligonale individuata da tali punti, e con C(P3,9Q'), C(Q”,P.,) due curve di B aventi tangente variabile in modo continuo e conginngenti, la prima, P3 e Q'’, e la seconda Q",P,. La curva composta degli archi In(Pi Ps), C(P3Q), (.(0/Q”), C(QUP,), Li(P, P2), è, allora, tale (n. 5) che l'integrale di VUL%A, calcolato lungo essa, risulta maggiore di Da ciò segue immediatamente C(P, Q') -Ca(Q"Q”) VC(Q”P.) VL,(P, P.) Ora, se tenendo fissi gli estremi della spezzata Q'Q", aumentiamo via via il numero dei suoi lati, in modo che essi tendano tutti a zero, l’ integrale esteso a C,(Q'Q") tenderà a ita Q) Possiamo quindi scrivere C(P, Q) Cs(Q'Q")/C(Q”7 P.) VLi(P; P.) Facciamo tendere qui Q' a P4, Q"a P,; il primo ed ‘il terzo integrale tendono, allora, a zero, mentre il secondo tende all’integrale calcolato in C:(P: P.). Si ha così CE I) CA (280) 2 Stabilito ciò, osserviamo che gli archi analoghi a C.(P3, P.), in C., sono in numero finito, oppure costituiseono un’ infinità numerabile, come risulta da un noto teorema di Cantor. Se perciò considerano la curva C; che si — 258 — ottiene da C, sostituendo a tutti gli archi C,(P3,P,) i relativi archi L;(P3 P,) di L, questa C risulta certamente continua, rettificabile (1), chiusa, tutta costituita di punti di A, e circondante L,. Inoltre, per la disuguaglianza precedente è (ropra= (1071 ds . C 2 3 Si conclude, in base alla proprietà di minimo di C,, (ZA 09 (05 (407 Resta così pienamente dimostrato che la curva C, dà, per l'integrale di VU+%, il minimo anche se al campo A sostituiamo quello più ampio A. 7. Sia ora P.un punto qualunque di C,, interno ad A. Applicando un risultato stabilito nella nostra Memoria citata (n. 29, osservazione finale) abbiamo che è possibile determinare un arco di C,, che contenga P come punto dterno, e che sia soluzione dell'equazione differenziale di Eulero re- lativa all’integrale di ue equazione che non differisce dalla (3). Questa soluzione è tale che le coordinate di un suo punto qualunque, espresso in funzione dell'arco, risultano continue insieme alle loro derivate dei primi due ordini. Se il punto P, invece che inferno, fosse sul contorno di A, prende- remmo in considerazione il campo A,, di cui si è parlato al num. prece- dente, e rispetto al quale P risulta in/erz0, e giungeremmo ad un risultato identico a quello testè ottenuto. Con ciò la proposizione enunciata al n. 3 è pienamente stabilita. In una prossima Nota, dopo aver dato alcune estensioni del criterio ora dimostrato, ne stabiliremo un secondo. (!) La sua lunghezza sarà minore della lunghezza di C, aumentata di quella di L;(P/ P,/) e diminuita della somma delle lunghezze degli archi C,(Ps Pi). — 259 — Economia matematica. — Contributo alla teoria matematica della dinamica economica. Nota I° del dott. L. AMoROso, presentata dal Corrisp. M. PANTALEONI. L'Economia matematica, nata con Cournot, e sviluppatasi con Jevons, Walras, Edgeworth, Fisher, è venuta in questi ultimi anni, mercè la grande opera di Vilfredo Pareto (!), ad acquistare i caratteri di scienza autonoma, che abbraccia, contemplandoli da un punto di vista teorico e generale, una classe molto estesa di fenomeni naturali, che comprensivamente vanno sotto il nome di fenomeni economici. La scienza, che così si è venuta a formare, deve essere considerata come una scienza matematica sul tipo della Geome- tria analitica e della Meccanica razionale. Come diceva anni or sono il senatore prof. Volterra in un discorso inaugurale (°), Descartes e Lagrange non esiterebbero a darle il titolo di Economia analitica. Come la Meccanica razionale, l’ Economia matematica comprende due parti: una parte statica, ed una parte dinamica. La formulazione matema- tica dei principii fondamentali della statica economica è stabilita esaurien- temente nell'opera di Vilfredo Pareto. La dinamica economica è molto più arretrata. Il progresso dell'Economia matematica dipenderà, a nostro avviso, da una felice formulazione analitica dei principî fondamentali che regolano il movimento dei parametri, atti ad individuare la configurazione dei sistemi economici. In due modi si possono concepire i fenomeni del moto. Come fenomeni di equilibrî successivi: si parte da una data configurazione di equilibrio A: variando le condizioni ‘che determinano l'equilibrio (forze e vincoli) si passa dalla configurazione A, ad una nuova configurazione di equilibrio A,; le condizioni che individuano l'equilibrio variano ancora, e si passa dalla con- figurazione A, alla configurazione As; e così via. In questo modo di conce- pire le cose si suppone che le variazioni delle condizioni, che individuano l'equilibrio (forze e vincoli), avvengano con discontinuità, e che fra due va- riazioni consecutive passi tanto tempo, quanto è necessario perchè il sistema economico assuma la nuova configurazione, che corrisponde alle condizioni (!) Cfr. Pareto, Manuale di economia politica, Milano, 1906, Appendice matema- tica; Manuel d'économie politique, Paris, 1909, Appendix mathématique e soprattutto l’articolo Economie mathématique nella Encyclopédie des sciences mathématiques, t. I, vol. IV, pp. 591 e segg. (?) Volterra, Sui tentativi di applicazione della matematica alle scienze biologiche e sociali. R. Università di Roma, Annuario per l’anno scolastico 1901-02. RenpicontI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 34 — 260 — trasformate. In sostanza si viene in tal modo a trascurare i fenomeni del- l'inerzia, e le leggi della dinamica si ottengono applicando successivamente le leggi della statica. Come in Meccanica, così in Economia tale concezione non corrisponde che molto imperfettamente a quello che succede nella realtà, in cui in ge- nerale avvengono in ogni istante variazioni delle condizioni dell'equilibrio, prima che il sistema abbia effettivamente raggiunto la posizione di equili- brio corrispondente alle condizioni esistenti nell'istante precedente. Ci si può porre invece da un punto di vista del tutto differente, che diremo infinitesimale, e che è quello della ordinaria dinamica analitica. In ogni istante di moto, la configurazione, che un dato sistema economico assume, è identica alla configurazione di equilibrio che lo stesso sistema assumerebbe, sotto l’azione delle stesse forze applicate e degli stessi vincoli, purchè si aggiungano alle forze direttamente applicate altre forze, che misurano la resistenza che la materia oppone al moto, e che si dicono le forze d'inerzia del sistema. È da questo secondo punto di vista più generale che ci poniamo in questa Nota, per studiare i fenomeni del moto economico. 2. Consideriamo un individuo in presenza di 7 beni economici X,,X3, «Xn. Consideriamo in uno spazio ad 7 dimensioni un sistema cartesiano ortogonale e portiamo su ciascun asse le quantità di ciascun bene X;. Tali quantità le indicheremo indifferentemente con le lettere %; ovvero &;. Se un individuo possiede la quantità £, del bene X,, la quantità $, del bene X,, ecc., la quantità €, del bene X,, diremo che esso sta nel punto materiale A di coordinate &,,€,,...,é, ovvero costituisce il punto economico À . Si dimostra che è sempre possibile determinare sperementalmente una funzione (1) Gin 9 IEEE che si dice funzione indice dell'ofelimità tale che delle due combinazioni (0) 0) Lv 9 re0r Un DO ri ed 1 1 l GAM cielo, a) l'individuo che si considera preferisce quella che corrisponde a valore più grande di @. Se la (1) è una funzione indice dell’ofelimità ogni funzione F(g), qua- dica lunque sia F, purchè continua e tale che la derivata d0) risulti sempre po- sitiva, è ancora una funzione indice dell’ofelimità. — 261 — Le varietà ad n — 1 dimensioni che si ottengono uguagliando ad una costante la funzione (1) (2) P(L1, 2, Ln) = così costituiscono per l'individuo che si considera delle varietà di indifferenza, nel senso che tutte le combinazioni 41, 42,..., Xn che corrispondono a punti diversi di una stessa delle varietà (2), recano all'individuo che si considera lo stesso piacere. Le quantità x,,%3,..., x, possono indicare quantità consumate 0 più in generale quantità possedute. Nella scienza economica hanno interesse so- prattutto le azioni ripetute, onde , rappresenta per es. la quantità di fa- rina che l'individuo considerato consuma ogni giorno, xs la superficie del campo di cui egli gode giornalmente, ecc. (1). L'individuo che è in A o come diremo ora ed in seguito il punto eco- nomico A è sollecitato a muoversi dai suoi gusti, che possiamo rappresen- tare come una forza di cui le componenti secondo gli assi coordinati sono proporzionali alle derivate di una qualsiasi funzione indice dell'ofelimità, e quindi proporzionali a RTAS) 9 deh de Ma A non sarà libero di muoversi a suo piacimento: dovrà invece esser soggetto a certi vincoli. Per considerare il caso più semplice dello scambio, il movimento dovrà avvenire in modo che in ogni istante il valore delle merci vendute sia pari al valore delle merci comprate, e quindi si abbia, se la merce X, è la moneta e pi, pa,..., Pn-. Sono i prezzi delle IN CCIE EX 1l...n-1 > Pi(ci — E) + (cn — En) =0 ovvero posto p,= 1 (3) > pi(ai—&)=0 Il punto economico A, è quindi vincolato a rimanere sulla varietà (3). Le equazioni dell’equilibrio si ottengono scrivendo che i movimenti comparabili con le forze sono impediti dagli ostacoli : quindi detto Z un (*) Cfr. l’articolo citato di V. Pareto nell’Encyclopédie des sciences mathématiques, pag. 604. — 262 — moltiplicatore di Lagrange, esse sono: 2P EU di (4) =D, eV l...7t > pi(ci — E) = 0. Il sistema (4), detto di Jevons-Walras è costituito da x +1 equazioni, che sono sufficienti in generale a determinare le +1 incognite, e cioè il parametro 4 e le coordinate 2,,%2;...,%, corrispondenti alla configurazione di equilibrio. Esse esprimono che le coordinate corrispondenti alla posizione di equilibrio rappresentano un certo punto dell’iperpiano (3), in cui l'iper- piano stesso è tangente alla varietà di indifferenza = cost. In generale, se vi sono @ vincoli, rappresentati dalle equazioni: (5) y(X, ..X,)=0, ke | _ no US) le equazioni che individuano la configurazione di equilibrio saranno RI) 1.0 IWh i -=NA4A —- 0=1,2,. (6) Ci 2 È e di; “ | 4y=0 AE e nella posizione di equilibrio, le varietà (5) a # — o dimensioni risultano tangenti ad una varietà di indifferenza g = cost. Consideriamo il caso, in cui le equazioni rappresentanti i vincoli, sieno in numero di 1 —1: (8) yWi= 0 EB In tal caso le equazioni (8) rappresentano la traiettoria descritta dal punto A. Il punto di arresto su tale traiettoria, sì otterrà, considerando le equazioni 1 RO; 0095 dg de 1... da A ed eliminando per mezzo delle (8) i parametri 4, , 42, ... A. Si otterrà così l'equazione (9) d(Wi , Wp DESSO Wn-r ’ P) =.() i i Mi a) che associata alla (8) definisce le coordinate del punto di equilibrio. — 2605 — Osserviamo in generale che la determinazione della configurazione di equilibrio è indipendente dalla ipotesi della misurabilità del piacere. Tale ipotesi fu discussa lungamente da Jevons, ma è estranea alla teoria dell’equi- librio economico: per determinare la configurazione di equilibrio, basta una funzione che cresce quando il piacere cresce, decresce quando il piacere de- cresce, cioè una funzione indice dell’ofelimità. Vedremo che l' ipotesi della misurabilità del piacere è invece necessaria, allorquando si vuol passare dalla statica alla dinamica economica. Analoga- mente per determinare il moto di un sistema materiale occorre avere la misura delle forze applicate: per determinare la configurazione di equilibrio, basta invece una funzione indice delle forze. 5. L'individuo che è inizialmente nel punto A di coordinate £,,é,,...£,, occupa nella configurazione di equilibrio la posizione del punto B, le cui coordinate 41,2, ...%,, si ottengono risolvendo il sistema (6). Quale è la legge del moto, quale cioè la traiettoria per passare da A a B, e quale la velocità in ogni istante? Per risolvere il problema in generale, occorre cominciare a considerare le cose in un caso particolare. Riprendiamo perciò il caso in cui le equazioni ai vincoli, siano le (8) in numero di 2 — 1, e supponiamo che, partendo da una posizione iniziale A, e, percorrendo la curva (8) in un determinato verso, si giunga ad un punto B, le cui coordinate si verificano simultaneamente alle equazioni (8) e (9). Nel punto la B curva (8) sarà allora tangente ad una varietà di indif- ferenza (10) = cost. Supponiamo che la curva (8) sia tale che a partire dal punto B per un tratto finito BC essa giaccia sulla varietà (10): cioè che l'equazione (9) che per ipotesi è verificata quando per x,,x2...%, si pongono le coordi- nate del punto B, sia verificata ancora, quando per x; , %>,...%, Si pongono le coordinate di un punto qualsiasi del tratto BC della curva (8). Il problema che si impone, è allora il seguente: Che cosa farà, giunto in B, l'individuo che consideriamo: si arresterà in B 0 seguiterà a muoversi lungo la BC? E se succede questo secondo caso, conserverà la stessa velocità che aveva in B, o la velocità andrà diminuendo, ma conservando sempre lo stesso Verso, ovvero infine il punto economico oscillerà intorno ad un punto del- l'intervallo BC? Più in generale, se un punto economico è obbligato a mantenersi sopra una varietà di indifferenza quali saranno le leggi del moto? E cioè quale sarà la traiettoria e quali le componenti della velocità in ogni istante? Il problema corrispondente in Meccanica è quello del moto di un punto materiale obbligato a mantenersi sopra una superficie di livello, e cioè sopra — 264 — una superficie, ortogonale alle forze da cui il punto è sollecitato. Se il punto non è sollecitato che dal proprio peso, si tratta allora del moto in un piano orizzontale. Le leggi del moto sono determinate in questo caso dal principio di inerzia di Galileo, che afferma che il punto economico conserva in ogni istante in valore e direzione la velocità che aveva all'istante iniziale. Affermare che un punto economico obbligato a mantenersi sopra una varietà di indifferenza e dotato di una certa velocità iniziale, si muove sulla varietà stessa, è affermare che esiste qualche cosa nelle azioni economiche, che corrisponde almeno in parte a quello che è l'inerzia in meccanica. Solo l’esperienza può decidere se questa ipotesi si verifica nella realtà: una volta decisa la questione, sì può, senza ricorrere ulteriormente all'esperienza, seri- vere le equazioni generali del moto economico. In ogni punto di una stessa varietà di indifferenza un punto economico prova lo stesso piacere; sembra quindi naturale ammettere che, se esiste nel complesso economico qualche cosa, che corrisponde all’inerzia in Mecca- nica, ciò dipenderà essenzialmente dalla natura del punto economico consi- derato e dalla sua velocità iniziale, non già dalla posizione iniziale. Tale ipotesi si traduce analiticamente nel seguente: POSTULATO FONDAMENTALE. — Se un punto economico libero si muove sopra una varietà di indifferenza, il moto avviene in modo che la velocità in ogni istante dipende oltre che dal tempo, dalla velocità iniziale e non già dalla posizione iniziale del punto stesso. Dette &1,%3, =. ®n le coordi nate, che individuano la posizione di B in un istante generico; x1,%3,---&h; le componenti della velocità: È, ,$2, Sn @ E, É,,... È, le stesse quantità corrispondenti alla posizione iniziale st ha (10) gi = Diner, -.. On|(f1,5:, ERE In particolare se è identicamente y,= 0 MERE, si ha ancora: DA-0 i=1,2,..% Ciò corrisponderebbe ad ammettere che non esista nel complesso economico, qualche cosa che corrisponda all’inerzia in Meccanica. Supponiamo invece che le w; non sieno identicamente nulle. Deriviamo le (10) rispetto al tempo; per mezzo delle equazioni così ottenute, elimi- niamo &1,...é,, si otterrà allora: (11) mx — Div, Cn ci...) =0 E Sono queste le equazioni differenziali del moto di un punto libero sopra una varietà di indifferenza. L'ipotesi enunciata nel postulato precedente, — 265 — equivale dunque a questo, che le equazioni differenziali della dinamica econo- mica sieno del secondo ordine. In una prossima Nota ci proponiamo di mostrare come sia possibile impostare l’esperienza per determinare la forma delle funzioni w; ovvero delle ®,, ed inoltre dedurre dai principi stabiliti le equazioni generali della dinamica di un punto economico (Komo oeconomicus). Fisica. — Sulla misura statica dell’attrito interno dei gaz. Nota di G. GuaLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA L'attrito interno dei gaz è stato determinato da parecchi fisici, sempre con metodi dinamici o indiretti, cioè deducendolo dallo smorzamento che esso produce sopra un disco sospeso orizzontalmente ad un filo elastico ed oscillante nel suo piano ed attorno al suo asse, oppure deducendolo dalla quantità di gaz che effluisce da un tubo capillare in condizioni note. Il fatto che fisici autorevoli come Maxwell, O. Meyer, che tanto g' è occupato della teoria dei gaz, ed altri hanno prescelto questi metodi prova che essi sono i più adatti per la misura di questo attrito, però quando Sì voglia solamente mostrare la sua esistenza e la sua natura. e quindi non sì richieda necessariamente la sua misura esatta, questi metodi non sono punto adatti, perchè non solo le esperienze relative non mostrano in modo semplice la natura dell'attrito, ma inoltre per ricavare da esse il suo valore sì richiede un calcolo piuttosto lungo e relativamente difficile, tantochè è omesso, sia nei trattati di Fisica più estesi, sia nei trattati che si occupano Specialmente della teoria dei gaz; quindi sarebbe certo impossibile esporre questo calcolo, anche sommariamente, nelle lezioni orali per quanto estese, e perciò questo argomento così importante della teoria dei gaz viene esposto in modo incompleto e quindi non scevro da oscurità. Ho cercato perciò di determinare questo attrito seguendo nelle espe- rienze la definizione teorica solita che si riferisce alle condizioni più semplici. Se si hanno due lamine piane, parallele, estese all'infinito e distanti > fra le quali si trovi un gaz, e se una delle lamine è immobile e l’altra si muova nel suo piano con velocità v costante, il gaz interposto si metterà in moto e prenderà una velocità, diversa nei diversi strati di spessore infi- nitesimo paralleli alle lamine, proporzionale alla distanza dalla lamina im- mobile ed uguale a v nello strato adiacente alla lamina in moto. L'attrito consiste in una pressione tangenziale che il gaz dotato di tale moto speciale esercita sulla lamina in quiete nella direzione del moto e sulla lamina in moto in senso opposto (1). (1) Il calcolo di questa pressione secondo la teoria cinetica dei gaz (importante — 266 — Secondo le leggi dell'attrito, confermate dall'esperienza, una superficie S di queste lamine sarà soggetta ad una forza: a = = nSv/d essendo 7 il coefficiente d'attrito interno del gaz. Ho cercato appunto di misurare direttamente, staticamente, questa forza a agente sopra una e l’altra delle due lamine, seguendo quindi per i gaz il metodo che si usa per misurare l’attrito dei solidi. Le esperienze da me eseguite, sebbene numerose ed in condizioni varie, lo furono precipuamente per iscopo di dimostrazione e di orientamento e perciò in condizioni molto imperfette. Le due lamine necessariamente limitate non erano nè rigorosamente piane nè rigorosamente parallele; il moto di una di esse prodotto a mano, sebbene regolato sopra un orologio che batteva i secondi, non era costante che in media, quindi l’attrito costante in media ma variabile nei diversi istanti produceva oscillazioni che rendevano più diffi- cile la misura (tanto più dovendo l’attenzione esser divisa fra la produzione d'una velocità regolare e l'osservazione dell'effetto prodotto dell'attrito). Queste irregolarità producevano, nell'aria interposta fra le lamine, correnti irregolari che causavano due errori di segno contrario; esse cioè urtando sulle lamine vi producevano una pressione diversa dall'attrito che si aggiun- seva a quella che si voleva misurare (!) e d'altra parte, specialmente quando la distanza fra le lamine superava un certo limite, esse disperdevano nel- l'ambiente l'energia ricevuta dalla lamina in moto dimodochè essa non agiva più sulla lamina in quiete. Perciò queste esperienze preliminari dovrebbero essere ripetute in con- dizioni migliori e completate, specialmente eseguendo, quando ciò sia pos- sibile, misure simultanee dell'attrito su entrambe le lamine. Credo tuttavia utile pubblicarle, perchè mi pare che possano avere qualche interesse, e non so quando mi sarà possibile ripeterle e completarle. Una delle disposizioni usate è la seguente. Su due cilindri di legno o metallo, uguali, portati da due assi orizzontali paralleli che potevano girare entro appositi cuscinetti era avvolta e tesa a modo di cinghia di trasmissione una fascia di tela o carta larga quanto erano lunghi i cilindri o poco meno; facendo girare per mezzo di un'apposita manovella uno dei due cilindri la fascia suddetta si metteva in movimento e la sua parte piana superiore funzionava da lamina mobile nel suo piano con velocità costante ed uniforme. Al disopra di questa era sospesa mediante 4 lunghi fili sotti- lissimi di seta una lamina leggerissima di dimensioni uguali a quelle della perchè fa vedere l'influenza della lunghezza della media corsa rettilinea e delle dimensioni delle molecole e dà modo di calcolarle) non differisce molto e non è nè più difficile nè più complicato del calcolo della velocità media delle molecole. (1) Tuttavia questa pressione proporzionale al quadrato della velocità decresceva rapidamente e si poteva render trascurabile col diminuire essa velocità. )_ Pdl 267 —- lamina mobile ossia a quelle della parte piana ed adiacente della fasci sud- detta. Se S è l'area, p il peso di questa lamina sospesa, ed è L la lunghezza dei fili di sospensione, 4 il tratto di cui essa si sposta nel senso del moto quando la lamina sottostante si muove con velocità v sarà p4/L la forza che sollecita la lamina sospesa e la sposta dalla posizione di equilibrio quindi l'attrito sarà: a=Sv/d = pA/L donde si ricava facilmente n. Nelle mie esperienze i due cilindri erano di latta, due scatole, in cia- scuna delle quali nel fondo e nel coperchio avevo infisso un tubo di ottone che faceva da asse (erano quindi imperfettamente cilindriche ed imperfetta- mente centrate) e riposava su di una cassa di legno senza coperchio, nel- l'orlo superiore della quale avevo fatto 4 profondi intagli che facevano da cuscinetti; 4 piccoli tacchi di legno collocati in questi intagli e sugli assi impedivano che questi saltassero fuori trascinati dal moto della fascia. La lunghezza dei cilindri era di 21 cm., la distanza degli assi 35 cm. quindi l'area della parte piana della fascia era 21.85 cm? ossia 735 cm?. La lamina sospesa, di uguali dimensioni, era formata da un foglio di carta velina, sottilissima, visibilmente discontinua, quindi leggerissima, tesa e incollata sopra un telaio rettangolare formato con 4 lunghi steli di gra- minacea (grano, oppure orzo ecc., quali vengono usati, variamente colorati, nella fabbricazione delle sedie di paglia) divisi per metà per il lungo, spia- nati e poscia incollati alle estremità formanti gli angoli del telaio. Il tutto pesava 2,18 gr., essendo l’area 735 cm?, ed era sospeso mediante fili lunghi 118 cm. alla distanza di 2 cm. dalla lamina mobile; quando i cilindri ruo- tavano di un giro al secondo, ossia quando la lamina mobile si muoveva colla velocità lineare di 38 cm. per secondo, la lamina sospesa era deviata nel senso del moto di 0,15 cm., osservati mediante un oculare terrestre ed una piccola scala collocata dietro e vicino al’estremità inferiore di uno dei fili. Ne segue: 2,18.980.0,15/113 =n.735.38/2 ossia n= 2,03.107-* valore non molto diverso da quello ottenuto con metodi ed apparecchi più precisi. Non ho eseguito esperienze con altre velocità e distanze fra le lamine, sia perchè l'apparecchio troppo imperfetto avrebbe dovuto essere ricostruito, sia perchè dovetti interrompere queste esperienze già troppo protratte oltre il previsto. Siccome la lamina mobile nonostante la sua leggerezza e la sua grande area, veniva spostata d'un tratto invisibile a distanza, ho sospeso questa la- mina, invece che a 4 lunghi fili, a due gioghi di bilancia leggerissimi e mo- bilissimi fatti con steli di graminacea divisi e spianati. Ciascuno di questi gioghi aveva la forma di H verticale, di cui il ramo trasverso, sporgente da entrambi i lati e terminante con due punte d'ago verticali e riposanti sopra due lastrine di vetro, costituiva il fulcro. La distanza fra î due rami RenpIcoNTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem, 85 Sig — verticali di ciascun giogo era di 21 cm. cioè uguale alla larghezza della lamina sospesa, la distanza fra i due gioghi era 35 cm. cioè uguale alla lunghezza della stessa lamina, di cui ciascun angolo era appeso mediante un filo di seta cortissimo alla corrispondente estremità inferiore di uno dei rami verticali suddetti. Inoltre uno dei gioghi aveva incollata in un punto d’intersezione d'un ramo verticale col ramo trasverso, perpendicolarmente al piano dell’ H, un’astina sulla quale si potevano collocare pesetti in forma di uncino o di cavaliere per ottenere o ristabilire la posizione d’equilibrio del sistema. La stabilità e la voluta sensibilità di questo poteva essere ot- tenuta nel modo solito usato nei gioghi di bilancia. Per le ragioni suddette non ho potuto eseguire misure con questa dispo- sizione, ed ho solo potuto accertare la grande mobilità per l'azione di forze piccolissime. Un'altra disposizione certamente utilissima è quella di circondare la lamina sospesa con un piano di guardia, disponendo cioè al disopra della lamina mobile una lamina parallela e fissa avente un grande intaglio ret- tangolare nel quale dovrebbe esser contenuta, con picccolissimo intervallo e nello stesso piano la lamina mobile sospesa nei modi indicati. Ciò allo scopo di evitare che le perturbazioni, che certamente sì produ- cono nel movimento dell’aria presso gli orli delle lamine, influiscano sulla forza che si misura. Non è possibile, colle suddette disposizioni, di misurare la forza ritar- datrice agente sulla lamina in moto, perchè essa è certamente trascurabile rispetto all’attrito della fascia sui cilindri e degli assi sui cuscinetti. Prima di queste esperienze ne ho eseguito molte altre con una dispo- «izione teoricamente meno semplice ma che praticamente ha il vantaggio di non richiedere pressochè nessun preparativo, purchè si disponga di un qualsiasi apparecchio di rotazione. AI disopra e parallelamente ad un disco orizzontale, che potevo far ruo- tare (nel suo piano ed attorno al suo asse) con velocità costante e nota, ho sospeso mediante un sottil filo metallico un altro disco di ugual diametro, che per effetto della rotazione del disco sottostante veniva deviato d'un certo angolo mediante torsione del filo suddetto e dal valore di quest'angolo po- tevo dedurre quello del coefficiente d'attrito. [Se invece si facesse girare il disco sospeso (facendo girare con velocità costante l'asta o cono cui è appeso il filo di sospensione di esso disco) fra due dischi immobili, il superiore dei quali abbia un largo foro per cui passi il filo suddetto, il momento della torsione di questo filo misurerà quello dell'attrito subìto dal disco sospeso e ruotante. La misura della torsione del filo, ruotante anch'esso attorno al suo asse, presenta qualche difficoltà sormontabile però in varî modi]. — 269 — Questa disposizione molto semplice (quando il disco sospeso è immo- bile) lascia qualche dubbio sulle possibili perturbazioni dovute all'azione della forza centrifuga sul gaz ruotante (la quale però decresce anch'essa pro- porzionalmente al quadrato della velocità) e richiede inoltre alcune dimo- strazioni e calcoli preliminari, ciò che non è senza inconvenienti, se le espe- rienze sono destinate a scopo didattico. Noto il peso p ed il raggio R del disco sospeso occorre ammettere 0 dimostrare che il suo momento d'inerzia M è uguale a pR°/2 e quindi, de- terminata la durata T dell'oscillazione semplice, calcolare il momento di torsione unitaria 4, (per l'arco 1) mediante la nota formula T=-xVM/w ossia w=7r2M/T°. Inoltre la velocità dei diversi elementi di superficie del disco rotante è diversa, quindi sono diversi l’attrito ed il suo momento per gli elementi corrispondenti del disco sospeso. Ammesso, ciò che richiederebbe una spe- ciale dimostrazione, che per ognuno di questi valga la formula dell’attrito che vale nel caso di velocità uniforme, col valore della velocità dell'elemento corrispondente del disco in moto, siccome questa per un elemento anulare di raggio 7 ed r + dr e per un disco che faccia x giri al secondo sarà 2rtnr, ne segue che l’attrito che subisce l’elemento corrispondente del disco in quiete sarà: n.Qrenr.Qrrdr/ò ossia 4r*nyr*dr/> se d è la distanza dei due dischi, ed il suo momento sarà: n.Art*nr dr ed il momento dell’attrito sull'intero disco sarà nArtn f r°dr/à ossia n.r°nR'/> 0 che sarà uguale a ue se @ è la deviazione subita dal disco sospeso. Si ha dunque n= ued/a°nB' oppure siccome qw, = 7°M/T° ed M = pR?/2 n= ped/2nR°T*. Mi son servito per queste esperienze dell'apparato di Arago per il ma- gnetismo di rotazione; un asse conico verticale, che poteva ruotare entro un apposito cuscinetto fisso ad un tavolo, portava una puleggia e al disopra di = O questa uno spesso disco di rame di 21 cm. di diametro; una corda senza tine trasmetteva a questa puleggia e disco il movimento, prodotto a mano, d'un piccolo volano orizzontale provvisto di un'apposita gola e di una manovella. Il disco sospeso era d’alluminio, spesso 0,5 mm., di 10 cm. di raggio, pesante 42,8 gr., e su di esso avevo tracciato una divisione di 10° in 10°; il tilo di sospensione era fissato superiormente ad una delle solite teste delle bilancie di torsione, cioè ad un asse verticale leggermente conico, provvisto d'un orlo cilindrico di 3 cm. di diametro, con un segno che serve da indice, mobile entro un cuscinetto munito anch'esso d'un orlo cilindrico combaciante col precedente e diviso in gradi. Osservata e notata la posizione del disco sospeso rispetto ad un indice fisso, e quella dell'indice sulla testa graduata, facevo ruotare il disco di rame con velocità crescente lentamente, interrompendo anche talvolta per breve tempo la rotazione, cercando cioè di evitare che il disco sospeso acqui- stasse troppo slancio e poi cercavo di mantenere una velocità di rotazione costante ed osservavo la posizinne (media) del disco rispetto all'indice fisso. Talvolta invece facevo ruotare la testa graduata in modo da ricondurre il disco sospeso, deviato dall'attrito, alla posizione iniziale rispetto all'indice fisso, ma più spesso combinavo questi due modi d'osservazione cioè ricondu- cevo il disco sospeso approssimativamente alla posizione iniziale ma ne 0s- servavo il più esattamentte possibile la deviazione residua; la somma alge- brica delle due deviazioni, quella della testa graduata e quella del disco, dava la torsione cercata del filo. Per ottenere più facilmente la stabilità della posizione del disco sospeso ho anche cercato di smorzarne le oscillazioni; a tale scopo nel centro e al disopra di questo era masticiata perpendicolarmente un’astina lunga circa 10 cm. che attraversava il foro centrale d'un recipiente anulare, (un essica- tore quale si usa collocare sotto la campana d'una macchina pneumatica) contenente acqua oppure olio, nel quale pescavano due palette fisse all'astina; alla sommità di questa era attaccato il filo di sospensione. Non ho trovato molto vantaggiosa questa disposizione forse perchè lo smorzamento era troppo intenso e troppo lento e irregolare il moto del disco. Ecco il risultato medio di alcune determinazioni: Raggio del disco sospeso 10 cm., peso dello stesso 42,8 gr., momento d'inerzia 2140 gr. cm?. Filo di sospensione di rame spesso 0,1 mm., lungo 25 cm., durata del- l'oscillazione semplice del disco suddetto 20 secondi. Essendo la distanza dei due dischi 0,5 cm. e la velocità di rotazione 1 giro al secondo, il disco sospeso venne deviato di 45° (in media) ossia 0,71. Ne risulta: 2140.0,71.0,5 7 ANO TO TT — MS SO — 271 - Nelle suddette condizioni si ottiene dunque un buon valore pel coefti- ciente d'attrito, ma il valore di questo risulta invece molto diverso quando cambino le condizioni delle quali pure si tiene conto nella formula. Così triplicando la distanza dei due dischi (9 = 1,5 cm.) la deviazione del disco sospeso, che avrebbe dovuto ridursi ad un terzo di quella prece- dente, era invece minima, ed anche quadruplicando la velocità, non ot- tenni che una deviazione di 5° invece di 60°. Dunque, forse per l’imperfe- zione dell'apparato, il movimento dell’aria per effetto della forza centrifuga è trasportato lateralmente e non giunge che in piccola parte fino al disco sospeso. Ho cercato di rimediare empiricamente a questo inconveniente circon- dando i due dischi con una larga fascia cilindrica e verticale di lamina di rame distante circa 2 cm. dall’orlo del disco rotante ed ho così ottenuto migliori risultati anche per è = 1,5 cm. Ho altresì collocato il disco sospeso entro una scatola cilindrica ruo- tante avente nella faccia superiore un foro centrale nel quale passava il filo di sospensione ; il valore di » risultò notevolmente maggiore del vero, ed ho ottenuto valori prossimi al vero solo con velocità di rotazione piccolissime D. es. 1 giro in 11 secondi. Ho eseguito finalmente esperienze in condizioni migliori; al disco di rame suddetto, che era leggermente conico, ho fissato un disco di buon vetro da specchi, che ho cercato di ridurre ben perpendicolare all'asse di rotazione, assicurandomene con mezzi ottici. Al disopra di questo, a distanza di 0,5 cm., ho fissato stabilmente una tavoletta ben spianata di noce, avente un foro centrale di 10 cm. di diametro, coassiale col disco girevole sottostante. Entro questo foro si trovava il disco sospeso di lamina d'alluminio, di 4,9 cm. di raggio, in modo che non toc- casse in nessun punto l'orlo del foro e che le faccie inferiori della tavoletta e del disco fossero nello stesso piano (spesso il disco era di pochissimo più basso). La tavoletta faceva così da anello di guardia. Ecco i dati relativi ad alcune determinazioni. Raggio del disco 4,9 cm., peso 6,28 gr., momento d'inerzia 75,36 gr. cm, durata dell’oscillazione semplice 18 secondi, al quadrato 324 sec?. Distanza dei due dischi 0,5 cm. Per la velocità di 1 giro al secondo del disco girevole, il disco so- speso venne deviato in media di 60° ossia 1,05. Ne risultò: __6,28.1,05,0,5 asd 4 2.49?.324 — SO e valori non molto diversi ottenni anche aumentando la velocità di rotazione. — 272 — Ho eseguito qualche esperienza anche con lamine cilindriche coassiali, una interna (o anche esterna), metallica fissata perpendicolarmente al disco, rotante suddetto, l’altra esterna (o anche interna), di cartone sospesa al filo di torsione. Credo che questa disposizione, (cui sarebbe facile adattare ci- lindri di gnardia) eviti in gran parte gl'inconvenienti che presenta l'uso dei due dischi suddetti; tuttavia ho trascurato di prender nota dei risultati ottenuti in una esperienza da lezione. Chimica-fisica. — Sulla dissociazione dei sali misti idrati. Nota di Lurcr RoLLa e Giovanni AnsaLpo ('), presentata dal Corrisp. A. GARBASSO. 1. La determinazione degli equilibrî nei sistemi formati da sali misti idrati e dai prodotti della loro dissociazione è subordinata alla conoscenza della composizione di tutte le fasi che si trovano a coesistere. Per questa considerazione, Ostwald non attribuisce alcun valore quan- titativo alle esperienze di Hollmann (*), ma d'altra parte non sarebbe pos- sibile coi metodi analitici diretti risolvere la quistione. Una via indiretta, almeno per alcuni casi particolari, può aversi studiando il comportamento nella dissociazione dei cristalli misti (n Zn SO, , x FeSO, (14- x)7 Hx0 MgSO,, x FeSO, (14 x)7 H.0 alla temperatura, alla quale, secondo la teoria stabilita in una Nota pre- cedente (*), le curve di tensione di vapore dei due sali si tagliano. È pos- sibile infatti, a tale temperatura, avere un criterio, per lo meno qualitativo, sul grado d’idratazione del prodotto solido della dissociazione. La condizione necessaria e sufficiente affinchè in uno dei sistemi ter- narî (1) costituiti da tre fasi, una di queste, a temperatura costante, abbia una composizione tale che si possa esprimere linearmente in funzione di quella delle rimanenti, è che sia dp=0, indicando con p la pressione a cui sistema è sottoposto (*). Se si indica con mi 9 mi ’ Ma; mn, i USI (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica Generale della R. Università di Genova. (3) Lehrbuch der. Allg. Ch. II, pag. 184. () Questi Rendiconti, vol. XX (1911), ser. 5%, 1° sem., pag. 112. (4) Roozeboom, Heterogene Gleichgewichte, III vol. (von F. A. H. Schreinemakers), pag. 285. — 239 — la massa dei componenti 1, 2, 3 rispettivamente nella prima, seconda e terza fase, e si pone , Ma CIRO. e! Mg Antal ci Val 29 Via 3 Ma Mi (4) PI Mo a ci (EI A cl IA pr OLE) ar CO) Mai 1 rr rr Ma MEIN P.1, Mg gl Wi TE BI Me i) Mi Mi nel nostro caso particolare, si ha CREA — (01 (2) <= Fra i varî casi che si possono distinguere nello studio della dissocia- zione dalle miscele isormofe c'è quello nel quale la curva di tensione si riduce a una retta che unisce i punti estremi nel diagramma (concentrazione, tensione), i quali rappresentano le tensioni dei sali semplici. Ammettere queste ipotesi equivale a generalizzare la legge di Wiillner valida per le soluzioni e per le miscele binarie, per es., di benzolo e di clo- ruro di etilene e di bromuro di propilene, di tetracloruro di carbonio e toluolo, di acido carbonico e di cloruro di metile (). Quando la tensione dei componenti, è identica, la retta diventa paral- lela all'asse delle concentrazioni, e dunque per ogni punto è valida la (2). L'esperienza dice che per i sali monoclini che possono riguardarsi come soluzioni solide di ZnS0,.7H, 0 nel FeSO,.7H;0, esiste realmente una temperatura alla quale la tensione del vapore è indipendente dalla concen- trazione. Abbiamo dunque un sistema monovariante ternario e trifasico. Anche nella teoria delle miscele binarie si considera il caso che la curva di tensione si riduca a una parallela all'asse delle ascisse (?), seb- bene non vi sia ancora alcuna determinazione sperimentale in proposito (*). Il risultato della teoria formulata dapprima da Gibbs (‘) e generaliz- zata poi da Saurel (*) si può riassumere dicendo che la « condizione neces- (*) Roozeboom, loc. cit., vol. II, pag. 21. (*) Ostwald, Lehabuch, II, 2, pp. 589 e 614; Roozeboom, loc. cit., II vol., pag. 10; Planck, Zeitschr. f. phyt. ch., 2, 404. (*) Roozeboom, loc. cit., II vol., pag. 23. (*) Gibbs, On the equilibrium of heterogeneous substances, pag. 156; Duhem, Traité de Mécanique Chimique, vol. IV, pp. 329 segg. (5) Journ. of phys. chem. 5, 35. — 274 — saria e sufficiente affinchè un sistema ternario costituito da tre fasi possa essere solo monovariante è che in esso avvenga una reazione di fase, ossia nel nostro caso, che si verifichi la (2). 2. La temperatura alla quale l’esperienza doveva essere eseguita fu determinata col metodo esposto nella Nota già citata. È difficile ottenere per due misure consecutive esattamente lo stesso valore della temperatura alla quale il dislivello nelle due branche del ma- nometro è nullo; e ciò si comprende quando si pensi alle numerose cause d'errore che non è facile eliminare. Per otto esperienze successive si ebbero i seguenti valori: 169,6; 160,3; 160,4; 169,5; 160,8; 169,5; 160,4; 160,3. In media, dunque, 169,4 [9= 289,491. Se si calcola colla formula (13) della Nota più volte citata, ponendo Qo c A ZaSO,, 7 HO — 256 MMM 55,96 3019 Fe SO,,7 H0 1100 — 60,46 — 229,4 [T = 303,77], sì ottiene 6= 303,1 (calcolato). I valori sperimentali introdotti in questo calcolo sono quelli di Frowein e di Cohen: la differenza notevole che si riscontra tra il valore della tempera- tura calcolata e, misurata quella si spiega osservando che troppo pochi sono ì punti determinati della curva di tensione del Zn SO, .7 H,0, troppo basso essendo il punto di trasformazione di questo sale. D'altra parte, un errore di una unità nella prima cifra decimale nel denominatore della (13), porta già ad errori notevoli nel calcolo di 6. I cristalli misti venivano preparati con ogni cura a fine di evitare la facile ossidazione del sale ferroso. Si scioglievano a bagno maria, adoperando acqua distillata bollita, leggermente acidificata con H, SO,, quantità varia- bili di solfato ferroso e solfato di zinco purissimi, in una bevuta chiusa dalla quale era stata aspirata l'aria sostituendola con gas illuminante che aveva attraversato un grande tubo a U pieno di pomice imbevuta di una soluzione di pirogallolo e potassa. La temperatura, finchè la soluzione non era completa, si manteneva di qualche grado al di sotto del punto di tras- formazione del ZnS0, .7H,0, indi si abbassava fino a circa 14°, per non meno di 12 ore. I cristalli misti che si formavano, raccolti rapidamente, venivano asciu- gati su carta bibula, compressi, polverizzati ed analizzati mediante una solu- zione titolata di permanganato di potassio. Pesando eguali quantità di una certa miscela di ZnS0,.7B,0 e di FeSO,.7H;0, aggiungendo la stessa quantità di acqua e lo stesso numero — 275 — di centimetri cubici di H.S0, normale e facendo la soluzione alla stessa temperatura (nello stesso termostato), e lasciando poi cristallizzare i sali misti a temperature diverse, si può misurare la solubilità del ZnSO, . 7H,0 nel solfato ferroso. 1 risultati di quattro determinazioni sono riassunte nella seguente tabella: TABELLA I. Soluzione Temperatura Sale misto ZnS0,, 7H,0 FeSO,,7H,0 acqua H,S0,N di cristallizzazione ZnS0,,7Hs20°% ; 189,0 4,627 RESI] Ri S00 00 Oa) i : i ERO } 2890 3,718 199,0 2,581 PSI n, CEMILOMNCCI 4 ” gr. 3,0 gr. 45 cc. 45 3 250,0 1,701 Queste misure possono dare un'idea, per lo meno qualitativa, del calore di solubilità del solfato di zinco nel solfato ferroso. Le misure di tensione di vapore erano eseguite ponendo in una boccia del tensimetro differenziale un po' di solfato di zinco eptaidrato purissimo e nell'altra una certa quantità di sale misto. Il termostato era mantenuto almeno per 24 ore alla temperatura alla quale si faceva la lettura dell’al- tezza della paraffina sulle due branche del manometro. Il controllo si aveva ripetendo l’esperienza col solfato ferroso. La seguente tabella riproduce i risultati di otto misure. La seconda colonna dà le temperature centigrade alle quali la tensione del sale misto e di quelli semplici è uguale. TABELLA II. Fe SO,,7H,0°/ nel sale misto Temperatura 96,28 16,35 95,37 16,30 93,13 16,4 89,47 16,9 74,75 16,5 66,20 16,4 09,09 16,1 37,46 16,4 È raggiunta così la prova che la dissociazione dei sali misti Zn SO, , « FeSO, , (1+) 7H.0 monoclini è « zormale », ossia ciascun sale componente vi si disidrata come RenpICcoONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 26 — 276 — quando è isolato. La fase solida che prende origine è una soluzione solida a cui spetta la composizione Zn SO, , x FeSQO, , (14- x) 6H.0 conservando x lo stesso valore che ha nel sale più idratato. Ciò equivale d'altra parte a dire che il sale misto si comporta come la miscela greggia dei due solfati. 3. Secondo le esperienze di Hollmann, le curve di tensione di vapore dei sali misti idrati giacciono sempre al disotto della retta che congiunge le tensioni dei due componenti col diagramma (2 ,p). Che anzi, secondo Holl- mann, « l'aggiunta di piccole quantità di un sale isomorfo abbassa la ten- sione di quell’idrato che si trova in quantità preponderante (solvente solido), anche quando la tensione di vapore del sale aggiunto sia da sè più grande di quella dell'altro » (*). Quando noi consideriamo i sali Fe SO, , x Zn SO, (14 x)7H:0, se l'isoterma (T = 6) di tensione, al variare di x, non è rettilinea, bisogna necessariamente ammettere che il sale meno idratato, se è un sale misto, sia rappresentabile col simbolo Fe SO, , y ZnS0, , (1-+y) # H:0, essendo 1 <7 , y+ x. Ciò si verifica per le soluzioni solide di Fe S0,,7H, 0, ossia per i sali misti rombici. Ma se il risultato di Hollmann fosse generale, sì esclu- derebbe senz'altro la possibilità che la curva sia ascendente, mentre che l'esperienza afferma che la tensione, al crescere di x, cresce sempre fino a che non sia raggiunto il limite della lacuna di miscibilità. Qui la linea comincia a correre parallela all’asse delle ascisse, e il valore costante della tensione è quello che spetta al sale misto la cui com- posizione corrisponde a quella del limite dei sali rombici. C'è dunque una discontinuità, giacchè, se si assume come asse delle ascisse la retta congiun- gente i valori della tensione dei sali semplici e come origine quello corri- spondente al solfato di zinco, ogni punto della curva relativo ai sali rombici rappresenta la differenza fra la tensione di questi e quella dei sali monoclini. Le misure, eseguite col tensimetro differenziale, non possono avere la precisione di quelle che si riferiscono ai sali monoclini, perchè si tratta qui di apprezzare delle differenze, anzichè delle eguaglianze di tensione. L'espe- rienza, anche in questo caso era’eseguita ponendo in una boccia del tensimetro alquanto solfato ferroso e nell’ altra il sale misto. Mantenuto il termostato a 16°,4 per almeno 24 ore, si ripeteva la misura sostituendo al solfato ferroso (*) Hollmann, Zeitschr. f. phys. Chemie. 37, 195. Cfr. Bruni, Feste LOsungen u. Isomorphismus, pag. 15 e nota 23. Re — 277 — il solfato di zinco, e i risultati dovevano coincidere, almeno dentro certi limiti. I valori riportati nella tabella sono la media di parecchie determi- nazioni. Le letture si facevano con un buon catetometro Soleil. Gli ultimi numeri sì riferiscono ai sali misti compresi nella lacuna di miscibilità, co- stituiti dunque da una miscela di cristalli delle due forme, rombica e mo- noclina. TABELLA III. (Fe SO, , 7 H,0) °/ Differenza di tensione nel sale misto in mm. di paraffina (dA = 0,80) 1,74 1,7 3,01 4,17 4,26 4,56 7,83 0,65 9,99 6,75 14,60 9,2 IG 8,6 24,3 8,9 29,76 8,6 La conseguenza che si può trarre immediatamente da queste misure e da quelle riportate nella Tabella II è che la quantità relativa dei due solfati nel sale misto influisce sul grado di idratazione della soluzione solida che prende origine dal processo dissociativo. Ma il fenomeno non è continuo: i sali rombici solo dànno luogo a una fase solida la cui idratazione non può essere determinata. La discontinuità nella curva di tensione permette di con- cludere che questo prodotto della dissociazione è una soluzione solida. Sismologia. — Su! violento terremoto a Zante nel pome- riggio del 24 gennaio 1912. Nota di G. AGAMENNONE, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. Sebbene fino ad oggi siano pervenute, e soltanto per mezzo dei gior- nali politici, poche notizie su questo nuovo disastro che viene a colpire così inaspettatamente la bella isola di Zante alla distanza di soli 19 anni dal- l’ultimo e terribile periodo sismico che si scatenò nel 1898 sulla disgra- ziata isola, pure credo utile di riferire senza ritardo sulle registrazioni avu- tesi in questa occasione a Rocca di Papa ed a Roma ed in altri pochi os- servatorî italiani ed esteri, di cui finora si hanno notizie precise. Premetterò tuttavia un breve cenno dei principali risultati che dal chiarissimo professore comm. A. Issel, unitamente allo scrivente, furono dedotti da uno studio par- ticolareggiato, eseguito in parte sul posto, in occasione del lungo periodo — 278 — sismico di Zante del 1893, e ciò dietro incarico del nostro Ministero di agri- coltura, industria e commercio (1). Il prof. Issel indirizzò le sue indagini alla costituzione geologica ed ai fenomeni geodinamici dell'Isola, in genere, agli effetti meccanici ed ai ca- ratteri peculiari delle scosse più notevoli durante gli ultimi parossismi, alla ipotesi più soddisfacente per l'interpretazione dei fenomeni descritti, e in- fine alle norme edilizie per impedire futuri disastri ecc. Lo scrivente sì oc- cupò principalmente della cronistoria dei terremoti di Zante e della precisa determinazione oraria delle singole scosse del periodo sismico iniziatosi fin dall'agosto del 1892, ma che cominciò a manifestare la sua violenza il 31 gennaio 1893, calcolò la velocità e l'estensione delle onde sismiche dovute alle scosse principali e indagò, infine, sulla possibile relazione tra i fenomeni sismici di Zante e quelli verificatisi in Italia nel medesimo intervallo di tempo. Il nostro esame dimostrò la poca o niuna probabilità di questa rela- zione, sostenuta appunto in quel tempo da qualche sismologo, e fece conclu- dere ad una indipendenza tra i focolari sismici italiani e della Grecia, stando almeno ai fatti conosciuti. Il ricordo dei terremoti avvenuti nel passato a Zante, quali la storia ci aveva tramandati, provò che l'isola è sempre stata bersagliata da numerosissimi terremoti e frequentemente violenti e funesti. Basti dire che il numero di tutte le scosse, da me conosciute e verificatesi dal 1825 a tutto il 1893, somma a ben 2870, cifra che deve senza dubbio costituire un minimo, se si pensi che la memoria di molte altre scosse, spe- cialmente deboli, è andata perduta, soprattutto negli anni più remoti. Nel solo anno 1893 se ne contarono ben 900! Però, mi affretto a dire che alla triste celebrità acquistata da Zante in fatto di terremoti, hanno concorso efficacemente altri centri sismici attivissimi che circondano l'isola a minore o maggiore distanza, e che nell’agire si alternano sia tra loro, sia col foco- lare dal quale dipendono i fenomeni geodinamici proprî di Zante. In quanto ad una pretesa periodicità trentennale, sostenuta da qualcuno, con la quale ricorrono i più gravi terremoti, noi dimostrammo che non vi era su ciò nulla di sicuro; ed anche il recente disastro, verificatosi a soli 19 anni di distanza da quelli del 1893, viene a confermare vieppiù la tesi da noi allora so- stenuta. Arrestandoci al terribile periodo sismico del 1893, come quello che per opera nostra fu il meglio studiato in confronto di tutti gli altri precedenti, si ritenne probabile che l'epicentro fosse situato in mare ad una distanza d'una diecina di chilometri a sud-est della punta più meridionale dell'isola. Tra le innumerevoli scosse. le più violenti furono indubbiamente quelle del (1) A. Issel e G. Agamennone, Intorno ai fenomeni sismici osservati nell'isola di Zante durante il 1893 (Aun. dell’Uff. Centr. di Met. c Geodinamica, vol. XV, parte 1%, 1893, pag. 65). — 279 — 81 gennaio e 17 aprile 1893. La scossa del 81 gennaio fu fortissima alle isole Strofadi verso il sud, si propagò più o meno sensibile a tutta la parte occidentale della Morea e fino a Navarrino e Calamatta, rispettivamente a c. 120 e 140 Km. SE da Zante; verso oriente fu sentita a 7r/politza (Km. 135) nell’ Arcadia, ma passò inosservata nell’ Argolide. Sembra tuttavia che sia stata avvertita, sebbene lievissimamente, da qualche persona ad Atene (Km. 250). Verso settentrione si estese debolmente fino a Corfù (Km. 220), ma non fino a Valona nell’ Albania; e verso occidente si pro- pagò debolissima fino a Catania (Km. 515). Sotto forma microsismica si estese ben più lungi, facendo funzionare i sismoscopî di Mineo (Km. 550) e di Benevento (Km. 645) e perturbando il sismometrografo di Roma (Km. 850) ed i pendoli orizzontali a registrazione fotografica di Micolaziew (Km. 1360) e di Strasburgo (Km. 1600). L'altra scossa del 17 aprile fu certamente alquanto più intensa, non solo a giudicare dalle maggiori rovine prodotte a Zante e dal fatto che questa volta fu con tutta certezza sentita ad Afeze e meglio avvertita a Catania, tanto che ne fu persino destata qualche persona, ma anche perchè le onde sismiche fecero agire in Italia i sismoscopî di altri tre Osservatorî, e cioè quello di Ceccano (Km. 770), quello Ximeniano di renze (Km. 940) e quello di Padova (Km. 1120), ed inoltre all'estero rimase perturbato anche il magnetografo di Potsdam (Km. 1730). Per quanto non si posseggano ancora notizie particolareggiate sulla re- cente catastrofe di Zante, è da ritenersi tuttavia, e noi lo speriamo di gran cuore, che la medesima sia stata minore di quelle avvenute nel 1893, e ciò in seguito alla considerazione che questa volta la scossa non ebbe neppure la ripercussione sulla costa orientale della Sicilia. E se i giornali politici hanno accennato anche a disastri verificatisi nella Tessaglia, deve certamente trattarsi di altre scosse affatto indipendenti da quella che colpì Zante nel pomeriggio del 24 gennaio (1). X x x Passo ora a far conoscere qualche dato fornito dagli strumenti del R. Osservatorio geodinamico di Rocca di Papa, da me diretto, e dal sismo- grafo che funziona in Roma, sotto la mia sorveglianza, nell'atrio del R. Uf- ficio Centr. di Meteorologia e Geodinamica al Collegio Romano. A Rocca di Papa s’ebbero più o meno vistosi sismogrammi da quasi tutti gli apparati registratori e specialmente dai due microsismometrografi, i quali concordemente diedero 17% 24M 585 (tempo medio dell'E. C.) per l'inizio dei primi tremiti preliminari. Funzionarono anche numerosi e sva- () Non è improbabile che la scossa in Tessaglia sia in relazione con le importanti registrazioni sismiche avutesi negli Osservatorî italiani ed in altri d'Europa la sera del giorno successivo, cioè del 25 gennaio. — 250 — riati sismoscopi, dei quali i più sensibili scattarono pochi secondi dopo, fa- cendo entrare immediatamente in azione i registratori a grande velocità, e dando il segnale d'allarme. L'inizio della registrazione avvenne nel sismo- grafo di Roma a 17% 25% 58; ma, a causa d’una sensibile agitazione mi- crosismica in cui si trovava in quel giorno lo strumento, e specialmente a causa della minor potenza del medesimo, non è da escludere che i pri- missimi ed ancor più deboli tremiti siano stati mascherati per qualche se- condo. Il sismogramma ha durato circa una mezz'ora e le penne scriventi hanno raggiunto in una componente un’elongazione massima di ben 4°9°, seb- bene l’ingrandimento delle leve amplificatrici sia appena di 30:1 (2). Fino ad oggi scarsi sono ancora i dati orari definitivi pervenuti da altri Osservatorî italiani all’ Ufficio Centr. di Met. e Geod. e che sono stati posti gentilmente a mia disposizione dal chiarissimo prof. Palazzo; si tratta del- l'Osservatorio di Mileto presso Monteleone in Calabria e di Mireo in pro- vincia di Catania. In quanto all’estero, conosco finora le ore di due soli Osservatorî e cioè di Agram o Zagabria in Ungheria e di Jugenhesm presso Darmstadt in Germania. Ordinando queste località, insieme a Roma e Rocca di Papa, secondo la loro distanza da Zante, abbiamo la seguente tabella: Distanza Inizio Località da della Zante registrazione Mileto MI O in 150 che 17 24m 168 Mineo er o 990 c. 17 20 48 IROccaRdi ga paie0. A 830 c. 17 24 58 ROMA Me 850 c. VA 50060 INCA, O SV II A ON 960 c. 17 25 18 Jusenheimif a) A o 1660)co 17 26 40 Sebbene i dati siano assai scarsi, pur tuttavia essi permettono di for- marsi subito un'idea abbastanza precisa sulla velocità superficiale, o appa- rente, delle onde sismiche. Naturalmente, non potendosi conoscere l'ora esatta di Zante o per lo meno di qualche altra località prossima all’epicentro, e neppure quella di Atene, siamo costretti nei nostri calcoli a combinare due a due, tra di loro, i dati posseduti, non volendo adoperare il metodo de' minimi quadrati, sia per amor di brevità nel calcolo, sia perchè si tratta di pochissimi dati, sia infine per giudicare a colpo d'occhio dell'entità delle discordanze nei singoli risultati. Tengo a dichiarare che l’ora di Mileto può ispirare fiducia, anzitutto perchè in detta località il tempo è determinato (1) Due altri sismografi, consimili a questo di Roma, installati l’uno alla Badia di Montecassino e l’altro all'Osservatorio « Moris » in Massa Marittima, hanno pure dato sismogrammi vistosi; ed è probabile che altrettanto sia stato di due altri sismografi con- simili che funzionano negli Osservatorî di Bezevento e Chiavari. — 281 — da uno strumento de' passaggi e poi per la bontà degli strumenti posseduti, affidati all'abilità di uno zelantissimo direttore. Disgraziatamente non può dirsi questa volta altrettanto dell'ora di Mineo, la quale è senza dubbio manchevole per qualche equivoco o nella correzione dell'orologio o nel rile- vamento dell'ora sullo stesso sismogramma; ed è per questo che noi dob- biamo metterla in disparte al pari di quella di Roma, la quale, per le ra- gioni sopra esposte, non può aspirare alla precisione di quella ottenuta nella vicinissima Rocca di Papa. Ecco le velocità che si ottengono col combinare, due a due, le restanti 4 località: Km. 1660-4350 Km. 1230 Jugenheim Mileto, = Km. 8,54 c. al secondo 1448 ni 1448 ; Km. 960-430 Km. 530 Agram-Mileto, eroi 06 e 8,55 c. ” À 3 Km. 830-430 Km. 400 Rocca di P.-Mileto, TE sec 9,52 c. ” 6 È Km. 1669-830 Km. 830 Jugenheim-Rocca di P., eo Mie = > 8,13 c. ” 9 = e Agram-Rocca di P., eo = Rini o = » 6,50c. » 208 208 î Km. 1660-960 Km. 700 Jugenheim-Agram, —Uep n * 8,54 c. ” Questi valori, la cui media aritmetica è di c. Km. 8,3, sono abbastanza concordanti tra loro e indicano chiaramente che la velocità superficiale di propagazione, a partire almeno da una distanza di Km. 430 dall'epicentro, sì è mantenuta costante o quasi, se si pensi all’inevitabile incertezza di qualche secondo in taluni Osservatorî (*). E poichè ogni singolo valore, da noi trovato nelle combinazioni eseguite, ispira tanta maggiore fiducia quanto più notevole è la differenza delle distanze delle località accoppiate dall’epi- centro, così potremo avere un risultato assai vicino al vero, attribuendo ai singoli valori trovati per la velocità un peso proporzionale alle dette diffe- renze. Si avrà quindi: Km Km Km Km Km Km 8,54 X 123 + 8,18 X 83 + 8,54 x 70 +-8,55 X 53 + 9,52 40+6,50X 13 _ 123+ 834 70+ 53+ 40+ 13 3241,46 a 3 == . 8,49 . GET O (4) Riportando sopra una carta millimetrata i dati orarî di tutte e sei le località, da noi prese in considerazione, si trova infatti che i punti corrispondenti relativi a Mi- leto, Rocca di Papa, Agram e Jugenheim, sono quasi in linea retta, dalla quale sì di- scosta pochissimo quello di Roma ed enormemente quello di Mineo. — 282 — Questo valore è pochissimo diverso dalla media aritmetica (82,3 c.) sopra trovata. Possiamo dunque concludere che, in base ai dati finora pos- seduti, la propagazione superficiale delle onde più veloci, costituenti l’inizio dei varî sismogrammi, s'è fatta con la velocità di quasi 8Em + al secondo. * *Ox Richiamo ora l’attenzione sul fatto notevole che questa cifra è quasi tripla di quella (Km. 3 !/3) che venne fuori dai miei calcoli sulla velocità delle più ragguardevoli scosse del periodo sismico del 1893 (1). Quale la ragione di questo enorme disaccordo ? La risposta è molto semplice, se si pensi alla sensibilità che, un ventennio indietro, avevano i migliori strumenti dei pochi Osservatorî sismici europei, e quella degli attuali sismografi. Nel 1893 la più parte degli Osservatorî italiani possedevano soli sismo- scopî e generalmente di limitata sensibilità; e quand'anche i medesimi fos: sero stati assai delicati, è pur dubbio che il loro funzionamento potesse corrispondere al passaggio delle prime debolissime, ma velocissime, onde sismiche. Negli Osservatorî geodinamici poi di primo ordine, quali Rocca di Papa, Ischia e Catania, erano istallati, è vero, dei sismometrografi « Brassart » ; ma la loro potenza era limitatissima, tenuto conto della loro modesta massa (Kg. 10), tanto che nelle prime due località non diedero alcuna indicazione, e nell'ultima lasciarono soltanto lievi tracce sotto forma di deviazioni, ciò che attestava un grande attrito di registrazione. Diede cer- tamente migliori risultati il mio sismometrografo che funzionava allora sotto la mia sorveglianza in Roma sulla torretta del Collegio Romano; ma sì trattava di un pendolo verticale di soli 6 metri di lunghezza, gravato di un peso d’appena 75 Kg. il quale non permetteva che un assai modesto ingrandi- mento. All'estero poi non funzionava allora che qualche pendolo orizzontale « Rebeur-Paschwitz » a registrazione fotografica la cui sensibilità anche per lievissime e lente inclinazioni del suolo era veramente straordinaria, ma an- cora troppo limitata per vibrazioni piuttosto rapide del medesimo, quali si hanno nella fase preliminare dei sismogrammi. È dunque evidente che i dati orarî utilizzati nel 1893 non potevano riferirsi al passaggio delle prime onde velocissime e forse neppure delle suc- cessive che oggi diciamo costituire la 2° fase preliminare. Probabilmente avranno coinciso coll’ iniziarsi della fase cosidetta principale e cioè ad una distanza più o meno notevole dal massimo. A tal proposito mi piace di ri- cordare che già nella prima delle mie due Note, testè citate, io aveva preveduto che la velocità calcolata sarebbe risultata ancora più grande man (®) G. Agamennone, Velocità di propagazione delle principali scosse di terremoto di Zante nel recente periodo sismico del 1893 (Rend. della R. Acc. dei Lincei, seduta del 17 dicembre 1893). — Alcune considerazioni sulla velocità di propagazione delle principali scosse di terremoto di Zante nel 1893 (Ivi, seduta del 15 aprile 1894). — 283 — mano che la potenza degli strumenti si sarebbe accresciuta. E su questo punto tornavo con maggiore insistenza nel 1897 in altra mia pubblica- zioue (*), il cui scopo precipuo era di confutare il risultato a cui era per- venuto il compianto dott. Rebeur-Paschwitz anche per le scosse di Zante del 1893, e cioè che la velocità superficiale dovesse andare considerevol- mente aumentando colla distanza dall'epicentro. La notevolissima discordanza tra il valore della velocità dedotta per le scosse del 1893 e quello che vien fuori per la scossa avvenuta da pochi giorni nell'isola di Zante, viene ancora a confermare la giustezza del mio modo di vedere espresso fin dal 1897 contro l’altra opinione del Rebeur- Paschwitz, che cioè iu occasione delle scosse di Zante del 1893 le ore del principio delle perturbazioni determinate nel suo pendolo orizzontale; ‘istal- lato a Strasburgo, rappresentassero verosimilmente il passaggio delle ‘primis- sime onde sismiche, e che anche con istrumenti, dotati d'una sensibilità grande quanto si voglia, si sarebbero ottenuti gli stessi risultati. Chimica agraria. — Sulla composizione chimica dell'embrione del riso('). Nota di Lurci BERNARDINI, presentata dal Socio E. PA- TERNÒ. Un contributo importante allo sviluppo della Chimica agraria e della Biochimica vegetale in particolar modo, è stato portato dalle numerose ri- cerche eseguite sulla composizione chimica delle diverse parti della pianta. Fra i diversi organi della pianta il seme è stato quello più studiato: e ciò è naturale, se si considera l'importante significato fisiologico ed agrario che ha quest'organo; ma, se la composizione chimica dei semi della massima parte delle piante verdi può dirsi ormai conosciuta, attualmente mancano ricerche sulla composizione chimica dell'embrione, sebbene la conoscenza della com- posizione chimica di quest’organo, in cui è il germe della pianta futura, abbia un'importanza, per la biologia del vegetale, maggiore di quella del semo. | La mancanza di ricerche sulla composizione chimica dell'embrione deve essere ricercata esclusivamente nella difficoltà di poter separare intatto que- sto organo dal seme in quantità sufficiente per l'indagine chimica. Ora, poichè dai prodotti della lavorazione del riso l'embrione del seme può essere otte- (*) G. Agamennone, /nfluenza della diversa qualità e sensibilità degli strumenti sulla misura della velocità delle onde sismiche (Boll. della Soc. Sism. Ital., vol. II, anno 1896, pag. 203). |’ NET i (®) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica agraria della R. Scuola Superiore di agricoltura, in Portici. RENDICONTI, 1912. Vol. XXI, 1° Sem. 37 — 284 — nuto in quantità notevoli, ho eseguito alcune ricerche sulla composizione chimica dell'embrione del riso. Il riso, per giungere a quel grado di lavorazione che le esigenze com- merciali richiedono, ha bisogno di una serie successiva di operazioni che hanno per scopo di liberare dei suoi rivestimenti il seme del cereale. Du- rante queste operazioni l'embrione è distaccato dal seme, e insieme ai detriti. del rivestimento va a costituire quel sottoprodotto, che, dopo macinazione. è posto sul mercato col nome di pula di riso. Dal miscuglio di embrioni e detriti del rivestimento del seme, l'embrione può essere separato intatto con una semplice crivellazione e ventilazione sotto forma di piccole sfere legger- mente appiattite e piriformi, del diametro di circa un millimetro. In queste ricerche, essendosi. riscontrato nell'analisi chimico-sommaria dell'embrione una straordinaria ricchezza in fosforo e in ceneri, ho dedicato la mia attenzione alla determinazione del fosforo nelle sue diverse combina- zioni organiche e inorganiche e alla determinazione degli elementi costituenti le ceneri. Nell'embrione ridotto in farina si è quindi proceduto sistematicamente all'estrazione e alla determinazione del fosforo di quelle combinazioni fosfo- rate che normalmente sono contenute in un organo vegetale, e cioè del fo- sforo fosfatidico, di quello della fitina, di quello nucleinico e di quello dei fosfati minerali. Lo stesso si è fatto per il seme di riso completo, seme con perisperma ed embrione, liberato cioè semplicemente dalle glume e glumelle. Come è ben noto, da Schulze e Winterstein (*) vengono oggi designati col nome di « fosfatidi » quelle sostanze organiche fosforate e azotate che per proprietà fisiche e di solubilità rassomigliano alle sostanze grasse: sotto questo nome vengono perciò comprese le lecitine e quelle sostanze di natura non ancora definita, che, ritenute combinazioni di lecitina con altre sostanze, vennero dette « lecitani » o «lecitidi ». La « fitina » è una sostanza orga- nica fosforata non azotata, insolubile in etere, alcool ed acqua, ma solubile in acido cloridrico molto diluito: questa sostanza, intravista da Pfeffer nei globoidi dei granuli di aleurone, studiata più tardi da numerosi ricercatori, sarebbe, secondo Posternak (?), il sale calcico-magnesiaco di un acido anidro= ossi-dimetilen-difosforico OH ci —0— PO<0H Saas dl Lo OH CH°—0 PO<0H secondo invece Winterstein, Neuberg, Susuki, Yoshimura e Takaishi, Contardi (1) Vedi: Phosfatide di Schulze e Winterstein, in Handbuch der Biochemichen Arbeitsmetoden, di E. Abderhalden (1909). (*) Posternak, Compt. rend., I, 137 (1903). — 289 — ed altri (') sarebbe invece il sale calcico-magnesiaco di un etere esafosforico dell’ inosite cH—0—pPo +; «GAI 0 ce Se Bruschi. Attività enzimatiche di alcuni funghi parassiti di frutti (pres. dal Socio Cuboni) » Basile. Sulla Leishmaniosi e sul suo modo di trasmissione (pres. dal Socio Grasse) (*) . » E RO e n e NT » (®) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. 235. 244 246. 251 259 265 272. 207 288. 290: 295 298. 304 Pubblicazione bimensile. Roma 3 marzo 1912. N. bi > AROC O REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO: COGI 1912 SE Q Udi A. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3 marzo 49412. Volume XXI. — Fascicolo 5° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1912 —_WcrgG6GGgG66È6rÈTiÉbE-.Pr.PFrrtltPPPr_P——tl1t'’rrru kr ec 0601 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serte quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono lenorme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell® Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblior, nell” ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DANN Seduta del 3 marzo 1912. P. BLASERNA Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Su gruppo automorfo delle forme ternarie quadratiche suscettibili di rappresentare lo zero. Nota del Socio Luici BIANCHI. 1. Si sa che il gruppo automorfo di una forma ternaria quadratica inde- finita, suscettibile di rappresentare lo zero, tradotto in un gruppo Fuchsiano col principio di Poincarè (1), dà luogo in ogni caso ad un gruppo commen- surabile col gruppo modulare (?). Scopo principale delle osservazioni seguenti è di far conoscere, nel caso di forme a determinante 4 dispari e privo di fattori quadrati, una forma particolarmente semplice delle sostituzioni di siffatto gruppo, ove i coefficienti sono resi tutti interi ed il modulo della sostituzione percorre i varî divisori di 4, o questi divisori duplicati. La commensurabilità col gruppo modulare risulta così d'immediata evidenza, e sì può inoltre calcolare subito l’area £ non-evclidea del poligono fondamen- tale del gruppo. Questo mi porge l'occasione di addurre una formola più generale che, sempre nel caso di 4 dispari 6 privo di fattori quadrati, as- segna l’area £ del poligono fondamentale pel gruppo automorfo di una forma qualunque (di qualunque genere). (!) Les fonctions Fuchsiennes et l’Arithmétique, Journal de Mathématiques, ser. 4, tom. III (1887). (°) Vedi. Fricke-Klein, Automorphe Functionen, Bd. I, pp. 502 e seg. RenpiconTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 40 — 306 — L'area £ del poligono fondamentale sembra invero sostituire opportu- namente, per forme indefinite, il concetto di densità dovuto ad Eisenstein per una classe di forme definite. Di siffatta estensione del concetto di densità e delle formole relative trovasi già un accenno nei celebri lavori di Minkowski (*). 2. Indichiamo con ]ee 23 k i, una forma ternaria aritmetica (a coefficienti interi), che supponiamo indefi- nita ed a determinante 4 positivo. Indichiamo ancora con F(w1,%2,%3) = D Ani Cr Da la sua forma aggiunta, e facciamo inoltre uso delle notazioni JE n ili U) k 1.DI Fai=5 ae > A;n x. 1 k Per ottenere tutte le sostituzioni ternarie Cri Cia C13 (1) Cor C22 l23 C31 C32 C33; del gruppo aritmetico automorfo della forma fra, Si deve procedere, come è noto, nel modo seguente (?). Prendansi tutte le quaderne P,% 92,93 di numeri interi primi fra loro che soddisfano equazioni del tipo (2) p+ F(91 92,93) =D, dove e può essere l’unità positiva o negativa, e P percorre tutti i divisori (1) Debbo queste informazioni alla gentilezza del prof. J. Sommer. Cfr. nelle opere di Minkowski i due passi seguenti: Veber positive quadratische Formen, BA. I, pag. 153; Discontinuititsbereich fiir arithmetische Aequivalenz, Bd. II, pp. 54 seg. (9) Vedi Bachmann, Die Arithmetik der quadratischen Formen, Ter Abschnitt, 468 Cap. — 307 — di 44. I coefficienti c,, delle sostituzioni (1) del gruppo automorfo sono allora dati dalle formole seguenti: P.cu=p°—F(91,92, 93) + 2042 lg — 2993 2 + 291 Fa, (3,) È Ge = 29» 433 — 2p93 023 + 24» Fa, P.ca= 2993 d3° — 2Pg93 d32 + 293 Fa, P.c,== 2093 dn — 2pg9i 3 + 291 Fg, (32) P.cs =p° — F(q1, 92, 92) + 2p9s do — 2p9n 023 + 292 Pa, P.cg= 2Pq3 ag, — 2Pg1 933 + 293 Fa, Gaia 2Pq: Uno — 2pgo dn + 2491 Fa ac, (33) .C3= 2PQ: Goo — 2995 don + 29» Fg, P. 633 =p° — E(91 392,43) + 2991 02» — 2pg» ar: + 293 Fa - I numeri p,91,92,9: sono poi da assoggettarsi, oltre che alla equa- zione (2), alle condizioni (congruenze mod P) le quali esprimono che i va- lori dei coefficienti c,, dati da queste formole (3) riescono interi. Fra le sostituzioni del gruppo automorfo sono da distinguersi quelle con e=-+1, che diciamo di /° specie, da quelle con #=—1 di 2° specie; nelle formole (3) esse si distinguono per ciò che le prime sono scritte con determinante + 1, le seconde con determinante — 1. Geometricamente queste sostituzioni dànno collineazioni del piano che trasformano in sè medesima la conica /xx=" 0, e le due specie differiscono per ciò che nella prima specie la proiettività subordinata sulla conica è concorde, nella seconda discorde. 3. Suppongasi ora che il determinante dispari 4 sia privo di fattori quadrati e inoltre per la forma /xy sia rappresentabile lo zero. Le forme di questo tipo costituiscono, come si sa, una sola classe e sono per ciò tutte equivalenti alla forma tipica Qxd3 — dr. Non sarà fuor di luogo osservare che questo teorema, caso particolare di risultati generali dovuti ad A. Meyer, si può già stabilire col primo pro- cedimento di riduzione di cui si è servito Gauss nelle Disquisitiones Arit- meticae (art. 272) per dimostrare che è finito il numero delle forme di un dato determinante. Poichè la forma fx rappresenta lo zero, possiamo sosti- tuirla con una equivalente, in cui sia nullo il primo coefficiente VARI 0 — 308 — Applicando a questa una sostituzione del tipo 0 T® Td 0 «a Oa) con a,f,y,0 interi e ad — #y= 1, e prendendo @,y per modo che sia Mea + dagy=0, risulterà nella trasformata /' dii =0 9 da (0 Possiamo dunque già supporre in f Ai == 0 9 Cig = 0 9 onde avendosi d=— a». aîz ’ ed essendo per ipotesi / privo di fattori quadrati, sarà Gee == ll 9 0g=—d. Senza alterare la generalità, potremo supporre 413 = +1 (cangiando nel caso contrario i segni di x,,%3); così Oi 5 = 0) , oi5= dl , Go=—A. Dopo ciò eseguiamo una sostituzione del tipo , »Y È» 1 1,a 0,1 0,0, con @,f#,y interi arbitrari; per la forma trasformata /' avremo an =0 9 ai = 0 ’ ag=1 9 ag=—d ag=4g +a— 4y , a33 = 433 — dy° + 28 + 2as3y. Ora, se 433 è pari, pongasi y=0 , a=— 4% , iii, e quando 433 è invece dispari ‘id—-a yg=1l, a=4—- 03 , B=—ag8+ — = — 309 — così in ogni caso avremo anche 493 = 0 ’ 33 =0 e la forma proposta sarà trasformata nella equivalente f=2%,%3 — dai, come si voleva. 4. I gruppi automorfi di forme equivalenti essendo simili, basterà ri- cercare il gruppo della forma 2 X1Xg3 — 4x3 . Applichiamo per ciò le formole generali (3) del n. 2, osservando che qui F=24x,x3— 23. La (2) diventa (4) PH 24qgga — g= eP e le (3) ci dànno | Pen=(pP+%) Peir=24q:(P+ 92) , Pos = 24% (5) | Pen=—29:(P+-92) , Peo=2(p°—q)—eP , Pers =29s(P— gr) Pea, = 24gî , Pesî=—-249:(P— 92) ’ Pes =(p— 90). Il numero P, che in generale doveva percorrere i divisori di 44, qui dovrà limitarsi a percorrere i soli divisori di 24, poichè se P fosse divisi- bile per 4 non potrebbero riuscire interi i coefficienti c;x con Pi%,92, 43 primi fra loro. E infatti se P è divisibile per 4, i valori dati dalle (5) per C11 3 €33 €13, €31 Saranno interi solo quando siano pari Pt, P_% , Dda D'altronde dalla (4), scritta sotto la forma DHT 0° P_ la di IE 2 NI E, > |tg b) dacchè d divisore di 4 è dispari, risulterebbero dispari PAID ao Seli :2: Bi e per ciò pari p, 9», che non sarebbero dunque primi con Q13 43 è Dunque deve essere P un divisore di 24, e se indicheremo con A=r.s — 310 — una qualunque decomposizione di 4 nel prodotto di 4 di due fattori, i va- lori di P saranno della forma P=2%.r, con 4=0, oppure 4=1. Si osservi ora che dalle formole (5) per c, €33 risulta che p+ gs; p— q2 debbono essere divisibili per 7, ed inoltre pari quando A=1; così poniamo PA dario Dr did con @,d interi, che saranno inoltre ambedue pari quando 4=1. Se po- niamo ancora per simmetria n=Y , 9=f; saranno @,$,y,9 quattro interi legati dall’unica relazione (6) rad + 2sfy = e . 2> (V_095,10) e inoltre dalle congruenze (6*) a=0d=0 (mod 2) quando 4= 1. Così effettivamente i nove coefficienti c;; riescono tutti interi e presen- tano lo schema seguente: ra? x ì ZIA4aB 1 2IAsp? (7) — Qaay , 2arad — e , 20 rd? Da Se E esi VAS ay ; Di Si osservi ora che se Xà=0 risultano @,d per la (6) necessariamente dispari e nello schema (7) i coefficienti della diagonale principale sono dispari, gli altri tutti pari, sicchè la sostituzione soddisfa alla congruenza (mod 2) | (a) Car Cor Cl23 1 00 0 1 0} (mod 2) (0): C31 €32. €33 OO Quando invece Z4=1, allora @,d sono pari per la (6*), indi per la (6) B,y dispari; i coefficienti della diagonale secondaria sono dispari, gli altri tutti pari, cioè ORRORE (a*) Co Ca CE 0 1 0 4 (mod 2). TI OMO — sSLl — Le sostituzioni del gruppo automorfo della forma 2): — 44? soddi- sfano dunque di necessità o alla congruenza (4) o alla (a*), come è facile dimostrare anche con considerazione diretta. Manifestamente quelle del tipo (a) formano un sottogruppo invariante d’indice 2. 5. Traduciamo ora il gruppo ternario (7) di collineazioni della conica 24,43 —4&;3=0 in sè in un gruppo Fuchsiano, secondo il principio di Poincarè (metrica del Cayley). Per questo riduciamo in primo luogo, colla sostituzione di variabili 2% =% ’ a V4=y , Ho =Ys3 la forma 2,3 — 4%} alla forma canonica YY3z3 — VE . Le sostituzioni del gruppo a/gedrico riproduttivo di questa forma sono date da yi = A*y, + 2ABy» +-B?% (8) y°= ACy: + (AD + BO) ya + BDy; ys= C*y + 20Dy: + D°%, dove A,B,C,D sono costanti reali, con determinante AD—-BC=+#+1 per collineazioni di 1 specie, e i AD-BC=—-1 per collineazioni di 24 specie. Queste sostituzioni significano movimenti, o movimenti e simmetrie, della metrica Cayleyana e tradotte in sostituzioni lineari sulla variabile com- plessa 2, o rispettivamente sulla coniugata zo, diventano ISS Az ala) = a 7 # &5oG; pè AD_-BC=+1 (1° specie) o = Act B Se e * g= nen AD—-BC=—-1 (1° specie). Se scriviamo la (8) nelle primitive variabili x, abbiamo pesa B? ai= Az + ABVA x, +72, 2AC BD 2 VA 1 - ( + ) 2 + VA 3 xi=2C°x, + 20DV4x,+ D?z;, — 312 — e, paragonando collo schema (7), ne deduciamo i corrispondenti valori di A,B,C,D, a meno di un cangiamento simultaneo di segno, cioè EA or __2BVs ; VV Lat V2 yVs dr de — , Da o Sostituendo nelle formole (9), e cangiando le variabili 4,4' rispettiva- mente in eV4,8V 4, otteniamo la seguente semplice forma delle sostitu- zioni del nostro gruppo Fuchsiano di ra.3 4 2Î () dogma) (A=0,1) (1*) eri , rad + 2spy = 2% (4=0,1) (0) colla condizione a=@=0 (mod 2) se Z=1. Qui ricordiamo che 7,s devono percorrere tutte le coppie corrispon- denti alle decomposizioni di 4 d=rs nel prodotto di due fattori. Come si vede, le sostituzioni del gruppo hanno acquistato tutte coeffi- cienti interi e determinante = © 2*r ('). Indichiamo con G il gruppo (Fuchsiano) di tutte le sostituzioni (V), con I il sottogruppo, invariante d'indice 2, corrispondente a Z=0, in fine con H quell’ulteriore sottogruppo di I° che si ottiene prendendo le sole so- stituzioni con 7= 1. Le sostituzioni di H hanno la forma ,__aa428 SI H) i-T ge , ad+248y=1, (1) Che le sostituzioni della forma (1), (I*) formino gruppo si accerta con facilità direttamente. Si osserva che, componendo due tali sostizioni corrispondenti alle decom- posizioni A=rs , 4=r"s3, la composta ha ancora la forma (I) o (I*), e corrisponde alla decomposizione dl —_ ps”, essendo a il massimo comune divisore di x, r”. VIS MRO dove r"= nn — 313 — ed H coincide manifestamente con quel sottogruppo congruenziale (0) del gruppo modulare M, che è definito da 5=0 (mod 2) cec=0 (mod 4). È facile valutare l'indice di H in 7 ed in G: poichè se 4 è il pro- dotto di n fattori primi diversi d= Pi Pa Pns l'indice di H in 7° è dato dal numero dei divisori di 4 ed è quindi =2"”, onde l'indice di H in G è dato da 2"+!. Così pure si determina subito l'indice di H nel gruppo modulare, che è dato da RE 755240 Se indichiamo poi con Go, Ho, My i rispettivi gruppi ampliati da G, H,M mediante la riflessione 2 = — 4, (cioè col considerare insieme alle (I) anche le (I*)), sarà H, sottogruppo comune di G,, M, ed avrà nel primo l'indice = 2"+! e nel secondo l'indice dato da 3(+1) (+1). (pa +1). Così è posta perfettamente in evidenza la commensurabilità del gruppo au- tomorfo per le forme ternarie suscettibili di rappresentare lo zero col gruppo modulare. , 6. Una forma ternaria indefinita qualunque / ha un gruppo automorfo infinito, al quale appartiene, nella metrica del Cayley, un determinato po0/t- gono fondamentale. Se, per fissare le idee, prendiamo = — 1 la curvatura della metrica iperbolica del Cayley, l’area £ del poligono fondamentale è perfettamente determinata. Il valore di @, che è un attributo comune a tutte le forme della classe C di /, si assumerà come misura della densità della classe. Questo si giustifica colle osservazioni seguenti. Le forme della classe C si ottengono applicando ad / le infinite sosti- tuzioni ternarie unimodulari, ma ciascuna forma si trova ripetuta un numero infinito di volte, corrispondentemente alle infinite sostituzioni del gruppo automorfo, cioè ai singoli poligoni equivalenti della rete in cui le sostitu- zioni del gruppo dividono l'interno della conica assoluto. La classe 0 è dunque da riguardarsi tanto più densa in forme quanto più è ristretto il gruppo, vale a dire quanto più grande è l’area £ del poligono fondamentale. ReNDICONTI, 1912. Vol. XXI, 1° Sem. 4] — 314 — Sembra dunque naturale di assumere come misura della densità della classe. Tornando ora alla forma annullantesi 2Ax1%3 — di è facile valutare qui 2, o come sceriveremo £,, per significare l'area del poligono fondamentale di Go ('). Poichè H, è sottogruppo d’ indice 2**! in Go, sarà 1 La = ato ca gm+l ed essendo d'altra parte H, sottogruppo d'indice 3(p1+-1) (pe +1). (pa 41) nel gruppo modulare ampliato Ms, sarà O, = 31 +1 @:+1)- (pu+1) Lo va Ma il triangolo fondamentale di M, ha, come è ben noto, gli angoli 0, 3 Il 1 IT Qu=n(1-3-3)= 5: e sostituendo abbiamo per la densità cercata 9 onde (11) o=3 (+1) (+1) (Pet D) Questa formola, così stabilita per via elementare, non è che un caso particolare delle formole che dànno la densità @ per una classe qualunque di forme ternarie indefinite, analoghe alle ben note di Eisenstein per le forme definite. Così per es. se supponiamo soltanto che il determinante 4 sia dispari e privo di fattori quadrati: 4=P Pa, Pa è noto che esistono 2” generi corrispondenti alle possibili determinazioni dei caratteri Di >) Pe i 000) Pu o) (1) In generale per un gruppo qualunque K indicheremo con x l’area del poligono fondamentale. — 315 — e in ciascun genere esiste una sola classe. Introducendo ancora il carattere supplementare o derivato bel). leggi la. densità della classe (area del poligono fondamentale) è data dalla formola oe Quando la classe è quella delle forme suscettibili di rappresentare lo zero, tutti î caratteri sono eguali a +1 e la (III) si riduce alla (II). La dimostrazione della formola (III) e delle analoghe nel caso generale si può trarre dalle citate ricerche di Minkowski, applicando i metodi analitici di Dirichlet. Qui ci limiteremo ad osservare che nei dieci esempî di poligoni fon- damentali calcolati da Fricke per forme nor annullantesi, da. pp. 554 a 565 del 1° volume delle Automorphe Funetionen, la formola (III) dà esattamente l’area del poligono corrispondente. Così per es. per la forma f=3zi— 5xf — x} si ha d=15 , F=5xi—3z3— 154? — F — 5 o=7) 5 p,=3d o Pa=" 5 a ai indi E=—1 e Ja (III) da Il poligono fondamentale, calcolato da Fricke, è un quadrilatero con £ o IT 3 tre angoli eguali a DI ed uno eguale a 6: la sua area è dunque in effetto Matematica. — Sulle superficie minime cerchiate di Riemann. Nota del Socio L. BIANCHI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 316 — Chimica fisica. — Aicerche sulla radioattività delle acque sorgive del Monte Amiata ed esperienze sulla dispersione atmo- sferica della regione. Nota del Socio R. Nasini e di C. PoRLEzZA. Le ricerche sulla radioattività delle acque furono iniziate da Sella e Pochettino (*), i quali da alcune osservazioni fatte sull’acqua Marcia delle condutture della città di Roma dedussero la probabile presenza di un'ema- nazione radioattiva nell'acqua stessa. Poco dopo venivano fatte analoghe osservazioni da J. J. Thomson (?) a Cambridge e da Himstedt (?) in Germania. In seguito le misure di radioattività sulle acque andarono estendendosi specialmente in riguardo alle acque minerali, portando alla conclusione che quasi tutte le sorgenti minerali sono più o meno radioattive. Per ciò che concerne le ordinarie acque di fonte, le quali specialmente hanno importanza per le nostre ricerche, le esperienze sono in molto minor numero, ed eccet- tuata l'osservazione succitata di Pochettino e Sella, non sappiamo, per quanto è a nostra conoscenza, che analoghe ricerche siano state intraprese in Italia. Fuori di qui invece le esperienze sono state feconde di risultati copiosi e inaspettati, e ci sembra opportuno passare brevemente in rassegna le ri- cerche compiute in varie parti d'Europa sulle comuni acque sorgive, adibite sia ad uso pubblico che privato. Nel 1905 Henrich (‘) e Schmidt (*) intrapresero, e poi continuarono, numerose osservazioni su alcune sorgenti d’acqua dolce del Tauno, dalle quali emerse che molte di tali sorgenti, e altre dei dintorni di Wieshaden, erano anche più radioattive delle acque minerali omonime. In seguito F. Dienert ed E. Bouquet (°) trovarono debolmente radio- attive alcune acque potabili da loro esaminate; Mufioz del Castillo (?) riscontrò fortemente attive alcune sorgenti del fiume Lerez; i suoi dati però (10.000 volt per ora) non sono confrontabili con altri, perchè non risulta quali fossero le costanti degli apparecchi usati. Nel 1908 Repin (5) trovò fortemente radioattive le acque di Danne e alcune delle Alpi: queste ultime devono la loro attività principalmente a (4) Rendiconti Accad. Lincei, //, pag. 527 (1902). (?) Phil. Mag. 1902. (?) Ann. der Phys. 19, pag. 673 (1904). (ONZentatrtano Cha 74 Pasi (°) Phys. Zeit., 6, pag. 34 (1905), e &, pag. 107 (1907). (5) Comptes Rendus, 142, pag. 449. (7) Anales de la Soc. Espafiola de Fis. y Quim., ottobre 1907 e novembre 1907. (5) Comptes Rendus, 147, pag. 387 e 703 (1908). — 317 — radiotorio. Pure nel 1908 Hj. Sjogren ed N. Sahlbohm (') studiando la radio- attività di acque svedesi trovarono che alcune sorgenti di Stoccolma posse- devano la rilevante attività di 32 unità Mache, e che anche le acque di alcuni pozzi scavati nel granito erano fortemente radioattive (in media 22.7 unità Mache). Bamberger (°) esaminando la radioattività di parecchie sorgenti austriache, specialmente nei dintorni di Tannbach e del Semmering, riscontrò per le sorgenti più forti, un’attività anche maggiore: 47-52 unità Mache. Così pure Wellik (*) trovò radioattive le acque di alcune sorgenti di Gratz e dintorni (6.24-12.9 unità Mache) provenienti da gneis; la radioattività però oscillava a seconda delle condizioni meterologiche. Nel 1910 Artmann e Friedler (‘) eseguirono esperienze sull’acqua della città di Reichenberg e trovarono, come valore medio, 4.9 unità Mache; Dienert e Guillerd (*) trovarono notevolmente radioattive le sorgenti della Voulzie, del Durteint e dei dintorni di Provins. Miiller (°) riscontrò una attività di circa 8 unità Mache nelle acque di alcuni pozzi di Mihlhausen; J. Satterly (?) trovò radioattive le acque del Cam e della conduttura di Cambridge, riscontrando anche che tali acque contengono disciolte sostanze radioattive (oltre l'emanazione). Meritano infine speciale menzione le estese ricerche di Schiffner (3) sulle acque della Sassonia, dalle quali scaturì che in tale regione si ha un gran- dissimo numero di acque radioattive e che tra queste alcune, specie quelle provenienti da roccie uranifere, possiedono attività eccezionalmente elevate. Ora che l'efficacia di acque radioattive per scopi terapeutici è stata osservata in molti casi, sebbene sia difficile determinarne l’effetto quantita- tivo, poichè altre cause — contenuto in sali, situazione climatica, speciali metodi di cura, ecc. concorrono certamente ad ottenere i risultati osser- vati, dovevano apparirci interessanti le ricerche, che andiamo ad esporre, fatte su acque purissime, sgorganti dalla viva roccia e per di più apparte- nenti ad una regione — quella del Monte Amiata — già nota come stazione climatica saluberrima e vivificante. Le acque del Monte Amiata sono celebrate per la loro copia e per la purezza e freschezza loro, e con ammirazione ne parla già Pio II nei suoi Commentarì. Esse hanno un piccolissimo residuo fisso, che di poco supera (*) Centralblatt f. Ch., 1908, I, pag. 1084. (*) Centralblatt f. Ch., 1909, I, pag. 399. (*) Centralblatt f. Ch., 1909, I, pag. 1037. (*) Centralblatt, 1910, I, pag. 2135. (5) Le Radium, 1910, pag. 60. (6) Phys. Zeit., /7, pag. 545 (1910). (*) Centralblatt, 1910, II, pag. 1723. (8) Radioaktive Wasser in Sachsen, 1908, 1909 e 1911. — 3138 — gr. 0.1 per litro, per alcune è inferiore e scende sino a gr. 0.05 e anche meno. Una buona parte di questo residuo è costituito da silice. Questo va detto per le acque che sgorgano dalle roccie trachitiche, perchè quelle che provengono da roccie sottostanti alla trachite, pure essendo in generale eccel- lenti, sono più ricche in residuo fisso e in sali di calcio. Dalle acque del Monte Amiata è alimentata la città di Grosseto e presto lo sarà quella di Siena. Il loro studio dal lato chimico fu in gran parte eseguito dal prof. Fausto Sestini. Lo studio della radioattività delle acque del Monte Amiata si riconnette poi a varî problemi di geologia chimica dei quali è nostra intenzione di trattare in una prossima Nota. Le presenti esperienze sono state fatte sul posto durante il mese di settembre del 1911 ed hanno fornito risultati inaspettati, mostrando che moltissime delle acque che scaturiscono in quella parte della ‘Toscana sono radioattive non solo, ma che la loro attività è dell'ordine di quella delle più reputate acque minerali. Le nostre ricerche si sono rivolte anche alle roccie da cui queste acque vengono fuori; e inoltre abbiamo cercato di completarle con alcune misure di dispersione atmosferica. Prima di esporre i risultati cui siamo giunti, crediamo opportuno dare un breve cenno dei dispositivi e degli apparecchi impiegati. I. Misure riguardanti la radioattività delle acque. — Per queste esperienze usammo, introducendovi solo qualche leggera modificazione, l’appa- recchio di Henrich ('); principalmente si cercò di rendere possibili anche le misure di radioattività che non potessero eseguirsi sul posto, e a tale scopo si fece in modo che il recipiente destinato a contenere l'acqua in esame potesse, una volta raccolto il campione, venire ermeticamente chiuso (per evitare qualsiasi perdita) e al momento della misura connesso coll’apparec- chio senza bisogno di fare comunicare il contenuto coll’esterno. Il metodo seguito fu quello di Henrich, di determinare cioè accurata- mente la capacità delle singole parti dell'apparecchio e, di volta in volta, il volume del recipiente usato per contenere l'acqua e quello del campione d'acqua prelevato. Il calcolo si fece colla formula di Henrich, tenendo conto ogni volta della dispersione normale (ottenuta cioè con acqua distillata) e della radioattività indotta sulle pareti dell'apparecchio di misura. Questo era costituito da un elettroscopio Elster e Geitel della capacità di 145 cm. con campana da 9300 cm.#; la circolazione dell’aria nell'apparecchio veniva prolungata per circa 5 minuti. Nella Tabella I sono esposti i risultati delle nostre misure; accanto alla designazione di ogni sorgente abbiamo segnato la località in cui essa (1) Zeit. f. ang. Ch., 1910, pag. 340. — 319 — si trova, la temperatura (in genere la temperatura esterna all'ombra era di circa 25°), la dispersione corretta come si è detto e l’attività in unità Mache calcolata colla nota formula: 1000 X D Xx C 300 X 3600’ dove D è la dispersione quale è stata data nella colonna relativa e Cè la capacità (14.5 cm.) dell’elettroscopio. Siccome poi lo stesso elettroscopio con annessa campana è stato usato per altre ricerche ('), sappiamo che in tale apparecchio 1 volt-ora di disper- sione corrisponde a 0,0373 X 10-!° mm.3 d'emanazione; abbiamo quindi potuto dare nell'ultima colonna della Tabella stessa la quantità d’emanazione (in mm.) che è contenuta in un litro dell’acqua esaminata. A tale Tabella abbiamo poi fatto seguire qualche indicazione che potesse servire da sommario schiarimento. II Radioattività delle roccie. — Per queste ricerche si è adoperato l'elettroscopio di cui sopra (capacità 14.5 cm.) e si sono usati in generale gr. 125 di sostanza. Nella Tabella II riportiamo i risultati da noi ottenuti e, in aggiunta, alcuni dati precedentemente ottenuti da uno di noi (?). Facciamo osservare che non si tratta che di esperienze preliminari. III. Misure di dispersione atmosferica. — Fu usato un contaioni di Ebert con elettroscopio della capacità di 18.75 cm. La quantità d’aria aspi- rata è, in tale apparecchio di 501. al minuto primo. In genere la misura si prolungò per 10". L'’elettroscopio venne costantemente caricato negativa- mente. La Tabella III riporta i risultati da noi ottenuti in tali ricerche. Su queste misure non abbiamo molto da osservare: solo richiamiamo l’attenzione sopra i valori elevati ottenuti alla sorgente del fiume Fiora, dove è da cre- dersi che si abbia, per il gorgogliamento dell’acqua, una forte quantità d’ema- nazione; lo stesso è a dirsi per quelli avuti nel casotto della sorgente del Crognolo. Riguardo ai valori più bassi ci asteniamo per ora da ogni consi- derazione. (') Rend. Lincei, vol. XX, 2° sem., pag. 338 (1911). (*) R. Nasini e M. G. Levi, Gazz. Chim. It., XL, parte II (1910). — 320 — TABELLA I. Radioattività delle acque. —_—_|ix=:à'à%%-<,Y--—<{\ 0000 È | Deirolte | SORRA RA DENOMINAZIONE Mecalità o colla SRO È contenuta DELLA SORGENTE E Flomagh unità fin 1 litro d’acqua E |Volt-ora-litro| MACh® nume n È; lbìlJ‘F(9Y(‘E EG... 1. I° pela della sorgente o del Crògnolo. . Casteldelpiano |10.5 188.0 2.524 | 7.01 x 10710 2. Acqua del Crògnolo al bottino di distribuzione id. 11.5 135.1 1.814 | 5.04 X » 3. Acqua presa alla fonte di piazza Garibaldi e portata in brocca . . id. 12.5 37.6 0.505 | L40X » 4. I° polla del Crògnolo dopo abbondante piog- CIO N id. 10.5 185.2 2.486 | 6.91 X » 5. I° polla del Crògnolo dopo 5 giorni dal pre- levamento. . id. = 87. 1.168. | 3.24 X » 6. I* polla del Crògnolo bolo ao id. — | inattiva — = 7. Sorgente di Muristaldo id. 11.5 211.0 2.833. | 7.87 X » 8. Fonte della Casella . id. 11.5 329.0 4417 |12.27 X » DAVAC que ncaldeg A sMirone id. 17.5 153.4 2.059 | 5.72X » 10. Acqua delle Buche . id. 15.5 6.9 0.093 | 0.26 X » TL alano, so ì id. 10 294.6 3.955 [10.99 X » 12. Acque Arbure . . . id. 7.9 276.6 3.714 (10.32 X » I} URANO odo id. 8.5 493.8 6.623. |18.40X » I So IBAGO 0 oo id. 13 121.7 1.694 | 4.54 X_» 15. Acqua Capenti . . . Arcidosso 13.9 984.7 7.890. [21.81 X » 16. Lanificio . . n, id. ll 2902 3.104 | 8.62 X » 17. Fonte del Polo id. 11.5 21.9 0.294 | 0.82 X » 18. Acqua della Madonna id. 13.5 14.1 0.189 | 0.53 X » 19. Acqua dei Bagnòli. . Bagnòli 21.9 507.7 6.816 |18.93 X » 20. Acqua di Seggiano . Seggiano 11.5 110.7 1486 | 4.13 XY» FRAC Aualtonte Pere. Bàgnore 21.5 | inattiva = —_ Da, Noia GSO id. 19.5 270.4 3.630. |10.09 X_» 23. Acqua degli Ontani (portata in brocca) . = 58.0 0.779 | 2.16 X » Hi. Pescara o. è 5 0% Santa Fiora 11.5 313.5 4,209 |11.69 X_» 25. Fonte di Castello . . id. 11.5 535.0 7.183 [19.95 X » 26. Acqua del Marroneto id. 14 122.8 1.649 | 4.58 X » 7; Ramelio 6 soc Bàgnore 12.5 683.0 9.170 [25.48 X_» 23, Pisoni o vb 19 one Montagna 8.9 433.6 9.822 [16.17 XK» 29. Fonte delle Monache id. 7.5 417.8 5.619 (15.58 X_» 30. Fonte del Giogo . . Bagnòlo 12.5 474.3 6.368 (17.69 X » Til Saragiolo 5° o 4 600 id. 11.5 261.2 3.507 | 9.74X » 32. Vene. . | Pian Castagnaio |11.5 350 6 4.707 |13.08 XK » 33. Bagno degli Ebrei. . id. 12.5 169.3 2.278 | 6.81 X » 34. Acqua delle Puzzole Bàgnore 23 inattiva _ — 35. Acqua del Bottino. . |Abbadia S. Salvatore| 3.5 351.5 4.719 (138.11 X » 36. Sorgente dell’ Eremic- cidlo. . DR Vivo 7.8) 1129 | 1516 | 421X» 37. Acqua gialla. 5 ; ) 8 120.0 1.611 | 448X » 38. Fonte di Capo Vetra. . È Montagna 7.9 247.9 3.328 | 925X » 39. Sambuco . so) 75 | 3702 | 4970 |13.81X » — 321 — INDICAZIONI SULLE ACQUE E SULLE ESPERIENZE DELLA TABELLA PRECEDENTE. 1. Questa sorgente fornisce l’acqua agli abitanti di Casteldelpiano. È protetta da un casotto in muratura (nell'interno del quale fu preso il cam- pione) dal quale parte il condotto che va al paese. 2. Questa misura fu fatta sulla stessa acqua prendendo il campione nel punto in cui detto condotto arriva al bottino donde viene distribuita alle varie fonti pubbliche. 3. Tale esperienza fu eseguita unicamente per avere un'idea della per- dita in emanazione che subiva l'acqua prima di venire effettivamente uti- lizzata dagli abitanti di Casteldelpiano. 4. Questa misura aveva per iscopo di accertare l’ influenza delle vicende meteorologiche sulla sorgente. 5. Da questa determinazione scaturisce che l'emanazione disciolta nel- l’acqua è quella del radio. (Il valore teorico è un po' più basso, cioè circa 75 volt-ora). 6. Il risultato di questa esperienza è che la radioattività dell'acqua è dovuta a emanazione di radio disciolta e non a sostanze radioattive sciolte nell'acqua. 7. Questa sorgente sbocca per mezzo di una galleria sotterranea in una Vasca, e poi al disotto di questa forma uno zampillo che ha la temperatura di 10°.5; l’acqua per l’esperienza fu prelevata dalla vasca. 8. È l’acqua che una volta serviva agli abitanti di Casteldelpiano, ed è in parte incondottata. Campione preso alla cannella. 9. L'acqua scaturisce dal terreno; il campione fu preso alla sorgente. 10. Nella località in cui fu presa l'acqua, esiste un laghetto e attorno ad esso esistono le cave di terra gialla: campione prelevato vicino alla sponda. 11. Ha parte del suo percorso sotterraneo ; il campione fu preso all’uscita. È posta in montagna. 12. Quest'acqua viene mandata a Grosseto: essendo chiuso il casotto in muratura, il campione fu prelevato ad una bocca da cui sì scarica l'acqua eccedente. 13. È situata in montagna; sgorga dalla viva roccia; il campione fu preso alla sorgente. 14. È adibita ad uso pubblico. Campione preso alle cannelle. 15. È la sorgente che fornisce l'acqua ad Arcidosso; nel casotto in muratura costruito alla sorgente esiste una lunga galleria con un fosso cen- RenpIcoNTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 42 — 322 — trale (in muratura) nel quale vengono effettivamente a riunirsi le acque di diverse sorgenti; il campione fu preso a metà circa della galleria. 16. Questa sorgente esce dalla viva roccia. Campione preso alla sorgente. Jr: Id. id. Id. id. 18. L'acqua di questa polla è in parte incondottata e adibita ad uso pubblico. Campione preso alle cannelle. 19. Alla sorgente, le cui proprietà terapeutiche sono da gran tempo note, è stato costruito un casotto in muratura, la parete di fondo del quale è co- stituita dalla roccia da cui scaturisce e sulla quale scorre l'acqua; questa è debolmente ferruginosa. Campione preso alla sorgente. 20. Questa sorgente fornisce l'aequa al paese di Seggiano; nel casotto in muratura vè una galleria alla quale convergono altre due destinate a raccogliere l’acqua di due sorgenti distinte. Il campione fu prelevato alla confluenza delle due sorgenti. 21. Questa polla, utilizzata a scopo terapeutico da lungo tempo, e che viene detta anche acqua acidula delle Bagnore, scaturisce in una casetta all’uopo costruita, ed è protetta da un piccolo bottino dal quale poi esce l’acqua; dalla sorgente esce anche parecchio gas (prevalentemente C0»); l’acqua è ferruginosa, ma non è molto abbondante (litri 2.64 al mi- nuto). 22. Questa sorgente è adibita ad uso pubblico. Il campione fu preso alle cannelle. 23. Quest'acqua fu esaminata perchè, a differenza di tutte le altre, non scaturisce da roccie trachitiche. 24. Questa importante e grandiosa polla costituisce la sorgente del fiume Fiora; è anche adibita ad uso pubblico; il campione fu preso vicinissimo alla sorgente. 35. Serve per uso pubblico. Campione prelevato alle cannelle. 26. Id. id. Id. id. 27. La sorgente è quasi alla base di un ponte in muratura della strada provinciale, ma scaturisce dalla roccia. Campione preso alla sorgente. 28. È posta in alta montagna (regione dei faggi) e scaturisce dalla trachite; non è però abbondante (litri 2.33 al minuto). 29. Come 28; un po’ più abbondante. 30. Viene utilizzata dagli abitanti delle Bagnore; campione preso alla sorgente. 31. Adibita ad uso pubblico; campione preso alle cannelle. 32. È assai copiosa e sorge in una piccola conca (sbocco delle Vene) assieme ad altre minori. Campione preso alla sorgente. 33. Scaturisce dalla viva roccia. Campione prelevato alla sorgente. 34. Sorge a poca distanza dalla strada provinciale, ed è accompagnata da forte sviluppo di CO, ed H,S. Campione preso alla sorgente. — 323 — 35. È l'acqua potabile di Abbadia S. Salvatore. Il campione fu preso a una bocca di scarico dell'acqua eccedente dal bottino. 36. Questa immensa sorgente è quella la cui acqua verrà mandata a Siena. Il campione è stato preso ad una polla non ancora incondottata, ma assal copiosa. 37. Sul letto del fossetto in cui scorre l’acqua si deposita ferro; sorge nella regione dei faggi. Campione preso alla sorgente. 38. Scaturisce anche questa in alta montagna. Campione preso alla sorgente. 39. Id. id. id. id. TABELLA II. Radioattività di materiali solidi. Dispersione Corrente DENOMINAZIONE DELLA ROCCIA osservata di saturazione Volt-ora in Ampère 1. Terra gialla (Casteldelpiano). . EOS inattivo —_ 2. Terra rossa (in strati sottostanti alla precedente (Castel. delpiano). . SER MA es CAMNCONNNO inattivo — 8. Noduli srafitici nella trachite Son 5.3 23.4 YK10718 4. Deposito ferruginoso dell’acqua del Or dgnolo. (Castel OO IR e e MINA ginattivo — 5. Calcare .. SEE LA GLLVO, _ 6. Sasso occluso nella trachite di Monte. Amiata. . .U. , 13.7 61X » RoccIE ESAMINATE DAI PROF. Nasini E Levi IS lrachite gd ap onteggAmiat 2 Mt Sine n ale 19 85 X » Da tufordigMontelPAmiata N e ee E 45 201 X » Slera gialla (meloesgo) 000 do oe eo 0 16 Tix — 324 — TasseLLa III. Misure di dispersione atmosferica. Dispersione Numero LOCALITÀ in di ioni positivi Volt-minuto p. cm.3 1. Al balcone del Laboratorio di Chimica Generale (Pisa) . 0.36 1350 2. Sul terrazzino della casa del prof. Nasini (Casteldelpiano) 0.30 1103 3. Accanto al casotto della sorgente del Crògnolo id. 0.32 1176 4. Dentro id. id. id. ARAORSRO 0.438 1794 Sb Jk id. id. dei Bagnòli (Bagnòli) MAC: 0.385 1415 6. Sul muricciolo costeggiante il laghetto formato dalla sor- gente della Fiora (punto vicino alla sorgente). . 0.732 2691 7. Sul muricciolo costeggiante il laghetto “formato dalla sor- gente della Fiora (punto più lontano dalla PEER i 0.60 ‘2205 8. Accanto alla casetta dell’acqua Forte . . . GT 0.305 1121 9. Dentro allo steccato delle acque Arbure. . . . . . 0.29 1066 10. Accanto alla sorgente Bugnano . . ./. 0.0... 0.26 956 Milo Id. id. Piscinello . . . . Ii 0.285 1048 12. Nello «Sbocco delle Vene » (Piancastagnaio) Ho 0.22 808 13. Ad Abbadia S Salvadore (lungo la strada provinciale) 0.28 1029 14. Alla sorgente dell’Eremicciòlo (Vivo) . /./././ 0. + 0.192 706 Da quanto precedentemente è stato esposto risulta la notevole attività delle acque del Monte Amiata, radioattività, ripetiamo, tanto più notevole in quanto si tratta di comuni acque sorgive; la radioattività delle roccie non è invece molto elevata, anzi il contrasto tra la forte attività delle acque e quella relativamente piccola dei materiali solidi invita a interessanti studî, che ci proponiamo di intraprendere, insieme ad una ricerca qualitativa, ed eventualmente quantitativa delle emanazioni a breve periodo che, oltre a quella di radio, potessero trovarsi disciolte nell'acqua. Infine rileviamo che oltre alle acque più importanti che noi abbiamo esaminato altre moltissime minori ve ne sono che per essere della stessa regione (uscenti da roccie trachitiche), o perchè vicinissime ad altre radioat- tive, fanno ritenere che anch'esse siano attive. Ancora una volta poi mettiamo in rilievo come tale proprietà debba avere, anche in tali paesi, conseguenze importantissime dal punto di vista della medicina e dell'igiene. — 325 — Paleontologia. — Sopra un delfinorinco del calcare mioce- nico di Lecce (Ziphiodelphis Abeli Dal Piaz). Memoria del Socio F. Bassani e del dott. A. MrsuRI. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Matematica. — Sulle equazioni integrali di terza specie di Hmile Picard. Nota di GuiDo FUBINI, presentata dal Socio C. SEGRE. In una recente Memoria (ser. 3, tomo 18, pag. 459 degli Annales de l’École Normale Supérieure) il sig. Picard si occupa di alcuni nuovi tipi di equazioni integrali che egli chiama di terza specie. Si tratta di equa- zioni del Fredholm del tipo a A(2) fa) +2 f K(2,4) (0) dy= (2). dove /(x) è la funzione incognita. Posto (2) A(x)f(x)=F(x), donde /(x)= n 3 la (1) diventa: ® Fa)+2f Kepi u=I%: la quale è una ordinaria equazione del Fredholm, se A(x) non si annulla nell'intervallo (a, 5). Il sig. Picard esamina il caso che A(x) possegga un numero finito di zeri (semplici) in tale intervallo; e osserva che un tale studio è immediata generalizzazione di quello, a cui conduce 1’ ipotesi che A(x) possegga un solo infinitesimo (semplice) nell’ intervallo (a,b). Cosicchè in sostanza l'equazione studiata dal sig. Picard è (4) ro+2 [ELL Muy. /_1 — 326 — Egli pone per una funzione (9) (5) “0 gy= rim i (My + ft. —1 Y e,m=0 Ed è ben evidente che, se a è integrabile nell'intervallo (—1,+1), l'integrale definito dalla precedente equazione (!) (5) è fun- zione lineare della costante (6) — lim log? ti e,m=0 € supposto che « ed 7 tendano a zero in modo che questa costante esista e sia finita. Per studiare la (4) il Picard suppone di essere nel campo delle fun- zioni analitiche; e, partendo dalla classica formola del Fredholm, ne trova il limite per s=n=0, C=limlog i; usando i noti teoremi sugli inte- grali curvilinei di funzioni di variabile complessa. Scopo di questa Nota è di dimostrare che lo studio di (4) si riduce con metodo affatto elementare allo studio di una ordinaria equazione del Fred- holm, pure abbandonando l’ ipotesi, fondamentale nella Mem. del sig. Picard, della analiticità di K(x,y). Anzi il metodo da noi seguito dimostra che equazioni con singolarità di tipo più elevato si possono trattare in modo perfettamente analogo. Se (x) è una qualsiasi funzione, porremo dg = det) Supponiamo (*) che dF sia integrabile all'intervallo (—1,+-1). Dalle (5), (6) deduciamo W) FR daro) lima qa CW e,m=0 Yy + (ar) de = 000 + fCordo. 0) Si ha da (5) che Te PÒ dy | roaa dy + (0) lim log”. —]l Yy Y E,Mm=0 € (2) Salvo a verificarlo più tardi, perchè per ora F(x) è incognita. In altre parole noi cerchiamo soltanto quelle soluzioni F(x) di (3), per cui dF è integrabile. Se ne deduce: 1°) Se F(0)=0, il valore B di fa "i dy è perfettamente de- /+1 terminato, e non dipende dal valore di C. +1 2°) Se F(0) +0, noi possiamo far acquistare a o Di dy quel -1 valore B che più ci piace, scegliendo opportunamente la costante C. Poniamo K(x,y)=X(x)+y H(x,y); poniamo cioè: k(2)=K(2,0) ; H(e,9) = |E(,9) —E(,0)1, e supponiamo /(x) ed H(x,y) finite e continue nell'intervallo (—1, +1). Basterebbe del resto supporre che H(x,y) sia un nucleo (Kern), a cui è applicabile la teoria del Fredholm. La (4) diventa con le notazioni ora adottate : (8) PE) +2 f* H(e,y) Fly) dy = 4(2) — BH), day) (8): pe si) Y dy Alle soluzioni F(x) di (8) differenti da zero per x=0 corrisponde una so- luzione f(x) di (1) che ha un infinito del primo ordine in tale punto; alle soluzioni F(x) nulle per 4 = 0 corrisponde (*) (se F(x) è in tale punto infi- nitesimo almeno di primo ordine) una soluzione f(x) di (1) regolare anche pera=0. Siano 7r(x, 4) e se x(2, 4) le soluzioni trovate (per es. col metodo del Fredholm) delle: 0) n(29)+4 f HEM) dy=Y), 0): n(28) +2 fHl0,9) 7,9) dy=k0). Dalla (8) si dedurrà che per valori non eccezionali di 4 è: (10) F(x)= (2,2) —Bx(2,2) (3). (*) In virtù di (2), ove si ponga 4 = A(2). (*) Affinchè dF sia integrabile, e siano leciti i calcoli seguenti, basta che dr e da — 328 — Distinguiamo ora due casì: 1°) Si voglia che F(0)=0. Le (8). e (10) diventano (11), (RR) o 11). (CEI desi fPEE Na SN) supposto che questi integrali esistano. Le (11) sono compatibili soltanto in uno dei seguenti casì: a,) Le (11) si riducono a identità; cioè: (12), o=x(0,3)=x0,9= | Ode n14 (EI ga. —1 1 In tal caso a B si può dare un valore arbitrario; esistono co! solu- zioni (10) di (4), che sono funzioni lineari intere di un parametro B. E non vi è altra soluzione di (4). Tali soluzioni si riducono ad una sol- tanto quando x(x2, 4) =0, ossia 4(x)= K(x,0)=0. e») Almeno una delle (11) è un'equazione non identica; e nessuna delle (11) è contradittoria (ciò che avverrebbe se per es. x(0,4)="0 e 7(0,4)=#- 0). In tal caso le (11) sono compatibili soltanto se (0,4) }1 + CER arl 20,9 Vaet gg 1 =l i: ossia se: 0 )=(" x(0. 4) re(2, 2) — (0,2) x(2,4) 1 XL dx dove, nelle nostre ipotesi, l'integrale del secondo membro è perfettamente determinato. In questo caso le (11) determinano univocamente la B; e la (4) pos- stede una sola soluzione nulla per a=0. Se poi H(x,y)—H(0,9) ; Wx)— w(0) , X(0) sono infinitesimi almeno del primo ordine per x=0, altrettanto avverrà per le (9) di siano integrabili, ossia, per le (9), che dw,d%, Py) Ig) siano funzioni inte- grabili. — 329 — mx ,A)— (0,4) edi x(x, 4) — x(0,4). Cosicchè alle funzioni F(x) ora determinate în (@1), (22) corrispondono soluzioni f(€) di (1) regolari anche per x = 0. Come si deduce da quanto abbiamo detto (eccettuato il caso che una delle (11) sia contradittoria) l’esistenza di tali soluzioni per la (1) è caratterizzata dall’essere soddisfatta l'equazione (12)». In modo perfettamente simile si studierebbero i valori di 4 eccezionali per le equazioni integrali (7). 2°) Si voglia che F(0) +0. In tale caso la B può, come dicemmo, ricevere un valore qualsiasi; e tutte le soluzioni della (3) sono date dalla (10), in cui alla B si dia un valore qualsiasi, eccettuati i valori B= E per cui (13) (0,42) —Ex(0,4)=0 perchè, se B riceve un tal valore E, sarebbe F(0)=0. 81) (0,2) =x(0,4)=0. La (13) è una identità; tutte le possibili soluzioni F(x) di (3) sono nulle per €=0. Siamo ricondotti al caso già studiato. 82) (0,27) +0 ; x(0,Z)= 0. La (13) non è soddisfatta da alcuna E; e le funzioni F(x) cercate (cfr. la (10)) sono funzioni lineari intere di un parametro B, che può ricevere un valore arbitrario. 83) x(0,4)+0. In tal caso ancora le F(x) cercate sono funzioni lineari intere di un parametro B, il quale può ancora ricevere un valore ,) arbitrario, eccettuato però il valore E = so : - definito dalla (13). OsseRVAZIONE. — Si noti che per (7), (10) è: B=0[2(0,4)— Bx(0,2]+ fsrde—3 Grda -l la quale relazione tra. i parametri B, C permette di rendere più intuitivi i precedenti risultati; ed anzi per ogni valore di B determina generalmente la corrispondente costante C, ossia il modo di annullarsi dell'intervallo (7,8). Questi risultati si possono, con metodo siffatto simile, estendere a sin- golarità di tipo più elevato. Supponiamo per es. che nella (83) sia: A(y)=y° , K(2,y)= K(0,0) + e° Ma) + 44) + a*y° H(2, 9); Y(x)= (0) + 2° g(2), ove A(x),k(y) , H(x,4),%9(x) siano per es. finite e continue nel solito intervallo. RenDpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 43 — 330 — La (38) si scriverà: PE) +2 f 1%) +2" H(@,9)1F0) &= — 4(0) + 2° g(2)— [E(0,0) +2 Ma) fT El ay. Ne segue che necessariamente dovremo supporre F(x) = F(0) + x° G(2), dove la G(x) è finita. Posto quindi B=f" Py) = 6) de + F(0) 0, lim TA e,mn=0 e n} 4 ove (SS) DN] la trattazione continua come sopra. Matematica. — Sull'integrabilità delle funzioni di due va- riabili. Nota del dott. Luciano ORLANDO, presentata dal Corrispon- dente A. Di LEGGE. È noto da parecchio tempo che una funzione f(x ,y), la quale sia continua in x per ogni y fisso, e continua in y per ogni « fisso, può be- nissimo non essere continua nelle due variabili considerate insieme. Tale è, ì 3 za SURI per esempio, una funzione che valga zero nell'origine, e valga jr > in Yy ogni altro punto del piano. Sulla retta fissa y= 2, anche nelle più im- mediate vicinanze dell'origine, la funzione conserva costantemente il valore tima dunque è (tranne che sugli assi) radialmente discontinua. 2 Non altrettanto felice è, per verità, l'esempio i dato da alcuni autori. Ma noi non vogliamo qui insistere sopra cose ben note; vogliamo piut- tosto esporre alcune considerazioni, che s' inquadrano in ricerche molto più complicate ed estese, sulle quali ha richiamato la mia attenzione il valente scienziato prof. G. Giorgi. Costruiremo una funzione f(x ,y), delle due variabili @,%, la quale, pur essendo integrabile (secondo Riemann) in dx per ogni y fisso, ed in dy per ogni « fisso, non si presta tuttavia all'integrazione doppia. — 3931 — Consideriamo un quadrato, che abbia un vertice nell'origine, e il ver- tice opposto nel punto di coordinate 1,1. Definiamo una funzione F(2,9) come segue: a) Sia nulla sui lati, ed in ogni punto interno che abbia almeno una coordinata irrazionale; b) Nei punti interni a=È 3 gr È (frazioni supposte irriducibili) essa valga 3 per n=9, e valga z per n= gq. Allora, fissato y = 7 , la funzione F (e ; n , della variabile x, è evi- dentemente integrabile in dx; essa è infatti in condizioni d’integrabilità più vantaggiose di una funzione (x) destinata ad assumere, nell'intervallo (0,1), il valore zero per ogni x irrazionale, e il valore > per ogni x ra- zionale =" (frazione supposta irriducibile). Ora è nota e manifesta l’inte- grabilità Riemanniana di questa funzione. Si dimostra facilmente che la funzione F(x,y) è discontinua in ogni punto del quadrato. In un quadratino arbitrariamente piccolo, interno al quadrato, esistono punti con valori irrazionali di x e di y, ed ivi F(2,y) è zero. Esiste poi sempre, nell'interno del quadratino, uno almeno fra due punti che hanno le rispettive coordinate del tipo 2h—-1 2a 1 2h Il 2k 1 X= gn 9 WE gn 3 Cao = SE 9 pl, dove F(z,y) vale 1. Basterà che 7 sia abbastanza alto. La funzione F(x,y), simmetrica nelle due variabili x, y, che abbiamo ora costruita, verifica le relazioni P(e.5) Jo) F , —|}de=0 Ei, dy=0 di (è q if O) GO e, più generalmente, 1 1 fr@md=0 STEM4=o, (1) (o) 1 1 1 1 Sarfrema=o (uf md=0; 0 0 0 0 eppure non esiste l'integrale doppio Riemanniano FIGC sy) da dy esteso alla superficie del quadrato. Ripeto che ciò s'inquadra in ricerche, più estese, di calcolo funzionale, che il prof. Giorgi mi ha cortesemente accennate. e poi — 332 — Meccanica celeste. — Sulle orbite periodiche. Nota di Lro- NIDA ToneLLi, presentata dal Socio SALVATORE PINCHERLE. 1. — L'orbita periodica C,, la cui esistenza fu da noi stabilito nella Nota precedente (*), per le sue proprietà di minimo, non può avere punti multipli inierni ad A. La cosa è evidente. Ma non ne può avere neppure sul contorno. Infatti, con un ragionamento da noi usato in una Nota, di prossima pubblicazione, sulle soluzioni discontinue del calcolo delle varia- zioni, si vedrebbe facilmente che i varî rami di C,, passanti per un punto multiplo, dovrebbero avere in tal punto tutti la stessa tangente, e questo è impossibile (?), perchè su tutto A è sempre VU+h>0 ed anche FE >0 (EL og 10 importante osservare che la curva L, non deve necessariamente essere costituita di un sol pezzo. Za proposizione del n. 3 vale anche se la L, risulta formata da due 0 più curve continue, chiuse, aventi le pro- prietà di cui al n. citato. Anche in questo caso non possono esistere punti multipli su C,. 3. — È facile vedere che la C, non può avere su TL, e DL, chesun numero finito di punti. Infatti, se su L; (Ls) ne avesse un numero infinito (costituenti necessariamente un gruppo chiuso) e P fosse un punto limite di essi, su P la sua curvatura sarebbe uguale a quella di Ly (L:). Risultando così verificata la disuguaglianza T<0 (> 0) non potrebbe essere verificata l'a) AKI 08 4. — La proporzione del n. 3 sussiste anche nei seguenti casi: 1°) Se invece delle disuguaglianze TLO, T>O0, n un gruppo riducibile di punti di Li e Ls è verificata la T=0. 2°) Se in un gruppo pure riducibile, le coordinate dei punti di L,, Ls, considerate come funzioni dell'arco, mancano di derivate seconde, oppure queste non sono continue. 3°) Se in un numero finito di punti di L, e L2, manca la tangente; purchè però in ognuno di tali punti esistano e siano continue le tangenti ai due rami della curva che concorrono in essi, e l'angolo di questi rami, che appartenne ad À, sia minore di n. Tuito ciò scende immediatamente da quanto abbiamo dimostrato nella Nota di cui si è fatto cenno al n. 1. (*) L. Tonelli, Sulle orbite periodiche (Questi Rendiconti, 1° sem., pag. 251). (®) Cfr. Bolza, Lectures on the Calculus of Variations, 1904 (Chicago), pag. 125. UP (3) Ricordiamo che è F,= m = con F= VU+ hVa?+y?. — 333 — 5. — Sia, ancora, L, una curva chiusa tale che le due coordinate, come funzioni dell'arco, siano continue insieme alle loro derivate dei primi due ordini. In prossimità di L, e per tutti i punti esterni a tale curva, /a U(xy) +% séa positiva, ed inoltre, continua insieme alle due derivate par- ziali dei primi due ordini. Sîa pot 4) o Meet, dove R indica la distanza del punto (4, y), nel quale si calcola la YU + &, dall'origine delle coordinate. Allora se sulla Li è sempre T=32 el DORV 0). Q dn esiste certamente un'integrale periodico dell'equazione differenziale T=0, ossia un'orbita periodica per il problema dinamico considerato. Quest'orbita circonda la curva L,. Sia L una qualunque curva continua, rettificabile, che circonda L,, e sì indichi con N un numero positivo maggiore dell'integrale KVTFES. In base alla (4) è possibile determinare un numero positivo R,, tale che per ogni R= R; sia (5) RVUFri>N. Questo R, lo sceglieremo in modo che il cerchio (O, R,), avente il centro nell'origine degli assi ed il raggio uguale a Ri, contenga nel suo interno tutta la curva Li. Sia, ora, L' una curva continua, chiusa, rettificabile, cir- condante la L, ed avente un punto sulla circonferenza (O, Rs), coon R.>2R,. La lunghezza di quella parte di L' che trovasi nella corona circolare limitata dalle circonferenze (0,R,),(0,R:), è di certo maggiore di 2(R, — R,); e il contributo di questa parte nell’integrale VU +1 ds è, per la (5) maggiore di N 2(R- TT R,) R. ù Si ha così (6) VU FrIS>2R:— Ri) =2N-2NEsN, L R, R. — 3394 — Ciò posto, consideriamo tutte le curve continue chiuse, rettificabili, apparte- nenti al campo limitato dalla curva L, e dal cerchio (O, R:), e circon- dante L,. Ripetendo le considerazioni già fatte al n. 4 della Nota I, si dimostra subito che fra esse ve n'è almeno una C, che rende minimo l'inte- grale di YU + }. Con ragionamenti identici a quelli dei nn. 6 e 7 della stessa Nota si dimostra poi che la curva C, soddisfa all’equazione diffe- renziale T—=0 in tutti i punti N> (/OFR4, contro l'ipotesi che la C, dia il minimo per l'integrale di /U + #— si con- clude che tutta la curva C, soddisfa all'equazione differenziale T=0. La proposizione enunciata è quindi pienamente stabilita —. 6. — Nel numero precedente, non solo abbiamo stabilito l'esistenza di almeno un'orbita periodica. ma abbiamo anche determinato un cerchio dentro il quale deve certamente trovarsi una di tali orbite. 7. — Per la proporzione dimostrata al n. 5 possono ripetersi osser- vazioni analoghe a quelle dei nn. 1, 2, 3, 4. 8. — Tutte le orbite delle quali qui si è stabilita l’esistenza, sono, secondo un teorema del Poincaré, orbite instabili di prima categoria (Ved. H. Poincaré, Zes méthodes nouvelles de la Mécanique Céleste; T. III pag. 232). Meccanica celeste. — Determinazione matematica dello schiac- ciamento polare di Giove. Nota dell’ing. GrusePPE ARMELLINI, presentata dal Socio T. LEvI-CIVITA. INTRODUZIONE. È noto che le osservazioni dirette, eseguite fin qui sullo schiacciamento polare di Giove, sono riuscite un poco discordanti. Prendendo per unità il semidiametro equatoriale, la misura del semidiametro polare oscilla dal va- lore 0,941 del Kaiser al valore 0,934 dell'Herschel. Nel 1892 il Barnard scoprì un nuovo satellite di Griove situato tanto vicino al pianeta principale da essere trascurabili le perturbazioni prodotte nel suo moto dall’attrazione del Sole e degli altri satelliti; e il Cohn (Astr. Nach., 3403) vide subito la possibilità di risalire dalle sue perturbazioni alla determinazione mate- — 335 — matica dello schiacciamento in questione ('); ma a quanto mi risulta nes- suno s'era fin qui accinto all’opera. To mi sono servito della teoria classica di Laplace semplificandola però con l'ammettere che la superficie di Giove sia superficie d’'equilibrio, ed ho spinto l'approssimazione molto al di là di quel che abbia fatto il Laplace nella teoria degli antichi satelliti, tenendo anche conto del secondo termine della funzione perturbatrice dovuta allo schiacciamento polare. Le formole a cui giungo sono molto complicate, perchè per maggiore esattezza conservo anche le seconde potenze dell'eccentricità. Il risultato è il seguente: a) Media delle osservazioni. . . . ..... 0,9378 5) Valore calcolato del semidiametro polare . . . 0,9377 Nella deduzione matematica, che si fa con altro metodo, dello schiac- ciamento terrestre dalle ineguaglianze lunari non si giunge a valori tanto precisi (?). EQUAZIONI FONDAMENTALI. Consideriamo Giove come un ellissoide di rotazione e siano A il semi- diametro equatoriale e B il semidiametro polare; quanto alla densità interna supporremo : a) che la superficie esterna del pianeta sia superficie d’equilibrio; 5) che la distribuzione interna delle masse sia simmetrica rispetto al piano equatoriale e identica per tutte le sezioni meridiane. Prendiamo il centro di Giove come origine d’una terna di assi ortogo- nali %,y,z, tali che il piano xy sia parallelo al piano dell'eclittica di una data epoca: l’asse « sia diretto verso l’equinozio di primavera, e l’asse 4 verso il polo nord dell'eclittica stessa; chiamando con M la massa di Giove (*) Il Cohn lascia inoltre supporre che dalle perturbazioni del satellite possa un giorno dedursi la distribuzione delle masse nell'interno di Giove; ciò che sarà sempre impossibile con questo solo dato. Cfr. su questo proposito la Nota del prof. Lauricella: Sulla distribuzione delle masse nell'interno dei pianeti (R. Acc. Lincei, XXI, 1), dove il ch. autore dimostra che anche tenendo conto del moto intorno al baricentro, resta sempre nel 4?o una funzione arbitraria 7. Notiamo anche: il Cohn tentò effettivamente la determinazione dello schiacciamento in questione, ma avendo adoperato un metodo troppo grossolano (data specialmente la piccola distanza che separa il satellite del pianeta) giunse ad un risultato che non è in accordo con le osservazioni. (£) La bibliografia del V satellite è estesa. Citiamo: Tisserand, C. Rendus, CXVII e CXIX; Cohn Bestimmung der Bahnelemente des V Jupitersmondes, Astr. Nach., 3403; Barnard, On the fifth satellite of Jupiter, Astr. Journal 544; Dobbin, Orbit of the fifth satellite of Jupiter, ibid., 562; ecc. — 330 — e con w la massa del satellite, il potenziale esercitato da Giove nel punto ov’ è il satellite sarà P=/D4R, essendo R un termine correttivo molto piccolo dovuto al non essere il pia- neta perfettamente sferico ed omogeneo. Ciò posto è noto che, essendo M estremamente grande di fronte a #, le equazioni differenziali del moto del satellite saranno con grandissima ap- prossimazione d*x XL ?2R i ra (AZ (1) o Vena d*z 8 ?2R ri Tea DE Trascurando dapprima le derivate di R integreremo il sistema (1) intro- ducendo le sei note costanti del moto aeg9we (distanza media, eccentri- cità, inclinazione, longitudine del nodo ascendente, longitud. del perigiove, epoca); faremo poi variare queste costanti in modo da tener conto dei secondi membri. Adoperando metodi noti, vediamo che a ed soddisfano alle equazioni da 2 2R (2) di na de (3) do i) 0° 2 MM A) di na?(1 È dP nate de 3 de (1 — e)? dR 4 1-16) (4) dov ii natia de) nate hi” dove RAI è il moto medio. a SVILUPPO DELLA FUNZIONE PERTURBATRICE. Cerchiamo ora l’espressione di R (funzione perturbatrice) per mezzo dei sei noti elementi e del tempo. Se adottiamo per il momento un sistema di coordinate polari, prendendo per origine il centro di Giove e per asse po- — 337 — lare l’asse di rotazione, sviluppando P in funzioni sferiche abbiamo: dove, per il ipotesi 5), si ha, com'è noto, Y.x.,=0. Essendo poi Y, = Mf abbiamo (5) Ta DI pamti * Il Laplace nella teoria degli antichi satelliti di Giove, mostra essere suf- ciente il considerare solo il primo termine della (5); ma noi per maggiore esattezza calcoleremo con approssimazione anche il secondo. E intanto l’ipo- tesi a) ci dice che Y, dipende soltanto dalla forma esterna di Giove, dalla sua massa e dal rapporte x tra la forza centrifuga e la gravità all'equatore (rapporto noto trattandosi di un pianeta che ha satelliti e di cui si conosce il diametro equatoriale e la durata di una rotazione) e che precisamente chiamando con d l'angolo che il raggio vettore, che unisce il centro di Giove col satellite, forma col piano equatoriale, sì ha (1): NSI_MAG I na — È x) (i — sen? d) 3 Chiamando ora con y, il valore di Y, nel caso di Giove omogeneo porremo con approssimazione y, = Y, ciò che non altera la (5) considerando il pic- colo coefficiente n. per cui Y, viene moltiplicato. Abbiamo allora indicando con © la densità media di Giove (?): x e SI) po 35 8 s Pio, di Va sen‘ d q SD t3 A"( TE TE Eliminiamo ora d: chiamando perciò con ® e @ l'inclinazione e la lon- gitudine del nodo ascendente dell'equatore di Giove abbiamo con grandissima approssimazione data la piccolezza di d e @ dò = gsen(né — 4) — D sen (né — 0) d° = p° sen°(ni — 9) ®? sen? (n#— 0) — 2®g sen(z#— 3) sen(ni— 0) = =#|- — cos | se —|- — Dp[cos() — 9) — cos(22/—6— 9)]. (*) Tisserand, Mécan. cel., II, 210. (*) Tisserand, op. cit., II, 822. RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 44 — 388 — Si ba pure (') -m PSR 1 m 2 IIESA Reni 4 a 0-+ de + termini periodici. Essendo nostro scopo lo studiare le perturbazioni secolari dobbiamo at- tenerci soltanto ai termini non periodici. Elimineremo la f mediante la Mf= n°08 ; ed essendo e e g quantità molto piccole ne tralasceremo le potenze supe- riori alla seconda. Indicando allora con R; l'insieme dei termini secolari contenuti in R, e ponendo per brevità 0 —&= $ avremo con facili calcoli: (7) ceo n(3+3€ ug —l0:+0ycsp)+ A 2 ©? 110% Bbc [1 10(8-5 A? — B£\? A? — BI\L xa (ES) formola dove entrano solo gli elementi ellittici e gli elementi determinativi dell'equatore di Giove. EQUAZIONE DELLE PERTURBAZIONI. Sostituendo questo valore di R nelle (2) (3) e nella (4) abbiamo: ® a co 38) (3A) (La) nr RT ue (E72 ©3211 wii (9) da =0 a= costante e (9') a e = costante La (9) ci dice che l’asse maggiore dell'orbita ellittica non ha pertur- bazioni secolari di prim'ordine ciò ch'è in accordo col noto teorema di Poisson-Laplace sulla stabilità del sistema planetario. (1) Tisserand, op. cit., I, 239. oggi Per integrare la (8) osserviamo che le quantità A,B,M,y,0,4,e (e quindi x), sono costanti mentre, D,0,g,: variano lentamente col tempo. Estendendo l'integrazione ad un intervallo di tempo molto breve (per es. un giorno solare medio che prendiamo come unità di tempo) potremo, secondo il metodo di Laplace, sostituire a 0, @,9, g, i loro valori medî; e consi- derare quindi il secondo membro come costante. Se indichiamo con y lo spo- stamento diurno del perigiove e scegliamo come unità di lunghezza il semi- diametro equatoriale A, avremo con brevi calcoli tg £ oÈ 1 2 ia n(1— e 307 1 x] pg 1-+50)(1 BY B+1-B—ix}+ Sert ae Gi PD tamg (1 8?) B|1--10(£ + 9 — 99 00h) | da cui Cif ape or, DO 3g SAT nl 2B I 10 9 + 5 — Dog cosf)— tg3 — 14 (920088) 1+50)}— gs ont 2 | 00 2 sit (j—@ cosà) |-5x| 1-7 (o—@cos9) [+ ig o +1- 4 (9-2 09), e infine ] to £ 2 1-2 (9- dg) (10) B:—2B54+B/1— to L 2_D / 3) e D? mal! 70430) 19— 0008) _10(1 4 0900 8)] (Co io D) 2 CIA 2 3 ; {PEAS È ine : — ® cos8)— feat SE ga (14509) (9 — D 0058) 10/35 +5 — Dgcost + — 340 — Siamo così giunti ad una equazione algebrica di 5° grado, di cui pos- siamo calcolare i coefficienti; la quale, risoluta, ci dà il valore di B. RIDUZIONE DELL’EQUAZIONI (3) E (4) AD EQUAZIONI LINEARI. Con alcune sostituzioni sono riuscito a dar forma più semplice alle (3) e (4). Indicando con e c due costanti e ricordando, che, essendo e e quantità molto piccole, noi ne possiamo trascurare le potenze superiori alla seconda avremo, tralasciando anche il termine e? D° e _, B—b(3+3° 39 o? + 0g cos 8) + + c(1+5e° — 59° — 50? | 10 Dg cos f). Poniamo ancora eseno=% psend = e coso = Y gcosì = w ricordando che si ha £#=0— + la R, diviene Rec c+(3+ 36) [e?+y? — e —w? — D+ 2D(wcos6 —2sen0)]. la) (0) i a D+ 100 : Poniamo, sempre per brevità, o = m, trascurando sempre 1 ter- mini di grado superiore al secondo in e e g, otteniamo dalla (3) e dalla (4) con brevi calcoli: CE ARR — 04, Da Essendo m una costante nota otteniamo subito x ed y e quindi e e è; è questa un’altra via per giungere al risultato. CONCLUSIONE. I più esatti valori degli elementi e di y sono quelli dati da E. È. Dobbin (loc. cit.) per il 1903, sett. 8,25; adoperando i quali per calcolare i coefficienti della (10) otteniamo (11) B: — 2B® — 19,336B + 19,055 =0 la quale equazione ha una sola radice compresa tra 0 e 1. Approssimandosi ad essa col metodo di Newton troviamo B=0,9377. — 341 — Paragonando questo valore con quello trovato dai più abili osservatori abbiamo la seguente TABELLA OSSERVATORE | AUTORITÀ STRUMENTO VALORE DI B sioni = Bis: er va ANAcORAtOde SIoviri, Ga eASTE Populaire IV, 322 Micrometro 0,940 Jan Fiagdigle ssi Om of Astr. 512 | Microm. ed eliom. 0,934 SCURI Id QU) Valentiner ” ” 0,938 Bessie o Handwort. der Astr. ” ” 0,936 Kaiser gg eo ni ” ” Eliometro » 0,941 Media delle osservazioni . . . . . 0,9378 Malorefcalcolato MISANO... Rana 0,9377 Ditferenza tt. Seei0.0001 L'accordo non potrebbe essere più completo: adotteremo quindi 0,93775 come il valore migliore del semidiametro polare B. Economia matematica. — Contributo alla teoria matematica della dinamica economica. Nota del dott. Lutci AMOROSO, presen- tata dal Corrisp. M. PANTALEONI. 4. Riprendendo le notazioni e le formule della nostra Nota precedente (), occorre mostrare: a) che è possibile determinare sperimentalmente la forma delle fun- zioni w;, ovvero delle funzioni Di; 5) che, supposte determinate tali funzioni, si ha il modo di scrivere le equazioni generali della dinamica economica senza ricorrere ulteriormente alla esperienza. Cominciamo dal secondo punto. Analogamente a quanto si definisce nella Meccanica, diciamo CT Di CEI CINE le componenti delle forze di inerzia relative all'individuo considerato: secondo il principio di d'Alembert, le equazioni della dinamica si deducono dalle equazioni della statica, purchè alle componenti alle forze applicate (i gusti) si aggiungano le componenti delle forze d'inerzia del sistema. (1) Vedi pag. 259. — 342 — Occorre però osservare che, per poter applicare correttamente il prin- cipio di d’Alembert, occorre che nelle equazioni della statica figurino le fun- zioni che misurano le forze, e non già funzioni indici delle forze. Nel caso presente occorre quindi ammettere che sia vera l'ipotesi di Jevons, della misurabilità del piacere: cioè esista e sia possibile di determinare una fun- zione che misuri il piacere: supporre, cioè, che nelle equazioni generali (6) la funzione @ sia proprio l'ofelimità e non già una funzione indice della ofelimità. Accettata tale ipotesi, le equazioni generali del moto di un punto eco- nomico (homo oeconomicus) saranno: r dm_ RA, da ; se —_ N = Be (12) MA; dx; % k dX; (A 1 AZ n w; = j=1,2,..0 In particolare, se si ha leeen (13) o=L MW =D pr Dl); le equazioni (12) diventano mai — DD = SÌ ap; (14) ; MEZ | S pias= FO) Se T°(t) rappresenta il reddito annuale, o mensile, 0 giornaliero, di un indi- viduo, le equazioni (14) rappresentano l’impiego che egli fa del suo reddito, e mostrano come tale impiego varia col variare del reddito stesso. 5. Resta da indicare come possa farsi la determinazione sperimentale della funzione ®;. Basta perciò considerare un caso particolare delle formule generali (12), per es. il caso contemplato dalle formule (13), ed osservare come in tal caso procedono le cose nella realtà. Le statistiche dei bilanci familiari ci rivelano, ove si considerino fa- miglie per cui il reddito varii (crescendo o decrescendo) di anno in anno, ovvero di mese in mese, ovvero di settimana in settimana, quali sono i va- lori di x,,%2,...&n corrispondenti a dati valori di £ compresi nell’ inter- vallo da 4 a f,. Interpolando tali valori, sì ottengono, sperimentalmente, i valori delle funzioni: (1) 9 Ls(t) gue nt) — 343 — e, successivamente, delle derivate prime e seconde ARONA CMOREAONREEMO) per tutti i valori di { compresi nell'intervallo da in E Go Osserviamo d'altra parte che il parametro 7 che figura nelle formule (14) rappresenta /a tensione del sistema economico considerato, cioè misura in ogni istante la reazione, che oppone il vincolo rappresentato dalla condi- zione del pareggio del bilancio. Si possono quindi determinare degli indici (per es. l'ammontare dei debiti o dei crediti in ciascun istante) che misu- rino i valori di 4 per ogni valore di { compreso nell'intervallo considerato. Sostituiamo allora i valori di 2, %;, Xi 4 nelle equazioni maxi =D = — — Ap; SI Baa Wo Essendo note le 4 e le p;, possiamo per ogni valore di 4, compreso fra fo e t,, calcolare i valori di DD, ...D,. Procedendo quindi per interpolazione otteniamo i valori di ciascuna delle D; in funzione di {|2,,x2,.. Va ONTANO:. DUE Dite, 1, CDI) (=D, «o Il problema è così ridotto ad un ordinario problema di statistica, e precisamente di statistica matematica. 6. Riepilogando: le formule (12) riassumono le leggi del moto di un punto economico (homo oeconomicus), comunque vincolato. Tali leggi sono state ottenute, basandosi sopra due postulati od ipotesi fondamentali: l’ipo- tesi della misurabilità del piacere, ed il postulato che il moto di un punto economico sopra una varietà di indifferenza sia indipendente dalla posizione iniziale del punto stesso. 7. Si può — senza ricorrere ulteriormente a nuove ipotesi — dedurre dalle equazioni generali dell'equilibrio le equazioni della dinamica dei sistemi economici. i Ci limitiamo in questa Nota a considerare un caso particolare, preci- samente il caso di un mercato chiuso (tale cioè che nessuna merce entri e nessuna merce esca) 7 condizioni di libera concorrenza. Per fissare le idee, supponiamo che sieno m individui e tre sole merci X,Y,Z. Analogamente si tratta il caso generale in cui le merci sieno n. — 344 — Supponiamo che la merce Z sia un prodotto delle altre due XV pelo condizioni tecniche della produzione faranno allora conoscere le quantità pe) è, Y(6), rispettivamente di X e di Y, occorrenti a produrre la quantità 2 di Z. Diciamo PO y0, 40 TANZI le quantità di ciascuna merce possedute 772 s £ di utilizzare i valori del rapporto e,: — = gra direttamente ricavati dr dita 5 wr e quindi 7 in funzione di /; il che costituisce il modo migliore, a mio parere, per risol- vere il problema della pirometria dei fili incandescenti, quando si conosca per altra via, per esempio con le curve di Einstein o di Nernst, l'andamento di cy. Questo andamento, nelle alte temperature è, del resto, per tutti i metalli, quasi costante. Le nuove misure, di cui comunico i risultati, confermano perciò, mal- grado l’aumentata precisione, le conclusioni cui ero già pervenuto. 2. Tutt'altro avviene però nei riguardi del passaggio dalla capacità ca- lorifica del filo al calore specifico. Occorre, per questo, valutare il peso del filamento, che fu da me allora stimato indirettamente con la misura ottica delle sue dimensioni. Solo adesso ho potuto rompere la lampadina e misurare direttamente il peso del tilo: ne ho ricavato un valore inesplicabilmente diverso dal primo: 30, anzichè 41 milligrammi. Ho potuto solo riconoscere che l’errore fu commesso, la prima volta, nella valutazione del diametro del filo, che fu stimato eguale dall'esperienza col metodo che ho indicato, e dedurne — 350 — a mm. 0,062, mentre misurato ora al microscopio ha dato mm. 0,0548, in ottimo accordo con la misura diretta del peso. Viene così a mancare la fortuita coincidenza da me constatata allora tra il valore teorico e quello sperimentale del calore specifico atomico; si ottiene invero, posto eguale a 184 il peso atomico, anzichè Cr = 95,95 come sarebbe richiesto dalla teoria. Si potrebbe pensare a qualche causa di errore sistematica che abbia alterato in blocco i miei risultati sperimentali per lo enorme ammontare di circa il 24 per cento del valore osservato. Ma ho dovuto respingere questo dubbio, come assolutamente infondato, dopo un esame rigoroso della teoria e della realizzazione del metodo e dei risultati delle misure. Sarà bene, del resto, osservare che anche alla temperatura di soli 285° dalle esperienze di Defacqz e Guichard ('), si deduce pel calore atomico del tungsteno a pressione costante, il numero 7,2, che dà per c»: = Well valore anche esso troppo alto rispetto al valore teorico. La differenza col valore da me trovato (all'incirca il 9 °/,) è sempre rilevante; ma il con- tegno abbastanza anormale nell’andamento del calore specifico del tungsteno, quale risulta dalle esperienze citate tra 15 e 400°, potrebbe bastare a ren- dere ragione di quella differenza, che si produrrebbe nel campo tra 300° e 800° (limite inferiore delle mie esperienze), mentre e, resterebbe costante nell'intervallo da 800° a 2000° da me sperimentato. L'osservazione che segue corrobora questa maniera di vedere. Si è riconosciuta la costanza del rapporto tra 3 ed 7, cioè tra e, € di 3 sostituendo alla capacità calorifica, in unità meccaniche, il calore atomico a volume costante, il primitivo rapporto che era eguale a 0,907 diviene co- stantemente dr +— = 1,33 X 103. CU], (1) Defacqz e Guichard; Ann. d. Chimie et de Phys. t. 24, pag. 139; 1901. — 351 — Ora questo rapporto può dedursi pel tungsteno anche a temperatura or- dinaria, per esempio a 20°, ricorrendo alle esperienze di Defacqz e Guichard, per quanto riguarda c,, e procedendo a una misura diretta di È a 20°, sul filamento; questa misura era stata già da me eseguita prima della rot- tura della lampada. E poichè si ha Co= 5,91 È) dr co 0,00432 , si deduce Co de = 1,366 X 10° a 20°, valore che differisce da quello che io ho osservato da 800° a 2000° di meno che il 3 per cento. Sembra perciò che il rapporto cy: c si mantenga vera- mente costante, pel tungsteno dalla temperatura ordinaria fino a 2000°. Or come risulta dalle misure del Pirani - aumenta molto dalla tem- peratura ordinaria a quella di circa 700° (da 0,00415 a 0,0059) (?); a questo aumento farebbe riscontro l’aumento progressivo del calore specifico dal valore di Defacquz e Guichard (7,1) al mio (7,8). Resta, in ogni caso, abbastanza singolare questo eccesso del calore atomico sul valore teorico, quale risulta nettamente dimostrato da entrambe le ricerche e in così ampio intervallo di temperatura. (*) Questa variazione sarebbe, secondo i risultati di Pirani, 14 volte maggiore, in valore assoluto, nel tungsteno che non nel platino. — 392 — Fisica. — Sull'indipendenza della formula di Laplace per la capillarità dalla legge con cui varia la densità nello strato superficiale dei liquidi. Nota di G. GueLiELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Laplace ha trovato come varia la pressione interna dei liquidi, prodotta dalla coesione, quando varia la forma della superficie, supponendo i liquidi costituiti da materia attraentesi immobile (anche nelle ultime particelle) e continua, e supponendo che la densità varii bruscamente, senza passare pei valori intermedii, da quella dell'interno del liquido a quella, supposta nulla, dell'esterno. Come trovasi esposto in principio del trattato di van der Waals, Sulla continuità dello stato liquido e gazoso, più diffuso e più accessibile delle opere di Laplace, questi ha supposto che l'attrazione reciproca di due volumi dv, dv' del liquido di densità D, distanti 7, fosse espressa da dv. dv' .D°g(7), ossia fosse proporzionale al prodotto delle masse attraentisi e ad una fun- zione della distanza che diviene nulla se questa è apprezzabile. Ora poichè molte proprietà dei liquidi hanno condotto a considerarli come costituiti da particelle o molecole isolate attraentisi e dotate di mo- vimento rapidissimo (diverso in grandezza e direzione per le diverse mole- cole anche della stessa specie) il quale impedisce che esse obbedendo alla attrazione reciproca si riuniscano in una massa continua, ne risulta anzitutto che non è più così evidente che l'attrazione dei due elementi di volume sia proporzionale al prodotto delle masse di essi elementi; difatti al variare della loro densità non solo varieranno in proporzione le masse attraentisi, ma varierà altresì la distanza delle molecole, specialmente quella delle mo- lecole contigue, l’azione delle quali è preponderante. Inoltre se la coesione è dovuta, come par molto probabile, all’attrazione delle cariche elettriche delle molecole variamente orientate, col variare della densità e quindi della distanza media delle molecole potrà prodursi una diversità nell’orientamento medio delle molecole contigue e quindi nell'attrazione reciproca. Può esser, almeno in parte, dovuto a ciò il fatto che la costante 4 della formula di van der Waals, la quale moltiplicata pel quadrato della densità rappre- senta appunto la pressione dovuta alla coesione, non è che approssimativa- mente costante, anzi quando la densità raggiunge i valori soliti pei liquidi varia notevolmente. — 353 — Inoltre risulta dalla suddetta costituzione dei liquidi, che mentre nel- l'interno di essi il numero di molecole che attraversano una superficie qual- siasi in un senso è certo uguale al numero di quelle che l’attraversano in senso contrario, nello strato superficiale invece, ogni molecola essendo sog- getta da parte delle molecole circostanti a forze la cui risultante è diversa da zero e diretta verso l'interno del liquido, ne segue che supposte inizial- mente uguali le densità da entrambi le parti d'una superticie parallela a quella del liquido e contenuta nello strato superficiale, il numero di molecole che attraversano questa superficie dirette verso l'esterno sarà minore di quello delle molecole che l’attraversano dirette verso l'interno del liquido e si produrrà così una diminuzione di densità all'esterno, un aumento all’interno di essa superficie finchè l’effetto di questa differenza non compensi quello della risultante suddetta. La densità del liquido quindi nello strato super- ficiale andrà decrescendo dall'interno all’esterno (così come nell’atmosfera per effetto della gravità la densità va decrescendo al crescere dell'altitudine). Sebbene la legge colla quale varia questa densità sia ignota pare molto probabile che essa tenda asintoticamente verso la densità del vapore all’e- sterno e verso la densità del liquido all’interno. Se s'introducono queste due modificazioni (l'attrazione funzione inco- gnita della densità, la densità variabile) nel processo di calcolo di Laplace s'incontrano delle difficoltà che impediscono di giungere al noto valore K-+H/R per la pressione dell’interno dei liquidi dovuta alla coesione. È noto che Poisson tenendo conto della variazione della densità nello strato superficiale, giunse bensì alla stessa espressione ma con valori essenzialmente diversi delle costanti (cioè K piccolissimo rispetto ad H), ma parecchi fisici hanno dimostrato che il calcolo di Poisson non è completo, e perciò i valori da lui trovati per le costanti non sono ammissibili. Credo che possa presentare qualche interesse la seguente dimostrazione (che pur non differisce essenzialmente da quella di Laplace) della formula della capillarità, nella quale dimostrazione non si fa alcuna ipotesi nè sul- l'influenza della densità sull’attrazione di due elementi di massa, nè sulla variazione della densità nello strato superficiale e solo si suppone che la legge con cui varia la densità nell'interno dello strato superficiale non di- penda (nemmeno numericamente) dalla forma della superficie (ossia che ad uguali profondità si abbiano sempre uguali densità), ipotesi che appare molto probabile se si considera che rispetto allo spessore (inapprezzabile) dello strato superficiale, i raggi di curvatura soliti della superficie del liquido possono considerarsi come infinitamente grandi, ossia che per estensioni di superficie dell’ordine di grandezza del suddetto spessore, essa può conside- rarsi sempre come piana. Più rigoroso sarebbe bensì il dimostrare che ad uguali profondità le variazioni della densità) prodotte dalla forma della super- ficie sono infinitesime d’ordine superiore. RENDICONTI. TENZE. Wok SOL a San 46 — 354 — Suppongo dunque che l'attrazione fra due volumi elementari del liquido dv e d*v! distanti 7 ed aventi rispettivamente la densità D e D' sia rap- presentata da: CE PI LIODEDITI Poichè le molecole si suppongono in movimente, la loro distanza, la forza risultante che ciascuna di esse subisce e la forza con cui s'attirano due elementi variano continuamente, dovrà quindi intendersi che g(D,D',7) rappresenti l'attrazione media rispetto al tempo; inoltre sebbene si supponga ignota la forma della funzione rispetto a D e D' si dovrà ammettere come evidente che essa aumenti di valore al crescere di D e D'. Si potrebbe anche dubitare se la suddetta attrazione sia proporzionale a d*v e d*v' specialmente quando le dimensioni di questi elementi di volume sono dello stesso ordine di grandezza di 7, ma nel calcolo seguente essendo la densità uniforme in ciascun elemento e costante la distanza 7, tale proporzionalità è ammissibile. Ciò posto suppongo che la superficie del liquido (l'una o l’altra delle superfici che limitano lo strato superficiale, o la superficie mediana di questo) sia sferica, di raggio R col centro in C (fig. 1) e convessa verso l'esterno. Considero un elemento M di una colonnetta dello strato superficiale, la quale sia a questo perpendicolare, e sia do la base, dr l'altezza, D la densità di questo elemento, ed 7 la sua profondità; considero inoltre uno strato sferico di spessore infinitesimo col centro in M, compreso fra due superfici di raggi 7 ed 7 + dr minori della distanza massima dell’azione molecolare ed in questo strato considero un anello determinato da due superfici parallele alla superficie del liquido, distanti % ed n-++ dh da M, di raggi R' ed R'+dR', pochissimi differenti da R, situate fra M e l'interno del liquido; indico con D' la densità comune a tutti gli elementi di quest’anello. — 359 — L’attrazione esercitata da uno di questi ultimi elementi d3v' sull’ele- mento M di volume dodn sarà do dn dv f(D, D', r) e la risultante dell'attrazione dell’intiero anello sull'elemento M ponendo MMC=6, NCM= gp sarà: do dn 2 d*v' f(D,D',7)cos6. Ora: 2 d°v' = dv = 2nr cos(NN', MC) NN' dr = 2rr dr sen 0. NN’ NN =dh/ceos(a/2—(60+)= dh/sen 6, se sì trascura @ (che è < 27/R) rispetto a 0 e quindi risulta dv = 2rr dr. dh. Inoltre dal triangolo NMC si ha: R°= (R'4 n) + 7° — 2(R+ 4) r cos quindi cos 6 = (2R°%4.4- A? + 7°)/2r(R'4- 4) ossia trascurando % rispetto ad R' si ha cos = (h+ (4° + r°)/2R)/r e l'attrazione dell'anello suddetto sull’elemento M diviene: 2re do da dh dre g(D, D', 7) [1+ (#° + r2)/2R] e la pressione per unità di superficie che ne deriva sarà: 2rr dr dn dh g(D, D', 7). h + 2 dr di dh. g(D, D', r).(h° + r°)/2R. Se invece si considera l’anello situato fra M e l'esterno del liquido, (essendo ancora convessa la superficie di questo), risulta che la sua densità D" è minore di D' e che l'attrazione da esso esercitata sull'elemento M è diretta verso l'esterno ed il suo volume d?v” sarà (fig. 2): d°*v" = 2rr cos(NN’, MC) NN”. dr = 2rrr dr sen 6. NN' NN' = dh/cos(7/2 — (0 — 9)) = dh/sen 6 quindi sarà: d*v' = 2rrr dr . dh. — 356 — Inoltre dal triangolo NMC s'avrà R°=(R—h4-r°-2(k— k)rcosò essendo 0= 7 — NMC, quindi così =—[— 2Rh+4k + °]/2r(R — ossia cost = (h— (41° + r°)/2R)/r e la pressione negativa che risulta nel liquido dall’attrazione di questo anello sull’elemento M sarà: — 2ndrdndhg(D,D',r).h+ 27 dr dn dh g(D, D', ). (6° 4 r°)/2R e l'attrazione complessiva che risulta dall’attrazione di entrambi, uno più BIG. 2: interno, l'altro più esterno di M, su di esso elemento M, ponendo per bre- vità g(D,D',r)=g' e g(D,D",7)=g" sarà: 2rr dr dn dh(g' — 9g"). h+4- 27 dr dn dh(p' + p').(h° + r°)/2R. Siccome g' > g' perchè D'>D" ne risulta che il 1° termine è positivo (ed il secondo altresì) e questa pressione è diretta verso l'interno del liquido. Se la superficie del liquido fosse concava verso l'esterno si potrebbe ripetere il calcolo precedente supponendo che nelle figure il liquido sì trovi in alto, al disopra della sua superficie, le relazioni trovate sussisterebbero, bensì l'anello considerato nella figura 2 sarebbe più interno e quindi più denso di quello considerato nella figura 1, cioè D" > D', g'>g' e l'attra-. zione esercitata dai due anelli sull’elemento M sarebbe 2rr dr di dh(g' — g'). h—- 2 dr dn dh(p" 4 pi). (h° + r*)/2R diretta ancora verso l'interno del liquido. Ponendo 2rc dr dn dh(g' — g').h=dK , 27 dr dn dh(gp' + gp") (£° + r?) = dB l — 3597 — la suddetta pressione diviene dK + dH/2R che vale anche se il liquido ha la superficie concava, purchè si prenda R negativo. È da notare che: dK/dH= h/(ht + 72) quindi poichè % ed 7 sono quantità piccolissime, 4K è grandissimo ri- spetto a ZH. Per ottenere la prossione totale occorrerebbe ora eseguire la triplice integrazione di ciascun termine rispetto ad %,7 ed , cioè trovare la somma delle infinite attrazioni elementari prima per ogni elemento e per tutti gli anelli che compongono lo strato sferico di raggio 7, quindi per tutti gli strati sferici di raggio crescente da zero al raggio massimo dell’azione mo- lecolare e poi per tutti gli elementi M dalla colonnetta nello strato super- ficiale; questa integrazione è certamente impossibile perchè è affatto inco- gnita la forma della funzione @. Essa d'altronde non è necessaria quando Si voglia solo porre tale pressione nella forma oramai classica datale da Lagrange. Difatti per un qualsiasi ma determinato valore di a,hedri valori di 4K e dH non variano allorchè varia la curvatura della superficie, quindi neppure la somma degl’ infiniti valori di 4K e 4H che si ottengono dando ad n,h,r tuttii valori possibili varierà e potrà porsi XXK=K, XXH=H e la pressione dovuta alla coesione assumerà la nota forma K-+H/2R, dove K è grandissimo rispetto ad H e, nè K nè H dipendono dalla curva- tura della superficie del liquido. Il passaggio dal caso di una superficie sferica a quello di una superficie a doppia curvatura si fa nel modo solito. Chimica agraria. — Su/l’uficio fisiologico del Magnesio nella pianta verde ('). Nota di Lutei BERNARDINI 6 GIUSEPPE MORELLI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. In una Nota precedente uno di noi (°) ha dimostrato che l’assimilazione dell'acido fosforico è regolata dalle quantità relative di magnesio assorbite dalla pianta per la relazione Mo P? 0° esistente nell'economia del vege- tale e nella Nota, .Su//a composizione chimica dell'embrione del rgso, dopo (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica-Agraria della R. Scuola Sup. d’Agri- cultura, Portici. (3) L. Bernardini e A. Siniscalchi, Staz. Agr. Sper. It., 1909, Fasc. IV-VI. — 358 — aver portato nuovi dati a sostegno di quell’affermazione ha potuto dare un primo appoggio sperimentale all'ipotesi che il magnesio, fra gli altri uffici, ha anche quello di mobilizzare l'acido fosforico. In quest'ultima Nota ve- niva posto in rilievo la grande ricchezza in fosforo dell'embrione del riso e veniva dimostrato che in quest'organo la massima parte del fosforo trovasi sotto forma di fitina, e, in base al fatto che nell’embrione del riso di fronte ad un alto contenuto in magnesio si ha una deficienza in calcio, veniva fatto osservare che, data la insufficienza della calce, nell'embrione del riso la fitina, fin'ora ritenuta come un sale calcico-magnesiaco dell'etere esafo- sforico dell’inosite (*) molto verosimilmente deve esservi rappresentata come sale magnesiaco. La presenza di grandi quantità di fosforo nell’embrione del riso sotto forma di sale magnesiaco dell'etere esafosforico dell’ inosite facilmente idro- lizzabile per azione enzimatica (*) ci portò (Bernardini) a concepire questa sostanza, la fitina, come la forma sotto cui la pianta immagazzinerebbe l’acido fosforico di riserva e dalla quale il fosforo sarebbe mobilizzato sotto forma di fosfato di magnesio. Il magnesio perciò mentre regolerebbe l’assi- CHO : P*05 da noi dimostrata Mg0 (Bernardini e Siniscalchi) avrebbe anche l'ufficio di mobilizzare l'acido fosfo- rico dai luoghi di riserva ai luoghi di utilizzazione. Poichè il fosfato di magnesio (fosfato secondario) è facilmente idroliz- zabile, in fisiologia vegetale era stata emessa l'ipotesi che il trasporto del- l'acido fosforico avvenisse per opera del magnesio, ma quest'ipotesi fino ad oggi non aveva mai potuto avere il suliragio di un dato sperimentale, e siccome d'altra parte le conclusioni dedotte dalle ricerche sulla composizione chimica dell'embrione del riso non dànno che una dimostrazione indiretta di questa ipotesi, noi abbiamo cercato di darne una dimostrazione sperimen- tale diretta. A questo scopo abbiamo seguito nel seme di frumento germi- nante all'oscurità e alla luce in assenza di sostanze nutritive l'evoluzione del fosforo organico e inorganico e quello del magnesio in combinazione sa- lina fosfo-organica e minerale. Il seme fu fatto germinare su pura sabbia di quarzo umida per acqua distillata e il periodo germinativo all’oscurità è stato diviso in 4 stadii: ciascuno stadio fu caratterizzato dalla lunghezza raggiunta dal germoglio e cioè: il 1° semi con germogli di circa mm. 3, il 2° semi con germogli di circa mm. 10, il 3° semi con germogli di circa mm. 40 ed il 4° con ger- milazione dell’acido fosforico per la relazione (1) Vedi a questo proposito e per la letteratura la Nota di L. Bernardini, Sulla composizione chimica dell'embrione del riso. Stesso fascicolo. (®) Susuki, Yoshimura e Takaishi, Bull. of the Coll. Agric., Tokio, vol. VII. — 359 — mogli di circa mm. 100. Nella germinazione alla luce il periodo germina- tivo è stato invece distinto in tre stadii e la caratterizzazione di ciascuno di questi è stata basata sulla presenza della clorofilla nel germoglio: il 1° stadio è dato da semi con germogli eziolati di mm. 8 circa (identico perciò al 1° stadio del periodo germinativo all’oscurità), il 2° da semi con germogli nei quali comincia ad apparire la clorofilla, di circa mm. 10 di lunghezza, il 3° da semi con germogli completamente verdi, di circa mm. 40 di lunghezza. Nelle ricerche per ogni stadio furono impiegati 500 semi e in questi fu determinato il fosforo dei fosfatidi (solubile in etere e in alcool) e quello solubile in HC1 all1°/, dopo l'esaurimento del materiale con etere ed al- cool assoluto e bollente, in questo liquido fu inoltre determinato il fosforo fitinico e il magnesio. In altri 500 semi fu poi determinato il magnesio solubile in acqua. Il procedimento seguito per la determinazione delle so- stanze fosforate è quello esposto nella Nota: .Su//a composizione chimica dell'embrione del riso, il magnesio è stato determinato nella cenere ottenuta portando a secco i liquidi e incenerendo il residuo. Nelle tabelle seguenti riportiamo i risultati ottenuti: i risultati sono riferiti a 1000 semi anzichè ad un'unità di peso; 1° perchè ci sembra più logico riferirli ad unità fisiologiche, 2° e principalmente perchè solo in questo modo è possibile paragonare fra loro i risultati forniti dai diversi periodi del processo germinativo. È noto infatti che nella germinazione all’oscurità e anche nei primi periodi della germinazione alla luce si ha perdita di so- stanza per ossidazioni intramolecolari: il riferire i risultati alla sostanza contenuta nei semi germoglianti porta perciò a numeri che non rappresen- tano il vero andamento del fenomeno mentre d'altra parte l'uniformità del peso dei granelli di frumento, anche se non selezionati con molta cura, rende possibile il confronto. TABELLA I. — Seme non germinato. P2 05 In 1000 semi Mg 0 In 1000 semi ST. | gr. Rotation ei 0.6060 Totale; Rena Sher 0,1220 Hosfatidic2/ RANIERO 0,0192 | Solubile in HC1 all’1 OG aiE 0,1200 Solubile in HC] all’1°/0 . 0,5120 | Solubilein H?0. . . . 0,0120 Maiaea, 6 lele o 0,4160 — 3600 — TABELLA II. — Seme germogliante all’oscurità. P205 in 1000 semi I °/o di P205 Mg 0 in 1000 semi °Jo di Mg 0 PERIODO 6 Kolai fitinica ———————_——___ |solub. in H20 ;_ | Solub. in HCl all'1°/o | rispetto P205 ; ; rispetto Mg0 è Fosfati- pe Solubil Solubil P g innato dica Totale! | itinica \Solub. HCI 1°/a HGI all DI în H°0 solub. HCl 1°/o pil culi ddr Prr__—_—__P_rr | gr. gT. gr. gr. | gr. Senza germinare. | 0,0192 0,5120 | 0,4160 76,20 0,1200 0,0120 10,00 1° Stadio. . .. . 0,0138 | 0,5120 | 0,3072 56,10 0,1216 0,0824 67,70 200 Sta dior tracce | 0,4600 | 0,1228 26,60 0,1130 0,1000 89,10 GP Stracllo, cda 0 ” 0,4224 | 0,0460 10,80 0,1040 0.0960 91,70 4° Stadio... .. = 0,4226 | tracce — 0,0940 0,0868 92,30 TaseLLA III. — Seme germogliante alla luce. P2 05 in 1000 semi PERIODO Mg O in 1000 semi II Fosfatidica Sclubiia BONA gr. gr. gr. Senza germinare . 0,0192 0,5120 0,0120 TOS ta dio gt 0,0138 0,5120 0,0824 DONSTAdIONBRANI 0,0320 0,2368 0,0520 3OES TA ORR 0,0550 0),2680 0,0288 Dall'esame delle cifre riportate risultano i seguenti dati di fatto: 1°. Nella germinazione all’oscurità il fosforo dei fosfatidi e quello della fitina va continuamente diminuendo; la demolizione della fitina segue l’andamento caratteristico delle scissioni idrolitiche enzimatiche. Nelle stesse condizioni il fosforo solubile in HCl all'1°/, si mantiene relativamente co- stante al pari del magnesio solubile nello stesso reattivo; il magnesio solu- bile in acqua invece segue un andamento caratteristico: va aumentando mano mano che la fitina è demolita. 2°. Nella germinazione alla luce il fosforo dei fosfatidi tende ad au- mentare coll’apparire della clorofilla, come già fu da noi dimostrato (!), quello della fitina nelle stesse condizioni non aumenta. Il magnesio solubile in acqua segue una curva costituita da un ramo ascendente e da uno di- (1) L. Bernardini e G. Chiarulli, Staz. Agr. Sper. It., 1909, Fasc. I-II. — 861 — scendente: aumenta nei primi periodi del processo germinativo ma comincia a diminuire coll'apparire della clorofilla. Dai fatti osservati derivano le seguenti conclusioni : Nel seme di frumento durante il processo germinativo in assenza di sostanze nutritive e della fotosintesi la fitina viene demolita completamente, e poichè il fosforo fitinico lappresenta i due terzi del fosforo totale, il 67 UT devesi ammettere che il fosforo di riserva sia contenuto nel seme sotto forma di fitina (!). È vero che nelle stesse condizioni anche il fosforo dei fosfa- tidi va diminuendo fino a scomparire ma, a parte che il fosforo fosfatidico rappresenta solo una piccolissima frazione del fosforo totale, lo 0,03°/, se la neoformazione di fosforo fosfatidico che si osserva nella germinazione alla luce in presenza della clorofilla, può far dubitare se i fosfatidi sieno da considerarsi come possibili riserve di fosforo, lecitinico ad esempio (vedi a questo proposito L. Bernardini e G. Chiarulli, loc. cit.), nel caso della fitina non possono sussistere dubbi od incertezze poichè il fosforo fitinico non au- menta alla luce quando incomincia e s intensifica il lavoro clorofillico. Si potrebbe muovere l’obbiezione che nella germinazione alla luce non sì è dosato il fosforo finitico, ma ciò era superfluo poichè, essendo la fitina so- lubile in HCl all’1°/, trovando che nella germinazione alla luce il fosforo solubile in questo reattivo non aumenta, anche ammettendo che tutto questo fosforo sia fitinico, resta il fatto ch'esso non aumenta. Parallelamente alla demolizione della fitina si ha un aumento di ma- gnesio solubile in acqua: ora, benchè per difficoltà tecniche ed analitiche non ci è stato possibile determinare direttamente il fosfato magnesiaco, di- mostreremo che l'aumento del magnesio solubile in acqua mano mano che la fitina è demolita deve essere attribuito alla formazione di fosfato di ma- gnesio. Difatti nella germinazione all'oscurità si ha che mentre il fosforo solubile in HCl all’1 °/ sì mantiene relativamente costante quello fitinico va diminuendo fino a scomparire e così mentre il magnesio solubile in HC1 all'1°/ si mantiene relativamente costante quello solubile in acqua va au- mentaudo fino a raggiungere la quasi totalità di quello solubile in HC1 all'1°/: ora, poichè la fitina è insolubile in acqua ma solubile in HCl all'1°/,, il fosforo solubile in questo reattivo comprenderà quello della fitina e quello dei fosfati inorganici e parimenti il magnesio solubile in HC1 all'1°/, comprenderà quello che salifica la fitina e quello dei fosfati mi- nerali, l'aumento del magnesio solubile in acqua che si osserva avvenire col progredire della demolizione della fitina non può essere spiegato quindi se non ammettendo che la demolizione della fitina dia luogo a formazione di fosfato di magnesio ed inosite. L’inosite infatti, come fu già osservato da M. Soave (?), (') Posternak CR. (1903) trova che la fitina è largamente rappresentata in tutti .gli organi dove si accumulano sostanze di riserva come semi, bulbi, rizomi ecc. (?) M. Soave, R. Acc. Agricult. di Torino, vol. XLIX, 1906. RENDICONTI. UN, Volk DO Ie Sam 47 — 362 — che non è contenuta allo stato libero nel seme in riposo, compare nel seme in germinazione. La demolizione della fitina nel processo germinativo dei semi avviene quindi per un processo idrolitico che saponifica il sale dell'etere esafosforico dell’inosite in fosfato di magnesio ed inosite, restando così dimostrato che effettivamente esiste nella pianta accanto alla fitina il suo enzima, la « fitasi », capace di saponificarla, enzima che già Susuki, Yoshimura e Takaishi (*) avrebbero trovato nella pula di riso. Ciò porta necessariamente a considerare la « fitina » contenuta nel seme di frumento come un sale magnesiaco dell'etere esafosforico dell’ inosite ed infatti, come già facemmo osservare per l'embrione del riso, nel seme di frumento mentre è contenuta la quantità di magnesio necessaria a salificare l'etere esafosforico dell’inosite quivi presente, manca la quantità di calcio necessaria a salificare quest’etere a sale calcico-magnesiaco: 1000 semi di frumento contengono gr. 0,4160 di P°0° fitinica, gr. 0,1220 di MgO e gr. 0,0712 di CaO, ora per salificare a sale doppio di calcio e di magnesio gr. 0,4160 di P*O° fitinica occorrono gr. 0,1171 di MgO e gr. 0,1640 di Ca0. Resta dunque dimostrato che l'acido fosforico di riserva contenuto nel seme sotto forma di fitina nella germinazione è mobilizzato sotto forma di fosfato di magnesio per un processo enzimatico che scinde, idrolizza la fitina in inosite e fosfato di magnesio. La dimostrazione fornita che il trasporto dell'acido fosforico dai luoghi di riserva ai luoghi di utilizzazione avviene sotto forma di fosfato di ma- gnesio, messa in relazione con le ben note ricerche del Willstàtter sulla costituzione chimica della clorofilla, pone in luce quale importante ufficio abbia il magnesio nell'economia della pianta verde: il magnesio mobilizza l'acido fosforico dai luoghi di riserva ai luoghi di utilizzazione dove l'acido fosforico è utilizzato per la sintesi dei nucleoproteidi e in genere delle so- stanze organiche fosforate plastiche, costitutive della cellula, nel mentre che il magnesio viene utilizzato per la costruzione della molecola della clorofilla. Difatti il fosfato di magnesio che si forma a spese della fitina nei primi periodi del processo germinativo (vedi tab. ITI) comincia a scomparire col- l'apparire della clorofilla nel germoglio e sempre più quanto più il germo- glio inverdisce. (1) Loc. cit. — 363 — Chimica. — Azione delle aldeidi sui corpi pirrolici. Scom- posizione pirogenica dei derivati del dipirrilmetano. Nota di U. CoLacicoHI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sulle soluzioni citrofosfatiche. Nota di U. Pra- TOLONGO, presentata dal Socio A. MENOZZI. A. Quartaroli ha testè segnalato, su questi stessi Rendiconti ('), un er- rore in cui sono incidentalmente incorso, in alcune mie recenti ricerche (?), indicando come citrato diammonico il prodotto ottenuto saturando con am- moniaca una soluzione acquosa di acido citrico, sino a neutralità. Non mi dissimulo la gravità dell'errore, pure notando che il prodotto era assai bene caratterizzato dal modo onde era ottenuto, sì da togliere ogni possibilità di equivoco; di esso mi sarei. d'altra parte, indubbiamente accorto nella conti- nuazione delle ricerche, tuttora in corso. Nè l'errore affetta, nemmeno in minimo grado, i risultati ottenuti nella ricerca, poichè lo stesso prodotto — che risponde effettivamente agli scopi applicativi, onde la ricerca ha preso le mosse — venne usato in tutte le ricerche messe a confronto. Da questo punto di vista, l'errore diventa quindi puramente nominale. Gli intensi fenomeni idrolitici da me riscontrati, vanno evidentemente ascritti al citrato triammonico, e l'induzione da me tratta trova la sua origine e la sua ragion d’essere nell'errore ora ricordato. Non scorgo invece relazione alcuna tra i fatti in discussione e la distin- zione. cui mi richiama il Quartaroli, fra sali doppi e sali complessi, dato che le ricerche sull'argomento non sono ancora uscite dal campo dell’equi- librio omogeneo; il Barillé, ponendo, d'altra parte, le sue induzioni a con- trasto con quelle di Grupe e Tollens, assume chiaramente, pur senza farne espressa menzione, l’esistenza di ioni complessi citrofosfatici in soluzione acquosa. Come nella mia Nota precedente. intendo ora astenermi rigorosamente da ogni induzione prematura sull’esistenza o meno di ioni complessi citro- fosfatici, nelle soluzioni considerate; il problema è di dominio sperimentale, e sarebbe vano precorrere arbitrariamente i risultati delle ricerche, che sono in corso. Credo utile affermare peraltro, di fronte ai dubbî che la Nota del (!) Vol. 21, I, pag. 130 (1912). (3) Ved. questi Rendiconti, vol. 20, I, 818 (1911). — 364 — Quartaroli potrebbe destare a mio riguardo, che nelle mie ricerche non sono stato guidato da prevenzione alcuna, contro luna o l’altra delle tesi in di- scussione; così mi è doveroso esprimere schiettamente il mio dubbio — che i chimici organici non esiteranno del resto a dividere — sulla possibilità di attribuire agli ioni complessi citrofosfatici, assunti dal Quartaroli nelle soluzioni acquose, la costituzione loro assegnata dall'A. nel suo più recente lavoro sull’argomento ('). Chimica tecnologica. — Ricerche intorno all'olio di olivo DI Nota di G. Sani, presentata dal Socio G. KOERNER. La prima parte delle esperienze, i cui risultati ho l'onore di presentare a codesta illustre Accademia, venne eseguita da oltre dodici anni, e se non ho creduto di pubblicarla prima, fu solo nella speranza di potere estendere lo mie ricerche di laboratorio e soprattutto di portarle su basi industriali, ma purtroppo mi mancarono i mezzi necessarî allo scopo e non ho probabi- lità di averne in un avvenire prossimo, sicchè non stimerei ragionevole un ulteriore ritardo, tanto più che l'argomento della presente Nota è di at- tualità. L'olio d’olivo trae seco, uscendo dai tessuti in cui si contiene, per la pressione alla quale sono sottoposti la polpa del frutto ed il seme, una quan- tità grande di materiali, alcuni dei quali, per il loro prolungato contatto, possono influire in senso assai dannoso sia per le qualità organolettiche dell'olio stesso, sia perchè possono indurre talune modificazioni assai profonde nella sua composizione. Questi diversi materiali, dannosi alla buona conservazione dell’olio di olivo si separano malagevolmente per la ragione molto semplice che VIE poca differenza fra la loro densità e quella del liquido in cui sono sospesi, e talora la defecazione completa richiede qualche mese, con danno manifesto alla qualità del materiale. Ora io ho pensato che se fosse possibile di au- mentare la differenza fra la densità dell'olio di olivo ed i materiali che all'atto della sua preparazione ne costituiscono l’impurità, ne sarebbe facile una pronta separazione con un mezzo meccanico. Molte sono le sostanze che a tale scopo potrebbero servire purchè rispondessero alle condizioni di essere molto solubili e anche facilmente diffusibili attraverso membrane, perchè buona parte dei materiali inquinanti dell'olio greggio sono detriti di tessuti : però era necessario tenere presente il fatto che l'olio d’olivo è principalmente destinato alla alimentazione umana, sicchè io diedi la preferenza al sale di (1) Le staz. agr. sper. ital., 1910, 43, 552. (2) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica agraria del R. Istituto superiore agrario di Perugia. — 365 — cucina (cloruro di sodio) e trattai l'olio appena uscito dal torchio con solu- zione satura di cloruro di sodio, agitando in modo da portare bene i due liquidi a contatto e dopo qualche tempo sottoposi la miscela a centrifuga- zione, con una scrematrice Corona, modello piccolossimo. Ebbi immediata- mente separato olio limpidissimo ed anche meno colorito di quello che non siano normalmente gli olii di questa regione, destando così la meraviglia del sig. Giulio Broggi, che funzionava da mio assistente, e del personale presente alla esperienza, tutti appartenenti e regioni oleifere ed avezzi ad aspettare dei mesi prima di poter usare olio nuovo. Le conoscenze della chimica e della zimologia moderne spiegano facil- mente l'importanza di una immediata defecazione dell'olio di olivo uscente dai torchî. Mi riservo di tornare sull'argomento e studiare quale sia la concentra- zione più opportuna della soluzione salina, quale la temperatura più conve- niente ecc. ecc. D'altra parte, avendo ripetutamente avuto occasione di analizzare olii genuini d'olivo, ho potuto constatare che talora l'acidità libera assume pro- porzioni assai rilevanti e che quasi sempre negli olii umbri sorpassa i limiti normalmente trovati nei buoni olii d'olivo. Questi agricoltori dicono che i loro olii sono grassi e la colpa è un poco loro, molto dei mugnai, in parte delle condizioni di raccolta e di conservazione delle olive, le esperienze che seguono, io spero saranno dimostrazione convincente delle mie afferma- zioni, mentre potranno consigliare pratiche destinate ad evitare i danni la- mentati. È indubbio che la scissione dei gliceridi costituisce la prima fase dello irrancidimento dei grassi ; ora, il prolungato contatto di enzimi lipolitici, in medio ricco d’acqua, a temperatura relativamente elevata, costituisce la sola causa dello inacidimento degli olii — ma bisogna tenere presente che le sul- lodate condizioni principiano a verificarsi al momento della completa matu- ranza delle olive e continuano e si esaltano durante la raccolta — il trasporto delle olive dal campo al magazzino, la loro conservazione, la loro molitura. Sopra tutte queste diverse fasi è necessario si porti l’attenzione dei produttori di olio se si vuole, almeno in parle, menomare il danno di avere olii ricchi di acidi. L'acidità degli olii è tanto maggiore quanto più è grande il tempo in- terposto fra la raccolta delle olive ed il momento della loro lavoraziene per ottenerne l'olio; e tanto più è prolungato il periodo di contatto dell'olio con la pasta, tanto maggiore è la temperatura raggiunta nella molitura e nello impastamento della massa da sottoporsi a pressione, — tanto più lungo è il tempo in cui l'olio resta insieme ai materiali coi quali è accompagnato al momento della sua preparazione. — 366 — Ecco alcuni dati analitici sopra olii di olivo umbri che discuterò in appresso : Provenienza Anno Numero di acidità mmg. di KOH per gr. d’olio 1. S. Martino in Campo. . 1910 2,55 IM ortignano (ERE OE 2,739 30 Montefalco "eee 90 2,40 4. Td. DITE STO C 2,155 5. Id. SS 1911 9,02 6. Lacugnano . AR LO 10,13 TS. Enea > 1 e LODI 10,68 St Casalina e LOTO 4,25 ONId. 2 08800 DI 3,C9 10. Id. LAB O LOT 8,50 I Nsevalentino ee 910 8,94 NORTE AU LIO. 5,24 Come ben si vede il numero di acidità in alcuni di questi pochi cam- pioni raggiunge talora un elevatezza saliente, i primi quattro sono olii di qualità superiore pel paese, ottenuti dalla spremitura della polpa; pei numeri cinque, sei, sette mi risulta che le olive vennero conservate in magazzeno per eirca quaranta giorni prima di essere molite, i campioni d'olio di Casalina vennero separati per sifonamento delle acque di vegetazione appena spremuti in tutti l'acidità libera è soverchia. Ho potuto avere due campioni d'olio di olivo preparati il 1° febbraio di questo anno a Casalina durante il corso pratico di oleificio fatto ai nostri studenti. Ecco i dati analitici: Numero di acidità Olio di prima qualità 1912. . . . . - 25,89 Olio di seconda qualità 1912... . . + 25,77 La conservazione delle olive venne fatta coi soliti metodi, ma come si vede la lipolisi fu assai profonda; € le olive furono proprio della stessa qualità di quelle che fornirono gli olii dei numeri nove è dieci. Con olive conservate per seme nel nostro Istituto ho preparato separa- tamente il 29 febbraio, in Laboratorio, olio dalla polpa e olio dal seme per vedere se la lipolisi fosse diversa o no ed ebbi questi risultati: Numero di acidità Olio di polpa appena preparato . . . - + 66,72 È, 7 dopo 24 ore di contatto con le acque di vegetazione a 20° . . . . 76,78 Olio dei semi appena estratto con etere . . 7,05 7 7 schiacciati e lasciati in pasta per due giorni. SMR 8,80 — 1367 — La lipolisi dei gliceridi costituenti l’olio d'olivo è di gran lunga più attiva nella polpa che non nel seme racchiuso nel nocciuolo, certo per la presenza di maggiore quantità d'acqua; nei semi liberati dallo spermoderna e schiacciati in pasta essa procede poi rapidamente. I pochi dati sovraesposti e le considerazioni fatte bastano a porre in rilievo la necessità di provvedere a migliorare i mezzi di preparazione del- l'olio e quelli di conservazione delle olive. Per questo ultimo argomenlo espongo il risultato di una mia modesta esperienza che potrà, credo, portare a qualche utile risultato. Durante l’ultima raccolta di olive e precisamente il 17 novembre p. p. ho prelevato una certa quantità di frutti sani e maturi ponendone una parte in una ghiacciaia, del- l’altra porzione rimasta ho preparato olio con piccola quantità il giorno 18 di detto mese e ne ho determinato l'acidità ottenendo mmg. 1,02 di KOH ber grammo, poi su altra porzione conservata in ambiente non riscaldato, ho nuovamente preparato olio il 15 dicembre, che ha presentato un numero di acidità pari a 9,2; altra preparazione di olio ho fatto il 15 gennaio con numero di acidità pari a 21,32. Finalmente il 10 febbraio ho determinato l'acidità nell’olio preparato da una quarta porzione ottenendo 32,05 come numero di acidità, le olive furono tenute in luogo sano ed areato. Negli stessi giorni ho sempre prelevato campioni delle olive conservate in ghiacciaia ed ho constatato ognora che l'olio da esse preparato forniva numeri di acidità oscillanti fra 1 e 1,5. Sicchè il freddo arresta l’attività degli enzimi lipolitici contenuti nel frutto delle olive, intorno alla portata economica della cosa non posso ora giudicare. Olive essicate rapidamente, appena raccolte e conservate per tre mesi e mezzo in luogo asciutto, hanno fornito olio ottimo per profumo, per sapore, che ha dato un numero di acidità di 1.32 il che comprova che in assenza d’acqua la lipolisi non si verifica. In una prossima Nota riferirò sul rapporto per cui sono rappresentati i diversi acidi che costituiscono l’acidità libera degli olii d’olivo. Embriologia. — Di alcune particolarità embriologiche in Poinsettia pulcherrima R. Gr. Nota della sig." G. DONATI, presentata dal Socio R. PIROTTA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 368 — PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLASERNA comunica che, in seguito ad invito della Società Reale di Londra, l'Accademia dei Lincei si fece rappresentare ai funerali di lord Lisrer a Londra, dai Soci stranieri Sir ArcHIBALD GEIKIE e Sir JosEPH LARMOR. Il Presidente BLasernA annuncia alla Classe cho alla seduta sono presenti il comm. Corrapo Ricci direttore delle Antichità e Belle arti, il prof. Possevti R. Ispettore degli Scavi per l'Umbria, e il marchese Cir- rapINI-CESI. Il prof. PossENTI, nel presentare la maschera in cera del principe FepERIco Cesi fondatore dell'Accademia dei Lincei, maschera da lui lungamente ricercata e felicemente scoperta in una chiesa di Acquasparta, legge una Relazione riguardante la scoperta suddetta, sulla quale porge inte- ressanti particolari che ne assicurano la autenticità. Presenta anche una bellissima medaglia, di proprietà della famiglia Cesi, che porta il ritratto del principe Federico Cesi, i cui sembianti corrispondono a quelli della maschera. In seguito alla speranza espressa dal prof. Possenti che la maschera resti quale prezioso cimelio in custodia perenne dell’Accademia, e dopo le dichiarazioni del comm. Corrado Ricci che è ben lieto di adoperarsi presso il Governo perchè ciò avvenga, il Presidente, a nome dell’Accademia, sì com- piace col prof. Possenti della sua importante scoperta, lo ringrazia per la interessantissima sua comunicazione, e, sicuro che l'opera del comm. Ricci approderà a buon fine, dichiara che l'Accademia collocherà in posto onorevole la preziosa memoria del suo grande Fondatore. La Relazione del prof. Possenti sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevica, presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Pirorta e BerLEsE, dell'ing. Matt, e dei pro- fessori SaLvapori è De Toni. Fa inoltre menzione dei primi due volumi, pubblicati dalla Società elvetica di scienze naturali, delle « Opera omnia» di LronarDo EuLERO, e del volume dei signori PryM e Rost: Teoria delle funzioni di Prym di primo ordine, in relazione alle scoperte di Riemann. — 369 — Il Socio Foà fa omaggio del volume contenente gli Atti del 1° Con- gresso internazionale dei Patologi, tenutosi a Torino nell'ottobre del 1911, e ne discorre. L'Accademico Segretario MILLOSEVICH presenta la pubblicazione del prof. EREDIA intitolata: Climatologia di Tripoli e Bengasi, riassumendo notizie e dati contenuti nella pubblicazione stessa. RENDICONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 48 — 370 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentata nella seduta del 4 febbraio 1912. AnceLitti Pa. — De principio medii arithmetici. (Abdruck aus den « Astr. Nachr. » Bd. 185). Panormi, 1910. 89. AnceLittI Pa. — Le distanze dalla terra agli astri. (« Calendario Astronomico- commerciale di Palermo, 1911 »). Pa- lermo, 1911. 8°. ArmeLLINI G. — Il problema dei due corpi nell’ipotesi di masse variabili. (Estr. dai « Rend. R. Acc. dei Lincei, CI: se. fis. », vol. XX). Roma, 1911. 8a Busc H. A. — Rhoeadales i Sarraceniales Florui Kaukasa. Jurev, 1904-1910. 8°. CoLLarn A. — Catalogue alphabétique des livres, brochures et cartes. (Bibliot. de l’Observat. R. de Belgique è Ucele.). Bruxelles, 1910. GerBaULT Ep-L. — Observations sur quel- ques pélories de la Violette. (Estr. du « Bulletin de la Soc. Linnéenne de Normandie » 6° ser., 32 vol.). Caen, 1911. 8°. GrEENHILL G. — The Attraction of a Ho- mogeneous Spherical Segment. (Repr. from « American Journal of Mathe- matics », vol. XXXIII, 4). London, 1910. 4°. IsseL A. — Cenni intorno ai littorali ita- liani considerati dal punto di vista geologico. (Estr. da « Prefazione al Portolano delle Coste d’Italia »), s. l. nec d. IsseL A. — L'evoluzione delle rive marine in Liguria. (Estr. dal « Bollett. della Soc. Geogr. Ital. » fasc. IX). Roma, 1911. 8°. IsseL A. — Le misure di gravità e il pre- sagio dei parossismi vulcanici. (Estr. dalla Riv. Ligure di Sc. lett. ed arti, 1910). Genova, 1910. 8°. IsseL A. — Origine e conseguenze delle frane. (Estr. dalla Riv. mensile di Sc. Nat., «Natura» vol.'I). Pavia, 1910. 8°. LasozzettAa B. — Determinazione coi dati di un solo osservatorio dell’azimut del luogo della superficie terrestre dove s’ebbe il principio di un moto sismico. Mileto, 1911. £. v. Lovisato D. — Note di paleontologia mio- cenica della Sardegna. Specie nuove di Clypeaster e di Amphiope. (Estr. dalla « Palaeontographia Ita- lica », vol. XVII). Pisa, 1911. 4°. Marig G. — Dénivellations de la vie et oscillations des véhicules de Chemins de fer. Complément théoriques. Ètudes diverses. (Extr. des « Annales des mi- nes », an. 1911). Paris, 1911. 8°. Marig G. — Limites des flexibilité des ressorts et limites de vitesse du ma- tériel des chemins de fer. (Extr. des « Mém. de la Soc. des Ingégneurs Ci- vils de France »,1911). Paris, 1911. 4°. Massini L. — Reazione di A. Wassermann e suo valore in semeiologia clinica. Studio critico e sperimentale. Genova, 1911. Memorial volume of scientific Papers. (University of Saint Andrews five hundredth Aniversary). Edinburgh, 1911. 8°. Mrrinny L. — Pantosynthése. Note sur les radiations. Paris, 1911. 8°. Onoranze alla memoria di Michele Ste- fano De Rossi in Rocca di Papa; 30 agosto 1910. (Società Sismologica Ita- liana). Modena, 1911. 8°. Orta Jon. — Bericht iber das Leichen- haus des Charit6-Krankenhauses fr das Jahr 1910. (Sonder-Abdr. aus den « Charit6-Annalen ». XXXV, Jahrg.) Berlin, 1911. 8°. Orta G. — Diagnostica anatomo-patolo- gica. Torino, 1911. 8°. = Sil Parona C. F. — Giorgio Spezia. (Estr. dall’ « Annuario della R. Università di Torino », an. 1911-1912). Torino, ION, 0 ParROZZANI A. — Di taluni ibridi natu- rali degli agrumi. (Estr. dagli « An- nali della R. Staz. di Agrumicoltura e frutticoltura », vol. I). Acireale, 1911, G SALMOJRAGHI FR. — Saggi di fondo di mare raccolti dal R. Piroscafo « Was- hington » nella Campagna idrografica del 1882. Nota 2° postuma. (Estr. dai « Rend. del R. Ist. Lomb. di sc. lett. ed arti », vol. XLIV). Milano, 1911. O, Seduta del De BLasto A. — Contributo allo studio della Mammalogia fossile dell’Italia meridionale. Napoli, 1911. 8°. De BLasio A. — Intorno all’officina litica di Sora. Napoli, 1912. 8°, DE Toni G. B. — Edoardo Bornet (1828- 1911). (Estr. dalla « Nuova Notarisia », XXIII, 1912). Padova, 1912. 8°. EREDIA F. — Tripolitania e Cirenaica, climatologia di Tripoli e Bengasi. Studio, con prefazione di Luigi Pa- lazzo. (Minist. affari esteri). Roma, 1912. 8°, Encyclopaedia Britannica (the) a Dictio- nary of arts, sciences, literature and general information. Eleventh Edition, vol. IXXIX. Cambridge, 1911. 4°, EuLERI LeonH. — Opera omnia. Series I, vol. I; Series III, vol. III. Lipsiae, 1911. GiurrRIDA RueGeRI V. — L'uomo come specie collettiva. Discorso. Napoli, 1912. 8°. Lorra A. — La synthèse économique; étude sur les lois du revenu. Version fran- gaise de Camille Monnet. Paris, 1911. 8°, MeLI R. — Notizie di una zanna e di altri resti elefantini fossili descritti da @ TI Savasrano L. — Di taluni ibridi naturali degli agrumi. (Estr. dagli « Ann. della R. Staz. di Agrumicoltura e frutticol- tura », vol. I). Acireale, 1911. 8°. SPERTORSKIJ E. — Problema soxialenoj fisiki b XVII stoljetii. Tom xerveij. Novoe mirovoxxrjenie i novaia teoria nauki. Varxava, 1910, 8°. TarameLLi T. — Il nubifragio Valtelli- nese dello scorso agosto. (Estr. dai « Rend, del R. Ist. Lomb. », vol. XLIV). Milano, 1911. 8°. VentURI Ap. — Quarta campagna gravi- metrica in Sicilia nel 1906. (Estr. dai « Rend. d. R. Accad. dei Lincei », CI. sc. fis., vol. XVIII). Roma. 1909. 8°. 3 marzo 1912. Giambattista Passeri nel 1759, oggi conservati nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro. (Estr. dal « Bollett. della Società Geologica Ital. », vol. XXX). Roma, 1911. 8°. Nisranp A. A. — De Kometen 1911 C, F. en G. Utrecht, 1911. 8°, PeLLAT S. — Notice bibliographique sur les travaux de Henri Pellat. Paris, ERG GO Prrorra R. — Hanno le piante organi dei sensi? (Estr. dagli « Atti della Soc. Ital. per il progresso delle scienze ”, 1911). Roma, 1912, 8° Prym F. — Theorie der Prym’schen Funk- tionen erster Ordnung im Anschluss an die Schopfungen Riemann's, Leip- zig, 1911. 4°, Rosr G. — Theorie der Prym'schen Funk- tionen erster Ordnung im Anschluss an die Schopfungen Riemann’s. Leip- zig, 1911. 4°, SaLvapoRI R. — Elementi di Chimica ge- nerale, inorganica-organica. III edi- zione. Firenze, 1912. 8°. ZAPALOWICZ H. — Conspectus florae Ga- liciae criticus, vol. III. W. Krakowie, 1911. 8°, Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. — Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). 3 Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1 TRANSONTI, 2° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze moralî, storiche e filologiche. - Vol. IV. V. VI. VII. VIII. i Berio 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, disicrnaiiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MkmMoRIE della Classe di scienze morali, storiche flologiche. i Vol. I-XIII. Di Serie 4. — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). ua MEMORIE della Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. Vol. I-VII. | MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5a — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. LT) Vol. I-XXI. (1892-1912). 1° Sem. Fase, 5 RENDICONTI della Classe di scienze moralî, storiche e filologiche. Vol. I-XX (1892-1911). Fase. 9°-60. DIVA MEMORIE della Classe di scienze fisiche, | matematiche e naturali. 1 RENATE Vol. I-VIII. Fasc. 24° i MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. T-XII. i; e CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCRI_ n Rendiconti della Clis di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due i volte al mese. Essi formano due voluini all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. ;_ Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più. °°» Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti È editori-librai : oi * Ermanno LorscHgR & Co — Roma, Torino e Firenze. Utrico Horpri. _ Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1912. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche è naturali Seduta del 3 marzo 1912. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sul gruppo automorfo delle forme ternarie quadratiche suscettibili di rappresentare e a. (ce e Id. Sulle superficie minime cerchiate di Rienianni®) e se RR Nasini e Porlezza. Ricerche sulla radioattività delle acque sorgive del Monte Amiata ed esperienze sulla dispersione atmosferica della regione... |. RI Bassani e Misuri. Sopra un delfinorineo del calcare miocenico di Lecce (Ziphiodelphis Neli Dalia) Fubini. Sulle equazioni integrali di terza specie di Émile Picard (pres. dal Socio Segre) » Orlando. Sull’integrabilità delle funzioni di due variabili (pres. dal Corrisp. Di Legge) +. Tonelli. Sulle orbite periodiche (pres. dal Socio Pincherle) 0 00 A Armellini. Determinazione matematica dello schiacciamento polare di Giove (pres. dal Socio Mereto) + I a Amoroso. Contributo alla teoria matematica della dinamica economica (pres. dal Corrisp. Pantaleoni) . . - ”» Colonnetti. Sul principio di reciprocità (pres. dal Socio Levi- Civita) 0) e Corbino. Sul calore specifico del tungsteno & temperature elevate (pres. dal Socio Blaserna) » Guglielmo. Sull’indipendenza della formula di Laplace per la capillarità dalla legge con cui varia la densità nello strato superficiale dei liquidi (pres. dal Socio Blaserna) . . + ® Bernardini e Morelli. Sull’ufficio fisiologico del Magnesio nella pianta verde (pres. dal Socio Paterno) 0 I Colacicchi. Azione delle aldeidi sui corpi pirrolici. Scomposizione pirogenica dei derivati del dipirrilmetano (pres. dal Socio Ciamician) €) - SE e ci n Pratolongo. Sulle soluzioni citrofosfatiche (pres. dall Socio Menozzi) ii... + 000 Sani. Ricerche intorno all'olio di olivo (pres. dal Socio Koernner) a I I ENSTRNÌ Donati. Di alcune particolarità embriologiche in Poinsettia pulcherrima R. Gr. (pres. dal Socio Pirotta)\(®) S .. - «.R ” PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Comunica che ai funerali di lord Lister l'Accademia venne rappre- sentata dai Soci stranieri Sir Archibald Geikie e Sir Joseph Larmor. .. + + +00? Possenti. Presentazione della maschera in cera del principe Mederico Cesì . . . € PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle inviate dei Soci Pirotta e Berlese, dell'ing, Mela, dei proff. Salvadori e De Toni, i primi due volumi delle Opere di Eulero, e uu yolume dei signori Prym e ost. . +... . ” Foà. Fa omaggio degli Atti del 1° Congresso internazionale dei Patologi e ne parla . ” Millosevich (Segretario). Presenta una pubblicazione del prof. Hredia e ne discorre .. . BULLETTINO BIBLIOGRAFICO «+ >. +. 02 ce ee n (7) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. (**) Questo luvoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Mii — — —_—__’_erloòitn Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. koma 1? marzo 1912. N, 6: 150” 1° aj REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO C@ex: 1919 SEE: QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 marzo 1912, Volume XXI. — Fascicolo 6° 1° SEMESTRE. i j 3 i JUL 28 1913 \\ \\ Maps ROMA Sr TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCET == | Moses LA der I SRI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1972 se i | I Tn"_r_ e ;© i cel Mi vo] ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. 1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al'mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci 0 Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 15 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscwvtto. I, 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi= cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci è da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina nna Cor missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contennti nella Memoria, - c) Con un ringra ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro. posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubbliea, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè-nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli an- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 sè estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 marzo 1912. F. D' Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Su/le superficie minime cerchiate di hiemann. Nota del Socio L. BrancHI. 1. Nella Memoria di Riemann: Weber die Hlichen vom kleinsten Imhalt bei gegebener Begrenzung (*) viene trattato, al n. 19, il problema (di Pla- teau) di far passare una superficie d'area minima per un contorno formato da due circoli in piani paralleli, ed il problema si risolve ammettendo che tutte le sezioni fatte con piani paralleli a quei due estremi siano altrettanti circoli. Le superficie minime così trovate dipendono da due costanti arbi- trarie e le loro equazioni si hanno in termini finiti per funzioni ellittiche (vedi più oltre n. 3). Indipendentemente da Riemann, Enneper (*) ricercò tutte le superficie minime cerchiate e dimostrò che i piani dei circoli sono necessariamente paralleli, onde si è ricondotti unicamente al caso di Riemann. Queste superficie minime cerchiate corrispondono, come Schwarz 0s- servò (°), ad assumere nelle formole di Weierstrass per la funzione F(s) l’espressione C F(s)= ==“ W SY(s—cote)s(s+tge) essendo C, costanti reali. (*) Abhandlungen der Kgl. Gesellschaft zu Gottingen, t. 18 (1867); vedi Riemann's Werke, pp. 329-333 (22 edizione). (°) Schlomilch’s Zeitschrift fiir Math. u. Phys., Bd. XIV (1869). (°) Miscellen aus dem Gebiete der Minimalfldchen (HB), Schwarzîs Werke, Bd. I. RenpIcoNTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 49 — 374 — Sulle superficie minime cerchiate citiamo ancora una Memoria di X. Stouff (*), ed infine un'interessante Nota di G. Juka (?), dove le equazioni di queste superficie minime sono poste sotto una semplice forma che ci sarà utile fra breve. 2. Scopo della presente Nota è di far conoscere una nuova interpreta- zione geometrica che possono ricevere le superficie minime cerchiate di Rie- mann in metrica non-cuclidea (iperbolica). Tale interpretazione si fonda sulla nota circostanza che in queste superficie il luogo dei centri dei circoli è una linea piana, il cui piano 7 è normale a quelli dei circoli. Si consi- deri allora questo piano 77 come piano limite 2 = O in una metrica iperbo- lica definita, nella rappresentazione di Poincaré, da ; da? + dy? + de? (1) ge = dat Fee _ I circoli, ortogonali al piano limite, della superficie minima 2 rappresen- tano rette non-euclidee e la X è quindi, in metrica iperbolica, una superficie rigata. Ora, per le proprietà generali delle superficie minime, i circoli di 3 (linee di livello), insieme alle loro trajettorie ortogonali (linee di pendenza), formano un sistema isotermo, e la proprietà si conserva in metrica iperbo- lica, la rappresentazione di Poincaré essendo conforme. Sulla nostra rigata x della metrica iperbolica le generatrici formano dunque colle trajettorie ortogonali un sistema isotermo, onde la superficie stessa è il luogo delle binormali di una curva a torsione costante. Dunque: Ogni superficie minima cerchiata di Riemann, interpretata în metrica iperbolica, diventa la superficie luogo delle binormali di una curva T a torsione costante. Per definire completamente questa curva I°, ne osserveremo ancora una altra proprietà che la caratterizza. Se alla superficie minima X diamo una traslazione continua normale ai piani dei circoli, ciascun punto della curva T° si dirige normalmente ai circoli; € poichè la detta traslazione rappresenta anche un movimento continuo parabolico dello spazio a curvatura costante, ne risulta che la direzione dello spostamento, per ciascun punto di T°, rimane nel piano osculatore non-euclideo di I°, e la curva T° resta dunque asinto- tica della superficie S generata. Siccome poi I° ha costante la torsione, segue dal teorema di Enneper che la superficie S generata è a curvatura costante negativa. Abbiamo dunque ii seguente teorema: Za curva I° a torsione costante genera in un movimento continuo parabolico una superficie pseu- dosferica S di cui rimane asintotica. (1) Sur une classe de surfaces minima. Annales de la Faculté des Sciences de Tou- louse, t. VI (1892). (2) Mathematische Annalen, Bd. 52 (1899). — 979 — Possiamo enunciare questo risultato sotto l’altra forma: Se alla superficie minima cerchiata X si dà una traslazione con- tinua normale ai piani dei circoli, le co! posizioni di X, interpretate in metrica iperbolica, sono le superficie luogo delle normali ad una super- ficie pseudosferica lungo le asintotiche di un sistema. Di una proprietà analoga godono naturalmente le asintotiche del secondo sistema, sicchè la doppia infinità di circoli si ordina in due modi diversi in co! superficie minime cerchiate congruenti per traslazione. 3. Alle considerazioni geometriche precedenti facciamo ora seguire i cal- coli che, mentre dànno la conferma analitica delle proprietà osservate, fanno conoscere di più, in termini finiti, le equazioni di questa singolare curva T° a torsione costante dello spazio iperbolico e delle superficie pseudosferiche da essa generate. Per la superficie minima cerchiata X assumiamo il piano della curva Co, luogo dei centri dei circoli, per piano xy, mentre disponiamo il piano x% parallelamente ai piani di circoli. Secondo le formole stabilite da Juka (loc. cit.), le coordinate x,y, del centro mobile del circolo sono date, per un parametro v, mediante funzioni ellittiche di Jacobi a modulo arbitrario %, dalle espressioni snu dnu vo = Ru + ELL pui o VE dove 4" è il modulo complementare, wu una seconda costante arbitraria, ed E(u) l'inteorale di 2 specie (w) g E(%) = (any du; infine il raggio R del circolo è dato da Re nu” Come si vede, la costante w moltiplicativa influisce solo sulle dimen- sioni della superficie e rappresenta il raggio del circolo minimo; senza alte- rare la generalità potremo fare w= 1. Così la superficie minima cerchiata X sarà definita dalle formole: 5 1(snudnwu ) | 0080 ct __ Sen (2) i np cn at az St enu che dànno le coordinate x ,y,s di un suo punto, espresse per due para- metri 4, @ — 376 — Se calcoliamo il dst= da? + dy? + de? della X in coordinate ,@, troviamo dst = Edu? + 2Fdudo + Gda?, con E=%+ k'2 4 sn*u dn°w snu dnu k' sen w 1 PA o Be DA en'u en'y L'equazione differenziale Pdu+ Gdo = 0 delle trajettorie ortogonali dei circoli si serive do _kdu _ 0 Seaton co ann sicchè ponendo sel (e A k'du no ranto IL ; cioè 0) dou+ 4'snu (3) v= logtg a log no | saranno appunto le v= cost le trajettorie ortogonali “e circoli. Calcolando ora il ds? in coordinate «,v, vagano I + #8 du RE o, (È cos o + sn dn en? (4) de =) aa dove resta ancora da esprimere sen ,cosw per u,v. Per ciò traggasi dalla (3) dnu + #'snu cnu Uh) (00) e, tenendo conto della identità cn u = (dnu+ &'snu)(dnu — 2'sne), ne dedurremo dn senhv + 4 snu coshv Mii — dnu coshv + %' snu senhv (5) cnu dn coshv + %' sn senh v | seno = Abbiamo quindi H'eoso + snu dnu °snucosho — k'dnu senhv cn? — dnucoshv+%'snvsenhv — 377 — e perciò l'cos o + snu dnu \° sep k° cosh*v + #'? senh*v cn? (dnucoshv + 4'snu senh v)? | Sostituendo nella (4), abbiamo la formola definitiva pel ds*: 1 , (6) Asti (du u coshv + #'snu senh o)? {(4° cosh?v +% È senh?v) du? + dv? 3 la quale conferma che i circoli v=cost, colle trajettorie ortogonali v = cost, formano un sistema isotermo. Poichè inoltre %, e quindi y= 7 parametro d'isotermia resta confermato, per un noto teorema di Beltrami, che la su- perficie ® è ad area minima. 4. Interpretiamo ora la superficie minima XY come esistente nello spazio iperbolico di curvatura K = —1 e d’elemento lineare (1). Indicandone con ds' l'elemento lineare non-euclideo, avremo sen?w en? wu ds'? ds cioè per la (52) ds?= (dnu coshv + 4'snu senho)? ds?. Osservando la (6), abbiamo dunque (7) ds? = (4° cosh*v+ 4°? senh? v) du + do?.. La curvatura geodetica delle v = cost è qui 1 senh v cosh v e» 4° cosh?v +4? senh?v ’ e per ciò la linea v= 0, che indichiamo con T°, è geodetica, sicchè l'attuale rigata Y è il luogo delle binormali di T°. Se, colle formole di Frenet in metrica iperbolica (!), si calcola l’elemento lineare della rigata delle binor- mali ad una curva e si identifica con (7), si trova che: Za torsione L della T nostra curva T è costante, precisamente Tio Tr La prima proprietà dedotta geometricamente al n. 2 è così confermata dal calcolo. Di più possiamo ora scrivere le equazioni in termini finiti della (*) Vedi le mie Lezioni di geometria differenziale, vol. I, $$ 201-202. — 378 — 4 curva I° a torsione costante 7= "i ponendo nelle (2) v= 0, cioè secondo le (5) sog 2 È AED sen w HI Ter aa el " dn Così: Za curva T è data, în termini finiti, dalle equazioni sn cn% 1 7 i Il (8) a=k'ut+ 3 DE — E UE, Mm Si noti inoltre che, per la (7), il suo arco s non-euclideo è S= (0 Possiamo anche facilmente calcolare la prima curvatura (flessione non euclidea) : della nostra curva I in funzione dell'arco s con la formola Ii e ua due ai ui(Fe—2dnuS 3 +(7 — 2dnu ds == vee) che deriva dalla formola generale (31) a pag. 364 del 1° volume delle mie Lezioni di geometria differenziale. Qui troviamo da _ SSN, CAI de _ksnucnu CR AA 0 gole e ny | (he ,Sn% cn u dig d’a _cnu—k*sn°y Mea di giliMas i asi anta 3 e riducendo, risulta la semplice formola e sostituendo nel valore di 2 SA Q Vediamo adunque che: Za curva T a torsione costante nello spazio iperbolico, data în termini finiti dalle (8), è definita dalle equazioni in- trinseche ZA 1 s ai —=2 Cif te (9) n] E Wo cn (è) Siccome la superficie Y ha linee di curvatura isoterme, e tale proprietà si mantiene in metrica non-euclidea, abbiamo: Za superficie delle binor- — 379 — mali della curva T (in metrica iperbolica) è una superficie isoterma. Questa è una proprietà caratteristica della nostra curva T, come dimostre- remo più oltre (vedi n. 7). o. Conformemente alle osservazioni geometriche del n. 2, diamo ora alla curva 7° una traslazione d’ampiezza variabile w parallelamente all'asse delle y (normalmente ai piani dei circoli). La superficie S generata in questa traslazione, ove si ponga ku+ w=t, sarà data dalle formole snu cnu 1 AVA, ene a Sai (0) or 1 (4) y=1A06 IERI Riguardando questa superficie S (cilindro dello spazio euclideo) come appar- tenente allo spazio iperbolico (1), avremo per il suo elemento lineare (11) ds'? = k4 sn*u du? + dn? u dé. La sua curvatura assoluta K si calcola subito ed è (RE K=K+1=— TE Se calcoliamo altresì i coefficienti D=92, 5 D'=9 . D'—= 92, della seconda forma fondamentale di S, ricorrendo alle formole del $ 170, vol. I, delle Zezioni, abbiamo (12) D=%°k'enudnu , D'=0 , D"=— #snudnu, e quindi per l'equazione differenziale delle asintotiche di* — k*du®= 0. Le asintotiche di un sistema sono le t—ku=-cost, in particolare è asin- totica la v=0, e quelle dell’altro sistema sono le t4 ku= cost, mani- festamente simmetriche delle prime rispetto al piano az. Per il teorema di Enneper (!) la torsione delle asintotiche, in particolare della curva T, è data da SC EI ee = da, LI il che dimostra nuovamente la prima delle (9). (!) Lezioni, vol. I, pag. 496. — 380 — Per ritrovare di nuovo anche la seconda —iNlenizh DS bi basta calcolare, colla formola di Bonnet (!), la curvatura geodetica della t— ku= 0, che combina appunto coll’assoluta 7 ; 6. È stato osservato da Schwarz (Miscellen, loc. cit.) che la superficie >', coniugata in applicabilità di una superficie minima cerchiata X, è un'altra tale superficie minima. Non è senza interesse ricercare la dipendenza fra le formole che dànno le due superficie 2,2" ovvero le due corrispondenti curve a torsione costante T°, 7" dello spazio iperbolico. Dimostreremo che il passaggio da X a 2", o da TY a I, si ottiene cangiando il modulo % nel complementare 7. Prendasi la superficie minima cerchiata X, nella quale però converrà ora meglio dare, per ragioni di simmetria, al raggio del parallelo minimo il valore #' anzichè il valore 1. Così, per la formola (6), il ds? della 2 sarà dato da 0) e J(£° cosh?v + £" senh*v) du? + do}. iS ul e (O (dnucoshv + #'snu senh v)? Considerando la superficie minima cerchiata analoga 2’, ottenuta collo scambio di Z con Z', avremo per il suo elemento lineare 2 (13') Usa = CAT I(K°2 cosh?V + k? senh®V) AU? + dV?} 5 ove indicano le funzioni ellittiche col modulo complementare £'. Dimostriamo che le due superficie minime X, 2" sono applicabili in guisa che le linee di livello = cost (circoli) dell'una diventano sull'altra le linee di pendenza V= cost (traiettorie ortogonali dei circoli) e reciprocamente. Per questo diamo le effettive formole di corrispondenza che sono k' sn 1 cn (14) | ve diu © cosnV dnu se; _ ASnU LA Cao) SITA (coso AU (1) Lezioni, vol. I, pag. 183. — 381 — Da queste si deduce in effetto NO Do dv dv _ DNA JU. CaUE e sì verifica subito che i due elementi lineari (13), (13') si trasformano così l'uno nell'altro (?). Le proprietà così verificate per le due superficie minime >, 2' le ca- ratterizzano appunto come coniugate in applicabilità. Notevole è il caso par- ticolare 4=7'= mE dove le due superficie minime X,X' riescono iden- Ù tiche di forma. 7. Da ultimo veniamo a dimostrare, conformemente a quanto è asserito alla fine del n. 4, che: Za curva T dello spazio iperbolico definita dalle equazioni intrinseche (9) è l'unica curva a torsione costante di questo spazio, la cui superficie delle binormali è isoterma (con linee di curvatura isoterme). Così verremo a dimostrare nuovamente questa proprietà della curva I° ed in pari tempo proveremo che essa è caratteristica per la nostra curva. Nello spazio iperbolico, di curvatura K = — 1, consideriamo una curva C a torsione costante 1 pae (a costante) e la superficie X luogo delle sue binormali. Sulla X assumiamo a parametro v l'arco di C ed a parametro « il tratto di generatrice contato a partire da C(u= 0). L'elemento lineare di 3 sarà dato (vedi Lezioni, vol. I, pag. 450) da (15) ds° = du? + (cosh*u + a? senh®x) do?, sicchè pei coefficienti E, F, G abbiamo qui bile G = cosh°x + a? senh?y e quindi i valori dei simboli di Christoffel sono tutti nalli, salvo i due seguenti (12) __(1+ a?) senhu cosh (2) cosh?v + a? senh®x i = — (14 a?) senh u coshu. (') Si osservi ancora dalle (14) che il circolo minimo «= 0 della X si muta sulla 2° nella curva I” a torsione costante non-euclidea. RenpIconTI, 1912. Vol. XXI, 1° Sem. 50 — 382 — Consideriamo ancora i coefficienti D,D',D" della seconda forma fon- damentale di X che saranno (') Di J/cosh* u + a? senh? « (i) D=0d 0 , D'= 2V|/cosh*u+ a? senh*« , dove 9° [bai Il DD < è una funzione della sola v che rappresenta appunto la prima curvatura, o flessione, di C. Si tratta ora di determinare questa funzione V per modo che la superficie > risulti isoterma. Applicando i risultati esposti nel vol. II delle mie Zezioni a pag. 30 (*), si vede essere per ciò necessario e sufficiente che, posto r=(ED'—FD).u, T'=4(ED"—GD).u, T"=(FD"—GD').w. si possa determinare il moltiplicatore w in guisa che I°, 7°," soddisfino le equazioni di Codazzi ari di EDI (18) 20 dU ZIE dr 10) (9 e ara Tall o (0 1 2 | È Sostituendo in queste i valori (17) di T7°,1'",7", coll’osservare le (16), e introducendo come nuova funzione incognita in luogo di w l'altra M= log u— 4 log (cosh*u+ a? senh° w), M 35M le (18) determinano i valori di Di * secondo le formole seguenti, ove (a (o si è posto per brevità dV TI RED ro 1 fe Via GO) | DM ___2(14+a?)senhu coshu — (1-+ a?) senhw coshu V? — du — cosh*u-+ a? senh* a? + (cosh*u + a* senh® w) V? dai prog | ON ? + (cosh*u + a? senh? w) V? dM _ a(1+ a?) senhucoshuV ___—(cosh’u + a” senh°#)VV' do a+ (così u+ a? senh*u)V®? a + (cosh*u + a? senh*w)V® | (1) Si consideri che le v= cost sono asintotiche (rette), e si tenga conto delle equa- zioni di Gauss e di Codazzi. (2) I teoremi cui ci riferiamo valgono, come facilmente si dimostra, non solo in metrica euclidea ma anche in una metrica generale a curvatura costante. — 383 — Basta ora scrivere la condizione d’ integrabilità per queste due e si ottiene a(1 +4 a?)V }a?(cosh® u + senh®%) + (cosh? vu — a? senh? u)V*} + + aV"}a°+-(cosh°u + a? senh? u)V?} — 24(cosh? + a? senh°4)VV'= 0, 2 dove veli, Siccome V è indipendente da %, questa deve ridursi alla identità cosh?u — senh?w = 1. Questo ci dà dapprima le due condizioni per Vi: V'V?4+ (14 a3)V(a° + V2)— 2V2V = — g2V" MINE e (0 VINES e = le quali equivalgono però all’unica del 1° ordine ve rawta. L'integrale generale di questa, ove si ponga pn po SA IRR e si includa la costante additiva in v, è dato da vi en(©). Le equazioni intrinseche della curva domandata sono adunque Rea RA — —Q T sugli ; pron (8). Q k che combinano appunto colle (9), ciò che dimostra il teorema enunciato. Osserveremo in fine che l'analisi qui adoperata si applica nel medesimo modo per risolvere il problema analogo negli altri spazî a curvatura costante. nulla o positiva; si trovano così i risultati seguenti : 1°. Nell'ordinario spazio euclideo (a curvatura nulla) non esiste alcuna curva reale ed a torsione costante non nulla, la Superficie delle cui binor- mali sia isoterma. 2°. Nello spazio ellittico (a curvatura K=+-1) le uniche curve reali di questa specie sono tutte e sole quelle di equazioni intrinseche L La superficie delle binormali di queste curve sono particolari rigate a cur- vatura assoluta nulla. A questi risultati si collegano altre osservazioni geometriche sulle quali mi propongo di ritornare più tardi. —=1 , = 2 tg(c5) (c costante). — 384 — Meccanica. — Sulla deformazione di un cilindro di rota- zione. Nota del Corrisp. 0. TEDONE. 1. Seguendo le notazioni introdotte in una Nota precedente, chiamiamo # la lunghezza del cilindro ed R il raggio della sua base; scegliamo gli assì coordinati in modo che l’origine sia nel centro di una delle basi e l'asse del cilindro cada sulla parte positiva dell'asse 4; e introduciamo coordinate cilindriche con le formole: (1) c=(c08V , y=Usenw. Il problema della deformazione di un cilindro circolare (di capitale interesse nelle applicazioni pratiche), anche ridotto al caso in cui il cilindro è costituito di materiale isotropo, è un. problema notevolmente complicato. Fa eccezione il caso in cui la deformazione è una torsione indipendente dall'angolo w e qualche altro caso il cui studio è appunto oggetto princi pale di questa Nota. Precisamente noi vogliamo dimostrare che il problema della deformazione di un cilindro circolare si risolve facilmente quando la deformazione è indipendente dall'angolo w e sulla superficie sono assegnate la componente normale dello spostamento e la componente tangenziale della tensione. Ed, in questa quistione, possiamo anche astrarre dalla deformazione di torsione. Per se stesso il problema può apparire di scarso interesse, però esso può servire utilmente d’intermediario per risolvere il problema della deformazione quando le condizioni in superficie sieno altre. 2. Partiamo dall'osservazione che, come si prova facilmente, i sistemi di formole seguenti ci dànno due sistemi di soluzioni particolari dell’equa- zioni dell'equilibrio elastico per un corpo isotropo: A+ W A+ 3u + U,== kaJ,(kl)|(a + d) Sen (Xe) + (2+ e) Cos (£4)] + + J1(42) [a Cos (45) + 2 Sen (£a)], a (ui 31 k33o(42) (a + d) Cos (#2) + (6 + c) Sen (Za)] + + Jo(X2) [c Cos(kz) + d Sen (&z)], = 715, 00 @+ d) Cos (X2) + (b + c) Sen(X2)]; — 385 — &w=— 37 gg Et lo(#0) [(21 + da) cos (42) + (91 — 21) sen (42)] + + 11(42) [a, cos (X4) + d, sen (£2)], vii KlI,(K40) [—(214-d.) sen (42) +(81— c1) cos (£2)] + + Io(#2) [ei cos (44) + d, sen (42)], k 5 sn o(#2) [(a1 + 43) cos (ke) + (01 — c1) sen (#2)], dove , ed v, sono le componenti dello spostamento secondo il raggio vet- tore / e l’asse 2, @ è la dilatazione elementare, Z e w le costanti di Lamé, k,a,b,c,d4,a,,bx,t,,d; costanti arbitrarie e £ potrebbe essere immagi- nario, ma noi la supporremo reale. Abbiamo posto, inoltre : ( h a È E Va LEI CI LINA de: de & — e73 z eri e wo o GE (4) | Senz= La superficie del cilindro è composto di tre parti: della superficie late- rale e delle due basi. Ora il problema che ci siamo proposti di risolvere sì può scomporre in tre parti ciascuna delle quali risolve lo stesso problema quando, su due delle tre parti di cui è composta la superficie, la compo- nente normale dello spostamento e tangenziale della tensione acquistano valori nulli, mentre sull’altra acquistano valori arbitrarii. Passiamo a dare la soluzione di questi tre problemi. 8. Se nelle (2) poniamo = e supponiamo che sia (5) Ji(k&)=0, % e la componente della tensione secondo l’asse z, ossia tangente alla superficie del cilindro, sì annullano per /=R, qualunque sieno le costanti a,b,c,d. Perz=0, invece, si annullerà x, se, nelle (2), poniamo c= 0 e si annullerà la com- ponente della tensione secondo la direzione /, cioè dU dU; ona — 386 — se 5=0. Abbiamo così le infinite soluzioni elementari seguenti dell’equa- zioni dell'equilibrio elastico per un corpo isotropo, ciascuna caratterizzata dalla soluzione £; della equazione (5) e contenente ancora due costanti ar- bitrarie: ul) = gela n, Ji (è gi (a; + di) Sen (g)+ + a; Ji (ki 4) Cos( 3) , = (lg) (+ 0 (67) + + di do (& n) Sele È): Delle infinite costanti 4; e d; ci possiamo servire in modo che nella soluzione } ue , us = Zu? (6) u,eT,=w 2 +e) , per 2=, diventino funzioni arbitrarie. Se poniamo i valori di u, e di T, per z=% sotto la forma l L (7) (ua = ZA do (7) ; (Ma=ZBiJ kr avremo, per determinare le costanti 4; e d;, le equazioni: —(a4d) È CARI, ig, os (£ ir) +4 S (pd 3u° R (8) | (a+ d) o È trp 00s( su n) + Sen (GR )}+ (gra (17) DA Do pI Soltanto c'è da osservare che le (7) richiedono che sia: I ein 0% 0 In quanto alla seconda condizione essa deve essere supposta soddisfatta dai dati; soddisferemo, invece, anche alla prima sostituendo per , un’espres- sione della forma u,= Ang + Zu?, dove Ao è allora una costante convenientemente determinata. — 387 — Cambiando, nella soluzione trovata, < in R—z si trova l’altra solu- zione per cui lo spostamento normale e la componente tangenziale della ten- sione si annullano sulla superficie cilindrica e sulla base z= h, mentre sull'altra base acquistano valori arbitrarii. 4. Dalle (3) ricaviamo, in modo analogo, la soluzione del problema nel caso in cui lo spostamento normale e la tensione tangenziale si annullano sulle due basi, mentre acquistano valori arbitrarii sulla superficie cilindrica. Se, infatti, nelle (3) poniamo 2). =c,=0, kK= n: dove m è un intero arbitrario, troviamo infinite soluzioni elementari per cui sulle due basi si annullano «, e T,. Esse hanno la forma: dv] E nta et, (e) en=| pia eta (met) a dl es sen = i Componendo con queste soluzioni elementari l’altra più generale: Uy= Tm WU = En si può poi in essa disporre delle costanti che restano ancora arbitrarie in modo che sulla superficie laterale del cilindro w, e T, acquistino dati valori. Se fra 0 e % i valori di ; e di T, si sono posti sotto la forma: tr = Em On 008 EE. MI PST, con e h h dev'essere : , dtw mik nr) mato) “ea RS + en ilo, 10 | tifosa) (8) nata (Si — (Gn a =- ©, Sommando le tre soluzioni così trovate si trova la deformazione più generale di rotazione per un cilindro di rotazione, tenendo conto che, in questo caso, si sa determinare anche la torsione. — 3988 — Per convincersi che la nostra soluzione è la più generale basta osser- vare che essa contiene sei funzioni arbitrarie e cioè i valori dello sposta- mento normale e della tensione tangenziale sulle due basi e sulla superficie cilindrica. Di queste funzioni arbitrarie, ossia delle costanti arbitrarie che compaiono nelle nostre formole finali, ce ne possiamo servire per soddisfare sulla superficie del cilindro a condizioni diverse da quelle indicate. 5. Cerchiamo di servirci della soluzione ottenuta per risolvere il problema della deformazione del cilindro nel caso in cui sulla base 4="0 sì annulla lo spostamento, sulla superficie laterale si annulli la tensione, mentre sulla base z= % sono applicate date tensioni dirette secondo l’asse 4. Indichiamo perciò le costanti che compaiono nella soluzione che si deduce dalla (6) mu- tando 4 in 4— con gli stessi simboli con cui sono indicate nelle (6) stesse munite di un accento. Dobbiamo allora soddisfare alle condizioni seguenti : aeeri(I +1) i T Cos(% R) + Se(1 = B=0 4; 44 w (Si) e (ele (E) Lu — (@n — da) (E2°)=0, 1) di (et) alal + 20) 80n (fp) cos(4nt)= mE (E) (E) ] icuca[miofot) ente + (4, — di) Sen (ke si =), La prima e la terza dicono che «, ed si annullano per 4= 0, la se- conda e la quarta che la componente tangenziale della tensione sì annulla sulla superficie cilindrica e sulla base <= %. La prima, la seconda e la quarta ci permettono di esprimere di, dm ® di; rispettivamente per 4; , Am ; di; dalla terza deduciamo una combinazione lineare di 4; ed 4; espressa per mezzo di tutte le costanti am; sicchè restano da determinare le am e le 4, ovvero le 45, di cui ci possiamo servire per assegnare valori arbitrarii alla tensione normale sulla superficie laterale del cilindro e sulla base <="#. In questa Nota non vogliamo andare oltre nella discussione di queste equa- zioni. Vogliamo soltanto osservare che la terza delle equazioni precedenti non può essere soddisfatta in generale. Si toglie questo inconveniente intro- ducendo in v, un termine della forma By/. — 389 — 6. Cerchiamo cosa diventa la soluzione quando R è infinitamente pic- colo rispetto ad %. Le prime delle (11) richiedono che sia di=0 e quindi anche a;=0; similmente le ultime richiedono che sia &==di= 0; dalle seconde abbiamo an = dm=0 e restano soddisfatte le altre identicamente. Nella soluzione rimanente u=" Bol ; uz= Ao poichè le costanti A, e By devono essere scelte in modo che la tensione nor- male alla superficie laterale sia nulla, dev'essere V) B =_T— A,= 0. i e) i Se quindi si vuole che sia u=0, per 2=0, deve porsi Ah=B,=0. Togliendo questa restrizione e supponendo che < e #— non sieno infini- tesimi, si ottiene la soluzione del de Saint-Venant. Chimica. — Sulla reazione Angeli-Rimini delle aldeidi. Nota del Corrisp. L. BALBIANO. In risposta alle mie osservazioni (*) fatte alla critica di un mio colla- boratore sull’interpretazione della costituzione dei composti di disidratazione dei glicoli che si ottengono coll’ossidazione aceto-mercurica dell’anetolo, il collega prof. Angeli fa alcuni appunti (?) ai quali rispondo con qualche ri- tardo perchè ho voluto corredare la risposta coi necessari fatti sperimentali. Nella prima parte della sua Nota il prof. Angeli ripete le stesse con- siderazioni che mi sono fatto io quando dai risultati analitici ‘ho stabilito che i composti ottenuti dai glicoli differenziavano da essi per una molecola di acqua in meno, e se allora ho dato al meccanismo dell'eliminazione quella interpretazione, mi indusse a ciò il fatto sperimentale che quei com- posti, dando la reazione Angeli-Rimini coll’acido del Piloty, dovevano essere classificati per aldeidi e non per chetoni e qualunque chimico avrebbe allora data la stessa interpretazione mia. Nella seconda parte il prof. Angeli descrive sommariamente alcune esperienze eseguite sul desossibenzoino CsH;-CH,-C0-C; H;, sul benzoino Cs H;-CHOH-C0-C,H, e sul benzile Cs H;-C0-C0-C;H;, atte a dimostrare che l'eccesso di alcali adoperato nella reazione coll’acido del Piloty reagi- rebbe alla sua volta sul chetone formando aldeide benzoica, la quale rea- gendo coll'acido del Piloty darebhe origine all’acido benzidrossamico, che si isola dal sale di rame coll'acido cloridrico diluito. Secondo il prof. Angeli la reazione aldeidica da me accertata nei diversi prodotti di disidratazione (*) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XX, serie 52, 2° sem., pag. 245. (MIN ao 417 Renpiconti. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. OI — 390 — dei glicoli sarebbe generata da un’aldeide prodottasi per azione dell'eccesso di alcali sul chetone primo prodotto di disidratazione, perciò nel caso del glicole dell'anetolo, sarebbe prodotta dall’aldeide anisica e così per gli altri glicoli sperimentati. Questa supposizione del collega, non corredata da fatti sperimentali quantitativi, è però contraria ai dati sperimentali da me pub- blicati, perchè la composizione del sale di rame che io ho trovato nel caso del glicole dell’anetolo è 23,09-23,77°/, Cu e 5,33-5,66°/, N, il calcolato essendo per CH; 0-C; H.-C3H, NO; Cu 24,77°/ Cu —5,46°/,N, mentre per ) 30- È È. il sale ramico dell'acido anisidrossamico CHz 0-C, H, OY ) Cu si cal (02 cola Cu°/ 27,8 N° 6,12, cioè un tenore considerevolmente più elevato di rame e di azoto di quello datomi dall'esperimento. Ho perciò, come avevo annunziato nella mia Nota dell'agosto passato, ripetuto le mie esperienze sui due chetoni isomeri C,H;-C0-CH.-CH, e Ce H;-CH,-C0-CHz fenil-etilchetone benzil-metil-chetone ed ho ottenuto i seguenti risultati : Benzilmetilchetone. — Il prodotto ritirato dal Kahlbaum, si ridistillò frazionatamente e si adoperò per le esperienze la frazione bollente 210-214°, che rappresenta all'incirca i */, del prodotto commerciale. Gr. 1,84 chetone, disciolti in 10 a 15 cm.* di alcool assoluto, si addi- zionarono di 10 cm. di soluzione acquosa 2n. di KOH, e quindi poco a poco ed agitando si aggiunsero gr. 1,77 di acido benzol-solfin-idrossilaminico di Piloty, indi si lasciò alla temperatura ambiente dalle ore 16 alle 9 del- l'indomani. Si distillò l'alcool a bagno maria, ed il residuo lattiginoso per separazione del chetone che non ha reagito, diluito con 2 a 3 vol. di acqua, si estrasse con etere. La parte acquosa, scacciato l'etere disciolto per riscaldamento a bagno maria, si acidificò con leggero eccesso di acido acetico; il liquido divenne lattiginoso, e si addizionò di soluzione satura a freddo di acetato ramico. Si ottenne un precipitato fioccoso verde, che lasciato per 24 ore alla tempera- tura ambiente, si filtrò, si lavò con acqua sino ad eliminazione dell'eccesso di acetato ramico, indi con alcool ed infine con etere. Il peso di questo sale disseccato nel vuoto sull'acido solforico è di gr. 0,135. In altre preparazioni, fatte nelle stesse condizioni di tempo e di temperatura, con 2 gr. di chetone e le corrispondenti quantità di acido del Piloty e d’idrato potassico le quantità di composto ramico oscillarono fra gr. 0,2 e 0,05. Il sale di rame si presenta sotto forma di una polvere microcristallina, di color verde-cromo, praticamente insolubile nell'acqua e nell’alcoo); tuttavia — 391 — un po solubile in questi veicoli, perchè si ha dal contatto di essi un soluto che si colora in violetto col cloruro ferrico. Riscaldato lentamente deflagra con grande vivacità, per cui non si può determinare il quantitativo di rame per calcinazione, ed una determinazione di azoto andò perduta per decom- posizione troppo rapida. Per la determinazione del rame si operò nel modo seguente: Gr. 0,4685 di sale disseccato nel vuoto sull'acido solforico fino a co- stanza di peso, si agitarono in imbuto a robinetto con 15 a 20 cm? di acqua acidulata con acido solforico al 15 °%/, e con 90 a 100 em. di etere, fino a che la soluzione del sale fu completa. Nello strato acquoso, riunite le acque di lavatura, si precipitò coll’idrato sodico l’ossido di rame, che lavato, disseccato e calcinato pesava gr. 0,1594, ossia 23,7 °/, di Cu. Il calcolato per Cs Hs NO; Cu È) 28,04%, Cu per Co Hs NO, Cu. 2H;0 SAI MO In altra porzione si determinò l’acqua ed il rame. Gr. 0,3356 sale disseccato nel vuoto sull’acido solforico vennero riscal- dati lentamente e gradatamente in stufa a temperature crescenti fra 100°- 170°, fino a che a questo limite di temperatura si avesse due pesate co- stanti nell'intervallo di tre ore di riscaldamento. La perdita di peso fu di gr. 0,0471 ossia 14,03%. Il calcolato per C, Ho NO; Cu.2H,0 e LStSTAS AIETS 05 Inoltre gr. 0,2871 dettero col trattamento sudescritto gr. 0,1000 di Cu0 ossia 27.8 °/, di Cu — Calcolato 28,04. Da questi dati mi ritengo autorizzato a concludere che il sale ramico è rappresentato dalla formola C, H, NO, Cu.2H,0 e non ha la composizione C,H; NO,Cu che richiede Cu°/ 832,00, o come si vedrà in seguito la comp. (C} H$ NO,)? Cu che richiede Cu°/ 18,93. i L'evaporazione dell’etere lascia l’acido libero sotto forma di una massa cerosa colorata în rosso-bruno che per soggiorno in essiccatore diventa più concreta. Sì scioglie un po' nell’acqua e la soluzione dà intensa colorazione rosso-viola col cloruro ferrico. Si trattò la massa con acqua (circa gr. 0,2 con 2 cm. di acqua) lasciandola digerire alla temperatura ordinaria; il fil- trato, 22coloro, svaporato nel vuoto lasciò un tenue residuo cristallino che col disseccamento sull’acido solforico nel vuoto si colorò in giallo-rosso. Questo residuo del peso di 1 a 2 mg. al massimo, fuse completamente a 36-90° in un liquido rosso, e dà sempre, trattato con acqua, una soluzione che col cloruro ferrico si colora intensamente in rosso-viola. L'acido benzidrossamico è descritto nel Beilstein come cristallizzato in lamine o tavole fusibili a 124-125°, e dal prof. Rimini col punto di fusione 131-132°. Ho preparato per instituire esperienze di confronto, l'acido benzi- — 392 — drossamico secondo le prescrizioni del prof. Rimini (*), variando solo la quan- tità di acido acetico adoperata per neutralizzare l’alcalinità della massa dopo la reazione: mentre egli neutralizza solamente, io ho reso acido con un leg- gero eccesso, perchè lasciando depositare il sale ramico con eccesso di ace- tato ramico, questo eccesso si trovi sempre in presenza di acido acetico, per impedire la formazione di acetati basici insolubili. Il sale di rame dell’acido henzidrossamico è rappresentato dalla formola NO\2 (c.n.—0o< ca perchè alla determinazione del rame dette il se- guente risultato. Gr. 0,1845 sale disseccato fino a costanza di peso nel vuoto sull'acido solforico dettero alla calcinazione gr. 0,0318 di CuO, per cui in 100 p. {'rovato Calcolato Cu 18,88 13,93 È una polvere micro-cristallina di color azzurro-chiaro, che riscaldata lentamente si decompone senza deflagrazione. L'acido libero cristallizza dal- l’acqua in cristalli aghiformi arborescenti fusibili a 126-127°. Il fenil-etilchetone trattato nelle stesse condizioni di alcalinità coll’acido del Piloty non dà la minima formazione di composto idrossamico come pre- vedevo nella Nota stampata qualche mese fa in questi Rendiconti. Tanto l'anisilmetilchetone ottenuto per disidratazione del glicole del- l’anetolo, quanto il benzil-metilchetone non danno composto ramico che sì colori in rosso-viola col percloruro di ferro, quando invece di adoperare l'acido del Piloty e sovrasaturarlo di alcali, si adoperi il suo sale sodico, pre- parato colle quantità stechiometriche di etilato sodico e soluzione alcoolica dell'acido libero, e quindi la reazione del collega Angeli può sempre essere impiegata come diagnostica delle aldeidi. Se invece la reazione si fa nelle condizioni di alcalinità adottate dal prof. Rimini, alcuni chetoni possono dare composti ramici che si colorano in rosso-viola col cloruro ferrico e quindi confondersi colle aldeidi. Non sono poi d’accordo sul modo d'interpretare l'azione dell’eccesso di alcali sui chetoni proposto dal collega Angeli, od almeno le sue esperienze descritte troppo sommariamente non mi dànno la convinzione che fra i pro- dotti dell'azione degli alcali sui chetoni sperimentati si trovi l'acido benzi- drossamico. Le esperienze su descritte sul benzil-metilchetone mi dimostrano che il sale di rame ottenuto non è il sale di rame dell'acido benzidrossa- mico sia per la composizione sia per le proprietà fisiche. Perciò mi pare (*) Gazz. chim. ital. T. 31, II, 1901, pag. 86. — 5393 — più conforme ai fatti osservati l’interpretazione proposta nella mia Nota citata, che cioè coll’acido di Piloty reagisca la forma enolica del chetone R__CH=C— CH, | OH forma enolica che si produce per azione dell'alcali, perchè il chetone otte- nuto dal glicole dell’anetolo, come il benzil-metilchetone non decolorano 1a prima goccia di soluzione È di bromo (!). Tale forma enolica non pare prodursi coi chetoni R— CO — CH — CH;, e quindi la mancanza della for- mazione del composto nitrossilico che produce il composto ramico insolubile. Meccanica. — Sul principio di reciprocità. Nota di Gustavo COLONNETTI, presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. Il teorema che qui mi propongo di esporre può, sotto un certo aspetto, considerarsi come una particolare forma, nuova sio non m'inganno, di quel principio di reciprocità che occupa meritatamente, nella teoria dell'elasticità, uno dei più cospicui posti, sia per l'elegante semplicità che gli è caratteri- stica, sia ancora per la meravigliosa abbondanza dei problemi nei quali esso trova utile applicazione. Sotto questa nuova sua forma, esso riduce, in ogni caso, il problema della ricerca delle caratteristiche della sollecitazione relativa ad una data sezione di un sistema elastico (ovvero della reazione di un dato suo vincolo) prodotta da una qualsiasi condizione di carico, al problema. sempre più sem- plice, dell'analisi delle variazioni di configurazione di cui lo stesso sistema divien suscettibile dopo che in esso siasi praticato un conveniente taglio; applicato al caso di un’unica forza esterna concentrata ed unitaria, esso potrebbe assumersi come la logica base di tutta quanta la teoria dei dia- grammi d'influenza delle tensioni elastiche. A questa teoria le cui varie parti vengon di solito trattate coi metodi ì più disparati, esso potrebbe conferire quella medesima omogeneità e sem- plicità che, nella teoria dei diagrammi d’influenza delle deformazioni, si ot- tiene mediante l'applicazione diretta del noto e geniale enunciato che, dello stesso principio, venne dato dal Maxwell. In un qualsiasi sistema elastico, comunque vincolato, in equilibrio sotto l'azione di forze date, si può sempre immaginare praticato un taglio in modo (1) Vedi Hurt H. Meyer. Liebig's Ann. 380, 1911, 212. — 394 — affatto arbitrario senza che perciò venga ad essere in alcun modo alterato lo stato di equilibrio, purchè alle due faccie del taglio si intendano appli- cate due distribuzioni continue di tensioni, equivalenti alle tensioni elastiche che, prima del taglio, si trasmettevano nell’interno del sistema attraverso alle faccie stesse. Immaginiamo di far subire alle due faccie del taglio uno spostamento relativo infinitesimo. Il sistema tagliato può, durante una tale variazione di configurazione, a seconda dei casi e specialmente in relazione col grado suo di connessione, comportarsi in due modi ben distinti. Può accadere cioè che lo spostamento relativo anzidetto non richieda per essere realizzato se non semplici moti rigidi (compatibili coi vincoli che, malgrado il taglio, sì in- tendono conservati) del sistema o anche soltanto di qualche sua porzione. Può avvenire invece che un tale spostamento relativo non possa prodursi senza una concomitante deformazione elastica vera e propria del sistema ta- gliato o almeno di qualche sua parte (°). Nel primo caso il sistema deve (in vista della piccolezza degli sposta: menti), ritenersi in equilibrio nella nuova sua configurazione sotto l’azione delle stesse forze esterne date e delle medesime distribuzioni di tensioni sopra definite. Nel secondo caso invece il sistema, per essere mantenuto in equilibrio nella sua nuova configurazione sotto l’azione delle solite forze esterne, richiede ovviamente una variazione delle dette due distribuzioni di tensioni, variazione che noi riterremo a sua volta infinitesima e tale che su elementi corrispondenti (cioè primitivamente coincidenti) delle due faccie, le tensioni applicate, già eguali e contrarie, si conservino eguali e contrarie. La variazione di configurazione così definita è in ogni caso da conside- rarsi come impossibile pel sistema dato nel suo insieme; e precisamente è da considerarsi come incongruente se il taglio è stato praticato per modo che ne risulti alterato il grado di connessione del sistema, come congruente ma incompatibile coi vincoli se si è fatto coincidere il taglio colla super- ficie di separazione del sistema da uno o da parecchi dei corpi che lo vin- colano. Essa variazione è però, nelle ipotesi fatte, evidentemente equilibrata nel senso che le componenti di tensione che la caratterizzano, soddisfano alle equazioni generali dell'equilibrio in tutti quei campi, così interni che super- ficiali. del sistema dato, nei quali la forza esterna è esplicitamente data; ne segue che, mentre nel primo caso l'energia elastica o lavoro di deforma- (*) Non sarebbe difficile mettere in relazione questa distinzione dei casi possibili in due diverse categorie, con un’altra che, nella Scienza delle Costruzioni è fondamentale. Si potrebbe infatti dimostrare che si verifica la prima ipotesi sempre quando la risultante delle tensioni elastiche che, nel sistema dato, si trasmettono attraverso la sezione consi- derata, è staticamente determinata. Si avvera per contro la seconda ipotesi ogniqualvolta quella risultante non è suscettibile di esser determinata col solo sussidio delle leggi della statica dei corpi rigidi. — 395 — zione ® si mantiene costante durante la variazione di configurazione, nel secondo essa subisce una variazione positiva infinitesima del secondo ordine (3) Nell'un caso, come nell'altro, la variazione prima di quell’energia elastica dev'essere nulla: dD=0. Se pertanto, indicati con : S lo spazio (connesso) occupato dal sistema, o la superficie che lo limita, o' e o” rispettivamente le due faccie del taglio, 2=6+to"+0" la superficie totale del sistema tagliato, F la forza esterna riferita all'unità di massa, e F, la pressione riferita alla unità di superficie, agenti nei singoli punti rispettivamente interni e superficiali del sistema, S lo spostamento di un punto qualunque P del sistema stesso, prodotto dalla ipotetica variazione di configurazione, si applica a tale variazione di configurazione (da considerarsi come possibile, cioè congruente e compatibile coi vincoli, per quanto non più equilibrata, pel sistema tagliato e sollecitato, oltrechè dalle forze esterne esplicitamente date, anche dalle due primilive distribuzioni di tensioni sulle due faccie del taglio, riguardate esse pure come forze esterne costanti) il noto prin- cipio dei lavori virtuali, si ottiene (?): (1) fExs48+ fExsd=—s0=0 (*) Rispetto ad una tale variazione di configurazione l’energia elastica ® del sistema dato è infatti, in questo secondo caso, minima. Del contrastato rigore di questa propo- sizione, dovuta com'è noto al Menabrea, io mi sono occupato in una mia recentissima Memoria su L'equilibrio elastico dal punto di vista energetico (Memorie della R. Acca- demia delle scienze di Torino, serie II, tom. LXII, pag. 479). In quell'occasione ho cre- duto opportuno escludere dalle mie considerazioni quelle particolari variazioni di confi- gurazione per le quali si annulla, oltre alla prima, anche la variazione seconda dell’ener- gia elastica: cioè addirittura (tenuta presente la natura quadratica della funzione) la sua variazione totale: e ciò malgrado che, nelle applicazioni, della variazione seconda e del suo segno non si tenga notoriamente conto veruno. Rinunziando però ad una tale restrizione, l'equazione (15) db=0 della citata mia Memoria vale in un campo assai più generale di quello allora definito e. pur continuando ad esprimere, nel caso particolare dei stesimi iperstatici, le note leggi dell’equilibrio elastico, viene ad includere in sè, nella sua espressione più generale, la legge fondamentale in base alla quale, per l'equilibrio dei sistemi elastici (siano essi statica- mente determinati od iperstatici, poco importa) debbono essere soddisfatte quelle stesse equazioni che regolano l’equilibrio dei sistemi rigidi. (*) Uso qui le notazioni proposte dai professori C. Burali-Forti e R. Marcolongo,. nei loro Elementi di Calcolo Vettoriaîe (Bologna 1909 e Parigi 1910). — 396 — ove il secondo integrale equivale alla somma f F; X Sdo 1) Fo X s'do' +f Fe X s"do" ovvero anche, visto che in punti corrispondenti di o’ e di o” è sempre Fo=— Fw, all'altra: e. X sdo + fre X (8 — s") do' nella quale compare in evidenza il vettore s' — s” spostamento relativo del punto generico della faccia o’ rispetto al punto suo corrispondente sulla faccia o”. Nell'ipotesi che le due faccie in questione non abbiano subìto, durante la nota variazione di configurazione, alcuna deformazione (cioè mutamento alcuno di forma nè di dimensioni), ma si siano soltanto spostate nello spazio, il loro moto relativo, per la supposta sua piccolezza, può notoriamente assi- milarsi ad un moto elementare elicoidale, cioè può considerarsi come risul- tante della sovrapposizione di una rotazione elementare di ampiezza è at- torno ad una data retta 7 come asse, e di una traslazione elementare di ampiezza e parallelamente a quella medesima retta. Indicato pertanto con O un punto qualsiasi dell’asse 7 del moto rela- tivo, e con k un vettore unitario diretto parallelamente a questo asse, è lecito porre: s_-s"=e+ok/A(P—0); con che la (I) diviene: (1) SE X sdS + JE X sdo + ek x f Fo da ci +akx | (0) AFydo=0. Noi scriveremo più brevemente: AT) SEXS4S+ (Fox sde +e x E* + ekXM*=0, indicando con F;= ( Py do e con Mi = f(P—0) \Fydo — 597 — rispettivamente la risultante delle tensioni elastiche che nello stato di equi- librio del sistema dato si trasmettono attraverso il taglio, ed il vettore mo- mento dello stesso sistema di tensioni rispetto al punto 0. Se, come caso particolare, il moto relativo di o’ rispetto a o” si riduce ad una semplice traslazione di ampiezza unitaria in direzione negativa ((=—1,0=0), si trova: (111) (EXSdS+ fF:xsdo=kKxF%. . Nel campo delle applicazioni ha una speciale importanza il caso par- ticolarissimo in cui il sistema trovasi sollecitato soltanto da un'unica forza esterza P che si suppone concentrata e di grandezza unitaria; denotando (*) Le formole (III) e (IV) e, con esse, l’enunciato che da esso deriva, possono essere ricavate con procedimenti diretti, a volte anche assai semplici, nei varî casi par- ticolari nei quali sono suscettibili di applicazione. E precisamente esse possono dedursi nei casi staticamente determinati. Direttamente dalle equazioni generali dell'equilibrio dei sistemi rigidi; un’opportuna applicazione del teorema di Betti condurrà invece ad una dimostrazione valida nei casi iperstatici. È anzi, a questo proposito, da rilevarsi che precisamente all’uso di ricorrere, a seconda dei casi, all'uno o all’altro di questi procedimenti speciali, devesi attribuire la consueta separazione della teoria dei diagrammi d'influenza delle tensioni elastiche in due parti fra loro indipendenti (e riguardanti l’una gli sforzi staticamente determinati l’altra i soli sforzi iperstatici), separazione che, solo dal punto di vista didattico, sembra a chi scrive, giustificabile. RenpIconTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 52 — 398 — allora con sy il vettore spostamento del punto d'applicazione P della forza nella solita variazione di configurazione, le (IlI) e (IV) divengono rispettiva- mente, a mezzo di un semplice passaggio al limite: (111) PXs=kXF% (°) (IV) PXsp=kXM} mentre il teorema sopra enunciato assume la forma: « La componente secondo una data direzione (ovvero: il momento ri- « spetto ad un dato asse), della forza integra che si trasmette attraverso «ad una data sezione di un sistema elastico in equilibrio sotto l'azione di « una sollecitazione esterna unitaria applicata in un punto generico P in « direzione arbitraria, è, in grandezza, eguale allo spostamento che il « punto P subirebbe nella stessa direzione qualora, tagliato il sistema se « condo la data sezione, si costringessero le due faccie del taglio ad una « traslazione relativa, unitaria e negativa, nella direzione prescelta (o rispet « tivamente: ad una rotazione relativa, pure unitaria e negativa, attorno « all'asse prescelto) ». Matematica. — Sur les transformations des surfaces alge- briques laissant invariant un système continu de courbes. Nota di Lucien GoDEAUX, presentata dal Corrisp. F. ENRIQUES. 1. MM. Enriques et Fano ont établi naguère que si une surface algé- brique possède une transformation projective non périodique en elle-méème, elle est rationnelle ou réglée. Ce théorème permet d’affirmer qu'une surface algébrique possédant une transformation birationnelle non périodique en elle- méme, laissant invariant un système linéaire de courbes de dimension > 1, est rationnelle ou appartient è la classe des surfaces réglées (car au moyen du système linéaire invariant, ou d'un multiple convenable de ce système, on est ramené è une surface pour laquelle la transformation devient une transformation projective). On peut se demander s'il est possible de caracté- riser les surfaces qui admettent una transformation birationnelle non pério- dique en elle-méme, laissant invariant, non plus un système lingaire de courbes, mais un système continu. La réponse est affirmative et on arrive précisément au théorème suivant: Si une surface algébrique posséde une transformation birationnelle non périodique en elle-méme, T laissant invarianti un système continu de courbes qui n'est ni un faisceau de courbes elliptiques invariantes pour T — 399 — ou pour T", ni un faisceau linéaire invariant de courbes elliptiques, cette surface est: 1°) rationnelle ou appartient è la classe des surfaces réglées (P=P,=0 , pa 0), 0 2°) elle possède un groupe continu de Iransformations birationnelles en elle-méme, et alors, elle est hyperelliptique (pg=P,=1,p,= — 1), ou elliptique (pg P.+1,p,=— 1) Les surfaces que nous excluons possèdent toutes un faisceau de courbes elliptiques, mais c'est précisément là le cas général des surfaces admettant des transformations non périodiques, car M. Enriques a montré que si une surface n’appartenant pas è la classe des réglées (rationnelles ou irration- nelles) et n'ayant pas un groupe continu de transformations birationnelles, possède une transformation birationnelle non périodique, elle possède un fai- sceau de courbes elliptiques, ou bien elle a tous les genres égaux à un ('). Remarquons cependant que notre théorème permetta de repondre à la que- stion posée récemment par M. Severi (2). Qu'il me soit permis de remercier M. Enriques, gràce aux conseils du- quel j'ai pu mener à bonne fin ce travail. 2. Soit F une surface algébrique admettant une transformation biration- nelle non périodique T, en elle-méme. Par hypothèse, cette transformation laisse invariant un système continu de courbes {C}. Deux cas peuvent se présenter: a) Le système {CO} est un faisceau; b) Le système jC} est d’indice supérieur è l’unité. Nous traiterons d’abord ce second cas. Tout d’abord, remarquons que le système {Cf peut ètre supposé ne pas appartennir è un système linéaire, car celui-ci, cu un multiple convenable de celui-ci, serait au moins 003 et le théorème d'Enriques-Fano serait applicable. De plus, on peut admettre que tout système linéaire |C], contenu dans Ci, est au moins triplement infini. S'il en était autrement, on considérerait, au lieu de jC}, un de ses multiples convenablement choisi (*), certainement invariant pour T. (1) Sulle superficie algebriche che ammettono una serie discontinua di trasforma- zioni birazionali, Rend. Accad. Lincei, 1906. (®) Complementi alla teoria della base per la totalità delle curve di una super- ficie algebrica, Rend. di Palermo, 1910, t. XXX. (°) On établit simplement qu'un multiple de {C}, {aC} contient des systèmes liné- aires, [rC|, au moins 008, pour n assez grand. Si m et 7 sont les degré et genre vir- tuels de C, les degré et genre virtuels de 0 sont respectivement M=nm, H=nnt+3nn-l)m-(n—-1). On peut choisir ” suffisamment grand pour que M_I1+1=Iimn(n+1)—a(-1) soit aussi grand qu’on le vent. Alors, par le théorèeme de Riemann-Roch, le système |rC] a la dimension au moins égale è trois. Ajcutons que |C} n’etant pas un faisceau, le système {C} est certainement irréductible. — 400 — Considérons un modèle projectif F* de la surface F, situé dans Sz, et dont les sections planes sont des courbes C. Les transformations T,T?,... vont changer ces sections planes en des courbes d'un svstème continu; et par conséquent, ces courbes seront découpées sur la surface F* par des sur- faces d'un méme ordre w, formant un système continu. Soient é, , do, ... les paramètres (en nombre fini) dont dépendent les surfaces de ce système con- tinu. Les transformations T,T?,... pourront évidemment étre représentées par des formules 3 | (#90, 3Balno%ag e) [/ Way, tia) zi 3) GA ARANCE 0) les fonctions g,w,yx étant d'ordre u, et les transformations étant seule- ment caractérisées par les valeurs des paramètres 2,,%2,.. Si f(a DICA) 3) =0 est l'équation de la surface F*, on devra avoir, par hypothèse, f(p,w,x)=/(2,4,3). De cette identification, on déduit des équations algébriques liant les paramètres 2, ,%2,... Les solutions de ces équations seront en nombre infini, puisque l’on a une infinité de transformations T,T°,...; et par conséquent, elles formeront une variété continue. Par suite, la surface F*, ou F, aura une série continue de transformations birationnelles en elle-mème. Si cette série forme un groupe, la surface F est (*) rationnelle, ou ap- partient è la classe des réglées, ou bien elle est hyperelliptique, ou ellip- tique. Si cette série ne forme pas un groupe, la surface F est rationnelle ou référable è une réglée (8). 3. Examinons maintenant le cas où le système continu jC{ est un faisceau. Le faisceau jC} peut ètre invariant de deux fagons, suivant que la transformation T change une courbe C en elle-méme, on en une autre courbe C. Dans la première hypothèse, un théorème de Hirwitz permet d’affirmer que les courbes C sont rationnelles (et alors la surface F se laisse transformer en une réglée) ou elliptiques (et la surface F est du type gé- néral assigné par M. Enriques aux surfaces admettant une transformation (*) Enriques, Sulle superficie che ammettono un gruppo continuo di trasforma- zioni... Rendiconti di Palermo, 1905, t. XX. (3) Castelnuovo ed Enriques, Soprà alcune questioni fondamentali nella teoria delle superficie algebriche, Annali di Matematica, 1901, ser. 32, t. VI. — 401 — non-périodique). Supposons donc que la transformation T change une courbe C en une autre courbe C de facon à donner une suite infinie de courbes C homologues appartenant au méme faisceau. Supposons de plus que la sur- face F n'est ni rationnelle, ni référable par une transformation birationnelle à une surface réglée, ce qui n’enlève rien è la généralité. Le faisceau {C{, considéré comme suite continue d'éléments (courbes), est transformé en lui-méme par une transformation non périodique, et par suite, il est rationnel ou elliptique (théorème de Hirwitz). Dans le faisceau {C{, les modules des courbes C dépendent algébri- quement du paramètre du faisceau. Mais en partant d'une courbe C et appli- quant successivement la transformation T, on obtient une infinité de courbes ayant les mémes modules. Cette propriété va nous permettre de montrer que la surface F admet un groupe continu de transformations birationnelles en elle-méme, sauf dans le cas où les courbes C sont elliptiques et le fai- sceau {C} linéaire. Distinguons deux cas, suivant que le faisceau 3C} est elliptique, ou li- néaire. Sì le faisceau {C} est elliptique, il ne peut contenir des courbes C ayant un point double (ou multiple). Supposons en effet qu'il y ait une courbe C dotée d’un point double. La courbe © est certainement invariante pour T, sans quoi on aurait, dans le faisceau, une infinité de courbes ayant le genre inférieur à celui d'une C générique, ce qui est impossible. D'autre part, une transformation non périodique donnée sur une courbe elliptique ne peut posséder de coincidences, donc la courbe C ne peut ètre invariante pour la transformation T, non périodique, opérant sur le faisceau elliptique {Cj. Par suite, le faiscean {C} ne possède pas de courbes ayant un point double (ou multiple). Cela étant, on déduit d'une formule donnée par MM. Castelnuovo et Enriques (loc. cit., n. 6), que l’invariant de Zeuthen-Segré de F estI= — 4. Mais, pour la surface F, on a pPY = 1 (Enriques, loc. cit.. Rend. Ace. Lincei): donc T+p® = 12p,+9=—8, et pa = —1. On sait que les surfaces ayant pa = — 1 admettent un groupe continu de transformations birationnelles (Enriques, loc. cit., Rend. Palermo). Passons au cas où le faisceau Ct est linéaire, les courbes C n’étant pas elliptiques. On peut de plus supposer que le courbes C ne sont pas rationnelles, sans quoi, la surface F serait référable à une réglée. Deux courbes C quelconques, de genre p >1, ont des modules égaux, par suite il existe entre ces courbes un certain nombre de transformations birationnelles. Ce nombre est certainement fini, sans quoi les courbes C seraient elliptiques ou rationnelles. Désignons ce nombre par n. Alors, par- tant d'un point P d'une courbe C et construisant les conjugués sur les dif- = dai férentes courbes du faisceau, on obtient une courbe K, certainement trans- formée en elle-méme par la transformation T (et par suite elliptique ou ra- tionelle). Faisant varier le point P, on obtient un faisceau de courbes K invariantes. Remarquons que sì les courbes K étaint réductibles, elles seraient composées avec les courbes d'un faisceau, lequel serait sùrement invariant pour T. Le système 3C + Kt, ou un multiple convenable de ce système, donne lieu è un système continu invariant pour la transformation T, qui n'est pas un faisceau. Nous avons déjà démontré que dans ce cas, la surfaces F, si elle n’est pas référable à une réglée, possède un groupe continu de trans-' formations birationnelles en elle-mème. Ainsi se trouve complètement démontré le théorème annoncé dans le: préambule. | 3. Du théorème qui vient d'éètre établi et du théorème de'M. Enriques, ou déduit que: St une surface algébrique de genre pa = 0, non rationnelle, possède une transformation birationnelle non periodique en elle-méme T, les seuls systèmes continus (linéaires ou non) que la transformation laisse invariants peuvent étre des faisceaua de courbes elliptiques invariantes (pour T ou pour T") et des faisceaua linéaires de courbes elliptiques. Matematica. — Sopra un teorema relativo agl’insiemi. Nota del dott. L. ORLANDO, presentata dal Corrispondente A. Di LEGGE. Denoti (a,0) un intervallo d’ampiezza finita 5 — 4>1, sul quale esista un'intinità numerabile di insiemi w di punti; ognuno di questi abbia la misura di Borel non più piccola di 1. Dico che esiste nell'inter- vallo (a,d) un insieme X di punti comuni ad un'infinità di insiemi w, e che X ha misura non più piccola di 1. Sulla misurabilità di X e di altri insiemi che dobbiamo adoperare, rimandiamo il lettore a pag. 108 delle Lezioni sull'integrazione di Lebesgue. Il teorema che abbiamo enunciato non è nuovo, ma le dimostrazioni che finora se ne dànno sono molto più complicate di questa che ho qui l'onore di esporre. Diremo che un punto dell'intervallo (a ,2) è dell'ordine v quando esso è comune a v insiemi ©; e chiameremo my la misura dell'insieme di tutti i punti d'ordine v. Per esempio, m, sarà la misura dell’insieme dei punti coperti una sola volta. Supponiamo, per assurdo, che la misura #, dei punti d'ordine infinito non superi 1 — o, dove o è un numero positivo fisso, arbitrariamente piccolo. . La serie di termini non negativi, converge evidentemente verso un valore non più grande di > — 4. Posto ln t My+o + MESIA , ni È Ì È Pai ne o) nol possiamo dunque determinare v in modo che risulti k, <3: La mi- sura dei punti d'ordine >» risulterà ». E allora i SI ) punti d'ordine > non potranno avere misura LAI nuo Se poi questi insiemi @, che sopra (4, 5) determinano i punti d'ordine non superiore a v, sono tutti gli ©, non può accadere che ognuno di essi apporti ai punti d'ordine non superiore a v un contributo avente misura 0) Lor : 4 o 3 È 3 PE Assunti, infatti, N > 500 — a)v insiemi @, ognuno dei quali apporti all'intervallo (a, è) un contributo di misura > , Questi contributi non po- tranno (neanche con v sovrapposizioni, e tanto meno quanto meno si sovrap- pongano) trovare posto in un intervallo di misura 8 — a. Ne risulta che esiste almeno un @ (di misura non più piccola di 1), il quale apporta ai punti d'ordine >» un contributo di misura ll Ci. Ne emerge subito l’assurdo dell'ipotesi indebitamente ammessa, e la necessità che sia valido il teorema enunciato. Il teorema si può apparentemente estendere, togliendo la riserva che l'insieme degli w sia numerabile, e poi non supponendo la misurabilità degli ©, ma obbligandoli ad avere non inferiori ad 1 le misure inferiori. Rica- vando allora dall'insieme degli © un insieme numerabile, e da ognuno degli è che lo costituiscono ricavando un insieme misurabile di misura non infe- riore a 1, si giunge sempre ad un insieme misurabile X, di misura non inferiore ad 1, il quale raccoglie una parte dei punti d'ordine infinito; ciò mostra che la misura inferiore dei punti d'ordine infinito, dovuti a tutti gli ©, non è più piccola di 1. Fisica matematica. — Su//a propagazione del calore. Nota del dott. L. SiuLa, presentata dal Socio T. Levi-Civita. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 404 — Meccanica. — .SuZla conservazione dell'energia e della ma- teria del campo gravitazionale. Nota di Max ABRAHAM, presentata dal Socio T. LEvI-CIVITA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Intorno ad un modo di osservare quando due stelle hanno la stessa altezza o lo stesso azimut. Nota di G. GueLIELMO, presentata dal Socio P. BLASERNA. Gli strumenti di cui mi servo per verificare l'ora data dall’orologio di precisione del Gabinetto fisico dell’Università di Cagliari, sono stati costruiti collo scopo di supplire alla mancanza di strumenti stabili e precisi e sono basati sull'osservazione delle altezze corrispondenti d'una stella; ogni deter- minazione richiede quindi due osservazioni a parecchie ore d'intervallo, ciò che riesce incomodo specialmente se si vogliono eseguire parecchie determi- nazioni con stelle diverse. Rimedia a questo inconveniente il noto metodo fondato sulla determi- nazione degli istanti diversi, in cui due stelle, aventi declinazioni poco dif- ferenti, hanno la stessa altezza. Ho costruito per lo stesso scopo uno strumento molto semplice che dà modo di osservare quando due stelle qualsiasi hanno la stessa altezza; esso consiste essenzialmente d'un cannocchiale mobile in altezza ed azimut e di uno specchietto verticale sospeso a modo di pendolo per mezzo di un col- tello o di qualsiasi altra disposizione equivalente, collocato dinanzi all’ob- biettivo in modo da ostruirlo in parte e mobile attorno ad un asse verticale che gli serve di sostegno. Due stelle piuttosto lontane abbiano all'incirca la stessa altezza, dimo- dochè dirigendo il cannocchiale prima verso l'una e poi verso l’altra senza modificarne l'inclinazione, entrambe capitino successivamente nel campo. Se mentre il cannocchiale è diretto verso una delle stelle si colloca nel suo campo lo specchietto e lo si orienta convenientemente, si potrà ottenere che compaiano simultaneamente entrambe le stelle, una vista direttamente, l’altra per riflessione sullo specchietto, e che esse siano sulla stessa ver- ticale. Se l'osservazione è stata incominciata in tempo opportuno, e se si varia gradatamente l’orientazione dello specchietto in modo che le due im- magini si mantengano sulla stessa verticale, si vedranno queste avvicinarsi, ao — coincidere ed allontanarsi. Se lo specchio è esattamente verticale, la coinci- denza avverrà quando le due stelle hanno la stessa altezza, ed osservata l'ora di questa coincidenza data dall'orologio e l’ora dell'equialtezza calcolata me- diante i dati delle tavole astronomiche. la differenza darà l'errore dell'ora data dall’orologio. Non sarebbe molto difficile ottenere che lo specchietto nella sua posizione d'equilibrio fosse esattamente verticale, tuttavia ciò non è necessario e forse neppure utile. Se lo specchietto è un po’ inclinato verso l'osservatore (ossia produce immagini più alte degli oggetti cui corrispondono) si diriga il cannocchiale verso la stella che si abbassa e si osservi per riflessione quella che s'innalza; se invece lo specchietto è un po inclinato dalla parte opposta all’osservatore (ossia produce immagini più basse degli oggetti cui corrispondono) si diriga il cannocchiale sulla stella che s'innalza e si osservi per riflessione quella che si abbassa. In entrambi i casi le due immagini avvicinantisi (quando sì allontanano non possono più venire a contatto, l'ora dell’osservazione è trascorsa) appaiono più vicine per effetto dell’inclinazione dello specchio, la coincidenza ossia l'equialtezza delle due immagini avverrà quindi un po prima dell'equialtezza delle due stelle. Osservato e notato l'istante della coincidenza sì scambino le orientazioni del cannocchiale e dello specchietto, cioè si diriga il cannocchiale sulla stella che prima era osservata’per riflessione, e si collochi e orienti lo specchietto in modo da vedere nel campo, per riflessione la stella che prima appariva nel campo direttamente. In tali condizioni le immagini, supposte ancora avvicinantisi, saranno allontanate per effetto dell'inclinazione invertita dello specchietto, la coincidenza ossia l'equialtezza delle due im- magini avverrà dopo l’equialtezza delle due stelle e se il ritardo è abba- stanza grande cioè se l'inclinazione dello specchio è sufficiente, o se il cam- biamento di direzione e di posizione del cannocchiale dello specchietto è effettuato con sufficiente rapidità, si potrà osservare e notare l'ora della nuova coincidenza delle due immagini. Dalle ore delle suddette due osserva- zioni si potrà dedurre quella dell'equialtezza, sia prendendo semplicemente la media se esse si succedono a breve intervallo (meno di un minuto), sia con un semplice calcolo che sarà indicato in Seguito. Ho supposto nel precedente ragionamento che, come è preferibile, una delle stelle s'innalzi, l'altra s'abbassi; se invece entrambe s'innalzassero 0 s'abbassassero con diverse velocità, dovrebbe considerarsi l'innalzamento 0 l'abbassamento relativo di ciascuna stella rispetto all'altra. Se il cannocchiale e lo specchietto sono del tutto indipendenti, si ri- chiede un tempo non piccolo perchè si effettui lo scambio suddetto, anche se questo è reso più agevole con opportune disposizioni; gioverebbe quindi che cannocchiale e specchietto fossero connessi in modo che questo rimanesse sempre nel campo, comunque sorientasse ed inclinasse il cannocchiale, cioè RenpiconTI. 1912, Vol. XXI. 1° Sem. 3 un — 406 — che i due assi orizzontale e verticale attorno a cui questo può ruotare sì intersecassero sullo specchietto. Si può ottenere più facilmente lo stesso scopo, quello cioè di diminuire l'intervallo di tempo indispensabile affinchè entrambe le coincidenze delle im- magini sì possano osservare, usando uno specchietto riflettente su entrambe le faccie, oppure due specchietti fissati un contro l'altro colle superfici riflet- tenti a contatto, il quale produrrà da un lato immagini più alte, e da quello opposto immagini più basse degli oggetti cui corrispondono; sarà utile con- trassegnare l'uno o l’altro di questi lati per poterli facilmente riconoscere. Diretto il cannocchiale sull'una o l'altra delle due stelle (su quella la cui osservazione diretta è più comoda) e collocato ed orientato lo spec- chietto in modo che nel campo compaiano le immagini avvicinantesi, a se- conda della faccia su cui si effettua la riflessione, queste appariranno ravvi- cinate o allontanate per effetto dell'inclinazione dello specchietto, e la loro coincidenza sarà anticipata o ritardata. Si potrà dunque disporre lo specchieto in modo che le due immagini siano avvicinate, osservare e notare l'ora della loro coincidenza, e rapidamente fa ruotare lo specchietto di 130° attorno alla verticale, cioè cambiare la faccia riflettente, dimodochè le immagini ora allontanate appariscano ancora distanti e avvicinantisi, laonde si potrà osser- vare e notare l'ora della seconda coincidenza delle due 1mmagini. Il tempo che occorre è certo molto minore di quello occorrente per lo spostamento del cannocchiale e dello specchietto, specialmente se l'esatta rotazione di 180° sarà ottenuta senza esitazione, non per tentativi, ma bensì coll'aiuto di un apposito indice o meglio limitata da un ostacolo convenientemente collocato. Venendo a maggiori particolari sullo strumento e sul modo d'osserva- zione, poco è da notare a proposito del cannocchiale; è bensì indispensabile di ottenere facilmente e con sicurezza che lo specchietto si trovi nel suo campo. A tale scopo adattavo sul tubo del cannocchiale, dal lato dell'obbiettivo, un corto tubo che vi poteva scorrere e ruotare con dolce attrito, e che portava saldata una lunga astina d'acciaio parallela all'asse ottico e ripiegata all'estre- mità libera in modo da indicare dove incominciava il campo del cannoe- chiale; collocando quindi lo specchietto al disotto e a poca distanza da questa estremità ero sicuro che lo specchietto si trovava nel campo. Una cura speciale richiese la difesa dello specchietto dalle correnti di aria, cui è molto esposto per effetto della sua posizione verticale. Provai a difenderlo coprendolo con una scatola di cartone, provvista di apposite aper- ture coperte con lamine di mica, ma mi riuscì difficile in pratica la sua costruzione; provai altresì a circondare lo specchietto con un tubo di mica (quali si usano per le lampade a petrolio 0 a gaz), ma esso indeboliva e deformava troppo le immagini. Usai finalmente la disposizione rappresentata nella figura : S è lo spec- chietto formato da due lamine di. vetro a faccie piane e parallele, di 1,8 cm. — 407 — di lato, inargentate sopra una faccia, e collocate colle pellicole d’argento (non verniciate e ben prive di pulviscolo) combacianti e così fissate mediante mastice collocato sugli orli; esso poi è circondato, inferiormente e ai due lati, da una listerella d'ottone ripiegata ad angolo retto ad entrambe le estremità. 4, 4 sono due grossi aghi spessi circa 1 mm. ripie- Lee sa gati mediante arroventamento parziale e saldati colla , i i cruna alla suddetta lista d’ottone, mentre le punte ver- o h ticali e dirette in basso riposano sul fondo di due tubet- i tini 2, 2; questi sono masticiati sui due bracci d'ottone B,B che sono saldati inferiormente ad un corto tubo d'ottone masticiato alla sommità di un tubo di vetro T, lungo circa 40 cm. e di 2 cm. circa di diametro, e chiuso | in fondo. T Questo tubo era ripieno d'olio lubrificante per mac- chine, nel quale era sospeso un tubo di ottone P (lungo poco meno di 40 cm., di 1 cm di diametro, ripieno di piombo versatovi fuso) sostenuto da una astina verticale d'acciaio immersa nel piombo e saldata superiormente alla suddetta lista d’ottone che regge lo specchietto. 7 Finalmente questo tubo di vetro è introdotto e può ruotare con dolce sfregamento entro un tubo d’ottone lungo 10 a 20 cm., (dimodochè buona parte del tubo di vetro rimane visibile), fissato sul treppiede, che riposa sul piano su cui è collocato il cannocchiale. La congiungente delle estremità delle punte d’ago, ossia l'asse di so- spensione e di oscillazione dello specchietto era approssimativamente a metà altezza di questo, dimodochè una corrente d'aria uniforme produceva sulle due metà inferiore e superiore dello specchietto momenti uguali e contrarii, ed inoltre essendo esse così vicine, difficilmente poteva sussistere una grande differenza di velocità fra le correnti che le urtava; mentre affinchè potesse prodursi una deviazione apprezzabile del peso P, non piccolo (e che potrebbe essere aumentato), col centro di gravità molto lontano dall'asse di rotazione, sarebbe necessaria una grande differenza dei due momenti. Finalmente l’olio lubrificante non impedisce menomamente che lo spec- chietto col peso P prenda la sua posizione d'equilibrio immutata, ma im- pedisce affatto le oscillazioni. Credo perciò che questa disposizione, che ha funzionato in modo inec- cepibile nel presente strumento, possa essere utile in altri analoghi, quali il prisma a riflessione ad inclinazione costante. l'orizzonte artificiale con TW TE NI CAN RESI prisma o specchio sospeso ecc. Questo strumento paragonato con altri a doppia immagine, come p. es. il sestante usato coll’orizzonte artificiale e gli strumenti analoghi ha lo — 408 - svantaggio che mentre in questi le due immagini hanno velocità orizzontali uguali e dirette nello stesso senso e velocità verticali opposte, e quindi regolato lo strumento in modo che esse immagini siano sulla stessa ver- ticale, esse vi si manterranno nonostante il moto celeste, invece nell'ap- parecchio ora descritto, le due immagini hanno, (come è facile vedere geo- metricamente) velocità opposte tanto in senso verticale quanto in senso oriz- zontale, ed orientato lo specchietto in modo che le immagini si trovino sulla stessa verticale esse non vi si mantengono, una, quella diretta, segue il moto celeste, mentre l’altra per effetto della riflessione si muove in senso inverso. Occorre dunque che lo specchietto sia fatto ruotare con velocità opportuna nel senso del moto celeste affinchè le due immagini rimangano sulla stessa verticale; un eccesso o un difetto nella rotazione può far sì che non venifi- candosi questa condizione, le due immagini passino accanto senza mai coin- cidere. Per diminuire questo inconveniente è utile anzitutto che il sostegno dello specchietto sia provvisto di un buon movimento a vite, con molla, attorno all'asse verticale, il quale agisca ugualmente bene in sensi opposti, in modo che si possa correggere facilmente l’effetto d'una rotazione eccessiva. Con un po’ di pratica e d’attenzione sono riuscito anche a produrre la suddetta rotazione dello specchietto agendo lateralmente su uno dei tre piedi del sostegno in modo che questi girassero scorrendo sul piano di marmo su cui riposavano, ma è chiaro che il movimento a vite è certo preferibile. Si può anche munire il cannocchiale di reticolo con filo orizzontale (opportunamente illuminato) e notare i tempi, pochissimo distanti, in cui le due immagini attraversano il filo, la media di questi tempi sarà quello cer- cato dell'equialtezza delle immagini. Inoltre si potrebbe usare l'oculare mu- nito d'una lente cilindrica, quale viene usata negli spettroscopi stellari, che dia immagini lineari ed esattamente orizzontali delle due stelle. e così sarà facile ottenere che esse vengano a coincidere almeno ad una estremità. Questo strumento può essere usato in varî modi: 1°. Si può con esso determinare quando l'orlo superiore e quello in- feriore del sole hanno la stessa altezza d'un oggetto terrestre fisso e lontano, (come un punto speciale d'un monte, il comignolo d'un tetto 0 d'un camino), prima quando il sole sorge e poi quando declina, e quindi con le solite cor- rezioni pel variare della declinazione del sole nell'intervallo dedurre l'ora del passaggio al meridiano del centro del sole. 2°. Si può osservare quando una stella ha la stessa altezza della Polare; dalla nota formula: senh = sen g send + cos g cosd cos(d — a) dove 7 è l'altezza comune della stella e della Polare, g la latitudine, a e d l’ascensione retta e la declinazione in gradi della Polare, e 4 l’ora side- — 409 — rale, sì ricava per la Polare il valore di %, che facilmente sarà esatto anche se l'ora indicata dall’orologio non lo è molto; quindi noto % applicando la stessa formula ai valori di @ e d dell'altra stella si potrà ricavare 4. Occor- rendo, il calcolo potrebbe esser ripetuto usando il valore di 9 corretto me- diante il calcolo precedente. 3°. Se le due stelle di cui si osserva l’equialtezza hanno una decli- nazione poco diversa, si può applicare il solito metodo col quale si corregge la variazione di declinazione del sole, nel metodo delle altezze corrispondenti. 4°. Nel caso generale di due stelle qualsiasi, il calcolo con cui si può ricavare l'ora dell'equialtezza dai dati delle Tavole astronomiche è il seguente: Sia 4 la latitudine e siano « ed a’, d e d' le ascensioni rette in gradi, e le declinazioni di due stelle, sia 4 l’ora siderale, 0 e 6' gli angoli orari delle due stelle (il tutto nell'istante dell’equialtezza 4) dimodochè sia 0=3—a, 6=3—a' e sia p. es. © >a, quindi '—a=0—6=e>o, 0=0—s. Nell'istante dell'equialtezza sarà: senZ= sen send + cos g cosd cost = sen g send’ + cos g cosd' cos(9— s) ossia : tang g(send — send') = cosd' cos(9 — e) — cosd così ” = cos ì.(cosd' cose — cosd) + sen 0. cos d' sen e Indicando con a, d, ci valori noti, che si possono calcolare abbastanza rapidamente, di tang (send — send’) [ossia: 2tang . sen(d — d')/2 . cos(d + d)/2], (cosd cose — cosd) e cosd'sene sì ha: a=bcos0 4 c seno. Come è noto per risolvere rapidamente questa equazione rispetto a 0 si introduce un angolo ausiliario © (dato da tango = c/b e quindi noto) tale che l'equazione si riduce a beos(0 — @) = a coso donde si ricava 0 — w, quindi 0, poi + e finalmente l’ora media. Questo calcolo non è molto complicato ed eseguito una volta per due stelle, dà con + l’ascensione retta di un punto della sfera celeste, l'ora del cui passaggio al meridiano coincide con quello dell’equialtezza, e non varia che molto lentamente per effetto delle variazioni, sia apparenti, che reali, degli elementi delle due stelle. — 410 — 5°. In un modo simile si potrebbe osservare quando hanno invece lo stesso azimut due stelle qualsiasi, p. es., la Polare ed un'altra stella, se- condo un noto metodo, oppure (collo scopo di ottenere la massima differenza di velocità delle due immagini), due stelle moventisi quasi orizzontalmenle ed in senso contrario, una di esse essendo presso l’equatore l’altra presso l'orizzonte, entrambe presso il meridiano. Si osservi una stella con un cannocchiale il cui campo sia parzialmente ostruito da uno specchietto mobile attorno ad un asse orizzontale, parallello o meglio coincidente col piano della faccia riflettente e perpendicolare al- l’asse ottico del cannocchiale; questo specchietto produrrà di una stella qual siasi un'immagine di uguale azimut e di altezza variabile coll’inclinazione di esso. Se quindi questa seconda stella si trova in un azimut abbastanza poco diverso da quello della prima stella verso cui è diretto il cannocchiale, si potrà ottenere regolando l'inclinazione dello specchietto che nel campo ap- paiono ed abbiano la stessa altezza le immagini delle due stelle, una vista direttamente l’altra per riflessione. Se l'osservazione è incominciata in tempo, queste due immagini andranno avvicinandosi, e (se si mantengono, quando occorra, sulla stessa orizzontale) coincideranno e poi s'allantoneranno. L'istante ‘+ della coincidenza e quello dell'equiazimut supposto lo strumento ben rego- lato; quando non lo fosse invertendo la posizione dello specchietto rispetto alla verticale e rispetto all'asse del cannocchiale, potrebbero osservarsi quattro coincidenze, e la media delle ore relative darebbe quella dell’equi- azimut. Questa determinazione è però meno agevole di quella dell’equialtezza. Chimica. — Azione delle aldeidi sui corpi pirrolici. Scom- posizione pirogenica dei derivati del dipirrilmetano(*). Nota di U. CoLaciccHi, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In una Nota precedente (?) ho descritto i prodotti che si formano per azione delle aldeidi grasse su alcuni derivati pirrolici, prodotti corrispondenti alla formola generale di derivati del dipirrilmetano, DEC A È ) i | GU ed ho visto quali sono le condizioni per cui possono generarsi. Avevo pure accennato alla mia intenzione di proseguire ed estendere tali ricerche anche (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica generale della R. Università di Parma, diretto da G. Plancher. (?) Rend. Acc. Lincei, vol. XX, serie 52, 2° sem., pag. 312; Gazz. chim. ital., XLII, I, pag. 10. — 4ll — alla formazione di quei corpi più complessi di cui rimase finora ignota la costituzione ed a proposito dei quali ho già espresso quali sono le mie idee; ma di questi studî, già a buon punto, renderò conto in seguito. Per ora mi preme di far conoscere il modo come si comportano al calore i derivati già descritti, di far vedere cioè come si scindano gli aggruppamenti -CHR- che legano i due nuclei pirrolici, per dar luogo alla formazione di altri corpi. In questa Nota tratto principalmente della scomposizione pirogenica del prodotto della paraldeide col 2-4-dimetil-3-acetilpirrolo. CH;C0.C___C.CH; CH30 C.COCH; H CH:C E (Or DE i INA CH, DA i NH NH Questo prodotto essendo analogo al metilendipirrolo di Pictet (1) HO, CH CH HCO pol pane | Jon NH NH era presumibile avesse al calore il medesimo comportamento, desse cioè origine a pirrolo rigenerato e ad una piridina; cioè il legame -CH . CH;- si scindesse in H, che rifornirebbe il prodotto primitivo, e =C.CH;— che entrando nell’altro nucleo e allargandolo, darebbe il derivato piridinico. Oppure che sì scindesse in — CH, e =CH— e in tal caso si avrebbe un omologo del derivato primitivo insieme ad una piridina, precisamente come indica lo schema: CH,C0.C___C.CH, CH,C 0.C0CH, î | CH dl oc! lleca PINA CH, NZ 5 NÉ NE 74 SS 0.0E; C.CH, CH;C0.C___C.CH; CH,C; NC.000A, CH;0-__C.COCHy HC/ Nc.c0CH, snai o oppure i NA N N (1) Ber. XL, I, 1166. ole Ma in qualunque modo io abbia operata la scomposizione, sia a pres- sione ordinaria che a pressione ridotta, non ho potuto rilevare tracce di derivati piridici, avendo avuto costantemente la formazione di due corpi della composizione CsH,,NO e CsHi3NO, e che ho identificati per un di- metil- e un trimetil-acetil-pirrolo. Però questi derivati pirrolici non sono il prodotto primitivo rigenerato ed un suo omologo, ma loro isomeri con l’acetile in @. Questa scomposizione non è perciò tanto semplice, perchè, mentre avviene la rottura del legame etilidenico, si ha pure lo spostamento dei radicali CH:.CO da un atomo di carbonio del nucleo all'altro, CHELCOCRSNI gio CH,C_C.C0CH, H CH, cl lle (meo NÉ w NH CL NH CH E CH. | Gis — COCH; || CH; (ol gol lo C een Dori ZA NH Î Î NH OI, CH,(- GeHi CH, Sie | cocdti CH,C lodi VA i XA ì NH NH La mancata formazione di corpi piridici in questa reazione pirogenica può spiegarsi se si pensa che la temperatura, alla quale si compie, non è sufficientemente elevata perchè avvenga l'apertura del nucleo pirrolico; infatti Pictet ottenne è vero piridina dal metilendipirrolo ed anche dall'a-metilpir- rolo, ma questi prodotti furono distillati in una canna di vetro rovente la cui temperatura è certo superiore a quella che sì richiede per provocare la scomposizione del derivato in questione. PARTE SPERIMENTALE. La distillazione può farsi in una stortina a collo corto e largo, oppure in un palloncino di Anschitz; volendo operare a pressione diminuita è con- veniente servirsi di quest'ultimo. In una storta di 30 ce. di capacità vengono introdotti 10 gr. di sostanza e scaldati a bagno di lega fino a completa fusione che è accompagnata da un leggiero svolgimento di fumi; allora conviene innalzare la temperatura — 413 — del bagno: così comincia a distillare regolarmente un bell’olio giallo che passa tutto tra 250-800° e tosto solidifica nel collettore raffreddato con un getto d'acqua. Nella storta rimane un residuo carbonioso misto a piccole quantità di sostanza che viene asportata con etere. Il distillato, che è completamente solido, è costituito da una massa giallo scura in cui si notano dei begli aghi o prismetti ed ha un odore leggermente acetico analogo a quello del metilpirrilchetone. È poco solubile a freddo in acqua, etere di petrolio, ligroino, abbastanza solubile in alcool, benzolo, acetone, etere acetico; non completamente in etere solforico: mentre a caldo sì scioglie abbastanza nella maggior parte di questi solventi. Co- mincia a fondere a 100° e fonde completamente verso 150°. Per la separazione delle sostanze contenute in questo miscuglio mi sono valso della loro differente solubilità in etere solforico e volatilità al vapor d’acqua. Tutta la massa viene trattata diverse volte con etere, a freddo, finchè questo resta incoloro. Si ottiene così um residuo costituito da una polvere biancastra, leggiera, fondente tra 130° e 150°. Le soluzioni eteree riunite lasciano per evaporazione un residuo giallo rossastro che viene sottoposto alla distillazione in corrente di vapor d’acqua finchè il distillato è incoloro. Il contenuto del pallone della distillazione, filtrato, a caldo, per separarlo dalla poca resina formatosi, per raffredìdamento depone una sostanza in aghi raggruppati fondenti a 1380-135°. La parte volatile al vapore d’acqua viene estratta con etere; per eva- porazione del solvente si ottiene un residuo cristallino che si purifica prima dall'alcool diluito e poi dal ligroino bollente. Si ottiene così in forma di pagliette o prismetti mescolati appena rosei che fondono a 121-122°. Sottoposto all'analisi ha mostrato di avere la composizione CsH,,NO Calcolato per C:3H;3N0 Trovato GU 70,06 70,47 - 69,89 - 70,07 H 8,03 8,33 - 8,10- 8,39 N 10,22 10,42 - 10,41 Questa sostanza è stata identificata col 2-4-dimetil-5-acetilpirrolo sia facendo il punto di fusione del miscuglio dei due prodotti, sia condensan- dolo coll'aldeide formica. Infatti ho ottenuto il corrispondente derivato del dipirrilmetano che fonde a 272° identico a quello descritto nella Nota pre- cedente. Una determinazione di azoto di questo prodotto mi ha dato un risul- tato concordante per la formola C,,HsN:0, Calcolato per C,:HssNs0z Trovato N°% 9,79 10,05 RenpIconTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 54 — 414 — La parte del prodotto insolubile in etere e fondente a 130-150° sì scioglie abbastanza in acqua bollente, alcool, cloroformio, benzolo, etere ace- tico; è quasi insolubile in etere di petrolio. Però è conveniente cristalliz- zarla prima dall’alclol assoluto, poi dall’etere acetico. Così si ottiene in bel- lissimi aghetti lucenti incolori che fondono a 160°. All’analisi ha dato numeri che corrispondono abbastanza a quelli ri- chiesti per la formola CsH,3N0 Calcolato per CsHisNO per CioHisN0 Trovato C°% 71,52 713,62 71,80 - 71,62 N 8,61 7,97 8,94- 8,79 N 9,27 8,59 9,23 - 9,391 - 9,12 Per la sua composizione dimostra di essere un omologo del prodotto precedente: con ogni probabilità si tratta del 2-3-4-trimetil-5-acetilpirrolo CH;C C.CH3 on.cool Lacn, NH La sostanza a punto di fusione 130-135°, formatasi in più piccola quan- tità delle altre, non è un prodotto unico, ma in essa è contenuto certamente in maggior parte il 2-4-dimetil-3-acetilpirrolo, poichè condensata in soluzione alcoolica con formaldeide ha dato un prodotto fondente a 268°, identico a quello che si ottiene con questo derivato. Ne fu fatta una determinazione di azoto. Calcolato per Ci7HaeN:0s Trovato N° 9,79 9,91 Che veramente si tratti del derivato coll'acetile in f è stato dimostrato dalla bellissima colorazione verde che dà bollito con acido acetico glaciale e che lo differenzia dall’isomero coll'acetile in @ che non dà questa colo- razione. Infine dirò che ho operata la trasposizione del 2-4-dimetil-8-acetilpirrolo scaldandolo in tubo chiuso; questo derivato si è trasformato quasi quantita- tivamente nell'isomero coll’acetile in «. Dirò anche che riducendo col metodo di Knorr l’isonitroso acetilacetone in presenza di metiletilchetone, contrariamente a quanto era naturale atten- dersi, non si è avuta la formazione di 2-3-4-trimetil-5-acetilpirrolo, ma si è invece ottenuta la dimetildiacetilpirazina fondente a 98°. — 415 — Invece riducendo con lo stesso metodo isonitrosometiletilchetono in pre- senza di acetilacetone ho ottenuto con buonissimo rendimento il 2-4-5-trimetil- o-acetilpirrolo fondente a 209-210°. Questo derivato non essendo identico a quello che io ho ottenuto nella scomposizione pirogenica, quest'ultimo dovrà certamente avere la costituzione che gli ho assegnata. Il 2-4-5-trimetil-3-acetilpirrolo per trattamento con idrato di idrazina mi ha fornita la chetazina corrispondente, prodotto difficilmente solubile nella maggior parte dei solventi, ma cristallizzabile dal nitrobenzolo. Fonde al disopra di 280°. Sono già in corso i lavori per ottenere da questa il fillopirrolo. La de- scrizione più particolareggiata di questi prodotti e delle loro trasformazioni formeranno oggetto di una prossima comunicazione. Con animo grato porgo i miei ringraziamenti al laureando sig. Cesare Bertoni che mi è stato di valido aiuto nella esecuzione di questo lavoro. Chimica. — Sugli ossisolfuri d’antimonio(*). Nota di E. QUERCIGH, presentata dal Corrisp. A. PIUTTI. Fra le sostanze che fin'ora furono ritenute e descritte quali composti ternarii chimicamente definiti fra lo zolfo. l'antimonio e l'ossigeno, ve ne sono alcune che si possono considerare come derivate dal trisolfuro d’anti- monio per sostituzione di uno o più atomi di zolfo con altrettanti di ossigeno; altri ossisolfuri come Sb 0,S e Sb,0$ oppure Sb: 0; S, che secondo Faktor (2) sì potrebbero preparare per via umida, contengono meno antimonio. Alla prima categoria appartiene il composto Sbh,0$, descritto da Otto Schumann (*) ed ottenuto da lui facendo agire l'idrogeno solforato sul pen- tossido d’antimonio prima a freddo e poi a caldo finchè lo sviluppo d'acqua e la separazione di zolfo non si arrestava e fondendo, infine, il prodotto otte- nuto; l'analisi di questo portò a stabilirne la formola su riportata. Un altro ossisolturo Sb, 0S, di questo stesso tipo fu pure ottenuto ope- rando in modo analogo al precedente col triossido d'antimonio dallo Schumann e molto tempo prima da Regnault (4) per arroventamento del trisolfuro in corrente di vapor d'acqua, e poi da R. Schneider (5) per azione dell’ossido di zinco e dell’acqua sul solfoioduro Sb,I,S,. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica farmaceutica della R. Università di Napoli. (*) Pharm. Post 33 (1900) 233. (°) Lieb. Ann. 187 (1877) 312. (4) Ann. Chim. Phys. 62 (1863) 383. (5) Pogg. Ann. 110 (1860) 151. — 416 — Siccome il composto Sb, 0 S» sì trova in natura come confermando le ricerche di H. Rose dimostrò H. Baubigny (*) analiticamente, e costituisce la Kermesite, minerale perfettamente caratterizzato che sì presenta in cri- stalli monoclini con simmetria pseudorombica (?), se si mette in relazione la proprietà che essa ha di cambiare notevolmente colla fusione tanto di aspetto che di peso specifico colle conclusioni dello Schumann, vien fatto di supporre che l’ossisolfuro Sb,0$S, possa esistere in una seconda forma non rinvenuta finora dai mineralogisti. Se si considera d'altra parte che H. Rose (*) fondendo in varie propor- zioni il triossido col trisolfuro d’antimonio stabilì che i prodotti ottenuti erano costituiti da miscele isomorfe dei varî ossisolfuri, si vede quanto poco precise sieno le cognizioni che sì possiedono a questo riguardo e risulta evidente- mente di un certo interesse l’appurare quali relazioni di affinità esistano tra l’antimonio, lo zolfo e l'ossigeno tanto più che le conclusioni tanto di Rose che dello Schumann, per i mezzi di cui disposero e le esperienze da cui le dedussero, non sono affatto persuasive. Prima di tutto era necessario stabilire se i composti dello Schumann esistono realmente nelle masse fuse da lui ottenute e quali limiti avessero le soluzioni solide ammesse da Rose, ed a tale scopo il metodo di ricerca più adatto sembra essere l'analisi termica. Intrapresi perciò lo studio del sistema binario $Sb,0: + Sbs Ss servendomi di un galvanometro di Siemens & Halske e di un termoelemento platino-platinorodio di mm. 0.2 di diametro. Le miscele venivano fuse colle solite precauzioni in tubi di vetro di Jena difficilmente fusibili e le osservazioni delle temperature sì fecero di 10 in 10 secondi. Il triossido d’antimonio impiegato proveniva dalla fabbrica Kahlbaum di Berlino ed aveva la densità di 5.325 a 15° e cristallizzava a 656°. Il trisolfuro fu preparato in laboratorio; la sua densità a 15° era 4.632 ed il suo punto di solidificazione era a 548°. Le quantità dei costituenti furono regolate in modo da avere circa cm.8 2 di sostanza per ogni determinazione. Queste miscele fondono facilmente sotto i 660°, ma la loro cristalliz- zazione avviene frequentemente con forti soprafusioni che raggiungono per- fino i 30°. La semina di cristallini della sostanza soprafusa serve alle volte, ma non sempre, ad ovviare le soprafusioni. Ad ogni modo ripetendo numerose volte l’esperienza, si arriva a stabilire per ogni concentrazione con approssi- mazione sufficiente il punto normale di cristallizzazione iniziale; gli altri punti critici non presentano anomalie. (1) Compt. rend. 119, 737 (1894). (®) Pjatznitzky Zeitschr. f. Krist. 20, 442. (3) Pogg. Ann. 89 (1858) 316. — 417 — La velocità di raffreddamento ha una grande influenza sul ritardo della cristallizzazione, e per un raffreddamento rapidissimo essa è addirittura im- pedita, dimodochè le miscele si solidificano in masse vetrose. Questo accade di preferenza per forti concentrazioni di Sb, O; . L'aspetto delle masse fuse è metallico per concentrazioni elevate di trisolfuro, il loro colore è grigio ferro, per quelle invece ad alta concentra- zione di triossido si ha color giallo rossastro speciale; tutte sono molto fragili. Dalle curve di raffreddamento delle varie miscele si può compilare la seguente tabella di valori medî per le temperature critiche: A Equilibri Equilibri invarianti Durata i NE monovariamti | —________—_—__ degli celti Sb, 0, Sh, S, I II invarianti —r ri ie A E RO VADA ET REI SOON 1 100.— 0. — 656° — _ 2 97.5 2.5 644° = = i 3 95.— dD.— 632 = = —_ 4 90.— 10.— 616 = — _ 5 850.— 15.— 608 = — — 6 SO 20.— 592 487 = 30 7 70. — 30.— 580 486 — 70 8 60. — 40.— 569 489 — 140 9 50.— d0.— 960 488 — 150 10 40. 60.— 526 489 —- 170 11 33.98 66.66 — 489 — 190 12 80.— 70.— 500 488 = 120 13 25.— TO. 513 487 = 30 14 22.50 71.50 519 = a Si 15 20.— 80.— — == 5220 70 16 16.66 83.33 530 —_ 921 110 17 15.— 85.— 530 = 522 110 18 10.— 90. — 544 = 522 90 19 d.— 95.— 547 sai 322 60 20 0.— 100.— _ 548 — —_ In questa tabella le singole durate degli equilibri invarianti sono espresse in secondi e riferite col calcolo a masse di 10 grammi. Coi dati riportati si costruisce il diagramma temperature-concentrazioni rappresentato della fig. 1, il quale esprime quindi lo stato di equilibrio nel sistema Sb» S: + Sb. 0, alle varie temperature. ù — 413 — Da esso si vede che le miscele di trisolfuro e di triossido d'antimonio si possono dividere per riguardo al modo di cristallizzare, in varî gruppi: I. Miscele aventi concentrazioni comprese tra 100 e 85 °/ molecolari circa di Sh,0;. Esse presentano un rallentamento della velocità di raffred- damento in corrispondenza all’inizio della cristallizzazione ed alcun arresto di temperatura. Coll’aumentare della concentrazione del trisolfuro la tempera- tura di cristallizzazione iniziale si abbassa costantemente ed in modo notevole. i 70 | | 70 60 5 656° 60 50 | 50 40 40 30 i 30 20 20 10 10 600 600 90..| 90 80 80 70 | 70 60 60 50 50 40 40 30 30 20 20 10 10 500 | i 500 90 90 80 80 70 70 60 60 50 | 50 40 40 30 30 2 2 4 Molecolari c " 50 : 20 30 40 5060 70 Leto Sho 0, Sbs Ss II. Miscele di concentrazioni comprese tra 1’85. ed il 23 °/, circa di Sb,0;. Presentano prima un rallentamento iniziale, il quale ha luogo a tem- perature variabili (e sempre più basse coll'aumentare della concentrazione di Sb, S; fino al 66 °/, circa, quindi sempre più elevate), poi un arresto alla temperatura costante di 489°. Per la miscela al 33.33 °/, di Sb. 0; il punto d'arresto a tale temperatura coincide col rallentamento iniziale, cioè in tale intorno il sistema passa direttamente da bivariante ad invariante. Le durate degli arresti sono espresse come al solito dalle lunghezze di segmenti che dimostrano evidentemente come la concentrazione eutectica sia quella del 33.33 °/, circa di Sh, 0; . III. Miscele comprese fra il 23 ed il 20°/, di Sh, 0;. Possiedono solo un rallentamento al principio della cristallizzazione. SE a IV. Miscele comprese fra 1’ 80 ed il 100 °/o di SbaS3 . Esse presen- tano oltre al rallentamento in corrispondenza all’ inizio della cristallizzazione, un arresto alla temperatura costante di 522°. Tutte queste miscele subiscono la soprafusione e solo, in via eccezionale, colla semina di cristallini di Sb,S; si arriva ad osservare i punti superiori, altrimenti si manifesta solo l’arresto a 522°, Dall'insieme dei fenomeni osservati si conclude: 1°. Il triossido ed il trisolfuro d’antimonio sono miscibili allo stato fuso in tutti i rapporti. 2°. Essi formano un composto corrispondente alla formola Sh,0S; (cioè 5 Sb» S: . Sb» 03) il quale non fonde inalterato, ma si scompone a 522° in cristalli di Sb, Sg e fase liquida secondo l'equazione reversibile : Sb, OS; crist. — Sb»S; crist. + liq. 3°. Esistono cristalli misti in rapporti limitati fra Sb,03 ed Sh,0S, le cui concentrazioni sono comprese negli intervalli O —18°/,Sb.S; e 16.66 — 23 °/, Sh: 0;. 4°. L’eutectico fra Sb,0, ed Sb,0S; ha la concentrazione della Kermesite, il che dimostra come questo composto non possa ottenersi per fusione dei componenti. Ciò è anche confermato dal fatto che in natura la Kermesite fu trovata sempre in giacimenti di carattere perfettamente sedi- mentario. 5°. Dei due ossisolfuri dello Schumann soltanto il Sb, 05; si forma realmente nella cristallizzazione della massa fusa. 6°. La formazione di soluzioni solide nel sistema Sb» 03 + Sh, Sz è contrariamente all'opinione di H. Rose, molto limitata. b) Chimica. — Amnalis: termica di miscele binarie di cloruri di elementi monovalenti. Nota III di C. SANDONNINI e P. C. AUREGGI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. SIONE Botanica farmaceutica. — Sul Abrus precatorius L. Nota preventiva (1) del dott. Gino PoLLacci, presentata dal Socio G. BRIOSI. Dopo che nel 1882, l’oculista De Wecker introdusse con successo nella terapia oculistica l’uso dei semi di Abrus precatorius o Jequirity, molti sono gli autori che studiarono tale pianta sotto l'aspetto clinico, chimico, farmacologico, fisiologico, botanico e tossicologico. Nessuno però ha trovato una reazione sicura che permetta al medico, al farmacista od al chimico di assicurarsi rapidamente e con facilità se la droga da esso usata provenga veramente da semi di Abrus precatorius. Le sofisticazioni di tali semi esotici sono frequentissime; io mi sono ri- volto, per avere del materiale di studio, a medici, a stabilimenti botanici e farmaceutici e da commercianti, sia in Italia che fuori, ed ho ricevuto talvolta da essi come Jequirity dei semi di Rhynchosia phaseoloides D. C., di Ormosia dasycarpa ed Adenanthera pavonina L. Tale fatto, che spiega i varii risultati contradditorî ottenuti coll’Abrus in terapia, non deve meravi- gliare, poichè i semi delle piante suddette presentano caratteri morfologici sovente poco dissimili da quelli dell'Abrus precatoreus, il quale varia spesso di colore e di volume. La polvere poi non offre caratteri diagnostici diffe- renziali nemmeno al microscopio; nè possediamo reazioni caratteristiche per gli estratti e gli infusì. Grande importanza ha quindi la ricerca di mezzi sicuri per distinguere la vera droga da quella sofisticata. L'importanza terapeutica di tali semi è ora accresciuta per il fatto che non solo nell’oculistica, ma altresì nella cura di alcune forme di cancro, essi vengono impiegati in seguito alle ricerche del chio prof. Roberto Rampoldi (?). Ora credo di avere trovata una rea- zione caratteristica per distinguere in modo sicuro i prodotti ottenuti coi semi di Abrus precatorius L. da quelli delle piante colle quali si sostitui- scono. L’Abrus precatorius infatti contiene sostanze solubili in acqua fredda; delle quali una, localizzata nel tegumento seminale, che in presenza di po- tassa caustica dà una colorazione rosso-bruna ed un’altra contenuta nei co- (1) Il lavoro per esteso verrà pubblicato negli Atti dell'Istituto Botanico di Pavia, ove fu eseguito (*) Il prof. Rampoldi stesso mi dice che le sue osservazioni cliniche avevano con- dotto lui pure a sospettare che talvolta i semi da lui usati non contenessero i principii attivi desiderati o ne contenessero di diversi. È assai probabile che queste eccezioni, nei risultati clinici, fossero dovute alla natura dei medicamenti impiegati: preparati forse non con veri semi di Jeguirity, ma con semi di qualcuna delle piante sopra indicate. — 421 — tiledoni che con acido nitrico dà una colorazione giallo-canario. Quest'ultima reazione, com'è noto, è comune alle albumine, ma essa diventa una reazione diagnostica importante per l’Abrws, poichè sostanze solubili in acqua ed aventi tale proprietà non sono contenute nei semi di Ormosia, Rhynchosia ed Adenanthera coi quali si confondono facilmente in commercio i semi del Jequirity. Anche i semi delle molte altre leguminose da me esaminati, come altresì quelli del Azcszo e del Croton ece. che, come è noto, conten- gono principî attivi molto vicini a quelli dell’Abrus precatorius, non dànno tale reazione. La colorazione gialla della soluzione ottenuta con polvere di cotiledoni è data, secondo me, da sostanza albuminoide solubile, e di fatti, oltre alla suddetta reazione coll'acido nitrico il soluto ha le seguenti pro- prietà: Trattato con nitrato acido di mercurio dà un precipitato che, dopo ebul- lizione, si riunisce in un coagulo rosso (reazione di Millon) Con acido clo- ridrico e dopo l'influenza del calore, il soluto si colora in bruno (reazione di Liebermann-Wurster). ; Con acido acetico ed acido solforico concentrato il soluto si colora in rosso-scuro (reazione di Adamkiewiecz). Il soluto limpido, sottoposto al calore, diventa albescente. Oltre poi a questa sostanza o gruppo di sostanze solubili che devono considerarsi come albuminoidi, vi è un altro corpo localizzato nel tegumento seminale che non è un albuminoide e che con la potassa caustica dà una forte colorazione rosso-bruua. Allo scopo di accertarmi se le reazioni suddette erano dovute alla pre- senza di Abrina, ho trattato dell’abrina pura con acqua fredda (17 C.) e nel filtrato ho messo poche goccie di acido nitrico: istantaneamente è comparsa una colorazione gialla, identica a quella ottenuta colla polvere di Jeguirity. Trattato invece con potassa caustica, tale estratto non dà la colorazione rossa già detta. Siccome secondo molti autori la ricina ha proprietà affini all'adrina, ho pure trattato la rieina pura con acqua ed il filtrato con acido nitrico, ma nessuna colorazione è comparsa ancke sottoponendolo all'azione della po- tassa caustica. Con tutta probabilità quindi, la sostanza che dà con acido nitrico la colorazione gialla caratteristica all'estratto dei semi di Abrus, è l’abrina affatto diversa da quella contenuta nei tegumenti seminali e che dà la colo- razione rossa colla potassa. Colorazione questa che si ottiene anche col filtrato acquoso della polvere dei tegumenti seminali della ARAjuchosia phaseo- lotdes D. C. In possesso di tali reazioni, a me è occorso, benchè solo da poco tempo abbia incominciato le ricerche, di poter accertarmi già fin d'ora, che alcuni farmaci usati dai medici come ottenuti con l’Abrus precatorius L. erano RenpIcoNTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 55 — 422 — invece preparati con altri semi, non contenevano i principii attivi del Je- quirity e naturalmente non potevano dare i risultati medicamentosi de- siderati. Una tale constatazione dimostra la necessità di accertarsi sempre se: questi medicamenti sono veramente preparati con Jequirity, il che si può facilmente accertare colle reazioni sopra indicate, seguendo il metodo che qui espongo. Esame di polveri. — La polvere da esaminarsi si mette in provetta con acqua distillata e si sbatte per pochi secondi; poi si filtra tale liquido fino a che il filtrato resta limpido: tale filtrato viene in seguito trattato con acido nitrico. Se la polvere di semi in esame è di vero Abrus preca- torius L., il filtrato deve colorarsi in giallo-canarino, colorazione persi- stente a lungo e che non scompare ma si accentua col calore. Se si tratta lo stesso filtrato con potassa caustica e si colora in rosso-bruno, segno è che la polvere in esame contiene anche i tegumenti seminali polverizzati. La colorazione rossa si può ottenere insieme a quella gialla nello stesso tubo di assaggio; bisogna in tal caso prima trattare il filtrato con acido nitrico e poi aggiungere goccia a goccia la potassa; se la polvere è di Jequiriys e contiene anche i tegumenti seminali, si differenziano nettamente due strati del liquido, l’inferiore giallo ed il superiore rosso-bruno. Se si forma la sola colorazione gialla e non la rossa, segno è che la polvere è stata fatta coi soli cotiledoni. Esame dei semi. — Qualora nasca il dubbio sulla specie del seme 0 porzione del seme in esame, si polverizzino tali parti e poì si proceda come è indicato per le polveri. Esame dei medicamenti. — Ricavati dai semi di Jeguirity vengono messi in commercio diversi farmaci; quelli iscritti nella Farmacopea ufficiale italiana sono i seguenti: Estratto fluido dai semi di Abrus precatorius; Dischetti di Jequiritina per uso oftalmico; Pomata di Jequiritina. Per il saggio dell'estratto fluido basta prenderne una piccola quantità, filtrarlo e trattarlo con acido nitrico; se è veramente ricavato da semi di Abrus, la colorazione gialla caratteristica si ottiene anche se si diluisce l'estratto con acqua: gli estratti messi in commercio non dànno la reazione rossa colla potassa perchè vengono preparati con semi sbucciati. Per il saggio dei dischetti basta che uno o due dischetti vengano te- nuti in acqua e dopo averli agitati si filtri quest'acqua e la si tratti al solito coll’acido nitrico; se i dischetti sono preparati con Abrus precatorius, l'acqua filtrata deve colorarsi in giallo coll'acido nitrico. Se preparati con semi sbucciati, non si colorano in rosso colla potassa. — 423 — Per il saggio della pomata si sbatte ripetutamente e con diligenza con acqua distillata; se è stata fatta con estratto fluido di vero Abrus preca- torius, l'acqua filtrata deve colorarsi in giallo. Per questo saggio però è necessario che l’acqua venga in contatto di molta pomata. ‘Fisiologia. — Azione dell’adrenalina, della paraganglina e della ipofissina, sul rene. Nota di PENTINALLI e QUERCIA, pres. dal Corrisp. BoTTAZZI. Patologia vegetale. — Formazione e significato fisiologico dei cordoni endocellulari nelle viti affette da arricciamento. Nota di L. PETRI, presentata dal Socio G. CuBONI. Le due Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. RICORDI DELI’ ACCADEMIA Il prof. P. G. PosseNTI, R. Ispettore degli Scavi per l'Umbria, invitato dal Presidente, presenta ed illustra la maschera in cera del principe Federico Cesi, colle seguenti parole: . Signori Accademici, debbo l'altissimo onore di essere oggi accolto in questo illustre Con- sesso, onore d’Italia, ad un caso fortunato che mi fece rinvenire un prezioso cimelio, e quindi al cortese invito dell’illustre Presidente. Accolga Egli dunque il mio ringraziamento, e l'Accademia mi sia benevola nella breve e disa- dorna comunicazione. La ridente terra di Acquasparta nel circondario di Terni, che dette i natali ed accolse le ossa del suo secondo duca, Federico Cesi, va gloriosa del ricordo che nella principesca dimora dei Cesi si adunò nei primi anni l'Accademia dei Lincei, vanto delle scienze che da tre secoli si svolsero sempre più vigorosamente fino a noi. Quei paesani si ripetono, con vero com- piacimento, le tradizioni tramandate dagli avi, come se fossero prioprio stati presenti a quei fasti foggiando, a modo loro, le persecuzioni subìte dalla famiglia ducale a cagione delle riunioni scientifiche dei sommi, tra cui Galileo, — 424 — raccolti in Acquasparta presso Federico dal suo fido compagno Anastasio Defilis interamnate. E Acquasparta ha ben ragione di ricordare queste glorie, perchè anche i Cesi furono larghi di munificenza, di sussidi, di doni a quei cittadini, alle loro chiese, ai loro istituti. Tuttora si ammirano i resti di tanta grandezza; ma purtroppo sono esigui avanzi, perchè l'insipienza e la cupidigia degli uomini e le avarìe del tempo hanno tutto profanato 0 distrutto. Basterebbe ricordare la sparizione avvenuta, nella prima metà del secolo passato, del ricco arredamento di altare in argento, opera d'arte squisita di Benvenuto Cellini e dono di Federico Maria alla basilica, del costo di 618.70 scudi romani come risulta dalle memorie dell’archivio della chiesa (2). Ma, se Acquasparta tiene ora più che mai ai ricordi di Federico Cesi, ciò è in relazione con un encomiabile risveglio fra i cultori delle scienze e della storia dell'Umbria, i quali s' interessano di questo illustre suo figlio, lieti di raccogliere notizie e di renderle pubbliche. Nel 1872 il ricono- scimento delle sue ossa, obliate in un sepolcro nella basilica di S. Cecilia in Acquasparta, fu avvenimento che ebbe eco lieta in ogni dove e fu reso solenne dalla presenza di valorosi scienziati, primo fra i quali l'illustre pre- sidente dei Lincei del tempo, comm. Giuseppe Ponzi, senatore del Regno. Del verbale estesissimo, rogato da due pubblici notari, non farò cenno, perchè esso è noto a questo illustre Consesso, avendone nei suoi archivi una delle tre copie. Sembrava strano, però, che del grande Federico, contrariamente alle costumanze delle antiche prosapie, non esistessero ritratti autentici, toltine la medaglia già illustrata dall’Odescalchi e l'altra, più veritiera per somi- glianza, che presento, ottenuta per cortesia di donna Elvira marchesa Cit- tadini in Olivieri, ultima superstite dei duchi Cesi(?). La medaglia in parola è fusa ma è di fattura squisita; e si vede che fu portata come ornamento poichè presentasi forata e logorata dallo attrito. Altri ritratti dipinti esistono, è vero: uno in un quadro sacro nella par- rocchia di S. Cecilia, un altro posseduto dalla famiglia, altri, infine, nei soffitti del palazzo ducale di Acquasparta. Però tutti questi dipinti dànno poco affi- damento di verità, per essere o postumi o fatti a solo scopo di decorazione. Forse, siccome le persecuzioni già subìte in vita da Federico, dalla famiglia e dai suoi amici, continuarono anche dopo la morte di lui, può darsi che le sue sembianze venissero disperse, trafugate o distrutte, come più tardi venne ignominiosamente violata la sua tomba; fatto, questo, ac- (1) Notizia fornitami dal Rio prof. Maturo, arciprete della basilica di S. Cecilia in Acquasparta, diligente cultore delle discipline storiche. (2) Veggasi l’unita tavola. — 425 — certato nel giorno del rinvenimento delle ossa, il 7 agosto 1872, e descritto nel verbale colle seguenti parole: eneralo fu esplorata la profondità della tomba che si trovò di circa « tre metri, per cui occorse una scala di legno per discendervi. Si di- « scese infatti uno ad uno, ma tutti furono colpiti da un sentimento di «orrore e di indignazione nel vedere che la tomba era stata violata, « giacchè le casse di legno erano state aperte, barbaramente scomposte, «e gli scheletri disordinati ..... r. Rispetto a queste violazioni, io mi accinsi a fare delle ricerche; ma, sventuratamente non esistono memorie nè negli archivi di famiglia nè in quelli del comune. Su tale punto interessante anche la tradizione tace; solamente in una vaga memoria, trascritta in un documento esistente nel- l'archivio comunale, si fa menzione che nel 1759 alcuni muratori penetrarono nel loculo demolendo parte della volta, propriamente sotto alla predella del- l'altare appartenente alla famiglia Cesi; e. difatti, esaminando il luogo, si riconosce il posteriore rifacimento ('). Interessandomi di queste e di altre ricerche, come dissi, mi parve dover far tesoro di un accenno sull'esistenza di un ritratto in cera supposto di Federico Cesì. Nulla di più potei rilevare nè dal municipio, nè dalla famiglia, nè da altre mie investigazioni. Colpito però dalla vaghissima notizia avuta, deliberai, nel giugno dello scorso anno, una gita in Acquasparta, con l'intento di fare minutissime ricerche nella basilica di S. Cecilia e nella canonica an- nessa. Esaminati ed elencati molti oggetti d’arte per l’innanzi trascurati, fra cui alcuni preziosissimi paramenti sacri dovuti alla munificenza dei Cesi, dopo aver frugato per ogni parte, in un bugigattolo terreno umido. privo di vetri all'unica finestra e designato col nome ampolloso di archivio della parrocchia, il sig. Arciprete m'indicò un vuoto praticato nel muro ad uso di ripostiglio. Ivi, in mezzo a volumi rosicchiati tra miseri ingombri d’ogni specie, si mostrò alfine il prezioso cimelio da me ricercato, sgualcito e pesto, che subito riscontrai essere la maschera autentica del grande fondatore dei Lincei e che oggi ho l'onore di presentarvi. Niun dubbio può sorgere sulla sua autenticità, perchè il calco corri- sponde alle linee generali dei vari ritratti sopra accennati, e, in ogni modo, esattamente alla bella medaglia conservata dalla famiglia. La maschera, in cera policromata, fu certo eseguita da mano peritissima : essa ha l'impronta fresca ad onta degli sfregi subìti; ed io, per presentarla alla vostra ammirazione, non mi sono permesso di alterarla in niun modo, limitandomi solo a toglierle la polvere aggrumata alla superficie e a ridonarle la forma convessa che aveva perduto per il peso degli ingombri. (*) Vedi Nota precedente. — 426 — Al rinvenimento era presente la guardia municipale, che la cortesia del sig. Sindaco di Acquasparta aveva posto ai miei ordini, non che il sig. Arci- prete della basilica. Al Municipio fu redatto il verbale, controfirmato dai presenti e dal Sindaco; e questi, da me pregato, convocava per il pomeriggio la Giunta comunale, alla quale fu data la lieta comunicazione inaspettata, poichè nessuno conosceva l'esistenza del prezioso cimelio. Per mio consiglio — a lode del vero, accolto subito — quella Giunta deliberò: che tutti gli oggetti d’arte dispersi nel paese, ed in special modo le memorie dei Cesi, fossero tutti riuniti in apposito locale, designato d'accordo nella. civica residenza. Però io, lietissimo del risultato delle mie ricerche, pensai subito che le vere sembianze del sommo Principe, da tre secoli sconosciute dovessero ‘conservarsi più degnamente: e quindi, ad accoglierle, non esservi altro luogo più adatto della sede di questa R. Accademia. Fatto il dovuto rapporto del rinvenimento all’on. Ministro della P. I., fermo nella mia idea, partecipai la notizia anche all’illustre Presidente dei Lincei, il quale, come pure S. E. il Ministro, mi fu benevolo di cortesi encomi. Data la mancanza assoluta di documenti, non è facile trovare una spie- gazione esauriente del come e del perchè la maschera in cera del principe Federico sia stata abbandonata in modo così sconveniente. Due vecchi sa- grestani avrebbero, dopo il rinvenimento, assicurato che la famiglia dei Cesi, nel secolo passato, aveva fatto dono della menzionata maschera alla parrocchia di Acquasparta (!). Ma, per quale ragione la famiglia si sarebbe privata di tanto prezioso ricordo, mentre è noto che fu sempre gelosissima delle proprie memorie? E come mai avrebbe affidato alla parrocchia il cimelio, pur sapendo che i detrattori di Federico e degli amici di lui erano l’emanazione diretta del S. Uffizio e quindi della Curia romana? In ogni modo, anche questa versione, per me poco verosimile, riconfermerebbe l'odio secolare contro l'uomo, risultando tale fatto dal modo indegno con cui il cimelio fu tenuto. Del resto, la versione sopra accennata mi sembra doversi assolutamente escludere. Per non andare lungi dal vero, occorre tener presente come la nobile salma fosse tumulata col massimo mistero, tanto da non conoscersi, fino al 1872, il luogo dell'ultimo riposo del Grande: e ciò a cagione delle persecuzioni alle quali anche dopo morto, il Duca fu fatto segno. Può dunque pensarsi che il preposto al pietoso còmpito della tumula- zione misteriosa, abbia cercato di nascondere anche l'effigie del Duca nello stesso avello per salvarla e che, poi, nell'epoca della violazione, sia stata estratta con altri oggetti, e forse, non conoscendosene l’importanza dai viola- tori, venisse gettata, senza alcun riguardo, in un posto qualsiasi. (1) Vedi la Nota a pag. 424. — 427 — Ora, assolto il mio compito, o Signori, sono sicuro e lieto che la R. Acca- demia, portate a buon fine le pratiche occorrenti con l’on. Ministro della P. I., accoglierà e conserverà con venerazione il prezioso cimelio salvato dalla di- struzione e dall'oblio. Ma, giacchè ho l'onore di far udire la mia disadorna parola in questa sala mi permetto, con fervido desiderio di modesto artista, per dovere di R. ispettore dei monumenti, gelosissimo di quanto vi è di artistico e di glo- rioso nel circondario di Terni, rivolgere una vivissima raccomandazione: cioè, che quell’edificio insigne di Acquasparta il quale. sede dei Lincei, accolse nelle sue mura tanti valorosi, non venga più oltre abbandonato al- l'inevitabile disfacimento. Si escogiti una combinazione perchè vengano con- servati all'arte quei maravigliosi soffitti intagliati riccamente, i quali, ora purtroppo cadenti, hanno vibrato alle voci di quei grandi, spesso pensierosi, talvolta ilari, arguti sempre, che con le loro scientifiche disquisizioni rive- lavano il vero. Parta da questo luogo un voto solenne per la conservazione della splen- dida dimora dei Cesi, quale già ebbe a pronunciarlo la R. Deputazione di storia patria per l'Umbria nell'ultimo Congresso tenutosi nella mia Terni in settembre. Certo, tante voci autorevoli verranno benevolmente ascoltate dal- l'illustre Direttore generale delle belle arti — che col massimo piacere qui vedo presente — il quale, con la sua sapiente genialità e squisita coscienza artistica, ha saputo circondare con tanta festa di gloria e di luce innume- revoli monumenti già destinati all’incuria e all'oblio. Nell'interesse della storia e dell’arte, ad onore della mia Umbria e dell’Italia tutta, confido nello adempimento di questo ardentissimo voto. Alla lettura di questa Comunicazione erano presenti: il comm. Cor- RaDo Ricci, Dir. Gen. delle Antichità e delle Belle Arti, e il marchese avv. MARIANO CITTADINI CESI. ‘RENDICONTI DELLA R. ACC. DEI LINCEI - Vol. XXI, 1° sem. 1912. (Fot. V. Angelici — Tewni) Maschera in cera del principe FEDERICO CESI, fondatore dell’Accademia dei Lincei. Medaglia coll’effige di FEDERICO CESI, posseduta dalla famiglia Cesi. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. IIT. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MemoRIE della Classe di scienze morali,! storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TRaNSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — IIT-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Serie 4* — RenpIcONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXI. (1892-1912). 1° Sem. Fase. 6. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e flologsche. Vol. I-XX (1892-1911). Fasc, 12°. MEMORIR della Class? di scienze fisiche, matematiche è naturali. Vol. I-VIMI. Fase. 24°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e Alologiche. Vol. I-XII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE R NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. ll prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loxscuer & C.° — Roma Torino e Firenze. sitrico Horpri. + Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Marzo 1912. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Seduta del 17 marzo 1912. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sulle superficie minime cerchiate di Riemann |. . . . ... .. . . . Pag. 373 Tedone. Sulla deformazione di un cilindro di rotazione... ... +... +...» 884 Balbiano. Sulla reazione Angeli-Rimini delle aldeidi . . . . UR ORE IS Colonnetti. Sul principio di reciprocità (pres. dal Socio Levi- Canio a a n 3 Godeaux. Sur les transformations des surfaces algébriques laissant invariant un système con- tinu de courbes (pres. dal Corrisp. Emmgues). . . MA Orlando. Sopra un teorema relativo agl’ insiemi (pres. dal Qui Di Lora) dint? Silla. Sulla propagazione del calore (pres. dal Socio Levi-Civita) (*). . . . . . » 403. si Sulla conservazione Gs e della materia del campo gravitazionale oi Oa È ò i . . n 404 de Intorno ad un LE di osservare Mind du Sole Baio Îa si dla o lo stesso azimut (pres. dal Socio Blaserno). . . . . ... È ERE AO) Colaciechi. Azione delle aldeidi sui corpi pirrolici. Scomposizione pirogenica dei desitali del dipirrilmetano (pres. dal Socio Ciamician) . 0 E SAN III Quercigh. Sugli ossisolfuri d’antimonio (pres. dal Conti Piuttî). FU E ooo Sandonnini e Aureggi. Analisi termica di miscele binarie di cloruri di olenicnti Hi acraicati (pres. dal Socio Ciamician) (È). - FE Se . i 419 Pollacci. Sull'Abrus precatorius L. Vlici dal Socio Ro) ARR ei Sagl TS ne CARD Pentinalli e Quercia. Azione dell’adrenalina, della paraganglina e della ii scina. sul rene (pres. dal Corrisp. Bottazzi) (*). . . .. PIO, s cc 423; Petri. Formazione e significato fisiologico dei oioni endocalifia "one viti affette da aric- ciamento (pres. (dal ':Socio Cuor) (Me O A SSAZAEO RICORDI DELL'ACCADEMIA Possenti. Comunicazione sul rinvenimento della maschera in cera del principe Mederico Cesi n» ERRATA-CORRIGE A pag. 397 righe 4 e 5 della nota si seguono senza a capo. ” » riga 25 invece di esterza legg. esterna. n 398 n 9 » di integra » interna. ” » righe 12 e 13 legg.: è eguale alla componente, secondo questa direzione, dello sposta- mento che il punto P subirebbe qualora, n 402 riga 25 invece di Borel legg. Lebesgue. (*) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Koma 14 aprile 1912. N. PTT REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANIMO? COoee 1919 9 ER QUINDI ——————___ RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del A4 aprile 1942. Volume XXI. _ Fascicolo 7° 1° SEMESTRE. *.——————_—_——_——&—€—+—_—r- ee ee eee e—-o >*__ —___— °°‘ ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. W. SALVIUCCI 1912 P ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri uu numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus: sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, cha vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IL 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. Tia relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro: posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre: cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli sutori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DAANDNDINNAN-_—- Seduta del 14 aprile 1912. P. BLASERNA Presidente. MEMORIR E NOTR DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Su/a definizione di probabilità. Nota del Corrisp. G. PrANO. La definizione comunemente adottata è « la probabilità di un avveni- mento è il rapporto del numero dei casi favorevoli all’avvenimento, al nu- mero dei casi possibili », e si suole aggiungere, o subito, o dopo una pagina, «a condizione che questi ultimi siano egualmente possibili ». Invece di dire, col Bertrand, che i casi si suppongono egualmente pos- sebili, dicono alcuni, col Poincaré, che i casi sono egualmente verosimili, o col Borel, egualmente probabili. Questa definizione, che definisce la probabilità mediante il probabile, contiene un circolo vizioso evidente. Il circolo vizioso è più nascosto, ma rimane, se al posto di probabile usiamo un sinonimo: possibile 0 verosimile; poichè al posto di probabilità potremmo dire possibilità 0 verosimiglianza. Il circolo vizioso è riconosciuto da parecchi autori. Il Poincaré dice: « La définition complète de la probabilité est donc une sorte de petition de principe. Une définition mathématique ici n'est pas possible ». E il Borel dice: «Cette définition renferme en apparence un cercle vicieux », e afferma impossibile il dare una definizione di probabilità senza servirci del linguaggio ordinario. Io mi propongo di dimostrare che è possibile la definizione simbolica di probabilità, cioè che si può formare un'eguaglianza il cui primo membro è la probabilità che si vuol definire, ed il secondo membro è un gruppo di simboli precedentemente definiti, seguendo il mio Formulari o Mathematico, editio V. RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1% Sem. 56 CM DEFINIZIONE. a,b Cis. NumaeN,.0.P(0, a) = Num(a0)/Num a che letteralmente si legge: « Se a e d sono classi, e il numero degli indi- vidui della classe 4 è finito, allora il nuovo simbolo P(2,a) vale il numero degli 4 che sono d, diviso pel numero totale degli « ». Accostandoci alla definizione comune, possiamo leggere la definizione simbolica come segue: « Se 4 è la classe dei casi possibili, che si suppon- gono in numero finito, e d è la classe dei casi favorevoli, col simbolo P(0,4), che si legge: probabilità dell’avvenimento % fra gli avvenimenti a, si intende il rapporto fra il numero dei casi possibili, che sono favorevoli, al numero totale dei casi possibili ». I simboli matematici sono spesso suscettibili di più interpretazioni. La definizione simbolica che precede, si può anche leggere: « Se a è una lega, 5 è il metallo fino, o oro, allora P(0, 4), che con- viene di leggere: titolo della lega. si intende il rapporto fra il numero dei grammi d'oro che sonvi nella lega, al peso totale della lega ». I teoremi fondamentali sulle probabilità assumono forma semplicissima, come pure le loro dimostrazioni. PROBABILITÀ TOTALE. a,b,ceCls. NumasN,.anboc= 4.9.P(b06e,a)=P(0,0) 4 P(c, a): « Se a,b, € sono classi, se il numero degli « è finito, e se non esistono 4 che siano ad un tempo d e c, allora la probabilità che si presenti un caso 4 o un caso c fra i casi 4, è la somma delle probabilità {che si presenti 4 fra gli a, ovvero si presenti e fra gli 4 ». Dimostrazione. — Dalla logica si ha a(b0c)=adbvac, e dall'avit- metica, teoria della numerazione, si deduce Num(200 ac) = Num ab 4 + Num ae. Divido per Num 4; dalla definizione di P, si ha il teorema. PROBABILITÀ COMPOSTA. IRON ZEN 0 ELIO, 00) « Nelle stesse ipotesi, la probabilità che si presentino ad un tempo gli avvenimenti d c fra gli a, cioè che il caso 4 abbia ad un tempo le qualità d e c, è il prodotto della probabilità che si presenti % fra gli @, per la probabilità di e fra gli 4 che sono d ». È una forma, scritta col segno P, dell'identità aritmetica: Num(abc) Num(ab) , Num(abe) Numa Numa Num (ab) | — 431 — CONCLUSIONE. Il simbolo P(2, a) che si definisce, è funzione di due classi variabili a e b. È lecito leggerlo « probabilità dell'avvenimento d'un caso è fra i casi a» ovvero « percentuale dei 5 fra gli 4 », o altrimenti, purchè sempre si enuncino le due variabili 4 e d. La frase comune « probabilità d’un avvenimento », si presenta come una funzione d'una sola variabile, dell'avvenimento; e dato l'avvenimento, non risultano determinate le classi dei casi possibili e favorevoli. La questione « qual è la probabilità che domani piova » non ha senso, perchè non sono enunciate le due classi 4 e d da cui dipende la probabilità. Vi si può rispondere completando la frase ellittica, per esempio così: « la pluviosità in questo mese, o stagione, o in tutto l’anno, cioè il rapporto fra il numero dei giorni di pioggia e il numero totale dei ciorni nel mese, 0 stagione, 0 anno, è tanta ». La frase « probabilità di un avvenimento » è una frase incompleta; e considerandola come completa, assoluta, si incontrano le difficoltà; basta completarla, coll'enunciare le due classi variabili, per eliminare ogni diffi- coltà. È una frase simile alle: il punto a è fisso (senza dire rispetto a chi); il numero 4 è costante (senza dire chi varia), ecc. Matematica. — Della trasformazione delle forme differen siali quadratiche. Nota del Corrisp. G. Ricci. Astrofisica. — Osservazioni astrofisiche della Nova (18.1912) Geminorum 2, eseguite nel R. Osservatorio di Catania. Nota del Socio A. Riccò. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 432 — Meccanica. — Sulla conservazione dell'energia e della ma- teria nel campo gravitazionale. Nota di Max ABRAHAM, presentata dal Socio T. Levi-CIVITA. Nella meccanica di Minkowski (') le equazioni del moto stabiliscono che la forza del moto, cioè il prodotto della massa per il vettore univer- sale di accelerazione, sia eguale al vettore universale della forza motrice. Riferendo entrambi i vettori all’unità di volume, ed indicando con v la den- sità di riposo della materia, le equazioni indefinite del moto si scrivono (1) vec=K, , ry=K, , v:=K. , vu=Kg,. Introduciamo un zensore universale simmetrico, le cui dieci componenti: ROTA NOR =, VO, ) Vi Ù, D ag = UÈ si trasformano come i quadrati ed i prodotti delle componenti di un vettore universale (di prima specie); da questo tensore deriviamo la forza motrice unitaria colle formole tata i, Se cdi ata @) ata nic 0,2 Tale rappresentazione della forza motrice è sempre possibile nell’elettrodi- namica (*). Essa si trova pure nella teoria dell’elasticità, sviluppata dal- l’Herglotz (*) in base al principio di relatività. Infine la forza motrice della gravitazione si deduce da un tensore universale, come dimostrai in una Nota recente (4); occorre però collegare il potenziale gravitazionale ® colla velo- (1) H. Minkowski, Spazio e tempo. Nuovo Cimento, XVIII (1909). (£) M. Abraham, Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, 1909, 19102. (5) G. Herglotz, Annalen der Physik, 36, pag. 493, 1911. (5) M. Abraham, Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, XX, fasc. 129, 1911; XXI, fasc. 1° 19121 — 433 — cità della luce (c) nel modo seguente: (3) 3 c°=@+- costante. In quanto a questa costante addizionale, conviene porla eguale a zero (!), togliendo così l’arbitrarietà del potenziale ®; altrimenti con essa si intro- durrebbe una nuova costante universale, probabilmente priva di significato fisico. In ogni modo dalla (3) segue 3 rad c = grad D =_= (3a) cgrade= gra ; La variabilità di e fa sì, che il gruppo di Lorentz vale soltanto nel- l’infinitesimo, essendo de ,dy,dz e du=icdt le componenti di vno spostamento infinitesimo in uno spazio a quattro di- mensioni. Rappresentiamo nella forma (2) le forze motrici elettrodinamiche, ela- stiche e gravitazionali, derivando ognuna di esse dal fensore universale motore corrispondente. Indicheremo nel seguito con K la forza motrice ri- sultante, dedotta nelle (2) dal tensore motore risultante T. Alla forza del moto si può dare una forma analoga. Ammettiamo la condizione di continuità (*) di Minkowski d ; DISSE: d © d . (4) utt 04 00. Allora valgono relazioni del tipo: Co cr MO. Waka Sogna” iù ge Esse ci permettono di scrivere le componenti della forza del moto Mo (da te I, n og=—(3 Ù dY x dé nr DAS (5) -. (Li DZR VI AZAIMENTE Vert sO 3 + ra TESI 160) dI dY dé dU (QUEI, 2Upii dI DS Grin teo i (‘) Questa semplificazione devo ad un gentile suggerimento del prof. Planck. (*) Resta escluso in questa Nota lo sviluppo di calore, il quale modificherebbe la equazione di continuità (4) come pure le equazioni del moto (1). — 434 — Questo tensore T* chiamiamo tensore universale del moto: le sue dieci componenti determinano le /ezstoni cinetiche : (5a) Xt=- we MW—=_ yy, = w, X=Y=— vxy, YXf=Z%f}=— vw, 18=Xf}=— ves, la corrente di energia (S*) e l'impulso unitario (g*) della materia: (iSs—cgi =—MeTxie Steyr (56) Sf = e° gj = cli = icUj = — tevyu = ve?yî, | Sp = gd => AE = = VA, ed infine la densità dell'energia della materia: (5c) F=Uf=— = ve)? = pe, essendo (6) u= vi=v de = vk! la densità della materia. Siccome si ha (6a) x= » t= n ko = vxk... (v vettore velocità), le (50, 5c) danno (65) Ss ea es per la corrente di energia trasportata dalla materia. In modo analogo il tensore motore risultante T individua le risultanti delle tensioni, correnti (S) e densità (e) di energia elastiche, elettromagne- tiche e gravitazionali. Dalle (1), (2) e (5) seguono, riunendo i tensori T e T*, i feoremi dell'impulso e dell'energia nella forma: dlega + 097%) — DX FX) dA Soi Xi) 1 PR TX7) o DG) i cdi Ci dA se RETI deg + 095) de + XY) | dg + Y3) ai s Vo) (7) cdl su dI "i dY sn de 7 deg: + 097) _ e +22) L _d(Zy ti) seg ye d(Z- + 27). o | cdl dI sr de i gel go . (S+S* (8) Seni ESSI div ( 4 ) — 435 — Occorre ora discutere queste formole, per far rilevare l'influenza della variazione di c nel campo gravitazionale, completando i risultati della Nota precedente (1). Dalla (8) segue per un campo stazionario div (3) = ? cioè: Il vettore della corrente stazionaria di energia, diviso per la velocità della luce, è solenoidale. Dunque, se una quantità di energia di riposo (Ev) viene trasferita dal potenziale ®, al potenziale superiore ®, la energia di riposo, che arriva al livello D, è maggiore di E, e precisamente eguale a c (9) E=Hb:-. Co Quindi la legge della conservazione dell'energia vale, non già per l'energia di riposo stessa, ma per questa energia divisa per la velocità della luce. Essendo, secondo la (3), cme cc 2(©EZ) = +08, ci si può in modo approssimativo scrivere la (9) (9a) —E+<(@— 0), ed interpretare questa formola, come fece 1’ Einstein (*), attribuendo alla energia una massa pesante eguale — come pure la massa inerte — alla energia di riposo divisa per il quadrato della velocità della luce. Questa spiegazione diventa ancora più attendibile per la (8); scriviamo il secondo membro di questa equazione, tenendo conto della (3a): —odin(T°)__dir(s 1994 #9 cado Guia ——div(S+99)-4+9)-F, dove F' indica la forza gravitazionale agente sulla massa unitaria. Allora il teorema della conservazione dell'energia per un campo qual- stast diventa: dle + e*) (*) M. Abraham, Rend. della R. Accad. dei Lincei, XXI, 1° fasc., 1912. (*) A. Einstein, Annalen der Physik, 35, pag. 902, 1911. — 436 — Risalta il significato del termine (ved. 62) (100) I POTER, come lavoro compiuto dalla gravità nel moto della materia; ed è precisa- mente la massa trasversale (di densità uk) sulla quale agisce la gravità. Nell’espressione (10) del teorema della conservazione dell'energia va tenuto conto di questo lavoro, come pure di un /avoro analogo compiuto dalla gravità in una corrente di energia qualsiasi. Siccome la massa w della materia è eguale al rapporto tra energia di riposo E e e?, la legge della conservazione della materia, identica a quella della conservazione dell’energia, diventa: (11) me= costante. Nel campo gravitazionale rimane costante il prodotto della massa per la velocità della luce. Così si spiega la forma data in una Nota precedente (*) all’equazione dell'energia per un punto materiale moventesi in un campo gravitazionale statico : i ASA (11a) dn (E) =0. Difatti, moltiplicando per la costante m e, si ottiene (110) Li kE )=0 da ; e si giunge all'espressione solita (m c*47!) assegnata dalla teoria di relatività all'energia della materia in moto. Dalle (11) e (3) segue ° . . mM ° dn 0 — O pi IE quindi 5 mM ° (12) Tieni De Un risultato analogo relativo alla densità w della materia si ottiene dalla equazione di continuità (4), la quale può scriversi div uv += 0, (4) M. Abraham, Rend. della R. Acc. dei Lincei, XX, fasc. 12, 1911, equazione (9). — 437 — ossia, secondo la (3a), (120) Le (12) e (124) indicano la variazione col tempo della massa e della sua densità nel campo gravitazionale. Di questa influenza del potenziale gravitazionale bisogna pure tenere conto nel calcolare il cambiamento, che 1’ impulso subisce col tempo. Ab- biamo, per la prima componente della forza del moto di un punto materiale me ma) am (ma) mat: perciò la prima delle. equazioni del moto diventa X aP=-m—-. ma | Ip e dL (18) 4 mi) + Passando all'unità di volume di un corpo continuo, al suo impulso g* ed alla derivazione locale, il primo membro della (13) corrisponde all’espres- sione seguente: DIE IE DO dI (Edo dI 13 fo pia — — de Ya 00 da (100) Di Lap DI dI sn CADI ODI Ora si spiega la presenza di questi termini e di termini analoghi relativi all'impulso del campo elettromagnetico e gravitazionale ed all’ impulso pro- dotto dallo stato di tensione della materia, nell'espressione generale (7) del feorema dell'impulso. Possiamo, in virtù della (134), scrivere la prima delle (7): (14) Utet 08) | det 02 POLI ——___—_— LE _L uu dI — Ke XE) | IX) | II +-X2) i MERA Riassumendo l’interpretazione data ai termini introdotti nei teoremi dell'impulso (14) e dell’energia (10) dal variare della velocità della luce col potenziale gravitazionale, abbiamo l’enunciato espressivo che mel campo gravitazionale le leggi della conservazione della materia e dell'energia di riposo prendono la forma: (15) me= = = costante. C ReNDICONTI. 1911, Vol. XXI, 1° Sem. 57 — 438 — Matematica. — Sopra una questione tecnica che si connette cogli integrali di Lebesque. Nota del dott. Luciano ORLANDO, pre- sentata dal Corrispondente A. Dr LEGGE. Noi vogliamo qui riunire, sulla traccia di un esempio scelto ad hoc, alcune idee (già da un pezzo, in varie occasioni, applicate da valenti tecnici, quali il Della Riccia e il Giorgi), che si connettono con teorie modernissime relative agl'integrali. Il dualismo fra cattiva pratica e cattiva teoria effet- tivamente esiste, ma non bisogna credere che esso sia la base di un dua- lismo fra la buona pratica e la buona teoria. Supponiamo che una città riceva l'energia elettrica da diverse fonti, e cioè: a) un impianto idraulico, che sfrutti la portata perenne di un fiume; 5) un impianto idraulico, che si appoggi ad un bacino, il quale rac- colga il rifiuto delle piene; c) un impianto a vapore. Sia 100 lire la spesa relativa all'impianto 4) per kw-anno, e sia tra- scurabile la spesa di consumo per kwh; sia 70 lire la spesa relativa all'im- pianto 2) per kw-anno, e sia 0,02 la spesa di consumo per kwh; sia 50 lire la spesa relativa all'impianto e) per kw-anno, e sia 0,05 la spesa di con- sumo per kwh. Consideriamo il diagramma annuale C del consumo in kw: le ascisse denoteranno i tempi, e le ordinate y denoteranno i kw. Questo diagramma annuale C sì ottiene ponendo in prolungamento i diagrammi diurni; si tratta evidentemente di aver da fare con una lunghissima striscia di carta, perchè, se si volesse, con opportuna scala, notevolmente accorciare il diagramma, ‘ allora le oscillazioni interdiurne sarebbero rappresentate da ghirigori ille- gibili. Lasciando dunque che il diagramma si slunghi quanto è necessario perchè possa dirsi un leggibile diagramma, consideriamo un'ordinata y cor- rispondente ad un certo quantitativo di kw. Sopra la retta di ordinata y, esisteranno parti interne all'area limitata dal diagramma, e parti esterne a tale area: valutiamo, e chiamiamo w(y) la somma delle lunghezze che ri- sultano interne. In pratica questa valutazione richiede alquanto tempo, se vuol essere eseguita con sufficiente precisione: si potrà affidare ad un dise- gnatore la misurazione delle parti interne, ad un altro (che non debba co- noscere le operazioni del primo) si affiderà la misurazione delle parti esterne; e, se la somma si scosterà troppo dalla lunghezza che rappresenta un anno, si ripeteranno le operazioni, tinchè i due operatori si mettano automatica- mente d’accordo. Un altro sistema sarebbe quello di munire le macchine — 439 — che descrivono C di registratori automatici. per esempio del tipo Wright. Se si adoperano i due disegnatori, sarà bene raccomandare all'uno ed all’altro di misurare in eccesso. Questa misurazione dovrà disgraziatamente ripetersi per molte y, fra di loro vicinissime. Fatta una tabella di tutte queste m(y), si tracci, in conveniente scala, una curva M, di equazione X = w(y): l’area di questa curva sarà uguale a quella della curva C. L'area sarebbe rigorosamente la stessa, se le mi- sure fossero esattamente valutate per ogni y; ciò evidentemente non accade, ma essendo X = w(y) una funzione monotona della variabile y, le y inter- medie fra due valori vicini della tabella saranno molto bene approssimabili. (CSAR | | Ù Ciò posto, paragoniamo il prezzo di un kwh fornito dall'impianto a) col prezzo di un kwh fornito dall’impianto 5). La relazione = curva (€ (1) 704 0,02 X, = 100, onde si deduce che X, non deve essere superiore a 1500 ore, mostra che non conviene aggiungere il servizio dell'impianto 5) a quello (permanente) dell'impianto 4), se quest'aggiunzione debba farsi per un numero comples- sivo di ore che superi 1500; per meno di 1500 ore complessive è conve- niente, invece, aiutarsi anche coll’ impianto è). La relazione (2) 50 + 0,05 X, <= 70-+ 0,02 X,, onde si deduce che X, non deve superare 667 ore, mostra che conviene appoggiarsi anche all’impianto e), ma per una durata complessiva che non superi 667 ore. — 440 — Se, dunque, sulla curva M scegliamo un punto (unico evidentemente) di ascissa X,= 1500, e poi un altro (anch'esso evidentemente unico) di ascissa X,= 667, e conduciamo per questi due punti (X, , 1), (X», y2) le parallele all'asse X, avremo segmentato l’area determinata da M in tre segmenti. Se regoliamo le cose in modo che, quando il consumo giunge ad y, kilowatt, si aggiunga all'impianto a) l'impianto d), e che, quando il con- sumo giunge ad y» Kilowatt, si aggiunga ai due precedenti anche l'impianto c), noi veniamo ad utilizzare i tre impianti nel modo più economico. In pratica bisognerà fondarsi sui diagrammi degli anni precedenti, non essendo eviden- temente disponibile il diagramma dell’anno in corso. i Le altezze dei segmenti nei quali resta ripartita M ci forniscono una immediata idea della potenzialità necessaria ad ognuno dei tre impianti; le aree forniscono il lavoro annuale. Evidentemente i costi unitarî dell'energia, che per facilità abbiamo considerati come numeri fissi 4 prior:, sono fun- zioni di questi elementi. Volendo tener conto di ciò, si potrebbero scrivere alcune relazioni funzionali, risolubili praticamente con metodi di falsa po- sizione. Noi non vogliamo, in questa breve Nota, far cenno delle questioni alle quali ciò condurrebbe; ci basta osservare che l’area di M è l'integrale della funzione y(x) che rappresenta le ordinate del diagramma, e che questo modo di considerare l'integrale è la base delle moderne considerazioni di Lebesgue (*). Le questioni relative alle X sono questioni che c' illuminano circa il modo d'intendere i moderni concetti di misura: la grandezza X = wm(g) misura il tempo durante il quale il consumo non è inferiore ad y kw: questa durata è indipendente da qualsivoglia considerazione relativa alla continuità del diagramma. (*) L'ing. Della Riccia ebbe occasione di valersi di questo criterio, nello studio di un impianto, a Bruxelles, nel 1902; egli avrebbe, nell’essenza del criterio, precorso Le- besgue. Ciò aggiunge un merito a quelli numerosissimi del Della Riccia, senza togliere nulla al Lebesgue, che certamente non fu spinto alle sue teorie da considerazioni di elettrotecnica. — 44l — Fisica matematica. — Su//a propagazione del calore. Nota del dott. L. SiLLA, presentata dal Socio T. Levi-CIviTA. l. La celebre Memoria del Poincaré Sur les équations de la Physique mathématique (*) e gli altri lavori che ne seguirono, hanno posto oramai fuori di dubbio l’esistenza delle soluzioni eccezionali relative alle equazioni della propagazione del calore; anzi i recenti progressi sulle equazioni inte- grali hanno permesso di dimostrare l’esistenza di tali soluzioni in casi assai generali, circa la natura della superficie del corpo che si considera (?). La sviluppabilità della funzione che rappresenta la temperatura iniziale del corpo in serie di soluzioni eccezionali, e, corrispondentemente, la dimo- strazione di esistenza dell’integrale delle equazioni della propagazione del calore, si sono ottenute nell'ipotesi che la detta funzione sia finita e con- tinua nel suo campo di variabilità insieme con le derivate parziali dei primi tre ordini (*), mentre la natura stessa del problema richiede al più l’esi- stenza delle sole derivate prime. Un recente teorema del Weyl (*) permette di dimostrare la sviluppa- bilità della funzione in discorso e il teorema di esistenza per la soluzione del problema del calore, nell'ipotesi che la temperatura iniziale abbia le derivate prime finite nei punti dell'interno del corpo e la derivata normale nei punti della superficie, come mi propongo di mostrare nella presente Nota. 2. Il problema del raffreddamento d'un corpo omogeno ed isotropo $, limitato da una superficie 0, si riduce, com'è noto, alla determinazione di una funzione V(x,y,,%) la quale, per tuttii valori del tempo #, soddisfi alle equazioni di un (nei punti di $) I) di i CAI kV (nei punti di 0) OR i e sia, inoltre, (2) (Vo = /(£,4 2). (‘) Rendiconti del Circolo matematico di Palermo, t. VIII (1894). (?) G. Lauricella, Applicazione della teoria di Hredholm al problema del raffred- damento dei corpi (Annali di Matematica, ser. III, t. XIV, 1908). (*) G. Lauricella, loc. cit., pag. 169 ed inoltre: Sull'integrazione delle equazioni della propagazione del calore [Memorie della Società italiana delle Scienze (detta dei XL), ser. III, t. XII, 19021]. (*) H. Weyl, Weber die Konvergenz von Reihen, die nach Orthogonalfunktionen fortschreiten (Math. Annalen, t. LXVII, 1909) ed inoltre M. Plancherel, Cortribution è l’étude de la représentation d'une fonction arbitraire par des intégrales définies (Rend. del Circ. Mat. di Palermo, t. XXX, 1910). — 442 — La funzione V rappresenta la temperatura dei punti (x ,y,) del corpo S$; K indica una costante positiva proporzionale al coefficiente di conducibilità interna del corpo; 7 la normale nei punti di o, diretta positivamente verso l’interno di S; % una costante positiva proporzionale al potere emissivo della superficie o ed f(x ,y,z) una funzione che rappresenta lo stato termico iniziale noto nei punti di S. Si suppone che il corpo si trovi immerso in un ambiente di cui la temperatura nei punti di o sia eguale a zero. L'integrazione delle equazioni (1), con la condizione (2), sì può far dipendere, com'è noto, dalla soluzione del problema: Sviluppare la funzione arbitraria /(x2,y,) in serie delle funzioni p;(2,y,), integrali delle equazioni \ Arpi+- 4pi=0, (nei punti di S) i dpi 1 o) Î rr hpi. (nei punti di 0) Le funzioni p; (soluzioni eccezionali) sono determinate ciascuna a meno di un fattore costante e formano notoriamente un sistema ortogonale. Il fattore costante si può determinare in modo che, oltre alla condizione, fon dS=0 (67), si abbia ancora Le quantità 4; (valori eccezionali cui corrispondono le soluzioni ecce- zionali p;), qualunque sia il valore di X, costituiscono una successione, cre- scente con 7, avente per limite l'infinito. 3. Ciò premesso, noi vogliamo ora dimostrare che Za successione delle pi è chiusa, vale a dire che non esiste alcuna funzione /(x ,y,6), la quale abbia le derivate prime finite nell'interno del campo S, sia diversa da zero e tale che siano soddisfatte le infinite relazioni fap as=0. GL Infatti, data una funzione qualsiasi /(x,y,z), definita entro S, la quale abbia le derivate prime finite (i punti di o al più esclusi) e dato un parametro %, sì sa (') che esistono una quantità , finita positiva e una funzione w(x ,y,;%) che è regolare in S per |E|< 41, indicando 4, una (1) Cfr. G. Lauricella, Annali di Matematica, loc. cit. — 443 — quantità finita positiva, e che ammette un polo semplice per X=%,. La funzione w, per |E|<%,, soddisfa alle equazioni \ Asw4_kw(x,y,6;k)+f(2,y,8)=0, (nei punti di S) 4) (0) / dI hp, (nei punti di 0) ed il residuo p, di w nel punto X = %, soddisfa alle equazioni \ A2Pp\+kp= 0, (5) / dp, | da — Di Posto w(d,Y,3;k)= n sì ha che wi(2,9,2;%) è regolare per |F|= X: e, in virtù delle (3) e (5), verifica le equazioni Av +kw(x,y,3;k)+(f—p.)=90, (nei punti di $) 6 Si da — hw. (nei punti di 0) Moltiplicando la prima delle (5) per wi(7,y,4;1) e la prima delle (6) (nelle quali si sia fatto X=%,) per p:(2,7,) e poi sottraendo membro a membro ed integrando il risultato a tutto il campo S, si ottiene fo A2P1— PA2w:) dS = [af=n) dS. E poichè il primo integrale è nullo, giacchè si ha : fr d8 =| pds*+0. Questo risultato si può enunciare dicendo che non esiste alcuna funzione f(2,y,) del campo $, soddisfacente alle anzidette condizioni, tale che si abbia, per tutti i possibili valori dell'indice %, Sro dS= 0, ossia, in altri termini, le funzioni p;(x , 7,4) costituiscono una successione chiusa. — 444 — 4. Sulla funzione /(x,y,) dei punti del campo S, che noi vogliamo rappresenti la temperatura iniziale del corpo, faremo l’ipotesi che abbia le derivate del primo ordine finite nei punti di S e la derivata normale nei punti di o e inoltre, come si può sempre supporre ('), senza nulla togliere alla generalità, che nei punti di o, soddisfi alla condizione Li n dl Facciamo corrispondere alla funzione / la successione dei suoi coe/f- cienti di Fourier. n= f /p08 (€ =1 7208609) relativa al sistema ortogonale delle p;. Dall'identità di Bessel si ha SI Zhenfas= [rasta quindi dovrà aversi Mare [/208. Tanto basta per concludere che la serie Sv A? è convergente; scelto, perciò, e positivo e piccolo a piacere, esisterà un ita m, tale che, per mnD>M, sarà certamente soddisfatta la condizione MI q (7) DEL Mt qualunque sia q. Consideriamo ora la successione e fi= DB pi (= 172,860) e costruiamo l' integrale St 88. Sem>wm, ed s> mM, posto s=m+g, risulterà f(0- pt as= (Sdi. I DA DA (1) Cfr. G. Lauricella, Sulla propagazione del calore (Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, t. XXXIII, 1898). — 445 — Si conclude che la successione delle funzioni /; è convergente în media, secondo Fischer, in tutto il campo S, e perciò, pel teorema di Weyl, è sempre possibile di scegliere una serie di indici 71 < 22 <#3<... tali che fur t (fna — fa) + (fas — fa + converge uniformemente in generale, nel campo S, verso un'unica funzione la quale ha per coefficienti di Fourier i numeri A;. Questa funzione, poichè la successione delle p; è chiusa, coinciderà con la funzione /(x,y,) che esprime le condizioni termiche iniziali del corpo S. Se poniamo, quindi a O= fm > Vila fn, Dr Are; Niji +1 la serie (8) vtvt+ot +0 + sarà equiconvergente in generale in tutto il campo S e si avrà, poichè la successione delle p; è chiusa, 5. Tenuto ora presente che i numeri £, costituiscono una successione avente per limite l'infinito (n. 2), sarà possibile, per un determinato valore positivo di f e per qualunque valore dell'indice 7 superiore ad un certo numero intero, di soddisfare alla disuguaglianza (9) (E FEO ale Poniamo n. 1 vi= DA, prkze-Se, Nj_1+1 dove 21,72, %#3,..-,%#i;,... sono gli sfessî numeri precedentemente determi- nati, in virtù del teorema di Weyl, e si consideri la nuova successione per s=4+g avremo ’ , ES È > ICECZEISDIE Ss Ss \d+1 (PRI 2 nd+gq = [I DIA A, Dr ka erBhri € ds = DI A° ks eTEBhri -S\ng+l fig+1l RenpiIconTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 58 — 446 — Segue, avuto riguardo alle (7) e (9), che la serie >» gi è convergente 1 în media; quindi, pel teorema di Weyl, esisteranno dei numeri interi, po- sitivi crescenti 4, , Z2, 43, ... tali che la serie (10) Pr + DMT(AÀt è equiconvergente in generale nel campo S. Ma, in virtù della equiconver- A genza in generale della serie (8), si può dire certamente che, posto w=_, vr, 1 la serie (11) Ux; 5P (4, 7 v.,) + (va, = Ur) +. è pure equiconvergente in generale entro S e vi rappresenterà sempre la medesima funzione /(x ,y,). giacchè la serie (11) non è altro che la (8) alla quale è stata applicata la proprietà associativa. Esaminando, dunque, le due serie (10) e (11) noi possiamo affermare che esiste una serie di numeri interi e positivi crescenti 4, 43,43, ... tali che le serie Wi Wa Ns | DI A; Pi —- W À; Di + DI A;Pi + ve, 1 +1 a il (12) < di Va X, Di; Aspiki et 4 DA; pil e Bit 4 DE Ai pi ki e-Bhit Lc. 1 +1 AA sono equiconvergenti in generale nel campo S e la prima serie ha per somma f(&@,y,). Ciò che importa di notare è che nelle due serie l’aggruppamento dei teoremi corrisponde agli sfessî valori degli indici 2, A5,%3, 6. In modo anologo, partendo dalla disuguaglianza kî eTEhil ZI e dalla successione Vi wi = DI Ax Pr ky eTERr A Negri dove eAAzA: i) 00 .. sono gli sfessi indici che figurano nelle serie (12), e posto J y= Vw, (j=1,2,3,..) 1 si proverebbe la convergenza in media della successione delle w; e quindi la esistenza, a norma del teorema di Weyl, di infiniti numeri interi e po- sitivi crescenti 4, ,&2,3,.. tali che la serie V, + —WtTU W)+- 2 — 447 — risulti equiconvergente in generale nel campo S. Ma allora, valendosi della proprietà associativa per le serie (12), si può concludere che esiste una serie di numeri interi e positivi crescenti wi, 3,4, ... tali che le tre serie TE a Di A; Di 37 DE A;Di 3 7 ] L'i+1 E ua DaAspihtersitL S, Applet 4... l Q+1 1 S A; Di ke eTBil SL S A; pi ki; eBtit + e, Il +1 convergono in egual grado generalmente in S e che la prima rappresenta la funzione /(x,y.) in quel campo. Finalmente, sempre con lo stesso metodo, e partendo dagli indici wi, #9, #43, si proverebbe che esiste una serie di numeri positivi crescenti indefinitamente »{,vj,35,... tali che le quattro serie Sh A; Pi + i À; Di =L A 1 Vv 1 SE gl DE ZA Di Api lett 4 S, Api ltet 4... fl 4 Sl (13) LR via vs DE Ai Pi le; et | DE A:pikjeht L..., È v+1 Va vs Di bi pie + DI A pi 1 Vi +1 sono equiconvergenti in generale dappertutto nel campo S e che la prima serie ha ivi per somma /(@,y,). 7. Dalla dimostrata uniforme convergenza in generale deile serie (13) segue che a quelle serie è applicabile il teorema di integrazione per serie, tanto nel campo S quanto sul contorno o. Si possono quindi ripetere, senza alcuna modificazione, i ragionamenti contenuti nei $$ 38 e 39 della citata Memoria (della Società italiana delle Scienze) del prof. Lauricella e dai quali risulta che la funzione V. definita dall'ultima serie (13), risolve com- pletamente il problema del raffreddamento, nel supposto che /a temperatura iniziale f(x ,y,) soddisfi alla sola condizione di avere le derivate prime finite nei punti dell'interno di S e le derivate normali, nei punti di 0, soddisfacenti all’equazione d = {off < — 443 — Matematica. — Sugli integrali curvilinei del Calcolo delle Variazioni. Nota I di LeoniDA TONELLI, presentata dal Socio S. PINCHERLE. 1. Fino dal 1879 Weierstrass aveva avvertito in modo chiaro che il concetto d'integrale, quale era stato posto dal Riemann, non poteva riuscire sufficiente ai bisogni del Calcolo delle Variazioni. E nelle sue « Vorlesungen iiber Variationsrechnung » aveva proposto una definizione di integrale che sembrava — ed era infatti — più larga di quella di Riemann, e sì presentava naturalmente come generalizzazione della lunghezza di una linea. Il nuovo integrale esisteva e coincideva con quello riemanniano tutte le volte che ve- niva applicato a curve aventi tangente variabile in modo continuo e dotate, tutt'al più, di un numero finito di punti angolosi; inoltre, poteva esistere anche in casi di mancanza dell’integrale di Riemann. Non era però dimostrata la condizione essenziale perchè potesse venir accettato come generalizzazione dell’antico integrale: vale a dire, che l'esistenza di quest'ultimo portasse di necessità l’esistenza di quello, e l'identità dei due valori così definiti. La mancanza poi di condizioni sufficienti per l’esistenza dell’integrale di Weier- strass, più larghe di quelle solite che assicurano dell’integrabilità nel senso di Riemann, fece sì che la nuova definizione rimanesse per lungo tempo quasi ignorata. Fu solamente nel 1901 che essa venne ripresa dall’Osgood (*), il quale, mostrando che la classe delle curve per cui esiste l’integrale genera- lizzato nel senso ‘di Weierstrass, coincide con quella delle curve che ammettono , l'integrale nel senso generalizzato di Hilbert — quando la funzione F(x,yx'Y) che va integrata, sia sempre positiva insieme con l’invariante F, — fece ve- dere che, sotto le stesse ipotesi relative alle F' e F,, l'integrale di Weierstrass esiste tutte le volte che lo si applica ad una curva rettificabile (?). In ciò che segue, noi dimostreremo l’esistenza dell'integrale di Weierstrass sotto la sola condizione che la curva lungo la quale si vuole integrare abbia lunghezza determinata e finita, Viberandoci interamente da qualunque ipotesi restrittiva circa il segno delle F e F,. Mostreremo poi che quest integrale è invariante rispetto alla rappresentazione analitica della curva su cui esso opera; e che è uguale all’integrale, preso nel senso del Lebesgue, (1) On a fundamental propriety of a minimum in the Calculus of Variations ecc. (Transactions of the American Math. Society, vol. II, pag. 273 (1901). (®) Cfr. Bolza: Lectures on the Calculus of Variations (1904) pp. 248-258; L. Tonelli: Sui massimi e minimi assoluti del Calcolo delle Variazioni, $$ II e III (Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tomo XXXII, 1911). Questa Memoria nel seguito verrà indicata con (T). AG Do PE 430,9) dt, quando il parametro # coincida con la lunghezza dell'arco della curva detta, oppure sia tale da rendere assolutamente continue le funzioni x(t), y(t). Da ciò la relazione fra l’integrale di Riemann e quello di Weierstrass. L'identità dei risultati a cui conducono le definizioni di Weiestrass e di Lebesgue (quando questa venga applicata alla rappresentazione parametrica detta) potrebbe far credere inutile la considerazione della prima di esse. Ma ciò non è, perchè se talvolta, per certi ragionamenti, la definizione del Le- besgue si presta assai meglio di quella del Weierstrass, tal'altra è quest'ultima che ha un notevole vantaggio sulla prima ('). Servendoci appunto della de- finizione del grande analista tedesco, noi mostreremo che se immaginiamo inscritta in una data curva una poligonale, l'integrale di una stessa funzione F(x,4,2',y'), esteso alla poligonale, tende a quello relativo alla curva, col tendere a zero di tutti i lati della poligonale medesima. Resterà così pie- namente giustificata, anche per l'integrale preso nel senso del Lebesgue, un'affermazione di Hadamard (*), secondo la quale ogni curva per cui esiste l'integrale della F può riguardarsi come limite di curve ordinarie (aventi cioè tangente continua, salvo in punti isolati) tali che i loro integrali ten- dano all’integrale di quella primieramente considerata. Questa proposizione potrebbe indurre a ritenere superflua la considerazione di integrali più generali di quello di Riemann, perchè da essa si trae che, se una curva rende minimo l'integrale della F fra quelle ordinarie, lo rende minimo anche fra tutte le altre. Tale considerazione è, invece, indispensabile, per il fatto che le curve minimum possono non essere ordinarie, e non è possibile perciò scartare a priori tutte le curve che ordinarie non sono, senza correre il rischio di eliminare quella che forma precisamente lo scopo della ricerca (*). In una () Noi stessi, in (T) $ VI, basandoci sulla definizione di Weierstrass, potemmo ot- tenere una proposizione relativa all’integrale della F, calcolato lungo una curva, che, per altra via, non sarebbe stato forse possibile ottenere. (*) Zecons sur le Calcul des Variations. Paris. 1910, pag. 483. (*) La considerazione di integrali più generali di Riemann, in questioni di Calcolo delle Variazioni, si è già presentata a noi indispensabile nella Memoria (T). A proposito della quale vogliamo osservare che un caso particolare del teorema di minimo in essa stabilito è stato ritrovato recentissimamente dal dott. A. Signorini (vedi questi Rendiconti, gennaio 1912 e Rendiconti del Circolo Mat. di Palermo, 1912). Il metodo di dimostrazione seguìto da codesto A. è assai semplice ed elegante, ed è un vero peccato che non possa estendersi al teorema generale da noi dimostrato. Il Signorini aggiunge, in nostro con- fronto, due limitazioni: una riguardante la varietà delle curve considerate, e l’altra relativa al contorno del campo in cui giacciono le curve. Egli, infatti, considera solo la classe di tutte le curve del campo, mentre noi consideriamo classi più generali, che contengono quella come caso particolare; inoltre, egli suppone che il contorno del campo soddisfi a certe condizioni di molto restrittive che impediscono, anche in casi semplici, l’applicazione del teorema. Per tali condizioni, p. es. non è possibile dimostrare che in un campo non convesso esiste una minima distanza fra due punti. — 450 — prossima Nota, daremo una generalizzazione delle proposizioni accennate sulle poligonali inscritte in una curva; dimostreremo cioè che, se la curva ret- tificabile C, tende all'altra pure rettificabile C, in modo che la sua lunghezza tenda alla lunghezza di quest'ultima, l'integrale della F esteso alla prima curva tende allo stesso integrale esteso alla seconda. 2. Sia F(2,y,4',y') una funzione finita e continua insieme alle sue derivate parziali dei primi tre ordini, per tutti i punti (x,y) di un dato campo chiuso A e per tutte le coppie (2',y') di numeri finiti mon nulle insieme. La F sia inoltre pos:tivamente omogenea di grado 1, rispetto alle variabili x,y: vale a dire, soddisfi alla relazione Be ig, Rab) KE(tghzitgo per ogni K >Q0. Indicheremo nel seguito con F, la funzione definita da E ro! F LayP F Tagl F(0,9,0,9)= “ri tI =, e che, per le ipotesi fatte sulla F, risulta finita e continua insieme alle sue derivate parziali del primo ordine, per ogni punto (x, y) di A e ogni coppia di numeri («’,gy') non ambedue nulli. Sia poi o= (0) 990) (COSI una curva continua rettificabile, costituita di punti ir/erni ad A. Come si sa (teorema di Jordan), la condizione necessaria è sufficiente affinchè la C sia rettificabile è che le funzioni «(#),y() siano a variazione limitata. 3. Consideriamo una divisione D dell'intervallo (£°,) in parti me- diante i punti i < lo IO, (0 e formiamo la sommatoria W,(F)= da Ì x(t), y(h), [eG) 4), [y(f41) sn y(6) i =IK(,4,,4x,,4y). Se, al tendere a zero della massima delle differenze tx — by, la somma W,(F) tende sempre ad uno stesso limite determinato e finito, tal limite è l'integrale di Weierstrass della funzione F, relativo alla curva C (!). Questo integrale lo indicheremo con Wc(F). (1) Si può notare che la definizione data per l'integrale di Weierstrass è perfetta- mente equivalente a quest'altra. Si inscriva nella curva C una poligonale, in modo che risulti tutta interna ad A, e si consideri l'integrale di Riemann della F, esteso ad essa. Se, al tendere a zero del massimo lato della poligonale, quest’integrale ammette limite determinato e finito, tale limite è l'integrale di Weierstrass della funzione F, esteso alla curva C. (Cfr. Osgood, loc. cit.). — 451 — 4. Sia w, il minimo della funzione F(2,y,%",y) per ogni punto (xy) di A e ogni coppia ('y') soddisfacente alla condizione GP a gle 2A Analogamente, sia ws il minimo della F.(4,9,2',y') per gli stessi punti (2,9,2',y'). Detto m un numero positivo maggiore del più grande di due valori assoluti |22,|,|#:| consideriamo la funzione (1) F(2,y L'y)=F,y,0 4) +mVa + y? (DÌ Essa soddisfa alle stesse condizioni della F ed è m 3 I y=F(x. e. ; F,(v,9,0,y)= (c,4,4',Y') NIE Lyla Abbiamo inoltre per il significato di 7 E-0n —N per tutti i punti (x,y) di A e per ogni punto (2',y') della circonferenza x? + y'?= 1. Con la funzione F siamo dunque nel caso (?) in cui è nota l'esistenza dell'integrale di Weierstrass relativo alla curva C. Abbiamo così che, al tendere a zero della massima delle differenze tax — ty; la somma ZF(, 1Yv, 4%xy ,4yy) tende sempre ad un limite determinato e finito. La medesima cosa succede ‘relativamente alla funzione m |/ a4y®, che soddisfa alle stesse condizioni della F, vale a dire, esiste anche il limite di Ym Reza Ora è, per la (1), ZF, yw,dxy,Ay)=3F(0y,w,4%y, dy)— Im ZA + Ay ed esiste perciò, determinato e finito, il limite di ZF(x,,yw,4xy,4y) al tendere a zero della massima delle differenze fx; — &. Possiamo concludere che l'integrale di Weierstrass della funzione F(2,4,%',y'), calcolato ungo una curva C, esiste sotto la sola condizione che la C sia rettificabile. Ripetendo un ragionamento da noi già fatto altra volta (3) abbiamo che l'integrale di Weierstrass è indipendente dalla rappresentazione parametrica della curva C. (*) Qui e nel seguito considereremo sempre il valore positivo del radicale. (2) Cfr. Bolza, loc. cit.; Tonelli (T) $ III. (8) Tonelli (T) n. 16. — 452 — 5. Poichè le funzioni F_e m/x? + y° soddisfano a tutte le condizioni necessarie per la validità dei risultati da noi ottenuti in (T), possiamo seri- vere (applicando il teorema del n. 26), se il parametro £ rappresenta la lunghezza dell'arco 0, più generalmente, se è tale da rendere le funzioni x= x(t) ;y=y(t), che rappresentano la curva, assolutamente continue (1): #A) — W:(E) = F(2,y,2',y')dt flo) 1) Wen ET = Jo mA SA Qui i secondi membri sono degli integrali presi nel senso del Lebesgue; x',y' rappresentano le derivate di (7) , y(/); dove queste derivate non esistono o sono ambedue nulle, le funzioni da integrare si considerano nulle. Dalle uguaglianze scritte deduciamo l'altra i = RR 0) W.M=W.(d- Wo(m{e+y)= Jo P(0,y,0',y/) di Resta dunque dimostrato che supposta la curva C rettificabile, l'integrale di Weierstrass coincide con quello del Lebesgue, quando questo venga calcolato mediante una rap- presentazione della curva, tale che e(t),y(t) risultino assolutamente continue. Da questo enunciato vengono escluse quelle rappresentazioni della curva per le quali le funzioni (4) , y(‘) non sono assolutameute continue: ciò perchè, prendendo a considerare tali rappresentazioni, non si è certi dell’invariabilità dell’integrale della F, preso nel senso del Lebesgue. Anzi è dimostrato che, se la F è sempre di un segno, per es. sempre positiva, e le x(t), y(t) non sono assolutamente continue, è (O FEO 40204 < fo PEA I: qui s misura l'arco della curva (?). 6. Immaginiamo ora di aver una poligonale P inscritta nella curva 6, in modo che i suoi vertici si susseguano sulla curva tutti nello stesso ordine, coincidendo, il primo e l’ultimo, con gli estremi della curva stessa. Suppo- niamo che i lati della poligonale siano abbastanza piccoli da risultare tutti interni al campo A, e consideriamo l'integrale della F (2) SEE4d 9), (1) Per la definizione di funzioni assolutamente continue, vedi G. Vitali: Sulle fun- zioni integrali (Atti R. Accad. delle scienze di Torino, 1904-05). (3) Vedi per tutto cid: Tonelli, Sugli integrali curvilinei. (Rend. Accad. dei Lincei, febbraio 1911). — 453 — preso nel senso del Lebesgue (o del Riemann), ed esteso alla poligonale e riferito ad una rappresentazione di questa in funzione della, lunghezza del- l’arco. L'Osgood (') ha dimostrato che, al tendere a zero del massimo lato della poligonale, tale integrale tende a quello di Weierstrass Wc(F), esteso alla C, quando quest'ultimo esiste. E poichè l’esistenza di W.(F) è già stata da noi dimostrata, abbiamo, per il risultato del n. precedente, che a/ tendere a zero del massimo lato della poligonale P, inscritta nella curva, l’in- tegrale (2) della F, esteso a questa poligonale, tende a quello fEE42,y) 0 esteso alla curva C. Matematica. — Sulle superficie algebriche contenenti due fasci ellittici di curve. Nota di RuecizRo TORELLI, presentata dal Corrisp. F. SEVERI. In questa Nota dimostro, con semplici considerazioni geometriche, i seguenti due teoremi: I. Se una superficie possiede Du fasci ellittici di curve irriduci- Dili, i quali sieno in corrispondenza unirazionale fra loro, essa ne pos- siede INFINITI. Il teorema si estende alle varietà superiori. II. Se una curva di genere >I1 possiede DUE involuzioni ellittiche non composte, le quali sieno în corrispondenza unirazionale fra loro, essa ne possiede INFINITE. Aggiungo poi alcune semplici osservazioni in proposito; in un prossimo lavoro tornerò sull’argomento. 1. Sia F una superficie contenente due fasci ellittici Y , 3" di curve C,C', non composti con uno stesso fascio; e supponiamo che Z, 2" siano birazionalmente identici. La geometria su una curva ellittica ci insegna (*) che si possono (in infiniti modi) determinare 2 o 4 o 6 (secondo che gli enti ellittici X x siano non singolari, armonici o equianarmonici) corrispondenze birazionali T, ((=1,201,..,40 1,...,6) fra X, Y', tali che ogni corrispondenza birazionale esistente fra X, 2” sia prodotto di una T; per una corrispondenza (!) loc. cit., pag 293. (®) Cfr. Segre, Ze corrispondenze univoche sulle curve ellittiche [Atti Acc. Torino, vol. XXIV (1889)]. RenDICONTI. 1918, Vol. XXI, 1° Sem. 59 — 454 — di 1* specie di 2" in sè. Talchè, detta è una, variabile, di queste ultime corrispondenze, tutte le corrispondenze fra 2, 2" si ripartiscono in 2 0 4 0 6 sistemi T;@, biraz. identici a X,2"; due sistemi diversi non hanno mai una corrisp. a comune; due corrisp. di uno stesso sistema ron hanno mai a comune una coppia di elementi omologhi. Orbene, si consideri una coppia variabile di curve C,C' omologhe in una corrisp. T;@; esse si incontrano in un gruppo di punti che descrive una curva (eventualmente riducibile) K;.,. Questa, al variar di w, descrive un fascio Si bir. identico a Z, 2": poichè, se w' è un'altra corrisp. di prima specie di 2" in sè, le corrisp, T;@ , T;w' non hanno coppie comuni, e quindi le curve K;o, Kijyr non hanno punti comuni. Il fascio Sì e X (0 2’) non possono evidentemente essere composti con uno stesso fascio: ma vediamo anche facilmente che lo stesso può dirsi dei due fasci S;, Sr. Se infatti esistesse un fascio di curve y, ognuna delle quali fondamentale per S; e per Sy, la generica y (non sarebbe certo fon- damentale per > nè per 2° e) sarebbe parte di una K;. e di una Kyor (00); ma allora le infinite coppie di curve C, C' uscenti dai suoi punti sarebbero omologhe nella T;@ e nella T;w', che perciò coinciderebbero: il che è assurdo. Riassumendo: 7 due fascî 2," generano, nel modo suesposto, altri 2040 6 NUOVI fasci Si, bin. identici a Di, 3°. 2. Nelle considerazioni precedenti non si esclude che uno o ciascuno dei fasci X, 2" sia composto. Ma allora prendiamo entro X, X' due involu- zioni ellittiche I, I", bir. identiche fra loro (e ciò si può in infiniti modi (*)): anche i fasci I, I" genereranno a lor volta 2 o 4 o 6 fasci ellittici. Ora domandiamoci: un fascio D, generato da una coppia di involuzioni I,I', e un fascio ®,, generato da un’altra coppia I,,I;, possono essere composti con uno stesso fascio? È assai agevole riconoscere quando ciò av- viene; ma per brevità io qui mi limiterò a dimostrare che alla precedente domanda va risposto negativamente, se una delle involuzioni 1,1" e una delle I, ,I sono di 1° ordine (*). E per questo, analogamente a quanto si è fatto in fine del n. 1, basterà mostrare che non può esistere una curva y, non fondamentale per >, faciente parte di una curva, K, di ® e di una, K,, di ®,. Éd infatti la curva K sarà generata, nel modo esposto al n. 1, da una corrispondenza biunivoca fre I,I", la quale può, per l'ipotesi fatta, riguardarsi come una corrispondenza unirazionale @ fra X,2"; e similmente la K, sarà generata da un’altra corrisp. unirazionale ®©, fra X, 2°. Ora, se (1) Cfr. Castelnuovo, Geometria sulle curve ellittiche [Atti Acc. Torino, vol. XXIV (1889)]. (#) Sono costituite cioè dai singoli elementi degli enti sostegni 2 o 2”. Con questa limitazione della ricerca non vediamo quali siano tutti i fasci deducibili, .col nostro me- todo, da £,2': ma ciò, per dimostrare i teoremi enunciati in prefazione, non importa. — 455 — esistesse la suddetta curva y, le infinite coppie di curve C,C' uscenti dai suoi punti sarebbero omologhe sia in © che in ®,: il che è assurdo, poichè le corrisp. ®©, ©, sono irriducibili. Ciò prova l’asserto. Poichè in X (e in 2") esistono, notoriamente (*), infinite involuzioni bir. identiche a X, 2", quanto abbiamo or ora dimostrato basta già a farci conchiudere che: su una superficie F contenente due fasci ellittici bir. identici, non composti con uno stesso, esistono infiniti fasci eltittici irri- ducibili. Dalle considerazioni svolte discende subito il teorema I della prefazione. 3. L'estensione del teorema I a una varietà oo% (X > 2) può farsi con semplici cambiamenti di parole. Ma si può pure, come mi ha fatto rilevare il prof. Severi, procedere, più elegantemente, così. Se una varietà co, Vz, pos- siede due fasci ellittici irriducibili >, x" di varietà of1,V,V', prese due curve ellittiche Z, 7" bir. identiche a X, Xx", la V, risulta in corrispon- denza unirazionale colla superficie F_ delle coppie di punti di 7, /";ai punti di F corrispondendo le V,_. comuni a una V e a una V'. Ora, se X, V si possono mettere in corrispondenza unirazionale fra loro, F contiene, per il teorema I, infiniti fasci ellittici irridacibili di curve; quindi la Vx conterrà infiniti fasci ellittici irriducibili di Vy_,. 6 Cb dk 4. Per dimostrare il teorema II premettiamo tre lemmi, la cui dimo- strazione, immediata dal punto di vista trascendente, può pure condursi per via geometrica nel seguente modo. a) Se una curva C (di genere > 1) possiede una involuzione ellittica I, la varietà V, delle ;-ple (i > 1) di punti di C possiede un fascio X di Vi_,, bir. identico a I. Si prenda infatti nell’ente co!I una gi; e in ciascuno dei gruppi di I che formano un gruppo variabile di tal gi si prenda ar- bitrariamente un punto. Si ottengono così un certo numero di gruppi di 7 punti, e tali gruppi variano in una serie co‘, ossia in una Vi; di Vj. Al variare della suddetta gi, tal V;_, descrive il fascio X, di cui parla l’enunciato. 6) Inversamente: se V; contiene un fascio ellittico X di Vi-1, questo può imaginarsi ottenuto, nel modo anzidetto, da una certa involuzione ellit- tica I di C. Preso infatti su C un gruppo di 7—1 punti, i residui di esso rispetto alla serie imagine di una V;_, variabile di X costituiscono un gruppo, che descrive appunto, com'è facile vedere, la involnzione I di cui parla l'enunciato. Infine si può vedere, con considerazioni semplicissime, che: c) Se l'involuzione I è composta, il fascio X è riducibile; e viceversa. Dopo ciò, dal teorema I e dai precedenti lemmi %), bd), c) discende senz'altro il teorema II della prefazione. (1) Cfr. Castelnuovo, loc. cit. — 456 — Osserverò che # teorema II potrebbe anche dimostrarsi costruendo sulla curva C le infinite involuzioni di cui esso parla, con l’identico me- todo da noi usato pei fasci su una superficie. Non entro qui in dettagli, per mancanza di spazio. 5. Il prof. Severi, cui comunicai le presenti considerazioni, mi fece anche rilevare una semplicissima dimostrazione trascendente del teorema I, enunciato per una varietà V,, di dimensione qualunque X = 1. Eccola. Se Vx possiede due fasci (involuzioni, per X = 1) ellittici bir. identici, non composti con uno stesso, questi daranno luogo a due integrali semplici di 1 specie, «,v, di V,, riducibili a integrali ellittici. Riducendo a forma normale i loro periodi, si otterrà la tabella: LO 0 DI VITI e quindi ogni integrale del tipo Zu + uv, con Z,w intieri non nulli, sarà anche riducibile a ellittico: poichè i suoi periodi si esprimono come com- binazioni lineari a coefficienti intieri di 1,7. Ne viene che le varietà du + uv= cost. sono algebriche, e costituiscono un fascio ellittico: diciamo 2" questo fascio, se irriducibile, 0, se no, il fascio irriducibile con cui esso è composto. Si ottengono così, al variare di Z,w. infiniti fasci irriducibili distinti fra loro e da X, 2": poichè se, per es., X” coincidesse con X', do- vrebbero Zu + uv e v differire per un fattore costante, e quindi sarebbe 0 (0) 6. A complemento dei teoremi dimostrati aggiungiamo quanto segue. Se una varietà V, (£ = 1) possiede due fasci ellittici Y, 2" di varietà Vir V'x-1, non composti con uno stesso, ed essi NON s7 possono mettere in corrispondenza unirazionale fra loro, qualunque corrispondenza algebrica fra Z,Z' sarà a valenza zero. (?). Ne segue, se X>1, che: presa comunque una curva y di Vx. non fondamenatale per Z, nè per 2", l'insieme delle Va (0Vi-) passangi pei punti in cui y incontra una Vx-, (0V'x-1) variabile, varia in un si- stema lineare. E, sek=1, che: l'insieme dei gruppi dell’involuzione X (0 2") uscenti dai punti di un gruppo variabile di Z' (0 2), varia in una serie lineare; epperò (*) le due involuzioni hanno nn'+1— P (1) Pel caso in cui Vz sia una curva di genere due, cfr. Krazer, Zehrbuch der Thetafunktionen [Teubner, 1903], pag. 489. (2) Cfr. Castelnuovo, loc. cit., n. 17. (3) Cfr.Amodeo, Contribuzione alla teoria delle serie irrazionali, ete. [Ann. di Mar, SD i 20h 7 — 457 — coppie comuni: n, n' indicando i loro ordini, p il genere della curva sostegno. 7. Terminerò con una osservazione. Nella costruzione di tutti i fasci ellit- tici esistenti su una V, che ne contenga 2, bir. identici, si presenta la questione : quali sono su una curva ellittica C le involusioni bir. identiche a essa? Si sa che per ogni valore dell'intiero # ne esiste una, Hne, di ordine x?, la quale è costituita dai gruppi dei punti x-pli (pensati ciascuno una volta) delle gr7' di C. Orbene: io dimostrerò che se su C esistono solo corrispon- denze a valenza (e solo allora) le dette H,: sono le sole involuzioni bir. identiche a C. Sia infatti I, una involuzione di ordine #, bir. identica a C; e fissiamo una corrisp. biunivoca fra C e Im: essa può riguardarsi come una corrispondenza T, di indici 1,7, frai punti di C;, e come tale avrà, per ipotesi, una certa valenza v = 0. Poniamo x =]|v|; diciamo P,P; ((=1,2,...) punti di C;G,G; i loro gruppi omologhi; sarà: (1) vP+-G=0vP;+ G,. Fissati ora P e G, esistono 7° — 1 (e solo 2? — 1) punti P; tali che: (2) nP=nP;; ed esistono (*) m — 1 (e solo m— 1) gruppi Gi, tali che Poichè le relazioni (2) e (3) sono, in virtù della (1), fra loro equiva- lenti, segue m = n?. Se poi sono A; A3... ÀAne i punti di G, si ha (consi- derando la TT): VA\+-P=yvA,+P=-=vA,g+P, quindi anche: ma dunque la I, coincide colla H,2, ce. d. d. Se C possiede corrisp. singolari (per es. se è armonica o equianarmo- nica), esistono, oltre le dette H,:, altre involuzioni bir. identiche a C: come può facilmente dimostrarsi per via trascendente (?). (*) Cfr. per es. la mia Nota Sull2 curve di genere due ecc. [Rend. Soc. Reale di Napoli, 1911], n. 1. () Per un esempio cfr. Severi, Sulle corrispondenze fra i punti di una curva al- gebrica ecc. [Mem. Acc. Torino, t. LIV (1904)], n. 24. Cfr. anche Segre, loc. cit. 19 Matematica. — Sopra le deformazioni continue delle superficie reali applicabili sul paraboloide a parametro puramente immagi- nario. Nota di L. P. ErseNHART, presentata dal Socio L. BIANCHI. In una recente Memoria (*) il prof. Bianchi ha portato un importante contributo alla teoria delle superficie a curvatura costante negativa stabilendo l’esistenza di una nuova classe di deformazioni continue di tali superficie e mostrando che un sistema, il quale consiste di co! di queste deformate, pos- siede delle trasformazioni di Backlund in sistemi della stessa specie, affatto analogamente come i sistemi di Weingarten di superficie pseudosferiche. In seguito (*) egli sviluppò una teoria simile per superficie a curvatura costante in geometria ellittica ed iperbolica. È noto (#) che, quando si applica il me- todo di Weingarten ad una superficie pseudosferica in geometria ellittica, si ottiene per quadrature una superficie nello spazio euclideo, che è applicabile sul paraboloide (1) o) (0) con parametro puramente immaginario. L'A. ha dimostrato che questa tras- formazione ottenuta col metodo di Weingarten può essere estesa in modo da venire applicata alle superficie di un sistema (®) in geometria ellittica, quale è stato definito dal prof. Bianchi nella sua Memoria B, e con questo mezzo egli ha stabilito l’esistenza di un'analoga teoria di trasformazioni continue di superficie applicabili sul paraboloide (1). In questa Nota verranno esposti soltanto i resultati di questa ricerca. Anzitutto noi richiamiamo alcune formule dalla Memoria B. ‘ Sia S una superficie pseudosferica di curvatura assoluta K e di curva- i TEione ; n tura relativa ——, riferita ad un sistema ortogonale (4, v), per cui il suo a elemento lineare prende la forma (2) ds* = edu? + gdo. Riferendo i punti dello spazio ellittico ad un sistema di coordinate di (') Sopra una classe di deformazioni continue delle superficie pseudosferiche. Annali di Matematica, serie III, tomo XVIII (1911), pag. 1 e s99. (®) Sopra le deformazioni isogonali delle superficie a curvatura costante in geometria ellittica ed iperbolica. Annali, serie III, tomo XVIII (1911). pag. 185 e sgg. (3) Ricerche sulla deformazione delle quadriche. Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, Tomo XXII (1906), pag. 3. — 459 — Weierstrass, noi indichiamo con 40,41 ,%>,43 le coordinate di un punto F=(v,v) mobile su S, è rappresentiamo con (7057172373) ’ (Gu) ’ (oi) i cosenì di direzione delle tangenti alle curve = cost, «= cost su S e della normale ad S in F; questi sono cioè le coordinate di Weierstrass dei piani del triedro parametrico. I coseni di direzione di una retta per F, che formi l'angolo costante « col piano tangente hanno la forma (3) & = cosaseng.n; — cosacospé + sena &,, (C=0313259), dove g(v,v) indica l’angolo che la normale a questa linea, giacente nel piano tangente, forma colla tangente alla curva v= cost. È dimostrato che la condizione necessaria e sufficiente affinchè la S ammetta una deformazione infinitesima per la quale il punto F sia spostato nella direzione (3) della distanza «h, dove e è una costante infinitesima, è che % e g soddisfacciano le equazioni differenziali = las 7pi s0%, 7219) È dlog hr) I Ae (lai + sen g 3 È ave dlog X di (4) — Gf seny (204 22) 0s @ o (+2eotry/eg=0 SI E. <= Ia dv \du Vg dv dU (3 en) dh Inoltre, queste funzioni stanno nelle relazioni seguenti coi secondi coefficienti fondamentali D,D',D" di S: 7 dg | ae dlog h (5) D—=1@eota feosg(2£ 21°) 4 song SEN) e si hanno espressioni simili per D'e D"; queste espressioni soddisfanno le equazioni di Codazzi e di Gauss in virtù delle (4). Per di più la linea nel piano tangente ad S in F, la quale è perpen- dicolare alla direzione (3), definisce una trasformazione di Backlund di S in una superficie S', la cui normale nel punto di contatto F ha la direzione (3), e le cui coordinate sono date da (6) L'i=008t.%; + senz(m cosp + È; seng) (£=0,1,2,3). Affinchè la deformazione sia continua, le funzioni D, D',D"; % OSE ME debbono contenere un parametro w, tale che sussistano le equazioni d 3 Li 5 di 3 dx : o — ; SE / È SR IL, 2 G (7) lil Sa VI E €=0,1,2,3) — 460 — La condizione necessaria e sufficiente a ciò è che, oltre alle equazioni (4), siano soddisfatte anche le seguenti r IT (8) sena a =h1+ keh, sen e = = ho 4 kfh,sena - = ho» + kg che sono scritte in forma invariantiva. Quando queste condizioni sono sod- disfatte, le equazioni (7) definiscono un sistema triplo di superficie in geometria ellittica tale che ciascuna delle superficie 2: = cost è una deformata continua delle altre. Noi diciamo che le equazioni (7) definiscono un sistema di Bianchi. Nello stesso tempo le equazioni (6) definiscono un secondo sistema di Bianchi, che noi chiamiamo 7/ sistema coniugato. Questa relazione è reciproca, cioè il sistema (7) è il coniugato del sistema ottenuto per mezzo della (6) (2). Quando il metodo di Weingarten viene applicato ad una superficie pseu- dosferica S in geometria ellittica, si trova una superficie reale X nello spazio euclideo, le cui coordinate sono date da (9) dyi= dan 4a? 5di, (i=1,2,38), la quale è applicabile sul paraboloide (1), come si dimostra ponendo 2 262 v=%o,y=a°5,, so ELE, Noi diciamo che le equazioni (9) definiscono un #rasformazione W. 1 coseni di direzione della normale a X sono proporzionali alle quantità A; definite da (10) Ai= CiMo — Ni to Sarà necessario definire due altre funzioni # e y come segue f= — senza, 4 cose(cos g n + sen gp do) (000) sen 7 n ui — sena(seng o — 608 go È) Coll'aiuto di queste noi stabiliamo il teorema: Se 2 è la trasformata W d'una superficie S, la superficie 3' le cui coordinate sono date da (12) yi = Yi + senz(82; — ayi,) é la trasformata W della superficie S' che origina da S mediante la trasformazione di Bocklund determinata dalle stesse funzioni a ,t,h,@; e le superficie X e 2' sono le superficie focali d'una congruenza W. Affine di giungere a questo risultato noi effettuiamo un cambiamento di parametri per S' cosicchè i piani del triedro parametrico debbono avere (') Il prof. Bianchi dice che in questo caso il secondo sistema è ottenuto dal primo con una trasformazione singolare. — 461 — una orientazione conveniente. Il carattere di questa scelta verrà spiegato in seguito. Quando noi consideriamo non una superficie isolata S, ma un sistema di Bianchi, noi troviamo che esiste una trasformazione W generalizzata, tale che le superficie trasformate X sono trasformate continue l'una dell'altra. Questo risultato può essere espresso nel modo seguente: Quando si ha un sistema di Bianchi di superficie pseudosferiche in geometria ellittica, determinato da un insieme di funzioni h,g,t ed «, soddisfacenti le equazioni (4), (5), (8), e le funzioni A? per il sistema coniugato di Bianchi sono determinate concordemente colla corrispondente affinità di Ivory le equazioni (13) dyi= x; de, + a; di, — ah sen @ A’ dw sussistono e definiscono nello spazio euclideo un sistema di superficie Z(w= cost), le quali sono deformate continue luna dell'altra, e ciascuna superficie X è applicabile sul paraboloide (1); inoltre, le superficie 2" defi- nite da (12) formano un secondo sistema della medesima specie. Noi denominiamo questo secondo sistema il coniugato del primo. Quando nelle equazioni (6) le quantità @, h,g,t sono sostituite da un secondo gruppo @,,%,,1,7, soddisfacente le equazioni (4), (5), (8), queste equazioni definiscono una nuova trasformazione #, delle superficie S. Inoltre, come il prof. Bianchi ha dimostrato, le trasformate S' formano un sistema di Bianchi. Noi abbiamo stabilito gli analoghi risultati: Quando si applica al sistema (13) di superficie X una trasformazione definita da equazioni del tipo (12), nel quale x,h,gp,t sono sostituite da a,, h\,,.t,, le superficie risultanti X' sono tali che ciascun gruppo di superficie corrispondenti X,3',X,X' formano una quaterna în ac- cordo con un teorema di permutabilità per trasformazioni (13). Per queste trasformazioni generali e per la singolare pertinente al sistema coniugato, le coordinate y; soddisfano equazioni della forma (14) dyj = xi de 4 a € dei — al/ sen @ A; dee dove x' e é sono dati dalle corrispondenti equazioni (6), (3), la funzione h'? è il coefficiente di d4w° nella espressione per l'elemento lineare del si- stema (S’) e le funzioni A; appartengono al sistema coniugato di superficie e sono determinate dalla corrispondente affinità di Ivorv. In aggiunta a queste trasformazioni dei sistemi di Bianchi, il profes- sore Bianchi ha stabilito anche una trasformazione complementare ottenuta conducendo le tangenti ad un sistema di geodetiche ortogonali ad una fa- miglia di oricicli. Per queste trasformazioni un sistema di Bianchi è cangiato in un nuovo sistema della medesima specie. Per queste trasformazioni ab- RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 60 ViG9 biamo anche un teorema analogo all’ultimo, ma in questo caso la determi- nazione delle funzioni A; richiede quadrature. Particolare interesse ha il caso di X=0, vale a dire quando le superficie S sono applicabili sulla su- perficie di Clifford. Nello spazio euclideo le superficie X sono applicabili sul paraboloide di rotazione (15) C+ y° + 2x=0 e conseguentemente ciascuna è una falda focale di una superficie del tipo scoperto da Weingarten nel 1861. Ricordiamo che Darboux ha dimostrato che la superficie media è una superficie di traslazione, con curve generatrici a torsione costante eguale 6 di segno contrario, e che i piani osculatori di queste curve s' intersecano nelle normali corrispondenti alle superficie di Weingarten. Noi abbiamo sta- bilito il risultato seguente: La condizione necessaria e sufficiente perche la trasformazione (12) di una superficie X sia complementare, è che X sia applicabile sul para- boloide (15) è che la corrispondente trasformazione di S in geometria ellittica sia complementare; un sistema di Bianchi di superficie applica- bili sopra la superficie di Clifford corrisponde per trasformazione W ad un sistema di superficie X applicabili sul paraboloide (15); l’ultimo si- stema ammette una trasformazione complementare in sistemi della mede- stma specie, în modo che ciascuna coppia di superficie 2,2" sono le su- perficie focali di superficie di Weingarten. L'autore ha stabilito con metodo diretto l’esistenza di sistemi di defor- mazioni continue del paraboloide reale, e si occupa ora di ricerche analoghe concernenti le superficie applicabili nelle quadriche a centro. Fisica. — Sulla costante di trasformazione del Radio D (0). Nota del dott. PAaoLo Rossi, presentata dal Corrisp. M. CANTONE. Il Radio D non si mostra radioattivo per sè stesso, ma si sa che, una volta raggiunto l'equilibrio radioattivo dei suoi prodotti di trasformazione, tanto l'attività dei raggi # quanto quella dei raggi @ — dovute rispet- tivamente al Radio E ed F — devono decrescere colla stessa legge espo- nenziale e precisamente con quella che caratterizza la trasformazione del Radio D (?). Siccome però questa avviene molto lentamente, così finora si preferito dai diversi autori di determinarne il periodo con metodi indiretti (1) Lavoro eseguito nella R. Università di Napoli. (*) M.me Curie, Radivactivité, tom. II, pag. 373. — 463 — basati su talune ipotesi che si ritengono verificate con una certa approssi- mazione. Il Rutherford (') fu il primo che suggerì ed attuò un metodo siffatto che consisteva nel confrontare l’attività 8 del Radio C con quella del Radio E proveniente dal primo ed in equilibrio radioattivo col Radio D. Questo metodo si fonda essenzialmente su due ipotesi: 1°, che nella disinte- grazione di ciascun atomo radioattivo vi sia emissione di un sol corpuscolo; 2°, che ognuno di questi corpuscoli, sia esso proveniente dal Radio C o dal Radio E, produca lo stesso effetto ionizzante in un dato apparecchio di misura. Con questo metodo il Rutherford trovò un periodo caratteristico di cirea 40 anni per la mezza trasformazione del Radio D, ma egli non escluse che il vero periodo potesse differire notevolmente, poichè lo stesso principio applicato alla determinazione indiretta del periodo del Radio F darebbe un anno circa, mentre l’autore stesso col metodo diretto trovò pel Radio F un periodo di 148 giorni (?). Più tardi Meyer e Schweidler (*), seguendo lo stesso metodo del Rutherford, trovarono un periodo per il Radio D di anni 35,7, periodo stimato dagli autori stessi troppo grande se si tiene conto del fatto che l’effetto ionizzante dei raggi 8 del Radio E non può ritenersi uguale a quello dei raggi £ del Radio C, essendo i primi considerevolmente meno penetranti di questi ultimi. Meyer e Schweidler adottarono perciò un metodo analogo basato sul confronto dell'attività & iniziale del Radio C con quella del Radio F dopo un inter- vallo di tempo noto: ottennero così un periodo caratteristico del Radio D di 24 anni; ma tenuto conto del diverso potere ionizzante delle due specie di raggi @ emessi dal Radio C e dal Radio F, gli autori stessi pervennero a stabilire un periodo assai vicino a 12 anni. Infine Antonoff (‘), per rendersi indipendente dalla seconda ipotesi del Rutherford circa l'eguale effetto ionizzante di ciascuna particella emessa da Sostanze radioattive diverse, ricorse all'effetto di scintillazione per la misura del numero delle particelle @ emesse dal Radio F proveniente da una quan- tità nota di emanazione dopo un intervallo di tempo pure noto, e trovò come media di cinque determinazioni il periodo di anni 16 e mezzo. Per quanto il metodo seguìto dall’Antonoff sfugga alle gravi obbiezioni che si potevano opporre ai metodi precedenti, e quindi il suo risultato sia senza dubbio il più attendibile, tuttavia questo risultato aspetta una conferma da una determinazione diretta. Ora un esame diretto del decrescere dell'attività del Radio E ed F in equilibrio radioattivo con una determinata quantità di Radio D non è suffi- (*) Radioactivity, II ed. (1906), pag. 405, ed anche Phil. Mag., vol. 8, pag. 636 (1904). (*) Rutherdorf, Radicactive Transformations, pag. 183, New York (1906). (*) Phys. Zeitschr., VIII, pag. 437 (1907). (‘) Phil. Mag., ser. VI, vol. 19, pp. 832 e segg. (1910). — 464 — ciente a dare un valore esatto del periodo di trasformazione se non dopo un tempo molto lungo; esso permette però di assegnare dopo qualche anno un valore approssimato che offra il vantaggio, su quelli dati finora, di essere affatto indipendente dalle ipotesi a cui si debbono appoggiare i metodi indiretti. Già io ho accennato in una precedente pubblicazione (*) come, seguendo il decrescere dell'attività 8 della cotunnite vesuviana radioattiva, si poteva tentare una determinazione diretta della costante di trasformazione del Radio D, in quanto che le sostanze che rendono attivo questo minerale sono esclusi- vamente il Radio D e derivati, come risulta dall'esame radioattivo da me fatto (°) sulla cotunnite formatasi nel 1907. Nella prima Nota citata, poi, aggiungevo che fino da allora (1910) potevo asserire che il periodo del Radio D, risultante dall’esame diretto, dovera trovarsi più vicino al periodo dato dall'Antonoff che non agli altri. Credo ora che i dati di cui dispongo, se non sono sufficienti a dare del periodo in questione un valore così sicuro da potersi assumere come il ri- sultato definitivo della determinazione diretta, permettono almeno di asse- guare un periodo che non può essere molto diverso dal vero. Per l’esame dell’attività del minerale mi sono servito dell'azione ioniz- zante dei soli raggi # del Radio E, per due ragioni: 1°, perchè quella dei raggi a varia in modo troppo sensibile col variare anche di poco la distanza del preparato dalla camera di ionizzazione dello strumento di misura (elet- troscopio tipo Wilson), e ciò avrebbe reso più difficile e meno sicuro il con- fronto delle attività in epoche diverse; 2°, perchè il Radio F non aveva ancora raggiunto l'equilibrio radioattivo all'inizio delle determinazioni (vedi la mia Nota citata del 1910). i Il preparato in esame consisteva in un grammo di cotunnite del 1907 polverizzata e disposta in strato uniforme in un recipiente di forma cilin- drica; esso veniva situato, per l'esame, sempre alla distanza di 18 mm. sotto la camera di ionizzazione chiusa inferiormente da una lamina di alluminio di 0,1 mm. di spessore. Per il confronto dell'attività nelle diverse epoche ho cercato di riotte- nere ogni volta le identiche condizioni per la misura, dando la stessa carica iniziale all'elettroscopio e non moditicando da una volta all'altra il disposi- tivo per le osservazioni; per controllare poi la costanza dell'apparecchio di misura, mi sono riferito all'attività 2 di una quantità di ossido di uranio (?), preso come campione, il cui effetto ionizzante era inizialmente uguale a quello della cotunnite in esame. Mi sono così accorto che non riuscivo ad ottenere ogni volta rigorosa- mente le stesse condizioni, avendo valori dell'attività un po’ diversi non (1) Rend. Accad. Lincei, vol. XTX, 2° sem., 1910, pag. 582. Nota. (2) Rend Accad. Lincei, vol. XIV, 2° sem., 1907, pag. 630. (*) Quasi 1 gr., ma presentante minor superficie e maggior spessore della cotunnite. — 465 — soltanto per la cotunnite, ma anche per il campione di ossido di uranio; il che in parte può essere dovuto all'influenza che esercita la temperatura sulla elasticità della fogliolina ma, sopra tutto, credo, alle deformazioni che questa presenta e che possono essere un poco diverse da una volta all'altra: può infatti verificarsi che la fogliolina nella sua caduta non si mantenga nel piano coniugato del micrometro oculare, ed allora viene a mancare un poco la nettezza e varia l'ingrandimento. Si aggiungano a queste cause di incer- tezza la notevole influenza che ha la posizione della sostanza in esame ri- spetto alla camera di ionizzazione, e quella che può avere, sulla correzione relativa alla dispersione spontanea, il fatto che questa varia talora in modo sensibilissimo anche da un'ora all'altra. Data la grave difficoltà di riottenere ogni volta condizioni identiche per le osservazioni, ho preferito misurare l'attività del minerale nelle diverse epoche, riferendola al campione di ossido di uranio; il che è lecito fare, poichè l'aumento di attività che il campione stesso può subire per la lenta e con- tinua produzione di Radio (!) è inferiore agli inevitabili errori che in questo genere di misure sono relativamente grandi (dell'1°/, ed anche più). In ogni modo, un piccolo aumento dell'attività del campione importerebbe una dimi- nuzione apparente del periodo della sostanza in esame: cioè, il valore che ne risulta starebbe a rappresentare un limite inferiore non lontano dal periodo vero della sostanza. Nella tabella I sono riportati i valori dell'attività # della cotunnite riferiti al campione di ossido di uranio, ed il tempo, in mesi, dalla prima determinazione. TABELLA I. t Attività relativa È Diff. MASSO Osservaz. Cale. 1a CRI ARDA 000 0.989 + 0.011 DE 5) 0.972 0.972 + 00 3a 6 0.951 0.969 eg 4a 8 0.967 0.962 05 Dl 8.4 0.946 0.961 = 15 62 | 10 0.958 0.956 Doe TÉ 10.7 0.940 0.954 — 14 8 12.8 0.947 0.946 + 01 CE 133 0.948 0.945 + 03 102 15.5 0.954 0.938 + 16 Ii 17.4 0.946 0.932 + 14 128 22.8 0.909 0.915 — 06 Ig 28.7 0.895 0.896 — 01 14° 31.6 0.892 0.887 + 05 15% | 34.6 0.890 0.878 2100 16° | 36 0.878 0.874 Li a Ile 42 0.840 0.856 — 16 188 46 0.836 0.845 — 09 08 48.5 0.848 0.838 + 10 (1) Fr. Soddy, Phil. Mag., VI, vol. 18, pag. S46 (1906). — 466 — Da queste 19 determinazioni ho ricavato il valore della costante di trasformazione 4, sia facendo la media dei valori che si ottengono accoppiando le determinazioni secondo due combinazioni diverse che chiamerò brevemente I e II, sia calcolandone il valore più probabile secondo la teoria dei minimi quadrati. Nella combinazione I, per tener conto di tutte le determinazioni ho accoppiato la 1* colla 11, la 2 colla 12? ecc., la 9* colla 194 ed infine la 10* pure colla 19*; ottenni così dieci valori di 4, di cui presi la media. Nella combinazione II ho procurato di accoppiare determinazioni più distanti fra di loro, e precisamente ho accoppiato le prime cinque colle ultime cinque rispettivamente e le prime quattro colle ultime quattro. Ottenni così 9 valori di cui presi la media. Faccio notare che fra i valori ottenuti in queste combinazioni qualcuno si scosta considerevolmente dalla media. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che le due determinazioni accoppiate, pur non essendo affètte da errore troppo grande, siano state scelte in modo da influire entrambe nello stesso senso sull’errore del risultato; ma potrebbe anche darsi che una delle deter- minazioni sia tale che, accoppiata con un'altra qualunque, dia sempre un risultato molto diverso dalla media, nel qual caso essa sarebbe da scartarsi come affètta da errore troppo grande. Questo caso però non si verifica per nessuna delle 19 determinazioni: si ha infatti che il valore che si scosta maggiormente dalla media nella combinazione I è quello che si ottiene accop- piando la 5* colla 15* determinazione, d'altra parte però si otterrebbero valori molto vicini alla media accoppiando la 5* colla 17 o colla 18, e così pure se si accoppia la 15* colla 1. Analoghe considerazioni si possono fare sulle coppie di determinazioni che nella combinazione II dànno i valori più distanti dalla media. Resta dunque giustificato l'uso del metodo dei minimi quadrati per il calcolo del più probabile valore di Z, tenendo conto di tutte le 19 deter- minazioni. Nella applicazione del metodo, poi, ho considerato come incognite da determinarsi sia la costante di trasformazione, sia l'attività corrispondente al tempo #= 0; in base poi ai due valori trovati, ho calcolato le attività che compaiono nella tabella I accanto a quelle osservate. Nella tabella II sono riportati i valori medî di 4 ottenuti coi tre metodi detti e quali risultano computando il tempo sia in mesi, sia in secondi; sono dati inoltre i valori corrispondenti del periodo T della mezza trasformazione, come pure la costante trovata dall’Antonoft. — 467 — TABELLA II. 7 pri si | (mesi) (secondi!) COMPINAZI AR IN E n 0.00328 1.248 X 1079 anni 17, mesi 7 ” I e 0.00341 1.298.» Di 6 pi Ju IE animo Cna o e 0.00343 1.805.000 » 16 STO) Determinaz. indiretta (Antonoff) = 1.33 ” DIO Di 1 Da queste medie ricavate in modi diversi dalle mie determinazioni, credo di poter concludere che il periodo della mezza trasformazione del Radio D, dedotto in modo diretto dal decrescere dell'attività di un minerale (la cotunnite vesuviana) reso attivo da questa sostanza, risulta non molto diverso da 17 anni. Chimica. — Sulla capacità degli alogenuri sodici di dare soluzioni solide ad alta temperatura. Nota di M. AMADORI, (1) pre- sentata dal Socio G. C1AMICIAN. In una Nota precedente (*) ho esposto i risultati di alcune ricerche eseguite con G. Pampanini sulla solubilità tra gli alogenuri potassici ad alta temperatura. Ho creduto opportuno eseguire ricerche analoghe per i corrispondenti sali sodici per vedere se questi si comportano come i primi o in modo diverso. Però mentre pei sali potassici si erano eseguite ricerche di solubilità anche a bassa temperatura (*), per i sali sodici fu preso in considerazione solo il loro comportamento a temperatura elevata, perchè dalla soluzione acquosa il solo cloruro cristallizza anidro, il bromuro e l'ioduro cristallizzano con 2 H;0. Delle tre coppie Na Cl-Na Br, Na Br-Nal , Na CI-Nal, la prima e la terza erano state studiate da Ruff e Plato (‘), che si limitarono ad osservare le temperature di inizio di cristallizzazione, trascurando le variazioni termiche successive e la natura della massa depositantesi. (!) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. (2) Questi Rendiconti. Vol. XX, 2° sem., pag. 572; 1911. (8) Questi Rendiconti, pag. 473. (*) Berichte, 36, 2357; 1903. — 468 — Le esperienze furono eseguite con il metodo descritto nella Nota prece- dente: le miscele dei due sali vennero fuse in crogiuolo di platino in forno elettrico a resistenza di filo di nichel, nella massa fusa era immerso diret- tamente il teormoelemento Pt-Pt-Rd. La quantità di miscuglio usata era di 15 grammi. I punti di fusione dei tre sali puri risultarono: Nati n 808° Nafbigfe i. 0 748 Naflege 1. o 662 1.0 — NaCl-Na Br. Il punto di solidificazione del bromuro, che dei due sali fonde più basso, viene leggermente abbassato per aggiunta di cloruro. La curva di cristal- lizzazione è una curva a minimo assai lieve molto simile a quella tracciata da Ruff e Plato; la temperatura più bassa di solidificazione è 744°, di solo 4 gradi inferiore al punto di solidificazione del bromuro. TaBELLA 1* — NaCl-NaBr. °/o in peso | °/, molecolare Temperatura Numero di Na CI | Na Br | Na Cl | Na Br cristallizzazione 1 0 100 0 100 748° 2 1.9 92.5 11.88 88.12 7145 3 15 85 23.36 76.68 T44 4 22.5 77.5 38.02 66.38 744 5) 30 70 43.22 96.78 745 6 40 60 53.96 46.04 747 7 50 50 63.90 36.10 159 8 60 40 12.54 27.46 768 9 10 30 8041 19.59 778 10 85 15 91.20 8.80 192 Jill 100 0 100 0 808 O 10 20. 80. 40 50 60. 70. 80 90 100 Mol. °/, NaCl Fic. 1. — NaCl-NaBr. — 469 — Le curve di raffreddamento delle singole miscele mostrano solamente un rallentamento che si può considerare come un arresto durando al più 10-12 gradi; non sì può quindi tracciare una seconda curva che indichi il termine della cristallizzazione. Le curve di raffreddamento e il diagramma di stato mostrano la com- pleta solubilità ad alta temperatura tra cloruro e bromuro sodico. Il raffreddamento delle miscele di concentrazione intermedia venne se- guito fino a 200°, ma non si osservò alcun arresto o rallentamento ulteriore indicante una scomposizione dei cristalli misti a temperature più basse, anche adoperando una massa doppia. 2° — Na Br-Nal. Questa coppia ha un comportamento analogo alla precedente: il minimo nelle temperature di cristallizzazione è un po’ più accentuato a 645°, 17 gradi più basso del punto di solidificazione dell’ ioduro. TABELLA 28 — NaBr-Nal. °/o in peso °/o molecolare Temperatura Numero di Na Br Nal Na Br NaI cristallizzazione 1 0 100 (0) 100 662° 2 7.9 92.5 10.30 89.70 652 3 15 85 20.00 80.00 648 4 22.5 TS) 29.16 70.84 645 5 80 70 38.66 61.34 647 6 40 60 48.72 51.28 655 7 d9 45 63.35 36.15 674 8 70 30 77.02 22.98 696 9 85 15 89.13 10.87 721 10 100 0 100 0 748 TOI 750 700 700 650 | 650 O Ho 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Mol. °/, Na Br Fre. 2. — NaBr-Nal. RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 61 — 470 — La miscubilità allo stato solido ha luogo in tutti i rapporti anche tra bromuro e ioduro; lungo il raffreddamento non appare alcuna variazione ter- mica in seguito a scomposizione dei cristalli misti. 3.° — NaCI-Nal. I due sali hanno un comportamento diverso dalle due coppie precedenti dovuto alla non completa solubilità. Le miscele da 0 a 26 mol. °/ Na CI mostrano solo un largo intervallo di cristallizzazione, durante il quale si depositano soluzioni solide di-cloruro in ioduro. Le miscele da 25 a 96 mol. °/, Na C1 per solidificazione deposi- tano dapprima cristalli misti più o meno ricchi in cloruro, poi, alla tempe- ratura di 578°, depositano una miscela eutettica di cristalli misti limiti. Le miscele con un contenuto in Na Cl superiore a 96 mol. °/, danno curve di raffreddamento in cui manca l’arresto eutettico; anche queste miscele per solidificazione danno cristalli misti omogenei. TABELLA 8% — NaCl-Nal. un_—=——=—=<=<=<=<=<=<=<=<=<=-=" (/Y-=>="=È====—_=&@&@>ee---::-=<&&@-Z @«H©èGG©&«ii ° °/o in peso °/o molecolare Temperatura Temperatura Durata E di darresto ih eecona Z| NaCl Nal Na CI N21 oichalliccazione | onesti ME dt $àaOq@q!tMMIEIEtTHtàSNtOÈ;TÎTt,eESOUI@mi,tgiil 1 0 100 0 100 662° — = 2 9 97 7.24 92.76 | 644-618 — — 3 7 93 15.06 84.94 625-595 = — 4 10 90 22.07 77.92 612 d' o 5 WS 88.5 25.00 75.00 603 — -- 6 13 87 27.50 72.50 597 9780 20 7 15 85 30.86 69.14 589 578 80 8 17 83 94.52 65.48 582 578 140 9| 20 80 39.08 | 60.92 9 578 240 10 22 78 41.57 58.43 600 578 200 1l 2 74 47.82: 52.68 621 579 180 12 90 70 SLI 47.43 641 578 140 13 40 60 | 62.96 37.04 680 577 100 14 50 50 72.03 27.97 715 576 70 15 60 40 79.68 20.32 7383 578 40 16 70 30 85.61 14.39 754 578 40 17 80 20 91.27 8.73 774 577 5 18 90 10 95.86 4.14 791 ST 10 19 93. Ti 97.16 2.84 797 pra Lea 20 96 4 98.42 1.58 803 = en 21 100 0 100 0 808 —_ PS — 471 — 0 O 20 30 40 5060 70 80 90 100 Mol. °/ NaCl Fi. 3. — NaCI-Nal. La solubilità fra cloruro e ioduro sodico è quindi limitata da 0 a 25 e da 96 a 100 mol. °/, di NaCl. La curva di cristallizzazione primaria è composta di due rami che s'incontrano in un punto eutettico: esso giace alla temperatura di 578° e corrisponde a una concentrazione di 37 mol. °/, Na Cl: anche questa curva è in accordo con quella ottenuta da Ruff e Plato. Le ricerche ora esposte sui sali sodici mostrano che questi si compor- tano in modo analogo ai cerrispondenti sali potassici, sia nei rapporti di so- lubilità, sia nell’andamento delle curve di cristallizzazione primaria. Per i sistemi Cloruro-Bromuro, Bromuro-Ioduro, la solubilità allo stato solido è completa; le curve di cristallizzazione primaria hanno un leg- gero minimo: 6 gradi per KCl-KBr, 4 per Na Cl-Na Br; 16 per KBr-KI, 17 per Na Br-Nal. Per i sistemi Cloruro-Ioduro la solubilità allo stato solido è limitata: le curve di cristallizzazione primaria sono costituite di due rami che s’in- contrano in un punto eutettico : esso si trova a una concentrazione di 49 mol. °/, cloruro per i sali potassici, di 837 mol. °/, cloruro per i sali sodici. La tem- peratura eutettica è più bassa del punto di solidificazione dell’ ioduro, 80 gradi per KCI-KI, 84 per Na CI-NaI; i due rami della curva di cristallizzazione primaria hanno un andamento analogo. La solubilità allo stato solido è minore tra i sali sodici che tra i po- tassici. — 472 — L'ioduro potassico si scioglie nel rispettivo cloruro fino a 9 mol. co, l'iodure sodico fino a 3.5 mol. °/,. Il cloruro potassico si scioglie nel corrispondente ioduro fino a 49 mol. Oo il cloruro sodico fino a 25 mol. °/,. Intorno a questo punto credo opportuno aggiungere alcune osservazioni cui avevamo accennato nella Nota precedente. Qui tra sali potassici e sali sodici si osserva una certa diversità per lo meno apparente. Infatti, per i sali potassici le miscele di concentrazione in cloruro inferiore all’eutettica non darebbero depositi eutettici, per i sali sodici anche tali miscele separerebbero miscugli eutettici. Nell'esporre i risultati del si- stema KCI-KI avevamo fatto notare che le miscele da 36 a 49 mol. D NBKAO]: hanno un inizio di cristallizzazione a temperature di soli 10 gradi superiori alla temperatura eutettica e non è possibile distinguere la cristallizzazione primaria dalla cristallizzazione eutettica, qualora abbia luogo una separazione di natura eutettica. Non è quindi da escludere che anche per i sali potassici l'arresto eutettico si prolunghi dalla parte dell’ioduro quantunque la curva di cristallizzazione primaria e le differenze così piccole nelle temperature di cristallizzazione in questo intervallo non avvalorino questa ipotesi. È da notare però che il diverso comportamento dei sali sodici, non richiede una diversa interpretazione per i sali potassici e che del resto anche ammet- tendo una diversità in questo punto, si può affermare l'analogia tra sali sodici e potassici anche per questo sistema. Qualsiasi interpretazione si voglia dare, anche la maggiore solubilità del cloruro in ioduro rimane tra i sali potassici, poichè in ogni caso essa ammonta per lo meno a 40 mol. °/, KC1. Contemporaneamente alla mia Nota con G. Pampanini sui sali potassici J. B. Wrzesnewky pubblicava nel Journ. Russ. Phys-Chem. Ges. (2) le sue ricerche eseguite con l’analisi termica su alcune coppie di sali; tra queste erano compresi i sistemi studiati da noi: KCl-KBr, KBr-KI, KCI-KI. Di recente il lavoro di Wrzesnewky fu pubblicato nella Zeitschr. f. anorg. Chemie (3 e ne ho potuto conoscere i risultati. Le ricerche del chimico russo per i due primi sistemi sono in accordo con le nostre per ciò che riguarda la completa solubilità tra i sali allo stato solido; al contrario sono molto diverse le curve di cristallizzazione che risul- tano dalle sue e dalle nostre esperienze: per la terza coppia le diversità nelle temperature di cristallizzazione primaria non sono così forti come per le pre- cedenti, ma mentre dalle nostre ricerche risulta una solubilità allo stato solido abbastanza limitata, secondo le ricerche di Wrzesnewky la solubilità sarebbe completa. Poichè queste diversità di risultati sono molto forti e non credo si pos- sano attribuire a diverse condizioni d'esperienza, stimo conveniente esaminarle in una prossima Nota. (') Journ. Russ. Phys-Chem. Ges 43, 1364; C. B. 1912, 1° sem., pag. 464. (?) Zeit. f. anorg. Ch. 74, 95; 1912. — 473 — Chimica. — Separazione e determinazione quantitativa del- l’antimonio nei metalli bianchi da cuscinetti. Nota del dott. I. Com- PAGNO, presentata dal Corrispondente À. PERATONER. Durante lo studio e le analisi numerose che ho avuto occasione di fare del metallo bianco da cuscinetti, largamente usato nell'industria e princi- palmente nella costruzione di macchine, locomotive ecc. ece., sono riuscito ad introdurre, nei metodi analitici sinora usati, alcune utili modificazioni, che conseguono lo scopo di rendere più facile e meno lungo il dosamento dei singoli elementi costituenti queste leghe. Nella presente Nota, però, mi limito a render noto solo ciò che riguarda la separazione e la determinazione quantitativa dell’autimonio, riservandomi di pubblicare, in seguito, la parte che riflette gli altri componenti delle dette leghe, appena avrò completamente portato a termine le relative espe- rienze in corso. L'antimonio viene introdotto nelle leghe, cosidette metalli da cuscinetti, come anche in quelli da guarniture, d’antifrizione ecc. per la proprietà che esso ha di conferire alla lega una notevole durezza, diminuendone la malleabilità. -La quantità di esso, introdotta nella preparazione dei metalli bianchi da cuscinetti, varia, generalmente, salvo il caso di usi speciali a cui esse leghe vengono destinate, da un minimo di 7°/ ad un massimo di 16 Don L'antimonio viene associato allo stagno, principale elemento della lega, insieme al rame. Qualche altro elemento, quale il piombo. lo zinco ecc. può, qualche volta, anche trovarsi a far parte della lega medesima, ma è solo tollerato in quantità assai piccola, o semplicemente, in tracce, provenienti da impurezze dei metalli impiegati. I numerosi metodi volumetrici e ponderali proposti pel dosaggio del- l'antimonio delle leghe bianche, taluni dei quali assai precisi ed eleganti, non riescono, pel caso nostro, di pratica utilità, a causa della lunga prepara- zione che il dosamento generalmente richiede. Il metodo, che è più comunemente preferito all'uopo, è quello elettro- litico proposto per la prima volta da Parrodi e Mascazzini (1), poi da Luckow (°°), (!) Zeitschr. f. anal. Ch., 18 (1879), pag. 587. (*) Ibid, 19 (1880), pag. 13. — 474 — quindi migliorato da Classen e da Reiss (!), Classen (*), Lecrenier (3), Ost e Klapproth (4), Hollard (*), Henz (°) ed altri. Secondo questo metodo l’antimonio viene dosato allo stato metallico, mediante l’impiego della capsula di Classen e di una soluzione in cui il metallo si trova allo stato di solfosale. Ma anche questo metodo assai semplice, in apparenza, non è scevro di inconvenienti, ed infatti: L'elettrolito, dal quale vuol separarsi l’antimonio, deve essere una solu- zione perfettamente limpida; quindi sono necessari: una filtrazione accurata, e ripetuti accuratissimi lavaggi, affinchè alcuna parte del metallo da dosare non venga trattenuto nè dal filtro, nè dalla parte insolubile dalla quale sì vuole sia separato, operazione questa sufficientemente lunga ed incomoda. Inoltre il lavaggio del deposito metallico nella capsula, ad elettrolisi finita, ha pure le sue difficoltà, e chi ha pratica delle operazioni elettroli- tiche sa bene di quanta attenzione e di quanto riguardo abbisogna tale ma- nipolazione, specialmente se il liquido, proveniente dalla separazione dell'an- timonio, deve venir sottoposto ad ulteriori trattamenti e determinazioni quan- titative (7). Ed altri inconvenienti ancora vi sono; ad esempio: a) la quantità, relativamente grande, di monosolfuro sodico che gene- ralmente si impiega in tale operazione, inconveniente questo tutt'altro che trascurabile, sia in riguardo alla economia (specie se le leghe da esaminare sono in numero rilevante), sia pel grave disturbo che la presenza di una quantità rilevante del detto reattivo apporta, quando l'elettrolito, dopo la separazione dell’antimonio, deve sottoporsi ad ulteriori determinazioni; b) possono commettersi, anche involontariamente, errori di una certa entità, non esclusi quelli di pesata, a causa della piccola quantità di lega (generalmente gr. 0,50) sottoposta all'analisi, errori che divengono non tra- scurabili quando la composizione si riferisce a 100 parti (8). 2 (5) (2) (®) Chem. Zgt., 13 (1889), pag. 1219. (5) ( 5) Comptes rendus, 1896, tom. 123, pag. 1064; Ann. de chim. analyt., 1897, pag. 242 Bull. Soc. Ch. de France, 1900, tom. 23, pag. 291. (5) Inaug. Dissert., Ziùrich, 1904, pag. 35 ; Zeitschr. f. angew. Ch., 81 (1903), pag. 31. ("*) Ho tentato l’impiego di catodi reticolati con un elettrolito filtrato, per ovviare alla difficoltà suddetta, riguardante il lavaggio; ma neppure essi hanno dato risultati soddisfacenti, a causa di piccole particelle di solfo che, per decomposizione del solfuro sodico nel corso dell’elettrolisi, vanno ad accludersi tra le maglie della rete, riuscendo talora, per la difficoltà del loro allontanamento, a falsare i risultati. (6) E bene qui accennare anche agli errori che costantemente si hanno nelle depo- — 475 — Con la modificazione che vengo a descrivere, io credo di portare il dosaggio dell'antimonio in un campo assai pratico, raggiungendo, insieme al massimo grado di semplicità, celerità, economia, una conveniente esattezza. Tal metodo è basato sull'impiego di un catodo di foggia speciale, e di un elettrolito, che pur essendo di poco dissimile da quello richiesto per l’uso della capsula di Classen, riesce assai più comodo preparare. Come si rileva dalla figura annessa, il nuovo catodo consta di una la- mina di platino rettangolare, accartocciata a forma di cilindro. Nella parte media, di detta lamina, sta saldato autogenicamente un filo di platino (a) che serve a reggerla. Due fenditure 2 e d' praticate orizzontalmente ed opposte, ad uguale distanza dagli estremi della lastra, servono a favorire la diffusione dell’elet- trolito dall'anodo alla superficie esterna del catodo. Il catodo è consigliabile che sia in platino iridiato e spulito al getto di sabbia; deve avere una lunghezza di cm. 13 per cm. 3,9 di altezza; le fenditure orizzontali una lunghezza di mm. 30 per mm. 1,5. Il tutto è calcolato in modo da potere utilizzare un elettrodo di circa cm? 100 di superficie complessiva tra la faccia esterna e quella interna. Il peso di esso sarà di circa gr. 24-25. L'impiego di detto catodo oftre i vantaggi seguenti: 1°. Permette, in ogni caso, di operare direttamente sopra un grammo di lega; 2°. Toglie l'inconveniente della filtrazione preventiva dell'elettrolito sizioni elettrolitiche dell’antimonio. Vedi a tal proposito: Henz, loc. cit.; Fischer, Ber. deutch. Ch. Gesell., 36 (1904), pag. 2348; M. M. Dormaar, Bull. Soc. ch. de France, 4, 283 (1908); O. Scheon, Zeitschr. f. angew. Ch. (1909), pag. 25; Hollard-Bertieaux, Analyse des métaux par électrolyse, 1909; Resultats expérimentaua. Antimoine. — 476 — non venendo influenzata la deposizione dell’antimonio dalla presenza di so- stanze indisciolte, come: solfuro di piombo ecc. (*); 3°. Permette, in maniera facile ed assai comoda. il lavaggio del de- posito metallico sul catodo. ad elettrolisi finita, senza che si incorra ad alcuna causa di errori; si effettua, quindi, agevolmente la pulitura del catodo me- desimo, bastando per questa una semplice immersione di esso, per poco tempo, anche semplicemente a freddo, nella soluzione nitrico-tartarica consigliata da Ost (?). Modo di operare. — In un bicchiere da cm? 300, forma alta, coperto da vetro di orologio, s'intacca gr. 1 di lega, ridotta in trucioli. mediante una miscela di cm? 4 di acido cloridrico concentrato e cm? 4 di acido ni- trico diluito (densità 1,2) e si scacciano, per leggero riscaldamento, i vapori nitrosi. Con circa cm? 5 di acqua, da una quantità di cm? 25, previamente misurata, si lava il vetro d'orologio, che ha coperto il bicchiere durante l'intacco della lega, conservando i restanti cm* 20 per gli ulteriori lavaggi. Si neutralizza e si alcalinizza quindi la soluzione con cm? 10 circa di soluzione di idrato sodico (densità 48 B. a 15° C), si addiziona di cm? 80 di monosolfuro sodico (densità 1,225) e di gr. 6 circa di cianuro di potassio. Si fa bollire per cinque minuti, si agita, e finalmente si lavano le pareti del bicchiere con i rimanenti cm? 20 di acqua. L'elettrolito, dopo quasi completo raffreddamento, è pronto per l'elettro- lisi; questa si effettua nel bicchiere medesimo in cui è stato fatto l’intacco della lega. Come anodo può impiegarsi un filo di platino del diametro di circa mm. 1, di cui l'estremità immersa nell’elettrolito, è avvolta ad elica in tre o quattro spire (diam. circa cm. 1). La separazione dell’antimonio può compiersi durante la notte, con inten- sità di corrente uguale a 0,10 Ampère. Il lavaggio del catodo col deposito dell’antimonio, ad elettrolisi finita, si effettua comodamente, senza interrompere la corrente, mediante un getto sottile di acqua, quindi con nuova acqua contenuta in un bicchiere e final- mente con alcool. Ho avuto costantemente, seguendo tale metodo, deposizioni di antimonio perfettamente aderenti, di splendore metallico, di aspetto assai bello e con risultati sufficientemente esatti, come può rilevarsi dai seguenti prospetti: (1) È solo consigliabile ricorrere alla filtrazione, qualora le sostanze indisciolte, fossero presenti nell’elettrolito in quantità eccessive. (3) Zeitschr. f. angew. Ch., 1901, pag. 827. — 477 — I. Risultati ottenuti mediante l’impiego del catodo suddescritto, ope- rando con quantità note di Sb : II. Risultati elementi : Sb pesato gr. 0,1000 trovato gr. 0,1002 nn » 0,1100 ” pa » 0,1200 ” [TRONI » 0,1400 ” ala » 0,1500 ” ” Li) L) 0,1600 <) ” ” » 0,2000 ” ” ” » 0,2000 ta a) Sn 79,80%, Cu 8,62,» Sb 11,00 » Sb trovato 11,20 Pb 1,08 » c) Sn 75,009 Cu 5,00 » Sb 15,00 » Sb trovato 15,40 Pb 5,00 » e) Sio 19 Cu — Sb 10,00 » Sb trovato 10,13 PbA2:505 » 0,1090 » 0,1202 » 0,1410 » 0,1509 » 0,1620 » 0,1996 » 0,2012 ottenuti operando su leghe formate con quantità note di D) Sn 80,00 °/ Cu 5,00 » Sb 13,00 » Sb trovato 13,15 Pb 2,00 » d) Sn — Cud» Sh 10,00 » Sb trovato 10,10 Pb 1,00 » f) Sn — % Cu 6,00 » Sb 12,00 » Sb trovato 12,02 Pb 2,00 » III Risultati comparativi ottenuti operando su leghe commerciali, me- diante l'impiego della capsula Classen (*) e del mio catodo (3): (!) Elettrolito non filtrato. (°) Elettrolito filtrato. RENDICONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 62 — 478 — Capsula Classen |Catodo Compagno Osservazioni __—_—_ Sb trovato o Sb trovato °fo valli car deelt rr.“ N.° d’ordine 1 10,84 10,96 Nella lega era presente 1,60 °/, di Pb 2 11,32 MS ” E) ” 0,41 » > i 11,20 i 3 10,80 10,72 Quantità di Pb inferiore a 0,25 o 4 11,12 ori ; a , 11.12 5 11,16 \ ul » D) ”» È) } 10,90 6 10,80 10,96 Nella lega era pressnte 1,70.°/o di Pb 7 10,56 10,60 Quantità di Pb inferiore a 0,25 %/o 8 11,10 11,20 ” ” ” ” 9 11,04 11,40 Nella lega era presente 5,56 °/ di Pb 10 10,52 10,70 ” » ” ” E 065000) Chimica. — Sulle soluzioni citrofosfatiche. Nota di A. QuaRr- TAROLI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. A proposito della mia Nota sulle soluzioni citrofosfatiche, recentemente pubblicata in questi Rendiconti, il Pratolongo (*) ammette anzitutto l'errore commesso nel preparare il citrato diammonico e quindi su questo punto nulla ho da aggiungere e nemmeno obiezione alcuna muoverò all'asserto che le esperienze, anche a prescindere da tale errore, possano avere ancora un si- gnificato. Mi limito semplicemente ad osservare che le soluzioni preparate dall'A. non erano affatto « assai bene caratterizzate dal fmodo onde erano ottenute » data l'incertezza di una titolazione con acidi e basi ambedue deboli. L’A. trova inoltre ingiustificato il mio richiamo sulla distinzione di sali doppi e complessi senza per altro spiegare come nella sua Nota abbia fatto risalire l'ipotesi di ioni complessi citrofosfatici al 1881! Quanto all'inter- pretazione della Nota di Barillè data dall’ A., potrà corrispondere fino a un certo punto alla logica, ma non è certo ispirata dalla conoscenza di autori e di scuole. (1) Questi Rendiconti. Vol. XXI, 1° sem., p. 363. — 479 — Infine, all'affermazione del Pratolongo, che nè lui, nè ì chimici orga- nici (?) possono credere alla possibilità delle formole da me proposte pei citrati complessi, obietterò che i chimici organici (non so per quale ragione tirati in campo dall A.) in questo, e in altri casi simili, si limitarono ad esaminare i prodotti separati dalle soluzioni e non la costituzione di quelli esistenti nelle soluzioni stesse: cosa evidentemente ben diversa. Nelle for- mole da me, con ogni riserva, proposte, si teneva conto (per ragioni di ana- logia) del probabile intervento del gruppo alcoolico nella formazione della anione complesso e del fatto da me accertato che un aumento della con- centrazione di Ba, faceva diminuire la concentrazione di PO,. Aggiungerò poi che non io, ma il Pratolongo ha voluto precorrere le esperienze con apprezzamenti, i quali andavano a tutto beneficio di una ipotesi insostenibile: quella della doppia decomposizione. Chimica. — Analisi termica del sistema cloruro d’argento solfuro d’argento (‘). Nota di CaRLO SANDONNINI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. o Oltre che la conoscenza delle relazioni di isomorfismo e della tendenza a combinarsi fra i sali dello stesso acido e dei diversi metalli, è interessante conoscere il comportamento delle miscele dei varî sali di un elemento coi diversi acidi. Il materiale sperimentale in quest'ultimo senso è relativamente scarso ed assai incompleto; così, per esempio, anche per gli alogenuri di uno stesso metallo è nota una sola serie completa, quella dei varî alogenuri di piombo esperimentata in parte da K. Mònkemeyer (*) ed in parte da me (). Le relazioni fra gli alogenuri e gli altri sali sono anche più scarsa- mente note. F. S Zemczuzny (4) esperimentò le coppie cloruro-cromato, clo- ruro-bicromato per i sali potassici: da queste ricerche risulta che i due com- ponenti sono semplicemente solubili in tutti i rapporti allo stato liquido, ma solidificando dànno un semplice eutettico. Lo stesso risulta dalle ricerche di Karandeeff (*) sulle coppie cloruro-silicato, fluoruro silicato per i sali di calcio. Infine dalle ricerche di Wolters (5) risulta che cloruro e solfato sodico (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. (®) N. Jahrb. f. Min. G. und P., 22 Bb, 1 (1906). (*) Questi Rendiconti, 20 (I), 172 (1911). (*) Zeitschr. f. an. Ch. 57, 267 (1908). (*) Zeitschr. f. an. Ch. 68, 188 (1910). (6) N. Jahrb. f. Min. G, und P., 380 Bb. 57 (1910). — 480 — si comportano nel modo ora detto, mentre che per la coppia fluoruro-solfato sodico si rivela la formazione di un composto molecolare Na F . Nas S0,. In questo campo lo studio delle relazioni ad alta temperatura tra clo- ruri e solfuri mi parve non privo di interesse. Tra i solfuri, quelli che per questo scopo meglio si prestano, perchè fa- cilmente si possono avere puri ed anidri e fondono quasi inalterati, sono i solfuri di Ag, Cu e Pb. Altri solfuri sono assai stabili alla fusione (p. es. i solfuri di bismuto ed antimonio), ma non sì prestano allo studio termico delle loco miscele coi cloruri per la troppa distanza dei rispettivi punti di fusione. Assai interessante sarebbe pure lo studio delle miscele fra i cloruri ed i solfuri alcalini, ma questi ultimi assai difficilmente sì possono avere anidri e puri. Io avevo da qualche tempo iniziato lo studio delle tre coppie AgC1-Ag,$, CuC1-Cu,S, PbCl.-PbS, e lo studio del primo sistema era già compiuto. Nell’ultimo fascicolo della Zeitschrift fir anorganische Chemie (vol. 74, fa- scicoli 3-4, 28 marzo 1912) è annunziato l'invio alla redazione di un lavoro di W. Truthe, dal cui titolo appare che l’A. tratta lo stesso argomento da me studiato. Interrompo quindi le mie ricerche, ma non credo inopportuno di esporre brevemente i risultati da me sinora ottenuti col sistema cloruro-sol- furo d’argento. Il solfuro d’argento adoperato proveniva dalla casa Kahlbaum e, analiz- zato prima della fusione, diede il 99,24°/, di Ag, 9; dopo fusione in atmo- sfera d’azoto, diede in media il 96°/, di Ag»S: il resto si deve a libera- zione di argento metallico. Il solfuro d'argento, secondo Friedrich e Leroux ('), fonde a 835° ed ha un punto di trasformazione a 175°; dalle mie determinazioni questi punti risultarono rispettivamente a 836° e a 178°. Il cloruro d'argento usato fondeva a 455°. Nella seguente tabella sono riuniti i dati termici ottenuti. Le percen- tuali in solfuro d'argento non sono corrette in base ai dati precedenti, anche perchè, venendo il punto di fusione del solfuro d'argento rapidamente abbas- sato per aggiunta di cloruro, verosimilmente anche la decomposizione sarà di molto minore, (*) Metallurgie III, 362 (1906). — 481 — Molecole °/o Temperature di | Temperature di cristallizzazione | cristallizzazione Durate in secondi per 20 grammi di Ag2S primaria eutettica diemistala (0) 455° — = 5 440 _ _ 10 499 — — 20 400 980° 204 30 390 380 50 35 eut. 380 180 40 400 378 100 50 480 378 80 60 596 375 50 70 630 380 40 80 698 902 20 90 750 —_ — 95 782 — = 100 896 — = 900 I 800} 800 | 4 700 | 750 600 |- 74 600 500 |- DA 500 | $ | SS VÀ "i QU / 400 È QUE -| 400 7 = f_ Ù Sai Ì 300 È A 300 | | 200 | + 200 Tn) DIO. 2089 0 00 0 1 Mol. °/o AgsS Fis. 1. — Cloruro d’argento e solfuro d’argento. Le due curve di deposizione primaria si tagliano in un punto eutettico a 35 mol.°/, di Ag.S e a 380°. — 482 — Il solfuro d'argento solidifica con poco sviluppo di calore, cosicchè riesce difficile cogliere esattamente l'inizio di cristallizzazione delle miscele ricche in solfuro. D'altra parte per le miscele ricche in cloruro d’argento l’arresto eutettico si nota chiaramente nelle curve di raffreddamento solo per le mi- scele a 30 e 20 mol.°/ di Ag,S, mentre che per le miscele a 10 e 5 mol.°/ si nota solamente un intervallo di cristallizzazione che scende sino alla tem- peratura eutettica senza però che a questa si noti alcun arresto. Dall'altra parte del diagramma le durate di arresto eutettico si riducono a zero, circa a 90 mol.°/, di Ag,S; le curve di raffreddamento di questa miscela e di quella a 90 mol.°/, non hanno alcun arresto o rallentamento a 330°. Questo comportamento fa supporre che si formino cristalli misti in pro- porzioni limitate da entrambe le parti. Siccome le masse fuse si prestano bene ad essere levigate, ho eseguito alcune micrografie a luce riflessa per chiarire tale questione. Le riproduzioni fotografiche di alcune di esse sì tro- vano nella qui annessa tavola. L’ingrandimento è in tutte di 150 diametri. Come attacco mi servii dell'acido nitrico concentrato in soluzione acquosa (1:1), ripulendo però leggermente i campioni prima di esaminarli al mi- croscopio. Vennero così esaminate le miscele a 5, 10, 20, 60, 80, 90 e 95 mol.°/, di Ag» S, il solfuro di argento puro e la miscela eutettica a 35 mol. / di Ag,S. Le miscele a 5, 10, 20 (figg. 2, 3, 4) mostrano chiaramente un de- posito primario scuro di Ag Cl in massa grigio-chiara eutettica, la quale aumenta coll'aumentare della concentrazione in Ag,S. Il campione di una miscela al 2°/ di Ag»S, che interessava appunto per la ricerca del limite di solubilità allo stato solido di Ag,S in AgCl, non potè essere levigato sufficientemente per prestarsi ad una micrografia. Nel campione a 35 mol. %/ di Ag,S la miscela eutettica appare così fine che non si potè sdoppiare nemmeno con un ingrandimento a 650 diametri. Le miscele a 60 ed 80 mol.°/ AgsS (figg. 5, 6) mostrano un deposito primario bianco di solfuro di argento in massa bruna eutettica la quale diminuisce coll'aumentare della percentuale in Ag,S. Osservati alcuni cam- pioni delle miscele a 90 e 95 mol.°/,, essi mostrarono un campo completa- mente omogeneo, identico a quello del solfuro d’argento puro. Corredando di questi risultati quelli ottenuti coll’analisi termica, si può quindi concludere che il solfuro d’argento scioglie allo stato solido circa 10 mol.°/, di cloruro d'argento, ma non si può dire se e quanto il solfuro d’argento sia solubile nel cloruro d'argento. Il punto di trasformazione del solfuro di argento che si nota nella curva di raffreddamento del solfuro di argento puro con un debole rallentamento, non si nota più con sicurezza nelle varie miscele anche ricchissime in Ag, $; molto probabilmente, esso viene rapidamente abbassato per aggiunta di clo- ruro, confermando così la formazione di soluzioni solide di cloruro in solfuro. Le curve di raffreddamento vennero costruite fino a 100°. Fre. 2. — 5AggS+ 95 AgCI Fia. 3. — 10AgaS+90AgC1 (Ingrand. X 150). (Ingrand. X 150). Fia. 4. — 20Aga + 804gC1 Fic. 5. — 60 AgaS-| 40AgC1 (Ingrand. X 150). (Ingrand. X 150). SEZ 7OAI = rad a € Fre. 6. — 80AgaS+20Ag CI (Ingrand. X 150). — 483 — Chimica. — So/fati anidri(!). Nota II di G. CaLcAGNI, pre- sentata dal Socio E. PATERNÒ. Nella prima Nota su questo argomento (*) trattammo della formazione dei solfati doppi anidri possibili, nelle condizioni in cui si svolge l'analisi termica, tra CaSO, ed Na; SO,; nella presente ci occupiamo della forma- zione di solfati doppi anidri possibili tra Ba SO, e Ks SO, , Ba SO, ed Na, SO, nelle stesse condizioni sperimentali. Molto estesa, come abbiamo veduto, era la letteratura che riguardava il caso precedente, mentre, per quanto a noi consta, è nulla nel caso attuale. La ragione di questo forse si deve ricercare da una parte nella insolubilità quasi completa del solfato di bario, che ha impedito di poter studiare la formazione di solfati doppi con quelli alcalini per cristallizzazione da mi- scugli di soluzioni; dall’altra nella mancanza in natura di questi solfati doppi, il che ha tolto allo studio ogni interesse geologico. L'unico lavoro che si trova nella letteratura in proposito è quello di Le Chatelier (*), nel quale l'autore descrive soltanto la curva di fusione Ba S$0,-Na: SO,, di cui però non dà alcuna spiegazione dettagliata. Le difficoltà incontrate in queste esperienze sono state notevoli se sì pensa che a forti differenze di concentrazioni delle masse fuse corrisponde- vano differenze di temperature appena sensibili, il che richiese ripetute de- terminazioni su miscugli sempre nuovi per poter stabilire con precisione le discontinuità che si manifestano nei diagrammi. Il solfato di bario verso 1200° incomincia a decomporsi, e perciò non fu possibile l'esame di masse fuse oltre il 70 °/, di Ba SO.. I prodotti adoperati erano purissimi e completamente anidri. I miscugli erano tutti del peso complessivo di 25 grammi. Questi venivano fusi in un forno elettrico a resistenza di platino, appositamente costruito, il quale po- teva portarsi fino ad oltre 1300°. La misura delle temperature si faceva con una pinza termoelettrica Platino/Platino-Rodio e con un pirometro a registra- zione ad impulso elettrico, il cui millevoltmetro era del tipo Deprez-Arsonval costruito da Siemens ed Halske; esso indicava la temperatura ogni 12° e svolgeva 400 mm. di striscia ogni ora. Il punto di fusione del Na, SO, è 887°, temperatura identica a quella trovata nel precedente lavoro; il punto di trasformazione enantiotropica però (') Lavoro eseguito nel Laboratorio chimico della Sanità in Roma. (?) Rend. della R. Acc. dei Lincei. Scienze fis. e mat., vol. XIX, serie 52, 2° sem., pag. 422 (1910). (*) Ann. des Mines, serie 92, tomo 7/7, pag. 209 (1397). — 484 — è 250° invece di 234°. Il punto di fusione di K, SO, è 1066° e il suo punto di trasformazione è 590°; R. Nacken (') dà 1076° punto di fusione, e 5950 quello di trasformazione; Heycock e Neville punto di fusione 1066,5° (?); Me. Crac 1066,1° (*). Il punto di fusione del Ba SO, non si è potuto deter= minare direttamente poichè si decompone; per estrapolazione in entrambi i diagrammi si è ottenuto 13450. Sistema Ba SO, — Na, SO, I risultati ottenuti sono raccolti nella tabella I e diagramma fig. 1. TABELLA Ì. | Tempera- | Tempera- tura n a £ % tura Tempera- di Nas$0,°/|Ba SO, °/,! Mol. A No, AA ) devDa È 7 I ; di ca sizione în peso | in peso | Nas SO, | Ba S0, cristalliz- | cutettica falla zazione soluzioni solide 100 0 100 0 887° 95 5 96,83 3,17 895 90 10 93,67 6,93 905 85 15 90,30 9,70 913 80 20 86,80 13,20 917 18,4 21,6 85,72 14,28 921 15 25 83,13 16,87 917 71 29 80,09 19,91 —_ 70 30 79,80 20,70 DIL 68 32 17,74 22.26 925 66 34 76,13 23,87 940 65 35 75,31 24,69 950 60 40 71,13 28,87 987 55 45 66,76 33,24 1008 50 50 62,16 37,84 1037 45 dò 57,94 42,66 1070 40 60 52,27 477,73 1110 39 65 46,99 53,01 1140 30 70 41,82 58,6 1162 20 80 29,11 70,89 pastoso a 0 100 0 100 (13450) (*) Nachr. K. Ges. Wiss. Gottingen (1907) 602. (*) Journ. Chem. Soc., 67, 160. (3) Ann. Phys. (3) 55, 95. 925 1300° Tempera- tura di trasforma- zione — 485 — 1909? 1200" 158° 1008° 1090 700° 609° 309° 070) 00° SI Hanno 0.--. BIG. La temperatura di fusione del Na, SO, per aggiunta di Ba SO, cresce invece di diminuire come avviene nelle sostanze isomorfe. Ma questo acere- scimento si verifica fino alla concentrazione di 21,6 °/ Ba SO, che fonde a 921°; da questo punto aumentando il contenuto in Ba SO, si hanno ab- bassamenti di temperatura appena sensibili fino al miscuglio con 29 °/, Ba SO, che fonde a 913°; questa piccola differenza di temperatura si è ritrovata costantemente. Da questo punto la curva sale senza discontinuità verso il punto di fusione del Ba SO,. La curva descritta da Le Chatelier (loc. cit.) presenta anch'essa lo stesso aspetto della nostra con una leggerissima convessità in alto, quasi negli stessi limiti di concentrazione; non si può dire però a quale miscuglio corrisponda il punto più elevato di detta convessità, nè a quale il punto eutettico, poichè, come ho già detto, l’autore non ha fatta alcuna descrizione di questo diagramma. Questo massimo appena sensibile e molto schiacciato corrisponderebbe ad un composto della formula Ba SO, . 6 Na» SO,, le cui percentuali di Na, SO, e BaSO, sono rispettivamente 78,51 °/, e 21,49 °/. Ma di solfati doppi di questo tipo, per quanto a me consta, non se ne hanno esempi; quindi po- RenpICONTI, 1912. Vol. XXI, 1° Sem. 63 — 486 — trebbe darsi che questo massimo sia della stessa natura di quello trovato nel successivo diagramma. Intanto sia per la sensibilità degli apparecchi di misura adoperati, sia per la piccola differenza di temperatura tra il punto massimo e il minimo, nessuna precisa conclusione si può trarre da questi dati. Quello che è certo è che nessuno dei tipi di solfati doppi finora de- scritti comparisce su questo diagramma. Le masse fuse hanno tutte un aspetto omogeneo. Le curve descritte presentano quasi tutte tre punti di fermata, tranne quelle del miscuglio con 71°/ Nas SO, che ne presenta due: la tempera- tura di cristallizzazione dell’eutettico e quella di trasformazione. Le curve tra 71°/, Na, SO, e Nas, SO, puro hanno un primo punto corrispondente alla cristallizzazione iniziale, un secondo alla temperatura di decomposizione delle soluzioni solide, un terzo alla temperatura di trasformazione di Na, SO,. Le altre curve presentano un primo punto di fermata corrispondente alla cristal- lizzazione primaria di Ba SO,, un altro all'eutettico; ed un terzo alla tem- peratura di trasformazione di Na, SO,. Nel diagramma descritto si distinguono i seguenti campi: a) campo d'esistenza della fase liquida omogenea; 5) » d’equilibrio tra Ba SO, e fase liquida; c) »d'esistenza delle soluzioni solide; CN d’equilibrio delle soluzioni solide € e e - Na; SO, - Ba SO,; e) » d’esistenza di £-Na,SO, Ba- SO, ì f), =» d’equilibrio tra soluzioni solide c e 8- Na, SO, - Ba SO,. Sistema Ba SO, - K, SO, I risultati ottenuti sono raccolti nella tabella II e diagramma fig. 2. TABELLA II. wc “ n a © _—_r_r— Tempera- Tempera- T tura Tempera- tura empera- di Ks$0,°/o {Ba SO, °/o| Mol. °/o | Mol. °/ RESTI da pope de i : ; di sizione In peso in peso K, SO, Ba SO, cristalliz- GMigtaca delle trasforma: zazione soluzioni zione solide 100 0 0 100 1066° — -- 5900 95 5) 96,23 3,77 1075 — — 565 90 10 93,35 6,65 1080 — 6950 965 85 15 88,38 11,62 1075 — 787 965 80 20 82,28 17,72 1068 — 850 565 75 25 80,07 19,93 1055 _ 935 965 70 30 75,76 24,24 1045 — 1005 570 65 39 71,33 28,67 1032 10150 — 965 60 40 66,77 33,28 —_ 1015 — 965 55 45 62,08 917,92 1040 1015 — 570 50 50 57,26 42,74. 1070 1015 — 565 45 dò 92,29 47,71 1090 1020 — 565 40 60 47,18 52,82 1125 1020 — 965 35 65 41,90 _58,10 1150 1015 — 560 80 70 36,50 63,50 1175 1020 —_ _ 0 100 0 100 (1345) a — 487 — d/3297 1200° 1100" K350; 1000 _ 239 | 250° 900° 800 i 300° {20° EZZ, 600° j1500° G K Anche in questo caso l'aggiunta di Ba SO, invece di far diminuire il punto di fusione di K,SO,, lo fa crescere, però presto si raggiunge un mas- simo di temperaturà alla concentrazione 90 °/5 K» S0,; oltre questa concen- trazione la temperatura di fusione si abbassa sempre più fino a raggiun- gere 1015° alla concentrazione 60 °/, K.SO,, questa è la temperatura eutet- tica. Oltre questo punto la temperatura cresce con la concentrazione in Ba SO, fino al punto di fusione di questo. Quindi l’unico fenomeno che ripetutamente sì è trovato costante è la presenza di un massimo alla temperatura di 1080° e alla concentrazione di 90 °/, K: SO, e 10°/ Ba SO,. È fuori dubbio che questo massimo non corrisponda ad un composto, poichè esso risulterebbe di circa 14 molecole di K, SO, per una di Ba SO,; inoltre sulla curva di tras- formazione dovrebbe apparire un massimo, il che non si verifica nel nostro caso (*), essa resta costantemente la stessa; nè si può accertare se la sua (1) C. H. Desch, Metallography, pag. 63; R. Ruer, Metallografie, pag. 180. — 488 — composizione sia o no una funzione della pressione avendo da fare con si- stemi condensati. Però esempi di massimi sulla curva di fusione non corri- spondenti a composti se ne hanno: Masuni Chikashigè (1) nel diagramma Bi - TI trova due massimi che non corrispondono a composti. G. von Hevesy (?) nel diagramma KOH - RbOH trova anche due massimi per i quali non si è potuto decidere se corrispondano o no a composti, venendo meno tutti i cri- teri indiretti possibili in casi simili. Quindi si deve concludere che questo è un massimo che si presenta sulle curve di fusione di una serie di cristalli misti, in cui non valgono più le leggi dell'abbassamento del punto di fusione; e la presenza di un composto non è dimostrata nè da massimo nè da minimo. Tutte le curve di raffreddamento di questo sistema in generale presen- tano tre gomiti, tranne quella corrispondente a 95 °/ K,SO,, che perciò rappresenta l'eutettico della curva di decomposizione delle soluzioni solide, e quella corrispondente a 60 °/, K.SO,, che è il miscuglio eutettico della curva di fusione. Le curve fino al 70 ‘lo Ks SO, hanno un gomito corrispon- dente alla cristallizzazione di cristalli misti, uno alla temperatura di de- composizione di soluzioni solide e un punto di trasformazione del K, SO,. Le curve che vanno dal 60 °/o K: SO, fino a Ba SO, puro presentano una temperatura di separazione primaria di Ba SO,, una temperatura eutettica e una di trasformazione di K, SO,. Quindi il diagramma risulta dei seguenti campi: a) Campo d'esistenza della fase liquida omogenea; 5) » d'equilibrio tra BaSO, e fase liquida; c) » d'’esistenza delle soluzioni solide di K, S0,; d) >» d'equilibrio delle soluzioni solide € e a- K, SO, - Ba SO; e) » d’esistenza di #-K, SO, - BaSO,; 700 FUNOI, d'equilibrio tra soluzioni solide e e B-K, SO, - Ba SO,.. Concludendo nei diagrammi su deseritti vi è comparsa di un massimo che nel caso del Ba SO, - Na, SO, pare non corrisponda ad un composto e sia della stessa natura di quello che comparisce nel sistema Ba SO, - K, SO,, che in parte costituisce un tipo di curva già discussa teoricamente da Rooze- boom, ma non frequente nella pratica; questa però non è la prima volta che sì incontri. Le complicate reazioni che si possono svolgere tra queste sostanze allo stato solido in queste condizioni non si possono stabilire appunto perchè, se avvengono, il loro effetto termico deve essere nullo o piccolissimo. (1) Zeit. f. anorg. Ch. 51, 828. (*) Zeit. f. phys. Ch. 73. 667. — 489 — Chimica — Stntesi del Fillopirrolo (*). Nota di U. CoLa- CICCHI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Tra i diversi prodotti di scissione della clorofilla, dell’emina e della ematorporfirina Willstatter (?) potè separare, per mezzo del picrato, un pir- rolo tetrasostituito, che, per la sua origine, chiamò fillopirrolo, ed al quale assegnò la formula Anche H. Fischer e Bartholomaus (*) riducendo l’emina col metodo di Nencki avevano avuto fra mano questa sostanza, che non poterono però identificare, e supposero sì trattasse di un derivato idropirrolico. In seguito essi poterono farne la sintesi (4) facendo agire il metilato o etilato sodico sopra diversi pirroli ed annunciarono anche di averlo ottenuto dal 2-4-5-trimetil-3-acetil- pirrolo e di aver riferito in proposito nell’Harchiv. fùr Hygien, 77. Ma per quanto riguarda questa ultima sintesi io non ho potuto avere notizia, forse perchè il volume non è ancora uscito. Occupandomi io attualmente della scissione pirogenica di diversi corpi della serie del dipirrilmetano (*), il fillopirrolo è venuto a trovarsi nella sfera delle mie ricerche come dimostrano i fatti seguenti : Scomponendo col calore il derivato del dipirrilmetano che si forma per condensazione della paraldeide col 2-4-dimetil-3-acetilpirrolo ho ottenuto fra gli altri prodotti un trimetilacetilpirrolo (9). Per determinare la posizione dell’acetile sono ricorso alla sintesi ed ho preparato dall’ isonitrosometiletil- chetone e acetilacetone, col metodo di Knorr (?) il 2-4-5-trimetil-3-acetilpir- I Tm] .COCH3 CHE SC N 4 CH; rolo, il quale non è identico a Do, da me precedentemente ottenuto. () Lavoro eseguito nell’Istitato di Chimica generale della R. Università di Parma, diretto da G. Plancher. (?) Willstàtter und Asahina, Ann. d. chem., 385, 188, 225 (1911). (*) H. Fischer-Bartholomaus, Ber. 44, 3313 (1911). (4) Id. Ber. 45, 466 (1912). (5) na Acc. Lincei, vol. XXI (1912), seduta del 3 marzo. (9) Id. (?) ma Ann. d. chem, 236, 296 (1886), Ber. 35, 3004 (1902). — 490 — Avendo tentato di saponificarlo con potassa alcoolica in tubo chiuso per poterne confrontare la resistenza con gli altri c-acetilderivati del pirrolo, ho potuto notare che tra i prodotti di distillazione al vapor d'acqua se ne separava uno solido che non era l’acetilderivato originario. Da questa e da diverse altre esperienze mi parve di dover concludere che per questa via l'acetile venisse spostato o sostituito coll'etile, e che anche nel caso degli idrazoni (*) e delle chetazine (*) l’etilato sodico non operasse la riduzione, Ina semplicemente la sostituzione predetta. I fatti che verrò notando mi confermarono in questa ipotesi. Così ho potuto ottenere tanto dal trimetilacetilpirrolo come dalla cor- rispondente chetazina, il fillopirrolo. CH; CHz I | CH;.C—T-C.COCH; CH..0-—T0—C=N—N=0—-C_ C.CH, cre! loc, dx cio leon cid _Jocm NH NH NH Ò 7 CH;.C C.CH; CH d Do 3 NA 3 NH Questo rende assai più facile la preparazione dei pirroli sostituiti e dimostra che non si richiede la preparazione preventiva degli idrazoni o delle che- tazine. PARTE SPERIMENTALE. 2-4-5-trimetilp-3-acetilpirrolo. CH3.C-—C.COCH, CH3.0 L Joon NH Riducendo col metodo di Knorr(*) un miscuglio di parti equimolecolari di isonitrosometiletilchetone e acetilacetone si forma con rendimento quasi quantitativo il 2-4-5-trimetil-3-acetilpirrolo. 10 gr. di isonitrosometiletilchetone e 10 gr. di acetilacetone sciolti in 100 gr. di acido acetico al 90 °/ vengono ridotti con 20 gr. di polvere di zinco. Il prodotto della reazione comincia già a separarsi allo stato cristal- (*) Knorr und Hess, Ber., 44, 2758 (1911). (1) H. Fischer und B., Ber., 44, 3316 (1911). (®) Knorr (loc. cit.). — izle x Tr@#<'’——> = —— ""T—r_—_—_——rrrrrg——1[1 wir" — 491 — lino verso la fine dell'operazione. Si completa la reazione scaldando per un quarto d'ora a bagnomaria, dopodichè il liquido viene decantato dallo zinco rimasto inalterato e diluito con tre volumi di acqua. Sì ottiene così un abbondante precipitato fioccoso che viene spremuto e lavato con acqua. È poco solubile a freddo in alcool, etere, cloroformio, benzolo, acetone. Cristal- lizzato dall'alcool assoluto bollente si ottiene in bei prismetti o aghi splen- denti incolori. Fonde a 209-210°. All'analisi ha dato numeri concordanti con la formula Cs H,3 NO. Calcolato per Cs Hig NO Trovato CUS 71,52 71.62 H 8,61 8,74 N 9,27 — 9,47-9,61 Questo prodotto dà la caratteristica reazione del fuscello di abete; si scioglie in acido cloridrico concentrato, e possiede le proprietà generali degli acetilpirroli. Chetazina. — Scaldando a bagnomaria quantità equimolecolari di tri- metilacetilpirrolo e idrato di idrazina al 50°/ finchè il miscuglio diviene fluido, e proseguendo poi il riscaldamento per qualche ora a bagno di sabbia, sì ottiene una massa semisolida che è costituita da un miscuglio di cheta- zina, idrazone e prodotto inalterato che possono venir separati utilizzando la diversa solubilità in alcool assoluto in cui la chetazina è quasi insolu- bile. L’idrazone viene facilmente trasformato in chetazina scaldandolo qualche ora con alcool assoluto. Operando la reazione in tubo chiuso a 100° si ha un rendimento in chetazina quasi teorico. Cristallizzata dal nitrobenzolo si ottiene in cristal- lini prismatici che fondono a circa 305°. Calcolato per Cis Hos N4 Trovato N° 18,80 18,83 Se si applica la reazione di Knorr a parti equimolecolari di isonitroso- acetilacetone e metiletilchetone, in luogo del derivato pirrolico, si ottiene la dimetildiacetilpirazina di Wolff (') della composizione C,0H;3N30;, che CH,. | N N CH;C0.C N c/|\c.cocH, La prende origine dalla condensazione di 2 molecole di amidoacetilacetone. (1) Wolff. Ann. d. chem., 325, 19. — 492 — Anche Knorr (!) aveva accertato che il metiletilchetone come l’acetone non sì prestano bene a questo genere di reazioni. Questa pirazina cristallizza dall’alcool diluito in aghi giallo solfo e fonde a 99°. Calcolato per Cio Ha Ns0, Trovato N° 1458 14,81 SINTESI DEL FILLOPIRROLO dal 2-4-5-trimetil-3-acetilpirrolo CH3.C C.C.H; Jaca, IN NH Gr. 2 di trimetilacetilpirrolo vennero scaldati con 2 gr. di sodio sciolti in 20 ce. di alcool assoluto, in tubo chiuso riempito di azoto, per 14-16 ore alla temperatura di 210-225°, Nell'apertura dei tubi si nota una forte pres- sione, e i gas che si svolgono hanno l’odore caratteristico degli idrocarburi non saturi e bruciano con fiamma luminosa. Il prodotto della reazione che è costituito da una massa cristallina bianca, per diluizione con acqua separa uno strato oleoso che viene estratto con etere, e dopo eliminazione del sol- vente sottoposto alla distillazione in corrente di vapor d'acqua. Passa una bella sostanza oleosa quasi incolora che solidifica in parte nella canna del refrigerante. Il distillato ben raffreddato viene filtrato; così si separa la maggior parte del prodotto, che spremuto su carta da tiltro e cristallizzato una volta dall'alcool diluito forma delle belle scagliette poco colorate che già in questo stato, fondono a 64-65°. Il prodotto così ottenuto venne lasciato per un'ora su anidride fosforica, poi analizzato. CH3.C Calcolato per Cs Hi; N Trovato GO 7888 78,23 H 10,95 11,05 N 10,22 10,35 Picrato. — Gr. 0,5 di fillopirrolo sciolti in 100 ce. di etere umido vennero addizionati di gr. 0,8 circa di acido picrico agitando continuamente per circa un'ora. Mentre l’acido picrico va sciogliendosi si forma il picrato che viene poi filtrato e lavato con poco etere. Cristallizzato una volta dal- l'alcool si ottiene in prismetti giallo-bruni che fondono a 101-103°. Anche il picrato, come il fillopirrolo, si altera facilmente all’aria. Calcolato per Ci; Hie N07 Trovato N° 15,80 15,49 (*) Knorr, Ber. 35, 3008. — 493 — FILLOPIRROLO DALLA CHETAZINA DEL 2-4-5-TRIMETIL-3-ACETILPIRROLO. Gr. 2 di chetazina vennero scaldati con 2 gr. di sodio e 20 ce. di alcool per 14 ore alla temperatura di 200-225°. Nell'aprire i tubi si osser- vano gli stessi fatti sopraccennati, e la separazione del fillopirrolo viene operata nello stesso modo. Il prodotto appena distillato al vapor d'acqua e spremuto su carta da filtro fonde a 64°. Per l’analisi venne tenuto nel vuoto prima su acido solforico, poi su P0;. È identico a quello descritto precedentemente. Tanto questo che il sud- descritto ulteriormente cristallizzati si portano a fondere a 66-67°; però con gravi perdite di prodotto, giacchè si alterano facilmente all’aria. Calcolato per Cs His N Trovato N°/ 10,22 10,62 Insieme al composto descritto si formano in piccole quantità altri pro- dotti che studierò in seguito. Ringrazio il laureando sig. Cesare Bertoni per l’aiuto ottoni: in queste ricerche. Chimica. — Analisi termica di miscele binarie di cloruri di elementi monovalenti (*). Nota III di C. SANDONNINI e P. C. AUREGGI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In una serie di Note antecedenti {(?) furono esposti i risultati dell’ana- lisi termica delle miscele binarie tra cloruri di elementi monovalenti e pre- cisamente di quelle tra i cloruri di litio, sodio, potassio, rubidio, rame (rameoso), argento, tallio (talloso). Fra queste restano ancora da esporre i risultati ottenuti esperimentando sulle miscele di cloruro di rubidio e clo- ruro rameoso. Scopo della presente Nota è appunto esporre i risultati del- l'esame termico corredati da alcune ricerche per altra via, che si resero ne- cessarie per l’interpretazione esatta del sistema. Il diagramma di solidificazione risulta abbastanza complicato. Dal punto di solidificazione del cloruro di rubidio puro (716°) la curva di cristalliz- zazione primaria discende sino a circa 252° e a 51 mol. °/, di CuCl ove (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale dell'Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. (2) Questi Rendiconti. 20, 1° sem., 457, 758; 2° sem., 588. RenpIGONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 64 — 494 — notasi un evidente gomito, per discendere ulteriormente sino a circa 190° e a 60 mol °/, di cloruro rameoso ove si nota un nuovo gomito; finalmente la curva di cristallizzazione primaria discende ad un punto eutettico a 150° e a 68 mol°/, di CuCI, per risalire infine direttamente al punto di solidi- ficazione del cloruro rameoso puro (422°). Le curve di raffredìdamento delle miscele da 0 a 51 mol °/, di CuC1 presentano, oltre all’inizio di cristallizzazione, un punto di arresto a tem- perature variabili da 232° a 260°, le cui durate non sono esattamente cal- colabili, ma sono massime a 30, 33.3, 35 mol °/, di CuCl. Le curve di raffreddamento delle miscele da 20 a 60 mol °/, presentano inoltre un nuovo arresto a temperature variabili da 180° a 190°, il cui massimo di durata sta fra 53 e 60 mol °/,; quelle delle miscele da 60 a 100 mol °/ presen- tano oltre all’inizio di cristallizzazione solamente l’arresto eutettico a 150°, che si nota anche a concentrazioni molto inferiori di 60 mol °/, di CuC1. Inoltre le curve di raffredjidamento delle miscele a 20, 30, 33.3, 35.40 pre- sentano un netto punto d’arresto a 105°, cosicchè per certe concentrazioni, p. es. 40 mol °/, di CuCI, la curva di raffreddamento corrispondente pre- senta, oltre all'inizio di cristallizzazione. altri quattro punti di arresto. Le temperature di arresto tanto a 250° quanto a 190° non possono cor- rispondere che alla formazione di due composti decomponibili per fusione, essendo da escludersi che l’arresto a 190° spetti ad una trasformazione allo stato solido del composto che si forma a 250°, per il fatto che mentre per quest'ultimo le durate di arresto sono massime per miscele da 20 a 40 mol °/ di CuCI, per il punto di arresto a 190° sono massime tra il 40 e 60 mol °/, di CuCl. L'arresto a 105° che si nota nelle curve di raffreddamento di alcune miscele (la miscela eutettica ha la sua temperatura di solidificazione a 150°) spetta certamente ad una trasformazione allo stato solido del composto che ha la sua temperatura di formazione a 250°, essendochè già per miscele a 50 mol °/ di CuCl detto arresto non è più visibile. — 495 — TABELLA. Molecole 0/0 A Primo Durate Secondo Durate | Arresto Durate SI di CuCl Sea arresto in secondi arresto in secondi | eutettico | in secondi I primaria 2RbC1: Cucl 0 716° 2 — — — —_ li Cie 5 694 232° È aa L gi SA ir 10 668 237 — — — — = -_ 20 605 243 50% 192°] — >» = | To 30 527 255 80 183 507 _ — 105 33.3 485 250 80 190 80 148° — {| 105 35 470 250 80 186 60 — _ 104 40 412 260 40 192 90 150 — 105 45 300 250 60 185 110 — = 104 50 274 248 20 190 170 — —_ = 58 220 — —_ 180 120 150 = | —_ 55 210 = Da 183 160 SA = gr ee 58 200 —_ PS 180 250 148 = — 60 180 —_ — 180 250 147 807 — 63 172 —_ — — = 150 100: _ 65 ? — = —_ — 149 250 — 65 cutettico — — — _ 150 380 —_ 70 180 — —_ — — 148 250 I = 75 210 25 = 2 Po Too 20008 80 278 - _ _ _ 150 Ie — 90 370 — _ _ —_ 145 100 — 100 422 = n = «ES = a [ a In quanto poi alla composizione esatta dei due composti che si formano, sono da farsi alcune considerazioni. Un calcolo esatto delle durate dei loro punti di arresto non è possibile per la difficoltà di avere letture esatte ; nè lo scomparire dell'arresto eutettico può essere di schiarimento, nè da esso si può dedurre alcuna conclusione, per il fatto che l'arresto stesso a volte ap- parisce a concentrazioni elevatissime in cloruro di rubidio, certamente di molto superiori a quella che gli spetterebbe, per il noto caso anomale studiato da Tammann ('), nel quale la reazione che dà origine al ‘composto non avviene completamente, e la parte di miscela ancor fusa cristallizza alla temperatura eutettica. (1) Zeit. f. an. Ch., 45, 24 (1905). — 496 — Nel diagramma per semplificazione le durate degli arresti a 250° e a 190° sono state portate in segmenti proporzionali ai tempi e perpendico- lari alle orizzontali a a’, e è 3". Non sono riportate le durate d'arresto a 105°. e di questo son segnati con circoletto solo i punti di durata massima e questi riuniti con una retta continua; con tratteggiata per quelle concentrazioni alle quali si ha brevissima durata o l’arrresto non appare addirittura. Con linea tratteggiata sono pure riuniti i punti che appariscono anormalmente, dato che ai composti che si formano spetti la composizione che verrà in seguito stabilita. 600 500 300 200 | 100 CuCl 2.60] Rb CI 0° 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 CuCl Mol. °/, di Cu CI cloruro di rubidio - cloruro rameoso Per analogia cogli altri composti già noti, che i cloruri dei metalli alcalini del gruppo del potassio danno col cloruro rameoso, non si può trarre — 497 — alcuna deduzione, essendo che mentre per il cloruro di potassio ne è noto uno solo (2KC1-CuC1) trovato da soluzione acquosa dei componenti da Mitscherlich (') e confermato per via termica da uno di noi (°), da Poma e Gabbi (*) e da De Cesaris (4); per il cloruro di cesio ne furono trovati, benchè solamente per via umida, due, ma diversi entrambi da quello del cloruro potassico e cioè 3 Cs C1-2CuC1 e CsCl.2CuCI (9). Poichè pel sistema KCì - CuCl si era avuto buon accordo fra i risul- tati dell’analisi termica e quelli della preparazione da soluzioni, noi abbiamo voluto seguire quest'ultimo metodo anche pel presente sistema. Il modo di preparazione da noi seguìto è simile a quello usato da Wells (loco cit.) per i composti tra cloruro di cesio e cloruro rameoso. Ad una so- luzione di cloruro di rubidio, acida per acido cloridrico venne aggiunto clo- ruro rameoso e rame metallico per impedire il passaggio a sale rameico. Se la soluzione contiene eccesso di cloruro di rubidio, dopo completa disso- luzione del cloruro rameoso a caldo, per raffreddamento dei bianchissimi aghi, lunghi talvolta qualche centimetro. Fuori dell'acqua madre ed in pre- senza di umidità, questi cristalli divengono giallicci e poi assumono una tinta nettamente verde; l’acqua li decompone dando un residuo polverulento di cloruro rameoso. Tuttavia estratti dall'acqua madre e rapidamente asciugati tra carta assorbente, essi sono perfettamente stabili. La loro formazione è legata da limiti molto larghi di concentrazione della soluzione in cloruro di rubidio. Analizzati tre campioni separatamente preparati, essi diedero i seguenti risultati: Trovato Calcolato I II III 2RbCI-CuCl (OI PESI MIEZIENTANTE 18.65 18.54 18.59 18.65 DES de encan — 90.15 49.85 50.14 Clero: — 31.4 _ 31.21 100.00 Le percentuali trovate corrispondono perfettamente a quelle calcolate per 2RbC1-CuCl; dai risultati ottenuti si vede chiaramente che il composto cristallizza senza acqua di cristallizzazione. Se la concentrazione della soluzione è assai forte in cloruro rameoso, questo si deposita per primo in cristallini duri e bianchi, ma aumentando (*) Ann. de Chim. et Phys., 72, 384 (1830). (*) Rendiconti Ace. Lincei, 20, 1° semestre, 457 (1911). (*) Id., ibid., 464 (1911). (4) Id., ibid., 597 (1911). (5) Wells-Zeitschr. f. an. Ch., 5, 304 (1894). — 498 — la concentrazione in cloruro di rubidio si ottengono scagliette grigiastre de- componibilissime, i cui limiti di deposizione sono abbastanza ristretti, e che sottoposte all'analisi diedero i seguenti risultati : Trovato Calcolato — —— ——_T per I II III 2RbC1-3Cu0C1 Cana 35.60 35.70 835.22 35.99 RDS: Ae — 81.25 32.10 31.71 MOLARE RI PLANE — 32.78 — 32.90 100.00 Come si vede anche in questo caso il composto cristallizza senz'acqua di cristallizzazione; la sua composizione è 2 RbC1:3CuC1. Di questo tipo è noto un composto tra cloruro ammonico e cloruro rameoso 2 NH, C1-3 Cul (o Ammettendo ora che tali composti si formino anche per fusione dei com- ponenti e riportando nel diagramma di solidificazione queste percentuali, l'arresto a 250° spetterebbe al composto 2 Rb CI CuC1 analogo al composto 2KC1:CuCI, quello a 190° al composto 2 Rb CI - 3 Cu Cl, che viene così ad essere un composto decomponibile alla fusione, la cui temperatura di de- composizione coincide col massimo che gli spetterebbe, e finalmente l'arresto a 105° si deve ad una trasformazione allo stato solido del composto 2RbCIl:CuCIl. Come si può chiaramente vedere dal diagramma e dalla tabella, oltre che l'arresto eutettico anche l'arresto dovuto alla formazione di 2 Rb CI - 3. CuC1 appare a concentrazioni di molto superiori in cloruro di rubidio di quella del primo composto, rendendo così impossibile l’ interpretazione esatta del diagramma. La formazione del composto 2 KC1:CuC1 tanto da soluzioni acquose quanto per fusione dei componenti rende lecita la deduzione che anche questi composti tra il cloruro di rubidio e il cloruro rameoso si comportino allo stesso modo, e che cioè la composizione dei composti che si formano da so- luzione sia la stessa di quelli formantisi per fusione. Come ho già fatto rilevare in una Nota (?) riassuntiva pare dai risultati ora esposti che la tendenza a dare complessi col cloruro rameoso, aumenti col crescere del peso atomico dei metalli alcalini. Io avevo perciò deciso di esperimentare col cloruro di cesio, anche perchè, come fu già detto, com- plessi tra questo sale ed il cloruro rameoso erano già noti e studiati per via umida. Non mi fu finora possibile attuare questo proposito perchè da nessuna delle principali case di prodotti chimici ci riuscì di procurarci la quantità necessaria di questo prodotto. (4) Wells e Hulburt, Z. f. an. Ch., £0, 157 (1895). (3) Questi Rendiconti, 20, 2° semestre, 503 (1911). A99, — Chimica. — Sulla presenza dell’acido cianidrico libero nelle piante. Nota II di C. Ravenna e V. BARBIERI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Chimica. — / sistema Sb, S- Sn S. Nota di N. PARRAVANO e P. DE CESARIS, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Le due Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisica terrestre. — Misure della temperatura della lava fluente dell'Etna (‘). Nota di GIOVANNI PLATANIA, presentata dal Socio A. Riccò. La determinazione della temperatura della lava fluente è uno dei più importanti problemi riguardanti lo studio fisico dei vulcani. Eppure le misure dirette di essa sono notevolmente scarse: in occasione di eruzioni etnee, oltre alle determinazioni — poco sicure — eseguite per mezzo della fusione dei metalli, sono stati adoperati il metodo calorimetrico (Bartoli, 1891) e quello di un pirometro fotometrico ad assorbimento (0d- done, 1910). Il prof. G. P. Grimaldi, direttore dell’ Istituto Fisico dell'Università di Catania, aveva ritirato, nel dicembre 1910, un pirometro a radiazione di Féry (?) (N.° T. 341, G. 362) della Cambridge Sctentific Instrument Com- pany. Avendolo egli messo gentilmente a mia disposizione, pensai di utiliz- zarlo per determinare la temperatura superficiale della lava fluente nell’eru- zione etnea, cominciata il 10 settembre dello scorso anno 1911. Per diverse circostanze, non potei peraltro recarmi sul posto prima del 17 settembre, e il vento violentissimo del 18-19 mi costrinse a rimanere inoperoso, coi miei compagni, in una casina di campagna nel fianco NE del vulcano, aspettando un tempo meno sfavorevole. Finalmente il 20 settembre potemmo incamminarci, e visitammo dap- prima i crateri più elevati, e poi la lunga serie di piccoli crateri fino alle adiacenze di M. Rosso. Poichè non si udiva alcun .boato, e regnava una (1) Lavoro eseguito nell’Istituto fisico della R. Università di Catania. (£) Féry Ch, Z'élescope pyrométrique. Journ. de Physique, (4) III, 1904, pag. 701. — 500 — grande calma, e solo da uno dei crateri più elevati venivan fuori colonne di cenere, così dapprima si credeva che fosse cessata l’emissione di lava fluente. Ma in vicinanza di M. Rosso notammo che era ancora attiva una corrente di lava proveniente dalla più bassa bocca di questa tila di crateri. Collocammo l'apparecchio in un posto che ci sembrò opportuno, sopra una corrente di lava già raffreddata, a circa 15 metri dalla sponda della colata, a 80 metri dalla bocca. La lava si vedeva fluire silenziosa, con velocità mo- derata, che nella parte centrale della colata fu valutata di circa mezzo metro al secondo. La larghezza del fiume di lava, in quel posto, fu stimata di 6 m., e l'inclinazione del 10 °/,. La superficie della lava fluente era convessa, con una saetta di incurvamento di circa mezzo metro. Intanto sopravvenne la sera e si eseguirono le misure: il prof. G. Tro- vato-Castorina, dottore in fisica, faceva le letture al galvanometro e ne det- tava i valori a mio nipote Franco e il sig. Giuseppe Di Mauro, aiuto mec- canico dell'Istituto fisico, aveva cura del galvanometro, collocato sulla cassetta da viaggio, badando che rimanesse convenientemente sospeso, poichè la cor- rente di lava, superficialmente raffreddata, sulla quale ci tro vavamo, aveva un lento moto di deriva. La superficie della lava fluente era marezzata da scorie, nereggianti sul fondo rosso-arancione del magma. Io badavo a rivolgere l'apparecchio in modo da ottenere nel campo del telescopio l'immagine di una macchia rossa, evi- tando le scorie nere o anche meno incandescenti, e a seguire nel suo corso tale macchia. Ciò riusciva malagevole, e l'ago del galvanometro ritornava di frequente verso zero. In questa prima serie di letture si ottennero cifre relativamente basse: intorno a 560°, 640°, 660°, 680°, 770°. Questi non erano valori della temperatura superficiale della lava rossa fluente, perchè a quella distanza non riusciva facile evitare che le scorie fossero nel campo. Pote- vano considerarsi come valori della temperatura media della porzione di su- perficie di lava e di scorie compresa nel campo dello strumento. La tempe- ratura era più o meno elevata secondo la maggiore o minore estensione di lava rosseggiante rispetto a quella coperta da scorie (1). Avvicinammo perciò lo strumento a soli 4 metri dal margine della colata, riuscendo in questo modo a comprendere nel campo larghe chiazze di rosso. Si ottenne così: 795°, 814°, 825°. Intanto si vide discendere, trascinato dalla lava, un enorme blocco, che aveva un lento moto di rotolamento. Attesi che esso fosse trascorso alquanto a valle, affinchè si scorgesse una parte più estesa della superficie posteriore incandescente, la quale presentava un color rosso più chiaro. Ottenni allora (*) Il Daly (Proc. Amer. Acad. of Arts and Sciences, XLVII, 3, 1911, pag. 73) da misure eseguite con un pirometro di Féry nel 1909, stimò che le scorie (scum) non incandescenti del lago di lava del Kilauea avessero una temperatura media di 450° C. — 501 — 940°, e poi, dopo alcuni secondi, 924°, forse anche perchè il moto del blocco e il suo allontanamento impedivano che la parte più viva rimanesse tutta nel campo. La massima temperatura ottenuta, nelle condizioni descritte, fu dunque 940°, valore che, al pari dei precedenti, deve ritenersi come limite inferiore, sia per l'assorbimento prodotto dai fumi eruttivi, emessi dalla lava, sia perchè il radio-pirometro di Féry — basato sulla legge di Stefan-Bartoli, riguardante il raggiamento integrale di un corpo affatto nero — dà la così detta tempera- tura nera. La prima causa di errore doveva essere piccola, perchè i fumi erano, in quella sera, molto radi. Rispetto al divario fra la temperatura effettiva della lava fluente e la tem- peratura nera indicata dal pirometro, non si possiedono dati sperimentali sicuri. Il pirometro era stato campionato dalla stessa Casa costruttrice nel di- cembre 1910, e poi, nel dubbio che le esalazioni vulcaniche avessero potuto produrre delle modificazioni, fu mandato, dopo le misure, alla medesima Casa per un nuovo campionamento. Da questo risultò che lo specchio dorato non aveva subìto modificazioni apprezzabili e che le variazioni delle indicazioni non superavano l'1°/,. Alle letture della seconda serie, eseguite a minore distanza dalla lava, ho applicato le correzioni date da questo secondo campionamento. Importa pure notare che in quel giorno i fenomeni eruttivi erano nel periodo finale, e che l'emissione di lava, da quella bocca, dopo qualche giorno cessò interamente: il 24 settembre le bocche eruttive non più emettevano lava. Il prof. Bartoli — del quale ebbi la fortuna di essere allievo — ado- però, come ho accennato, il metodo calorimetrico, con l’abilità di valente sperimentatore da tutti riconosciuta. Nell'eruzione etnea del 1892, durata quasi sei mesi (9 luglio - 30 dicembre), egli potè avvicinarsi a circa 2 metri da una corrente di lava: in agosto eseguì 15 determinazioni (!), non lon- tano dalla sorgente, a un metro di profondità, e i valori più elevati furono 1060°, 990°, 980°, 870°. Circa un mese dopo (?) fu in grado di compiere, nello stesso posto, una seconda serie di misure, ottenendo 1086°, 1038°, 10059, 997% 9929, 9870, 19820, 978%, 9760. È da notare che diversi autori, nel riportare queste determinazioni del Bartoli, tralasciano i valori della seconda serie, e citano, come massima tem- peratura, il valore di 1060°. D'altra parte non è esatto parlare di tempe- rature massime, poichè, essendo uguali, per ciascuna serie, le condizioni delle misure, deve darsi, ad ognuno dei valori pubblicati dal Bartoli, lo stesso peso. Si ottengono perciò le temperature medie T seguenti: per la 1 serie ANMO00 == 1418 » n» 28 7 Ti=M0036==r0E (1) Bartoli A., Boll. mens. Soc. meteor. ital. (2) XII, 1892. (2) Bartoli A., Rend. R. Ist. Lombardo di sc. e lett. (2) XXIX, 1866. RenpiconTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 65 509 =. con una soddisfacente precisione, tanto più se si considerano le difficoltà sperimentali da superare e le molteplici cause di errore da evitare, tali che lo indussero a rigettare, nella 12 serie, i valori meno elevati. Due chilometri più in basso dalla sorgente, con lo stesso metodo. ope- rando perciò sulla lava fluente, egli ottenne T = 815° + 18°. Il dott. Oddone, studiando l'eruzione etnea del 1910 (*), non ottenne buoni risultati dall’uso dei coni fusibili di Seger; adoperò poi un semplice pirometro fotometrico a cuneo assorbente, scegliendo, per il confronto, le temperature di fusione della ghisa e dell'acciaio, « corpi che allo stato fluido - egli dice - dànno pur essi uno spettro continuo non dissimile da quello delle lave ». Questo metodo gli diede valori elevati: alle bocche, alle pseudo-bocche e nella parte centrale delle colate, dove la lava splendeva di color bianco, la temperatura superficiale sarebbe stata circa 1200°; per la lava di color oro zecchino, circa 1150; per quella che mostrava un color rosso aranciato, 1050; e per la lava rappresa di color rosso nascente, < 1000. Le numerose ricerche di A. Brun (*), eseguite in laboratorio, intorno alla temperatura di esplosione e alla temperatura di fusione delle lave, sono molto importanti; ma le determinazioni di temperature di lava fluente, da lui fatte 72 situ, a stima, fondandosi sull’intensità di radiazione visibile delle lave incandescenti, in diversi vulcani, non offrono la sicurezza delle misure strumentali. Non è opportuno confrontare e discutere i risultati delle misure fatte dal Bartoli, dall'Oddone e da me, essendo molto diversi i metodi e le con- dizioni di esperimento. Occorrono ancora molte altre determinazioni, ese- guite sistematicamente. Peraltro, il risultato da me ottenuto, sperimentando con una lava emessa nel periodo finale dell'eruzione, non è senza importanza. Esso mostra altresì che il radio-pirometro di Féry è un apparecchio pratico e di maneggio relativamente facile. In condizioni favorevoli, quando le correnti di lava siano libere da scorie superficiali, o quando formino cascate, o quando sia possibile — il che non avviene molto di rado — avvicinarsi alle bocche di emissione, si possono ottenere valori che, in ogni caso, è importante cono- scere; e si potrà raggiungere una grande precisione quando si faranno de- terminazioni del grado di nerezza della lava, ad alta temperatura. Sarà utile poi il confronto tra la temperatura superficiale della lava fluente nella parte centrale, più veloce, della colata, con quella delle parti laterali e con quella che in circostanze favorevoli si può ottenere immergendo, presso il margine del fiume lavico, un pirometro termo-elettrico. (*) Oddone E., Boll. Soc. Sismol. Ital., XIV, 1910. (*) Brun A., Recherches sur l'exhalation volcanique. Genève-Paris, 1911. — 503 — Talassografia. — Dove se sviluppano le Globigerine? (*). Nota di RarrAELE IsseL, presentata dal Socio B. Grassi. Chi ha seguìto i recenti progressi della biologia marina avrà notato come non solamente organismi di rara e difficile cattura siano ancora poco noti per quanto riguarda il modo di esistenza nelle varie fasi del ciclo vi- tale, ma come incertezze non meno gravi regnino talvolta intorno alla vita di specie volgarissime e largamente diffuse. Tale è appunto il caso dei fora- miniferi appartenenti al gen. Globigerina D'Orb. Le globigerine attualmente viventi si possono raggruppare in un certo numero di specie, non sempre ben definite; il Brady (?), nella sua mono- grafia del « Challenger ». ne descrive 14. Solo per una globigerina si sono conseguiti dati ecologici sicuri; alludo alla G/. pachyderma (Ehrb.), piccola specie vivente nei mari Artici, alla quale gli autori più recenti, come il Rhumbler (3), attribuiscono una esistenza bentonica in tutte le fasi della vita. Parecchie altre globigerine galleggiano in balìa delle onde e vengono recate a bordo viventi dalla rete pelagica, ragione per cui sono da tutti ci- tate come organismi caratteristici del plancton. Ora, una quistione che interessa talassografi, zoologi e paleontologi, sì può riassumere in poche parole, come segue: I piccoli gusci calcarei di globigerine che sì accumulano in quantità stragrande sul fondo del mare, contribuendo potentemente alla formazione dei depositi di alto fondo, sono spoglie d'individui pelagici, oppure proven- gono, almeno in parte, da individui la cui esistenza trascorre per intero, 0 in qualche fase soltanto, sul fondo marino? Non ostante il rinnovarsi frequente delle indagini talassografiche, la qui- stione si trova oggi allo stesso punto al quale l'ha lasciata il Brady or fa un quarto di secolo. Io ho avuto la fortuna di poterla in parte risolvere, e di risolverla proprio per la Globdigerina bulloides D'Orb., che è la più diffusa specie del genere, e forse, in tutto il regno animale, una di quelle rappresentata dal numero più ingente di individui, poichè non solo si trova nel plancton di tutti i mari, ma vive indifferentemente alle più diverse profondità. Per 0) Lavoro eseguito nel laboratorio "li Anatomia comparata della R. Università di Genova. (3) Brady H. B., Report on the « Foraminifera ». Challengers Reports, Zoology, vol. IX, 1884. (*) Rbhumbler L., Die Foraminiferen (Thalamophoren) der Plankton-Expedition. Erg. d. Plankton-Expedition, Bd. 3, an. 1909. — 504 — quanto concerne in modo speciale il nostro Mediterraneo, il Lo Bianco (2) l’ha osservata in tutte le pesche planctoniche, partendo da una profondità corrispondente a 50 m. di cavo e giungendo sino a quella corrispondente a 1200 (600 m. circa di profondità): e la colloca quindi nel novero di quegli organismi ch'egli denomina « panteplanctonici ». A più riprese ho studiato, dal punto di vista bionomico, la piccola fauna che si sviluppa in estate lungo la costa di Portofino (Liguria) e cerca ri- fugio nel feltro epifitico delle foglie di Posidonia, foglie che, grazie a con- dizioni fisiche particolari, galleggiano coi loro apici alla superficie dell’acqua durante la bassa marea (*). Nel corso di queste ricerche mi sono sempre im- battuto in stadî giovanissimi, viventi e vivacemente pigmentati, di una G/o- Digerina che il prof. A° Silvestri del R. Liceo di Spoleto, valente specia- lista per la sistematica dei foraminiferi, ebbe la cortesia di determinarmi come G/. bulloides D'Orb. Queste globigerine sono diffuse in tutti i campi di Posidonia esplorati a Portofino, sebbene non molto abbondanti sino a pochi decimetri sotto al livello delle acque magre; scendendo più in basso, ne ho trovato qualche individuo, attaccato alle foglie, sino a 3-4 m. di fondo; nessuno a profondità superiore. È quindi ben certo che stadii giovanili di «Globigerina bulloides » vivono normalmente in ‘ambiente bentonico e litorale per eccellenza. Con ciò non voglio escludere che le globigerine possano svilupparsi nel primo periodo della loro vita, anche in condizioni diverse da quelle osservate. E neppure sono in grado di stabilire se gli individui veduti ap- partengano ad una peculiare varietà di Globigerina bulloides che vive nel bentos anche allo stato adulto, oppure se, giunti ad un certo punto, assu- mano i caratteri e le abitudini ben noti della forma planctonica. Il non aver mai incontrato nelle mie ricerche individui di lunghezza superiore a 40 u, mentre altri foraminiferi che accompagnano la Gl. Vulloides raggiun- gono almeno il minimo di statura indicato dagli autori, mi farebbe credere la seconda ipotesi più probabile della prima. Intanto il fatto fondamentale, sebbene non indagato in tutte le sue con- seguenze, mi pareva per sè stesso tanto importante, da meritare un'appo- sita Nota. (*) Lo Bianco S., Ze pesche abissali eseguite da PF. A. Krupp col yacht Puritan nelle adiacenze di Capri ed in altre località del Mediterraneo. Mitth. Zoolog. Station Neapel, Bd. 16, an. 1903. (*) Un lavoro in extenso sopra questo argomento verrà pubblicato fra non molto, negli Zoologische Jahrbiicher, Abth. f. Systematik und Biologie. — 505 — Patologia vezetale. — Formazione e significato fisiologico dei cordoni endocellulari nelle viti affette da arricciamento. Nota di L. PeTRI, presentata dal Socio G. CuBONI. In una Nota precedente (*) ho brevemente esposto come nelle viti colpite da rachitismo progressivo, conosciuto col nome di court-nové 0 di roncet, sìa costante la formazione di particolari cordoni solidi, endocellulari, della stessa natura della membrana delle cellule che essi attraversano (*). Questi cordoni sono completamente simili a quelli già scoperti nelle Conifere da Sanio e in altre piante legnose da Kny, Miiller, Raatz. La ra- rità e l’incostanza con le quali si presentano queste strane appendici della membrana le hanno già fatte considerare come anomalie dovute probabilmente a una causa patogena. È la prima volta però che in una stessa pianta si può stabilire nettamente una stretta correlazione fra la formazione di cordoni endocellulari e un manifesto stato di malattia. Sino alla pubblicazione della mia Nota precedente non erano conosciute tali anomalie che nei tessuti se- condarî, non potendosi ritenerle omologhe a quei cordoni descritti da Leitgeb (?) nell'epidermide del perigonio di Galtonia candicans. Nella corteccia e nel legno i cordoni attraversano un numero più o meno grande di cellule di serie radiali corrispondenti, una prova che in generale i cordoni sono originati nelle iniziali del cambio, le quali li trasmettono alle cellule figlie tanto dal lato del legno che da quello della corteccia. Mai i cordoni, che sono in con- tinuità in due o più cellule contigue della stessa serie, vengono formati in- dipendentemente gli uni dagli altri. Raatz si è valso appunto di queste anomalie e del loro modo di tras- missione di cellula in cellula per studiare il comportarsi delle cellule cam- biali nella loro attività di divisione. Alcuni risultati delle mie ricerche, che si riferiscono a un tale argo- mento, saranno descritti e discussi nella Memoria definitiva. Processo di formazione dei cordoni nel cambio. — Miller (*) ha espresso la convinzione che i cordoni endocellulari si formino da pieghe delle (1) Questi Rendiconti, vol. XX, serie 5°, secondo semestre, pag. 155. (3) Questo carattere mi ha permesso di confermare l’opinione, già espressa da molti, identificando con tutta sicurezza il vecchio arricciamento delle nostre viti col court-noué delle viti americane; è per questa ragione che da ora in poi si potrà chiamare con nome italiano una malattia sin qui indicata con denominazioni esotiche, nella credenza che essa non fosse identica alla forma di rachitismo già nota presso di noi. (3) Mitth. Bot. Inst. Graz, I, 1887. (4) Ber. d. d. Bot. Ges., VIII, 1890. — 506 — pareti radiali delle cellule del cambio. Queste pieghe sarebbero in parte riassorbite e ne resterebbe solo la porzione estrema, che a guisa di un ponte unirebbe le due pareti tangenziali attraversando la cavità cellulare in dire- zione radiale. Miiller esclude che si tratti di una trasformazione in cellulosa di un preliminare cordone di plasma che si formerebbe nell'iniziale; come pure esclude che i cordoni si possano considerare come una parete trasversa fene- strata, in cui la perforazione sia straordinariamente esagerata. Raatz (') ha dimostrato come la spiegazione data da Miller non sia accettabile ed ha cercato di sostituirla con un'altra, desunta da numerosissime ed accurate ricerche. Secondo Raatz i cordoni endocellulari sono equivalenti, genetica- mente, alle saldature che, per collabescenza, avvengono fra le pareti tangen- ziali di una stessa cellula cambiale ed equivalgono anche ai tramezzi par- ziali. I cordoni, durante l’acerescimento della cellula, deriverebbero da un accumulo di cellulosa, la cui formazione nel plasma, per un processo ancora sconosciuto, sarebbe determinata dal contatto stesso delle pareti tangenziali. Il materiale, che mi ha servito per studiare il modo di formazione dei cordoni nel cambio delle viti affètte da arricciamento, venne raccolto in maggio e fissato con liquido di Kleinemberg modificato, e liquido di Flem- ming. Le sezioni radiali, tangenziali e trasverse, eseguite al microtomo, fu- rono colorite col metodo di Heidenhain e safranina o fucsina, ora basica ora acida. Le sezioni longitudinali radiali sono le più dimostrative per mostrare il processo di formazione di cordoni. Le cellule della zona mediana del cambio (*) presentano grossi nuclei con granuli di cromatina fortemente colorabili, e un nucleolo che fissa quasi costantemente la fucsina basica. In quelle cellule che sono vicine ad altre, le quali hanno già dato origine a uno o più cordoni, si osservano delle mas- sule, della grandezza circa del nucleolo, alcune volte anche più grandi, vacuo- late, colorantisi in grigio bluastro con l'ematossilina ferrica. Alcune volte sono a contatto col nucleo, altre volte aderenti allo strato parietale del citoplasma o nel mezzo di questo (cfr. la figura qui unita). Le masse più grandi sembrano risultare dall'aggregarsi e dal fondersi insieme di più corpuscoli da prima isolati nel trofoplasma. Queste massule grigie, che chiamo corpi d'’escrezione, non hanno niente a che fare con i cor- puscoli nucleolari extranucleari descritti in alcuni casi, nè con plastidi, nè aggregati di condriosomi; esse rappresentano i primordî dei cordoni endocel- lulari. Questi ultimi, infatti, all’inizio sono costituiti esclusivamente dalla riunione di tali corpi d’escrezione in agglomerati più o meno compatti e (1) Jahr. fiir wiss. Bot. XXIMI, 1892. (°) Nei primi periodi della sua attività il cambio nelle viti da me esaminate è un etagencambium nel senso di Schoute (Verk. k. Acad. Wet. Amsterdam, 1902). — 507 — irregolari che finiscono per saldarsi allo strato parietale del citoplasma. È solo dopo che è avvenuta la divisione cellulare che si osserva una saldatura del cordone rudimentale con le pareti tangenziali. Io non posso escludere però che una fusione dei corpi d’escrezione con queste ultime possa anche avve- nire nella cellula allo stato di riposo quando l’agglomerato iniziale raggiunge in lunghezza il diametro trasverso della cellula o quando le pareti tangen- ziali, per un incurvamento, si avvicinino fra loro sino a toccare il corpo di escrezione. In questi casi, senza dubbio, lo strato parietale del protoplasma deve partecipare al processo di saldatura, interrompendosi al punto di contatto e ricostituendosi intorno all’agglomerato d'unione interposto fra le due pareti, il quale. in seguito, resta rivestito di un sottile strato cellulosico che è in continuità con la lamella interna delle pareti tangenziali. Generalmente però i cordoni si formano in vicinanza del nucleo dove la cellula presenta la maggiore distanza fra le pareti tangenziali e dove quindi non possono avvenire contatti fra queste ultime. Spesso si vedono briglie cinoplasmiche che collegano il nucleo al cordone in formazione, quando an- cora è costituito da una sostanza vacuolata di forma irregolare. Non ho mai osservato il differenziarsi di un cordone protoplasmatico e la sua graduale trasformazione in cordone cellulosico secondo un processo che è già stato osservato in altri casi di formazioni endocellulari della stessa natura della parete. Il primo abbozzo di un cordone si allunga, per stira- mento, con l'accrescimento della cellula, e nella divisione viene tagliato dal nuovo setto, continuandosi così nella cellula figlia. È nel costituirsi della nuova membrana, nel succedersi delle divisioni, che il cordone iniziale viene a far parte delle pareti cellulari come una semplice appendice, giacchè l’agglo- merato primitivo è ormai completamente isolato dal protoplasto per mezzo di un sottilissimo strato di cellulosa. Da questo momento la sostanza del cordone è paragonabile alla lamella mediana di una membrana; lo strato parietale — 508 — del citoplasma iniziando la secrezione di un rivestimento cellulosico pone quest'ultimo in continuità con la lamella interna delle pareti tangenziali, in tal modo la nuova appendice di queste subirà lo stesso loro differenziamento negli ulteriori stadî definitivi della cellula. Nella formazione dei cordoni endocellulari si ha dunque dapprima un processo di secrezione in seno al trofoplasma, seguìto da un incapsulamento del secreto per mezzo di un rivestimento secondario di cellulosa che è in con- tinuità con la membrana cellulare. Non si tratta dunque della formazione di un'appendice della membrana che sì possa riguardare come un geformies Sekret nel senso di Bieder- mann ('), ma piuttosto di un processo paragonabile a quello che si verifica in alcuni casi di cellule invase da parassiti che vengono isolati dal proto- plasto vivente, mediante un involucro di cellulosa (E Il modo di trasmissione, del tutto passivo, dei cordoni da cellula a cellula è paragonabile a quello per cui gl'zfoidi dei tubercoli radicali delle Leguminose si diffondono nel parenchima a batteroidi. Il contenuto degli ifoidi appartiene al simbionte batterico, mentre l'involucro cellulogico è una secrezione della cellula ospite ed è in continuità con la parete ordinaria. Gl'zfoîdi si propagano per mezzo della proliferazione stessa delle cellule, nelle quali sono contemiti, come semplici appendici delle pareti; allo stesso modo cioè dei cordoni endocellulari nella proliferazione del cambio. Allo stato attuale delle mie ricerche considero i corpi d’escrezione come della sostanza pectica della natura delle gomme, molto affine a quelle sostanze che in massima parte costituiscono le pareti cellulari appena formate. Probabilmente si tratta di un prodotto di scissione di composti albuminoidi del trofoplasma sotto l’azione di uno stimolo patologico; un processo para- gonabile alla gommosi di origine esclusivamente endoplasmica come Tschirch (?) ha osservato in alcune piante in seguito a ferite. Data la natura embrionale delle cellule nelle quali avviene questa secrezione, essa riveste dei caratteri tutt'affatto particolari dei quali il più saliente è la formazione dei cordoni endocellulari. Questa mia spiegazione solo apparentemente può sembrare in aperto contrasto con quella data da Raatz. In realtà si tratta di una più esatta interpretazione di alcuni fatti e di un contributo di nuove osservazioni che vengono a sostituire un’ipotesi nella concezione del botanico tedesco. Secondo Raatz sono i contatti delle pareti tangenziali che determinano una saldatura di quest'ultime, immaginando che il contatto stesso provochi una elaborazione (4) Verworns Zeitschr. f. allg. Physiol., II, 1902. (*) Per esempio l’incapsulamento dei grovigli di ife nelle cellule delle micorize di Neottia nidus avis (Magnus). (*) Ber. d. d. Bot. Ges., 1888. — 509 — dl cellulosa che, come una massa semifluida, viene poi stirata in cordone. Restava alquanto incomprensibile in qual modo un contatto fortuito fra pareti potesse determinare la formazione di cellulosa in seno al protoplasto, e per quale ragione ciò non dovesse avvenire tutte le volte che simili contatti si verificassero. Si è visto come, secondo le mie ricerche, la saldatura fra le pareti tangenziali non rappresenta altro che una conseguenza di una prece- dente secrezione nel citoplasma di una sostanza chimicamente affine a quella delle giovani membrane cellulari e che costituisce la prima manifestazione visibile del processo di formazione dei cordoni (?). Trasmissione dello stimolo di formazione dei cordoni. — La natura dello stimolo che promuove nel cambio il processo di secrezione gommosa è per ora completamente sconosciuto, esso non deriva affatto da ferite, almeno nelle viti, giacchè in tutti i casi nei quali non si trattava di arricciamento non ho mai osservato la formazione di cordoni, malgrado la gravità delle ferite e della gommosi del legno che ne deriva. Deve venire pure esclusa l'identità con stimoli derivati da azioni parassitarie già conosciute. Nel cambio e nell'epidermide di un germoglio in accrescimento lo sti- molo di formazione dei cordoni procede in direzione acropeta rispetto al germoglio stesso. Mentre negl'internodi in accrescimento il trovare file di cellule longitudinali cordonate, decorrenti nel cambio per lunghi tratti, deve fare ammettere una diretta trasmissione dello stimolo, per mezzo della divi- sione, nelle cellule discendenti da una stessa cellula madre, in altri casi questa trasmissione diretta non avviene. Ciò si verifica sempre negl’ innesti di marze sane sopra soggetti ammalati. In questi casi è sorprendente la rapi- dità relativa con cui alla gemma in sviluppo è indotto lo stimolo di forma- zione dei cordoni attraverso tessuti che sino a quel momento mai ne avevano formati. Gli elementi definitivi che derivano dal periblema non presentano alcuna reazione visibile a questo stimolo, e così pure le formazioni primarie del cilindro centrale (fasci procambiali, protoxilema, protofloema), che sono sempre senza cordoni. La direzione ascensionale dello stimolo cessa nella regione superiore del ceppo, dove avviene cioè la diramazione delle cosidette spalle. Da questo punto si ha una trasmissione in senso basipeto, natural- mente non più per mezzo della divisione delle cellule, come può avvenire negli organi con accrescimento in lunghezza. I germogli basali del ceppo e le radici più alte e più adulte sono gli ultimi organi della pianta che formino cordoni endocellulari, giacchè le radici a struttura primaria e quelle di uno e due anni non ne formano; 0 () Per quanto le mie ricerche si riferiscano al cambio delle viti e quelle di Raatz al cambio delle Conifere, per la perfetta identità dei caratteri morfologici dei cordoni endocellulari nelle due categorie di piante, ritengo i resultati sopraesposti applicabili anche al cambio delle Conifere. RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 66 — 510 — solo eccezionalmente quelle di tre, quando si tratti di uno stadio molto avanzato della malattia. Nei germogli basali lo stimolo decorre in direzione acropeta come in quelli superiori. I cordoni epidermici non si iniziano nel dermatogeno, ma nelle cellule che conservano un carattere embrionale durante l'accrescimento intercalare degl’internodi. La trasmissione dello stimolo in senso basipeto nel ceppo è molto più lenta che nel senso inverso; il fatto però che essa sussiste può far supporre che innestando una marza ammalata sopra un soggetto sano possa essere indotto in questo il processo degenerativo del cambio. Facendo astrazione della resistenza che un soggetto perfettamente sano può opporre, è teoricamente ammissibile che lo stimolo di formazione dei cordoni passi nel soggetto. A una simile questione ne sono collegate molte altre che riguardano la natura stessa della malattia. Noi non sappiamo ancora se in una marza ammalata si compendia tutta intera la malattia, con le sue cause e i suoi effetti, oppure se non vi sieno rappresentati soltanto questi ultimi, rimanendo localizzate le prime o nell'ambiente o nella pianta completa. Le mie ricerche intorno alla trasmissione dello stimolo di formazione dei cordoni dalla marza ammalata al soggetto sano sono ancora in corso 6 io ne riferirò in altra Nota. Per ora mi limito ad ammettere che vi è nella pianta ammalata un centro d'irradiazione di questo processo anormale di secrezione nelle cellule delle zone cambiali, e che questo centro risiede nell’estremità superiore del ceppo. Con ciò intendo di stabilire soltanto quali sieno i tessuti che durante la vita dell'organismo presentano una specifica sensibilità a particolari azioni stimolanti, il luogo d'azione della causa patogena può naturalmente non coincidere col luogo di reazione allo stimolo. Precedenza dell’alterazione del cambio sugli altri sintomi interni ed esterni della malattia. — Sì potrebbe supporre che le ferite dei tagli di potatura costituissero l'origine dello stimolo di formazione dei cordoni in piante già colpite da arricciamento, mentre nelle viti sane questo fatto non si verificherebbe. Le ricerche che ho fatte intorno a una simile questione mi hanno permesso di accertare: 1° che nelle viti allevate a spagliera e quindi con potatura lunga, senza gravi ferite nè gommosi del legno, presen- tano egualmente un’attiva formazione di cordoni non appena sieno affètte da arricciamento ; 2° che nelle viti che incominciano ad ammalarsi dopo 8 anni e più di ottima vegetazione e che mostrano solo un principio d'indebolimento di vegetazione o soltanto un ritardo nello sviluppo delle gemme, già i cor- doni sono al 2° anno di formazione, quindi essi hanno origine prima di qual- siasi altra alterazione che renda manifesto uno stato di malattia o di dege- nerazione del tessuto legnoso, giacchè la gommosi e la tillosi che si osser- vano nelle viti colpite da arricciamento da qualche tempo non si notano Re — sll — nelle piante che si trovano all'inizio della malattia. Anche il ritardo e la diminuzione dell'attività rizogena accertati nelle viti ammalate, si riferiscono o a talee o barbatelle provenienti da piante già colpite da arricciamento, nelle quali dunque si tratta di una conseguenza dell’alterazione del cambio, ereditata dalla pianta madre, o a viti che, ammalatesi in posto, sono state esaminate dopo due o tre anni da che la prima alterazione del cambio erasi iniziata, giacchè, sino ad ora, il primo sintomo apprezzabile della malattia era desunto dalla dentellatura più pronunziata delle foglie, dall'emissione di femminelle, o dall'accorciamento degl’ internodi, caratteri che si manifestano sempre molto in ritardo in confronto alla comparsa dei cordoni endocellulari. In relazione a quanto ho trovato sta il fatto che di tutta la pianta affètta da arricciamento gli ultimi organi a degenerare sono appunto le radici, quando particolari condizioni del terreno non favoriscono processi di marciume pa- rassitario. Con questo non si può escludere che la causa della malattia possa risiedere nel terreno ed agire indirettamente sul ceppo pel tramite delle radici; ulteriori ricerche intorno all’eziologia della malattia potranno stabi- lire sino a qual punto le condizioni del suolo possono favorire o promuovere quest'ultima (1). To mi limito ora a riassumere quanto resulta dalle mie osservazioni dirette sulle viti ammalate: che, cioè, io prima alterazione visibile ha luogo nel cambio della sommità del ceppo e consiste în un anormale pro- cesso di secrezione che dà origine a cordoni endocellulari. Questa dege- nerasione st manifesta in modo lento e progressivo e solo per poco tempo può ritenersi localizzata. Essa, sino ad un certo limite, non è accompa- gnata, sul principio della malattia, da una diminuzione dell'attività del cambio o da una deviazione delle proprietà morfogene dei meristemi apicali. In questa degenerazione, che sî conserva in tutto il corso della malattia e che è trasmissibile per innesto e che è costante in tutte le varietà di vitigni americani o nostrali più comunemente coltivate, a differenza delle oscillanti deformazioni esterne che sono în rapporto @ proprieta anche individuali delle piante attaccate, io vedo il sintumo più saliente dell’arricciamento. Il rachitismo stesso non ne rappresenta che uno stadio secondario. (*) Cfr. Ravaz in Progr. agr. et vitic. 1909, e Pautanelli in questi Rendiconti, XIX, 1910, pas. 395. — 512 — Embriologia. — Di alcune particolarità embriologiche in Poinsettia pulcherrima R. Gr. Nota della sig."* G. DONATI, presentata dal Socio R. PIROTTA. Gli studî recenti del Modilewky (') e del Dessiatoff (*), hanno messo in rilievo strutture molto interessanti del sacco embrionale di alcune specie del genere Euphorbia. Il Modilewsky ha constatato in Euphorbia procera Bieb. la presenza di un archesporio risultante di parecchie cellule, ciascuna delle quali si divide in due cellule figlie, di cui la superiore contribuisce, me- diante ripetute divisioni, alla formazione della callotta, e l'inferiore diventa cellula madre delle macrospore. Così che in definitiva si hanno parecchie cellule madri delle macrospore. In ciascuna cellula madre, il nucleo, divi- dendosi due volte successivamente, dà origine a quattro nuclei figli; contem- poraneamente però non avviene divisione cellulare, in maniera che le quattro macrospore non sono divise fra loro da membrana, ma sono rappresentate sem- plicemente dai quattro nuclei immersi in una massa citoplasmatica comune. Di queste cellule madri quadrinucleate, una prende il sopravvento sulle altre, le schiaccia e si sviluppa in un sacco embrionale sui generis. in quanto che la sua membrana è quella della cellula madre delle macrospore ed i snoi quattro nuclei primitivi corrispondono a quelli delle quattro macrospore. Questi, coll’ingrandirsi del sacco, si dispongono a croce, e ciascuno di essi subisce due divisioni successive, formandosi così un sacco embrionale con sedici nuclei disposti in quattro tetradi. Da ciascuna tetrade migra, verso il centro del sacco embrionale, un nucleo, sicchè si formano quattro triadi e nel mezzo una tetrade di quattro nuclei. La triade micropilare assume il tipico aspetto di apparato oosferico, risultando essa di due sinergidi e del- l’oosfera. Anche le altre triadi acquistano presso a poco un aspetto simile. Qualche cosa di analogo il Modilewsky ha osservato in Z. palustres (8). In numerose iltre specie esaminate egli ha trovato uno sviluppo nor- male per il sacco embrionale. È però del parere che fra lo sviluppo nor- (1) Modilewsky J., Zur Embryobildung von Euphorbia procera. Berichte der Deutsch. Bot. Gesellsch., Bd. XXVII, Heft 1, 1909; Id., Weitere Beitrige zur Em- bryobildung ciniger Euphorbiaceen. Beriehte der Deutsch. Bot. Gesellsch., Bd. XXVII, Heft 8°, 1910. (®) Dessiatoff N., Zur Entwicklung der Embryosackes von Euphorbia virgata W. R. Berichte der Deutsch. Bot. Gesellsch., Bd. XXTX, Heft 2°, 1911. (9) Modilewsky J., Veber die anomale Embryosackentwicklung bei E. palustrisL. und anderen Euphorbiaceen. Berichte der Deutsch. Bot. Gesellsch., Bd. XXIX, Heft 7°, 1911. — 513 — male della grande maggioranza della specie e quello anomalo di Z. procera ed 4. palustris, vi possano essere gradi di passaggio. Infatti in Z. lucida egli ha trovato, in comune con Z. palustris ed E. procera, la presenza di un archesporio pluricellulare non solo, ma, oltre a sacchi embrionali con otto cellule, degli altri, il numero e la posizione delle cui cellule deviava alquanto dal caso normale. Il Dessiatot (1), in #. virgata W. R. ha osservato, a differenza di E. procera ed E. palustriîs, che le cellule madri si dividono regolarmente in quattro macrospore, delle quali una si sviluppa in sacco embrionale. Il nu- cleo primario di questo, mediante due successive divisioni, si divide in quattro nuclei che si dispongono a croce. Ciascuno di essi, mediante doppia divi- sione, ne forma quattro, e così anche in 7. vîrgata W. R. si avrebbe un sacco embrionale con sedici nuclei, disposti in quattro tetradi. da ognuna delle quali migra verso il centro un nucleo. Il Modilewsky però ha messo in dubbio le ricerche del Dessiatoff per il fatto che Z. virgata, al suo esame, è risultata normale. Se non che, molto probabilmente, gli autori, come lo stesso Modilewsky dice, si sono trovati di fronte a due specie diverse, avendo il Dessiatoff studiato l'#. virgata W. R., e il Modilewsky l'#. virgata W. K. Per consiglio del prof. Pirotta, mi sono accinta allo studio embriolo- gico di parecchie Zu/orbiacee, in parte spontanee e in parte coltivate nel R. Orto Botanico. In tutte le specie spontanee appartenenti al genere Zu- phorbia da me studiate, ho trovato uno sviluppo normale del sacco. Fra le specie coltivate ho esaminato Povnsettia pulcherrima R. Grah., genere molto affine ad Euphorbia, anzi da alcuni ritenuto come una semplice sezione del gen. Euphorbia medesimo. La Poinsettia pulcherrima presenta due sorta di infiorescenze: le une sono di dimensioni un po' più grandi delle altre. Dalla sommità delle prime, per rapido allungamento del peduncolo che porta il fiore carpellifero, esce all’esterno un ovario che va aumentando di grossezza in un tempo relativamente breve; nelle seconde, sull'asse mediano, nell'interno del ciato, esiste un corto peduncolo sormontato da un piccolo ovario, che si sviluppa molto lentamente. Il mio studio si riferisce appunto a questa se- conda sorta di fiori carpelliferi. Al mio esame sommario è risultato che la costituzione del gametofito nel sacco embrionale a completo sviluppo, è nor- male nella grandissima maggioranza dei casi. Nella fig. 1 dell’annessa tavola ho riprodotto uno di tali sacchi embrionali normali: vi si osserva, nell'estre- mità micropilare, una delle sinergidi e l' oosfera; nell’estremità opposta tre autipodi abbastanza bene manifeste, benchè non sia troppo evidente la membrana attorno a ciascuna di esse. Verso il centro si notano i due nuclei polari ancora molto distanziati tra loro. Non ho mai osservato, (!) Dessiatoff N., Zur Entwicklung des Embryosackes von Buphorbia virgata W. R. Berichte der Deutsch. Bot. Gesellsch, Bd, XXIX, Heft 2, 1911. — dl4 — anche quando vengono perfettamente a contatto, la fusione di essi, rima- nendo invece sempre distinti. Uno dei parecchi sacchi embrionali esaminati mi sì è mostrato con una struttura che devìa dal caso normale. Ho trovato, cioè, un sacco di dimensioni più grandi e con sedici cellule distribuite in maniera abbastanza irregolare. Le figg. 2-5 della tavola annessa rappresentano le sezioni successive ottenute in esso. Nella fig. 2 si osservano verso l’alto due cellule che, per i loro caratteri, manifestamente evidenti, possiamo inter- pretare come due sinergidi. In ciascuna di esse infatti notiamo un nucleo, e al disotto un grande vacuolo. Aì di sotto delle due sinergidi, e verso le pareti laterali del sacco embrionale, si scorgono due altri nuclei; in fondo al sacco poi si vedono altre cinque cellule distinte fra loro perchè ciascuna possiede un proprio nucleo, ma mal delimitate nella loro massa citoplasma- tica. Nella parte superiore della fig. 3 si osserva un nucleo, circondato da una massa mal delimitata di citoplasma, nucleo che interpreto come oosfera; nel centro due altri nuclei strettamente avvicinati; poi un quarto nucleo ancora un po più in basso, ed un quinto in fondo al sacco. Nelle figg. 4 e 5 si distin- guono altri due nuclei. In complesso, dunque, sedici cellule. Quale sia l’ori- gine di tale anomalia non posso ancora precisare, perchè devo ancora com- pletare lo studio dello sviluppo. Ad ogni modo, mi è parso utile rendere note queste mie osservazioni, perchè esse dimostrano nuovamente come lo sviluppo del gametofito femmineo delle Zuphorbiacee sia soggetto a variare da una specie all'altra, e di più, nel caso mio, anche nella medesima specie, essendosi presentato alcune volte normale ed altra no. Patologia vegetale. — Bazteriosi dell’Aster chinensis L.: Bacillus Asteracearum n. sp. Nota del dott. G. L. Pa- VARINO, presentata dal Socio G. BRIOSI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLaseRNA legge la seguente commemorazione del Socio prof. ANTONIO PACINOTTI: Con vero e profondo dolore comunico all’Accademia la triste notizia della morte avvenuta nella persona dell’ illustre nostro Socio AnTONIO Pa- ciNoTTI. Quantunque da varî anni lo si sapesse affetto da una di quelle ma- lattie che non perdonano, pure la sua morte improvvisa recò una dolorosa sorpresa; perchè tutti ignoravano che l'illustre infermo fosse così vicino alla sua fine. Ma la grande sua invenzione rimarrà sempre viva nella scienza, come quella che conteneva in sè il germe fecondo di tutti i più grandi pro- gressi dell’ Elettrotecnica. na s -REND getestii nette © Antonio Pacinotti nacque a Pisa il 17 giugno 1841. Studiò in quella Università; fu allievo dell’illustre prof. Felici e prese la laurea. Nel 1861 venne nominato, all'Osservatorio astronomico di Firenze, assistente del profes- sore Donati, divenuto celebre per la scoperta della cometa che apparve nel 1859, prese dimensioni straordinarie ed attirò su di sè l’attenzione del mondo. Da Firenze egli passò all’ Istituto tecnico di Bologna e fu poi nominato nel 1873 professore di fisica all’ Università di Cagliari, dove rimase fino al 1882, auno in cui passò definitivamente a Pisa. Nel 1864 egli pubblicò nel Nuovo Cimento la descrizione di una nuova macchina elettromagnetica, destinata ad essere sostituita, nei corsi di fisica, alla macchina Clarke allora esistente e ad altre consimili. La macchina ideata dal giovane scienziato aveva la forma di nun anello, e portava una veramente ingegnosa disposizione di fili, per cuì forniva una corrente continua. Tale descrizione non richiamò, per il momento, l’attenzione dei fisici. L'invenzione di un apparecchio per dimostrazioni di scuola si presentava con un valore molto subordinato. Non deve quindi sorprendere se l'invenzione del Pacinotti rimase nel dimenticatoio, di fronte ai grandi problemi che al- lora agitavano la scienza. La grande, meravigliosa scoperta della corrente elettrica, fatta da Ales- sandro Volta, aveva destato la più profonda impressione. In tutti i labora- torî si ripetevano le sue esperienze, s'indagavano le proprietà sorprendenti della corrente stessa, e se ne scoprivano delle nuove. Sarebbe impossibile, senza eccedere a dismisura i limiti tracciati a questa commemorazione, di veler fare la storia delle scoperte che, in fatto di elettricità, illustrarono il secolo precedente. Ma da tutto questo enorme cumulo di fatti estraggo un gruppo, che presenta qui un interesse speciale, come quello che serve a fissare il posto all'anello di Pacinotti, anello che non era soltanto un apparecchio di scuola, come il suo autore al principio supponeva, ma racchiudeva in sè il concetto delle più importanti scoperte che vennero poi. Nel 1876 io mi trovavo a Londra, come Delegato del Governo Italiano all’ Esposizione internazionale di istrumenti scientifici — International Loan Collection — curata dalla Direzione del South Kensington Museum. Fra le molte cose ivi esposte figurava la candela dell'ufficiale russo Jablochkofî, che sorprese tutti. Noi tutti, Delegati dei diversi Governi stranieri, escla- mammo: « Ma questa è una riproduzione dell'uovo di Colombo! ». Quando sì pensi che abili costruttori, fra i quali Soleil, si erano sforzati di costruire dei regolatori, per mantenere automaticamente i due carboni dell'arco vol- taico l'uno sopra l’altro e possibilmente alla stessa distanza, l’idea di Ia- blochkoff per la grande sua semplicità giustificava il generale entusiasmo. Si disse, che il problema dell’applicazione della lampada ad arco era oramai risoluto, e s'incominciarono gli studî per tale applicazione in grande. — DI6 — La candela di Tablochkoff diede dunque una enorme spinta a questi studî; se non che la spinta fu tanta, che essa stegsa vi lasciò la vita. Si vide presto che la candela, tanto semplice in apparenza, presentava all'atto pratico difficoltà insormontabili. Ma ciò che interessa noi in questo momento, è che era alimentata da una nuova macchina magneto-elettrica, la quale portava il nome di Gramme. Esaminata meglio, la macchina di Gramme apparisce come la fedele riproduzione dell'anello di Pacinotti, nelle sue parti più sostanziali e perfino nei suoi difetti. Sorse allora, e con ragione, una discussione vivace sui di- ritti del Pacinotti. La priorità dell'invenzione dell'anello non potrebbe in alcun modo essergli contestata. Come si disse, nel 1864, Antonio Pacinotti pubblicava, nel Nuovo Ci- mento. la descrizione di una nuova macchina magneto-elettrica, destinata a dimostrazioni di scuola. Tale descrizione è un piccolo capolavoro di ordine e di chiarezza. Leggendola, si ha l'impressione di uno scritto fatto da un giovane d'ingegno, educato a buona e severa scuola. L'autore descrive con grande chiarezza il suo anello, ne determina con esattezza il rendimento e sì persuade che esso è molto superiore ai modelli allora esistenti. Sarebbe difficile immaginare una esposizione più chiara, più esatta e più feconda. Il Pacinotti s'accorge che il suo anello presenta il carattere della reversi- bilità; cioè a dire che, facendolo girare col braccio o con altro motore qua- lunque, esso vi fornisce una corrente continua; all’ incontro esso gira, se gli sì applica una corrente. L'anello può quindi essere, a volontà, o la sede di una forza elettromotrice, prodotta da una forza meccanica, oppure la sede di una forza meccanica ottenuta col mezzo di una corrente. Un apparecchio simile non esisteva. ed il Pacinotti ne è l’incontesta- bile ed incontestato autore. Ma la macchina del Gramme è venuta dieci 0 dodici anni più tardi, nel 1876. Essa mostra una strana rassomiglianza con quella del Pacinotti. Doveva quindi sorgere, ed è sorta difatti, la domanda se questa del Gramme non dovesse considerarsi come una copia più o meno abile dell'anello pacinottiano. Nel 1865, dovendo il Pacinotti recarsi in In- ghilterra, si fermò a Parigi e si recò nell’officina di Froment gestita dal successore Dumoulin. Froment aveva immaginato un motorino elettrico, che sì trova in tutti i Gabinetti di fisica. Il desiderio del Pacinotti era sem- plicemente di farsi costruire il suo anello, avendo egli trovato delle difficoltà di averlo bene costruito in Italia. Il Dumoulin, personalmente, non se ne interessò, ma chiamò un suo operaio intelligente, al quale Pacinotti spiegò il suo apparecchio. Si crede che l'operaio fosse il Gramme. Certo è che il Gramme è stato per varî anni operaio nell’officina di Froment; ma non si è potuto mai sapere, se esso lo fosse nel 1865, e se fosse stato realmente colui che aveva conferito col Pacinotti. I Francesi si sono ben guardati dal fornire queste piccole informazioni! — 517 — L'affare col Pacinotti andò in fumo e nel 1876 si presentò alla Inter- national Loan Collection di Londra il Gramme col suo apparecchio paten- tato al proprio nome. Il Pacinotti reclamò all’ Accademia delle scienze di Parigi, la quale ammise il suo reclamo nei Rendiconti, ma senza prender parte alla controversia; il che è conforme all’indole di tutte le Accademie, le quali, quando siano ben dirette, offrono la loro ospitalità ai reclami seri, ma non amano pronunziarsi. I diritti scientifici del Pacinotti furono sostenuti a Parigi nel 1882 dal compianto Gilberto Govi, e più tardi da Silvanus Thompson in Inghilterra e specialmente da Werner Siemens di Berlino, l’autore incontestato della prima macchina dinamo-elettrica ad auto-eccitazione. Il merito vero del- l'anello di Pacinotti consiste in ciò, che contiene in sè la soluzione di tutti i problemi elettro-meccanici; cosicchè la sua applicazione è divenuta possi- bile anche nella tecnica delle correnti alternanti e polifasiche, malgrado sia stato concepito per creare ed utilizzare correnti continue. Tutto ciò non era, nè poteva essere, nella monte del Pacinotti, ma resta pur sempre un fatto importante, che l'anello servì di guida a tutti gli ulteriori progressi, anche i meno prevedibili. È stata questa la sorte di Pacinotti, come più tardi quella di Galileo Ferraris col suo Campo rotante. Essi hanno lavorato per l'umanità, senza trarre profitto dagli immortali loro lavori. Ed è perciò che essi hanno di- ritto alla maggiore nostra gratitudine ed ammirazione. E la nostra ricono- scenza non è loro mancata. Quanto al Pacinotti, egli fu eletto Corrispondente della R. Accademia dei Lincei fin dal 1888 e Socio nazionale nel 1898; nel 1888 egli divenne uno della Società dei XL e cavaliere dell’ Ordine civile di Savoia. Nel 1905 fu nominato Senatore del Regno e nell'anno decorso il Re gli conferiva, motu proprio, il Gran Cordone dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. Sono queste le più alte espressioni di stima e di riconoscenza nazionale, tanto scientifica che politica e sociale. h—————____É—@——__—_—mexu=s N Il Corrispondente GaupENZIO FanTOLI legge la seguente Commemora- zione del Socio straniero MauRIZIO Lévy. Da oltre un anno venni onorato dell'incarico di ricordare Maurizio Lévy in questa Accademia dei Lincei che lo ebbe Socio straniero dal 1888. Contin- genze diverse e circostanze non dipendenti dalla mia volontà mi hanno però conteso di attendere prima al gradito e mesto dovere che mi fu commesso. Chiedo di ciò benevolente venia, assolvendo come posso il compito mio colla trepidazione ben naturale in chi deve dire in questa sede, pur nei limiti convenienti ad una commemorazione, di una figura veramente lumi- nosa e poliedrica di scienziato e di ingegnere. RENDICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 67 — 518 — A tale còmpito riescono poi anche affatto inadeguate le tenui facoltà di cui dispongo, animate solo dalla riverenza per l’ ingegno e dal desiderio fervoroso d'intenderlo e di amarlo. Di Maurizio Lévy — membro dell'Istituto di Francia, già vice-presidente, indi presidente della Accademia delle Scienze, professore al Collegio di Francia, alla Scuola Politecnica, alla Scuola Centrale, ispettore generale superiore nel Corpo degli ingegneri dei ponti e strade, insignito di alte dignità sociali e scientifiche — dissero in patria gli eminenti colleghi suoi, Emilio Picard, Levasseur, Hadamard: altre notizie diedero gli onorevoli sigg. prof. Noel, ing. de Préaudeau, ing. A. Dumas ('). Tali omaggi di pensiero, che accompagnarono i funebri dell’estinto o li seguirono poco di poi, sono cenni commemorativi i quali si attengono in ispeciale ad una rapida delineazione dell'opera del Lévy nella scienza pura; non si ha per vero fin qui, a quanto io sappia, un lavoro che rilevi suffi- cientemente anche l’altra parte dell’opera stessa: la contribuzione così vasta e geniale nel dominio delle scienze applicate. Il desiderato degno lavoro bibliografico gli verrà certo dal paese suo ch'egli ha onorato con diffusa nominanza, perchè senza dubbio Maurizio Lévy è stato in questi anni l'ingegnere francese più noto e celebre oltre i confini della sua patria per un complesso di studî o di applicazioni utili nei pro- blemi dell’elasticità, della statica, della resistenza dei materiali, dell'equi- librio delle terre, dell'elettricità e della trasmissione dell'energia, dell’ idrau- lica, della navigazione, delle grandi costruzioni idrauliche e civili ecc.; noto altresì per le profonde speculazioni teoriche nella geometria pura e nell'analisi, nella cinematica, nelle teorie matematiche dell'ottica, dell’elasticità, del calore, nella meccanica analitica e nella meccanica celeste. Ingegnere di razza, spirito inventivo che considerava la meccanica come il termometro di tutte le scienze e, col pensiero di Leonardo, il moto come causa d'ogni vita, egli discende da quella famiglia della École Polytechnique e delle storiche Scuole di Applicazione cui appartengono i grandi nomi di Navier, Cauchy, Poncelet, Poisson, Lamé, de Saint-Venant, Bélanger, Bresse ecc., i quali, innovando o rinnovando, ebbero ed hanno la riconoscenza del mondo. Ed ancora per la prodigiosa versatilità accoppiata alla penetrazione, il Lévy è invero lo scienziato di molte arti: la genialità mediterranea della sua mente fa ricorrere il pensiero anche a quegli uomini del nostro Rina- scimento che il francese pur conosceva ed amava così da ritenerli i primi (*) Queste, con altre notizie biografiche, note ecc., mi vennero favorite dalla nobile cortesia della onorevole famiglia Lévy, cui rinnovo l’espressione della mia gratitudine rispettosa. — 519 — degni per lo spirito libero, l'ingegno ed il coraggio, di assistere ai conati primordiali della scienza applicata. Egli non teme dunque il ritardo di quella compiuta analisi bibliografica che gli verrà dal tempo; e come i forti davvero, uscirà più forte da quel periodo critico che segue la morte di ogni valent'uomo, l'enterrement spirituel di Flaubert. Nato a Ribeauvillé (Alsazia) nel 1838, ingegnere allievo nel 1858, ripetitore alla Scuola Politecnica nel 1861, dottore in scienze nel 1867 con due tesi che lo rivelano già maestro, supplente di Bertrand nel 1874 al Collegio di Francia nella cattedra di fisica generale e matematica, dell’Ac- cademia delle Scienze nel 1883, titolare nel 1885 di meccanica analitica e di meccanica celeste, Maurizio Lévy lascia una produzione scientifica e tecnica iniziata nel 1861 ed ininterrotta per cinquant'anni, esposta princi- palmente nei Comptes Rendus de l'Académie des Sciences, nel Récueil des savants étrangers, nel Journal des mathématiques pures et appliquées, negli Annales des ponts et chaussées, in estratti ed opere diverse di cui parecchie di vasto disegno come la Statica grafica, la Teoria delle maree, lo studio sulla Trazione meccanica dei natanti, il Corso di cinematica e meccanica. Il breve esame che segue è dedotto direttamente dall’anzidetta materia bibliografica principale. All'argomento della Geometria e dell'Analisi appartengono: i lavori intorno alle coordinate curvilinee ortogonali di cui lo stesso Chasles rilevava la parte interamente originale, segnalati con alta lode da Cayley e Weingarten (1867-1870) ('); — i lavori intorno alle superficie suscettibili di far parte di un sistema ortogonale, alle superficie e loro focali, e intorno alle linee geo- desiche (1872-1877) (*?); — le ricerche attinenti alle forme quadratiche di più differenziali ed alle equazioni a derivate parziali di second’ordine a due variabili indipendenti (1872-1877) (3). Alla Cinematica pura si riferiscono sei Note sulla cinematica negli spazî inserite neì Comptes Rendus tra gli anni 1878 e 1880, nelle quali Lévy riprende in germe alcune idee di Bertrand, di Beltrami e dello Schlafii che ricongiungono direttamente i primi fondamenti della Geometria alla Cine- matica ed alla Dinamica, e perviene fra l’altro alle proprietà delle superficie spirali rimaste classiche — indica l'Hadamard — nell'opera di Gastone Darboux sulla Teoria delle superficie. (1) Tesi per il dottorato in scienze, 1867; Journal de l’École Polytecnique, 1870. (°) Comptes Rendus de l’Acad. des Sciences (1872 e 1873). Cinque comunicazioni del novembre e dicembre 1877. (*) Comptes Rendus de l’Acad. des Sciences (1872 e 1877). = 00 — I problemi della Nisica Matematica nel suo più vasto dominio furono esplorati dal Nostro con interesse costante, soprattutto quelli attinenti alla teoria matematica dell’elasticità. La prima Memoria sulle equazioni generali dei movimenti interni dei solidi oltre i limiti dell'elasticità, ha l’onore della inserzione nel Récueil des savants étrangers (!). Una Nota sullo stesso argomento richiama ancora l'attenzione del de Saint-Venant (?). Seguono: — una Memoria che dirige la teoria matematica dell’elasti- cità alla ricerca delle tensioni nelle travi articolate e sui sistemi di massima resistenza, storica ricerca del 1873 dov'è applicato il principio delle velo- cità virtuali, riportata poi anche nella prima edizione della Stazica grafica; — un'altra sulle equazioni generali dell’elasticità in coordinate curvilinee (1875); — un'altra sulla teoria delle lamine elastiche piane, lavoro propriamente ca- pitale e di lunga lena dove è rilevato l'accordo delle teorie di Poisson e di Kirchhoff, con applicazioni allo studio completo dell'equilibrio e del movi- mento della lamina libera, appoggiata, od incastrata (2 Una questione pratica propostagli direttamente dai costruttori e fino allora risolta empiricamente, adduce il Lévy alle ricerche sulle deformazioni di una verga retta o curva, sollecitata, oltre che dalle coppie estreme, da pressioni normali alla fibra mediana (4). Altre Note importanti sulle proprietà generali dei corpi solidi elastici e sull'equilibrio elastico delle lamine trovansi nei Comptes Rendus del 1888 e del 1899. Alle feorie matematiche dell'ottica, che il Lévy aveva già tratte dallo studio di Cauchy e trasfuse con applicazioni originali in un suo lavoro d’ idro- dinamica del 1867, appartiene una ricerca sulle equazioni generali della doppia rifrazione compatibili colla superficie dell'onda di Fresnel; Memoria di lunga lena inserita nel Journal des Mathématiques, 1888. La teoria analitica e meccanica del calore ebbe pure dal Nostro una serie di Note ragguardevoli (5). L'insegnamento di Meccanica analitica e Meccanica celeste al Collegio di Francia mosse il Lévy, nota Giacomo Hadamard che gli successe nell'alta cattedra, all'acquisto della mentalità astronomica (9 (*) Memoria presentata all'Accademia delle Scienze il 20 giugno 1870. Vedasi pure il Journal des Math., 1871. 3 (*) Comptes Rendus, 1871. (*) Journal des Math. pur. et appl., 1877; dove occupa poco meno di un centinaio di pagine. (*) Mémoire sur un nouveau cas intégrable du problèeme de l’élastique etc., in Journal des Math. 1884. (5) Comptes Rendus de l’Acad. des Sciences, annate 1876 e 1877. (°) Revue générale des sciences, 28 febbraio 1911. Nécrologie de M. Lévy. — 521 — In quest'ordine di pensieri sono notevoli le Comunicazioni sulla teoria della figura della terra, sulle applicazioni delle leggi elettrodinamiche al moto dei pianeti (*), e sopra tutto l’opera sulla Teoria delle maree (?), di valore storico ed intrinseco, specie nei capitoli sulle maree negli stretti e nei fiumi, sull'onda solitaria ecc., lucida esposizione sistematica che degna- mente precede il lavoro più recente, d' uguale argomento, di Enrico Poincaré. Anche in questi lavori di scienza pura si palesano le innate attitudini pratiche del Lévy, poichè ora è la realtà che lo stimola a ricerche teoriche, ora è la ricerca teorica che gli fa tosto discernere l'applicazione tecnica ed industriale. L'opera di Scienza applicata svolta da Maurizio Lévy, risulta pertanto intimamente connessa alla precedente, ed è altrettanto varia e geniale. L'/draulica ebbe contributi di alto valore storico e pratico; anche qui, giovanissimo, Lévy si afferma maestro compiuto. È del 1866 il lavoro sulla teoria d’una corrente liquida applicata ai tubi di condotta, distinto colla medaglia d'oro degli Annali di ponti e strade (*). È del pari del 1866 il saggio teorico applicativo sul moto dei liquidi, pre- sentato come tesi per il dottorato in scienze (‘), ed è di qualche anno po- steriore la Memoria sull’idrodinamica dei liquidi omogenei, particolarmente sul loro deflusso rettilineo e permanente, onorata colla inserzione nella Rac- colta dei Savants étrangers (1869). In questi lavori Lévy ha inteso a cercare l’espressione più generale del- l'attrito interno, facendo intervenire nella espressione del relativo coefficiente anche la velocità assoluta, secondo un pensiero attinto al Bazin ed a questi suggerito dalle classiche esperienze, riuscendo poi a risultati accordantisi per- fettamente da una parte cogli esperimenti di Bazin sui canali scoverti, dal- l’altra con quelli di Darcy sui tubi di condotta. Appunto la formola d'origine teorica dell'A. sui tubi ha ancor oggi il suo pregio storico ed una larga notorietà applicativa tra gli ingegneri (*). Lévy, che in uno dei citati lavori chiama la via sperimentale la sola progressiva, non annetteva esagerata significazione al fatto della concordanza dei risultati colle deduzioni di ingegnosi tentativi di interpretazione anali- tica 4 posteriori intorno alle correnti naturali. Al suo spirito chiaro non è sfuggito certo il punto filosofico della questione sul valore contingente delle (*) Comptes Rendus, 1888 e 1890. (?) Gauthier-Villars, 1898. La prima parte è la sola edita. () Pubbl. nel 1867 negli Annales des ponts et chaussées. (4) Thèses presentées à la Faculté des sciences de Paris... Gauthier-Villars, 1867. (5) E non solo tra questi. Vedasi un notevole lavoro del Menneret, professore a Gré- noble, che richiamò l’attenzione del Boussinesq (Thèses de la Faculté des Sciences de Paris, 1911, e Journal de Phisique, sett.-ott. 1911). — 522 — ipotesi introdotte; e forse ha pensato anche dopo lavori d'altissimo pregio ad altri dovuti, che l'inigme désespérante del de Saint-Venant attende ulte- riori fasci di luce. Non tutti sono infatti d'accordo nel ritenere in massima sicuro il possesso della chiave genuina della verità circa la contestura intima delle acque scor- renti in fiumi e condotti: parecchi possono dubitare che si è tutt'ora nel periodo degli svariati pur altamente encomiabili artifizî di grimaldello, per tentare la porta stessa del vero. I problemi meccanici attinenti alla navigazione interna furono oggetto di lunghe meditazioni del Nostro. Il suo noto sistema di trazione dei natanti per fune telodinamica, che ha applicazioni nella Francia e nel Belgio, venne concepito e fissato in pochi mesi del 1887: indi, cimentato con studii e per- fezionamenti continui, fu esposto in una pubblicazione ufficiale edita nel 1894, poderoso volume prezioso nel riguardo storico e pratico, contenente capitoli che sono compiute monografie di meccanica analitica applicata ai problemi della resistenza e della trazione (2). Il secondo volume doveva riguardare la trazione elettrica delle navi, cui pure Lévy dedicò molte ricerche, come si rileva da alcuni punti del primo volume e da accenni diversi dei Comptes Rendus (*), negli Atti dei Congressi internazionali di navigazione interna ecc.: per disavventura, tale opera è rimasta inedita e forse incompiuta. Se il problema tecnico della trazione meccanica od elettrica è risoluto, la soluzione economica — la sola ragionevolmente adottabile — richiede però speciali condizioni del traffico: onde il Lévy stesso, in questi ultimi anni, riconosceva argutamente che la scienza doveva spesso abbassare lo stendardo davanti al modesto ronzino di rimorchio. Di alto ed immediato pregio sono le ricerche dell’eminente francese nell'argomento delle dighe pei grandi serbatoi. Stimolate da un disastroso evento — la rottura della diga di Bouzey — sono esposte in Note divenute classiche, le quali concludono alla proposta di nuovi metodi di calcolo e di nuove cautele per tali opere (*): cautele e metodi, avvalorati pure da alcune importanti ricerche sperimentali più recenti, prescritti subito ufficialmente nella Francia e di crescente penetrazione applicativa anche altrove. (*) Ministère des travaux publics. Imprimerie Nationale. 1894. (2) Comptes Rendus, 1888 e seg. (3) Comptes Rendus de l’Acad. d. Sc.: 5 agosto 1895. Quelques considérations sur la construction des grands barrages. 2 marzo 1898. Sur la legitimité de la règle dite du trapèze. ecc. 4 luglio 1898. Sur l’equilibre élastique d'un barrage en maconnerie. ecc. Annales des ponts et ch. 1897: Notes sur le diverses manières d'appliquer la regle du trapèze... — 523 — Una nuova sua condizione di calcolo, intesa a volere sul paramento a monte delle dighe non solo l'esclusione di ogni sforzo di tensione ma altresì una compressione non minore della pressione idrostatica locale, pare a noi già in germe, come preoccupazione non precisata, in una Memoria del nostro eminente Alberto Castigliano (*); i meriti del quale, in ordine al principio del minimo lavoro, il Lévy fu tra i primi a far riconoscere all’estero. Al dominio della resistenza dei materiali e delle costruzioni edili, appartengono: una prima Memoria del 1861, colla quale il giovanissimo inge- gnere sì afferma in un lavoro sulle travi continue, e dove l’ingegnosa appli- cazione del principio della sovrapposizione degli effetti delle forze elastiche è tosto rilevata con alta lode e messa ad ulteriore profitto dal Bresse. L'A. è tornato poi altre volte sul tema della resistenza delle travi (?). Il volume sulla Statica grafica e sue applicazioni (1875), che ebbe influenza decisiva in Francia, è un capolavoro didattico di larghissima notorietà. Negli anni 1886-88 l’opera venne rifatta in quattro volumi, folti di ricerche originali e di ricerche altrui, riassunte e vivificate da un'esposizione tersa. La nuova edizione, o meglio la rielaborazione critica ed aggiornata dell’opera, è rimasta interrotta per la morte dell’A., dopo il primo volume (1907). La Nota VII di questo volume indica quale e quanto prezioso lavoro abbia dedicato il Nostro alle norme di calcolo e di sicurezza delle costru- zioni in cemento armato. Il lucido elaborato della Commissione governativa, della quale egli fu presidente e relatore (1906), venne tosto trasfuso nelle prescrizioni ufficiali edili dello Stato francese. La preoccupazione della precisione storica e dell'esatta attribuzione dei meriti di priorità è evidente in questa ed in altre opere espositive di Maurizio Lévy: indice sicuro di quella probità scientifica che nel commercio del pen- siero è giustamente ritenuta ancor più necessaria della valentìa. Sull’equilibrio delle terre in riguardo alla stabilità dei muri di sostegno estese il Lévy fin dal 1867 una Memoria classica, che l'Accademia delle Scienze volle poi inserta nella raccolta dei Savants étrangers (3): recente- mente ancora, Emilio Picard indicava il valore storico e germinale di quel lavoro giovanile (‘). Le richieste del Consiglio superiore dei ponti e strade, cui Lévy ap parteneva, e quelle frequenti che i Ministri rivolgevano al suo alto sapere, (') Politecnico, 1884. La parte inferiore più importante delle dighe di grande altezza a serbatoio pieno è sollecitata nel profilo Castigliano a sforzi di compressione notevolis- simi e crescenti sul paramento a monte, d’ordine consimile a quelli sul paramento a valle. (*) Comptes Rendus de l’Acad. de Sc., 1875, 1886, 1895. (*) La Memoria, ampliata, ebbe una seconda redazione nel Journal des Math. 1873. (4) Diseorso 3 dicembre 1910 alle onoranze funebri di M. Lévy. — 524 — diedero occasione a molti altri importanti studii personali dell'A. nel tema delle costruzioni edili, consacrati in parte nei volumi della Statica; mi limito alla citazione degli studii sul ponte Alessandro III e sulla passerella Alma-Jena. I suggestivi problemi dell’e/e/tricità dovevano presto attrarre la medi- tazione del Nostro. La sua nota collaborazione fattiva col Mascart cominciò nel 1881, quando i due si trovarono insieme delegati al primo Congresso internazionale di elettricità: l'unione diventò più intima nella Commissione di studio del sistema di misure elettriche. È poi del Lévy il memorabile rapporto della Commissione presieduta da Giuseppe Bertrand sulle esperienze di Marcel Deprez per il trasporto elettrico di forza da Creil a Parigi (1). Lunghi studii, si è detto, furono dedicati alla trazione elettrica dei natanti. L'ansioso interesse per tutte le questioni dell'elettricità non abbandonò mai il Lévy, ed è proprio degli ultimi suoi anni un discorso elevato di pen- siero e di sintesi pronunciato come presidente del primo Congresso interna- zionale delle applicazioni elettriche tenuto a Marsiglia nel 1908, Questo, che ho rapidamente ed incompiutamente delineato, è dunque un forte lavoro esteso nei campi più disparati, dove una mente agile e potente seppe incidere impronte personali di maestro e di signore. Ciò è ancora più notevole ai dì nostri, mentre il settore intellettivo di dominio individuale pare tenda a restringersi intorno ad una particolare forse troppo esclusiva direzione. Maurizio Lévy entra quindi a far degna parte della eletta famiglia di scienziati tecnici che già ricordai, eletta anche per quell’ esprit de finesse di cui parla Pascal lor nobile antenato, e si aggiunge al grande patrimonio scientifico della Francia, dove è sempre palese e fruttifera la tradizione e dove per lunga teorìa di menti affini ben si vede come il maestro fa il discente. Altro carattere etnico di spiccata evidenza nel Lévy è la limpidezza cristallina del metodo e della forma. L'elaborazione artistica della materia scientifica, secondo l’espressione di Eugenio Beltrami, ricordata da Vito Vol- terra, è perfetta anche nel Nostro. Egli va nel modo più compendioso, per la via rettilinea, verso il reale, ed i suoi lavori didattici sulla statica, sulla cinematica e meccanica, sulla teoria delle maree, o quelle lezioni e sintesi pubblicate in estratto che potemmo conoscere, ci fanno intendere appieno il valore dell’at- tributo « Ze lumineux », che ebbe dai suoi allievi del Collegio di Francia. (!) Annales des ponts et chaussées. 1886. — 525 — Maurizio Lévy amò pure con simpatia costante l’Italia nostra; l'ingegno scientifico italiano ebbe in lui un assertore ed un estimatore riverente. Le sue opere lo attestano, ed abbiamo al riguardo grati ricordi anche dall'unica contingenza che la ventura ci ha offerto di conoscere il Lévy quando, nel 1905, l’insigne uomo — bella e maschia figura in verde vecchiezza — compì un viaggio nella Penisola per il decimo Congresso internazionale di navigazione interna. Il ricordo di quei giorni vibrava ancora in una lettera che conserviamo cara, coll’ accenno nostalgico e cortese al Paese italico sì charmant et charmeur. Spirito sempre giovane, il Lévy, in una allocuzione pronunziata nel 1900 come presidente della Accademia delle Scienze, paragonava il mondo dei suoi primi anni a quello della sua sera, e dichiarava di gioire come d'una doppia esistenza terrestre, parendogli, per molti riguardi, le due epoche se- parate non da decennii, bensì da secoli o decine di secoli, quasi che la pol- vere luminosa del pensiero umano disseminata nel passato sia venuta a raoco- gliersi e fissarsi a guisa di nebulosa sotto ai nostri occhi per concederci le prime luci delle grandi applicazioni scientifiche, annunziatrici di più fulgidi albori. Più allo scorcio di sua vita, nel 1908, presiedendo un’altra eletta rac- colta di scienziati e di tecnici, ed esplorando con bella sintesi le vie veloci e magiche che i fenomeni elettrici fanno intravvedere, il nobile Vecchio si chiedeva dove, quando verrà il messia, il Newton integratore di una nuova meccanica molto più complessa dell’attuale. Anni o secoli? si domandava coll’ansia di un indefinito vaticinio ed incitava intanto al lavoro scientifico fervoroso come preparazione necessaria del nuovo mondo lontano. Qui, in Roma, dove Goethe ha visto un mondo in verità; presso Monte Mario, dove il morto poeta della nuova coscienza d’Italia vide colla visione dell'anima le schiere radiose dei futuri trasmettersi la mistica face nel volo verso l'infinito, e sentì levarsi a nuovi numi gl'inni di un avvenire vivido di fulgori: qui, dico, sembrano più significative e più profonde le ansiose domande e le arcane visioni che tormentano e deliziano gli spiriti magni della scienza e dell’arte. A preparare le vie della superiore cognizione umana invocata col fervido vaticinio, Maurizio Lévy — artiere di una nobilissima legione — diede il lavoro scientifico di cinquant'anni della sua vita mortale. RenpIconTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 68 — 526 — Il Presidente BLAsERNA dà il triste annuncio della morte del Corrispon- dente prof. CESARE ARZELÀ, mancato ai vivi il 15 marzo 1912; apparteneva il defunto all'Accademia, per la Matematica, sino dal 15 luglio 1904. Il Presidente BLasERNA comunica una lettera colla quale la Società Reale di Londra ringrazia l'Accademia dei Lincei per la parte da essa presa alle onoranze funebri tributate a Lord LisTER. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MILLOSEVICH, presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci TARAMELLI e NaccarI, e dai Corrispon- denti FANTÒLI, Lustie, PAScAL e SILVESTRI; fa inoltre particolare menzione dei due volumi contenenti la Relazione del dott. DE FILIPPI, con annessi panorami e carte, sulla spedizione di S. A. R. il Duca DEGLI ABRUZZI nel Karakoran. Il Presidente BLAsERNA presenta una raccolta degli scritti del Socio straniero prof. LiEBEN, il quale ne fa omaggio all'Accademia, e ne discorre. E. M. PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Commemorazione del Socio nazionale prof. Antonio Pacinotti . Pag. Fantoli. Commemorazione del Socio straniero Maurizio Lévy . . . PIO, Blaserna (Presidente), Annuncio della morte del Corrispondente prof. dosare Arata MR) Id. Comunica una lettera di ringraziamento della Società Reale di Londra . . . . .. » PRESENTAZIONE DI LIBRI Maillosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle dei Soci Taramelli, Naccari, Fantoli, Lustig, Pascal, Silvestri, e del dott. De Filippî . . . » Blaserna (Presidente). Fa omaggio di una raccolta degli scritti del Socio straniero prof. Lieder © 110 E MSA E et MARR ATI 0 RO AR A RENDICONTI — Aprile 1912. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Seduta del 14 aprile 1912. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTA'E DA SOCI Peano. Sulla definizione di probabilità RIO RSA EVI VON RAIN Ricci. Della trasformazione delle forme differenziali quadratiche (*) . SARNO Ricco. Osservazioni astrofisiche della Nova (18.1912) Geminorum 2, eseguite nel R. Osser- vatorio di Catania (*). ../.. na DAME N REN E Abraham. Sulla conservazione dell’energia e della materia nel campo gravitazionale (pres. dal Socio Levi-Civita) . da MO ST RICREA VERSO Orlando. Sopra una questione tecnica che si connette cogli integrali di Corrisp. Di Legge) . O I RE a. Silla. Sulla propagazione del calore (pres. dal Socio Levi-Ciota) O Tonelli. Sugli integrali curvilinei del Calcolo delle Variazioni (pres. dal Socio Pincherle) » Torelli. Sulle superficie algebriche contenenti due fasci ellittici di curve (pres. dal Corrisp. Severi) . ee e RISO AI Hisenhart. Sopra le deformazioni continue delle superficie reali applicabili sul paraboloide a parametro puramente immaginario (pres. dal Socio Bianchi) . io Rossi. Sulla costante di trasformazione del Radio (pres. dal Corrisp. Cantone), (iO Amadori. Sulla capacità degli alogenuri sodici di dare soluzioni solide ad alta temperatura (pres. dal Socio Cramician) . PAIR I ROTAIA SOT Ti E E) Compagno. Separazione e determinazione quantitativa dell’antimonio nei metalli bianchi da «RIA Prion Lebesgue (pres. dal cuscinetti (pres. dal Corrisp. Peratoner) IMRO RA È D) Quartaroli. Sulle soluzioni citrofosfatiche (pres. dal Socio Paterno) NT BD Sandonnini. Analisi termica del sistema cloruro d’argento-solfuro d’argento (pres. dal Socio Ciemicin) i.» 4 O o AT Calcagni. Solfati anidri (pres. dal Socio Paterno) . .. . . 0 ANITA) (all TAN SAMB) Colacicchi. Sintesi del Fillopirrolo (pres. dal Socio Ciamician). . . BONISUIO AE n Sandonnini e Aureggi. Analisi termica di miscele binarie di cloruri di elementi monova- ne ere 19) 0 0 ene Ravenna e Barbieri. Sulla presenza dell’acido cianidrico libero nelle piante (pres. /4.) (*) » Parravano e De Cesaris. Il sistema Sha S-Sn$S (pres. dal Socio Ea NI ; Platania. Misure della temperatura della lava fluente dell'Etna (pres. dal Socio Ricco) . » Issel. Dove si sviluppano le Globigerine ? (pres. dal Socio Grassi) i Ban, Petri. Formazione e significato fisiologico dei cordoni endocellulari nelle viti affètte da aric- ciamento (pres. dal Socio Cuboni) MORE MOR A n Donati. Di alcune particolarità embriologiche in Poinsettia pulcherrima R. Gr. (pres. daliSocioWrragia). . \\ ct 0000 3 SEITE ae. Ce)t 0, LI Pai VS ALIMENTANO ” Pavarino. Batteriosi dell'Aster chinensis L.: Bacillus Asteracearum n. Sp. (pres. daliSocioNBri08 I) OMO RICA CAMERA RARO INI A O I 0) 514 Segue în terza pagina. A I (*) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. rinite dl (04:01! SI Pubblicazione bimensile. Roma 21 aprile 1912. N, 8: AT DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO. CGIE 191929 STEMIEEE Q USN=P A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 aprile 1942. Volume XXI. — Haséicolo ICÙ J° SEMESTRE. PLETRI Rene SR 7 nsoniani Instgyy SES (8, >) % è ai 21 1912 ) | Wa i o A Honal Micenei Ual Must ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1912 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Sere quenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano .una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti ; 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, 4. I Rendiconti non riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I. I. Le Note che oltzepassino i limiti indt cati al paragrafo precedente, e le Memorie pros priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci 9 da Corrispondenti. Per le Memorie presontati da estranei, la Presidenza nomina una Com missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con nna delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o în sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - 4) Colla semplice pro. posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre cedente, la relazione è letta in seduta pubbliss. nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si axverts che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti ugli au tori di Memorie, se Soci c Corrispondenti, 50 ge ostranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mesug a carioo degli antori RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. \NAAAZNN Seduta del 21 aprile 1912. F. D' Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Della trasformazione delle forme differen ziali quadratiche. Nota del Corrisp. G. Ricci. La determinazione degli invarianti differenziali assoluti proprii delle quadriche differenziali è problema di fondamentale importanza per lo studio delle loro trasformazioni e per quello delle proprietà intrinseche delle va- rietà. Esso fu completamente risoluto da Casorati (!) per quanto risguarda le forme binarie e nel caso generale fu ricondotto per merito di Ohristoffel (*) al problema puramente algebrico della determinazione degli invarianti comuni alla quadrica data, alla forma quadrilineare covariante di Riemann da essa dedotta, ed a quelle che se ne traggono con successive derivazioni covarianti. Nella presente Nota applico il metodo da me esposto in un recente studio (*) alla determinazione degli invarianti comuni alla quadrica fonda- mentale ed alla forma quadrilineare di Riemann ad essa relativa; ed ottengo così un sistema completo di invarianti differenziali di 2° ordine. Lo stesso metodo potrebbe estendersi senza modificazioni essenziali alla risoluzione dello stesso problema per quanto risguarda gli invarianti differenziali di un ordine qualunque. (*) Ricerca fondamentale per lo studio di una certa classe di proprietà delle su- perficie curve. Annali di Matematica pura ed applicata pubblicati da B. Tortolini, tomi IIl e IV. (*) Weber die Transformation der homogenen Differentialausdricke zweiten Grades. Borchardt's Journal 70°" Band. (°) Di un metodo per la determinazione di un sistema completo di invarianti per un dato sistema di forme, Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo Tomo XXXVIII. KRenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 69 — 528 — 1. Sia una varietà V, rappresentata intrinsecamente dalla quadrica dif- ferenziale } LP ci DA AUys dx, dxs e sla i rstu Art,su dir das dx, dx, la forma quadrilineare di Riemann ad essa spettante. Le relazioni lineari, che legano fra di loro i coefficienti di F si rias- sumono (*) nelle (1) Ort,su= — Qtr,su = — Qrtus (2) Urt,su < Uruzts + Ursut = 0; per esse il numero dei coefficienti stessi linearmente indipendenti scende a __ n°(n° — 1) NE= 10 3 Dalle (1) e (2) seguono poi le (3) Qrt,su = Asu,rt è Si denotino con a® i coefficienti della forma reciproca di , si ponga P (4) 075 = Tnq APP Apr,as e si consideri la forma {= Cada covariante a @ e ad F. Si suppongano tutte distinte le radici 0, ,03,..., 0, della equazione ca- ratteristica las — 00,s||=0. Ciascuno degli x sistemi di equazioni Z(2,s _ 0; drs) 49 = degl 2,2) 3 Ars AN AO=1 | o=1,4,.. ammette in tale ipotesi una soluzione determinata a meno del segno, per la quale, designando con Al (r=1,2,...) delle opportune funzioni in- tiere di grado x —1 nella o; e posto n (5) EDI 1 (%) Cfr. Ricci, Sulla determinazione di varietà dotate di proprietà intrinseche date a priori. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, 2° semestre 1910. — 529 — possiamo assumere AD (6) MII MIE Mi Per î=1,2,...,% le 4) (-=1,2,... n) costituiscono i sistemi coordinati controvarianti delle congruenze appartenenti alla ennupla principale (in questo caso unica e determinata) della V,,. Le radici 0,,2,--@n della equazione caratteristica sono poi gli invarianti principali della V, stessa ('). Si osservi ora che il numero degli invarianti assoluti indipendenti co- muni alle forme g ed F è ey e che esso risulta eguale ad x per n= 3, maggiore di 2 per n > 3. Perciò per n=3 gli invarianti principali costituiscono un sistema completo di in- varianti differenziali di 2° ordine per la forma g. Nel caso di n>83 il problema di determinare un tale sistema è invece ancora da risolvere. Poniamo (7) Vihjh = Zrstu Urtsu 7) 459 09) Via, (3) Yan = Ti Vinsik Ziir = È; 0rs 49 . Dalle (1) e (2) seguono le (9) Vih,jk = — Yni,ja = — Vihykj (10) Vinsa + Vikni + Vigin = 0 e quindi le Vin,jt = Vjksih » da cui le Ynka = Ykh- Le (7), il cui numero è eguale ad N, sono risolubili rispetto alle @r1,su equivalendo esse alle IÀ n (7 } Uri,su =" Zih,jk Vin, jk dir À;rs Ànyi yu ’ e però le yin,;n da esse definite considerate come funzioni delle 4,,s, sono fra loro indipendenti. Se si osserva di più che dalle (4) e (7’) seguono le rs = pk Yhk Znjr xs (1) Cfr. Ricci, Direzioni ed invarianti principali di una varietà qualunque. Atti del R. Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, tomo LXIII, pag. 1233. — 580 — e sì ricorda che la sostituzione lineare ZA. Agi ee A Zo)1 ARONA n nf (IIa RARI E riduce ad espressione canonica la forma f sì stabiliscono le relazioni (11) Z; Yinin = @h (12) Z: Yinin = 0 (X=£ A); di cui queste ultime, in numero di snob, legano fia di loro le yinjx. E poichè dalle (7), stante la natura controvariante delle 4, risulta che esse sono invarianti assoluti, si conclude che esse ci forniscono un sistema com- pleto di invarianti assoluti comuni alle forme g ed F. 2. Gli elementi di questo sistema non sono però fra loro indipendenti, poichè tra essi hanno luogo le relazioni (9), (10) e (12). Di più essi sono irra- zionali nei coefficienti delle forme « ed F\ in quanto le loro espressioni con- tengono le 4, e queste per le (6) si esprimono per la radice 0; della equa- zione caratteristica. Si tratta ora di costruire colle Vinjr un sistema completo di invarianti razionali tutti fra' loro indipendenti, e però in numero di N Ae, il cui carattere invariantivo, appunto per la loro natura razionale, sarà indi- pendente dalla ipotesi restrittiva fatta sopra circa la natura della equazione caratteristica. I risultati, a cui giungeremo, varranno quindi per tutte le forme differenziali quadratiche definite. Costruiremo perciò colle Yinsr delle funzioni razionali simmetriche delle radici della equazione caratteristica, e a questo intento gioverà osservare : 1°) che per le (5) e (6) sono razionali nelle €01,02, ,0n i quadrati delle y;n,;x ed, in generale, tutti i loro prodotti nei quali ogni indice appaia un numero pari di volte; 2°) che sono simmetriche rispetto alle 0,,02,..., 0, tutte le funzioni delle 7;n,;x simmetriche rispetto agli indici 1,2,...n. Premesso ciò, designamo con (hjk) una combinazione a quattro a quattro, anche con ripetizione, di questi indici e formiamo le funzioni ele- mentari simmetriche dei tre invarianti Vihjk > Vikhj > Yij,rn. Osserviamo che per le (10) quella di 1° grado risulterà identicamente nulla, e designamo quelle di 2° e 8° grado rispettivamente con Ginjn ® Binja; poniamo cioè (13) Cinjn = Vin,jn Vih,nj È Vihsjk Vig,nn & Yikyhj Vij,Kh (14) Binjn = Vin,jh Vik,hj Vij,Kh - — 531 — Per quanto fu sopra osservato le @;x;x e la #?2jx sono razionali nelle radici della equazione caratteristica; ed è poi facile riconoscere, avendo presenti le (9), che esse sono simmetriche rispetto agli indici 2.%,7,%. Di più per le (15) Vinin = Yingj = 0, che seguono dalle (19), sono identicamente nulle le @;n;x, che non abbiano almeno tre indici distinti, e le #;n;x, nelle quali anche due soli indici coin- cidano. Essendo poi enti 2 Cihik = — Yihyik si riconosce che, designando in seguito con ((XjZ) una combinazione sem- plice qualunque della classe quarta degli indici 1,2,...,7, al sistema di invarianti irrazionali y;n,;x» legati fra di loro dalle relazioni (9) (10) e (12), sì può sostituire quello che risulta A) delle yin;in in numero di x(n — 1): 2 B) delle yîn;x in numero di #(n — 1) (2 —2):2 C) delle «;,;x in numero di x(n —1)(a-2)(n —3):24 D) delle #în;x, in numero di (n 1)(n-2)(n—-3):24. Avremo così in tutto N invarianti razionali nelle radici della equazione caratteristica legati fra di loro dalle sole relazioni (12), le quali concernono soltanto gli invarianti del gruppo B e sono in numero di x(x — 1):2, e sarà opportuno sostituire ad essi un sistema di n(n —1)(n —3):2 tutti invarianti fra loro indipendenti. Ciò si ottiene nel modo che segue. Si osservi che alle yî,,;x sì possono sostituire le y;,,;, combinate secondo 1 criterî già esposti, in modo da avere delle espressioni razionali nelle radici della equazione caratteristica. Si fissi ora una qualunque combinazione (AE), semplice e di seconda classe, degli indici 1,2,8,..,z e delle y;n;x, il cui numero per le (15) si riduce ad x — 2, si costruiscano le funzioni simme- triche elementari. Per le (12) saranno identicamente nulle quelle di primo grado; per le rimanenti cioè per m=2,3,..m—2 indichiamo con B quelle di grado m, cioè poniamo Bi, = DI Vinyik Yjhyjk (i) (DS EE SGI Bi = DI Vihyik Yjh,jk Yghygk (ij9) intendendo le sommatorie estese a tutte le combinazioni semplici e rispet- tivamente delle classi 2*,32,... degli indici 1,2,...x. Con B, desi- 590, —_ gnamo poi l'insieme delle Bî o quello dei loro quadrati, secondo che m è pari o dispari. Ciascuno dei gruppi B,, conterrà n(n —1): 2 invarianti razio- nali nelle radici della equazione caratteristica, ed avremo così in tutto n(n—-1) (a —3):2 invarianti tutti fra loro indipendenti, che potranno pren- dere il posto di quelli del gruppo B. Riassumendo, gli invarianti appartenenti ai gruppi A, CDEB-R e B,-», costituiranno, per la quadrica differenziale g, un sistema completo e non esuberante di invarianti differenziali di 2° ordine, razionali nelle radici della equazione caratteristica. E se con essi costruiremo comunque altrettante funzioni intiere, tutte fra loro indipendenti e di più simmetriche rispetto agli indici 1,2,...,, avremo costruito un sistema completo di invarianti diffe- renziali di 2° ordine per la quadrica differenziale , che potrà essere qua- lunque, purchè definita. Nella effettiva costruzione di tali funzioni sarà tuttavia opportuno pro- cedere separatamente per ciascuno dei sistemi parziali (tutti invarianti ri- spetto al gruppo simmetrico di grado 7), nei quali il sistema completo degli invarianti irrazionali, precedentemente costruito, è risultato decomposto. 3. Per n= 2 abbiamo da considerare il solo gruppo A, che risulta del solo elemento y,3,1», che è razionale nei coefficienti di e nelle loro derivate e coincide coll’invariante di Gauss. Per 2=3 abbiamo aneora il solo gruppo A, costituito però in questo caso di tre elementi, che si possono fare corrispondere uno per uno ai tre indici 1,2,3, e che coincidono cogli invarianti principali della varietà, la cui metrica è definita da g. Il sistema completo degli invarianti razio- nali è dunque costituito dalle loro funzioni simmetriche elementari. Per 2 >3 si può ottenere un sistema completo di invarianti razionali costruendo separatamente per ogni gruppo parziale di invarianti irrazionali le funzioni elementari simmetriche dei suoi elementi; ma tale metodo non sarà in generale il più opportuno. Per esempio, poichè gli invarianti yin del gruppo A corrispondono uno per uno alle combinazioni semplici di 2° classe di x oggetti, perchè delle espressioni intiere nelle Vinin Siano inva- rianti rispetto al gruppo simmetrico G, di grado n, è necessario e basta che esse lo siano, non rispetto all’intiero gruppo simmetrico di grado 2(n — 1):2, ma rispetto ad un sottogruppo di questo isomorfo a G,. E la stessa cosa vale anche per gli elementi di ciascuno dei Sup pio: Bei Quanto ai gruppi C e D, per 2==4, essi risultano ciascuno di un solo invariante, che è razionale. Per n => 5 perchè delle espressioni intiere negli elementi del gruppo C (o D) sieno invarianti rispetto a G,, non occorre che esse lo siano rispetto all’intiero gruppo simmetrico di grado x(n—1) (n—2)(n—3):24. È invece necessario e basta che lo siano rispetto ad un sottogruppo in questo contenuto, che è isomorfo a G,, e che, soltanto per n= 5, coincide col gruppo totale. — 539 — Astrofisica. — Osservazioni astrofisiche della Nova (18.1912) Geminorum 2, esequite nel R. Osservatorio di Catania. Nota preliminare del Socio A. Riccò. Le dette osservazioni sono cominciate al 20 marzo e sono continuate finora. Osservatori e strumenti. — To ed il dott. V. Fontana abbiamo fatto osservazioni visuali coll’equatoriale Cooke e col refrattore Merz, e spettrosco- piche coll’oculare spettroscopico, sistema Abbe, costruito da Zeiss, munito di scala delle lunghezze d'onda. Il prof. A. Bemporad ha fatte osservazioni fotometriche col fotometro a cuneo, registratore, sistema Miller-Toepfer. Il dott. Fontana ha fatto fotografie dirette coll'equatoriale fotografico e spettografiche colla prismatie camera, da noi messa assieme con un obbiet- tivo Petzval di Zeiss ed un prisma di Schaer di 11 cm. di diametro; per queste fotografie si sono adoperate lastre pancromatiche Wratten. Riferisco brevemente i primi risultati. Colore della Nova. — È stato generalmente giallo-aranciato, volgente maggiormente al rosso nelle ultime sere, specialmente al 27 marzo, in cor- rispondenza ad un minimo, come si verificò nei minimi di Nova Perser TI0DNZA(O)! Intensità luminosa. — È andata generalmente decrescendo: la gran- dezza al 20 marzo era 5%,5; al 25 vi fu un rialzo, grandezza 4,9; al 27 un minimo 6%,4; attualmente (10 aprile) la grandezza è intorno la 62. Spettro. — Nel periodo delle nostre osservazioni è stato quello carat- teristico delle MWovae, subito dopo il grande massimo di luce all'apparizione; pertanto è costituito da uno spettro continuo dal rosso al violetto, più lumi- noso nella metà verso il rosso, in relazione al colore dell’astro; poi dalle righe dell'idrogeno, larghe, lucide al lato meno refrangibile, oscure all’altro lato; inoltre da righe lucide dell’ Elio, del Calcio, del Magnesio ecc., ed anche dalla riga lucida X=501uw, caratteristica delle nebulose, ed attri- buita da alcuni ad un elemento nuovo, detto perciò redulzo, secondo altri appartenente all’azoto. Osservazioni spettroscopiche visuali. — Coll’ osservazione all’ oculare spettroscopico si sono viste e riconosciute le seguenti righe di Fraunhofer: C, F, G, 5; inoltre si sono notate fra C ed F, oltre che la d, traccie di (1) Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, vol. X, 1° sem. 1901, pag. 393. — 534 — zone lucide intercalate da righe oscure e fra queste lucide, tra Fe b, si è poi identificata colla fotografia la predetta riga delle nebulose. Al di là di G nel violetto si sono pure viste traccie di righe, che poi sono state pure identificate colla fotografia. Osservazioni spettrografiche. — Negli spettri fotografici, fini, ma lunghi soltanto circa 9 mm. da C=H, fino ad Hs, non si può fare uno studio molto particolareggiato ed esatto. Il dott. Fontana ha eseguito’ col macromicrometro le misure dei migliori spettri ottenuti, e quindi ha rica- vato graficamente le lunghezze d’onda e l'identificazione delle righe; la quale è riuscita più sicura per il caso fortunato che le misure del macro- micrometro, rappresentate graficamente con 25 mm. per 1 mm., sono risultate esattamente nella stessa scala della fotografia dello spettro del Y/ash, otte- nuta dalla spedizione italiana per l’eclisse solare del 1905 (*), della quale il prof. Mendola fece un ingrandimento fotografico a 8 volte; in questo si riscontrano tutte le righe lucide misurate con sufficiente sicurezza nello spettro della Mova, e delle quali si dà qui l'elenco: CI#E Ma AL Idrogeno. DI RE ORPORR, Magnesio. AO Nebulio?: riga principale delle nebulose. AI 0 Nebulio?: riga secondaria delle nebulose. RR Idrogeno. À =465 a 4= 459: zona che sembra composta di diverse righe, divenuta più evidente nelle ultime fotografie; fotografata già da noi anche nella Nova Persei. i DECIAMEENE o. G=H,..... Idrogeno. = 423 .... Calcio; fotografata da noi anche nella Nova Persei. VOIAH E Idrogeno: pare formata di tre nelle ultime fotografie. Z =403 .... Elio; fotografata da noi anche nella Nova Persei. IAA RA OO: Calcio. Res Calcio. HE RRAno Idrogeno. HI aL Idrogeno. Het RACER RA i Idrogeno. Variazioni delto spettro. — Se ne sono notate nel corso delle nostre osservazioni, ma di ciò si tratterà un’altra volta. (*) Rendiconti R. Accad. dei Lincei, vol. XV, 2° sem, 1906, pag. 343. ) — 539 — Mineralogia. — Sulla identità della sinchisite con la part site. Nota del dott. E. QueRCIGH, presentata dal Socio G. STRUEVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — / sistema Sb, Sy- Sn S('). Nota di N. PARRA- vano e P. pe CrsARIS, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Sono stati preparati numerosi solfoantimoniti (?), e parecchi ne esistono anche in natura (*). Alcuni solfoantimoniti di Cu, Ag e Pb sono stati preparati da Som- merlad (*) scaldando il trisolfuro di antimonio con i cloruri dei rispettivi metalli, o fondendo assieme i due solfuri; ma, al solito, le uniche caratte- ristiche di cui questo autore si è servito per stabilire la natura di individui chimici definiti dei suoi prodotti sono l’analisi chimica e il peso specifico. Per definire perciò la composizione dei solfosali che possono originarsi dalle miscele fuse delle rispettive coppie di solfuri abbiamo voluto studiarne i diagrammi di fusione. Riferiamo in questa Nota le esperienze sulla coppia Shs Ss - SnS. Abbiamo in corso ricerche sopra altre coppie sulle quali riferiremo prossimamente (*). I solfuri adoperati provenivano dalla casa Kahlbaum, ed erano stati ot- tenuti per precipitazione. Il solfuro di antimonio conteneva 71,29:°/, di Sb — per Sb, $; si calcola 71,40 — e fondeva a 545°. Pélabon assegna ad Sb, S; il punto di fusione 555° (9); Guinchant e Chrétien lo trovano invece a 540° (7). (1) Lavoro eseguito nell’Istituto chimico della R. Università di Roma. (2) Pouget, Ann. Chim. Phys [7], /8, 508 (1899). (3) Groth, Chemische Krystallographie. Zweiter Teil, 760 (1908). (4) Zeitschr. Anorg. Ch. 25, 173 (1897); ibid. 8, 420 (1898). (5) Assieme alle ricerche che qui esponiamo avevamo portato a termine anche lo studio del sistema SbsSs-AgaS. Però sul primo fascicolo di aprile del Chem. Centralbl. (pag. 1088) sono comparsi i riassunti di due lavori di Jaeger e Jaeger e van Kloester sui solfoantimoniti di Ag e Pb pubblicati nei Rendiconti dell'Accademia delle scienze di Amsterdam. Non crediamo più opportuno perciò di far noto anche il nostro diagramma del sistema Sb, Ss-AgeS, tanto più che i nostri risultati concordano con quelli dell’au- tore olandese, e questi alla lor volta sono una conferma di quelli che aveva già ottenuti Pélabon, nel senso che dalle masse fuse si formano due composti stabili: Sha Ss.3Ag3$, Sba Ss. AgaS. (9) C. R. 136, 1450 (1903). (7) C. R. 138, 1269 (1904). RenpIconTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 70 — 536 — Il solfuro di stagno conteneva 71,99 °/, di Sn, mentre per Sn S si cal- cola 78,77. Per eliminare l'eccesso di solfo lo abbiamo fuso e mantenuto 10-15' a una temperatura di 900-950° in corrente di azoto. Si è così avuto un solfuro con 77,75 °/, di Sn e che fondeva a 850°. Biltz (') che ha stu- diato il sistema Sn-S trova — d'accordo con Pélabon (@) — 880° come punto di fusione di SnS. Questo valore di 880° vale però per una compo- sizione del solfuro esattamente corrispondente alla formola SnS; esso si abbassa notevolmente per la presenza di un eccesso anche piccolo di metallo o di zolfo: cioè SnS rappresenta un massimo sulla curva di fu- sione del sistema stagno-zolfo, analogamente ad altri solfuri, come Cu, S (8), e a differenza di altri, come PbS, Ag:S ed FeS (*), per i quali ultimi le esperienze non solo hanno dimostrato l’assenza di un massimo, ma non hanno dato neppure alcun appoggio sicuro a ritenere che nelle vicinanze di essi le relative curve di fusione presentino un gomito o un massimo coperto. Il nostro solfuro conteneva circa l'1°% di S in più rispetto a SnS, e a questo perciò è dovuto il punto di fusione più basso di 880°. I solfuri, in genere, perdono facilmente zolfo quando vengono fusi, e perciò non è sempre possibile ottenere senz'altro leghe corrispondenti esat- tamente alle formole dei composti, e mantenerle tali dopo fusione. Per questo noi dovevamo, più che altro, aver cura di sperimentare in modo che il rapporto fra lo zolfo e i due metalli Sb ed Sn si mantenesse nelle nostre misure quello che corrisponde alla composizione dei termini finali della serie di miscugli che abbiamo studiati. Infatti, nel caso di miscele di solfuri, più che con sistemi binarî veri si ha a che fare con sezioni del diagramma nello spazio dei sistemi ternarî due metalli e zolfo, passanti esse sezioni per punti dei sistemi binarî limiti metallo-zolfo corrispondenti alle concen- trazioni delle leghe che restano dopo fusione; e perciò solo se lo zolfo è presente esattamente nel rapporto che corrisponde ai termini limiti è giusti- ficata la rappresentazione dei risultati nel piano, perchè altrimenti c’è bi- sogno della rappresentazione nello spazio. Le esperienze sono state fatte col dispositivo più volte descritto. Tranne in tre esperienze, che più sotto indicheremo, sono stati adoperati sempre 30 gr. di miscuglio. La fusione e il raffreddamento venivano fatti compiere in atmosfera di azoto. La composizione delle masse fuse è stata stabilita per via analitica, tanto più che la fragilità del materiale ci ha permesso di triturare finemente i campioni, e di avere così dei saggi che rappresentavano bene la composi- (*) Zeitschr. Anorg. Ch. 59, 284 (1908); ibid. 64, 229 (1909). (*) C. R. 742, 1147 (1906). (*) Friedrich, Metall., 5, 23, 50 (1908). ( +) Id. ibid. — 537 — zione media dei miscugli studiati, anche se nei diversi punti di essi la composizione fosse stata diversa per liquazione. La separazione di antimonio da stagno è stata fatta col metodo di Henz ('): l’antimonio fu dosato come ShsSs e lo stagno fu calcolato per differenza. Le composizioni così stabilite analiticamente differiscono solo di poco, al massimo 1-14°/, da quelle che si calcolano dalle quantità di Sh. S; e di SnS fuse assieme. I risultati delle esperienze sono riprodotti nella tabella. i A Tozzi»; A $ del e Sba Sa Sn S Lo Geuno I II I Il 1 100,00 0 045° —_ - _ = 2 95,00 5,00 928 _ 460° — 120” È) 89,20 10,80 900 = 466 = 150 4 85,00 15,00 485 = 460 —_ 225 5) 81,80 18,20 — = 470 _ 300 6 75,00 25,00 485 = 460 90” 105 7 71,40 28,60 490 480° 460 —_ — 8 70,43 29,57 500 480 460 105 75 9 69,15 30,85 918 485 465 — 10 65,24 34,76 045 485 465 — — il 62,69 87,81 968 481 458 75 60 12 60,10 39,90 590 480 460 60 60 13 56,60 43,40 612 480 450 60 30 14 48,60 91,40 650 474 460 75 45 15 45,20 94,80 674 470 455 60 45 16 39,56 60,44 694 480 462 45 45 17 83,15 66,85 725 474 458 60 30 18 27,20 72,80 760 466 — 45 — 19 19,62 80,38 790 470 _ 80 DA 20 16,66 83,94 800 470 —_ _ = 21 10,64 89,36 830 — = — _ 22 = 100,00 850 - - _ — Dei miscugli 2, 4, 6 si è determinata la curva di raffreddamento per controllo del diagramma quale risultava da tutto il resto delle esperienze, e siccome le temperature critiche trovate per essi si adattavano bene al decorso della curva di fusione calcolandone la composizione dalle quantità di solfuri fuse assieme, non ne abbiamo fatta l’analisi. Del resto, come si (!) Zeitschr. Anorg. Ch. 37, 56 1903). è detto, in tutte le altre esperienze la composizione trovata analiticamente e riportata nella tabella non differiva mai più dell'1-15°/ da quella cal- colata. I miscugli contenenti da 0 a 20-22 ‘o di SnS iniziano la solidifica- zione con soprarafîreddamento, ed hanno una temperatura iniziale e una finale di solidificazione. I miscugli con più del 25°/ di Sn$ iniziano invece la solidificazione senza sopraraffreddamento, e presentano due arresti nella ca- duta della temperatura, uno a circa 480° e uno a circa 460°; l'arresto a 480° si trova fino a una concentrazione di circa il 15°/, di Sh,Ss, mentre l'altro a 460° sparisce già a circa il 80°/ di Sby Ss. Ora i solfuri, anche se puri, solidificano in genere in un lungo inter- vallo di temperatura, cosa che può dipendere dal non essere essi, a diffe- renza dei metalli. buoni conduttori del calore, in maniera che durante la solidificazione arriva al termometro meno calore di quello che questo cede all'esterno. È stato anche fatto osservare che possono influire nello stesso senso i centri di cristallizzazione, se pochi, la velocità di cristallizzazione, se piccola, e in ultimo anche i pori che si formano nelle masse fuse dei solfuri, i quali pori possono impedire un intimo contatto col termoelemento. Tutto questo potrebbe perciò indurre a ritenere che i due arresti a 480° e a 460° non siano dovuti in sostanza che ad una stessa reazione, cioè alla separazione di un eutettico Sb, Ss +SnS, come ha fatto Friedrich per il si- stema Fe S-Zn$ (!). Noi però riteniamo che così non sia nel nostro caso, e che i due arresti corrispondano invece a due reazioni diverse che si compiono nella massa solidificantesi, e questo per due ragioni: perchè essi sono sempre nettamente distinti, e perchè il tratto di curva corrispondente alla solidifi- cazione dell’eutettico è continuo in tutti i miscugli da 0 a 25°/ di SnS. 6 non sarebbe ragionevole ammettere che, mentre da 0 a 25 °/, di SnS la solidificazione dell’eutettico si compie in modo continuo, dal 25 in su essa abbia luogo in due stadi. Con i dati della tabella si è costruito il diagramma riprodotto nella figura. Per quel che si è detto sopra, il tratto orizzontale a 480° corrisponde alla reazione di formazione di un composto fra cristalli di SnS separatisi per primi, e il liquido che a quella temperatura è a contatto con essi. La composizione del composto non è però facile a stabilirsi, perchè il nuovo solido che si forma avvolge i cristalli di SnS e li sottrae alla reazione col liquido, il quale, invece di reagire a 480° fin che dovrebbe, continua a solidificare mentre la temperatura si abbassa a 460° dove cristallizza l’eu- tettico. Questo si deduce dai tempi di arresto a 480° e 460°: a 480° il tempo di arresto è massimo fra il 25 e il 85 °/o di SnS, mentre, come è (1) Metall. 5, 114 (1908). — 539 — indicato nella figura, l'arresto eutettico sparisce solo verso il 70°. Fra il 25 e il 35°/ di Sn$S non c’è però modo di stabilire con precisione quale è la concentrazione a cui corrisponde il tempo massimo di arresto a 480°, non potendosi ricorrere all’artificio di mantenere a lungo ì miscugli verso i 480° per dar tempo alla reazione di compiersi, perchè le esperienze con sostanze come i solfuri debbono essere fatte con una certa rapidità per la perdita di zolfo che essi subiscono se esposti a lungo a temperature alte. Sb, G,i00 90 80 70 60° so 40 30 20 10 0 o so 20 So. Lo So 60 70 80 90 100 Sa Noi abbiamo voluto anche fare tre esperienze con miscugli di 50 gr. l'uno — e perciò i tempi di arresto non ne sono riportati nella tabella — e ri- spettivamente con 28. 60, 30. 85, 34. 76 °/, di SnS, nella speranza di avere effetti termici più notevoli che ci permettessero di trarre conclusioni con maggiore sicurezza; ma la durata dell'arresto a 480° fu quasi la stessa per tutte e tre le composizioni. Pur non permettendoci così i risultati delle esperienze di stabilire esatta- mente la formola del composto, noi crediamo però molto probabile per esso la formola Sb,S;.SnS= Sn(Sb Ss): la quale richiede 30,97°/ di SnS. Questo metasolfoantimonito di stagno verrebbe così a porsi a lato ai varî altri metasolfoantimoniti che si trovano in natura, e ai quali abbiamo ac- cennato in principio. — 540 — Dalla parte di Sb,S; cristalli misti non esistono, o esistono solo in con- centrazione molto piccola in Sn$S, perchè il miscuglio 2 col 95 °/, di Sb,S; presenta ancora un arresto notevole della temperatura a 460°. Dalla parte dell’ Sn S invece si separano cristalli misti che contengono fino a circa il 15°/ di Sha Ss. Abbiamo esaminato anche al microscopio la struttura dei masselli fusi senza però poterne ricavare elementi più conclusivi dei dati termini per la formola del composto. Chimica vegetale. — Su//a presenza dell’acido cianidrico libero nelle piante (*). Nota II di C. RAVENNA e V. BABINI, pre- sentata dal Socio G. CIAMICIAN. Nella ricerca precedentemente eseguite sopra questo argomento da uno di noi col dott. Mario Tonegutti (?), ci eravamo proposti di stabilire come variasse, nelle diverse epoche dell’anno, la quantità di acido cianidrico libero supposto presente nelle foglie di lauroceraso. A questo scopo furono presi in esame e raffrontati fra di loro i metodi proposti per una tale determinazione diretti tutti all’intento di impedire per mezzo dell'alcool, dell’acqua o di una soluzione salina bollente ogni azione enzimatica sul glucoside cianogenetico. Le foglie in esperimento venivano rapidamente immerse nel liquido bollente, oppure quest'ultimo si versava sulle foglie e si procedeva immediatamente dopo alla distillazione col vapore e successiva titolazione del distillato con nitrato d'argento. I risultati incostanti che si ottenevano, ci dimostrarono però la scarsa attendibilità dei metodi suddetti; appariva infatti che l’in- tento di distruggere istantaneamente l’enzima non era raggiunto, poichè una quantità variabile del glucoside si scomponeva durante il trattamento, anche operando colle maggiori cautele. Per questo motivo ideammo un nuovo me- todo di ricerca secondo il quale le foglie, in quantità non inferiore ai 25- 30 grammi, venivano immerse per un minuto, una alla volta, in una capsula contenente soluzione diluitissima di potassa caustica bollente, in modo che all'atto dell'immersione, l’ebollizione non si dovesse arrestare. Il liquido alca- lino si acidificava, dopo raffreddamento, con acido tartarico e si procedeva quindi alla distillazione in corrente di vapore. Nei distillati così ottenuti, la prova del bleu di Prussia fu sempre negativa, il che dimostrò che nelle foglie di lauroceraso, contrariamente a quanto si supponeva, l’acido ciani- drico è contenuto soltanto allo stato di glucoside o tutt'al più che, libero, vi si trova in quantità così piccole da non poter essere svelate dalla rea- zione sensibilissima del bleu di Prussia. Il risultato ottenuto ci indusse a provare il nuovo metodo sopra qualche altra pianta. Nella presente Nota descriviamo le esperienze eseguite. Le (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica agraria della R. Università di Bologna. (*) C. Ravenna e M. Tonegutti, questi Rendiconti, XIX, 2, 19 (1910). — 541 — piante prese in esame furono, oltre al lauroceraso che venne nuovamente sperimentato, il pesco, il sorgo, il lino, il nespolo. Esperienze sul lauroceraso. — Abbiamo ripetuto, col nostro metodo, sopra questa pianta, le esperienze già descritte nella precedente Nota eseguendo però la reazione anche colle cartine picro-sodate in confronto con quella del bleu di Prussia. In realtà, mentre quest'ultima reazione fu sempre negativa, le cartine picro-sodate accennarono nella maggior parte dei casi, ad un arrossamento più o meno marcato. Questo fatto può essere indizio della presenza, nelle foglie, di lievi traccie di acido cianidrico libero, oppure della scomposizione di piccole quantità di glucoside che potrebbe avvenire nel punto dove il picciòlo viene re- ciso, all'atto dell’immersione della foglia nella soluzione alcalina. Questa supposizione è risultata la più probabile poichè se si ha cura di recidere le foglie dentro alla soluzione bollente, le cartine non si alterano in modo sen- sibile. Queste esperienze furono eseguite colle foglie più giovani. Sperimen- tando invece le foglie vecchie, maggiormente coriacee, il nostro metodo si dimostrò non ancora perfetto perchè le foglie non assumendo istantaneamente la temperatura del bagno, una parte del glucoside si decompone. Esperienze sul pesco. — Queste prove vennero eseguite sulle foglie comparando il nostro metodo con uno dei vecchi sistemi di determinazione. Si preparavano, a tal fine, due gruppi di foglie il più possibilmente simili tra di loro; il primo si introduceva in un pallone che veniva messo in co- municazione, per mezzo di un tappo a tre fori, con un generatore di vapore, un refrigerante, ed un imbuto a rubinetto. Per l'imbuto si versava sulle foglie dell'acqua bollente in quantità da ricoprirle e si procedeva immedia- tamente alla distillazione in corrente di vapore raccogliendo il distillato su latte di magnesia. Sulla metà del liquido raccolto si eseguiva la titolazione col nitrato d'argento decinormale e l'altra metà serviva per le prove quali- tative. Le foglie del secondo gruppo venivano immerse, seguendo il nostro metodo, una per volta nella soluzione alcalina bollente ed il liquido otte- nuto, acidificato con acido tartarico, si distillava anch'esso in corrente di vapore su latte di magnesia. Sul liquido raccolto si eseguivano poi le stesse: prove accennate per quello proveniente dalle foglie del primo gruppo. I risultati ottenuti furono i seguenti : QUER Gruppo Peso Ag NO > HCN corrispondente 1 1° gr. 30 c. c. 2,4 | 0,0216 per cento. 2° n 26 » 0,5 0,0052 ” 2 1° n 28 n 2,0 0,0193 n 20 » 28 n 0,55 | 0,0053 ” — 542 — I distillati provenienti dalle foglie dei primi gruppi diedero, in entrambe le prove, ben marcate le reazioni del bleu di Prussia e colle cartine picro- sodate; quelli delle foglie dei secondi non accennarono alla minima reazione col sale ferroso-ferrico, mentre le cartine piero-sodate si colorarono, assai lie- Vemente però, in rosso. Esperienze sul sorgo. — Nel Sorghum vulgare era stata osservata, alcuni anni fa, da uno di noi (*) la presenza di piccole quantità di acido cianidrico libero. La ricerca venne ‘ora ripetuta col nuovo metodo operando in modo perfettamente analogo a quanto fu testè descritto per le foglie di pesco. Esponiamo quindi senz'altro i risultati ottenuti : =—neE=-{@R “ESS SAS Gruppo Peso Ag N03 - HCN corrispondente È EEE IA Il 119 gr. 29 ® @ dl 0,0102 per cento 20 n 29 » 0,3 0,0028 D) 9 1° D 59) 352 0,0157 ” DO 55 Di 0.7 0,0034 a 3 NO n 80 DEMNGNI 0,0206 » 20 » 80 » 1,0 0,0034 ” Da tutti i distillati dei primi gruppi si ottennero sempre, molto evi- denti, le reazioni del bleu di Prussia e colle cartine picro-sodate; da quelli dei secondi, le reazioni furono in un caso (numero d'ordine 1), entrambe ne- gative e negli altri due fu positiva, ma debolissima, soltanto la reazione colle cartine picro-sodate. Una simile esperienza fu eseguita anche sui semi germinanti. A tal fine, 10 grammi rispettivamente di semi vennero posti a germinare in sabbia si- licea e si operò in seguito sulle piantine, come precedentemente. Si ottennero i seguenti risultati : — rr. —————__— _ co Gruppo Peso Ag NOg N HCN corrispondente e. 10 gr. 54 c. c. 4 0,0200 per cento 20 » 55 » 0,5 0,0024 D) (*) C. Ravenna e A. Peli, Gazzetta chimica italiana, XXXVII, 2, 586 (1907). — 543 — Come sempre, si ebbero nettamente dal primo gruppo le due reazioni qualitative; dal secondo, appena visibile, soltanto quella colla cartina pi- cro-sodata. Esperienze sul lino. — Le prove si eseguirono sopra giovani piante intere tolte dal terreno circa un mese dopo la semina e si operò come nelle esperienze sopra descritte. I risultati ottenuti sono esposti nel quadro che segue: Ogni Gruppo Peso Ag NOz Da HCN corrispondente o nl pi SN 1 e gr. 22 c. c. 0,5 0,0061 per cento 20 IN 22 » 0,1 0,0012 ” 2 Jo. » 48 » 1,0 0,0056 D) De » 48 pI1012 0,0011 ” 3 1° » 60 » 14 0,0063 ” DO » 60 » 0,2 0,0009 b) Le reazioni qualitative dei primi gruppi svelarono quantità più o meno notevoli di acido prussico; quelle dei secondi furono negative. Vennero sperimentate, come per il sorgo, anche le piantine germinanti di lino ottenute rispettivamente da 5 grammi di semi. Si ebbe il seguente risultato nel quale le percentuali in acido cianidrico sono riferite al peso dei semi. _— _—————_—_—_——_7#7#+<#=<«—@_1__<<ÈST7+<-+1——_—_——€& Gruppo AgNOg T HCN corrispondente 1° c. c. 0,8 0,0432 per cento 2° n 0,2 0,0108 ” Nel distillato dal primo gruppo si ebbe positiva soltanto la reazione colla cartina picro-sodata; in quello del secondo, entrambe le reazioni fu- rono negative. Esperienze sul nespolo. — Si eseguì, con questa pianta, soltanto una prova sui semi germinanti. La semina si effettuò il 28 aprile e le piantine, prelevate il 25 luglio, misuravano, nella parte aerea, da 8 a 7 centimetri di lunghezza. RenpiconTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 71 — 544 — L'esperienza, condotta nel solito modo, diede il seguente risultato: rr. Ag NO3 si HCN corrispondente Gruppo Peso HO | a 0 c.c. 0,4 0,0108 per cento 2° » 10,5 DIRONI: 0,0026 ” Le reazioni qualitative furono positive nel primo gruppo; negative nel secondo. ConcLUSIONE. — Dalle esperienze riassunte in questa Nota risulta che nelle piante studiate non si trovano quantità di acido cianidrico libero ap- prezzabili, nelle condizioni in cui operammo, colla reazione dell’azzurro di Berlino e ciò in opposizione a quanto, almeno per alcune di esse, si riteneva. In varie prove, la reazione delle cartine picro-sodate ne rivelò, al contrario, piccole quantità. Non è agevole però poter affermare ora se tale constata- zione sia da attribuirsi a difetto del metodo di ricerca o alla reale presenza di acido cianidrico libero. Certamente una parziale, per quanto limitata scis- sione del glucoside durante le manipolazioni, non può apparire improbabile, data la singolare rapidità colla quale gli enzimi idrolizzanti possono agire sul principio cianogenetico. Cercheremo di meglio chiarire la questione in una ulteriore ricerca. Patologia vegetale. — Baztersosi dell’Aster chinensis L.: Bacillus Asteracearum n. sp.(*) Nota del dott. G. L. Pa- VARINO, presentata dal Socio G. BrIosI. Gli Astri, coltivati come piante da fiore nell’Orto Botanico di Pavia, furono attaccati l'anno scorso da una malattia che li ha fatti rapidamente seccare. L'infezione si manifestò dapprima sulla pagina inferiore delle foglie con macchie sparse puntiformi che, ingrandendosi, si fecero tondeggianti o più o meno allungate, depresse e di colore ocraceo, finchè divennero confluenti facendo raggrinzare e seccare tutto il lembo fogliare. La malattia procede dalla base della pianta verso l'apice, fino a rag- giungere ì capolini che abbruniscono e disseccano come tutti gli altri organi vegetativi. (') Questo lavoro fu eseguito nell'Istituto Botanico di Pavia, e verrà pubblicato in esteso, illustrandolo con figure, negli Atti dell'Istituto medesimo. — 545 — Dopo essermi assicurato che nelle macchie dei tessuti non vi era mi- celio, ed avendo invece riscontrato nelle parti ammalate numerosi microrga- nismi mobili, ho fatto delle seminagioni nei diversi mezzi nutritivi con pez- zetti di foglie cosparse di macchie. lavando il materiale dapprima con acqua e sapone, indi con una soluzione al millesimo di sublimato corrosivo, poscia con acqua distillata sterile e con alcool, ed in fine con etere. Con questi procedimenti sono riuscito ad isolare un microrganismo che presenta i seguenti caratteri morfologici e culturali. Aspetto microscopico e colorabilità. — Il microrganismo si presenta in forma di robusto bastoncino, della lunghezza di 5-6 e dello spessore di 0,5-0,6, qualche volta leggermente curvato e con tendenza a riunirsi in filamenti, senza formare aggruppamenti speciali. Si colora bene a freddo col violetto di genziana ed anche col Gram, quando la decolorazione non sia troppo prolungata. Comportamento rispetto all’ossigeno ed ai terreni nutritivi. — Cresce aerobicamente ed anche dove viene a mancare l’ossigeno, per cui è aerobdzo facoltativo. Si sviluppa bene nei diversi terreni nutritivi, tanto a temperatura stufa quanto a quella ambiente. Colture in agar glicerinato. — Nella coltura @ striscio si forma una patina poco rilevata e poco rilucente che, allo stato fresco, è di color giallo limone e che con l'età va diventando sempre più intensa. In agar semplice, lo sviluppo è assai meno rigoglioso. In piastra si formano colonie regolari, a margini interi, con colorazione giallo-paglia alla periferia, che va intensificandosi verso il centro. Per infissione si ha un fittone che si sviluppa specialmente alla super- ficie e va degradando lungo il canale d'innesto, con formazione di piccole colonie bianchiccie. Colture în gelatina. — Per infissione sì ha uno sviluppo lento, ma abbondante, con coppa di fusione a forma di cono tronco in basso;.lungo il canale si osserva un fittone con spirali decrescenti di color biancastro. In piastra si formano delle colonie irregolari a contorno frastagliato e leggermente giallognolo. Con l’età assumono l'aspetto di mucchietti di pol- vere di vetro. Coltura in brodo. — Si ha uno sviluppo poco abbondante che allo inizio intorbida lievemente il liquido ed in seguito forma un sedimento fioc- coso di color giallastro. Coltura in patata. — Formazione di patina abbondante, a temperatura stufa, che assume colorazione tendente al roseo ed un aspetto zigrinato nella parte secca della patina stessa. — 546 — Esperienze sulla patogenesi. — Per dimostrare l’azione patogenica del microrganismo, ho seminato gli Asfr7 in alcuni vasi ed ho infettato le gio- vani piantine con brodo di coltura pura. Dopo pochi giorni comparvero sulle foglie le macchie caratteristiche, perfettamente somiglianti a quelle forma- tesi per infezione naturale, e la malattia si è sviluppata in seguito con ra- pido decorso fino a completo disseccamento delle piante. Ho avuto quindi la certezza che il microrganismo isolato è specifico della malattia descritta e che lo si deve ritenere come una specie nuova che io denomino Bacillus Asteracearum n. Sp. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia poutiticia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII Serie 3* — TRransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II (1, 2). — HII-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIN. Serie 4* — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MemORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXI. (1892-1912). 1° Sem. Fase, 8. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XX (1892-1911). Fasc. 12°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VIII. Fase. 24°. MEMORIE della Classe di scienze moraii, storiche e filologiche. Vol. I-XII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. #9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LogscHaer & C.° — Roma Torino e Firenze. ULrico HogpLi. — Hilano, Pisa e Napoh. RENDICONTI — Aprile 1912. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Seduta del 21 aprile 1912. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Kreci. Della trasformazione delle forme differenziali quadratiche . . .. ... ae Ricco. Osservazioni astrofisiche della Nova (18.1912) Geminorum 2, eseguite nel R. Osser- vatorio di Catania . + 00 O RR Re ” Quercigh. Sulla identità della sinchisite con la parisite (pres. dal Socio Struever)(*). . » Parravano e De Cesaris. Il sistema Shs Sa-SnS (pres. dal Socio Paternò) . Mass lim F ds C Gi=CAGI fe ds f YFFY? ds = Masslim Pds — M.lim f Var + y" ds (6) (0) C1=0 Ci CI=C Ca (pe as= Masslim F ds. (0; cc % Renpiconti. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 73 — 596 — Da questa disuguaglianza e dalla (1), concludiamo che esiste il limite del- l'integrale fr, quando C, tende a C, nel modo detto, e che è Ci (2) lim Pds= f rds. (0) Ci= CRA Il nostro teorema è dunque perfettamente dimostrato. 3. Si potrebbe essere indotti a credere che il tendere a zero della dif- ferenza delle lunghezze delle curve C, e C, al tendere di C, a C, sia condi- zione, oltre che sufficiente, anche necessaria perchè si verifichi la uguaglianza (2) (tranne naturalmente il caso della F=0). È facile però convincersi del contrario. Si prenda 6 F IG 9 x 9 h == (239,9) VET e come curva C il segmento rettilineo che unisce i punti del piano (@, y) di coordinate (0,0),(1,0). Si costruisca la C, congiungendo questi due punti con una spezzata di 27 lati, tutti di lunghezza so, alternativamente perpendicolari e paralleli a C, e così disposti che quelli perpendicolari ab- biano sempre un estremo in C. È allora do” f. ds= ( ds=1 o Vay? o ra fa o dga= 1, o Vr + y'? 01 In questo caso, la (2) è dunque verificata, mentre è: lunghezza di (= 2=2. lungh. C. 4. Dal teorema del n. 2 deduciamo questo corollario: Se una linea C si deforma con continuità, in modo da conservare sempre la stessa lunghezza, l’integrale della funzione F, esteso alla C, varia pure con continuità. 5. Un'altra proposizione vogliamo ora dedurre da quella del n. 2. È necessario però premettere il seguente lemma: i Se le funzioni sn), tutte non decrescenti, convergano, per n= , în ogni punto di (a,b) verso una funzione continua s(x), la convergenza è uniforme. Preso un numero positivo e, sia d tale che dalla disuguaglianza lex — |< (@1 e «> punti di (a, 5)) si deduca sempre Ist) — (2) |<. — 557 — Si divida (4, è) in un numero r di parti tutte N, sia |s(e) — sn) < è in tutti gli 7 +1 estremi di queste parti. È allora, indicando con x, e 2 gli estremi di una parte qualunque, e con x un punto arbitrario compreso tra essi, Ia s@ e tutti i punti di (a, 0). Il lemma è così dimo- strato. 6. Possiamo, dopo ciò, dimostrare il teorema di convergenza che segue. Sia /(2,y,p) una funzione delle tre variabili 4, 4,2, tale che f r sf(c.v,E)=0.4:2.4) soddisfi alle condizioni poste per la F ai numeri precedenti; siano poi y(2), 7(x) due funzioni date nell'intervallo (a, è) ed ivi assolutamente continue. Allora Se la y(x) tende uniformemente in (a , b) alla 7(x )ef Vi 1+y6) y(&) de tende a he VIET) da, il primo dei due integrali fresa io, ff tende uniformemente, in tutto (a,b), al secondo. Per l'assoluta continuità delle funzioni y(&),7(x): 1°, esistono in tutti i punti di (4,5), ad eccezione al più di un insieme di misura nulla, le derivate y'(2) ,7(x) (*); 2°, esistono gli integrali fra My) da {11476 do e rappresentano, rispettivamente, le lunghezze delle curre y=y(x),y=7(), nell'intervallo (a, x) (*); 3°, esistono gli integrali che stiamo per scrivere (1) Vedi H. Lebesgue, Zegons sur l’integration ecc., pag. 128. (3) Vedi L. Tonelli, Sulla rettificazione delle curve. Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, 1907-08. — 558 — e valgono le uguaglianze \ Syd (02040 (3) < È de il f(@,9,9)da= ;i F(#(8) ,7(5). #5), 7/()) ds (2). Inoltre, perchè per ipotesi è b == DE im |Vi+yaa=/ FF, GY Ù è anche, per ogni x di (a, 8) (i ___ _ (hr, ___————_—__—__ lim [VITTO de = (VIP de. y=y °° f Ciò risulta subito osservando che è Min lim f VI+{y(@)}}} de > fa + {7(2)}? da y=y °° i bi AN Dyer Ta Min lim ii V1+jy"(2)}? de Sl V1+j7(0)} de. E Ù Applicando il lemma dimostrato al n. precedente, si ha anche che la convergenza dell’ integrale Î V1+}y(x)} de è uniforme in tutto (a, db). Per il teorema del n. 2 si ha poi 7$(2) s(0) lim | Feg,e,M)b=( 67,7, y=7j s(a) Anche qui la convergenza è uniforme. Invero, le s(x), poichè convergono uniformemente verso la 5(x), costituiscono una varietà di funzioni ugual- mente continue in (4,2): sono tali cioè che, preso un # arbitrario, si può sempre, in corrispondenza, determinare in d per il quale, dalla disuguaglianza zi — x2|<0, con x, 43 punti di (4, 5), scende l’altra Is(21) — s(22)|y, partendo dalla direzione positiva dell'asse x, negativamente nel verso opposto. (1) Questa condizione è inclusa nella ipotesi che la velocità della corrente sia ab- bastanza rilevante rispetto a 1/29h, per cui si possa ritenere trascurabile il quadrato del rapporto di quest’ultima alla prima. Basta notare che [cfr. n. 4]è yi =n= È. (2) Colonnetti, Su! moto di un liquido in un canale [Rend. Circ. Mat. di Palermo, 1911, tomo XXXII, pp. 51-87]. — 591 — Dopo ciò, tenuto conto dell'andamento del fondo del canale, e tenuta presente la (1), in cui si è preso c==1, si conclude quanto segue. La funzione w(2)= 9(x,y) + ic(e, y) dev'essere regolare nel campo del moto, deve annullarsi per e = 20, e sul contorno la sua parte reale ed il coefficiente di i devono soddisfare alle seguenti condizioni (vedi figura): t=0 sopra 4; 9=0 sopra w e wa, Ja sopra U1, (5) > Santo sopra ps. \ 3. Coi cambiamenti di variabile, definiti dalle relazioni : ni (6) E (f= iH +55 log funi si può rappresentare, in modo conforme, il campo del moto nel semicerchio G=|E+4|=Vv8+,<1,n=00) Riportandoci in tale campo, si trova che la funzione VA) =) | 7 = iloel = lea lo d Ala ta [= geo soddisfa a tutte le condizioni volute, essendo é, e é» due punti della circon- ferenza |îÎ|= 1 simmetrici rispetto all'asse immaginario (?). Il punto P del piano 2 da coordinare ad un È assegnato, rimane defi- nito, a norma delle (3) e (4), da MO toi (AE) ao a) s=f4= TT et (0) a) 1-° 4. Equazioni parametriche del pelo libero. — Per fare descrivere a 2 il pelo libero 4, bisogna che & percorra l’asse reale; mandando per es. da 1 a —1 si descriverà 4 dall’infinito a monte fino all'infinito a valle. Poichè per £=.0 si assume x=0, avremo per un generico punto 4 di 4 Mogli da Ei fahl (1-60) dt ea GE) (1) Cfr. Colonnetti, loc. cit., $ 6. (3) Cfr. Cisotti, Vene Auenti [Rendic. Circ. Mat. di Palermo (1908), tomo XXV, pag. 145 e seg. ], formula (37’), in cui si faccia (9) E ig n — Va=0 2 oppure Colonnetti, loc. cit., formula (56), che è identica a quella ora citata. — 592 — con è reale e compreso tra —1 e +1, yo designando l'ordinata del punto di 4 che corrisponde a £= 0. Per avere le espressioni parametriche delle coordinate x,y, basterà porre a=x + iy, fl, = 00%, f,= — erÎ0o (0 <%S j , e notando che È è reale, separare la parte reale della immaginaria. Si ottiene così, tenendo presente che all'infinito, dev'essere y=H: (IS n A VA Aero Kiog| 1t2osot4e+ iano pi ta 1—2cosoa ++ 1 — 2000820, + 1-4 cop 2° 2 d. Altezza della intumescenza. — Il minimo valore di y è H; il mas- simo si ha per é$= 0; pertanto la altezza n della intumescenza — diffe- renza fra il massimo ed il minimo dei valori di y — ha per espressione 09 2H TOO, Loti 2 (11) = es ie e one ; TT 4 2) 05 14 tg 2 6. Altezza della traversa. — L'espressione dell'elemento lineare del piano 2, cioè di |de|=|Vdx® + dy? |. in termini di & è, come risulta da (3) e (4), (12) \da|==]eî®||df]= e |df|. Per questa e per la (6) e (7), si ricava la seguente espressione, per l'elemento di traversa, __2H |do] e 02) e è (30 = ): L'altezza % della traversa viene quindi definita dalla relazione T Tr 7 f da ds (2a ) Zu cos d° seno + seno, do = g|= — oe — ——____.. Lor mt Is, Seno tI 14 Sen0) seno — seno, seno — 599 — sen 0 + sen 05 Questo integrale si valuta senza difficoltà ponendo = sen 0 — sen 0y (SI ottiene così in definitiva 4H (7 AES POET, ) 13) = IZ gi PAS IO > e n 01 ( h ul arctg I) Too a log sen To | 7. Piccola accidentalità del fondo. — Poniamo IT (14) o _- 9 cr Ea designando e un numero di cui si possono trascurare le potenze superiori alla seconda. Notando che in tale ipotesi, è seno =1—}4e°,coso= 8, le (10), (11), (13) diventano rispettivamente Al (0006 2H 1-6 He 1T—- === = == Il = © == —— ——__- ? (15) lea eat e | He? 2H YI = 9 = ===‘&g TT TT | I h Da quest'ultima scende che e è %/ rapporto H' fra l'altezza della traversa e la profondità assintotica del canale, moltiplicato per & . Le (15) valgono pertanto se di detto rapporto sono trascurabili le po- tenze superiori alla seconda. L'equazione del pelo libero 4 si ottiene dalle due prime delle (15) eli- minando tra esse il parametro $ e ponendo per « la sua espressione data dall'ultima delle (15) stesse: th? TTX (16) y=H+g 808 SH L'altezza della intumescenza viene invece definita da th? 8. Osservazione. — I risultati dei numeri che precedono furono rica- vati in base alla ipotesi c=1 [cfr. n. 2]. Essi continuano però a sussi- stere qualunque sia c. Basta porre infatti /* = cf , w* = cw, per avere il caso in cui la velocità assintotica della corrente è ec; /f* e w* sono na- turalmente legate fra loro dalla nota relazione * Cibo LO =w dz k la quale, per le sopra cennate espressioni di /* e ew*, è identica alla (3). Da ciò la nostra conclusione. — 594 — Mineralogia. — Zeunerite ed altri minerali dell’isola da Montecristo. Nota di FepERICo MiLLosevicH, presentata dal Socio G. STRUEVER. i Nelle collezioni Foresi del Museo di Firenze, da me riordinate, ho trovato alcuni campioni di una roccia granitica provenienti da Cala Maestra nel- l'isola di Montecristo, sui quali mi fu dato di notare dei piccoli cristalli laminari, col contorno, il colore e la lucentezza proprî delle cosiddette miche d'uranio. Con accurate determinazioni potei accertare che si tratta di zeu- nerite, cioè di una specie rara in genere e nuova per l Italia. Per tale ragione credo opportuno di render noti brevemente i risultati delle mie osservazioni. I cristalli di zeunerzite sono piccole tavolette a contorno quadrato, o sottili lamine, pure a contorno quadrato. Le loro dimensioni sono sempre estremamente piccole: infatti i più grandi misurano appena !/s mm. di lato basale ed hanno uno spessore ancora minore. La combinazione osservata è semplicissima ; cioè: 1001} 3190}. Le facce }001} sono liscie e lucenti; quelle di {100} poco piane, meno lucenti e marcatamente striate in corrispondenza dei piani di facile sfalda- tura basale. La sfaldatura basale è perfettissima, micacea: le lamelle così ottenute, osservate al microscopio, mostrano tracce distinte di una sfaldatura secondaria secondo }100}. ; Colore verde pomo o verde erba. Lucentezza viva perlacea su {001}; le altre facce sono poco lucenti. Cristalli birifrangenti uniassici, a doppia rifrazione negativa. w = verde erba Pleocroismo: i e = verde chiaro I caratteri cristallografici e fisici suesposti, mentre servono egregiamente a stabilire che il minerale appartiene al gruppo torbernite-zeunerite, non sono sufficienti per differenziare l’una specie dall'altra. Per togliere tale incertezza, avendo a mia disposizione per ora pochis- simo materiale e non volendo sacrificarlo per saggi chimici, e non essendo d'altra parte troppo agevole la distinzione con metodi micro-chimici dei fo- sfati dagli arseniati che, del resto, si trovano quasi sempre in queste specie in miscela isomorfa, ho pensato di ricorrere alla determinazione degli indici di rifrazione. — 595 — Nella letteratura mineralogica mancano notizie esatte sugli indici di rifrazione della torbernite e della zeunerite. Soltanto Schroeder van der Kolk () nelle sue « Tabellen » dà per la prima il valore di w=1,61 e per la se- conda = 1,64; gli stessi valori son dati da Miers (?), il quale probabil- mente li ha tratti dall'autore succitato. In un primo confronto di laminette di torbernite e di zeunerite tipiche con liquidi di noto indice retrattivo, mi accorsi che tali valori sono erronei, e quindi procedetti anzitutto alla loro esatta determinazione. Per la torbernite scelsi dalle collezioni del Museo un campione pro- veniente da Gummis Lake Mine (Cornovaglia); e sopra cristalli laminari con la faccia basale tersa e lucente, determinai, per mezzo di un rifratto- metro Pulfrich della Casa Zeiss, i seguenti indici di rifrazione per la luce del sodio: = 1,590 e= 1,581 media di 4 determinazioni in 4 diversi cristalli. w- = 0,009 Per la zeunerite invece, di cui ebbi a disposizione dei cristallini pira- midali troppo piccoli, potei determinare soltanto in via indiretta col confronto cioè con liquidi, l'indice di rifrazione del raggio ordinario su laminette di sfaldatura basale. In tal modo, per la zeunerite di Gottesberg, Voigtland, Sassonia, si ha: w= 1,627 (luce sodio). Per il minerale, invece, di Montecristo, la stessa determinazione eseguita con metodo identico mi ha dato: = 1,629 (luce sodio). Il minerale è da ritenersi quindi per zeunerite. Esso sì trova insieme con i seguenti minerati nelle druse di una gra- nitite porfirica tormalinifera, recentemente descritta da R. Ugolini (*) insieme con altre rocce dell’isola: Ortoclasio (adularia) più abbondante di tutti: fra i suoi cristalli e sopra di essi si trovano le laminette di zeunerite. L'abito di detti cristalli, assai variabili nelle loro dimensioni, è quello tipico dell'adularia con la combinazione {1106 }001f {101}. (*) Schroeder van der Kolk, J. L. C., Zadbellen zur mikroskopischen Bestimmung der Mineralien nach ihrem Brechungsindea, Wiesbaden, 1900. (*) Miers H. A., Manuel pratique de minéralogie. Paris, 1906, vag. 658. (5) Ugolini R., Rocce di Montecristo. Atti R. Accademia dei Fisiocritici, Siena, 1909, 6. RenpICcONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 78 — 596 — Così pure dell’adularia tipica i cristalli più freschi hanno anche la se- mitrasparenza e la lucentezza semi-vitrea. Altri invece sono più opachi e compenetrati di una tinta ocracea limonitica, più o meno intensa. L'ortoclasio nella sua varietà adularica, che si trova nelle spaccature e nelle druse della granitite, è certamente di una formazione distinta e po- steriore ai grossi interclusi porfirici della roccia, che hanno l'abito cristal- lografico dell'ortoclasio tipico. Il fatto di una seconda generazione di feldspato sotto forma di adularia dovuta ad azioni posteriori al consolidamento del magma della roccia è frequente anche nel granito Elbano, e sovra di esso mi riservo di tornare con più ampî particolari in altra occasione. Arsenopirite. È relativamente abbondante in masse a struttura granu- lare cristallina di color grigio acciaio. Spesso è alterata e ricoperta di /#m0nz7e, la quale chiazza anche largamente la roccia all'intorno e ne compenetra i minerali. Qua e là intorno alle masserelle di arsenopirite la roccia assume anche la colorazione giallo-verdastra della melanterite. la cui presenza si riconosce subito, lisciviando anche superficialmente la roccia inquinata. Calcopirite e bornite in piccolissima quantità sono intimamente asso- ciate all’arsenopirite. Tormalina. L’ Ugolini ha fatto rilevare nel suo citato lavoro che la tormalina, nella roccia da lui denominata granitite porfirica tormalinifera, si trova non già disseminata uniformemente, ma invece riunita qua e là in concentrazioni. Siffatte concentrazioni si trovano anche nel giacimento di Cala Maestra; e in un campione di esse, donato al Museo dal prof. G. Roster, ho potuto osservare le forme dei cristalli neri che la costituiscono. Le ferme son le seguenti: {101} {100} 3111 {211} {112}. I cristalli sono prismi piuttosto tozzi, neri lucenti, con facce prismatiche striate: più sviluppate fra queste quelle appartenenti al prisma esagono di 2° ordine. I cristalli osservati sono terminati ad una sola estremità, nella quale si osservano le due piramidi trigonali }100} e {111}, la prima con facce assai più sviluppate che non la seconda. In taluni cristalli, a ciascuna faccia del prisma trigonale negativo {112} si sostituiscono due faccettine poco inclinate fra loro: esse sono ancora ab- bastanza lucenti, ma più striate di quelle degli altri prismi, e dànno al go- niometro un gruppetto di immagini. Potrebbe trattarsi del prisma ditrigonale {7.6 .13},il cui simbolo fu calcolato in base all'angolo: {101} : {7.6 .13}= misurato (media 3 misure) 27° l';calcolato (!) 27° 29° (*) In base alla costante del Kupfter riportata dal Dana. — 597 — Tale forma sarebbe nuova per la tormalina, ma la dò solo dubitati- vamente. Fluorite. È abbastanza frequente a Cala Maestra. I campioni donati dal prof. Roster contengono dei cristalli verdognoli a facce cariate che pre- sentano l’ottaedro {111}, e taluni, subordinamente, il romLododecaedro }110}. Altri cristalli sono bianchicci, opachi, senza lucentezza e come alterati. Per ciò che riguarda il giacimento di Cala Maestra si osserva subito che esso presenta grandi analogie con altri in cui sono stati riscontrati mi- nerali del gruppo dell’uranite. Infatti autunite, torbernite, zeunerite, ecc., sono state segnalate sempre in relazione con giacimenti metalliferi (di pirite, di calcopirite e specialmente di arsenopirite) in rocce granitiche 0 granitoidi, e per di più è rammentata di frequente la loro associazione con tormalina, fluorite, cassiterite ecc., che sono testimoni di differenziazioni locali di un magma granitico dovute ad azioni pneumatolitiche. Ad esempio, si trova tor- bernite in una roccia pegmatitica a tormalina di Aveyron, in un granito dell'Allier (*) con pirite e calcopirite, nelle pegmatiti di Chanteloub e di Ambert (*) con arsenopirite e finorite. Ed è poi lecito supporre che, data la grande affinità delle due specie, parte dei minerali considerati come tor- bernite possano invece appartenere alla zeunerite; come anche è lecito rite- nere, e le scarse analisi che possediamo ci confermano in questa opinione, che esistano di frequente in natura delle miscele isomorfe delle due. È ovvio infine far osservare la grande importanza pratica che potrebbe avere l'eventuale scoperta, nel giacimento dell’isola di Montecristo, di altri minerali uraniferi di valore industriale, come la pechblenda o anche l’autu- nite, la carnotite, ecc., che anch’esse al presente vengono utilizzate per l'estra- zione dei sali di uranio e di radio. Chimica. — Osservazioni chimico-mineralogiche su alcuni berilli elbani. Nota dell’ ing. dott. L. MADDALENA, presentata dal Socio G. STRUEVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (!) Lacroix A., Minéralogie de la France et de ses colonies, IV, 1910 pag. 551. (®) Boubée, E., Sur un nouveau gisement uranifère francais. Bull. Soc. Fr. de Mi- néralogie, 28, 1905, pag. 247. — 598 — Chimica. — Sulla sintesi del tetrametilpirrolo. Nota di G. PLANCHER e T. ZAMBONINI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Da molto tempo uno di noi (Plancher) a diverse riprese si è occupato della sintesi del C-tetrametilpirrolo. In primo luogo, ripetendo le esperienze di Vladesco (') ha tentato di ottenere il dimetilacetonilacetone: CHs—C0—CH . (CH;)—CH - (CH3)—CO—CH; facendo agire due atomi di sodio sopra due molecole di a-cloroetilmetilchetone CH;—CH CI-—C0—CH; , e cercando di migliorare il rendimento del y-di- chetone predetto; ma, in causa dell instabilità di questo corpo, non potè averne che poca quantità, ed impura. Da questo ottenne, per azione dell’ammoniaca alcoolica in tubi chiusi, una quantità pure piccola di pirrolo, che, greggia, dava la reazione del fuscello: cercando di purificarla la perdeva. In seguito, col dott. Gastaldi (Tesi di laurea presentata alla Facoltà di Scienze di Parma nel 1907) tentò di averlo facendo reagire l’etere sodio- metilacetacetico sull'a-cloroetilmetilchetone secondo la reazione: CH; CH; CH; CH; co + 0 0 co + Na C1 CH;—C—Na CI CH CH cele gpe0nr C00 - C,H, CH; C00 . C,H; e, saponificando con carbonato potassico l’etere dimetilacetonilacetoncarbonico, ottenne, dal dichetone derivante, con ammoniaca il tetrametilpirrolo. Ma anche in questo caso si ottennero prodotti scarsi e mal trattabili in tutti i gradi della reazione, e non giungemmo a separare puro il pirrolo voluto, quantunque ne avessimo avuto anche tracce di cristallizzato; epperò nulla in altro modo pubblicammo. Recenti comunicazioni private del prof. Ciamician sulle proprietà del tetrametilpirrolo e del suo chetone di origine, ci hanno appreso il modo di trattare il pirrolo in questione; e così pure le proprietà osservate in questo laboratorio dal Colacicchi (*), e altrove da Willstàtter (*) e da H. Fischer (4) sul trimetiletilpirrolo ed i suoi analoghi, mettono in grado anche noi di risolvere la questione della sintesi del tetrametilpirrolo per altra via. 1 (1) Vladesco, Bull., vol. VI, serie III°, pag. 809. (*) Colaciechi, Rend. Accad. Lincei, seduta 14 aprile 1912. (8) Willstiitter, Ann. d. Chem., 385, pp. 188-225 (1911). (4) H. Fischer, Ber. 45, pag. 466 (1912). — 599 — Noi stiamo studiando da qualche tempo la metilazione del pirrolo, avendo ripreso le esperienze iniziate (e ancora inedite) da Plancher e Ravenna, sulle basi ottenute per metilazione del pirrolo da Ciamician e Anderlini (*); abbiamo | avuto dei pirroli cristallini facendo agire il metilato sodico, secondo H. Fischer(?), sui diversi dimetil- e sul trimetilpirrolo, e su queste esperienze saremo in breve in grado di riferire; ma una via semplice per ottenere il tetrametil- pirrolo ci fu pOrta dall'azione del metilato sodico sul 2-4-5-trimetil-8-acetil- pirrolo di Colacicchi, analoga all’azione da quest'ultimo pubblicata. che col- l'etilato sodico dà luogo alla formazione del fillopirrolo, o 2-4-5-trimetil-3- etilpirrolo, e ci condusse allo scopo. Riprenderemo e completeremo le altre ricerche, ma ora riferiamo sopra quest ultima reazione. Ogni tubo conteneva gr. 2 di trimetilacetilpirrolo con due grammi di sodio preventivamente sciolto in cc. 20 di alcool metilico assoluto. Riempito di azoto e chiuso alla lampada, veniva scaldato per 15 ore a 220°. I tubi raffreddati, in cui dominava una limitata pressione, e all'apertura svolgevano notevoli quantità di gas combustibili, erano pieni di una poltiglia ben poco colorata in giallo chiaro. Diluita la massa con acqua si depositarono dei cristalli che per filtra- zione im atmosfera di azoto, e compressione fra carta e un piatto poroso, cominciarono subito a colorarsi in giallo. Seccati rapidamente e alla meglio nel vuoto su anidride fosforica, furono cristallizzati dall'etere di petrolio bollente, a 40°-70°. Per raffreddamento si separa in aghi distinti incolori e rifrangenti, che, ripetutamente cristallizzati, si portarono a fondere a 111° (non corretto). Tenuto su anidride fosforica nel vuoto per alcune ore e previa polve- rizzazione, ha dato, all’analisi, i seguenti risultati: Calcolato per Cs His N Trovato (CIO A 78.05 77.88 Eta 10.57 10.97 INVE» 11.39 11.66 Il tetrametilpirrolo ha odore fecale: all’aria si colora rapidamente e si resinifica, e così pure si decompone per riscaldamento all'aria e nell'acqua; non dà la reazione del fuscello, nè facendone arrivare i vapori sul fuscello di abete umettato con acido cloridrico, nè facendo arrivare vapori caldi di una soluzione fumante di acido cloridrico sul fuscello bagnato con una so- luzione del pirrolo in acido acetico. (1) Ciamician e Anderlini, Gazz. ch. ital., 1888, pag. 597; 1890, pp. 55-61; 1899, pag. 102. (©) Joe, ii — 600 — Non dà la reazione di Ebrlich (*) colla dimetilamminoparabenzaldeide; ma, bollito con acqua, acquista la proprietà di darla. Questo fatto è spiegabile se si ammette che tutti i pirroli, specialmente i superiori, bolliti, si idroliz- zano nei y-dichetoni o nelle y-chetoaldeidi, come ha ammesso uno di noi già da tempo (?) per spiegare i prodotti di auto-condensazione di alcuni pirroli. Difatti la reazione di Ehrlich non è esclusiva dei pirroli ma è data anche «lai y-dichetoni. Noi l'abbiamo verificato coll’acetonilacetone. Il picrato di questo pirrolo si ottiene ponendo quantità equimolecolari di acido picrico e di pirrolo in etere, ed agitando. Noi l'abbiamo avuto fon- dente a 128° con decomposizione. Rammolliva però e cominciava a decom- porsi anche prima, e non era ancora puro. Ci ripromettiamo di sviluppare queste reazioni e di comunicare i risultati relativi, e specialmente estendere lo studio alla preparazione dei derivati mono- e bialchilici dell’acetonilacetone. Chimica. — Azione delle aldeidi sui corpi pirrolici (*). Nota di U. CoLaciccHi e C. BERTONI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Proseguendo le ricerche sul comportamento delle aldeidi grasse con i corpi pirrolici, già incominciate da uno di noi (4), limitate finora alla for- mazione ed alla scissione pirogenica di alcuni derivati del dipirrilmetano, abbiamo voluto vedere quali erano le condizioni più opportune per ottenere composti del tipo PiAicHOR risultanti dalla condensazione di pirrolo e aldeide molecola a molecola. Di corpi di tale natura è noto solo quello ottenuto da Feist (*) dal fenilpirrolo e benzaldeide, pel quale questo autore lasciò incerti tra la for- mula semplice e quella doppia. Per quanto riguarda la sua costituzione sono (1) Ehrlich, Die Medizinische Woche. 1901, Nr. 15, S. 151. (2) Plancher, Rend, Accad. Lincei, vol. XI, 2° sem., 52 serie, fasc. 7°, pag. DIA, (3) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Parma, diretto da G. Plancher. (4) Colacicchi, Rend. Acc. Lincei, vol. XX, serie 5%, pag. 312; vol. XXI, serie 52, pag. 410; Gazz. chim. ital., XLII, parte I, pag. 10. () Ber. XXXV, 1647 (1902). — 601 — già state accennate le ragioni (!) che fanno ritenere per esso come molto probabile una delle due formule: CeHs CH CeHs N HC CH HC Cr | \CH.C5H; HC 7 HC cH NA N CH.CeHs N. CsHs CeHs Dopo diverse prove abbiamo visto che il derivato che più si presta per tali ricerche è l'n-fenilpirrolo, per quanto i prodotti che da esso si ottengono siano di difficile purificazione perchè incristallizzabili. Abbiamo per ora condensato il fenilpirrolo soltanto con l’aldeide for- mica, acetica e propilica, operando presso a poco come pei dipirrilmetani. I tentativi fatti per stabilire la grandezza molecolare dei corpi per tal modo ottenuti, non ci hanno condotto a risultati sicuri, cosicchè lasciamo ancora impregiudicata la questione della loro complessità. Non disperiamo di poter in seguito preparare qualche termine di questa serie di composti che si presti alla determinazione del peso molecolare; ma in ogni modo noi ci occupiamo attualmente della loro scissione pirogenica mediante la quale ci sarà possibile in base ai prodotti che per essa prendono origine, di risa- lire alla costituzione dei corpi in questione. Abbiamo preparato anche altri derivati del dipirrilmetano allo scopo di generalizzare questo tipo di reazione, e di ciò pure diamo conto in questa Nota. PARTE SPERIMENTALE. Condensazione del fenilpirrolo colla paraldeide. Quantità uguali in peso di x-fenilpirrolo (?) e paraldeide, addizionate di poco cloruro di zinco, vengono scaldate a bagnomaria. La soluzione si colora rapidamente in rosso-violaceo, senza separazione alcuna di sostanza solida. Il riscaldamento viene protratto per circa due ore. Dopo raffredda- mento la massa diventa vischiosa, e da essa sì possono separare il fenilpir- rolo e l’aldeide eventualmente ancora presenti sottoponendo il tutto alla distillazione in corrente di vapor d’acqua finchè passano traccie di fenilpir- rolo. Nel pallone rimane una massa bruna insolubile in acqua che filtrata e seccata viene ripetutamente trattata con ligroina bollente che ne asporta (1) Colacicchi, Gazz. Chim. XLII, parte I, pag. 14. (*) Koettnitz, Journal fiir praktische Chemie [2], 6-138-147. — 602 — la maggior parte. Il residuo è una massa peciosa che non tarda però a so- lidificare ed è insolubile in tutti i solventi. Per raffreddamento delle solu- zioni ligroiniche si separa una sostanza in forma di fiocchetti giallognoli che dopo seccata nel vuoto su H,S0, è abbastanza resistente all’aria e alla luce. È sufficientemente solubile in acetone e si può da questo precipitare con alcool. È insolubile in alcool e etere, abbastanza solubile in benzolo e bromuro di etilene. Purificata precipitandola alcune volte dalla soluzione acetonica si presenta come una polvere giallognola che non ha punto di fusione netto ma si decompone verso 195-200°. All’analisi ha dato numeri concordanti per la formula C,:HuN; essa si è dunque originata secondo l’equazione CioHoN + C.H,0 = CisHyiN + H,0 Calcolato per C;sHiN Trovato GIA 89,21 84,96 - 84,94 H » 6,51 6,57- 6,69 N». 8,28 8,49- 8,95 Per la formazione di questo composto non conviene protrarre molto il riscaldamento altrimenti la reazione si complica e si forma per la maggior parte la sostanza insolubile in ligroino. Se si opera invece la condensazione in soluzione alcoolica la formazione di quest’ultima viene quasi completa- mente evitata. Si scioglie il fenilpirrolo a caldo nella quantità doppia in peso di al- cool assoluto e si aggiunge poi una goccia di acido cloridrico o solforico. Per aggiunta dell’acido la soluzione si colora rapidamente in rosso-viola e poco dopo intorbida. Sulle pareti della bevuta cominciano a separarsi delle goccioline che in breve si rapprendono diventando vischiose. Dopo circa mezz'ora la separazione è completa, e, per raffreddamento, tutto sì trasforma in una massa solida che, pestata finamente in mortaio, lavata alcune volte con alcool e filtrata, vien seccata nel vuoto su H,S0,. Per la purificazione si opera come nel caso precedente. In questo caso la formazione del prodotto insolubile in ligroino è insì- gnificante. La sostanza non viene attaccata dagli acidi diluiti e dagli alcali: l’H.,SO, conc. la scioglie con colorazione giallo-bruna. L'acido nitrico la trasforma in una massa nera che a caldo si discioglie nell'acido con co- lorazione rossastra, e per diluizione con H30 precipita sotto forma di fioc- chetti giallo-bruni. — 603 — Condensazione del fenilpirrolo con l’aldeide formica. L'aldeide formica produce, dopo lieve riscaldamento, e nelle stesse con- dizioni, una sostanza vischiosa, scura, che solidifica per raffreddamento. Il prodotto non si può. come il precedente, purificarlo giacchè è insolubile nella maggior parte dei solventi. Per l’analisi s'è lavato parecchie volte con alcool assoluto e, infine, con etere. Il suo punto di fusione è elevato, ma non si è potuto determinarlo esattamente perchè la sostanza comincia a decomporsi già verso i 100 gradi. Una determinazione di N ha dato risultati concordanti per la formula C,,HgN Calcolato per C,1HsN Trovato N°/o 9,08 9,13 Condensazione del fenilpirrolo con laldeide propilica. Operando in soluzione alcoolica sì ottiene, come nei due casi precedenti, una sostanza che presenta gli stessi caratteri di quelle già descritte. Si pu- rifica nel modo migliore sciogliendola in ligroino bollente; dal quale, per raffreddamento, si separa sotto forma di fiocchetti giallognoli. Si scompone verso 145°. Calcolato per CisHisN Trovato N° 7,65 7509) NUOVI DERIVATI DEL DIPIRRILMETANO. Bis(2-4-dimetil-3-acetilpirril)etilmetano [{ CH3C0.C—TC. CH; ] Gees Ceca DIE oli NH hp Il derivato pirrolico, sciolto a bagnomaria nella quantità calcolata di propilaldeide e addizionato di poco cloruro di zinco, si trasforma, dopo breve tempo, in una poltiglia bianca cristallina. Non appena il derivato pirrolico si è disciolto nell’aldeide, incomincia la separazione del nuovo composto; dopo pochi minuti la reazione è completa. si può cristallizzare dall'alcool RenpIcoNTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 79 — 604 — assoluto. È costituito da minute pagliette bianche fondenti a 216-217°. All'aria si colora lievemente in roseo. Calcolato per CisHasN,0, Trovato C°%/o 72,61 72,82 H » 8,28 8,98 N» 8,92 8,94-8,91 Bis(2-4-metilfenil-3-acetilpirril)metano CH;.C—C.COCH; co i Saiuge .CHg NH 2A. Si ottiene operando come per i prodotti analoghi. Si separa sotto forma di bellissimi prismetti incolori che a lungo andare si colorano in roseo. Cri- stallizza dall'alcool assoluto. Fonde a 252-259°. Calcolato per CaHssN30, Trovato N° 6,84 7,20 Bis(2-4-dimetil-5-bensotlpirril)etilmetano C.H;.CH:[C,NH(CH;), COC6H;]:. È come gli altri composti analoghi difficilmente solubile nella maggior parte dei solventi organici. Cristallizza dall'alcool in pagliette splendenti, giallo-citrine; fonde a 245-246°. Calcolato per C29HsoN,0; Trovato N° 6,39 6,65 Questo derivato non segue la regolarità verificatasi nei punti di fusione dei suoi omologhi (*) che differiscono di circa 13° per ogni CH; poichè, in tal caso dovrebbe fondere a 232° circa. Daremo conto fra breve dei risultati ottenuti scomponendo col calore il prodotto della paraldeide col fenilpirrolo. (1) Colacicchi, Gazz. chim., luc. cit. — 605 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle dei Soci TARAMELLI e LoRENZONI, e del prof. MELI; fa poscia particolare menzione dei Cataloghi fotografici del cielo pubblicati dagli Osservatori di Bordeaux e di Tolosa; del vol. 3° delle Oeuvres com- plétes d’Augustin Cauchy, edite dall'Accademia delle scienze di Parigi; delle Osservazioni al cerchio meridiano dell’ Osservatorio d' Abbadia pub- blicate dall’ab. VERSCHAFFEL. Il Socio VoLtERRA fa omaggio del vol. 3° delle Opere matematiche del marchese G. C. pe' ToscHi di FaGNANO, pubblicate sotto gli auspici della Soc. ital. per il progresso delle scienze; il volume contiene: Scritti scientifici — Scritti polemici — Carteggio — Bibliografia, e di tutto il sen. VoLTERRA parla a lungo, accennando alla importanza della corrispondenza che il marchese de' Toschi di Fagnano ebbe con Lagrange. E. M. — 606 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’'ACCADEMIA presentate nella seduta del 14 aprile ‘1912. AcamENNONE G. — Sul violento terremoto a Zante nel pomeriggio del 24 gen- naio 1912. (Estr. dai « Rend. R. Acc. dei Lincei, CI. sc. fis.», vol, XXI). Roma, 1912, 8°. ARMELLINI Gius. — Determinazione ma- tematica dello schiacciamento polare di Giove. (Estr. dai « Rend. R. Acc. dei Lincei CI. sc. fis.,», vol. XXI, Roma, 119x280) Atti del 1° Congresso Internazionale dei Patologi. Torino, 2-5 ottobre 1911. Torino, 1912. 8°. De AnceELIS D'Ossat G. — Le acque dei calcari. (Le sorgenti di Caposele). (Estr. dal « Boll. della Società Geolog. Ital. », vol. XXX). Roma, 1911. 8°. De AngELIS D’Ossatr. — La geologia e la foresta. (Estr. dal « Boll. della Società Geol. Ital. », vol. XXX). Roma, 1911. 8°. De Fitippi Fil. — La spedizione di S. A. R. il Principe Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, nel Kara- koram. Relazione. Con Atlante. Bo- logna. 1912. 8°. EuLeri L. — Opera Omnia; series III, vol. IV. Lipsiae, 1912. 8° FanroLi GauD. —- Acquedotto pugliese. Memoria complementare e riassuntiva sulla questione dei limiti per la pro- tezione termica delle condotte, Mono- grafia di acquedotti d’Italia e del- l'estero rispetto alla profondità delle condotte ed al riscaldamento. Milano, 1912, 4°. Fiscaer Eug. — Sul moto delle acque entro sistemi permeabili e sui pro- blemi applicativi inerenti. Napoli, 1912. 8°. Froso S. — Le cantine sociali e la loro evoluzione. (Estr. dal « Mezzogiorno vinicolo », 1912). Riposto, 1912. 8°. HoogeBoom C. M. — Electric double re- fraction in some artificial clouds and vapours. (Repr. from « Proceedings of the Meeting of Saturday », 1911-12). Amsterdam, 1911-12. 89. Leist ErnN. — Meteorologische Beobach- tungen in Moskau in Jahre, 1908- 1909. (Extr. du « Bulletin des Natu- ralistes de Moscou», 1908-909). Moskau, 1908-909. 8°. LieBER Ap. — Ricerche sperimentali e scritti. Vol. I, II. Wien, 1906. 8°. Lusrie A. — Sulle proprietà immunizzanti dei nucleoproteidi bacterici. (Estr. da « Patologica», 1911). Genova, 1911). 8° NaccarIi A. — Dell’ influenza delle radia- zioni diurne sull’attrito che incontra un mobile nell’aria. (Estr. degli « Atti della R. Accad. delle Scienze di To- rino », vol. XLVII). Torino, 1911, 8°. OrtH J.— Ueber Rinder- und Menschen- tuberkulose. Eine historisch- kritische Betrachtung. (Abdr. aus « Sitzungsber. der Konigh. Preussischen Akad. der Wissenschaften », 1912). Berlin, 1912. 8°. PascaL Ern. — Sul mio Integrafo a riga curvilinea. (Estr. dai « Rend. R. Accad. delle Scien. Fis. e Matem. di Napoli », 1912). Napoli, 1912, 8°. SivestRI F. — Contribuzione alla cono- scenza dei Campodeidae (Thysanura) d'Europa. (Estr. dal « Bollett. del La- boratorio di Zoologia gener. e agraria della R. Scuola super. d’Agricolt. in Portici n, vol. VI), Portici, 1912, 8°. SiLvestRI F. — Termiti raccolte da L. Fea alla Guinea Portoghese e alle isole S. Thomé, Annobon, Principe e Fer- nando Poo. (Estr. dagli « Annali del Museo Civico di Storia Naturale di Genova», ser. 8, vol. V). Genova, 1912. 8°. SiLvestrI F. — Termiti raccolte da S. A. R. la Duchessa d'Aosta nella regione dei grandi laghi dell’Africa equatoriale. — 607 — (Estr. dall’ « Annuario del Museo Zoo- log. della R. Università di Napoli », N. S., vol. III). Napoli. 1912. 8°. Statistica degli impianti elettrici attivati od ampliati in Italia nel decennio 1899-1908. Notizie sulle varie appli- cazioni elettriche al 1911. (Minist. di Agricoltura, Industsia e Commercio. Ispettorato Gener. dell’Ind. e del Com- mercio). Roma, 1911. 4°. Stern AL. — Une correspondance de Frangois Arago, du Prince de Metter- nich et de Macedonio Melloni. (Extr. du «Compte Rendu de l’Académ, des Sciences mor. et polit. », 1909). Paris, 1909. 8°. TARAMELLI T. — Discorso detto dall’au- tore al rifugio che di lui porta il nome nel giorno dell’inaugurazione (9 ago- sto 1904). Rovereto, 1905, 8°. Zeman P. — Electric double refraction in some artificial clouds and vapours. (Repr. from « Procedings of the Mee- ting of Saturday », 1911-12). Amster- dam, 1911-12. 8°. ZreMmAN P. — Note on the insulating power of liquid air for high potentialy and on the Kerr electro-optic effect of li- quid air. (Repr. from « Proceedings of the Meeting of Saturday », 1911). Amsterdam, 1911. 8°. Publicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei, Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIIL Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemorIiE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcoNTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5% — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXI. (1892-1912). 1° Sem. Fase. 9 RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XX (1892-1911). Fase, 12°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. FIX Fase. 1°. MEMORIE della Classe di scienze moraci, storiche e filologiche. Vol. I-XII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE È NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia di L. 19; per gli altri paesi le spese di pasta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : . Ermanno LogscarR & C.° — Roma. Torino e Firenze. ULrico HogpLi. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Maggio 1912. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Seduta del 5 maggio 1912. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESEN'TA"TER DA SOCI Ciamician e Silber. Azioni chimiche della luce... . .... +... Pag. Nasini. Per la storia della spettrochimica(*) . . FR I) Tonelli. Sugli integrali curvilinei del Calcolo delle a orso Di Socio Pincherle) » © La Rosa. Ricerche spettrali sull’arco fra carboni a piccole pressioni di: dal Corrisp. .Ma- COMO (I e SRI 1 ETA RD Agamennone. Il terremoto del 24 gennaio 1912 nelle Isole Jonie e sua velocità & propaga- zione (pres. dal Socio Millosevich)(M . . . . . penictas è OI Amadori. Sul comportamento reciproco dei solfati, mati molibdati e ; wallftamighi alcalini a bassa e ad alta temperatura (pres. dal Socio Ciamician) (). . .. BI) Barbieri. Contributo alla conoscenza dell'analogia tra il rame e l’argento (pres. Ii So) Calzolari. Composti di sali alcalini e alealino-terrosi con basi organiche (pres. /d.) . . » Giorgi. Sulla commutabilità del segno lim. col segno integrale, nei campi finiti (pres. daliSoto Volterro DE SESSO Paolini e Divizia. Sopra gli alcooli tanacetilici isomeri (pres. dal Ci Perini Ret) Parravano. Il sistema ternario argento-stagno-piombo (pres. dal Socio Paterno). . . . » Quercigh. Sulla identità della sinchisite gon la parisite (pres. dal Socio Struever). . . n Cisotti. Sull'intumescenza del pelo libero nei canali a fondo accidentato (pres. dal Socio Lev-Cmta) i n. o Pacs; ASS) Maillosevich F. Zeunerite ed altri minerali dell’isola di Moi a dal Socio Strane ” Maddalena. Osservazioni chimico-mineralogiche su alcuni berilli elbani (pres. /4.) (®). . » Plancher e Zambonini. Sulla sintesi del tetrametilpirrolo (pres. dal Socio Ciamician) ” Colacicchi e Bertoni. Azione delle aldeidi sui corpi pirrolici (pres. Id.). . . ..... » PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle inviate dai Soci: Taramelli, Lorenzoni, dal prof. Meli, dall'ab. Verschaffel ecc. . . ... n Volterra. Fa omaggio di un volume del marchese &. C. de’ Toschi di Fagnano e ne discorre » BULLETTINO BIBLIOGRARICO .i ic. 0. (7) Questa Nota verrà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. I e pn I 0 dI ate I sti ei pe: Pubblicazione bimensile. Roma 19 maggio 1912. N: 10. ASL DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCIX. 1912 SHBETH, QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 maggio 1942. Volume X XI. Fascicolo 10° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1912 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Uol 1892 si è iniziata la Serie gquenta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze tisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a smo carico. 4.I Rendiconti von riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, sedute stante, una Nota per iscritto. I I. Le Note che oltrepassino i limiti indî- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esaminz il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro: posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre. cedente, la relazione è letta in seduta pubblies, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto. è messa a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 19 maggio 1912. F. D' Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTR DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sopra certi sistemi di superficie pseudosfe- riche collegati ai sistemi di Weingarten. Nota del Socio Lurci BIANCHI. Nei miei antichi studî sulle famiglie di Lamé composte di superficie a curvatura costante ho dato il nome di sistemi di Weingarten a quei par- ticolari sistemi tripli ortogonali, nei quali la curvatura delle superficie della detta famiglia è la medesima costante per tutte ('). Mi propongo nella presente Nota di far conoscere una classe più generale di sistemi di superficie pseu- dosferiche, a cui si perviene colle considerazioni seguenti. Suppongasi di avere un sistema pseudosferico (W) di Weingarten. La corrispondenza che viene segnata sulle superficie pseudosferiche del sistema dai punti di incontro colle loro trajettorie ortogonali gode della seguente proprietà, che conviene qui enunciare esplicitamente: a) Sulle superficie W del sistema si corrispondono le linee asin- totiche ed i loro archi corrispondenti sono eguali (ciò che ha per conse- guenza il corrispondersi anche delle linee di curvatura). Ora possiamo più in generale considerare sistemi co? di superficie pseu- dosferiche di egual raggio R, che si corrispondano punto per punto, in i (*) Cfr. la mia Memoria del 1885: Sopra è sistemi tripli ortogonali di Weingarien nel tomo XIII, ser. 2° degli Annali di Matematica, ovvero il Cap. XXIV, vel. II delle mie Lezioni di geometria differenziale (2% ediz.). Ved. anche Darboux, Lecons sur les systhèmes orthogonaux, livre II, chap. VI. RenpIcONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 80 — 610 — modo che la proprietà 4) venga conservata, però le trayettorie dei singolt punti, invece di tagliare ad angolo retto le superficie pseudosferiche, le taglino sotto un angolo costante qualunque. Denotando con ce o il valore costante di questo angolo, indicheremo questi sistemi di superficie pseudosferiche come sistemi (25); per o =0 abbiamo i sistemi di Weingarten. \ Un primo e più semplice esempio di sistemi (5) si ha nelle co! su- perficie pseudosferiche S' che derivano da una fissa S per una trasforma- zione Bs di Backlund; queste S' formano appunto un sistema (2), colla par- ticolarità che qui le trajettorie dei singoli punti sono circoli dello stesso raggio (= R cos 0). Un altro singolare esempio di sistemi (5) viene fornito dalle generali elicoidi pseudosferiche. Ho dimostrato (!) che ogni tale elicoide, assoggettata ad un conveniente moto elicoidale attorno al suo asse, gode della proprietà caratteristica di tagliare sotto angolo costante le eliche trajettorie dei suoi punti. Per ciò il sistema delle co! posizioni di questa elicoide è appunto un sistema (90). 2. I sistemi generali (25) di superficie pseudosferiche comprendono, come si è detto, quali casi particolari, i sistemi (W) di Weingarten ai quali si riducono per o = 0. Ma ciò che più importa osservare è che, in- versamente, i sistemi generali (£;) si ottengono dagli speciali (W) di Wein- garten applicando a questi ultimi la così detta trasformazione Lo di Lie. Conviene ricordare che questa trasformazione Ls risulta dalle osservazioni seguenti. Le superficie pseudosferiche (il cui raggio R assumiamo per sem- plicità =1) dipendono biunivocamente dalle soluzioni (vv) della equa- zione a derivate parziali dp dp : (I) an rr Seng cos P; ogni tale soluzione individua _— Sie dX d e seno costo cos Lx. dWw dw dw a A ARA + cos g X i VI CS (2 X È 2 ea oa dw du dw DX dXa a LEI = — cospX,, du SA dv ca” 2dX3 d — cos o cos @ —2 Xi + coso sen@ DE IGO dw dw ove omettiamo di scrivere le analoghe per Y ,Z. Si verifica subito che. soddisfacendo 4,0 alle (A), (B),(C), le (2) formano un sistema orzogonale illimitatamente integrabile. Ottenuti, colla integrazione del sistema (2), i nove coseni di direzione, si hanno per qua- drature x.y, dalle formule \ CI agio, = sen g X;, dU (3) Î dI DL _ coso? Isenosen9X,— seno cos9 X, — coso Xal, \_dW dw dv colle analoghe per y,z, le condizioni di integrabilità essendo identicamente soddisfatte, a causa appunto delle (2) e delle (A), (B), (0). Ora, se dalle (3) calcoliamo l'elemento lineare ds dello spazio in coor- dinate (x. v,w) colla formola dst= Sda*® = de* + dy° 4 de, troviamo subito dg? ds° = cos°p du? +- sen*g dv? + cosìo (i du? + (4) dw ) d +2 seno coso sen 0 008 9 SE du dio —2.sen6 008 cos sen g L dvdw. (e — 614 — Questa ci dimostra che le superficie pseudosferiche Sy, così fissate di posi- zione nello spazio, formano in effetto un sistema (£;), poichè: 1°) si corrispondono sulle Sy le linee asintotiche ad eguale lunghezza d'arco (e le linee di curvatura); 2°) le trajettorie (w) dei singoli loro punti (w,v) tagliano queste superficie Sg sotto l'angolo costante 3 0. 5. Costruito così il primo sistema (5) corrispondente alla soluzione g, possiamo ora trovare l’altro (o) corrispondente alla soluzione 0, serza alcun calcolo d'integrazione, mediante le formole (5) T=%— coso(cos 0X, + sen 9 Xp) e analoghe per 7,5, colle quali da ciascuna superficie Sg di (25) passiamo alla corrispondente Se dell'altro sistema (20) precisamente con una trasfor- mazione B, di Backlund. Questo dimostriamo derivando le precedenti (5) rapporto ad u,v,w, ciò che dà, avuto riguardo alle (2), (3) ed alla (A), | | 7 _ 0089 {(cos 8 cos g— sen o sen @ sen g) X: + + (sen @ cos g + sen © cos 6 sen p) X: + cos a sen g X3 { = = sen 0 }(cos 0 sen @ 4- sen o sen @ cos gp) X, + -+ (sen 0 sen g — seno cos 8 cos g) X, — cos o cos p X3 77 0 ma 0089 —— (sen 6X, — cos 6 Xo), \ W QUZ da cui deduciamo per ds° = Sdx? = 6 2 ds? = cos?0 du? +4- sen°9 dv? + cosìo dw? — 20 (4*) — 2 sen o cos o cos 6 sen g 7 dudw+t PL) ‘2 8en 0 cos o send cos g — - dodo. Ww Questa è la (4) stessa, ove si cangi g in 6, e 0 in 7+ g, ciò che dimo- stra la nostra asserzione. A Così adunque: / due sistemi (o), (5) st deducono l’uno dall’altro colla trasformazione Bs di Bicklund; li diremo sistemi coniugati. In particolare se si fa o =0, la B; diventa la trasformazione comple- mentare e i due sistemi coniugati (2), (25) vengono a coincidere coi due sistemi complementari di Weingarten a flessione costante (W),(W). — 615 — 6. Si riconoscono altre interessanti proprietà di questi sistemi (2) stu- diando le trajettorie (w) dei singoli punti delle loro superficie pseudosferiche. Per la terza delle (3), l'elemento d'arco ds di queste curve è no ds= coso —d Sa ed i coseni di direzione @,#,y della sua tangente sono dati da a= seno seno X, — seno così X, — coso X,, colle analoghe per #,y. Indichino ancora, come al solito, £, 7,6 i coseni di direzione della normale principale, 4, w,v quelli della binormale della curva stessa, infine ; la prima curvatura, a la seconda curvatura. Deri- vando le precedenti rapporto a w, e ricorrendo alle formole di Frenet, risulta «= seno sen 0 X, — seno cos9 X, — coso X, (7) = cos X, + sen 0 X, À = coso sen0X, — coso cos 0X, 4+- seno X,, colle analoghe, e successivamente 20 l dw l Zi tg o — — —— Q d cos o dw 8 i Di 1 dw TT d@ dw : Ni Da queste ultime segue che le due curvature 0° 5000 legate dalla rela- zione lineare a eoefficienti costanti seno coso (9) mo troviamo quindi la seguente notevole proprietà: Negli attuali sistemi (3) le curve (w), trajettorie sotto angolo co- stante delle superficie pseudosferiche, sono curve di Bertrand della me- desima famiglia (9). Osserviamo che, per le (7:), le normali principali di queste curve di Bertrand sono precisamente le congiungenti i punti corrispondenti (x,y), (@,7,5) di due superficie pseudosferiche corrispondenti nei sistemi coniu- - de = gati (25), (@;). E poichè le trajettorie (w) del secondo sistema (5) godono della medesima proprietà, ed hanno quindi a comune le normali principali colle primitive, vediamo che: Nei due sistemi coniugati (Lo), (23) di superficie pseudosferiche le trajettorie (w) dei singoli punti sono curve di Bertrand, e ciascuna coppia di c«rve corrispondenti neî due sistemi è formata di curve di Bertrand coniugate (aventi a comune le normali principali). Si osservi di più che i valori (73) di 72, w,v combinano con quelli X,, Yz. dei coseni di direzione della normale alla superficie pseudosfe- rica S del sistema coniugato (2), e quindi: I piani osculatori delle trajettorie (w) del sistema (o), nei punti di una superficie pseudosferica S del sistema, inviluppano la superficte S corrispondente del sistema coniugato (23). In fine considerando, lunso una trajettoria (w), le normali alle super- ficie pseudosferiche del sistema (3), vediamo che esse sono perpendicolari ai piani osculatori della curva di Bertrand coniugata, onde la nota costru- zione di Bioche per le deformate rigate dell’iperboloide rotondo ad una falda si traduce qui nel teorema: Nel sistema (23) le normali alle superficie pseudosferiche nei punti d'incontro con ciascuna loro trajettoria isogonale (w) formano una rigata applicabile sull’iperboloide rotondo ad una falda (di semiassi a= c08 0, b= seno), e la trajettoria stessa è la deformata del circolo di gola del- l’iperboloide. Un caso semplice delle proprietà osservate in questo numero per gli attuali sistemi (£) si ha nei particolari sistemi considerati nel primo esempio al n. 1. Questi si ottengono dalle formole precedenti supponendo @ indipen- dente da w, cioè Suo; allora le (8) dànno Li 1 D) cos e dimostrano che le trajettorie (2) nel corrispondente sistema (25) sono circoli di raggio = cos o. Il sistema coniugato si riduce all’unica superficie S, inviluppo dei piani dei detti circoli e luogo dei loro centri, mentre le rigate considerate nell'ultimo teorema diventano altrettanti iperboloidi rotondi eguali, pei quali i detti circoli sono i rispettivi circoli di gola. 7. Abbiamo asserito, al n. 2, che anche pei sistemi (25) la trasforma- zione complementare e quella di Backlund servono, come nel caso partico- lare dei sistemi (W) di Weingarten, a costruire infiniti nuovi sistemi (2%), partendo da uno noto. Limitandoci qui pei nostri particolari sistemi (3) a dare le formole re- lative alla rasformazione complementare, dimostreremo che, quando o +0, — 617 — da ogni sistema noto (2) si deduce una semplice infinità di nuovi sistemi (2';) complementari di (9), mentre per o=0, cioè pei sistemi di Wein- garten, questi co! sistemi complementari (£';) vengono a coincidere in uno solo (1). I) Abbiasi una coppia di tali sistemi coniugati (23) ,(£7) corrispondenti, secondo le formole dei numeri precedenti, alle due funzioni g@, 09, legate fra loro dalle equazioni caratteristiche (A), (B), (C) n. 4. Di ciascuna superficie pseudosferica S del sistema (2) prendasi wro0 trasformata complementare S' definita dalle formole (10) c'=x+ cos pX, + sen p'X, dove la funzione g'(v,v,w) soddisfa alle equazioni della trasformazione complementare | IP, dP , (Mevatla Gol COS g sen @ (24 Li dg | dp a e AO La soluzione più generale g' della (@) contiene una funzione arbitraria di w e, volendo scegliere questa in modo che le co! superficie S' corrispon- denti formino un nuovo sistema (2°), si trova essere condizione necessaria e sufficiente che, insieme alle (@), sia soddisfatta anche l’altra dg ; dp (8) Senio conio (pio Se si considera il caso generale o +0, si constata facilmente che il sistema (@), (8), a causa delle (A), (B), (C), è illimitatamente integrabile, e quindi la sua soluzione generale '(4,v,w) contiene una costante arbi- traria. Così adunque: Ogni sistema (5), che non sia un particolare sistema di Weingarten, dà luogo per trasformazione complementare ad oc nuovi sistemi (23) della medesima specie. Il caso o = 0 quando il sistema (£;) si riduce ad un sistema di Wein- garten a flessione costante è veramente un caso singolare, ove gli co! sistemi complementari trasformati (£'°;) vengono a coincidere nell'unico complemen- tare (W). La formola (8) rende appunto ragione di questa singolarità, poichè quando seno —= 0 ne risulta g' = 0 + 7 e le (10), riducendosi all’unica x =ax —cos08X, — sen0X,, definiscono l'unico sistema complementare (W). (1) Si presenta dunque qui pei generali sistemi (£0), che non si riducono a sistemi di Weingarten, la medesima circostanza come pei sistemi di deformate isogonali della pseudosfera (Cfr. la mia Memoria nel tomo 18, ser. III degli Annali). RENDICONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 21 — 6018 — Ritornando al caso generale, osserviamo che la trasformazione comple- mentare del sistema (2;) negli co! sistemi derivati (9°) si può interpretare come trasformazione delle curve di Bertrand trajettorie isogonali dei rispet- tivi sistemi. Ad ogni tale trajettoria C nel sistema (2) ne corrispondono co! curve trasformate C', una per ciascun sistema (£',). Queste co! curve di Bertrand C' sono situate sulla superficie cerchiata luogo dei circoli di raggio — 1, tracciati coi centri sulla curva C nei piani osculatori della co- niugata C; le curve 0’ sono geodetiche di questa superficie cerchiata e ne tagliano i circoli sotto l'angolo costante o. Considerata come trasformazione delle curve di Bertrand, è questa la /rasformazione di Demartres. Per completare questi risultati concernenti la trasformazione comple- mentare dei sistemi (2) restano ancora da aggiungere le formole che, per ogni sistema trasformato (';), individuano il coniugato (@';), che corrispon- derà ad una soluzione 6’ della (I) legata a ' precisamente come 6 a g. Il calcolo di 6' si eseguisce, ia termini finiti, colla formola del seorema dé permutabilità : p—- 0 È: Îo) ‘gp — 0 È Cn coglie oi possiamo dunque concludere: Ogni coppia (23) (Ls) di sistemi L coniugati viene cangiata colla trasformazione complementare în una semplice infinità di tali coppie co- niugate (Lc), (L'c). Aggiungerò in fine che i risultati qui ottenuti per la trasformazione complementare sussistono analogamente per la generale trasformazione di Backlund dei sistemi (£;), e corrispondentemente le trasformazioni delle curve di Bertrand loro trajettorie isogonali diventano le trasformazioni tro- vate dal Razzaboni come generalizzazione di quella di Demartres. Matematica. — Sulla chiusura dei sistemi di funzioni orto- gonali e dei nuclei delle equazioni integrali. Nota del Corrispon- dente G. LAURICELLA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. e — 619 — Chimica. — Azioni chimiche della luce. Nota XXIII del Socio G. CIAMICIAN e di P. SILBER. Autossidazioni II La presente Nota fa seguito alla nostra ventunesima (!) comunicazione in cui abbiamo trattato di alcune autossidazioni di idrocarburi aromatici. Questa è dedicata segnatamente allo studio dei prodotti che si formano nel- l’autossidazione del pirrolo: lo studio non è esauriente, ma siccome non sap- piamo, per altre esperienze in corso, quando potremo riprenderlo, ne pub- blichiamo i risultati, sebbene ancora incompleti. Come appendice aggiun- giamo un'esperienza coll’etere di Hantzsch. Pirrolo. — La ben nota alterabilità del pirrolo all’aria ed alla luce rendeva desiderabile conoscere quali fossero ì prodotti che per tale altera- zione si producono. Era ad es. interessante conoscere se anche nell’autossi- dazione il pirrolo avesse un contegno simile a quello del fenolo a cui, come sì sa, esso per molte reazioni può essere comparato. Intorno ai prodotti di ossidazione del fenolo alla luce esistono recenti osservazioni di H. D. Gibbs (?), il quale osservò la formazione di chinone, idrochinone, pirocatechina ed ani- dride carbonica. D'altra parte è noto per nostre antiche esperienze e per quelle più recenti di Plancher e Cattadori (*), che per ossidazione dei pir- roli con varî ossidanti si formano sempre derivati dell’imide maleica: questi autori riuscirono anzi ad ottenere dal pirrolo stesso con acido cromico la maleinimide, che fino allora era rimasta sconosciuta. Essa può essere consi- derata come il parachinone della serie pirrolica. Il pirrolo alla luce in presenza di ossigeno viene completamente trasfor- mato in una serie di prodotti in gran parte catramosi e carboniosi, in com- posti cristallini complessi (C,»° Hu Ns 0;) e in sali ammonici di cui non siamo ancora riusciti ad accertare la natura, e finalmente nell’imide succi- nica. La formazione di quest’ultima è un fatto rimarchevole, perchè finora essa non fu ottenuta dal pirrolo. Se la maleinimide può essere comparata al chinone, la succinimide potrebbe rappresentare la forma chetonica del- l’idrochinone pirrolico CH — CH CH — CH CH, — CH; latta] IREVaa] | | ‘CH CH+ 0,= HOC C0H — cC0 C0 NZ NZ NZ NH NH NH (!) Questi Rendliconti, vol. XX, 2° sem., pag. 673. (2) Centralblatt, 1909, II, pag. 597. (3) Questi Rendiconti, vol. XIT, 1° sem., pag. 10 (1908); e XIII, 1° sem, pag. 489 (1904). — 620 — e mentre gli ossidanti ordinarî conducono alla prima, la delicata azione della luce avrebbe fermato l'ossidazione del pirrolo alla seconda, che richiede l’in- tervento di una sola molecola di ossigeno. Alla luce vennero esposti, in matracci pieni di ossigeno, 43 gr. di pir- rolo, sospesi in 130 c.c. d'acqua, durante circa un anno. Il contenuto dei matracci annerisce assai presto e le pareti si ricoprono d'una crosta resinosa nerastra, che peraltro a poco a poco si distacca spontaneamente; in tine si raccoglie in fondo ai recipienti, sospesa in un liquido bruno, ma massa car- boniosa con una effiorescenza cristallina grigiastra. Aprendo i matracci si nota una forte aspirazione ed il loro contenuto, dall'aspetto suindicalo, ha reazione acida. Per la elaborazione del prodotto sì separa anzitutto la parte carboniosa insolubile. Questa (12 gr.), seccata, ha un aspetto nerastro resinoso e dà col riscaldamento una specie di catrame che ricorda l'olio animale. Il filtrato, colorato in bruno, venne concentrato nel vuoto; dallo sciroppo resultante si separa col riposo una sostanza cristal- lina naturalmente ancora molto colorata. Questa, tolta per filtrazione dal li- quido, venne purificata con ripetute cristallizzazioni dall'acqua bollente, in cui è poco solubile a freddo. Si ottengono così squamette prive di colore (circa 1 gr.) che a 250° non sono ancora fuse e che ulteriormente riscal- date sublimano. Il prodotto peraltro non ci parve omogeneo: tentammo una separazione per mezzo dell’alcool in una parte meno solubile ed in un'altra che restava precipuamente in soluzione. Entrambe le frazioni furono in fine cristallizzate separatamente dall'acqua. La parte più solubile in alcool trat- tiene acqua di cristallizzazione; la composizione di entrambe sembra peraltro essere la stessa e corrispondere alla formola C,, Hiy N3 0;. Analisi. Porzione meno solubile: Trovato Calcolato per Cis His N 0 C 53,89 04,13 H 5,984 5,26 N 11,02 10,52 Porzione più solubile : Trovato Calcolato per CC,» Hi4 N° 05 + 14 Ha0 H,0 9,42 10,15 Calcolato per Cia Hi4a Ng Og C 54,03 54,13 H97, 5,26 N 10,14 10,52 Queste analisi non sono sufficienti per accertare la composizione dei due composti, d'altronde la piccola quantità di prodotto di cui disponevamo non ci permise uno studio ulteriore. Se la formola suindicata dovesse essere con- 92 — fermata, si potrebbero considerare i due corpi quali derivati del tr/pirrolo di Dennstedt, C,.H,; N3. Lo sciroppo da cui si erano separate le sostanze ora descritte, venne ripreso con poca acqua e bollito con alcool al 90 °/,; in questo modo resta indietro una gran parte del prodotto in forma d'una massa nerastra e resi- nosa. La soluzione alcoolica dà per svaporamento un residuo, che posto nel vuoto dopo qualche giorno cristallizza. Per purificarlo ulteriormente esso venne ripreso con alcool ed etere, che lascia indietro dell'altra resina; eli- minando nuovamente i solventi si ebbe un residuo solido che potè finalmente essere cristallizzato dal benzolo. Si ottennero così larghe squamette striate, prive di colore, dal punto di fusione 125-126°, che si dimostrarono in tutte le loro proprietà identiche alla 7mide succinica. Analisi: Trovato Calcolato per C4 Hs 0, N C 48,85 48,48 H 5,14 5,05 La massa resinosa, di cui si è fatto cenno or ora, si scioglie nell'acqua facilmente dando un liquido colorato in nero; per trattamento con alcali a freddo esso svolge ammoniaca e contiene però dei sali ammonici. Tutti i tentativi fatti per ottenere da questa parte del prodotto delle altre sostanze cristalline analizzabili fallirono; non siamo riusciti che a separare nuove quantità di succinimide. La trasformazione pel pirrolo alla luce è completa; all'oscuro, invece, sebbene avvenga una parziale resinificazione, la maggior parte del pirrolo rimane inalterate. Etere di Hantesch. — È noto che l’esere diidrocollidindicarbonico (etere di Hantzsch) viene assai facilmente trasformato dagli ossidanti nel corrispondente composto piridico. Ci sembrò opportuno ricercare se esso fosse pure autossidabile alla luce. Lo è difatti. Esponendo per circa un anno 20 gr. di etere di Hantzsch in una bot- tiglia contenente 5 litri di ossigeno, in presenza di 100 gr. d'acqua, si 0s- serva che a poco a poco la caratteristica fluorescenza del prodotto va in parte scomparendo. Dopo l’insolazione, la porzione modificata sì sciolse nel- l'acido cloridrice diluito; il residuo insolubile ed inalterato pesava 12,5 gr. Dal cloridrato (4,9 gr.) si preparò il picrato dall'etere collidindicarbo- nico formatosi per autossidazione. Esso fondeva a 164° ed aveva la compo- sizione voluta. Analisi: Trovato Calculato per Cz0 Hy, 011 Nu C 48,65 48,58 Hi 4560 4,45 Anche in questa ricerca ci siamo giovati dell'esperto aiuto del dottor Fedro Pirani, a cui esprimiamo i nostri ringraziamenti. — 622 — Chimica. — Ancora sopra la reazione Angeli-Rimini (0). Risposta al prof. BauBIANO, del Socio A. ANGELI. La presente comunicazione è un seguito della Nota che sopra lo stesso argomento ho pubblicato recentemente in questi Rendiconti (?), e, nello stesso tempo, è anche una breve risposta alle nuove obbiezioni che mì vennero mosse dal collega prof. Balbiano (*). Io mi limiterò qui ad accennare solamente ad alcuni dei fatti sperimentali qualitativi e quantitativi stabiliti da parte nostra (4) riservandomi di pubblicare più tardi il lavoro per esteso assieme ai dottori Luigi Alessandri e Bruno Valori, che mi furono di valido aiuto nell'esecuzione di queste ricerche. I chetoni presi in esame furono: desossibenzoino CH; .CH..CO.C,H; piperilacetone (CH:0:).Cs Hz. CH.. CO. CH fenilacetone CH;.CHs.CO.CH; che tutti dettero negativa la reazione delle aldeidi. Si è operato sempre nello stesso modo, risparmiandosi di impiegare le quantità stechiometriche, giacchè si tratta di reazioni anormali e che con- ducono sempre a scarsissimi rendimenti. Un grammo di chetone, un grammo di acido benzolsolfoidrossammico e 10 centim. cub. di potassa circa doppio normale con la quantità sufficiente di alcool per avere un liquido limpido vennero lasciati per un intervallo di tempo che varia da una a sei ore. Poi venne distillato l'alcool a b. m., il residuo estratto con etere per esportare la maggior parte del chetone che non ha reagito, e dopo acidificazione con acido acetico si aggiunse eccesso di soluzione di acetato di rame. Il preci- pitato che si forma si raccoglie su filtro, si lava con acqua ed ancora umido viene decomposto con poco acido solforico al 25 °/,; infine si estrae con etere acetico che scioglie assai bene la maggior parte dei prodotti che si formano. Desosstbenzoino. Il chetone proveniva da Kahlbaum. Il residuo ottenuto per evaporazione dell'etere acetico, lavato con qualche goccia di etere, si (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Studî Superiori in Firenze. (3) Volume XX (1911), 2° sem., pag. 445. (3) Ibid. vol. XXI (1912), 1° sem., pag. 389. (4) In questa Nota il prof. Balbiano dice che « qualunque chimico» avrebbe allora data l’interpretazione sua; a questo riguardo giova ripetere che subito dopo la comparsa del suo lavoro io ho fatto il saggio delle aldeidi con esito negativo e non ho mancato di richiamare la sua attenzione sulla rassomiglianza dei suoi prodotti con i chetoni che due anni prima aveva descritto il Wallach. — 623 — p ricristallizza da benzolo che per raffreddamento lascia depositare acido den- sidrossammico purissimo. Fonde a 127°. gr. 0,1614 di sostanza diedero c.c. 13,8 di azoto a 12° e 767 mm. C,H,0,N Calcolato N 10,22 Trovato N 10,34. Piperilacetone. Un campione purissimo di questo prodotto mi venne regalato dal collega prof. Peratoner dell'Università di Roma. Il residuo ottenuto per evaporazione dell'etere acetico, lavato con poco etere, in questo caso venne ricristallizzato dallo xilolo bollente. Si ottiene subito acido pipe- ronilidrossammico, perfettamente identico a quello preparato dal prof. Ri- mini (*). Fonde a 172°. gr. 0,1089 di sostanza diedero c. c. 7,4 di azoto a 14° e 745 mm. C$H,0,N Calcolato N 7,73 Trovato N 7,92. Da 8 grammi di chetone si ebbero er. 0,14 di acido idrossammico. Fenilacetone (benzilmetilchetone). 1l prodotto purissimo, bolliva entro due gradi, venne ritirato dalla fabbrica T. Schuchardt. In questo caso si è potuto operare sopra una maggiore quantità di prodotto e le proporzioni delle sostanze poste a reagire sono sempre quelle cui prima venne accennato. Dal sale di rame ancora umido, decomposto con acido solforico diluito e trattato con etere acetico, si separa dapprima una polvere bianca che con- tiene azoto ed anche zolfo; fonde verso 232° ed è pochissimo solubile nella maggior parte dei solventi. Si fece una determinazione di azoto. gr. 0,0510 di sostanza diedero c.c. 2,4 di azoto a 18° e 759mm. N ®% 5,51. Non venne sottoposta ad ulteriore esame ed evidentemente prende origine dall’acido benzolsolfoidrossammico. Il residuo ottenuto per evaporazione dell’etere acetico e lavato con etere viene sciolto in benzolo bollente, dal quale per raffreddamento si separa acido benzidrossammico. gr. 0.1722 di sostanza diedero c.c. 15,8 di azoto a 17°.7 e 752 mm. C,H,0, N Calcolato N 10,22 Trovato N 10,32. Concentrando il benzolo si ottiene una nuova quantità di acido benzi- drossammico assieme ad un prodotto che si separano bene trattando con acqua dove l'acido benzidrossammico si scioglie e rimane indietro l’altro che a sua volta viene ricristallizzato pure da benzolo ovvero anche da acqua bollente. Si presenta in laminette incolore, splendenti che fondono del pari a 127°, ma a differenza degli acidi idrossammici non si decompone per ulteriore riscaldamento. Bollito con acido solforico al 25 °/ svolge acido acetico e nel liquido rimane sciolta #-benzilidrossilammina allo stato di (*) Gazzetta chimica, XXXI (1901), 2, pag. 88. — 624 — solfato che si può separare con tutta facilità sovrasaturando il liquido con solfato ammonico. Il prodotto perciò non è altro che f-acets!-8-benzilidros- sslammina : CsH;. CH, > N(OH). CH:. CO identica con quella che molti anni or sono venne preparato da E. Beckmann (?) per tutt'altra via. Il loro miscuglio fonde del pari a 127°; il punto dato da Beckmann è 124°. I rendimenti sono sempre assai scarsì. gr. 0,1559 di sostanza secca in acido solforico diedero c.c. 11,6 di azoto a 15° 747 mm. C.H,,0,N Calcolato N 8,48 Tsovato N 8,72. 1 rendimenti in questi diversi prodotti, anche operando a parità di condizioni, sono anche molto variabili. In un caso, partendo dal sale di rame proveniente da 10 grammi di fenilacetone si ebbero: acido benzidrossammico. 0. gr 04 acetilbenzilidrossilammina . ././.....® 0.2 sostanza &chenfondega 23200 ARE 02 Una parte del chetone rimane inalterato (circa gr. 4) assieme a della resina (gr. 4) che si è formata. Come si vede il sale di rame che si ottiene nel modo descritto non rappresenta un prodotto unico; e va notato che uno deriva dall’acetilidrossi- lammina, isomera con l’acido idrossammico: CoH,,0.N che realmente avrebbe dovuto formarsi qualora il prodotto di partenza invece di un chetone fosse una aldeide. E come gli acidi idrossammici si colora in rosso con percloruro di ferro. Ma nemmeno questa sostanza può essere quella che ha tratto in errore, oltre che per le ragioni accennate anche per il fatto che il suo sale di rame, che si presenta in cristalli splendenti di colore grigio violaceo, a differenza dei sali degli acidi idrossammici, come mostreremo a suo tempo, si forma solamente quando si operi con soluzioni concentrate di acetilfenilidrossilammina ed acetato di rame. Avendo questa sostanza un solo atomo d'idrogeno rimpiazzabile dai metalli, il suo sale di rame ha naturalmente la composizione: C5H,008.N vu C5H1002.N (') Berliner Berichte, XXVI (1898), pag. 2633. — 625 — gr. 0,1637 di sale secco nel vuoto su acido solforico diedero c.c. 10,6 di azoto a 22°.7 e 753 mm. (C0H100: N): Cu Calcolato N 7,15 Trovato N 7,40 Per un sale Co Ha NO; Cu si calcola N 6,1 e per C$Hs NO, Cu , 2H;0, si calcola N 5,3. Il prof. Balbiano si è limitato ad analizzare i sali di rame e non è riuscito a ricavare le sostanze di natura acida da cui tali sali derivano; noi invece, come abbiamo sempre fatto, abbiamo giudicato più prudente occuparci di quelle soltanto. Che però i sali di rame da lui ottenuti dai chetoni: R.CH..CO.CH; contenessero anche gli acidi idrossammici : R.C(OH): NOH risulta implicitamente provato dallo stesso prof. Balbiano il quale ha trovato che i suoi sali di rame ottenuti dal fenilacetone e dal chetone anisico per idrolisi con acido cloridrico o solforico diluiti forniscono rispettivamente acido benzoico ed acido anisico (*). Ma i sali di rame, sieno pure lavati con alcool ed etere, e la cui composizione per se stessa come è noto può variare, non è consigliabile per un’altra ragione ancora. Noi abbiamo osservato infatti che mentre le soluzioni acquose di acido benzidrossammico, anche in presenza di alcool per trattamento con acetato di rame dànno il noto precipitato celeste chiaro, quando la precipitazione avviene in presenza di fenilacetone, con un po di alcool perchè questo stia sciolto, allora il precipitato è di un magnifico colore verde erba. Il verde rimane anche dopo ripetuti lavaggi del sale con alcool e dopo mantenuto nell'essiccatore fino a costanza di peso. Naturalmente l’odore del chetone non si avverte più, eppure il sale ne trattiene ancora perchè aggiungendo acido solforico diluito ed estraendo con etere di petrolio a basso punto di ebollizione si ottiene un olio che con semicarba- zide fornisce subito il semicarbazone del fenilacetone. Tale comportamento è senza dubbio dovuto al fatto che gli idrogeni metilenici del fenilacetone hanno debole carattere acido (vedi desossibenzoino); ancora non è stato pre- parato il sale di rame, ma ciò non esclude che il chetone possa formare sali di rame misti con l'acido idrossammico. Anzi le nostre esperienze lo provano e più tardi pubblicheremo i dati analitici dai quali risulta che la composizione dei sali di rame, precipitati in queste condizioni può benissimo simulare quella di sostanze del tutto diverse; di ciò va tenuto conto perchè i liquidi precedenti, quando si trattano con acetato di rame, contengono sempre del chetone inalterato per quanto sieno stati estratti con etere. (*) Questi Rendiconti XX (1911), 2° sem., pag. 248. RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 82 — 626 — E così mi pare che i punti principali della questione sieno in gran parte chiariti; ma come ho detto vi ritorneremo sopra ed in modo più dettagliato. La mia reazione per la ricerca delle aldeidi rappresenta, almeno credo, un perfezionamento in confronto dei metodi prima impiegati; ma, come spesso è inerente ai perfezionamenti, essa implica anche delle complicazioni, le quali naturalmente esigono una maggiore cautela da parte dello sperimentatore. Siccome si opera in mezzo alcalino, io ho già posto in guardia contro l’im- piego di un eccesso di alcali (*) e ciò per più ragioni. L'eccesso di alcali può resinificare i composti aldeidici prima ancora che reagiscano con la biossiammoniaca; oppure può spezzare la catena di atomi di carbonio come si è visto poco anzi; ovvero ancora l’eccesso di alcali può rendere negativa la formazione degli acidi idrossammici anche quando si tratta di vere aldeidi. Quest'ultimo caso mì si è presentato soprattutto per le aldeidi aromatiche ortosostituite; però anche qui mi è stato possibile chiarire la ragione. La reazione delle aldeidi con la biossiammoniaca e che conduce alla formazione di acidi idrossammici: (©) R. COH + NH(0H), = R. C(OH) : NOH + H,0 presenta. come ognuno vede, una grande analogia con la formazione delle ossime : R.COH +NH,(0H)=R.CH:NOH+H;0, ma non bisogna dimenticare che l’idrossilammina è una sostanza stabile e che perciò quest'ultima trasformazione può compiersi anche quando la reazione procede molto lenta; invece la biossiammoniaca reagisce facilmente con se stessa con sviluppo di protossido di azoto: (8) 2 NH(0H), = N,0 + 3H;0 come ho avuto occasione di dimostrare a suo tempo (0) Perciò, se la reazione (8) è più rapida della (a) può avvenire che gli acidi idrossammici si ottengano con scarso rendimento ovvero che non si formino quasi affatto. In questo caso però io ho trovato che si può agevolare (1) Nella sua ultima Nota il prof. Balbiano riconosce (pag. 392) che la mia reazione può essere sempre impiegata come diagnostica delle aldeidi quando invece di sovrasaturare con alcali si adoperi il sale sodico dell’acido di Piloty; in altre parole in presenza di una quantità di alcali maggiore ancora di quella che io ho prescritta per il saggio qua- litativo. (2) Angeli, Veder cinige sauerstoffhaltige Verbindungen des Stickstoffs, Stuttgart (1908). pag. 42. — 627 — la reazione (@), che è la reazione utile, aggiungendo la quantità calcolata di alcali a piccole porzioni per volta ed a lunghi intervalli. Ed a questo modo di operare sono stato indotto dalle seguenti considerazioni. Le reazioni (a) e (8) sono bimolecolari ed indicando con Ca e C6 le concentrazioni dell’aldeide e della biossiammoniaca (la quantità di biossiam- moniaca è proporzionale all'alcali aggiunto), quando procedono in modo normale le loro velocità avranno per espressione: dx dx de E 2) =K,(C°_ x) dove K, e K,, indicano le rispettive costanti di velocità. Quando la (@) si compie in modo rapido, allora essa prevale e l’acido idrossammico si forma facilmente. Se invece la (a) è lenta rispetto alla (£) allora il rendimento può essere piccolo o quasi nullo. Per maggiore semplicità indichiamo con V, e V,, le velocità di (@) e (8) all’inizio della reazione; allora avremo: NETIRACIAC, V,= KO C5 da cui: V, 0A O, a K, dove K = K_ IAA Ciò fa vedere subito che abbiamo due modi per rendere : V, b- Vo vale a dire aumentando C, ovvero diminuendo C,. Ma non si può pensare ad aumentare di molto C, perchè già si opera in soluzioni concentrate; invece si può sempre fare C, arbitrariamente piccolo e quindi rendere pra- ticamente trascurabile la reazione (f). Il risultato ha confermato pienamente quanto la teoria mi aveva fatto prevedere (') e solamente giovandomi di un tale artifizio mi è stato possi- bile trasformare p. e. le aldeidi salicilica e m-ossibenzoica negli acidi idros- sammici corrispondenti. (1) Credo che questa elegante applicazione della legge delle masse sia stata fatta per la prima volta in occasione di queste esperienze. — 623 — Matematica. — Sulla commutabilità del segno lim col segno integrale, nes campi finiti. Nota dell'ing. Giovanni GioRGI, pre- sentata dal Socio V. VOLTERRA. Vale un teorema, che consegue come immediata combinazione di risul- tati già conosciuti, ma che forse non è generalmente abbastanza noto sotto la forma definitiva che lo riassume, cioè: Zn ogni campo finito, l'integrale del limite è uguale al limite dell’integrale; in termini più particolareg- giati, « Se una funzione /,(z) varia dipendentemente da un indice x, mante- « nendosi sempre integrabile L (*), e sempre compresa tra limiti finiti fissi « (cioè indipendenti da x e da x), e se per 2= 00, il valore della /,(), « per ogni x fisso, tende verso quello di una funzione limite /(), allora (1) lim f tu @) da = f dim fn(&) de ciò senza esigere, nè che la convergenza della /,(x) verso il suo limite /() avvenga uniformemente, nè che sia soddisfatta la condizione, alquanto più complessa, di Arzelà. Nel campo degli integrali R le cose si presentano meno semplici solo pel fatto che la condizione di Arzelà (convergenza quasi uniforme in gene- rale) (*) è necessaria (e sufficiente) per accertare che la funzione limite sia integrabile R. Siccome però gli integrali R quando esistono sono anche in- tegrali L, resta il fatto che la formula (1) è anche allora valida almeno nel senso che se entrambi i membri hanno significato essi sono eguali. Il teorema, sotto forma di varî enunciati equivalenti, è stato dato dal Lebesgue (*), ma con dimostrazione appena accennata. Le dimostrazioni sono state riprese da altri matematici, e soprattutto dal Borel e dal Fréchet (‘) i quali hanno confermato fuori di dubbio la prima parte dell'enunciato, quella che asserisce la integrabilità L di una funzione che sia limite di una successione di funzioni integrabili L limitate nel loro insieme. In luogo della seconda parte, essi dànno altri teoremi, che dipendono l’uno dall’altro, (*) Seriverò per brevità sempre « integrali L» per dire «integrali nel senso di Lebesgue », «integrali R » per dire « integrali nel senso di Riemann ». (2) Ved. Arzelà, Mem. Acc. Bologna, 27 maggio 1900; la denominazione di quasi-uni- forme si deve al Borel. (3) Ved. Lebesgue, Zecons sur l'intégration ecc. Paris, 1904, pag. 114; vedi anche la Thèse: Integrale, Longueur, Aire, negli Annali di Matematica del 1902. (4) Ved. Borel-Fréchet, Zecons sur les fonctions de var. réelle. Paris, 1905, pag. 48. — 029 - e da cui l’enunciato può dedursi (*); ma l'insieme delle dimostrazioni, molto sottili e ingegnose, non si presenta ancora semplice e facile ad analizzare. Fermiamoci dunque a questa seconda parte, che interessa egualmente gli integrali di Riemann e di Lebesgue, cioè quella che asserisce l'egua- glianza dei due membri della (1) quando essi esistono. In virtù della sua estrema generalità e importanza, vale la pena di dedicare un esame speciale alla dimostrazione. Dicendo R,(x) il resto f(x) — (x) e tenendo conto che senza ecce- zioni l'integrale di una differenza è uguale alla differenza degli integrali (°), l’asserzione da dimostrare si riduce a questa: Se una funzione Rn(2) în ogni punto x di un intervallo finito a ha misura di Lebesgue (*) che tende a zero col crescere di x. Infatti, se questo lemma è vero, date e, arbitrariamente piccole, purchè non nulle, si può determinare un N finito tale che per ogni n >N la misura 0, dell'insieme dei punti (li diremo punti speciali) in cui |R,(2)|>£ sia sempre < o. Allora si può considerare una funzione maggiorante posi- tiva S(x) che sia = M (il valor limite superiore dei valori assoluti delle R,) in essi punti speciali, e sia = nel rimanente dell’ intervallo. Questa S(x) è integrabile L, e il suo integrale si sa calcolare (in base alla definizione stessa di Lebesgue), ed è { St) de=oc,M+sb9-aT—-0)@ abbia una misura di Lebesgue ben definita. Questa proprietà, per le funzioni limitate, è condizione necessaria e sufficiente per la integrabilità L. È bene ricordare che fino ad oggi non si conoscono funzioni non misu- rabili. — 630 — Ma l'integrale della R,(x) è in valore assoluto non superiore all’ inte- grale della sua funzione maggiorante S(x) (1). Quindi per ogni n>N) , sia o, la misura dell’insieme dei punti speciali di R,(x) (O LI L) b,) L,) Rs(x) O . O ° 0 ° . Ù O 0 O e O O O ° O Si tratta di dimostrare che 0, tende verso zero col crescere indefinita- mente di 7. La dimostrazione si fa per assurdo, osservando che se 0,, non tendesse verso zero, allora il più grande dei limiti di o, (il limite superiore d' in- determinazione secondo Du Bois Reymond) avrebbe valore > 0, e per es. = #; ciò vorrebbe dire che scelta una qualunque « inferiore a B, vi sareb- bero infiniti valori di n, per cui o, sarebbe >. E allora, in virtà di un certo teorema sulla sovrapposizione degli insiemi. si arriverebbe alla conse- guenza che nell'intervallo è — esisterebbe un insieme, di misura non <<, di punti ciascuno appartenente a un'infinità degli insiemi 0,, e cioè di punti fissi in ciascuno dei quali R,(x) non tende a zero per n= 0; ciò contrariamente all'ipotesi fatta. Il teorema sugli insiemi a cui faccio allusione è il seguente: Se si ha su un intervallo finito L=b—a un'infinità numerabile d’ insiemi, cia- scuno dei quali ha misura = a, esiste nell'intervallo un'insieme di punti ciascuno dei quali viene ricoperto da (cioé appartiene a) un'infinità fra e8sì insiemi; e questo cosiddetto insieme limite completo ha misura = a. (*) In virtù dei postulati di definizione 3° e 4° del Lebesgue, loc. cit., pp. 98-99. — 651 — Si vede dunque che a questo teorema, in ultima analisi, si riduce il punto essenziale di tutta la dimostrazione sulla commutabilità del segno limite col segno integrale. Nonostante però l’enunciato semplice e quasi intuitivo del teorema stesso, la prova formale non è così immediata come potrebbe apparire. Il Borel infatti lo deduce (2) come conseguenza di un altro enunciato alquanto più complesso e generale (ma che può anche de- dursi reciprocamente come corollario), la cui dimostrazione è piuttosto ardua a seguire, e potrebbe lasciare qualche dubbio a chi non ne facesse uno studio approfondito. Dobbiamo perciò essere grati al prof. Orlando che con la sua abituale limpidezza ha dato nell'ultimo fascicolo di questi Rendiconti una dimostra- zione del teorema in forma molto accessibile. In vista dell'importanza della questione. mi permetterò di suggerire un procedimento di dimostrazione essenzialmente diverso, cioè non per as- surdo ma per via di calcolo algebrico diretto sulla misura dell’insieme li- mite; e spero che non farà « double emploi » perchè permette di asserire un risultato anche sulla sovrapposizione di un numero finito di insiemi. Di- mostrerò prima la formola per x finito, e poi passerò al limite per n= 00. Sia dunque un segmento di lunghezza finita L (o più generalmente un insieme di misura L). Applichiamo su di esso 7 insiemi, ciascuno di mi- sura = /. Diciamo U, la misura dall'insieme dei punti coperti 1 o più volte D) U. D) ” ” D) 2 D) D) (?) ° . ° °. ° è è ° ° ° è . ° ° O ° ° . ° ° ” U, ” 7 7 ” n volte e non vi sono punti coperti più che x volte. Ciascuno di questi insiemi contiene il seguente; e abbiamo quindi L=U=U,=--=U,. D'altra parte abbiamo manifestamente (come conseguenza del modo come gli U sono generati) che la somma degli U è uguale alla somma delle misure degli x insiemi applicati; quindi uu = Siccome qui tutti i termini sono = U,, e sono in numero di 7, segue (sostituendo a ciascuno di essi il valore massimo U,) che xU, =, e quindi (8) U,=/ (1) Ved. Borel-Fréchet, op. cit., pag. 21. (2) La misurabilità risulta da noti teoremi fondamentali nella teoria delle misure di Lebesgue. — 632 — (ciò che era d’altra parte evidente direttamente, ma che ci conviene aver dedotto per questa via). Se ora x) non è >L, non si può dedurre altra diseguaglianza che ci interessi. Se invece 7/ > L, si può dal primo membro della (2) sottrarre U,, e dal secondo sottrarre L, e dedurre Quindi nello stesso modo come è stata dedotta la (8) si ricava (4) ell aT—-1l e questo procedimento si può continuare per tante volte quanto è il mas- simo intero % contenuto nel rapporto —. Si ricavano cioè ordinatamente L le disuguaglianze UAE=% ZI dei > —2L (5) Re n_-2 ES bo n_t1+41 le quali sono in numero di X +1; cioè arrivano fino al termine di indice k-+1. E questo è il sistema di formole che vale pel caso di 7 finito. Ciò premesso, se facciamo crescere n indefinitamente con l'aggiungere sempre nuovi insiemi ciascuno di misura = /, le U variano tutte, ma le (5) restano sempre vere; i secondi membri tendono allora tutti verso / (*), e il loro numero cresce all'infinito. Si ha quindi allora ultimamente US U= 4 (6) Wh= (e così senza limite). (*) Intendo dire che ciascuno dei secondi membri, per i fss0 (qualunque sia ), e per n indefinitamente crescente, tende verso /; ciò che però non avviene più se invece di tenere # fisso, si considera un % variabile in funzione di #, o in funzione di £; perchè appunto tale convergenza verso 7 non avviene con uniformità rispetto ad #; e per la va- lidità della nostra dimostrazione non occorre che ciò sia. — 633 — Cioè abbiamo una serie di insiemi U, > U, DU; ...5 UD... di cui cia- scuno è contenuto nel precedente; e tutti sono di misura = /. Quindi (') esiste un insieme U, contenuto in tutti gli U,, ed è misurabile, ed ha misura =. /. E questo è un insieme di punti ciascuno dei quali è coperto infinite volte. Dunque ll teorema è dimostrato. Si possono così confermare con tutta generalità i teoremi relativi alle formole (1) e (2). Conviene anche aggiungere che essi valgono pure quando la convergenza delle rispettive funzioni verso il loro limite avviene 4 meno di un insieme di punti di misura nulla. L'uno e l’altro si lasciano poi anche enunciare come teoremi sulle serie (?). La validità di tutti essi è condizionata al fatto che l'intervallo di integrazione sia finito, e la funzione da integrare sia compresa tra limiti finiti fissi (anche qui, salvo al più un insieme di punti di misura nulla). Quindi, come principio generale di analisi, si conclude che la effettiva di- versità fra l'integrale di un limite e il limite di un integrale può solo nascere quando l'insieme delle curve rappresentative delle funzioni che si considerano ha qualche punto limite a distanza infinita; cioè in qualche modo, essa diversità è legata con la formazione di certe funzioni impulsive, o analoghi elementi, il cui presentarsi spiega la diversità e può misurarla; su questo argomento mi riservo di ritornare in altra occasione. Chimica. — Osservazioni chimico-mineralogiche su alcuni berilli elbani (*). Nota dell’ ing. dott. L. MADDALENA, presentata dal Socio G. STRUEVER. Osservando ì valori degli indici di rifrazione di varî berilli riportati dal- l’Hintze (‘), si nota che i medesimi aumentano coll’ intensità di colorazione dei berilli stessi mostrandosi minimi per i berilli incolori dell'Elba, massimi per gli smeraldi della Siberia. Il prof. Brugnatelli (*) richiamò l'attenzione su questo fatto avendo notato che gli indici del berillo verde oliva di Sondalo (0 = 1,5823; «= 1,5762[Na]) e di quello celeste chiaro di Craveggia (0 = 1,5830; (1) In virtù di un teorema dato dal Lebesgue, loc. cit., pag. 109, e la cui dimo- strazione è molto semplice. (2) Veggasi un enunciato in Lebesgue, loc. cit.. pag. 114, in ultimo; un altro teo- rema di portata diversa è stato dato da B. Levi nel 1906. L’enunciato di Lebesgue, pel caso delle funzioni integrabili R, era stato dato per la prima volta da Osgood nel 1896, ma con una restrizione che poi Hobson nel 1903 ha dimostrato superflua. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto Mineralogico della R. Università di Pavia. (*) Handbuch der Mineralogie, pag. 1273. (5) Beryll. è. andere Mineralien der Pegmatite von Sandalo. Zeitschr. f. Krystall. ecc. 1902, RenpICcONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 83 — 634 — «= 5773[Na]), sono notevolmente superiori agli indici dei berilli incolori dell'Elba (0=1,5770;e=1,5709[Na] sec. De Cloizeau). Il Lacroix nella descrizione dei minerali provenienti dalle pegmatiti tormalinifere del Madagascar (*) distinse due tipi di berillo: uno di color azzurro-verdognolo con abito normale ad indici di rifrazione pure normali, ed uno di color rosa salmone, appiattito secondo la base, avente indici molto elevati ed una densità superiore alla ordinaria. Avendo fatta fare un'analisi spettroscopica del minerale fu rivelata da questa la presenza nel secondo tipo di una quantità notevole di cesio, litio e sodio: il Lacroix ne osservò l'analogia col berillo di Hebron descritto da Penfield e Harper (*) assai ricco in alcali e specialmente in cesio, ed accennò alla possibilità che la modificazione delle proprietà ottiche potesse dipendere dal quantitativo in alcali contenuto. : Più tardi il Ford (*), raccogliendo le analisi di varî berilli americani ricchi in alcali ed aggiungendone una di un berillo di Madagascar proveniente dalla stessa località di quelli descritti da Lacroix, potè in modo sicuro sta- bilire che le modificazioni che presentano gli indici di rifrazione ed il peso specifico di certi berilli sono una funzione del loro contenuto in alcali. Recentemente Lacroix e Rengade (‘) ripresero lo studio dei berilli rosa (da un rosa fiore di pesco ad un rosa salmone) delle pegmatiti di Maha- ritra (Madagascar) analizzandoli e determinandone indici di rifrazione e den- sità: essi ritengono che la sostituzione della glucina avente peso molecolare basso (25,17) e quindi debole rifrazione molecolare, con alcali a peso mole- colare più elevato (Li, 0= 30,06; Na.0=62,10;K,0 = 94,30;Cs,0= 280,76) sia la causa dei cambiamenti nei caratteri fisici. Questi autori con- cludono poi, a differenza di quanto aveva prima ritenuto il solo Lacroix, che al Madagascar non vi sono due tipi distinti di berillo, ma una serie continua nella quale l'aumento della percentuale in alcali (particolarm ente Li e Cs) va di pari passo col crescere della loro densità e del loro potere rifrangente. Invece Dupare, Wunder e Sabot(?), nei loro varî studî sulle pegmatiti di Madagascar, insistono a distinguere, indipendentemente dalla colorazione, due tipi di berillo: uno prismatico allungato secondo [0001] povero di faccie e di densità poco elevata, con una bassa percentuale di alcali ed indici di rifrazioni poco superiori ai normali; un altro tipo appiattito secondo la base (0001), ricco di faccie, contenente una notevole quantità di alcali (Os e Rb), (1) Bull. de la Soc. Franc. de Minér., 1908, pag. 218-247. (?) Amer. Journ., t. XXVIII, 1884, pag. 250. (#) Amer. Journ., t. XXX, 1910, pag. 129. (4) Bull. Soc. Franc. de Minér., 1911, pag. 123. (°) Mém. Soc. Phys. Genève, t. XXXVI, 1910. Ball. Soc. Frane. de Minér., 1910, pag. 53 e 1911, pag. 131 e pag. 239. — 635 — con densità ed indici di rifrazione decisamente superiori a quelli del tipo precedente. Questi autori chiamarono il secondo tipo di berillo col nome di woroblewite che fu dato dal Vernadsky a berilli analoghi provenienti dalla Siberia. Il chiar. prof. Brugnatelli mi ha gentilmente favoriti alcuni begli esem- plari di berillo elbano provenienti dalle ben note pegmatiti di S. Piero in Campo, consigliandomi di eseguire uno studio comparativo delle loro pro- prietà fisiche e composizione chimica. Le analisi finora eseguite dei berilli elbani (Rammelsberg (!), Gratta- rola (@) non hanno rivelato la presenza in essi di alcali; solo il Bechi (?) vi ha determinato una notevole percentuale in cesio, ma dirò più avanti dello scarso valore che si può attribuire a questa sua analisi. Dei campioni che avevo a mia disposizione uno era incoloro e perfet- tamente limpido (I), il secondo pure limpido e di una tinta delicata rosa fiore di pesco (II) ed il terzo di un color celestino un po' meno limpido dei precedenti, ma sempre trasparente (III). I risultati delle analisi furono i seguenti : I II 1006 Si 0, 65,09 64,39 63,90 All, 0; 17,21 20,08 18,64 GIO JESI 11,40 10,37 Ca 0 1,02 1,06 traccie Mg0 1,81 0,56 traccie Cs,0 - — traccie K,0 — | 0,41 1,61 Na; 0 — ( ( 998 Li, 0 - _ (tigto? H.0 1,44 JO 1,62 99,84 99,17 98.92 In queste analisi la separazione della glucina dall’allumina fu fatta col metodo solito maggiormente consigliato dal Rose mediante il carbonato am- monico e l’ammoniaca, ritenendolo preferibile anche al metodo recentemente consigliato come ottimo da C. Renz(‘) che consiste nell’aggiungere alla so0- luzione dei cloruri di Al e G1 una soluzione al 80 °/, di etil-o metilam- mina che rende insolubile la glucina. (*) Mineralchemie, 1875, pag. 650. (2) Grot’s Zeitschr., 5, pag. 503. (5) Boll. Com. Geol., Roma, 1870. (4) Ber. der deutsch. Chem. Ges., Berlin, V, 36, pag. 2751. — 636 — La determinazione degli alcali venne fatta disaggregando con Ca CO, e NH,CI secondo il metodo di Lawrence Smith. Per il campione III feci anche la separazione del potassio ottenendo la percentuale in K,0 di 1,61, ma siccome poi l’analisi spettroscopica dei prodotti della separazione rivelò la presenza del Li non solo nel filtrato, ma anche, sebbene in piccolissima quantità, unito al cloroplatinato potassico, pur ritenendo che la separazione non sia riuscita in modo perfetto, ma d’altra parte non potendo ripeterla per mancanza di materiale, ho dovuto accettare questo valore che va perciò con- siderato solo come approssimativo. Oltre alla linea del Li assai persistente, lo spettroscopio rivelò anche in piccola quantità, non sicura, la presenza del Cs. Come dissi, la presenza del Cs nel berillo dell’ Elba era già stata se- gnalata dal Bechi('), il quale nel 1870 ne analizzò alcuni cristalli « squi- sitamente limpidi, sinceri e più o meno soavemente tinti del color d’acqua di mare ». Ecco le sue analisi: I II III Silice 70,00 Silice 60,02 Allumina 26,33 Allumina SIROT Glucina 3,91 Magnesia 7,60 Cesio 0,88 Calce 1,14 Ossido di ferro 0,40 a 100,92 Queste analisi si rivelano poco attendibili e tali le ritennero l’Hintze(?) ed anche il D'Achiardi(*), specialmente la seconda che sembra non essere di un berillo quantunque Bechi lo affermi sull’autorità del Meneghini e dica di aver ripetuto le analisi tre volte ottenendo concordanza di risultati (!). È evidente che l’A. non è riuscito a separare la glucina dall’allumina e ciò forse è dovuto al metodo usato, coll’acido solforoso, che egli dice esat- tissimo ma che, secondo Rose, conduce molto facilmente in errore. Gli indici di rifrazione di questi berilli vennero determinati col metodo della riflessione totale mediante un apparecchio Abbe-Pulfrich sopra lamine tagliate parallelamente e normalmente all’asse ottico; inoltre per il berillo incoloro e per quello celeste gli indici furono pure determinati per controllo col metodo della deviazione minima, adoperando due faccie alterne del prisma {1010} opportunamente lisciate. (1) Op. cit. (*) Loc. cit. (3) Mineralogia della Toscana, V. II — 637 — I valori medî dei risultati ottenuti da numerose esperienze operando alla luce gialla del sodio furono i seguenti: Misure per riflessione totale I II III = 1,97682 1,97778 1,59169 ci 1,97169 1,57269 1,58024 Misure per deviazione minima I III ni 1,5769 1,5916 cessu i ez 1,5850 La concordanza tra le misure ottenute coi due metodi è abbastanza soddisfacente. La densità di questi berilli fu determinata col picnometro adoperando dei frammenti perfettamente limpidi : I II III = 2,6891 2,6917 2,0639 Osservando questi risultati si mostra evidente anche per il berillo elbano la relazione tra quantitativo di alcali, indici di rifrazione e peso specifico, intuita dal Lacroix fin dal 1908, confermata da Ford e poi da nuovi studî di Lacroix o Rengade e da quelli di Dupare, Wunder e Sabot per i berilli d'America e del Madagascar. Ho creduto opportuno riunire in una tabella comparativa le mie ana- lisi sul berillo Elbano, alcune dei berilli del Madagascar eseguite dagli au- tori citati ed una del Wells di un berillo americano, aggiungendo i rispet- tivi valori del peso specifico, indici di rifrazione e doppia rifrazione, e fa- cendo risultare a parte la somma degli alcali. Dall'esame di questa tabella risulta evidentissima la relazione tra il valore crescente della somma degli alcali e quelli pure crescenti degli indici di rifrazione, della doppia rifrazione e della densità, relazione che si verifica solo approssimativamente costante. Inoltre la tabella mostra chiaramente che non è possibile fare, nè per la composizione chimica, nè per le proprietà ottiche, nè per il valore del peso specifico, una distinzione netta tra due tipi di berillo, come vorrebbero Duparc, Wunder e Sabot, basandosi sopra tutto sulla differenza dell'abito cristallino; possiamo quindi concludere che sì tratta piuttosto di una serie continua come ammisero Lacroix e Rengade. Se osserviamo la colorazione sembra che anch'essa tenda ad aumentare di intensità unitamente alle altre proprietà fisiche, eccetto per i berilli del Maine (Hebron) i quali sono incolori (’): sembra quindi che la presenza di (1) Hintze, Handbuch d. Min., pag. 1291. — 638 — una piccola quantità di alcali possa aumentare notevolmente nei berilli il potere solvente rispetto ai pigmenti coloranti. Ad ogni modo si ritiene che dopo le misure fatte da H. Dudenhausen degli indici di rifrazione del salgemma incoloro e colorato, e quelli di E. A. Wulfing sul diamante, fluorite, quarzo, si possa considerare come dimostrata l'assoluta indipendenza tra colorazione ed indici di rifrazione (!). Ricordando le importanti esperienze di Doelter riguardanti l’azione del radio sul colore dei minerali, ho voluto sottoporre all’azione dei raggi Rontgen (non avendo a mia disposizione quantità sufficienti di sali di radio ed essendo l’azione di questi raggi pressochè identica a quella delle radia- zioni del radio, come appunto dimostrarono le esperienze di Doelter), i tre berilli dell’ Elba ed altri campioni di varî colori e di diversa provenienza esistenti nel Museo dell’ Istituto Mineralogico della R. Università di Pavia. Mi fu gentilmente concesso di eseguire l’esperienza nel gabinetto radiogra- tico dell'Ospedale S. Matteo. La corrente adoperata fu quella stradale a 120 Volts trasformata da alternata in continua mediante un motore: il roc- chetto dava scintille della lunghezza di 70 cm. I minerali sperimentati vennero disposti immediatamente sotto ad un tubo Miller di 20 cm. di diametro, della durezza incipiente 9 della scala di Denoise, a raffredda- mento d'acqua. L'esperimento durò 10 ore, dopo le quali il tubo Miller si spezzò; l'energia della corrente variò, durante l’esperienza, da 12 a 15 Ampères. Quantunque la durata delle esperienze e l'intensità della corrente siano state maggiori di quelle che bastarono a Doelter per ottenere in altri mi- nerali decolorazione o mutamento di colore, non potei accertare nei miei berilli la più piccola variazione, nè la misura degli indici di rifrazione ese- guita immediatamente dopo l’esperienza fu, per un valore apprezzabile, di- versa da quelle eseguite prima. Se si osservano le analisi delle tormaline che accompagnano i berilli ricchi in alcali, si riscontra che anch'esse ne contengono una quantità note- volmente superiore al normale, soprattutto di litio; così le tormaline di Orford (New Hamphire), di Parîs (Maine), Mesa Grande, California(?), di Atsomgombato, Antaboko, Tsilaizina e Maroando (Madagascar) (*) e quelle dell’Elba(‘): inoltre paragonando gli indici di rifrazione di queste torma- line si nota pure una relazione tra i loro valori e la somma degli alcali in esse contenuti, ma tale relazione è inversa a quella riscontrata peri berilli, cioè il valore degli indici delle tormaline diminuisce coll’aumentare del loro contenuto in alcali. (1) G. Linck, Fortschritte der Mineralogie, ecc. Jena, 1911. (2) Hintze, Handbuch d. Miner., pag. 365. (*) Dupare Wunder Sabot, Mem. Soc. Phys., Genève, t. XXXVI, 1910. (4) D’Achiardi, Ze tormaline del granito Elbano. Pisa, 1896. F800°0 G800°0 O6gS'I IT6ST PLEOST I66SI FLY8 186 86°9 08°9 L6' 66 10‘66 086 (ata 66° 00°8 CO id4i0) 89°0 “ PI = 18‘0 99'F 5 = #e‘0 © 91904] = | —_ QI99OVI) = 930 OLII aaa | IPLI ( 19°89 6509 opunyi 91edn(] |PpeSuoy o x10J9tT] 099E|OIA ESOI (aeoseSEpeN) (eosesepeny) PAFIIRTE N BAYIIETEN TITA TIA 099E]OIA ESOI 01800°0 FIOGSI YE86SI 086 859 OS'00T 808 097 SII oF°0 981 FL'LI Fp69 SIAM 0X0]00UI uoIqeH TA +S900°0 GIGSSI 991651 689L'E 68°8 6/86 GIL 866 210021} OI00VI) 010081) BUA]EPPEH 0uIgs9[99 CaIT A G900°0 COLSAI 098S°T SLG 636 9666 9109V19I FOT 08°08 o 0L°G9 epes -U9)] 9 XION9EIT QUOUI]ES ESoI (1eosedepen) Sepsayoy AT t900°0 6000°0 FLFOO'0 09LS°1 6ITLST QTLGT CEBST 8LLLSI 9VILSI 9116 LT69%G 16898 c640 TF0 = $38‘66 LT°66 7866 168 L3%1 FI SI°0 | = 8L‘0 IRO # 70‘0 Î = = 90°1 cI°I = 950 I8T €0°0 = 7 9OL'8I OFII 2381 pI8I 80°06 IGLI 9LF9 6879 60°S9 Si Sag CUE]EPPEN CuOeppen QOVAIA SOI opij[ed esor 010]99UI (1mosedEpeIT) CUIZIENS CALA CAI II DI I ugsijeue 9Q10]09 RHVIOT e CSI Re ‘Jroods oseg I]®0]e BLU WIOS * ’* e UUIOS OSH ORI en SEMO SSRIORONI CSA): ‘0% ni e MI e ua RO ian RE OO SSA SACRO "ze SONS — 640 — Meccanica. — Sulle onde superficiali dovute 4 particolare conformazione del fondo. Nota di U. CisortI, presentata dal Socio T. LevI-CIVITA. Matematica. — Sopra un’ estensione del teorema di Riese Fischer. Nota I del dott. Luier Amoroso, presentata dal Corrispon- dente G. LAURICELLA. Matematica. — Sopra una trasformazione classica di Sophus Lie. Nota del dott. Enrico BOMPIANI, presentata dal Corrispondente G. CASTELNUOVO. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Fisica. — Ricerche spettrali sull'arco fra carboni a piccole pressioni. Nota del dott. M. La Rosa, presentata dal Corrispondente D. MacaLuUSO. L'esame spettrale dell’arco elettrico, prodotto in ambienti a pressioni più piccole dell’atmosferica, è stato intrapreso per la prima volta da Hagen- bach (*). Egli ha trovato, che quando la pressione viene ridotta a pochi millimetri di mercurio, nella luce dell'arco sono presenti tanto gli spettri dei materiali che formano gli elettrodi, quanto quelli dei gas dell'ambiente. Le ricerche sono state istituite su archi, accesi fra elettrodi di materiali diversi, ed in seno a svariati gas, ma i risultati pubblicati sì riferiscono all'arco fra elettrodi di rame, prodotto nell'aria, nell’anidride carbonica, e nel gas illuminante. Fabry e Buisson, in occasione delle. loro ricerche spettroscopiche ed elettriche sull'arco fra metalli, hanno messo in rilievo l’esistenza di due re- gimi di arco, differeuti sia per le circostanze elettriche, che per la struttura dello spettro emesso. Il primo regime, che è più stabile con intensità piuttosto elevate, è accompagnato da differenze di potenziali più piccole, a parità di lunghezza dell'arco e d’intensità della corrente d'alimentazione, di quelle che sì pre- (!) Phys. Zeitschr. Bd. 10, pag. 649, 1909. — 641 — sentano nel secondo regime. Facendo gradatamente diminuire l'intensità della corrente si osserva, a certo punto, un cambiamento brusco nei potenziali, che rivela il passaggio dal primo al secondo regime. Ora nel primo regime l'arco presenta solo gli spettri dei metalli che co- stituiscono gli elettrodi, mentre nel secondo, accanto a questi, leggermente modificati, — p. es. per la scomparsa delle righe di scintilla dalle vicinanze dell’elettrodo positivo — si presentano spettri appartenenti ai gas dell’am- biente (!). Siccome questo secondo regime, a pressioni via via più basse, diventa sempre più stabile del primo, riescono confermate, e meglio precisate, le osservazioni di Hagenbach. Le esperienze sono state fatte principalmente sopra un arco fra elettrodi di ferro, ed estese solo in qualche parte ad altri metalli ed al carbone. Più recentemente, Barnes ha studiato dapprima le caratteristiche del- l'arco fra elettrodi di carbone e di magnesio sotto bassa pressione, e poi gli spettri dell'arco fra elettrodi di alluminio, rame, magnesio nelle medesime condizioni. Egli riferisce che in questi spettri, accanto alle ordinarie bande. che vengono attribuite a composti dei detti metalli con ossigeno, si presen- tano delle altre bande, che per lo più sono attribuite a composti con idro- geno; e di più, che al diminuire della pressione, lo spettro degli elettrodi prende un aspetto intermedio fra quello dell'arco e quèllo della scintilla. Inoltre conferma, che a queste basse pressioni, insieme con quelli degli elet- trodi, si presentano elementi spettrali appartenenti ai gas dell'ambiente, come p. es. le bande dell'azoto. Avendo avuto occasione, tempo fa, di fotografare una parte dello spettro dell'arco fra carboni, a varie pressioni, ho potuto osservare fatti analoghi, insieme con alcune particolarità interessanti che riferisco nella presente Nota, non avendole trovate da altri descritte. Nelle mie esperienze mi servivo di una lampada a carboni inclinati, fornita di regolatore automatico (ad un solo rocchetto unito in serie) posta dentro una grande campana a tenuta d'aria, di cui ho fatto un cenno in un precedente lavoro (*). La disposizione ottica è stata quella stessa di cui mi sono servito in altre occasioni (8). Rarefacendo l’aria della campana, fino ad una pressione di pochi cen- timetri di mercurio, l'arco non presenta notevoli mutamenti, nè dal punto di vista elettrico, nè da quello ottico. Tutto ciò che si può notare — seguendo attentamente le indicazioni dell’amperometro posto in serie, e del voltimetro derivato ai poli dell'arco — è una piccola diminuzione della differenza di potenziale, che si verifica benchè 1) C. R., t. 146, p. 1143, 1908; e Jour. de Phys. t. IX, pag. 929, 1910. ( (2) N. Cim. vol. XX, dicembre 1910. (3) Mem. Acc. Lincei, vol. VII, pag. 451, 1908. RenDpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 84 — 642 — l'intensità si mantenga presso a poco costante e la lunghezza cresca legger- mente. Ciò denota che il passaggio della corrente attraverso alla massa aeri- forme diviene via via più facile a misura che la pressione decresce. Le sole particolarità che si possono scorgere nello spettro della luce emessa in queste condizioni sono un sensibile indebolimento delle bande del cianogeno, specialmente del secondo gruppo, ed una maggiore intensità ac- quistata dalle righe delle impurezze metalliche nella fiamma che avviluppa il carbone negativo, e che diventa sempre più estesa a misura che la pres- sione diminuisce. Riducendo ancora più, fino a pochi mm. di mercurio, la pressione del- l'aria che circonda l’arco, questo cambia gradatamente d'aspetto; esso cioè non presenta più ben distinte, e nettamente limitate, le due regioni, nucleo (costituito dalle due fiamme, l’anodica e la catodica) e mantello; questo ultimo diventa quasi invisibile, mentre quello si trasforma in una massa luminosa diffusa in cui si possono distinguere varie parti; e veramente sul catodo una piccola regione molto brillante, che costituisce il punto di ap- poggio dell’arco sul carbone ed un piccolo pennacchio meno luminoso, che parte dalla prima; sull’anodo pure una piccola regione molto brillante, che fa da un punto d’attacco dell'arco, alla quale segue prima un piccolo spazio oscuro, e poi una regione luminosa a contorni diffusi, che rimane separata dal pennacchio che parte dal catodo da un secondo spazio oscuro, più grande del primo. In sostanza l'arco assume, ad un di presso, l'aspetto ben noto, carat- teristico delle scariche a bassa pressione. In queste condizioni esso raggiunge lunghezze alquanto maggiori di quelle che presenta a pressioni più basse, ed in complesso la sua luminosità, come anche quella degli elettrodi, è molto diminuita. Tutti questi particolari si possono bene osservare, o guardando diret- tamente l'arco attraverso filtri opportuni, o raccogliendone l’immagine (che nella disposizione ottica impiegata veniva proiettata sul piano della fendi- tura) sopra uno schermo bianco. In questo caso sì rileva ad occhio un cam- biamento di tinta della massa luminosa, che si presenta di un azzurro pal- lido. tendente al verde, invece che azzurro-violacea come di consueto. Evidentemente queste apparenze corrispondono ad un nuovo regime, 2 cui l'arco passa spontaneamente, quando la pressione è ridotta. È notevole il fatto che questo cambiamento di regime dell'arco sì ve- rifica senza brusche variazioni negli elementi elettrici che lo caratterizzano. Così, nelle condizioni delle mie esperienze (nelle quali si può riguardare come imposta la condizione i=cost. per il tipo di regolatore elettromagnetico di cui la lampada è dotata (*)) gli apparecchi di misura degli elementi elet- (®) Come ho già detto, questo regolatore ha un solo rocchetto in serie che agendo per — 643 — trici non accusavano quasi variazione, mentre l'arco cambiava regime, e la lunghezza, il solo elemento variabile, cresceva a grado a grado. P. es. in una esperienza si ebbe: i V L press. atmosf. . . . 5,lamp. 54volt 2,5 mm. DTA al e RZ EMMI) | DICE, È fuor di dubbio, però, che le descritte apparenze corrispondano vera- mente ad un regime diverso da quello dell'arco ordinario; me ne sono as- sicurato con la seguente esperienza: Cambiando la resistenza del circuito d'alimentazioue, e precisamente accrescendola un poco, l'arco cambiava bru- scamente d’aspetto — tornava cioè corto, a contorni netti, ecc. — e cam- biava bruscamente anche la differenza di potenziale ai suoi poli. Così in ambiente a 5 mm. di pressione ho avuto: Resistenza esterna Ì V L TO OMR, OL 5,1 58 14 22 » ” ig ta 5,9 34 2 circa Riportando la resistenza al valore primitivo si ristabiliva l'altro regime e con gli stessi valori i, V, L di prima. Le condizioni elettriche sotto cui avviene il cambiamento di regime sono intimamente connesse con la pressione dell'ambiente in cui l'arco è acceso. Così, in un'altra esperienza, in cui la pressione ambiente era di 13 mm., persisteva ancora il primo regime quando la resistenza del circuito era già ridotta a 13,5 ohm; con questa resistenza potevano presentarsi sia l’uno che l'altro regime, ma il primo sembrava più stabile. Lo spettro della luce che l'arco emette in questo secondo regime diffe- risce da quello della luce emessa nelle condizioni ordinarie per le seguenti particolarità : 1) Una diversa distribuzione delle intensità fra i varii elementi che compongono lo spettro dell'arco ordinario. 2) La presenza di elementi che in questo spettro non compariscono. Paragonando una fotografia dello spettro dell'arco nel primo regime, con un'altra dell'arco nel secondo, scelta in modo che le bande del carbonio abbiano in entrambe la medesima intensità — grossolanamente stimata (1) — attrazione sopra un nucleo di ferro allontana i carboni. La forza che si oppone è data principalmente da una lunga molla a spirale, che ad arco spento si trova già sotto una grande deformazione. (1) Le durate di posa occorrenti nelle condizioni del 2° regime erano più lunghe (3 e anche più volte) di quelle che bastano per il primo. — 644 — si vede che nella seconda le bande del cianogeno sì presentano molto più deboli che nella prima. L'indebolimento non avviene però in egual misura per tutti i gruppi. Fortemente indebolito è il secondo gruppo (il primo non è stato fotografato) di cui alla pressione di qualche mm. non riescono quasi più apprezzabili neanche le teste; gli altri (ITI e IV) sono pure alquanto indeboliti, ma lasciano sempre scorgere, insieme con le teste, molte delle righe di cui sono composti. Dallo stesso confronto si ricava, che molto indeboliti sono anche gli spettri delle impurezze metalliche, di cui a pressioni di pochi mm. non rie- scono visibili che poche righe, come le D del sodio e le g, H, K del calcio. Ma il particolare più rimarchevole, che si osserva in queste condizioni, ci è offerto dalla presenza delle bande comunemente attribuite a composti del carbonio coll'idrogeno ('). Si sa che queste bande sono state osservate nelle fiamme degli idrocarburi, nelle scariche elettriche in seno all'alcool ed in seno ad alcuni idrocarburi liquidi, e in certe scariche con correnti di alta frequenza prodotte in ambiente di gas illuminante a bassa pressione; esse però finora non sono state mai trovate nell'arco. Se si opera a pressione di pochi mm. di mercurio, insieme con queste bande, si presentano molto splendenti le righe Ha, Hg, H,, del primo spettro dell'idrogeno, e la loro intensità appare più grande di quelle possedute da tutti gli altri elementi spettrali. A pressioni più elevate, fra 1 e 2 cm., si osservano ancora bene le bande C+H, mentre le righe dell’ H (H, sparisce) diventano così deboli, che potrebbero totalmente sfuggire all’esame della spettografia, se su di esse non fosse stata già prima richiamata l’attenzione. La presenza di queste righe dell'idrogeno nello spettro dell'arco fra carboni è stata altre volte accertata, sia spingendo sull'arco una corrente di questo gas, o di vapor d’acqua, sia lasciando cadere sopra uno dei carboni qualche goccia d'acqua, sia accendendo l'arco in atmosfera d'idrogeno; ma nelle nostre esperienze, questa constatazione è specialmente importante, poichè s'accorda bene con l'ipotesi che attribuisce le bande delle quali preceden- temente fu detto a composti della forma CH#H. Ad ogni modo ho voluto assicurarmi se fosse possibile ottenere la pro- duzione di queste bande, senza la contemporanea comparsa dello spettro del- l idrogeno. Ho fatto perciò la seguente esperienza: Ho disseccato con molta cura l’ambiente in cui era racchiusa la lam- pada, lavandolo per sei volte con aria secca (passata per un triplice essic- catore a cloruro di calcio, acido solforico ed anidride fosforica), e nello stesso tempo ho tenuto acceso l’arco per liberare le estremità degli elettrodi da traccie di acqua o di idrogeno eventualmente occluse. In tal modo ho (1) Cfr. Kayser. Hand. d. Spectr. Bd. V, pag. 231 e segg. — 645 — tentato di allontanare la sorgente più importante dell'idrogeno che sì mani- festava nello spettro. Ma dopo queste cure una spettrografia, fatta a due mm. circa di pres- sione, mostrava, insieme con le bande C-|--H, ancora brillantissime le righe dell'idrogeno. A pressioni più elevate queste righe scomparivano quasi del tutto, come nelle esperienze fatte con aria umida. È molto probabile che le piccole quantità d’idrogeno occorrenti per la reazione spettrale, provengano dalla decomposizione di traccie di idrocarburi contenute dagli elettrodi, e lasciatevi indietro dal processo di fabbricazione. Nelle condizioni ordinarie dell'arco questi composti non emettono, pro- babilmente, per l'inettitudine da parte di questa forma di scarica di por- tarli all'emissione; a pressioni più basse, essi troverebbero nella scarica condizioni più favorevoli e si manifesterebbero tanto con le bande C+-H, che con le righe dell'idrogeno. È molto interessante il fatto, che bastano piccoli mutamenti di pres- sione nell'ambiente in cui l’arco accende, mutamenti che producono in questo, effetti inafferrabili dal punto di vista elettrico, perchè si passi da uno stato di cose in cui l'emissione delle bande C+H, o delle righe dell'idrogeno, ha luogo in tutta la sua pienezza, ad un altro in cui l'emissione più non avviene. Esso ci porta a pensare che l'arco alla pressione di due cm. circa non è lo stesso che alla pressione di 1 cm., e questo non è lo stesso che alla pressione di 5 mm.; lo spettroscopio infatti ci avverte che mentre nel primo mancano le condizioni necessarie per la emissione del centro delle bande C-+H e delle righe dell'idrogeno, nel secondo sono già raggiunte quelle che occorrono per l'emissione di quel centro ma non ancora quelle che biso- gnano per l’altro e solo nel terzo anche queste ultime vengono raggiunte. Dal punto di vista elettrico invece nulla o quasi ci può fare avvertiti di una modificazione avvenuta. E non è possibile imputare le differenze spettrali a variazioni della com- posizione dell'ambiente in cui l’arco si trova, cioè ascrivere p. es. l'assenza, o quasi, delle righe dello idrogeno, ad assenza di questo corpo, per mancata dissociazione degli idrocarburi, da cui proviene. La seguente esperienza ci toglie ogni dubbio in proposito : Nella campana che racchiudeva la lampada ho introdotto un pezzetto di fosforo acceso, e dopo aver eliminato così l'ossigeno, ho fatto penetrare dell'idrogeno fino a ristabilire la pressione atmosferica, voi ho acceso l'arco. dopo aver ridotta la pressione complessiva a circa mezza atmosfera (*). Lo spettro ottenuto in queste condizioni mostrò debolissime le bande C+H, e non mostrò quasi traccia delle righe dell'idrogeno. (*) Questa parziale rarefazione era necessaria per rendere ben stabile l'arco. — 646 — Ma se si abbassava la pressione dell'atmosfera che avviluppava l'arco, senza mutarne la composizione, lo spettro di questo corpo si ripresentava brillantissimo; e questa volta ad una pressione alquanto più grande di quella, che, per la comparsa delle medesime righe, occorreva nelle esperienze fatte con aria. Ciò appare naturale se sì pensa che l'arco in seno all'idrogeno ha pro- prietà diverse che quello nell’aria, come una caratteristica più ripida, diffe- renze di potenziali più grandi, e, come si può direttamente accertare, una maggiore facilità a cambiare di regime. In conclusione i risultati esposti porterebbero ad affermare l'esistenza di più regimi di arco, non tutti nettamente distinguibili mediante l'esame elettrico, ma perfettamente caratterizzabili dal punto di vista spettrale. Esse illustrano, ancora una volta, la squisitezza del metodo spettroscopico come mezzo d'indagine, specialmente in questo difficile campo dello studio di tutta la serie (probabilmente lunga) di differenti stati per cui passa il complesso fenomeno della scarica elettrica in seno ai gas. Fisica terrestre. — // terremoto del 24 gennaio 1912 nelle Isole Jonie e sua velocità di propagazione. Nota di G. AGaMEN- NONE, presentata dal Socio E. MILLOSEVICH. In una Nota preliminare (') mi affrettai a comunicare le osservazioni eseguite a Rocca di Papa ed in altri pochi Osservatorî italiani ed esteri, relative ad un violento terremoto, il cui epicentro doveva trovarsi vicinis- simo all'isola di Zante; e non mancai dal ricordare i memorandi fenomeni sismici che si svolsero in quest'isola nel 1893, e dall’esporre il risultato di un tentativo di calcolo per la velocità delle onde sismiche. Senonchè, dopo pochi giorni, dovetti convincermi che questa volta non aveva agito lo stesso focolare sismico del 1893, bensì altro situato dalla parte opposta dell'Isola; e siccome nel frattempo ho potuto conoscere i dati orarî di molti altri os- servatorî, così ora mi propongo di dare un'idea più concreta del recente ter- remoto e della sua velocità di propagazione. Da notizie inviatemi cortesemente dal signor Ed. G. Bonavia (?), capo dell'Ufficio telegrafico di Zante, dipendente dalla Zastern Telegraph Com- (1) G. Agamennone, Sul violento terremoto a Zante nel pomeriggio del 24 gen- naio 1912 (Rend. della R. Accad. dei Lincei, seduta del 18 febbraio 1912). Questa Nota era stata presentata, insieme ad altra, nella seduta del 4 febbraio; ma la pubblicazione venne rimandata al 18 febbraio. (9) Il signor Bonavia, degno successore del compianto G. W. Forster che si occupò del periodo sismico di Zante del 1893, ha inviato all'Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica di Roma una breve Memoria che riassume e discute i fenomeni svoltisi nel recente periodo sismico e sarà tra poco pubblicata nel Bollettino della Società Sismolo- gica italiana. — 647 — pany, risulta che l'epicentro s'è trovato tra l'isola di Zante e quella di Ce- falonia, e probabilmente più vicino a quest’ultima, a giudicare dalle mag- giori rovine prodotte nella parte SE di Cefalonia in confronto di quelle nella parte settentrionale ed orientale dell’isola di Zante e nella stessa sua città principale (*). I danni cagionati dalla recente catastrofe ammontano ad in- genti somme, ma fortunatamente non s'ebbe a lamentare alcuna vittima nell'isola di Zante; soltanto a Cefalonia vi fu la perdita di 9 vite umane, delle quali 8 nelle prime due scosse. La grande commozione sismica del 24 gennaio fu sentita verso nord fino a Corfù e sulla costa prospicente dell'Albania, e verso ovest fino a Pa- trasso. La medesima non fu preannunziata da alcuna scossa premonitoria e fu seguìta, fin verso la fine d'aprile, da un’ottantina di repliche tra forti e più o meno leggiere (*). Possiamo dunque concludere, anzitutto, che si tratta d'una catastrofe ben minore di quelle avutesi nel 1893, come appunto io avevo già preve- duto nella mia Nota preliminare, e poi che l'epicentro anzichè cadere al- quanto a sud dell’isola di Zante, come dapprima s'era ritenuto in seguito alle prime affrettate notizie dei giornali politici, deve esser collocato tra quest'isola e quella vicina di Cefalonia. Anzi, stando ad informazioni che debbo alla cortesia dell’Osservatorio di Atene, l'epicentro si troverebbe presso la costa SE di Cefalonia, ad una distanza approssimativa di 5 km. Per il calcolo sulla velocità di propagazione, io riterrò che il medesimo cada a mezza via tra l'estremità nord dell’isola di Zante e quella SE di Cefalonia; le sue coordinate geografiche sono all'incirca: p=38° 0" N, Z=20°45'!/,E da Gr. Disgraziatamente non è stato possibile conoscere l'ora esatta in cui la scossa del 24 gennaio ebbe luogo a Zante (*) o in altra località della Grecia, tranne Atene, in cui la scossa fu registrata da un sismografo a pendoli oriz- zontali con massa di kg. 135. (!) La città di Zante avrebbe dovuto essere risparmiata, per trovarsi a sufficiente distanza dal presunto epicentro; ma ciò non avvenne per due ragioni: anzitutto perchè il sottosuolo manca di stabilità, per essere costituito di terra di riporto; in secondo luogo perchè gli edificî erano rimasti assai danneggiati dai precedenti terremoti, specie quelli del 1893, e disgraziatamente non erano state prese in considerazione le norme edilizie allora suggerite dal chiarissimo prof. A. Issel. (3) La scossa fortissima della sera del 25 gennaio fu registrata a Rocca di Papa col principio a 19% 54 375 (t. m. Gr.), e l’altra forte del pomeriggio del 26 gennaio cominciò a perturbare gli strumenti dello stesso Osservatorio a 15° 28m 47 8, (*) Esiste un sismografo in questa città, ma da molto tempo non più in azione. Il signor Bonavia comunicò al nostro Ufficio Centr. di Met. e Geod., che l’orologio a pendolo dell’Ufficio telegrafico di Zante si arrestò a 17% 57m (t. m. Atene) cioè a 16h 22m 75c. (t. m. Gr.); ma non si può garantire se l'orologio fosse ben regolato, poichè non sempre viene controllato con l’ora di Atene, con la quale città si è in diretta comu- nicazione telegrafica. Anche il sismografo di Eghion non potè funzionare; e così per la Grecia, a quanto ci ha scritto l’egregio Direttore dell’Osservatorio di Atene, non è possibile avere altra ora precisa all’infuori di quella della Capitale. — 648 — S 3 Ora x i83 Località ian Lù O Osservazioni A_ 2 osservata calcolata | Km. là mo G Mm me 260 PAC ne eee 629217 16 23 46 iI 420 | Mileto . . . » 24 16 » 247 + 9 500 | Catania . . . » 24 13 » 24 17 — 4 | Pyw= 160242185 ; Pye= 102242158 580 | Mineo . . .| ( 20 48) » 24 21 (— 32889) So Soto. 00 » 24 31 » 24 26 + 5 | Principio ben deciso (#P) 660 | Ischia . . . » 24 48 » 24 38 + 10 680 | Sarajevo. . . » 24 38 » 24 4l _ 3 | Principio ben deciso (?P) 810 | Rocca di Papa. » 24 58 » 24 57 + 1 | Principio ben deciso (1P) 830 | Roma(U.C.M.) » 25 5 ». 1250 + 5 0 | Pol a è 0 0 n 25 17 » 25 16 + 1 | Principio ben deciso (1P) 950 | Agram . . + » 25 18 » 25 16 + 2 960 | Kalocsa . . . » 25 19 DINI + 2 | Principio ben deciso (1P) 990 | Siena (Univ.) . | (» 26 40) D DID + (12195) 1020 | Firenze (Xim.). » 25 25 » 25 25 0 1080) | Uldlestia o 00 » 25 25 » 25 26 — 1 | Principio indeciso (eP) 1040 | Lubiana. . . » 25 24 » 25 27 — 3 1090 | Carloforte . . » 25 84 » 25 34 0 TOO || Canzo 60 0 » 25 35 » 25 35 0 TSO RNP dova SN » 25 36 sd. DE 9 0 1190 | Vienna . . . » 25 48 » 25 47 + 1 | Principio ben deciso (1P) 1330 | Moncalieri . . IE 2,609 n 9265 + 4 1340 | Lemberg. . . » 26 10 » 26 6 + 4 | Principio ben deciso (:P) 1480 | Breslavia . . » 26 22 » 26 25 —_ 3 | eP=16827m22s ; 1P= 161272248 1580 | Strasburgo. .| (» 27 35) » 26 38 + (57)| Principio ben deciso (#P) 1590 | Heidelberg. . » 26 36 n 26 39 —_ 3 | Principio ben deciso (#P) 1630 | Jugenheim. . n 26 40 » 26 44 — 4 1730 | Gottinga. . . » 26 54 » 26 57 — 3 | eP= 162272548 ; 1P= 16527008 1820 | Aachen . . - o 21 n A 9 _ 2 | eP=161270 73; P= 162272108 1920 | Amburgo . . » 27 18 n 27 22 = 4 | Principio ben deciso (2P) gio, — Nella precedente tabella sono riuniti, nella 3* colonna, i dati orarî osser- vati nelle varie località, i quali fino ad oggi sono pervenuti a mia cono- scenza e tutti espressi in t. m. Gr. I medesimi si riferiscono all'inizio della perturbazione provocata negli strumenti sismici e si possono ritenere, 4 prord, tutti quasi dello stesso peso. Sono state racchiuse tra parentesi le ore di Mineo, Siena e Strasburgo, come quelle che sono troppo anomale per essere prese in considerazione ('). Mi propongo ora di utilizzare i 26 dati orarî sopra riportati, per cal- colare tanto l'ora corrispondente all'epicentro, quanto la velocità delle onde sismiche nell'ipotesi che le medesime siansi propagate alla superficie terre- stre con velocità costante in ogni direzione. Ma per risparmiare il grande lavoro «he risulterebbe, col metodo de' minimi quadrati, dal prendere in considerazione ben 26 equazioni di condizione, ho creduto di ripartire le 26 località in sei gruppi nel modo che è indicato nella tabella stessa. Il gruppo I è costituito dalla sola Atene, distante km. 260 dell’epicentro; il II da 5 località, la cui distanza varia da 420 a 680 km.; il III da 5 altre distanti da 810 a 960 km.; il IV da 7 osservatorî le cui distanze variano da 1020 a 1190 km.; il V da sole 4 località con distanze da 1330 a 1590 km.; il VI pure da 4 località, la cui distanza è variabile da 1630 a 1920 km. Poi ho trattato questi sei gruppi nel modo già tenuto in altro mio prece- dente lavoro, al quale senz'altro rinvio (*). Dalle sei equazioni di condizione vengon fuori i seguenti valori: ora all’epicentro . . 16230125 melocit Ni im ao ]isecondo): In base a queste cifre ho calcolato le ore che si sarebbero dovute otte- nere nei varî osservatorî; le medesime si trovano riportate nella 4 colonna della precedente tabella. Un colpo d'occhio alla 5% colonna, che dà le diffe- renze tra le ore osservate e quelle calcolate, persuade immediatamente della necessità dell'esclusione già avvenuta dei dati di Mineo, Siena e Strasburgo. Le altre differenze risultano generalmente assai piccole e perfino nulle; tra le medesime le meno insignificanti sono quelle di Atene (— 195), di Mi- leto (+ 9°) e d'Ischia (4 10°) e richiedono alcune considerazioni. (1) Per l’ora di Mineo già dissi nella mia precedente Nota. L'ora di Siena si rife- risce forse alla 22 fase dei tremiti preliminari, e ciò è assai probabile se si consideri la poca potenzialità di quel microsismografo « Vicentini » con massa pendolare di soli Kg. 50. Nell’ora di Strasburgo si è commesso probabilmente l'errore d’un intero minuto in più, nell’enumerazione dei minuti sul sismogramma. (*) G. Agamennone, Sulla velocità di propagazione del terremoto Emiliano del 4 marzo 1898 (Boll. della Soc. Sism. Ital., vol. VI, pag. 48). RenpIcontTI, 1912. Vol. XXI, 1° Sem. (9/0) Ut — I Tutte le altre oscillano tra — 45 e +4 5° e sono spiegabilissime anzi- tutto se si rifletta a qualche, sia pure piccola, incertezza nel tempo campione o nell’andamento degli orologi, destinati a segnare il tempo sulle zone di carta, poi si abbia presente la difficoltà nel precisare il vero inizio della perturbazione sismica, specialmente su tracciati non perfettamente tranquilli, e nel rilevare l'ora esatta sui sismogrammi in ispecie quando le zone sono dotate d'insufficiente velocità o il loro scorrimento non è ben regolare, e in- fine si consideri la dannosa influenza d'una imperfetta conoscenza della co- siddetta parallasse, allorchè se ne debba tener conto, e forse per alcuni osservatori anche la poca potenzialità o sensibilità dei sismografi. Si potrebbe a tutta prima credere che le sensibili differenze per Atene, Mileto ed Ischia fossero venute fuori in seguito all'ipotesi fatta della velo- cità costante; ma come spiegare allora che l'anomalia per Atene è proprio in senso inverso a quelle di Mileto ed Ischia, pure abbastanza vicine allo epicentro? Ad ogni modo, l'ora di Mileto è in evidente contrasto con quella di Catania, poichè ritarda di 85 nonostante la minor distanza di km. 80 per rispetto all’epicentro. Vi sono quindi serie ragioni per sospettare che le ore anormali in questione siano da imputarsi a qualcuna delle cause, sopra ac- cennate, piuttosto che all’insufficienza dell'ipotesi da noi ammessa sulla pro- pagazione delle onde sismiche. Tra le località del gruppo III spicca la differenza di + 5° per Roma; ma per le ragioni già da me esposte l'altra volta, l'ora di Roma deve ri- tenersi effettivamente troppo alta in confronto di quella esattissima della vicina Rocca di Papa. Per ben 4 sulle 7 località del gruppo IV, le ore calcolate coincidono perfettamente con quelle osservate; per le tre rimanenti, le differenze variano soltanto da + 1° a — 35. Per le 4 località del gruppo V, le differenze sono pure lievissime, e precisamente 2 positive e 2 negative. Anche per il gruppo VI le differenze sono della stessa entità, ma si fanno rimarcare per essere tutte negative e, trattandosi appunto dei 4 osservatori più distanti, lasciano sospettare che siasi fatta sentire l'influenza delle di- stanze misurate sul circolo massimo anzichè lungo la corda; ma se si rifletta che le differenze di lunghezza tra gli archi e le corde non possono variare che da 7 a 10 km. per le 4 località le più lontane, si rimane convinti che questa causa d'errore non avrebbe potuto contribuire che per 1° o 15!/ al più. In seguito a queste riflessioni, mi pare lecito poter concludere, come da molti e molti anni vado facendo in altri lavori consimili, che la velo- cità si possa ritenere costante, almeno fino alla massima distanza da noi qui considerata, e che se realmente la curva della velocità (odografo) non è esattamente una linea retta, assai poco se ne deve discostare, e ciò in evidente contradizione con i risultati a cui altri sono pervenuti non solo nel passato, ma anche negli ultimi anni. Quando saranno conosciuti ì dati — 651 — orarî di molti altri osservatorî, e soprattutto distanti oltre i 2000 km., sarà interessante ripetere il calcolo della velocità (!). La cifra ora ottenuta di circa km. 7,7 al secondo è veramente di poco inferiore alla velocità di circa km. 8/, trovata nella mia Nota preliminare. La differenza è in parte imputabile all'inesatta posizione dell'epicentro, allora presa in considerazione, ciò che produsse l’effetto di accrescere da 10 a 30 km. le varie distanze, ma più di tutto è dovuta all'ora di Mileto la quale per essere probabilmente troppo alta, come sopra s’è visto, ha potuto influire in modo sensibile sul risultato, tenuto conto del numero ristrettis- simo delle osservazioni di cui allora si potè disporre. Ad ogni modo, l’at- tuale velocità è sempre più che doppia di quella (km.3/,) che venne fuori per le scosse più violente del 1893 e rimando, per la spiegazione del fatto, a quanto ho già esposto nella mia precedente Nota. Qui mi preme di porre in evidenza, relativamente all'Osservatorio di Catania, che questa volta la sua ora si accorda benissimo con le migliori ottenute negli altri osservatorî italiani ed esteri, e sta a provare che le onde sismiche, generate presso l'isola di Zante, hanno impiegato effettiva- mente poco più di un minuto per propagarsi fino alla costa Sicula, percor- rendo la distanza di circa 500 km. colla velocità di quasi 8 km. al secondo. Ben altrimenti era risultato per le scosse di Zante del 1893, poichè l’in- tervallo era stato in media di m. 6" !/, per Catania, ciò che faceva conclu- dere ad una velocità di neppure km. 1!/, al secondo, tanto che il chiaris- simo prof. Riccò, per spiegare la forte anomalia in confronto di altri osser- vatorî, non aveva esitato ad ammettere che i terremoti di Zante si fossero allora propagati a Catania per mezzo delle acque del Mar Jonio e che le vibrazioni attraverso la parte solida della crosta terrestre fossero state im- pedite da qualche frattura sulla costa orientale della Sicilia (?). Io non mancai allora dall’esporre le varie ragioni che militavano contro tali ipotesi (*); e che io fossi nel vero è adesso provato luminosamente dal risultato ottenuto col recente terremoto. Tutto ciò mostra la giustezza delle mie idee, allorchè io mi esprimeva così fin dal 1894 nella Nota testè indi- CAVA. man mano che nei recenti terremoti vediamo perfezionati gli « strumenti ed i metodi per la determinazione delle ore, troviamo sempre (*) Stando al giornale inglese Nature, il terremoto perturbò pure gli strumenti sismici di Zskdale nel Dumfriesshire (Scozia), alla distanza di ben 2630 Km. dall’epicentro; ma l’ora precisa non viene riportata. (?) A. Riccò, Velocità di propagazione delle principali scosse del terremoto di Zante a Catania (Rend. della R. Accad. dei Lincei, seduta del 4 marzo 1894). (*) G. Agamennone, Alcune considerazioni sulla velocità di propagazione delle principali scosse di Zante nel 1893 (Rend. della R. Accad. dei Lincei, seduta del 15 aprile 1894). — 6592 — « minore la divergenza tra le medesime; ciò fa intravedere la possibilità « che alcune notevoli discrepanze, ancora oggi osservate, nei valori della ve- « locità, siano forse da imputarsi più alla poca precisione degli stessi dati « del tempo che a vere e forti irregolarità nella propagazione delle scosse ». E credo di non sbagliarmi ancora mantenendo lo stesso punto di vista a proposito delle divergenze, sebbene molto ridotte, che ancor oggi sussistono. Da ultimo è da notare che, anche escludendo l’ora di Atene, come quella che apparisce la più anomala, e ripetendo il calcolo sulle 5 equazioni di condizione, relative ai soli ultimi 5 gruppi sopra considerati, sì giunge quasi ad un valore identico per la velocità, ciò che del resto era da prevedersi, dato il numero rilevante delle rimanenti osservazioni. Quando poi, supposta affatto inappuntabile l’ora d’Atene, la si volesse senz'altro confrontare con i dati orarî medî relativi agli ultimi cinque gruppi, si otterrebbero velocità superficiali gradatamente e notevolmente crescenti, e cioè da Km. 4,94 (Atene - II gruppo) a Km. 7.14 (Atene - VI gruppo). Ciò contrasta non solo con le tenui discordanze che possono risultare, per il valore della velocità, dal confronto dei varî gruppi tra di loro, ma anche col fatto che la cifra di neppure 5 Km., ottenuta dalla combinazione di Atene col gruppo II, resta bene al di sotto di quella dai 6 agli 8 Km. che io stesso ottenni recentemente (terremoto Laziale del 10 aprile 1911) per distanze ben minori e potendo disporre di un'ora sicurissima, determinata quasi proprio all’epicentro. Meteorologia. — Andamento diurno della temperatura a Tripoli. Nota di Filippo EREDIA, presentata dal Socio E. MiuLo- SEVICH. Geologia. — (Gi inelusi nella lava etnea di Rocca S. Paolo presso Paternò. Nota del dott. S. Di Franco, presentata dal Socio G. STRUEVER. Le due Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. — 658 — Chimica. — Azione degli alcoolati sodici sugli eteri carbo- pirrolici (*). Nota di U. CoLaciccHI e 0. BERTONI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In un lavoro precedente uno di noi (Colacicchi) (*) facendo agire l’eti- lato sodico sul trimetilacetilpirrolo e la corrispondente chetazina, ha ottenuto il fillopirrolo o trimetiletilpirrolo. Dai lavori di Knorr (*) e di Fischer (*) risultava fino allora che l’etilato sodico operasse la riduzione del residuo idra- zinico o chetazinico trasformandolo in C.H;:; la sintesi del fillopirrolo a mezzo dell’acetiltrimetilpirrolo ha dimostrato invece che l'etilato sodico pro- voca la eliminazione del gruppo acetilico o rispettivamente chetazinico, ed agisce di poi come nel caso in cui vi siano posti liberi nel nucleo pirrolico. Plancher e Zambonini (5?) facendo agire il metilato sodico sul trimetilacetil- pirrolo ottennero il tetrametilpirrolo e vennero a meglio dimostrare che le cose, in questi casi, andavano così. Questi fatti facevano prevedere che gli alcoolati avrebbero avuto un analogo comportamento verso gli eteri carbopirrolici, che sì sarebbe avuta cioè anche in questi ultimi la eliminazione dei gruppi carbossietilici e poi la solita sostituzione del radicale corrispondente all'alcool impiegato. Per invito e d’accordo col prof. Plancher, il quale ci ha fornito una parte dei prodotti di partenza da lui preparati e posseduti abbiamo intra- preso queste reazioni. L'esperienza ci ha dimostrato infatti che questo avviene, e noi abbiamo ottenuto sia dall’etere di Korschun (5) o 2-3-5-trimetil-4-pirrolcarbonico. sia da quello di Knorr (?) o 2-4-dimetil-3-5-pirroldicarbonico, rispettivamente (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Parma, diretto da G. Plancher. (?) Rend. Acc. Lincei, vol. XXI, ser. 52, 1° sem., pag. 489 (1912). (3) Ber. 44, 2758 (1911). (4) H. Fischer und Bartholomius, Ber. 44, 3316, e Zeitschrift fir Physiologische chemie, 77. 185, 201; anzichè Harchiv fiir Hygien, 77, come per errore di interpretazione delle abbreviazione H, era detto nell’altra Nota (Vedi F e B, Berichte 45, 466). (5) Rend. Acc. Lincei, vol. XXI, seduta 5 maggio. (5) Rend. Acc. Lincei, vol. XIV, ser. 5°, 1° sem., pag. 392. (‘) Ann. d. chem., 256, 318. ligha — per azione del metilato e etilato sodico, il tetrametilpirrolo ed il fillopirrolo. e CH3.C___C.C00C,H; orso Joon c.m000o! lrcn NH NH I = I CH;.C_—.C,H; CH3.C C.CH3 crscl loon cruol Joon, NH NH I gruppi carbossietilici vengono eliminati con maggiore difficoltà degli acetili, cosicchè, per quelli occorre prolungare un po’ più il riscaldamento perchè la sostituzione abbia luogo completamente. Noi cercheremo di utiliz- zare questo fatto, per la preparazione dei pirroli parzialmente sostituiti come l'’emopirrolo, il fonopirrolo ecc., ed abbiamo a questo scopo iniziate le nostre ricerche partendo dai due eteri dimetilacetilpirrolcarbonici isomeri di Za- netti (1) CH3.C—C.COCHsz CH3.C-—T0.C000,H; NZ Ù 008 NH NH S| pt. CH3C0.0 Inoltre, è nostra intenzione di estendere questa reazione anche ai C- ben- zoilderivati del pirrolo, poichè il gruppo benzoilico dovrebbe presentare una maggiore resistenza dell'acetile, ad essere eliminato e dar luogo per questo, con più facilità alla formazione di prodotti parzialmente alchilati. Nelle esperienze preliminari, che verremo notando, noi abbiamo avuto di mira essenzialmente la separazione dei prodotti principali della reazione, tetrametilpirrolo e tillopirrolo, benchè avessimo accertato che insieme a questi si formano in piccola quantità anche altri prodotti che possono venire convenientemente separati per mezzo del fosfato monosodico o dell’ossalato acido di potassa. Noi ritorneremo però in questo argomento e daremo in seguito maggiori particolari. Tetrametilpirrolo dall’etere 2-4-5-trimetil-3-pirrolcarbonico. Grammi 4 di etere di Korschun vennero chiusi in un tubo con 4 gr. di sodio sciolti in 40 gr. di alcool metilico secco e riscaldati per circa 30 ore (*) Gazz. Chim. it, vol. 24, pp. 546-554 (1894). — 655 — alla temperatura di 200-225°. All'apertura, il tubo in cui dominava una forke pressione, lasciò sfuggire dei gas brucianti con fiamma luminosa, e di odore particolare di idrocarburi non saturi. La massa semisolida, poco colo- rata in giallo, contenuta nel tubo, venne diluita con acqua e in tal modo sì separò una certa quantità di una poltiglia di minutissimi cristalli aghi- formi giallastri e colorantisi rapidamente all’aria. Vennero separati filtran- doli su carta da filtro e poi cristallizzati dall’etere di petrolio leggiero. Da questo solvente il tetrametilpirrolo si separa per raffreddamento in bei cri- stalli aciculari splendenti, o in scagliette, e fonde dopo ripetute cristalliz- zazioni a 110-111°. Per l’analisi venne tenuto nel vuoto su anidride fosforica per qualche ora Calcolato per CgHisN Trovato N°/o 11,99 11,64 Possiede odore fecale, si altera rapidamente all'aria specialmente se umida, trasformandosi in una resina bruna. Non dà allo stato di purezza come già avevano constatato Plancher e Zambonini la reazione del fuscello d'abete e neppure quella di Ehrlich colla dimetilamminobenzaldeide. Ab- biamo potuto accertare anche noi che il tetrametilpirrolo dà in soluzione eterea un picrato difficilmente purificabile; in ogni modo noi non abbiamo voluto addentrarci molto nello studio di questo derivato poichè sappiamo che stanno attualmente completandolo gli autori suddetti. Tetrametilpirrolo dall’etere (2-4)dimetil(3-3)pirroldicarbonico. Grammi 4 di etere di Knorr chiusi in tubo con 4 gr. di sodio sciolto in 40 gr. di alcool metilico secco vengono riscaldati per 36 ore circa alla temperatura di 215-225°. I gas che sì svolgono all'apertura del tubo hanno il solido odore particolare e bruciano con fiamma luminosa. Il prodotto della reazione è costituito da una massa semisolida intensamente colorata in bruno. Venne ripresa con acqua, poi estratta con etere. La soluzione eterea fu lavata alcune volte con acqua e poi sbattuta in imbuto a rubinetto con una solu- zione di ossalato acido di potassa fino a che questa asportava sostanze co- lorate. L'estratto etereo dopo tale trattamento si schiarì di molto, benchè rimanesse però ancora alquanto colorato. Venne seccato con solfato sodico deacquificato e poscia concentrato, distillando la maggior parte dell’etere a bagnomaria. Le ultime traccie di etere vennero allontanate con una corrente di azoto secco e in tal modo si ottenne un residuo cristallino che venne filtrato alla pompa e lavato con poco etere di petrolio leggiero raffreddato. Il prodotto così ottenuto, è abbastanza pulito ed appena colorato in giallastro. Cristallizzato una volta dall’etere di petrolio diventa bianchissimo e fonde © JIULOS, — 656 — Per l’analisi fu tenuto 2 ore nel vuoto su anidride fosforica Calcolato per CsHisN Trovato N° 11,99 11,52 Presenta i medesimi caratteri e si mostra identico col prodotto prece- dentemente descritto. Fillopirrolo dall’etere (2-4-5)-trimetilpirrol-3-carbonico. Grammi 2 di etere di Korschun vennero chiusi in un tubo con 20 gr. di alcool etilico secco in cui erano sciolti 2 gr. di sodio, e riscaldati per circa 20 ore a 215-230°. All'apertura del tubo sì notano i medesimi fatti accertati nei casi precedenti. La massa cristallina bianca costituente il prodotto della reazione, viene diluita con acqua e lo strato oleoso che si separa, dopo estratto con etere, distillato in corrente di vapor d'acqua. Il fillopirrolo passa allo stato oleoso e cristallizza subito per lieve raffredda- mento. Separato dal liquido per filtrazione e spremuto su carta da filtro è incoloro e fonde senza ulteriore purificazione a 66-67°. Tenuto nel vuoto un'ora su anidride fosforica ha dato all'analisi il seguente risultato : Calcolato per CsHisN Trovato N°/ 10,22 10,48 Il rendimento in fillopirrolo dall'etere di Korschum è più elevato che con l’acetilderivato e si formano meno prodotti secondarî; il tetrametilpir- rolo invece si ottiene nel modo migliore dall’acetiltrimetilpirrolo. Chimica. — Sul peso molecolare del selenio in soluzione. Nota di F. OLIVARI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 657 — Chimica. — Sopra una nuova trasposizione pirogenica nel gruppo del pirrolo, e sulla relativa stabilità al calore dei dert- vati isomeri. Nota di U. CoLaciccHi ('), presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Nel corso dei miei lavori sopra la scissione pirogenica di alcuni corpi della serie del dipirrilmetano (?) ho avuto campo di osservare una traspo- sizione assai interessante, perchè differisce da tutte quelle finora riscontrate nel gruppo del pirrolo, pel fatto che riguarda uno spostamento di radicale da un atomo di carbonio ad un altro nel nucleo, mentre le altre si riferi- scono tutte a spostamenti di radicali dell'azoto al carbonio. Scomponendo col calore il derivato che si forma dalla paraldeide col 2-4. dimetil-3-acetilpirrolo ho ottenuto insieme ad altri prodotti il 2-4. dimetil- 5-acetilpirrolo, formatosi probabilmente in seguito a trasposizione del pri- mitivo acetilderivato che si rigenera nel momento in cui avviene la rottura del legame etilidenico. CH3.C C.COCH; CH3.0 CH Icon CI C.CH AMO ded ittrer Y / NH NH Ma il fatto che nessuno fra quelli che si occuparono fin'ora di questo argomento, aveva osservato trasposizioni di radicali analoghe a quella da me accennata, poteva far supporre che nel caso succitato essa potesse essere dovuta a una causa particolare; per esempio la presenza del legame etili- denico, da cui sono uniti i due nucli pirrolici, avrebbe potuto conferire una maggiore mobilità ad alcuni gruppi sostituenti ed essere perciò questo la causa della trasposizione. Per indagare se il fatto da me accertato doveva proprio attribuirsi a questa speciale condizione ho scaldato in tubo chiuso a 300° circa il 2-4 di- metil-3-acetilpirrolo, ed ho ho osservato che si trasforma quantitativamente nell'’isomero coll’acetile in a. Grammi 5 di dimetil-3-acetilpirrolo (*) puro fondente a 139° vennero riscaldati, in tubo chiuso, alla temperatura di 300° gradi circa per un ora. Il contenuto del tubo che per raffreddamento si presenta come una massa (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Universita di Parma, diretto da G. Plancher. (?) Questi Rend. vol. XXI, serie 52; 1° sem., pag. 410. (3) Zanetti. Gazz. chim. Ital. Vol. 24-I pag. 549 (1894). Renpiconti. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 86 — 658 — cristallina nerastra, mista a piccole quantità di carbone, viene sottoposto alla distillazione in corrente di vapor d'acqua fino a che il distillato passa in- coloro. Estraendo con etere fino ad esaurimento ed eliminando quindi il sol- vente si ottiene un residuo cristallino costituito da aghetti gialli solubilis- simi in alcool, abbastanza solubili in acqua e in ligroino bollenti; quasi insolubili a freddo in questi solventi. Purificato per ripetute cristallizzazioni dall’alcool diluito o dal ligroino si ottiene in aghi o prismetti mescolati fondenti a 122°. All’analisi ha dimostrato di avere la composizione CH, NO. Calcolato per Cs Hi, NO Trovato C°% 70,06 69,59 H 8,03 8,10 N 10,22 10,42 Questo prodotto sia per l'aspetto, punto di fusione, volatilità al vapore d’acqua, si mostra identico col dimetil-5-acetilpirrolo di Magnanini (*) e Zanetti (1). Fondendo il miscuglio dei due prodotti non si ha alcuna de- pressione. Possiede deboli proprietà basiche poste in evidenza dal comportamento della sua soluzione cloridrica coi reattivi generali degli alcaloidi; da un sale argentico sotto forma di un precipato bianco che è però poco stabile e si riduce prontamente diventando nero. Dà pure un picrato in bellissime pa- gliette rosso arancio, abbastanza stabile che fonde a 126°, mentre il picrato del dimetil-3-acetil pirrolo cristallizza in prismetti fusibili con decomposi- zione a 144° circa. Il fatto dunque che la trasposizione da me per la prima volta osservata non sia dovuta a nessun'altra speciale condizione se non a quella di un opportuno innalzamento di temperatura, fa prevedere che possa verificarsi anche per altri derivati, e cercherò perciò di generizzarla. Inoltre mi pare che essa serva bene a dimostrare la maggiore stabilità al calore degli @-acilderivati del pirrolo in confronto dei #, ed -n, derivati. Se una semplice osservazione dei fatti fin ad ora accertati, e riguardanti sempre spostamenti di radicali da -n ad -@, e mai da z- a f, ammenochè ambedue i posti « non fossero già sostituiti, portava alla facile conclusione che gli «- derivati dovessero rappresentare la forma più stabile al calore ‘fra le tre possibili isomere; e se a conclusione analoga portava anche il comportamento delle anidridi, degli acicloruri, e degli ioduri alchilici verso il pirrolo, mediante i quali si formano sempre gli «- derivati in prevalenza degli n-, e mai prodotti di sostituzione in f, mancava però la conferma sperimentale di questa ipotesi. Ciò che io ho accertato viene appunto 2 colmare tale lacuna. (*) Magnanini, Gazz. chim. ital. vol. 18, pag. 445. (£) Zanetti, loc. cit. gg Chimica. — / diacetilfurazano. Nota del dott. Luircr ALEs- SANDRI ('), presentata dal Socio A. ANGELI. Le notizie, che si trovano nella letteratura sul comportamento della diacetilgliossima : CH;.CO.C-(NOH).C=(NOH).CO.CH, sono quanto mai scarse ed incomplete: tutt'al più W. Sloan Mills (?) ne descriveva il perossido, liquido, ottenuto dall’ isonitrosoacetone mediante bios- sido d'azoto. Non si sapeva invece se la stessa gliossina potesse perdere una mole- cola d'acqua per dare la corrispondente anidride, vale a dire il furazano, che avrebbe dovuto essere identico al prodotto, che J. Schmidt e K. Th. . Widmann (*) asseriscono di aver preparato facendo agire l’acido nitrico rosso, fumante sull’acetonilacetone : CH:.CO.CHs.CH,.C0.CH;. Per le mie esperienze son partito dal prodotto di struttura sicuramente stabilita che K. Thal (‘) preparò facendo agire l'acido nitroso sull'etere etilico dell'acido diacetilsuccinico, e che perciò deve esser considerato appunto come diisonitrosoacetonilacetone o diacetilgliossima: CH;3.C0.C=(NOH).C=(NOH).C0.CH,;. Ora io ho trovato che questo composto si anidrifica con sorprendente facilità: per semplice fusione perde acqua ed assieme a piccole quantità di acido cianidrico ed acetico, fornisce un prodotto, che contiene una molecola d’acqua in meno: nettamente poi e con ottimo rendimento questa anidride si ottiene sciogliendo la gliossima in anidride acetica. La reazione avviene dunque secondo l uguaglianza: CeHgs N; 0, = CoHg Ns 0; + H,0. Il nuovo derivato è liquido, reagisce facilmente con due molecole di fenilidrazina, di idrossilammina e di semicarbazide e perciò contiene due carbonili; con iodio e potassa dà jodoformio ed ossidato infine con perman- (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica Farmaceutica del R. Istituto di Studî Superiori di Firenze. (2) Chemical News vol. 88, pag. 227. (3) Berliner Berichte XLII (1909), pag. 1869. (#) Berliner Berichte XXV (1892), pag. 1718. — 660 — ganato nelle condizioni opportune fornisce una sostanza identica all acido furazandicarbonico già descritto da L. Wolff (?). La serie di trasformazioni subìte dalla gliossima si deve dunque espri- mere così: CO. CH; CO .CHz COOH | | | C—NOH CaNL Sh | >» | DO > | Da C=NOH Ca=N =N | | | CO.CHs CO.CH, COOH Mentre tutti i fatti sovraesposti non lasciano alcun dubbio sull’anda- mento della reazione e sulla struttura della nuova sostanza è da porsi in rilievo quanto essa sia diversa dal prodotto che, come ho detto sopra, Schmidt e Widmann ottennero dall’acetonilacetone. Il prodotto di Schmidt e Widmann fonde a 127°-129°, fornisce solamente un monofenilidrazone, un monosemi- carbazone e, reagendo con idrossilammina, soltanto in condizioni speciali dà un derivato, al quale essi assegnarono la struttura della diossima in base ai resultati della sola determinazione di azoto, ma che è profondamente di- verso, anche esso, dal corrispondente composto da me ottenuto. Era noto d’altra parte che già nel 1891 Angeli (*), studiando l'azione dell'acido nitrico concentrato sull’acetonilacetone, ottenne una sostanza, i caratteri della quale corrispondono invece assai bene a quelli del prodotto di Schmidt e Widmann, ma egli n'ebbe però resultati analitici alquanto diversi e le assegnò corrispondentemente una diversa costituzione. Volli quindi ripetere delle esperienze comparative allo scopo di chiarire questa contraddizione. I resultati del confronto fra i prodotti ottenuti seguendo le indicazioni di ciascuno degli autori sopra citati non lasciarono alcun dubbio che in en- trambi i casi non s'arrivi ad un'unica sostanza. Tutte le proprietà fisiche coincidono perfettamente: la loro mescolanza fonde esattamente alla medesima temperatura a cui fonde ciascuno di essi: ripetendo infine -le analisi del prodotto preparato secondo le norme indicate da Schmidt e Widmann ebbi numeri che stanno in ottimo accordo soltanto con le analisi già eseguite da Angeli sul suo prodotto. In conclusione, pur lasciando impregiudicata la questione della struttura da assegnarsi al derivato ottenuto per azione dell’acido nitrico sopra l'ace- tonilacetone, la quale esige studî ulteriori, mi pare risulti in modo sicuro da quanto ho esposto, che è da escludersi assolutamente che abbia quella () Berliner Berichte XXVIII (1895), pag. 69. (*) Gazz. Chim. It. XXI (1891), vol. II, pag. 86: — 661 — del diacetilfurazano dal momento che il prodotto descritto da Schmidt e Widmann non ne possiede nè la composizione nè i caratteri. PARTE SPERIMENTALE. Preparazione della diacetilgliossima. — Gr. 5. dell'etere etilico del- l'acido diacetilsuccinico venivano sospesi, secondo le indicazioni di Thal, nella soluzione di gr. 3 di potassa caustica in 100 ce. d'acqua. Lasciando a sè a temperatura ordinaria, dopo 6 a 7 ore ì cristalli dell'etere erano passati completamente in soluzione: aggiungevo allora gr. 4 di nitrito sodico sciolti pure in 100 cc. d'acqua ed agitando rendevo il liquido nettamente acido al metilorange mediante acido solforico al 25 °/. A questo punto ho trovato che per estrarre la gliossima dal liquido è molto conveniente saturarlo con solfato ammonico, avanti di sbatterlo con etere solforico: in tali condizioni, anche impiegando non molto solvente, con tre a quattro estrazioni si ricava tutto il prodotto formatosi ed assai puro. Al contrario estraendo senz'altro la soluzione solforica, in specie se si è ecceduto nell’aggiunta d’acido, si ottiene prodotto reso impuro da molto olio giallo, e per ricavarlo tutto occorre estrarre molte più volte. Il liquido acido, una volta ch'era stato saturato con solfato ammonico, non presentava più reazione acida, ma trovai che, acidificandolo di nuovo dopo esaurimento con etere, non se ne estraeva ulteriormente che un olio giallo, denso e vischioso. Operando in tal modo anche il rendimento si avvicinò al massimo in- dicato da Thal (30 °/ ca. del teorico), nè venne diminuito sensibilmente riu- nendo i liquidi di 3 a 5 preparazioni di 5 gr. ciascuna d’etere diacetilsuc- cinico, dopo averli resi acidi e prima di saturarli con solfato d’ ammonio. Il prodotto greggio, quale l’ottenevo lasciando evaporare in capsula, a temperatura ordinaria, l'estratto etereo fortemente concentrato, era una massa cristallina appena colorata in giallo, che non era necessario affatto di pressare fra carta da filtro, come operava Thal ottenendo prodotto assai meno puro. Bastava, secondo le indicazioni di questo autore di bollirla prima con clo- roformio per toglierle le traccie d'olio aderenti: la scioglievo poi in acqua, a caldo, a piccole porzioni per volta e badando a non insistere nel riscal- damento perchè la sostanza è assai decomponibile anche in tali condizioni. Per raffreddamento il composto si separa in prismetti incolori, brillanti che a 150°-152° fondono con vivace sviluppo di gas. Le acque madri evaporate nel vuoto su acido solforico dànno un'altra piccola porzione di prodotto, im- puro per notevoli quantità d'una sostanza che si decompone vivacemente verso 170°. Azione del riscaldamento sulla diacetilgliossima. — Gr. 2. della dia- cetileliossima vennero introdotti in porzioni di gr. 0,5 in stortine di vetro: — 662 — queste venivano immerse in un bagno di paraffina mantenuto a 160°-165°. Dopo qualche istante la sostanza fondeva svolgendo vapori che si conden- savano facilmente: passò così un poco d'acqua, poi goccie oleose dapprima incolore, infine un po’ colorate in bruno. Terminata la distillazione, badando sempre che la temperatura del bagno non superasse 170°, rimase nelle stortine una resina bruna: il distillato era un liquido assai mobile leggermente colorato, che odorava d'acido acetico: tenuto qualche giorno su acido solforico non dette cristalli e pesava gr. 1,00 ca. Azione della fenilidrazina sul prodotto ottenuto per riscaldamento della diacetilgliossima. — L'olio ottenuto com'è detto sopra, fu trattato senz'altro con leggero eccesso di soluzione di fenilidrazina in acido acetico glaciale. Il liquido ingiallì, si scaldò notevolmente e depose subito dei cristallini gialli. Questi vennero separati alla pompa, lavati con acido acetico e molta acqua e sciolti in alcool bollente, nel quale sono assai poco solubili. Per raffreddamento si ebbero cristallini tozzi, colorati in giallo chiaro, rifrangen- tissimi, che fondono a 210° con leggero sviluppo gassoso. gr. 0,1382 di sostanza dettero cc. 29,0 di azoto a 119,5 e 762 mm. di pressione per C;sH,s N50 N calcolato 25,15 trovato 25,24. Azione dell'anidride acetica sopra la diacetilgliossima. — Il prodotto ben secco veniva sospeso in anidride acetica (4 cc. di questa per ogni grammo di sostanza) e lasciato a sè a temperatura ordinaria 0 intiepidendo a h. m., sino a completa soluzione. Riprendevo allora il liquido agitando con soluzione di carbonato sodico e carbonato sodico secco fino a che si aveva effervescenza e la soluzione acquosa mostrava reazione neutra o lievemente alcalina. L'olio, che rimane sospeso nel liquido, viene estratto subito con etere ed il liquido sbattuto ancora una volta o due con etere, impiegando sempre il solvente recuperato. La soluzione eterea, seccata infine con cloruro di calcio, lascia per evaporazione del solvente un olio appena colorato: tenuto su acido solforico e raffreddato con ghiaccio e sal marino non dette cristalli, mantenendosi anzi assai mobile. Ha odore chetonico non sgradevole ed @ caldo si scioglie un poco in acqua. A pressione ordinaria comincia a bollire a 180°: distilla un olio chiaro e mobile, mentre la temperatura d’ebullizione sale gradatamente fino a 195°: a questa temperatura il piccolo residuo rimasto si decompone assai violen- temente sviluppando vapori bruni e densi e rimane indietro un carbone spu- gnoso. A pressione ridotta (12 a 13 mm. di mercurio) distilla quasi com- pletamente bollendo da 85° a 91°: passa un olio chiaro ed incoloro, ma il residuo si decompone infine imbrunendo gradatamente, mentre passa un li- quido meno denso, che odora d'acido acetico, e la temperatura d’ebullizione discende ad 80°. — 663 — L'olio così rettificato a pressione ridotta, bolle a pressione ordinaria, (754 mm.) a 185° ca. e passa quasi totalmente da 185° a 195°: a questa temperatura si ha la decomposizione violenta già descritta con svolgimento d'acido acetico e d'acido cianidrico. Che anche a pressione ordinaria distilli nella massima parte inalterato lo riscontrai preparando da esso con ottimo rendimento del fenilidrazone identico a quello che descriverò. L'olio medesimo si scioglie in soluzione di potassa con notevole ingial- limento e la soluzione alcalina trattata con jodio sciolto nella soluzione di Joduro potassico dà jodoformio. Difenilidrazone del diacetilfurazano ottenuto nel precedente tratta- mento. — Ad una piccola quantità dell'olio greggio diluita con acido acetico glaciale si aggiunge soluzione acetica di fenilidrazina in lieve eccesso. Precipita subito una polvere cristallina gialla, che venne spremuta alla pompa, lavata con acido acetico, molta acqua, ed infine sciolta in alcool all’ebullizione. Per raffreddamento il prodotto si separa in bei cristallini tozzi, rifrangentissimi, di color giallo pallido, che fondono a 210° con leggero sviluppo gassoso. gr. 0,2112 di sostanza dettero gr. 0,5011 di CO; e gr. 0,1037 di H,0. gr. 0,1381 di sostanza dettero cc. 28,8 di azoto a 11°,5 e 762 mm. di pressione per Cigs Hig N50 calcolati C 64,67 H 5,39 N 25,15 trovati » 64,71 di BOO » 25,09 La mescolanza di essa col fenilidrazone, preparato dall’olio ottenuto per azione del calore sulla diacetilgliossima, fonde esattamente a 210°, ciò che insieme all’uguaglianza di tutti i loro caratteri conferma l'identità dei due prodotti. Dunque anche per riscaldamento della diacetilgliossima si forma del diacetilfurazano in notevole quantità. Diossima del diacetilfurazano ottenuto con anidride acetica. — A gr.1,0 dell'olio distillato a pressione ridotta, diluito con poco alcool, venne aggiunta la soluzione acquosa concentratissima di gr. 1,4 di cloridrato di idrossilammina e di gr. 1,06 di carbonato sodico secco. La soluzione fu di- luita quindi con acqua ed alcool in modo che tutto stesse in soluzione ed intiepiditala a b. m., fu lasciata a sè a temperatura ordinaria per qualche ora. Distillando via tutto l'alcool si separò una goccia d'olio incoloro e denso, una piccola porzione del quale distesa su vetro d'orologio si rapprese in cri- stalli. Avendo messi questi a contatto con l'olio, esso si rapprese tutto in una massa cristallina, che venne separata dal liquido acquoso su filtro e lavata bene con acqua. Il prodotto greggio è alquanto solubile in acqua, poco in benzina, assai in benzolo a caldo non molto a freddo. Contiene un po’ d'un composto che fonde a 85° ca, da cui venne se- parata la sostanza pura per cristallizzazioni ripetute dal benzolo. Il punto — 664 — di fusione del derivato si mantenne infine costante a 128° ed i prismi schiac- ciati, incolori, vennero seccati a 100° e dettero all'analisi i seguenti numeri: gr. 0,1174 di sostanza dettero cc. 29,6 d'azoto a 11°,5 e 759 mm. di pressione per Cs Hz N4 03 N calcolato 30.43 trovato 30.21. Disemicarbazone del diacetilfurazano ottenuto con anidride acetica. — Gr. 1,0 dell'olio greggio, diluito con poco alcool, venne trattato con la so- luzione acquoso-alcoolica di gr. 2 d'acetato sodico cristallizzato e di gr. 1,9 di cloridrato di semicarbazide, in modo che tutto infine formasse una solu- zione limpida. Nel mescolare le due soluzioni si notò riscaldamento e presto si depose una polvere cristallina incolora. Dopo aver lasciato a sè per molte ore @ temperatura ordinaria, la soluzione venne diluita con eccesso d'acqua, lasciata nuovamente a sè ed infine i cristalli vennero asciugati alla pompa, lavati con acqua e purificati per l’analisi sciogliendoli in acqua bollente, nella quale sì disciolgono pochissimo. La sostanza, che è pochissimo solubile anche in alcool, s ottiene da ambedue i solventi in aghi corti, minuti ed incolori. Si decompone a 239°-240° con svolgimento di gas. gr. 0,1235 di sostanza dettero cc. 43,1 di azoto a 12°,5 e 754 mm. di pressione per Cz Hi» Ns 03 N calcolato 41,79 trovato 41,40 Ossidazione con permanganato del diacetilfurasano ottenuto con ani- dride acetica. — A gr. 3,5 dell'olio rettificato a pression ridotta, sospesi in 50 cc. d’acido solforico diluito (1:1) aggiunsi agitando e raffreddando con acqua corrente, a piccole porzioni, gr. 9 di permanganato potassico finamente polverizzato: insistendo molto nell'agitare e lasciando a sè infine per 12 ore non rimasero che traccie di permanganato indecomposto. Avendo riguardo alla decomponibilità del mrodotto della reazione, notata da Wolff, non insistei oltre nell'aggiunta d’ossidante e, dopo aver diluito il liquido con 50 ce. di acqua, eliminai il permanganato residuo con alcool metilico. Separai quindi per filtrazione l'ossido di manganese, lo spremetti bene e lo lavai con poca acqua e con dell’etere, che unii poi a quello che mi servì ulteriormente per l'estrazione. Saturai il filtrato con solfato ammonico badando che conservasse reazione acida e lo sbattei più volte con etere. Il primo estratto consisteva in un olio leggermente colorato (probabilmente furazano inalterato) e dette pochi cristalli: le estrazioni successive dettero residui cristallini incolori. Purificai tutte le porzioni cristalline disciogliendole in etere ed aggiungendo benzolo alla soluzione eterea filtrata: cacciando l'etere a b. m. e concentrando il liquido cominciano a deporsi già a caldo dei piccoli cristalli prismatici e tabulari, incolori che fondono con decomposizione e sviluppo gassoso @ — 600 — 176°-177° rammollendosi diversi gradi avanti (!). Le acque madri benzoliche dettero un altro poco di prodotto meno puro. I cristalli sono assai igrosco- pici: i loro caratteri di solubilità coincidono con quelli descritti da Wolff. Ne preparai il caratteristico sale d’argento disciogliendone una piccola quantità in acqua: la soluzione limpida resa lievemente ammoniacale dette con soluzione di nitrato d'argento un precipitato bianco di fiocchetti cri- stallini, che vennero raccolti lavati con acqua e seccati nel vuoto su acido solforico sino a peso costante. Sciolsi la quantità di sale pesata, sospesa in acqua, con acido nitrico e nella soluzione dosai l'argento come cloruro col procedimento consueto. gr. 0,29583 di sostanza dettero gr. 0,2261 di Ag Cl per C,0; N: Ago Ag calcolato 58,04 trovato 57.63 Il sale scaldato su lamina di platino esplode violentemente. Azione dell'acido nitrico sull''acetonilacetone. — Trattai successiva- mente con acido nitrico della densità indicata gr. 5 d’acetonilacetone atte- nendomi alle norme date da A. Angeli. Terminata la reazione diluivo il liquido con eccesso d'acqua onde si separasse subito tutto il prodotto: lo lavai bene con acqua su filtro alla pompa e lo purificai infine dal benzolo. Ottenni così le grosse tavole incolore e brillanti, che fondevano a 126°, per ulteriore riscaldamento la massa fusa svolgeva gas ed imbruniva: tutto ciò esattamente come descrive l’autore nominato. Ripetei due volte anche l’esperienza così minutamente descritta da Schmidt con le quantità da lui indicate e seguendo esattamente le sue in- dicazioni. Il prodotto cristallino, che si separava per diluizione con la quan- tità voluta d'acqua ed in realtà aveva aderente solo pochissimo olio, lo asciugai senz'altro alla pompa, lavai con acqua e successivamente con etere: infine venne ripetutamente cristallizzato da benzolo. I cristalli, identici ai già descritti fondevano pure a 126°: li seccai nel vuoto su acido solforico fino a peso costante ed uniformandomi a quanto raccomanda Schmidt condussi le analisi con tutta cautela, facendo passare i prodotti della combustione, nella determinazione di carbonio ed idrogeno, sopra due spirali di rame ridotte tenute ben roventi. I gr. 0,1939 di sostanza dettero gr. 0,3376 di CO, e gr. 0,0505 di H:0. gr. 0,1510 di sostanza dettero cc. 23,3 di azoto a 129,5 e 762 mm. di pressione II gr. 0,1938 di sostanza dettero gr. 0,3365 di CO, e gr. 0,0495 di H,0 per C$H4 N30; calcolati C 47,37 H 2,68 N 18,42 trovati » 47,48 » 2,92 » 18,50 II ” » 47,36 » 2,86 _ (1) L. Wolff scrive che l'acido da lui preparato a 174° si contrae e fonde con svi- luppo gassoso a 178°. RenpIcONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 87 — 666 — La mescolanza del prodotto analizzato con quello preparato secondo Angeli fondeva ancora esattamente a 126°. La sostanza non è stabile al permanganato, ma non assorbe i vapori di bromo nè a contatto d’esso entra in reazione almeno a temperatura or- dinaria. Azione dell’idrossilammina sul composto p:f: 126°. — Gr. 1 di clo- ridrato d'idrossilammina e gr. 2 d’acetato sodico cristallizzato sciolti in ce 3 d’acqua vennero aggiunti a gr. 1 del prodotto, sospeso in 5 ce. d'alcool. Scaldai a b. m. fino all'ebullizione dell'alcool e tutto passò in soluzione: lasciando poi a sè a temperatura ordinaria diverse ore e neppure cacciando tutto l'alcool non depose cristalli. Per la solubilità in acqua del prodotto della reazione convenne evaporare in capsula nel vuoto su acido solforico la soluzione primitiva e quindi estrarre ripetutamente la massa cristallina bol- lendo a ricadere con etere solforico. Riprendendo con acqua i residui degli estratti eterei, quasi tutto il prodotto passa facilmente in soluzione: rimane indietro una polvere cristallina leggermente colorata in giallo, pochissimo solubile anche in alcool: lavata ancora con acqua e con alcool a 191° sì de- compone assai violentemente con sviluppo gassoso (0) La soluzione acquosa del prodotto principale della reazione concentrata fortemente nel vuoto su acido solforico dette infine beî cristalli incolori, che asciugati su piastra porosa furono purificati per analisi dallo xilolo, seccati a 100° e fino a peso costante nel vuoto su acido solforico. Fondono a 153° con sviluppo di gas gr. 0,0740 di sostanza dettero gr. 0,1223 di CO, e gr. 0,0322 di H?O gr. 0,0939 di sostanza dettero ce. 15,9 d'azoto a 12° e 750 mm. per Cs Ho N30, calcolati C 45.49 H 4,26 N 19,90 trovati » 45,08 » 4,88 » 20,01 I resultati della determinazione d'azoto ed anche quelli della determi- nazione di carbonio ed idrogeno, che risultò meno precisa perchè eseguita sulla troppo piccola quantità di sostanza pura che m'era rimasta, concordano assai bene con le percentuali calcolate per il derivato acetilico della monos- sima del prodotto diidrogenato. Per la scarsità del prodotto non ho potuto per ora confermar tale ipotesi con altre esperienze. Aggiungerò infine che la diacetilgliossima trattata con acido nitrico concentrato in diverse condizioni di temperatura e di concentrazione non fornì del prodotto p:f: 126°, ma altri composti ben diversi; alcuni liquidi, altri cristallini in piccola quantità, che sarà interessante di studiare. (®) Corrisponde bene per le sue proprietà al prodotto, che si decompone a 197°, ana- lizzato da Schmidt, ed al quale egli attribuisce la costituzione della diossima del deri- vato p:f: 126°. Nelle condizioni sopra descritte formandosene soltanto pochissimo non potei farne l’analisi. — 667 — Chimica. — .Sw/ comportamento reciproco dei solfati, cromati, molibdati e wolframati alcalini a bassa e ad alta temperatura (*). Nota I° di MARIO AMADORI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Continuando lo studio sul comportamento reciproco di coppie di sali aventi spiccate analogie chimiche e cristallografiche (?), intrapreso special. mente allo scopo di confrontare, dove è possibile, il loro comportamento a varie temperature, ho preso in esame le coppie fornite dai sali potassici degli ossiacidi degli elementi del sesto gruppo del sistema periodico: zolfo, cromo, molibdeno, wolframio. Dalle sei coppie K,S0,-K,Cr0,, K:Cr0,-K, Mo0,, Ks50,-KsM00,, K,Mo0,-K,WO, , K,Cr0,-K,WO, , K,S0,-K.WO0, era stata studiata in modo particolare quella K,S0,-K,Cr0,, per la quale infatti esistono espe- rienze termiche di Groschuff (8) ed esperienze di solubilità di Hertz (*) e di Fock(?); Mallard (°) precedentemente aveva eseguito determinazioni ottico- cristallografiche su alcuni cristalli misti. Delle altre 5 coppie era stato osservato qualitativamente l’isomorfismo da Retgers ("). Ho voluto compiere lo studio di questi sali in modo, per quanto possibile, completo ; e siccome tutti questi sali sono dimorfi, ho sempre cercato di deter- minare tanto il diagramma di solidificazione, che quello di trasformazione, inoltre quello di solubilità in acqua a temperatura ordinaria. Quest'ultimo non sì potè stabilire per le tre coppie con il wolframato perchè le soluzioni acquose di questo sale non sono abbastanza stabili e hanno tendenza a de- porre sali diversi dal wolframato normale K, WO,. Una serie di esperienze ad alta temperatura era stata compiuta da Bocke (8) che aveva studiato termicamente le coppie costituite dai tre sali Nas S0,, Na Mo0, , Na, WO,; i sali sodici però non si prestavano a deter- minazioni a bassa temperatura perchè cristallizzano con acqua; i sali potas- sici al contrario cristallizzano anidri. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova diretto dal prof. G. Bruni. (3) Questi Rendiconti, XX, II, 473 e 572 (1911). (3) Zeit. f. anorg. Ch., 58, 102 (1908). (4) Inaug. Dissertation Berlin, 1895, pag. 24. (5) Zeit. f. Krystall. u. Mineral., 28, 378 (1897). (8) Graham-Otto, Lehrbuch der Chemie, III, 173. (1) Zeit. f. phys. Ch., 8, 6 (1891). (8) Zeit. f. anorg. Ch., 50, 855 (1906). iis I. — Ricerche di solubilità. Il metodo seguito in queste ricerche è quello comunemente usato e descritto nella Nota precedente. Le ricerche furono eseguite alla temperatura di 25°. La solubilità dei sali puri in acqua a 25° risultò: in 100 gr. acqua: K,S0, gr. 12.10 corrisp. mgrmol. 69.38 K,0r0, » 64.62 ” n 332.8 K,Mo0, » 184.6 ” » 774.7 Alla stessa temperatura la solubilità del solfato in 100 gr. acqua, è secondo Trevor 12.04 gr., la solubilità del cromato pure in 100 gr. è 62.5 gr. secondo Etard, 64.2 gr. secondo Alluard, 64.5 gr. secondo Nordenskjola e Lindstrom. ('). Per il molibdato mancavano dati precisi di solubilità. Ho voluto anzitutto accertarmi se il molibdato potassico a 25° cristal lizzasse anidro e se sì mantenesse stabile in soluzione; infatti secondo Svanberg e Struve (?) esso cristallizza con °/» H:0, secondo Ullik (3) esso conterrebbe solo piccole quantità di acqua incluse meccanicamente. Ho fatto esperienze a questo proposito facendo cristallizzare soluzioni sature alla temperatura di 25°: i cristalli ottenuti, essiccati a freddo su cloruro di calcio, non diedero per riscaldamento a 140° perdita di peso apprezzabile. Anche il sale tenuto a contatto a 25° con acqua si mantenne anidro e analizzato successivamente diede un contenuto in Mo 0; del 60.36 °/, (teorico 60.43 °/,). 1. Solfato-Cromato. Come ho accennato precedentemente l'equilibrio fra questa coppia di sali a bassa temperatura era stato studiato da Hertz e da Fock. I risultati di questi autori, mentre concordano sulla completa solubilità allo stato solido fra i due sali, sono discordi sulla relazione che esiste tra le composizioni delle soluzioni e quella dei cristalli con esse in equilibrio; secondo Hertz essa è del tipo II di Roozeboom (*), secondo Fock del tipo I, cioè il sale più solubile, il cromato, si troverebbe costantemente in rapporto superiore nella soluzione che nei cristalli. (1) Seidell, Solubilities, 1911. (2) Gmelin-Krant, Handbuch anorg. Chemie, III, 1°, 977. (3) Ibidem. (4) Zeit. f. phys. Ch. $, 304 (1891). — 669 — Date queste diversità di risultati e perchè i due autori avevano espresso le quantità di sale sciolte riferendole al volume della soluzione e non al peso del solvente, ho stimato opportuno ripetere anche lo studio di questa coppia. L'analisi dei cristalli e del residuo d’evaporazione delle soluzioni venne compiuta titolando il cromato con ioduro potassico e iposolfito sodico: per differenza venne dedotta la quantità di solfato presente. I risultati d'analisi sono esposti nella tabella seguente: TABELLA I. Solubilità in 100 gr. di acqua Concentrazioni Concentrazioni 9 in peso molecolari L grammi mgrmolecole °/o Ka Cr0, 0/o Ka CrO, K,S0, | KaCr0, | K2S0, | K2Cr0, | Soluzione | Cristalli | Soluzione | Cristalli 1 12.10 0.00 69.88 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 2 10.86 1.94 62.28 10.21 15.09 0.33 13.75 029 3 10.25 4.36 98.78 22.44 29.86 0.66 27.64 0.60 4 8.98 7.81 91.50 40.20 46.53 1.47 43.84 1.82 5 7.12 14.65 40.86 15.94 67.27 2.99 64.84 2.29 6 5.72 20.83 32.80 107.15 78.46 4.04 76.64 3.64 7 4.82 27.36 27.65 140.7 84.22 6.28 82.72 5.66 8 3.38 40.93 19.10 210.6 92.46 11.98 91.66 10.88 9 2.36 51.81 13.58 266.5 95.65 21.89 95.17 20.06 10 1.84 58.40 10.55 300.4 96.94 38.69 96.60 36.14 ll IZ 61.39 7.51 315.7 97.94 62.28 97.72 59.70 12 0.76 63.09 4.95 324.5 98.54 82.84 98.40 81.24 13 0.00 64.62 0.00 392.8 100.00 100.00 100.00 100.00 Nelle soluzioni miste i due sali hanno concentrazioni intermedie a quelle delle soluzioni dei singoli sali: la isoterma di solubilità (fig. 1) è S ©) Si 100 ga I pa TSO ‘ E9 = [a dei ln a Se a e È 0 100 200 300 mgr. mol. K,Cr0, in 100 gr. Hs0 DIG una curva continua che congiunge i due punti rappresentanti le soluzioni sature dei singoli sali. — 670 — Se si considera la variazione del rapporto tra i due sali nelle soluzioni e nei cristalli si osserva che variando il rapporto tra i sali nei cristalli, varia sempre anche quello nella soluzione. Graficamente questa variazione è data da una curva del tipo rappresentato dalla figura 2 (schematica: tipo I 100 °/, del componente A nella soluzione vee (0) 100 °/o del componente A nei cristalli. Fis. 2. di Roozeboom): la curva è continua e giace tutta a sinistra della diagonale: la solubilità allo stato solido tra i due sali è completa e dei due sali il più solubile è sempre in maggior proporzione nella soluzione che nei cristalli. Le mie esperienze confermano quindi i risultati di Fock. Nella figura 3, Mol. °/ nei cristalli 0 10 20 30 40 Mol. °/o nella soluzione rt Î x KaS0, —KaCr0, o KeCr O Ko Mo (07 70. i | O K. SO, — K,Mo (07 Le curve sono riferite al sale più solubile cioè al secondo della coppia. Fic. 3. curva I, è tracciato in base ai dati d'analisi il tratto di curva (reale) in- termedio; facilmente si può figurare come questa si prolunghi ai punti di concentrazione massima e nulla di cromato nei cristalli e nella soluzione. — 671 — 2. Cromato-Molibdato. L'analisi del residuo d'evaporazione dei cristalli fu eseguita determinando nell'insieme dei due sali il molibdato: venne precipitato dalle soluzioni acide il molibdeno con idrogeno solforato e il solfuro così ottenuto venne trasfor- mato per moderato riscaldamento in anidride molibdica e come tale pesato. I risultati d'analisi sono esposti nella tabella seguente: TABELLA II. II ]U]Ù|ÙT]]Ù||(&5©|(|;&&€&ìKFE&!}|}&K&F&F&F&F+F&F+&éé&té@&t&«&«é«+«+&+&+F+F+&+E&E'& EF&E E&E&E&E&E E EGG +=«=«HÒ&Ò&ÙÒ(Ù(È(Ù!][ÎvTeee= Solubilità in 100 gr. di acqua Concentrazioni Concentrazioni 9 in peso molecolari È grammi mgrmolecole °/o Ka.Mo 0, °/o K2M00, K,Cr0, | K:.Mo0, | K. Cr0, | KaMo 0; | Soluzione Cristalli Soluzione | Cristalli 1 64.62 0.00 892.3 | 0.00 0.00 ! 0.00 | 0.00 0.00 2 49.59 15.87 255.1 64.50 23.66 0.35 20.18 0.28 b) 38.90 38.79 204.7 162.0 49.90 057 44.34 0.46 4 33.21 50.96 170.8 213.0 60.54 0.94 95.56 0.76 5 14.13 98.72 72.68 414.3 87.50 1.25 85.10 1.02 6 10.07 118.8 51.79 498.5 92.19 2.58 90.57 2.11 7 10.24 119.9 52.67 503.1 92.20 2.98 90.58 2.44 8 7.12 137.8 36.66 918.1 95.10 9.92 94.20 4.70 9 6.32 157.2 32.51 659.7 96.14 6.74 95.92 9.56 10 4.92 165.4 25.81 694.1 97.12 10.34 96.49 8.59 11 2.14 180.8 11.01 158.7 98.89 26.80 98.58 23.00 12 1.70 183.0 8.74 767.9 99.08 86.21 98.89 31.64 13 0.00 184.6 0.00 TI4.1 100.00 100.00 100.00 100.00 Malgrado parecchî tentativi non fu possibile preparare soluzioni in equi- librio non cristalli contenenti più di 36.21 °/, K.Mo0,. Dalle esperienze st O 30 È gu E), 200 DI) 8S 100 i 1 bri SR a E per i a 0 100 200 300 400 500 600 700 800 mgr. mol. K, Mo 0, in 100 gr. Hz 0 Fra. 4. che fu possibile compiere risulta che anche per questa coppia i due sali hanno nelle soluzioni miste concentrazioni intermedie e l'isoterma di solubilità (fig. 4) è una curva continua di forma simile alla precedente. — 072 — Anche il rapporto tra i due sali nella soluzione e nei cristalli varia in modo analogo che per il solfato-cromato (fig. 3, curva II): in questa coppia la curva s'avvicina alla ordinata e alla parallela all'ascissa, il che mostra una maggiore tendenza d’un componente della coppia a passare in soluzione. 3. Solfato-Molibdato. La composizione dei cristalli e delle soluzioni fu determinata analizzando gli uni e le altre come per la coppia precedente. I risultati d'analisi sono esposti nella tabella seguente: TageLLa III. RT T _— __—=e—6««=-=-<=«<&*‘« «<« «<= La Rosa. Ricerche spettrali sull'arco fra carboni a piccole pressioni (pres. dal Corrisp. Ja- Caluso) SERE. MB i i SES LZ Agamennone. Il terremoto del 24 gennaio 1912 nelle Lù Jonie e sua velocità di propaga- zione (pres. dal Socio Millosevich) . . + «=. n 1646 EFredia. Andamento diurno della temperatura a rDripoli Ei dal 23, Millosevich) (*). > 652 Di Franco. Gli inclusi nella lava etnea di Rocca S. Paolo presso Paternò (pres. dal Socio Struever) (*) . . Miei 5) Colacicchi e Bertoni. ot dei end i dici Si di E o dal Socio Ciamician). . . e Ai er) Olivari. Sul peso IS del Pi in ga e 1a) (* vi dA «LL DE Colacicchi. Sopra una nuova trasposizione pirogenica nel gruppo del sLranbl e ui relativa stabilità al.calore dei derivati isometi. (pres;Jd.) 0.00 Luo. fia Alessandri. Il diacetilfurazano (pres. dal Socio Angeli) . . . . . ... » 659 Amadori. Sul comportamento reciproco dei solfati, cromati, SOTTO. e sesta a bassa e ad alta temperatura (pres. dal Socio Ciamician) . . REeREReAo | Cc) i) Quercigh. Il sistema ternario Sb + As+I (pres. dal Corrisp. Piutti) ©. a EU SOT LL _______=\"kP!P"P<à àHRAAAÀAARTTyv[vy), (* Questa Nota sarà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Itoma 1° giugno 1912. N: 11. = ca VIDI REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCIXx. 1912 sed unta RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del A° giugno 1942. Volume XXI. — Fascicolo 11° 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELIA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DFL CAV. V. SALVIUGCI 1912 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Te Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. lie Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 15 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, cha vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IL I. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com: missione la quale esamina il lavoro e ne rife-. risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con nna delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Aocade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 2) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria, - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro: — posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre cedente, la relazione è letta in seduta pubblien, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5.L° Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli antori. » RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 1° giugno 1912. P. BLASERNA Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla chiusura dei sistemi di funzioni orto- gonali e dei nuclei delle equazioni integrali. Nota del Corrispon- dente G. LAURICELLA. Nella presente Nota mi propongo di dimostrare che per ogni sistema ® non chiuso di funzioni ortogonali esiste un sistema &® (che diremo comple- mentare) finito od infinito e numerabile di funzioni ortogonali, il quale, associato al sistema ®, forma un sistema £=@®-+ ® di funzioni ortogo- nali chiuso; di dimostrare ancora l'unicità, intesa in un certo senso, del sistema complementare W; e di dare un metodo per realizzare in ogni caso questo sistema. Dalle considerazioni che avrò occasione di fare nella discus- sione di tale metodo, seguirà in modo del tutto immediato la condizione necessaria e sufficiente affinchè un sistema di funzioni ortogonali sia chiuso. Questa condizione richiede, come sarà dimostrato, il minimum di condi- zioni; e potrebbe servire a dedurre in altro modo gli importanti risultati contenuti nella recente Memoria del sig. Stekloff: Sur la #héorie de fer- mature des systèmes de fonetions orthogonales dépendani d’un nombre quelconque de variables (*). Infine applicherò la teoria svolta allo studio della chiusura dei nuclei delle equazioni integrali di 12 specie. () Mémoires de l’académie impériale des sciences de St.-Pétersbourg, VIII série, vol. XXX, n. 4, année 1911. RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 89 — 676 — i Per semplicità di notazioni parlerò sempre di funzioni ortogonali di una sola variabile indipendente; ma nessuna modificazione speciale si richiede nel caso di funzioni ortogonali di più variabili indipendenti; sicchè i risul- tati qui ottenuti valgono senz'altro qualunque sia il numero di queste va- riabili. Per la medesima ragione considererò solamente nuclei contenenti, in ciascuno dei due gruppi di variabili, una sola variabile indipendente; ma i ragionamenti ed i risultati valgono senza modificazione alcuna, qualunque sia il numero delle variabili contenute in ciascuno dei due gruppi. È superfluo che io qui insista sull’ufficio che i risultati di questa Nota possono avere nello sviluppo delle funzioni in serie di funzioni ortogonali (*) e nella risoluzione delle equazioni integrali di 1 specie (?). ESISTENZA DI UN SISTEMA COMPLEMENTARE. 1. Sia D= (2), p(2), un sistema finito od infinito di funzioni ortogonali, definite in un certo campo ab, ed integrabili in questo campo nel senso di Lebesgue insieme ai loro quadrati ed ai loro prodotti due a due. Se questo sistema non è chiuso, vuol dire che esisterà almeno una funzione 0;(7), che supporremo integrabile (*) insieme al suo quadrato, tale che fat 0,(a) de =0, (= 100008) Si determini la costante c, in modo che, posto: y(x)= c10,(2), risulti : RIZZI e si consideri il sistema di funzioni ortogonali: P(7), 92) hi Se questo sistema non è chiuso. vuol dire che esisterà almeno una fun- zione 0,(x), che supporremo integrabile insieme al suo quadrato, tale che fu) 65(0)\d2—006 6) 05(0)jdx 00 I_MB2EE E a (1) Ved. la mia Nota: Sopra gli sviluppi in serie di funzioni ortogonali. Rendi- conti del Circe. mat. di Palermo, tomo XXIX, anno 1910, 1° sem. (3) Ved. la mia Nota: Sulla risoluzione dell'equazione integrale di 1 specie. Ren- diconti della R. Accad. dei Lincei, ser. 52, vol. XX, aprile 1911. (®) Intenderemo sempre nel senso di Lebesgue. — 677 — Si determini la costante c. in modo che, posto: (x) = cs 0(2), 10); de=1; e sì consideri il sistema di funzioni ortogonali: risulti: 2 PEDONE luz), v(2). Seguitando a ragionare nella stessa guisa o arriveremo ad un sistema finito di funzioni ortogonali: bD_= y(2), Y:(2),..., Un), tale che il sistema ortogonale: \ 91(2), 2(2) ) yw(x) 9 yo(x x) go o) W,(2) gesso O risulti chiuso, oppure si avrà un sistema ® infinito di funzioni ortogonali. Ora, in virtù di un teorema di Schmidt (*), qualunque sistema di infi- nite funzioni ortogonali è numerabile, sicchè il sistema ® deve necessaria- mente essere numerabile; e perciò, indicate con wi(2), w:(x),... le funzioni che lo compongono, sì avrà che il sistema di funzioni ortogonali: (1) (OE deve risultare necessariamente chiuso. Riepilogando si ha quindi il seguente teorema: ogni sistema non chiuso di funzioni ortogonali, può rendersi chiuso associando ad esso un sistema finito o infinito e numerabile di funzioni ortogonali e tali che il sistema totale, che ne risulta, oltre ad essere chiuso, sta anche ortogonale. TEOREMA DI UNICITÀ. 2. Vogliamo ora dimostrare che a f at Fa 1 + >; uf YA) glad + =0; na+1 sicchè avremo, in virtù della (2), b Six) — fp) de = 0. a Questa e la (5) ci dànno, rammentando che il sistema (1) delle g;(x) e delle w;(7) è chiuso, x(e) — 0(x)=0 — 680 — in tutto il campo ab, eccettuati al più i punti di un insieme di misura nulla. Di qui, avuto riguardo alla (4), si ricava la (3), appunto come vole- vamo dimostrare. È evidente che le considerazioni precedenti si semplificano notevolmente nel caso in cui il sistema ® di funzioni w,(x), w:(@),... sia finito. COSTRUZIONE DEL SISTEMA COMPLEMENTARE. 3. Vediamo ora in qual modo, dato un sistema ® non chiuso di fun- zioni ortogonali si possa realizzare ogni volta un sistema % di funzioni or- togonali, che diremo complementare, il quale, associato al sistema ®, dia luogo ad un sistema Q=®-+ ® ortogonale e chiuso. Si consideri un qualsiasi sistema chiuso H di funzioni ortogonali, inte- grabili insieme ai loro quadrati e ai loro prodotti due a due ('): (6) H=y(2).ge(2),- Poichè la funzione y:(x), come tutte le altre del sistema H, è inte- grabile insieme al suo quadrato, posto: °b dj == f 1(2) Pj(2) da , a risulterà, come al S precedente, che si può determinare, in virtù del teorema di Weyl, una serie infinita di numeri interi, positivi e crescenti ,,22,-., tali che la serie: Tua ma ) ugo) + dg +- 1 Na + I sia convergente uniformemente in generale nel campo ad. Allora, indicata con e, una costante indeterminata, avremo che l’espressione: ye) e Gi | (0) == DI dij ;j(c) + >; dij P;() + oca i | VR ni+1 risulterà integrabile insieme al suo quadrato nel campo ab, e la serie al (1) Ad esempio, si potrebbe prendere la serie (A=0,0=1): 1,cos27z,sen217,.., cos 2n74, sen 2NTX, — 681 — secondo membro sarà pure integrabile termine a termine; per cui si potrà scrivere: b b I yi(x) gi(2) da = a f Xi(1) gi(a) de + Li EA) Na b o DI wJ CEE E) ig > 50 f P;(£) pi(2) da + | 1 9 Toi a Na+ =0, (= 192000)5 e se si determina la costante c; in modo che sia b fn@ke=1, avremo una prima funzione della serie complementare cercata, a meno che in tutto il campo ad (i punti di un insieme di misura nulla al più esclusi) non sia identicamente: Na Na Nel caso che ciò avvenga, si operi sulla funzione yx:(#), appunto come si è operato sulla y;(x); e così si seguiti ad operare, se occorre, sulla ys(2), sulla yx4(x),.. Con questo procedimento deve necessariamente ottenersi una prima funzione w,(x). Infatti nel caso contrario, posto: b a5= f (0) (0) de, si dovrebbe avere per 7 numero intero qualsiasi ('): (1) x(2)= DI di; P;(£) + Db, Uij Pe) +; 1 na+1 ed allora, poichè il sistema ® non è chiuso, indicando con /(«) una solu- zione effettiva delle infinite equazioni : frme@a=o0, (j=1,2,), (1) S'intende che i numeri #1,%,,... potranno variare al variare di 2. — 6382 — risulterebbe per i qualsiasi, integrando per serie, LE fado. Ciò che è in contraddizione con l'ipotesi che il sistema H delle fun- zioni ortogonali (6) sia chiuso. Ottenuta una prima funzione w,(x), la si associi al sistema dato D; e se il nuovo sistema, così ottenuto, non è chiuso, si operi con esso sul solito sistema H ('), appunto come si è già operato su di esso col sistema dato D. Procedendo sempre nella stessa maniera, o si otterrà un sistema finito D di funzioni wi(x), W:(2),..,Wn(x), il quale associato al sistema dato ® lo rende chiuso, oppure si otterrà un sistema infinito numerabile ® di fun- zioni Wi(2), w(2),..., che associato al sistema dato ® darà luogo ad un sistema 2 = + ® ortogonale, il quale pure sarà chiuso, come risulta ri- petendo il ragionamento precedente ai sistemi H ed £ (?). CONDIZIONE NECESSARIA E SUFFICIENTE PER LA CHIUSURA. 4. Dalle considerazioni del $ precedente risulta ovviamente il seguente teorema: condizione necessaria e Sufficiente affinchè un sistema ® di fun- zioni ortogonali sia chiuso è che per tutte le funzioni yi(a), di un solo sistema chiuso qualsiasi H di funzioni ortogonali, valga uno sviluppo della forma (1). Infatti se il sistema ® è chiuso, le espressioni: wi(a) = c; |10) HE, Di dij P;(2) + È, dij a) | ni+ 1 devono per qualsiasi valore di % essere uguale allo zero in tutto il campo ad (esclusi al più i punti di un insieme di misura nulla); mentre d'altra parte se la (7) ha luogo qualunque sia il valore di <, il procedimento del $ pre- cedente non ci dà alcuna funzione w;(x) per il sistema complementare P, e perciò il sistema @ deve essere necessariamente chiuso. (1) Naturalmente è inutile operare sulle funzioni yi), %a(#),..., che già sono state adoperate nell’operazione precedente per ottenere la wi(2). (3) Da tutto ciò risulta nuovamente dimostrato il teorema del $ 1. — 683 — Valendosi della nozione di equazione di chiusura, introdotta dallo Stekloff ('), il precedente teorema può mettersi sotto l’altra forma seguente: condizione necessaria e sufficiente affinchè un sistema ® di funzioni orto- gonali sta chiuso, è che l'equazionedi chiusura relativa al sistema ® sia soddisfatta da tutte le funzioni di un solo sistema chiuso qualsiasi H di funzioni ortogonali. 5. Vogliamo ora dimostrare che la precedente condizione necessaria e sufficiente richiede il mizimum di condizioni affinchè un qualsiasi sistema ® sia chiuso; e precisamente vogliamo dimostrare che Ze condizioni enunciate per le yi(x) del sistema H, affinchè un sistema ® sia chiuso, sono indi- pendenti tra di loro. Naturalmente basterà verificare questa proposizione per un particolare sistema ®, ad esempio per il sistema Pi(2) = x:(2) 92 (2) = (2), Ps) = (2), Pi(2) ni Xi: (€) ’ Pi+1(2) =; Xi+a(2) K):000 0) cioè per il sistema ® che si ottiene dal sistema H togliendovi la funzione xi(2). Ora relativamente a questo sistema ® si ha, se 7y, negativamente nell’opposto. L'ipotesi che le traverse sieno periodicamente disposte sul fondo del canale ad intervalli di 4 una dall’altra, porta come naturale conseguenza che il moto (permanente) della corrente abbia carattere periodico, con pe- riodo 2. Ciò viene analiticamente tradotto nella circostanza che tanto la funzione w(4) = (x,y) — iv(e,y), quanto la (2) = (2,4) + de(x,y) ammettono il periodo reale 4. Segue da (2) che anche la / ammette allora un periodo reale, che indicheremo con v. A norma della (2) stessa e della (3) 4 e sono legate fra loro dalla seguente relazione (4) 122 o df. 0 È facile vedere che v è essenzialmente positiva. Basta notare infatti: 4) che v non è altro che la differenza (costante) g(x + 4,7) — 9(7, y), qualunque sia il punto (x,y) del campo del moto; è) che il fondo y=0 è linea di flusso; c) che lungo ogni linea di flusso @ va sempre crescendo (nel verso del flusso). Da ciò scende quanto si voleva dimostrare. 2. Giova tenere presenti le condizioni ai limiti. Esse consistono nello esprimere che tanto il fondo quanto il pelo libero / sono linee di flusso. Analiticamente questo equivale a dire che su ciascuna di esse è w costante. Preso w—=0 sul fondo e y=HD>Q0 sopra /, H rappresenta, com è ben noto, la portata della corrente. Sopra ogni altra linea di flusso è 0 aî(eile)=0, ovvero > 290 l'equazione della quadrica dei punti a modulo nullo; e noi supporremo che questa rappresenti altresì l'assoluto (quando proprio occorrerà servirsi della ipotesi che S, sia ellittico o iperbolico). Ogni punto x non giacente su quella quadrica sarà supposto a modulo unitario, finchè non risulti il contrario dal contesto del ragionamento; epperò, quando x dipende da una variabile indipendente 7, sarà: (3) (a]de)=0 , (dalda) 4 (@|dx)=0 ove è (d essendo simbolo di differenziale): (4) da=da,.e1+ der. 0064 + dana = CAS, d'a = d*x, eat Se, in S,, si prende come espressione di una forza agente in un punto x il prodotto xy di x per un altro punto y, come espressione dello sposta- mento elementare dovuto ad un cambiamento di x in x + dx il prodotto x(e +da)=xdx, come definizione del lavoro elementare di xy nello spostamento dx la funzione scalare (5) (cy|eda), che, per essere x,y nei loro moduli normali, assume la forma semplice (6) = (y|dx), e se si tien conto che, negli spazî ellittici o iperbolici, per intervalli infi- — 710 — nitamente piccoli, valgono i teoremi della geometria euclidea, si può isti- tuire una teoria generale in S, che contiene, per 2= 3, l’ordinaria Statica e l’ordinaria Dinamica. 2. Intanto, a parziale giustifica delle nozioni qui assunte, sì osservi che, se S, è euclideo, e per y si prende il veltore u della forza F_appli- cata in x, sicchè sia F= 2%, e se 71,2, ...,én sono 7 vettori unitarî due a due ortogonali fra loro ed e un punto arbitrario al finito di modulo I, sì potrà all'espressione (1) di x sostituire la seguente (7) ar=e+a +00 + + Enia Ove X1,%2,-,%n Sono le coordinate cartesiane ortogonali di x rispetto agli n assi ex1, e%2,..., 6%n @ prendere per x l'espressione (8) u=ui busîis ded nîn, Ove tw, U2, ...,n Sono le componenti di u, epperò pure quelle della forza F, secondo i medesimi assi. Allora, come dalla (7) si ricava (9) da = dx, .in + des.ii tb + den .în così da (8) e (9) si ricaverà _ (u|da) 3 V(ulu) V(de|de) cos(u, da) = OVVero, per essere (uu) =u +++ = F° (de|da)= daî + dai + + dat = ds? : (u|da cos (u , de) = cos(F, ds) = 42), avendo messo F al posto di «, come usa farsi, ed avendo indicato con ds l'arco elementare descritto dal punto x nello spostamento dea Da tale equa- zione si deduce per («|dx) che, nel caso presente sostituisce la (y|4x) del caso generale, la espressione (u|dx)=Fds.cos(F,ds), che è appunto quella del lavoro elementare della forza F applicata nel punto x durante lo spostamento elementare ds, nel senso dell'ordinaria Statica. [.. B. La determinazione + (y|dx) conviene agli spazî ellittici; nel caso di spazî iperbolici, la determinazione + (y|4dx) conviene a punti dello spazio propriamente detto. e la determinazione — (y|dx) ai punti dell’'antt- spazio, 0 spazio ideale]. — 711 — 3. Consideriamo ora un punto x in movimento; se, come avvertimmo, teniamo conto che negli spazî ellittici, e iperbolici, per intervalli infinita- mente piccoli valgono i teoremi della geometria euclidea, troviamo che, sup- nonendo %,,%2,..,%n+, funzioni di una variabile Z, che si dirà /empo, le espressioni da d*x A gr rappresentano completamente la velocità e l’accelerazione del punto « al tempo /. Quanto alla velocità come misura effettiva del rapporto fra lo spostamento subìto dal punto 4 ed il tempo d/ nel quale è seguìto, va di- stinto esplicitamente il caso in cui lo spazio è ellittico da quello in cui è iperbolico. Per fare uno spazio ellittico si supporrà a1=@,=--= @n+1= ]; per farlo iperbolico si prenderà an=a,=-=@a,=/—1,0,4,=1. Allora, indicando con ds l'arco elementare di traiettoria descritta dal punto 4 avremo TRE sen = = V(«da|cdx) —=|/(dae|dx) nel 1° caso le nb Ly — (ada|xda) )=V— (de|da) nel 2° caso. Contemporaneamente per la richiesta misura della velocità si avrà 00 EE nel 1° caso, e (10) o=rj/-{fe da) ( E A. sa) ++) (=) nel 2° caso. Per abbracciare i due casi in una sola scrittura quando non occorre tener presenti gli sviluppi effettivi, e nemmeno la diversità di signi- ficato della costante y nelle due formule, scriveremo da da (10”) o=r|/<(î Tr) dove è stato introdotto il simbolo 7 a rappresentare la differenza dei due casi. Slo: Se m è una costante durante il moto di x che si dirà massa del punto @, a) dt ciò che si dirà energia cinetica. o semi-forza viva, del punto @ all'istante #. 4. Se, sotto l’azione della forza xy, il punto #, supposto libero, assume È : 000 IO un moto di accelerazione x -, si riterrà sarà my? {de ii — i OE o, (11) Mi 3 “n dt? dx dalla quale segue essere c d°x ove Z è una costante che può essere scelta arbitrariamente. Questa equazione conduce all'altra de (AL (14) m (Ge) 40). la quale, per integrazione fornisce il teorema dell’equivalenza fra energia cinetica e lavoro nel moto di un punto. 5. Se il moto di x deve aver luogo con determinati vincoli, sotto l’azione della forza xy, al moto libero del punto, i vincoli offrono una 7ea- zione, che può essere rappresentata dal prodotto di < per un punto 7, il quale dipende, oltre che dalla qualità dei vincoli, anche dalla posizione di x (vale a dire dalle x,,%>,....n+1) ed eventualmente anche da de. Il moto di x si può, dunque, considerare come il moto che avrebbe @ se, essendo libero, fosse sotto l'azione della forza zyt+ar=2ay+7), epperò, per la (13) deo (15) mae etytr. Tenuto conto della dipendenza di 7 da x, si può, al posto di Zx + r seri- vere 7, e presentare la (15) nella forma (di 7dentico contenuto): (16) pei 6. Consideriamo ora due sistemi di punti: il sistema X dei punti di- stinti %1,%2,...,%p ed il sistema y dei punti y,,%»,-,%p univocamente riferiti a quei primi e tali che siano distinti, o (alcuni, o tutti), coincidenti. = 718 — Supponiamo X soggetto al sistema delle forze 2191, %2%2;--:ZpYp, ed ammettiamo il principio delle velocità virtuali, consistente nell'esistenza dell'equazione (d essendo simbolo di variazione): (17) (411921) + (Y2|022) + 4 (401040) = 0 per tutti gli spostamenti 41041, 420%2,..., 4,9%, compatibili con i vincoli del sistema X; sarà questa l'equazione generale della Statica. Ammettiamo poi la estensione al caso nostro del principio di d'Alem- bert relativamente alle forze perdute, ed avremo nella d*x CS pio (1, dai %) 0xg= 0 l'equazione generale della Dinamica. È superfluo avvertire che le (17), (18) contengono le ordinarie equa- zioni generali della Statica e della Dinamica classica. 7. Tenendo conto dei vincoli, dobbiamo ora cercare come si trasformano le (17), (18). I. Supponiamo che, in primo luogo, i vincoli siano rappresentati da un sistema di w equazioni, in termini finiti, fra %1,%2,...,%p, ® siano queste (19) MEREZARE Rae _10 (O= ID Indicando con G;/, il gradiente della fn (secondo una definizione data ed uno studio fatto da me in altro lavoro) rispetto ad di= Lit k Lino + 4 Limtren41 3 cioè, ponendo d d d 20 G;j= ît— e a — € Tad GE FS On ( ) i A dr : at si dI 2 ; o sù ; dXi,nt1 ; (=, 008591), ed operando su /, sì ha: dfn = G1/n|dwx + Ga/n|d2» + + Gu/a]dep = 0 per #=1,2,...,w. Moltiplicando ordinatamente queste equazioni per 4,, A, ,-.-,À, e sommando con la (17) si avrà, dopo di aver posto dafi + defe + + dpf = f; (21) (G./4g1)|0z1+ (G:/+4 ga)|0c0 ++ (G,/4- 4)|0xp = 0. — 714 — Ora, se determiniamo le 4,,»,..., x in guisa che w delle espres- sioni moltiplicatrici degli p(n+-1) differenziali de ((=1,2,...p;&=L, 2,...,%-+1) si annullino, la (21) diverrà un'equazione soddisfatta da va- lori arbitrarii dei rimanenti p(n +1) — « differenziali; epperò, per quei valori delle An Ag, db dovranno essere nulli anche le corrispondenti espressioni moltiplicatrici. Ciò equivale ad uguagliare a zero tutte le espressioni moltiplicatrici delle dx;x, e poi a determinare le 7 col mezzo di u fra esse. In questa intesa, noi possiamo dunque immaginare scritta la equazione generale della Statica in S, nella maniera seguente: (22) Y(6,/+ y)lda=0. r=l Con l’enunciato delle forze perdute l'equazione generale della Dinamica si può allora scrivere nella forma q n dx, 40) (23) VAS My di? Ta Gf din Yr dx, i 0 O r=1 II. Se, invece delle (19), i vincoli fossero dati dando x1,%2, 1 %p come funzioni, in termini finiti, di un certo numero s di parametri indipen- denti 91,92,---:4s; sicchè sia, ad esempio, (24) Lik TT Pin (91 o) q2 CIGNO) ds) persi — EA 0A k=1,2,...n+1: introducendo allora un altro parametro gs+,, che si dirà parametro di omo- geneità con lo scrivere qQi:gs+1 al posto di 9; (A 20,9) E che si farà poi eguale ad 1, vi sarannoyda distinguere tre casi, secondochè s 2 x. Nel terzo caso si amplierà l'S, costruendo un Ss con l'aggregare alle n+1 unità e1, 62,3 0141 che hanno servito alla costruzione di S, altre s— n unità 0,45, €433 + + €5+1 indipendenti da quelle prime, indipendenti | fra loro ed a moduli normali @,+2, &n+3 5 +3 &s+15 negli altri due casi, si indicherà con Ss lo spazio contenuto in S,, 0 combactante con $,, indivi- duato dalle s+ 1 unità e,,€2,..,0s41- Ciò fatto, si consideri, in S,, il punto (25) QI + green 4 + deva €841 3 per ogni punto generico x del sistema X, si avrà dx = dpr - €1 + LIO - 62 + me | ÎPr,nti e En+19 — 715 — da cui Gi E ( î n+ (26) DI (yr|9x,) = Di i dpr + 2 dpr ++ SI dgr ) . r=1 1 2 n+1l r=1 Ora, è 0gri= Gy gri|dy, ove Gy è il simbolo di gradiente rispetto a 9, cioè l'operatore Gi dira o x + 8+1 die an dunque sarà, ritenendo le y come costanti rispetto a G,, anche quando di- pendano dalle 9, e ponendo mi F (27) da Di Yri Pri aa pi Yr2 Pre + + po DI Yrnmtr Prinsi = Q: ©n+41 r=i r=p (28) D (Yr|dx,) = (G,0|99) . r=1 Tenendo conto della (28), scriviamo ora la (18) nella forma d* (29) (G,0|0)= x > me( cadr), e denotiamo con SI mE Tp day 1) (80) È Sme( È l'energia cinetica del sistema X all’epoca £ (le Di 923%, 9s+1 Sono fun- zioni del tempo); avremo: dar (81) (G,T|0)=dT=y > me( È 15%) È ge _ hp? di met ar Sommando, membro a membro, questa equazione con la (29), moltiplicata per y°t, avremo ancora G,(y°°Q + T)|dg=y AL | (È _ 62) + (DE È 62) | oOVVero: (82) G.Q+ Dog = a Sme (lE 100)). Introduciamo il punto ” dg , , , , d nato tot gini (=, —1,2,..5+1) RenpIconti. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 94 Mg, sì avrà: dx, i=n+1 5 da (29) = I (Gog@ig)a., di = i=n+1 (34) dx, = SD (G, 9ri|99) Ci ce° 9 e da queste segue da, i=n+1l iS - 0) = > d LG, 9r|2)( (Gy Pri 99), OVVEero : d da / G rl r G Tnt (85). (EE 102,) =[ (Gy 9119) EE + + (Go gra |) TEEN [log Dal confronto con la (32) viene Go(y°=Q + T)] 09 = rid smre[ (6,90) HET + 6ogin ) SEE [log e da questa poichè dy è arbitrario: (36) uo. = Va G, rnt =y° È îm,r | (Ge9n 1) 396 ++ (Gg rm 19) È Sl asi Ora, dalla (30) e dalla (33) caviamo 2 IZ (87) rome] Coral (Fegrlo PL ., 4 Cogea | 1 9 541 ci; e da questa, considerando la T come funzione quadratica delle 91,92;--79%+1 DIL G rl 1 G rin+l i (38) ( n) = y}Xm,q la (ER SR Magri dI G, grass [la (= 1A 8 851) Ne segue, indicando con Gy il gradiente rispetto al punto g', cioè l'ope- ratore O (39) Gy = gi Ci + 05 DENTI pi + - + 41 37, 7 Os+1 ge che si avrà r=p ; G 7 TNT (40) A 2 "+-+ (G Xg Prin+1|9) = Ji r=1 ed allora la (41) diventa (41) G(9+M= 4 6,7, e questa è l'equastone generale della Dinamica del sistema X nelle condi- zioni supposte. Quanto all'equazione generale della Statica nelle medesime condizioni, dalla (28) si deduce che essa si presenta nella forma e, per essere dg arbitrario, si riduce alla seguente (43) GQ=0. La (41) si scinde nelle seguenti s+ 1: Li ST d dI) 44 Va DO, Ii CE) 6 li tr dg al lan È : Sam dove le parentesi per le (A) e le i stanno ad indicare che le deri- dn dn vate vanno prese solo in quanto le 91,92, --.4s+: entrano nelle gr; (vedi form. 27) e le 91,93, --., Q4+1 esplicitamente nella T. Le (44) convengono ad ogni spazio nel quale una determinazione me- trica conferisca al quadrato dell'elemento lineare la forma iî=n+1 dae? dst= y°r(dalda)= yy? DI 3 È i=l ove y,t,; ((-=1,2,..,%+1) hanno il significato dato innanzi; e sia e= 014 2024 + nt 0n41 Matematica. — Sulla teoria delle equazioni integrali gene- ralizzate. Nota dell’ing. Grovanni Grorar, presentata dal Corrisp. G. LAURICELLA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. — 718 — Astrofisica. — Variazioni nello spettro della Nova (18. 1912) Geminorum 2. Nota di V. FONTANA, presentata dal Socio A. Riccò. Fisica. — Bussola azimutale ad onde hertziane. Nota del- l’ing. A. Tosi, presentata dal Socio MILLOSEVICH. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sul peso molecolare del selenio in soluzione (*). Nota di F. OLIVARI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. 1. Le determinazioni crioscopiche contenute nella presente Nota sono la continuazione delle ricerche da me istituite sul peso molecolare del se- lenio in soluzione allo scopo di illustrare il comportamento che questo me- talloide presenta nell’iodio fuso. Gli abbassamenti del punto di congela- mento forniti dal selenio in soluzione nell’iodio corrispondono infatti, come ho ripetutamente dimostrato (?), ad una grandezza molecolare prossima ad Se. la quale se concorda con quella ricavata dalla densità di vapore a varie temperature (*), è però assai diversa dai valori Ses e Sexo a cui conducono le depressioni crioscopiche misurate da Beckmann nel fosforo (‘) e nello ioduro di metilene (°). Le ragioni di questo diverso contegno osmotico del selenio sono da ri- cercarsi o nella possibilità che allo stato di soluzione anche gli elementi poliatomici subiscano una dissociazione molecolare dovuta alla speciale azione del mezzo, alla diluizione e alla temperatura, come Timofejeff (9) e Popoff (?) avrebbero osservato per le molecole ottoatomiche dello zolfo nelle soluzioni diluite di benzolo e dimetilanilina, o nella possibilità che nel campo del fuso e quindi nelle condizioni sperimentali stesse in cui si compie la de- (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Univ. di Parma, diretto dal prof. G. Plancher. (2) Rend. Acc. Lincei, vol. XVII, 2° sem., pag. 389 (1908) e vol. XVIII, 2° sem.. pag. 264 (1909). (*) Biltz. Z. f. physik. Chem. 29, pag. 885 (1896); Szarvasy. Ber. 30, pag. 1244 (1897). (4) Z. f. physik. Chem. 22, pag. 614 (1897). (5) Z. f. physik. Chem. 42, pag. 853 (1903). (6) C. C. 1903, II, pag. 1266. (7) C. C. 1903, II, pag. 1265. — 719 — terminazione del peso molecolare, si formino composti fra il metalloide e l'iodio (p. es. Ses 1.). Contro quest'ultima ipotesi stanno in parte le esperienze di Pellini e Pedrina (') sull'equilibrio di solubilità relativo al sistema binario Se-I in seguito alle quali deve escludersi la formazione, per fusione reciproca dei componenti, di ioduri di selenio esistibili come fasi solide. Nemmeno i saggi colorimetrici di Beckmann (*) che si riferiscono già a condizioni sperimen- tali diverse, provano l’esistenza di combinazioni fra selenio e iodio come ho avuto occasione di far subito rilevare in una precedente Nota (*). Per portare un ulteriore contributo alla conoscenza dello stato moleco- lare del selenio in soluzione, sin dal mio primo lavoro sullo stesso argo- mento ho manifestato il proposito di estendere le misure osmotiche ad altri solventi. A tal fine ho recentemente sperimentato col metodo crioscopico le soluzioni del selenio in cloruro mercurico fuso (*) riconoscendo che in questo mezzo la complessità del selenio va continuamente diminuendo col crescere della diluizione come se la molecola poliatomica subisse una graduale dis- sociazione. Ora mi è sembrato non privo di interesse proseguire le ricerche crio- scopiche in un solvente analogo: il bromuro mercurico, già studiato da Beckmann e più tardi da Guinchant per la determinazione dei pesi moleco- lari di molti sali. 2. Per escludere la formazione di composti nel sistema binario Hg Br.-Se ho intrapreso, come già per il sistema analogo Hg Cl,-Se, due serie di ri- cerche preliminari e cioè lo studio dell'equilibrio di solubilità fra i compo- nenti e l'esame chimico quantitativo delle fasi solide ottenute per congela- mento; ricordando peraltro che tali ricerche sono probative solo per quanto riguarda l’esistenza dei composti (di addizione o di sostituzione) capaci di cristallizzare dalle miscele fuse. Il diagramma della fig. 1 e i dati riportati nella tabella I riassumono i fenomeni completi di equilibrio termico relativi ai miscugli di bromuro mercurico e selenio. (1) Rend. Acc. Lineci, XVII, pag. 78 (1908). (?) Z. f. anorg. Chem. 63, pag. 63 (1909). (3) Rend. Acc. Lincei, XVIII, 2° sem., pag. 264 (1909). (*) Rend. Acc. Lincei, XVIII, 2° sem., pag, 94 (1909). NE TABELLA I. Sistema Hg Br,-Se. Se TU UE 0, Ts 0; 0 0 di miscela 1° punto durata d'arresto 20 punto durata d'arresto d'arresto in minuti d'arresto în minuti 0) 230° _ — _ — 2.9 235 — —- — — 7.3 230.5 227.4 14 210-211 5) 10.0 229.8 227.4 22 210-211 3 14.4 227.9 227.4 38 210-211 10 22.0 = 227.4 30 210-211 14 28.2 = 227.4 27 210-211 18 39.0 = 227.4 20 210-211 21 44.5 = 227.4 o) 210-211 30 99.0 227.2 = — 210-211 48 61.0 226.0 = — 210-211 92 68.0 224.4 —_ — 210-211 63 74.0 222.2 = — 210-211 80 73.0 p “a — 210-211 90 86.0 D = = 210-211 89 92.0 ? = _ 210-211 80 96.0 p == —_ 210-211 Od 100 217° — — — _ Da essi risulta subito: 1°) la inesistenza di composti di addizione cri- stallizzabili; 2°) la comparsa di una lacuna di solubilità allo stato liquido fra i componenti nell'intervallo di concentrazione del 16-53 °/ in peso di selenio. Debbo osservare che le temperature e le durate di arresto sulla orizzontale eutectica a 210-211° non poterono essere determinate che per fusione stante gli enormi e inevitabili sopraraffreddamenti a cui va soggetto il selenio; per la stessa ragione e per la grande viscosità delle miscele di cui è nota l'influenza perturbatrice sulle cristallizzazioni e sul regolare flusso termico, le temperature di congelamento T, fra 75 e 100 °/ di selenio ri- sultarono troppo indecise e sconcordanti per meritare fiducia. Per ciò, fissata approssimativamente la posizione del punto crioidratico (a circa 81 UO ng. mezzo del massimo di durata eutectica, il presumibile complemento della curva (del resto senza importanza per le conclusioni che ci interessano) venne punteggiato. Non fu determinata la curva critica p. q. Ad eguale risultato negativo quanto alla formazione di composti (anche di sostituzione) si perviene esaminando in quale stato è contenuto il selenio nella massa congelata, perchè basta la semplice lisciviazione con acqua per SEDI = 240 È separare quantitativamente tutto il metalloide allo stato libero; ecco alcune misure eseguite su miscugli di varia concentrazione: Miscela fo TRE cone. °/o Se trovato diff. gr. 50 gr. 0,38798 0,7586 0,3796 —— 0,0008 » 50 » 0,4528 0,9056 0,4520 — 0,0008 oa 3. L'abbassamento molecolare medio relativo al bromuro mercurico de- terminato da Beckmann (!) con antrachinone e fenantrenchinone fra le conc. 0,2-0,9 °/, raggiunge il notevole valore di K = 367. Secondo le esperienze calorimetriche di Guinchand (?) la costante calcolata colla formola di van t' Hoff sarebbe invece K= 403, valore a cui Guinchaut perviene anche con misure crioscopiche adoperando la dibromonaftalina (K = 407) ed estrapo- lando i risultati per una diluizione infinita. In vista di questa divergenza ho creduto necessario di verificare l'abbassamento molecolare del solvente, curando l’esattezza sperimentale in ogni particolare. Purificato il bromuro mercurico per sublimazione (PF = 288°), ho scelto quali sostanze normali l’antrachinone, il fenantrenchinone e lo zolfo. Per evitare l'errore dovuto alla lieve sublimabilità del solvente ho eseguito poche misure in serie partendo da una forte quantità iniziale di Hg Br» (60-100 gr.); inoltre ho riconosciuto necessario mantenere i termometri per molto tempo, prima di usarli, alla temperatura di esperienza per rendere trascurabili gli spostamenti dello zero. Ecco il risultato delle determinazioni eseguite con un apparecchio Beckmann a bagno di paraffina. TABELLA II. 000% 4 : K Antrachinone C,, Hg 0, = 208 0,1392 0,37 407 0.4328 0,84 399 0,6579 1,26 388.9 Fenantrenchinone Ci, Hg 0, = 208 0,1490 0,29 404.8 0,4133 0,79 397.5 0,6980 1,31 390.3 0,2166 0,42 403.5 0,4917 0,93 393.4 0,5975 1,13 393.4 0,9730 1,75 374.1 (4) Z. an. chem. 55, pag. 175 (1907). (#) C. r. d. l’Acad. des sciences, /49, pp. 478-81. — 723 — Solfo Ss = 256 0,2078 0,39 406.5 0,5504 0,82 395.8 0,4140 0,64 397 0,8096 1,26 339 L'abbassamento molecolare a grande diluizione (in media 405) concorda in modo soddisfacente col valore 403 calcolato da Guinchant. Col crescere della concentrazione si nota peraltro una spiccata diminuzione della costante crioscopica dovuta verosimilmente alla forte densità del bromuro mercurico fuso in modo analogo a quanto venne già osservato. per l'ioduro di meti- lene (') e per l'iodio (*). E però non è esatto fare la media dei valori ot- tenuti in wn intervallo esteso di concentrazione, ma deve assumersi come costante di abbassamento quella relativa alle soluzioni diluitissime come vuole la teoria di van t' Hoff. Nè parimenti sarebbe esatto l'affermare i fe- nomeni di polimerizzazione dal comportamento crioscopico a concentrazioni crescenti senza confrontare l’andamento dei pesi molecolari della sostanza da studiarsi con quello di altre sostanze normali esse pure sperimentate a con- centrazione crescente. Per queste ragioni nelle misure che seguono sul peso molecolare del selenio (Tab. III) si tenne come costante crioscopica il valore 405 e si ese- guirono parallelamente alcune determinazioni con lo zelfo per avere una mi- sura dell’anomalia crioscopica dovuta alla forte densità del solvente. TABELLA III. conc. °/o 4 PM Selento Sez = 633,6 0,1254 0,175 290.2 0,2148 0,275 316.3 0,0986 0,14 285.3 0,1452 0,195 301.6 0 2870 0,34 341.9 0,6413 0,64 405.8 1,249 1,13 447.7 2,002 1,69 479.8 3,043 2,41 511.4 4,484 Sio 548.7 5,630 3,96 575.8 7,870 4,98 640.0 (') Garelli e Bassani, Gazz. chim. ital., 1901, I, pag. 407. (*) Olivari, Rend. Acc. Lincei, vol. XVIII, 2° sem., pag. 384 (1909) e vol. XIX, 1° sem., pag. 488 (1910). RenpIcONTI, 1912 Vol. XXI, 1° Sem. 95 0,8096 1,26 260.2 1,344 CA 270.8 1,859 2,71 277.8 2,670 3,69 293 3.978 4,93 326.8 4. L'ispezione dei risultati qui riferiti e rappresentati graficamente nella fig. 2 dimostra che alle forti diluizioni raggiunte la complessità ap- parente del selenio è di un ordine di grandezza compreso fra Sez = 237.6 e Se, = 316.8 e ch'essa subisce un rapido e progressivo aumento colla con- centrazione. Nell'intervallo 0,1-2°/ tale aumento è di gran lunga superiore a quello che potrebbe imputarsi all'elevata densità del solvente, come emerge in modo chiaro dalle esperienze comparative collo zolfo. Per concentrazioni superiori al 2°/ l'anomalia crioscopica dovuta alla densità del Hg Br, si fa invece sempre più sensibile rendendo dubbio il significato dei corrispon- denti valori del peso molecolare. Precisato così il comportamento crioscopico del selenio è giunto il mo- mento di trarre le possibili indicazioni sullo stato del metalloide in solu- zione nel Hg Br, fuso. Le ricerche esposte al $ 2 concordano nel dimostrare che la massa congelata (Hg Br. + Se) non contiene in quantità percettibile alcun prodotto ro — di reazione chimica fra il selenio ed il solvente; ma a priori ciò non è an- cora sufficiente per la retta interpretazione dei risultati crioscopici, potendo composti fra i due componenti, esistere solo nella fase liquida e decomporsi per congelamento. Occorrerebbe quindi ricercare queste eventuati combina- zioni del selenio nel fuso. Ora una reazione reversibile nel fuso fra Se e Hg Br, può immaginarsi rappresentata da una di queste equazioni: 2 Sex + «HgBro = x HgSe + « Se, Bra 2 Sex + 2x HgBr, => x HgBr:+ «Se; Br, in cui Se, è la molecola del selenio di complessità incognita presente nel fuso. Tali equilibriù non sembrano però probabili; essi darebbero luogo al protobromuro di selenio (Se» Br:) liquido poco stabile che distilla a 225° con parziale decomposizione, mentre le soluzioni di selenio nel sale mercu- rico fuso non sviluppano prodotti volatili nemmeno se riscaldate a 260°, all'infuori di una lieve quantità di solvente sublimato ('). Per contro, fon- dendo una miscela di Hg Br, e Se.Br» si osservano nettamente i vapori rosso-bruni e la condensazione di protobromuro (e di altri prodotti) nelle parti fredde dell'apparecchio. Per tutte le esposte presunzioni dovrebbe dunque concludersi che lo stato del selenio nel bromuro mercurico fuso è carattarizzato da una pro- gressiva dissociazione delle molecole complesse (Sez?) per diluizione piuttosto che all'esistenza di reazioni chimiche tra i componenti, in modo analogo a quanto venne osservato nel cloruro mercurico. Ci preme di far rilevare come questa conclusione abbia lo stesso si- gnificato e la stessa attendibilità di tutte le altre conclusioni che affermano la dissociazione molecolare dei corpi in soluzione; ricordiamo a questo pro- posito il contegno osmotico delle sostanze organiche ossidrilate in varî mezzi anomalizzanti e a forte diluizione, interpretato come una depolimerizzazione fisica del soluto comparabile a quella che si verifica spesso allo stato di gas e a pressione ridotta. Chi ritiene invece che ogni dissociazione molecolare in una fase liquida debba essere provocata da una addizione del solvente al soluto (Abegg, Walden), potrà nel nostro caso rappresentare il fenomeno con una equazione del tipo: Sex + yHgBrs 2 [Se]x.[Hg Bro], (*) Uguale assenza di prodotti volatili venne rilevata per le soluzioni di Se in Hg Cl, (PE = 287°.5) nelle quali il metalloide presenta lo stesso comportamento criosco- pico. Ora è da notarsi che il cloruro di selenio Se, Cl» comincerebbe a distillare a 100-130° decomponendosi parzialmente (Ramsay). — 726 — in cui #<8. Data l’inapplicabilità o la insufficienza dei metodi proposti per l'indagine dei sistemi omogenei, non ci è lecito di affermare nè di esclu- dere una simile « solvatazione ». Giunto al termine di questo lavoro mi sìa permesso di porgere al prof. Plancher i miei vivi ringraziamenti per la cortese ospitalità concessami nell'Istituto da lui diretto. Chimica. — . so/foantimoniti ramosi. Nota di N. PARRAVANO e P. DE CESARIS, presentata dal Socio E. PATERNO. Chimica. — Azione dell’acido solforico sopra l’acenaftene. Nota di E. OLIvIERI-MANDALÀ, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Chimica-fisica. — Ricerche sui seleniti asimmetrici. Sui pro- dotti di addizione della piperidina cogli acidi selenioso e solfo- roso. Nota II. di L. MARINO e A. TONINELLI, presentata dal Socio kh. NASINI. Biologia. — Alcune osservazioni morfologiche e biologiche intorno alla Forda formicaria Heyden. Nota di Dina LOMBARDI, presentata dal Socio Grassi. Queste Note saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI OpponE E. Sui periodi sferoidali propri di una sfera terrestre rigida per elasticità 0 rigida per mutua gravitazione. Con applicazioni al ricavo dell'accelerazione di gravità alla superficie terrestre ed alle costanti ela- stiche di rigidità dei principali pianeti del sistema solare. Presentata dal Socio MILLOSEVICH. enon, — PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLaseRNa dà il triste annuncio della morte del Socio straniero prof. EDOARDO STRASBURGER, mancato ai vivi il 19 maggio 1912; apparteneva il defunto all'Accademia, per la Botanica, sino dal 7 novembre 1893. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio RiaHI fa omaggio del volume: Onoranze a Giovanni Capel- lini nel 50° anniversario del suo insegnamento nella Università di Bo- logna, a nome del Comitato ordinatore del Comitato stesso di cui egli ebbe la Presidenza. Il Socio Foà presenta il volume dei lavori pubblicati dall'Istituto di Anatomia patologica di Torino negli anni 1909-1911. Il volume contiene 16 Memorie corredate di molte tavole, e riguardanti diversi argomenti di Anatomia patologica e di Patologia sperimentale. E. M. RENDICONTI — Giugno 1912. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Seduta del 1° giugno 1912. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Lauricella. Sulla chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali e dei nuclei delle equazioni in- tegraliit. 0 nulle Nasini. Per la storia della diffida Id. e Ageno. Sulla presenza dell'uranio in rocce diano. na dall'isola di Montecreto e N AO A e Len tufo radioattivo di Fiuggi E PCI ES O SORIA CN 00, Id. e Baschieri, Analisi di una lhi di Galabria BREE viso ae Sr Lia Grassi. Nuovi contributi allo sviluppo dei Murenoidi (*) . /. ++... +.” Todaro. Sopra l'organo di senso laterale delle Salpidae (CERI O) Viola. Determinazione, col metodo della riflessione totale, dei tre indici IT di un eri- stallo con una sezione qualsiasi (*) . . . . ESCESTANO DLE SUITE SEO Bompiani. Sopra una trasformazione classica di Joi Lie Ch dal Corno dine) n Cisotti. Sulle onde superficiali dovute a particolare conformazione del fondo (pres. dal Socio Levi-Civita) . . + J RR EMA IEO) Id. Onde brevi causate da acenalita poso. del ai CR Id) ©) ERIN 7) Laura. Sopra le vibrazioni normali di un corpo elastico immerso in un fluido (pres. dal Socio Somigliana)(®) <<. . <<... 5 3 ” Del Re. Le equazioni generali per la Statica e di nio dei Soa Aria si n Ca mensioni ed a curvatura costante, nell'analisi di Grassmann (pres. dal Socio Volterra) » Giorgi. Sulla teoria delle equazioni integrali generalizzate (pres. dal Corrisp. Lauricella)(*)» Fontana. Variazioni nello spettro della Nova (18.1912) Gemirorum 2 (pres. dal Socio RC: CORRA MEN) Tosi. Bussola azimutale ad Coe Lione os (n Si Millosevich) ® AE reo SI Olivari. Sul peso molecolare del selenio in soluzione (pres. dal Socio Ciamician) . . . » Parravano e De Cesaris. I solfoantimoniti ramosi (pres. dal Socio Paternò) (sein Olivieri-Mandalà. Azione dell’acido solforico sopra l’acenaftene (pres. ILOsCoe e Marino e Toninelli. Ricerche sui seleniti asimmetrici. Sui prodotti di addizione della pipe- ridina cogli acidi selenioso e solforoso (pres. dal SPGIOONVASRA IE E. ” Lombardi. Alcune osservazioni morfologiche e biologiche intorno alla Forda formicaria Hei (presgdlals Socio Grass). e i e I MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI Oddone. Sui periodi sferoidali proprî di una sfera terrestre rigida per elasticità o rigida per mutua gravitazione. Con applicazioni al ricavo dell’accelerazione di gravità alla super- ficie terrestre ed alle costanti elastiche di rigidità dei principali pianeti del sistema solare (pres. dal Socio Millosevich) . ./. 0/0/2244 » (Segue in terza pagina) o _ _a0o0oouwm———tj@p(t1——_————1dkÀ1kÉ1—@m——_——_—_—__x_<&@@#t=——@—@———@—@€@€—@@——€—€@—@@enì (*) Questa Nota sarà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. (#*) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio straniero prof. Edoardo Stras- Burger IE A PRESENTAZIONI DI LIBRI Righi. Fa omaggio del volume: « Onoranze a G. Capellini ece.» . ./...... Foa. Presenta un volume contenente i lavori pubblicati dall'Istituto di Anatomia patologica di Torino negli anni 1909-1911 e ‘ne tdiscorre ngi O. . | 727 Pubblicazione bimensile. Roma 16 giugno 1912. Ni 12. ASTUII DELLA i REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO COCOGIX. 1912 SHERIH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 16 giugno 4942. Volume XXI. — Fascicolo 12° e Indice del volume. - ca 1° SEMESTRE. VARE TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | ROMA 1912 | PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI ESTRATTO DAI Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze tisiche, matematiche enaturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- i'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono mn volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci 0 Corrispon- denti non possono ‘oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 6 pagine, 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e°50 agli estranei: qualora l’autore ne desideri nn numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a sno carico, 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se i Soci, cha vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi 3000 tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. REGOLAMENTO “n INTERNO PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro» priamente dette, sono senz'altro inserite rei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie prosentate da estranei, la Presidenza nomina une Com: missione la quale esemina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con nna delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro. posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 9. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo în seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si a. verte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto, 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli un: tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 si estranei. La spesa di un numero di copie in più Che fosse richiesto. è messe a carico degli antori. RT RR INA E MIE RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DANN Seduta del 16 giugno 1912. F. D' Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Vibrazioni elastiche nel caso della eredità. Nota del Socio Vito VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo, Chimica. — Nuove ricerche sopra gli azossicomposti aroma- tici (*). Nota del Socio A. ANGELI e di BRUNO VALORI. fr Nell'ultima Nota sopra questo argomento (*), ci siamo più specialmente occupati dei due azossicomposti isomeri : a-parabromoazossibenzolo CRECENC-SNZO-H LE pri | (0) 8-parabromoazossibenzolo COHSSNNACZHM Br peso, 20 | (0) ed abbiamo posto in rilievo le notevoli differenze che presentano fra di loro queste due sostanze: differenze nel comportamento chimico ed anche nelle (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio Chimico-farmaceutico del R. Istituto di Studî Superiori di Firenze. (*) Questi Rendiconti, vol. XXI (1912), 1° sem., pag. 155. RenvicontI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 96 — 730 — proprietà fisiche; le loro forme cristalline sono pure diverse, come risulta da quanto ci ha gentilmente comunicato il dott. Emanuele Grill del Gabinetto mineralogico di questo Istituto di Studî Superiori. a-parabromoazossibenzolo. Sistema trimetrico. a:b:c 0,945:1:— Forme osservate: }001: }110}. Angoli misurati: 110:001 = 90°, 0' 110:110 = 63°, 33' B-parabromoazossibenzolo. Sistema trimetrico. Non ha potuto eseguire misure goniometriche, a causa dell’imperfezione delle faccie. I valori angolari ottenuti al microscopio, non portano ad am- mettere isomorfismo con la sostanza precedente: MIO: 10 = MODO, A suo tempo il Bruni (*), basandosi sulla formula con l'ossigeno a cavallo R.N-_N.R DA (0) che veniva attribuita a queste sostanze, ha trovato che gli azossicomposti possono cristallizzare assieme ai cosiddetti eterì N- fenilicì delle ossime: R.CH-N.R. XY (0) Ora però che anche per queste ultime sostanze noi abbiamo proposto lo schema (?) RECH=NR | (0) che meglio spiega il loro comportamento chimico, le cose si sono alquanto (1) Questi Rendiconti, vol. XI (1902), 2° sem., pag. 191. (*) Questi Rendiconti, vol. XX (1911), 1° sem., pag. 546. — B1I1- complicate ed era da aspettarsi che i due parabromoazossibenzoli fossero ri- spettivamente isomorfi con i due corrispondenti eteri fenilici bromurati : CRERRINI=CHA C; HÉ Br. A tale scopo, li abbiamo preparati entrambi, condensando rispettivamente la fenilidrossilamina con la parabromobenzaldeide da una parte, e dall'altra condensando benzaldeide e parabromofenilidrossilamina; il primo fonde a 162° ed il secondo a 178°: il primo venne pure analizzato: Gr. 0,1851 di sostanza dettero ce. 8 di N a 13° e 761 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Ci; Hi NO Br. N 5,16 5,07 Ma entrambe queste sostanze si separano dai varî solventi sotto forma di minutissimi cristalli che non permettono di sottoporli a misure. I due paraossietilazossibenzoli. — Conformemente a quanto avevamo previsto, anche il paraossietilazobenzolo [C:H;.N=N.C;H,(0C, H;)], } per ossidazione con acqua ossigenata, in soluzione acetica, fornisce contempora- neamente i due azossicomposti isomeri: Si) 4 passiamo Ci Nar Gi Pporsie Ago B-ossietilazossibenzolo CH;.N=N.CH,(0C,H;) EI, SO | (0) L’azocomposto di partenza venne preparato per azione del nitrosobenzolo sopra la fenetidina ed è identico a quello ottenuto negli altri modi; esso venne sciolto in acido acetico glaciale e, dopo aggiunta di peridrol (Merck), sì tenne a bagnomaria verso 70°-80°; in qualche ora la reazione è compiuta ed il liquido dapprima rosso finisce col diventare giallo chiaro. Si aggiunge acqua e la sostanza che si separa viene ricristallizzata da ligroina a basso punto di ebullizione. La parte meno solubile (forma «) fonde a 72°. Gr. 0,1136 di sostanza dettero ce. 11,4 di N a 13° e 754 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C14H14 N30 N 11,88 11,57 La forma # fonde a 56°. 192 — Gr. 0,2556 di sostanza dettero cc. 24,7 di N a 129,5 e 769 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Ci4H14 No 0g N 11,69 11,57 Per riduzione con amalgama di alluminio in soluzione eterea e successiva ossidazione con ossido giallo di mercurio, entrambe le forme forniscono lo stesso paraossietilazobenzolo, da cui si è partiti. Dalla forma f venne anche preparato un bromoderivato, che fonde a 130°. Gr. 0,1514 di sostanza dettero cc. 11,5 di N a 17° e 757 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C14Hi3 N30, Br. N 8,90 8,72 Come è noto, alcuni eteri etilici dei derivati ossidrilati simmetrici dell'azos- sibenzolo, hanno tendenza a dare cristalli liquidi; nel caso dei due eteri da noi ottenuti, come gentilmente ci comunica il prof. F. Millosevich, non fu possibile constatare la formazione di tali cristalli, benchè egli abbia cercato di ripetere le osservazioni in varie condizioni. Per mancanza del materiale necessario, non abbiamo finora potuto esten- dere maggiormente lo studio di queste due sostanze. I due bromoazossiortotoluoli. — Una delle due forme era stata già descritta da Reissert (') e venne ottenuta bromurando l'azossiortotoluolo. È appunto da questa forma che noi siamo partiti: dapprima venne ridotta in soluzione eterea con amalgama di alluminio e, successivamente, ossidata con ossido giallo di mercurio, nello stesso solvente. Si pervenne così al bro- moazoortotoluoio, che, come vedremo, contiene l'alogeno in posizione para: COHRSNI-INSOHRBr Ricristallizzato da acido acetico glaciale, si presenta in prismi intensamente colorati in rosso, che fondono a 68°. Gr. 0,1896 di sostanza dettero cc. 16,3 di N a 23° e 747 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,4Hi3 N, Br. N 9,74 9,69 L'azocomposto così ottenuto venne sciolto in acido acetico glaciale e poi, come al solito, venne aggiunto peridrol (Merck). Si tenne a bagnomaria verso 80° e dopo qualche ora il liquido è diventato giallo chiaro. Allora sì aggiunge acqua ed il prodotto giallognolo che si separa viene ricristallizzato (1) Berliner Berichte, 42 (1909). — 733 — più volte da etere di petrolio, raffreddando la soluzione in ghiaccio. Si ot- tiene così una massa cristallina indistinta, costituita da aghi microscopici riuniti a ciuffo. Fonde esattamente a 58°, mentre l'isomero di Reissert dal quale siamo partiti, fonde a: 68°. Gr. 0,2126 di sostanza dettero cc. 17,6 di N a 24° e 738 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C14H13 N,0 Br. N 9,24 9A18 Ridotto con amalgama di alluminio e successivamente ossidato con ossido di mercurio, rigenera lo stesso azocomposto da cui sì è partiti. In questo caso, dunque, per azione dell'acqua ossigenata non si forma un miscuglio di due isomeri, ma si ottiene una soltanto delle forme possibili. La forma « (quella di Reissert) naturalmente non reagisce col bromo, giacchè essa si può ottenere anche impiegando eccesso di questo reattivo. La forma f invece, quella da noi ottenuta, viene prontamente colorata in bruno per azione della luce, e, per trattamento con bromo, fornisce imme- diatamente un derivato bibromurato che, purificato da ligroina, fonde a 111°. Gr. 0,1501 di sostanza dettero ce. 9,9 di N a 22°.5 e 736 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per 04 H,, N, 0 Br. N 7,98 7,30 Conformemente a quanto abbiamo esposto nella precedente Nota, ai due isomeri spettano senza dubbio le formule di struttura (?): Ci H, Ca H, NICO N Il Il N N=-0 C.H, Br. C,Hs Br. forma @ forma IL COMPORTAMENTO DEI DUE PARANITROAZOSSIBENZOLI. a) Trasposizione di Wallach. — Ancora nella nostra ultima Nota venne accennato che l’a-parabromoazossibenzolo, riscaldato con H,S0, per qualche (1) Anche in queste sostanze il bromo si trova in posizione para. Per riduzione con acido cloridrico e stagno, in presenza di cloruro stannoso, si ottiene un miscuglio di due basi, che si separano bene per mezzo dei cloridrati. Il sale della base bromurata è il meno solubile e, per trattamento con alcali, pone in libertà la parabromotolvidina, che fonde a 58° ed è identica a quella già nota i Gr. 0,2011 di sostanza dettero cc. 13.2 di N a 22%,5 e 753 mm. In 100 parti: È Trovato Calcolato per C, Hs N Br. N 7.51 7.98 — 734 — tempo alla temperatura del bagnomaria, fornisce l'ossiazocomposto isomero; ciò s'intende facilmente, giacchè si tratta della migrazione dell'atomo di ossigeno perfettamente analoga a quella che si verifica nella trasposizione, per esempio, della fenilidrossilamina in paraamiminofenolo: Br.CoH,.N=N.GH; > Br.CH,..N=N.C H,(0H) | O anzi noi ritenemmo che questa trasposizione, per la prima volta osservata da Wallach, potesse venire utilizzata per stabilire la struttura degli azossi- composti isomeri. Ma l’esperienza ci ha ben presto insegnato che ciò non si può fare, giacchè anche l’altro isomero, per analogo trattamento, fornisce l’identico prodotto : Br.CoH,.N=N.CeH; > Br.CCH,.N=N.CH;(0H). | E l’esperienza ci ha pure confermato che anche i due nitroderivati analoga- mente costituiti, si comportano nello stesso modo, e che tutti e due forniscono lo stesso paranitroparaossiazobenzolo : CH; 0, H.(0H) C5H; N=0 N N Il Tr Il «n Ii N N=0 Co Hi. NO; Cs H,.N0, Cs H,. NO; A tale scopo basta sciogliere le sostanze in circa 20 volte il loro peso di acido solforico concentrato e tenere il liquido per un'ora alla temperatura del bagnomaria. Si versa allora in ghiaccio, ed il prodotto che si separa viene ricristallizzato da benzolo. Fonde a 213° ed è costituito da paranitro- paraossiazobenzolo purissimo. Prodotto ottenuto dalla forma a: Gr. 0,1464 di sotanza dettero cc. 22,2 di N a 22° e 750 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Cs Hs N; 0, N 17,92 17,28 Prodotto ottenuto dalla forma #8: Gr. 0,1461 di sostanza dettero cc. 22,1 di N a 21° e 750 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Ci: Ho N30, N 17,33 17,28 — 735 — b) Azione dell'acido nitrico. — Come è stato detto nelle Note prece- denti, le due forme « e f sì distinguono bene dal loro comportamento alla luce, al bromo ed all’acido nitrico (4= 1,48). La forma « rimane inalterata ed invece la forma £ alla luce diventa rossa, con bromo dà il paranitro- parabromoazossibenzolo e, con acido nitrico, un miscuglio costituito da p-p-binitroazossibenzolo e da un nuovo binitroderivato che fonde a 135° e che senza dubbio è da considerarsi come il paraortonitroazossibenzolo : A \.N=N.CH,. NO, N A | NO, . 0 Gr. 0,0796 di sostanza dettero cc. 13,9 di N a 21° e 743 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C1, Hg Ns 05 N 19,82 19,45 Anche in questo caso, però, quando si impiega acido nitrico fumante (4 =1,52), tutte e due le forme conducono agli identici prodotti, vale a dire ad un miscuglio di polinitroderivati, analogo a quello avuto da Werner e Stiasny ('), nitrando energicamente l’azobenzolo. Come abbiamo fatto la volta scorsa (*?) per la forma @, così anche stavolta ci siamo limitati ad isolare ed analizzare il cosiddetto metatrinitroazossibenzolo, che fonde a 178°. Si è anche operato nel modo ivi descritto. Gr. 0,0447 di sostanza dettero cc. 8,2 di N a 199,5 e 752 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Cis H7N507 N 21,18 21,02 c) Azione dell’acido eromieo. — Ciò dimostra quindi che le due forme, per azione di energici reattivi quali l’acido solforico concentrato, ovvero l'acido nitrico fumante, forniscono gli stessi prodotti finali. A questo riguardo no- teremo che l'acido nitrico agisce anche da ossidante e da ossidante in molti casi può reagire anche l’acido solforico; e perciò era giusto il supporre che la formazione dei polinitroderivati, oppure anche la isomerizzazione negli ossiazoderivati, fosse preceduta dalla trasformazione di una delle due forme nell'altra. Allo scopo di verificare sperimentalmente questa supposizione, abbiamo sottoposta la forma @ e # all’azione degli ossidanti. L'acqua ossi- genata in soluzione acetica non venne presa in esame, perchè non altera i due isomeri; invece siamo ricorsi e con miglior fortuna, all'azione dell'acido (1) Berliner Berichte, XXXII (1899), pag. 3256. (2) Questi Rendicunti, vol. XX (1911), 2° sem., pag. 174. — 190 — cromico, in soluzione acetica. La forma « del paranitroazossibenzolo non viene modificata da questo reattivo; bollita la soluzione per circa un quarto d'ora a bagnomaria e poi versando in acqua, precipita il composto inalterato e la soluzione acquosa conserva il colore giallo caratteristico delle soluzioni di acido cromico. In modo diverso invece procedono le cose, quando si sottoponga allo stesso trattamento la forma #; un grammo di sostanza e due grammi di acido cromico ed acido acetico glaciale vennero riscaldati a bagnomaria per circa un quarto d'ora; si nota sviluppo gassoso, il liquido diventa verde e, versando in acqua, si ottiene un prodotto che, ricristallizzato da alcool, venne riconosciuto identico con la forma «. Gr. 0,1241 di sostanza dettero cc. 18,6 di N a 19° e 747 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Ci, Hs N30; N 17,22 17,28 Per meglio identificarlo, venne esposto alla luce ed il colore rimase invariato; per azione del bromo a differenza della forma $, rimase del pari inalterato. Gr. 0,1242 di sostanza dettero cc. 18,6 di N a 20°,5 e 748 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C13Hs N30; N 17,14 17,28 Molto probabilmente, durante la trasformazione Cs H, Cs H; N N= il —> Il N=0 N Cs H, . NO, Co H,. NO, la forma $ assume in una prima fase, dell’ossigeno che poi cede nuovamente, ma in altro modo, e compare la forma «. Infatti, come si è detto, l'acido cromico viene trasformato in acetato di cromo. La reazione inversa, vale a dire la trasformazione della forma « nella forma #, non ci è riuscita in nessun modo. Continueremo lo studio degli azossicomposti isomeri, estendendo l'im- piego delle reazioni da noi scoperte anche ai derivati della serie alifatica. — 737 — Uristallografia. — Determinazione, col metodo della riflessione totale, dei tre indici principali di un cristallo con una sezione qualsiasi. Nota del Corrispondente 0. VioLa. Quando si colloca la sezione qualsiasi di un cristallo sul rifrattometro (p. es. quello di Abbé-Pulfrich, come il più adatto), e si determinano suc- cessivamente gli angoli della riflessione totale, avviene che si rilevano due massimi e due minimi nel giro di 180°. Siano A,B', B",I (fig. 1) le po- eo dk sizioni, ove hanno luogo i detti angoli particolari massimi e minimi, che vogliamo indicare rispettivamente con D,, D', D', ®,; i due indici prin- cipali, minore @ e maggiore y, possono essere calcolati senz'altro con le formole a=NsenD, e y=Nsen®,, essendo N l'indice di rifrazione del mezzo isotropo, rispetto al quale ha luogo la riflessione totale del cristallo. Per ciò che risguarda l'indice mediano #, il problema presenta una indecisione, poichè senza un ulteriore esame non è definito quale delle due espressioni corrisponde al vero, se: B= "= N sen D' Ovvero B= p"= N sen D" . RenDICONTI, 1912. Vol. XXI, 1° Sem. 97 — 738 — Per eliminare questa indecisione, e volendo risolvere il problema con una sola sezione, un solo principio è stato fino ad ora riconosciuto giusto e sufficiente: principio che io dimostrai nel 1902 ('). Secondo questo principio, quella delle due direzioni B" deve essere eli- minata, per la quale il piano di polarizzazione è normale al piano di rifles- sione. Se in seguito vi furono proposte varie e varie dispute, intorno a questo metodo, esse non misero mai in discussione il principio stesso, poichè esso fu dimostrato esaurientemente, ma ebbero bensì per fine il modo di renderlo realizzabile con maggiore o minore sicurezza nell’osservazione (°). Io proposi di osservare il raggio riflesso con il nicol posto davanti al- l’oculare del rifrattometro. Ma come è noto, il piano di polarizzazione subisce una deviazione in seguito alla riflessione, e il Pockels (*) perciò propose di adottare illuminazione incidente e porre il nicol fra il cammino dei raggi incidenti. Schwietring (‘) vuole raggiungere una maggiore precisione impie- gando due nicols, — uno il polarizzatore, l’altro l’analizzatore, — sempre con illuminazione incidente; ovvero calcolare la deviazione che subisce il piano di polarizzazione del raggio B". Alle volte l’illuminazione incidente non è applicabile affatto; spesso un nicol che intercetta i raggi incidenti, oscura il campo. Due nicols, secondo (*) C. Viola, Die Bestimmung der optischen Constanten eines Krystalles aus einem cinzingen beliebigen Schmitt. Zeitschr. f. Krystallographie, XXXVI, 245, 1902. Per la storia di questo problema si consulti : C. Viola, Sulla determinazione delle costanti ottiche dei cristalli. Rendiconti Lincei, 1 1600, _ Weber die Bestimmung der optischen Constanten einer beliebigen orientirten 2weiaxigen Kristallschnittes. Zeitschr. f. Krystall., XXXI, 40, 1899. — Optische Studien dber italienische Mineralien. Zeitschr. f. Krystall., XXXII, 113, 1900. — Feldspathstudien. Zeitschr. f. Krystall., XXXII, 305, 1900. C. Viola, Bull. soc. mineral. frang., 25, 152, 1904. A. Cornu, Compt. rend., 133, pag. 465. C. Viola, Determination des trois paramètres optiques principaua d'un cristall. Bull. de la Société franc. de minéralogie, XXV, 147, 1902. F. Pockels, Lehrbuch der Kristalloptik. Leipzig, 1906, pp. 133-202. Fr. Schwietring, Beitrdge cur Kenntnis der partiellen und der totalen Reflezion des Lichtes an durchsichtigen inaktiven Kristallen. Inaug. Dissert., Gottingen, 1908. — Eine allgemeine Methode fiir die eindeutige Bestimmung der drei Hauptbrechungsin- dizes an einem beliebigen Schmitt eines optisch aweiachsigen Kristalls. L. Duparc e F. Pearce, Zraité de tecnique minéralogique et pétrographique. Leipzig, 1907, pag. 388-392. (®) Fr. Schwietring, op. cit., parla di un nuovo inetodo per la determinazione degli indici principali di un cristallo con una qualunque sezione. L'espressione di Schwietring non mi pare corretta, perchè si tratta effettivamente di una nuova regola per applicare lo stesso principio. (*) F. Pockels, op. cit, pag. 133 e 202. (4) Fr. Schwietring, op. cit. — 739 — la proposta dello Schwietring, impediscono tanto l'osservazione, che, invece di aumentare possono diminuirne, la esattezza. Un calcolo laborioso come quello proposto dallo Schwietring, farebbe abbandonare il metodo stesso. Il principio da me stabilito per distinguere la direzione B" da quella B', che determina l'indice #, può essere realizzabile in varî modi, due dei quali, i più semplici, trovano posto in questa Nota. Gli altri spero verranno riassunti in una prossima Nota. (ETÀ SEN GT Con le posizioni 4, 8", T°, e i rispettivi angoli TA, TB', BA (fig. 1) si calcolano gli angoli &,, 6», 63: ate COS TEMA 5 7 cos B'4. cos FA’ gi cos TA 6 °° GosrB'.cos B'A' cos AB' tag? (o = DEE cos TA. cos B'F' e si costruiscono le direzioni principali ottiche X,Y,Z (i poli €,y,% nella fig. 1). Indi si calcola fB= =Nsen®D', con l'ipotesi che B' sia la direzione valevole; e si determina il semi-angolo degli assi ottici V, con l’espressione = Ver € cossV= Collocati i poli degli assi ottici V, e V., si costruiscono i piani normali ad essi, e che nella fig. 1 sono rappresentati dai cerchi massimi 77, e 77». Poichè il raggio B” deve avere per piano di polarizzazione il piano riflettente (piano del disegno), ne viene che la direzione di polarizzazione m m' giacerà in questo piano e sarà normale a B". La direzione m w', (fig. 2), può essere costruita adoperando del doppio decimetro, essendo che i due punti n, x' sì trovano nel diametro m m' e distano egualmente dal centro O. Ovvero sì calcolano gli angoli e, e e» mediante gli angoli dati d, e d;, risolvendo la relazione sen sen d, sene, send» e sapendo che e, + e, + 0, + d,.= 180°. — 740 — Costruita in un modo o nell'altro la direzione # w', il problema sarà risoluto, poichè la posizione, così tracciata, del raggio O B", deve coincidere con quella osservata nella riflessione totale, od esservi molto prosiima. Si noti che la direzione m m' è stata supposta normale al raggio O B", mentre che, secondo la regola, il piano d'onda è perpendicolare non al raggio ma RIGI25 alla normale dell’onda. Ma nel caso del raggio B", il quale si trova nel piano di incidenza con la normale, il piano d’onda di B" passerà certamente per una retta vicinissima ad 7 w', e, di più, avra il privilegio di determi- PG. 18. Fic. 4. nare la direzione di polarizzazione, la quale, naturalmente, è perpendicolare al piano contenente la normale e il raggio luminoso. Questo metodo della costruzione è pratico e sufficiente in moltissimi casì: salvo, bene inteso, il caso in cui la direzione B” cada molto prossima alla direzione B'. Esso si fonda sull’esattezza, con la quale è possibile stabilire le posizioni di A, B', T. Anche quando il piano degli assi ottici fa un angolo piccolissimo col piano riflettente (figg. 3 e 4), il metodo offre sicurezza. — 741 — Con tutto ciò, stante l'incertezza con cui, nei molti casi, è possibile stabilire le posizioni dei massimi, e minimi, si può ricorrere a un metodo che è scevro di queste incertezze ed è più pratico per la maggior parte degli osservatori. Anche questo metodo si fonda sulla ricerca del piano di polarizzazione normale al piano di incidenza. Supponiamo di avere la sezione del cri- stallo a faccie parallele collocata sul piattello di un conoscopio per l'osser- vazione in luce convergente. La condizione che esigo dal conoscopio è che tanto il condensatore quanto la lente dell’obbiettivo siano più rifrangenti del cristallo, affinchè tutti i raggi con angoli di incidenza da 0° a 90° possano essere ricevuti ed osservati. Un tale conoscopio può essere realizzato facil- mente mediante due semisfere, l’una da collocarsi sotto alla sezione, l'altra di sopra, con l'intercessione di un liquido molto rifrangente. Il rifrattometro stesso potrebbe funzionare da conoscopio quando avesse gli accessorii di cui dà un esempio il rifrattometro di C. Klein costruito da R. Fues di Berlino (!), ovvero il rifrattometro di F. Pearce (?) costruito dalla società ginevrina per la fabbricazione degli istrumenti di fisica. Con un tale conoscopio si vedrà l'uscita degli assi ottici, la iperbole, e le isogiri, adoperando luce monocromatica, od anche luce bianca. Giraxido il preparato, nel suo piano orizzontale, gireranno i rami della iperbole iàtorno ai punti che rappresentano l'uscita degli assì ottici. Le dire- zioni di estinzione della sezione si determinano osservando il momento in cui l'uno o l’altro ramo dell’iperbole passa per il centro. La fig. 5 dà appunto un'immagine di questo fenomeno, e presenta la sezione del cristallo in sei posizioni per rispetto ai nicols NN e PP. Nel n. 1, la traccia del piano degli assì ottici è parallela alla direzione di uno dei nicol; girando il preparato verso destra, si ha dapprima l’im- magine n. 2, dopo 30° di rotazione, dove uno degli assintoti dell'iperbole si avvicina al centro del campo; dopo 60° di rotazione, n. 3, uno degli assin- totti coincide con NN e passa, per ciò, per il centro del campo. Nel n. 4 un ramo dell'iperbole passa per il centro, e determina perciò la posizione della sezione per l'estinzione quando i raggi luminosi sono normali alla sezione. Nel n.6, dopo 150° di rotazione, la sezione è ritornata nella posi- zione del n. 3, quando uno dei due assintoti passa per il centro e coincide con la direzione PP del nicol. È evidente che nella posizione del n. 3 la direzione B” coincide con l’assintoto dell’iperbole il quale passa per il centro della figura, dove che la direzione B' è la traccia del piano degli assi ottici. In molti casi, qnando cioè i due assì ottici fanno con la normale alla sezione (1) C. Klein, Zotalreflectometer und Fernrohrmikroskop. K. pr. Akad. d. Wiss, Berlin, 1902, pp. 104-119; C. Zeiss, Zeitschr. f. Instrum., 1902, pp. 331-634; H. Rosenbusch und E. A. Wuùlfing, Vikrosp. Physiographie, Stuttgart, 1904, pag. 220. (3) L. Dupare e F. Pearce, op. cit., pag. 410. — 742 — angoli non molto diversi, la direzione B” passa vicina a una delle due di- rezioni di estinzione della sezione del cristallo. Concludiamo dunque che, osservando il preparato in luce convergente, l’indecisione del problema qui posto è eliminata, essendo la direzione B" l’assintoto dell’iperbole che passa per il centro del campo, e diversa perciò da B' che è la traccia del piano degli assi ottici. Incidentalmente sia ancora rilevato che se il raggio B" è polarizzato normalmente al piano di riflessione, vi deve essere un raggio che è polariz- zato nel piano di riflessione. Conducendo infatti il piano d'onda di B" pa- P VE P. A, a Fis. 5. rallelamente a sè stesso fino alla tangenza con la superficie d'onda nell'altra falda, determineremo nel punto di tangenza un punto di questo raggio. Ora, stante il piccolo angolo che in generale fa il raggio con la normale alla rispettiva d'onda, questo raggio, il cui piano di polarizzazione è parallelo al piano di riflessione, sarà vicino a B", ma non giacerà nel piano riflettente ove avviene la riflessione totale. Per avere il raggio giacente nel piano ri- flettente, il cui piano di polarizzazione cade nel piano di riflessione, ci si dovrà di qualche poco scostare dalla direzione 8"; ma la scostamento sarà così piccolo, che non potrà essere rilevato dalla osservazione. Il piano d'onda di un tale raggio è normale al piano riflettente per la riflessione totale: e quindi l'angolo della riflessione totale, che chiameremo con PD, darà senz'altro l'indice di rifrazione secondo la formola n= N sen Di . E non sarà nemmeno difficile determinare l'angolo P;', data la direzione di 2!. Infatti, mentre in B” è un massimo o minimo, dovrà avvenire un — 743 — massimo di aumento nell'angolo della riflessione totale per grado di rota- zione orizzontale, e press'a poco nella direzione di B”. Alcuni esempî chiari- ranno la questione. La sezione (010) del periclino di Kramkog] (') nel Rauris (Salisburgo), ba dato i seguenti angoli della riflessione totale nel vetro di Abbé con log N = 0,2765054: CURVA INTERNA CURVA ESTERNA Azimut Angoli Angoli sul cerchio della riflessione OTO della riflessione ARTO orizzontale totale E totale P OMNIA, o VW 170° 54.14.48 54.21.30 I, 180 S 54.14.48 rr 54.16 36 n 17.4 9.0 190 54.11.54 5 54.15.06 n, 198 54. 6.48 7° B” 54.14.59 3 i 200 54, 5.48 30.0 54.15.00 UE 210 54. 3.12 15.6 54.15.12 0.12 L'aumento massimo nella curva interna, opposto a £", cade propriamente intorno all’azimut orizzontale di 198°. L'angolo della riflessione totale cor- rispondente è 54°.6'.48"; per conseguenza, l'indice intermedio di rifrazione sarà n= N sen (54°.6'.48"), da cui risulta logn=0.185135 ed n=1.5316. Con i dati che determinano la posizione di B” si potrebbe calcolare , e si avrebbe così una nuova prova dell’ipotesì fatta. Altri dati si ricavano da una sezione parallela a (001) dell’albite di Prigraten (°). CURVA INTERNA CURVA ESTERNA Azimut Angoli Angoli sul cerchio della riflessione Reno della Tiflessione SRO orizzontale totale Ber totale P lo) , VI e) , (44 20° 54. 3.48 13.6 54.14.48 30 54. 6. 6 i 54.13.30 38.0 a 37 54.10.36 i 8” 54.13. 0 40 54.12.24 na 54.13. 6 DG 50 54.13.42 de 54.16.42 oh 52 B 54.13.42 54.17.45 ù, 60 54.13.36 54.21.42 ape 70 54.13.36 54.25.54 25.2 (1) C. Viola, Feldspathstudien. Zeitschr. f. Krystall., XXXII, pp. 305 e 331. (2) C. Viola, op. cit., pag. 325. — 744 — Il massimo di aumento, 417,0, per 1° azimutale, si verifica di fronte a 8" nella curva interna. L'angolo di 54°.10’.386" per cui l'aumento è massimo, può dunque essere utilizzato per il calcolo di un indice medio di rifrazione: n= Nsen(54°.10.36") ossia logn=0.185479 e n=1.5327. Matematica. — Sopra un'estensione del teorema di Riese- Fisher. Nota I del dott. Lurer Amoroso, presentata dal Corrispon- dente G. LAURICELLA. Sia data una successione numerabile di infinite funzioni reali di una variabile reale x (1) O: (Id) finite e continue, normali ortogonali, nell'intervallo (01) (2) fe, ®,(x) de =0 mi n "sai = | m=. Alle funzioni (1) facciamo corrispondere biunivocamente ì numeri di una 00 successione 4, , 42, ... Un, Se la serie Y al converge, allora, secondo il n=1 teorema di Riesz-Fisher, esiste nell'intervallo (01) una funzione reale f(x) per la quale si ha fon) f@)de=w- {© dog did. 0 20, n=l1 gl'integrali essendo presi nel senso di Lebesgue (1). Ci proponiamo nella presente Nota di dare una estensione di questo teorema, della quale dovremo fare applicazione in lavori successivi. 1. Definizioni fondamentali. — Diciamo £ l'insieme delle funzioni reali, delle variabili reali 2, 4,/(x ,%) integrabili in senso di Lebesgue ri- (1) Cfr. F. Riesz, Sur les systèmes orthogonaua de fonctions. Compt. Rendus, 1907, pag. 615; Sur les suites de fonctions mesurables. Id. id., 1909, pag. 1303. — E. Fisher, Sur la convergence en moyenne. Id. id., 1907, pag. 1022. — H. Weyl, Veber die Kon- vergenz von Reihen die nach Orthogonalfunktionen fortschreiten. Mat. Ann. Bd. 66, 1909, Seite 225. — A. Haar, Zur Theorie der orthogonalen Funktionensysteme. Mat. Ann. Band. 69, 1910, Seite 381; Band. 71, 1912, Seite 38. — M. Plancherel, Contribution d V’étude de la représentation d'une fonction arbitraire, ecc. Rend. Circolo Mat., Palermo, tomo XXX, 1910, pag. 289. — 745 — spetto ad x nell'intervallo (01), in modo che gl’integrali (in senso di Le- besgue) Jr NOA sieno funzioni finite e continue di % per tutti i valori di # superiori ad una quantità finita /o. Data una successione di funzioni di (3) (ELE) diremo che essa è convergente in media rispetto ad x, uniformemente ri- spetto a t, se detti m.,h due numeri positivi, l’espressione Srna) — Sme leda al crescere di m tenda, uniformemente rispetto a t, al limite zero. Diremo che la successione stessa converge in media rispetto ad x, uniformemente rispetto a t, verso una funzione f(x ,t), se esiste una fun- zione di £, per cui l’espressione Se.0— fule. Apede al crescere di mn, tenda, unzformemente rispetto a t, a zero. Analogamente, data la successione di funzioni di 9: Ae 0) diremo che essa converge uniformemente rispetto a t ed uniformemente in generale rispetto ad x, se ad ogni numero positivo £< 1 si può far corrispondere, per qualunque valore di f > #,, un insieme Y(#) di punti del- l'intervallo (01) di misura 1— «, in modo che la successione considerata converga uniformente rispetto alle variabili x e 7, qualunque sia #=> #o, qualunque sia x nell'insieme (7). Sempre nello stesso ordine di idee, diremo che una funzione /(x, 4) di £, è determinata in generale rispetto ad x, se ad ogni numero positivo 8<1 si può far corrispondere, per qualunguf vglore di {=> o, un insieme di punti dell'intervallo (01) di misura 1 — «, nel quale la funzione /(,8) è univocamente determinata. 2. Lemma. Se le funzioni (3) nell'intervallo (0 1) convergono în media rispetto ad x, uniformemente rispetto a t, per t=> th, esiste una funzione f(x, t) di 2, verso cui una conveniente successione, estratta dalle (83): fu,(£ ’ t) ) fu, ’ 1) 5) C0A fun(® ’ t) g 900 converge uniformemente rispetto a t ed uniformemente in generale rispetto RENDICONTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 98 — 746 — ad x. La funzione f(x, t), così definita, è determinata în generale ri- spetto ad «. La dimostrazione di questo lemma si fa estendendo punto per punto la dimostrazione data da Plancherel per il caso in cui manchi la variabile £. Sia em(t) il limite superiore degli integrali Sa) — ft da per 4=1,2,... Perle ipotesi fatte «m(‘), al crescere di m, tende, uzifor- memente rispetto a t per t=> to, al limite zero. Possiamo allora estrarre dalla successione £1(%),&s(‘),... una serie unzformemente convergente per t= tb: (0) + su,(9)+- Ciò porta che, detta /,,/»,... una successione di numeri positivi tendenti a zero, e d, +- d-+ -- una serie convergente a termini positivi, sarà sempre possibile determinare un indice w,, tale che si abbia > spp(0) < : In,, qualunque sia ‘=> 4. Ne segue (ripetendo let- n=h teralmente i ragionamenti di Plancherel (loc. cit.) dalla linea 20 delia pa- gina 298 ove dice: « cherchons a determiner,... » tino alla linea 12 della pagina 294 e cioè fino alla formula m(Ay,x) = dx, che non contiene più la” variabile {), che esiste nell'intervallo (01) un insieme di punti A,(t) di misura uguale o maggiore di 1 — d,, per cui si ha: Ifup(2 30) — fug(@, DI < 2a per tutti i valori di p e g superiori ad un certo numero h', qualunque sia il punte x dell'insieme A(#), qualunque sia ( > &,. Ma allora, detto B,(t) l'insieme formato da tutti i punti dell'intervallo (01) comuni a tutti gli insiemi Ax(#) , Ax+1(4) , An+o(0), —, SÌ avrà: \fen(2 0) — fug(® 8) 2h Pra per j=h,h+1,.., g' avendo rispetto ad / lo stesso significato che W' rispetto ad #. Dunque la serie €00 ERA converge uniformemente rispetto ad ambedue le variabili 4, per ogni va- lore di {= 4 e per ogni valore di 4. corrispondente ad un punto dell’ in- sieme Bx(t): ma la misura di B,(?) è uguale almeno a 1- (++), quindi è vicina a 1 tanto quanto sì vuole, ecc. (vedi Plancherel, loc. cit., pp. 294, 295). — 747 — 3. Teorema. — Data nell'intervallo (01) la successione di funzioni (1): enoltre una successione di funzioni della variabile t, finite e con- tinue per t=> bo (5) Ei Pelé), P,.(6) PS tali che la serie (6) > (P.())" converga uniformemente per tutti i valori di t=t, allora esiste una serie di numeri interi positivi crescenti w,,p2,.. tali che posto: Rm(& 6) = Pi(2) Pi(9) + De(4) + + + Dm(2) Pm(0) la serie (7) Ry(2, 1) + (Ru.(7,9) — Ru, (0,9) +" converge uniformemente rispetto a t, per t=t,, uniformemente în gene- rale rispetto àd x, per 0=x =1, verso una funzione F(x,t), per cui st ha: 8) ia Ele.) de = S [977 ml: ®(2) Fr, ) de = P(0) n=) me 1 5B go Ru Si ha infatti, detti m,/ due numeri interi positivi e ricordando la posizione (7), e le (2) MA. Jin 0) —Rn(2 O} de= i > 00) P.1) i da= Y (Pl, da cui, data la convergenza uniforme della serie (6), segue immediatamente che l’espressione f Rigi SR da al crescere di m tende, uniformemente rispetto a #, per t= 4, al limite zero. Ciò prova che le funzioni R,(x ,t), R:(x,%),... convergono in media rispetto ad x nell'intervallo (0 1), uniformemente rispetto a { per {= 6, nel senso indicato al n. 1 di questa Nota; ed allora, per il lemma prece- dente, è possibile estrarre una successione Ru,(2 3 î) ’ Ru(% ’ 6) 006 convergente uniformemente rispetto a # per #=f,, ed uniformemente in generale rispetto ad x verso una funzione F(,#). Si avrà così lit! lia) (9) Ri I (x) Pu(6) + De Dy(2) Pu) +» Un + — 743 — per (=>, per0=x=.1, esclusi per ogni ‘=, i valori di 4 corrispon- denti ai punti di un insieme di misura nulla. Nella (9) moltiplicando ambo i membri per ®n(x) dx ed integrando da 0 ad 1 si raccoglie: (10) ['dy(a) Rie 0) n= VOR Finalmente, sempre dalla (9), moltiplicando ambo i membri per F(x,%) ed integrando da 0 ad 1, tenuto conto delle (8), si raccoglie ancora (pre Opi S (Pal) come era stato enunciato. Matematica. — Sulla teoria delle equazioni integrali e delle loro generalizzate. Nota I dell'ing. Grovanni GroRGI, presentata dal Corrisp. G. LAURICELLA. ©. — La teoria più generale che noi conosciamo per la trattazione delle equazioni integrali è quella data recentemente dal prof. Volterra nella serie di lavori pubblicata in questi Rendiconti, dal 1909 al 1911. È una teoria che procede con mezzi molto semplici e di portata grandissima, e in fatto include la maggior parte delle altre conosciute, come caso particolare; inoltre, si applica a una categoria di problemi molto più lata, p. es. a equazioni integro-differenziali, equazioni integrali non lineari di varî tipi, ed altre equazioni funzionali di carattere molto generale. Essa è tutta fondata sulla considerazione delle furzioni permutabili che nella VII Nota di tale serie (*) vengono definite (S 1, in principio) con queste parole: « Due funzioni finite «e continue F,(x,y) e F:(x,y), tali che Yy y 4) Fre. 9reM)I= | PE9 TE), « si diranno permutabili, e l'operazione precedente si dirà la loro compo- « sizione. F.(x, 4), Fe:(7x,y) si chiameranno componenti e l'integrale otte- « nuto resultante »; aggiungendo poi che la funzione resultante si indi- cherà con F,F.(x,y) o F:Fi(0,9) (1) Questioni generali sulle equazioni integrali e integro-differenziali, Rend. Lincei, vol. XIX, serie 52, 1° sem., seduta del 20 febbraio 1910. È questo il lavoro classico e fondamentale di tutta la ricerca. La enunciazione più generale e la dimostrazione dei teoremi si trova poi nella XIII Nota: Sopra una proprietà generale delle equazioni integrali e integro-differenziali, ibid., vol. XX, serie 5°, 2° sem., seduta del 6 agosto 1911. — 749 — o più semplicemente con F,F., 0 F2F1, quando non possa nascere confusione col prodotto delle due funzioni. Lo sviluppo della teoria consiste nel mostrare che questo prodotto sim- bolico si può trattare sotto molti punti di vista come un prodotto ordinario; donde anche l'ulteriore notazione F?(x,y) per indicare il risultato della composizione di una F(x,y) con se stessa; e più in generale la definizione di potenza F"(x,y). Ne segue un’algebra che conduce a scrivere equazioni simboliche tra funzioni permutabili, a risolverle per serie di potenze intere, e poi, traducendo equazione e serie in forma spoglia di simboli, a ricavare insieme un'equazione funzionale e la sua risolvente espressa per mezzo di serie di integrali, . — Il modo come si presentano e si ricollegano fra loro queste defini- zioni e le varie proposizioni della teoria, lascia intravedere che tutto non derivi solo da un elegante e geniale artificio (la cui origine si troverebbe del resto chiaramente esposta, e con molta generalità, nella XIII Nota citata testè); ma si possa forse anche renderne conto, e darne n filo conduttore riattaccandosi alle teorie generali che si posseggono sulle operazioni funzio- nali lineari. Ciò darebbe da una parte il mezzo di ricavare ex-novo formal- mente (cioè senza le dimostrazioni) le formole del Volterra, anche per chi non ne ricordasse i passaggi; e dall'altra mostrerebbe come l’intera tratta- zione si traduca anche e si risolva (benche scritta in apparenza sotto altra veste) in un capitolo importantissimo di calcolo operativo funzionale. Sarebbe un capitolo tanto più desiderato, in quanto che in questo ramo di matema- tica si hanno bensì molteplici teorie ed esempî pratici, ma non collegati abbastanza fra loro, e solo lo studio di teorie completamente sviluppate re- lative a casi singoli — come sarebbe quella di cuì parliamo — può fornire il collegamento richiesto. A prima vista, bisogna però riconoscere che la voluta traduzione non si presenta immediata; perchè la (A) fa pensare a un campo funzionale di funzioni con due variabili indipendenti, che entrambe vengano in giuoco nelle trasformazioni funzionali, con la ulteriore complicazione del loro inter- vento nei limiti delle integrazioni; e per questa via non sì perviene a in- terpetrare utilmente la (A) e a rendersi conto dell'algoritmo che da essa dipende. Qualche dissimmetria di notazione che ha incontrato il Volterra (p. es. nelle prime righe della pag. 171 della citata Nota VII) si ricolle- gherebbe forse indirettamente a questo punto di vista. Mi propongo qui di esporre un metodo, per mezzo del quale, risalendo qualche passo indietro dalla equazione (A), e ricollegando le F,(x,), F:(0,9) a trasformazioni eseguite nel campo delle funzioni a una variabile indipendente, si perviene alla traduzione funzionale in forma abbastanza diretta. — 750 — <>. — Sia g(x) un'arbitraria funzione integrabile. Sia F(7,g) una fun- zione, che per semplicità supporremo limitata e continua in tutti i punti interni di una regione finita del piano (*), e nulla al di fuori. La formola. +00 (1) y(x)= F(x, 4) P(y) dy = 00 definisce un’operazione che trasforma (x) in w(x). Indicando questa ope- zione con F, scriveremo (2) y() = Fp(2), e diremo che F(x,y) è la /unzione coefficiente dell'operatore F. Per la sua struttura, F è un operatore funzionale distributivo (lineare). È noto (?) come per siffatti operatori, trattandoli a loro volta come simboli soggetti a calcolo, si stabilisce un algoritmo, nel quale. con convenzioni che si presentano spontaneamente, vengono definiti la somma, il prodotto, e, sotto certe condizioni, anche il quoziente, e in generale il risultato di un'operazione razionale qualunque; salvo poi ad estendere anche ad altre operazioni algebriche, o analitiche trascendenti L’algebra che ne risulta è analoga a quella delle matrici, dei quaternioni, delle diadiche, delle sosti- tuzioni lineari, e di altri simboli analoghi; cioè è un'algebra che differisce da quella ordinaria principalmente per la mancanza della proprietà com- mutativa della moltiplicazione. Ne segue che, data un'equazione funzionale, in cui la funzione inco- gnita g(x) si trovi assoggettata a operazioni come F, ed eventualmente anche ad altre operazioni distributive (p. es. la derivazione), è permesso trattare i simboli di queste operazioni come se fossero moltiplicatori, ma moltiplicatori soggetti a un’algebra non commutativa. Per questa via è pos- sibile eseguire alcune trasformazioni, riduzioni, e talora anche risoluzioni di equazioni; ma questi casi di risoluzione sono rari: in generale, l’algebra. non commutativa offre difficoltà di ordine molto elevato, anche per la ese- cuzione dei passaggi più elementari. Si possono però trovare singoli operatori che soddisfino alla proprietà bb = Bo Operatori siffatti si chiamano commutabili (*). E allora vale un principio di calcolo funzionale: Se si parte da un qualunque insieme di operatori lineari fra loro commutabili, tutti quelli che da essì si deducono combinandoli con qualunque sèguito di operazioni analitiche (definite in base (1) Regione finita nel senso di dornée, che inoltre sia dotata di contorno conve- nientemente « regolare » quanto occorre per la validità dei calcoli e dei passaggi che verranno effettuati (p. es. sia un’area poligonale). (2) Cfr. p. es. Pincherle e Amaldi, Ze operazioni distributive, Bologna, 1901. (®) Per es., un moltiplicatore numerico (cioè costante rispetto alla x) è commuta- bile con qualunque operatore lineare. — 151 — alle regole generali di cui sopra, ed effettuate un numero finito o infinito di volte, purchè il risultato abbia un senso) sono operatori lineari commu- tabili fra loro e coi proposti; e per tutto questo insieme di operatori vale un'algebra analoga (non del tutto identica) a quella ordinaria. Gli sforzi dei cultori di calcolo funzionale operativo si dirigono di frequente a rica- vare tali algebre, e servirsene per trovare regole di soluzione dei problemi. “_ — Ciò premesso, scriviamo la condizione affinchè due operatori F, , F., del tipo F siano commutabili fra loro. Il prodotto FF, si intende definito mediante la formola (8) PP g(x) = È. (Fr g(2)) ovvero P Pg) =F | Psle,9) 9) dy = =.) "de F(0,8) (UR +4) Py) dy em —-00 e siccome per le ipotesi fatte si suppongono verificate le condizioni per la integrabilità sotto il segno integrale, si può anche scrivere @ — Rigo=f fee, cioè F,F, è ancora un operatore del tipo F, la cui funzione coefficiente. che indicheremo con F,F;(x ,y), è data da (5) F,F.(x,9)= f Fi(0,$) F.(5£,9) dé. Per conseguenza, si ha F,F,=PF, F, allorquando le due funzioni F,F(x,%) e F,F;(x, y) risultino identiche. La condizione richiesta è dunque (B) of *° hi(@,5) FE, y) dé = (ra (E) FE; y) de. Si riconosce qui, di poco generalizzata, la definizione di permutabilità del Volterra. Mantenendone la nomenclatura in questo caso più esteso, di- remo che le F,(x, 4), F:(x,7) le quali soddisfano alla (B) sono permu- tabili. Nel caso in cui le funzioni coefficienti si annuliino per y >, cioè nel caso in cui le operazioni integrali F si riduca4o alla forma (6) ya) = g(2) I F(e,4) 9(4) dy , ES SIt7112(7 DA la equazione (B) si semplifica in fTeALE.Ne=| TEEN, y -y cioè coincide con la (A) del Volterra (permutabilità di prima specie). Se invece le F si annullano per y<0 e per y>.1, le operazioni integrali hanno la forma a) l (7) va= Ly = | F(x,4) (4) dy, cioè sono operazioni « tipo Fredholm », e la permutabilità è data da fTe,ArE.N dé= | Pe, V:€,9) de (permutabilità dé seconda specie del Volterra, Nota VII citata, $ 8). Ma basterà in generale fissare l’attenzione sulla (B), nella quale en- trambi questi casi, ed altri meno semplici che sarebbe facile immaginare, si trovano tutti racchiusi. In esse formole veramente, del pari che nella (1) e successive, i limiti di integrazione sono infiniti solo in apparenza, perchè le F(x,y) sono state supposte nulle al difuori di una regione finita. Ma questa restrizione si può anche rimuovere, esigendo soltanto un particolare comportamento a distanza infinita. Così pure l'ipotesi della continuità si può sostiture con altre più generali. Su questi argomenti, mi riservo di ri- tornare in un'altra occasione. 5. — Dunque la permutabilità di due funzioni F,(2, y),Fs(1,4) è la condizione che assicura la possibilità di assoggettare ì corrispondenti opera- tori integrali F,,F. a un algoritmo algebrico analogo a quello ordinario. L'algebra simbolica speciale delle funzioni permntabili si può mettere in corrispondenza biunivoca con quella degli operatori ad esse corrispondenti ('). E potremo dire, cercando di dare una formulazione la più estesa pos- sibile a un principio che corrisponde a una prima parte dei risultati del Volterra: AMlorchè in una equazione funzionale, la funzione incognita p(x) si trova assoggettata solo ad operazioni lineari le quali (condizione (1) Questo spiega gli interessanti risultati del prof. Evans, Sopra l’algebra delle funzioni permutabili. Memorie dei Lincei, ser. 5*, vol. VIII, seduta del 5 marzo 1911 cioè l’algebra delle funzioni permutabili essere in corrispondenza di isomorfismo meri- edrico con quella ordinaria (scalare). La differenza tra le due algebre sta specialmente nella diversa formulazione delle condizioni di annullamento di un prodotto (occorre un fattore degenere, non è necessario un fattore nullo) e nella limitazione del significato delle operazioni inverse. Queste differenze non complicano sensibilmente i calcoli, ma sol tanto ne limitano la portata. — 753 — necessaria e sufficiente) siano tutte commutabili a due a due [ciò, che, per le operazioni integrali F si riconosce dall'essere soddisfatta la formola (B)], i simboli rappresentativi di queste operazioni si possono trattare come se fossero moltiplicatori soggetti all’algebra commutativa, e operando con questo algoritmo si può trasformare e semplificare l'equazione, con la sola limitazione che gli operatori ottenuti per trasformazione abbiano un senso preciso secondo le note convenzioni elementari del calcolo operativo funzionale. Per esempio l’equazione 1 d°g x da? +gle+1)+ f Fe, 9) 9) = 4) non soddisfa a tale condizione, perchè l'operazione di incremento finito che 2 ; 3 i 1 sta al secondo termine non è commutabile nè con Talent) 4 lo sarà quella integrale al terzo termine; quindi 4 prior: essa non è ridu- cibile, almeno nel senso con cui lo sono le altre equazioni composte con sole operazioni commutabili. Invece l'equazione nè in generale d? x E x de [ea f /e-MeMy=v@+f 0-04 contiene solamente operazioni commutabili fra loro; e scrivendola (con no- tazioni il cui significato è palese): A°g(x) — E°9(2) = y(0) + AP Yz), si può trasformarla così go=- pi 0+ yo = 1 A— F (2), e quindi una sua risolvente g(x) si trova applicando l'operazione inversa a (A— PF) alla funzione nota w(x); salvo assicurarsi che questa operazione inversa abbia senso, e che il risultato (x), sostituito nella equazione pro- posta, non renda divergenti gli integrali. G. — Come mostra quest'ultimo esempio, il principio enunciato non con- duce in generale, da solo, alla risoluzione effettiva; bensì solamente a de- ME x l 1 SE durre formole contenenti simboli come - , ovvero —— , e simili, a+ F F,H+ F. di cui si conosce la definizione come operazioni inverse, ma che non sì sanno tradurre in effettiva calcolazione. Vi è però una seconda parte della teoria RenpiconTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 99 — 754 — del Volterra, che stabilisce la possibilità di calcolare tali operazioni inverse, in date condizioni ben precisate, mediante sviluppi in serie di potenze, o rapporti di serie di potenze, validi e convergenti, ì cui termini sono di cal- colazione riducibile a operazioni note. Nella prosecuzione della presente Nota mi occuperò della teoria che ha attinenza con questa seconda parte, sempre nei riguardi del significato operativo funzionale, e della eventuale possibile estensione dei risultati. Meccanica. — Sopra le vibrazioni normali di un corpo ela- stico immerso in un fluido. Nota di E. LAURA, presentata dal Socio 0. SOMIGLIANA. In una interessante Memoria, il sig. Love (*) osservò che, i metodi usati nella Teoria del Suono per la determinazione dello smorzamento delle vibra- zioni di un corpo elastico immerso in un fluido, non tengono conto, nei ri- guardi del moto di questo, di una condizione dinamica, che lo stesso autore, in altro suo lavoro, dimostrò doversi verificare sul bordo dell'onda propagan- tesi nel fluido. Agli stessi metodi si può muovere una obbiezione di altra natura: in essi è invero prefissato o il moto del fluido o quello del vibratore, benchè in seguito sia tenuto conto della resistenza esercitata dal fluido sopra la superficie del vibratore, o della diminuzione di energia subita da esso per effetto delle onde propagantisi nel fluido che lo circonda (*) (8). Il sig. Love nella suddetta Memoria, trattando il problema delle vibra- zioni di una membrana elastica sferica vibrante radialmente in un fluido, effettivamente non prefissa nè il moto del fluido, nè quello del vibratore; egli non pone però il problema nella forma più generale come ho fatto io partendo, senza restrizione aleuna dalle equazioni di elasticità, in due casi semplici (lastra indefinita vibrante normalmente ai piani che la limitano, e sfera vibrante radialmente) nella presente Nota. Il metodo seguìto consiste, da un lato, nel porre l'ipotesi della conti- nuità delle tensioni e dello spostamento normale (o della velocità normale se il moto del fluido si determinerà a mezzo del potenziale di velocità) attraverso la superficie del vibratore; da un altro lato, nel considerare il (1) A. E. H. Love, Some IMlustrations of Duay ecc. Proc. Lond. Math. doc. (2); t. II, pag. 88. (£) Un'esposizione sommaria di questi metodi è nella citata Memoria del Love. Cfr. pure Lord Rayleigh, Z'Reory of Souud, $ 302, Reaction of hir ecc., pp. 148-155. @®) Wave-motionswith Discontinuities at Wave-fronts. Proc. Lond. Math. Soc. (2), t. I, pag. 37. — 759 — moto richiesto come composto di infiniti moti semplici dipendenti dal tempo a mezzo di esponenziali. Dimostro, nei due casi trattati, che questi moti semplici appartengono a quella classe di vibrazioni, che ho detto smorzate, possibili in un corpo elastico isotropo e delle quali ho trattato sistematicamente in una mia pre- cedente Memoria ('). Nella presente Nota mi limito a dimostrare l'unicità della soluzione dei problemi proposti e a definire le rispettive vibrazioni normali riservan- domi di dare, in un prossimo lavoro, maggiore svolgimento all'argomento. Lastra vibrante normalmente alla sua superficie immersa in un fluido (*). 1. Così la lastra come il fluido non sono sollecitati da forze di massa. L'asse 7 sia normale alle facce terminali della lastra, le condizioni iniziali in essa sieno simmetriche al piano meridiano 3 = 0, identiche in ogni piano z= cost e le velocità iniziali parallele a 4. Il moto che si genererà nella lastra è tale che lo spostamento e la velocità sono funzioni di z e #. Lo spostamento è inoltre sempre nullo per 3 = 0. Nel fluido, supposto inizial- mente in quiete, si ha la propagazione di un sèguito di onde piane nor- mali a 2. Faccio le posizioni: 2a = spessore della lastra; a,c= velocità rispettive di propagazione delle onde longitudinali nella lastra e nel fluido; 0,0,= densità rispettive della lastra e del fluido; w,W= spostamenti rispettivi nella lastra e nel fluido. Le equazioni indefinite del moto sono allora: d°w d°w 2 CTER I e at UE (1) WWW t=>0 2 — ” a NE ui” Poichè il moto è simmetrico rispetto al piano 2 = 0 considero solo le condizioni in superficie relative alla faccia <= @. L'ipotesi della continuità (1) Sopra i moti vibratorii armonici semplici e smorzati di un mezzo omogeneo, elastico ed isotropo. R. Acc. di Scienze di Torino, serie II, t. LX, 1910. (®*) Questo problema è trattato pure in Poincaré, Legons sur la théorie de l Hlasti- cité, pag. 160 e seguenti. Il metodo qui seguito e il modo di porre il problema sono però affatto diversi. — 156 — delle tensioni e dello spostamento normale attraverso a questo piano dà le equazioni in superficie: \ cate (2) i e o) (O Nel fluido (porzione < > 0) si ha la propagazione di un'onda piana nel verso delle 4 crescenti, quindi si avrà: (8) i Al tempo 4 il suo bordo è il piano: s=atct. Consideriamo un elemento di fluido di forma cilindrica di base do ada- giata sul piano ora detto e di altezza cdi presa nel verso delle 4 crescenti. Nell'intervallo di tempo #"#+- 4f esso passa dalla quiete ad uno stato di moto. La relazione meccanica: aumento quantità di moto = impulso della forza dà subito l'equazione : DA 0:40 . cdi Fa; do di . Dalla quale: dW dW (4) odi = nl per sz=a+ct. Con la posizione (3) la (4) è sempre soddisfatta. La condizione al bordo dell'onda (che diremo di Love) qui si verifica dunque automaticamente. Tenendo conto di (3), si vede che il nostro problema è ridotto: alla ricerca di una funzione w(z,1t), regolare nell'intervallo 0 = — Q,chu Sen —- == qu. Da cui eliminando w l'equazione trascendente in 4, si ha: (A) da qa che tiene luogo dell'equazione di frequenza nel caso delle vibrazioni libere. Si ponga: e GA RE] Q1C Si dimostra allora facilmente che, se m>1, si ha: 1 US ica 0 TE 6 Lo =—=t1)53 (n intiero) . Quindi 1 1a Ut i) log pi (+15 La vibrazione nella lastra vale: 922/00, (Gm + dOm) e7(cOS omt è sen om 0) Sen ton 3 — 759 — Sicchè potremo prendere come vibrazione normale nella lastra: Lu o Ss One SÒ Qné (206 (©) 07/6 00e=a ia Cos = sen =— > — bd, Sen 7 cos — x COS On È HA SE n O si Un Sen £ cos £"£ DL On Cos É sen sen gn È a a ) dipendente da due costanti arbitrarie 4, , dn. Le vibrazioni sono perciò smorzate, e il coefficiente di smorzamento è identico per tutte le vibrazioni. I periodi DO à Md A 0 On (2a+1)a coincidono con quelli delle vibrazioni libere (tensioni nulle in superficie). Il caso: m< 1 dà invece, tenendo le stesse notazioni, I lag lm 251+m Varo d, == <0 ezte-270m ] Le vibrazioni normali sono ancora smorzate, e comune è per esse il coefficiente di smorzamento. I periodi, in questo caso, sono: 2a n= na e coincidono con quelli delle vibrazione libere. Il moto, in questo caso, può essere anche aperiodico. Il problema non ha infine soluzioni per o= 3 come discende pure direttamente dalle equazioni I) e II). Dei tre casi qui considerati, il primo è l'unico realizzabile se il fluido è gassoso. Per una lastra vibrante nel mercurio è ancora sempre verificato il 1° escluso che essa sia di piombo o di caucciù. In questi due casi si ha invero: 0a 11,987 X 1320 ee 13,6 X 1484 0,92 X 46 — 13,6 X 1484 — 760 — Matematica. — Sull’equazione integro-differenziale di tipo parabolico. Nota di G. C. Evans, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Meccanica. — Onde brevi causate da accidentalità periodiche del fondo. Nota di U. CisoTTI, presentata dal Socio T. Levi-Civira. In una precedente Nota (') ho assegnato l'integrale generale del moto piano, irrotazionale, permanente di una corrente in un canale, sul cui fond sono periodicamente distribuite delle traverse verticali (vedi figura). bj La forma del pelo libero, in relazione ai dati della questione (altezza delle traverse, intervallo fra traversa e traversa, e profondità media del ca- nale) risulta allora caratterizzata mediante quadrature. La valutazione di queste quadrature sì presenta facile nel caso (che nella teoria dei moti ondosi fa riscontro alle cosiddette onde brevi) in cui l'intervallo 4 fra traversa e traversa (lunghezza d'onda) non supera il doppio della profondità media H del canale. Allora, com'è noto, della quantità 2rH q=e * =eT=0.04.., sono a ritenersi trascurabili le potenze superiori alla prima. Si trova che è pelo libero è sinussoidale, e che il suo massimo so- praelevamento dal livello medio H è Lib: “e! tgh mo h designando l'altezza comune delle traverse. (1) Sulle onde superficiali dovute a particolare conformazione del fondo. Questi Rendiconti, seduta del 19 maggio 1912. — 7601 — AR Poichè igne Ti — Ibi 1="100 circa e À = 2H, così vediamo che è 16 1 i 1007 =) circa. E Come ho già avuto occasione di rilevare (‘), il campo della gravità non ha sensibile influenza sul fenomeno, se la velocità della corrente è ab- bastanza rilevante rispetto alla velocità di caduta libera di un grave (nel vuoto) da un'altezza pari ad «, ossia nel problema attuale, da un'altezza 1 eguale a 201: È pure agevole la trattazione del problema con una ulteriore approssi- mazione, quando cioè sì tiene conto anche dei termini in g?, trascurando le potenze superiori. La tirannìa dello spazio non mi consente di soffermarmi maggiormente. Mi limiterò semplicemente ad affermare che l'andamento del pelo libero rammenta, in tal caso, il profilo delle onde di seconda approssi- mazione di Stokes (?). 1. Brevi richiami. — Richiamo dalla Nota prima citata, notazioni e risultati. Il sistema di riferimento essendo quello indicato in figura, designino: u e v le componenti della velocità; 4 e w il potenziale e la funzione di corrente. Si ponga (1) d-pig=a,u_w=W PP WEf we, convenendo che, per <= 0 sia o= 00. f,w., sono funzioni di <= x + ?y, legate fra loro dalle relazioni (2) di “= E, Posto, ancora 2 2rH Par 6). GIMIG (3) da=@ e ami È’ (*) Sull'intumescenza del pelo libero nei canali a fondo accidentato. Questi Ren- diconti, seduta del 5 maggio 1912. In sostanza si sfrutta il fatto che la gravità 9g inter- viene solo nella equazione V? 4 29y = costante — V designa il valore assoluto della velocità — che dev'essere soddisfatta sul pelo libero /. Poichè sopra / è y=H+y1; Yi denotando lo scostamento (positivo o negativo) di un generico punto di / dal livello 29Y1 medio H, la precedente condizione può scriversi V? 14 va = costante. Ma |y.|=&, OO) 2 - DI , 5 . A e quindi Sglyil — 246, ora, per ipotesi, il secondo membro di questa ineguaglianza è trascurabile, lo è dunque anche il primo, e la condizione relativa al pelo libero diviene V= costante, cioè è indipendente da 9, Goalick (®) Cfr. Math. and Physical Papers, Cambridge, University Press, 1880, vol. I, pag. 314 e seg. RenpIcontI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 100 — 762 — v essendo una costante positiva legata a 4 dalla relazione [ cfr. la formula (4) della Nota precedente | Lie dle 1=-%f LOp22S (4) SARETE si ha da (2) E î v to 30) dé (5) ET n= | € È Questa formula stabilisce la corrispondenza fra i punti $ della corona cir- colare g=|î|= 1, e i punti 2 del piano del moto. Si intende che l' inte- grazione del secondo membro si intende fatta lungo un cammino che non esce dall’accennata corona circolare. Rammentiamo che per w(î) si è trovato [formula (9"), Nota citata] il seguente sviluppo (1-#)a-e0( L). i a O +90) (1290 coso, +g0) (1-2 Ponso:+£)- w(é) = i log -- b) dove 0 =0, =. Giova tenere presente che alla circonferenza |Î|== 1 con- siderata una sol volta nel verso —1,%,1,.. a partire dal punto — 1, corrisponde la parte del pelo libero / compresa tra le verticali x = -î, À : : ==) e che alla circonferenza |î|=g fa riscontro la corrispondente porzione di fondo. 2. Soluzione approssimata. — Trascurando nella (6) le potenze di 9 superiori alla prima, sì ottiene ate; dal /1-2fosa, +4 Questa espressione si mantiene regolare per 9 <|î] =1, finita sulla cir- conferenza || =g ad eccezione dei punti £f=q, {= ge, é= ge in cui diviene logaritmicamente infinita. (6") w($) = — 2iq sen? © ogni — 763 — Equazione del pelo libero. — A punti del pelo libero cor- rispondono valori di é di modulo 1, posto perciò &= e°9, dalla (6’) sì ricava, con la cennata approssimazione: (6°) eî0 = 1 + 4%q sen? A sen o. Se si nota inoltre che CS la (4) dà G (4°) À=», mentre la (5), dopo di avere separato la parte reale dalla immaginaria, ed eliminato fra le due relazioni risultanti il parametro o, dà per equazione di /: 20 00 ene (7) Giani Uri SEN 5 COSE Come si vede trattasi di una sinussoide. La costante y, rappresenta manifestamente la profondità media del canale, che nel caso attuale è H ('). i Me 024 o La massima sopraelevazione dal livello medio è — q sen* D° e corrì- TT sponde ai valori x= 4 (£ intero qualunque). (1) Si osservi infatti che, la densità del liquido essendo 1, la portata H è definita da y nel udy, 0) l'integrazione andando estesa, lungo una generica verticale, dal fondo fino alla linea li- bera. Moltiplichiamo ambo i membri per dx ed integriamo fra 0 e 4, Poichè H è costante, nel primo membro si ottiene AH, e nel secondo l'integrale J di udx dy esteso alla parte di striscia S compresa tra le verticali 7=0,4x=4. Ciò posto, prendiamo in esame il rettangolo R avente per base la base stessa di S, e per altezza il livello medio Yo, € notiamo: a) che le porzioni di S esterne ad R sono entrambi congruenti a metà della parte di R esterna ad S; 2) che, come risulta da (6), colla nostra approssimazione è u= 1 sopra l; c) che la funzione (x, y) può quindi essere prolungata anche nella parte di R esterna ad S facendole assumere quivi i valori che le spettano nei punti di S esterni ad R. Dopo ciò è manifesto che l'integrale J coincide coll’integrale di uda dy esteso al rettangolo R. Potremo dunque scrivere Yo A m- [, dy (ude. O) S9 D'altra parte, avendo designato con v la differenza costante g(2 +-2,) — 9(£, y), si ha PI vi f uda. 2/1) Ciò posto, per la precedente abbiamo HA=vy; ma 2=», dunque H= yo; c.d. d. — 7604 — Altezza delle traverse. — A punti del fondo del canale cor- rispondono valori di £ di modulo g; posto perciò .nella (6°), £= ge, si ricava con la solita approssimazione FSE 1—_ coso COS O — c0s Oy avremo dunque sul fondo Zi j/ 1—- coso 2rr IÙ cos o — cos Go Co n ile Da questa scende che per z>|o|> 0, (parte orizzontale del fondo) è dy=0, mentre per |o|< 0, (punti della traversa) è dr = 0, come era da attendersi. Dopo ciò, l'altezza comune delle traverse è manifestamente definita dalla espressione () vi Rx i tag SY De: 0 oli 1— coso, DS | V/1+ cos o — J/coso — cos 05 | 21% coso — coso, 27 1-4 008 0 + {/cos o — 008.0, 101 o rn 2° cs 1+sen ® Da questa si ricava Th TA o eve * th snai ei i erbe Per questa, e perchè y, = H, la equazione (7) del pelo libero assume la forma definitiva dei ah 2a , o presi a Resa n (77) Yi Hill tgh 787°: Il pelo libero / è così caratterizzato in modo completo in funzione dei dati della questione H,Z,%. — 760 — Astrofisica. — Varsazioni nello spettro della Nova (18. 1912) Geminorum 2. Nota di V. FONTANA, presentata dal Socio A. Riccò. Dal 21 marzo al 7 maggio potei eseguire al R. Osservatorio astrofisico di Catania 13 fotografie dello spettro della Nova (a= 6" 49" 125;d=+-32°105/,1) servendomi di una prismatic camera attaccata all'equatoriale fotografico e costituita da un obiettivo Pe:zva/ di Zeiss e di un prisma di Schaer di 11 cm. di diametro (!). Per queste fotografie, che furono tutte da me fatte, svilup- pate e misurate poi al macromicrometro, vennero adoperate lastre pancro- matiche Wratten. Riferisco nella presente Nota i risultati più importanti dello studio di insieme dei diversi spettri ottenuti, riservandomi di dare nelle Memorie degli Spettroscopisti Italiani i risultati particolareggiati dell'esame delle singole fotografie. Queste furono prese rispettivamente nei giorni indicati nella tabella che segue dove si dànno pure l’ora (in tempo siderale) del principio della posa, la durata di questa e alcune osservazioni relative alle fotografie. o Data lo Men" Osservazioni lastra della posa posa 1 marzo 21 7h 942 | Da 10 a 15 — 2 22 T 28 207; 30m — 3 23 12. 49 4lm — 4 25 857 40m Un po’ velata 5 26 9 58 om Moltissimo velata 6 26 Sei 20m Molto velata 7 27 10 56 dom Un po’ velata 8 28 11 49 282 = 9 aprile 2 10 30 38m _ 10 12 E Ia —_ 11 15 10. 54 JA 25m — 12 22 ti? Ja Velatissima 13 maggio 7 12 26 mò Cattiva Tranne le due prime, eseguite soprattutto allo scopo di determinare la posa più conveniente da dare, tutte le altre furono ottenute spostando con- venientemente il cannocchiale in modo da avere uno spettro alquanto largo, (*) Cfr. Rendiconti della Reale Accad. dei Lincei, vol. XXI, 1° sem. 1912, pag. 533. = [00 in cui spiccasse meglio il contrasto fra le righe oscure e le brillanti, spe- cialmente là dove le righe si presentano molto deboli o fitte. Siccome le fotografie furono fatte con prismatie camera, non c'è in esse spettro di riferimento. Quindi la determinazione delle lunghezze d'onda delle diverse righe venne fatta con procedimento grafico, adoperando per riferimento le principali righe dell'idrogeno facilmente riconoscibili. Per questo motivo le misure di lunghezze d’onda che sì riporteranno in seguito sono da rite- nersi approssimate. D'altronde riescirebbe molto difficile fare delle determi- nazioni accurate di lunghezze d'onda non solo per la piccola dispersione dello spettro, ma pure per la larghezza delle righe e spesso anche per la loro tenuità. Date le grandi diversità dei tempi di posa, non è possibile fare uno studio attendibile della variazione d'intensità delie singole righe, benchè sulle lastre venisse pure fotografata la 9 Geminorum, la quale avrebbe potuto servire in certo modo di guida per tale ricerca. Perciò mi sono limitato all'esame delle variazioni relative di splendore e di forma tra le diverse righe, facendo uso di tutte quante le fotografie per l’esame delle righe brillanti e riferendomi invece soltanto alle migliori per i particolari meno salienti. Lo spettro di righe brillanti è costituito nei primi giorni essenzialmente dalle principali righe dell'idrogeno, dalla D: dell’elio e dalla K del calcio: qnest'ultima già molto debole e presto svanita; quelle dell'idrogeno molto variabili di forma e di intensità. Esse vanno in generale dalla H, fino alla H;: solo nello spettro del 23 marzo appare anche la H,, e in quello molto esteso del 25 si arriva fino alla H,. La Ha si presenta assai debole nelle prime fotografie, poi va crescendo d’intensità in armonia con le variazioni nel color della stella che prima appariva di color arancione e poi di un rosso carico. La Hg fu sempre sottile e ad orli ben definiti. Inferiore dapprima alla H, nello splendore, tenne per intensità il 2° poste fino al 26 marzo, quando divenne più lucente della stessa H,, mantenendosi tale ancora nella foto- grafia del 27 e più tardi in quella del 15 aprile. Tra queste due ultime date, l'intensità di Hy appare uguale a quella di H,,, mentre poi nella lastra del 22 aprile la riga diventa quasi invisibile. Il 12 aprile sembra doppia, come se fosse attraversata nel mezzo da una debolissima riga d’'assorbimento che a mala pena s' intravede. La H,, molto brillante e larga talvolta il doppio della Hg, presenta notevoli fluttuazioni nella sua larghezza, fino a mostrarsi il 28 marzo poco più larga della Hg. Anch’essa fu sempre ad orli nitidi o appena sfumati. Il 28 marzo è sospettata doppia, e tale appare con sicurezza il 12 aprile; più tardi, il 15 aprile, sembra tripla. — 767 — La Hs è tra le righe brillanti dell'idrogeno quella che presenta la più grande variabilità, pur occupando sempre il 3° posto fra esse, per quanto riguarda l'intensità. Molto larga e simile piuttosto ad una zona, si presenta fino al 26 marzo più intensa dalla parte del violetto, dove apparisce a orlo ben definito, e sfumata dalla parte del rosso. Già il 26 marzo sembra com- posta di più righe e così ancora il 28 marzo e il 2 aprile, ma in queste due ultime fotografie appare più intensa nella parte centrale anzichè dal violetto. Larga e ben definita agli orli il 12 aprile, compare invece sfumata verso il violetto e netta all'orlo rivolto al rosso il 15 dello stesso mese. Nelle lastre del 22 aprile e 7 maggio è debole ed uguale in splendore alla Hg. La H., che nei primi giorni ebbe associata la H del calcio scomparsa in seguito, è larga e debole, tanto da confondersi talvolta (26 marzo) con lo spettro continuo. Il 25 marzo sembra che sia doppia, il 2 aprile appare sottile e ben definita agli orlî, il 12 e 15 aprile più larga e come sfocata. Cessa di essere visibile sulle lastre del 22 aprile e del 7 maggio. Tra le righe brillanti ricordiamo inoltre la riga d, che si presenta solo il 25 marzo e il 2 aprile e la 4==501 (la riga più brillante delle nebulose) che si trova su cinque lastre (21, 22, 25 marzo e 12, 15 aprile). Dubbia è la presenza della seconda riga delle nebulose, mentre appare spesso e ben marcata la 4= 492. Pure spesso si trova la 4= 423 del calcio. Partico- larmente notevole risulta infine la riga brillante a 4= 464 formatasi ben distinta a cominciare dal 27 marzo come per contrazione di una larga zona dello spettro continuo che fin dai primi giorni appariva molto brillante in quella regione. Questa riga era già stata notata da Tikhoff su fotografie prese a Poulkovo il 17 marzo ed era apparsa anche molto intensa nello spettro della Nova Lacertae del 1911. Essa andò crescendo continuamente d'inten- sità, raggiungendo il 27 marzo lo splendore della H3 e diventando il 7 maggio la più lucida di tutte quante le righe. x x x Le righe brillanti dell'idrogeno sono da principio accompagnate, dalla parte del violetto, da una riga oscura d'assorbimento, molto intensa e di larghezza paragonabile a quella delle righe brillanti. Anche queste righe d'assorbimento cambiarono spesso di forma e d'intensità, spostandosi pure rispetto alle relative righe brillanti. La riga d'assorbimento di Hg appare sottile e ben marcata il 23 marzo, larga e ad orli non ben definiti il 25; poi scompare salvo a ritornare visi- bile, ma dalla parte del rosso, nelle lastre del 2 e 15 aprile. Quella di H, è meno larga e marcata della precedente e pur essa va man mano assottigliandosi così da scomparire nelle lastre del 26, 27 e 28 marzo, ricomparendo poi di nuovo debole e indecisa dalla parte del violetto — 768 — il 2 e 12 aprile e dalla parte del rosso il 15 dello stesso mese, ma in modo che sembra attraversare ancora da quella banda la riga brillante H,, la quale ha quindi l’apparenza di continuare ancora per un po’, leggera e sfu- mata, oltre la riga d’assorbimento. La riga d'assorbimento di Hs è la più larga e raggiunge talvolta (25 marzo) una larghezza doppia di quella della H,. Scompare nelle lastre seguenti, nelle quali però la riga brillante Hg appare multipla; ricompare larga e ben definita dalla parte del violetto il 12 aprile, mentre poi il 15 sì presenta leggerissimamente accennata dalla parte del rosso. Ben definita appare la riga d'assorbimento di H. e così pure quelle delle altre righe dell'idrogeno nella regione ultravioletta dello spettro. Altre righe d’assorbimento che meritano speciale menzione sono le seguenti : la 4= 460, ben distinta sulle lastre del 21, 23 e 25 marzo; la 4= 445, visibile il 21 e 23 marzo, appena accennata in seguito, fino al 2 aprile, data in cui ricompare ancora più marcata che nei primi giorni e molto ben definita, conservandosi tale fino al 15 aprile; la XA= 419 che compare nelle lastre del 21 e 23 marzo; la 4= 414 leggera e larga, vista il 21 e 25 marzo. Del resto, di righe d’assorbimento e brillanti fu sempre molto ricco lo spettro continuo, specialmente nei tratti Hì — H, e H, — Hz, i quali ap- parivano spesso come costituiti da gruppi non ben definiti di righe oscure e brillanti alternate e variabili assai di forma e d' intensità. Fisica. — Bussola azimutale ad onde hertziane. Nota di A. Tosi, presentata dal Socio MILLOSEVICA. Allorchè le navi sono in vista di terra, determinano la loro posizione servendosi di punti della costa bene individuati, la cui posizione è esatta- mente notata sulla carta di navigazione. Di tali punti, che sono di giorno ì più cospicui e di notte i fari, si prendono i rilevamenti mediante apposito goniometro detto circolo azimutale; si tracciano quindi sulla carta le con- seguenti rette azimutali la cui intersezione dà il punto della nave. La conoscenza esatta della posizione della nave è importantissima verso la costa, a distanze da essa che vanno, generalmente parlando, fino a 100 chi- lometri; giacchè la maggior parte delle insidie sono prossime alla terra, e la massima parte degli infortunî marittimi è dovuta alla inesatta conoscenza della posizione della nave che naviga in prossimità della costa, specie quando la nebbia renda impossibile l’uso di qualsiasi istrumento ottico. — 769 — L'ing. Bellini ed io abbiamo ideato un apparato, cui abbiamo dato il nome di bussola azimutale ad onde hertziane, che permette alla nave, servendosi delle stazioni radiotelegrafiche esistenti sulla costa, senza vederle, e quindi anche in tempo di nebbia la più folta, di determinare l'azimut di esse e di determinare quindi la propria posizione con la stessa esattezza con la quale la determinerebbe in tempo chiaro con l’ ordinario circolo azi- mutale. Detto apparato — il quale non è che una speciale applicazione della parte ricevente del ben noto sistema radiotelegrafico dirigibile Bellini-Tosi, quello che solo ha praticamente risolto il problema delia indipendenza delle comu- nicazioni radiotelegrafiche — si basa su quanto sono per dire: Mes iL Sono noti da lungo tempo gli aerei radiotelegrafici dirigibili Brown-Blondel, formati da coppie di antenne verticali o inclinate, simmetriche rispetto alla verticale, riunite inferiormente da un conduttore senza alcuna comunicazione con la terra, ovvero formati da un conduttore chiuso avente una qualsiasi forma geometrica, interrotto da opportuna capacità, egualmente isolato da terra. Tali aerei, che sono contenuti in un piano verticale, hanno la proprietà di essere influenzati al massimo grado dalle onde provenienti da stazioni radio- telegrafiche che giacciono nel piano dell’aereo, mentre è matematicamente nulla nell’aereo l'influenza di onde provenienti da direzione ad esso perpendicolare. Ciò posto, rappresentino (fig. 1) AA, e BB; gli estremi inferiori, pro- iettati nel piano orizzontale, di due aerei di uno dei tipi precedentemente indicati, contenuti in due piani tra loro perpendicolari. Due bobine uguali, RenpIGONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 101 — 700 — perpendicolari tra loro, aa, e db,, sono convenientemente collegate ai detti estremi; nel centro di esse ne è disposta una terza mobile D, molto piccola, riunita ad ordinarî apparati di ricezione radiotelegrafica. Se esiste una stazione trasmettente nel piano dell’aereo AA;, questo di- verrà sede di correnti oscillatorie indotte, mentre l’atro, BB,, sarà completa- mente inerte. La bobina 4a, sarà percorsa da corrente e genererà nel suo centro un campo magnetico perpendicolare al piano dell'avvolgimento. Quando la bobina mobile sarà disposta perpendicolarmente a tale campo, cioè paral- lela ad 4a,, essa risentirà l'effetto massimo del campo; e siccome la bobina mobile è unita agli apparati di ricezione, per tale posizione della bobina si avrà ricezione massima. Spostando la bobina mobile dalla posizione 4a,, l'intensità di ricezione diminuirà gradatamente, fino a diventare zero. Tale intensità seguirà la legge della sinusoide o del quadrato della sinusoide a seconda degli apparati di ricezione usati e del modo di unione delle bobine fisse agli aerei. Risultati eguali si ottengono considerando una stazione trasmet- tente che si trovi nel piano del l'aereo BB,. Nel caso generale, quando, cioè, la stazione trasmettente non è conte- nuta in alcuno dei due piani ove giacciono gli aerei, questi ultimi saranno eccitati contemporaneamente ed ogni bobina sarà percorsa da una corrente. Queste due correnti, così ottenute, genereranno al centro comune delle due bobine due campi magnetici perpendicolari, i quali si comporranno in un unico campo risultante. È facile dimostrare che l'intensità di tale campo è indipendente dalla direzione della stazione trasmettente, mentre invece il campo è orientato perpendicolarmente a tale direzione. Infatti, sia 4 l'angolo che la direzione della stazione trasmettente S forma con l’asse DA preso come origine. Le forze elettromotrici s, e es, rispettivamente generate negli aerei dal campo elettromagnetico originato dalla stazione S, avranno i valori istantanei e,= Ee7® sen mi cos p e = Ke sen mé sen gp, dove E rappresenta l'ampiezza massima della forza elettromotrice che sarebbe generata in uno dei due aerei se la stazione S fosse posta nel suo piano; a è il fattore di smorzamento ed #w la pulsazione del campo elettromagnetico. Queste forze elettromotrici genereranno negli aerei corrispondenti e nelle bobine comprese, correnti proporzionali. Queste correnti genereranno alla lor volta nella piccola bobina, che forma l’angolo w con l’asse DA, forze elettromotrici di cui i valori rispettivi saranno £,g = B'e-"! cos mt cos gp cos w e sy = H'e- cos mt sen g sen vy. — N01 — Queste forze elettromotrici, essendo in fase, si addizioneranno algebricamente, e, per conseguenza, la forza elettromotrice risutante nella bobina mobile avrà il valore sy= H'e- cos mt cos(p— vw) e varierà sinusoidalmente in funzione dell'angolo w. Il valore massimo di # è ottenuto per W=%, cioè quando il piano di avvolgimento della bobina mo- bile passa per la stazione trasmettente; e questo valore massimo è lo stesso di quello generato quando la stazione trasmettente sì trova nel piano di uno degli aerei. Da quanto precede è evidente che, quando la bobina mobile sarà orien- tata verso la stazione trasmettente, l'intensità di ricezione avrà un valore massimo; e reciprocamente quando l'intensità di ricezione sarà massima, la bobina mobile sarà disposta nella direzione della stazione trasmettitrice. Abbiamo così una sistemazione composta di una parte aerea fissa e di un istramento formato da due bobine fisse e da una mobile; sistemazione che permette di determinare la direzione da cui provengono le onde, ossia la direzione ove trovasi una ignota stazione trasmettente. rispetto ad uno dei due aerei fissi preso come origine, o rispetto ad entrambi. Conoscendo l’orientazione sulla terra dei piani contenenti gli aerei, si avrà l’azimut della stazione trasmettente. In pratica le bobine fisse e la mobile sono bobine cilindriche, cioè avvolte attorno a cilindri retti nel senso perpendicolare alle basi; e la bobina mobile non è piccola, ma interna alle fisse e strettamente abbracciata da esse. L’istrumento, che ha avuto il nome di Bussola azimutale hertziana, è stato applicato a bordo nel modo seguente: I quattro estremi degli aerei sono posti sul ponte ai vertici di un qua- drato della massima grandezza possibile, le cui diagonali formano un angolo di 45° col piano longitudinale della nave, sul quale si intersecano (fig. 2). Abbiamo così due aerei dirigibili, eguali, perpendicolari tra loro, che possono essere costituiti ognuno o da una coppia di antenne, o da un con- duttore formante una figura poligonale qualsiasi, simmetrica rispetto alla verticale passante per l'intersezione delle due diagonali del quadrato. Con- venientemente collegate coi punti AB e CD sono le bobine fisse ab e cd della bussola, eguali e perpendicolari tra loro, mentre la bobina mobile mm è unita agli apparati di ricezione R. Quest ultima porta un indice rigida- mente fissato nel suo piano medio, che si sposta su un quadrante graduato avente lo zero sul piano longitudinale della nave verso la prora. Il che significa che le direzioni delle stazioni che trasmettono saranno determinate in funzione del piano longitudinale della nave, ossia della rotta da essa seguìta. — 172 — Se si notano esattamente sulla carta di navigazione le posizioni delle stazioni radiotelegrafiche esistenti e quelle di altre semplici emettitrici di onde hertziane, una nave munita di dussola azimutale hertziana che na- vighi a portata di esse in piena nebbia, è come se si trovasse in vista di costa in tempo chiaro. Infatti essa, potendo, con la bussola hertziana, deter- minare le direzioni ove sì trovano le invisibili stazioni emettenti onde hertziane, @------------->=-----------D» (Si eo 2 potrà tracciarne sulla carta di navigazione le rette azimutali, e, mediante la loro intersezione, fissare il suo punto esatto. L'apparato di ricezione è telefonico, e si ha il massimo d’ intensità al telefono allorchè la bobina mobile è rivolta verso la stazione trasmettente; quindi, per determinarne la direzione, basterà determinare il suono massimo al telefono e leggere sul quadrante la divisione corrispondente alla posizione della bobina che dà detto massimo. In pratica però il metodo più rigoroso è quello di notare sul quadrante le due posizioni della bobina a destra ed a sinistra del massimo, nelle quali il suono cessa bruscamente al telefono, e prendere la bisettrice dell'angolo formato dalle due posizioni suddette; si ha così l'approssimazione di 1°. Se — 773 — I vantaggi della bussola hertziana possono compendiarsi nei seguenti: 1) Certezza per le navi di conoscere la loro posizione esatta presso la costa, in tempo di nebbia. 2) Impossibilità di abbordo tra navi naviganti in tempo di nebbia, giacchè esse possono evitarsi rilevandosi reciprocamente ad ogni istante. 3) Rapidità di soccorrere navi pericolanti che chiedano aiuto mediante il telegrafo senza filo; giacchè, presone il rilevamento, si correrà sulla nave in pericolo guidati dai suoi segnali come da un punto visibile, e non sì dovrà correre alla ricerca del punto determinato da grossolana e spesso errata latitudine e longitudine, quale è quello che viene segnalato in generale dalle navi in pericolo. 4) In tempo di guerra, spenti i fari, la navigazione costiera per il nemico sarà difficile. Sarà facile per le navi nazionali munite di dussola hertziana, se all’inizio delle ostilità verrano instituite stazioni mobili emet- titrici di onde hertziane la cui posizione sia nota soltanto ai comandanti delle navi nazionali; da esse potendosi sempre conoscere, in tal modo, la propria esatta posizione. Chimica. — Solfati anidri. Nota INI di G. CALCAGNI, pre- sentata dal Socio E. PATERNÒ. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica-fisica. — Zquiibri fra composti organometallici (*). Nota di Livio CamBI, presentata dal Socio R. NASINI. La teoria della valenza, quale viene tuttora più generalmente intesa, non è più sufficente alla comprensione di tutti i composti inorganici. Tale insufficienza si nota principalmente in composti appartenenti a due gruppi estremi della chimica inorganica: da un lato nei composti binari più sem- plici, fra metalli, dall'altro nei composti complessi. Come è noto, nei composti complessi l'atomo metallico manifesta affinità ulteriori, anche quando ha sviluppato già il suo grado massimo di valenza. Nei composti puramente metallici s'incontrano numerosi casi di formole che non si adattano allo schema usato di valenze. Occorre riconoscere che in molti di questi composti, ricordo fra i più tipici KHg,. , NaCd; , CaZno, gli atomi metallici manifestano nuove affinità, per lo meno oltre quelle che presentano nei composti binari più semplici. (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Elettrochimica del R. Istituto tecnico Supe- riore di Milano, diretto dal prof. G. Carrara. — 774 — Può venire posta la questione: se, in alcuni casi, i fatti osservati nei due gruppi di composti possono convergere verso un'unica concezione; non si avrà in alcuni composti fra due metalli una manifestazione di quelle valenze che conducono ai composti doppi e complessi? L'atomo metallico, anche allo stato neutro, può concorrere alla forma- zione di composti complessi: in quelli formati da alcuni metalli con l'am- moniaca, ad es. Ca(NH:); ; Ba(NH3), (*). Nei composti complessi più frequenti incontriamo sali in cui gli atomi di metallo manifestano le affinità residue con atomi non metallici: tali l'azoto, l'ossigeno, il solfo, gli alogeni ecc. Conosciamo altresì composti numerosi complessi che sussistono in virtù di tali affinità fra due atomi non metallici, come ad es. quelli dei boroalchili con l'ammoniaca (?), Non si conoscono però con sicurezza associazioni complesse dovute uni- camente ad affinità residue manifestantesi fra due atomi metallici; questi composti sarebbero interessanti per la questione suesposta: essi ci indiche- rebbero le affinità residue esistenti fra due metalli che abbiano saturate le loro valenze principali, e potrebbero fornire un interessante confronto con le combinazioni fra i due allo stato metallico. A quanto io sappia, l'unico accenno a l’esistenza di tal genere di com- posti sì ha nel prodotto d'addizione che Wanklyn ha ottenuto fra sodio-etile e zinco-etile; Na C.H;.Zn(C.H;)., composto cristallino fondente a 27° (8). Le formule che più probabilmente gli spettano sono: 1) A e 9) Na: e \0,H; No Nel primo caso si potrebbe supporre che il sodio manifestasse con lo zinco alcune di quelle affinità presentate nel composto probabile NaZn,». Nel secondo caso avremmo un etilzincato di sodio, analogo per struttura al sale KZnC]3: l'esistenza di un anione complesso contenente aggruppamenti organometallici troverebbe una certa analogia nei composti che i boroalchili CH; ‘ formano con gli alcali: K:| CH, — B.-- 0H (E CH; Da queste considerazioni sorgeva l'interesse ad estendere il caso che ho citato, scoperto da Wanklyn, ad altri composti metallorgamci. (!) O. Ruff u. E. Gutel Berichte 82, 328 (1908). (2) Frankland Jahrensbericht /8 76, pag. 469. (*) Wanklyn Liebig*s Annalen /08, pag. (4) Frankland, luce. cit. — 775 — Pur sapendo di trovarmi dinanzi a derivati ben diversi da quelli alchi- lici, ho iniziato la ricerca con i metallo fenili — composti che si prestavano meglio per i loro caratteri — e fra essì mi sono limitato, per ora, ai più accessibili. Si poteva anche credere che la presenza del gruppo fenilico, ca- pace in altri casi di atfinità residue, potesse favorire la formazione di com- posti. Ho studiato il comportamento reciproco del mercurio-bifenile con lo stagno-tetrafenile e col bismuto-trifenile, non avendo osservato in sistema binario alcun composto in queste due coppie, mi sono rivolto anche a deri- vati metalloidici che mostrano, in genere, più facilmente valenze ulteriori e ho studiato Ja trifenilstibina con lo stagno-tetrafenile ed il mercuriofenile. Infine, volendo porre a confronto due derivati contenenti entrambi un elemento a valenga inferiore alla massima, ho cimentato la trifenilarsina con il tri- fenilbismuto. Nella Nota presente citerò le ricerche compiute su tali coppie in sistema binario, applicando l’analisi termica. In tutti i casì studiati non ebbi accenno all'esistenza di composti doppi. Credetti interessante insistere su tal com- portamento negativo perchè sì manifesta di carattere generale per questi composti fenilici. Per quanto dal solo comportamento in sistema binario non si possa escludere la possibilità di composti in solventi, è certo che i composti che ho trattati sì mostrano reciprocamente assai inerti: si noti ad es. che i sali aloidi d'antimonio si associano facilmente con gl’idrocarburi aromatici. for- mano i composti 3 SbCl, .2C;Hy ; SbCl, . CH; - CH;; il trifenilantimonio si mostra inerte con i varî metallo-fenili. D'altra parte, le stibine triariliche sì associano al cloruro mercurico, si hanno composti Sb(CH, . CH); . HgCl,, la trifenilstilina non si combina con il mercuriofenile. I metallo fenili hanno un'attività a reagire fortemente diminuita, rispetto agli alchilici; è anche noto che la trifenilstilina come l’arsina, non si com- bina con gli Joduri alcoolici. Probabilmente tale inerzia, estesa ai metallo- derivati, è dovuta al fatto che le valenze cosidette residuali vengano trat- tenute più o meno tenacemente, dai gruppi fenilici formando come dei composti complessi interni. PARTE SPERIMENTALE. I composti che ho adoperati vennero preparati da me dai cloruri anidri a mezzo del reattivo di Grignard. Il Hg(CsH;): venne purificato dal ben- zolo, così pure lo Sn(C$H;),; il Bi(Co Hs)s dall’etere; 1’Sb(C6 H;)3 dall’'etere di petrolio e così la As(C$H;)3. I composti rispondevano in tutti i loro caratteri a quelli descritti dai vari autori. Le temperature vennero determinate a mezzo di una termopila di tre elementi argento-costantana, quando erano superiori ai 100°; per quelle in- feriori con una termopila di sei elementi rame-costantana. I fili delle termo- — 776 — pile erano del diametro di 0,2 —0,1 mm. Il galvanometro usato era della ditta Siemens-Halske. La graduazione della termopila venne compiuta per mezzo dei punti di ebollizione delle varie sostanze usate per questi scopi. Le analisi termiche vennero eseguite su 5 grammi di sostanza. Le fusioni vennero compiute in atmosfera di idrogeno o di anidride carbonica. I punti di fusione degli organometallici adoperati, stabiliti dalle curve di raffreddamento, sono i seguenti: Bi(Cs Hs):: 76° ; Sb(C6Hs);: 49°.8 ; Sn(CHs)}: 223° Hg(CsHs)»:121°.8 ; As(CoHs):: 59°. I) Sistema Bi(C5Hs)3 — Hg(CcHs) II) Sistema Sb(CsH;)g — Hg(06Hs)s e ———m6€——__mmmmm Inizio Inizio Composizione della cristal- Arresto | Durata Gonnastzione della cristal- Arresto | Durata su 100 Mol. One eutectico su 100 Mol. Laiazione eutectico l'ASL IO PE AIRES Bi(C.Hx),100| 76° Mg Sb(C5Hs);100| 4958 Mo pr 85.2 72.8 63.5° 10” 91.8 45.6 40.6° | 40° T24 66.6 63.6 80 80.2 418 41.5 | 200 66.2 64.5 64.5 | 180 70.1 61 40.4 140 61.3 724 63.6. | 160 60.2 63.5 41 140 50.8 83 63.4 | 120 50.2 86.2 39.8 60 39.6 92.4 62.8. | 100 40.8 95.8 40 80 30.4 101 62,6 60 30.2 102.5 39.6 10 21.9 106.4 62,6 20 20.1 110 h) — 14.1 111.5 ? — 10,1 116.7 = - US 116.2 —_ —_ 0 121.8 (0) 121.8 —_ De III) Sistema Sn(CsHs)i — Hg(CsHs)a IV) Sistema Sb(CsHs); — Sn(CsHs) Composizione Suo Arrosto | Durata COnRIZIOO ti Arresto | Durata su 100 Mol. DA eutectico su 100 Mol. RENO eutectico Hg(CsHs;),100| 121.89 — — Sn(CsH;).100 223 — — 98.4 117.8 117.8] 240” 90 221 ? —_ 91.6 134 1126 | 230 80 218.4 47,8° 10% 82.8 156.8 114.6 | 180 70 210.6 46.2 30 64.4 180.5 114 170 60 204 46.4 50 44.6 199 112,6 | 170 50 194 46.2 70 35 209.5 110 60 40 186 47.8 | 120 23.2 214.2 108 40 25 162 47.5 | 140 17.6 216 G — 10 122.8 49.2 | 220 11.8 218.8 — _ 6 95.8 49.8 | 260 0 223 = = 0 49.8 — = — 777 — Non ho potuto finora completare il sistema Bi(C H;): — As(CsH;):. Fra 100 Mol. di arsina e 40 di bismutofenile non presenta però alcun com- posto e manifesta un caso semplice di isomorfismo con lacuna di miscibilità. | 120° 100 80 60 40 20 ci ai > } Q Bi (C6H5), 100 120 100 80 60 e 20 10 20 80 40 50 60 DD) SO do 100. o | xHg(C Hel Sb (Cc B5)g Fic. 2. In questi sistemi si nota in generale che l’arresto eutectico si presenta a temperature decrescenti a grado che i punti del sistema s’allontanano dal. l’eutectico stesso. Va tenuto conto però che si tratta di sostanze a velocità RexpIconTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 102 200 60 40 20 100 80 60 40 20 — 7799 — di cristallizzazione piuttosto piccola e che presentano facilmente fenomeni di sopraraffreddamento. Si nota anche che gli arresti eutectici scompaiono per un tratto più o meno notevole, verso le concentrazioni estreme. È pro- babile che si tratti di anomalie simili a quelle osservate in vari sistemi di sostanze organiche ('), per quanto non si possa escludere, in proporzioni mi- nori, la presenza di casi di soluzioni solide. Conchiudendo i sistemi binari: Bi(C;H;)3 - Hg(CoH;): ; Sn(C; Hz) - Hg(0H;): ; Sb(Cs Hs)s - Hg(CsHs):; Sn(Cs Ha) - Sb(CsHs)3, non presentano all'analisi termica alcun composto. Probabilmente i composti organomètallici fenilici debbono venir considerati come composti complessi interni. Mi propongo di completare queste ricerche estendendomi ad altri casi e anche ai metalloalchili. Chimica. — Azione dell’acido solforico sopra l’acenaftene (*). Nota di E. OLiveRI-MANDALÀ, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Dall’azione dell'acido solforico concentrato sopra l’acenaftene si ottiene un solo derivato monosolfonico. Nè col variare della temperatura, nè della quantità di acido solforico si riesce ad introdurre nel nucleo dell’acenaftene più di un solfossile; a differenza dell'antracene, del fenantrene, del fiuorene, i quali forniscono non solo monoderivati isomeri, ma acidi polisolfonici a seconda le condizioni di esperienza. Gr. 50 di acenaftene si riscaldano a b. m. con la stessa quantità di acido solforico puro e concentrato per 2 ore ed indi in bagno ad olio alla temperatura di 115-120° per circa mezz'ora. Si sospende il riscaldamento quando una piccola porzione, trattata con acqua, non dà più precipitato. Terminata la reazione, durante la quale si svolge un poco di anidride sol- forosa, si versa il liquido denso e di un colore bleu-verdastro, in 300 cc. di acqua, si filtra per separare un poco di acenaftene rimasto inalterato, e si neutralizza poi con una soluzione concentrata di idrato potassico. Preci pita in questo modo il sale potassico dell'acido acenaften-solfonico, poco s0- lubile in acqua. Dalle acque madri per concentrazione si ottengono ancora notevoli quantità di sale. L'acido solforico, nemmeno per lunga ebollizione, decompone le soluzioni acquose del sale. Per ottenere l’acido libero si tratta il sale potassico con cloruro di bario. ed il sale di bario così ottenuto sì decompone a caldo con la quantità necessaria di acido solforico. Separato il solfato di bario, si evapora il liquido colorato in bruno a b. m. fino a secchezza. Rimane un olio il quale per raffreddamento o stando per qualche (1) F. Olivari, Rend. Soc. chim. Italiana /9//, pag. 90. (}) Lavoro eseguito nel R. Istituto chimico dell’Università di Palermo. — 780 — tempo in essiccatore nel vuoto, solidifica. Per purificarlo si secca su lastra porosa e si estrae con molto benzolo, il quale, per raffreddamento, lascia depositare dei fini aghi bianchi. L'acido non ha un punto di fusione ben netto. Cristallizzato diverse volte dal benzolo fonde verso 87-89°, ma co- mincia già a rammollirsi a 80°. Esso è solubile in acqua, alcool, etere ace- tico, poco solubile nell'etere, nel benzolo e nell'etere di petrolio. Riscaldato sulla lamina di platino sviluppa anidride solforosa e lascia un grande residuo spugnoso di carbone. L'acido seccato su acido solforico nel vuoto assorbe poi all'aria costan- temente due molecole di acqua, che perde di nuovo facilmente nel vuoto. gr. 0,1849 di sostanza seccata all’aria hanno perduto nel vuoto dopo 2 giorni gr. 0,0235 di acqua ; gr. 0,1857 di sostanza seccata nel vuoto ha acquistato all’aria dopo 24 ore circa, gr. 0,0243 di acqua; gr. 0,1565 di sostanza seccata all'aria fornirono gr. 0,3048 di CO, e gr. 0,0761 di H,0. Calcolato per C,2H10S0, . 2H,0 Trovato C% 53,93 53,02 ERRO (GRA 5,18 0,40 H.0 °/ 13,38 12,71 13,08 Sale potassico C,,HsS03K . Precipita neutralizzando con idrato potassico una soluzione acquosa con- centrata dell'acido. Per l'analisi si cristallizza diverse volte dall'acqua con carbone animale. Non contiene acqua di cristallizzazione, ma trattiene tena- cemente ua po di acqua che perde lentamente per lungo riscaldamento in stufa a 130-140°. gr. 0,2288 fornirono gr. 0,070 di K.SO,. Calcolato per C,,HsS0,K Trovato 00/5 14,33 13,72 Sale di Bario (C,.HsS03): Ba +!/, Hs0. Si ottiene per doppia decomposizione a caldo del sale potassico con cloruro di bario. Cristallizza da molta acqua in fini aghi lucenti. gr. 0,2363 di sostanza seccata all'aria perdettero a 140° gr. 0,0035 di H.0; gr. 0,2505 ” diedero gr. 0,093 di Ba SO,; gr. 0,2101 ” ” gr. 0,0779 ” In 100 parti: Calcolato per (C,2HsS03)a Ba + !/, H20 Trovato Ba 22,98 21,82 21,89 H,0 1,47 1,48 — 781 — Etere metilico C,,HsS0; . CH. Gr. 2 di acenaften-solfonato potassico ben secco si riscaldarono a fuoco libero con gr. 8 di solfato di metile fino a che il sale passò in soluzione; il che richiese circa un quarto d'ora. Dopo completo raffreddamento sì versò il prodotto della reazione in acqua e si fece bollire per decomporre l'eccesso di solfato di metile. L'etere metilico che dapprima si separa, sotto forma di un olio denso colorato in bruno, durante il riscaldamento solidifica. Il rendimento è quantitativo. Cristallizzato un paio di volte dall'alcool con ag- giunta di carbone animale forma dei fini aghi lunghi, iquali fondono a 122-125°. Esso è poco solubile a freddo nell’alcool e nell’etere, insolubile nel benzolo e nell’etere di petrolio. All’analisi ha dato cattivi risultati; per quanta cura si sia avuta nel cristallizzarlo fino a punto di fusione costante. È strano che nella letteratura trovasi che anche altri eteri degli acidi fe- nantren-solfonici (') hanno dato all'analisi una bassa percentuale in carbonio, dello stesso ordine di quella ottenuta da me. gr. 0,1316 di sostanza bruciato con cromata di piombo fornirono gr. 0,249 di CO, e gr. 0,0606 di H,0. In 100 parti: Calcolato per C13H1250z Trovato C 62,90 60,93 H 4,83 9,10 Etere etilico C,»HsS0; . C.H;. È stato preparato come l'etere metilico. Quando il sale è passato in soluzione, si diluisce con acqua e si fa bollire; dopo raffreddamento l'etere si rapprende alle volte in una massa cristallina, più spesso si separa sotto forma di olio. Si decanta allora il liquido soprastante, si lava diverse volte l'etere con acqua, si scioglie a caldo in alcool e si aggiunge alla soluzione mantenuta calda dell'acqua fino a che il liquido diventa opalescente. In questo modo per lento raffreddamento delle soluzioni, l’etere si separa in cristalli bianchi. È molto solubile in etere, benzolo e cloroformio, poco in solfuro di carbonio, quasi insolubile a freddo nell’etere di petrolio. Cristallizzato dall'alcool con carbone animale forma duri aghi prisma- tici che fondono a 87-88°. Per ossidazione con acido cromico in soluzione acetica dà il corrispondente chinone. gr. 9,2150 di sostanza diedero gr. 0,5005 di CO» e gr. 0,1068 di H,0. In cento parti: Calcolato per C14H14S0; Trovato C 64,12 63,50 H 5,94 9,92 (1) Werner, Annalen, 321, 269 e 353, 1902. — 782 — Per determinare la posizione del solfossile nel nucleo dell’acenaftene si tentò di sostituire il radicale solfonico col carbossile nell'intento di otte- nere un acido acenaften-carbonico, dal quale per ossidazione con bicromato sodico in soluzione acetica, sì sarebbe dovuto ottenere l’acido 1,25, naftalin- tricarbonico (1, 4, 8 di Graehe) (?) H.C—CH, 1| 2 ANA 8 3 7 6 4 NABI qualora il solfossile, come gli altri sostituenti, fosse entrato nel posto para rispetto ai 2 gruppi metilenici. Distillando però a secco un miscuglio di acenaften-solfonato potassico e ferrocianuro di potassio, per quanto si siano variate le condizioni di esperienza, si ottenne (risultato imprevisto) costan- temente l'acenaftilene. Infatti, distillato a vapor d’acqua, e cristallizzato dall'alcool, il prodotto si presentava in squamette soffici, lucenti, colorate in giallo, fusibili a 90° (l’acenaftilene fonde a 92-93°). Per identificare l’acenaftilene, ne ho preparato il dibromuro, sciogliendo gr. 1 di sostanza in etere ed aggiungendo una soluzione eterea di bromo (gr. 1). Il residuo dell’evaporazione dell'etere si fece cristallizzare dall'al- cool metilico, il quale col riposo abbandonò dei cristalli duri raggruppati a mammelloni, che fondono a 121°. gr. 0,1135 di sostanza diedero gr. 0,1353 di Ag Ar (Carius). Calcolato per C,sHsBr: Trovato Br °/ 51,28 50,80 Dopo questo insuccesso si tentò di ossidare direttamente l’acenaften- chinon-solfonato potassico con bicromato potassico in soluzione acetica. Si ottenne in questo modo il chinone e l'acido naftalico sostituito corrispondente 00—C0 CH;-CH, HOOC COOH | | | | La e A È VAS a e SI ANY VAS da SO;K SO;K SO,.K dal quale per fusione con idrato potassico si pervenne all'acido 5-ossi-nafta- lico, identico a quello preparato dal Graehe per fusione con potassa del- (1) Annalen, 827, 87, 1903. — 783 — l'acido 5-bromo-naftalico (*), stabilendosi per questa via la posizione del solfossile. HOOC COOH HOOC COOH DÒ fi —> NU NOAA SO: K OH 5-Acenaften-chinon-solfonato potassico O0C—TCO | C Ù N NANA SO:K Ad una soluzione calda di gr. 20 di acenaften-solfonato potassico sciolto in 75 cc. di acido acetico glaciale si aggiunge gradatamente ed agitando una soluzione calda di gr. 20 di acido cromico in 75 ce. di acido acetico. Il liquido si riscalda fortemente, tino ad entrare in ebollizione appena ag- giunte le ultime porzioni di acido cromico. Terminata la reazione si riscalda ancora per un po’ di tempo a ricadere. Dopo completo ratfreddamento del liquido si depositano dei cristalli rosso-aranciati, i quali vengono separati alla pompa e lavati con alcool abbondantemente fino a che il liquido filtrato passa quasi incolore. Il prodotto così ottenuto è mescolato a piccole quan- tità di un sale dell'acido naftal-solfonico, formatosi per ulteriore ossidazione del chinone e che si allontana trattando la massa cristallina con una solu- zione diluita di carbonato sodico all’ebollizione. Il residuo insolubile, che costituisce l’acenaften-chinone solfonato potassico, si cristallizza dall’acqua. Il sale trattiene tenacemente dell’acqua che perde solo per lungo riscalda- mento in stufa a 140°. gr. 0,0654 bruciati con cromato di piombo diedero gr. 0,1145 di CO, e gr. 0,0101 di H0. Calcolato per Ci:H50;SK Trovato UA 48,00 47,75 H°/ 1,66 il Chinossalina OnA:<(N>H SO3K Gr. 2 di acenaften-chinon solfonato potassico e gr. 1 di orto-fenilen- diammina sospesi in poco acido acetico vengono riscaldati all’ebollizione. (1) Loc. cit. — 784 — Il sale potassico, poco solubile, a misura che reagisce passa in soluzione, mentre che il liquido diventa sempre più rosso-bruno. Dopo mezz'ora circa di riscaldamento si filtra, e si diluisce con acqua il filtrato. Precipita così la chinossalina in fiocchi rosso amorfi di difficile purificazione. Si ottiene una chinossalina pura per l’analisi, aggiungendo alcool alla soluzione acetica. Essa forma una polvere giallo-rossastro che esposta all’aria ed alla luce imbrunisce. gr. 0,2310 diedero cc. 7,19 a N a 17° e 754 mm. Calcolato per Cis HsO3NsSK Trovato N°% 1,92 7,20 S-naftal solfonato potassico HOOC COOH I | /NAN NAZ SO:K Gr. 25 di acenaften-solfonato potassico vengono sciolti in 250 ce. di acido acetico glaciale a caldo. Alla soluzione mantenuta alla temperatura di 70-80° si aggiungono gradatamente gr. 120 di bicromato potassico secco a pezzi e poi sì fa bollire per circa un'ora a bagno d'olio. Per raffredda- mento si ottiene un ammasso di cristalli, ai quali sì aggiunge ancora del- l'acido acetico per facilitare la filtrazione del liquido formante uno sciroppo verdastro molto denso. Per separare il chinon dall'acido si fa bollire per qualche ora il prodotto con una soluzione di carbonato potassico al 10 per cento. Il chinon-solfonato potassico è quasi insolubile e rimane indisciolto. Dal liquido filtrato, che contiene il sale tripotassico, per acidificazione con acido solfonico diluito, precipita il sale potassico dell’acido naftal-solfonico che sì raccoglie e si lava con poca acqua. Esso forma dei piccoli cristalli lievemente colorati, che riscaldati a 140° si trasformano nell’anidride corri- spondente, la quale a differenza del sale dell'acido è insolubile nell'acqua a freddo. Per la purificazione del sale conviene quindi adoperare l'anidride, cristallizzandola un paio di volte dall'acqua, trattenendo essa sempre un poco di solfato potassico. Per decomposizione del sale di Ba con H,S0, non si riesce ad ottenere l'acido libero con punto di fusione costante e puro per l’analisi. Il sale seccato a 180° ha dato all'analisi: gr. 0,1256 di sostanza bruciati con cromato di piombo fornirono gr. 0,2081 di CO, e gr. 0,0225 di H50. — 785 — In 100 parti: ,S03K Calcolato per CHe0=0Hx0,SK Trovato 0 45,57 45,22 H 1,58 2,00 Acido 5-ossinaftalico HOOC COOH DA | NA Xi OH Il sale potassico dell'acido naftal-solfonico si mescola intimamente in un crogiuolo di nikel con un peso quadruplo di idrato potassico in polvere, sì inumidisce con un po' di acqua e si riscalda gradatamente sino a 200°. La massa rigonfia colorandosi in verde-scuro. Bisogna aver cura di aumen- tare gradatamente la temperatura per evitare che, a causa del forte spumeg- giamento, la sostanza trabocchi dal crogiuolo. Indi si mantiene per un po’ di tempo alla temperatura di 240-250°. Dopo completo raffreddamento si scioglie la massa solidificatasi in molta acqua, si filtra, e si acidifica il filtrato con acido solforico diluito. Secondo la durata del riscaldamento e della quantità di acqua aggiunta, per acidificazione, precipita alle volte, dal liquido ancora caldo, l'acido ossinaftalico e dalle acque madri un acido, che, cristallizzato dall'acqua con carbone animale fonde a 148° e contiene il 61°/, di car- bonio. A questo acido non può adattarsi nessuna formula empirica e pertanto non è stato ulteriormente studiato. Probabilmente esso sarà identico ad un acido ottenuto dal Graehe per fusione con potassa dell’acido 5-bromo-nafta- lico. Anche in quel caso per acidificazione del prodotto di fusione precipitava dapprima l'acido 5-ossinaftalico e poi un acido fondente a temperatura più bassa, che il Graehe non descrive. In alcuni casì, forse per la maggiore quantità formatasi, precipita dapprima l’acido fondente a 148°, e dalle acque madri lentamente l'acido 5-ossinaftalico. Se la soluzione acquosa è molto concentrata, i due acidi precipitano insieme e ne riesce difficile la separa- zione. L'acido 5-ossinaftalico seccato alla stufa a 120° si trasforma nell’ani- dride corrispondente, la quale cristallizzata dall'alcool fonde a 256-257°. Da gr. 0,1015 si ottennero gr. 0,2727 di CO: e gr. 0,0401 di H;0. OH CO Calcolato per CoHs0=C12Ho0 Trovato (GOG 67,28 66,92 Ho 4,15 4,40 RenpiIconTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 103 — 786 — Chimica. — // sistema ternario Sb + As+I('). Nota I di E. QueRCIGH, presentata dal Corrispondente A. PIUTTI. In un mio precedente lavoro eseguito nell’ Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova diretto dal prof. G. Bruni, e da questi comu- nicato nell'adunanza ordinaria del R. Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti tenutasi il 26 marzo 1911 (?), ho dimostrato che i pretesi pentaioduri di arsenico e di antimonio accettati e descritti come composti definiti, otte- nibili per fusione diretta degli elementi, in molti trattati di chimica inor- ganica anche tra i più reputati, quali quelli del Dammer (*), del Moissan (*), dell'Abegg (3) e del Gmelin-Kraut (°) (nei due ultimi con riserva), sono al contrario costituiti da semplici miscugli meccanici di iodio e dei corrispon- denti triioduri. La ragione dell'errore in cui incorsero gli sperimentatori che considerarono questi pentaioduri come realmente esistenti ed ottenibili nel modo suddetto, va ricercata nel fatto che le concentrazioni delle miscele eutettiche fra i rispettivi triioduri e l'iodio non sono molto diverse da quelle dei pen- taioduri stessi: per cui, tanto nella fusione quanto nella solidificazione di miscugli corrispondenti a questi ultimi, ciò che termometricamente si osserva con maggiore evidenza, e ciò che anzi a quel tempo fu preso solamente in considerazione, è l'arresto alla temperatura eutettica; perciò questa fu scam- biata e determinata come temperatura di cambiamento di stato di composti puri ed unici, e come tale è riportata anche nelle Tabelle del Landolt (7). Siccome questi pentaioduri erano stati ottenuti unicamente per fusione, l'analisi termica è il metodo più adatto per decidere se l'arresto di tempe- ratura si debba attribuire a qualcuno e a quale dei seguenti equilibrî inva- rianti che verosimilmente si prevedono in base alle teorie delle fasi, alla temperatura d'arresto suddetta: 1) MI; crist. —2 MI; lia. 2) MI; crist. — MI; crist.4+I, liq. 3) MI; crist.+ I, crist. 2 MI; lig.4-I; liq. e con tale metodo giunsi alle conclusioni esposte in principio. (®) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica Farmaceutica della R. Università di Napoli. (3) Atti del R. Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, LXX 2°(1911) 667 (adu- nanza ordinaria 26 marzo). (*) Handbuch d. anorg. Chemie, II, 1°, 178 e 211. (4) Traité de chimie minérale, I, 830; e II 33. (5) Handbuch d. anorg. Chemie, III, 3°, 537 e 617. (6) Handbuch d. anorg. Chemie, III, 2°, 765 e 506. (7) Landolt's Tabellen, 3 Aufl., 269. — 787 — In seguito, ho ritenuto interessante estendere lo studio incominciato a tutto il sistema ternario As+ Sb+I, sia per riguardo alla natura stessa dei componenti, sia per la complessità dei fenomeni che in questo sistema si presentano, come ebbi ad accertare con alcune esperienze preliminari. La recente comunicazione dei diagrammi di fusione di alcuni sistemi binarî, fatta otto mesi dopo la mia all'Accademia delle Scienze di Amsterdam — e cioè nella seduta del 25 novembre 1911 — da H. T. Doornbosch ('), della quale ora vengo a conoscenza per mezzo del Zentralblatt (*), contiene fra gli altri sistemi, quelli da me studiati in precedenza: così che, mentre colle sue conferma in tal modo i risultati delle mie esperienze, mi fa ritenere oppor- tuna la comunicazione delle ricerche da me eseguite sul sistema ternario Sb+As+I, del quale fu sino ad ora investigata completamente l’area Asl: 4 +SbI3 +I a cui si riferisce la presente Nota. L'analisi termica delle miscele appartenenti a quest'area di concentra- zioni fu eseguita con un termometro a mercurio, e le temperature furono corrette pel filo sporgente. Gli elementi puri, provenienti in parte da Kahlbaum ed in parte da Erba, vennero pesati e mescolati accuratamente, allo scopo di evitare per- dite per sublimazione, quando non si partì direttamente dai trijoduri apposi- tamente preparati. Si evitò di far passare una corrente gassosa protettrice nella provetta delle fusioni, perchè le alterazioni che l'ossidazione può portare alla concen- trazione e composizione delle miscele contenutevi quando essa sia ben chiusa col tappo portante il termometro, sono di gran lunga inferiori a quelle che si potrebbero avere per la perdita di vapori di iodio trascinati da una cor- rente gassosa protettrice, e nelle presenti ricerche sono addirittura trascu- rabili. La quantità di sostanza che in generale servì all’esperienza fu di 8-10 grammi circa. 1) Sistemi binarii AsIH3: +I e Sb +1. I risultati che su tali sistemi binarî ho già pubblicato (loc. cit.) sono riassunti nelle tabelle 12 e 22 e permettono la costruzione dei diagrammi binarî che nella fig. 1 hanno per base rispettivamente il lato AsI, —IeSbI, —I del triangolo di concentrazioni studiate. In entrambi i casi i due componenti sono miscibili in tutti i rapporti allo stato fuso, e sono completamente non miscibili allo stato cristallino. Non formano composti, ma semplici miscele, fra le quali l’eutettica ha nel (1) Koninkl. Akad. van Wetensch. Amsterdam. Wisk en Natk Afd 20 (1911), 516. (Seduta 25 novembre). (8) Chemisches Zentralblatt, 1912, I, 1088. — 788 — primo caso la concentrazione di 15 °/, atomici di As e cristallizza a 71°.5; nel secondo, quella di 12.5 °/, di Sb e cristallizza a 80°. Il punto di fu- sione dato da B. E. Sloan (*) per AsI; è di 70°; quello derminato da I. H. Pendleton (°) per SbI, è 78°-79°. Le ricerche di H. T. Doornbosch (loc. cit.) stabilirono queste tempe- rature rispettivamente a 73°.5 e ad 80° ed alle concentrazioni di 15 °/, As e 11.8°/, Sb. 2) Sistema pseudobinario SbI, + AsIz. I triloduri d'antimonio e d'arsenico formano tra loro una serie continua di cristalli misti. I dati della tabella 3*, e meglio il diagramma binario che nella fig. 1 ha per base il lato SbI, — AsI; del triangolo, mostrano che questo sistema appartiene al tipo III di Roozeboom (5°), presenta cioè un minimo nelle curve di equilibrio tra fase liquida e fase cristallina. Tale minimo in questo caso si trova a circa 17.5 °/, atomici di As, 75 di I e 7.5 di Sb: cioè a 70°/ molecolari di AsI; e 30 di SbIz (secondo Doornbosch, al 69°/ Astz). 7 Il colore di tali soluzioni solide è aranciato bruno; l'aspetto vitreo e resinoso; sono fragili, ed ossidabili all'aria umida. Fino alla temperatura ordinaria non subiscono alcuna trasformazione osservabile termicamente. 8) Miscele ternarie. Furono studiate le miscele situate sulle sette sezioni del triangolo delle concentrazioni, che partendo dal vertice corrispondente allo iodio giungono alle concentrazioni 5;10;12,5;15;17.5; 20 e 22.5 di arsenico lungo la linea che è luogo delle concentrazioni 75 °/, di iodio. Esse non presentano, durante la cristallizzazione, arresti di temperatura, ma solo dei rallentamenti nella velocità di raffreddamento più o meno evi- denti ma concordanti sufficientemente per le stesse concentrazioni a parità di condizioni sperimentali. Le sovrafusioni si verificano raramente; le miscele ricche in AsIz pre- sentano il più delle volte tale fenomeno, a cui si rimedia facilmente colla semina di cristallini. La tabella 4* contiene riassunti i risultati delle mie esperienze e la fig. 1 rappresenta coi punti segnati sul triangolo Asl: — SbI — I le con- centrazioni sperimentate. (1) Chem. News 46 (1882) 194. (2) Chem. News 48 (1883) 97. (*) Zeitschr. phys. Chemie 30 (1899) 385. — 7389 — Per dare un'idea chiara delle superficie di cristallizzazione primaria, in esso sono tracciate le isoterme che a questa si riferiscono, ricavate dai dati ottenuti. Il campo risulta così evidentemente diviso dalle tre linee di minimo che dai punti eutectici E ed E, dei sistemi AsI;4-I e SbIz+I, e dal punto di minimo M, del sistema Sb I: + AsIz, vanno alla concentrazione di minimo ternaria M corrispondente a circa 85°, 1,6 Sb e 9 As, in tre aree Fre. l. di concentrazioni a cui corrispondono tre diverse superficie di cristallizzazione primaria. Nell'area E,-I1-E-M-E, si ha la cristallizzazione primaria dell’ iodio, durante la quale la concentrazione della massa fusa si sposta nella dire- zione delle rette che partendo dal vertice I passano per i punti corrispon- denti alle concentrazioni iniziali, finchè non abbia raggiunto una concen- trazione limite espressa dai punti d'incontro di tali rette colle linee di mi- nimo E, M ed E M in cui incomincia la cristallizzazione secondaria delle soluzioni solide AsI; + SbI; che prosegue fino a completa eliminazione della fase liquida. — 790 — Nell'area M, - AsI13:-E-M-M, la cristallizzazione s' inizia col depositarsi delle soluzioni solide AsTt3 + SbI; aventi concentrazioni in AsI, più forti di quelle delle masse fuse con cui stanno in equilibrio; al contrario, nell’area M,-M-E,-SbI,-M, cristallizzano quelle più ricche in SbI; e lungo le linee di minimo M, M si depositano le soluzioni solide aventi concentrazioni iden- tiche a quelle delle fasi liquide corrispondenti. La superficie di cristallizzazione secondaria, che, come appare dall'esame delle tabelle, è sufficientemente determinata, non fu rappresentata nella figura per non diminuirne la chiarezza, ma si costruisce facilmente. Va notato che per quanto riguarda il campo AsI;-E-M-E,-SbI; essa è un pò più bassa di quanto prevede la teoria per il caso di perfetto equilibrio tra fase solida e fase liquida durante la cristallizzazione. Ciò verosimilmente dipende dalla mancanza, in questo caso, di tale equi- librio perfetto durante il processo che, come con facilità si può dimostrare teoricamente, causa tale abbassamento della cristallizzazione secondaria spo- stando anormalmente la concentrazione della fase liquida. Tutte queste miscele non presentano alcun puuto di trasformazione o smistamento, fino a temperatura ordinaria. Il loro colore è giallo aranciato, tanto più bruno quanto maggiore è la quantità di iodio in esse contenuto; sono fragili, all'aria pèrdono superficialmente l’iodio non combinato, e poi sì ossidano, specialmente in presenza dell’ umidità. Da quanto precede si conclude: 1°) I pretesi pentaioduri d'arsenico e d'antimonio di Sloan e Pendleton sono, al contrario, miscele di iodio coi rispettivi trioduri. 2°) L' AsI; e l SbIz formano fra loro una serie ininterrotta di cri- stalli misti, con un minimo a circa 30 °/ di SbI;. 3°) La presenza dell'iodio non disturba la solubilità allo stato solido, di questi due triloduri. 4°) La superficie di cristallizzazione delle soluzioni solide a concen- trazione in SbI,, superiore a quelle della massa fusa con cui sono in equi- librio, è molto più estesa dell'altra. — 791. — TABELLA I. Sistema AsI + I. Composizione percentuale Temperatura Temperatura Durata Numero enzo dell’arresto dell’arresto AS I lizzazione eutectico eutectico (1) Il 0—- 100 — 11495 —_ = 2 = do 113 — 70°.5 32” 3 d— 98— 110. 5 (al 73 4 do — 95 — 104. 5 Til. 5 128 o) 10 — 90 — 89. 5 elio 186 6 12 — 88— 82 — 72 — (3)? 7 14— 86 — 76. 5 71.5 (2)? 8 16°66 89.4 86. 5 71.5 266 9 18— 82 — 94. 5 72 — 208 10 20 — 80 — 102 — 71.5 166 11 22 — 18 — 115 — 71.5 140 12 293. 5 76.9 123 — Ud = 89 13 25 — 79 — 135. 5 = _ TABELLA II. Sistema SbI3 + I. Composizione percentuale Temperatura Temperatura Durata Numero SOTTO dell’arresto dell’arresto Sb I lizzazione eutectico eutectico (1) 1 0— 100 — 114°.5 — —_ 2 2- 98 — 109 — TOO 48” 3 do — 95 — 102. 5 80 — 149 4 10— 90 88 — 80 — 380 5) 13 — 87— 89. 5 80— (2)? 6 15 — do 94. 5 79. 5 402 7 16.66 83.84 106 — 80 — 339 8 19— 81 — WE E 80 — 258 9 22 — (8i= 137 — 80 — 170 10 25 — 70 — 165 — —_ — (1) Le durate degli arresti eutectici sono sempre riferite ad una massa di 20 grammi. (*) A queste concentrazioni è impossibile distinguere nettamente la durata della cristallizzazione eutectica da quella della cristallizzazione totale, poichè l’inizio e la fine della cristallizzazione sono troppo vicini. Dalle durate totali si deduce però in modo sicuro che il massimo dell’arresto deve corrispondere alla concentrazione di circa 15 As. DNTOI TABELLA III. Sistema pseudobinario Sbl3 + AsT,. Concentrazioni atomiche per cento Inizio Fine SaR erZanA Numero della della à Gli As | Sb I cristallizzazione | cristallizzazione SA 1 0 25 — 0 165° — _ 2 2.5 22. © (ie 15% — 150° 7- 3 d — 20 — 76 — 147. 5 140 — To O 4 o 17. 5 To — 143 — 136 — T7- 5) 10 — 15 — 15 — 141 — 134 — 7 6 IO N5 1 © 0 — 140 — 133 — T—- 7 15 — 10 — O — 135 — 130 — 6 - 8 16.25 8.75 To — 132 — 128 — 6— 9 17.5 To 5 TO — 130 — 128 — 4 10 13.75 6.25 TO — 181— 128 — 2- 11 20 — d — TO -— 132 — 129 — d— 12 22. 9 2. © 75 — 133. 5 130 — 3. 5 13 29 — 0 75 — 1395. 5 — — TaBeLLA IV. Miscele ternarie. Percentuali atomiche Cristallizzazione Numero As | Sb | I primaria secondaria SEZIONE I. 1 5 — 20 — 79 -— 147°.5 140° 2 4.5 18- UO 133 — 78 6) 3. 9 14 —- 82. 5 105 — 74 4 3 — 12 — 89 — 89 — 73 Ò 2. 5 10— 87. 5 80 74 6 d2—- 8— 90 -— 89. 5 74 TI 1. 5 6— 92. 5 96. 5 74 SEZIONE II. 8 10 15 — To — 141° 134° 9 9 13. 5 77. 5 129 — 73 10 7 10. 5 2000 100 — 71 1l 6 Q—- 85 — 81 — 69 12 5) 7. 5 87. 5 79. 5 70 13 4 6— 90 — 88. 5 71 14 3 4. 5 92. 5 96 — 70 15 2 d— 95 — 103 — 71 SEZIONE III. 16 12. 5 J205 lO — 140° 133° 17 11.25 11.25 77. 5 124 — 68 18 10— 10 — 80 — 109. 5 67 19 8.75 8.75 82. 5 95 — 68 20 7. 5 7. 5 85 1 67 21 6.75 6.79 86. 5 70 — 68 22 bu 5— 90 — 88— 68 23 3.75 3.75 92. 5 95 — 68 24 2. 5 PIO 95 — 103 — 69 25 1.25 1.25 97. 5 108 — 70 — 793 — Segue: TaBELLA IV. ee —-«EÉZÉ É— — € EXE E E E'Aì[|_E I RE! }!À»;r et E'ee’e---eeee-=* Percentuali atomiche Cristallizzazione Numero As | Sb | I primaria | secondaria SEZIONE IV. 26 15— 10 — 15 — 138° 132° 27 13, 5 9— Into 121. 5 68 28 10. 5 T- 82 5 90 — 67 29 9 6— 85 — 68. 5 66 30 8— d. © 86 © 70. 5 66 31 6 — 4 90 — 88. 5 67 32 4, 9 d—- 92105 95. 5 66 33 3 2 95 103. 5 67 SEZIONE V. 84 Io © 7. 9 15 — 130° 128° 89 15.75 6.75 10.5 116 — 69 36 14 — 6= 80 — 102 — 68 3 12.25 9.25 82. 5 87 — 69 38 10, 5 4. 5 89. — 69 — 67 39 8. 5 4 86. 5 1 68 40 T- 3— 90 — 88 — 69 41 5.29 2.25 OZ 95. 5 69 SEZIONE VI. 42 20 dD— 5 — 131° 128° 43 13 4. 9 71.5 117 69 44 16 4— 80 — 102 — 67 45 14 DINO 82. 5 87 — 69 46 2 38 — 85 — 69 — 67 47 10 2005 87. 5 79 — 68 48 8 2—- 90 — 88 — 69 49 4 1- 95 — 103 — 69 SEZIONE VII. 50 22. © 205 TO — 132025) 130° 51 20.25 2.25 To INICAS 70 52 Jsp d— 80— 103 — 69 58 17.75 1.75 82. 5 88. 5 70 54 18 9 1.50 o) — 70 — 70 55 11.25 1.25 o TO 5 68 56 9Q—- 1- 90 — 88. 5 70 57 6.75 0.75 92. 5 96 — 70 58 2.25 025 STO) 109 — A RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 104 — 794 — Chimica.— Sulla costituzione di un bromonitroazossibenzolo (*). Nota di Bruno VALORI, presentata dal Socio A. ANGELI. Le presenti ricerche, che ho eseguite per invito del prof. Angeli, hanno avuto per scopo di verificare una supposizione fatta nel precedente lavoro (*) e perciò anche di portare una nuova conferma alla regola ivi formulata e che riguarda la struttura dei prodotti di sostituzione, che si ottengono dagli azossicomposti aromatici. Come si è veduto, facendo reagire l'acido nitrico sull’ @-parabromoazossi- benzolo : Br:CH,.N=N.C.H; | 0 si perviene facilmente ad un mononitroderivato che fonde a 99°, e confor- memente a quanto risulta dalle precedenti ricerche, era da aspettarsi che il gruppo nitrico fosse entrato nello stesso residuo aromatico già sostituito dal bromo; e siccome nei casi finora studiati, le posizioni preferite sono le para e le orto rispetto all’azogruppo, ed essendo la prima già occupata dal- l’alogeno, ne consegue che la formula più probabile per il nuovo derivato doveva essere la seguente: I ONO, ATA Br S Da ca Che il residuo nitrico si trovi in posizione orto rispetto all'azogruppo, ho potuto dimostrarlo in due modi: 1° Bromurando l'a-ortonitroazossibenzolo di Zinin: NO, O e < ga CH; ho ottenuto l'identico prodotto che fonde a 99°. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio chimico farmaceutico del R. Istituto di Studî Superiori di Firenze. (3) Questi Rendiconti, vol. XXI (1912), 1° sem., pag. 155. — 795 — 9° Riducendo il composto primitivo, sono pervenuto al bromofenilaz- nitrosobenzolo: Br. (07 H,(Nz 0) . (07 H; e successivamente al bromofenilazimidobenzolo: Br. CyH,(Ns). Cs Hs - Queste reazioni sono caratteristiche, come è noto, per i nitroazossicom- posti aromatici orto-sostituiti, ma mon permettono ancora di stabilire in quale dei due anelli aromatici sia entrato il residuo nitrico. Per risolvere questa seconda parte del problema, sono ricorso alla tras- posizione di Wallach; riscaldando infatti il bromonitrocomposto primitivo con acido solforico concentrato, sono pervenuto facilmente all'ossiazoderivato isomero; e che esso si sia realmente formato in seguito a migrazione del- l'atomo di ossigeno secondo lo schema: NO; NO, Br. TRE di: Br. >.N-N.0,H.-(0H) O) risulta provato dal fatto che mi è stato possibile ottenere l’identico composto, facendo reagire il cloruro di o-nitro-p-bromofenildiazonio sopra il fenolo ordinario : NO» NO, SATIN Li cs Br.{_—>N:01+0H:(0H) =B ___)N=N-GH.(08) + HOI. L'esperienza ha quindi pienamente confermato quanto la teoria aveva fatto prevedere. PARTE SPERIMENTALE. 1. Bromurazione dell’ortonitroazossibenzolo di Zinin. — Gu. 1.5 del composto ed 1 di bromo, in presenza di limatura di ferro, vengono tenuti a 120°, in tubo chiuso, per un'ora e mezzo. Si lava il derivato con acqua e bisolfito sodico, e, ripreso con alcool, si bolle con nero animale. Il prodotto cristallizza poi da etere di petrolio, a basso punto di ebullizione, in lunghi aghi gialli, che fondono a 99°. Gr. 0,0621 di sostanza dettero cc. 7 di N a 13° e 744 mm. — 796 — In 100 parti: Trovato Calcolato per Cs Hi N 0; Br. N 13.17 13.05 Questa sostanza, anche per l'identità di tutte le sue proprietà fisiche, è identica col prodotto già noto, ottenuto per azione dell’acido nitrico sul parabromoazossibenzolo. 2. Riduzione del bromonitroazossibenzolo, p°. fe. 99°, con solfidrato di ammonio. — A gr. 4 del prodotto, disciolti in alcool a caldo, ho aggiunto 20 ce. di solfidrato di ammonio, ogni cc. del quale corrispondeva a 0,056 di idrogeno solforato. Ho bollito a ricadere, per circa mezz'ora, il liquido, il cui colore è passato subito dal giallo chiaro al rosso intenso. Da esso, filtrato a caldo per separarne lo zolfo, si separa, per raffreddamento, una mescolanza cristallina di due composti, in gran parte costituita da un pro- dotto che, purificato con ripetute cristallizzazioni da alcool, si presenta in prismetti gialli, che fondono a 145°. Gr. 0,1548 del prodotto dettero cc. 18.8 di N a 9° e 758 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,: Hz N 0 Br. N 14.57 14.49 L'altro composto che, essendo assai solubile in alcool, si è avuto spe- cialmente concentrando molto le primitive acque madri alcooliche, non è possibile separarlo completamente, usando gli abituali solventi, dal prodotto che fonde a 145° (bromofenilaznitrosobenzolo). Ho approfittato allora del fatto che quest'ultimo, sottoposto in soluzione eterea a corrente di acido cloridrico gassoso, non fornisce il suo cloridrato, mentre invece, nelle stesse condizioni, lo dà il primo prodotto. La sua soluzione eterea, saturata con acido clori- drico secco, dette una polvere cristallina rosso-cinabro che, lavata con etere e ripresa con acqua e carbonato sodico, fornì il prodotto. Cristallizzato da alcool, si presenta in prismetti rossi, molto solubili in alcool, benzolo, poco in ligroina a basso punto di ebullizione, che fondono a 114°. Lo scarsissimo rendimento non mi ha consentito uno studio completo di questo composto, alla cui formula competono probabilmente due idrogeni in più che non al bromofenilaznitrosobenzolo. Gr. 0,1530 del prodotto dettero cc. 18.6 di N a 12° e 755 mm. In 100 parti: ‘l'rovato Calcolato per C.: Hio N30 Br. N 14,47 14.39 — 797 — Un'altra determinazione di N ha confermato il resultato già ottenuto. Gr. 0,1271 di sostanza dettero ce. 15.7 di N a 14° e 750 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Ci. Hio N30 Br. N 14.50 14.39 3. Riduzione del bromofenilaznitrosobenzolo a bromofenilazimidoben- zolo. — Una certa quantità del prodotto è stata bollita a ricadere per mez- z'ora con acido cloridrico e stagno. Il liquido, Ga prima colorato in giallo, diviene a poco a poco quasi incoloro. Il prodotto, dopo che si è lavato con acqua, disciolto in alcool e trattato con nero animale, cristallizza in aghetti bianchissimi, molto solubili in alcool a caldo e pochissimo a freddo, che fondono a 115°. Gr. 0,1342 di sostanza dettero cc. 17 di N a 14°.5 e 767 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,: Hs N; Br. N 15.18 15.98 A tale prodotto si perviene anche impiegando un riducente meno ener- gico. Infatti, una piccola quantità di bromofenilaznitrosobenzolo, disciolta in alcool e bollita per un’ora con poche gocce di soluzione concentrata di po- tassa, dà un prodotto che, sciolto in alcool e bollito con nero animale, cri- stallizza in aghetti bianchi che fondono pure a 115°. Gr. 0,1450 di sostanza dettero cc. 19.1 di N a 16° e 750 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C;:Hs N; Br. N 15.95 15.88 La mescolanza dei due prodotti così ottenuti fonde alla stessa tempe- ratura: essi sono perciò identici. 4. Trasposizione di Wallach: azione dell'acido solforico sopra il bromonitroazossibenzolo, p°. f°. 99° (bromonitroossiazobenzolo). Disciolti gr. 0.5 del prodotto in cc. 3.2 di acido solforico concentrato, viene scaldata a bagnomaria, per un'ora, la soluzione il cui colore passa ad un rosso sempre più intenso. Versato allora in acqua, il prodotto che si separa viene raccolto su filtro a pompa e lavato ancora con molta acqua. Seccato. e sciolto quindi il composto in benzolo e bollito con nero animale, — 793 — cristallizzano piccoli aghi rossi di bromonitroossiazobenzolo, che fondono a 176°. Gr. 0,1603 di sostanza dettero ce. 17.5 a 13° e 769 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,» Hg N30; Br. N 13.19 13.05 o. Sintesi del bromonitroossiazobenzolo dalla bromonitroanilina. — Sciolti a caldo in acido acetico gr. 2.16 di (2) nitro-(4)bromoanilina (ottenuta per azione del bromo sull’ortonitroanilina), vengono trattati con acido clo- ridrico fumante. Raffreddo la soluzione, tenendola in ghiaccio ed aggiungo, goccia a goccia, una soluzione concentratissima di gr. 0,7 di nitrito sodico, tenendo ancora a 0° per un quarto d'ora. Versato il liquido in una soluzione di 1 gr. di fenolo in acido acetico ed acqua, tenuta anch'essa a 0°, aggiungo dopo dieci minuti acetato sodico in eccesso. Dopo qualche tempo venne raccolto il derivato che, lavato con molta acqua, cristallizzai da benzolo. Piccoli cristalli rossi che fondono a 176°. Gr. 0,1558 di sostanza dettero ce. 17.3 di N a 13° e 755 mm. In 100 parti: Trovato Calcolato per Cs Ha N; 0, Br. N 13.17 13.05 Il composto, mescolato con quello ottenuto per azione dell'acido solforico ‘ sul bromonitroazossibenzolo, fonde ancora alla stessa temperatura: i due prodotti sono quindi identici. Chimica. — solfoantimoniti ramosi ('). Nota di N. Par- RAVANO e P. DE CESARIS, presentata dal Socio E. PATERNÒ. In un lavoro comunicato precedentemente a questa Accademia (?) ab- biamo descritto il diagramma di fusione del sistema Sb, S3 - Sn$, ed abbiamo accennato alle ricerche da noi eseguite sul sistema Sb,S:- Ags»S le quali, come quelle recentemente rese note da Jaeger, confermano i risultati già ottenuti da Pélabon. Descriviamo in questa Nota il diagramma di stato del sistema Sb» S; - Cu, S. In natura esistono la calcostibite, Cu,S.Sb,S; e lo stilotipo il cui costituente principale è l'ortosolfoantimonito ramoso 3CusS. Sh, S; (*). Ram- (*) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico della R. Università di Roma. (2) Questi Rend. V [5] 27 1° sem. 585. (3) Groth-Chemi. Kryst.-Zweiter Teil, pag. 760 (1908). — 799 — melsberg (*) ha preparato due composti 3Cu,S. Sh. e 60u,S. Sb,S;, e Sommerland (*) ne ha ottenuti tre: Cu,S.Sb,Ss, Cu,S.2Shb,S; , 8Cu,S. Sho Ss. Pélabon (*) ha studiato il comportamento termico di alcune miscele di Cu,S e Sb:S;. Egli ha trovato che il punto di fusione di Sh,S viene ab- bassato dall’aggiunta di Cu,$S, finchè un miscuglio con l'11 °/, di Cu»S so- lidifica eutetticamente a 498°. Sui miscugli con quantità maggiori di Cu,S Pélabon non dice altro che essi presentano facilmente fenomeni di soprafusione nel solidificare, e la : F È 18 ò che il miscuglio di composizione Sb» Sa. 9 Cu,sS ha una sola temperatura di solidificazione a 570°. Per le esperienze abbiamo adoperato prodotti puri di Kahlbaum. Il sol- furo ramoso conteneva un po’ più di zolfo di quel che corrisponde alla for- mola Cu,S: questo zolfo in eccesso lo abbiamo eliminato fondendo il solfuro e mantenendolo fuso per una mezz'ora in corrente di azoto. Il solfuro di antimonio conteneva 71.29°/, di Sh e fondeva a 545°. Il solfuro ramoso dopo fusione conteneva 79.3 di Cu e fondeva a 1115°. Friedrich (4), che ha determinato le temperature di fusione dei miscugli di Cu e S nelle vicinanze immediate di Cu,S, ha trovato per un solfuro con 79,8 di Cu 1122° come punto di fusione. Le esperienze sono state fatte in atmosfera di azoto. La composizione dei miscugli da 100 a 50°/ di Cus$ è stata stabilita con l’analisi. Dei miscugli con meno del 50°/, di Cu»S, ì quali fondono a temperature relativamente basse, si è fatta l’analisi solo di alcuni, perchè si è trovato che le composizioni stabilite analiticamente per essì non differi- scono mai più di 0,4-0,5°/ da quelle che si calcolano dalle quantità dei solfuri fuse assieme. La separazione dell’antimonio dal rame è stata fatta secondo Plato (5) attaccando il miscuglio dei solfuri con H,SO, cone. e distillando l’antimonio in corrente di acido eloridico e anidride carbonica. Il rame è stato dosato elettroliticamente, e l’antimonio è stato stabilito per differenza. Questo metodo di separazione dell’antimonio per distillazione è comodo e dà buoni risultati, come abbiamo potuto stabilire con esperienze di con- trollo; solo la distillazione deve durare più a lungo di quel che dice l’autore. I dati analitici riportati sono la media di almeno due analisi con- cordanti. (1) Pogg. Ann. 52 226. (2) Zeit. Anorg. Ch. /8 429 (1898). (3) C. R. 1/40 1389 (1905). (4) Metall. 5 50 (1908). (6) Zeit. Anorg. Ch. 68 26 (1910). — 300 — Nella tabella che segue sono riassunti i risultati delle esperienze. ri nn S Stabilita Hina » 2. | analicamente | Calcolata solidificazione I | II HI I | II | II e CA 2 89,06 i 989 558°] — 23: 607| — 22 3 83,52 — 923 572 —_ _ 120 — — 4 74,98 — 810 980 = = 180 = = 5) 66,42 —_ 714 590 = — 255 = — 6 - 60,00 Z loi = (She ee 7 58,62 —_ 610 —_ (= = 300 = — 8 97,76 = 610 = = = 9 56,84 = 610 — = 10 99,71 — 610 — _ —_ — — — 1l 54,60 = 610 — 9990 = = 0A 12 52,63 —_ 602 _ 989 — — 60 —_ 13 50,27 —_ 992 —_ 992 — _ 60 — 14 47,06 = 580 — 582 - — 105 = 15 41,90 —_ 564 — 930 — — 180 = 16 _ 36,66 952 — 540 —_ = 390 = 17 — 33,99 548 — 542 = —_ 420 —_ 18 32,10 = 542 — 549 = — 450 — 19 — 28,00 940 — = 450° — = 45” 20 —_ 25,00 540 _ —_ 460 — — 90 21 — 21,00 532 — = 468 —_ = 120 22 — 16,66 515 — — 478 — == 180 28 _ 11,00 — — —_ 490 — = 255 24 — 8,99 200 = = 490 _ — 225 25 _ 3,98 528 — — 474 — —_ 115) 26 Sb, Ss 545 Notevoli difficoltà ha presentato lo studio del comportamento dei mi- scugli tra il 60 e il 50°/, di Cu, S. Se questi miscugli si lasciano raffreddare indisturbati, essi presentano forti sopraraffreddamenti, quali li aveva già notati Pélabon. Se però si agita la massa solidificantesi, e si ha cura di se- minare cristallini di un miscuglio della stessa composizione, si può evitare ogni sopraraffreddamento, e i risultati delle esperienze si possono allora utilizzare senz'altro per la costruzione del diagramma di fusione. Con i risultati della tabella è stato costruito il diagramma di stato riprodotto nella fig. 1. — 801 — Come si vede, dalle masse fuse si originano due composti: uno è me- tasolfoantimonito ramoso Cu, S.Sb,Sz = 2CuSb Ss; con 32,11°/, di CusS, e l'altro è ortosolfoantimonito ramoso 3Cu,S. Sb, S3 = 2Cuz Sb Sz con 58,66 °/, di Cu,S, l'uno corrispondente alla calcostibite e l'altro al costituente prin- cipale dello stilotipo. La composizione del primo composto risulta senz'altro chiara dal dia- gramma. Difficile invece è stato lo stabilire la composizione dell’altro: questo è notevolmente dissociato nelle masse fuse; perciò la sua curva di fusione 3045 Saf è pianeggiante, e un vero massimo di temperatura non si può stabilire in essa. Sospettando che ad esso potesse spettare una formola diversa da quella dell’ortosolfoantimonito, ad es. 29h» S3 . 5Cus S con 54,18°/, di Cu» $, abbiamo eseguito un’altra serie di esperienze con miscugli di composizione tra il 60 e il 50°/, di Cu,S: dei miscugli di questa nuova serie la curva di raffred- damento è stata determinata due volte notando le temperature di 10” in 10”, e la composizione è stata stabilita analiticamente. Le nuove esperienze hanno però confermato che qui esiste un solo composto, e questo è l'ortosolfoanti- monito, perchè nel miscuglio con 54.6°/, di Cus S abbiamo trovato ancora arresto eutettico a 540°. Pélabon afferma che un miscuglio di composizione 3Cu,S.SbsSs pre- senta due arresti, uno a 607° e un altro a 570°. Noi pure abbiamo trovato lo stesso; però agitando e seminando cristallini di miscuglio la curva di raf- freddamento assume un aspetto del tutto diverso con un solo tratto orizzon- tale a 610° circa. Gli arresti eutettici si manifestano a temperature tanto più basse quanto più i miscugli sono lontani dalle composizioni degli eutettici : evidentemente RenpiIconTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 105 — 802 — questo è dovuto alla cattiva conducibilità termica delle masse fuse. Renomani simili ha osservati Jaeger (') nel sistema PS - Sh, S3. I risultati dell'analisi termica sono stati confortati con lo studio, mi- erografico. ;8 Riportiamo qui una serie di microfotografie. Il materiale è di. layora- zione molto difficile: per i miscugli nelle vicinanze immediate della. compo- sizione dell’ortosolfoantimonito ci è stato impossibile preparare superficie riproducibili. Le figure 2 e 3 rappresentano la struttura dei miscugli che nina © da 100 a 58°/, di Cu»S. L'attacco è stato fatto con soluzione di iodio in ioduro di potassio: il solfuro ramoso vi comparisce in nero. Le figure 4, 5 e 6 rappresentano la struttura dei miscugli che contengono da 58 a 32°, di Cu, S. L'attacco è stato fatto con soluzione diluita di cianuro di potassio: ‘il metasolfoantimonito è il costituente chiaro. La fig. 7 riproduce la strut- tura dei miscugli fra il 32 e l'11°/, di Cu.S. L'attacco è stato fatto con potassa caustica diluita; il metasolfoantimonito è il costituente chiaro. Chimica-fisica. — vcerche sui seleniti asimmetrici. Sui pro- dotti di addizione della piperidina cogli acidi selenioso e solfo- roso. Nota II di L. MaRINO e A. TONINELLI, presentata dal Socio h. NASINI. Chimica-fisica — Solubilità allo stato solido tra solfati e carbonati ad. alta temperatura. Nota di Mario AMADORI, pre- sentata dal Socio G. CIAMICIAN. Chimica. — Analisi termiche di miscele binarie di cloruri di elementi monovalenti. Nota IV di C. SANDONNINI e G. SCARPA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Chimica agricola. — Azione del fosfato monocalcico netla conservazione dei foraggi verdi. Nota di G. Sani, presentata dal Socio G. K6RNER. Sì Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. (2) Proceed. Kon. Acad. v. Wet. Amsterdam (1911) 510. RENDICONTI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI (CI. d. sc. fis. ecc.) Vol. XXI, 1° sem, 1942. Cus S 89.06 °/o X 70 CusS 66.42 9/0 x 70 Fia. 2. FIe. 3. Cus S 50.7 °/o X 70 CuaS 49.90 °/o X 70 Fic. 4. Fic. 5. Cus S 32.10 9/0 Xx 70 Cna $ 16.66 °/, x 70 Fic. 6. Fic. 7. — 803 — Petrografia. — Sulla natura delle masse pirosseniche in rela- sione con i giacimenti ferriferi di Rio e Capo Calamita. Nota del - dott. ALESSANDRO MARTELLI, presentata dal Socio CARLO DE STEFANI. I metasilicati che nella parte orientale dell'Elba si trovano in connes- sione con i giacimenti ferriferi, presentandosi come formazioni di contatto fra le masse del minerale coltivato e le rocce sedimentarie, presso la Torre di Rio e a Capo Calamita mostrano con maggiore evidenza che altrove la loro sostituzione al calcare. Compresi in ragguardevoli masse di pirosseno fibroso-raggiato con epidoto, ilvaite e raro granato, si hanno infatti nume- rosi banchi di calcari risparmiati dalle azioni metamorfiche da cui detti silicati sono evidentemente derivati, mantenendo la disposizione stratigrafica dei calcari circostanti e degli stessi strati che rappresentano chiaramente Ì residui della formazione calcarea che i silicati hanno sostituita in seguito a quei processi di estrazione magmatica e di azioni di agenti mineralizzatori, a cui gli autori moderni, e in particolare il Ceyszkowski ('), il Lotti (*) e il De Launay (*), hanno riferito l'origine dei giacimenti ferriferi elbani e maremmani, e delle formazioni di contatto. Questi metasilicati di Rio e di Calamita vennero riconosciuti come pirosseni dalla maggioranza degli autori, specialmente in base alle analogie di caratteri e di giacitura con quelli della prospicente maremma campigliese studiati e analizzati dal Vom Rath (4), ma può dirsi che all'infuori della sommaria descrizione fattane da A. D'Achiardi (5) non si ebbero mai sicuri controlli all'affermata corrispondenza dei metasilicati dell'Elba con quelli di Campiglia. Non sembra infatti che tutti i geologi mineralisti che li hanno citati prima del D'Achiardi sì siano trovati concordi nel riferimento al pi- rosseno invece che all’anfibolo, e così alle giuste citazioni come pirosseno (1) Czyszkowski S., La région ferrifère de l'ile d’Elbe, Alais 1882. (®) Lotti B., Descriz. geol. dell'Isola d'Elba. Mem. descritt. della carta geol. d'Italia, 1886. — Descriz. geol. e miner. dei dintorni di Massa Marittima. Ibid., 1893. — Die Hisenrzlagerstàtten und die Feldspatheruptivgestein der Insel Elba, Leitschr. fir prakt. Geologie, 1895. — Sui giacimenti ferriferi dell'Isola d'Elba, Rass. miner. XI, n. 10, 1899. — / depositi dei minerali metalliferi, Torino, 1903. — Geologia della Toscana, Mem. descritt. della Carta geol. d'Italia. vol. XIII, 1910. (8) De Launay L., Contribution è Vétude des gites metallijères, Aun. des min., XII, 1897. — La Metallogénie de l’Italie et des regions avoisinantes. Not. sur la Tosc. mim. et l’ile d'Elbe, Paris 1906. (4) Rath vom G. Die Berge von Campiglia, Zeitschr. der geol. Gesell. Berlin 1868. (5) D'Achiardi A., Mineralogia della Toscana, vol. II, Pisa 18573. — 804 — fatte nei lavori di Rippel (!), Pilla (®), Burat (8), Des Cloizeaux (4), vom Rath (*) e Cocchi (5) si contrappongono quelle come anfibolo di Savi (2) Hoffmann (*), Krantz (°), Studer (2°) e Meneghini (11); e nei primi verte una ulteriore divergenza sulla natura augitica piuttosto che diopsidica del pirosseno. I lavori del Lotti e quello più recente e già citato del De Launay, per ricordare i più importanti, hanno messo bene in evidenza la posizione di questi pirosseni nei giacimenti ferriferi dell'Elba e quindi nulla potrebbesi dire di nuovo o di meglio a questo riguardo. Per stabilire le corrispondenze nella composizione del pirosseno di Torre di Rio con quello di Campiglia, ho creduto opportuno di farne un'analisi chimica, e ciò anche per indagarne le possibili differenze col pirosseno fibroso- raggiato di Calamita, il quale con la sua tinta più chiara e con l'aspetto asbestoide presenta pure i segni di una più intensa alterazione se non pure di una diversa composizione, malgrado che tutte e due le masse pirosseniche di Rio e di Calamita vengano considerate come prodotti dipendenti da uno stesso metamorfismo, presentandosi come salbanda dei giacimenti ferriferi a contatto con i calcari. I pirosseni di Torre di Rio vennero già dal Des Cloizeaux riferiti ad Edembergite per i lunghi cristalli bacillari troncati all’estremità libera parallelamente alla base, a seconda cioè di un piano di sfaldatura che in tale specie si associa spesso alla più facile sfaldatura secondo (110), e per i caratteri delle sezioni sottili confrontabili con quelli del Diopside. A con- ferma di questo riferimento il D’Achiardi aggiunse qualche altra osserva- zione cristallografica, notando la prevalenza delle facce (100) e (010) sulle prismatiche (110), di cui misurò l'angolo in 87°5' malgrado le difficoltà opposte dall'opacità delle facce e il velo di idrossido di ferro esteso pure sulle faccette terminali. Hintze (*°) finalmente, riferendosi soprattutto alle indicazioni del vom Rath, cita, per Torre di Rio degli ammassi filonari di (*) Riippel E., Jahrb. fir Min. Geol. und Paliont., II, pag. 38, 1825. (*) Pilla L., Breve cenno sulle ricchezze minerali della Toscana, Pisa, 1845. (*) Burat A., Z'héorie des giîtes metalliferes, Paris 1845. (*) Des Cloizeaux A., Manuel de Minéralogie, Paris 1862. (5) Rath vom G., Die Insel Elba, Zeitsch. der deutsch. geolog. Gesellschaft, XXII, 1870. (9) Cocchi I.. Descriz. geolog. dell'Elba, Mem. Comit. geol. d’Italia, I, 1871. (*) Savi P., Costituz. geolog. dell’isola d'Elba, Nuovo giorn. dei lett. XXVII, 18383. (*) Hoffmann F., Geogn. Beobact. gesammelt, Arch. fir Min. Geogn., vol. XIII, 1889. (°) Krantz A., Geogn. Beschr. der Insel Elba, Karsten?s Arch., vol. XV, 2, 1840. (5°) Studer B., Sur la constit. géol. de l’île d'Elbe, Bull. Soc. géol. de France, XII, 1841. (5) Meneghini G., Del ferro oligisto nei giacimenti ofiolitici, Pisa 1860. (°°) Hintze C., Handbuch der Mineralogie. Bd. IT. Silicate und Titanate, pag. 1069, Leipzig, 1897. — 805 — augite verde-raggiata simile a quella di Campiglia, e analoghe masse di augite, in aggregati parte raggiati parte sferoidici, a Capo Calamita, pure associata ad ilvaite. Il menzionato pirosseno verde bruno di Rio, ha struttura raggiata, frat- tura scagliosa, lucentezza submetallica nelle facce di sfaldatura. una durezza intermedia fra l’apatite e l’ortose e un peso specifico di 3.36. In sezione sottile al microscopio appare generalmente incolore o giallo- gnolo chiaro con graduali plaghe tendenti al verde pallido; e dove questa tinta spicca maggiormente, ivi è pure avvertibile un debole pleocroismo, dal verdognolo al verde pallido giallastro, come quello del diopside. Talora, fra le fenditure del pirosseno verdognolo, risaltano piccole masserelle di epidoto e di prodotti limonitici e calcitici di decomposizione, e altre limitate ma ben distinte di pirosseno uralizzato. La trasformazione in uralite non avviene però soltanto lungo qualche fenditura, ma interessa pure piccole e irregolari plaghe fibrose del pirosseno, con graduali passaggi messi in evidenza da sfumature pleocroiche. Il pleocroismo di questa uralite è molto intenso e va dal verde bluastro al giallo verdastro pallido. La massa pirossenica in esame dà per c:c valori compresi 42°-50°, a misura che la proporzione del ferro aumenta, e in minuti frammenti isolati dalla roccia presenta un indice medio di ri- frazione che arriva fino a rasentare 1.72, l'indice cioè del Joduro di bario e di mercurio, e che risulta così intermedio fra quello del diopside e del- l’edembergite e poco diverso da quello dell'augite. Il raro e rifrangente epidoto addensato in qualche esile fenditura, da incolore a verde pisello e con vivaci tinte verdi e rosse di polarizzazione, trovasi di preferenza presso le fibre uralitizzate, ma non comparisce come la calcite e la limonite a riempire anche le discontinuità fra ì varî fasci radiali di fibre pirosseniche. Dopo di avere scelto accuratamente degli aghetti di pirosseno, liberi da impurità di altri minerali e da prodotti di decomposizione, e di averlì sotto- posti ad analisi chimica ho avuto i seguenti risultati, che si approssimano assai, e talora fino quasi a corrispondersi, a quelli ottenuti dal vom Rath per l'analogo pirosseno verde scuro di Campiglia: Rapporti molecolari Perdita per arroventamento 0.56 — O 0.8840 Sio® 1.2 16 ee AT, 0.0032 TOA lt 0.0139 MS LEI IO PM 0.3376 | 7 PAIR Roig: 10” Miizizo 0.1069 9 0, tp ata) 0.1979(0-6991=R"O1 4 OLO E ONORE 0.0527 1 101.25 806 — Si tratta dunque di un composto con quantità minime dei sesquiossidi che entrano nella molecola dell'augite, mentre — a parte il lieve eccesso di silice dovuto ad incipiente alterazione — dimostra evidente la formula tipica dei metasilicati 2R"Si?0° del gruppo del diopside, come fanno rico- noscere le quantità proporzionali arrotondate dei singoli rapporti molecolari segnate nell'ultima colonna e che possono modificarsi in 14:7:2:4:1, tenendo conto che il tenore in silice è necessariamente elevato non solo per l'iniziata alterazione del minerale, ma anche per combinarsi con la piccola parte dell’allumina e dell'ossido ferrico ritrovata nella costituzione di questo pirosseno, che pure ha delle non trascurabili concomitanze fisiche con quelli della serie dell’augite. E così ancor più manifesta risulterebbe l'appartenenza di questo pi- rosseno ad una prevalente miscela di tipica edembergite ferri-calcica con edembergite ferri-mangavesifera e magnesifera, trascurando l'intervento se- condario del mal definibile termine augitico, e cioè: 4[FeCaSi?05] e 3[(Mn Mn Mg) FeSi?0°]. Quest'ultima formula vale anch'essa a mettere in evidenza la natura edembergitica-schefferitica del pirosseno verde scuro di Torre di Rio, che per il suo contenuto in manganese potrebbe senz'altro distinguersi come edembergite manganesifera, tenendo presente che lo stesso Groth (') dà questa denominazione anche ai pirosseni calcico-ferrici mescolati isomor- ficamente con Mn Si0? e Mg Si0® in quantità minore. In origine, la pirossenite di Capo Calamita poteva essere anch’essa un'edembergite con sole tracce di manganese, ma oggi mostra un'alterazione tanto pregredita che abbondanti ne conseguono i prodotti calcitici, limonitici e perfino serpentinosi; inoltrato soprattutto vi si presenta però il processo di uralitizzazione, tanto che i caratteri fisici di queste masse sericee e fibrose, che per l'aspetto esterno potrebbero scambiarsi per vere actinoliti 0 stra4/stezn, vengono notevolmente a differenziarsi dall'edembergite manganesifera di Rio, nella quale con la maggiore freschezza sta pure in rapporto una limitata ed appena incipiente uralitizzazione. Il peso specifico è 3.33 e le tinte variano dal giallo grigio verdastro al grigio verde più o meno intenso, a seconda dei sali metallici che, per decomposizione delle piriti e calcopiriti associate alle ganghe del minerale coltivato, inquinano con maggiore o minore abbon- danza i fasci radiali del pirosseno in parola. In sezione sottile. gran parte del pirosseno originariamente incoloro o (*) Groth P., Zabellarische Uebersicht der Mineralien nach ihren krystall. chemaisch. Beziehungen, 1898 i È i rd DE ni — 1807 — leguermente verdognolo presenta in larghe plaghe un forte pleocroismo simile a quello dell'orneblenda, con a verde giallastro pallido 6 verde c verde bluastro e con c:c= 10° circa, senza però dimostrare molto evidente la sfaldatura anfibolica. Ove rimangono ancora inalterati i residui del pirosseno monoclino si nota il netto contrasto fra le direzioni di estinzione dei due minerali nelle sezioni parallele a (010) e la diversità fra le tinte di polarizzazione dell’ura- lite e del pirosseno, per lo più analoghe queste ultime a quelle giallo-bluastri e giallo-brunastre dei termini diopsidicì e augitici meno ricchi di ferro. Natu- ralmente, anche l’indice medio di rifrazione del minerale uralitizzato con- segue valori minori a quelli del pirosseno di Rio e precisamente, secondo confronti con liquido di Thoulet di determinata concentrazione a mezzo di Tatol-refrattometro, > 1.638 e < 1.650. Esaminando più campioni si osserva il graduale passaggio a forme sempre più alterate, così che questa formazione di contatto di Capo Calamita deve considerarsi in gran parte come una paramorfosi di anfibolo sul pirosseno, risultante in origine di miscele diopsidiche prevalenti sulle augitiche, a giu- dicare almeno dai caratteri fisici. A causa della grande alterazione, per la quale oltre ai minerali secon- darî più sopra citati si ritrovano pure fra le discontinuità delle fibre anche plaghette calcedoniose e quarzitiche, non può aversi altro che in modo appros- simativo una conferma chimica aì risultati dell'esame ottico. Per avere un concetto più esatto sulla costituzione del pirosseno di Calamita ho analizzato il minerale polverizzato dopo trattamento con acido cloridrico molto diluito per eliminare i carbonati (calcite, magnesite, azzurrite, malachite, siderite) e gran parte della limonite, che in piccole macchiette inquina il minerale, ma nulla ho potuto fare per eliminare la silice, già constatata libera fra le fibre del pirosseno. L'elevato tenore in silice risul- tante dall'analisi è un'ulteriore prova dell’ intensa alterazione subìta dal mine- rale in esame, mentre il pirosseno di Rio assai più fresco e cristallino a differenza di quello di Calamita ha dato luogo, con acido cloridrico molto diluito, a scarsissime soluzioni di sali di calcio, ferro, magnesio e rame, così che dalle percentuali ottenute è stato possibile di ricavare delle formule di costituzione abbastanza vicine a quelle di una tipica edembergite mangane- sifera; e ciò in corrispondenza con i risultati ottenuti dal vom Rath per l’analogo minerale di Campiglia, che non sembra fosse stato liberato dalle impurità prima del trattamento analitico. Per i campioni di Calamita, la perdita per arroventamento della polvere non trattata con acido cloridrico diluito varia fra 2.6 e 3.2 °/,, mentre, come — 308 — apparisce dai dati delle analisi, è di quasi quattro quinti minore nella polvere bene essiccata dopo il trattamento accennato. Il campione più chiaro, bianco grigio, di Capo Calamita da me ana- lizzato, ha offerto i seguenti dati: Perdita per arroventamento . . . 0.58 Sia cano SA i rai 02 AO? (ile i palco eeaa0 Betta ness icona ate 80 Fe0.si acari eb sie 00 Cao: «asili eee ciro 0 Mo0 cima i A viene tea 100.98 Un altro campione della stessa località, ma raccolto in una zona dove il materiale sembra conseguire una tinta grigio-verdastra anche indipendente dai sali di rame che ne inquinano la massa in modo palese, venne analiz- zato dallo studente sig. G. Barafani sotto la mia sorveglianza, e i risultati ottenuti sono i seguenti: Perdita per arroventamento . . . 0.64 SO”. cel RSI ic O AED O Hez0?.s i I 00 RO RARE CAT BE e LETI Mn: e o trace (CE (GA CI e DOO Med. de ne 101.70 Da questi dati si rileva che i campioni di Calamita, per quanto alterati fino a dimostrare un'eccessiva abbondanza di silice libera le cui basi si sarebbero in parte eliminate come carbonati nel trattamento con acido diluito, accusano un'originaria composizione molto vicina a quella del pirosseno di Rio, ma con sostituzione di allumina, ferro e magnesio al manganese. Pur non potendosi ricavare le necessarie formule per stabilire con suffi- ciente approssimazione le diverse molecole di tipici pirosseni entranti in miscela, rimane tuttavia accertato, anche in linea subordinata, l'intervento di termini augitici poco ferriferi in questi pirosseni uralitizzati di Capo Calamita, dovuti peraltro a prevalenti termini del gruppo del diopside di tipo edembergitico e non schefferitico, perchè anche in origine sarebbero stati privi, o quasi, di manganese. Miano — Entomologia agraria. — Alcune osservazioni morfologiche e biologiche intorno alla Forda formicaria Heyden (0). Nota di Dina LomBaRpI, presentata dal Socio B. Grassi. Nell'anno 1910 fu avvertita in località Cervara, a circa sette chilometri da Roma, un'infezione prodotta da un afide, la quale portava qualche danno alle coltivazioni del grano e dell'avena. L'anno seguente io ho poi, per con- siglio del prof. Grassi, intrapreso alcune ricerche in proposito nel Laboratorio di Anatomia Comparata. To avevo attribuito quest'afide alla specie Morda formicaria Beyd.; ho in seguito potuto confermare questa diagnosi confron- tando l'atide suddetto con un esemplare di orda formicaria gentilmente inviatomi da Horwath. E trattandosi di specie pochissimo nota, giacchè di essa si conoscevano solo la attera virginipara (descritta da Kaltenbach, Koch, Buckton) e la ninfa (nominata, ma non descritta dal Del Guercio) su gra- minacce spontanee e coltivate, credo non inutile esporre brevemente i resultati del mio studio. La Forda formicaria diviene adulta sotto quattro forme definitive: attera virginipara, alata, sessupara, ninfale virginipara, sessuale (maschio e femmina). Per divenire adulta sotto una qualsiasi di queste forme, essa compie, come gli altri afidi, quattro mute, e passa perciò attraverso a quattro stadî larvali. Caratteri distintivi della attera virginipara adulta sono i seguenti: corpo ovato-globoso oppure piriforme, verde smeraldo nelle generazioni invernali, anche giallastro nelle primaverili; zampe, antenne, ultimi due tergiti e ster- niti di color nocciuola chiaro, fronte e processo terminale delle antenne brunastri. Dimensioni massime: lunghezza circa 3 mm., larghezza mm. 2,14. Tutto il corpo è rivestito di peli; questi sono a punta dal lato ventrale, tranne che per l’ultimo sternite dove sono misti a punta e a clava; dal lato dorsale sono a punta sul torace e sui primi 4-5 tergiti, a clava sui restanti, tranne che sull'ultimo dove sono a punta. Nelle antenne il primo e il secondo articolo sono eguali in lunghezza, il terzo è circa tre volte il secondo, il quarto è un poco più lungo del secondo ed è sempre o uguale o più corto del quinto. Vi è un rinario primario subcircolare sul quarto articolo, uno primario molto grande ed allungato sul quinto dove sono anche 3-4 rinarî accessorî. Il femore porta alcuni sensilli placoidei: il pretarso presenta due (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia Comparata della R. Università di Roma. Per esso ringrazio la signorina dott. Anna Foà, aiuto all’ Istituto predetto, la quale mi ha indirizzato nelle mie ricerche. RenpICONTI. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. 106 — 810 — peli tipici che sono a punta e più corti delle unghie. La piastra genitale ha il suo diametro trasverso maggiore dell’antero-posteriore ed è uniforme - mente coperta di peli. La vagina non presenta gonapofisi; Il suo margine posteriore presenta due ciuffi di peli caratteristici. Il penultimo sternite fa ernia alla sua parte mediana dove forma una specie di borsa, la quale nasconde ordinariamente la vagina aperta fra il penultimo e l'ultimo sternite. Per gli stadî larvali della serie attera che ho determinato seguendone lo sviluppo in capsula di Petri, i caratteri sono i seguenti : Neonata. Ovata: lunghezza massima sopra al millimetro, larghezza circa mezzo millimetro. Tutti i peli del dorso sono, in generale, a clava, tranne che sulla piastra anale. Il rinario del quarto articolo è ovale; mancano i sensilli placoidei del femore; il pretarso ha due peli foggiati a paletta all'apice, più lunghi delle unghie; la piastra genitale ha il diametro trasverso maggiore dell’antero-posteriore ed i peli sono inseriti su di essa a semiluna. 2° stadio. Appaiono diversi caratteri che si conservano poi sino alla forma definitiva. Sono i seguenti: peli del dorso sul torace e sui primi tergiti a punta; rinario del quarto articolo antennale subcircolare; uno o due sen- silli sul femore; peli del pretarso corti e a punta; piastra genitale così larga che lunga ed uniformemente coperta di peli. Cominciano a vedersi nell’ad- dome gli embrioni in via di sviluppo. 3° stadio. Come il precedente. eccetto che per le maggiori proporzioni e il più avanzato sviluppo degli embrioni. 4° stadio o premadre. Si distingue dal precedente per l’apparizione deì due ciuffi di peli caratteristici in corrispondenza alla regione dove poi sì aprirà la vagina. Si differenzia poi dallo stadio successivo per la mancanza di apertura genitale e perchè il penultimo sternite non è sviluppato a borsa. Alata. Lunghezza massima mm. 3,5; larghezza mm. 1,67. Capo, torace e zampe neri; addome verde o bruno, con striscie nere su ogni tergite e macchie nere in corrispondenza agli stigmi. Peli su tutto il corpo, simili per forma e disposizione a quelli della madre attera ma più corti. Nelle antenne il terzo articolo è fino a quattro volte il secondo; il quarto articolo è sempre o uguale o più lungo del quinto. Il terzo articolo ha 24-34 rinarî secondarî (così denominati da Tullgren) ellittici, fra cui sono sparsi alcuni pure secondarî. ma piccolissimi e rotondi; alla parte prossimale.dell’articolo sono anche 2-5 rinarî accessorî. Il quarto articolo ha 2-4 rinarî secondarî ellittici in serie longitudinale e uno grandissimo all'estremo distale, variabile per forma; il quinto ha rinarî primarî ed accessorî come nell'attera. Nelle ali anteriori la nervatura cubitale e la seconda media si dipartono da uno stesso punto della radiale. La neonata della serie alata non differisce da quella della serie attera; il secondo stadio si distingue per la presenza di macchie di pigmento rosso — 8s11 — visibile presso i tre ommatidî larvali. La prezizfa ha occhi composti di un considerevole numero di faccette, e due pieghe laterali del tegumento, dove in seguito si formeranno gli astucci delle ali. La x/2/a ha torace bruno, addome verde o bruno; si distingue specialmente per le teche alari, per due occhi composti e tre ocelli oltre gli ommatidî larvali; infine per i peli più corti, le zampe e le antenne più tozze che nella serie attera. La ninfale è in tutto simile alla attera virginipara, da cui si distingue per la presenza di parecchi altri piccoli ommatidî accanto ai tre che costi- tuiscono gli occhi larvali. I sessuali sono le forme più piccole. Caratteri distintivi sono i seguenti : Femmina. Lunghezza massima 1 mm. circa per mezzo millimetro di larghezza. Color giallo o verde. Rostro mancante come in tutti i sessuali delle Penfigine. Pochi e cortissimi peli visibili solo con i più forti ingran- dimenti. Le antenne hanno cinque articoli, di cui il primo e il secondo hanno uguale lunghezza, il 3° e il 4° sono i più corti e subeguali fra loro, il quinto è il più lungo di tutti. Sul quarto articolo vi è un rinario permanente un po' allungato, uno permanente pure allungato e 3-5 accessorî sul quinto. Gli occhi sono a tre faccette, rossi. Arti tozzi col femore lungo quanto la tibia. Maschio. Lunghezza massima wu. 700. Verde intenso con arti e antenne biancastre. Peli come nella femmina. Antenne di cinque articoli; il primo, il secondo e il quarto sono subeguali, il terzo è il più corto, il quinto è il più lungo di tutti. Occhi e zampe come nella femmina. Il pene, a maturità, sporge all'estremo posteriore del corpo. L'infezione fu da me avvertita sulla avena coltivata e sul frumento già alla fine d’ottobre. quando le piante erano ancora affatto tenere e non avevano che la sola radice primaria. Contemporaneamente trovai anche delle colonie stabilite su piante del genere Poa; a quest'epoca erano già presenti madri attere e larve di tutti gli stadî. Il parassita è sempre attaccato in corri- spondenza al colletto, mentre non l'ho mai veduto sulle parti aeree della pianta; è frequentemente associato con altri afidi come la Tetraneura ulmi, il Pemphigus lactucarius, la Pentaphis (Tychea) trivialis. Alla generazione di ottobre seguirono altre tre generazioni attere nei mesi di novembre, dicembre, gennaio e febbraio. Durante tutto l'inverno non ebbi a notare alcun fenomeno d’ ibernamento, perchè anche nelle epoche più fredde l’atide seguitava a prosperare e a riprodursi. La /orda formicaria, come ho detto, compie quattro mute per divenire adulta; fra la nascita e la prima muta intercorre un periodo di quindici giorni circa; le susseguenti mute si compiono ad intervalli abbastanza regolari di sette giorni ciascuno. Durante la stagione fredda, però, i periodi suddetti possono allungarsi un poco. Subito dopo la quarta muta la madre incomincia a partorire i figli; questi vengono alla luce in numero di 2 o 3 per volta ad intervalli di tre o quattro — 812 — giorni. Il numero massimo di figli che ho visti deporre da una sola madre è stato di quindici durante una ventina di giorni. Alla fine di febbraio comparvero le prime preninfe: nella serie alata le mute si succedono ad intervalli maggiori che nella serie attera; in generale occorre una diecina di giorni per passare dallo stadio di preninfa a quello di ninfa, e dodici per passare da ninfa ad alata. Le prime alate comparvero il 25 marzo; esse si trovano sempre o al colletto della pianta, oppure a piccola distanza nei cunicoli scavati dalle formiche fra le radici; non mal però le ho vedute attaccate alla pianta. Anche in capsula le ninfe quando sono prossime a mutare si staccano e vanno per lo più a deporre la loro spoglia a qualche distanza; le alate non succhiano mai, e pur senza nutrirsi, possono vivere fino ad undici o dodici giorni. Le alate generano soli sessuali; le alate virginipare non ho vedute in questa specie. A differenza della attera virginipara, l’alata partorisce i figli tutti in un giorno, dopo di che muore. Le prime alate che comparvero diedero in grandissima prevalenza femmine e vidi anche alate esclusivamente feminipare. In seguito invece predominavano i maschi; il numero massimo di figli deposti da una stessa alata fu di quattordici, e cioè sette maschi e sette femmine. Contemporaneamente all'alata comparvero le madri ninfali, le quali deposero sempre ed esclusivamente neonate di virginipara. Gli intervalli fra le mute nelle serie ninfali sono pressochè uguali come nella serie alata e perciò più lunghi che nella serie attera. L'alata partorisce i figli sulle piante stesse; ciò deduco non solo dal fatto di aver trovato ripetutamente sull'avena alate in atto di deporre i figli, ma anche per aver trovato a più riprese dei sessuali fra le guaine delle foglie, i quali mostravano di essere nati da poco, perchè vicino si trovava la madre morta e con l'addome vuoto. In un caso trovai una pianta infetta fra le cui radici aveva stabilito il suo nido una colonia di formiche del gen. C7rema- stogaster (specie?). Divelta la pianta vidi che le formiche si affrettavano a mettere in salvo numerosi sessuali maschi e femmine. Questo caso mi fa pensare che talora i sessuali possano trovar ricovero nei formicai, quando però questi si trovano in immediata vicinanza delle piante infette. Ciò mi porta a dire qualche cosa intorno ai rapporti di questo afide con le formiche. Quando la Forda formicaria compare in autunno sulle graminacee sì tro- vano già con essa fra le radici numerosi individui appartenenti a specie dei gen. Tetramorium, Cremastogaster e Myrmica. Durante l'inverno non si vedono formiche; ma verso la fine di febbraio, al comparire delle prime pre- ninfe, le formiche si mostrano di nuovo. Esse scavano brevi gallerie fra le radici della pianta infetta, per mezzo delle quali gallerie esse possono visitare in ogni sua parte la colonia, allo scopo di suggere il miellato. In questi cunicoli le ninfe vanno a fare la loro muta, così che le alate, da poco formate, si trovano a qualche distanza dal colletto. Queste gallerie servono anche agli afidi per spostarsi e approfondarsi fra le radici durante le epoche di maggiore — 815 — siccità. Le formiche contribuiscono anche alla diffusione dell'infezione, perchè, quando una pianta è sradicata, esse raccolgono questi afidi e li trasportano in piante indenni. Invece non trasportano mai gli afidi atteri e alati nei formicai; possono però stabilire il loro nido fra le radici di una pianta già precedentemente infetta. Quest'afide è infestato grandemente da un micelio, che per ora non ho potuto identificare con precisione, e che lo uccide in gran copia. Nell’estate non ho trovato la Forda formicaria neppure sulle graminacee spontanee; € l'infezione sembra interrompersi nel giugno per riprendere nell'autunno susseguente, probabilmente con lo schiudersi dell’uovo durevole. La presente specie non figurava più nel prospetto sistematico degli Afidi di Mordwilko (1909) perchè questo entomologo russo aveva creduto di iden- tificare la Forda formicaria con la Pentaphis (Tychea) trivialis, Pass. (5 Ho avuto agio di trovare a qualche distanza dal focolaio suddetto alcune colonie assai fiorenti di P. /rdvialis e quantunque questa specie e la Forda formicaria presentino un notevole parallelismo di forme non si devono iden- tificare. Ecco in riassunto le principali differenze che risultano ad un esame delle due specie: 1° la P. trivialis è giallo-arancio con pochissimi peli e molto corti, così da essere visibili solo con i più forti ingrandimenti ; la 7. formicaria ha peli fitti e abbastanza lunghi; 9° la madre della P. (rivialis è di forma emisferica e l'addome è così rigonfiato che gli ultimi tergiti vengono spinti alla parte ventrale, insieme con la piastra genitale; la /. formicaria è ovale, la piastra geni- tale apparisce terminale; 3° in tutti gli stadî della P. trevialis a partire dal secondo il rinario permanente del quinto articolo è così piccolo quanto quello del quarto ed è subcircolare; nella 7. formicaria il rinario del quinto è molto più grande dell'altro ed è allungato; 4° nella P. trivialis la piastra anale eguaglia o supera in lunghezza la piastra genitale; nella /. formicaria la piastra anale è sempre conside- revolmente più piccola che la genitale ; 5° le madri della P. trivialis sono molto più feconde di quelle della F. formicaria; in una ventina di giorni il numero dei figli nati dalla prima fu di cinquanta, di quindici per la seconda; (') Il gen. Pentaphis fu istituito dall’Horwath con le specie P. marginata e P. trivialis tolte rispettivamente dai generi Morda (istituito da Heyden nel 1837) e Tychea (da Koch nel 1854). Più tardi Del Guercio (1900) ha attribuito al gen. Pertaphis anche la specie Forda formicaria unica superstite del gen. Forda; ed infatti anche a me sembra, in base pure alla conoscenza dell’alata, che non vi siano caratteri sufficienti a tener distinti i due seneri Forda e Pentaphis. In tal caso però il nome generico Pentaphis dovrebbe essere sostituito dall'altro Zorda come più antico. — 814 — 6° nella Y. formicaria vi sono soltanto alate sessupare; nella P. fr vialis vì sono così alate virginipare che alate sessupare. Le prime depongono figli atteri che si distinguono dalle neonate ordinarie per le antenne di quattro articoli e l'addome di soli otto tergiti, mentre nelle neonate da madre attera, le antenne hanno cinque articoli e l'addome è di nove tergiti. Sono forme piccole quanto i sessuali, ma da questi si distinguono facilmente per la presenza di un corto rostro. A questo proposito devo aggiungere che Del Guercio ha veduto nella 2. frivialis neonate con antenne di quattro articoli; ma egli le descrive come neonate ordinarie e sembra non abbia avvertito la loro provenienza da alate virginipare. Per le esposte differenze la 7orda formicaria ha diritto a realmente sussistere come specie indipendente dalla 2. trivialis. PERSONALE ACCADEMICO Nella sua adunanza generale del 1° giugno 1912, l'Accademia procedette alla elezione del Presidente e del Vicepresidente. Lo spoglio dei voti dette il risultato seguente: Per l'elezione del Presidente: Votanti 68. — BLASERNA ebbe voti 55; LuzzattI 3. — Schede bianche 10. — Eletto PreTRO BLASERNA (seconda conferma). Per l'elezione del Vicepresidente: Votanti 66. — D’Ovipio F. ebbe voti 59. — Guipi 5. — Schede bianche 2. — Eletto FRANCESco D'OvIpIo (seconda conferma). L'Accademia approvò inoltre la Relazione della Commissione sindacatrice del bilancio accademico 1911, letta dal Socio STRINGHER, relatore, a nome anche dei Socî Dini e VoLTERRA. E. M. — 815 — INDICE DEL VOLUME XXI, SERIE 5°. — RENDICONTI 1912 — 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A ABRAHAM. «Sulla teoria della gravitazio- ne». 27. — Sulla. legge elementare della gravita- zione ». 94. — Sulla conservazione dell’energia e della materia del campo gravitazionale ». 404; 432. AGAMENNONE. « Sulla velocità di propaga- zione del terremoto Laziale del 10 aprile 1911 ». 201. — «Sul violento terremoto a Zante nel pomeriggio del 24 gennaio 1912 ». 277. — «Il terremoto del 24 gennaio 1912 nelle Isole Jonie, e sua velocità di pro- pagazione n. 560; 646. AGENO. « Sulla ripartizione della soda fra acido borico e acido carbonico ». 41; 121. — e Vatta. «Idrolisi di sali dei metalli bi- e trivalenti ». 41. V. Masini. ALESSANDRI.. « Il diacetilfurazano n. 659. AmaporI. « Sulla capacità degli alogenuri sodici di dare soluzioni solide ad alta temperatura ». 467. — « Sul comportamento reciproco dei sol- fati, cromati, molibdati e wolframati alcalini a bassa e ad alta tempera- tura n. 360; 667. AmapoRrI. « Solubilità allo stato solido tra solfati e carbonati ad alta tempera- tura n. 802. V. Pellini. Amapuzzi. « Masse luminose del Righi in scariche ottenute con differenza di po- tenziale alternativa». 40. Amoroso. « Contributo alla teoria matema- tica della dinamica economica ». 181; 259; 341. — « Sopra un'estensione del teorema di Riesz-Fisher». 640; 744. ANGELI. « Interessante decomposizione di alcune ossime ». 83. — «Ancora sopra la reazione Angeli-Ri- mini ». 622. — e VatorI. « Nuovi studî sopra gli azossi- composti ». 155. — — Nuove ricerche sopra gli azossi- composti aromatici». 729. AnsaLpo. V. Rolla. ARMELLINI. « Determinazione matematica dello schiacciamento polare di Giove ». 334. ArzeLÀ. Annuncio della sua morte. 526. AureGGI. V. Sandonnini. B BaBInI. V. Ravenna. BaLBIaNO. « Sulla reazione Angeli-Rimini delle aldeidi ». 389. — 816 — BARBIERI. « Contributo alla conoscenza del- l'analogia tra il rame e l'argento ». 560. BascaierI. V. Masini. BasiLe. « L’Anaplasma canis in Italia ». 2318 — «Sulla Leishmaniosi e sul suo modo di trasmissione n. 304. Bassani e Misuri. « Sopra un delfinorinco del calcare miocenico di Lecce (Zi- phiodelphis Abeli Dal Piaz)». 325. BERNARDINI. « Sulla composizione chimica dell'embrione del riso ». 213; 283. — e Moreni. « Sull’ ufficio fisiologico del magnesio nella pianta verde n. 213; 357. Bertoni. V. Colacicchi. BiancHi. « Sul gruppo automorfo delle forme ternarie quadratiche suscettibili di rappresentare lo zero n. 305. — «Sulle superficie minime cerchiate di Riemann ». 315; 873. — « Sopra certi sistemi di superficie pseu- dosferiche collegati ai sistemi di Wein- garten ». 609. BLAsERNA (Presidente). Comunica un in- vito della Società Reale di Londra. 284. — forma la Classe che l'Accademia si fece rappresentare ai funerali di lord Lister.368; comunica i ringraziamenti della Società Reale di Londra. 526. — Presenta una raccolta degli scritti del Socio straniero prof. Lieben. 526. — Presenta un’opera del prof. Aorr, e ne discorre. 71. — È confermato Presidente dell’Acca- demia. 814. — «Commemorazione del Socio nazionale prof. Antonio Pacinotti ». 514. Bompiani. « Sopra una trasformazione clas- sica di Sophus Lie ». 640; 697. Borzì e CataLano. « Ricerche sulla mor- fologia e sull’accrescimento dello sti- pite delle palme ». 14; 73. Bresciani. V. Masini. Bruni. È approvata la stampa della sua Memoria: « Ricerche teoriche e speri- mentali sulle soluzioni solide n. 61. Bruscai. «Su la formazione del glicogeno nella cellula di lievito ». 54. BruscHi. « Attività enzimatiche di alcuni funghi parassiti di frutti ». 225; 298. C Caeni. Ringrazia l'Accademia per le con- gratulazioni inviategli. 68. CaLcaeni. « Solfati anidri ». 483; 773. CaLzoLarI. « Composti di sali alcalini e alcalino-terrosi con basi organiche ». 563. Campi. « Equilibri fra composti organo- metallici ». 773. CataLano. V. Borzì. Cramician. Riferisce sulla Memoria Bruns. 61. — e Siuser. « Azioni chimiche della luce ». 547; 619. Cisorti. « Sopra l’efflusso a stramazzo ». 97. — «Sull'intumescenza del pelo libero nei canali a fondo accidentato ». 588. — «Sulle onde superficiali dovute a par- ticolare conformazione del fondo». 640; 704. — «Onde brevi causate da accidentalità periodiche del fondo ». 708; 760. CoLaciccHi. « Azione delle aldeidi sui corpi pirrolici. Scomposizione pirogenica dei derivati del dipirrilmetano n. 363;410. — « Sintesi del Fillopirrolo n. 489. —. « Sopra una nuova trasposizione piro- genica nel gruppo del pirrolo, e sulla relativa stabilità al calore dei deri- vati isomeri n. 657. — e Bertoni. « Azione delle aldeidi sui corpi pirrolici ». 600. — — «Azione degli alcoolati sodici sugli eteri carbopirrolici ». 653. CoLonneTtI. « Sul principio di recipro- cità». 346; 393. Compagno. « Separazione e determinazione quantitativa dell'antimonio nei metalli bianchi da cuscinetti». 473. Corsino «Sulla misura del calore speci- fico dei metalli a temperature elevate ». 181. — «Le costanti termiche del tungsteno ad alta temperatura ». 188. — Sul calore specifico del tungsteno a temperature elevate ». 346. — 817 — D DaLton Hooker. Annuncio della sua morte. 68. De Crsaris. V. Parravano. DeL Re. «Le equazioni generali per la statica e la dinamica dei sistemi ma- teriali ad n dimensioni ed a cnrva- tura costante, nell'analisi di Grass- mann». 709. Divizia. V. Paolini. Di Franco. «Gli inclusi nella lava etnea di Rocca S. Paolo presso Paternò ». 652. D’Ovipio F. E confermato Vicepresidente dell’Accademia. 814. Donati. « Di alcune particolarità embrio- logiche in Poinsettia pulcherrima R. Gr. n. 367; 512. DO) FisenHART. «Sopra le deformazioni conti- nue delle superficie reali applicabili sul paraboloide a parametro puramente immaginario », 458. EnRIQUES. « Sulle superficie algebriche con un fascio di curve ellittiche ». i4. — «Sopra una involuzione non razionale dello spazio n. 81. EREDIA. « Andamento diurno della tempe- ratura a Tripoli». 652; 5 Evans. « Sull’equazione integro-differen- ziale di tipo parabolico n. 760. F FAnTÒLI. «Commemorazione del Socio stra- niero Maurizio Lévy n. 517. Foà. Fa omaggio degli Atti del 1° Con- gresso internazionale dei patologi, e ne parla. 369; di un volume contenente i lavori dell’Istituto di Anatomia pa- tologica di Torino. 727. FonTANA. « Variazione nello spettro della Nova (18 . 1912) Geminorum 2 ». 713 ; 765. Fusini. «Sulle equazioni integrali di terza specie, di Émile Picard ». 325. RenpIcoNTI, 1912, Vol. XXI, 1° Sem. G GarBasso. «I conduttori a più periodi e la loro possibile applicazione nella pratica della telegrafia senza filo ». 174; 244, GroreI. « Sulla commutabilità del segno lim. col segno integrale, nei campi finiti». 569; 628. — «Sulla teoria delle equazioni integrali generalizzate n. 717; 748. Gopeaux. «Sur les transformations des surfaces algébriques laissant invariant un système continu de courbes n. 398. Grassi. « Nuovi contributi allo sviluppo dei murenoidi». 696. GueLieLMO. « Sul valore delle componenti la forza elettromotrice delle coppie voltaiche costanti n. 102. — «Sul valore delle componenti la forza elettromotrice delle coppie voltaiche costanti, e sulla teoria della pila ». 194. — « Sulla misura statica dell'attrito interno dei gaz ». 265. — «Sull’indipendenza della formula di Laplace per la capillarità, dalla legge con cui varia la densità nello strato superficiale dei liquidi ». 352. — «Intorno ad un modo di osservare quando due stelle hanno la stessa altezza e lo stesso azimut ». 404. H Horn. « La sincronizzazione elettrica ordi- naria, usata intermittentemente per sub- ordinare un pendolo oscillante secondo il tempo medio, ad uno oscillante se- condo il tempo siderale ». 179. I IsseL. « Dove si sviluppano le Globige- rine?». 503. L La Rosa. « Ricerche spettrali sull’arco fra carboni a piccola pressione n. 560; 640. 107 — 818 — Laura. « Sopra le vibrazioni normali di un corpo elastico immerso in un fluido ». 708; 754. LauriceLLA. «Sulla distribuzione della massa nell'interno dei pianeti». 18. — «Sulla chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali e dei nuclei delle equazioni integrali ». 618; 675. i — «Sulla risoluzione delle equazioni in- tegro-differenziali dell’equilibrio dei corpi elastici isotropi per dati sposta- menti in superficie ». 26; 165. Levi. « Sulle condizioni sufficienti per il minimo nel calcolo delle variazioni. (Gli integrali sotto forma parame- trica)». 30. Levi-CrvitA. Riferisce sulla Memoria Fossa- Mancini. 231. — «Sulle onde di canale». 3. Levy. Sua Commemorazione. 517. LomBarpI. « Alcune osservazioni morfolo- giche e biologiche intorno alla Forda formicaria Heyden ». 726; 809. Lovisaro. « Anfiboli di Monte Plebi presso Terranova Pausania (Sardegna)». 54; 109. Luciani. Fa omaggio di una sua pubbli- cazione, e ne parla. 232. Lumia. « Siderazione o Biocoltura? ». 60; 140. M MabppbALENA. « Osservazioni chimico-mine- ralogiche su alcuni berilli elbani ». 597; 633. MARINO e TonINELLI. « Ricerche sui sele- niti asimmetrici. Sui prodotti di addi- zione della piperidina cogli acidi se- lenioso e solforoso ». 726; 802. MartELLI. «Sulla natura delle masse pi- rosseniche in relazione con i giaci- menti ferriferi di Rio e Capo Cala- mita ». 803. MASCARELLI e ToscHI. « Ricerche intorno a sostanze aromatiche contenenti iodio plurivalente ». 145. MrLLosevicÒ E. (Segretario). Comunica un invito dell’Accademia di scienze na- turali di Filadelfia. 234. — Presenta le pubblicazioni dei Sucî: Ber- lese. 71, 368; Canavari. 231; Fantoli. 526; Greenhill, Issel. 231; Lorenzoni. 605; Lustig. 71, 526; Naccari. 526; Parona. 231; Pascal. 71, 526; Pin- cherle.71; Pirotta. 368; Silvestri. 71, 231,526; Z'uramelli. 71,231, 526,605; Venturi. 231. — e dei signori: An- gelitti.231; De Filippi. 526; De Toni. 71, 368; Massini. 23; Meli. 368, 605; Prym e Rost. 368; Rosen. 71; Sal- vadori. 368; Verschaffel. 605. MirLosevica E. (Segretario). Fa partico- lare menzione delle pubblicazioni della Soc. geogr. finlandese e della R. Acc. delle scienze di Vienna. 71; della So: cietà sismologica italiana e dell'Osser- yatorio di Santiago. 231; dei due pri- mi volumi delle Opere di Eulero. 368. — Offre una pubblicazione del prof. Zre- dia dandone notizia. 370. — Comunica gli elenchi dei lavori presen- tati per concorrere al premio Reale per la Chimica e alla Fondazione Sax- toro, pel 1911. 68; id. dei lavori pre- sentati ai concorsi al premî del Mini stero della P.I. per le Scienze fisiche e chimiche, del 1911. 232. — Presenta, per esame, una Memoria del prof. Oddone. 126. MiLLosevica F. « Zeunerite ed altri mi- verali dell’isola di Montecristo ». 594. Misuri. V. Bassani. MoLinarI. «Sul vantaggio che presenta un'estensione delle funzioni di Green ». 102; 174. MonTEMARTINI. « Ricerche anatomo-fisio- logiche sopra le vie acquifere delle piante ». 225; 295. MorELLI. V. Bernardini. MoseLLI. V. Paternò. N Nasini. Fa parte della Commissione esa- minatrice della Memoria Bruni. 61. — «Per la storia della spettrochimica ». 553; 685. — e Ageno. «Sulla presenza dell’uranio in rocce italiane. Graniti dell’isola di Montecristo e tufo radioattivo di Fiuggi». 689. — 819 — Nasini e BascnierI. « Analisi di una mo- libdenite di Calabria». 692. — e Bresciani. « La materia allo stato di sovraffusione, e discontinuità in alcune sue proprietà fisiche col variare della temperatura ». 155. — e Pornezza. « Ricerche sulla radioat- tività delle acque sorgive del Monte Amiata, ed esperienze sulla dispersione atmosferica della regione». 316. 0 Oppoxe. Invia, per esame, la sua Memoria avente per titolo: « Sui periodi sferoi- dali proprî di una sfera terrestre ecc. ». 726. OLIvarI. « Sul peso molecolare del selenio in soluzione ». 656; 713. OLiveri-MaNnpALÀ. « Azione dell’acido sol- forico sopra l’acenaftene ». 726; 779. OrLanpo. «Sull’integrabilità delle funzioni di due variabili n. 330. — «Sopra un teorema relativo agl’insiemi». 402. — «Sopra una questione tecnica che si connette cogli integrali di Lebesgue ». 438. OstRogoviIca. « Azione dell'acido tioacetico sulla cianguanidina. (Sintesi della metil-imino-tio-triazina). 2153. P Pacinotti. Sua Commemorazione. 514. PanneLLI.« Sopra alcune questioni risguar- danti due fasci di curve dati in una superficie algebrica ». 181; 246. PaoLini e Divizia. « Sopra gli alcooli tan- acetilici isomeri ». 570. Parravano. «Il sistema ternario argento- stagno-piombo n. 575. — e De Crsaris. « Il sistema Sb, S Sn Sn. 499; 535. — — «I solfoantimoniti ramosi ». 726; 798. ParerNnÒ e MaseLLI. « Fotosintesi di un alcaloide dall’acetofenone e dall'ammo- niaca ». 155; 235. Pavarino. « Batteriosi dell’Aster chinen- sîs L.: Bacillus Asteracearum n. sp. >. 514; 544. Prano. « Sulla definizione di probabilità ». 429. PeLLINI. « La supposta complessità del tellurio n. 124; 218. — e Amapori. « Sulla esistenza di com- plessi tra sostanze puriniche e il su- licilato sodico n. 124; 290. PeNnTINALLI e QueRrcIA. « Azione dell’adre- nalina, della paraganglina e della ipo- fissina sul rene ». 423. Petri. « Formazione e significato fisiolu- gico dei cordoni endocellulari nelle viti affette da arricciamento ». 423; 505. Prrorta. Presenta due pubblicazioni del prof. Longo, e ne discorre. gle Piurti A. « Lo spettro di assorbimento della santonina bianca e gialla ». 174. PLANCHER e ZAMBONINI. « Sulla sintesi del tetrametilpirrolo n. 593. PLataAnIa. « Misure della temperatura della lava fluente dell’ Etna n. 499. PoLLacor. « Sull’ Abrus precatorius L. ». 420. PorLezza. V. Nasini. Possenti. « Sul rinvenimento della ma- schera in cera di Federico Cesi». 368; 4923. PraroLonco. « Sulle soluzioni citrofosfa- tiche ». 363. Puxeppu. « Sulla costituzione del diisoeu- genolo ». 42. — «Isomeria negli eteri del diisoeuge- nolo ». 124. Q QuartaRoLI. « Sulle soluzioni citrofosfa- tiche ». 130; 478. Quercia. V. Pentinalli. QuercieH. « Sugli ossisolfuri di antimo- nio ». 218; 415. — «Sulla ideptità della sinchisite con la parisite n. 535; 581. — «Il sistema ternario Sb+As+I». 673; 786. R Ravenna e Basini. « Sulla presenza del- l'acido cianidrico libero nelle piante ». 499; 540. — 820 — Ricci. « Della trasformazione delle forme differenziali quadratiche ». 431; 527. Riccò. « Osservazioni astrofisiche della Nova (18.1912) Geminorum 2, ese- guite nel R. Osservatorio di Catania ». 431; 533. treHI. « Fa omaggio di un volume pub- blicato per le onoranze a G. Capel- lini ». 721. RoLLa e AnsaLDo. « Sulla dissociazione dei sali misti idrati ». 207; 272. Rossi. « Sulla costante di trasformazione del Radio D ». 462. S SANDONNINI. « Analisi termica di miscele binarie di cloruri di elementi biva- lenti ». 185; 208. — « Analisi termica del sistema cloruro d’argento - solfuro d’argento ». 479. — e AurREgGI, « Analisi termica di miscele binarie di cloruri di elementi monova- lenti ». 419; 493. — e Scarpa. «Analisi termiche binarie di cloruri di elementi monovalenti ». 802. Sani. « Ricerche intorno all’olio di olivo ». 364. — «Azione del fosfato monocalcico nella conservazione dei foraggi verdi ». 802. SBorgI. « Sul comportamento anodico del- l’uranio ». 135. ScANDOLA. « Sui chetoni derivati dall’iso- miristicina n. 47. Scarpa. V. Sandonnini. Signorini. « Sul teorema di Whittaker ». 36. SiLBER. V. Ciamician. Sira. « Sulla propagazione del calore ». 403; 441 Spezia. Sua Commemorazione. 61. STrRASBURGER. Annuncio della sua morte. Tera STRINGHER. Relazione sul bilancio acca- demico del 1911. 814. T TarIcco. « Contributo allo studio del Cam- briano della Sardegna ». 54; 116. Tepone. « Sulla deformazione di un cilin- dro di rotazione ». 384. Toparo « Sopra l’organo di senso laterale delle Salpidae ». 697. TonkLLI. « Sulle orbite periodiche n. 181; 2515; 392 — « Sugli integrali curvilinei del calcolo delle variazioni». 448; 554. TonineLLI. V. Marino. TorELLI. « Sulle superficie algebriche con- tenenti due fasci ellittici di curve ». 453. Toscui. V. Mascarelli. Tosi. « Bussola azimutale ad onde hert- ziane n. 718; 768. V VaLLa. V. Ageno. VALORI. « Sulla costituzione di un bromo- nitroazossibenzolo ». 794. V. Angeli. Viora. Commemorazione del Socio Spezia. 61. — «La legge di Hauy nei cristalli solidi, fluenti e liquidi ». 27; 84. — « Determinazione. col metodo della ri- flessione totale, dei tre indici princi- pali di un cristallo con una sezione qualsiasi n. 697; 737. VoLTERRA. Fa omaggio di un volume con- tenente le « Opere matematiche » del march. G. C. de’ Toschi di Fagnano, e ne discorre. 606. — Fa parte della Commissione esamina- trice della Memoria Fossa-Mancini. 2911. — «Vibrazioni elastiche nel caso dell’ere- dità ». 729. Z ZAamBONINI. V. Plancher. — 821 — INDICE PER A AgronomIa. « Siderazione o Biocoltura? ». C. Lumia. 60; 140. Anatomia. « Sopra l’organo di senso late- rale delle Salpidae ». F. Todaro. 697. AsrROFISICA. « Variazione nello spettro della Mova (18. 1912) Geminorum 2 ». V. Fontana. 718; 765. — «Osservazioni astrofisiche della /ova (18.1912) Geminorum 2, eseguite nel R. Osservatorio di Catania ». A. Riccò. 481; 583. AsrRonomMIa. « La sincronizzazione elettrica ordinaria usata intermittentemente, per subordinare un pendolo oscillante se- condo il tempo medio, ad uno oscil- lante secondo il tempo siderale ». G. Horn. 179. B Bilancio accademico. 814. BroLogia. « Nuovi contributi allo sviluppo dei murenoidi ». B. Grassi. 696. Bollettino bibliografico. 370; 606. BoraAnIica. « Ricerche sulla morfologia e sull’accrescimento dello stipite delle palme ». A. Borzì e G. Catalano. 14; 73. — « Ricerche anatomo-fisiologiche sopra le vie acquifere delle piante n. L. Mon- temartini. 225; 295. BoraAnIcA FARMACEUTICA. « SullAdrus pre- catorius L.». G. Pollacci 420. C CHimica. «Il diacetilfurazano ». L. Ales- sandri. 659. MATERIE Caimica. « Sulla capacità degli alogenuri sodici di dare soluzioni solide ad alta temperatura ». IM. Amadori. 467. — «Sul comportamento reciproco di sol- fati, cromati, molibdati e wolframati alcalini « bassa e ad alta tempera- tura». Le. 560; 667. — « Interessante decomposizione di alcune ossime ». A. Angeli. 83. — « Ancora sopra la reazione Angeli-Ri- mini ». Ja. 622. — «Nuovi studii sopra gli azossicompo- sti». /d. e B. Valori. 155. — «Nuove ricerche sopra gli azossicom- posti». /d. Id. 729. — « Sulla reazione Angeli-Rimini delle aldeidi n. Z. Balbiano. 389. — « Contributo alla conoscenza dell'ana- logia trail rame e l'argento ». G. A. Barbieri. 560. — «Solfatianidri». G. Calcagni.483; 773. — «Composti di sali alcalini e alcalino-ter- rosi con basi organiche ». f. Calzolari. 063. — «Azioni chimiche della luce ». G. Cra- mician e P. Silber. 547; 619. — « Azione delle aldeidi sui corpi pirro- lici. Scomposizione pirogenica dei de- rivati del dipirrilmetano ». U. Cola- cicchi. 363; 410. — «Sintesi del Fillopirrolo ». /d. 489. — «Sopra una nuova trasposizione piro- genica nel gruppo del pirrolo, e sulla relativa stabilità al calore dei derivati isomeri ». /d. 657. — «Azione degli alcoolati sodici sugli eteri carbo-pirrolici n. [d. e C. Bertoni. 653. — «Azione delle aldeidi sui corpi pirro- lici». /d. Id. 600. — 822 — CHimica. « Separazione e determinazione quantitativa dell'antimonio nei me- talli bianchi da cuscinetti». /. Com- pagno. 473. — « Osservazioni chimico-mineralogiche su alcuni berilli elbani ». Z. Madda- lena. 597; 633. — «Ricerche intorno a sostanze aroma- tiche contenenti iodio plurivalente ». L. Mascarelli e B. Toschi. 145. — «Sulla presenza dell'uranio in rocce italiane. Graniti dell’isola di Monte- cristo e tufo radioattivo di Fiuggi ». P. Nasini e F. Ageno. 689. — « Analisi di una molibdenite di Cala- brian. Zd. e Baschieri. 692. — « Sul peso molecolare del selenio in soluzione ».. Y. Olivari. 656; 718. — « Azione dell’acido solforico sopra l’ace- naftene». 4. Oliveri-Mandalà. 726; 779. — « Azione dell’acido tioacetico sulla cian- guanidina. (Sintesi della metil-imino- tio-triazina)». A. Ostrogovich. 213. — «Sopra gli alcooli tanacetilici isomeri ». V. Paolini e B. Divizia. 570. — «Il sistema ternario argento-stagno- piombo ». NM. Parravano. 575. — « Il sistema Sb, Ss — Sn$». /d. e P. De Cesaris. 499; 535. — «I solfoantimoniti ramosi ». /d., Id. 726; 798. — « Fotosintesi di un alcaloide dall’aceto- fenone e dall’ammoniaca ». E. Paternò e C. Maselli. 155; 235. — « Sulla esistenza di complessi tra so- stanze puriniche e il salicilato sodico ». Id. e M. Amadori. 124; 290. — «La supposta complessità del tellurio ». G. Pellini. 124; 218. — « Sulla sintesi del tetrametilpirrolo ». G. Plancher e T. Zambonini. 598. — « Sulle soluzioni citrofosfatiche ». Z. Pratolongo. 363. — « Sulla costituzione del diisoeugenolo ». E. Pureddu. 42. — «Isomeria negli eteri del diisoeuge- nolo ». /d. 124. — «Sulle soluzioni citrofosfatiche ». A. Quartaroli. 1380; 478. — «Sugli ossisolfuri di antimonio ». E. Quercigh. 218; 415. Caimica. Il sistema ternario Sb--As+I. Id. 673; 786. — « Analisi termica di miscele binarie di cloruri di elementi bivalenti ». €. San- donnini. 135; 208. — « Analisi termica del sistema cloruro d’argento-solfuro d’argento ». Jd. 479. — « Analisi termica di miscele binarie di cloruri di elementi monovalenti ». Id. e P. C. Aureggi. 419; 493. — « Sui chetoni derivati dall’isomiristi- cina ». E. Scandola. 47. — «Sulla costituzione di un bromonitroa- zossibenzolo ». B. Valori. 794. Caimica AGRARIA. « Sulla composizione chimica dell'embrione del riso ». £L. Bernardini. 213; 283. — « Sull’ufficio fisiologico del magnesio nella pianta verde ». /d. e G. Morelli. 213; 357. — «Azione del fosfato monocalcico nella conservazione dei foraggi verdi». G. Sani. 802. Caimica Fisica. « Sulla ripartizione della soda fra acido borico e acido carbo- nico ». M. Ageno. 41; 121. — « Idrolisi di sali dei metalli bi- e tri- valenti ». Jd. e E. Valla. 41. — «Solubilità allo stato solido tra solfati e carbonati ad alta temperatura ». M. Amadori. 802. — «Equilibri fra composti organometal- lici». L. Cambi. 773. — « Ricerche sui seleniti asimmetrici. Sui prodotti di addizione della piperidina cogli acidi selenioso e solforoso ». L. Marino e A. Toninelli. 726; 802. — « Per la storia della spettrochimica ». R. Nasini. 553; 685. — «La materia allo stato di sovraffusione, e discontinuità in alcune sue proprietà fisiche col variare della temperatura ». Id. e M. Bresciani. 155. — «Ricerche sulla radioattività delle acque sorgive del Monte Amiata ed esperienze sulla dispersione atmosferica della re- gione ». Id. e C. Porlezza. 316. — «Lo spettro di assorbimento dolla san- tonina bianca e gialla». A. Piutti. 174. — « Sulla dissociazione dei sali misti — 8293 — idrati ». Z. Rolla e G. Ansaldo. 207; 272. Chimica FISICA. «Sul comportamento ano- dico dell’uranio ». U. Sborgi. 135. CHIMICA TECNOLOGICA. « Ricerche intorno all'olio di olivo n. G. Sani. 364. Curmica veGETALE. « Sulla presenza del- l'acido cianidrico nelle piante ». C. Ra- venna e V. Babini. 499; 540. Concorsi a premi. Elenchi dei lavori presentati per concorrere al premio Reale perla Chimica alla Fondazione Santoro pel 1911. 68; dei lavori pre- sentati ai concorsi ai premî del Mini- stero della P.I. per le Scienze fisiche e chimiche, del 1911. 232. CRISTALLOGRAFIA. « La legge di Hauy nei cristalli solidi, fluenti e C. Viola. 27; 84. — «Determinazione, col metodo della ri- liquidi ». flessione totale, dei tre indici princi- pali di un cristallo con una sezione qualsiasi ». C. Viola. 697; 737. E EconoMIA MATEMATICA. « Contributo alla teoria matematica della dinamica eco- nomica ». Z. Amoroso. 181, 259; 341. Elezione del Presidente e del Vicepre- sidente. 814. EmBRIOLOGIA. « Di alcune particolarità em- briologiche in /’oinsettia pulcher- rima ». G. Donati. 367; 512. ENTOMOLOGIA AGRARIA. « Alcune osserva- zioni morfologiche e biologiche in- torno alla Forda formicaria Heyden ». D. Lombardi. 726. F sica. « Masse luminose del Righi in sca- riche ottenute con differenza di po- tenziale alternativa ». Z. Amaduzzi. 40. — « Sulla misura del calore specifico dei metalli a temperature elevate ». 0. I. Corbino. 181. — «Le costanti termiche del tungsteno ad alta temperatura ». /d. 188. Fisica. « Sul calore specifico del tungsteno a temperature elevate ». /d. 346. — «I conduttori a più periodi e la loro possibile applicazione nella pratica della telegrafia senza filo». A. Gar- basso. 174. — «Sul valore delle componenti la forza elettromotrice delle coppie voltaiche costanti n. G. Guglielmo. 102. — « Sul valore delle componenti la forza elettromotrice delle coppie voltaiche costanti, e sulla teoria della pila ». Ia. 194. — «Sulla misura statica dell’attrito in- terno dei gaz». /d. 265. — « Sull’indipendenza della formula di Laplace per la capillarità, dalla legge con cui varia la densità nello strato superficiale dei liquidi ». /d. 352. — «Intorno ad un modo di quando due stelle hanno la stessa al- tezza e lo stesso azimut ». /d. 404. — «Ricerche spettrali sull’arco fra car- boni a piccole pressioni ». MY. La Rosa. 560; 640. — « Sulla costante di trasformazione del Radio D ». P. Rossi. 462. — «Bussola azimutale ad onde hertziane ». A. Tosi. 718; 768. Fisica MATEMATICA. « Sulla distribuzione osservare della massa nell’interno dei pianeti ». G. Lauricella. 18. — « Sulla propagazione del calore ». £. Silla. 403; 441. FisicA TERRESTRE. « Sulla velocità di pro» pagazione del terremoto Laziale del 10 aprile 1911 ». G. Agamennone. 201. — « Il terremoto del 24 gennaio 1912 nelle Isole Ionie, e sua velocità di propa- gazione ». /d. 560; 646. — «Sul violentoterremoto a Zante nel po- meriggio del24 gennaio 1912». /d. 277. — « Misure della temperatura della lava finente dell’ Etna ». G. Platania. 499. FisroLoGIa. « Azione dell’adrenalina, della paraganglina e della ipofissina sul rene ». Pentinalli e Quercia. 423. FisroLoGiA vEGETALE. « Su la formazione del glicogeno nella cellula di lievito ». D. Bruschi. 54. — 824 — G GroLoGIA. « Gli inclusi nella lava etnea di Rocca S. Paolo presso Paternò ». S. Di Franco. 652. « Contributo allo studio del Cambriano della Sardegna ». M. Taricco. 54; 116. M MareMATICA. « Sur les transformations des surfaces algébriques laissant inva- riant un système continua de courbes ». L. Godeaua. 398. « Sopra un’estensione del teorema di Riesz-Fisher ». Z. Amoroso. 640; 744. «Sul gruppo automorfo delle forme ternarie quadratiche suscettibili di rap- presentare lo zero n. Z. Bianchi. 305. « Sulle superficie minime cerchiate di Riemann ». /d. 315; 373. « Sopra certi sistemi di superficie pseu- dosferiche collegati ai sistemi di Wein- garten n. Zd. 609. « Sopra una trasformazione classica di Sophus Lie». C. Bompiani. 640; 697. « Sopra le deformazioni continue delle superficie reali applicabili sul para- boloide a parametro puramente imma- ginario ». P. Hisenhart. 458. « Sopra una involuzione non razionale dello spazio ». A. Enriques. 81. « Sulle superficie algebriche con un fascio di curve ellittiche ». /o. 14. « Sull’equazione integro-differenziale di tipo parabolico ». G. C. Evans. 760. « Sulle equazioni integrali di terza specie di Émile Picard ». G. Fubini. 325. « Sulla commutabilità del segno lim col segno integrale, nei campi fi- niti». G. Giorgi. 569; 628. « Sulla teoria delle equazioni integrali generalizzate ». /d. 717; 748. « Sulla chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali e dei nuclei delle equazioni integrali ». G. Lauricella. 618; 675. « Sulle condizioni sufficienti per il mi- nimo nel calcolo delle variazioni. (Gli integrali sotto forma parametrica) ». E. E. Levi. 30. MarEMATICA. « Sul vantaggio che presenta un'estensione delle funzioni di Green». A. MU. Molinari. 102; 174. — « Sull’integrabilità delle funzioni di due variabili ». Z. Orlando. 330. — «Sopra un teorema relativo agli in- siemi». /d. 402. — «Sopra una questione tecnica che si connette cogli integrali di Lebesgue ». Id. 488. — «Sopra alcune questioni riguardanti due fasci di curve dati in una superficie algebrica». M. Panvelli. 181; 246. — « Sulla definizione di probabilità ». G. Peano. 429. — « Della trasformazione delle forme dif- ferenziali quadratiche ». G. Ricci. 431; 527. — «Sugli integrali curvilinei del calcolo delle variazioni ». £. Z'onelli. 448; 554. — «Sulle superficie algebriche contenenti due fasci ellittici di curve ». R. 7o- relli. 453. — «Vibrazioni elastiche nel caso dell’e- redità». V. Volterra. 729. Meccanica. «Sulla teoria della gravita zione ». M. Abraham. 27. — «Sulla legge elementare della gravita- zione n. Zd. 94. — « Sulla conservazione dell’ energia e della materia del campo gravitazio- zionale n. /d. 404; 432. — «Sopra l’efflusso a stramazzo». YU. Ci- sotti, 97. — «Sull’intumescenza del pelo libero nei canali a fondo accidentato ». /d. 588. — «Sulle onde superficiali dovute a par- ticolare conformazione del fondo ». Id. 640; 704. — « Onde brevi causate da accidentalità periodiche del fondo ». /d. 708; 760. — «Sul principio di reciprocità ». G. Co- lonnetti. 346; 393. — «Le equazioni generali per la statica e la dinamica dei sistemi materiali ad n dimensioni ed a curvatura co- stante, nell’analisi di Grassmann ». A. Del Re. 709. de ei — 825 — Meccanica. « Sopra le vibrazioni nor- mali di un corpo elastico immerso in un fluido ». 7. Laura. 708; 754. — «Sulla risoluzione delle equazioni in- tegro-differenziali dell’ equilibrio dei corpi elastici isotropi per dati sposta- menti di superficie ». G. Lauricella. 26; 165. — «Sulle onde di canale». 7. Levi Ci- vita. 3. — «Sul teorema di Whittaker». /d. 36. — «Sulla deformazione di un cilindro di rotazione ». 0. T'edone. 384. MECCANICA CELESTE. « Determinazione ma- tematica dello schiacciamento polare di Giove». G. Armellini. 384. — «Sulle orbite periodiche ». ZL. Z'onelli. 181; 251. — «Sulle orbite periodiche ». /d. 382. MetEoROLOGIA. « Andamento diurno della temperatura a Tripoli ». /. Eredia. 652. MineraLogiA. « Anfiboli di Monte Plebi presso Terranova Pausania (Sarde- gna) ». D. Lovisato. 54; 109. — «Zeunerite ed altri minerali dell’isola di Montecristo n. Y. Millosevich. 594. — «Sulla identità della sinchisite con la parisite n. E. Quercigh. 535; 581. N Necrolagie e Commemorazioni dei Soci : Spezia. 61; Dalton Hooker. 68; Pac Renpiconti. 1912, Vol. XXI, 1° Sem. notti, 514; Lévy. 517; Arzelà. 526; Strasburger. 727. P PaLEoNTOLOGIA. « Sopra un delfinorinco del calcare miocenico di Lecce (Ziphio- delphis Abeli Dal Piaz)». F. Bassani e A. Misuri. 325, ParassiToLOGIA. «L’Anaplasma canis in Italian. C. Basile. 281. ParoLoGIA. « Sulla Leishmaniosi e sul suo modo di trasmissione». /d. 304. PATOLOGIA VEGETALE. « Attività enzima- tiche di alcuni funghi parassiti di frutti ». D. Bruschi. 225; 298. — « Batteriosi dell’ Aster chinensis L. Bacillus Asteracearum n. sp.»n. G. L. Pavarino. 514; 544. — « Formazione e significato fisiologico dei cordoni endocellulari nelle viti affette da arricciamento ». L. Petri. 423; 505. PetRrogRAFIA. « Sulla natura delle masse pirosseniche in relazione con i giaci- menti ferriferi di Rio e Capo Cala- mita». A. Martelli. 803. T TALASSOGRAFIA. « Dove si sviluppano le Globigerine ? n. A. /ssel. 503. 108 — 326 — ° ERRATA-CORRIGE A pag. 69 riga 26 agg.: 31) « Ricerche teoriche e sperimentali sulle soluzioni solide » (ms.). 897 righe 4 e 5 della nota si seguono senza a capo. » riga 25 invece di esterza legg. esterna. 398 » 9» di integra » interna. » righe 12 e 13 legg.: è eguale alla componente, secondo questa direzione, dello spostamento che il punto P subirebbe qualora, 402 riga 25 invece di Borel legg. Lebesque. 647» 10 ” ost legg. ovest. 651.» 22 ” c. 01), lege. m. 61. 691.» 17 ” M. Amata legg. M. Amiata. 692» 17 ” Enrico » Ennio. RMB) Pao gle i i nestre 1912. 1) fa vpift de è Ci n Dia ses 0 odi eni a vai (0 » 691 » 17M. Amata legg. M. Amiata, i SQREERIA.] 692, As derico lego. Elio. anni ARIA C D RENDICONTI — Giugno 1912. . INDICE — “I Classe di scienzè fisiche, matematiche e naturali Seduta del 16 giugno 1912. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Volterra. Vibrazioni elastiche nel caso della eredità (#) . . . . ++... 0° Pag. 729 3 Angeli e Valori. Nuove ricerche sopra gli azossicomposti aromatici .{., . +. +... + > Viola. Determinazione, col metodo della riflessione totale; dei tre indici principali di un eri- stallo con una sezione ‘qualsiasi —, . <%. . POESIE È +0 e ie 737, Amoroso. Sopra un'estensione del teorema di Riesz- Holes (pres. dal Coiniop. Lauricellà) < n 744 Giorgi. Sulla teoria delle equazioni integrali e delle loro generalizzate (pres. (/4.). . # 748 Laura. Sopra le vibrazioni normali di un corpo elastico immerso in un fluido (pres. dal Socio Somigliana) . . . - ERO «7 RI O Evans. Sull’equazione integro- -differenaiale di ipo parabolico (n. dal Sane Volterra) (*) » 760. Cisotti. Onde brevi causate da accidentalità periodiche del fondo (pres. dal Socio Zevi-Cwta)n n i Fontana. Variazioni nello spettro della Nova (18.1912) Geminorum 2 (pres. dal Socio “mu Rico. (E e i» »-)DS Tosi. Bussola azimutale Al 0 e... i dal Socio Millosevich) n TO) Ù Calcagni. Solfati anidri (pres. dal Socio Paten0 E is e i Cambi. Equilibri fra composti organometallici (pres. dal Socio Tal LES 1 oe a 4 Olivieri-Mandalà. Azione dell'acido ‘solforico sopra l’acenaftene (pres. dal Socio Paterno) » 779 li Quercigh. Il sistema ternario Sb + As+-I (pres. dal Corrisp. Piuttî) . . + «SIAE Valori. Sulla costituzione di un bronionitroazossibenzolo (pres. dal Socio Mega n 7904 5 Parravano e De Cesaris. I solfoantimoniti ramosi (pres. dal Socio Paternò) . . . . +. » 198 Le | Marino e Toninelli. Ricerche sui seleniti asimmetrici. Sui prodotti di addizione della pipe- È] ridina cogli acidi selenioso e solforose (pres. dal Socio Masini) (). . . ../... 9 802 | Amadori. Solubilità allo stato solido tra solfati e carbonati ad alta temperatura (pres. dal Socio | ai Giampapni) (€) Men. i; Li o | imi.e Scarpa. Analisi coral di ssi a i dl si pi monova= Rel) : ù » » San. SO: gue (ione dei sori voi e dal Socio Kòrner)\, MERE A OR E O I O | Martelli. Sulla natura lle masse pirosseniche in relazione con i giacimenti ferriferi di Rio 3 e Capo Calamita (pres. dal Socio De Stefani) . . Me Lombardi. Alcune osservazioni morfologiche e biologiche 21; gia Forda forme Pi Heyden:(pres. dal Socio Grassi) ff... . «| }|}/ (eee Ta 809 i È (Segue in tersa pagina) (*) Questa Nota sarà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. LOLLI T TN postale. bag0) SMITHSONIAN INSTITU TMT = 3 9088 01356 8928