Da ini i Ta. AIR PIA MRO cr vic uu SITA ORE AIN II PE Tai ASA tdi dente finge cià nnt prio iii nea di ge a men met alano SRI ION DIAZ ESTATI eee n inn DELI ML e MII iL ln tt dacia eci intarsi izha, RI LISI eredniero fieri ripieni cinico TEEN Lio lira PRIA Lorin atri: ; E e A a IRR e tienimi o PT CEE SIN ARI PANI RP ER i resi ca te e nente rl 0) fontane aretha. a ne riali = renna CL = Seta sea ni E VITA QU RIRA, ARI i MET Sa d È ; x Pubblicazione bimensile. Roma 6 luglio 1913. N. 1. FI DELLA ANNO CCCX. 19183 pet ei f | RRALE ACCADEMIA DEI LINOFI x SERIE QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XX HIHI. — Fascicolo 1° i 2° SEMESTRE. i 3 Comunicazioni pervenute all’Accademia durante le ferie del 1943. — (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d’arrivo) iSVE ERI E in ROMA | TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1913 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademiadei Lincei. Inoltre i Rerdiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, chu ne assumono la responsabilità sunv portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- ‘sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. HI. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite ne Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5). Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro posta dell'invio della Memoria agli Archiv dell'Accademia. 8 Nci primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agl autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. attach ati A DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCRI AININIORFEOCEX: 19183 SERRATO OPEN UDA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME XXII. 2° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 228227 108 le lic ii RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1913. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). Matematica. — Sui sistemi coniugati permanenti nelle defor- mate delle quadriche. Nota del Socio Luci BIANCHI ('). 1. È noto che per qualunque superficie $ applicabile sopra una qua- drica Q il sistema coniugato permanente (v,v) (sistema coniugato comune alla superficie S ed alla quadrica Q) traccia sopra S un sistema dsotermo- coniugato. Questa importante proprietà risultò la prima volta dalle ricerche di Darboux (1899), che posero in relazione le deformate S delle quadriche colle superficie isoterme (speciali) ?. Essa segue dal fatto che ai sistemi ortogonali della superficie isoterma 2 corrispondono sopra S i sistemi co- niugati, in particolare al sistema (isotermo) delle linee di curvatura di X il sistema coniugato permanente di S. Dimostro in questa Nota che ai sistemi coniugati permanenti sulle de- formate delle quadriche, appartiene un’altra singolare proprietà espressa dal teorema seguente: A) Sopra ogni deformata S di una quadrica Q le tangenti alle linee v= cost, 0 alle linee u= cost, del sistema coniugato permanente (vv), formano una congruenza rettilinea della specie W. Possiamo anche esprimere questa proprietà sotto la forma equivalente: A’) Ogni superficie S applicabile sopra una quadrica Q ammette (come superficie flessibile ed inestendibile) due deformazioni infinitesime (!) Pervenuta all'Accademia il 2 luglio 1913. — #———:r;rr —__———_——t— | mc _ —_ ____ _—@_——m@——mm_—_—_—m_- | È ga nelle quali i singoli punti st spostano secondo le binormali delle rispet- tive curve (v) 0 (u) del sistema coniugato permanente. Se la quadrica Q è la sfera, reale od immaginaria, le superficie appli- cabili sopra Q sono quelle a curvatura costante, positiva o negativa, ed il sistema coniugato permanente è quello delle linee di curvatura. Come caso particolare del teorema A), si ha dunque l'altro: In ogni superficie a curvatura costante le tangenti alle linee di curvatura dell'uno o dell'altro sistema formano una congruenza W, o sotto la forma A'): Ogni superficie a curvatura costante ammette due deformazioni infinitesime nelle quali © punti si spostano secondo le binormali delle linee di curvatura dell'uno o dell'altro sistema. 2. Per dimostrare il teorema A) mi servirò delle formole relative ai sistemi coniugati permanenti sulle deformate delle quadriche stabilite al Cap. VI, vol. III delle mie Zezzoni, e per brevità mi riferirò ad uno solo dei casi ivi considerati, per es. a quello di una quadrica reale Q a punti ellittici. Riferita la quadrica Q ad un qualunque suo sistema isotermo-coniugato (a, 8), pei simboli o di Christoffel relativi al ds? di Q in coordinate (a, 8) valgono le formole (8), pag. 249 (loc. cit.): dee et (12) __dlogL (22) _13logH RUSS da Dee e Da (1) | (11) _ 1 2logH (12) __dlogL (22 _— 9 2logL 13log H Pia faaiza agree 20070400 2A Edove L,H sono convenienti funzioni di @ , f. Sia ora S una qualunque deformata di Q ed (w,) il loro sistema co- niugato comune. Indicando con o) i valori dei simboli di Christoffel calco- lati per il ds* comune in coordinate (uv), le formole (14), (14*), pag. 251 (log. cit.) ci dànno intanto In modo affatto simile, servendosi ancora delle equazioni del 2° ordine di Christoffel per l'equivalenza dei due ds* in coordinate (a, 8) ed (u, v), FIORI EA si trovano i valori degli altri simboli, che scriviamo nel quadro seguente: {Tg (1-2) i == log (LA) , (22) _ > pg (VE 0223 log(17) (2) HERE n I oo E) a ia zio(1) (Rel. a eV 1) Dal calcolo eseguito al $ 74 (loc. cit.) risulta che le tangenti alle linee v= cost formeranno una congruenza W, se è soddisfatta la condizione ivi scritta sotto la (19), pag. 219. Ma, il sistema (w,v) essendo qui iso- termo-coniugato, si ha D= D", e la citata formola diventa RIDI] (a) sio Sdi ora questa condizione è effettivamente soddisfatta per le (2). Così pure sus- siste l'altra (5) di - la quale esprime che le tangenti alle u= cost formano una congruenza W. Il nostro teorema A) è così dimostrato ('). 8. Sia S una deformata della quadrica Q ed (v,v) il suo sistema co- niugato permanente. Se tiriamo le tangenti, per es. alle linee v= cost, queste formano, per qnanto si è visto, una congruenza W di cui S è la prima falda focale. Se indichiamo con S la seconda falda, e riguardiamo come punti corrispondenti sopra S,S i due fuochi di un medesimo raggio, questa corrispondenza conserva i sistemi coniugati (le linee asintotiche). (1) Si può ancora osservare che le relazioni caratteristiche (a), (0) del testo sono pure soddisfatte dai simboli (1) di Christoffel relativi alla quadrica Q, riferita ad un qualunque sistema isotermo-coniugato (@,f). Così le tangenti alle linee di un sistema isotermo-coniugato di Q formano una congruenza W; e viceversa: Tutte le congruenge W aventi per una falda focale la quadrica Q si ottengono tirando le tangenti alle linee di (qualunque) sistema isotermo-coniugato sopra Q. Siccome di qualunque quadrica sono noti tutti i sistemi isotermo-coniugati, così il -problema delle deformazioni infinitesime per una quadrica si risolve per quadrature (Cfr. Lezioni, vol. II, $ 232). il | | —_ 6 — Î Supponiamo ora di applicare alla S una qualunque delle co? trasfor- | mazioni By per congruenze W, che la cangi in un'altra deformata S, della | medesima quadrica Q. Si sa che sulle due falde focali (S,S,) della con- i gruenza, formata dalle congiungenti i punti corrispondenti di S,S,, si cor- | rispondono i sistemi coniugati, ed in particolare al sistema coniugato per- | manente (vu, 0) sopra S corrisponde il sistema analogo («,v) sopra S, (vedi Î vol. III, $ 34). Ne segue che le tangenti alle linee v = cost sopra S, for- Î mano, alla loro volta, nna nuova congruenza W, la cui seconda falda, che indicheremo con S,, dipende da S, come S da S. Ora fra i punti M,M, di S,S, viene, dalla costruzione stessa, stabilita una corrispondenza che | conserva i sistemi coniugati, e noi vogliamo dimostrare che sussiste ulte- riormente il teorema: B) Le due seconde falde S,S, sono nuovamente le due falde focali I della congruenza rettilinea W formata dalle congiungenti i loro punti | corrispondenti. In altri termini, le quattro superficie (SASSO) formano una quaderna del generale teorema di permutabilità dimostrato al S 248, vol. lI delle Lezioni. Proveremo il teorema B) dimostrando che la congiungente M M, giace a nel piano tangente in M alla S; come pure nel piano tangente in M, alla Sì. Ma, a causa della simmetria nella costruzione, basterà verificare la prima cosa. Qui ci limiteremo a stabilire la proprietà enunciata quando la qua- drica Q è un paraboloide, ovvero una sfera immaginaria, poichè in questi casi possediamo già sviluppate le necessarie formole per le trasformazioni Bx riferite ai sistemi coniugati permanenti. Per il caso delle altre quadriche a centro converrebbe dedurle col metodo tenuto dal Calapso nelle sue recenti ed interessanti ricerche (?). 4. Riferiamoci per es. al caso delle deformate S del paraboloide ellit- tico ed alle formole sviluppate per le loro trasformazioni nella mia Memoria del tomo XII (1906) degli Annali, che qui citerò con (M). IST ETA DOTI INIT TTT OOO PT Annali di matematica, tomo XIX (1912). In questa Memoria il Calapso ha attuato lo studio delle trasformazioni Bx come trasformazioni intrinseche dei sistemi coniugati per- manenti, nel senso indicato al $ 79, vol. III delle Lezioni. Un risultato principale di queste ricerche è la risoluzione delle trasformazioni date da Guichard nei Joro elementi, che sono in effetto le trasformazioni Bz, combinate fra loro e colla così detta trasfor= mazione H. Particolarmente notevole in questi studî del Calapso è l’ufficio che viene a ti | () Intorno alle superficie applicabili sulle quadriche ed alle loro trasformazioni. | | i compiere la trasformazione singolare Bw, corrispondente al circolo immaginario all’infi- nito come conica focale. E La superficie $, riferita al suo sistema coniugato permanente (u,), sia definita dalle formole $ 5 (M), e la sua trasformata S, da quelle al $ 14, in particolare dalle (50) loc. cit.: i era Hd) S1) d=X dea oa)" Per le seconde falde focali S,S, delle congruenze formate dalle tan- genti alle linee v = cost sulle S,S,, avremo (cfr. vol. III, pag. 218) ; PEA Sì) Î Di a ) dove i valori di /,/, saranno dati da e a ze a e quindi, per le formole (47), $ 13 (M) SS pe ii , lia n dm dla du du Conseguentemente avremo Sa (da ; Wi 2 Mudea Mm dd i; :-_,\3 TOO Ù prio dU du formola che scriviamo anche 1 FO et 2 (3) E e I valori dei coefficienti 4,2, si trovano subito ricorrendo alle (51), $ 14 (M): dX) dU dI dA Vpq — bi M__- -—<-ud,X; A 2), Fai ’ in particolare abbiamo == —_— 8—- i Sostituendo per M il suo effettivo valore dato nelle (49*), $ 14 (M), ri- sulta così: Wi ui pf sen w +- ga cos w ae | ku du ku dU (4) — o A n du D'altra parte, derivando rapporto ad u,v le formole ei dL gl) "x risulta (cfr. vol. III, pag. 218): dI dI dI \ TRE 484 px (5) ) DE I Ea o dV dU dove basterà conoscere il valore del coefficiente S dato dalla formola (ibid.) __ (11) (6) S=(2}l Dobbiamo ora verificare (n. 3) che la congiungente M M, giace nel piano tangente in M alla S, cioè che si annulla il determinante dI dI di du ù dU ; du Da dui dv ; dv } dv NEI S Dil: T 0 cioè alla condizione eS—- bDI=0, SL (0A ovvero per la (6) (7) Illempi=o. Ricordando che si ha (M, $ 5 e $ 13) pa Ds }. vH (11) i nese 4° (2A H Nei e sostituendo nella (7) questi valori ed i valori (4) per 0, e, resta da ve- rificare la formola Ora si ha (M, $ 5) dUI 36 3 __ i dU dv , talchè la precedente sì riduce all'altra dw DED0S i. dU dV e combina precisamente con la formola di trasformazione 00) (M, $ 8), avendo A il valore (28). Così, per il caso delle deformate dei paraboloidi, il teorema B) è di- mostrato. 5. Veniamo da ultimo al caso di due superficie pseudosferiche S ,$, (di raggio R= 1), trasformate l’una dell'altra per una trasformazione Bg di Backlund, secondo le formole al $ 373 segg. del vol. II delle Zezioni. Supponiamo che S, sia data dalle formole x, = + coso(cos 6, X,+4- sen 0, X>), dove 0, è legata a 9 dalle formole di trasformazione di Bàacklund Ci DO cos 6 sen 6, + sen o sen 0 cos 6, (8) du og cos 0 20, | 30 __sen0cos0, +sencocos0sen@, dv ù du cos 0 i DD RenpIcONTI 1913, Vol. XXII., 2° Sem. ASTE Se tiriamo le tangenti alle linee di curvatura v= cost della S, la se- conda falda focale S della congruenza rettilinea W così formata è data dalle formole I coseni di direzione X,Y,Z della normale alla S sono proporzionali al binomio 0 sen 0X, + D DIC, e ai due analoghi, sicchè possiamo scrivere = ZOLIO |) X = sen 0X ro (9) sen 9X, + o Medesimamente, se costruiamo la congruenza delle tangenti alle linee di curvatura v= cost sulla S,, per la sua seconda falda S, avremo DR Senio iO dO, dU dove il valore di X{ è dato da (10) X = (cos 6 cos 9, — sen o sen 6 sen 0,) X, + + (cos 0 sen 9, + sen o sen @ cos 0,) X, — cos o sen 9X,. Da queste formole deduciamo ti Di: i sen 0 sen 0, (11) #—#=coso(cos @, X, + sen0,X.) + —X- = XD, Ù dl dU dU e verifichiamo che si ha identicamente (12) zX(A—-Z7)=0, ciò che proverà il teorema B) n. 3 per questo caso. Ora dalle (9), (10) segue xXX,=0, ZSXX.=sen0, = d909 XXX = sen @(cos 9 sen 6, + sen o sen 6 cos 9,) — cos o sen @ si e per le (11) la (12) si converte nell'altra ELA 22) COSIO ia — = cos @ sen 0 seno sen 0 cos 6, , ( dU sli dv inte ; la quale coincide appunto con la prima delle formole (8) per la trasforma- zione di Backlund. ao: Matematica. — Sul teorema di Hadamard. Nota della dotto- ressa ANGELA MARIA MOLINARI, presentata dal Corrisp. G. CASTEL- NUOVO ('). Se gli elementi del determinante Aa, A22 +... A2n Unr Ang +0. Ann sono reali e soddisfano alla disuguaglianza (1) | di;| = M O allora sarà \A|= Mya". Ci proponiamo di mostrare un’ interpretazione geometrica di questo teo- rema, interpretazione che vale anche come mezzo, assai conciso, di dimo- strazione. Intanto osserviamo che la condizione |a;;, = M non offre alcuna mag- gior generalità dell'altra |a; = 1, perchè è sempre possibile di scrivere A= M”0, ove gli elementi di d sono = 1; poniamo dunque M = 1. Consideriamo l'analogo del determinante A, per il terzo ordine; esso è (2) Yi, Y2 Y3 e rappresenta il sestuplo del volume del tetraedro di vertici (41 ,%1,4#1), (c, »Y2, 32) ’ (3 ‘3 ; 43) 9 (0 ,0, 0). Risulta di qui, ed è noto, che il determinante (2) è invariante rispetto a qualsiasi trasformazione ortogonale; facciamo dunque passare l’asse x pel (*) Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1913. = 10 — punto (2 1,%1,%1), ed il piano (2,7) per (xe, Y2, 42); avremo allora: E fo 8 (3) 00 ara = Na 63, URN) 65 dove (£,,0,0), (52,72,0) , (£3,73 és) sono le coordinate dei punti ri- spetto ai nuovi assi. Ora, se tutti gli elementi del determinante (2) hanno modulo = 1, gli elementi del determinante (3) sono in valore assoluto = 1/ 3, quindi è evidente la ragione per cui (3) vale meno di ESE Il teorema di Hadamard risulta dunque, per x = 3, in base a semplici considerazioni geometriche. Ma il risultato ottenuto si estende, senza alcuna difficoltà, anche al caso generale, cioè per # dimensioni. Consideriamo perciò il determinante A, e assoggettiamolo ad una tras- formazione ortogonale in modo da far passare l’asse x pel punto (411, @r, «3 Qin), il piano (2,4) per (421, 422, -.-) dan), @ Così via finchè l’ iperpiano (2,4,...,t) passi per (Gn-113 Qn-123 +3 Gn-1n). Allora A assumerà la forma AGATA Ani 0 AMA a Ano (4) AT= | RI I E - AAA e Alani 0 0 n Ancinoi (Anni 0 0 Goo 0) Ann dove (A1130,0,..:0) je (Ann, Ana; Ann) Sono le nuove coordinate. Ma, se tutti gli elementi |z;;] sono, per ipotesi, = 1, gli elementi del determinante (4) hanno modulo ) 1 DE vo f x(5) Wi(s) ds sia integrabile termine a termine, la soluzione più 1 (1) generale dell'equazione (1) è data dalla formola: MI) = 0) + (0), dove: (6) cO=AO — SU) f 20) 4109) ds X * x 4. Ciò premesso, e considerando per ora il caso del nucleo chiuso, sup- poniamo che esista la soluzione %(t) dell'equazione (1) e sia integrabile col suo quadrato nell’ intervallo (0,1). Sarà dunque (n. 3) convergente la serie 00 00 DE Ra== DE A?, avendo posto A;=;a;: e perciò, scelto # positivo e Î ad (1) Nella Nota citata innanzi: Sull'’equazione integrale di 12 specie. piccolo a piacere, esisterà un numero intero x, tale che, per # > %;, sarà soddisfatta la condizione: Costruiamo allora la successione seguente : (7) (8) = Dili wi (5) (jd = 125800290 e formiamo l' integrale INIST sen >, posto m=n +9 e tenuto conto che le w; costituiscono un sì- stema ortogonale e normale, sì avrà: ] 5 n 1 ( n+tq \° n+q 5 f (fm — fn) ds= Î; DiAiwi ds= DG AZ: 0 “0 | n+4l ) nel Tanto basta per concludere che la successione (7) è convergente in media, secondo il Fischer, in tutto l'intervallo (0,1) e quindi, per il teorema del Weyl, sarà sempre possibile di trovare una successione di numeri interi, positivi e crescenti, 2,,#2,%3,-.., tali che la serie: fn, = ae aree converge uniformemente in generale (fatta, cioè, eccezione al più per i punti di un insieme di misura nulla) in tutto l'intervallo (0,1) verso una funzione /(s) sommabile col suo quadrato nell'intervallo stesso. Si ha dunque: ni 9 /9=XAUu0OL YA = rado n1+1 + Dida ils) + ni+l Ora è facile dimostrare che la funzione /(s) soddisfa all'equazione (1). Mutiamo, infatti, nella (8), s in {: moltiplichiamo poi ambi i membri per K(s,%)dt e integriamo fra 0 e 1; si ha: ('K6,9) f(t)dt= f'E6,0 dt Ska yv() + = OI) 0 UTI = DI, Ai Ài 1 fx6 sv); o DeL (2A ovvero, per le (2) e (5), [EG0/0U=Sug(9+=90) Dunque la funzione /(s), definita dalla serie (8), è la soluzione dell’equa- zione integrale (1). Se il nucleo non è chiuso, la soluzione più generale di (1) si ottiene aggiungendo ad /(s) la funzione g(s) detinita da (6), come ha mostrato il Lauricella (*). Il ragionamento che precede si applica direttamente al caso del nucleo chiuso. * * XY 5. Sia ora proposto il seguente sistema di equazioni integrali di prima specie: (9) gi(9)= | 0 (@=1,2,3,...,7). IERI >. Ki(5, 4) hy(t) dt 1 Se poniamo, col Fredholm ('), SEAL, (lese; l==") (11) ht)=h(t-r +1), ((—1=t DE 270 250 - —_ — da 275 _ - - — La |] | | | 450 | 400 | | 850 |. \ 350 d IN 300 |- S m (09) = = FA \ SD & -i 250 250 /—S—0—9 = Xe | | 9, Ki / x g | S ;: | 3 OCSE / | do o si o È I 0 Z LINE i 9 7 -| 2 o RA; L I = a a I ln) I | U il} N \ mi | (|! i Ana 150 E | i | 150 w ill \ \ TI CI mol. °/o Hg Cla Hg Cl, cloruro talloso + cloruro mercurico. Fic. 3. TG A TABELLA 48. Molecole °/o Temperature Arresti Durate di cristallizzazione Ne : : di Ca Cla SIA eutettici in secondi 0.0 429° — — 10.0 383 299° 20” 20.0 331 298 50 25.0 315 299 80 30.0 816 299 70 36.5 872 298 40 NUAT4O, 421 ? 50.0 426 _ _ 57.5 424 400 50 67.5 ? 400 110 80.0 481 400 60 85.0 504 401 40 90.0 525 401 30 95.0 550 400 —- 100.0 968 — —_ OS 02 O IE SOS 05 OR GONNA ORIANA SOMTOO TI CI mol. °/o di Cd CI, Cd CI, cloruro talloso 4 cloruro di cadmio, Fia. 4. LAiggugei Chimica. — Nuov: derivati dell’artemisina e della santonina (1) Nota II (°) di E. Rimini e T. Iona, presentata dal Socio A. ANGELI. In una Nota preliminare (*) abbiamo esposto le ragioni che ci hanno indotto a tentare la riduzione della santonina e dell’artemisina coll’ idrogeno in pre- senza di palladio colloidale secondo il metodo di Paal; abbiamo descritto una tetraidrosantonina ed una tetraidroartemisina, riservandoci lo studio di questi prodotti di riduzione. Peraltro, contemporaneamente a noi, Bargellini (‘), per riduzione con idrogeno in presenza di nero di palladio, è pervenuto ad una tetraidrosan- tonina identica alla nostra, e posteriormente sono comparse le Memorie di Wienhaus e Oettingen (*), di Wedekind e Beniers (°), di Cusmano (") e di Yasuhiko Asahina (*), i quali tutti si occupano dei prodotti d’idrogenazione catalitica della santonina. Si è per ciò che, in continuazione alla Nota preliminare, nella presente riferiamo le nostre ulteriori ricerche sull’idrogenazione dell’artemisina, nello studio ulteriore della quale speriamo di procedere indisturbati. Dall'artemisina si ottengono due tetraidroartemisine isomere che distin- gueremo colle lettere @ e f°: esse conservano entrambe la funzione lattonica e chetonica, e sono destrogire, a differenza dell’artemisina che è levogira. Si sciolgono per riscaldamento con alcali per dare rispettivamente i sali dei due ossiacidi a- e - tetraidroartemisinico. L'acido «-, più facilmente del #-, tende a ripristinare il corrispondente lattone. Allorquando si riduce l’artemisinossima, ben presto si avverte forte svi- luppo di ammoniaca ; e, a reazione compiuta, si ricava l’a-tetraidroartemisina. La formazione di un composto tetraidrogenato ha indotto Wienhaus e Oettingen, Wedekind e Beniers, Yasuhiko Asahina (*) ad ammettere nella santonina la presenza di due doppî legami. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica farmaceutica e tossicol. della R. Uni- versità di Pavia. (3) Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1913. (3) Rendiconti Soc. chim. ital. seduta 16 marzo 1913. Chem. Zentralblatt. 1913, I, pag. 1773. (4) Ibid. (5) Annalen d. Chemie, 397, Heft 2; 15 aprile 1913. () Ibid. (?) Rend. R. Accad. Lincei, serie V, vol. XXII, 20 aprile e 18 maggio 1913. (5) Berichte d. deut. chem. Ges., 7 giugno 1913. (9) Luoghi citati. So e A noi pare che non si siano tenuti in debito conto tutti i risultati delle interessanti ricerche di Angeli e Marino (*) sui prodotti d'ossidazione dell'acido santoninico; e concordiamo col Cusmano (*) nel ritenere che, date le nostre attuali conoscenze sulla idrogenazione catalitica, sia prematuro di applicarne i risultati all'indagine della struttura di una sostanza. Se con tale nuovo metodo di riduzione, in molti casi, non si è avuta l'apertura di nuclei, non mancano tuttavia esempî nei quali ciò si è verificato (*), e però ci asteniamo dal trarre qualsivoglia conclusione dalla formazione della tetra- idroartemisina. a-tetraidroartemisina. Nella soluzione di 1 grammo di artemisina puris- sima (P. F.= 208) in 530 ce. di alcool, addizionata di gr. 0,2 di palladio colloidale (preparato secondo Paal ed Amberger) sciolti in 18 ce. di acqua, si fa passare una corrente d'idrogeno a temperatura ordinaria per 24 ore; dopo di che si distilla l'alcool, si lascia raffreddare e si filtra. Scacciato il solvente, si ottengono, per cristallizzazione dal benzolo, foglioline candide che fondono a 192°-193°. Mescolandole a parti eguali con artemisina purissima, si deprime fortemente il punto di fusione. Il nuovo prodotto, a differenza dell’artemisina, è stabile alla prova di Bayer. I. Sostanza = gr. 0,1692 CO, = gr. 0,4160 H:0= gr. 0,1296. Migliori risultati sì ebbero dall'analisi di una seconda preparazione ese- guendo la combustione in canna chiusa e mescolando intimamente il com- posto, che brucia non tanto facilmente, con molto ossido polveroso. II. Sostanza = gr. 0,1516 C0,= gr. 0,3748 H.0=gr. 0,1196. Calcolato per C,;5 Ha, 04 Trovato Il II C 67,67 67,05 67,42 H 8,27 8,51 8,66 La determinazione del potere rotatorio specifico, eseguita con una solu- zione al 2,671°/, in alcool al 95 ed in tubo della lunghezza di due deci- metri, diede una deviazione di + 2,65 alla temperatura di 23°: e però [a]8 = + 49,60. Quella dell'artemisina (F.= 203), eseguita nelle stesse condizioni con una soluzione al 2,637 °/,, diede una deviazione di — 4,48: e però [a] = — 84,93. (1) Rend. R. Acc. dei Lincei (1907), vol. XVI, sem. T, pag. 159; e Nota II (1907), Tip. Galileiana. (?) Rend. R. Acc. Lincei, XXII, serie V, sem. I, fasc. 10. (3) Zelinsky, Ber. 44 (1911), 2782; 46 (1913). 168. Willstaetter e Heidelberger, Ber., 46 (1913), 517. ZO e B-tetraidroartemisina. Dalle acque madri da cui si è separata l'a- tetraidroartemisina grezza, come pure da quelle benzoliche della sua puri- ficazione, si ricava una seconda tetraidroartemisina la quale, dopo cristalliz- zazione frazionata dal benzolo, si presenta sotto forma di cristalli candidi che fondono a 165-167°, È solubile in alcool; assai più solubile in benzolo che non il suo isomero, ed è stabile alla prova di Baeyer. Poichè la #-tetraidroartemisina si forma in quantità che raggiunge circa un terzo dell’@-, per separarla allo stato puro è consigliabile di operare almeno con 10 grammi di artemisina. Sostanza = gr. 0,1525 CO,= gr. 0,3770 H.,0= gr. 0,1215. Calcolato per C;; Ha 0, Trovato C 67.67 67,42 H 8,27 8,85 Una soluzione al 2,670 °/,, diede in tubo di due decimetri una devia- zione di 4+- 3,48: e però [a]$" = + 65,15. Semicarbasone dell' a-tetraidroartemisina. L' a-tetraidroartemisina in soluzione alcoolica reagisce facilmente colla semicarbazide. Dopo un'ora di ebollizioue per eliminazione dell’alcool, si ottengono cristallini bianchi poco solubili in benzolo ed acqua, che si decompongono, con vivo sviluppo gassoso, a 245 gradi. Poichè Wienhaus e v. Oettingen (*) nella determinazione dell’azoto dei semicarbazoni del santonano col metodo di Dumas, forse per la difficoltà con la quale bruciano questi prodotti, ebbero errori che oscillano dall’ 1 al 2°/, in meno rispetto al calcolato, abbiamo preferito dosare nei nostri semicarbazoni, anzichè l'azoto totale quello idrazinico, seguendo il metodo già da tempo proposto da uno di noi (?). Sostanza = gr. 0,2776 azoto idrazinico = ce. 21 ‘(92= 17° H= 750 mm. Calcolato per C:5Hs2 0, :N.NH.CO.NH; Trovato N idrazinico 8,67 8,66 Semicarbazone della f-tetraidroartemisina. Si prepara colle stesse norme del precedente ed è costituito da cristallini splendenti poco solubili in alcool, che si decompougono a 257°-258° con vivo sviluppo di gas. Sostanza = gr. 0,2132 azoto idrazinico = cc. 16,5 t° — 23° H = 760 mm. Calcolato per Ci5 Hg 03:N. NH. CONH; Trovato N idrazinico 8,67 8,72 Ossima dell’a-tetraidroartemisina. Si fa bollire per un'ora una solu- zione idroalcoolica di gr. 3 di «-tetraidroartemisina, colle quantità calcolate (!) luogo citato. (8) Gazz. chim. it., XXXIV, pag. 1 (1904), pag. 224. RISI di cloridrato d’idrossilammina e carbonato sodico. Eliminato l'alcool, col riposo, si depositano lentamente cristalli bianchi che, purificati dall'alcool, si decompongono a 248° con vivo svolgimento di gas. sostanza seccata a 100 = gr. 0,2700 COs = gr. 0,6300 H.0 = gr. 0,2000. Calcolato per C,; Hs30; : NOH Trovato C 64,05 63,64 H 8,18 8,22 Ossima della B-tetraidroartemisina. Dalla 8-tetraidroartemisina si otten- gono cristallini che si decompongono a 242° con vivo svolgimenlo di gas. Sostanza seccata a 10° = gr. 0,2685 CO. = gr. 0,6270 H.0 = gr. 0,1998. Calcolato per Cis H,203: NOH Trovato 0 64,05 63,68 H 8,18 8,27 Idrogenazione dell'artemisinossima. A gr. 3 di artemisinossima sciolti in 90 ce. di alcool metilico, si aggiungono gr. 0,2 di palladio colloidale in 20 cc. di acqua, e si fa gorgogliare idrogeno per 26 ore. Ben presto sì av- verte intenso odore ammoniacale. Distillata la maggior parte dell'alcool, si estrae ripetutamente con etere e si cristallizza il prodotto prima dal benzolo e poi dall'alcool. Si ha così una sostanza cristallina che si fonde a 192°-193°, il cui semicarbazone si altera a 245°. Mescolandola a parti uguali con @-tetraidroartemisina, non si deprime il punto di fusione. Trattasi quindi di «-tetraidroartemisina. Acido a-tetraidroartemisinico. Dopo aver aggiunto alla soluzione di 1 grammo di &-tetraidroartemisina purissima in 40 ce. di Na OH È un pic- s N colo eccesso di H,S0O, -- raffreddando fortemente, sì estrae tosto più volte 10 con cloroformio. Per rapida evaporazione del solvente a temperatura ordi- naria, rimane l'acido @-tetraidroartemisinico solubile in alcool, poco solubile in cloroformio, insolubile in etere e in benzolo. A circa 55° rammollisce per- dendo acqua, e a 118° si decompone con vivo svolgimento di gas. Si trasforma spontaneamente e rapidamente nell’'a-tetraidroartemisina, e però è difficile di ottenerlo puru. Dà un sale di sodio che cristallizza dal l'acqua in aghetti candidi. Acido f-tetraidroartemisinico. Si prepara dalla -tetraidroartemisina analogamente all’isomero a- del quale è assai più stabile, tanto che si può distillare la sua soluzione cloroformica senza che l'elevazione della tempe- ratura ne provochi la trasformazione nel corrispondente lattone. Cristallizza dall'alcool metilico in aghetti candidi che, per rapido riscaldamento, si fon- S499) DI dono con decomposizione a 218°220°. È solubile in acqua e in alcool, poco in cloroformio ; insolubile in etere. Grammi 0,0820 di sostanza furono neutralizzati da cc. 28,7 Na0H A 100 (indicatore fenolftaleina). Calcolato: 28,8. i N SAS, ; Altri cc. 10 di NaOH 100 aggiunti alla soluzione, consumarono ce. 10 N Peso equivalente a una grammi-molecola di Na OH. Calcolato per C14H,30;. COOH Trovato 284,19 285,70 Chimica. — Contributo allo studio della fototropia (*). Nota II di F. GRAZIANI e F. Bovini, presentata dal Corrispondente L. BAL- BIANO (°), L'esame che già avevamo fatto di idrazoni del tipo R' SNEN0HOR R7 in cui R' ed R” erano uguali, ci aveva dimostrato che nessuno di tali com- posti era fototropo. Avendo ora estesa la nostra ricerca ad idrazoni dello stesso tipo, ma in cui R' ed R” sono differenti, anche in questo caso non abbiamo mai riscontrato il fenomeno della fototropia. Poichè, dunque, zx messun caso idrazoni del tipo I, in cui cioè tutti gli idrogeni della idrazina sono sostituiti, presentano la fototropia, se ne deve argomentare che è necessaria la presenza di un idrogeno idrazinico libero, perchè tale fenomeno si possa manifestare: esso sarebbe possibile soltanto per idrazoni del tipo Ciò del resto è quanto avevamo già supposto e ritenuto come assai pro- babile, riferendo in una Nota precedente (*) i primi risultati del nostro studio. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica organica del regio Politecnico di Torino. (2) Pervenuta all'Accademia il 5 luglio 1913. (3) Questi Rendiconti, 1913, I, 793. SRO oe Dicevamo allora come quell’idrogeno, per la sua speciale posizione in vici- nanza di doppî legami, possa godere forse di una certa mobilità, e trasfe- rirsi nella molecola dando luogo a spostamenti di doppî legami. Ma in quale modo si può immaginare tale mobilità di quell’idrogeno nella molecola? Ecco il problema che si presenta, e a cui noi tenteremo di dare una risposta, per quanto non ci si possa per ora basare che sulle ipotesi. Per rendersi conto del mutamento della colorazione, che è la manife- stazione della fototropia, conviene, secondo noi, prendere in considerazione i gruppi cromofori che sono presenti nella forma ordinaria degli idrazoni, e quelli che eventualmente in essi possono formarsi. Siccome è noto che l'introduzione di nuovi gruppi cromofori in generale comporta un aumento nell’intensità della colorazione, dipendente anche dalla posizione reciproca di tali gruppi, nel senso che la loro vicinanza influisce più fortemente, così noi prenderemo in esame le ‘variazioni che, in quantità e in qualità, si hanno nei gruppi cromofori, in conseguenza dei diversi casi di spostamento dell'idrogeno. Tali casi si possono vedere chiaramente considerando gli schemi qui riportati: Tutti gli idrazoni fototropi finora noti corrispondono allo schema gene- rale II, in cui si può considerare il gruppo cromoforo Mi peli cro- moforo debole, tanto che tali composti sono di solito leggermente colorati, e talvolta incolori. .Se immaginiamo che l'atomo di idrogeno mobile passi all’atomo di car- bonio 9, allora si ottiene un composto dello schema ITT, nel quale al cro- moforo esistente nella formola II se ne sostituisce un altro, il gruppo azoico 708 —N=N—, il quale agisce, in generale, più fortemente. D'altra parte si può supporre che l'atomo di idrogeno migri nell'anello benzenico, ottenendosi per es. uno schema del tipo IV, nel quale, oltre al RenDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 5 SRO 4 . . . . . 8 9 rimarere inalterato il primitivo cromoforo —N=CH—, se ne forma un altro assai forte, l'aggruppamento chinoide, rinforzato a sua volta dal vicino 1 7 cromoforo —C=N— . Si potrebbero infine considerare i due schemi M Î C C Î NE=N==5C HIER N_CH.R I \/ H N Î H Questi però, oltre al sembrarci più artificiosi, non darebbero alcuna ragione del fenomeno della fototropia, in quanto per essi non vengono a for- marsi cromofori efficaci: crediamo perciò di poterli escludere senz'altro. Ci limiteremo quindi ad esaminare quale delle due forme III e IV si presenti come la più probabile. E, a parer nostro, quella che meglio si presta, in rapporto ai fatti finora noti, a spiegare la fototropia degli idrazoni, è la IV: la quale, oltre a renderci più facilmente ragione del mutamento di colore, per contenere più numerosi e più forti gruppi cromofori, può met- tersi in relazione colla regola di Padoa e Graziani, e darne forse la spie- gazione. Infatti, osservando che qualora si ammetta la migrazione dell'atomo di ilrogeno nel nucleo benzenico, essa con ogni probabilità avverrà colla minore traiettoria possibile. cioè in posizione orto, è evidente che tale migrazione non potrà avvenire nel caso in cui uno degli idrogeni in 2 o in 6 sia sosti- tuito. E tutti e due questi idrogeni debbono essere liberi, poichè, come am- mise Kekulé per ispiegare l’esistenza di un solo derivato monosostituito del benzolo, la posizione 07/0 in cui si trovano il semplice e il doppio legame non è sempre la stessa, ma il collegamento tra due atomi di carbonio con- secutivi muta periodicamente, in modo oscillatorio. Ammesso ciò, nessun impedimento a tale migrazione può venire appor- tato dall'essere sostituiti idrogeni delle posizioni mea e para: in perfetto accordo colla regola di Padoa e Graziani, che esclude la fototropia in idra- ih zoni derivati da idrazine ortosostituite, mentre ne ammette la possibilità o Il quando la sostituzione si abbia soltanto nelle posizioni meta e para. | {l fenomeno della fototropia negli idrazoni andrebbe quindi, secondo noi, così inteso: che i raggi di piccola lunghezza d'onda favorirebbero il passaggio _'igho dell'idrogeno iminico nella posizione orto del radicale dell’idrazina, con con- seguente formazione di un anello chinoide, e aumento nell’intensità della colorazione; i raggi di grande lunghezza d'onda e il calore produrrebbero il ripristinamento dell'idrazone propriamente detto, che è la forma stabile, meno colorata (’). (1) Nel corso delle nostre ricerche bibliografiche ci è avvenuto di trovare descritto un fenomeno prodotto dalla luce, che, definito come caso di fototropia, a noi sembra oltre- modo strano. Si tratta della di-(10-ossifenantril)-9-amina, descritta da J. Schmidt e H. Lumpp, (Ber. d. d. chem. Gesell., 4/, 4223) come una sostanza che cristallizza da molto alcool in prismi splendenti, bruno-verdastri, che fondono circa a 230°. « E° notevole — aggiungono questi autori — che la difenantrolamina PRESENTA LA FOTOTROPIA IN SOLUZIONE ETEREA. — (Incidentalmente facciamo notare che la soluzione alcoolica non presenta il fenomeno: ciò che può far pensare ad un’azione del solvente). — Infatti una soluzione della sostanza preparata di fresco è giallo-chiara alla luce del sole, mentre all’oscuro si colora in rosso-bruno, e mostra anche in quest'ultimo caso una spiccata fluorescenza. Se la soluzione bruno-scura si espone alla luce essa diventa giallo-chiara, e nell'oscurità di nuovo rosso-bruna. Questo fenomeno può essere prodotto ripetute volte ponendo la soluzione alternativamente alla luce e all'oscuro; però rimane infine qiallo-chiara per lunga illuminazione. Sembra dunque trattarsi qui, come pel trifenilfulgide, di una alternativa trasposizione, di una fotoreazione reversibile ». Che il fenomeno sia una fotoreazione reversibile non lo possiamo mettere in dubbio: ma si tratterà veramente di fototropia, quantunque esso si manifesti con mutamenti di colore ? Questa nostra domanda può essere giustificata dal fatto che tutte le sostanze finora riscontrate fototrope (e sono oramai numerosissime) presentano il fenomeno allo stato solido: ciò che ha portato i diversi studiosi dell'argomento a ricercare la fototropia sola- mente nei solidi, quasi che a tale stato essa fosse legata. E nessun autore parla, se non incidentalmente e come dettaglio di preparazione, del colore delle soluzioni, nè alcuno accenna di avere mai osservato se le soluzioni delle sostanze fototrope presentassero even- tualmente analoghi cambiamenti alla luce. Gli stessi Senier, Shepheard e Clarke [Jouru. of the chem. Soc.-Trans., /0/, 1950 (1912)], i quali da soluzioni in alcool etilico o in alcool amilico, a seconda delle concentrazioni e delle temperature, hanno potuto isolare le due forme fototrope della saliciliden f-naftilamina, non accennano affatto di avere con- statato che le soluzioni siano sensibili alla luce. Anzi è dato costante di esperienza che la forma illuminata passa istantaneamente alla forma stabile quando la si ponga in un qualsiasi solvente. Il caso osservato da Schmidt e Lumpp sarebbe però di altra indole, in quanto la sostanza, che sarebbe fototropa in soluzione eterea, non lo è allo stato solido. E noi non sappiamo se l’ammettere ciò si presenti alla mente anche più strano di quello che non sarebbe una eventuale permanenza del fenomeno nella soluzione di una sostanza foto- tropa. Un altro fatto pel quale il caso di S. e L. si differenzia essenzialmente da tutti quelli finora osservati di fototropia, sta in ciò: che la soluzione eterea della difenantrol- amina diviene più colorata al buio, mentre alla luce il colore è più chiaro. Ora, sempre, nei numerosissimi composti fototropi noti, la colorazione della forma illuminata è la più intensa: tanto che si può per essi generalizzare la relazione stabilita Cini u PARTE SPERIMENTALE. Gli idrazoni da noi esaminati derivano dalla metil-fenil-, dalla benzil- fenil-, e dalla fenil--naftil-idrazina. Come già si è detto, nessuno di questi ‘drazoni è fototropo. I. Metilfenilidrazoni. Li abbiamo ottenuti aggiungendo l'aldeide alla soluzione di metilfenil- idrazina in acido acetico diluitissimo. Cristallizzano tutti dall'alcool. da Stobbe per i suoi fulgidi, raggi a piccola lunghezza d'onda - _oicssi Sani raggi a grande lunghezza d’onda dove A è la forma più chiara, B la più scura. Inoltre S. e L. non accennano nemmeno ad una eventuale azione del calore, la quale è pure generalissima, nel senso che ad una temperatura inferiore al punto di fusione la forma illuminata si trasforma nell’altra (punto di scoloramento). Osserviamo però che nel caso di S. e L., trattandosi di soluzione eterea, l’effetto del calore non potrebbe compiersi che in un brevissimo intervallo di temperatura. Per tali contrasti a leggi finora senza eccezioni nel campo della fototropia, noi domandiamo: Si può ascrivere il fenomeno notato da S.e L. a tale campo? ed anzitutto, si può parlare di fototropia delle soluzioni ? La risposta a tale questione non può essere data in base alla sola definizione che della fototropia noi possediamo, quella di Marckwald, alla quale si sono riferiti tutti i ricercatori successivi, perchè è troppo imprecisa. Marckwald (Zeitschr. f. phys. Chem. 20, 140) propone il nome di fototropia per quegli effetti della luce su «certi cristalli », che portano ad un mutamento di colore che spa- risce più o meno prontamente al cessare della causa. — Sembrerebbe dunque, basandosi su questa definizione, che Marckwald, ritenesse la fototropia propria dello stato cristallino: tanto più che nei casi da lui osservati ricollega esplicitamente il fenomeno alla forma cristallina, e tende a spiegarlo riferendosi a isomerie fisiche dipendenti da tale stato, Osserviamo però che il materiale sperimentale sul quale poteva basarsi, era troppo poco perchè del fenomeno egli potesse dare una definizione precisa e tale che ne delimi- tasse nettamente il campo. Come abbiamo già accennato, gli altri studiosi del fenomeno non tengono parola di ciò, all'infuori di Senier e Shepheard (Journ. of the chem. Soc.-Trans,, 95, 1944), i quali esprimono l'opinione che il fenomeno debba, con tutta probabilità, considerarsi legato alla stato solido, perchè allora si potrebbe darne forse una più facile interpretazione. E di questo va tenuto il debito conto. Eppure il fenomeno notato da S. e L., che ha con le sostanze fototrope comuni alcuni caratteri fondamentali, cioè il mutamento di colore per effetto della luce, la rever- sibilità, ed infine la stanchezza, può far pensare, SERANIESE 1. Metilfenilidrazone della bensaldeide. CH, CsH; Begli aghi gialli-paglierino, che fondono a 106°. È stato preparato per la prima volta da Elbers (') col P. F. 104°.5. >N_N=CH. C;H;. 2. Metilfenilidrazone dell’anisaldeide. H i CR >N-N=CH IC Hi0CHE Aghetti bianchi, fondenti a 115°. Bamberger e Pemsel (*) lo descrivono col P. F. 113°.5-114° (corr.). 8. Metilfenilidrazone del cuminolo. CHs—N_N_CH.C;H,.CH(CH;);. CeHs Aghetti appena giallognoli. P. F. 54°. Non ci risulta precedentemente preparato. Calcolato | Trovato N°, ol 11,19 Ora, date le cognizioni che al presente si hanno sull’argomento, noi domandiamo: Si può o no ascrivere alla fototropia il fenomeno osservato da S. e L. ? È chiaro che la risposta a tale domanda è connessa alla risoluzione di queste due questioni : 1.° La fototropia è esclusiva dello stato solido, o si può ammettere che sia pos- sibile anche pei liquidi e per le soluzioni ? 2.° Si può dire che si tratti ancora di fototropia quando la luce ovperasse uu equilibrio raggi a grande lunghezza d’onda > TS B raggi a piccola lunghezza d’onda cioè in senso inverso a quello finora osservato ? Noi non pretendiamo di risolvere tali quesiti. Ai valentissimi scienziati che si occu- pano di tali studî spetta di stabilire se le regole fin qui acquisite siano tali da doversi ritenere assolute, e quindi siano da definirsi come fototropi soltanto quei composti ai quali tutte queste leggi possano applicarsi; oppure se occorra attendere d’aver trovato le cause intime del fenomeno, prima di portare al campo alcuna limitazione, ritenendo per ora che fototropia debba chiamarsi il fenomeno per il quale certe sostanze solide, liquide o in soluzione, cambiano di colore per azione della luce e ritornano, all’oscuro, del colore primitivo. (1) Liebig*s Annalen, 227, 352. (?) Ber. d. d. chem. Gesell., 36, 363. Non ci è risultato noto. ill | ij so ii I 4. Metilfenilidrazone dell’alderde cinnamica. i ci >N-N=CH 1CH==©Rli0s Ho. ìl Cristallizza in minutissimi aghi, di colore giallo intenso. P. F. 114° Î Calcolato Trovato È N° 11.87 12.00 Bi 5. Metilfenilidrazone dell’aldeide salicilica. RI CH; he c.H,>N-N=CH.C:H,.0H. sii L'abbiamo ottenuto in fogliette leggermente giallognole, fondenti a 74°. i Già preparato da Labhardt e v. Zembrguski (*), che lo descrivono cri- stallizzato in aghi, di P. F. 71°. Ù 6. Metilfenilidrazone del piperonal. CH a OS c,H,N-N=CH . (07: Hs CH» . Lunghi aghi piatti o fogliette leggermente gialle con nuance verdognola il IRSA CI li È stato preparato di Goldschmidt (*) col P. F. 85°. 7. Metilfenilidrazone dell'aldeide p-toluica. ì Cp >N-N=0H "Gli di Cristallizza in fogliette splendenti, giallo-verdognole, untuose al tatto, i che fondono a 122°. Non ci risulta noto. Calcolato Trovato N°/ 12.50 12.45 3. Metilfenilidrazone della vanillina. \ CHs _N_N=CH. C;H; (0H)(0CH;). INI CsH; Ill| | Begli aghi bianchi, fondenti a 122°. Non risulta precedentemente pre- tÙ parato. | | Calcolato Trovato pu N°, 10.94 10.95 | (1) Ber. d. d. chem. Gesell., 32, 3061. (*) Ber. d. d. chem, Gesell., 29, 2328, INA II. Fenilbenzilidrazoni. Li abbiamo preparati come i precedenti, aggiungendo l’aldeide alla soluzione acetica diluita della fenilbenzilidrazina. 1. Fenilbenzilidrazone della benzaldeide. Cs H; da COHL! cH,7N_N=CH .CoHs. Dall'alcool in aghetti giallognoli che fondono a 110°. Philips (') lo descrive col P. E. 111°. 2. Fenilbenzilidrazone dell’anisaldeide. (E i eg, >N_N=CH -C0Hy.0CHz. Già preparato da Minunni (?). Cristallizza dall’ alcool in lunghi aghi appena giallognoli, fondenti a 130°.5. 3. Fenilbenzilidrazone del cuminolo. o c.H°. 6HN-N= 0H. CH. CH (CHy).. Lunghi aghi bianchi, con leggera ruarce gialla. P. F. 88°.5. Minunni (loc. cit.) l'ha ottenuto fondente a 89-90°. 4. Fenilbenzilidrazone dell’aldeide cinnamica. CH; SIAT ANITA Ci HS CH, N_N=0H . CH=CH . (07 HE . Poco solubile in alcool anche bollente, facilmente in benzolo caldo. Cristallizza da una miscela di alcool e benzolo in una polvere cristallina di colore giallo-citrino. Fonde a 167-168°. Non ci è risultato noto. Calcolato Trovato N°/ 8.97 9.14 5. Fenilbenzilidrazone dell’aldeide salicilica. CH; s G,H;. CH N-N=CH .C:H,. OH. Ashi splendenti, leggermente gialli. P. F. 116°.5. Minunni (loc. cit.) dà IL 185: 196 IDEE (1) Liebig*s Annalen, 252, 289. (*)-Gazz. chim. ital., 27, 2, pag. 237. EESI 19 Er LO) 6. Fenilbenzilidrazone del piperonal. Cs Hg dS (0) Cs Hi 3 CH,7N . N=CH ° (075 HsN-N=CH .05Hs. Dall'alcool in aghi ben formati, giallognoli, che fondono a 92-95°. Calcolato Trovato N°/ 8.69 8.99 2. Fenil-B-naftil-idrazone dell’anisaldeide. Ce Hs_N_N=CH . (07° Hoso CHs 3 Cro Hr Si ottiene dall’ alcool in grossi aghi prismatici, leggermente colorati. PSE dl6=tl Calcolato Trovato N°/, 7.95 8.01 (1) Liebig'*s Annalen, /90, 174. (*) Liebig*s Annalen, 209, 159. DA 3. Fenil-B-naftil-1drazone del cuminolo. di H>N-N=01 ° (07 H, ° CH (CH3)» . 1 Cristallizza dall'alcool in piccoli aghi bianchi, che fondono a 118°. Calcolato l'rovato N° 7.69 7.84 4. Fenil-P-naftil-idrazone dell'aldeide cinnamica. Coi N_N-CH.CH—CH.0;H;. 10 I, Da benzolo ed alcool in minuti cristalli aghiformi, giallo-chiari, fon- denti a 156°. Calcolato Trovato N°/ 8.05 8.26 5. Henil-B-naftil-idrazone dell’aldeide p-toluica. (07: H; na ql oi NeN-CH . C6H4. CH3. Dall'alcool cristallini ben formati, aghiformi, di color giallo. P. F. 154°. Quest’ idrazone fu ottenuto in quantità troppo piccola per poterne fare l’analisi. E. M. RenpIcontI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 6 i pe i Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1° — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 22 MEMORIE dellu Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, Ri. storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MemoRIE della Clusse di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4° — IRenbicontI. Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. 1-XXI. (1892-1915). 2° Sem. Fase. 1. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXI. (1892-1913). Fase. 1°-2°, MemoRIE: della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. 1-IX. Fase. 13°. MemorIE della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. i-XIL CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI i DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R, Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon= denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia è di L. 19; per gli altri paesi le spese di posta in più, Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Erwanno Léfscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULRICO: Hoepui. — Milano, Pisa e Napoli. | Ut l - : RENDICONTI — Luglio 1918. Hi pit! =, iN | I A NDICE Vul I Sn |} i CA Il Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali IL (LIÙ : Jia MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI I li pervenute all Accademia durante le ferie del 1913. Bianchi. Sui sistemi coniugati permanenti uelle deformate delle quadriche. . . .. . Pag. 8 Molinari. Sul teorema di Hadamard (pres. dal Corrisp. Castelnuovo) . . . ani 11 Silla. Sui sistemi di equazioni integrali di prima specie (pres. dal Socio Levi Gera) Go 15 Sandonnini. Sistemi binari del cloruro talloso coi cioruri di alcuni metalli bivalenti (pres. dal Socio Ciamician). . . i è eo 20 Rimini e Iona. Nuovi derivati dell afiemibiz e della NCR as dal Sun Ten n 28 Graziani e Bovini. Contributo allo studio della fototropia (pres. dal Corrisp. Balbiano) » 32 ERRATA-CORRIGE Fasc. 12°, 1° sem. 1913. Pag. 681, linee 4, 7, 9, 12, 14, invece di @, di 2a, di me, di pa; si legga: 14+-@, 14-2a, 14ma, 14 po. D) ” n 11; invece di TTm=sa si legga: TTa...T'm-na - il i 4 E. Mancini Segretario: d'ufficio, responsabile. Ni} ll . n : LAT, ; i ki iN] L 4 / tate i dae ia ‘ ca ‘ IO Ri SICA È 1 Ù x 4 i x È Haba? Le 5. 'Abbonamento: postale. Ùi f CRINI@ Lg cai SE ATA Frnice : DE | f Qua ERO GOCCE halo te o EROE LORI NA I = Pubblicazione bimensile. Roma 27 luglio 1913. N. 2, ALE El DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI NNIKXO CEEX, 1918 SHEERINES® UMETN, TUA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXIII. — Fascicolo 2° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia durante le ferie del 1943. (Ogni Memoria o Nota porta a pie' di pagina la data d'arrivo) ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. v. SALVIUCCI 1918 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 sì è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademiadei Lincei. Inoltre i Rerdiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della dei è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le de sioni verbali che si fanno vel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indì cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite ne Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate -da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade-. mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro posta dell'invio della Memoria agli Archiv dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta a nell'ultimo in seduta segreta. - 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agl autori, fuorchè nel caso CoMenio dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli aù- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50.se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico SCR autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classefdi scienze fisiche, matematiche e naturali. » MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1943. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). Matematica. — Sopra equazioni integro-differenziali aventi ? limiti costanti. Nota del Socio Viro VOLTERRA ('). 1. Ho avuto già occasione di trattare questo stesso soggetto in un’altra ‘ Nota pubblicata in questi Rendiconti, nella quale ho considerato le equa- zioni della forma CO 2 VP 2 p perte tel ( Luettet v, e de=0 TR DIS dX; ‘in cui le funzioni /;(£, 7) sono permutabili di 2* specie e, dopo aver sta- bilito in generale il teorema di reciprocità analogo a quello di Green, ho più specialmente esaminato il caso in cui p > 2 è pari, che è il più sem- plice (*). Nel caso di p dispari, nel quale non può applicarsi il principio del passaggio da soluzioni rapporti di funzioni intere di equazioni differenziali alle soluzioni pure rapporti di funzioni intere delle equazioni integro-differen- ziali correlative, si può far uso di un metodo analogo a quello impiegato nel .() Pervenuta all'Accademia il 7 luglio 1913. () Equazioni integro-differenziali con limiti costanti. Seduta del 22 gennaio 1911. Ho pure considerato equazioni integro-differenziali con limiti costanti nelle Note: Que- stioni generali sulle equazioni integrali ed integro-differenziali, 20 febbraio 1910; Sopra una proprietà generale delle equazioni integrali ed integro-differenziali, 6 agosto 1911. L’anno scorso nelle mie lezioni alla Sorbona ho mostrato come quelle a nuclei simmetrici possano ricavarsi da questioni di calcolo delle variazioni. RenpICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 7 gg $ 5 dell'altra mia Nota avente per titolo: Sopra le funzioni permutabili di 2% specie (3): Mi permetto qui di trattare il caso di p=3 (giacchè gli altri casi di p dispari non offrono diversa difficoltà) cioè l’equazione d*u(t) o deu(t) ui PV w(t b) t) di = 0 O 440+f E 04 ZO g+ nella quale, per semplicità, ho soppresso di scrivere esplicitamente le varia- bili 2,y,s da cui dipende la funzione «. 2. Tutto sta nel trovare una soluzione fondamentale di quella equazione che ho chiamato aggiunta della (I), la quale non differisce da essa che per una semplice trasposizione delle variabili { e 7 in /(t,7), g(t,7), (1,7) (?). Basterà dunque dare un metodo per trovare una soluzione fondamentale della (I). Supponiamo /,g,w permutabili di 2* specie, e consideriamo dapprima l'equazione soll +a)+ 0 +4) tte) La sua soluzione fondamentale sarà Vr bai, i. 1+ (41 +32 +23) + (424343341 +21 42) + 414283 r| lata (ATER ove c è una costante e VETTA, a Cominciamo dal costruire le funzioni [+9+4+9db+w/+/9+/9w=M1t,7) (+ Y+P(W+ H+ rX(f+9)+a°9w4+8Wf+yfp=pult,t) ove i doppî asterischi segnati sulle lettere /,,w denotano che le opera- (*) Seduta del 23 aprile 1911. (2) Equazioni integro-differenziali con limiti costanti, $ 2. =LRI 0 zioni sopra esse eseguite non sono moltiplicazioni, ma composizioni di se- conda specie ('). Determiniamo quindi la funzione v(#,) tale che 7 a E, Ira ossia in modo che i=u+r+uv. Essa si otterrà risolvendo l'equazione integrale all Ut, — ut, =,)+ | ult, 908,9) de. SA Basterà ora considerare l'equazione integrale di 2° grado VI+v=1+x%, cioè ltr=(1+ n), ossia v=2n+n, che può scriversi vt.) =2n(t,1) + fat , &) a(E , 1) dé e, se ci riesce ad ottenere 77(#, 7) permutabile, insieme alle sue derivate ri- spetto a x,y,, con f/,@,%w, sarà n E la soluzione fondamentale richiesta, ove F(?) è una funzione arbitraria di £, indipendente da x, y,%. (') Ho adottato qui gli asterischi, invece dei punti di cui avevo fatto uso nelle Note precedenti. 3. Noi faremo uso adesso del metodo delle sostituzioni permutabili applicato nella Nota precedentemente citata (*). Abbiasi la sostituzione CATSORII0ZO Aido dipl) \ È \ I 0 A oa e dala; ,0 REA 0 1E0)5 | Ani 3 Ung, sl VOL ORO A ove T è una sostituzione a determinante diverso da zero e Qi 3% , Ui SCA O VARO (Mhae + + hg = 2. \ yi) (hi-1) (hi-2) dj 9 dj 9 di 9 000 Ui Noi denoteremo con B, C, L, M,... delle sostituzioni perfettamente ana- loghe alla A in cui però le a;s, 4, 45, 4 , ... Ai ,.. sono respettivamente sosti- tuite dalle lettere d;;, 0;, 6;, 27 ,...Bi,..., oppure cis; Ciy (73 7 3... Ci)... 000,4 rimanendo la stessa la sostituzione T e non alterandosi i numeri 71, he, #3, Rig. Tutte le sostituzioni A,B,C,... saranno fra loro permutabili e le funzioni S | 13 r 2_s Is e, (1) a:(t) » | dA DA i c brs (8) as(t) ars 2r(0) &s(1) < > | 4 -| VAR -| e) ove a,(t) , a2(t) , ... @n(t) sono funzioni normalizzate, saranno permutabili fra loro. Noi prenderemo le funzioni /,y,w della equazione (I) date dalle espressioni precedenti, supponendo le T,A;,B;,C; indipendenti da 2x,y,4. (!) Sopra le funaioni permutabili di 29 specie. (*) Secondo una notazione di cui ho fatto uso in altri miei lavori questa sostitu- 9 zione può scriversi ancora T-:3 [] o (N ES 7 È evidente allora che avremo == DE Da lrs @r(t) as(7) Te) Mi Da DI Mrs @r(t) as(t) 1 1 n LO. n= cv DE Urs er(l) as(t) 1 1 NES DI Di Da ay(t) as(t) 1 1 e fra le sostituzioni corrispondenti passeranno le relazioni RI BELGA LA BL AR= a°(B; + C;) + #°(C:+A;) + y°(A:4+- B;) + a BC; 4- 8° CA; 4 y°A; B: = Mi; CEE EN, ove con 1 si rappresenta la sostituzione identica, cioè i 005, O, \o ot o | Rodi. 006 e. | ORERON, 0.0 1 In altri termini 1+N=|e1+ A) +#e(1+B)+r01+0) |. Finalmente sarà N,= 2P; 4 Pî ossia CE) =1NA 4. E facile con semplici operazioni algebriche calcolare gli elementi delle sostituzioni P;. Infatti posto dapprima e(1+A::+#1+B) +7(1+0)=1+0;, a = sì avrà Dato a p° DE e ie, e ra I AT - +4? (1465? (144? AZ A Si (eg Ttap)t bi iù \ s e‘ ci lega eni a RE O IE nea quindi 1+n = : C a he 8? dì y? 1 + Ui 1 + di 1 "E Ci id = di i (Lapegh iti) STE gi " (Eroe È (1498 Finalmente o nn ; V & DI p de Ù 1 + di ]l | di 1 + Ci SS AO (n° Hi ) ie e I) Basterà dunque che siano 1+a4; , 145; , l+eD3>0 perchè le pi, pi, pi ,... possano senz'altro ottenersi, ed esse saranno de- terminate prendendo posttivi tutti i radicali che figurano nelle formule precedenti. ° Da queste quantità possono ricavarsi le p;s, quindi 77 ed è evidente che essa e le sue derivate rispetto a x,y, saranno permutabili con /, 9, w. De gg La soluzione fondamentale (II) assumerà quindi la forma F(£) + vw x Pis ks 2;(0) P ’ ove ks I 20) F(1)dt, onde il problema propostoci sarà risoluto. Si può esaminare abbastanza facilmente la estensione al caso di x = co. Patologia vegetale. — Ancora sulla « morìa del castagno (mal dell’inchiostro) » in risposta al sig. dott. L. Petri. Nota dei Socio Grovanni BrIosI e di RopoLFo FARNETI. Rispondendo a due Note del sig. dott. Lionello Petri, pubblicate nei Rendiconti di codesta R. Accademia, noi criticavamo il suo modo di vedere sopra l'eziologia del Male dell'inchiostro dei castagni e specialmente il fatto di ritenere egli che la malattia si dovesse ad una infezione della regione del colletto e delle grosse radici, prodotta, secondo l'autore, dall’ Andothia radi- calis, come combattevamo la affermazione che il Corynewm che noi avevamo sperimentalmente dimostrato essere la causa del male, invece non vi pren- desse parte, o solo in via affatto secondaria. Il dott. Petri ora ('), risponde in una nuova Nota, che è « assolutamente « arbitrario il volergli attribuire l'opinione che il Male dell'inchiostro sia « prodotto dall’ Endothia radicalis ». « L'aver trovato », dice egli « che l' Erndothia radicalis, sviluppandosi « alla base del tronco o anche sulle grosse radici, può precedere il Coryneum «e favorirne anzi l'attacco sulla chioma dell'albero, ciò non equivale ad « affermare essere l' Erdothia la causa della malattia. Una simile afferma- « zione sarebbe in aperta contraddizione coi risultati delle mie stesse ri- 4 cerche ». Per certo non è sempre facile cogliere il pensiero ultimo e sicuro di questo autore che talora divaga e spesso sembra indeciso, ma noi abbiamo proceduto colla massima sincerità e crediamo di non aver errato; poichè ab- biamo riportato le sue stesse parole, trascrivendo lunghissimi brani del suo (*) Considerazioni critiche sulla malattia del castagno detta dell'inchiostro. Atti Acc. Lincei. Rendiconti, vol. XXII, fase. 7°. E ee lavoro, del resto i lettori confrontando la prima Nota del dott. Petri (*) e la nostra risposta (*), potranno vedere se noi abbiamo arbitrariamente attri- buito al dott. Petri una tale opinione. Ad ogni modo noi prendiamo atto ben volentieri della sua nuova di- chiarazione e per conto nostro non ci occuperemo più di detta Erdothia, od almeno sino a quando il dott. Petri non ritornasse ad incolparla di essere la causa diretta od indiretta del male dell'inchiostro o di altri gravi malanni dei castagni. Il dott. Petri ritiene che le cose da lui esposte, e da noi di già con- futate, « rendano giustificato il ricercare da quali cause derivi la preliminare «“ alterazione della parte sotterranea, alterazione che evidentemente costituisce « la condizione predzsponente all'infezione del Coryneum e di altri funghi « disseccatori dei rami ». Ma poi più avanti egli dichiara: « mi sono proposto di stabilire se « l'infezione della base del tronco, che sempre precede il disseccamento dei «rami, fosse preceduta a sua volta da un'alterazione delle radici. E i « risultati per ora ottenuti, e resi noti intorno a quest'ultimo argomento, “sono ben lungi dall’escludere che la causa prima della malattia risieda «in una alterazione parassitaria delle radici ». Facciamo notare che questo identico problema, di una alterazione cioè parassitaria predisponente nelle radici, era stato posto dal Ducomet (*) fino dal maggio 1911; dopo la pubblicazione delle nostre tre prime Note. Noi avremmo compreso che il dott. Petri fosse entrato in questa que- stione con un utile contributo di fatti nuovi per risolverla, ma non compren- diamo come egli ora semplicemente la riproponga di nuovo in nome proprio tacendo del Ducomet che l'aveva formulata due anni prima, e nulla aggiunga del suo. Il dott. Petri infatti dati nuovi non sembra di possederne poichè fà la seguente confessione: « Per me le cause patogene che pongono i castagni « nelle condizioni di essere attaccati da questi deboli parassiti sono ancora « completamente ignote ». Ora, se l’ Endothia radicalis più non entra, come ammette con la sua nuova dichiarazione il Petri, nella produzione della morìa dei castagui, quale nuovo contributo porta egli allo studio di tale malattia? Nessuno. Infatti il resto che egli afferma sulle radici, era di già stato detto e ripetuto non solo dal Ducomet ma da quasi tutti gli autori che dal 1870 in poi si sono (1) Ricerche sulla malattia del castagno detta dell'inchiostro. Rend. Acc. Lincei, vol. XXI, fase. 11°. (*) A proposito d’una Nota del dott. Leonello Petri sulla morìa dei castagni (Mal dell'inchiostro). Rend. Acc. Lincei, vol. XXII, fasc. 6°. (3) V. Ducomet, Zravaux de la Station de physiologie et pathologie végétales. In Annales de l’Ecole nationale d’agriculture de. Rennes, tom. V, 1911. try] occupati del Male dell'inchiostro. E ciò noi dimostreremo nella revisione critica e cronologica della bibliografia sull'argomento che pubblicheremo nel lavoro definitivo, opinione che noi abbiamo dimostrato errata e causa del disguido delle numerose ricerche fatte da molti sperimentatori. Il dott. Petri scrive anche che: « le ripetute inoculazioni, eseguite con « conidi ed ascopore su giovani piante di castagno sane, hanno avuto sempre « esito negativo »; ma non dice se queste inoculazioni siano state fatte da lui e quando, e tace infatti sulle circostanze di luogo e di tempo nelle quali egli le avrebbe eseguite. Cita invece il Ducomet che ha fatto inoculazioni in Francia con esito negativo, ma ad esse il Petri attribuisce un valore che il Ducomet stesso a loro non dà. Infatti il patologo francese ('), con sincerità scientifica, dichiara: « Il « serait imprudent de faire actuellement état de ces résultats négatifs. Au « moment ou nos essalis ont été faits, nos connaissances sur le lien et le « moment de l’infection étaient è peu près nulles ». E più sotto il Ducomet dimostra anzi la speranza di riescirvi tentando in altro modo l'esperienza: « pewl-étre nous conduiront-elles à un résultat posttif ». Segno che egli dubitava di non essersi messo nelle condizioni ne- cessarie e volute. E si noti che mentre ciò scriveva non aveva ancora veduto la nostra quarta Nota sulla riproduzione artificiale della malattia: « À l’ heure où nous « écrivions ces lignes, nous ignorions le résultat des expériences entreprises « par les savants italiens ». E dopo aver appreso i nostri nuovi risultati, il Ducomet (*) lealmente dichiara: « La réalité du parasitisme est dès lors démontrée. Il est vrai que « les expériences dont il s'agit ne visent que le parasitisme traumatique. « Il reste encore à démontrer la réalité du parasitisme des extrémités. Tout «ce que l'on peut affirmer è l’heure actuelle, c'est que à la suite de bles- « sures (8) du tronc, le Melanconis est capable de déterminer la mort du « chàtaignier ». Prima di finire facciamo altresì osservare che il rimprovero che ci fà il dott. Petri, di avere noi ritenuto esauriente la nostra wr7ca prova d’inocu- lazione, è pure fatto a sproposito poichè nella nostra quarta Nota (4) è detto che le nostre esperienze furono eseguite nel 1909, e furono ripetute sopra .(!) Ducomet, op. cit., pag. 23. () Ducomet, op. cit., pag. 24. (3) Queste dlessures non sono altro che punture da noi fatte con la siringa di Pravaz. (4) Nuove osservazioni intorno alla morìa dei castagni (mal dell'inchiostro) e la sua riproduzione artificiale, in Atti dell’Istit. Botanico di Pavia, serie 2*, vol. XIV, giugno 1911. RenpicontI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 8 Rec ROuee NI giovani piante nel 1910. Ora poi possiamo agginngere che nuovi sperimenti | di riproduzione artificiale della malattia imprendemmo anche nel 1911 in pi due diverse e lontane località, e che le risultanze hanno ancora confermato | pienamente quanto ottenemmo colla prima esperienza. I | Molte altre cose potremmo osservare e rispondere al sig. dott. Petri e ribattere ad una ad una le cose da lui dette; ma a quale prò polemizzare? Quando nella scienza le polemiche non apportano luce di fatti nuovi ben controllati e precisi è superfluo continuarle; esse si risolverebbero in un .I iuutile perdita di tempo. pi | Chimica fisica. — Proprietà chimiche e chimico-fisiche del ni succo di muscoli striati e lisci. Nota II. Contenuto in proteine del succo e rapporti fra granuli (miosina) sospesi, e mioprotena i sciolta (*). Nota del Corrisp. F. Bortazzi e del dott. G. QuAGLIA- LN RIELLO (*). In un lavoro precedente (*) si rileva, che il contenuto totale in proteina del succo muscolare è quasi sempre assai piccolo e inferiore a quello del siero del sangue degli stessi animali. Esso, infatti, variava da un minimo di 2,67 °/ (muscoli lisci} a un massimo di 4,530 °/ (muscoli striati), la- sciando da parte l’unico valore alto, trovato nel succo di muscoli striati di Dentex, che fu di 11,10 °/,. Essendo inverosimile che un così basso conte- nuto in proteine del succo dipendesse da basso contenuto dei muscoli in proteine spremibili al torchio idraulico, nacque in noi il sospetto che esso dipendesse piuttosto dal procedimento di triturazione delle masse muscolari, poichè la pressione, alla quale il sncco è spremuto, raggiunge sempre lo stesso valore massimo, per successivi eguali aumenti graduali in ogni caso. Dalle medesime ricerche resulta, inoltre, che nel succo muscolare spre- muto al torchio idraulico di Buchner da muscoli freschissimi tritati in guisa da ridurli in una pasta per quanto era possibile omogenea, si trova una pro- teina sciolta, che abbiamo chiamato mzoprote:na, e un'altra, detta 7220s7na, sospesa in forma di granuli minutissimi, invisibili al microscopio nel succo {l | fortemente centrifugato, ma visibilissimi all’ultramieroscopio. Ora noi abbiamo tentato, colle presenti ricerche, di risolvere. sia il problema della separazione iI dei due materiali, basandoci sulle }oro proprietà ampiamente descritte nel (4) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia di Napoli. VI (*) Pervenuta all'Accademia il 16 luglio 1913. il (3) F. Bottazzi e G. Quagliariello, Arch. intern. di fisiol,, vol. XII, pp. 236, 289 LI e 409 (1912); ved. anche: Rendic. R. Accad. Lincei, serie 5°, vol. XXI, 2° sem., pag. 493 (1912). 189) = citato lavoro, e della determinazione della proporzione in cui si trovano pre- senti in ciascuno dei succhi ottenuti, come anche l'altro che riguarda il con- tenuto in proteine totali del succo muscolare. Naturalmente, avendo fatto in tutto otto esperimenti, non abbiamo tra- scurato di determinare, degli otto succhi ottenuti (3 di muscoli striatì di cani, 4 di muscoli di bue, 1 di muscoli di cavallo), oltre al contenuto totale in proteine e al contenuto in materiale granulare per cento di carne e per cento di proteine totali, anche il peso specifico, la conduttività elettrica, il tempo di deflusso per lo stesso viscosimetro e sempre alla stessa tempera- tura, il contenuto in azoto totale, il residuo secco e le ceneri. Per risolvere il primo problema, abbiamo provato a variare notevolmente la quan- tità e la qualità della sabbia di quarzo, che si aggiunge alla poltiglia muscolare quale la si ottiene dal tritacarne prima di pestarla nel mortaio, senza variare molto la quantità di polvere di diatomee (Kieselguhr), che da ultimo si aggiunge alla pasta, già contenente la sabbia di quarzo, per un’ulteriore e definitiva pestatura. Il succo muscolare, cioè il liquido che si ottiene spremendo al torchio idraulico la pasta formata di muscolo tritato e di sabbia di quarzo e polvere di diatomee, ha eviden- temente una composizione assai complessa e variabile. Esso resulta in parte della linfa che imbeve le strutture colloidali del muscolo, tanto quelle che costituiscono la sostanza muscolare propriamente detta, quanto le strutture connettivali ed elastiche di sostegno (perimisio esterno ed interno, sarcolemmi ecc.); e in parte del contenuto fluidificato delle fibre muscolari. I sarcolemmi essendo, come si sa, membrane elastiche asssi resistenti, si comprende che, spremendo a una certa pressione una massa di fibre muscolari quasi tutte integre, si otterrebbe principalmente un succo contenente la linfa che imbeve queste fibre, e oltre ad essa una certa quantità di contenuto di fibre muscolari, propriamente di quelle il cui sarcolemma sarebbe stato rotto dalla stessa spremitura. Se invece il sarcolemma è rotto e tagliuzzato durante la pestatura da quei minutissimi e taglientissimi coltelli che sono i granellini della sabbia di quarzo e della polvere di diatomee, si comprende che all’atto della spremitura il contenuto delle fibre passerà nel succo in tanto maggior quan- tità, quanto maggiore sarà stato il numero dei sarcolemmi rotti. Di conseguenza, poichè è nell'interno delle fibre muscolari che si trovano proteine in concentrazione relativamente alta (più alta che nel siero del sangue), si comprende che il succo muscolare dovrà essere tanto più ricco in proteine quanto più e quanto in maggior numero rotte e tagliuzzate sono state le fibre muscolari. Mantenendo approssimativamente costante la durata della pestatura in mortaio, ab- biamo, dunque, scelto una sabbia di quarzo (di Kahlbaum) più fine di quella usata nelle nostre ricerche precedenti, e ne abbiamo fatto variare la quantità agginnta, da un minimo di grammi 100 a un massimo di grammi 370 per 100 grammi di poltiglia di muscoli tritati al tritacarne, mentre la polvere di diatomee variò, da un minimo di grammi 7 a un massimo di grammi 11 per 100 grammi di poltiglia muscolare (!). La pressione mas- sima esercitata sulla pasta fu sempre la stessa, cioè di 350 atmosfere indicate dal mano- metro (500 atmosfere circa in corrispondenza dell'asse dello stantuffo), la quale fu rag- giunta in ogni caso gradatamente, cioè per aumenti successivi di 50 atmosfere. Il succo (1) Si noti, che la sabbia di quarzo essendo molto pesante e la polvere di diatomee invece molto leggera, alla grande differenza nel peso fra le due polveri aggiunte non cor- risponde un’eguale differenza nel volume. a — muscolare totale fu raccolto in vasi asciutti e subito pesato, per poter fare la determina- zione del rendimento (quantità in peso di succo ottenuto per 100 srammi di carne). Quindi fu centrifugato per 1 ora a 4000 giri al minuto nella grande centrifuga del Laboratorio di fisiologia: raccolto in altro vaso asciutto, e conservato nella ghiacciaia, finchè non furono eseguite tutte le ricerche e le determinazioni sopra indicate. Per quanto riguarda il secondo problema, procedemmo nel seguente modo. Dalle nostre ricerche precedenti risulta, che il materiale granulare contenuto nel succo se ne separa, sia spontaneamente o per dialisi, ma in un tempo relativamente assai lungo; come anche quando si riscalda il succo a bagno-maria a una temperatura dai 35° ai 50° C, ma in questo modo assai più rapidamente. Non avevamo, quindi, da esitare, e scegliemmo, per accelerare il processo di agglutinazione dei granuli, la temperatura di 48° C., come quella che era sufficientemente alta per determinare la totale agglutina- zione in un tempo relativamente breve (circa 30’), ma non tanto alta da provocare la coagulazione della mioproteina sciolta, la quale non s’inizia, in modo apprezzabile, se non oltre i 55° C. Avremmo potuto anche diluire il succo originale con soluzione 1°/, di cloruro sodico, al fine di accelerare sempre più la precipitazione dei granuli diminuendo la vi- scosità del liquido di sospensione; ma, dopo qualche tentativo, ci attenemmo al procedi- mento più semplice del riscaldamento del succo originale, per non alterare la commposi- zione chimica di questo. Riscaldato il succo a temperatura costante di 48° C. per 30’, lo lasciammo raffred- dare spontaneamente, e quindi buttammo su un filtro di peso noto la poltiglia. Tolto via il filtrato limpidissimo (che, per altro, presentò sempre all'ultramicroscopio un certo numero di granuli brillanti sfuggiti all’agglutinazione e alla filtrazione), lavammo abbon- dantemente il precipitato sul filtro con soluzione 1°/ di NaCl, al fine di sottrarre ai granuli ogni traccia di mioproteina (non si può lavare da principio con acqua distillata, perchè questa precipita la mioproteina). Quando il filtrato non presentava più tracce di proteina coagulabile al calore o dimostrabile coi più sensibili reagenti delle sostanze proteiche, incominciammo a lavare il precipitato sul filtro con acqua distillata, e conti- nuammo finchè il filtrato non desse più col nitrato d’argento la reazione di cloro. Il pre- cipitato, insieme col filtro, era quindi disseccato nella stufa a 120° C. fino a costanza di peso, quindi pesato definitivamente: sottratto il peso del filtro, si aveva così il peso del materiale granulare secco contenuto in una quantità nota di succo muscolare originale; la differenza era costituita dagli altri materiali sciolti nel succo, principalmente dalla mio- proteina. Conoscendo il residuo secco totale del succo, e il contenuto di questo in ceneri totali, sottraendo queste da quello, si aveva il contenuto del succo in materie organiche (principalmente proteine); e si poteva anche calcolare quanta parte del residuo secco to- tale, diminuito delle ceneri, spettasse al materiale granulare. Nella seguente tabella sono raccolti i dati numerici da noi ottenuti. Dall'esame di essi resulta quanto segue: Cesa Ai 901 STI 66 936 9819 MAT SGIO0 Ri AB LI 001 È OI SA TITA ="; TUGI FOT 96 che EL'9 u6L7 961000 TFO"T L1SG OI OFI L GUAI E IIA = GOL OFPT SF 666 GE S == ai To vLS OI SEI OO Tri (GUIA IRE IA LET E SI =" SF 69/6 ch8 159,8 SIIO'0 POI ITS 6 076 OlTcatO |G AI A OG Pel DE = # 664 se = # SET L 06 £ QGLII, € AI PI | S6/FI = = Ss PI6 = = Fa L'66 LI 046 (E OIL IUBE E III =# GSI 08°T 19 86° VS'6 utL8 6010'0 9F0"l L'LE OI (134 AUG RIE II nia LTT 87I =g 5E 869 186,9 GSIO0 SPOT EGG LI OFI ong |I TI ‘8I6I I ‘13 “15 ‘13 1[e303 :901d 18] ouIeo ‘18 | 9 O O/ s d di QuIRI ‘13 CE RESO QZUOLI o 0 0 5 7 I]V9F09 oogroads | -ad 09998 | [2303 | 9087 è Iqegrdioed OE CE) oSey * Lo À oeuauy BACI di TIQuA) | OMPISsOY | 030Zy SSRd de QQUTOFEI(]] OZIEND | ITTIOINI gol p Tp QUIQZOIT Q19A[0] | BIQQRS | J VITIAVI, oe 1. Nelle nostre ricerche il contenuto in sostanze proteiche totali di tutti i succhi esaminati è risultato sempre, e spesso notevolmente superiore a quello trovato da noi nelle precedenti ricerche. Esso ha variato da un mi- nimo di 5,32 a un massimo di 9,54 °/,. Particolarmente degno di nota è il fatto, che il contenuto maggiore in sostanze proteiche da noi trovato (7,99- 9,14-9,54 °/,) corrisponde a quegli esperimenti, nei quali fu adoperata una maggiore quantità di quarzo (gr. 240-370) per 100 gr. di carne muscolare tritata. È anche vero, però. che un contenuto di sostanze preteiche relati- vamente alto (6,86-6,98 °/,) fu trovato altresì in casi, nei quali fu adope- rata una quantità di sabbia di quarzo notevolmente minore (100-140 gr. per 100 gr. di poltiglia muscolare). Può darsi, quindi, che non solo la quan- tità, ma anche la qualità, cioè la maggior finezza della sabbia da noi usata in queste esperienze, influisca sul contenuto in proteine del succo muscolare. C'è poi un altro fattore, che non deve trascurarsi, e questo è la durata della pestatura e la forza con cui sì pesta; fattore che, come è facile intendere, non può mantenersi costante. Comunque sia, si può supporre che, ove sì raggiungesse una proporzione optimum fra sabbia di quarzo assai fine e pol- tiglia muscolare, e la pestatura fosse fatta in modo e per un tempo tale da determinare la rottura e il massimo sminuzzamento di tutte le fibre musco- lari, si otterrebbe un succo muscolare ancora più ricco di sostanze proteiche che non sia il più ricco fra quelli da noi ottenuti. Abbiamo ricordato sopra, che fra i succhi da noi preparati preceden- temente, uno solo, il IX°. fu trovato straordinariamente ricco di proteine. Se si considera, però, che durante la spremitura potè appena essere raggiunta la pressione di 50 atmosfere, perchè a pressioni maggiori la carta avvolgente la pasta si rompeva, si comprende che il detto succo doveva contenere fram- menti di fibre muscolari sfuggite per le lacerazioni del filtro, e che a ciò deve essere attribuito l’abnorme contenuto in proteine, e non a proteine sciolte o sospese in forma di granuli ultramicroscopici. Nè vale il dire che anche questo succo fu centrifugato. Data la grande viscosità del succo, i piccoli frammenti di fibre muscolari rimasero certamente in grande numero sospesi. Nel nostro lavoro, infatti, si legge: « Le suc centrifugé, mais il se montra trouble, méme après centrifugation prolongée » (loc. cit., pag. 295). Non fu, dunque, tanto la bassa pressione, quanto la lacerazione del filtro, che determinò l’uscita d'un succo più concentrato; e la maggior con- centrazione era dovuta a frammenti di fibre muscolari passati per il filtro rotto, non a maggior contenuto in miosina e mioproteina del succo. Noi abbiamo già dimostrato che il succo spremuto alla pressione di 50 atmosfere è più ricco di proteine di quello spremuto successivamente a 350 atmosfere dalla stessa pasta muscolare, e ne abbiamo anche dato le ra- gioni (loc. cit. pp. 301-302). Ma le differenze, che del resto si trovano Ser anche nei resultati di esperimenti analoghi fatti da Andrè (!) su organi ve- getali, sono piccole e non paragonabili con quella che noi trovammo fra il succo di muscoli di Dentex e il succo di altri animali. 2. Ma il fatto più importante, che resulta dalle presenti ricerche, consiste nella possibilità di separare i due materiali proteici, onde è quasi interamente costituita la totalità delle sostanze proteiche del succo musco- lare. Il metodo per la separazione è, come sopra è detto, semplicissimo; e si fonda sulla insolubilità dei granuli sospesi nel succo, fatti di miosina, sia in soluzioni di sali neutri come in acqua distillata. Naturalmente, date le dimensioni ultramicroscopiche dei granuli elementari, è inevitabile la perdita di una certa quantità di materia granulare, durante le filtrazioni, per quante volte si faccia passare il liquido filtrato per lo stesso filtro, poichè l'agglu- tinazione dei granuli in grani e grumi di dimensioni microscopiche o ma- croscopiche non è mai completa. Forse, se avessimo voluto agevolare l’agglu- tinazione termica con qualche reagente chimico, per es. con una traccia di acido o con poca soluzione concentrata di un sale neutro, o con tutti questi reagenti insieme. avremmo ottenuto resultati più somiglianti neì varii espe- rimenti. Ma non si volle far ciò, principalmente perchè noi ci eravamo anche prefisso lo scopo di adoperare le masse granulari così raccolte e insieme unite per ricerche di composizione chimica e chimico-fisiche da fare su esse in seguito, e quindi evitammo l'aggiunta di sostanze, che sarebbero state certamente in parte trattenute per assorbimento o per combinazione chimica dai granuli, dai quali perciò sarebbe stato poi difticile eliminarle. Per le dette ragioni, i valori da noi ottenuti sono da ritenersi solo come approssimativi. Esaminando, ora, questi valori, sì vede che la massa granu- lare costituisce dal 33 al 61°/, delle proteine totali contenute nel succo; essa presenta, dunque, variazioni quasi del doppio, che, almeno in parte, debbono essere dovute a cause d'errore inerenti al metodo. Se, però, si tra- lascia il valore più alto, che è anche unico, del 61 °/,, gli altri valori pre- sentano variazioni assai minori, cioè dal 33 al 45 °/,. Tuttavia, può essere anche invocata un'altra causa della differenza di contenuto in materiale gra- nulave dei varii succhi: essa è la provenienza di questi, sia per quanto ri- guarda la specie animale, come per quanto si riferisce alla specie dei mu- scoli spremuti. Dai valori ottenuti resulta che i muscoli di toro sono quelli che dànno la minor quantità relativa di materiale granulare per 100 di pro- teine; viene poi la muscolatura di cavallo, e finalmente quella di cane, che dà la quantità maggiore. Ora, i succhi muscolari di cane sono sempre più concentrati (contenuto in proteine totali: 7,99-9,54 °/, di succo) di quelli (*) G. André, Sur la composition des sucs végétaua extraits des tiges et des feuilles. Compt. Rend. Acad. d. Sc. de Paris, tom. 144, pag. 276 (1907). Ved. anche: Ibidem, ton. 145, pag. 1349 (1907). si ipa di bue o di toro. D'altro canto, può darsi benissimo che nei muscoli striati di bue o di toro, animali caratterizzati da movimenti lentissimi, le fibrille striate, dalle quali noi supponemmo che il materiale granulare derivi, siano più scarse di numero, relativamente al sarcoplasma, che non siano nei mu- scoli dei cani, i cui movimenti sono, come ognuno sa, agili e lesti. Non molte, nè sistematiche sono le ricerche istologiche, che sono state fatte sulla fibrillatura degli elementi muscolari nelle diverse specie di mam- miferi, ma si sa che differenze notevoli esistono, a tale riguardo. Noi ab- biamo, però, il modo di risolvere il problema, se vi sono muscoli che dànno un succo notevolmente più ricco di materiale granulare, ed altri che ne dànno uno meno ricco; e se la differenza, ove realmente esistesse, fosse dovuta. al fatto che le fibre dei primi, in confronto con quelle dei secondi, contenes- sero per unità di superficie di sezione un numero di miofibrille maggiore, relativamente al sarcoplasma. I muscoli rossi sono, come si sa, più ricchi di sarcoplasma, i muscoli chiari, più ricchi di miofibrille. Ora noi ci proponiamo, appunto, di ottenere succhi di muscoli rossi e di muscoli bianchi di una stessa specie di animali, per es. di conigli, o di polli; succhi preparati nelle identiche condizioni (con la stessa quantità di sabbia di quarzo, pestatura di eguale durata e intensità, pressioni identiche ecc.), per vedere se il loro contenuto in pro- teine totali per cento di succo, e il contenuto di questo in materiale gra- nulare per cento di proteine, sia lo stesso o differente. Intanto non crediamo debba senz'altro ammettersi come casuale il fatto, che il minimo contenuto in proteine totali e in materiale granulare spetti sempre ai succhi di muscoli di bue, e il massimo al succo muscolare di cane; come non può non impressionare la corrispondenza del minor contenuto in materiale granulare col carattere lento e pigro dei movimenti del bue, e il maggiore con l'agilità e prestezza delle contrazioni muscolari del cane. Una differenza analoga nel carattere dei moti muscolari si riscontra fra il rospo (Bufo vulgaris) e la rana (Rana esculenta). Ebbene, si sa che i muscoli del primo sono prevalentemente rossi, e, quindi, più ricchi di sarco- plasma; mentre quelli della rana sono prevalentemente bianchi e più ricchi di miofibrille striate. Un'altra indagine, che può gettar luce sul problema, e che non abbiamo potuto sinora fare, ma che faremo certamente in seguito, è quella di con- frontare il contenuto in materiale granulare del succo di muscoli striati col contenuto in materiale granulare del succo di muscoli lisci dello stesso ani- male. Noi abbiamo già dimostrato che succo contenente granuli ultramicro- scopici si può ottenere in grande quantità dai muscoli retrattori del pene di bue, cioè da muscoli lisci tipici, che si possono avere dal macello a chilo- grammi. Dovendosi supporre che le miofibrille siano relativamente scarse nei muscoli lisci, il succo di questi dovrebbe presentare un contenuto in mate- Ri DO riale granulare scarso per cento di proteine totali. Le indagini che cl pro- poniamo fare a questo proposito, diranno se tale supposizione sla esatta. 3. Dalla tabella resulta, inoltre, che il rendimento in succo variò da un minimo di 52,7 a un massimo di 57,7 grammi per 100 grammi di carne spremuta; e che il peso specitico dei succhi presentò piccolissime oscilla- zioni: minimo 1,041; massimo 1,046. Il massimo peso specifico corrisponde al succo più concentrato; il minimo, a uno dei meno concentrati. Nessuna relazione, invece, può scorgersi fra il rendimento e la concentrazione proteica dei varii succhi. 4. La viscosità (più precisamente, il tempo di deflusso dei varii succhi sempre per lo stesso capillare viscosimetrico e alla stessa temperatura) de- corre parallelamente al contenuto in proteine totali; il che s intende age- volmente. senz'altro comento. o. Facilmente intelligibile è anche il fatto, che il contenuto in azoto totale e in residuo secco e in ceneri varia parallelamente al contenuto in proteine totali. 6. Se dal residuo secco si sottrae il contenuto in proteine totali, sì ha una ditferenza che è notevolmente superiore al contenuto in ceneri totali. Per es., nell'esperimento III, essendo il residuo secco = 14,93 °/,, e il con- tenuto proteico = 9,14 °/,, sì ha una differenza = 5,79 °/,, mentre il con- tenuto in ceneri è solamente 1,43 °/,. La differenza fra queste due ultime cifre, che è di gr. 4,36 °/,, non può essere interemente imputata a perdite verificatesi durante l'incinerazione. Essa è imputabile, in massima parte, alle sostanze organiche non proteiche (glicogeno, glicosio e altri idrati di carbonio, grassi e lipoidi, urea, creatina, basi puriniche e altre sostanze estrattive), contenute in ogni succo muscolare. Il materiale da noi raccolto in notevole quantità durante queste ricerche è stato utilizzato per indagini chimico-fisiche, i cui resultati saranno pros- simamente pubblicati. ReENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 9 SANE Matematica. — Sulla configurazione delle curve situate sopra quadriche, e, in particolare, sulla configurazione delle curve al- gebriche sqghembe col massimo numero di circuiti. Nota I (°), di MARGHERITA BeLOCH, presentata dal Corrisp. G. CASTELNUOVO. n =_= 1. In questa Nota espongo i risultati di alcune mie ricerche sulla confi- gurazione delle curve algebriche sghembe. Partendo da un teorema dimo- strato da Hilbert sulla configurazione delle curve algebriche piane col mas- simo numero di circuiti (*), ed estendendolo alle curve algebriche sghembe col massimo numero di circuiti, situate, come è noto (*) sopra superficie del secondo ordine, sono stata condotta allo studio della contigurazione di una curva algebrica sghemba qualsiasi. situata sopra una superficie del secondo ordine, giungendo così a risultati molto più generali. Nei teoremi che andrò enunciando, le dimostrazioni dirette sono quasi evidenti, mentre ciò che mi è costato più fatica a stabilire sono i teoremi in- versi, cioè le dimostrazioni dell'esistenza effettiva dei diversi tipi di configu- razioni presi in esame. (1) Pervenuta all'Accademia il 1° luglio 1913. (2) Ossia « Una curva algebrica piana d'ordine n, priva di singolarità, col mas- n_2 ED i, Da) Nd 3 simo numero di circuiti, può avere al più _ 0 9 circuiti (secondo che n è pari 2 o dispari) disposti in modo che il primo racchiuda tutto il secondo, questo racchiuda tutto il terzo, e così di seguito, il penultimo racchiuda tutto l’ultimo » (ved. Hilbert : Reelle Ziige algebraischer Curven, Math. Ann. XXXVIII). Si può facilmente dimostrare, con un procedimento simile a quello adoperato da Hilbert, che un teorema analogo vale anche per una curva che non abbia il massimo numero di circuiti, cioè: Una curva algebrica piana qualsiasi, d'ordine n, priva di singolarità, non può avere più di i circuiti (secondo che n è pari 0 dispari) disposti in modo che il primo racchiuda tutto il secondo, questo tutto il terzo, e così di seguito, il penultimo racchiuda / CONTI sia) È Tal cate i ; tutto l'ultimo. Se la curva ha esattamente 5 circuiti (a pari) 0 2 circuiti (n dispari) disposti in tal modo, non vi potrà essere alcun circuito ulteriore se n è pari; ve ne sarà uno solo !(e d'ordine dispari) se n è dispari. Esistono effettivamente curve di questo tipo. (®) Halphen, Bull. de la Soc. math. de France, vol. II, pag. 45; Noether, Zur Grund- legung der Theorie der algebraischen Raumcurven, Crelle’s Journal, vol. 93°, pag. 293. ea ea 2. Ricordata la definizione di circuiti chiusi d'ordine pari e d'ordine dispari (*), e supposto che i circuiti siano tracciati sopra una quadrica, divido i primi ulteriormente in due categorie, secondo che si possano o no ridurre ad un punto per deformazione continua senza uscire dalla superficie. Nel primo caso, il eireuzito lo chiamo d'ordine pari dé 7° specie; nel secondo caso, d'ordine pari di 2° specte. Si vede facilmente che ogni circuito il quale, considerato come taglio, spezzi la connessione della superficie, è di 1® specie, e viceversa; mentre ogni circuito il quale, considerato come taglio, non ne spezzi la connessione, è di 28 specie e Viceversa. È evidente che due circuiti di specie diversa non si potranno mai ri- durre l'uno all'altro per deformazione continua, senza uscire dalla su- perficie. 3. Ogni circuito chiuso, tracciato sopra una quadrica a punti ellittici, è di ordine pari di 1* specie. Invece sopra una quadrica a punti iperbolici esi- stono tanto circuiti di 1* specie quanto di 2* specie, i primi seganti le rette della superficie in un numero pari di punti, i secondi in un numero dispari di punti. Finalmente, sopra le quadriche a punti parabolici (coni e cilindri), tutti i circuiti seganti le generatrici in un numero pari di punti sono di 1 specie, e non esistono circuiti di 2* specie propriamente detti, sebbene esistano cir- cuiti seganti le generatrici in un numero dispari di punti. Questi si possono tutti per deformazione continua. ridurre al vertice del cono senza uscire dalla superficie. Per distinguerli, li chiamo circuiti monocentrici. (urve situate sopra quadriche a punti ellittici. 4. Data sopra una quadrica a punti ellittici (p. es. ellissoide) una curva algebrica sghemba qualsiasi, d'ordine n (necessariamente pari), priva di i n 2 circuiti (di 1° specie) disposti in modo che si possano tutti ridurre ad uno stesso punto per deformazione continua, restando sulla superficie © senza che essi si attraversino mai durante la deformazione. Basta infatti condurre un piano per due punti dei circuiti estremi della serie di circuiti considerata e contare il numero delle intersezioni di questo piano con la curva. singolarità, si può facilmente dimostrare che essa non può avere più di (1) Standt, Geometrie der Lage, $ 12, pag. 153. ina Lego e Ho dimostrato, applicando il metodo delle piccole variazioni, che est- stono effettivamente sulla quadrica curve algebriche d'ordine n, prive di 5 vo MR. Li i singolarità, con 9 circuiti disposti nel modo detto. In questo caso la curva non ha circuiti ulteriori. 5. Supponendo, in particolare, che /a curva abbia il massimo numero di circuiti. ossla 7 (a—2) + 1 (1) senza difficoltà si dimostra, che, se 2 => 6, DI peligna sn essa non può avere più di 3— 1 circuiti riducibili lutti ad uno stesso Pei punto per deformazione continua, restando sulla superficie e senza che essi si attraversino mai durante la deformazione. Ho provato anche qui l'esistenza di curve algebriche d'ordine 7, prive di singolarità, col massimo numero di circuiti, tra cui ul disposti nel modo detto. I circuiti disposti in questo modo, cioè riducibili tutti ad uno stesso punto per deformazione continua, restando sulla superficie e senza che essi si attraversino mai durante la deformazione, sì possono chiamare cireuzti omo- centrici tra loro. (È evidente che due circuiti tracciati sulla superficie sono sempre omocentrici tra loro). Curve situate sopra quadriche a punti parabolici. 6. Data sopra una quadrica a punti parabolici (cono o cilindro) una curva sghemba qualsiasi, d'ordine x, priva di singolarità, ra 7 circuiti della curva vi potrà essere un sol circuito d'ordine dispari (e questo per n dispari), perchè, supposto che ve ne potessero essere p. es. due, passerebbero tutti e due per il vertice del cono, che quindi sarebbe punto doppio per la curva, mentre per ipotesi la curva è priva di singolarità. I circuiti d'ordine pari della curva saranno, come ho già osservato, o di 18 specie oppure monocentrici. 7. Tracciato un cirevito chiuso d'ordine pari di 1° specie sopra la qua- drica, esso divide la superficie in due regroni S. Ss: dirò esterna al circuito quella S, che contiene il vertice del cono; erterna l'altra $, . Si può osservare che ogni generatrice del cono passante per un punto della regione S, interna al circuito sega il circuito stesso in punti reali, mentre ciò non avviene necessariamente per tutte le generatrici passanti per punti della regione esterna S». (1) Hilbert, Reelle Ziuge algebraischer Curven. Math. Aun., XXXVIII. {O 8. Fondandomi su questa proprietà, ho dimostrato il teorema: Per una curva sghemba qualsiasi (e quindi anche col massimo numero di circuiti) d'ordine n (n= 4), priva di singolarità, tracciata sopra una quadrica a punti parabolici, il numero dei circuiti d'ordine pari di 1° specie, disposti în modo che il primo sia tutto siluito nella regione interna al secondo, questo sia tutto situato nella regione interna al terzo e così di seguito, il penultimo sia tutto situato nella regione interna al- SSL 5 i LORI l’ultimo, non può superare il massimo intero contenuto in sl Applicando il metodo delle piccole variazioni, si prova, con qualche ela- borazione, che esistono sulla quadrica curve d'ordine n prive di singola- rità, aventi una serie di circuiti di 1° specie disposti nel modo detto, in È LL numero uguale al massimo intero contenuto în 1 9. Passando ai cireuzti d'ordine pari monocentrici, senza difficoltà si vede che una curva d'ordine n dispari, priva di singolarità, situata sopra una quadrica a punti parabolici, non può avere aicun circuito monocentrico, perchè ogni circuito monocentrico supposto esistente segherebbe il circuito d'ordine dispari della curva almeno in un punto che sarebbe doppio per la curva, mentre questa, per ipotesi, è priva di singolarità. Per n pari, osservando che la curva sega ogni generatrice della super- ficie in non più di 9 punti reali, facilmente si vede che 0) circuiti monocentrici (quindi % pari), ed abbia inoltre una serie di / circuiti di 12 specie, disposti in modo che il primo sia tutto contenuto nella regione interna al secondo, questo sia tutto contenuto nella regione interna al terzo e così di seguito, il penuitimo sia tutto contenuto nella regione interna all'ultimo. senza difficoltà si trova che tra i numeri m ed / deve sussistere la relazione Imtb4l| 4), priva di singolarità, tracciata sopra una quadrica a punti iperbolici, il numero l dei circuiti d'ordine pari di 1° specie, disposti in modo che il primo sia tutto situato nella regione interna al secondo, questo sia tutto situato nella regione interna al terzo, e così di seguito, il penultimo sia tutto situato nella regione interna all'ultimo, non può superare il massimo intero contenuto SPIA mq Esistono effettivamente sulla quadrica curve d'ordine n, (n= 4), prive di singolarità, aventi una serie di circuiti di 1° specie, disposti nel c 0 È DRghade, modo detto, in numero uguale al massimo intero contenuto în A. 14. Passando ai circuiti d'ordine pari di 22 specie, sì vede che, se una curva priva di singolarità, situata sopra una quadrica a punti iperbolici, possiede circuiti d'ordine pari di 2° specie, non potrà avere alcun cir- cuito d'ordine dispari; e viceversa. Quindi, una curva d'ordine n, dispari, priva di singolarità, situata sopra una quadrica a punti iperbolici, non può avere alcun circuito di 2 specte. Se l'ordine n della curva è pari, si dimostra che #,) il numero delle inter- sezioni reali della curva con le rette dell'altro sistema (dove £#1 + #. = è evidentemente pari o dispari insieme con 7), facilmente si vede che 2/ nu- mero m dei circuiti di 2 specie (supposti esistenti: quindi n pari) sarà pari o dispari insieme con k, (e quindi 4»), e sarà # <= £,. Vuol dire che, in particolare, per %, dispari (e n pari). esisterà certamente almeno un circuito di 2% specie. 16. Se m= 0, si dimostra che, per x pari, la curva sega tanto le rette dell'un sistema quanto quelle dell'altro sistema della quadrica in un numero pari di punti: ossia saranno 4, e %s pari, mentre per n dispari la curva sega le rette dell’ un sistema in un numero pari di punti, e quelle dell'altro sistema in un numero dispari di punti. Inoltre si dimostra che tuzfd è circuiti d'ordine dispari della curva (sia % pari o dispari) segano le rette di uno stesso sistema della superficie in un numero dispari di punti, le rette dell'altro sistema în un numero pari (anche nullo) di punti (*). 17. Tornando al caso m > 0 (# pari), e supponendo che il numero dei circuiti della curva sia massimo, si ha (per % pari) 4, = 5 (?), e dalle pro- prietà enunciate si deduce: (*) Per il caso che la eurva abbia il massimo numero di circeniti, confronta Hilbert, loc. cit. (*) Hilbert, loc. cit. SA Una curva d'ordine n, priva di singolarità, col massimo numero di circuiti, situata sopra una quadrica a punti iperbolici, se n è dispari, non può avere alcun circuito di 2° specie; se invece n è pari (n = 6), potrà avere circuiti di 2° specie în numero m pari (= 0) pern=4», di- ; n spari (= 1) per n=4v +2. Questo numero ion potrà superare DIL 2. Per n pari e m —>o, la curva non avrà circuiti d'ordine dispari. Esistono effettivamente curve d'ordine n pari (n = 6) del tipo detto, con 9g 7? circuiti di 2° specie. Inoltre il numero dei circuiti di 1 specie della curva (sia per pari, sìa per n dispari) sarà sempre pari (= 0). 18. Tornando ad una curva qualsiasi d'ordine 7, priva di singolarità, situata sopra una quadrica a punti iperbolici, e supposto che essa abbia m(> 0) circuiti di 2* specie (quindi 7 par:), e che tra i circuiti residui di 1® specie vi sia una serie di / circuiti disposti in modo che il primo sia tutto con- tenuto nella regione interna al secondo, questo sia tutto contenuto nella re- gione interna al terzo, e così di seguito il penultimo sia tutto contenuto nella regione interna all’ultimo, tra i numeri / ed m deve sussistere la relazione m+2i<4k<3, dove %, ha lo stesso significato come sopra. 19. Nel caso in cui x è dispari e in cui la curva abbia d circuiti d'ordine dispari e supponiamo che tra i circuiti residui di 1® specie vi sia una serie di / circuiti, disposti nel modo detto sopra, tra e 4 si ha la relazione d+4l(=n. 20. Se la curva ha il massimo numero di circuiti, si trova una disugua- glianza ancora più espressiva: basta proiettare la curva sopra un piano da un punto della quadrica situato nella regione interna al primo dei circuiti della serie considerata, e seguire un procedimento analogo a quello adoperato da Hilbert (') per trovare un limite per il numero d dei circuiti d'ordine dispari d'una curva col massimo numero di circuiti. Così senza difficoltà sì trova: dt+2/=%,. (*) Hilbert, loc. cit. Ora, siccome la curva ha il massimo numero di circuiti, per » pari è gita] Jo: go Pa © dispari %, = 3 (*); e, staccando i casi, n=4v,n-=4v(4l,n=4v+2,n=4v+3, si trova: Una curva d'ordine n, (n = 6), priva di singolarità, situata sopra una quadrica a punti iperbolici, e avente il massimo numero di circuiti, tra cui una serie di 1 ( > 1) circuiti disposti în modo che il primo sia st- tuato tutto nella regione interna al secondo, îl secondo tutto nella regione interna al terzo, e così di seguito il penultimo tutto nella regione interna all'ultimo, non potrà avere più di d circuiti d'ordine dispari : d=2v—-21, ((=> 1), pern= 4». (v= 2) d=2v+1—-2/,((= 1), per n:=4v+1,(r= 2) dio; pern=4v+2 (°) d<2v+1—2/(=1) pra=4r+3,(0=1). 21. I risultati che formano l'argomento di questa Nota si possono esten- dere alle curve situate sopra coni e rigate d'ordine r; estensione di cui mi sto ora occupando. Matematica. — Su un teorema relativo agli integrali doppia. Nota di Gurpo FuBINI, presentata dal Socio S. PINCHERLE (°). Nel 1907 io avevo enunciato in questi Rendiconti un teorema che ri- duce il calcolo di un integrale superficiale a quello di un integrale doppio (iterato). In una Nota recente ho enunciato il teorema reciproco, senza avvertire che nel 1909 (questi Rendiconti, 2° sem.) il prof. Tonelli aveva, a propo- sito di alcune sue ricerche Sull'integrazione per parti, dato un teorema, che è affatto equivalente a quello da me enunciato soltanto ora. Credo quindi mio dovere riprodurre qui l’enunciato del prof. Tonelli: Una funzione f(x ,y) misurabile superficialmente, per cui esista fee fe, è integrabile superficialmente; e per essa vale la Siae fr »Y) dy A ,y) da dy = fw re ;y) da. (*) Hilbert, loc. cit. (2) Hilbert, loc. cit. (*) Pervenuta all'Accademia il 18 luglio 1913. RENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 10 SOI Storia delle scienze. — L'origine della salsedine del mare e Vannoccio Biringuecio. Nota di ALDo MIELI, presentata dal Socio E. PATERNÒ ('). La questione dell'origine della salsedine del mare è stata lungamente dibattuta fra gli scienziati, e, già agitata dai naturalisti greci, è ancora og- getto di discussione fra gli oceanografi ed i geologi. E così vediamo alcuni che reputando che il sale provenga dal disfacimento delle roccie e che sia apportato al mare dai tiumi, basano su un tal fatto dei calcoli per stabilire l'età della terra (*); ed altri, invece, che perseguendo una teoria magmatica, tornano ad ammettere come originaria la salsedine del mare (5). Notevole, per il risveglio ed il riacutizzarsi delle discussioni su questo proposito, è il meraviglioso periodo del Rinascimento, determinato dal sorgere del nuovo metodo sperimentale e dal connubio con esso dell'umanesimo e della lotta contro l'aristotelismo scolastico. Questo periodo, per quello che rì- guarda l’oceanografia, è stato ottimamente tratteggiato da Roberto Almagià in un suo studio su Z/ primo scritto italiano di oceanografia (‘) e che sì riferisce principalmente alla Relazione del mare (1599) di Giovanni Botero (1553-1617). Non è mio còmpito di rifare ora una tale trattazione, solamente voglio cercare di colmare una lacuna nella storia di un tale argomento ripor- tando quello che in proposito è stato scritto da Vannoccio Biringuecio (1480- 1539). Si comprende facilmente come questo autore, per l'indole chimica della sua De la Pirotechnia(*), sia generalmente sconosciuto ai geografi; è doveroso però ricordare chi, dopo Leonardo da Vinci (*), ha trattato un tale soggetto con quel sano criterio naturalistico e sperimentale che distingue questo grandissimo scienziato senese, i meriti del quale non sono stati ancor (4) Pervenuta all'Accademia il 15 luglio 1913. (2) Vedi M. P. Rudzki, £’dge de la terre, Scientia, XIII (1913), pag. 161. (*) Vedi Krummel, Zehrduch der Ozeanographie, Stuttgart, 1907, I, pp. 224-226. (4) Nel Bollettino della Società Geografica Italiana, 4 VII (1906), pag. 322. Vedi in proposito anche la parte che si riferisce al mare nello studio pubblicato dallo stesso autore, Le dottrine geofisiche di Bernardino Telesio in Scritti di geografia e di storia della geografia concernenti l° Italia pubblicati in onore di Giuseppe dalla Vedova, Firenze, 1908. (5) Prima edizione (postuma) a Venezia, 1540. Dell’ultima edizione, pubblicata a mia cura, con note, esce ora il primo volume (che comprende i primi due libri) presso la Società l'ipografica Editrice Barese, Bari, e come parte della collezione Classici delle Scienze e della Filosofia. (5) In Richter, Z'he literary works of L., London, 1883, vol. II, $$ 946 e 947. Ri- portato da me in nota nell'ultima edizione del libro di Biringuccio al cap. 8 del Lib. II SRG riconosciuti come la loro importanza lo richiederebbe. Ha contribuito a questo fatto la mancanza, fin ora lamentata, di un'edizione facilmente accessibile e comprensibile, e il salire in gran fama di scienziati stranieri che hanno dopo di lui coltivato lo stesso suo campo, ma che trovarono nei loro compa- triotti amorosi curatori delle proprie glorie, mentre fra noi l’opera di Birin- guccio andava in dimenticanza. Credo che la miglior cosa sia di riportare qui l’'intiero passo che ci interessa (Libr. II, cap. 8) e che fu seritto verso gli anni 1531-34 (1). Dopo aver descritto il metodo usato per ottenere il sale dalle acque marine, Biringuccio soggiunge: « Sopra a che pensando a questo m'è nato un pensiero di volervi dire secondo la mia oppenione, donde tal salsedine ne l’acqua marina potesse nascer, anchor ch'io so che da le persone dotte per la mia pocha autorità non mì sarà approvata, nè io anchor ve la dirò per cosa ferma, essendo stato detto dal divinissimo Aristotile e da tanti altri valen- tissimi homini, l'oppenione de quali, come credo che sapiate. è che li razzi solari sieno che dissecchino et abruciano certe parti de la terra e le elevino in alto, quali poi, cadendo in mare, generano Ja sua salsedine. A le quali parole per esser dette da chi sanno non mi contra appongo, ma è ben vero che per le medesime ragioni non comprendo perchè tanti laghi et acque ferme, che sonno infra terra. non diventan, come le marine, salse. che per esser mancho quantità e non mancho sottoposte al poter de razzi solari, o quelle de l'Oceano o quelle che son nel mar Caspio, e tanti altri mari, doverebbeno anchor loro esser salse. Dipoi ancho non comprendo bene perchè si trovi in un luogho il mare esser più salso che in un altro. Per il che vo pensando che tal cosa facilmente proceda da propria natura di terra. così salsa. e che, per esserne in molti luochi sotto l’acque marine, lo dia tal salmacità, e questo mel fan dire molte ragioni. e massime quando mi metto avanti a gli occhi de la mente tanti monti con tanti vari terreni, con tantì colori e sapori che son da le acque del mare vetati e recoperti, infra li quali non dubito che così come ancho ne sonno infra terra con miniere di sale purissimo, che in mar anchor esser non ne possino; e di questo me ne fa anchor testimonio l’ havere inteso che in Cipri si cava peschando sale (?) nel fondo del mare fatto, e simil-. mente il detto mare colle commotioni de l’onde, come arena il gitta a riva, nel paese, come dice Plinio, de Barriani. Ma quante son le provintie che d'altro sal non sì serveno che di sal di cave di monti, nè altro artificio .v hadoperano che l'opera del cavarlo, et a più confirmation di questo, oltre agli altri luochi che vi si potrebben dire, vi dirò di quello che mi ricordo baver veduto a Halla nel ducato d'Austria... ». (*) Sull’epuca nella quale furono composti i primi due libri della Pirotechnia, vedi, nell’edizione da me curata, la nota relativa a Baldassarre Peruzzi al cap. 14 del Libr, IT. (2) Plinio, XXXI, 39. Sr) 0) ene Il passo non richiede molti commenti storici. La teoria è qui esposta in modo chiaro e piano, e, pur concordando, nell’essenza, con quella emessa da Leonardo da Vinci, non mi pare che da essa possa derivare. L’ accenno simile che si trova in Cardano (!) può essere stato preso dal libro di Birin- guccio; ed a questo proposito ricorderò come il Cardano ricopii quasi a lettera dall'autore senese, quello che egli riporta intorno all'aumento di peso che si ottiene durante la calcinazione del piombo, ed intorno alla spiegazione di questo fenomeno (*). Rimane quindi come merito grande di Biringuccio il fatto di avere per primo o fra i primi: a) Combattuto così in questo punto come in molti altri quel principio assoluto di autorità che cercava di soffocare la nuova rinascita del pensiero. Si noti in proposito come il nostro autore tratti frequentemente con finissima ironia così il divirissimo Aristotele, come le teorie oscure e cervellotiche dei flosofi e degli alchimisti, al quali egli contrappone spesso quello che possono provare i pratici ; 5) Di aver rilevato, come Leonardo, che la teoria aristotelica avrebbe dovuto necessariamente portare anche alla salsedine dei laghi, fiumi, ecc.; c) Di avere recisamente affermato e mostrato che il sale proviene dalla soluzione di depositi di erre salse. Questi, come esistono entro le viscere delle montagne non ricoperte dalle acque, possono trovarsi ancora nelle zone la conoscenza diretta delle quali ci è vietata, essendo esse rico- perte dal mare. Questa idea, fecondissima, permette poi di risalire alla teoria che riconosce nel disfacimento delle varie roccie l'origine del cloruro sodico e di quegli altri sali che concorrono a formare i grandi depositi sedimentarî delle varie epoche geologiche. Il confronto con le teorie posteriori, sia con quelle di origine più metafi- sica di Bernardino Telesio, o con quelle eminentemente pratiche del geniale Palissy (*), così come con le altre emesse dal Botero e citate dall'Almagià nel suo lavoro, ci mostra che per un lungo periodo noi non troviamo nulla di nuovo o di importante che sia stato aggiunto all'esposizione chiara e sem- plice di Vannoccio Biringuccio. E così il merito di un valido contributo al progresso della geografia fisica, si aggiunge agli innumerevoli altri che il nostro grande senese ha conquistato nei campi vastissimi della chimica, della mineralogia, e dell'arte pratica della metallurgia e delle fusioni. (') De subtilitate, Libr. II, 12 ediz. Norimbergae, 1550, pag. 79. (?) Vedi nella nuova edizione di Biringuccio (Bari, 1918) la nota 8 al cap. 4 del Libr. I. (*) Nei Discours admirables (1580). Cito fra altro il passo (B. Palissy, Qeuvres, Paris, 1880, pag. 200): « Ceux qui soustiennent une telle opinion n°’y entendent rien: parce qu'il est plustost è croire que le sel de la mer vient de la terre, y estant porté tant par les eaux des rivières qui se rendent en icelle, que par les flots impétueux qui frappent violemment contre les rochers et terres salées ». Chimica. — Azione degli alogeni sull’artemisina (*). Nota di E. Rimini e T. Jona, presentata dal Socio A. ANGELI (°). Allo scopo di porre in evidenza eventuali analogie tra la santonina e l’artemisina, abbiamo studiato come questa reagisca cogli alogeni conoscen- dosì nulla in proposito. Si è così osservato che soltanto col bromo e coll’iodio si comportano in modo identico, purchè sì operi in.determinate condizioni ed in presenza dei rispettivi idracidi. Difatti due molecole di artemisina unendosi con tre atomi dell’alogeno, dànno origine a prodotti nei quali due atomi alogenici si trovano allo stato attivo ed uno sotto forma di idracido. Queste sostanze sono così instabili che, per semplice contatto con acqua fredda, rigenerano l'artemisina. Non si tratta quindi di prodotti di sostituzione nè di vera addizione, bensì di sali doppî di ossonio corrispondenti a quelli ottenuti colla santonina di Wedekind e Koch (5) e rappresentabili colla formola : H x CH. 0.004 6,50, C04 : N NW L'artemisina si comporterebbe in tal modo come sostanza satura. mentre è ben noto come non possa ritenersi tale per la sua instabilità alla prova di Baeyer e per la facilità colla quale, come noì abbiamo dimostrato (*), addiziona idrogeno in presenza di palladio colloidale, per dare la tetraidro- artemisina. Oltre al composto di tipo ossonio, essa dà, col bromo, un prodotto di sostituzione: la monobromoartemisina, che si prepara in condizioni ben di- verse della monobromosantonina (°). Col cloro, l’artemisina comportandosi in modo differente che col bromo e collo jodio, non dà prodotti di addizione di carattere ossonico. Noi abbiamo preparato due cloroderivati, è peraltro da tener presente che bastano talvolta (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di:chimica-farmaceutica e tossicologica della R. Uni- versità di Pavia. (*?) Pervenuta all'Accademia 1° 8 luglio 1913. (3) Berichte d. deut. Chem. Ges. 1905, 38, 429. (4) Rendiconti Soc. Chim. ital.. serie 28, vol. V, fasc. III; Chemisches Zentralblatt, 1913, I, 1773. (*) Berichte d. deut. Chem. Ges. 4/ (1908) 359-366. EMO differenze non sempre apprezzabili nelle condizioni d'esperienza per ottenere un prodotto piuttostochè un altro od anche miscele difficilmente purificabili. Bibromuro-bromidrato d’artemisina. — Alla soluzione di gr. 2 di ar- temisina in 10 ce. di acido acetico glaciale, si aggiungono gr. 1,2 dello stesso acido saturo di HBr e gr. 0,6 di bromo sciolti in 3 ce. di acido acetico. Dopo pochi minuti si filtra rapidamente, si lava con acido acetico glaciale, si secca nel vuoto su cloruro di calcio e idrato di potassio. Tardando a filtrare, la sostanza che si è depositata, si ridiscioglie nè è più possibile ricavarla. Siccome la sostanza è instabile. assai più del cor- rispondente derivato della santonina, e perde bromo assumendo un colore più chiaro, è necessario analizzarla non oltre 4 ore dalla precipitazione. Si presenta sotto forma di minutissimi cristalli rossi splendenti che a 94° sì decompongono con vivo sviluppo di gas. È assai solubile in alcool, quasi insolubile in etere, in benzolo e in acqua, colla quale perde bromo per dare una sostanza che, dopo ripetute cristallizzazioni dall'alcool e dal benzolo, si mostra identica all’artemisina. Questa si riottiene più rapidamente allo stato puro, sciogliendo il prodotto bromurato in potassa caustica diluita ed acidi- ficando poscia con acido solforico pure diluito. Oltre al bromo totale si dosò quello attivo sciogliendo la sostanza nella quantità strettamente necessaria’ di alcool, aggiungendo eccesso di acqua e di ioduro di potassio al 10°/ e titolando coll'iposolfito l’icdio posto in libertà. Di seguito poi, in questa stessa soluzione, sì dosò il bromo contenuto sotto forma di HBr, determinandone l'acidità a freddo con KOH 3g (indì- catore: arancio di metile). 1) Sostanza = gr. 0,3780 ; CO, = gr. 0,6446 ; HO = gr. 0,1684. 2) Sostanza = gr. 0,4110; AgBr= gr. 0,3020. 3) Gr. 0,5010 di sostanza posero in libertà dall’ ioduro gr. 0,1648 di iodio. 4) La soluzionè proveniente dal trattamento 3) fu neutralizzata da ce. 6,6 di Na0H 7; È Calcolato per C,0Hy70sBry Trovato C 47,05 46,51 H 4,84 4,95 Br totale 81,97 31,26 Br attivo 20,91 20.72 Br come HBr 10,45 10,59 Tanto questo composto quanto altri, di cui tratteremo, bruciano difficil- mente anche in canna chiusa e mescolati intimamente con molto cromato di = 79) = piombo in polvere. Ciò può dar ragione delle deficienze nella percentuale del carbonio trovata rispetto alla calcolata. Monobromoartemisina. — Nella soluzione di un gr. di artemisina in 5 ce. di acido acetico glaciale e di gr. 0,6 acido acetico saturo di HBr, si fanno cadere gr. 0,3 di bromo sciolti in 10 cc. di acido acetico glaciale. Si separano prima cristallini rossastri del bibromuro-bromidrato sopra descritto che in seguito si ridisciolgono. Versando dopo 3 ore in eccesso di acqua, precipita una sostanza fioccosa gialla che viene lavata con acqua fino a reazione neutra. È insolubile in acqua, assai solubile in alcool, a circa 70° arrossa e a 95° si decompone con vivo sviluppo di gas. A differenza del bibromuro bromidrato, è stabile. I. Sostanza = gr. 0,3434 ; Ag Br= gr. 0,1900. II. Sostanza = gr. 0,3100 ; H:0 =gr. 0,1450; CO, = gr. 0,6015. Calcolato per CisH,70Br Trovato Br 23,46 23,92 C 92,78 52,90 H 2,00 9,20 Bitoduro-iodidrato di artemisina, — Versando nella soluzione di gr. 2,5 d'artemisina in 20 cc. di acido acetico glaciale, 10 cc. dello stesso acido contenente gr. 2,70 di HI (d.= 1,96) e gr. 1,5 d'iodio, si vanno deposi- tando lentamente, ma con buon rendimento, cristallini bruni che non si ri- disciolgono per un contatto di parecchie ore coll’acqua madre. Si filtra, si lava con acido acetico glaciale, si lascia nel vuoto su potassa e su cloruro di calcio per 4 ore e poi si analizza. La sostanza si fonde con decomposizione a 118°-119° e sì altera all'aria e nel vuoto, ma meno rapidamente del corrispondente composto bromurato. È solubile in alcool, ed a contatto dell’acqua, analogamente a quanto av- viene pel bibromuro bromidrato, rigenera artemisina. I. Sostanza = gr. 0,3138 ; CO, = gr. 0,4506 ;: H.0 = gr. 0,1186. II. Sostanza = gr. 0,3265 ; Agl = gr. 0,2586. III. Sostanza = gr. 0,2669;I= gr. 0,0753. IV. La soluzione proveniente dal trattamento III venne neutralizzata a freddo da cc. 3,00 di soluzione so di Na 0H. 10 Cilcolato per Cs0Hz708Jg Trovato C 389,73 39,26 H 4,08 4,19 J totale 42,05 41,96 J attivo 28,03 28,30 JcomeHJ 14,02 14,81 Og Apre Cloroartemisine. — Se, dopo aver fatto gorgogliare per due ore e mezza a 15° del cloro secco attraverso 300 ce. di cloroformio contenenti 3 gr. di artemisina, sì evapora il solvente e si cristallizza il residuo ripetutamente dall'alcool, si hanno in scarsa quantità aghetti candidi solubili in alcool, ben- zolo ed etere, quasi insolubili in acqua e ligroina, che a 212° si decom- pongono con vivo sviluppo di gas. Gr. 0,1956 di sostanza diedero gr. 0,2380 di Ag Cl corrispondente ad un contenuto in cloro del 30,37 °/. Ripetuti tentativi per ripreparare questa sostanza, pur cercando di met- terci nelle condizioni sovracennate, ebbero esito negativo. Ciò dipende dal fatto che, come abbiamo premesso, la clorurazione dell’artemisina è così de- licata che bastano piccole variazioni nella tecnica, anche non apprezzabili; perchè si formino prodotti differenti o miscele difficilmente purificabili. Il trovato in cloro starebbe in accordo colla formola C,; H1;03 Cl; per la quale sì calcola una percentuale di 30,47. La formazione di tale sostanza si spie- gherebbe ammettendo che il cloro abbia parzialmente sostituito non solo l'idrogeno bensì anche l'ossigeno dell’artemisina, analogamente a quanto avviene pel composto C,5H,g Cl, 0 ottenuto da Klein dalla santonina. Se invece si opera a 20° mantenendo agitata la miscela e soltanto fino a solu- zione perfettamente limpida, per eliminazione del solvente, rimane una massa di aspetto vetroso, dalla quale per trattamento con ligroina si ricava una polvere che cristallizzata dall'alcool e dal benzolo, si decompone con vivo sviluppo gassoso a 133°. All’analisi si hanno numeri che concordano con quelli richiesti da un composto biclorurato della formola C,; Hs0 0, Cl,. I. Sostanza = gr. 0,3008 ; CO. = gr. 0,5908 ; HX0 = gr. 01678. II. Sostanza = gr. 0,1730; Ag CI= gr. 0,1488. Calcolato per Ci5H2004C1], Trovato Qi tl 5374 53,56 H 0,97 6,20 CI 21,19 21,26 Ber Poni e Chimica. — Aicerche sugli idrazoni(‘). Nota di L. Veo- cHIOTTI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN (°). I nitroidrazoni possono esistere come ha dimostrato R. Ciusa in diverse modificazioni cromoisomere (5). Non da tutti i nitroidrazoni però si riesce ad ottenere le divesse forme. Ammettendo che la forma rossa corrisponda al prodotto d'addizione interna — forma malenoide I — e la forma gialla cor- risponda alla fumaroide II nella quale la formazione del composto d'addi- zione non è possibile, O.NGH,C.H O, N.C0H.— CH = | | Ch LESNES = DR N_-N—-CGCsH; | È R I II si può intendere assai bene come in alcuni casi la forma rossa, per es., del fenilidrazone dell’o-nitrobenzaldeide sia la più stabile. Infatti, come ammette R. Ciusa, la formazione di un anello pentatomico (con un lato formato da una valenza secondaria) impedirebbe il passaggio dalla forma malenoide alla fumaroide: forma stabile degli idrazoni. Non si capisce però ugualmente bene la mancanza della cromoisomeria in molti altri casi: evidentemente de- vono avere una notevole influenza sul fenomeno la natura e la posizione dei radicali che entrano nella molecola del nitroidrazone. Per aver dei dati in proposito, per consiglio del dott. R. Ciusa ho preso in esame alcuni altri nitroidrazoni. Riservandomi di descrivere altrove per disteso i risultati delle mie ricerche mi limito qui a riunire in una tabella gli idrazoni studiati. Ho creduto conveniente includervi anche i nitroidrazoni già studiati da R. Ciusa (*). NITROIDRAZONE FORME OSSERVATE E COLORE o-Nitrobenzalfenilidrazina Rosso — m- » ” Rosso arancio Giallo ? p- ” ” Rosso Giallo (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica generale della R. Università di Bologna. (3) Pervenuta all'Accademia il 7 luglio 1913. (3) R. Ciusa, Mitroderivati e nitroidrazoni. Questi Rendiconti, XX, 2°, 578. (4) R. Ciusa e M. Padoa, Questi Rendiconti, XVIII, 2°, 621; R. Ciusa e L. Vec- chiotti, Questi Rendiconti, XX, 1°, 803. RenpicontI. 1913; Vol. XXII. 2° Sem. 11 E EI IIEZIA (RSS } SP SERRSZIITEAETZE di; f NITROIDRAZONE o-Nitrobenzal-p-bromofenilidrazina m- 0) ” Pe n ta) o-Nitrobenzal-o , p-bibromofenilidrazina o-Nitrobenzalmetilfenilidrazina m- ” b;) n Pr be) b) b) o-Nitrobenzalbenzilfenilidrazone me ” ” b) pr ”» ” ” Benzal-p-nitrofenilidrazina o-Nitrobenzal-p-nitrofenilidrazina m- » n pe ” »” ” Cinnamiliden-p-nitrofenilidrazina Copa i FORME OSSERVATE E COLORE Rosso Rosso arancio Rosso Rosso arancio PF 204- 206° Rosso arancio FF 205° Rosso vivo Rosso Rosso PF 135° Rosso PF 105-1069 Rosso ? Rosso Arancio Rosso aranciato Rosso aranciato Rosso mattone Rosso scuro PF 194° Giallo ? Giallo PF 207° Giallo Giallo Giallo PF 132° (1) Giallo ? Giallo Giallo PF 130° Giallo Giallo aranciato Giallo Giallo aranciato Giallo arancio PF 1930 p-Dimetilaminobenzal-p-nitrofenilidrazina Verde cantaride PF Rosso vivo 186° (2) p-Nitrofenilidrazone del benzofenone — Giallo ” ” » acetofenone — Giallo arancio Biologia. — /vcerche termocalorimetriche sugli ultimi pe- riodi di vita (*). Nota del prof. M. SeGALE, presentata dal Socio B. Grassi (‘). Nel corso di esperienze intese a studiare alcuni problemi della termo- genesi in condizioni patologiche mi occorse frequentemente osservare la morte dei soggetti durante la loro permanenza nel calorimetro. (4) A risultati analoghi è giunto recentemente H. J. Backer, Recueil d. Travaux de ‘P. B., XXXI; 142. (*) Contiene mezza molecola di benzolo di cristallizzazione; benzolo che assai vero- similmente fissa la forma verde. Lo studio di questo p-nitrofenilidrazone sarà ripreso. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisiologia di Genova diretto dal prof. V. Grandis. Le ricerche furono eseguite con un calorimetro differenziale registratore D’Arsonval, la temperatura fu misurata con un bolometro posto sottocute. Le variazioni della resistenza del filo del bolometro furono lette col sussidio di un galvanometro William Thomson molto sensibile, determinando la deviazione iniziale massima. Un'ora di tempo corrisponde a una escursione di 34 millim. Tutte le grafiche si leggono da sinistra a destra: e la degradazione dei valori da maggiori a minori è data dall’abbassarsi delle curve stesse. I piccoli segni verticali lungo le curve calorimetriche indicano le ore: il segno V indica che si è constatato che l’animale respirava: il segno +& indica che si è accertata la cessazione del respiro. La freccia segna il momento in cui si è intervenuti sul soggetto la parte di curva a sinistra della freccia deve considerarsi come il valore normale. Nella curva termometrica il grado centigrado è scritto su 10 millimetri di ascissa. (*) Pervenuta all'Accademia il 80 giugno 1913. La curva calorimetrica di questo periodo finale di vita non è rappre- sentata soltanto, come potrebbe ragionevolmente supporsi, da un abbassa- mento progressivo della curva stessa fino al ritorno sulla linea di base: che anzi all’abbassamento precede un rialzo della curva di emissione dimostrante che l’animale emette quasi improvvisamente una bene apprezzabile quantità di calore. La curva della fig. 1 dà un'idea del fatto: essa si riferisce ad una cavia morta in conseguenza di una seconda iniezione endoperitoneale di siero: dopo circa cinque ore dalla iniezione di siero si osserva improvvisamente un rialzo netto della curva di emissione che dura almeno un’ora ed è seguìta dalla curva di raffreddamento. Paragonando il raffreddamento del calorimetro che contiene l’animale morto con quello che si ottiene levando rapidamente l’animale dal calori- metro o interrompendo la ‘emissione di calore di una sorgente qualunque posta nell'interno dell'apparecchio, si osserva una notevole differenza tra le due curve, tale da dare la sicurezza che il raffreddamento di un animale morto avviene molto lentamente (vedi fig. 2). Questo fatto poteva prevedersi; sono infatti pubblicati numerosi studî sul comportarsi postmortale della temperatura, ed è da molti autori affermato che nel raffreddamento il corpo morto non segue senz'altro la legge di Newton: questo reperto non mi risulta tuttavia accennato nei varî lavori noti, così come non mi risulta studiata la forte emissione di calore che precede la discesa finale della curva calorimetrica. Mi è parso interessante studiare i rapporti di questa curva di emissione sia coll’arresto cardiorespiratorio che noi definiamo convenzionalmente come il momento della morte, sia colla temperatura dell'animale quale potevo ininterrottamente determinare durante lo svolgersi delle esperienze. Le varie prove mi hanno mostrato, ed è un fatto noto, che negli ultimi periodi di vita degli animali malati si determina un notevole collasso della temperatura. Quando la morte avvenga in conseguenza di interventi patologici non troppo rapidi, questo collasso della temperatura precede di qualche ora l’inizio del rialzo calorimetrico ed è, di solito, accompagnate da un abbassamento più o meno marcato della curva calorimetrica di emissione. Nelle figure 3-4 il fatto è studiato nei dettagli; le curve di emissione sono alquanto deformate da piccoli denti dovuti alla immissione nel calori- metro, per brevi istanti, di una lampada elettrica tascabile allo scopo di con- statare la presenza o meno degli atti respiratorii: in ogni modo, e specie nella fig. 4 ben chiaro risulta come la morte respiratoria si osservi soltanto in un periodo molto avanzato della curva di discesa. Questo reperto sembra utile per dedurre il momento in cui l'organismo cessa la regolazione del suo calore, momento che si potrebbe definire della ENTRII morte termica: questa precede la constatata morte respiratoria e la presunta morte cardiaca, e risulta nella curva calorimetrica segnata da un rialzo della curva di emissione. Il reperto è costante, sebbene di intensità variabile, in cavie morte per seconda iniezione di siero, per iniezioni saline ipertoniche, per intossi- cazioni da lievito di birra o dei nucleoproteidi di esso, per tossina difterica, forme tutte in cui la temperatura del corpo, pur manifestando svariate modificazioni nel corso della esperienza, non dimostra aumenti postmortali (*). Rimane così esclusa la ipotesi di una compartecipazione al processo di quella sovraproduzione di calore che si presume avvenga in individui morti dopo prolungata irritazione del sistema nervoso centrale nei quali si notano appunto le ipertermie postmortali da molti autori descritte. Nella curva della fig. 3 un leggero aumento di temperatura postmortale non ha apparentemente modificato il decorso del fatto. Parve interessante indagare se la quantità di calore emesso e risultante dalla altezza della curva sia in rapporto con una semplice variazione della diatermaneità della massa corporea, o non corrisponda invece a qualche violenta reazione compientesi in quel momento. Il quesito non è di facile soluzione. Il calore corporeo può sfuggire per una eventuale vasoparalisi cutanea e quindi per maggiore afflusso di sangue alla periferia: ma nei periodi finali di vita sì osserva una rallentata funzione del cuore la quale è da presumersi diminuisca progressivamente la quantità di sangue periferico; in questo pe- riodo finale della vita è anzi noto che si ha un angiospasmo periferico e talvolta orripilazione. D'altra parte la termogenesi, prima di questo momento, almeno in molti casì è sicuramente rallentata, come risulta dall’abbassarsi della curva di emissione e dalla diminuzione della temperatura e. da un punto di vista generale, lo ammettere una intensificazione di reazioni termo- genetiche in questo periodo, contrasta con quanto si afferma da varii autori (?), del cessare cioè ogni reazione termogenetica nell'organismo animale quando la temperatura si avvicini ai 25 centigradi. x x x Da una serie di prove fatte con veleni ad azione molto rapida è risul- tato come pure in questi casi si osservi la comparsa del rialzo suddescritto, rialzo che, nel caso speciale, non precede la morte respiratoria ma coincide circa con essa. Ho sperimentato con veratrina, acido cianidrico, cloralio, e riporto al- cune delle curve osservate (figg. 5. 6 e 7). 1 (') Ho recentemente osservato lo stesso reperto nei colombi e nei conigli. (2) Cfr. Léfèvre, Chaleur Annale 1911, pag. 549. Queste curve di emissione finale si potrebbe ritenere corrispondessero alla quantità di calore che per la modificata diatermaneità della massa cor- porea fuoriesce rapidamente dall'organismo al momento della morte, quando si dimostri che nelle morti rapide di animali approssimativamente di massa uguale la curva di emissione sia circa corrispondente. Al contrario, in animali di peso approssimativamente uguale, uccisi con veleni diversi o con varie dosi dello stesso veleno si osservano notevoli differenze della curva da caso a caso. In una serie sistematica di ricerche fatte per iniezione endoperitoneali di cloralio, una fra le sostanze che più universalmente si ritiene paralizza- trice dell'azione dei fermenti, ho potuto constatare che, pur seguendo alle varie iniezioni endoperitoneali del tossico la morte respiratoria del soggetto in tempi uguali, e pur avendosi una curva della temperatura assai simile, la curva di emissione variava quantitativamente colla quantità del tossico introdotto, così da mancare quasi con dosi altissime (un grammo per una cavia di 300 gr.) e da aumentare in evidenza con dosi diminuenti. Le grafiche riportate (fig. 6) tutte ridotte nella stessa proporzione, sem- brano dunque confermare la ipotesi che introducendo dosi forti di sostanza inibente la funzione dei fermenti, la curva finale di emissione si riduca no- tevolmente. Ricordo tuttavia a questo proposito come la termocalorimetria dell’av- velenamento lento per cloralio presenti un decorso singolare: subito dopo la iniezione endoperitonale di gr. 0,02 si osserva nn aumento della emissione; nelle ore successive la curva, rimane costantemente ad un livello più basso della norma e la curva finale quasi manca. Già in altri casi di morti con- secutive a processi lenti o cachetizzanti ebbi a notare la minore evidenza della curva finale. Questa che riproduco (fig. 7) è un esempio limite. La termometria del caso presenta il decorso ormai ben noto. Un altro dato degno di considerazione è la imponenza del reperto nella anafilassi endovenosa (fig. 5C.) reperto che in realtà è anche più evidente di quanto non appaia, in quanto l'intervallo di tempo necessario per prati- care la piccola operazione fa necessariamente abbassare alquanto il livello della curva per il raffreddamento del calorimetro. Questi dati anche quando si tenga conto della curva di emissione finale escludono che il fenomeno descritto sia in rapporto con una semplice libe- razione di calore dal corpo per una più rapida messa in equilibrio colla temperatura ambiente ed inducono ad ammettere che il fatto dipenda da una più o meno violenta reazione esotermica che in quel periodo si compie. Sembra in ogni modo si possa ammettere che il momento della morte termica preceda di un intervallo di tempo non indifferente il momento o i momenti della morte cardiaca e respiratoria. Fia. 1. — Curva calorimetrica di uno scoppio anafilattico. La iniezione di siero è fatta 10 mm. al di là della freccia. In fine si osserva la forte ascesa della curva di emissione cui segue un abbassamento progressivo per il raffreddamento postmortale. FIG. 2 DAN curva di raffreddamento di un animale morto i B ” O del calorimetro svuotato. a FS SSL Fic. 3. — In alto la curva calorimetrica in basso la curva termometrica dello stesso soggetto negli ultimi periodi di vita. T. 28 na 9: T28° È ; È” Fire. 4. — In alto curva termometrica Fic. 6. — Curve calorimetrica e termometrica finali 4 in basso curva calorimetrica. per cloralio a varie dosi in cavie di 300-350 gr. À | 4 A B c T 3950 Ti27° Fic. 7. — Curva calorimetrica (in alto) e termometrica (in basso) di una morte per cloralio a piccola dose. RENDICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 12 go Fisiologia. — La respirazione cutanea in alta montagna. Nota del dott. ALBERTO AGGAZZOTTI (*), presentata dal Socio Pio Foà (?). All’ultimo Congresso internazionale di fisiologia, tenutosi a Vienna nel settembre 1910, comunicai il risultato di alcune esperienze che avevo fatto sulla respirazione cutanea in alta montagna (Colle d’Oleon, m. 3000 s. m). In queste esperienze, la mano e l'avambraccio venivano introdotti in un ci- lindro di vetro chiuso da un manicotto di gomma, e dopo due ore si faceva l'esame dell’aria, contenuta nel cilindro, con l'apparecchio volumetrico di Grandis. Secondo i risultati di queste analisi, in alta montagna si aveva un aumento del ricambio respiratorio cutaneo sia per l'anidride, sia per l'ossigeno. Ma i valori piuttosto alti, ottenuti in queste esperienze, dipendevano in parte dal fatto che, per poter avere un ricambio respiratorio più forte, il manicotto di vetro in cui era chiuso il braccio, durante l'esperimento veniva esposto direttamente ai raggi solari, o riscaldato entro una vasca con acqua; perciò la temperatura nell'interno del cilindro saliva a 20°-25° C., mentre la persona in esperimento veniva a trovarsi ad una temperatura assai più bassa, 10°-12°. In tali condizioni non è improbabile che la temperatura più elevata sul solo braccio in esperimento facesse affluire in esso una grande quantità di sangue e conseguentemente determinasse una respirazione cutanea molto più attiva, di quello che si avesse a Torino dove tutto il corpo della persona in esperimento e non solo il braccio sì trovava in un ambiente riscaldato. Perciò ho creduto opportuno di fare una nuova serie di esperienze, nelle quali si teneva calcolo della temperatura ambiente e non soltanto della tem- peratura entro il cilindro di vetro. Queste nuove esperienze furono fatte du- rante l’estate 1912 nei Laboratorî scientifici « A. Mosso » sul monte Rosa e, nell'inverno successivo, a Torino (240 m. s. m.), sopra me e sopra il dott. G. Viale, al quale esprimo qui ringraziamenti sentiti per l’aiuto da- tomi. In esse ho determinato l'anidride carbonica eliminata dalla pelle della mano e dell'avambraccio, quando tutto il corpo si trova alla stessa tempe- ratura in un ambiente freddo e in un ambiente riscaldato. In queste espe- rienze, invece di dosare il CO, con un apparecchio volumetrico, la cui sen- (') Lavoro eseguito nel R. Istituto di fisiologia di ‘l’orino e nel Laboratorio scien- tifico « A. Mosso » sul monte Rosa. (*) Pervenuta all'Accademia il 9 luglio 1913. Sigg sibilità non è spesso sufficiente per mettere in evidenza le piccole differenze nel contenuto di CO, dell’aria, ho fatto le determinazioni di questo gas per pesata. Come nelle altre esperienze, l’avambraccio della persona in esperimento veniva introdotto in un cilindro di vetro chiuso vicino al gomito da un mani- cotto di gomma, che, adattandosi bene alla forma del braccio, rendeva la chiusura perfetta, senza comprimere i vasi sanguigni e lasciava normale anche la circolazione venosa superficiale. Il calibro del cilindro era poco superiore alla grossezza del braccio: perciò questo nella sua parte più grossa, vicino al gomito, riempiva quasi completamente il cilindro e non sì poteva avere una diffusione dell'anidride carbonica a traverso la gomma del manicotto di chiusura. Facendo la determinazione del CO, eliminato per pesata, non era necessario mantenere a contatto col braccio in esperimento sempre la stessa aria, come si faceva nelle altre esperienze, e come hanno fatto altri autori per diminuire l'errore dell'analisi volumetrica; ma nel cilindro di vetro, in cui era chiuso il braccio, si faceva circolare continuamente aria pura. In media passavano 10 litri all'ora: e poichè la capacità del cilindro di vetro dopo l'introduzione del braccio era di 800-900 ce., la corrente di aria era sufficiente per impedire un accumulo di anidride carbonica e un impoveri- mento di ossigeno nell’aria a contatto con la pelle del braccio in esperimento. L'aria usciva dal cilindro aspirata meccanicamente e filtrava dapprima a traverso tre tubi con cloruro di calcio e uno con anidride fosforica, nei quali veniva essiccata; indi passava per due tubi con calce sodata, nei quali era fissato tutto il CO.. L’acqua che si metteva in libertà dalla calce sodata, durante l'assorbimento del CO,, era pure fissata con cloruro di calcio e de- terminata per pesata. Finito l’esperimento, prima di estrarre il braccio dal cilindro, sì cacciava tutta l’aria in esso contenuta con una soluzione satura di cloruro sodico. Le esperienze vennero fatte generalmente al pomeriggio, due ore dopo il pranzo del mezzogiorno; solo le esperienze nn. 1, 3, 7, 11 e 12 furono fatte al mattino fra le 9 e le 11, alcune ore dopo la prima colazione. Tutte le esperienze sono fatte nel riposo più completo. I risultati sono riuniti nella tavola seguente, nella quale le esperienze sono ordinate secondo la tempe- ratura ambiente, incominciando per ogni gruppo da quelle in cui la tempe- ratura era più bassa. Nell'ultima colonna ‘a destra è calcolata la produzione dell'anidride carbonica che si avrebbe da tutto il corpo nelle 24 ore, ammettendo, se- condo i dati di Hecker ('), che la superficie delle mani sia eguale al 5,21 °/o (1) Hecker, Entwicklung der Korperoberflàche in ihrer Beziehung zur Wirmepro- ducktion, Zeitschr. f. Veterinàrkunde, 1894-97; cit. da Franchini e Preti, pag. 449. Si (217 | SI della superficie di tutto il corpo e che la superficie degli avambracci sia uguale al 6,75 °/,. Poichè nelle nostre esperienze non tutta la pelle del- l’avambraccio respirava entro il cilindro, ma soltanto ?/,9 circa, ho calcolato che complessivamente la superfice di una mano e del tratto di avambraccio in esperimento fosse 4,97 °/, di tutta la superficie del corpo. Il calcolo, però, non può essere che molto approssimativo, anche perchè non tutte le parti del corpo respirano con eguale intensità: Aubert ('), facendo le espe- rienze sulla respirazione della pelle della mano, trova una secrezione di CO,, che, riferita a tutto il corpo e alle 24 ore, è di gr. 1,25; mentre, sperimen- tando su tutto il corpo, lo stesso autore trova valori assai maggiori: gr. 4, in media. Se si considera che il valore trovato da Reinhard (*), sperimentando sul braccio, fu di gr. 2,23 di CO, secreti in 24 ore per tutto il corpo, si può ritenere che la respirazione del braccio sia intermedia fra quella della mano e quella di tutto il corpo. Anche Franchini e Preti (#) hanno trovato che la respirazione della pelle del braccio è meno intensa di quella della rimanente pelle del corpo. I valori ottenuti nelle due serie di esperienze al Colle d’Olen e a To- rino non sì possono confrontare con facilità, perchè hanno forti oscillazioni e perchè sono ottenuti a temperature diverse. Per essere il più possibile nelle stesse condizioni di esperimento, a Torino le esperienze vennero fatte durante l'inverno; tuttavia la temperatura interna della stanza del laboratorio non era così bassa come al Colle d'Olen: perciò le prime esperienze fatte al Colle d'Olen su A. con 5°-7° rimangono senza confronto con quelle fatte a Torino. L'intensità della respirazione cutanea si è mostrata diversa sia a Torino sia al Colle d’Olen nei due soggetti sperimentali: in V. l'eliminazione del CO; è maggiore che in A., e tale differenza si mantiene costante per tutte le temperature sperimentate. Bisogna osservare che il braccio di V. era più grosso e aveva una maggiore superficie di quello di A.; infatti lo spazio libero lasciato nel cilindro di vetro dopo l'introduzione del braccio di V. era di cc. 800-850, mentre che lo stesso spazio dopo l'introduzione del braccio di A. era cc. 850-900. Un'altra differenza anche abbastanza evidente si osserva fra i valori ot- tenuti nelle esperienze fatte al Colle d'Olen e quelle fatte a Torino, nel senso che 2 alta montagna la secrezione del CO; è maggiore che non al piano; ed è questo il fatto che noi prenderemo ora più dettagliatamente in conside- razione. La differenza fra le due serie di esperimenti in montagna e al piano (1) H. Aubert, Untersuhungen tiber die Menge der durch di Haut des Menschen ausgeschiedenen Kohlensdure, Pfliùiger's Arch., 1872, pag. 539. (?) Reinhard, cit. da Aubert, loc. cit, pag. 552. (*) Franchini G. und Preti L, Weder Hautatmung-Biochemische, Zeitschrift, IX, 442 (1908) LEO è specialmente evidente quando la temperatura ambiente è bassa. Infatti nelle esperienze nn. 1-4 fatte su V. al Colle d'Olen con una temperatura di 5°,8-6°,5 si ebbe una secrezione di CO, di gr. 2,929, mentre a Torino nell'esper. 15, con una temperatura superiore (89,5), la quantità di CO, elimi- nata è stata solo gr. 2,357. Nelle esperienze nn. 11 e 12 fatte al Colle di Olen sopra A. ad una temperatura di 8°,8 e 10° l'eliminazione del CO, è di gr. 2,486 e 2,929, mentre a Torino, con 9° e 99,5 di temperatura, il peso del CO, emesso è di gr. 2,275 e 1,753. Quando la temperatura ambiente è più elevata per riscaldamento dell'ambiente, i valori nelle due serie di espe- rienze non presentano alcuna differenza costante: a 15°, per esempio, in A. al colle d'Olen si ha un'eliminazione di gr. 3,8 in media di CO.; a Torino, alla stessa temperatura, gr. 4,1, mentre in un'altra esperienza, a 20°5, gr. 3,9. Quando l’ambiente non era riscaldato, l'individuo in esperimento aveva un forte senso di freddo al braccio chiuso nel cilindro, con orripilazione intensa, sebbene la temperatura interna del cilindro fosse sempre circa due gradi superiore alla temperatura esterna. Nell’ambiente riscaldato fra 15° e 21°. non sì avevano sensazioni dì freddo, nè secrezione di sudore. L'acqua perspirata dalla pelle della mano e dell’avambraccio era in queste espe- rienze superiore di molto a quella eliminata nelle esperienze a bassa tem- peratura. Essendo la temperatura ambiente più bassa della temperatura interna del cilindro, la maggior parte del vapor d'acqua eliminato dalla pelle si condensava sulla parete interna del manicotto e si raccoglieva poi nella parte più bassa. Si ammette generalmente che l’acqua eliminata dalla pelle aumenti continuamente e proporzionatamente colla temperatura, mentre il CO, elimi- nato sarebbe entro certi limiti indipendente da essa. Schierbech (1), Wil- lebrand (*), ammettono che l'anidride carbonica secreta dalla pella sia presso a poco indipendente dalla temperatura, e che solo quando questa raggiunge il punto critico (33°), al quale incomincia la vera secrezione del sudore, il CO, eliminato aumenti 3 0 4 volte. Franchini e Preti, determinando il CO, emesso dalla mano e dal braccio chiusi in un manicotto di vetro ripieno di ossigeno, trovarono che a 36°, 38° e 40°, la produzione non cambiava, mentre l'ossigeno assorbito cresceva con la temperatura; ma le piccole differenze nella secrezione del CO, pote- vano facilmente sfuggire a questi autori che dosavano il CO, nell'aria del cilindro con un apparecchio, volumetrico e prolungavano l'esperimento solo (1) Schierbech, Die Kohlensdaure und Wasserausscheidung der Haut bei Tempera- turen ewischen 30° und 39°, Arch. f. (Anat.) u. Physiol, 1893, S. 116. (2) Willebrand E. A., Veder die Kohlensàure und W'asserausscheidung durch die Haut des Menschen, Skandin. Arch, Bd. 13, S. 337. =" AO per un'ora: il per cento del CO, nell'aria del cilindro, alla fine di certe esperienze, risultava, all'analisi, poco superiore a quello che si aveva al- l’inizio. Se il CO, eliminato dal corpo è indipendente dalla temperatura quando questa è nei limiti sperimentati dagli autori su citati, pare invece che /a respirazione cutanea del CO, sia proporzionale alla temperatura quando questa è molto bassa; ciò abbiamo veduto nelle esperienze fatte al Colle d'Olen e a Torino, sia su V., sia su A.; nelle quali, passando da 5° a 20°, l'eliminazione dell'anidride carbonica aumenta quasi del doppio. I valori del CO; eliminato nelle 24 ore al Colle d'Olen e a Torino non sì possono confrontare con quelli ottenuti dagli altri autori citati, perchè essi sperimentarono con temperature superiori e ottennero perciò una produ- zione di anidride carbonica sempre superiore a quella ottenuta da noi. Aubert, fra 29°.6 e 33°, ottenne in media una eliminazione, da tutto il corpo, di gr. 7,546 di CO, nelle 24 ore; Schierbeck, fra 29° e 33°, gr. 8; Wille- brand, fra 20° e 339, 7-8 gr.; Franchini e Preti, a 36°-40°, in media gr. 9,433. La massima produzione di CO, nelle nostre esperienze fu di gr. 5,033 nelle 24 ore e riferita a tutto il corpo: essa st ebbe a Torino, in À., con la più alta temperatura sperimentata (21° nell'ambiente, 25° nel cilindro). Zuelzer(') sperimentando, alla temperatura ambiente ottenne dalla mano e dall'avambraccio una secrezione di gr. 0,00497 all'ora, che per intensità si avvicina a quella ottenuta nelle nostre esperienze: ma a 42° i valori erano molto superiori (gr. 0,02404 all'ora). Generalmente si ammette che la secrezione dell’anidride carbonica dalla pelle sia governata da leggi fisiche e che dipenda dalla differente tensione che questo gas ha nel sangue e nell'aria ambiente; essa dipenderebbe anche dalla permeabilità della pelle. Si tratterebbe, in altre parole, di una diffusione dell'anidride carbonica per la parete dei capillari sanguigni e per l’epider- mide cutanea. Una vera produzione di CO, nella cute si avrebbe solo quando le ghiandole sudorifere incominciano a funzionare e a secernere sudore. In alta montagna la tensione dell'anidride carbonica nel sangue è minore che non al piano (Mosso e Marro) (*), specialmente per la penetrazione in circolo di (1) Zuelzer, Die Sauerstofaufnahme durch die Haut-Zeitschr. f. Klin. Mea 53 Cit. da Franchini, pag. 444. (?) Mosso A. e Marro G., Ze variazioni che succedono nei gas del sangue sulla vetta del monte Rosa, Rend. Accad. Lincei, 1903, fasc. 12, e Arch. ital. de biol tom. XXXIX, pag. 402; Id.id., Za respiration des chiens et la polypnée thermique sur le sommet du Mont Rosa: analyse des ga: du sang après un long séjour à 4560 mètres d’altitude, Giornale della R. Accademia di medicina di Torino,. vol. X, fasc. 1°, e Laboratoire scien- tifique international du Mont Rosa, vol. I, pag. 115. sta —————_——: SENO gue rilevanti quantità di acidi organici, prodotti dalla deficiente ossigenazione, che ne fanno variare la reazione [Galeotti (*), Aggazzotti (*), Barcoft è Orbelli (5), Bareroft e Gamis (4)]; perciò la differenza fra la tensione della nidride carbonica nei capillari cutanei e nell'atmosfera è minore che non al piano. In tali condizioni si sarebbe dovuto trovare in alta montagna una minor eliminazione cutanea di CO;; invece, come abbiamo veduto, quando la temperatura è bassa, l'eliminazione è, se non maggiore, almeno ugual, al Colle d'Olen e a Torino. Credo sì possa interpretare questa apparente contrad- dizione ammettendo che al Colle d’Olen l'organismo delle persone in esperi- mento fosse più acclimatizzato al freddo che non a Torino; perchè già da parecchie settimane esse si trovavano in alta montagna, e la temperatura media era intorno ai 4° C. A Torino, anche durante l'inverno, il nostro corpo è abituato ad ambienti ben riscaldati, e raramente ci si espone per molte ore alle intemperie e al vento freddo e impetuoso, come succede in alta mon- tagna. È probabile che, per questa acclimatazione, ad eguale temperatura, i vasi cutanei siano più contratti al piano che non in alta montagna. A Torino si è infatti constatato che la persona in esperimento provava una sensazione di freddo molto più intenso nel restare due ore immobile durante l’esperi- mento con 9°-10°, di quello che non provasse all’Olen con una temperatura di soli 5-6 gradi. È anche noto che la pelle, nell'aria rarefatta, ha spesso un colore cianotico per iperemia passiva. Quando l'individuo sì trova in un ambiente riscaldato, la circolazione si riattiva probabilmente con uguale intensità nell’uno e nell'altro luogo. In tali condizioni abbiamo veduto che la secrezione cutanea del CO, era in certe esperienze maggiore a Torino che al Colle d'Olen. ] Anche dai polmoni l’uomo e gli animali eliminano in alta montagna una quantità maggiore di CO; che non al piano, e non sappiamo se ciò dipenda, pure in parte, dalla bassa temperatura. Sta di fatto che, in alta montagna, tanto la respirazione polmonare quanto quella cutanea contribuiscono a impo- verire di anidride carbonica l'organismo. Le nostre esperienze furono fatte al Colle d'Olen a 3000 metri circa sul livello del mare: a quest’altezza si può dire che l'organismo appena in- (1) Galeotti G., Ze variazioni dell’alcalinità del sangue sulla vetta del Monte Rosa, Rend. della R. Accad dei Lincei, vol. XII, 1903 e Laboratoire scientifique international du Mont Rosa, vol. I, pag. 1. (®) Aggazzotti A., La reazione del sangue nell'aria rarefatta, determinata col me- todo titolimetrico ed elettrometrico, Rend. R. Accad. dei Lincei, vol. XV, fasc. 7 e 8, 1906 e Laboratoire scientifique international du Mont Rosa, vol. 1I, pag. 177. (*) Barcholt I. and Orbelli S., Influence of lactic acid upon dissociation curve of blood, Journ. of physiology, 47, 355, (1900). (4) Barcroft J, and Camis M., Dissociation 0f hemoglobin in the biood, Jovrn.' of physiology, 29, 113, (1909). PE (O)) pepe comincia a sentire gli effetti del clima dell'alta montagna; perciò sarà ne- cessario di ripetere le esperienze sulla respirazione cutanea anche ad un'altezza maggiore. CONCLUSIONI. 1°) In alta montagna la respirazione cutanea dell'anidride carbonica è, contrariamente alle previsioni teoriche, uguale o leggermente maggiore che al piano: tale fatto dipende probabilmente da una acclimatazione al freddo, per cui. quando la temperatura è egualmente bassa in alta montagna e al piano, qui i vasi sanguigni periferici sono più contratti e la pelle è più anemica. Quando si riscaldi artificialmente l’ambiente, la secrezione cutanea del CO, al piano, diventa, in certi casi, anche maggiore che in alta mon- tagna. 2°) Tanto in alta montagna quanto al piano, fra 5° e 21° la elimina- zione del CO, cresce progressivamente con la temperatura. RESPIRAZIONE CUTANEA DEL CO, Colle D'Olen, 2900 m.s.m. CI Temperatura CO» elim. in gr. EE DATA CETO NEI RENE R NE NIE] 1 Cr FI DERIBNNITENIE toa DT: CITA Osservazioni 23 Nell’ambiente | Nel cilindro FAL DECO dal'’corpo 1 | 13-VII-12 5.8 7.5 | 0.0059 | 2.890, 2 | 22-VIII-12 6.0 7.0 0.0053 | 2.594 s 3 | 23-vIm-12 6.0 11.0 | 0.0055 | 2.662 È$ 4 | 9-VIII-12 6.5 11.0 0.0074 | 8.601 55 ‘d 23-VIII-12 17.5 BAONE 0.0095 4.617 z ‘ ambiente riscaldato 6 | 24-VII-12 19.0 215 | 0.0099 | 47910 7 3 8 | 23-VIII-12 5.5 7.0 0.0037 | 1.791 9 | 31-VIII-12 7.0 8.5 0.0082 | 1.888 = 10 | 16-VIII-12 7.0 9.0 0.0044 | 2.180 88 11 | 12-VIII-12 8.8 12.0 0.0058 | 2.807 SÈ 2 III I00 130 | 0.0064 | 3.119 £* e |) Racob 15.0 17.0 0.0082 | 3.992 & |ambiente riscaldato 14 | 30-VIII-12 15.2 17.5 0.0075. | 3.649 " » RenpIcoNTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 13 9g — Torino, 240 m.s. m. === 48 Temperatura CO, elim. in gr. S "» DATA 7 Osservazioni dh Nell'ambiente | Nel cilindro do RESO e 15)029-1.-13 8.5 120 0.0055 | 2.662 _ 16 1-III-13 12.0 15.0 0.0074 | 3.582 £ ambiente riscaldato 17 7-111-13 12.2 15.5 0.0084 | 4.065 & ” ” 18 21-13 9.0 11.0 0.0053 | 2.569 10 0161-1318 9.5 10.5 0.0041 | 1.980 _ 20) 8-I1-18 15.0 18.8 0.0082 | 3.969 È |ambiente riscaldato 21 9-ITI-13 155 18.0 0.0089 | 4.308 8 ” ” 22 1-10-13 20.5 21.8 0.0068 | 3.819 4 ; ; 990 311.19 21.0 25.0 0.0104 | 5.083 5 ; ELEZIONI DI SOCI Colle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento si procedette alle elezioni di Soci e Corrispondenti dell'Accademia. Le elezioni diedero i risultati seguenti per la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali : Furono eletti Corrispondenti : Nella Categoria I, per la Ma/ematica: BAGNERA GIUSEPPE. Nella Categoria II, per la Cristallografia e Mineralogia: MiLLose- vicH FEDERICO. Furono eletti Soci stranieri: Nella Categoria I, per la Matematica: HurwiTrz ApoLro e FREDHOLM Ivar; per la Meccanica: HruL GrorGE WILLIAM; per la Geografia ma- tematica e fisica; Bassor J. A. LEon. Nella Categoria II, per la Cristallografia e Mineralogia: BRricGER WALDEMAR CRISTOFER. L'esito delle votazioni venne proclamato dal Presidente con Circolare dell'11 luglio 1913; le elezioni dei Soci stranieri furono sottoposte all’ap- provazione di S. M. il Re. E. M. \ Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 5 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Wo VV. Serie 3 — TransuNnTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Voli (02), 2). SIMIMMEXFX, MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpIcoNTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VI. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fucle, matematiche e naturali. Vol. I-XXI. (1892-1915). 2° Sem. Fasc. 2. ReENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXI. (1892-1913). Fase. 1°-2°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. Fasc. 13°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIL CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINORI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R, Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia è di L. £@; ; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. . Utrico Hoepu. — Milano, Pisa e Napok. RENDICONTI — Luglio 1913. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1913. Volterra. Sopra equazioni integro-differenziali aventi i limiti costanti. . . . . .!. Pag. 43 Briosi e Farneti. Ancora sulla «morìa del castagno (mal dell'inchiostro)» in risposta al sig. dott, L.-Petriti tot È è o) Bottazzi e Quagliariello. Pigna. Chimiché e Ti fisiche del succo di 0 striati e lisci. Nota II. Contenuto in proteine del succo e rapporti fra Ta (miosina) sospesi, e mioproteina sciolta . . . . n ISERRAIO BRESSO Beloch. Sulla configurazione delle curve citata sopra a e, in ii sulla con- fisurazione delle curve algebriche sghembe col massimo numero di circuiti (pres. dal Corrisp. Castelnuovo) . . . . STESO ZARE n 60 Fubini. Su un teorema relativo agli integsii doni o dal Socio hi. Sd n 67 Mieli. L'origine della salsedine del mare e Vannoccio Biringuccio (pres. dal Socio Paternò) » 68 Rimini e Jona. Azione degli alogeni sull’artemisina (pres. dal Socio Angeli). . . . +» 71 Vecchiotti. Ricerche sugli idrazoni (pres. dal Socio Ciamician). . . O EA Segale. Ricerche termocalorimetriche sugli ultimi periodi di vita (pres. dÙ Socio Grassi) » 76 Aggazzotti. La respirazione cutanea in alta montagna (pres. dal Socio Fod) . . . . HIS ELEZIONI DI SOCI Risultato delle elezioni nella Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Nomina dei signori: Bagnera Giuseppe e Millosevich Federico a Corrispondenti; Hurwita Adolfo, Fredholm Ivar, Hill George William, Bassot J. A. Léon e A Waldemar Cri- stofer a Soci stranieri. . . . SR Ci RR iI) K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 10 agosto 1913. N. 3. TB | REALE ACCADEMIA DRI LINCHI ANNO CCCX. T9 13 SEE UE TCA RENDICONTI Classe, di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume x XII Ore Fascicolo Bo 90 Somesino | Comunicazioni pervenute all'Accademia durante le ferie del 1913. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo) ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI i PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 5 ia LS 1913 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle ‘pubblicazioni della R. Accademiadei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano | una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme | seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- ‘siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- i l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine -di stampa. Le Note di estranei presentate da «Soci, che ne assumono la responsabilità sonv portate a 6 pagine. ! 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 5 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi - cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite ne Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima,tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta di stampa della, Memoria negli Atti dell'Accade-. mia o in sunto o în esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio. di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro posta dell’invio della Memoria agli Archiv dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agl autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. i 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- — tori di Memorie, se Socio Corrispondenti; 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli. autori. i RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’Accademia durante le ferie del 1913. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). ANNA Chimica. — Sulla formula strutturale del polimero dell’ani- dride del glicole dell’anetolo. Nota del Corrisp. L. BALBIANO. In una Nota pubblicata in questi Rendiconti (*), mentre si discuteva la controversia fra i signori Tiffeneau e Daufresne (*) e me sulla funzione chetonica od aldeidica del prodotto di disidratazione del glicole derivante per ossidazione aceto-mercurica dell’anetolo, — discussione originata dal fatto che i due chimici francesi non avevano applicato al loro prodotto la reazione Angeli-Rimini allora ritenuta specifica delle aldeidi, — ho descritto un poli- mero dell'anidride a cui la determinazione crioscopica, usando come solvente il benzolo, assegnò la formola di un dimero (C,0.H120)?. Le ricerche ulteriori fatte dal prof. Angeli, principale interessato nella quistione, hanno condotto, in seguito ad una discussione vivace (*) fra lui e (1) Rend. Lincei, vol. XVII, serie 52, 1908, p. 259. (2) Comp. Rend. Accad.,, 144, 1907, 1354, (3) Nell’ultima sua risposta (Rend. Lincei, Seduta 15 giugno 1913) la vivacità del prof. Angeli ha raggiunto l’apice e si è disgiunta dalla verità, perchè in questa Nota, molto involuta, scrive delle frasi non conformi al vero. Infatti il prof. Angeli scrive: « perciò io gli ho respinto senz'altro il manoscritto della sua seconda Nota». In verità il passo della lettera in data 2 marzo 1912 dice testualmente: «Ho avuto stamane la sua Nota raccomandata e l'ho /etta attentamente, ma pur troppo, senza aver fatto delle esperienze in argomento, io non posso fare nessuna osser- vazione. Vuol dire che mi preparerò uno dei chetoni, oppure orinerò il fenilacetone ed appena posso studierò un po’ la cosa, anche perchè si tratta di reazioni che interessano me pure direttamente. Questa sera è oramai tardi e perciò domani Le restituird racco- mandata la Nota. RenpICONTI. 1913. Vol. XXII, 2° Sem. 14 SO e me, alla conclusione che la reazione del Piloty, fatta in certe condizioni di alcalinità, non è esclusiva delle aldeidi, ma appartiene anche ad una cate- goria di chetoni R—CH,—CO—CH; per una serie di reazioni secondarie interpretate in modo differente dal prot. Angeli e da me (’), e che collimano al risultato finale, e per la colorazione dei sali ferrici dei componenti formati e per la composizione dei sali di rame del miscuglio, come se il reagente del Piloty venisse applicato ad un composto a funzione aldeidica. I signori Tiffeneau e Daufresne, non avendo usato nello loro ricerche il nuovo reattivo proposto dall'Angeli e Rimini, cioè la soluzione alcalina dell'acido del Piloty, ritennero dal complesso delle reazioni di ossidazione, quest'anidride un chetone, ed a questa conclusione vengono, dopo avvenuta la discussione col prof. Angeli, anche le mie ricerche. Stabilito che il dimero (C,0H120»)? proviene dalla condensazione di un chetone e non di un'aldeide, lo schema strutturale che allora proposi deve essere modificato. Le basi sperimentali allora specificate rimanendo inalterate, cioè l'assenza di legami etilenici nella sua molecola constatata dall’ inatti- vità all'assorbire bromo, e la presenza di ossidrili negata dalla mancanza di benzoilazione col processo di Einhorn, non rimane che il collegamento delle due molecole per mezzo dell’ossigeno, cioè lo schema. R—C° H*—CH? O70 mettendo in evidenza il metile, CH;, perchè deriva dal chetone RCH=C0OSSCHS . (1) Devo osservare che nell’interpretazione del prof. Angeli non si spiega l’ indiffe- renza dei chetoni R—_CO—CH,—CH; al nitrossile, fatto invece spiegato nel mio modo di interpretazione. Matematica. — Su/la configurazione delle curve situate sopra quadriche, e, in particolare, sulla configurazione delle curve al- gebrighe sqhembe col massimo numero di circuiti. Nota II di MARGHERITA BeLOCH, presentata dal Corrispondente G. CasTEL- NUOVO (). Classificazione delle curve dei primi ordini. 22. Sulle quadriche a punti ellittici. — Applicando i risultati dei SS 4 e 5 (v. Nota I) alle curve dei primi ordini, prive di singolarità, situate sopra quadriche a punti ellittici, e dicendo: n l'ordine della curva (x sempre pari); 4 il numero dei cicuiti (tutti d'ordine pari di 1 specie); I, (Z= 1), il numero massimo di circuiti omocentrici tra loro, (dove a {=1 corrisponde 4== 1), possiamo formare le seguenti tabelle (*): BS dii 4 1 i 6 Ret Deda] 2 2 SI 2 DA IS (Re ele 25. Sulle quadriche a punti parabolici. — Applicando i risultati dei SS 6-11 (v. Nota I) alle curve dei primi ordini, prive di singolarità, situate sopra quadriche a punti parabolici, e dicendo: n l'ordine della curva; 4 il numero totale dei circuiti; d il numero dei circuiti d'ordine pari di 1 specie; (*) Pervenuta all'Accademia il 26 luglio 1913. (*) Supposta eslusa l’ipotesi 4 = 0. ue. Agi m il numero dei circuiti d'ordine pari monocentrici ; d il numero dei circuiti d'ordine dispari ; { il numero massimo dei circuiti di 1 specie, disposti in modo, che il primo sia tutto situato nella regione interna al secondo, questo sia tutto situato nella regione interna al terzo, e così di seguito, il penultimo sia tutto situato nella regione interna all'ultimo, (dove a = 0 corrisponde d=0, a /=1 l'ipotesi che i circuiti di 1 specie siano tutti tra loro esterni), possiamo formare le seguenti tabelle (*): n s\ulm|o l n|4|&|m|s ] i | Lilo] | s|i|x[fo|o]o ge Roo 2|1|o|i]1 la a [|| I (>| Jai DI mar HT (3) (i 24. Sulle quadriche a punti iperbolici. — Applicando i risultati dei $$ 12-20 (v. Nota I) alle curve dei primi ordini, prive di singolarità, situate sopra quadriche a punti iperbolici, e dicendo: n l'ordine della curva; 4 il numero totale dei circuiti; d il numero dei circuiti d'ordine pari di 18 specie; mil numero dei circuiti d'ordine pari di 2 specie; d il numero dei circuiti d'ordine dispari; (') Supposta esclusa l'ipotesi 4= 0. agri I il numero massimo dei circuiti di 1 specie, disposti in modo, che il primo sia tutto situato nella regione interna al secondo, questo sia tutto situato nella regione interna al terzo, e così di seguito, il penultimo sia tutto situato nella regione interna all'ultimo, (dove a {= 0 corrisponde d = 0, al=1 l'ipotesi che i circuiti di 12 specie siano tutti tra loro esterni), possiamo formare le seguenti tabelle ('): olsla|m|o][: 2 a|m|o|: torso. Me de 0 I 6a 00 [pl 00 | lola. 3 boe ola SIT Bon RGgiazi Taio RA do i Re SS iI do oi die iii 5 o|:|4| ‘Ho calcolato anche le tabelle relative alle curve del 7° ed 8° ordine, ottenendo così esempi di curve con />1; come ad esempio le curve: SALE VR RRLIE n=$, dè, d=0, 00 dd = BI (‘) Supposta esclusa l'ipotesi 4= 0. Matematica. — Sulle varietà di Jacobi. Nota di RuGciERO ToRELLI, presentata dal Socio E. BERTINI (1). Sulla superficie di Jacobi F, che rappresenta le g. di una curva C, di genere due, esiste un sistema oo! di curve, imagini delle 9g, individuate dalle coppie di punti di C, aventi un punto fisso. Applicando a tali curve tutte le trasformazioni di 1® specie di F, si ha un sistema 0c0?, X, di curve. Orbene, si ha la notevole proprietà che: ogni curva K di genere due, segante in due punti le curve di X (*), è una curva di Z. Questa proprietà può enun- ciarsì anche così: sopra una curva di genere due, una serie co, ya, di ordine indice e genere due, priva di coppie speciali, appartiene alla classe indi- viduata dalla serie (di ordine 1) dei punti della curva sostegno (*). E si noti che, avendosi su una curva di genere due una serie 00! di ordine 2 e genere > 1, nessun integrale di 1* specie della curva può dare somma costante lungo i gruppi della serie. In questa Nota io estendo, la proprietà, enunciata precedentemente, alle curve di genere qualunque. Dimostro cioè il seguente TEOREMA I. Sopra una curva Cp, di genere p, abbiasi una serie (irriducibile) yp, di ordine indice e genere p, priva di gruppi speciali e tale che nessun integrale di 1° specie di C, dia somma costante lungo t suoi gruppi. Allora nella classe individuata da yp v'è l'involuzione (di 1° ordine) costituita dai punti di C,. Questo teorema (di cui si può dare subito un enunciato analogo al primo dei due surricordati, relativo cioè alle varietà di Jacobi) può riguardarsi come un complemento al $ 5 della mia Memoria M. Mediante esso, infatti, data su wua curva C,, di genere p>1, una serie 0), y, di genere p è tale che nessun integrale di 1 specie di C,, dia somma costante lungo i suoi gruppi. sé può subito decidere se nella classe individuata da y esista l’in- voluzione di 1° ordine costituita dai punti di C,: occorre e basta, perchè ciò sia, che il difetto di equivalenza di y sia egnale a p (*). Il teorema I permette poi di risolvere, in modo assai semplice, una interessante questione che si presenta spontaneamente nello studio degli in- 2) Cfr. Enriques-Severi, Acta Math., tom. 32, pag. 309. 3) Cfr. la mia Memoria: Sulle serie algebriche ... (Rend. Pal., 1913), di cui un sunto è apparso recentemente in questi Rendiconti (1° sem, fasc. 11). Designerò questa (!) Pervenuta all’Accademia il 1° agosto 1913. ( ( mia Memoria con M. (4) In M, parlando di involuzione, si intende, come di solito, escludere quella co- stituita dai punti della curva sostegno, pensati ciascuno un certo numero (= 1) di volte. RESI NIO CO tegrali abeliani. E cioè: che cosa si può dire di due curve Cp, Cj, del genere p, le quali posseggano due sistemi di integrali normali di 1° specie aventi la medesima tabella di periodi? Nel $ 2 io pervengo assai facilmente a stabilire la édentità birazionale delle curve Cp, C$ (*). $ 1. — Dimostrazione del teorema I. 1. Sia C, una curva di genere p, contenente una serie %!, irriducibile, Yr; di ordine indice e genere p, priva di gruppi speciali, e tale che nessun integrale di 1* specie di C, dia somma costante lungo ì suoì gruppi. La Yn non può avere punti fissi: se essa infatti fosse ottenuta aggiun- gendo certi 7 punti fissi a una serie Yp-;, di ordine p—, la serie lineare Gi» residua, rispetto alla serie canonica, di un gruppo variabile di Yp_;, descriverebbe una serie 00°, di cui passerebbero certo gruppi per quegli 7 punti fissi: epperò la y», contro il supposto, possiederebbe gruppi speciali. La y, avrà il difetto di equivalenza p (M, n. 3): sarà cioè, secondo le notazioni usate in M, una yp[ ppp]. 2. Nella varietà jacobiana V,, imagine delle 9, di Cp, la Yp è rappre- sentata da una curva (irridueibile) K, che non incontra la varietà (irridu- cibile) 002-?, 2wp-», imagine delle 9, speciali. Applichiamo a K tutte le trasformazioni di 18 specie di V,: otterremo un sistema co?, X,, di curve K, tale che da ogni punto di V, ne escono co!. Applicando alle K le trasformazioni di 2* specie, si ha un sistema Sp, co, di curve H, mutato in sè dalle trasformazioni di 1 specie. Non è da esclu- dere che Z, ed S, coincidano (*). a) Tra le K(H) appoggiate a wp-s la generica non giace în ps: perchè 2,(Sp) è privo di varietà fondamentali (M, n. 8); essa incontrerà quindi wp-, in un certo numero (4) di punti. b) La totalità ce? delle K(H) appoggiate a wp-s è irriducibile. Infatti un punto di K e uno di wp-» individuano ura trasformazione di 18 (22) specie, quindi za curva K(H) appoggiata a wp-s. La detta totalità è quindi bir. identica a una involuzione, di ordine = 1, nella varietà delle coppie di punti di K, w,-:; ed è, perciò, irriducibile. 3. Ai sistemi di carve K , H di V, corrispondono su ©, sistemi di serie y; indicheremo tali sistemi ancora con Z,, Sy. Precisamente: a una K(H) non ‘appoggiata a wp-» corrisponde una serie co* yp[ppp]; alla generica K(H) (1 È mio dovere dichiarar di sapere che, fin dallo scorso marzo, il Severi, in una cartolina inviata al Bertini, gli comunicò, tra l’altro, di aver dimostrato l'identità bira- zionale di due curve come le Cp, C7, nel caso (generale) in cui queste due curve siano prive di corrispondenze singolari. (3) Ciò avviene se K è mutata in sè da una trasformazione di 28 specie (e solo allora). — 100 — appoggiata a wp-, corrisponde una serie oc! yy» [p—X pp] (Y[p—_lpp]) contenente X(%) gruppi speciali (una volta; ved. M, nn. 2,3). Queste ultime serie si diranno speczalizzate (?). Si hanno ora le seguenti proprietà : A) Presa una qualunque y, nessun integrale di 1 specie di C, dà somma costante lungo i suoi gruppi: ciò per l'ipotesi fatta su y,. Ne segue che nella classe cui appartengono le y non può esistere una serie composta con una involuzione (nè, in particolare, una involuzione) (*). B) Una y, depurata dai suoi punti fissi (se ne ha), induce fra Cp e una curva Cz bir. identica alle K,H, una corrispondenza algebrica 0; e su Cy una serie y* bir. identica a Cp, e di cui l'ordine e l'indice egua- gliano rispettivamente l'indice e l'ordine di y (M, n. 1); nessun integrale di 1° specie di C} dà somma costante lungo i gruppi di y* (*). C) Avremo così su C$ due sistemi 3} , Sg di serie y*; e, come le corrispondenze 6 dipendono due a due fra loro (in un verso, quindi anche nell'altro) secondo i numeri (1 1) o (1— 1), così % sistemi 3} , Sg saranno generabili, al pari di 3, Sp, applicando a una y* fissata tutte le trasfor- mazioni di 1° e 2° specie fra le g, di C}. Dicendo ciò, intendiamo di aver reso di ordine p le y* di ordine p—%, (p—h), indotte dalle y di indice p—%, (p—Ah), aggiungendo a tali y* tutte le possibili X-ple (A4-ple) di punti fissi. D) La generica y di 3,(Sp), non essendo specializzata, non può avere, per una considerazione fatta ai n. 1, punti fissi; essa è una yp[ppp], € induce su Cj una yy [p pp]. Le y, con punti fissi sono certo specializzate; esse sono tante quante le y* specializzate (poichè queste ultime, avendo l'indice < p, inducono su Cp serie di ordine < p), sono cioè co?-!; tenendo presente la proprietà è) del n. 2, si vede che (a totalità delle yp di Xp(Sp) specializzate comerde colla totalità delle yy» con punti fissi. Se la generica yp specializzata di (Sp) ha < (j) punti fissi, prescindendo da questi si ha una yp-;[p—% pp] (Yo; [Ph pp]), che indurrà su C$ una ys_r[p—é pp] (r-[p—gi pr). Tali y5_x(Y}-n), rese di ordine p coll’aggiunta di tutte le possibili %-ple (A-ple) di punti fissi, dànno appunto le y} specializzate. (*) Non occorre la considerazione delle particolari K,H, passanti per punti di w%wp-s imagini di gp più volte infinite, ovvero giacenti su wp-s (posto che tali K,H esistano). (2) Ved. nota 4, a pag. 98. Nella classe cui appartengono le y non può nemmeno esistere l’involuzione costituita dai punti di Cp pensati ciascuno w(= 1) volte: perchè in tal caso, com'è facile vedere, l'indice di 7p risulterebbe = wp. 3 (*) Per un teorema di Comessatti (Rend. Pal., 1913), ritrovato. sotto altra forma, in M ($ 6). — 101 — E) Vediamo ormai che /e due curve Cp, C$ si trovano in condizioni identiche: potranno perciò nei nostri ragionamenti scambiarsi fra loro (scam- biando anche fra loro è e 4, 7 e A). 4. Per dimostrare il teorema I, distinguiamo ora due casi. I) Entrambe le curve Ch, C$ siano iperellittiche. Si consideri allora su C, la generica y, specializzata di 2,; essa con- tiene un numero finito (=) di gruppi speciali; quindi la yp_i[p— pp], che si ha prescindendo dai suoi 2 punti fissi, ha un numero finito (=> 0) di coppie comuni colla 93 di C,. Ora questo numero, per una notissima formula di Schubert, è dato dall'espressione Pre) che non può pertanto risultare negativa. Deve cioè essere î gi» Ragionando analogamente su C*, si arriva alla disuguaglianza k= a vE= k+1 Ps che combinata colla precedente, dà PZ) (+1): donde segue 7=%=p—1; il che dimostra, nel caso attuale, il teorema. 5. II) Una almeno delle due curve Co, C} , ad es. la C$, non sia iperellittica. Cominciamo allora a mostrare che la generica yj specializzata di uno dei sistemi Zi ,S$ ha un solo punto fisso; e per questo faremo vedere che se la generica y} specializzata di uno dei detti sistemi, ad es. 3}, ne ha #>1, allora la generica specializzata di S$ ne ha uno. Supponiamo dunque A >1; prendiamo un gerzerieo gruppo canonico di Cz, e dividiamolo in due gruppi: uno, Tx», di #—2 punti; l’altro di p. Quest'ultimo appartiene a co! serie yy specializzate di 2} : fissiamone una Y$; siano A, A»... An i suoi punti fissi; E,-, un gruppo varzatzile della Yi, che si ottiene depurando la yj da tali punti fissi. Il generico fra i gruppi Ep-n PA ++ Ax ha l’indice di specialità zero (n. 2,5); ne segue che il generico fra i gruppi Epn+ A1 + Ans ha l'indice di specialità 2; e se fisstamo su C} un punto X, il generico fra i gruppi Ep-n4-A14 + Ax-2-+ X avrà l'indice di specialità 1. (Se 1=2, mancano À,... Apo). Consideriamo allora i residui E,-,, rispetto alla serie canonica, dei gruppi En + A+ + An-24 X. Dico che, se X è stato scelto generica- mente, la serie degli E,_, non può avere punti fissi. Se infatti, per ogni posizione di X, la serie degli E,_, avesse punti fissi, le serie 9g, residue dei gruppi Ep-n + A1+4+ + Ans rispetto alla serie canonica avrebbero dei RenpIconTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 15 — 102 — punti fissi, ovvero sarebbero composte. Ma tra le dette 9) vi è quella indi- viduata dalla p-pla Tp-2 + Anz + Ax; la quale p-pla, per essere estratta dal generico gruppo canonico di una curva non iperellittica, deve invece individuare una 9, non composta e priva di punti fissi. Dunque non può la serie degli E,_, avere dei punti fissi. Aggiungendo un punto fisso alla serie degli E,_, (depurata delle g,_; infinite, residue, rispetto alla serie ca- nonica, di eventuali gruppi Ep-n+ A+ + Anx-s + X più volte speciali), si ha una yj di Sy con wr punto fisso: il che dimostra quanto si è affer- mato a principio di questo numero. 6. La generica yy specializzata di uno dei due sistemi X}., $$ ha dunque, come si è or ora visto, ur punto fisso: ne segue che la generica y, specia- lizzata di uno dei due sistemi 2, , Sp, sia p. es. 2, ha l’indicep—1 (con- tiene un solo gruppo speciale). Prescindendo dai suoi punti fissi, essa darà una yo [P_1 pp]. E intanto da escludere che C, sia iperellittica: altrimenti, applicando alla detta y»_;[p—1 pp] il ragionamento fatto al n. 4, si avrebbe la dis- eguaglianza assurda, per essere 0<72. Ciò posto, sia E,-; un gruppo variabile della yp_j; T;_ 1 l'insieme di t—1 fra i punti fissi poc anzi nominati (se 7 ==1, Y;_, manca); il generico tra 1 gruppi Ep_;+ T;_1 ha l'indice di specialità 1 (e una volta, al più, il gruppo Ep_;+- T;_1 potrà acquistare l'indice di specialità due). Conside- riamo allora la serie dei residui E,_;, rispetto alla serie canonica, dei gruppi E + Ti: Che indice avrà la serie degli E,_1? Il gruppo Y;_,, insieme con un ge- nerico punto di C,, subordina nella serie canonica una 9%-5;: il numero dei gruppi di y,_; contenuti in gruppi di tal 9g}; dà l'indice richiesto. Orbene, calcolando tal numero colla formula di Schubert, si trova che esso vale uz0. Ne segue (n. 3, A) che la serie degli Ey_1 ha p—2 punti fissi: il che dimostra il teorema I. $ 2. — Applicazione del teorema I alla teoria degli integrali abeliani. 7. Passiamo adesso all'applicazione, enunciata in prefazione, del teor. 1. Siano Cp, CX due curve dei generi p, 7, aventi i sistemi di integrali normali di 1® specie v, bs... Up; %1U2... Ur. Siano Ty) To ... Tip dii A2 +... Ur Up) Tp DDA Tpp Ari Una «.. Unn le rispettive tabelle dei secondi periodi. — 103 — Indichiamo con 7, indici variabili da 1 a g; con 7,/ indici variabili da 1 a 77. E supponiamo che esistano dei numeri complessi non tutti nulli Tr, e degli intieri Xx, 9, Hn, Gi, soddisfacenti alle relazioni \ ta = ha + Xi 9 th i 1) e 1. x tri Gi, = Hy de À Gy Thj t J Allora, com'è ben noto ('), le equazioni Ox(4/1) + vx(42) + + do) = Stu u(d) str, dove 4 indica un punto variabile di C%; %1 7»... 4, punti di C,, e le 77, sono costanti genericamente scelte, definiscono su C, una serie co', di ordine DI bir. identica a C% (o risp. a una involuzione di C%), priva di gruppi spe- ciali e punti fissi, avente l'indice eguale a DI (lia Ga — Gnl Hm) . (o risp. a un divisore di questo numero). 8. Sia ora p=7, txa=k. Si potranno soddisfare le (1), ponendo gi =0)- See IR ha= Ga=0 se k=EL, Og Ca gGr= Hx=0. Allora le equazioni (VT + dro) = (0) +8, colle 77, genericamente scelte, rappresenteranno una serie co' d'ordine p, bir. identica a Cy e priva di gruppi speciali, il cui indice risulta eguale a p. Poichè nessun integrale di 1* specie di C, dà somma costante lungo i gruppi di tal serie, si potrà applicare il teorema I; e ne risulta l'identità bira- zionale delle curve C,,C3: c. d. d. (1) Veramente l’Hurwitz, nella Sua celebre Memoria del vol. 28 dei Math. Ann., si riferisce sempre a due curve sovrapposte; ma molte delle Sue considerazioni si estendono immediatamente al caso di due curve distinte. — 104 — Chimica-fisica. — Sul Qmute di visibilità dei precipitati (*). Nota di Lurer RoLLA, presentata dal Corrispondente A. GaRBASSO (°). 1. Lobry de Bruyn (*), dopo aver purificato dell’acqua con grande cura, in modo da averla otticamente vuota, ossia in modo che il fenomeno di Tyndall non fosse, con nessun mezzo, osservabile, vi aggiunse del saccarosio, e già a concentrazioni abbastanza piccole (circa 0,5 normale) notò la com- parsa del cono luminoso all'ultramicroscopio. Cohn (4) ripetè l’esperienza, e stabilì in modo non dubbio che questo cono luminoso era dovuto effettivamente alle molecole del saccarosio. Del resto, già la vecchia osservazione di Siedentopf e Zsigmondy (?) provava che una soluzione contenente 1 grammo di fiuoresceina in 1.000.000 di litri di acqua, presenta il fenomeno di Tyndall; e la teoria di lord Ray- leigh (*) dimostra che il cammino di un raggio di luce in una sospensione può essere visibile già per particelle del diametro probabile di certe specie molecolari. Esistono poi alcune esperienze di Biltz (*) le quali presentano un note- vole interesse. Questo autore, determinando il limite di visibilità dei pre- cipitati che si formano trattando con solfuro di sodio i sali di argento, di piombo, di rame, di mercurio, trovò che esso coincide approssimativamente con la solubilità determinata col metodo della conducibilità elettrica. Se non che in questo caso possono nascere dei dubbî, sia per la facile idrolisi dei solfuri che si formano, sia per la probabile formazione di soluzioni col- loidali (5). Io ho voluto fare dapprima una ricerca sistematica sui sali d'argento per vedere se in qualche caso il metodo ottico possa essere non solo altret- tanto esatto, ma preferibile al metodo elettrochimico: e mi sono proposto poi di risolvere il difficile problema della solubilità dei sali mercurosi. Il quale assume maggiore importanza dopo i recentissimi lavori di Gòrski (°) e di Bottger (1°) sulla sensibilità delle reazioni. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Genova. () Pervenuta all'Accademia il 25 luglio 1913. (3) Rec. d. trav. d. Pays Bas et de la Belgique, 23, 155 (1904). (4) Zeit. f. Elektr. (1909), AV, 652. (5) Ann. d. Phys. (1903), X, 1. (5) Phyl. Mag. (1899), 375, vol. 47°. (*) Zeit. f. phys. Ch., 58, 288 (1907). (3) Cfr. Zsigmondy, Zur Erkenntniss der Kolloide, Jena, 1905, pag. 156 e segg. (*) Zeit. fr anorg. Ch., 8/, 315 (1913). (!°) Festschift f&r Otto Wallach, Gottingen, 1909, pag. 282. — 105 — 2. Le misure di conducibilità di Hollemann (’) portarono alla conclu- sione che a 13°,8 la solubilità del cloruro di argento è 0,97.107°; con quelle di Kohl e Rose si arrivò a fissare i numeri 1,7.10-5 a 18°, e 1,6.107° a 25°. Determinando delle forze elettromotrici di pile di concentrazione, Goodwin stabilì che la solubilità del cloruro d’argento a 25° deve essere 1,25.107?; e Thiel trovò 1,41.10-°. Per il bromuro di argento si hanno misure di Kohlrausch e Dolezalek (metodo della conducibilità), e di Bottger. Questi autori trovarono rispetti- vamente Salo 9] Mld 12590, LO 207,08 Goodwin trovò, coll’altro metodo elettrometrico, 5000 aria "2502 e Thiel, alla stessa temperatura, 8,1.1077. L'ioduro d’argento, ha, secondo i differenti autori, le solubilità seguenti, alle differenti temperature : (9i—uliS 0,57.1073 Dannel pi=:2 To AO L) = 20 TRES 0a Kohl e Dolezalek t=25 1,05.10*. Thiel i = 39 OFOT10n8 Goodwin . Il coefficiente di temperatura, tra 18° e 25°, non è molto grande: ma, data la difficolta di fare un’interpolazione ragionevole, e per aver dati com- parabili, ho preferito rifare le determinazioni per #= 18°. E perciò. pren- dendo in esame le pile del tipo 3 Ag NO;| Ag 1 A8| 0,1N [0,1 Ko1| E . | AgCl | AgBr 5 |0,1 KC1|0,1 KBr AgCI | AgJ se|o, KCI|0,i ig | de la cui forza elettromotrice venne misurata col metodo di compensazione ado- (*) La bibliografia completa si trova nel primo volume del trattato di Chimica inor- ganica dell’Abegg. — 106 — perando una pila campione Weston e un millivolmetro di gran precisione Siemens e Halske (1° = 0,0001 volt), in base alle notissime misure di Goodwin e di Thiel (') e alla formula di Nernst (*), ebbi i seguenti valori: Solubilità di Ag Cl = 1,2.10-* ’ Ag Br = 50.107 - AgJ =1,0.10-+8. Per le ricerche ultramicroscopiche adoperai un apparecchio Siedentopf e Zsigmondy, ultimo modello, fornitomi dalla casa Zeiss di Jena. Invece della luce solare, mi valsi della luce di una lampada ad arco alimentata dalla corrente stradale continua a 110 volts (25-30 ampères), con la quale, pra- ticamente, ottenevo gli stessi risultati. Le osservazioni venivano fatte nella camera ottica, ad una temperatura compresa tra 17 e 18 gradi. Le soluzioni, della stessa normalità, erano aggiunte centimetro cubo a centimetro cubo, e spesso venivano lasciate a sè per parecchie ore. Prima feci le esperienze adoperando nitrato di argento e Na Cl; poi, nitrato di ar- gento e KCl. Analogamente, per i bromuri e gli ioduri, esperimentai prima col sale di sodio, poi con quello di potassio. I risultati furono sempre pra- ticamente identici. Naturalmente, di volta in volta, era necessario di assicurarsi che nè l'acqua adoperata, nè le soluzioni da mescolarsi dessero il fenomeno di Tyndall; e ciò rendeva molto faticose le osservazioni. i Una concentrazione di 0,9.10-5 mol. gr. di Ag Cl non permette più di vedere il cono luminoso, nè di discernere alcuna particella luminosa anì- mata da moto browniano. In soluzioni un poco più concentrate (per esempio, 1,5.107-*) si comincia a vedere qualche cosa, cosicchè la v7s707/:1à può essere ritenuta compresa tra questi due limiti. Coincide dunque colla soludelità. Per il bromuro di argento, si hanno i due numeri estremi 4:10 0. D:100; e per l’ioduro, (0R°Bl 0} SEO (058 2. I metodi elettrochimici per la determinazione della solubilità del calomelano conducono a risultati contradittorii e discordanti (*). Le misure più note sono quelle di Behrend (*), che a 18° trovò 0,75.107, e di Ley e (1) Zeit. fiùr anorg. Chem., 24, 12. (3) Theor. Chem. (1913), pag. 786. (3) Vedi Abegg; loc. cit., vol. II, pag. 600. (4) Z. f. phys. Ch., //, 466. —107-— Heimbucher (*) che trovarono 0.8.107°. Altre misure (metodo della condu- cibilità) dettero 1,6.107* e 6,0.107°. Per via ottica, io ottenni, come media, 4,5.107°. Le misure venivano fatte all’ultramicroscopio, nel modo descritto, me- scolando soluzioni di Hg NO; e di NaCl oppure KCI. Le soluzioni di Hg NO3 venivano preparate esattamente col metodo che servì a Cox (?) per studiare l'equilibrio tra gli ioni Hg e gli ioni Hg, nelle soluzioni di sali mercurosi. In base ai numeri di questo autore, fu calcolata sempre la normalità relativa agli ioni Hg*. Naturalmente, re- sterebbe sempre da vedere con quale legge varia l'equilibrio fra le due specie di ioni colla diluizione. Ad ogni modo, già alla concentrazione di 5.107 si apprezza il cono luminoso, Nel caso del Hg Br, la visibilità si spinge tino a 3.107. Intanto è notevole il fatto che, per il calomelano, il valore della solu- bilità ottenuto coll'ultramieroscopio, ossia identificando la solubilità col li- rienza, accordo che altre misure non possono raggiungere perchè si basano sopra ipotesi inaccettabili (3). La differenza tra l'affinità di un metallo per il cloro gassoso e il ca- lore di formazione del cloruro corrispondente è, secondo la teoria di Nernst (*), da porsi eguale a 0,212 volts. Nel caso del calomelano si avrebbe: A= n.23406E= 62630 + 4,571 Tlog Ti 4,571 CT, dove A rappresenta l'affinità, secondo la definizione di Van't Hoff; E la f. e. m. espressa in volts, T la temperatura assoluta, C la costante chimica del cloro, n la valenza che qui si può porre uguale a 2, riferendoci a Cl». 62630 è il calore di formazione del calomelano partendo dal mercurio liquido e cloro gassoso, alla temperatura di 290 gradi assoluti. Ponendo dunque C= 3,1, si avrebbe A = 1,465 volts. Ora, nell'ipotesi che la dissociazione del calomelano possa ritenersi — almeno in prima approssimazione, nelle condizioni in cui ci poniamo nella ‘ osservazione ultramieroscopica — normale e completa, in modo che la con- (1) Z. f. Elektr., 20, 303. (*?) Z. f. Anorg. Ch., 40 (1904), 146. (3) Vedi a questo proposito la discussione di Ley e Heimbucher, loc. cit. (4) Veber die Berechnung elektromotorischen Kràafte aus thermischen Gròssen Ber. d. preuss. Ak. (1909), 247. — 105 — centrazione degli ioni possa porsi senz'altro uguale alla solubilità, si ha (1) 1 1 Li (1) A=E=E+ E — 0,058 TA No 2) dove E, rappresenta la tensione di scomposizione del sale in soluzione satura, ed E,, E; il potenziale elettrochimico anodico e catodico; p = pus = Pa la concentrazione degli ioni, r,=x,="1 le valenze del catione e dell’anione. Nel caso nostro, ponendo BL 1,958 E.= + 0,758 pei 405-1052E si ha A = 1,454 volts . Bisogna però osservare che il valore, adottato più sopra, della costante chimica del cloro, è solo provvisorio. In base alla teoria cinetica, la costante chimica di un gas biatomico si calcola in funzione del peso molecolare e del raggio molecolare medio (*); e si ottiene C:=1:615 partendo dalle formole di Sutherland e dalla teoria dei dielettrici di Clau- sius-Mossotti. Sì avrebbe, così, AT—-Q= 0,170 volts: (Q= 62630) e, dunque, = 1,42 volts. Senonchè, anche il valore di C, che serve per questo calcolo, data l’incer- tezza nelle determinazioni del raggio molecolare medio, non può essere con- siderato come il valore più basso che possa assegnarsi teoricamente alla costante chimica del cloro. Anche le ipotesi che servono per ricavarlo sono approssimate e valgono solo nei limiti di temperatura nella quale sono va- lide le formole della teoria cinetica di Maxwell e Boltzmann. (!) Bodlinder, Zeit. f. physik. Ch., 27, 55. (8) Sackur, Ann. de Physik (1913), vol. 40, pag. 67. — 109 — Chimica fisica. — .Su/ calore specifico dei sali idrati ('). Nota di Lurar RoLLa e Luicr Accame, presentata dal Corrispondente A. GARBASSO (°). 1. Gli equilibrî nei sistemi eterogenei aventi una fase gassosa, si cal- colano, in base al principio di Nernst, colla formola: E (LAMA i (1) n= ta), T° n) pre ade dove K,Q,, R_ sono rispettivamente la costante di equilibrio, la tonalità termica della reazione per T —=90, la costante dei gas =1.985; SAL) LO) rappresentano rispettivamente i calori molecolari a pressione costante dei gas e dei corpì che costituiscono le fasi condensate; per Xv, Xx s'intendono le somme algebriche delle molecole conden- sate e gassose che si formano e che scompaiono nelle reazione: e le z sono le « costanti chimiche » dei corpi che costituiscono la fase gassosa. La (1) si può scrivere Oral Li dt (= @) Me ee io RO SIEh: dove 2C, è la forma algebrica dei calori molecolari a pressione costante dei corpi gassosi, e Zxc è la somma algebrica dei calori molecolari dei corpi solidi. Nel caso della dissociazione dei salì idrati, il calcolo numerico presup- | pone la conoscenza della variazione del calore molecolare del vapor d’acqua e della sua forma di condensazione colla temperatura, nonchè la conoscenza dei calori molecolari :dei due sali idrati coesistenti col vapor d’acqua. Ora, dalle misure di Dietericit (*), si deduce che il calore molecolare medio, tra 0° e 80°, dell'acqua, è precisamente 18; e dunque, ponendo, con Nernst (*), A= 13422 — 9,806 T, (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica cenerale della R. Università di Genova. (3) Pervenuta all'Accademia il 25 luglio 1913. (8) Ann. d. Phys. (4), 2/6, 610 (1905). (4) Verh. d. d. phys. Gesell. (1909), pag. 313. RENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 16 — 110 — essendo 4 il calore molecolare di vaporizzazione dell’acqua, si ha dà e 9800, e, quindi, Co 8107 Nernst suppone altresì che la differenza tra il calore molecolare, a pres- sione costante, del vapore e della sua forma di condensazione, allo zero asso- luto, sia eguale a 3,5: cosicchè il calore di vaporizzazione molecolare del ghiaccio venga espresso dalla relazione q= 119384 3,5 T — 0,0096T° . Quest’ipotesi è solo approssimata e provvisoria, e dunque c’è un’ incer- tezza sul valore della « costante chimica » dell'acqua. La quale, se si doves- sero generalizzare i risultati di certe esperienze sui gas biatomici (*), do- vrebbe avere un valore più piccolo di quello calcolato da Nernst (*). 2. Se si considerano due sali, per esempio il solfato di magnesio a quello di zinco eptaidrati, per cui si abbiano gli equilibrî [I] MgsSo, , 6H:0+H,0 <> MgSo, , 7H;0 [II] ZnS0, , 6H,0+H,0 => ZnS0, , 7H,0 , alla temperatura assoluta T, alla quale il primo ha una tensione di disso- ciazione p e l’altro p', si ha, per la (2), (3) logp=— SE + 175logT+ 5 T+; Qi B' i (4) logp'=—ppt Li5logTt ptt, essendo R =4,571 PA GS) DIE Qu='Q 8,5 290 B 290508 (dove Q,Q' è il calore molecolare d’idratazione a temperatura ordinaria), e C, ro ZCMos0, — 3,5 bolla sa Co — TC7ng0, — 339 LETO, PISESEO TAI at 4 E dl i 2X(2731+%) (1) Eucken, Preuss. Akad. d. Wiss., 1912, pag. 141. (3) loc. cit., pag. 325. — 111 — dove C, è il calore molecolare del vapore a temperatura T; ZCwgso, » FOzns0, rappresentano le differenze dei calori molecolari delle due forme d’idratazione del solfato di magnesio e del solfato di zinco rispettivamente ; e t è la temperatura centigrada alla quale si fanno le misure calo rimetriche. Sottraendo la (4) dalla (3), si ha RT log 5 —Q'—Q+(B—B)(T*+290?), ossia RT log E — (Q@'—Q) (5) (Bobo agg Così è possibile di calcolare la differenza dei calori specifici dell'ultima molecola di acqua di cristallizzazione nei due sali alla temperatura #. Intanto, siccome nel nostro caso è Q> Q' e, alle temperature alle quali sono valide simultaneamente le [I] e le [II], o >pI dal lato qualitativo, senza 'fare calcoli, la semplice ispezione della (5) fa vedere che il calore specifico dell'ultima molecola del solfato di zinco eptaidrato supera quello della settima molecola del solfato di magnesio. Questo risultato, che impone un limite alla validità della legge di Garnier-Kopp, opportu- namente generalizzato, può condurre a deduzioni interessanti sulla costitu- zione degli idrati, specialmente quando ci si ponga dal punto di vista della teoria werneriana. La verifica sperimentale fu eseguita usando un calorimetro a toluolo ('). La temperatura di questa era quella del ghiaccio fondente; e il sale, pol- verizzato, veniva messo in un cucchiaio di platino di circa 4 centimetri cubici di capacità, il quale era poi immerso in una grande provetta, in fondo alla quale si trovava un po’ di mercurio, posta in un termostato a 18°. La tara dell'apparecchio fu fatta coll’acqua e, come media di parecchie determi- nazioni, tutte concordanti, si trovò che un grado della scala corrispondeva a 1,037 calorie. I sali venivano analizzati di volta in volta. Provenivano dalla fabbrica Merck. Il solfato di zinco a sei molecole di acqua veniva preparato facendo la soluzione satura del sale eptaidrato e mantenendola a una temperatura di circa 45° per almeno una giornata. (1) Vedi Schottky, Phys. Zeit. 10, 634 (1909). — 112 — La seguente tabella da i risultati ottenuti : Solfato di zinco. Peso Molecole d’acqua Gradi Calore del sale adoperato di cristall. della scala (1) molecolare 3,2881 6,84 18.1 91,824 3,2269 6,83 18,3 92,783 2,0774 6,87 IBR6 91,768 2,6576 6,34 14,5 84,540 2,8950 6,33 15,7 85,617 Siccome ciascuno di questi rappresenta una miscela di sale epta- ed esa-idrato, dai valori di questa tabella, stabilendo dei sistemi di equazioni lineari a due incognite, e poi prendendo la media dei valori ottenuti, si ricava, per {= 9°, Calore molecolare del Zn SO, ,7H,0 —93,66 ” ” » ZnS0,,6H.0 =80,75. Cosiechè l’ultima molecola di acqua nel solfato di zinco eptaidrato ha un calore molecolare uguale a 12,91 calorìe. Quanto al solfato di magnesio, l’esperienza fu condotta in modo iden- tico; solo si preparava il sale meno idratato formando la soluzione satura di quello con sette molecole d’acqua di cristallizzazione e mantenendolo per una giornata alla temperatura di circa 60°, e cioè al di sopra del punto di trasformazione. Bastava per ciò scaldare, in una stufa o in un termostato, a questa temperatura, il sale eptaidrato in un vaso chiuso, e poi asciugarlo rapidamente su carta bibula. La seguente tabella dà i risultati ottenuti : Solfato di magnesio. Molecole d’acqua Calore [di cristallizzazione specifico 6,00 0,357 5596 0,941 9,95 0,351 6,03 0,353 6,1 0,350 Dai numeri dell'ultima colonna si deduce che, in media, il calore mo- lecolare del solfato di magnesio esaidrato è da porsi uguale a 79,657 calorìe. Prendendo come base il valore trovato da Kopp (*), il calore moleco- lare del solfato di magnesio eptaidrato sarebbe 88,97. Allora quello del- l’ultima molecola d'acqua di cristallizzazione sarebbe 9,31. (*) Ogni numero rappresenta la media di parecchie determinazioni. (3) Landolt-Bòrnstein, Meyerhofter, ed. 1913, pag. 309. — 113 — Dalla (5), ponendo Q'= 14026 Q= 14576 T= 291,1 p z log Fi =0,1732 e ZC7ns0, = 12,91 9 si calcola ZCxyso, = 10,09 ò Senonchè, esperienze accurate sul sale di magnesio eptaidrato ci hanno dimostrato che il calore specifico di questo si avvicina assai a quello del- l’esaidrato, sicchè la differenza tra il valore teorico e quello sperimentale crescerebbe ancora. Questa asserzione è dimostrata dai numeri seguenti : Solfato di magnesto. Molecole d’acqua Calore specifico 6,96 0.348 6.78 0,357 6,82 0,349 Dai quali risulta che la differenza dei calori molecolari del sale epta- idrato ed esaidrato scenderebbe a 6,86 calorìe. 3. Per il calcolo dei calori molecolari dei sali idrati è interessante di considerare il caso in cui p="p}. In base alle (2), per due sali che dessero luogo agli equilibrî S,maq+(n-m)aq Z2S,naq SOG SL n_-m)aq ZI ,naq, sì avrebbe log poso — le Loy — m) 1,75 ogtpàTt(i=mi log pm = — 4 (0 m) 1875 lgT4+5T+@—m) î (m—m)logp= UL (mm) 175 log r 4 ETÒ! ci ri m—mi essendo Q=Q+(n—m)X35X290— A -290 Q=Q + (n— m') X 3,5 X 290 — A”. 290 — ll4d — con N _(-mpP_—- Se (n—-m)3,5 Dr 2X (273,142) i e (n-m)p—_ Te —(n—m')3,5 i 2X (273,141) i dove Sc, Zc' significano rispettivamente le differenze dei calori molecolari dei due sali S,209 ; S,maqe S',naq ; S',m'aq. Si otterrebbe infine do (Mm) RT RT —(m_m)175logT-(m_mi-A-B)|g a (6) —(m_-m)logp= Il caso particolare in cui 7=7,m=4;m'=6, si conosce assai bene sperimentalmente per quanto riguarda gli equilibrî: Fe SO, , 4H:0 + 3H,0 > Fe S0,,7H,0 Zn SO,,6H,0+4 H;0 > Zn S0,, 7H,0 Mg SO, , 6H.0 4 H;0 > Mg $0,, 7H,0 (1). In questo caso, la (6) si scrive: R60 RO — A-B|f- ir =—2logp,, 002900008 rei — 3,5 log. — 24 — 290? — A-B|f_ ce | 21er dove Q” è il calore che si sviluppa quando tre molecole d'acqua, allo stato di vapore, si uniscono, alla temperatura ordinaria, al solfato ferroso tetra- (!) La teoria svolta da uno di noi in un lavoro precedente (Gazz. Chim. it. (1912), vol. XLII, pag. 290) parte) realmente dall'ipotesi, accettata del resto in tutti i trattati classici, che anche nella dissociazione del solfato ferroso eptaidrato si formi il sale a sei molecole di acqua. Esperienze e analisi accurate fanno ‘ritenere che si formi il te- traidrato, e ciò sta in accordo coi risultati di Fraenkel (Z. anorg. Ch. 55, 228 (1907) avuti studiando la curva di solubilità del Fe SO, ,7H30. Per la ricerca di allora, che riguardava i sali misti di solfato ferroso e di solfato di zinco e di magnesio, era assolutamente indifferente il conoscere la forma di idrata- zione dei sali che prendevano origine dal processo dissociativo; e perciò i risultati non mutano in nulla. — lo — idrato; 0, sono rispettivamente le temperature assolute alle quali il sol- fato di zinco eptaidrato e quello di magnesio hanno la stessa tensione (ri- spettivamente p, e p») del solfato ferroso. Inoltre si deve porre ide 3B — 2C pe $0,.7H,0 — Feo, , 45,0) 3 X 39 Tri 2(273,1+5) Dalle (7) e (8) si calcola, come valore medio, ZC (Pe 80, , 7,0 — Fe $0,, 44,0) = 27:16, ponendo ZUMg SO, == 6,86 e Cn so, = 12,91 È 0= 289,5 vi= Slvol p,=0,0102 (atmosfere) pa= 0,0675 (atmosfere). Nella seguente tabella sono riassunti i risultati delle esperienze sul solfato ferroso. Per preparare il sale meno idratato si faceva la soluzione satura del sale ferroso eptaidrato in una bevuta munita di un tappo con due fori per i quali passavano due tubi di vetro, da uno dei quali si aspi- rava colla pompa ad acqua e dall'altro s' introduceva una corrente di gas illuminante, privato di tutte le sostanze ossidanti mediante gorgogliamento in una soluzione di pirogallolo e potassa. Riempita così di gas la bevuta, a pressione ridotta, si teneva per molte ere in un termostato a 60 gradi: il sale ottenuto sì asciugava rapidamente e si analizzava precipitando il ferro con ammoniaca e pesandolo come sesqui- ossido. TABELLA. Peso Mol. d’acqua Deviazione Cal. mol, 2,9478 4,886 12,5 72,9371 3,3501 9,045 17,2 72,9371 2,4171 5,067 12,9 74,5373 2,9413 5,040 15,4 72,8274 2,9984 1 7,0398 17,85 92,843 2,9600 7,023 ( 17,05 91,451 { 16,85 Con questi dati, considerando che ciascun sale è la miscela di epta- idrato e di tetraidrato, si calcola Cal. mol. Fe SO, ,7H,0 = 92,147 Cal. mol. Fe SO, , 4H:0 = 63,587 . Dunque il valore trovato per ZC (re so, , 78,0 — Fe $0,, 4H30) — 116 — è 28,56. L'accordo fra la teoria e l'esperienza è sufficiente, dato il genere di misure e gli errori notevoli a cui vanno soggette. 4. Le misure eseguite sul sale di zinco e su quello di magnesio mo- noidrati provarono che, in media, il calore molecolare del primo è 34,73 (a 9°), e quello del secondo è 33,21. Dunque la legge di Garnier-Kopp si trova, almeno approssimativamente, verificata, quando si consideri il calore specifico di un numero notevole di molecole di acqua. Ciò significa che il valore, eccezionalmente alto, dell’ ul- tima molecola d'acqua del solfato di zinco, e quello, più basso, dell’ ultima molecola d'acqua del solfato di magnesio trovano un compenso in modo che, in media, il calore molecolare totale dell’acqua di cristallizzazione è, alla temperatura ordinaria, uguale a quello del ghiaccio. Ghimica. — / componenti dell'essenza di Seseli Bocconi (0). Nota di L. FrRANcEScONI ed E. SERNAGIOTTO, presentata dal Cor- rispondente L. BALBIANO (°). Lo studio dell'essenza di Seseli Bocconi fu da noi iniziato nel 1911 {). Furono allora trovati nella essenza due Terpeni: L. a-Pinene, in prevalenza, e D. B-Fellandrene, composti aldeidici ed alcooli. Si constatò l'assenza, di Fenoli. Scopo di questa ricerca fu di stabilire le formole dei composti al- deidici ed alcoolici, i loro rapporti, ricercare gli acidi che esistono in pic- cola quantità allo stato libero, ed in prevalenza combinati cogli alcooli. Distilammo kgr. 574 di pianta (proveniente dall'isola di S. Pietro, dalla località detta « Tacche Gianche ») che ci diedero gr. 1174 di essenza (resa 2,4°/,). Costanti: Nd. 1,4652 (T—= 22°); aa= + 39,82; P.= 0,8526; N.° ac.a 1,1; I. s. 56,02; I. Acetil. 77,2. Alcool comb.= 15,40%; Etere 1,352 °/o. L'essenza che colora energicamente il reattivo di Schiff, si sbatte con bisolfito per toglierne i composti carbonilici che dànno composti bisolfitici ben cristallizzati. Di questi ci occuperemo più avanti. L'essenza dopo questo trattamento e successiva lavatura con acqua e carbonato sodico, si secca e si distilla frazionatamente nel vuoto sino a raggiungere la temperatura di 96°; facendo 5 frazioni: 1 (80°), II (86°), III (91°), IV (94°), V (96°) (H=30mm.) che costituiscono la parte terpenica della essenza ossia (come risulta dalla Nota precedente) il miscuglio di L.@-Pinene e di D. #8-Fellandrene; il primo prevalente nelle prime ed il secondo nelle ultime frazioni. (!) Lavoro eseguito nell Istituto di Chimica generale della R. Università di Cagliari. (?) Pervenuta all'Accademia il 18 luglio 1913. (3) Accad. Lincei, vol. XX, ser. 5*, 2° sem., fasc. 6°, pag. 249 e fasc. 9°, pag. 481; Gazz. Chim., anno XLIII, parte I, pag. 402. — 117 — Il residuo, il quale contiene la maggior parte degli alcooli e degli eteri della essenza, viene saponificato con potassa alcoolica e distillato in corrente di vapore. Nella parte volatile si ricercarono gli alcooli e nelle acque alcaline gli acidi. Acidi dell'essenza. — Le acque alcaline distillate in corrente di vapore, fino ad esaurimento della parte volatile, si acidificano con acido solforico e si ridistillano in corrente di vapore fino a quando le acque non presen- tano più la reazione acida. Sulle acque sì stratifica un acido grasso oleoso; giallognolo, che ha un odore simile a quello dell'acido valerianico e che viene separato. Le acque madri si alcalinizzano con idrato di Bario, il cui eccesso si elimina trattando con anidride carbonica a caldo. Il liquido fil- trato si svapora completamente ed il sale residuo sì riprende con aeido sol- forieo e si distilla in corrente di vapore. Si ottiene un'altra porzione di liquide oleoso che si unisce alla precedente perchè ne ha tutti i caratteri. L'insieme si sbatte con un poco di acqua contenente un poco di carbonato sodico per eliminare gli acidi di basso peso molecolare e si distilla a pres- sione ridotta, dopo essiceamento sopra solfato sodico (H= 55 mm.). Una pic- cola parte passa a 80°, poi la temperatura sale a 114° restando fissa per tutta la distillazione. La frazione seconda dà: Ps (15) 0.94314; Nd 1.4046; aa + 14°,48. Numero di Bromo. — Saggiato per i doppî legami col bromo si di- mostra saturo. Amide. — Gr. 2 si salificano con Na° CO?, sì tira a secco in stufa a 100°. Il sale è molle, saponoso, fonde facilmente. Si mescola con eccesso di NH,CI, sì scalda in tubo chiuso a 230° per 4 ore. La massa si estrae a caldo con alcool, sì svapora, si riprende con etere secco e si filtra. Per svaporamento cristallizza l’amide, che fonde a 56°. Salî. — Gr. 3 di acido sì salificano con idrato di bario. Dal sale di Ba si fanno i sali di Pb, Cu, Ag. Il sale di Pb è bianco e solubile in acqua, quello di Cu verde e meno solubile; bianco e meno solubile degli altri quello di Ag. Analizzato, questo dà: Sost. 0,2315; C0? 0,2394; H?0= gr. 0,0895; Ag gr. 0,1204. Da cui: Co/=:28,24:; H°/=4,29; Ag*= 52,00. Queste cifre portano ad un acido C*H!°0?, da cui, calcolando, si ha: Cop= 27001500 = 20 RIE Si tratta di un acido valerianico. Le sue costanti fisiche e le sue proprietà Rexpiconti. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 17 — 118 — ottiche lo rivelano per l'acido metzletilacetico CH CH:—0—H COOH pel quale si ha: Ps 0,9410; aa= + 179,85 (1). Questo acido fu già rinvenuto allo stato di ester nella radice di An- gelica Arcangelica, ove si trova pure il f#-fellandrene; nel Caffè e nell’es- senza di Camphaca. Le parti più volatili dànno le reazioni dell'acido formzco e dell'acido acetico. Composto carbonilico. — Il composto bisoltitico che si ottenne dal- l’essenza viene decomposto con carbonato, e distillato in corrente di vapore; e l'olio che si separa viene purificato di nuovo, facendolo passare per il bi- solfito da cui si riprende. Questo composto della cui esistenza abbiamo già par- lato nella prima Nota sull'essenza della Seseli (*), fu ottenuto nella quantità di gr. 6 circa. Ha le seguenti proprietà: Olio incoloro, di odore straordi- nariamente intenso e caratteristico di citrioli maturi, gradevole a grande diluizione. Ps 0,9025; Nd 14495; ag= — 1,419 (Conc. 21,41 in alcool; dev = — 09,304). Colora intensamente il reattivo di Schiff; riduce il nitrato di Argento am- moniacale. Reagisce rapidamente col bisolfito sodico dando un prodotto solido, bianco, cristallino un poco solubile in acqua. Con la fenilidrazina e colle idrazine in genere non dà prodotti cristallini. Con la semicarbazide dà un semicarbazone che fonde sempre assai incostantemente. Greggio rammollisce a 36° e va a fondere a 114°. Ricristallizzato anche ripetutamente e frazio- natamente; fonde sempre da 140° a 180°. Si altera col tempo, spontanea- mente, dando l'odore caratteristico dell’aldeide. Nè l’analisi del composto, nè quella del semicarbazone ci permisero di fissare la formola grezza. Tentammo allora di ottenere l’ossima, sia partendo dal composto isolato, sia partendo direttamente dall'essenza: scaldando que- st'ultima a ricadere, per molto tempo, in soluzione alcoolica al 90 °/,, in presenza di cloridrato di idrossilammina e di bicarbonato sodico che veniva aggiunto a poco a poco. In entrambi i casi dopo eliminazione dell'alcool e, eventuatmente. del terpene resta nn olio giallo di odore acutissimo, ca- ratteristico, dal quale si depongono lentamente dei cristalli. Questi vengono (*) Ber. 32, pag. 1089. (*) Loc. cit., pag. 482. — 119 — raccolti e ricristallizzati dall'alcool etilico. Si presentano molli. in masse dal punto di fusione che va da 96° sino a 118° e che ricristallizzando non migliora. I composti colla Benzidrazide e colla M-Nitrobenzidrazide che si preparano agendo sul composto carbonilico sono alterabilissimi e non bene cristallizzati. Quantunque le analisi, come avemmo ad osservare, non ci abbiano per- messo di dedurre una formola grezza per il composto carbonilico; pure siamo portati a ritenere che si tratti prevalentemente di un'aldeide ad alto peso mo!ecolare in miscuglio con un’altra di composizione più semplice ma della medesima natura. Ma alla formola del composto principale venimmo per altra via, come vedremo appresso. Alcoolîi. — La parte meno volatile dell'essenza, dopo trattamento con bisolfito, saponificazione e distillazione in soluzione alcalina, consiste di olio di odore gradevole di cui: Nd = 1,4689; ea=+- 179,56. Gr. 30 di questo olio si mettono con eguale peso di anidride ftalica e si scaldano a bagno maria per 48 ore circa; indi la massa si versa in 400 cme. di acqua alcalina per CO*Na?; si estrae la soluzione alcalina ri- petutamente con etere indi vi si scioglie, scaldando a bagno maria della soda caustica. sino a che lo strato bruno che si viene separando in questo modo dalla massa, più non aumenti in modo visibile. Questo, separato, sa- ponificato e distillato in corrente di vapore; dà un olio di odore gradevole caratteristico (circa gr. 5) del quale: PERITI) REN di 145590 6285 e l’analisi dà: I sost. gr. 0,3251: CO*= gr. 0,8839; H?0= gr. 0,3624; II sost. gr. 0,2314: CO*°=gr. 0,6262; H?°O= gr. 0,2625. Trovato: I II 0% 74,13 74,58 H°%/ 12,94 12,60 La combinazione si avvicinerebbe ad un C°H?40. Calcolato: C°/ 73,7 «H° 12,3, ma con questa formola, solo approssimativa, non sì accordano le proprietà fisiche e le costanti calcolate, nè le proprietà chimiche. Difatti, l'alcool assorbe 87070, ma in quantità tale che dobbiamo ritenere che si tratti di un miscuglio di un alcool saturo e di uno non saturo. L'isoczanato di fenile vi reagisce dando una massa cristallina di urea. Non essendo possibile di ottenere prodotti cristallini che ci permettes- sero di separare i due alcooli. nè potendo, per la piccola quantità ricorrere IT — 120 — con probabile successo alla distillazione frazionata, per raggiungere l'intento, ne tentammo l'ossidazione col miscuglio di Beckmann, nella speranza di ottenere dei derivati più accessibili è per vedere almeno la natura di detti alcooli. Con ciò si giunse a risultati insperati. Gr. 4 di alcool (tutta la quantità disponibile) si fecero gocciolare in una soluzione di gr. 5 di bicromato di potassa, cme. 4 di acido solforico concentrato e eme. 25 di acqua. La massa si riscalda vivamente colorandosi in verde cupo. Dopo un'ora si riscaldò a b. m. per decomporre i composti cromici eventualmente formatisi, sì estrasse con etere replicatamente. L’etere lavato con soluzione di soda, distillato lentamente, lasciò un residuo oleoso che si sbattè con una soluzione di bisolfito sodico al 40 °/,. Si ottenne così la separazione di un composto cristallino, che lavato con alcool ed etere, alla pompa, si decompose con carbonato sodico distillandolo poi in corrente di vapore. Si ebbe un olio di odore acuto, assai simile a quello dell'alderde originale della pianta, (gr. 0,8) e che, seccato su solfato sodico, presentò caratteri seguenti: Nd =1,4586 (T= 14°); Ps 0,9169; aag=— 79,15 (conc. 12,28 9/0; dev = 09,878). P. eb. 202° ad H= 755 mm. Si combina colla semicarbazide, dando un prodotto cristallino bianco che fonde a 164-170° grezzo. Ricristallizzato dall'alcool metilico, il punto di fusione sì abbassa sino a 148-158°, nè è possibile per ricristallizzazioni successive ottenere un punto di fusione migliore. Analizzato, dà: I sost. gr. 0,1886: CO? gr. 0,4368; H?O gr. 0,1635; - ll ‘sost. ‘pr. 0,0839: Ni emet14,6 (162 HET 52m mE N=gr. 0,01684. Da cui i C%Y,=68;13.; Hi, = 9,62; N'°//=-20,07. Calcolato per C!!H!°ON? (corrispondente a C'°H!90) C°/ 63,1; HIS LO SIE N° 20,1. Al polarimetro dà az = — 89,64 (cone = 2,77 in alcool; dev = — 09,234). Ii composto carbonilico assorbe una piccolissima quantità di Bromo. Colora il r.° di Schiff con grande rapidità; facendo la prova comparativa- mente con l’aldeide della pianta e colla diidrocuminica la velocità di colo- razione è uguale per le due prime; molto minore per l’ultima. Il composto è quindi una aldeide e le attribuiamo la formola grezza C'°H!°0. Mon avendo doppi legami, si ha M = 45,31; cale. per C'°H!50 si ha M= 44,11. La parte che non si combinò col bisolfito e l'etere di lavaggio del composto cristallino estratti con etere. lasciano un olio che venne frazionato nel vuoto. Di esso una parte cristallizza in ciuffi di aghi che spremuti e — 121 — lavati alla pompa hanno un forte odore canforico e fondono a 152-158°. Non colorano affatto lo Schiff. Il risultato di questa esperienza è: 1) la parte alcoolica della essenza è un miscuglio di due alcooli; II) vno dei due alcooli è certamente primario e della formola C'°H!50 ed è questo che per ossidazione dà l’aldeide che è identica a quella conte- nuta nella pianta; III) l’aldeide che è contenuta nella pianta ha la formola C*°H!°0; IV) il secondo alcool è probabilmente secondario e da esso ha origine la sostanza di p. fus. 152-153°, di odore e aspetto canforico. Riassumendo, nell’essenza di Seseli Bocconi sono contenuti i seguenti componenti : 1°) L. a-Pinene; 2°) D. p-Fellandrene; 3°) Aldeide, dall'odore, caratteristico, satura, della formola C!°H!50 biciclica (per le sue proprietà fisiche in rapporto alla sua composizione); 4°) un secondo composto carbonilico che l'accompagna; 5°) un alcool primario C!°H!80 bicielico saturo; 6°) un alcool secondario non saturo; 7°) acido D. Metiletilacetico; acidi formico ed acetico. Sulle formole ammissibili per i composti ossigenati principali torneremo in una apposita Nota. Chimica. — Sulla formula del cloridrato di apomorfina (‘). Nota del dott. V. PAOLINI, presentata dal Corrisp. A. PERATONER (?). Sulla composizione del cloridrato di apomorfina, e segnatamente sul contenuto d'acqua di cristallizzazione di questo sale, si hanno nella lettera- tura indicazioni molto discordanti. Matthiessen e Wright (3) che, come è noto, ottennero per i primi l'apo- mortina, affermarono che il cloridrato non contiene acqua di cristallizzazione; è però da notarsi, che le analisi da loro riportate, le quali conducono esat- tamente alla formula C,,H,70sN - HCI, furono eseguite sopra sostanza dis- seccata a bagno-maria. Al contrario, secondo analisi, molto più recenti, di E. Schmidt e R. Gaze (‘), il cloridrato di apomorfinà conterrebbe acqua di (1) Lavoro eseguito nell'Istituto chimico-farmaceutico della R. Università di Roma. (?) Pervenuta all'Accademia il 29 luglio 1913. (*) Ann. d. Chem., Supplem., 7, 172 (1870). (*) Apoth. Ztg., 23, 657 (1908); Zentralblatt 1908, II, 1187. ii ll — 122 — cristallizzazione: ma la percentuale di essa, pur essendo abbastanza coinci- dente in campioni di provenienza diversa (3,61-3,95 °/;), non corrisponde nè alla formula C,; HiXO:N-HC1+ H,0, per cui si calcola 5,56 °/,, nè a quella €,,H,,0:N- HC1-!/,H,0, che esige solo 2,89 °/,. Tale incertezza si ripercuote nelle indicazioni delle varie Farmacopee, le quali, per il maggior numero, non fanno alcun cenno dell'acqua di cristallizzazione (1), mentre la Farmacopea germanica (*), riferendosi forse alle succitate analisi di E. Schmidt, indica nell'ultima edizione la formula C,, Hi70,N - HCl 4+- 1/3 H30. Un'altra indicazione, anch'essa divergente da quelle sopra riferite, è dovuta infine a D. B. Dott (8), il quale, in un campione di cloridrato di apomorfina di vecchia data, ricristallizzato da acqua acidulata e disseccato a tempera- tura ordinaria, avrebbe rinvenuto 5,21°/, di acqua. Lo stesso autore anzi, appoggiandosi su questo risultato e sopra alcune determinazioni di cloro, eseguite sul cloridrato secco all'aria e su quello reso anidro a bagno-maria, attribuisce al cloridrato di apomorfina la formula C34H360; N3:2HC1-:2H,0, credendo anche di poter chiarire la sintesi dell’apomorfina con l’elimina- zione di una molecola di acqua non da una, bensì da due molecole di morfina. Ma questa conclusione del Dott è in aperto contrasto con le belle espe- rienze di Pschorr, Jickel, e Fecht sulla costituzione dell’apomorfina (‘); e però, essendomi parso che il suddetto lavoro contenesse delle inverosimiglianze, ho voluto eliminare a questo riguardo ogni incertezza analizzando alquanti campioni di cloridrato di apomorfina di diversa provenienza, tanto più che in qualche trattato di chimica farmaceutica (*) trovasi già riferita per l'apo- morfina la formula proposta dal Dott. Secondo le mie esperienze, invece, questa formula risulta del tutto ingiu- stificata. Le numerose determinazioni di acqua, eseguite ora sopra campioni acqui- stati da differenti fabbriche, e di preparazione antica o recente, accusano una percentuale che si aggira costantemente, con oscillazioni minime, intorno a 4,2, vale a dire a quanto si calcola per la formula C,7 Hx;0,N - HC1 + #/, H50.. Le più basse percentuali di acqua di cristallizzazione da me rin- venute sono state quelle di 3,52 e di 3,85, le quali si avvicinano ai valori già trovati da E. Schmidv e Gaze. La prima di queste cifre sì rife- risce ad un campione della Casa Bourroughs Wellcome, e C. (Londra); la seconda ad un altro campione, della Casa Macfarland e C. (Londra). Ambedue (*) È compresa fra queste la Farmacopea italiana; cfr. 32 edizione, pag. 86 (1909). (?) Deutsches Arzneibuch, 5. Ausgabe, 54 (1910). (3) Pharmaceutical Journ., 27 (4), 801 (1908); Zentralblatt, 1909, I, 1101. (4) Berichte, 25, 4377 (1902). In questo lavoro, fra l’altro, è riportata un’analisi, con la quale nel cloridrato di apomorfina della Casa E. Merck (Darmstadt) si rinvenne 11,8 °/o di cloro. La formula C17H1703N «HCl esige 11,68 9/». (5) Cfr. A. Gilkinet, 7raité de Chimie pharmac., 8me édition, pag. 725. ° — 123 — queste percentuali basse dipendevano tuttavia da incompleta purezza dei campioni analizzati; infatti, avendo preparato dai detti sali la base libera, e da essa nuovamente i cloridrati secchi all'aria, questi fornirono per l'acqua di cristallizzazione i numeri richiesti dalla superiore formula con #/, H30. Cosicchè non è improbabile, che i valori piuttosto bassi trovati da E. Schmidt, sì siano ricavati anch'essi da analisi di campioni non del tutto puri. Alle determinazioni di acqua di cristallizzazione, poi, ho fatto sempre seguire, sui campioni resi anidri, la determinazione (volumetrica) del cloro, ed i valori così ottenuti, i quali mostrano notevole concordanza fra loro, conducono indubbiamente alla formula C,7H,; 0,N-HC1, rendendo perciò in- sostenibile quella a C34, proposta dal Dott. Del resto, già l’analisi elementare dell’apomortina indica senza ambiguità la formula semplice C,;Hx;02N; ma di questa ho voluto, ciò non ostante, dare una nuova conferma con l'esame crioscopico di un derivato solubile dell’apomorfina. L’etere dibenzoilico di questa base, ottenuto già da Pschorr (loc. cit.), secondo Schotten-Baumann, e che io ho anche preparato col clo- ruro di benzoile in presenza di piridina, mi ha fornito infatti, in soluzione benzolica, la depressione del punto di congelamento richiesta dalla formula semplice. Cloridrato di apomorfina. — I campioni da me analizzati provenivano dalle seguenti Case: I. T. & H. Smith, Edimburg - London; II. E. Merck. Darmstadt III. Macfarland & C., London; IV. Burroughs Wellcome e C., London; V. Poulenc Frères, Paris; e in genere costituivano polveri cristalline bianche; solo qualcuno presentava un colorito grigio, del resto molto lieve. L'acqua di cristallizzazione venne determinata mantenendosi le sostanze nel vuoto su acido solforico, fino a che il peso rimanesse costante; i sali, così disidratati, messi poi in stufa a vuoto a 100°, non perdevano più di peso. È da osservare, che, in essiccatore a vuoto il cloridrato di apomorfina, nelle prime 12-24 ore, elimina circa il 3°/, di acqua, e solo lentamente il resto; e quindi il dato della Farmacopea germanica, la quale indica mezza molecola d’acqua (= 2,89 °/,), potrebbe attribuirsi forse a esperienze, nelle quali si disseccava il sale senza tuttavia raggiungere la costanza di peso. Nella seguente tabella riunisco ì dati analitici da me avuti; i numeri romani indicano le Case già menzionate, nello stesso ordine di sopra. Ì u=i N Î 2 i = 3 il 2 | Sale idrato ‘aan H0 °/o Sale anidro AgNO; io €19/7 II E di peso eme | (©) 2 Il) I 1,6256 0.069 4,24 0,2642 8,75 11;74 Nol 5.05 0,21 4,15 0,2573 8,51 11,73 ill in II 1,0328 0,0401 3.94 0,2915 9,73 11,84 (1) ii 0,6800 0,0278 4,08 0,2006 6,65 11,73 il 5,0099 0,2184 4,85 0,2107 6,96 11.72 hi | III 0.9574 0,0417 4,34 0,2637 8,74 11,75 RAT il 1.0782 0,0416 3,85 0,1786 5,87 11,76 i 1,0412 0,0488 4,20 0,3026 10,01 11,73 il 1,0428 0,0433 4,15 0,1696 5,63 Lera i IV 0,9884 0,0348 3,52 = a n, Î 0,5352 0,0227 4,23 0,2114 6,95 11,66 (2) | î i V 0,4661 0,0192 4,09 0,2734 9,08 11,78 1,0848 0,0454 4.17 0,2005 6,64 11,75 Per la formula C,7H,70,N.HC1+#?/H,0 si calcola: 4,24°/ di acqua di cristallizzazione; e per il cloridrato anidro: 11,68 °/ di cloro. Apomorfina. — Venne ottenuta in forma di cristalli dal cloridrato se- guendo le indicazioni di Pschorr, Jàckel e Fecht, i quali per i primi hanno descritto l’apomorfina cristallizzata. Gr. 0,1891 di sostanza (previamente tenuta a 100° nel vuoto, allo scopo di scacciare completamente l'etere etilico di cristallizzazione), diedero gr. 0,1146 di acqua e gr. 0,5328: di anidride carbonica. Su 100 parti: Trovato Calcolato per | Ci7H170,N Cs4Hz60gN, | E 116,78 6,41 6,53 Ù C 76,84 76,36 73,87 Dibenzoil-apomorfina. — Questo etere, già ottenuto dai suddetti autori secondo il metodo Schotten-Baumann, fu da me preparato operando col clo- (1) Campione vecchio di 10 anni, (2) Preparato dalla base isolata dal campione precedente. — 125 — ruro di benzoile in presenza di pirvidina ('), e, dopo ripetute cristallizzazioni da benzina del petrolio, fondeva regolarmente a 156°. Gr. 0,1673 di sostanza abbassarono di 0°,14 il punto di congelamento di or. 12,69 di benzolo. 5 . Trovato Calcolato per Ci AisN(0.COCHo): Peso molecolare 480 475 * x X% Ringrazio il dott. F. Castiglione dell'aiuto prestatomi nell'esecuzione di queste esperienze. Ghimica. — Sopra alcuni nuovi derivati dell’azossibenzolo (°). Nota del dott. Bruno VaLoRI, presentata dal Socio A. ANGELI (*). Già Angeli ed Alessandri, facendo reagire l’acqua ossigenata sul p-nitro- azobenzolo, hanno preparato (4) un p-nitroazossiderivato isomero a quello che ottenne Zinin (*) per azione dell’acido nitrico sopra l’azossibenzolo; ed hanno dimostrato che, mentre il loro prodotto reagisce con tutta facilità con l'acido nitrico (4 = 1,48), fornendo un p-p-binitroazossibenzolo, il composto di Zinin rimane inalterato, e solo per azione prolungata di acido nitrico concentratis- simo dà il cosiddetto m-trinitroazossibenzolo. A tale composto si perviene anche per azione dell'acido nitrico (4= 1,48) sopra il composto di Zinin, tenendo la soluzione a bagno maria per un'ora; ma, in queste condizioni, si forma insieme un binitroderivato che fonde a 141°. Avendo il composto di Zinin la costituzione NO, L- > NN Seo | (0) in seguito alle regole già dedotte dallo studio dei derivati dell’azossibenzolo e, in particolare, per analogia col derivato nitrico dell'a-p-bromoazossiben- zolo (5), è certo che il gruppo nitrico è entrato nel nucleo benzolico già (1) In tal modo, quando cioè sia escluso l’alcali minerale, non è necessario di operare, come fecero i suddetti autori, in presenza di idrogeno. (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica farmaceutica del R. Istituto di studî superiori di Firenze. (3) Pervenuta all'Accademia il 30 luglio 1913. (4) Questi Rendiconti, vol. XX (1911), 2° sem., pag. 170. (5) Annalen, //4, pag. 28. (9) Questi Rendiconti, vol. XXI (1912), 1° sem., pag. 794. ReENpICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 18 sostituito, in posizione orto: Il bromo non reagisce, a temperatura ordinaria, sul p-nitroazossicom- posto di Zinin, come è stato osservato ('), neanche se posto in diretto con- tatto con esso in presenza di un catalizzatore; ma a 120°, e perciò in tubo chiuso, esso fornisce un 2-bromo-4-nitroderivato, analogo per costituzione al binitrocomposto avanti considerato : Bi NO; \.NEN"CH: SDAI (0) Anche l’'o-nitroazossibenzolo NO, ae NZ N i OgH5 (0) per l’identica posizione dell’ossigeno unito all'azoto, rispetto al nucleo ben- zolico già sostituito, com'era da aspettarsi, non si nitra facilmente : e solo scaldando per un'ora la soluzione del composto in acido nitrico (4= 1,48), si arriva ad un binitroderivato diverso, e per solubilità nei solventi e per punto di fusione, dal binitroderivato avuto dal composto di Zinin. E poichè le posizioni preferite, come si è già altra volta notato, sono le para e le orto, si è indotti ad ammettere che il nuovo gruppo nitrico sia entrato nella posizione orto ancora libera: NO, NE N cin | se 4 | No... Il bromo, reagendo in tubo chiuso, in presenza di un catalizzatore quale la limatura di ferro, sopra l’a-parabromoazossibenzolo, fornisce un bibromo- derivato, che fonde a 97°. Considerando che l'acido nitrico, reagendo sul- l'identico prodotto di partenza, dà il 2-nitro-4-bromoazossibenzolo (*), molto (1) Angeli e Alessandri, questi Rendiconti, vol. XX (1911), 2° sem., pag. 174. (2) Questi Rendiconti, vol. XXI (1912), 1° sem., pag. 794. — 127 — simile, per i caratteri chimici e fisici (fra l’altro fonde appena due gradi più alto) al nostro composto, era logico di attribuire ad esso la struttura E tale formula viene stabilita in modo definitivo dal fatto che, per ri- duzione con stagno ed acido cloridrico, il bibromoderivato si scinde in ani- lina ed in 2-4-bibromoanilina. Nella costituzione di questo composto si trova ancora una conferma della struttura avanti attribuita ai nitro- e bromode- rivati del p-nitroazossibenzolo di Zinin. Da tale bibromoazossibenzolo, sia per trattamento con acido solforico concentrato, sia per riduzione con amalgama di alluminio e successiva 0s- sidazione con ossido giallo di mercurio, si perviene facilmente al 2-4-bibro- moazobenzolo Br» - CoHz;: N=N- GHy > Brs- GHz. N=N- CH; I (0) che, a sua volta, per ossidazione con acqua ossigenata, in soluzione acetica, rigenera il bibromoazossicomposto primitivo : Br, - CoHz3: N=N: CGHs —> Bro. GH3-N=N.GH;. ll (0) Ciò dimostra che se è vero che i gruppi sostituenti entrano nel nucleo benzolico più distante dall’azoto cui è unito l'ossigeno, nel caso inverso l’ossigeno, a sua volta, va ad attaccarsi a quell’azoto che è più distante dal nucleo benzolico sostituito. Nella preparazione del bibromoazossibenzolo si forma in piccolissima quantità un derivato riconosciuto per '(2-4-6)-tribromoanilina, senza dubbio in seguito all'azione riducente dell'acido bromidrico che rimane presente nelle bromurazioni in tubo chiuso. A tale prodotto, esclusivamente, si arriva se si tenta di ottenere un tribromoderivato, bromurando ulteriormente il bibromoazossibenzolo, sia innalzando la temperatura, sia insistendo per mag- gior tempo col riscaldamento. Ho potuto giungere al tribromoazossibenzolo, solo passando attraverso al tribromoazocomposto. Si opera perciò la bromu- razione del bibromoazocomposto, gettando bromo in eccesso su di esso e scaldando lievemente per pochi minuti. Si ottiene così un tribromoazoben- zolo, che avrà la struttura Br NA — oe For Bi — 128 — giacchè, per la regola sempre riscontrata nelle ricerche intorno agli azossi- derivati, un atomo di bromo entra in posizione para per ogni residuo =N Ù CsH; ° Per ossidazione del tribromoazocomposto con acqua ossigenata, nel modo più volte descritto, si arriva allora al corrispondente azossibenzolo Br a a che, per riduzione con amalgama di alluminio e successiva ossidazione con ossido giallo di mercurio, fornisce di nuovo il tribromoazocomposto di partenza. Per azione di acido nitrico (4 = 1,50) sul bromonitroazossibenzolo che fonde a 99°, NO, Br DI NEN. CH bi DA | 659 O agevolata per qualche tempo dal calore, si ottengono due composti. Il primo è un binitrobromoazossibenzolo che, per i suoi caratteri, ha molta analogia con l'a-trinitro(2-4-6)azossibenzolo asimmetrico, che Angeli ed io (*) pre- parammo per azione dell'acqua ossigenata sul trinitroazobenzolo di Fischer. A questo composto spetta perciò la formula NO; Br )-N-N HS / Î NO, (0) Esso, per riscaldamento con acido solforico, fornisce l’ossiazoderivato isomero, che fonde. a 224°: CH, - Br(NO;).- N=N- CH, -(0H). L'altro composto che si forma insieme, contiene ancora un altro gruppo nitrico, possiede probabilmente la struttura NO; No, DUINEN 41 Bd / N i (o NO, O (*) Questi Rendiconti, vol. XXII (1913), 1° sem., pag. 139. — 129 — e corrisponde al tetranitroazossibenzolo (*), cui assomiglia anche per i suoi caratteri e per le condizioni in cui sì forma. Esso si ottiene esclusivamente, infatti, quando, invece di acido nitrico (4= 1,50), si fa reagire a lungo l'acido nitrico (4= 1,52) sul bromonitrocomposto di partenza. PARTE SPERIMENTALE. Azione dell’acido nitrico sopra il p-nitroazossibenzolo di Zinin. — Sopra gr. 1 del composto vengono versati 5 cc. di HNO; (4= 1,48). Tenuta la soluzione per un'ora a bagnomaria, si getta in acqua, ed il derivato si pu- rifica da alcool, donde cristallizza il m-trinitroazossibenzolo. Concentrando le acque madri alcooliche, si ottiene un prodotto che, cristallizzato prima da benzolo e quindi, ripetutamente, da alcool, si presenta sotto forma di magnifici aghi giallo-chiari, che fondono a 141°. È il binitroazossibenzolo. Gr. 0,0740 di sostanza dettero ce. 12,2 di N a 11° e 761 mm. Su 100 parti: Trovato Calcolato per C,sHgN40; N 19,84 19,45 Azione del bromo sopra il p-nitroasossibenzolo di Zinin. — Gr. 1,5 del composto vengono messi con gr. 0,9 di bromo, in presenza di un po’ di limatura di ferro, in un tubo, che, chiuso-alla lampada, si tiene per un'ora in stufa a-130°. Aperto il tubo, ove più non si. notano vapori di bromo, si lava con acqua il composto, e quindi si estrae con alcool, bollendo-a rica- dere. Il derivato, ripreso con alcool ed un po' di nero animale, cristallizza in fine polvere gialla, che fonde nettamente a 127°. Gr. 0,1351 di sostanza dettero, a 12° e 764mm., ce. 15 di N. Su 100 parti: Trovato Calcolato per C,eHsN;0; Br N 13,37 13,05 Azione dell'acido nitrico sopra l'o-nitroazossibenzolo. — Si versano 25 cc. di HNO, (d=148) sopra gr. 5 di o-nitroazossibenzolo, e si tiene a bagnomaria per un'ora. La soluzione si getta quindi in acqua: ed il derivato, lavato con acqua, si fa bollire in alcool, insieme con un po’ di nero animale. Dalla soluzione alcoolica, filtrata, si separa un olio che, disciolto in ligroina a punto di ebullizione 110°-120°, cristallizza e fonde come il prodotto di partenza. Concentrando le acque madri alcooliche, si separa ancora un olio, che è solubilissimo in benzolo, donde cristallizza lentamente un derivato che, sciolto più volte in tale solvente, si presenta in pagliette bianche. che fondono a 172°. (!) Questi Rendiconti, vol. XXTI (1918), 1° sem., pag. 140. Ìì A 7 — 130 — Gr. 0,0778 di sostanza dettero, a 9° e 769 mm., cc. 12,5 di N. In 100 parti: Trovato Calcolato per Cis HsN.0; N 19,68 19,45 Azione del bromo sopra l’a-bromoazossibenzolo. — Gr. 4 del composto vengono messi in un tubo con gr. 3 di bromo ed un po’ di limatura di ferro. Il tubo, chiuso alla lampada, viene tenuto per due ore fra 115° e 120°. Scomparsa allora ogni traccia di bromo, si apre il tubo, dal quale si svol- gono abbondanti vapori di acido bromidrico: si lava con acqua e si estrae con alcool il composto. La soluzione alcoolica stessa, trattata con nero ani- male, filtrata e concentrata, lascia cristallizzare un bibromoderivato in aghetti gialli, che, purificato da alcool, fonde a 97°. Gr. 0,1670 di sostanza dettero, a 8° e 760 mm., ce. 11,2 di N. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,:HgN30 Br, N 8,14 7,87 Concentrando fortemente le acque madri alcooliche, insieme con altro poco bibromocomposto, e molto prodotto di partenza rimasto inalterato, cristallizzano in scarsa quantità ciuffi di aghi incolori. Questa sostanza che si è riusciti ad ottenere in quantità sufficiente ricavandola dalle acque madri alcooliche di molte preparazioni, è solubilissima in alcool, donde, bollita con nero animale e filtrata, cristallizza in magnifici aghi lunghissimi, affatto incolori, che fondono a 120°. i Gr. 0,1318 di sostanza dettero, a 24° e 747 mm., cc. 5,3 di N. In 100 parti: ‘Trovato Calcolato per CsHyBryN N 4,54 4,24 Per questi resultati analitici e per i suoi caratteri, la sostanza è da iden- tificarsi con la (2-4-6)tribromoanilina. Riduzione di bibromoasossibenzolo con stagno ed acido cloridrico. — Gr. 2,4 del composto vengono messi in un palloncino e ricoperti di alcool. Si aggiungono quindi gr. 5 di stagno granuloso e, a poco a poco, gr. 20 di acido cloridrico concentrato, e si riscalda a ricadere per circa mezz'ora. Si distilla allora in corrente di vapore; separato l'alcool che passa per il primo, raccolgo il liquido acquoso finchè distilla lattiginoso. Sbattuto questo più volte con etere, rendo anidra tale soluzione con carbonato di potassio, indi evaporo completamente il solvente: l'olio che rimane, dà, con cloruro di calce. la colorazione violetta dovuta all'anilina. La massa oleosa, lentamente, in parte, cristallizza. Asciugati allora i cristalli su piastra porosa, li purifico da etere di petrolio a punto di ebul- — 131 — lizione 60°. Dopo due o tre cristallizzazioni da tale solvente, la sostanza appare sotto forma di bellissimi aghi perfettamente incolori, che fondono a 79°,5. È 2-4-bibromoanilina. , Gr. 0,1418 di sostanza dettero, a 24°,5 e 750 mm., ce. 7,2 di N. In 100 parti: Trovato Calcolato per CHsBr,N N 9,75 5,58 Azione dell'acido solforico concentrato sopra il bibromoazossibenzolo. Gr. 0,4 del composto sono mantenuti a bagnomaria per un quarto d’ora con cc. 3,5 di acido solforico concentrato. Si getta la soluzione, divenuta rossa cupa, in acqua; ed il composto, lavato con acqua, si tratta con potassa di- luita, nella quale non sì discioglie affatto. L'azoderivato così avuto viene purificato da alcool, ove è molto solubile e donde cristallizza in prismettini rosso-ranciati che fondono a 96°. Gr. 0,1087 di sostanza dettero, a 20°.5 e 753 mm., cc. 7,9 di N. In 100 parti: Trovato Calcolato per C13HgN, Br. N 8,97 8,24 Azione dell’acqua ossigenata sopra il bibromoazobenzolo. — IL com- posto, sciolto a caldo in quanto basta di acido acetico glaciale, ed addizio- nato con qualche cc. di peridrol (Merck), viene tenuto per circa tre ore a bagnomaria. La soluzione, allora, che dal rosso ranciato è passata intanto al giallo, sì getta in acqua: ed il composto, lavato con acqua, viene sciolto in alcool, bollito con nero animale e filtrato. Aghetti gialli, del tutto iden- tici a quelli del bibromoazossi già descritto, che fondono pure a 97°. Gr. 0,1423 di sostanza dettero, a 24° e 751 mm, ce. 10 di N. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,sHsN,0 Br, N 7,98 7,87 Azione del bromo sopra il bibromoazobenzolo. — La sostanza, in pre- senza di un po’ di limatura di ferro, viene ricoperta con bromo ed immersa per due o tre minuti in bagnomaria bollente. Lasciato evaporare l'eccesso di bromo, il prodotto si tratta con bisolfito sodico e si discioglie quindi in alcool; ove è pochissimo solubile. Con numerose successive cristallizzazioni da tale solvente si perviene ad un prodotto rosso-chiaro, che fonde a 146°. Gr. 0,0283 di sostanza dettero, a 22°,5 e 748 mm., cc. 1,7 di N. In 100 parti: Trovato Calcolato per CisH:N» Bra N 6,83 6,69 Ù — 132 — Ossidazione con acqua ossigenata di tribromoazobenzolo. — La so- stanza, disciolta in acido acetico glaciale e addizionata con qualche cc. di peridrol, viene mantenuta a bagnomaria per circa quattro ore, durante il qual tempo il colore della soluzione passa dal rosso al giallo. Si getta il liquido acetico in acqua, ed il prodotto, lavato, si cristallizza da alcool, ove è molto poco solubile. Aghetti gialli piccoli, che fondono a 154°. Gr. 0,0816 di sostanza dettero, a 22°,2 e 746 mm., cc. 5 di N. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,3H7N,0 Brs N 6,95 6,44 Riduzione del tribromoazossibenzolo a tribromoazocomposto. — La so- luzione eterea del composto viene trattata con amalgama di alluminio in eccesso. Dopo circa venti minuti, il liquido etereo è quasi completamente scolorato; trattandolo con ossido di mercurio, finchè permane il color giallo di questo, esso diviene rosso. Separato per filtrazione, si evapora tutto il solvente, ed il prodotto, cristallizzato da alcool, mostra l'identico punto di fusione del tribromoazocomposto già avuto. Azione dell’acido nitrico (A = 1,50) sopra il bromonitroazossiben- zolo. — Si scaldano a bagnomaria per venti minuti gr. 2 del derivato con 10 ce. di HNO; (4==1,50). Si versa allora la soluzione in acqua ed il pre- cipitato si bolle con alcool, ove una parte di esso è pochissimo solubile. Separato per decantazione il prodotto rimasto indisciolto e che è trinitro- bromoazossibenzolo, che verrà descritto in seguito, si evapora completamente il solvente. Il residuo oleoso così avuto si discioglie ripetutamente in etere acetico, dal quale cristallizza il prodotto in bei aghetti giallo-chiarissimi, che fondono a 163°. i Gr. 0,1382 di sostanza dettero," a 11°,5 e 769 mm., cc. 17,4 di N. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,gH7N40; Br N 15,29 15,26 Azione dell'acido solforico sopra il dinitrobromoazossibenzolo ( Tras- posizione di Wallach) — Gr. 0,4 del composto si tengono a bagnomaria per un'ora con ce. 3 di H,SO, concentrato. Il liquido, che diventa sempre più rosso, viene gettato allora in acqua, ed il precipitato si cristallizza prima da alcool e, quindi, da benzina a punto di ebullizione 110°-120°. Il derivato, che non contiene affatto azocomposto, poichè è tutto solubile in potassa diluita, è di color rosso arancio e fonde a 224°. Gr. 0,0795 di sostanza dettero, a 16°,3 e 755 mm., cc. 10,5 di N. In 100 parti: Trovato Calcolato per CisHzN40; Br N 15,48 15,26 — 133 — Azione dell'acido nitrico (d = 1,52) sopra il bromonitroazossibenzolo. Gr. 2,7 del composto si uniscono con ce. 15 di HNO; (4 = 1,52), lasciando a sè, per dodici ore, a temperatura ordinaria. Gettata in acqua la soluzione, il derivato viene lavato con alcool, ove è pochissimo solubile, e cristalliz- zato quindi da benzolo. Polvere cristallina giallo-verde, che fonde a 209° in un liquido rosso-bruno, con vivacissima decomposizione. Gr. 0,1439 di sostanza dettero, a 9° e 760 mm., cc. 20,3 di N. In 100 parti: Trovato Calcolato per C,aHsNs0, Br' N 17,08 17,00 A tale trinitrobromocomposto si giunge, come s1 è visto, anche per azione dell’ HNO; (4 = 1,50) sullo stesso prodotto di partenza. Botanica. — £rcerche sui fenomeni d' imbibizione dei semi di «avena sativa » (*). Nota del dott. F. PLATE, presentata dal Socio R. PiROTTA (°). Oltre la composizione, anche la concentrazione e la quantità di liquidi nutritizii hanno per le piante una grande importanza. Dalle ricerche di Sachs, Knop (*) ed altri, sappiamo che le concentrazioni di queste soluzioni debbono variare dall’1 al 5/0 e non di più, provocando in caso contrario disturbi causati da fenomeni plasmolitici. Però, siccome, nel caso dei semi, dalle ri- cerche di numerosi autori appare che essi possono non solo sopportare una con- centrazione maggiore, ma costituire anche un vantaggio per l' ulteriore sviluppo dell'embrione (e, conseguentemente, della piantina), ho voluto riprendere tale studio sistematicamente, per vedere sino a qual punto questi semi possono sopportare soluzioni concentrate, senza essere danneggiati. lo ho voluto -perciò riprendere tali studî con indirizzo diverso ed ordine sistematico, limitando le mie ricerche su una unica varietà di seme della stessa specie. Ho creduto opportuno dividere le sostanze chimiche in gruppi a seconda delle loro proprietà chimiche specifiche, perchè intendo far rile- vare l’azione diversa esercitata dai cationi ed anioni, da cui ho potuto otte- nere risultati caratteristici. A tal uopo, le sostanze chimiche furono divise, per le mie ricerche, nei gruppi seguenti: 1°) idrati; 2°) acidi inorganici; 3°) sali alogenati; 4°) nitrati; 5°) sol- fati; 6°) fosfati; 7°) sali complessi; 8°) acidi organici; 9°) sali organici (dei (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto botanico di Roma. (3) Pervenuta all'Accademia il 25 luglio 1913. (3) Data l'enorme letteratura esistente sulla germinazione dei semi, e la ristrettezza dello spazio, tralascio completamente questa parte. Renpiconti. 19183, Vol. XXII, 2° Sem. 19 til — 134 — precedenti acidi): le soluzioni adoperate per ogni composto furono rispetti- NN N or 00 In quanto alla condotta delle mie ricerche, ho creduto opportuno di limi- tare il tempo dell’imbibizione a sole due ore; e ciò per due fatti d’ordine fisiologico, molto importanti: prima di tutto per vedere se l’imbibizione co- mincia realmente appena immerso il seme nella soluzione; ed in secondo luogo per vedere anche se un periodo relativamente breve sia sufficiente per produrre, anche nell'ulteriore sviluppo dei semi, modificazioni morfolo- giche e fisiologiche tali, che possano far risentire la loro influenza su tutto il periodo germinativo della pianta. Posso fin d'ora dire che tali prove sono state largamente avvalorate dai fatti accertati. Passando ora alla natura dei semi (*) presi in esame, noi sappiamo che nelle Graminacee la penetrazione del liquido generalmente è abbastanza ra- pida, è tale penetrazione dipende anzitutto dalla natura del pericarpio e degli altri strati ad esso susseguenti, per cui, indipendentemente dalle so- stanze in soluzione, la penetrazione di liquido, ora è più rapida, ora più lenta. Oltre la superficie totale del seme, sono specialmente punti determinati di esso che debbono essere presi in speciale considerazione, e soprattutto il micropilo, che forma, come sappiamo, un canale angusto che porta il li- quido direttamente alla radicula dell'embrione. Questo fatto, unito all’altro, per cui il cosiddetto strato d'imbibizione continua fino alla punta della ra- dicula e circonda questa, ha una grandissima importanza biologica. Nel pro- cesso d'imbibizione, quindi, non tutte le parti del seme sono ugualmente attive; ma sono specialmente, gli spazî intercellulari del tessuto parenchima- tico, e che sono in diretta comunicazione col canale micropilare, che assumono una grande importanza in questo processo. Dalle numerose ricerche già fatte risulta che il protoplasma, prima che avvenga l'accrescimento, deve essere sottoposto per più o meno lungo tempo ad azioni speciali, da cui derivano notevoli modificazioni nella struttura della materia organizzata: per cui questi cambiamenti, una volta avvenuti, più non possono condurre di nuovo alle primitive condizioni: ciò avviene ap- punto anche nei semi a causa dell'imbibizione. Epperò la maggior energia con cui avviene la germinazione non dipende solo da cambiamenti più o meno profondi nella struttura delle parti cellulari, ma soprattutto dalla mag- giore o minore azione esercitata dagli idrogenioni ed idrossilioni. Come ho già detto, gli effetti di tali cambiamenti sono duraturi e permangono per tutta la durata del periodo germinativo, come ho potuto accertare largamente; ma, molto probabilmente, fanno sentire la loro influenza anche nel periodo vegetativo. Già il fatto che non è possibile di tornare alle condizioni primitive, vamente N (1) Tutte le ricerche furono eseguite su semi privati delle squamette. — 1835 — una volta avvenuta l’imbibizione, dimostra all'evidenza i cambiamenti pro- fondi che. debbono avvenire nella struttura dei diversi tessuti embrionali. In- dubbiamente, qui non basta solo l’acqua, od alcune delle sostanze disciolte in essa, per provocare questa energia di accrescimento, ma altre cause yi debbono concorrere, fra cui specialmente i fenomeni di superficie e conse- guente azione delle masse. i ‘Passo ora «ad. esporre I i risultati ottenuti per le prime Que serie di composti: 1°) idrati; 2°) acidi inorganici. I semi venivano privati delle squamette, scelti con cura i più pesanti e lavati ripetute volte con H,0 distillata. Il tempo dell’imbibizione era di due ore: e, nel limite di questo tempo, ogni mezz'ora furono notate le variazioni di peso subite dai semi; questi venivano lasciati ancora in soluzione per altre 10 ore, cioè 12 in tutto, ed al termine di questo periodo venivano nuovamente pesati: questa ultima pesata aveva semplicemente lo scopo di studiare come proceda l'an- damento della curva d'imbibizione. Per le diverse pesate i semi venivano rapidamente messi tra fogli diversi di carta da filtro, ed indi pesati su ve- trino d'orologio. Siccome però ho voluto accertare, per quanto era possibile, anche la quantità di sostanza assunta dai semi, accoppiavo alla prima serie di prove un’altra nelle identiche condizioni (ma, naturalmente, in deckers di- versi) per il calcolo della quantità di sostanza assunta dopo ogni periodo di tempo. Questo non avrei potuto fare con la prima serie di prove, perchè a causa delle continue pesate, molto del liquido sarebbe andato perduto. Per la prova analitica delle soluzioni, i semi, a mano a mano che venivano tirati fuori, erano lavati con la spruzzetta dell'acqua distillata; ho evitato quindi, per quanto mi è stato possibile, tutte le cause di perdita. Nelle tabelle che seguono sono riportati gli aumenti di peso subìtì ogni volta da 100 semi riferiti al peso dei detti semi prima dell’immersione: per quelle soluzioni, nelle quali mi è stato possibile di accertare una reale assunzione di sostanza, i risultati sono indicati ogni volta accanto alla co- lonna che indica per ogni soluzione l'aumento di peso. Ed ecco ora i risultati ottenuti per la prima serie di ricerche: KOH } moi ] SOLUZIONI N N/s N/s N/îo H;0 | H:0 Liquido | KOH ÉLiquido| KOH |Liquido| KOH |niquiao| FOR Y SiStil!. |di fonte Periodi assorbito|assorbito]|asscrbito|assorbito;assorbito|assorbito assorbito|assorbitofassorbita|assorbita dittempo °/oo °/oo °/o0 0/00 °/oo °/oo °/oo °/oo °/oo °/oo dopo 4 ora || 126.2| — 120.7 :-— | 1288| — | 120.6] — 1788] 191.6 ”» ras» 1693| — 145.9] — 161.2] — 141.1] — 193.7 | 213.7 » 13 » 2162) 0.074] 178.2| 0.086] 2105] — 194.2] — 199.3.| 265.4 » 2 ore || 230.7] 0.1224 215.3/ 0.058] 233.0| 0.022] 225.4] — 215.5 | 281.2 n_ 12 » 42.77] 0.152f 4405|.0.092]| 4465] 0.046] 398.9] 0.028 || 498.0| 596.0 — 156 — Per la serie alcalina le prove analitiche furono eseguite volumetricamente, mentre per la serie alcalino-terrosa furono eseguite gravimetricamente. Confrontando ora i risultati ottenuti per queste due serie, vediamo che, mentre per la KOH e NaOH vi è stato un assorbimento discreto di anioni e cationi, per Ba (OH), e Ca (OH), ciò non si è verificato affatto. Però le soluzioni alcaline hanno determinato profonde alterazioni nei diversi strati di cellule dell'endosperma, e tali da impedire qualsiasi principio di germina- zione: per cui i semi avevano perduto completamente la loro vitalità, fatta eccezione però per le soluzioni N/5 e N/10 di Na OH in cui qualche seme è germogliato. Quest'ultimo fatto è appunto. senza dubbio, in relazione con la meno energica azione della Na OH di fronte a quella della KOH . NaOH SOLUZIONI N N/s N/s N/io | H,0 | Hs0 Liquido | Na0H |[Liquido | Na0H | Liquido | N20H |{Liquiao| NaoH || SiStil. | di fonte Periodi 'assorbito|assorbitollassorbito|assorbito|assorbito|assorbito]lassorbito|assorbitol'assorbita|assorbita di tempo °/o0 °/o0 °/o0 °/o0 °/oo °/oo °/oo °/oo I °/oo %/oo dopo 3 ora | 104.0 0 104.4 0 TT (0) 140.8 0 154.4 | 164.1 » Jen 180.0 (0) 207.6 0 | 2194 0 239.7: O :| 173.1) 184.0 n» 135 » 217.0 0.042 || 213.7] 0.088 || 246.4 0 248.8 0 195.2| 208.0 ” 2 ore 943.7 ‘0.068|| 249.2] 0.050| 963.4] 0.024|| 263.4|" 0 |'198.3| 222.5 } Fantola î 457.3| 562.8 nORi206) 441.1] 0.132|| 408.2 | 0.072] 502.2] 0.038 || 450.7 | 0.024] | Ba(0H), SOLUZIONI N È | i N/s N/io H50 H30 : SHIT distill. | di fonte Liquido | Ba(0H)s] Liquido | Ba(0H)2]| Liquido | Ba(0H)>{| Liquido | Ba(CH)all — i i Periodi assorbito|assorbito]lassorbito|assorbitojlassorbito|assorbito]lassorbito|assorbitolassorbita|assorbita SE e e e eo dopo ‘3 ora | 90.4 0 104.4 0 140.8 0 138.2 0 172.3 | 143 mel i | 1282] 00] 137/6000) | 157.6005240 So » 14°» 142.2 0 159.2 0 17/182. 0 159.6 0 199.3 | 189.6 » 2 ore || 151.6 0 135.2 0 178.6 0 173.2 0 204.5 | 198.7 DOO a) 324.2 0 975.8 (0) 392.2 0 376.4 0 494.8 | 539.9 SOLUZIONI Periodi di tempo dopo N °/o0 110.8 132.4 163.2 184.4 393.8 °/oo (0) Liquido | Ca(0H)s[{ Liquido | Ca(OH)a assorbito|assorbito]lassorbito[assorbito] Ca(0H), NI, NOR TIVI [re l distill. Liquido | Ca(OH)a|| Liquido | Ca(O0H)ag assorbito|assorbito|assorbito assorbito assorbita °/o0 °/oo 9/o0 °/o0 °/o0 °/60 | °/o0 1822). 0 |1358| 0 |1264{ 0 | 1719 || 157.2 0 159.6 0 148.7 0 183.7 | 164.2 0 167.6 0 160.4 0 194 8 189.6 0 192.7 0 187.2 0) 200.9 413.2 0 436.2 () 420.2 0 418,3 Hs0 di fonte assorbita °/o0 Sembrerebbe dunque che l'azione nociva qui venga esercitata piuttosto dai cationi anzichè dall’ anione. Un altro fatto notevole è questo : che in tutte le soluzioni si trova una notevole depressione nell'assorbimento rispetto a quelle dell'acqua distillata e dell'acqua di fonte, come lo dimostrano benissimo i controlli stabiliti per ogni serie: quest'azione, per Ba(0H), e Ca(0H).. si esplica in un maggior ritardo nella germinazione della pianta. Acidi inorganici. — Di questi ne furono sperimentati quattro: e preci- samente: HCL, HNO, , H, SO, e H, PO, . SOLUZIONI Periodi di tempo dopo 3 ora » 13 n HCl N N/s N/s N/10 H30 | Hs0 SEE En SUR z A distill. {di fonte Liquido | HCI Liquido | HCl Liquido| HCl Liquido{ HCI assorbito/assorbito|lassorbito'assorbitollassorbito|assorbito|assorbito|assorbito|assorbita|assorbita °/oo °/oo °/oo °/oo °/oo °/oo °/o0 °/oo °/o0 °/oo i i | i | se 109,0 0 125.4| 0 146 4 0. | 131.4 O. || 153.2 | 199.5 185.2|...0) | 2262] 0. | 261.8]. 0: | 2214|: 0: |169.3| 2164 | | 256.2 (0) 291.3 0 299,8 0 261.6 0 178.1 | 231.8 | 957.5 0) 3794 0 428.4 (0) 841.9 0 185.9 | 254.8 | | 405.1 (0) 435.8 (0) 605.4 (0) 582.4 0 363.5! 497.8 SOLUZIONI Periodi di tempo dopo + ora ” TESO) puri 3 » LI 2 ore » 12 » SOLUZIONI Periodi di tempo dopo 3 ora » 1» sitio » 2 ore n enlDM HNO; N N/s H20 Hs0 iguido HNOg tnt HNO: i Liquido HNO; GIGA hi Sunto lassorbito|assorbito|lassorbito assorbito assorbito|assorbitofassorbito Toni assorbita|assorbita °/oo °/oo °/oo °/o0 %/oo °/oo °/oo °/oo 91.4 0 113.2 0 161.8 0 187.6 (0) 161.5 | 173.8 181.2 0 204.4 0 226.2 (0) 229.6 0 180.9 | 181.3 227.4] 0.072] 231.8 O 237.8 0 256.4 0 187.9 | 196.8 296.2| 0.114|| 299.6] 0.048|| 302.8 0 331.6 (0) 195.4 | 209.3 4442| 0.137|| 475.2] 0.0754| 581.01 0.054 || 451.6 0 384.8 | 456.7 H.S0, N N/s N/s N/io Hs0 | Hs0 Liquido| HaS04 {| Liquido | HgS0O4 || Liquido | H2S04 || Liquido | HaS04 Giotoli, di fonte assorbito|assorbito]lassorbito|assorbito]|lassorbito|assorbito]lassorbito|assorbito assorbita! assorbita °/o0 °/oo °/o0 | °/oo °/oo °/oo °/o0 °/oo0 ì °/o0 °/o0 109.2f. 0 126.4| 0 | 1324| 0 |146.2| 0 | 171.5 185.6 1132) 0 |1320| o |i416| o | 1524| 0 | 186.5] 203.3 119.4 0 139.2 0 151.4 0 163.2 0 195.7] 217.3 123.6] 0.048| 143.6] 0 |163.2| o 1708] 0 |203.7| 2396 185.2] 0.066|| 226.4| 0.052|| 264.8] 0.036] 251.6] 0.042|| 394.5 | 505.5 H;PO, H20 dì DES °/oo 169.7 SOLUZIONI Né: | N/s N/10 Hs0 pina RUE eta ct rsa sia e Luo I ce cisitonro too | */oo | oo | */o | *%oo | %oo | %o | %o || %/o dopo 1 ora || 112.4] 0 181.6 0 13752 0 138.4 (0) 142.5 ”» Jet 159.4 0 143.2 0 188.2 (0) NZ 0 166.7 » I1 » 150.2 f 0 054 182.2 (0) 196.8 0 181.6 (0) I A3950/ D) 2 ore 181.6] 0.072] 193.4] 0.046 || 199.2] 0.024|| 194.4 0 189.4 CIRO LAME) 270.4] 0.092] 299.6] 0.082] 322.4 | 0.0384|| 318.4] 0.20 || 403.8 — 139 — Confrontando i risultati ottenuti per questi quattro acidi, si nota anzitutto che la quantità di liquido assorbita è massima nella serie dell’ HCl e mi- nima in quella dell'H,SO,. Analiticamente, non mi è stato possibile di rile- vare alcun assorbimento di HCl, eccetto quella quantità minima perduta per adesione dai semi, e che non è stato possibile di determinare a causa della quantità molto limitata: per gli altri acidi, invece, ho avuto risultati diversi; e l'analisi ha potuto svelare l'assorbimento di piccole quantità di acido, come risulta dalle tabelle quivi annesse. Un fatto molto notevole e interessante è questo: che mentre l'assorbimento qui raggiunge un grado minimo ri- spetto alle altre serie, non solo lo sviluppo della piantina viene notevol- mente accelerato, ma tutta la piantina mostra un rigoglìo superiore a tutte le altre('). Oltre che coll’analisi delle soluzioni, anche colle prove mi- crochimiche ho potuto benissimo accertare la presenza dell'anione NO'; nel pericarpo, a mezzo sia della brucina, sia della difenilamina. Nelle sezioni poi trattate con H,SO,, ho potuto accertare la presenza dell’anione SO”, met- tendo sul vetrino portaoggetti una goccia di acetato di piombo al 10 °/: sì è formato allora un abbondante precipitato bianco di Pb SO,. Questa prova è stata poi controllata da un’altra semplice ma caratteristica: difatti, mettendo in stufa a 110° i semi già immersi nelle soluzioni di H, SO,, già dopo mezz'ora si nota un incipiente annerimento esterno, che in seguito diventa intensissimo per la soluzione più concentrata, e gradatamente diminuisce di intensità con la diluizione. Fatta la sezione, si vede benissimo come l’anne- rimento sì limiti perfettamente ai due strati di cellule del pericarpo, mentre la testa, come tutto il resto dell’ endosperma, rimane inalterata. Questo risul- tato sarebbe il primo a confermare, almeno nel caso dell’avena sativa, due fatti biologici molto importanti: prima di tutto che allo strato di cellule della testa compete molto probabilmente la vera funzione selettiva e quindi la funzione specifica che ha la ordinaria membrana cellulare ; in secondo luogo dimostra l'enorme resistenza che il seme offre all’azione di agenti esterni così energici come è appunto l'acido solforico. Si pensi difatti che le NN.N Pezzo: solforico contiene una concentrazione del 4.9 °/, di acido solforico. Se aggiun- giamo poi il notevolissimo sviluppo che viene raggiunto dalle piantine, su- periore di molto non solo a quelle dei controlli in acqua distillata e di fonte, ma anche a quelle trattate nelle altre soluzioni: se aggiungiamo il color verde bellissimo e molto più intenso delle altre, il pieno turgore in cui si trovano tali piantine, ed infine il fatto che l'anione SO”, viene trattenuto nel pericarpo, dovremo pensare che, molto probabilmente, nel caso in questione, all’ idrogenione compete veramente una funzione specialissima. soluzioni adoperate erano N, e che quindi, ad es., la N di acido (1) Fatto anche notevole: i materiali di riserva dei semi vengono esauriti nello spazio di circa 10 giorni, mentre negli altri casi occorrono circa 15 giorni. — 140 — In quanto all'Ha PO,, ho potuto accertare la sua presenza non solo coll’analisi della soluzione ma anche con la verifica microchimica delle se- zioni: difatti, trattando su vetrino diverse sezioni con soluzione di molibdato ammonico in soluzione nitrica, dopo riscaldamento graduale a 60° ho potuto constatare un bel precipitato giallo, dovuto alla formazione di fosfomolibdato ammonico; anche qui il precipitato. è solo visibile nelle cellule del pericarpo: tutto l’endosperma e la testa ne sono privi. Anche questo fatto ci dà dunque una nuova conferma della funzione importante e specifica della testa, del seme nel caso dell'avena sativa: e che mentre gli anioni Cl’, NO"; |, SO”, , PO", vengono trattenuti nel pericarpo, gli idrogenioni passano oltre. Riassumendo, dunque, nel caso dell’avera sativa si può dire che tanto agli anioni quanto ai cationi competono delle funzioni specifiche nei feno- meniì d'imbibizione dei semi; non si può quindi dire che solo agli uni o agli altri compete una tale funzione, come vorrebbero altri autori. Questi fatti sono stati da me confermati anche per i sal? alogenati, nitrati, sol- fati, fosfati, sali complessi, inorganici, acidi organici, sali dei predetti acidi: e non solo da ricerche analitiche e biologiche, ma anche fisico-chi- miche. Questi stessi risultati dimostrano due altri fatti importantissimi: l’azione acceleratrice della germinazione apportata da molti di questi agenti chimici; e che anche concentrazioni molto forti spesso non danneggiano, anzi favoriscono la germinazione. Il che viene a confermare quello che già dissi in principio di questa Nota: che per poter accertare gli effetti prodotti dagli agenti chimici sui prodotti della germinazione, occorre di procedere nelle espe- rienze sistematicamente, cioè vedere quale è il limite massimo per cui tali azioni possono essere ancora sopportate dagli organismi. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1® — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. Ul (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. È 33 MEMORIE della Classe di scienze morali, a i storiche e filologiche. i Vol. IV. V. VI. VII. VI. Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. 1. (1,2). — I. (1, 2). — II-XIX. MemORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. ‘Serie 4* — RenpiconTI. Vol. I-VII. (1884- 91). MemoRIE della Classe di scienze E matematiche e naturali, Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X feta .Serie 5* — ReNnDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXI. (1892-1915). 2° Sem. Fasc. 3. RenDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. (Vol. I-XXI. (1892-1913). Fase. 10-20. ©. ue dr Memorie della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. : Vol. I-IX. Fase. 14°. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. i tI CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE ‘AI RENDICONII DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI | DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche n: naturali della R, Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon= «denti ognuno ad un semestre. I prezzo di associazione per ogni volume e per. tutta l’Italia è di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le. associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti -editori-librai: Ermanno LoescHeR & (C.° — Roma, Torino e Firenze, Utrico Horp. — Milano, Pisa e Napoli. VI range 'ereare ; 1x0 RENDICONTI — Agosto 1918. | (CES ì | Classe di scienze fisiche, matematiche e natnrali | (N00: } MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1913. Balbiuno. Sulla formula strutturale del polimero dell'anidride del glicole dell'anetolo. Pag. 98 Beloch. Sulla configurazione delle curve situate sopra quadriche, e, in particolare, sulla con- Il fisurazione delle luzione alcoolica) dà facilmente l’amminofenilindolo di Emilio Fischer. Siccome però un etere etilico del nitrosofenilindolo era già stato de- scritto (*) e, sebbene preparato nello stesso modo, veniva ad esso assegnato il p. f. 91°, risultandone una divergenza tale da creare dei dubbî sopra il valore stesso della conferma sperimentale, ho voluto ripetere le esperienze relative. I resultati, che ottenni, concordano bene con quelli di Angeli: l’etere etilico da me analizzato, che preparai con lo stesso metodo partendo sia dal sale sodico, sia dal sale argentico del nitrosofenilindolo, fondeva a 42°. Con la riduzione accennata esso dà origine all’amminofenilindolo, che pure ana- lizzai: ciò che non si può spiegare altrimenti che assegnando all’etere etilico la struttura di O.etere dell’ossima sopra segnata CH CH HCZ\c—C=N.00,H, HO /NESINH, i A CH N CH NH Manca però fino ad ora la conferma diretta di queste vedute, giacchè nè il nitrosofenilindolo bollito e neppure scaldato in tubo chiuso con acidi (!) A. Angeli e Morelli, questi Rendiconti, XVII (1908), 1° sem., pag. 697. (*) Questi Rendiconti, XIV (1905), 2° sem., pag. 145. pe dà idrossilammina ed il chetone corrispondente, nè quest'ultimo, il 2.fenil- indolone recentemente preparato da L. Kalb e J. Bayer ('), che io sappia, è stato messo a reagire con idrossilammina: tale sintesi sarebbe anzi assai interessante anche da questo punto di vista, nè è improbabile riesca dal momento che. a detta degli autori citati, questo chetone dà prodotti di ad- dizione con bisolfito, ammoniaca ed anilina. Io pertanto ho diretto le mie ricerche ad accertare se il nitrosofenilin- dolo presentasse altre delle reazioni caratteristiche per le ossime. Recentemente all'Accademia (*) venne fatta comunicazione di una nuova decomposizione che subiscono le chetossime: essa si compie riscaldando la sostanza da per sè e dà come prodotti finali azoto, ammoniaca ed il che- tone corrispondente secondo l'eguaglianza R R\ gil NGEN0oH® 2 | 30 5a R7 Ri In seguito venne comunicato (*) che tale scissione si verifica, oltre che per la benzofenossima, nella quale per la prima volta era stata osservata, anche per molte e svariate chetossime: in certi casi però, essendo la tem- peratura di decomposizione superiore a quella d’ebollizione, essa può essere | constatata solo con opportuni artificî. Il || Ora il nitrosofenilindolo, come è noto, fonde appunto con decomposizione Dl e sviluppo gassoso a 258°ca., e poichè questo suo comportamento al calore O richiamava assai quello di alcune delle ossime esaminate, ho cominciato a studiarlo per stabilire se in realtà vi fosse stata una analogia e quindi una conferma delle vedute enunciate. Ma nel caso del nitrosofenilindolo la decomposizione si compie in modo assai più complicato che non quella accennata delle chetossime: tanto è vero che non ho potuto isolare dai prodotti solidi d'essa il 2.fenilindolone menzionato, almeno per ora ma solo, ed in piccola quantità, una sostanza cri- stallina, alla quale secondo l’analisi spetta una formula isomera a quella dei nitrosofenilindolo di partenza, e cioè C,4HioN:0. Essa fonde a 156° e confrontata col prodotto, che si ottiene per azione del cloruro di benzoile Na sopra l'o.aminobenzonitrile, risultò ad esso identica: le si deve attribuire i perciò la struttura del benzoilderivato i | ll CH (1) Berl. Ber. 45 (1912), pag. 2150. (2) A. Angeli, questi Rendiconti, vol. XXI (1912), 1° sem., pag. 883. (3) A. Angeli e L. Alessandri, questi Rendiconti, vol. XXII (1913), 1° sem., pag. 735. — 159 — Come si vede, questa trasformazione nuova ed interessante, che si comple con apertura del nucleo pirrolico, senza che venga alterata la composizione del prodotto di partenza ed in particolare il suo contenuto d’azoto, è assai diversa dalle scissioni finora riscontrate per le altre chetossime. Un derivato benzoilico della stessa forma è stato preparato da J. Pinnow e C. Sàmann ('), che ad esso assegnano il punto di fusione 216°: essi l'otten- nero del pari per azione del cloruro di benzoile sul medesimo o.aminobenzoni- trile. Poichè io avevo impiegato quest'ultimo prodotto puro e seguìto il loro stesso metodo di preparazione per ottenere pel confronto la sostanza p. f. 156°, e questa pure ho analizzata, non sapevo dapprima spiegarmi la diversità dei ‘ resultati. Non mi è stato difficile di chiarirne la ragione quando ho trovato che pochi minuti di ebollizione con acidi diluiti trasformano il prodotto p. f. 156° in un altro, che, ricristallizzato poche volte con alcool, fuse proprio a 216°. Questo però, a differenza di quanto risultò agli autori nominati, all'analisi mi dette numeri concordanti solo con la formula C,4HisNs0», cioè contiene una molecola d'acqua in più del prodotto di partenza: questo risultato si può spiegar solo ammettendo che per una parziale idratazione del residuo cianico del composto primitivo si arrivi alla sostanza, che pos- siede in realtà una tale composizione, della struttura CH HC/ \c.co.NH, HC !c.NH.C0-C,B; Infatti il mio prodotto p. f. 216° coincide assai bene, per ì suoi carat- teri, col derivato benzoilico della costituzione soprasegnata, già preparato (?) e descritto con un punto di fusione appena di pochi gradi superiore (218-219°). La formazione di tale derivato dalla sostanza p. f. 156° da me otte- nuta, fornisce della struttura di questa la riprova, che non può aversi diret- tamente pel suo comportamento speciale rispetto agli acidi. Se la decomposizione per il calore del nitrosofenilindolo pare non si presti bene a recare un appoggio all'ipotesi della sua struttura di ossima, la trasposizione di Beckmann, così caratteristica per le chetossime, mi ha condotto subito e nettamente a risultati molto dimostrativi. Infatti per azione di pentacloruro di fosforo il nitrosofenilindolo, sospeso in etere, si trasforma a temperatura ordinaria e con buon rendimento in un prodotto, la costituzione del quale è accertata per le numerose sintesi con (1) Berl. Ber., 29. (1896), pag. 623. (*) A. Weddige, Journ. f. prakt. Chem. [2], 36 (1887), pag. 141. — 154 — le quali può esser preparato (*) e che è precisamente la 4-ossi-2-fenil-diidro- chinazolina (1.3.benzodiazina) CH CH “co Hc/ Nec ENH HC i e, ii. CH N CH N Per meglio caratterizzare il prodotto da me ottenuto ne preparai l'etere metilico pure già conosciuto (*) e che risultò, per le proprietà e l'analisi, identico a quello descritto. Questa trasformazione del nitrosofenilindolo è notevole anche come esempio d’una trasposizione di Beckmann contemporanea alla chiusura di un anello, che si verifica con straordinaria facilità in una sostanza la quale sì dimostra stabilissima rispetto alla maggior parte del reattivi anche più energici. Il riscaldamento del nitrosofenilindolo con cloruro di zinco non opera altrettanto nettamente questa trasposizione: insieme con prodotti diversi non ancora studiati ottenni con discreto rendimento una sostanza, che fonde a 228°ca., all'analisi dà numeri che stanno assai bene in accordo con una formula ancora isomera a quella del nitrosoderivato di partenza, ma della quale non ho ancora terminato lo studio. Però ho già potuto stabilire che essa sta in stretta relazione con il derivato chinazolinico ottenuto col pentacloruro di fosforo, giacchè questo sì ottiene facilmente da essa per ebollizione con acidi ed alcali diluiti, in- sieme con un altro prodotto più azotato. Probabilmente un ulteriore studio di quest'ultimo mi darà il mezzo di determinare la struttura della sostanza p. f. 228 ca. Ricordando infine come anche dal prodotto p. f. 216°, per semplice riì- scaldamento in seguito ad eliminazione d’acqua, si perviene al medesimo derivato chinazolinico (8) CH CHI GSO HC/ \c:-co.NH, HC7 \o/ XNH I sl CH cH N (1) Cfr. A. Weddige, Journ. f. prakt. Chem. [2] 36 (1887), pag. 141; H. Kémner, Journ. f. prakt. Chem. [2], 86 (1887), pag. 157; Aug. Bischler e M. Lang, Berl. Ber., 28 (1895), pag. 279; R. von Walter, Journ. f. prakt. Chem. [2], 67 (1908), pag. 457; B. Pawlewski, Berl. Ber., 26 (1903), pag. 2384; H. Finger ed L. Schupp, Journ. f. prakt. Chem. [2], 74 (1906), pag. 154, ed ibidem, 76 (1907), pag. 97. (2) A. Weddige, Journ. f. prakt. Chem. [2], 26 (1887), pag. 141. (3) A. Weddige, Journ. f. prakt. Chem. [2], 36 (1887), pag. 141. = lo è da notarsi come intorno a questo interessante composto sì raggruppino questi prodotti di trasformazione del nitrosofenilindolo: ciò che non è senza importanza anche per la questione della struttura del nitrosoderivato del fenilindolo, che del resto, per tutto quanto precede, mi sembra definitiva- mente stabilita. Le esperienze, alle quali si riferisce la presente comunicazione preli- minare, sono descritte in una nota successiva comunicata a questa Accademia, ed in corso di pubblicazione. Ghimica. — Sessione della decaidrochinolina nei due anti- podi ottici. Nota preliminare di Bruno VENEZIANI (‘), presentata dal Socio G. CIAMICIAN (°). Nel corso di una serie di ricerche sperimentali sul decaidro-8-naftolo intraprese coll'intenzione di separare le forme otticamente attive previste dalla teoria (*) — esperienze alle quali il prof. Mascarelli gentilmente volle farmi prender parte, ma che per varie ragioni non poterono ancora essere condotte a termine — ebbi occasione di notare che la formula di struttura della decaidrochinolina presentava notevoli analogie con quella del decaidro- naftolo. Infatti i due atomi di carbonio centrali della decaidrochinolina cor- rispondono ai due centrali del decaidronaftolo, e, come questi, sono entrambi asimmetrici e concatenati in modo che, se uno è positivo, l'altro deve essere negativo. Siccome poi tali atomi di carbonio sono disugualmente asimme- trici, così la decaidrochinolina sintetica doveva considerarsi come un racemo. La natura fortemente basica della sostanza permetteva una facile sepa- razione degli antipodi ottici, poichè bastava salificare la decaidrochinolina con un acido attivo e poi compiere la cristallizzazione frazionata dei due sali. Preparai quindi una certa quantità di decaidrochinolina, indi la trattai colla quantità stechiometrica di acido 4-bromocanforsulfonico, che, come è noto, si presta assai bene allo scopo. Ebbi infatti nella cristallizzazione frazionata dall'acqua due porzioni: una meno solubile, cristallina, che mostrò essere costituita dal d-bromocan- forsulfonato di d-decaidrochinolina; l’altra molto solubile in acqua, tanto che per ora l'ottenni solo sotto forma di olio. Questa è costituita dal d-bromo- canforsulfonato di /-decaidrochinolina. Sebbene i risultati finora ottenuti non possano ancora ritenersi sicuri perciò che riguarda il valore definitivo del potere rotatorio specifico dei due (') Laboratorio di Chimica Generale della R. Università di Bologna. (*) Pervenuta all'Accademia il 29 luglio 1913. (3) L. Mascarelli, Rendic. R. Acc. Lincei (1911), 20, II, 223; e Gazz. Chim. ital. (LI12) AZZARA TO] — 156 — antipodi (e questo perchè la decaidrochinolina avuta a mia disposizione era in quantità esigua), tuttavia mi son deciso a pubblicare questa Nota preli- minare, perchè parecchi studiosi stanno compiendo ricerche simili su sostanze affini e perchè i risultati ottenuti permettono di asserire che la decaidro- chinolina sintetica è realmente un composto racemico. I valori che per ora ho potuto avere, in soluzione eterea, sono i seguenti: d-decaidrochinolina . . . [ab=4+- 1.28 l- ” SES N n, =—. 1.02 PARTE SPERIMENTALE. La decaidrochinolina fu ottenuta riducendo con acido iodidrico e fosforo la chinolina in tubi chiusi, secondo il metodo di Bamberger e Williamson ('). Potei disporre di soli 15 grammi di cloridrato di decaidrochinolina. La so- luzione acquosa del cloridrato fu trattata colla quantità equimolecolare di d-bromocanforsulfonato d'argento; dopo filtrazione, venne concentrato a b. m. il liquido limpido. La soluzione, che può rimanere soprasatura a lungo, deposita numerosi cristalli aghiformi, lunghi fino a 6 mm. (frazione A). Per ulteriore concen- trazione dell'acqua madre si ottengono sferette, che risultano dal raggrup- pamento di cristalli esilissimi (frazione B). Infine rimane un olio, che non potei far cristallizzare (frazione C). La frazione A venne ricristallizzata due volte dall’acqua; ebbi cristalli prismatici, fondenti a 220° circa, i quali alla lettura polarimetrica diedero i valori seguenti: I II concentrazione | at. WR Jeez lunghezza del tubo dm. . 2 2 GEA RIE EDO Ta E + 1.38 + 1.48 are e 689 + 64.01 Dalla ricristallizzazione della frazione B si ebbero cristalli fondenti a 165°; ma la quantità era troppo esigua per poter fare misure attendibili. Dall'olio della frazione C, che presumibilmente doveva contenere il sale della /- decaidrochinolina, venne posta in libertà la base alcalinizzando con idrato potassico ed asportandola con corrente di vapor d'acqna. Il distillato fu estratto con etere; l'etere seccato con idrato potassico, e indi sottoposto, in soluzione eterea ed in tubo di 2 dm. di lunghezza, alla misura polarime- trica. Siccome mi era noto il volume del tubo polarimetrico (cc. 15.7), e (1) Ber. d. d. Ch. Ges., 27, 1465. — 157 — siccome potei titolare la base contenutavi mediante acido solforico normalde- cimo, così ebbi tutti i dati necessarî per calcolare il potere rotatorio specifico. In modo del tutto simile venne spostata la base dal sale delia fra- zione A. Ecco i risultati avuti colla luce gialla del sodio e per la temperatuta di 27°: frazione A frazione © concentrazione . . . 4.013 14.11 CORNER E dtt 08 — 0.287 lait ate 28 — 1.02 Siccome la frazione avuta da A è quella che presenta il maggior grado di purezza, così il valore ottenuto per questa è da ritenersi più attendibile. Ripeto che, sebbene debba fare alcune riserve sui valori avuti, 1 quali hanno bisogno di essere ricontrollati con maggior quantità di sostanza, essi sono tali che permettono di asserire che la decaidrochinolina sintetica è un vacemo che per tale via può essere scisso nei suoi due antipodi ottici pre- vedibili dalla teoria. Chimica. — Studi sulla capacità degli ossidrili aleoolici a formare complessi ('). Nota II di G. CALCAGNI, presentata dal Socio KE. PATERNÒ (°). Nel primo lavoro (*) esposi lo scopo di questi studî e i risultati di aleune esperienze, che mi condussero ad ammettere che, nella dissoluzione di Cr(0H); negli acidi glicolico e lattico, si forma un sale complesso basico, del tipo | Cr, (08) Jac Cr(0H)z, in cui Ac=- radicale acido. Dimostrai inoltre che questi sali si scindono, in soluzione acquosa, in due ioni, e che il radicale acido ionico era sostitmibile da radicali acidi inorganici. Nel presente lavoro espongo risultati di esperienze identiche fatte con Fe(OH), e gli acidi glicolico e lattico, e con Fe(OH); e Cr(0H); e gli acidi benzoico e salicilico; i risultati per i primi due acidi confermano pienamente l’esistenza di sali di Fe del tipo suindicato. 1) Lavoro eseguito nel Laboratorio chimico del R. Istituto tecnico di Asti (0) (*) Pervenuta all'Accademia il 7 agosto 19153. (3) Rend. R. Accad. dei Lincei, vol. XIX, serie 5%, 2° sem., pag. 383. RenpICcONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 992 — 158 — La preparazione dei sali di Fe degli acidi glicolico e lattico doveva presentare evidentemente difficoltà maggiori di quelle dei sali di Cr, per la loro facile idrolizzazione. Fe(OH); in questi acidi si scioglie più facilmente a freddo che a caldo; se si lascia in presenza di questi acidi passa in so- luzione anche oltre il limite dovuto, poichè, come è noto, Fe(OH)z si scioglie allo stato colloidale nei proprî sali. Questo costituiva una seria difficoltà da evitare; ma, dopo ripetuti tentativi, ricorsi all’espediente della precipitazione frazionata della soluzione acquosa con alcool e con etere. È facile immaginare quale piccolo rendimento si ottenesse a questo modo e quante prove fu necessario fare. Così, dell'acido glicolico preparai un gli- colato e un nitrato basico dell’esaglicolato-triferri-base (I e II), e dell'acido lattico un lattato basico dell’ esalattato-triferri-base (III) delle formole seguenti : | Fe! (E ta va : [cH, OH .CO0 . Fe(0H), I [ pes © CH. 0H.C00), Da; »: [No.. Fe(0H); II i CH,.CHOH.C00. Fe(0H),.4H,0 II po (CH. CHO . C00) to (OH); Le prime precipitazioni erano costituite quasi esclusivamente d' idrato di ferro. Il nitrato del l:ttato non si potette ottenere nello stesso modo come quello del glicolato, poichè con acido nitrico fumante si trasformò tutto in sale di ferro dell'acido nitrico; perciò ne trascurai la preparazione. Per vedere quale comportamento avessero gli ossiacidi aromatici nelle stesse condizioni, ho creduto dovermi assicurare anche quali sali formassero LI gli acidi non ossidrilati con Cr(0H); e Fe(O0H),. Perciò ho esaminato i sali (ill che si formano quando si precipitano soluzioni acquose e alcooliche di benzoato sodico e salicilato sodico con sali di ferro e di cromo. Questi sali da me Il preparati non corrispondono affatto al tipo su indicato. N Sia dell'acido benzoico, sia dell’acido salicilico, si ottengono sali di Cr | e di Fe in cui questi due metalli agiscono da bivalente, non ostante si fosse partiti da composti in cui sono trivalenti. La quantità di acqua che contengono è diversa nei diversi sali, dipen- | dente forse dalla tensione che hanno e dal tempò che restano in presenza it) di un disidratante. — 159 — Lo studio di queste sostanze è stato tentato da parecchi sperimentatori. Del cromo si conoscono il benzoato cromoso ('), ottenuto anidro a 100° da Moberg, e il benzoato cromico (*), ottenuto da Schiff, e che con acqua e alcool passa in Crs(0,H;0), (OH) ++ 2H:0. Del ferro fu tentata la preparazione del benzoato prima da Berzelius (*) e in seguito da Sestini (‘). Recente- mente R. F. Weinland e A. Herz (?) avrebbero ottenuto, lavando con acqua il precipitato carnicino che si ha aggiungendo soluzione di FeCl, alla solu- zione di benzoato sodico, il benzoato dell’esabenzoato triferri-base, in cui, come al solito, un radicale C;H;C00 è ionico e sostituibile con altri radi- cali acidi. Ma oltre a questo sale, gli autori ne avrebbero ottenuti altri nove, a due dei quali dànno le seguenti formole: etnei CsHsC00-+/, rispett. 1H,0; 3 Il | Peso! (Cs ui CH, €00, II e agli altri dànno formole di costituzione che risultano dalla unione in rap- porti diversi di questi tre tipi fondamentali. Jn quanto all'esistenza dell’esa- base, credo non si possa nulla obbiettare; ma per ciò che riguarda gli altri composti, in cui alle volte il rapporto atomico tra Fe e CU è poco diverso dal calcolato pel sale ferroso, mi pare che la spiegazione data dagli autori, non sostenuta da alcun fatto sperimentale, sia poco soddisfacente. Il sale di ferro dell'acido benzoico fu da me preparato precipitando la soluzione di un benzoato o di acido benzoico con cloruro ferrico (si ottiene anche con solfato ferroso). Le soluzioni adoperate da me erano un po’ di- luite. perchè la massa amorfa avesse inclusa la minore quantità possibile dei precipitanti in eccesso. Fu lavato con acqua fredda e poi ben asciugato tra carta; la sostanza analizzata fu seccata su H,SO, nel vuoto. È di colore rosso carnicino, si idrolizza molto facilmente, sì scioglie parzialmente in alcool. Non si ottenne, non ostante i diversi espedienti usati in ripetuti ten- tativi, allo stato di purezza tale da avere la dovuta coincidenza tra le per- centuali trovate dei componenti e quelle calcolate per la formola Fe(C5H;C00),; ma il rapporto atomico è tale da escludere completamente l'ipotesi che si possa formare un sale diverso da questo: gr.:0,4882 di sostanza dettero Fe °/, 16,42 » 0,3015 ” ” Calo 05: ; RE OE 1) Journ. f. prakt. Chem., 44, 330 ) Liebie”s Ann., 124, 169. *) L. Gmelin, Handbuch der organichen Chemie, B. 3, pag. 32 (1859). ) ) 2 + Bull., /3, 448 (1870), B. d. d. ch. Gesell., 45, 2662. 5 ( ( (E ( ( — 160 — Il rapporto atomico Fe :C, dedotto da queste percentuali, è 1:14,6, mentre il calcolato dalla formola è 1:14. Tutto ciò sta a dimostrare quanto sia difficile la preparazione di tutti questi sali allo stato di assoluta purezza. Comunque preparati, debbono ne- cessariamente subire un prolungato lavaggio con acqua e con alcool per allon- tanare e i sali in eccesso e l’acido libero che queste masse amorfe certa- mente includono in quantità notevoli. Ora questo non è possibile per tutti, poichè facilmente si idrolizzano con l'acqua e si decompongono con l'alcool. Trattando un salicilato o l'acido salicilico con un sale di ferro, si sa che sì ottiene una colorazione violetta intensa; se la soluzione è piuttosto concentrata, oppure si concentra a caldo, si ottiene un precipitato rosso-vio- laceo che è il sale Pe(C.H<600) .1,5H0, il quale si ottiene anche 2 trattando Fe(OH); con acido salicilico in alcool o in acqua a b. m. Dunque quest'acido forma due sali: uno solubile in acqua di colore violetto; l'altro insolubile o quasi in acqua alcool ed etere. Non ho potuto separare il sale solubile in acqua, ma, siecome una identica colorazione violetta si ottiene aggiungendo un sale di ferro ad una soluzione anche diluitissima di fenolo, lo credo che in detto sale il ferro salifichi soltanto l'idrogeno dell’ossidrile fenolico, dando luogo ad un composto labile, violetto, solubile in acqua. (licolato basico dell'esaglicolato-triferri-base. Di è ottenuto, come si è detto, trattando una soluzione acquosa concen- trata di acido glicolico con Fe(OH),; la massa fu ripresa con alcool, e la soluzione alcuvolica precipitata frazionatamente con etere; il prodotto, lavato bene con etere, fu seccato nel vuoto su H,S0O, conc. È una sostanza amorfa giallo-ranciata, trattata con acqua si idrolizza; a caldo, l'idrolisi è molto spiuta. Si è approfittato di questo fenomeno per determinare il percento del residuo acido titolando con KOH, anzichè determinare C e H per combu- stione. È molto igroscopico. L'analisi dette i seguenti risultati : gr. 0,5130 di sostanza dettero Fe 9% 27,18 » 0,4400 ” ” ’ 27,2 » 0,2903 ” » |CH:0HC00°/, 63,31 n 0,2463 ’ ’ ’ 62,75. Calcolato per la formola | Fe: i CH,0H.COO.Fe(OH); p.m.= 888,72: Fe%, 26,81 CH, 0H.C00 /, 62,99. — lol = Nitrato basico dell'esaglicolato-triferrt-base. Si ottenne in modo molto semplice trattando a b. m. con acido nitrico fumante il precedente sale. Si evaporò a secco, si lavò la massa con etere e si seccò nel vuoto prima su Ca0 e poi su H,S0, conc. È un sale di colore a giallo del precedente, molto igroscopico. . 0,1924 di sostanza dettero Fe °®/, 27,2. Calcolato per la formola Bos e3 SH: (o a NO; . Fe(OH); p.m.= 820,71: Fe °/o do Lattato basico dell’esalattato-triferri-base. Questo sale fu ottenuto in modo perfettamente identico a quello del- l'acido glicolico. E un sale giallo-ranciato solubile in acqua e in alcool, insolubile in etere, molto igroscopico; nell'acqua si idrolizza formando un precipitato di Fe(OH);. Anche di questo fu determinato il residuo acido per titolazione con KOH. L'analisi dette i seguenti risultati : gr. 0,2386 di sostanza dettero Fe°/ 22,14 n 0,8510 n n » 22,09 » 0,1609 ” ” CASXCHOH . €000 62:54 Caleolato per la formola [Pes CH on ee CH, . CHOH. COO. Fe(0H);.4H0 : Fe°% 22,27 ...;° CHy. CHOH.C00%/, 62,09. Benzoato cromoso. Trattando una soluzione di benzoato sodico con allume di cromo, si ha un precipitato ceruleo; io però precipitai frazionatamente e raccolsi la seconda separazione. Questa fu accuratamente lavata con acqua fredda, fino a che il filtrato non dette più la reazione dell'acido solforico. È una sostanza amorfa insolubile nell'acqua; cun l'alcool si decompone. Anche questo fu seccato nel vuoto su HsS0, conc. L'analisi dette i seguenti risultati : gr. 0,3658 di sostanza dettero Cr °/, 16,49 = 0,2830 ’ n 00.9, 53,74; 1H°%, 3,61 » 0,3800 ’ ’ n 0053:55 Minn03:62, Calcolato per la formola Cr(C;H;000), . Hs0: ORO LOO O0 EeRO sIIOo: — 162 — Salicilato ferroso. Come si ottenga questo sale già si è detto. E amorfo; fu purificato lavandolo bene con acqua e con alcool, quindi fu seccato nel vuoto su H,S0, conc. È di colore rosso-violetto. o L'analisi dette i seguenti risultati: gr. 0,5740 di sostanza dettero Fe °/ 15,59 » 0,7585 ” ” ” 15,54 » 0,1788 ” ” €000 40720100 SONE Calcolato per la formola Fe(C.Hi<600) 1,5 H.0: 2 Fe 15,65, #/0°/ 47,06; H°5 3,67 Salicilato cromoso. Questo sale si ottiene precipitando a freddo una soluzione non molto diluita di salicilato sodico o potassico con soluzione di allume di cromo, oppure riscaldando e concentrando a b. m. il miscuglio delle suddette solu- zioni. Si separa contemporaneamente anche acido salicilico. Sale perfettamente identico si ottenne. trattando l'acido salicilico con Cr(0H); a b. m. È una sostanza grigio-verde, che si decompone se lavata con acqua 0 con alcool concentrato. Il precipitato, ottenuto nel modo indicato, fu lavato un po’ con acqua e poi con alcool al 50 °/,. Anche in questo caso, non ostante gli espe- dienti usati e le precauzioni prese, non si sono ottenute percentuali molto coincidenti con le calcolate; in ogni modo le differenze che presentano sono tali da poter avere un rapporto atomico, che senza dubbio conduce alla for- mola Cr (C.H<600) . gr. 0,9102 di sostanza dettero Cr °/, 18,73 » 0,1062 ’ ni 0, 45,92. Il rapporto atomico che da esse si deduce è Cr:C=1:14,5; quello calcolato dalla formula è 1:14. Concludendo: degli acidi glicolico e lattico si ottengono sali di Fe iden- tici a quelli di Cr (loc. cit.) in cui si trova una molecola di base attaccata al catione, la quale deve necessariamente essere tenuta da un residuo di acidità conferita allo ione dagli OH alcoolici presenti; degli acidi benzoico e salicilico, nelle condizioni sperimentali tenute da me, credo si siano formati esclusivamente composti semplici e al minimo di Fe e di Cr. Soi Ghimica. — Sisteny binari del cloruro manganoso coi cloruri di alcuni metalli alcalini ('). Nota di CU. SANDONNINI e Gi. SCARPA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN (7). Il cloruro potassico ed il cloruro ammonico si combinano, anche a bassa temperatura, col cloruro di magnesio per dare due composti molecolari del tipo M CI. MgCI.+6H:0, il primo dei quali si trova in natura e costi- tuisce il noto minerale la carnallite ; il cloruro sodico con lo stesso cloruro di magnesio, dà in condizioni non ben stabilite, un composto la cui composizione è probabilmente eguale a quella dei cloruri di potassio e di ammonio e che eristallizza con una sola molecola di acqua di cristallizzazione (*). Allo stato anidro, per fusione dei componenti venne stabilito da O. Menge (‘) che nel sistema cloruro potassico - cloruro di magnesio, oltre alla formazione di un composto del tipo della carnallite, si ha pure formazione di un altro composto, più ricco in cloruro potassico, della composizione 2 K C1.Mg Cl; e che nel sistema cloruro sodico -cloruro di magnesio sì formano pure due composti di eguale composizione di quelli col cloruro potassico, i quali tut- tavia fondono entrambi decomponendosi. Tra il cloruro di litio ed il cloraro di magnesio non è noto alcun com- posto preparato per via umida: ed anzi, ad alta temperatura, da uno di noi venne stabilito (°) come si abbia, a differenza degli altri cloruri alcalini, formazione di soluzioni solide in ogni rapporto, che non si seindono anche a temperature relativamente basse (300°). La spiegazione del come molecole Li C] diano soluzioni solide con mo- lecole Mg Cl,, risulta difficile; si può tuttavia ammettere che it cloruro di litio abbia molecole doppie, ma nessun fatto è ad avvalorare questa semplice supposizione. Tuttavia il fatto ci sembrò abbastanza interessante per esten- dere maggiormente le ricerche. Da uno di noi (°) venne trovato come ad alta temperatura il cloruro di magnesio dia col cloruro manganoso soluzioni solide in ogni rapporto: ora noì volemmo vedere quale fosse il comportamento dei cloruri di litio, sodio (!) Liavoro eseguito nel Laboratorio di chimica cenerale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. (*) Pervenuta all'Accademia il 3 agosto 1915. (3) Ved. Poggiale, Compt. Rend. de l'Acad. des Sciences, 20, 1180. (4) Zeit. f. an. Ch., 72, 162 (1911). (°) Questi Rendic., 22, 1° sem., 629 (1913). (9) Questi -Rendic. 2/, 2° sem., 634 (1912). — 164 — e potassio con questo sale, e cioè se pure da questo studio risultasse quella stessa diversità di comportamento che si ha col cloruro di magnesio. Le relazioni tra questi sali per via umida sono già state studiate. Saunders (') trovò che da soluzioni acquose miste di cloruro potassico e di cloruro manganoso si ha separazione di un composto molecolare K Cl.MnCl,-+H;0, mentrechè da soruzioni miste del cloruro manganoso col cloruro sodico non si ha separazione di alcun composto. In seguito tra i materiali eruttati dal Vesuvio nel 1906, presso Ottajano, venne trovato da Johnstone-Lavis (°) un minerale anidro che, dall'analisi, risultò avere la composizione 4 K Cl. Mn CI, (cloromanganokalite). Finalmente in questi ultimi tempi I. Siiss (*) studiò a fondo il modo di combinarsi per via umida del eloruro potassico col cloruro manganoso col variare della tem- peratura, e trovò che il composto, già trovato da Saunders, si forma sola- mente al di sopra di | 6°; che a 28°.4 giace la temperatura più bassa di formazione di un nuovo composto della formola 2 K Cl. MnCl, che cristal- lizza con due molecole d'acqua di cristallizzazione, e che fimalmente a 629.6 comincia l’esistenza di un composto che si deposita anidro, la composizione del quale è identica a quella della cloromanganokalite di Johnstone-Lavis. Le esperienze procedettero nel solito modo: dei sali usati, tanto il cloruro manganoso quanto il cloruro di litio vennero essiccati in corrente di acido cloridrico gassoso. Le miscele vennero portate a fusione in atmosfera di azoto. 1. /l sistema LiCl — MnCIl,. Dai dati raccolti nella tabella I e dall'esame del diagramma a fig. 1 risulta che per fusione delle miscele dei due sali si ha formazione di solu- zioni solide in ogni rapporto, le temperature di cristallizzazione delle quali presentano un minimo a circa 48 mol. °/, di cloruro di litio e a 555°. Fino a 250° non venne notato alcun arresto attribuibile ad una loro decomposi- zione. L'intervallo di cristallizzazione è sufficientemente netto per potere cogliere tanto l’inizio quanto la fine di solidificazione. (1) Ann. Chem. Journ.., 74, 127 (1892). (2) Min. Mao., 15, 54 (1908). (3) Zeit. f. Kryst. u. Min., 5/4 248, (1912). — 165 — TABELLA I. Molecole °/o Inizio ie Intervallo di Li Cl cristallizzazione | cristallizzazione in gradi 0.0 650° =5 te 10.0 630 605° 25° 20.0 615 578 37 30.0 588 559 14 40.0 5603 555 8 50,0 562 555 Yi 60.0 575 563 18 80.0 586 578 8 90.0 595 985 10 100.0 602 — — 700 600 600 500 500 o) 1020 is oo 50 CORTO 89. 9-09 Mn Cl, Mol °/ Li Ci Li CI Fic. l. 2. Il sistema Na Cl — MnCl.. Dall'esame delle curve di raffreddamente delle miscele fuse dei due sali risulta il diagramma a fig. 2. Certamente si ha formazione di due com- posti decomponibili alla fusione, la composizione dei quali molto probabil- mente è rispettivamente Na Cl.2Mn Cl» e 4 NaC1.MnCl,, ma non risulta chiaramente nè dalle durate degli arresti dovuti allo sviluppo di calore nella loro formazione, nè dalla scomparsa dell'arresto eutettico. Le loro tempera- ture di formazione sono molto vicine; rispettivamente 441° e 445°. La mi- scela eutettica tra i due composti giace ad una temperatura di soli venti gradi inferiore a quella della loro formazione. L'arresto eutettico scompare rispettivamente a 30 e a 80 mol. °/, di cloruro sodico; e quindi molto pro- babilmente, ai due composti spetta la formula data scpra. Molto verosimil- mente non si ha formazione di soluzioni solide, o lo si ha in rapporti limi- tatissimi. RenDpICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. DD TABELLA II. Molecole 9/o Temporatnia Jo. Durate 2° Durate 9L Durate NaCl cristallizzaz. arresto in secondi arresto in secondi arresto in secondi primaria 0.0 650° _ _ — _ = = 10.0 628 441° — — = e 20.0 594 443 40” Ze Pa ne 2a 30.0 556 449 70 = = era Lora 35.0 520 442 45 497° — = 40.0 490 441 426 — - 45.0 ? 442 425 40” cs = 50.0 —_ — 425 10 — = 55.0 448 _ —_ 424 60 60.0 460 = — 425 44.60 40” 65.0 520 - — 424 445 60 70.0 580 _ —_ 424 445 0 £0.0 680 _ — — — 445 70 90.0 740 i _ — — 442 20 100.0 804 2 FE de w da si Mn Cl, Mol °/, di Na CI Na Ci IM ‘Fe. 2. i 3. Il sistema K Cl — MnCI,. Dalla tabella III e dal diagramma a fig. 3 si deduce che, per fusione, i due sali si combinano per dare luogo a due composti, uno dei quali fonde Or senza decomposizione, mentre l’altro si decompone. Il primo di questi due giace a 50 mol. °/,, e quindi viene ad avere la formola K Cl. MnCl:, e perciò corrisponde al composto trovato da Saunders (ved. sopra) allo stato anidro; la sua temperatura di fusione è circa a 495°, TABELLA III. Molecole °/o RITO NO Durate 2° Durate 3° Durate di KCI cristallizzaz. arresto in secondi arresto in secondi arresto in secondi primaria 0.0 650° = 2a De ca Sa Di 10.0 627 450° 30” al mi Ta, de 20.0 575 450 40 = — — _ 80/0) “|-1» 405 450 80 sa Di = n 35.0 449 150 == == — —_ 40.0 466 448 30 = —_ —_ —_ 45.0 488 448 È a ci sc 50.0 495 = = — = —_ — 55.0 490 SU uh da de 60.0 465 sr a 428° 20” sd zi 65.0 nr a 498 120 i z 70.0 449 = — 428 60 75.0 540 —_ — 426 20 445° 80° 80.0 620 —_ = — _ 445 120 90.0 715 —_ — — — 446 60 100.0 774 = CE: SA Le = = a) 2 5 s pa È) M 4 x (0) 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Mn CI, Mol °/ di K CI k ct Pie. 3. Il secondo ha la sua temperatura di formazione a 445°, e la sua com- posizione è senza dubbio eguale a quella della cloromanganokalite di Johnstone- — il68 — Lavis; viene quindi ad avere la formula 4K C1. MnCl,. La miscela eutet- tica tra il cloruro potassico ed il composto K C1.MnCl; giace a 35 mol. °/% di KCl e a 450°; quella tra i due composti giace a 65 mol. °/ e a 428° circa. Non si ha quindi nessun dato per concludere per l’esistenza del com- posto trovato da Siiss (ved. sopra) la cui composizione si avvicina a quella della miscela eutettica tra 4 K C1. MnC], e KC1.MnCl,. Anche in questo sistema la formazione di soluzioni solide o non avviene affatto, o se pure avviene in rapporti limitatissimi. CONCLUSIONI. Come col cloruro di magnesio, il cloruro di litio per fusione allo stato anidro, forma soluzioni solide in ogni rapporto col cloruro manganoso, il quale (ved. sopra), pure col cloruro di magnesio forma una serie non interrotta di |, soluzioni solide. Col cloruro di sodio il cloruro manganoso si combina per dare due com- posti, la probabile composizione dei quali è Na C1.2 Mn Cl, e 4Na Cl. MnCl.. La preparazione di composti molecolari tra il cloruro manganoso ed il clo- ruro sodico era stata tentata da Saunders per via umida senza risultato, e non mi consta che altri abbiano preparato tali composti. Dei tre composti noti tra il cloruro potassico ed il cloruro manganoso, a bassa temperatura, ad alta si ha formazione solamente di due, uno dei quali corrisponde alla cloromanganokalite di Johnstone-Lavis. Da questo si deduce che anche nelle relazioni col cloruro manganoso ad alta temperatura, il cloruro di litio, mentre si distacca dal comportamento degli altri cloruri alcalini, si avvicina a quello del cloruro di magnesio. Patologia vegetale. — Primo contributo allo studio della recettività della quercia per l’oidio ('). Nota del dott. Vincenzo RiveRA, presentata dal Socio G. CuBONI (?). Le osservazioni sopra le condizioni meteorologiche, e, in generale, di ambiente, favorevoli per l'attacco dell’oidio della quercia, sebbene numero- sissime, sono spesso contradittorie, quasi mai dedotte da esperimenti con- dotti con metodo. Le condizioni poi dell'organo, alle quali esso diventa re- cettivo, sono state poco o nulla studiate. (*) Lavoro eseguito nella R. Stazione di patologia vegetale di Roma. (*) Pervenuta all’Accademia il 15 luglio 1913. — 169 — Salmon (!) opina che, dovendo il fungo adattarsi a speciali condizioni intercellulari, la possibilità dell'attacco sarebbe determinata dalla secrezione di speciali sostanze della cellula ospite e dell'austorio del furgo. e non dalla incapacità di far penetrare il tnbo miceliare dentro l'organo ospite. Secondo varî autori [ Bureau (*), Trotter (*), Neger (4), Tubeuf (*), Kirch- ner (°), Roth ("), Arcangeli (*), Farneti (°)], l’oidio della quercia attaccherebbe specialmente i germogli che si sviluppano al principio dell'estate. L'opinione dei più è che si tratti della coincidenza dello sviluppo dei germogli con la epoca climaticamente più adatta allo sviluppo del fungo. Anche Trotter, Neger, Tubeuf, Kirchner, Roth, Farneti (!°), hanno osser- vato che i germogli attaccati sono quelli che si sviluppano alla base dei fusti, sui rami capitozzati o scalvati, dalle ceppaie. Sopra tre varietà di Quercus robur diversameute recettive, allevate da seme, ho eseguito numerose esperienze dirette specialmente a stabilire la influenza, sulla recettività, della età della foglia, del suo stato di turgescenza, dell'attività di assorbimento radicale, dello stato di alimentazione della foglia stessa: ho fatto inoltre svariati tentativi per rendere recettiva una foglia immune. Influenza dell’età della fogiia. — Per avere foglie completamente sviluppate e di tutte le età all’epoca della comparsa dell’oidio, ho fatto in epoche diverse, a cominciare dall'inverno, germinare in stufa oltre duecento ghiande: tutte queste piccole querce si allevarono in culture acquose od in substrato solido: queste ultime hanno messo le prime foglie ininterrottamente a distanza di non più di dieci giorni, dal 26 marzo fino al 2 giugno. Ora il primo attacco di oidio nelle culture in vaso, tenute in una serra calda, si (*) Salmon E. S., On specialisation of purasitism ‘n the Erysiphacee 1I, New Phy- tologist, III, 1904, pp. 109-121. (*) Bureau E., &/ect de l’« 0idium quercinum » sur différentes espèces de chéne. Comptes rendus, CXLVII, 1908, pp. 571-574. (*) Trotter A., Za recente malattia delta quercia, Bullett. Soc. Bot. 1908, pag. 115. (4) Neser F, W. Veber das epidemische Auftreten eines Eichenmeltaues. Naturwis. Zeitschr. f. Land u. Forstwirtschaft, VI,..1908, pag. 589. (°) Tubeuf (von) K., Der Fichenmeltau in Bayern. Naturwiss. Zeitschr. f. Land u. Forstwirtschaft, VI, 1908, pp. 541-542; 599-604. (5) Idem, Nachrichten ber die Verbreitung des Eichenmeltaues im Jah». 1908, Ivi, VII, 1909. (*) Kirchner O., Das Aufireten des Eichennmeltaues in Wiirtemberg. Naturwiss. Zeitschr. f. Land u. Forstwirtschaft, VI, 1909, pp. 213-217. (8) Roth I., Auftreten des Eichenmeltaues in Ungarn. Naturwiss, Zeitschr. f. Land u. Forstwirtschaft, VII, 1909, pag. 426-427. (9) Arcangeli G, Sul mal bianco delle quercie. Proc. verb. "soc. tose. se. nat., 14 nov. 1909, pag. 8. (1°) Farneti R., /l mal bianco delle quercie minaccia anche i castagni e è faggi. Rivista di patologia vegetale, 1010. — 170 — ebbe il 22 maggio solamente sulle foglie nate all'incirca dopo il 20 aprile: le anteriori erano immuni. Tutte le seconde foglie formate più tardi (fine di aprile maggio), furono poi attaccate. Nelle culture acquose le infezioni, da principio stentate (5 maggio), in seguito financo fatali alle foglie di aprile e di maggio, invece non riuscirono mai in foglie di età anteriore: queste si mantennero sempre immuni. Al contrario, la foglia giovane è recettiva: subito appena dischiusa e finchè dura il suo accrescimento, è sempre attaccabile dall’oidio; anzi le foglie in via di rapido accrescimento sono più attaccate dal fungo che non altre a sviluppo normale. Per provarlo ho allevato molte piantine di quercia della stessa età in cassettine bene aereate al buio e a luce bianca. Dopo circa due mesi, furono esposte in piena luce in una serra calda e umida, la cui atmosfera era ricca di conidii di oidio. All’apice delle piantine allevate al buio, che avevano foglioline ridottissime e completamente gialle, si svilupparono rapi- damente nuove foglie grandi e verdi, che ben tosto furono tanto attaccate dall’oidio, che in qualche caso soccombettero in 20-30 giorni: nullo fu invece l'attacco sulle piantine-controllo allevate in cassettine a luce bianca. essendo le. foglie completamente sviluppate e mature: però in queste stesse piante sì svilupparono in seguito nuove foglie giovani, che venivano regolarmente attaccate dal fungo, e con notevole virulenza. Furono anche fatte sviluppare le quercie in luci monocromatiche azzurra e rossa in eguali cassettine chiuse con vetri colorati. Le foglie di queste quercie, trasportate nella serra, ebbero un rapido accrescimento, che fu mag- giore per le foglioline nate alla luce azzurra; in queste piante sì venivano inoltre sviluppando all'apice foglie grandi e verdi: l’attacco fu fortissimo, e maggiore sulle foglie di piante allevate in luce azzurra o sviluppatesi rapi- damente nella serra, all'apice di queste piante: un po' minore sulle foglie delle piante allevate ìn luce rossa. Tutte queste osservazioni provano che l'oidio attacca la foglia di quercia in via di accrescimento, qualunque sia stato il trattamento subìto in prece- denza dalla pianta; e che le foglie adulte sono immuni, qualunque sia lo stato della pianta. Infuenza dello stato di turgescenza della foglia. — Lo stato di tur- gescenza della foglia ha una straordinaria influenza sopra la recettività: infatti, foglie in stato di turgescenza completa sono resistenti al fungo, per il quale sembra impossibile la penetrazione della foglia in queste condizioni. Così, in massima parte immuni si sono dimostrate le foglie di quercia alle- vate in ambiente saturo di umidità: in tale ambiente i conidi germinano benissimo sopra la foglia. specialmente se molto giovane, ma non riescono a penetrarla. Sembra, anzi, che la foglia che riacquisti la turgescenza com- — 71 — pleta possa arrestare lo sviluppo del fungo, o addirittura reagire ad esso. Lo stato di turgescenza fogliare ha una importanza straordinaria sulla re- cettività del grano per l’oidio (*'), ed in questo caso, con attenta osservazione, sì può prevedere l'attacco, essendo visibile esternamente la diminuzione della turgescenza fogliare; nella quercia ciò non avviene: l'attacco sì è sempre avuto, or più or meno violento, in tutte le condizioni di ambiente aereo e radicale sperimentate, meno che nel caso di un’atmosfera molto umida. Influenza della temperatura ambiente. — Le esperienze sì facevano in tre differenti ambienti: 1) Una serra esposta a ponente, la cui temperatura oscillava da 18° a 39°. La umidità oscillava fortemente, dipendendo principalmente dall’acqua che si introduceva nella serra per irrigare vasi. Le infezioni furono fortissime in tutte le foglie giovani, che, a lungo andare, furono uccise dal fungo. 2) Altro ambiente oscillante da 18° a 23°; umidità media poco su- periore al caso precedente; sbalzi meno forti: poche e lievi infezioni riuscite. 3) Altro ambiente la cui temperatura oscillava da 18° a 25°; umidità scarsa, quasi costante; infezioni non gravi. Dunque principale fattore per l'attacco è l'elevata temperatura: ed in vero ad una temperatura di 35°-39° la traspirazione della foglia diviene esa- gerata e la turgescenza diminuisce sensibilmente, a meno che l’ambiente non sia molto umido. Influenza della attività di assorbimento radicale. — Le esperienze fu- rono fatte variando la concentrazione del liquido nutritizio, la temperatura dell'ambiente radicale, nonchè impedendo ed attivando l’aereazione delle radici. La concentrazione della soluzione nutritizia (*) variava da 0 (acqua di- stillata), a 0,25, 0,50, 1, 2, 4, 8 per mille. Si osservò, nella maggior parte dei casi, che alla concentrazione 2 °/so, alla quale si aveva il massimo svi- luppo della foglia, si verificava anche il massimo attacco: il minimo attacco sì osservava sulle piantine allevate in acqua distillata e alle concentrazioni 0,25 °/o0 ® 8 °/o0: in verità lo sviluppo delle foglie in queste piante si era arrestato, od era lentissimo. Numerose piantine ebbero il sistema radicale sottoposto e mantenuto per lungo tempo a svariate temperature, da 0° fino a 32°: si ebbero diffe- renze nell'attacco del fungo, solo perchè la bassa temperatura influiva un poco sul ritardo della nascita di muovi germogli, e l'alta temperatura ne affrettava la comparsa. tudio in corso. n DN i usava la soluzione nutritizia di Knop. — 172 — Piantine allevate in culture liquide e solide in cui s' impediva l'afflusso di aria alle radici con uno strato di olio di vasellina o di argilla, non hanno avuto un attacco apprezzabilmente diverso da quelle delle culture di con- trollo la cui aereazione era assicurata alle radici con frequenti immissioni di aria per mezzo di tubi di vetro scendenti a diverse altezze verso il sistema radicale. Influenza dello stato di alimentazione della foglia. — Fu studiata l'influenza dello stato di alimentazione della foglia osservando lo sviluppo della infezione sopra piante eziolate, piante messe al buio e piante allevate con alimentazione minerale diversa. Le piantine allevate al buio, che avevano foglioline ridottissime e com- pletamente gialle, e fusti molto allungati, non furono mai attaccate dal fungo, nè sulle foglie nè sul fusto. Piantine allevate alla luce azzurra, che avevano foglie piccole molli ed eziolate, e fusti molto sviluppati, furono attaccate abbastanza fortemente; più fortemente però furono attaccate le piantine allevate alla luce rossa: in queste molte foglie furono uccise dal fungo. Piantine allevate alle luci monocromatiche azzurra e rossa e alla luce bianca, poi trasportate ed infettate al buio, furono attaccate con diversa vio- lenza: più forte fu l'attacco su piante ben verdi che su piante eziolate. Pian- tine ben verdi, infettate alle luci monocromatiche azzurra e rossa ed al buio, furono attaccate con diversa violenza: fortissimo fu l'attacco al buio ed alla luce rossa; minore alla luce azzurra e nei controlli a luce bianca. In complesso, piantine totalmente eziolate non sono attaccate; quelle par- zialmente eziolate sono diversamente attaccate. La luce ha per suo conto una notevole influenza negativa sopra l'attacco: infatti, specialmente per piante ben verdi, l'attacco riesce più violento al buio che non in piena luce. Ulteriori esperienze permettono anzi di stabilire che sotto i raggi solari le infezioni riescono più difficilmente, anzi, molte ore di sole hanno in molti casi rallentato l'infezione, permettendo alle giovani foglioline infette una ripresa della attività accrescitiva, prima compromessa dallo sviluppo del fungo. Quanto all'influenza dell'alimentazione minerale, culture in substrato solido, abbondantemente fornite di concime animale e minerale, non hanno dimostrato una recettività molto diversa da quella di piante tenute in terra sterile ed in pozzolana. Tuttavia, in queste ultime culture, nella maggioranza dei casì sì è osservato un attacco un poco più lieve che nelle prime. Nè i concimi sperimentati separatamente, che furono il nitrato sodico, il fosfato tricalcico e il fosfato potassico, hanno dimostrato di esercitare speciali in- fluenze sulla recettività. Anche in cultura liquida le esperienze sopra l’azione separata delle singole sostanze della soluzione di Knop, non hanno dato — 173 — alcun risultato; nè l'esclusione di una sostanza della soluzione di Knop in piantine così allevate ha dato risultato alcuno. Dunque l'influenza dello stato di alimentazione sulla recettività della foglia è solo relativa, sebbene speciali risultati si abbiano nel caso di piante eziolate, di luci differenti, di luminosità ed oscurità dell'ambiente: solo l'età (foglie in accrescimento) e lo stato di turgescenza fogliare sono potenti fat- tori di recettività: anzi la determinano. È in questa direzione che ho fatto numerosi tentativi per rendere artificialmente recettiva una foglia immune. Ho tentato di diminuire improvvisamente la turgescenza fogliare sottoponendo il sistema radicale di numerose piantine ad una improvvisa diminuzione della umidità del suolo: recidendo gradualmente il sistema radicale: esponendo per una durata diversa le radici al sole. In nessun caso si ottenne l'attacco di foglie resistenti. Altro mezzo sperimentato fu una temporanea narcosiì (') sia delle foglie, sia del sistema radicale, di varia durata e con diverse so- stanze, quali etere, cloroformio, cloralio: l'esito fu negativo. Altri tentativi, quali la variazione della concentrazione del liquido ambiente, glì sbalzi di temperatura del sistema radicale, non sortirono alcun effetto: le foglie im- muni non furono mai attaccate. In conclusione, le foglie di quercia completamente sviluppate sono resi- stenti all'oidio: le foglie in accrescimento sono attaccate: quanto più rapido è l'accrescimento, tanto minore è la resistenza. Ciò spiega perchè i ributti delle quercie potate, i polloni basali ed i succhioni siano più attaccati. Foglie giovani, cioè in accrescimento, mantenute in atmosfera molto umida in modo che la turgescenza sia massima e non subisca oscillazioni, non sono attaccate, sebbene i conidii dell'oidio germinino benissimo sopra la foglia in tali condizioni. L'elevata temperatura dell'ambiente, determinando indirettamente la perdita della turgescenza, è un'importante condizione per l'attacco. La concentrazione del liquido nutriente influisce indirettamente sopra la recettività della foglia, perchè tanto in acqua pura come in soluzioni con- centrate l'accrescimento si arresta e la foglia diventa immune. Foglie totalmente eziolate non sono attaccate; quelle parzialmente ezio- late sono diversamente attaccate: più tortemente quelle allevate in luce rossa. I raggi solari diretti ostacolano l'attacco. L'alimentazione minerale non sembra ‘avere diretta influenza sopra la recettività. Tentativi di rendere recettiva la foglia immune facendo variare la sua turgescenza, non sono riusciti. (*) Salmon (Cult. ewp. with an Qidium on « Evonymus yaponicus», anm Mye 1II, 1905, pp. 1-5) ha indotto l’oidio ad attaccare foglie »dulte, normalmente resistenti, me- diante una leggera narcosi con etere, cloroformio ed alcool. RenpICcONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 24 — 174 — Patologia vegetale. — Sw! significato patologico dei cordoni endocellulari nei tessuti della vite. — Nota di L. PETRI, presen- tata dal Socio G. CuBONI ('). In una breve Nota (*) pubblicata nell'ultimo numero di questi Rendi- conti, sono menzionati alcuni fatti, giù da me estesamente illustrati, e ri- guardanti la presenza, nei tessuti della vite, di particolari cordoni endocellu- lari. Per quanto le ricerche, delle quali tratta la Nota citata, sieno state eseguite con un criterio assai diverso da quello che una più larga e più pro- fonda conoscenza dell'argomento avrebbe potuto suggerire, pure il semplice accertamento dei fatti esposti non è in contradizione con quanto sino ad oggi ho trovato e pubblicato sulla presenza e sulla causa della formazione dei cordoni endocellulari; ciò che apertamente contrasta con le mie afferma - zioni, sono l'interpretazione che si è voluta dare ai resultati di osservazioni superficiali e le conclusioni che troppo affrettatamente se ne sono volute dedurre. L'arricciamento della vite costituisce oggi una questione così im- portante dal punto di vista scientifico, e di così vitale interesse per la viti- coltura pratica, che nessuno vorrà negare l'utilità dell'estendersi della disc us- sione sulle ricerche che si fanno intorno a questa malattia : è anzi questo uno dei mezzi per stabilire la verità dei fatti; e l'utilità -di un'ampia e critica discussione io riconosco anche quando sì tratti di rispondere ad obie- zioni, che, pur essendo le meno degne di esser discusse, offrono non per- tanto il destro per porre maggiormente in chiaro alcuni punti fondamentali che non sono stati compresi o che non hanno richiamato abbastanza l'atten- zione degli studiosi della questione. 1°) Za formazione dei cordoni precede sempre di uno o più anni le caratteristiche manifestazioni esterne dell’arricciamento. — Questo fatto si osserva bene nelle marze sane innestate su soggetti ammalati (3). Nel caso di viti franche di piede e che si ammalano lentamente sul posto, esiste uno stadio, per dir così, d'incubazione della malattia, in cui le piante, almeno in apparenza, sembrano sane, ma nei tessuti dei tralci e del fusto già si presen- tano i cordoni endocellulari. L'accorciamento degl’ internodî, la deformazione delle foglie rappresentano uno stadio secondario e che si manifesta spesso (!) Pervenuta all'Accademia il 24 luglio 1913. (£) E. Mameli, Sulla presenza dei cordoni endocellulari nelle viti sane e in quelle affette da « roncet». Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. XXII, fase. 12°, pag. 879. (2) Cfr. i casi citati nel mio lavoro: Studi sulle cause dei deperimenti della vite in Sicilia, Roma, G. Bertero, 1912, cap. III — 175 — bruscamente. La formazione dei cordoni non è una conseguenza di un inde- bolimento vegetativo (*): tutt'altro; la ragione per cui le viti che sono affètte da altre malattie, diverse dall’arricciamento, non presentano queste for- mazioni, deriva appunto dal loro deficiente vigore di vegetazione (*). Nei vivaj della Sicilia è facile di trovare piante madri vegetanti in modo normale e, non pertanto con numerosi cordoni endocellulari. L'unico carattere esterno che può farle distinguere dalle piante veramente sane è un leggero ritardo nella schiusa delle gemme e un più marcato sviluppo di femminelle. Uno dei mezzi per rivelare questo stato patologico latente è quello di innestare queste piante con marze sane di vinifera; o, meglio, di moltiplicarle per talee. L' arri c- ciamento si manifesta allora al primo o secondo anno, con grande evidenza, in quelle talee che avranno attecchito, e nelle marze se si sarà fatto l'innesto. 2°) Una vite che presenta cordoni endocellulari nei tralci dell'annata non è in tutti i casi una pianta necessariamente destinata al rachitismo cronico, inguaribile (arrieciamento tipico, court-noné, roncet). — A questo riguardo ho mostrato, nei miei lavori precedenti, che viti sanissime, colpite da freddi primaverili. possono presentare, insieme o non coll'accorciamento degli internodî e con la perforazione delle foglie, la formazione di cordoni endocel- lulari nei tralci dell'annata, senza che ciò costituisca una causa di malattia per ufo la pianta. i Se si tratta di viti a frutto, il danno prodotto dall’abbassamento di tem- peratura sarà limitato, in ogni caso, a quel solo periodo vegetativo: e se l'anno seguente altri freddi tardivi non verranno a colpire i nuovi germogli, questi daranno origine a tralci normali. È il caso già illustrato dal Ravaz (*) per quanto riguarda l’accorciamento degl’'internodî, e da me per ciò che riguarda la formazione dei cordoni (‘). Ho già detto ripetute volte che un simile caso può essere paragonato a quelio di una marza ammalata inpestata su di un soggetto sano; essa finirà per guarire, e anche la formazione dei cordoni ces- serà del tutto. Ma se, in luogo di viti a frutto, si tratta di piante madri di (*) Su questo fatto fondamentale mi permetto di richiamare l’attenzione della dott.s2 Mameli, tutto il lavoro della quale è imperniato sull’equivoco di avermi attribuito il concetto che i cordoni endocellulari si formino solo nelle viti che già presentano le deformazioni e il rachitismo dell’arricciamento. Chiunque abbia leito i miei lavori è in grado di conoscere le mie idee su tale argomento. (*?) La ragione di ciò è da ricercarsi in questo fatto: che la formazione dei cordoni dipende dal grado elevato di attività fisiologica delle cellule cambiali al momento del- l’azione del freddo. Prescindendo dall’influenza più 0 meno diretta del nucleo, i mate- riali fondamentali per un simile processo sono costituiti da emicellulose e da enzimi coa- gulanti (citocoagulasi). Colgo l'occasione per far pure notare che è lo stato di debolezza vegetativa ciò che determina spesso una minore formazione di cordoni nei tralci delle piante molto rachitiche, in confronto di quelle che sono ancora all’inizio della malattia. (3) Cfr. Progrès agr. et viticole, 1911, pag. 9. (4) Cfr. la mia Memoria già citata, pp. 52, 58, 59, 60, 153, 171. — 176 — vivaio per la produzione del legno, gli effetti dei freddi tardivi sul tralcio dell'annata, anche se questo mostri uno sviluppo normale, più non sono trascurabili. Quando, infatti, di simili tralci si fanno talee, e queste si pon- gano a dimora o nel barbatellaio, sì nota una bassa percentuale di attecchi- mento. I germogli che si erano sviluppati a spese dell'acqua e dei materiali di riserva contenuti negl'internodii, ben presto disseccano per la non avvenuta formazione di radici. Il cambio perde completamente o quasi la sua attività rizogena. Quando l'attecchimento avviene normalmente, nelle radici a strut- tura secondaria si ritrovano i cordoni endocellulari: ed è in concomitanza a questo fatto che su le giovani barbatelle, specialmente se innestate, si rive- lano poi le manifestazioni e gii effetti dell'arricciamento. Le condizioni di terreno e di coltura, come l'andamento della stagione, possono ritardare più o meno il rivelarsi della malattia; ma l’accurata osservazione di cen- tinaia di casì verificatisi nelle recenti ricostituzioni di vigneti mi autorizza a ritenere che ben difficilmente un tralcio contenente cellule cordonate possa dare origine a una pianta fisiologicamente equivalente a un'altra che di tali anomalie sia completamente sprovvista. È quindi assolutamente arbitraria e senza alcuna base sperimentale l'affermazione che le viti presentanti cordoni endocellulari ner loro tessuti sieno piante sane; si deve ammettere per lo meno uno stato patologico latente negli organi nei quali simili anomalie citologiche si sono originate. Raatz, che pure non ha fatto alcuna esperienza in proposito, ma che profondamente ha studiato queste bizzarre formazioni nelle conifere, ha rico- nosciuto la loro natura patologica ('). Se fino ad ora era nettamente dimostrato che le talee con cellule cor- donate dànno origine a piante anormali, rimaneva sempre in dubbio se la presenza deì cordoni endocellulari rappresentasse un fenomeno fortuitamente concomitante di quel gu:4 ancora indeterminato che origina l'arriccia- mento. Mi sono quindi preoccupato di stabilire sperimentalmente qual grado di patogenità potevasi attribuire a quella perturbazione fisiologica che le cellule del cambio subiscono quando, sotto l’ influenza del freddo, dànno ori- gine ai cordoni endocellulari. Nel febbraio di quest'anno ho tagliato alla loro base i tralci di quelle viti (negro-amaro) che mi avevano servito l’anno scorso per la riproduzione sperimentale dei cordoni endocellulari. Come ho già riferito altrove, le due viti hanno la stessa età e sono coltivate nelle identiche condizioni. I tralci in questione furono piantati in vasi da fiori, con tutte le cure che comune- (') Sarebbe senza dubbio interessante stabilire se nei rami delle Conifere la esigua o nulla attività rizogena del cambio sia determinata dalla perturbazione che questo tessuto subisce nella formazione dei cordoni enducellulari. — 177 — È mente si usano per ottenere un più sicuro attecchimento. La fotografia quì unita riproduce il resultato ottenuto. In aprile il germogliamento avvenne con un po’ di ritardo nei tralci che erano stati sottoposti agli abbassamenti di temperatura e che presentano cordoni endocellulari (nn. 1, 2 e 3)(') in confronto di quelli della pianta controllo (4, 5 e 6). Ben presto nei tralci 1, 2 e 3 i germogli disseccarono per la non avvenuta emissione. di radici, mentre queste ultime si formarono regolarmente nelle talee 4, 5 e 6 e i ger- moglì continuarono il loro accrescimento. Solo la talea n. 1, a metà di luglio, mostrava lo sviluppo stentato di un germoglio a foglie deformate. (Fotografia eseguita il 28 giugno 1918). Il resultato di questa esperienza dimostra esaurientemente che la per- turbazione fisiologica, prodotta dal freddo sulle cellule cambiali in attività, ha un effetto durevole, e che, almeno in alcuni casi, può determinare la per- dita o la diminuzione della facoltà rizogena (*?). Tutto questo non dimostra ancora se e quale rapporto genetico esista tra formazione di cordoni endo- cellulari e arricciamento, le esperienze relative a una tale questione sono ancora in corso, ed occorrerà attendere il loro resultato per venire a una conclusione definitiva in proposito. Resta però dimostrato che % #raecî col cambio a cellule cordonate non sono tralci sani. Io quindi torno ancora a insistere perchè nella ricostituzione dei nuovi vigneti sì scarti per quanto è possibile il legno che presenta cordoni endocellulari. (1) Il n. 2 è un tralcio con falsa dicotomia (Gadler o Gavelwuchs dei tedeschi). (®) Non sempre in natura, come è avvenuto nell'esperienza sopra citata, sì accerta un'assoluta mancanza di attecchimento delle talee col cambio a cellule cordonate ; ciò di- pende o dall'essere le talee costituite dalla porzione superiore del tralcio (che è la meno danneggiata dal freddo, perchè l’ultima formata) oppure perchè la perturbazione è di una gravità minore, a seconda anche di un grado specifico di sensibilità, variabile da vitigno a vitigno. e ga e Le viti esaminate nel Laboratorio crittogamico di Pavia sono state dunque a torto ritenute completamente sane. I ripetuti abbassamenti di tempe- ratura che sì sono verificati quest'anno durante tutta la primavera, hanno mi! reso comunissimo il caso di tralci a cellule cordonate, anche se si tratta di | tralci che si sono sviluppati dalla parte bassa del ceppo. S1 comprende che | non è da sola la posizione del tralcio sulla pianta che può determinare | una resistenza maggiore o minore a simili effetti del freddo: ma piuttosto è | il coincidere di un determinato stadio di sviluppo dell'organo col momento | in cui avviene l'abbassamento di temperatura. È dunque ancora per errore | che si è voluto trovare in contraddizione con le mie affermazioni il fatto di aver riscontrato tralci bassi con cordoni endocellulari in piante apparentemente rigogliose. Quando io parlo della parte bassa della pianta, intendo sempre la base del fusto e le radici più grosse, come anche i polloni che si svilup- pano in estate, nei quali la formazione dei cordoni rappresenta necessa- riamente un fatto derivato dalla antecedente presenza di queste anomalie nel cambio del fusto. Dopo tutto quanto io ho pubblicato, una diagnosi dell’arricciamento basata sulla ricerca dei cordoni endocellulari non può essere formulata che dopo aver esaminato il tessuto legnoso della base del fusto ricercando i cor- doni stessi nei diversi anelli annuali. Nello studio eseguito nel Laboratorio crittogamico di Pavia è stata dimenticata una simile avvertenza. Così anche sembra che si sia ritenuto indifferente il constatare la presenza dei cordoni nel midollo, nell'epidermide (*), nel legno, nel libro. Ora, dovrebbe esser noto, da quanto io ho pubblicato, che simili anomalie citologiche nei tessuti defini- tivi di origine primaria hanno un significato patologico assai meno impor- tante di quello che esse presentano quando si formano nel cambio. Giacchè è solo questo tessuto che determina la gravità, e la trasmissibilità, per via | vegetativa, della perturbazione fisiologica prodotta dal freddo. | Mi resta infine da confutare un’ ultima obiezione. In alcuni internodî | superiori di un tralcio sono stati trovati numerosi cordoni endocellulari; | questo fatto, si dice, starebbe in aperta contraddizione con la mia afferma- zione che solo nelle piante ammalate da molto tempo queste anomalie si possono trovare negl’'internodî superiori. Oggi, dopo aver compiuto tante altre numerose osservazioni, non posso che confermare quanto ho già pubblicato. | Chiunque potrà facilmente persuadersi che il cambio degli internodî superiori, apicali, ben raramente dà origine a cordoni endocellulari (*); e ciò per una | (') Il resultato negativo delle ricerche eseguite a Pavia sull’epidermide di viti am- malate d’arricciamento non può essere attribuito che a un difetto d’osservazione, giacchè mai ho constatato, su centinaia di viti affette dalla malattia, la mancanza di cor- doni epidermici. ILA (8) Nella Nota della dott.88* Mameli, veramente, non è detto che i cordoni fossero | nel cambio. Circa l’eventuale loro presenza nel midollo, si veda più sopra. — 179 — ragione assai ovvia: l'accrescimento della porzione terminale del tralcio av- viene generalmente quando già il periodo in cui sono possibili degli abbas- samenti di temperatura è passato ; e solo quando tali raffreddamenti si verifi- chino molto tardi, sarà possibile che il cambio degli ultimi internodî dia ori- gine a cordoni. Si tratta però di un caso eccezionale e che cessa naturalmente di avere un valore diagnostico per giudicare della gravità dell'arricciamento. Ben diverso è il caso a cui io mì riferivo nei miei lavori precedenti, quando cioè si tratta di tralci derivati da ceppi nei quali la formazione dei cordoni data da diversi anni. In simili tralci i contorni endocellulari si possono for- mare anche negli ultimi internodî, indipendentemente dall’inffuenza diretta del freddo. Si comprende quindi che la presenza dei cordoni nella porzione apicale ha un suo significato patologico che è subordinato alla localizzazione dei cordoni negli anelli legnosi del fusto. In conclusione, i resultati delle nuove ricerche eseguite nell'Istituto di Pavia non contradicono minimamente le mie affermazioni. L'interpretazione errata che se ne è voluta dare, e che deriva certamente in gran parte da un'insufficiente preparazione in chi si accinse alle ricerche, non corrisponde alla realtà dei fatti. E evidente che la deviazione che l’attività fisiologica delle cellule cambiali subisce sotto l’azione del freddo e che, nel caso in discussione, si esplica con la formazione dei cordoni endocellulari, rappresenta uno dei più interessanti problemi di fisiopatologia vegetale. Numerosi casi teratologici di variazione gemmare, fra i quali forse do- vremo pure collocare l’arricciamento della vite, sono collegati probabil- mente ai fatti dei quali da parecchio tempo mi occupo. È dunque, a parer mio, un voler considerare troppo leggermente uno dei più importanti pro- blemi di patologia, il ritenere sufficiente l'esame superficiale di alcuni cam- pioni per formulare conclusioni che tendono ad oscurare, anzichè chiarire, una questione così interessante. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXII] Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 32 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 33 — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MwimorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. Mrmorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Dr; Vol. I-XII Serie 48 — RenpIcONTI. Vol. I-VIT. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. . MEMORIE della Classe di scienze. morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe ‘di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXI. (1892-1915). 2° Sem. Fasc. 4. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXT. (1892-1913). Fasc. 1°-2°. MemoRrIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. Fasc. 14°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIL. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AT RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l’Italia è di L. £@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : | Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico Hoeri. — Milano, Pisa e Napolì. RENDICONTI — Agosto 1918. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 1913. Bottazzi. Proprietà colloidali dell'emoglobina . . . . Vi ipso IAT Colonnetti. Sulla teoria dei sistemi reticolari iper iperstatioi (ua dal Socio Levi- Evita) #blaite . . Pg ele CRE E de III cet 145 Alessandri. La sn del 3. SA fenilindolo (pres. dall 0 o) fi neo Veneziani. Scissione della decaidrochinolina nei due antipodi ottici (pres. dal Socio Ciamician) » 155 Calcagni. Studii sulla capacità degli ossidrili alcoolici a formare complessi (pres. dal Socio Paternò). . . + PRE SIN ea 5 SANT Sandonnini e Scarpa. Sistemi binari del Gao manganoso coi dui di sl metalli alcalini (pres. dal Socio Ciamician) |... .°. - IERI, Rivera. Primo contributo allo studio della recettività della! quercia 1 L'oidio (pres. dal Socio Cuore Ciieia68 Petri. Sul significato patologico du card i iocelluizi | nei essi delia vite (pred Id.) n 174 K. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma ? settembre 1913. N. b. PPT REALE ACCADEMIA DEI LINCRI ANNO CCCX. 1918 SHIRIH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXIII — Fascicolo 5° 2° SemestRE. Comunicazioni pervenute all’ Accademia durante le ferie del 4943. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo) PROPRIETÀ DEL CAV. Vv. SALVIUCCI 1018 \ ani ROMA ' TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI ONATI11 10:12 14 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle | ‘pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano ‘una pubblicazione distinta per ciascuna delle due ‘Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze ‘fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- | .golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli. compongono un volume; «due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da «Soci, che ne assumono la responsabilità suno portate a 6 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni ‘75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 ‘agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi ‘sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite ne Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio ‘ dell'art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro posta dell'invio della Memoria agli Archiv dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agl autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. o. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50.se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli . autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all'Accademia durante le ferie del 41943. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). Matematica. — Sulle funzioni che ammettono una formula d'addizione del tipo /(c + y)= DI X;(x) Y;(y). Nota del Socio TULLIO Levi-Crvira ('). 1. L'esponenziale e“ (w costante arbitraria), le funzioni trigonometriche cos wx , sin x, i polinomî P(x) offrono altrettanti esempî di funzioni /(«), che verificano un teorema di addizione della forma (1) {(@+g)= Di Xi(2) Yi(9). Basta manifestamente assumere i Xiao Ye —_fe 0 per l’esponenziale; n=2, X,=coswx ,,Y.=c080y, Xs=sinox, Yy=— sin wy per cos x; n= grado di P(x) aumentato di una unità. ..; ecc. In generale, però, una funzione /(x) (uniforme e regolare in un certo campo, al: quale intendiamo riferirci) non soddisfa ad alcuna equazione fun- zionale (1), in cui x rappresenti un intero finito. Si può soltanto (e in infi- niti modi, per es. mercè la serie di Taylor) farla rientrare nel caso limite n= 00. Ritenuta la circostanza essenziale che il secondo membro della (1) (') Pervenuta all'Accademia il 28 agosto 1913. o) (Sri RENDICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem, — 182 — consti di un numero finito di termini, vien fatto naturalmente di doman- darsi: Quali sono /u/te le funzioni uniformi /(x) per cui vale un teorema di addizione (1)? La risposta è che le somme di un numero finito di ter- mini del tipo P(x)e®* (le P designando polinomî, e le costanti reali o complesse) esauriscono tutti i casi possibili: conclusione puramente negativa, in quanto non collega alla (1) alcuna nuova trascendente, annoverabile tut- tavia fra le proprietà caratteristiche. Mi permetto pertanto di farne oggetto di brevissima comunicazione. 2. Cominciamo coll'osservare che le funzioni X;(x) (e analogamente le Y,) si possono supporre linearmente indipendenti. Infatti, qualora alcune tra esse fossero combinazioni lineari delle rimanenti, si potrebbero sostituire con queste combinazioni. Il secondo membro della (1) manterrebbe allora la stessa forma, salvo un più piccolo valore di 7. Riterremo, in conformità, che siano diversi da zero i due wrongkiani: Xx, Xo Lia XxX 5 0, A=|... È . : XL Xe See Xn) delle X, e B delle Y. 3. Conseguenze della (1). Condizione necessaria per la funzione f. — Deriviamo la (1) una prima volta rispetto ad x, una seconda rispetto ad y. Dall'eguaglianza dei primi membri segue LI (2) MSN 1 Derivando successivamente, rispetto ad y, 2 —1 volte, e formando sistema colla (2), si hanno 7 equazioni lineari nelle X', risolubili rispetto alle X' stesse, in forza di B+0. Le espressioni risolute sono del tipo X;= 5; (ETRE) 4 le 7 designando funzioni della y. Dacchè la (1) e, con essa, le derivate e loro combinazioni, devono sus- sistere per valori qualisivogliano di 2, y (appartenenti ad un certo campo), potremo in particolare attribuire ad y, nelle espressioni testè ricavate per le X{, un valore fisso yo (del campo). I coefficienti 7;(y,) divengono, così, altrettante costanti 4;;, sicchè intanto le X; sono necessariamente soluzioni di un sistema (3) Xi= n D; 45% (OM) lineare, a coefficienti costanti. — 183 — Notiamo, per incidenza, che analoga proprietà spetta alle Y,. Ove si designino con d;; i coefficienti del corrispondente sistema, si trae dalla (2) [attesa l'indipendenza così delle X;(x), come delle Y;(y)] dg, = 4; (0,j= =1,2,..,%) Ze Y; sono quindi soluzioni del sistema aggiunto a (3). Ma il risultato relativo alle X; basta da solo allo scopo essenziale di caratterizzare le funzioni / cui compete un teorema di addizione della forma (1). La (1) stessa implica infatti (ponendovi, come sopra, y= %o) che / sia, combinazione lineare a coefficienti costanti di X,,Xo,.., Xn. Lo stesso può dirsi, in virtù delle (3), delle derivate successive di / rap- porto ad 4: /",/",..,/. L'eliminazione delle X dà luogo ad una equa- zione în f, lineare, omogenea, a coefficienti costanti (d'ordine, al più, eguale ad x). Questa è dunque condizione necessaria. 4. Ma è anche sufficiente. Infatti, ogni integrale /(x) d’una tale equa- zione è somma di un numero finito di termini del tipo P(x)e®® (P poli- nomio in #, © costante). (2 +y) è quindi esprimibile sotto la forma (1), c.d: cd: Chimica fisica. — Viscosità e tensione superficiale di sospen- stoni e soluzioni di proteine muscolari, sotto l'influenza di acidi e di alcali (4). Nota del Corrisp. FiLippo Borrazzi 6 del dott. E. D’AcostINO (°). Le sospensioni, su cui abbiamo sperimentato, sono del materiale granu- lare (miosina), che si ottiene dal succo muscolare nel modo descritto da Bot- tazzi e Quagliariello (*). Questo materiale, agitato fortemente in acqua in presenza di palline di porcellana entro un apparecchio d’'agitazione automa- tica, forma poì una sospensione sufficientemente stabile, specialmente se la sì libera dei granuli più grossi per sedimentazione o per filtrazione attraverso lana di vetro o amianto in fili sottili. Servendoci di viscosimetri e stalagmometri a capillare conveniente- mente ampio, abbiamo potuto fare molte determinazioni di tempo di deftusso e di numero di gocce delle dette sospensioni, sia pure che dopo avere aggiunto quantità note di acidi (cloridrico e lattico) e di alcali (KOH). La ragione per cui abbiamo scelto il detto materiale, è questa. Esso resulta di un colloide insolubile in acqua, ma che in presenza di acidi e di alcali, prima s'imbeve, oltre il grado d’imbibizione che già presenta, e poi mano mano sì scioglie, tanto più quanto più concentrata è la soluzione acida (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di fisiologia di Napoli. (3) Pervenuta all'Accademia il 23 agosto 1913. (*) Questi Rendiconti (serie 5*), vol, 22, pag. 52 (1918). ee I N ———_n————————i as nh rr eee TTT — 184 — | | o alcalina. Durante l’azione dell’ acido cloridrico e, più evidentemente, della KOH, successivamente i granuli sospesi si rigonfiano, il liquido sopra- | i stante al materiale granulare, dopo sedimentazione, da limpido che era, diventa sempre più opalescente, e lo strato di sedimento sempre più alto, mentre la soluzione diventa sempre più vischiosa, finchè, a certe concentra- zioni del colloide e dell'alcali, essa si trasforma in una massa gelatinosa spessa e opaca. Noi possiamo, quindi, servendoci di questa miosina granulare, seguire le modificazioni di viscosità e di tensione superficiale che la sospen- sione in acqua pura subisce mentre che, sotto l'influenza degli acidi e degli alcali, il colloide, man mano imbevendosi e salificandosi (formazione di mio- sinato di potassio o di cloruro di miosina), passa allo stato di soluzione. Esperimenti simili di tensione superficiale uno di noi ha già fatto sulla siero- globulina ('), che è pure un colloide insolubile in acqua; ma questi, di cui riferiamo i resultati, sono almeno altrettanto interessanti, specialmente per la natura e provenienza della proteina. Come si vede nella tabella I, i sei esperimenti furono fatti con concen- trazioni crescenti di KOH da 0,010 a 0,060 moli per litro, e durarono da un minimo di 70 a un massimo di 234 ore. Così grande durata degli esperi- il) menti è necessaria per raggiungere il massimo di viscosità e oltrepassarlo, | cioè osservare diminuzione della viscosità dopo l'aumento fino al massimo, | perchè il processo di imbibizione e di soluzione della miosina, alla tempe- ratura dell'ambiente di circa 20° C. e alle dette concentrazioni della KOH, è relativamente lento. Avendo usato sempre lo stesso viscosimetro, e gli espe- rimenti essendo stati fatti a temperatura costante, i valori del tempo di deflusso misurato possono considerarsi come esprimenti le variazioni di vi- | scosità del liquido in ciascun caso. Il resultato è lo stesso, in ogni esperimento: aumento notevole della | viscosità col tempo, aumento che raggiunge valori altissimi quando la con- centrazione della soluzione di KOH e la quantità di miosina sospesa sono assai grandi. Ma un altro fatto resulta evidente dagli esperimenti prolun- gati per molte ore (per es., dagli esperimenti c, d, e, ed f): la viscosità, N raggiunto un massimo, torna a diminuire. il (1) Fil. Bottazzi, Rend. (serie 52), vol. 21, pag. 221 (1912). GEE 8 (07 | 8988 E pH | pece Gc eh | | | 18 e Th EF | 8/98 £ 9e

Numero delle gocce (valore acqua = 38,9) 0 0,01 0,02. 0,08. 0,04 0,05 Moli di sostanze aggiunte a 1 litro —> Fic. 2 Avendo già sopra accennato alle modificazioni che i granuli di miosina, insolubili in acqua, subiscono sotto l'influenza degli acidi e della KOH, cre- diamo di poter interpretare nel seguente modo i resultati ottenuti: La sospensione di miosina ha, come in generale ogni sospensione acquosa, una tensione superficiale poco differente da quella dell'acqua. Ma, come la proteina. si. viene sciogliendo, essa; abbassa la tensione superficiale del solvente... A. parità di concentrazione dell’ HCl e della KOH, l'effetto che RenpICcONTI. 19183, Vol. XXII, 2° Sem. 26 — 190 — questa produce è assai maggiore di quello che produce l'acido, perchè mag- giore è il suo potere solvente. L'abbassamento della tensione snperficiale si inizia piuttosto lentamente, e decorre da prima presso che egualmente sotto l'influenza dell’acido cloridrico e della KOH, poi procede velocemente, e quindi subisce, alla concentrazione di 0,02 moli per litro, un nuovo rallen- tamento, assai più cospicuo per l'acido che non per la base. A che cosa siano dovute le inflessioni delle due curve, però, è difficile dire. Un minimo di tensione superficiale non fu raggiunto per la KOH. Rimane, dunque, novamente dimostrato che /e sostanze proteiche în solu- sione abbassano notevolmente la tensione superficiale dell’acqua. Per quanto riguarda l'influenza dell'acido lattico, abbiamo voluto inda- gare che potere ha esso stesso di modificare la tensione superficiale del- l'acqua, potere che può essere del tutto trascurato per l’HCl e la KOH. La seguente tabella V dimostra che l'acido lattico abbassa la tensione superficiale dell’acqua. Se si considera, però, che le concentrazioni, alle quali fu fatto agire sulla miosina (0,01 - 0,05 moli per litro), stanno tutte al di sotto della minore concentrazione (0,11 moli per litro) indicata in questa tabella, si deve ammettere che l'abbassamento della tensione super- ficiale della sospensione sotto l'influenza dell'acido lattico è dovuto princi- palmente al dissolversi (lento) della proteina, come negli altri casi. TABELLA V. Moli di acido lattieo | Numero per litro delle gocce 0,00 | 38,9 0,11 39,7 0,21 40,8 0,39 | 42,4 0,78 45,1 0,98 | 46,3 1,30 | 48,3 1,56 | 48,8 1,95 51,0 2,60 | 53,3 3,90 58,0 7,80 70,4 5. Quando si filtra il succo muscolare, dopo aver provocato l'agglutina- zione del materiale granulare in esso originariamente sospeso, si ottiene un filtrato gialletto limpidissimo che, per quanto riguarda la sua costituzione — 191 — colloidale, può considerarsi come una soluzione di mioproteina (*). Abbiamo voluto determinare la tensione superficiale di questo filtrato, sia puro, sia dopo averlo diluito con un volume eguale di soluzioni variamente concen- trate di HCl e di KOH. I resultati ottenuti sono raccolti nella seguente tabella VI. TABELLA. VI. (Numero delle gocce per H:0 = 38,9). Moli di HCl Numero Moli di KOH Numero aggiunte a 1 litro delle aggiunte a 1 litro delle di soluzione gocce di soluzione gocce Soluz. limpida . . . . 0,00000| 47,6 || Soluz. limpida. . . . 0,00000 | 48,1 n. limpida. . . . 0,00098| 477| » limpida. . . . 0,00089| 48,1 ” un po’ torbida. . 0,00396 | 50,0 ” limpida. . . . 0,00412 | 48,0 n torbida. . . . 0,00785| 5038 | » limpida. . . . 0,00834| 479 | » notevolmtetorbida 0,0148 51,0 nic limpida e (0001438 48/0 ” ” torbida 0,0500 53,1 || Nella soluz. sì è formato | un precip.!° cristallino 0,0500 48,2 Come si vede, la tensione superficiale del liquido è già notevolmente bassa, il che è dovuto così al fatto che il liquido contiene una proteina allo stato di perfetta soluzione. come anche al fatto che vi si trovano altre so- stanze capaci di abbassare la tensione superficiale dell'acqua (acido lat- tico, ecc). La tensione superficiale non si moditica in modo degno di nota per l'aggiunta di KOH nella quantità variabile da 0,00089 a 0,0500 moli per litro; il liquido rimane sempre limpido. Per contro, non appena l'acido cloridrico raggiunge nel liquido la concentrazione di 0,00396 moli per litro, il liquido incomincia a intorbidarsi e la tensione superficiale di esso ad abbassarsi. Aumentando la concentrazione dell'acido fino a 0,0500 moli per litro, come più cospicuo diventa l'intorbidamento del liquido, così «più s'abbassa la sua tensione superticiale. L'intorbidamento è dovuto a pre- cipitazione della mioproteina, operata dall'acido. Se questo fosse stato ag- giunto in quantità maggiore, la mioproteina precipitata si sarebbe di nuovo sciolta: ciò resulta da precedenti esperienze di Bottazzi e. Quagliariello (*). (*) Arch. intern. de physiol., vol. 12; pp. 236, 289 e 409 (1912). Ved. anche: Fi- lippo Bottazzi, Rendic. R. Accad. dei Lincei (serie 5%), vol. 21, pag. 493 (1912). (2) MMoc#citi — 192 — Nel caso nostro, l'acido rimase al di sotto della concentrazione necessaria per ridisciogliere il precipitato di mioproteina. Come si spiega, dunque, l'abbassamento di tensione superficiale che produce l'acido cloridrico @' che sì manifesta insieme con la parziale precipitazione della mioproteina? La spiegazione più verosimile ci sembra questa: che i due’ fenomeni siano solo concomitanti, non legati fra loro da nesso causale, e che l'acido cloridrico, più forte, metta in libertà sostanze capaci «di abbassare notevol- mente la tensione superficiale. anche se in piccolissima quantità, come per esempio qualche acido grasso, lo stesso acido lattico, ecc. Chimica. — o spettro di assorbimento della santonina bianca e gialla (*). Nota del Corrisp. ARNALDO PIUTTI (?). Il fatto di poter praticamente differenziare mediante gli spettri di: as- sorbimento quegli isomeri fisici che presentano le due colorazioni bianca e gialla, da quelle sostanze che, pure mostrando eguale diversità di colore, sono con loro chimicamente isomeriche (*) m' indusse a studiare il caso notis- simo, ma particolarmente interessante, della santonina, tanto più che al riguardo le nostre attuali cognizioni sono molto limitate. Quando nel 1830 Kahler (4) ed Alms (5), nell'estratto etereo del Semen contra, scoprirono quasi contemporaneamente questa interessante sostanza, notarono la singolare proprietà. da essa posseduta, di colorarsi in giallo nei raggi solari; ed H. Trommsdortî (°). più tardi, dimostrò che tale azione era specialmente dovuta ai raggi violetti ed azzurri. Heldt (’), osservando sotto il microscopio tale ingiallimento, notò che esso avveniva con rottura dei cristalli secondo piani normali al loro asse longi- tudinale; ma nè io stesso, nè il dottor Ranfaldi, assistente di. mineralogia in questa Università, che pregai di ripetere con me. tale osservazione, po- temmo confermare il fenomeno (5); conclusione alla quale anche il Monte- martini precedentemente era pervenuto (°). ( (2 ( ( ( ( ( ( 8) Il dott. Ranfaldi, esaminando un cristallino limpido, trasparente e perfettamente omogeneo, non osservò alcuna stria, nè prima, nè durante, nè dopo la sua ‘esposizione, per la durata di tre ore circa, ai raggi diretti solari. Esaminando inoltre un gruppo di cristallini laminari sovrapposti in associazione parallela, potè constatare che, lasciando inalterato l'ingrandimento e facendo variare la intensità luminosa del campo e l’angolo d'incidenza dei raggi (servendosi a tal uopo di un’apposita lente che concentrava sul campo ottico i raggi solari), quelle strie normali all'asse longitudinale, notate dall’ Heldt, si rendevano ra visibili ed ora no; ma nuove strie non comparvero durante il periodo dell’esperienza. (?) Gazz. chim., 92, 325. — 193 — L'ingiallimento della santonina, secondo Heldt, ha luogo anche in atmo- sfera d'idrogeno, onde va esclusa un’eventuale azione, su di essa, dell'ossigeno dell'aria, ed egualmente sì verifica, secondo Berzelius (*’), nei comuni sol- venti. Prolungandosi l'azione dei raggi solari sulle soluzioni alcoliche, Sestini (*) trovò che, insieme con poco acido formico e sostanze resinose, si produce la fotosantonina o fotosantonato dietilico, riconosciuto più tardi dal Villa- vecchia come etere monoetilico del lattone fotosantonico (*), accanto al quale Cannizzaro e Fabris trovarono che nelle soluzioni acetiche esposte alla luce si forma anche un altro acido isomerico, l’acido isofotosantonico (*). Questi due acidi sono incolori e contengono un solo anello benzinico; la loro formazione, secondo L. Francesconi ed L. Venditti (*), avviene esclu- sivamente per azione della luce (°), per modo che « 7 doppî legami, che si trovano nell'anello A della santonina, si trasportano nell'anello B, ed il prodotto intermedio che si genera, trovandosi in presenza di acqua o di altri solventi, ne addiziona gli elementi, per cui il primo dei due anelli st apre fra il carbonile ed il metilene » (?), secondo lo schema: CH3 CH; | | CACHss CH CH TELO NA SB ON ped A | B | | — > sescelleneno | | H—CH— | À LL steso) MESE E CH—C0 HC WAaCA È CO n CH» CH, pr CH CH, CH, CH3 Santonina Composto intermedio 74 | CH, | CH. CH CH;—CH CH 7, H,07 \N/XcHoH HOH.C7 \NZXcH--0H H0OOC - CH-CH— HC — CH— N Tre COOH (0) ERA a CH—C00H I CH CH, Pr, CH CH, CH; CH; Acido fotosantunico Acido isofotosantonico (') Traité de chim., tom. V, pag. 495, Paris, 1849. (*) Bull., 1864, II, 21; 1865, I, 271; 1866, I, 202. Repert. ital. di chim..e farm., del prof. Fasoli, Firenze, 1865. (*) Rend. Accad. Lincei, I, 921 (1885). (*) Rend. Accad. Lincei, 1886, pag. 448. (5) Gazz. chim., 32, I, 281. (9) Gazz. chim. 32, I, 296. (*) Mem. Soc. dei XL, serie 3%, tom. XIII, pagg. 111 e 116. — 194 — Ma. siccome la soluzione della santonina esposta alla luce, dapprima ingiallisce e solo in seguito, quando cioè tutta la sostanza si è trasfor- mata negli acidi foto- ed isofotosantonico, ritorna incolora, i citati Autori ritengono che « la colorazione gialla assunta dalla santonina esposta alla luce sia dovuta al composto intermedio ». Nello stesso tempo C. Montemartini (') studiava comparativamente, dal punto di vista fisico e chimico, le due forme bianche e giaile, quest’ultima denominando « cromosantonina » ed ad essa assegnando una delle due seguenti formole di struttura: CH, CH, | | CALGH eolcH. Ji Y di Hdi) HAY ops I vu | HE Cau SARE (I od, 208 o CO oc A 70H-0H_00 i ca i Ri CH, CH, I II le quali, come si vede, da quella proposta da Francesconi e Venditti differi- scono solamente per la posizione dei doppî legami. Non è mia intenzione di seguire ì citati autori nei loro ragionamenti in favore dell'una o dell'altra formola di struttura di questa santonina gialla, e neppure di discutere se in questo caso possa ritenersi provato un qual- siasi trasporto di legami etilenici per azione della luce. Tale quistione è tutt'altro che chiara, dopo il lavoro di Angeli ed L. Marino (*) che mette in dubbio la struttura fondamentale della santonina e gli altri più recenti, di H. Wienhaus e W. F. von Oettingen (5), e di E. Wedekind ed E. Begnier (4), che appoggerebbero invece l'ipotesi strut- turale di Cannizzaro. Io mi limiterò in questa Nota ad esporre alcune esperienze che ho fatte sugli spettri d’assorbimento delle due forme dianca ed ingiallita della san- tonina, tanto più che le poche notizie dateci dal Montemartini al riguardo (*) sì riferiscono solamente allo spettro visibile e devono considerarsi come preli- minari; mentre gli spettri d'assorbimento del Meyer (°), che pure in diversi (1) Gazz. chim., 32, I, 325. (*) Rend. Accad. Lincei, 1907 (XVI), I, 159; Mem. Accad. Lincei, serie 52, vol. V1 fasc. 13, pag. 61. (3) Lieb. Ann., 397 (1913), 219. (4) Lieb. Ann., 397 (1913), 246. (&)MGazzAiichims 092 VIEN9278 (5) Archiv. d. Pharm. XIII, 413 (1878). — 195 — trattati si riportano come dovuti alla santonina, non si possono certamente attribuire ad essa, essendosi adoperate soluzioni in acido solforico concentrato (D=1.84), lentamente scaldato sino all’ inizio dell’arrossimento, cioè in con- dizioni nelle quali non è presumibile che tale sostanza rimanga inalterata. METODO DI LAVORO. Il metodo di lavoro seguìto per lo studio degli spettri di assorbimento è stato, con qualche modificazione introdotta dello spettrografo Hilger a prismi di quarzo (modello grande C), per ottenere almeno venti spettri sulla medesima lastra, presso a poco quello già descritto nella Nota Sulle ero- moîsomerie ('). Per la fotografia degli spettri d’assorbimento adoperai da principio l'arco del ferro come sorgente luminosa, prestandosi esso meglio allo scopo, come risulta dalle ricerche di Baly e Desch (*), che non quello ottenuto cogli elettrodi della lega stagno-cadmio-piombo, adoperati in pre- cedenza dall’ Hartley (*). Ma avendo osservato l'inconveniente della varia intensità delle immagini, causate dalla incostanza dell'arco, la quale dipende dalla formazione di ossidi che, fondendo all’estremità degli elettrodi, accu- mulandovisi e talvolta scorrendo lungo di essi, ne fanno variare continua- mente la resistenza, prima di procedere nelle mie indagini, ho voluto cer- care, coll'aiuto del mio assistente dottor Quercigh, se in altro modo si po- tessero ottenere risultati più soddisfacenti. Tenendo presente che le luci fornite dalle fiamme ordinarie o dalle ossidriche per introduzione di sali metallici o di ossidi, come pure quella della lampada spettrale di Beckmann (‘), possiedono intensità luminosa troppo piccola, e che d'altra parte i tubi di Geissler o le varie lampade a vapori di mercurio, di piombo, di cadmio o di altri metalli, proposte ed adoperate dai varii Autori (*), forniscono uno scarso numero di righe nell’ultravioletto e che tentativi in altre direzioni per ottenere una buona sorgente luminosa rimasero fin qui senza risultato, non ho creduto di abbandonare per ora l'arco voltaico, ed ho studiato solamente con quali elettrodi ed in quali con- dizioni potevansi avere le migliori negative fotografiche. A rigor di termini, le sorgenti Inminose da preferire, come quelle che dànno spettri continui; sarebbero state la lampada Nernst o l’arco del car- bone; ma la prima mal si presta allo scopo per la temperatura poco elevata che la superficie d'emissione raggiunge in confronto di quella dell'arco, perchè dà, come è noto, uno spettro che non si estende al di là di 3000 U. A. (1) Memorie Reale Acc. Lincei, classe se. fis. mat. e nat., serie 5%, vol. VII, pag. 793. (*) Trans. Chem. Soc., 85 (1904), 1039. (3) Phil. Trans., 170 (1879), 257. (4) Zeitschr. f. phys. Chem., 57, 641; Wood Phil. Mag., VI, 5, 257. (5) Heràus Ann. d. Phys., 20 (1906), 563; Lummer Zeitschr. f. Instrumk., 27, 201; Hartmann Zeitschr., f. wiss. Photogr., I, 259. — 196 — (adoperando lastre pancromatiche di Wratten e Wainwright), mentre col ferro si arriva a 2200 U. A., anche con durate d'esposizione relativamente brevi; inoltre, essendo, cogli spettri continui, i limiti di assorbimento molto sfumati, non si riesce ad una rapida costruzione delle curve, essendo necessario di ricorrere a lunghe misure spettrofotometriche per ottenere tale scopo. Gli archi ottenuti cogli elettrodi di carbone diversificano fra loro a se- conda della quantità e natura delle ceneri che contengono, talchè la conti- nuità dello spettro con essi ottenuto è interrotta da numerose righe, talune molto appariscenti. Ho dovuto perciò anzitutto fare analizzare alcuni campioni del com- mercio dalla mia assistente dottoressa Giulia Wautrain Cavagnari, allo scopo di scegliere e adoperare quelli che contenevano minor quantità di cenere e di sostanze volatili. Nella seguente tabella sono riportati i risultati analitici da essa ottenuti: MARCA | Umidità | Ceneri | SO | COS VENIssieuxi O CSI 6.20 °/o 5.14 9/o 2.18/o 91°9810/a ATTOUTOrNORR O LIO ALII 1.05 » 10.35 » 4.31 » 83.29 » NATI Ci a 0.10.» 4.18 » 0.90 » 94.82 » VENISsIcUur LOVE 0.20 » 6.20 » 2.00.» 91.78. » BNL E ROSOR 0.10 » 1.00 » 045 » 98.45 » In base a questi dati analitici, il carbone prescelto fu quello della ditta Henrion di Nancy in bacchette da 0.6 mm., disposte ad angolo retto in una lampada Zeiss per ultramicroscopio; ma nonostante la piccola proporzione di ceneri, lo spettro fornito presenta ancora alcune righe, molto intense, specie dei metalli alcalini che principalmente lo costituiscono, come risulta dalla analisi quantitativa fatta sulle stesse dalla signorina Wautrain: Si 0, 11.86 °/ Al, 03 002105 Fe 0.24 °/ Alcali 83.52 °/ Tali righe per la loro difficile assorbibilità da parte delle soluzioni, ven- gono a deformare l’aspetto reale delle curve d'assorbimento assai più che non lo facciano quelle del ferro che sono più uniformemente intense, ren- dendo così tale arco poco adatto allo scopo, come risulta dal confronto di «curve di assorbimento della stessa soluzione fatte con elettrodi diversi. — 197 — Si rendeva perciò necessario di ridurre, da un lato il tempo di posa per in- debolire dette righe e contemporaneamente aumentare il numero di queste. Coll’introdurre in un foro dell'elettrodo verticale polveri costituite da varî metalli (manganese, cromo, molibdeno, tungsteno, rame, ferro, ecc.), non si ottengono buoni risultati poichè le negative riescono poco uniformemente impressionate, scoccando spesso l'arco tra i soli carboni, con esclusione delle polveri metalliche; fu perciò provata l’imbibizione dei carboni stessi con soluzioni saline, le quali dal carbone Henrion vengono assorbite abbastanza facilmente quando esso venga riscaldato al rosso e successivamente immerso nelle stesse. Adoperando soluzioni di cloruro ferrico e ripetendo un paio di volte l’arroventamento e la successiva immersione, esso risulta sufficiente- mente impregnato d'ossidi metallici e dà un arco costante, ricco di linee, anche con posa brevissima; ciò che rappresenta un notevole vantaggio sugli ordinarî elettrodi di ferro. Furono sperimentati inoltre elettrodi di ferro accoppiati al carbone, nel qual caso la formazione di ossido è molto limitata e la costanza dell’arco anche raggiunta in modo soddisfacente. Adoperando, invece del ferro solo, le sue leghe col eromo, col manga- nese, col tungsteno (fornite dalla ditta Koònigswarter e Ebell di Linden), si ottengono buone fotografie di spettri che coincidono discretamente con quelle ottenute con elettrodi di ferro solo o di ferro accoppiato al carbone; ma quest'ultima combinazione è preferibile a tutte le altre poichè non dà luogo a proiezione di ossidi incandescenti che perturbano le immagini fotografiche. In seguito a queste esperienze, ho perciò adottato, nelle ricerche che in seguito descriverò gli archi ottenuti con elettrodi di carbone Henrion impre- gnati di ossidi di ferro, o con un elettrodo orizzontale di carbone (polo po- sitivo) ed uno verticale di ferro (al polo negativo), riservandomi in seguito lo studio di altre sorgenti, per le quali le attuali condizioni del mio labo- ratorio non sì prestano affatto. OSSERVAZIONI CON LA SANTONINA. Anzitutto venne eseguita una serie di esperienze per vedere come: va- riavano gli spettri d’assorbimento col progredire delle trasformazioni dovute alla luce solare. Confrontando lo spettro della santonina bianca con quelli ottenuti dal ‘medesimo campione esposto più o meno lungamente al sole, si vede subito che differiscono tra loro, e che tale diversità si accentua coll’ ingiallimento, il quale, a sua volta, è proporzionale alla durata dell'esposizione. Per seguire un po’ da vicino tale fenomeno, ho pesato alla luce rossa della camera oscura, la quantità di santonina bianca occorrente (gr. 0,123) ) taz: LN 13 per ottenere con 50 ecm. di alcool assoluto soluzioni 100? © tali quantità RENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 27 — 198 — vennero introdotte in diversi palloncini da 50 cm.”, sciogliendole poscia nelle minor quantità possibili di alcool assoluto caldo. Raffreddando queste soluzioni mentre si facevano ruotare i palloncini sopra se stessi, la sostanza si depone in minuti cristalli sulle pareti interne e, svaporando ciò che resta del liquido nel vuoto, in essicatori neri contenenti pomice.imbevuta di acido solforico concentrato, si ottiene uno strato, molto sottile, di santonina. unifor- memente distribuita nell'interno dei palloncini medesimi, alcuni dei quali vennero esposti, per un tempo determinato, all'azione dei raggi solari, proteg- gendoli dalle radiazioni calorifiche mediante uno schermo di vetro violetto, mentre gli altri rimasero all'oscuro per i confronti. Già dopo un'ora di sole i cristallini di santonina sono decisamente in- gialliti, e, disciolti nella quantità di alcool assoluto occorrente a dare la soluzione 100° forniscono lo spettro di assorbimento II della fig. 1, diffe- rente da quello dato dalla soluzione dei cristallini rimasti all'oscuro ed in- dicato dalla curva I della stessa figura. Con santonina che in condizioni identiche venne esposta al sole per tre ore, la curva ottenuta è già spostata rispetto alla precedente, dando luogo ad un maggiore assorbimento dello spettro del ferro, come appare dalla curva III della fig. 1. Aumentando successivamente di un'ora la durata dell’ esposizione, si ottenne nel modo indicato tutta una serie di curve di assorbimento, le quali si spostano sempre di meno nella stessa direzione, e questo sino a rag- giungere un massimo che non viene oltrepassato per ulteriore azione della energia luminosa. i Così, dopo nove ore di sole, l'assorbimento è rappresentato dalla curva IV, e, dopo trecento ore, dalla curva V (fig. 1). I Adoperando come solvente l’alcool acquoso invece che l'alcool assoluto, oppure il benzolo, le differenze osservate negli spettri d'assorbimento di una stessa forma sono molto piccole, poichè sono deboli gli assorbimenti del sol- vente e non hanno praticamente influenza sopra quello della sostanza disciolta. Come era già stato constatato prima da Berzelius (') e posteriormente da altri, le soluzioni di santonina in varî solventi esposti all’azione dei raggi solari, ingialliscono egualmente. Questo progressivo aumento nel potere assor- hente fu da me seguìto, in modo particolare, per il caso delle soluzioni acetiche. Seguendo l’azione dei raggi solari sopra di esse mediante gli spettri di assorbimento si può accertare che l'ingiallimento, come del resto era preve- dibile, è molto più rapido di quanto si verifica alla santonina esposta al sole, per la stessa durata, sotto forma di polvere. Infatti una determinata quantità di santonina bianca, sciolta nell’acido acetico di densità 1.050 a 21°, venne esposta al sole in recipiente chiuso. Ad intervalli regolari se ne (!) Loc. cit. N 10.000 Logaritmi degli spessori in mm. di soluzioni — 199 — i + TH IE ina ERRE aaa + GIO 800 2000 200 400 600 300 3000 200 Azione della luce sulle solusioni alcooliche di Santonina. I. Santonina bianca II. VI. Santonina ingiallita, incristallizzabile (1 anno al sole). » ” » ” »” FREQUENZE esposta per ” ” » Fic. I. 1 ora al sole 3 ore 9 300 » »” n ” » Spessori delle soluzioni in mm. — 200 — T Men TR } 4 IL DIS dle PESA Ea ind Lo ? EE DID iso aci IE e Ii 06 8099 OO DE III SEE oe |I4I LL | [30000 Î Î CREO ee po i ||| [zon0g | © i = R Zi S, Da Spessori delle soluzioni in mm. Logaritmî degli spessori in mm. ‘di ‘soluzioni trp Adi : m + "x: GIO 800 2000 200 #00 GO 300 3000 200 400 GUO 800 2000 200 40 FREQUENZE Azione della luce sulle soluzioni acetiche di Santonina. | I. Santonina bianca III. ” » dopo 13 ore di esposizione al sole lì IV. 3 > dC a P n | VE » » » 113 » » D) H XIV. Acido fotosantonico. il Fre. 2. sd N 000 Logaritmi degli spessori in mm. di soluzioni 1 — 201 — ni LI i i Ì di ae COD TORE I 4 L_ Lic LR LE DILESA jo al JC E |5 % 600 800 3000 200 400 G00 800 4000 200 400 GOO 800 SO00 20 400 FREQUENZE Azione della luce sopra soluzioni acquose di: a Urea b Asparagine ce Acido lattico Fia. 3. Spessori delle soluzioni in mm. Hi — 202 — prelevarono porzioni che, convenientemente diluite, in modo da raggiungere N a . . 100 °° 1000” fornirono soluzioni che furono adoperate per ottenere gli spettri di assorbimento. i Nella fig. 2 sono riportate alcune delle numerose curve ottenute, le quali dimostrano il progredire della trasformazione; mentre la curva I rappresenta ll l'assorbimento della soluzione appena preparata, al riparo dalla luce, e quindi Il contenente solo santonina bianca, la curva III mostra che dopo 13 ore di esposizione l'assorbimento è già profondamente modificato, la curva IV cor- risponde ad un'esposizione di 83 ore, la V a quella di 113. È noto che le soluzioni acetiche di santonina esposte alla luce forniscono come prodotti di trasformazione, l'acido fotosantonico e l’isofotosantonico (1). L'andamento delle curve di assorbimento sopra menzionate conferma la supposizione che a tali composti finali si giunga attraverso prodotti inter- medî di struttura più complicata; ma se si osserva lo spettro di assorbi- mento dell'acido fotosantonico (col quale ho solamente potuto fin qui speri- mentare, e che è rappresentato dalla curva | XIV della fig. 2), si rimane colpiti dal fatto che le sue soluzioni sieno così trasparenti ai raggi ultra- violetti, mentre la santonina lo è assai meno, e precisamente in ragione \ inversa della sua esposizione al sole, sino però a raggiuugere, nel caso in esame, un certo equilibrio determinato dalla produzione degli acidi isofoto- î santonico e fotosantonico. (i La trasparenza di quest’ultimo acido (e con molte probabilità quella Ill dell’altro) potrebbe servire a spiegare appunto tale equilibrio. L'azione della il luce sulla santonina, che con l'isolamento dei diversi prodotti aventi una più ia semplice struttura era già stata chimicamente delineata, vien così suffragata con gli spettri di assorbimento dell'arco del ferro, senza però che sia dato di conoscerla nella sua intima essenza. | Ho in corso esperienze per contribuire in qualche modo alla risoluzione | di tale non facile problema; ma intanto mi sembra di poter dire che le | curve di assorbimento, in generale, non solo giovano come indici delle avve- | nute trasformazioni in quei casi ove riesce difficile od addirittura impossibile Ì la separazione dei prodotti, ma possono eziandio utilizzarsi per seguire quelle che avvengono in composti nei quali, come la santonina od altri (*), la ca- tena si rompe tra il gruppo chetonico ed il metilenico, e probabilmente anche in quelli nei quali tali nuclei invece si formano. La trasparenza dell'acido fotosantonico confrontata con quella della san- tonina conduce inoltre a pensare che gli ultimi prodotti di scissione operati | dalla luce, come quelli delle regressioni organiche, debbono necessariamente 1 essere molto trasparenti, ciò che ho potuto effettivamente constatare colle bi i le normalità abituali HE ed " (1) Gazz. chim., 32, I, 297. (?) Ved. Ciamician e Silber, Actions schimigues de la lumière, Ann. chim. phys., série VITI, tom. 16 (1909), pag. 474. — 203 — asparagine, coll’acido lattico, coll'urea, sostanze che lasciano passare quasi tutte le radiazioni dell'arco del ferro. Le curve di assorbimento di tali sostanze sono disegnate nella figura 3, ed è notevole quello dell’urea rappresentato da una retta, anche con concen- trazioni abbastanza forti. È mia intenzione di illustrare, in seguito, questo concetto della traspa- renza dei materiali di rifiuto. Intanto, però, non voglio chiudere questa Nota senza dire di alcune altre ricerche che riguardano il fatto giù menzionato da altri (ved. anche Mon- temartini, loe. cit.), che la reazione, cioè, per la quale dalla santonina bianca sì ottiene, mediante la energia luminosa, la forma gialla, sia, almeno per quanto concerne il risultato finale, capace di retrocedere qualora la santonina gialla venga bollita all’oseuro con alcool di determinate concentrazioni. Se effettivamente tale reazione inversa si effettuasse, essa potrebbe venir posta elegantemente in evidenza dall'esame dello spettro di assorbimento di una soluzione alcoolica della santonina gialla, eseguito prima e dopo un de- terminato periodo di ebollizione all'oscuro. A tale scopo venne preparata, in uno dei modi accennati, una soluzione di santonina ingiallita al sole. Dopo fattone lo spettro d'assorbimento alle con- centrazioni solite, la soluzione venne bollita a ricadere nella camera oscura per un'ora e mezzo, tempo più che sufficiente, secondo le attestazioni dei precedenti sperimentatori, perchè avvenga la trasformazione. — Lo spettro di assorbimento ad ebollizione compiuta fu identico a quello fotografato prima dell'ebollizione. Anche lasciando in riposo, all'oscuro, per parecchi mesi tali soluzioni, i rispettivi spettri rimasero identici. — Questo fatto, messo in relazione con l'osservazione, più volte ripetuta, che la trasformazione operata dalla luce sui cristalli di santonina è molto superficiale, e tale rimane anche dopo un'esposizione molto prolungata, poichè il nucleo interno dei mede- simi è protetto dalla stessa colorazione che assume la superficie esterna, permette di venire alla conclusione che la santonina bianca, la quale cri- stallizza dopo l'ebollizione all'oscuro, non sia altro che quella rimasta inal- terata nel nucleo dei frammenti, e che nessuna trasformazione avvenga per la menzionata ebollizione. Se poi si considera che l’ingiallimento della santonina bianca esposta al sole comincia già dopo pochi minuti, e dopo qualche ora, ha tutto l'aspetto di essere completo, mentre invece — come lo studio sistematico degli spettri d’assorbimento in relazione con la durata dell'esposizione dimostrò — non è tale, anche dopo molto tempo, l'ipotesi avanzata non sembra veramente priva di fondamento. Ad ogni modo, a sua conferma, ho voluto studiare lo spettro di assor- bimento di un campione di santonina esposto al sole, fra due lastre di vetro, per la durata di un anno. Con successive cristallizzazioni frazionate dall'alcool acquoso, separai quanta santonina bianca era possibile; in ultimo rimase un notevole residuo — 204 — resinoso, colorato fortemente in giallo-bruno, incristallizzabile dai varî sol- venti, solubile facilmente nell’aleool, e che fu mantenuto nel vuoto secco sino a costanza di peso. Di questo prodotto furono prelevati gr. 0.123, cioè la quantità necessaria per formare, con 50 ecm? di alcool assoluto, una solu- ; N È zione 700? nell'ipotesi che tale sostanza avesse un peso molecolare non dis- simile da quello della santonina; e ne fu fatto lo spettro d’assorbimento con le solite modalità. La curva VI (della fig. 1), che lo rappresenta, è naturalmente più spo- stato verso il violetto che non tutte le altre santonine ingiallite esaminate in precedenza, essendone stata tolta la parte bianca con le cristallizzazioni. Ciò confermerebbe anche il fatto che il maggiore o minore assorbimento nella zona ultravioletta è dovuto alla maggiore o minore proporzione della sostanza gialla formata per azione della luce. E che effettivamente questa sostanza gialla non sia più capace di ridare la santonina bianca anche con la prolungata ebollizione nell’alcool, ho dimo- strato facendola bollire a ricadere in questo solvente per dieci ore all'oscuro, e poi facendone lo spettro d’assorbimento, il quale risultò identico a quello ottenuto prima dell'ebollizione. Una successiva ebollizione di venti ore od anche di 40 ore non portò alcun cambiamento nello spettro d’assorbimento di tale sostanza, che avrebbe dovuto essere molto influenzato dalla presenza di santonina bianca se questa si fosse veramente rigenerata nel modo sin qui ritenuto. Del resto, a maggior conferma dei fatti osservati, porzioni eguali (gr. 5) di santonina bianca pura, di santonina esposta per 40 ore al sole, e di san- tonina ingiallita per 300 ore d'esposizione, vennero cristallizzate separata- mente da quantità eguali (gr. 20) di alcool a 60°, coi seguenti risultati: — dA —- RT Prodotto della I? cristallizzazione | Prodotto della II cristallizzazione MIA bilo SOSTANZA aspetto | °/o | DIS! aspetto | °/o | PARES aspetto °/o Santonina bianca PUrast ae bianca 83 IAO bianca 17 1699,5 -- = Santonina con 40 ore di sole... |giallastra| 75 |164.5-169 | giallastra] 20 | 120-135 | bruna bd) 3 È E giallastra Santonina con 300 3 ore di sole . .. |giallastra| 69 | 149-162 » 22 | 100-131 ” 9 Pare dunque, per il momento, poco fondata l’asserzione di una trasfor- mazione per ebollizione della santonina gialla in bianca. Ringrazio il dott. Emanuele Quercigh per l'aiuto che mi ha dato nella esecuzione di questo lavoro. — 205 — Zoologia agraria. — Notizia preliminare di un Tetrasti chus (Imenottero Caleidide) parassita di specie di Ceratitis e Dacus nell'Africa occidentale. Nota del Corrispondente F. SIL- VESTRI ('). Durante il viaggio da me compiuto nell'Africa occidentale per scoprire parassiti delle mosche dei frutti dei generi Cerazitis e Dacus, per incarico del Governo delle isole Hawaii e coll’approvazione del nostro R. Ministero d'Agricoltura, trovai nella Nigeria, in novembre, una specie di 7etrastichus parassita della Ceratitis stictica Bezzi e della C. Giffardir Bezzi; più tardi, in gennaio, ottenni lo stesso parassita da pupe di Dacus cucumarius Sack nel Camerun, da pupe di Cerazitis nella Costa d'Oro e infine ancora da C. Giffardii nel Dahomey. Sembrando che questo Tetrastichus non sia stato ancora descritto, ne dò qui ì caratteri e le notizie principali. Tetrastichus Giffardit sp. n. Corpo di colore nero a riflessi nero-azzurrognoli, colle antenne olivacee, le ali ialine a nervature ferruginee, le tibie e i tarsi di tutte le zampe giallo- ferruginei. La superficie del corpo è liscia; solo osservata a forte ingrandimento appare finemente reticolata. Il capo è poco più largo (compresi gli occhi) del torace e poco più largo che alto. Gli occhi sono forniti di pochi peli corti e sparsi. Le antenne hanno lo scapo circa */3 più lungo che largo e circa la metà più lungo del pedicello; la clava (compreso l'apice) è quasi tanto lunga quanto il funicolo. Lo scuto del torace ha un solco mediano appena visibile e talora in gran parte affatto indistinto, ed è fornito, sopra ogni lato, di tre setole. Il metatorace ha una leggera carena mediana. Gli spiracoli sono rotondi. Le ali anteriori sorpassano di poco l'apice dell'addome; hanno la vena stigmatica lunghetta e terminata un poco a capo d'uccello. L'addome è poco più corto del capo e del torace presi insieme, ovale, colla parte posteriore acuta. Lunghezza del corpo mm. 1.6 -2. Il maschio è un poco più piccolo della femmina ed ha lo scapo delle antenne poco più del doppio più lungo del pedicello e fornito nella parte ante- (*) Pervenuta all'Accademia il 20 agosto 1913. [0] DD RenNpICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem, — 206 — riore interna di una carena, che è lunga quasi quanto la metà di tutto lo scapo, porta una lunga setola e mostra una serie di sensilli vescicolari in numero di circa 16; gli articoli del funicolo e della clava sono allungati e sono provvisti di lunghe setole. Dedico questa specie al sig. W. M. Giffard, presidente dell'Ufficio agrario del Governo territoriale delle isole Hawaii, in segno della mia riconoscenza per l'interessante viaggio. di cui volle darmi l’incarico. Questo Zetrastichus compie l'ultimo stadio larvale nella pupa delle mosche dei frutti, nella quale si trasforma a sua volta anche in pupa. Da ogni pupa di Ceratitis o di Dacus infetta di Tetrastichus si otten- gono da 15 a 34 individui di 7efrastiechus (per quanto almeno io ho 0s- servato). Il parassita non deposita le uova nelle pupe, nè nelle larve delle mosche già approfondite nei frutti, ma nelle loro uova o nelle larve neonate o gio- vanissime. Se una femmina di 7e/rastichus depositi un uovo, e da questo, pel noto fenomeno della poliembrionia, si ottengano gli individui che si contano in un pupario di mosca, o depositi tante uova per quanti individui debbono svi- lupparsi, è cosa da studiarsi. Meccanica. — Ze ipotesi sugli sforzi interni nei mezzi, pon- derabili, isotropi. Nota I di UMBERTO CRUDELI, presentata dal Socio T. Levi-CIviTAa ("). Nella teoria ordinaria delle piccole deformazioni dei solidi elastici, le relazioni, che legano le componenti degli sforzi interni specifici alle com- ponenti di deformazione, sono, come è ben noto, relazioni lineari. E, nell’or- dinaria teoria dei liquidi viscosi e dei gas viscosi, sono lineari le relazioni che legano le componenti degli forzi interni specifici alle velocità di defor- mazione. Più precisamente, se, nella prima di coteste teorie, indichiamo con Xx, Ya, Zx; 1, X:,Yz,Z, le componenti dei suddetti sforzi, e con w, v,w le componenti di spostamento, e se, nella teoria dei liquidi viscosi e dei gas viscosi, con le medesime lettere indichiamo rispettivamente le componenti degli sforzi interni specifici dovuti a viscosità e le componenti di velocità, e poniamo, in entrambe, (') Pervenuta all'Accademia il 28 agosto 1913. — 207 — si hanno, per i mezzi isotropi, le relazioni dU Xi AO HT Qu Y, = 20425 Z, = 20642 dv du x,=te=#(3+35) w 12) Va, = Zy= a dU dw n= X=s( +0). qualora non si ammetta l’esistenza di momenti specifici di massa (*). Invece, si hanno le seguenti relazioni : (2) TS dU ei M20 — 40 + 2u xa dU a = 70 D —s Yy + 24 y 2, — 6 +22 mele ta) ) Lea talta a di CAI at) alt) a) a (1) È chiaro (sia detto incidentalmente) che, nella teoria della viscosità dei fluidi, le formule scritte si riferiscono alle componenti degli sforzi interni specifici dovuti @ viscosità. Le componenti della pressione complessiva, che insiste sulla faccia elementare — 208» dove v rappresenta un nuovo coefficiente, diverso da zero, qualora si am- metta l'esistenza di momenti specifici di massa, i quali fanno sì che non si ha più X,=Yx Y:=ZyZo=X.. Le formule (2) sono state ottenute dal Somigliana (Rendiconti della R. Accad. Lincei, 1° sem. 1910, pag. 43) ('). Ciò premesso, qualora si vogliano rispettare ì postulati fondamentali relativi ai mezzi ponderabili, postulati nei quali intenderemo che non figuri l'esistenza di un potenziale relativo agli sforzì interni, si domanda: Potrebbero esistere teorie, nella quali si avessero le relazioni 5 dU E dU 29) dV 23) dU CRE T (22) he ) i dI tha y olo de si IM 32) dW du 31) 32) 33) aEloi i ari + dY ui da (8) du 12 du SATA) had he tela gta Su de 21) “o Ln alli dU na + 31 due 32) dw 33 wo + hs; ‘aa io ) de \ e le analoghe, con la circostanza, però, che le relazioni stesse fossero diverse dalle (1) o dalle (2) (per esempio, più generali) dove, ben inteso, le & dovrebbero essere coefficienti isotropi, proprî soltanto del corpo e della sua temperatura ? La risposta è negativa. in altre parole (e si tenga ben presente che nei nostri postulati non figura l’esistenza di un potenziale interno) le (1) normale all'asse 4, la quale guardi nel verso positivo dell’asse stesso, sono date così: Pro —PH+Xx, Pra = Wilber Analogamente, si ha: Pr, — My 5 lp ENG 7 Pryj=Zy Ba: = Gb Pja= Xx ' egeepaZy avendo indicato con p la pressione isotropa nel fluido ed intendendo, allora, naturalmente, che le quantità, che figurano nei primi membri delle (1), siano state, anch'esse, definite come componenti di pressioni, relativamente alle medesime facce. (1) Sia nelle (1), sia nelle (2), è implicitamente inteso che w rappresenta la compo- nente del vettore (u,v,w) sull'asse 4, v sull’asse y, e w sull’asse 2. — 209 — e le (2) [le (1) nel caso di assenza di momenti specifici di massa] soz0 le uniche relazioni, a coefficienti del tipo testè detto, ie quali siano am- missibili come legami lineari fra le componenti degli sforzi interni spe- cifici e le derivate parziali che figurano nelle (3). Nelle trattazioni ordinarie della teoria dell’elasticità, o si pone l'esi- stenza di un potenziale interno, funzione, del ben noto tipo, delle compo- nenti di deformazione, e si ritrova, poi, la legge di Hooke; oppure si postula la legge di Hooke e si ritrova, poi, la funzione potenziale (*). Però le rela- zioni, che figurano nella legge di Hooke, hanno una forma particolare rispetto alle (3). Infatti le (3) vengono ad essere (come è ovvio stabilire) relazioni lineari che legano formalmente le componenti degli sforzi non soltanto alle componenti di deformazione ma anche alle componenti della rotazione. D'altra parte il Somigliana ha trovato le (2) partendo dall'ipotesi di un potenziale interno, nè ci consta che altri, avuto riguardo anche a quanto riferisce lo stesso Somigliana nella sua Nota citata, abbiano diversamente considerato la questione. Rimaneva, quindi, il dubbio (tolto facilmente dal presente teorema) se le (1) e le (2) esaurissero o non esaurissero, per mezzi ponderabili, iso- tropi, tutte le possibili relazioni ipotetiche del tipo (3). È per questo che riteniamo opportuno porre in luce il teorema in discorso senza ometterne la completa dimostrazione (che daremo in una prossima Nota) quantunque la dimostrazione stessa richieda soltanto il sussidio di procedimenti consueti. Astronomia pratica. — Sulle correzioni alle letture det cerchi; fatte col microscopio micrometrico [correzioni di run). Nota di G. A. FavaRO, presentata dal Socio E. MILLOSEVICA (?). 1. Le posizioni sui cerchî graduati (*) vengono ormai quasi sempre indi- viduate per mezzo di letture fatte con microscopî micrometrici: uno di questi serve da indice, gli altri servono ad aumentare la precisione delle letture, ad eliminare le influenze degli errori di eccentricità dei cerchi e a dimi- nuire quelle degli errori di graduazione. Il microscopio micrometrico individua la più piccola unità del cerchio diviso e dà le frazioni di detta unità per mezzo di giri interi della vite e per mezzo delle suddivisioni di un giro segnate sul tamburo, a partire dallo sero micrometrico 0 linea di fede fino al più prossimo tratto della gra- duazione del cerchio. Nelle letture fatte con un microscopio micrometrico possono quindi unirsi all'errore accidentale di puntata due altri errori: l'er- (1) Veramente la prima via è quella preferita dagli autori. (*) Pervenuta all'Accademia il 25 agosto 1913. (*) Quanto è detto in seguito per i cerchî graduati relativamente a misure angolari, sarà facilmente applicabile ai regoli graduati relativamente a misure lineari. = (20 rore di divisione del cerchio, dipendente dal fatto che il tratto puntato non rappresenti proprio la corrispondente frazione esatta del cerchio; e l’er- rore del passo del micrometro, detto anche, spesso. errore di run. Per eliminare in parte l'influenza dei detti errori, è ormai ‘uso comune fare due puntate. una al tratto che precede lo zero micrometrico e una al tratto che segue. Se non che, per quanto riguarda la riduzione, non tutti seguono lo stesso processo, altri limitandosi alla semplice media delle due letture, altri invece facendo la media delle due letture ed applicando le correzioni per il run per mezzo di apposite tabelle: aleuni, pure avvertendo di avere applicato Je correzioni di ru, non lasciano intravvedere. il proce dimento seguito. E siccome dette correzioni richiedono un tempo non indifferente, e talora sono molte e molte le letture da ridurre, così in lavori astronomici come in lavori geodetici. credo bene di riassumere in questa Nota un po’ di quel che è stato scritto su tale argomento per avere occasione di esporre le ulte- riori considerazioni alle quali sono stato condotto. 2. Un microscopio micrometrico dicesi aggiustato rispetto alla misura da farsi dei più piccoli intervalli del lembo del cerchio, quando una rivoluzione intera o un determinato numero di rivoluzioni del tamburo corrisponde al- l’imagine del minimo intervallo del cerchio che si forma nel piano del reticolo del micrometro. Se non esiste questa relazione semplice, l'osservatore deve procurare di ottenerla col variare la distanza di tutto il microscopio dal lembo, allo scopo di variare la grandezza lineare dell’imagine nel piano del reticolo: contemporaneamente con questo spostamento deve combinare una varia- zione di distanza dell'obiettivo rispetto al piano del reticolo. In un microscopio micrometrico così aggiustato non resta però a lungo verificata la predetta relazione semplice tra parte di tamburo e secondi di arco, un po’ per influenze meccaniche, un po’ per influenze di temperatura: avrà luogo allora il cosiddetto rur. che può essere definito con la equazione (F+ 7)p=F, ove, F' indichi il numero delle parti p, ed F il numero dei secondi d'arco. Sia /, la lettura fatta col micrometro quando il doppio filo abbraccia la divisione A immediatamente precedente lo zero micrometrico, e sia ls la lettura fatta quando è portato ad abbracciare il tratto divisorio B imme- diatamente susseguente. La quantità 7, run medio, sarà data dalla media aritmetica di numerose differenze /, — /,; e sarà positiva se /, > /», poichè normalmente si suppone che (girando in senso diretto la vite del micrometro) la graduazione del tamburo vada decrescendo o crescendo secondo che va crescendo o decrescendo la graduazione del cerchio. Per lettura media corretta il Weineck (') giunge alla formola valevole (1) Ved. Der Mikroskop-Run, in A. N. 2605 (Band 109). — 211 — per il caso generale ln + la QAIÙ, li + la rF (6 _ GK RESA Dy (nn on 2 +7 DT la quale, applicata al caso speciale in cuì P' = F, cioè in cui sul tamburo sono segnati i secondi d’arco, diventa AR e Zi + do 2) r (4) CREARE Dai 2 I Elea ed applicata al caso in cui P' = 9° cioè al caso in cui il tamburo, invece che in secondi, sia diviso in doppî secondi d'arco (come frequentemente si incontra negli strumenti universali), diventa 27 (0) ondoso) rog Nelle ultime edizioni delle Yormeln und Hilfstafeln dell'Albrecht è data per lettura media del micrometro a+ d GA Poi r 0) 2 +( 2 I per il caso in cui il tamburo sia diviso in secondi d'arco, la quale, con opportune riduzioni e notando che » ha quì il segno opposto, viene portata a coincidere con la (4a) di Weineck. 3. Nelle precedenti formole di Weineck e di Albrecht si introduce per run il valore medio 7 di un numero sufficientemente grande di differenze I, —l, 0 l2—l,, che rimane quindi lo stesso per tutte le riduzioni delle osservazioni eseguite durante il periodo per il quale si può ritener valido il detto valore medio 7. In luogo di questo run medio, il prof. Lorenzoni introdusse (*) il rw che chiameremo attuale, relativo ad ogni singola let- tura, cioè semplicemente 7 = /, — /s, oppure r=/>,— /,. Dopo aver addotto alcune giustificazioni al suo processo e risposto ad eventuali obiezioni, il Lorenzoni, partendo dalla proporzione (°) dli:lij -h=l:F— (2-4), giunse alla lettura corretta di 777% VO SSNEESI EST ETRE REESE dg pero tt | DI CRC) Ì re] i la quale formola coincide con la (a) di Weineck e con quelle di Albrecht quando si facciano le opportune sostituzioni di lettere e di segni. (*) Ved. Determinazioni di azimut ecc., R. Comm. geod. ital., Padova, 1891. (*) Secondo la premessa ipotesi sul senso della rotazione delle vite e delle oradua- zioni del tamburo, e del cerchio, il quarto termine deve essere scritto F —(2,— 1) invece che F+(X=—/) come nella Memoria del Lorenzoni. — 212 — Da questa formola, tanto il Lorenzoni quanto l'Abetti (’') passarono a trovare la correzione da applicarsi alla somma 01 + 43: (3) Ah+)=—- (le - h)+ ah, Se); Colla formola (8) il Lorenzoni ha calcolato una tabella a due argomenti ls—l, e l1 + ds, valevole per un caso speciale di F, dalla quale per ogni coppia di valori di questi due argomenti si deduce a colpo d'occhio il va- lore numerico della correzione 4(/, -{- /») in centesimi di secondo. Il prof. Abetti ha dato nella sua Memoria un’altra tavola valevole per il caso suo speciale di F=240", formata secondo la formola, ricavata dalla (3), ee 20 e dove x indica un numero di decine variabile da 0 a 40. La tabella (data a pag. 36) fornisce, con argomenti /, + 2», il coeffi- ciente c, col quale è facile avere poi il prodotto c(/» — /,) dopo aver rile- vato a vista la differenza l» — È. 6. Sia con la tabella del Lorenzoni, sia con quella dell’Abetti, si trova dunque la correzione di 72 da applicarsi alla somma delle due let- ture. Visto che occorreva una tabella speciale per ogni istrumento di gra- duazione diversa, e che si aveva infine a che fare con numeri un po' troppo grandi (dovendo ridurre tutto a decimi di secondo), e che per risparmiare interpolazioni sia pur facili occorreva ricorrere a tabelle molto estese, io ho pensato se era possibile di risparmiare tempo e lavoro cercando una tabella per la correzione alla media delle due letture (*). Partendo dalla formola (avverto che adopero la differenza 7, — /» invece che ls — 3) Li aL ta, 0a li — dla inni O. REA), 2 2 essendo A (Ata) —. dl Ata si trova che 2 2 E ATA, — STI nba. 1 1 BA gi Ie E 1 Se) sviluppando in eden 2 iii dalla quale, ponendo (1) Ved. Pubblicazioni del R. Osserv. di Arcetri, fasc. 7. (3) Ved. G. A. Favaro, Sulla flessione del piccolo meridiano Bamberg det R. Os- servatorio di l'orino, Atti della R. Accad., XLVIII, 1912; e Sulla flessione del co m. Reichenbach, ibid., XLVIII, 1912-13. — 213 — serie e trascurando i termini di ordine superiore al primo in /,—-/», si ha: de) li ls li le li + lo 9 (9 2 F 2 In» I (4) =(- ip) Di fronte alle formole di Weineck ed Albrecht, questa ha il vantaggio, co- mune colle formule date dai proff. Lorenzoni e Abetti, di essere più facilmente riducibile in tabella (quando si adoperi il ru attuale) che con argomenti li— ls e LDL dà subito la correzione di 7u2; quanto alla esattezza, già nelle mie Note ho fatto rilevare che questa formula dà valori sensibilmente differenti soltanto quando la differenza 2, — /, supera un limite abbastanza elevato che non deve mai essere raggiunto nelle osservazioni. Di fronte poi alla formola di Lorenzoni e Abetti, questa ha il vantaggio di permettere una tabella, che con metà numeri, e disposta nel modo che risulta subito dalla unita tabella, essa può servire anche per cerchî di gra- duazione diversa, poichè basta sostituire alle colonne estreme contenenti 3&+%) i numeri che si ottengono a partire da 07.0 con progressione aritmetica, adottando per differenza il quoziente della divisione per 100 del numero F dei secondi micrometrici contenuti in due tratti successivi del cerchio, o altro simile semplice ripiego. 7. Se nella formola (4) [e analogamente si può dire delle formole (2) DIL, sì vede che la correzione è nulla, e che invece si ha una correzione massima negativa o positiva, e (3)] si considera il caso in cui = (1 — ls), rispettivamente per i Ello e per + 4)=F, e che quindi la correzione di essa è per una metà dell'intervallo positiva e, per l'altra metà, negativa. Siccome questa correzione viene applicata alla media, così si scorge pesa | 3 à ROTA che nel 1° caso di 36+4)=3, cioè quando lo zero micrometrico è proprio nel mezzo fra i due tratti di divisione, la media delle letture ai due tratti resta inalterata, ed essa dà così un valore che è indipendente ‘dalla grandezza del run; la precisione della leitura micrometrica dipende dalla precisione delle due puntate li e ls. Nel 2° caso, in cui 50 +») =0, cioè quando lo zero micrometrico viene a trovarsi proprio sul tratto che chiamerò ancora precedente, o ad esso vicinissimo, la correzione alla media (la quale correzione è in questo RenpIcONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 29 — 214 — caso massima negativa) riduce il valore della media a quello della prima in puntata, restando senza alcuna influenza la seconda puntata; e così la pre- cistone della lettura micrometrica dipende unicamente dalla precisione della prima puntata L, . LU TABELLA che dà le correzioni per il passo del micrometro (run) alla media delle due letture fatte ai due tratti divisori del cerchio comprendenti lo zero micrometrico. — [In questa tabella è F = 180"; e la differenza della progressione aritmetrica è 1”.8]. TRE i Ed v' pda 0) 4" 5" 6° tf? 87 9” ii 3(L-+la) ri "r rr mr: ” I tI I rr n "I 0.0 0.50 | 1.00 | 1.50 | 200 | 2.50) 3.00 | 3.50 | 4.00 | 4.50 180.0 1.8 .49 | 0.98 | 1.47 | 196| 245 | 2.94| 3.43 | 3.92 | 4.41 178.2 3.6 48 | .96| 144 | 1.92) 240| 2.88. 336 |/‘884.|/45 176.4 54 47 94 | 141) 1.88| 235 | 282 | 3.29 3.76.) 4.23 174.6: 12 46 92 | 138 | 1.84) 2.30| 2.76) 3.22] 8.68 | 4.14 172.8 9.0 45 90 | 1.35 | 180| 2.25 | 2.70| 3.15 | 3.60| 4.05 171.0 10.8 44 88 | 132 | 1.76| 220 | 2.64| 3.08 | 3.52| 3.96 169.2 | 12.6 43 86 | 1.29 | 1.72| 215) 2.58| 3.01| 344| 3.87 167.4 14.4 42 84 | 1.26 | 1.68| 210| 2.52| 2.94] 3.36 | 378 165 6 î 16.2 41 82 | 1.23 | 1.64| 205 | 2.46) 2.87| 3.28 | 3.69 163.87 | 18.0 40 80 | 1.20 | 1.60| 2.00| 240| 2.80| 320 | 3.60 162.0 fi 19.8 39 781107; (156) (1.95: 2940|102173 | 812, 851 160.2 I 21.6 .88 76 | 1.14 | 1.52| 1.90| 2.28| 2.66| 8.04 | 3.42 158.4 di il ! Hill | 70.2 22603 ee I E o .88 .99 109.8 72.0 A 2030 EM0N 50 000 ORO 108.0 | 73.8 .09 | .18 Dr I) O Co O O a n 106.2 | 75.6 (08. A6 | 040 82 400 i eee 104.4 | 774 (07 (Sr | on ose 850] 40 Nizoni ex Gr 8868 102.6 79.2 ing. 1270218104 808 49 (48| 54 100.8 | 81.0 .05 TORA .20 .25 .30 795) .40 45 99.0 82.8 04 084 S12:gsl60 20/2440 288009236 97.2 84.6 1983 E 061004 FIOR I OT Or 95.4 | 86.4 NC e ve 93.6 88.2 .01 10203040 05 00 OZ 08 09 91.8 Î 90.0 0.00 00 .00 .00 .00 .00 .00 .00 -00 90.0 LEI È l Ù F : ! NB. — Il segno è eguale a quello di 2, —/, per SEA < ed è Ì | ibi E opposto per SEL ig) }l 3 Dic Ta 3 3 Nel 3° caso, in cui sl + (:)= F, cioè quando lo zero mierometrico L) | | viene a trovarsi proprio sul tratto che chiamerò ancora susseguente, o ad | Î |] Oi esso vicinissimo, la correzione alla media (la quale correzione è in questo ‘caso massima positiva) riduce il valore della media a quello della seconda puntata, nessuna influenza recandovi la prima puntata; e così la precisione della lettura micrometrica dipende unicamente dalla precisione della se- conda puntata ls. Sono, poi da rilevare i seguenti fatti : Facendo la media di due letture allo stesso tratto divisorio, viene di- minuito soltanto l'errore di puntata. Facendo la media delle puntate ai due tratti divisori comprendenti lo zero micrometrico, si viene ad eliminare in parte l’errore di divisione, in parte l'errore di puntata e in parte l'errore di 72, quest'ultimo completa- mente, quando lo zero micrometrico trovasi nella regione centrale dell’ inter- vallo fra i due tratti. Facendo la media delle letture ai due tratti comprendenti lo zero mi- crometrico, e applicando a detta media la correzione per il run medzo, si viene a diminuire gli errori di puntata e di divisione, e ad eliminare quello di run; applicando invece a detta media la correzione per il rum attuale, l'eliminazione e la diminuzione degli errori è subordinata alla posizione re- lativa dello zero micrometrico rispetto ai due tratti divisorii che lo com- prendono. Se dunque si conosce il run medzo [cioè quello computato da una de- terminazione fatta con numerose osservazioni e in tutte le regioni del cerchio in modo da eliminare gli errori di puntata e quelli di divisione, quindi affatto indipendente dal valore attuale della differenza 4, — 7], ha ragione di esistere qualunque correzione ad esso dovuta e a qualunque distanza lo zero micrometrico si trovi dai due tratti divisorii. In questo caso basta fare la media delle puntate ai due tratti ed applicarvi la correzione di rum; questa correzione è assolutamente necessaria quando il run medio non si sia potuto, con l'aggiustamento, avere così piccolo da poter essere conside- rato minore o eguale all'errore di puntata Se invece si prende in considerazione il run attuale, cioè la differenza Î — ls, si deve vedere quando torni più opportuno, allo scopo di avere una più esatta lettura, fare la sola media delle letture ai due tratti, oppure tener conto della correzione di 7, oppure fare la media di due letture ‘allo stesso tratto. . In relazione all'ultimo dei fatti precedentemente rilevati, possiamo ag- giungere che, quando l'errore di 7x7 sia ridotto al minimo, così che possa ritenersi dell’ordine dell'errore di puntata, l'influenza dell'errore di puntata sarà sempre superiore o, al più, eguale all'influenza dell'errore di 7un: nei riguardi quindi di questi due errori, parrebbe di dover concludere che fosse buon consiglio quello di fare sempre la media di due letture, o delle let- ture ai due tratti, oppure di due letture allo stesso tratto, secondo che lo — 216 — zero micrometrico si trovi nelle vicinanze della parte centrale fra i due tratti, o nelle vicinanze di un tratto. Che se si prende in considerazione anche l'errore di divisione, ancor meglio si vedrà in questo caso l’opportu- nità di attenersi il più possibile alla media delle letture ai due tratti. i Parrebbe dunque di dover concludere in generale, quando si tratti di | run attuale, nei seguenti consigli pratici, lasciando a ciascun osservatore i il criterio di applicarli ai singoli casi secondo la loro adattabilità, con ri- il guardo alla grandezza degli altri errori d'osservazione e, in ispecie, di quello di puntata col cannocchiale collegato al cerchio: Quando lo zero micrometrico trovasi sopra un tratto divisorio del pid cerchio, o vicinissimo ad esso, sarà opportuno di fare due puntate sullo il stesso tratto e fare la media di queste due puntate, qualunque possa essere il l'errore di run attuale. | Quando lo zero micrometrico è ad equale 0 quasi eguale distanza dai | due tratti divisorii, sarà opportuno di puntare ai due tratti e fare senza "i altro la media delle due puntate, qualunque sia l'errore di run attuale. | i Quando lo zero micrometrico è un po’ distante dai tratti divisorii, | e quando le differenze l, — ls risultino inferiori agli errori di puntata, sarà opportuno di puntare ai due tratti e fare la media delle due puntate. iù Quando lo zero micrometrico è un po' distante dai tratti divisorii, | e quando non sia stato assolutamente possibile di aggiustare il microscopio micrometrico in modo da avere differenze li, — la di ordine inferiore od almeno eguale all’errore di lettura, così che si possa attribuire al run I | una forte differenza l, — la, sarà opportuno di applicare la correzione del run alla media delle letture ai due tratti. ÙI Quando si ha motivo per credere che una forte differenza l, — la | debba attribuirsi ad errore di divisione del cerchio, sarà opportuno di fare la media delle puntate ai due tratti divisorit. Fisica. — La scrittura delle vibrazioni acustiche per mezzo dell’elettrometro bifilare del Wulf. Nota del dott. GrusePpE Giam- | FRANCESCHI, presentata dal Socio P. BLASERNA ('). | L'uso dell’elettrometro bifilare come oscillografo fu suggerito dallo stesso | Wulf (*), il quale dimostrò anche come l'istrumento corrispondeva alle eon- tri dizioni che, secondo il Blondel, si richiedono perchè un oscillografo tracci o esattamente le oscillazioni rapide (*). Lo stesso autore accenna anche alla (1) Pervenuta all'Accademia il 26 luglio 1913. | (3) T. Wulf, Nouvel électromètre pour charges statiques, Annales de la Société TI scientifique de Bruxelles, tom. XXXI, 2 partie. Ù, (9) T. Wulf, L'électromètre bifilaire et ses applications. Relation è la Société a | scientifique de Bruxelles (Louvain, Imprimerie F. e R. Centerik), 1910, pp. 74 e segg. — 217 — applicazione che se ne può fare per serivere le vibrazioni sonore, prodotte avanti ad un microfono; ma questo problema non era stato finora, per quanto lo sappia, nè studiato nè applicato. Il metodo. — Il metodo consiste sostanzialmente in questo: la corrente di un microfono si fa passare nel primario di un forte rocchetto di Ruhmkorff senza interruttore; le variazioni di resistenza del microfono si trasformano così în variazioni di potenziale ai morsetti del secondario. Queste variazioni sì possono studiare e scrivere mediante 1’ elettrometro bifilare, collegando questo con uno dei poli del rocchetto, mentre l’altro polo è collegato con la terra. L'oscillografo. — L'elettrometro del Wulf consta, come è noto, di due fili sottilissimi, connessi insieme alle due estremità, e nella parte superiore applicati ad uno stilo metallico isolato e tisso nella cassa metallica che racchiude i fili, e inferiormente tesi con un peso o con un filo elastico di quarzo fisso nella base della cassa metallica. Quando si comunica una carica al conduttore superiore, i due fili si allontanano fra loro e prendono un aspetto fusiforme. L'allontanamento dei fili è, entro un campo che va dai 20 volta fino ai 300 0 ai 400 volta, sensibilmente proporzionale al potenziale. L'apparecchio porta due conduttori laterali posti in vicinanza dei fili in modo tale che comunicando ai conduttori una determinata carica, i fili Stessi risultano caricati per induzione. Questo permette di ottenere devia- zioni di senso opposto quando si comunicano ai fili cariche di segno opposto: e quindi un potenziale alternato produrrà nei fili movimenti oscillatorii in- torno alla posizione di equilibrio. I due fili, qnando sono esattamente disposti, sì muovono sempre simmetricamente intorno all'asse mediano del loro fuso in modo che ìl movimento di uno è l’immagine speculare di quello del- l'altro. Lo spostamento dei fili viene osservato per mezzo di un microscopio diretto verso la parte centrale del fuso dei due fili. Questi appariscono nel campo del microscopio come due tratti rettilinei paralleli verticali. Per la scrittura deì movimenti il microscopio funziona da apparecchio di proiezione. Il campo luminoso circolare che ne risulta, viene limitato ad una sottile fessura luminosa orizzontale, nella quale i due tili sono ridotti a due punti oscuri, che sulla fessura stessa si muovono con oscillazioni longitudinali. Allora, facendo scorrere verticalmente dinnanzi a questa fessura una lastra o un foglio sensibile, si può scrivere il moto ondulatorio risultante. | Studi preliminari. — Importava di conoscere separatamente il modo di funzionare dell'oscillografo che adoperavo, del microfono, del rocchetto, e infine il funzionamento complessivo. Per l'oscillografo cominciai dalla scrittura delle curve della corrente alternata della città, collegando direttamente con l'elettrometro uno dei fili di corrente. Le curve che ottenni furono sottoposte ad analisi. Mi servivo, — 218 — per questo, dell'analizzatore armonico della casa « Coradi » di Zurigo, che possiede questo ufficio del corista, e che può dare i primi sei coefficienti della serie di Fourier. Le curve della corrente alternata a 50 volta diedero all'analisi risultati pienamente concordanti con quelli che si conoscevano per altra via; ma le curve della corrente a 100. volta accusano l’esistenza di un secondo armonico che nella corrente non poteva esistere. Fra le cause che si. potevano assegnare alla presenza di questo armonico, una era la non buona ortogonalità delle due direzioni: quella del moto oscillatorio del punto considerato dei fili dell'elettrometro, e quella del moto traslatorio della lastra fotografica. Il quesito mi porse occasione di studiare l influenza di questo errore; il risultato a cui giunsi, e che fu pubblicato in una Nota presentata a questa R Accademia dei Lincei ('), fa questo: che se le due direzioni y del moto oscillatorio ed # di quello traslatorio non sono perfettamente ad angolo retto ma ammettono un errore @, e precisamente formano un angolo eguale a 90°-a, allora un moto sinusoidale semplice, la cui curva sarebbe del tipo Yyi==" Seng, si trasforma nell'altro del tipo (04 YiriiSh £ gen LA 480 Nel caso presente, l'ampiezza del secondo armonico era troppo grande per potersi attribuire ad errore di ortogonalità. Un'altra causa probabile era la tensione dei fili. Nell’elettrometro che adoperavo, i fili sono tenuti distesi da un filo di quarzo fissato ad arco nella base dello strumento. È dunque una tensione elastica: e perciò, all'allonta- narsì dei fili fra loro per effetto di una carica, la tensione cresce. La varia- zione periodica della tensione all'estremità di una corda elastica, come è noto, introduce appunto un secondo armonico nella vibrazione principale. E che tale fosse appunto il fenomeno del caso presente potè esser dimostrato dal fatto che, facendo variare la tensione, come l'apparecchio permette, si poteva accrescere 0 diminuire ad arbitrio l'intensità del secondo armonico. Nelle curve della corrente a 50 volta l'ampiezza della oscillazione dei fili era abbastanza piccola, e perciò non si rendeva sensibile la variazione di tensione. La scrittura di queste curve di corrente mostrò dunque che non con- veniva tender troppo i fili, nè adoperare l’elettrometro per oscillazioni molto ampie. Per ciò che riguardava l'uso del microfono, mi sembrò sufficiente la prova, che si poteva fare, della fedeltà e della purezza dei suoni. Mi parve (!) Z’errore di ortogonalità nella scrittura di moti :pevivdici, Rend. d. Acc. dei Lincei, vol. XXII, serie 5%, pag. 24. — 219 — molto soddisfacente il microfono Angelini che possiede appunto queste qua- lità e, di più, anche una forte sensibilità. L'influenza del trasformatore lasciava dubbî sulla conservazione dei rapporti delle ampiezze per vibrazioni di frequenze varie. Per studiare spe- vimentalmente l'influenza della frequenza, ho proceduto così. Ho seritto dap- prima le vibrazioni dovute a due canne d'organo di diversa altezza, alimen- tate da una corrente d’aria di intensità costante ed eguale nei due casì. Ma le dimensioni molto diverse delle due canne rendono troppo difficile di mantenere l'eguaglianza della pressione. Son ricorso perciò all'uso di due coristi, l'uno di 72 v. s., l'altro di 360 v. s. Facevo vibrare un corista avanti al microfono, e sullo stesso foglio fotografico in cui facevo scrivere le vibrazioni dell'elettrometro, facevo anche cadere quelle di un filo metallico connesso con uno dei rebbi del corista. Il rapporto fra l'ampiezza di queste vibrazioni che mi misuravano l’inten- sità del suono prodotto, e quella delle vibrazioni dell’ oscillografo, mi rap- presentava un « coefficiente di trasformazione ». Si richiede che questo coeffi- ciente resti costante. Ebbene: adoperando successivamente i due coristi, di cui il secondo dava il quinto armonico dell'altro, ponendoli esattamente alla stessa distanza dal microfono e adoperando lo stesso filo metallico, ho otte- nuto la piena eguaglianza dei due cofficienti per quanto lo permetteva la esattezza delle misure, cioè fino ai decimi di millimetro per vibrazioni che andavano dai due agli otto millimetri. E, precisamente, le vibrazioni dei fili dell’elettrometro risultarono, nelle esperienze, esattemente il doppio di quelle del rebbo del corista. Finalmente, per l’uso complessivo del microfono, del rocchetto e dello oscillegrafo, ricorsi allo studio della riproduziono di suoni semplici. Facevo vibrare un corista dinnanzi al microfono. La corrente. del microfono passava per il primario del rocchetto. Un polo del secondario a terra, l'altro all'elet- trometro. Le curve ottenute sono esattamente delle sinusoidi semplici entro ì limiti stessi nei quali sono semplici i suoni del corista, e nei quali è pos- sibile l’analisi, cioè trascurando armonici la cui ampiezza sia inferiore ad un centesimo dell’ampiezza del suono fondamentale. In qualche punto le curve presentano delle rapide deformazioni che durano per qualche vibrazione, e riprendono poi l'andamento regolare. Queste sono evidentemente dovute ad un assettamento dei granuli del microfono. In ogni modo, si distinguono subito le vibrazioni deformate per il movimento dei granuli, e le vibrazioni che seguono riprendono esattamente tutte le caratteristiche delle precedenti. Adoperai coristi di varie altezze, e in nessun caso ho riscontrato l' in- troduzione di alcun armonico. Ciò vuol dire che nel campo sperimentato non si fanno sentire vibrazioni estranee. Del resto, il Wulf ha dimostrato che col suo elettrometro si può andare anche al di là di 1000 vibrazioni complete al secondo, senza che le vibrazioni proprie dei fili si facciano sentire. SMP Applicazione del metodo alle curve vocali. — Compiute queste ricerche preliminari, che mi sembravano aver dato risultati soddisfacenti, ho applicato il metodo allo studio delle curve vocali. Mandavo nel microfono la corrente di due pile Grenet di media grandezza. Una corrente più forte sarebbe stata dannosa pel microfono che adoperavo. Il rocchetto era dei più grandi che avevo a disposizione, e capace di una scintilla di 30 cm. di lunghezza all'incirca. In queste condizioni, parlando innanzi al microfono con voce ordinaria (quella intensità che si suol tenere parlando in una pic- cola scuola), si hanno già vibrazioni molto sensibili. La sensibilità del sistema use pe pel I ta Parte SVGA Bca x Ron Sa a reni SI < SG w va A si Vas v CA n 2 2 PER A SA IT UA 7 AA pe su -{ —S,= << AI — ai _ 4; di _- uu —_ SÒ e 2 # < = AN SEN: Pt KE (A nà Pen NE INN PRE ; = PAN PAN "a , w 4 L \u/ i u | 3 | TN SAN PSN PAS {V LAS INS N 7, A SA SCA Ered È g 5 \ È \ ì y x \ 0 TANI ZA N Za ARIE ETÀ e < TA PT) (e 4 È S % 3 ci e D) AREE SEI SI e PRO I e ce O paga A rin O ati, Fre. 1. — Studio delle vocali. Le 5 vocali cantate nella stessa nota do,. è tale che si ottengono vibrazioni ben visibili anche facendo schioccare le dita dinnanzi al microfono. Naturalmente, vengono facilmente scritti anche i movimenti meccanici comunicati al microfono; bisogna quindi evitarli mentre si vogliono scrivere curve vocali. Le curve venivano scritte fotogra- ticamente, ora sulla carta sensibile avvolta in un cilindro, ora su lastre che cadevano verticalmente davanti alla fessura. Nella carta si ha una linea bianca su fondo scuro; nella lastra, una linea trasparente. Mi limito a dare qui un esempio delle curve ottenute, rimandando ad altro tempo il parlare dei risultati ottenuti per lo studio delle vocali e delle consonanti. La fig. 1 rappresenta le 5 vocali a e % o ? cantate sulla stessa nota do», ed è la riproduzione di curve ottenute su lastre; la fig. 2 rappresenta la consonante 4 ed è la riproduzione di una curva ottenuta su carta. La consonante era pronunciata nelle sillabe aba. — 221 — Per ciò che riguarda i vantaggi che può avere questo metodo sugli altri adoperati fin qui, mi pare che il principale consista nella sensibilità del sistema. Questo permette di scrivere facilmente la voce ordinaria di conver- sazione, anche senza avvicinarsi al microfono. Con ciò si evita l'alterazione che subisce il timbro nel dare alla voce una forza esagerata, ed evita la influenza delle trombe di risonanza. Inoltre, se sì considera la complicazione Fi. 2. — Studio di una consonante muta (esplosiva sonora). che, nel metodo che oggi è più in uso, porta l'ingrandimento meccanico delle vibrazioni ottenute dalla membrana del fonautografo, il dispositivo nel caso presente è, relativamente, molto semplice. Chimica. — Nuovo procedimento per l’analisi. elettrolitica dei metalli bianchi da cuscinetti ('). Nota del dott. I. Compagno, presentata dal Corrispondente A. PERATONER (°). L'analisi elettrolitica di quei metalli bianchi per cuscinetti, nei quali predomina lo stagno, non ostante le numerose ricerche in proposito, presenta notevoli difficoltà tecniche che ne possono compromettere l’esattezza, ed, in ogni modo, date le lunghe manipolazioni che essa esige, non può, il più delle volte, riuscire così spedita come è desiderabile in pratica. Nei metalli bianchi in parola, lo stagno è associato, in proporzioni va- riabili, ad antimonio e rame, ed è accompagnato, talvolta, da altri elementi come piombo, arsenico, ferro, zinco, nichel, ecc., introdotti per frode, o con- tenuti, come impurezze, nei metalli su detti. La ricerca e il dosaggio di questi diversi componenti si suole per lo più eseguire secondo il metodo già proposto da A. Classen (°), e di cui si deve una descrizione molto particolareggiata a R. Belasio (4). (') Lavoro eseguito nel Laboratorio chimico dell’ Istituto Sperimentale delle Ferrovie dello Stato, _(*) Pervenuta all'Accademia il 12 agosto 1913. (8) Quantit.: anal. d. Elektrolyse, V Aufl., pag. 306 (1908). (*) Ann, Lab. Chim. Gabelle, vol. VI, pag. 285. RenpIcoNTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 30 — 222 — Purtuttavia, avuto riguardo alle numerose e difficili filtrazioni e lavaggi, come anche alla durata della precipitazione con acido solfidrico, il metodo in parola è tutt'altro che sollecito. D'altra parte, per la durata piuttosto lunga della deposizione elettroli- tica dello stagno, di solito si ottengono, per questo elemento, valori più ele- vati; e del resto, poichè il metodo si applica ad un peso di lega di solo mezzo grammo, si può, per questo solo fatto, incorrere, anche per gli altri elementi della lega, in errori non sempre lievi. Avendo avuto frequenti occasioni di analizzare i detti metalli e di co- noscere da vicino le difflcoltà testè cennate, ho potuto man mano elaborare dei modi di separazione più vantaggiosi di quelli finora descritti, ed in questa Nota riferisco appunto sopra un nuovo procedimento per la loro ana- lisi elettrolitica, il quale, pur offrendo ogni garanzia di esattezza, risulta in pratica molto semplice e speditivo. Intacco della lega. — Gr. 1 di lega, in trucioli, posta in bicchiere da 150 eme., coperto con vetro d'orologio, s'intacca, a temperatura ordinaria, con cme. 20 di acido nitrico (d. 1,4), e, dopo alcune ore di contatto, si riscalda a bagno-maria bollente per 30 minuti circa. Passano così in solu- zione il rame, nonchè il piombo, l'arsenico, il ferro, ecc., eventualmente pre- senti, mentre lo stagno e l’antimonio restano indietro allo stato di acidi meta-stannico e meta-antimonico, nei quali, nonostante il più accurato la- vaggio, restano sempre incluse piccole quantità di nitrato di rame ('). Determinazione del rame, del piombo, ecc. — Diluito il liquido acido ad un volume di 80-90 cme., lo si filtra, con molta cautela, a pressione leggermente ridotta (*), raccogliendo il precipitato, senza perdite, sopra un piccolo disco di carta da filtro ben aderente alla piastrina di porcellana, e, dopo lavaggio con acqua calda leggermente acidulata con acido nitrico, si travasa il filtrato (il cui volume ascende a 300-350 cme.) in un bicchiere da 400 cme., e si evapora fino ad un volume di 200 cme. circa, per il che non si deve separare. dal liquido nessuna traccia di sostanza insolubile (*). Indi sì riporta, con acqua, al volume di 300 cme., e si determina il rame ed eventualmente il piombo, col metodo consueto. Catodo: elettrodo reticolato di Winkler; anodo: cilindretto a rete. (1) Per la determinazione di queste piccole quantità, che, per un grammo di lega, ammontano per lo più a 6 mgr. di rame metallico, vedi oltre, a pag. 223. (*) Vedi nota seguente. (3) Se la filtrazione degli acidi meta-stannico e meta-antimonico non sì esegue con le debite cautele, passano nel filtrato tenuissime particelle di precipitato, le quali si ren- dono percettibili solo con lo svaporamento del liquido, riunendosi allora in piccoli fiocchi bianchi. È però necessario assicurarsi, con la detta prova, che la filtrazione sia stata fatta senza perdite. — 223 — Nel liquido da cui si sono separati i detti metalli, dopo conveniente concentrazione, sì ricercano, ed eventualmente si dosano, l'arsenico, il ferro, lo zinco, ecc. coni metodi noti, ed in ciò sì ha anche un vantaggio, rispetto al metodo di Classen, secondo il quale le ricerche, ora cennate, debbono ese- guirsi con saggio separato. Separazione dell’antimonio dallo stagno. — Il precipitato di acidi meta-stannico e meta-antimonico, leggermente inquinati, come dissi, da ni- trato di rame, si fanno passare, senza perdite, insieme col filtro, in un bic- chiere da 250 cme. di forma alta (su cui si lavano accuratamente la pia- strina di porcellana e l’imbuto)(*), e si svapora quindi il liquido a bagno di sabbia fino ad un volume di 20 cme. circa. Dopo ciò, il liquido, in cui sono sospesi i detti acidi, viene reso legger- mente alcalino con qualche goccia di idrato sodico, e quindi addizionato di 80 cme. di monosolfuro sodico (4= 1,225), di !/» grammo circa di cianuro potassico, quantità sufficiente a riportare in soluzione la piccola quantità di solfuro di rame precipitatasi dapprima. Si fa bollire alcuni minuti, si lavano le pareti del bicchiere con 25 cme. di acqua, e, dopo raffreddamento, si sottopone il liquido all’'elettrolisi, impie- gando gli elettrodi da me descritti. in una precedente Nota (*), per il do- saggio dell'antimonio, ed una corrente dell'intensità di 0,15 ampères. Dopo una notte, la separazione dell’antimonio e delle piccole quantità di rame, dallo stagno, è completa; si lava il deposito di Sb + Cu sul catodo, successivamente con acqua e con alcool; si dissecca in stufa ad 80°, e dal peso di esso si ricava quello dell'antimonio per differenza, eseguendosi la determinazione del rame nel modo seguente: Il deposito metallico sul catodo s'intacca, a caldo (in bicchiere da 200 cme., di forma alta), con 10 cme. circa di acido nitrico diluito (1:2) addizionato di circa gr. 0,3 di acido tartarico, ed il liquido acido, aggiunto deile acque di lavaggio del catodo. si svapora a bagno-maria sino a sec- chezza; si riprende il residuo con 20 cme. di acqua, si alcalinizza con idrato sodico e sì aggiungono 1-2 eme. di soluzione al 10 °/, di tartrato sodico- potassico, e gr. 0,3 circa di glucosio. Si riscalda indi all'ebollizione, si raccoglie su filtro, dopo pochi minuti di riposo, il precipitato di ossidulo di rame, e, dopo lavaggio, lo si tratta, senza che lo si stacchi dal filtro, con 10 cme. di acido nitrico diluito (1:2): la soluzione, ulteriormente diluita con acqua (a 150 cme. circa) ed aggiunta (1) Per asportare dall’imbuto la piccola quantità di precipitato che vi resta aderente, ho trovato opportuno di tapparlo, dalla parte interna, con una bacchettina di vetro rivestita di caucciù, introdurvi 3-4 cm. di acqua, e stropicciare le pareti dell’imbuto con un’altra bacchettina analoga. Naturalmente, il lavaggio va ripetuto 2-3 volte. (*) Questi Rendiconti, 2/7, 473 (1912). io — di 2 eme. di acido solforico concentrato, si sottopone all’elettrolisi, impie- gandosi gli elettrodi di Winkler, ed una corrente dell'intensità di 0,3 ampères. Dopo circa 3 ore, il rame è completamente depositato ; il peso così otte- nuto va aggiunto a quello trovato nella soluzione nitrica della lega, mentre, deducendolo dal peso di Sb 4-Cu, primitivamente depositati, si ricava il peso dell'antimonio (1). Determinazione dello stagno. — Il liquido che proviene dalla separa- zione elettrolitica dell'antimonio aggiunto delle acque di lavaggio del catodo, (1) Questo risultato, benchè ottenuto per differenza, è affatto esente di errore, come ho potuto sempre constatare nelle numerose determinazioni dirette di antimonio ese- guite sulle stesse leghe, secondo il procedimento da me descritto nella mia Nota, prece- dentemente citata. Colgo questa occasione per riferire, rispetto a tale procedimento, alcune lievi mo- dificazioni che l’esperienza mi ha mostrato vantaggiose: Invece di un bicchiere da 800 cme., è più conveniente usarne uno da 250 eme., di forma alta, mentre, al contrario, per l’acqua da aggiungersi, si mostra più opportun» il volume di 35 eme. anzichè di 25. Per ciò che — 225 — in bicchiere da 600 cme.(!), coperto con vetro d'orologio, si riscalda quasi all'ebollizione, e quindi, mediante imbuto a rubinetto, vi si fanno arrivare, con molta cautela, 120 cme. di acido cloridrico (4 = 1,19). Si fa bollire fintantochè il solfuro di stagno, dapprima precipitatosi, è completamente decomposto; si riduce allora il liquido a piccolo volume, si scalda ancora qualche minuto con poche gocce di acqua ossigenata, e, dopo Fi. 2. aggiunta di acido ossalico puro (gr. 20) e conveniente diluizione (fino a D 500 cme.), si porta all'elettrolisi. riguarda l’elettrolisi, è poi consigliabile di far depositare anzitutto, per digestione a blando calore, i solfuri insolubili, mantenendo, in seguito, l’anodo immerso nel precipitato ed il catodo un po’ al di sopra di quest’ultimo. Un'ora prima di sospendere l’elettrolisi, si agiterà infine l’elettrolito con una bacchettina di vetro. Con queste lievi modificazioni, il procedimento si applica in modo soddisfacente anche quando si abbia un precipitato molto abbondante di solfuri, per es. alle leghe col 70-75 °/, di piombo. (*) Il volume del liquido non deve superare 400-450 eme.; diversamente, se ne sva- pora una parte. Dro Per le determinazioni elettrolitiche di stagno, le quali, come è noto, vanno eseguite a 60°-65° C., ho sempre fatto uso di un apparecchio da me ideato, che, senza essere così delicato come il maggior numero di quelli ado- perati a questo fine, è, per la sua semplicità, meno costoso, e si presta anche bene alle determinazioni elettrolitiche, in genere, che debbano eseguirsi a caldo e con elettrodi rotanti (*). L'asta del sostegno, la quale è in parte di vetro, in parte di ottone, porta un anello che sostiene il voltametro, e due bracci che reggono gli elettrodi. In uno di tali bracci è montato un sistema di piccole puleggie che per- mettono di dare, ad uno qualsiasi degli elettrodi, un movimento rotativo più 0 meno rapido, trasmesso da un apposito motore fissato alla base del sostegno. Alla estremità superiore di questo è poi adattato un braccio, più sot- tile, smontabile, a cui va sospeso il termometro, nel caso di elettrolisi fatte a caldo. Per evitare eventuali dispersioni di liquido, durante la rotazione del- l'elettrodo, il voltametro è coperto da un vetro d'orologio che si può solida- mente fissare con viti, ed attraverso al quale passano gli elettrodi ed il termometro. Il vetro d'orologio è tagliato a mezzo, e le due metà sono raccordate con un po’ di carta gommata. Per le determinazioni di stagno l'anodo (rotante) è costituito da un filo di platino della lunghezza di 35 cm. e della sezione di 1 mm., avvolto a spirale, mentre il catodo è in rete di rame (200 maglie per cmq.), alta em. 6,5 e lunga cm. 16, piegata in forma di cilindro. Esso è sostenuto da un robusto filo, pure di rame, di cui la parte compresa fra l'orlo superiore della rete ed il braccio del sostegno è protetta dalle evaporazioni acide del- l’elettrolito, mediante un sottile cannello di vetro. Con una corrente della intensità di 2 amp. e della tensione di 8, 4- 3,6 volts, la separazione dello stagno è completa in circa 2 ore; mentre, con una corrente di 7 amp. e di 5,5-5,6 volts, lo stagno può venire sepa- rato in poco più di mezz'ora (*). I depositi riescono bene aderenti e di ottimo aspetto (*). (') L'apparecchio che descrivo, e che ho adoperato nelle ie esperienze, è stato costruito «lalla Ditta A. Carosi e figlio, via Panisperna, 78, Roma. (3) La temperatura più opportuna è, come si disse, quella di 60°65°, epperò, di tanto in tanto, conviene aggiungere all’elettrolito acqua calda, per mantenere il volume pressochè costante; per l'agitazione dell’elettrolito basta imprimere all’anodo una velocità di 500-600 giri al minuto. (3) Per pulire il catodo, lo si tiene immerso in acido cloridrico cone. fino a quando l’effervescenza è quasi cessata, per il che bastano pochi minuti. Con una breve immer- sione, quindi, in una miscela di acido solforico cone., acido nitrico conc., ed acqua (parti eguali),il catodo riacquista subito lo splendore metallico. Si lava successivamente con acqua e con alcool, e si dissecca in stufa a 80°. — 227 — Chimica. — Za struttura del 3,mitroso.2.fenilindolo (‘). Nota IT del dott. hurar ALESSANDRI, presentata dal Socio A. ANGELI (*). PARTE SPERIMENTALE. Azione dell''ioduro etilico sul sale sodico del mnitrosofenilindolo. — Alla soluzione alcoolica di un atomo di sodio aggiunsi il peso corrispondente ad una molecola di nitrosofenilindolo: ottenuta una sospensione omogenea del sale sodico, la feci bollire a ricadere con ioduro etilico, impiegandone un lieve eccesso oltre il peso equimolecolare. Quando il liquido ebbe acquistato rea- zione neutra, distillai completamente l'alcool e ripresi il residuo con acqua. L'olio rosso-bruno separatosi stentando a cristallizzare, lo separai dal liquido acquoso estraendo con etere e filtrai la soluzione eterea, che teneva sospesa una piccola quantità di nitrosofenilindolo inalterato. Cacciato poi tutto il sol- vente per distillazione, il residuo seccato nel vuoto con acido solforico venne ripreso con etere di petrolio: decantato questo da una piccolissima quantità di resina bruna, che rimane indisciolta, la soluzione venne trattata con nero animale ed infine concentrata fortemente. I cristalli che si separano son prismi allungati di color rosso aranciato, riuniti in gruppi a stella; purifi- cati più volte dallo stesso solvente, nel quale si sciolgono facilmente a caldo, ma assai meno a freddo, fusero a 42°. Per l’analisi il prodotto venne seccato nel vuoto su acido solforico. I. (Gr. 0.1986 di sostanza dettero gr. 0,5604 di CO, e gr. 0,1042 di Hy0 ME anoigzi ” ” ce. 16,6 di Na li8°%e 753 mm. In cento parti. Trovato Calcolato Cie Hay Na 0 I II C 76,95 —_ 76,80 H 5,88 — 5,60 N — 11,24 11,20 Qualche volta da soluzioni, sempre in etere di petrolio, non molto con- centrate il prodotto cristallizza lentamente in prismetti rombici tozzi e bril- lanti, di color rosso anche più intenso degli antecedenti e di questi un po” meno solubili; seccati all'aria, essi fondono a 61° in liquido torbo: verso 100° il fuso comincia a svolgere bollicine gassose, e verso 110°-115° diviene com- (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica farmaceutica del R Istituto di studî superiori di Firenze. (°) Pervenuta all'Accademia il 81 luglio 1913. — 228 — pletamente limpido. Gr. 0,1265 di tale prodotto, seccato all'aria, venne por- tato a peso costante a 100°: il suo peso diminuì di gr. 0,0047, ed infine al contatto di una traccia della sostanza analizzata si rapprese in una massa cristallina, che fondeva a 42° in liquido chiaro. È evidente che i cristalli p. f. 61° contengono solvente di cristallizzazione: anche dall'alcool si otten- gono cristalli con ‘solvente di cristallizzazione. Azione dell'ioduro etilico sul sal d’argento del nitrosofenilindolo. — Preparai il sale d'argento per doppia mutua decomposizione del sale sodico del nitrosofenilindolo con nitrato d’argento in proporzioni equimolecolari. Il sale argentico secco, sospeso in alcool assoluto, viene addizionato a freddo di qualcosa più del peso equimolecolare di ioduro di etile: si nota un lieve ri- scaldamento, che per quantità notevoli dei reagenti va moderato raffreddando ed il liquido va colorandosi in aranciato via via che il sal d'argento sì decolora. Occorre lasciare a sè a temperatura ordinaria il recipiente sempre collegato col rerrigerante a ricadere e solo dopo qualche tempo si completa la rea- zione riscaldando a b. m. Cacciato allora completamente l'alcool dalla so- luzione filtrata, si riprende il residuo con etere di petrolio. Esso lascia in- dietro pochissimo prodotto non ben cristallino, che venne trascurato ; la so- luzione trattata con nero animale dette intine, dopo forte concentrazione, cristalli identici in tutto a quelli del derivato stesso ottenuto dal sale sodico. Purificati per l’analisi da etere di petrolio vennero seccati nel vuoto su acido solforico. Gr. 0,2030 di sostanza dettero cc. 19,8 di N a 17° e 751 mm. In cento parti: Trovato Calcolato per Cig Hi4 N30 N 11,34 11,20 La sostanza analizzata fondeva a 42° anche mescolata col prodotto ot- tenuto dal sale sodico. Riduzione dell'etere etilico del nitrosofenilindolo. — A gr. 0,75 di prodotto sciolti in alcool, venne unita polvere di zinco in leggero eccesso e successivamente a poco a poco, agitando in corrente d'acqua, gr. 1 di acido acetico glaciale diluito con un po' d'alcool. Quando la soluzione si fu com- pletamente decolorata, la filtrai per separarla dal miscuglio inorganico, e, di- luitala con eccesso d’acqua, asciugai alla pompa i fiocchi azzurrognoli che in tal modo si separarono, li lavai con acqua ed una volta secchi li cristal- lizzai da benzolo. Ottenni così squamette madreperlacee colorate lievissima- mente in viola, che fondevano a 177°, con tutte le altre proprietà descritte da E. Fischer per l’amminofenilindolo. (Gr. 0,0958 di sostanza dettero cc. 11,4 di N a 18° e 750 mm. In cento parti: Trovato Calcolato per Ci, Hia Na N 13,77 13,46 — 229 — Azione del calore sul nitrosofenilindolo. — Riscaldando con precau- zione in un tubo da assaggio su fiamma libera del nitrosofenilindolo, si osserva, che improvvisamente la massa entra in fusione e subito dal liquido bruno si svolgono gas e vapori rossicci pesanti in piccola quantità: una car- tina amidojodurata tenuta immersa nell'aria sovrastante al liquido inazzur- risce: si svolgono cioè anche ossidi di azoto. Allo scopo di esaminare i prodotti solidi della decomposizione tuffavo dei tubi d’assaggio, contenenti piccole porzioni di nitrosofenilindolo, in un bagno di lega mantenuto fra 270° e 280°. Cessato lo sviluppo gassoso, li tiravo fuori dal bagno e, una volta raffreddati, ripresi tutti insieme i residui, olii vischiosi bruni, con benzolo a caldo; trattai la soluzione intensamente colorata in bruno violaceo con nero animale e la concentrai fortemente. Si ottengono così cristallini tozzi quasi incolori, solubilissimi in benzolo a caldo, assai a freddo, molto solubili anche a freddo in eloroformio, acetone ed etere acetico, poco in ligroina ed etere solforico anche a caldo. Dalle acque madri benzoliche cacciai allora tutto il benzolo e ripresi con etere: si sciolse una sostanza fortemente colorata in bruno violaceo, che per evaporazione del sol- vente non ha cristallizzato nè venne ulteriormente esaminata: quanto al pro- dotto rimasto indietro esso era pure fortemente colorato in bruno, non ben cristallino, nè riuscii ad ottenerne altre porzioni della sostanza separatasi dal benzolo. Questa venne purificata cristallizzandola da ligroina (p. eb. 100°-110°), impiegando nuovamente un po di carbone animale; ma gli aghi raggruppati a stella che ne ottenni, erano ancora colorati in rosa vinato, e solo per suc- cessive cristallizzazioni dall'alcool, nel quale, una volta che siano abbastanza puri, si sciolgono molto a freddo, si presentarono in prismi allungati bril- lanti od aghi fini setacei (a seconda della rapidità del raffreddamento), quasi del tutto incolori, col punto di fusione costante a 156°, Gr. 0,0985 di sostanza dettero cc. 11 di N a 199,3 e 751 mm. In cento parti: Trovato Calcolato per C,a Hio Na0 N 12,89 12,61 Azione di cloruro di benzoile sull’o.amminobenzonitrile. — Preparai l'o.amminobenzonitrile secondo le indicazioni di P. Friedlinder e Dines- mann ('), ed ho impiegato per le esperienze un prodotto, che fondeva a 50° (gli autori citati assegnano ad esso il p. f. 50-51°). Gr. 2 ca. di tale composto sciolti in etere secco, dopo l'aggiunta di gr. 2,4 di cloruro di benzoile e di gr. 1,2 di carbonato potassico, vennero bol- liti a ricadere per un'ora: occorre munire il refrigerante all'estremità opposta (*) Monatshefte, /9, pag. 627. RenpIconTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 81 —"280 — di un tubo a cloruro di calcio od a potassa. Dopo ciò, cacciato completamente l’etere, ripresi il residuo con acqua e stemperai bene in mortaino la massa cristallina, resa pastosa da cloruro di benzoile inalterato, con soluzione di carbonato sodico in fino a che divenne polverosa. Allora l’asciugai alla pompa e lavai bene con acqua; infine cristallizzai da alcool, fino ad ottenerlo col punto di fusione costante, il prodotto, che si presentò a seconda della rapi- dità del raffreddamento, in bei prismi schiacciati ed allungati, brillanti ed incolori, o in aghi lunghi fini e setacei, che fondono a 156°. Gr. 0,1814 di sostanza dettero ce. 20,1 di N a 23° e 748 mm. In cento parti: | Trovato Calcolato per C,4 Hi Na 0 ì N 12,58 12,61 Il prodotto analizzato, in mescolanza con quello ottenuto dal nitrosofe- nilindolo per azione del calore, fonde ancora senza prima rammollire a 156°. L'identità dei caratteri fisici dei due prodotti trova riscontro nell’ identità dei caratteri chimici, giacchè ambedue presentano il medesimo seguente com- portamento rispetto agli acidi, dimostrandosi costituiti da un'unica sostanza. Azione di acido cloridrico diluito sulla sostanza p. f. 156°. — Gr. 0,5 di prodotto vennero bolliti a ricadere per un’ora in 10 cc. di alcool portati con acqua a 20 cc., cui avevo aggiunto una diecina di goccie di acido cloridrico concentrato. Dal liquido, che sciolse rapidamente il composto, co- minciò presto a separarsi una sostanza cristallina incolora; infine, il liquido avendo mantenuto reazione acida, distillato via completamente l'alcool, ag- giunsi un po’ d'acqua e carbonato sodico tanto da ottenere reazione alcalina; raccolsi su filtro alla pompa i cristalli e li lavai con acqua. Il prodotto pu- rificato da alcool, nel quale si scioglie assai poco a freddo, si presenta in aghetti fini, incolori, che, in tubetto a punto di fusione di vetro normale, fondono a 216° in liquido un po’ torbo, che divien limpido intorno a 220° e svolge gas (vapor d'acqua): in tubetti di vetro usuale, forse a causa della maggiore alcalinità «di esso, il prodotto rammollisce diversi gradi innanzi. Gr. 0,1699 di sostanza dettero cc. 17,6 di N a 239,5 e 745 mm. In cento parti: Trovato Calcolato Cia Hia Na Os 11,69 11,66 Azione del pentacloruro di fosforo sul nitrosofenilindolo. — Il nitro- sofenilindolo in polvere finissima vien sospeso in etere secco in modo che il liquido si conservi ancora assai mobile; quindi, agitando e tenendo raffred- dato il recipiente, si aggiunge a piccole porzioni un peso di pentacloruro di fosforo da 3 a 4 volte quello del nitrosofenilindolo che si adopera: in seguito a tale aggiunta il nitrosoderivato si impasta col cloruro di | POSI MSSSSssssss BB A — 231 — fosforo, colorandosi in rosso come la soluzione eterea. Si lascia tutto a sè chiudendo il recipiente con tubo a cloruro di calcio e tenendolo dapprima immerso in molta acqua fredda: dopo alcune ore tutta la sospensione eterea si è trasformata in una pappa di aghi rosso cinabro (essi fondono poco nettamente a 170°, con sviluppo gassoso). Si tiene poi a temperatura ordinaria per due giorni circa, ed infine, collegato il recipiente con un refrigerante a ricadere e raffreddandolo bene, si aggiunge dell'acqua prima a goccia a goccia, poi a poco a poco, fino a farne un buono strato sul fondo del recipiente. Si lascia nuovamente a sè infino a che l'ossicloruro di fosforo abbia reagito tutto con l'acqua: si van formando intanto nell'etere dei cristalli bruno-verdognoli, che non fondono ancora a 270° e son costituiti probabilmente da cloridrato della chinazolina. Si separano per filtrazione i liquidi dalla massa cristallina la- vando questa prima con un po’ d’etere ed infine bene con acqua. La soluzione acquosa, fortemente acida, separata dallo strato etereo in separatore a robi- netto, per trattamento con carbonato sodico in lieve eccesso dà un precipitato, che per il solito è un miscuglio di due sostanze, che si separano bene con soluzione diluita di soda caustica intiepidendo a b. m. La sostanza, che in tal modo si scioglie, precipitata con anidride carbonica od acido acetico è incolora; quella che resta indisciolta è una polvere cristallina, rossiccia, in quantità non grande e che non venne ulteriormente esaminata: così pure non ho ter- minato le ricerche sul residuo dall’evaporazione dello strato etereo, che venne lavato bene con acqua e dette, per distillazione del solvente, un olio rosso: ho trovato però intanto che quest’ultimo, trattato con soluzione acquoso- alcolica diluita di soda caustica, fornì un'altra porzione della sostanza inco- lora, identica a quella sopra accennata. Di essa quasi esclusivamente si ottiene trattando sempre con soda diluita i cristalli bruno-verdognoli prima separati dal miscuglio delle soluzioni acquosa ed eterea, precipitandola poi dalla soda come è detto sopra. Purificate tutte insieme le diverse porzioni di prodotto incoloro da alcool, nel quale esso si scioglie assai poco a freddo, non molto all'ebollizione, il derivato si presentò in aghi fini, lunghi, di splendore setaceo ed incolori, col p. f. 2349-2359°. I. Gr. 0,1940 di sostanza dettero gr. 0,5381 di CO; e gr. 0,0819 di H.0 II. » 0,1608 ” ” ce. 18 di N a 24° e 749 mm. _ In cento parti: Trovato Calcolato per Cia Hio N30 I I C 75,64 — 75,67 H 4,73 = 4,50 N — 12,68 12,61 Azione dell'ioduro di metile sulla sostanza p. f. 234°-235°. — Aggiunsì gr. 1 di prodotto alla soluzione di gr. 0,11 di sodio in 10 ce. d'alcool asso- — 232 — luto già preparata in un tubo; dopo aver bollito a ricadere per qualche tempo, vi introdussi gr. 0,80 di joduro di metile, dentro un tubetto da as- saggio lungo in modo che i liquidi non si mescolassero altro che inclinando assai il tubo. Chiuso infine questo con la fiamma alla soffieria, mescolai i liquidi e tenni in stufa a 120° per 4 ore. Dopo raffreddamento travasai il liquido in una bevuta, cacciai a b. m. tutto l'alcool e ripresi il residuo con acqua in eccesso. Si separò così una sostanza bianca, cristallina, che asciugai alla pompa, lavai con acqua e sciolsi in ligroina bollente. Purificando la sostanza da tal solvente si separarono aghetti finissimi, incolori, in gruppi, e cristalli tubolari rinfrangenti pure incolori, a seconda delle concentrazioni e della rapidità del raffreddamento: puri per l’analisi fondono a 131°-132°. Gr. 0,1989 di sostanza dettero cc. 20,9 di N a 23° e 745 mm. In cento parti: Trovato Calcolato per Cis Hia N30 N 11,88 11,86 Oltre agli altri caratteri identici a quelli assegnati ad essa da A. Weddige, presenta anche il sapore lievemente amaro da lui già notato. Azione del cloruro di benzoile sulla sostanza p. f. 234°-235°. — Gr. 0,67 di prodotto sciolti a freddo in 5 ce. di piridina, dopo l'aggiunta di un peso equimolecolare più un leggero eccesso di cloruro di benzoile, vennero sealdati in tubo chiuso a 100° per 3 ore, ma ne riottenni solo pro- dotto inalterato (*) Azione di cloruro di zinco sul nitrosofenilindolo. — 11 nitrosofenilin- dolo in polvere fine ed in porzione di 4 a 5 gr. ciascuna veniva macinato rapidamente con 3 a 4 volte il suo peso di cloruro di zinco, fino ad ottenere un miscuglio omogeneo. Questo, introdotto in palloncini, veniva scaldato in bagno ad olio: fra 195° e 205° la massa entra in fusione, con svolgimento di gas e di vapori pesi di odore penetrante. Tenevo ancora due o tre minuti nel bagno intorno a 200° la massa semifluida di color bruno, movendo il palloncino per renderla omogenea e completare la reazione, ed infine, cessato lo sviluppo di gas e lasciatala raffreddare, riprendevo con acqua. Stemperando la massa in mortaino con acqua resa lievemente acida con acido cloridrico, ottenevo fiocchi bruni che ben lavati e secchi vennero ri- presi con molto alcool bollente. Da questo rimane indietro un pulviscolo car- bonioso, che ho trascurato, e la soluzione alcoolica bruna trattata con nero animale per concentrazione e raffreddamento dà pagliette minute di colore paglierino, in quantità di !/, circa del peso di nitrosofenilindolo impiegato. La sostanza è poco solubile in alcool anche all'ebollizione, assai più in ben- zolo a caldo, poco a freddo, pochissimo solubile in acqua bollente da cui (1) Cfr. Keller, Centralblatt (1904), II, 1315. — 233 — cristallizza in aghetti corti e fini colorati sempre in paglierino. La soluzione alcoolica presenta una fluorescenza che varia di tonalità: dall’azzurro-violaceo al verdognolo. Per la determinazione di azoto la sostanza, purificata da al. cool, fondeva a 229° ca.; per la determinazione di carbonio e idrogeno, cri- stallizzata fino a p. f. sensibilmente costante da benzolo, fondeva a 227°-228°. Questa leggera differenza nei punti di fusione dipende probabilmente anche dal fatto che è assai difficile separare il composto puro da altri prodotti a punto di fusione assai vicino, che si formano contemporaneamente e che ho isolato solo in parte ed in così piccola quantità che non ho potuto esami- narli. Così pure non ho ancora finito di studiare l'olio bruno, che si ottiene concentrando fortemente le acque madri alcooliche del prodotto p. f. 228° ca., e da cui con ligroina bollente isolai una sostanza cristallina gialloguola, che greggia fondeva verso 100°. «I. Gr. 0,1989 di sostanza (p. f. 227°-228°) dettero gr. 0,5488 di CO, e gr. 0,0848 di H,0; II. Gr. 0,1618 di sostanza (p. f. 229° ca.) dettero ce. 18 di N a 20°.5 e 748 mm. In cento parti: Trovato Calcolato per C.: Hio Na 0 I II C 75,25 ssi 75,67 H 4,78 — 4,50 N — 12,73 12,61 La sostanza è assai stabile al permanganato (reazione di Baeyer); si scioglie in alcali ed acidi diluiti, nè a freddo viene da essi alterata sensi- bilmente. Azione di acidi e di alcali diluiti sulla sostanza p.f. 229° ca. — Un poco di prodotto venne bollito a ricadere per 5 ore ca. con lieve eccesso di acido solforico diluito (al 25 °/,): il liquido, colorato in giallo, venne poi trattato con carbonato sodico fino a neutralizzazione ed il precipitato che si forma, ben lavato con acqua, venne sciolto in alcool bollente. Per raffredda- mento si ottennero aghetti sottili giallo-pallidi, che, ricristallizzati ripetuta- mente da alcool, si conservarono di tale colore e fusero infine a 2219-2220: essi contengono circa l’ 1,5 °/, d'azoto in più del calcolato per la formula Cu HioNs 0. Le prime acque madri alcooliche di essi concentrate dettero aghi fini, lunghi e setacei. quasi incolori: purificati ancora da alcool per l’analisi, l’ottenni incolori col p. f. 234°, del tutto identici a quelli del pro- dotto p. f. 234°-235* ottenuto dal nitrosofenilindolo con pentacloruro di fo- sforo; anche mescolati con essi fondevano alla medesima temperatura senza rammollire. IH — 234 — Gr. 0,1143 di sostanza dettero cc. 13.di N o 249,2 e 746 mm. In cento parti: l'rovato Calcolato per Ci Hio Na 0 N 12,82 12,61 Il composto di partenza (p. f. 229° ca.) anche bollito con soda caustica diluita al 15 °/, per un'ora circa, precipitando poi con acido acetico, dà un miscuglio analogo all’antecedente e dal quale separai facilmente la sostanza p. f. 254°, identica a quella ottenuta con acido solforico diluito ed analizzata. Comunico con tutto riserbo i risultati di queste ultime esperienze intorno all’azione del cloruro di zinco sul nitrosofenilindolo poichè sono ancora in corso; esse verranno completate prossimamente. Chimica. — Azcerche sulla scissione degli aminoacidi race- mici per mezzo di acidi attivi ('). Nota I- di AmepEO CoLomBano e GIUSEPPE SANNA, presentata dal Socio L. BaLBIANO (°). Data la debole funzione chimica di comportamento che presentano gli aminoacidi, è noto, come per la maggior parte di quei composti fra essi che, contenendo atomi di carbonio asimmetrici, la teoria fa prevedere scin- dibili nelle due forme otticamente attive, non vengano utilizzati i metodi classici più frequentemente adoperati per lo sdoppiamento dei composti ra- cemici nei loro antipodi ottici, e come per essi sia necessario ricorrere a degli artifizii speciali per riuscire più facilmente e meglio nello scopo. Così il Fischer nei suoi estesissimi studî sugli aminoacidi applicò per questi composti un procedimento speciale, col quale eliminando la funzione basica del gruppo aminico per introduzione di radicali acidi quali il ben- zoieo, formico, acetico, ece., e salificando in seguito i prodotti così ottenuti con basi otticamente «attive, ottiene, per cristallizzazione frazionata, le forme antipode che si possono ottenere libere per azione degli alcali (*). F. Ehrlich (4) ottiene la separazione degli aminoacidi racemici, alanina, leucina, acido «-aminovalerianico, facendoli fermentare in soluzione zucche- rina ed ha così la Lalanina, la d-leucina e l'acido l.aminovalerianico. Altro metodo di separazione è quello usato da Pope e Gibson (*) satu- rando le proprietà acide o le basiche di un aminoacido racemico, per metà () Lavoro eseguito nell'Istituto farmaceutico della R. Università di Cagliari. (*) Pervenuta all'Accademia 1’ 8 agosto 1913. î (3) B. 32, 2454 (1899). (4) C. B. II, 501 (1906); Biochem. I, 8-31, 21/s. (5) Trans. (1899), 75, 1066. — 235 — con una base od un acido inattivo, e nell’altra metà con un acido od una base otticamente attiva e non racemica: ottengono così la separazione di una delle due forme col composto inattivo e dell'altra con quello attivo. Più recentemente Betti è Mayer (') per lo sdoppiamento dell'acido @-ami- nofenilacetico — scisso contemporaneamente dal Fischer facendone il formil- derivato e quindi trattandolo con una base attiva, la cinconina (*), e da F. Ehrlich (*) per parziale fermentazione dell'acido racemico — hanno usato due acidi attivi, il d.canfosolfonico, cioè, ed il d.bromocanfosolfonico, ottenendo, col primo, con ottimo rendimento, l'acido sinistrogiro e col secondo, pure con rendimento quasi teorico, l'acido destrogiro. A noi non è sembrato del tutto privo d'interesse vedere come di fronte a questi acidi, che sono sostanze abbastanza attive e che oggi così vantag- giosamente sono adoperati per la scissione di composti racemici di natura chimica differente, si comportino gli aminoacidi più semplici, quali la gli- cocolla, l’a-alanina, la leucina, la tirosina: accertare, anzitutto, se si separano i sali corrispondenti ed in questo caso osservare se nella formazione di questi sali si verifica una differenza di solubilità che permetta di utilizzarli prati- camente per la scissione degli aminoacidi racemici nei loro antipodi. A questo scopo abbiamo fatto diversi tentativi, ma mentre per i primi due aminoacidi da noi sperimentati — la glicocolla e la @-alanina — si ottiene in modo relativamente facile, la formazione dei sali dell'acido d.can- fosolfonico, non altrettanto avviene per la leucina e la tirosina. Se infatti si sciolgono, nella minor quantità di acqua, pesi equimole- colari di acido d.canfosolfonico e glicocolla, e si concentra la soluzione otte- nuta nel vuoto, su acido solforico, cristallizza un composto che al microscopio si presenta in prismi allungati che fonde tra 165°-173°, molto igroscopico, solubile in aleool, meno solubile in etere e che è canfosolfonato di glicocolla, CH,.NH:(C,H,;0.S0H) | COOH . All’analisi infatti : Sostanza gr. 0,3110 : CO, gr. 0,5265 ; H:0 gr. 0,2035 ” 0 60 RENE ee SA AT]7° SE 58m mi Trovato °/o Calcolato per CigHsa10s NS ® IO, 46,14 46,90 H CEST, - 6,84 N 4,95 4,56 (3) Gazz., 38, p. II, pag. 571 (1908). (*) B. 4/, 1286 (1908). (3) C. B. (1908), I, 1632. — 236 — Una soluzione acquosa contenente in 100 cc. gr. 10,664, di questo sale, osservata in tubo lungo 200 mm., manifesta una rotazione di + 3°,134 da cui [a]p = + 149,69. Ugualmente sciogliendo quantità equimolecolare di e-alanina racemica e acido d.canfosolfonico in poca acqua distillata e concentrando nel vuoto, cristallizza col riposo, una sostanza bianca fusibile a 105°-110°, molto igro- scopica, solubile in acqua ed in alcool, poco in etere acetico, acido acetico, acetone, benzolo, insolubile in etere e ligroina, solubile negli alcali e negli acidi nei quali si decompone, e che è il canfosolfonato di alanina: CH; | CH;.NH;(CH,0.S0;H) | COOH. Ha reazione fortemente acida, decompone i carbonati alcalini ed il car- bonato di rame: riscaldata a b. m., anche a bassa temperatura, diventa facilmente sciropposa e non cristallizza che dopo molto tempo di riposo. All'analisi: Sostanza gr. 0,2494 ; CO. gr. 0,4247 ; H:0 gr. 0,1727 ” » 0,5643 ; N cc. 18,5; T 14° ; H_ 769 mm. Trovato °/o Caleolato per C13 Ho, 0 NS+1Hs0 °/ C 46,43 46,01 H 7,67 7,37 N 3,90 4,12 Una soluzione acquosa contenente in 100 ce. gr. 12,153 di questo sale, osservata in un tubo lungo 200 mm. dà una rotazione di + 3,476 da cui [a] = 4 149,33. Tuttavia però come era facile prevedere — dato il modo di separazione di questo sale — l’aminoacido ottenuto, decomponendo questo prodotto con ammoniaca alcoolica, è racemico ed il metodo perciò non può adoperarsi per lo sdoppiamento di questi composti nei loro antipodi. ottici. Uguali risultati si ebbero, sotto questo punto di vista anche modificando le condizioni sperimentali; agendo infatti sia su soluzioni concentrate o su soluzioni diluite, sia con un equivalente o !/, equivalente di acido attivo, usando come solvente l’acqua, acqua e alcool, alcool assoluto, alcool ed etere, operando nelle più svariate condizioni di temperatura, siamo sempre perve- nuti allo stesso sale che per decomposizione dà l’amizoacido racemico. — 237 — Nè migliori risultati si ebbero sostituendo all’acido d.canfosolfonico il d.bromocanfosolfonico. Anche con questo acido, operando sulle più svariate condizioni, sì ottiene sempre una sostanza sciropposa che all'analisi corri- sponde al sale d’alanina, ma che non cristallizza neppure dopo lungo riposo, concentrazione o precipitazione con solventi diversi. Come l’alanina, rispetto a questi acidi solfonici attivi, così pure si comporta la leucina. Sciolta in pochi ce. cubici d'acqua la quantità calcolata di acido can- fosolfonico, alla soluzione fu aggiunta la leucina calcolata ed il tutto riscal- dato a bagnomaria all'ebollizione fino ad ottenere un miscuglio uniforme. La soluzione limpida filtrata tenuta per una notte a 0° non diede alcun depo- sito cristallino e solo dopo concentrazione e riposo nel vuoto, per lungo tempo, diede un deposito cristallino molto igroscopico che è però il sale dell'aminoacido racemico. Analogamente avviene per la tirosina. Concludendo possiamo pertanto dire che neppure con questi acidi sol- fonici, che pure sono molto attivi, si riesce ad ottenere lo sdoppiamento degli aminoacidi racemici nei loro antipodi ottici. Vedremo in una prossima Nota, come con essi si possa riuscire nello scopo, seguendo altra via. Ci è grato ringraziare la gentile sig.®* dott. Isabella Delitala per il pregevole aiuto datoci in queste ricerche. Chimica agraria. — Primi risultati della concimazione delle viti con solfato di manganese. Nota di F.A. SANNINO e A. TOSATTI, presentata dal Socio A. MenOzZI ('). La scoperta della laccasi, fatta da Gabriele Bertrand, e l'ufficio notevole nell'azione ossidante da lui attribuita al manganese, di cui sono rieche le ceneri di quell’enzima (*?), c'indussero a studiare l'influenza della conci- mazione con un composto di manganese sulla composizione dell'uva e del vino corrispondente. È noto che anche nell’uva, come in altri frutti, si trova dell’ossidasi, che può essere causa dell’intorbidamento del vino, dando luogo a quella che uno di noi ha chiamato casse fistologica, per distinguerla dalla casse patologica dei vini di uve muffite, attaccate da 2o/rytis cinerea (*). (!) Pervenuta all'Accademia 1°8 agosto 1913. (2) Comptes-Rendus de l’Acad. des Sciences, vol. 124, pag. 1022 (1907). (*) F. A. Sannino, Ze alterazioni dei vini, esaurito; id., Z'rattato completo di eno- logia, vol. 8°, in corso di stampa. RENDICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem [10] Do — 238 — Concimando le viti con solfato di manganese, è supponibile che aumenti il contenuto di manganese nel vino, e che si possa così provocare sperimen- talmente la casse fisiologica. Le esperienze furono fatte in due anni successivi, nel 1907 e nel 1908, in una vigna di Azesling italico della R. Scuola Enologica di Conegliano. Nel 1907 la concimazione fu fatta il 3 maggio, somministrando a cia- scuna delle 20 viti dello esperimento gr. 30 di solfato di manganese, ossia la quantità, per Ea., di kg. 200. Il terreno della vigna, posta in collina, è argilloso siliceo, privo di calcare e ricco di ferro. Durante il periodo di vegetazione nessuna differenza esteriore sì riscontrò tra le viti concimate e quelle prossime, che dovevano funzionare da controllo. La vendemmia, eseguita il 13 ottobre 1907, fornì i seguenti risultati : Composizione del mosto MR. So Glucosio Acidità Viti di controllo . . . . kg. 2.440 kg. 16265 13.18) 15:92 Viti concimate con solfato di manganese. un gn 3.600 3029997 16.00 7.46 L'aumento di prodotto causato dal solfato di manganese fu davvero no- tevole : kg. 7722 per Ea. Molto probabilmente esso dipese, non solo dalla azione del manganese, ma pure da quella dei solfati portati nel terreno e che ebbero azione su altri componenti del terreno, ad es. i composti potassici, a beneficio della vite. Facendo uguale a 100 il prodotto delle viti di con- trollo per Ea., quello delle viti concimate con solfato di manganese risulta eguale a circa 147. Il notevole aumento di prodotto, però, fu causa di diminuzione nella quantità di glucosio, e di aumento di acidi nel mosto. I quattro vini furono assaggiati e analizzati nel marzo 1908. L'analisi venne fatta secondo i metodi ufficiali prescritti dal Ministero di agricoltura nel 1905. Il manganese fu dosato col metodo Leclere in uso per l’analisi delle ceneri delle piante e da noi adottato per i vini, salvo qualche piccola mo- dificazione in seguito a diverse prove di orientamento. Le ceneri di 259 e. c. di vino sì riprendevano, una o più volte, con acido nitrico (densità 1,2) per scacciare i cloruri, avendo l'avvertenza, ogni volta, di tirare quasi a secco a bagno maria. Dopo si riprendeva il tutto con poca acqua e 10 c.c. di acido nitrico, e si faceva bollire. Poi si aggiungeva circa mezzo grammo di minio (biossido di piombo), continuando l’ebollizione ancora per qualche minuto. Dopo un po' di riposo si filtrava su amianto calcinato e si lavava con acido nitrico. Nel liquido filtrato, di colore violetto, si de- terminava l'acido permanganico mediante soluzione titolata di nitrato mer- curioso. — 239 — Tutta l'uva raccolta dalle 20 viti concimate fu ammostata, e il mosto fu diviso in due parti uguali, di cui una fu messa a fermentare da sola e l’altra fu mescolata con la corrispondente quantità di bucce. Nello stesso modo si procedette con l’uva delle 20 viti di controllo. I quattro recipienti furono messi a fermentare nel termostato, perchè, trattandosi di piccole quantità di mosto o di uva, senza questa precauzione, non si ottiene vino, ma un liquido dolce e acetoso. Nel quadro seguente sì riassumono 1 risultati analitici dei vini del 1907: Composizione dei vini di Riesling-1907 di viti non concimate di viti concimate con So, Mn fermentato fermentato in bianco con le bucee in bianco con le bucce T Il. IESTO IV. Alcool °/, in volume 6.30 11.00 9.75 9.70 A/cidivagtotalet 9/00 (gr (10.00 gr. 6.92 gr. 18.26. gr. ‘0.60 Estratto a 100° » PO 2 in 1 8-1 On I 6, 7813147 Ceneri ” ” Sa 1.85.» 1.08.» 1.92 Manganese » milligr. 1.8. milligr. 2.0 milligr. 4.5. milligr. 6.3 Glucosio » gr. 76.0 — _ — L'analisi dei vini conferma quella dei mosti, cioè l'influenza dannosa della concimazione col manganese sulla qualità del vino, prodotto in quantità ben maggiore di quella delle viti non concimate. La concimazione aumenta il contenuto di manganese nel vino, e l’au- mento è più sensibile con la fermentazione in presenza delle bucce. Avviene pel manganese l'opposto di quanto fu osservato pel ferro (*), che diminuisce nei vini fermentati con le bucce. Confrontando i due vini fermentati con le bucce, si vede che la conci- mazione aumenta esattamente di 2,5 il manganese nel vino di solo mosto; mentre aumenta di 2,3 nel vino fermentato con le bucce e proveniente da viti concimate con solfato di manganese. Nei due controlli il manganese da noi trovato corrisponde alle quantità trovate dal Maumené; mentre nei vini di viti concimate esso sorpassa il massimo di 5 milligr. trovato da Paturel nei vini del Baujolais, provenienti da terreno ricco di manganese, e anche i 6 milligr. trovati nel vino di Ro- manèche (°). Le indagini sui vini furono completate con l'assaggio o degustazione e con la prova dell’aria. (') F. A. Sannino e A. Tosatti, La concimazione della vite col solfato ferroso e la composizione del vino. La Rivista (1910), n. 1. (*) Bull. Soc. Nat. Agrie. (1908), 78, VI, pag. 414. — 240 — I risultati dell'assaggio furono i seguenti: Controllo fermentato in bianco. — Giallo, velato; odore vinoso buono, che però non è netto; sapore dolce di uva leggermente muffita. Controllo fermentato con le bucce. — Giallo, velato, odore vinoso buono, sapore secco, tannico. Vino di viti concimate con manganese fermentato in bianco. — Limpido, colore paglierino, odore di Marsala; sapore secco, fresco, frizzante. Vino di viti concimate con manganese fermentato con le bucce. — Limpido, paglierino, odore leggero di idrogeno solforato; sapore secco, ama- rognolo, leggermente tannico, sano. Di questi quattro vini era rimasto dolce il controllo fermentato in bianco, perchè l'uva delle viti non concimate conteneva diversi acini muffiti, e perciò il mosto risultò povero di composti azotati solubili, e, fermentato da solo, diede un vino dolce. Fermentato invece con le bucce, si ebbe fermentazione completa. Ma entrambi i controlli non diventarono limpidi. L'influenza del manganese sui caratteri del vino si è manifestata sol- tanto nel vino fermentato in bianco (III), che aveva odore di Marsala, o di Madera come direbbero i francesi, e che è segno di una più intensa ossida- zione. Il vino fermentato con le bucce (IV), pur essendo il più ricco di man- ganese, non lasciava avvertire l'odore di Marsala, perchè mascherato dallo odore di idrogeno solforato, dovuto ad un po’ di zolfo rimasto aderente alle bucce. La prova dell’aria consiste nell’esporre il vino, contenuto in un bic- chiere, all’aria per 12 o 24 ore. Tenuto conto dell'enorme sproporzione tra il piccolo volume di vino e quello enorme dell'aria, le ossidazioni in 12 o 24 ore sono complete. Noi però la facemmo durare 12 giorni, perchè in qualche caso l'ossidazione può ritardare; ma per evitare le conseguenze del- l’evaporazione del vino, la prova si fece sotto una grossa campana in pre- senza di un grosso bicchiere pieno di acqua. 1 due vini di viti non concimate (I e II) non furono esposti all'aria, perchè già ricchi di ossidasi, dovuta alla B0trytis cinerea, che aveva attac- cato molti acini non separati dopo la raccolta. Furono invece esposti al- l'aria i due vini ottenuti dalle viti concimate con manganese: Vino di solo mosto. — Colore giallo-chiaro, con lieve precipitato. Vino di mosto fermentato con le bucce. — Colore giallo-aranciato. Non essendosi verificato che ‘un semplice ingiallimento, più accentuato nel vino più ricco di manganese, fu ripetuta la prova dell’aria, dopo avere aggiunto a ciascuno dei due vini gr. 2 di tannino per litro: Vino di solo mosto. — Colore giallo-chiaro, precipitato amorfo. Vino di mosto fermentato con le bucce. — Colore giallo-aranciato, intenso, torbido, con sostanza iridescente alla superficie. Sono questi i ca- ratteri della casse, riprodotta in questo modo sperimentalmente. — 241 — L'esperienza di concimazione e di vinificazione fu ripetuta nel 1908. Le stesse viti del filare dell’anno precedente ebbero il 3 maggio gr. 30 di solfato di manganese per ciascuna. Durante il corso della vegetazione, nessuna manifestazione speciale si osservò sulle viti concimate. La vendemmia fu fatta il 28 settembre 1908, con questi risultati: Composizione del mosto si, AA Glucosio Acidità Viti di controllo . . . . kg. 1.000 kg. 6666 18.28 7.57 Viti concimate con solfato di manganese . . . . . >» 1.500 » 10000 18.20 7.35 Per quanto riguarda l'influenza della concimazione sulla quantità del prodotto, nel 1908 si è avuto un aumento minore di quello avuto nel 1907, com'è stato minore il prodotto delle viti non concimate. Ma nella coltiva- zione della vite è un fatto normale quello di una produzione scarsa dopo una produzione abbondante: e forse se ne potrebbero attenuare le conseguenze per mezzo di concimazioni supplementari, da farsi nel corso della vegetazione dell'anno produttivo. Essendo stato relativamente scarso l'aumento di prodotto dovuto alla concimazione con solfato di manganese, i mosti sono presso a poco della stessa composizione, con lieve aumento di zucchero e diminuzione di acidi a favore dei mosti delle viti non concimate. Composizione dei vini di Riesling-1908 di viti non concimate di viti concimate con So, Mn fermentato fermentato in bianco con le bucce in bianco con le bucce IL i IL III. ING Alcool °/, in volume 10.83 10.75 10.90 11.00 Acidità totale 9/0 gr. 7.27 gr. 6.75 gr 7.42 gr. 6.15 Estratto a 100° » -» 18.50 ” 19.06 ge 6/2, ” 19.10 Ceneri 2 a 1.54 ” 2.00 ” 1.62 - 2.10 Manganese > milligr. 0.64 milligr. 1.20 milligr. 1.80 milligr. 2.40 I vini delle viti concimate con solfato di manganese, benchè provenienti da mosto un po meno zuccherino del mosto delle viti non concimate, con- tengono una quantità alquanto maggiore di alcool. Mentre nei vini I e II la quantità di alcool in volume corrisponde a 0.60, neì vini III e IV cor- risponde a 0.61. Il fatto sì verifica anche per i vini del 1907, cosicchè devesi ritenere che la maggiore quantità di manganese sia causa di una maggiore — 242 — produzione di alcool o di una migliore utilizzazione dello zucchero, la qual cosa è in armonia con le deduzioni del Kayser e del Marchand (’). Il contenuto in manganese nei vini del 1908 è notevolmente minore di quello dell'anno precedente, non ostante che la concimazione sia stata ripetuta alle stesse viti. Inoltre si conferma il risultato dell'anno 1907, cioè la mag- giore quantità di manganese nei vini fermentati con le bucce. RISULTATI DELL'ASSAGGIO. I. Controllo fermentato in bianco. — Limpido, paglierino, odore vinoso non molto intenso, sapore secco. II. Controllo fermentato con le bucce. — Limpido, giallo, odore vinoso, sapore secco e tannico. III. Vino di viti concimate con manganese fermentato in bianco. — Limpido, colore paglierino carico, odore di Marsala, sapore secco e acidulo. IV. Vino di viti concimate con manganese fermentato con le bucce. — Limpido, colore giallo; odore come il precedente, meno intenso ; sapore secco, leggermente tannico, amarognolo. L'influenza del manganese sul colore e sull’odore del vino risulta, in questo assaggio, molto evidente. RISULTATI DELLA PROVA DELL'ARIA. I due vini di viti non concimate (I e II) si mantennero limpidi, senza cambiamento di colore, anche dopo parecchi giorni di esposizione all'aria. Invece i due vini di viti concimate (III e IV), pur mantenendosi limpidi, cambiarono di colore, presentando un lieve iscurimento o un odore intenso di Marsala. E anche questi sono segni di un'ossidazione, che nei vini più poveri di manganese non si veriflca. Queste ricerche devono essere continuate, allo scopo di provocare la casse fisiologica nei vini di uve nere; per stabilire ancora meglio i rapporti tra il contenuto di manganese, l'andamento della fermentazione alcoolica e e la produzione dell'alcool; e finalmente per studiare la rapidità dell’ invec- chiamento in rapporto al contenuto di manganese. (') Comptes-Rendus de l’Acad. des Sciences (1907), tom. 144, pagg. 574 e 714. — 243 — Cristallografia. — Comunicazione preliminare di uno studio cristallografico della Maucherite e della Placodina. Nota di AristIpve Rosati, presentata dal Socio G. STRUVER (1). Nella presente Nota espongo i risultati ottenuti da uno studio ceristallo- grafico, fatto nel Laboratorio del R. Museo di Mineralogia di Monaco in Baviera, su alcuni esemplari di Maucherite e Placodina gentilmente forni- timi dal prof. P.v. Groth e dall'ing. W. Maucher, che vivamente ringrazio. Riferirò poi dettagliatamente le mie ricerche in una prossima pubblicazione. La Maucherite è un nuovo minerale, recentemente scoperto dall’ ing. W. Maucher negli schisti ramiferi di Eisleben in Turingia, della composi- zione Ni; Ass. Su di esso sì conosce solo una breve Nota di F. Grinling, comparsa nel Certralblatt f. Min. ecc., 1913, n. 8, nella quale egli chiama il minerale col nome di Mawucherzte, e fa alcune considerazioni sui suoi ca- ratteri esterni, sulla sua composizione chimica e sul suo giacimento. Manca per ciò sinora uno studio cristallografico del nuovo minerale, e a questo appunto provvede il presente lavoro. I cristalli da me studiati provengono tutti da Eisleben in Turingia, l’unica località sinora nota, e in generale si prestano a buone misure goniometriche. Da esse ottenni i seguenti risultati : Sistema dimetrico : a:e=1:1,0780. Forme osservate : c}001}, £}223}, 0443}, /{221{, 9}552}, 2331}, 03441}, 94661}. Spigoli misurati Angoli N. | Limiti | Medie calcolati t:c=(228): (001) | 1 si 46047 | 45008 vic = (443) : (001) 2 64°12"- 65°14' | 64 43 63 481 L:e= (221): (001) | 1 LS 72 35 71 501 g:c= (552) : (001) 9 | 74 24 - 75 84 do 9 75 18 h:ce= (8331) : (001) TOR ET7Az IO =R7, 8A 77 40 to b:c=(441):(001) | 2 q:c=(661):(001) | 2 | 82 56 - 84 15 | 83 35 83 45 h:h= (331) : (831) 80 41 1 2 9 23 1 (ba | DD “ Matematica — Sw alcune circostanze attinenti alla presenza di superficie di discontinuità e al passaggio all'infinito, nella teoria del campo vettoriale. Nota del Socio Gran Anronio Maga ('). 1. In un campo a tre dimensioni, luogo del punto P= (x,y, 2), siano ; rela E (EI di alcune superficie interne al campo, dove presentino una discontinuità di prima specie. Rappresenteremo con o*, a piacere, il complesso delle superficie di dis- continuità, o una sua parte qualsivoglia, e, indicando con 7 la normale in un punto di o*, rappresenteremo con A*, AZ, A7 e ATC, AD, A7 i limiti, supposti finiti, di A e dei suoi componenti A, e A,, secondo il piano tan- gente e la normale, x, in detto punto, col tendere del relativo punto P a codesto punto, dalla parte della superficie verso cui volge n e dalla parte opposta. i monodromi, limitati e continui, ad eccezione VETTORE IRROTAZIONALE. 2. Indichiamo con rot A_e con rot*A il rotazionale ordinario (corporeo) relativo al punto generico P_del campo, esterno a o*, e il rotazionale su- perficiale, relativo al punto generico di 0o*. Da [ AX ds AX ds |rot A|- lim #0 , |rottA|= lim do=0 ù) ASX (1) Pervenuta all'Accademia il 15 settembre 1913. ReNDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. s4 As* — 248 — dove la circuitazione (AXds appartiene al contorno di una figura piana, Cc contenente P, nel suo interno, (perpendicolare a rot A_o a rot*A, a seconda del caso), /o indica l'area di questa figura, e 4s* la lunghezza dell’arco, intercettato dal contorno C, della intersezione del suo piano (sezione nor- male) con 0*, segue immediatamente che, se, per qualunque circuito C, appartenente al campo, è (I) fAxds=0, C sarà, in ogni punto P, (II) rottA=0 , rot*tA=0. La (I) si verifica, quando sia (III) A =grad gp, dove 4 rappresenta una funzione (scalare) di P, monodroma, limitata e continua. 3. Si chiama « irrotazionale » un vettore, che, oltre le indicate pro- prietà generali, soddisfaccia, in tutto il campo, alle (IT). Poichè (1) rottA=nA(A*— A)= nA(A?7 — Ar), dove n indica un vettore, avente l'orientazione di x (S 1) e grandezza 1, la seconda delle (II) si traduce in (IV) ASCA 4. Nell'ipotesi che manchino le superficie di discontinuità 0*, e che il campo sia semplicemente connesso, invocando il teorema di Stokes, / rotAXndo = A X ds 0 AC (dove o rappresenta una superficie qualunque, appartenente al campo e ter- minata a C, e n un vettore avente l’orientazione della normale nel punto generico di o, volta nel debito senso, e grandezza 1), sì trova, nel modo più semplice e spontaneo, che si verificheranno (I) e (III) con (V) pi | AXds+ costante , / PoP. P, indicando un punto arbitrario del campo, e P.P un cammino qualsivoglia, conducente da P, a P. g riesce, in questo caso, funzione monodroma e continua di P, e, in un campo finito, senz'altro, limitata. — 249 — Il caso del campo molteplicemente connesso si riduce al precedente, coll'uso di diaframmi. La (1) risulta verificarsi per ogni circuito che non intersechi un diaframma: e la (V) con g monodroma e discontinua (con salto costante) ad ogni diaframma. 5. Supponiamo ora la presenza di superficie di discontinuità, o*. Giova distinguere i due casi elementari che il circuito C, senza attraversare alcun diaframma, incontri una superficie connessa o* in due punti 4,4, o sia concatenato col suo contorno, chiudendosi in un punto 4. Nel primo caso, indichino @", 0” e a", /" due coppie di punti del circuito, prossimi ad 4,0, e posti dalle due parti della superficie. Indichino ancora c'e c' due punti del circuito, situati dalle stesse due parti. Sarà, per (IV), lim (E AXds= lim | Ro AXdS, /AU 00 inteso il limite, col tendere dei cammini "4 e a"0" ad uno stesso cam- mino 40, appartenente alla superficie. Quindi fax 1im( is I AX ds). F c È qveb'a' i GU III A cu Ora, i due integrali che figurano nella parentesi sono ambedue nulli, per le precedenti conclusioni, almeno nell'ipotesi che il circuito C sia conve- nientemente ristretto, in modo che i relativi circuiti non incontrino super- ficie singolari. Quindi, almeno con questa riserva, JAxds=o. (6; Nel secondo caso, siano ancora 4' e a" posti dalle due parti della su- perficie e prossimi finchè si vuole ad 4, e 2,0" due altri punti, prossimi fin che si vuole alla superficie, e posti egualmente dalle due parti. Imma- giniamo un cammino 2'/0" tutto esterno alla superficie, e con e indichiamo un punto di C, sul cammino fra a' e a”, fuori della superficie. Avremo almeno per C convenientemente limitato, in modo che il circuito relativo al seguente integrale non incontri superficie singolari, f AXds=0. Sa ca"b'db'a' Quindi anche, col tendere dei cammini 40" e a”0" ad uno stesso cammino 48, appartenente alla superficie, lim AXds=0. Lacu''d ba — 250 — Ma, per {IV), 3 lim |, AXds+lim f Axds=o. AGRO 0A Quindi lim Î AXds= lim AXds. Jaca” /b'db' Ossia ( AXds= costante, GC per ogni circuito, convenientemente ristretto, concatenato col contorno della superficie. E poichè, per un circuito infinitesimale, la circuitazione è nulla, per essere A limitato, si conclude ancora, almeno, con la suddetta riserva, fAxd=o. Si vede subito come, decomponendo, se occorre, un circuito in più altri, si tolga la limitazione che il circuito sia ristretto in modo da verificarsi l'uno o l’altro dei due casi elementari suddetti. Concludiamo quindi che la presenza delle superficie di discontinuità 0* non modifica i risultati precedentemente ricordati ($ 2), relativi alla vali- dità dell'equazione (III) ed alle attinenti circostanze. 6. Supponiamo ora che il campo sia semplicemente connesso e si estenda indefinitamente, in ogni direzione; e, indicando con e la distanza del punto P da un punto fisso, P,, e con Q una quantità finita, attribuiamo al vettore A la proprietà asintotica (VI) e |A| gocce di sol. 0,2» Na 0H Fia. 1 — 266 — EspeRIENZA IV. — Stalagmometro che dà gocce 40,5 di acqua alla temper. 23° C. Viscosimetro che dà per l'acqua un tempo di deflusso ft = 1’ 177 3/5 a 23° C, | Gocce t Temp. | | Sospensione di metemoglobina em? 10 aa 40,5 1’ 18” 23° C o » ” » +10 gocce soluz. 0,1 HCI 42,2 1722” ” | | ”» ” » +10 ” ” ATA \PA9IAO D | Il liquido si è quasi del tutto chiarificato | i » D) » + 10 D) D) D STONE » | » » » + 10 » » 54,2 17811); » Ì | ’ ” pi 10 ” DN 5215 G10 5 2, | Ù » D) » + 20 gocce sol. 0,17 NaOH 54,6 1°2171/; » i ; ; > 1-20 , pi 52 OA eco | | » » » + 10 » D) a) AI — » I Il liquido incomincia a intorbidarsi | | » » » + 5 D) D) 45 (9) Man mano si forma un precipitato granuloso così | abbondante, che riesce impossibile determinare il numero delle gocce e il tempo di deflusso. | Coi dati numerici di questo esperimento ho costruito la curva della fig. 2, che ri- guarda la tensione superficiale, e quella della fig. 3, che si riferisce alle modificazioni di f viscosità, <— gocce dallo stalagmometro -—> 0. 20 40 60 gocce di sol. 017 Na 0H è è è Ù; es () 20 40 60 gocce di sol. 0,1n Na0H 0 0 0 Il Pre. 2. -——> tempo di deflusso in minuti primi e secondi 1'50” 1/40” 1730” 1/20” 1107 EspPERIENZA V 10 —> gocce di sol. 0,1z NaNH 00 0 20 30 40 Fic. 3. 10 20 50 — gocce di sol 0,12°HC] e è 40 50 — Stalagmometro che dà 40,5 gocce di acqua a 23° C. Soluzione e sospensione di a) metemoglobina 10 cm? 1) c) d) Si decanta il liquido soprastante; esso dà 53 !/2 gocce. SL + 15 + 25 + 25 0 IL gocce soluz. 0,2 x NaOH b}] ” gocce soluz. 0,2 x »” » Si lascia sedimentare il precipitato. Il liquido soprastante dà ancòra 48,7 gocce. Alla soluzione c) si aggiunge 1 gr. di NaCl in sostanza, e ve lo si fa sciogliere. La soluzione rimane limpida; essa dà 52,2 gocce. Vi si sciolgono altri 2 gr. di Na CI in sostanza. Si forma abbondante precipitato. ». b>} »” HCl bb] ” Gocce 48,3 49,4 47,8 Temp. 45,5-45,7 23°C » » Liquido torbido Liquido rosso-cupo Soluzione limpida Il liquido non s’intor bida Il liquido si intorbida Abbondante precipit. Ae Si divide il liquido d) dell’esperimento precedente in due parti eguali. Prima\porsione:t rs gno 0 0 e rocce ” Vi si aggiunge 1 goccia soluz. 2.n Na CI » 48,7 » » 2 gocce D) D) » 48,7 ” » 1 goccia » » » 48,7 ) ” 3 gocce ” ” » 50,1 ’ » 3 gocce » ” ”» 50,8 Il liquido è notevolmente torbido L’ulteriore aggiunta di soluz. 2 di NaCl non modifica il numero delle gocce. Il giorno seguente, si trova notevole quantità di precipitato sedimentato. I Miquidofisoprastante den , . . gocce 49-50 Si aggiunge NaCl in sostanza, tanto da prcciditare quasi tutta la metemoglobina. Si lascia sedimentare il precipitato. I UlIQUICONSOPrastante da Me EER OCCERDI Seconda porzione: . . . . + + . gocce 47,8-48 Diluita con suiai ne di acqua dà n» 46,3-47,2 » »” ”» »” 45,5-44,8 Lo stesso liquido, il giorno seguente, dà DIMA652 Esperienza VI. — Stalagmometro che dà 40,5 gocce di acqua a 22°%,5 C. La solu- zione 2n di NaCl dà gocce 41,3. Soluzione dializzata di metemoglobina poco concentrata contenente pochissima metemo- globina sospesa cm5 10 2eege, . Cn. NZOCCENZA 0 OMPer 220,0) È » D) D) + 2 cm? sol. 2a NaCl » 45,8 » » » ” » + È) ” ” » 45,3-46 » Il liq. s'intorbida Esperienza VII. — Soluzione di metemoglobina, in due porzioni: a una si aggiun- gono quantità crescenti di NaOH; all'altra, quantità crescenti di HCI. Coi risultati ottenuti si costruisce l'unica curva della fig. 4. Moli NaO0H Moli HCI aggiunte per litro Numero delle gocce aggiunte per litro Numero delle gocce soluzione | soluzione 0,00000 58 1/22 0,00000 58 0,00070 58 4/22 0,00003 58 °/22 0,00021 58 11/22 0,00012 58 13/22 0,00048 59 11/2, 0,00091 63 0,0100 62 0,00230 6819/,, ConcLusioni. — Dagli esperimenti sopra riferiti resultano le seguenti conclusioni: 1. Le sospensioni acquose di metemoglobina pura (dializzata per quattro mesi o più) hanno una viscosità ed una tensione superficiale poco differenti da quelle dell'acqua distillata. — 269 2. Quando la metemoglobina sospesa passa in soluzione, sotto l’ influenza dell’HC1 o della Na OH, la viscosità del liquido (che prima è una sospen- sione-soluzione, e da ultimo una soluzione perfetta) aumenta; la tensione superficiale diminuisce. La tensione superficiale raggiunge un valore, oltre il quale, per quanto acido o alcali venga poi aggiunto, non si abbassa più, cioè raggiunge un minimo, che sembra essere indipendente dalla concentrazione della metemoglobina sciolta, entro certi limiti. L'aggiunta ulteriore di un piccolo eccesso di acido o di alcali non esercita un'azione degna di nota sulla tensione superficiale (vedere figg. 1 e 2). Numero delle gocce > 0,0006 = 0,0004 0,0002 0,0002 = 0,0004 0,0006 0,0008 0,0010 Moli aggiunte Na OH per L <«— - 6— Moli aggiunte HC1 per L Fic. 4. 8. Neutralizzando l’acido con volumi eguali di alcali egualmente con- centrato, o di alcali con acido, mentre la metemoglobina sciolta torna a precipitare, la tensione superficiale, già diminuita, torna ad aumentare. 4. La viscosità, aumentata per aggiunta di HCl, torna a diminuire notevolmente quando si aggiunga un eccesso di acido (fig. 3), e tende a raggiungere il valore primitivo, sebbene non si osservi precipitazione della sostanza sciolta. A spiegazione di questo fatto, si possono invocare i resul- tati analoghi ottenuti da varii autori in esperimenti sulla sieralbumina. L'eccesso di acido fa retrocedere la dissociazione del cloruro di metemoglo- bina, cioè fa diminuire la concentrazione dei metemoglobinioni, da cui di- pende l'aumento della viscosità. 5. L'aggiunta di cloruro sodico alla soluzione di metemoglobinato sodico produce una ulteriore, piccola ma costante, diminuzione della tensione su- — 270 — perficiale (Esp. V); l’aggiunta dello stesso sale alla soluzione di metemo- globina pura (non dializzata fino a determinarne la precipitazione), non eser- cita un'azione analoga degna di nota. 6. Da precedenti esperienze (') resulta che, contrariamente alla visco- sità, il cui aumento dipende dalla concentrazione attuale degli ioni proteici, l'abbassamento della tensione superficiale dipende principalmente dalle mo- lecole di proteina non dissociate. L'abbassamento della tensione superficiale da me osservato nelle sospen- sioni di metemoglobina in seguito all’azione dell’ HC1 o della Na 0H, dipende essenzialmente dal passare della sostanza, sospesa, allo stato di soluzione. Eventuali variazioni della tensione superficiale di soluzioni di metemoglo- bina dipendenti, come quelle precedenti constatate da me in collaborazione col dott. E. d'Agostino in soluzioni di albumina, da variazioni dello stato di dissociazione della sostanza già sciolta, potranno essere messe in evidenza solo mediante ricerche più delicate, che non siano le presenti. Tuttavia, l'effetto che produce il cloruro sodico aggiunto a una soluzione di metemo- globinato sodico, che già ha raggiunto il minimo di tensione superficiale (effetto che consiste, come ho detto, in un’ ulteriore abbassamento della ten- sione), mi pare che non possa spiegarsi se non ammettendo che esso sia la espressione di una parziale retrocessione della dissociazione del metemoglo- binato, operata dai sodioni aggiunti, cioè della formazione di molecole in- dissociate di metemoglobinato sodico a spese dei rispettivi ioni. Matematica. — Sulle varietà algebriche che posseggono inte- grali semplici funzionalmente dipendenti. Nota di AnniBALE Co- MESSATTI, presentata dal Corrisp. F. SEVERI (?). È noto che una superficie algebrica irregolare la quale possieda due integrali semplici di seconda (o, in particolare, di prima) specie algebrica- mente indipendenti, che siano funzioni uno dell’altro, contiene un fascio irra- zionale di curve; e ancora si sa che tale proprietà si verifica tutte le volte che fra il genere geometrico py ed il genere aritmetico pa della superficie intercede la disuguaglianza Pa => 2(Pa + 2). (1) Fil. Bottazzi e E. d’Agostino, Rend. R. Accad. dei Lincei (serie 52), vol. 21, pag. 561, an. 1912. (*) Pervenuta all'Accademia il 16 agosto 1913. Q — 271 — Il ponte di passaggio fra questi due interessanti teoremi — dovuti rispettivamente a de Franchis (1) e Castelnuovo (*?) — è fornito dalla rela- zione di Picard in virtù della quale, dati due integrali semplici di 1 specie funzionalmente indipendenti, si può formare un ben determinato integrale doppio di 1* specie che deriva razionalmente da quelli. L'estensione del teorema di de Franchis, alle varietà algebriche era prevedibile; ma non si poteva altrettanto affermare della disuguaglianza di Castelnuovo finchè rimanevano sconosciute quelle relazioni — messe recen- temente in luce da Severi (*) — che estendono alle varietà il risultato di Picard dando il modo di costruire razionalmente un integrale s-plo di 12 specie appena sian noti s integrali semplici di 18 specie funzionalmente indipendenti. Profittando dei risultati di Severi, mi son proposto di attuare le sud- dette previsioni, e son giunto abbastanza agevolmente alle conclusioni desi- derate. In questa Nota estendo alle varietà il teorema de Franchis, poggiandone la dimostrazione sopra una osservazione assai semplice, di carattere analitico; in due Note successive stabilirò due disuguaglianze che possono considerarsi come estensioni di quella del Castelnuovo alle varietà a tre dimensioni, applicandole a caratterizzare le varietà di genere geometrico vo e quelle d’'irregolarità tridimensionale negativa, e in fine accennando all’estensione relativa al caso delle varietà superiori. 1. Osservazione preliminare. Date / funzioni analitiche indipendenti %,,%,...,%, delle variabili complesse x1, 2, ..., &%x (= %), siano %41, 41,42, +34 altre /4+1 fun- zioni, pure analitiche, delle stesse variabili, tali che valga l'identità (1) dui = Ad, + Ag dus + + '+Adu,; .(!) de Franchis, Sulle superficie algebriche le quali contengono un fascio irrazio- nale di curve, Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tom. XX (1905), pp. 49-54. () Castelnuovo, Sulle superficie aventi il genere aritmetico negativo, Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tom. XX (1905), pp. 55-60. Il risultato di Castel- nuovo è stato ulteriormente precisato da Rosenblatt in varî lavori: cfr. p. es. Sur les surfaces irrégulières dont les genres satisfont à l'inégalitè pg > 2(Pa+ 2), Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tom. XXXV (1913), pp. 237-244. (8) Severi, Relazioni tra gl'integrali semplici e gl'integrali multipli di 1° specie di una varietà algebrica, Annali di Matematica pura ed applicata(3), tom. XX, pp. 201-216. A proposito d'una citazione bibliografica contenuta in questo suo lavoro, il prof. Severi mi prega di avvertire che la relazione ch'egli attribuisce a Néther, Mathematische An- nalen, Bd. 29 (1886), pag. 366, fu data prima da Picard, Journal de Mathématiques (4), tom. I (1885), pag. 285. RENDICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 37 — 272 — ci proponiamo di provare che sì ha (2) d,= Pilu uz, 3), (CES cioè che le 4% si possono considerare come funzioni di w%,,%2,...,%. Invero, siccome le %,,%2,..-,%, sono funzioni indipendenti delle «, potremo, operando un cambiamento di variabili, considerare 741, 41,42 +34 come funzioni di %,,%2,...,% e di XK —{ fra le x, ad esempio x1,%>, ,Xx-;- Rispetto a queste nuove variabili varrà l'identità U l dUL dUI+ due = I E CE du; +> a da; =Y ddu, == = i=1 d%; = da cui seguiranno. le dU, dU+1 ; 5 —: = —=4À;, CIR I ola ES (j=1 ki), la prima delle quali prova che v,+: è indipendente da 4,,%2,.., kr, cioè si può considerare come funzione di %,,%»;...,w. Tale proprietà spetterà dunque anche alle derivate di w,,, rapporto alle x, cioè — per la seconda delle (3) — alle 2, c. d. d. Il risultato ottenuto vale evidentemente anche se le w e le Z son fun- zioni analitiche del punto variabile sopra una varietà algebrica a % dimen- sioni Vx, coll’osservazione che in tal caso le (2) (3) sono verificate soltanto sulla Vy stessa. 2. Esistenza di un sistema d'indice 1 e d'irregolarità bidimensionale >0 di varietà algebriche subordinate, sopra ogni varietà algebrica Vi d'irregolarità bidimensionale q>0, con 1+-1<=% integrali semplici (trascendenti) funzionalmente dipendenti. Sia V, una varietà algebrica irriducibile a 4 dimensioni, che possiamo supporre immersa in uno spazio Sk+1 (21, 42,8), la quale possieda q integrali semplici di 1% specie linearmente indipendenti (4) Uge= (Pu dar + Padar +-+ Padax, (MERE) ci proponiamo di dimostrare che: Se gli 141 = integrali ur, ua, ..., +, SONO funzionalmente di- pendenti senza che lo siano l tra essi, allora la Va contiene un sistema col, d’indice 1, di varietà algebriche My-, di livello costante per u,,U23.0%,U4+13 che perciò ha l'irregolarità bidimensionale almeno uguale ad 1+ 1. Ammesso il teorema per le Vy,_;(< > 0), incominciamo coll’osservare che, a causa del legame funzionale supposto esistente fra w,, 2,3 %U+1) sarà, su Vz, identicamente nulla la matrice (5) E IERI (MEA — 273 — e perciò le equazioni (6) Prix + Primo + + Piuriu4a = 0, (E) f ammetteranno come soluzioni per w,,%2,.., +, certe espressioni formate coi minori della (15), cioè certe funzioni razionali di x1,%2,..,En,8- E si noti che nessuna delle w potrà essere identicamente nulla, perchè, se ad esempio lo fosse la #,,,, risulterebbe nulla la matrice formata colle prime / righe della (15) e quindi w,,%:,...,, sarebbero funzionalmente dipendenti. Posto X;= — —— , (£=1,2,...,0), dalle (6), :(4) seguirà la duri = n dui + da dus + SD È + 2, dui, la quale prova che alle funzioni razionali (non identicamente nulle) 4,,4», ...yÀ, sì può applicare l'osservazione del n. 1, e che perciò, a norma della (2), esse sono del tipo (17) di = Pi(U1, U2, U), (Edo g o gb Anzitutto osserviamo che le funzioni @; non possono ridursi tutte a delle costanti (*). Invero, allora, tenendo conto della seconda delle (3), la relazione funzionale, che intercede fra w,,%»,..., %+:, si ridurrebbe a una relazione lineare a coefficienti costaz/z, e quindi %,,%2,...,%+1 risulterebbero linearmente dipendenti. Adunque qualcuna delle g; dipenderà effettivamente dalle x, e perciò una fra le relazioni (17) si potrà scrivere (18) A=g( sz 3.3 Ur), À essendo una funzione razionale di x,,%:,..,%x,z, e g una funzione che dipende effettivamente dagli argomenti %,,%2,..., Ur. L'equazione 4 = cost stacca su V, una Vy-, algebrica variabile in un fascio che potrà eventualmente esser composto con un altro fascio (razionale o irrazionale) irriducibile ® di V,_,. Poichè la relazione (18) è verificata, per un conveniente valore di Z, sopra una Vx-1 di ®, su questa gl’ inte- grali %,, %»,... ,% saranno funzionalmente dipendenti. E siccome sulla Vx-, generica di D, 7 — 1 fra quegl’integrali (ad esempio 1, %2,... 3 %r1) non possono essere funzionalmente legati, perchè ciò porterebbe ad una re- lazione del tipo F(u »Ua 30003 Ur ,3)=0, ed eliminando 4 fra essa e la (18) si otterrebbe una relazione fra w1,%2,... ..- Ur valida su tutta la V,, così, tenuto conto che r <= /<=X— 1, si potrà (*) Poichè ui, va, ..», vu, sono funzionalmente indipendenti, se una delle @ è costante rispetto, ad Z1,Za,..,4%,.lo è anche rispetto ad 1, Ua;..,U2- — 274 — applicare alla V,_, il teorema ammesso per le Vz_; e concludere che sulla generica Vyx_, di @ le varietà di livello costante per w,,%»,...,% sono W,-, algebriche formanti su ogni V,-, un sistema oo! d’indice 1, e quindi entro V, un sistema T, 00”, d'indice 1 ('). Sulla Wx_, generica di T gl’integrali %,+1,%r+2, +; %+: saranno fun- zionalmente dipendenti, perchè in virtù del legame esistente su Vx fra 1, U2, +-+, U+1, Se sì considera sulla W,-, il luogo dei punti in cui w,4,, Ur+3 , +. 3, SOno costanti, ivi sarà costante anche +: (perchè già lo sono Ur 3U2, 3 Ur). Inoltre /— fra gli /—7 +1 integrali considerati non potranno essere funzionalmente dipendenti sulla generica Wx-,, perchè altri- menti esisterebbe una relazione, valida su tutta la V,, fra quegli /— 7 in- tegrali ed w,,%2,...,%,. Siccome infine / —r +1<=/%— r, così si potrà applicare alla W,_, generica di T il teorema ammesso per le Vy_;, e con- cludere che su essa le varietà di livello costante per w,+;, %r+23 3 %41 saranno M,_, algebriche, le quali entro Vx risulteranno di livello costante per %1,%2, + ,%7+, @ formeranno un sistema oct $, d'indice 1. Inoltre gli integrali %,,%2,...,%+, risulteranno in definitiva integrali di 1 specie linearmente indipendenti appartenenti all'ente algebrico X, cosicchè questo avrà l'irregolarità bidimensionale almeno eguale ad /-+ 1. Il teorema pro- posto è dunque completamente dimostrato. OssERVAZIONE. — L'ipotesi che gl’integrali %,,%2,..., %+, siano di 18 specie, entra in gioco nella dimostrazione precedente solo quando sì vuol provare che l'irregolarità bidimensionale del sistema X è => +1. Sicchè l'esistenza del sistema 2 resta provata per il caso di integrali semplici qualunque; e inoltre, come ora dimostreremo, se quegl' integrali sono tra- scendenti (cioè se non si riducono a funzioni razionali o a combinazioni algebrico-logaritmiche), > ha l'irregolarità bidimensionale > 0. Si tratta, in sostanza, di provare che una varietà algebrica V, (imagine del sistema 2) la quale possiede un integrale semplice rascendente di 2* o di 3* specie, ha necessariamente l'irregolarità bidimensionale positiva. E invero, sopra una V, d'irregolarità bidimensionale nulla tutti gli in- tegrali semplici di 2* specie si riducono a funzioni razionali, e quelli di 32 specie a combinazioni algebrico-logaritmiche. La prima di queste due proprietà è immediata conseguenza del fatto che tutti i cicli lineari conte- nuti entro la Riemanniana imagine di V, sono riducibili a punti per defor- mazione continua; e quanto alla seconda, essa si stabilisce facilmente imi- tando un ragionamento del Severi relativo al caso delle superficie regolari (?). (1) Se r= 1, le Wx_, coincidono colle Vr_1. (*) Severi, Sulla totalità delle curve algebriche tracciate sopra una superficie al- gebrica [Mathematische Annalen, Bd. LXII (1906), pp. 104-225], $ 5, n.7, pp. 211-213. L'estensione a cui accenniamo è immediata, quando si osservi che, come sulle superficie — 279 — Il teorema dimostrato in questo numero è invertibile nel senso che se la varietà V, possiede un sistema o d’indice 1 di M,_, algebriche avente l'irregolarità bidimensionale => /-+1, essa possiede /-+ 1 integrali distinti di 1 specie, funzionalmente dipendenti. Basta osservare che su una V, ima- gine del sistema 00°, /-+1 integrali di 18 specie sono sempre funzionalmente dipendenti, e tener conto della sostituzione razionale che trasforma gli inte- grali di V, in integrali di Vy. Matematica. — Zeoremi di unicità nei problemi dei valori al contorno per le equazioni ellittiche e paraboliche. Nota di MauRrO Picone, presentata dal Socio L. BIANCHI ('). 1. Lo studio della Memoria del Dini: Sulle equazioni alle derivate parziali del secondo ordine (*), nella quale trovansi stabiliti, sotto molte- plici forme, numerosi teoremi di unicità nei problemi dei valori al contorno per le equazioni ellittiche e paraboliche lineari del secondo ordine, mi incita alla pubblicazione della presente Nota in cui, ai sopradetti teoremi del Maestro, ne aggiungo dei nuovi di indole diversa. I teoremi quì enunciati non dipendono da speciali ipotesi fatte sui coefficienti dell'equazione, nè dalla presupposta conoscenza di integrali particolari dell'equazione data o dell’ag- giunta. Ai risultati di questa Nota pervengo basandomi sopra un teorema di confronto fra due equazioni ellittiche o paraboliche del secondo ordine che è un’estensione di quello da me stabilito, confrontando due equazioni ellit- tiche entrambe ed autoaggiunte, nella Nota: Un teorema sulle soluzioni delle equazioni ece. (*); del quale teorema già feci applicazione per la de- terminazione di campi per cui vale il teorema di unicità nel problema di Dirichlet per la più generale equazione ellittica autoaggiunta del secondo ordine (4). regolari, così anche sulle varietà V7 d’irregolarità bidimensionale nulla, le Vz_, di sin- golarità logaritmica per un integrale di 3% specie sono linearmente dipendenti. Questa proprietà si prova a sua volta per induzione supponendola valida per le sezioni iperpiane di V, (che hanno anch'esse l'irregolarità bidimensionale nulla) e approfittando di noti criterî d’equivalenza per le Vz_, contenute in Vr. (1) Pervenuta all'Accademia il 10 settembre 1918. (?) R. Accademia dei Lincei, Memorie, vol. III della serie 52. (3) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XX della serie 5%; citeremo questa Nota con la notazione (Ni). (4) Nella Nota: Sul problema di Dirichlet ece., id. id., la citeremo colla nota- zione (Na). — 276 — 2. Stabiliamo anzitutto il teorema di confronto di cui abbiamo discorso; e fin da ora avvertiamo che: quando diremo che una data equazione è ellittica (parabolica), intenderemo ch'essa lo sia sempre, cioè in tutto il campo di definizione dei suoi coefficienti. Si abbia l'equazione ellittica o parabolica coi AA rin Vota dY + 2037 +23 +Au=0, per la quale supponiamo che le funzioni O DD dd , ’ 9 glio 1A0R PER dI DEVI dA dY a,b,c, siano finite e continue in un certo campo T° del piano x,y, e confrontia- mola coll’equazione ellittica o parabolica autoaggiunta oi oe (1) rig= I (044 lt + pe=0, per la quale supponiamo che nello stesso campo I° le funzioni A DI DDR °D ON DI 60,t, , siano finite e continue. Supponiamo inoltre che sia, in T, a>0,0D>0. Il teorema di confronto si enuncia nel modo seguente: Se in un campo C di T connesso e finito, di contorno c, è \ a>0,c=>t,(a-0(c-r)—-(b—-}=>0, (1) ed esiste una soluzione ‘u della (I) identicamente nulla sul contorno c di C — non identicamente nulla in C — non potrà esistere una solu- zione v della (II) per la quale il rapporto U v si conservi finito in C e ivi non soddisfi identicamente alle due equazioni: dI d gi Po (2) | ol» 1 IP: _dP rg), [idee — 277 — Il teorema si dimostra subito [efr. (N1)] partendo dall’eguaglianza TONEE fa Sf da Da 2 dv) | a I _My 5 o dx dy , all->=> nella quale, ora come sempre in seguito, intendiamo gli integrali doppî estesi al campo C. Posto, invero, A SQRAE_g dx dY dall'ipotesi che il rapporto n Si conserva finito in C segue che wr lia, nulla su ec e che si potrà nella (3), in luogo di Hw?, porre la sua eguale PIO E n RA Calle: dopo di che l’eguaglianza (3) si tradurrà [cfr. (N,)] nella seguente : du\? dU dU du\) — 0)(—- — tt) — — |. = eazia ) SSiemo(RE +e co) t du _uw\ dU a) du da du Lol SS v DI nol (= V dI (Da Vv dY 200 "(F- Vv dY ci Car +ffe — H)u de dy=0. Distinguiamo a questo punto il caso in cui la (II) è ellittica dall'altro in cui è parabolica. Nel primo caso, per le diseguaglianze (1), essendo 9>O0, si deduce necessariamente, dalla (4), cioè che il rapporto = è costante in C e quindi ivi soddisfa alle equazioni (2). Nel secondo caso l'integrale intermedio nel primo membro della (4) si può scrivere IA 0 aL) du U 2) )} OI) SERA Sa (= alia vdY VEDA per cui dalla (4) seguirà di nuovo che il rapporto 3 soddisfa in C alle equazioni (2), in questo caso coincidenti. Il teorema di confronto è dunque dimostrato. log 3. Supponiamo in questo numero che l’equazione (II) sia ellittica, va- lendo le tre prime delle diseguaglianze (1), risulterà ellittica anche l’equa- zione (I) e dal teorema dimostrato segue il corollario: In un campo C in cui esiste una soluzione della (1) 0 della (II) nulla sul contorno — non identicamente nulla in C — ogni soluzione della (I1) non può sempre conservarsi diversa da zero. Da questo corollario sì deduce che: 7uzti è teoremi di unicità otte- nuti in (Ns) relativi agli integrali di un'equazione ellittica autoaggiunta alle derivate parziali del 2° ordine che prendono valori assegnati sul contorno di un campo connesso, valgono per l'equazione ellittica affatto generale L(e) = f(2,y), se la quantità in (Ns) indicata con M esprime il massimo di dh dk H —A—--—-—- 1 Lo (0) dI dY (0) 4. Supponiamo ora, sino alla fine, che l'equazione (Il) sia parabolica. L'equazione (I), sempre nell’ipotesi che valgano le (1), potrà essere ellittica o parabolica; e dal teorema del n. 2 segue il corollario: In un campo C in cui esiste una soluzione della (I) 0 della (II) nulla sul contorno c, non totalmente costituito da linee caratteristiche per la (II), ogni soluzione di questa non può sempre conservarsi diversa da zero. E invero, nell'ipotesi che una soluzione vw della (II) sia sempre in C diversa da zero e una soluzione « della (I) sia nulla sul contorno c di C, dal teorema del n. 2 segue essere, in C, u=v2D(p), dove g designa una soluzione particolare delle equazioni coincidenti (2) e @ una funzione di 4. Se ne deduce che su c risulterà D(g) = 0, e quindi ch’esso è totalmente costituito da linee caratteristiche per la (II) (?). Dal corollario ora stabilito si deduce evidentemente che per quei campi C il cui contorno non è totalmente costituito da linee caratteristiche della equazione (II) e pei quali si sia assicurata l’esistenza di una soluzione della (II) ivi sempre diversa da zero, valgono i teoremi di unicità relativi (!) Questa osservazione è stata anche fatta (indipendentemente da me) dal profes- sore E. E. Levi che me la comunicò per lettera. (8) Osserviamo che se v è una soluzione della (IT) lo è anche v (9), per cui, se le equazioni (I) e (II) non hanno soluzioni comuni (circostanza questa che si può accer- tare, nel caso di una conveniente derivabilità dei coefficienti delle equazioni, con soli calcoli algebrici e di derivazione) è lecito nell’enunciato del corollario ora stabilito tacere la condizione che c non deve essere totalmente. costituito da linee caratteristiche della equazione (II). Osserviamo ancora che la medesima condizione si può anche sopprimere nell’ipotesi che sia, in tutto C, H(2,y) p=0e1t WE MI+ lE E, ml, q=B}g,w(5, n}, è ° p(5,9) cm D(s, n) $ Éo ?($ 37) Éo r(s, i a € mentre il campo I° si trasforma in un campo 7° del piano &,7. Diciamo M il massimo di # in Z' e m il minimo di @. Vogliamo dimostrare che in un campo R' di 7’ limitato da due caratteristiche 7 = #0, n= (M<%) e da due curve cy e c, rispettivamente di equazioni é= mn), éÉ=m@) , wWENEZSM, con #o(7) e w,(7) funzioni finite, continue, ad un sol valore, per le quali, essendo 720(7) = (7), risulta / mmm) << / 0 esiste un integrale della (Il') ivi sempre diverso da zero. (!) La diseguaglianza scritta perderebbe senso nel caso di M negativo o nullo; in questo caso dobbiamo intendere che la differenza #1(7) — mo(7) non è soggetta ad alcuna limitazione, all'infuori di quella proveniente dalla condizione che le curve ci e ca devono appartenere alla regione I”. RenpicontI, 1913, Vol. XXII, 2° Sem. [Wi] 00 — 280 — Diciamo perciò v, e vs due integrali indipendenti dell'equazione (Il), e consideriamo l'integrale della medesima equazione D(E mn) =v2 MM) — 0, n v(E,n— vm 0, Mn} ve(E, n), che si annulla sopra la curva £ = m(7) — 9, avendo designato con o una costante piccolissima minore di E. Dico che l'integrale v(£,7) è sempre diverso da zero in R'. Ed invero, se 7 è l'ordinata di un punto di R' in cui si annulla v, l'equazione ordinaria del second’ordine LA IRENLLA 0 de (ED FRE e=0 possiederebbe l'integrale v(È,7) avente due zeri consecutivi distanti fra loro per meno di 77 Va: il che è impossibile, come subito deriva dal teorema di confronto di Sturm per le equazioni ordinarie. Ritornando alle variabili x e y, possiamo, dopo ciò, enunciare il teorema: Detti m e M il minimo e i massimo in T rispettivamente delle funzioni i 0x(5.Y)+t(8-9. 1 Sega 0(s, Y) È 05) +65, B(2,4) -/%o 8(s,y) Bla, y) = OL i = e 6(2,Y) per ogni campo R di T limitato da due caratteristiche p=% ,9@=% e da due curve ci e Co, non incrociantisi mai, che, incontrate ciascuna in un sol punto da ogni caratteristica p=n(M0 <=N Mm) staccano sopra questa un arco la cui proiezione ortogonale sull'asse x non supera una quantità i |Fula,B:d, 8). ga, d) do, dove «(a', 8"), v(a', 8'), w(a', 8") sono funzioni date dei punti (@',") di 0, le quali rappresentano le componenti, rispetto agli assi coordinati, degli spostamenti assegnati in superficie; w',v",w',w",...,u",.. indicano gli (1) Pervenuta all'Accademia il 18 settembre 1913. (3) Sull'equilibrio dei corpi elastici isotropi, Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XXII, ser. 5*, 1° sem. 1913, pp. 12-18 e pp. 216-222. — 283 — integrali singolari delle equazioni dell'equilibrio elastico trovati dal Somi- gliana, e g(a, 8), w(a,8),x(@,f) le densità incognite dei tre strati ela- stici richiesti. Si è veduto che il sistema di equazioni integrali (1) è certamente ri- solvibile, ed anzi ammette una ed una sola soluzione, sempre quando le date funzioni «(a , 8), v(@a, 8), w(a,) dei punti (a, #) della superficie 0° sod- disfino ad una certa condizione analitica, che è pure la condizione necessaria e sufficiente per la risoluzione del primo problema fondamentale dell’elasti- cità mediante semplici strati elastici. Ora, per esaurire la ricerca, dovremo applicare alcuni risultati sulla teoria dei sistemi di equazioni integrali di prima specie, che si trovano in una mia recente Nota (') nella quale, veramente, sono state considerate fun- zioni ortogonali di una sola variabile e nuclei dipendenti da una sola coppia di parametri. Ma i ragionamenti fatti e i risultati ottenuti, alcuni dei quali richiamerò in succinto qui appresso, sussistono, qualunque sia il numero delle variabili da cui dipendono le funzioni ortogonali o il numero delle coppie di parametri che figurano nei nuclei del sistema di equazioni inte- grali considerato. Sia proposto il sistema di equazioni integrali di prima specie: 1 n (2) 99 = f S Kir(8 , 6) Hr(t) di 0 1 (€80) 5 esso equivale, come è noto, all’unica equazione integrale di prima specie: (3) 9(s) ={ K(s,%) h(t) dt. 0 Nel caso in cui il nucleo K(s,%) di questa equazione risulti simmetrico (ciò che avverrà certamente se le K;(s,%) sono funzioni simmetriche in 8,t e se, inoltre, K;,(s,4)= K,;(s,4)) allora, indicata con P1(5) > P2e(5) 13 Pi(8) l’unica serie delle corrispondenti autofunzioni (di queste, una, almeno, esi- sterà indubbiamente) (*), e con ARENA Dia (*) Sui sistemi di equazioni integrali di prima specie, id. 2° sem. 1913, pp. 13-20. (2) E. Schmidt, Zur T'heorie der linearen und nichtlinearen Integralgleichungen, Math. Ann., Bd. 63, pp. 433-476, $ il. ogg i relativi autovalori, si sa che ad ogni autofunzione @;(s) corrisponderà un sistema di n autofunzioni date dalle formole: (4) gu()=d f i d, Kir(5,) gi(6) di (= 1922) Inoltre, se esiste una soluzione 4(%) dell'equazione (3), essa è suscettibile dell’espressione seguente: h(t)= Zi ai di pi(t) + Didi gi() +: HiFi dove 6) a= fre (To) prat; ed allora, per la corrispondente soluzione del sistema (2), si ottiene: (6) n= Yu hgo) + Yi gol) + (fa 1 2005040) Ricorderò, infine, che i numeri %; , 75, ... sono determinati a norma del teorema del Weyl e che le serie dei secondi membri convergono uniforme- mente în generale nell'intervallo (0, 1). Riferendoci ora al sistema di equazioni integrali (1), da noi studiato tino dalla I Nota, possiamo affermare che, in virtù della simmetria delle funzioni (nuclei) «' ,0',w',...,w",...,u",.., e tenuto conto che il de- terminante di queste nove quantità è simmetrico rispetto alla diagonale principale, esisteranno almeno una terna di funzioni (autofunzioni) dei punti (a, 8) della superficie o: Pi (@ ’ 8) ’ Pis(@ ’ f) , Pis(a 9 8) ’ ed una corrispondente costante (autovalore) 4;, tali che, a norma delle (4), si avrà: Pi (a' ’ B') = di (su (a ’ B $ a E) 8) È Pi (a , 8) do , Ài ri Ù VU (7) Pis(a' , 8)=37 (SIE (a,P;0",8). gna, f)do, di Ui 0 , f pale ,8)= 32 (Zu (a,f;@ ,B).Pr(e, 8) do. O TT Inoltre, a causa della dimostrata esistenza di un'unica soluzione g(a , f) ’ Y(a,P) , x(@, f) del sistema di equazioni integrali (1) e, nell'ipotesi ammessa, che le date funzioni u(@,8),v(@,8) e w(a,f) soddisfino alle condizioni necessarie e sufficienti stabilite nelle due precedenti Note, e ponendo, come in (5), di = {sula 1) Pia, BP) do, si avrà, applicando le (6), ge 8)= Ya ihi Pa(a BP) + Siudgale 8) + ® ve, A)= Yidi gala, + n (e 9)=Yiidigi(e, 8) + e ricordiamo che le serie dei secondi membri sono uniformemente conver- genti in generale sopra i punti della superficie © Le tre precedenti formole ci dànno le densità dei tre strati elastici semplici, che risolvono il primo problema fondamentale dell’elasticità, espresse mediante sviluppi in serie di funzioni ortogonali. Seguendo le stesse notazioni che abbiamo adottate nella I Nota, pos- siamo quindi costruire gli strati elastici seguenti: l 4 Vf, n O=3r f3gle. pe do, Î © 1 nr VE = f3gle, e do, Wa) = 0r ovvero, per le (8), e integrando per serie: Vi(f,7,0))= —X.al Li [Z91(e 8) dol (+ Mako d+ ni+1l ‘ e(È YI] (È ) —_ ) - Ai \ 4 (> Pa(e, f )u'dot + DI ) = - i È DI st ae) — 286 — Se poniamo, per brevità, , Z; i Dim Siae p10) ui00e 09) ul (€,10=$ [390,9 /%0, Pn) avremo, infine: VEmo=ta ®;(È,n, SENSI) (En) (10) VOS Di (Io VELO IE Le funzioni ®;(£,7,6), Di(È,7,%) e X;(É,7,€), espresse dalle formole (9), rappresentano un sistema di deformazioni (strati elastici) che, in virtù delle (7), assumono in ogni punto (a) della superficie o del corpo ela- stico S considerato, rispettivamente i valori g;(@, 8"), gis(@e", 8), gis(a', 8"): noi diremo che le ®;, %;, X; costituiscono una deformazione fondamentale del corpo elastico S. Le funzioni Vi(f,7,6), V:(£,7,6) e Vs(È, 7,6) coincideranno nei punti (@', 8") di o, a norma delle (1), con le date funzioni (spostamenti in superficie) (a',#"), v(a', £'), w(a', 8") e costituiscono, quindi, le compo- nenti della deformazione del corpo elastico, corrispondente agli spostamenti u,v e w dati ad arbitrio sui punti di 0. Riassumendo, pertanto, le formole (10) ci esprimono la seguente legge di equilibrio di un corpo elastico isotropo, subordinatamente alle ipotesi fatte nella I Nota: se le funzioni u(a,B),v(a,B) e w(a,B), che rappresentano gli spostamenti dati ad i: io su i punti della superficie o del corpo S, sono tali che gli pseudo-doppî strati elastici aventi per densità le fun- zioni u,v ew ammettono le corrispondenti pseudo-tensioni nei punti di 6, e da entrambe le faccie della superficie stessa, allora la deformazione di componenti Vi(£,n,%), Va(É,n,6) e Va(£,7,6), prodotta nei punti (£,7,6) del corpo S, si può sempre considerare come dovuta alla sovrap- posizione di un numero finito od infinito di deformazioni fondamentali. — 287 — Meccanica. — Ze ipotesi sugli sforzi interni nei mezzi, ponderabili, isotropi. Nota II di UMBERTO CRUDELI, presentata dal Socio T. Levi-Crvita ('). I. Anzitutto, osserviamo che nelle (3) (vedasi Nota I) figurano ottantuno coefficienti, il cui numero si riduce subito a cinquantaquattro, apparente- mente distinti, qualora non si ammetta l’esistenza di momenti specifici di massa, giacchè allora Xy= Yz, Ya= Zy, Z4x= X;. Dapprima studieremo appunto questo caso, cioè il caso dell'assenza di momenti specifici di massa. Allora sarà, intanto, hO = hd (Con =IITE290)6 Si venga, poi, all’inversione degli assi x ;y,3. Mediante inversione del solo asse x, dovremo avere Me ’ Ya=T— Yx ’ Za=—Lx; mediante, invece, inversione del solo asse y, , Xy=-Xy , Yy=Y , Z2y=—4y; ed invece, finalmente, mediante inversione del solo asse 4, dovremo avere X_=—-Xg , We Y, , Mg con l'avvertenza, naturalmente, che, invertendo un asse, si prenda, come nuova terna d'assi di riferimento, la terna costituita dai due assi non in- vertiti e da quello invertito (perciò abbiamo apposto un apice alle X_5, Y_,,Z_z). Mediante coteste inversioni, tenendo presente che i coefficienti % dovrebbero essere isotropi e proprî soltanto del corpo e della sua tempera- tura, resulteranno diverse da zero soltanto le % seguenti: rr rs (FS) RASOI. ho (Po9=1 A 9) I nostri coefficienti si riducono così, intanto, a quindici apparentemente distinti. Ora, mediante tutte le possibili permutazioni degli assî @,Y,8 fra loro, tenendo sempre presente la natura delle %, avremo (I (22) (38), hi, = hh, =h; (1115) SSN 7 (22) e 7 (33) tp (11), ee (33), (4) has = hs =h, = h; A =, ((12) GRIN 7 (23) QRS 7 (SI) e (18), CM 2) AS) his =h,, = h,, =h,; =h,, =h, (') Pervenuta all'Accademia il 28 agosto 1913. RenpICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 39 — 288 — Indicheremo con 4° (s=1,2,3) il valore comune delle % che figurano nella linea s*“ del quadro (4) (a cominciare da quella ove trovasi 41”). Avremo dunque dU dv dw X pes hA® eEZSà he® coeso h® tetti P dx att W E de Potremo anche scrivere du Xxr=h0+ h, — x 104 he > (5) ° ° ° . ° Ù e ° avondo posto h= 2, he =hA0- RO, h=h®. Rimane da dimostrare che ho = 2hg Ù Si consideri, perciò, in corrispondenza del punto (x,y ,z), la terna delle dilatazioni principali (*), della quale gli assi verranno indicati con Ni, Na, Ng. Sia il quadro relativo ai coseni direttori dei suddetti assi. Siano, inoltre, %,,%s., 3 le componenti del vettore (v,v,w) rispetto alla terna delle dilatazioni principali in discorso, ed N,;(r,8==1,2,3) le componenti degli sforzi interni specifici relativi a facce normali, nell'origine, dl di dUs ; e, —— dovranno Mi Ma di3 agli assi della terna medesima. Fra le N,, e le (!) Più precisamente delle dilatazioni principali, ove si tratti di solidi elastici, e, invece, delle velocità di dilatazione principali, ove si tratti di fluidi viscosi. — 289 — aversi relazioni dello stesso tipo (5), ed i coefficienti, per loro natura, saranno gli stessi. E poichè, nell'origine della terna delle dilatazioni principali, si ha dU, dUi dU3 dU dUI dU3 ina =—s i rei — = —=00 ; dI 3r DIE dNo nn dN3 dN3 ar dI avremo E (6) Nis=Na=Ns=N,=Na3=N3,=0, cioè coincidenza della terna delle dilatazioni principali con quella delle pressioni principali. Inoltre dUI — (i) n N hi + ha di dUs (7) Nsa=h,0 5P ha Ms dU3 = hj0 È Na hi, + ho di Ora si osservi che, per il noto feorema del Cauchy, ed in virtù delle (6), si ha Nir= Ni , Ny=BiNa , Nia=yiNi ((=1,2,8) avendo indicato con N;, le componenti, rispettivamente secondo gli assi 1,2, #3, dello sforzo specifico che insiste sulla faccia elementare, positiva, normale all'asse 7. Quindi, poichè 3 3 Xi=NifaN c N; , IIS resi i=l Giwa), avremo = ELE Wi Ie, LL Y x Di Y Dati = du o == ha DV tenendo presenti le relazioni che sussistono fra i coseni direttori di una terna d'assi fra loro ortogonali. Ma, per note formule di passaggio, si ha dv, dU a Mi dU _ :B:3% e le analoghe, say oa for Ue sicchè hs (dv, du X, Te (2453) e le analoghe. — 290 — ® Dunque, come volevasi dimostrare, hg = hs . Cioè, chiamando %, con 4 ed %, con 2u, abbiamo le formule (1). II. Veniamo, finalmente, al secondo caso, cioè al caso in cui si am- metta l’esistenza di momenti specifici di massa. Mediante inversione degli assi x.y, (seguendo il procedimento già indicato) resultano anche qui diverse da zero soltanto le % seguenti : (rr) (778) (5) SS RI E (De (r,8s=1,2,83). s Mediante, poi, le permutazioni degli assi x ,y,&, avremo (01)} s07:(22) pe (33) hi ls mi. (1115) ABS 722) NR 7 (33) (1115) ne 7 (22) (33) hag =, I = I dh, (8) (12) (29) 7 (SI) (13) ar (2.1) 732) hi, = h, ZU; = hi; =h, =h, (12), p(23) __ p(30 — 7(13) __ p(21) __ 7(32) hs, =h, =h, =h,, =h, = hy, o Indicheremo con 4° (s=1,2,3,4)il valore comune delle % che figu- rano nella linea s" del quadro (8) (a cominciare da quella ove trovasi 4fi”). Sicchè avremo dU Xa = 40 + ha Sw dv dU Vi = VS had $ da TE dwW Peano sie EE si dY no da dove A=Ah®, h° = AV -h®. Ovvero, ponendo K9 —u+v , Xk0=u— v, avremo du Xx=40+ ks Spa dv du dv du O ]tm(E+%)+-(3-3) dU du dv du x,=n(3 +35) — ca CI E en Rimane da dimostrare che Si consideri, anche ora, in corrispondenza del punto (@ ,y,z), la terna delle dilatazioni principali, la quale ora non coincide più con quella delle pressioni principali. Le N;;(£=1,2,3) saranno date sempre dalle (7), mentre le altre N, le quali ora più non sono nulle, saranno date così: Ne, == Vv lc == di da dNs Uo U Ni: = Sy (7 den ma) ELA Ma, Ora si ha 3 8 Quindi, tenendo presenti le formule di passaggio considerate preceden- temente e, inoltre, le seguenti, dv E du Si © e/A LOW du, | i (e Di Lie dUz Mb Zi) Mio ELI tue Us I t (As a3Î1) a dns t (Q3f, 1f3) (È di ) e le analoghe, resulta appunto 4, = 2. Cioè le (9) coincidono con le formule (2) del So- migliana. ddr Chimica. — Scissione dell'a-alanina negli antipodì ottici per Ù mezzo di acidi attivi ('). Nota II di AmeDEO CoLomBano e Giu- | sePPE SANNA, presentata dal Socio L. BALBIANO (è). i Abbiamo descritto in una Nota precedente (*) come neppure con gli acidi | d.canfosolfonico e d.bromocanfosolfonico che con così buon risultato sono largamente adoperati per la scissione di un gran numero di composti racemici, i sì riesce a scindere gli aminoacidi più semplici, quali l’a-alanina, la leu- ì cina ecc. Continuando nello studio di tali ricerche, abbiamo voluto accertarci se lo sdoppiamento di tali composti, di così debole funzione chimica, non po- tesse ottenersi per mezzo di acidi attivi, ricorrendo ad un artefizio analogo | a quello usato dal Fischer per riuscire nello scopo. Poichè, com'è noto, il Fischer potè ottenere lo sdoppiamento di questi composti racemici togliendo ad essi il loro doppio carattere chimico, acido e basico, con lo spegnere la funzione basica, trasformandoli in benzoil, acetil Î 3 deg I | e formilderivati: I CH, il | 1 H—-CT—NH.R I COOH così, seguendo una via analoga, noi abbiamo cercato di scindere questi racemi rinforzando la loro funzione basica, con l’eterificare cioè il radicale acido: | CH; | H—C—NH, | CO0.R In queste condizioni, come nel primo caso salificando i composti ottenuti con basi attive — brucina, stricnina, cinconina ecc. —, si riesce a scindere | il racemo nei suoi antipodi ottici, così nel caso nostro, salificando gli eteri ottenuti con acidi attivi — quali il canfo e bromocanfosolfonico — si doveva poter raggiungere lo stesso scopo. Così operando, noi infatti siamo riusciti, (!) Lavoro eseguito nell'Istituto farmaceutico della R. Università di Cagliari. (®) Pervenuta all'Accademia 1°8 agosto 1913. (*) Questi Rendiconti, pag. 234. — 293 — specialmente col secondo acido, ad ottenere finora la scissione dell’a-alanina in un modo più semplice e certamente più rapido. Lo sdoppiamento degli aminoacidi racemici per questa via era già stato tentato dal Fischer facendo agire l'acido d.tartarico sull’etere etilico della leucina ('). In questo modo egli ottenne un tartrato neutro, fusibile a 145° che però non potè essere scisso nei sali dell’I- e d-leucinester. Più tardi lo stesso E. Fischer con Hagenbach (*) ripetè questo tenta- tivo sull’etere etilico dell'acido «-amino-n-caproico. L'aminoacido ottenuto dall’etere era otticamente attivo, ma la rotazione ottenuta era di +4 149,9, mentre per l’aminoacido puro è di -| 269,5. Gli autori indicavano fin da allora questo metodo come utilizzabile per la scissione degli aminoacidi racemici, ma rivelavano nello stesso tempo un grave ostacolo nella facile saponificazione dell'ester che impedisce la cristal- lizzazione del tartrato. Col metodo che oggi viene descritto, si ha invece che il sale dell’ester di alanina cristallizza bene, facilmente, ed è molto stabile. L'eterificazione dell'e-alanina fu da noi compiuta con lo stesso processo usato dal Fischer (*) e che gli permise la preparazione di una lunga serie di questi derivati e la separazione dei diversi aminoacidi dai miscugli in cui essi si trovano in tanti composti naturali. Si scioglieva l'alanina in alcool etilico assoluto, e la soluzione si satu- rava con una corrente di acido cloridricv secco; il cloridrato ottenuto si con- centrava nel vuoto, ad una temperatura di non più di 35°, fino a consistenza sciropposa, quindi si riprendeva con acqua ed etere, si raffreddava fortemente e poscia si decomponeva con la quantità calcolata di soda caustica al 33 °/,. Al miscuglio si aggiungeva in seguito, e progressivamente, carbonato potas- sico anidro in modo da formare una densa poltiglia e si estraeva per tre o quattro volte con nuovo etere. La soluzione filtrata si lasciava per 10 minuti in presenza di carbonato potassico secco, e poi per più ore si sbattera con un po’ di ossido di calcio o di bario ; si evaporava l'etere, ed il residuo veniva distillato nel vuoto. Gli ester degli aminoacidi (4) che così si ottengono — come è noto — sono sostanze che si lasciano facilmente caratterizzare dal loro punto d’ebol- lizione, dalla loro solubilità, e dal punto di fusione dei loro picrati: ia essi il gruppo aminico è capace di reagire come nelle amine ordinarie; e perciò, a differenza degli acidi liberi, essi sono solubili in alcool, etere, benzolo ecc. Ottenuto l'etere di alanina, i tentativi fatti per avere la separazione dei due antipodi furono diversi. Facendo la soluzione dell’ester in alcool etilico (1) B., E. Fischer, 34, 483 (1901). (2) B., 34, 8764 (1901). (5) B., 34, 433 (1901). (*) Abbiamo avuto occasione di prepararne diversi che presto si descriveranno. — 294 — ed aggiungendo ad essa la quantità calcolata di acido d.canfosolfonico, non si ottiene la scissione, ma cristallizza una sostanza che fonde fra 95°-100°, solubile in acqua, in alcool, meno solubile in etere. All’analisi: Sostanza gr. 0,2020 ; CO: gr. 0,3729 ; H:0 gr. 0,1485 ” » 0,2194; » » 0,4055; » » 0,1565 ” a) O.1SS04580N ce.l60 LOR 6007mm® Trovato °/ Calcolato °/o per C,5Hs:0;NS + !/, H20 C 50,34 50,41 _ 50,02 H 8,16 7,92 — 7,01 N — = 3,76 3,89 La sostanza cristallizzata è: #0 canfosolfonato dell’ester etilico di alanina CH, | 3 CH . NH,(C,0H,;0 . $0:H) | C00 CH; Una soluzione acquosa contenente in 100 cc. gr. 8,174 di questa so- stanza, osservata in un tubo lungo 200 mm., manifesta una rotazione di + 1,84, da cui [op = + 119,49. È tuttavia il sale dell'acido racemico; difatti l’aminoacido ottenuto, decomponendo l'etere nel modo che descriveremo in seguito, è sempre inattivo. Quando per solvente si adopera l’acqua, si ottengono prodotti cristal- linìi che si possono separare per il loro diverso grado di solubilità e che si differenziano per il loro punto di fusione. In questo modo noi siamo riusciti a separare diverse frazioni d’un sale che all'analisi ha dato: Sostanza gr. 0,1841 ; CO, gr. 0,3262 ; H:0 gr. 0,1224 Trovato °/o Calcolato °/ g per C,sH27.0sNS-+-1H:0 C 48,92 C 49,04 H 7,98 H 7,89 A differenza del sale ottenuto nella precedente preparazione, questo pro- dotto cristallizza con 1 mol. H0: il punto di fusione è più elevato di quello del sale racemico, e per le diverse frazioni va da un minimo di 135° a — 295 — un massimo di 185°; anche il potere rotatorio, sempre positivo, varia da a® = | 29°,50 (conc. 6,48 °/) a as =+ 42°,82 (conc. 6,91 °/0). Ad un aumento del punto di fusione corrisponde un aumento del potere rotatorio, ciò che ci fa supporre che tutte queste frazioni siano impure del racemo, la cui solubilità non si differenzia molto da quella del sale dell’an- tipodo. La frazione fondente a 185°, che ha un potere rotatorio specifico a = 42°,83, fu quella che all'analisi dette i risultati sopra riportati e che, come si vede sono abbastanza corrispondenti. Per il punto di fusione molto netto e ‘per il potere rotatorio abbastanza elevato, noi abbiamo ritenuto si trattasse del d-canfosolfonato del d-alaninester: non ci è stato possibile però di ottenere l’ester libero, perchè la quantità di sale ottenuta, troppo esigua, non ci ha permesso di farne la decomposizione. Ad ogni modo, questo risultato ci ha dimostrato la possibilità di ottenere la scissione per mezzo dell'acido canfosolfonico: si tratterà probabilmente di variare la natura del solvente. Migliori risultati abbiamo avuto sostituendo nello sdoppiamento dell'ester, all’acido d.canfosolfonico, l'acido d.bromocanfosolfonico. Se si versa infatti una soluzione acquosa dell'alaninester in una soluzione concentrata di acido bromocanfosolfonico (*), si ha subito, a temperatura ordinaria, la formazione di una massa bianca costituita da grossi cristalli di aspetto tabulare bene sviluppati. Dopo ventiquattro ore, la cristallizzazione è completa; ed i cristalli, raccolti e lavati, fondono bene a 145°. Seccati fino a peso costante alla stufa, perdono una molecola d'acqua di cristallizzazione, ed il prodotto anidro che si ottiene fonde a 192°. Cristallizzato dall'etere acetico, si ha in bei cristalli prismatici, allungati, anidri, che fondono a 192° ed hanno potere rotatorio destrogiro. La preparazione di questo sale venne in seguito vantaggiosamente mo- dificata facendo agire, anzichè l'acido libero, il bromocanfosolfonato ammo- nico sul cloridrato dell’ester: CH; CH3 | CH.NH,.HC1-+ CH 0Br.S0, ONH, = CH—NH;(C,0H,, 0Br.S03H) + | | CO0 . C,H; C00.C.H; + NH,C1. In questo modo si può far uso di un sale che cristallizza e si purifica . facilmente e si evita la decomposizione dell'ester che è un'operazione lunga e molto delicata e dà rendimenti assai scarsi. Sì sciolgono gr.32 di d. bromocanfosolfonatoammonico in 100 ce. d'acqua; e la soluzione limpida ottenuta si versa nella soluzione di gr. 15 di clori- (1) Kipping e Pope, Journ. Chem. Soc., 73, 893 e seg. RENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 40 De Og drato deil’ester di alanina. Il miscuglio — filtrato, se occorre — dopo poco tempo comincia a separare cristalli lucenti che aumentano a poco a poco, fino a formare una massa di gr. 17 di sostanza che corrisponde alla metà circa del peso dei componenti. I caratteri fisici di questo composto corrispondono esattamente a quelli descritti per il prodotto ottenuto col primo metodo. All’analisi, il prodotto, asciugato a temperatura ordinaria, diede: Sostanza gr. 0,1788 ; CO» gr. 0,2682 ; H.0 gr. 0,1068 Calcolato per C,3H2606BrNS+1H,0 °/: C 40,36 ; H 6,27 Trovato °C 40907: HH 6169, ‘Sostanza (seccata a 100°) gr. 0,1365 ; N ce. 3,9 (1) ; T 24° ; H 764mm. Calcolato per C,;Hs60BrNS °/,: N 3,27 Trovato 0 ENI Il composto è perciò il dromocanfosolfonato dell’ester etilico di alanina : CH, | CH .NH;(C;0H,,0Br. SO}H) +1H;0 . | C00.0.H; Gr. 0,5480 di sostanza, riscaldati alla stufa a 105° per parecchie ore fino a costanza di peso, diedero una diminuzione di gr. 0,0227, corrispondente al 4,14°/, e ad una molecola di H,0 di cristallizzazione. Il punto di fusione di questo sale reso anidro, come si è detto, è 192°. Una soluzione alcoolica al 3,488 °/, del sale idrato, osservata in tubo lungo 100 mm., dà una rotazione di + 2,356; da cui [a]® = + 670,54. Per ottenere l'ester dell'’aminoacido libero, si tratta il sale, così prepa- rato con la quantità ‘calcolata di soluzione di potassa caustica al 33 °/,, avendo cura di raffreddare bene il miscuglio; quindi si aggiunge carbonato potassico polverizzato, progressivamente, fino ad avere una densa poltiglia, estraendo la massa più volte con etere. La soluzione eterea si secca su ossido di calcio e si distilla: il residuo che così si ottiene è costituito dal- l'ester d’alanina destrogiro : CH; | CH . NH; | COO . CH; (1) Per la poca importanza che nel caso ha la determinazione dell'azoto, non si è creduto necessario di preparare nuova quantità di sostanza per ripetere questa analisi. — 297 — Una soluzione alcoolica, infatti, di questo residuo al 26,384 °/,, osser- vata in tubo lungo 100 mm., dà una rotazione di + 3,038; da cui: [a]® = + 110,26. Dall'ester così ottenuto, facendolo bollire per 5 ore a ricadere con acqua, ‘quindi evaporando a pellicola, si ottiene facilmente, in minuti cristallini aghi- formi, l’alanina libera. Per esaminarne il potere rotatorio, si trasformò l’alanina così ottenuta in cloridrato. Si sciolse, cioè, la sostanza ottenuta, in pochi ce. d’acido clori- drico diluito (1:2 d'acqua); e la soluzione filtrata si fece evaporare a bagno maria a secco. Il residuo dell’evaporazione si sciolse in alcool assoluto e si precipitò con etere assoluto filtrando subito alla pompa. Si ebbe così una bella sostanza d'aspetto madreperlaceo che, per una concentrazione del 7,304°/,, osservata in tubo lungo 10 mm., diede una rotazione di — 0,800 da cui [e]®=— 100,20. Questo risultato è molto vicino a quello dato dal Fischer (') che trovò: [a]}® = — 100,30. Si osserva cioè in questo caso un fatto analogo notato altre volte, p. es. per la l.leucina (?): che, mentre l’ester è destrogiro, l'aminoacido libero è invece sinistrogiro. Usando nella preparazione del sale dell’ester d'alanina la quantità cal- colata di acido d.bromocanfosolfonato ammonico, dopo separato il sale che costituisce il bromocanfosolfonato dell’l-alaninester, dalla soluzione, tenuta nel vuoto su H.S0,, si separa frazionatamente dapprima bromocanfosol- fonato ammonico puro, in seguito lo stesso sale mescolato probabilmente col- l'altro antipodo, giacchè il potere rotatorio va aumentando nelle diverse frazioni (da + 85°,80 a + 1059,93). Infatti, se si decompone il miscuglio, sì ottiene un alanister sinistrogiro, la cui rotazione è ancora molto bassa. Per una concentrazione del 9,61 °/ si ha [long = — 29,108 Se pertanto dalle acque madri, usando questo metodo dello sdoppiamento ‘degli aminoacidi per mezzo di acidi attivi, sì può ottenere anche g'altro an- tipodo, tuttavia ciò si ottiene con difficoltà e poco rendimento, ugualmente a «quanto avviene col processo delle basi attive finoggi adoperato (*). Noi cre- (') B., 39, 453 (1906). (®) B., 34, 433 (1901). (3) Vedi Fischer, B., 32, 2451 (1899). — 298 — diamo che con maggior vantaggio si potrà in questo caso ricorrere al corri- spondente antipodo dell'acido bromocanfosolfonico da noi adoperato, il levo, analogamente a quanto hanno già fatto altri (*). Queste ricerche verranno da noi continuate in questo senso e con altri omologhi superiori degli aminoacidi, anche perchè speriamo che ciò ci darà modo di portare qualche contributo allo studio della scissione degli ester etilici degli amminoacidi, non ancora fatto. Terminando, ci è grato di esprimere i nostri più vivi ringraziamenti alla. dottoressa sig.?* Isabella Delitala per il prezioso aiuto datoci nella parte sperimentale di questo lavoro. (1) Vedi Pope e allievi. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. iSerie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. “Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. DO (1875- 76). Parte 1 Loi 23 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 38 MEMORIE della Classe di scienze morali, Mi storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII. ‘Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — IIT-XIX. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. i “Serie i o Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. i -Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-XXI. (1892-1915). 2° Sem. Fasc. 6. RenDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXI. (1892-1918). Fasc. 5°-6°. MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. Fase. 14°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. VOR REe CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AT RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI | . I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche ‘e naturali della R, Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- «denti ognuno ad un semestre. . Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta l'Italia è di L. 19; per g gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: Ermanno Loescner & C.° — Roma, forno e Firenze. Utrico Horpui. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Settembre 1913. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1913. Maggi. Su alcune circostanze attinenti alla presenza di superficie di discontinuità e al pas- saggio all'infinito, nella teoria del campo vettoriale . . . ....... . +. +. Pag. 247 Righi. Nuove esperienze sull'anodo virtuale nei tubi a raggi magnetici. . . . ; n 256 Bottazzi. Sopra alcune proprietà colloidali della emoglobina. Modificazioni della ui e della tensione superficiale di sospensioni di dii. per l’azione di HCL e di NEO c Sela; ia 7268 Comessatti. Sulle È, ALIEOO DA posseggono nisi semplici finzioni dipen- denti (pres. dal Corrisp. Severi) . . . 0 ) IEgio GIO Picone. Teoremi di unicità nei problemi dei Filoti 7 Stato per le equazioni ellittiche e paraboliche (pres. dal Socio Bianchi) . . . . SI) ZIO Silla. Sull'equilibrio dei corpi elastici isotropi (pres. dal Si Wa CIV » 282 Crudeli. Le ipotesi sugli sforzi interni nei mezzi, ponderabili, isotropi (pres. dal Sieio ni CVA) ARNONE Ian BABI A i) AI 287 Colombano e Sanna. Sossio dell’a- ila (ict antipodi ottici per mezzo di acidi attivi (pres: .dal‘Socio Balbiano)t i ie I I TORI SION ian e Sn ID OD &. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 5 ottobre 1913. Nos, REALE ACCADEMIA DEI LINCEI SE. DELLA ANNO CCCX. 1913 STRrERERE Q, VIEIN'IA. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X XII. — Fascicolo 7° 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia durante le ferie del 4913. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d’arrivo) PAT nian / stà 4A È: 4 \ NOV 7 191 ROMA E ME TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. Vv. SALVIUCCI 1918 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rerdiconti della nuova serie formano. ‘una pubblicazione distinta per ciascuna delle due ‘Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono ‘portate a 6 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite ne Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro posta dell’invio della Memoria agli Archiv dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agì autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. » RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI nervenute all'Accademia durante le ferie del 41913. ‘Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). RAAAAAADRANALIL Astronomia. — Statistica delle protuberanze del sole negli ultimi cicli osservati della sua attività ('). Nota del Socio ANNIBALE Riccò (°). Osservazioni e strumenti. — Avendo cominciato a fare la statistica delle protuberanze solari nei 40 anni a cui si estendono le osservazioni visuali raccolte dalla Società degli spettroscopisti italiani, ho incontrato grandi dif- ficoltà, dipendenti specialmente dalla differente dispersione degli spettroscopii adoperati dai varî osservatori, ed ho differito la continuazione di quel grave lavoro finchè sarà stabilito un metodo per rendere per quanto è possibile comparabili tra loro le osservazioni di diversa origine. Ho pensato quindi di fare intanto la statistica dei tre ultimi cicli unde- cennali di osservazioni visuali, eseguite in Sicilia da me o sotto la mia dire- zione, per le quali la differenza di dispersione degli strumenti usati (quan- tunque diversi) è stata poco rilevante, per cui la serie di questi 33 anni di osservazioni (1880-1912) può ritenersi abbastanza omogenea. Nel 1° ciclo, dal 1880 al 1890, le osservazioni sono state fatte in Palermo con un refrattore Merz di 0%.25 apertura e con un spettroscopio Tauber avente due prismi di Amici a visione diretta, composti ciascuno di 5 elementi; dal 1891 al 1906 le osservazioni sono state fatte a Catania con un obbiettivo Merz di 0.80 apertura libera ed uno spettroscopio con reticolo a diffrazione di Rutherfurd, nello spettro di 2° ordine; dal 1902 al 1909, essendo stato applicato lo spettreliografo al refrattore Merz, sì è (') Lavoro eseguito nel R. Osservatorio di Catania, agosto, 1913. (*) Pervenuta all'Accademia il 15 settembre 1913. RenpiconTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 42 — 300 — adoperato per le protuberanze l’equatoriale Cooke di 0.15 apertura con uno spettroscopio Browning a due prismi di 60°; nel 1909, per aumentare la Macchie (=) (=) (=) o D (co) ce Lei 20 bi Inci (el DE 1910 LI 1905 h 1900 pi 1895 1890 °__o=-° 7 1885 1880 CIO I OI VERO Protuberanze (Wolfer) Macchie (Riccò) Protuberanze dispersione, sì è aggiunto un terzo prisma di 60°, e così si sono fatte le osservazioni fino a tutto il 1912. Il numero dei giorni di osser- vazione ed il numero delle protu- beranze di altezza uguale o maggiore di 30" nei tre cicli ed in totale SONO : CICLI DELL'ATTI- SIGNA 1880-90 1891-901 1902-12 1880-12 1607 2277 5935 7667 8795 21533 2051 5071 Giorni d’osserv. N. delle protub. cioè le osservazioni sono state fatte complessivamente in circa metà dei 12050 giorni contenuti nei tre cicli. Elaborazione. — In questa sta- tistica, come sempre, noi abbiamo ritenuto come protuberanze distinte quelle che sono separate le une dalle altre dalla base alla cima; abbiamo considerato soltanto le protuberanze di altezza eguale o superiore ai 30", quantunque nelle osservazioni si tenga conto e si rappresenti in disegno ogni ineguaglianza della cromosfera. Si è adottata questa limitazione per non aggravare troppo il lavoro; Fényi (*) poi ha dimostrato che tale soppres- sione delle minori protuberanze non cambia il carattere del risultante an- damento del fenomeno delle protu- beranze. La compilazione delle statistiche annuali è stata fatta generalmente da me, eccetto nel periodo 1892- 1905 in cui fu eseguita da Mascari, però seguendo i miei metodi. Lo stato del cielo, e quindi le stagioni, esercitano grande influenza sulla osservazione delle protuberanze (') Memorie della Soc. degli spettr. ital., vol. XXXVII, pag. 190. — 301 — solari, assai più grande che sulla osservazione delie macchie; tale influenza generalmente risulta pressochè eguale nell'insieme di ciascuno degli anni diversi: perciò Ja media annua della frequenza diurna delle protuberanze (numero delle protuberanze diviso per il numero dei giorni d'osservazione) è la più sicura: però, anche nelle due metà dell’anno civile vi è una certa compensazione od eguaglianza della detta influenza; perciò nella tabella seguente diamo le medie annue e semestrali della detta frequenza; ma nel- l’unito grafico la linea che rappresenta l'andamento della frequenza delle protuberanze ha per ordinate le medie annue ed è confrontata colla linea dei numeri relativi annui, non ragguagliati, di Wolf e Wolfer per le macchie solari, i quali ne rappresentano la frequenza osservata. Andamento della frequenza delle protuberanze. — Confrontando i due grafici, si vede una analogia generale nell’'andamento dei due fenomeni. Vi sono tratti in cui i due grafici sono abbastanza prossimamente paralleli, ma in altri casi sono discordanti, mostrando nell'insieme una qualche indipen- denza dei due fenomeni. Nell'insieme prevale una tendenza delle protube- ranze al ritardo rispetto alle macchie. L'ascensione dal minimo al massimo in entrambi i fenomeni è più rapida della discesa dal massimo al minimo. Massimi e minimi. — Prossimamente le epoche dei massimi, e più ancora quelle dei minimi, delle protuberanze, coincidono con quelle delle macchie; infatti si ha: Macchie: Massimi: 1883, 1898, 1905. Minimi: 1889, 1901, 1913? (') Protuberanze: ” 1885, 1892, 1907. ” 1889, 1902, 1913 ? Volendo precisare alquanto meglio le epoche critiche delle protuberanze, ci possiamo riferire alle medie semestrali, ed allora otteniamo: Massimi: 1885 Il"; 1892 IIS; 1907 IIS. Minimi: 1890 IS; 1902 IIS; 1913 I°? Non credo convenga spinger oltre la determinazione delle dette epoche ai trimestri ed ai mesi, in causa della accennata influenza delle stagioni. I massimi della frequenza da noi osservati nelle medie mensili sono: 1885 1892 1907 settembre 10.3 settembre 8.9 settembre 5.5. Il massimo numero di protuberanze osservato in un giorno sono : 1885 1892 1907 24 settembre n. 18 ) i , SRG OSO 21 settembre n. 16 5 dicembre n. 12. (*) Alla fine del 1912 il minimo dell’attività solare non si era ancora verificato ; neppure è sicuro che abbia avuto luogo nel 1° semestre 1913. — 302 — I minimi della frequenza osservati nelle medie mensili è: 1890 1902 1913? maggio 1.5 ottobre 0.1 giugno ? 0.8; e le protuberanze alte 30” o più, sono mancate per giorni: 1890 1902 1913 maggio: 38 °/, novembre: 92 °/o giugno ?: 50 °/p Durata dei cicli. — Quanto alla durata dei tre cicli, ammettendo con Respighi (') che il massimo precedente abbia avuto luogo nel II semestre 1871 e che il minimo precedente abbia avuto luogo nel 1° semestre, cioè nel marzo 1878 (il minimo delle macchie sì è verificato alla fine dello stesso anno), dalle medie semestrali date sopra si ha, in anni e semestri: Durata dei cicli fra i minimi: I 12* I 128!/, III 1081/, ” 5) MISS VA Soa III 154 dove si vede la notevole irregolarità della durata, che si verifica pure per le macchie, ma in grado minore. Gli intervalli da minimo a massimo nei successivi cicli delle nostre osservazioni delle protuberanze sono : IAA TI 28 1/, III 53. Gli intervalli tra i massimi ed i minimi sono : I 421), II 103 III 5% 1/22 Anche questi intervalli sono molto ineguali; nell'insieme, i primi sono più brevi dei secondi, come abbiamo detto risultare pure dal grafico. La durata media dei cicli delle protuberanze ricavata dai minimi della frequenza media annuale, è: (1913-1878): 3= 11.7; ricavata dai massimi è: (1907-1871): 3= 128. Corrispondentemente per le macchie si ha dai minimi (119139-1878): 3. Mag, dai massimi (1905-1870): 3 = 112.7. Dunque la durata media del ciclo delle protuberanze coincide prossi- mamente con quella delle macchie. (1) R. Ace. dei Lincei, anno CCLXXXII, 1884-85. Nota VIII, pag. 20. — 303 — L'intervallo medio tra massimo e minimo dal detto risulta: (7° + 78 | 10° + 52): 4= 72.25 L'intervallo medio fra minimo e massimo : (58 + 72 +39 + 52): 4= 59. Dunque l'intervallo fra massimo e minimo è maggiore di quello fra minimo e massimo, come ordinariamente nelle macchie. Diminuzione da un ciclo all’altro. — Confrontando i cieli fra di loro, si nota che i massimi di frequenza diurna delle protuberanze vanno conti- nuamente diminuendo, mentre ciò non ha avuto luogo per le macchie; in- fatti si ha: I II III Medie annuali massime delle protuberanze . . . 8.2 6.4 4.3 Medie semestrali » ” cea 95 Tall 4.7 Numeri relativi annuali massime delle macchie . 63.7 84.9 63.5 Anche le frequenze medie degli 11 anni costituenti all'incirca ciascun ciclo sono andate diminuendo per le protuberanze, avendosi: Media frequenza diurna dei cicli: I 5.0 II 3.8 III 2.4 Complicazione crescente nei cieli successivi. — Si noterà pnre la cre- scente complicazione della forma dei cicli: nel primo si ha nelle medie annuali un solo massimo deciso, nel secondo se ne hanno due, nel terzo se ne hanno tre, poco spiccati. Altezza media delle protuberanze. — Delle dimensioni delle protube- ranze, considerando l'altezza, la cui determinaziono non presenta la ambiguità della base, nè la complicazione dell’area, si nota nella tabella che l'altezza annua media delle protuberanze, alte 30” o più, non varia molto nei cicli: da 40” a 50”; però in generale ha i maggiori valori presso le epoche di massimo di frequenza, ed i minori presso le epoche di minima frequenza. Ciclo precedente. — Certamente tre cicli non sono sufficienti per dare risultati sicuri e generali, e quindi sarebbe stato desiderabile estendere in- dietro questa statistica fino alle prime osservazioni spettroscopiche delle pro- tuberanze, che dopo la celebre scoperta di questo metodo d'osservazione, fatta da Lockyer e Janssen nel 1868, furono intraprese in Italia sistematicamente e quotidianamente, da Respighi dall'ottobre 1869, da Secchi dall'aprile 1871, da Tacchini dal luglio dello stesso anno; ma mi sono astenuto dal fare tale estensione per i seguenti motivi: a) il ciclo precedente 1867-1878 sarebbe incompleto, mancando total- mente le osservazioni nel 1867 (epoca del minimo delle macchie), nel 1868 ed in gran parte del 1869; — 304 — 0) le osservazioni negli altri anni sono state fatte da osservatori di- versi, con strumenti diversi, con metodi di osservazione, misura, separazione e numerazione delle protuberanze, diversi; quindi avrei incontrato le stesse gravi difficoltà che mi arrestarono nel fare la statistica di 40 anni cui ho accennato prima; c) essendo quelle osservazioni fatte da altri, non mi sono ritenuto per ora autorizzato a servirmene, trattandole a mio arbitrio. Però da esse si possono ricavare dei dati che non hanno bisogno di di- scussione, 0 riduzione, e che sono molto importanti per estendere la cogni- zione del fenomeno delle protuberanze nei 40 ultimi anni. 1) Il massimo precedente ha avuto luogo, secondo Respighi, Secchi e Tacchini, nell'estate 1871 (*), probabilmente in luglio. 2) Il minimo seguente ha avuto luogo al principio del 1878, e se- condo Tacchini in gennaio, secondo Respighi in marzo (?). 3) Quindi l'intervallo di tempo fra massimo e minimo del ciclo in discorso è circa 6% !/,. 4) Il massimo del 1871 è stato più forte del seguente: secondo Respighi (*), nel rapporto di 36: 31 per tutte le protuberanze, nel rapporto di 2:1 per le protuberanze di altezza uguale a 55” o più. Anche per le macchie il massimo primo nominato è stato molto più forte del seguente. Respighi (4) dice pure che la violenza delle esplosioni, manifestata dai mo- vimenti rapidi delle protuberanze e dalla abbondanza delle eruzioni metal- liche, nel massimo del 1871 è stata molto maggiore che non nel massimo seguente. ; 5) Dunque la diminuzione del fenomeno delle protuberanze data fin dal ciclo precedente a quelli da noi osservati ed è stata continua nei quattro cicli, da che si fanno osservazioni spettroscopiche delle protuberanze. Infatti ammettendo, secondo Respighi, il rapporto 36 :31 del massimo del 1871 a quello dal 1885, la frequenza diurna media degli anni dei massimi sarebbe : | | 1871 1885 1892 1907 9.5 8.2 7A 4.3 Inoltre le nostre osservazioni dànno come frequenza media degli 11 anni di ciascuno dei tre ultimi cicli valori pure decrescenti, come si è detto sopra. (1) R. Acc. dei Lincei, anno CCXXXVII, Nota VIII, pag. 20. Le Soleil, volume II, pag. 160. Mem. della Soc. degli spettr. italiani, vol. VI, pag. 52. (?) Mem. della Soc. degli spettr. ital., vol. VIII, pag. 51. Reale Acc. dei Lincei, anno CCLXXXII, 3884-3885, Nota VII, pag. 13. (3) R. Ace. dei Lincei, anno CCLXXXIII, Nota VIII, pag. 21. (*) loco citato. — 305 — enza diurna media Frequen AItOSTA Numero Numero delle va Numeri relativi ANNO dei giorni delle protuberanze media diurna delle macchie d'osservazione | protuberanze ” delle (Wolfer) Annuale Semestrale protuberanze CCG G=«s=““cecdsc "re = A 9,1 ; 1880 89 200 2,8 35 40 32,3 1881 109 629 5,8 da 47 54,3 5,7 1882 148 885 6,0 69 47 59,7 7,8 1883 118 844 1782 6.6 48 63,7 1,7 1884 89 683 TRL 77 46 63,5 6,5 1885 165 1360 8,2 95 50 92,2 5,7 1886 169 989 5,9 6.0 47 25,4 i 4,7 1887 144 721 5,0 53 47 13;1 3,2 1888 196 565 2,9 9.6 47 6,8 2,0 1889 187 354 1,9 1.8 46 6,3 IST 1890 198 437 2,3 98 47 7,1 5,2 1891 150 889 5,9 64 49 35,6 9,5 1892 211 1541 6,4 71 48 73,0 5,2 1893 219 1119 5,1 5.0 49 84,9 y 4,7 1894 247 1165 4,7 47 50 78,0 3,0 1895 256 885 3,5 38 49 64,0 3,5 1896 232 958 4,1 47 45 41,8 Ù 4,8 1897 217 997 4,6 44 49 26,2 3,2 1898 198 643 3,25 9 47 26,7 2,6 1899 214 455 2.1 1.6 45 12,1 1,5 1900 188 241 1,3 11 43 9;5 0,8 1901 173 144 0,8 09 41 2,7 0,6 1902 183 82 0,45 03 42 5,0 1,0 1908 1760 209 1,2 la 41 24.4 ill (N Il hi — 306 — F ,a di di i Numero Numero Se a can Altezza Numeri relativi ANNO dei giorni dello STAND media diurna | dette macchie d’osservazione | protuberanze delle (Wolfer) Annuale Semestrale protuberanze 2,5 1904 190 551 2,9 99 44 42,0 9, 1905 172 520 3,05 so 44 63,5 EI 3,9 A È 1906 177 469 2,6 “D 44 53,8 (A a 3,8 1907 192 829 4,9 47 42 62,0 4,2 ; 1908 207 705 3,4 27 46 48,5 9 3,0 9 | 1909 181 661 3,6 49 43,9 {Kill 4,1 | ; 32 1910 200 515 2,6 91 49 18,6 | a : t7, 1911 184 298 1,6 46 9,0 Îl 1,6 | 0 il 1912 189 239 1,2 ”» 48 3,6 Riassunto. — Dai risultati delle nostre osservazioni, insieme con quelli | che vi si possono unire dalle osservazioni precedenti, si ha quanto segue, rispetto ai quattro cicli undecennali delle protuberanze, osservati finora: 1) La linea rappresentante l'andamento della frequenza delle protu- beranze ha un certo parallelismo con quella dei numeri relativi delle mac- chie, ma non completo. Vi è una tendenza delle protuberanze a ritardare rispetto alle macchie. 2) Le epoche dei massimi e, più approssimativamente, quelle dei minimi delle protuberanze, coincidono con quelle macchie. 3) La durata dei cicli delle protuberanze è prossimamente eguale a quella undecennale delle macchie. 4) L'intervallo tra il minimo ed il massimo è minore dell'intervallo fra il massimo ed il minimo, come succede per le macchie. 5) L'altezza media delle protuberanze nei varii anni cambia poco; però presso all'epoca di massima frequenza si hanno anche le massime al- tezze medie, e presso ai minimi di frequenza le minime altezze medie. 6) L'attività solare nella produzione delle protuberanze è andata di- minuendo successivamente nei quattro cicli. 7) L'andamento dei cieli è divenuto sempre più complicato. — 307 — Chimica fisica. — Proprietà chimiche e chimico-fisiche del succo di muscoli striati e lisci. III. Variazioni di volume in aleuni processi colloidali (‘). Nota del Corrisp. F. Borrazzi e del dott. E. D’AgostINO (*). H. Quincke (*) fu il primo ad osservare: « ... dass die Verbindung, welche ein in Wasser quellender Kòrper mit diesem eingeht, von einer Contraction begleitet ist, so dass das Gesammtvolumen beider nach der Quellung ein geringeres als vor derselben ist ». Egli sperimentò su materiali diversi: chiara d’ovo cotta, cartilagini costali di bambino e di vitello, tendini, ecc., gelatina secca, gomma arabica; e si servì del metodo dilatometrico (usando un dila- tometro di costruzione assai semplice, anzi, primitiva), controllando poi i ri- sultati col metodo del peso specifico. Più tardi, con ricerche più rigorose, E. Wiedemann e Ch. Lideking (4) confermarono il fatto, che nel processo d’imbibizione dei colloidi secchi ha luogo diminuzione di volume del sistema, cioè contrazione. Ricerche dilatometriche più recenti sono quelle del Galeotti e del Gayda. G. Galeotti (*) ha osservato che nella coagulazione termica ed enzima- tica delle proteine non avviene variazione di volume, mentre nella precipi- tazione di esse provocata con acidi o con sali avviene aumento di volume (variabile dal 0,254 al 2,217 °/o), che è più cospicuo quando la precipita- zione è reversibile (per es., quando è prodotta dal solfato d'ammonio). Finalmente T. Gayda (°) ha trovato, in primo luogo, contrariamente al Galeotti, che nella coagulazione termica si può constatare un acceleramento dell'aumento di volume, durante il progressivo elevarsi della temperatura, già sotto la temperatura di coagulazione e durante tutto il tempo di forma- zione del coagulo: in altre parole, un aumento di volume del sistema; e, in secondo luogo, contrazione nel processo di soluzione dell’albumina secca, mentre l'ulteriore diluzione della stessa soluzione è accompagnata da picco- lissima diminuzione di volume. Le nostre ricerche sono state fatte su gelatina secca in filamenti sottili (della Casa Nelson, « marca d’oro »), e su miosina pura allo stato granulare, ') Lavoro eseguito nel Laboratorio di fisiologia di Napoli. (!) (°) Pervenuta all'Accademia il 25 agosto 1913. (*) Pflùiger's Arch., 3, pag. 882, an. 1870. (4) Wiedemann®s Ann., N. F.,25, pag. 145. (5) Zeit. f. physiol. Chem., 78, pag. 421, an. 1912. (*) Bioch. Zeit., 39, pag. 400, an. 1912. RenpICcONTI. 19183, Vol. XXII, 2° Sem, 48 — 308 — secca o già al massimo grado imbevuta di acqua distillata ('). Le ricerche su gelatina furono fatte al fine di provare il dilatometro da noi usato, che si vede rappresentato nella fig. 1, immerso (la figura ne mostra due eguali) nel termostato, l’acqua del quale era tenuta in continuo rimescolamento per mezzo di un agitatore a palette (non lo si vede nella figura, perchè si trova Fia. 1. al fondo dell'alto termostato), mosso dall’elettricità. Un termometro Bodin, su cui poteva leggersi comodamente con una lente d'ingrandimento il cen- tesimo di grado, c' indicava la temperatura. Come si vede, il dilatometro è costituito di un capillare portante una scala in millimetri, del diametro di 1 mm. e lungo circa 80 cm., e di due branche assai larghe, portanti anche una scala in millimetri e chiuse inferiormente da due rubinetti smerigliati a perfetta tenuta. (!) Circa il modo in cui questa miosina granulare fu ottenuta, ved. Bottazzi e Qua- gliariello, Rend. R. Acead. d. Lincei (5), vol. 22°, pag. 52, an. 1913. — 309 — Il riempimento del dilatometro era fatto in modo diverso, secondo che si trattava di ricerche sulla gelatina e sulla miosina granulare secche, ovvero su questa miosina granu- lare già sospesa in acqua. Per quanto riguarda la gelatina e la miosina granulare secche, determinammo la variazione di volume nel processo di semplice imbibizione in acqua. Sulle sospensioni di miosina sperimentammo l’influenza di acidi (acido cloridrico e acido sarcolattico) e di basi (KOH) a concentrazioni diverse. Dopo molti tentativi e molte ricerche preliminari, di cui crediamo superfiuo riferire i singoli resultati, trovammo preferibili i seguenti procedimenti tecnici per l’esecuzione dei varii esperimenti: 1. Miosina granulare secca. — L’imbibizione in acqua di questo materiale essendo assai lenta, si può benissimo procedere nel seguente modo. Riscaldate alla temperatura del termostato separatamente la polvere secca e l’acqua (già privata dell’aria mediante bollitura c successiva conservazione sotto la campana di una macchina pneumatica in cui di tanto in tanto si tornava a fare il vuoto), s'introduceva pazientemente la polvere in una delle branche del dilatometro, e quindi lo si riempiva di acqua fino ad una altezza conveniente del capillare, aspirandola per l’altra branca. Chiusi i rubinetti, già unti con « Vacuumfett» di Kahlbaum, e asciugate con carta bibula le estremità inferiori delle due branche, queste erano abbondantemente paraffinate con paraffina ad alto punto di fusione. Connesso il dilatometro per l'estremità superiore del capillare con la pompa, me- diante un tubo di caoutehouc a pareti spesse, vi si faceva il vuoto, finchè l’acqua bol- lisse alla temperatura dell'ambiente. Ogni traccia d’aria era così espulsa dall'interno del- l'apparecchio. Il dilatometro era quindi immerso nel termostato, e s'incominciava a fare la lettura del volume del liquido e della temperatura, a intervalli convenienti. 2. Gelatina. — Assai diversamente dovemmo procedere negli esperimenti sulla ge- latina, perchè in questo caso la variazione del volume s’inizia visibilmente subito, e de- corre assai rapidamente. Sospeso nel termostato un alto vaso cilindrico pieno di acqua distillata già privata dell’aria, vi s'immergeva il dilatometro, in una branca del quale era stata già introdotta la gelatina in fili sminuzzati, un rubinetto essendo già paraffinato, l’altro perfettamente chiuso dopo essere stato convenientemente ingrassato. Raggiunto l'equilibrio termico, si apriva il rubinetto non paraffinato e si lasciava entrare l’acqua, tanto che riempisse le due branche e salisse fino ad un'altezza conveniente nel capil- lare, mentre con la pompa, connessa all’estremità libera del capillare, dal dilatometro ve- niva espulsa l’aria. Immediatamente s’incominciava la lettura del volume, facendo così che mentre uno di noi indicava con un contasecondi il momento della lettura, l’altro leggeva sulla scala del capillare la posizione del menisco, e un assistente scriveva i valori letti. 3. Sospensione granulare di miosina pura. — Nelle prime prove, aspirata la sospensione in una branca, fino a metà o due terzi dell’altezza, e la soluzione di acido 0 di KOH nell'altra, anche fino ad una certa altezza, si riempiva poi il dilatometro con toluolo, aspirandolo per la seconda branca. (Chiusura e paraffinatura dei rubinetti, espul- sione dell’aria dai liquidi, ecc., come nei casi precedenti). Ma presto rinunziammo a ser- virci del toluolo. Avendo constatato che anche in questi esperimenti la variazione di volume è piuttosto lenta, riempimmo della soluzione il dilatometro, dopo avere introdotto in una delle sue branche la sospensione di miosina, e subito, rimescolato insieme il con tenuto delle due branche, in guisa che il materiale granulare sospeso si ripartisse in quantità presso che eguale nelle medesime, e introdotto il dilatometro nel termostato, incominciammo la lettura sul capillare e sul termometro. — 810 — I risultati delle nostre ricerche possono essere riassunti brevemente nel seguente modo: 1. Imbibizione della gelatina. -— KRiferiamo i valori di due sole espe- rienze nella seguente tabella l e nelle due curve della fig. 2. I valori sono corretti per la temperatura media di 21°,6; C, avendo determinato, in questi come negli altri esperimenti, il coefficiente termico di dilatazione lineare dei nostri dilatometri. TABELLA I. 1% ESPERIENZA. 2% ESPERIENZA. (ir. 3,6 gelatina in 46,7 cme. H,0 || Gr. 2,7 gelatina in cm. 46,7 H30 l'emperatura: da 21%8 e 219,9C, [| NB. Tutti i dati sono corretti alla tempe- Spot i 99€ ratura media di 219,6 C. Tempo Lettura ‘l'empo Lettura dell’osservazione del dilatometro dell’osservazione del dilatometro zero 15 zero _ 24 12,9 di a 2 È di Ho) n 9 37, 5 35 12; 0 » 18 37, 0 12 11,0 > 29 36, 5 50 10, 5 n 41 36, 0 35 10, 0 DI 35,0 Ja 9, 5 » 28 84, 5 » 18 9} 0 » 49 34, 0 ‘30 8,5 3 da, 2 Ò e LA) Gy è ) ta) $, 0 4” 0 9 ; 8 » 58 MR) i) OZ PA 5) TO) » 19 92, 9 i IZ 6, 5 » 80 32, 5 5 o ” 41 32, 4 InDE. US » 53 32, 3 3 3 6, 0 5 8 SHE? » 18 5, lo) » 28 SQI8I » 28 5, 6 2A 32, 0 a pi 6° 0 31000 » 41 d) 4 11 0 310 0 400) 9, 2 12 15 30, 9 ; 18 50 13 40 30, 8 pi 16 20 30,65 va: 319 920 3 30, A 5 9 4, 6 93 10 30, 3 » 45 4, 4 28 10 30,15 6/3 4,25 50 30 29,71 i 62 31 29,51 10 40 9, È 79 0 29/8! 14 40 3, 6 95 0 29,23 220 3,4 3600 27,18 — dll — ° _ (i (S CI D Li DS) (©) — o | Diminuzione di volume in divisioni dilatometriche 30 60 190 120 150 189 210 240 ‘270 300 330 360 Tempo dell’osservazione in minuti primi —> RE Come si vede, nell’imbibizione della gelatina secca ha luogo contra- stone del volume, la quale dapprima procede rapidissimamente, e poi len- tamente. 2. Imbibizione della miosina granulare seeca. — L'esperimento, di cui riferiamo i risultati nella tabella {I e nella fig. 3, fu fatto con gr. 6,9 di materiale secco polverizzato e gr. 45,9 di acqua. I valori sono stati cor- retti per la temperatura media di 319,5 O. Lettura al dilatometro 312 — TABELLA II. Tempo Lettura | Tempo | Lettura dell'osservazione al dilatometro dell’osservazione al dilatometro zero 19,37 680 44” Ryo 59” TON277 TI 44 17.06 SS 1924 13 14 17,06 » 89 Ton 115 44 16,65 RIGA 19,05 NO SAI 16,56 DINO 18,99 iE1:22M0N1E1 16.45 » 45 18,96 207 14 15,97 3 46 18,81 IDA 17,90 19 29 17,84 20 44 17,88 24 CA | 17,74 26 14 17,66 23 59 17,67 3.14 17,41 44. 44 17,99 45 44 | 17,36 {MordA 17.35 52514 117,28 G6 11 1718 Ù i Sì 20 40 60 "80 100 120 140 160 180 200 22, ‘l'empo dell'osservazione in ore > Fis. 3. Anche nell’imbibisione acquosa della miosina pura secca polverizzata ha luogo contrazione del volume, che però procede assai più lentamente che nel caso della gelatina. — 313 — 3. Imbibizione della miosina granulare pura, già al massimo grado imbevuta d’acqua, in soluzioni di acidi e di basi. — Riferiamo quattro degli esperimenti fatti: tre riguardano soluzioni variamente concentrate di acido lattico; uno la soluzione 0,5 2 KOH. I dati furono tutti corretti per “le temperature rispettivamente di 30°,8 e di 31°,200C. Essi sono contenuti nella tabella III, e sono serviti per la costruzione delle curve della fig. 4. TABELLA III. 1% ESPER!ENZA. 2% ESPERIENZA. T'utti.i dati sono stati corretti ‘lutti i dati sono stati corretti per la temp. 309,8 C. per la temp. 31°,200 C. ‘l'empo dell’osser- {Lettura al dilato- [Lettura al dila-||Tempo dell’osser- [Lettura al dilato- [Lettura al dilato- (tempo ero sì | To term Act | 1°TO nvim sco | (I tempo zero| metro: soluzione | meio pcicione sono rimescolati | Jattico, lattico. si sono rimesco- | 1/22 KOH tico; i liquidi). lati i liquidi). zero 20,7 16,05 zero 33,02 32,03 1h 757 19,95 15,45 SE, DE AA 9 00 19/95 15,45 O3RTo SpAO 3105 2 85 19,85 15,40 DS 93,93 30,91 20) 19,85 15,95 ò A AA 550 19/65 15,05 283 p9:0l 30,86 16 25 19,30 14,65 3 17 83,27 20,87 Ii) 19,30 14,60 i E È 18 50 19/30 sa Lo da 30,84 2020 19,25 14,45 DERE) 93,52 30,72 1-5 19/40 14:60 23 25 | 8400 30.10 SD UMM 19,40 14,60 20.25 54,10 30.58 EMO 19,30 14,55 Ra SN va 65 0 19,40 14,60 45 taxa) 34,49 30,32 67 25 19,45 14,75 52 00 34,56 30,32 6 i Di o To LAICO 54 17 34,55 30,30 HR 19,15 14,45 70 0 94,61 30,18 GOMITO, 19,20 14,45 DERE 24 A 79 5 19/10 1430 d40 Sao 30,19 89 0 19,25 14,50 118, 33 34,67 29,87 90 5 19,20 14,50 I resultati di questi esperimenti meritano un più ampio comento. In primo luogo è da tener presente che qui non si tratta di imbibizione di un colloide secco, ma di variazione del grado dì imbibizione, già raggiunto dal colloide per essere rimasto sospeso in acqua in forma di granuli per parecchi giorni, sotto l'influenza di acidi (abbiamo anche sperimentato l'acido cloridrico) e della KOH. In generale, gli acidi e le basi fanno aumentare l’imbibizione dei colloidi ; e poichè l’imbibizione acquosa per sè stessa è accompagnata da contrazione, sì comprende che sotto l’infivenza degli acidi (anche dell'acido cloridrico a piccola concentrazione) /a sospensione granulare di miosina presenta, i come dimostrano le curve discendenti della fig. 4, una diminuzione di vo- lume. che decorre prima con notevole velocità, e poi sempre più lentamente, Ni e che è maggiore per le soluzioni più concentrate di acido lattico. + 2 A Ho D 2 S - = Za T1 o o si S ° 52! n s D E $ n= SA | SO D e (si (mali id) mi \ US SI — 1 7 il Vasi ° | SN SS Î n ian | Ea BS L | > £ ; | deltig= i s i Ca TIKI i sa 2 AO TI | . (TL bi (Ci! | ini 5 Hailii © | > dI = if ® TITO ui il © MEO) Il ® ii s " Il iS N O 7 be] Ss Lu. 7° (2087 205 40 SONIC. 70 SÙ £0 100 110 120 - nine ' | T'empo dell’osservazione in ore. Il FIG. 4, | Ma gli alcali accrescono anche più degli acidi il potere/}d' imbibizione il dei colloidi. Perchè, dunque, sozto / in/luennza della KOH il sistema su- bisce, come mostra la curva ascendente della fig. 4, un aumento di vo- lume? (Tutti gli esperimenti, fatti con soluzioni variamente concentrate di KOH, hanno dato lo stesso resultato; e spesso abbiamo veduto, in due esperimenti simultanei, fatti uno con acido e l’altro con KOH, in un dila- tometro il liquido diminuire e nell'altro compagno aumentare di volume). L'ipotesi che noi facciamo, a questo proposito, è la seguente: Quando una proteina (gelatina, miosina) si trova in presenza di una soluzione acquosa di acidi o di basi (in assenza di sali), si svolgono contemporaneamente tre i} — 315 — processi: imbibizione del colloide, soluzione di esso se si tratta di un colloide illimitatamente rigonfiabile, salificazione della proteina per cui sì forma un proteinato di potassio ovvero un cloridrato o lattato di proteina. L'imbibi- zione e la soluzione della proteina sono accompagnate da contrazione del sistema; la formazione del sale di proteina, invece, è accompagnata, come generalmente avviene quando acidi e basi reagiscono formando i rispettivi sali (*), o quando si svolgono processi enzimatici con liberazione di molecole d'acqua (2), da ‘aumento di volume. Secondo che l'uno o l’altro processo pre- vale, si. ha, come resultato dell’ esperimento, contrazione o dilatazione del sistema. Nel caso nostro, gli acidi non determinano notevole salificazione e so- luzione della miosina; il processo d'imbibizione prevale, e si ha diminu- zione del volume. Per contro, la KOH, oltre che intensificare l’ imbibizione della proteina, ne scioglie grande quantità, come abbiamo potuto ripetuta- mente rilevare, specialmente quando agisce in forte concentrazione, e forma con essa nel tempo stesso il rispettivo sale (come resulta da ricerche su altre proteine, fatte da numerosi sperimentatori). Non è da meravigliare, quindi, se prevalendo sugli altrì due il processo di salificazione con libera- zione di acqua: R— NH; R— NH; | + KOH= | SEO, COOH COOK il sistema presenta aumento del volume. Si noti che, al momento in cui il contenuto delle due branche del di- latometro viene mescolato, si svolge un quarto processo, cioè la diluzione dell'acido o dell'alcali nell'acqua di sospensione della miosina. Questo pro- cesso è anche accompagnato da contrazione, che, nel caso dell’acido lattico, per quanto piccola essa sia, sl addiziona a quella che produce il processo d'imbibizione; mentre, nel caso della KOH, è anch'essa mascherata dalla dilatazione sopra detta. Una teoria recente della contrazione muscolare (*) prende le mosse dall’imbibizione che dovrebbe produrre nelle miofibrille striate |fatte, se- condo Bottazzi e Quagliariello (4), dello stesso materiale proteico sul quale noi abbiamo sperimentato] l'acido lattico formantesi nei muscoli eccitati. Se e come i resultati da noi ottenuti possano accordarsi con la detta teoria, sarà discusso in un’altra pubblicazione. (1) Ved. W. Ostwald, Lehrb. d. Allg. Chem., Bd. I: Stòchiometrie., pp. 787 e segs. 2te Aufl. Leipzig, 1903. (3) G. Galeotti, Zeit. f. physiol. Chem. 76, 1, 1912. (8) W. Pauli, Kolloidchemie der Muskelkontraktion. Dresden und Leipzig, 1912. (4) Questi Rendiconti (5*) 21, 2° sem., fase. $°, pag. 493, 1912, RENDICONTI. :1913, Vol. XXII, 2° Sem. 44 — 316 — Matematica. — Sopra certe disuguaglianze fra 1 caratteri duna varietà algebrica. Nota di ANNIBALE COMESSATTI, presentata dal Corrisp. F. SEVERI (°). 1. Prima disuguaglianza fra i caratteri d'una varietà a tre dimen- sioni. — Sia V una varietà algebrica irriducibile, a tre dimensioni, d'irre- golarità bidimensionale 9g > 0, che possiamo supporre immersa in uno spazio a quattro dimensioni (%1,%2,%3,<); e siano (1) = fPidm +@i das + Rida, (=1,2,..:,9); q integrali semplici di 12 specie, linearmente indipendenti, appartenenti a V. Supposto che V non contenga un fascio irrazionale di superficie alge- briche — e, quindi, che due integrali semplici, distinti, di 1 specie, apparte - nenti a V, siano sempre funzionalmente indipendenti — proponiamoci di ri- cercare una disuguaglianza fra i caratteri di V, verificata la quale si possa asserire che #e fra gli integrali (semplici, distinti) di 1 specie della V sono funzionalmente dipendenti. Dovremo perciò supporre q > 3; ma, com e si vedrà in segnito, quest’ ipotesi non implica alcuna restrizione. Consideriamo adunque tre integrali semplici qualunque di 1 speci e, linearmente indipendenti, appartenenti a V, che saranno del tipo LE q CA (2) Dhiui ) do mi ùi , dvi, (2,u,v costanti), 1 i=1 i=1 e osserviamo che la loro dipendenza funzionale è espressa dall'annullarsi del determinante SAR; O Su; DB; ’ Xv; Pi (3) D=|2Z70;, Zu 0; , Tv Qi | (°), >; Ri; 5 Zu; Ri o Zv; Ri il quale si sviluppa colla formola An Ae Pic Briiz (4) DES Mn, Mr, Ma Qi 0416 h,k,t Van, Vk . V Ri RR (*) Pervenuta all’Accademia il 25 settembre 1913. (2) Omettiamo per semplicità gli indici 1 ,q delle sommatorie. — 317 — di 2) combinazioni a tre a tre dei nu- dove per 7,7%, si devono porre le ( meri 120,519 Per ricercare se fra i determinanti P, ’ D, o P, Ann = Qh ) Qi ’ O Ra, Rx , Ri sussistono relazioni del tipo di quella che sì ottiene ponendo identicamente nullo il secondo membro della (4), consideriamo i (2) integrali tripli (5) far dada, dxz, che, a norma di un teorema di Severi (*), sono di 1 specie su V ovvero si riducono a delle costanti. Se il genere geometrico P, di V è minore di A cioè se sì ha ( 2 (6) P,=(5)-0 MIO =0) si avranno certamente d identità lineari distinte del tipo (7) De I2 0) h,k,t e insieme con esse sussisteranno tutte quelle che si ottengono combinandole linearmente, cioè le l o An=0, Ohh Ò (8) DID =. hh ‘nelle quali le 0; son costanti arbitrarie. Ora la condizione necessaria e sufficiente affinchè qualcuna delle iden- tità (8) sia del tipo di quelle che si ottengono ponendo identicamente nullo (1) Severi, Relazioni tra gl'integrali semplici e gl'antegrali multipli di 1% specie di una varieta algebrica, Annali di matematica (3), tom. XX, pp. 201-216. È da notarsi che in questa Memoria sì considerano integrali del tipo 28 da dies drz la somma- toria essendo estesa alle sei permutazioni simultanee degli indici 1, 2, 3 e delle lettere h,k,t. Si ha però, evidentemente, 2 fe dx, dae, des = 6 | An dada, dxz. — 313 — il 2° membro della (4) — il che porta la dipendenza funzionale di tre in- tegrali del tipo (2) — è che peri gruppi di costanti 0;,%;, &w,v;, esistano valori non tutti nulli, i quali verifichino le (£) relazioni 3 Lt (9) Dodo Ph, Bk . Mt VERO ES Per vedere quando le (9) possano essere verificate, interpretiamo, seguendo Castelnuovo (’) le 06), come coordinate omogenee di d punti A;(i=1,2,...,0) di una spazio a (2)_1 dimensioni. Allora, al variare delle 0;, il primo membro della (9) dà le coordinate di un punto che può occupare qualunque posizione entro lo Sa-1, individuato dai punti A;. Il 2° membro invece for- nisce le coordinate di un punto che si può associare al piano individuato, entro uno spazio Sy-1, dai punti di coordinate omogenee (4, 42; ... , 4g). (Win Ma» Mg) (01, Va, ---%g); e che perciò, al variare i(delletM>4u:5077 descrive una varietà W a 3(9—3) dimensioni. La (9) sarà dunque sod- disfatta da convenienti valori, non tutti nulli, delle 0;,Z;, wj, v;, se lo Ss. e la W avranno dei punti in comune: e questo certamente accadrà se al cioè, tenendo conto della (6), se sarà (10) P,<83(A—3). Viceversa, se è soddisfatta la (10), lo è pure la (6), e quindi qualcuno dei determinanti (3) risulterà identicamente nullo sopra V. Se inoltre, come abbiamo inizialmente supposto, la V non contiene fasci irrazionali, ciò signi- fica che tre integrali del tipo (2) sono funzionalmente dipendenti senza che lo siano due fra essi; e perciò, applicando il teorema dimostrato nella Nota precedente (*), possiamo concludere che V possiede una congruenza irrego- lare, d’indice 1, di curve algebriche. Rimane adunque provata l'esistenza d'un sistema siffatto, o quella d’un fascio irrazionale di superficie, sopra ogni varietà algebrica a tre dimensioni i cui caratteri verifichino la disuguaglianza (10). (1) Castelnuovo, Sulle superficie aventi il genere aritmetico negativo, Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tom. XX (1905), pp. 55-60. (3) Sulle varietà algebriche che possiedono integrali semplici funzionalmente di- vrendenti. Questi Rendiconti, vol. XXII, ser 5%, 2° sem. 1913, pag. 270. — 319 — OssERVAZIONE. — Poichè, essendo P,= 0, la (10) non può essere soddisfatta se è 4 < 3, risulta in definitiva superfluo di enunciare l’ ipotesi q=3. È d'altronde noto che, per <= 1,2, la V possiede una congruenza d' indice 1 e d'irregolarità g di curve algebriche, a un fascio di genere % di superficie algebriche (*). Anzi, se g= 1, sì può sempre considerare su V un fascio ellittico di superficie. Invero, se V possiede una congruenza £, d'indice 1, di curve algebriche, questa avrà l'irregolarità 1: e quindi una superficie F_che sia imagine di X conterrà, come è noto, un fascio ellittico di curve, a cui risponderanno su V le superficie di un fascio parimenti el- littico. Del resto questa proprietà si può facilmente dedurre dal fatto che V possiede un solo intevrale semplice di 1% specie con due periodi. 2. Vediamo ora di precisare maggiormente il risultato del n. 1. Perciò supponiamo anzitutto che V contenga una congruenza X, d'indice 1, di curve algebriche, avente l'irregolarità 4. Poichè mediante la trasformazione razionale che intercede tra V e una superficie F_ imagine di 3, a d inte- grali semplici di 1% specie linearmente indipendenti, appartenenti ad F, corrispondono altrettanti integrali analoghi di V. ciascuno dei quali si man- tiene costante lungo le curve di 2, potremo supporre. scegliendo convenien- temente gli integrali (1), che questa proprietà sia verificata da w,,%2....%a- Supposto anche che due fra gli integrali (1), ad es. %;, <», siano funzional- mente indipendenti, consideriamo ì g —d determinanti P, ’ Qi ’ R, (11) RO Ro ‘ ((=4d+1,d+2,..,%, Bi ’ Qi , Ri; e osserviamo che essi non possono risultare identicamente nulli, perchè, altri- menti, qualcuno fra gli integrali x; con 2 > 4 dipenderebbe funzionalmente da %,,%s, e quindi sarebbe costante lungo le curve della congruenza: e che essi sono inoltre linearmente indipendenti, perchè una relazione lineare del tipo i P, b) Qi 9, Ri P, b) Qi È) R, SI À; Ps O PR = P, . Qs Rs 0, I .non potendo, per l'indipendenza lineare di wa+1, %a+s ,... %9, essere equiva- lente alle CE DI ii = Bi ÀàanQ=0, DI Àà, Ra=0, h=d+1 h=d+1 h=d+1 (*) Severi, Sulle superficie e varietà algebriche irregolari di genere geometrico nullo, questi Rendiconti (5), tom. XX (1911), pp. 537-546. vNI ù bl A i « — 320 — St i il porterebbe di conseguenza una relazione funzionale fra l'integrale Mill ìl 3 MII] = Àn Un; il —_ il nET+1 NUIT! g(c| e gli integrali «,,%», che è assurda perchè x — il quale è linearmente i indipendente da w,,%>,...,%a — dovrebbe esser costante lungo le curve RURIII O «È 3 190) della congruenza, mentre a questa appartengono i soli integrali w,,%2,...,%a linearmente indipendenti. i Poichè sì possono formare g — 4 determinanti linearmente indipendenti del tipo (11), e quindi altrettanti integrali tripli distinti di 1 specie ap- partenenti a V, così sì conclude che P,>qg—-d, cioè d=>q— Py. Questa disuguaglianza è espressiva solo se g — Py = 3, perchè si ha sempre d = 3 in virtù del teorema dimostrato nella Nota precedente. Supponiamo, ora, che, pure essendo soddisfatta la (10), V non si trovi nelle condizioni precedentemente esaminate; vi sarà allora entro V un fascio di superficie avente il genere 4(= 2), e ci sarà lecito di imaginare che gli integrali w,, us, ... a di V si mantengano costanti lungo le superficie | del fascio. Posto allora «= vi An un (le 4 essendo costanti), consideriamo | DI hn=d+2 | i tre integrali w,,a+1,% e osserviamo: I A 1°) che due fra essi non possono essere funzionalmente dipendenti. Dl Invero, se lo fossero w,,%a+1, Ovvero %;,%, al fascio considerato apparterreb- Ù bero più di 4 integrali di 18 specie linearmente indipendenti; e se lo fos- i sero %a+1, v, la V conterrebbe un altro fascio di superficie algebriche, ciascuna delle quali sarebbe di livello costante per quei due integrali. Ma allora la congruenza, d'indice 1, di curve algebriche, che risulta dall’intersezione dei due fasci, possiederebbe i due integrali di 18 specie w,, a+; funzional- mente indipendenti, e quindi si ricadrebbe nel caso precedente; il 2°) che a quest'ultima conclusione porterebbe subito l'ipotesi di un I legame funzionale fra w, , %a+1,%; ne risulterà che ig —d—1 determinanti =_= = = _—-=e_T_TT_r__ See - === = | Pi b) Q ’ R, Pasi ’ Qa+i , Ra+: 5) h=(442,4d43,...,9), P, ’ Qh ’ Rn ET sono diversi da zero e linearmente indipendenti, e quindi che P,>9—-d—1, cioè, infine, che d>q—-P,—- 1. — 321 — Possiamo quindi enunciare il seguente teorema: Se fra il genere geometrico Py e l'irregolarità bidimensionale q di una varietà algebrica V a tre dimensioni intercede la disuguaglianza (1) Po =3(d—8), la varietà possiede una congruenza, d'indice 1, di curve algebriche, avente l'irregolarità (= 3e) almeno equale a j—P,, 0 un fascio di superficie algebriche di genere (> 2e) almeno eguale a q—- Py — 1. Matematica. — Sul teorema d’esistenza in un problema dei valori al contorno per le equazioni del tipo parabolico. Nota di Mauro PicoNE, presentata dal Socio L. BIANCHI ('). 1. Per le ricerche di Holmgren e di E. E. Levi (*) sull’equazione del calore dig da (1) Tomi»), sì è venuti in possesso del seguente teorema relativo alla sua integrazione: Sia s un contorno aperto i cui estremi, sempre distinti, siano sopra una medesima caratteristica [ per l'equazione (1)] e che con questa, ri- manendole tutto al di sotto, limiti un campo connesso e finito; esiste allora (sotto certe condizioni pel contorno s e per le sue tangenti) in tutto il detto campo, ed è ivi unico, un integrale 3 della (1) che prende su s valori prescritti. Il problema di costruire l'integrale a dipende dalla risoluzione di un'equazione integrale del tipo Volterra. In seguito a questo risultato, si è spontaneamente condotti a porsi la questione se un identico teorema non valga per l'integrazione della più generale equazione lineare alle derivate parziali del second’ordine del tipo parabolico DIG (2) bWe= i dI da dé DERE de =f, uil y IR Îi considerando che, nel caso delle equazioni iperboliche ed ellittiche, i teo- remi stabiliti per le equazioni tipiche a a DV OE d°s = + 4u= + its, sì sono poi trovati validi per le più generali. (*) Pervenuta all'Accademia il 23 setttembre 1913. (*) Holmgren, Arkiv fir Matematik, Astronomi och Fysik, tom. 3, 4 (1906-1908); E. E. Levi, Annali di Matematica, tom. XIV (1907); cfr. Volterra, Zegons de Stockholm. 10ième et 1]ième; Goursat, Cours d'analyse mathématique, tom. III, chap. XXIX. — 322 — La questione indicata è stata effettivamente oggetto di studio. Da me e, quasi contemporaneamente, dal Gevrey e dall’ Hadamard ed infine, più recentemente, dall’ Holmgren (*). Ma in tutti questi studî del problema Holmgren-Levi per l'equazione (2), sia che si tenti di stabilire il teorema di unicità (Picone, Gevrey. Holmgren), sia cLe si tenti di stabilire il teo- rema d'esistenza (Gevrey), sia che si tenti la ricerca di una soluzione fon- damentale (Hadamard), si è stati sempre costretti a considerare la (2) in un campo in cui il coefficiente d(x, y) si mantenga diverso da zero o sod- disfi, cogli altri coefficienti, a certe relazioni speciali. Sono, queste, delle restrizioni dipendenti dai metodi seguìti nella ri- cerca? Mostrerò in questa Nota che ciò non è; mostrerò che il teorema Holmgren-Levi più non è valido per l'equazione (2) quando si lasci al coefficiente b(x ,y) tutta la sua generalità. (Quivi infatti adduco esempî di equazioni (2) per le quali l'integrale verificante le condizioni del problema Holmgren-Levi non sempre esiste, per quanto, quando esiste, sia sempre da queste ben determinato. Si scorge in ciò altresì l'impossibilità di tradurre il problema Holmgren-Levi per l'equa- zione (2) in un'equazione integrale del tipo Volterra o del tipo Fredholm, quando si lasci al coefficiente d(x , y) tutta la sua generalità: diversamente, i teoremi di unicità e di esistenza per quel problema dovrebbero sempre valere 0, quando mancano, mancare insieme. Non sembra dunque che ad una teoria per la determinazione dell’ inte- grale delle equazioni paraboliche più generali si possa dare (nel campo non analitico) uno svolgimento che, nelle sue fasi, presenti qualche analogia con quello preso dalla teoria per la determinazione dell’ integrale delle equazioni iperboliche o delle equazioni ellittiche. 2. Stabiliamo anzitutto il teorema di unicità nel problema Holmgren- Levi per l'equazione (2) (?). Nel campo 7, in cui sono definiti i coefficienti dell'equazione (3) L()i=108 ma NES È da dd RO e sono finiti e continui con le derivate ia consideriamo una curva s Xx dY senza punti multipli, tntta al finito, la quale ammetta tangente (generalmente) e sia incontrata in un numero finito di punti dalle parallele all'asse delle x e dalle parallele all'asse delle y. (1) Picone, Sopra alcuni problemi nella teoria delle equazioni paraboliche, Lito- grafia (Pisa), marzo 1911; Gevrey, Compt. rendus, 1° sem. 1911, tom. 152, pag. 428; Hadamard, ibidem, pag. 1148; Holmgr:n, Arkiv for Mat., tom. 7 (1912). (*) La dimostrazione che ne dò qui, trovasi già nella mia Memoria citata. Ad essa rimane sempra il pregio, in confronto delle altre, di una grandissima elementarità. — 323 — Vogliamo dimostrare il seguente teorema di unicità: La curva s sia terminata da due punti A(xo,k), B(a1,k), eventual- mente coincidenti (x° = @1), sulla caratteristica y= k, e col segmento AB di questa limiti un campo C di T. Se è, in lutto C, Ue, y)<0[0x,9) > 0] e la normale al segmento AB, vòlta verso l'interno del campo C, ha senso contrario (concorde) a quello dell'asse delle y, non può esistere in C più di un integrale delle (2) che su s prenda valori prescritti. Dimostreremo che un integrale v della (3), nullo su tutto s, è identi- camente nullo in C, e lo faremo nell'ipotesi secondo cui, essendo, in C, b(2,4Y)<0, la normale al segmento AB vòlta verso l'interno di C ha senso contrario a quello dell’asse delle y. Perciò, ispirandoci ad un artificio escogitato dal Dini ('), moltiplichiamo ambo i membri della (3) per un'ar- bitraria funzione y(y) della sola y, sempre positiva in tutte T, di cui fra poco disporremo. Dalla (3) segue: (4) | fo uL(e) de dy=0, intendendo, come sempre in seguito, l'integrale doppio esteso al campo C. Ora si ha, Hr su s è nulla «, e su AB è nullo dy, Ji put" È da dy = {fut == ia dx dy= — -— ff (eso) da dy, f fara d —dxdy= UE >) dady= — SSex —u daxdy, f pub di dy= Ji [3 mi po) da dy — SS pu da dy= =-—SSG$ sie) 5 de dy +9 [e Meda; pertanto seguirà dalla (4): | (o i da dy + Sfia (se a - = S| — pi u da dy + + 200) fd ua) dI—10} l/Xo (1) Dini, Sulle equazioni a derivate parziali del secondo ordine, Memorie della R. Accademia dei Lincei, vol. III della serie 5% (1899), nn. 2 e 3. In questa Memoria del Dini trovasi, a pag. 72, enunciato un teorema di unicità per le equazioni paraboliche da cui si può dedurre, come caso particolare, il teorema che dimostriamo nel testo; il quale dunque, sostanzialmente, è da considerarsi come dovuto al Dini. RenpICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 45 — 324 — Ora avendosi sempre, in C, p>0 e 2<0, il primo membro di que- st'ultima eguaglianza sarebbe la somma di tre integrali dello stesso segno se in C fosse i da db ) 2e—-——-g|}-pb=0. (6) 2( È d7 3) D Ciò si potrà ottenere disponendo della funzione arbitraria positiva (7). E infatti, per l'ipotesi fatta su d(z,y), secondo la quale essa non è mai nulla in C, la funzione Il da 22) fr cord 9 PCI SANA RNTO r (I) i urna dY sarà ivi finita; detto m il suo minimo, sarà verificata la (6) da tutte quelle funzioni positive p(y) per le quali è p':p = m, in particolare dalla e!%. Scelta in tal modo la funzione 7(y), dalla (5) si trarrà necessariamente 20, e quindi, ivi, x=0. Il nostro teorema di unicità è dunque dimo- strato. 3. Le condizioni sotto le quali abbiamo ottenuto il precedente teorema di unicità, mentre prestano un ufficio importantissimo (Gevrey) nella dimo- strazione del teorema d'esistenza per il problema Holmgren-Levi, non sono, com'è evidente, tutte essenziali per il detto teorema di unicità. Così, per coneludere l'unicità in C dell’integrale della (2) che prende su s valori assegnati, basterebbe, per esempio, supporre che sia b= 0 soltanto sul seg- mento AB della caratteristica y=#, e che, pur potendo altrove 4% passare dal positivo al negativo, sia sempre in © dad pie 2c — (0) dI dY Prendendo allora per p(y) una costante positiva, il primo membro della (5) risulterebbe di nuovo una somma di integrali dello stesso segno. Come pure il precedente teorema di unicità continuerebbe a valere nel caso in cui sul segmento AB della caratteristica y= % fosse sempre è = 0 e in C la funzione (7) risultasse finita, pur potendo ) annullarvisi. 4. Fermiamoci a considerare quest'ultimo caso. Vogliamo mostrare che, assegnato il campo C, si possono scegliere, con una grandissima arbitrarietà, i coefficienti di L(v) in guisa che, essendo 5 <0 su AB e la (7) finita in C (continuando dunque a valere il teorema di unicità per il problema Holmgren-Levi), non sempre rimane valido il relativo teorema d'esistenza. Consideriamo pure un campo € il cui contorno sia nelle condizioni più particolari sotto le quali è stato dimostrato (Gevrey) l’indicato teorema di esistenza nel caso 9 < 0. Il contorno di C deve essere costituito da due (10) — 325 — segmenti AB e CD rispettivamente delle caratteristiche y=%,y=% (A<%) e da due curve c, e cs, essendo la prima, terminata in A e in C, tutta alla sinistra della seconda, terminata in B e in D, e per le quali si sup- pone: 1°) che ogni caratteristica y=/ (h=/= %) le incontri rispettiva- mente in un sol punto; 2°) che ammettono ciascuna tangente (generalmente), che non diviene mai orizzontale, salvo nei punti C e D in cui ciò può ac- cadere; 3°) che i punti A e B sono distinti. Il contorno s del campo © risulta dunque costituito dalle curve c, e cs e dal segmento CD della ca- ratteristica y= #. Vogliamo definire i coefticienti di L() in un campo rettangolare R, limitato dalle rette e =x,,04=%1,Y=%,y=%; contenente nel suo interno il campo C, e ciò in modo che, pur continuando a valere in C il teorema di unicità relativo all integrale della (2) che prende su s valori assegnati, i valori che ogni integrale della stessa (2) prende nei punti E ed F di s sulla caratteristica y=/(%# == %) sono legati da una relazione. Diciamo &, e È, (fé < &1) rispettivamente le ascisse di E e di F. Siano «(x) e y(x) due arbitrarie funzioni della x definite in (xo, #1), ivi finite e continue, delle quali la seconda non sia identicamente nulla in (£,, &1); e consideriamo l'equazione differenziale lineare ordinaria del 2° ordine d*v dv (8) «(+ dro = 2,0), da* contenente il parametro 4. Esistono valori 4; del parametro, a ciascuno dei quali corrisponde una relazione lineare (9) Piv + pisvo + pi= 0, la quale lega i valori v, e vs che ogni integrale della (8) (fattovi 4 = 4;) prende in &, e in È,. Diamo a 4 uno 4; di questi valori. Indi definiamo in R due funzioni LA RR 5 da SE 5 3 a(c,y) e Àic(1, y), ivi tinite e continue con >> , Che si riducano rispetti- vamente alle funzioui @(2) e Z;jy(x) per y="/. Sarà assicurato il nostro teo- rema di unicità per l'equazione da de De = agi E) se sceglieremo poi % in guisa che, essendo 2(2, 4) < 0, risulti la funzione 1 da PI 71 Ae DI i 7) (2 o dI dY — 326 — finita e continua in R. Perchè si verifichi quest ultima circostanza, basta evidentemente dedurre ) dall'equazione d da — (ub)=pu{2%A;e- — ag 0) "( ie Dl dove w designa un'arbitraria funzione, sempre positiva in R. Poniamo 1 (E 2a) TRAI 2: i (11) dei) (2 dana day ; con questo valore di 4, ogni soluzione della (10) soddisfa, per y=/, alla equazione (8), ai cui coefficienti si riducono quelli della (10). Occorre ancora ulteriormente disporre di c e di 4 in guisa che per la funzione / definita dalla (11) si abbia d(x,%) = 0. A tale scopo, lasciando @ affatto arbitraria fra le funzioni che si riducono ad @(x) per y=/, sce- gliamo la funzione e(e ,y), fra quelle che si riducono a y(x) per y=/, in guisa che risulti È da (12) I u(2%6— C)m=o0. ciò che si potrà conseguire ancora con una grandissima arbitrarietà. Detta infatti p(w,y) un'arbitraria funzione definita in R, identicamente nulla per y==l e sempre positiva per y >, poniamo c(2,9)=y() + Mp(2,7), dove M designa una costante. La disuguaglianza (12) si traduce nella se- guente: À A da 24M f updy + f u (22r-3)m=o, l I x k alla quale, poichè fun dy > 0, si potrà soddisfare dando ad M un valore 0 assoluto convenientemente grande e segno contrario a quello di 4;. Scelti nel modo ora detto è coefficienti della (10), questi soddisfano alle condizioni sotto le quali è assicurata, quando esiste, l'unicità in C dell’integrale che su s prende valori prescritti, non ostante che tali valori non possano assegnarsi arbitrariamente: quelli nei punti E ed F di s devono soddisfare alla relazione lineare (9) (). (*) Per un’equazione del tipo (2), la natura delle caratteristiche (doppie) si ricon- nette (E. E. Levi, Caratteristiche multiple e problema di Cauchy, Annali di Matematica, tomo XVI della serie 3) alle proprietà del coefficiente 4(2 ,y), Se nel campo C esistono caratteristiche sulle quali 27=0 e caratteristiche sulle quali 2 2 0, l'equazione ha in C caratteristiche di due diversi tipi. L'analisi svolta nel testo pone in luce la singolare in- fluenza di questo fatto sopra il problema dei valori al contorno ivi considerato. — 327 — 5. Di esempî come il precedente è facile, imitando il procedimento ora esposto, trovarne moltissimi altri, specialmente quando si supponga che la parte s del contorno del campo € sia chiusa, non avendo allora più da sod- disfare alla condizione 4(a, 4) = 0. Tralasciando quest'ordine di considerazioni, ritorniamo al teorema di unicità, per il campo C considerato al num. precedente, relativo agli inte- grali della (2) che prendono, su s, valori prescritti. Si può stabilire un teorema di confronto dell'equazione (3) con la equa- zione autoaggiunta (13) I NN ; da? (PET identico a quello da me dato nella Nota apparsa nell'ultimo fascicolo di questi Rendiconti, togliendo, nel caso %(x,%) <= 0, la condizione per l'in- tegrale u di annullarsi anche sul segmento di caratteristica AB facente parte del contorno di C. Si ha, in particolare, il teorema: Se è ba. k)=0, A>c— ali da + i in tutto C, ed ivi esiste 2\ da dI , un integrale della (13) sempre diverso da sero, un integrale della (3) nullo su s è identicamente nullo in C. Ne segue: Se è b(a,k)=0, e indichiamo con M il massimo in T di 1/ da ah) s i, o un numero maggiore di questo, in qualunque campo C, per il quale le curve laterali c, e cs del contorno staccano sopra ogni caratteristica un segmento minore di —=, è unico l'integrale della (2) che su s prende VM” valori prescriiti. La condizione 4(x,%) <= 0 può essere soppressa quando la parte s del contorno di C è chiusa; ed allora il semplicissimo teorema precedente co- stituisce, a mio credere, l’unica proposizione che sì sia fino ad ora formu- lata (rel campo non analitico) per l'integrale della più generale equazione lineare alle derivate parziali del 2° ordine, del tipo parabolico, indipenden- temente dalla conoscenza di integrali particolari dell'equazione data o di quella aggiunta (cfr. la citata mia Nota). Questa proposizione, nel caso particolare che per M sì possa assumere un infinitesimo positivo, nel caso cioè che sia, in 7°. 1/ da di | e— ail * + % = (0 sì deduce subito dalla (5), col farvi p"=0,x,= ;; e, del resto, fu già notata dal Dini nella Memoria citata (pag. 63). ill — 328 — Chimica-fisica. — Sul calore di formazione di composti organici d’addizione(*). II. Racemati (Tartrato dimetilico) (*). Nota di B. L. VANZETTI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN (°). La questione della esistenza di composti racemici tra le sostanze con- tenenti atomi di carbonio asimmetrici è stata ripresa più volte da varii autori, che tentarono di risolverla applicando — a fianco della diretta ricerca cri- stallogratica — la regola delle fasi, per lo studio degli equilibrî che si sta- biliscono tra i componenti attivi a fusione ed in soluzione. A parte la discussione sulla applicabilità della regola suddetta (da van't Hoff a Rooze- boom e discepoli), ormai pienamente accettata, mi basti qui ricordare i lavori di Kipping e Pope, di G. Bruni, di M. Centnerszwer, di J. H. Adriani e di A. Ladenburg per quanto riguarda il riconoscimento della esistenza dei composti racemici come fase solida, o liquida, e quelli di Raoult, di Pulfrich, di Frankland e Pickard, di Kuster, di Marckwald, di Paternò e Manuelli, di Bruni e Padoa, sulla esistenza dei racemi in soluzione. Da tutte le espe- rienze finora eseguite risulta che il legame racemico, già debole per sè, viene facilmente scisso per l’azione del calore, o per il fatto della soluzione; così che ad una certa temperatura, come ad una certa diluizione, gli isomeri ottici si possono considerare come affatto separati l' uno dall’altro. Ciò posto, risulta chiaramente che se si determina il calore di soluzione del composto racemico e, a parte, quello della miscela meccanica dei due componenti, si ha per differenza il calore di formazione del racemo dai componenti allo stato secco. Infatti: una volta detiniti i sistemi reagenti (i due antipodi ottici ed il racemo) ed ammessa l'identità delle due soluzioni (stato finale del sistema) ottenute dalla miscela dei componenti, o dalla loro combinazione racemica, la differenza tra i calori di soluzione della miscela e della combinazione non può imputarsi ad altro. che al fatto stesso della combinazione (rispettiva- mente dissociazione molecolare), di cui tale differenza rappresenta la tonalità termica indipendentemente dalla presenza del solvente e dalla sua natura; indifferente anche se il racemo si scinda in soluzione (e quindi i due com- ponenti, nello sciogliersi contemporaneamente si mantengano separati), o rimanga inalterato (nel qual caso i due componenti, nello sciogliersi insieme, si combinerebbero tra di loro). Nel nostro caso poi la cosa si presenta ancor più semplice e lo speri- mento più facilmente accessibile, in quanto che non occorre aver a disposi- (1) R. Accad. Lincei, vol. XXII, I, pag. 103 (1918). (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. (3) Pervenuta all'Accademia il 23 settembre 1913. — 329 - zione tutti e due gli antipodi ottici, a cui spetta un identico calore di solu- zione, ma basta uno dei dne ed il racemico, purchè si tratti di soluzioni diluite, in cui si può ammettere che la combinazione racemica si trovi com- pletamente scissa nei componenti e che qualsiasi altra influenza reciproca di questi sia trascurabile. Alle combinazioni racemiche può quindi applicarsi lo stesso metodo, che ho già scelto per altri composti (picrati) considerati come composti di addizione; col vantaggio, in questo caso, della maggiore stabilità della com- binazione racemica allo stato solido, il che risulta anche dalla soddisfacente costanza dei dati termochimici, che verranno esposti, in confronto a quelli ottenuti dai picrati instabili precedentemente studiati. Naturalmente, la determinazione, per i casi in cui l'esistenza del race- mato è certa, ha valore quantitativo; tuttavia, nei casi dubbî, essa non è sempre sufficiente a stabilire se la tonalità termica, che esprime la trasfor- mazione della miscela meccanica dei componenti nella fase unica, che da essi può risultarne, esprima il fatto chimico della combinazione racemica, o non piuttosto quello che si può considerare come piuttosto fisico della soluzione solida (o liquida). Tutt'al più si sa che generalmente i due fatti sono accom- pagnati da un fenomeno termico opposto, esoterma essendo la combinazione, endoterma nella maggior parte dei casì la soluzione: il che permetterebbe, fino ad un certo punto, di assegnare alla determinazione anche un valore qualitativo, o, almeno, di considerarla utile ad un orientamento nello studio della sostanza inattiva. S intende, poi, che se i due antipodi ottici, o il composto racemico, con- tengono molecole estranee (di solvente), occorre considerare a parte la tonalità termica che accompagna la loro combinazione, 0, se è possibile senza sna- turare il composto, eliminarle. Le ricerche che ora esporrò riguardano alcune sostanze delle quali potei procurarmi entrambe le forme attive, e ciò a scopo di controllo; mentre, come sopra si disse, non è necessario disporre solo di una delle due forme e del composto racemico, nel qual caso si ha il vantaggio di poter ricupe- rare completameute i prodotti dalle soluzioni. Furono adunque determinati i calori di soluzione del tartrato dime- tilico e del racemato, per soluzioni alcooliche molto diluite; nonchè quelli delle canore e delle. canforossime rispettive (di queste sarà detto in una . prossima Nota). Per i tartrati e le canforossime si fecero anche le prove della mescolanza in soluzione diluita, per confermare l'assenza di effetto termico, dovuta alla non combinazione degli antipodi, in presenza di una forte quantità di solvente. Il tartrato dimetilico dell'acido destrogiro ed il racemato (Kahlbaum) furono sottoposti a ridistillazione e rispettiva ricristallizzazione, fino ad otte- nere il grado di purezza ritenuto necessario, mentre il tartrato dell'acido — 330 — levogiro fu preparato con ottimo rendimento seguendo le prescrizioni di Fischer e Speier ('). In una parte di queste ricerche ebbi l’aiuto diligente del sig. V. Pellegatti-Ricci, laureando presso questo Istituto. Come calorimetro adoperammo un apparecchio nuovo di tipo Thomsen (fornitore F. Kohler di Lipsia), il cui recipiente della reazione, in argento dorato, ha la capacità di circa !/, litro. Adattammo ad esso un agitatore ad elica in ottone dorato, espressamente costruito, ìl cui movimento veniva attivato a mano, mediante un cordoncino ed un semplice gioco di carrucole. La sostanza da sciogliere veniva sempre posta in bolla a parete esilissima, soffiata da un ordinario tubo d’assaggio; questa bolla si rompeva al momento voluto mediante un agitatore metallico circolare sussidiario, che accompagna l'apparecchio. Qualora tali bolle siano di vetro sottile, rimangano immerse completamente nel liquido solvente (salvo il collo, che è vuoto) e si lasci il tutto raggiungere una temperatura quasi costante mantenendo una regolare efficace agitazione, non c'è assolutamente pericolo alcuno di errore, e l’equi- librio di temperatura si raggiunge in breve con la richiesta esattezza. L'agitatore ad elica, molto maneggevole e facilmente regolabile, si mostrò anche molto adatto a portare rapidamente in soluzione delle sostanze, che non sempre si potevano ridurre in polvere fina. TARTRATO DIMETILICO. Mescolanza in soluzione alcoolica diluita (temp. amb. 20°,2): I-tartrato metilico gr. 3.1466 in alcool assol. gr. 175 (?), d-tartrato metilico gr. 3.1490 in alcool assol. gr. 175 (?), lai io, 20070 i— 22600785 e applicando per il calcolo la: Q=A (f-()+(B+02) ((—6), in cui i valori di A e di B rappresentano gli equivalenti termici delle due soluzioni (nel nostro caso: A=B = 89) e 4 l'equivalente del calorimetro con accessorii = 10, si ottiene: Q= + 2,34 calorie; valore assai prossimo a 0, che cade entro i limiti di sensibilità del metodo. (!) Ber. d. d. ch. Ges. XXVIII, 3, pag. 3252. (*) Le pesate dei due tartrati non si poterono fare con maggior esattezza identiche, essendo essi molto igroscopici; fu tuttavia accertata l’inattività della soluzione della miscela finale. (3) ta=temper. della soluzione contenuta nel recipiente alto; ty=temper. del liquido nel recipiente posto in basso nel vero calorimetro; t=temper. finale della miscela, otte- nuta per estrapolazione dalle temperature lette dopo avvenuta la mescolanza. Tutte le temperature riferite ad uno stesso termometro. — 331 — Questo risultato dimostra ancora che il racemato dimetilico in soluzione alcoolica diluita è praticamente scisso nei suoi due componenti. Calore di soluzione molecolare del d-tartrato dimetilico (m= 178, temp. amb. 22,4): d-tartrato metilico gr. 6,0310; alcool assol. gr. 364,2, Equivalente del sistema = 196,0; abbass. term. 4t = — 09,934, Calore di soluzione molecolare = — 5:392 cal. Calore di soluzione molecolare della miscela meccanica d- e l-tartrato dimetilico (m= 178; temp. amb. 20,4): d-tartrato metilico gr. 3,0774 I-tartrato metilico > 3,1210 (IAAREnoIi Bosio Este SER Equivalente del sistema = 188,35; 44 = — 09,998. Calore di soluzione molecolare della miscela = — 4396 cal. Anche qui la differenza con la precedente determinazione è trascurabile, e dimostra l’assenza di un'azione reciproca tra i due componenti attivi alla diluzione sperimentata. Calore di soluzione molecolare del racemato dimetilico (m=356; temp. amb. 179,5). 1) Racemato dimetilico gr. 6,0094; alcool assol. gr. 361,8. Equivalente del sistema = 193,6; 4/= — 19,100, Calore di soluzione molecolare (riferito al racemo) = — 172-673 cal. 2) (Temp. amb. 17°,7): Racemato dimetilico gr. 6,0550; alcool ass. gr. 378,7. Equivalente del sistema = 202,1; 4t= — 1°,037, Calore di soluzione molecolare (riferito al racemo) = — /2:320 cal 3) (Temp. amb. 199,5): Racemato dimetilico gr. 6,0040; alcool assol. gr. 351,6. Equivalente del sistema = 186,05; 4% = — 1°,100. Calore di soluzione molecolare (riferito al racemo) = — 72143 cal. 4) (Temper. amb 21°,0): Racemato dimetilico gr. 6,0394; alcool assol. gr. 365,3. Equivalente del sistema = 196,50; 4# = — 10,064. Calore di soluzione molecolare (riferito al racemo) = — /2:323 cal. Media di 4 determinazioni = — 12:850, da cui, sottraendo il calore di ‘soluzione di 2 molecole di sostanza attiva (2 X 5:394 = 10:788), si ottiene, per il calore di formazione del racemato (combinazione delle due molecole attive) il valore di 4+- 1562 piccole calorìe. I risultati sono dunque molto chiari e mostrano come cì sì possa fare un'idea abbastanza esatta dell’affinità che unisce i componenti in una com- binazione racemica. ('*) Ved. nota a pagina 330. RenpiconTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 46 — 332 — Nella stessa guisa dev’esser possibile valutare l'entità di una eventuale reazione tra antipodi ottici costituenti, nelle condizioni ordinarie, sistemi liquidi (*). E ciò sarà oggetto di una prossima ricerca. Chimica. — Solubilità allo stato solido tra nitrati, solfati e carbonati ad alta temperatura (*). Nota dì M. AmaApORI, pre- sentata dal Socio G. CIAMICIAN (°). Le ricerche termiche, che ho compiuto sulle coppie solfato-carbonato per i sali di litio, di sodio e di potassio, hanno mostrato un certo grado di isomorfismo tra solfati e carbonati, tanto che per i sali di sodio e di potassio si giunge ad una completa miscibilità allo stato solido per solidi- ficazione di miscele fuse (4). In questa Nota sono prese in considerazione le coppie che i detti sol- fati e carbonati formano con i corrispondenti nitrati i quali pure costitui- scono i derivati ossigenati a massimo grado di valenza di un elemento appar- tenente a diverso gruppo del sistema periodico. Anche i nitrati con i solfati e i carbonati presentano molte e conside- revoli differenze, come fu notato tra i solfati e i carbonati, sia dal punto di vista chimico, sia da quello cristallografico: a queste, però, nelle coppie in questione s'aggiunge la diversa basicità degli acidi da cui i sali provengono. Anche le ricerche termiche tra nitrati, solfati e carbonati non sono pos- sibili che tra i sali alcalini, per la decomposizione che subiscono i nitrati o i carbonati di altri metalli per riscaldamento. Pur limitando le ricerche ai sali alcalini, non fu possibile di compiere lo studio completo dei sistemi in questione: i nitrati di litio, di sodio e di potassio fondono bensì inalterati e si mantengono tali anche a temperature alquanto superiori al loro punto di fusione, specialmente se in miscele con altri sali, ma le temperature che per molte miscele si devono raggiungere per avere la fusione completa, sono così elevate da manifestarsi in grado troppo spinto la scomposizione, Le esperienze con fusione completa della massa furono perciò limitate a quelle miscele per le quali la scomposizione non fu giudicata troppo forte; per altre miscele furono compiute alcune esperienze, mantenendo le miscele stesse a lungo a temperatura elevata senza raggiungere la fusione e la scom- posizione, ma così da avere una massa pastosa semifluida e, ottenere rapi- (') Mi pare degna di nota la constatazione occorsa durante queste ricerche, che i due tartrati attivi, i quali danno facilmente il fenomeno della soprafusione, si lasciano facilmente cristallizzare per aggiunta di un cristallino dell'uno come dell’altro isomero attivo indifferentemente, ed anche per l'aggiunta di un cristallino del racemato. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. (®) Pervenuta all'Accademia il 28 settembre 1913. (4) Questi Rendiconti, XXI, 2° sem., pag. 65. — 333 — damente l'equilibrio: la massa venne poi raffreddata e venne seguito il raf- freddamento nel proseguire della solidificazione. Se i due sali formassero soluzioni solide o composti, è da presupporre che per le temperature rag- giunte e per la fluidità della massa, le une e gli altri dovrebbero formarsi inuntempo abbastanza breve, soprattutto nel caso di formazione di com- posti, distruggendosi una quantità corrispondente di miscela eutettica: nel raffreddamento successivo della massa, l'arresto eutettico dovrebbe mancare o avere quella durata che gli spetta per la quantità d'eutettico presente. Se, come avviene per i sistemi studiati, l’eutettico esiste e la sua durata è lunga e normale a quella che si osserva per sistemi con semplice formazione d'eutettico, si può escludere con verosimiglianza la formazione di composti ed anche la miscibilità per lo meno in rapporti larghi. Delle temperature di solidificazione è di trasformazione dei solfati e dei carbonati ho detto nella Nota precedente: queste temperature per i ni- trati risultarono : LiNO; solidificazione a 255° trasformazione - Na NO, » 810° ”» _ K NO; ’ 336° ” 124° NITRATI-SOLFATI. 1. Sali di litio. 000 ORI 2 Arresto eutettico 800 7 Jo molec.| Inizio oo) Li,SO, leristallizz.| Temper. Durata, È 0 0 255° _ _ Que 2 1.26 _ 252° 900” 5 8.20 | 316 252 850 500 10 6.50 394 252 810 15 9.96 | 432 252 760 400 20 13.56 472 252 740 30 21.18 906 252 0 300 40 | 2950) — (©| 252 610 75 65.30 —._ (9) 250 300 302 100 100 860 (***) _ —_ o 10 20 30 #0 50 60 70 SO S0 100 a mol LI, SO, Fi. 1. — Li NO; - Li/SO. (*) Scaldato a 560°, ('*) Scaldato a 650°. (***) Trasformazione a 578°. il — 334 — i 2. Sali di sodio. °/o ot Arresto eutettico 900 > °/o molec. | Inizio o Pea NayS0y |eristallizz | Durata NazS0, SOLA Temper. per 15 gr. 800 (0) (0) 310° —_ _ 5 304) 3000.3097 10 6.23 320 300 320 15 9.50 376 300 300 257 20 13.02 420 300 280 25 16.63 480 300 270 500 30 20.42 984 298 240 35 | 24.87 | 558 298 220 ia 40 28.52 608 296 200 BOS ITA MA 298 170 60] 4730) - (| 298 140 i 80 70.94 — (9) 280 60 100 | 100 892 (®*)| — a Fic. 2. — Na NO, - Na, S0, (*) Scaldato a 600°. (*) Scaldato a 660° (***) Trasformazione a 238°. 3. Sali di potassio. gl | o] Arresto eutettico il MRO (/oimoleci|MMlnizio Temper. i mm peso > * . D » te pl ill K, SO, K, SO, |eristallizz.| Temper. Do i: trasform. 0 0 336° = Di, 124° 2 dir 334 VALE ? 124 ò 2.96 = 332° 320” 124 7.9 4.49 382 332 280 122 IN i 10 6.06 | 448 332 280 122 | 15 9.29 | 544 332 250 120 di 20 12.67 | 594 330 220 120 i 30 | 1992 | 66 | 830 180 116 | 50018 607206 RCS (5) 03828 130 112 si 650 6Lszo | (e) 326 100 - si il 100 | 100 1066 (**)| 322 La - LI AN (*) Scaldato a 700°. (**) Scaldato a 720°. (***) Tra- veil| | sformazione a 583°, [o] 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 Ihg®i % mol K, SO, Fic. 83. — KNO;- K, S0, wa x — 335 — In tutte le tre coppie di sali le temperature di solidificazione del ni- trato per aggiunta del solfato corrispondente sono lievissimamente abbassate a una temperatura eutettica. Il ramo di curva di cristallizzazione del nitrato che ne risulta è assai breve, e la temperatura di solidificazione e la concen- trazione dell'eutettico sono molto prossime a quelle del nitrato puro. L'altro ramo di curva dall’eutettico sale rapido e sembra giungere direttamente alla temperatura di solidificazione del solfato. Anche per le miscele che non furono fuse ma riscaldate a lungo intorno alle temperature indicate, l'arresto eutettico fu osservato alla stessa tempe- ratura, con lunga durata; è presumibile che detto arresto esista anche per contenuti maggiori in solfato, forse fino al solfato stesso. Il complesso dei fenomeni osservati e l'andamento generale dei sistemi credo possano far escludere per tutte le tre coppie di sali la formazione di composti fra nitrati e solfati. La solubilità tra i due sali è certo pressochè ‘nulla per quanto riguarda la solubilità del solfato nel nitrato, come risulta in tutti i tre casi dalla composizione dell'eutettico: la temperatura di tra- sformazione del nitrato potassico che si mantiene costante nelle miscele, ne è di conferma per i sali potassici. Dalla durata degli arresti eutettici si può presumere che anche la solubilità del nitrato nel solfato non sia molto grande. Nelle miscele studiate non si ebbe alcun cenno sulla trasformazione dei solfati nelle miscele; specialmente per quelle tra. sali sodici era da aspet- tarsi che la trasformazione fosse visibile; infatti la temperatura di trasfor- mazione del solfato è inferiore alla temperatura di solidificazione dell’eutet- tico: ma anche per questi sali la trasformazione del solfato non fu visibile nelle miscele, nemmeno a 70°/ mol. Nas S0,. Probabilmente l’effetto ter- mico che accompagna la trasformazione non è visibile nelle concentrazioni raggiunte. Alcune miscele furono seguite nel raffreddamento fino a 100°, senza però notare alcuna ulteriore variazione termica. 1. Sali di litio. — 336 — NITRATI-CARBONATI °/o Arresto eutettico ? °/, molec. | Inizio in peso| _—. 1 } LuC0: LisC0; feristallizz.| Temper. TI 0 (0) 2550 — - 2 1.86 ? 250° 800° 6) 4.68 420 250 800 10 9.38 502 248 750 15 14.12 542 245 680 20 18.90 982 245 540 30 28.55 614 236 420 50 48.25 — (| 240 300 79 73.67 — (#4) 230 180 100 100 732 _ -. (*) Scaldato a 620°. 2. Sali di sodio. (**) Scaldato a 650°. Arresto eutettico i olo __ |®%omolee.| Inizio Ro Na: CO; |eristallizz.| Temper po, 0 0 310° _ _ 3 2.42 == 304° 500” 5) 4.05 328 304 480 7.5 6.10 404 304 440 10 8.18 | 446 304 420 15 12.40 494 304 380 20 16.70 548 302 340 25 21.08 602 300 320 35 30.16 658 290 260 gi (I 190 75 | 70.63 (| 278 110 100 | 100 854 (#9) — pe (*) Scaldato a 640°. (**) Scaldato a 680°. 800 700 set E Se O) REDINI oEEE E GITUTTEO TTT %a mol Li, CO} Fic. 4. — LiNO,; - Lis CO; 800 700 700 600 600 600 500 400 400 300; === 300 OTT I O 02 ONE 30 Nr 0 NIE 5 0 N 60 NN 7,0 N SO NI SONA IOO olo mot Na, CO, Fic. 5. — NaNO,- Nas C0; (#**) Trasformazione a 430°. — 337 — 3. Sali di potassio. Arresto eutettico 3 lo °/o molec. | Inizio Temper. Rico, K.CO, |cristallizz.| ‘Temper. o trasform. 0 0 336° = = 124° 5 3.70 — 326° 300” 124 10 7.52 SO 200 20 280 122 15 11.43 454 326 220 122 20 15.46 496 325 180 122 25 19.60 552 9825 150 122 35 28.26 622 320 140 120 40 32.79 655 316 120 120 50 42.25 700 312 100 116 75 68.70 Se 3) |1306 70 (2) 100 100 896(**) —_ — = «lo moi K, CO, (*) Scaldato a 720°. (**) Trasformazione a 405°. Fia. 6. — KNO; - K,C0; Le forti analogie tra le coppie nitrati-carbonati e le coppie nitrati- solfati ci dispensano da ogni osservazione su questi sistemi. Per essi infatti sì possono ripetere le osservazioni che riguardano i precedenti sistemi, sia sulla composizione e sulla estensione dell'eutettico e solubilità allo stato solido tra i due sali, sia sull'esistenza e formazione di composti in fuso e in solido. Anche la trasformazione dei carbonati di sodio e di potassio non è visibile nelle miscele. CONCLUSIONI. A differenza di ciò che sì osserva tra solfati e carbonati, la solubilità allo stato solido tra questi sali e i corrispondenti nitrati è nulla o assai piccola, tanto per i sali di litio, quanto per quelli di sodio e di potassio. I nitrati cristallizzano con i carbonati e con i solfati in semplici eutettici costituiti quasi esclusivamente del solo nitrato, -ad una temperatura di soli 8°-10° inferiore a quella di solidificazione del nitrato. Come tra i solfati e i carbonati, così tra i nitrati e i solfati e tra i nitrati e i carbonati non fu trovata formazione di composti nè alla solidi- ficazione, nè a temperature inferiori. E. M. È e i Î i. È È È i i IE ica eee apre RIERPNEE O SEI Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. “Serie 18 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. «Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 18 TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. MolMIN VIVI VIENI ‘Serie 33 — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. «Serie 4* — RenpiconTI. Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5 — ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-XXI. (1892-1915). 2° Sem. Fase. 7°. RenbIcoNTI della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXI. (1892-1913). Fasc. 5°-6°. MemoRrIE della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. Fasc. 14°. MemORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE ‘AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCFI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R, Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta Italia è di L. 10; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Utrico Horrui. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI —- Ottobre 1913. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia durante le ferie del 1913. Riccò. Statistica delle protuberanze del sole negli ultimi cicli osservati della sua attività. Pag. Bottazzi e D'Agostino. Proprietà chimiche e chimico-fisiche del succo di muscoli striati e lisci. III. Variazioni di volume in alcuni processi colloidali . . . . SERA Comessatti. Sopra certe SR fra i caratteri d'una varietà algebrica da dal SE Severi) . . . TSE 6 da ESSO) Picone. Sul teorema dei in un DiebIe ema dei SA al ao per le equazioni del tipo parabolico (pres. dal Socio Bianchi) . . . . ORE (e Vanzetti. Sul calore di formazione di composti organici Fado TI. Racemati (Tartrato dimetilico) (pres. dal Socio Ciamician) . . . Re) Amadori. Solubilità allo stato solido tra nitrati, solfati e Csibonati ad alta temperatura (pres Id) ELI Lia IR CA ey E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. 299 Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 26 ottobre 1913. N. 8, DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCX. | 1918 di... cui. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X XII. — Fascicolo 8° | 2° SEMESTRE. Comunicazioni pervenute all'Accademia durante le ferie del 4913. (OgniSMemoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo) _ ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. v. SALVIUCCI 1918 NET: _ P____ _ _r rPrPrP r___—_—_—t—_—— DGEGIÈGKGÈ©5*Èh ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazionedistinta per ciascuna delle due ‘Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; «due volumi formano un'annata, 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite ne Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro posta dell'invio della Memoria agli Archiv dell'Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agl autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCERI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’Accademia duranie le ferie del 1913. (Ogni Memoria o Nota porta a pie’ di pagina la data d'arrivo). N VACaS Chimica. — Azioni chimiche della luce. Nota XXVI del Socio G. CrAaMICIAN e di P. SILBER ('). Autossidazioni V. In questa Nota trattiamo del contegno di alcuni chetoni e ciclochetoni alla luce in presenza di ossigeno, che si dimostrarono tutti autossidabili. Fu- rono esaminati: l’acetone, il cicloesanone ed i tre metilcicloesanoni, ed in fine il metileptenone. L'ossigeno attacca la molecola in modo corrispondente all'idrolisi, che, fatta eccezione per il metileptenone, il quale non si idro- lizza alla luce (*), e per l’acetone, accompagna il processo di autossidazione. Acetone. — (Già a proposito dell'idrolisi avevamo notato che l’acetone è autossidabile alla luce. Le presenti esperienze lo confermano in modo definitivo. In 3 matracci della capacità di 2 litri, pieni d'ossigeno, vennero esposti in ciascuno 5 gr. d’acetone in 15 d’acqua, dal 1° giugno all'8 novembre. Il liquido non si colora, e, aprendo i matracci, c è una aspirazione assai . lieve, Il contenuto dei medesimi aveva reazione acida e venne saturato per ebollizione con carbonato calcico. Distillando, per concentrare la soluzione, si notò l'odore marcato di a/deide formica nel distillato, che venne ricono- sciuta colle reazioni di Rimini. (*) Pervenuta all'Accademia 1’8 ottobre 1915. (®) Ved. Nota XVI; questi Rendiconti, vol. XIX, 1°, pag. 539 (1910). RenpICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 47 — 340 — Il residuo (0,9 gr. di sale calcico) venne trasformato in sale argentico, che per ebollizione anneriva. Vennero separate due successive frazioni, che dettero i numeri del sale argentico dell’acédo acetico. Analisi: Trovato. Calcolato per C. H, 0» Ag Ag 64,27 64,25 64,66 Cicloesanone. — Come s'è accennato più sopra, il cicloesanone insieme con l’autossidazione, subisce l'idrolisi (*), per cui si ottennero principalmente gli acidi adipico è capronico. In 5 bottiglie da 5 litri, piene d’ossigeno, furono esposti in ciascuna 15 gr. di cieloesanone in 100 d’acqua, dal 26 marzo al 2 ottobre. Il liquido contiene delle goccie oleose gialle; forte aspirazione; il prodotto ha reazione acida assai marcata. Esso venne reso neutro con carbonato sodico, ed estratto con etere. La parte neutra (46,8 gr.) ha odore rancido e dà la reazione di Angeli. Il liquido alcalino, acidificato con acido solforico ed estratto nuova- mente con etere, dette un residuo, che in parte si solidificò. Per separare i due acidi in esso contenuti, venne distillato con vapore acqueo. La parte volatile era costituita dall’ acido capronico normale. Separato convenientemente dall'acqua, passò in gran parte tra 204° e 206°. Il punto d’ebollizione dato dal Lieben è 205° (*). Se ne analizzò il sale argentico. Analisi: Trovato Calcolato per Cs Hi: 03 Ag Ag 48,28 48,43 Il residuo della distillazione, colorato in bruno, venne bollito con ‘nero animale e portato a cristallizzazione. Si separò l'acido adipico, che, puri- ficato dell’acqua, fondera a 152-153°. Mannich dà il punto di fusione a 149° 5 (3). Analisi: Trovato Calcolato per Cs Hio0 0, C 49,14 49,31 H 6,91 6,85 Dalle acque madri, che per concentrazione danno uno sciroppo bruno, si ebbe, per trattamento con acido nitrico, dell'altro prodotto. Da 15 gr. di cicloesanone se ne ebbero 4 d'acido adipico puro. I tre metilcicloesanoni, provenienti dalla fabbrica di Poulene Frères di Parigi, vennero purificati per mezzo del bisolfito e rettificati accuratamente. (!) Ved. Nota XI. Questi Rendiconti, vol. XVII, 1°, pag. 180 (1908). (2) L. Annalen, vol. 170, pag. 92. (8) Berichte, vol. 39, pag. 1594. — 341 — Il trattamento fu per tutti analogo, e però la descrizione potrà essere ab- breviata. L'esposizione venne fatta sempre in bottiglie da 5 litri piene d'ossigeno, contenenti ciascuna 15 gr. del ciclochetone e 100 d'acqua, dall'aprile al no- vembre. Aprendo il tubetto innestato nel turacciolo delle bottiglie, si notò sempre una forte aspirazione. L'elaborazione del prodotto venne fatta in modo analogo a quella già descritta per il cicloesanone. o- Metilcieloesanone. — Per saturare il liquido acido di una delle bot- tiglie (15 gr.), si adoperarono 92 ce. di soluzione normale di carbonato s0- dico. L'estratto etereo del liquido alcalino (28,5 gr. da 75 del chetone) dava lievemente la reazione di Angeli. Dalla soluzione alcalina si ebbero per acidificazione ed estrazione con etere, 45 gr. di materie acide. La parte volatile col vapore acqueo, rettificata, non aveva un punto di ebollizione costante: le prime frazioni contenevano acido formico; la parte principale venne raccolta fra 220° e 224°, il resto sino a 228°. Il prodotto, che doveva contenere segnatamente l'acido enantico, non era stabile al permanganato. Però venne trattato, in conveniente diluizione alcalina, a 0°, con una soluzione di permanganato al 2 °/,, fino a che quest’ ultimo non più era ridotto. Dopo avere separati gli ossidi manganici, si ebbe, per distillazione con vapore acqueo, dal liquido acidificato con acido solforico, l'acido enantico puro, che bolliva a 222-223°, e di cui venne analizzato il sale argentico. Analisi: Trovato Calcolato per C7H13 Os Ag Ag 45,78. 45,57 Bollendo poi il liquido acido con bicromato potassico, si potè ottenere una sostanza solida, che, purificata dall’acqua, fondeva a 152-153° e sì dimostrò essere l’'ac:do adipico, anche per la composizione del suo sale argentico. Analisi: Trovato Calcolato per C5Hz0,Ags Ag 59,94 60,00 Questo acido potrebbe forse provenire dal prodotto di ossidazione del- l’o-metilcicloesanone, l'acido acetilvalerianico, di cui diremo ora, che è real- mente un po' volatile col vapore acqueo, e potrebbe essere passato insieme coll’acido enantico. La presenza di questo acido ehetonico, non sta, peraltro, in relazione con la riduzione del permanganato del prodotto greggio; essa sarà dovuta forse all'acido non saturo corrispondente all’ aldeide (*), che si forma per idrolisi. (!) Nella nostra Nota XI abbiamo dimostrato che dall’o-metilcieloesanone si forma ver idrolisi, oltre all’acido enantico, l’aldeide eptenilica, da cui l'acido eptenilico; questo, però, dà per ossidazione l'acido glutarico, che noi non abbiamo ottenuto, forse verchè pre- sente in troppo piccola quantità. — 342 — La parte rimasta indietro nella primitiva distillazione col vapore acqueo, un liquido brunastro, venne purificata col nero animale e portata a secco (27 &r.). Stando nel vuoto sull’acido solforico, nella massa siropposa si for- marono dei cristalli, che, purificati dall'acqua, fondevano a 151°. Essi erano acido adipico. Analisi: Trovato Calcolato per Cs He 0, C 49,56 49,81 H 6,387 6,85 Lo sciroppo, da cui furono separati i cristalli d'acido adipico, fu sotto- posto alla distillazione a 22 mm. La parte principale, che passò fra 177° e 187°, costituisce un liquido vischioso; le ultime porzioni, che si solidifi- carono, erano formate ancora da acido adipico. Il prodotto contenuto nella frazione principale era, come abbiamo già accennato, l'acido acetilvaleria- nico, CH:—CO—CH,—CH,—CH,—CH,- COOH, descritto da O. Wal- lach ('). Per purificarlo lo abbiamo trasformato nel suo sale argentico. Analisi: Trovato Calcolato per Cz Hi 03 Ag C ad,59 309,46 H 4,69 4,38 Ag 42,72 43,02. Da questo abbiamo ottenuto l'acido, che fondeva a 31-33° (?). Abbiamo preparato poi il relativo semzcardasone; purificato dall’etere acetico, dette cristalli bianchi, che fondevano a 147°. O. Wallach dà il punto di fusione a 144-146°. Analisi: Trovato Calcolato per Cs Hi; 0; Ng Ci 702 47,70 H 7,95 poll Analogamente a quanto fa il mentone nell’autossidazione (*), l’o-metilci cloesanone si ossida spontaneamente alla luce, dando il corrispondente acido (*) L. Annalen, vol. 329, pag. 3877. i (£) O. Wallach (loc. cit.) ebbe una volta quest’acido allo stato solido, fondente in- torno ai 50°: un’altra volta non riuscì a farlo cristallizzare. (#) Ved. la nostra Nota XIV. Questi Rendiconti, vol. XVIII, 1°, pag. 319 (1909).. — 343 — chetonico; quest’ ultimo, per altro, si ossida anteriormente per dare gli acidi adipico e formico: CH, CH, HCOOH | | CH CO COOH ere N00 H HA C008 H,0 ca H ia H,0 DE AE N e, CH, CH, CH, È possibile che insieme coll’acido chetonico, si formi anche il corrispon- dente ossiacido, che noi peraltro non abbiamo cercato di separare. m-Melilcicloesanone. — Gli acidi prodottisi per autossidazione, alla luce, da 15 gr. del ciclochetone, richiesero 80 ce. di carbonato sodico normale. La parte neutra (inalterata) proveniente da 75 gr. del chetone fu di 50 gr.; esso viene dunque intaccato meno abbondantemente dell’ortometilcicloesa- none. La quantità di acidi greggi ottenuta da tutto il chetone esposto, 105 gr., fu di 39 gr. La parte volatile, col vapore acqueo, passò quasi integralmente a 215°- 216°. Come risultò anche dall'analisi del suo sale argentico, si tratta di un acido eptilico. Analisi: Trovato Calcolato per C7H13 0, Ag Ag 45,50 45,57 E precisamente di quello che si forma per idrolisi dell’ m-metileicloesa- none, da noi già descritto nel 1908 (!). La sua costituzione rimase allora incerta: ma siccome tanto per idrolisi quanto per autossidazione l'anello dei cicloesanoni si apre al medesimo punto, che è inoltre lo stesso tanto per il meta- quanto per il parametilcicloesanone, così la struttura di questo acido resta fissata, ed è la seguente: CH; CH; | | CH «CH CH; ne AN irc Nou. i Î | LOS | —:CH;— CH, CH; CH—=CH,—C00H PUSH: CH; Il residuo della distillazione con vapore acqueo, un liquido bruno, venne portato a secco a bagno-maria e nel vuoto; pesava 25 gr. Dopo qualche tempo, cominciarono a separarsi dei cristalli (4,6 gr.), che furono purificati () Ved. la nostra già citata Nota XI, a pag. 185. — 944 — dall'acqua. Fondevano a 97°, e si mostrarono identici a l'acido dicarbonico ottenuto dal p-metilcicloesanone, che fondeva pure. a 97°: i due prodotti mescolati mantennero lo stesso punto di fusione. Ora siccome l'apertura del- l'anello nel suddetto ciclochetone è necessariamente univoca, così a questo acido, che è un acido pimelinico, spetta indubbiamente la seguente formola di costituzione: CH3 | COOH—CH,—CH,—CH—CH,—C00H . Analisi: Trovato Calcolato per Cz His 04 C 52,29 92,90 H 7,59 7,50 Gli autori dànno per quell'acido varî punti di fusione. Si avvicina più al nostro quello indicato dal Wagner: 949,5 ('). Lo sciroppo da cui s'era separato l'acido or descritto (19 gr.), conte- neva, oltre a questo, senza dubbio l’osszacido COOH-- CHì.-CH,—C(CH;).OH—-CH,—C00H o, per meglio dire, il attore corrispondente, già descritto da Fr. W. Semmler(?) e da lui ottenuto per ossidazione dell'acido dicarbonico con permanganato. Per altro, per quanto ci fossimo industriati, non siamo riusciti ad isolare in modo soddisfacente il suddetto lattone. L'autossidazione dell’ m-metilclicoesanone può essere quindi rappresen- tata dai seguenti schemi: CH, CH, CH, | | | CH CH COH H,C7 \CH, H,C7 \CH, H,07 \CH, Lio = | — | He co Hc coon H,cl lcooH G COOH COOH Hz Nell’idrolisi di questo ciclochetone, come s’ è detto allora, non sì osserva la scissione aldeidica, ed anche la formazione dell’acido eptilico è più scarsa che non con gli altri due isomeri. p-Metilcicloesanone. — Da 90 gr. di questo, si ebbero 43 gr. di pro- dotto neutro, che, oltre al ciclochetone inalterato, conteneva piccole tracce (') Beilstein, Supplemento, vol. I, pag. 301. (*?) Berichte, vol. 25, pag. 3516 (1392). — 345 — del composto aldeidico, rivelabile colla reazione di Angeli. Per saturare la parte acida si adoperarono 650 ce. di carbonato sodico normale; il miscuglio degli acidi greggi, proveniente dai 90 gr., pesava 35 gr. Questo era for- mato, come negli altri casi, da un acido grasso volatile, dovuto all’idrolisi, e dallo stesso acido dicarbonico, che si ebbe dall’ossidazione dell’ m-metil- cicloesanone. Il primo (6 gr.) passò prevalentemente a 217°-219° e si rivelò iden- tico all'acido eptilico, da noi già descritto nel 1908 ('). La sua composi- zione venne confermata dall’analisi del sale argentico. Analisi: Trovato Calcolato per Cx H13 0, Ag Ag 45,66 45,57 La sua costituzione è la seguente: CH; CH, CH, CH-CH,--CH,—C00H . Il residuo della distillazione con vapore acqueo, dette anche qui uno sciroppo da cui venne separato l'acido pimelinico già descritto, dal punto di fusione 97°. Analisi: Trovato Calcolato per C7H;30, C 52,51 52,50 H 7,59 7,50 Ne abbiamo analizzato anche il sale argentico. Trovato Calcolato per C7 Hio0 04 Ags Ag 57,52 57,55 Come era da attendersi, l'acido ottenuto nell’autossidazione, non aveva potere rotatorio, cioè era il composto racemico. Anche qui, la parte sciropposa conteneva il lattone corrispondente all'os- siacido relativo, che noi non siamo riusciti ad isolare. La sua presenza, peraltro, può considerarsi come accertata. L'autossidazione del p-metilcicloesanone può essere rappresentata nel seguente modo: CH, CH, CH, | | | CH CH COH H,C \CH, H.C7 \cH, H.C7 \CH, > | > .c\/0H: H.c\ coon Hc ‘coon 0) CooH COOH (') Ved. la nostra Nota XI, a pag. 185. — 346 — Il rendimento in prodotti di idrolisi e di ossidazione sta in mezzo fra quelli ottenuti dagli altri due isomeri. Metileptenone. — Ne esponemmo in tutto 54 gr., in 9 matracci di 2 !/, litri pieni di ossigeno contenenti ciascuno 6 gr. del chetone e 75 d’acqua, dal maggio al novembre. Aprendo i matracci si notò una forte aspirazione, l'ossigeno era stato del tutto assorbito e v'era in sua vece dell'anidride car- bonica. Il contenuto, un. liquido giallo, aveva reazione fortemente acida, l'odore del metileptenone era scomparso; per neutralizzare il liquido vennero impiegati 360 cc. di carbonato sodico normale. Riscaldando il liquido a bagno-maria, passa acetone, che fu riconosciuto anche per mezzo del composto cou la p-bromofenilidrazina. Si ebbero dal- l'etere petrolico pagliette senza colore che fondevano a 93-94°(*). Tutta la soluzione alcalina venne poi concentrata a pressione ridotta e portata a circa 150 cc.; per raffreddamento si separò un olio vischioso, che aumentò per salatura con carbonato potassico. Estratto con etere, se ne ebbero 29,3 gr. Questo olio, come si vedrà, era formato segnatamente dal chetone- glicole, CILS CH; ed in parte, forse, anche dall'ossidichetone, CHI ge OH—CO—CH,—CH,—C0—CH;, CH; À che si ottengono ossidando il metileptenone rispettivamente con permanga- nato e con acido cromico. Il nostro prodotto dava la reazione pirrolica dei paradichetoni, ma anche dopo averlo distillato a pressione ridotta, non ci fu possibile di ottenere da esso derivati cristallini. Per ciò, ritenendo che in esso prevalesse il primo dei due suaccennati composti, abbiamo pensato di trasformarlo nel dichetone: CH3, | YCH_C0—CH,—CH,—C0—CH,, CH; per ebollizione con acido solforico diluito, seguendo le norme indicate in proposito dal Harries (*). Abbiamo ottenuto in questo modo un liquido mo- bile, che, a 17 mm., passava fra 94° e 104°. Esso dava assai intensamente la reazione pirrolica dei y-dichetoni. (1) Neufeld (L. Annalen 248,95) dà il punto di fusione 93°; Tiemann e Semmler (Berichte 28, pag. 2129) dànno 94-95°. (*) Berichte, vol. 35, pag. 1183. — 947 — Per stabilirne l'identità, ne abbiamo preparato i derivati con la semi- carbazide e l’idrossilamina e li abbiamo confrontati con gli stessi composti, ottenuti, secondo Harries, dal prodotto di ossidazione del metileptenone col permanganato. Il semicarbazone, cristallizzato dall'alcool, fondeva 201°, tanto se pro- veniente dal nostro prodotto, quanto se preparato secondo Harries, da quello ottenuto ossidando il metileptenone. Questo autore dà il punto di fusione 197-198°; O. Wallach (') trovò, come noi, 201-202°. Analisi: Trovato Calcolato per Cs Hi; N30 N 24,00 23,24 La diossima, purificata dall'acqua, fondeva a 137°; ed anche qui i due prodotti, di diversa provenienza, avevano lo stesso punto di fusione. Harries dà 132°; Wallach 137°. Analisi: ‘l'rovato Calcolato per Cs Hi14 03 No N 16,60 16,40 La soluzione alcalina, liberata dai chetoni ora descritti, venne, in pic- cola parte, distillata con acido solforico; il liquido acido raccolto, venne bollito con carbonato calcico. Sì fece una precipitazione frazionata con nitrato argen- tico: ma tutte le frazioni, che annerivano nel cristàllizzarle a caldo, per la presenza d’acido formico, dettero i numeri del sale argentico dell’ acido acetico. Analisi: ‘Trovato Calcolato per Ca H: 0. Ag Ù 14,35 14,37 H 1,81 1,79 Ag 64,10 64,37 64,06 64,66 Tutto il resto del liquido alcalino suaccennato venne quindi acidificato con acido solforico ed esaurito con etere. L'estratto colorato fortemente in bruno, rimase per qualche tempo in un essiccatore sulla soda caustica, perchè si eliminasse tutto l’acido acetico che conteneva in abbondanza. Il residuo, uno sciroppo brunastro, venne ripreso a freddo con acqua, che lasciò indisciolta una parte resinosa. La soluzione doveva contenere l'acido levulinico; ma .dava ancora, con la fenilidrazina, un precipitato oleoso. Venne però portata a secco, e lo sciroppo risultante distillato due volte successivamente a pres- sione ridotta. Si ebbe infine un olio, che, a 13 mm., passò a 144-146°. Da questo si ottenne con la fenilidrazina un precipitato cristallino, che, purifi- cato dell'acqua, si presentò in fogliette lievemente colorate in giallo, che (1) L. Annalen, vol. 362, pag. 264. RenpICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 4S INI — 948 tali fondevano a 108°: secondo E. Fischer (*), è questo il punto di fusione del fenilidrazone levulinico. Analisi: Trovato Calcolato per C11H14 Os Na N 13,95 13,59 Lr'autossidazione del metileptenone alla luce procede dunque principal mente nel seguente modo: | | o Un cnc cHi> CH, metileptenone | CH SÙ CH, Il | glicole relativo (NI CH; LU) 5. )C-0H—C0—CH;—0CH—00—CH, LotcH 00 20h 2 ni CHy acetone | ill) | ossidichetone | | COOH—CH,—CH,—C0—CHs acido levulinico È probabile che gli acidi acetico e formico, e forse pure l'anidride car bonica, provengano da una parziale ossidazione dell'acetone. L'acido levulinico Gall non dovrebbe essere stato ulteriormente intaccato, non avendo noi potuto nio riscontrare la presenza dell'acido propionico, a meno che non fosse avvenuta RI una ossidazione più profonda, ciò che non è da escludersi. | iù Durante questa ricerca, che per diverse circostanze venne eseguita ad III intervalli, ci siamo giovati successivamente dell'aiuto dei dottori Ugo Pesta- lozza, Fedro Pirami e.G. B. Bernardis, ai quali esprimiamo i nostri ringra- ziamenti. (1) L. Annalen, vol. 236, pag. 146. — 349 — Fisica matematica. — Sw alcune questioni relative alle trasformazioni di Lorentz in elettrodinamica. Nota I del Corri- spondente R. MarcoLoNGO ('). Nello studio delle trasformazioni di Lorentz e delle equazioni della elettrodinamica, è di notevole importanza la ricerca delle leggi con cui si trasformano alcuni enti fisici; per esempio, la forza e la eccitazione elettrica e magnetica, la forza elettromagnetica di Lorentz, la forza elettrica e ma- gnetica di riposo di Minkowski (?). Alla risoluzione di queste e di altre questioni, coi metodi delle omo- gratie vettoriali (8), è dedicato il lavoro che ho l'onore di presentare alla Accademia. Dopo aver riassunto e completato le formule relative alle tras- formazioni di Lorentz (4), espongo in questa prima Nota le proprietà di alcune omografie, funzioni di un punto e del tempo, la cui considerazione è assal utile e suscettibile di molte applicazioni. Esporrò quindi in una Nota successiva la parte che è oggetto principale del lavoro. Salle Ad un punto P e ad un qualunque valore £ del tempo (in un sistema .$) corrispondono, in un sistema S", un punto /' ed un valore ? tali che (1) P'_—0=a(P_0)+ta , #=(P_0)Xbh+4 tm (2) (P'_ 0} (*=(P_ 0}— t; (3) Pervenuta all'Accademia il 18 ottobre 1913. (*) H. Minkowski, Die Grundgleichungen fur die elektromagnetische Vorgànge in bewegten Kòrpern [Nachricht. der K. Gesellsch. der Wiss. zu Gottingen. Mathem.-physik. Klasse, 1908, 538-111]. (3) Come è noto, Minkowski nelle sue ricerche si è valso della teoria delle matrici, L'applicazione dei quaternioni alla stessa teoria ha formato oggetto dei lavori del sig. A. W.Conway, On the application of Quaternions to some recent developments of electrical theory [Proceedings of the R. Irish Academy, vol. 29, Sect. A, n. 1 (1911)] e, recentemente, del sig. E. Waelsch, Quaternionen und biniren Formen zu den Minkowski'schen Grund- gleichungen der Elektrodynamik [Sitzungsber. der K. Akademie der Wiss. in Wien. Mathem.-naturw. Klasse; Bd. 122; Marz und Juni 1913]. (*) €. Burali-Forti et R. Marcolongo, Analyse vectorielle générale: I. Pransforma- tions linéaires (Pavie, Mattei, 1912); II. Applications è la mécanique et à la physique (Pavie, Mattei, 1913). Vedasi specialmente a pag. 107 e la bibliografia a pag. 118 di questo secondo volume. Citeremo con numeri romani i due volumi della Analyse. Il — 350 — O è un punto fisso; « una omografia vettoriale propria e il cui invariante terzo supporremo positivo; a,b due vettori; 7# un numero positivo maggiore di uno (!). Queste formule definiscono una trasformazione di Lorentz, che indiche- remo brevemente con Z (II, pag. 107). Le formule inverse, pel passaggio da S' ad S, si deducono subito dalle precedenti, e sono: (1) P_0=KaP oe, (SIAE Le equazioni dell’elettrodinamica di Lorentz si trasformano in se stesse, quando sì operi una trasformazione Z (teorema di relatività); e le relazioni che le- gano gli elementi trasformati (densità elettrica 0, velocità v degli elettroni, forza elettrica e magnetica e, m) ai primitivi, nel passaggio dal sistema S ad S', sono le seguenti (II, pag. 113): (3) '=o(m4+vX bb) (4) ov =09(avHa) (5) m'=Ram+a/ ae (6) e =Ree—a /\ am. Da queste si dedurranno le formule inverse pel passaggio da .S' ad ,S (mutando «,a,b rispettivamente in Ke, — b, — a), e cioè (3°) o=o(Mm_—-V'Xa) (4) ov=0'(Kav' — b) (5') m= RKam'—b/ Kae' (6) e= RKae + /\ Kam". Infatti, le (3) e (4') si scrivono subito confrontando le (3) e (4) colle (1), sostituendo cioè ov, o'v a P—0,P — 0; 0 e d'atel' rispettivamente. e tenendo presenti le (1’). Rammentando poscia la formula (II, pag. 113, [10]) am=mmn' —a/e', sì operi sui due membri con RKa; tenendo presenti le formule (I, pag. 38, [AE 1, pag. 107,681 3) (7) Ra.Ka= RKa.a=Lha=m , ab=ma , Koa=mb, sì deduce subito la (5°). E del pari si opera per la (6'). (*) Anche il sig. E. Hahn, nella Memoria: Grundlagen zu einer T'heorie der Lorentz- transformationen [Archiv der Mathematik und Physik, dritte Reihe, 21 B., 1-42 (1913)], si è in parte valso di questa rappresentazione, e poi esclusivamente della teoria delle matrici quaternarie. — e LT — 351 — Per maggiore chiarezza di quanto dovremo dire in seguito, conviene notare e ricordare le seguenti proprietà delle trasformazioni Z, esprimenti, in forma assoluta, note proprietà dei determinanti ortogonali: (8) Reb=a : RKaa= bh (9) Ra=ma —H(b,a) ; RKa= mKa — H(a, b) (10) a.Ka=1 #+H(a,a) 7 Keser-sl + H(b, b) (11) Rea.RKa=m? — H(a, a) , RKa.Ra=m? —H(b,b) (le) ese SA —H@,a), AM = 1 ZL Hb.b). Infatti, operando con Re sulla terza, e con RKe sulla seconda delle (7). si deducono le (8). Possiamo operare in modo identico sulle (10) già note (II. pag. 107, [3], [4]), ed otterremo Ra.Ka.a= Ra + Hb, Rab) la quale, per le (8), dimostra la prima delle (9). Tornando ad operare sulle (9) con RKa ed Ra, oppure operando diret- tamente con R sulle (10) si proveranno le formule (11); e da queste, per le (I, pag. 38, [4']), si ricaveranno le (12). Si osserverà che col sussidio delle (9) è possibile far figurare la sola omografia @ e la sua coniugata Ke nei secondi membri di (5), (6), (5'). (6); ma non faremo uso di tali formule più complicate delle (5) ..... (6°). Dai risultati precedenti si deducono queste altre conseguenze : (13) o'.RKav'=o0(mv + b) (13/) o.Rav =o'(mv — a) (14) RKam'= m?îm—-bXm.b+wmb/e (15) RKae'= me —bXe.h —mb/Am (14') Ram= m°m'—-aXm'.aT—-ma/e' (15') Rae=m?e' —aXe'.a + ma/\m'. Per dimostrare le (15) applichiamo l'operatore RKe alla (4) e l'operatore Ra alla (4), e rammentiamo le (8). Parimenti da (5), operando con RKe, otterremo anzitutto : RKam'= RKa.Ram-+(Kaa)/Ke.ee; poscia, dalla seconda delle (11), RKa.Ram= m°?m —bXm.b, e, per l'ultima delle (7) e la seconda delle (10), (Kaa)/\Ka.ce=wmb/\(e+eXb.b)=mbAe; risulterà quindi dimostrata la (14). Analogamente si procede per le altre. — 352 — Relazioni e conseguenze del tutto analoghe alle precedenti valgono nella elettrodinamica di Minkowski. Così, accennando ora con E,e la forza e la eccitazione elettrica, con m, M la forza e la eccitazione magnetica, con S il vettore corrente e con o la densità elettrica nel sistema $, mentre pel sistema S' si adopreranno le stesse lettere accentate, si deduce che: M'.,E' si esprimono mediante M,E; m',e' si esprimono mediante m,€e, oppure inversamente, con formule identiche alle (5), (6) oppure alle (5'), (6'). Varranno ancora formule analoghe alle (14) ... (15'). Inoltre sì ha: (16) o =SXb+ om (17) Sas +o0a, e quindi, col confronto colle (1), si dedurrà subito o=—-SXadt om s=Kas —ob, e quindi anche l’invariante sio? =s° — o. Le formule accennate permettono di verificare, senz'altro, che sono parimenti invarianti, rispetto ad LZ, - mXe,MXE , :(mXM—eXE)=£; £ è la funzione di Lagrange ('). 82 Diciamo ancora v,v' i vettori velocità di due punti materiali P, P negli istanti 4,2", dei due sistemi S, S"; poniamo, cioè, ie ie Dalle (1) e (1') del $ precedente, con una derivazione, dedurremo: (1) ) avta MIC vizi M E SI Maro Consideriamo i due numeri x ,7' funzioni di P e di #, e, quindi, di P' e di #", definiti da (2) n=mt+vXb , a=m_—-VXa. (*) Con metodi ben noti sarebbe assai facile passare dalle formule precedenti alle formule in coordinate cartesiane. Ma per avere una idea della grave complicazione che in tal modo si avrebbe, si può consultare: M. B. Weinstein, Die Physik der bewegten Materie und die Relativitàtstheorie, Leipzig, Barth, 1913; pp. 288 e seg.; 390 e seg. — 353 — Avremo, quindi, (3) av=av+a , ev=Kav—b (4) nn=1. Infatti, dalla prima delle (3) e delle (2), per la (10) del $ precedente, si deduce n(Kav —hb)= Ka.av+ Kea—-mbT—-vXb.b=v; e poichè il primo membro vale 7'V, resta verificata la (4). Dalle (8) si ricava pure (5) n.RKavy=mv+b , n.Rav=mv—a; e dal confronto delle (2), (3) colle (1), deduciamo (6) n1_-v*)=1—v?. Definiamo ora due nuove omografie y , y' (7) y=a+H(v,a) , y=Ka—H(v,b). A differenza dell'omografia costante @, esse sono funzioni di ? e di 7, e, quindi, di P' e di 7’; e risultano dalla somma di una omografia propria e di una diade, e, quindi, di una forma molto frequente in elettrodinamica. Noi anzitutto proveremo che (8) y'=yy=1. Per un teorema noto (I, pag. 46), basterà provare una delle due. Ora, per proprietà note (I, pag. 43, [2]), si ha yy =@a.Ka + H(v, a) Ke — «.H(v,b)— H(v,a). H(v', b) =1+H(a,a) + H(av,a) — H(v,eb)—vXb.H(v',a). Ma dalle (3) e poi dalla seconda delle (7) del $ 1 si ha, successivamente H(av,a)=wH(v,a)—H(a,a) H(v', eb) +vXb.H(v',a)=(m+vXb)HV,a)=7xH(v',a); quindi, con la sostituzione diretta, risulterà provata la prima delle (8). Risulta pure, per lo stesso teorema precedentemente ricordato, che y e y' sono omografie proprie. Altre proprietà di queste omografie, che dovremo spesso applicare, sono le seguenti: (0) RK Ha wi Ky=e—H(b,v) (10). lsyi=% ; ly = (11) Ry = aKy ì Ry = w'Ky (12) KRy = ny i, KRy' = n'y (13) yb= na 7 ya= a'b (14) Ka.yb= mab È a.Ya=mn'a (15) KRe.yb= rh ; Reiani-mat — 354 — In tutte queste formule, a y", Ky',... 2’ possiamo rispettivamente sostituire y®,Ky7,..n7; basta inoltre dimostrare solamente le formule a sinistra: le altre risultano subito. Ora la (9) è una immediata conseguenza della (7) (I, pag. 28, [3]). Per dimostrare la (10) basta osservare che (II, pag. 136, [11]) ILy= Ba +vXRKoa=m+vXb=%. Poscia notiamo che (I, pag. 38, [4]) Ky.Ry=I3y = 3y.Ky.Ky', poichè dalla (8) si ha Koei _a1E quindi Ky(Ry — 2Ky)= 0. Ma y, e quindi Ky, sono proprie, così risulta subito la (11). Applicando alla (11) l’operatore K, si ottiene la (12). Si ha poi, direttamente, yrb=ceb+H(v,a)b=ma+vXb.a=wa, cioè la (13); e da questa, applicando l'operatore Ka e poi RKa, si deducono la (14) e la (15). Notiamo da ultimo: se u è un vettore funzione di P e di f che mediante Z si trasforma nel vettore u' tale che (16) '=yU, risulterà (17) uXv=uXbH4muXv e, inversamente, (16) u=yu' (17) uXv=—uwXaH4+mu Xv. Infatti, pel teorema di commutazione (I, pag. 32). dalla (16) deduciamo uXva=vXyu=uXKyv'; e poichè, per le (9), (2) e (3), Kyv= Kav+baXv.v=%xv4+b+(m_-#)v=b+mv, così risulta la (17). Le (16’) e (17°) si deducono al modo solito da (16) e (17); e dal confronto colle (1) del $ 1 risulta pure l'invariante u°-(uXv)=u— (uXv)?. Matematica. — Sopra un metodo di approssimazione delle radici di un'equazione algebrica. Nota della sig." MARIA BRAGGIO, presentata dal Corrisp. A. Dr LeGGE(!). Il metodo che mi permetto qui di far conoscere è sostanzialmente noto; ma esso è poco o niente in uso nei trattati e nelle scuole, o perchè conside- rato adattabile a casi troppo particolari, o perchè giudicato non tanto semplice quando si voglia. estenderlo a un gran numero di casì. Il metodo, a dire il vero, non si presenta, nel suo complesso, molto organico: esso è quasi immediatamente applicabile ad alcune equazioni, mentre che, per altre, richiede una concatenazione tale di artifizii, che, appli- cati senza accortezza, potrebbero snaturarne la semplicità limpida ed elegante. È noto ed è anche molto facile vedere come si possa rapidamente rica- vare la cosiddetta equazione alle potenze (*) delle radici di un'equazione proposta, esprimendo razionalmente i coefficienti dell'equazione trasformata in funzione dei coefficienti dell'altra. La base del metodo di cui ora trattiamo, si può brevemente così esporre: Se il modulo di una delle radici dell’equa- zione proposta prevale notevolmente sui moduli delle altre, analoga preva- lenza si accentua nell’equazione alle potenze, tanto più quanto più alto è il grado della potenza. Per esempio, se un'equazione ha le tre radici 1, 2, 8, l'equazione alle quarte potenze avrà le radici 1, 16, 4096. La prevalenza di 4096 sulle altre due radici 1 e 16, è molto più accentuata di quello che non sia la prevalenza di 8 sopra 1 e 2. La somma dei tre numeri 1, 2, 8 (cioè 11) è abbastanza lontana da 8; la radice quarta della somma dei tre numeri 1, 16, 4096 (cioè 4113), conduce al numero 8,008 che è molto più vicino a 8 di quel che non fosse il numero 11. Analogamente, se sommassimo le potenze decime, ed estraessimo la radice decima da questa somma, tro- veremmo un’approssimazione ancora maggiore. Facilmente si può avere un'idea dell'approssimazione che si ottiene ricor- rendo all'equazione alle potenze, e dell'errore che si fa quando alla gran- 1 dezza h si sostituisce, per esempio, la grandezza (4° + /")?. Intanto si può osservare che tale errore sarà molto piccolo se il rapporto D sarà di molto inferiore a 1, e se z sarà molto grande (quindi, man mano che l'equazione trasformata alle potenze aumenta di grado, l'errore d’approssimazione rim- (1) Pervenuta all'Accademia il 2 ottobre 1913. (°) Ved., per esempio, L. Orlando, Sull’equazione alle potenze, questi Rendiconti, luglio 1912. RenpIcoNTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 4‘ — 350 — picciolisce sempre più). Indichiamo con # tale errore che possiamo mettere sotto la forma È l ì ; dove si ponga Faina (molto picolo rispetto a 1). Applichiamo ora un noto teorema di Cauchy, che stabilisce una sem- plice relazione fra serie ed integrali, estesi ad un intervallo infinito. Esso si può enunciare mediante la formola a 4, fi(Aldx > Ri = |. © da . 1 oe x l (e Il teorema della media mostra che si può scrivere ceo (CE | n at n an do n x n n Ponendo f(2) = l'integrale corrispondente sarà a Un da. ALI n quindi avremo che il numero (.) a? n ae 7 2 log a (evidentemente piccolissimo se « è abbastanza piccolo e se x è abbastanza — 397 — grande) è maggiore dell’errore che si fa quando ad % si sostituisce (12 + /")". Analogamente, considerando il caso del polinomio 1 (Mi ++ +)? si avrebbero calcoli più complicati, perchè bisognerebbe ricorrere alla for- mola del polinomio; ma questo caso si può semplificare ricorrendo a un arti- ficio, ponendo cioè uguali fra loro tutti gli } diversi dall’% di più alto modulo, in modo da ridurre il polinomio alla forma 1 (194 (m — 1) h2)". Non occorre evidentemente impossessarsi di tutti i coefficienti della tras- formata alle potenze per avere la radice di più alto modulo: basta la somma delle radici della trasformata alle potenze; ma si può osservare che la somma delle potenze di grado #m è una somma di Newton, cioè la cosiddetta s,,. L'intervento dellà trasformata alle potenze diventa dunque non essenziale; se qualche autore ha fermato l’attenzione sulla trasformata alle potenze, ciò dipende unicamente dal fatto che gli ulteriori coefficienti di questa trasfor- mata possono, in alcuni casi rarissimi, lasciar trovare con sufficiente appros- simazione anche le altre radici. Se si potessero avere comodamente le tras- formate alle potenze d'ordine 100 o d'ordine 1000, allora gli ulteriori coeffi- cienti (sottoposti a calcoli di spaventose dimensioni) potrebbero anche essere utili; ma noi riteniamo che la limpidezza del metodo resti da ciò annebbiata. Supponiamo, ora, che non esista una radice la quale abbia il modulo molto prevalente sui moduli delle altre, ma che tuttavia esista una radice di massimo modulo (ciò non avviene, per esempio, quando si tratta di radici coniugate). Il numero sn darà (specialmente se 72 è grande) un valore approssimato del modulo più alto; ma questa approssimazione non sarà grande se ì calcoli saranno semplici: con pochi calcoli si potrà avere un'approssi- mazione mediocre. Supponiamo che la radice @ sia stata approssimata a meno di un de- cimo, mediante il numero £. Si presenta naturale l’idea di fare la trasfor- mata in 1 ep questa trasformata avrà una radice di modulo superiore a 10, e sarà dunque generalmente accessibile al metodo da noi descritto. Se ancora non basta, potremo iterare questo metodo. Un buon segno di riconoscimento che l'equazione si presta all’applica- zione del metodo, è dato dall'esame della successione I 3 Ie o) | sa È) |83| papa o Sì — 358 — Se questi valori vanno ravvicinandosi fra di loro, allora essi si avvici- nano anche al modulo della radice di maggior modulo. Supponiamo che invece le radici di maggior modulo siano 2 o più di 2; per esempio, siano in numero di 4. Se 4 è questo più alto modulo comune 1 1 a À radici, allora |sm|" vale all'incirca #4”, numero variabile considere- volmente con nm, specialmente se 4 è grande. DI i m+r Il rapporto fra |sm|" ed il successivo |sm+1|?*! vale all'incirca 4 # , numero che ci dà facilmente il valore esatto di Z, tenendo conto che 4 è un numero intero e che basta pertanto un’approssimazione appena inferiore a 0,5 per determinarlo con esattezza. Nel caso di radici complesse (coniugate), trovato che sia il modulo, sì potrà ricorrere all'equazione alle semisomme per venire a capo della ricerca. In caso di equazioni che, come per esempio le equazioni binomie, hanno molte radici di ugual modulo, l’esperienza e la sagacia del calcolatore sug- geriranno una preventiva trasformazione di Tschirnhausen, atta ad eliminare questo inconveniente. Un organico e minuzioso svolgimento delle idee qui esposte non po- trebbe essere contenuto nei limiti necessariamente imposti a questo breve lavoro, destinato, più che ad altro, a porre in termini semplici un metodo fondato su considerazioni quasi evidenti e niente affatto complicate. Meccanica. — n teorema generale sul moto incipiente dei sistemi vincolati. Nota di U. CisoTTI, presentata dal Socio T. Levi- Civita (*). 1. Si consideri un sistema costituito da quantisivogliano punti P,, comunque vincolati. Sia R; la reazione 0 forza vincolare che sta a rappresentare l'influenza dei legami sul punto P;. Ammesso che i vincoli sieno privi di attrito, il principio dei lavori virtuali ci assicura che, se dP; designa lo spostamento subìto dal generico punto P;, < lavoro complessivo AR, XP non può essere negativo. Ciò che sì può esprimere brevemente dicendo che le reazioni R, si fanno equilibrio. (*) Pervenuta all'Accademia il 7 ottobre 1913. — 359 — È ragionevole invocare per le reazioni R; il principio di sovrapposi- zione degli effetti (*). In virtù di tale principio la simultaneità di più rea- zioni non reca alcuna modificazione alle singole reazioni: ciascuna di esse si comporta come agisse da sola. In modo preciso, sì immagini di classifi- care (con criterio arbitrario) i legami del sistema in due gruppi distinti che denomino L' ed L"; sieno R; ed R;' le rispettive reazioni vineolari riferentesi al punto P,. È allora manifestamente RESRispr Il principio di sovrapposizione degli effetti ci dice che le reazioni R; non subiscono alcuna modificazione per la presenza o meno dei legami del gruppo L”, e parimenti le reazioni R; non risentono affatto della presenza dei legami del gruppo L'. Una volta ammesso ciò, dal principio dei lavori virtuali scende imme- diatamente che le reazioni R/ si fanno tra di loro equilibrio; come pure sì fanno tra di loro equilibrio le reazioni R;. Si può concludere che 2 wr sistema vincolato non solo tutte le forze vincolari si funno equilibrio [principio dei lavori virtuali], ma si equilibrano pure le forze vinco- lari provenienti da una parte qualsiasi dei vincoli [principio dei lavori virtuali e principio di indipendenza]; 7 particolare, sì fanno equi- librio le reazioni che si riferiscono a ciascun legame del sistema. 2. Ecco una questione in cui interviene utilmente il postulato ora enunciato. Si immagini il sistema vincolato soggetto all’azione di forze assegnate, e in equilibrio. Sia F; la risultante delle forze, applicate al generico punto P; del sistema. In ogni punto P; la forza attiva F; e la reazione vincolare R sono opposte: (1) F; +R;=0. Suppongasi di liberare il sistema di parte de’ suoi vincoli. Allora, in generale, l'equilibrio non è più possibile, ed il sistema, ora meno vincolato, sì pone in movimento. Sia L' il gruppo formato dai legami che vengono conservati ed L' quello costituito dai legami tolti. Sieno R; ed R;' le cor rispondenti reazioni vincolari, relative al punto P.. Essendo (2): Ri=k+Ry, la (1) può scriversi ancora (3) | F;+R+kR/=0. (*) Esso risulta espresso del resto, anche nella prima forma delle equazioni di La- grange, che reggono il moto dei sistemi olonomi. — 360 — Una volta rimossi i vincoli del gruppo L” il sistema — come si è già rilevato — si mette, in generale, in movimento. Questo sarà retto dalle equazioni: (4) ma=F;+ ki, avendo designato con m, la massa, e con a; l'accelerazione del punto P;. In particolare la (4) deve essere soddisfatta nell'istante iniziale; per cui detta a” l'accelerazione iniziale del punto P;, ed intendendo che F; ed R/ sì riferiscano a quest’ istante, si dovrà avere (5) mad =F;+ Rf. Ma prima che sì inizii il movimento deve sussistere la (3); si può dunque sostituire a F; 4 R; la espressione equivalente — R/, con che la equazione (5) diviene (6) —ma%= RI. Dunque le forze d'inerzia iniziali {(— m; a] eguagliano le reazioni che corrispondono ai vincoli tolti. Diciamo dP; uno spostamento virtuale conciliabile, nell'istante accen- nato, con tutti i vincoli del sistema. Introducendo il lavoro virtuale delle forze di inerzia del moto incipiente: (7) dI= — X;m;a0 X dP;, da (6) si ricava (8) 0I= 3; R X dP,. Ma, per il postulato del num. precedente, le reazioni R si fanno equilibrio, il che significa che #/ lavoro virtuale x; RY X dp; non può essere negativo, per qualunque spostamento conciliabile coi vincoli del gruppo L" e quindi 4 fortiori per gli spostamenti conciliabili addirit- tura con tutti i legami del sistema. Si avrà pertanto (9) dI=>0, cioè le forze di inerzia iniziali si fanno equilibrio. Si è così condotti ad enunciare il seguente teorema: Se in un sistema vincolato in equilibrio, si rimuovono alcuni vin- coli, tl sistema si pone, in qgenerale, in movimento; nel moto incipiente le forze di inerzia si fanno equilibrio, qualunque sieno le forse esterne e qualisisiano è vincoli rimossi. Una illustrazione assai semplice di questo teorema è offerta da un punto pesante in equilibrio su sostegno orizzontale levigato; posto che il sostegno venga tolto, il teorema ora enunciato mette in evidenza la circostanza ben nota, che nel moto incipiente del punto, la accelerazione è verticale. ® — 361 — Matematica. — Ancora sopra certe disuguaglianze fra i caratteri d'una varietà algebrica. Nota di ANNIBALE COMESSATTI, presentata dal Corrisp. F. SEVERI ('). 1. Seconda ‘disuguaglianza fra i caratteri d’una varietà a tre dimen- stoni. — Come nella precedente Nota (*), consideriamo anche qui una varietà algebrica (irriducibile) V, a tre dimensioni, avente l'irregolarità bidimensio- nale 7>0, e indichiamo con %,,%2,...Ug (4 — frida, + Qdxes + Ri; dts) q integrali semplici di 1® specie linearmente indipendenti, appartenenti ad essa. Ci proponiamo di ricercare una disuguaglianza fra i caratteri di V, la quale, una volta verificata, porti di conseguenza un legame funzionale fra qualche coppia di integrali semplici di 1 specie della V stessa. ‘Poichè il ragionamento che si dovrebbe fare in tal caso è analogo a quello della Nota precedente (n. 1), così ci limiteremo a qualche rapido cenno. La dipendenza funzionale dei due integrali gi gq (1) > À; Ui è DI UiUi 4 (al) =1 porta all'identità (SAP Did, TR (2) S S A) Zu;P;, ZuiQ , Zu Ri cioè alle À (3) DE Àn, dk ERebx 22) i DI ho dh QQ Ao) mo Un, Dx Qr D Qr pae Mn sy x Rx, Rx S Àn ) Àx Rn ’ R, nik Un sy Mk II Px dove per #,% si devono porre le (2) combinazioni binarie degli indici 1, LIESSRIdE D'altra parte si considerino su V gli integrali doppî (4) Di QQ 1Qn, Qk 10) Jtd (1) Pervenuta all'Accademia il 14 ottobre 1913. (2) Questi Rendiconti, tom. XXII (1913), fase. 79, pp. 316-321. Cfr. anche l’altra Nota, Sulle varietà algebriche che possiedono, ece., ibid., fase. 6°, pp. 270-275. dar deg + das des + desde, | Rn, Rx P, , Py — 362 — che, a norma d'un teorema di Severi ('), sono di 1 specie su V, ovvero si riducono a delle costanti. L'ipotesi che il numero N degli integrali doppî di 1 specie, linearmente indipendenti, appartenenti a V, sia minore di (o) porta almeno d =(2) — N gruppi di relazioni del tipo 2 n'a D 0a D. Rn, k (=1,2.,0). VOIR ho La condizione, perchè una fra queste terne, o una fra quelle che se ne de- ducono per combinazione lineare. sia del tipo (3), è che si possano trovare tre gruppi di numeri 4,36. 4g; My, :.-,. Mg (010 oli elementi di ciascun gruppo non essendo tutti nulli), i quali verifichino le 0 Sa 1 relazioni DJ00p. (>) (6) DI OO — An s dx Mn s Uk D'altronde è noto che un tale sistema ammette soluzioni se (7) NE= 29/250 e quindi, in quel caso, la varietà V possiede (almeno) due integrali sem- plici, distinti, di 1* specie, che sono funzioni uno dell'altro, cioè, a norma tl) | del teorema dimostrato al n. 2 della già citata Nota, Sulle varietà alge- briche ecc., contiene un fascio irrazionale di superficie, di genere almeno eguale a due. Siccome inoltre, indicando con P,,P, i generi, aritmetico e geometrico, difivensisha (8) a N=44+P,—P. (8), così la proprietà suddetta sussiste certamente, se . diete Pps =: 202) eroe) PIPA (!) Severi, Relazioni tra gl'integrali semplici e gl'integrali multipli di 1° specie | d'una varietà algebrica [Annali di matematica (8), tom. XX (1913), pp. 201-216]. Con- viene osservare che l'ordine con cui si succedono gli indici dei d2 in ciascun termine i dell’integrale (4) non è indifferente, in quanto uno scambio dei due indici relativi ad un termine produce in quel termine un cambiamento di segno. | (2) Castelnuovo, Sulle superficie aventi il genere aritmetico negativo [ Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tom. XX (1905), pp. 55-60]. (3) Severi, Nondamenti per la geometria sulle varietà algebriche [Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo, tom. XXVITI (1909)], teor. XVIII. - 363 — Osserviamo, infine, che il ragionamento precedente presuppone l'ipotesi {>1, che però risulta in definitiva superflua, dato che, se g=1, la V contiene in ogni caso un fascio irrazionale (ellittico) di superficie (*). Si può dunque affermare che: Se /ra il genere jeometrico P,, il genere aritmetico Pa, e l'irrego- larità bidimensionale | > 0 d'una varietà V a tre dimensioni intercede la disuguaglianza (II) Pho—P,=qG9—4, la varietà possiede un fascio irrazionale di superficie che, se non è q=1 (nel quale caso il fascio è ellittico), ha %l genere almeno eguale a due. 2. Qualche conseguenza delle due disuguaglianze trovate. — Consi- deriamo dapprima una varietà V a tre dimensioni, con P,=1 e g>3. Siccome tali caratteri verificano la disuguaglianza (I) della precedente Nota (n. 2), così, in base al teorema là dimostrato, possiamo concludere che V contiene uno dei sistemi seguenti: a) congruenza, o fascio (*), d'irregolarità (genere) %; 6) congruenza, o fascio, d' irregolarità (genere) 9 — 1; c) fascio di genere 7 — 2. Dimostriamo ora che sì verifica sempre il caso a). Nell'ipotesi c), poichè, per il teorema sopra ricordato, il genere del fascio è = 2, e d'altronde g è = 4, sì potranno su V considerare quattro integrali semplici di 18 specie, linearmente indipendenti, %1,%2,%3,%,, dei quali i due primi si mantengono costanti lungo le superficie del fascio, e gli altri due no. Ma allora, non potendo i due determinanti Risi raGRI Pari 0, UR dUi P:,Q3, R3 , PIA ONUR: , Pia, 000. CAI RA o, P,,Q,.R, essere linearmente indipendenti, perchè ciò porterebbe P,= 2, il determi- nante P,+4P:, Q +40: , R+4R, P. 9 Qi . Rs 1; . Qi . Jas sarà identicamente nullo, per un conveniente valore Z, di Z. Posto allora u='u 25%» (*) si dovrà verificare uno dei due casi seguenti: (!) Cfr. l’osservazione alla fine del n. 1 della precedente Nota. (°) Scriviamo brevemente, qui e nel seguito, congruenza, o fascio, in luogo di comn- gruenza irregolare, d'indice 1, di curve algebriche, o fascio irrazionale di superficie algebriche. (*) S'intende che potrà anche essere Zn:= 00, cioè u—= us. RenpICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 50 — 364 — 1°) #, uz, sono funzionalmente dipendenti senza che lo siano due tra essi. Allora V possiede una congruenza X, la cui irregolarità è >qg—1 (Nota precedente, n. 2); 2°) due fra gl'integrali %,%3,v, sono funzionalmente dipendenti. Siecome non possono esserlo %,u3, e neppure %,%4, perchè in tal caso %3, oppure 4, si manterrebbero, contro l'ipotesi, costanti lungo le superficie del fascio appartenente a V, così sarà u3 funzione di u,. Ma, allora, entro V si avrà un altro fascio di superficie, lungo cui si manterranno costanti w3,%4. e l'intersezione dei due fasci genererà una congruenza di curve che risulte- ranno di livello costante per tutti gl'integrali semplici di 1 specie appar- tenenti a V. Tale congruenza avrà dunque l'irregolarità g. Siamo dunque ricondotti ai casi a), 2). Per esaminare il secondo di questi, distingueremo due sottocasi: a) V possiede un fascio ® di genere y — 1. Allora si possono consi- derare su V g— 1 integrali semplici di 1 specie, linearmente indipendenti. Un 3 Ug, ++, Ug-1, ciascuno dei quali ha 2(4 — 1) periodi e si mantiene co- stante lungo le superficie di ®; e perciò V possiede un ulteriore integrale (semplice, ecc.) vg, riducibile ad ellittico : cioè contiene un fascio ellittico ® di superficie w, = cost. L'intersezione dei due fasci D , d dà dunque luogo ad una congruenza d'irregolarità %. 8) V possiede una congruenza X d'irregolarità g — 1 e (quindi) un fascio ellittico © le cui superficie non sono composte con curve di X. Allora, mediante l’ intersezione dei due sistemi X, 4 si genera su V un'involuzione birazionalmente identica alla varietà W delle coppie di punti d’una super- ficie F d'irregolarità 9 — 1 e d'una curva ellittica C. Poichè ogni integrale triplo di 12 specie appartenente a W si trasforma, mediante la sostituzione razionale che intercede fra le coordinate dei punti di W e quelle dei punti di V, in un integrale analogo appartenente a V, così il genere geometrico P; di W sarà <= 1; e siccome esso risulta eguale al prodotto del genere di C per il genere geometrico py di F ('), così si avrà pg = 1. D'altronde l'irre- golarità bidimensionale di W è eguale a quella di V (perchè ogni integrale semplice di 1 specie appartenente a V riprende, a meno dei periodi, lo stesso valore nei punti di un gruppo dell'involuzione considerata, e quindi proviene da un integrale analogo di W), cioè è > 3, e perciò il genere aritmetico di F risulta < — 1. La superficie F_ è dunque riferibile ad una rigata di genere 7 — 1 (?), alle cui generatrici rispondono su W e su V le superficie d'un fascio ® che si comporta come in a). (1) Severi, Fondamenti ecc. (citata), n. 28. (3) Castelnuovo; Sulle superficie ecc. (citata), n. 4; Enriques, Sulle superficie al- gebriche che ammettono un gruppo continuo di trasformazioni birazionali in se stesse [Rendiconti del Circolo Mat. di Palermo, tom. XX (1905), pp. 61-72], n. 1. — 365 — Si conclude, in definitiva, che le varietà V a tre dimensioni, con P,= 1 e g>83, presentano sempre il caso a). Siccome, d'altronde, il caso stesso si presenta per g=1,2 ('), ed anche per g= 3, fatta, in quest'ultima ipo- tesi, eccezione per le varietà che contengono un'involuzione birazionalmente identica alla propria varietà di Picard (*), così possiamo enunciare che: Le varietà algebriche a tre dimensioni di genere geometrico Pg="1 e l’irregolarità bidimensionale «> 0 contengono una congruenza d'in- dice 1, e d’irregolarità |, di curve algebriche, 0 un fascio di genere | di superficie algebriche; ovvero hanno l'irregolarità bidimensionale q=3 e sono trasformabili razionalmente nella relativa varietà di Picard (*). Consideriamo ora una varietà V, a tre dimensioni, avente l'irregolarità tridimensionale negativa (P3 < Pa). Se è g>2 ovvero g=2, e P,— Pa< <—1,i caratteri di V soddisfano la disuguaglianza (II) di questa Nota, e perciò V possiede un fascio irrazionale di superficie (di genere => 2), che esiste, come è noto, anche per 7= 1 (nel quale caso è ellittico). Supponiamo ora, che sia g= 2, Pj> —— Pa=—1. Allora, se V non possiede un fascio di genere 2, essa conterrà, per un citato teorema di Severi. una congruenza X d'irregolarità 2. Indichiamo con F una superficie, di generi py, Pa, imagine della congruenza. Poichè, mediante un noto procedimento (4), da ogni integrale doppio di 1* specie appartenente ad F possiamo dedurre un integrale analogo di V, e, in virtù della (8), il numero di questi integrali è, su V, <= 1, così sarà Pg = l. Ma il caso pg = 0, pa = — 2 si scarta perchè F sarebbe riferibile ad una rigata alle cuì generatrici risponderebbero, su V, superficie variabili in un fascio di genere 2; dunque sarà pg = 1, pa = — 1. Concludiamo che: Le varietà algebriche a tre dimensioni d'irregolarità tridimensionale P,—P negativa, e d'irregolarità bidimensionale { positiva, contengono un fascio irrazionale di superficie che, se q>1, ha il genere almeno eguale a due; ovvero hanno l'irregolarità bidimensionale q= 2, l'irrego- larità tridimensionale P, — Pa = — 1, e contengono una congruenza d'in- dice 1 di curve algebriche, avente i generi pg=1,pa= — 1. In quest'ultimo caso, mediante l' involuzione generata su V dalle inter- sezioni delle curve appartenenti alla congruenza, colle superficie d'un fascio razionale, la V si può trasformare razionalmente nella varietà W delle (*) Severi, Sulle superficie e varietà algebriche di genere geometrico nullo [Questi Rendiconti (5), tom. XX (1911), pp. 537-546], n. 6. (*) Severi, Relazioni ecc. (citata), n. 6. (*) Una varietà di Picard a tre dimensioni e a moduli generali ha precisamente oi = 8, e non contiene alcun sistema d’indice 1 di varietà subordinate. (*) Cfr. Severi, Fondamenti ecc. (citata), n. 27. — 366 — coppie di punti d'una curva razionale C e d’una superficie F di generi DE =cia: 3. Cenno d'estensione alle varietà superiori. — Mediante ragionamenti analoghi a quelli esposti in questa e nella precedente Nota, si prova che, se il numero N; degli integrali 4-pli di 1 specie d'una varietà a 4 dimen- sioni Vx, d'irregolarità bidimensionale 9 > 0, verifica la disuguaglianza (III) N=#. Ricordando i risultati di Severi rela- tivi al caso 7<#, si conclude che ogni V, con P>=1e qg#% contiene un sistema d'indice 1 di varietà algebriche subordinate, avente l’ irregola- rità bidimensionale positiva. Chimica. — Sulla tendenza a combinarsi fra alogenuri e altri sali dello stesso metallo. Fluoruri, cloruri e carbonati (*)- Nota di M. Amapori, presentata dal Socio G. Cramician (*). il In alcune Note precedenti (‘) facevo notare come alcuni sali alcalini, in mentre per solidificazione delle masse fuse formano sali doppî con i rispettivi fluoruri, solidificano in miscela eutettica con i corrispondenti cloruri. Da precedenti ricerche risultava che ciò avviene tra fluoruri. cloruri € {ll solfati di sodio e di potassio; le mie ricerche confermavano analogo com- portamento tra fluoruro; cloruro e fosfati di potassio. Mostravo, però, che tale diversità sembra non si mantenga per altri sali, ad es., di metalli bivalenti: (‘) La varietà W ha effettivamente g=2,P,— Pa=—1; cfr. Severi, Fonda- menti ecc. (citata), n. 28. Inoltre, se F non possiede fasci irrazionali (ad es., se si tratta | d’una superficie di Picard a moduli generali), non ne può possedere neppure W. Basta invero osservare che se W contenesse un fascio irrazionale di superficie, questo dovrebbe esser composto colle curve della congruenza esistente su W (altrimenti sarebbe 9 > 2). e quindi avrebbe per corrispondente su F un fascio irrazionale di curve. ill (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica generale della R. Università di Padova, Hi | diretto dal prof. G. Bruni. (8) Pervenuta all'Accademia il 23 settembre 1913. (4) Questi Rendiconti, XXI, 2° sem., pagg. 182, 688, 768. — 367 — infatti l'ortofosfato di piombo, oltre che con il fiuoruro, forma un composto anche con il cloruro. Non mi è parso inutile di estendere questo studio per vedere quale in- fluenza sulla formazione di detti sali doppî abbia il sale che accompagna il cloruro o il fluoruro e il carattere basico del metallo. Così pure non privo d'interesse potrà essere lo studio del comportamento degli altri alogenuri e cioè dei bromuri e dei joduri; siccome, in generale, aumentando 11 carattere negativo dell'alogeno, aumenta la tendenza del sale a formare sali doppî, è da aspettarsi per i bromuri, e specialmente per gli joduri, un comportamento più prossimo a quello dei fluoruri che non a quello dei cloruri. I sali presi in considerazione in questa Nota sono i carbonati alcalini, e precisamente quelli di sodio e di potassio. I sali alcalini sono tra i carbo- nati i soli che si prestano a questo studio, poichè tutti gli altri carbonati si scompongono per riscaldamento: è necessario perciò limitare le ricerche ai sali alcalini. Tra le coppie studiate, Na Fl-Na, CO; , K FI-K; CO; , NaCl-Na; CO, , K C1-K,CO., non è stato finora descritto nessun composto, nè furono eseguite ricerche in proposito: solo qualche esperienza termica tra cloruro e carbonato potassico fu compiuta da H. Brearley e F.C. Moorwond (’) che tracciarono la curva di cristallizzazione primaria di questo sistema. Le esperienze vennero eseguite fondendo le miscele saline (15 gr.) in erogiuolo di platino in forno a resistenza di filo di nichel. Le temperature di solidificazione dei singoli sali risultarono: NaF1 1000°, K Fl 855° , NaCl 808° , KC1l 774°, Na, C0; 854°, K.C0; 896°. I due carbonati puri subiscono una trasformazione, a 430° il Na. C0,, a 405° il K,C03: essa avviene con lievissimo sviluppo di calore, e non si lascia scorgere nelle miscele anche nelle più ricche in carbonato. Delle temperature di solidificazione e di trasformazione di questi salì, in raffronto anche con i dati di altri sperimentatori, ho detto in Note pre- cedenti. (*) Metallurgie, IV, 379 (1907). — 368 — 1. Na Fl-Na.C08s. MARI I due sali non dànno alcun composto e non sono miscibili allo stato It Hi £ IL solido nemmeno. a temperature elevate. ii TABELLA I. NI ULI LESINITIII] Tordi cl Ta Arresto eutettico | Ù °/o in peso |°/o molecolare Li BUT | J di Durat: PARI SEL Si cristallizzaz. | Temperatura per 15 si gii i "i 0 0 8540 _ = (il! I 5.00 11.70 808 684° 507 ANNI 10.00 21.88 764 688 90 CRD! 15.00 30.78 . 724 690 160 Il 20.00 38.66 — 690 200 it 28.41 50.00 744 690 180 D 35.00 57.57 784 690 170 40,00 62.70 815 690 120 50.00 71.60 856 690 110 60.00 79.08 902 635 80 80.00 90.98 956 678 50 90.00 95.78 982 674 20 100 100 1000 = = 1000 600 9 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 i %, mol Na FI Fic. 1. — NaFl-NasC0, I i Le due curve di cristallizzazione primaria s'incontrano in un punto dù eutettico a circa 39 °/, mol. NaFl: l'arresto eutettico fu nettamente osser- il vato in tutte le miscele studiate. — 369 — Le miscele a 38.66, 50 , 62.70 °/, mol. Na Fl vennero seguite nel raf- freddamento fino a 200° senza notare alcuna variazione termica indicante la eventuale formazione di composti in seno alla massa solida. 2. K Fl-K, CO, La curva di cristallizzazione del carbonato scende dalla temperatura di solidificazione di questo sale, 896°, a una temperatura eutettica, 688°, a circa 46°, mol. K Fl: analogamente, quella del fiuoruro, da 855° a 682° a circa 60°/ mol. K FI. Nell'intervallo da 46 a 60°/ mol. K Fl le miscele solidificano tutte completamente con un lungo arresto ad una temperatura che varia da 688° a 682°: in questo intervallo esiste un composto stabile che con i compo- nenti dà due eutettici la cui temperatura di solidificazione è all’incirca quella del composto stesso. TABELLA IL. Tizio Arresto eutettico °/o in peso |°/ molecolare di 5 N n n ft Durata Leni Lon cristallizzaz. | Temperatura per 15 gr. 0 0 896° — = 5.00 J.12 852 678° 40” 10.00 20.89 812 684 70 15.00 29.54 768 688 90 20.00 37.26 795 688 140 25.00 44.20 — 688 220 29.62. |: 50.00 688 — = 32.50 53.936 688 == = 35.00 56.15 686 _ na 40.00 61.30 = 682 280 50:00 70.38 722 682 150 60.00 78.08 768 682 90 75.00 87.70 812 682 60 90.00 95.53 840 680 30 100 100 855 _ = (0) 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 of mol K_ FI Fia. 2. — KFI-K3 COx 370 — L'esistenza del composto, oltre che dalle curve di cristallizzazione del carbonato e del fluoruro e dal fatto che le temperature eutettiche dalla parte del carbonato sono sempre più elevate che non dalla parte del fuoruro, è con- fermata dall’aspetto delle masse soliditicate. Le miscele da 0 a 50 °/, mole- cole K FI solidificate sono costituite da una massa limpida trasparente, mentre le miscele da 50 a 100°/ mol. K Fl solidificano in una massa torbida bianca lattiginosa: questo fatto, oltre che confermare la formazione del com- posto tra fluoruro e carbonalo potassico e ne indica la sua composizione a 50° mol.: K F1-K,C0;. Questo composto, come abbiamo visto, non si forma tra i sali sodici per solidificazione delle masse fuse; infatti la miscela a 50 °/, mol. ha un inizio di cristallizzazione a una temperatura che giace sulla curva di soli- dificazione del fluoruro, e un arresto alla temperatura dell’eutettico fluoruro- carbonato; nessun'altra variazione termica. Detto composto per i sali sodici potrebbe formarsi a temperature inferiori lentamente con debole variazione termica, poichè, come ho fatto osservare, nella massa solida non si ha alcun apprezzabile sviluppo di calore. 3. Na Cl-Na, C03. I due sali non dànno composti, e la loro miscibilità allo stato solido è praticamente nulla anche ad alta temperatura. Le temperature di cristalliz- zazione primaria costituiscono due rette che s'incontrano in un punto eutet- tico a 636° a 59°/ mol. NaCl. Nessuna variazione termica venne osservata in seno alle masse solide seguendo il raffreddamento sino a 200° per le miscele al 37.68,50, 64.46°/, mol. Na CI. TABELLA III. Arresto eutettico °/o in peso |°/ molecolare a di TA) SG) aL Durata Na Cl NaCl cristallizzaz, | Temperatura per 15 or. lo) 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 > lo mol Na Ci Fic. 3. — NaC1-Na,C0, 4. KCI-K3C0;. Il sistema è molto analogo al precedente: la temperatura eutettica è 636°: la concentrazione dell’eutettico è 65 °/, mol. K Cl. Il raffreddamento delle miscele a 44.26, 50 , 64.96 °/, mol. K Cl venne seguìto fino a 200°, ma anche in questo sistema non fu osservata alcuna ul- teriore variazione termica. TABELLA IV. 7 °/, in peso |°/o molecolare | usi po KCI | KC1 | cristallizzaz. | Temperatura Ra) 0 0 896° | So dI 5.00 8.89 | 866 626° 307 15.00 24.65 804 632 70 20.00 31.67 | 778 634 90 30.00 44.26 | T24 635 120 35.04 50.00 | 698. | 636 140 50.00 64.96 | si 636 180 60.00 73.55 660 636 120 75.00 84.76 715 635 so 90.00 94.35 750 632 6 100 100 774 È RenpIcONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 51 — 372 — 800 700 600 (0) 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 2, mol K CI Fre. 4. — KCI-K2C0; CONCLUSIONI. Queste ricerche mostrano che delle coppie Na FI-Na, CO; , K F1-K. C0;, Na Cl-Na; C03, K C1-K,C03, solo fluoruro e carbonato potassico per solidi- ficazione delle miscele fuse formano un composto in rapporti equimolecolari: il corrispondente composto sodico in queste condizioni non si forma perchè il fiuoruro e il carbonato di sodio solidificano dalle miscele fuse in miscuglio eutettico. Sì nota perciò una diversità di comportamento dei fluoruri verso i car- bonati e verso i solfati, poichè tra fluoruri e solfati si forma un composto stabile in rapporti equimolecolari sia tra i sali sodici, tra i sali potassici; tra fluoruri e carbonati, al contrario, solo tra i sali potassici. Nella forma- zione di questi composti con i fluoruri ha quindi influenza tanto la natura dell'acido, quanto quella della base. Tra cloruri e carbonati, di sodio e di potassio, non si ha formazione di composti alla solidificazione, ma un semplice eutettico in accordo con il comportamento tra i corrispondenti cloruri e solfati. Oltre il fluocarbonato dei metalli delle terre rare, RF]; .. Rs (C03): (R= Ce, La, ecc.), che si trova in natura (bastresite), è specialmente degno di nota il clorocarbonato di piombo: Pb Cl, . Pb C0:; questo sale doppio, che non si può ottenere per solidificazione delle masse fuse, esiste in natura {fosgenite) e si può preparare artificialmente per altra via. Analogamente a. quanto fu visto per il cloruro e l'ortofosfato, e a differenza di quanto accade per i sali alcalini, il cloruro e il carbonato di piombo formano un sale doppio; i suoi limiti di stabilità però non si possono fissare e confrontare a quelli di altri composti derivanti da sali che non si scompongono per fusione. — 373 — Chimica. — So/fati anidri (CA SO, con Li, SO, , Na, S0,, K, 50, ). Nota VII di G. CaLcaGnI e D. MAROTTA, presentata dal Socio PATERNÒ ('). Il solfato di cadmio forma i seguenti sali doppî con i solfati alcalini: Cad SO, .(NH,).S0,.6H.0, in cristalli monoclini stabili all'aria, che . perdono acqua, ammoniaca e acido solforico innalzando la temperatura, fu preparato da Schiff e Hauer; questi ottenne anche, in piccoli cristalli, Cd SO, . Na, S0,.2H:0 (?). Cd SO, . Cs, $0,.6H,0 ottenne L. E. Tutton in cristalli monoclini da soluzioni equimolecolari dei componenti. L’identico sale con Rb,SO, fu ottenuto in modo simile da A. E. Tutton (*). Il solfato di potassio con il solfato di cadmio dà sali doppî con numero diverso di molecole di H, O di cristallizzazione: con 1!/, Hs0 von Hauer (*) ottenne in cristalli monoclini e in cristalli triclini CASO, .K,S0,.2H,0 e CdSO,. K:S0,.6H:0; inoltre da Wyrouboft (*) è menzionato un solfato doppio di K e Cd con 4H;0. Il solfato di cadmio forma infine solfati doppî anche con Mg SO, con 6 e 14H,0; con CaSO, forma la cadmio-polialite K, Cas Cd(S0,), .2Hs0(°). Il solfato di cadmio si trova idrato con 1, /‘/3, 7/2, 5/3,3,4,7Hs0; anidvo cristallizza in prismi ortorombici. Il punto di fusione di CASO, fu determinato da Ruff e Plato e fu trovato a 1000° (?). Anche noi abbiamo trovato la stessa temperatura pel punto di fusione; ma a 820°, sulle curve di riscaldamento e di raffredda- mento, che di CdA SO, abbiamo descritte, si osserva un effetto termico molto più notevole di quello corrispondente al punto di fusione (il quale è molto tenue). Questo secondo arresto della caduta della temperatura è dovuto neces- sariamente ad una trasformazione del CA SO,; esso si osserva anche in alcuni miscugli più ricchi in CASO,, ma a temperatura sempre più bassa. Poco al disopra di 1000° si decompone rapidamente. () Pervenuta all'Accademia il 23 settembre 1913. (®) Wien. Akad., Ber. /5, 23. (3) Zeit. f. Kryst. 27, 557 e 559 (1893). (*) Pogg. 138, 176. (5) Zeit. f. Kryst. 22, 192 (1894). (5) J. D'Aus-Ber. d. d. ch. Gesel. 47, 1777 (1908). (*) Ber. d. d. ch. Gesell. 26, 2357 (1903). — 374 — Il solfato di cadmio si comporta con i solfati di sodio e di potassio come il solfato di magnesio, formando perfino gli stessi composti; del resto il Cd nel sistema periodico è proprio sotto Mg, il che indica che le sue proprietà sono più analoghe a quelle di questo elemento che non a quelle degli altri elementi del secondo gruppo. Gli apparecchi adoperati, le condizioni sperimentali e le norme osservate sono identiche a quelle indicate nei precedenti lavori. Sistema CASO, - Li, SO, . I risultati sono raccolti nella tabella I e diagramma fig. 1. TABELLA I. Lia S04%/0 | CASOL°/0 | Mol.%o Mol. °/o Temperatura | ‘Temperatura ARA iniziale di dellano in peso in peso Li, SO4 CASO eristallizzazione ME r Coro, | 100 0 100,00 0 856° — 585° 95 5 97,29 2,71 832 = 575 90 10 94,46 5,54 811 951 570 85 15 91,90 8.70 786 551 975 80 20 83,84 11,66 756 551 570 75 25 85,14 14,96 716 556 580 70 30 81,54 18,46 671 556 570 65 35 77,85 22,15 631 551 570 60 40 73,96 26,04 586 dol 55 58 49 72,34 27,66 563 551 — 55 45 69,88 30,12 i 551 ut 53 49 jon 6810 31,90 si 551 a 50 50 65,44 34,56 566 551 _ 45 55 60,76 39,24 591 bol DO 40 60 55,80 4420 616 551 — 35 65 50,49 49,51 656 551 i 30 70 44.80 55,20 711 546 _ 25 75 38,70 61,30 761 546 _ 20 80 32,13 67,87 811 551 —_ 15 85 24,77 75,23 861 551 — 10 90 17,40 82,60 —_ 541 _ 0 100 0 100,00 1000 Le 820 "e — 975 —- GiSA Ja 1000 900 IC0 JESI, SUO S00 VUZI v00 600 6u0 rele il solfato di litio con quello di cadmio si comporta come con gli altri solfati di metalli bivalenti finora descritti. La curva di fusione di questo sistema ABC è semplicissima; essa consta di due rami discendenti dai punti di fusione dei componenti, che si tagliano nel punto eutettico alla concen- trazione di 55 °/, Li, S0, e 45/, CdSO,. La temperatura eutettica, 551°, che comparisce in tutti i miscugli con notevolissime fermate, è al disotto di quella di trasformazione, i cui punti nella figura sono riuniti da una tratteggiata. Le durate delle fermate sono in generale funzione lineare della concentrazione; in alcune curve non si è potuto osservare la lunghezza dell’ arresto per la vicinanza degli effetti termici. Quindi il diagramma risulta diviso nel seguente modo: a) Campo d'esistenza della fase liquida omogenea. dD) » d'equilibrio tra fase liquida omogenea e Cd SO, primario ce) >» ‘co 3 : È CRIS ON CO) > d'esistenza della fase solida 8-Cd SO, + 8-Na; SO... Sistema CASO, . Nas SO, . I risultati sono raccolti nella tabella II e nel diagramma fig. 2. Le reazioni che si svolgono in questo sistema tra i due componenti allo stato solido sono molte complicate e numerose; a questo si aggiunga la circostanza sfavorevole della tenuità degli effetti termici, e ci si potrà facilmente persuadere delle difficoltà incontrate nella descrizione del corri- spondente diagramma. n = ()u[=} * fini = Die I) D _ S ESPaS a a s Sio 39 SS) ©) ©) POP o È SERE = Neo ETSLR|ETR È on ISTERIR Ru oca è Solrzl'ssegi o S.S s|5 Sas 5g a809 O ‘oO EOS o «| 2 NIE SO 35 2 SO ssi 2 il sila n alli =zOAîs clrelocZlessziz s,8/8.2 AS IE SE 24 SS x DI SAOlia pis o 3 OZ, ‘SZ s sz SRA[S da = |Rla | <2 [os S|Sa/-3 2/39] 580]3 Slate e e (fit. SERE Se Sino) Risi == sa LS as sl «38 slSe e|£ 5, “= | Rs | Bz | [8-58|52/7 o [E sc|8 s0|£ sos Sos #°0S88 | (D) © SPloL|k c3 59 © ED QUIk 9 11,800] | om al- alicibie EN NOR] ® PRLAI Hi| | So cr | NESS 2oPeRe as S SR = Sist eso) MES o t| | DZ 2 +» e) + ms Idi |E 20 2iztttz1t!. A oÒÒÒiÒÀÒÀ)»0VTm *) A. ill | | il 100 0 |100,00| 0 Il 95 5. |\oe54l 3,46 ti) 90 | 10 |92,96| 7,04 tal 87 | 18 |90,78| 9,22 85 | 15 |89,27| 10,78 | 82 | 18 |8699| 18,01 I 80 20 | 85,45] 14,55 75 | 25 | 81,48| 18,52 i 70 | 30 | 77,39) 22,61 Il 67.16| 32,84 74,99] 25.01 65 | 35 | 78,14] 26,86 60 | 40 | 68,75] 31,25 55 | 45 | 64,19 35,81 DOS 50 59,46] 40,54 45. | 55 | 5455) 45,45 40 | 60 | 49,43) 50,57 (a) | nc zo me BIT | 63 46,28 DONI RIA il E ago = i | TaBELLA II. 2 35 | 65 | 4412) 5588 82 | 68 | 40,83 59,17 20 70 38,60] 61,10 23 | 72 | 86.32] 63,68 il” 25 | 75 | 32,83] 67,17 i 7. | 30,47] 69,53 21 | 79 | 2805] 71,95 | 20 | 80 | 26.88) 73.17 5.59| 74,41 17 | 83 | 2311| 76,89 DUI 15 | 85 | 20,56| 79,44 ; 10 | 90 | 14.00] 86,00 0. |100 0 100,00 pa o Do Rai — 377 — CLIQUA 900 00 Yo 600 s00 500 Le Chatelier (') ha descritto questo sistema, ma di esso ha dato sol- tanto la curva di fusione, che presenta un massimo a ?/3 dell’ascissa, cioè corrispondente al composto 2 Cd SO, . Na, SO,. Esso differisce perciò com- pletamente da quello dato da noi. La curva di fusione ABDGH presenta un massimo, un minimo e un gomito. Il massimo apparisce nel campo delle soluzioni solide alla concen- trazione di circa 95 °/ Nas S0,; esso non corrisponde ad alcun composto, come abbiamo già fatto notare in precedenti casì simili. Il limite del campo dei cristalli misti è dato dalla concentrazione 41 °/, ca. Nas SO, , la quale forma un eutettico col composto 3 CdSO,. Na: SO,, che si decompone al di sopra della temperatura di 746°. Nel punto D, a 681°, si trova l’eutettico che corrisponde alle concentrazioni di 37 °/, Nas S0y e 63 °/ CASO, e si estende fino al miscuglio corrispondente al gomito. Dal punto D la curva risale, e alla concentrazione 23 °/, ca. Na» SO, e alla temperatura di 746° presenta (*) Amn. des mines, serie 9, T. //, 209 (1897) — 378 — un gomito. I miscugli succesivi non presentano la fermata eutettica, ma tutti una fermata quasi alla stessa temperatura, e la durata di queste fer- mate presenta un massimo alle concentrazioni 18,52 °/, Nas S0, e 81,48% Ca SO,. Questo dimostra in modo indiscutibile l’esistenza del composto 3 CASO, . Na, S0, . Come prova indiretta della sua formazione può servire il fatto che nel sistema Mg SO,- Nas S0,, descritto da A. S. Ginsberg (*), si forma nelle stesse con- dizioni il composto dello stesso tipo: 3 Mg SO, . Na» SO,. Dal punto B parte l'ultimo tratto rettilineo della curva di fusione, in cui si separa primario Cd SO, puro. Lungo la curva FILNO si decompongono le soluzioni solide con forma- zione di altri composti e della modificazione # di Na,S0,. Tra le concentrazioni 23°/, e 59° circa Na,S0,, alla temperatura di 551° si trova una serie di punti di fermata riuniti sulla linea JI. Lungo FI si separa il sale 3 CASO,.NaSO,, ma alla temperatura di quasi 551° la soluzione solida I reagisce col suddetto composto formando l'altro sale CASO, . Nas S0,. tipo glauberite. La prova diretta della sua esistenza è fornita dal fatto che la massima fermata a questa temperatura l’ ha la massa fusa con 40°, NasS0, e 60°/, CASO,; le percentuali corrispondenti al composto sono 40,54 °/, Na» S0, e 59,46 °/, CA SO,. Inoltre, a temper. un poco più bassa, verso 496°, si trova un’altra serie di punti di fermata, alcuni dei quali si scostano molto da questa temperatura; essi, pur non mostrando una grande regolarità nelle durate degli effetti termici. presentano un massimo alla stessa concentrazione suindicata. Questo fatto ci induce ad ammettere che il composto CASO, . Nas S0, passi in una modificazione #; ciò costi- tuisce una seconda prova diretta della sua esistenza. Come prova indiretta può servire il fatto che esso è un tipo di composto, glauberite, frequente e ben determinato. A temperatura di poco inferiore, di circa 40°. si trova tra 23 °%/ e 0% Na; SO, un'altra serie di punti sulla retta PQ, che deve necessariamente corrispondere ad una modificazione # del composto 3 Cd SO, . Nas SO,; il che conferma anche la sua esistenza. Siamo arrivati a questa conclusione, cioè ad ammettere una trasformazione di quest'ultimo composto, non solo per il salto brusco di temperatura (da 496° a 456°), ma anche perchè la massima fermata alla temperatura di 456° ca. si è osservata nei miscugli vicini alla concentrazione del composto. Tra le cencentrazioni 59° e 86 °/ Nas SO, si osserva un'altra serie di punti di fermata alla temperatura di 351° ca., con un massimo di durata nella massa fusa 67,16 °/, Nas S0, e 32,84°/, CA SO,, percentuali che cor- (1) Zeit. f. anorg. Ch. 61, 122. — 379 — rispondono al composto, tipo vanthoffite, CASO, .3 Na, SO,. È inutile di ripe- tere qui ciò che su questo frequente tipo di composto si è detto nei lavori precedenti, per dimostrare la sua esistenza. Lungo la LN le soluzioni solide si decompongono con separazione di quest’ultimo composto fino alla trasformazione di Na,S0,. Da quanto si è detto, si conclude che il diagramma risulta delle se- guenti parti: a) Campo d'esistenza della fase liquida omogenea; b) campo d'equilibrio tra fase liquida omogenea e CdSO, primario; c) campo d'’equilibrio tra fase liquida omogenea e soluzioni solide; d) campo d'equilibrio tra fase liquida omogenea e il composto 3 CASO, . Nas SO,; e) campo d'equilibrio tra soluzioni solide e e 3 CA SO,. Na» SO, ; f) campo di contemporanea esistenza di 3 Cd SO,. Na,» SO, e Cd SO, solidi ; g) campo d’equilibrio tra soluz. solide e e il composto CA SO, . Na. S0,; h) campo di contemporanea esistenza delle modificazioni $# di CASO, . Na. SO, e di 3 CASO,. Na, S0,; î) campo d'equilibrio tra soluzioni solide e e Cd SO,.3 Na: SQ,; k) campo di contemporanea esistenza delle modificazioni £# di CdSO,. Na: SO, e di CASO, .3 Na, S0,; ?) campo di contemporanea esistenza della modificazione $ di 3 CASO,. Na» SO, e di CdSO,: m) campo di contemporanea esistenza dei composti e dei due com- ponenti nelle modificazioni f.. Chimica-fisica. — Sl calore di formazione dei composti orga- nici di addizione. III. Racemati (canfore e canforossime) (*). Nota di B. L. VANZETTI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN (*). .I risultati esposti nella Nota precedente (*) sui tartrati metilici, per- mettono di farsi un'idea sulla, entità della reazione che porta alla forma- zione di composti racemici, là dove i racemi, come nel caso in questione, sono capaci di esistere alle condizioni ordinarie. Qui mi propongo di riferire su ulteriori ricerche eseguite sulle canfore e sulle loro ossime, il che ci offrirà il modo di porre a confronto due casi essenzialmente diversi, in quanto che, mentre per le canfore non è nota finora l'esistenza di un composto racemico (4) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. (*) Pervenuta all'Accademia il 3 ottobre 1913. (*) Questi Rendiconti, vol. XXII, 2°, pag. 328, 1913. RenpICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. LA Do e — 380 — ad alta, nè a bassa temperatura, per le canforossime ne è nota non solo l'esistenza, ma anche il limite superiore di essa (103°), come risulta dal già citato lavoro di Adriani (?). Noi abbiamo dunque, seguendo lo stesso metodo, determinato anzitutto i calori di soluzione delle sostanze attive e dei prodotti inattivi, che ne risul- tano per l'unione degli isomeri ottici. Per le canforossime, che dànno un vero racemo, abbiamo anche constatato l'assenza di reazione quando si uniscono soluzioni diluite delle due forme attive; vi aggiunsi in fine lo studio degli equilibrî, che si stabiliscono in soluzione alcoolica acquosa satura, in pre- senza di quantità variabili dei componenti allo stato solido. CanrorE. — Tanto la d-canfora ordinaria (Laurinee) quanto la canfora levogira (dalla Matricaria; Schimmel) furono purificate per ripetute cristal- lizzazioni da miscela di acqua ed alcool, fino ad avere un identico punto di fusione, un aspetto perfettamente omogeneo, ed eguale e contrario potere rotatorio. Calore di soluzione della d-canfora (m= 152; temp. amb. 19°,8):: d-canfora gr. 6,717; alcool assol. gr. 349,3. Equivalente del sistema = 189,4; 4f = — 00,353. Calore di soluzione molecolare = — 1513 cal. Calore di soluzione della l-canfora (m152; temp. amb. 19°,8): (-canfora gr. 6,717; alcool assol. gr. 349,5. Equivalente del sistema = 1899,2; 4% = — 09,357. Calore di soluzione molecolare == — 1528 cal. Calore di soluzione della miscela inattiva, ottenuta ricristallizzando insieme da etere di petrolio le due canfore, prese in quantità eguale (temp. amb. 20°,2): a 0) i | 3 alcool assol. gr. 349,2. Equivalente del sistema = 189,0; 4t = — 09,356. Calore di soluzione molecolare della miscela = — /523 cal. Calore di soluzione della miscela inattiva, ottenuta fondendo insieme le due canfore in eguale quantità e lasciando ricristallizzare (temp. amb. 200,0): d-canfora gr. 3,9585 ) pui: Loalforai ci 133530 alcool assol. gr. 349,7. Equivalente del sistema = 189,4; 4t# = — 09,364. Calore di soluzione molecolare della miscela = — 7560 cal. (1) Zeitschr. f. phys. Chem., 33, pag. 469, (1900). — 381 — La differenza tra il calore di soluzione delle forme attive e il calore di soluzione del conglomerato inattivo, che ne risulta, si mostra dunque assai piccola e tale da potersi far rientrare nei limiti degli errori di sperimento; ciò serve ad avvalorare la supposizione che un composto racemico vero e proprio per le canfore non esista neanche a temperatura ordinaria. Ed invero, se una unione esistesse tra i due isomeri, essa dovrebb'essere estremamente debole, se in tal guisa essa non è apprezzabile. A complemento di ciò ed al fine di stabilire la eventuale esistenza di cristalli misti nella miscela delle due canfore, fu studiato al polarimetro l'equilibrio che si stabilisce nelle soluzioni alcoolico-acquose sature, in pre- senza delle due-fasi attive solide, in proporzione variabile. Come risulta dal riassunto sottoriportato, si osserva che, quando al corpo di fondo, contenente i due stereoisomeri, si aggiungono quantità crescenti di uno di essi e sì agita ogni volta a lungo in termostato sino a completo equilibrio, l'attività ottica della fase liquida decantata aumenta pure costantemente, il che indica la esistenza di una curva continua di solubilità corrispondente ad una suc- cessione di equilibrî bivarianti. Data la difficoltà di eseguire esatte deter- minazioni di concentrazione, per soluzioni di sostanze a tensione di vapore rilevante come sono le canfore, mi sono limitato alla determinazione del potere rotatorio delle stesse soluzioni, dopo raggiunto l'equilibrio a tempe- ratura fissa (19°). Il solvente adoperato consisteva in una miscela a volumi eguali di alcool assoluto ed acqua distillata; in 100 ce. di questa miscela sì disciolgono, a temperatura ordinaria, circa 7 grammi di miscela a quan- tità eguali. Si procedette in modo da aver sempre presenti in fase solida entrambi i componenti : Quant. delle due canfore adoperate « osservato con 100 ce. di solvente (tubo di 20 cm.) d l Ò 5) 09,0 10 Ò + 1,20 15 Ò + 1,55 20 Ò + 1,84 25 5 + 2,45 30 5 + 2,85 5b) 5) + 3,15 Errore massimo = 0°,15, come risulta da alcune determinazioni ese- guite su uno stesso sistema. Per maggior sicurezza, l’esperienza fu eseguita anche facendo variare le quantità dell'isomero levogiro di fronte a quello destrogiro. Con questa determinazione si viene ad escludere che la deviazione possa esser causata da una qualche sostanza estranea, la cui presenza sfuggisse agli altri metodi analitici. — 382 — Il risultato è uguale: Quant. delle due canfore adoperate « osservato con 100 ce. di solvente (tubo di 20 cm). / d 5) 5 0°,0 10 5) IO 15 5) — 1,50 20 5 —.i190 25 5) — 2,45 L'aumento del potere rotatorio della soluzione è dunque, nei due casiì, certo: e precisamente ad ogni nuova aggiunta dell’isomero attivo sì stabilisce un nuovo equilibrio, ciò che non potrebbe aver luogo se i due componenti attivi non si unissero in un modo, o nell’altro, dando luogo ad una nuova fase solida di natura speciale — e quindi di solubilità diversa dai compo- nenti — e sottraendo così alla soluzione quello dei due componenti che ha segno opposto all’isomero aggiunto in eccesso. Restava da decidere se questa nuova fase dovesse considerarsi come un composto di natura racemica, o non piuttosto come una so/vzione solida (fase a composizione variabile). Ma poichè l'andamento del potere rotatorio della fase liquida, entro ì limiti a bastanza estesi dell'esperienza, è continuo e non si raggiunge un massimo. come avviene per sostanze che formano un vero racemo (vedi appresso per le canforossime), ci si può ritenere autorizzati ad ammettere per la miscela di canfore cristalline l’esistenza della soluzione solida a temperatura ordinaria. Si tratterebbe cioè di un caso di pseudoracemia. Nè più dirsi che ciò sia in contraddizione con i datì termochimici, in quanto che non è sempre condizione necessaria alla formazione della solu- zione solida un rilevante effetto termico. Canrorossime. — La canforossima levogira, dalla d-canfora, fu ricri- stallizzata da ligroina e da alcool acquoso. La canforossima destrogira della (-canfora fu preparata seguendo la comoda prescrizione di Angeli e Rimini ('). che fornisce con la massima facilità e rapidità il miglior rendimento. Anche essa fu ricristallizzata da etere di petrolio e da miscela alcoolico-acquosa al fine di sbarazzarla dalle piccole quantità di canfora rimasta, che ne depri- mono alquanto il potere rotatorio. La miscela delle due canforossime così ottenute non presentava in soluzione il più piccolo potere rotatorio. Il puntc di fusione di entrambe era a 118°,2 (n. c.). (®) Gazz chim. it., XXVI, 2°, pag. 35 (1896). — 383 — Mescolanza in soluzione alcoolica diluita (temp. amb. 209,0): d-canforossima gr. 3,5525 in alcool assol. gr. 174, (-canforossima gr. 3,5525 in alcool assol. gr. 174. Vai=12%036 i, = 1°,730 = 1°,896; da cui si ottiene: Q= + 3,98 cal., quantità trascurabile; il che indica assenza di reazione tra i due compo- nenti in soluzione diluita (come per i tartrati metilici). Calore di soluzione molecolare della canforossima dalla d-canfora (m= 167; temp. amb. 200,0): 1) Canforossima gr. 6,7700; alcool assol. gr. 348,2. Equivalente del sistema = 188,3; 4t= — 0°,650. Calore di soluzione della canforossima levogira = — 3019 cal. 2) Canforossima gr. 6,7720; alcool assol. gr. 349,2. Equivalente del sistema 189,3; 44= 09,650. Calore di soluzione della canforossima levogira = — 3034 cal. Calore di soluzione molecolare della canforussima dalla l-canfora (m= 167; temp. amb. = 200,2): Canforossima gr. 6,7720; alcool assol. gr. 349,6. Equivalente del sistema = 189,2; 4# = — 09.654. Calore di soluzione della canforossima destrogira = — 3051 cal. Calore di soluzione della miscela delle due canforossime (temperatura amb. 209,0): 1) d-canforossima gr. 3,5525 | toni -canforossima 5O 3,5525 | Ficooì i SI Equivalente del sistema = 188,7; 4t= — 09,677. Calore di soluzione della miscela = — 3030 cal. 2) d-canforossima gr. 3.3860 ) l-canforossima gr. 33860 | Equivalente del sistema 189,1; /t = — 09,650. Calore molecolare di soluzione = — 3075 cal. La media delle cinque determinazioni dà un valore di 3042 cal. alcool assol. gr. 349,0. Calore di soluzione della canforossima racemica (m= 334: cristal- lizzata da ligroina in grossi cristalli trasparenti, molto bene formati: temp. amb. 209,0): -canforossima gr. 6,7050; alcool assol. gr. 349,2. Equivalente del sistema 188,4; 4{ = — 09,756. Calore di soluzione molecolare (riferito al racemo) = — 6907 cal. — 384 — Se da questo valore si sottrae il calore di soluzione delle due molecole componenti (2 X 3042 = 6084), si ottiene un valore di 823 cal. circa, che rappresenta il calore di combinazione delle due molecole attive, per la for- mazione esoterma del composto racemico. Ho eseguito inoltre una determinazione del calore di soluzione del racemo dopo averlo portato a temperature superiori al punto di fusione e raffreddando bruscamente la massa fusa, per provocarne una rapida cristallizzazione. Come fu detto sopra, le esperienze di Adriani fissano, mediante l'analisi ter- mica, come limite massimo di esistenza della canforossima racemica la tem- peratura di 103°; era quindi da prevedersi che, raffreddando rapidamente la massa fusa, si potesse impedire almeno parzialmente, per un processo di tem- pera, la ricombinazione dei componenti. così da ottenere un conglomerato solido diverso dalla vera canforossima racemica. Una misura diretta ed im- mediata del calore di soluzione molecolare di questo prodotto diede il se- guente risultato: Massa cristallina temperata gr. 6,7422; alcool assol. gr. 350,0 (temp. amb. 229,0). Equivalente del sistema 189,5; 4# = — 00,693. Calore di soluzione molecolare (riferito al racemo) = — 6522 cal. La differenza tra questo valore e quello ottenuto con la canforossima racema è di — 395 cal., anzichè di — 823 cal.; la interpretazione più plausibile, che questa diversità suggerisce, sarebbe che una metà circa del prodotto, scisso ad elevata temperatura, abbia potuto ricombinarsi durante il raffreddamento della massa. È poi verosimile che dopo un certo tempo — e, meglio, per azione di un leggero riscaldamento — la massa solida si tras- formi più o meno rapidamente nel composto racemico, per combinazione completa dei due isomeri. Come per le canfore. così anche per le canforossime ho seguìto nel ter- mostato gli equilibri che si stabiliscono in soluzione acquoso-alcoolica, in presenza di quantità variabili delle due fasi solide attive. Dal seguente specchietto risulta subito nettamente che il limite di massima concentra- zione del componente attivo, successivamente addizionato, si raggiunge rapi- damente: conseguenza necessaria, questa, della formazione del composto race- mico. Qui ci troviamo dunque nel caso rappresentato da una curva di solu- bilità discontinua, che presenta un massimo corrispondente alla composizione racemica della fase solida, e due eutectici in posizione simmetrica coesi- stenti con le soluzioni di eguale ed opposto potere rotatorio (?). Come solvente si adoperò una miscela di acqua ed alcool assol. (60:40 cc.); in 100 ce. di tale solvente si disciolgono circa 7 grammi di canforossima () Ved. Roozeboom, Ber. d. d. chem. Ges., XXXIII, pag. 537 (1900), e Bruni, Gazz. chim. it.. XXX, 1°, pag. 85 (1900). — 385 — racemica. Questo corpo dà, in tale solvente, più facilmente soluzioni sopra- sature, che non le canfore. L'equilibrio si raggiunge quindi più lentamente ; ma è poi più stabile alle oscillazioni di temperatura, ciò che permette mag- gior esattezza nelle determinazioni polarimetriche. Quant. delle due canforossime adoperate « osservato con 100 ce. di solvente (tubo di 20 em.). 5) 5) 09,0 10 A + 3,10 15 Ò + 4,49 20 3) + 4 ,49 25 5 ATA CONCLUSIONE. Da quanto fu sopra esposto risulta che la determinazione di confronto del calore di soluzione (in soluzione diluita) di antipodi ottici e delle loro miscele inattive, oltre a dare un'idea dell’affinità che lega, nei racemi, i due componenti attivi, può anche aggiungere un criterio sulla esistenza. o meno, del composto racemico allo stato solido, o liquido, specialmente quando a queste determinazioni si associ lo studio degli equilibrî che si stabiliscono in soluzione satura in un dato solvente, essendo presenti tutte le fasi solide relative, che possono coesistere. Matematica. — Sulle corrispondenze algebriche fra i punti di una curva algebrica. Nota I di CARLO Rosati, presentata dal Corrispondente G. CasreLNUOVvO (1). Nel presente lavoro (Note I e II), applicando il classico risultato di Hurwitz (*) sulla base del sistema di corrispondenze fra i punti di una curva algebrica, si stabilisce una rappresentazione delle medesime sui punti razio- nali di uno spazio lineare, e si dànno alcune interpretazioni di certi legami che possono sussistere fra le corrispondenze stesse. SUI 1. Date due curve C, C», di generi p; ps, distinte o sovrapposte, una stessa lettera indicherà tanto una corrispondenza fra i loro punti, quanto la curva che la rappresenta sulla superficie F, con due fasci unisecantisi {K,.{ {K,{, (') Pervenuta all'Accademia il 17 ottobre 1913. (9) Hurwitz, Veder algebraische Correspondenzen und das verallgemeinerte Corres- pondenzprincip. Math. Annalen, Bd. 28 (1886). — 386 — delle coppie di punti di C, C:; e, salvo speciale avvertenza, la corrispondenza potrà essere indifferentemente effettiva o virtuale (di indici positivi, nulli, e negativi). Ricordiamo che una corrispondenza T a valenza zero (T = 0) dà origine su F all'equivalenza lineare T= T, + T, in cui T, e T,, sono i gruppi (anche virtuali) delle K, e delle K, uscenti dai punti in cui T è segata da una fissata K, e da una fissata K, ('). Due corrispondenze si diranno equivalenti quando la loro differenza è a valenza zero; residue, se è a valenza zero la loro somma. Sì osservi subito che: Data una corrispondenza virtuale, esistono certo corrispondenze effettive e irriducibili, ad essa equivalenti e residue. Sia infatti A — B la curva virtuale immagine della corrispondenza. Se A‘ indica una qualsiasi curva residua di A, cioè tale che A+ A'=0, si co- struisca, sommando due convenienti serie lineari contenute nei fasci }K,_{}K,}, un sistema lineare così ampio da contenere parzialmente A"-+ B e da lasciare come residua una curva T irriducibile e priva di punti multipli. Dalle equi- valenze A--+-A'=0, A'4+-B+T=0, si deduce T—(A—B)=0, cioè T è equivalente ad A — B. Operando analogamente su B si giunge ad una corrispondenza residua. 2. Si può dare, dal punto di vista dell'ana/ysis situs, una semplice interpretazione della corrispondenza a valenza zero. Sia T una corrispondenza (x, v) effettiva fra i punti delle curve C, C.. Se un punto x di C, descrive un ciclo o, i punti del gruppo corrispondente G, sì permutano fra loro, ed è chiaro che ciascuna sostituzione circolare in cui si scompone la sostituzione prodotta sui punti di G, equivale ad un ciclo di C,; la somma dei cicli così ottenuti darà un ciclo 0’ che diremo 07200090 di o per la T. Orbene: Za condizione perchè T sia a valenza sero, è che ogni cielo di C, abbia sempre per omologo in Cs un cielo nullo. Sia infatti w un integrale di 1* specie qualsiasi di C,, e si consideri la somma %w%(Y1) + w(Y2) + --- + w(4) dei valori che esso assume nei punti di Gy. Essa sarà un integrale di 1® specie W(x) di C,; e dal fatto che il periodo di W relativo al ciclo o è uguale al periodo di w relativo all'omo- logo a’, segue facilmente l’asserto. Se il generico gruppo Gy contiene punti multipli, in o’ deve esser con- tata 7 volte ogui componente che deriva da una sostituzione ciclica su punti di molteplicità 7. Se poi la T è virtuale, cioè Gy = Gy — Gyr, basta porre W(x) uguale alla differenza fra le somme dei valori di w nei punti di Gy e di Gyr: e la proprietà continua a sussistere purchè, nella costruzione di o’, si muti il (1) Severi, Sulle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica, e sopra certe classi di superficie. Memorie della R. Accademia delle Sc, di Torino (2), tom. 54 (1903). — 3887 — senso alle componenti che derivano dalla sostituzione prodotta sui punti di Gy ò Di qui discende che: Data sopra una curva C di genere p una cor- rispondenza T a valenza y, e detto 0' l'omologo per la T di un ciclo ar- bitrario o, sarà 0 = — yo. Ritroviamo infine per questa via la seguente proprietà dimostrata recen- temente da Severi (*): Ogni corrispondenza dipendente dall’identità è a valenza. Si supponga, infatti, che l'identità e una corrispondenza T dipendano secondo i numeri /, 7; e indichi o’ l’omologo perla T di un ciclo arbitrario o. Se o e o' sono legati ai 2p cicli 0, 0,... 6), di un sistema primitivo dalle relazioni O =71014 7202 4-4 r2p0%p o'= 810,4 500° +-+ Sp 09 dall'ipotesi fatta discendono le uguaglianze lrrH- msi = 0, (MZ) le quali, poichè gl'interi 7; sono arbitrarî, esigono che sia / multiplo di m. Posto allora /=ywm, esse divengono pre +si=0, (i=1,2,...,2p) da cui sì deduce che o' = — yo, cioè che la T possiede la valenza y. 3. Diremo carattere di Castelnuovo 0 carattere 2 di una corrispon- denza T di indici @,#, e grado virtuale v, la differenza 2a8 — ». Dimostriamo ora il seguente TEOREMA (°). — /l carattere £ di una corrispondenza T è =>. 0; ed è nullo allora, e soltanto allora, che la T è a valenza zero. Poichè due corrispondenze equivalenti o residue hanno lo stesso carat- tere (*), per la proprietà del n. 1 potremo supporre che la curva T, im- ‘ (1) Severi, Sopra alcune proprietà aritmetiche delle corrispondenze fra i punti di una curva algebrica. Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino, vol. 48 (1912-1913). (2) Il quale è di Severi e trovasi nella sua Nota ultimamente citata. La dimostra- zione che egli ne dà è indipendente dal criterio di Castelnuovo, ed è fatta allo scopo dì ritrovare per altra via il criterio stesso. Qui mostriamo invece, perchè ciò è più conforme all’indole del nostro lavoro, come ad esso si riduca immediatamente il teorema enunciato. (*) Per due corrispondenze residue T” T” ciò si prova subito, serivendo l'equivalenza T4T"=(T+T)+(T,+T"), segando poi i due membri con T' e T” e confron- tando infine le uguaglianze ottenute. Se T’ e T” sono equivalenti, basta osservare che una residua dell’una lo è anche dell'altra. ReENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. Ut DI = 388 — magine della corrispondenza (a, 8), sia effettiva, irriducibile e priva di punti multipli. Detti v e o il grado ed il genere virtuale di T (che, in tal caso. S è anche effettivo), si ha la relazione (') 2g—1)—v=28(p—1)+2a(p — 1) Se ora d e d' sono i numeri dei contatti di T con le curve dei fasci {Kt {K,j, dalla considerazione delle involuzioni che su T segano i fascì medesimi, si traggono le uguaglianze 2(9 -1)—0-2P(p — 1) d' 4-2o(p DE le quali, combinate con la precedente, dànno origine alle altre dag—v=2a(f+p. —1)-—d=28a+p—1)_—d'; ed esse provano l’asserto, appena si osservi che le differenze 2a(8 +-p.—1)—0d, 28(a + p,—1)—d' rappresentano il difetto di equivalenza delle serie Ye.Ya, descritte su C, e Cs, dai gruppi corrispondenti ai punti di C, e deo. 4. Da ora innanzi supporremo che le curve C, e C» siano sovrapposte. I due fasci {K_} e {K,t saranno allora birazionalmente identici, e la F pos- siederà una involuzione quadratica I, , i cui punti doppî generano la curva, unisecante i due fasci, che rappresenta l’ identità. Diremo carattere simultaneo di due corrispondenze T,(@,1) Ts(@» 2). aventi v,» coppie comuni (5), l’espressione a, 8» + @2f1 — 125 e quando tale carattere è nullo, le due corrispondenze si diranno conzugate. Poichè le corrispondenze inverse Tr! T7! hanno per immagine su F' le curve congiunte di T, e T, nella involuzione I,, segue che il carattere simultaneo di due corrispondenze è uguale a quello delle loro inverse; e, in particolare, se due corrispondenze sono coniugate, sono tali anche le loro inverse. Sia T, coniugata di T-'; per l'osservazione precedente, sarà T, coniu-$ gata di Tr! : due corrispondenze tali che l'una sia coniugata dell'inversa dell'altra, si diranno anziconiugate. | 5. Può una corrispondenza dipendere dalla sua inversa? Se T è una tale (!) De Franchis, Sulle varietà co? delle coppie di punti di due curve 0 di uno curva algebrica. Rendiconti di Palermo, tomo XVII (1903), n. 8. (*) Castelnuovo, Sulle serie algebriche di gruppi di punti appartenenti ad una curva algebrica. Rendiconti dei Lincei (5), vol. XV, 1906. (3) Se le corrispondenze sono virtuali, ed A—B, C—D sono le loro immagini su F, deve intendersi via = [AC] — [BC] — [AD] +-[BD]. — 389 — corrispondenza, avremo: ZT-+uT-=0, fe quindi (') ZT- + uT=0. Sommando le precedenti relazioni, si ottiene (4 + w)(T +4 T)=0, da cui si deduce che dovrà essere o 4-4 u= 0, cioè T-—T-=0, ovvero T4+T-!=0; dunque: Due corrispondenze, luna inversa dell'altra, dipendenti, devono essere o equivalenti 0 residue. 6. Diremo carattere K di una corrispondenza non simmetriea T il ca- rattere simultaneo di T e T-. Se la T(@.) possiede « punti uniti e d coppie involutorie, è chiaro che le curve immagini di T e TT! si segano in u+ 24 punti; dunque sarà K = a° + #° — (x + 24). Per le corrispondenze simmetriche (coincidenti con le loro inverse) sarà io Supposto che a una corrispondenza spettino i caratteri 2, K, i ca- ratteri di Castelnuovo delle corrispondenze T 4 T7 e T—T" sono mani- festamente 224 2K e 29 —2K; dal teorema del n. 8 si ottiene allora: Pra i caratteri 2, K di una corrispondenza T, sussistono le disugua- glianze —Q si abbia fuo E fn(6))? dt ls La definizione del Fischer sì estende, naturalmente, ad un sistema di funzioni di # sommabili insieme coi loro quadrati nell'intervallo (2,2) e (1) Comptes Rendus, tom. 144, pag. 1022 (1907). — 398 — dipendenti da un parametro reale 7 (*): si potrà dire che le /(#,7) tendono in media ad f(t) quando r tende ad r,, se, preso «, sì può determinare un d tale che, per )r — 79 |<, sia b ZE bene inteso, a seconda dei casì, 7 può tendere a zero per un sistema di valori inferiori, o un sistema di valori superiori, o valori parte inferiori, parte superiori ad 75. Nella presente brevissima comunicazione, mi propongo di dare una ap- plicazione ovvia di questa proprietà alla rappresentazione di una funzione analitica. Sia g(x) una funzione della variabile complessa 7, analitica e regolare entro il cerchio di centro « = 0 e di raggio 1, che per brevità dirò cerchio (1): sulla circonferenza (1), nulla viene supposto per la funzione. Essendo x= re“, r modulo e argomento della variabile, siano @(7,4) e #(7,4) la parte reale e l'immaginaria della funzione: è dunque OE TRE BOE RITO IZ Per 7< 1, le funzioni a(7, #) , #(2 , #) sono naturalmente sommabili in quanto funzioni di #, esse ed i loro quadrati; ora: « supponiamo che, tendendo 7 « ad 1, esistano due funzioni di £#, p() e g(4), sommabili (*) insieme coi « loro quadrati nell'intervallo (0,277), alle quali le «(7 ,#) e B(7,t) con- « vergano in media rispettivamente. Sotto questa ipotesi, la p(4) + 79(t), « che è funzione (<) dei punti < del piano « posti sulla circonferenza (1), « è tale che l'espressione 1 u(s) de 2rri. (1) (AZIGG (1) se) « rappresenta la funzione @(z): l'indicazione @ posta al piede del segno integrale significa « che l'integrazione va estesa alla circonferenza (1) ». Anzitutto la (I) ha significato; infatti, riferendo l'integrazione alla va- riabile t= —zlogz e separando le parti reali e le immaginarie, si ha una somma di quattro integrali, ciascuno dei quali contiene sotto il segno il prodotto di p(:) o di g(t) per una funzione limitata. Ora un simile pro- (*) Lo stesso Fischer osserva (ibid., pag. 1149) che non è affatto necessario alla definizione che l'insieme delle funzioni considerate sia numerabile. (2) La parola sommabile è usata nel senso definito dal Lebesgue. Ved. per esempio, Sur l'intégration des fonctions discontinues, Ann. Ec. norm., ser. 3, tom. 27 (1910), pag. 373. — 399 — dotto, come è noto (*), è sommabile: onde la (I) ha significato. Vogliamo mostrare come questa espressione, analoga alla formula di Cauchy, venga in qualche modo a sostituirla quale rappresentazione della g(x) quando questa non risulti detinita sulla circonferenza (1); la dimostrazione, abba- stanza semplice, può presentarsi come segue: Fissiamo un punto x interno al cerchio (1); avremo 1 Eicma di 1 x Apia ld lla dove il resto 0m(4,<) può, per m abbastanza grande ed indipendentemente dal valore di z in (1), essere reso in valore assoluto inferiore ad un numero positivo e prefissato. Si può ora moltiplicare per u() ed applicare il ricordato teorema del Lebesgue sul prodotto di una funzione sommabile per una funzione limitata; si avrà così 2 m-1 (II) Jk u(s) da _ Soon Î LIO i Î 18) Om + 5) de. COS neo < $ va Posto s=—ilogt, e 0m(0,2)= MU) +iu(0), per essere |om|< €, sarà pure |Z|< #, . Ora l’ultimo integrale può scriversi Stima +, ed è la somma di quattro addendi i cui valori assoluti sono 27 ul put), (1) per essere p e 9g sommabili insieme coi loro quadrati, e 4 e w limitate, è applicabile ad ognuno di questi integrali la disuguaglianza di Schwarz (*); così è ir DINE VS pa p° dt - VANI A u » 5 (2) e) I d VI —v? (1— va)ffa SRI] IV) tav 9! W—=ere_3g=---#=;; ( ) 1 di VI DES (J ca v'2)î/a vogliamo dimostrare che (3) wi= KRy'w, , w,=KRyw,. Infatti si ha: 1—-v?=7n"?(1— v?) (1—-v?*)w= 7x1 v?) Kyw=7z4(1—v?°)(aw—-bXw.v'}) wWXw = w°wWXKy'w =wn?wXyvV=n®wX(Kav—v".h), e quest'ultima, per la (3) del $ 2, sì trasforma in wWXw = 2° wX ie'v + n2'°(1— v®) bf. Quindi il numeratore della (2%) diventa n(1_-v)aw+a8vXw.v=7%}1- Y)aw+yXw(av+ a)}, ossia n'if1- v°)(aw+ vxw.a) +vXw(av+ v?.a)} =n'.yf1-v)wtbvXw.v; (') I paragrafi 1 e 2 si riferiscono alla Nota precedente. RENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 50 — 404 — e però sarà wi= n .yYW1; e questa, per la (12) del $ 2, equivale alla prima delle (3). Operando su questa con KRy, sì ricava la seconda delle (3), c) Diciamo d P, lo spostamento infinitesimo di 2 calcolato per £=cost.; e dPi, quello del punto corrispondente P' calcolato per £= cost. Dico che (4) d Pi = Ky'dP, , dPi == KydPi è Infatti: (5) dpP=dP,+ vdt; e per le (1) del $ 1, si ha: (6) dPj = adPH- adi (7) O0=bXdP+mdt. Eliminiamo di tra (5) e (7); otteniamo dre ap, IC m Moltiplicando scalarmente per db, si ricava I px aPm+ DEXIA ossia — di= 7 bXdP—XdP,. Eliminiamo invece dP fra (5) e (6); tenendo presente l’ultima rela- zione e le (8) e (4) del S 2, sì ha dPi=adP, + nv'dt=}a« — H(b, WdPo, che dimostra la prima. delle (4). Indicando infine con de e de gli elementi di volume di S e di S' rispettivamente calcolati per {= cost., e #'=cost., sì ha: de = 1;Ky .dr=1:y .die=wn'd. Se poi, in particolare, V e v' hanno il significato loro attribuito nel $ 1, osservando che in tal caso »' ha il valore o/o', dall'ultima relazione si deduce edi =0dt; oppure, essendo di =n'dil', dv'.d' =dr.dt, le quali hanno interpretazioni note. F ee d) Vogliamo ora occuparci della trasformazione della forza elettro- magnetica di Lorentz, espressa in S' (poichè c, velocità della luce, è eguale ad uno), per unità di volume, da (8) F=e(e+v/m), ed in S” da (8) E' = o'(e'+v/m'). Dimostreremo che (9) ii =vRReE= y DE Cominciamo infatti a calcolare aF=o0.ce+-0.@a(v/\m). Per le formule del $ 1, si ha, sviluppando i prodotti, o.ae= o'(m'e' — mv Xa.e' + ma /\m'—-vXa.a/\m'). Osserviamo, poscia, che mutando @ in Ra nella Ra(v/\m)=(av)/cm, si ha (I, pag. 40 [5]) mae(v/m)= (Rav)/ Ram; quindi per la (13’) e (14’) del $ 1 otterremo: o.a(v\m)=o'|jm?v/\m —mv/{a/e') — aXm.v\aT—-ma\Nm'Hk+a/A(a/e)f. Sviluppando i doppî prodotti vettoriali, risulta aF= o'(e' + m°v'/\m'- mv Xe.lat+aXe.a+w) in cuì sì è posto w=aXv.m'/\at+aXm.a/V; e questa, per una nota identità (II, pag. 131, [8']), si trasforma in w=aXv/Am.aT—-a?.vAm'". Poscia ricordiamo che aXe=bXe; quindi aF= (e + vAm)+o(aXvAm.at—mvXe +eXb)a. La seconda parte del secondo membro può scriversi o'feXbht—vX(me —a/\m)a=o(eXhT_-vX4ae)a =oe/(b—- Kav)Xe.a=—oyvXe.a; — 406 — e poichè, finalmente, da (8) si deduce FXv=ovXe, otteniamo coli Ryan da cui F=Je + H(v, a} F=yF che è precisamente la prima delle (9); applicando a questa l'operatore y', sì deduce la seconda. Per una osservazione fatta al S 2, dedurremo subito le altre relazioni (10) FXv= FXb+mFXv (10') FXv=—-FXa+mPFXv. Diciamo ora F,,Fi le forze elettromagnetiche per unità di carica in S e in S'; varranno le formule: (11) Ei— Ryo x== KRyFi. Infatti si ha = ohio = 013 quindi la (9) ci dà oFi=0.yF;; ossia, tenendo presente il valore attuale o di #°, e la seconda delle (12) del $ 2, risulterà la prima delle (11) e, quindi, anche la seconda ('). Si noterà l'analogia delle (11) colle (3). e) Consideriamo, nella elettrodinamica di Minkowski, il vettore sj, corrente di conduzione, la forza elettrica E, e la forza magnetica m, di riposo, definiti in S dalle (12) Ss=S— 0V (18) 1, SAVA VI — v° (14) tro n AE 11 v? (') Sullo stesso argomento vedi: W. von Ignatowsky, Das Relativitàtsprinzip (Archiv der Mathematik und Physik, III Reihe, Bd. 17, 1-24; Bd. 18, 17-40 (1911): $ 12), in cui vengono sempre considerate le trasformazioni Z particolari; A. Sommerfeld, Zur Relatrvitàtstheorie. I Vierdimensionale Vektoralgebra (Annalen der Physik, IV Folge, Bd. 32 (1910), 749-776, $ 4). — 407 — Dimostriamo che in S' sarà (15) si= Ky's, (16) Kia = 7008 Infatti si ha: ss=s —o'vV=as+oa—(sXb+o0m)V per le (16) e (17) del $ 1. Eliminando s colla (12), otteniamo si=@S + g(av+a)—sXb.vV—-o(vXb+m)v; il coefficiente di 0, per le (2) e (3) del $ 2, è nullo: quindi NI’ si=fa — H(b,v'){s, = KySs, che dimostra la (15). Poichè E', M' si esprimono mediante E, M allo stesso modo che e’, m" mediante e, m, il numeratore del secondo membro di (13) si trasforma come F, della formula (11); quindi VI v? TAREESVE = KRy E,=x.KRy E, = n2.yE, = yE, in virtù delle (6). (12), (4) del $ 2. Lo stesso procedimento vale per la seconda delle (16). Dalle formule ottenute si deducono subito queste altre: (17) Bisi Nm X sE Infatti EiXsi=yEX KyS, — yyE, Xsi= E XS; per la (8) del $ 2; ecc. Il primo di questi due invarianti ha un notevole significato fisico; riducendo infatti il sistema $£' al riposo, facendo cioè v'= 0, si ha - sit=sS=o0E° , E=H; (o costante) il primo membro della prima delle (17) si riduce quindi a cE'*, che esprime il calore di Joule per unità di volume e di tempo. Se finalmente poniamo (18) N=0E+s,/m, sarà facile provare che sussisteranno le formule: \ N—aN+sXE.a (19) | SXE'=NXbh+msXE. — 408 — Sarà quindi pur vera la N° — ($XE)-= N° — (sXE)?. Sì può assegnare una notevole espressione del vettore N, considerando (II, pag. 104, [5]) l'omografia # delle tensioni relative, la quale, colle nota- zioni di Minkowski, ha la forma: (20) f = H(M,m)+H(e, E) —-4(mXM+eXE), oppure, per la (23), usufruendo dell’operatore ©, — C#e= H(M,m)+ H(e,E). In virtù delle equazioni dell’elettrodinamica di Minkowski, si trova subito (21) gi NI dI i dove "MN dm dM dE de MMSTpuC 9 2N == E = COSMETICI prensa DAI etto) Ò ni. (22) zN, KapM K pt Kgp® kap E i Do Inoltre, se per compendio si pone MII — 2=mXM+eXE, pol! sì deduce il (23) ne=i; poscia, notando che (11, pag. 136, [12]) I:(8—)=1I,{H(M,m)-|- H(e, E)}=(M/e)X(mAE), INI! cioè HI | I,8-+/2=MXm.eXE—MXE.mXe, di sì trae: 1 (24) —Lf=£ +MXE.mXe, essendo £ la funzione di Lagrange. Sicchè, per quanto fu osservato al $ 1, | | I:8 è un invariante per una trasformazione Z; di più il secondo membro di (24) è sempre positivo. Infine, sempre dalla (20), si trae pure See I(fP_-()=If—/1Lf+1f—-=0, (62 (015) (25) I:8=1f.If. La formula (21) è una generalizzazione di altra ben nota (II, pag. 97, [8]). Il vettore N, (espresso sotto forma completamente assoluta) corrisponde al vettore di componenti N,, N., N3 della nota Memoria di Minkowski (SS 13 e 14); e infine il secondo membro di (24) è la radice quadrata del determinante della matrice S ($ 13 della stessa Memoria), che viene così ad essere espressa, in modo semplicissimo, mediante il secondo inva- riante dell’omografia delle tensioni relative. | — 409 — Matematica. — Su//e espressioni lineari integro-differenziali. Nota di G. ANDREOLI, presentata dal Corrisp. R. MARCOLONGO (*). 1. Le espressioni della forma: (AMC) ar(c) W (x) + ( Di (28) WM(5) ds orlo) A+ f Î ctas) 9 (0) s ° x (3) D Mi ii NA RE de? > br(28) w®(s) ds + | > cy(25) wM(5) ds 0 0 0 12) GA + f saranno dette rispettivamente espressioni lineari integro-differenziali di tipo VoLTERRA, FREDHOLM e MISTO, e dì primo, secondo o terzo genere, secondo che m=n,p. Occupiamoci anzitutto di (1) e (2). 2. Cominciamo dalle espressioni di primo genere; poniamo ya) = (2). Da note formule risulta che: A) = [ya dat | ni g(s) ) ds + E ue DE ove Py è un polinomio di grado u—1, ed è P,=P,-1; dunque la (1) e a (2) possono scriversi, senz'altro, rispettivamente : a q dn(2) 92) +S [ams(0) Fm ds + va Sl (4) + cd Om-r( 06) fn s) ds + Di du(1) Pm-p(4) + + » Je bu(08) Pm-p.(5) ds m_n an(®) 9(2) + S on 9(5) ds + 6) i +3 f drone) ( CE gl) 404 Tala) Pn (1) + m=p ata NI f C1(8) Pmu(8) ds . man 0 (*) Pervenuta all’Accademia il 18 ottobre 1918. — 410 — Invertendo con la regola di Dirichlet le integrazioni doppie delle (4) e (5), sì vede che si ha: (2) (2) + Sf ame) EST 910) di + 6 Ung | +> 908) ) ds. Sme): È ES 4+ 0%) le dei + (00) p(s (6) ds f Cuts(O) SR Zon dit Q(2), ove Q e Q; dipendono in modo evidente solo dalle P,4,2,0. È facile ve- dere che la determinazione delle P è data dalle condizioni iniziali o « al CONTORNO ». Perciò la (6) e (7) si possono porre rispettivamente sotto la forma : ® n #0: O en0) (+ f Ni(2)96) + | N:(29) g(9 +00), ove si ponga (£ pei Sn Nic) = SET no) + I fd ar! e (as) Ng Sa (oss N(xs) = DI TS Uimer(0) 9 N»(x8) =2S Cmer(X6) — nni (7 — 1)I di. Cioè si ha: Ze espressioni integro-differenziali di primo genere, tipo Vol- terra, si riducono ad espressioni integrali dello stesso tipo e di seconda (o terza) specie; quelle del tipo Fredholm si riducono invece, in gene- rale, ad espressioni integrali miste di seconda (o terza) specie. Le ultime si possono però ridurce ad espressioni integrali tipo Fredholm se le a, sono tutte nulle identicamente, salvo la am. Se le espressioni (1), (2) si eguagliano a funzioni note /i(@),/s(), avremo delle equazioni integro-differenziali. Queste, per quanto si è detto, si trasformeranno in equazioni integrali tipo Volterra, Fredholm e misto, di seconda specie, se 4m(7) è sempre diverso da zero; se no, si avrebbero le equazioni di III specie del Picard. — 4ll — 8. Consideriamo invece le espressioni integro-differenziali di tipo Vol- terra e Fredholm e II genere: (10) So yM+ f" 0405) 490) ds m (11) X a(2) (7 )+f Db (08) (8) ds. Procedendo come nel caso n. 2 (delle espressioni di I genere, cioè), si ha che le (10) e (11) si mutano rispettivamente nelle (8) e (9); ma si deve notare che: (es) = SEI gn (0) + feno) I de + ef) ed N.(es) = la DI Csa) A dt L Cm(8), mentre N, rimane immutato. Cioè: Per le espresssioni di II genere la trasformazione avviene in modo identico a quelle di I genere. Da ciò si ricava che: /e equazioni lineari integro-differenziali di primo o secondo genere tipo Volterra, sono equivalenti ad equazioni inte- grali tipo Volterra di seconda (0 terza) specie; quelle tipo Fredholm, in generale, ad equazioni miste. 4. Prendiamo infine in esame il caso delle espressioni integro-differen- ziali di III genere: x 1) Val yX+ | Sher (m 5 A) 2; dt + dby(28); | n EE Vai | Ni (xs) = Di Unx(20)î i ; ui NG) tro (0) I di pento) | p, sì avrà che N, rimane lo stesso di (25), mentre: + (Eri (PIO (SA + fdt i A+ dala: Se m=p>n, la N, rimane immutata, mentre : @7) Na(eo) =D fl (ente) EI det on(a); (26) Ni(es)= ta 0, ed infine, se m=n=p,N, ed N, di (25) si mutano rispettivamente in (26), (27). 7. È poi chiaro che le espressioni di terzo genere si muteranno in espressioni integrali miste di prima specie: "a 1 (28) {N29 909) + f Nr) g(9b+ 00). 9 (11) Evidentemente, se 2 >p, bisogna porre Y®(2)= (2), ed allora si ha: N;(8) = Zina) 2 iù Ù SP TESE, (i) AI bn(5) (29) e rr ai N;(c8) = DI CHENG) csi di. Se p=, bisogna porre ancora = wM(a)= g(2), ma la N;(xs) si muta in p SII Lu e\r_l N(xs) = Si Bed (0)S + + cy(x8); se infine p >, si deve porre: YP(x)= (2), e con i soliti procedimenti si ricava: p r_1 \ Ni(23)= DI ca 2 DE fe bpr(1) Ca. p_m p=n ne (30) | N.(26)= | Denial); SG DI gipo) — 415 — Meccanica. — Z/fusso da un recipiente forato sul fondo. Nota di U. CisorTI, presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sulla permutabilità di due segni di limite. Nota del dott. L. ORLANDO, presentata dal Corrisp. A. Dr LEGGE. Stabilire una condizione necessaria e sufficiente affinchè sia (1) lim lim /(2,y)= lim lim /(2, 9) a=tiy=n y=n a=t è un problema di notevole utilità in analisi, tanto più se la condizione riesce semplice e facilmente applicabile agl'importanti casi particolari della (1). Possiamo senz'altro (qualunque sia quella delle usuali definizioni di limite che ci piaccia di adottare) ricondurci al caso (apparentemente particolare) della ricerca di una condizione necessaria e sufficiente per la continuità di una serie di funzioni continue. Supponiamo, infatti, che le funzioni w,(2), (2), %3(x).... formino una serie s(x)= (x) 4 u(x) + us(2) + :-- convergente in ogni punto di un intervallo (a, è), e che queste funzioni wi(x),w2(x). s(x),... siano continue nel punto È di quest intervallo. Posto s,(2) = (x) + ws(x) + +-+ u,(x), allora sarà lim s(x)= lim lim SOR at atm 00 sarà, invece, Is(é) = limis,(é)i=lim limis,(2) n=%0 n=% a=È La continuità della serie nel vunto &, traducendosi nella formula E) = lim s(2), lascerà scrivere (i lim lim s,(e)= lim lim s,(2). xe=t n=% n=% x=, È solo apparente la particolarità di (2) rispetto ad (1), perchè non costi- tuisce specialità il fatto che x tenda all'infinito sui numeri interi (qua- lunque sia, ripeto, quella fra le usuali definizioni di limite che qui voglia adottarsi). — 416 — Assodata la possibilità di occuparci del caso generale, trattando il caso, di particolare apparenza, relativo alle serie, nol subito osserviamo che, per esempio, la serie < OO S(hr+1)x te coi v=l #4 a : ; dd 3 rappresenta, nell'intervallo (0,1), la funzione continua ;—— ; ora il suo 1a SR0 BY/AL R,-;(4), cioè il suo resto un(x) + un+:(£2) + %n+s(e) +: vale piega) ed è chiaro che per nessun 7 fisso si può pretendere che, indipendentemente DMI 1+n? ° tale relazione, traducendosi nella seguente: neo perchè s,(x) è una somma finita di fun- zioni continue. Ma allora s(x) — s(£), cioè s,(4) — Sn(é) + Ra(0) — Ry(5), £ supera, in valore assoluto, la grandezza 3; resta dunque assurdo che s() sia continua in È. A titolo d'esercizio, si può aggiungere qualche considerazione impor- tante. Supponiamo che la condizione A) valga in ogni punte di (a, è); sia — 417 — fissato «, e si chiamino %, ed 7, il numero % ed il numero x della condi- zione A), relativi qui al punto a; si chiamino %, ed , quelli relativi al punto a+ X,; poi %s ed x: quelli relativi al punto « + k + 2, ecc. Dico che si potranno determinare questi tratti £,,%a,%s,.., in numero /iz00, in modo che ripartiscano tutto l'intervallo (4,4). Infatti, se dovessero ne- cessariamente assumersi in numero infinito, i loro estremi di destra avreb- bero un valore limite & = 2: dunque non si potrebbe (per colpa dei punti posti all'immediata sinistra di £) far corrispondere a $ un % tanto piccolo da verificare la 4). Osserveremo, ancora, che la funzione By(@), relativa ad un arbitrario numero naturale fisso N, risulta anch’esas continua: dunque vale anche per la serie Ry(x) la condizione 4); ed allora la A) stessa sì può enunciare come segue: fissati ad arbitrio il numero positivo e ed il numero naturale N, esiste una ripartizione di (4,2) in un numero finito di tratti %,,%:,...,%m tali che (in ognuno di essi indipendentemente da ©) si possa scrivere |Rn,(0)]<,|Rn.(2)|<,.-:|Rnm(®)|<#, dove i numeri Mi Mx 3 Nm Siano m numeri maggiori ognuno di N. Nei punti di confine deve valere l'uno e l'altro dei due numeri » relativi ai due tratti che vi fanno capo. Questa condizione (convergenza uniforme a tratti), che soltanto, dunque, in apparenza differisce dalla condizione A), fu trovata dal profes- sore Arzelà, di buona ed onorata memoria; il prof. Vivanti ne ha dato una semplice dimostrazione diretta. L'enunciato A) mi pare vantaggioso, sia per la semplicità, sia per la più agile applicabilità a questioni più generali. Di queste cose ho già fatto cenno nei Rendiconti dell'Accademia di Porto, e nei miei numerosi corsi. Richiamo ora su di esse l’attenzione di quest’ illustre Accademia, per mettere in luce, più che per altro, alcuni concetti immediatamente applicabili ad utili ed operose ricerche, special mente in un'eventuale raffinata applicazione ad importanti casì particolari. Geometria. — Su alcuni teoremi di geometria piana ana- loghi a quelli di Max Dehn nella geometria solida. Nota del prof. G. Vacca, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Dopo le classiche ricerche di G. Sforza e di Max Dehn, le quali hanno dimostrato la impossibilità di evitare processi infinitesimali, per dimostrare l'eguaglianza di volume di due piramidi di egual base ed eguale altezza, e le semplificazioni (*) successivamente apportate alla dimostrazione definitiva di Max Dehn, appariva tuttavia alquanto oscura l'intima ragione del come l’inevitabilità di processi infiniti sia collegata coi problemi dell'eguaglianza dei volumi di poliedri, mentre nulla di analogo si conosceva nel piano. (*) Per la bibliografia completa, si veda: Amaldi, Sulla teoria della equivalenza in Questioni riguardanti le matematiche elementari, di F. Enriquez. Bologna, Zani- chelli, 1912, 7ol. I, pp. 173-190. — 418 —. Sono riuscito ora a trovare un parallelismo assai notevole, conducente a dimostrazioni dello stesso tipo di quello di Max Dehn, nella geometria piana. Basta perciò far corrispondere alla sovrapponibilità mediante un moto elicoidale, nello spazio, di due poliedri, quella, nel piano, di due poligoni piani, per mezzo di una traslazione. Ho dovuto perciò introdurre il concetto di eguaglianza per traslazione, che nel piano corrisponde alla eguaglianza per semplice sovrapposizione nello spazio. È stato inoltre necessario di introdurre un nuovo concetto astratto di angolo, il quale, a mia conoscenza, non aveva ancora formato oggetto delle ricerche nei geometri. Ho così ottenuti alcuni teoremi, la cui dimostrazione, alquanto più sem- plice di quella dei corrispondenti teoremi della geometria solida, può con- tribuire a meglio rendere conto dell’intima essenza dei problemi di questo genere. Questi teoremi sono probabilmente veri anche senza la condizione restrit- tiva che è occorsa per la dimostrazione che qui ne ho data. Però non sembra facile toglierla, seguendo la via da me qui esposta. I. Angoli orientati. — Concepisco l'angolo piano come una gran- dezza avente soltanto una determinata orientazione. In questo senso dirò eguali due angoli rivolti dalla stessa parte ed aventi i lati paralleli e rivolti dalla stessa parte. A questa grandezza mi pare opportuno di dare il nome di angolo orzertato. In seguito, dovendo parlare soltanto di angoli di questa specie, per brevità li chiamerò soltanto @r90/7, quando non vi sia luogo ad equivoci. Gli enti considerati sono suscettibili di somma. Se due angoli orzentati hanno un lato dell’uno parallelo, e rivolto dalla stessa parte ad uno del- l’altro, la somma di questi due angoli sarà l'angolo somma di questi due nel senso euclideo, soltanto se i due angoli sono orientati da bande opposte del lato parallelo. Se invece sono orientati dalla stessa banda del lato pa- rallelo, come loro somma potrà anche intendersi il minore dei due angoli contato due volte, ed inoltre la differenza (nel senso euclideo) tra il mag- giore e il minore. Il doppio di un angolo sarà l'angolo stesso contato due volte (e non già un angolo avente ampiezza doppia). E parimenti, se m è un numero intero positivo, m volte un angolo orientato è soltanto l'angolo stesso contato m volte. Rimane sempre vero, come per gli angoli euclidei, che se un angolo si divide in parti con semirette uscenti dal vertice ed interne all'angolo, esso è somma delle sue parti. Ma se due angoli orientati hanno la stessa ampiezza, ma non sono egualmente orientati, essi potranno avere eguale sol- tanto la parte egualmente orientata in ciascuno di essi. — 419 — L'angolo orientato appare, così, come un'astrazione dalla classe dei semi- raggi contenuti in un angolo euclideo. L'angolo orientato si può anche considerare come astrazione dall’ egua- glianza di due angoli tali che la porzione di piano compresa nell’uno si possa far coincidere con quella compresa nell’altro, per mezzo di una traslazione. Definiti così a sufficienza questi concetti, ci limiteremo a considerare, da ora innanzi, figure di uno stesso piano. II. Equaglianza per traslazione. — Diremo eguali per traslazione due figure quando l'una possa coincidere con l'altra per mezzo di una trasla- zione (nel piano considerato). Considerando le ordinarie dimostrazioni con le quali si giunge a decom- porre in un numero finito di parti eguali due parallelogrammi di egual area, si può facilmente osservare che le singole parti in cui si decompongono i due parallelogrammi di egual area, sono, non soltanto eguali. ma altresì eguali per traslazione. Quindi è facile di persuadersi che Due parallelogrammi di egual area sono decomponibili in un numero finito di parti eguali per traslazione. Così ancora è facile vedere, per es., dalla dimostrazione euclidea, che i quadrati dei cateti di un triangolo rettangolo sono decomponibili in un numero finito di parti eguali per traslazione, ciascuna a ciascuna, ad altret- tante parti in cui si può decomporre il quadrato dell’ipotenusa. Queste parti sono almeno cinque nel caso più generale, e a quattro soltanto si riducono se i due cateti sono eguali. Una curiosa conseguenza di queste considerazioni è la seguente: 2 pos- sibile di decomporre un qualsivoglia parallelogrammo in un numero finito di parti in modo che queste, dopo aver subìto ciascuna una traslazione, riformino il parallelogrammo stesso ruotato di un angolo arbitrario, per es., piccolo a piacere. 3 Nel caso di un quadrato, queste parti sono cinque soltanto, come appare da ovvie considerazioni elementari sulla fig. 1. RenpIcONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 23 Ut "— 420 — Si ha così una specie di decomposizione di una rotazione apparente, in un numero finito di traslazioni. III £quaglianza per traslazione di triangoli. — Ma le cose proce- dono in modo completamente diverso per due triangoli di egual area. Infatti, è bensì evidente che si possono decomporre in un numero infinito di parti eguali per traslazione due triangoli di egual area; ma la decomponibilità in un numero finito di parti non è sempre possibile. La ragione di questa im- possibilità appare, quando si consideri perchè sia invece possibile la decom- posizione, in an numero finito di parti eguali per traslazione, di due parallelo- grammi di egual area. La somma degli angoli (interni) orientati di un pa- rallelogrammo è infatti eguale a quattro angoli retti adiacenti, aventi il vertice comune (che chiameremo, più brevemente, un angolo infero). Se ora supponiamo, per un momento, che la decomposizione in poligoni parziali sia possibile senza che alcun vertice delle parti cada sul contorno dei due parallelogrammi, o entro i lati di alcuna delle parti adiacenti, subito si vede che la somma di tutti gli angoli orientati di ciascuna delle parti, in cui è decomposto ognuno dei due parallelogrammi, è eguale ad un numero intero di angoli 1) di gruppi di un’altra serie algebrica; altrimenti si dice non composta. 3. m e @ si chiamano l'ordine e la dimensione della serie vi, rispet- tivamente. Il numero dei gruppi che contengono g punti generici fissi della curva C sì chiama l'indice v della serie. Se in una y°, sì sottraggono certi x punti da quei gruppi della y che li contengono, ne risulta una serie che si dice serie subordinata nella 7°, (1) Pervenuta all'Accademia il 14 ottobre 1913. (*?) Allen, Su alcuni caratteri di una serie ecc. (Rand. di Palermo, 1913). (8) De Jonquières, Sur Zes contacts multiples ecc. (Journ. fiir d. reine u. a. Math., Bd. 66, 1866); R. Torelli, Dimostrazione di una formola di De Jonquières (Rendiconti di Palermo, 1906). inca — 425 — dagli x punti. Data una serie lineare 9” di dimensione #, e una y°,, se si sottrae ogni gruppo della y dal gruppo della 4 che lo contiene, si ottiene una serie che si chiama residua della y rispetto alla 9. 4. Premesse queste spiegazioni, possiamo procedere alla definizione dei caratteri accennati nel $ 1. Sia data una serie algebrica Ts irriducibile, non composta, di dimensione 0, indice v, ordine 72, sopra una curva alge- brica irriducibile C di genere p. Detiniamo i numeri 21, 42,» so, nel modo seguente: <, s/a dl numero di quei gruppi di una padri , subordinata nella yi, data da (o — b) punti generici, che sono contenuti in una GT ge- nerica. Si vede che 2, e 3, sono rispettivamente la 3 e la Z che il Castel- nuovo e R. Torelli (*) adoperano nelle loro formole per determinare quanti gruppi di una serie algebrica sono dotati di uno o di due punti doppî. È evidente che, se estendiamo la definizione delle 2, al caso 9=0, 4 coin- ciderà coll’indice v della serie; quindi scriveremo sempre 2, invece di v. 5. Una seconda definizione delle e, è la seguente: 2, è 4% prodotto dell'indice della e residua di una TAC subordinata nella }È, data da m_-p+b m+po+b Generica, e del numero Ù (o — db) punti generici, rispetto ad una 9g dei gruppi della TAI equivalenti ad un suo gruppo generico. 6. I teoremi principali rispetto ai caratteri 2, sono i seguenti: I. Ogni a, il cui indice superi p, è nulla. II. Se = 0, allora 141 = 840 = = 6o=0. III. Se, per una serie algebrica Ta , abbiamo z,>0, ma z+x =0, allora i gruppi della YÉÈ, si ripartiscono in o serie of 7, tali che i gruppi di una stessa y sono a due a due equivalenti, e non lo sono mai due gruppi di y diverse. 7. L'estensione della formola di De Jonquières dà il numero dxzs..za dei gruppi di una serie algebrica ye, irriducibile, non composta, sopra una curva di genere p, dotati di un punto (£, + 1)-plo, di un punto (X+-+ 1)-plo, ..., di un punto (Xa + 1)-plo, e, se DEL è minore della dimensione 0 della i=0 serie, di (0 — 2%) punti fîssî generici della curva. (1) Castelnuovo, Sulle serie algebriche ecc. (Rend. dei Lincei, 1906); R. Torelli, Sulle serie algebriche ecc. (Atti del R. Ist. Veneto, 1908). — 426 — 8. La formola è la seguente: (LE cilea Chl ZZZ], sl Le c e le y dipendono dai numeri 4; che dànno le molteplicità dei punti multipli. Le c dànno i numeri delle ripetizioni nelle 4;. Cioè (1) Aria «Rasa ki =ks ii die 3 Kerti io Ri lego ICAO REA ae Wa cs +on—1+cn Yn è la somma dei prodotti delle 4; ad % ad A. Vale a dire: Y=l: Yi pai Nk DI t=0 Ya SI Keii Kia 9 ii i,=1,ég=1l Ya = » Kia kia». kia-,, tutte le 2 essendo disuguali ; lisi Ya =ki ka eee Fa è 9. Fra i casi speciali di questa formola si trovano quelli dei numeri dei gruppi con uno o due punti doppî, accennati nel S$ 4. R. Torelli (*) ne ha dimostrato un altro, che dà il numero dx dei gruppi aventi un punto (£ + 1)-plo e (o — 4) punti generici fissi: (2) dr=(£+)[o(M+4%p—e)— ak]. Il numero d,,,, dei gruppi dotati di a punti doppî e di (o — a) punti ] generici fissi si calcola subito: a a l) i gel Se oa di) (3) dig = 2 ID, 1) ir ( dh 1 La stessa formola di De Jonquières si deduce dalla (1), ricordando che una serie lineare ha l'indice 2, =1, e che, secondo $ 6, Teorema III, (1) R. Torelli, Swi sistemi algebrici di curve ecc. (Atti della R. Accad. di Torino, a. 1906). — 427 — 8,=%,=-=%g0=0. In questo caso abbiamo Arskasscha=" (TITANI > ynh! (f)- h)! ( TEMA] n) = _ (0141) (#41) (+1), cilea! (4) {X[(m_—o)(m_o—1)(m—o—2)--(m—o—a+-1) + (m—e—1)(m—e—-2)-(m—e—a+1)ph ar (n—o—-2)--(m—o—a+1)p(p—1)k: LI (m—e—a+1)p(p—1)--(p—a4+2)l i, p(p—1)-(p—a+2)(p—4+1)ha Questa è la forma data da R. Torelli nella Nota già citata (!). 10. Dai caratteri 2, di una serie y° è possibile ricavare le 2, della serie i che si ottiene dalla y, sottraendo ciascun punto (%-+ 1)-plo k dal gruppo della y°, nel quale comparisce. Chiamiamo questa serie y, e * le sue costanti 2). Allora queste sono date dalla formola: k (5) E nh _ (0-41) &(%+1)2. Adoperando la (5) ripetutamente, si può arrivare alle 2 relative alla serie subordinata nella y°, da un aggruppamente qualsiasi di punti multipli. 11. I caratteri 2,, i teoremi intorno ad essi, e la formola (1) trovano una interpretazione iperspaziale interessante nel caso che o =p. Si sa che è possibile di rappresentare le x-ple di punti di una curva algebrica di ge- nere p mediante una varietà ad x dimensioni, tale che ad ogni gruppo di x punti corrisponda un punto della varietà, ed uno solo. Sia A questa varietà delle 72-ple di punti della curva base C. Ad un punto della curva corri- sponde una V,-1, luogo dei punti i cui gruppi "corrispondenti sulla curva ‘passano per il punto scelto; chiamiamo B queste Vm-,. 12. Una serie yi sulla curva C corrisponderà ad una varietà cof E dentro la A. I punti che rappresentano gruppi con un punto doppio stanno (1) R. Torelli, Dimostrazione di una formula di De Jonquières (Rend. di Palermo, a. 1906). RENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 5 vm — 423 — in una varietà che può chiamarsi l’'inviluppo I del sistema delle B, cioè la varietà che contiene l'intersezione di ogni B con quella infinitamente vicina; i punti che rappresentano gruppi con due punti doppî stanno nella varietà doppia della I; e così di seguito. ‘13. Adesso conviene dare la definizione iperspaziale delle 23, che cor- risponde a quella data nel $ 4. Abbiamo già visto che una yÉ, vien rap- presentata da una V,, E). Ad una A, subordinata nella yÉ, da (o — 0) punti fissi corrisponde un'altra V,, che si ottiene nel modo seguente: co? dei punti di E?) stanno dentro quelle varietà B che corrispondono ai (0 — 5) punti. Le altre (m—0-+d) varietà B per ciascun tale punto hanno per intersezione una Vp_,; il sistema co’ di queste Vo, dà la Vp cercata, che sarà chiamata E!?!. 14. Ogni serie lineare 9/7 * sulla curva C viene rappresentata da una varietà razionale ad (m — 0) dimensioni; diamo il nome X a queste varietà. La 2, viene allora definita come :/ numero delle intersezioni di una B ($ 183) con una X generica. 15. Dal fatto che ogni varietà algebrica a (p= 0) dimensioni nell’A corrisponde ad una y°,, segue il teorema: Se dentro la varietà A delle m-ple di punti di una curva di genere p, è data una varietà algebrica E a p dimensioni, la formola (3) indica quanti punti hanno a comune la &, la varietà a-pla dell’inviluppo del sistema B dei punti della curva, e (P— a) varietà generiche B, dove lè e» sono definite nel S 11. Bisogna, però, che a =m—p, e chea=p. Sarebbe facile di trovare, da questo punto di vista, il significato di Àriko.has ® Quindi un’ interpretazione simile della (1). 16. Se, nel caso che consideriamo (0=p), 23 > 0, ma z,+4:="0, i punti della varietà E stanno tutti in co? delle 2 razionali, 00f-? punti in ciascuna 3; ciò segue subito dal teorema III del $ 6. 17. Tutto ciò vale nell'ipotesi che o =p. Sarebbe possibile di otte- nere risultati simili quando op; e anche di ottenerne altri dalla defini- zione delle 2, data nel $ 5. Li omettiamo, però, giacchè sarebbero più com- plicati che interessanti. (=2/M09 = Storia della scienza. — Ztudes sur Léonard de Vinei. Les précurseurs parisiens de Galilee. Lettera del prof. P. DunEM al PRESIDENTE ('). Monsieur le Président, Mon éditeur, MM. A. Hermann et fils, 6 rue de la Sorbonne, à Paris, vous fera parvenir un exemplaire de mon récent ouvrage: Zudes sur Léo- nard de Vinci: troisième série, Les précurseurs parisiens de Galilée. L'Académie dei Lincei a bien voulu recevoir avec faveur l'hommage des deux premières séries de ces études. Je serais très reconnaisant è vous, de lui offrir en mon nom cette troisième série; à elle, de l’accueillir avec la méme bienveillance que les deux autres. Serais-je trop òsé, en vous indiquant, avec toute la briéveté possible, le sujet de ce livre? Lorsqu'on étudie l’oeuvre d’un de ceux qui, au début du XVII® siècle, ont créé la dynamique, l'oeuvre de Galilée, par eremple, on a coutume d’en opposer ces doctrines à celles d'Aristote; et comme on tient le moyen-àge tout entier pour asservi à la physique péripatéticienne, on croit découvrir un abîme d'une profondeur extréme entre la science médiévale et la science des temps modernes; l’apparition de celle-ci semble une création soudaine, que rien, dans le passé. n’annongait nì ne préparait. Une connaissance plus exacte des doctrines professées au sein des écoles du moyen age, nous conduit à réformer ce jugement. Elle nous apprend qui'au XI]V® siècle les maîtres de Paris. rebelles à l’autorité d’Aristote, avaient construit une dynamique entierement différente de celle du Stagirite; que cette dynamique contenait déjà, en ce qu'ils ont d'essentiel, les principes appelés è recevoir, de Galilée et de Descartes, une forme mathématique précise et la confirmation expérimentale; que ces doctrines parisiennes s'étaient, dès le début du XV? siècle, répandues en Italie, où elles avaient rencontré nne vive résistance de la part des Averroistes, gardiens jaloux de la tradition d'Aristote et du grand commentateur; qu’elles avaient été adoptées, au cours du XVI siècle, par la plupart des mathématiciens; enfin que Galilée, dans sa jeunesse, avait lu plusieurs des traités où se trouvaient exposées ces théories appelées à recevoir de lui un développement magnifique. La dynamique de l’école de Paris. au milieu du XIV® siècle, s'incarne surtout en trois hommes: Jean Buridan, Albert de Saxe et Nicole Oresme. (3) L'Accademia si crede in dovere di pubblicare questo riassunto che il prof. P., Duhem ha egli stesso dettato sulla sua opera. La pubblicazione del riassunto invoglierà alla lettura d’uno scritto che certamente determinerà riflessioni polemistiche sopra conside- razioni che l'Autore fa a proposito di alcuni principî di dinamica dei maestri di Parigi del secole XIV, principî che costituiscono una delle glorie di Galileo. — 430 — Jean Buridan énonce la loi de l’inertie. Il lui donne une forme que Galilée gardera intacte et dont Descartes, le premier, accroîtra la précision. Celui qui lance un projectile, lui communique un 1mpetus; cet impetus demeu- reralt constant dans le mobile sì la gravité de ce mobile et la résistance du milieu ne l’atténuaient sans cesse. Cet 7mpetus est le produit de la masse du mobile, que Buridan définit comme la détinira Newton, et d'une fonction croissante de la vitesse. Cet impetus deviendra l'impeto ou forza de Léonard de Vinci. a sant d'une manière inexacte la. fonction de la vitesse que Buridan. avait eu la prudence de laisser indéterminée, Galilée et Descartes admettront que l’impetus- est proportionnel è la vitesse; ils en fairont l'un son non coi 16 l'erposer avec une grande clarté, il la précise en certains points; il se de- mande suivant quelle loi s'accélère la chute d'un grave; de cette loi, il propose deux formes: la vitesse est proportionnelle au chemin parcouru, ou bien elle est proportionnelle è la. durée de la chute; entre ces . deux lois, — 431 — il demeure en suspens. Après avoir connu cette hésitation, Léonard de Vinci et Galilée opteront pour la seconde loi. Dans son 7ra:/6 du ciel où, après minutieuse discussion, il accorde, au mouvement diurne de la terre, la préférence sur le mouvement diurne du ciel, Nicole Oresme adopte, lui aussi, la dynamique de Jean Buridan. Dans un autre écrit où, précurseur de Descartes, il use sans cesse des coordonnées et formule clairement l'idée essentielle de la géométrie analytique, il se propose d'établir la loi du chemin parcouru dans un mouvement uniformé- ment varié; la preuve qu'il en donne est cette démonstrazion du triangle que: reprendront Galilée et. Descartes. La règle, d'ailleurs, semble avoir été connue, è Paris et à Oxford, avant d'avoir regu.d'Oresme cette justification. En réunissant: les pensées de Buridan, d'Albert de Saxe et d'Oresme, on obtiendrait une part de la doctrine mécanique que l'on eroit, communé- ment, inventée en entier par Galilée. Les Parisiens, d'ailleurs, n'avaient pas attendu Galilée pour faire cette synthèse. Avant le milieu du XVI® siècle, un'de leurs élèves, le dominicain espagnol Dominique Soto, la regarde comme acquise. Partisan de la dyna- mique de Buridan, Soto enseigne que la chute d'un grave est uniformément ‘accélérée; que l'ascension d'un grave est uniformément retardée et, pour évaluer le chemin parcouru dans ces mouvements, il fait usage de la règle démontrée par Oresme. i Exposer en detail les découvertes de ces précurseurs parisiens de Galilée: décrire les vicissitudes qu'elles ont éprouvées jusqu'au jour où les grands mécaniciens du XVII° siècle en ont assuré le triomphe, c'est tout l’objet du livre dont nous offrons le respectueux hommage à l'Accademia dei Liacei. Croyez, Monsieur le Président, à mon profond respect. P. DuHEM Bordeaux, le 1 Octobre 1913. Correspondant de l’ Institut de France, Professeur à la Faculte des Sciences de Bordeaux. . Matematica. — Sulle corrispondenze algebriche fra i punti di una curva algebrica. Nota II di CarLo Rosati, presentata dal Corrispondente G. CASTELNUOVO. = $(2. RAPPRESENTAZIONE ; DEI, SISTEMA DI CORRISPONDENZE SUI PUNTI RAZIONALI DI UNO SPAZIO LINEARE. 7 Enunciamo alcune semplici; proprietà, di dimostrazione immediata, che avranno applicazione nel seguito. «In. uno spazio lineare Sum, UN punto o un iperpiano si dicono razionali quando le loro coordinate omogenee possono ridursi intere, moltiplicandole per un conveniente coefficiente di proporzionalità. — 432 — In un iperpiano razionale possono determinarsi u — 1 punti razionali linearmente indipendenti. Un S di Su-1 si dice razionale quando in esso possono determinarsi k-+1 punti razionali linearmente indipendenti, o per esso possono condursi u—1—kK iperpiani razionali lin. indipendenti. Le due definizioni si equi- valgono. Dalla prima delle quali discende che è razionale lo spazio a cui appartengono più spazî razionali; dalla seconda, che è razionale la loro in- tersezione. La polarità rispetto a una quadrica a coefficienti razionali trasforma i punti razionali negli iperpiani razionali. Se una quadrica a coefficienti ra- zionali è specializzata, il suo spazio doppio, intersezione di iperpiani razio- nali, è razionale. 8. Sia (T' T"... T#) una base minima per il sistema delle corrispondenze esistenti sulla curva C. Ogni altra corrispondenza U, che non sia a valenza zero, soddisfacendo ad una relazione del tipo (1) = II eu, in cui 4, 4»... 4, sono interi non tutti nulli, individua nello spazio Sui un punto razionale (di coordinate 4, ... 4,), che diremo immagine della corri- spondenza stessa. Due corrispondenze fra loro dipendenti hanno la stessa immagine. In- vero, se (2) Ve UTkP4T"+ + 4,18 è una corrispondenza dipendente da U, dalla relazione (3) rU+sV=0 sì deducono le eguaglianze (4) rh + s4;= 0 ((=1,2,..4) le quali dicono che i punti di coordinate 4; 4 coincidono. Reciprocamente, poichè dalle relazioni (1) (2) (4) si deduce la (3), si ha che due corri- spondenze aventi la stessa immagine sono dipendenti. È poi chiaro, inversamente, che 077% punto razionale di Sui è imma- gine di infinite corrispondenze, due a due dipendenti, della curva C. Esisterà in particolare in Su-, un punto razionale O immagine della identità e di tutte e sole le corrispondenze a valenza (n. 2). Si vede inoltre che più corrispondenze sono o no dipendenti secondochè sono o no punti linearmente dipendenti le loro immagini. — 433 — 9. Date due corrispondenze U(@,£) e V(a',f") legate alla base dalle relazioni (5) U=4M,0 +4, T" +. + A TE (6) V= MT +AT"+- + 2, TE si può calcolare il loro carattere simultaneo seguendo il procedimento con cui Severi dimostra il teorema di Bezout sulla superficie F con due fasci unisecantisi (!). Lo riproduciamo qui, per maggior chiarezza, dovendo trarne alcune conseguenze che ci saranno presto utili. Si osservi, perciò, che le relazioni precedenti dànno origine, su F, alle equivalenze lineari mM Tei aUl=/eit ene eee O N RR Ve se allora seghiamo i due membri della prima con la curva V e quelli della seconda con la curva T°î((=1,2,...&), e indichiamo con £vy, Lr, Gik rispettivamente i caratteri simultanei delle corrispondenze UV, VT', TiT*, si avranno le uguaglianze (Ore - DI À; Qvri Lori = DK on (i=1,2,..4), dalle quali si deduce 1 QGOji, (9) Ly = Di À; À, Dik è ak Supposto in particolare V coincidente con U, otterremo che il carattere di Castelnuovo della corrispondenza U è espresso dalla forma quadratica lese Q = Di À; A ix + ik Questa forma è, per il teorema del n. 8, essenzialmente positiva; il discriminante di essa sarà dunque positivo insieme coi suoi minori princi- pali (*). Da ciò si deduce che la quadrica avente in Su_1 l'equazione Q=) orgia =0 n: ‘ (*) Cfr. Severi, Sulle corrispondenze ecc. (loc. cit.), n. 18. (*) Il discriminante di un aggruppamento (TT... T*) è nullo, se le corrispondenze sono dipendenti (Severi); positivo, se sono indipendenti (Castelnuovo). Applicando questa osservazione all'aggruppamento (KT) costituito dall’identità K e da una qualsiasi corri- — 434 — non è specializzata e non può contenere alcun punto reale (di coordinate tutte reali). i Dalla (9) segue la proprietà: Due corrispondenze coniugate hanno per immagine due punti co- mugati rispetto alla quadrica 2 =0, e inversamente. Si vede dunque che ad un aggruppamento co°* di corrispondenze (1) se ne può associare uno col? coniugato; in particolare, considerando il punto O immagine dell'identità K ed il suo iperpiano polare w, poichè il carattere simultaneo di K e di una corrispondenza T(a,) con punti uniti è a + — «, si giunge alla conseguenza che /e corrispondenze nelle quali il numero dei punti uniti uguaglia la somma degl’'indici, formano un aggruppamento co ?. ; 10. Si calcoli ora il carattere simultaneo delle corrispondenze UV. Per una proprietà che abbiamo già avuto occasione di applicare (n. 5), dalla relazione (6) si deduce l’altra VM XE EMAT la quale dà origine, su F, alla equivalenza lineare I) NIN TLT +40 +00 se allora seghiamo i due membri della (7) con la curva V7! e quelli della (10) con la curva T°(f=1,2,...4), e indichiamo rispettivamente con Qgy-:, = Ò ò n 5 3 A Q 1! Qriy-1, @; i caratteri simultanei delle corrispondenze UV, Ti V7:, TTE, sì giunge alle uguaglianze Luvi —a Da À; Qriyai Qrivr = DI Àx Dik, x dalle quali si deduce. I res (11) Reni > À; Zi, Dix + ik spondenza T(&@,f) di grado virtuale » ed avente « punti uniti, si giunge alla disugua- glianza 2 co p o+8_u hi a+fB_-u 2aB8—»v valendo il segno = quando e soltanto quando la T è dipendente dall’identità, cioè (n. 2) è dotata di valenza. Si ottiene così l'elegante criterio di Severi che caratterizza le cor- rispondenze a valenza (Severi, Sopra-alcune proprietà aritmetiche ecc.). (1) Aggruppamento x°! significa la totalità delle corrispondenze che dipendono da i corrispondenze fra loro indipendenti. — 435 — Ed in particolare, supposto V7* coincidente con U—, otteniamo che i_ carattere K della corrispondenza U è espresso dalla forma quadratica Lecp K= di A; Ax ik - ik Se allora consideriamo in Sp_1 la quadrica di equazione leeep ce= Di WpyXiXtk=0, ik la (11) dice che due corrispondenze anticoniugate hanno per immagine due punti coniugati rispetto ad essa. Da ciò segue che /a quadrica K=0 non può essere specializzata. Ed invero, se fosse tale, poichè la sua equazione è a coefficienti interi, il suo spazio doppio dovrebbe essere razionale (n. 7); ma allora, indicando con U una corrispondenza avente l’immagine contenuta in tale spazio, e con V una corrispondenza qualsiasi, le UV sarebbero anticoniugate, e quindi U=V sarebbero coniugate. Seguirebbe che l’immagine di U sarebbe un punto doppio della quadrica Q= 0. 11. Nel sistema di corrispondenze esistenti sulla curva C associamo ad ogni corrispondenza T la sua inversa T-: poichè l’inversa di ogni corri- spondenza dipendente da T dipende da T-, fra i punti razionali dello spazio Sp-1 si viene con ciò a stabilire una corrispondenza biunivoca in- volutoria J, che è facile caratterizzare. Siano infatti P_e P' le immagini di T e di T*, e si consideri l'iperpiano 77 polare di P rispetto alla qua- drica £= 0. Poichè ogni corrispondenza avente l’immagine contenuta in 7 è coniugata di T e quindi anticoniugata di T-, si deduce che il punto P' è il polo di 77 rispetto alla quadrica K= 0. Dunque: Za J è l’omografia prodotto delle due polarità rispetto alle quadriche ®2=0 e K=0. Dal fatto che l'omografia J è involutoria, segue che le polarità su dette dovranno essere permutabili; inoltre al fascio (2. K) apparterranno due sole quadriche specializzate i cui spazî doppî Sp,-1; Sp:-1 (ln + wo= #) saranno gli spazî fondamentali per la J. Vediamo ora quali sono le quadriche specializzate del fascio (2, K). Si osservi, perciò, che le corrispondenze aventi per immagini punti uniti dell'omografia J devono essere dipendenti dalle loro inverse, e quindi ad esse equivalenti o residue. Allora, poichè le corrispondenze T-+ TT" e T_—T" sono l'una equivalente, l'altra residua della sua inversa, sì deduce che le loro immagini sono i punti M N in cui la congiungente PP' incontra gli spazî fondamentali Sui Sp,-1° queste intersezioni dovranno perciò essere punti razionali. Ma abbiamo visto (n. 6) che per la prima i caratteri 2 K hanno uguali valori, per la seconda hanno valori contrarî; dunque M RenpIiconTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 59 — 436 — appartiene alla quadrica 2—K—=0 ed N alla quadrica 24-K=0. E sic- come i punti raszonalî M,N non possono appartenere alla quartica base del fascio (2, K), perchè £=0 non contiene alcun punto reale, si deduce che 2 —K=0 ed 2+-K=0 sowno le quadriche specializzate del fascio che hanno per spazi doppi Su,-1 ed Spr - Di qui discende che Sy,-1 ed Su,-1, come spazî doppî di quadriche a coefficienti interi, sono razionali (n. 7); e che le corrispondenze le cui immagini sono contenute nel primo, avendo uguali i caratteri 2 e K, sono equivalenti alle loro inverse, mentre quelle che hanno le immagini nel se- condo sono residue delle loro inverse. Si possono allora assegnare due semplici significati ai numeri wi e ts. Indicando con 4, % le caratteristiche dei determinanti |@;x — @;x| ed |0x-+ @;x|, sarà manifestamente u, =u—A,u,=u—%; e poichè è wu + us=w, si deduce u=%,g»=h. Dunque: Ze caratteristiche dei determinanti Gut Oa||0x — dx| indicano quante sono le corrispondenze indipendenti che sono rispettivamente equivalenti o residue delle loro inverse. Osservazione 18 — Una corrispondenza simmetrica (coincidente con la sua inversa) ha l’immagine contenuta in Su,-1- Reciprocamente, fra le infinite corrispondenze aventi per immagine un punto M di Su,-1, ne esi- stono delle simmetriche: abbiamo infatti visto che se T è una qualsiasi corrispondenza la cui immagine è nello spazio razionale Sy, =(MSw;-1), la corrispondenza simmetrica T + T-! ha per immagine il punto M. Da ciò segue che w, rappresenta il numero base delle carrispondenze simmetriche. OssERVaZIoNE 2%. — Il punto O, immagine dell’identità e di ogni corrispondenza a valenza, è situato in Sy,-1. Applicando allora allo spazio razionale Su, = (O0Su,-1) la considerazione precedente, si giunge alla pro- prietà: Ze corrispondenze indipendenti che aggiunte alle loro inverse dànno origine a corrispondenze dotate di valenza, sono in numero di up» +1. OssERVAZIONE 3. — Il caso wu, =1, in cui la J è un'omologia armo- nica col centro in O, dà la proprietà: Se /e corrispondenze simmetriche di una curva sono tuite a valenza, ogni corrispondenza in cui il numero dei punti uniti uguaglia la somma degli indici è residua della inversa; e reciprocamente. Ciò vale in particolare per le curve ellittiche (singolari), in cui la J è un’involuzione ordinaria sopra una retta (Severi). Matematica. — Sulle varietà di Jacobi. Nota II di RuGGIERO ToRELLI, presentata dal Socio E. BERTINI. In questa Nota espongo dapprima alcune osservazioni sulle varietà di Jacobi, strettamente connesse a due miei lavori precedenti (*). Assegno poi una formula sulle curve tracciate entro una varietà di Jacobi a moduli ge- nerali (*). $ 1. — Osservazioni sulle varietà di Jacobi. 1. Data in una varietà Picardiana V, una curva C di genere > 1, applicando ad essa tutte le trasformazioni di 1° specie di V,, si ha un si- stema co? di curve C, tale che da ogni punto di V, ne escono co'. Questo sistema di curve può essere transitivo ovvero ripartirsi in oo? sistemi co* transitivi, situati su varietà Picardiane V; di una congruenza di indice 1: nel primo caso le C appartengono a V,; nel secondo appartengono alle dette V; (cfr. M, n. 6). Orbene, la prima osservazinne che vogliamo fare è questa: si possono distinguere i due casi a seconda del comportamento che presentano le C uscenti da un punto. Si ha cioè il seguente criterio: I. Se, preso un punto P_di V,, il cono K delle tangenti alle C uscenti da P_ appartiene allo spazio Sy tangente in P_a Vp, lo stesso avviene în ogni altro punto, e le C appartengono a V,. Se invece K appartiene a uno spazio Sì con î, di cui si parlava poco fa, è bir. identica alle varietà W,_», concludiamo che se V, possiede una congruenza di indice 1 di varietà Picardiane V;(£ 1, le Vi segano la wp-s in varietà V;_s che, com'è facile vedere, non possono essere mul- tiple; ne segue adunque: II. Se V, possiede una congruenza d’indice 1 di varietà Picardiane Vi, la wp_s (non può essere contenuta in una Vi se i =p— e) non può appartenere alla congruenza se 11 (quel punto, se i=1), e non uno spazio più ampio. 6) Abbiam detto che la wyp_s è imagine delle 9g, speciali. Precisa- mente: preso un suo punto generico P, e detti Sp, Sp_s gli spazi tangenti in esso alla V, e alla wp_», esistono p varietà W,_, di X tangenti in P (1) Si può anche dimostrare per via algebrica la proprietà in questione, osservando che se una varietà V possiede una congruenza di indice 1 di varietà aventi il sistema canonico di ordine zero, il sistema canonico di V, se esiste ed è di ordine > 0, è com- posto colla congruenza; e ricordando la costruzione che il Severi dà, sulla curva Cp, del sistema canonico di una Wp_p (questi Rendiconti, vol. XX, pag. 541). Da tal costru- zione infatti, mediante una formula del Comessatti (Atti Istituto Veneto, tom. LXIX), facilmente si trae che il sistema canonico di una Wp-p ha il grado effettivo > 0. — 439 — ad un qualunque Sp_, del fascio (Sp, Spe); questa p-pla di varietà di X è l’imagine di un gruppo della 9) rappresentata da P. Così: III. Aî gruppi della 9) rappresentata da P sono associati proietti- vamente gli Spr del fascio (Sp, Spe). Una curva y uscente da P, e non tangente ivi alla wp_>, è immagine di una serie P°* d'ordine p di Cp, la quale si scinde nella gh rappresentata da P, e in un'altra serie. Quest'ul- tima ha a comune colla detta gp il gruppo associato all'Sp_, individuato dallo spazio Sp. e dalla tangente in P_a y. 8. Data nella varietà Jacobiana V, una curva y di genere > 1, appli- chiamo ad essa tutte le trasformazioni di 1* specie che portano un punto qualunque di y in un punto P fissato genericamente sulla wp_s. Otterremo così co! curve y uscenti da P; ognuna di esse è imagine di una serie di ordine p di C,, la quale si decompone nella 9, rappresentata da P e in un'altra serie y), avente un gruppo Y° a comune colla detta g,. Ora doman- diamoci: il gruppo Y° varia al variare della y? Si vede subito che la ri- sposta è affermativa, e cioè IV. Dato un qualunque gruppo della gh, esistono sempre serie yi} che lo contengono. E infatti, detti al solito Sp, Sp_» gli spazî tangenti in P alle varietà Vp,wp-2; @ detto K il cono costituito dalle tangenti in P alle y, un Sp_i variabile del fascio (Sp, Sp_s) sega K in generatrici che non possono essere tutte fisse (contenute cioè in Sp_e): ciò per la proprietà I, se y appartiene a V,; per la II, se y appartiene a una varietà Picardiana meno ampia. Allora dalla proprietà III segue subito la verità dell’asserto (?). $ 2. — Sulle curve tracciate entro una varietà Jacobiana a moduli generali. 4. Fra due curve sovrapposte C,,C, abbiasi una corrispondenza T di indici @, 8. Il gruppo dei # punti di C, omologhi di un punto variabile di C, descrive una serie yg biraz. identica a una certa involuzione, d'ordine eZ1, di O, (*); l'indice di y} vale = () In questa involuzione sono coniugati due punti se, e solo se, hanno in T uno stesso gruppo di gruppi omologhi. Se T ha valenza y#= 0, è certo e= 1: com'è facile vedere. (*) La proprietà in questione è applicata in N, al n. 5. Avverto che in N, a pag. 101, rigo 13° dal basso, bisogna dire così: Esistono co! serie vi specializzate di 2}, ciascuna delle quali contiene un gruppo della 9% individuata dalla detta p-pla; prendiamone una, X . . e - op . Yp » contenente appunto la detta p-pla; siano Ax A... An i suoi punti fissi; ecc. — 440 — Chiamando omologhi due punti quando sono contenuti in uno stesso gruppo della Y» si ba su C, una corrispondenza simmetrica ©, di indici -(e_ 1). Orbene, è facile vedere che se T ha Za valenza y, ® ha la va- y° . Ne segue che (04 lenza Se T ha la valenza y, essa possiede, su Cp, 2a(B4p—1)— 2y°p punti di diramazione. OsseRvazionE. — La molteplicità di un punto di diramazione di Cp è data dal numero dei punti doppi contenuti nel corrispondente gruppo della 7}. Supponiamo, per es., che tra i gruppi della yg passanti per un certo punto P' di C,, ve ne sian due coincidenti in uno G', e che per G' il punto P' sia doppio Allora P' conta per due punti doppi della serie rh: e quindi ogni punto di C, avente G' come gruppo di punti omologhi in T è un punto di diramazione doppio per T. 5. Sopra una curva C, abbiasi una serie y, [vr], priva di punti mul- tipli variabili. Chiamando omologhi due punti allorquando sono contenuti in uno stesso gruppo di y,, si ha una corrispondenza simmetrica T di in- dici (n — 1): se questa ha valenza y, diremo che la serie y}, è a valenza y. Di una serie y}[v7r:] a valenza si possono subito notare due proprietà: A) La valenza y non può superare l'indice v; e posto y=v — , sti ha 3 = wp(o = 0). Ciò risulta subito dal confronto delle due espressioni 2on4p_—-1)— 22, 2on--1)+ 2yp che dànno entrambe il numero dei punti doppî di y}: l'una, in virtù di una nota formula di Schubert; l'altra, in virtù del principio di corrispondenza di Cayley-Brill. B) Se @>Q0, nessun integrale di 1° specie di C, può dare somma costante lungo i gruppi di y}; quindi deve essere mr =p, e yi, non può essere composta con una involuzione (irrazionale). 6. Sopra una curva C, abbiasi una serie y}[r77z] a valenza v — ©, dotata di punti doppi e di diramazione in numero finito; e siano anche in numero finito 7 le coppie di punti comuni a due gruppi di essa serie. Pro- poniamoci di calcolare il numero #. Per questo, consideriamo la corrispondenza simmetrica T nella quale sono omologhi due punti allorquando appartengono a uno stesso gruppo di y. Pel numero dei punti di diramazione di T troviamo due espressioni. L'una è, secondo il n. 4, 2vn-1)ba_-Dt+p_-1]—20— fp. — 441 — L'altra espressione si ha osservando che i punti di diramazione della cor- rispondenza T provengono: 1°) dai punti di diramazione della serie y}: ognuno di questi è punto di diramazione (2 — 1)-plo per T; 2°) dai gruppi di y}, dotati di punto doppio: i rimanenti 2 — 2 punti di un tal gruppo sono punti di diramazione semplici per T; 3°) dalle 2 coppie di punti comuni a due gruppi della y}: ogni punto di una tal coppia è punto di diramazione doppio per T (ved. n. 4, Osserv.). Troviamo così pel numero dei punti di diramazione di T anche l’espres- sione (2—-1)[2(r4a—-1)— 20p]+ + (n—-2)[2v(24+p—1)— 200] +42. Paragonando le due espressioni trovate, si ha la formula (1) 2a +an_1l)x—(2—3)op+(r—@)p— pt +(a—-1)[(r—-1)+o(n-1)—r(—-1)]}=0. Mediante questa formula si potrebbe ad esempio ritrovare quella che dà il genere della serie costituita dalle coppie di punti omologhi in una corri- spondenza a valenza. 7. Si supponga ora che sia x = p, e che la serie data sia priva di gruppi speciali (*): talchè sarà v= wp (cfr. M, $ 1). La formula prece- dente diviene allora (2) AREE MODICO OD Possiamo così enunciare il seguente teorema: Entro la varietà Jacobiana V, di una curva C, priva di corrispon- denze simmetriche singolari, sì abbia una curva y di genere nr, non ap- poggiata alla w,_> îmagine delle gp speciali, nè appartenente all'inviluppo delle Wp_, imagini dei punti di Cp. Se v è il numero dei punti in cui y incontra le Wp_, e x il numero, supposto finito, delle varietà comuni a due di tali W,_, e che bisecano la y, tra i caratteri nominati inter- cede la relazione (2). Sep=2, il numero « rappresenta il numero dei punti doppi della curva y. Tenendo poi presente che il numero base di V, vale 1 (Severi), facilmente si vede che il grado virtuale di y vale 4 »°; e la (2) si riduce allora ad esprimere che il carattere d’immersione di y è nullo. (3) Quindi di punti fissi: cfr. N, n. 1. Parlando di serie di un dato ordine, si sot- tintende, salvo avviso contrario, che non abbia punti fissi. — 442 — Fisica. — Za costante dieleitrica dell'azoto ad alte pres- sioni. Nota di E. BopAREU, presentata dal Corrisp. A. BATTELLI. Fisica. — La costante dielettrica dell'idrogeno ad alte pres- stoni. Nota di A.OccHIALINI, presentata dal Corrisp. A. BATTELLI. Queste Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Chimica. — Solfati anidri (CASO, con Li, SO, , Na, SO, , K, S0,) Nota VII (*) (seguito) di G. CaLcAGNI e D. MAROTTA (°), presentata dal Socio E. PATERNÒ (°). Sistema Cd SO, - K, S0,. I) | I risultati sono raccolti nella tabella III e nel diagramma fig. 3. Rasoi Questo sistema, per quanto più semplice del precedente, ha offerto. no- tevoli difficoltà nell'interpretazione dei fenomeni presentatisi e nella descri- zione delle curve. (') V. questi Rendiconti pag. 373. | (2) Lavoro eseguito nel Laboratorio chimico. della sanità, di Roma. (8) Pervenuta all'Accademia il 23 settembre 1913. — 443 — TABELLA III. © È a : A Sg Sol sd|sau|535|32 533 ea Ses S| iS fisla®2|3358 Cisssl Si Ei Gaiis 2, Gezi Pegi I Te dd ES Ha HA 100 o | 10000] 0 106601 MN a du a 590° 95 5 95,79 | 421) 1058 de SI — 5580 | 518 90 10 91,50 | = 850| 1034 BS 2 sE Da 528 85 15 ui ee ie da DE SE 0I528 80 20 82,75 | 1725| 988 Ba dia ai — 523 75 25 7820 | 2180) 945 ei pa Le di 523 ib ass | 75,00] 2500) 908) oe du Si 526 70 30 73,61 | 26,39| 908 a d zia 598 | 528 65 35 68,95 | 8105| 848 DE SE se 628 | 528 60 40 6420 | 35,80] 788 | 6400) — se SES REN5O8 55 45 soi3si Mo so Mis MMG53 | ee o È 508 52 48 56,44 | 43,56 ? 653; | Me a © 518 50 50 Bd 64554 653 | Se Da 528 48 52 BOLZI ATI SAN DGGRO d 2a sa 533 45 55 00 DEN A Si nu 529 42 58 4641 | 5859 |. 698 | 6598. © La di 523 40 60 UG E gie e — L me 538 35 65 99.17 | 60838] 758 | 648| — = De = 32 68 36,00 | 64,00| 768 1 2 sa 2 (E 0 o 39188 Gg. 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I miscugli successivi hanno tutti una sola e notevole fermata alla temp. di 763° oltre il punto di cristallizzazione ini- ziale. Questo fatto e le altre circostanze, che non comparisce più l’eutettico a 653° e che la massima fermata a 763° è data da miscugli intorno al com- posto 2CdSO,.K.S0, le cui percentuali dei componenti sono 29,48 °/ K:S0, e 70,52 °/ CdSO,, ci inducono ad ammettere che esso si formi al disotto di questa temperatura. Il suo campo d’esistenza limitato ha reso difficile la sua determinazione; ma sulla sua formazione si esclude ogni dubbio, ap- punto perchè le poche miscele ripetute più volte hanno costantemente dato gli stessi effetti termici. Come prova indiretta può servire la frequenza di questo tipo di composto, tipo Langbeinite, da noi in altri casi riscontrato e da Mallet preparato con molti metalli bivalenti. La sua formazione con- ferma ancora una volta l'analogia tra Cd e Mg. Dal punto D la curva sale fino in B, dove presenta un altro gomito alla temp. di 813° e alla concentrazione di 22°/, K,S0,. I miscugli successivi fino al CASO, puro, che hanno i primi punti di cristallizzazione sull’ ultimo tratto rettilineo AB, presentano soltanto un notevolissimo punto di fermata a 813°. È vero che si è nelle vicinanze del punto di trasformazione di CdSO,, ma l'effetto termico è troppo forte, perchè si possa confondere con esso; inoltre alcuni miscugli K SO, come per es. il 32°/,, a questa tem- peratura subiscono perfino un sopraraffreddamento. Le curve di raffredda- mento, d’altra parte, che non presentano più il punto di fermata a 763° nè altro fenomeno, scendono in modo molto regolare; è quindi evidente che debba svolgersi una reazione più complessa. Poichè la massima fermata la presenta proprio la massa fusa con 32 °/, K.SO,, si deve concludere che si formi il composto 3 Cd SO, . K,50,. Com- posti di questo tipo con K,SO, finora, pare non siano stati preparati, e per questa circostanza si sarebbe desiderato anche da noi una conferma della sua formazione con un esame microscopico; ma la mancanza di mezzi per eseguirlo ce lo ha impedito. In ogni modo, per via termica la sua esi- stenza è indiscutibile. Come prova indiretta può servire l’esistenza di com- posti identici con Na, SO, e la considerazione che il rapporto tra i compo- nenti è poco diverso da quello della Langbeinite. I miscugli con 5°/ e 10° KsS0, non hanno presentati effetti termici molto regolari; ma questo si deve ad una loro parziale decomposizione du- rante il riscaldamento. — 445 — Per proseguire la descrizione del diagramma, lungo la KIL si decom- pongono le soluzioni solide e al disotto di MN si trova la modificazione f di K,S0,. Da quanto precede il diagramma risulta così diviso: a) campo d'esistenza della fase liquida omogenea; ») campo d’equilibrio tra fase liquida omogenea e CdSO, primario; c) campo d'equilibrio tra fase liquida omogenea e soluzioni solide €; d) campo d’equilibrio tra fase liquida omogenea e il composto 3 CASO, . Ka504; e) campo d’ equilibrio tra fase liquida omogenea e il composto 2 CASO, . K3 S0; f) campo di contemporanea esistenza di 3 Cd SO, . K.S0, e p-Cd SO, solidi; 9) campo di contemporanea esistenza di 3 CA SO, . KS0, e 2 Cd SO, . K:S0,; h) campo d’equilibrio tra soluzioni solide e e 2 CASO, . K3$0,; î) campo d'’esistenza dei composti e dei componenti nelle modifi- cazioni f. X) campo d’equilibrio tra soluzione solida e e 8-K»80,; Concludendo: CdSO, con Li, S0, non forma nessun composto; con Na, SO, forma tre composti, come MgS0,: 3 Cad SO, . Na, SO, , Cd SO,. Na,S0,, CASO,..3Na,SO, finora sconosciuti; con K,S0, forma due com- posti, anch'essi finora sconosciuti: 3CdSO, . K,S0, e 2CdSO, . K:S0,. Chimica. — Composti del nichel monovalente. Nota di I. BeL- Lucci e R. CoRELLI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica fisica. — Spettri di assorbimento di alcuni sali dell'uranio (*). Nota di ArRrIGo MazzuccHELLI e UGo PERRET, presentata dal Socio E. PATERNÒ. In continuazione di studî precedenti di uno di noi (*), abbiamo esami- nato gli spettri di assorbimento di alcuni sali dell'uranio, sia nella forma ‘uranilica, sia nella uranosa; e nella presente Nota riferiamo brevemente sui risultati ottenuti, mentre la Memoria completa, con diagrammi e fotografie degli spettri più importanti, comparirà nella Gazzetta chimica. (1) Nella presente Nota si deve a me il piano del lavoro e l'interpretazione dei risultati ottenuti; lo studente sig. Perret ha eseguito con mia piena soddisfazione la pre- parazione dei miscugli e la loro fotografia collo spettrografo Hilger. A. M. (3) Rend. Acc. Lincei, XXI, 2 (850-854). | — 446 — Per quanto concerne la tecnica adoperata, rimandiamo alla prima Nota il su questo argomento, limitandoci a osservare che anche in questo caso sì è potuta studiare la sola parte visibile dello spettro; per la fotografia del- l'ultravioletto, che in questi ultimi anni ha fornito tanti risultati interessanti, non erano a nostra disposizione ì mezzi necessarî. Si sono fatte anzitutto alcune osservazioni spettrografiche relativamente alla formazione di composti di addizione fra urea e nitrato di uranile, di cul già ci sì occupò nel precedente lavoro (*). In soluzione diluita pare che mol. | 20. pi stesso spettro sia in assenza, sia in presenza di urea: in soluzione concen- Mil! trata però le cose vanno diversamente. L'aggiunta del 80 °/ di urea a una || soluzione al 40°/ p. di nitrato uranile Kahlbaum ne fa virare il tono del giallo dal citrino al dorato, e lo spettro pure si mostra diverso. Potendo supporsi che tale azione sia dovuta alle, sia pur deboli, proprietà basiche sl dell’urea, sì è comparativamente esaminato lo spettro della stessa soluzione al 40°/, di nitrato, che conteneva circa 1°/ di NH; (la cui soluzione si era aggiunta sino a intorbidamento incipiente): anche qui il colore vira al giallo vivo. Gli spettri di assorbimento delle tre soluzioni hanno il medesimo | aspetto generale; una banda stretta nella parte meno rifrangibile, e una, più I | dilatata, verso il violetto. Ma nel caso del nitrato puro, i loro centri si trovano “ \| rispettivamente alle lunghezze di onda 487 e 468,4; nella soluzione con urea sono a 497,5 e 475; in quella con ammoniaca, a 492 e 471. Come si | vede, l’urea ha alterato la posizione delle bande di assorbimento assai più dell'ammoniaca, mentre, se avesse agito come base, ci si sarebbe dovuto atten- dere l'opposto. È dunque assai più verosimile che nella soluzione concentrata esista un prodotto di addizione, e aggiungiamo che questa conclusione è con- Het fermata da esperienze sulla ripartizione del nitrato uranilico fra acqua e C.ili alcool amilico, che saran rese note fra poco. non esista alcun composto, perchè una soluzione di nitrato presenta lo Con altre osservazioni si è raccolto nuovo materiale per la questione iL; già accennata nel precedente lavoro, se i sali uranilici siano capaci di addi- i zionare ammine. Si è studiato con maggiori dettagli il caso del malato uranilico, che dà uno spettro abbastanza ricco di righe osservabili col nostro mol. ) gi LR apparecchio. In una soluzione STO) (da un miscuglio di cloruro uranilico e malato potassico) si osserva una banda sottile col centro verso 505, una più larga, col centro a 487, e un'ultima mal distinta, perchè vicina all'assorbi- mento generale, col centro verso 471. A questa soluzione si aggiunse poi potassa, ammoniaca, piridina, anilina, sino a intorbidamento incipiente nel | primo caso, in eccesso negli altri: i liquidi filtrati (che si mantengono solo (*) loc. cit., pag. 622. E n — 447 — per qualche ora, e poi dànno un precipitato più o meno abbondante) dànno spettri che sono praticamente identici per la posizione delle bande, mentre le piccole differenze che possono osservarsi nel contorno dei loro orli non superano quelle che si hanno ripetendo la fotografia di una stessa soluzione. Al posto delle tre bande è sottentrata in ogni caso una banda unica, il cui centro si trova fra 492 e 491, mentre l'assorbimento della parte più rifran- gibile si è un po’ esteso. Tale somiglianza ci autorizza a concludere che l’uranile faccia parte, in ogni caso, dello stesso gruppo, cioè l'anione uranilo- malico studiato chimicamente e polarimetricamente dall’Itzig, e che le am- mine, come la potassa, agiscano solo per la loro funzione basica, escluden- dosi così la formazione di particolari complessi. Per quanto poi riguarda, in generale, le relazioni fra costituzione e spettro di assorbimento, è assai degno di nota il fatto (confermato, come vedremo, negli altri casi) che, mentre nelle soluzioni dove l’uranile funziona da catione gli spettri di assorbimento sono assai ricchi di bande, ne sono assai povere quelle ove esso ha una fun- zione anormale, facendo parte dell anione. Nel caso di questo malato si è voluto vedere se si manteneva la rego- larità osservata da Bolton e Marton, che cioè l'aggiunta dell'acido libero con- ferisce maggiore nettezza alle bande; ma invece lo spettro del miscuglio di una molecola di malato uranilico con sei di ac. malico presenta un aspetto più sfumato. Questi risultati han servito di norma per lo studio degli altri sali, dove sì è cercato soprattutto di riconoscere la variazione dello spettro coll'alcalità del liquido, mentre si è usata, volta per volta, la base che appariva più 4 HA e ; mol. conveniente. Anche questi sali furono ottenuti in soluzione 10 PI doppia decomposizione fra cloruro uranilico e sale alcalino, e addizionati poi di base sino a intorbidamento incipiente: la quantità necessaria varia un po' da volta a volta, ma corrisponde all'incirca a un equivalente di base per un atomo di uranio. Il tartrato uranilico dà uno spettro di tre bande: una, sottile, col vertice a 505; una, più sfumata, col vertice, difficile a precisare, verso 485, e una terza, che si intravvede appena sull'orlo dell'assorbimento generale, col vertice verso 471. Questi numeri, come si vede, sono praticamente identici a quelli che dà il malato, e ciò va d'accordo colla grande analogia di costituzione fra questi sali. L'aggiunta di potassa determina però nello spettro in que- stione una variazione che concorda solo qualitativamente con quella osservata nel malato: le tre bande, cioè, divengono solo assai più sfumate e difficili a identificare, ma non scompaiono, e i loro centri possono localizzarsì a 512, 494, 475: di queste, la mediana è la più intensa, e per la sua posizione corrisponde all'unica che può osservarsi nel malato. — 448 — Lo spettro del citrato uranilico presenta due bande: una abbastanza stretta, che comparisce sino dagli spessori minimi, col vertice a 495; l'altra più larga e sfumata, col vertice intorno a 477. L'aggiunta di potassa (in questo caso, in quantità equivalente all'uranio) determina la scomparsa quasi completa delle bande, solo riuscendosi a intravederne una nella parte mediana dello spettro, verso 492 (?). Lo spettro del lattato, nel quale è assai sviluppato l'assorbimento ge- nerale, oltre che dell’estremità violetta, anche della rossa dello spettro, per la quale invece la maggioranza dei sali uranilici è abbastanza trasparente, mostra una banda debole, col centro intorno a 489, e una più larga e meglio definita, col centro a 475. Per aggiunta di alcali, aumenta assai l'assorbimento generale ai due estremi, mentre sono scomparse le due bande. Il chinato uranilico mostra nel suo spettro una sola banda di assorbi- mento, col vertice intorno a 494. Per aggiunta di anilina (preferita alla po- tassa perchè questa, anche in piccola quantità. determinava dopo breve tempo un precipitato), scompare anche questa banda, e sì ha uno spettro continuo. Come risulta da studî eseguiti in questo laboratorio, e che presto sa- ranno resì noti, i sali uranilici dei tre acidi ossibenzoicì, per i loro anormali caratteri di solubilità, mostrano di essere internamente complessi. Questo risulta anche dai caratteri ottici: la soluzione del salicilato è di un bel rosso vivo, e rossastra è pure quella del paraossibenzoato, solo l' m-ossibenzoato presentando all'incirca il giallo consueto dei sali uranilici, mentre all'esame spettrografico le bande caratteristiche sono così indebolite che si possono appena intravvedere. Nei suoi interessanti studî, H.C. Jones ha mostrato che, col graduale trasformarsi dello spettro di assorbimento, si può seguire l'ossidazione dei sali uranosi in uranilici. Abbiamo voluto vedere se, allo stesso modo, si poteva facilmente seguire la doppia decomposizione fra un sale uranilico e un sale alcalino, e se ne sono scelti gli anioni in modo da dare in ogni caso un sale uranilico poco o anormalmente jonizzato, e dotato quindi di spettro possi- bilmente caratteristico. Si sono così esaminati gli spettri di assorbimento dei miscugli di solfato uranilico Kahlbaum con i, ; della quantità equi- valente di malato potassico. Il miscuglio con 1 di malato presenta una banda abbastanza stretta e non molto intensa, col vertice ‘a 490, una più larga e più forte a 472, mentre una terza si intravede sul limite dell’assor- bimento completo, e può grossolanamente localizzarsi verso 440. Il miscuglio con ; di malato dà uno spettro praticamente identico al precedente, mentre quello con ° se ne differenzia per la posizione delle tre bande, che hanno il — 449 — centro rispettivamente a 505, 487, 471. Se ricordiamo che lo spettro del solfato uranilico, secondo Deussen ('), presenta bande a 488.5, 472.5, 456, 441, e quello del malato, come risulta dalla presente Nota, a 505, 485, 471, ne deduciamo che questo metodo ottico, almeno col dispositivo usuale, non sembra prestarsi a determinazioni molto esatte, in quanto che si riesce ad osservare solo l’uno spettro, o l'altro, sfuggendo le sfumature intermedie (*). 2 Dal fatto, poi, che anche col miscuglio a 1 prevale lo spettro del solfato, e 92 solo coi 7 comparisce quello del malato, si può qualitativamente dedurre che l'affinità fra uranile e malatojone è dello stesso ordine di quella col sol- fatojone. Analoghe osservazioni si fecero con miscugli di solfato uranilico e tar- trato potassico, nelle stesse tre proporzioni. Il primo miscuglio presenta due bande abbastanza ben detinite, coi vertici a 490 e 472, e due, meno definite, e sfumate verso il violetto, coi vertici a 456 e 444. Il secondo miscuglio presenta solo le tre bande a 490, 472, 456, mentre il terzo miscuglio mostra ancora tre bande, ma coi vertici a 505, 486, 471, ossia identiche a quelle del tartrato. Il comportamento è dunque uguale a quello del malato, a meno di dettagli secondarî (come p. es. il mantenersi, nei miscugli col tartrato, della banda a 456, propria del solfato, la quale invece nel caso del malato è irriconoscibile fin da principio), onde le conclusioni tratte allora ne risul- tano confermate. Sono pure stati fotografati molti spettri di sali organici dell'uranio letravalente, ottenuti mescolando una soluzione di cloruro uranoso col corri- spondente sale alcalino, in soluzione diluita (per lo più mo); e per ab- breviarne la descrizione, riassumiamo qui il loro carattere generale. Nella parte visibile, questi spettri di assorbimento mostrano: A: un gruppo di due o tre bande, sempre definite, a volte nettissime, fra le Z 680 a 650 circa. B: una banda, per lo più mal definita, che può anche mancare, fra 610 e 587. ‘C: una banda, che col diminuire degli spessori si riduce a una striscia sottile, e che si espande soprattutto verso il violetto, col vertice a 560-540. D: una banda larga, e sempre mal definita, dove può identificarsi un vertice verso 500 e, nei casi più favorevoli, un altro secondario, a 490. (1) Kayser, Spektroskopie, III, 424. (*) Osservazioni spettrofotometriche, colle quali l'assorbimento può valutarsi quanti- tativamente. darebbero forse migliori risultati. — 450 — E: infine, nel più dei casi, una banda larga e mal distinta, col vertice verso 440, sebbene in alcuni casi, invece di essa, si possano osservare (F) due bande, coi vertici al di là e al di qua di 440. Hcco ora la descrizione dei singoli spettri: Malato uranoso. — Gruppo A: due bande, 684, più sottile, e 662, più larga; B= 605; C= 556; D, un vertice verso 499; E= 441 circa. Malato uranoso + ac. matico libero. — L'aggiunta di acido ha avuto per effetto di rendere in generale le bande più sfumate, facendo addirittura scomparire le più mal sicure. Si osserva così: A = 678 e 666; C—=556; D= 499. Tartrato uranoso. — A= 676, sottile, e 668, più larga; B = 608; C= 556; D=un vertice verso 501; E = 441, circa. Chinato uranoso. — Il suo spettro è notevole per Ja ricchezza e net- tezza delle bande nella regione rossa. Si ha: A = 684, 671, assai sottile, 655, 639; B= 601; C= 542; D, un vertice a 499; F = 473 e 427 appena accennate. Chinato uranoso con eccesso di chinato potassico. — L'aggiunta ha avuto anche qui per effetto una diminuizione della trasparenza. Si ha: A = 687, 671, sottilissima, 604, 636; B= 591, meglio definita che non nel sale puro; C= 542; D= 497; mentre più oltre si manifesta l'assorbimento generale che non permette di stabilire se esistano altre bande nella parte più rifrangibile. Citrato uranoso. — A = 678, 662, più larga, 658; B manca; C= 555; D, un vertice mal definito a 497; E = 437, incerta. Lattato uranoso. — A= 671, finissima, 664, abbastanza larga, 649, sottile; B manca; C = 550; D, relativamente netta, con due vertici a 501 e 484; E= 487. L'aggiunta di acido lattico libero a questa soluzione non ne fa variare molto l’aspetto generale, solo facendo scomparire una delle bande A, forse per fu- sione con un’altra, avendosi così le bande seguenti: A = 672, finissima, 659, abbastanza larga; B manca; C= 551; D, due vertici, uno a 503, e uno, assai poco netto, a 481; E= accenno di banda a 437. Glicolato uranoso. — A = 671,662, 649; B manca; C= 548; D, due vertici, verso 499 e 484; E= 437, circa. Ossalato uranoso. — A = 680, assai sottile, e 665; B = 601, mal de- finita; C—= 562; D, due vertici a 507 e 496; E= 439, circa. Uranotetraossalato potassico di Kohlschilter (*). — Questo sale si distingue, oltre che per la sua colorazione intensissima, per la nettezza delle sue bande, che si espandono poco anche per una grande variazione nello spessore dello strato attraversato, onde si dovette farne più fotografie, a di- (1) Ber., 34, 1901 (3630) — 451 — luizione sempre crescente, per poter avere una completa idea del suo spettro di assorbimento. Dalla fotografia della soluzione più concentrata, più che la posizione delle bande si potè dedurre la posizione dei massimi di trasparenza, che, entro i limiti dello spettro fotografabile col nostro dispositivo, sarebbero verso: 723; 716; 585; 531; 456; 417 (dove è notevole la trasparenza nel- l'estremo violetto), mentre dalle altre soluzioni si deducono le bande: A = 679, sottile, e 663; B manca; C= 560; D, due vertici, uno più netto a 508, e uno, assai indeciso, fra 484 e 473; E= 437, circa. Uranomalonato potassico. — A = 672, media larghezza, 684, sottilis- sima, 627, abbastanza larga; B= 587, qui abbastanza distinta, a differenza del più dei casi; C=545; a partire da questa zona l'assorbimento generale sì fa sempre più completo, sicchè a fatica si intravvedono le bande D (verso. 500) ed E (verso 437). Chimica. — Sulla trasformazione del dibenzaldifenilidrote- irazone nel deidrobenzalfenilidrazone e nel benzilosazone. Nota di R. Crusa e B. ToscHI, presentata dal Socio E. CIAMICIAN. Chimica. — Aicerche intorno a sostanze aromatiche contenenti todio plurivalente. Nota VIII di L. MascARELLI e G. BRUSA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Chimica. — £zcerche intorno a sostanze aromatiche conte- nenti iodio plurivalente. Nota IX di L. MascaRELLI e M. NEGRI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. | Chimica-fisica. — Velocità di reazione nelle trasformazioni fototropiche. Nota di M. PapoA e TERESA MINGANTI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Chimica. — Su alcuni palladonitriti di metalli bivalenti fis- sati per mezzo di basi organiche. Nota di G. ScA@LIARINI e G. B. Rossi, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. RenpIconTI, 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 61 — 452 — Chimica. — Sali doppi tra alogenuri e nitrato di argento (1). Nota di G. ScARrPA, presentata dai Socio: G. CIAMICIAN (è). Il comportamento che gli alogenuri dei metalli monovalenti mostrano ad alta temperatura verso ì corrispondenti nitrati è stato, fino ad oggi, assai poco studiato. Le esperienze si limitano a quelle di Nan Eyk (*), che prese .in esame il sistema: TINO; | TII; egli trovò che questi due sali dànno luogo a formazione di cristalli misti, con lacuna di miscibilità. Hellwig (4) studiò il comportamento, per via umida, degli alogenuri di argento nelle soluzioni del corrispondente nitrato. Le sue esperienze condus- sero a stabilire la formazione di due sali doppi ben definiti, AgI-2AgNO,;, AgI-AgNO;, tra ioduro e nitrato; di un sale doppio pure ben definito , AgBr- AgNOz, tra bromuro e nitrato, e la mancanza di formazione di com- plessi tra cloruro e nitrato di argento. Ho voluto vedere, per mezzo dell’analisi termica, se questo stesso com - portamento si verifichi anche ad alta temperatura. Vennero perciò esperimentate le seguenti tre coppie di sali: AgNO:-+ Ag C1; AgNO;+AgBr; AgNO,.4+-AgI. Sarebbe stata mia intenzione di studiare pure il comportamento, verso il nitrato, del cianuro e del solfocianuro di argento; ma le miscele di questi sali, già a una temperatura inferiore a quella di fusione, si decompongono violentemente, esplodendo. La fusione delle mi- scele studiate venne fatta in provette di vetro infusibile, e assai lentamente, giacchè, riscaldandole bruscamente e al disopra del punto di fusione, si ha una leggera scomposizione del nitrato di argento. Per vedere se questa scomposizione fosse, tale da alterare la composi- zione iniziale delle miscele, venne determinato, per ogni sistema, il conte- nuto in Ag NO; nella massa solidificata di miscele la composizione delle quali giaceva in varie parti del diagramma. Le analisi dimostrano che la decomposizione è assai piccola! e arriva al massimo al 2°/, cosicchè non ho creduto necessario di riportare queste correzioni nei diagrammi. Per la misura delle temperature servirono un termoelemento Pt — Pt + Rh e un galvanometro Siemens ed Halske. (1) Layoro eseguito nell'Istituto di Chimica Generale della R. Università di Padova, diretto dal prof. G. Bruni. () Pervenuta all'Accademia il 18 ottobre 1913. (®) Van Eyk, Kon. Akad. d. Wetensch. Amsterdam (Proc.) 2, 98 (1901) (4) Karl. Hellwig, Zeitschr. f. Anorg. Chem., 25, 157, (1900). — 453 — A cagione poi della grande tendenza, che hanno i sali di argento, a dare forti sopraraffreddamenti, era necessario, specie a temperatura bassa, di agi- tare la massa per poter così cogliere con maggior precisione i punti di soli- dificazione delle varie miscele. Nonostante queste precauzioni, alcune miscele, e specialmente quelle intermedie del sistema AgNO; + AgI, solidificano lentamente e subiscono sopraraffreddamenti così forti che, alle volte, la massa solidifica apparentemente vetrosa. I sali adoperati furono tutti da me preparati in laboratorio partendo dall’argento metallico, ed alla fusione si mostrarono assai puri. Il peso delle varie miscele dei sali fu sempre di dieci grammi. Sistema AgNO; + Ag Cl. ]l punto di fusione del nitrato di argento risultò a 210°, in buon accordo con quello dato da H. J. Hissink (*) e da Van Eyk (*) (209°), da Zawidzky (5) (204,6°), e da A. Ussow (‘) (208°). Il punto di trasformazione di questo sale venne da me trovato a 155°: alquanto inferiore, quindi, a quello dato dai sopracitati autori (159-160°). Il cloruro di argento, secondo Zemezuzny (?) e Carnelley (°), fonde a 451°; secondo W. Botta ("), a 460°; dalle mie esperienze risultò a 454°, in ottimo accordo con quello dato da C. Sandonnini (*) (455°). Questi due sali non dànno luogo a formazione di aleun composto. I rami della curva di cristallizzazione primaria (vedi diagramma fig. 1) discendono dai punti di fusione di AgCl e di AgNO; e si tagliano in un punto eutettico a 160° e a circa 75 mol.°,, di nitrato di argento. Mentre sulle curve di raffreddamento l’arresto eutettico appare ancora evidente per le miscele assai ricche in AgCl, esso è assai debole e quasi scompare per la miscela a 90 mol. °/, di AgNO3. Si ha quindi formazione di cristalli misti, in limiti ristretti, dalla parte del nitrato di argento. Il punto di trasformazione di Ag NO;, che sì nota nelle curve di raffreddamento con forti arresti, viene notevolmente abbassato per aggiunta di piccole quan- tità di AgC1 fino a 85°, alla quale temperatura la trasformazione rimane costante per tutte le altre miscele. (1) H. J. Hissink, Zeitschr. f. ph. Chem., 22, 537 (1900). (*) Van Eyk. Zeitschr. f. ph. Chem., 20, 430 (1899). (*) Zawidzki, Zeitschr. f. ph. Chem., 47, 721 (1904). (4) A. Ussow, Zeitschr. f. anorg. Chem; 28, 419 (1904). (*) F. S. ZemeZuZny, Zeitschr. f. anorg. Chem; 57, 267 (1908). (8) Carnelley, Journ. Chem. Soc., 83, 273 (1878). (7?) W. Botta, Centralbl. f. Miner. u. Geol. u. Pal., 5, 188 (1911). (8) C. Sandonnini, R. Accad. dei Lincei, 27, 1°, 480. — 454 — La miscela eutettoide tra cloruro e nitrato di argento giace forse a 92 mol. °/, di AgNO3; ma dalle durate di arresto non si può dedurre con sicurezza la concentrazione precisa Come probabilmente a bassa, anche ad alta temperatura non si ha formazione di aleun composto tra i due sali (V. tabella 1, fig. 1). Sistema Ag NO3 — Ag Br. Il punto di fusione del bromuro di argento da me ottenuto è a 420°, in buon accordo con quello dato da Minkemeyer (1) (422°), da C. e Sandon- nini {") (419°). Come appare dal diagramma fig. 2, la curva di cristallizzazione primaria discende dal punto di fusione del bromuro di argento fino alla temperatura di circa 188°, dove si nota un evidente gomito; poi, per miscele più ricche in AgNO;, dapprima si abbassa sino a un punto eutettico a 75 mol. °/ di AgNO; e a 155°, e poi risale gradatamente al punto di fusione del ni- trato di argento puro. Le miscele da 0 a 55 mol. °/, di AgNO3 presentano tutte, oltre il primo, un secondo arresto alla temperatura di 188° gradi circa, il quale presenta un massimo di durata per la miscela a 50 mol. °/, di AgNO;. A questa concentrazione l'arresto eutettico a 155° scompare: si ha quindi la formazione di un composto decomponibile alla fusione e al quale spetta la formula AgNO; - Ag Br. Le curve di solidificazione delle miscele da 95 a 100 mol. °/, di AgNO; non presentano arresto eutettico, ma un intervallo di cristallizzazione dovuto alla soluzione, in limiti ristretti, di Ag Br in AgNO;. Il punto di trasformazione del nitrato di argento si abbassa fortemente per la miscela a 97.5 mol. °/, di AgNO; ; poi rimane costante per le altre miscele a una temperatura di circa 80°, sino a sparire in corrispondenza del composto. L'eutettoide tra Ag NO; - Ag Br e Ag NO; giace a 96 mol. °/, di AgNO:. (V. tabella 22, fig. 2). i Sistema AgNO; + Ag. I dati termici ottenuti in questo sistema sono raccolti nella tabella 3 e nel diagramma fig. 3. Il punto di fusione dell’ioduro di argento da me adoperato giaceva a 548°, e il punto di trasformazione a 140°. Questi due punti sono poco discosti da quelli trovati da Monkemeyer (*) (552° e 143°) e da Sandonnini (*) (546° e 142°); si discostano assai di più da quelli dati da Alph. Steger (°). (1) K. Monkemeyer, N. Jah. f. M. G. P., 22, Bb., 1, (1906). (3) C. Sandonnini, R. Accad. dei Lincei, 21, 2°, 197. (8) K. Monkemegyer, loc. cit. Ò {4) C. Sandonnini, R. Accad. dei Lincei, 27, 2°, 199. (5) Alph. Steger, Zeitschr. f. anorg. Chem., 38, 419 (1904). — 455 — Questi due sali dànno luogo alla formazione di un composto, ma, a dif- ferenza del sistema precedente, questo composto è stabile alla fusione. Dal punto di fusione dell’ ioduro di argento puro, la curva di cristal- lizzazione primaria discende rapidamente sino a un arresto eutettico alla temperatura di circa 80° e a 45 mol. °/ di AgNO;. Contemporaneamente il punto di trasformazione di AgI discende, per aggiunta di AgNO;, sino alla temperatura di 105°. Dal punto eutettico la curva di cristallizzazione primaria sale assai dolcemente, presentando un massimo assai piatto tra 50 e 60 mol. °/, di AgNO,. Per miscele più ricche in nitrato di argento, la curva di cristallizza- zione ridiscende a ‘un nuovo arresto eutettico di temperatura di pochissimo più bassa, da cui risale direttamente al punto di solidificazione del nitrato di argento puro. Le curve di raffreddamento delle miscele da 5 a 45 mol. °/, di AgNO; presentano, oltre l'arresto eutettico a 80°, un primo arresto a 105° circa, il quale corrisponde al sopradetto punto di trasformazione dell’ioduro di argento, abbassato per formazione di soluzioni solide del composto in AgI. Che le cose siano realmente così, vien dimostrato dal fatto che, mentre la durata dell'arresto a 105° diminuisce coll'aumentare, nelle miscele, del contenuto in AgNO;, quello a 80° va aumentando sempre, sino a che arriva ad un massimo per la miscela a 45 mol. °/, di AgNO3. Di più, durante l'arresto a 105° si può osservare un cambiamento di colore della massa da rosso-arancio in giallo, dovuto appunto alla trasfor- mazione dell’ioduro di argento dalla forma esagonale nella forma regolare. Le miscele da 50 a 60 mol. °/ di Ag NO; cristallizzano presso a poco a una medesima temperatura. Di queste miscele, però, solamente quella a 60 mol. °/, di AgNO; non ha arresto eutettico. Questa, con assai probabilità, è la concentrazione del composto, al quale quindi spetterebbe la formula 3AgNO; : 2AgI (V. tabella 3, g. 3). L'arresto eutettico a 85° sulle curve di raffreddamento, non si nota se non assai debole per la miscela a 5 mol.°/, di A€NO3, e scompare del tutto per la miscela a 2.5 mol. °/ di AgNO;; per questa miscela il punto di trasformazione di AgI si trova abbassato a 125°, e a 5 mol. °/, di AgNO; raggiunge la temperatura di circa 105°. Si può quindi dedurre con sicurezza che si ha formazione di cristalli misti tra AgI nelle sue due forme e il composto 3AgNO; : 2AgI. In modo eguale le miscele di composizione superiore a 90 mol. °/, di AgNO; presentano sulle curve di solidificazione un intervallo di cristalliz- zazione; e inoltre sì osserva che il punto di trasformazione di AgNO: viene notevolmente abbassato e che per la miscela a 95 mol. °/, di AgNO;, ha luogo già a 80°. — 456 — Questo punto di trasformazione, che si nota per le miscele più ricche in AgNO;, scompare per le miscele successive, forse perchè viene ancora di molto abbassato, e, data la bassa temperatura, più non si può seguire con sicurezza. i Il composto che si forma ad alta temperatura, probabilmente 3 Ag NO;- 2AgI, possiede composizione diversa da ciascuno dei due sali ottenuti da Hellwig per via umida. Dall'esame del diagramma ottenuto (fig. 3), non si ha alcuna traccia di questi due composti. Questa differenza di composizione dipende essenzialmente dalla diversità di temperatura, alla quale si opera. Abbiamo visto come il sistema TI NO} + TI I, studiato da Van Eyk dà luogo semplicemente a formazione di cristalli misti, con lacuna di mi- scibilità. Il non formarsi di alcun composto tra TINO; e TII è forse dovuto al fatto che la elettroaffinità del Tl* è troppo forte per dar luogo a formazione di cationi complessi. La formazione ad alta temperatura dei composti: AgNO:- AgBr e 3AgNO3-2AgI si deve assai verosimilmente attribuire alla minore elettro- affinità del Ag+* rispetto al T1*, e, quindi, alla grande facilità, che il debole Ag+ possiede, di formare cationi complessi. Concludendo, si può dire che i risultati da me ottenuti coll’analisi termica concordano, almeno qualitativamente, con quelli ottenuti da Hellwig per via umida. Cosicchè, anche dall'analisi termica viene confermato il fatto, già dedotto da Hellwig, che la tendenza degli alogenuri di argento a dare composti complessi col nitrato corrispondente va aumentando dal cloruro, al bromuro, all’ioduro, ossia col diminuire la elettroaffinità dell'anione alogenico. I risultati ottenuti stanno quindi in buon accordo colla teoria esposta da Abegg e Bodlander (*), sull'elettroaffinità e formazione di complessi. (1) Abegg u. Bodlinder, Zeitschr. f. anorg. Chem., 20, 453 (1899). — 457 — TABELLA 1. Mot | Tempartia | temperata | © Dante |; Temperatura | cristallizzazione DICIO Dog di AgNO, cortine eutettico secondi AgNO, e a E E IO IO CI N PNE I LV 0.00 454° _ _ — 5.00 444 155° 50 80° 20.00 395 155 70 82 30.00 360 158 115 85 40.00 324 160 180 85 50.00 278 162 210 85 60.00 232 160 260 85 70.00 185 160 280 85 75.00 170 160 300 85 80.00 172 160 260 84 85.00 185 160 150 83 90.00 195 160 30 85 95.00 205-175 —_ _ 105 100.00 210 ù — — 155 (0) 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 AgCi mol °/, di AgNO, AgNO, Fig. il — 458 — TABELLA 2°. Mot), | ompgiatere [remppaatare| | purato || Temperatura x cristallizza- | 10 arresto in d'arresto 0.00 | 420° = = Di 5.00 | 400 180° 50 - 20.00 | 342 185 100 - 30.00 | 302 185 150 = 40.00 | 265 188 210 — 50.00 | 210 188 240 — 55.00 | 190 188 _ 145° 60.00 | 185 - - 154 70.00 | 175 - — 155 75.80 | eut. - _ 155 80.00 | 165 — _ 155 90.00 | 195 - - 148 95.00 | 205 - Se È 97.50 | 208-1900| — DI si 100.00 | 210 — - 2 AgBr mol °/, di AgNO, Fia. 2 Durate in secondi Temperatura di trasfor- mazione d AgNO; — 459 — TABELLA 3A. Temper l'emper. Mol. °/0 |Temperatura{ Temper. Temper. dilirastore \lailtragtor Ra si Ts Ie e Po 20 nitoato ino mazione mazione È in ) AgNO; primaria | eutettico | S9°Mdi | ‘eutettico | Secondi Ag NO, A 5 I secondi 0.00 548° — ai = = = 140° 300 2.50 540 = <— = = “i 125 280 5.00 525 = = = =? S 105 250 10.00 470 65° 120 —_ == — 105 225 20.00 375 75 350 = = = 105 150 30.00 265 78 400 = " = 100 80 40.00 140 80 430 — = = 105 25 45.00 eut. 80 480 — = —_ - _ 50.00 100 80 100 = n 55.00 105 80 ? = = — — _ 60.00 108 _ SB = = = a LL 65.00 _ — _ 105° 350 —_ = - 70.00 115 _ 105 300 — —_ _ 75.00 130 — — 105 280 — DE de 80.00 148 —_ — 105 250 —_ _ —_ 85.00 170 _ — 102 200 — = pra 90.00 185 = pesi 92 100 Da pai 95.00 | 200-165° = = = 80° ui LS 97.50 | 210-190 = = 6 95 Rai pi 100.00 210 == a = 155 de: 03 550 500 450 400 350 300 250 o (o) pì) 200 = 100 xo) Agl mol °/, di AgNO, AgNO, Ric. 3. RenpIcoNTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 62 ni — 460 — Chimica. — Ricerche sulle combinazioni subalogenate de alcuni elementi. II. Sui così detti sottocloruri e sottobromuri di bismuto. Nota di L. MARINO e R. BECARELLI, presentata dal Socio R. NASINI. i Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Zntorno alla fototropia degli idrazoni (!). Nota di F. Bovini, presentata dal Corrispondente L. BALBIANO. Gli studii precedenti, intesi a ricercare le relazioni fra la fototropia e la costituzione degli idrazoni, mentre hanno portato a buoni risultati per quanto riguarda l’intluenza delle idrazine, non hanno potuto stabilire alcuna relazione fra le aldeidi e la possibilità d'essere fototropi negli idrazoni che ne derivano. Padoa e Graziani (*), che esaminarono idrazoni provenienti da sette di- verse aldeidi: (aldeide benzoica, aldeide p.toluica, piperonal, anisaldeide, cu- minolo, vanillina ed aldeide salicica), accertarono come ognuna di queste possa, con idracine convenienti, dare composti fototropi ; L. Santi (*) ebbe in seguito ad osservare il fenomeno della fototropia anche in taluni idrazoni del furfurolo. Poichè dunque gli idrazoni derivanti da aldeidi, pur assai diverse fra loro, mostrano ugualmente comportamento verso la fototropia, si può pensare che tale proprietà dipenda dalla presenza del gruppo =CH—, comune a tutti, piuttosto che dalla struttura del radicale del residuo aldeidico. Ho per ciò creduto opportuno di rivolgere lo studio agli idrazoni deri- vanti da chetoni, vale a dire del tipo: R H V- NN R DE che differiscono da quelli del tipo : H be nno R A \R i (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica applicata ai materiali di costruzione. R. Politecnico di Torino. (£) Rendiconti dellà R. Acc. dei Lincei, XVIII, 2, 269 e segg. (*) Ibid, XX. 2, 228. — 4601 — cui si possono riferire tutti gli idrazoni fototropi noti, per avere l'atomo di idrogeno aldeidico sostituito da un radicale R. Come è mio proposito di compiere su tale classe di composti una ricerca sistematica, così ho seguìto, nella scelta e dei chetoni e delle idrazine ('), errterî non restrittivi, rivolgendo tuttavia lo studio specialmente agli idra- zoni derivanti dalla fenil-, p.tolil-, 8 naftilidrazina, poi che tali basi, con le aldeidi, dànno più facili e numerosi composti fototropi. Gli idrazoni da me finora preparati ed esaminati sono : fenil-; p.totil-; Bnaftil-, e difenilidrazone dell’acetofenone; fenil-; p.totil-; B naftil-; difenil-; metilfenil-; e benzilfemilidra- zone del benzofenone. Nessuno di questi idrazoni si è mostrato fototropo. I primi risultati di questo studio tenderebbero dunque a dimostrare che è necessaria la presenza dell'idrogeno aldeidico perchè sì possa avere la fototropia negli idrazoni, poi che il fenomeno più non sì manifesta quando tale idrogeno sia sostituito da un qualunque radicale, analogamente a quanto è noto per le idrazine (?). Dal che si potrebbe forse argomentare che l'atomo di idrogeno dell'aldeide partecipi aile trasformazioni fototropiche come si ammette per l'idrogeno del residuo idrazinico. Tuttavia devo notare come tali deduzioni non sì possano ancora trarre con sufficiente certezza dallo scarso materiale sperimentale qui offerto, e come la regola su accennata debba essere confermata dagli ulteriori risul- tati di questo studio al quale attendo tuttora. | PARTE SPERIMENTALE. Idrazoni dell’ acetofenone. Il fenil-, il # naftil-, e il difenilidrazone dell’acetofenone erano già stati preparati rispettivamente da Reisenegger, Ince e Pfiilf. Più facilmente, e con metodo più semplice di quelli usati dagli autori predetti, si possono ottenere questi composti. aggiungendo il chetone alla soluzione in acido acetico glaciale o in alcool assoluto dell’ idrazina in pic- colo eccesso. La reazione avviene a temperatura ordinaria rapidamente, tal- volta con forte sviluppo di calore, e si separano gli idrazoni solidi che sì possono cristallizzare dall’etere di petrolio, dall'alcool, dall’acido acetico. (7) Così non ho creduto di dover escludere, ad es., le idrazine disostituite, sebbene queste non diano mai, con le aldeidi, composti fototropi, perchè si ebbe già a constatare in fototropia che le regole acquisite per una certa classe di composti non valgono talora per classi del tutto affini. Così la regola di Padoa e Graziani, tanto certamente provata per gli idrazoni, non vale per gli osazoni. (3) Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, XXII, /, 793; XXII, 2, 82. — 462 — Sono, in generale, molto facilmente aiterabili anche nel vuoto ed in seno ai solventi; all'aria ingialliscono subitamente e, dopo qualche tempo, si trasfor- mano in sostanze resinose rosso-brune. 1) Fenilidrazione dell’acetofenone. CH H DI i ‘chi C,H;. Per aggiunta dell'acetofenone alla soluzione, in acido acetico glaciale, di fenilidrazina, avviene una reazione viva e si deposita quasi immediata- mente l’idrazone in una massa cristallina giallo-chiara. Cristallizza dall'alcool in lucenti aghi prismatici incolori, fondenti a 104° (Reisenegger 105°) (2). Non è fototropo. 2) p.Tolilidrazone dell’acetofenone. CH, LI No=N:N ch Ne.H' CH. Fu preparato come il precedente, facendo reagire chetone (gr. 0,5) e idrazina (gr. 0,7) in alcool assoluto aggiunto di alcune gocce di acido acetico. La combinazione è immediata; si sviluppa calore, e l’idrazone si forma, in mammelloncini minuti, lievemente gialli. Cristallizzato dall’ etere di petrolio (40°-70°), si ottiene in bellissimi aghi perfettamente incolori, fondenti a 122°. Non mi risulta precedentemente preparato. Analisi: Calcolato Trovato Azoto °/, 12.50 ton Esposto all'azione. della luce, non si è mostrato fototropo. 3) f-Naftilidrazone dell’acetofenone. CH H ; DI UN NK CH; Cio Hy Da gr. 0,05 d'idrazina e gr. 0,4 di chetone in alcuni cc. di acido acetico glaciale si ottiene l’idrazone solido, di color bianco giallognolo. Cri- stallizza dall'alcool in aghetti bianchi che si alterano immediatamente anche nel vuoto. (*) Berichte d. d. Chem. Gesell., XVI, 662 — 463 — Punto di fusione 150° (Ince 150°) (*). È tale l'instabilità di questo composto, che non si potrebbe osservarne l'eventuale fototropia se non con precauzioni specialissime. Non sembra fototropo. 4) Difenilidrazone dell’acetofenone. Si ottiene come i precedenti: ma la reazione, che anche in questo caso av- viene a freddo è assai più lenta, e si richiede circa un’ora per la formazione dell'idrazone solido che cristallizza dall'alcool in piccoli aghetti serici, lie- vemente gialli. Punto di fusione 98° (Pfulf 97°-98°) (?). A differenza degli altri idrazoni dell’acetofenone, questo presenta all'aria una notevole stabilità. Non è fototropo. Idrazoni del benzofenone. Nessuno di questi idrazoni si potè preparare, come i precedenti, per semplice azione dell'idrazina sul chetone a freddo: è necessario far bollire per alcune ore (talvolta per molte ore) in alcool assoluto la soluzione delle sostanze reagenti; evaporare poi gran parte del solvente e raffreddare lun- gamente e fortemente. Con questo metodo sì ottengono con maggiore o minore facilità gl’'iurazoni solidi; tuttavia, anche nei casi migliori è conveniente che le sostanze, e specialmente le idrazine, siano allo stato di assoluta purezza. Non dubito che la grande difficoltà di ottenere cristallizzati taluni di questi idrazoni dipenda da traccie d'impurezze, le quali tuttavia penso non mi riuscisse di eliminare (forse per la facile alterabilità delle idrazine) neppure operando con la maggior cura. Questi idrazoni. a differenza dei precedenti, sono, in generale, assai stabili. Cristallizzano da alcool, alcool e benzolo, ed acido acetico: molto solu- bili in benzolo ed etere. 1) Fenilidrazone del benzofenone. c,H; H do SENNA. C.H; NC H; ‘Già preparato da Pickel (*). Io lo ottenni facendo bollire per alcune ore gr. 0,5 di idrazina e gr. 0,5 di chetone in 10 ce. di alcool assoluto e poche goccie di acido acetico. (*) Liebigs Annalen., 253, 42. (*) Ibdem, 239 222. (3) Liebigs Annalen, 232, 228. — 464 — Evaporando poi la maggior parte del solvente, si separa per raffredda- merito, dopo qualche tempo, in masserelle prismatiche che cristallizzano dal- l’aleool in aghetti piatti, incolori, fondenti a 136,5% (Pickel 136°); ox fototropo. 2) p.Tolilidrazone del bensofenone. CoHsr C.H.d DO cE Fu preparato come il precedente. Si ottiene come olio giallo che soli- difica dopo alcuni giorni, e cristallizza dall'alcool in grossi cristalli prisma- tici di color giallo chiaro. Punto di fusione 90°. Non risulta preparato finora. Analisi : Calcolato _ Trovato Azoto °/ 9,79 9,84 All’aria, è meno stabile degli altri idrazoni del benzofenone, e, dopo qualche tempo, si altera in una resina bruna. Non presenta tuttavia il fe- nomeno della fototropia. 3) B-Naftilidrazone del benzofenone. CH pi xe = NN CeH; Cio Ha Con lo stesso metodo si ottiene questo idrazone che cristallizza dal- l'acido acetico, oppure da una miscela di alcool e benzolo, in cristalli aghi- formi di color giallognolo. P. F. 159°. Tale colorazione è dovuta a traccie di impurezza che permangono anche dopo molte cristallizzazioni; e per averlo puro conviene bollire la soluzione in alcool e benzolo con carbone animale. Si ha allora in cristallini ben for- mati, incolori. Punto di fusione 159,5-160,5. Non è fototropo. Non fu mai precedentemente preparato. Analisi: Calcolato Trovato Azoto °/ 8,95 9,05 4) Difenilidrazone del benzofenone. CsH; Già preparato da Overton (1), col punto di fusione 145° ma non analiz- zato; ottenuto da me bollendo per 6 ore gr. 2 di idrazina e 1,2 di chetone in alcool assoluto e acido acetico. (*) Berichte d. d. Chem. Gesell., XXVI, 34. — 465 — Si separa, raffreddando fortemente, e cristallizza dall’ alcool in lunghi, finissimi aghi splendenti di color giallo citrino. Punto di fusione 1459,5. Non. fotrotopo. Analisi : Calcolato: Trovato Azoto °/ 8,05 8,23 5) Metilfenilidrazone del benzofenone. SE eo nl CEHLdi \cH; Facendo bollire per 6 ore la soluzione in alcool assoluto e acido ace- tico di 1 gr. di idrazina e gr. 0,8 di chetone, il liquido si colora in giallo ma. l’idrazone non sì separa neppure dopo aver evaporata la maggior parte del solvente nè raffreddando con miscela frigorifera. Evaporato nel vuoto tutto l'alcool, sciogliendo l'idrazone oleoso in etere di petrolio, lasciando evaporare a temperatura ordinaria, si ha dopo molti giorni, raffreddando fortemente, l’idrazone solido. Dall’alcool assoluto si ottiene poi in cristalli ben formati, di colore giallo. Punto di fusione 81°-82°. Non preparato finora. Analisi: i Calcolato Trovato 9,66 Azoto °/ 9,79 9.68 Non presentala la fototropia. 6) Benzilfenilidrazone del benzofenone. Lo ottenni con molta difficoltà, in modo analogo al precedente. L' idra- zone, che non si potè avere solido neppure dopo riposo di molti giorni e raffreddamento a — 10°, fu, evaporato tutto il solvente, disciolto in etere di petrolio e lasciato in essicatore nel vuoto e allo scuro per circa un mese. Ripreso il prodotto con etere di petrolio a freddo, si ebbe, dopo parziale evaporazione del solvente nel vuoto, insieme con molta resina, qualche cri- stallino dell’idrazone, che, usato come pesta mi permise di avere facilmente -l’idrazone solido da una nuova preparazione. ‘ Cristallizza dall'alcool in iscagliette di color giallo oro, fondenti a 105-106°. Nor è fototropo.- i Non ancora preparato. Analisi : Calcolato Trovato Azoto °/ (ratmod4;79 7,05 — 466 — Cristallografia. — Sul! Ematite del Vesuvio. Nota del dott. LeonARDO Cuccia, presentata dal Socio C. VIOLA. Patologia vegetale. — Sulla produzione sperimentale d’iper- plaste nelle piante. Nota di L. PETRI, presentata dal Socio G. CUBONI. Fisiologia. — :cerche sugli effetti dell’alimentazione mai- dica. — Utilizzazione delle sostanze azotate nell’uomo. Nota di S. BAGLIONI, presentata dal Socio L. LUCIANI. Fisiologia. — Ricerche sugli effetti dell’alimentazione mai- dica. — Valore nutritivo della zeina, qgliadina e svoalbumina nei ratti albini. Nota di S. BAGLIONI, presentata dal Socio L. LUCIANI. Queste Note saranno pubblicate in uno dei prossimi fascicoli. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLaseRNA dà il triste annuncio della morte dei Corri- spondenti: prof. Ierino CoccHI mancato ai vivi il 18 agosto 1913; appar- teneva il defunto all'Accademia per la Geologia e Paleontologia, sino dal 18 luglio 1891; — marchese Giacomo DoRIa, morto il 19 settembre 1913; faceva parte il defunto dell’Accademia, per la Zoologia e Morfologia, sino dal 25 aprile 1878. Lo stesso PRESIDENTE comunita che pervennero all'Accademia i rin- graziamenti per la loro recente nomina, inviati dai Corrispondenti: BAGNERA e MiLLosevicH F., e dai Soci stranieri: Bassor, BROGGER e HURWITZ. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono durante le ferie accademiche, segnalando quelle inviate dai Socî Bas- saNI, PrrortA e TARAMELLI, dai Corrispondenti BerLESE, LoRIAa, LUu- su — 467 — stia, MarcoLongo, Pascar, SiLvestRI, e dai Socî stranieri HELMERT, Hurwirz, ZEEMAN. Fa menzione inoltre delle pubblicazioni dei signori AGAMENNONE, BuraLi-FortIi, Cavazza, GUERRIERI, LAzzARINO, LEBON, Manasse, SoLER, ZAPPA; e richiama l’attenzione dei Soci presenti su varie opere e in particolar modo sui volumi XI e XXI delle Opere di Eulero ; su di una pubblicazione dei signori MoLINARI e QUARTIERI in ricordo di Ascanio SoBRERO scopritore della nitroglicerina; su di un volume del prof. ErEDIA, // clima di Roma; e sui fascicoli 41 e 44 contenenti i Risultati delle campagne scientifiche del principe ALBERTO DI Monaco. Il Presidente BLasERNA presenta il vol. IV, testè pubblicato, del Corpus Nummorum Italicorum riguardante le zecche minori della Lom- bardia, fatto inviare in dono da S. M. il Re all'Accademia; il Presidente rileva il pregio e la importanza di questa pubblicazione, e comunica che sì è fatto premura di ringraziare, a nome dell'Accademia, l’Augusto donatore ('). Il sen. BLASERNA presenta inoltre a nome dell'on. BosELLI, Presidente della R. Accademia delle Scienze di Torino, il 2° volume della pubblica- zione fatta dall'Accademia stessa in onore di LAGRANGE, in occasione del centenario della morte del grande scienziato. Il Socio VoLtERRA fa omaggio di un volume contenente le sue Ze- zioni sopra le funzioni di linee, e di una Biografia di Gastone Darboux, del prof. LeBon della quale discorre. Aggiunge che è stata ultimata la stampa del 2° volume delle Opere di EnRico BETTI, e ricorda quanta cura ponesse il compianto Socio CERRUTI nel non facile lavoro di preparazione dell'edizione, che poi fu portata a compimento dal prof. TEDONE. Il sen. VoL- TERRA rileva come la competenza e la solerzia di quest'ultimo abbiano per- messo così di elevare il monumento più bello alla memoria del BETTI; e propone, tra le approvazioni dell’Accademia, che al prof. TEDONE siano in- viati speciali ringraziamenti per la sua preziosa collaborazione. Il Socio MarcHIAFAvA offre le sue pubblicazioni seguenti: Sopra l'infezione malarica perniciosa nello scorcio dell'autunno; e: Sulla dege- nerazione sistematica delle vie commessurali dell’ Encefalo nell’alcoolismo cronico. (1) Ved. pag. 468. RenpiconTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 63 CORRISPONDENZA Il PRESIDENTE faceva pervenire a S. M. il Re, in occasione del Suo genetliaco, il seguente telegramma: Eccellenza Conte MatTIOLI PasQquaLINI, Ministro Real Casa — S. Rossore. Reale Accademia Lincei ringrazia invio bellissimo quarto volume del « Corpus Nummorum Italicorum », augurando all’Augusto Sovrano, nell’occasione del suo Gene- tliaco, ogni felicità che si immedesima con quella del paese. Presidente BLASERNA. Al precedente telegramma S. M. faceva rispondere: Onorevole Sen. prof. BLASERNA, Presidente R. Accademia Lincei — Roma. Sua Maestà il Re risponde con vive e cordiali grazie ai gentili augurî da Lei rivol- tigli a nome di codesta insigne Accademia. Ministro MATTIOLI. Il PRESIDENTE annuncia che l’ ing. Luciano CONTI ha inviato un piego suggellato colla preghiera che sia conservato negli Archivi accademici. E. M. \ Scagliarini e Rossi. Su alcuni palladonitriti di metalli bivalenti fissati per mezzo di basi organiche (pres. dal Socio Ciumician) (*). . . . . N Mei A Rap 41 Scarpa. Sali doppi tra alogenuri e nitrato di argento (pres. Tad) SE tn Li AB, Marino e Becarelli. Ricerche sulle combinazioni subalogenate di alcuni Jelena TO Sui così detti sottocloruri e sottobromuri di bismuto (pres. dal Socio Masini) (*) . . . .. » 460 Bovini. Intorno alla fototropia degli idrazoni (pres. dal VR Ba ORE o Cuccia. Sull’Ematite del Vesuvio (pres. dal Socio Viola) (*) . /. . . » 466 Petri. Sulla produzione sperimentale d'iperplasie nelle piante (pres. dal dieta loaloni 0). De Baglioni. Ricerche sugli effetti dell’alimentazione maidica.- Utilizzazione delle sostanze azo- tate nell'uomo (pres. dal Socio Luciani) (*). .c-...°. PR INISE Id. Ricerche sugli effetti dell’alimentazione maidica. - Valore iitito ai zeina, a e Volpi asnenmattalbinis Ness W ee. MR oa PERSONALE ACCADEMICO Blaserna (Presidente). Dà annuncio della morte dei Corrispondenti prof. LA Cocchi e mar- chese Giacomo Doria . . . . sil: DARNE: n» Id. Comunica che hanno ringraziato ica ot per la io) soeute nomina, i Caiisienti Bagnera e Maillosevich F., ed i Soci stranieri Bassot, Brògger e Hurwita . .. . « » » PRESENTAZIONE DI LIBRI Millosevich (Segretario). Presenta le. pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci: Bassani, Pirotta, Taramelli, Berlese, Loria, Lustig, Marcolongo, Pascal, Stil- vestri, Helmert, Hurwitz, Zeemans; dei signori: Agamennone, Burali-Forti, Cavazza, Guerrieri, Lazzarino, Lebon, Manasse, Soler, Zappa, Molinari e Quartieri, Eredia e del principe A/Zerto di Monaco . . .. . OR RINO LIORIERI VOS SESSI TISIERE SA A SCE LINICO Blaserna (Presidente). Presenta il vol. IV dell’opera di S S. M. il Re « Corpus Nummorum Itali- corum » inviata in dono all'Accademia, della quale discorre. . . . L » 467 Id. Offre a nome della R. Accademia delle scienze di ‘l'orino, il 2° volume dor Slc zione fatta in onore di Lagrange. . . . GUI SSR, Volterra. Fa omaggio di una sua opera e di una Tbblicag iii del Ar aoon di cui disione n» INC AGIO RIE IAU SUCEPUDDICAZIONI (NI, 0. MRO O O E CORRISPONDENZA Blaserna (Presidente). Telesramma di auguri inviato a S. M. il RE, e risposta fatta trasmet- tere da S. M. all'Accademia. .. . ) SR ; square 020468 Id. Presenta un piego suggellato inviato dall'in ing. Lucio da ha sia VARA negli MOERIVINACCA GMMICIAS e MN nn ERRATA-CORRIGE Nella Nota del profi U. Cisotti « Un teorema generale sul moto incipiente dei sistemi vinco- lati » [Questi Rend. Vol. XXII, fase. 8°, pag. 358-360], a pag. 359 vanno soppressi i due primi periodi, e al secondo capoverso va sostituito il seguente periodo : È ragionevole invocare tanto per le reazioni RS quanto per le reazioni Ri separatamente, il principio dei lavori virtuali (1). (*) Questa Nota sarà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. RENDICONTI — Novembre 1913. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 9 novembre 1913. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Millosevich. L’astro Neujmin, detto cometa 1913 c . RSS E Pag. Ricco. Distribuzione delle protuberanze sulla superficie del Late ©. BRA RN e Pincherle. Un’applicazione della convergenza in media . SUO RNA Ar) Nasini. Potere rifrangente dell’acenoftene e delle idronaftaline (*) ./../ 00» Id. Pressione osmotica (*) . D ” Id. Per la storia della spettrochimica. I ic di L H. Cedo sal Gaio più an della rifrazione atomica del carbonio (È). CIL'TANIIO h N) Marcolongo. Su alcune questioni relative alle trasformazioni di Kirenteli in eletirodifamica ” Andreoli. Sulle espressioni lineari integro-differenziali (pres. dal Corrisp. Marcolongo) . » Cisotti. Efflusso da un recipiente forato sul fondo (pres. dal Socio Levi-Civita) (*). Orlando. Sulla permutabilità di due segni di limite (pres. dal Corrisp. Di Zegge) . . . » Vacca. Su alcuni teoremi di geometria piana analoghi a quelli di Max Dehn nella geometria solida (pres. dal Socio Volterra) Sali DOME SI Sciolette. Sulle condizioni che definiscono Liomabimdito r ali (o TO) Allen. Sopra le serie algebriche appartenenti ad una curva SE (pres. dal Corrisp. Castelnuovo) . BL A ct Duhem. Etudes sur ui de Via Lo précurseurs parisiens de Galilée. Lettera al Pre- sidente i ». Rosati. Sulle cosisiamdenze pocho fia i tnt di una curva lecito RL, fi Corrisp. Castelnuovo). Torelli. Sulle varietà di fd i da agio Ben) ; ” Bodareu. La costante dielettrica dell'azoto ad alte pressioni (pres. LI Cono Battelli) e ” Occhialini. La costante dielettrica dell'idrogeno ad alte pressioni (pres. /d.) @) . . . » Calcagni e Marotta. Solfati anidri (Ca SO, con Li» SO4, Naz SO $0,) (pres. dal Socio Paternò). ” OMMI Bellucci e Corelli. Gotapcsti dai o illovalente (e ld) © AES ARA Apia i Mazzucchelli e Perret. Spettri di assorbimento di alcuni sali dell’uranio (pres. 1d) . Ciusa e Toschi. Sulla trasformazione del dibenzaldifenilidrotetrazone nel deidrobenzalfenili- drazone e nel benzilosazone (pres. dal Socio Ciamician) (*) . spet Mascarelli e Brusa. Ricerche intorno a sostanze aromatiche contenenti dn plurivalente (Pres SOiii elUeteltogigto D) Id. e Negri Ricerche intorno a sostano aromatiche ii icuio NE, (pres. Id) Ò) ” Padoa e Minganti. Velocità di reazione nelle trasformazioni fototropiche (pres. J4.) (*) . » (Segue în terza pagin ) (*) Questa Nota sarà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. S » E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 23 novembre 1913. N. 10. sa li] DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCKI ANNO CCCX. 1913 SHEIH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 23 novembre 1913. Volume XXIII. — Fascicolo 1O° 2° SEMESTRE. ROMA \ JAN 9 1034 ) TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI NEGRI, Mused®7 ar drei PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1918 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia sei Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite ne Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3 Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agl autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 50.86 estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANNI Seduta del 23 novembre 1913. F. p' Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE .DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Azioni chimiche della luce. Nota XXVII del Socio G. CIAMICIAN e di P. SILBER. Autossidazioni VI. È noto che nelle autossidazioni si rende attivo l'ossigeno in guisa che se v'è presente una sostanza, per se stessa, non autossidabile, questa può essere ossidata. Il fenomeno potrebbe spiegarsi con la formazione intermedia di un perossido ('), il quale agirebbe o sulla sostanza stessa o su altre che ordinariamente non sono in grado di fissare l'ossigeno. Un'esperienza che illustra assai bene queste vedute è quella, assai conosciuta, della benzaldeide a cui sia aggiunta una soluzione di carminio d' indaco: quest’ultima, che per se stessa non è autossidabile, si scolora assai presto all'aria, per la presenza della benzaldeide, massime se esposta alla luce solare. Recentemente sono state fatte in proposito, cioè sulla reciproca influenza di sostanze organiche nell'autossidazione alla luce, interessanti esperienze da parte di H. Suida (*) e di A. Benrath assieme a A. von Meyer (3). Questi ultimi (!) Vedi il bel libro di C. Engler e J. Weissberg, Aritische Studien ùder die Vorginge der Autoxidation, Braunschweig 1904; ed anche l'interessante Nota di Fritz Weigert, Ueber Aktivierung des Sauerstoffs durch Strahlung, Berichte, 46, pag. 815 (1918). (®) Monatshefte 1912, pag. 1277. (3) Berichte, 45, pag. 2707. RenpICONTI, 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 4 \\P° 2onal Museb® > — 470 — ottennero dal fenantrenchinone, che per se stesso non è autossidabile, l’acido difenildicarbonico in presenza di toluolo e degli riloli, che, come noi abbiamo dimostrato (!), sono autossidabili in alto grado. Benrath e von Meyer am- mettono la formazione di un composto intermedio di addizione, che sarebbe atto a fissare l'ossigeno, scomponendosi nell'acido difenildicarbonico ed in aldeide benzoica. Noi peraltro vorremmo per ora astenerci da ogni tentativo di spiegazione, aspettando di avere accumulato un maggior numero di osser- vazioni. Le esperienze che descriviamo ora, e quelle che ci proponiamo di eseguire in seguito, furono provocate dall'avere osservato che non tutte le sostanze organiche sono autossidabili alla luce. ma che anzi si riscontrano varie assai interessanti eccezioni. Così avevamo trovato che gli alcooli etilico ed amilico, la glicerina e la mannite, il glucosio e poi ad es. la naftalina, non si ossi- dano alla luce; ed abbiamo però pensato di accoppiarli con sostanze autos- sidabili per vedere se in tutti questi casi fosse possibile di determinare l'ossidazione indiretta. Le esperienze ci dettero risultati positivi. Fra le sostanze autossidabili abbiamo prescelto quelle che ci avrebbero dato minor noja nella elaborazione del prodotto dell’insolazione, e però abbiamo adope- rato il toluolo e gli xiloli. I resultati furono i seguenti: Alcool etilico e paraxilolo. — L'esposizione venne fatta in matracci da 5 litri, contenenti ciascuno 10 gr. di alcool, 8 di paraxilolo e 100 d'acqua, durante i mesi dal 12 giugno al 7 ottobre. ll liquido diventa leggermente giallo, e si separano relativamente notevoli quantità d'acido p-xililico. Aprendo i matracci, si osservò una forte aspirazione. Il contenuto dei medesimi venne neutralizzato con carbonato sodico e distillato con vapore acqueo per liberarlo dall'alcool e dal paraxilolo rimasti inalterati. Il residuo, acidificato con acido solforico, dette un precipitato di acido paraxililico (4,1 gr.); liberato com- pletamente da questo, anche per estrazione con etere, venne nuovamente distillato. Si ebbe così un liquido contenente l'acido acetico, da cui per salificazione frazionata si prepararono tre frazioni del sale argentico. Queste annerivano per ebollizione con acqua, da cui furono cristallizzate. Analisi:: Trovato Calcolato per Ca Hs 0, Ag Ag 64,24 64,25 64,51 64,66 L'alcool etilico esposto per se stesso in soluzione acquosa, 10 gr. in 100 d’acqua, in un matraccio da 2!/,, litri dal giugno al novembre, rimase inalterato, cioè la soluzione si mantenne neutra, nè si ebbe la presenza d'aldeide acetica. Alcool amilico e parazilolo. — Le due sostanze mescolate nel rapporto di 8 gr. della prima e 10 della seconda in presenza di 100 d'acqua vennero (1) Vedi la nostra XXI Nota in questi Rendiconti, vol. XX, 2°, pag. 673. — 471 — esposte in due matracci da 5 litri, dall'11 giugno al 30 settembre. Anche in questo caso si separarono delle croste cristalline d'acido paraxililico, e, aprendo i matracci, si ebbe forte aspirazione. L'elaborazione del prodotto venne fatta analogamente a quella precedente. Si ebbero dai 10 gr. di paraxilolo impiegati, gr. 4,9 di acido paraxililico. 1] distillato acido venne neutralizzato per un terzo con carbonato sodico per fissare tutto l'acido formico, ed indi nuovamente distillato. Dal liquido rac- colto, neutralizzato a sua volta con carbonato sodico e concentrato, si ebbero, per precipitazione frazionata con nitrato argentico, le seguenti frazioni : Analisi: Trovato Calcolato per Cs Ho Os Ag Ag 51,93 52,09 53,07 53,92 51,67 Queste analisi dimostrano la presenza di acido valerzanico, ma provano altresì quella di un acido più basso. La terza parte del distillato primitivo, trattenuta nella neutralizzazione incompleta, fu a sua volta sottoposta ad analogo trattamento, cioè neutra- lizzata per un terzo. Col distillato vennero preparate due frazioni del sale argentico. Analisi: Trovato Calcolato per C3Hs Os Ag Ag 51,59 52,09 51,67 le) Il residuo conteneva segnatamente aczdo formico, perchè ‘il precipitato con nitrato d'argento anneriva fortemente, massime per ebollizione con acqua. L'alcool amilico per sè stesso non si ossida alla luce; 10 or. con 100 di acqua in un matraccio da 5 litri, restarono esposti alla luce dal giugno al novembre. Il contenuto rimase perfettamente neutro; non si osservò neppure la presenza di un composto aldeidico. Glicerina e metaxilolo. — Vennero esposti 5 gr. della prima e 6 c. c. del secondo in 100 gr. di acqua, in matracci da 5 litri, dal 26 giugno al 4 ottobre. Aprendo i matracci, sì notò aspirazione. Il liquido, esaurito con etere, aveva reazione fortemente acida e riduceva il liquore di Fehling lieve- mente: da 15 gr. di glicerina si ebbe una riduzione corrispondente a 0,58 gr. di glucosio. L'ulteriore esame dei prodotti non riuscì a buon fine, e l’espe- rienza deve essere ripetuta. La glicerina, per se stessa, non si ossida. Anche dopo una esposizione dal maggio al dicembre, una soluzione acquosa al 20° di glicerina si mantenne neutra e non riduceva il liquore di Fehling. Mannite e parazilolo. — Una soluzione di 3 gr. di mannite in 100 d'acqua, a cui furono aggiunti 8 gr. di paraxilolo, rimase esposta in matracci da 5 litri, dall'11 giugno al 29 settembre. Aprendo i matracci, si ebbe aspì- razione; nel loro contenuto gassoso si notò la presenza di anidride cardonzca. — 472 — Il prodotto venne esaurito con etere per eliminare il paraxilolo ed i suoi prodotti di ossidazione: si ebbero 3,7 gr. di acido paraxililico da 8 del primo. Il liquido acquoso si mantenne fortemente acido anche dopo l'estrazione con etere, e però conteneva prodotti acidi provenienti dall’ossidazione della man- nite, che non abbiamo potuto riconoscere; inoltre il mannoso. Questo fu rico- nosciuto facilmente per mezzo del suo fenilidrazone, che, purificato dall'alcool acquoso, fondeva, in corrispondenza coll’ indicazione di Reiss (*), a 188°. Analisi: Trovato Calcolato per CsH180; Ng N 105 10,37 La mannite, per se stessa, resta inalterata alla luce in presenza di ossì- geno: una soluzione acquosa di mannite al 20°, esposta in un matraccio da 3 litri dal maggio al dicembre, si mantenne neutra e non riduceva il liquore di Fehling. Glucosio e metazxilolo. — Una soluzione di è gr. del primo in 100 d'acqua, trattata con 6 c. c. del secondo, venne esposta in matracci da 5 litri (naturalmente, come sempre, pieni di ossigeno), dal 27 giugno al 12 ottobre. Si notò pressione negativa nell’aprirli, e presenza di anidride carbonica. Il trattamento fu analogo a quello della precedente esperienza: il liquido esaurito con etere, fortemente acido, venne precipitato a freddo con acetato di fenilidrazina. Il composto ottenuto, purificato dall'acetone, fondeva a 206°, che è il punto di fusione del fezz/glucosazone. Analisi: Trovato Calcolato per C,3 Has 04 Na N 15,75 15,64 Il glucosio, che per se stesso non è autossidabile alla luce, in presenza di metaxilolo si trasforma nel glucosone ed in altri prodotti acidi da noi non ulteriormente studiati. Alla luce ultravioletta, come trovarono Euler e Lindberg (*), il glucosio si scinde parzialmente in modo complesso. Naftalina e toluolo. — Nella nostra XXIV Nota (*) abbiamo fatto notare che la naftalina si altera assai debolmente alla luce, in presenza di ossigeno: dopo l’insolazione, si ha una reazione appena acida. Ci parve però interessante di ricercare se la naftalina potesse ossidarsi alla luce per la pre- senza di un corpo autossidabile come il toluolo. Rimasero esposti al sole, dall’11 giugno al 7 ottobre, due matracci da 5 litri, contenenti ciascuno 5 gr. di naftalina, 10 gr. di toluolo e 100 d'acqua. Durante l’insolazione, si forma una soluzione gialla, contenente in sospensione (*) Berichte 22, pag. 610. (8) Biochemische Zeitschrift, vol. 39, pag. 418. (*) Questi Rendiconti, vol. XXII, 1°, pag. 131. 3 — 473 — un liquido oleoso e alquanta materia rossastra amorfa. Aprendo i matracci, si notò aspirazione. Il prodotto venne distillato con vàpore per eliminare il toluolo e la nafta- lina, rimasti inalterati, nonchè l’acido benzoico. Il liquido acquoso che restò indietro, liberato, per filtrazione, della parte resinosa in esso sospesa, aveva una reazione marcatamente acida. Esaurito con etere, si ebbe un residuo in parte cristallizzato, d'un odore particolare. Purificandolo dall'acqua col nero animale, si poterono ottenere grossi cristalli senza colore, che avevano tutte le proprietà dell'acido /talico. Il loro punto di fusione, 195°, si mantenne inalterato per aggiunta di acido ftalico autentico. Dall’esperienza or descritta si vede pertanto che in queste condizioni la naftalina si ossida profondamente alla luce: resta ancora da accertare quali siano i prodotti che accompagnano l'acido ftalico. In fine ricordiamo con gratitudine l'aiuto prestatoci dal sig. Emilio Sernagiotto. Meccanica. — Sopra le azioni le quali si esercitano fra corpi che st muovono 0 si deformano entro una massa liquida. Nota del Corrisp. E. ALMANSI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Meccanica. — £/fusso da un recipiente forato sul fondo. Nota di U. CisortI, presentata dal Socio T. LevI-CIVITA. Si consideri un recipiente a sezione rettangolare [fig. 1]. Un liquido pesante, in esso contenuto, effluisce attraverso un foro piccolissimo O, pra- ticato nel mezzo del fondo. Più precisamente, si immagini il foro O messo in comunicazione dall'esterno, con una pompa aspirante, il cui regolare fun- zionamento assicuri un efflusso, attraverso il foro, di portata costante g. Sia £ la larghezza del recipiente, ed H, > £ l'altezza iniziale del li- quido sul fondo. È evidente che se l'altezza H, è abbastanza rilevante ri- spetto ad £, le particelle liquide vicine allo specchio libero interno hanno, per un certo tratto, traiettorie sensibilmente verticali discendenti, e velocità eguali per tutte; si ha insomma, per quel tratto, il regime uniforme per uno strato liquido attiguo al pelo libero, il quale comincia ad abbassarsi mantenendosi orizzontale. Ma è altresì manifesto che questo stato di cose sì va alquanto modificando, mano mano che lo specchio libero si abbassa: arriverà un certo momento in cui, anche a vista d'occhio, lo strato attiguo — 474 — al pelo libero va perdendo il regime uniforme, e, in particolare, la orizzon- talità. Fino a quale distanza dal fondo si può ritenere che lo specchio libero nell'interno del recipiente si abbassi orizzontalmente, con velocità costante. La distanza discriminante — risponde il contenuto di questa Nota — è sensibilmente pari alla larghezza del recipiente. Fintantochè il livello interno del liquido si mantiene superiore a questa quota discriminante, sì riesce a caratterizzare ancora, e in modo semplice, l'andamento dei filetti liquidi in tutta la massa in moto. Si trova, in par- ticolare, che nell'immediata prossimità del foro essi hanno lo stesso anda- mento delle curve delle tangenti. ad ie 1. Giova trattare la questione in due dimensioni, e prendere le mosse dal problema seguente: Si immaginino le pareti del recipiente estendentisi indefinitamente a monte, dimodochè il recipiente stesso sia raffigurato nel piano del moto da un rettangolo infinitamente allungato in uno dei due sensi. La massa liquida riempia completamente il recipiente, estendendosi così essa pure indefinita- mente. Un efflusso di portata costante 9 attraverso il foro O, compensato da una corrente interna di eguale portata, proveniente dall’oo a monte, assicura un regime permanente al moto della massa liquida. Nei numeri seguenti farò vedere che nel recipiente, a una distanza dal fondo non minore di £, la massa fluida è sensibilmente in regime uni- — 475 — VI Q modificano alquanto il loro andamento rettilineo, assumendo in prossimità del foro lo stesso andamento delle curve delle tangenti. Ciò posto, ripassando al problema originario dell’efflusso dal recipiente di una massa liquida limitata, cioè con pelo libero interno, rimane giusti- ficato il comportamento già annunciato, quando si pensi che unica condi- zione imposta al pelo libero, nelle accennate circostanze, è di essere oriz- zontale; condizione, questa, concomitante colle conclusioni relative al moto della massa fluida indefinita, finchè si hanno da considerare strati liquidi orizzontali più alti di £ sul fondo. Non mi rimane ora che da giustificare il comportamento accennato, nel problema ausiliario relativo alla massa fiuida indefinita. 2. Per la trattazione analitica converrà schematizzare la questione, assimilando il foro O ad una sorgente negativa puntiforme, per il liquido contenuto nel recipiente (’). Si assuma una coppia di assi coll’origine in O, l’asse x verticale di- scendente e l’asse y diretto verso la parete che sta a sinistra di chi segue l’efflusso. Sieno « e v le componenti della velocità in un punto generico. Supposto irrotazionale il moto, esistono un potenziale di velocità g(@,%) ed una funzione di corrente w(x,y), entrambi armoniche e regolari nell’in- terno del campo occupato dal liquido e tali che forme con velocità —, e che a una distanza minore di £ i filetti liquidi \ dp= udea+vdy, 1 ( ) ) dyp= —vda + udy . Introducendo la variabile complessa «= «x + zy, le espressioni (2) f=p+4iîw , w=u—-tiv sì presentano, per le (1), funzioni di #, e le (1) stesse si compendiano nella relazione (3) SUSE SERA (1) Nel Zraité de Mécanique rationelle [ Paris, Gauthier-Villars (1909), tome III, pag. 384] dell’Appell, si trova trattato come applicazione di problemi relativi alle sorgenti. il problema dell’efflusso permanente irrotazionale di un liquido dal fondo di un vaso indefinito limitato da due piani paralleli, normali al fondo. È appunto la questione che ci occupa. L'A. tratta il problema nello spazio, e del potenziale di velocità dà una rap- presentazione in serie. Da essa non è agevole ricavare l’andamento dei filetti liquidi interni al vaso. Vedremo come, limitando la questione nel piano, tutti gli elementi del moto si possono esprimere in termini finiti, ed in modo semplice, in funzione del punto generico del campo nel moto, e, in particolare, ricavare con tutta comodità la distribu- zione dei filetti liquidi. = a76 Le condizioni al contorno ed all'infinito, imposte alle componenti w e v della velocità, sono manifestamente le seguenti : u=0 sul Sonda (2-0 e —F=u<+Î), v=0. sulle pareti (e=0 e y==3). (4) i 2 te lg: limo = 3. Si soddisfa a tutte queste condizioni, ponendo 4 LI (5) wi o tha: Infatti, scrivendo, in questa, x +-y al posto di z, e separando la parte reale dalla immaginaria, sì ha (6) le quali espressioni soddisfanno alle (4), come è facile verificare. OssERVAZIONE. — Tanto da (5), quanto da (6), risulta che nel foro O(2= 0) la velocità diviene intinita. Circostanza prevedibile, questa, ‘avendo fino da principio assimilato il foro O ad una sorgente puntiforme. Dal punto di vista fisico basta considerare il movimento fino ad una certa distanza (abbastanza piccola, del resto) dal foro O. Nella regione attigua ad O il movimento, in realtà, sì modifica alquanto, perchè non può darsi che la ve- locità diventi infinita, come le considerazioni analitiche farebbero prevedere. Tuttavia, l'ipotesi schematica della sorgente puntiforme non deve verosimil- mente scostarsi di troppo dalla realtà per quanto riguarda l'andamento gee nerale dei filetti liquidi, che ora passerò a considerare. — 4770 — 4. La (3), per la (5), integrata dà, a meno di una inessenziale costante additiva, SET OCA AI (7) n= O log senh ol Da questa, ponendo <= +y e separando la parte reale dalla immagi- naria, si ricava, per la funzione di corrente w (coefficiente di < in /), l’espres- sìone seguente: BiRErRIe, TC RA (8) ui 1 arctg | coti O tg DO Si può facilmente constatare che su ciascuna delle due pareti rigide, sepa- rate dal foro O, la w assume valori costanti diversi, la cui differenza in valore assoluto è %. Il che era da attendersi, dato il ben noto signifi- cato di w. 5. Vediamo ora qual’è il comportamento dei filetti liquidi w= costante. Poichè e-T= 0,04... e coth(—7)= — 1,003..., si ha TX —1= coth voi => —1,003..., quando — co <= x < — £. Da ciò segue che per questi valori di x si può ritenere, senz'altro, ot =— 1, con che la (8) allora diviene (9) ue Possiamo concludere: ad una distanza, dal fondo del recipiente, non inferiore alla larghezza di questo, i filetti liquidi scorrono sensibilmente q paralleli alle pareti, con velocità costante NC 6. In prossimità dell’orifizìo 2) alquanto piccolo. Essendo allora sen- Q sibilmente coth Î — cc la (8) può scriversi 9 ola a (5) puo serivel Q (10) = — — c0t ch) - tg L42: TT q Q Dunque, în prossimità dell’orifizio le linee di flusso si confondono con curve delle tangenti. RENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 65 Ì fhubalit (| — 478 — 7. À titolo di curiosità, considero il caso particolare in cui il recipiente diviene infinitamente largo. Ciò corrisponde, in sostanza, all’e/flsso (con por- tata costante) da un forellino scolpito su un suolo indefinito. In tal caso, LI Ù 5, dC DIGI: nella (8), a coth O eda tg o vanno rispettivamente sostituiti DI e cosicchè essa diviene Come si vede, le linee di flusso sono raggi convergenti all’orifisio. Matematica. — Sul concetto di funzione monodroma e su quelli che da essa derivano. Nota di S. CATANIA, presentata dal Corrispondente R. MARCOLONGO. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sopra una proprietà caratteristica delle superficie regolari. Nota di RucoreRo ToRELLI, presentata dal Socio E. BERTINI. 1. Il Severi ha recentemente messo in luce una notevole proprietà delle superficie regolari, e cioè: la generica curva di un sistema lineare di grado > 0 appartenente a una tal superficie, è priva di corrispondenze singolari (!). Ci si può domandare se questa proprietà non sia in qualche modo in- vertibile, in guisa da offrire una nuova caratteriszazione delle superficie regolari. Orbene, questa inversione si fa assai semplicemente mediante il seguente (*) Comptes rendus, 27 janvier 1915. — 479 — TrorREMA. — È regolare una superficie P la quale possegga un fascio lineare È privo di curve spezzate e dotato di due punti base (distinti) A,B, semplici per ciascuna sua curva, la cui curva generica sia priva di cor- rispondenze simmetriche singolari (*). Non si fa alcuna ipotesi sulla variabilità della tangente in A o in B a una curva variabile di X, nè sull'esistenza di altri punti base qualsiansi (distinti da A, B). Si osserverà che la generica curva di X è certo priva di corrispondenze simmetriche singolari, se ne è priva una particolare curva di X, avente lo stesso genere effettivo della generica. 2. Per dimostrare il teorema enunciato, prendiamo a considerare su F an sistema co! ,S,.di curve seganti la generica curva C di 2 in un certo numero x > 1 di punti variabili, non avente come punto base A nè B; sia l’indice di S. Noi mostreremo che le curve di S sono necessariamente fra loro equivalenti; dal che seguirà subito il nostro teorema. Il sistema S segherà sulla generica C una serie y},, di indice v, priva di punti multipli variabili; e la corrispondenza simmetrica che si ha su C chiamando omologhi due punti allorquando appartengono a uno stesso gruppo di y},, avrà, per ipotesi, valenza. Sia v — e (con s = 0) questa valenza (*): sarà #=0 allora, e solo allora, che i gruppi della y}, siano fra loro equi- valenti (Severi); ossia allora e solo allora che siano fra loro equivalenti le curve di S (Severi). E se M,N sono le v-ple di curve di S uscenti rispettivamente da A , B, avremo sulla generica C (1) (MC) — sA=(NC)—«B. Trasformiamo adesso la nostra superficie F, che supponiamo priva di singolarità in un iperspazio, in un’altra F', pure priva di singolarità, in guisa che i due punti A, B si mutino in due curve eccezionali A’, B', dello stesso ordine; e non vi siano altri elementi fondamentali per la trasforma- zione. Ciò può ottenersi ad es. trasformando la F mediante il sistema delle ipersuperficie di ordine abbastanza elevato passanti per A, B. Dette C' le trasformate delle C, depurate delle A", B', il fascio delle C' sarà privo di curve spezzate. Alle curve M,N di F corrispondono su F' due curve contenenti come parti rispettiv. le vA", vB': siano dunque vA"+ M", vB'-+ N’ tali curve. (') Ricordiamo che una curva può possedere corrispondenze singolari senza che alcuna di queste sia simmetrica. Per es., su una curva ellittica qualsiasi le corrispondenze simmetriche sono sempre a valenza (Severi). (3) Cfr. la mia Nota Sulle varietà di Jacobi (Nota II, in questo stesso fascicolo), n. 5. il — 480 — iù Poichè su F le M,N sono algebricamente equivalenti, su F' avremo IV) (2) vA'+M'= vB'4+N'; e da ciò segue, intanto, che le curve M', N’ sono dello stesso ordine. dl) Si osservi adesso che, in virtù della (1), le curve II) (v'—'e) AEM; BEN segano, sulla generica C’, gruppi equivalenti; e poichè esse hanno lo stesso ordine, e il fascio delle C' è privo di curve spezzate, risulta (Severi): (v—s)A + M'=(v— «)B'4 N Ma questa relazione, per e +0, è, a causa della (2), aritmeticamente assurda: infatti facilmente si deduce dalla (2) che i gradi virtuali delle curve (v — «)A' + M', (rv — #)B'4+N' non possono, se #“+0, eguagliare il numero delle loro intersezioni. Segue che deve essere £= 0; e quindi le curve di S risultano, come si voleva dimostrare, fra loro equivalenti. D'altronde, se la superficie F_ fosse irregolare, si potrebbe certamente fi) costruire un sistema soddisfacente alle ipotesi ammesse per S, e non costi- | tuito di curve equivalenti. Ciò prova la verità del teorema enunciato. Fisica. — Za costante dielettrica dell'azoto ad alta pres- stone ('). Nota di E. BopAREU, presentata dal corrisp. A. BATTELLI. Con il metodo descritto in una Memoria pubblicata dal prof. Occhia- lini e da me (*) sulla costante dielettrica dell'aria, ho intrapreso la misura della stessa costante relativa all'azoto fortemente compresso. Il gas mì è stato fornito in bombole a 125 atmosfere dalla ditta Kahlbaum di Berlino e dalla Società ossigeno ed altri gas compressi, iui con garanzia della più completa purezza; ed io lo introducevo dentro il ni recipiente che conteneva: il condensatore (cfr. Mem. cit.), dopo aver operato | in questo la più spinta rarefazione ottenibile con una pompa di Gaede. Una =d lunga colonna di cloruro di calcio, chiusa dentro un robusto cilindro di ghisa, | era intercalata fra la bombola ed il condensatore allo scopo di rimuovere le eventuali tracce di vapor d'acqua. In comunicazione col recipiente contenente il condensatore era posto un secondo recipiente robustissimo di acciaio, della capacità di circa 5 litri, il I quale, contemporaneamente al primo, veniva riempito di gas finchè non era stabilito l'equilibrio di pressione col gas nella bombola; dopo ciò, esclusa () Lavoro eseguito nell'Istituto di fisica della R. Università di Pisa, diretto dal I| z | prof. Ang. Battelli. | (?) A. Occhialini e E. Bodareu, Nuovo Cim., 4 (1918). — 481 — la comunicazione colla bombola mediante un rubinetto, si riempiva il se- condo recipiente con olio di vaselina per mezzo di una pompa di compres- sione, in modo da spingere tutto il gas dentro il primo recipiente per aumen- tarne la pressione. Questo procedimento è stato ripetuto fino a raggiungere la pressione di 226 atmosfere circa. Per particolarità dei metodi di misura della densità e della costante dielettrica rimando alla Memoria sopra citata. Qui riporto i risultato delle K—-1 K-1 1 "E a K+2 ‘gd’ corrispondenti alle varie densità alla temperatura media di 23°C circa. misure, insieme coi valori dei rapporti Press. ppross. in atmosf. | Densità Costante Kt1 Kt1 1 È 0 . 107 (== .,+. 10? secondo d dielettrica K d K+-2 Amagat 87 80 1,04750 5938 1949 114 105 1,06276 5978 1952 143 130 1,07828 6022 1956 174 155 1,09373 6047 1955 205 180 1,10958 6085 1957 226 195 1,11867 6086 1952 Le densità sono riferite all'azoto nelle condizioni normali (cioè a 0° e a 760 mm. di pressione); la pressione è calcolata dalle tabelle di Amagat, ed è soltanto approssimativa. I valori della costante dielettrica per ogni valore di densità dati nella tabella precedente, sono le medie di parecchi valori ottenuti in condizioni assai simili di pressioni e riportati tutti ad un unico valore della densità. Da una discussione dei possibili errori (cfr. Mem. cit.) si può ritenere sicura la quarta cifra decimale. K—-1 d sentando nel campo da me studiato una variazione massima del 25 per 1000 e mostrando una continua tendenza a crescere. Invece, qualunque tendenza Ko. O e varia notevolmente con la densità, pre- Il valore del rapporto sistematica manca nel valore del rapporto stante a meno del 4 per 1000. Sicchè si può concludere che per l’azoto vale la formula: K—-1 K+2 $ b [OE 1\9548 d = gd, Anteriormente la misura della costante dielettrica dell'azoto è stata eseguita da Tangl (*), il quale però si è spinto con la pressione fino a 100 atm., presso a poco il punto d'onde io sono partito. Alla densità 80 il valore di K dato da Tangl è di 1,04710, differente di 0.0004 da quello da me tro- K—1 1 (RESSE K org sa vato. Secondo il Tangl, poi, il valore della costante rebbe 1935. Per estrapolazione, dai miei dati sì ottiene come valore della costante dielettrica dell'azoto, alla pressione normale, 1,000587; mentre coi dati del Tangl si otterrebbe 1,000581. Come si vede, le divergenze fra i miei risultati e quelli del Tang] sono abbastanza piccole da poter essere pienamente giustificato della non rigorosa identità dei gas e delle profonde differenze nel metodo di ricerca. Fisica. — Za costante dielettrica dell'idrogeno ad alte pres- sioni (*). Nota di A.OcCHIALINI, presentata dal Corrisp. A. BATTELLI. In questa Nota espongo i risultati delle misure della costante dielettrica dell’idrogeno compresso fino a 200 atmosfere, riservandomi di pubblicare tutte le particolarità del metodo quando avrò completato le ricerche che da tempo ho intraprese sopra alcuni gas puri compressi. Del resto, il metodo seguìto in questo lavoro è già esposto, nelle sue linee generali, in un'altra pubblica- zione (5); gli apparecchi della presente ricerca non sono tutti quelli adope- rati negli studî sull’aria, giacchè lo scoppio di un recipiente ad aria com- pressa ha reso inutilizzabile gran parte di questi ultimi; ma nella ricostru= zione di essi, pur introducendo modificazioni consigliate dalla precedente pratica, ho conservato intatto il principio informatore del metodo. Sicchè ri- guardo alle approssimazioni valgano anche per questo lavoro gli apprezzamenti contenuti nella citata Memoria. La mia ricerca è stata preceduta da quella del Tangl (4), il quale però non ha superato le 100 atmosfere ed ha seguìto metodi sostanzialmente diversi, tanto nella misura della densità quanto in quella della costante dielettrica. Per esempio, la densità nel lavoro del Tangl è dedotta dalla pres- sione letta sopra un manometro metallico con interpolazione sulle tabelle di Amagat; mentre io ho sempre determinato la densità in modo diretto: inoltre il valore della costante dielettrica è ottenuto da me senza ricorrere, (1) Tangl, Ann. d. Phys., 26, pag. 59 (1908). (3) Lavoro eseguito nell’Istituto di fisica di Pisa, diretto dal prof. A. Battelli. (*) A. Occhialini e E. Bodarea, Nuovo Cim., 5, 12, 1913. (4) Tangl, Ann. d. Phys., 26, pag. 59, an, 1908. Cdlec Lul come ha fatto il Tangl, ad una campionatura per mezzo di sostanze a costante dielettrica nota, e ciò, a mio parere, rappresenta un notevole vantaggio. L'idrogeno da me adoperato è stato fornito dalla Casa Kahlbaum com- presso a 125 atm., e garantito di estrema purezza. Tuttavia ho trattato il gas con energici disseccanti per eliminarne le possibili tracce di umidità. Prima di introdurre il gas nel recipiente che conteneva il condensatore, si estraeva l’aria con una pompa di Gaede in ottime condizioni di funzionamento spingendo la rarefazione all'estremo. Allo scopo di raggiungere pressioni più elevate di quelle ottenibili dalla bombola, fu posto in comunicazione col recipiente del condensatore, che ha circa un litro di capacità, un secondo recipiente di acciaio della capacità di circa 4 litri. Quando i due recipienti erano in equilibrio di pressione (la massima fornita dalle bombole) si escludeva con un rubinetto di comu- nicazione la bombola e si ieniettava olio nel secondo recipiente, mediante una pompa di Cailletet, sino quasi a riempirlo. Così si poteva ridurre il volume del gas a circa !/; del primitivo. Per ottenere ulteriori elevamenti di pressione bastava ripetere l’opera- zione con nuovo gas preso dalla bombola e con particolarità di manovre facilmente immaginabili. Nella tabella seguente sono riportate le pressioni approssimative in atmosfere, dedotte dalle tabelle di Amagat; le densità 4 misurate diretta- mente e riferite all'idrogeno nelle condizioni normali di temperatura e di pres- K—-1 K-1 1 sione; la costante dielettrica K edi valori dei rapporti Of e PD peo alla temperatura di 24° C circa. Pressione | Densità Costante Re 107 IL 108 approssimata di dielettrica K d K+2'd 94 80 1,02180 2725 9018 117 100 1,0275350 2730 9018 144 120 1,03280 2733 9012 169 140 1,03835 2739 9015 196 160 1,04390 2744 9014 La precisione delle misure permette di ritenere sicura la 4* cifra de- cimale - (cfr. Mem. cit.). Le misure incominciano da dove ha terminato il Tangl; alla densità 80 il valore di K — 1 del Tangl e 0,02173, inferiore di appena il 3 per 1000 a quello trovato da me. L'estrapolazione alla pressione normale fornisce 1,0002705 (il Tangl trova 1,0002730), che supera di poco più dell'1°/ quello trovato da Kle- mentié e da Boltzmann. — 484 — K—1 IE Il rapporto 7 presenta una variazione massima del 7,3 per 1000, KTt1 1 Tera o varia al massimo di meno di 0,66 per 1000; e le variazioni non hanno alcun carattere sistematico; talchè questo rapporto si può ritenere praticamente costante. Credo quindi che per l'idrogeno sì possa scrivere la formola: KTl 1 dh K+2 va 90154. 10 con un'incertezza di poche unità nella cifra del quint'ordine della costante del secondo membro. i Per valore di questa costante il Tangl dà 903.1077, deducendolo da valori che, fra 20 e 100 atmosfere, variano tra 898 e 908. ma cresce sistematicamente con la pressione; invece il rapPorto Fisica. — Zelefono fondato sulla magnetostrizione. Nota di L. TIERI, presentata dal Socio P. BLASERNA. Sin dal 1879 Ader (') realizzò un telefono fondato sul fenomeno della magnetostrizione, adoperando come materiale magnetico un filo di ferro. La semplicità con cui avviene la variazione di lunghezza di un filo di nichel con la magnetizzazione, in quanto va sempre accorciandosi col crescere del campo magnetico nel quale è posto, e, quel che più importa, le srandi variazioni di lunghezza che questo metallo offre specialmente quando è ricotto, in confronto con gli altri corpi ferromagnetici, fanno pensare che il nichel ricotto sia il corpo ferromagnetico più adatto per la realizzazione del telefono fondato sul fenomeno della magnetostrizione. L'esperienza ha confermato la previsione: la sensibilità del telefono a filo di nichel è incomparabilmente maggiore di quella del telefono a filo di ferro. Per la realizzazione del telefono in cui vengono utilizzate per la ripro- duzione della voce le variazioni di lunghezza, e conseguenti vibrazioni che subisce un filo di nichel posto nel campo magnetico variabile, generato da una bobina percorsa dalla corrente microfonica, un dispositivo può essere quello che vedesi in sezione nella fig. 1. Un filo f di nichel ricotto, del diametro di un millimetro circa, e della lunghezza di 10 centimetri, è sal- dato per un estremo nel centro di una lamina / di un ordinario telefono; l’altro estremo poggia contro la parete interna della bobina 6, i cui capi (4) Comptes Rend., 1879, tom. 88, pag. 575; Lumière Elect., 1879, vol. I, pag. 27. — 485 — terminano nei serrafili s e s', o è fisso rigidamente alla guaina di protezione nel punto 9. Tale apparecchio ha una buona sensibilità, specialmente se il filo di nichel si sottopone previamente ad una magnetizzazione ciclica; ed SKÀki= LIVLSOF SVI I ZLERENI DATA £ ILIADE aes il è, come quello di Bell, invertibile: disponendone due in serie e parlando davanti alla membrana di uno di essi, nell'altro sì sente riprodotta distin- tamente la parola. Chimica. — Composti del nichel monovalente (*). Nota III di I. BeLLUCcI e R. CORELLI, presentata dal Socio E. PATERNÒ. In due Note precedenti, da noi pubblicate in questi Rendiconti (*) sullo stesso argomento, abbiamo dimostrato che la colorazione rossa intensa che assume la soluzione acquosa dell’ordinario nichelocianuro Nî Cyy K: quando venga sottoposta all’azione dell'idrogeno nascente in ambiente alcalino (es. amalgama di sodio), dipende dalla formazione di un composto cianurato o meglio di un cianosale del nichel monovalente. Siamo giunti a questa conclusione avendo provato concordemente, con l’impiego di varî metodi ana- litici, che il cianosale rosso, per riossidarsi a nichelocianuro Ni Cy, K3, con- suma esattamente un grammo equivalente di ossigeno per ogni grammo-atomo di nichel, quale richiede appunto il passaggio Nìt —> Ni”. Si verifica cioè in tale processo la riduzione di un cianosale (giallo) del nichel bivalente a cianosale (rosso) del nichel monovalente. Isolamento del cianosale rosso NìCyz3 K.. Appariva interessante di isolare questo cianosale del nichel monovalente, contenuto nella soluzione rossa, per poterne stabilire il tipo NiCy, x Cy K e paragonarlo con quelli numerosi dei cuprocianuri, derivati cioè dal rame (*) Lavoro eseguito nell’Istituto Chimico della R. Università di Roma. (3) Questi Rendiconti 1913, I sem, pp. 603 e 703. RenpIconTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 66 — 486 — monovalente (’), coi quali, per le ragioni accennate nella nostra prima Nota, interessava soprattutto stabilire delle analogie. Nessuno degli AA. (Papasogli, Moore, Reitzenstein, Hayek) che si sono occupati della soluzione rossa cianurata del nichel è riuscito ad isolare da questa il composto rosso. In verità, questo problema non si presentava a priori sotto un aspetto facile, data la grande ossidabilità del cianosale rosso che sarebbe probabilmente divenuta maggiore allorchè si fosse allontanato dalla soluzione e privato quindi dell’eccesso di alcali derivante dalla sua preparazione. Dopo numerosi tentativi siamo giunti ad isolare il cianosale rosso, precipitandolo opportunamente dalla soluzione acquosa per aggiunta di alcool. L’operazione sì compieva entro un imbuto a robinetto di forma cilindrica, nell'interno del quale si manteneva costantemente un'atmosfera di idrogeno. Si adoperava una soluzione acquosa di nichelocianuro Ni Cy, K» (10-15 cme.) satura a temperatura ordinaria, e si procedeva alla riduzione nel modo con- sueto e già descritto, impiegando un eccesso di amalgama di potassio al 3 °/. Completata la riduzione, si lasciava scolare il mercurio dal robinetto inferiore, e si aggiungeva alla soluzione rosso-scura un notevole eccesso di alcool (30-40 cme.); per l'aggiunta di quest'ultimo, agitando vivamente, si separava una sostanza di colore rosso-cupo, di aspetto apparentemente oleoso, la quale rimaneva in massima parte aderente alle pareti interne del recipiente. In grazia di quest'ultima favorevole circostanza si lasciava scolare completamente il liquido acquoso-alcoolico, divenuto quasi incoloro, e si lavava per tre o quattro volte con rinnovate quantità di alcool al 90 °/, il precipitato rosso, sempre aderente alle pareti. Durante tutte queste operazioni, eseguite con una certa rapidità, si aveva naturalmente cura di mantenere nel miglior modo un ambiente di gas inerte nell'interno del recipiente. La sostanza rossa, così isolata, portata a contatto dell’aria, si altera molto rapidamente ed in modo tale da non potersi praticamente conservare e ridurre allo stato di secchezza, come lo mostra il quasi subitaneo cambiamento del suo colore. Si scioglie in pochissima acqua rigenerando una soluzione di colore rosso intenso, la quale, esposta all'aria, si va decolorando, mentre parte del nichel precipita sotto forma di idrato NiO, aq., ed il resto rimane disciolto allo stato di nichelocianuro Ni Cy, Ks: tale ossidazione avviene molto più rapidamente a caldo. Questa grande alterabilità non ostacolava, del resto, lo scopo che volevamo raggiungere, giacchè, per stabilire il tipo del cianosale Ni Cy,xCyK, non occorreva di avere un prodotto secco. Appena precipitato e ben lavato con alcool, il cianosale rosso, in quantità qualsiasi, venne disciolto in acqua e fatto subito effluire dall’imbuto a robinetto entro un eccesso di soluzione (1) Grossmann u. von der Forst, Zeitschr. f. anorg. Chemie, 43, 94 (1905). — 487 — titolata di jodio: dosando il nichel, dopo la prova jodometrica, risultò che, per ogni grammo-atomo di nichel, veniva consumato un grammo-atomo di iodio, rimanendo così provato che durante la precipitazione ed i lavaggi, eseguiti nel modo sopra indicato, il cianosale rosso non aveva sofferto ossìi- dazioni sensibili. Altre preparazioni del cianosale rosso, egualmente isolato e lavato, si utilizzarono per precisare in esso i rapporti Ni:Cy:K. A tale scopo, la soluzione del cianosale rosso, addizionata di un po di acqua ossigenata, veniva trattata con soluzione di nitrato di argento, acidi- ficando poi debolmente con acido nitrico. Raccolto il cianuro di argento, si toglieva nel filtrato l'eccesso dell'argento per aggiunta moderata di acido cloridrico, compiendo nel nuovo filtrato la determinazione del nichel e del potassio. Si ottennero in tal modo i seguenti risultati su due prodotti di diversa preparazione: 1°. A gr. 0,1823 di Cy corrisposero gr. 0,1331 di Ni e gr. 0.1902 di K. d°. A gr. 0,1182 » >» ” » 0,0904 » » » 0,1339 » » 3°. A gr. 0,1758 » » ” » 0,1248» » » 0,1832 » » Da questi dati si desumono i seguenti rapporti atomico-molecolari : Ni Cy K Jos 1 5.09 2,15 20. 1 2,95 2,22 DO. 1 5.18 2.20 Come vedesi, tali rapporti, considerando le difficoltà inerenti all’ isola- mento del cianosale rosso, corrispondono con quelli 1Nì :38 Cy:2K da cui sì deduce che la formola che compete al cianosale rosso è NiCy, 2 CyK, ossia [ Ni Cy3] K:. Riducendo adunque in soluzione acquosa il nichelocianuro NiCy, K», riferibile al nichel bivalente, si genera una colorazione rossa più o meno intensa, per la formazione del nichelocianuro NiCys K» riferibile al nichel monovalente. È interessante di notare che quest’ultimo trova l’analogo cianosale CuCy3 K. fra i tipi di cuprocianuri descritti per il rame monovalente. A somiglianza di quella del cianosale giallo Ni Cyy K3, la soluzione rossa del cianosale Ni Cy3 Ks non precipita per aggiunta di solfuro ammonico. Se si acidifica a temperatura ordinaria la soluzione del cianosale rosso NiCy, 2CyK, quale direttamente proviene dalla riduzione del cianosale giallo Ni Cy», 2CyK, precipita in fiocchi una sostanza color rosso-aranciato, mentre il liquido sovrastante si decolora completamente. Questo precipitato — 488 — rosso-aranciato, lasciato in seno al liquido, a contatto dell’aria, lentamente si ossida trasformandosi nel cianuro verde Ni Cy,, assumendo il colore verde pallido, caratteristico di quest'ultimo cianuro; per aggiunta di ossidanti, tale trasformazione avviene istantaneamente (es. con soluzione di iodio) o con grande rapidità (es. con soluzione di acqua ossigenata). Il precipitato rosso-aranciato si scioglie in una soluzione di cianuro potassico, rigenerando la soluzione rossa, per cui, da tutto l'insieme, non può sorgere dubbio alcuno che esso rappresenti il cianuro Ni Cy. Precipitato, raccolto su filtro alla pompa e lavato (compiendo tutte queste operazioni in atmosfera di idrogeno), sì ossida a vista d'occhio, ed il suo bel colore iniziale rosso-aranciato si copre subito di un velo verdastro [cianuro Ni(CN). ed idrato Ni(OH),]. Per evitare che questo precipitato fioccoso si alterasse, venne da noi utilizzato appena precipitato dalla soluzione del cianosale rosso, senza sepa- rarlo dal liquido. A tal uopo un determinato volume di soluzione cianurata rossa, a titolo esattamente noto in nichel, appena ultimata la riduzione nel modo descritto | e separato il mercurio proveniente dall'’amalgama di sodio, veniva fatta di effluire dalla buretta di riduzione entro un eccesso di soluzione titolata di il Jodio, resa sufficentemente acida per acido cloridrico. Per ogni saggio furono impiegati 10 cme. di soluzione rossa. I. Soluz. di Ni Cyy Ks (circa al 2 °/,) contenente gr. 0,004201 di Ni per ce. : Trovato Calcolato per NiX N I II il Ossigeno 0,005652 0,005794 0,005726 ill e riferendosi ad un grammo-atomo di nichel: Ossigeno 7,89 8,09 8 il II. Soluz. di Ni CyyK (circa al 4°/,) contenente gr. 0,008672 di Ni per cc. : Trovato Calcolato per Ni X I II Il Ossigeno 0,01161 0,01171 0,01182 e riferendosi ad un grammo-atomo di nichel: Ill Ossigeno 7,86 7,92 8 il Come vedesi, questi risultati provano che la sostanza rossa-fioccosa, in accordo con la formola NiCy, consuma un grammo-equivalente di ossigeno per ogni grammo-atomo di nichel, per trasformarsi completamente nel cianuro verde NiCy». Da quanto abbiamo osservato, considerando i cambiamenti di colore tanto visibili da cui è accompagnata, la riduzione del nichelocianuro potassico ill: — 489 — Ni Cy, K,, in soluzione acquosa, al 4-5 °/, può rappresentare addirittura un'esperienza di scuola, a proposito dei composti del nichel monovalente. La riduzione si compie infatti rapidamente a temperatura ordinaria, aggiun- gendo successivamente alla soluzione agitata del michelocianuro piccoli pezzi di amalgama di sodio; il colore della soluzione passa in modo visi- bilissimo dal giallognolo al rosso intenso, e quest'ultimo, sospesa la riduzione, torna nuovamente al giallognolo per semplice agitazione in presenza del- l'ossigeno atmosferico o per l'aggiunta, ad es., di poche gocce di acqua ossi- genata. In parallelo può ancora mostrarsi che, mentre, per aggiunta di acidi diluiti, la soluzione gialla del comune nichelocianuro NiCy,Ks lascia pre- cipitare il cianuro verdastro NîCy», dalla soluzione rossa ottenuta per ri- duzione precipita il cianuro rosso-avanciato Ni Cy, di cui si può subito di- mostrare la facilissima ossidabilità aggiungendo un po' di acqua ossigenata che lo trasforma rapidamente nel cianuro verdastro Ni Cy.. Stiamo continuando le ricerche su questo argomento. Chimica. — Sulla trasformazione del dibenzaldifenilidrote- trazone nel derdrobenzalfenilidrazone e nel benzilosazone(*). Nota di KR. Crusa e B. ToscHi, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Per ossidazione del benzalfenilidrazone si ottengono, oltre ad altri pro- dotti, tre isomeri Cs6 His N: il dibenzaldifenilidrotetrazone I, il deidro- benzalfenilidrazone II e l'osazone del benzile ITI (?). CH;.CH:N.N.CsH; RI | CHE-SCH NONZACHHE }Î SEO, Ho. CH :INFINICSHS ZO CH:N.NH C;H; Ir De II CH; .0: NENHEGH5 | — II CH,.C:N.NH.C,H. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Boloena. (*) G. Minunni, Gazz. (1892), 22 è, 217; (1896), 26 @, 441; (1897), 27 è, 219, 244, 277; (1899), 29 3, 420, 484, 437; E. Bamberger, Berichte, 34, 523, 2017; 26, 57, 92; H. v. Pechmann, Berichte, 26, 1045; 27, 2920; H. Ingle e H. H. Mann, Journ. of Chem. Soc. (1895), 606; Japp e Klingemann, Ann., 247, 222. — 490 — Ciò che però rende particolarmente interessanti questi prodotti d' ossi- dazione, è la proprietà, scoperta e studiata da G. Minunni, che ha il diben- zaldifenilidrotetrazone I, di potersi trasformare nel deidrobenzalfenilidrazone II e nell’osazone del benzile III. Il deidrobenzalfenilidrazone 1I, può ritrasfor- marsi nell'idrotetrazone I per azione dell'acido nitroso. Benchè non sia stato dimostrato direttamente, anche il deidroidrazone II (*) può trasformarsi nel- l'’osazone del benzile III. Per la trasformazione dell’idrotetrazone in osazone del benzile, noi abbiamo trovato che è assai conveniente di far bollire per alcuni minuti l’idro- tetrazone con acido cloridrico alcoolico : se si opera con una quantità sufficiente di alcool, sì può osservare che l’idrotetrazone, dopo alcuni minuti, si scioglie, mentre contemporaneamente si separa l’osazone: il rendimento è buonissimo. Queste trasposizioni sono di facilissima esecuzione: la spiegazione non è stata però, per quanto noi sappiamo, neanche tentata. Le eleganti ricerche di Wieland sul contegno della tetrafenilidrazina e sulle analogie di questa coll’esafeniletano (*), a nostro avviso, chiariscono completamente il meccanismo di queste trasposizioni, non solo, ma quello di molte altre trasposizioni che con esse presentano una grande somiglianza. La tetrafenilidrazina e l'esafeniletano sono dissociabili rispettivamente in azotodifenile (*) e trifenilmetile: (GRIS (GA15f (156 N—N< quia, i ) Gi <= A Ce ELE Co BE (03 E Cs Hsx PASILE Us HH: 0020; ES zia 2 (Ce H;); C Ce Hz” \CeHs . Se si mettono a reagire insieme la tetrafenìilidrazina e l'esafeniletano, si ottiene la trifenilmetildifenilamina Coe DIN L (CB): C—C(C Ho =2(C; Hg), —N—0(G Ho): : Ce H,; NG, H; ciò che sta a dire che in questo caso il legame C—N ha minor tendenza a dissociarsi che non quello C—C e N—N. Un'altra analogia fra l'esafeniletano e la tetrafenilidrazina, che a noi interessa ricordare, consiste nel contegno di queste due sostanze di fronte all’ossido d'azoto. Per azione dell’ossido di () 1 deidrobenzalfenilidrazone è fortemente fototropo: saranno istituite delle espe- rienze per vedere se anche gli altri deidroidrazoni lo sieno, e in che grado. (2) Ann, 392, 127, 133, 156, 169, 186. (*) Si potrebbe forse meglio chiamarlo difenilamino, per analogia col trifenilmetile. » — 491 — azoto si ottengono rispettivamente il trifenilnitrosometano (') e la difenil- nitrosamina (*) (CeHs)3 C+ NO => (CHs)g C.NO (CoHs):N+- NO => (CsH;):N.NO Tanto la difenilnitrosamina quanto il trifenilnitrosometano, per riscalda- mento si dissociano rispettivamente nei loro componenti. L'esafeniletano si comporta analogamente coll’ ipoazotide (CES) ICCIENO 2A (C, HO) SCONO.: Le esperienze istituite per preparare la difenilnitramina, che si sarebbe dovuta comportare come il trifenilnitrometano 0, H; c.H, DN NO i INEENOS CH; CH non ci han dato ancora alcun risultato positivo. La difenilnitramina corri- sponderebbe all’anidride nitrosa ONSNO SIMON E NOS Se si considera ora il dibenzaldifenilidrotetrazone come un'idrazina te- trasostituita, si può ammettere una tendenza a dissociarsi: CHs;.CH:N.N.CH; dal == (2CH,CCHONENEC.Hs. CH. CH:N.N.CH; Jl sistema non saturo, con un atomo d'azoto bivalente Cs$H;.CH:N.N.C,H; — non è, però, stabile: esso può trasformarsi nel sistema pure non saturo, con un atomo di carbonio trivalente, CHsC:NNHGH;=B. . Fra i due sistemi devesi ammettere uno stato d’equilibrio CHs CH:N.N.CH, 2" GHsC:N.NH.GH; A B Noi ci troviamo ora di fronte ad un caso perfettamente paragonabile a quello della reazione fra azotodifenile e trifenilmetile: se A si combina con se stesso, si ha l’idrotetrazone di partenza; se A si combina con B, si ha il deidroidrazone; se B si combina con se stesso, si ha l'osazone del benzile. Siccome l’osazone del benzile non pare che si trasformi in nessuno dei suoi isomeri, si dovrebbe concludere che il legame C—C di esso ha minor ten- (1) Berichte, 44, 1169. (3) Wieland, loc. cit. — 492 — denza a dissociarsi che non il legame C—N deidroidrazonico e N—N tetra zonico. Che sia possibile l’esistenza dei sistemi non saturi A e B, lo dimostrano le esperienze di E. Bamberger, eseguite quando, ancora, non solo non si aveva alcuna idea sull’esistenza dell’azotodifenile, ma anche l'esistenza del trife- nilmetile era molto discussa. E. Bamberger, nelle sue eleganti ricerche sul meccanismo dell’ossida- zione degli aldeidofenilidrazoni con nitrito d'amile, anidride nitrosa ecc., ha potuto dimostrare che come primo prodotto si forma un C-nitrosofenil- idrazone NO di il quale, per riscaldamento, elimina NO; il resto (CCHs C:NNH GC; H;) si condensa con se stesso per dar luogo ai tre prodotti d’ossidazione, il diben- zaldifenilidrotetrazone, deidrobenzalfenilidrazone e osazone del benzile NO e 2N0+[(CHyC:NNGH;)H]: (1). Evidentemente, perchè ciò avvenga, ricordando il contegno del trifenil- nitrosometano, è necessario che il radicale ad atomo di carbonio trivalente, che si forma in un primo tempo, si trasformi, in paite od in tutto, nel ra- dicale ad atomo d'azoto bivalente: CH;C:NNHGH, > CH;CH:NNG H;. Il nitrosoidrazone della benzaldeide a causa della sua instabilità, non è stato ottenuto allo stato libero: si presta invece assai bene, sempre secondo le esperienze di Bamberger, il nitrosoderivato del p-nitrofenilidrazone della benzaldeide: NO | CoHsC:NNHC;H,..NO,.. Questo nitrosoidrazone, per riscaldamento. libera quantitativamente NO. Contemporaneamente si forma un composto Cs6 Hs20 0, Ne (p. fus. 236°-238°), al quale Bamberger assegna la costituzione: Co HERCAN.NH'. CHTONO, TT CH CHiNENCH NO: Sarebbe, quindi, un deidroidrazone. Noi abbiamo ripetuto le esperienze di Bamberger, allo scopo di vedere se nelle acque madri della reazione fosse possibile di riscontrare la presenza (1) E. Bamberger e W. Pemsel, Berichte, 36, 161; 347. — 493 — di qualche altro prodotto (di ossidazione del p-nitrofenilidrazone della ben- zaldeide) C:6H2004 Ne, oltre quello di Bamberger. Abbiamo ottenuto ancora l’azossima corrispondente al nitrosoidrazone NO | CHESCENUNE: CH NO; === CsH;C(:NOH).N:N.CH,.NO, riconosciuto al suo punto di fusione ed alle sue proprietà. Si ottiene inoltre una certa quantità del p-nitrofenilidrazone della benzaldeide. La formazione di quest'ultimo prodotto dal sno nitrosoderivato, fa supporre la formazione di qualche altro prodotto meno idrogenato della sostanza fondente a 236-238°: non siamo però riusciti ad isolare aleun altro corpo. Siccome i deidroidrazoni forniscono assai facilmente un derivato ben- zoilico, così, per dimostrare la natura deidroidrazonica del prodotto C36 Hso0 04 Ns (p. f. 236-238°) ammessa da Bamberger, abbiamo fatto agire su di esso il cloruro di benzoile: in soluzione piridica le due sostanze non reagiscono. Perchè reagiscano è necessario scaldarle a 130-135°: si ottiene in questa maniera una sostanza fondente a 259°, della formula Cso H30 04 Ne (?) e che non è un benzoilderivato. Assai probabilmente, si tratta di un prodotto analogo a quelli che Minunni ottiene per azione del cloruro di benzoile sull’idrotetrazone. Ciò, veramente, non parlerebbe in favore della natura dei- droidrazonica ammessa da Bamberger per la sostanza Cs Hs00y Ns, che si potrebbe assegnare anche alla classe degli idrotetrazoni. Non bisogna però dimenticare che anche dal deidrobenzalfenilidrazone si ottengono per azione cloruro di benzoile, dei prodotti differenti dal semplice benzoilderivato. A questo proposito non ci pare fuor di luogo il far notare come sarebbe neces- sario continuare lo studio dell'azione del cloruro di benzoile sui prodotti di ossidazione degli idrazoni, anche per estendere la conoscenza delle reazioni anomale del cloruro di benzoile. ‘ Comunque, siccome la sostanza C.3Hx00jNs di Bamberger, fondente a 238°, è ben differente dal nitrofenilosazone del benzile che fonde a 290°, sì deve ammettere che il resto CH;C:NNH.GCH,.NO; ad atomo di carbonio trivalente, e che si ottiene per scomposizione del nitrosoderivato, si sia trasformato in parte nel sistema ad atomo d’azoto bivalente CH; CH:N.N.CH,y.NO, (?), (') La sostanza brucia con estrema difficoltà. (*?) I nitroidrazoni, come i nitrosoidrazoni e come il trifenilnitrometano, per riscalda- mento, si scompongono eliminando ipoazotide, (Cs Hs)s (5 NO» qui (Cs Hs)z C + NO» NO, | CHE CLONFONIEONEE ==> CGH;C:N.NHCHy + NO; Non è però facile stabilire che cosa avvenga del resto CH; C:N.NH C;H;: variando RenpIconTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 67 — 494 — e che questi gruppi sì sieno uniti fra di loro per dare origine al deidro- idrazone. In relazione coll'’analogia di contegno fra il dibenzaldifenilidrotetrazone e la tetrafenilidrazina, sta anche la colorazione che assumono queste due sostanze a contatto dell'acido solforico concentrato: le due reazioni cromatiche vanno spiegate, assai verosimilmente, con lo stesso meccanismo. Perfettamente analoghe sono pure la ben nota reazione della difenilamina cogli ossidanti in soluzione solforica (*), e quella, pure in soluzione solforica, del benzalfenil- idrazone cogli ossidanti, messa in evidenza da uno di noi (?). Le trasformazioni del dibenzalfenilidrotetrazone ricordano, come già si disse, altre trasposizioni, che assai facilmente potrebbero essere spiegate in modo analogo. Nelle trasposizioni benzidinica e semidinica, ed in quelle, ben note, della fenilidrazina, fenilidrossilamina, della diacetanilide, delle nitrosamine, nitra- mine, diazoamidobenzolo ece., avviene sempre che l'azoto, si stacca dall'azoto e si stabilisce un legame C—N oppure C—C. Non è improbabile che il meccanismo di queste trasposizioni sia simile a quello delle trasformazioni degli idrotetrazoni (*). Ghimica. — zcerche intorno a sostanze aromatiche contenenti odio plurivalente (*). Nota VIII di L. MascARELLI e G. BRUSA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Dalle ricerche compiute tinora da noi (*), risulta che lo iodio pluriva- valente ha tendenza a formare nuclei eterociclici pentaatomici, unendosi con quattro atomi di carbonio. Ciò è stato dimostrato colle esperienze nella serie del difenile. Invece, quelle fatte collo stesso scopo nella serie del difenilme- tano (8) non ci hanno ancora fornito una prova certa della formazione di nuclei eterociclici costituiti da cinque atomi di carbonio ed uno di iodio. Era quindi anche di poco le condizioni d'esperienza, si ottengono prodotti differenti, sempre però in piccolissima quantità. In massima parte il prodotto si resinifica. (1) Wieland e Gambarjan, Ber., 39, 1053; Kehrmann e Micewicz, Ber., 45, 2641. (2) R. Ciusa, Gazz. chim., XLI. In fondo non è altro che la reazione di Bilow, (Ann. 236, 195; Ber., 25, 3684). Per ciò che si riferisce agli idrazoni, vedi Neufville und Pechmann, Ber., 23, 3375. (8) Vedi, per ciò che si riferisce alla trasformazione benzidinica, le idee in proposito di Wieland, Die Aydrazine, Stuttoart (1913), pp. 52 e segg. (4) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale della R. Università di Bologna. (©) Nota VII: Rend. R. Acc. Lincei, 2/, II, 617 (1912); e Gazz. ch. it., 43, 26. (1913). (6) Rend. R. Acc. Lincei, 29, II, 338 (1910), e Gazz. ch. it., 42, I, 75 (1912); Rend. R. Acc. Lincei, 2/, I, 145 (1912), e Gazz. ch. it., 42, I 623 (1912). — 495 — naturale che no) cercassimo di estendere le ricerche nella serie del dinaftile, dove sì supponeva di riscontrare un contegno analogo a quello dei derivati del difenile contenenti due atomi di iodio nelle due posizioni or/o rispetto al legame che tiene uniti i due nuclei fenilici. Le esperienze furono intraprese coi derivati dell’a-@'-dinaftile, di cui già si conosceva la tendenza a formare ruelei eterociclici, contenenti però il gruppo iminico in luogo dello iodio (naftocarbazoli). Tentammo la chiusura del nucleo con lo iodio, seguendo il metodo da noi più volte applicato con successo in casì simili: cioè applicammo la reazione diazoica al #-8'-diamino- a-a'-dinaftile (IIT) e scomponemmo con ioduro potassico il derivato tetrazoico così ottenuto. Diciamo subito che non si riesce per tale via ad ottenere direttamente la presupposta base dinaftileniodonica, ma solo il 8-#'"-diiodio-a-a'-dinaftile (IV). Inoltre possiamo ancora aggiungere che neppure seguendo la via più lunga, cioè quella di fare assorbire quattro atomi di cloro al diiodiodinaftile e poi trasformarlo in derivato iodoso o iodilico, indi trattare con ossido d'argento umido, (*) pare si possa raggiungere lo scopo. Infatti da alcune prove, che però hanno bisogno di essere ripetute e controllate perchè rimaneva a nostra disposizione assaì poca sostanza, sembra che il -g°-diiodio-@-@'-dinaftile abbia la proprietà di assorbire solo due atomi di cloro, per dare un biclo- ruro invece del tetracloruro di diiodoso-dinaftile (V). Ad ogni modo, il problema immediato, che ci si presentava, era quello di preparare in sufficiente quantità il #-g'-di-amino-a-a'-dinaftile (III). Pro- vammo varî procedimenti: quello che ci parve migliore (per le ragioni che esporremo, coi voluti particolari, in altro loco) si può indicare collo schema seguente: NAST ANADINENZANA \ 746 x A | gd SE | Zi SS di ANA NANI NANA UL EA NES NH, H,N I II III Trovammo infatti nelle indicazioni del brevetto di Lange (*) il modo di trasformare utilmente la 8-naftilamina (1) in #-#'-azonaftalina (II) per azione del bisolfito sodico sopra il derivato diazoico della naftilamina. Dalla #-f'-azonaftalina poi si passa con facilità (*) al diaminodinaftile (ITI) poichè, nella riduzione di quella con polvere di zinco e acido acetico, si ottiene subito la trasposizione dell’idrazonaftalina formantesi in diaminodinaftile. (1) Mascarelli e Benati, Gazz. ch. it., 38, II, 619 (1908). (3) D. R. P. 78225; Ch. Centr. 1895, I, 368. (*) Bucherer e Schmidt, Journ. prakt. Ch., 79, 411 (1909). 496 — A questo applicammo la reazione diazoica, e poi scomponemmo il derivato tetrazoico con ioduro potassico. La maggior parte del prodotto, che così si ottiene, è solubile in etere, e solo una piccola porzione rimane indisciolta : in questa ricerrammo le reazioni caratteristiche degli ioduri delle basi iodo- niche, poichè, per quanto si sa delle proprietà degli ioduri delle basi ora note, essi sono insolubili in etere e nella maggior parte dei solventi. Non ci fu possibile di avere indizio della presenza del ioduro di dinaftileniodonio. Questa parte insolubile contiene piccole quantità di naftocarbazolo. La parte solubile in etere è costituita essenzialmente dal f8-f'-diiodio- a-a'-dinaftile (IV), di cui non è cenno nella letteratura. Esso è in aghi pri- smatici (dall’acido acetico), di colore lievemente giallo e fondenti a 224-225°. Per azione del cloro su questo diiodiodinaftile, ottenemmo un prodotto fondente a 118-120°, che ha le proprietà dei bicloruri degli iodosocomposti; ma l’analisi dimostrò che esso conteneva solo due atomi di cloro invece di quattro richiesti dalla formola (V): y N Di N A N A X Il Nes gia A | AVE, \ CO NIC a 1) / NESASBNTIA J Jj JCIIACII IV V PARTE SPERIMENTALE (1). dl; La 8-g'-azonaftalina (II) occorrente per la preparazione del 8-f'-di-amino- | a-a'-dinaftile fu da noi preparata col processo di Lange (*). Il prodotto greggio richiede una purificazione piuttosto lunga: quando è cristallizzato ripetutamente dal toluolo, è in scaglie giallo-lucenti, fondenti a 203°. Il passaggio dell’azonaftalina (11) al 8-B'-di-amino-a-a'-dinaftile (INI) venne operato riducendo l'azonaftalina con polvere di zinco in soluzione acetica, | seguendo le indicazioni‘ di Meisenheimer e Witte (8). Tl precipitato violaceo, il gelatinoso, che si ha versando in acqua il liquido della reazione, si purifica ii assal bene dibattendolo con una miscela di un volume di acido cloridrico (4= 1.19) e cinque volumi di acqua. in cui il diaminodinaftile è facilmente ili solubile; si filtra, si precipita con ammoniaca tenendo la temperatura sotto i 10°. Cristallizzato dall'alcool, fondeva a 189°. Ci preparammo, così, circa Di 100 gr. di diaminodinaftile. (') La f-naftilamina occorrente per queste ricerche ci venne fornita dalla Casa | Meister Lucius & Briining di Héchst a. M. per questo noi siamo doverosi di ringraziamento. Il (2) D. R. P. 78225; Ch. Centr., 1895, I, 368. MIL (*) Ber. d. d. Ch. Ges., 26, 4159 (1903). — 497 — Applicazione della reazione diazoica al B-p'-di-amino-a-a'-dinaftile (III), e successivo trattamento con ioduro potassico. — Il miglior modo di applicare questa reazione per ottenere prodotto non troppo inquinato da materie resinose, è di operare così: gr. 20 di diaminodinaftile si sospendono in una miscela di cc. 80 di acido cloridrico (4= 1.19) e cc. 400 di acqua (nel qual caso la maggior parte della sostanza si scioglie); poi si porta la tem- peratura a — 5° e vi si aggiungono gr. 11 di nitrito sodico sciolto in 50 cc. d'acqua. Si deve ottenere la soluzione completa della sostanza e colorazione rossa del liquido: questo si versa in una soluzione di gr. 0 di ioduro po- tassico in 300 di acqua. Si ha separazione di iodio e di sostanza solida: si lascia in riposo una notte, si decolora con anidride solforosa e si scalda a circa 80°; così la parte solida si trasforma in una polvere gialla che fonde tra 190 e 200°, ma che non può essere seccata a b. m. perchè si resinifica. Venne estratta con etere in apparecchio Sox}let. Parte solubile in etere. — In talune preparazioni l'etere sciolse prati- camente tutto il prodotto; in altre lasciò piccola quantità di polvere bru- nastra (vedi dopo). La soluzione eterea venne concentrata a metà volume; così sì ottiene una polvere cristallina colorata in rosso. Non conviene eliminare tutto l'etere, perchè altrimenti il residuo si fa resinoso e nerastro e non si riesce più a liberarlo dalla materia colorante. La purificazione del prodotto richiede qualche cura: conviene lavarlo ripetutamente su filtro con alcool, poi scioglierlo nella minor quantità possibile di cloroformio; per raffredda- mento, una parte si separa in cristalli giallo-intenso; lo si ricristallizza dal- l'acido acetico glaciale. Cristalli aghiformi lievemente gialli, fondenti a 224-225°. L'analisi diede: Calcolato per Cso.HisJ2:°/ C 47.45; H 2.39; J 50.16 Trovato O 047122; CHER AZEGIE5OZIO Il 8-8'-diiodio-@-e'-dinaftile è solubilissimo in cloroformio, acetone, etere acetico, tetracloruro di carbonio, benzolo; meno in etere, poco in alcool etilico e metilico ed in acido acetico a freddo. i Parte insolubile in etere. — La piccola porzione di polvere brunastra, rimasta indisciolta, venne dibattuta a lungo ed anche scaldata in sospensione acquosa con ossido d’argento; ma non si potè ottenere la reazione alcalina nel liquido, come dovrebbe essere se vi fosse stata presente la base iodonica libera: nè il lieve intorbidamento avuto in seguito a trattamento con ioduro potassico può in tal caso essere indizio sicuro di traccie di base. In questa polvere è contenuto un po’ di naftocarbazolo, il quale evi- dentemente si origina nello stesso modo con cui sì forma il carbazolo quando si applica la stessa reazione all’o-0'-di-aminodifenile (*). (1) L. Mascarelli, Rend. R. Accad. Lincei, /6, II, 565 (1907). — 498-— Azione del cloro sopra il B-B'-diiodio-a-a'-dinaftile (IV) (*). — Facendo passare una lenta corrente di cloro nella soluzione cloroformica, mantenuta a 0°, della sostanza, si ottiene una crosta giallo-cristallina, che fonde, decom- ponendosi, a 118-120°. L'analisi del cloro attivo dimostrò trattarsi di derivato biclorurato. Calcolato per Cr0H;g Cla Ja: °/, CI 12.30; trovato 11.65. Procedemmo ad una ulteriore azione del cloro nella soluzione elorofor- mica del prodotto fondente a 118-120°, ma non ebbimo separazione di pro- dotto. Se si lascia evaporare a freddo il solvente, sì ottiene un olio, che si rapprende in pellicola resinosa. Chimica. — /cerche intorno a sostanze aromatiche conte- nenti todio plurivalente. Nota IX di L. MascaRELLI e M. NEGRI (*), presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Nel proseguire le ricerche già intraprese nella serie dei derivati del dinaftile (*) allo scopo di stabilire se anche questi sono in grado, come con una certa facilità avviene nella serie del difenile, di formare composti a nucleo eterociclico contenente quattro atomi di carbonio e uno di iodio, abbiamo voluto prendere in esame i derivati del #-8-'dinaftile. A tale scopo ci occorreva di avere a nostra disposizione una buona quantità di «-a'-diamino-8-f'-dinaftile (II), non ancora descritto nella lette- ratura, ed a noi necessario come prodotto di partenza. Abbiamo cercato di prepararlo per riduzione del corrispondente dinitroderivato (1), già ottenuto da Vesely (*). NO, 0:N NESSIHZN oto NANA NA ) (©) (>; DI (=>) (©) (=) {o} {o} o Vo} (Lo) (LaX} {Yo} (Lo) o) o) (0/0) (0.0) 00 (0.0) 00 (0 0) (00) DO (0.0) (0,0) (0/0 nm (x Ur CS (56) DO - (>) (fo) (00) -J DD Ur _ (e) DO la ta (X@} 00 Casi (cx) (Ad pas I N bal (©) = = = = = pa J ® Pie pe) n [>] (77) i (7) ‘2M9LSUI 0]08 79P 119/stWMI amp 190 110108 a2uviAqnIOsd 2719P dutpnpi;ni v0d 0u012nQILISI] °Il VITULY] 00) 001 006 ? 006 007 4 00) 009 00)£ 008 S Vem E» Sr | — 532 — i) Il | TapeLLA II. | RAPPORTO LATITUDINI RUIOGRAFICHE MEDIE DELLE PROTUBERANZE ANNO B:A Boreali Australi 1/3 (BH A) BT il | 1880 13 40° 0 00 Di 1881 10 37 3E 37 95 II 1882 11 36 34 (Mao SESiO, Li 1883 ii 32 31 32 5:05 i 1884 | 08 35 RSA +30 i 1885 1.0 31 26 29 42.5 | Massimo ili 1886 13 29 26 RS +1.5 ili 1887 0.9 3 38 82 +15 ii; 1888 0.3 28 32 i 200 i 1889 04 36 36 36 0 Minimo il 1890 0.6 39 43 A 20 Mevie 0.89 330.9 33° 6 330.8 + 0°.1 I 1891 1.3 38 38 38 0.0 | 1892 0.9 40 36 38 42.0 | Massimo 1893 0.7 3 40 36 _ 40 | 1891 0.7 30 di 37 ZON 1895 1.4 30 2 28 +20 1896 1.1 3 29 31 + 2.0 1897 12 34 30 32 +20 1898 0.9 38 29 31 +20 1899 0.5 36 35 35 +05 1900 0.6 4a 39 AI +25 1901 0.6 41 43 42 2-0 Mepie 090 359.5 350.4 35° 4 + 09.1 UNÌ 1902 10 45 52! 49 — 3.0 Minimo ia | 1903 12 49 43 42 065 IA 1904 12 3 35 37 URLS iti 1905 14 33 28 31 2 25 RATE 1906 15 3 30 30 +05 DINI 1907 0.9 30 29 29 40.5 | Massimo | 1908 0.7 26 29 28 o sl 1909 | 1.0 32 98 3 42.0 Wil) 1910 0.3 30 28 29 TUO LINA 1911 0.3 32 3 33 SIVO dii) 1912 04 39 37 38 SO Uil! MEDIE 0.90 34° 4 340.0 34°.1 + 0°.15 — 599 — Chimica. — 2Dwztroderivati delle benzine metadialogenate. Nota del Socio G. KoERNER e del dott. CONTARDI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Meccanica. — Sopra le azioni le quali si esercitano fra corpi che st muovono 0 si deformano entro una massa liquida. Nota del Corrisp. E. ALMANSI. 1. È noto che due sfere immerse in una massa liquida sufficientemente estesa in tutte le direzioni, aventi i loro centri in due punti fissi dello spazio, e raggi periodicamente variabili intorno ad un valor medio, al quale sì conservino sempre vicinissimi, esercitano una su l’altra un'azione attrat- tiva o repulsiva, secondochè le loro pulsazioni hanno la medesima fase, 0 fase opposta. Parimente, se, restando costanti i raggi delle sfere, i centri si spostano sopra una retta, oscillando intorno a due punti fissi, le due sfere si attrag- gono o si respingono a seconda che i loro centri hanuo, in ogni istante, velocità rivolte in senso contrario, o nello stesso senso. La trattazione analitica dei problemi di questo tipo, pur supponendo, come io supporrò, irrotazionale il movimento del liquido, e trascurabili le forze di massa, incontra difficoltà le quali, fatta eccezione per un numero limitatissimo di casi (tra cui quelli accennati), sono da ritersi insormontabili, Se però ci si contenta di determinare i caratteri generali del fenomeno, di stabilire, per esempio, se fra due corpi, in date condizioni di movimento, sì esercitano azioni attrattive o repulsive, rinunziando alla loro valutazione quantitativa, si arriva con facilità, in tutti quei casi che più interessano, allo scopo prefisso. È appunto la trattazione del problema così ridotto quella che io qui mi propongo ('). 2. Dimostrerò da prima una formula di cui dovrò far uso. Denoti g(x,y,<,%) una funzione finita e continua, insieme alle sue de- rivate prime, delle coordinate #,y,<, relative ad una terna di assi orto- gonali, e del tempo /, definita in una regione S dello spazio, fissa o va- riabile. (1) Sul problema delle sfere pulsanti o oscillanti, ved. W. Voist, Beitrdge sur Hy- drodynamik, Gott. Nachr., a. 1891. RenpIcoNTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 72 — 594 — Sia poi e una superficie chiusa contenuta in S, superficie che potrà comunque muoversi o deformarsi col tempo. In un punto qualunque di o diremo n la normale esterna, @ il coseno dell'angolo che # forma coll’asse delle x. Poniamo = |gado . (eo) La formula che vogliamo dimostrare ci darà un'espressione della deri- vata di @ rispetto al tempo. Intendendo che o si riferisca al tempo £, diciamo o’ la superficie al tempo 2", «' il coseno dell'angolo che la sua normale esterna 7' forma col- Vv Fi. 1. l’asse delle x. Denoteremo con g' il potenziale, con @' la quantità ®, al tempo 7. Sarà: -, D'-®= [ gado — | ga do . uo’ (0) Aggiungiamo e togliamo la quantità [ga do, denotando con g', anche nei ? — ?£ 0 in tuttii punti di w. dA dY d8 Per una proprietà delle funzioni armoniche ciò porta come conseguenza che il potenziale w è allora costante in tutto lo spazio $ (*), ossia che la velo- cità è nulla in tutta la massa liquida; e ciò non può accadere se non in quegl'istanti in cui tutti i pnnti di o e o' abbiano velocità nulla. 6. Supponiamo ora che, mentre i punti di o conservano le stesse velo- cità del caso precedente, i punti di o’ abbiano, in ogni istante, velocità uguali a quelle che possedevano nel caso precedente, ma rivolte in senso contrario. Siano N ed N’ le componenti, secondo le normali esterne 7 ,7', delle velocità di due punti P, P' appartenenti a o e o’, e simmetrici, nell'istante to, rispetto al piano @. Nel primo caso, conservandosi sempre la simmetria del sistema, si aveva, in ogni istante, N' = N. Nel secondo caso, se noì supponiamo che per tutta la durata del movimento gli spostamenti dei punti di o e 0‘, oltre ad essere piccolissimi, siano tali che le normali a 0 e o’ conservino direzioni sempre vicinissime a quelle che esse avevano nell'istante 4, (o in particolare coincidenti), potremo ritenere, essendo invertite, per ipotesi, le velocità dei punti di o' ,N'= —N, ossia n - Potremo poi, nel calcolo del potenziale, trascurando gli spostamenti (mentre non trascuriamo le loro derivate rispetto al tempo, ossia le velocità), ritenere due punti come P e P' costantemente simmetrici rispetto al piano w. Ne verrà di conseguenza che in due punti qualunque dello spazio occu- pato dal liquido, simmetrici rispetto al piano @, il potenziale avrà sempre valori eguali e contrarî. Sul piano © esso sarà nullo; sarà nulla perciò la componente T della velocità. E la formula (11) darà: 1 XxX = 9 I due corpi si respingono. 7. Il caso delle sfere pulsanti, con pulsazioni aventi la stessa fase, o fase ‘opposta, rientra nei due considerati. Siano O ed O'i centri delle sfere, simmetrici rispetto al piano ©; R,R i loro raggi periodicamente variabili col tempo. (1) Ved. la mia Nota, Un teorema sulle deformazioni elastiche dei solidi isotropi, Rend. della R. Accad. dei Lincei, a. 1907, 1° semestre. RENDICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 73 — 542 — Se è costantemente R'=R, se cioè le due sfere si conservano sempre simmetriche (uguali), e le loro pulsazioni hanno pertanto la stessa fase, le due sfere si attraggono. Se invece la somma R+ R' conserva un valore costante (quindi ; i dll ossia N'= — N), nel quale caso le pulsazioni hanno fase opposta, le due sfere si respingono. Parimente, se le due sfere, od anche due corpi rigidi qualunque C, 0°, simmetrici nell'istante 4 rispetto ad un piano e, oscillano secondo dire- zioni fisse (in particolare normali al piano) conservandosi sempre simmetrici rispetto ad w, i due corpi si attraggono. Invertendo il movimento di uno di essi, i due corpi si respingono. Lo stesso accade se i due corpì, anzichè con moto traslatorio, oscillano, intorno a direzioni fisse, con moto rotatorio. Se poi i due corpi, simmetrici nell'istante 4, rispetto al piano @, si muovono con velocità costanti, e tra loro eguali, secondo una direzione fissa parallela al piano, e si conservano in tal modo sempre simmetrici; non va- riando nè la configurazione del sistema, nè il suo stato di movimento, il coseno a e il potenziale g conserveranno in tutti i punti di o lo stesso valore. Sarà dunque verificata la condizione 2), e sussisterà la formula (10) dalla quale, tenendo conto del fatto che il sistema è sempre simmetrico rispetto ad ©, dedurremo, come nel $ 5, che i due corpi si attraggono, Così pure essi si attraggono allorchè ruotano, con velocità angolare costante, intorno ad una retta normale al piano w, essendo verificata, anche in questo caso, la condizione 2), e sussistendo la simmetria del sistema. 8. In quelli, tra i casi esaminati, nei quali i due corpi si conservano simmetrici rispetto al piano © (e perciò su questo piano la componente normale della velocità è nulla), noi potremo immaginare in @ una parete fissa, la cui presenza non modificherà il movimento del liquido, nè da una parte del piano, nè dall'altra; e tener conto soltanto di uno dei due corpi, per es. di C, e della massa liquida che si trova dalla sua parte. Vengono così messi in evidenza numerosi casi nei quali un corpo, movendosi o de- formandosi in prossimità di una parete piana, subisce un'attrazione verso la parete. Ma questo risultato si può generalizzare. Sia infatti © una superficie materiale fissa, la quale soddisfi a questa sola condizione: che in ogni suo punto l'angolo formato dalla normale » coll’asse delle x sia acuto o nullo; quindi a = 0. Lo spazio occupato dal liquido sia limitato dalla superficie @ di C, da w, e da una parte £ della sfera all'infinito. Supponiamo verificata o la condizione 2) (per esempio © sia una super- Scie cilindrica, e C si muova di moto traslatorio uniforme parallelamente alle sue generatrici; oppure sia una superficie di rivoluzione avente per — 543 — asse l’asse delle x, intorno al quale il corpo ruoti con velocità angolare costante), o la condizione c). La forza X potrà esprimersi mediante la formula (9), ove © denoti la superficie formata da © ed £: formula che potrà ridursi alla (10). Ma poichè la superficie w è fissa, ivi sarà N=0, quindi H=—j V?a=0 e perciò X < 0. Il corpo è dunque attratto verso la superficie @. 9. Si possono infine considerare dei casi nei quali la massa liquida occupa uno spazio finito. Sia essa limitata da una superficie chiusa, fissa, Z, simmetrica rispetto ad un piano , e da due sfere 9,0", contenute entro X, aventi i loro centri in due punti 0,0", simmetrici rispetto ad ©, e raggi R,R' variabili con periodo piccolissimo 6. Fic. 4. Chiamando 2, quella metà di X che si trova, rispetto ad ©, dalla stessa parte di o, supporremo che nei punti di X, l'angolo formato dalla normale interna 7 colla retta .0'O, che assumeremo come asse delle 4, non sla mai minore di un retto. Supporremo, poi, che tanto R quanto R' si man- tengano sempre vicinissimi ad un valore R,. Per la incompressibilità del liquido, lo spazio da esso occupato, quindi ancora lo spazio racchiuso dalle due sfere, dovrà conservarsi costante; e però ] 4 dovrà essere R? + R3= cost, da cuì R? 5 + R° si = 0, ovvero: GAD RATTI: UpesiaeeiR:=" dB e per conseguenza, denotando, al solito, con n ed 7°, sopra o e o", le nor- mali esterne sarà: dp di I Qi RE ai Noi vogliamo esaminare la componente X della forza che agisce sulla sfera o. Potremo far uso della formula (9), assumendo come superficie 7 — 544 — la superficie formata da 2, e da quella parte del piano w che è contenuta | entro Z. Trascurando, nel calcolo del potenziale, le differenze R — Ro, MILA R'— R, (non le loro derivate rispetto al tempo), potremo ritenere che si SUI “0 i dui aa ill punti simmetrici rispetto ad ©, avrà allora valori uguali e contrarii. Nei abbia costantemente R=R'=R,, . Il potenziale, in due da © silla punti di o €550 sarà uguale a zero, e la velata sarà anne ad w. Ln N pertanto si avrà H = N? ($$ 5-6). Nei punti della superticie 2), che è sli, fissa, suà N=0,H= — Mi a. Ma a=cos(n,x)=0 (ved. sopra). È i dunque H=0 su tutta la superficie 7, e perciò X >0. i Il Le due sfere si respingono. hi DI Mineralogia. — CQnosoisite di Campo a’ Peri (Elba). Nota Uni del Corrispondente FepERICO MILLOSEVICH. Il giacimento di Campo a' Peri nelle pendici di monte Orello (Blba) e ricordato da Artini ('), nella sua ottima monografia sull'epidoto elbano, fra Ì quelli che non fornirono il materiale migliore alle collezioni di Firenze. ui Artini cita per questo giacimento le forme {100} {001{ 3110} {111} {101} osservate in cristalli poco adatti a misure, di color verde chiaro, o giallo il pallido, o roseo, o anche incolori, dell'abito del comune epidoto. Posso aggiun- gere, a queste forme, anche le {210} {104} }6.0.25} da me osservate in campioni aggiunti alle collezioni dopo lo studio di Artinì. Fra questi mi venne fatto di esaminarne uno importantissimo. perchè reca piccoli cristalli lucenti e ben misurabili di quella varietà di epidoto poco ferrifera, che chiamasi cl220z07stte e che è nuova per l' Elba. Per quanto di piccole dimensioni, si tratta di cristalli migliori assai di quelli da me descritti per la medesima varietà di Val d'Aosta (*) e che permettono discrete misure, forse quanto quelli di Goslerwand presso Pré- graten, sui quali Weinschenk (*) fondò la sua nuova specie e che diedero anche materia ad uno studio cristallografico di Westergàrd (‘). I cristalli di clinozoisite si trovano sopra una roccia gabbrica meta- morfosata, e sono accompagnati da cristalli di grazato (grossularia) color rosso carnicino. (1) Artini K., Zpidoto dell'Elba. Mem. R. Acc. Lincei (ser. 48), IV, 1887. (2) Millosevich F., Sopra gli epidoti poco ferriferi (clinozoisite-epidoto) di S. Bar- thelemy in Val d'Aosta. Atti Soc. Lig. se. nat., Genova, XIX, 1908. (*) Weinschenk E., Veber Epidot und Zoisit. Zeit. f. Kryst. u. Min., XXVI, 156. Il (4) Westergàrd A. H., Veber Klinozoisit von der Goslerwand bei Prigraten, ibid., il XLII, 279. — 545 — Essi sono quasi incolori o con leggera tonalità rosea in alcuni casì, appena siallognola in altri. Sono limpidissimi, con lucentezza vitrea, con facce quasi totalmente prive di striature e che per riflessione dànno buone immagini. Il loro abito cristallografico è quello assai raro nell epidoto, che fu osservato anche da Artini nei cristalli di Patresi (Elba): cioè sono allungati secondo l’asse [:]; ma nei miei cristalli non vi è la forma }001}, che invece in quelli di epidoto di Patresi è sempre ben sviluppata. Le forme osservate sono le seguenti: 3100} {110} MORINI MAO 2000 Riporto alcuni dei valori angolari osservati, posti a confronto con quelli calcolati, secondo le costanti date da Artini per l'epidoto di Mortigliano (Elba). IMRE = imist9692534 cale. 69957’ diff = IMOR:I00/ == 054258! IMSA 5 o > (8% TOMERt00/= a Ne290454 ni 29054 » — 9 101: 101 = » 98022 2 OSIO ISO TORE = 69915: ai 60000 4 It = 54042) >» 54°49 qu ISO = 280507 n 2.90 Ce 3201 22034 n 1403008 Ae A, za e Me ZE 711/4933] >» + 6 L'accordo abbastanza confortante fra valori osservati e valori calcolati secondo le costanti dell’epidoto di Mortigliano. che appartiene indubbiamente, per le sne proprietà ottiche, alla varietà pistaczéte, conferma l'opinione espressa da Weinschenk (loc. cit.), che cioè dal lato dei valori angolari nessuna note- yole differenza intercedà fra clinozoisite ed epidoto comune. È ben vero che Westergàrd (loc. cit.), con misure su cristalli di Go- slerwand, ha creduto di poter calcolare delle costanti speciali per la clino- zoisite e anche degli assi topici, dall'esame dei quali risulterebbe che, con l'aumento di ossido ferrico nelle varie miscele epidotiche, crescono in corri- spondenza le dimensioni della struttura cristallina; ma d'altronde è evidente che sulle variazioni degli assi topici influiscono, in questo caso, non tanto variazioni notevoli dei valori angolari, che non sembrano dimostrate, quanto variazioni notevoli di peso specifico e di costituzione chimica e, quindi, di volume molecolare, che sono invece dimostratissime. — 546 — Per quel che riguarda le più notevoli proprietà fisiche dei cristalli di clinozoisite di Campo a’ Peri, ho deterininato il peso specifico col picno- metro, peso che risultò di 3,339. La doppia rifrazione è debole e positiva; l'indice di rifrazione #, deter- minato per confronto con liquido di Rohrbach opportunamente diluito, è 1,714 per la luce del sodio. L'indice 8 è quindi inferiore a quello di 1,7195 trovato da Weinschenk nei cristalli di Goslerwand. In relazione con questo relativamente basso indice di rifrazione, è da prevedersi uno scarso tenore in ferro. Non potendo eseguire della mia clino- zoisite un’analisi completa, per non distruggere in gran parte l’unico cam- pione che ne possiede il Museo di Firenze, ho creduto opportuno di eseguire soltanto con pochissimo materiale una determinazione volumetrica di ferro, ed ho ottenuto il contenuto di 1,19 °/, di Fe? 05, il più basso, che io sappia, fra le varietà di clinozoisite sin qui osservate. Quindi, questa di Campo a’ Peri è da ritenersi la più pura e la più tipica clinozoisite, fra quelle note finora. Matematica. — Zeorsa del Colpo d’ariete. Nota dell’ inge- gnere L. ALLIEVI, presentata dal Corrispondente V. REINA. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Matematica. — Sul concetto di funzione monodroma e su quelli che da essa derivano. Nota di S. CATANIA, presentata dal Corrispondente k. MARCOLONGO. Le idee che si esprimono comunemente con i termini corrzspondenza univoca, funzione monodroma (o operatore), operazione (0 operatore bi- nomio), relazione, intimamente legate fra loro, sono state oggetto di nume- rosi lavori (*). Mi è parso non inutile di riesaminare la questione ed esporre (1) G. Peano: (I) Formulario, ediz. I-V. — (II) Sulla definizione di funzione, Ren- diconti R. Accad. Lincei, vol. XX, 1° sem., serie 5%, fasc. 1°, 1911. — (III) Delle pro- posizioni esistenziali, International Congress of Mathematicians, Cambridge, 1912. — (IV) Una questione di grammatica razionale, IV Congresso internazionale di Filosofia, Bologna 1911. — (V) Zogica matematica, Bollettino di bibliografia e storia delle scienze matematiche, 1913. C. Burali-Forti: (I) Sur l’égalité et sur l'introduction des éléments dérivés dans la science, l'enseignement mathématique, 1°"e année, pag. 264. — (II) Gli enti astratti definiti come enti relativi ad un campo di nozioni, Rend. R. Accad. Lincei, vol. XXI, D47 — 1 risultati semplici ai quali sono pervenuto, essendo l'idea di funzione, e le altre che ne derivano, di continuo uso nella matematica pura e applicata. Non è certo facile di conciliare la chiarezza con la brevità. Riserbandomi di fare in altra sede un'esposizione minuta dell'argomento, specialmente per i riguardi didattici, avrò cura, in questa breve Nota, di porre in completo rilievo le varie questioni, e i vari modi con cui sono state trattate dai diversi autori. Intanto mi preme fare subito rilevare che il concetto di fun- zione (semplice, non /uretzo definita), come è stato dato per la prima volta da G. Peano (I), non solo è logicamente perfetto, ma è il più semplice che possa aversi nello stato attuale della scienza. S 1. « È data una corrispondenza univoca tra gli elementi di una classe « e quelli di una classe v », è frase che ha universalmente un signi- ficato preciso. Ad essa si può sostituire, con egual grado di precisione lo- gica: « scelto ad arbitrio un elemento x della classe %, è determinato un elemento y di ©, e un solo, che dipende da x e da una legge fissa (cioè indipendente dallo speciale x scelto, ma valevole per tutti gli x di v) che stabilisce appunto una corrispondenza univoca tra gli u e i v ». Da queste frasi, di significato comune ben noto, ma che contengono svariate idee non tutte logicamente analizzate, risulta che, insieme con la considerata corri- spondenza univoca tra gli u e i v, resta determinata una classe w formata da tutte le coppie (x ;y) che si ottengono facendo variare 4 in tutta la classe x, ed essendo y l'elemento di v che, rispetto alla legge (o corrispon- denza) considerata, è determinato dall’ di «. La classe w, e qualsiasi altra classe ottenuta in simil modo con classi x e v, e con una corrispondenza univoca fra gli w e i v, soddisfa alle due condizioni seguenti che, g70v4 notarlo, sono indipendenti da qualsiasi legge di corrispondenza tra gli w e iv: a) fissato x ad arbitrio in v, esiste sempre una coppia di w che ha «x per primo elemento; 4) due coppie di w, aventi a comune il primo elemento. hanno a comune il secondo. La classe di tutte le classi w la in- serie 5°, 2° sem., 1912, pp. 677-682. — (III) Sur les loîs générales de l'algorithme de fonction et d’opération, International Congres of mathematicians. Cambridge, 1912. — (IV) Sopra alcuni operatori lineari vettoriali, Atti R. Istituto veneto, tom. LXXII, parte 22, 1912-13, pp. 265-276. — (V) Zes propriétés formales des opérations algébriques, Revue de Mathématique, tom. VI, n. 5, 1899, pp. 141-177. A. N. Whitehead and B. Russel: Principia Mathematica. __ ©. Burali-Forti, ed R. Marcolongo: (I) Elementi di calcolo vettoriale con nume- rose applicazioni alla geometria, alla meccanica e alla fisica-matematica, Zanichelli, 1909, traduz. francese, Hermann, 1910. — (II) Analyse vectorielle générale, Mattei e C., Pavie, 1912, vol. I. — (III) Id. id., 1918, vol. II — 548 — dicheremo con F(v,v), e rimane formalmente definita, con concetti tutti analizzati nel Formulario (I), da: (a) u,veCls.p.F(u,v = Cls(u,0)0w3]xreu.Ix-Aya[(x;y) sw] ‘eu. (25Y) (752) 0. Day: y= 8} (1). Sia w una classe di F(w,v). La classe w individua una corrispondenza univoca tra gli x e i w; precisamente quella che all'elemento 7, scelto ad arbitrio, di %, fa corrispondere l'elemento y di v tale che la coppia (x ;y) è un w. Se x è un elemento arbitrario di v, la classe w ci dà il corrispon- dente y di v (unico, dato x) mediante la coppia (x;7), elemento di w; cioè w ci dà y sempre unzio ad x, cioè x ed y non compariscono zso/ati. Ora, per seguire l'uso comune, visto che non è illogico, abbiamo bisogno che lx di « e il corrispondente y di v possano comparire zsolatamente (come, p. es., per le funzioni sen, log, ...); inoltre occorre che l'y sia indi- cato con una notazione composta che ponga bene in evidenza due cose: quale è l'elemento x di « di cui y è il corrispondente; quale è la legge (corrispondenza, indipendente da «), in virtù della quale ad x corrisponde y. La notazione composta, universalmente usata, è della forma generica fx (?), ove x è appunto l'elemento x di « di cui /x indica il corrispon- dente in ©; il simbolo (semplice o composto) (*) /, indipendente da x, rappresenta la /egge in virtù della quale ad un elemento # di %, non im- porta quale, corrisponde l'elemento y di v tale che (x ;y) è un elemento di w. Nella notazione /w è implicitamente fatta la convenzione grafica che « f è un simbolo che deve essere premesso ad x, cioe scritto a sinistra di x », e tale convenzione rappresenta un'azzone grafica che nella ideo- grafia logica deve essere considerata come primztiva, cioè come non def- nibile simbolicamente mediante altri simboli noti; e precisamente come in qualsiasi metodo di simbolismo logico alcune proprietà logiche iniziali debbono essere date non in simboli, ma mediante parole. Almeno nello stato attuale della scienza /ogico-simbolica pare necessario di ammettere come primitiva l’azione grafica di serivere un simbolo (/) a sinistra d'un altro («) (4). Nella notazione /x il simbolo /, che esprime la legge di corrispon- (1) C. Burali-Forti, (V); G. Peano (I, tom. IV), dove al posto di F(«,v) è scritto «Pu. (£?) Secondo Abel, Lagrange, Hamilton..... Fra i moderni molti usano impropriamente la notazione /(7). Cfr. G. Peano, (1); ©. Burali-Forti, (III). (3) Come D,V,R,rot , div, grad, Rot (cfr. C. Burali-Forti ed R. Marcolongo (I), (II). (ITI)). (4) Del resto, crediamo che in ogni simbolismo logico ci siano, oltre quella indicatay molte altre azioni grafiche da considerarsi come primitive, e che a noi sfuggono per l'abitudine che no1 abbiamo al graficismo. — 549 — denza considerata tra gli « e i v, si chiama simbolo di funzione, 0, più brevemente, operatore (*); e, una volta ammessa l’idea primitiva grafica di preporre un simbolo a un altro, la classe generale degli operatori, che indicheremo con Op, resta definita simbolicamente e in modo logicamente esatto come segue: (1) Op= /s{H(u;v)a[u,ve ls: xreu- Da frew]}. Cioè: con il termine generico operatore, abbreviato in Op, intendiamo la classe degli enti tali, che, se Y è uno di essi, esiste almeno una coppia di classi. (x;v), tale cho, se x è un «, segue, qualunque sia x, che /x è un determinato v (°). È utile, sotto l'aspetto logico e pratico, considerare le particolari classi di operatori applicabili agli elementi di una classe «, indicati con Op, e quelli che, applicati agli «, producono i v (i v funzioni degli «), indicati con Op(v,v), che restano definite formalmente, ponendo: (2) ue Cls:-9-Opu= 0pofe[K Clsovsjzeu: Da frevi] (3) u, ve Cls-9: Op(u,v) = Opuo/3[xsu:09x-/X8v]. Tra le molte proprietà delle classi definite da (1), (2), (3) a noi occorre porre in evidenza specialmente le seguenti (4) e (5): (4) 46 OG ESIVQOO ETA) VARCARE cioè: « due operatori sono eguali (identici) solo quando, qualunque sia la classe per la quale sono entrambi operatori, applicati a un elemento qua- lunque di tale classe, producono uno stesso elemento », la quale proprietà sì deduce subito dalla definizione leibniziana dell'eguaglianza (), (5) ueCls: we Clsu:p- Opuo Opu'; cioè: « ogni operatore per gli elementi di una classe x è altresì operatore per qualsiasi classe formata con gli « ». (1) Consideriamo solo gli operatori a sinistra come i più in uso; ma quanto diciamo si può applicare agli operatori a destra. (*@) Esempii in C. Burali-Forti, (III). (3) C. Burali-Porti, (I). Occorre notare che dalla (4) risulta la (49): weClse finge Opiuogisifi= gi = 1284997 che stabilisce il significato ristretto di « identità di f e g come operatori soltanto della classe % », perchè la parte a destra del g.. non può sussistere senza l'ipotesi, che è proposizionale condizionale, e non assolutamente qualunque siano f e g. La (4) e la (4) provano che uno stesso simbolo di operatore non DEVE essere adoperato con due signi- ficati diversi. Sebbene ciò sia molto semplice e intuitivo, pare che non sia ancora entrato nel dominio pubblico (cfr. C. Burali-Forti ed R. Marcolongo, (II); e ©. Burali-Forti, (III), ove sono considerate anche le eccezioni pratiche compatibili con le esigenze logiche). RenpIcONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 74 n — 500 — La classe F(v,v) può essere definita, in modo assai semplice, mediante il concetto di operatore, nel seguente modo: (6) u,veCls:o-F(u, 0) = —weigOp(w,0)ofe[w=(0;/2)|etu]i. Ma, viceversa, dalla definizione (a) di F(u,v) è impossibile di dedurre il concetto di operatore, perchè in (a) non è contenuta l’idea primitiva grafica sopra indicata. Non esiste perciò identità tra gli enti rappresentati da F(u,v) e Op(u,v); il primo contiene meno del secondo l'idea primitiva grafica, e quindi non deve fare meraviglia se dal primo sia impossibile de- durre, senz'altro, il secondo, mentre dal secondo si deduce, senza altri ele- menti, il primo. Ciò era importante di stabilire, sia per le osservazioni che seguono, sia per constatare come la (1) dà, in modo logicamente esatto, il concetto di operatore (o di funzione monodroma) sotto la sua forma più semplice possibile e, va notato, sotto la forma propria dell'uso comune. Giova ancora porre maggiormente in evidenza l’intima relazione tra le classi Op (w,0) e F(v,v). Un elemento / di Op(v,v) determina una classe di F(u,v) sotto la forma («;/x)|x4w, ed una sola; cioè, sottintendendo l'ipotesi u, vs Cls, (7) feOp(u,v):0-[(2;/e)|etw]eF(u;v); (77) f.,ge0Op(u,v):xeu-da'fa=ge:9° (€ vole (I) Viceversa, data una classe w appartenente a F(u,v), resta determinato un solo elemento / di Op(«,v) che dà w=(@;/e)|x*w, cioè: (8) weFlu,v)-0-HOp(v, 0) 0fsjw=(x;/2)|e'% (8) weF(u,v)-f,ge0Op(u,0) w=(a;/2)|c'u=(0;92)| ew 0: ceu:Ian' fa= 92. In particolare risulta che tra le due classi Op(w,v) e F(u,v) può stabilirsi una corrispondenza univoca e reciproca (*), e quindi, ad es., che il numero (finito o infinito (cardinale)) degli Op(,v) è identico al numero degli elementi (classi di coppie; le w) di F(w, 0). 1 $ 2. Come il concetto di relazione, posto dal Russell quale base logica, possa essere espresso mediante ì simboli ideografici del Formulario, e come da esso si possa dedurre la fonetio definita [esattamente la nostra classe F(u,v)] è già stato indicato dal Peano, (II), e non stiamo qui a ripeterlo. Noi vogliamo soltanto fare vedere come dal concetto semplice e usuale di operatore, sì possa dedurre quello di relazione e, contrariamente a quanto (1) Formularii, (II), (III), (IV), (V). È chiaro che per la classe Op(u,), identica a vfu, si possono stabilire i concetti di sim (simile), rep (reciproca) come nel For- mulario. ue — b51 — fa il Russell, sotto forma identica a quella usata in tutta la matematica per le varie relazioni che in essa si considerano. Nell'uso comune si considerano re/azi0ni tra gli elementi di una classe v e quelli di una classe v. Indicando con Relatio(w,v) il complesso di tali enti, si può porre: (9) uve Cls- 0 - Relatio(u, v) = Op(v, Cls' w) (3). Cioè: « se % e v sono classi, chiameremo relazione tra gli « e i v qua- lunque operatore / che trasforma ogni v in una classe formata con gli « ». Segue che se /e Relatio (wu, v), e se yev, allora gli 2 di x, che sono nella relazione individuata da / con ly dato di v, sono tutti e soli gli elementi della classe /y. In altri termini, la condizione CATE ove y è un », e, necessariamente, x un %, esprime che « x è nella rela- zione f con y ». Ora questa è appunto la forma usuale, poichè, ad esempio, per 4,0 numeri reali con segno, 4< esprime che « 4 è uno dei numeri minori di 2»; cioò: aes0b —Q, ovvero as(--Q+0), e quindi l’/ è il simbolo composto —Q+, e si può scrivere: as-Q+)2, e l'ordinario segno < equivale al simbolo composto «(—Q-+). Per gli autori che parlano di « funetio polydroma », la parola funzione è equiva- lente a relazione. Concludendo: dal concetto di operatore (logicamente e formalmente definibile mediante una semplice ed usuale idea primitiva grafica), qual è da tutti considerato nella matematica, si possono dedurre i concetti, pure usuali, di operazione (binomia) (*) e di relazione, e sotto la forma semplice che è usata da tutti. Ciò posto non si comprende perchè, seguendo Iussell. si vogliano a ogni costo introdurre, con classi di classi, classi di classi di classi, ecc., semplici o di coppie o di terne, ecc., delle inutili complica- zioni, allontanando l'algoritmo matematico dalle forme semplici già da tempo acquisite. Che si abbandonino o si modifichino le forme usuali quando sono logicamente scorrette, va bene (5); ma che si rendano complicate, incomode, e talvolta anche scorrette, quelle logicamente precise e praticamente sem- plici, non è assolutamente ammissibile. In un altro lavoro farò il confronto tra le classi Op(v,v) e F(x,) con le classi fu e vFu del Formulario di Peano. (1) C. Burali-Forti, (II), per u=v; Rend. del Circe. mat. di Palermo: Sulle classi ordinate e i numeri trasfiniti (tom. VIII, 1894); Una questione sui numeri trasfiniti (tom. XI, 1897). i (3) Non stiamo a sviluppare questa parte, rimandando il lettore a C. Burali-Forti, (III). (*) Ciò non sempre si fa, e il calcolo vettoriale ne è una prova. C. Burali-Forti e R. Marcolongo, (II). (III). Qu. © A.»*+> © —°T’_ «dl _—m-vuumrrrrr_teryvym|m__rrTrr e $ — Da Economia matematica. — Analogie tra è fenomeni statistico- economici e è fenumeni meccanici. Nota del dott. L. Amoroso, pre- sentata dal Corrisp. G. CASTELNUOVO. Nel 2° volume del suo « Cours d’Economie politique » (*), nel 1897, Vilfredo Pareto pone un parallelo delle analogie che intercedono fra i feno- meni meccanici ed i fenomeni economici. Come l'illustre Autore espressamente avverte, queste analogie non possono sostituire le dimostrazioni, ma solo ser- vono a porre in luce alcune concezioni fondamentali, ciascuna delle quali deve essere separatamente sottoposta al controllo dell'esperienza. Il parallelo pri- mitivo del Pareto fu da me ripreso ed ampliato più tardi nel 1909 in una comunicazione letta al Congresso di filosotia in Roma e pubblicata poi nel fascicolo JI della Rivista di filosofia dell’anno 1910. Nella presente Nota riprendo oggi lo stesso argomento, per fare ancora un passo più avanti. 1. Fenomeno meccanico. Studia le leggi del moto. ossia delle varia- zioni dello spazio rispetto al tempo. Questo studio sì compie mediante due approssimazioni successive, che costi- tuiscono rispettivamente /a meccanica razionale e la meccanica applicata. Nella prima si fa astrazione da tutte le altre proprietà, che non sieno quelle del moto (attrito, viscosità, ecc.); nella seconda si tiene conto, invece, degli effetti di tutte queste proprietà. 2. Concetti fondamentali. Sono i concetti di spazio, di tempo, di forza, di vincolo. L'esperienza permette di misu- rare direttamente le forze, e di co- struire quindi una funzione (poten- ziale), le cui derivate parziali rappre- sentano le componenti della forza in ciascun punto dei singoli corpi; ogni funzione che cresce quando il poten- ziale cresce, e diminuisce quando il potenziale diminuisce, si dice una fun- zione a a) ME AMCÉHÉÈNMNMGMG:::;gÈg];S!)ùANAee/sAA ;-4 Ahi ata -——o-reèS wcme. ten —————-.- ————-—'..5° — 564 — prende 150 bersagli, la seconda soltanto 25 perchè si vide che non si aveva influenza sensibile. La posizione del punto colpito veniva calcolata fino al decimo di milli- metro o al mezzo decimo, altrettanto dicasi per la posizione del piede della verticale. Le deviazioni erano così date e segnate su ciascun cartoncino in millimetri e decimi di millimetro. Nei calcoli dovetti però introdurre una correzione, dovuta ad una erronea determinazione del meridiano, e così nelle tabelle complete le deviazioni furono scritte anche con i centesimi di mil- limetro. I risultati delle 175 prove si possono riassumere come nelle due tabelle seguenti : Deviazione orientale 4 y verso Est. so in mm. [H14]+14+15+16]4-17|+18[+-19|+20|+2.1|+2]+23|+24 Numeri dei SRO] ] 3 6 Orio Oz 22 7 4 2 Deviazione meridionale + x verso Sud. De ivi | 03 | —04| 08 02| -01 | 00| +0. | +02| +0.3 32 DD ° Numero dei bersagli 3 3 8 22 81 10 6 Si può anche dire che tutte le 175 prove, eccetto una che ha una de- viazione orientale minima di mm. 1.14, sono rappresentate da punti conte- nuti in un rettangolo di !!/,, di millimetro di lato nel senso delle y, e di °/io nel senso delle x. I risultati complessivi sono i seguenti (!): deviazione Est: media della 12 serie (150 prove) = + 1.866 mm. ’ n 2a (250 prove) — ll 86/008 media totale di 175 prove = + 1.866 mm.; deviazione Sud: media della 1 serie (150 prove) = — 0.028 mm. 7 » 2% » (25 prove) =— 0.064. >» media totale di 175 prove = — 0.033 mm. (') Il resoconto completo delle esperienze sarà pubblicato nel Nuovo Cimento. — 569 — La determinazione degli errori probabili ha dato questi risultati: deviazione Est: [vv] = 6.1026 errore probabile della media = 0.0142 mm. ; deviazione Sud: [vo]=3.2969 errore probabile della media =* 0.0104 mm. I valori dati dunque dalle esperienze, sono: deviazione orientale mm. 1.866 + 0.014 ” settentrionale >» 0.033 = 0.010 Valori teorici delle deviazioni. La teoria della caduta libera dei gravi, data da Gauss e da Laplace, è ancora quella che fino ad oggi è la più vera, quantunque non sia che una soluzione approssimata del problema. Sono note le equazioni differen- ziali del Gauss per il moto relativo di un punto sulla superficie della terra. Se si stabilisce una terna di assi con l'origine nella posizione iniziale del grave, con l’asse 4 diretto verso lo zenith, l’asse x nel piano del meridiano, e positivo verso l’equatore, l’asse y verso Est, le equazioni del moto hanno la forma g'"= ?20sng.y y'= — 20(sen g. x" + cos gp 2’) = 20c06p.y— 9g, dove w è la velocità angolare della terra, 4 la latitudine geografica del luogo di osservazione, e 9 l'accelerazione di gravità. In queste equazioni sono trascurate le potenze di © superiori alla prima. Con questo stesso cri- terio di approssimazione, e di più supponendo g costante e facendo nulle le costanti di integrazione il sistema di soluzione delle equazioni date prende la forma i = 0 = SARA i Y 3 P.9 1 eta i eni 2 g= 99! Tl Gauss calcola anche l'influenza della resistenza dell’aria, ma questi termini costituiscono una correzione che è sempre inferiore alla precisione sperimentale. RenpICcONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 76 i dx "<—ni-: «= "un. "ju «eèuùueee.;\;, O '||....1|. nor W—r_i»è. “È rn —& deu è» i - ì. we uaar i... reame Fw \» sà — 5A elnecilar ere Va ira ra LT — 5660 — Applicando queste formole al caso delle esperienze presenti, nella ipo- tesi della caduta libera si avrebbe, per una durata # di caduta libera eguale a 25.49 corrispondente all'altezza di m. 30.4, y= mm. 2.738 vi= di. Per il caso della macchina di Atwood le formole sono «state date dal Hagen seguendo il criterio adoperato dal Binet nel problema del pendolo conico. Le equazioni differenziali in questo caso, scritte con i soliti criterii di approssimazione, prendono la forma = \(4-nÈ LA fps: 3 , VÀ y'=—20cosp.8 + (9_7)= s'=—-y. nelle quali, come apparisce dalla 32, y rappresenta l'accelerazione di caduta ridotta nella macchina di Atwood. Se in queste equazioni si suppone y costante, e si fanno nulle, al solito, le costanti di integrazione, si ottiene il sistema di soluzioni seguente : di MO Y? == PERI RISANARE 3 Y CY E 1 2 tr GUAIO La costanza di y bisogna ottenerla con un artificio sperimentale, oppure introducendo per essa: nella equazioni un valore medio dell’accelerazione che nella macchina di Atwood è una funzione dell'altezza. Nel caso presente, il valore medio di y, ottenuto simultaneamente con artifizio sperimentale e con un valore medio conforme alla definizione di accelerazione media, è risultato y= m. 0.872, Se introduciamo questo valore e quello della durata di caduta, {= 85.35, nelle formule del Hagen, si ottiene vi—0 y= mm. 2.081. — 567 — I valori sperimentali davano invece x = — 0.033 + 0.010 y= 1.866=0.014. La discordanza tra i valori teorici e gli sperimentali è senza dubbio superiore ai concetti di approssimazione seguìti dal Gauss. Può interessare il confronto di questi risultati con quelli degli speri- mentatori precedenti. Nella tabella seguente sono perciò riferiti î valori tro- vati da altri, scegliendo fra gli sperimentatori anteriori al 1900 soltanto i più importanti. Altezza DEVIAZIONE Est DEVIAZIONE SUD SPERIMENTATORI di caduta |Dev. sper. | Dev. teor. AIA MIRO sper.| Dev, teor. EI m mm mm Guglielmini, Bologna (1790) 29,3 |4- 4.51 — — 0 _ — Guglielmini, Bologna (1791) 78.8 |4+18.89 | 10.83 — |H-11.89 0 = Benzenberg, Hamburg (1802) 76.3 |+ 9.0 8.51 — |+ 34 0 = Benzenberg, Schlebusch (1804)| 85.1 |4-11.5 — — |- 0.11 0 _ Reich, Freiburg (1831) 158.5 |+-28.4 27.5 — [| 44 0 _ Hall, Cambridge M. (1902) 23.0|+ 1,5 1.77 |= 0.05 [{H- 0.05 0 * 0.04 Hagen, Roma (1912) 23.0/+ 0.899| 0.889 | = 0.027|4 0.01 0 — 0.027 G. G., Roma (1918) 30.4 |4- 1.866] 2.081 | 0.014[— 0.038] 0 = 0.010 Le deviazioni teoriche sono calcolate qui secondo le formole di Gauss per la caduta libera e secondo le modificazioni del Hagen per la macchina di Atwood. Nell'agosto passato, il Woodward (*) ha dato una soluzione nuova del problema, tenendo conto di tutto ciò che era stato trascurato fin qui, e cioè: della forma del campo gravitazionale, dei termini con w alla 28 potenza, e della distinzione tra latitudine geografica e geocentrica. I risultati a cui giunge si possono riassumere così: la deviazione orientale è, a meno di piccole correzioni, quella stessa che vien data dalle formole classiche di Gauss, Laplace e Poisson; la deviazione in direzione parallela al meridiano avviene sempre verso il polo della terra che è più vicino, e non verso l’equatore, ed essa è sempre una parte sensibile della deviazione orientale. (1) R. S. Woodward, The orbits of freely falling Bodies. T. Astron. J., n. 651-652, agosto (1913). —————————————————@—@@_————————@t H.C CO HKE Co Hs© CO TE, Da Br- CU Ù (HSE : (GEE HC È CH, HC-CHy H.C{VEo5 ==? vm H,0'° 00 HC- CH, Gli alcali sottraggono l'atomo di bromo in 4. come idracido. e sostitui- scono un ossidrile a quello in 2. Il cheto-alcool non saturo VI, che così prende origine, per trasposizione molecolare, si cambia nel dichetone saturo VII. Quest'ultimo composto fu preparato da Martine (‘), ossidando il ben- zilidenmentone; e, secondo Semmler e Mac Kenzie (loc. cit.), si trasforma facilmente in buccocanfora. PREPARAZIONE DEI, BIBROMOMENTONE DI BECKMANN E EicKELBERG ‘DAL 4-MONOBROMO-MENTONE (°). Si diluisce quest'ultimo composto, che con il rendimento di circa il 40 °/, si ottiene col processo di Kétz e Gotz (5), in quattro volte il suo peso di cloroformio e si aggiunge la quantità equimolecolare di bromo. Indi si aggiunge etere, si lava la soluzione con acqua e con soda, e si lasciano ®) Berichte, 39, 1158 [1906]. 3) Letteratura cfr. ivi e Kondakow, Chem. Zeit., 30, 1090 [1906]. 4) Ann. de Chim. et de Phys. [8], 3, 49 (1904). 5) Ringrazio la Ditta Schimmel di Miltitz per il dono di mentone, che assai cor (1) Ann., 379, 1 [911]. ( (0) ( ( semente mi ha fatto. (6) Ann. 358, 195 (1908). — 001 — liberamente evaporare i solventi. Rimane un olio, che però in breve cristal- lizza. Il prodotto si ha puro per mezzo di una cristallizzazione dall'alcool bollente: aghi bianchi lucenti, fus. a 78-80°, anche se mescolati con il com- posto preparato secondo Beckman e Kickelberg. Con buon rendimento si ottiene bibromomentone anche facendo arrivare i vapori dell'alogeno, mescolati con aria, direttamente nel chetone. AZIONE DELLA POTASSA ACQUOSA SUL BIBROMOMENTONE. BUCCOCANFORA. Si agita il bibromomentone, ben polverizzato, con una soluzione acquosa al 2,5°/ di idrato potassico, sino a che sia tutto disciolto. Saturando, allora, il liquido con anidride carbonica, si separa una sostanza bianca aghiforme, di grato odore (*). Purificata, mediante cristallizzazione dall'alcool, fonde a 849, e dà, all’analisi, gr. 0,1482: CO; gr. 0,3869; H.0 gr. 0,1325. Trovato °/, Calcolato per CioHi60s (0) 71,20 71,36 H 9,90 9,60 La sua soluzione alcoolica, trattata con cloruro ferrico, si colora in verde per qualche istante. Il composto, per diretto confronto, risulta identico alla buccocanfora. Esprimiamo qui la nostra viva \rieonoscenza al sig. prof. F. W. Semmler di Breslan per il campione di tale sostanza che gentilmente ci ha fornito. Abbiamo anche constatato alcuni dei risultati ottenuti dagli autori che hanno studiato la buccocanfora naturale. Così, nell’ossidazione con permanganato si è avuto l'acido. C,0H1403 descritto da Semmler e Mac Kenzie (*). Ne abbiamo preparato il semicarbazone, che cristallizza dall'alcool in mammelloncini bianchi, i quali, alla luce, ingialliscono; fondono, con decom- posizione, a 219-220°. Inoltre, riscaldando la buccocanfora sintetica in solu- zione acquosa di idrato potassico al 2,5 °/,, siamo pervenuti allo stesso acido Cio His03 ottenuto da Shimoyama (*) e da Semmler e Mac Kenzie rispet- tivamente facendo bollire, ovvero riscaldando in tubo chiuso, a 150°, la bucco- canfora con potassa alcoolica. ('*) Nelle acque madri rimangono, fra altro, un composto in grossi prismi traspa- renti, fus. verso 85°, e un acido carbonilico. (*) Berichte, 29, 1158 [1906]. (8) Chem. Zeit. [1888], 167. 2‘L_.Lr2z2"0“x::1i è | .*eea -- —.. «>. nè mene — 572 — MonoBR0MO0-BUCCOCA NFORA. C-CH, H,C7 NC -0H Br x, | rHC 200 HC ni CH; Per azione del bromo sulla buccocanfora naturale, Shimoyama ottenne un derivato bibromurato di sostituzione, C,o0 H14 Bra 0; Semmler e Mac Kenzie confermarono tale risultato. Un derivato monobromurato si può preparare come segue: Un gramma di buccocanfora si scioglie in pochi c. c. di cloroformio; indi si aggiungono, a poco a poco, gr. 0,95 (una mol.) di bromo, sciolto anche esso in cloroformio. Il bromo viene tosto assorbito, e si sviluppa acido bro- midrico. Terminata la reazione, si scaccia il solvente e si fa essiccare su acido solforico il residuo solido giallognolo. Questo sì purifica per cristalliz- zazione dall’etere di petrolio: tavolette rombiche o esagonali, incolori, tra- sparenti, che fondono a 85°. gr. 0,1920: CO, gr. 0,3405; H.0 gr. 0,1130. Trovato °/o Calcolato per CH 0) 0 48,96 48,56 H 6,53 6,15 Il composto è solubilissimo nell'alcool o nell’etere. Non è molto stabile, e, con il tempo, diviene un liquido denso. Trasformazione in ossitimochinone. — La monobromobuccocanfora con idrato potassico acquoso al 2°/, fornisce una soluzione di colore rosso vinoso. Acidificando questa, filtrando e facendo passare il vapore d'acqua nel liquido filtrato. distilla una sostanza che cristallizza in foglioline giallo-arancio, che non contengono bromo e fondono a 174°. Per riscaldamento, la sostanza si colora in rosso-scarlatto e sublima in cristalli a forma di lancia. In base a tali caratteri, si riconosce come ossitimochinone (‘). Attribuendo alla bromobuccocanfora la formola soprascritta, la reazione precedente, in cui, come appare, oltre alla sostituzione di un ossidrile al- () Costanjen, Journ. f. prakt. [3], 57 (1871). —. 573 — l'atomo di bromo è avvenuta un'ossidazione, sì può rappresentare : C-CH; C-CHy C-CH; H,C/NcoH He on BISCANC OH KOH 0 O) co COMMENTO mo E oe cio: Anno NAS N01 A CH -CX.C=NOH (X=CI,Br,N0;) e le basi medesime. L’anilide C,,H,gBrO.NH.CyH; si ottiene riscaldando per circa mez- zora un miscuglio di una mol. di dibromomentone e due mol. di anilina alla temperatura di 100°. Se sì riscalda a temperatura superiore, î due atomi dell’alogeno vengono sottratti come idracido, e si forma timolo. L'anilide cristallizza dall'alcool, in cui si discioglie all'ebollizione, in prismetti di color giallo citrino. È insolubile negli acidi diluiti. Riscaldata in tubicino, verso 190° comincia a rammollire; a 195° forma un liquido denso, nel quale, continuando a riscaldare, si separa sostanza solida. Spezzando il tubicino, si sente nettamente l'odore del timolo: e, lavando con acqua il pro- dotto della decomposizione, si può dimostrare la presenza del bromo con ni- trato d’argento e dell’anilina con cloruro di calce. Con il riscaldamento, ReNDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 77 bee O MR OUOIIOOOFM vX )V-rECOS5S565S5cllillln ”"”"seeNp©x>@©e: | /1 ' 0.0. "Mike === 7. uu <-=_——_—@—_—@@—1@ — 074 — quindi, l’anilide, come molti composti alogenati, cede acido bromidrico, e questo distacca anilina. Invece di un chetone con due doppî legami, sì forma il timolo, suo isomero. p. Toluilide Cry Hg BrO.NH.C H,.CH,. — Aghi giallo-chiaro, dal- l'alcool. Bromo trovato °/, 23,5, calcolato 23,6. Per riscaldamento si decom- pone analogamente all’anilide. Piperide Cio HigBrO.NC; Hi. — Si forma, con sviluppo di calore, mescolando il bibromomentone, polverizzato, con la quantità doppio molecolare di piperidina. Cristallizza dall’etere in grandi prismi incolori, trasparenti, fusibili a 127-129°. Bromo trovato °/, 25,06, calcolato 25,20. Mentre i due derivati aminici sopradescritti si conservano inalterati, la piperide si altera in breve tempo. B.Idrossilamina C,, H,éBr0.NH.OH. — L'azione dell’idrossilamina sul dibromomentone era già stata sperimentata da Beckman e Eickelberg (*), però con risultato diverso da quello che esporremo. Gli autori hanno trovato che il carbonile reagisce con la base, e uno degli atomi di bromo viene so- stituito dall'ossidrile ; si forma, cioè, un'ossima-alcool C,0 His Br(0H):N.0H. Insieme con questo composto, noi abbiamo rinvenuto anche il derivato idros- silaminico isomerico. Gr. 3 di dibromomentone, gr. 0,70 (1 mol.) di cloridrato d’ idrossilamina e gr. 0,8 (1 mol.) di bicarbonato sodico si lasciano assieme per 12 ore in cc. 30 di alcool a 90°. Poi si filtra e si distilla la maggior parte del solvente. Il residuo si riprende con acqua ed etere. La soluzione eterea si dibatte più volte con acido cloridrico diluito; indi sì concentra. Dal residuo, con il tempo, si separano bibromomentone inalterato e una sostanza in aghi bianchi lucenti, fusibili a 65°, che, per ora, non è stata studiata. Dalle soluzioni cloridriche, neutralizzando con soda, precipita una sostanza solida bianca. Si scioglie nell'alcool bollente, e con il raffreddamento e la lenta concentrazione, si depone in cristalli incolori lucenti, a base di rombo o d'esagono, i quali fondono a 158°-160°. Bromo trovato °/, 30,2; calcolato per Cio Hig0, N Br: 30,3. Il composto è solubile negli acidi diluiti, insolubile negli idrati alcalini. Riduce a caldo il liquido di Fehling; reagisce con l'acido nitroso, fornendo un'isonitrammina. Si comporta, quindi, come una f-idrossilamina. Le soluzioni alcooliche, da cui quest'ultima si è separata, a poco a poco abbandonano un olio rossastro, e da questo, assai lentamente, si depongono cristalli prismatici trasparenti, che fondono a 140°. Il nuovo composto contiene bromo e azoto. All'opposto di quello descritto innanzi, è solubile negli idrati alcalini, insolubile negli acidi diluiti, e riduce il liquido di Fehling solamente dopo idrolisi. Per tali proprietà si manifesta come l’'ossima-alcool descritta da Beckmanu e Eickelberg. (&)Tocsocità — 5759 — Isonitramina C,,HygBr0.N,0,H. — Gr. 1 della f-idrossilammina si disciolgono nell’acido cloridrico; si raffredda con ghiaccio la soluzione, fa- cendovi gocciolare quella di gr. 0,26 (1 mol.) di nitrito sodico. Precipita una sostanza pastosa, colorata leggermente in azzurro, che in parte si scioglie in carbonato di sodio. Ciò che rimane indietro, con il tempo, fornisce cristalli incolori, che fondono a 95°, contengono bromo e azoto e sono insolubili sia negli acidi, sia negli idrati alcalini diluiti. Data la loro esigua quantità, non ne abbiamo continuato lo studio. Dalla soluzione sodica rammentata, per mezzo degli acidi, precipita un composto in lunghi aghi bianchi. Esso è l'isonitrammina. e, come altre con- generi, è alquanto instabile. Tenuto sotto una campana, si cambia rapida- mente in un olio, sviluppando gas; ciò che non avviene lasciandolo all'aperto. Probabilmente (*) nel primo caso la decomposizione profonda è dovuta al- l’accumularsi di vapori nitrosi ceduti dall’ isonitramina, i quali, nel secondo caso, si disperdono. Il composto, riscaldato, verso 35° si decompone esplosiva- mente, sviluppando vapori rossi e lasciando un liquido azzurro, che ben tosto si decolora. A motivo di tale decomponibilità, una combustione dette C °/ 41,9 e H 6,7, invece di 40,8 e 5,8 calcolati per C,0Hi;N:0; Br. L'isonitramina, riscaldata leggermente in soluzione d'idrato potassico, si trasforma in buccocanfora. Ringrazio il laureando sig. G. Ogier che in queste ricerche mi ha va- lidamente coadiuvato. In una prossima Nota si descriverà il comportamento del dibromote- traidrocarvone. Chimica. — Sulla riduzione delle aldeidi ad a-glicoli. Nota di R. Crusa e A. MILANI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Chimica. — Sulle proprietà dell’iodio come solvente crio- scopico. Nota di F. OLIVARI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. . Chimica fisica. — Za cianamide quale solvente crioscopico. Nota di M. PraTOLONGO, presentata dal Socio A. MenNOZZI. Le precedenti Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. (1) Cfr. il comportamento dell’isonitramina del pulegone. Cusmano, Gazz. ch., 39, II, 453 [1909]. sa ea. a pso:IKr-:/eeweeoe5ou i _ -os::/./xìà | yYmm_ rr resa n a -"_cr=—reaeru —oemi è ear — 576 — Chimica. — Su! Lapaconone. Nota IV di C. MANUELLI, pre- sentata dal Socio E. PATERNÒ. Chimica fisica. — Sul wdice di rifrazione dei miscugli binari. (Replica al sig. Sehwers). Nota di ARRIGO MAZZUCCHELLI, presentata dal Socio K. PATERNÒ. Le Note precedenti saranno pubblicate nel prossimo fascicolo. Chimica fisica. — / coefficienti di temperatura delle trasfor- mazioni fototropiche(*). Nota II di M. PapoA e B. FoRESTI, pre- sentata dal Socio G. CIAMICIAN. Nello studio della velocità di reazioni fotochimiche*è stato verificato che l'espressione da di = ka 2), valida per reazioni mono molecolari che avvengono nell'oscurità, dev'essere modificata nella da mn la —@)5 in cui I è l'intensità luminosa. Nel caso in cui si possa realizzare un equilibrio omogeneo fra una rea- zione fotochimica ed una reazione inversa che avvenga nell'oscurità, potremo scrivere l'equazione klla—a)=%2a quando ambedue le reazioni siano unimolecolari. Passando in modo speciale a considerare le trasformazioni fototropiche, uno di noi con T. Minganti (?) ha potuto verificare che, per lo meno in qualche caso, la velocità di coloramento corrisponde ad una reazione mono- molecolare, che segue l'equazione da de Il — 2), (*) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Bologna. (2?) Questi Rendiconti, 1913, II — DU — e quella di scoloramento segue la do a = leo 1 = DL) di | caratteristica d'una reazione bimolecolare, per cui l'equilibrio in questo caso è rappresentato dalla kil(1_-a)=%2a®. Si è anche osservato che la prima reazione è caratterizzata da coefli- cienti di temperatura di poco superiori all'unità, come tutte le altre rea- zioni fotochimiche, e che la seconda presenta coefficienti di temperatura più elevati; chiamando con d e 4 gli incrementi subìti da 4%, 0 %, con un'ele- vazione di temperatura di 10°, avremo un secondo stato di equilibrio ca- ratterizzato dalla (+9 Ih(1—-a)=(%+4)2®, in cui la quantità relativa delle due forme è mantenuta invariata: perchè ciò avvenga, notoriamente occorre accrescere l'intensità luminosa (!) e por- tarla ad un valore I > I. Ora, dividendo membro a membro le due equa- zioni precedenti, avremo ca I e Ti PNT e E Ti ROBE: da cui la quale significa che 7 rapporto delle intensità di luce occorrenti per mantenere in una sostanza fototropa la stessa colorazione a due tempera- ture differenti di 10°, è uguale al rapporto fra il coefficiente di tempe- ratura della reazione di coloramento e quello della reazione inversa. Abbiamo creduto interessante verificare sperimentalmente questa propo- sizione, per dare una ulteriore conferma della validità delle leggi dell’azione di massa e dell’azione fotochimica nelle trasformazioni fototropiche. Naturalmente, per una tale verifica non occorreva conoscere le quantità relative delle due modificazioni: bastava fissare una tinta campione, la quale rappresentava un certo stato d’equilibrio, che sì cercava di raggiungere va- riando a piacere la temperatura e opportunamente l'intensità di luce. ll controllo e la variazione della temperatura si ottennero introducendo la so- stanza fototropa in una piccola stufa ad aria calda; detta sostanza veniva distesa, stemperandola con alcool, su una piastrina piana, e per mantenere piana ed unita la superficie sensibile, la si ricopriva con una lastrina di vetro sottile; l'alcool a poco a poco evaporava e la lastrina di vetro rima- neva aderente allo strato. La piastrina era portata da un'asta fissata con un tappo ad un'apertura della stufa; di fronte alla posizione occupata (') H. Stobbe, Liebigs Annalen, 359, 17-18. i e Aa ne te N SN Te bp zo=nms>->5SSS®eOMQ uil Re dalla piastrina era praticata nella stufa un’altra apertura, chiusa con una lastra di vetro destinata sia ad impedire una comunicazione con l'aria esterna, sia a trattenere Ja maggior parte dei raggi calorifici del sole, che era ado- perato come mezzo illuminante. La lampada a vapore di mercurio si mostrò infatti insufficiente per stabilire con bastante prontezza gli stati di equilibrio. e d'altra parte il suo impiego, per varie ragioni, poteva condurre nelle nostre Il condizioni d'esperienza ad errori più grandi. i La luce del sole veniva proiettata nell'interno della stufa per riflessione, Mi con uno specchio piano; sì aveva cura che i raggi solari cadessero sulla N superficie sensibile in fascio normale ad un piano fissato. L'intensità della luce si poteva far variare agevolmente ed in misura nota inclinando in vario modo la lastra sensibile rispetto a quel piano. e misurando l'angolo d'inclinazione per mezzo di un indice fissato all'asta che sosteneva la lastra, indice che scorreva sopra una graduazione esterna alla stufa. Il coseno di quest'angolo rappresenta il valore dell'intensità della luce. se si prende per unità l'intensità con luce normale al piano fissato. | Tutto ciò vale, ben inteso, considerando come costante la intensità della | luce solare nell'intervallo di tempo che dura l'esperienza, ciò che si può fare senza grave errore. Noi abbiamo adoperato due sostanze in queste esperienze: la saliciliden- B-naftilamina e il fenilidrazone della benzaldeide, delle quali conoscevamo, per le precedenti esperienze, i coefficienti di temperatura relativi alla foto- tropia. Per la prima, si ha un coefficiente di scoloramento uguale a 2 ed uno di coloramento uguale a 1,4 circa e si doveva dunque trovare 1a 14 = 1,42. be ‘= Nello specchietto seguente sono riuniti i risultati ottenuti: I, È Temperature Angoli E Valore medio I 80° 20° cos 60° = ‘ ae 0 cos 70° 900 100° Di 110° | it O 100° — 579 — I valori medî qui riportati, sono calcolati su intervalli di 30° e quindi i loro valori sono le terze potenze di quelli relativi ad un salto di soli 10°. La media generale risulta uguale a 1,405, in buon accordo con quella cal- colata. Per il fenilidrazone della benzaldeide i due coefficienti sono rispettiva- S SL! i mente 1,7 e 1,06 e quindi Tin 1,60. I nostri risultati sono i seguenti : Temperature Angoli si 62° 10° 720 18° SME e, cos 80° i cos 57° 892° 33° —— = 1,7. cos 72° ì Anche qui la concordanza fra il rapporto trovato in base ai coefficienti di temperatura e quello derivante dalle misure dirette, è soddisfacente. Chimica. — Sulla preparazione del fluomanganito potassico (*). Nota di I. BeLLucci, presentata dal Socio E. PATERNÒ. Insieme col silicio, sono fingra otto gli elementi capacì, nella loro forma tetravalente di dare fluosali del tipo dei comuni fluosilicati Si Fl} My: Si Fl Ma Ge Fl My Sn Fl M> Ti FM; Ze Fl Mi MuFlkM, Th Fk Ms UrFl M. Ad un primo esame di questa bella serie di tinosali, l'attenzione è ri- chiamata dalla presenza in essa dei fluomanganiti Mn F}}M, che portano il manganese, non ostante la sua forma tetravalente così poco e labilmente svi- luppata, a schierarsi in linea fra elementi che manifestano la tetravalenza in maniera univoca o molto fortemente pronunciata. Tale richiamo è în verità tanto più giustificato se si ricorda che, mentre per tutti gli altri elementi ora accennati sono noti, in forma anidra od idratata, i relativi tetrafluoruri (Si FI, , GeFl,, SoFl,, TiFl,, Ze Fl, Th FI, Ur FI), non si «onosce invece il tetrafluoruro di manganese Mn FI,. I fluomanganiti si presentano fra i salì più belli del manganese te- travalente; nel loro colore giallo d'oro possono ottenersi ben cristallizzati (*) (') Lavoro eseguito nell’Istitato Chimico della R. Università di Roma (3) Groth. Chemische Krystallographie, I, pag. 486. "= «ax Pu} SEA, \ L= ..nre|t®z]©| I: \ "è “—aen re erre» nn rm Ten: « — 580 — dalla soluzione fluoridrica e conservarsi a lungo inalterati, in luogo asciutto, senza perdita di fluoro. Dalle ricerche cristallografiche finora note (*) risulta che il fiuomanganito MnF]K, è isomorfo col fluosilicato Si Fl, K, e col fluogermanato Mn Fl; Ks, dal che si deduce l'interessante conclusione che il manganese Mn'” può isomorficamente nei fluosali suddetti sostituire il silicio Si'v ed il germanio Ge!. In alcune prove che io ho intrapreso, tendenti ad ottenere cristalli misti tra il fluosilicato Si Fl K, ed il fluomanganito MnFkK,, mi sono trovato di fronte alle difficoltà derivanti dal metodo di preparazione descritto per quest’ultimo sale, mercè il quale non si giunge che a rendimenti scarsissimi. Si presentava quindi come una necessità il trovare a tale riguardo una via - migliore. Essendo riuscito nell'intento, dò breve comunicazione, nella presente Nota, di un nuovo metodo di preparazione del fluomanganito Mn Fl Ks, per mezzo del quale, con grande rapidità e ottimo revdimento, sì possono prepa- rare quantità qualsiasi di questo fluosale. Il fiuomanganito Mn Fl; Ks è stato per la prima volta preparato da Weiland e Lanenstein (*), partendo dal manganato Mn0,K,. Quest'ultimo sale, trattato con molta acqua fredda e sottoposto poi all’azione dell'anidride carbonica, lascia precipitare un manganito potassico, cioè un derivato del biossido Mn0,. Raccolto e lavato questo manganito, si scioglie a caldo in acido fluoridrico contenente fluoruro potassico; si ha in tal modo una soluzione che, concentrata per moderato riscaldamento, lascia deporre il fluo- manganito Mn Fl, Ks. Secondo questo metodo. occorre anzitutto prepararsi il manganato, e poi, ottenutone il manganito, si ha il grave inconveniente, messo in rilievo dagli stessi AA., che quest'ultimo è poco solubile a temperatura ordinaria nella soluzione di acido fluoridrico, occorre un lungo riscaldamento per scioglierne una certa quantità, ed il ricavato in fluomanganito è sempre piccolissimo. Nelle prove di preparazione da me fatte, anzichè partire dal manganato, mi è sembrato più opportuno di tentare l’impiego del permanganato che si ha tanto più facilmente a disposizione. Era a tal proposito da tenersi presente che lo stesso Weinland (*), in unione con Dinkelacker, facendo agire nna soluzione concentrata di acido cloridrico, a bassa temperatura, sul perman- ganato di calcio, in presenza di cloruro potassico, ha ottenuto il clorosale MnC]; K,. derivato dal manganese tetravalente ed analogo al fluosale Mn Fl; Ks. L'acido cloridrico in tali blande condizioni nou opera cioè la riduzione del permanganato fino al limite estremo MnCl,, ma fino alla forma Mn Cl, in virtù della stabilità che questa acquista entrando nel complesso MnC], K». (*) Id. I, paso. 467. (È) 0 f. anorgan. Chem., 20, 40 (1899 . (*) Zeitschr. f. anorgan. Chem., 2 pae. 173 (1908). SA, — 681 — A differenza dell'acido cloridrico, e così del bromidrico e jodidrico, è noto però come l'acido fluoridrico non venga ossidato dal permanganato po- tassico, che può ricristallizzarsi inalterato dall'acido fluoridrico puro (*), in accordo col fatto che fra gli svariati metodi di purificazione dell'acido fluori- drico grezzo è stata anche proposta la distillazione di quest'ultimo per l’ap- punto in presenza di permanganato (?). Volendo partire dal permanganato potassico per la preparazione del fluo- manganito, occorreva perciò far agire, sulla miscela, permanganato. acido fluoridrico, fluoruro potassico, un’opportuna sostanza riducente. Non si è pre- stato a questo ufficio un sale manganoso, perchè questo, aggiunto alla miscela suddetta, come hanno provato Miller e Kopp (*), porta alla formazione del fluosale Mn FI; K, derivato dal manganese trivalente, secondo l'equazione: Mn0* + 4Mn:--+4+8H: — 5Mn-:‘+4H?0 che costituisce, come è noto, data la presenza dell'acido fluoridrico, una con- siderevole eccezione alla determinazione volumetrica Volhard dei sali man- ganosi col permanganato potassico. La sostanza riducente che ho trovato prestarsi nel miglior modo alla preparazione del fluomanganito, è il comune etere solforico. Tale preparazione sì effettua nel modo seguente: In una spaziosa capsula di platino si pongono due grammi di perman- ganato potassico, molto finemente polverizzato; 20 cme. di soluzione di acido fluoridrico al 40 °/, (quale proviene dalla casa Merck), e due grammi di fluo- ruro potassico. Con una spatola di platino o di ebanite si agita bene il liquido curando che il permanganato passi in soluzione. Raffreddando poi esternamente la capsula di platino (tenendola immersa in acqua), si fà pervenire da una buretta, nell'interno della capsula, l'etere solforico a goccia a goccia, rimuo- vendo continuamente il liquido reagente. L'aggiunta dell'etere va fatta len- tamente, sempre a goccia a goccia e sospendendola di tanto in tanto: si prosegue fino a che rimangono in soluzione piccole quantità di permanganato rivelabili dal colore rosso-pallido che assume il liquido. Si rimuove ancora la massa per assicurarsi che tutto il permanganato sia passato in soluzione; nel caso contrario, si aggiunge ancora etere, e si lascia poi per qualche minuto in riposo. In tal modo, nel fondo della capsula si raccoglie un abbondante pre- cipitato di un bel colore giallo, di struttura microcristallina, il quale si lascia facilmente e completamente separare per decantazione dal liquido fluoridrico sovrastante, colorato in bruno-rossastro. Si lava un paio di volte per decan- tazione tale precipitato, con acqua fortemente fluoridrica, rimuovendolo bene (') Weinland e Lauenstein (loc. cit.). (*) Thorpe e Hambly, Journ. Chemic Society, 55. pag. 166 (1889). (3) Zeitschr. f. anorgan. Chem. 68. 160 (1910). RenpIcONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 21 leo t;\veg "\R£2zx'\gJs5Cnmne = :zrtaELL-uazg ran “can ve c=-rccoe 03 r. ec@=. ur x Tesi — 582 — in seno a questa; si raccoglie quindi su carta, e sì pone in essiccatore su acido solforico. Tale preparazione richiede, al massimo, dieci minuti di tempo e con ottimo rendimento permette di preparare quantità qualsiasi di fluomanganito corri» spondente, all’analisi ed in tutte le proprietà, con quello descritto da Weinland e Lauenstein (loc. cit.). Il fluomanganito Mn Fl}; Ks può essere ricristallizzato sciogliendolo a caldo nella soluzione di acido fluoridrico al 40°/, purchè quest'ultima sia rigorosamente esente di sostanze organiche. L'acido fluori- drico ne scioglie poco; tuttavia, insistendo, può così ottenersi in bei cristallini giallo d'oro. La preparazione ora indicata procede bene con l'etere solforico ordinario, purchè non molto ricco di alcool; avviene anche con l'etere solforico puris- simo. Se, in luogo dell'etere solforico, sì impiegano, con le stesse cautele, alcool etilico, acido acetico, acetone, od ac. formico, non si riesce a fermare netta- mente la riduzione al manganese tetravalente, ma si ottiene senz'altro abbon- dantemente il fluosale color rosa MnF]; K;. derivato dal manganese tri- valente. Patologia. — ricerche morfologiche, culturali e biologiche sulla Leishmania della leishmaniosi spontanea del cane (*). Nota del dott. ArRIGO VISENTINI, presentata dal Socio B. Grassi. Le ricerche che sono oggetto di questa Nota sono state compiute con un ceppo culturale di Zeishmania in mezzo Novy-Mac Neal-Nicolle, gentil- mente inviatami dal Basile al IV trapianto e da lui isolata da un cane affètto da leishmaniosi spontanea. Le osservazioni di confronto riguardano alcuni altri ceppi isolati dall'uomo, già da me posseduti e che sono stati oggetto di studio in precedenza. Io mi sono già occupato, infatti, della fina struttura della Zezshmanza del Kala-Azar italiano in cultura, ed ho descritto minutamente il processo di divisione di questo parassita nella forma di Herpetomonas. Mi auguravo, allora, che, ripetendo analoghe ricerche su altri parassiti, si sarebbero potuti trovare caratteri distintivi atti a differenziare specie da specie. Usando gli stessi procedimenti di fissazione e di colorazione, io non sono invece riuscito a mettere in evidenza differenze apprezzabili tra le Leishmanie in cultura provenienti dall'uomo e quelle provenienti dal cane; entro certi limiti di variabilità da parassita a parassita di una stessa cul- tura, anche la forma e le dimensioni dei varî ceppi di questi protozoi sono (1) Istituto di anatomia patologica della R. Università di Pavia, diretto dal profes- sore À. Monti. — 583 — identiche, come è identica la fina struttura, e sì corrispondono perfettamente le dimensioni e la posizione reciproca del nucleo e degli elementi che costi- tuiscono l'apparato motore. Il nucleo delle forme culturali di Zezshmania proveniente dal cane è di tipo vescicolare, costituito di membrana, zona del succo nucleare conte- nente una rete sottile di linina e granuli di cromatina finissimi, cariosoma, centrìolo. Il nucleo motore ripete anche qui la struttura di un nucleo vero è proprio. Dal blefaroplasto si stacca il rizoplasto, che si continua con il flagello. Il processo di divisione segue le stesse fasi nei due nuclei: si ha cioè una mitosi senza formazione di un fuso acromatinico. La cromatina, spezzata in granuli e bastoncelli, si dispone da prima in una massa allungata, ber- noccoluta, trasversalmente all'asse maggiore del protozoo, contenuta sempre nell'interno della membrana nucleare, che persiste durante tutto il processo. In seguito, la cromatina si raccoglie in due ammassi, ed ha luogo la forma- zione di una figura di centrodesmosi. * x x Un altro gruppo di ricerche comprende alcuni tentativi di cultura dei ceppi di Zezshmania dall'uomo e dal cane nel mezzo di Row, soluzione fisiologica emoglobinizzata, tentativi che sono stati coronati da successo. Riferisco qui in breve il metodo di preparazione del substrato. Si raccolgono, con le solite regole di antisepsi ed asepsi, 5 cc. di sangue dalla vena marginale dell'orecchio di un coniglio o da una vena superficiale d'un uomo, se si vuol usare sangue umano, e si defibrina il sangue estratto. Per ogni cc. di sangue si aggiungono 8-10 cc. di acqua distillata sterile, alle scopo di sciogliere approssimativamente tutta l'emoglobina. Si può favo- rire l’emolisi portando più volte il sangue in ghiacciaia e poi di nuovo alla temperatura del laboratorio. Siccome si deve ottenere alla fine un substrato con una concentrazione di NaCl al 0,8-0,9 °/,, conviene preparare una so- luzione di NaCl all’ 1,2 °/, sterile, distribuirne 2 ce. in ogni provetta, e poi, messe le provette in bagnomaria a 56° C., aggiungere in ogni provetta 1 cc. della soluzione satura di emoglobina. È inutile ripetere che tutte queste manipolazioni devono essere compiute con le precauzioni atte a garantire la sterilità del substrato. Io mantenevo poi ancora le provette per mezz’ ora a 56°, allo scopo dì assicurare in certo qual modo la sterilità del substrato e per distruggere ogni traccia di complemento del sangue. Tanto i ceppi provenienti dall'uomo quanto quello dal cane trapiantati dal mezzo culturale NN N al substrato nutritivo di Row e mantenuti in termostato a 21°-22° C., si svilupparono bene e senza che si potessero sta- bilire differenze tra ì varî ceppi di origine. Le culture, dopo dieci giorni AI IZ e” ge dm °y__y_y__pn, -___s.,t_ Meme °-° Aa __,7: _ ____° 5... e -a_ $$ @ etereo — 584 — circa, erano rigogliose, con spiccata tendenza, da parte dei protozoi, a formare rosette; dopo altri dieci giorni, però, si notavano per lo più le caratteristiche delle colture di Zeishmania che vanno esaurendo il substrato, e, in genere, dopo un mese, non si trovavano che scarse forme ancora mobili. Per lo più ho usato sangue di coniglio nella preparazione del mezzo nutritivo; ma per uno scopo speciale ho esperimentato pure il sangue di cavia, ed anche con questo ho avuto uno sviluppo dei parassiti; però le col- ture così ottenute erano meno rigogliose. Alcuni tubi a bagnomaria avevano raggiunto, per errore, la temperatura di 60°-70°. In due di questi ho seminato le Zeishmanie, ed anche in essi ho ottenuto, in uno specialmente, un’ottima coltura. Ho eseguito trapianti di dieci in dieci giorni sempre nel mezzo di Row, e, di solito, ho ottenuto lo sviluppo di nuove colture. La Zeishmania, in cultura NNN, sia proveniente dall'uomo, sia dal cane in Italia, può dunque vivere e svilupparsi nel terreno culturale di Row. sa Una terza serie di ricerche io ho dedicata allo studio del potere pa- togeno del parassita, preoccupandomi soprattutto di ottenere l’ infezione spe- rimentale del cane mediante le culture di leishmaniosi spontanea di questo animale. È noto che anche le esperienze di trasmissione del Kala-Azar per mezzo delle forme culturali hanno avuto risultati molto incostanti ed in- completi. Infatti, iniettando nel peritoneo enormi quantità di culture di lezshmazzia del Kala-Azar tunisino, per primo Novy ha ottenuto un'infezione generale nei cani, mentre, prima e dopo di lui, Nicolle e Manceaux, Nicolle e Blaizot hanno sempre avuto risultato negativo, sia con questo metodo di inocula- zione, sia per via sottocutanea. Nicolle e Blaizot però sono riusciti ad in- fettare i cani con le culture, iniettandole direttamente nel torrente circolatorio. Nelle scimmie (macacus sinicus e cynomolgus) ebbero risultato posi- tivo Nicolle e Manceaux con iniezioni endoperitoneali, negative con iniezioni sottocutanée. Il Goretti ha avuto insuccesso in un cercopithecus per via endoepatica. Nel gatto i tentativi di infezione con le forme culturali sono stati con- cordemente negativi (Laveran). Nel coniglio è descritto un solo caso positivo (Mantovani) per mezzo di iniezione endovenosa; sì contrappongono a questo i risultati negativi di Visentini e Basile, Bandi, Nicolle e Blaizot, Visentini. Nella cavia, il solo Franchini è riuscito a determinare in un unico ani- male un'infezione generale da Zeishmania, mediante una sola iniezione di 1 ce. di cultura nel peritoneo. Ottennero invece risultati negativi per via — 089 — endoepatica Laveran; per via endoperitoneale Laveran, Visentini, Nicolle e Blaizot. Nel topo bianco, mentre Delanoè non ha ottenuto infezione per via peri- toneale, gli Yakimoff hanno raggiunto lo scopo iniettando le forme culturali nella vena della coda. Nel ratto bianco io ho avuto risultati costantemente negativi per via endoperitoneale, in qualche caso sottocutanea ed endovenosa. Con le colture isolate dai cani spontaneamente infetti sono state com- piute invece scarse ricerche e, per giunta, tutte con esito negativo (nel coniglio il Basile per via endoperitoneale e sottocutanea, il Bandi endovenosa; nel macacus sinicus Nicolle per via endoperitoneale; nel cane il Basile per iniezioni endoperitoneali e sottocutanee). Infezione sperimentale del coniglio. — Tre conigli sono stati inoculati nella vena marginale dell'orecchio, ognuno cor 5 cc. di liquido di conden- sazione ricchissimo di flagellati, pari a dieci colture. L'esame ripetuto del sangue è stato sempre negativo. Sacrificati rispettivamente dopo 15, 35, 50 giorni, i conigli non erano diminuiti di peso, nè presentavano Zeishmanze negli strisci della milza, fegato, polmone, midollo osseo. Il tentativo di ottenere subculture rimase senza successo. Infezione sperimentale del cane. — Le esperienze nel cane riguardano due cani adulti e quattro cuccioli. Cane 1° Femmina, adulto, del peso di Kg. 4,600, riceve, il 25 febbraio 1913, una iniezione nella vena giugulare esterna sinistra di 5 ce. di liquido culturale ricchissimo in flagellati, corrispondente a dieci colture dal cane al VI passaggio. Il 30 marzo suc- cessivo, reiniezione intraepatica di 4 ce. di coltura al VI passaggio, -pari a 10 colture; il 2 aprile, reiniezione endovenosa di 20 colture all’ VIII passaggio. Il 2 maggio trapanazione della tibia, negativa; il 3 maggio puntura del fegato, negativa; esame ripetuti del sangue negativi. L'animale viene sacrificato il 12 giugno 1913. Peso Kg. 4,700. All’autopsia la milza si presenta un po’ ingrossata, il midollo osseo rosso. Non sono riuscito a trovare Leishmanie negli strisci del fegato e della milza, mentre i parassiti erano discretamente abbondanti nel midollo osseo. Cane 2. Femmina, adulto, peso Kg. 6,200, riceve una sola iniezione di 25 colture al VI passaggio nella vena giugulare il 10 marzo 1913. Esami ripetuti del sangue nega- tivi; puntura del fegato negativa. Viene sacrificato il 1° maggio. Pesa Kg 5,600. All’au- topsia, nulla di notevole. Assenza di parassiti all’esame microscopico. Cane 3 (*). Cucciolo di un mese d'età. Iniettato intraperitoneo con 10 cc. di cultura all’ VIII passaggio. Cresce cachettico, magrissimo. Muore spontaneemente dopo 104 giorni. Leishmanie discretamente abbondanti nella milza e midollo osseo. Cane 4. Cucciolo, femmina. Inoculato con 10 cc. di Zeishmaria intraperitoneo e, dopo 15 giorni, con altri 10 ce. di coltura nella giugulare. Ha presentato dissenteria. Non è cresciuto di peso quando viene sacrificato 130 giorni dalla prima iniezione. Milza peso 25 gr. Parassiti numerosi nella milza e nel midollo osseo. (1) L’esperienza sui cani neonati (3 e seguenti) è stata eseguita in collaborazione con l'allievo interno Guido Castoldi. — 586 — Cane 5. Cucciolo maschio. Iniezione endovenosa di 6 ce. di cultura di Lershmania. Diarrea, dimagrimento. Leggermente diminuito di peso, viene sacrificato dopo 109 giorni dalla prima iniezione. Organi normali. Milza peso gr. 14. Negli strisci dei varî organi non si riscontrano Leishmante. Cane 6. Cucciolo maschio. Iniezione endovenosa di 6 cc. di cultura; tre giorni dopo, reiniezione di 7 cc. di Leishmania. Distrofia progressiva di massino grado. Muore dopo 68 ciorni dalla prima iniezione. Parassiti di Zeishmania nella milza in discreto numero. Cane 7. Cucciolo maschio di controllo. Allevato con lo stesso vitto e nelle stesse condizioni d'ambiente dei precedenti, è cresciuto regolarmente sano e robusto. Risulta, da queste esperienze, che è possibile di trasmettere al cane, anche adulto, l'infezione da Zesshmania mediante le forme culturali, specialmente se la via di inoculazione dei protozoi è quella endovenosa. Anche verso la Zezshmania proveniente dal cane, come già è noto per quella proveniente dall'uomo, si sono mostrati in modo particolare recettivi i cani nei primi mesì di vita. Su quattro animali inoculati, in tre ho riscontrato il protozoo specifico, e la sintomatologia presentata dal quarto, identica a quella degli altri, induce a sospettare che anche questo cane avesse contratto l'infezione. Il quadro clinico presentato dai cani si poteva con ogni verosimiglianza ravvicinare al quadro clinico che sì osserva nei bambini ammalati di Kala-Azar. Il cane controllo, non inoculato, non ha mai presentato nulla di pa- tologico. Nel cane adulto, in cui sì misero in evidenza Zezshmanze negli organi ematopoietici, l'infezione decorreva in modo subdolo, senza segni esteriori, con lievi alterazioni macroscopiche degli organi interni. * Xx I fatti che risultano dai varî gruppi di ricerche che io ho riferito in questa Nota, non sono privi di interesse, soprattutto per la quistione, dibat- tuta tra gli studiosi della leishmaniosi del bacino Mediterraneo, circa la identità, o meno, dell'agente specifico che infetta l’uomo ed il cane. Io non intendo entrare nella questione, neppure limitandomi alla esposizione obiet- tiva dei fatti fin qui accertati; essa è nota ai lettori anche nei dettagli, perchè è oggetto frequente di dibattito scientifico. Mi limito ora a richiamare l’attenzione sui fatti da me osservati, i quali sarebbero piuttosto argomenti a favore della concezione d’un unico parassita, che infetta l’uomo in India e nel Mediterraneo e, quivi, l'uomo ed il cane. Row ha coltivato la Zeishmania donovani nel terreno NNN, ed ha così eliminato una delle principali differenze tra i caratteri culturali di questa e della Zeishmania infantum Nicolle. Lo sviluppo della Zezshmania dei nostri paesi nel substrato nutritivo di Row aggiunge una nuova affinità tra i due parassiti. “od Le ricerche sulla fina struttura delle forme culturali, e le esperienze di trasmissione dell'infezione, attestano un’ identità morfologica e biologica tra il parassita della leishmaniosi spontanea dell’uomo e del cane in Italia. Io non credo, però, che si debba ad essa dare una soverchia importanza dimostrativa. I protozoi che si coltivano nello stesso mezzo nutritivo possono appartenere alle specie più disparate, ed in modo particolare il substrato NNN sì è dimostrato idoneo alla coltivazione di moltissimi fiagellati; d'altra parte, ì caratteri strutturali del nucleo e dell'apparato motore rappresentano i ca- ratteri fondamentali del genere o della famiglia, piuttosto che quelli della specie. Si tratta dunque di puri e semplici argomenti a favore, atti comunque ad eliminare differenze spesso invocate dagli avversarî dell’ unità parassitaria delle leishmaniosi (uomo e cane) del bacino mediterraneo. Cristallografia. — Sull’ematite del Vesuvio (‘). Nota del dott. LEONARDO Cuccia, presentata dal Socio 0. VIoLa. Allo scopo di aumentare il numero di osservazioni che si prestassero alla determinazione del rapporto assiale dell'ematite, per il quale parecchi cristallografi trovarono valori non perfettamente concordanti, ho studiato un campione di ematite del Fosso di Cancherone (Somma-Vesuvio) esistente nel Museo mineralogico della R. Università di Parma, la cui scheda indi- catrice reca la leggenda: « Ferro nativo masiccio (sic) mammellonare ed oligisto nella lava di cancherene (sic). Vesuvio ». In tale campione si vedono cristalli di ematite assai lucenti e ben formati, di un colore grigio di acciaio, che riposano sopra una superficie della scoria lavica porosa, friabilissima, di colore grigio-rossastro. . Dei 20 cristalli scelti per il presente studio — di un diametro varia= bile da: mm. 1 a 4,5 —, diciotto sono geminati; gli altrt due cristalli sono semplici. L’habitus d'un geminato, che è rappresentato in proiezione ortogonale dalla fig. 1, è il seguente: tabulare per il prevalente sviluppo delle facce (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Parma. a © MSI} >; RO HR va ED 5 Ra 2a € 6. £ \2a hR-___ .,_ go —-____TN,ts pReoemo._ —-—i - il (RARO " est tl$*enmnzsz °: A —r--eeee:2n-_---_ese:=: ice — ami eee coce.-c-2e-ae-en n a rr. _c dia. x @a 7a ZA, — 588 — del pinacoide basale c}111}, contornato quasi sempre dalle facce del rom- boedro fondamentale 7}100}, meno sviluppate delle prime, e da quelle esi- lissime del romboedro e}!10} e del prisma @}101}; non mancando talvolta facce esilissime, appartenenti ad altre forme. Ciascun geminato risulta da un insieme di due individui giustapposti, aventi come asse di geminazione lo spigolo [111]x il piano di associazione, come vedesi dalla figura, è parallelo ad una delle facce del prisma a. I cristalli semplici, rappresentati in proiezione ortogonale dalla fig. 2, hanno l’aspetto di tavolette molto allungate nel senso dello spigolo [011], che la base ha in comune con una delle facce del romboedro fondamentale: in esse è predominante il pinacoide cj111}, accompagnato dal romboedro 73100}, di cui una sola coppia di facce presenta un grande sviluppo secondo FI. 2 una sola dimensione. In uno dei due cristalli semplici furono osservate altre forme, oltre alle due accennate. In ciascun cristallo esaminai col goniometro a riflessione, le tre zone di 18 specie [011], [101] e [110], nonchè le tre zone degli spigoli fon- damentali [100], [010] e [001], salvo il caso che taluna di tali zone non fosse presente. Solo in qualche cristallo esaminai le zone di 2 specie, non reputando necessario, per il fine del presente lavoro, esaminare di proposito le zone di 2* e di 3* specie, come quelle che, essendo costituite da facce di sviluppo limitatissimo, non davano luogo a immagini vere e proprie, ma a semplici barlumi. A ciascuna faccia fu assegnato un peso, in base alla immagine in essa formatasi, partendo da un massimo di 10, assegnato alla faccia che dà una immagine netta e precisa del segnale portato dal collimatore. Le forme osservate sono tutte segnate nella proiezione stereografica, della quale la fig. 3 rappresenta un settore di 120°. Esse sono le seguenti: 1) PinAcoIDE BASALE e}111}. — Osservato in tutti i cristalli da me studiati, esso si presenta con facce ordinariamente striate nei geminati, lisce nei cristalli semplici. Tali facce sono per lo più costituite da parti di facce, parallele fra loro. Non essendo i loro riflessi molto precisi, non furono prese in conto per la determinazione dell'angolo fondamentale. — 589 — 2) PRISMA ESAGONALE DI 2% specie 4}101}. — Questa forma è presente in tutti i.cristalli, tranne nel 2°, ove forse non fu osservata, perchè il cristallo è rotto. Il prisma è costituito da facce esilissime che smussano gli spigoli 7»; soltanto nel cristallo n. 7 tali facce si presentano discreta- mente sviluppate, ed hanno forma di losanga. 3) RoMBOEDRO FONDAMENTALE 7}100}. — È stato riscontrato in tutti i cristalli, con facce o perfettamente speculari, mai rigate, oppure scavate a tremia, benchè raramente. Tali facce sono le più sviluppate dopo Fic. 3. quelle basali. Qualche volta ho notato solo frammenti di facce, e, in mezzo, delle escavazioni; nel cristallo 11° tali escavazioni sono talmente profonde, che il cristallo sì presenta cavo nell’ interno. Nei cristalli semplici, soltanto una delle facce della forma 7 si presenta assai sviluppata secondo lo spi- golo er. Facce assai belle furono osservate nella maggior parte dei casi, e perciò furono utilizzate per la determinazione della costante cristallografica. Le forme fin qui descritte furono studiate la prima volta nell’ematite vesuviana da Monticelli e Covelli nel 1825 ('). 4) RomBoebro 73122}. — Questa forma, rinvenuta la prima volta da Arzruni in cristalli della lava che nel 1872 incendiò San Sebastiano (*), fu da me osservata solo nel cristallo n. 9. Io la identificai, misurando per (*) Prodromo della mineralogia vesuviana, vol.I, Orittognosra, Napoli, 1825, pp. 76-82. (*) Zeitschrift fix Krystallographie und. Mineralogie, vol. XVIII, Leipzig 1891, pp. 51-52. RENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 79 controllo la zona [012]: tale misura ha dato il seguente valore per l'angolo rn: misurato calcolato (1) differenza reni (100) (22956800 40056 5) RomBoepro ej011}. — Questa forma, rinvenuta la prima volta da A. Scacchi nel 1873 (°), fu da me osservata in tutti i cristalli, eccet- tuato il 2°, ove forse manca perchè il cristallo è rotto. Le facce di questo romboedro si sono presentate sempre esili; nel cristallo 9° si è presentata una faccia allungatissima nel senso dello spigolo [011]. 6) IsosceLoeDpRo 7j021{. — Tale forma, osservata la prima volta nell’ematite vesuviana da Arzruni nel 1891 (*), fu da me riscontrata in sette cristalli; da tale fatto, però, nulla si può concludere circa la sua frequenza, perchè, dato lo scopo del presente studio, io non ho notato, se non in po- chissimi casi, le posizioni delle facce di tale forma, che davano sempre dei semplici barlumi. Nel 4° cristallo, in cui studiai di proposito le zone di 2 specie, osservai sette facce della forma 7. 7) IsosceLoepRro n5131}. — Questa forma, già osservata indubbia- mente da Monticelli e Covelli fin dal 1825, come si rileva dal citato « Prodromo », fu da me riscontrata due sole volte nella zona [112] del 4° e del 19° cristallo; il valore dell'angolo che una di tali facce fa con la base, è il seguente: misurato calcolato differenza nec = (81I):(111)= 6184245607 6100 8) IsosceLoenRo /}24-29-19}. — Questa forma fu osservata la prima volta da me nella zona [211] del 4° cristallo; si è presentata con due sole facce esilissime, una delle quali, di peso 7, mi ha fornito il seguente valore per l'angolo da essa formato con la base: misurato calcolato differenza I:c=(24-29-19):(111) = 100.400” ; 10°.48/.58" ; — 3158". L'altra faccia ha dato. un semplice barlume. 9) ScALENOEDRO TRIGONALE $S{7-18-0}. — Questa forma, da me rinvenuta la prima volta, è nuova per la specie. Fu osservata nel 12° cri- stallo, e solo nella zona [001], ove si presenta con una faccia pochissimo sviluppata, posta tra una faccia e ed una faccia 7. Il valore dell'angolo formato dalla faccia dello scalenoedro con la faccia e, è il seguente: misurato calcolato differenza Sce=(7.18-0):(110)=250,211.30" ;. 250.155"; delos (') Tutte le volte che qui parlo di angolo calcolato, s'intende che fu calcolato in base alla costante da me determinata. (?) Atti R. Accad. d. scienze fis. e mat. di Napoli, vol. VI, n. 9, pag. 8. Napoli, 1874. (3) Ved. nota 2 a pag. 589. — 591 — 10) ScaLENOEDRO TRIGONALE 7}5:19.0}. — Di questa forma, anche nuova per la specie, fu da mie osservata una sola faccia nel 6° cristallo; la faccia è esilissima, si trova nella zona [100], ha un peso 4, e l'angolo con la faccia (011) ha il seguente valore: misurato calcolato differenza U:e=(5-19-0):(110) = 279.560" ; 2795792" : — 1,22". Come ben s'intende, le determinazioni delle tre ultime forme 7, Se 7 non sono sicure, essendo state riscontrate soltanto qualche volta. Riassumendo, i venti cristalli di ematite da me studiati presentarono le seguenti forme, nelle combinazioni che risultano dalla seguente tabella, ove il segno + indica che la forma è presente, e il segno — che non lo è: erisc| ©(111}[@{101}|r{100}|m{T22}|e{011}|7:{021} x 131} 11242019] 17180 [75190 LI RA a Ae DSS dee : = = — 2 Re es e = - — 3 + | PURA Rea = _ — 4 Scar arte 4 E = ie — 3 = = 8 se [er Re 3 = # 5 (Pie "n = — 3 SEE e RR i -# - = ie... * = = IO RR = = = Uli Sele a ui = = Ia rasta IR # da = Bi ii RA mr + — E ARR AA ni = = | FARA e ie = = - lè [ee ee ie ei i De = - » WU ee o i = = Gi Ie eee oca = = = e + = = = Dar e e at) e = - = Per il calcolo della costante cristallografica mi sono servito dei valori 77 avuti nelle zone [100], [010] e [001], anzichè dei valori e” ottenuti nelle zone di 12 specie, essendo, come si è detto, le facce del pinacoide talì, che questi ultimi valori avrebbero diminuito l'esattezza delle osservazioni (1). (') Solo per il cristallo n. 2, nel quale non si potè avere l'angolo rr, si è CERIAE questo, deducendolo da cr misurato. n rv ———m mE "seg #=eeea i I dle a ea — azàa rn - i _ i ra [LIMIT DE gIE Di ciascuno dei 52 valori misurati di 77, ho calcolato il peso e l'errore; indi ho trovato i valori medî di 77 in ciascun cristallo e il relativo errore medio ('). Si sono così ottenuti, per i 20 cristalli studiati, i 20 valori medî per l'angolo 77, che qui sotto si riportano coi rispettivi errori: Crist. n. 1 77 = 949 .1.34”" = 0'.53" | Crist.n. 11 7r= 94°, 1'.15" — 0/.35" 2 94 .1.16 2.94 12 93.58.44 1.57 5) 93 .59 .30 1.50 18 93.55.95 1.58 4 93 .59 .21 0.15 14 95.58. .0 0.20 5) 93.58.10 0.15 15 93 .59 .23 0.15 6 93 .59 .20 0.15 16 93 .58 .52 2.2 7 94 .1.30 1.52 17 93 .56 .50 1.47 o) 93.07.22 2.41 18 93 .56 .35 1.95 9 93 .59.14 0.16 19 93.58.41 0.15 10 95.58.51 0.15 20 93 .45 .59 2 Col procedimento usato per la determinazione dell'angolo medio e del- l'errore in ciascun cristallo ho dedotto la media definitiva di 77 in base ai 20 valori sopra riportati, ed ho ottenuto il seguente valore per l'angolo fondamentale : i(100) (010) 93584 o Nella seguente tabella sono riportati alcuni angoli calcolati. Nella prima colonna sono i risultati ottenuti con la costante da me determinata, nella seconda quelli ottenuti con la costante di Kokscharow c:a = 1,365576 (?). Angoli secondo Kokscharow differenza = (100):(010) = 93°.58/.41" 94° .0 .0" SE 9a i (111) = 57 .86 .6 MA — 0.58 ce) 38 .15.10 — 1 .2 e (EA AZ 42.18.51 —l1 .4 ze=(021):(011) = 19 .39 .46 19 .40.11 — 0.25 ne = (131): (111)}:= 6112551 61.13.25 — 0.54 re) = (100):(221) = 49 .56 .37 49.57.11 = 0}:34 Dallo stesso angolo fondamentale qui determinato, 77 = 93°.58/.41 = 15", sì ricava il rapporto assiale, che è c:a= 1,36472 + 0,00022. (*) Nel cristallo n. 9 hanno contribuito alla formazione della media «di rr tanto l'angolo (100):(010), quanto l’angolo (I22):(221) formato da due facce del romboedro inverso 7. (*) Materialien zur Mineralogie Russlands. St. Petersburg 1853, vol. I, pp. 3, 11 e pag. 12. — 593 — Il rapporto assiale dell’ematite fu determinato varie volte e con materiale di diversa provenienza. Io qui trascrivo alcuni di essi, aggiungendo anche il mio risultato, nella speranza che esso venga preso in considerazione. lesa 3594 —_ Miller (1) == po 1,3608 =0,0010 Schweitzer e Melezer (*) (framont) BOS 1,3619 =—0,0009 Melezer (?) (Altenberg) 4°. 1,9642 = 0,0015 circa Vater (5) (Cristalli arti fic.). DO, 1,36472 -0,00022 Cuccia ( Vesuvio) (E 1,3654 =0,0002 Melezer (?) = do: 1,3693 = 0,0007 Melezer (°) ( Tavetsch) 8°. IR3732 == Zambonini (4) ( Vesuvio). Di questi valori, il 6° è quello che Melezer attribuisce jall’emazite pura: esso fu calcolato facendo una media di sette valori assai prossimi, ottenuti da lui e da Kokscharow, per l’ematite dei giacimenti di Dognacska, Elba, Cavradi, Vesuvio e Hargita (Kakulkhegy). Tale media è giustificata dal fatto che i giacimenti di Hargita e dell'Elba fornirono cristalli di ematite, che furono riconosciuti, mediante parecchie analisi, come costituiti da ossido ferrico chimicamente puro. Gli ultimi due valori, che sono più alti, si ebbero da cristalli di ematite titanifera. Per gli altri, non si hanno analisi com- plete, tali da giustificare pienamente l'ipotesi emessa dal Melezer, che i valori lontani da quello proposto da lui per l'ematite pura debbano essere stati forniti da cristalli di ossido ferrico non chimicamente puro. Quello ottenuto da me, come appare dal precedente quadro, è compreso tra il valore ottenuto dal Vater e quello proposto dal Melczer per l’ematite pura. Geologia. — Za montmorillonite nelle granuliti di Cala Pran- cese (Isola della Maddalena). Nota dì DomeNICO Lovisato, pre- sentata dal Socio G. STRivER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (1) Mineralogy, 1852, pag. 286. .(2) Zeitschr. f. Kryst., 1903, vol. XXXVII, pp. 580-602. (3) Zeitschr. f. Kryst., 1885, vol. X, pp. 391-392. (4) Mineralogia vesuviana, Napoli 1910, pag. 74. ir vez «reecnomai i rr__cv TB» L—_‘A: wrote —--|=su nr” nn "wi d \ut dar \ets vestens “dl "TE geersa — aa in i nu e Fisiologia vegetale. — Muove ricerche sulla diffusione e localizzazione dei toni nel corpo delle piante: esperienze con il certo. Nota di 0. Acqua, presentata dal Socio R. PIROTTA. Nei miei studî precedentemente pubblicati sull'argomento io mi sono valso, per le ricerche intorno al diffondersi e localizzarsi dei ioni nel corpo delle piante, di un metodo nuovo, il quale mi ha dato risultati molto sod- disfacenti. Mentre con le sostanze le quali entrano generalmente nella composizione delle soluzioni saline non è possibile di seguire le vicende che subiscono gli ioni, dopo la loro penetrazione nel corpo delle piante riesce, al contrario, con speciali corpi di poter compiere questa indagine direttamente al microscopio. Si tratta di corpi aventi proprietà particolari e tali che i cationi derivanti dalla dissociazione dei loro sali, allorchè si accumulano in determinate regioni, finiscono per dare luogo ad un deposito insolubile e colorato. Così, con i sali di manganese, i cationi accumulati in diverse regioni provocano la forma- zione di bei depositi rosso-bruni, dovuti con tutta probabilità a biossido di manganese. E ciò senza che la pianta ne risenta nocumento, almeno fino a che il deposito non abbia raggiunto una tale proporzione da impedire l'ac- crescimento di determinati tessuti. Ma fino a che questo estremo limite critico non sia raggiunto, le piante possono anche, se le soluzioni adoperate sono opportunamente diluite, avere uno sviluppo non solo vigoroso, ma anche uguale a quello delle altre appartenenti ai lotti di controllo. lo ho creduto di interpretare tali fatti considerandoli provocati da pro- prietà generali di determinate cellule o di determinati tessuti, per le quali proprietà la separazione dei ioni e l'accumulo di cationi dovrebbero aver luogo anche con i sali nutrienti che o si riscontrano nel terreno o fanno parte delle soluzioni artificiali. La differenza consisterebbe soltanto in ciò: che con il manganese si ottengono localizzazioni di depositi insolubili e colorati, mentre con altri sali ciò non avviene, e, quindi, le vicende che subiscono i varî ioni sfuggono all'osservazione. Si deve anche notare che in questo secondo caso, non originandosi depositi insolubili, l'accumulo dei cationi può essere dimi- nuito o anche annullato da un loro successivo trasporto in altre regioni della pianta. In ogni modo resterebbero dimostrate con il nuovo metodo le regioni nelle quali ha luogo la separazione dei cationi dagli anioni. In appoggio a tale ipotesi io crederei citare i seguenti fatti, bene ac- certati. I depositi che sì originano per ciascuna pianta sempre nelle stesse regioni, si trovano quasi esclusivamente nella radice; ma essi si accumulano — 595 — poi in proporzione straordinariamente grande in vicinanza dei tessuti meri- stemali iniziatori di nuove produzioni radicali, il che dimostra che essi sono in rapporto con l’attività formativa di nuove cellule e, quindi, anche delle sostanze proteiche. Nelle parti aeree i depositi scarseggiano grandemente; in qualche caso, come nel Phaseo/us, essi si riscontrarono con qualche ab- bondanza ma localizzati in speciali cellule albuminifere, il che sta appunto a dimostrare il loro rapporto con la presenza di sostanze proteiche. Io volli inoltre ricercare se, variando l’anione, i depositi si verificassero ugualmente; e quindi, oltre il nitrato manganoso, adoperai il solfato, il clo- ruro, il bromuro in soluzioni equimolecolari. Riscontrai che i depositi, in genere, si formano con uguale intensità. Cercai anche di variare il catione, impiegando cioè qualche altro corpo capace di dare depositi come il manga- nese. Io ritrovai tale proprietà nell’uranio e nel piombo. Questi corpi, spe- rimentati nei loro sali, sono nocivi, danneggiano sempre più o meno la pianta; anche se adoperati in soluzioni molto diluite, ne ritardano lo svi- luppo; tuttavia, si riesce a scorgere egregiamente delle localizzazioni dei cationi (gialle con l' uranio, nere con il Pb dopo il trattamento con HsS sulle sezioni) melle stesse regioni nelle quali hanno luogo con il manga- nese. Naturalmente, in tutte queste esperienze le piante, quantunque par- zialmente arrestate nel loro sviluppo, si mantennero vive, e il deposito fu quindi provocato da processi biologici e non da processi necrotici. Dal complesso adunque di tali fatti io concludeva essere la radice l’or- gano nel quale avviene prevalentemente la separazione dei cationi dagli anioni. « Per questa funzione la radice può paragonarsi», così io scriveva in una mia precedente comunicazione « a quel reparto di un grande laboratorio nel quale i materiali entrati confusamente debbono essere opportunamente separati e vagliati perchè poi avvenga la successiva distribuzione dei costi- tuenti del detto materiale in altri reparti nei quali debbono essere impiegati. E nel nostro caso, questo lavoro si compie con la separazione degli ioni a opposta carica elettrica, ossia dei cationi dagli anioni. Questo grande con- tinuo lavoro noi non lo seguiamo nelle condizioni ordinarie. Con i sali di manganese e degli altri corpi adoperati, si riesce a metterlo in evidenza ». Il rapporto poi tra la produzione di tali depositi e l’attività formatrice di nuovi tessuti dimostra che nella radice avvengono i processi i quali con- ducono alla sintesi delle sostanze proteiche necessarie per le nuove forma- zioni. Quest ipotesi contraddice a quanto si è creduto di ammetterein questi ultimi tempi, che cioè le facoltà sintetiche risiedessero esclusivamente negli organi verdi aerei, e particolarmente nelle foglie. Non sì deve negare che anche in queste, giungendo gli anioni provenienti dalle radici, possano avve- nire le sintesi suddette; ma, in ogni modo, il processo non è da ritenersi ad esse esclusivo e caratteristico: VERI A RAMw Î da Fi ID e e 0 #% __ mae "mea --° Ri is "ss àÀ"egse n «di Re ce» ud eeeetoe ne —_ av \ or ns 990 Queste mie idee non hanno mancato di suscitare — com’ era, del resto, prevedibile — delle opposizioni. Così la Houtermann, ripetendo, dietro suggerimento del prof. Molisch, le mie esperienze ed osservazioni, nel mentre conferma pienamente i fatti da me osservati, ritiene che per la loro spiegazione basti l’ammettere la presenza di un'ossidasi, la quale provocherebbe la formazione del biossido per un processo particolare e specifico, senza che debba quasi ritenersi in rapporto a condizioni generali fisiologiche. Ma i molteplici fatti da me esposti, e: dei quali ho dato qui un breve cenno, mostrano come hen altra debba ritenersi la causa, e riferibile ad un ordine di fenomeni più generale. Ma allo scopo di meglio stabilire se tali processi debbano veramente ritenersi d’indole generale, io ho iniziato esperienze con i sali di altri corpi per ricercare se tra questi ve ne siano di quelli i quali, in seguito al pro- cesso di separazione dei ioni e di accumulo dei cationi, siano in grado di dare dei depositi insolubili e colorati. E in questo caso si tratta di ricer- care se tali eventuali depositi sì originino, o no, sempre nelle stesse regioni. Poichè nel primo caso, ossia se essi si riscontrino sempre negli stessi organi, negli stessi tessuti, resterebbe sempre più confermata l'ipotesi che debba | trattarsi di un fenomeno fisiologico generale, quantunque si riveli soltanto (1A con una determinata categoria di corpi, che per loro proprietà specifiche si \ | prestano a questo esame; nel secondo caso, ossia se i varii corpi diano de- positi localizzati in regioni differenti, noi avremmo a fare con tutta proba- bilità con fenomeni anormali, i quali toglierebbero gran parte del suo valore all'ipotesi suesposta. Nelle mie nuove ricerche ho ottenuto finora ottimi risultati con il cerio, di cui ho sperimentato il cloruro; ed i risultati ottenuti per tre piante — Triticum sativum, Zea Mays, Phaseolus vulgaris — passo brevemente a descrivere. Triticum sativum. — Il cloruro di cerio in soluzioni anche diluite in acqua distillata, arresta rapidamente lo sviluppo della giovane piantina, derivante da chicchi ‘posti direttamente a germinare in contatto con la solu- zione. Il metodo usato è quello precedentemente descritto; soltanto, invece di adoperare dischi di sughero galleggianti, sui quali era tesa della garza, sì usarono dei rettangoli costruiti con bacchettine di vetro e sostenuti da piedi di vetro; sul rettangolo era tesa la garza, che si faceva arrivare in contatto del liquido. La soluzione !/; mila arrestò quasi totalmente lo svi- luppo; ad 1/10 mila, !/so mila, lo sviluppo fu discreto, quantunque molto ritardato in confronto dei lotti di controllo, specialmente nel sistema radi- cale. Tuttavia, le piantine si mantennero sempre bene turgide, non presen tando neanche traccia di fenomeni necrotici. All’ esame microscopico si ri- scontrò un deposito giallo perfettamente localizzato ed esclusivo delle radici. Cominciava ad apparire qua e là nel cilindro corticale, non sorpassando mai ; — 597 — l'endodermide. Prolungando la coltura, il deposito divenne più abbondante, riempiendo anche gran parte degli spazî intercellulari. La formazione di radici secondarie nella soluzione del sale di cerio non fu constatata, forse perchè l'azione non favorevole del sale impediva tale formazione. Concelu- dendo: si hanno con il cerio gli identici risultati che si ottennero con il manganese, con l'uranio, con il piombo. Zea Mays. — Furono adoperate soluzioni !/,6, 1/20 , !/so mila. Le radici si svilupparono poco anche nell'ultima soluzione più diluita; ma in questa i germogli crebbero bene. tanto da mostrare ben poca differenza con i lotti di controllo. L'esame microscopico mostrò il deposito bene localizzato nella radice, e precisamente nel cilindro corticale, in cui qua e là si mostrarono pieni anche gli spazî intracellulari. Nel cilindro centrale, in genere, nulla, specialmente nei primi giorni dell'esperienza; poi il deposito cominciò a mostrarsi in alcuni vasi del protoxilema. Nell'asse epicotileo, in genere, il deposito non si riscontrava, tranne che in alcuni fasci, che ne contenevano nel lume dei loro vasi. Le radici secondarie, anche in questo caso, non si formarono, e quelle che erano incipienti si arrestarono, senza mostrare alcun particolare deposito. Come nel caso precedente, anche in questo si ha la conferma di quanto fu trovato col manganese e con altri corpi. Phaseolus vulgaris. — Questa pianta risente ancor più l’azione nociva del cerio, e si adoperarono soluzioni di cloruro !/so 3 /r0o mila. Ma anche in quest'ultima, l'arresto dell’accrescimento fu molto forte, tanto nelle parti aeree, quanto nelle radicali. Le piante si mantennero però sempre turgide, presentando le loro parti verdi di colore assolutamente normale e non mostrando altra differenza sui controlli se non quella di un arrestato sviluppo. Al miero- scopio, le radici presentarono abbondante deposito giallognolo, nelle regioni meno profonde del parenchima corticale, e nel cilindro centrale nel quale era particolarmente localizzato nelle regioni meccaniche. Il fusto, in genere, non presentò alcun deposito, e così dicasi anche delle cellule speciali albu- minifere che se ne mostrarono sempre prive. Anche per le radici secondarie non si poterono compiere osservazioni positive, parimenti a quanto accadde con le altre due piante precedentemente descritte. Quindi, anche le nuove esperienze con il Phaseo/ys confermano i risul- tati descritti nelle altre mie precedenti comunicazioni. Concludendo, il cerio si comporta come il manganese, con la sola dif- ferenza che esso in paragone di questo, è nocivo per lo sviluppo delle piante, e quindi si incontra una certa difficoltà nel prolungare l'esperienza, e non è possibile di compiere osservazioni speciali intorno a taluni fenomeni lesati all’'accrescimento. Si comporta anche analogamente all’ uranio, al piombo. Paragonando fra di loro preparati tolti da piante coltivate nei varî sali di questi corpi, la distribuzione dei depositi appare del tutto identica : la sola differenza sta nella diversa colorazione del deposito stesso. RenpIconTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 80 er Mir + a fl——. le Cile... dl __C e © _we__..».î — 598 — La mancanza di depositi intorno alla formazione di nuove radici secon- darie si spiega facilmente, perchè il cerio arresta tali formazioni. Quanto poi alla mancanza di depositi nelle cellule speciali albuminifere del Phaseolus, la cosa è parimenti spiegabile; questi depositi non si formarono, anche con il manganese, se non in determinati casi, e sempre in condizioni assai buone di sviluppo; si comprende adunque la difficoltà a manifestarsi con il cerio. Da queste nuove ricerche adunque si può trarre un altro argomento a favore dell'ipotesi che i fenomeni osservati di diffusione e localizzazione dei cationi debbano ascriversi ad una causa generale in rapporto ai processi fisiologici che in via ordinaria si svolgono nell'organismo. Fisiologia vegetale. — Arcerche sull'azione di nitrati isolati sul periodo germinativo dell'Avena sativa('). Nota del dott. F. PLATE, presentata dal Socio R. PIROTTA. In una serie di ricerche intrapresa intorno all'azione di elettroliti neutri (nitrati) sul periodo germinativo dell'Avena saliva, ho voluto non solo stu- diare l’azione che ogni nitrato esercita sulla piantina, ma vedere ancora se fra i fatit biologici osservati sia normali sia anormali, e le proprietà fisiche e chimiche dei cationi, esistano determinati rapporti. Gli elettroliti adoperati in questa prima numerosa serie di esperienze erano costituiti esclusivamente dai nitrati, laonde uno solo era l’'anione ado- perato. Per meglio quindi facilitare le mie ricerche, e per dare anche un ordine sistematico alle medesime, ho eseguito questo studio seguendo i di- versi gruppi dall’ 1 8 del sistema periodico degli elementi; però del gruppo V non ho preso in esame nessun elemento per il carattere prevalentemente metalloidico di essi. In questa prima Nota, anche per ragione di spazio, esporrò i risultati ottenuti coi seguenti cationi del 1° gruppo: ‘Lv Na: K- Cs Rb: (NH)): In note successive mi occuperò degli altri cationi. È cosa ampiamente e da lungo tempo dimostrata che le soluzioni in cui vivono gli organismi vegetali debbono avere una concentrazione che quasi sempre deve rimanere nei limiti del 1-5 °/so. Ma per lo studio di combi- nazioni determinate di ionì è stato prima nella fisiologia vegetale e poi in quella animale adottato il metodo di escludere o l'uno o l'altro, o quasi tutti gli elementi nutritivi inorganici, per poter meglio studiare così gli effetti biologici prodotti da ogni singolo elemento. Fu appunto per questa (') Lavoro eseguito nel R. Istituto Botanico di Roma. — 599 — via che autori come Sachs, Knop, ecc., poterono stabilire delle determinate soluzioni nutritizie, che sono continuamente usate in laboratorio. Ma non basta vedere quali sono gli elementi utili e quali i dannosi; bisogna invece anche studiare l’azione delle diverse concentrazioni, tenendo sempre presenti anche le condizioni fisiche dell'esperienza; e ciò per poter stabilire anche un limite di velenosità, che come vedremo varia non solo da elemento a elemento, ma anche secondo le concentrazioni. Per poter far ciò occorre par- tire da un punto di determinata concentrazione per tutti gli elettroliti; e che io ho creduto opportuno fissare alla “/;o. Quindi per tutti i nitrati adoperati furono stabilite le seguenti soluzioni normali: N/50 i 100 N/ 200 N00 N/360 N/St60O N/3200 ® Ogni serie di prove veniva ripetuta per 5 volte e controllata con pian- tine in acqua distillata, in acqua di fonte ed in soluzione Knop. Era inte- ressante anche studiare l’azione dell'’anione NO',, facendo uso di soluzioni normali di acido nitrico, ma di ciò mi occuperò in seguito. I chicchi di Avena opportunamente scelti fra i più pesanti, dopo essere stati privati delle loro glume, venivano in antecedenza accuratamente la- vati con acqua distillata ed alcool. Indi venivano messi su dischi di carta da filtro umidi posti in capsule Petri coperte e messi a germinare in ter- mostato a 25°. Siccome la temperatura più elevata favorisce, e accelera lo sviluppo dell'embrione, così il periodo germinativo, nel caso mio, può consi- derarsi completato in media nei 15 giorni, cioè all'esaurimento dei materiali di riserva, e su questa base ho diretto le mie ricerche. Dopo varii tentativi per trovare gli apparecchi adatti per queste espe- rienze, mi sono deciso alla scelta di provette di vetro di Jena (diametro mm. 39 e altezza mm. 200). Quando le piantine avevano raggiunto un certo stadio di sviluppo, venivano lavate con acqua distillata, pesate, e messe una per provetta; queste furono preventivamente lavate e sterilizzate con cura. Per ogni serie sono state eseguite le pesate, notate le curve di accrescimento sia della radice sia del caulicino, osservate le proprietà morfologiche esterne ed esaminata microchimicamente la presenza dei cationi ed anione. Come si vede trattasi in questa prima serie di ricerche più che altro di determina- zioni qualitative, dovendo io invece per le ricerche quantitative procedere con altri metodi. Al primo gruppo degli elementi, oltrechè i metalli alcalini, appartiene anche il gruppo (NH,). Mi occuperò dunque dei metalli alcalini, i quali hanno dato risultati veramente interessanti. Non potendo per tirannia di spazio riportare le curve più caratteristiche ottenute, mi limiterò ad esporre la media delle diminuzioni o aumenti reali ottenuti per il peso in ciascuna concentrazione rispetto al peso originale prima dell'esperienza: — 600 — | N/5o ! N/100 N/200 DE N/soo |"/1600|"/sz00 | Totale KNO; . . . gr. | — 0.644 |—0/0358 0.194 |0.1580| 0.1810| 0.2234| 0.2928| 0.7744 RINO 0.0146 0.0254 0.1386 | 0.1562| 0.1516| 0.1734| 0.1786| 0.8884 CENNO su » | — 0.0672| — 0.0454 | — 0.0216 | 0.0315| 0.0672] 0.1084| 0.1192| 0.1921 INQIN O sn » |— 0.056%| — 0.0324 0.0200 | 0.1234|.0.1976| 0.2230| 0.2714| 0.7282 LiNO, . . » |— 0.0496|— 0.0184 0.0280 | 0.0450| 0.1376| 0.1358| 0.1290| 0.3822 (NH) NO, . » | —0.0734|—0.0522|— 0.324 |0:0222|0.0372| 0.0482/0.0596| 0.0092 Dalle mie ricerche risulta anzitutto confermato che quelle parti di radici, che si trovano in contatto diretto con le soluzioni, costituiscono anche quelli organi, che direttamente reagiscono sulle proprietà favorevoli o sfavorevoli delle soluzioni. Risulta inoltre che i diversi cationi esercitano azioni specifiche diverse, come si può rilevare sia dal peso, sia dalle curve di accrescimento del germoglio e della radice, sia dalle proprietà morfologiche esterne. Quindi nessuno di questi cationi può sostituire l'altro, ma ognuno ha delle proprietà specifiche proprie. Nelle condizioni normali di vegetazione l'aumento di peso delle piante in riguardo alla sostanza secca è uno degli indici migliori del benessere; a cui corrisponde anche un aumento del peso fresco. Nei casi presi in esame il peso fresco aumenta più o meno regolarmente con il diminuire delle con- centrazioni, talehè per esempio le piantine trattate con il catione Rb rag- giungono in totale il peso maggiore. Onde rispetto al peso noi otteniamo la seguente serie progressiva andando dalla media massima raggiunta alla minima di ogni serie completa, e cioè Rb>K>Na>Li>Cs>(NH)). Interessanti riescono poi le curve di accrescimento sia del germoglio, sia della radice che segnano delle caratteristiche speciali per ogni catione, degne di nota, e che mi riserbo riportare per esteso nella Memoria di prossima pubblicazione. Mi basta solo per ora ricordare che per le curve di accre- scimento della radice i cationi alcalini si seguono per la loro azione nel- l'ordine seguente: Na>K>Rb>Li>Cs>(NH,) mentre per l'accrescimento del germoglio abbiamo quest'altro ordine Li> Na >K>Rb>Cs> (NH). È opportuno rilevare che le prime concentrazioni “/so , “/io0 € “/sco Sono in generale di esito mortale per le piante, fatta eccezione per il Rb, ove solo la “/;o si dimostra veramente nociva. — 601 — Ma nello studio delle azioni di diversi elettroliti non basta a control- lare semplicemente il peso e le dimensioni raggiunte dalle piantine, ma bisogna soprattutto considerare i rapporti che passano fra i diversi organi, studiare in altri termini i rapporti correlativi in cui questi organi si trovano. Allora soltanto noi potremo costituirei un'idea esatta dei fatti osservati. Noi sappiamo che nelia ontogenesi della pianta, lo sviluppo degli organi viene diretto dai così detti rapporti correlativi; vale a dire che si ammette che normalmente nei diversi organi esistano dei rapporti intimi di scambio anche in riguardo all'assunzione e localizzazione dei componenti delle ceneri più importanti: per cui la pianta nei suoi diversi organi non dispone solo in ogni momento di quantità determinate di questi componenti, ma essi medesimi vengono a costituire fra di loro dei rapporti determinati, i di cui valori procedono di pari passo col processo ontogenetico. Ma quando inter- vengono però delle cause meccaniche, fisiche o chimiche ad infiuenzare l’orga- nismo in punti determinati di esso (nel caso nostro la parte sommersa delle radici) allora questi rapporti correlativi possono venire più o meno fortemente alterati in modo che o l'organismo di fronte a questo nuovo stato di cose prende dei nuovi adattamenti, oppure è condannato a morire. Siccome nel caso delle piantine di avena dalle numerosissime esperienze controllo risulta che lo stato migliore dell'organismo durante il periodo germinativo è dato da una maggiore lunghezza della radice principale di fronte al germoglio, così chiamerò il rapporto fra i due accrescimenti poszzivo quando l'aceresci- mento della radice è maggiore di quello del germoglio, che è del resto il caso normale, e 7egatzvo nel caso opposto. Ben inteso che questa distinzione ha per ora valore solo pel caso preso in esame e che si riferisce solo pel periodo germinativo della piantina. Così per il KNO; avremo la serie seguente di rapporti: N/200 N/400 N/s00 N/1600 N/3200 59 3.2 6.5 0.5 — 3.9 dove il rapporto positivo massimo raggiunto è dato appunto dalla solu- zione “/soo,a cui corrisponde, difatti, anche lo sviluppo migliore delle piantine. Per il Na NO; abbiamo invece la graduazione seguente: N /A00 N/aoo N/s00 N/1600 N/sz00 — 3 — 7.4 — 3.7 6.7 (9) e difatti sono appunto queste due ultime piantine, in cui abbiamo il mag- giore rapporto positivo, che dànno anche lo sviluppo migliore dì tutta la serie. VITA ER SI IE Von zi 4 FA hi PO il Per il CsNO; troviamo invece risultati quasi tutti negativi eccetto nella prima: Ù N/4o0 N/z00 N/ 1600 N/s200 II 3 : i 0.9 — 2.9 — 3.9 — 3.8 a cui difatti corrisponde l'esito mortale di tutte le colture della serie. dl Il LiNO; poi, mentre presenta un graduale sviluppo del germoglio fin NI dalla “/so, la radice invece per le prime 4 soluzioni non si sviluppa affatto; i poi di colpo sì ha uno sviluppo forte della radice alla “/soo0 ed è da qui che la radice si mantiene nello stesso limite anche per le altre due soluzioni susseguenti: difatti abbiamo N/800 N/1600 N/az00 — 1.5 — 1.9. — 3.5 a cui corrisponde difatti uno stato anormale delle piantine che verso la fine i del periodo germinativo cominciano tutte ad avvizzire. I Ma il caso più interessante ci è rappresentato senza dubbio dal RbNO,. Esso è l’unico fra gli elettroliti alcalini esaminati, il quale permette l’accre: (lì scimento graduale sia della radice sia del germoglio fin dalla soluzione più I concentrata, e che ci dà un rapporto positivo costante e con poche variazioni come risulta benissimo dalla seguente serie N/50 N/ 100 Nllac0 N/400 N/800 j N/1600 N/ESGO, | 0.3 0.9 1.4 0.5 187 0.4 0.9 Da questi rapporti risulta anzitutto che essi sono tutti positivi e va- I riano poco fra di loro: dippiù, mentre gli accrescimenti si mantengono in ill limiti ristretti tanto da impedire quasi un maggiore accrescimento in altezza hi e lunghezza, pure le piantine raggiungono quasi tutte uno sviluppo rigoglio- utt sissimo. che è dimostrato ampiamente dalle caratteristiche morfologiche, fra HI cui principali è il sistema radicale fornito abbondantemente di peli lunghi e di numerosissime radici secondarie, ed il sistema fogliare che presenta fin I foglie guainanti magnifiche, tutte ben sviluppate (*), d'un color verde in- ju tenso, e che presentano la lamina fogliare molto allargata fin dalla base, e che raggiunge una larghezza di mm. 9, mentre ordinariamente la guaina AT fogliare dell'Avena allo stato germinativo non supera i 5 mm. (*) In uno dei casi le foglie guainanti misuravano rispettivamente, la prima 96 mm., la seconda 89, la terza 85, la quarta 62 di lunghezza: del resto in tutti gli altri le | medie poco si discostano da queste cifre. — 603 — Come ho detto avanti, ho creduto opportuno aggiungere alla serie dei cationi alcalini anche il gruppo NH, che come sappiamo ha funzioni metal- liche. Esso costituisce una serie di rapporti negativi. N/aoo N/so0 N/1600 N/ 200 — 1.7 — 4.4 — 3.4 — 2.6 a cui corrisponde difatti uno sviluppo assolutamente anormale e quindi mor- tale in tutte le piantine. Quindi volendo ora prendere in considerazione lo sviluppo complessivo delle piantine delle diverse serie alcaline esaminate, noi otterremo la serie seguente : Rb>K>Na>L>Cs>(NH,) in cui il primo posto spetta senza dubbio al Rb, a cui in ordine decre- scente seguono gli altri termini della serie. Fatta eccezione per gli ultimi due cationi, gli altri penetrano anche nella parte aerea, specialmente nei tessuti meristematici: il Cs e (NH,) vengono invece arrestati al cilindro corticale della radice. Riassumendo ora i risultati ottenuti per i metalli alcalini, noi possiamo elencare i detti elementi a seconda della loro azione nel modo seguente: 1% serie Cs > hb>K > Na>Li serie decrescente del peso atomico. 2%» Rb>K >Na>Li >(Cs) peso dell'intera pianta. 8%» Na>K >Rb>Li > (Cs) accrescimento radice. dala Gio Na KS RbE> (Cs) ” germoglio. 5°» Rb>K >Na>L >(05) sviluppo correlativo. 6°» Li ZNaCs serie crescente del peso atomico. Da questo qnadro sintetico risulta anzitutto che nessuno degli elementi suddetti agisce secondo le proprietà chimiche finora conosciute del gruppo cui appartiene, ma ognuno ha delle proprietà biologiche specifiche, per cui le diverse serie 2%, 32, 4% e 52 formano delle serie di transizione fra la 1 e la 68. Pertanto risulta confermato che al peso secco maggiore ed al peso fresco maggiore corrisponde lo sviluppo correlativo migliore, sempre nelle condizioni normali di vegetazione, per cui i termini della serie 2% e 5% coincidono fra di loro. si am TO Ia =———_—_ ea > © d — 604 — Patologia vegetale. — Risposta alla Nota del dott. PETRI: « Sul significato patologico dei cordoni endocellulari nei tessuti della vîte ». Nota della dott.$ Eva MAMELI, presentata dal Socio G. BRIOSI. In una mia Nota precedente (') rendevo noto di aver riscontrato nei tessuti di numerose viti sane e rigogliose, provenienti da diverse parti di Italia, la frequenza di cordoni endocellulari, formazioni che, secondo il dott. Petri, erano invece in stretta correlazione con « un manifesto stato di malattia » : il roncet, arrieciamento 0 court-noué della vite. E dico erano, perchè in una sua nuova Nota (?), in risposta alla mia, il dott. Petri pare non sia più della stessa, identica opinione. Non potendo contrastare le mie affermazioni, facilmente verificabili da chiunque, egli mi attribuisce l' inesatta interpretazione dei risultati delle mie « superficiali osservazioni ». Eppure, a pag. 39 della Memoria (*) del dott. Petri sui cordoni endocellulari si legge: « Tanto nelle specie americane e loro ibridi quanto nelle varietà nostrane franche o innestate, senza alcun carattere esterno di deperimento o di deformazione, non ho mai trovato la presenza dei cordoni ». A me è occorso proprio il contrario, e l'interpre- tazione di un simile risultato non è difficile a trarsì ! Ma i due punti principali sui quali si incardina la difesa del dott. Petri sono: 1°) la formazione dei cordoni precede sempre di uno o più anni le caratteristiche manifestazioni esterne dell'arricciamento; 2°) una vite che presenta cordoni endocellulari nei tralci dell'annata non è in tutti i casi una pianta necessariamente destinata al rachitismo cronico, inguaribile. - Esaminiamo queste due nuove versioni dell’interpretazione dei risultati del dott. Petri, la seconda delle quali para abilmente l’affermazione conte- nuta nella prima. Se la formazione dei cordoni precede sempre il roncet, tutte le viti da me esaminate e contenenti tali formazioni, fra uno o due anni, saranno, secondo il dott. Petri, ammalate. Anzi, alcune dovrebbero già presentare (1) Mameli E., Sulla presenza dei cordoni endocellulari nelle viti sane e in quelle affette da «roncet» (Rend. Acc. Lincei, XXII, 879), 1913. (*) Petri, Sul significato patologico dei cordoni endocellulari nei tessuti della vte. (Rendie. Acc. Lincei, XXII, 174), 1913. (*) Petri L., Ricerche sulle cause dei deperimenti delle viti in Sicilia. (Memorie della R. Staz. di patol. veg. Roma), 1912. i — 605 — qualche sintomo esterno dell’ « arricciamento », perchè contengono i cordoni endocellulari nel legno di due anni. Supponiamo che ciò si avveri; in tal caso è da notare: 1°) Che molte fra le numerose viti da me esaminate provengono da zone fino ad ora assolutamente immuni da 7rozcet, mentre i cordoni endo- cellulari sì presentano in esse più o meno numerosi nel midollo e nel legno, nelle parti alte e in quelle basse della pianta, alla base dei tralci, e, qualche volta, anche in vicinanza dell’apice. 2°) Che i tralci sani da me esaminati sono stati tolti qua e là, da filari di viti sane, e che l' 86°/, di essi contiene i cordoni endocellulari. Conclusione: o tutti questi filari saranno fra due anni ammalati di roncet, o, sorprendente combinazione! io ho colto o ho ricevuto dalle diverse regioni d'Italia proprio quei tralci che fra due anni riveleranno i sintomi del male! 3°) I cordoni endocellulari vennero da me trovati anche in una vite inselvatichita dei boschi del Ticino, i cui internodii sono naturalmente lunghi ed esili: anch'essa, purtroppo, fra due anni, diventerà, secondo il dott. Petri, rachitica e deperirà, vittima del roncet. 4°) I cordoni endodellulari, che già erano stati trovati in molte conifere e in 4 dicotiledoni, vennero da me trovati (*) in altre 20 specie di piante dicotiledoni sanissime (appartenenti alle più svariate famiglie), alcune delle quali sono coltivate da molti anni nelle serre dell'Orto botanico di Pavia, ove trascorrono non solo l’ inverno, ma l’intera primavera. È dunque esclusa per queste piante l’azione dei freddi primaverili, ai quali il dott. Petri at- tribuisce la formazione dei cordoni. Per ciò che riguarda la seconda affermazione del dott. Petri (e cioè che una Vite presentante i cordoni endocellulari non è necessariamente destinata al rachitismo cronico, inguaribile), non posso far a meno di metterla a confronto con l’altra affermazione compresa in un sunto delle proprie ricerche, pubblicato dallo stesso Autore! (*) « En résumé, on peut dire que la formation et la localisation des cordons endocellulaires précèdent et accompagnent toutes les maniféstations du court-noué; et quoique les rapports qui existent entre ces anomalies et la maladie ne soient pas encore détinitivement établis, par suite de Jeu” constante et exclusive formation dans toutes les vignes atteintes par cette forme du rachitisme, on peut les regarder comme un symptòme interne du court-noué chronique au méme tître que les défor- mations des organes agriens sont considérées comme des symptòmes externes ». La contraddizione tra le due affermazioni non potrebbe essere più evi- dente! (4) I risultati completi di queste ricerche e di quelle sulle viti sane verranno pub- blicati negli « Atti dell'Istituto Bot. di Pavia », ove vennero eseguite. (*) Revue de phytopathologie appliquée, I, 3, an. 1913. Renprconti. 1913; Vol. XXII, 2° Sen. (0/2) ui i (A i A et — 606 — Intine il Petri dice che nelle viti presentanti cordoni endocellulari « sì deve ammettere per lo mero uno stato patologico latente ». Egli invoca a questo proposito l'appoggio dell’autorevole opinione del Raatz, il quale avrebbe riconosciuto la natura patologica di queste formazioni nelle Conifere. Il Raatz le chiama invero « mostruosità » (*), « formazioni anormali », attri- buendole a speciali condizioni climatiche; ma è bene non dimenticare che egli non fa che un'ipotesi, e la espone con tutta riserva (*). Inoltre, di contro a tale opinione del Raatz sta quella del Miiller (*), che è perfettamente opposta, poichè quest’ A. trovò i cordoni endocellulari in Conifere cresciute sotto i climi più diversi: nell’ Imalaja, nelle foreste della Turingia e in un tepidario. Le mie ricerche confermano l’opinione del Miller, poichè anch'io ho riscontrato i cordoni endocellulari nel legno di alcune conifere ( Sciadoptys verticillata è Araucaria esxcelsa) tenute in serre riscaldate. Rispetto alla localizzazione dei cordoni endocellulari nei diversi tessuti e nei diversi punti di un tralcio, ricordo, e confermo, che io trovai i cor- doni in tralci alti e bassi appartenenti ad una stessa pianta sana, ed in meritalli basali e superiori appartenenti ad uno stesso tralcio sano. E osavo affermare che le mie osservazioni contrastavano, come effettivamente contra- stano, con le seguenti affermazioni del dott. Petri: « 1°) Io ho notato che ‘quando la formazione dei cordoni avviene contemporaneamente nella parte alta e in quella bassa della pianta, 2 depe- rimento è più repentino e più grave ». « 2°) Nei tralci verdi o legnosi, i cordoni endocellulari si formano costantemente negli internodii basali; solo in piante malate da molto tempo queste anomalie si possono trovare negli internodî superiori ». Anche l’interpretazione di queste due recise affermazioni del dott. Petri non era difficile! Ma v'è di più. Continuando le mie ricerche sulle viti sane, io trovai alcuni cordoni endocellulari nel midollo e nel legno (4) del 15° internodio (vicinissimo all’apice) di un tralcio di un anno, sanissimo, della varietà « Appe- sorgia nera 7, proveniente da Cagliari, ove l'annata fu, più che di solito, calda ed asciutta. Faccio notare che il tralcio in parola, grossissimo e rigo- glioso, venne da me esaminato nell'agosto; è presumibile che almeno le sue parti apicali non avessero subìto l’azione dei freddi primaverili ! (1) Raatz W., Die Stabbildungen in secundiren Holekòrper der Biume und die Initialentheorie (Pringsheim’s Jahrb., 23, 567), 1892. (*) Pag. 582, loc. cit.: Zrote meines umfangreichen Materials vermag ich diese Frage nicht endgiiltig zu lòsen, denn neben den die obige Annahme stùtzenden Fallen kommen auch Ausnahmen haufig genug vor ». (3) Miller C., Veber die Balken in den Holzelementen der Coniferen [Ber. d. D. Bot. Gesellsch., & (17)], 1890 (4) I cordoni del legno e del libro hanno origine dalle cellule del cambio. — 607 — Si confronti ora questo risultato con la seguente affermazione del dott. Petri: « Il cambio dei giovanissimi internodî vicini all'apice non reagisce con la formazione dei cordoni. Quando un tralcio presenta i cordoni sino agli estremi internodî, si tratta di un fatto che può avvenire solo 2% una pianta già da tempo ammalata ». Il dott. Petri nella sua Nota più recente, aggiunge che negli ultimi internodî la formazione dei cordoni può avvenire, o quando gli abbassamenti di temperatura si verificano molto tardi, o « indipendentemente dall'influenza diretta del freddo », quando « si tratta di tralci derivati da ceppi nei quali la formazione dei cordoni data da diversi anni ». Ora, nel caso da me citato, quale di queste due cause invocheremo? Non l'intervento di abbassamenti di temperatura; non la malattia della pianta, malattia che dovrebbe già essere palese per i caratteri esterni; quale dunque ? Ancora più imbarazzante è tale domanda di fronte al fatto seguente : i cordoni endocellulari vennero da me trovati in numero notevole anche nei tessuti di viti sane, coltivate da quattro o cinque anni in serra calda, nello stabilimento Pirovano, a Vaprio d'Adda. Esse diedero, anche quest'anno, abbondanti frutti, ed i loro internodi e le loro foglie sono perfettamente normali. CONCLUSIONI. 1°) La ricerca dei cordoni endocellulari nei tessuti di numerose specie Dicotiledoni perfettamente sane mi ha dato risultato positivo; 2°) i cordoni endocellulari vennero da me trovati, più o meno nume- rosi, nei tessuti di viti sane coltivate nelle condizioni climatiche più diverse: dalla montagna (a 650 m. sul mare) alla serra calda. In opposizione a quanto ha ripetutamente affermato il dott. Petri, appare quindi evidente che non v'è alcuna correlazione, nè fra la presenza dei cor- doni endocellulari e un qualsiasi stato patologico della pianta che li con- tiene, nè fra queste, formazioni e gli abbassamenti di temperatura. Senza dubbio anche questi fatti, come i precedenti, parranno al dott. Petri «i meno degni di essere discussi » ('). Pur tuttavia, essi sono di per sè così eloquenti che a me pare non metta conto di commentare simili frasi, che non valgono certo ad impedire che la verità sì imponga. (1) 1. c. pag. 174 er | — 608 — Fisiologia. — £cerche sugli effetti dell’alimentazione maidica. Utilizzazione delle sostanze azotate nell'uomo (*). Nota V di S. Ba- GLIONI, presentata dal Socio L. LucranI. I. Le ricerche furono eseguite dal dott. G. Amantea (assistente del- l’Istituto) e dal dott. F. Fidanza su se stessi, allo scopo di stabilire le mo- dificazioni prodotte nel ricambio materiale azotato dall'alimentazione con prodotti di mais, ingeriti invece dei prodotti usuali di frumento. Gli indi- vidui prescelti per l'esperimento, due giovani di 27 anni (G. A.) e di 26 anni (F. F.), sani, del peso di kg. 67 (G. A.) e kg. 74 (F. F.) e dell'al- tezza di m. 1.78 (G. A.) e di m. 1.76 (F. F.), non usavano nella loro dieta abituale prodotti maidici. Si trattava quindi di vedere come reagisce l’or- ganismo umano, n0n abituato all’ingestione di mais, ad un'alimentazione mista maidica. i Il piano delle ricerche doveva risultare da: a) un periodo preparatorio, durante il quale i due individui da espe- rimento, continuando la loro dieta comune e il loro tenore di vita, si ali- mentavano a sazietà di cibi liberamente scelti, di cui però si stabiliva esat- tamente il peso e l'azoto ingeriti. Si raccoglievano separatamente le fecce e le urine per determinarne l’azoto eliminato col metodo Kjeldahl, secondo le norme indicate nel trattato dei metodi biochimici di Abderhalden. Si stabiliva così il bilancio giornaliero dell'azoto. 6) Periodo sperimentale, durante il quale i due individui, conti- nuando il loro tenore di vita, si alimentavano a sazietà di cibi liberamente scelti, ad eccezione della polenta, che ingerivano costantemente ad libitum in sostituzione dei derivati del frumento (per es. maccheroni). Determina- zioni analoghe alle precedenti dell'azoto introdotto ed eliminato coll’urina e colle fecce, fornivano i dati pel bilancio dell’azoto dei giorni di questo secondo periodo. e) Periodo terminale, durante il quale essi tornavano alla loro dieta comune, escludendo alimenti maidici. Solo G. A. fu in grado di portare a termine l’intero piano di ricerche; mentre F. F. lo dovè interrompere verso la fine del secondo periodo. La durata complessiva delle esperienze tu di 17 giorni per G. A. (27 gennaio-12 febbraio 1912), di cui 7 giorni costituirono il periodo pre- (') Ricerche eseguite nell'Istituto fisiologico della R. Università di Roma. — 609 — paratorio, 7 giorni il periodo sperimentale e 3 giorni il periodo terminale; di 13 giorni per F. F. (27 gennaio -8 febbraio 1912), di cui 9 giorni furono occupati dal primo periodo e 4 dal secondo. Lo stato di salute si mantenne per entrambi ottimo; il peso del loro corpo non subì oscillazioni notevoli. G. A. passava dieci ore circa della giornata in laboratorio, studiando a ta- volino o sperimentando; il resto del giorno consumava riposando (8-9 ore di sonno), passeggiando (3-4 ore), un'ora era occupata da ciascun pasto. F. F. si levava alle sette; sino a mezzogiorno era occupato colle lezioni; nel pomeriggio studiava due o tre ore; il resto della giornata consumava al passeggio o al riposo. Entrambi prendevano la mattina caffè con o senza pane; il primo pasto alle 13, l’ultimo alle 21, scegliendo a volontà i cibi; cercavano di attenersi il più possibile alla loro dieta ordinaria. Nel periodo sperimentale aggiunsero polenta ben cotta, ben condita e fatta della migliore farina di mais. Anche in questo periodo non esclusero mai, del tutto, pane di frumento. Per rendere più chiaro il metodo di alimentazione, riferisco i dati dei cibi introdotti nella prima giornata del primo, del secondo e del terzo periodo per G. A., del primo e del secondo per F. F. TABELLA I. Ricerche su G. A. Alimentazione della Pane Formaggio] Sardine Pasta Burro Carne | Patate | Castagne | Zucchero I giornata |gr. 411| gr. 58 | gr. 35 |or. 200| gr. 85/er. 150] gr. 50| gr. 50 | gr. 15 Pane Formaggio| Polenta Carne |Grasso di maiale| Vino |Fichi secchi[Zucchero VIII. » gr. 175 | gr. 10 |gr. 1500/or. 140] gr. 60. |cm® 200] gr. 105 | gr. 15 il Pane Formaggio Sardine Pasta Carne Grasso di maiale | Zucchero XV » gr. 275| gr. 70 gr. 40 | gr. 250 | gr. 150 gr. 10 gr. 25 Ricerche su F. F. Pane |Formaggio| Pasta Carne Zucchero Burro Sardine Vino 1 giornata |gr. 266| gr. 60 | gr. 250] gr. 150| gr. 80 | gr. 46 | gr. 25 | cm° 500 Pane Formaggio Polenta Carne Zucchero Burro Vino Nea gr. 140] gr. 500) gr. 790 | gr. 100 | gr. 15 gr. 25 | cm? 750 ee —_ a -r——--cc - “-- ——— ——ers::ie:;x;:;?oree. .fîh_}eè”]lo—— ee e" z ai — 610 — TapeLLA II (G. A.). N FECCE N URINA N GIORNI introdotto BEECNE RES | N assorbito du N Bilancio gr. gr. gr. gr. gr. gr. gr. Periodo preparatorio. I ; 19.97 Oral! 53 2.36 17.61 1300 15.66 | 4 1.95 Ta 3 21.19 148 20.70 1.03 20.16 2080 8.74 | + 11.42 10008 3 18.58 117.50| 26 1.39 17.14 1125 12.45 |+ 4.69 JV: | 21.57 226 32 141 20.16 1375 16.96 |+ 3.20 NS i 19.09 175 9 1.32 1578747: 1400 16.63 | + 1.14 Vale S 22.73 171 29.50 1.50 21.23 1340 16.15 |+ 5.08 VII i 20.91 300 48 2.43 18.48 1170 15.08 Ret 3.40 Media | 20,57 | 201,21| 34,45 1,59 18,93 1398 14,52 |4 PUAAL Periodo sperimentale. VII 2 12.84 270 52 |IRU2I52 10.32 1850 16538026106. INS i 14.40 296 59 I Z605 11.75 2080 JA =2182 XEs, 5 16.90 200 40 1.96 14.94 2100 13.59 |+ 141 DALE Y 13.84 243 GI 2,11 11.73 1960 12/80] —* 1:07 XII 1 12.92 348 68.50 2.99 9.93 2175 14.93 | — 5.00 XIII a 11.70 140 30 TRO 10.43 2025 oa A XIV 1 13.04 150 50 2.06 10.98 2050 200 (208 Media | 13,66 | 235 50,07 2,23 11,44 2034 | 13,90 | — 2,60 Periodo terminale. XV 18.75 228 47 2.10 16.65 1925 15.80 J+ 0.85 IGVAI 20.61 205 38 2.09 18.52 1970 18.49 |4+ 0.03 XVII . 20.49 130 23 196 18.53 1675 15.30 |+ 3.23 Media 19,95 187 36 2,05 17,90 1856 16,53 | + 1,537 TaBELLA III (F. F.). N FECCE N URINA N GIORNI TA Pio en N e By N Rao pet gr. gr. gr. So gr. SE Periodo preparatorio. Les 20.62 24 7 0 42 20.20 760 13.67 |] + 653 Ji 21.76 21 8 0.43 21.38 1053 18.76 |+ 2.57 IIS 21.53 96 84 162 19.91 990 Ao = diaz INZG DS = — — — -_ VSS 15.94 59 19 0.95 14.89 635 12.70 | 4 1.69 VAbS 21.02 120 13) 1.80 19.22 852 17.831 |+ 1.91 VII 22.31 90 23 1.20 DIO 960 17.832 | + 3.79 VIII 18.07 87 23 1833 16.74 700 12.65 | + 4.09 ID 21.25 93 98 1.09 20 16 950 17.08 | + 3.08 Media 17,98 64 20 098 17,00 166 14,50 | + 2.81 Periodo sperimentale. Nr: Iie5 119 30 1.60 955 760 14.80 |— 535 Nr 13.19 114 28.50 1.38 1181 800 14.21 |— 2.40 XII 12.28 56 11 0.48 11.80 900 14.28 |— 248 XIII 14.03 112 28 1.29 12.74 700 1218 |+ 0.56 Media 12.66 100 24.37 1,18 | 1147 790 | 13,86 |— 2,41 — 611 — Nelle tabelle II e III sono raccolti i dati ottenuti nei due individui durante i tre periodi di esperimento. Da queste tabelle risulta che durante il secondo periodo, in cui fu assunta polenta : 1°) si introdusse una quantità minore di N (gr. 13.66 in media contro 20.57 del primo periodo e 19.95 del terzo, in G. A.; gr. 12.66 contro 17.98 in F. F.); 2°) si emise una quantità maggiore di fecce (gr. 235, allo stato fresco, e 50.07, secche con 2.23 di N, contro 201.21, rispett. 34.45 con 1.59 di N del primo periodo e 187, rispett. 36 con 2.05 di N del terzo, in G. A.; gr. 100, rispett. 24.38 con 1.18 di N contro 64 e 20 con 0.98 N in BEBE 3°) fu assorbita una quantità relativamente e assolutamente minore di N (gr. 11.44 in media, contro 18.93 del primo periodo e 17.90 del terzo, in G.A.; gr. 11.47 contro 17.00 in F. F.); 4°) si emise una quantità maggiore di urina (cm?. 2084, in media, contro 1398 del primo periodo e 1856 del terzo, in G. A.; 790 contro 766 in F. F.), che però conteneva una quantità minore di N (gr. 13.90 in media, contro 14.52 e 16.53, in G. A.; 13.86 contro 14.50 in F. F.); 5°) il bilancio dell'azoto sì chiuse con perdita (di —2.60 gr., in media giornaliera, contro +4.41 e +1.37 in G. A.; —2.41 contro +2.81 in F.F.). Varie ragioni possono essere invocate per interpretare questi fatti, che del resto erano stati in gran parte rilevati dai ricercatori precedenti. Riser- bando la discussione alla fine delle mie ricerche, qui mi limiterò ad osser- vare che la minore introduzione di N con la polenta è in gran parte con- seguenza della preparazione culinaria di questa vivanda, che essendo molto ricca di acqua, assume un grande volume, per eni lo stomaco non abituato raggiunge ben presto il senso di sazietà. Che ciò sia vero, è anche dimo- strato dall'altro fatto, che si emette una maggior quantità di urina. Questa sarebbe però una ragione estrinseca d'inferiorità del valore alimentare dei prodotti maidici, poichè si potrebbe ovviare a questo inconveniente ricorrendo a una preparazione culinaria più razionale, ossia meno ricca di acqua. Nei dati surriferiti mi pare però sia contenuta una ragione intrinseca d' inferio- rità, pel fatto, cioè, che l’alimentazione maidica, anche molto limitata e mista a cibi ordinarî, produce una maggiore quantità di fecce con una con- seguente maggiore perdita di N. II. Questa seconda serie di ricerche fu parimenti eseguita nel 1912 dai dottori G. Amantea e F. Fidanza su un individuo abituato dall'infanzia alla dieta maidica. In esso fu studiata, con procedimento identico, l'influenza dell’alimentazione maidica esclusiva in confronto a quella frumentaria. Inoltre furono eseguite alcune ricerche analitiche delle fecce. — 612 — A. B., contadino, di Magliano di Tenna (Ascoli Piceno), di anni 35, sano, alto m. 1,58, del peso di kgr. 51. Nel periodo preparatorio (di tre giorni) seguì la sua dieta abituale (pane di mais, ceci, formaggio e vino), che egli stesso si scelse a volontà. Nel II periodo (di sette giorni) si alimentò sino alla sazietà di pane di mais, polenta di mais, formaggio e vino (con alquanto grasso che servì da condimento). Nel III periodo (di cinque giorni) si alimentò ad libitum di pane di frumento, polenta di frumento, formaggio e vino (più il grasso che servì da condimento). Durante tutti i tre periodi il contadino passò una gran parte delle sue giornate lavorando in un giardino attiguo all’ istituto fisiologico; senza com- piere però lavori eccessivi. Fu continuamente e scrupolosamente sorvegliato. Nella tabella IV sono raccolti i dati delle ricerche sull’'utilizzazione dell’N; nella tabella V quelli delle ricerche sulle fecce. TapeLLa IV (A. B.). N FECCE n URINA Bilancio Peso GIORNI |introdott i ti Ca assorbito a N del Cola I... gu Sio Periodo preparatorio. ee AEZONES 262 55 2.40 17.78 735 11.08 |+ 6.70 51 Edo 84 580 | 100 4.15 | 13.69 640 9.13 |H4- 4.56 DST 500 | 101.5 4.65 | 18.12 545 9.73 | + 8.39 Media | 20,26 447 85,5 3,8 | 16,53 640 9,98. |4- 6,55 Periodo sperimentale di alimentazione maidica. IV 2:67 425 | 90.5 4.84 833 680 9.22 |— 0.89 Vee i LoU9 340 48 2.12 | 13.67 985 8.53 |+ 5.14 VI 16.95 695 131 5.69 11.26 1130 7.72 |+ 3.54 VII 16.20 455 87 3.46 12.74 1350 7.90 | + 4.84 VIII 14.44 430 75 248 | 11.96 1135 7.25 | + 4.71 IX 15.25 530 93 8:33; 11.42 1570 8.80 | 4 2.62 DE 13.65 380 67 3.00 10.65 1650 8.55 | H+ 2.10 Media | 14,99 465 84,5 3,56 | 1148 1214 8,2% |4- 3,26 Periodo di alimentazione frumentaria. XI 15.56 240 46 Qi | 13.45 1235 | 10.00 | + 3.45 XII 1747 200 29 1.52 | 15.95 1530 | 1260 |+ 3.35 XII 15.52 170 41 2.58 | 12.94 1295 | 10.20 |+ 2.74 XIV 14.85 140 19.5 TRIBE ii372 1500 | 11.77 |+ 1.95 XV 14.80 127 33 RIOT 2878 1055 | 10.17 | 2.56 52.5 Media | 15,44 175 315 1,88 | 15,76 | 1403 | 10,94 | 2,81 — 613 — TABELLA V. FECCE N N N Residuosecco|Residuo secco === dell'estratto | dell'estratto | dell'estratto | dell'estratto GIORNI Umide | Secche an acquoso aleoolico acquoso alcoolico gr gr Ù gr. gr. gr. gr. Periodo preparatorio. Tiggf-a en: 262 55 2:40 0.95 0.58 9,24 10.31 Me 580 100 4.15 1.74 1935 18.00 16.25 TITRBRAro ze 500 101.5 4.65 1.88 1.54 20 30 21.57 Media 447 85,5 3,08 1,52 1,15 15 84 16,04. Periodo di alimentazione maidica. VR i 425 90.5 434 Bri 0.95 18.10 18.55 VETRATA br 940 48 DA 0.60 0.53 9.22 8.98 VI SAT) 695 131 5.69 1.39 1.56 25.65 31.72 VII 455 87 3.46 1.02 1.07 17.40 17.92 VII 430 75 2.48 0.80 068 19.15 15.37 530 93 3.88 0.94. 0.81 19.49 18.97 X 380 67 3.00 0.57 0.52 10.93 11.39 XI 240 46 2.11 0.70 0.61 10.24 9.66 DE 200 29 1.52 0.45 0.59 7.72 MS:S7 XIII < 170 41 2.58 0.68 0.72 902 8.77 XIV 140 19.5 1.13 0.37 0.38 5.05 6.28 XV 127 39 207 0.60 0.60 7.16 7 65 Media 175 31,5 1,88 0,56 0,58 7,84 8,25 Dai dati della tabella IV, confrontati con quelli della serie I, risulta chiaramente la grande influenza che, nell'utilizzazione di N dell’alimenta- zione maidica, ha l'abitudine a tale dieta. Nel contadino non sì ebbe, infatti, anche quando si alimentò quasi esclusivamente di prodotti maidici, un deficzz (ad eccezione del IV giorno) nel bilancio dell’ N. L'inferiorità del valore alimentare del mais, in confronto al frumento, emerge, tuttavia, anche da queste ricerche. Essa è dimostrata, in genere, dagli stessi fatti rilevati nelle ricerche precedenti; ossia, minor quantità di azoto introdotto, maggior quantità di N perduto colle fecce e, quindi, minor quan- tità di N assorbito, minor quantità di N eliminato coll’urina. Anche qui si notò che l'alimentazione maidica produce una molto maggiore quantità di fecce. Dai dati della tabella V non si può arguire che la maggior quan- tità di N fecale della dieta maidica provenga da sostanze azotate solubili in alcool (per es. zeina). Il fatto, poi, che, durante il III periodo di alimentazione frumentaria, si eliminò parimenti una grande quantità d’urina, come nella dieta maidica, dimostra che ciò non dipende dall’ ingestione di prodotti maidici (come l’altro fatto della minor quantità di N eliminato coll’urina), ma sibbene dalla RenpIcoNTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 2 (00) du = gli forma di preparazione del cibo: tanto nel II quanto nel III periodo A. B. assu- meva farine cotte, impastate con molta acqua (polenta di mais o di frumento). III. La terza serie di ricerche fu eseguita dal dottor G. Amantea sulla signora A. R., di anni 49; alta m. 1.57, del peso di 60,3 kg., sana, stu- dentessa in medicina, vegetariana, convinta delle dottrine di Fletcher; mostrò sempre grande interesse ai risultati delle ricerche, cui si era offerta spon- taneamente. La serie delle ricerche durò dieci giorni (dal 29 dicembre 1912 all'8 gennaio 1913); fu interrotta per sopravvenuto malessere. Consta di tre periodi: nel primo periodo (di 4 giorni) assumeva sino alla sazietà, nei due pasti quotidiani, polenta di farina di frumento, condita con burro, poi carote crude, mele crude, fichi secchi e acqua a volontà. Nel secondo periodo (di 4 giorni) assumeva gli stessi cibi, sempre ad libitum, ad eccezione della polenta di frumento, che sostituiva con polenta, preparata allo stesso modo, di farina maidica. Nel terzo periodo (di 2 giorni) assunse a volontà, invece di farine, carne di manzo arrostita con olio di oliva, e pane di frumento. In media ingeriva giornalmente: gr. 170-205 di farina di frumento, rispet- tivamente gr. 229-244 di farina di mais, ovvero gr. 216-225 di pane più gr. 116-125 di carne: inoltre gr. 42-146 carote; gr. 108-402 mele; gr. 72.5-100.5 fichi secchi; 22.5-30 burro (rispett. 50 cc. olio con la carne); cc. 40-240 acqua. Il senso di sazietà (a masticazione prolungata, secondo Fletcher) fu sempre raggiunto in ogni pasto: la polenta di mais fu assunta più volontieri di quella di frumento; la carne e il pane più volontieri della prima. Nella tabella VI sono raccolti i dati ottenuti. TaBeLLA VI (A. R.). Peso N FECCE N URINE N GIORNI del corpo | introdotto FIR ss assorbito SO Bilancio kgr. gr gr. gr. gr. gr gr. gr. Alimentazione frumentaria. Tese 60.30 2.96 84 29 1.32 1.64 |1270 4.27 1— 2.63 IE atole —_ 2.63 — = — 2.63 0 SITA MITA IE RSRE — 2.85 = = = 285 570 3.51 |— 0.66 VE — 2.93 12 5 0.23 2.010 | 420 3.59 | — 0.89 Media | 60,30 | 2,84 48 1° 0,7% 2,45 | 74125! 3,78 |—- 1,33 Alimentazione maidica. VEE 59.00 3.30 40.5 | 16 0.67 2.63 775 4.90 |— 2.27 VISO — 2.49 35 11.5 | 0.47 2.02. | 615 3.87 |— 1.85 VIE — 3.15 87 30.5 | 1.20 IRSA oto) 3.80, | — 1.85 VADER — 8.08. | 260 19.5 | 3.12 0.04 | 590 3.20 |— 3.25 Media | 39,00 3,00 |105,62| 34.37] 1,34 1,68 | 672,50] 3,94 |— 2.30 Alimentazione mista ID:GUE 98.1 6.87 30 10 0.38 6.49 | 250 8.87 |+ 3.12 X 58.1 6.70 | 215 76 3.47 3.28. | 800 5.28 |— 2.05 Media | 58,1 6,78 |122,5 | 45 1,92 4,86 | 275 4,32 |4- 0,53 — 615 — Da questi dati risulta chiaramente, che durante i primi due periodi di dieta esclusivamente vegetale avemmo un caso tipico di iponutrizione; il bi- lancio giornaliero di N si chiuse sempre con deficit e, corrispondentemente, anche il peso di corpo diminuì di più di un kg. Limitandoci al confronto del periodo di dieta frumentaria con quello di dieta maidica, vediamo che con la polenta di mais s'introdusse maggior quantità di N, di cui però si assorbì relativamente e assolutamente meno in confronto della polenta di frumento. La quantità delle fecce fu anche qui maggiore nella dieta maidica, mentre (come nella serie II) la quantità dell'urina oscillò intorno alla stessa cifra. Il defiect di N, nel bilancio, fu parimenti maggiore durante la dieta maidica. L'inferiorità relativa del valore alimentare del mais si manifesta, quindi, colle stesse note anche nella presente serie di ricerche, da cui emerge però, anche, che l'alimentazione esclusiva con prodotti di frumento ha valore no- tevolmente inferiore all'alimentazione mista di carne e pane. Nel terzo pe- riodo vediamo infatti che si raddoppiò l'azoto introdotto, si triplicò quello assorbito, diminuì la quantità delle fecce e dell'urina, e il bilancio dell’ N si chiuse con guadagno. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI E. GRILL: / minerali dell’isola di Nisiro (Mar Egeo). Pres. dal Corrisp. F. MILLOSEVICH. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BLAsERNA dà il triste annuncio della morte del Socio straniero prof. Epwrn KLEBS, mancato ai vivi il 283 ottobre 1913; appar- teneva il defunto Socio all'Accademia, per la Patologia, sino dal 20 set- tembre 1887. Il Presidente BLaseRNA annuncia che è presente il prof. TROWBRIDGE della Università di Princeton, e che assiste per la prima volta alla seduta il prof. FepeRico MiLLosEvicH testè eletto Corrispondente; ed a nome del- l'Accademia dà il benvenuto ad entrambi. Lo stesso PRESIDENTE comunica un invito per le onoranze che sa- ranno tributate al Socio Senatore DALLA VEDOVA, in occasione del suo 80° genetliaco. — 616 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario MiLLosevicH presenta le pubblicazioni giunte in dono, richiamando l'attenzione dei Colleghi su quelle del Corrispondente Fusari, del Socio straniero PIcKERING e dei signori ALADAR, DEHAUT e STEENSTRUP, e facendo particolare menzione dell’opera del prof. A. BEGUINOT: Za vita delle piante superiori nella laguna di Venezia. E. M. a = _ ns 6—__ —, 617 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALI’ ACCADEMIA presentate nella seduta del 7 dicembre 1913. AcHiarDI (D’) G. — I. Striverit. Il. War- wickit. (Separat-Abdruck aus «Hand- buch der Mineralchemie », B. III). Dresden, 19183. 8°. Agaziti Ave. -- La tortura sepolcrale. (Il nostro pericolo più spaventoso). Roma, 1913. 8°. AGameNnNonE G. — Gli pseudo-terremoti. (Estr. da « Riv. di astron.», an. VII). Torino, 1913. 8°. AGAMENNONE G. — I terremoti della Cina. (Estr. da « Riv. di astron. »). an. VII. Torino, 1913. 89. AGAMENNONE (&. — I fenomeni luminosi del terremoto, (Estr. da «Riv. di astron.» an. VII), Torino. 1913. 8°. AGAMENNONE G. — Le case che si sfa- sciano ei terremoti. (Estr. da « Riv. di astron. n, an. VII). Torino, 1913. 8°. Annali di matematica pura ed applicata, serie III, tom. XXI. (Dedicato alla me- moria di Lagrange). Milano, 1913, 8°. BaLpuccr E. — Della Somateria mollis- sima (Linn.) uccisa al forte dei marmi a Marina di Pisa. (Estr. da « Riv. ital. di ornitologia », an. II). Bologna, MO13tAS2 Barpuzzi D. — Prelezione al corso libero di storia antica delle scienze mediche nella R. Università di Siena, 1912-13 (Estr. da « Riv. di st. crit. delle scienze med. e nat. », an. IV). Grottaferrata, 1913. 8°. Barpuzzi D. Acque minerali naturali, ed acque artificialmente mineralizzate, . (Estr. dagli « Atti del XI Congresso nazionale di idrologia, climatol. ecc. », an. 1912). Perugia, 1913. 8°. Barpuzzi D. — Della vigilanza delle sor- genti idro-minerali, e della necessità di una periodica rinnovazione delle loro analisi chimiche e bacteriologiche. (Estr. degli « Atti del XI Congr. naz. d’idrologia ecc. », an. 1912). Perugia, 191382 Bassani. FR. — Sopra una nuova fumarola nel fondo della solfatara di Pozzuoli. (Estr. « Rend. della Accad. di Sc. fis. e mat. di Napoli», 1913). Napoli, T91 SS: BeGuINnoT A. — Ricerche culturali sulle variazioni delle piante. II. Il polimor- fismo nel cielo di Salsola Kali L. ed i suoi fattori. (Estr. dagli « Atti del- l’ Accadem. se. Veneto-Trentino-Istria- na», an. VI). Padova, 1913. 8°. BeGuinor A. — Ricerche culturali sulle variazioni delle piante. I. (Estr. dalla Riv. « Malpighia »). Catania, 1911. 8°, BerLEst A. — Intorno alla metamorfosi degli insetti. (Estratto dal « Redia », vol. IX) Firenze, 1913. 8°. BerLESE A. — Acari nuovi. (Estratto dal « Redia », vol. IX). Firenze, 1913. 8°. BvraLi-Forti C. — II. Applications è la mécanique et à la physique. (Analyse vectorielle générale.) Pavie, 1913. 89. CapRrIOLI S. — Sull’ energia e la materia Napoli, 1913, 8°. Carton D. — Un chapître de la lutte entre la broussalile et la culture dans l’ Afrique du nord. L° Olivier sauvage (Extr. du « Compte Rendu du Congr. nation. des Soc. frane. de géogra- phie », 1911). Lilla, 1912. 80. Cavazza F. — Influenza di alcuni agenti chimici sulla fecondità del « Bombix Mori » e sul sesso delleuova prodotte. Firenze, 1913. 89, Caistoni C. — Eugenio Semmola. (Estr. dall’ « Annuario della R. Univ. di Na- poli» 1911-12). Napoli, 1912. 8°. CoLonnetTI G. — Sulla teoria degli archi. (Estr. dagli « Atti della R. Accad. di Se. di Torino, 1912-18). Torino 1913% 89. — ___——r__————_————————————_———————————————————ÉÈ"—È— — — ————É— —y—— — 618 — Cortesi F. — Relazione sulle piante rac- colte nel Karakoram dalla spediz. di S. A.R. il duca degli Abruzzi. Bolo- gna, 1912. 8°. DeL Guercio G. — Nuova contribuzione alla conoscenza dei nemici dell’ olivo. (Estr. dal « Redia », vol. IX). Firenze, 1913. 80. Dugem P. — Ètudes sur Léonard de Vinci. Paris, 19183, 8°. EreDIA F. — Il clima di Roma. Esame delle osservazioni meteorologiche dal 1372 al 1910. (R. Uffici centr. di me- teorologia e di geolinamica). Roma, 191189 Fiscner E. — Studio sulle sorgenti di Serino. (Estr. dagli « Atti del R. Isti- tuto d’incoraggiamento di Napoli », ser. VI, vol. X). Napoli. 1913. 89. FrIrscHe H. — Die Bestimmung der Elemente des Erdmagnetismus und ihrer zeitlichen Aenderungen. Riga, 1913. 8°. Grorpano F. — Bases pour les essais des instruments de travail mécanique du sol. La détermination rationnelle des caractéres physiques du sol. S. 1. nec. d. 8°, GiurFRIDA-RuGGERI. V. — I cosiddetti pre- cursori dell’uomo attuale nel sud-Ame- rica (Estr. « Archivio per l’antropol. e la etnol. » vol. 42). Firenze, 1913. 89. GiurFRIDA-RuegeRI V. — Distribuzione e origine dei gruppi umani dell’ Africa Nord-Orientale. (Con una carta geogra- fica). (Estr. dall’ « Archivio per 1’ an- tropol. e la etnologia », vol. 43). Fi- renze, 1913. 8°. GueRrRIERI E. — Curva di luce di Mira Ceti durante gli anni 1912-12. (Estr. dal « Rend. della R. Accad. di scienze fis. e mat. di Napoli », 1913). Napoli, 1913. 80. GuerRIERI E. — Saggio di determina- zione della estinzione atmosferica per Capodimonte (Napoli). (R. Osserv. astr. di Capodimonte). Napoli, 1913. 8°. GueRRIERI E. — Nova (18. 1912) Gemino- rum 2, posizione media al 1912. 0 (Estr. dal « Rend. della R. Accad. di sc. fis. e mat. di Napoli », 1913). Na- poli, 1913. 8°, GuerRrIERI E. — Sulla variazione di luce della Nova (18. 1912) Geminorum 2. (Estr. dalle « Memorie della Società degli spettroscopisti ital.» vol. II). Catania, 1913. 4°. HeLmerT von F. B. — Die Bestimmung des Geoids in Gebiete des Harzes. (Sonderabd. aus « Sitzungsb. der kénig. preuss. Akad. der Wissenschaften », Bd., XXVIII). Berlin, 1912. 8°. Hrrsert D. — Ueber die diophantischen Gleichungen vom Geschlecht Nuel. (Sonderabd. aus « Acta mathematica », Bd. 14). Stockholm, 1890. 4°. Hurwirz A. — Beweis eines Satzes aus der Theorie der Raumeurven III. Ordnung. S.1. 1882. fogl. Hurwirz A. — Die unimodularen Substi- tutionen in einem algebraischen Zah- lenkòrper(Separatabd. aus « Nachricht. der Kgl. Gesellschaft der Wissenschaft. zu Gottingen », 1895) Gottingen, 1895. 8A Hurwirz A. — Einige allgemeine Satze iiber Raumeurven. (Sonderabd. aus « Mathem. Annalen », Bd. 25). Leipzig, SMEALMOs ; Hurwirz A. — Sur le problème des iso- périmètres. Paris, 1901. fol. Hurwirz A. — Sur les conditions sous lesquelles une équation n° admet que des racines à partie réelle négative. (Extr. des « Nouvelles annales de ma- thématiques ». ann. 189). Paris, s. d. (J Hurwirz A. — Sur. les formes aritmé- tiques linéaires è coéfficients réels quelconque. (Extr. des « Nouvelles an- nales de mathématiques », an. 189). Parisi idalign Hurwirz A. — Sur les points critiques des fonctions inverses. Paris, 1907. fol. Hurwirz A. — Sur quelques applications géométriques des séries de Fourier. (Extr. des « Annales scientifiques de l'École normale supérieure», tome XIX). Paris, 1902. 8°. — 619 — . Hurwirz A. — Sur un théorème de M. Hadamard. Paris, 1899. fol. Hurwirz A. — Ueber algebraische Gebild mit eindeutigen Transformationen in sich. (Aus « Mathem. Annalen », Bd. 41). Leipzig, s. d. 8°. Hurwirz A. — Ueber arithmetische Eigen- schaften gewisser transcendenter Fun- ctionen. (Aus « Math. Annalen », Bd. XXI). Leipzig, s. d. 8°. Hurwirz A. — Ueber bestindig conver- girende Potenzreihen mit rationalen Zahlencoefficienten und vorgeschriebe- nen Nullstellen (Sonderabd. aus « Acta mathematica », Bd. 14). Stokholm, 1890. 4°. Hurwirz A. — Ueber den Satz von Bu- dan-Fourier. (Aus « Mathem. Annalen», Bd. 71). Leipzig, 1911. 8°. Hurwirz A. — Ueber definite Polynome. (Aus « mathem. Annalen », Bd. 78). Leipzig 1912. 8°. Hurwirz A. — Ueber die angenàherte Darstellung der Irrationalzahlen durch rationale Briiche. (Aus « Mathem. An- nalen», Bd. 39.). Leipzig, s. d. 8°. Hurwitz A. — Ueber die angenaberte Darstellung der Zahlen durch ratio- nale Briche. (Estr. « Mathem. An- nalen,» Bd. 44). Leipzig, 1893. 8°. Hurwirz A. — Ueber die Anzahl der Classen quadratischer Formen von ne- gativer Determinante. (Sonderabd. aus «Journal fiùr die reine und angewandte Mathematik », Bd. 99). Berlin, 1885. 4°. Hurwirz A. — Ueber die Anwendung der elliptischen Modulfunktionen auf einen Satz der allgemeinen Funktionentheo- rie. (Sonderbad. aus «.Vierteljahrs- schrift der. Naturforschenden Gesell- schaft », 1904). Zurich, 1904. 8°. Hurwirz A. — Ueber die Anwendung eines funetionentheoretischen Princi- pes auf gewisse bestimmte Integrale, (Sonderabd. aus « Mathem. Annalen » Bd. 53). Leipzig, s. d. 8°. Hurwirz A. — Ueber die Anzabl der Riemann' schen Hichen mit gegebenen Verzweigungspunkten. (Ausi« Mathem. Annalen» Bd. 55). Leipzig, s. d. 8°. Hurwirz A. — Ueber die Bedingungen, unter welchen eine Gleichung nur Wurzeln mit negativen reellen Theilen besitzt. (Aus « Math. Ann.», Bd. 46). Leipzig, s. d. Hurwirz A. — Ueber die Differentialglei- chungen dritter Ordnung, welchen die Formen mit linearen Tranformationen in sich genigen (Aus «Math. An- nalen », Bd. 33). Leipzig, s. d. 89. Hurwirz. A. — Ueber die dioph.nti- schen Gleichungen vom Geschlecht Null. (Sonderabd. aus « Acta mathe- matica, » Bd. 14). Stockholm, 1890. 4°, Hurwirz A. — Ueber die Einfihrung der elementaren transzendenten Funktio- nen in der algebraischen Analysis. (Aus « Mathem. Annalen », Bd. LXX). Leipzig, 1911, 8°. Hurwrrz A. — Ueberdie Entwick lungs- coefficienten der lemniscatischen Fun- ctionen. (Aus « Nachrichten der K. Ge- sellschaft der Wissensch. », 1897). s.1., 1897. 89, Hurwirz A. — Ueber die imaginiren Null- stellen der hypergeometrischen Fun- ktion. (Aus « Nachrichten der K. Ge- sellsch, der Wissensch. zu Gòttingen », 1906). Gottingen, 1906, 80. Hurwirz A. — Ueber die Kettenbriiche, deren Teilnenner aritmetische Reihen bilden. Zirich, 1896. 89, Hurwirz A. — Ueber die Klassenzahlre- lationen und Modular Correspondenzen primzahliger Stufe. (Aus « Berichte der K. Sachs. Gesellchaft der Wissen- schaften », Jahrg. 1885). Leipzig, 1885. 8°. Hurwitz A. — Ueber die Kongruenz ace4 by°+ c22:=0 (mod. p). (Son- derabd. aus «Journal fiir die reine und angewandte Mathematik », Bd. 136). Berlin, s. d. 4°, Hurwirz À. — Ueber die Nullstellen der hypergeometrischen Funktionen. Lei- pzig, 1907. 89. Hurwirz A. — Ueber die Nullstellen der hypergeometrischen Reihe.(Sonderabd, aus « Nachrichten d. Kol. Gesellschaft — LI) = der Wissensch. zu Gottingen», 1891). Gottingen, 1891. 8°. i Hurwirz A. — Ueber die Reduction der binàren quadratischen Formen. (Aus « Mathematische Annalen »; Bd. 45). Leipzig, 1894. 89. Hurwirz A. — Ueber die Theorie der Idea- le. (Abdr. aus « Nachrichten 'd; Gesell- schaft d. Wissensch. zu Gòottingen, » 1894). Gottingen, 1894. 8°. Hurwirtz A. — Ueber die Tracheitsfor- men eines algebraischen Moduls. (Estr. da «Annali di matematica” ‘pura ed applicata, tom. XX, ser. III). Milano, 1913. 4°. Hurw:rz A. — Ueber die Zahlentheorie der Quaternionen. (Sonderabd. aus «Na- chricht. ‘. K. Gesellsch. d. Wissensch. zu Gottingen », 1896). Gottingen 1896. 8°. Hurwirz A. — Ueber diejenigen alge- braischen Gebilde, welche eindeutige Transformationen in sich ‘zulassen. (Aus « Nachrichten der Kgl. Gesell- schaft der Wissensch. », 1887). Gottin- gen, 1887. 8°. HurwiTz A. — Ueber ein Darstellung der Klassenzahl binàrer quadratischer For- men durch unendliche Reihen. (Son- derabd. aus « Journal fiir die reine und angewandte Mathematik », Bd. 129). Berlin, (8.00, 4% Hurwirz A. — Ueber eine Aufgabe der unbestimmten Analysis. (Aus « Archiv. d. Mathem. und Phys. Leipzig, 1905. So i Hvrwirz A. — Ueber eine besonderer Art der Kettenbruch-Entwicklung Reeller Groòssen. (Sonderabd. aus « Acta ma- thematica ». Bd. XII). Berlin. 1889, 4°. Hurwirz A. — Ueber eine Reihe neuer Functionen, welche die absoluten In- varianten gewisser Gruppen ganzahli- ger linearer Transformationen bilden. (Aus « Mathem. Annalen », Bd. 20). [eipzio: ss 1d:280) Hurwirz A. — Ueber endliche Gruppen linearer Substitutionen, welche in der Theorie der elliptischen Transcenden- ten auftreten. (Sonderabd. aus.« Ma- them. Annalen », Bd. XXVII). Leipzig, SId80i Hurwirz A — Ueber Relationen zwischen Classenanzahlen biniirer quadratischer Formen von negativer Determinante (Aus « Mathem. Annalen », Bd. 25). Leipzig, s. d. 8°. Hurwirz A. — Ueber Relationen zwischen Klassenanzahlen binirer. quadrati- scher Formen von negativer Determi- nante. (Aus « Berichte der K. S&chs. Gesellschaft der Wiss.» 1884). Lei- pzig, 1884. 8°. Hurwirz A. — Ueber Riemann’ s Conver- genzeriterium. (Sonderabd. aus « Math. Annalen », Bd. 44). Leipzig, s. d. 8°. Hurwirz A. — Ueber Riemann’sche Fla- chen mit gegebenen Verzweigungspun- kten. (Aus « Mathem. Annalen », Bd. 39). Leipzig, 1891. 8°, HurwITz A. — Ueber Tangentenconstruce- tionen. (Aus « Mathem. Annalen », Bd. 22) Leipzig, s. d. 8°, Hurwirz A. — Zur Theorie der Modular- gleichungen (Aus den « Nachrichten d. Kgl. Gesellschaft d. Wissensch. zu Gottingen », 1883). Gottingen, 1883. 8% JaneT Ch. — Sur l'origine de la division de l’orthophyte en un sporophyte et un gamétophyte. Limoges, 1913, 80. Lazzarino 0. — Osservazioni fotometriche della variabile RZ Cassiopeiae. (Estr. dalle « Memorie della Soc. degli spet- troscopisti ital. » vol. II). Catania, LO EA Ra Leon Er. — Gaston Darboux: biographie et bibliographie analytique des écrits. (« Savants du Jour »). Paris, 1913, 80. Leon Er. — Armand Gautier: biographie, bibliographie analytique des ecrits. (« Savants du Jour»). Paris, 1912, 89 Leishmaniosi umana, Intorno alla. (Soc. ital. tra i cultori delle malattie eso- tiche). Messina, 1913, 8°. LeonarDI G, — Nuove specie di Diaspiti viventi sull’ olivo. (Estr. dal « Bollett. del Labor. di Zoologia gen. della r. scuola sup. di Portici », vol. VII). 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Min- chen, 1912, 89. - Manasse E — Contribuzioni allo studio petrografico della Colonia Eritrea. Siena 1909, 4°. Manasse E. — Melanteria e fibrofevrite delle Cetine (Siena). (Estr. dai « Pro- cessi verb. della Soc. tosc. di Sc. nat. », 1908). Pisa, 1908, 8°. Manasse E. — Zolfo del marmo di Car- rara. (Estr. dai «Proc. verb. della Soc. tosc. di Sc. nat. », 1904). Pisa, 1904, 89. Manasse E. — Sopra alcune rocce eruttive della Tripolitania. (Estr. dal « Boll. dell. Soc. geol. ital. », vol. 24). Roma, 1905, 8°. Manasse E. — Le rocce della Gorgona (Estr. da « Atti Soc. tosc. di Scienze naturali », vol. XX). Pisa, 1908, 8°. Manasse E. — I minerali della cava di zolfo di Poggio Orlando presso Lor- nato in provincia di Siena. (Estr. da « Atti della società tosc. di Scienze natur. », vol. XXIII). Pisa, 1907, 80. RenpIcontI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. Manasse E. — Azurrite di Colabona presso Alghero. (Estr. da « Atti della Società toscana. di Sc. nat.» vol. XXIX). Pisa; 1913. 89. Manasse E. — Mizzonite di Capo d’ Aveo (Isola d'Elba). (Estr dai « Rend. della r. Accad. dei Lincei n, vol. XIX). zoma, 1910. 8°, Manasse E. — Rocce eritree e di Aden della collezione Issel. (Estr. da « Atti della Soc. tosc. di Sc. nat. » vol. XXIV) Pisa, 1908. 8°. Manasse E. — Di alcune leucotefriti di S. Maria del Pianto nei campi Flegrei (Estr. dai « Proc. verb. della Soc. tosc. di Sc. nat.», 1905). Pisa, 1905. fogl. Manasse E. — Contribuzioni alla mine- ralogia della Toscana. (Estr. dai « Proc. verb. della Soc. toscana di Sc. nat. », 1906). Pisa, 1906, S°. Manasse E. — Sopra le zeoliti di alcune rocce basaltiche della Colonia Eritrea. (Estr. dai « Proc. verb. della Soc. tosc. di Scienze nat.», 1906). Pisa, 1906, 8°, Manasse E. — Cloritoide (ottrelite) delle Alpi Apuane. (Estr. da « Atti della Soc. tosc. di Sc. nat. », vol. XXVI). Pisa, 1910, 80, Manasse E. — Tetraedrite del Frigido (varietà frigidite) e minerali che l’ac- compagnano. (Estr. da « Atti della Soc. tosc, di Sc. nat.» vol. XXII). Pisa, 1906, 89. Manasse E. — Rocce della Colonia Eri- trea raccolte a Sud di Arafali: I. e II. (Estr. dagli « Atti della Soc. tose. di Sc. nat. », vol. XX). Pisa, 1908, 80. Manasse E. — Cenni sul macigno di Ca- lafuria e suoi minerali. (Estr. dagli «Atti della Soc. tosc. di Sc. nat.», vol. XXI). Pisa, 1905, 89. Manasse E. — Oxalite di Capo d’Aveo. (Isola d’ Elba). (Estr. dai « Rend. della R. Ace. dei Lincei », ser. 5°. vol. XIX). Roma, 1910, 8°. MarcHÒIarava Ertt. — Sopra l'infezione malarica perniciosa nello scorcio del- l'autunno. (Estr. dalvol. in onore del prof. Angelo Celli). Roma, 1912, S°. 83 — 622 — MarcHiarava ETr. — Sulla degenerazione sistemica delle vie commessurali del- I° encefalo nell’alcoolismo ‘ cronico. (Estr. dagli « Atti del 1°. Congr. In- tern. dei patologi», 1911). Torino, 1919; 8°. Marcuiarava ErT. — Ueber Malaria perni- ciosa. (Sonderabd. aus des « Deutschen mediz. Wochenschr.», 1918). Berlin, T919/982 MarcoLongo R. — II. Applications è la mécanique et à la physique. (Analyse vectorielle générale). Pavie, 1913, 8°. Masser F. — Vincenzo Cozzolino. (Estr. dall’ « Annuario della R. Univ. di Na- poli »). Napoli, 1912. fogl. Micgo Ric. — Nuovo sistema per espri- mere le lunghezze riferite alla terra ecc. (Carte e strumenti varî di misura). Motinari E. — Notizie sugli esplodenti in Italia. Con 96 illustrazioni, 17 ta- vole in eliotipia e 18 facsimili di au- tografi. Milano, 1913, 8°. MorseLLi E. — L’ etnografia nel quadro delle scienze antropologiche. (Estr. da « Atti del I Congr. di etnogr. Italiana », 1912). Perugia, 1912, 8°. NoziLe V. — Sul carattere di universalità della legge newtoniana. (Estr. dalle « Memorie della Società degli spettro- scopisti ital. », vol. II). Catania, 1913, 4°. OBERSTEINER H. — Zweiter Bericht des Prisidenten der Br. C. (Arbeiten aus dem Neurologischen' Institute — k. k. osterreichisches interakademisches Zentralinstitut fir Hirnforschung, — an der Wiener Universitàt). Lepizig, Ji913,R3a OrtH J. — Drei Vortrige iber Tubercu- lose. Berlin, 1913. 8°. ‘Osservazioni meteoriche fatte nel R. Os- servatorio di Capodimonte nell’anno 1912. Napoli, 1913. 8°. Pasca E. — L’integrafo per la risolu- zione grafica delle equazioni integrali (Estr. dai « Rend. della r. Acc. di Sc. fis. e mat.di Napoli », ser. 3°, vol. XIX). Napoli, 1913. 8°. PasseRINI N. — Sul tenore in azoto delle deiezioni umane della città di Firenze (Estr. dall'« Agricoltura ital.», an. 19183). Pisa, 1913, 8°. PasseRrINI N. — Sulla opportunità di de- terminare separatamente l’argilla col- loide dall’argilla concreta nell’analisi dei terreni. (Estr. dall’ « Agricoltura italiana », an. 1913). Pisa, 1913. 8°. PasseRINI N. — Sulla comparsa di spighe aristate nelle colture di una varietà mutica di frumento. 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Paris, 1913. 8°, ZerMman P.— Researches in magneto-optics, with special reference to the magnetic resolution of spectrum lines. London, 1913. 8°. Li Î «Plate. Ricerche sull'azione di nitrati isolati sul periodo germinativo dell’Avena sativa (pres. dal Socio Pirotta). . . SRARANE Ap, Mameli. Risposta alla Nota del dott. Pei “ Sal Mintflcato pateidlioo dei cordoni endocel- lulari nei tessuti della vite» (pres. dal Socio Briosi). . . . . +. PMI) | Baglioni. Ricerche sugli effetti dell’alimentazione maidica. - Utilizzazione delle stanze azo- iMiegioliimomod(pressidalSocioNZz 127 EM e. RM i MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI (Grill. I minerali dell’isola di Nisiro (Mar Egeo). Pres. dal Corrisp. Millosevich . . . » PERSONALE ACCADEMICO | serna (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio straniero prof. Edwin Xlebs. . » mnuncia che alla seduta assistono i prof. Zrowbridge e Y. Millosevich e saluta gl’in- vvenuti a nome dell'Accademia . . . N, RT Di NLANZIO) ‘unica un invito per le onoranze al Su dt. Dalla Vedova in occasione del Me e, PRESENTAZIONE DI LIBRI NICO pi . Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Ì pia | \Pickering, dei sienori Aladar, Dehaut, Steenstrup e del prof. Beguinot . » Aa: ORRORI See E, pra 598 604 608 RENDICONTI — Dicembre 1913. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 dicembre 1913. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Ricco. Distribuzione delle protuberanze sulla superficie del sole . . . . . . .0. Pag. 925 Kérner e Contardi. Dinitroderivati delle benzine metadialogenate (*). . 0.0.0...” 988, Almansi. Sopra le azioni le quali si @sercitano fra corpi che si muovono o si deformano 5 entro una massa liquida . . . + À TR tt SCORZA O I IR A Millosevich F. Clinozoisite di Campo a? Pori (Elba). RE e n io Allievi. Teoria del Colpo d’ariete (pros. dal Corrisp. Reina) (*) |. . . è. - ; 25 546% Catania. Sul concetto di funzione monodroma e su quelli. che da essa gio (pres, dal Corrisp. Marcolongo) +. . +. +. è +.» SORIA OE TA LETI Data (GUFO e alto Aa (NDIORINI Amoroso. Analogie tra i fenomeni ico, economici e i fenomeni meccanici; “(pres. dal Corrisp. Castelnuovo) . . + , Gitto ARCI ODI Pérès. Sur les fonctions CLI ili tignes (urea dal Socio Votteria) ol pel a Sciolette. Sulle condizioni che definiscono assiomaticamente l'integrale (PISO Gianfranceschi. Misure di deviazione dei gravi (pres. dal Socio Blaserna). +... . . » 561 Monti. Nevosità o e frequenza relativa della neve nelle, Alpi settentrionali (pres. dal Corrisp. Batte) () : ù EA RO Cusmane. Tia. struttura si dibromomientgno e una nuova oi ‘della oa (pres. dal Socio Paternò)" <<; . » SITR FEE I O SNO TN SENO) Ciusa e Milani. Sulle rituzioni delle Mieidi ad AI (pres. dal Socio Ciamician) (*) » 575 Olivari. Sulle proprietà dell’iodio come solvente crioscopico (pres. Id.) (*). . . . ++.» > Pratolongo. La cianamide quale solvente pi (pres. dal. Socio Jenozzi) Vv) ATRIA Manuelli. Sul Lapaconone (pres. dal Socio Paternò) (È)... . ; EIOO Mazzucchelli. Su \indice di rifrazione dei miscugli binarî oi si sig. aa) (Per A ro o SIRIA RI » Padoa e nai I coefficienti di ER delle an fototropiche (pres. ‘dal Socio Ciamician). +. +. t È . INTER RARI ERI Bellucci. Sulla preparazione del omo Dil di ‘dal Socio i) REI ROTO Visentini. Ricerche morfologiche, culturali e biologiche sulla Leishmania della leishmaniosi spontanea del cane (pres. dal Socio GPasst) . LL. +e 982 Cuccia. Sull’ematite del Vesuvio (pres. dall Socio Viola)... . » 587 Lovisato: La montmorillonite nelle granuliti di Cala Erancese e della todo) doi CAIANO COMIZI CI) (09) COIN 7 n». 598 Acqua. Nuove ricerche sulla diffusione e ione degl E ni corpo delle on NOE rienze con il Cerio (pres. dal Socio Pirofta). . LL +2 594. | (Segue in terza pagina) (SSIS (*) Questa Nota sarà pubblicata in uno dei prossimi fascicoli. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. Abbonamento postale. Pubblicazione bimensile. Roma 21 dicembre 1913. .N. 12. IRI0I DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCCX. 19183 SHRTITH QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2A dicembre 19413. Volume XXIII. — Fascicolo 12° e Indice del volume. 2° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUGCI 1915 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rerdiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due ‘Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze ‘fisiche, matematiche e naturali valgono le norme ‘seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- ‘siche, matematiche e naturali si pubblicano re- :golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da ‘Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; ‘due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità sono portate a 6 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 75 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 50 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indî cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite ne Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio . dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agl . autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 5056 estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 dicembre 1913. F. p'Ovipio Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Dwutroderivati delle benzine metadialogenate. Nota del Socio G. KORNER e del dott. CONTARDI. All'inizio del nostro lavoro di revisione e di ricerche intorno alle so- stanze aromatiche a sei atomi di carbonio, le dinitrodibromobenzine fino allora note, delle undici teoricamente previste, erano le cinque seguenti: Br Br NO, SCE a SIN DE /XBr Bi INGAE NB NO; Br\\ NO, NO» NO, NO, NO, In seguito vennero da noi preparate, e fatte descrivere cristallografica- Br \Br mente dal prof. Artini (*), la dinitrodibromobenzina \UZN0; e la cor- NO, rispondente benzina biclorurata (). (*) Rend. R. Istituto Lomb. di sc. e lett., vol. 38, pag. 832, an. 1905, serie II. (?) Ibid., vol. 50, pag. 1024, an. 1907, serie II. RENDICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 84 — 626 — Nello stesso anno fu da noi completata la serie delle ortodibromodini- trobenzine (*); e si descrissero così i due nuovi dinitrodibromobenzoli Bi NO, ZNBr ; /NBr È | fondente a 109°, e l’altro | | fondente a 156°. Solo in N NO, : N /Br NO, NO, questi ultimi tempi si riuscì a completare la serie preparando le ultime Br NO, i O due dinitrodibromobenzine mancanti: | | | |. Oggetto della Br Bs /Br NO; 0; presente Nota è la descrizione delle ultime dinitrodibromobenzine e delle corrispondenti dicloro-diiodo-clorobromo-cloroiodo e bromoiodo-dinitrobenzine finora preparate. Br Dinitrodibromobenzina | | . — Una nuova dinitrometadibro- Bi NO, NO, mobenzina venne da noi preparata fino dal 1905 per nitrazione della nitro- dibromobenzina simmetrica a p. f. 104°,5. Si scalda questa nitrodibromo- benzina con un grande eccesso di miscela nitrico-solforica a b. m. per pa- recchie ore. Si versa il liquido acido in acqua fredda, si lava ripetutamente la massa separatasi con acqua distillata calda, e il prodotto, che per raffred- damento si solidifica, si cristallizza dall'alcool bollente. Si ottengono, così, bellissimi cristalli quasi incolori, che, per ripetute cristallizzazioni purificati, fondono costantemente a 84°,8. L'analisi ha dato: Sostanza impiegata: gr. 0,4764. Azoto cc 36 a 4° —= 26° H= 754. » calcolato per CoH,N30,Br. 8,58 / IMI UIOVALO NONE SCO La sostanza cristallizza trimorfa (*). Modificazione @, sistema monoclino, classe prismatica a:d:c = 1,4301: 1:1,1901; 8 = 81,39. Forme osservate: [100] [010] [110] [011] [111] [111]. I cristalli ottenuti da etere acetico o da miscela di etere e poco alcool etilico sono per lo più tabolari per prevalente sviluppo della [100]. I piani degli assi ottici sono normali al piano di simmetria; le bisettrici ottuse sono contenute in questo piano; quello per la luce gialla fa circa 25° con lo: (2) Korner e Contardi, Rend. R. Accad. dei Lincei, vol. XVI, 1° sem. ser. 5%, fa- scicolo 10°, pag. 843. (*) Artini, loc. cit., pag. 832. — 627 — spigolo [100][010] nell'angolo 8 acuto; l'acuta negativa è normale a [010]. La dispersione delle bisettrici ottuse non è molto forte; però la figura di interferenza intorno all'acuta lascia riconoscere una lieve ma nitida disper- sione incrociata. La dispersione degli assi ottici è poco sensibile. In una ‘lamina tagliata parallelamente a [010] lA. ha misurato 2 Ha == 105°,49". Tl peso specifico è 2,317; peso molecolare 326,02 ; volume 140,71. x= 6,2522; w= 4,9719; ®= 5,2029. Modificazione 8; sistema trimetrico 4: d:c = 1,7917:1:0,5667. Forme osservate: [100] [001][110]{120]|101][201][121][221][321]. I cristalli da miscela di etere e alcool sono costantemente prismatici, allungati secondo l'asse y. Le faccie delle bipiramidi mancano talvolta; la [321] è la più rara, anzi ne fu osservata una sola faccia; nella zona pa- rallela a [010] si lamenta spesso una forte striatura. 1l piano degli assi ottici è parallelo a [100]; la bisettrice acuta positiva è normale a [001]. La dispersione degli assi ottici è discreta; o > v. Su due lamine tagliate normalmente alle due bisettrici l’autore deter minò 2Ha = 97°,44" (Na) = 2Ho; 120°,53' (Na), da cui si calcola 23:47. Peso sp. = 2,279. Peso mol. 326,02. Vol.—= 143,05. x=0,3231; w=5,2035; w = 2,9488. Modificazione y; sistema monoclino, classe prismatica, a:d:e = 1,7040:1:0,5280 8 =86°,27". Forme osservate: [100][110][120] [101] OA e2200]- I cristalli ottenuti da alcool sono, per lo più, sottilmente aciculari, allungatissimi secondo l’asse y; sfaldatura abbastanza facile secondo [100]. Il piano degli assi ottici è parallelo al piano di simmetria; la bisettrice acuta, positiva, fa un angolo di circa 40° con l'asse < nell'angolo # ottuso. Un asse ottico emerge da [100] sotto una discreta inclinazione; l’altro emerge da [101]; il primo è assai più disperso del secondo. Peso speci- fico = 2,274. Peso mol. 326,02. Vol. mol. 143,37. x=9,2441; w=5,4249; o = 2,8044. Le acque madri di parecchie operazioni di nitrazione (si nitrarono più di gr. 800 di dibromonitrobenzina simmetrica), lavorate fino all'ultima goccia, non contengono nessun altro isomero. La nuova dinitrodibromoben- zina fondente a 849,8, sciolta in ammoniaca alcoolica, reagisce anche a tem- peratura ordinaria, e si trasforma in una anilina fusibile a 127°. Analizzata, diede : Sostanza gr. 0,2649. 'AZOLORCCR ZO MaI 0FRHE=V755. ».. calcolato per C(HiN,0,Brs 9,46% » trovato 9,56 » . — 628 — Sostituito in questa anilina il gruppo NH, con un atomo di idrogeno, passando pel diazocomposto, si riottiene la pitrodibromobenzina simmetrica Br Per ciò, alla dinitrobromobenzina a p. f. 84°,8 spetta la formula p i : N DA 0, Cl NO. i e 0 i Dinitrodiclorobenzina ci NO, — Si sottopose alla nitrazione NO; nelle identiche condizioni la nitrodiclorobenzina simmetrica fondente a 65°,4, che diede essa pure una dinitrodiclorobenzina che, purificata per ripetute cristallizzazioni dall'alcool, fonde costantemente a 95°. Da soluzione eterea- alcoolica, per lenta evaporazione, si ottiene in magnifici cristalli prismatici splendenti, intorno ai quali il prof. E. Artini ci ha fornito i seguenti dati: Sistema dimetrico, classe bipiramidale, ditetragonale a: c= 1:1,9767. Forme osservate : [001] [111] [112]. Finora non è stato possibile di osservare polimorfisino in questa sostanza. In lamine tagliate parallelamente a [001] è facile il vedere che la sostanza è solo pseudodimetrica; la sezione quadrata è infatti divisa diagonalmente in quattro settori distintamente biassici, in ognuno dei quali i piani degli assi ottici sono paralleli al lato esterno: sono quindi normali fra loro in due settori adiacenti. Le bisettrici acute negative sono normali; l'angolo degli assi ottici è assai variabile da cristallo a cristallo; la dispersione degli assi ottici sensibile: o < v. Peso sp. = 1,773. i Peso imoli:=237=hiVi—i153:0% a=W= 4,0741; w=8,0583. Il fatto notevole è che questo prodotto non è isomorfo e nemmeno isosimmetrico col corrispondente bibromo; per ciò il prof. Artini ha intra- preso lo studio delle miscele in varie proporzioni delle due sostanze, allo scopo di stabilire l’isopolimorfismo. I risultati di queste ricerche saranno pubblicati tra breve. Noi, d'altra parte, ci proponiamo di preparare i dinitrobenzoli dialoge- Bi Nell cid; nati del tipo: \cno, Wo. NO, NO; Br di: \no ae DA Dinitrodibromobenzolo | Rei — Si sciolsero gr. 18 di nitrodi- AR, x. bromobenzolo Bi_CBr , fondente a 82°, in gr. 60 di acido nitrico (4=1,5) NO, — 629 — e si riscaldò il prodotto per due ore a bagno d'olio a 120°. Si versa in acqua il contenuto del pallone, e si lava accuratamente. Il prodotto greggio secco pesava gr. 19. Venne disciolto a caldo in gr. 190 di alcool assoluto. Per raffreddamento della soluzione verdognola, si ottengono aghi piramidali lucidi, trasparenti, che dopo poche ore, sotto il solvente, si trasformano in prismi assai ben sviluppati, i quali, dopo parecchie cristallizzazioni, fon- dono a 82°,8. L'analisi dell'azoto ha dato: Sostanza gr. 0,238. Avzorogcenl stan 276 MH /55) » trovato 50000 » calcolato per CoH,BrsN;0, 8,58 » . Dall'etere etilacetico, per lenta evaporazione, questa sostanza si presenta in grossi prismi giallo-verdi, splendenti, appartenenti al sistema triclino, dei quali lo studio cristallografico è in corso. La dinitrodibromobenzina descritta riscaldata, nuovamente con la miscela nitrico-solforica per parecchio tempo, sì trasforma in una trinitrodibromo- benzina. Cristallizzato il prodotto della nitrazione dall'alcool, si ottengono, per rafreddamento della soluzione, piccoli prismi gialloverdognoli, poco solubili nell’alcool, i quali, perfettamente puri, fondono a 135°. Sostanza gr. 0,4323. Azoto ce 44,4; 40— 30; H= 752. » calcolato per CHN305Br, 11,32% » trovato IIROE o Scaldata in tubo chiuso a 150° con ammoniaca alcoolica, si trasforma in una polvere gialla, pochissimo solubile nell’alcool, che fonde, decomponen- dosi, sopra i 200°, e che all'analisi dimostrò essere una trinitrofenilendiammina. Trattata con potassa in soluzione decimo-normale nella proporzione di due molecole di alcali per una di trinitrofenilendiamina, si ebbe il sale OH | ZX potassico dell'acido stifnico: ON NO: . Resta per ciò dimostrato che al \ 20 NO. Br NNO nuovo dinitrodibromobenzolo, fondente a 82°,8, spetta la formula: | PILE i \/B NO: Le ultime acque madri dalle quali si era separato il dinitrodibromo- benzolo sopra descritto, non contengono altri isomeri; se la nitrazione era stata protratta troppo a lungo, sì otteneva anche piccola quantità del trinitro- derivato. — 650 — Il nitrodibromobenzolo sopra descritto si ottiene anche dalle ultime acque madri provenienti dalla nitrazione della metadibromobenzina, dopo essere stati Br ui slo al Dili separati i due mononitroderivati | lor 5. | insieme coll’altro iso- No BI N Br NO, NO, Br AS mero _ | i fondente a 117°. Br\\ NO, NO; AX Dinitrodibromobenzina 5 N Di: . — Tutti i tentativi fatti per otte- r r NO, nere per nitrazione diretta, sia partendo dalla metadibromobenzina, sia dalla nitrodibromobenzina simmetrica o vicinale, questa dinitrodibromo- benzina non portarono al risultato desiderato. Si ricorse allora alla via indi- retta. Da principio si scelse come via di partenza la dinitroanilina, già nota NO: Ò e descritta dal Wender (!), < AI sospesa in acido bromidrico con NH, la quantità calcolata di bromo (due molecole per ogni molecola di anilina), riscaldando a b. m. per parecchie ore. Il prodotto ottenuto, . ripetutamente cristallizzato da alcool, fonde costantemente a 143° e si presenta in aghi giallo-arancio splendenti. Analizzata, la sostanza diede: Sostanza gr. 0,119. Azoto ce 1239 a 00— 20: RHi= 749,4. » calcolato per GHz Br N30, 12,02 °/ » trovato T2,00 I tentativi fatti per eliminare da questo prodotto il gruppo amidico sostituendolo con un atomo di idrogeno, andarono falliti; per ciò, mentre da un lato non ci è stato possibile di ottenere per questa via il dinitrodibromo- benzolo desiderato, dall’altro lato nou ci è stato possibile nemmeno dimo- strare la formula della dibromodinitroanilina fondente a 143°, quantunque, Br l JO ON \ con ogni probabilità, essa si debba ritenere Bi NO, . A NH» (') Gazz. chim. it., XIX, pag. 232. Per raggiungere il nostro scopo, siamo ricorsi alla sostituzione diretta del NO; gruppo amidico con un gruppo nitrico nella nitrodibromoanilina Bi Br 7 NA NH, A tale scopo si provò il metodo consigliato da Sandmeyer (*), nel quale sì compone il nitrito del diazocomposto in presenza di ossidulo di rame; e quello dell’ Hautzsch e Blagden (*), nel quale si scomponeva il nitrito del diazocomposto in presenza di cuprocuprisolfito. Ma noi abbiamo trovato che sì otteneva miglior rendimento lasciando scomporre spontaneamente il ni- trito del diazocomposto in presenza di molto ghiaccio. In una bottiglia di Drechsel, della capacità di circa cc. 300, si posero gr. 40 di acido nitrico della d = 1,88; indi si aggiunsero gr. 30 di dibro- NO; monitroanilina Bi ip. polverizzata, formando così una poltiglia molle 1 Va omogenea, Raffreddata questa a 0° veniva trattata con una corrente di acido nitroso sino a completa soluzione. Si aggiunsero allora altri 80 gr. di anilina. Ripetuto il trattamento con acido nitroso: a soluzione perfetta, si aggiunsero ancora gr. 30 di anilina. Terminata la diazotazione, il liquido verde veniva fatto attraversare da una corrente d’aria fino a completa eliminazione dei vapori nitrosi; indi si versava il liquido in poca acqua ghiacciata (ce. 400). Il nitrato del dia- zocomposto separatosi, sì raccolse cautamente sul filtro, si lavò con poca acqua fredda, indi si sciolse in acqua ghiacciata e si trattò, aggiungendovi molto ghiaccio, con una soluzione di nitrito sodico nell’acqua (gr. 50 di ni- trito in gr. 300 di acqua). Lentamente il nitrito del diazocomposto formato anche in ghiaccio sì scompone svolgendo azoto. Terminata la reazione, sì raccoglie su filtro il prodotto, si lava e si distilla in corrente di vapore. Da gr. 90 di anilina si ottennero gr. 85 di dinitrodibromobenzina distillata. Il prodotto, cristallizzato dall'alcool bollente, si separa, per raffredda- mento, in prismi piatti striati, quasi bianchi, che, puri, fondono a 130°. Da una miscela di alcool e etere si ottiene, per lenta evaporazione, in prismi giallognoli splendenti. appartenenti al sistema monoclino. La determinazione di azoto ha dato: Sostanza gr. 0,199. AASZIOLONE CRIS ORARIE ». calcolato per CoH.Cra N30, 8,58 % » trovato 8,56 n. (') Berichte d. Chem. Ges., XX, 1494. (*) Berichte d. Chem. Ges., XXXIII, 2544. ——k1_nm@—c.=’———0 —@_—————@@—ùu—(—<—c’qc o É@‘’’@*@—PcaaG; "AAneeeeeeeeeeee@5;) 7] KHz: — 632 — La dinitrodibromobenzina fondente a 130°, trattata con ammoniaca alcoolica anche a temperatura ordinaria, reagisce, sostituendo un gruppo nitrico con un gruppo amidico, e si ottiene così la dibromonitroanilina, dalla quale eravamo partiti. La dinitrodibromobenzina, trattata con la miscela nitrico-solforica, si altera formando nuovi prodotti assai interessanti, dei quali è in corso lo studio. NO, Dinitrodiclorobenzina | | .— A gr. 40 di acido nitrico d = 1,38 CI Cl NO, si aggiunsero, in due riprese, complessivamente, gr. 60 di dicloronitroanilina NO, A S al 701 NH, nitrato del diazocomposto di questa anilina è molto più solubile del corri- spondente dibromo. Si trasforma anche qui il nitrato nel corrispondente nitrito trattando la soluzione acquosa del primo, in presenza a molto ghiaccio, con una soluzione fredda di nitrito di sodio (gr. 100 in gr. 400 di acqua). Cessato lo svolgimento di gas, si raccoglie il dinitrodiclorobenzolo greggio su filtro; si lava e si distilla in corrente di vapore. Cristallizzato il prodotto solido ottenuto, da tre volte il suo peso di alcool bollente, per raffreddamento della soluzione alcoolica, si ottengono aghi piatti o prismi, simili, nell'aspetto, ‘al corrispondente dibromoderivato, i quali, puri, fondono a 114°. Per lenta evaporazione della soluzione alcoolica, sì hanno prismi lucenti, quasi inco- lori. La determinazione di azoto ha dato: Sostanza gr. 0,250. A 7060 cc 2o:4 0a 00 id SBH —W38 » calcolato per CoH:0,N;Cl, 11,81/ » trovato MATA a e si operò come nel caso precedente, tenendo però conto che il Anche questo prodotto, trattato con ammoniaca alcoolica si trasforma, già a freddo, nella dinitrodicloroanilina dalla quale si era partiti. NO, Dinitroditodobenzina | ir - — Venne preparata in modo analogo I I NA NO, NO, alla precedente, diazotando la diiodonitroanilina I Di e seguendo le stesse NH; norme sopra citate. — 933 — Scomposto il nitrito del diazocomposto formatosi, e raccolto su filtro il prodotto di reazione venne distillato in corrente di vapore. La distillazione procede assai leuta: da litri 25 di acqua distillata si possono avere gr. 1 di prodotto. Il dinitrodiiodobenzolo ottenuto per distillazione, sciolto in 12 parti di alcool bollente, abbandona per raffreddamento aghi sottili splen- denti, che a poco a poco, sotto il solvente, si trasformano in prismi mo- noclini ben definiti. Essi fondono a 155°. La determinazione dell'azoto ha dato: Sostanza gr. 0,310. Azoto cc. 18 (90 = 22; o = 744. » calcolato per CO H2 N30,4I, 6,68°/,. » trovato 6,4 >». Anche questa diiodobenzina, con ammoniaca alcvolica, a temperatura ordi- naria, ridà la diiodonitroanilina fusibile a 245°, dalla quale si era partiti, NO, AN Dinitrobromoclorobenzina ci Br: — Gr. 75 di clorobromonitro- NO, NA NO, anilina cl Br fondente a 177°,4, aggiunti in parecchie riprese a gr. 36 NH», di acido nitrico 4= 1,38 furono nel solito modo diazotati e il nitrato del diazocomposto, raccolto e disciolto nell'acqua, veniva trattato con una solu- zione acquosa di nitrito sodico (gr. 50 in gr. 400 di acqua). Cessato lo svolgimento dell'azoto in dinitroclorobromobenzolo formatosi, raccolto su filtro e lavato, veniva distillato in corrente di vapore. Da gr. 75 di anilina si ottennero gr. 50 di prodotto distillato. Dall’alcool cristallizza in aghi o prismi quasi incolori, fondenti a 114°,5. La determinazione dell'azoto ha dato: Sostanza gr. 0,271. Alzo LOR Css Aaa — 2 MH 7,90. » calcolato per CH. N:0,C1Br 9,96°/. » trovato GSM L’ammoniaca alcoolica, a freddo, trasforma questa dinitroclorobromoben- zina nella clorobromonitroanilina dalla quale sì era partiti. NO; Dinitrocloroiodobenzina + |a}. — Si ottenne in modo analogo alle NO, AN precedenti, diazotando la cloroiodoanitroanilina Il INC a punto di fusione A NH» RenpICONTI. 19183, Vol. XXII, 2° Sem. 85 — 634 — 195° (gr. 60), in acido nitrico concentrato (gr. 24). L’anilina che ci servì come materiale di partenza si ottenne sia nel modo da noi in altra Nota descritto ('), come anche clorurando la monoiodoparanitroanilina disciolta in acido acetico con una soluzione fredda di cloro nello stesso solvente. Lo iodio contenuto nell’anilina non viene spostato dalla molecola, per questo trattamento. Il prodotto ottenuto dalla diazonazione, trasformato da prima nel nitrito del diazocomposto e, in seguito, lasciato scomporre nel ghiaccio, veniva distillato in corrente di vapore. Dall'alcool cristallizza in aghi bianchi sottili o, per lenta evaporazione, in prismi incolori, fondenti a 100°. Sotto- posto all’analisi, si ebbe: Sostanza gr. 0,280. Azotovce 21,2 a (°° — 25% H 748 » calcolato per CH.N,0,C1I 8,5°%/% » trovato Sion: L'ammoniaca alcoolica, anche in questo caso, trasforma il prodotto, a freddo, nell'anilina dalla quale si era partiti. NO, Dinitrobromotodobenzina 1 Br: — Si ottenne come le precedenti, NO, NO, So o partendo dalla nitrobromoiodoanilina Il Br a punto di fusione 221° (gr. 70) ZA NH, sosvesa in parecchie riprese in acido nitrico (gr. 30). Il materiale di par- tenza si preparò, oltrechè nel modo citato nella nostra Nota precedente (*), anche sciogliendo la monoiodoparanitroanilina in acido acetico e trattando la soluzione con la quantità calcolata di bromo puro sciolto in acido ace- tico. Il prodotto risultante dalla diazotazione. trasformato nel nitrito del diazocomposto e, in seguito, nel dinitroderivato, venne distillato in corrente di vapore. Dall’alcool bollente il dinitroiodobromobenzolo cristallizza, per raffreddamento, in aghi sottili; e difficilmente, anche da soluzioni diluite, per lenta evaporazione, si possono avere cristalli ben definiti. Come tutti i pre- cedenti anche questo prodotto cristallizza nel sistema monoclino. Fonde pur esso a 140°. La determinazione di azoto ha dato: Sostanza gr. 0,2512 Azoto cc. 16,6 a (° — 20° Ho = 788 » calcolato per CH, N;0,BrI 7,52 9/ » trovato PSA Anche in questo caso l’ammoniaca alcoolica trasforma a freddo il pro- dotto nell'anilina da cui si era partiti. (1) Kérner e Contardi, Rend. Acc. Lincei, vol. XXII, serie V, 1° sem., fasc. 12, pag. 835. (®) Loc. cit., pag. 896. Fisica. — Sopra il fenomeno di Stark-Lo Surdo. Nota del Corrispondente ANTONIO GARBASSO. 1. Le singole righe emesse da un gas ionizzato si scindono in tre e in cinque se il vibratore si trova in un campo elettrico intenso. Nel caso più favorevole le tre righe mediane risultanti dalla decompo- sizione vibrano perpendicolarmente al campo e le due esterne parallelamente ad esso. Ma alle volte le tre mediane si riuniscono in una sola. Le condizioni opportune per l’osservazioni del fenomeno si possono rea- lizzare portando gli ioni in un campo indipendente da quello in cui procede la Glimmentladung (*), oppure ricorrendo ad un tubo di scarica sottile. In quest'ultimo lo spazio catodico oscuro, nel quale si verifica quasi per in- tero la caduta di potenziale, è estremamente breve, ed è grande dunque la forza (*). 2. Il fenomeno ha un grande interesse teorico, in quanto permette -di confrontare uno con l’altro i due modelli proposti per la struttura degli atomi materiali da J. J. Thomson e da Rutherford. Nel primo, com'è noto, gli elettroni stanno immersi in una sfera di elettricità positiva e le forze sono di tipo quasi elastico; nel secondo gli elettroni girano intorno al nucleo e le forze sono newtoniane. È evidente 4 priori che il modello di Thomson, nella sua forma ori- ginaria, non può rendere conto del fenomeno di Stark-Lo Surdo. Il campo muta la posizione di equilibrio dell'unico elettrone, ma le piccole oscilla- zioni si fanno sempre nelle condizioni di prima. Analiticamente, al’ secondo membro dell'equazione d°x/dt*= — kx sì deve aggiungere un termine costante, e si ottiene così ip ita. e basta prendere per variabile, in luogo di a, la x — C/X perchè l'equazione ritrovi la forma primitiva. Ma il modello si può generalizzare, come avvertiva il Voigt, molti anni or sono (3), sostituendo al termine — %x una serie ordinata secondo le potenze crescenti di x. 1) J. Stark, Sitz. Ber. der K. Preuss. Ak. der Wiss., 47, pag. 932, 1913. ( (2) A. Lo Surdo, Rend. R. Accad. dei Lincei, 22 (2), pag. 664, 1913. (3) W. Voigt, Ann. der Physik (4), 4, pag. 197, 1901. Fà} è. RA Ya a ReeRa Gi — —x (rase: =’ ca. << mn —-_ tx. _—=reroe cn i \i\maua " “x — 636 — Il significato fisico della posizione è immediatamente chiaro. L'ipotesi del Voigt corrisponde infatti ad ammettere che nella sfera positiva l’elet- tricità non sia distribuita uniformemente, ma che anzi la densità (0) risulti funzione della sola distanza dal centro (7). In questo caso la forza che agisce su l’elettrone avrà la forma o, se si pone sicchè le equazioni del moto diventeranno ele e i Ma per salvare il fenomeno di Zeeman bisogna ammettere che almeno le oscillazioni piccolissime intorno al centro di figura si facciano in uno spazio a densità costante. Questo porta ad annullare la prima derivata di @ ri- spetto ad 7, nel centro della sfera; e si ottiene dunque. tralasciando tutti i termini a partire dal quarto, ( d’a/di° = — 4rre/m.[00/3.r 4 1/10. (d*o/dr®), 13]. 2/7 che sono appunto le equazioni del Voigt. Non vi è bisogno di portare il calcolo in fondo per persuadersi che questa terna non può dare il fenomeno di Stark-Lo Surdo. Il campo esterno ‘sposta l’elettrone e lo fissa in una posizione eccen- trica. Intorno a questa si compiono i movimenti oscillatori. Si capisce che le condizioni sono diverse per i moti radiali (paralleli al campo) e per i tangenziali (normali ad esso), ma si vede subito che gli uni e gli altri procedono in un mezzo che ha una densità media diversa nello stesso senso da quella relativa al centro (più grande in entrambi i casi o più piccola). Le due righe che risultano dall'azione del campo sono dunque spostate dalla stessa parte rispetto alla primitiva. Per ottenere in qualche modo il fenomeno bisognerebbe ammettere che in una parte degli atomi la seconda derivata di o per rapporto ad 7 nel centro sia positiva, in altri negativa e in altri nulla. Ma l'ipotesi non sembra verisimile. — 637 — 3. Il modello di Rutheford, almeno nella forma nella quale fu posto da Bohr ('), permette invece di prevedere il caso più semplice osservato da Stark e Lo Surdo. Il Bohr assimila il processo dell'emissione della luce al fatto astrono- mico della cattura delle comete. Un elettrone libero viene attirato da un nucleo positivo; mentre l'avvicinamento dura, l'energia potenziale del si- stema diminuisce, e se la particella arriva alla distanza 4 dal centro at- traente, la diminuzione importa = Ee/r®. dr = Ke/a. Dopo la cattura il moto è, almeno in prima approssimazione, circolare, e l'energia cinetica ha l’espressione Ke/2a perchè mv*/a = Ke/a® . La differenza W = Ee/a — Ke/2a = Ke/2a rappresenta dunque /a quantità di energia che bisognerebbe dare al si- stema per spessarlo, riportando l’elettrone a grande distanza. O, se si vuole, è anche l'energia che il sistema può cedere per radiazione quando l’elettrone viene catturato. In accordo con la teoria di Planek il Bohr suppone che sia Wanh, o anche (ipotesi ulteriore) W=a=rnho/2, ove con è si indichi la frequenza del moto di rivoluzione. Viene subito | 2rr°me' s n° h° 4r*me' (1) n n h8 n° h° (04 ==: seRDA 4 4n?me?? in queste si è supposto che le cariche del nucleo e dell’elettrone siano uguali, la quale condizione sarebbe caratteristica dell'atomo dell'idrogeno. (*) N. Bohr, Phil. Mag. (6), 26, pag. 1, 1913. .- ea: fi a - MEA “dra tei @=»©»uui i SISI “n. ciù è \Webcccitì cc >> a dA see © — 638 — Ciò posto, in causa di urti o di altre perturbazioni, il sistema potrà saltare dall'una all'altra condizione di equilibrio; nel momento del passaggio sì avrà una emissione di luce, con la frequenza v data dalla 2re°met (1 Il (2) Vg,p = yo ( —3) ò Se l'emissione si suppone avvenuta nel campo elettrico la risoluzione in una terna (che è il caso corrispondente alle forze deboli) risulta imme- diatamente chiara. Quando l’elettrone durante la cattura procede secondo la direzione del campo, la forza esterna coopera (o contrasta) con la forza attrattiva del nucleo; il lavoro compiuto riesce così aumentato (o diminuito) di una quan- tità che indicheremo provvisoriamente con s. L'espressione della W diventa dunque Wi=;He/2a e si ottiene successivamente mv .m(27ra0)© E e 0) 2 pag lo e però = 3 (4) (Ae rr /m Be mentre è ancora, come dianzi, nh (5) WE Dik Risolvendo le (3), (4) e (5) rispetto a W,@ ed a si ottiene dame n 22 Dia ’ né h (6) 4rt*me' 6 (13) n ? Ra san È n3 h8 nh ME ni hi Un == een ro E ee) E Anr®m e? Anrtm3es 0° le quali ultime tengono nel caso nostro il luogo delle (1) e sono già scritte per E= e. La terza delle (6) ci dice che ogni orbita possibile si sdoppia; ma le nuove sono estremamente vicine alla vecchia. ria = Si cain i a Pro 7 si = _ = — 639 — La lunghezza, /g,p, del passaggio dall'una all'altra condizione di equi- librio si potrà dunque calcolare con la forma approssimata i h° 2 2 (7) lan= an — n= rom O TP) Secondo che il salto è favorito o contrastato dal campo (F) si avrà così l'una o l'altra delle due righe 2r°mei (1 l 5) (8) vat (pp) con (9) spo eg= Felgp. Per un campo di 13000 Volt per centimetro, e per la riga verde az- zurra dello spettro dell'idrogeno, la larghezza del doublet risulta di 3,1, unità Angstrom; lo Stark trova 3,6. Matematica. — Sul concetto di funzione monodroma e su quelli che da essa derivano. Nota II di S. CATANIA, presentata dal Corri- spondente R. MarcoLonGo. La classe Op(u,v) è identica alla classe vfu del Formulario di G. Peano: (8) UVA sie C'e UGE0Ì come la classe F(w,v) è identica alla classe vFu (funetio definita) della ediz. IV del Formulario, pag. 126. La (£) è perfettamente regolare, e la obiezione fatta a proposito di essa cessa di sussistere appena si sia intro- dotta l’idea primitiva grafica di operatore (*). Come pure, in virtù della (4), non si può negare (?) agli elementi di vfw la proprietà di eguaglianza, sia perchè dalla (8) risulta che vfu è classe, e per le classi si considera la eguaglianza; sia perchè la definizione di Leibniz può stabilire la condizione =, qualunque sia la specie di x ed y; ed è chiaro che se l'eguaglianza (o, meglio, edentità) può essere logicamente considerata in modo generale, essa deve essere considerata così, e non altrimenti. (*) Invero la (8) contiene di n0n definito il solo simbolo composto fw (o meglio la preposizione di f ad 4); e la proposizione condizionale ev caratteriaza la funzione monodroma, 0 corrispondenza univoca. (3) Formulario, tom. IV, pag. 27; tom. V, pag. S0. — 640 — Le due classi Op(u,),F(v,v). pur dipendendo, nel modo indicato, l'una dall'altra, presentano una differenza che interessa di fare rilevare in vista di quanto dovremo dire a riguardo della /unetio definita del Formu- lario. La differenza è questa: « se v' è una classe formata con gli «, allora, mentre ogni Op(u,v) è pure un Op(w', v), le due classi F(u,v), F(', 0) non hanno elementi in comune ». In altri termini: un elemento / di Op(w,v) non è invariabilmente collegato con la classe w su cui opera, potendo il campo di applicazione essere u, o una classe contenuta in v, o anche con- tenente % (*); l'elemento / che resta determinato [cfr. (8), (8')] da una w di F(w,v) viene, invece, dalla w stessa, collegato invariabilmente con il campo di variazione v. Da questa differenza tra Op(u,v) e F(4,v), 0, secondo le notazioni del Formulario, tra vfu e vFu, e dalla apparente (e vedremo perchè) necessità di collegare un operatore con il suo campo di variabilità, è risul- tata nel Yormulario la definizione di funcetio definita. Data la (@), indi- pendentemente dal concetto di operatore, e pur essendo necessario di intro- durre l’usuale operatore (sen, log,...), si è stabilito (°): (€) u,veCls-weF(u,v)-xeu-9-wa=143}(;y) ew. Le osservazioni da fare sono varie. Scrivendo wx si introduce il concetto grafico di scrivere a sinistra di x un simbolo, il w, e poichè si introduce, tanto vale introdurlo prima, e dare la (1). Ma w ha già significato preciso, è un F(w,v), cioè è una c/asse di coppie; e in virtù di quale legge lo- gica w può essere identificato a un ente semplice (*), come sen,log,...? Con la (e) si viene a dare, in sostanza, nel campo «, questa proposizione: ue Cls- feOpu-w=(x;fa)|z‘u:0:f=%w, il che non è ammissibile, sia perchè Î/f e w sono enti di specze diversa, sia perchè w è definibile mediante /. Dalla («) risulta che (4) F(2,2) 0 Op(v, 0), il che, pure, non è ammissibile, perchè F(w,v) è una classe di classi (di coppie) e Op(v,v) è una classe (non di coppie); e del resto, se si ammette, allora un F(v,), considerato come operatore [con la (s)], è collegato con il campo di variabilità «; ma F(«,v) è anche un Op(«,%), quindi non è più collegato con il campo di variabilità. (*) C. Burali-Forti (III). (2) Tom. IV. (3) C. Burali-Forti, (II). (4) Formulario, tom. IV, pag. 127. — 641 — Si può concludere che mentre l'ente vfu del Yormu/ario è logicamente perfetto e rappresenta nel modo più semplice i] concetto di /unzione mono- droma o di corrispondenza univoca, l'ente vFu, sebbene perfetto come classe, non può dare la funzione nè ordinaria, nè definita, intendendo che la parola definita indichi che il simbolo di funzione determina pure il campo di variabilità. Tale collegamento del simbolo di funzione con il campo di variabilità non può essere ottenuto se non si rinunzia alle forme usuali di scrittura come sen ,logx,... semplici e così feconde di appli- cazione, poichè un operatore per gli w sarà sempre un operatore per classi formate con gli w (!). Del resto, come abbiamo indicato, la necessità della vFx è soltanto apparente. Nel Formulario, vFu comparisce talvolta come classe (?), e in tal caso basta sostituirlo con F(x,%v), cioè considerare v Fw come classe quale è definita dalla (a); talvolta come funzione (*), e in tal caso basta sostituirlo con vfu, salvo qualche necessaria modificazione nelle notazioni. Così, nelle proposizioni in cui comparisce la derivata, D, in luogo, ad es., di fsqFa'"d basta sostituire /eqfa 72, e a D/x sostituire D(f,a Td). Del resto, posto che f sia un qFa7% non cessa di essere un gfa Td, e quindi D/x è notazione sempre incompleta, perchè in D/ non comparisce il campo ad di variabilità di x, o campo di applicazione di f, ed è noto che la derivata dipende dalla funzione e dal campo in cui essa opera. Giova osservare esplicitamente che anche ì complessi d'ordine n sì ottengono senza che vi sia bisogno di ricorrere alla /unetio definita. Se n è un N, e v una classe qualunque, allora F(1:*7,%) può stare al posto di complesso d'ordine n formato con gli u, ovvero sistema di n elementi di u. Invero, se a è un F(1:*x,), allora, per la (6), esiste un operatore f tale che @ è classe 1 cui elementi sono le coppie (EEC 2)... QD) e f1,/2,...,fmn sono appunto gli x elementi di « che individuano 4. Se- condo le notazioni usuali, giova indicare con 4,,4»,...,0n gli elementi del complesso 4; vale a dire giova porre per definizione: neNi-rel'n-ue Cls-asF(1-n,u)-9-a=]u0x3)(r;a)ca}, eliminando così del tutto la notazione inesatta 41,42 ,..., 42, ove la classe (1) Cfr. G. Peano, (V), pag. 8, per il segno X o w; e C. Burali-Forti, (III), pag. 10, rispetto all’inutilità del segno di prodotto funzionale tra f ed & in fa. Nell’ediz. IM del Formulario, e nell’ediz. V, la funetio definita è introdotta mediante le coppie for- mate da un Op(u,v) e da u; le osservazioni precedenti si possono ripetere quasi inte- gralmente. () Es. ed. V: $ 4, 12; $ 16, 4; $ 23, 2114; $ 24, 1°0; $ 25, 1°:0°1, 21:22:45; cce. (0) $D, $ 5. RenpicontI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 86 — 642 — di coppie a viene a funzionare da operatore. Segue che la definizione di numero complesso d'ordine n, Cxn, del Formulario, assume la forma re- golare : neNi-Q-Cxn=F(1x,q), e tutte le proposizioni del /ormwlario relative a tale argomento continuano a sussistere. Zoologia. — Nuovi contributi alla metamorfosi dei Murenidi. Memoria del Socio B. Grassi. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. Meccanica. — Criterî di stabilità per moti stazionari di prima specie. Nota di UMBERTO ORUDELI, presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. La teoria delle equazioni integrali del Volterra, generalizzata ai sistemi di equazioni integrali lineari, permette, evidentemente, di ricondurre ad essa la trattazione dei sistemi di equazioni differenziali lineari del primo ordine. Cotesta circostanza è stata da me sfruttata nella ricerca di condi- zioni sufficienti di stabilità per moti stazionarî di prima specie. Mediante speciali accorgimenti sono pervenuto a stabilire alcuni criterì di estrema semplicità e di immediata applicazione. Come ho detto, qui considero soltanto moti stazionarî di prima specie (nel senso che verrà appresso definito) riserbando per una prossima pubbli- cazione alcune ricerche sul problema generale della stabilità del movimento. Più precisamente, suppongo, qui, che il sistema di equazioni differenziali del primo ordine, al quale intendo ricondotto il nostro studio, sia un sistema lineare, ed omogeneo, a coefficienti costanti, come avviene, nel caso di moti stazionarî, per il sistema della prima approssimazione nel problema gene- rale della stabilità (*), cioè Bia (1) cdi PT porto + +4 Pan dn de L pneco +0 + Panitena (*) Vedasi: A. Liapounoff, Problème général de la stabilité du mouvement Ann. de la Fac. des Sciences de l’Université de Toulouse, 1907, pag. 267. — 643 — dove le ps (s,g=1,2,...,%) sono costanti assegnate. Giova, quindi, ri- cordare, sia pure incidentalmente, che, anche nel caso di moti stazionarî, qualora si tratti di prima approssimazione, lo studio dell’approssimazione stessa (quantunque, di per sè, già di grandissima importanza) non sempre basta per il problema generale, come ha mostrato il Liapounoff nella sua classica Memoria. Ed è per questo che ho ritenuto opportuno di attribuire la denominazione di « prima specie » ai moti stazionarî che vengono qui considerati. Infine, giova osservare, a proposito dello strumento analitico da me adottato nella suddetta ricerca, come non sia, almeno presentemente, da escludere che un procedimento più sbrigativo possa condurre agli stessi cri- terî di stabilità. Anzi non è, almeno presentemente, da escludere che possa aversi un procedimento più sbrigativo e, in pari tempo, di natura più pros- sima a quella del problema, giacchè lo studio dei moti stazionarî conside- rati dipende, come è noto, dallo studio delle radici dell’equazione Prr — ®, Pj2 103 Pin Pa Par _ Qy .003 Pon er IO Par È) Pn DODO ‘ Pun (2) cioè dallo studio di un'equazione algebrica. Il primo criterio, al quale sono pervenuto, può effettivamente anche aversi, come mi fa osservare il sig. pro- fessore Levi-Civita, mediante il procedimento semplice e sbrigativo che qui appresso esporremo, ma l’idea informativa del procedimento medesimo (come ho avuto cura di mostrare allo stesso prof. Levi-Civita) viene a mancare nei riguardi degli altri criterî da me ottenuti. Tuttavia rimando ad altra pubblicazione le dimostrazioni relative a cotesti ulteriori criterî. PRIMO CRITERIO. Indichiamo con — 4 una quantità > della oppure = alla più grande fra le costanti pi (6=1,2,...,), od eventualmente una quantità > del oppure = al valore comune delle medesime, e con w una quantità > del oppure = al massimo, od eventualmente > del oppure = al valore comune, dei valori assoluti delle costanti p;; per 2 diverso da j (£+] ;%,7=1, 21): Qualora sia A_—(n_—-1)u=0, ogni soluzione del sistema (1) è certamente stabile (*). () E implicitamente inteso, sia qui che appresso, che si parla di stabilità nel futuro. r zz =—-T—.r—=n -° —<-ELremnny "n. «== = ————. ——.. tti. «© —___ ee o a 7 = 4 n DA gu: ==» avcensscea ra: i ii Gioi: i -” È ‘sea 1a} — 644 — Infatti, si consideri la forma quadratica > Doasz; sal r=l Avremo f=wllzlklelt ++ aa. Quindi ST f= plz: Flea dro ian] (+0) Sat. Ma, detta 0 la somma |w:|+]e:|+---+|xx|, si ha che la Ya? non pr=l 2 Sea O\UIO può essere inferiore ad % (£) nu: Ora, se 44-w= 0, avremo certo Ne viene che, qualora si abbia 4 — (n — 1)u= 0, sarà f=0, cioè la forma quadratica / sarà o semidefinita negativa o definita negativa. Ora, dalla ) i dx; 2 È Na di ZERO Xj 9 moltiplicando per 4; e poi sommando rispetto all'indice £ (î=1,2,..., n), sì ha 1 dSs n n 32 D piana Ddl ES ai Ra) dove Ss designa la somma zî + af +... + 27}. Talchè, qualora sia 4—(n—1)u=0, avremo che la S, non può crescere al crescere di £. Quindi, pensando alla forma delle soluzioni del sistema (1), resulta che, allora, ogni soluzione del sistema medesimo sarà certamente stabile. SUCCESSIVI CRITERÎ. I. S' intenda — Zoe = Paa ed inoltre uax > del oppure = al massimo, od eventualmente > del oppure = al valore comune, dei valori assoluti delle quantità n (dre (e 404 Qualora (almeno in corrispondenza di un certo valore dell'indice @) st abbia simultaneamente Paa Psi — Psa Pai 0 Coi ea lecce daa — (n—- 1) paa>0, ( dr ogni soluzione del sistema (1) è certamente stabile. — 645 — Il Sia pia pm (PE ,7=1,2....,0) La maggiore fra le costanti pi (7 = 1,2,...,%) venga indicata con pes. Inoltre, si designi con v una quantità > del oppure = al massimo, od eventualmente > del oppure = al valore comune, dei valori assoluti delle Pse Pej Pse Pes Pea — Pss ; Pee — Pss s—-1,e+1,..,%) (0). Infine sia — 4 = peo. Qualora sia piu Pr (i+ ; i,r=1,2,...,%), ed inoltre si abbia quantità p;;, (intendendo j=-s ; j,8s=1,2,.., 425) = 00 ogni soluzione del sistema (1) è certamente stabile. LIE Ste gn RACE MRS MSI) Sia, inoltre, wa una quantità > della oppure = alla massima, od eventualmente > del oppure = al valore comune, delle quantità positive Psa Pas ’ i Psa Poj » \psl + | pee=rp Paa er. Pss (intendendo j+ 8; j,s=1,2,..,a—1,a+1,...,%). Infine sia —4 una quantità superiore oppure eguale alla più grande fra le costanti p,r (102) Qualora sia piu pr (i } i,r=1,2,..., n), ed inoltre (almeno în corrispondenza di un certo valore dell'indice a) sta A—(n_-1)un=0, ogni soluzione del sistema (1) è certamente stabile. Come ho già detto, rimando ad altra pubblicazione le dimostrazioni relative a questi successivi criterî. ; , diversa da zero Pee — Pss Pes — Pss (!) Nel caso n=2, sarà, delle quantità ps; , Pse Pes Pes — Pss soltanto la = ta — 646 — Matematica. — Sur la representation des fonctionnelles cone tinues. Nota di R. GATEAUX, presentata dal Socio V. VOLTERRA. Les fonctions 4(a), dont il sera question ici, sont des fonctions réelles continues de la variable réelle a, 0=a=1. Nous désignerons par D l'ensemble de ces fonctions, telles que A <= B, A et B étant deux nombres donnés. Nous désignerons par V|[z]|, avec ou sans indice, des expressions de la forme: Et dl sl E, Ko étant une constante, K, une fonction continue de @,,... , @p. Soîit U|[a]| une fonctionnelle définie et continue dans D. On peut déterminer une suite d’expressions V,|[e]|, de la forme (1), telles que (2) U|[g]}= lim V,|[e]}, N90 la convergence étant uniforme dans tout ensemble compact eatrait de D. Ce théorème est analogue à celui de Weierstrass sur la représentation d'une fonction continue comme limite d'une suite de polynomes. Il a été énoncé et démontré par M. Fréchet (Annales de l’École normale supérieure, mai 1910). Jen ai indiqué une démonstration plus élémentaire (Comptes rendus, 4 aout 1918). Il peut étre intéressant de posséder une représentation (2), la conver- gence étant uniforme dans tout le domaine D. Le théorème suivant établit les conditions nécessaires et suffisantes auxquelles doit satisfaire U|[2]| pour que ce résultat puisse étre obtenu. THEOREME. — Za fonctionnelle U|[e]| étant définie dans D, pour qu'elle soit limite d’expressions V,|[]|, la convergence etant uniforme dans D, il faut et il suffit que: 1°) U|[z]| soit uniformement continue dans D; 2°) quel que soit e positif, on puisse diviser l'intervalle (0,1) dans lequel sont définies les fonctions z(a), en un nombre fini d’intervalles tels que, si s(a),t(a) sont deux fonctions du domaine D ayant la méme va- leur moyenne dans chacun de ces intervalles, on ait: \U]Ci— VILA]j<*. rss ii areionzio oa sp E = = = set “7 Tre È — 647 — A) La condition est nécessaire. Nous supposons que U|[z]| est la limite d'erpressions V,,|[e]}, la convergence étant uniforme dans D. Nous vérifions d’abord que les conditions 1°) et 2°) sont satisfaites pour toute expression V,.[[s]|- De là nous concluons qu'elles le sont pour U|[z]|- B) La condition est suffisante. Nous supposons les conditions 1°) et 2°) satisfaites pour U|[2]]. Etant donné # positif, il nous faut déterminer une expression V|[2]| telle que: |UC4]] — VIII Le -——W W _’R1l]}MHE5 € — -.iiibGpy'pjgpbolWKXARF GS O El cn || /—““Sas- do cb hi pinna, © cl —_ cl o@ I Vle ©) “ « : èuuua 6" mi — 648 — de U|[]| et U|[2']|, en nous appuyant sur ce que U][z]| est uniformément continue dans D, nous démontrons que l’'inégalité précédente est satisfaite dès que 2< hh. d) Quand 4 varie dans D, la fonction $ correspondante varie entre des limites A —4,B+-4. Nous déterminons un polynome p(61 ,-. 69) tel que dans ce dernier domaine nous ayons: ed alors: de È, +69 Sexpriment linéairement au moyen des valeurs moyennes 31-49 de 3 dans les intervalles I, ,...,Ig. On a: i Pisi) = Par 8g) - (UNI la VUUIINI È Ò a li (id Si nous remplacions les quantités 2, par leurs valeurs Ji s(@) da, p, de- TE RCRGUIUNAI k=1 (6 viendrait une expression V|[z]|, mais dans laquelle les fonctions K, ne ui Ì i Mil seraient pas continues. TU è . PELO è o | ai e) Pour éviter cet inconvénient, au lieu de z, nous substituons: TILT IA ÙU debito LALA r la Cai ala) (a) da, lai a(&) étant une fonction continue nulle aux points /x (ce qui rend les fonc- tions K, continues), égale è 1 dans les intervalles A EE et linéaire dans les intervalles restants. Dès que 7’ est plus petit qu@'une certaine quantité 41, on a: | Pi(21,--329) — Pi(41, +3 29) <; ; Or, si nous remplagons les 4, par leurs expressions, 7, devient une expression V|[z]], pour laquelle on a: UG] VIEIII 90,2) ne sont pas identiquement nuls. Alors la 1°"° équation (2), qui ne soit pas vérifiée identiquement, E àp=a+5-+1 et s'écrit: (a+1)/(0,2) dale. ,x)-(0+1)gyx, n) fee) =d, d'où [po(& a)" Lfa(&, 2)]P*" On en conclut immédiatement le théorème suivant : = constante. THEOREME. Si les 2 fonetions permutables f et p admettent respecti- vement en facteur exactement (y— @)® et (y— a); et si l’on pose f(a,y)=(4 — 2) g(e,y) pe, y)=(y—- x) hx,y), [a(e, 2) CI Cg(2 , #)]?* on A = constante. — 651 — Ce théoreme, dont la démonstration ne nécessite pas l’analyticité de et , mais seulement l’existence d’un nombre suffisant de dérivées, géne- ralise le théorème de M." Volterra, d'après lequel, si /(2,y) est du premier ordre, on a TO y(c, x) f(x.) Il jouera un ròle dans cette note par le corollaire suivant: CoROLLAIRE. /(2,4) et g(x,y) étant deux fonetions permutables analytiques telles que la première admette ewactement, la seconde au moins, (y— x)° en facteur, on peut toujours trouver une constante p, et une seule, telle que = Gonstante. p(e.y)—uf(x,9) admette au moins (y — a)°*} en facteur. $ 3. — LES SERIES « COMPOSÉES » D'UNE SÉRIE DONNEE. Considérons un développement, convergent ou non, peu importe dans ce $, procédant selon les puissances positives de # et y: () Di 0 ® q Upg a? Yy? e CINA 8 Nous le désignerons par la notation abrégée (2,7); sì onle compose avec lui-mème 1,2,..2—1 fois, on obtient des développements analogues (2,4), f°(0,9),- f"(®,9) parfaitement définis. Si enfin Ar, A, 0.0 Un gn sont des nombres arbitraires, l'expression (2) ufo, y)+af(e,M)M+:- + anf'@)+-- peut étre mise sous la forme d'une série analogue à (1), 5 00 0 (3) ° 25 Da Cna xP Yy? parfaitement déterminée. Chaque coefficient cy9 est un certain polynome des lettres 4p9 et dn. Donnons nous inversement un développement de forme (3): il pourra arriver qu'il se laisse mettre sous la forme (2). Si cui, il est bien facile de ia è dà «a tia — rr nr o Npaàè 1- vidi css e ce ei e E; EE oo Vr: a. elia i eva dai toa 7 e ua ie, ——_ ei << +. ___m0m00 © ,... an sont déterminés d'une fagon unique et fort simplement. DEFINITION. Nous dirons de toute série (2) qui se laisse mettre sous la forme (2), qu'elle est composée de f. $ 4. RETOUR AU PROBLEME PosE AU $ 1. Soit donc une fonction /(x,y) analytique régulière autour de l’origine et soit à déterminer toutes les fonctions analytiques régulières autour de l'origine et permutables avec /(x, 7). I. Toute série des puissances de x et de y convergente autour de l'origine et comPoséE de (x,y), représente une fonction g(x ,y) qui répond à la question (*). i Soit, en effet, g(e,y9)=af4 af +::banf"+--: en écrivant que fp= gf on obtient certaines relations (?) entre les @,,@s,... 4, relations dont cha- cune ne contient qu'un nombre finî des 4,,4s,... @n,... Comme ces rela- tions sont identiquement vérifiées quand les «,,2,...4,,... non nuls sont en nombre fini, elles sont toujours identiquement vérifiées. Admettons, maintenant, que f(a, ) ne soit pas pas identiquement nul (*). II. Réciproque: Toute série des puissances de x et y représentant une fonction g(x,y) analytique autour de l'origine et permutable avec f est COMPOSEE de f. Appliquons en effet le corollaire du $ 2. Les fonctions fe.) 9) fe) admettent respectivement, exactement, ga, yo... (y_ at, (3) Si la série p= @1/+ da là +... était absolument et uniformément convergente ce résultat serait 6vident. Mais, ici comme dans la suite, nous ne faisons aucune hypo- thèse de ce genre: nous supposons seulement que g(2,y) est analytique. (2) En égalant les coefficients de 22 y9 dans les deux membres. (3) Cela n'’empèche pas que f(0,0) puisse étre nul, la fonetion f( , y) n’étant par conséquent d’aucun ‘ordre autour de l’origine (ex. ax + dy). — 653 — en facteur. Il est done possible de trouver de nombres 4,42, -.. 4, tels que la différence g(d 9) — a f(4, 9) admette au moins (y—) en facteur, et la différence * p(e,y)— arf(c,4) — as f(x e IE FAZIO) admette au moins (y— 7)" en facteur, etc. C'est dire que la série en « et y qui représente cette différence, n'a pas de termes de degré inférieur à 7. Il en est donc de méme de la différence gay) — Sp apf0 19); cette dernière différence est donc identiquement nulle: ce qui démontre la proposition. Le problème posé au $ 1 est ainsi résolu: on obtiendra toutes les fonctions 9(x,y) par des développements (4) g(c,9)=Y, 0 /?(2,) les ap étant des constantes arbitraires telles seulement que la série Cpq LP YÎ obtenue en ordonnant le second membre de (4), soit convergente autour de l'origine; c'est un fait que l'on sait exprimer, au moins théoriquement. Je me suis restreint, ici, an cas où /(7,) n'est pas identiquement nul. Les autres cas sont plus compliqués et je les étudierai dans une autre Note. J'indique seulement, ici, que le cas où la fonction /(@, y) est d’ordre x autour de l'origine, se ramène immédiatement au précédent: c'est le cas où (5) f(@,y)=(y— "|a 4 Yapa ey, d+0. L'équation We, 9) =/(2,9) admet alors une solution analytique «(x ,y) telle que Yx,x)F0, et les fonctions permutables avec / sont les mémes que les fonetions per- mutables avec w que nous savons former. Pu. /_n i a a i \ ir n gg . | Pei è'Arn ce eee A — 654 — Le cas où 4, est nul et où, dans le développement (5), les premiers Upg non nuls correspondent è p+g=m, m étant premier avec x, est aussì très simple: on démontre encore aisément la réciproque II. $ 5. — APPLICATIONS. (x,y) et W(x, y) étant des fonctions analytiques autour de l'origine, et y(x ,y) une fonction inconnue, les équations Px= et VI Ip n’ont encore eté étudiées que lorsque g et w sont d'ordres déterminés. Admet- tons que g et w soient permutables avec une fonction /(x ,y) telle que f(c 4) ne soit pas identiquement nul. On obtiendra alors aisément, par application des résultats précédents, la solution y sous la forme df(@,9) +02 fg) ++ da fi c'est-à-dire, en ordonnant, DD (c°) mais on ne sait pas 4 priori si cette dernière série converge autour de Due l'origine (sauf dans les cas déjà étudiés où et w sont d'ordres déterminés). ih On peut montrer qu'elle converge; mais cette dernière démonstration me ferait Vi tout è fait sortir du cadre de cette Note, et je me réserve de revenir sur elle. Matematica. — Un nuovo aspetto dato al teorema di Gold- bach. Nota di M. Veconi, presentata dal Socio S. PiNCHERLE. 1. Premesso che parlerò esclusivamente di numeri interì, indico con Py l’r.esimo numero primo dispari, e chiamo dello stesso ordine due numeri primi pr € Pa+a, (A = 1), quando è (1) Di Prto Ù Ciò posto, mi propongo di dimostrare il teorema: 2. Condizione necessaria e sufficiente affinchè un numero pari 2n >132 1 sia la somma di due numeri primi dello stesso ordine in E (a modi diversi [essendo E(x) il massimo intero non maggiore di x], è che esi- = ii piu cr -deof_& sro ee ss o > n men > , —. 16587 | stano g numeri non maggiori di n—- Pm+ +1 e non rappresentabili da alcuna delle forme \ ai4-3x,0,4-5x,... lt fin ie lepri dove Pm+r è il più piccolo numero primo, per cui sia e il termine noto di ciascuna delle forme (2) è resto rispetto al numero primo dispari che è coefficiente di x. 8. Per lo scopo diretto della dimostrazione, stabilisco una formula che rappresenta tutti e soli i numeri primi a vartire da 3. Essa è data dal seguente teorema: Condizione necessaria e sufficiente affinchè il numero N > 2 sta primo e che esso possa porsi sotto la forma (4) 2a Um, (2) dove tIm è il prodotto dei numeri primi dispari da 1 a Pm înclusivamente; Pm è è più grande numero primo dispari per cui sia: Pn = E(VN); Ttm è prodotto di potenze di numeri primi > Pm con esponenti =0, è x = 1, ed inoltre (5) DO Pa La condizione è sufficiente: invero, nella differenza (4) non può entrare un fattore di 77, nè uno di 77, perchè ciascuno di essi, entrando pure in uno dei termini, dovrebbe entrare nell'altro, contro l'ipotesi. Nè può entrare in essa differenza, insieme con un fattore primo compreso fra pm ® pî, (non divisore di 77,,), un altro fattore primo > 1, perchè questo, per la (5), dovrebbe essere < m+1, ciò che si è escluso. Onde la differenza (4) è un numero primo (dispari) maggiore di pm, e però >2. La condizione è necessaria: invero, se N è primo >2, la somma N-+ tm sarà composta del fattore 2 con esponente = 1 e (eventualmente) di fattori primi che dovranno essere > pm, perchè, se uno di essi (per es. q= Pm) entrasse nella somma, entrerebbe, come in 7m, anche in N, che non sarebbe più primo. E deve verificarsi la (5), perchè, se fosse N= pi+1, sarebbe anche Pm+, = E(Y/N), contro l'ipotesi. Ad. esempio: per il numero 83, è pm= 7, 7tm= 8:57: onde 89=2%47 —3-5-7; per cui 83 è primo. Essendo 167 primo, può porsi sotto la forma (4) che dà: 167 = 2.661 — 3.5-7.11. La cd a n a © o TARRA I a Pe — | — 656 — 4. È manifesto che la forma caratteristica dei numeri primi, così co- struita, è pure unica per ogni numero primo, onde ci è luogo a parlare di un Algoritmo dei numeri primi: Dato un numero primo p, si determina Pm tale che Pm = E(VP)< Pmi, SÌ costruisce 77m, si scompone in fattori primi la somma rm +p=$S, e si ha la forma caratteristica del numero primo p: (6) p= Se IT m è 5. In modo analogo al teorema precedente si dimostra il teorema: Condizione necessaria e sufficiente affinchè un numero N>121 sia primo, è che esso possa porsi sotto la forma È (7) Mm — 29 TEL, dove sono conservate le notazioni precedenti, ed è pure: gel in 2a 6. Da questo teorema discende un secondo algoritmo dei numeri primi. Dato un numero primo p > 121, si determini pm e quindi 77m; si faccia la differenza am —p=D; si scomponga D in fattori primi: sarà (8) cD= Mm Db la forma caratteristica (7) del numero p. Così si ha, ad esempio, RIESI 193 —3.5:7-11.13 —2.7411. 7. Se si prescinde dagli algoritmi cui hanno dato luogo i due teoremi precedenti, le due forme caratteristiche, in quelli esibite, possono essere estese nel senso di sostituire al pn, che in quelle figura, uno qualunque dei nu- meri primi > fm @e Pm, @ Tm è prodotto — 657 — dei fattori essenziali di pn+a. Per tal modo le forme (4) e (7) di pn+a © le (8) di pn hanno comune il 77m. 8 Dato ora un numero pari 2% > 182, sia pm+, il massimo numero primo, per cui (3) Pini + Pmi > 25 dico che è (9) nD> Pm Invero, per la (3), è 7 > fn tPa b) ma per ogni valore di ymw+, sì ha, per il teorema di Bertrand-Tchebichef, 4Pm > Pmi è e quindi: Mesa t SPm+1 È LC 32 ma a partire da pm+, = 29, è sempre Pr > 28Pmer 3 onde segue la (9); la quale, per pm+1 < 29, sì può verificare. 9. Dalla (9) si ha (10) NE pf Allora si ponga (11) 2n= 2(a — P) e si faccia variare @ sotto la condizione (12) TE IMA ces at = dove è: 7 =3:5-7... Pm. Ai valori estremi di « nell'intervallo definito dalla (12) corrispondono i valori estremi pm+; € 2X— Pmx per 2a— 7; per 77 — 2$ corrispondono i valori estremi 22 — Pm+1 ® Pm+:- Ora, per le (3), (12) risulta (18) Pm+r = 20 — TT 132 sta la somma di due numeri primi dello stesso ordine, è che esista al- meno un numero minore di ] Ho Pm fato ISO non rappresentabile da alcuna delle forme [2]. Il qual teorema sembra additare una via alla dimostrazione del teo- rema di Goldbach. Matematica. — Teor del Colpo d’ariete (*). Nota dell’inge- gnere L. ALLIEVI, presentata dal Corrispondente V. REINA. IV. — CONTRACCOLPI DI RITORNO A REGIME. Se dopo una manovra di chiusura o di apertura che ha messo la tuba- zione in regime perturbato, l’intercettatore venga arrestato, è senz'altro evi- dente che il fenomeno idrodinamico successivo all'arresto deve svolgersi assintoticamente alle nuove condizioni di regime permanente, relative al grado di apertura raggiunto. Indicando con n, é, i valori di 7 e È relativi a un istante #, della 1® fase dopo l'arresto, è ovvio che la serie concatenata È, È» È3 ... ece., rela- ) La Nota I, Esposisione generale del metodo, fu pubblicata nel volume IX, serie 5%, delle Memorie dell'Accademia. Le Note successive, di carattere prevalentemente tecnico, appaiono negli Atti della Associazione Elettrotecnica italiana, e del Collegio degli ingegneri di Milano. Si dà qui il riassunto della Nota IV, mentre il riassunto delle Note II e III fu pubblicato nel volume XXII, serie 5°, 1° sem., fase. 89, dei Rendiconti dell’Accademia, ARE ca iffmsi/ | Ù i I _OIÀ tI] | di — 660 — tiva agli istanti 14 4-w, ty + 2% , t4 +34, ecc., sarà, per la relazione fondamentale (9) (ved. Nota I) in Pi —2= 20m tia — bi), determinata dal sistema: cd o neo (XVII) avendo posto 07, = 0, = caratteristica della tubazione pel nuovo stato di regime. Il valore limite di tali serie concatenate risulta én = 1, valore che soddisfa la equazione generale (XVII) ponendovi È;-,= $;= Èm, mentre il diagramma circolare delle serie concatenate (fig. IX a fig. XII) illustra in forma elegantemente semplicissima Je leggi del ritorno a regime. Esso, in questo caso, risulta costituito da due soli circoli y, e ya, sim- metrici rispetto alla bisettrice degli assi, di centro C, (coord. + 0, e —0,) e Ca (coord. — 0, e +0,) e di raggio Vo. +2; ed è chiaro, dalle figure, che le serie concatenate E, €263... ecc. tendono al valore della coordinata di K, e cioè al valore i- mite îm, realizzando così il nuovo regime permanente. Ma tale nuovo regime non può realizzarsi quando la manovra pertur- batrice sia stata di chiusura completa, onde 7,=0,0,=0, e le (XVII) diventano: +6 —-2=0 CINI) + -2=0 ed il carico oscilla indefinitamente fra i limiti é2, e 2 — &3,. I due circoli y, e ys coincidono in tal caso in un unico circolo di centro O e raggio y2, di cui un punto di coordinate £, e 2 — 2% indi- vidua i carichi limiti. Tornando al caso generale e al sistema (XVII), possiamo, con metod analogo a quello segnato nel riassunto delle Note II e III, investigare i di- — 661 — versi casi di leggi secondo cui ha luogo il ritorno a regime, scrivendo le (XVII) nella forma: 1) —_ 20x44 1 © RESI (XIX) 2o,— (+1) __S&T1 Boa api A, — analoga affatto a quella delle (XII), riassunto Nota II. I diversi casi che possono presentarsi, dipendono esclusivamente da segno del numeratore della 1 (XIX). 1° caso: Zon — (a+ 1) <0 0 a (apo In questo caso è ovvio che, essendo i due membri della 18 (XIX) di segno negativo, se si abbia Gee>rlmenisorào C <@l (fig. IX); e se, invece, (Ca lo SOM (fig. X). In ambo le ipotesi il carico è dunque passato per il valore limite $,= 1, in un certo istante della 1 fase dopo l’arresto, e deve riprendere lo stesso valore #2 = 1 ad intervalli w consecutivi a quell’istante. Se ne conclude che il carico, in questo caso, è oscillatoriamente assin- totico al valore di regime. Le figg. IX e X illustrano questo caso nelle due ipotesi è, = 1. 2° caso: 20, — (66 41)=0 ’ o=& (+1). In questo caso si ha, ovviamente, (=== = Ll: e cioè il carico raggiunge il valore di regime nel primo istante di ritmo intero dopo l'arresto, e lo mantiene nei successivi. 3° caso: 20, — (64 +1)>0 b) 0a>3(0 +1). In questo caso, i due membri della 1% (XIX) sono di segno positivo; onde dalle successive (XIX) si conclude facilmente che: Scie sara e, > Gia Gea] (fio. XI); e II 0 ea RUIRONT] Gion SIGG NLG IOGILO] :- - Sioquoqo | 1+| 81 | 61 |Skt * INUZIOZUIAN 0 Gr <# | 021 US URTe NEL SIEM 07 (ESOT "© uouuegno, || 0 boogie “uoSur[zn01y 0 Le | 28 |#96 " UInYOSBO) | 1H-| 96 | ZE |8IOI * SiogqpoSug | è+| zi-| 6L |02x | " PIO} UONEA] Tapi gaia | ° © “* zuopulg || #4-| #8 | 88 | 096 TIRI ela | "© BIAQUIO) 0 Ia | 13 | LSF " * UoxnpIod | #4| 88 | 26 |OT6 © © upopessug | €4| 9I | 61 |oo0t * *neIey 0 03 | 06% | 017 A IZIo orgia zz ENTO (096 UNU] 0 OTO AO a E) -, #4+| 61 | 88 |087 RR 19) 0 8L | 8I | SF "> BuIGON'] I ‘o[Bo *SSO WI ‘o[eo "SSO ‘9]Bd ISISIO) È È «TOOT|T00I H LOI V JTOO0TI| HOOT H VII'IVOOT] (7 H VLI'IVOO!] T001] 1007 — 670 — Mineralogia. — Za montmorillonite nelle granuliti di Cala Francese (Isola della Maddalena). Nota dî DomeNICO LovisaTO, presentata dal Socio G. STRiÙvER. Nel febbraio passato il gentilissimo signor Carlo Zanat, assistente presso la Società « Esportazione graniti sardi » di Cala Francese, mi mandava, per mezzo della posta in un cilindretto di latta, alcuni frammenti di una bella sostanza rosea, trovata da lui per la prima volta in piccola borsa o mac- chia nel fare il taglio di una massa di quelle splendide granuliti, anche col desiderio di saperne qualchecosa sulla sua composizione. Me ne occupai subito, e dopo un esame sommario delle principali pro- prietà fisiche e chimiche, che grossolanamente mi dicevano essere la sostanza un silicato idrato di allumina con ferro, magnesia ed alcali e colla presenza probabile anche della calce, scriveva all'egregio uomo, che me ne aveva fatto l'invio, trattarsi di una montmorillonite, somigliante a quella di Mont- morillon di Francia, e che sì presentava per la prima volta fra le sostanze minerali di Sardegna. Devo aggiungere che lo stesso signor Zanat nel mese di luglio mi facea un secondo invio di pochi altri frammenti della medesima sostanza, derivanti dallo stesso taglio, che io grossolanamente aveva potuto vedere ed esaminare il giorno 3 giugno e che mi permette di darne breve cenno. La piccola macchia o borsa, somministrante la nuova sostanza, si trova all’alto di un bel taglio della lunghezza approssimativa di m. 30 e dell'altezza visibile di m. 5, che quindi fa vedere da una parte e dall'altra quelle superbe gra- nuliti tappezzate dalla grafite (') con pirite per una superficie di circa 150 metri quadrati. > di La sostanza, che presentasi di un bellissimo color roseo di pesca nella sua parte più pura, va sbiadendo il delicato colore in roseo pallido fino a divenire quasi bianco, però un po’ sporco, perdendo anche la sua struttura omogenea, compatta e divenendo come granulosa ed assumendo via via fram- menti di cristalli di epidoto verde pallido e talvolta anche qualche cristallo definito. In taluni punti man mano che sbiadisce il bel roseo e la sostanza si va facendo biancastra, divenendo alquanto granulosa, lascia vedere mac- chiette o chiazze gialle, generalmente pulverulente, portanti alle volte accanto dei frammentini di epidoto, forse derivando dalla decomposizione di tale (!) Ze specie minerali finora trovate nelle granuliti di Cala Francese all’ isola della Maddalena. R. Accademia dei Lincei. Classe di Scienze fisiche, matematiche e na- turali. Serie 52, vol. IX, Roma, 1918, pag. 26. O — 671 — specie minerale: devo ricordare ancora certe chiazzette verdi oscure, che qua e là compariscono, sebbene più raramente, e che di primo acchito sembrano nere, presentando una lucentezza quasi resinosa, inclinante alla perlacea, quando compariscono un po’ grandicelle, con tessitura bacillare, quasi come fossero fascetti di epidoto di color molto oscuro, oppure anche in qualche punto quasi lamellare a guisa di un minerale cloritico, con lucentezza debolmente perlacea, ma sarà difficile venire alla determinazione di queste macchiette o chiazze per la pochissima quantità di sostanza, offerta nel piccolo nucleo, da me attribuito, come dissi sopra, alla mortmorzllonite. La nostra sostanza è untuosa al tatto, è in generale allappante alla lingua, è molto tenera, perchè dovunque si scalfisce coll’unghia, ma non molle; ha debole lucentezza resinosa, che si fa vivissima e quasi vitrea, dove appare più compatta, e quasi si direbbe sfaldabile, mostrando strie paral- lele, identiche a quelle che si osservano nelle strie di geminazione di alcuni feldispati. Si rammollisce nell'acqua, spappolandosi quasi completamente, la- sciando solo dei nuclei centrali lenticolari ed irregolari, che assai difficil- mente arrivano a spappolarsi, anche lasciandoli a lungo nell'acqua stessa. Nel tubo chiuso la sostanza perde molta acqua e cangia il suo bellis- simo colore roseo pesca in biancastro, ma diviene così dura da quasi rigare il vetro. È infusibile al cannello ed insolubile negli acidi, tanto nitrico che cloridrico, come nell'acqua regia, ed anche nell'acido solforico, nel quale a caldo passa dal color roseo a quello un po’ violaceo. Il peso specifico, cal- colato dal collega prof. Guglielmo sopra un grammo abbondante di sostanza alla temperatura di 14° C., sarebbe di 2,027 coll’aggiunta che il peso del- l'acqua spostata prima dell’ebollizione era di gr. 0,5565 e dopo di gr. 0,5520. Il dott. Lucchi, che, fatta l’analisi qualitativa, procedette poi a quella quantitativa sopra gr. 1,819 di sostanza, avrebbe ottenuto una volta il peso specifico eguale a 2,10 alla temperatura di 15° C., ed in altra pesata, colla raccomandazione di calcolare la terza decimale, m'avrebbe dato 2,133, sempre alla stessa temperatura di 15° C.: tutti e due questi pesi, e specialmente l’ultimo, sono più forti di quello dato superiormente in 2,027, che riterremo perciò come il vero peso specifico della nostra sostanza. Evidentemente questo nostro silicato amorfo deriva dalla decomposizione di qualcuno dei feldispati di quelle superbe granuliti, rappresentando una delle varie argille, che assimiliamo pel caso nostro alla montmorillonite di Francia, descritta dal Dana (?), ricordata dal Lacroix (*), dall' Hintze (*), dal Lapparent (4) ed in quasi tutti i trattati di mineralogia. In prima linea fra (1) The System of Mineralogy. New York, 1893, pag. 690. (®) Minéralogie de la France et des ses colonies. Paris, 1893, vol. I, pag. 480 e Paris 1910, vol. IV, pag. 749. (®*) Zandbuch der Maineralogie. Leipzig, 1897, pag. 1829. (4) Cours de Minéralogie. Paris, 1884, pag. 396. e___l raga Sua 6 were aero «a _ vw --JÉl Pr D > Vieira. een e DLL è e ù EE es «è ” " = Pera kn — 672 — le argille sono a ricordarsi il caoliro, che abbiamo trovato anche a Cala Francese (*), in via secondaria l'a/loysite, pure in Sardegna, di color bianco nel vulcanico antico della parte superiore della provincia di Sassari e l'a//o- fane, che come jaloallofane cupro-zincifero, di un bellissimo bleu di cielo, ci è dato dal classico giacimento metallifero di Rosas nel Sulcis. Alla montmorillonite rosea mineralogicamente si avvicinano e si uni- scono anche per la loro composizione chimica la confolensite di Confoles nel dipartimento della Charente di un roseo più pallido, nonchè la delrourzte di Millac presso Nontrose nella Dordogna, simile nel colore: vi sono ancora altri generi d'argille, ma di colori differenti, dei quali non crediamo qui opportuno di tenere conto, non credendo però inutile ricordare almeno l'erinite di Giant's Causeway in Irlanda (Erin) di color rosso giallognolo, avendo noi osservato molte macchiette o chiazze gialle ai limiti anche della nostra bella sostanza rosea, e tanto più che fra tutte le analisi di tali argille, come vedremo in seguito, è quella che più s avvicina alla nostra, special- mente pel suo quantitativo in ferro, come per la sua lucentezza un po’ resi- nosa, per la sua untuosità al tatto, per la sua infusibilità e pel suo imbian- camento nel tubo chiuso. Ho già detto come, appena avuta la bella nuova sostanza di Cala Francese, me ne sia subito occupato per la sua determinazione, e come un primo esame qualitativo m'abbia tosto portato a concludere per un silicato idrato d’allumina ‘con ferro, magnesia ed alcali, aggiungendo molto proba- bilmente la presenza della calce, che il chimico non aveva trovato nella sua analisi iniziale. Mi sembrava infatti impossibile la sua mancanza, avendo già fatto rilevare (?) come a Cala Francese, in quelle magnifiche granuliti, che ho proclamato come le migliori fra tutte le sranuliti finora conosciute, comprese anche le tanto superbe roccie di Baveno, erano prevalenti i feldi- spati basici di Ca e di Na sopra i feldispati acidi, anche per la eccezio- nale presenza, nelle stesse roccie granitoidi, della mica muscovite. E qui mi sia permesso deplorare come la più grande parte, anche dei nostri chimici, consumi oggi le sue energie nella chimica organica, lasciando quasi assolutamente da parte quella inorganica, per la quale invece la Sardegna avrebbe tanto bisogno: infatti, solo per difetto di analisi rigorose e di controllo i famosi vanadati di Bena (4) e Padru presso Ozieri sono rimasti ancora in sospeso; e fermandoci anche solo nel campo di Cala Fran- cese, la bella mica nera in larghe lamine di quelle pegmatiti, pel momento, ho dovuto accontentarmi di chiamarla come una varietà di lepidomelano (*), aspettando il chimico che coscienziosamente e scrupolosamente ne faccia la sua analisi chimica esatta ed anche quella spettroscopica, come aspetta tali (*) Lavoro citato, pag. 38. (?) Lavoro citato, pag. 415 (17 dell’estratto). (®) Lavoro citato, pag. 418 (20 dell'estratto). — 673 — analisi pure il famoso pigmento rosso (!), rimasto pur troppo in sospeso per la enorme perdita alla calcinazione, sebbene per quest'ultimo potrei comin- ciare oggi a riempire in parte la lacuna, essendo arrivato a qualche nuovo risultato, che mi riservo però di far conoscere più tardi, quando potrò ag- giungere qualche cosa di più completo. Per la presenza del calcio, che mi sembrava impossibile avesse a man- care nella nostra sostanza, mi rivolsi al signor Emilio Sernagiotto, distinto giovane laureando in chimica, pregandolo lo ricercasse coll’esame spettro- 3copico, che infatti glielo svelava nettamente. Ed a rendere a lui tributo di riconoscenza, mi piace qui far breve cenno del suo procedimento. L'apparecchio da lui usato è lo spettroscopio a due prismi sistema Du Bosque, di proprietà del Laboratorio di chimica di questo R. Istituto tecnico. Come ho detto, ha due prismi ed una dispersione tale che permette di fissare in modo non dubbio le righe principali dei varî elemeuti più importanti, ed è munito di scala fotografica. Ha fatto la graduazione dell'apparecchio fissando la posizione delle righe degli elementi più importanti (Li, K,Na, Rh,Cs,Ca, Ba,Sr,T1, ecc.) e riportandone la posizione e la relativa lun- ghezza d'onda sopra nn sistema di assì coordinati, tracciati su carta milli- metrata, riunendo poi con una curva le quote fissate per le varie righe. La sorgente luminosa era data da tubi di Delachanal e Mermet, in cui poneva le soluzioni da esaminare, facendo poi scoccare alla superficie di queste una scintilla di circa 8 mm., data da un forte rocchetto, alimentato da una grossa pila termoelettrica di Gulcher (4 amp., 3 !/» volt). La solu- zione cloridrica della sostanza esaminata dà le righe qui sotto riportate: Divisione della scala 127,5 129 147,5 150 223 224,5 225 438,5 0202 018t1593,8 5895051880 172 5160704296 Elemento ee Ca Ca Ca Na Mg Mg Mg Ca tutte ben nette e coincidenti in modo perfetto con quelle segnate sulla scala da lui tracciata, e controllate singolarmente cogli spettri ottenuti dagli ele- menti, dei quali ammetteva la presenza. Dato che la prova fatta in bianco per i reattivi usati non dava alcuna delle righe osservate, concludeva ammettendo per certa nel campione esa- minato la presenza del calcio e del magnesio. La scala ha una graduazione tale che tenendo la prima riga del sodio alla divisione 150, si ha la riga del tallio al 202. Si comprende facilmente che, dati i mezzi usati, ed il fatto che si trattava di un esame sommario, non possiamo escludere la presenza di altri elementi nella nostra sostanza. Accertata così la presenza del calcio, ho fatto procedere il dott. Lucchi ad una seconda analisi, che, a dir vero, non mi persuase, sia per l'enorme (') Lavoro citato, pag. 419 (21 e seguente dell'estratto). ReNDICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 90 fa ©: se Raro v è _t_m@î@ t{ —_î he ee i. T]P—e __#e_ ______ a, 7 AA. x ne di _ _ __,.-*d®-- i - . E VI — 678 — tutte le precauzioni grandissime prese da Walden (loc. cit.) per determinare la conducibilità elettrica delle soluzioni di varî sali in anidride solforosa liquida: una traccia anche minima di umidità che in quest’ultimo caso avrebbe prodotto un effetto molto marcato, nelle nostre ricerche non portava che un riflesso trascurabile. L'apparecchio da noi usato e le precauzioni messe in giuoco sono quelle dettate da Beckmann (loc. cit.) per lo studio termico a basse temperature dei composti che il cloro forma con lo zolfo, e che qui troviamo superfluo riportare. Abbiamo avuto cura che l'apparecchio da noi costruito, in effetti un tubo crioscopico con agitatore elettromagnetico di platino, fosse notevol- mente alto per mantenere i quattro quinti del termometro ad isopentano immerso nel tubo stesso, in modo che la colonna termometrica rimanesse durante tutta l’esperienza dentro al tubo crioscopico. Questa disposizione era adottata per rendere trascurabili le correzioni termometriche. Questo tubo veniva all'esterno raffreddato uniformemente immergendolo in un alto tubo cilindrico Dewar nel quale agiva la miscela acetone-neve carbonica. La temperatura del bagno frigorifero si manteneva soltanto cinque o sei gradi al disotto della temperatura interna del tubo crioscopico. L'esattezza della scala del nostro termometro ad isopentano, oltre che dalla verifica dei punti di congelamento dell'acqua e del mercurio (— 389,9) ci risultò anche dal fatto già accennato che noi abbiamo trovato per l’'ani- dride solforosa un punto di fusione — 76° vicinissimo a quello — 759,1 determinato da Tetta Polak-van der Goot (con termometro a resistenza). Le varie soluzioni di canfora nell’anidride solforosa liquida, da noi prese in esame, si conservavano limpidissime, dimostrando l’assenza di acqua che avrebbe prodotto, come abbiamo provato, un opacamento delle soluzioni, dovuto a lieve separazione di idrati di SO?. Non si ebbero a notare sensibili fenomeni di soprafusione: le letture termometriche venivano tuttavia ripetute almeno due volte ottenendo costan- temente risultati concordanti. Il numero delle esperienze da noi eseguite è molto superiore a quello qui sotto ricordato, essendo stata nostra cura di controllare molto spesso con soluzioni nuove ed indipendenti le precedenti letture. Specialmente per quello che riguarda la formazione del composto fusibile a più bassa temperatura, il quale non compare con un gomito molto accentuato (vedi diagramma) abbiamo ripetuto numerose determinazioni con miscugli a concentrazioni di canfora pochissimo variabili. Riportiamo qui sotto i risultati ottenuti ed il relativo diagramma. I n =: — 679 — i Temperatura Temperatura SO? 9/o Canfora °/ iniziale SO? °/o Canfora °/o iniziale di solidificaz. di solidificaz. 100 0 — 76° 44,44 55,56 — 45 96,66 3,34 — 17 43,40 56,60 — 44 93,58 6,47 — 71,5 41,86 58,14 — 41,5 90,60 9,40 — 78,5 40,03 59,97 — 38,5 86,53 13,47 — 80 38,53 61,47 — 36 82,59 17,41 — 81 37,50 62,50) — 33,5 78,00 22,00 — 82 33,47 66,53 — 28 76,48 23,52 — 80 81,25 68,75 — 25 78,84 26,16 i) 29,95 70,05 — 24,5 71,61 28,39 — 75 27,63 72,37 — 25,5 68,31 31,69 — 71 26,01 73,99 — 27 62,18 27,82 — 64 23,25 76,75 — 25 57,95 42,05 — 59 22,28 77,72 — 23 53,13 46,87 — 54 20,67 79,83 — 16 48,39 51,61 — 49 19,52 80,48 — 13 46,43 58,57 — 46 45,60 54,40 — 45,3 RE SL n: 44,83 55,17 — 46 0 100 + 178° | 70 10 %0 350 40 50 60 70 so 90 100 anfore pi | | | ; 80 so 90 A È 90 S O, 700 90 so F.(0) (e) 50 40 30 20 10 o (e) - — 680 — Dai dati ora riportati risulta provato che l'anidride solforosa può dare due composti con la canfora, corrispondenti ai rapporti molecolari: 2803, Cio His O SOFC (i (pLfo40) il primo dei quali corrisponde alla composizione centesimale 54.29 di SO, e 45,71 di canfora, ed il secondo a quella 29,63 di SO. e 70,37 di canfora. ii. il Dal lato della canfora il sistema non fu potuto proseguire oltre la con- 1 | IN] centrazione dell’80 °/,, dato che tale sostanza, anche all’ordinaria tempera- pia tura non sì scioglie oltre questo rapporto nell'anidride solforosa, in accordo dii con quanto aveva già trovato Bineau (loc. cit.). Dopo tale concentrazione, Le (N abbiamo perciò tratteggiata per un breve spazio la curva di congelamento, n ad indicare che questa dovrebbe salire fino al punto di fusione della can- el fora (4- 178°). fl ih | Riflettendo che la canfora nelle condizioni sperimentali che ci interes- Ia | sano non ha alcun potere assorbente, nè si altera di fronte al cloro, la rapida i Mi | formazione del cloruro di solforile nel processo in questione è logicamente (fit da attribuirsi all’azione che la canfora stessa esercita sull’anidride solforosa, i Lu I nostri risultati portano a concludere che tale azione non sia di pura e indole catalitica, ma sibbene con ogni probabilità connessa con la formazione besgl dei due composti ora accennati. | Questa interpretazione sta del resto in accordo col fatto messo in rilievo Da dai chimici della Badische Anilin-u-Soda Fabrik (’) secondo cui la prepa- hi razione del cloruro di solforile si effettua istantaneamente e con rendimento Dl teorico allorchè, in vaso chiuso, raffreddando convenientemente, sul liquido hi o canfora-anidride solforosa si fa pervenire una quantità calcolata di cloro liquido lo invece che gasoso, vale a dire si effettua la reazione in condizioni nelle quali 14 i composti SO?-canfora da noi trovati hanno la massima facilità di forma- 15h zione e quindi di reazione. | (‘) D. R. P. 138581 (1901) — C. B. 1903, I, 304. gg — Chimica. — Sulla riduzione delle aldeidi ad a-glicoli ('). Nota di R. Crusa e A. MILANI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. La formazione di «-glicoli bisecondarî per riduzione delle aldeidi cor- risponde alla riduzione pinaconica dei chetoni 2 R.C0 + H.=R,C(0H)- C(0H)R, 2 R.CHO+ H,= RCHOH—CHOH.R. Mourean (*) per riduzione dell'aldeide acetica con amalgama di magnesio, e Fossek e Swoboda (*) per azione della potassa alcoolica su altre aldeidi della serie grassa, ottennero i corrispondenti a-glicoli. Tischtschenko e Grigorjew (‘) ripetendo le esperienze di Monreau, e Lieben e allievi (®) quelle di Fossek, ottennero invece i corrispondenti 6-glicoli (insieme con altri composti derivanti da questi f#-glicoli). Tali #-gli- coli prendono origine, secondo i detti autori, per riduzione dell’aldolo che sì forma nella prima fase della reazione a) 2 CH:CHO = CH; CHOH . CH, . CHO H, b) CH:. CHOH.CH;.CHO —> CH;. CHOH.CH,.CH,0H. Nel trattato di chimica organica Meyer-Jacobson (°), riferendosi alle ricerche di Kling e Roy (7), si dà, come metodo di preparazione dei £-glicoli, la riduzione delle aldeidi con amalgama di magnesio, in soluzione benzolica. Ma che sia possibile anche per le aldeidi la riduzione pinaconica, lo dimostra ìl fatto che l’aldeide benzoica (5) ed anisica (°), per riduzione, for- niscono, oltre ai corrispondenti alcooli primarî, rispettivamente l’idro- e l’isoidrobenzoino, e l’idro- e isoidroanisoino; anche l'acido gliossilico, per riduzione, dà il corrispondente a-glicole bisecondario: l'acido racemico (1°). . Avendo avuto bisogno di preparare per alcune ricerche, il glicole 2,8-butilenico, abbiamo voluto vedere se, per riduzione con amalgama di .!) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Chimica generale della R. Università di Bologna. (2) Compt. rend., 124, 472; Centralbl., 1902, II. (*) Monatshefte, 4, 664; 77, 389. (4). Centralbl., 1906. II, 1555; 1556. (5) Monatshefte, XVIII, 68. 6) Lehrwbuch d. orsanischen Chemie, I, 663. (7) Bull, I (1907), 696. (8) Ann., 257, 86. (9) Zinin, Ann., 423, 125; Fittie e Ammann, Ann. 768, 67. (1°) Genuresse, Bull. (3), 7, 226. RenpIconTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. 91 i — >, )| oe i ao - etti e -—ze‘eeéìaitt |» <—£ =—i0me @ sensate. mecca Le - —_—_ _ Tara ac. a '-_———” ————_—__— = /-0: è; cu uo cè dea coeaià «@a@ |‘ ei Men . II x SE, = a RIN È "MUTI ) la il} — 652 — magnesio dell’aldeide acetica, fosse possibile ottenere 1’ @-glicole, che Mou- reau aveva già ottenuto e che invece non avevano ottenuto i successivi sperimentatori. Nelle condizioni d'esperienza che saranno descritte più avanti, noi abbiamo potuto ottenere il glicole cercato, con un rendimento che non ha mai superato il 4°/,: ciò spiega assai facilmente l’ insuccesso di Tischt- schenko. L'a-glicole butilenico simmetrico fu riconosciuto al suo punto di ebulli- zione, ed alpunto di fusione dei suoi due fenil-uretani (*). Inoltre, perossidazione con acqua di bromo alla luce; diede il diacetile (2), riconosciuto dal colore, dal punto di fusione della sua diossima, e dalla proprietà di quest’ ultima di dare, coi sali di nichel, la caratteristica nichel-diossimina rosso-scarlatta. Come ha dimostrato Tschugaeff, sono le gliossime che sono capaci di dare le diossimine (5). i Il glicole 3, 4-exilenico si può ottenere allo stesso modo per riduzione dell'aldeide propionica: è un liquido denso, incolore, bollente a 233-234° e solubile in acqua in tutte le proporzioni. Per ossidazione con acqua di bromo, questo glicole ci ha fornito il dipropionile, riconosciuto al punto di fusione della sua diossima, ed alla proprietà di quest'ultima di fornire una nicheldiossimina rossa-scarlatta, ed una platodiossimina verde-scura. Anche in questo caso il rendimento in glicole 3, 4-exilenico è molto piccolo : 5-6 °/,- L’aldeide benzoica, per riduzione con amalgama di magnesio, ci ha dato. come era da aspettarsi, l’idro- e l’isoidrobenzoino (‘). Nella riduzione dell'aldeide acetica abbiamo inoltre osservato la forma- zione di notevoli quantità di alcool etilico, aldolo (?) e del glicole 2,4-buti- lenico (prodotto di riduzione dell’aldolo) bollente a 203-204°; quest’ultimo forma anzi il prodotto principale della reazione. () I glicoli in questione, R.CHOH.CHOH.R, contengono due atomi di carbonio asimmetrico : dei due fenil-nretani, quindi, uno sarà sdoppiabile, e l’altro no. E interessante notare come, per riduzione dell’acido gliossilico, Genuresse abbia ottenuto solamente l’acido racemico. Vedi Nota precedente. (?) Il bromo in soluzione acquosa, alla luce, ossida il gruppo >CHOH a carbonile; l’acido lattico, tartarico, mandelico, la glicerina, mannite e glucosio vengono ossidati ri- spettivamente ad acido piruvio, formilgliossilico, fenilgliossilico, gliceroso, mannoso e glu- cosone; l’acido citrico fornisce pentabromoacetone. Si tratta di una vera reazione foto- chimica, sulla quale verrà riferito quanto prima. (*) Tschugaeff, Z. f. an. Chem., 46, 144; Berichte, 38, 2520. (4) Recentemente, J. Bòescken e G. H. van Senden, perriduzione dell’enantolo ottennero insieme con alcool eptilico corrispondente, il glicole (C:H,;CHOH),, che assai facilmente è un a-glicole. Recueil d. travaua chimiques, di I. P. B., XXXIT, 26. (5) Siccome a 120° l’aldolo, per disidratazione dà aldeide crotonica, così, per distil- lazione a pressione ordinaria del prodotto di riduzione dell’aldeide acetica, si ottengono grandi quantità di aldeide crotonica. Corrispondentemente, per l’aldeide propionica si ot- tiene l’etil- metilacroleina. — a I prodotti corrispondenti si hanno {anche nella riduzione dell’ aldeide propionica. Il glicole CHz.CH,.CH(0H).CH(CH).CH,OH, che sì forma per riduzione dell’aldolo, passa a 214° (*), ed il glicole cercato distillò, come si è detto, 20° più sopra (*). Anche in questo caso il prodotto principale della reazlone è il #-glicole bollente a 214°. La ragione di tutto ciò è chiara. Le aldeidi, per azione dell’amalgama di magnesio, possono reagire principalmentre in tre modi diversi: 4) ridu- zione ad alcool primario; 2) riduzione ad @-glicole bisecondario (riduzione pinaconica); c) condensazione ad aldolo (quelle che lo possono fare), e ridu- zione successiva dell'aldolo a #-glicole (*): a) CH, CHO + H, = CH, CH, OH 6) 2 CH; CHO + H, = CH; CHOH. CHOH. CH, c) 2CH; CHO + H,= CH;.CHOH.CH,.CH,0H. Queste reazioni procedono con velocità differenti, ed il rapporto fra le quantità di alcool primario, @-glicole e #-glicole dipende appunto dal rap- porto di tali velocità. Siccome le aldeidi della serie grassa si condensano ad aldolo con la.massima facilità, sia in ambiente acido, sia in ambiente alcalino, così sarà l'aldolo che si formerà in maggior quantità; quindi anche .il rispettivo prodotto di riduzione, il #-glicole, formerà il prodotto principale della reazione. Come conclusione ci pare si possa affermare, però, che tanto le aldeidi quanto i chetoni, per riduzione, possono dare origine ad ortoglicoli; soltanto che, per le aldeidi, il rendimento è sempre assai piccolo. a) Aldeide acetica. — Alla soluzione di gr. 100 di aldeide acetica in 200 gr. di etere ordinario sì aggiungono. raffreddando fortemente con ghiaccio, a piccole porzioni per volta, 250 gr. di amalgama di magnesio al 2 °/,. L'operazione dura tre giorni. Si acidifica quindi leggermente con acido sol- forico diluito; ed il liquido etereo, dopo lavato prima con bisofilto, poi con soluzione concentrata di carbonato potassico, e seccato con solfato sodico, si distilla a bagno-maria. Il liquido denso, giallognolo, che rimane, si sotto- pone alla distillazione frazionata. Si raccolse con cura la porzione bollente a 180-190° che conteneva il liquido cercato. (') Monatshefte, /9, 157. (*) Haworth e Perkin (Soc., 65, 598) descrivono il glicole 1,6-exilenico come un liquido oleso, bollente a 235-2400, (*) Non bisogna dimenticare che la reazione tra le aldeidi e l’amalgama di magnesio è certamente una delle più complicate della chimica organica, per il numero di prodotti che ne derivano. Noi qui ci limitiamo solamente a considerare i prodotti più importanti. ‘Vedi Tischtschenko, Centralbl., 1906, /7, 1350, per ciò che si riferisce ai prodotti di con- densazione delle aldeidi. ecm a —-c e ;:(:(x;}—-©M0t rr *—'—'_rr:c«_—- e @a sea \/ Le = «E spesse» —_—__mn "rece — _aîi En Aa a » EE” e 5 < -£ «© ——_ n_as° a i — 684 — Ripetendo la distillazione, sì riuscì ad ottenere 4 gr. circa di un liquido incolore, bollente a 184-186°, che era il glicole 2,4-butilenico puro. Per identificarlo, una parte venne ossidata con bromo, esponendo alla luce diretta del sole una soluzione acquosa di dimetilglicole (1 mol.) e acqua di bromo (2 mol.). Dopo un giorno, il liquido, leggermente colorato in giallo, fu trattato prima con acido solforoso, poi saturato con cloruro sodico e quindi distillato. Colle prime goccie passa il diacetile. Per aggiunta di una soluzione di cloro- idrato d'idrossilamina neutralizzato con carbonato sodico, si separa la dime- Ni | tilgliossima fondente a 243°. La dimetilgliossima aggiunta alla soluzione bol- gl ill lente di acetato di nichel, dà la nichel-diossimina rosso-scarlatta. | Un'altra porzione venne trattata con isocianato di fenile. Per cristal- lizzazione frazionata dal benzolo, si hanno due prodotti fondenti rispettiva- mente a 200° e 175°, identici rispettivamente ai due fenil-uretani ottenuti dallo stesso glicole da G. Ciamician e P. Silber (1). b) Aldeide propionica. — A 50 gr. di aldeide propionica, diluiti in 100 gr. di etere, vennero aggiunti circa 200 gr. di amalgama di magnesio al 2°/,, durante tre giorni: bisogna raffreddare fortemente con ghiaccio. L'etere distillato dopo la reazione, e che conteneva una discreta quantità di aldeide inalterata, venne posto a reagire ulteriormente. La soluzione eterea, finita la reazione, trattata come per l’aldeide acetica, per evaporazione lascia indietro un olio denso, giallognolo, che fu sottoposto alla distillazione frazio- nata. Furono raccolte con cura le porzioni bollenti a temperature superiori RO a quelle del 8-glicole (p. eb. 214°), e precisamente le porzioni bollenti a lhi 224-228°, 228-230°, 230-234°, 234-240° e 240-250°. Ciascuna di queste lug porzioni venne ridistillata, in modo che si poterono avere dei liquidi bollenti È, a 225-226°, 228-229°, 233.234°, 240-241°. i Dall’ gal di questi liquidi si vede facilmente che il glicole cercato NI è dato dalla frazione bollente a 233-2549. . lt Calcolato per CsH,40, Trovato ig Coi 61,29 H 11,86 JASON Questo «-glicole si presenta sotto forma di un liquido incoloro, oleoso, solubile in acqua e nei solventi organici. Bolle, inalterato, a 233-2349. Con acqua di bromo (2 mol.), alla luce, si ossida a dipropionile. Dopo l'insolazione, infatti, il liquido fu trattato come per l’aldeide acetica. Per distillazione passa nelle prime porzioni una sostanza oleosa, gialla, insolubile in acqua: il dipropionile. Per aggiunta di una soluzione di cloridrato di idrossilamina, si separa una sostanza bianca cristallina, che, cristallizzata dalla benzina, fonde a 1839, (') Questi Rendiconti, vol. XX, 1%, pag. 716. — 685 — ‘ G. Ponzio, per la dietilgliossima, dà 185° ('). Che si tratti, infatti, di una a-diossima, lo dimostra il fatto che, aggiungendone un cristallino alla solu- zione bollente di acetato di nichel, si ha un precipitato rosso-scarlatto della nichel-diossimina corrispondente. Con cloro-platinito potassico sì ha una plato-diossimina verde-scura. c) Aldeide benzoica. — A 30 gr. di aldeide benzoica, sciolti in 200 cem. di etere, si aggiunsero a piccole porzioni per volta 200, gr. circa di amalgama di magnesio al 2 °/,, raffreddando esternamente con ghiaccio; dopo due giorni, sì decantò lo strato etereo, si evaporò l'etere a b. m. ed il liquido restante si distillò in corrente di vapore. Come residuo della distillazione rimase una massa gsommosa gialla che aveva perduto completamente l'odore della benzal- aldeide: questo residuo fu sciolto in etere, la soluzione eterea seccata con solfato sodico e l'etere distillato. Il residuo della distillazione si tenne nel vuoto per parecchi giorni: in seno alla massa si formò allora lentamente una sostanza cristallina. La parte sciropposa si asportò con benzolo contenente un pò di etere di petrolio, e la parte cristallina si purificò dal benzolo: Calcolato per C;5H5CHOH. CHOH. CH; Trovato C 78,50 78,31 H 6,54 6,50 Squamette splendenti fondenti a 138°: si tratta quindi dell’idrobenzoino. La parte resinosa venne distillata con vapor d'acqua; insistendo nella ebulli- zione, si è potuta estrarre una sostanza cristallina, solubile in acqua calda: fu purificata cristallizzandola dal benzolo. Calcolato per C:H;CHOH:CHOH.C;H; Trovato C 78,50 18,23 H 6,54 6,75 Aghetti incolori fondenti a 120-121°: si tratta quindi, dell'isoidroben- zoino (*). (*) Gazz., 1901, 12, 459. . (2) È interessante il notare come, recentemente, Henry Wren e Charles James Still, per azione dello ioduro di magnesio fenile sul gliossal, abbiano ottenuto solamente l'isoi- drobenzoino. (Journal of. t. Chem. Soc., [1913], 1770). I I | I | | | | | | | | | | / 10 ae. _ ANASIILI MINENRIFEC | nd Chimica. — .Su/ lapaconone. Nota IV di C. MANUELLI (1), pre- sentata dal Socio E. PATERNÒ. In tre precedenti comunicazioni (*?) venne descritta una nuova sostanza estratta dal legno di lapacio per distillazione in corrente di vapore, ed alla quale venne dato il nome di lapaconone. Il prodotto corrisponde alla formula CieHi60,, e di esso vennero descritti due polimeri ottenuti per azione degli acidi in condizioni diverse, un bicloro ed un monobromo derivato, ed un prodotto di ossidazione e bromurazione C,3 Hg Br0,, ottenuto per azione del bromo sul lapaconone sospeso in acqua. Con acido nitrico si ottenne acido ftalico. Continuando lo studio del lapaconone, ho tentato, con nuovi mezzi di ossidazione, di trasformare o di scindere la molecola per arrivare a prodotti che potessero portare nuovo contributo alla conoscenza della sua struttura. TRATTAMENTO CON ACIDO NITRICO. Il trattamento con acido nitrico diluito alla ebollizione ossida il lapa- conone ad acido ftalico, come venne descritto nella 1% comunicazione; per cercare di ottenere prodotti intermedî di ossidazione, ho tentato di variare le condizioni di esperienza. Con acido nitrico concentrato a freddo si forma un prodotto giallo, molto probabilmente un miscuglio di prodotti, contenente nitro-derivati e che male sì presta ad essere purificato. Con acido nitrico al 50°/,, a caldo, si formano varî prodotti, e princi- palmente acido ftalico ed acido ossalico; ma, oltre questi, il nitro-derivato di un prodotto di ossidazione, e due sostanze che si hanno con piccolissimo rendimento, e delle quali non potei fare uno studio completo. Grammi 5 di lapaconone ho fatti cadere rapidamente in 50 cc. di acido nitrico al 50 °/, e bollente. Si ha una reazione energica, con sviluppo di abbondanti vapori nitrosi; a reazione terminata, ho versato il prodotto in molta acqua fredda, per azione della quale si separano dei piccoli fiocchi di sostanza rossastra. La sostanza rossa ottenuta in 10 preparazioni ho raccolta sopra filtro, e, dopo seccata all'aria, cristallizzai dall’etere acetico, dal quale sì separa in minutissimi cristallini rossi brillanti che, dopo due cristallizza- zioni, fondono nettamente a 206°; il prodotto ottenuto è il 5°/ del lapa- conone adoperato. La soluzione dalla quale cristallizzò il prodotto rosso, per (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio chimico della Direzione generale della Sanità. (*) Rendiconti, serie 5*, vol. IV, pag. 250; vol. IX, pag. 102 e pag. 314. — 687 — evaporazione dell'etere acetico lascia un residuo oleoso che ho sciolto a caldo in benzolo; per raffreddamento della soluzione si separano pochi cristallini di prodotto rosso, e, precipitando con eteri di petrolio, si ottenne piccola quantità di una sostanza bianca che dopo tre cristallizzazioni dalla miscela di benzolo e di eteri del petrolio, si fondeva a 217°. Le acque madri contenenti l'acido nitrico, dalle quali si è separato il prodotto rosso, vennero concentrate a b. m., sino a che cominciarono a svi- lupparsi vapori nitrosi; per raffreddamento, si separarono dei cristalli bianchi di acido ftalico. In una prima cristallizzazione ne ottenni 9 grammi ; concen- trando nuovamente le acque madri, ne ottenni altri 2 grammi. Le ultime acque nitriche, ridotte a piccolissimo volume, più non cristallizzarono: ma, per aggiunta di acqua, intorbidarono, e con acetato di piombo si formò un ab- bondante precipitato di un sale che riconobbi essere ossalato di piombo. L'acido ftalico separato, e che era il 22 °/, del lapaconone adoperato, non si sciolse completamente nel carbonato sodico, ma rimasero, indisciolti, pochi decigrammi di un prodotto bianco, che, ricristallizzato da una miscela di benzolo e di eteri di petrolio, fondeva a 171°. Una analisi di detto prodotto ha portato alla composizione C 62,46, H 4,09; mentre per un com- posto della formula C;H,0, si calcola C 62,50, H 4,16. Prodotto rosso p. f. 206°. — Il prodotto è poco solubile nei solventi organici e pochissimo nel benzolo. Dall’etere acetico si separa in piccoli cristalli di colore rosso vermiglio, splendenti; riscaldato sopra lamina di platino o dentro tubo d'assaggio, esplode leggermente. TI. Sostanza gr. 0,1968 hanno dato H,0 gr. 0,0753 e CO; gr. 0,4281. II. Sostanza gr. 0,2152 hanno dato H,0 gr. 0,0935 e C 03 gr. 0,4683. TII. Sostanza gr. 0,2520 hanno dato cc. 9,4 di N a 23°,5 ed a 755 mm. Calcolato media per Cis His NOx H 4,25 4,83 — 4,54 4,29 C 59,32 59,38 — 59,36 59 40 N — _ 4,29 4,29 4,62 La presenza di un atomo di azoto, il modo di formazione, il compor- tamento col calore, la colorazione del prodotto rendono ovvio che si tratta di un nitro-derivato, corrispondente ad un prodotto di ossidazione del lapa- conone. Semicarbazone. — Gr. 0,5 del nitro-derivato descritto ho sciolti in circa 500 ce. di alcool a 98°. Alla soluzione bollente vennero aggiunti gr. 0,8 di cloridrato di semicarbazide sciolti in poca acqua, ed ho riscaldato per mezz'ora alla ebollizione in apparecchio a ricadere. Già a caldo si separarono dei cristalli aghiformi sottili, di colore giallo che andarono aumentando col ter, Ans 1" wWiEih=- Amaa./-snaaGGgggg,])]]:&2 A, XK: (fee: “= ‘© oocee ew. »_ SVI “— 688 — raffreddamento. Raccolto il prodotto e ricristallizzato dall'alcool, mantenne lo stesso aspetto e fondera a 260° decomponendosi; è poco solubile in alcool, acetone ed etere di petrolio; è un po’ più solubile in benzolo ed etere acetico. Sostanza gr. 0,254 hanno dato N cc. 33,4 a 14° ed a 769,2 mm. Trovato Calcolato per Ci6H160gN4 N° 15,47 15,55 Il prodotto è quindi il mono-semi-carbazone del nitro-derivato, ed ha la formula C,;H1303 NO; (N.NH.CO.NH)). Azione dell'anidride acetica. — Ho riscaldato alla ebollizione in appa- recchio a ricadere, per 1 ora, gr. 0,5 di nitroderivato con un piccolo eccesso di anidride acetica; la sostanza si sciolse, ed il calore rosso della soluzione andava mano mano diventando giallo e poi giallo-bruno. Dopo raffreddamento, trattando con soluzione di carbonato sodico si separò una sostanza cristallina gialla, la quale cristallizzò, dall'alcool diluito, in squamette che fondevano a bios Sostanza gr. 0,1814 hanno dato H,0 gr. 0,0629 e CO, gr. 0,4179. Trovato Calcolato per C7HigNOs H 4,34 3,97 C 62,66 62,38: Per un biacetil- derivato si calcola °/ H 4,39 e C 56,335 per un monoacetil-derivato si calcola H 4,34 e C 59,12. L'azione dell'anidride ace- tica non è stata solo quella di acetilare, ma probabilmente è stata pure disidratante; e la composizione del prodotto è quella di un monoacetilderivato meno una molecola di acqua (C,; H;x0, NO, CO.CH:)H:0, per il quale si calcola H 3,97 e C.62,33. Ossidazione del lapaconone con anidride cromica. — Gr. 2 di lapa- conone vennero sciolti in acido acetico glaciale: alla soluzione bollente venne aggiunta. a piccole porzioni, la soluzione di 4 gr. di anidride cromica in 80 grammi di acido acetico, mantenendo il liquido ad ebollizione. Terminata l'ossidazione, ho aggiunto acqua e scacciato tutto l’acido acetico; trattai con etere, dal quale per evaporazione si separò acido ftalico, che riconobbi al punto di fusione, alla trasformazione in anidride. Ossidazione del lapaconone con bicromato sodico. — L' ossidazione del lapaconone con bicromato sodico procede diversamente, a seconda che si opera a caldo od a freddo. Aggiungendo la soluzione acquosa di bieromato sodico alla soluzione acetica calda di lapaconone, e riscaldando a bagnomaria, si na una reazione energica, accompagnata da forte sviluppo di anidride — 689 — carbonica; prodotto della reazione è l'acido ftalico accompagnato da picco- lissime quantità di una sostanza gialla che si separa trattando con acqua la soluzione acetica. Operai nel modo seguente: Grammi 5 di lapaconone ho sciolti in 75 ce. di acido acetico glaciale; al liquido ho aggiunto la soluzione di 15 gr. di bicromato sodico in 80 gr. di acqua. Si ebbe un forte riscaldamento, ed un abbondante sviluppo di anidride carbonica che continuò riscaldando a bagnomaria. Trattando con acqua, si separarono pochi fiocchetti di sostanza gialla, solubilissima in tutti i solventi organici, eccetto che negli eteri del petrolio. La soluzione acetica per evaporazione nel vuoto, lasciò un residuo, dal quale, con etere, separai l'acido ftalico. Se, anzichè a caldo, si opera alla temperatura ambiente e si procura di evitare ogni riscaldamento, raffreddando con acqua, la reazione è meno viva e si ottengono prodotti diversi. Ho aggiunto alla soluzione acetica di lapaconone (5 gr. in 75 cc.) la soluzione acquosa di bicromato sodico (15 gr. in 30 ce. di acqua). Si forma- rono dei fiocchetti gialli, e si separò una sostanza spugnosa bianca, che talora si raggrumava in una unica pallottola; filtrando traverso lana di vetro, se- parai la sostanza solida dalla soluzione. La sostanza spugnosa bianca, pol- verizzata grossolanamente, si purificò dal prodotto giallo che la inquinava, lavandola con alcool. Trattando con acqua il liquido acetico rosso-bruno, si ottenne una so- stanza gialla leggera che separai per filtrazione dalla soluzione, dalla quale, dopo evaporazione, trattando con etere, asportai acido ftalico. La soluzione bianca, lavata con alcool, fondeva verso 210°, e cristal- lizzò dall’etere acetico in piccoli prismetti bianchi splendenti, che, dopo poche cristallizzazioni, fondevano a 258°. Nel benzolo, a caldo, è più solubile che non nell’etere acetico, e per raffreddamento si depone in croste formate da piccoli cristalli bianchi prismatici che hanno tendenza a riunirsi a V, fondenti a 257°-258°. Nel carbonato sodico il prodotto si scioglie a caldo, ma per raf- freddamento si separa inalterato. Per azione dell’acqua bollente non si altera. I. Sostanza gr 0,3096 hanno dato HO gr. 0,1862 e CO, gr. 0,8834. II. Sostanza gr. 0,3470 hanno dato H,0 gr. 0,2022 e CO, gr. 0,9894. Trovato Calcolato per (C13H130)2 II H 6,68 6,47 6,41 Cc 77,81 CUT TUTI Il peso molecolare venne determinato col metodo crioscopico, adoperando come solvente il bromoformio. Concentrazione della soluzione . . . RO 5 AND ASSATNCNVO RAR e 003595 P'esoMOTCCOlAle e ee 4.71 RenpiconTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 92 ! I} La, — Mu _ 0 _____ ________@09 — 690 — Il peso molecolare calcolato per la formula (C13H1302)» è 402. Azione dell'anidride acetica sul prodotto di ossidastone. — Gr. 2 di prodotto, fondente a 258°, ho trattato con anidride acetica in eccesso, riscal- dando alla ebollizione in apparecchio a ricadere per 2 ore. Dopo ratfredda- mento, ho decomposto con acqua l'eccesso di anidride acetica; il prodotto che si separa cristallizza dall'etere acetico in cristallini splendenti, simili alla sostanza primitiva, ma che fondono a 225°-226°. Sostanza gr. 0,3478 hanno dato H.0 gr. 0,2010 e CO, gr. 0,9497. Trovato Calcolato per (C13H130,C0CHs): H 6,33 6,19 C 74,43 74,07 per [Ci3H10:(C0 CH3)]: si calcola H 5,96 e C 71,597; operando con ani- dride acetica in tubo chiuso a 160°, e con cloruro di acetile a ricadere, non arrivai ad avere prodotto più acetilato. Trattamento con acido nitrico diluito del prodotto di ossidazione. — Gr. 2 del prodotto fondente a 258° ho trattato a ricadere con 150 cc. di acido nitrico al 20 °/,; la reazione ho eseguita aggiungendo mano mano la sostanza all’acido bollente ed aggiungendone una nuova porzione quando la precedente era completamente sciolta. Evaporato l'acido, rimane un residuo di acido ftalico inquinato con poca sostanza gialla. Il prodotto giallo, che si forma pure nella ossidazione con acido cro- mico, è solubilissimo in tutti gli ordinarî solventi organici, eccetto che negli eteri di petrolio. Si tratta forse di un miscuglio che non si presta ad essere purificato. Nè mi diede buoni risultati la purificazione dei prodotti che si ottengono con anidride acetica e con fenil-idrazina. In una prossima comunicazione riferirò sui risultati della ossidazione del lapaconone con permanganato potassico. La ossidazione del lapaconone con acido nitrico porta, nelle condizioni descritte, alla formazione di acido ossalico, di acido ftalico e del nitro-de- rivato C,:H130,.N0:. L'acido ossalico potendosi ottenere pure per ossida- zione dell'acido ftalico, non porta alcun contributo alla conoscenza della struttura del lapaconone. L'acido ftalico già venne ottenuto per ossidazione con acido nitrico diluito; però, in quel caso, si ebbe un rendimento del 10°/, mentre nelle nuove condizioni di esperienza sono arrivato al 22 °/. La formazione di acido ftalico porta ad ammettere che nel lapaconone sia contenuto il gruppo: | | . La facilità poi con la quale l’acido ftalico sì forma per ossidazione del lapaconone, e gli elevati rendimenti che si hanno, trovano riscontro nella ossidazione dei derivati della naftalina. Il nitro de- — 691 — rivato C,;H,30,.N0, è un nitro-diossi-chinone è corrisponde al composto C.sH,s Br0, ottenuto per azione del bromo sul lapaconone sospeso in acqua. Entrambi si possono ritenere derivati dal diossichinone C,3 H,40,: il primo per nitrazione, il secondo per addizione di acido bromidrico. Una tale ipotesi venne avvalorata nella precedente comunicazione dal fatto che il bromode- rivato più non assorbe iodio, come il lapaconone, e non deve quindi, come questo avere il doppio legame. La ossidazione con acido cromico porta alla formazione di acido ftalico, e con bicromato sodico si ottiene acido ftalico a caldo, ed il prodotto (0,3 H,30:)s a freddo, nel quale almeno due atomi di ossigeno sono sotto forma di anidride. Il nuovo prodotto, polimero di un composto a 13 atomi di carbonio, tenendo conto della facilità di polimerizzarsi del lapaconone, in relazione al doppio legame, lascia supporre che l’ossidazione sia avvenuta in corrispon- denza di detto doppio legame. Chimica fisica. — Su l’andice di rifrazione dei miscugli binari. (Feplica al sig. Schwers). Nota di ARRIGO MAZZUCCHELLI, presen- tata dal Socio E. PATERNÒ. Alcuni mesi fa, il sig. Schwers ha pubblicato in questi Rendiconti (*) due Note su questo argomento, nelle quali, dopo aver risposto ad alcune mie critiche precedenti, dichiara di non voler più tornare sulla questione. Tale deliberazione corrisponde anche al mio modo di pensare, poichè non trovo nè piacevole nè utile il continuare ulteriormente in una discussione nella quale (e sarà magari anche per colpa mia) le divergenze, invece di schiarirsi, pare che si vadano accumulando. Anche in quelle due ultime Note del mio egregio contradittore, difatti, sì trovano giudizî e affermazioni su cui io non posso trovarmi d'accordo con lui. Nella presente Nota mi limiterò perciò a rettificarli, senza più discutere dell'argomento principale, sul quale, da una parte e dall'altra, si sono ormai portati argomenti sufficienti a porre in chiaro i rispettivi punti di vista. Non mi occuperò quindi delle considerazioni esposte nelle prime pagine dal sig. Schwers (pp. 447-449, loc. cit.) e che contengono nuovi schiarimenti sul suo modo di calcolare l'indice teorico; mi occuperò piuttosto dell’attri- buzione a me fatta di una formula che l'A. chiama «assai complicata » (pag. 450). Invero non avrei difficoltà ad assumerne la responsabilità in man- canza di altri; ma il fatto è che essa fu già usata dal Pulfrich, e si ricava assai semplicemente sommando fra loro le due formule a pag. 753, linea 12, (*) Rend. Acc. Lincei, 22, / (1913), pp. 447-452 e 513-547. “i è a, °° da _s è. ax SM -——c,@ ee © nn n n n 5R RR o N ssa }ib Eae.éguwuo «agri 45Z51VI 6A, rsa, =" ti — 692 — della mia prima Nota (!), di cui quella a destra fu stabilita da Landolt, e quella a sinistra rappresenta un modo di calcolare la densità teorica su cui, per fortuna, siamo pienamente d'accordo. Il sig. Schwers dice, poi, che l’ indice teorico ricavato con quella formula, e cioè, coi suoi simboli, | n (fera LP ì) (te « sì riferisce » (cito testualmente dalle prime e dalle ultime linee di pag. 451) «ad una soluzione a na °/, (sostanza 1) + °/, (sostanza 2)». E la 1 2 stessa asserzione, a prova che non si tratta di uno sbaglio di stampa, è confermata nella seconda Nota, pag. 515: «... la formula di Mazzucchelli 2 5 folao 0 5 n 9109 per n, è, come ho dimostrato, l'indice teorico espresso in da _ OE - ODE 1 2 Lasciamo andare la novità di attribuire in un miscuglio binario, ai due compo- nenti, percentuali che, sommate insieme, non fanno 100: se infatti p,tp2=100, come ammette Schwers che scrive a pag. 541, 1° linea, p,°/ 4-P2%o0, è impossibile che sia, meno che per un caso, a 100. Si può in DI 2 ogni caso osservare che la dimostrazione del sig. Schwers prova anche troppo: È Hr |: Di W Da n è verissimo, infatti, che, ponendo 1! — p, , 22%? di da quelle due espressioni come pesi (non come percentuali!), si ha un indice teorico calcolato secondo la formula originale di Schwers; ma è anche vero — P,, cioè considerando che se si pone invece D — P,, o P., sì ha un indice teorico secondo Ca 2 la formula da me attribuitagli — e cioè 7, (pi. + pe) = #1 ?1 + #2 Pa — senza che vi sia nessun criterio intrinseco per potere asserire che l'una trasforma- zione è preferibile all’altra. Questo mi sembra dimostrare l’arbitrarietà e il pericolo di simili derivazioni, e che perciò assai è preferibile il limitarsi a intendere quella formula per ciò che effettivamente è, e cioè un modo di calcolare, secondo la formula di Landolt Gladstone, l'indice teorico di un miscuglio binario senza variazione di volume, coi pesi pi e ps. Il resto della prima Nota Schwers è occupato da considerazioni (nelle quali, al solito, non voglio entrare) che completano quelle sul principio della Nota stessa. Nel principio poi della seconda Nota, a proposito delle nostre passate discussioni sì dice testualmente (pag. 514): « nella formula: Vivi soia lr a Vv n (1) Rend. Ace. Lincei, 20, / (1911). — 693 — si esprimono i cambiamenti di densità (o di volume) in percentuali della densità (o del volume) prima della compressione (i -3, ossia 1%), 0 l i cambiamenti di indice in percentuali dell'indice dopo compressione (= 1 ), 7 ; srt n : invece di farlo anche qui prima della compressione (i i) ». Lasciando, 1 anche qui, andare la questione che quelle che il sig. Schwers chiama per- centuali sono, in realtà, grandezze cento volte minori (più esatto sarebbe stato il dire « frazioni »), fra le varie espressioni che l'A. considera come equi- valenti esiste invece una contradizione insanabile, dovuta al fatto che l'A. tratta alla stessa stregua (dopo tutte le mie avvertenze!) due grandezze, come la densità e il volume, che sono invece inversamente proporzionali tra loro. È infatti perfettameute vero, se noi attribuiamo, con Schwers, 4,7 al liquido normale, d,, 7, al liquido compresso, che lia è il cambiamento del volume in frazione del volume prima della compressione; ma, purtroppo, Mel non è il cambiamento della densità in frazione della densità prima 1 della compressione, bensì in frazione della densità dopo la compressione, poichè (e non dovrebbe esser necessario di ricordarlo!) convertendo in frazione decimale o in percentuale una espressione frazionaria qualsiasi, la unità, o il valore cento, è espressa dalla grandezza che si trova al denominatore (nel nostro caso, rispettivamente v e d,). Evidentemente il sig. Schwers è stato : 0) d SAR: mantenuto nel suo pertinace errore dal fatto che += , e quindi i cam- V 1 biamenti hanno lo stesso valore numerico sia che, colle sue formule, ci si rife- risca al volume, sia che ci si riferisca alla densità. Disgraziatamente, questa concordanza, che a lui deve esser parsa di buon augurio, è proprio quella che dimostra che il calcolo è sbagliato, poichè, se si riferiscono correttamente le variazioni delle due grandezze sempre al valore che ognuna di esse ha nel liquido non compresso, si devono avere invece valori differenti. Il sig. Schwers se ne persuaderà con questo esempio numerico (chiedo, anch'io, scusa al lettore se debbo tediarlo con dimostrazioni così elementari): Supponiamo che un liquido, di densità 1, si riduca, per compressione, all’80 °/, del suo volume: la densità 10 4 diventa allora = 125, e la variazione del volume in frazione del 100 — 80 primitivo è [on 0,20, mentre la variazione della densità in frazione 1,25 —1 Il proprio le ultime spiegazioni del sig. Schwers mi obbligano a ripetere la affermazione, che egli ha fatto, e sèguita a fare, una confusione fra il volume della primitiva è =0,25. Così, nonostante la mia miglior volontà, que — sa Feed: sr C$:_,è at - è > -.- w___ th _ _r—_ em mi tua 2 PE __ . dla ——_—— —_— —tdaea° 5 - è —raice. è _: _ciii\ur ee: e _,;° i (97 da - — e i ur — 694 — e la densità. E notiamo pure, sebbene ciò abbia importanza solo per il sig. Schwers, che le sue denominazioni « va — 1, cambiamento dell'indice in percentuale dell'indice dopo compressione e io prima della compres- 1 sione», sono errate tutte e due, e occorrerebbe invertirne i nomi. Stando così le cose, sarebbe proprio inutile il continuare la discussione su questo argomento. A pag. 515, linea 5, il sig. Schwers dice che la formula D_D _N-N DONI] non è una trasformazione della cosiddetta formula di Schrauf, ma « qualcosa di molto differente, e cioè una combinazione fra la formula di Schwers e quella di Mazzucchelli » (ossia quella che risale a Pulfrich, o addirittura a Landolt, come sopra ho mostrato). In realtà, secondo quanto risulta dalle particolareg- giate indicazioni da me date (?), quella formula si ottiene da una serie di trasformazioni fra due formule che « definiscono » i simboli No e Do, e la formula di Schrauf: e quindi la relazione che così si ottiene non è niente più che una espressione delle regolarità affermate da chi per primo enunciò la formula detta di Schrauf, essendo evidente, a chiunque ha un po’ di pratica di formule fisiche, che le formule dove si introduce un simbolo convenzionale hanno il semplice valore logico di detinizioni, le quali nulla di nuovo aggiun- gono, e che significato di legge fisica, di « cosa nuova », spetta solo a quelle, come la formula di Gladstone-Landolt, che stabiliscono una relazione fra sole grandezze sperimentali (indici, densità e pesì dei liquidi puri e del miscu- glio). Solo scopo, chiaramente enunciato a suo tempo, di quelle mie trasfor- mazioni, era di dare alla formula detta di Schrauf una forma più adatta pei calcoli successivi; ma il sig. Schwers, seguitando a discuterla, esce nel- l'affermazione seguente (pag. 515, linee 15-19): « trasformando nella formula per No i valori N, N e N3 nei valori N —1, N—1, N. 1, siottiene effettivamente il membro di destra uguale a quello della formula di Schrauf»: e cioè, se è Soy +p)= N24 la formula di Schrauf, si ottiene Pi 2 PES Pa i — 1) 4 = ile Clo »(b, 1) Sven (1) Rend. Ace. Lincei, 21, 2 (1912), pp. 706-707. — 695 — «ma sarebbe puerile di porre ora l'uguaglianza fra i due membri di sinistra », e cioè scrivere SOL (p+p) = —1)(0+ e). Se per puerile si intende applicare un principio che si insegna ai bam- bini delle elementari, e secondo cui due grandezze che sono uguali a una terza sono uguali tra loro, l'aggettivo del sig. Schwers è appropriato; ma più di uno, credo io, sarebbe curioso di sapere quale è il nuovo principio da sostituire al vecchio. Scherzi a parte, se il sig. Schwers voleva combattere la formula trasformata, doveva dimostrare che non poteva farsi qualcuno dei passaggi da me accennati, e non già, a trasformazioni fatte, venir fuori con delle ragioni che fanno sorridere. In fine della stessa pagina, ultimo capoverso, il sig. Schwers «si do- manda invano quale è la intenzione del Mazzucchelli quando ricerca che cosa divengano le mie formule se la quantità di una delle sostanze diviene piccolissima ». Non invano, perchè, anche senza riaprire la discussione passata, ormai chiusa, io posso indicargli a pag. 754 della mia prima Nota, ultimo capoverso (!), «il caso limite in cui la seconda sostanza abbia peso nullo e volume diverso da zero, in cui si consideri cioè la variazione di volume di una sostanza unica», con gli schiarimenti successivi a pag. 704 della mia seconda Nota (*). Di essa, nella ultima Nota sua, il sig. Schwers discute il punto di vista matematico (pag. 516, cima), ammettendo il mio consiglio di sostituire a p, una grandezza piccolissima e, eseguire gli sviluppi opportuni e poi eliminare i termini che hanno per fattore «; egli dimentica però una parte, piccola ma essenziale, del consiglio stesso, e cioè « di porre ds È ”, 2 e, naturalmente, finisce così per attribuirmi delle conclusioni di patente assur- dità. Ma seguiamo invece esattamente quel mio consiglio, e, invece di d. _DTP 5 Mori D) Due» da de scriviamo d, — pare : Id i di i de poi poniamo d, = Di , ottenendo 2 . Li +e to (1) Rend. Ace. Lincei, 20, 7 (1911). (2) Rend. Acc. Lincei, 21, 2 (1912). è a, f&-._/..,t5-. Age e '_c—_ bu 6 Gap. — 696 — scriviamo poi, colla solita sostituzione di s a pa, fi oro ASA, No n Na ed eliminiamo infine tutto quel che ha per fattore 8: avremo così, rispetti- vamente, pe TA e n=, conforme a quanto era detto altrove; «x è rimasto lo stesso, mentre d è variato ». In altre parole, il sig. Schwers non si è accorto che io, nonchè abbandonare la idea di una sostanza di peso nullo e di volume diverso da zero, avevo anzi dato ad essa precisa forma matematica, facendo tendere « a zero, e non facendo nessuna ammissione speciale rispetto a quel v» da me intro- dotto, che in tal modo viene senz'altro a significare semplicemente una gran- dezza diversa da zero. Forse avrei potuto rendere la cosa anche più evidente ripetendo lì, una volta di più, quel che già era detto abbastanza chiaramente i DR i EA: È poche righe sopra, che cioè, nella espressione ds = il v, era e rimaneva 2 diverso da zero; ma, in ogni caso, ciò avrebbe potuto giovare ad altri lettori, non già al sig. Schwers, a cui era sfuggita la necessaria sostituzione. Si vede, così, che le mie formule sono giuste, sebbene la loro modestia non salva- guardi da errori chi le vuol criticare senza sufficiente ponderatezza. Con questo ritengo, anch'io, chiusa la discussione. Potrei forse tornare sull'argomento in generale, discutendo le ragioni per le quali formule così diverse come quella di Gladstone-Landolt, di Lorentz, di Pulfrich, di Schroder, e l’ultima di Schwers, conducono in ogni caso a regolarità di natura semplice. Io ritengo che si tratti di cause puramente numeriche, dipendenti dal fatto, già rilevato in proposito dall’Ostwald ('), che gli indici di rifrazione oscil- lano in ogni caso fra limiti numerici ristretti; ma per dimostrarlo, sarebbero necessarie lunghe serie di calcoli numerici, per effettuare i quali, -momen- taneamente, non ho tempo disponibile. (®) Allgem. Chemie, 2te Auf, I, 453. — 697 — Chimica. — Sulle proprietà dell’iodio come solvente crio- scopico (*). Nota I di F. OLIVARI, presentata dal Socio G. CIA MICIAN. 1. Durante le mie prime ricerche intorno al peso molecolare del se- lenio (*), e agli equilibrî di solubilità dello zolfo (*) e degli ioduri ammonici quaternarî nello iodio fuso (4), ebbi più volte occasione di notare l’esteso potere solvente di questo ‘alogeno rispetto a molti composti organici e ad alcuni sali (ioduri), sostanze di cui poteva riuscire non privo di interesse lo studiare per via crioscopica la grandezza molecolare. Infatti, un’opportuna indagine osmotica, mentre avrebbe agevolmente permesso di riconoscere se lo iodio possiede potere anomalizzante verso i composti organici ossidrilati, come Beckmann dimostrò per il bromo, avrebbe fornito altri criterî per giudicare della sua azione dissociante verso gli elettroliti, p. es. verso il KJ, il quale nelle soluzioni iodiche presenta una conducibilità elettrica specifica, paragonabile a quella delle migliori soluzioni acquose (?). Inoltre, la forte tendenza dello iodio a formare composti molecolari con un gran numero di sostanze, quali i poliioduri (°) e quei complessi di costi- tuzione ormai ben precisata (7) che si suppongono esistere nelle sue soluzioni rosso-brune, consigliava di meglio determinare il comportamento di questo mezzo solvente come contributo alle nuove idee sul fenomeno di soluzione e di dissociazione elettrolitica. Quando con tali direttive intrapresi lo studio crioscopico dello iodio, nella letteratura non esisteva che un breve lavoro di Timmermans (8) sullo stesso argomento, nè risultava che altri se ne stesse occupando. Soltanto in un campo prossimo al mio erano comparse le belle ed estese ricerche criosco- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Parma, diretto dal prof. G. Plancher. (2) Rend. Ace. Lincei, vol. XVII, 2° sem., serie 5%, pag. 389 (1908). (8) Rend. Acc. Lincei, vol. XVII, 2° sem., serie 5%, pag. 512 (1908). (4) Rend. Acc. Lincei, vol. XVII, 2° sem., serie 5%, pag. 717 (1908). (5) Z. phys. Chem., 56, pag. 179 (1906). ‘(6) Vedi la bibliografia nelle mie due Note sui poliioduri, Rend. Ace. dei Lincei, vol. XVII, 2° sem., pagg. 584 e 717 (1908). (?) Beckmann, Z. phys. Chem. 2, pagg. 638 e 715; 4, pag. 582; 5, pag. 79; 17, pag. 107; 58, pag. 544. Lachmann, Journ. Am. Chem. Soc., 25, pag. 50. Hantzsch e Vagt, Z. phys. Chem., 38, pag. 705. Strimholm, Z. phys. Chem., 44, pag. 721. Hildebrand e Glascock, Journ. Am. Chem. Soc., 31, pag. 26. Beckmann, Lieb. Annalen, 367, pag. 271. Waeting, Z. phys. Chem., 68, pag. 515. {8) Journ; Chem. phys., 4, pag. 170 (1906). RenpICcONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 98 — 6983 — piche ed ebullioscopiche di Beckmann sul cloro (1) e sul bromo (?), nelle quali però l'eminente chimico tedesco non avanzava alcuna riserva relativa allo iodio. Tuttavia. per evitare eventuali collisioni, il prof. Plancher, direttore di questo Istituto, credette opportuno di avvertire il prof. Beckmann che io studiavo lo iodio come solvente; per comnne accordo venne stabilito di pro- cedere in modo parallelo (febbraio 1909). i Nella presente Nota completo e riferisco per esteso i dati crioscopici, in parte e in forma preliminare già comunicati a questa R. Accademia nelle sedute del 7 novembre 1909 e del 17 aprile 1910 (3). I risultati che sullo stesso argomento Beckmann pubblicò sulla « Zeitschrift fir anorganische Chemie » nel marzo 1909 e nel giugno 1912 (4), saranno richiamati volta per volta in confronto coi miei. 2. Volendo riconoscere in via preliminare l'attitudine di una sostanza a servire come solvente crioscopico, «è utile di determinarne due costanti ca- ratteristiche: la velocità lineare di cristallizzazione (K.G) e il numero di germi cristallini o centri di cristallizzazione spontanea (K .Z) a temperature prossime al punto di fusione. Perchè un solvente si presti a misure crio- scopiche esatte, occorre invero che la soprafusione possa essere interrotta ogni qualvolta lo sperimentatore lo ritenga opportuno, e che la conseguente cristallizzazione produca in pochi istanti il calore necessario perchè il ter- mometro risalga rapidamente al punto di congelamento. Ora Bruni e Padoa (5) hanno rilevato lo stretto nesso esistente fra le due costanti predette e la grandezza e la durata dei fenomeni di sopraraffreddamento: l’entità della soprafusione raggiungibile dipende in gran parte dal formarsi, o no, di germi spontanei; e la rapidità con cui viene compensata, dipende invece principal- mente dalla velocità con cui la cristallizzazione si propaga in tutta la massa. Per determinare la K.G dello iodio (PF = 113°,4), ho operato col me- todo consueto di Moore, servendomi di tubi ad U di 2 mm. di diametro interno; la tabella I contiene i miei risultati. Tav. dl Soprafusione 4 K.G in mm. per 1° Osservazioni 1 98.5 DAI 3 400.0 0 6 1200 cristallizz. spontanea 8 2150 id. 9 2800. circa id. 10 = molti germi (1) Z. anorg. Chem., 51, pag. 96 (1906); Z. phys. Chem., 46, pag. 861 (1903), e 65, pag. 289 (1908). (2) Idem. (3) Rend. Acc. Lincei, vol. XVIII, 2° sem., pag. 384; vol. EXIX, 1° sem., pag. 488. (4) Z. anorg. Chem., Bd. 63, pag. 63; Bd. 77, pagg. 200 e 275. (5) Gazz. chim. ital., 1% parte, 1904, pag. 105. — Geo = La K.G dello iodio puro ha dunque, anche in vicinanza del punto di fusione, valori assai grandi che rapidamente aumentano col crescere dei 4; fatto, poi, che riesce molto difficile di ottenere sopraraffreddamenti superiori a pochi gradi senza che il liquido cristallizzi spontaneamente, dimostra la attitudine dello iodio alla formazione di germi cristallini, e ci dispensa dalla misura del K.Z. Questi saggi di orientamento fanno ritenere che la cristallizzazione del- lo iodio risponda alle esigenze delle buone letture termometriche; ciò risulta confermato dalle misure crioscopiche dirette. Data però la lentezza dei feno- menì di convenzione termica in un mezzo tanto denso, occorre una oppor- tuna agitazione che mantenga uniforme la temperatura in tutta la massa, renda più rapida la cristallizzazione e più pronto il risalire del termometro. L'apparecchio di cui mi sono servito per le misure crioscopiche è quello classico di Beckmann con bagno di paraffina; pesato il solvente (circa 50 gr.), la provetta crioscopica veniva immersa direttamente nel bagno riscaldato a 130° per provocare una sollecita fusione dell’iodio; in seguito sì circon- dava col manicotto e si diminuiva lentamente la temperatura. Quando si era prodotto un sopraraffreddamento di un grado circa, si agitava vivamente per coadiuvare la cristallizzazione, sino a che la colonna termometrica rag- giungeva il punto massimo. In tal modo si ottenevano letture nettissime e concordi al centesimo di grado; inoltre la quantità di iodio sublimata nelle pareti fredde della provetta era quasi sempre assai piccola, almeno eseguendo poche misure in serie. L'abbassamento molecolare dello iodio venne determinato colle seguenti sostanze: SnIl,,Sb1z, AsI3, HgI», e risultò in media, per le soluzioni diluite, eguale a 213 (tav. II): valore assai prossimo a quello trovato da Beckmann (K= 204) e ban diverso dal valore K = 253,5 ottenuto da Timmermans. Tav. Il. conc. °/o 4 K conc. °/ 4 K SnI,= 626.8 Asl,= 450.9 LIO 0.40 213.2 0.7412 0.35 215.8 2.544 0.86 NENNZ10IR9 1.098 0.515 213.7 2.865 1.09 210.1 0.8187 0.28 214.4 1.958 0.67 215 0.3025 0.142 214.1 3.124 1.06 212.7 1.018 0.47 211.5 4.305 1.445 210.4 2.433 1.12 209.9 SbI, = 500.7 Hgl,= 453.9 0.6650 0.28 211 0.5698 0.27 215.1 1.018 0.425 209 1.207 0.55 207 1.468 0.605 206 0.3916 0.185 214.4 0.6594 0.31 213.4 0.9515 0.44 209.9 jippai arasn.i Vi @Gaaresarva i \wi Fo Jt Losi — 700 — Per il fatto che il calore latente di fusione dello iodio misurato da Favre e Silbermann (ew = 11,7) non è completamente sicuro (!), è impossibile il controllo della costante colla nota formola di van ’t Hoff (*). Beckmann, in base ai dati indiretti di Dewar (*), calcola ew == 14,87, da cui risulterebbe K= 201,4. 3. Rispetto al comportamento delle sostanze organiche in soluzione nello iodio fuso, le misure crioscopiche contenute nella tabella III e relative ad una numerosa serie di composti (iodoformio, p.dibromobenzolo, azobenzolo, naftalina, difenile, p.dinitrobenzolo, anidride benzoica, fenantrenchinone, acido 8-iodopropionico, acido benzoico), confermano quanto constatavo nelle mie Note precedenti; e cioè: 1°) che i pesi molecolari, determinati, se occorre, con una extrapola- zione grafica, sono normali in soluzione diluitissima, ma vanno più o meno rapidamente aumentaudo colla concentrazione anche per composti che non posseggono una sensibile attitudine a polimezzarsi ; 2°) che l'aumento è tanto più rapido quanto più si procede dagli idrocarburi ai composti ossidrilati. Questo andamento appare manifesto rappresentando graficamente i ri- "PM trov. PM cale. fig. 1); la sua interpretazione rimane quella da me già esposta e che qui sì richiama in succinto. Innanzi tutto, per i solventi di elevata densità come lo iodio [circa d= 4 al punto di fusione (‘)] le concentrazioni in peso che comunemente si adot- tano nei calcoli osmotici sono molto più piccole delle concentrazioni in volume quali dovrebbero calcolarsi secondo la teoria di van "t Hoff (*). Am- mettendo che, con larga approssimazione, le soluzioni iodiche esaminate abbiano una densità vicina a 4 e che le loro concentrazioni in peso variino, ad esempio secondo la serie dei numeri naturali 1, 2,8..., è facile di con- vincersi che le concentrazioni in volume variano invece come la serie dei quadrupli 4,8, 12...; e raggiungono quindi valori molto alti pei quali non deve far meraviglia se anche la grandezza molecolare degli idrocarburi e degli alogenoderivati risulta superiore alla calcolata. sultati in funzione delle concentrazioni e del rapporto 2 = (vedi (1) Cfr. Landolt-Bérnstein, Tabellen, III Auf., pag. 470. UM (*?) Sostituendo, nella formola K = 0,0198 DO w il valore 11,7, si ricava K=252,13, che per strana coincidenza concorda in modo quasi perfetto con la costante 253,5 sta- bilita sperimentalmente da Timmermans! (3) C. C., 1899, I, pag. 244. (4) Billet (Instit., 1855, pag. 292; J. B., 1855, pag. 46), trova che la densità dello iodio fluido a 107° è d = 4,004; secondo Drugmann e Ramsay, è 3,706 al punto di ebol- lizione (184,5) dell’alogeno. (5) Cfr. Beckmann, Z. phys. Chem., II, pag. 715 (1888); Garelli e Bassani, Gazz. chim. ital., 1901, pag. 497; Olivari, Rend. Acc. Lincei, serie 5%, 1° sem., pag. 723 (1912). 1 2 3 cone. o 4 I. iodoformio; II dibromobenzolo; III azonbenzolo; IV naftalina; V difenile; VI dini- trobenzolo; VII anidride benzoica; VIII fenantrenchinone; IX ac. f-iodopropionico; | X ac. benzoico. Tav. III. cone. °/o d PM conc. 0/0 4 PM Ti Iedoformio CHI, = 394 Vili Amidride benzoîca CiaHio 05==226 { 0.4672 0.25 398.1 0.2110 0.20 225 È 1.200 0.635 402.5 0.4372 0.39 238.8 di 2.256 1.17 410.7 0.8910 0.715 265.4 i 3.714 1.89 418.6 1.438 1.07 285.2 II. p Dibromobenzolo CsH.Br, = 236 9.499 1.13 360.7 di 0.5401 0.48 239.7 0.5495 0.48 243.9 i 1.226 1.05 948.7 2.022 0.84 260 3.178 2.48 272.5 1.942 1.19 347.6 LA 5.822 3.78 299.9 2.632 1.38 406.4 I 0.3555 0.32 236.7 0.5148 0.45 243.7 ji 0.7542 0.655 945.3 1.153 0.90 972.8 L 1.821 1.12 251.2 VIII. Fenantrenchinone C,,Hs 0, = 208 DI 2.932 226. 2764 0.2737 0.25 233.2 H 4.459 3.29 295 0.8081 0.66 261.4 - III. Azobenzolo Cia Hio Na = 182 1.1090 0.84 281.2 È 0.2883 0.34 180.6 1.415 1.01 298.4 0.5433 0.61 186 1.799 1.16 330.3 È 1.071 1.16 196.7 IX. Ac. g-Todopropionico C,H.J.COOH =199.8 n IV. Naftalina (Oo Ha = 128 0.2400 0.195 262.1 la 0.2690: 0.44 130.2 0.5980 0.42 302.2 0.6380 1.005 135.2 1.001 0.645 330.8 1.840 1.985 147.6 1.562 0.905 368.2 V. Difenile Ci, Ho = 154 2.712 1.39 {16.4 0.1986 0.265 155.6 3.968 1.83 462.0 0.4878 0.64 164.4 X. Ac. benzoico C$Hz3. COOH = 122 0.9060 1.135 169.9 0.2752 0.845 170 1415 1.68 179.4 0 6889 0.67 219 2.056 2.34 187 0.2323 0.305 161.8 VI. p. Dinitrobenzolo C, Ha(NOa)a = 168 0.5257 0.56 201 I 0.8400 0.42 172.4 0.8027 0.74 230.4 0.8428 0.995 180.4 1.039 0.88 250.5 n 4 t — 702 — Per questi corpi, l'anomalia scomparirebbe riferendo gli abbassamenti crioscopici alle concentrazioni in volume; al contrario, essa persiste, benchè attenuata, per gli acidi #-iodopropionico e benzoico, come dimostrano i se- guenti calcoli : La densità dello iodio fuso e quella di due soluzioni iodiche all’ 1 0/5, l'una di acido #-iodopropionico e l’altra di ac. benzoico, determinate a 115° e comparate all'acqua a 15°, sono rispettivamente d = 3,97, d' = 3,91 e d'= 3,87, e quindi i loro volumi specifici risultano v = 0,2518, v = 0,2558 e v"—=0,2584. Con questi valori, sostituiti nella equazione lineare x =v + +(v— v)c, si ricavano senza errore sensibile i volumi specifici delle solu- zioni di concentrazioni in peso c comprese nell'intervallo 0 — 1°/,. Il quo- ziente — darà le concentrazioni per 100 ce. di soluzione in un intervallo O0—4° circa; il che basta per il nostro scopo. Ora, col nuovo calcolo delle percentuali in volume, i pesi molecolari relativi agli acidi #-iodopropionico e benzoico assumono l'andamento rappre- sentato dalle curve punteggiate IX ds e X dis della fig. 1°, vale a dire un andamento ascendente ancora ben manifesto. Ciò attesta che lo iodio è un mezzo dotato di proprietà associanti rispetto alle sostanze organiche ossidri- late, com'era prevedibile dall'analogia col bromo. Intermedio fra gli idrocarburi e gli acidi decorre il comportamento crioscopico dell'anidride benzoica e del fenantrenchinone; sembrerebbe che anche questi composti ossigenati possedessero una lieve tendenza alla poli- merizzazione ('). Infine vi è luogo a ricercare quale influenza sull'andamento dei pesi molecolari abbia la verosimile formazione di iodocomplessi Im.R, tra il solvente e le sostanze organiche, complessi che nel fuso dovrebbero esistere in equilibrio di dissociazione coi componenti. Disgraziatamente, se @ priori è facile la previsione tenendo conto del valore di x, nel caso pratico nulla possiamo dire di preciso intorno alla proporzione e alla complessità dei pro- dotti I,.Ih, (°). Forse.l'alta temperatura di esperienza e la facile dissocia- bilità di questi composti molecolari rendono di importanza secondaria la supposta solvatazione. Beckmann non eseguì esperienze crioscopiche con sostanze organiche, ad eccezione dello iodoformio di cui si servì per determinare la costante d'abbas- samento molecolare dell’ iodio. (') In generale le anidridi e i chetoni si comportano normalmente in mezzi asso- cianti. Vedi però Mascarelli e Vecchiotti, Gazz. chim. ital., 40 (1912), 18, pag. 106. (2) Olivari, Rend. Acc. Lincei, vol. XX, serie 5%, 1° sem., pag. 470 (1911). — 703 — Chimica. — Sulle basi che si formano per la alchilazione dei pirroli ('). Nota I di G. PLANCHER e 0. RAVENNA, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. Dall’azione dello ioduro di metile sul sale sodico dell'acido pirrolcarbo- nico (*) prende origine una base che contiene cinque atomi di carbonio in più del pirrolo, che fu ritenuta una tetrametildiidropiridina, ma che, secondo le idee risultanti dallo studio dei prodotti analoghi dell’indolo, studio fatto da Plancher e dai suoi allievi (*), deve ritenersi una pentametilpirrolenina della formula Cs H,; N, ossia: CH3 C-—TC(CH3); CH} C==CCH; oppure N Metilando il N-metilpirrolo o ulteriormente questa base, si ottiene l’alcaloide con un metile in più, analogo alla base di Fischer, cioè la pentametilme- tilenpirrolina della formula Cio Hi N, ossia: CH3C C(CH3), CH} C—=C CH; | | 0 Ure CH: Ci /0=cR. Do CH=C\ /0<0H: N 3 CH; dica: x N | | CH; CH; e da questa, successivamente, una base con altri due metili in più, C1:Ho N, cioè: CH: C C(CH3), CHs O—0 CH, CH d ; oppure | | CH; CH; vale a dire una ‘pentametilisopropilidenpirrolina. (') Lavoro eseguito parte nel Laboratorio di Chimica agraria di Bologna e parte in quello di Chimica generale di Parma (1906-1912). (2) Ciamician e Anderlini, Gazz. chim. it., /8, 557 (1888); 79, 102 (1889); Ber., 27, 2855; 22, 656; Anderlini, Gazz. chim. it., 20, 55 e 61. (®) Vedi questi Rendiconti, dal 1897 al 1908. (4) In queste formole èsottintesa la forma tautomera di metilenpirroline (vedi questi Rendiconti, vol. XV, anno 1906, 2° sem., pag. 557). hl — 704 —- Il pirrolo assume successivamente cinque, sei, ed otto metili, trasfor- mandosi in basi derivanti da forme tautomere del pirrolo (pirrolenine) e da metilenpirroline. Noi abbiamo ripreso lo studio di queste basi fin dal 1905 nel labora- torio di chimica agraria di Bologna, e pubblichiamo soltanto oggi i risultati di allora, mentre uno di noi pubblicherà i risultati delle sue nuove ricerche che dimostrano la perfetta analogia tra pirrolo e indolo nella metilazione protratta. Per avere una prova della costituzione di queste basi, abbiamo fatto agire lo ioduro$di metile sopra il 2-5-dimetilpirrolo, sul 2-4-5-trimetilpir- rolo e sul 2-5-metilisopropilpirrolo. Se la distribuzione dei metili nella terza base è quale l'abbiamo supposta, essa può formarsi da tutti e tre questi pirroli. Noi non siamo riusciti a stabilire questo in modo assolutamente sicuro; ma i dati delle nostre esperienze meritano tuttavia di essere qui riportati. La quantità di sostanza adoperata era troppo scarsa, e non giudicammo necessario di ripetere l’esperienza con nuovo materiale, giacchè ora uno di noi ha ripreso il quesito da un altro punto di partenza. AZIONES DELLO 10DURO DI METILE SUL METILISOPROPILPIRROLO. Il metilisopropilpirrolo impiegato fu ottenuto col metodo di Tiemann e Semmler (*) dall'a-e'-dimetilacetonilacetone (*?) e trovammo. che il punto di ebollizione del pirrolo puro, a 20 mm. di pressione, è 89-90°. Noi saldammo in tubo chiuso a 140°, per 10 ore, 3 grammi del pir- rolo con 5 grammi di alcool metilico, 3 cem* di ioduro metilico e 5 grammi di carbonato potassico calcinato. La massa era annerita fortemente: venne acidificata fortemente con acido cloridrico e distillata al vapor d'acqua per scacciarne lo ioduro metilico eccedente e l'alcool. Il residuo venne alcali= nizzato con potassa e distillato di nuovo al vapore. Passò con l’acqua un olio che galleggiava, il quale venne estratto con etere, concentrato, seccato su potassa fusa e quindi distillato nel vuoto. La maggior parte distillò alla pressione di 16 mm., a 70-75°. Ha carattere basico netto, ma sembra una miscela dei diversi gradi di metilazione. Per giungere al prodotto di metilazione definitivo, fu sotto- posto a nuova metilazione; cioè: fu chiuso in tubo con eccesso di ioduro metilico, e riscaldato per 5 ore a 100°. Il contenuto reagisce già a freddo, e, lasciandolo a sè. separa dei cristalli; dopo riscaldamento era in parte cri- stallizzato, ma era fortemente imbrunito e alquanto resinificato. (1) Ber., 30, I, 434. (&) Chem. Centralblatt, 1897, I, 495; e Ber., 35, I, 1181. — 705 — Distillato al vapor d'acqua prima a reazione acida, fu poscia alcalizzato e diede un prodotto basico in parte disciolto, in parte galleggiante in goccie. Fu svaporato a secco con acido cloridrico e poi rimesso in libertà con aleali e quindi svaporato di nuovo con acido cloridrico per resinificare i pirroli. Infine si ottenne un cloridrato pochissimo colorato, che, per aggiunta di clo- ruro aurico, dà un cloroaurato dapprima oleoso, che in seguito solidifica, e, cristallizzato ripetutamente dall’alcool assoluto, si separa in aghi o fogliette giallo-chiari che fondono a 86-87° in modo non perfettamente netto. L'analisi dimostra che esso è il cloroaurato di una base C,0.Hs, N. Calcolato per Cia HssNAuC], Trovato I II (GIO 27,73 27,60 — H » 4,27 4,56 — Au» 37,98 —_ 37,89 Non ostante la corrispondenza dell'analisi, avemmo il dubbio che non fosse perfettamente puro, ma che fosse leggermente inquinato da isomeri; per la piccola quantità, non lo ricristallizzammo dall’acido cloridrico diluito. Avrebbe dovuto essere identico a quello preparato da Anderlini, cioè fusibile a 99,5°-100,5° (?). Stabilimmo quindi di farne il confronto più preciso, ripreparando il prodotto di Anderlini. Ripetemmo la reazione di Ciamician e Anderlini (*), e frazionammo la miscela delle due basi, come ci venne indicato da A. Piccinini (inedita), per mezzo dei picrati; ne ottenemmo così un picrato fondente a 168°. Per confermare che si trattava del picrato della base Co H,s N di Cia- mician e Anderlini, ne liberammo la base e ne facemmo il cloroaurato che fonde a 109° (*) e che, all'analisi, ci diede il seguente risultato: Calcolato per Co His NAuC]y Trovato Au°/ 41,33 41,28 ‘ Sulla base Cs$.H,;, liberata dal picrato, facemmo agire lo ioduro di me- tile in eccesso, e scaldammo a lungo in apparecchio a ricadere, con lieve pressione di mercurio (40 cm.). Si preparò un prodotto cristallino delique- scente. Questo fu decomposto con potassa ed estratto con etere, dopo aver eliminato l'eccesso di ioduro di metile; la base così ottenuta, fu trattata di nuovo a ricadere con ioduro di metile. Scacciato lo ioduro in eccesso, restò un prodotto in parte solido, che, decomposto con potassa, venne distillato al vapore. La base così ottenuta, (1) Gazz. chim. ital., 20, 62 e 63. (2) Gazz. chim. ital., /8, 559-572. (3) Gazz. chim. ital., /8, 559. RenpIconTI. 19183, Vol. XXII, 2° Sem. 94 die p= {( \ Ù (II Î, I Vi DI lE ! Il} ht il | — 706 — fu disciolta in acido cloridrico, condotta a secco, ripresa con acqua e, fil- trato il cloridrato previa aggiunta di acido cloridrico, fu trattata con clo- ruro aurico. Ne precipitò un cloroaurato giallo che, cristallizzato più volte dall’acido cloridrico, fondeva a 99-100° (mezzo grado più basso di quanto descrive Anderlini), corrispondente alla base C,2 H., N come lo conferma l’analisi : Calcolato per Cia Ha*£NAuCl Trovato Au°/ 37,98 37,89 Quindi, il cloroaurato di identica composizione, ottenuto dal metilisopro- pilpirrolo e che fonde a 86-87°, non è identico a quello di Anderlini, oppure è ancora alquanto impuro. Sembra propendere per questa ipotesi il fatto che, mescolando il cloro- aurato dal metilisopropilpirrolo con un poco di quello di Anderlini, il punto di fusione non viene abbassato; ma questa prova non è decisiva perchè può darsi che non si tratti di veri punti di fusione, ma di punti di decomposi- zione. Per decidere questa questione, occorre utilizzare altri derivati, giacchè i cloroaurati, per la loro alterabilità, non si prestano ad una completa pu- rificazione. Abbiamo tentato anche di arrivare a prodotti unici purificando le basi intermedie con 4 e 5 atomi di carbonio in più del metilisopropilpirrolo, ma senza buon risultato. Il prodotto che si forma dal metilisopropilpirrolo con quantità deficiente di ioduro di metile è una miscela delle due basi C,, HigN e CisHo, N; ed il cloroaurato che se ne ottiene fonde, dopo diverse cristallizzazioni dall’acido cloridrico, a 100°, e la sua composizione sta tra quella di cloroaurati ri- spettivi. Calcolato per Trovato Ci Haro N Au €, - per Cis Hss NAuCI, I II O 26,15 27,79 26,96. 26,86 H » 3,99 4,27 4,27 4,55 Ripetuta l'operazione e cristallizzato il cloroaurato dall'alcool anzichè dall’acido cloridrico, si ebbe un cloroaurato dal punto di fusione più basso: 95°. La sua composizione si avvicina di più a quella fissata nella formula Cis Ha N. Calcolato per C12 Hss NAuCI, Trovato C/o 27,73 27,21 H » 4,27 4,42 — 707 — Probabilmente, anche il prodotto di Anderlini non è completamente puro; e anche le sue ricerche vogliono forse essere ripetute, cambiando tecnica, chè i cloroaurati poco si prestano a identificazioni. Per concludere: le nostre esperienze hanno avuto questo risultato di mostrarci la via da seguire per porre in chiaro il quesito. È probabile che fra tutti quelli ottenuti, il prodotto più puro sia quello avuto dal metilisopropilpirrolo, e che gli altri siano miscugli, per cui si dovrà ripetere in altro modo e per altra via la preparazione della tetrame- tilisopropilidenmeti]lpirrolina. Se le basi delle due diverse provenienze risulteranno identiche (il che, a nostro modo di vedere, non è escluso dalle nostre esperienze), la costitu- zione di questa base sarà provata, giacchè data ia sua provenienza dal me- tilisopropilpirrolo, risulteranno fissate le posizioni di un metile e dell’iso- propile. Per fissare la posizione degli altri metili, abbiamo altresì cercato di ottenere queste basi dal 2-4-5-trimetilpirrolo di Korschum (') e dall’a-a'- dimetilpirrolo. Grammi 3 di trimetilpirrolo, 3 cm? di ioduro di metile, 5 grammi di alcool metilico e 7 grammi di carbonato potassico calcinato, furono scaldati in tubo chiuso, per 10 ore, a 140°. La base ottenuta, come è detto negli altri casi, fu convertita nel cloro- aurato: questo cristallizza in aghi gialli, fondenti nettamente a 100° dopo varie cristallizzazioni dall'alcool. L'analisi ha dimostrato che la sua composizione corrisponde a quella della base C,0Hi7N di Ciamician e Anderlini, cioè la tetrametilmetilen-n-me- tilpirrolina. Calcolato per Cio His N Au Cl, Trovato CE 24,43 24,44 He 3,69 4,05 Au » 40,15 40,09 Operando analogamente sull’ @-a'-dimetil-pirrolo abbiamo ottenuto un cloridrato semisolido che ci diede indizio di contenere anche alquanta base Co His N, perchè ne ottenemmo piccole quantità del picrato fusibile a 168° di questa base. Non ripetemmo le prove. In altre Note saranno esposti i risultati ottenuti dal tetrametilpirrolo con ioduro di metile e col cloroformio, i quali a nostro modo di vedere, risolvono il quesito. (*) Questi Rendiconti, vol. XIV, serie 58, 1°. sem, pag. 392. I) 2 ì — 708 — Chimica. — Sulle basi che si formano per la alchilazione dei pirroli ('). Nota II di G. PLANCHER e T. ZAMBONINI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. In una Nota da noi pubblicata in questi Rendiconti sul tetrametilpir- rolo (*) è detto che noi avevamo ripreso le esperienze iniziate da Plancher e Ravenna sulle basi ottenute per metilazione del pirrolo da Ciamician e Anderlini, e vi sono preannunziati gli studî sui diversi dimetil- e trimeti]- pirroli ed altri pirroli alchilati, che si stavano compiendo in questo labora- torio, sempre per studiare l’'alchilazione del pirrolo Cg H,3 N, che ha un metile di meno della prima base di metilazione del pirrolo C$H,;N (5). Nella Nota immediatamente precedente a questa, sono esposte le ricerche fatte in parte col dott. Ravenna fino dal 1906, e giammai abbandonate da uno di noi (Plancher), pur lasciando campo ad altri problemi urgenti di ricerca. Ciò prova che da quando Plancher ha chiarito la costituzione e le reazioni delle basi risultanti dall’alchilazione dell’indolo, ha sùbito pensato a quelle delle analoghe dei pirroli e non ha smesso di occuparsene. Sola- mente il desiderio di pubblicare un assieme di ben coordinate ricerche lo ha distolto da ulteriori pubblicazioni. In questa Nota comunichiamo i risultati ottenuti col telrametilpirrolo, ed alcuni tentativi su alcuni pirroli terziarit. Asione del joduro di metile sul 2-3-4-5 tetrametil-pirrolo. — Il tetra- metilpirrolo reagisce, anche a bassa temperatura, con lo ioduro di metile, ma molto lentameute. Facendo ricadere del tetrametilpirrolo con ioduro di metile in presenza di idrato potassico o di carbonato al 10 °/,, si passono ottenere piccole quantità di basi; miglior rendimento si ha scaldando in tubi chiusi. Si chiudono, in ‘tubo, grammi 8 di tetrametilpirrolo con grammi 3 di carbonato potassico calcinato, 6 grammi di ioduro metilico e poco alcool metilico; e si scaldano per 15 ore, a 110°. Il contenuto dei tubi, bruniccio, si asporta completamente in un pallone acidificandolo con ‘acido cloridrico. Si distilla al vapor d’acqua la parte non basica; indi il contenuto del pallone raffreddato e filtrato, vien sottoposto di nuovo a distillazione al vapor d’acqua previa alcalizzazione. (!) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Parma. (2) Rend. Accad. Lincei, vol. XXI, serie 52, 1° semestre, pag. 599 (Seduta 5 mag- gio 1912). (3) Gazz. Chim. ital; 28) 557; 20, 55 e 61; 19; 102. — 709 — Si ottiene così nel distillato una sostanza oleosa, fortemente alcalina, poco colorata, che, fra gli altri, ha un odore mentolico, così simile a quello di alcune indolenine da essere scambiato. Il distillato fu debolissimamente acidificato; si sciolse così gran parte dell'olio galleggiante, e la parte indisciolta cristallizzò. Fu estratta con etere seccata su carbonato potassico calcinato e tirato a secco. Ricristallizzata dall'etere di petrolio, fuse a 109°. È del tetrametilpirrolo inalterato. La soluzione acida contiene le basi salificate. Fu condotta a secco a bagnomaria, e lasciò uno sciroppo, che lentamente cristallizzò in una massa fibbroso-raggiata, intrisa di uno sciroppo denso. Fu decomposto con alcali, distillato, e di nuovo tirato a secco con acido cloridrico; e così per due volte. Il residuo acquistava un aspetto sempre migliore. Infine fu sciolto in poca acqua, trasportato in palloncino, saturato con potassa, e distillato al vapor d'acqua finchè passava della base. L'avemmo, così, raccolta in poco dislillato. La si estrasse per 10 volte con etere. L'etere fu concentrato, seccato con potassa fusa, e distillato. Lasciò un residuo oleoso, rossiccio-brunastro, che distillato nel vuoto a 12 mm, passò per la maggior parte tra 75°-95°. Ridistillata a pressione ordinaria in corrente di idrogeno secco, si divise in due frazioni, una bollente a 175-183°, l’altra a 183-200°. La seconda frizione, sciolta in etere anidro, fu convertita in cloridrato con acido cloridrico secco. Questo si separa sotto forma di una massa nevosa bianca, che presto sì colora in roseo. Questo cloridrato fu separato, sciolto in poco alcool asso- luto e riprecipitato con etere. È estremamente deliquescente ; fonde verso 1259; a 200° svolge delle bollicine gassose, e, raffreddandolo, si risolidifica. Non si presta alla purificazione della base. La sua soluzione acquosa si conserva bene; ad essa fu aggiunta della soluzione satura di picrato sodico sino a che non s’intorbidava più. Precipitò così un picrato giallo arancio, che, ripetutamente cristallizzato dall’ alcool, fonde nettamente a 148°. Corrisponde alla base Cio Hi7N = pentametilme- tilenpirrolina: i re CH,—C—C—CH; i errare | CH:—C\ /c—cH, CHx=0\/0__C]oebi:-uéè.‘; _c__|!{;_”_;"R";jF{À;’};»}>j;P‘{Pj;P‘y©p_;>ppp;pj;©io»apa: = —ert€cmki 3 A Sento ro — 722 — simile a quella che, secondo Kénig, sarebbe contenuta nel latte dei rosicanti (coniglio). La costituzione degli alimenti somministrati fu: Zeina o gliadina o ovoalbumina . . . . gr. 20 % Grasso, di maiale gg n 0 AMICO RI NO an malo Zucchero di canna tig. > SAI ZO Cellulosa (carta:da filtro)... cirie enon NQIClE i Re O E en Con essa, grazie al contenuto in N pressochè uguale e della zeina e della gliadina e dell’ovoalbumina (zeina 11,8 °/0, gliadina 11,7 °/0, ovoalbumina 11,4 9/0), si ottenne un alimento uniformemente e sempre ugualmente azotato, e di cui l’animale poteva in- gerire a volontà. L’N di ogni alimento venne, del resto, volta a volta dosato. Tenuti i topi per qualche giorno in gabbia ad alimentazione mista ordinaria, e dopo averne accuratamente preso il peso, si somministrava l’alimento preparato come sopra, e si somministrava come bevanda acqua potabile o soluzione di Ringer. Di 24 in 24 ore si calcolava per differenza l’alimento consumato, e si raccoglievano fecce ed urine, di cui separatamente si determinava il contenuto in N col metodo Kjeldahl. Alla fine di ogni periodo di alimentazione si ripesava l’animale, si calcolava il bi- lancio dell’ N, l’eventuale perdita o guadagno in peso, ed il bilancio delle calorie. Non sono note ricerche sulla quantità di calorie che un topo perde nelle 24 ore per kgr. di peso; in mancanza di ciò, le abbiamo approssimativamente calcolate dai dati forniti dal Richet per i caviotti di circa 150 gr. di peso. Stando a questi calcoli, un topo di circa 150 gr. perderebbe, nelle 24 ore, circa 35-45 calorie. I nostri calcoli sono stati fatti in'base ad una perdita giornaliera media di 42 calorie, e abbiamo costantemente trovato che la quantità di alimento ingerito, iù tutti gli esperimenti, conteneva un numero di calorie sempre superiore a tale perdita. Si eseguirono re serie di ricerche: due su due topi adulti, ed una su un topolino in via di accrescimento. Topo A. La prima serie, i cui risultati sono esposti nelle tabelle I, II e III, fu eseguita su un topo adulto ®, del peso iniziale di 155 gr., in buone condizioni di nutrizione, vivace; comprende tre periodi di alimentazione : Nel primo periodo (dal 1 all'11 aprile 1913), dopo 2 giorni di digiuno sì somministrò alimento con zeina, e si protrasse detta alimentazione per nove giorni (tabella I). Da notare che, durante questo periodo, per un er- rore di preparazione fu somministrato dalla terza alla settima giornata un alimento meno azotato, del che fu però tenuto conto nei calcoli. Nel secondo periodo (dal 12 al 20 aprile 1913), dopo un giorno di di- giuno si somministrò alimento con gliadina; detta alimentazione durò 8 giorni (tabella II). Nel terzo periodo (dal 21 al 29 aprile 1913) dopo, un giorno di digiuno, si somministrò alimento con ovoalbumina per 8 giorni (tabella III). — 723 — Il topo, alla fine di questo periodo, pesava gr. 130,8; dopo altri 8 giorni (7 maggio 1913) di alimentazione mista ordinaria di carne e pane, pesava grammi 150. gabh ta x 5 Fis. 1. A destra, disegno schematico del complessivo apparecchio; a sinistra in alto, sezione della gabbia: CS coperchio di rete metallica, CC parete della gabbia, F1F primo fondo di rete a larghe maglie, su cui riposano i due bicchieri contenenti l'alimento o la bevanda, sermontati da due listerelle metalliche, che impediscono al topo di accovac- ciarvisi sopra F2$, secondo fondo a maglie più strette. Circa !/s della grandezza nat. Topo B. La seconda serie, i cui risultati sono esposti nelle tabelle IV, V, VI, VII, fu eseguita su un topo giovine (di circa 40 giorni) in via di accresci- mento, %, del peso iniziale di gr. 33,15, in buone condizioni di nutrizione, vivace. Questa serie comprende 4 periodi; il peso dell’animale alla fine di cia- scun periodo, venne comparato a quello di un altro topolino sontrollo della na lt e e Sn [e CCIE " re: ————— rar, or _—rTesz | — 724 — i medesima covata, dello stesso sesso, del peso iniziale di gr. 36,3, ma tenuto ad alimentazione e vita ordinaria. i Nel primo periodo (dal 6 all’11 aprile 1913) si diede alimento con zeina (tab. IV); nel secondo (dal 12 al 17 aprile 1913) si alimentò con I gliadina (tab. V); nel terzo (dal 19 al 24 aprile 1913) con ovoalbumina JA (tabella VI). Nel quarto periodo (dal 25 al 28 aprile 1913) si somministrò {ugo alimento di carne e pane (tabella VII). (li Come bevanda si diede soluzione di Ringer diluita. Topo C. La terza serîe, i cuì risultati sono esposti nelle tabelle VIII, IX, X, fu eseguita su un altro topo adulto $, del peso iniziale di gr. 130,4, in buone condizioni di nutrizione. e vivace. Comprende tre periodi di alimentazione, in cui però fu invertito l’ordine | di somministrazione delle tre sostanze, e si abolì il digiuno. O ii Cosicchè nel primo periodo (dall’1 al 6 maggio 1913) sì somministrò gi per 6 giorni alimento con ovoalbumina (tab. VIII). Nel secondo periodo (dal 7 al 12 maggio 1913) si somministrò, pure per 6 giorni, alimento con gliadina (tab. IX). Nel terzo periodo (dal 15 al 15 maggio 1913) si somministrò alimento con zeina (tab. X). In tutti i periodi, come bevanda, si diede acqua potabile a volontà. — 725 — Topo A TapeLLa I. — Zezna. = È ai ALIMENTO N N N N N Peso î 5 E 3 assunto | ingerito Te, .| assorbito DARA e| Pirancio dell'ani- E a in gr. in gr. in gr. in gr. in gr. giornaliero male 1 18° C — a 0,0243 _ 0,1021 — 0,1021 155 È 17 -- — = = 0,0982 — 0,0982 8 17 15,00 0,3150 0,0254 0,2896 0,1976 + 0,0920 4 18 7,50 0,1575 0,0233 0,1342 0,2381 — 0,1039 5) 16 10,30 0,1225 0,0273 0,0952 0,0791 + 0,0161 6 16 8,60 0,1023 0,0207 0,0816 0,1022 — 0,0206 7 16 8,30 0,0987 0,0183 0,0804 0,0804 —_ 8 15 9,10 0,1082 0,0154 0,0928 0,0637 + 0,0291 9 15 10,00 0,1190 0,0150 0.1000 0,0865 + 0,0155 10 15 10,25 0,2460 0,0392 0.2068 0,1490 + 0,0578 IU 14 9,30 0,2232 0,0364 0,1868 0,1258 + 0,0610 15 TOTALE 88,85 1,5024 0,2250 | 1,2674 11224 ) +0,1450|— 16 TaBeLLA Il. — G//adina. 12 15 — — 0,0336 -- 0,0540 — 0,0540 139 13 15 11,80 0,2632 0,0077 0,2555 0,1280 + 0,1275 14 14 10,10 0,2353 0,0427 0,1926 0,1972 — 0,0046 15 12 8,00 0,1864 0,0162 0.1702 0,1190 + 0,0512 16 13 8,75 0,20838 0.0274 0, 1764 0.1505 + 0,0259 17 14 10,35 0,2411 0,0042 0,2369 0,1401 | -+-0,0968 |! 18 14 8,60 0,2008 0.0379 0,1624 0,1260 | + 0,0364 19 15 7,40 0,1724 0,0112 0,1612 0,0815 + 0,0797 20 15 5,90 0,1 ST4 0 0231 0,1143 0,0457 | +0.0686 127,2 ToraLE 70,40 1,6399 | 01704 | 14695 | 0,9880 | +0,4815 | — 11,8 TaseLLa III. — Ovoa/bumina. Dil ig —_ — 0,0065 _ 0,0406 — 0,0406 127,2 22 17 13,70 0,2972 0,0085 0,2887 0,1080 + 0,1807 23 17 9,60 0,2083 0,0273 0,1810 0,1048 + 0,0707 24 17 9,60 0,2083 0,0196 0,1887 0,1129 + 0,0758 25 18 12,00 0,2604 0,0053 0,2551 0,0910 + 0,1641 26 18 8,90 0,1931 0,0364 0,1567 0.0700 + 0,0867 27 18 7,20 0.1562 0,0518(2)) 0,1044 0,1068 — 0,0024 28 18 3,90 0,0846 0,0224 0,0622 0,0854 — 0,0232 29 18 12,00 0,2604 0,0147 0,1457 0.0500 + 0,0957 130,8 TOTALE 76,90 1,6685 | 01860 | 1.3825 | 0,7284 | +0.6541|+ 3,6 — 726 — ‘Topo B TaBELLA IV. — Zeina. i È È 2 |ALIMENTO N N N N N PESO IO Z SARAI emesso ; emesso o_F È EIRS = assunto ingerito con assorbito con BILANCIO dell’ani- | 498 & EEE Fao È le fecce Ta le urine ASS 1 as È è n gr. mM gr. in gr. n gr. in gr. giornallero male ° | | RARO 4,70 | 0,0940 |Pochissimo| 0,0940 | 0,0302 | + 0,0638 33,15 | 36,3 DUALE 3,380 | 0,0660 | 0,0114 | 0,0546 | 0,0622 — 0,0076 8. 16 4,10 | 0,0870 | 0,0168 | 0,0652 | 0,0474 | -+0,0178 4 | 15 4,20 | 0,0840 | 0,0109 | 0,0731 | 0,0350 + 0,0381 5| 15 3,50 | 0,0700 | 0,0140 | 0,0560 | 0,0560 — 6 | 14 3,50 | 0,0700 | 0,0175 | 0,0525 0,0399 | + 0,0126 32,60 | 42,7 TOTALE 23,30 | 0,4610| 0,0706 | 0,3954| 0,2707| -+0.1247|— 0,55 TaBeELLA V. — Gliadina. ls 3,80 0,0885 0,0140 | 0,0745 0,0801 — 0,0056 82,60 | 42, 8| 15 3,80 | 0,0885 | 0,0203 | 0,0682 | 0,0522 | -+0,0160 9 14 3,90 | 0,0908 | 0,0068 | 0,0845 | 0,0602 | + 0,0248 0010 280 | 0.0652 | 0,0135 | 0,0517 | 0,0462 | +-0,0055 ell 13 4,30 0,1001 0.0158 | 0,0833 0,0574 + 0,0259 DO OI 3,90 0,0908 0,0224 | 0,0684 | 0,0617 + 0,0067 33,80 | 50,7 TorALk 22.50 | 0,5239 | 0,0923 | 0,4306| 0,3578 | -+0,0728 |4- 0,70 TapeLLa VI. — Ovoa/bumina. Ri 5.40 { 0,1071 | 0,0020 | 0,1051 | 0,0564 | -+0,0487 | 33,30] 50,7" 14 | 15 460 | 0,0998 | 0,0140 | 0,0858 | perduto va 15| 15 3/90 | 00846 | 00057 | 0,0789 | 0,0484 | +0,0305 16 | 16 3/70 | 0.0802 | 0.0151 | 0.0781 | 0,0245 | + 0,0536 inn 430 | 0.0938 | 00051 | 0,0882 | 0,0540 | +0,0342 epy 480 | 01041 | 0,0063 | 0,0978 | 0,0434 | +0,0544 19 | 17 400 | 00868 | 0,0117 | 00751 | 0,0476 | -4-0,0275 | 41,80] 63,2 ToraLe | 30,70 |0,6559 | 0.0569| 0,5090 | 0.2743|] -+0,2489|+ 8,5 TapeLLA VII. — Carne e pane. 20 | 18 9,00 | 0,1098 | 0,0070 | 0,1028 | 0.0532 + 0,0496 41,80) 63,7 210 NALS 11,00 | 0,1342 | 0,0015 | 0,1327 | 0,0775 + 0,0552 2 18 7,00 | 0,1043 | 0,0168 | 0,0875 | 0,0966 — 0,0091 23 | 18 12,80 | 0,1907 | 0,0182 | 0,1725 | 0,1169 | _-+-0,0556 50,70 | 65,8 TOTALE 89,80 | 0,5390 | 0,0435 | 0,4955| 0,3442|] -0,1513 | 4 8,90 IRE Topo C — 727 — TapeLLA VIII. — Ovoalbumina È a ALIMENTO N N N N N PESO 5 E È assunto ingerito o assorbito Saage BILANCIO dell’ani- UE con le fecce con le urne E E in gr. in gr. in gr. in gr. in gr. giornaliero male A 1 10,30 0,2235 0,0285 0,1950 0,0952. | -+0,0998 | 130,40 2 10,50 0,2280 0,0396 0, 1884 0,1109 | -+0,0775 5) 10,00 0.2170 0,0364 0,1806 0,1293 | -+0,0513 4 11,30 0,2392 0,0386 0,2056 0.1408 | -+0,6648 b) 8,80 0,1909 0,0315 0,1594 0.1709 | — 0,0115 6 8,60 0,1866 0,0203 0,1663 0,1239 | -+0,0424 | 142,80 ToraLe | 5950 | 12852 | 0,1899 | 0,9958 | 077710 | +0,3243|+12,40 TaBELLA IX. — G/iudina. 7 18 7,40 0,1714 0,0294 0,1420 0,1162 | +-0,0258 | 142,8 8 18 8,50 0,1980 0,0364 0,1616 0,1765 — 0,0149 9 18 7,00 0,1631 0,0070 0,1561 0,1232 | +0,0329 10 19 6,20 0,1444 0,0070 0,1374 0,1092 | -0,0282 ll 19 6,20 0, 1444 0,0224 0,1220 0,0938 | + 0,0282 12 19 5,70 0,1328 0,0189 | 0,1139 0,1148 | —0,0009 | 137,5 TOTALE 41,00 0,9541 | 0,1211 0,8330 | 0,7337 | +0,0993 |— 5,8 TABELLA X. — Zeina. IRIS 6,00 | 0,1260 { 0,0072 | 0,1188 | 0,1120 | -+0,0068 | 137,50 14 19 6,90 0,1449 0,0476 0,0973 0,1092 — 0,0119 15 20 7,50 0,1575 0,0322 0,1258 0,1120 | +0,0133 136,80 TOTALE 20,40 | 0,4284 | 0,0870 | 0,3414 | 0,3332 | +0,0082|— 0,80 Dai dati raccolti nelle precedenti tabelle, risulta concordemente che: a) la zeina, la gliadina e l’ovoalbumina sono capaci di mantenere în equilibrio il bilancio dell'azoto dell'organismo dei topi, sia adulti, sia in via di sviluppo: non solo, ma ne permettono, se somministrate în quantità sufficiente, anche un immagazzinamento ; b) mentre, però, l'ovoalbumina (proteina animale) fa sì che gli ani- malî si mantengano 0 quadagnino in peso, la zeina e la gliadina (pro- teîne vegetali), e quella più che questa, inducono nell’animale una costante sensibile diminuzione di peso, e ciò tanto nei topt adulti, quanto in quelli în via di sviluppo, i quali crescono regolarmente con alimentazione con- tenente ovoalbumina o di carne e pane), mentre si arrestano nello sviluppo con alimentazione contenente zeina 0 gliadina. Kofi SA I agio Rise:bando la discussione e la spiegazione di questi fatti alla fine delle ricerche sull'argomento, mi pare si possa sin da ora concludere che la zeina e la gliadina, per la struttura chimica della loro molecola, non sono in grado di sostituire in tutto, nell’alimentazione dell’uomo e di animali non adattati alla loro ingestione (come i topi), le proteine animali. Molto proba- bilmente, le dette proteine vegetali inducono sul metabolismo interno dei grassi e degli idrati di carbonio un grave perturbamento da far prevalere i processi di dissimilazione, donde la perdita di peso. Tale azione deleteria è dovuta alla mancanza di determinati aminoacidi che si trovano invece nel- l’ovalbumina (p. es. lisina), oppure alla presenza di altri aminoacidi, che mancano o scarseggiano nella molecola dell'ovoalbumina (p. es. valina, serina, acido glutaminico) ? Spero che ulteriori ricerche, eseguite all'uopo, mi permet- teranno di dare una risposta a questa domanda. In ogni modo i risultati sinora ottenuti confermano implicitamente l'ipotesi, donde partii (*) per istituire questa serie di ricerche: che, cioè, le proprietà chimiche della zeina non con- feriscono a questa proteina il valore nutritivo di altre proteine alimentari. Come pure merita di essere rilevato il fatto, osservato nelle presenti ri- cerche, che l'equilibrio o l'immagazzinamento di N non sempre decorre parallelamente col peso del corpo, non può quindi essere assunto come in- dice sicuro e costante di benessere o miglioramento dell'intero metabo- lismo. Fisiologia vegetale. — Aicerche sull'azione di mirati isolati sul periodo germinativo dell’Avena sativa (*). Seconda Nota preventiva del dott. F. PLATE, presentata dal Socio R. PIROTTA. In una precedente Nota (*) mi sono occupato di esporre rapidamente i risultati ottenuti circa l’azione dei singoli nitrati alcalini sul periodo ger- minativo dell’Avera sativa. Come già ebbi a dive in quella Nota io intendo studiare l’azione dei nitrati seguendo i gruppi del sistema periodico degli elementi. Per cui del 1° gruppo mi rimane ancora di accennare ai risultati avuti per il rame ed argento; e poi passerò ad esporre i risultati ottenuti per il 2° gruppo, di cui ho esaminato i nitrati seguenti: Bar: Car Sr: Mo Zn: Cd Hg Nitrato di argento. — Per le concentrazioni diverse usate in queste mie esperienze questo sale arresta immediatamente lo sviluppo delle pian- ® Rendiconti della R. Acc. d. Lincei, 1908, pp. 609-617. (*) Lavoro eseguito nel R. Istituto Botanico di Roma. (*) Vedi questi Rendiconti, pag. 598. — 729 — . tine. Ma però torna qui opportuno citare un fatto biologico interessante. La diminuzione di peso subita dalle piantine è rappresentata nell’ ordine seguente: N/so N00 N/200 N/400 N/800 N/1600 N/3200 Controllo con Hs0 dist. aumento in peso gr. 0.0170 0.0124 0.0078 0.0060 0.0024 0.0022 0.0018 0.2648 da cui vediamo che tale perdita è molto minore qui che non nelle soluzioni alcaline più concentrate, di cui la Nota precedente. Inoltre è da notare che la leggiera perdita di peso mantiene ancora un relativo turgore. Dopo un po' di tempo dall’immersione la parte aerea si oscura sempre dippiù fino a diventare nera; lo stesso avviene della parte somme:sa delle radici non appena si riportano alla luce diffusa. Nitrato di rame. — In quanto poi al nitrato di rame troviamo anche una graduale diminuzione di peso, maggiore di quella osservata per l'argento, ma minore di quella osservata per i cationi alcalini K, Cs e (NH,) delle soluzioni più concentrate, come si rileva dalle seguenti medie: N/50 N/100 N/200 N/400 i Controllo O 06 0 = 01021600168 SS 0094 IE N/s00 N/1600 N/s200 » —0.0088 = —0.0052 = —0.0040 0.2376 Gli effetti prodotti dal Cu sono identici per tutte le 7 piantine adope- rate, vale a dire arresto completo di sviluppo; però anche il germoglio assume una colorazione verde bluastra, che è massima per la soluzione “/so e minima per quella “/s:00. Le radici continuano ad essere bianchissime, ma coll’ HS si ha un precipitato nero colloidale di rame limitato al cilindro corticale. Dunque i fatti osservati per questi 2 cationi sono di natura anormale, cosicchè si ha indistintamente la morte di tutte le piantine; e questo fatto della penetrazione dei cationi anche nella parte aerea, e che produce la morte delle piantine, non deve essere confuso con altri fatti che avvengono in piante vive. II. GRUPPO. Prima di accennare ai risultati più interessanti ottenuti nelle ricerche eseguite coi nitrati di questo gruppo esporrò nel quadro seguente la media delle diminuzioni o aumenti reali ottenuti per il peso in ciascuna concentra- zione rispetto al peso originale all'inizio dell'esperienza: ? ReNDICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 97 — 730 — Ul N/5o N/100 | N/200 00 N/800 N/rsoo | “/azoo | Totale DL) | Ba(NO,), gr.|— 0.216 |— 0.0142|— 0.0112/-— 0.0032| 00216| 0.0366| 0.0532|0.1114| 0.2764 N | (Ca(NO;)a » | — 0.0084| 0.0874| 00906| 0.1186] 0.1504| 0.1782| 0.1828|0.8080| 0.2542 il Sr(N0,), .» | — 0.0186|— 0.0150| 0.0322| 0.0418| 0.1206| 0.1252| 0.1346|0.4694| 0.2644 WII Mg(N0;), » | — 0.0314|— 0.0246|- 00108] 0.0072] 0.0106| 0.0210| 0.0290| 0.0678| 0.3008 d fi Zn(N0;), » | — 0.0228|— 0.0190| 0.0276| 0.0102| 0.0464| 0.0500j 0.0564| 0.2206| 0.2516 Di CANO,), » | — 0.0564| — 0.0574|— 0.0508|— 0.0566|— 0.0682|— 0.0308|— 0.0148! — |0.2664 Vo, Hg(N0;)a » | — 0.0754| — 0.0692 | -- 0.0596|— 0 0492|— 0.0440|- 0.0368— 0.0318| — |0.2782 Fra questi nitrati esaminati sono senza dubbio quelli dei tre cationi Ba, Ca e Sr che dànno i risultati migliori; a questi si attacca lo Zn che forma quasi un termine di passaggio fra i primi tre e gli altri Mg, Cd, Hg. Nitrato di bario. — Le piantine germoglianti nelle soluzioni dal “/4o fino al “/soo mostrano un completo arresto di sviluppo; invece per le con- centrazioni N/so0 ; "/1600 "/sz00 abbiamo uno sviluppo migliore a mano a mano che passiamo alla diluizione maggiore, benchè dappertutto l’ accrescimento del germoglio e quello della radice dànno un rapporto negativo: difatti abbiamo: “/50 N/100 N/200 “/400 “/800 N/1600 N/3200 Radice cm. _ — - —_ 5.1 7.2 9a i Germoglio » — — — — 0.1 10.8 15.7 di Rapporto = = —- — —11 —36 —6.6 Ni n Oltre questi fatti vi sono da osservare anche alcuni di natura morfolo- gica, di cui però mi occuperò nella Memoria definitiva; il Ba si arresta nelle radici; difatti il germoglio l'ho trovato costantemente privo di questo catione, concordando in ciò con H. Colin e De Rufz L., che pervennero appunto ad identici risultati. Nitrato di calcio. — Confrontando le curve e le tabelle di accresci- mento ottenute per le piantine trattate con questo nitrato, risulta che la sola soluzione nociva è la “/:0; le altre se ne distanziano molto, e seguono Ci anche un ordine progressivo abbastanza regolare. Soprattutto è da notare che | | le radici raggiungono in tutte le soluzioni delle notevoli lunghezze; esse sono generalmente filiformi, molto consistenti, di un colore bianchissimo e fornite per quasi tutta la lunghezza di peli radicali magnificamente svilup- pati. E lo sviluppo è tanto migliore quanto più aumenta la diluizione; ma è appunto nella concentrazione “/ig0o che la piantina forse raggiunge il mi- gliore sviluppo. Epperò, mentre le radici non lasciano nulla a desiderare del | loro sviluppo, non può dirsi altrettanto del germoglio, il quale appare sof- o ferente, di un colore giallo verde e verso la fine dell'esperienza si presenta | SE E. e ic rss — 731 — quasi del tutto avvizzito. Dalla “/joo cominciamo ad avere un rapporto posi- tivo fra l'accrescimento del germoglio e quello della radice, che raggiunge il valore massimo nella “/,600, a cui difatti corrisponde il rapporto posi- tivo maggiore: Controllo N/50 N/100 N00 N/4o0 N/s00 N/1500 N/sa00 in Hs0 dist. Radice cm. — 4.2 IZ 15:94 AO 9 2 071857 Germoglio » a TIT I 1 ORA L73600 Rapporto io VAIO 251 Mitrato di stronzio. — Questo è fra i cationi esaminati del 2° gruppo quello più interessante e si avvicina molto nella sua azione al rubidio. Anzitutto è da notare che solo la “/;o è la concentrazione mortale per la pianta, ed in ciò si comporta come il Rb ed il Ca. Per le altre 6 soluzioni l’aspetto generale delle piantine è pressochè uguale, facendo astrazione naturalmente del maggiore accrescimento delle radici e del germoglio. Anche qui le radici sono bianchissime, ma presentano in genere una sezione più grande che non per gli altri cationi. Sono poi da notare nella radice in modo speciale nu- merosi rami laterali quasi sempre inseriti sulla zona di accrescimento, e che molte volte raggiungono una lunghezza di mm. 16; mentre la zona di assor- bimento è quella più ricca in peli, che generalmente sono scarsissimi nel resto della radice. Al contrario del calcio, qui il germoglio presentasi ben sviluppato, con quasi sempre 3 foglie guainanti ben sviluppate; inoltre la sezione del germoglio è maggiore che negli altri casi, a cui corrisponde cor- relativamente anche una maggiore sezione della radice primaria. Nel quadro qui appresso sono indicati gli aumenti subìti risp. dalla radice e dal ger- moglio, da cui si vede che abbiamo dappertutto un rapporto positivo, e che l'accrescimento del germoglio si mantiene in limiti quasi uguali a quelli trovati pel Rb: ma però come appunto per cuesto catione anche qui il sistema guainante fogliare è ben sviluppato, benchè in grado minore del Rb. 3 N/50 N/100 N/s00 N/soo N/s00 N/1600 N/s200 VERO Radice cm. MOIS TA 0320128) 206 Germoglio » — MOON SR SOA MOSTO T64 Rapporto i MIO I 103, IL 4.2 Noto pertanto un fatto: i pesi atomici dello Sr (87.63) e Rb (85.45) sono molto vicini; che appunto questa somiglianza nel loro comportamento biologico abbia una relazione con questo fatto ? Avrò occasione di tornare su questo argomento quando esporrò anche i risultati quantitativi. Per ora mi basta aggiungere ancora che anche lo Sr come il Rb penetra nel ger- moglio. <=: == = "= sp: ni a =" sa - — 732 — Nitrato di magnesio. — Questo elettrolite ci dà un completo arresto di sviluppo, e quindi la morte nelle prime tre soluzioni. Ma anche per le altre 4 concentrazioni specialmente lo sviluppo radicale è reso quasi nullo: per cui anche qui le radici come nelle più concentrate del K si gonfiano e assumono pol un aspetto gelatinoso; solo le concentrazioni /1600 € N/se00 non producono questo effetto, epperò non vi è traccia nè di radici laterali nè di peli. Passando poi al germoglio questo mostra in genere uno sviluppo corre- lativo più accentuato in confronto della radice; però si nota una maggiore brevità nella foglia guainante, la quale è di color verde-scuro e molte volte accartocciata. In genere verso la tine dell'esperienza la pianta anche delle soluzioni più concentrate ha perduto la sua vitalità. Le cifre seguenti ci dànno la prova migliore dell'esito dannoso di questo elettrolite, e dapper- tutto notiamo un rapporto negativo. Controllo N/50 N/100 N/500 N/4o0 N/so00 N/i600 N00 in H20 dist. Radice cm. —_ _ - o d4 190 Germoglio » _ — 1:80 23.60000 Re aiioS Rapporio — —. — — —S.2 —4.6 —6.2 200) Nitrato di zinco. — Le concentrazioni “/;o € N/100 producono la morte delle piantine, ma le altre provocano un leggiero e graduale accrescimento, benchè in definitiva abbiamo delle curve che in genere si mantengono basse. Ma anche qui le radici si dimostrano sofferenti: il loro sviluppo è stentato, e mancano anche qui completamente i peli radicali. La parte aevea ha in genere uno sviluppo migliore, ed in complesso lo Zn si dimostra meno dan- noso del Mg. Una conferma di questo fatto ci danno le cifre seguenti del- l'accrescimento ed il loro rapporto, che solo per la “/3200 è positivo; difatti solo qui possiamo notare uno sviluppo correlativo discreto. Controllo N/50 N/100 N/s00 N/400 N/800 N/1600 N/a066 in H20 dist. Radice cm. " ae L90900 Germoglio » - O O MO 1 Rapporto "— 0.6 — 4.0—3.6—4.5 03 3.4 Nitrati di cadmio e mercurio. — Tutte le piantine trattate con queste soluzioni dalla più concentrata alla più diluita muoiono tutte; il cadmio però risulta meno nocivo del mercurio. CONCLUSIONE. I risultati delle mie ricerche intorno ai nitrati del 2° gruppo del si- stema periodico degli elementi sì possono riassumere brevemente. Per ciò che concerne l’azione di questi nitrati sulla radice noi possiamo stabilire la serie seguente, in cui il primo termine rappresenta lo sviluppo — 733 — . migliore, il quale poi mano mano va degradando fino ad essere completa- mente negativo per gli ultimi due termini : Sr> 0a >Zn > Ba > Mg — Cd — Hg. Se prendiamo invece a considerare l'accrescimento del germoglio, .ed andando anche dal massimo al minimo noi otteniamo invece la serie se- guente : Ca> Ba >Zn>Sr> Mg— Cd — Hg in cui vediamo che lo Zn, Mg, Cd e Hg conservano il loro posto, ma che invece Ba, Ca, Sr lo mutano. Ma come già dissi altra volta in questi studii occorre più che altro tissare l’attenzione sullo sviluppo correlativo di tutto l'organismo, e tenendo calcolo di ciò, noi otterremo la serie seguente: St > Ca>Zn>Ba>Mg> Cd — Hz dove indubbiamente allo Sr spetta il primo posto. Riepilogando quindi in un quadro questi elementi in riguardo alla loro azione biologica sull’Avena saliva, noi otterremo la seguente disposizione: 18 serio Mg < CaSr>Zn>Ba>Mg— Cd — Hg peso della pianta. 9® n Sr > Ca>Zn> Ba > Mg — Cd— Hg accrescimento radice. 48 n Ca>Ba>Zn>Sr > Mg— Cd — Hg 1) germoglio. 5® a Sr>Ca>Zn>Ba>Mg—- Cd — Hg ” correlativo. 63 » Hg>Ba>Cd>Sr > Zn > Ca > Mg serie decrescente del peso atomico. Anche qui dunque nessuno degli elementi suddetti agisce secondo le proprietà chimiche finora conosciute del gruppo cui appartiene, ma ognuno ha delle proprietà biologiche specifiche, per cui le diverse serie intermedie formano delle serie di transizione. | | I | I | i ai Zoologia. — Ciclo di sviluppo di Haplosporidium limno- drili n. sp.('). Nota di LeopoLpo GRANATA, presentata dal Socio B. GRASSI. L'incertezza che regna nell'attribuire agli Aplosporidii una posizione sistematica ben definita è dovuta certo, oltre che all'eterogeneità delle forme radunate in questo gruppo, alle scarse notizie che si possiedono sullo svi- luppo di gran parte di esse. È dunque con grande interesse che, esaminando alcuni Zimnodrilus — questi « Eldorado di parassiti », come ebbe a chiamarli Mrazek — io ho notato la presenza, fra le numerose altre, di una infezione di Haplospo- rididae. Si tratta di una specie del gen. Haplosporidium che risulta nuova, e scopo di questa Nota è di accennare brevemente alle caratteristiche più salienti del suo ciclo. Delle cinque specie di Haplosporidium descritte da Caullery e Mesnil (?) noi conosciamo numerosi stadî di sviluppo che sono tuttavia incompleti e difficilmente collegabili. Solo recentemente Cépède, in base a ricerche com- piute sullo sviluppo di Anwrosporidium pelseneeri, ha espresso una inter- pretazione assai suggestiva, traendone occasione per una sistemazione defi- nitiva del gruppo: noi vedremo in quale rapporto con questa stanno i fatti da me stabiliti. i Cépède (*) descrive iu Anurosporidium uno sviluppo sessuato caratte- rizzato dalla formazione, nello schizozoite, di macro e microgameti (rotondi gli uni, allungati gli altri) i quali si uniscono; dopo l'unione il nucleo della copula dà origine, per divisione ineguale, a un grosso nueleo sporoplasmico e ad un piccolo nucleo parietale: il primo diventa il nucleo della spora, il secondo il nucleo della membrana sporale. In base a questo Cépède pro- pone di radunare ZAaplosporididae e Chytridiopsis in un gruppo, Acnido- sporidii, connesso coi Cnidosporidii, e caratterizzato dalla presenza di mem- brana sporale cellulare. In una Nota seguente Cépède (4) prende in esame i fatti già noti sugl. Haplosporidium di Caullery e Mesnil, e ritiene di poter stabilire: (1) Lavoro eseguito in Firenze nel Laboratorio di Zoologia degli Invertebrati, 1915. (*) Caullery M. et Mesnil F., Recherches sur les Haplosporidies. Arch. de Zool. expérim. et génér. (IV), tome IV, pp. 101-181, pl. XI, XIII (1905). (°) Cépède C., Le cycle évolulif et les affinités systématiques de l’ Haplosporidie des Donax, in C. R. Acad. Sc. Paris, tome 158, vp. 507-509 (1911). (4) Cépède C., Les « Cytopleurosporés » (Cytopleurosporea) embranchement nouveau du règne des Protistes, in C. R. Acad. Sc. Paris, tome 156, pp. 574-576 (1918). — 735 — 1° La formazione di macro e microgameti in ZH. heterocirri; ciò in base alla fig. 11 (pl. XI) degli Autori, nella quale si notano corpi mono- nucleati rotondi grandi e piccoli (questi ultimi già interpretati da Caullery e Mesnil come parti in degerazione). 2° La presenza di una membrana sporale cellulare. I corpi binucleati che si notano in tutte le specie (tigg. 10, 11, 27 ecc. di C. e M) sarebbero degli sporoblasti costituiti di due cellule, delle quali l'una diventa il germe, ; l’altra la membrana sporale. Il nucleo della cellula parietale sarebbe poi rappresentato da un corpo « debolmente colorabile » che si nota alla periferia di tutte le spore, e specialmente in quelle di HA. Marehouxi (C. ey M. fig. 31, II IO:Q0) Questi fatti giustificano la creazione di un gruppo autonomo (Cytopleuro- sporea) comprendente Acnidosporidii e Cnidosporidii. Il gruppo degli Acnido- sporidii assume l importanza sistematica di una classe costituita da Haplo- sporididae e Chytridiopsis e nella quale rientra il gen. Paramiza (« Cnido- sporidie sans cnidoblaste ») di Chatton. I Cytopleurosporea sarebbero protisti ,a_ sporoplasma ordinariamente ameboide aventi spora a parete cellulare, un ciclo schizogonico e uno gamo- gonico precedente ‘la sporulazione, e costituiscono una nuova suddivisione del regno dei protisti, da collocarsi vicino a quella dei lobosa da cui deriva per parassitismo. La forma da me studiata presenta una serie di stadî che corrispondono esattamente a quelli di 7. Vejdovskit (C. e M., PL XII, figg. 46-56) e si osservano anzitutto due serie di plasmodi: l’una con grossi nuclei vescico- losi, l’altra con nuclei di dimensioni minori; inoltre forme intermedie tra l'una e l’altra. Gli stadî iniziali sono rappresentati da corpi raramente mononucleati, generalmente con due nuclei che si moltiplicano sempre per cariocinesi. Quanto ai caratteri dei nuclei e al loro modo di divisione, del tutto caratteristico, io accennerò solo, per ora, che le figure di Caullery e Mesnil, per quanto sotto questo punto di vista incomplete, permettono tuttavia di stabilire una notevole analogia tra 1 fatti da me osservati e quelli notati specialmente in H. Vejdovskii. Mi riservo di tornare su questo argomento in una prossima Nota. In base a varie osservazioni, per quanto una prova decisiva, sino a questo momento, mi sfugga, io credo di poter ritenere che la serie a grandi nuclei rappresenta una fase di riproduzione schizogonica. Dopo una serie di divisioni, passando per le forme a nuclei di dimen- sioni medie, si ha un plasmodio con numerosi nuclei piccoli; intorno a ciascun nucleo si addensa una parte di protoplasma e si ha così un ammasso di corpi mononucleati, da prima poliedrici per reciproca compressione, quindi indipendenti gli uni dagli altri e rotondeggianti. è __—___eedee0_ edi Mero er ‘0 9Guese | | "i sonia Nu === A —=— n= a = —_—e — 736 — Questi corpi si accoppiano a due a due ed hanno così origine i corpi binucleati già noti (C. e M., PI. XI, figg. 10, 11, 27 e PI. XII, fig. 55). L'accoppiamento si inizia con la fusione del protoplasma dei gameti; quindi i nuclei di questi sì avvicinano e segue la loro unione completa. Noi abbiamo così da un numero » di gameti un numero 9 di sporoblasti. Dopo la copulazione il nucleo subisce una sorta di epurazione, rappre- sentata dall'espulsione di un corpo di struttura apparentemente omogenea che non assume mai, nei miei preparati, nessuno dei coloranti nucleari impiegati, e di un granulo che si colora in nero con l'Ematossilina ferrica. Lo sporoblasto risultante dalla coniugazione appare così costituito di un corpo ovale lungo circa 12 u, largo 8, una metà del quale è occupata dal syncaryon, grosso, vescicoloso, con 2 cariosomi, circondato verso l'esterno da un sottile strato protoplasmatico; l’altra metà è una massa protoplasma- tica a struttura alveolare, nella quale sta immerso un corpo irregolarmente sferico, generalmente più o meno vicino al nucleo, spesso circondato da un'areola chiara. Quest'ultimo corrisponde evidentemente al corpo enigmatico rappresen- tato da Caullery e Mesnil e che Cépède interpreta come nucleo della cellula parietale. L’origine di questo corpo, oltre che la sua struttura e il suo com- portamento di fronte ai coloranti, ci permettono di escludere questa inter- pretazione. La membrana sporale prende origine da una porzione della parte pro- toplasmatica dello sporoblasto; notiamo ancora che, come potrò agevolmente dimostrare, questa non rappresenta il protoplasma di uno dei gameti, ma la quasi totalità del protoplasma della copula. La spora è di forma ovale poco allungata, un poco iugrossata nella parte basale che contiene il nucleo, leggermente schiacciata all'estremità opposta, attorno alla quale si nota una lieve sporgenza; essa misura da 10 a 12w nel suo grande asse e da 8 a 10 nell'asse minore. La sua forma ci per- mette di individualizzare una specie per la quale proponiamo il nome di Haplosporidium limnodrili. Suo ospite abituale è il Zimnodrilus ukede- mianus Clap. Questi i fatti. Se la loro interpretazione è esatta, come mi permettono di credere le mie molteplici osservazioni, tutte le figure già note trovano, mi sembra, facile spiegazione. Sopra tutto è importante stabilire che 1 corpi binucleati non sono ancora sporoblasti ma copule. E questo ci permette forse anche di spiegare la pre- senza di corpi a 4 nuclei, quali sono rappresentati dagli Autori per ZH. sco- lopli (fig. 28) e per H. Marchouxi (fig. 43). Se le figg. 27 e 42 rappre- sentano fasi di coniugazione, è ovvio pensare che nelle forme suddette abbia luogo, prima della cariogamia, una divisione riduttiva: qualcosa di simile — 157 — a quanto si osserva ad es. in P/asmodiophora (Prowazek) in cuì ha luogo un’autogamia del tutto simile a quella da me osservata. Queste divisioni riduttive nei gameti mancherebbero invece in diverse specie. compresa la mia. Come si compiono in questa i processi riduttivi? Quale valore deve attribuirsi al corpo acromatico rigettato dal nucleo della copula? Un'analogia che colpisce si ha nelle Monocystis, nelle quali non è stato osservato nessun fenomeno di vera riduzione cromatica, e si compiono feno- meni simili di epurazione nucleare, con rigetto di una parte del nucleo (Monocystis ascidiae) o con l'espulsione di un cariosoma e di un vacuolo (Monocystis di Lumbricus herculeus). Altre osservazioni, un più esteso esame dei fatti mi permetteranno, spero, di determinare più esattamente in seguito Ja portata dei fenomeni da me notati. Dopo le osservazioni di Cépède è certo giustificato il ravvicinamento di Anurosporidium Pelseneeri ai Cnidosporidii, assieme all’interessante Para- mixa paradora. Questi Acnidosporidi corrispondono alle Paramixiformes di Poche ('). Quanto agli Zaplosporididae, il cui limite sarà determinato solo dopo più complete conoscenze, io ritengo debbano per ora considerarsi come un gruppo autonomo che si riattacca da una parte agli Sporozoi per mezzo degli Acni- dosporidii, dall'altra ai Micetozoi e alle Chytridineae colle Chytridiopsis; per quanto la posizione sistematica di quest'ultime rimanga tuttavia molto incerta. Il collocamento di Chytridiopsis tra gli Acnidosporidii (Cépède) determinato dalla probabile presenza di una membrana sporale cellulare segnalata da Léger, diventa assai dubbio dopo le osservazioni di Trégouboff (*) su Chy- tridioides schisophilli, nel quale la presenza di nuclei nella membrana sporale sembra del tutto esclusa. (*) Poche F., Das system der Protozoa. Arch. f. Protistenk., 30 Bd., Heft. 3 (1913). (*) Trégouboff G., Sur un Chytriodiopside nouveau (Chytridioides schizophilli n. sp.) parasite de l’intestin de Schizophillum mediterraneum. Arch. de Zool. expérim. gén., tome 52, N. et R., n. 2, pp. 25-81 (1913). ReNDICONTI. 1918, Vol. XXII, 2° Sem. 98 SS > (= pece — > — Med contanti TA Le Sc € Es, “==> OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’'ACCADEMIA presentate nella seduta del 21 dicembre 1913. Aeagiti A. — Tortura sepolcrale. Roma, 1913. 8°. ALADAR A. — A Baktériumok Termés- zetrajza. Budapest, 1912. 8°. Béeuinor A. — La vita delle piante supe- riori nella laguna di Venezia e nei ter- ritorî ad essa circostanti. Studio bio- logico e fitogeografico, con 75 tavole. Venezia, 1913. 8°. Coltivazione (La) del frumento in Italia: studî e cenni illustrativi. (Min. di agr., ind. e com.). Roma, 1913. 8°. DeHauT E. G. — Matériaux pour servir a l’histoire zoologique et paléontolo- gique des îles de Corse et de Sardai- gne. Fasc. I-IV. Paris, 1911-1912. 4°. DeL Guercio G. — Generi e specie nuove :di Afididi o nuovi per la fauna ita- liana. (Estr. dal « Redia », vol. IX). Firenze, 1913. 8°, DeL Guercio G. — Intorno ad;'alcuni Omotteri cecidogeni dell’ Argentina, raccolti da I. S. Tavares. (Estr. dal « Redia », vol. IX). Firenze, 1913. 8°. DeL Guercio G. — Specie nuove di Afi- didi per le graminacee in Italia, a con- fronto con quelle conosciute. (Estr. dal « Redia », vol. IX). Firenze, 1913. ; 8°. De Toni G. B. — Annotazioni di floristica marina: I-III (R. Comitato talasso- grafico italiano). Venezia, 1913. 8°. Fusari R. — Contributo allo studio dei nervi cutanei e delle terminazioni ner- vose nella cute e nella mucosa orale dell’« Ammocoetes branchialis». (Estr. dagli « Atti d. R. Accad, d. scienze di Torino », vol. XLII). Torino, 1907. 8°. Fusari R. — Contributo allo studio delle terminazioni nervose nei muscoli striati di « Ammocoetes branchialis ». (Estr. dagli « Atti d. R. Accad. d. scienze di Torino », vol. XL). Torino, 1905. SE Fusari R. — Su di una anomalia arte- riosa della midolla spinale dell’uomo. (Estr. dal « Giornale della R. 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Mirinny L. — Note sommaire rappelant quelques linéaments essentiels de la théorie des radiations (actinociriose). Paris, 1915. 8°. MonraLLer D. -— Bactéries ovales et ca- séose calcique. Santiago du Chili, 1897. 8°. S99 — MonraLLet D. — La texture du sang des animaux domestiques. Valparaiso, 1913, 8°. MonraLLet D. — L’urine anormale des animaux. Valparaiso, 1913. 8°. MonraLLer D. — Sur la caséose. San- tiago, 1897. 8°. MorseLLI E. — L’etnografia nel quadro delle scienze antropologiche. Perugia, 1912. 8°. Omopro A. — La Colonia Eritrea: condi- zioni "e problemi. Fasc. 1°. (Società italiana per il progresso delle scienze). Roma, 1913. 8°. PeGLION V. — La Colonia Eritrea: 'con- dizioni e problemi. Fasc. 1° (Società ital. per il progresso delle scienze). Roma, 1913. 8°. PicgerING E. C.— The objective Prism. (From « American Philosophical So- ciety n, vol. LI). s. l., 1912. 8°. Sovez-LE Roy L.(Tib.). — Amour et vail- lance. Lille, 1913. 8°. STAURENGHI C. — « Fonticulus lambdoidalis lateralis » e « fissura lambdoidalis late- ralis» degli « equidae ». (Estr. dalle « Memorie della R. Accad. d. scienze di Torino », ser. II, vol. LXIV). Torino, 1912. 8°. SreeNnstRUP J. — Iapetus Steenstrup i Ungdomsaarene 1813-1845. Kobenhavn, 1913.7189) SreInER SziLARD Q. — A Szines fotogrà- fozàs. (Népszeriù természettudomanyi k6nyvtar). Budapest, 1913. 8°. Tavani F. — Principles of a new theory of the series. Essay. Kingsway, W. C., Eh Gb Efo VaLenTI G. — La Colonia Eritrea: con- dizioni e problemi. Fasc. 1°. (Società ital. per il progresso delle scienze). Roma, 1913. 8°, na pes PL — 741 — INDICE DEL VOLUME XXII, SERIE 5°. — RENDICONTI 1918 — 2° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI Accame. V. Rolla. Acqua. « La degenerazione nucleare pro- vocata dall’uranio nella. cellula vege- tale ». 390. — « Nuove ricerche sulla diffusione e loca- lizzazione degli ioni nel corpo delle piante. Esperienze con il Cerio ». 516; 594. AGGazzottI. « La respirazione cutanea in alta montagna ». 85. ALESSANDRI. « La struttura del 3.nitroso, 2.fenilindolo ». 150; 227. ALLEN. « Sopra le serie algebriche ap- partenenti ad una curva algebrica ». 424. ALLIEVI. « Teoria del Colpo d’ariete ». 546; 659. ALMANSI. « Sopra le azioni le quali si eser- citano fra corpi che si muovono o si deformano entro una massa liquida ». 473; ‘583. AmaporI. « Solubilità allo stato solido tra nitrati, solfati e carbonati ad alta tem- peratura ». 332. — «Sulla tendenza a combinarsi fra alo- genuri e altri sali dello stesso metallo. Fluoruri cloruri e carbonati». 366. Amoroso. « Analogie tra i fenomeni sta- tistico-economici e i fenomeni mecca- nici». 552. ANDREOLI, « Sulle espressioni lineari inte- gro-differenziali ». 409. b BagLIONI. « Ricerche sugli effetti dell’ali- mentazione maidica. Utilizzazione delle sostanze azotate nell'uomo ». 466; 608. — « Ricerche sugli effetti dell’ alimenta- zione maidica. Valore nutritivo della zeina, gliadina e ovoalbumina nei ratti albini ». 466; 721. BaeneRA. È eletto Corrispondente. 92. — Ringrazia. 466. BaLBIANO. « Sulla formula strutturale del polimero dell’anidride del glicole del l’anetolo ». 93. Bassor. È eletto Socio straniero. 92. — Ringrazia. 466. BrcaRELLI. V. Marino. BeLLUCCI. « Sulla preparazione del fluo- manganito potassico ». 579. — e CorELri. « Composti di nichel mono- valente n. 445; 485. — e GrassI. « Sistema anidride solforosa- canfora ». 676. BeLOocH. « Sulla configurazione delle curve ce e _ rs = — === — 742 — situate sopra quadriche, e, in partico- lare, sulla configurazione delle curve algebriche sghembe col massimo nu- mero di circuiti». 60; 95. BrancuI. « Sui sistemi conjugati permanenti nelle deformate delle quadriche ». 3. BLASERNA (Presidente). Dà annuncio della morte dei Corrispondenti prof. /gi20 Cocchi e marchese Giacomo Doria. 466; del Socio straniero Edwin Alebs. 615. — Annuncia che alla seduta assistono i proff. 7rowbridge e F. Millosevich e saluta gl’intervenuti a nome del- l'Accademia. 615. — Comunica un invito per le onoranze al Socio Senatore Dalla Vedova in occa- sione del suo 80° senetliaco. 615. — Presenta il vol. IV dell’opera di S. M. il Re « Corpus Nummorum Italico- rum » inviata in dono all'Accademia e ne discorre. 467. — Offre a nome della R. Accademia delle Scienze di Torino il 2° vol. della pub- blicazione fatta in onore di Lagrange. 467. — Presenta un piego suggellato dell'ing. Conti. 468. — Comunica i telecramma di augurî in- viati a S. M. il Re. 468; a S. M. la Regina Madre. 524. BopAareu. « La costante dielettrica dell’a- zoto ad alte pressioni ». 442; 480. BortaAzzi. « Proprietà colloidali dell'emo- globina ». 141. — « Sopra alcune proprietà colloidali della emoglobina. Modificazioni della visco- sità e della tensione superficiale di sospensioni di metemoglobina per l’a- zione di HCl e di Na OH ». 263. — e D'Agosrino. « Viscosità e tensione superficiale di sospensioni di proteine musculari, sotto l'influenza di acidi e alcali ». 183. — — « Proprietà chimiche e chimico-fisi- che del succo di muscoli striati e lisci. ITI. Variazioni di volume in alcuni processi colloidali ». 307. — e QuagLIARIELLO. « Proprietà chimiche e chimico-fisiche del succo di musculi striati e lisci. Nota II. Contenuto in proteine del succo e rapporti fra gra- nuli (miosina) sospesi, e mioproteina sciolta ». 52. Bovini. « Intorno alla fototropia degli idra- zoni n. 460. — V. Graziani. BraGgIo. » Sopra un metodo di approssi- mazione delle radici di un’equazione algebrica ». 355. Briosi e FARNETI. « Ancora sulla « morìa del castagno (mal dell’inchiostro) » in risposta al sig. dott L. Petri n. 49. BrieGeRr. È eletto Socio straniero. 92. — Ringrazia. 466. Brusa. V. Mascarelli. € CaLcagni. « Studi sulla capacità degli os- sidrili alcoolici a formare complessi ». 157. — e MarortA.E« Solfati anidri (CASO, con Li, $04, Nas $04, Ka $04)». 373; 442. CATANIA, « Sul concetto di funzione mo- nodroma e su quelli che da essa de- rivano ». 478; 546; 639. Cramician e SiLBER. « Azioni chimiche della luce ». 339; 469. CisortI. « Un teorema generale sul moto incipiente dei sistemi vincolati n. 358. — « Efflusso da un recipiente forato sul fondo ». 415; 473. Crusa e Micani. « Sulla riduzione delle aldeidi ad «-glicoli ». 575; 681. — e ToscHi. « Sulla trasformazione del dibenzaldifenilidrotetrazone nel dei- drobenzalfenilidrazone e nel benzil- osazone ». 451; 489. Coccni. Annuncio della sua morte. 466. CoLomBano e Sanna. « Ricerche sulla scis- sione degli aminoacidi racemici per mezzo di acidi attivi ». 234. — — « Scissione dell’e-alanina negli an- tipodi ottici per mezzo di acidi attivi ». 292. CoLonnetTI. « Sulla teoria dei sistemi re- ticolari triplamente iperstatici ». 145. Comessatti. « Sulle varietà algebriche che posseggono integrali semplici funzio- nalmente dipendenti ». 270. — 743 — . ComessatTI. « Sopra certe disuguaglianze fra i caratteri d'una varietà algebrica ». 316. — « Ancora sopra certe disuguaglianze fra i ceratteri d'una varietà algebrica ». 361. Compagno. « Nuovo procedimento per la analisi elettrolitica dei metalli bian- chi da cuscinetti ». 221. ContarpI. V. Koerner. Conti. Invia un piego suggellato da con- servare negli Archivi accademici. 468. CoreLLI. V. Bellucci. CrupELI. « Le ipotesi sugli sforzi interni nei mezzi ponderabili isotropi ». 206; 287. Cuccia. « Sull’Ematite del Vesuvio n. 466; 987. Cusmano. « La struttura del dibromomen tone e una nuova sintesi della buc- cocanfora ». 569. D D'Agostino. V. Bottazzi. Doria. Annunzio della sua morte. 466. Dunem. « Études sur Léonard de Vinci. Les précurseurs parisiens de Galilée. Lettera al Presidente ». 429. F FARNETI. V. Briosì. Favaro. «Sulle correzioni alle letture dei cerchi fatte col microscopio [correzioni di run]». 209, FRANCcEScONI e SERNAGIOTTO. «I compo- nenti dell’essenza di Seseli Bocconi ». 116. FREDHOLM. È eletto Socio straniero. 92. FuBINI. «Su un teorema relativo agli inte- grali doppii». 67. G GarBAsso. « Sopra il fenomeno di Stark- Lo Surdo n. 635. GatgAUX. «Sur la représentation des fon- ctionnelles continues ». 646. GIANFRANCESCHI. « La scrittura delle vibra- zioni acustiche per mezzo dell’elettro- metro bifilare del Wulf». 216. — «Misure di deviazioni dei gravi». 561. GRANATA. « Ciclo di sviluppo di Haplo- sporidium limnodrili n. sp. ». 134. Grassi B. «Nuovi contributi alla metamor- fosi dei Murenidi ». 642. Grassi. L. V. Bellucci. GRAZIANI e Bovini. «Contributo allo studio della fototropia ». 32. GrILL. Invia per esame la sua Memoria: «I minerali dell’isola di Nisiro (Mar Egeo)». 615. H HicL. È eletto Socio straniero. 92. Hurwrrz. È eletto Socio straniero. 92. — Ringrazia. 466. Tona. V. Rimini. K Kcess. Annuncio della sua morte. 615. KoeRNER e ContarDI. « Dinitroderivati delle benzine metadialogenate ». 533; 625. L Levi-Civita. « Sulle funzioni che ammet- tono una formula d’addizione del tipo (@+y)= ZiXi(2)Y:(Y) ». 181. Lo Surpo. « Sul fenomeno analogo a quello di Zeeman nel campo elettrico ». 664. Lovisato. «La montmerillonite nelle era- nuliti di Cala Francese (Isola della Maddalena)». 593; 670. M Maggi. «Su alcune circostanze attinenti alla presenza di superficie di disco,_ —— ——-;__a_=—_—r_r——++6y rame ETRE === ;=@ a pae —= — 744 — tinuità e al passaggio all'infinito nella teoria del campo vettoriale ». 247. MameLi. Risposta alla Nota del dott. Petri: «Sul significato patologico dei cor- doni endocellulari nei tessuti della vite ». 604. ManuELLI. «Sul Lapaconone n. 576; 686. MarcHiarava. Offre due sue pubblicazioni. 467. MaRcoLongo. « Su alcune questioni relative alle trasformazioni di Lorentz in elet- trodinamica ». 349; 402. MaRINO e BECARELLI. « Ricerche sulle com- binazioni subalogenate di alcuni ele- menti. II. Sui così detti sottocloruri e sottobromuri di bismuto ». 460. Marotta. V. Calcagni. MascaRELLI e Brusa. « Ricerche intorno a sostanze aromatiche contenenti iodio plurivalente ». 451; 494. — e NeerI. « Ricerche intorno a sostanze aromatiche contenenti iodio pluriva- lente ». 451; 498, MazzuccHELLI. « Su l’indice di rifrazione dei miscugli binari. (Replica al sig. Schwers) ». 576; 691. — e PeRRET. « Spettri di assorbimento di alcuni sali dell’uranio ». 445. Mreti. « L'origine della salsedine del mare e Vannoccio Biringuccio ». 68. Micani. V. Ciusa. MiLLosevica E. (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segna- lando quelle dei Soci : Bassani, Pirotta, Taramelli, Berlese, Loria, Lustig, Marcolongo, Pascal, Silvestri, Hel- mert, Hurwitz, Zeeman; dei signori: Agamennone, Burali-Forti, Cavazza, Guerrieri, Lazzarino, Lebon, Ma- nasse, Soler, Zappa. Molinari, Quar- tieri, Eredia e del Principe Alberto di Monaco. 466; Fusari e Pickering, dei sigg. Aladar, Dehant, Steenstrup e del prof. Béguinot, 616. — «L'astro Neujmin, detto cometa 1913 c». 395. MrLLosevica F. È eletto Corrispondente. 92. — Ringrazia. 466. — « Clinozoisite di Campo a’ Peri (Elba) ». D44. MincantI. V. Padoa. MoLinarI. « Sul teorema di Hadamard ». 11. Monti. « Nevosità relativa e frequenza re- lativa della neve nelle Alpi settentrio- nali n. 568; 666. N NasinI. « Potere rifrangente dell’acenoftene e delle idronaftaline n. 402. — « Pressione osmotica ». 402. — « Per la storia della spettrochimica. I concetti di I. H. Gladstone sul va- valore più elevato della rifraziane ato- mica del carbonio ». 402. NeerI. V. Mascarelli. (0) OccHIaLINI. « La costante dielettrica del- l'idrogeno ad alte "pressioni ». 442; 482. OLIvaRI. « Sulle proprietà dell’iodio come solvente crioscopico n. 575; 697. OrLanpo. «Sulla permutabilità di due segni di limite ». 415. P Papoa e ForEsTI. « I coefficienti di tem- peratura delle trasformazioni fototro piche ». 505; 576. — e Minganti. « Velocità di reazione nelle trasformazioni fototropiche». 451; 500. Paotini. « Sulla formula del cloridrato di apomorfina ». 121. PerÈs. « Sur les fonetions permutables analytiques ». 558; 649. PETRI. « Sul significato patologico dei cor- doni endocellulari nei tessuti della vite ». 174. — « Sulla produzione sperimentale d’iper- plasie nelle piante ». 466; 509. Picone. « Teoremi di unicità nei problemi dei valori al contorno per le equazioni ellittiche e paraboliche ». 275. — «Sul teorema d’esistenza in un pro- blema dei valori al contorno per le equazioni del tipo parabolico ». 8321. — 745 — . PincHERLE. « Un’applicazione della con- vergenza in media ». 897. PrurtI. « Lo spettro di assorbimento della santonina bianca e gialla ». 192. PLANCHER e Ravenna. « Sulle basi che si formano per la alchilazione dei pir- roli ». 703. — e Zamonini. « Id. id. n. 708. i — — « Azione del cloroformio sul tetra- metilpirrolo ». 712. PLare. « Ricerche sui fenomeni d’imbibi- zione dei semi di Avena sativa». 133. — « Ricerche sull’azione di nitrati isolati sul periodo germinativo dell’Avena sativa». 516; 598; 728. PratoLonGo. «La cianamide quale solvente crioscopico ». 575; 716. Q QuacLiIARIELLO. V. Bottazzi. R Ravenna. V. Plancher. Riccò. « Statistica delle protuberanze del sole negli ultimi cicli osservati della sua attività ». 299. — «Distribuzione delle protuberanze sulla superficie del sole ». 3897; 525. Rieni. « Nuove esperienze sull’anodo vir- tuale nei tubi a raggi magnetici ». 256. Rimini e Iona. « Nuovi derivati dell’arte- misina e della santonina ». 28. — — « Azione degli alogeni sull’artemi- sina ». 71 Rivera. « Primo contributo. allo studio della recettività della quercia per l’oidio ». 168. i RoLLa. « Sul limite di visibilità dei pre- cipitati ». 104. — e Accame. « Sul calore specifico dei . sali idrati ». 109. Rosati A. « Comunicazione preliminare di uno studio cristallografico della Mau- cherite e della Placodina ». 243, Rosati C. « Sulle corrispondenze algebri- che fra i punti di una curva alge- brica ». 385; 431. Ross. V. Scagliarini. RenNpICONTI. 1913, Vol. XXII, 2° Sem. S SANDONNINI. « Sistemi binari del cloruro talloso coi cloruri di alcuni metalli bivalenti ». 20. — e Scarpa. « Sistemi binari del cloruro manganoso coi cloruri di alcuni me- talli alcalini ». 163. — — «Sulla tendenza degli alogenuri al- calini a combinarsi cogli alogenuri di argento ». 517. SANNA. V. Colombano. Sannino e TosartI. « Primi risultati della concimazione delle viti con solfato di manganese »., 237. SCAGLIARINI e Rossi. « Su alcuni pallado- nitriti di metalli bivalenti fissati per mezzo di basi organiche ». 451; 506. Scarpa. « Sali doppî tra alogenuri e ni- trato di argento ». 452. — V. Sandonnini. ScroLETTE. « Sulle condizioni che defini- scono assiomaticamente l’ integrale ». 424; 558. SEGALE. « Ricerche termocalorimetriche negli ultimi periodi di vita », 76. SernaGIOTTO. V. Mrancesconi. StLBER. V. Cramician. SILLA. « Sui sistemi di equazioni integrali di prima specie ». 13. — « Sull’equilibrio dei corpi elastici iso- tropi ». 282. SILvesTRI. « Notizia preliminare di un T e- trastichus (Imenottero Calcidide) parassita di specie di Ceratitis e Dacus nell'Africa occidentale ». 205. STAECKEL. « Salle equazione funzionale f(24y)= = X;(2) Yi(y) [Estratto di una lau al prof. 7. Levi-Ci- vita)». 392. T Treri. « Telefono fondato sulla magneto- strizione ». 484, TorELLI. « Sulla varietà di Jacobi n. 98; 487. Tosatti. V. Sannino. Toscni. V. Ciusa. 99 — 746 — V Vacca. « Su alcuni teoremi di geometria piana analoghi a quelli di Max Dehn nella geometria solida ». 417. VaLori. « Sopra alcuni nuovi derivati del- l’azossibenzolo ». 125. VanzetTI. « Sul calore di formazione di composti organici d'addizione. II. Ra- cemati (Tartrato dimetilico) ». 328. III. « Racemati (canfore e canforos- sime) ». 379. VeccHi. « Un nuovo aspetto dato al teo- rema di Goldbach ». 654. VeccHIOTTI. « Ricerche negli idrazoni ». 75. VENEZIANI. « Scissione della decaidrochi- nolina nei due antipodi ottici». 155. VISENTINI. « Ricerche morfologiche, cul- turali e biologiche sulla Leishmania della leishmaniosi spontanea del cane. 582... — Fa omaggio di una sua opera, e di una pubblicazione del prof. Zedor di cui discorre. 467. VoLTERRA. « Sopra equazioni integro-diffe- renziali aventi i limiti costanti ». 486 Z ZAMmBONINI. V. Plancher. — 747 — INDICE PER MATERIE A Astronomia. « L’astro Neujmin, detto co- meta 1913 ce». 4. Maillosevich. 395. — « Statistica delle protuberanze del sole negli ultimi cicli osservati della sua attività ». A. Riccò. 299. — « Distribuzione delle protuberanze sulla superficie del sole ». /d. 397; 525. ASTRONOMIA PRATICA. « Sulle correzioni alle letture dei cerchi fatti col micro- scopio micrometrico [correzioni di run]». G. A. Favaro. 209. B BioLoGIa. « Ricerche termometriche sugli ultimi periodi di vita ». I. .Segale. 76. Bollettino bibliografico. 617. C CuÙimica. « La struttura del 3. nitroso. 2. fenilindolo n. Z. Alessandri. 150; 227. — » Solubilità allo stato solido tra nitrati, solfati e carbonati ad alta tempera- tura ». M. Amadori. 332. — «Sulla tendenza a combinarsi fra alo- genuri e altri sali dello stesso me- tallo. Fluoruri, cloruri e carbonati ». « Id. 366. — « Sulla formula strutturale del polimero dell'anidride del glicole dell’anetolo ». L. Balbiano. 93. — « Sulla preparazione del fluomanganito potassico ». /. Bellucci. 579. — « Composti del nichel monovalente ». Id. e R. Corelli. 445; 485. CHimica. « Sistema anidride solforosa-can- fora ». /Jd. e £. Grassi. 676. — «Intorno alla fototropia degli idrazoni». Pl. Bovini. 460. — « Studî sulla capacità degli ossidrili alcoolici a formare complessi n. G. Calcagni. 157. — « Solfati anidri (CA SO, con Lig S0,, Na, S0,, KsS0,) ». Id. e D. Marotta. 373; 442. — « Azioni chimiche della luce n. G. Cia- mician e P. Silber. 339; 469. — « Sulla riduzione delle aldeidi ad a-gli- coli ». A. Ciusae A. Milani. 575; 681. — « Sulla trasformazione del dibenzaldife- nilidrotetrazone nel deidrobenzalfenil- idrazone e nel benzilosazone ». /d. e B. Toschi. 451; 489. — « Ricerche sulla scissione degli ami- noacidi attivi », A. Colombano e G. Sanna. 234. — « Scissione dell’a-alamina negli antipodi ottici per mezzo di acidi attivi ». /d. Id. 292. — « Nuovo provvedimento per l’analisi elettrolitica dei metalli bianchi da cu- scinetti n. Z. Compagno. 221. — «La struttura del dibromomentone e una nuova sintesi della buccocanfora ». G. Cusmano. 569. — «I componenti dell’essenza di Seseli Bocconi n. £L. Francesconi ed E. Ser- nagiotto. 116. — « Contributo allo studio della fototro- pia n. HF. Graziani e F. Bovini. 32. — « Dinitroderivati delle benzine metadia- logenate n. G. Aoerner e Contardi. 538; 625. ) — « Sul Lapaconone ». €. MWanuelli. 576; 686. NECES, ERA = sc —=——e — "i > 80 us + = — 748 — CHIMICA AGRARIA. « Primi risultati della CHimica. « Ricerche sulle combinazioni su- balogenate di alcuni elementi. II. Sui così detti sottocloruri e sottobromuri di bismuto ». ZL. Marino e R. Beca- relli. 460. « Ricerche intorno a sostanze aroma- tiche contenenti iodio plurivalente n. L. Mascarelli e G. Brusa. 451; 494. « Ricerche intorno a sostanze aroma- tiche contenenti iodio plurivalente ». Id. e M. Negri. 451; 498. « Sulle proprietà dell’iodio come sol- vente crioscopico ». /. Olivari. 575; 697. « Sulla formula del cloridrato di apo- morfina ». V. Paolini. 121. «Lo spettro di assorbimento della san- tonina bianca e gialla ». A. Piutti. 192% « Sulle basi che si formano per la al- chilazione dei pirroli ». G. Plancher e C. Ravenna. 703; Id. e T. Zambo- nini. 708. « Azione del cloroformio sul tetrame- tilpirrolo ». Jd. e 7. Zambonini. 712. « Nuovi derivati dell’artemisina e della santonina ». 4. Rimini e T. Tona. 28. « Azione degli alogeni sull’artemisina ». IONI « Sistemi binarii del cloruro talloso coi cloruri di alcuni metalli bivalenti ». C. Sandonnini. 20. « Sistemi binarî del cloruro manganoso coi cloruri di alcuni metalli alcalini ». Id. e G. Scarpa. 163. « Sulla tendenza degli alogenuri alca- lini a combinarsi cogli alogenuri di argento ». /d. Id. 517. « Su alcuni palladonitriti di metalli bi- valenti fissati per mezzo di basi orga- niche ». C. Scagliarini e G. B. Rossi. 451; 506. «Sali doppi tra alogenuri e nitrato di argento n. G. Scarpa. 452. « Sopra alcuni nuovi derivati dell’azos- sibenzolo n. B. Valori. 125. « Ricerche sugli idrazoni ». Z. Vec- chiotti. 75. — « Scissione della decaidrochinolina nei due antipodi ottici. B. Veneziani. 155. concimazione delle viti con solfato di manganese n». M. A. Sannino e A. To- satti. 237. CHIMICA FISICA. « Proprietà colloidali del- l’emoglobina ». FP. Bottazzi. 141. .« Sopra alcune proprietà colloidali della emoglobina. Modificazioni della visco- sità e della tensione superficiale di sospensioni di metemoglobina per la azione di HCl e di Na OH ». /d. 263. « Viscosità e tensione superficiale di sospensioni e soluzioni di proteine mu- scolari, sotto l’influenza di acidi e di alcali ». /d. ed E. d’Agostino. 183. « Proprietà chimiche e chimico-fisiche del succo di muscoli striati e lisci. III. Variazioni di volume in alcuni processi colloidali ». Za. Id. 307. « Proprietà chimiche e chimico-fisiche del succo di muscoli striati e lisci. Nota II. Contenuto, in proteine, del succo e rapporti fra granuli (miosina) sospesi e mioproteina sciolta ». /d. e G. Quagliariello. 52. « Su l’indice di rifrazione dei miscugli binari (Replica al sig. Schwers) ». A. Mazzucchelli. 576; 691. « Spettri di assorbimento di alcuni sali dell'uranio ». /d. e U. Perret. 445. « Potere rifrangente dell’acenoftene e delle idronaftaline ». A. Nasini. 402. « Pressione osmotica ». /d. 402. « Per la storia della spettrochimica. T concetti di J. H. Gladstone pel va- lore più elevato della rifrazione ato- mica del carbonio ». /d. 402. « I coefficienti di temperatura delle trasformazioni fototropiche ». IM. Pa- doa e B. Foresti. 505; 576. « Velocità di reazione nelle trasforma- zioni fototropiche ». /d. e 7. Min- ganti. 451; 500. « La cianamide quale solvente criosco- pico ». M. Pratolongo. 575; 716. « Sul limite di visibilità dei precipi- tati ». Z. Rolla. 104. « Sul calore specifico dei sali idrati ». Id. e L. Accame.109. « Sul calore di formazione di composti — 749 — organici d’addizione. II. Racemati (tartrato dimetilico). III. Racemati (canfore e canforossime) ». 2. L. Van- zetti. 328; 379. CristALLOGRAFIA. « Sull’Ematite del Ve- suvio ». ZL. Cuccia. 466; 587. — « Comunicazione preliminare di uno atudio cristallografico della Maucherite e della Placodina n. A. Rosati. 243. E Economia MATEMATICA. « Analogie tra i fenomeni statico-economici e i feno- meni meccanici ». Z. Amoroso. 552. Elezioni di Soci. 92. F Fisica. « La costante dielettrica dell’azoto ad alte pressioni ». 4. Bodareu. 442; 480. — «Sopra il fenomeno di Stark-Lo Surdo ». A. Garbasso. 635. — « Lascrittura delle vibrazioni acustiche per mezzo dell’elettrometro bifilare del Wulf ». G. Gianfranceschi. 216. — « Misure di deviazione dei gravi ». Id. 561. — « Sul fenomeno analogo a quello di Zeeman nel campo elettrico ». A. Zo Surdo. 664. — «La costante dielettrica dell'idrogeno ad alte pressioni ». A. Occhialini. 442; 482. — « Nuove esperienze sull’anodo virtuale nei tubi a raggi magnetici». A. Righi. 256. — Telefono fondato sulla magnetostri- zione ». L. Tieri. 484. FisicA MATEMATICA. « Su alcune questioni relative alle trasformazioni di Lorentz in elettrodinamica ». A. Marcolongo. 349; 402. | FistoLogia. « La respirazione cutanea in alta montagna ». A. Aggaszzotti. 85. = «Ricerche sugli effetti dell’alimenta- zione maidica. Utilizzazione delle sostanze azotate nell'uomo ». S. Ba- glioni. 466; 608. — «Ricerche sugli effetti dell’alimenta- zione maidica. Valore nutritivo della zeina, gliadina e ovoalbuminanei ratti albini » /d. 466; 721. FISIOLOGIA VEGETALE. « La degenerazione nucleare provocata dall’uranio nella cellula vegetale ». C. Acqua. 390. — «Nuove ricerche sulla diffusione e lo- calizzazione degli ioni nel corpo delle piante. Esperienze con il cerio n. /d. 516; 594. — » Ricerche sui fenomeni d’imbibizione dei semi di Avena sativa». /. Plate. 133. — « Ricerche sull'azione di nitrati isolati sul periodo germinativo dell’Avena sativa». /d. 516; 598; 728. G GroMETRIA. « Su alcuni teoremi di geo- metria piana, analoghi a quelli di Max Dehn nella geometria solida ». G. Vacca. 417. M MarEmaTICA. « Sopra le serie algebriche appartenenti ad una curva algebrica ». E. S. Allen. 424. — « Teoria del Colpo d’ariete ». Z. Al- lievi. 546; 659. — «Sulle espressioni lineari integro-diffe- renziali ». G. Andreoli. 409. — «Sulla configurazione delle curve si- tuate sopra quadriche, e, in partico lare, sulla configurazione delle curve algebriche sghembe col massimo nu- mero di circuiti ». I. Beloch. 60; 95. — « Sui sistemi coniugati permanenti nelle deformate delle quadriche ». Z. Bian- chi. 3. — «Sopra uu metodo di approssimazione delle radici di un'equazione algebrica ». M. Braggio. 355. — «Sul concetto di funzione monodroma e su quelli che da essa derivano ». S. Catania. 478; 546; 639. — «Sulle varietà algebriche che posseg- gono integrali semplici, funzionalmente dipendenti n. A. Comessatti. 270. — « Sopra certe disuguaglianze fra i carat- teri d'una varietà algebrica ». /d. 316. ===" = er sa — 750 — MATEMATICA. « Ancora “sopra certe disu- guaglianze fra i caratteri d’una varietà algebrica n. /d. 361. — « Su un teorema relativo agli integrali doppii ». G. Fubini. 67. — «Sur la représentation des fonction- nelles continues ». R. Gateaux. 646. — «Sulle funzioni che ammettono una for- mula d'addizione del tipo f(2 + y) = n = 2, Xi(2)Y;(y) ». 7. Levi-Civita. 1 181. — «Su alcune circostanze attinenti alla presenza di superficie di discontinuità e al passaggio all'infinito, nella teoria del campo vettoriale ». G. A. Maggi. 247. — « Sul teorema di Hadamard ». A. M. Molinari. 11. — «Sulla permutabilità di due segni di limite ». Z. Orlando. 415. — «Sur les fonctions permutables analy- tiques ». J. Pérès. 558; 649. — « Teoremi di unicità nei problemi dei valori al contorno per le equazioni el- littiche e paraboliche ». I. Picone. 275. — « Sul teorema d’esistenza in un pro- blema dei valori al contorno per le equazioni del tipo parabolico ». /d. id. 821. — « Un’applicazione della convergenza in media ». S. Pincherle. 397. — « Sulle corrispondenze algebriche fra i punti di una curva algebrica ». C. Ro- sati. 385; 431. — « Sulle condizioni che definiscono assio maticamente l’integrale ». 7. Sciolette. 424; 558. — « Sulla equazione funzionale f(c+y) = n = 5 Xi(2)Y:y) [Estratto di una i=l lettera del prof. P. Stéckel al prof. 7. Levi-Civita]». 392. — «Sui sistemi di equazioni integrali dif prima specie n. ZL. Silla. 13. — « Sulla varietà di Jacobi ». A. Z'orelli. 98; 437. — « Un nuovo aspetto dato al teorema di Goldbach ». I. Vecchi. 654. MarEMATICA. « Sopra equazioni integro- differenziali aventi i limiti costanti ». V. Volterra. 43. Meccanica. « Sopra le azioni le quali si esercitano fra corpi che si muovono o si deformano entro una massa liquida ». E. Almansi. 473; 533. — « Un teorema generale sul moto inci- piente dei sistemi vincolati». UW. Ce sotti. 358. — « Efflusso da un recipiente forato sul fondo ». /d. 415; 473. — « Sulla teoria dei sistemi reticolati, tri- plamente iperstatici ». G. Colonnetti. 145. — «Le ipotesi sugli sforzi interni nei mezzi, ponderabili, isotropi ». U. Cru- deli. 206; 287. — Sull’equilibrio dei corpi elastici iso- tropi ». ZL. Silla. 282. METEOROLOGIA. « Nevosità relativa e fre- quenza relativa della neve nelle Alpi settentrionali ». V. Monti. 568; 666. MrineRraLoGIA. « La montmerillonite nelle granuliti di Cala francese (isola della Maddalena) ». D. Zovisato. 593; 670. — « Clinozoisite di Campo a’ Peri (El- ba) ». /. Maillosevich. 544. N Necrologie e Commemorazioni. Annuncio della morte dei Corrispon- denti Cocchi e Doria. 466; del Socio straniero Alebs. 615. P ParoLOGIA. « Ricerche morfologiche, cultu- rali e biologiche sulla leishmania della leishmaniosi spontanea del cane n. A. Visentini. 582. PATOLOGIA VEGETALE. « Ancora sulla « mo- rìa del castagno (mal dell'inchiostro), in risposta al sig. dott. L. Petri ». G. Briosi e R. Farneti. 49. — « Risposta alla Nota del dott. Petri: « Sul significato patologico dei cor- doni endo-cellulari nei tessuti della vite ». #. Mameli. 604. — 751 — ParoLOGIA veGETALE. « Sul significato pa- tologico dei cordoni endo-cellulari nei tessuti della vite ». Z. Petri. 174. — « Sulla produzione sperimentale d’iper- plasie nelle piante n. /d. 466; 509. — Primo contributo allo studio della recettività della quercia per l’oidio ». V. Rivera. 168. S STORIA DELLA SCIENZA. « Etudes sur Lé0- nard de Vinci. Les précurseurs de Ga- lilée ». P. Duhem. 429. STORIA DELLA SCIENZA. « L'origine della salsedine del mare, e Vannoccio Bi- ringuccio n. A. Mieli. 68. Z Zoorogra. « Ciclo di sviluppo di Haplo- sporidiumlimnodrili». Z. Gra- nata. 134. — « Nuovi contributi alla metamorfosi dei Murenidi. n. B. Grassi. 642. ZooLogia AGRARIA. « Notizia preliminare di un Tetrastichus (Imenottero Calcidide) parassita di specie di Ce- ratitis e Dacus nell'Africa occi- dentale n. N. Silvestri 205. ERRATA-CORRIGE RENDICONTI — 1° sem. 1913. A pag. 681, linee 4, 7, 9, 12, 14, invece di @, di 2a, di me, di pa; si legga: l+a, 1+2e, 14+ma, 1-+- pa. » ». linea 11, invece di TTw-na si legga: TTa... T'm-na - RENDICONTI — 2° sem. 1913. Nella Nota del prof. UV. Cisotti « Un teorema generale sul moto incipiente dei sistemi vincolati » [Questi Rend. Vol. XXII, fasc. 8°, pag. 358-360], a pag. 359 vanno soppressi i due primi periodi, e al secondo capoverso va sostituito il seguente periodo : È ragionevole invocare tanto per le reazioni R$ quanto per le .eazioni R;' sepa- ratamente, il principio dei lavori virtuali (*). as — _T ss — ra === === "=< ce Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell'Accademia pontificia dei novi Lincei. Tomo I-XXIII Atti della Reale Accademia dei Lincei. ‘Tomo XXIV-XXVI. | :Serie 2° — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. 1II. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 22 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 38 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VII. :Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Noa 162) Mez TEXT MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, Vol. I-XIII. ‘Serie 4* — RenpicontI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, Vol. I-VII. MEemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, Molzix: . «Serie 5° — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturoli, si Vol. I-XXII. (1892-1915). RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche, Vol. I-XXI. (1892-1918). Fasc. 5°-6°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-IX. Fase. 17°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. . CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AT RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURAL) DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCRI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon» «denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume e per tutta . d’Italia è di L. f@; per gli altri paesi le spese di posta in più, Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti «editori-librai : Ermanno LoescHer & 0.9 — Roma Torino e Firenze, Utrico Horpui. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Dicembre 1913. INDICE — er’. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 21 dicembre 1913. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Kòrner e Contardi. Dinitroderivati delle benzine ne ue o Garbasso. Sopra il fenomeno di Stark-Lo Surdo . . . . . . SA, (i Catania. Sul concetto di funzione monodroma e su quelli che di essa TR {presi dal | Corrisp. WMarc0l0RgG NOE MS e | Grassi. Nuovi contributi alla metamorfosi dei Murenidi (*) . . . ” Crudeli. Criterî di stabilità per moti stazionarî di prima specie (pres. dal ‘Sia Lp Sivita) ” Gateaux. Sur la représentation des fonctionnelles continues (pres. dal Socio Volterra) . » Pérès. Sur les fonctions permutables analytiques (pres. Jd) . . +... ; SES Vecchi. Un nuovo aspetto dato al teorema di Goldbach (pres. dal Socio Pacino) RU) Allievi. Teoria del Colpo d'ariete (pres. dal Corrisp. Reina). . . . . ‘n | Lo Surdo. Sul fenomeno analogo a quello di Zeeman nel campo elettrico o Hi Se | Garlate I REP O O: Monti. Nevosità relativa e frequenza relativa della neve elle ni: sotieniiiali i: dal Corrisp. Battelli). . . . : ” Fi Lovisato. La montmorillonite do alcoli di Cala Marcio (sol fol Maddalena) (preti (i dal Socio Struver) . . . FORGROO Bellucci e Grassi. Sistema RI SL di dal iaia) Pocgali A, Ciusa e Milani. Sulla riduzione delle aldeidi ad «-glicoli (pres. dal Socio SL RAD) SICA: Manuelli. Sul lapaconone (pres. dal Socio Pafern0) . . . . 3 ” l Mazzucchelli. Su l'indice di rifrazione dei miscugli Dna (Replica al sig. Sa | (pres. 10) ° Ol ° 0 . DI O . 0) O . ° O O Di . » % | dl [08 Olivari. Sulle proprietà dell’ (O come i crioscopico (pres. dal Socio Ciamician) Plancher e Ravenna. Sulle basi che si formano per la alchilazione dei pirroli (pres. /4.) » Id. e Zambonini. Sulle basi che si formano per la alchilazione dei pirroli (pres. /4.). » Id. Id. Azione del cloroformio sul tetrametilpirrolo (pres. Id.) . . . . + HIER) Pratolongo. La cianamide quale solvente crioscopico (pres. dal Socio MA È » Baglioni. Ricerche sugli effetti dell’alimentazione maidica. — Valore nutritivo della zeina; gliadina e ovoalbumina nei ratti albini (pres. dal Socio Zuciani) . . . +...» 721 Plate. Ricerche sull’azione di nitrati isolati sul periodo o dell’Avena sativa (pres. dal Socio Pirotta). . . 3 e 0a 7285 ib, | Granata. Ciclo di sviluppo di Hsgloopini um Lidi n. Sp. o. dn Socio | Grassi) . ASP E IE OC AE IAT SII 1) STA SVACSSRO RT RO MERCE AT CISA INDI PATATINE INR OSE RO LEI 734 BULLETTINO:BIBLIOGRAFICONI N SR LTT TO IT LS Indice delvol.: XXI ‘29 semi 190 ee RO OE O E RATA i Do, (#) Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorie. E. Mancini Segretario d'ufficio, responsabile. AR Abbonamento postale. r 826° P der ioreioet et =—<-eeE=. - _ Sa Sri PRIA cà a pani Aes EE TIE TALE e "us 7 Ara VAPSENTO AI LARA RA EREOSONTE MATE È 1» cesarea zi TRE rarurgioma e rieti uni) matie " I Te tei va tcre SEZ opa i AR A o Sor _ . ILL | IL TINI 35 il LU 39 a CE TALIA Rai A