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Hi (0, € i (€ A(d Cut GC «€ < C CG \ Gu 0. } < al I LUME IE MU OCT dATRTE ou a Ù O MAa I MO. UTC CC Ce adi. (ATM (O CUM CT Qi ET CAO Ci a I CAL, MT IC «€ Me TO CU CC dl $: Ma € UL «€ € RT €40! AC AI TNT, ({ KU. 0,4Z4+2u>0. Nel caso del /lvido incompressibi e l'equazione di continuità è div P'=0 e la (11) sì scrive dP' "a Pb ; d (12) vr ica p grad + vd'P'= poni dp È Se le forze derivano da un potenziale U, osservando ancora che è (AVG, I, pag. 95) (4P'/dPy)P" = (1/2) grad P'° + (rot P')\P', la (11) può anche scriversi TEMRIRETI (18) 37 + g grad P + (vot P) \P'=— grad| +f ni. + r4P" 4 3 Le grad div P', Applicando ad ambo i numeri della (13) l'operatore roé si ha peri liquidi viscosi (14) d (e h) de Pi ig ) + vd'(rot P') che è l'equazione analoga a quella di Helmholtz per i liquidi perfetti (AVG, II, pp. 59 e 62). RiepiLo6o. — Se le cavità del solido sono riempite da liquidi viscosi le cui densità variano solo col tempo, le equazioni del problema son date dalla (4) o (5), che caratterizza il moto di tutto il sistema, dalle condi- zioni (8) e (9) ai limiti, e dalle (10) e (11) che definiscono i moti delle masse fluide nelle rispettive cavità. Se inoltre le densità dei fluidi dipen- dono dalla pressione, allora son necessarie delle ipotesi complementari che diano la legge di variazione della densità col variare della pressione. Nel caso più generale di un sistema costituito da un nucleo solido ricoperto da liquido viscoso incompressibile e contenente nel suo interno 7 delle cavità riempite da liquidi viscosi a densità diverse ecc., alle equazioni precedenti occorre aggiungere la condizione p= cost. che deve essere sod- disfatta alla superficie libera del fluido viscoso che ricopre il nucleo solido. SIR pesa Matematica. — Sulle equazioni integrali: ! i Ux)xz"dea=0 CUI a Nota di CARLO SEVERINI, presentata dal Corrisp. 0. TEDONE. L’inesistenza di una soluzione effettiva (') delle equazioni integrali : DU (1) si duietda— (Vee oggetto, com'è noto, di numerose ricerche (?), è qui stabilita in modo diretto, semplicissimo. Ciò ha particolare importanza per lo sviluppo della teoria di chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali: sussiste infatti il seguente teorema, del quale è nota parimenti una dimostrazione diretta, elementare. Affinchè il sistema delle funzioni ortogonali rispetto alla funzione caratteristica p(a): Vi(£) (i==0;, 12,0), sia chiuso, è necessario e sufficiente che l'equazione di chiusura, ad esso relativa: e b Sat Draide= Ai , de j! p(2) /(a) Via) da, (') Una soluzione delle (1), sommabile insieme col suo quadrato, si dice effettiva, se è diversa da zero in punti di (a, 0), costituenti un insieme di misura non nulla, o, brevemente, se non è quasi dappertutto uguale a zero. (*) Cfr. Lerch: a) O Alavni vété theorie funkci vytvotufjicich [Rozpravy deské Aka- demie cisare FrantiSka Josefa pro vèédy, slovesnost a uménî v Praze, II, K1., Bd. I (1892). n. 38, S. 1-7]: 2) Sur un point de la théorie des fonctions génératrices d' Abel [ Acta Mathematica, Bd. XXVII (1903), S. 346-347]: Phragmén, Sur une extension d'un théo- rème classique de la théorie des fonctions [Acta Math., Bd. XXVIII (1904), S. 361-863]; Stieltjes, Correspondance d'Hermite et de Stieltjes [Bd. II (Paris, 1905), pp. 337-339 ]; Landau, Veber die Approximation einer stetigen Funktion durch eine ganze rationale Funktion [Rendiconti del Circolo matem. di Palermo, tomo XXY (1908), pp. 343-345]; Moore, On certain Constants analogous to Fourier®s Constants [ Bulletin of the ame- rican mathematical Society (New York, May, 1908)]; Stekloff, Sur la théorie de ferma- ture des sistèomes de fonctions orthogonales dépendani d'un nombre quelconque de varia- bles [ Memoires de l’Académie impériale des Sciences de St. Pétersbourg, classe physico- mathématique, vol. XXX, n. 4 (1911), pag. 25]; Severini, Sulla teoria di chiusura dei sistemi di funzioni ortogonali [Rendic. del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXVI (1913), pp. 16-17]; Cipolla, Sui sistemi di funzioni ortogonali che ammettono un si- stema complementare finito [ Rendiconti della R. Accademia delle Scienze fisiche e ma- tematiche di Napoli (1915), pag. 13]. RENDICONTI. 1921, Vol. XXX, 1° Sem. 3 DE 18/= sta soddisfatta da tutte le funzioni di un sistema di funzioni : Pi(x) (012) sommabili insieme coi loro quadrati, e tali che non esistano soluzioni effettive per le equazioni integrali : i 6(x) pi(a) de = 0 (1) ((=0,1, 5 ot 1. Escludiamo dapprima l'esistenza di una soluzione continua, non nulla, delle equazioni (1). Ammesso che una tale soluzione possa esistere, s'indichi con @,(2). Sia («,,%) un intervallo, interno all'intervallo (a,b), nel quale la 0;(x) si mantenga di uno stesso segno ed in valore assoluto maggiore di una quantità 2 > 0. Se si pone: 3 Ci A) risulta : g(2)>1 (<<). 0< g(2)<1 (a=x<%x,; x Ic; per ogni curva ordinaria (!) C avente gli stessi estremi della -C,, appartenente tutta all’intorno (0) di questa curva e soddisfacente, inoltre, alla condizione [condiz. a)] che risulti maggiore di e la lunghezza complessiva dei suoi archi in ogni punto dei quali la tangente alla curva forma un angolo maggiore di s' con la tan- gente alla C, nel piede della normale condotta, per il punto stesso, alla Co ». Necessitandomi, per certe mie ricerche, una estensione di tale teorema, sono stato condotto a confrontarlo con un’altra proposizione, da me stabilita altrove (*) e che qui riproduco: i «Se C, è una curva continua e rettificabile, aperta e priva di punti multipli, e Io è un integrale (1) regolare, scelto comunque un numero positivo d, è possibile di determinarne un altro 0 in modo che sia sempre Ir-Io>0@, per ogni altra curva C, continua e rettificabile, appartenente propriamente all'intorno (0) della C, (*) e soddisfacente, inoltre, alla con- dizione [condizione @)] L — Le =d, dove L e Ly indicano le lunghezze delle curve C e Co, rispettivamente ». E poichè ho potuto constatare che le due condizioni a) e @) risultano equivalenti, quando siano ambedue portate sulle curve C, e C del teorema del Lindeberg, sono stato indotto a cercare di superare la difficoltà che, nell’estensione di tale teorema a curve C, non aventi ovunque tangente e curvatura variabili in modo continuo, presenta la formulazione stessa della condiz. a), col sostituire a questa condizione quella @). Sono così pervenuto alla seguente proposizione generale (‘): « Se C è una curva continua e rettiticabile, aperta e priva di punti multipli, e in ogni suo punto (o, Yo) in cui esista la tangente alla curva stessa è E(x0 Yo ; cos, seno, ; così,sen0)>Q0, per tutti i 0 tali che 6 — 6, sia distinto da zero e da un multiplo intero (') Composto cioè di un numero finito di archi, aventi ovunque tangente variabile in modo continuo. (2) Sul caso regolare nel Calcolo delle variazioni [Rend. del Circolo matematico di Palermo, tomo XXXV (1° sem. 1918)]. (*) Intendo con ciò che la C appartenga tutta all’intorno (0) della Co ed abbia i suoi estremi distanti meno di o dagli estremi corrispondenti di questa curva. (4) Per la dimostrazione di questa e delle altre proposizioni contenute nella pre- sente Nota, rimando al 1° volume dei mici 7ondamenti di Calcolo delle variazioni, dei quali si sta ora iniziando la stampa presso la Casa Editrice Zanichelli. SR oO di 2rx.— E essendo la nota funzione di Weierstrass del Calcolo delle va- riazioni, e 9, l'angolo che la direzione positiva della tangente alla curva Co forma con quella positiva dell'asse 7 — mentre per ogni altro punto (xo Yo) della C,, in cui manchi la tangente, si può determinare un angolo 6, (non necessariamente sempre lo stesso) tale che sia CIV cos 6 , sen ò; ; cosé,sen0)>0, per tutti i 9 per i quali @ — è, è distinto da zero e da un multiplo intero di 277; scelto ad arbitrio un numero positivo d, è sempre possibile di deter- minarne altri due e e 0 in modo che, per ogni curva continua e rettifica- bile C, appartenente propriamente all’intorno (0) Gella C, e soddisfacente alla disuguaglianza L—L,=@ — Le Ly essendo le lunghezze delle Ce — si abbia I—-Io >8 ». È degno di rilievo il fatto che in questo teorema, a differenza da quello del Lindeberg, ron si ammette l'ipotesi che, sulla Co, sia verificata la condizione di Legendre in senso stretto; inoltre, il teorema è dato per tutte le curve C che appartengono propriamente all'intorno (0) della Co, abbiano esse o no gli stessi estremi di tale curva. Osserverò ancora che se, invece delle curve C appartenenti propria- mente all’intorno (o) della Co, si considerano soltanto quelle curve C che appartengono ordinatamente all’intorno detto (*). allora nell'ultimo enun- ciato può senz'altro sopprimersi la condizione che la C, sia aperta e priva di punti multipli. Alla proposizione data più sopra può aggiungersene un’altra. «“ Se n Ja | G(2y xy") di è un altro integrale del tipo (1) e si indicano con F, e G, i noti invarianti di Weierstrass relativi alle funzioni F e G (2), ed esiste un numero posi- tivo m tale che, in tutti i punti di un intorno di una data curva C,, con- tinua e rettificabile, aperta e priva di punti multipli, si abbia sempre F.(x,y,0',y)=mG;(cyx'y'), per qualsiasi coppia (2'y'), senza però che in nessun punto (xy) l'uguaglianza fra i due membri valga per tutte le coppie (x'y’), scelto ad arbitrio un numero positivo d, è sempre possibile (1) Vale a dire, quelle curve che possono porsi in corrispondenza biunivoca ordi- nata e continua con la Co, in modo che la distanza fra due punti corrispondenti risulti sempre minore di @. 1 È 1 1 (4) E riga alari Pato rrala ; Gi=.., LL FRI di determinarne altri due, 0 ed «, così che, per ogni curva C appartenente propriamente all'intorno (0) della Co e soddisfacente alla disuguaglianza Je—-ITo > d, si abbia Ic—-Io > & ». - Anche per questa proposizione la condizione che la Co sia aperta e priva di punti multipli si può sopprimere completamente se ci si limita è considerare soltanto le curve C che appartengono ordinatamente all'intorno (0) della C,. i Vulcanologia. — L'unità del sistema Vulsinio. Nota di VEN- TURINO SABATINI, presentata dal Socio CARLO VIOLA. Il sistema Vulsinio è costituito principalmente di due crateri contigui, quello di Latera di grandi dimensioni, e quello di Bolsena di dimensioni eccezionali e che non trovano riscontro in nessun altro cratere d’ Europa. Molte altre bocche di minore importanza, alcune tuttora riconoscibili altre presunte, alcune centrali altre periferiche completano il sistema. È noto che tra gli argomenti che servirono a sostenere la non crateri- cità della Conca di Bolsena fu messa la variabilità dei materiali che la circondano, mentre avrebbe dovuto bastare il loro esame ad occhio nudo e la determinazione della loro successione per fare almeno sospettare, se non per dedurre con sicurezza, che le loro variazioni quando superano limiti molto ristretti sono avvenute zel fempo e non già nello spazio. E sarebbe stato agevole estendere tale conclusione a tutto il sistema deducendone la sua unità, sia pure come semplice ipotesi che: solo uno studio petrografico ap- profondito avrebbe potuto verificare. Va rilevato che nei Cimini con un simile studio non fu possibile de- durre l’unità del sistema perchè le variazioni della composizione mineralo- gica sono avvenute anche nello spazio. Ma, sapendosi che esse dipendono dalle condizioni della cristallizzazione e quindi possono al pari di queste essere molto estese e mascherare la ristrettezza delle variazioni dei magmi elementari, con la determinazione di questi ultimi si potevano eliminare le influenze estranee ai focolari. Disgraziatamente le incertezze che ancora re- gnano nelle teorie magmatiche hanno lasciato dei dubbii serii sui risultati ottenuti ('). Invece nel sistema Vulsinio, malgrado le forme esterne più com- plesse e molto più estese , si può arrivare a conclusioni più sicure e forse più semplici, poichè le variazioni petrografiche dei materiali contemporanei sono piccole ed è possibile potersi basare su di esse essendo piccole a /0r- tiori le variazioni magmatiche, i calcoli delle quali, se non saranno di osta- (1) V. Sabatini, Vulcani Cimini. Mem. Carta Geol. d’It., XV, 258 e ultimo capitolo. a FA, RAP OR Ri CATIA MTA] 0 ANA, Logi colo le loro incertezze, potranno confermare, forse semplificare ancora più, queste conclusioni, ma non contradirle. In tutta la regione Vulsinia, dalla Paglia al Traponzo e alla Vezza, dalla Fiora al Tevere, ove sì eccettuino taluni punti periferici, si trovano costantemente le lencotefriti basiche coi loro passaggi accidentali alle leuco- tefriti acide e alle leucititi. Queste rocce mostrano le stesse forme in nu- merose « equivalenze » di termini delle serie locali. I tufi sono in esse incoe- renti e litoidi, con scorie nere e senza, e con un livello molto basso, quasi costante, a struttura più o meno pipernoide (nenfri, massi violacei ecc.). Le lave nella maggior parte mostrano leuciti fitte, ora piccolissime o addirit- tura invisibili, ora tra 2 mm. e 5 mm., ora variabili fino a massimi fre- quenti intorno ad 1 cm.; mentre nella parte rimanente mostrano leuciti, non fitte ma numerose, con grande ineguaglianza di distribuzione e di gran- dezza, il loro diametro raggiungendo 2 cm. o 2,5 cm. e talvolta 3 cm. Queste ultime rocce sembra abbiano prodotto una grande colata o colate contem- poranee che si seguono. dalla pianura di Castel Giorgio ai dintorni di Piti- gliano, costituendo un /ermine generale, che se non è tra’ più recenti del- l’intera serie generale vulsinia, è però uno dei più recenti di quella parte di essa che è anteriore allo scavamento delle valli (quaternario antico). E va notato che in alcune tra le serie locali che servono a stabilire la serie ge-- nerale entrano anche quelle tra le bocche centrali secondarie che una rela- tiva giovinezza ed altre cause hanno conservato interamente come Monte Bisenzio e Montalfina, o in frammenti come le isole Martana e Bisentina. Ma le /eucotefriti centrali hanno un'aureola andobasaltica che appare in taluni punti della loro periferia. Tali punti sono: l'acrocoro di Carbonara che dal nord di S. Lorenzo si estende fino al torrente Subissone, potendo considerarsi come il più settentrionale dei tre coni principali della regione (Carbonara, Bolsena, Latera), e che è costituito da un'accumulazione di tra- chioligoclasite venuta fuori con l'eruzione più antica, alla quale deve aggiun- gersi l'emissione laterale dovuta all’eruzione successiva che produsse l’oligo- trachite di Bagnolo; il cono di Torre Alfina sulla Valle della Paglia che ha dato un basalte in tempo più recente, ma non oltre il quaternario antico ; il cono di Monte Calvo nella valle della Fiora che ha emesso un’oligocla- site ancora più recente, e che si ritrova più a sud fino a Ponte Sodo; le vicinanze di Rocca Respampani nella valle della Marta, dove alla base della serie vulcanica trovasi un tufo molto acido (nenfro) più antico delle due rocce precedenti, ma più recente delle lave di Carbonara poichè contiene abon- dante sanidina con leuciti ed inclusi leucitici e, se non è una vera roccia ‘trachitica, è un termine di passaggio tra questa e le rocce leucofonoliticke. Queste rocce periferiche dunque, meno quelle di Carbonara che appartengono ad una fase anteriore e ad un edifizio a parte, rappresentano livelli che si alternano con quelli delle leucotefriti centrali, analogamente a quanto av- Ter ESSA PAGA RR VARIA x : Pa i logia viene nel vulcano di Vico, la cui unità non può mettersi in dubbio. Final- mente ricorderò un gruppo di colate leucofonolitiche che localizzate a nord- est della Conca di Bolsena salgono fino a Lauscello a breve distanza dal cono di Carbonara. Sono anch'esse intercalate nelle leucotefriti centrali, e la loro natura è intermedia tra queste ultime e le rocce periferiche come il nenfro precedente. La serie generale vulsinia evolve solo in ultimo verso termini nettamente basici con la colata del Lamone e con le emissioni di Monte Starnina, Monte Jugo, Montefiascone e forse Monterado. Il cono di Montefiascone si costruì quando già i grandi edifizî vulcanici erano decrepiti e forse la Conca di Bolsena era estinta mentre quella di Latera veniva demo- lita ad occidente dalla colata hasaltica del Lamone; e tra gli ultimi incendii della regione vi si riproducevano in rapida sintesi le caratteristiche fondamen- © tali del Vulcano Laziale: emissioni leucititiche, talvolta anche melilitiche, abondanza di sperone, abondanza di peperino simile a quello di Albano. Se ora ricordiamo l'evoluzione del sistema Cimino, le differenze e le analogie col sistema Vulsinio appariranno evidenti. In entrambi con una prima fase felspatica s'inizia l’attività da un vulcano settentrionale. In una seconda fase questo vulcano continua le sue emissioni felspatiche nel primo sistema, mentre è estinto o sta per estinguersi nel secondo; ma in entrambi i sistemi sì ha più a sud una lunga serie di eruzioni felspatiche e felspa- toidiche intramezzate con eruzioni soltanto felspatiche. Come differenza so- stanziale nei Cimini l'attività meridionale si manifesta da un solo vulcano, mentre nei Vulsinii si ha diffusione in più vulcani con un'intensità molto più grande, quasi a compenso dell'esaurimento del vulcano settentrionale. Finalmente una terza fase più basica è appena accennata con oligolabrado- riti nel primo sistema, ed è bene sviluppata con leucititi e basalti nel se- condo. Perfino i blocchi fonotefritici che accompagnano le proiezioni del cra- tere di Vico hanno un riscontro in quelli di Latera. Non v'è ragione per includere tra le bocche periferiche dei Vulsinii quelle situate a grandi distanze a Radicofani, S. Venanzo, Pian di Celle, Coppaeli: basaltica la prima, melilitiche le altre. Si può concludere che l'ipotesi d'un focolare unico o di focolari comu- nicanti ha nei Vulsinii maggior probabilità che nei Cimini, e le leucofo- noliti di Bolsena anche meglio delle trachioligoclasiti di Vico, essendo non solo intramezzate tra le leucotefriti ma anche localizzate presso il vulcano settentrionale, avvalorano tale ipotesi. Essa suppone che per ogni momento dell’attività del sistema e per tutti i siti delle sue manifestazioni ci sia comunanza, cioè unicità di quella parte dei magmi elementari ehe si ela- bora nei focolari (scoria) e che perciò può evolvere solo col tempo. Ed è a questa unicità che si riduce ciò che ho chiamato unità del sistema Vulsinio. In esso la vicinanza delle pareti del focolare potrebbe concorrere a spiegare l’esilio dei felspatoidi dell'aureola, fatta eccezione da Montefia- scone ove tali pareti sono prossime a quelle del focolare Cimino. Mo i Biologia. — Sulla morfologia causale dello sviluppo oculare del Bufo vulgaris('). Nota del dott. GruLio CoTRONEI, pre- sentata dal Socio B. GRASSI. Riassumo un mio lavoro che è in corso di stampa (?). Tale lavoro che tratta della morfologia causale dello sviluppo oculare ha preso le mosse dall’ ultimo studio di Carlo Rabl (*), da me conosciuto con relativo ritardo a causa della guerra. Le ricerche del Rabl hanno avuto per iscopo di illu- strare la bilateralità dell'occhio. L’illustre scienziato ha dimostrato che la vescicola ottica e ancor più il calice ottico presentano una chiara simme- tria bilaterale con una distinzione in una parte nasale e in una parte tem- porale, distinti a loro volta in una dorsale e una ventrale. Sono special- mente dimostrative le figure 10 e 11 della tavola 10 del Rabl. La fig. 10 mostra una fase di sviluppo oculare del Coniglio nella quale la retina si solleva sul /apetum nigrum formando una piega sulla linea mediana dell’occhio e venendo così a delineare la bilateralità dell’occhio: quest'immagine retinica nel prosieguo dello sviluppo scompare. Nell’esame del mio materiale di Bufo vulgaris ottenuto facendo agire il cloruro di litio sulle uova in sviluppo, m'è avvenuto di incontrarmi in un caso di malformazione oculare che io considero come la verifica speri- mentale delle ricerche del Rabl. Il mio caso può considerarsi come un mostro monoftalmo asimmetrico: sì è sviluppato solo l’occhio sinistro, il quale all'esame microscopico seriale si presenta nelle seguenti condizioni. Gli strati della retina sono tutti differenziati, e il fatto che ci colpisce è che la retina propriamente detta presenta un sollevamento, per dir così, della linea mediana: il /apetum nigrum non presenta invece piega di sorta. Lo strato dei coni e dei bastoncini partecipa debolmente alla piega. Lo stato granulare esterno e lo strato reticolare esterno mostrano con evidenza il sollevamento mediano. Con il grande sviluppo dello strato granulare in- terno si occupa una gran parte della regione mediana ed è il forte accre- scimento mediano di questo strato che contribuisce a spingere lateralmente e da una sola parte il residuale e quasi virtuale spazio del corpo vitreo. (1) Lavoro eseguito nell’Istituto d’Anatomia comparata della R. Università di Roma. (*) In: Ricerche di Morfologia. 1921, (*) Rabl C., Veber die bilaterale oder nasotemporale Symmetrie des IWirbeltie- rauges. Archiv. f. Mikros. Anat. Bd. 90. 1917. RenDICONTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 4 - Li O A questo processo vengono a partecipare anche lo strato reticolare interno e quello delle cellule ganglionari. Si nota pure lo strato delle fibre del nervo ottico. : A completare questi brevi cenni va osservato che per lo sviluppo me- diano,. di cui si è fatto cenno, si è quasi del tutto occlusa la originaria aper- tura pupillare e la cavità del calict ottico. Questi risultati vanno così interpretati sulla scorta di quelli del Rabl: se pensiamo che durante la fase designata dal Rabl e dianzi ricordata l'occhio continui nel suo sviluppo col differenziamento dei varî strati reti- nici pur rimanendo fissata la condizione fondamentale di tale. fase ossia del sollevamento mediano del foglietto retinico, noi possiamo giungere a una chiara spiegazione del reperto ottenuto: bisogna però osservare che s7 tratta di una condizione prodotta dal differenziamento degli strati retinici coesi- stente ad una fase di arresto di sviluppo oculare. In questo processo le cariocinesi delle cellule retiniche si sono susse- guite, e la moltiplicazione cellulare ha condotto al differenziamento degli strati retinici; ma il fatto fondamentale è che questi strati non hanno potuto occupare uao spazio nuovo, ma hanno dovuto adattarsi ad occupare quello che dovrebbe rappresentare l'originaria cavità del calice ottico. In altre parole coesistente alla moltiplicazione e al differenziamento cellulare c'è stato il manifestarsi di una condizione inibitoria su quelle funzioni cellulari che indipendentemente dalla moltiplicazione cellulare con- ducono a uno sviluppo spaziale. Una di queste funzioni, risulta dalle dedu- zioni obbiettive, è certamente il movimento cellulare, e un’altra la possiamo riconoscere nella secrezione cellulare. Il reperto c' indica con un caso concreto la peculiare azione paralizzante esercitata dal sale di litio, mostrando speri- mentalmente una dissociazione tra i varî processi morfogenetici elementari. Si ha pertanto una maniera di verificare sperimentalmente la grande impor- tanza che le funzioni cellulari così come sono state genialmente studiate da Angelo Ruffini hanno nello ‘sviluppo della forma. Una medesima occupa- zione spaziale per le medesime cause inibitorie si ha nel cervello precor- dale dove le divisioni cellulari dissociate dagli altri processi morfogenetici elementari hanno condotto verso la parte più anteriore all'occupazione di una parte dello spazio ventricolare: così si giunge all’inibizione dei ventricoli laterali, su cui ho richiamato l’attenzione in precedenti ricerche. Il mio reperto così interpretato serve a spiegare altresì alcuni casi di mostruosità descritti recentemente da Fessler (1920) e a interpretare razionalmente le così dette doppie formazioni oculari descritte da Ekman e da Schultze. Ricordo infine a complemento della presente Nota che nel caso da me studiato, dove l’occhio per inadeguato sviluppo spaziale non ha potuto toc- care l’epidermide, il cristallino non si è sviluppato: ciò pure ricorda quanto ho desenitto altrove. ate Ly Sd Biologia. — Variazioni di peso specifico durante lo sviluppo delle uova di Teleostei di superficie e di profondità. Nota del dott. Errore REMOTTI, presentata dal Socio B. Grassi. Sulle uova galleggianti dei Teleostei si fermò più volte l’attenzione degli studiosi per il fatto che, se vengono poste in un bicchiere di comune acqua marina, si mantengono ordinariamente alla superficie nei primi giorni di sviluppo, per poi scendere e toccare il fondo del bicchiere verso la fine del periodo embrionale e rimanervi fino alla schiusa della larva; e il prof. Sanzo, occupandosi delle cause determinanti quest'immersione, riscontrò che, in uno stesso tipo di Murenoidi, il punto di congelamento del liquido pervitellino verso la fine dello sviluppo è più basso che al primo giorno dello sviluppo medesimo: abbassamento dovuto, in massima parte, ad aumento di NaCl (1). Nell’ Istituto centrale di Biologia marina da lui diretto, ho intrapreso un gruppo di esperienze, che saranno oggetto di una Memoria a parte, coll’ in- tento di esaminare, in varie uova di Teleostei, l'andamento della variazione di peso specifico, se ed entro quali limiti esso si mantenga costante per una stessa specie, quale grado di differenza riveli da specie a specie e se non lasci sorprendere caratteristiche differenziali tra le forme di profondità e quelle di superficie. Le uova galleggianti di Teleostei, in generale pressochè sferiche, presen- tano un diametro da ‘/» a 2 mm., salvo quelle dei Murenoidi dove si rag- giunge il massimo valore di 5 mm. o poco più. Tali dimensioni rendono poco agevole ogni misura, senza trascurare che il metodo da seguirsi nella determinazione del peso specitico delle uova, oltre rispondere alle esigenze fisiche, deve rispettare, trattandosi di esseri viventi. la vitalità dell'uovo stesso ed il regolare sviluppo dell'embrione. Il metodo più rispondente a tali scopi consiste nel preparare una serie di recipienti a chiusura ermetica, contenenti tutti una stessa quantità di acqua marina, e dai quali si ottengono, per aggiunta di acqua distillata o di soluzione più densa di NaCl, rispettivamente una serie di mezzi 0 -1-2-3... con densità progressivamente decrescenti e una di mezzi 0, 1, 2,3... con den- sità progressivamente crescenti. L'incremento di densità fra due termini con- secutivi di una serie (incremento che si può render piccolo quanto si voglia), sarà allora dato dalla differenza di densità tra il recipiente 0 e il termine (1) Sanzo L., Sulle cause determinanti l’approfondimento delle uova di Teleostei in sviluppo. Monitore Zool. Ital., anno XXVI, nn. 5-6. 199 estremo della serie stessa, divisa per il numero dei recipienti intermedî. La densità dell'uovo sarà quella del recipiente entro il quale esso rimane sospeso a qualsiasi livello scelto; e, per accertarsene, basta riportare l’ uovo nella. bottiglia che precede e in quella che segue per vederlo spostare lungo la verticale con moti rispettivamente contrarî. L'esame dei valori ottenuti e rappresentati graficamente rivela: a) che non tutte le curve di sviluppo sì comportano allo stesso modo; 6) che le uova non presentano un peso specifico proprio e costante per ogni specie, ma solamente una successione caratteristica di pesi specifici 402600 402600 102700 4,02700. 402800 102800 1.02900 1.09900 1.03000 1.03000 4.03 00 {.03100 1.04200 404300 o 2° 3 4° S° 6 yo go 9° 10° Jo 2° 3° 4° r99 1° 5° 9° 10° Fis. 1. Fra. 2. da richiamare l'andamento di una legge, i cui coefficienti sarebbero proprî d'ogni singolo individuo e varierebbero col variare di esso; c) che le differenze tra le curve speeifiche lasciano aggruppare le uova esaminate in due gruppi distinti, nell’uno dei quali si trovano uova di specie che sono tutte di profondità, e nell’altro uova di specie tutte superfi- ciali. Delle numerose grafiche riporto qui tre esempî per ciascuno dei due gruppi (tig. 12 e 22). Nelle specie di profondità (fig. 12) il peso specifico diminuisce nei primi giorni di sviluppo per crescere poi rapidamente verso ‘l'uscita della larva dalla capsula. Questa diminuzione di densità, che all'analisi delle curve non presentano, invece, le specie di superficie (fig. 22), sarebbe dunque propria delle specie zo superficiali, e potrebbe interpretarsi come la con- tinuazione del fenomeno iniziale di ascesa, per cui l’uovo, emesso in pro- fondità, raggiunge gli strati superiori. Interessante è notare che le uova, le quali diminuiscono di peso spe- cifico durante i primi giorni di sviluppo e poi s'immergono verso la fine 9 dello sviluppo stesso, sono anche le più facili a degenerare. Ciò si accorda colle osservazioni del prof. Raffaele (') il quale, per primo, notò la facile degenerazione che nei bicchieri subiscono le uova solite a raggiungere grandi profondità, ammettendo che la forte pressione degli strati profondi fosse « necessaria al loro benessere e, nella mancanza di tali condizioni, stesse la causa della grande mortalità che si verifica, quando esse vengono tenute nei recipienti di sviluppo ». Mentre le specie di profondità assumono l'andamento esposto, quelle di superficie — come risulta dall'esame delle curve — continuano ad aumentare di densità fino a superare il peso specifico dell’acqua in cui esse sono im- merse e ad iniziare la discesa. Questa osservazione avrebbe particolare im- portanza per il fatto che il semplice esame fisico delle uova potrebbe essere indice diagnostico sull'habitat dei Teleostei aiquali l'uovo appartiene. Potremmo ancora dire che i Teleostei di profondità ed i Teleostei di superficie sono identificabili, fin dal periodo embrionale, per il diverso comportamento di peso specifico durante lo sviluppo delle loro uova. La maggior parte dei Murenoidi si comporterebbero come specie di profondità e segnatamente la specie A del Grassi (?). La curva di variazione dei Trachinidi — più evidentemente in Uraroscopus Scaber — assume l’anda- mento dei gruppi superficiali, richiamando però, in certo qual modo e leg- germente, anche le curve di profondità. Ma ciò che più interessa e che maggiormente ci colpisce si è che le specie decisamente superficiali e le specie nettamente di profondità sareb- bero anche nettamente rappresentate dal comportamento antagonistico delle loro curve di sviluppo embrionale. Fra questi due estremi è logico ammettere l’esistenza di punti intermedî. Non possiamo poi parlare, come abbiamo già espresso, di peso specifico fisso, costante e caratteristico per ogni singola specie, ma: a) in certi gruppi, di una densità inferiore a quella dell 1: biente e regressiva nei primi giorni di sviluppo, maggiore e rapidamente crescente verso la schiusa dell'embrione (fig. 1); b) in altri gruppi, di un succedersi via via crescente di densità dai primi stadî di sviluppo fino all'uscita dell'embrione dalla capsula (fig. 2). Al primo modo andrebbero riferite le specie di profondità e al secondo quelle di superficie, Quando lo sviluppo è molto inoltrato pare che la larva di Muraena Helena — specie Y del Grassi — entro piccolissimi limiti possa far variare la densità dell'uovo; e ciò ci viene suggerito dal fatto che, anche dopo aver (1) Raffaele, Le uova galleggianti di Teleostei nel golfo di Napoli. Abdr. &. d. Mittheil. a. d. Zoolog. Studien z. Neapel, VITI, Bd. 1H. (2) Grassi, Metamorfosi dei Murenoidi. l'uovo raggiunto l'equilibrio nei recipienti di misurazione, può perderlo in seguito a disnodamenti attivi dell'embrione entro la capsula. Ciò si verifica quando la larva, disposta in senso equatoriale, ossia distesa orizzontalmente, assume, per movimento attivo, la posizione meridiana. Anzichè una modifi- cazione di densità, ci sembra naturale ammettere che, anche quando si con- sidera l'uovo fermo ed in equilibrio con l’ambiente, sia ciò non ostante do- tato di lentissimo movimento verticale, per cui basta diminuire, anche di poco, la sezione normale allo spostamento, per modificare con essa la resi- stenza al moto e accentuarsi la spinta, rendendo il fenomeno palese. Ora, l'uovo modifica leggermente la sua configurazione quando, verso la schiusa, per azione distensiva della larva, la capsula è costretta a prendere la forma leggerissimamente lenticolare. Si capisce allora che la resistenza è diversa secondo che l'uovo offre al movimento l’asse della lente o la parte perpendicolare di esso. Ne nasce di conseguenza che, essendo la spinta costante, una diminu- zione di resistenza dà agio al moto di manifestarsi. Nella posizione equato- riale della larva, l'uovo presenterebbe la massima resistenza e, se l'ambiente non è perfettamente omogeneo, cosa del resto praticamente irraggiungibile, l'equilibrio apparente si rompe non appena la larva, con una rotazione propria, costringe la capsula a presentare la sezione minore. Biologia. — Sulla topografia vertebro-midollare nello cimpaneè. Nota II del dott. Sercio SERGI, presentata dal Socio B. Grassi. Alcuni fatti che si possono desumere dalle tabelle riportate nella Nota precedente sono i seguenti. i Il valore della distanza tra le origini apparenti di ogni radice poste- riore ed il relativo centro del foro intervertebrale, al quale essa giunge, dalla 15 radice (7 dors.) alla 182 (102 dors.) è minore di quello della 144 rad. (v. tab. II). Cioè questo gruppo di radici spinali non segue l'andamento generale dei valori delle lunghezze delle altre radici, che va gradualmente aumentando per quanto esse sono più caudali (a tale referto fa pure eccezione la 62 radice per una piccola differenza in meno della 5*). Questo fatto coincide con quello rilevato dal Pfitzner nell'uomo e nella donna adulti, ma non nel bambino e nell’embrione umano, che, cioè, mentre il valore dell'altezza delle radici spinali posteriori va gradualmente aumentando procedendo in direzione caudale, occorre una eccezione abituale per le radici dorsali inferiori dalla 6° alla 112. In queste, secondo le osservazioni del Pfitzner, si rileva ancora che il tratto extradurale ha una direzione diversa che nelle altre, perchè esso non prosegue nella direzione del tratto intradurale, ma forma con questo ER un angolo aperto in alto e lateralmente. Tutto ciò prova la esistenza di una comune legge di sviluppo all'uomo ed allo cimpanzè adulti per la por- zione inferiore del midollo dorsale. Cioè durante l'accrescimento vi ha uno sviluppo ineguale tra una porzione distale del midollo dorsale e la por- zione della colonna vertebrale a cui corrispondono le radici spinali di questo. L'assenza del fatto nel bambino nella prima infanzia prova che il feno- meno si svolge nell’età successiva. Là dove la colonna vertebrale rimane indietro nell’accrescimento rispetto al midollo porta al ripiegamento dell’estre- mità caudale delle radici spinali ed al loro accorciamento. Nell'ultima fase di accrescimento è evidente che il midollo spinale e la colonna vertebrale hanno una evoluzione indipendente l'uno dall'altra, determinata da necessità funzionali diverse. In confronto con i dati del Pfitzner per l'uomo si rileva, che fino al livello della 7? rad. cervicale il comportamento generale topografico nello cimpanzè e nell'uomo (bambino ed adulto) è molto simile. Però nello cim- panzè il limite dell'origine dell’8° cerv. e della 1% e 28 dors. è più in alto che nell'uomo (bambino ed adulto), cioè il segmento cervicale più caudale e quelli dorsali più craniali appaiono spostati più cranialmente che nel- l'uomo rispetto ai segmenti vertebrali corrispondenti. Il limite caudale del- l'8° cerv. si approssima al valore più basso per l'uomo adulto e ricorda valori che si trovano nell'embrione umano (secondo la tabellina 8* del Pfitzner). Il limite caudale del 12° segmento dorsale dello cimpanzè coin- cide con i limiti massimi dell’uomo adulto e dell'embrione umano, si allon- tana dai limiti del bambino che sono sempre più craniali. Tutto ciò dimostra che il rapporto di sviluppo dei 12 segmenti dorsali del midollo alla relativa sezione dorsale della colonna vertebrale è maggiore nello cimpanzè che nel- l’uomo di tutte le età, ma più ancora della prima infanzia, e questo perchè (Pfitzner) il midollo dorsale è più corto nel bambino che nell’adulto nel rapporto di svilupno con la colonna vertebrale. Per fare_il confronto con l'uomo mi sono fermato, pel limite caudale del midollo dorsale dello cimpanzè, al 12° segmento, escludendo il 13° seg- mento, che nell’anatomia descrittiva dello cimpanzè deve essere incluso nel midollo dorsale per la esistenza di una 13* vertebra dorsale. Ho considerato insieme poi l’ultimo segmento dorsale del midollo (il 13°) ed i quattro lom- bari dello cimpanzè (nel quale vi sono quattro vertebre lombari) pel con- fronto con i cinque segmenti lombari dell’uomo. Dal punto di vista morfo- logico mi sento autorizzato a porre il confronto in questi termini: di esso tratterò più estesamente altrove, ma qui ricordo i dati che si trovano nella monografia del Kohlbrugge (') sulle radici spinali che dànno origine ai nervi (1) I. H. F. Kohlbrugge, Muskeln und periphere Nerven der Primaten mit beson- derer Beriicksichtigung ihrer. Anomalien. Eine vergieichend-anatomische und antropolo- gische Untersuchung. Verhand. der Konink. Akad. van Wetenschappen te Amsterdam (Tweede Sect.) Deel V, n. 6, 1897. periferici dei primati e anche, per le questioni generali, nella classica Memoria del van Rynberk ('). È già ben nota del resto la questione sul significato morfologico della differenza tra la 13% vertebra dorsale (nel caso di 13 vertebre dorsali), e la 1% lombare (nel caso di 12 vertebre dorsali) nell'uomo, nel gorilla e nello cimpanzè, come si può leggere in Broca (A) Il limite caudale dell’area radicolare del 25° segmento (V lomb. del- l’uomo =IV lomb. dello cimpanzè) nello cimpanzè coincide, pel rapporto vertebrale considerato, coi minimi dell’uomo adulto. Il limite caudale del cono midollare nello cimpanzè coincide con quello dell'uomo adulto. Quindi nel complesso abbiamo trovato (per i confronti con i dati del Pfitzner nell'uomo) che Za porzione dorsale del midollo spinale nello cim- paneè in rapporto alla colonna vertebrale ha una estensione maggiore che nell'uomo adulto e più ancora che nel bambino. L'accrescimento si fa in direzione caudale ed in direzione craniale. Lo sviluppo in direzione caudale segue una legge di accrescimento simile a quella dell’uomo ed in questa direzione il limite caudale raggiunto supera il limite caudale medio del- l'uomo adulto e tende a coincidere con i valori estremi del medesimo. Lo sviluppo in direzione craniale sorpassa i limiti dell'uomo in ogni età e so- lamerte si incontra nell’embrione umano. Il confronto della topografia vertebro-midollare dello cimpanzè con quella dell'uomo secondo i dati dello Sterzi (*) conferma meglio questi risultati. Limite caudale Uomo Cimpanzò dell’8° seg. spinale faccia sup. corpo X vert. (= III dors.) sopra il corpo VII vert. del 20° seg. spinale . faccia sup. corpo XVI vert. (= IX dors.) facc.sup. corpo XVIII vert. del 25° seg. spinale faccia inf. corpo XX vert. (=I lomb.) faccia sup. corpo XX vert. del cono terminale metà sup. corpo XXI vert. (= Il lomb.) come nell'uomo del filo term. interno corpo della XXVI (=IlI sacr.) come nell’uomo Secondo questi confronti appare nello cimpanzè: 4) più accentuato l'ac- corciamento della porzione cervicale; è) più evidente l'allungamento nelle due direzioni craniale e caudale della porzione dorsale del midollo; e) evi- dente l'accorciamento della porzione lombare; 4) tipica corrispondenza topo- grafica per l'estremo caudale del midollo (cono terminale e filo terminale interno). i Il midollo dorsale dello cimpanzè è dunque relativamente più lungo che nell'uomo, come accade anche in un altro antropoide, nel gorilla. Il (1) G van Rynberk, Saggio di anatomia segmentale. La metameria somatica, ner- vosu, cutanea e muscolare dei vertebrati. Mem. della R. Acc. dei Lincei, 1908. () Paul Broca, L’ordre des primates. Parallele anatomique de l'homme et des singes. Mem. d’Anthr., tom. III, Paris, 1877, pag. 36. (3) Sterzi, Anat. del sist. nero. centr. dell'uomo, vol. I, pag. 152. ERO OT Waldeyer (') fin dal 1889 riconobbe che il carattere macroscopico per il quale il midollo spinale del gorilla si differenzia da quello dell'uomo, ww? ist das Dorsalmark relativ linger. Questa differenza è correlativa di un’altra differenza fondamentale nel comportamento della sostanza grigia della por- zione «orsale del midollo, per cui il Waldeyer concludeva nel confronto con l'uomo, che die grossten Abweichungen im Dorsalmark zu liegen scheînen. Le mie osservazioni microscopiche sul midollo spinale dello cimpanzè, e che saranno altrove pubblicate, confermano anche per questo antropoide quanto il Waldeyer rilevò per il gorilla e cioè l’esistenza di una particolare diffe- renziazione dall'uomo. Infine il paragone dei valori della lunghezza delle radici spinali dello cimpanzè con quelli del Souliè (?) per l’uomo dimostra, che nello cimpanzè l’accorciamento della colonna vertebrale rispetto al midollo spinale si fa assoluta nel tratto distale a partire dal limite dell'area radicolare della 20* radice spinale e cioè a partire dal livello della 17* vertebra. È noto che negli antropoidi la regione lombare è relativamente corta come nel bambino alla nascita [ Keith (*) ], l’accorciamento quindi si estende anche alle ultime vertebre dorsali distali. Il rapporto della lunghezza del midollo spinale (= 260 mm.) del cim- panzè osservato alla lunghezza vertebrale (= 425 mm.) è di 61,1, valore contenuto nelle oscillazioni dei valori. per l’uomo adulto (55,6-63,1) e del bambino (58,1-64,0). Questo fatto implica che, ad onta degli accrescimenti ineguali e parziali e non simultanei del midollo spinale e della colonna vertebrale, vi è la tendenza alla conservazione di un rapporto costante di sviluppo della loro lunghezza globale, rapporto che si estende più ampia- mente che nell'àmbito della famiglia degli Hominidae. Un altro rapporto (topografico) fondamentale e costante comune all'uomo ed allo cimpanzè lo abbiamo trovato nel limite dell’estremità caudale del cono midollare riferito alla colonna vertebrale. A me sembra che la interpretazione più convincente sulla costanza di tali rapporti debba rintracciarsi in una necessità mecca- nica, e precisamente, in condizioni analoghe di adattamento ai movimenti del corpo, così come già il Gegenbaur(*) pensò a tali diverse condizioni, per interpretare le differenze notevoli di sviluppo in lunghezza del midollo spinale relativamente alla lunghezza della colonna vertebrale in seno alla classe dei mammiferi. (*) W. Waldeyer, Das Gorilla-Riickenmark. Abhand. der Kònigl. Preuss. Akad. d. Wissensch. 1889. (*?) Vedi in Sterzi, loc. cit., pag. 264. (3) Arthur Keith, Human embriology and morphology, London, 1903, pag. 47. (4) Carl Gegenbaur, Vergleichende Anatomie der Wirbelthiere mit Bericksichtigung der Wirbellosen, Leipzig, 1898, I Bd», pp. 782-783. RenDICONTI. 1921; Vol. XXX, 1° Sem. 5 DES Aa PERSONALE ACCADEMICO Il PRESIDENTE comunica che la votazione per la elezione del Segre- tario e del Segretario aggiunto della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, ha dato i risultati seguenti: votanti 40 — maggioranza 21. Per Segretario: CastELNUOvo ebbe voti 39; CorBINO 1. Eletto CASTELNUOVO. Per Segretario aggiunto: CeRULLI ebbe voti 4 — CorBINo 3. — Fano 2 — Levi-Civira 2 — Nasini 1 — De STEFANI 1 — Schede bianche 24 — Schede nulle 3. Nessun candidato avendo raccolto la maggioranza dei voti, l'elezione è rimandata alle prossime adunanze generali. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CAsTELNUOVO presenta poscia le pubblicazioni giunte in dono, richiamando l’attenzione della Classe su di una raccolta di Memorie scientifiche inviate dal Socio straniero TEoporo RicHaRDSs, del Gibbs Me- morial Laboratory di Boston. Il Presidente VoLTERRA, per incarico del Socio CIAMICIAN, presenta varie pubblicazioni del defunto dott. R. Rossi, offerte dalla famiglia del giovane e valente fisico di cui la morte troncò il brillante avvenire scientifico. Il Socio MarcHIArAvA fa omaggio della Commemorazione da lui letta nella Biblioteca Lancisiana: Nel secondo centenario della morte di Gio- vanni Maria Lancisi, del quale ricorda i meriti scientifici. AFFARI DIVERSI Il PRESIDENTE presenta alcuni pieghi suggellati inviati dai signori BRE- SCIANI e PastTORI perchè siano conservati negli Archivî accademici. G. C. Ie OPERE PERVENUTE IN DONO presentate nella seduta del 2 gennaio 1921. D’OcaQue. — Principes usuels de mono- ° graphie avec application a divers pro- blèmes concernant l’artillerie et l’avia- tion. Paris, 1920. 8°, pp. 1-67. De Toni G. B. — Commemorazione del prof. Pier Andrea Saccardo, m. e (Estr. dagli « Atti del R. Istituto Ve- neto di scienze, lettere ed arti », tomo LXXIX). Venezia, 1920. 89, pp. 1-36. DeL Guercio G. — Specie nuove e nuovi generi per l’Afidofauna italica (Estr dal « Redia n, vol. XIV, pp. 107-136). Firenze, 1920. 89. DurrieLp G. W. — The Emission Spe- ctrum of Silver heated in a carbon- tube furnace in air (Repr. from the « Astrophysical Journal », vol. XXVII, pp. 371-378). Manchester, 1908. 8°. Fermi C. — Si può col metodo Grassi smalarizzare l’Italia in pochi anni? Roma, 1920. 89, pp. 1-32. FERRARI G. — Noterelle d’algebra. Parma, 1920. 8°, pp. 1-95. Grirrini A. — Studî sui Lucanidi. IX: Sul Metopodontus. Savagei (Hope) (Estr. dal « Redia », vol. XIV, pp. 197- 208). Firenze, 1920. 8°. HenpeRrSON W. N. — Neutral Salt Action on Acid Solubilities. Boston, 1916. 89, pp. 1-17. ibn ‘Asakir... al-Tatrih al-Kabir li-1-hafiz Tiqah al-din aba-1-Qasim ‘Ali Db. al- Hasen... ibn Asakir. Damasco, Raw- dah al-Sam, 4° picc. 1330-32 ég. voll. 5 (in contin.). MaRrcHIAFAVA E. - Commemorazione di Giovanni Maria Lancisi fatta nel se- condo centenario della morte il 20 gennaio 1920 nella Biblioteca Lanci- siana. Roma, 1920. 89, pp. 1-41. Ricgarps T. W. — A Calorimetric. Me- thod for Standardizing ‘l'hermometers by Electical Energy (Repr. from the « Journal of the American Chemical Society r, vol. XLII, pp. 1374-1377). Cambridge, 1920. 8°. Ricgarps T. W. — A new Thermache- mical Method for Subdividing Accu- rately a Given Interval ou the Ther- mameter Scale (Repr. from the « Jour- nal of the American Chemical So- ciety », vol. XXXVII, pp. 81-96). Cam- bridge, 1915. 8°. xIcHARDS T. 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Rossr R. — On the Pressure Displace- ment of spectral Lines (From the « Philosophical Magazine », 1911, pp. 500-501). Manchester 1911. 8°. Mancaster, gg Rossi R. — Series of Lines in the Spe- ctrum of Neon (From the « Philoso- phical Magazine », 1913, pp. 981-984), Cambridge, 1913. 89. Rossi R. — The Effect of Pressure on the Arc Spectrum of Vanadium (Repr. from the « Astrophysical Journal », vol. XXXIV, pp. 21-25). Manchester, 1910. 8°. Rossi R. — The Effect of Pressure on the Band Spectra of the Fluorides of the Metals of the Alkaline Earths (From the « Proceedings of the Royal So- ciety », vol. 82, pp. 518-523). Man- chester, 1909. 8°. Rossi R. — The Widening of the Hydro- gen Lines in the Spark Spectrum (Repr. from the « Astrophysical Jour- nal », vol. XL, pp. 281-235). Cam- bridge, 1914. 89. RusseL A. S. — An Investigation of the Spectrum of Ionium (From the « Pro- ceedings of the Royal Society », vol. 37, pp. 478-484). Manchester, 1912. 89, Sapor R. — La technique de Fedoroff. Simplifications au cours du travail et des reports (Extr. du « Compte Rendu des séances de la Société de physique et d’histoire naturelle de Genéve », vol. XXXVII, pp. 51-58). Genéve, 1920. 8°. - Troporo G. — Sulla embriologia delle Cocciniglie (Estr. dal « Radio », vol. XIV, pp. 137-141). Firenze, 1920, 80. Turati E. — Nuove forme di Lepidotteri (Estr. dal « Naturalista Siciliano », anno 1919, n. 7 a 12). Palermo, 1919, 8°, pp. 1-166. Vannini G. — Le grandi rivelazioni sul circolo. Milano, 1920. 8°, pp. 1-52. ZartTINI G. — La potenzialità attuale della produzione del frumento in Italia sta- tistica del dodicennio 1909-1920 (Estr. dalle « Notizie periodiche di statistica agraria », fasc. III). Roma, 8°, pp. 1-97. Volterra (Presidente). Per incarico del Socio Ciamician, presenta varie pubblicazioni del SEDIE RO ASS II I e Ae . Pag. 34 Marchiafava. Fa omaggio di una Commemorazione di G. M. Lancisi . .. ..... 0» » AFFARI DIVERSI Volterra (Presidente). Presenta alcuni pieghi suggellati inviati dai signori Bresciani e Pastori perchè siano conservati negli Archivi accademici ..././././....+.. o» BUCBENTINO RIBLIOGRAFICO) ie FETI RE e te e e A eni BI RENDICONTI — Gennaio 1921. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Seduta del 2 gennaio 1921. Ciamician e Ravenna. Sull’influenza di alcune sostanze OmgaMttaLo sullo sviluppo delle (0) piante SIAT Negro le Grassi. B. L'Anofele ui propagare la asia uo direttamente? FE Dali sara LARA È Bottazzi. Ricerche sulla ghiandola salivare posteriore dei Cefalopodi. IV: Attività secretiva della ghiandola in varie condizioni sperimentali . . . . . . SORA Bro) Lazzarino. Sulle equazioni del moto di rotazione attorno ad un sunto fisso di un solido avente un numero qualunque di cavità riempite da liquidi viscosi a densità diverse e comunque variabili (pres. dal Corrisp. Marcolongo) . < L0. 00... 13 RI Severini. Sulle equazioni integrali (pres. dal Corrisp. Tedone) . è pe Tonelli. Su due proposizioni di J. W. Lindeberg è E. E. Lori sa Calcolo delle” varia- zioni (pres: dal Socio Pincherle) . . . È A Ise Sabatini. L'unità del sistema Vulsinio (pres. "i Sueta Viola) E RI Ero) Cotronei. Sulla morfologia causale dello sviluppo oculare del Bufo vulgaris (orso dal Socio Grassi)... . . ; Rei) Remotti. Variazioni di peso “ipecifioo PA lo silupho densa uova ‘di Teleostei di super- ficie e di profondità (pres. Id). PASTA ISO RAMIRO I GO DILATA ASA TONI IZ Sergi. Sulla topografia CCR DI IniAOTARE. nello cimpans (Gai dal Socio Id.) . 0 n 80 PERSONALE ACCADEMICO Volterra (Presidente). Comunica l'elezione a Segretario della Classe di scienze fisiche, ma- tematiche ve naturali; del''Soclo: Castelnuovo i Ue O SE LIO PRESENTAZIONE DI LIBRI Castelnuovo (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte iu dono, segnalando fra queste una raccolta di Memorie del Socio straniero Richards . LU 0. L66006 00 (Segue in terza pagina). KE. Mancini, Cancelliere dell'Accademia, responsabile. EMIOA AIUTI APE SIE FINI NINE DIJA( CRON E PRIZE CISTITE IT dee O (E Pubblicazione bimensile. N. 2. ATEI DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI ANNO CCCXVIII. 192% STEVE ‘QU ENTITORA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X X X.° — Fascicolo 2° Seduta del 16 gennaio 1921. 1° SEMESTRE ROMA TIP, DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delledue Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re» golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili dele l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note, di Soci o Corrispon ‘enti non possono oltrepassare le 5. pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus» sioui verbali che si fanno nel seno dell’Acca= demia; tuttavia se Soci, che ‘vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memoric presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta & stampa della Memoria negli Atti dell Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. "9 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gràtis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 30 se estranei. La spesa di un numero di copia in più che fosse richiesto, è messo a carico. degli autori. È , RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. TTT —T—rrrrrrrrrrr- Seduta del 16 gennaio 1921. F. D'Ovipro, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Sintesi della 0o-Fenilendicianguanidina dalla o- Fenilendiamina ('). Nota del Corrisp. Guipo PELLIZZARI (?). In un lavoro precedente (*) fu dimostrato che per azione del bromuro di cianogeno sulla fenilidrazina si possono introdurre tre gruppi di cianogeno in luogo dei tre atomi di idrogeno basico; ma per una trasposizione intra- molecolare il prodotto che ne resulta invece della tricianfenilidrazide, è la o-fenilen-@-8-dicianguanidina 3CN.B SSN C,H, NH . NH, > CH S0.NHCN (9) Soa | CN (0) Infatti questa sostanza per idrolisi graduale prima con idrato potassico, poi (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica farmaceutica del R. Istituto Supe- riore di Firenze. (°) Presentata nella seduta del 2 gennaio 1921. (°) Pellizzari e Gaiter, Azione degli alogenuri di cranogeno sulla fenilidrazina. Nota IV: Passaggio a derivati della o-fenilendiamina. Gazz. chim. ital., 48, II, 151. ReNpICONTI. 1921, Vol. XXX, 1° Sem. 6 AE con acido cloridrico, dette i seguenti prodotti di demolizione . U) oi ve. NAON Se cl So. NHCO.NH, —> \NH XxH/ fenilen-f-cianguanidina fenilengnanilurea N NT — > mc Dal È NH, fenilenguanidina Per la sintesi di queste sostanze dalla o-fenilendiamina, ricordo che l'ultimo prodotto d'idrolisi, la fenilenguanidina, era già stata ottenuta da Pierron per azione del bromuro di cianogeno sulla fenilendiamina (*). In essa per ulteriore cianurazione, Pellizzari e Gaiter (loc. cit.) riuscirono ad introdurre un gruppo cianogeno in posizione @, NH N A a CN.Br 546 N ni T CN. Br AR i Ce n _— a ° NH. —— C AnbE (>: . NH, 2 i | ON ma non riuscirono a introdurre il cianogeno in posizione #. Invece dal primo prodotto ‘d’ idrolisi, la fenilen-f-cianguanidina, trasformandola in sale sodico e facendo agire su di esso il bromuro di cianogene ritornarono alla fenilen-a-f8-dicianguanidina (?) CN.Br a N AN i Seo . NH . CN > IS TA | CN NC. NH. CN Siccome ora son riuscito ad ottenere anche questa fenilen-8-cianguanidina dalla o-fenilendiamina, passando prima alla fenilenbiguanide, ne viene di conseguenza anche la sintesi della fenilen-a-8-dicianguanidina dalla o-feni- lendiamina. Ziegelbauer (*) impiegando la nota reazione che conduce alle biguanidi, ebbe col cloridrato di o-fenilendiamina e diciandiamide una fenilenbiguanide alla quale attribuì una formula simmetrica secondo il seguente schema. NH, GN NH—C:NH CH, Bi bai REI: SEITNIL O NH NH, . NE,C=NH NH—C:NH (*) Ann. de chimie et phys. VIII, tom. 15, 190. (2) Per la costituzione di queste sostanze confronta anche la Nota G. Pellizzari, Sull'o-amidofenilurea. Gazz. chim. ital, 49, I, 19. (*) Monatshefte, 17, 653. AR ' paia SR RI (O z n 9 gg In ricerche descritte in una Nota già consegnata per la stampa alla Gaz- zetta chimica italiana che porta il titolo: Azione degli alogenuri di cia- nogeno sulla fenilidrazina. Nota V: Derivati della melamina, ho ottenuto questa stessa o-fenilenbiguanide partendo dalla fenilendicianguanidina con una serie di reazioni, le quali dimostrano che ad essa spetta una formula di costituzione differente da quella simmetrica data, ma non dimostrata, da Ziegelbauer; le reazioni sono le seguenti: 1°) la fenilendicianguaridina (formula I) addiziona ammoniaca e passa in fenilenisomelamina (form. II); 2°) la fenilisomelamina con acido cloridrico, subisce la trasforma- zione di un carboimidile in carbonile, reazione normale delle melamine, e passa in fenilenisoammelina (form. III); 3°) per azione dell’idrato potassico si rompe l'anello melaminico, con eliminazione di anidride carbonica, e si forma la” fenilenbiguanide (form. IV) I II N CH, C CH, C $ di \NH + NH; \y7 \NH + H,0 e DI i CN CN NH=C C=NH III IV N N CH SC C.H, Ne NyZiEX SIN i N 421,0 NH NH CO —NH A=NH Xx NH, Questa formula di costituzione dell’o fenilenbiguanide fu poi confermata dalla sua facile trasformazione in fenilenguanilurea (form. V) per idrolisi, sostanza già ottenuta da Pellizzari e Gaiter per idratazione della fenilen- B-cianguanidina (form. VI). IV | ; VI CONE NH CONA CHXNG,.NH.CN NH ea i NH * $ N CK Òc_NH.C0.NH, NH sb e Quindi lo schema di formazione della fenilenbiguanide dalla o-fenilen- diamina e diciandiamide deve esprimersi nel seguente modo: NH: CH. n PSP: o. NH, — NE: + 0.0. No.NH.C.NH, 2 NH Î NH N Questa fenilenbiguanide trattata con acido nitroso, invece di dare come ara presumibile la rammentata fenilenguanilurea, eliminò gli elementi di una molecola di ammoniaca per passare e con buon rendimento, nella feni- len-$-cianguanidina N CH. Da .-NH.C.NH, + NO,H= NH Î NH N —N,-+2H,0-4 CHX NC.NE/ON \yuA 06 È questa una reazione nuova prodotta dall'acido nitroso per la quale un residuo guanidico viene trasformato in un residuo della cianamide, invece che un residao ureico R.NH.C(NH).NH, —> R.NH.CN Con ciò viene resa possibile la sintesi della fenilendicianguanidina diretta- mente dall’o-fenilendiamina con i seguenti passaggi: 1°) cloridrato di fenilendiamina e diciandiamide dànno la fenilen- biguanide; 2°) il cloridrato di fenilenbiguanide con nitrito alcalino e acido clo- ridrico dànno la fenilen-8-cianguanidina; 3°) il sale potassico della fenilen-8-cianguanidina con bromuro di cianogeno dà la fenilendicianguanidina. NH, N H, > GHK Sc.NH.C(NE).NE, > \NH, \xH7 N 5 LC TS CES dI Ù NH . CN => See . NH . CN | CN Il prodotto ottenuto per questa via è identico a quello che si ebbe dalla fenilidrazina e bromuro di cianogeno. PREPARAZIONE DELLA 0-FENILENBIGUAN IDE. Secondo le indicazioni di A. Ziegelbaner la preparazione vien fatta scaldando in tubo chiuso per 7 ore a 105° una soluzione alcoolica di ‘clo- ridrato di o-fenilendiamina e diciandiamide in proporzione equimolecolare. Il prodotto viene piuttosto impuro e l'A. per purificarlo lo trasforma in nitrato che cristallizza e da questo separa la base colla soda. Con tutto ciò la fenilenbiguanide rimane impura tanto che è descritta come sostanza che si scioglie in acqua colorandola in giallo. Io l'ho preparata più rapidamente e comodamente, più pura e con rendimento un po’ maggiore nel seguente modo: gr. 10 di cloridrato di fenilendiamina e gr. 10 di diaciandiamide (circa il doppio della quantità equimolecolare) furono sciolti in 100 ce di acqua e la soluzione si fece bollire a ricadere per 5-6 ore; l’ammoniaca che si forma va via e quindi non ha luogo di reagire, come in tubo chiuso, sopra una parte della diciandiamide in concorrenza colla fenilendiamina. Finita la reazione si precipitò la base colla soda caustica e si ricristallizzò due volte dall'acqua con un po’ di carbone animale. Quando la sostanza è greggia o non ben purificata effettivamente dà una soluzione giallina, ma questa impurezza si può togliere oltre che con ripetute cristallizzazioni, anche sciogliendo la base in acido cloridrico diluito ed aggiungente una piccola quantità di nitrito alcalino: quel poco acido nitroso che si sviluppa, attacca di preferenza l’impurezza distruggendola e colla, soda si ottiene la base che cristallizzata dall'acqua è in lamine lucenti madreperlacee che si de- compongono a 254°. Per le altre proprietà della sostanza e per i suoi sali rimando alla Nota di Ziegelbawer ed alla mia sui Derivati della melamina di prossima pubblicazione. AZIONE DELL'ACIDO NITROSO SULLA FENILENBIGUANIDE. Gr. 5 di fenilenbiguanide furono sciolti in 100 ce. di acqua coll’ag- giunta di 10 ce. di acido cloridrico concentrato e quindi si aggiunsero a di- verse riprese a freddo gr. 2,5 di nitrito potassico (circa 1 mol.). Il liquido si fece giallino con lento sviluppo di azoto e dopo poco si vide separarsi una sostanza cristallina leggera che fu raccolta dopo 24 ore: il liquido coll'ag- giunta di gr. 1,25 di nitrito alcalino dette ancora nuovo prodotto che in tutto era gr. 3,91 con un rendimento dell’ 81,4 % del teorico: nelle acque madri non si trovò neppur traccia di fenilenguanilurea. La fenilen-8-ciangua- nidina così ottenuta purificata dall'acqua bollente con un po’ di carbone animale si ebbe nei caratteristici aghi sottili, lunghi, splendenti, elastici già descritti da P. e G. decomponibili fra 250° e 2600: SLeON ag gir gr. 0,2646 di sostanza dettero gr. 0,5869 di anidride carbonica e gr. 0,0956 di acqua; gr. 0,0566 di sostanza dettero 17,3 ce. di azoto a 17° e 760 mm.; trovato Y C = 60:77; H—= 4,07; N—= 85,45; calcolato per.la fenilencianguanidina C= 60,75; H= 3,79; N=35,44. Una parte della fenilencianguanidina così ottenuta sciolta in acqua e potassa secondo le“indicazioni di P. e G. (loc. cit., pag. 180) per azione del bromuro diScianogeno fu trasformata in fenilendicianguanidina identica a quella ottenuta dalla fenilidrazina. Come metodo pratico. di preparazione credo però sia preferibile quello dalla fenilidrazina. In una prossima Nota riferirò sopra esperienze eseguite con successo per generalizzare la reazione dell'acido nitroso sopra altri composti guanidici. Matematica. — Saggi d'una teoria geometrica delle forme binarie. IV: Rappresentazione tipica dei covarianti. Nota di ANNI- BALE COMESSATTI, presentata dal Corrisp. F. SevERI (*). 13. Il problema di raccogliere l'insieme delle forme invariantive de- dotte da una o più forme originarie, in un campo di razionalità o d’inte- grità a base finita, può, per la sua importanza, e per il vasto contributo apportatovi da eminenti Autori, considerarsi come fondamentale per la teoria che ci occupa. Prima che Gordan,"nel 1868, pervenisse a stabilire l’esistenza di sistemi completi di forme invariantive inerenti ad una data binaria /, mediante le quali tutte le altre si esprimono in modo razionale intero, un passo im- ‘portante, nel dominio di razionalità, era stato fatto da Hermite mediante la rappresentazione tipica (*). Il teorema di Hermite stabilisce che ogni covariante (ed invariante) di / è eguale ad una funzione intera di / e di certi n —1 covarianti Do, Dg,..., D, divisa per una potenza della / stessa. Esso è stato succes- sivamente perfezionato da Clebsch che sostituì al primitivo sistema dei covarianti associati (ad /) di Hermite, altri sistemi notevolmente più semplici (*). Nel nostro ordine di vedute, i problemi accennati s' interpretano come inerenti alla ricerca d'una lase per le ipersuperficie 0 forme seminvarianti, (*) Presentata nella seduta del 16 dicembre 1920. (2) Hermite, Second Meémoire sur les fonctions homogènes à deux indéterminées [Journal fiir Mathematik, LII (1856), pp. 18-38], $ III. (*) Cfr. Clebsch, Bindren Formen (cit.), Cap. VII. x intendendo come tali quelle forme dello S, (45,41, @n) che si ottengono eguagliando a zero un seminvariante di /. E invero, come segue dal teo- rema di Bruno dimostrato al n. 5, ogni relazione algebrica tra seminva- rianti produce una relazione formalmente identica tra i relativi covarianti, e viceversa. È da una tale concezione del problema, convenientemente trasformata ed elaborata, che mi propongo di dedurre in questa Nota la rappresenta- zione tipica dei covarianti. 14. Riprendiamo la considerazione del gruppo ® delle similitudini di C” che caratterizza i seminvarianti di /. Diremo che due punti P e @ di S" sono equivalenti rispetto a tal gruppo, se esiste in esso qualche tras- formazione non degenere che muta P in Q. L’insieme dei punti di S, equivalenti ad un generico punto P, inclu- sivi per ovvie ragioni d'algebricità anche i punti limiti di successioni di puntisequivalenti a P ('), è una superficie algebrica F variabile in un sistema algebrico M,0c0"-?, d’indice 1. Una ipersuperficie seminvariante /y di S,, contiene ovviamente la F passante per un suo punto generico; sicchè se le F si concepiscono come elementi d'una varietà W,_. (algebrica, anzi, come vedremo tra poco, ra220- nale) la 4y è ivi rappresentata da una V,-3, e viceversa ad ogni V,_s di W (escluse eventualmente convenienti V,_3 /ondamentali) corrisponde un seminvariante di f. Possiamo anche sostituire alla W l’involuzione segata dalle F sopra una V,_s di S,, ad esempio sopra uno spazio lineare S,-»; la determina- zione dei seminvarianti di / sì riduce allora a quella delle V,-3 apparte- ‘nenti a tale involuzione. 15. Indichiamo con S uno spazio S,-s passante per lo S,_3 osculatore a C” in U e non contenuto nello S,-, osculatore 4,= 0. Assunto questo Sn3 come spazio improprio entro S coll’introduzione di coordinate non di PRIN : omogenee ia le equazioni di S saranno del tipo 2: =, 2:= Ms. 0 Tenendo conto delle equazioni di 2, che, a norma del n. 2, sì pos- sono scrivere p. es. sotto la forma £ io) , psn, . (8) Him (ia Reel), h=0 (A, parametri), si stabiliscono facilmente le proprietà seguenti : a) Se non è mi — mg=0, cioè se S non è uno spazio generatore del cono seminvariante hessiano asa» — aî = 0, esiste una ed una sola (1) L'omologo di P per una trasformazione degenere di £ può essere indeterminato, ma non lo è se quella trasformazione si considera come limite d’una trasformazione non degenere, per una variazione continua dei parametri, ice trasformazione di 2 che muta un punto proprio P_di S in un altro punto (non dato) di S, e questa è l’involuzione di £ corrispondente ai valori A=—1,u=—2m, dei parametri; i 5) ogni punto proprio d'un generico S è equivalente a due ben de- terminati punti pure proprî d'un altro S generico. Dalla a) segue che ogni F del sistema M, sega $, fuori di punti fissi (Improprî) in due punti coniugati in una involuzione I, generata da una proiettività involutoria (e perciò razionale). Se in particolare, come faremo in seguito, si pone m,= 0, m,=1 le equazioni della proiettività generante I,, che sì ottengono dalla (8) per A=—1,u=0, sono (9) a=(—1)u, ((=3,4,.., 0). L'osservazione 4) permette di determinare quali sono le forme seminvarianti che segano un prefissato S generico soltanto in punti improprî. In forza della è) esse devono comportarsi analogamente rispetto agli altri S generici, e quindi son.conz aventi per vertice Jo S,-3 osculatore a C” in U, cioè cor- rispondono a covarianti # — 2 conici. Tali covarianti sono protezioni (n. 6) di covarianti delle forme quadratiche e quindi si riducono alla forma, all'hesstano o a prodotti di loro potenze intere e positive; di guisa che i seminvarianti cercati sono del tipo a*(2, 0, — aî)f.. i 16. Sia ora ® un covariante di /, il relativo seminvariante. L'iper- superficie p= 0 segherà su S(cz=0,z,==1) una V,-3 mutata in sè dalla (9), cioè appartenente all’involuione 1,; e viceversa, data una tale V,_3, applicando ad essa le trasformazioni di £ se ne dedurrà una forma semin- variante @. Ne segue che due seminvarianti i quali seghino su S, fuori d' interse- zioni improprie, la stessa V,-z non possono differire che per fattori del tipo at(adî — ana»), giacchè, per quanto precede, ogni loro parte irriducibile è individuata dalla sua intersezione con S, a meno che questa non si riduca allo S,_3 improprio. 17. Indichiamo ora con (10) W (233/24, 00, Ca) = 0 l'equazione della V,_3 staccata su S dal seminvariante g. Come faremo a dedurne l’espressione di ? Anzitutto converrà tener conto che la (10)‘dev'essere mutata in sè dalla proiettività (9); e perciò occorre e basta che dé ogni termine della (10) è numero dei fattori d’indici dispari abbia la stessa parità. Inoltre le considerazioni precedenti suggeriscono di cercare delle for- mule che esprimano le coordinate d'un punto di S in funzione di quelle . del generico punto equivalente di S,. Sostituendo quelle espressioni al posto delle < nel primo membro della (10), e riducendo a forma intera, dovrà gg E ottenersi, a meno di fattori o divisori del tipo 49 (40 as — aî)f, il cercato seminvariante @. 18. A conferma delle previsioni, veniamo agli sviluppi effettivi. Poniamo di < Îop; n nombre de permutations dans la série des 7). La fonction @g(u, — e, Ur — 02, ..., Up — ép) a exactement les mémes proprigtés que g, et il ya un cycle correspondant — E —- désignons par E? son intersection avec le premier, en adoptant une définition convenable pour son orientation. On trouve de méme E? =9 Î(— 192 Mii, Miziy (%5 TRLIRCA tap) (7 < do 5 Î3 <= UA 5 Te Op, © 00.0, 00 Op2p 7 oi aula ago À; 2p PRA ski) Vedremo che d è un intero; potremo supporre d = 0,. eseguendo, se occorre, uno scambio tra due verticali del determinante. Chiameremo d il determinante della funzione gp. Si dimostrano facilmente le seguenti proprietà: a) Le espressioni (4) ri dig — Or di +» - topi Apt — Gpk Api = Mik (POESIA 2p) (1) Frobenius, Journal fir d. r. u. a. Mathem.. vol. 97 (1888); Humbert, Journal de Math. (Ve s.), voll. 5 e 6 (1899-1900); Scorza, Rendic. Circolo Matem. di Palermo, tomo 47 (1916). Mentre correggo le bozze mi giunge la notizia della morte di G. Hum- bert. Invio un reverente saluto alla memoria di questo scienziato, le cui belle ricerche sulle funzioni abeliane hanno ispirato, nell’ultimo decennio, tanti lavori della scuola ‘ italiana. 59 hanno valori interi (detti in/eri caratteristici della g); si giustifica calco- lando in duc modi diversi, mediante le (2), 4((un + on + n). 6) Segue, eseguendo opportunamente il quadrato della (3), (5) 9 = ([ntx|| (ma = — tim) Dunque d è un numero intero, uguale (fatta astrazione dal segno) al pfaffiano del determinante sghembo simmetrico (5). c) Se alle variabili un e ai periodi wy; si sostituiscono loro combi- - nazioni lineari indipendenti U,,,;, anche i periodi di seconda specie 4 subiscono una trasformazione lineare, ma non mutano nè gli interi caratte- ristici 2;, nè d. d) La funzione 4 moltiplicata per un esponenziale ad esponente qua- dr.tico nelle u, e7T>%x%, fornisce una nuova funzione intermediaria cogli stessi periodi di prima specie w; ì periodi di seconda specie si alte- rano, ma non mutano nè le #m;x, nè d. e) Si eseguisca sulle verticali della matrice (1) una sostituzione a coefficienti interi e determinante non nullo: (6) W.= Ar 0 +: + dp op (r=1,2,..,29); in queste è omesso il primo indice delle co, @', il quale deve avere lo stesso valore (1,2,...,) a sinistra e a destra. La 4 può considerarsi come una funzione intermediaria delle variabili « coi nuovi periodi w'. I periodi di seconda specie subiscono la medesima trasformazione lineare, e gli interi caratteristici 72, si mutano in nuovi interi caratteristici 72), colla legge se- condo la quale i coefficienti della forma alternata (7) I min EM (i,k=1,2,...,2p) si mutano nei coefficienti della forma alternata 27, &:, quando sì passa dalle variabili #,7 alle &', 7" mediante la sostituzione (6), Il determinante d si muta in d'=d||a,; 2. La forma alternata (7), che diremo collegata alla g, ha un signi- ficato notevole relativamente alla matrice (i). Per metterlo in rilievo riguar- diamo, collo Scorza, le orizzontali della (1) come contenenti le coordinate omogenee di p punti di uno spazio lineare Ssp-1, i quali determinano ivi uno spazio Sp-1 che indicheremo con 7. Siano poi le È e le 7 coordinate di due iperpiani (Syp-s) passanti per 7, tali adunque che 2p Eopn=0 , > rog =0 (= 1, 2000) 1 de=e1 Me (8) î Moltiplicando i due membri della (4) per È; mx e sommando rispetto agli indici 2,7, si trova Mix E; Yn== 0. A dg Questa rappresenta una reciprocità nulla (inviluppo) in Ssp-,, la quale muta ogni iperpiano passante per + in un punto di #. Segue, se d +0, che la detta reciprocità nulla, considerata come luogo e rappresentata dal- l’annullarsi della forma reciproca (9) ZMy x; Ya» dove My è il complemento algebrico di #;x entro ||m;x||, muta ogni punto di 7 in un iperpiano per 7. Dunque la (9) si annulla se al posto delle (21... X2p) > (Y1: ++ Yap) poniamo gli elementi di due righe qualsiansi della matrice (1). La. forma (9) è, secondo lo Scorza, una forma alternata di Riemann della matrice (1). L'esistenza supposta di una funzione inter- mediaria cogli interi caratteristici #1, porta l’esistenza di una tal forma, cioè di una relazione alternata tra le orizzontali della matrice.. 3. È noto che con una opportuna sostituzione lineare a coefficienti in- teri, del tipo (6) e di modulo ||a,|| = 1, eseguita nel tempo stesso sulle & e le 7, la forma alternata (7) si muta nella forma canonica INA (10) ei (Et Ni+n — Et+p ni) - “| | dove le e; sono interi positivi. La stessa sostituzione applicata ai periodi w li muta in periodi w' tali che, rispetto ad essi, la funzione intermediaria ha i nuovi interi caratteristici (n. 1, e) (11) Mito Co, Ma seek at pg. La forma di Riemann (9) si trasforma (salvo un fattore intero) nella nuova forma di Riemann Mr î l , (12) pe (2, Yi+p T Zi+p Yi) ‘ Ù che si annulla se vien costruita coi periodi w' di due orizzontali qualsiansi della nuova matrice. Riduciamo questa alla forma canonica CAPO 0 Op VARESE CON NO O N0)5 (13) 3 (x = Opi) DELI ep Sn Op? Ohy con una trasformazione lineare eseguità contemporaneamente sulle variabili e sulle orizzontali della matrice (1) (n. 1, c). La ((u)) si muterà in una nuova funzione intermediaria 4,((U)) coi periodi di prima specie (13) e gli interi caratteristici (11). Moltiplicando g, per un esponenziale del tipo e-®*Z%k;0x (n. 1, d), si ottiene una terza funzione intermediaria s((U)) coi periodi di prima specie (13), gli interi caratteristici (11) e certi periodi di LEE A seconda specie 4ix, dei quali si può supporre (scegliendo opportunamente i parametri «&;), che siano nulli tutti quelli per cui { —%X = 0. Allora, te- nendo presenti le (11), si vede che per questa , il determinante (3), il cui valore non è cambiato, assume l’aspetto - e, 0 0, Cp OI io o i 14 d=- p (1) ME) Ch = Oki) 3 0 .00 1 e le proprietà di periodicità si presentano sotto la forma semplicissima (15) (PU, 90009 U, + CL.4 0. , U,) = p2(U, CCIE U, Sie U,) q=S 1,2 A 2) (py(U, +01, Up + 0) = 92(U1,..., Up) e etti 4. Se d=1 e quindi ej=---=e,=1, la g, è una funzione © del primo ordine relativa ai periodi (13). In caso opposto eseguiamo la trasfor- mazione di variabili (16) U=dvu=er.. 690 ed assumiamo come nuovi periodi i numeri della tabella Io) Lo U Tu Tip ci (17) BILE LI SIR CANON SO Ti = Thi = n 0 e 1 Tp) dò Tpp La s((U)) diviene una funzione ©((v)) che soddisfa alle seguenti relazioni : (MICI CASE? PA dp) a, (Mr O(v, + ere) Up + Tp1) == (vi greco 3.Up) e *Ti0v,+v, ( 2) (18) Si tratta dunque di una funzione @, propriamente detta, avente l’or- dine d. È una © particolare, perchè si ha pure e (19) (0 senso + "i sese 0) =0O(d1,...,U, 3%). Si ricordi ora che per la esistenza di una funzione @ coi periodi (17) - è necessario (e sufficiente) che la forma alternata IZ (20) (Xi Mato go= Xisp Yi) î assuma un segno costante (positivo) quando al posto delle X e delle Y si pongono le parti reali ed i coefficienti dell'unità immaginaria dei periodi P_ di una combinazione lineare > o;v; delle variabili, qualunque siano i va- i=l ARE et gi di e TT de aa SITI s , i EV ; pi ts n) po Spe CA PESA 4 lori attribuiti ai parametri o. Ora, poichè la (20) è la trasformata della forma (9) attraverso le successive trasformazioni a coefficienti rea/7 eseguite sulle x,y e sui periodi (1), segue che /a forma (9) conserva sempre lo . stesso segno quando al posto delle x e delle y si pongano le parti reali ed i coefficienti dell'unità immaginaria dei periodi di una qualsiasi com- binezione lineare delle variabili primitive u,,..., up. Diremo collo Scorza La la (9) è una forma riemanniana principale della matrice (1). In conclusione, e tenuto conto che il ragionamento si può invertire, possiamo enunciare il teorema: Affinchè esista una funzione intermediaria coi periodi (di prima specie) (1) e gli interi caratteristici may è necessario e sufficiente che la matrice (1) ammetta una forma alternata riemanniana principale, e pre- cisamente la (9), i cui coefficienti sono gli elementi del determinante ag- giunto di ||m,z||. Matematica. .— Invarianti e covarianti metrici nelle defor- mazioni di specie superiore delle superficie. Nota IV di E. Bom- PIANI, presentata dal Socio G. CastELNUOVO (!). 1. Dedico questa Nota alla interpretazione geometrica degli invarianti Gaussiani già introdotti (?) limitandomi ad accennare i risultati per le de- formazioni di 2 specie. 2. Data una superficie di S, (2 = 5) con S; 2-osculatore generico esiste in ogni punto P della superficie una normale ben determinata (che dirò NORMALE OMBELICALE) e su di essa un punto (che dirò CENTRO DI SURVA- TURA OMBELICALE), contenuta nello Ss 2-osculatore in P, caratterizzati da una delle seguenti proprietà: 1) Za protezione ortogonale della superficie sullo Ss individuato dal piano tangente in P_e dalla normale ombelicale ha in P_un ombelico; il centro di curvatura della superficie protezione nell'ombelico è il centro di curvatura ombelicale. 2) Tutti gli Sn-s normali alla superficie nei punti infinitamente vicini a P incontrano lo S, 2-osculatore in P nel centro di curvatura ombelicale (relativo a P). (*) Presentata nella seduta del 16 dicembre 1920. (3) Vedansi le 8 Note precedenti dallo stesso titolo; questi Rendic., vol. XXVIII, 2 e 3 nov. 1919; vol. XXIX, 18 génn. 1920. Ricordo che ho chiamato invarianti e cova- rianti Gaussiani quelli che pur contenendo derivate d’ordine v 4-1 delle coordinate dei punti della superficie sono tali per deformazioni di specie v; cioè, mentre dipendono (apparentemente) dai coefficienti delle prime v»-- 1 forme fondamentali, si possono cal- colare mediante quelli di sole » forme L,,... Ly. n RENDICONTI; 1921. Vol. XXX, 1° Sem, 8 ='h6 e 3) Za normale ombelicale è la normale al piano della conica delle curvature [considerata dal Levi (')] relativa al punto P condotta da P; e il centro ombelicale è il polo di questo piano rispetto alla sfera di raggio unitario e di centro P contenuta nello Sz di P e della conica. 4) La congruenza delle normali ombelicali ad una superficie sta- bilisce una rappresentazione conforme fra essa e la superficie parallela costruita secondo quelle normali (prendendo su ciascuna un segmento infi- nitesimo costaute 4); il modulo della rappresentazione dipende soltanto dal raggio di curvatura ombelicale (e, naturalmente, da %). Se si prosegue con continuità la costruzione che fa passare da una superficie a quella parallela e infinitamente vicina secondo le normali ombe- licali (*) si ottiene una V3 dotata della notevole proprietà di avere le superficie del sistema costruito come quasi-asintotiche (*) nel senso che lo Ss 2-osculatore ad una di esse in un suo punto contiene lo Ss tangente nel punto alla V3; le loro traiettorie ortogonali (inviluppate dalle rette delle co! congruenze ombelicali) stabiliscono fra due qualsiansi di esse una corrispondenza conforme. 3. Se si indicano con 2;(v,v) le coordinate cartesiane rettangolari dei punti della superficie, con Ds la matrice (a 5 righe ed n = 5 colonne) formata con le loro derivate prime e seconde (che per ipotesi ha caratteri- stica 5, quindi Dî + 0), i coseni direttori /; della normale ombelicale in x, e il raggio di curvatura ombelicale @ sono dati da H; V=H? DREA E dae DE avendo posto dii dii dx; DEI: Dd°%i dU dv du” dU dV dv° E F [1020] [1011] [1002] 0 Hic P G [0120] Toni] i [oloo]5 0 ‘«|[2010] © [2001]. [2020] 2011] [20028 [lui0)/VE101] [20 RSI Soa] 0A [0201] [0201] = [0220] [0211] [0202] G (1) E. E. Levi, Saggio sulla teoria delle superficie esc. [Ann. Scuola Norm. di Pisa, vol. X], n. 37. (?) La congruenza delle normali ombelicali varia da superficie a superficie. (*) La nozione più generale di varietà quasi-asintotica entro una varietà qualsiasi ‘ è stata da me posta fin dal 1912; cfr. Recenti progressi nella geometria proiettiva diffe- renziale degli iperspazi [Internat. Congress of Mathematicians, Cambridge, August 1912]. SI 147 0 Ita; za N. ; CARE RARE ELA Il raggio di curvatura ombelicale @ è, naturalmente, un invariante (assoluto) della superficie per deformazioni di 2* specie. 4. Ciò posto si trova facilmente che: 5) &sistono înfinite ipersfere (Vî-.) osculatrici ad una super ficîe in P (cioè. contenenti gli intorni di 1° e 2° ordine di P); # /oro centri sono nello Sn-5 normale allo Ss 2-oscuiatore (alla superficie in P) condotto per il centro di curvatura ombelicale (e non per P). 6) Se l’ambiente è uno Ss (n= 6) fra le co! ipersfere osculatrici (che determinano in P una involuzione di terne di tangenti) ve ne sono quartRo tali che la loro sezione con la superficie nel punto (che è triplo) ha una tangente doppia. 7) L'inverso dei prodotti delle distanze dei loro 4 centri dallo. S; 2-osculatore (quindi dal centro ombelicale, e non da P), per quanto involga derivate lerze, è un invariante (assoluto) per deformazioni di 2° specie ed è espresso da una frazione che ha per numeratore l’inva- riante Gaussiano (relativo) della 3° forma fondamentale, 4(Ls0 Lio n Lòi) (Lo Log — Li) di (Lo Los po La, Lie), quindi 8) se quest'invariante è nullo una almeno delle distanze indicate diviene infinita. Ma di più si possono caratterizzare proiettivamente le superficie (sempre di Ss) per le quali ciò accade. Infatti | 9) se i tre sistemi di quasi-asintotiche di una superficie di S; determinati su di essa dagli S; 2-osculatori (cioè aventi per tangenti in ciascun punto le tangenti nel punto triplo della sezione determinata dallo Ss) si riducono a DUE soli distinti, cioè se esiste un sistema doppio di quasi-asintotiche, allora essa ha l'invariante Gaussiano per deforma- zioni di 2° specie nullo; e viceversa. Se poi si avesse un solo sistema (triplo) di quasi-asintotiche, si annul- lerebbe, oltre l’ invariante, il covariante Gaussiano e si ritroverebbe un risul- tato contenuto nella Nota II, n. 4. 5. È evidente l'analogia delle proprietà esposte in 6)-9) per le super- ficie di Ss (in rapporto alle deformazioni di 22 specie) con le proprietà delle superticie di Ss (in rapporto alle ordinarie applicabilità). Come per le superficie di Ss (e soltanto per queste) si può dare una interpretazione geometrica della curvatura di Gauss per mezzo di misure eseguite nell'ambiente (fuori, quindi, della superficie) così per le superficie di S, si può costruire con elementi esterni ad esse un’interpretazione geo- RENDICONTI, 1921. Vol. XXX, 1° sem. 9 prada DT RI CZANIST ROSTER LAS RI RAI SUR: ne a, LUI IAN RI QUTO SIRIIAIRA ER GRELTTLI è MS metrica dell’invariante Gaussiano relativo alla 3* forma fondamentale; e il suo annullarsi è messo in rapporto [con le 8) 9)] ad un fatto proiettivo ana- logo a quello che caratterizza le sviluppabili. E anche qui, come per l'an- nullarsi della curvatura Gaussiana, il fatto metrico sussiste sempre in con- seguenza della specializzazione proiettiva della superficie, ma non viceversa: solo per determinate dimensioni dell'ambiente (3 se si tratta di deforma- zioni di 1° specie, 6 per quelle di 22) il fatto PIgIBENO ‘è necessaria conseguenza di quello metrico. 6. RAPPRESENTAZIONE SFERICA DELLE SUPERFICIE DI Sg. ‘ Si può fare una rappresentazione della superficie sull’ipersfera di rag- gio 1 servendosi delle normali agli Ss 2-osculatori alla superficie. È note- vole il fatto che l’analogia ora messa in evidenza (fra le superficie di Ss considerate rispetto alle applicabilità, e quelle di S per le def. di 2* specie) sì conserva e si ha: I Il limite cui tende il rapporto fra. l’area di un pezzo della super- ficie data e la corrispondente della superficie rappresentativa, al tendere della prima a cero, è un invariante Gaussiano (assoluto) per deforma- zioni di 2° specie. S'introducano le tre forme simboliche LIM = ERA du? L 2 IS du dv + Lio dv* Teo) e= Lei du? + 2 Lie du dv + Log dv? (derivate dalla 3° forma fondamentale L;; v. Note precedenti) C=0xdu +20, dudo 4 Cedo nella quale i coefficienti sono le matrici ottenute da D, sopprimendovi suc- oo PEG OE MIN divise per E F*; e dv ° du dv du Ù Eri s' indichino con @*(L£°, C) , ©*(L9,C) le 2° spinte (invarianti simultanei) fra ciascuna delle prime due e la terza: detti e, /,g i coefficienti del ds” della ri rappresentativa sull’ipersfera è cessivamente le linee con le (EG — F?)? (ARIES ds Dì (o 2(L®, C)]? du? + 2 08(L8”, C) 02(LI, C) dudo + [0*(L®, C)]? do? — ff? EG — F? 3/a 2 sh=| O | {[ut(Lî, 0)F [Lo 01° — [0* (15, C) 0*(L9, 0)7*} - a ARA Rai Ia a o aerei RIRITR IA ELE LIRPRUERNE TI ROSI Ao Dego Nell'ultima parentesi } { si possono far figurare i prodotti (Ls_o,p Lot,t+) ERI Log, p+1 L3-7,0) (130,0 Loc,e+1 Tor Li-5,0+1 L3-6e) ’ il che mette chiaramente in evidenza il carattere invariantivo del rapporto studiato per deformazioni di 2° specie, pur essendo costruito con i coeffi- cienti di Lz (Nota I, n. 2). 7. A complemento di quanto precede e per metterne in luce l' inte- resse generale è da. osservarsi che se una superficie di S, ha come spazio (v — 1)-osculatore generico un Sp (0< x), mentre lo spazio »v-osculatore coincide con S,, z0n sono movimenti tutte le deformazioni di specie < », mentre lo sono quelle di specie v. Interpretazioni esterne (con costruzioni nell'ambiente) fon invarianti gaussiani per deformazioni di specie v — 1 sì hanno per modelli della su- perficie in S, coo n=0+1. I numeri 0 e v sono nvarzianti proieltivo-differenziali della superficie; da ciò hanno origine i legami già incontrati o semplicemente accennati (') fra proprietà proiettive e metriche nella teoria delle deformazioni. Matematica. — soluzione del problema simmetrico di Di- richlei pel cilindro circolare. Nota di Rocco SERINI, presentata dal Socio T. Levi-CivitA (?). Sia un cilindro circolare di raggio 1 ed altezza & avente per asse l’asse delle 3. Scopo della presente Nota è di determinare la funzione armo- nica V(7°. 2) (ava +9 + y* ) simmetrica rispetto all'asse e, che prende in superficie determinati valori. Questi saranno dati sulle basi #=0,z=%a da due funzioni /(7),g(r) che si suppongono continue e sviluppabili in serie di funzioni cilindriche nell'intervallo (0,1) e precisamente sia (1) OA OR, (2) . Vrsa)=g9()=B,+Y B.l(enr), dove I,(x) è la funzione di Bessel di prima specie e d'ordine zero, e @, (a=1,2,...) le radici della I(2)=0. Questi sviluppi sono convergenti in tutto l'mbervallo. estremi compresi, e dànno anche per "= 1 i valori fd —-0)=f(1), g(1_0) =9(1) (è). (1) V. le mie Note: Determinazione delle superficie ecc. [Ist. Lombardo, vol. LII, 1919, fasc. 16-18]. ù (2) Presentata nella seduta del 19 dicembre 1920. (8) Vedi Dini, Sulla serie di Fourier. Pisa, 1880, pag. 189 e segg. 2 60 = I valori della funzione V(r ,2) sulla superficie laterale siano dati’ da una funzione w(#) continua e che si suppone sviluppabile in serie di Fourier nell'intervallo (0, a): dovrà essere dunque (3) V(1,5)= (2) con /(1)=%y(0) , g(1)= ya), le due ultime esprimendo che la w si attacca con continuità alle di: P, pas- sando dalla superficie laterale alle basi. 1. DETERMINAZIONE FORMALE DELLA V. — La V(r,%) soddisfa alla equazione 1) dV d3°V VIEN enna SE N (4) Mea d- SI di questa considero i seguenti tre tipi fondamentali di soluzioni: a3+4, (Cet 4 De*)I(k7) ,, _EsenKeL(iKr), (con a,8,C,D,E,%,K costanti arbit arie) delle quali la prima evidente, la seconda ben nota ('), mentre la terza si ottiene dalla seconda ponendo =1K,C=—D =i . Si osservi che Ii) è reale essendo I,(x) fun- zione pari. Poniamo allora (5) Vr, a) = ag +. B+ NITT L > E, sen = IR (: ) + > > (Chen + De n) I(2n7), ì dove le @, hanno il significato detto prima, e a, 8, E,,Cn, Dn Sono costanti da determinarsi. Dalla (5) per le (1) (2) avremo V(r,0) =? + Y (C+ Da) Is (au) = Ax + D An lulen), V(r,a)=aa+f+t x (Can + D,e-°n2) I(anr) = Bo + w Ba I(2n#)î5 quindi per l’univocità degli sviluppi Bo — A B= Av ; «in (6) | Ch + Di = An ; \ C, e4n° + D, emo = Bi , (1) Vedi Beltrami, Sulla teoria delle funzioni potenziali simmetriche, Mem. Accad. Bologna, 1881, tomo II; oppure Opere, tomo III. Teogleze e di qui BE O a I Ciani , dai dg (6') On 6% | Dyectae Tg caga Rimarranno da determinarsi i coefficienti E,. Consideriamo perciò la funzione i BI LA TERI Pa= e +A+ n(etnta-2) SIR GA) + B,(e%n= +3 en) etna econo CA UE D Io(@n) formata dalla parte lineare e dall'ultimo termine di V in (5) facendovi 7 = 1. La funzione yw(:) — F(e) si annulla per le (1), (2), (8) per #= ez=a: sviluppiamola. in serie di Fourier (prolungandola come funzione dispari tra 0 e —a): avremo (8): we) — F(:)= \ E, sen — - Se vogliamo quindi che sia soddisfatta la prima delle (3) dovrà essere (9) pete e con ciò il problema è formalmente risolto dalla (5) tenendo conto delle (8) (6") (7) (8) (9). 2. VALIDITÀ DELLA SOLUZIONE. — Dimostriamo in primo luogo che la serie (7) è equiconvergente nell'intervallo (0, a) inclusi gli estremi. Spes- ziamo perciò la serie nella somma di quattro altre di cui la prima è etna) (10) DA A Io(@n) - Hi con HS = etna — eT%no I numeri H,, sono positivi, qualunque sia z (0 = = a) e decrescenti al crescere di 2, come si vede facilmente osservando che H,= e7%?.K,, con etna K,= etna emma? e che K K eltn+174%na —_ ecl%n+17%n)@ n+1 Niratai (0%n4+12 — e7-%n+12) (6%n0 — en) 0% Consideriamo allora la serie convergente > A,I,(@n) e, preso e piccolo a piacere, determiniamo ” in modo che Sg di Anci To (cei) |< (p=1,2,.). ì EGR Applicando il lemma di Abel ('), avremo n=1 più (11) È pa Anti Lo (Cn+i) Hus << z Hn4i & E |) (p =1 na , co) à Da <1: quindi Ja (10) è equicon- 1 2 vergente per 0 <= < a. Ragionando in modo analogo per le altre tre serie sì dimostra completamente la nostra asserzione. La stessa dimostrazione leggermente modificata mi permette di asserire che la seconda serie nella (5) è equiconvergente in tutto il rettangolo Qi ri=M900f=izi=t per la relazione precedente e perchè Ritornando alla (7), questa come serie equiconvergente di funzioni con- tinue rappresenta una funzione continua: questa è altresì sviluppabile in serie di Fourier. Infatti o essa non ha infiniti massimi e minimi € quindi, pel noto criterio di Dirichlet, è sviluppabile; nel caso contrario basta di- mostrare, seguendo un criterio del Lipsichtz (?), che in ciascuno di questi eventuali punti 8 si ha per d sufficientemente piccolo |E(E +0) — FA) — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 22 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 8% MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. 1V..V. VI. VII VII i Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volk. 1. (14,2). — .Il.:(1:2). — IH-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. ° Serie 4* — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MemORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. i MEMORIE della Classe di sciense morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. 1 Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXIX. (1892-1920). Fasc. 1°-12°, Sem. 2°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche. e filologiche. Vol. I-XXIX. (1862-1920). Fase. 7°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, fasc. 5°. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 5. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta l’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono eselusivamente dai seguenti editori-librai : | ULRICO HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. P. MagLIONE & C. STRINI (successori di E. Loescher & C.) — Roma. Ss RENDICONTI — Gennaio 1921. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Seduta del 16 gennaio 1921. Pellizzari. Sintesi della 0-Fenilendicianguanidina dalla 0-Fenilendiamina . . . . +. . . Pag. 39 Comessatti. Saggi d'una teoria geometrica delle forme binarie. IV: Rappresentazione tipica dei covarianti (pres. ‘dal ‘Corrisp. Severi) LL. 0. pie et e REA Lefscheta. Sur le théorème d’eristence des fonctions abéliennes (pres. dal Socio Castelnuovo). n 48 Castelnuovo. Sulle funzioni abeliane. I: Le funzioni intermediarie. . . . ./....... » 50 Bompiani. Invarianti e covarianti metrici nelle deformazioni di specie superiore delle superficie (pres, dal Socio Castelnuovo) s 00 Lili. Lin Sertni. Risoluzione del problema simmetrico di Dirichlet pel cilindro circolare (pres. dal Socio! Levi- Cinta) i SARRI CCIAA E RIETI NON LA SLO9 Parravano e Mazzetti. Sulla trasformazione della magnesia leggera in magnesia pesante (pres:..dal Socio Paterno) ici ROIO LOSS K. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile. MAST pSSTata RA RADIO Siti OTRTROLIE DAIOPIORICE SEN RI 1 BIO NATA At Sv vie; id Vira n rt Pubblicazione bimensile. I N. 3. ACDII REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI | ANNO CCCXVIII. 1921 ScBrv LB QUO LN IA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. . Volume XX X.° — Fascicolo 3° Seduta del 6 febbraio 1921. 1° SEMESTRE. ROMA TIP. DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEPFANI 1921 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei-Lincei. inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1.I Rendiconti della Claase di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili dele l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. i 2. Le Note di Soci o Corrisponlenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. : i 3. L'Accademia dà per queste comuricazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrisponden*i, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus» sioui verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta atante, una Nota ver iscritto. II. I. Le Note che oltrepassino i limiti _ndi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate . da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife= risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell Accade- ‘ mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro» posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. i 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 - dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 90.se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto,. è messo a carico degli autori. È RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. AAANANNSIAIANANNTTTTTTTT Seduta del 6 febbraio 1921. V. VoLTERRA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Matematica. — Sui fochi di 2° ordine dei sistemi infiniti di piani, e sulle curve iperspaziali con una doppia infinità di piani plurisecanti. Nota del Socio U. SEGRE. 1. Nella Memoria Preliminari di una teoria delle varietà luoghi di spazi (Rendic. Circ. mat. di Palermo, tomo 50, 1910, pag. 87) io avevo studiato principalmente le questioni legate a quelli che possiamo chiamare fochi di 1° ordine, per un sistema infinito di spazi: ossia punti, per ognuno dei quali passano due spazi del sistema infinitamente vicini. Ora si pre- sentano dei problemi, la cui trattazione porta a considerare dei focki di 2° ordine (o d'ordine superiore), cioè punti d’incontro di #re (0 più) spazi successivi. In questa Nota, ed in altre che verranno poi, mi occuperò ap- punto di tali problemi. 2. Consideriamo, per ora, un sistema £ co? di piani, immerso in Sy. Dette «1,2, 3,24 le coordinate di punti in questo spazio, rappresentiamo » i piani colle equazioni x; = @,x,=f, ove a=4+@a,4+- dx, #= = bo + db,% 4 dat; i coefficienti 4;,0; essendo date funzioni dei due ’ parametri «,v, da cui dipendono ì piani di X. Così le derivate di @, rispetto a %,v (derivate che indicheremo con @"“, a”, ecc.) saranno anche esse polinomi lineari in x, , xs. Se un punto x è comune al piano (u,v) 0a (ut du, v+ dv), e quindi è foco (di 1° ordine, in generale) per 2, varranno, insieme colle RenpICcONTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 10 Gangi ig ds = 0,0%, ip lede —0edr—iaicioìe (1) a"du4 a'do=0 , B"du+ f'do=0, e quindi: (2) J=a"8 — a'p"=0. Questa equazione è di 2° grado in x,, >. Dunque, com'è ben noto, i fochi (di 1° ordine) di un piano di X formano in generale una conica. La diremo conica focale del piano. 3. Se un punto è foco di 2° ordine, ossia sta su 3 piani infinitamente vicini 7, 7°," di X, esso, perchè è su 7, 7, sta sulla conica focale di 7; e, perchè è su 7,7", sta sulla conica focale di 7°. Per avere dunque nel piano (x,v) un foco di 2° ordine, basterà scrivere che il punto x sta sulla conica focale di questo piano, e su quella del piano (u+ du, v+ dv). La 1° condizione dà: (3) g=a ,a,=f,J=0; la 22 dà, come al n. 2, le (1), e in più J"du + J°do=0. Ne segue: a pb“ J% = 0. a’ b° JU (4) Sarà perciò quest'ultima equazione (doppia), che, insieme colle (5), carat- terizzerà i fochi di 2° ordine (!). i Quella matrice, con due colonne lineari in x,,x: e una quadratica, è annullata da 5 punti. Dunque: su ogni piano di X vi sono in generale 5 fochi di 2° ordine (sulla conica focale). 4. Dimostriamo ora che: se /u//7 i punti delle coniche focali di X son fochi di 2° ordine, il loro luogo non è una V3, ma bensì una superficie (o una linea, se X si compone dei piani di S, passanti per una stessa retta). Possiamo pensare i punti x di quelle coniche (3) come funzioni di tre variabili, cioè dei parametri «,v che fissano il piano, e della coordinata x,. La terza delle equazioni (3) determina anzi tutto #, come funzione impli- cita di u,v,,; mentre le prime due dànno x3 e x, in funzione di w,%v, (!) Si può anche ottenere la (4) così. I piani di Z passanti per un dato punto & corrispondono alle soluzioni «,v comuni alle due equazioni 2, = @ , 44=f, nelle quali si sia posto quel punto dato. Rappresentando u,v come coordinate di punto in un piano ausiliario, sicchè le dette equazioni avranno per imagini due linee, si vede che una solu- zione (uv) sarà doppia (almeno), se dalle due equazioni si trae lo stesso valore per du/du, e sarà tripla se inoltre vien lo stesso valore per d*0/du?. La 1% ipotesi dà subito la (2). La 2° porta ad una relazione, che, presa insieme colla (2), risulta equivalente a (4). OE %,,%s, @ quindi anche di u,v,x,. Basterà provare che, se queste funzioni verificano le (4), la matrice funzionale delle coordinate &,. 2%, 3,24, ri- guardate così come funzioni di x,,v,, è nulla; ossia che: dI - Ù dd‘ do 1 (4A ec meli 4/7 fn dD do dei 11 de dxI 140 da: dA2 dX‘è dI 0 A, a u_L 5 0h du Cid du dt du dXLe ® dX2 n dI — ‘A a i db e) 10: dv dito: dv Ciò equivale a dire che è zero la matrice che si ottiene da questa soppri- mendo la 1® orizzontale e la 1% verticale; ossia, semplificando, la matrice: ds U U du # P dI ” ” dv s } Le derivate di x, rispetto a w e v, che qui compaiono, si calcolano deri- vando l'equazione J= 0 rispetto a queste variabili. Risulta: TIME dI da , S_ J=0 , °4+J=0; dr, dU + dda dU su sicchè, sostituendo nell’ultima matrice, questa risulta nulla, se ha luogo la (4): il che appunto avviene, per ipotesi. — Se le coniche focali dei piani generici di X non si spezzano, la super- ficie che viene a contenere queste co? coniche non potrà essere altro, com’ è noto, che la F' protezione di quella di Veronese, o la F° di Sy (rigata). Dunque: Son solo è sistemi co di piani costituiti dai piani delle coniche di queste due superficie quelli per cui avviene che tutti i punti delle co- niche focali sian fochi di 2° ordine, senza che queste coniche focali sì spessino (1). i 5. Una curva 7, appartenente ad S,, con x >3, sia tale che esistano co? piani che la seghino in 6 (o più) punti. Proiettando I° (se n > 4) su un S, da un S,-s generico, si ottiene una curva C, che godrà della stessa (1) Questa riserva è indispensabile. Le 00? coniche, spezzandosi in coppie di rette, potrebbero costituire una superficie di S, anche nei seguenti modi: l'insieme di una rigata con direttrice piana e del piano di questa (le 00? coniche componendosi di una generatrice della rigata e di una retta del piano, incidenti); oppure l'insieme di due coni, distinti o no, collo stesso vertice, e che possono anche ridursi a piani (le coniche componendosi con due generatrici risp. dei due coni). PL proprietà: i punti d'appoggio dei piani seisecanti di C essendo proiezioni dei punti d'appoggio di quelli di T°. Nel sistema 00° ® costituito da quei piani di S, seisecanti di C, ogni piano avrà i 6 (o più) punti d'incontro con C come fochi di 2° ordine: poichè, essendo 2 oc*, dovranno per ogni punto di C passare co! suoi piani, e quindi quanti sì vogliano piani infinitamente vicini. Ora, pel n. 3, i fochi di 2° ordine di ogni piano sono in generale 5 punti della conica focale: se no, infiniti, che costituiranno tutta quella conica, ove essa non sì spezzi. Nelle nostre ipotesi, avendesi almeno 6 fochi di 2° ordine, dovrà appunto accadere che la conica focale di un piano generico di X, se è irriducibile, sia luogo di fochi di 2° ordine. Se invece essa si spezza, i 6 punti d’ap- poggio di ogni piano su C dovranno distribuirsi sulle due rette compo- nenti la conica; sicchè C, e quindi anche T°, starà su una rigata di plu- risecanti (almeno trisecanti). Nel 1° caso, della irriducibilità, le 00? coniche focali, e quindi anche la linea C, stanno, pel teorema del n. 4, su una superficie F‘ proiezione di quella di Veronese, o su una F*: i piani seise- canti essendo quelli delle 00? coniche di queste superficie. Risalendo a S,, se 2 >4, abbiamo che i 6 (o più) punti d’appoggio degli co? piani pluri- secanti di I° sono su coniche, il cui luogo ha per proiezione gezerica in Sy una delle due dette superficie. Sarà dunque il luogo stesso una superficie; e anzi, del medesimo ordine di quelle. Concludiamo (1): Se una curda iperspaziale ammette co* piani che la incontrino în 6 punti (almeno), ma non infinite rette trisecanti, essa: 0 appartiene a S; e sta su una superficie FP! di Veronese; oppure appartiene a S, e sta sulla F* proiezione della superficie di Veronese, od anche sulla |F* rigata: i piani plurisecanti essendo quelli delle co? coniche di queste super ficie. Si avverta che per le curve con 00° piani 5-secanti la proposizione ora ottenuta non sarebbe più vera: come sì potrà riconoscere sulle curve composte che incontreremo. 6. Finirò coll’osservare brevemente (lasciando ad altri di sviluppare questi cenni) come la considerazione dei fochi di 2° ordine permetta di giungere facilmente a determinare per l’ Sy tutti i casi possibili di sistemi algebriciî co? di piani del 2° ordine, cioè tali che per un punto generico di S, ne passino due. (Non dico di quelli del 1° ordine, perchè — molto ovvii — son già conosciuti da tempo). Basta notare che in un siffatto sistema X ogni foco di 2° ordine, tro- vandosi su 3 piani infinitamente vicini dì X, dovrà stare di conseguenza su infiniti; e precisamente su co’, se non è comune a tutti i piani di 3: (1) La questione qui risolta mi era stata posta dall'amico Castelnuovo. — Tratterò poi anche un problema più generale. Lat 471 ip nel qual caso questi si otterrebbero proiettando da quel punto le rette di una congruenza di 2° ordine di S3. Potranno dunque aversi solo più questi due casi: 1°) Sono 00? i fochi di 2° ordine; ma essendo anche co? i piani, bisognerà che ogni piano abbia co' fochi di 2° ordine. Ne segue che la conica focale di ciascun piano si spezza: se no, si tratterebbe (n. 4) dei sistemi degli co? piani delle coniche di una F° o F*, i quali sistemi sono risp. di 1° e di 3° ordine, non del 2°. Su ogni piano si avranno così una o due rette luoghi di fochi di 2° ordine; e queste rette riempiono, per ipo- tesi, una superficie. Se sono 00°, daranno un piano incontrato in rette da tuttii piani di X; se sono co', per ognuna di esse passeranno co! piani di Z. 2°) I fochi di 2° ordine (o almeno le posizioni di un tal foco al variare del piano di) son solo co', ossia hanno per luogo una linea alge- brica segata in 5 punti (o meno, se non si tratta di tutti i fochi di 2° or- dine) dai piani di x. Questo 2° caso offre uno speciale interesse. Si parta, ad esempio, da una linea algebrica L, che può essere riducibile, appartenente ad S,, della quale si sappia che la proiezione generica su S3 ammette precisamente 2 qua- drisecanti. Allora si potrà asserire che gli co? piani quadrisecanti di L (i quali, per l'ipotesi, formeranno un sistema di 2° ordine) incontreranno certo di conseguenza in un punto (il 5° foco di 2° ordine) un'altra linea: che però potrebbe essere indeterminata, su una superficie incontrata secondo linee da tutti quei piani. Rientra in questa proposizione il noto teorema che gli 00? piani di S, appoggiati a 4 rette generiche incontrano di conseguenza una 5? retta. Anche i piani che incontrano in 3 punti una quartica razionale normale e si appoggiano a una retta generica, formano un sistema 00° di 2° ordine; e quindi dovranno incontrare un’altra linea, che risulta facilmente essere ancora una quartica. E altri casi sono stati incontrati, con tutt'altro metodo, da M. Pieri (1). (1) Sulla geometria proiettiva delle forme di 4 specie. Giorn. di matem, vol. 28 (1890), pag. 209. I piani che incontrano una C* razionale normale e 3 sue corde, incon- trano un’altra C*. — I piani che incontrano una C* sghemba, due rette appoggiate ad essa, e una sua corda, incontrano un’altra C3. — I piani che s’appoggiano a 3 rette e ad una conica incidente a due di esse, incontrano un'altra conica. SI Chimica. — Considerazioni sulla costituzione intima del ben- zolo e di alcuni nuclei eterociclicîi. Nota del Socio G. CIAMICIAN e di R. Crusa. Le considerazioni che esponiamo nella presente Nota, ci sono state sug- gerite da alcuni fatti assai interessanti che in questi ultimi anni ha posto in rilievo il prof. Angelo Angeli (1). Egli ha notato che i radicali negli ortoderivati e nei paraderivati del benzolo si comportano in molte reazioni come se il complesso benzolico a cui sono attaccati non esistesse, perchè reagiscono come se fossero uniti l'uno all’altro direttamente. Questo assai singolare comportamento è proprio soltanto dei derivati aromatici; non si rinviene nei derivati anche parzialmente idrogenati e na- turalmente non si manifesta nei composti della seria grassa; deve però essere strettamente connesso con la struttura intima del benzolo: esso apparisce quindi caratteristico per le sostanze aromatiche, ed è un criterio assai più rigoroso di quello indicato a questo scopo da V. Meyer (?). Per trovarne. una spiegazione, siamo stati indotti a riflettere sopra alcune considerazioni fatte circa trenta anni fa da A. Angeli e G. Ciamician (*). _ Rappresentando il benzolo con i modelli di Kekulè, si può ammettere, come si deve fare per più ragioni, che tutti gli atomi dell'idrogeno siano disposti da una parte sola del modello e non alterni, e si arriva così alla ben nota configurazione rappresentata dalla fig. 1. Fia. 1. In questa, come non è stato forse abbastanza rilevato, le due formule, quella di Kekulè coi tre doppî legami e quella diagonale, vengono ad equi- (1) Vedi questi Rendiconti, VIII, 2, 28; XXVI, 1, 480; XXIX, 1, 375. (2) Lehrbuch der organischen Chemie, V. Meyer u. P. Jacobson, II vol,, pag. 41. (3) Vedi questi Rendiconti, vol. VII, I°, 241 (1891). Seng valersi H B Da C Hc? NcH HOT | SH Re De LITTA H He gl De H H Bisogna quindi ammettere che in quei derivati aromatici che hanno la stabilità del benzolo, i tre doppî legami sì confondano coi tre legami dia- gonali, per cui può apparire necessario in certi casi che le valenze centrali siano un poco più lunghe delle altre; i legami doppî coi loro caratteri com- pariscono invece quando l’anello si allarga. Soltanto con sei tetraedri è pos- sibile questa coincidenza dei doppî legami con quelli diagonali e ciò spiega perchè il cicloottotetraene, C$Hz di Willstitter, non abbia caratteri aroma- tici, ma bensì olefinici. Partendo da questi concetti, si può comprendere che quando in un de- rivato della serie orto o di quella para, i due radicali sieno adescati, come si espresse con uno di noi il prof. Angeli, da un opportuno reattivo, av- venga un rilassamento del legame che li unisce al nucleo, perchè le valenze che rimargono libere, data la speciale configurazione del benzolo, possono saturarsi fra loro per doppio, per triplo o per legame diagonale, che, come lo dimostra il modello, vengono a rappresentare la stessa cosa (fig. 2). Fic. 2. Le tre formule quindi si equivalgono c/No i CNG II ed il complesso Cs del benzolo potrebbe avere un'esistenza effimera come aggruppamento completamente saturo. I radicali, rimasti liberi, si uniscono tra di loro, reagiscono è dopo finita l’azione adescante del reattivo impie- gato, riprendono modificati le loro posizioni, mentre il nucleo centrale ri- Bir e torna alla struttura primitiva: A A A' A' O, < SE B B B' BI Che i sei tetraedri nel benzolo sieno disposti in modo che le sei va- lenze disponibili vengano a stare, come si è detto prima, da una parte sola e non siano alterne, come vorrebbe il Weinberg (*), è necessario ammettere, perchè solo così si spiega l’esistenza di un'anidride nel caso dell'acido orto- flatico e non negli altri due. Nella pubblicazione di allora furono espresse alcune idee sulla configu- razione degli anelli eterociclici del pirrolo e del tiofene, che vanno modifi- cate in seguito alla scoperta del cicloottotetraene. Nella piridina basta ammettere che l'azoto, con le sue tre valenze, abbia pressochè le dimensioni degli altri tetraedri, perchè possa rimpiaz- zare un « CH » nella formola del benzolo, senza che la configurazione sia per nulla alterata. Il complesso C;N non potrebbe per altro esistere come aggruppamento saturo, come il Cg. Nel perrolo invece apparisce necessario, come volle a suo tempo il Bam- berger, che l'azoto sia pentavalente. Ammettendo che le due ulteriori valenze dell'azoto siano poste parallele l’una vicina all'altra nella direzione della quarta valenza del tetraedro (ciò che sta in buona armonia con altri fatti), sì ha come risulta dal modello (fig. 3), Fre. 3. ITER la configurazione del pirrolo analoga a quella del benzolo; essa deve per altro rappresentare una stabilità minore, perchè i tre legami diagonali, che nascono dall'intersezione dei due legami doppî colle due valenze del- l'azoto, si trovano in posizione forzata. Qui puè peraltro esistere il com- plesso saturo C,NH (fig. 4). Nel ciofene Vatomo di zolfo deve avere dimensioni tali da permettere, con lo zolfo tetravalente, una configurazione in cui i due doppî legami fra carbonio e le due valenze dell'atomo di zolfo vengono a costituire, senza sforzo, come nel benzolo, contemporaneamente tre legami diagonali. Con lo zolfo potrebbe esistere, come forma effimera, anche il complesso saturo C,S. (1) Vedi A. von Weinberg, Berichte, 52, 928 e 1501 (1919), e 53, 1353 (1920). Chimica-fisica. — Sulla solubilità delle sostanze cristalline nel caucciù (*). Nota del Corrisp. G. BRUNI. Il problema della natura delle soluzioni di caucciù e di sostanze orga- niche è stato ripetutamente trattato da varî autori sotto diversi punti di vista. Per la relativa bibliografia rinvio aì trattati speciali della materia (?). Da un lato interessa la questione della ricerca del peso molecolare del caucciù che non fu finora risolta in modo soddisfacente. Nei tentativi, poco numerosi, fatti finora (*) furono trovati, com'era da aspettarsi, abbas- samenti crioscopici minimi o pressioni osmotiche altissime e i pesi moleco- lati si calcolerebbero quindi elevatissimi. Le determinazioni hanno però un grado di esattezza troppo basso per permettere conclusioni anche approssimativamente attendibili, cosicchè giu- stamente Harries conclude che il peso molecolare del caucciù è ancora sco- nosciuto (4). Alcuni autori, come Ditmar (*), hanno anche creduto di poter concludere che, siccome il caucciù è un colloide, la ricerca del peso mole- colare non ha senso e canzonano i « Kristallchemicher » che se ne occupano. L'osservazione è radicalmente sbagliata, noi sappiamo oggi infatti che fra soluzioni vere e soluzioni colloidali non vi è che una differenza di grado. D'altro lato .si è cercato, a scopo pratico, di determinare la solubilità della gomma nei varî solventi usati nella tecnica. È naturale che per la natura amorfa della gomma non sia possibile stabilirne una vera solubilità. Già il fenomeno della soluzione appare diverso da quello comune. Come tutti i pratici ben sanno, e come fu osservato da Weber (5), esso desta la impres- sione che sia il solverte che si sciolga nella gomma, anzichè questa in quello. Tale considerazione ci ha condotto a ricercare se si possa stabilire la solubilità di sostanze estranee nel caucciù considerato come solvente. Come sostanze estranee più adatte si presentano quelle organiche e in par- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Ricerche Chimiche e Chimico-Fisiche della Società Pirelli a Milano. (2) Weber C. C., Z'he Chemistry of India Rubber. London, Griffin, 1912, pp. 12-16; Schidrowitz P., Rulber. Methuen e C., London, pp. 154-155; Gottlob K. P., Technologie der Kautschukwaren. Braunschweig. 1915, pp. 2-4. i ‘a (*) Hinrichsen und Kindscher, Ber. £2, 4329 (1909); Caspari W. A., J. Chem. Soc., vol. 105, 1915, pag. 2139. (4) Harries C. D., Untersuchungen iber die natiirlichen und kiinstlichen kautschu- karten. Springer, Berlin, 1919, pag. 7. (5) R. Ditmar, Der Aautschuk. Berlin, Springer, 1914. (9) Weber C. O., op. cit., pag. 15. ReNDICONTI. 1921, Vol, XXX, 1° Sem. i 11 Sgr ticolar modo quelle aromatiche, solide a temperatura ordinaria, che si me- scolano colla gomma assai più facilmente e intimamente delle altre. Nella Nota presente, rendo conto di esperienze eseguite coll’azobenzolo, colla nafta- lina e colla p. toluidina. Fui indotto a esperimentare la prima sostanza dalla circostanza se- guente. Nel corso di alcune ricerche sugli acceleranti, osservai che prepa- rando sul mescolatore a cilindri una miscela di gomma con 10% di azo- benzolo, si ottiene una specie di gelatina perfettamente trasparente di color. rosso aranciato. Abbandonata a sè, la miscela diventa opaca e lascia rico- noscere nella massa i cristallini dell'azobenzolo. Riscaldandola essa torna trasparente, e per raffreddamento di nuovo opaca. Una serie di esperienze preliminari eseguite dal dott. Menghi dimostrò in modo sicuro che quanto maggiore è la percentuale di azobenzolo contenuta nella miscela, tanto più alta è la temperatura alla quale si deve portare la medesima per ottenere la trasparenza. Queste esperienze erano eseguite avvolgendo una sottile foglia della miscela attorno al bulbo di un termometro graduato in decimi di grado. Il tutto era introdotto in una provetta vuota e questa veniva scaldata len- tamente in un bagno d'acqua. Si osservava la temperatura alla quale si aveva la trasparenza, e poi raffreddando quella alla quale la miscela rico- minciava ad apparire opaca. Per quanto il metodo non fosse adatto a deter- minazioni esatte, tuttavia le osservazioni tatte erano sufficienti a stabilire in modo indubbio il fatto fondamentale della variazione della temperatura di chiarificazione colla concentrazione dell’azobenzolo. Essendo il dott. Menghi occupato in altre ricerche, le esperienze suc- cessive furono da me affidate al dott. C. Pelizzola. Era anzitutto necessario di provvedere ad una depurazione possibilmente completa del caucciù impiegato, per liberarlo soprattutto delle resine in esso contenute che, essendo sostanze a basso peso molecolare, falserebbero i ri- sultati ottenuti, anche se presenti in piccola quantità. Si impiegò sempre la migliore gomma di ZHevea brasiliensis di piantagione. Come è noto essa non contiene più di 1,5 % di resine. Essa veniva estratta con acetone in Soxhlet per parecchie settimane fino a che il liquido ricadente non dava più alcun residuo; poi veniva sciolta in benzolo e riprecipitata con alcool. Il solvente veniva quindi cacciato in un essicatore a vuoto. Una prima serie di esperienze fu eseguita al microscopio facendo uso di un tavolino riscaldatore di Pfeiffer formato da una vaschetta di vetro a faccie parallele, fra cui si faceva circolare dell’acqua calda di cui un ter- mometro in decimi misurava la temperatura. Una foglia sottile della me- scolanza di somma e di azobenzolo veniva posta sulla faccia superiore e si osservava col microscopio. A temperatura ordinaria si scorgevano assai netti i crisialli rosso-aranciati dell’azobenzolo dispersi nella massa trasparente aventi un colore più chiaro. Facendo passare acqua man mano più calda sì n 7 notava la temperatura alla quale scomparivano gli ultimi cristalli. Espe- rienze fatte con miscele di varie concentrazioni confermarono con maggior precisione il risultato precedente e cioè che col crescere della concentrazione dell’azobenzolo aumenta la temperatura a cui si deve portare la miscela per avere la omogeneità. Apparve però evidente che dato lo spessore delle pareti della vaschetta e la loro scarsa conduttività termica vi era sempre una differenza troppo forte fra la temperatura segnata dal termometro e quella reale a cui si trovava la miscela. Stimo quindi inutile riportare qui dettagliatamente i risultati numerici ottenuti. Le esperienze definitive furono eseguite col metodo termico diretto. Si trovò infatti che se una mescolanza di gomma ed azobenzolo contenente una proporzione sufficiente di questa sostanza viene scaldata e poi fatta raffreddare lentamente, mediante un termometro introdotto nella massa si riesce a determinare assai bene la curva di raffreddamento da cui si può dedurre il punto di incipiente soliditicazione o eristallizzazione. I risultati di varie esperienze successive concordano abbastanza bene fra di loro. 1 valori indicati nelle tabelle sono le medie dei risultati di parecchie determinazioni indipendenti e possono essere ritenuti esatti entro 0,29. Si usavano generalmente 25 gr. di miscela per ogni determinazione. Le miscele più ricche in azobenzolo venivano preparate fondendo l’azobenzolo e aggiungendovi la gomma che vi si sceloglie facilmente e rapidamente. Quelle più ricche in gomma si preparavano mescolando i due componenti nella solita macchinetta mescolatrice a due cilindri. Esperienze di confronto mo- strarono che una miscela della medesima concentrazione La coi due metodi cava risultati assolutamente identici. TABELLA LI. In 100 parti Temperatura di incipiente Num. Azobenzolo Caucciù cristallizzazione 1 100 0 69,0 2 98 2 68,95 B) 95 5) 63,6 4 90 10 63,6 5) 80 20 67,2 6 75 25 66,2 7 70 30 65,7 8 60 40 63,1 9 90 50 59,2 10 40 60 |, 52,1 11 30 70 43,4 (NB. — Le miscele 2 e 4 furono preparate per soluzione nell'azoben- zolo fuso; quelle 7 a 11 al mescolatore; quelle 5 e 6 con entrambi i metodi). grane Altre due serie di esperienze furono eseguite nello stesso modo con naftalina ‘e p. toluidina. TABELLA II. In 100 parti Temperatura di incipiente Num. Naftalina Caucciù cristallizzazione 1 100 0 79,0. 2 80 20 78,2 3 70 30 76,1 4 60 40 TESI 5 50 50 69,9 6 40 60. 62,7 TABELLA III In 100 parti Temperatura di incipiente Num, p. toluidina Cau ciù i cristallizzazione 1 100 0 43,4 2 70 30 42,6 3 50 50 42,1 4 40 60 41,1 5 30 70 39,2 6 20 80 39,4 I risultati ottenuti sono rappresentati dalle figure in cui sulle ascise si portano al solito le concentrazioni e sulle ordinate le temperature. Come si vede le curve sono perfettamente regolari ed il loro andamento è in tutto simile a quello delle curve di congelamento e di solubilità nei comuni sol- venti; esse sono tutte fortemente concave verso l’asse delle concentrazioni. Ciò dimostra che il sistema « caucciù-sostanza organica cristallina » si comporta come un comune sistema a due componenti; o, in altri termini, il caucciù si comporta rispetto a queste sostanze cristallizzate come un solvente ordi- nario formando delle vere e proprie soluzioni sature. Si osservano anche facilmente fenomeni di sopraraffreddamento e soprasaturazione che si possono togliere nel modo consueto. Il carattere « colloide » del caucciù non esercita su ciò alcuna influenza. Si potrebbe tentare ora di trarre conclusioni intorno al peso molecolare del caucciù sciolto nei varî solventi; si deve,;però osser- vare che appunto le determinazioni nelle soluzioni più ‘diluite in gomma che si dovrebbero usare a questo scopo, sono quelle per le quali l'errore possibile di esperienza porta la massima incertezza e supera addirittura gli abbassamenti osservati, cosicchè non credo per il momento possibile trarre conclusioni su questo punto su cui mi riservo di continuare le ricerche. Che le soluzioni siano soluzioni molecolari vere e proprie della sostanza cristal- cal {1 RESA lina nella gomma non è dubbio; l’andamento concavo verso l'asse delle concentrazioni sembra dimostrare, come nel caso delle ben note esperienze di Jones sugli idrati e solvati in genere, che fra le molecole del caucciù e quelle della sostanzafcristallina si formano dei complessi. 80 75 (Sul o + (Cu (©) n 7 Temperatura *- te, p.toluidina 30 t i t È Ò i = 1 (0) 10 20 30 40 90 60 70 30 Concentrazione di caucciù in 100 di miscela Si ritenne necessario ricercare se il riscaldamento prolungato del caucciù col solvente, quale si verifica durante le esperienze, non potesse produrre un'alterazione permanente nel suo stato molecolare p. s. una depolimerizza- zione. Ciò è da escludere per il fatto più volte osservato che la tempera- tura di solidificazione delle miscele rimane praticamente invariata anche dopo riscaldamento prolungato per molte ore. Per verificare meglio questo fatto si operò nel modo seguente: gr. 50 di azobenzolo vennero fusi e vi sì aggiunsero gr. © di gomma deresinata agitando fino a completa soluzione di quest'ultima; la miscela si mantenne poi fusa per parecchie ore ancora. NONO ge Dopo raffreddamento e solidificazione la miscela polverizzata fu estratta in un Soxhlet con alcool etilico per 90 ore sino a completa asportazione del- l'azobenzolo. 1l residuo di gomma per staccarlo dal filtro di carta venne sciolto in benzolo. Si lasciò poi evaporare il benzolo, la gomma si mescolò con 8% di zolfo e si fece vulcanizzare riscaldando per 2 ore a 1440. Si ottenne una vulcanizzazione perfetta, la quale dimostra che il caucciù non aveva subìto alcuna alterazione permanente. Ritengo quindi di aver dimostrato che il caucciù si Copen come un liquido spesso ed ha un vero potere solvente per le sostanze che vi sono aggiunte. Tale potere solveute è massimo per le sostanze organiche aroma- tiche e per gli idrocarburi e i derivati alogenati in genere, minore per la maggior parte delle sostanze della serie grassa, specie se ossigenate, mi- nimo per la maggior parte delle sostanze minerali, salvo alcuni elementi. Così è certo, che una parte, per quanto piccola, dello zolfo che si ag- giunge alla gomma per la vulcanizzazione sì trova disciolto, e che le me- scolanze relative costituiscono delle vere soluzioni sature di zolfo in gomma, in presenza di un forte eccesso di zolfo. Sulla portata di questo fatto - sul meccanismo della vulcanizzazione mi riservo di ritornare. Mineralogia. — Stud: su minerali del Lazio. La melilite degli inclusi nel peperino (*). Nota del Corrisp. F. MiLLOSEVICH. Anni or sono negli scavi entro il peperino per le fondazioni della villa Volterra ad Albano Laziale furono rinvenuti e portati a questo Museo mi- neralogico dei blocchi contenenti melilite (humboldtilite) in nitidi e limpidi cristalli: nei blocchi il minerale è accompagnato da pirosseno, leucite, hanyna, granato giallo. La purezza dei cristalli, non comune in questo mi- nerale, mi invogliò a compierne lo studio, soprattutto nell'intento di portare un contributo alla conoscenza della sua costituzione chimica, problema ancora degno di interesse, non ostante le numerose ricerche in proposito. Dal punto di vista cristallografico poco o punto di nuovo era da aspet- tarsi, data la scarsezza di forme e l'uniformità di abito, che caratterizzano questo minerale. ; Ho osservato le forme: c3001} , @}100} , 2310 , 7}111} , 7}201] e le combinazioni: ac, ach , acrh , acrhv. Le prime quattro forme sono comuni, e risultano osservate già da vom (®) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Roma. PERTICA Rath (') che diede una brevissima descrizione di cristalli di melilite in blocchi nel peperino: la quinta è rara anche nella melilite vesuviana, dove fu osservata prima da Kaiser (?) e poi da Zambonini (*). Zambonini per la melilite del Vesuvio dà la preferenza alla costante di Des Cloizeaux a:c= 1:0,4548 calcolata dall'angolo er = 32° 45". Le mie misure poche, ma su buoni cri- stalli, dànno un valore attendibile dello stesso angolo pari a 32° 50'!/»: vom Rath (*) dà per i cristalli pure dei blocchi del peperino 32° 51’ e identico valore attribuisce Brooke (?) a quest'angolo nella melilite vesuviana. Dalle mie misure si ricava dunque: aic=1:0,45643. La forma vj201} fu riscontrata in un solo cristallo, ma con facce estese, che consentono discrete misure. (CO1):(201) = 42° 18 (media di 3 determinazioni) 420 23' !/s (calcolato con la mia costante). 1 cristalli sono ben trasparenti e appena appena colorati in bigio-giallognolo : all'esame ottico presentano apparenza omogenea senza accenno della così detta Pflockstructur. La sfaldatura basale è bene evidente: non si avverte invece distintamente sfaldatura prismatica. Il peso specifico del minerale fu determinato col picnometro, e risultò 2,929 a 1590. Gli indici di rifrazione principali determinati col rifrattometro Abbe- Pulfrich sono: i xa = 1,633 cna='11029 o—e= 0,004. Materiale scelto con tutte le possibili cautele fu riservato all'analisi. I risul- tati che si riportano sono la media di due e, in alcuni casi, di tre determi- nazioni. Fu controllata accuratamente l'assenza di ioni ferrosi. SUOR a e AL Al, 03 . pen, ea OA Resor i e Va ISO Catia 092 Medie a e a 0,02 Nano E ee e 05 Ki Orari La Tae 1,04 99,57 (1) Min. geogn. Fragmente ..... Zeits. d. deut. geol. Gesellsch., 18, 1866, 544. (2) Zeits. f. Kryst., 31, 1899, 24. (3) Miner. Vesuviana, 1910, 253. (4) Vom Rath (loc. cit.) ha misurato cristalli di inclusi nel peperino e non quelli delle geodi della leucitite di Capo di Bove, come erroneamente scrive Kaiser. (5) Quaterly Journ. of Science, London, 1823, 16, 274, P ILA E RO RE TAL INS SIPEDENA IAMIIA rs I it MESE: dem Di; X SP A ‘1 Ups. NILH TE UADIE Bodlànder (') e dopo di lui Zambonini (*) discutendo le loro analisi € le altre anteriori misero giustamente in rilievo che la nota ipotesi di Vogt (3), secondo la quale le meliliti si devono considerare come miscele isomorfe di gehlenite 3RO. R,0,.2Sì0, e di akermanite 4R0. 3Sì10,, pur avendo trovato universale accoglienza nei testi scientifici, non corrispondeva ad una esatta interpretazione dei risultati analitici. i Studi ulteriori dimostrarono che la formola data da Rammelsberg ed universalmente ammessa per la gehlenite, è puramente empirica; e che questo minerale si deve considerare come una miscela di cui è parte integrante un composto di costituzione 2Ca0.A1:03. Si0, preparato artificialmente da Weyberg (*) e, in seguito, ottenuto anche da Rankin e Wright (*) nello studio sperimentale del sistema ternario Ca 0 — A1,0; — Si0,. Schaller (9) diede il nome di velardefiite a tale composto che costituisce circa l' 80 % della gehlenite di Velardeîia nel Messico. L’àkermanite poi di Vost nota dapprima soltanto come minerale ipo- tetico e come composto artificiale 4RO.3Si0, fu constatata realmente esi- stente fra i minerali vesuviani da Zambonini (?), il quale diede la stessa for- mola accennando però alla possibilità che essa sia un sale doppio di calcio e di magnesio. E Schaller infatti (8) interpretando le analisi di Freda e Zambo- . nini ammise la formola 4Mg0.8Ca0.9Sì0,. Ferguson e Mervin (°) otten- nero nello studio sperimentale del sistema ternario Ca 0 — Mg0— Si0, un composto di costituzione chimica assai ROSEE, cioè 2Ca0.Mg0.2Si0,, che chiamarono anche akermanite. Il sistema binario artificiale akermanite-gehlenite, o meglio, 2Ca0. Mg0.2Si0,—2Ca0.A1;0;.Sì0, fu recentissimamente oggetto di indagini accurate da parte di Ferguson e Buddington (‘°), e dalle loro ricerche si può trarre, per quanto riguarda le meliliti naturali, la considerazione seguente : che il sistema non è identico a quello ammesso da Vogt, ma soltanto pros- simo; che in esso le miscele sul 50°/, quelle cioè che dovrebbero appros- simarsi alla costituzione della melilite, non hanno di questa le proprietà fisiche. I dati dei citati autori sono infatti: (1) Neues Jahrb. f. Miner. ete. 1893, I, 15. (2) Zeits. f. Kryst., 41, 1906, 226. (8) Archiv for Mathematik og Naturvidens Kab. Kristiania, 13, 1890, 310 e seg. (4) Centralbl. f. Miner., 1904, 729. (5) Americ. Journ. of Science, 39, 1915, 26. (9) U. S. Geol. Survey, Bull. 610, 1916, 106. (7) Miner. Vesuviana, 255. (8) Schaller W. T., Zhe melilite group, U. S. geol. Survey, Bull. 6/0, 1916, 109. (®) Amerie. Journ. of Science 48, 1919, 118. (19) Americ. Journ. of Science, 50, 1920, 131. gehlenite 50 akermanite 50 coya 1,653 esa 1,652 o — e 0,001 p. sp. 2,993 parecchio discosti cioè dai corrispondenti meglio determinati nelle meliliti naturali. Contro l'ipotesi di Vogt, Bodlinder (1) ammise che le meliliti naturali otticamente negative (di quelle naturali otticamente positive non possediamo analisi a quanto io sappia) fossero da considerare come miscele isomorfe di un metasilicato RSi O; con un alluminato R R. O,. Ipotesi semplice, appli- cabile con sufficiente esattezza all’interpretazione di tutte le analisi delle me- liliti, ed anche, aggiungo io, delle gehleniti, e verso questa mostrò di incli- nare Zambonini (?) nella discussione delle due analisi di melilite di Capo di Bove; forse troppo semplice o meglio troppo indeterminata, tanto che Zambonini cerca di darne un'espressione più esatta correggendo la locuzione « miscela isomorfa » con quella molto più generale di « soluzione solida », venendo con ciò ad indicare indirettamente il punto debole della ipotesi stessa, quello cioè di fare astrazione da composti ben definiti come minerali o, almeno, come specie cristallografiche. Un progresso delle nostre conoscenze sull'argomento è segnato dal lavoro sopra citato di Schaller, il quale considera meliliti e gehleniti come miscele isomorfe di àkermanite 4Mg 0.8 Ca 0.9Sìi0,, di velardenite 2 Ca 0. AI: 03. Si0,, di sarcolite 3Ca0.A1,0,.3 Si0, e di sarcolite sodica cioè di un minerale ipotetico 3 Na.0.A1,03.3Sî0, che non si riscontra isolato, ma che entra in miscela con il composto precedente a costituire la sarcolite vesuviana. La discussione di molte analisi di melilite e di gehleniti fatta da Schaller dimostra che la sua ipotesi risponde con sufficiente esattezza ai dati sperimentali. i i I risultati della mia analisi, discussi col metodo proposto da Schaller e posti in confronto con quelli corrispondenti di altre analisi, sono: Melilite degli inclusi nel peperino di Albano Laziale (Millosevich): aker. sare. sodasare. velar. 48,5 27,5 9,0 15,0 idem gialla della leucitite di Capo di Bove (Lazio) (Zambonini) : 49,5 32,4 8,3 9,8 (1) Loc. cit., 19. (2) Loc. cit., 232-233. RENDICONTI. 1921, Vol. XXX, 1° Sem. 12 pis pica Melilite bruna della leucitite di Capo di Bove (Lazio) (Zambonini): àaker. sare. sodasare. velar. 47,9 28,0 8,8 15,9 idem del Vesuvio (Bodlinder) (*): 42,5 41,2 9,8 140, Che la sarcolite possaconsiderarsi isomorfa con la melilite e con la gehlenite si può dimostrare agevolmente. Nei cristalli di melilite del Ve- suvio e in‘quelli da me misurati (e sono del resto i soli finora conosciuti da cui si possa ricavare una costante cristallografica) appare, come dissi, la forma }201}. Se si assume questa come {101} la costante si raddoppia, si ha cioè: i melilite a:e=1:0,91286 Millosevich. Nella sarcolite la corrispondente piramide di 2° ordine forma con la base un angolo di 41°32'*/, da cui si calcola: sarcolite a:c=1:0,8861 Zambonini. Nella gehlenite si riscontra una forma di simbolo }703} che fa con la base un angolo di 43° 2°. Se detta forma si assume ancora come {101} si giunge alla costante: gehlenite a:c= 1:0,9336 Des Cloizeaux. Nei cristalli artificiali di àkermanite si avrebbe con analoga scelta di assi Akermanite aci 140;90 (circa) Vogt. (1) Per una svista Schaller (loc. cit., pp. 122 e 123) discute la terza delle analisi del Bodlinder attribuendola a materiale di Capo di Bove, mentre è stata eseguita su melilite del Monte Somma. SRL MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Fisica. — Zlio e neon «sintetici». Nota del prof. A. Lo SurDo, presentata dal Corrisp. A. GaRBASSO ('). Facendo delle esperienze con tubi contenenti idrogeno nei quali passa- vano intense scariche elettriche mi ero accorto di alcune piccole variazioni di pressione, che potevano spiegarsi ammettendo il passaggio di questo gas attraverso alle pareti di vetro. Ho ripensato allora alla famosa questione della comparsa dell’elio e del neon dopo lunga azione della scarica elettrica sull’idrogeno, elio e neon che Sir W. Ramsay (?) riteneva si formassero sinteticamente dall'idrogeno e dall’ossigeno. Le esperienze fatte per accertare questa supposta formazione non hanno dato risultati concordi: contro i risultati positivi di Ramsay, di Collie e Pat- terson e Masson (*), stanno quelli negativi di R. J. Strutt (‘), Merton (*) e Piutti e Cardoso (5). Da qui il dubbio che la presenza dell'elio e del neon potesse derivare dall'intervento di una causa non conosciuta. Alcune esperienze di Collie e di Patterson tenderebbero ad escludere la permeabilità delle pareti di vetro nei tubi di scarica; ma le chiare espe- rienze di Jaquerod e Perrot (7) sul passaggio dell’elio attraverso i bulbi di quarzo del termometro a gas portati a temperature moderatamente alte, quali possono essere raggiunte dalle pareti dei tubi di scarica, lasciano dubitare che un fenomeno consimile, sia pure di entità molto più piccola, possa aver luogo per il vetro. Mi sono proposto quindi di ricercare se un tubo di vetro caldo sia per- meabile all'elio senza che intervenga la scarica elettrica, e se la permea- bilità ci sia anche quando il riscaldamento è dovuto alla scarica elettrica. Un tubo di vetro sul quale era avvolta una spiralina di filo da reo- stati, veniva scaldato mediante la corrente elettrica mentre si trovava in (*) Presentata nella seduta del 5 dicembre 1920. o (2) W. Ramsay, Mature, 89, 502; Trans. Chem. Soc.. 1913, pag. 264; Rend. Soc. Chim. Ital., ser. II. vol. V, pag. 185. (*) Chem. Soc. Trans., vol. 103, pag. 419, 1913; Chem. Soc. Proc., vol. 29, pp. 27, 217, 213, 1913; Proc. Roy. Soc., vol. 91, 1914-15, pag. 30. (4) Merton, Proc. Roy. Soc., 1914, A 90, 549. (5) Strutt, Proc. Roy. Soc., 1914, A 89, 499. i (5) Gazzetta Chimica Italiana, 1920, vol. L, 5. (*) Arch. Soc. Phys. Nat. (4) 18, pag. 613; id., 20, pag. 128, 1905. Pe gl una atmosfera di idrogeno puro o di elio aereonautico ('). Questo tubo era saldato ad un ramo dell’apparecchio rappresentato schematicamente nella fig. 1, che è simile a quello col quale Strutt (*) aveva analizzato l’idrogeno dopo averlo assoggettato alla scarica, e non aveva trovato traccia di elio e neon = sintetici ». Il rubinetto A stabilisce la comunicazione con la pompa di Gaede. In B c'è una piccola quantità di permanganato potassico: in C è il tubo colla spiralina \di cui è detto avanti (*); esso si trova dentro un pallone di vetro nel quale, attraverso due tubi, si può introdurre o ricambiare il gas che lo circonda. In D è un tubo di scarica, in E un (tubo di Plicker, in G e in I del carbone di noce di cocco, circa 20 gr. per ciascun tubo, M e P contengono del mercurio accuratamente purificato e distillato. Questo mercurio attraverso al rubinetto O si può far passare da M in P o viceversa, mettendo in comunicazione, mediante il rubinetto a due vie Q, il recipiente P con una pompa pneumatica o coll’atmosfera. Così il gas con- tenuto in M può essere compresso nel capillare N (‘) fino a fargli raggiun- (*) Elio impuro di idrogeno e di altri gas, che viene usato come gas leggero in- combustibile per il riempimento dei dirigibili; esso viene estratto dai gas naturali (C. Porlezza, Giorn. di Chim. Ind. e Appl., anno II, 1920, pag. 638; Mc Lennan, Zelium: its Production and Uses, Journ. of the Chem. Soc., vol. 117 e 118, 1920, pag. 923; Nature. vol. CV, 1920. pp. 747 e 778). (2) Strutt, loc. cit. (8) I tubi usati in questa esperienza avevano diametri esterni da 5 a 10 mm., e lo spessore di circa 0,5 mm.; delle sottili striscette di mica impedivano il diretto contatto della spiralina col vetro. (4) Questo capillare aveva un diametro interno di mm. 0,1, MIRRSIIAORA ORO MIRO TOT SOR TORINO O ferro SIE gere la pressione opportuna per eccitare in esso la luminosità mediante la scarica dovuta all'effetto di induzione dei due elettrodi esterni, che sono in comunicazione con un rocchetto di induzione di 10 cm. di scintilla. Il metodo di sperimentare era il seguente. Nell’apparecchio si faceva il vuoto tenendo aperti i rubinetti A e Le chiusi tutti gli altri, dopo aver liberato mediante riscaldamento il carbone dai gas occlusi, e dopo aver fatto passare il mercurio in P finchè il suo livello in M non fosse quasi al fondo. La pompa di Gaede veniva fatta funzionare lungamente per due o tre giorni successivi in diverse riprese. Dopo si verificava che non ci fossero delle perdite capaci di portare all'interno, durante una esperienza, delle tracce di neon e di elio rivelabili coll'apparecchio. Si scaldava quindi il tubo C facendo passare la corrente elettrica nella spiralina. Durante questa operazione nel pallone si manteneva idrogeno o elio aereonautico. Dopo qualche tempo, generalmente un'ora, si toglieva la corrente dalla spiralina e si procedeva all'analisi del gas che era penetrato all'interno. Perciò si scaldava prima il tubetto B contenente il permanga- nato potassico: dell'ossigeno veniva così ad aggiungersi ai gas penetrati; quindi di tratto in tratto si faceva funzionare, mediante un piccolo rocchetto di induzione, il tubo di scarica D, allo scopo di fare combinare l'-idrogeno all'ossigeno. Finalmente si immergeva uno dei tubi contenenti il carbone di noce di cocco, per es. G, nell'aria liquida e si apriva il rubinetto F la- sciando così assorbire dal carbone i gas, in modo da avere un residuo di quelli poco assorbibili, cioè di etio e di neon. Dopo circa un'ora si chiudeva F e si apriva H, dopo aver immerso nell’aria liquida il tubo I: anche questo sì lasciava assorbire per circa un'ora. Veniva allora chiuso il rubinetto L e così una gran parte del gas re- siduo rimaneva dentro lo spazio M. Facendo entrare il mercurio attraverso il rubinetto O si comprimeva il gas dentro il capillare N fino alla pressione opportuna per la scarica. La luce veniva osservata mediante uno spettroscopio, sulla fenditura del quale veniva proiettata opportunamente l’immagine del capillare che, pure essendo del diametro interno di mm. 0,1, non poteva sostituire la fenditura poichè, attraverso la spessa parete di vetro, appariva troppo grosso. Ed ecco i risultati delle esperienze: 1°) Tubo di vetro in atmosfera di idrogeno. La spiralina è riscaldata al rosso-scuro appena visibile al buio. Durata del riscaldamento un’ora; pressione raggiunta circa un decimo di millimetro. Al Plicker il gas mostra, avanti il trattamento con l'ossigeno, esclu- sivamente lo spettro dell'idrogeno e le righe del mercurio. Dopo il procedimento accennato avanti. cioè reazione con ossigeno e assor- bimento, non si vede traccia apprezzabile di neon o di elio nel residuo che A N TA: RATE REALI INAN FOT ETERO RIGA RE CIANO (ORIO occupa qualche millimetro del capillare, poichè eccitando la scarica in N. si vedono solo le righe del mercurio e quelle dell’ idrogeno. 2°) Il tubo di vetro veniva mantenuto in un'atmosfera di elio aereo- nautico, e scaldato per un'ora come nella esperienza precedente. Durata un'ora, pressione finale circa 0,1 mm. Al tubo di Plticker il gas mostra esclusivamente le righe dell'idrogeno e quelle del mercurio. Fatta avvenire la reazione con ossigeno e l'assorbimento con carbone, nel capillare N si ha un residuo di circa 0,1 mm?. (volume ridotto alle condizioni normali). Questo gas all'esame spettroscopico mostra esclusiva- mente le righe del neon prevalenti e quelle dell'elio molto più deboli. Ignoravo che l'elio aereonautico contenesse del neon. Ho introdotto una piccola quantità di questo gas nell’apparecchio della fig. 1 e gli ho fatto subire il solito trattamento con ossigeno e l'assorbimento del carbone. Dopo queste operazioni esso mostrava nel tubo di Pliicker E insieme alle righe molto brillanti dell’elio, quelle del neon ben visibili. 3°) Invece del tubo scaldato con la spiralina si teneva nell'atmosfera di elio aereonautico il tubo di Plicker E. La pompa e l'apparecchio venivano avanti liberati dall’elio con lunghe ed accurate operazioni. Il Pliùcker veniva alimentato per circa mezz'ora dalla scarica di un rocchetto di induzione di 10 cm. di scintilla. L'incremento della pressione all’interno era più ra- pido che nelle esperienze col tubo riscaldato dalla spiralina; e come prima il gas residuo, di circa 0,1 mm?8., emetteva le righe del neon e dell'elio. 4°) La stessa esperienza veniva fatta tenendo il tubo di Plicker in atmosfera di idrogeno puro: passava molto idrogeno, ma nessuna traccia apprezzabile di elio e di neon. ConcLusionE. — Neon, elio ed idrogeno passano attraverso il vetro caldo: l'idrogeno passa in quantità molto maggiore che gli altri due gas. Questo fatto può spiegare la origine dell’elio e del neon « sintetici »: essi possono provenire dall’atmosfera. Il passaggio dipende naturalmente dalla temperatura del vetro e quindi dalla natura della scarica, e da parecchie altre circostanze fra le quali la qualità.e lo spessore del vetro; è probabile quindi che la discordanza dei risultati di Ramsay, Collie, Patterson e Masson, e di quelli di Strutt, Merton, Piutti e Cardoso si debba alla diversità di queste circostanze. Ringrazio vivamente il prof. Garbasso per aver messo largamente a mia disposizione i mezzi del Laboratorio di Fisica del Regio Istituto di Studî Superiori in Firenze, dove ho eseguito queste esperienze. o I IT AA n RR I TIENITI NT yo I N I EI AA ENO da ot P Ù vg x f as fg Mineralogia. — Sw! derillo di Piona (lago di Como) (*). Nota del dott. MARIO FERRARI, presentata dal Socio C. VioLa (?). La piccola penisola di Piona, sulla riva sinistra del lago di Como, poco lungi da Colico, fa parte di una regione essenzialmente formata da mi- caschisti e gneiss di colore oscuro e di incerta età. che mostrano interposti numerosi straterelli più o meno estesi, alcuni dei quali quarzosi, altri anfi- bolici. Ad occidente del paesello di Olgiasca, poco sopra il livello del lago, giace inoltre, fra gli schisti, un banco di quarzite compatta e, sul versante nord-occidentale della penisola, trovansi alcune lenti calcaree, in parte sfrut- tate a’ scopo industriale, come il banco di quarzite dianzi accennato. L'interesse maggiore però, che la regione offre, sovra tutto per la mi- neralogia, è dovuto a varii filoni pegmatitici, noti da tempo ‘agli studiosi. Tali filoni non si incontrano soltauto fra le formazioni della penisoletta di Piona, ma anche fra quelle di tutta una zona assai più estesa, sia sui fianchi del Legnoncino e del Legnone, come pure.più lontano. Di essi scrissero, o ad essi accennarono, oltrechè antichi autori, il Jervis (*), il Curioni (*), il Melzi (?) e, in questi ultimi anni, il Bertolio (9) ed il Repossi (7). Il quale ne diede anzi una diligente descrizione, illustrata da uno schizzo fotografico, nella terza delle sue Note sotto riferite In questa inoltre egli rivela la presenza di minerali di uranio fra quelli ritrovati nel più conosciuto dei filoni di Piona, il filone del laghetto, giacente sul fianco orientale della pe- nisola, presso Cascina Béttega. Esso, già sfruttato industrialmente per il suo feldispato, è da ricordare anche per il ritrovamento del crisoberillo, mine- (') Lavoro compiuto nell’Istituto di Mineralogia della R. università di Parma. (*) Presentata nella seduta del 2 gennaio 1921. (3) G. Jervis, / tesori sotterranei d'Italia. Torino, 1873, vol. I, pag. 240.- (4) G. Curioni, Geologia applicata delle province lombarde. Milano, 1877, vol. I, pag. 25. i (9) G. Melzi, Di un nuovo giacimento mineralogico interessante sulle sponde del laghetto di Piona, « Giornale di mineralogia, cristall. e petrogr. », di F. Sansoni. Milano, 1890, vol I, fasc. I, pag. 60. (5) S. Bertolio, Sui filoni pegmatitici di Piona e sulla presenza in essi del be- rillo, « Rend. del R. Istituto lombardo di scienze e lettere », serie II, vol. 36, an. 1903, pag. 368. È (?) E. Repossi, Appunti mineralogici sulla pegmatite di Olgiasca (lago di Como), « Rend. R. Accad. Lincei », vol. XIII, I° sem., 1904; Il crisoderillo nella pegmatite di 0I- giasca (lago di Como), « Atti Congresso Naturalisti italiani ». Milano, 1907; / filoni pegmatitici di Olgiasca, Rinvenimento in essi di mimerali di uranio, « Atti della So- cietà Ital. di Scienze Nat. », vol. 52, pag. 487. digg rale rinvenuto in Italia forse soltanto nelle pegmatiti di Sondalo (Valtel- lina). Associato però a questo minerale non trovasi nello stesso filone l’altro minerale assai più comune di glucinio, il berillo. E neppure fu rinvenùto berillo in un filone pegmatitico di minore potenza, che il Bertolio (*) indicò a mezzogiorno di Olgiasca, in località Rivetta, e che può ritenersi con ogni probabilità un prolungamento del primo. ; La specie minerale, oggetto della presente Nota, abbonda al contrario in un filone giacente poco a nord della C. Malpensata, sul versante della penisola opposto a quello del laghetto: piccolo filone in concordanza con gli schisti, affiorante in modo visibile per una decina di metri e la cui potenza non supera forse i due. Mai sfruttato a scopo industriale, fu lavorato, dopo la scoperta del berillo fattavi dal Bertolio, al solo fine di trarne minerali per collezioni o per studio. Di là vengono i grandi cristalli di berillo della regione serbati nel Museo civico di Milano e quelli raccoltì dal prof. C. Viola per l'Istituto di mineralogia della R. Università di Parma. Attratto dalla ricchezza dei minerali inclusi nelle pegmatiti di Piona e delle regioni adiacenti, che il prof. Viola ebbe cura di raccogliere sopra luogo, mi ero proposto, fin dalla primavera del 1915, di studiarne alcuni in modo completo. Ma, nel maggio di quell’anno, chiamato dalla guerra ad assolvere ben altro e più grave còmpito, dovetti rimanere lontano per lungo tempo dagli studî e dalla scienza. Nè ora posso prevedere — fra tanta sva- lutazione del lavoro intellettivo e in special modo di quello puramente scien- tifico — se e quando mi sarà concesso di riprendere, con animo sereno e col necessario fervore, le ricerche cominciate. Perciò credo meglio far conoscere con questa Nota quanto le poche indagini, da me compiute fin dal 1915 intorno al berillo di Piona, hanno potuto dimostrare. | Ho già detto che il berillo dell’interessante giacimento si presenta spesso in cristalli di grandezza considerevole: essi raggiungono talvolta, come osservò anche il Repossi, oltre 30 cm. di lunghezza e 7-8 cm. di larghezza. Un lieve straterello micaceo ne avvolge la superficie delle facce, rendendo così facile il distacco di quelli dalla roccia includente. Forma comune appare soltanto il prisma esagono, senza riconoscibili terminazioni naturali: lamelle micacee infatti, ordinate entro i singoli cristalli secondo il piano basale di questi, ne cagionano la separazione irregolare delle estremità. Il minerale, di colore giallo-verdastro ehiaro od azzurro-verdognolo, è torbido, spesso con numerose fratture, che ne traversano la massa e che si vedono riempite di mica o di altri minerali difficilmente determinabili. Al microscopio lamine di berillo, tagliate normalmeute all'asse senario, mostrano evidente la nota anomalia ottica, per cui il minerale, vuolsi per pressieni subìte, appare biassico. Su tali lamine e su altre, tagliate paral- (*) S. Bertolio, loc. cit. IO ie lelamente al medesimo asse, furono determinati gli indici di rifrazione, w ed e, per mezzo del rifrattometro Abbe-Pulfrich. Gli angoli limite @, quali risultarono dalle misure, appaiono dalla ta- bella seguente, che riassume i valori ottenuti, operando con luce gialla di sodio, su 5 lamine diverse, 2 parallele e 3 normali all'asse senario. Per lamine || Ag 0 6. I 55°.30',2 55°.16’,5 II 2.998 » 27 4 Per lamine | Ag RI: 1055009 i DA IV » .92 » .14,4 V sil » .14,9 Dal valore di tale angoli si dedussero i valori di © e di « per mezzo della nota formula n=ypusen)0, dove u è l'indice di rifrazione del mezzo otticamente più denso, con cui le lamine sono poste a contatto, 0 l'angolo limite della riflessione totale, n l’indice cercato. Tali valori, calcolati da quelli 0 sopra esposti e da u=1.9070 — tale essendo l’indice di rifrazione, per la luce del sodio, dell’emisfera nel rifrat- tometro usato — sono ì seguenti : (12) E I 1.5716 1.5674 II 1.5747 1.5708 III 1.5713 1.5664 IV 1.5728 : 1.5667 V 1.5720 1.5668 D'onde la birifrangenza negativa del berillo (0 — e) risultò, per le 5 lamine in esame, DT L00049 III = 0.0049 IV. 0.0056 II 0.0039 V 0.0052 con un valore medio ww —e=0.00476. Il peso specifico fu determinato con la bilancia di Westphal e ioduro di metilene su varî frammenti di piccole e medie dimensioni: esso risultò eguale a 2.67, con variazioni sensibili nella terza decimale. RenpICONTI. 1921; Vol. XXX, 1° Sem. 1183 Ue dt RESA URINA feto NRE ROLE LG Fu infine sottoposto il berillo ad analisi quantitativa e la composizione risultante dalla media dei valori di due determinazioni, compiute sullo stesso cristallo, è quella sotto riferita: % Si0» 65,50 ( Al30z È ( Fes0; (tracce) Lie Be0 11,52 Cao 0,88 Mg0 0,33 K0 0,27 Na,0 2,03 100,25 Perdita per arrov.'° 0! -1,40 Il BeO fu determinato separando l’idrato di berillo dall’idrato di allu- minio e di ferro per breve riscaldamento a bagno-maria in carbonato am- monico (1:4) + solfuro ammonico dei 3 idrati e per successiva ebollizione prolungata del soluto, filtrazione del precipitato, soluzione di questo in acido cloridrico, riprecipitazione degli idrati e seconda separazione con carbonato ammonico. Biologia. — Sulla presenza di depositi uratici nel tessuto adiposo dei Termitidi ('). Nota I di CARLO Jucci, presentata del Socio B. Grassi (?). In due precedenti Note (*) ho brevemente riassunto i risultati del mio lungo studio (1917-20) sui Termitidi e più precisamente sulla differenzia- zione della casta neotenica. Nella II Nota accennavo ad abbondanti depo- siti urici nel corpo grasso degli alati sciamanti e reali veri di Calotermes e additavo in essi l'indice di processi metabolici profondamente diversi da quelli dei reali neotenici, evidentemente in rapporto alla differenza dei pro- cessi anabolici, alla dieta alimentare caratteristica che conduce alla diffe- renziazione degli individui neotenici dai riproduttori normali. (!) Lavoro eseguito nell’Istituto di Anatomia e Fisiologia comparate della R. Uni- versità di Roma. (2) Presentata nella seduta del 19 dicembre 1920. (3) Sulla differenziazione delle caste nella società dei Termitidi. I neotenici. Nota I e II. Rendiconti Accad. Lincei, Scienze Fis. Mat. e Nat., vol. XXIX, serie 58, 2° sem., fasc. I e II, Roma, luglio 1920. PIE TIRI TRAVE ICI GE LUTS IOTIO ARA EGO AF VO lia Dare Oa Proseguendo nel mio studio mi sono proposto di chiarire i seguenti punti essenziali: 1°) come e quando compaiano le concrezioni uratiche nel corpo adiposo dei futuri sessuati; 2°) se e come sia dimostrabile la loro derivazione quale residuo dalla digestione delle inclusioni albuminoidi; 3°) quando queste inclusioni albuminoidi si formino e se solamente da accu- mulo dei prodotti elaborati dall'intestino o non anche, negli alati fondatori di nuova colonia, da messa in riserva dei prodotti istolitici di organi ima- ginali (muscoli alari); 4°) quali variazioni induca il digiuno nella quantità delle inclusioni albuminoidi e delle conerezioni uratiche; 5°) quale sia la esatta composizione chimica di queste concrezioni e se veramente aumentino di numero e grandezza negli sciamanti che continuano a vivere e fondano una nuova colonia; 6°) se e quando nei reali a capo d'una ‘coloniola scom- paiano dal corpo adiposo gli urati e si depositino nei varî organi escretori “i prodotti caratteristici del metabolismo neotenico. Credo opportuno per ora anticipare la comunicazione succinta dei prin- cipali fatti osservati: « faits tellement evidents que l’imagination n'a plus de prise sur eux, chose toujours bonne pour se former une serieuse convin- ction »(!). È proprio strano che osservazioni così facili (non fa bisogno d’'alcuna tecnica speciale e nemmeno di forte ingrandimento microscopico) e così impor- tanti (per penetrare un po’ nell'intimità dei processi vitali e degli adatta- menti biologici), su un materiale tanto studiato come i Termitidi (e i feno- meni da me rilevati sono di tal natura da potersi prevedere generalizzabili a tutto il gruppo), non sieno state fatte prima d'ora. Ver'è che anch'io ho avuto per tre anni sottomano le due specie indi- gene, Termes e Calotermes, senza pervenire ad alcuna osservazione del genere. | È stato il pigmento tegumentario delle vecchie regine di complemento il carattere spia che, orientando la mia attenzione verso lo studio dei pro- dotti escretivi presi ad indice dei processi metabolici, m’ha dischiusa una via nuova di ricerche. Rimane tuttavia ben singolare il fatto che Feytaud abbia potuto com- piere un accuratissimo lavoro (°) sulle « modifications anatomiques subies par l'image après l'essaimage », e segnatamente sulla « transformation du tissu adipeux », senza nulla notare di ciò che salta agli occhi anche colla più grossolana delle dissezioni (*). (!) Fabre, 1863. Études sur le rble du tissu adipeux dans la séeretion urinaire des insectes. Ann. Sc. Nat. Zool. (3) Feytaud, 1912. Contribution à l'étude du Termite lucifuge. Arch. Anat. Microse., XIII. (3) Come del resto con gli usuali metodi istologici: le concrezioni uratiche si con- Wi OI e E RTLA, I TP ' È; mit a) va RICA MRO Lo vy pae Fu nei reali veri di Calotermes, cui rivolsi la mia attenzione per dimo- strare caratteristici del metabolismo neotenico i prodotti ptialurici da me trovati nei reali di complemento e sostituzione, ch'io dapprima osservai da presenza di depositi uratici nel corpo grasso dei Termiti. Nell’addome e anche nel torace, ormai sgombro di muscoli alari, tutto il tessuto adiposo è fittamente farcito di grosse concrezioni sferitiche rifrangentissime che a-campo oscuro spiccano bianche opache nei preparati a fresco come nelle sezioni. Sono così fittamente accumulati questi sferoliti che solo ai margini di qualche più giovane lobulo adiposo è dato distinguere la struttura del tes- suto: apparentemente sinciziale, dacchè, senza verun limite cellulare, v'ap- paiono sparsi grossi nuclei, a nucleolo acidofilo e rete cromatinica basofila, frequentemente in divisione amitotica. Benchè varie di grandezza e forma e struttura le concrezioni sono generalmente sferoidali e costituite da varî strati concentrici, variamente rifrangenti, attorno ad uno o più ili. L’esame chimico le rivela per concrezioni uratiche. Dànno infatti la reazione della muresside e negli acidi acetico e cloridrico si dissolvono per rideporsi in forma di cristalli d’acido urico tabulari isolati o aghiformi in bellissime druse. D'altronde l'esame morfologico (*) le mostra identiche alle concrezioni d'urato di soda che Cuénot trova nei Blattidi e vede aumentare gradatamente di dimensioni « si bien que chez les adultes à maturité sexuelle le corps adipeux n'est plus qu'un énorme amas d’urates, les cellules adi- peuses vidées de leur contenu étant presque complètement annihilées par le développement des cellules è concrétions ». Reali di Termes lucifugus non esistono, qui almeno nella campagna romana, in natura (*), ma, allevando coppie di alati sciamanti in provette servano perfettamente bene nelle sezioni (purchè si abbia cura di evitare: nell’ imparaffi- namento le temperature eccessivamente elevate e nella colorazione la differenziazione in alcool acidulato. Solo in qualche punto nel materiale da me fissato col liquido di Leewen l’acido acetico converte gli urosferiti in cristalli giallicci d’acido urico). (1) Questi urosferiti presentano fenomeni ottici (cruce di polarizzazione, non estin- zione, colori d’interferenza nei più grandi elementi) simili a quelli segnalati da Henneguy per i calcosferiti del tessuto adiposo di Phitomiza, da Pettit per calcosferiti in calcifica- zioni patologiche (1897) e da Philiptschenko per le concrezioni d’urato di soda del corpo grasso dei Collemboli (1902). (2) Recentemente Feytaud ha dimostrato non infrequente in Francia la formazione di nuove colonie da parte d’individui sciamanti che si ritrovano, ancora dopo 2 anni, re e regina tra numerosissima prole (un migliaio d'individui), Poi, a cominciare dalla fine del secondo anno, la coppia reale vera viene sostituita da una larga schiera di reali reotenici. Ecco dunque verificata sperimentalmente l'ipotesi del Silvestri. Ma in Italia non si è mai rinvenuta alcuna coppia reale; e questo m’'induce a supporre che sotto il nome di Termite lucifugo si comprendano due specie, o razze biologiche almeno, di- stinte: nella nostra sarebbe particolarmente spinto il singolare adattamento biologico, comune a tutto il genere Leucotermes, alla propagazione diffusiva con formazione di reali complementari. ES MEDIATORE ROTAIA ES RNRP MNOVLIOTE RAPE (ODA 20009, PROT Ae ELE TARE 5 STI (già dal 1893 il Grassi dimostrò la possibilità di ottenere così artificial mente nuove colonie), mi sono procurato giovani reali (*), sui quali ho verifi- cato la perfetta identità dei fenomeni nelle due specie indigene di Termiti. Tale identità del resto risulta senz'altro evidente dallo studio degli alati sciamanti delle due specie: nei quali anche, il corpo adiposo è farcito di prodotti urosferitici, nell’addome soprattutto, ma anche nel torace tra i muscoli alari e perfino nella testa. Il corpo lacerato d'uno sciamante stri- sciato su un vetrino lo ricopre d’innumerevoli urosferiti, e, tagliato in pezzi e gettato in una capsula con qualche goccia d’acido nitrico, svolge una effer- vescenza vivissima come un frammento di calcare. Disseccando la soluzione ottenuta e umettandone il residuo con ammoniaca si ha formazione abbon- dantissima di porporato d’ammonio. Ma nel corpo adiposo dell’alato scia- mante spiccano, di tra i mucchi di urosferiti, specie nella parte anteriore dell'addome, a livello del gisiere e del ventricolo, numecose zollette eosì- nofile, inclusioni albuminoidi che sembrerebbero doversi interpretare come i residui ancora relativamente abbondanti delle ricchissime provvigioni albu- minoidi accumulate nella ninfa e consumate man mano, evidentemente per i bisogni del metabolismo e soprattutto per la crescita dei genitali e la costruzione dell'organismo volante. Difatti nelle ninfe di Termes e Calotermes il tessuto adiposo, farcito di goccie grassose e d’inclusioni albuminoidi (spiccano intensamente eosi- nofile, poligonali, grandi e piccole, in grande quantità, disposte specialmente lungo le briglie del reticolo citoplasmatico: molte piccole appaiono ammas- sate attorno ai nuclei), presenta qua e là, forse contenuti in speciali cel- lule uriche, gruppi numerosi di urosferiti. Ma simili depositi uratici com- paiono fin dagli stadî larvali e si rinvengono ‘anche nelle piccole larve; si ritrovano altresì negli individui adulti delle caste di neutri: negli operai di Termes e nei soldati di Termes e Calotermes. (!) Merita particolare menzione una coloniola fondata il 15 maggio con coppia scia- mante. Aperta il 26 agosto conteneva, oltre gli individui reali già assai sensibilmente ingrossati, 5 uova, 4 larve (2 assai piccole e un’altra candida e un’altra rossiccia di legno), un operaio quasi adulto (aiuta i genitori a trasportare le uova quando si disturba il nidino) e un soldato ancor bianco (Feytaud nelle sue coloniole non vide comparire, neanche dopo 18 mesi, soldati). Riprendendo le esperienze di allevamento spero, collo studio delie giovani colonie, portare un contributo alla soluzione del problema dei neutri, MST i PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente VoLtERRA dà il doloroso annuncio della morte del Socio nazionale sen. prof. GrusEPPE CoLOMBo, spentosi il 16 gennaio 1921, di cui ricorda con affettuosa e calda parola i meriti di scienziato e di cittadino, aggiungendo che dell’estinto sarà fatta una speciale Commemorazione; e informa inoltre la Classe di un’altra perdita nella persona del Socio stra- niero prof. GuoLIELMO WALDEYER, mancato ai vivi il 23 gennaio 1921. Il Socio VioLa dà notizia della morte del Socio straniero E. S. FEDOROW, avvenuta nel giugno del 1920. Il Socio MattIROLO legge una dotta commemorazione del defunto Socio nazionale prof. Pier ANDREA Saccarpo, del quale illustra la vasta opera’ scientifica; questa Commemorazione sarà pubblicata in un prossimo fascicolo. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CasreLNUOvo presenta le pubblicazioni giunte in dono, richiamando l’attenzione della Classe su quelle del Socio Fano e dei Cor- rispondenti BERLESE e SILVESTRI, e su di una raccolta di scritti in memoria del Socio straniero NoRMAN LockyER, inviata dalla vedova del defunto acca- demico. Il Socio PATERNÒ fa omaggio. a nome dell’autore prof. ALDO MIELI, della pubblicazione da quest'ultimo diretta: Gli scienziati italiani dall'inizio del Medio Evo ai nostri giorni, e ne discorre. CONCORSI A PREMI Il Segretario CastTELNUOvo comunica il seguente . Elenco dei lavori presentati al concorso al premio Reale per l’Astronomia. (Scadenza 31 dicembre 1920. — Premio di L. 10.000). 1. Asetti Giorio. 1) « Determinazione preliminare della parallasse di 61 Cygni » (st.). — 2) « Ascensioni rette di 140 stelle » (st.). — 3) « Ri- cerca sui moti proprî in Ascensione retta di 140 stelle » (st.). — 4) « Sul moto proprio di BD + 4° 4879 » (st.). — 5) « Parallassi di 42 stelle ece. » (st.) — 6) « Parallasse delle stelle fisse » (st.). — 7) « Il sistema binario arr) x Cygnì » (st.). — 8} « Gli spettri delle stelle » (st... — 9) « Misure mi- crometriche di coppie di stelle 1910-1913 » (st.). — 10) « Il sistema mul- tiplico £ Ursae Maj. » (st.). — 11) ‘« Densità di alcuni sistemi binarî vi- suali » (st... — 12) « Determinazioni di longitudine astronomica con la telegrafia senza fili » (ms.). — 13) « Determinazioni di latitudine astro- nomica » (ms.). — 14) « Determinazioni astronomiche di tempo » (ms.). — 15) « Progetto della torre solare per l'Osservatorio di Arcetri » (ms.). — 16) « N°. sette tavole e una deserizione manoscritta del telescopio a torre per osservazioni fisiche del sole » (ms.). 2. ARMELLINI Giuseppe. 1) « Il problema dei due corpi nell'ipotesi di masse variabili » (st). — 2) « Sulla forma della traiettoria nel pro- blema dei due corpi di masse crescenti, e sulle sue applicazioni per una possibile spiegazione della grande eccentricità di Marte » (st.). — 3) « De- terminazione matematica dello schiacciamento polare di Giove » (st.). — 4) « Estensione della, soluzione del Sundman, dal caso di corpi ideali al caso di sferette elastiche omogenee » (st.). — 5) « Esame analitico della teoria del Fabry e Crommelin sull'origine delle comete » (st.). — 6) « So- pra un'ipotesi del Pickering relativa alla frequenza degli afeli delle orbite cometarie nelle vicinanze dell'antiapice » (st.). — 7) « Osservazioni sopra le comete secolari » (st.)-— 8) « Sopra la forma dello sferoide lunare » (st... — 9) « Osservazioni sopra una recente teoria della luce zodiacale » (st.). — 10) « Sopra le distanze dei pianeti dal Sole » (st.). — 11) « Ri- cerche sopra le perturbazioni del satellite di Nettuno » (st.). — 12) « Ri- cerche sopra la previsione dell’urto nel problema dei tre corpi » (st.). — 13) « Sull'estinzione della luce stellare nell'atmosfera di Roma » (st.). — 14) « Osservazioni fotometriche sopra la ‘ Nova Aquilae’ e su Giove » (st.). — 15) « Nuova determinazione della latitudine del R. Osservatorio del Cam- pidoglio » (st). — 16) « Sul Potenziale Galattico » (st.). — 17) « Le co- mete ed il calcolo nelle probabilità » (st.), — 18) « Il sistema planetario e le sue leggi empiriche » (st.). — 19) « Il problema dei due corpi di masse variabili » (st.). — 20) « Sul moto di un punto attratto da più punti fissi » (st... — 21) « Sopra le perturbazioni seeolari del pianetino Hungaria “e sulla distanza di Leverrier » (ms.). 3. ToRDELLI EmiLio AngELO. « Nuova scoperta scientifica. Teoria uni- versale della repulsione del calore solare e planetario. Nuova teoria scienti- fica circa lo cause del moto dei pianeti e dei corpi celesti in generale » (st.). 4. Zappa Giovanni. 1) « Per la determinazione dei moti proprî delle stelle di Santini » (st.). — 2) « Riflessioni sulle stelle giganti e nane nella evoluzione stellare » (st.). — 3) « Semplificazione del calcolo della latitu- dine da osservazioni in primo verticale con il metodo delle coppie e nuove riflessioni sull'effetto degli errori » (st.). — 4) « Per una verifica sperimen- tale della teoria di relatività di Einstein » (st.). — 5) « Sul valore di una CGIE particolare legge di forza centrale » (st). — 6) « Sulla osservazione meri- diana delle stelle quasi fondamentali » (st.) — 7) « Studio di un nuovo me- todo per la determinazione della latitudine con osservazioni in primo verti- cale » (st.). — 8) « La Cometa periodica 1906 IV Kopff nella sua prima apparizione » (st.). — 9) « Determinazione della latitudine dell'Osservatorio di Catania » (st). — 10) « Valori normali delle coppie di Battermann »_ (st... — 11) .« Differenze sistematiche tra il catalogo fondamentale di New- comb e quello di Auwers » (st.). — 12) « Per la riduzione attinometrica del catalogo astrografico internazionale e in particolare della zona Cata- nese » (st... — 13. « Scandaglio della condensazione galattica » (st.). — 14) « Studio del micrometro e delle livelle del zenitale di Capodimonte » (st.). — 15) « Lo studio fotometrico delle variabili a corto periodo e ad ecclissi » (st.). — 16) « Il calcolo delle costanti delle lastre fotografiche » (st... — 17) « Studio del Macromicrometro » (st.). — 18) « La riduzione del Catalogo astrofisico internazionale studiata nella zona Catanese » (ms.). Il PRESIDENTE dà comunicazione del bando di concorso al premio isti- tuito da S. M. il RE per onorare la memoria di Augusto RIGHI, presso la R. Università di Bologna; i lavori dovranno trattare di fisica sperimentale, e dovranno esserne autori scolari del defunto sen. Righi. Kee pa" Sa PES OORR REY PIAGA VERRI ON SIZE RA OTO DAT ATALA TOI SI RPPERS RO Ie [PISA Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. ‘Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. «Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. 1V. V. VI. VII. VIII ‘Serie 3* — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. ) (i MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. ‘Serio 4% — RENpICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. - Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. i Vol. I-X. i Serie 5* — RenDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXIX. (1892-1920). Fasc. 1°-12°, Sem. 2°. ReENDICONTI della (Classe di scienze morali, storiche e filologiche. i Vol. I-XXIX. (1862-1920). Fase. 7°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, fasc. 50. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fase. 5. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI s DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI .I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono eselusivamente dai seguenti ‘editori-librai : : ‘ULrIco HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. P. MagLIoNE & C. SrRINI (successori di E. Loescher & C.) — Poma. RENDICONTI — Febbraio 1921. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE KE NOTE DI SOCI Seduta del 6 febbraio 1921. & Segre. Sui fochi di 2° ordine dei sistemi infiniti di piani, e sulle curve iperspaziali con K. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile. una doppia infinità di piani plurisecanti . . .-.. . e +. BRA Lo Ciamician e Ciusa. Considerazioni sulla costituzione intima del bolo e di alcuni nuclei eterociclici . . . . IRTCALRO SR ST RR EROE SONORE ” Bruni. Sulla solubilità delle DEA cirtioo Di CAUCCIUAT I SA Millosevich. Studi su minerali del Lazio. La melilite degli inclusi nel peperino .. . .. » MEMORIE E-NOTE PRESENTATE DA SOCI Lo Surdo. Elio e neon ‘ sintetici ® » (pres. dal Corrisp. Garbasso) . . < .0.. PISTONI) Ferrari. Sul berillo di Piona (lago di Como) (pres. dal Socio Viola) . . . . + DOO , ducci. Sulla presenza di depositi uratici nel tessuto adiposo dei Termitidi (pres: dal ‘Socio Bi ras) O e E ” PERSONALE ACCADEMICO Volterra (Presidente). Annuncia la morte del Socio G. Colombo e del Socio straniero Wal- GOVONE OMELIA LA ARRE N AS) Viola. Dà notizia della morte del Socio straniero E s. Fab is » Mattirolo. Commemorazione del Socio P. A. Saccaîdo . . . . SR ” PRESENTAZIONE DI LIBRI — » Castelnuovo (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte în dono, segnalando quelle del Socio Mano, dei Corrisp. Berlese e Silvestri, e una Commemorazione del Socio stra- niero Norman Lockyer . . ; TR O RR I Paternò. Fa omaggio di una iubblioszione del nio Mieli è e nec discorre TARDI Sin e CONCORSI A PREMI Castelnuovo (Segretario). Comunica l’elenco dei concorrenti .Al premio Reale per 1’ Astro- HOMO MDETRIE IZONA NN EN A SSIS Sì Ne TEA en de ” 89 92. 96. . Pubblicazione bimensile. N. 4. ALII DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI ANNO CCCXVIII. | 1921 SiR QIEINTA | RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X X X.° — Fascicolo ‘0 Rendiconio del 20 febbraio 1921. 1° SEMESTRE. ROMA TIP. DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1991 ESTRATTO DAL. REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1.I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re» golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da: Soci e estranei, nelle due sedute mensili del: l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico, Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrisponienti non . possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Lé Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la .responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta . stante, una Nota per iscritto. IL I. Le Note che oltrepassino i limiti _ndi- cati al paragrafo precedente e lo Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della. Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica ‘nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. TERM RAAN CONA. giore crt Sr AE LE e a a MST TRS PE RT Sana Ale # 4 o ‘ : i RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. AANANNINIIANNNTT-- Rendiconto del 20 febbraio 1921. MEMORIE E NOTE DI SOCI Matematica. — Sulle funzioni abeliane. Il: La geometria sulle varietà abeliane. Nota del Socio G. CastELNUOVvO ('). 5. Conviene illuminare i risultati della Nota precedente (?) col lin- guaggio della geometria algebrica. Formiamo perciò, mediante rapporti con- venienti di funzioni intermediarie relative alla matrice (1), p+ 1 funzioni abeliane (21) nati see Up) = fi((0)) PEA 8) cioè funzioni meromorfe al finito, aventi i 2p gruppi di periodi forniti dalla detta matrice. E ricordiamo che tra le x; passa sempre una relazione alge- brica (22) Varie, la quale rappresenta una varietà adeléana V,, di uno spazio a p|+ 1 di- mensioni. Supporremo che la corrispondenza tra il punto (21) della V, ed il gruppo (v,,..., vp) di valori dei parametri sia biunivoca. In questa ipotesi, data la matrice (1), la varietà abeliana V, è deter- minata, a meno di una trasformazione birazionale Viceversa, data la Vp, è determinata la matrice (1) od una matrice equivalente (Scorza), cioè dedotta dalla (1) mediante combinazioni lineari tra le orizzontali (che por- (1) Presentata nella seduta del 6 febbraio 1921. (*?) Questi Rendiconti, vol. XXX, 1° sem., fasc. 2°, pag. 50; essa verrà citata con I seguìto dal n. del $ o della formola. RENDICONTI. 1921, Vol. XXX, 1° sem. 14 OOC tano a sostituire ai parametri u nuovi parametri) e mediante sostituzioni lineari a coefficienti interi, unimodulari, tra le verticali (che portano a so- stituire un sistema di periodi primitivi con un nuovo sistema di periodi primitivi). i Ne viene che le trasformazioni eseguite in I, 3 non alterano la varietà V,, ma permettono di introdurre in questa un sistema più comodo di para- metri U ed un più semplice sistema di periodi (13). Al contrario, la trasformazione di parametri (I (16)), U,= 0, quando d>I, e l’ado- zione della matrice di periodi (17) porta a rappresentare i punti U, della varietà V, sui gruppi di una involuzione d’ordine d?-1 appartenente ad una nuova varietà abeliana W, descritta dal punto v;; il gruppo generico della a e ap € involuzione essendo dato da (0 -L To) so; Up t 7 2), ove 4 percorre i numeri Ot, gl l Premesso ciò, riprendiamo la funzione intermediaria @((u)) 0 »((U)) (I, nn. 1-3). L'equazione p=0 o g,=0 rappresenta una varietà alge- brica D a p—1 dimensioni entro V,, varietà intermediaria. La corrispon- denza algebrica (1,0?-!) ora considerata tra V, e W,. muta la ® in una nuova varietà intermediaria © di W,, appartenente all’involuzione suddetta; la quale varietà è rappresentata dall'annullarsi della funzione © d'ordine d data dalle formole (18) e (19), e può quindi chiamarsi varietà ® d'ordine d. Con ciò il risultato si presenta così: Data entro una varietà abeliana V, una varietà intermedioria ® (a p—1 dimensioni) di determinante d > 0, è sempre possibile trasfor- mare la V, in una nuova varietà abeliana W, con una trasformazione razionale (1, OP), in guisa che la D si muti in una varietà © d'ordine è della W,. E viceversa, ad ogni varietà © d'ordine d di W, appartenente alla involuzione ivi esistente corrisponde una varietà intermediaria di V,. Ora una funzione © d’ordine d contiene linearmente d? costanti arbi- trarie; ma se la ® è costretta a verificare le condizioni I (19), il numero di queste costanti si riduce a e, e»... en=="0 (*). Sicchè la varietà © di W, dell'ultimo teorema, e quindi anche la ® di V,, appartiene ad un sistema li- neare 0001, Se però insieme alla ® si considerano le sue trasformate, entro V,, mediante le oo? trasformazioni ordinarie di 2% specie w.= w, +- cost., sì conclude: Una varietà intermediaria di determinante d, entro la varietà abe- liana Vp, appartiene ad un sistema algebrico continuo c09+° costituito da oo? sistemi lineari di dimensione è — 1. p varietà generiche del sistema continuo hanno p!d punti comune. Infatti p varietà ® di ordine d di W,, hanno in comune (Poincaré, Wirtinger) (*) Cfr. Krazer, Lehrbuch der Thetafunktionen (Teubner, 1908), pag. 126. Zali p! de punti, i quali si distribuiscono, nel nostro caso, in p! d gruppi della involuzione esistente su W,. A questi gruppi corrispondono altrettanti punti di V, comuni a p varietà ® (1). 6. Supponiamo ora di conoscere due funzioni intermediarie @,((%)), g2((v)) relative alla stessa matrice (1); siano d,,d, i due loro determinanti, non nulli, e 7202, mn i loro interi caratteristici. Nel caso, di maggiore inte- resse, che le w non siano proporzionali alle n, la matrice (1) possiede due diverse forme bilineari alternate (I, n. 2), ed è quindi singolare (Scorza). Presi come esponenti due numeri interi positivi 7,,7s, formiamo la funzione (23) = gi 97° che è pure intermediaria, coi pericdi (1), e i numeri caratteristici 7,0 + rem. Il determinante d di g è il pfaffiano, in valore assoluto, della matrice quadrata || 7,722 + 72/2 ||; è quindi una forma d'ordine pin r,,r3: 4) d=Irt+ (1) Iurtin,b (E) Ra doveri — di, —da. Se ®,,, sono le varietà intermediarie a p — 1. dimensioni, in V,, rappresentate da g, =0,g:=0, la varietà ® rappresentata da g="0 ap- partiene a un sistema continuo che, con le notazioni della geometria alge- brica, si suole indicare col simbolo fr, ®, + r2D3 |. Il numero delle intersezioni di p varietà generiche del sistema è p!d (n. 5). D'altra parte il numero stesso è dato simbolicamente da 29) Cn o +r0d:—C0)+ (1) rtortol+-+,t000) dove [D?-* D:] indica il numero delle intersezioni di p — # varietà appar- tenenti al sistema } ®,{ ed % varietà appartenenti al sistema } ®,{. Poichè la espressione (25) ha lo stesso valore della (24) moltiplicata per p! in cor- rispondenza ad ogni coppia di numeri interi positivi 7,,7, segue che (26) [DI D]= ph. Quindi è coefficienti della forma binaria (24), che sono invarianti si- multanei delle due funzioni intermediarie ,,@:, hanno il significato geo- metrico assegnato dalle (26). 7. Il risultato si può facilmente estendere al caso di tre o più funzioni intermediarie. La massima generalità si ottiene colla seguente considerazione. (') Il Lefschetz nella Memoria inedita già citata arriva a questo e al successivo risultato mediante considerazioni di Analysis situs. Poor Si supponga che l'indice di singolarità (Scorza) della matrice (1) sia #, ed in conseguenza che la (1) possegga x-+- 1 forme alternate (principali) di Riemann linearmente indipendenti. Siano 1 (27) 3 mi Ei Ma (= 06 e) le forme reciproche di quelle, scelte in modo da costituire una dase minima, in modo adunque che ogni altra forma consimile relativa alla matrice (1) possa ottenersi come combinazione lineare a coefficienti interi, ri, delle (27) (). Allora, detta g, una funzione intermediaria cogli interi caratteristici ml?, e detta ®, la varietà rappresentata entro V, da g;((v))=0, risulta che Do, P,,..., P, costituiscono una dase minima per le varietà intermediarie entro V,. Al variar degli interi 7, il sistema continuo (28) iroDtrDi +-+ ra Dl fornisce tutte le varietà intermediarie di V,. Anzi fornisce tutte le varietà algebriche a p —1 dimensioni di Vp, in virtù di un importante teorema con cui il Lefschetz, nella Memoria inedita nominata, estende a V, un ri- sultato che Appell ed Humbert avevano stabilito per le superficie iperel- littiche. Per ottenere la più generale espressione del teorema di Bézout entro V, ‘sì formi il determinante | rog + +rem |. Il pfaffiano di questo è una forma algebrica di grado p nelle 7, ,..., 7%; la indicheremo, scelto opportunamente il segno, con p ! i ho hx So een hi tata do la somma essendo estesa a tutti i gruppi di numeri interi non negativi ho ; «.. hx che dànno per somma p. Ora si trova col ragionamento del nu- mero 6 che 1 (OR dacia dove il simbolo a primo membro indica il numero delle intersezioni di p=h +-+ A, varietà a p— 1 dimensioni, di cui /, scelte nel sistema continuo }D}, ..., hx scelte nel sistema } Dx}. 8. Le funzioni intermediarie considerate sinora hanno il determinante d > 0. Accenniamo rapidamente alle particolarità che si presentano se = 0 e quindi || 7;x]|= 0. Per limitarci al solo caso che interessi, suppor- remo che la (1) sia ancora una matrice di Riemann, cioè che essa possegga, (1) Scorza (loc. cit. in I), $ 3 della Parte prima. — 103 — oltre la forma alternata (7) che è ora degenere, una forma alternata non degenere; la matrice è in tal caso (Scorza) singolare ed impura, ed è sempre collegata con una varietà abeliana V,. Supponiamo poi che la caratteristica del determinantéè || mx || sia 29 dove 0 0, per ogni altra curva ordinaria (3) C, avente gli stessi estremi della C,, soddisfacente ovunque alla disuguaglianza |y(x) — ys(e)|<@ e tale che la lunghezza complessiva degli intervalli dell’asse x, sui quali è sempre |y'(z) — yo(e)|>#, risulti maggiore di ». Volendo conferire a questo enunciato tutta la generalità che ha la pro- posizione corrispondente del Lindeberg, relativa agli integrali in forma pa- rametrica, è necessario di liberare l’enunciato stesso dalla condizione rela- tiva alla limitazione del modulo della derivata y(x). Questo scopo fu rag- giunto dal compianto prof. E. E. Levi, il quale superò la grave difficoltà che qui si presentava per mezzo del seguente teorema: « Se, in un campo finito e chiuso T di valori (x, y,y'), sono soddisfatte le condizioni /yy(xyy)D>0, E(z,y;y,7)>0, per ogni 7 + y' [E es- sendo la funzione di Weierstrass relativa all’integrale (1)]; e se T, è un campo chiuso, contenuto in T, per il quale esiste un d > 0 tale che ogni punto di T, sia il punto di mezzo di un segmento di lunghezza 20 paral- (1) Presentata nella seduta del 5 dicembre 1920. (2) Questi Rendiconti, pag. 19. (8) Composta cioè di un numero finito di archi per ciascuno dei quali la y(x) abbia la derivata prima finita e continua. latenti — lll — lelo all'asse y' e totalmente contenuto in T, allora si possono determinare due numeri positivi o e w per modo che, se |y'—7|>0 e (0,7,9') è in T,, si abbia (2) Miaeadeag gi) lupa. Dopo ciò, e ammesso che sulla curva C, valga la condizione di Le- gendre in senso stretto e che la condizione di Weierstrass sia verificata in modo da aversi, per ogni x dell'intervallo su cui è definita la y(2), ed ogni coppia y,y' soddisfacente alle |y—y2)|<7, Y— %(0)|<7 (r essendo un numero positivo, comunque piccolo) e qualunque sia 7 * y/, E(x,v3%y,7)>O0, la proposizione del Lindeberg, secondo quanto ha mo- strato il Levi, vale indipendentemente dalla restrizione dianzi accennata. Per estendere il teorema, così ottenuto, conformemente a quanto si è fatto nella Nota I, occorre una preliminare estensione del teorema del Levi sopra riportato. A questo intento, ho cominciato col liberare completamente il teorema del Levi dalla condizione /yy(2,7,y)>Q0, e ne ho poi otte- nuta questa generalizzazione: « Se T è un campo limitato e chiuso di punti (x, 7,7), ed esiste nn numero positivo d tale che, per ogni (2,y,y) di T e ogni 7° soddisfacente alla |y'—7'|=0, sia E(z,y;7 ,7)>0 per qualunque 7 +7, scelto ad arbitrio un numero -0 > 0, se ne possono determinare altri due v e w, pure >0, in modo che, per ogni numero g tale che sia |g —/(2,7,7)| =, si abbia f(eyP)—f(e,y,9) 9 —-y)> ul —y| 0) per tutti i punti (x yy) di T e tutti gli 7’ soddisfacenti alla |y—7|=0>. Servendomi di questa generalizzazione del teorema del Levi, sono riu- scito a dimostrare le due proposizioni che seguono, le quali forniscono due successive estensioni del teorema del Lindeberg: 1°) « Se Co è una curva di equazione y= yo(#), (40 x < do), con Yo(x) funzione assolutamente continua e: a) per ogni punto 7 di (4, do) in cui esiste finita la y;(7) si può determinare un numero positivo (x) tale che, per tutte le terne (x,y ,7)) soddisfacenti alle |x — «| = o(@), |y— yo(2)| = o(2), |yY— yo(£)| = 0(£), e per qualsiasi 7 + y', sia E(x,y;%,7)>'0; 5) per ogni altro punto # di (40, do) dove la y(x) non esiste 0 è in- finita, si hanno due numeri 7°(x), (7), il secondo dei quali positivo, in modo che soddisfatte le |e—-x|<=0(2),jyt—yx)| = 0(7),|yY—7(2)|= o(£), e per qualsiasi 7'=* y', sia ancora E(x,y;y,7)>0; scelti ad arbitrio due numeri positivi o e 4, è sempre possibile di (1) Per g=/(£,Y,Y'), questa disuguaglianza coincide con la (2). basi |}, (Lee determinare altri due 0 ed s in modo che si abbia I—I, >, per ogni curva C di equazione y= y(x) (a = x < 5), con y(x) funzione assoluta- mente continua, la quale appartenga propriamente all'intorno (0) della Co (1) e sia tale che l'insieme dei punti dell'asse x soddisfacenti alla |y(x) — — y(x)|= o risulti di misura => 4». 2°) « Se GC è la stessa curva del teorema precedente e su essa sono ancora verificate le condizioni 4) e d); se, inoltre, esistono due numeri po- sitivi 4 e y#, in modo che, per tutti gli # considerati nella condizione a) sia sempre o(7) <= 4, E(#,y#);y0 €); y(7) © o(£)) = ©; scelto ad ar- bitrio un d > 0, è sempre possibile di determinare altri due numeri posi- tivi «e e 0, tali che si abbia IL—I, >&, per tutte le curve C, di cui sopra, appartenenti propriamente all'intorno (0) della Co e soddisfacenti alla L—L,=0 e che esista un numero positivo 7 tale che, in tutto un intorno della C, e per ogni y'° in modulo maggiore di uno stesso numero positivo, sia |y'|® /yy(x yy) = m. Queste due condizioni sono, in particolare, soddisfatte se la funzione / è della forma g(2y) V1+y"2 con g(ey) DO. Ai teoremi precedenti sì può aggiungere questa nuova proposizione : « Se = (give DC è un altro integrale del tipo (1) e C, è la curva più sopra indicata, ed esiste un numero positivo 72 tale che, per tutti i punti (xy) di un intorno della Co valga sempre la /yy(2,9,V) = mgyy(e0,4.y'), per qualsiasi 7°, preso ad arbitrio un numero positivo d se ne possono determinare altri due « e g in modo che, per ogni curva C:y=y(x) (a =x =), con y(x) funzione assolutamente continua, la quale appartenga propriamente all'in- torno (0) della C, e soddisfi alla J;—Ja, =d, si abbia I—-Ian > 8». (1) Ciò vuol dire che, per ogni 4 comune ‘ai due intervalli (40, do) ; (4,5) è ly) — yo(2)]|<0, e che i punti i quali appartengono all’uno o all'altro dei due inter- valli, senza appartenere ad entrambi costituiscono (al più) due segmenti di lunghezza < 60, e ciascuno degli archi delle curve Co e C che corrispondono a questi segmenti è interno al cerchio di raggio 0 avente per cento l'estremo corrispondente di Cy. ma È | à : ; Cogito Meccanica. — Sulla variazione dell'energia cinetica di un sistema semi-rigido ruotante attorno ad un punto fisso quando sia nullo il momento rispetto a questo punto delle forze esterne. Nota di Orazio LAZZARINO, presentata dal Corrisp. R. MARCOLONGO ('). In una Nota precedente (?), alla quale mi riferisco per le notazioni e per la parte bibliografica, ho stabilito con procedimento breve e semplicis- simo le equazioni assolute del moto attorno ad un punto fisso di un sistema materiale costituito da un nucleo solido ricoperto da liquido viscoso incom- pressibile e avente nel suo interno un numero qualunque di cavità, di forma qualunque, riempite da liquidi viscosi compressibili a densità diverse e comunque variabili. In questa Nota, supponendo sempre i liquidi interni viscosi e compres- sibili, mi propongo di studiare la variazione dell'energia cinetica del sistema col variare del tempo quando sia nullo il momento rispetto al punto fisso delle forze esterne. In queste ipotesi, le equazioni intrinseche del problema, stabilite nella Nota precedente, assumono rispettivamente la forma: (1) a2' + 2\(a2 + M)+M=0 (I1) a=—mP/ (III) F,.=F,-F,Xn.n=mP,=—a (IV) P.Xn=[P'—A(PT—0)]Xn=0 (V) de LodivP'=0 dP'_ Lu A+ ad div D' opto dis; (VI) go P ed pale 3 grad div P lip dove le derivate rispetto al tempo # sono indicate con apici e. riferendosi sempre al punto fisso 0, « rappresenta l’omografia d'inerzia della parte rigida, £ il vettore della velocità istantanea di rotazione del sistema, M il momento dell'impulso relativo al moto della parte fluida, M/ la velocità relativa di M, a il vettore della forza di attrito in un punto qualungue di contatto, P' e P) i vettori della velocità assoluta e relativa di un punto generico P delle masse fluide, F, il vettore della pressione per unità di superficie esercitata dal fluido, p l'intensità della pressione specifica unitaria relativa allo stato di equilibrio, n un vettore unitario perpendicolare nei (1) Psesentata nella seduta del 5 dicembre 1920. (2) O. Lazzarino, Sulle equazioni del moto di rotazione attorno ad un punto fisso di un solido avente un numero quaiunque di cavità riempite da liquidi viscosi a den- sità diverse e comunque variabili. Questi Rend., vol. XXX, 1° sem., pag. 13. AR e E e e 0 AAT Gi VETRATE MT AAT SAVER eo) — 114 — singoli punti di contatto alle pareti o delle cavità e diretto verso l’esternò, e le densità dei fluidi, 7 e w le solite costanti di Lamé, v il rapporto w/o . Si moti che sulla grandezza del coefficiente m, circa la quale le varie teorie sono discordi, non è necessario fare alcuna ipotesi particolare. 1. Variazione dell'energia cinetica del sistema. Moltiplicando la (I) scalarmente per £ e tenendo presente che @ è dilatazione, si ha (1) (2 X aQ) = — RX M.=—20XM. Inoltre, ammettendo che le forze F agenti nei punti P_delle masse fluide derivino da un potenziale e ponendo n=, la (VI) può anche scriversi 5 Ì (VI) P" = grad(a — U)+ Dee grad div P'+ va'P'. Ora, moltiplicando la (VI’) scalarmente per P. e integrando rispetto a tutti gli spazi 7 delle % cavità del sistema, si ottiene @ I [PrxP.de=Y | fgrad( +54 grad div P Da r:-de= ) | [grad(a —U)4 ; grad div P']X 1 T ISST, e x P..dr | S {va P'XPL.de, SET È facile dimostrare che la prima sommatoria di integrali del secondo membro della (2) è nulla. Infatti, per formole note (*), detta sommatoria può Sa nel seguente modo (a) > ea E div P]nXP; . do alc US > Ja, (ES SEE ie div P) | da dove la prima sommatoria s'intende estesa a tutte le superficie o che rac- chiudono le % cavità del sistema. Ora, tenendo presente la (IV), si vede im- mediatamente che la prima sommatoria della (a) risulta nulla; quanto alla seconda si osserva che essa può scriversi successivamente Ù va ni (UU LE div) [de— => @_ 044 da Posa dP, pin _3 fo-04 Er areieriare 1 CT h Lc aaa flr-v+-E div P). PX. do To O) Cfr. C. Burali Forti et R. Marcolongo, Analyse vectorielle générale [ ediz. 1912, I, pag. 111 (2)]. Questo testo sarà indicato in seguito con la sigla AVG. VANORE AMEN bi RAPE MIE IDA A o e quindi, risultando anch'essa nulla per la (IV), si ha quanto si voleva dimostrare. Dopo ciò, la (2) porge h kt) h (3) > (Pixpr.ae=> [sePxP/.de. 1 T 1 T Ora dal primo membro della (8), moltiplicando per @ e ponendo P,= P'_2/\(PT— 0), si ha h h 5 ho D fPrxprode => £2 ( P°odeaxS |P_0) AP". ede— uu. 4 di 2 Lc dl ns re ba, Q U vi di 2 2 fp , odt XxX M, e quindi, tenendo conto della (1) e ponendo ancora h NNO, qa. (4) pel > fe'edr+oxae |, 2 Ulbey valb° sì può ancora scrivere e dT 5 ii U ” : pine nio SA (5) DI XeRa pda — "n cl °.edt + LX 8 | di Allora, osservando che la T, definita dalla (4), rappresenta l’energia cinetica di tutto il sistema e ricordando che è v = wu/o, dalle (3) e (5) si deduce immediatamente che « la varzazione nell'unità di tempo dell'energia cinetica di tutto il sistema sa essere espressa dalla formola (6) di — > (us X Pi. dr». 2. Generalizzazione di una notevole formola di Joukovsky. 11 signor Joukovsky (!), trattando la teoria del moto di un solido avente una cavità riempita da liquido viscoso incompressibile, dimostrò l’esistenza di una notevole formola che dà la variazione dell'energia cinetica col variare del tempo nell’ipotesi che le forze dell'attrito di contatto fra liquido e solido seguano la nota legge di Stokes. Il signor Stekloff (?), mantenendo l'ipotesi della incompressibilità del liquido, dimostrò la formola per qualunque altra ipotesi sulla grandezza delle forze di attrito. Qui, partendo dalla (6), riesco ad estendere la formola di Joukovsky al caso più generale di liquidi viscosi compressibili e per qualunque ipotesi sulla grandezza delle forze di attrito fra liquidi e solido. (1) N. Joukovsky, Sul moto di un corpo solido che ha una cavità riempita da un liquido incompressibile. S. Pietroburgo, 1885 (in russo), pag. 137. (2) W. Stekloff, Sur le mouvement d'un corps solide ayant une cavité de forme ellipsoîdale remplie par un liquide incompressible ete. (Annales de la Faculté des Sciences de Toulouse, 3° serie, tom. I, a. 1909). RenpIcoNTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 16 = ilo — Infatti, per formole note [A.V.G. I, pag. 111 (2)], la (6) può scriversi RIO È CARI (6) T_- Sla Pd SD fa (ns n) X Pido — RZ, ia dp È peg: IN rea = l dP K dP dt . Ora, supponendo nel caso più generale che l’omografia #8 di pressione di una qualunque delle masse fluide sia espressa da dP' dP' (7) #_-P= 24 pipi sì ha F.=fn=m-20 (1 n)-2.(1 lo e quindi, tenendo anche conto della (IV), si può scrivere _ fa(fn) X PL. do= ; [En ul (1697) | xp = SFX PIA dO7. Inoltre, tenendo conto delle (II) e (III), si ricava ; [x P;.de=3 | (R pi Kalac Palldo— frxrrdo= 1 faxrido e quindi, nel caso più generale, la (6°) può scriversi (8) r-=—15 faxp.do-Y fal( KE )de. Questa è la formola cercata e sussiste evidentemente qualunque sia, nella (II), il valore del coefficiente # che caratterizza la grandezza delle forze dell'attrito di contatto fra liquidi e solido. Perciò si può concludere che « la formola di Joukovsky, sotto la forma (8) ora trovata, sussiste per liquidi viscosi compressibili, qualunque sia l'ipotesi sulla grandezza delle forze dell'attrito di contatto ». c.d d. Di RO ATI AIA — 117 — Idrodinamica. — Circuitazione superficiale. II: Sua espres- sione vettoriale e teoremi generali analoghi a quelli sulla ordi- naria circuitazione. Nota di MaRrIO PascaL, presentata dal Corri- spondente R. MaRcoLONGO ('). 1. È agevole scrivere il vettore della circuitazione superficiale che ab- biamo definito nella Nota I (*). Siano i,J.K tre vettori fondamentali; u,v,w le componenti del vettore V della velocità; cosa, cos f, cos y i coseni direttori del vettore unitario n parallelo alla normale interna alla superficie 0°. Il vettore della circuitazione superficiale è allora (1) C= | Vando. Immaginiamo ora che la superficie o tenda, appiattendosi, a ridursi ad una porzione piana, limitata da una curva s: il moto del fluido tenderà al- lora a diventare un moto piano. Ugualmente i vettori V/m tendono ad essere uguali e di verso contrario per tutti i punti compresi nell’area piana limitata da s; il modulo di V n ha invece valori finiti per i punti del contorno. Per tali punti, n giace nello stesso piano fondamentale nel quale è contenuto V. In tali condizioni l'integrale doppio (1) tenderà — a meno di un fat- tore infinitesimo — ad un integrale semplice esteso al contorno s D'altra parte il vettore VAn, per ogni punto del contorno s, è normale al piano fondamentale, e l'integrale suddetto rappresenta la risultante di tali vettori paralleli. Il modulo del vettore risultante è, sul piano, uguale all’integrale del modulo di Vn, esteso a s. Se t è un vettore unitario parallelo alla tangente a s nel punto generico P, essendo sen(V,n)=cos(V,4{), si ha mod (Vyn)= mod V - modn-sen(V,n)= = mod V - mod t- cos(V.,t)=VXt. (!) Presentata nella seduta del 5 dicembre 1920. (2) M. Pascal; Circuitazione superficiale. I: Estensione dell'ordinario concetto di circuitazione. Questi Rendiconti, vol. XX1X, 1920, 2° sem., pag. 353. Sr L’integrale (1) pertanto — nelle ipotesi fatte ed a meno di un fattoré infinitesimo — diventa fVatas= fwd; cioè l1 circuitazione superficiale, al tendere della superficie ad una por- zione piana limitata dalla curva 8, tende all'espressione dell'ordinaria circuitazione lungo il contorno s. 2. Analogamente a quanto succede per l’ordinaria circuitazione, si ha che, se esiste potenziale di moto, la circuitazione superficiale è indipen- dente dalla superficie chiusa lungo la quale è calcolata. Se infatti le velocità dipendono da un potenziale, g= g(x,7,%), avendosi per una espressione trovata nella Nota I, si ha ©) o, —Lo}azdy avendo posto l'equazione della superficie o sotto la forma <= 2(27). L'integrale (2) dovrà essere indipendente dalle variazioni di z. Ed invero, chiamando con F la quantità sotto il segno, dal calcolo delle varia- | zioni sappiamo che deve essere soddisfatta la condizione al doble ded pd g sì ha infatti identicamente dp 0 3° Re; dp dp tu dg : dg q i: Pa P da da dY da dI dY da dY PLARY dI dE dd Il ragionamento fatto può evidentemente ripetersi per ciascuna delle altre componenti del vettore della circuitazione superficiale. 3. Con uguale facilità si dimostra la proprietà reciproca, e cioè: se la circuitazione superficiale è nulla, il moto del fluido è irrotazionale. Dalla (1), per una formola nota (*), si ha (3) C=[Vynd= | mv avendo indicato con © il volume di fluido racchiuso dalla superficie 0. (1) C. Burali Forti e R. Marcolongo, Elementi di calcolo vettoriale. Bologna, Zani- chelli, 1909. — 119 — ‘ Se si suppone nulla la circuitazione, sarà rt V.=0, e quindi, per un noto teorema ('), e supponendo (ciò che si può fare senza togliere di generalità) il campo 7 semplicemente connesso, il vettore V è il gradiente di una funzione uniforme, cioè è V= grad D in cui ® è il potenziale di velocità. La formola (3) ci dà il modo, infine, di enunciare, nei riguardi della circuitazione superficiale, un teorema che è l'analogo di quello di Stokes per l'ordinaria circuitazione. Ricordando infatti che + rot V è il vettore della velocità istantanea di rotazione delle particelle di fluido in moto, si può dire che /a cireuitazione superficiale è uguale al doppio della somma delle velocità istantanee di rotazione, moltiplicate per l'elemento del volume racchiuso dulla super- ficie lungo la quale la circuitazione è calcolata. Mineralogia. — Sulla vera natura della Rosasite. Nota I del dott. C. PERRIER (*), presentata dal Socio E. ARTINI (*). Il prof. Lovisato descrisse, parecchi anni or sono (*), un nuovo mine- rale nettamente cristallizzato di rame e zinco, di color verde-chiaro tendente all'azzurrognolo, con lucentezza sericea nella frattura fresca, lievemente mammellonare, proveniente dalle miniere di Rosas nel Sulcis (Sardegna), al quale minerale egli, per la sua provenienza, diede il nome di Rosasite. La composizione chimica, determinata in base all'analisi eseguita dal dott. Rimatori, che aveva ottenuto ì seguenti risultati: H,0 = 0,21; PbO = tracce; Zn0 = 33,57; CuO = 36,34; CO,= 30,44; somma = 100,56, sarebbe stata secondo Lovisato, la seguente : Cuo:CuC0; : Zn C0: = 1 : 1,157 : 2.383 corrispondente, quindi, approssimativamente ad un composto di questo tipo: 20u0.3C0uC0;.5ZnC0,. (1) C. Burali Forti e R. Marcolongo, loc. cit. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Torino diretto dal prof. Zambonini. (3) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. (*) D. Lovisato, Nuovo minerale della miniera di Rosas (Sulcis, Sardegna). Questi Rend. XVII, 2 (1908), pag. 723. — 120 Il minerale era, dunque, da considerarsi come una specie nuova, non potendo per la sua omogeneità, come osservava Lovisato, essere considerato come una miscela di malachite e di Smithsonite, nè essere ricondotto alla malachite, differenziandosi da questa sia per il peso specifico, che in due determinazioni diverse era stato ottenuto eguale a 4,07, sia, e specialmente, per i risultati analitici. Sulla vera natura della Rosasite rimasero, però, dei dubbi, sia per il tipo di composizione davvero poco comune, sia soprattutto, perchè, dato il colore del minerale, appariva verosimile che esso non fosse anidro. Delle nuove ricerche chimiche apparivano molto desiderate, onde sono veramente assai grato al prof. Zambonini, che, avendo avuto dall'ing. prof. G. Lincio (') una piccola porzione del campione originale sul quale fu fondata la specie, campione rinvenuto nella raccolta del compianto prof Lovisato, volle affidarmi l’incarico di controllare la natura di questo minerale. La Rosasite si presentava, come era stata descritta, o sotto forma di una sottile venuzza lievemente mammillonare, ovvero di piccoli bitorzoletti, sopra una roccia ricoperta di limonite e formata da una massa argillosa, e possedeva struttura fibroso-raggiata, con splendore sericeo e colore verde- chiaro nella frattura fresca, ed un colore lievemente più cupo alla superficie. Circa un grammo di sostanza, sotto forma di piccoli frammentini, potei isolare dalla roccia, e con essi, dopo essermi scrupolosamente assicurato della loro purezza, osservandoli al microscopio, determinai dapprima, col metodo della boccetta, il peso specifico, che trovai eguale a 4,09, valore questo, so- stanzialmente uguale a quello ottenuto precedentemente (4,07) e che quindi mi assicurava dell'identità del minerale. La sostanza che, ridotta in polvere, aveva un colore verde-azzurrino, venne. quindi, posta entro una navicella in un fornelletto elettrico, e calci- nata in corrente di aria secca e priva di CO., onde potere direttamente, per pesata, determinare l’eventuale acqua e l'anidride carbonica. Il residuo della calcinazione venne sciolto in acido nitrico e portato a secco per inso- lubilizzare l'eventuale silice, e filtrato onde eliminare tutti i residui inso- lubili, nel filtrato vennero, per via elettrolitica, determinati il rame ed il piombo, il primo come Cu ed il secondo come PbO,. Nel liquido restante venne, dopo opportuni concentrazione, separato il ferro dallo zinco mediante duplice precipitazione con idrato ammonico e poi, essendosi ottenuto un lieve precipitato rosso-cristallino col reattivo di Cugaev, venne determinato il ni- chelio, pesandolo come sale di nichel della dimetilglionima. (1) Compio volentieri il gradito dovere di ringraziare pubblicamente il prof. inge- gnere Lincio per la cortesia con la quale ha soddisfatto il mio desiderio di far studiare nuovamente la Rosasite, ponendo a mia disposizione un materiale raro e prezioso. F. ZAMBONINI. — 121 — La separazione del magnesio dallo zinco venne eseguito, secondo quanto consiglia Vogt (!), precipitando il primo come fosfato ammonico-magnesiaco in soluzione fortemente ammoniacale, ed il secondo come fosfato zinco- ammonico, semplicemente scacciando l’ NH; per concentrazione delle acque madri, e pesandolo, poi, come pirofosfato. Nè nichelio, nè magnesio erano stati osservati dal Rimatori. I risultati analitici ottenuti furono i seguenti: EROI Ato nea 8,58 1,038 1,033 1,04 COTE ea 20,18 1,000 1.000 1,090 CO stereo eo. 41,58 1,159 1,139 | VINO i e 28,96 0,776 Î 1,93 PON N A 0,28 ‘0,002 Li 6 O AA E I VE Moe da cop 0011 Hes0 gh, 0,31 Fesiduore nea 0,18 100,27 Da questi dati, e riunendo insieme i valori molecolari degli ossidi, si deducono i seguenti rapporti : H.,0:C0,:R"O0=1,04:1:1,93 corrispondenti esattamente ad un composto del tipo: R" CO; . R'(0H), (R"= Cu, Zn) quale noi abbiamo nella malachite. - Si noti, poi, che per il ferro si ammise, non essendosi potuto determi- nare se questo esisteva totalmente o parzialmente allo stato ferrico, che esso esistesse allo stato trivalente, e provenisse, come impurezza, dalla limonite che accompagna il minerale, mentre, se esso fosse allo stato bivalente, il rapporto per quanto si riferisce agli ossidi verrebbe ancora, se anche di poco, a migliorare. Se, ora, osserviamo i risultati dell'analisi, noi troviamo che i dubbi che venivano avanzati sulla composizione chimica della Rosasite, erano perfetta- mente giustificati, in quanto che la quantità di acqua in essa contenuta è assai maggiore di quella rinvenuta da Rimatori (appena il 0,21%), salendo alla cospicua cifra di 8,58%, il che cambia completamente la natura del minerale. E si può anche aggiungere che sia per ZnO, che per CuO frai valori miei e quelli di Rimatori si ha una differenza di oltre il 5%. (') Treadwell, Trattato di chimica-analitica, vol. II, pag. 123. Traduz. di A. Miolati. Zoologia. — Contributi alla Storia naturale degli Anofeli e alla lotta biologica contro di essi (Campagna antimalarica di Fiu- micino [Roma] diretta dal prof. B. Grassi - Annata III). Nota di E. Bora, presentata dal Socio B. Grassi (*). 1° SPOSTAMENTI DEGLI A. CLAVIGER NELLE VARIE ORE DEL GIORNO. A — Osservazioni. Stalla dello Stabilimento idrovoro di Maccarese (agosto 1920). | ANOFELI CR 3; LA î S a È | 4 | S | CONDIZIONI I 29 cattura 18,45] chiusura e cattura | 15 | 4| 11 20,40 riapertura ul BL) cattura |143 | e 9 III 18,15| chiusura e cattura | 35 id. 4| 4,15 riapertura DM 8,45 cattura | 138 |31|107 | 3 con molto sangue e uova piccole, Vo 18,15| chiusura e cattura 199) net 1 con uova grosse, 103 vuote. VI 20,40 riapertura 5 | 3,45| chiusura e cattura 6 6 | tutte con molto sangue e uova pic- 6,30 riapertura cole. Mati 8,45 cattura AI 3 | 2 con molto sangue e uova piccole, VIII 18,15| chiusura e cattura 0 1 vuota. È 21,40 riapertura 15 6| 3,45) chiusura e cattura | 15 15 | tutte con molto sangue e uova: pic- 6,30 riapertura cole. x 8,45 cattura 8 8 | 6 con molto sangue e uova piccole, Ters 1 con sangue e uova medie, 1 vuota. Nelle prime ore del giorno 5, si leva con abbassamento di temperatura, vento di libeccio che crescendo di forza, obbliga il giorno successivo ad interrompere le osserva- zioni, che vengon riprese il giorno: 20] 9 cattura XI 17 id. 23 | 10| 13 | 6 con molto sangue e uova piccole, I 2 con sangue mezzo digerito e | uova medie, 5 vuote. XII 21 id. 56 | e 9 | in differenti condizioni, anche con Î uova grosse. XII |21| 3 id. 35. 35 | 33 con molto sangue e uova piccole, | 2 con sangue mezzo digerito e | uova medie. XIV 8 id. 86 9 e S| tutti con molto sangue e uova pic- cole, (1) Presentata nella seduta del ? novombre 1920, BEN NR ER FRA GIACOMO III ATEI ERI co — 123 — B —- Considerazioni. 1°) Gli anofeli entrarono dunque nella stalla in grande quantità al tramonto (XII) e più specialmente di buon mattino (XIV, IV e anche II, VII, X). 2°) Cessato l’arrivo in massa al crepuscolo, una certa quantità continua ad entrare durante la notte (VI, IX, XIII e anche TI). 3°) Mentre in questa stalla, in immediata vicinanza di acque ricche di larve, si raccolse durante le ore del giorno, un certo numero (con forte per- centuale di maschi) di anofeli (I, III, V, XI), minore fu quello osservato in esperienze analoghe nello stesso mese, in stalle di Porto Nuovo, a maggior distanza da acque anofeliche, e nullo addirittura (agosto 1919) in porcili di Fiumicino ancora più lontani da focolai idrici. (Relazione Grassi e Sella sulla Campagna antimalarica di Fiumicino, 1919, pag. 218). 4°) Nelle ore della notte non sono entrati maschi, ma i nostri dati non sono sufficienti. Se il fatto si verificasse costantemente potrebbe forse met- tersi in rapporto col tempo dell’accoppiamento. 5°) È notevole il fatto (IV) che di 107 ® entrate all'alba, 103 erano vuote, 3 con molto sangue e uova piccole, 1 senza sangue e con uova grosse, mentre quelle entrate di notte (VI - IX - XIII) erano tutte piene di sangue, tranne 2 sole con sangue mezzo digerito. Conviene qui richiamare le osservazioni fatte allo stesso Stabilimento nelle ore del tramonto. Il 12-V al tramonto stando 3 persone fuori di una casetta con protezione meccanica, furono assalite da 34 anofeli dalle ore 20.30 alle ore 21, in cui cessò l’arrivo. Guardando col lume sulla parete bianca della casa, se ne trovò circa una ventina che si erano posati senza aver punto. Si stava dentro una stanza protetta da retina alla finestra, ma con la porta aperta. Presso a poco la stessa cosa si verificò il giorno dopo allo stagno (Casa Giocondo). Si era in 4 (tra essi il prof. Grassi). Si concluse che di molti che vengono a pungere in un ambiente dove ci sono persone, solo una parte minore punge immediatamente, gli altri quasi aspettando miglior tempo per pungere. Sembra che quelle vuote che si spostano non siano tutte egual- mente affamate, o evitino di pungere gente che non sia immobile. Il 6-VI si ripeterono queste osservazioni a nord di M. Arena, presso l'estremità del fosso Coccia di Morto, in un porcile di cannuccie con 30 maiali, aperto da un lato e nel resto chiuso male, dove il mattino precedente fra le cannuccie si era veduta una grandissima quantità di anofeli, così tanti che facendoli muovere si udiva un forte ronzio. Alla sera stando in tre in- dividui (tra essi il prof. Grassi) nel porcile seduti a terra, si osserva che ne entrano e ne escono molti. Pochi vengono a pungere; non pochi entrano dall'alto e vanno direttamente a posarsi sulle cannuccie; anche di quelli che RENDICONTI. 1921, Vol. XXX, 1° Sem. 17 — 124 — entrano dal basso, alcuni vanno a posarsi senza pungere. Di 15 per es. che sì poterono contare, 3 soli vengono a pungere. Conseguentemente degli anofeli vuoti e con uova pochissimo sviluppate, che entrano, solo una piccola parte punge immediatamente; tutti o quasi tutti gli altri pungono dopo qualche ora che sono entrati. Si accordano così tutte le osservazioni riferite in proposito. 2° — I PEscI E LE ANITRE NELLA DISTRUZIONE DELLE LARVE. Pesci. — Nel luglio c. a. nel canale Coccia di Morto all'altezza dei tubi di comunicazione col lago omonimo, per un tratto di savanella di circa metri cento, si trovarono per tutta la durata del mese sino ai primi di agosto, numerose ed in alcuni punti numerosissime larve di A. Claviger di ogni grandezza. In questo periodo di tempo e nello stesso tratto di savanella, si pescavano pure numerosissimi « nonni » (Ciprinodon calaritanus), anche in misura di 6, 7 per pescata con una piccola bacinella. In progresso di tempo, nella prima quindicina di agosto, mutarono le condizioni dell'ambiente, scomparvero i pesci e si fecero scarse le larve. Anitre. - Per la durata di circa un mese (6-IX-9-X) vennero tenute per nove ore al giorno, diciotto anitre, in un tratto di 250 metri del canale Coccia di Morto, largo metri 5, in condizioni normali, cioè da molto tempo non diserbato, nè altrimenti alterato. Un tratto vicino dello stesso canale di ugual lunghezza ed in analoghe condizioni, anche per quantità di larve, servì di controllo. Osservazioni accurate ogni 5 o 6 giorni, non fecero mai rilevare qual- siasi differenza nel numero delle larve di A. claviger (sempre numerosissime e d'ogni misura), tra l’uno e l’altro tratto, nè diversa proporzione tra piccole e grandi, neppure nei punti, dove moltissime penne sparse, facevan presu- mere le anitre maggiormente si fossero trattenute a diguazzare. Una volta sola, dopo circa venti giorni, parve di notare nel tratto delle anitre, una differenza in meno nel numero delle larve grandi. Ma da più accurati esami, fatti qualche giorno appresso ed alla fine dell'esperimento, tale presunta differenza, dovuta probabilmente ad insufficienza di pescate, risultò inesistente. Il 12-X poi, in un mastello pieno d'acqua del diametro d'un metro approfondato a livello del terreno e circondato di rete metallica, si immisero con un po' di Myriophyllum, più di 350 larve di A. claviger, di ogni grandezza e numerose ninfe, e constatato che quello stava alla superficie e queste erano in buone condizioni, vi si tennero, per più di un'ora, due anitre, tenute a digiuno dalla sera innanzi. Durante questo tempo, passato dalle anitre per lo più sull’acqua per la ristrettezza che appositamente s'era data al margine di terreno tra i bordi del mastello e la rete di chiusura, si osservò che beccavano alla superficie dell'acqua, parve anzi una volta che beccassero precisamente le larve. a Ammazzatele quindi subito e apertele, non si trovarono traccie di larve, nè nella bocca, nè nell’esofago, nè nell’ingluvie, nè nello stomaco. Nell’ingluvie vi era. specialmente in una, un po’ di granoturco in parte spezzettato, frammenti di Myriophyllum e qualche lumaca; nell'altra anche una spoglia di un dittero e un emittero, nessuna traccia di larve. Nel ven- triglio un po’ di granoturco e nessun altro nutrimento. Nel mastello l'erba tutta spezzettata era in gran parte andata a fondo e più non sussisteva che uno scarso numero di larve piccole. Evidentemente col diguazzare delle anitre per oltre un'ora, in una superficie relativamente così ristretta, le larve grosse e le ninfe erano morte, senza che fossero inghiottite. Pur troppo i fatti qui riferiti non depongono in favore dell'efficacia di quella lotta biologica contro gli anofeli, sia a mezzo dei pesci, sia a mezzo delle anitre, della quale si è tanto parlato negli ultimi anni. Fisica. — L'audizione biauricolare dei suoni puri. Nota del prof. A. Lo Surbo, presentata dal Socio sen. VOLTERRA (*). Una prova sperimentale che la percezione della direzione di provenienza dei suoni di frequenza bassa e dei rumori è dovuta alla differenza di tempo colla quale i movimenti vibratori arrivano agli orecchi (?), si può dare facil- mente mediante l’apparecchio per l'interferenza dei suoni. La sorgente sonora si colloca davanti l'imboccatura del tubo A (fig. 1) dal quale partono le due vie S e D; a queste si attaccano i due tubi di gomma F e G che portano separatamente il suono ai due orecchi. In questo apparecchio generalmente uno dei due tubi, S, è di lunghezza invariabile, mentre l'altro, D, si può allungare. Per la nostra esperienza occorre però poter fare più lungo ora l'uno ora l’altro dei due cammini, e perciò è bene che il tubo F sia alquanto più lungo dell’altro tubo G, cosicchè l’eguaglianza dei cammini si ha quando il tubo D è opportunamente allungato. Colleghiamo la via S coll’orecchio sinistro e la D col destro (*). Quando i due cammini che il suono deve percorrere per giungere ai due orecchi sono eguali noi abbiamo la sensazione che la sorgente si trovi perfettamente di fronte o alle spalle. In queste condizioni noi non abbiamo alcun elemento per decidere delle due posizioni. (1) Presentata nella seduta del 5 dicembre 1920. (2) Lord Rayleigh, On our Perception of Sound Direction. Phil. Mag., vol. VIII, 1907, pag. 214. (*) E necessario che gli estremi dei tubi F e G siano infilati a tenuta negli orec- chi: perciò è bene far terminare i due tubi, come si vede nella figura, cogli speciali can- nelli di ebanite che si usano in alcuni apparecchi di ascoltazione per uso medico, — 126 — Se la via D è più lunga, si sente che la sorgente sta a sinistra, mentre se è più corta, si sente la sorgente alla destra. Anche in questo caso sì possono sentire due posizioni della sorgente simmetriche rispetto alla retta che passa per i due orecchi, poichè per entrambe gli orecchi, nelle condi- zioni naturali di ascoltazione, ricevono il suono collo stesso ritardo. A dire il vero, nella determinazione della posizione della sorgente noi ci aiutiamo istintivamente cogli altri sensi e anche colla memoria ; perciò, quando eseguiamo l'esperienza tenendo davanti l'apparecchio e il diapason, delle due posizioni corrispondenti a ciascuna differenza di cammino perce- piamo quasi sempre quella anteriore. Quando si ascolta ad orecchi liberi, cioè nelle condizioni naturali, si elimina istintivamente questa incertezza ruotando la testa: allora si sente spostarsi la sorgente verso l'orecchio per il quale il cammino va diventando minore e si percepisce la sua vera posizione. Per la esperienza si può adoperare una sorgente qualunque, purchè non dia suoni acuti puri di frequenza superiore al limite oltre il quale cessa la percezione per differenza di fase (*), che è di poco superiore a 512 se- condo Lord Rayleigh (°) e circa 600 secondo Stewart (*). Ciò posto, modifichiamo l’esperienza nel seguente modo: come sorgente adoperiamo un diapason O che vibra davanti alla bocca di un risonatore R il cui tubo posteriore è infilato nell'estremo di A: così entra nell’apparec- (*) Quando i suoni sono più acuti, la percezione della posizione della sorgente è dovuta alla differenza fra le intensità ai due orecchi. (*) Lord Rayleigh, loc. cit.; Scient. Pap., vol. V, pag. 352. (3) Stewart, Phys. Rev., IX, 1917, pag. 502, — 127 — chio un suono puro. E stabiliamo inizialmente la differenza di cammino di una intera lunghezza d'onda 4, per esempio allungando opportunamente la via D ('). In queste condizioni abbiamo la netta percezione che la sorgente stia di fronte, come quando i due cammini sono eguali. E difatti noi non abbiamo la possibilità di riconoscere, se il suono non è molto smorzato, una vibrazione dalla successiva, ed è quindi come se i due cammini fos- ‘sero uguali. Questa seconda esperienza elimina la obiezione che può essere fatta alla prima, e cioè che non si possa escludere l'effetto della intensità poichè allungando il cammino, oltre a produrre un ritardo, si produce insieme un indebolimento del suono. i Partiamo ora dalla differenza di cammino di una intera lunghezza d'onda Z, ottenuta per esempio con una maggiore lunghezza del tubo di destra D. Se allunghiamo ulteriormente il tubo D, allora sentiamo che la sorgente dalla posizione frontale si sposta verso l'orecchio sinistro e, se accor- ciamo, sentiamo invece che la sorgente si sposta verso l'orecchio destro, nono- stante che in queste condizioni il cammino di destra sia notevolmente più lungo di quello. di sinistra, e quindi l'intensità minore. Il risultato è a tutta prima sorprendente; poichè se il suono è puro, ai due orecchi arrivano due treni d'onda dello stesso periodo e della stessa ampiezza, nei quali nulla ci permette di distinguere una vibrazione dalle successive: quindi non dovremmo essere in grado di giudicare, quando i suoni, come ora, non arrivano più in fase, se la differenza è dovuta ad un minor cammino / da una parte o ad un maggior cammino 4 —/ dalla stessa parte. La percezione della direzione di provenienza dei suoni è l’effetto di una educazione che noi acquistiamo istintivamente da bambini mettendo in relazione la posizione della sorgente sonora quale la vediamo, o la ricono- sciamo altrimenti, con la corrispondente sensazione biauricolare. Ebbene, noi manchiamo assolutamente di questa educazione per differenze di tempo su- periori a quella massima che si può produrre nelle condizioni naturali, cioè quella che si ha quando la sorgente sta di fronte ad un orecchio. Ciò posto, noi possiamo spiegarci il risultato dell'ultima esperienza. Le due differenze di cammino / e 4 — / non possono essere entrambe inferiori alla distanza acustica fra i due orecchi, poichè la percezione biauricolare si ha per lunghezze d’onda maggiori del doppio di quella distanza: quindi noi giudichiamo istintivamente e senza esitazione in relazione alla differenza di tempo alla quale nell’aria libera corrisponderebbe una reale posizione della sorgente, cioè quella dovuta alla minore delle due differenze di cammino, (') Se l'apparecchio non consente un allungamento 4, questa differenza di cammino sì può ottenere sostituendo il tubo G con un altro opportunamente più lungo del tubo F. — 128 — che è Z. E se noi aumentiamo / in modo da superare la distanza biaurico- EE SAI i ; lare che è minore di 9° ei confondiamo facilmente. La stessa origine ha probabilmente il fatto che per i suoni molto acuti la percezione della provenienza del suono non è più dovuta alla differenza di fase. Difatti, per frequenze alquanto superiori al limite di quelle colle quali si ha la percezione per differenza di fase, la differenza di cammino tra i due orecchi nell’aria supera la mezza lunghezza d'onda e quindi ad ogni differenza di fase non corrisponde più una sola posizione della sorgente. E per questi suoni evidentemente noi non possiamo formarci l'educazione accennata. È prevedibile che il limite superiore delle frequenze che danno l'effetto di fase non sia lo stesso per tutti gli individui, e sarebbe interessante ve- dere se negli animali, per i quali è lecito supporre un effetto di fase, questo limite sia più alto quando la distanza auricolare è minore di quella dell’uomo. CONCORSI A PREMI Elenco dei lavori presentati ai concorsi ai premi del Ministero della Publica Istruzione per le Scienze fisiche e chimiche. (Scadenza 81 dicembre 1920. — Due premi di L. 2000 ciascuno). 1. BernINI Arciero. 1) « Nozioni sui sistemi ottici dei congegni di puntamento » (st). — 2) « Istruzione per goniometristi » (st.). — 3) « Sui telemetri a larga base » (st.). — 4) «Istruzione sul servizio d’ascoltazione per la difesa aerea ». I, II, III parte (st.). — 5) « Norme per la postazione di batterie contro aerei e dei mezzi ausiliari per la difesa aerea » (st... — 6) « Su di un dispositivo acustico per riconoscimento di velivoli e per telegrafia acustica fra aerei e la terra » (ms.). — 7) «Su di un nuovo metodo di impiego telemetro monostatico per l’inseguimento e la misura della distanza degli aerei in volo » (ms.) — 8) « Sulla parallasse del suono nel puntameuto acustico di un aereo in volo « (ms.). 2. CaLcagnI Lurer GennARO. 1) « L'industria del vetro e le sue condizioni in Italia » (st.). — 2) « Azione del calore sull’acido ossalico e gli ossalati » (st.). — 3) « I com- bustibili » (st.). — 8) « Solubilità del solfo negli alcali caustici a freddo » (bozze di stampa). — 5) « Lezioni di chimica-fisica applicata » (ms.). — 6) « Trattato di chimica generale e inorganica » (st.). 3. Coprpaporo AnceLO. 1) Sulla determinazione dell’acido tartarico per via polari» metrica » (st.) — 2) « Gli scisti bituminosi della Valle di Non nel Trentino » (ms.). — 3) « L'industria chimica italiana alla prima Fiera di campioni » (st.). — 4) « Confe- renza dell'Unione Internazionale di Chimica pura ed applicata » (st.). 4. Cresrani GiusepPE. 1) « Meteorologia aeronautica » (st.). — 2) « Questione di altimetria barometrica » (st.). — 3) « Le cappe» (st.), — 4) « Dell’osservazione delle nubi » (st.). — 5) « Le nubi temporalesche » (st.). — 6) « Della definizione e segnala- zione di ‘temporale’ » (st... — 7) « Il vento su terreni montuosi » (st... — 8) « Per la SEI prèvisione del vento » (st... — 9) « Le variazioni del vento » (st.). — 10) « Dell’inter- polazione e dell’estrapolazione nell’elaborazione statistica della velocità del vento alle varie quote » (st.). — 11) « Dell’estrapolazione lungo la verticale delle frequenze del vento » (st.). — 12) « Sui limiti dell'altezza dell’esplorazione dell'atmosfera col palloncino pilota » (st.). — 13) « Le condizioni atmosferiche predominanti nelle regioni attraversate col raid Roma-Tokio » (st.). — 14) « Temporali e groppi in Italia » {st.). — 15) « Della nomen- clatura e classificazione delle nubi » (ms.). — 16) Sulla fronte del groppo » (ms.). 5. Drago Ernesto. 1) « Nuove ricerche sulla depolarizzazione della luce (st.). — 2) «In memoria di Giovan Pietro Grimaldi » (st.). — 3) « Osservazioni sulla depolariz- zazione della luce » (st.). — 4) « Sull’attrito interno del cobalto in campo magnetico variabile » (st... — 5) « Sull’attrito interno del ferro-nichel nel campo magnetico » (st.). — 6) « Influenza del campo magnetico sull’attrito interno del cobalto nel periodo d’accomo- dazione » (st... — 7) « Un'esperienza da lezione sulla tensione elettrostatica » (st.). — 8) « Azione delle onde elettriche sull’isteresi dielettrica (ms.). 6. PerRRUccA ELIGio. 1) « Nuove osservazioni e misure in cristalli otticamente attivi (Na C10a)» (st.). — 2) « Sul modo di ottenere un ‘ quarto d’onda’ acromatico. Due sferometri sensibilissimi » (st... — 3) « Sur les ondes latéralement indéfinies, à vibrations pendulaires, que les réflexions associent à un ou deux systèmes analogues donnés d’ondes incidentes » (st... — 4) « Sulla elettrizzazione del mercurio detta per strofinio. 1» (st.). — 5) « Id. Id. II-III » (ms.), — 6) « Sulle differenze di potenziale al contatto » (ms.). 7. SaLvaporI RoBeERTO. 1) « La lignite di S. Gemignano e la sua utilizzazione in Cok e Gas combustibili » (st.). — 2) « Il ‘fattore a’ come termine di classificazione delle ligniti » (st.), — 8) « L’ittiolo Petri di Sassoferrato » (st.), — 4) « Atomi e nuclei ato- mici » (ms.). 8. STEFANINI ANNIBALE. 1) « Sui mezzi atti a svelare le simulazioni di sordità » (st.) — 2) « Sui movimenti degli occhi per stimoli acustici » (st.). — 8) « Sul potere riso- lutivo dell’orecchio » (st.). — 4) « Sul modo di eseguire la prova di Rinne » (bozze di st.). — 5) « Modo di usare un solo diapason per la ricerca della simulazione di sordità unilate- rale » (bozze di st.). — 6) « Sulla percezione dei rumori » (bozze di st.). — 7) « Sulla percezione della direzione del suono » (ms.). — 8) « Dinamo a nucleo fisso o rotante per disposizioni didattiche » (ms.). — 9) « Rotazione di un polo magnetico attraverso un circuito chiuso » (ms.). — 10) « Sulla induzione unipolare » (ms.). 9. TaLamo Francesco Lurei. 1) « Un semplice apparecchio da lezione per la caduta dei gravi » (st.). — 2) « Per l’insegnamento della Cosmografia » (st.). — 3) « Le defor- mazioni scolastiche d’una scienza » (st.). 10. TenanIi Mario. 1) « Una questione fondamentale di navigazione aerea: relazione tra l’angolo di deriva e l'angolo di pilotaggio ». (st.). — 2) « Meteorology in relation to aeronautics ». (st... — 3) « Calcolo della densità dell’aria alle varie altezze fino a 10.000 metri, in base alle osservazioni italiane » (st.). — 4) « Sul collaudo e sul confronto degli apparecchi aerei: riduzione delle prove alle condizioni atmosferiche normali ». (st.). — 5) « Studio sull’indicatore di velocità ». (st.). — 6) « Correzioni ai tiri delle artiglierie relative alla densità dell’aria e al vento n (st.). — 7) « Lezioni elementari di aerologia ». (ms.). — 8) « Sulla preparazione dei grandi voli. (Abaco pei calcoli) ». (st.). — 9) « Sulla determinazione delle proprietà di un apparecchio aereo durante il volo, in funzione della densità attuale dell’aria ». (st... — 10) « Intorno all’opportunità di convenzioni interna- zionali per la definizione delle quote ». (st.), — 11) « Nuove tabelle per la determinazione delle altezze per mezzo del barometro ». (Litografate). — 12) « Ricerche sulla oscillazione diurna della velocità del vento a diverse altezze sul suolo ». (st.). — 183) « Traduzione — 130 — italiana delle: Note elementari sui minimi quadrati, sulle teorie della statistica e della correlazione per la meteorologia e per l'agricoltura ». (st.). — 14) « Abaco per la ridu- zione delle misure inglesi in misure metriche e viceversa ». (st.). — 15) « Sua lazza: zione del vento come forza motrice ». [In corso di stampa] (ms.). Elenco dei concorrenti alla fondazione « Carpi» per il 1919-1920. (Promio L. 900). Carano EnrIco. « Nuove ricerche sulla embriologia delle Asteraceae» (ms.). GG. tia Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III.:(1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2* MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 8 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Nol IV. ov. VIE OVII: VII Serie 3* — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturak. Vol. I-XXX. (1892-1921). Fasc. 3°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXIX. (1862-1920). Fasc. 7°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, fasc. 50. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 5. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta l’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ULRICO HoePLi. — Milano, Pisa e Napoli. P. MagLIonE & €. STRINI (successori di E. Loescher & C.) — Roma. RENDICONTI — Febbraio 1921. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Rendiconto del 20 febbraio 1921. MERMORIKR KR NOTE DI SOCI © Castelnuovo. Sulle funzioni abeliane. II: La geometria sulle varietà abeliane . . . . . Pag. 99 De Stefani. Silicospongie fossili della Liguria occidentale . . ...... +...» 108 Issel. Cenni di un ordinamento sistematico delle Stimate geologiche . ..... » 106 MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Tonelli. Su due proposizioni di J. W. Lindeberg e E. E. Levi, nel Calcolo delle varia- zioni (pres. dal Socio PANCRERIO) E AR ri » 110 Lazzarino. Sulla variazione dell'energia cinetica di un cei semi- Lenno iuitante sane ad un punto fisso quando sia nullo il momento rispetto a questo punto delle forze esterne (pres. dal Corrisp. Marcolongo) . . .. . . . io ARR DARAI, Pascal M. Circuitazione superficiale. II: sun espressione CND) e A generali analoghi a quelli sulla ordinaria circuitazione (pres. Id.) | ./././././......» 117 Perrier. Sulla vera natura della Rosasite (pres. dal Socio Artimî) |... ...... 0.» 119 Bora. Contributi alla Storia naturale degli Anofeli e alla lotta biologica contro di essi (pres. dal Socio B. Grassi) . . . ... È o DR e I LI Lo Surdo. L'audizione biauricolare dei suoni puri (pres dal Socio Voltehra) : n a no CONCORSI A PREMI Castelnuovo (Segretario). Comunica gli elenchi dei concorrenti ai premi del Ministero della Pubblica Istruzione per le Scienze fisiche e chimiche, per il 1920, e alla Fon - dazione Carpys per ill 9191920: A A SNO KE. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile. O CARZIONI REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI ANNO CCCXVIII. 1921 SEE UU REINTIE A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XX X.° — Fascicolo 5° Seduta del 6 marzo 1921. 1° SEMESTRE. ROMA TIP. ‘DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Aempiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Bodici fascicoli compongono un volume; - due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci a Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioui verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne ‘sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- miesione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far. conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - 6) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cederite, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto.” î 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più - che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANN nn Seduta del 6 marzo 1921. V. VoLTERRA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Meccanica. — Sull’energia disponibile del vento. Nota del Cor- rispondente Col. G. ArTURO CRocco. i ‘ La mancanza di un vasto e metodico tentativo per utilizzare l'energia del vento si deve indubbiamente alla incostanza di questa forza naturale. Se esaminiamo infatti le velocità del vento in una data regione troviamo per esempio che per una media annua di 25 km. all'ora la intensità del vento passa frequontemente a bufere di 80 km. all’ora e ricade ancor più frequentemente in calme piatte. Sono le piene e le magre del vento, con cicli annuali, mensili, diurni: normalmente irregolari. Il rapporto delle energie + è ancor più elevato poichè le energie variano coi cubi della intensità onde nel citato esempio risulterebhe nei giorni di vento forte una energia pari a venticinque o trenta volte la media. Il che, se eleva da un lato la media annua efficace, cioè la radice cubica della media dei cubi, impone d’altra parte a chi voglia utilizzarla la predisposizione di apparecchi utilizzatori di capa- cità di gran lunga superiore a quelli occorrenti per la media energia annua. È quanto avviene — in proporzioni minori — nella utilizzazione del- l’energia idraulica; colla differenza tuttavia che, non essendo possibile accu- mulare immediatamente il vento, come si fa coll’acqua esuberante nei ba- cinì di compensazione, bisogna ricorrere nel caso dell'energia atmosferica all’accumulazione mediata, cioè di un prodotto di trasformazione: e questa accumulazione, elettrica o meccanica, si è presentata sino ad oggi troppo costosa per competere con altre sorgenti di energia nel campo industriale. RenpIcoNTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 17 — 132 — Ora recenti ricerche sul pratico uso di accumulatori termici lasciano pensare che le cose possano spostarsi in vantaggio dell'energia atmosferica, se si tiene soprattutto di mira una sua finale utilizzazione sotto forma di calore (1). Si son potute nel fatto fabbricare sostanze accumulatrici capaci di assor- bire integralmente e restituire con alto rendimento oltre eento calorie per chilogrammo, col vantaggio pratico di un costo non eccessivo. Queste so- stanze che assorbirebbero perciò cinque volte circa l'energia che è capace di assorbire a parità di peso una comune lastra di accumulatore elettrico. con un costo unitario circa dieci volte minore di quello del piombo, porte- rebbero il costo dell'accumulazione termica a cifre già comparabili a quelle dell'accumulazione idraulica: e lascerebbero preconizzare — col progresso della tecnica — la possibilità economica di tale accumulazione, purchè ri- peto l’energia così disponibile venga poi principalmente utilizzata sotto forma calorifica. È del resto il problema del giorno: e poichè alcune sostanze sinora sperimentate sembrano consentire anche l'accumulazione ad elevate tempe- rature si prevede nel fatto possibile di utilizzare il calore in varie appli- cazioni per le quali oggi si deve ricorrere al carbone. Accanto al carbone bianco degli idraulici si potrebbe quindi avere il carbone trasparente, rica- vato dall'atmosfera. Trovato comunque il modo di accumulare in serbatoi di calore (sia meccanicamente che elettricamente) l'energia esuberante delle giornate ven- tose per utilizzarla nelle giornate di calma, assume interesse il conoscere l’entità dell'energia totale ricavabile dal vento in una data regione: per poter procedere, sia pure da un punto di vista ideale, a una specie di cen- simento valutativo dell'energia disponibile nel nostro paese. A questo scopo è infatti da osservare come la configurazione monta- gnosa del nostro suolo si presti a disciplinare i venti sotto direzioni preva- lenti in determinate località le quali si presentano ai movimenti della massa atmosferica sia come dighe sia come canali. Le prime costituendo alla cor- rente aerea sezioni ristrette, ne accrescono l' intensità, raccogliendo soprat- tutto i venti elevati; le altre, offrendo vie di minor resistenza, ricevono e indirizzano lungo valli o gole i venti di determinati quadranti. Esistono per- tanto, e in Italia specialmente, numerose località nelle quali la media effi- cace annua del vento si mantiene elevata e nelle quali il vento si presenta come una vasta corrente d’aria di dimensioni abbastanza determinabili. Premesso ciò immaginiamo di trovarci in una regione ideale ove il suolo sia ovunque accessibile e che venga battuta in una determinata dire- (1) Cfr. Durando, L'accumulazione termica dell'energia. L° Elettrotecnica del 15 feb- braio 1921. — 133 — zione da un vento dominante del quale si conoscano i limiti laterali, per esempio i fianchi di due catene di monti, e l’altezza approssimativa sino alla quale la velocità si mantiene all'incirca costante. Per utilizzare l'energia di una simile corrente atmosferica bisogna evidentemente raccoglierla in utilizzatori multipli la cui ubicazione si estenda quanto più è possibile sia in larghezza sia in altezza: e sorge spontaneo il concetto di connettere opportunamente tra loro questi utilizzatori istallandoli su una costruzione reticolare che costituisca nel suo insieme una specie di sbarramento alla corrente dell'aria sopra individuata. Da un punto di vista ideale un simile sbarramento potrebbe occupare in larghezza tutta l'estensione della corrente aerea; e, pur limitandosi forzosamente in altezza a venti o trenta metri, potrebbe raccogliere già notevoli quantità di energia, sufficienti ad imprese industriali. Una semplice osservazione consente però di andare oltre in questo con- cetto. È nozione comune che il vento si ricostituisce dietro gli ostacoli, a spese della quantità di moto ambiente. Nel caso di un disco alla distanza di otto diametri sottovento la velocità della corrente ha già superato i nove decimi di quella ambiente. Nel caso che ci interessa il suolo preclude all'aria una via, aumentando la distanza necessaria alla ricostituzione. ma d'altra parte l'ostacolo in que- stione non assorbe che una frazione dell'energia, e quindi consente distanze praticamente minori. Cosicchè riterremo che sì possa utilmente impiantare a distanze non eccessive un secondo sbarramento dietro il primo; e così un terzo ed un quarto, moltiplicando in Serie, sin che il rendimento lo con- senta, i gruppi di utilizzatori del vento e costituendo una specie di bacino atmosferico capace di raccogliere ingenti quantità di energia. Vi è natural- mente un limite teorico: proveniente dal fatto che nel caso in questione la ricostituzione del vento dietro i varî sbarramenti avviene a spese della corrente superiore; e l'energia massima utilizzabile è precisamente quella che si ottiene valutando la forza viva di tutta la massa aerea in azione, sia in larghezza che in altezza; ma da questo limite siamo purtroppo lontani. Il ragionamento precedente mette però in luce che una frazione dell'energia delle zone superiori, che sembra a primo esame inaccessibile, può venire raccolta — da un punto di vista teorico — con costruzioni di limitata altezza sul suolo: e ci insegna un modo semplice di valutare l'energia del venio, complessivamente disponibile in una data regione. Qual sia la frazione praticamente utilizzabile di questa energia non ci è ancora consentito di preconizzare con cifre; onde ci proponiamo di appro- fondire l'indagine sui termini aerodinamici ed aerologici della questione. Neanco è lecito pensare ad una utilizzazione intensiva che non potrebbe rimanere senza ripercussione sulla intensità stessa del vento e sulle sue cause. — 134 — E però agevole riconoscere — malgrado tante restrizioni — l'impor- tanza dell'energia che annualmente circola e si disperde per la nostra atmo- sfera: e l'opportunità di rivolgere anche nel nostro paese l’attenzione degli studiosi e dei pratici verso uno sfruttamento razionale e metodico — in. determinate favorevoli località — di questa permanente ricchezza naturale. MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sul potenziale di doppio strato superficiale (*). Nota di M. PIcoNE, presentata dal Socio T. Levi-CIvita (©). SSR RN nelle esposizioni che ho potuto leggere della teoria del potenziale, quando addirittura non la si ometta, non si dà, d’ordinario, un adeguato rilievo alla dimostrazione che 7 potenziale di doppio strato super ficiale i cos(7. n) d a) WE= fattu, ha sempre un valore determinato e finito anche quando il punto poten- siato P sta sulla superficie potenziante S. Taluni autori dànno di ciò un’affrettata dimostrazione, nella quale però è tacitamente supposto, in più della regolarità della superficie S, che se t= (4,9) IO) sono le equazioni parametriche della superficie, le funzioni 2(w, ©), y(w, 0), z(u,v) devono possedere le derivate parziali del secondo ordine limitate in un conveniente intorno di ogni punto di S. Un’esauriente dimostrazione, in tale ipotesi, si può subito ricavare dall’accurata analisi che si trova svolta nelle pagine 42 e 43 della Teorica delle forze Newtoniane del Betti. Dal punto di vista dello stretto rigore analitico non sono poi accettabili quelle dimostrazioni, che si trovano in parecchi trattati di fisica-matematica, nelle quali si fa ricorso a intuitive affermazioni sull’angolo visuale relativo ad una superficie. Mi permetto di sottoporre al Suo giudizio una semplicissima dimostra- zione del fatto sopradetto, la quale è un'immediata conseguenza di un'espres- sione del potenziale di doppio strato che mi pare non sia stata notata, mentre sussiste in ipotesi molto larghe nelle quali non viene fatta menzione alcuna delle derivate seconde delle funzioni x(x,%), y(u,v), («, 0). Sup- (*) Da una lettera al prof. Levi-Civita. (3) Presentata nella seduta del 19 dicembre 1920. — 135 — pongo che, per ogni punto P dello spazio, di coordinate 4,/,c, le equa- zioni parametriche della superficie regolare S si possano porre nella forma (2) x=a+vsengcos0 ,y=d+osengsen0 , z=c+ 008 gp, ove 0,0, sono tre funzioni di P e dei parametri xe v, funzioni definite nel dominio regolare D, del piano (vw, v), base della superficie, ivi limitate, con le loro derivate parziali del primo ordine, e continue, con queste deri- vate, entro ciascuno di certi dominii regolari D,,D,,...,Dy, in numero finito v, secondo i quali risulta decomposto il dominio D. I dominii D,D,, Ds, ...,Dy dipenderanno, in generale, pur essi dal punto P. In forza delle (2), l'integrale (1) si scrive W(P)= Il il ,v) li JV EG— F° du dv, — D(P col solito significato di E,F,G. Si ha, d'altra parte, entro ciascuno dei dominii D,,D,,...,D,, cos(r, n) V EF — F° = d(y , 8) d(z.2) d(4,4) = — sen Soa — sen pg sen 0 —T— — cosg —_—— = È d(u,v) di d(u,v) 9 du, 0) d(p, 0) ano , =" 0 Sai ne segue, sia P situato o no sulla superficie $, 6) (3) W(B)= Ze] u(u,v) sen g F£LÙI 5) udv. D(P) È questa l'accennata espressione del potenziale di doppio strato, sotto la quale risulta ben evidente ch'esso ha sempre un valore determinato e finito anche quando il punto potenziato P sta sulla superficie potenziante S e la funzione u(u,v) è limitata e integrabile in D(P). _ Si faccia variare P sulla S. Si indichi con D;(P, P') il dominio comune ai dominii D;(P) e D;(P') (€ =1,2,...,v). Se, come accadrà d'ordinario entro ogni porzione di S priva di punti singolari, al tendere del punto P' di S al punto P. di S, le misure dei dominii D;(P) — D;(P, P'), D(P)— — D:(P,P') (0(=1,2,...,v) tendono a zero e se, posto u song GEL d ARR), ‘la differenza F(P,u,v) — F(P',%,v) tende uniformemente a zero in D;(P, P'), dalla (3) si deduce subito che él potenziale di doppio strato W(P) é funzione continua di P, quando si tenga il punto P sulla S ed entro ciascuna sua porzione priva di punti singolari per S , — 136 — A questa conclusione, nella ulteriore ipotesi della continuità di p, si giunge anche osservande, con Painlévé, che se W,(P) indica il limite di W(Q) quando il punto potenziato Q, mantenendosi sempre fuori di S e da una sua medesima parte, tende al punto P di S, la funzione W,(P) risulta continua sulla S, e ricordando che, entro ogni porzione di S priva di punti singolari, è sempre W(P)= Wi(P) © 2ru(P). Alle ipotesi sopradette non è certo possibile soddisfare quando il punto P varia attraversando la superficie S. Fisica. — Spettroscopio a gradinata catottrica. Nota del prof. A. Lo SuRrDo, presentata dal Corrisp. A. GARBASSO (*). Supponiamo che una gradinata come quella che costituisce lo spettro- scopio di Michelson, sia formata da lamine speculari anzichè trasparenti. Facciamo cadere sul fronte degli scalini un fascio di raggi paralleli, diretti normalmente alle lamine, e raccogliamo col cannocchiale di osservazione i raggi diffratti per riflessione. Il comportamento di questo spettroscopio a gradinata catottrica si può pre- vedere colla teoria della gradinata trasparente, opportunamente modificata. Siano s l’altezza e / lo spessore di uno scalino (fig. 1), 6 l'angolo per il quale due raggi corrispondenti di due scalini successivi, LAM e L'A'M', abbiano cammini che differiscono di mm, indicando con 4 la lunghezza d'onda e con in un numero intero. Si ha: mÀà= BA + AC=t1-tcos06—ssen@ (1) Presentata nella seduta del 5 dicembre 1920. — 137 — e supponendo @ piccolo (1) mà = 21 — s0.. Da questa relazione otteniamo la dispersione derivando e sostituendo 2 ad m il suo valore approssimato m = NE de 2t 2 Lp (2) dà As Per trovare il potere risolutivo introduciamo nella (2) il valore del- l'angolo tra il massimo principale e il primo minimo che, come risulta dalla teoria dei reticoli, è d0 = # nai dove » indica il numero totale degli scalini. Si ha: (3) Ir i dn In questa relazione 44 indica la differenza di lunghezza d'onda minima necessaria per la risoluzione. L'angolo compreso fra due spettri di ordine successivo si può ottenere differenziando la (1) rispetto ad » e ponendo dm = #1. Si ha, come nel caso della trasparenza: ubi CIO A questo angolo corrisponde una variazione di lunghezza d'onda dA, per la quale lo spettro di ordine m della radiazione 4 + 4 coincide con lo spettro di ordine m + 1 della radiazione 4. Questa differenza 44 si ottiene quindi sostituendo nella (2) a 40 il valore dato dalla (4). Si ha: (5) Frigo Anche qui il limite della risoluzione è - dell'intervallo fra due spettri suc- cessivi, ed è facile vedere che la distribuzione dell'intensità rimane la stessa. Le espressioni (2), (3), (5), trovate ora hanno la stessa forma di quelle che sì ottengono nel caso della trasparenza (*): però al posto del coefficiente 2, che compare qui a numeratore nella (2) e a denominatore nella (3) e nella (5), in quelle di Michelson c’è una funzione % di 4: du (6) i=| wa |, dove 4% indica l'indice di rifrazione. (*) Michelson, Journ: de Phys., III, S., 8, 1899, p. 305, — 138 — Per il vetro che si suole adoperare nella costruzione degli spettroscopi di Michelson, i valori di ) per le lunghezze d'onda delle radiazioni visibili differiscono poco dalla terza parte di 2. Quindi, colla gradinata catottrica: 1) la dispersione risulta quasi tre volte maggiore (1). 2) il potere risolutivo è quasi triplicato, cioè con questa gradinata si possono risolvere due righe la cui differenza di lunghezza d’onda è circa la terza parte di quella che occorre per una gradinata trasparente, delle stesse dimensioni. 3) la differenza di lunghezza d’onda compresa tra due spettri succes- sivi è circa la terza parte. Una conferma sperimentale l'ho ottenuta con un piccolo spettroscopio a gradinata costruito da Hilger di Londra, che trovasi nel Gabinetto di Fisica del R. Istituto di Studi Superiori in Firenze (?). L'ho adoperato come una gradinata riflettente accontentandomi di raccogliere la luce riflessa par- zialmente dal vetro sulle facce degli scalini. [ primi tentativi furono poco fortunati, poichè, dovendo mettermi dalla stessa parte del prisma dello spettroscopio col quale è necessario separare le radiazioni, avevo collocato la gradinata a breve distanza dal prisma ed il cannocchiale al disopra di questo, e quindi ricevevo i raggi setto un angolo troppo forte. Tale inconveniente può essere tolto disponendo fra il prisma e la gradinata una lamina semi argentata a 45° in modo da ricevere i raggi a 90° da quelli incidenti: ma io dispc. ;vo di troppa poca luce, nu causa della -debole riflessione parziale delle lamine, per diminuirla ancora con questo artitizio. Per ridurre piccolo l'angolo 9 ho collocato la gradinata a circa due metri di distanza dal prisma, ed ho messo il cannocchiale immediatamente al disopra del prisma, quasi appoggiato ad esso. Si presentavano altri in- convenienti, che non eran però tali da impedirmi di fare l'osservazione. Ho osservato una delle due righe gialle del mercurio, quella di lun- ghezza d'onda minore, 4 = 5770. Essa appariva decomposta nel modo in- dicato da Michelson (*). Con la stessa gradinata usata per trasparenza, la medesima riga appariva invece senza satelliti. E ciò conformemente al calcolo. Con uno spettroscopio a gradinata di maggiore potere risolutivo (40 la- mine da 1cm.) usato per trasparenza, la riga appariva sdoppiata come col piccolo usato per riflessione. (1) Essa ha segno opposto: con questa gradinata allontanandosi dalla normale si va verso il violetto. (*?) Esso è costituito da 12 lamine dello spessore di cm. 0,99; l’indice di rifrazione per la D ha il valore: 1,57493. Il calcolo dà i seguenti valori per la funzione: doi 0605 O 017 10/6481 (3) Michelson, Phil. Mag., 5* S., vol. 34, 1892, p. 292. Ago Io ritengo che cogli spettroscopi a gradinata costruiti con lamine di vetro a facce argentate, o con lamine metalliche o forse anche tracciando gli scalini su pezzi di metallo come si fa per i reticoli échelettes di Wood ('), si potrebbe ottenere un notevole vantaggio nelle indagini spettroscopiche, sia per l'accrescimento del potere risolutivo, sia per l'applicazione, che sembra possibile, all’ultravioletto. Il Michelson aveva pensato alla gradinata riflettente prima che alla gradinata trasparente (2): ma aveva abbandonato l’idea per la difficoltà di disporre parallele le lamine, poichè nel caso della riflessione occorre una maggiore precisione. Egli non fa cenno del vantaggio della riflessione, qui mostrato, tanto più notevole in quanto la limitazione del numero delle la- mine trasparenti rappresenta un ostacolo insormontabile all’accrescimento del potere risolutivo. L'esperienza da me fatta mostra che col perferzionarsi della tecnica nella costruzione delle gradinate si è raggiunta una precisione sufficiente per tentare la costruzione di gradinate riflettenti. L'esperienza avanti descritta venne da me eseguita nel Laboratorio di Fisica del R. Istituto di Studî Superiori in Firenze: ringrazio quindi il Direttore prof. Garbasso per l’ospitalità accordatami. Fisica terrestre. — Za Missione italiana per l'esplorazione dei mari di Levante. télazione preliminare del prof. GrovannI MA- GRINI (°). Nel 1914 si riunì a Roma, precisamente in questa sede dei Lincei, la Commissione internazionale per l'esplorazione scientifica del Mediterraneo, sorta in seguito ad una deliberazione del Congresso internazionale di geografia di Ginevra, nel 1908. La Commissione potè però iniziare il suo lavoro solo dopo cessata la terribile guerra di questi ultimi annui, quando nel 1919, a Madrid, nella Conferenza ivi tenutasi sotto la presidenza di S. A. il principe di Monaco, benemerito mecenate dell'oceanografia, furono presi gli accordi definitivi fra i diversi paesi rivieraschi e gettate le basi del necessario lavoro internazionale. All’Italia, che al suo attivo aveva la poderosa organizzazione del Comitato talassografico, invidiataci dagli stranieri, fu affidato il còmpito importantissimo (*) Wood, Phil. Mag., 20, 1910, p. 775 In questi reticoli con uno speciale traccia- mento a denti di sega si riesce a concentrare la luce in un gruppo di spettri al di fuori dell'immagine centrale. (2) Journ. de Phys., III S., 8, 1899, p. 305. (*) Lettura fatta dall’Autore, per invito del Presidente e coll’assenso della Classe. RenpiIcoNTI. 1921. Vol. XXX, 1° sem. 18 22 Ap di provvedere all’esplorazione dei mari di Levante ed in un primo periodo all'esplorazione degli Stretti di Costantinopoli e dell'Egeo fino alla linea Creta, Rodi, Sette Capi. Tale mandato fu accettato, a nome del Governo italiano, dalla nostra Delegazione, presieduta dal sen. Leonardi Cattolica. Una prima campagna fu svolta nel 1920, campagna che ho avuto l'onore di dirigere. Ad essa fu destinata la R. Nave talassografica Tremiti, allestita con cura e molto adatta allo scopo. Mi sia permessa, a nome degli studiosi, una viva parola di riconoscenza a S. E. Sechi, ministro della Marina, presi- dente del Comitato talassografico italiano, che personalmente si interessò dell'organizzazione della campagna, risolvendo ogni difficoltà col suo autore- vole intervento e col suo consiglio, come pure al direttore ed agli ufficiali dell'Istituto Idrografico della R. Marina di Genova, le cui illustri tradi- zioni sono note (e basti ricordare i nomi di Magnaghi e di Leonardi Cat- tolica) che agevolarono l’opera di preparazione e curarono con intelletto d'amore, l'allestimento della nave. i La Tremiti ha 500 tonnellate, con una potenza di circa 1000 cavalli; lunga circa 40 metri è molto docile e tiene benissimo il mare. Ciò rende possibile ricerche anche con mare agitato; generalmente difficili o impos- sibili, quando la nave sia costretta per il cattivo tempo a riparare nei porti. A bordo ha gli impianti necessarî per le ricerche idrografiche, fisiche, chimiche e biologiche. Due laboratorî, uno per la biologia ed uno per la chimica permettono lo studio immediato dei materiali raccolti. La Missione imbarcata a bordo della Tremiti era così composta: Prof. Magrini, idrografo e capo della Missione. Dott. Manuelli, chimico capo. Dott. Norsa, chimico-fisico aggiunto. Prof. Sanzo, biologo capo. Dott. Rizzo, biologo aggiunto. Sig. Bernardi, meccanico capo. Sig. Arena, pescatore capo. I lavori d’esplorazione cominciarono il 28 aprile con alcune stazioni eseguite nel Mar Nero e furono proseguiti fino al 5 novembre con le ultime stazioni eseguite in Egeo. Lo studio delle correnti del Bosforo, dei Dardanelli e delle loro variazioni fu sviluppato con cura particolare mediante osservazioni continuate nel me- desimo punto di stazione per oltre 24 ore consecutive. Tale metodo di ricerca permise di ottenere risultati concreti ed interessanti. In totale furono eseguite 124 stazioni complete e 14 stazioni di 24 ore consecutive. Parecchi giorni furono inoltre dedicati esclusivamente all’esplo- ‘ razione biologica. pe PIETER id = n — 141 — A Costantinopoli fu impiantato inoltre un Istituto collo scopo di servire di base alle ricerche da eseguirsi in mare. In tale Istituto funziona un Osser- vatorio meteorologico con carattere permanente. All'Istituto è anche affidata la sorveglianza e la manutenzione delle stazioni mareografiche da noi impiantate per lo studio del problema degli Stretti. * * x Il problema fondamentale che ci siamo proposti di studiare dal punto di vista dell’oceanografia fisica, in tale crociera, è il seguente: Quale è il regime e quali sono le cause delle correnti che si verifi- cano nel Bosforo e nei Dardanelli? : Schematicamente abbiamo considerato il sistema degli Stretti di Costan- tinopoli come costituito da due bacini terminali (Mar Nero e Mar Egeo) messi in comunicazione da un canale unico che si allarga in un bacino intermedio di espansione (Mar di Marmara). Il problema fu così posto idraulicamente. Esso sì presta anche ad una elegante trattazione teorica. Le ricerche da svolgersi furono riunite in tre gruppi: a) Ricerche fisiche e mareografiche : 6) Ricerche chimiche; c) Ricerche meteorologiche. Si è visto subito, come era da prevedersi, che il fenomeno della corrente, sia nel Bosforo che nei Dardanelli è estremamente variabile, e impossibile a studiarsi con misure ed osservazioni saltuarie. I principali fatti che fu possibile accertare in questa prima campagna sono i seguenti: Per quanto riguarda le proprietà intrinseche della massa d’acqua, du- rante l'intero periodo primavera-estate 1920 si è constatato che il minimo di temperatura (lungo la linea Mar Nero, Bosforo, Mar di Marmara, Dar- danelli) si trovava, con il valore di 8 gradi, ad una profondità variabile da 50 a 90 metri nel Mar Nero, profondità che andava diminuendo rapida- mente lungo il Bosforo per arrivare a circa 20 metri in Marmara, con un valore di 10 gradi. Al disotto di questo strato di minimo abbiamo trovato che in Mar Nero la temperatura andava lentissimamente aumentando fino al fondo, raggiungendo solo i 9 gradi o poco più; mentre lungo il Bosforo ed il Mar di Marmara la temperatura andava rapidamente aumentando fino a raggiungere i 16 gradi circa, per poi nuovamente diminuire di poco in Marmara. Lungo i Dardanelli lo strato d’acqua fredda superficiale del Mar Nero va attenuandosi fino a sparire verso la foce, dove solo in qualche giorno si trova. Normalmente già alla foce dei Dardanelli troviamo le condizioni solite dell'Egeo, con l’ordinaria stratificazione termica del Mediterraneo orientale. — 142 — Per la salsedine troviamo un andamento abbastanza concordante con quello della temperatura. La salsedine va sempre aumentando dalla super- ficie al fondo, e il valore del minimo superficiale che è di 17 grammi per mille in Mar Nero, arriva fino a 26 alla foce dei Dardanelli ed a 38 nel- l’ Egeo. i Il massimo al fondo è di 22 grammi in Mar Nero; ma già nel Bosforo lo troviamo di 35 e 36 e già di 38 nel Mar di Marmara, come nel Medi- terraneo orientale. È risultato evidente il fenomeno, del resto già noto, della circolazione di due correnti principali: una superficiale dal Mar Nero all' Egeo, una pro- fonda o controcorrente dal Mar Egeo al Mar Nero. Da un primo esame dei dati appare subito come l'influenza reciproca delle due correnti, di cui la prevalenza di una sull’altra varia continua- mente, sia molto più rapida per quanto riguarda la salsedine, che per quanto riguarda la temperatura, fatto del resto che le leggi della fisica chimica danno a prevedere. Per quanto riguarda le condizioni di movimento furono anzitutto stu- diate le variazioni del livello dell’acqua. Con tale ricerca ci proponemmo di stabilire: a) se esistono variazioni del livello legate ai fenomeni astronomici (attrazione lunisolare); 8) la natura delle variazioni del livello dovute a cause meteorologiche. Fra queste ultime furono considerate prevalentemente: la pressione atmosferica e le sue variazioni, il veuto nei suoi due elementi: velocità e direzione. y) la natura delle variazioni del livello dovute a cause idrografiche, fra le quali furono esaminati prevalentemente gli afflussi al mare delle masse d'acque fluviali, e l’evaporazione. d) le variazioni di livello dovute a movimenti ondulatori (onde sta- zionarie, ondulazioni secondarie). Furono impiantati per questa ricerca alcuni mareografi, ed i nau ottenuti furono quanto mai interessanti. La marea del Mar Nero fu ricono- sciuta ed è evidente l'onda diurna e l'onda semidiurna; all'imboccatura del Bosforo in Mar Nero l'ampiezza media è di circa 20° cm. Questo. fatto è importante perchè finora non mi risulta che la marea del Mar Nero fosse stata accertata dagli idrografi, da molti anzi è tassativamente negata. È vero bensì che la marea vi è spesso mascherata e deformata da va- riazioni di livello dovute ad altre cause. Lungo il Bosforo la marea si verifica, propagazione evidente della marea del Mar Nero. Nell’ Egeo, a Scalanova la marea, con una ampiezza media di 30 cm., mostra molto più accentuata l'onda semidiurna, in confronto della diurna; e — 143 — tale caratteristica la troviamo pure nei Dardanelli, dove la marea è molto regolare, con un'ampiezza media di 50 cm. Nel Mar di Marmara ad Antigone la marea sì verifica; ma risulta, in certo qual modo, dalla composizione delle due onde di marea propagantesi dal Mar Nero attraverso il Bosforo e dal Mar Egeo attraverso i Dardanelli. Il fenomeno vi è molto complicato, perchè è legato anche alle variazioni di livello dovute a cause meteorologiche. i Per quanto riguarda le osservazioni sul regime delle correnti nel Bosforo e nei Dardanelli, lo studio del materiale raccolto non è ancora ultimato. Occorre inoltre per arrivare a risultati concreti, raccogliere ulteriore mate- riale d'osservazione. - Alcuni fatti però possono fin d'ora essere precisati: I) l'influenza delle variazioni della pressione atmosferica è molto più notevole di quella del vento; II) esistono delle onde profonde assai caratteristiche, con periodi di- versi ma individuabili; IIl) si trovano spesso strati alternati di corrente e di controcorrente ; IV) la velocità della controcorrente è generalmente minore della velocità della corrente, ma qualche volta la supera; V) variano con continuità le profondità degli strati di separazione fra la corrente e la controcorrente, e di massima velocità sia della corrente, sia della controcorrente; VI) qualche volta la controcorrente diminuisce in velocità in modo da non essere più individuabile; VII) furono misurate velocità tanto della corrente quanto della con- trocorrente di oltre 4 miglia orarie. Mineralogia. — Sulla vera natura della Rosasite. Nota II del dott. C. PERRIER ('), presentata dal Socio E. ARTINI (°). Se si schiacciano fra due vetrini dei globuletti di Rosasite e si osservano al microscopio si nota la formazione di esili laminucce rettangolari, prove- nienti da una perfetta sfaldatura di cui non fu possibile determinare la po- sizione, non presentandosi mai questo minerale in cristalli isolati e distinti. Tali laminucce presentano un sensibile pleocroismo con le seguenti tinte: verde azzurrino chiarissimo nella direzione d’allungamento id. id. ben marcato normalmente ad essa. (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto di Mineralogia della R. Università di Torino, diretto dal prof. Zambonini. (2) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. — 144 — Esaminate a nicols incrociati e luce parallela, esse mostrano sempre estinzione rigorosamente parallela alla direzione di allungamento che è otticamente negativa: soltanto qualche raro elemento, pur possedendo sempre estinzione parallela, mostra per l'allungamento un carattere ottico opposto. In luce convergente, data la piccolezza degli elementi, non ebbi alcuna figura di interferenza. i i Dati questi caratteri, è molto probabile che il minerale cristallizzi nel sistema rombico, pur non potendo assolutamente escludere che la Rosasite sia monoclina, con sfaldatura secondo facce della zona [010]. Nelle lamine ad allungamento ottico negativo, si ha che gli indici di rifrazione, determinati col metodo della linea di Becke, hanno, per la luce del sodio, un valore di 1,71 nella direzione di allungamento ed uno >1,745 in quella ad essa normale. Contrariamente all'opinione di Lovisato, la rosasite non sì distingue dalla malachite per il peso specifico, che ha, in realtà, nei. due minerali lo stesso valore [4,09 (Perrier), 4,07 (Lovisato)]: 4,07-4,06 rispettivamente per le malachiti di Eiserfeld (Haege)(') e Phoenixville-Pensilvania (Smith) (?). Anche la differenza di durezza (4,5- Rosasite e 3,5-4- Malachite), sulla quale si basa il Lovisato, è di poco momento, data la difficoltà di- deter- minarla esattamente nella Rosasite. 1 caratteri diagnostici più sicuri per differenziare questo minerale dalla malachite, sono invece da ricercarsi nella composizione chimica, per la forte abbondanza dello zinco, e, poi, nelle proprietà ottiche (estinzione sempre parallela alla direzione di allungamento nella Rosasite-pleocroismo nettamente diverso) e, si può aggiungere, anche nell’assenza dei caratteristici geminati secondo {100} che si hanno nella malachite. Anche un altro idrocarbonato di rame e zinco esistente in natura, l’au- ricalcite potrebbe venire, con un semplice saggio qualitativo. confuso con la Rosasite, tanto più perchè nelle lamine di auricalcite a contorno rettan- golare ben definito si ha estinzione parallela alla direzione di allungamento. A differenziare la Rosasite da quest’ultimo minerale può servire già assai bene il pleocroismo che nell'auricalcite è: verde azzurrino non molto intenso normalmente alla direzione di allungamento id. id. quasi incoloro parallelamente ad esso (sicchè le direzioni di massimo assorbimento sono perpendicolari tra loro nei (1) Cfr. Doelter, Handbuch d. Mineralchemie, I, 1, pag. 159. Articolo Malachit di A. Himmelbauer. (2) Id. id. Valori più bassi, come quello di 3,9 dato da Gawalowski [ Malachit im Banat. Ausz. Zeit. f. Kryst. XLIX (1911) 308] per la malachite del Banato sono stati - ottenuti con materiale molto impuro. ; — 145 — due minerali), inoltre, rilevabile solo in individui sufficientemente spessi. Ma anche le altre proprietà ottiche sono nell’auricalcite nettamente diverse da quelle della Rosasite. Se, infatti, come osservai, si prendono dei cristallini di auricalcite e si esaminano al microscopio, si notano molto facilmente delle laminette con estinzione sensibilmente parallela, con direzione positiva di allungamento ottico, dalle quali, a nicols incrociati e luce convergente, esce, proprio nor- malmente alla faccia, la bisettrice negativa di un grande angolo degli assi ottici. Queste lamine presentano i seguenti indici di rifrazione (determinate col metodo della linea di Becke): 1,675 normalmente alla direzione di allungamento 1,745 parallelamente ” ” ” Da quanto è stato esposto precedentemente sì può concludere che la Rosasite deve essere considerata come una specie mineralogica definita, corrispondente ad un sale basico del tipo della malachite, dalla quale va, però, nettamente distinta, sia, probabilmente, per il sistema cristallino, sia per la profonda sostituzioue dello zinco col rame. Essa, infatti, può rappre- sentare o semplicemente la fase rombica del composto della malachite Cu CO: .Cu(0H)s nella quale una gran parte del rame è sostituito isomorfica- mente dallo zinco, oppure un sale doppio di idrato ramico e carbonato di zinco, con una parte di quest'ultimo sostituita isomorficamente dal rame, cioè (Zn, Cu)CO; . Cu(0H.), ammettendosi in questa seconda ipotesi, dato il colore verde corrispondente ad altri sali basici di rame, che il metallo legato all'ossidrile sia esclusivamente, o quasi, il rame. Per quest’ultima ipotesi starebbe in favore il fatto, che il rapporto degli atomi di rame a quelli dello zinco è poco diverso da 1:1. La formola indicata, secondo le idee werneriane, potrebbe, perciò, met- tersi sotto la forma | cu (05), | (Zn, Cu). La formola di struttura proposta da Tschermack e Groth per la mala- chite CO,(Cu.OH), è meno plausibile, perchè nel nostro caso diverrebbe CO,[(Cu,Zn).OH], e per un minerale contenente tanto zinco, parrebbe che il colore dovesse essere più chiaro. Una più profonda conoscenza del comportamento di questa sostanza, per ora limitata dalla scarsezza del materiale, potrebbe, forse, gettare una notevole luce sulla costituzione di molti sali basici e specialmente di quelli del rame, così frequenti in natura. — 146 — Geologia. — Sulla costituzione geologica della Cirenaica. I: Terreni eocenici. Nota di GiusePPE STEFANINI, presentata dal Socio C. De STEFANI ('). Ebbi già occasione di riassumere diffusamente la bibliografia geologica della Cirenaica (?). Coordinando quei dati coi risultati di uno studio paleon- tologico da me condotto su copiosi materiali di varie provenienze e con le notizie fornitemi da taluni dei raccoglitori, quali il cap. A. Bruzzo, il prof. O. Marinelli e il top. A. Sgrilli, posso oggi tracciare della geologia di quella regione un rapido schizzo, che in parte completa, in parte modifica le conclusioni cui era giunto il Gregory (*). Oltre che dai precedenti, i materiali esaminati furono raccolti dal cap. med. Pellegrini, dal col. Caputo e dal dott. Maugini. A tutti debbo la mia più viva riconoscenza. EKocENE INFERIORE. — Il Gregory attribuiva a questo piano due li- velli: il « pre-A pollonia Limestone », che corrisponderebbe al piano libico inferiore di Egitto, e i « calcari di Apollonia », litologicamente caratteriz- zati da abbondanti noduli di selce. Qualunque documentazione paleontologica mancava, se non sì consideri come tale la presenza di Mumm. planulata D'Orb., segnalata poi dal Prever (4) in un arnione di selce proveniente dal- l'ospedale turco di Derna. Ora il Marinelli mi avverte, che noduli e liste di selce si trovano anche nei calcari dell'Eocene medio; tattavia pare prevalgano nei livelli più bassi della serie. Per parte mia, nei calcari bianchi, compatti, basali di Apollonia (Ri- dotta Filtro; loc. anon. a 3 km. ad ovest di Marsa Susa ece.) ho riscontrato soltanto N. g/obul/us Leym., specie del Luteziano inferiore, almeno in Europa, e Plecanium niloticum Schwag., comune nel piano libico e raro nel mokat- tamico in Egitto. Ma siccome gran parte delle foraminifere eonummulitiche africane corrispondono notoriamente a tipi mesonummulitici europei, e in particolare V. globulus apparisce in Egitto nel piano libico, non sembra (*) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. (*) Cfr. Arch. bibliogr. colon. I, 1, maggio 1915, pp. 19-31; III, 3-4, febbraio 1920, pp. 81-89; IV, 1-2 (in corso di stampa), (3) Gregory J. W., Z'%e geology of Cyrenaica. Quart. Journ. Geol. Soc., 67, 1911,, (4) Prever P. L., Nummuliti ed Orbitoidi dei dint. di Dernu. Boll. Soc. geol. ital., 33, 2, 1914, pag. 261. — 147 — improbabile, che almeno la parte inferiore di questi calcari compatti selci- feri della Cirenaica, possa veramente corrispondere ai calcari con selce della parte alta dei « libysche stufe ». La questione ha interesse anche pratico, poichè, se una speranza ci può essere d'incontrare fosfati, sarà appunto alla base di questo livello, dato che in Tunisia i fosfati sono suessoniani e in Egitto maestrichtiani. Il livello suppostu eonummulitico si estende al piede della scarpata dell'altipiano intorno a Derna, presso Marsa Susa e probabilmente in quasi tutta la zona strettamente litorale; nonchè (Gregory) nella regione a nord- ovest di Merg e di Silene. EocENE MEDIO. — Sull'esistenza di questo piano in Cirenaica tutti sono concordi. Ritengo che esso cominci con una breccia di trasgressione, che il Gregory avrebbe osservata ad Apollonia, appunto al sommo dei calcari con selce, e a Smuta. Io vi ascrivo un conglomerato compatto con ciottoli neri e cemento roseo, calcareo, di Derna ed un conglomerato con ciottoli di cal- care grigio, di Marsa Susa. Nei ciottoli di ambedue ho osservato NM. glodulus: essi sono dunque più recenti del calcare compatto già descritto come eonum- mulitico, che contiene la stessa specie in giacimento primario. La formazione dell'Eocene medio è però essenzialmente costituita di calcari teneri bianchi 0 crema, e corrisponde ai « calcari di Derna » del (G. Il Chapman e il Prever vi indicarono una ricca fauna di foraminifere, ma di altri fossili non vi era stata segnalata che * Thagastea. Luciani (Lor.) e un'ostrica indeterminabile. Io vi ho riscontrato: *Nummulites gizehensis A e B, *N. discorbdinus A e B, *N. atacicus A e B, Ortophragmina Pratti Mich., Operculinr Pyramidum Ehr., 0. libyca Ehr., *Porocidaris Schmi- deli (Miinst.), *Schisaster Batheri Fourt, Chlamys subdiscors (D'Arch.), Chl. subtripartita (D'Arch.), Zucina thebaica Zitt, L. pharaonis Bell., *L. Cuvieri Bayan., L. Blanckenhorni Oppenh.. *Z. mokattamensis Oppenh., L. sp. ind.,, Arinus Schweinfurthi Oppenh., Pholadomya Puschi Goldf., Tellina Zitteli M.-E., Delphinula sp. ind., *Mesalia hofana M.-E., Natica sp., Ampullina cfr. rustica Desh., Cerithium sp., Rostellaria sp., Cassi- daria nodosa Sol, C. aff. praetiosa Desh , *Cassidea nilotica Bell., C. sp. ind., Sconsia sp., lusus cfr. Malcolmsoni d'Arch., F. aegyptiacus Bell., Volutilites depauperata Sow. Le maggiori affinità di questo piano sono con gli strati bassi del Mokattam, coi quali, oltre alla /aczes litologica identica, esso ha in comune parecchie specie, che ho segnalate con asterisco. Come è noto, questo livello corrisponde a sua volta a quello di S. Giovanni Ilarione, di Kressenberg, La Mortola, La Gourèpe e al calcaire grossier del Bacino di Parigi Giova però notare, che il mio modo d'intendere questo piano in Cirenaica differisce in parte da quello del G. Come Fabiani ed io facemmo notare RENBICONTI. 1921, Vol. XXX, 1° Sem. i 19 — 148 — altra volta ('), la fauna dei così detti « calcari di Slonta » del G. consta di specie luteziane e di specie oligoceniche, con qualche forma confrontata ma non identificata con forme priaboniane. Un esame minuzioso del modo di associazione di queste forme, quale resulta dal lavoro stesso del G., mi ha ora dimostrato, che le specie di età diversa non si trovano già associate nelle stesse località, ma compaiono in località diverse. Solo il Pecten ar- cuatus (Br.) compare spesso insieme a N. gizehensis, ga N. discorbinus, a Gisortia gigantea ecc. Ora a parer mio la N. gisehensis e le specie che sogliono accompa- gnarla in tutti i giacimenti europei e africani dell'Eocene medio, rimangono anche qui caratteristiche di questo periodo, al quale ascrivo futfe le loca- lità onde esse provengono; preferisco infatti supporre che il P. arcuatus, finora ritenuto priaboniano ed oligocenico, abbia avuto inizio, forse con una sua mutazione ascendente, fin dall'Eocene medio, anzichè ammettere che tutta una fauna di nummuliti e conchiglie luteziane sopravviva in Cire- naica — e in Cirenaica soltanto — fino alla fine dell'Eocene! Aggiungerò, che personalmente non ho mai riscontrato nei fossili stu- diati da me associazioni consimili, neppure per quanto riguarda il P. arcuatus. Ciò premesso, questi strati deli’ Focene medio resultano largamente estesi nella Cirenaica litorale e sublitorale, dove formano il grosso delle scarpate dell’altipiano a Derna, a Ras el Hilal, a Marsa Susa, alla necropoli di Ci- rene, nella zona di Tolmetta specialmente a Sidi Dachil, a Tocra. Essi s’ in- sinuano nelle valli che gli uidian scavarono profondamente entro la massa dell’altipiano stesso, e affiorano nelle depressioni o in corrispondenza di ondu- lazioni tettoniche alla superficie di questo: Uadi Geraib e U. Khumas; Sidi Sebàc. Zauia el Gasserein, Reg. tra Er Règima ed El Abiar, Maraua, Tecnis ecc In condizioni analoghe suppongo trovarsi le località di Bigrata, Merg e Messa, ove le nummuliti luteziane sono citate dal G. insieme al P. arcuatus e a qualche specie comparabile, secondo il Newton, a forme priaboniane (7rachycardium cfr. granconense Opp.,, Mactra cfr. Fourtani Cossm., Euspira cfr. possagnensis Opp.). A / EocENE suPERIORE. — Il Priaboniano di Gregory trovasi dunque ad essere scisso in due parti: da un lato le località con nummuliti gigantesche e P. arcuatus (?), che per me sono dell'Eocene medio; dall'altra le altre località, le quali, come vedremo, somministrano una fauna schiettamente oligocenica. Esiste dunque in Cirenaica una lacuna in corrispondenza del Priabo- niano? Non mi sembra affatto probabile o verosimile. Le lumachelle con (1) Fabiani R. e Stefanini G., Sopra ale. foss. di Derna e sull’età dei cale. di Slonta. Atti Acc, scient, ven. trent. istr., 6, Padova, 1913. — 149 — Tellina Zitteli e Chl. subdiscors, che a Derna sormontano i calcari a grosse nummuliti, si avvicinano per la fauna agli strati più elevati del Mokattam, ordinariamente ascritti all'Auversiano o al Priaboniano. Nè è del tutto escluso, che i calcari candidi, teneri, a nullipore, con Chlamys cyrentica e piccole nummuliti striate, che attribuisco alla base dell'Oligocene, possano invece corrispondere alla sommità dell’ Eocene; ma i dati di cui posso disporre non mi consentono di risolvere questi problemi. PERSONALE ACCADEMICO Commemorazione del Corrisp. prof. P. A. SaccaRrDpo, letta dal Socio O. MartIROLO nella seduta del 6 febbraio 1921. (1) Signore, Iustri Consoci, Con sentimento di gratitudine vivissima ringrazio la Presidenza della nostra Accademia perchè volle accordarmi l’incarico di ricordare oggi, nella ricorrenza del 1° anniversario della sna morte, le benemerenze scientifiche di PieTRo ANDREA SaccaRpo. concedendomi l'onore di rievocare davanti a voi, Illustri consoci, la nobilissima fignra del micologo sommo, scomparso quando molto avrebbe potuto ancora operare per assolvere la missiome che natura pareva gli avesse affidato, come al più perfetto conoscitore delle forme fungine. Altri, con maggiore competenza, potrà trattare della complessa opera scientifica di P. A. Saccardo; ma nessuno, forse, potrà dire di lui con più sincero sentimento di amicizia e di ammirazione. Le mie parole vogliono essere l’espressione del desiderio intensissimo che mi è rimasto di lui; la testimonianza del dolore che mi ha afflitto per la sua morte; l'omaggio riverente alla sua memoria. La vita di Saccardo assurge all'altezza di un nobile esempio; essa ci dimostra quanto può valere, quanto può conchiudere l’assiduità al lavoro, la costanza nei propositi, l’amore alla scienza, associati alla potenza del- l'ingegno. Tale esempio, che è soprattutto esempio di fede, io sono lieto di rievo- care, augurandomi che lo seguano i giovani, e lo fecondino, imparando che la vita non è godimento, ma lavoro, e che l’uomo vale quanto produce. Dire di lui e dell'opera sua non è solo un dovere, ma è un conforto nei tristissimi momenti che attraversiamo. (*) Alla Commemorazione assistevano il figlio e la famiglia del compianto Professore P. A. Saccardo. — 150 — * x x Come un Santo delle cronache religiose, P. A. Saccardo seguì la « vo- cazione ». Per un caso che egli stesso soleva narrare, e che farebbe pensare alla influenza del destino, al Kismet degli orientali, che ineluttabilmente regolerebbe il corso della vita umana, egli, giovanissimo, divenne naturalista e si mise per la via della Botanica descrittiva, seguendo un sistema di ve- dute del quale mantenne inalterato l'orientamento nel lungo corso della sua vita scientifica. La « vocazione » di studiare sistematicamente le piante, diceva egli, gli apparve davanti agli occhi della mente, di colpo, quando, appera var- cate undici primavere, in un giorno del 1857, ebbe ad osservare presso lo zio Alessandro, apprezzato storico veneto, i cartellini, che in un suo frut- teto portavano scritti in latino i nomi delle piante ivi coltivate. Questa semplicissima visione doveva suscitare in lui il desiderio ardente di dare i nomi latini alle piante che egli andava via via raccogliendo; e questa fu la causa determinante, perchè egli sì volgesse anima e corpo alla siste- matica, provando un bisogno irresistibile di ordinare, di « casellare », di dare posizione conveniente ad ogni cosa; egli è così che Saccardo divenne sacerdote dell'Ordine, convinto come egli era, che ordo est anima rerum e che senza ordine non vi è bellezza. L'ordine col quale egli attendeva alle sue ricerche seguiva regole fisse e costanti. La sua vita, appena dopo il periodo della gioventù, fu sempre uguale; e, come quella dei certosini, obbediente ad una « Regola »; dalla quale mai, tranne in casi eccezionalissimi, si dipartiva, tanto che io mi ero indotto a chiamarlo scherzevolmente il Padre generale dei Miceti Osservanti, nome che, rimasto gradito al mie diletto amico, usò egli poi sempre nella corri- spondenza nostra. Sensibilissimo alle vicissitudini atmosferiche, quando i primi freddi autunnali preludiavano ai rigori dell'inverno, egli più non abbandonava l'ambiente del Laboratorio e in esso, dirò così, sì « 2ncistidava » per tutta quanta la durata dell'inverno; e però egli stesso soleva paragonarsi ad una Orchidea di serra calda. In questo genere di vita laboriosissima e metodicamente ordinata è il segreto della stupefacente produttività del Saccardo. Ordine e metodo, erano parte integrante del suo essere, erano le diret- tive dei suoi lavori, che rispecchiano tutti queste particolari attitudini. Appena sedicenne, nel maggio del 1861 P. A. Saccardo iniziò la serie delle sue pubblicazioni. Gli Atti dell’I. R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ad Arti (!) accol- sero la sua prima Memoria, dal titolo: (1) Atti dell’I. R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, nov. 1860, ottobre 1861, Venezia, tom. VI, serie ITI, pp. 237, 341, 490. lean — L5l — Calalogo indicante le specie e varietà degti Entomostracei contenuti nei vaselli, con brevi osservazioni sul colorito, sulle dimensioni, sui mo- vimenti e in fine sulle località in cui furono ritrovati i medesimi. Memoria di poche pagine, ma frutto di pazienti ricerche, le quali, ini- ziate nell'anno 1860, dovevano essere il preludio di quella ininterrotta, feb- brile attività che durò in lui per tutta la vita. Ma prima ancora di questo lavoro, aveva Gian Domenico Nardo, l'in- signe medico e naturalista veneto, già presentato allo stesso illustre con- sesso, nel nome di un giovane naturalista di belle speranze, alcuni: Cenni ilustranti cinque specie di invertebrati. E che il Nardo avesse allora giustamente intuite le « speranze » che sì dovevano riporre nella attività del Saccardo, lo seppe egli luminosamente dimostrare in seguito, perchè le pubblicazioni sue, iniziate, come si è detto nell'anno 1861, non sostarono che un anno solo, come sì rileva da una Nota scritta il 9 febbraio 1917, comunicatami dal figlio, e che io trascrivo: « Nel 1862 nulla pubblicai; ma dal 1863, în cui cominciò a pubbli- carsi € mio: « Prospetto della Flora Trevigiana » al 1917 (54 anni), fatto ora il controllo, non risulta passato un anno senza la pubblicazione di qualche lavoro; del che ringrazio la Provvidenza della salute accor- datami ! n. Quando si pensi che dal 1861 il Saccardo non rubò più un'ora sola al lavoro; quando si consideri la mole della sua opera maggiore, la .Sy/loge fungorum omnium hucusque cognitorum, durata già lo spazio di trent'un anno, comprendente 22 volumi di complessive 23451 pagine (e due volumi ancora inediti); quando, infine, si faccia anche un censimento, sia pure som- mario, delle sue pubblicazioni, che raggiungono, in numero, parecchie cen- tinaia, di cui una sola è ricca di più che 1500 figure colorate, disegnate dallo stesso Autore, si rimane sbalorditi di fronte a tanta somma di lavoro, e la mente ricorre alla favolosa produttività aldrovandiana; alla leggendaria attività enciclopedica dell'Ermete Trismegisto! e nello stesso tempo alla ininterrotta produttività degli alluminatori medioevali, coi lavori dei quali anche il lavoro saccardiano ha molti punti di contatto. A Venezia, studente nel Seminario Patriarcale, tra il 1855 e il 1861 pose il Saccardo le basi di quella meravigliosa biblioteca micologica (che sarà presto lustro e decoro dell'Istituto botanico di Padova); e che per la quantità di Memorie e di opuscoli pubblicati in ogni parte del globo, può ritenersi unica al mondo (1). (') La biblioteca micologica saccardiana risulta di 210 grossi volumi di miscella- nee, contenenti circa 4500 opuscoli e volumi; 600 circa sono le opere di micologia, tra le quali tutte le più importanti opere iconografiche. I più interessanti giornali micolo- gici vi esistono in serie complete; l’erbario micologico in un centinaio di pacchi, di grossa mole, rinserra dai 70 agli 80000 esemplari di miceti! — 152 — Quante volte ne ricordava Egli le umili origini! compiacendosi di ri- tornare col pensiero ai tempi nei quali Egli, giovanissimo, a prezzo delle lucenti 2wansighe che i genitori parcamente gli largivano per i suoi mi- nuti piaceri, gioiva dei primi sudati acquisti sui banchetti ambulanti -dei campielli veneziani! La biblioteca non tardò però presto a crescere con ritmo accelerato, per omaggi e per acquisti, dei quali fu largo il Saccardo; curata, ordinata in ogni particolare, essa fu l’istrumento perfetto che gli rese possibile di rag- giungere la ricchezza documentaria per la quale è meritatamente da tutti ammirata ed apprezzata la Sy//oge; l’opera colossale che compendia ed illu- stra le aspirazioni, gli ideali, e ì metodi di studio del micologo insigne. La Sylloge è l’opera massima del Saccardo, monumento grandioso che, da solo, sarebbe stato sufficiente ad immortalarne il nome, ancorachè Egli non avesse prodotto gli altri 300 suoi lavori! Il piano dell’opera è imponente, così che si stenta quasi a concepire come un uomo solo (sia pure colla collaborazione di alcuni allievi), abbia potuto portare a termine una massa così grande di lavoro in un periodo relativamente breve di tempo (31 anni), come quello che corre dal 1882, anno di pubblicazione del primo volume, all'anno 1918, nel quale comparve l'ultimo volume, il 22°, che sarà seguito da due altri volumi già da lui condotti a termine, ma fatalmente rimasti inediti. Io certo non esagero ritenendo che forse nessun altro micologo avrà an- cora l’ardire, la costanza, la conoscenza morfologica, la coltura bibliografica, la ferrea memoria, l'ingegno, le facoltà di ordine, delle quali die’ prova il Saccardo, per descrivere, elencare, classificare tutti i funghi, omnes Aucusque cogniti, in numero di 72,009 circa, che i micologi di tutto il mondo, e lui, per primo, avevano fatto conoscere sino a questi ultimissimi anni! Dell'opera principale del Saccardo dirò quindi prima di accennare, sia pure di volo, alle altre sue, perchè l'influenza che esercitò, e che eserciterà, per chi sa quanti anni ancora la Sy//0ge, è tale da aver accordato a Sac- cardo il primato fra i micologi descrittori. Tentare una analisi particolareggiata della Sy/loge è cosa al certo im- possibile. L'immenso campo delle descrizioni non concede d'altronde adito a discussioni, ma induce ammirazione per chi ha saputo raccogliere e pre- sentare il gran tutto; onde io mi limiterò ad esaminare il piano. che re- gola l'opera, ancorchè io non possa accettare, senza discutere, le vedute del Maestro. L'interesse scientifico della Sy/oge e delle Opere che la commentano e la completano deve ricercarsi nel sistema tassonomico adottato; e la Syl- ° loge non sarebbe ciò che è, se il materiale di cui si compone, non fosse stato disciplinato e regolato da fili conduttori che il Saccardo ha saputo mirabilmento ordire. — 153 — L'idea fondamentale della classificazione adottata dal Saccardo, deriva dalle concezioni esposte (fino dal 1841 e 44) da Giuseppe De Notaris (1): doversi nella distinzione dei generi e delle specie delle Sferiacee, attri- buire il primo valore ai caratteri che si possono trurre dalla forma e struttura dei loro sporidu. : Saccardo cresciuto nelle idee e nei metodi di ricerca di De Notaris e di Vincenzo Cesati, pur non essendo mai stato loro allievo, estese le loro vedute, dapprima nel: « Conspectus Generum Pyrenomycetum italicorum », edito nell’anno 1875; quindi nei: « Genera Pyrenomycetum Schematice delineata », apparsi a Padova nel 1883, un anno dopo la pubblicazione del primo volume della Sy//0ge; e infine nei: « Prevedibili funghi futuri », che videro la luce nel 1896. Senza discutere, nei particolari, il valore del così detto Sistema spo- rologico; ammettendone la praticità; io credo che il Saccardo dovette so- verchiamente generalizzare per forzare in certo modo i Miceti ad acconciarsi nei « casellarii » che egli aveva loro preparati in base alla forma, alla set- tazione, al -colore delle spore. Tale sistema, se ha egregiamente servito per dare ordine al materiale di cni si compone la Sy/l09e; se ha giovato e giova praticamente a tutti quelli che della $y//oge si servono « per determinare », non rispecchia, se- condo il mio parere, il concetto scientifico e filosofico sul quale devono ba- sarsi le classificazioni naturali; le quali devono tendere a stabilire « serza- zioni » veramente naturali delle varie forme; fondare unità tassonomiche omogenee; di uguale valore, di uguale dignità, le quali in ultima analisi, inducano a ritenere le singole specie che le compongono, come discendenti da un solo capo stipite. Egli è per tale ordinamento troppo esclusivamente sporologico, che la Sylloge, se conserverà immutato nel tempo il carattere di indiscutibile uti- lità pratica, non potrà essere in avvenire ugualmente fattrice di progresso reale, se la consideriamo dal punto di vista al quale tendono le specula- zioni della scienza moderna, fondate, più che sulla forma di un solo stadio per quanto elevato, come è quello della riproduzione, sulla intima cono- scenza dell'intero ciclo di sviluppo di ogni singola specie, e sulle relazioni che ogni specio contrae colle sue vicine, durante i periodi di sviluppo e di accrescimento. L’opera maggiore di Saccardo è quindi essenzialmente opera di stati- stica o, dirò meglio, di « statica », delle forme; base indispensabile a qua- (1) V. De Notaris, Osservazioni su alcuni generi e specie della Tribù dei Pire- nomiceti Sferiacei. Firenze, 1845; V. De Notaris e Cesati, Schema di classificazione degli Sferiacei italici aschigeri, Commentarì alla Società Crittogamica.. Genova, 1863, pag. 177. i lunque ulteriore studio di micologia; ed è in questo senso ammirabile e prodigiosa, così che nessuno raggiungerà l'altezza alla quale egli è assurto, - presentando il censimento completo delle forme rivelatesi ai micologi di tutto il mondo, sino al momento in cui egli pubblicava l'opera sua. Per ciò che si riferisce alla conoscenza delle forme dei funghi, il Sac- cardo non ebbe chi lo superasse, e lo dimostrò colla SyZloge, nè credo che alcuno potrà superarlo. È Tanta era in lui innata la conoscenza delle forme dei funghi, tale l’in- tuito delle affinità e delle analogie che regolano la loro correlazione nel tempo e nello spazio, che egli, non solo, giunse a descrivere un numero colossale di miceti; ma riuscì a « divizare » molti di quelli che ancora non sì erano rivelati agli osservatori! « Con elementi relativamente scarsi la natura produce complessi mor- fologici svariatissimi. È la teoria matematica delle combinazioni che viene posta in atto ». Queste parole scrisse Saccardo nel curioso lavoro: I prevedibili funghi futuri secondo la legge d'analogia (1896), nel quale, meglio che nella Sy/oge, espone il concetto e gli scopi della sua classifi- cazione, illustrandoli con quadri e con numeri; ed Egli, secondo me, avrebbe avuto ragione se invece di esseri organici sottoposti alle più svariate influenze, avesse dovuto trattare con esseri inorganici obbedienti a leggi fisse e costanti; e se infine fosse vero e generale l’asserto suo che: « nei funghi, meglio che in molti altri gruppi di organismi, osserviamo delle serie nettamente pa- . rallele di « Tipi » generici, nei quali, pur mantenendosi quasi uniformi i caratteri dei ricettacoli e dei micelîi, variano în modo quasi determi- nato le spore, per forma, settazione e colore. Checchè si sia voluto ritenere (*), la classificazione di Saccardo nulla ha da vedere con le concezioni del Mendeleiew; perchè la Legge periodica degli elementi chimici dell’illustre scienziato siberiano, è basata su rapporti fissi e costanti, derivati dalla grandezza dei pesi atomici; Egli ha lavorato sui numeri e non sulle idee, nè sulle fallaci parvenze di semplici analogie di forma, di cui le modalità di sviluppo ci sono ignote ancora. L'idea della legge di analogia è sbocciata nella mente del Saccardo, secondo il mio modo di vedere, non come conseguenza di ragionamenti ma tematici, ma come sorgono le idee nei cervelli dei compositori di musica, dei poeti, dei pittori, che compongono, scrivono, dipingono, animati da un sentimento che essi stessi non possono definire; ma che li sospinge a creare melodie nuove, a raggiungere effetti di luce e di colore non prima sognati, ad evocare col ritmo delle parole o della musica, sensazioni che agitano il cuore. (1) V. A. N. Berlese, Za classificazione dei Pirenomiceti e il Saggio «sui preve- dibili funghi futuri » del prof. P. A. Saccardo. Rivista di Patalogia vegetale, vol. V, 1896, pag. 361. — 155 — Saccardo, che sentiva nell’anima l’arcana potenza armonica che regola le forme in natura, intuì che relazioni di analogia esistono fra le varie forme degli esseri organici; presiedono al loro sviluppo, variando in rela- zione ai mezzi in cui vivono e alle influenze alle quali sono sottoposti; ma invece di studiare l'essenza e la ragione intima di tale legge sovrana, sì lasciò forse troppo sedurre dalla semplicità di un sistema tassonomico, che soddisfacendo le sue aspirazioni di morfologo « principe », gli concedeva nello stesso tempo il mezzo di ordinare il materiale che Egli doveva clas- sificare. \ Saccardo ha ridotto a 10 i tipi principali delle spore, stabilendo, per la massima parte delle Famiglie naturali dei Miceti, le 10 sezioni seguenti: 1) Allantospore. Spore allantoidee, cilindraceo-curve. 2) Ialospore. » globose, ovoidee od oblunghe, continue, ialine. 3) Feospore. ” ’ ’ ” ” ’ brune. 4) Jalodidime. ” ” ” ” ” 1 settate, ialine. 5) Feodidime. 5 ” ’ 7 ’ ’ brune. 6) Jalofragmie. » oblunghe 2 plurisettate ialine. 7) Feofragmte. ” ” ” ” brune. 8) Jalodictiee. » ovoideeè od oblunghe, clatrate ialine. 9) Feodictiee. ” ” ” ” ” brune. 10) Scolecospore, » filiformi o vermiculate, subialine. «A queste sezioni sporologiche principali aggiunse ancora le due seguenti assai rare, cioè: Elicospore, a spore cilindriche avvolte a spira. Staurospore, » —1raggiato-stellate. Disponendo con questi criterii il gruppo dei Pirenomiceti (che Egli così intimamente conosceva) nelle 10 sezioni sporologiche parallele, controdistinse con numeri progressivi le « caselle » delle quali non erano ancora noti i rappresentanti, ottenne così un totale di n. 1680 « caselle ». Ora, di queste, n. 450, sono occupate da Generi già noti, e n. 1230 il Saccardo lasciò preparate per accogliere i Generi, che, secondo il suo modo di vedere, si dovranno scoprire, ammettendo Egli che là ove, ad esempio, esistono Generi occupanti le caselle estreme delle serie sporologiche, deb- bano, necessariamente esistere anche i Generi intermedi, se non scoperti ancora, esistiti ed ora scomparsi. Ed è strano che i fatti, in molti casi, abbiano dato ragione a queste ve- dute; perchè molti sono i Generi da lui previsti, che già andarono a riem- pire le « caselle » che il « divinatore » aveva preventivamente loro prepa- rate fra i Generi parallelamente affini preesistenti nelle altre serie. Il sistema « lineare » imperniato sopra il solo carattere delle spore, se pare adattarsi alla classificazione dei Pirenomiceti, meglio di qualsiasi altro, RenpIcONTI. 1921, Vol, XXX, 1° Sem. 20 — 156 — non è ugualmente adatto per i Gasteromiceti, per gli Imenomiceti ecc. per tutti i Funghi insomma nei quali le spore dimostrano una desolante uni- formità di conformazione. sa Non è cosa possibile (dati i limiti imposti dalle necessità del momento) ricordare le altre innumerevoli Memorie di argomento micologico pubblicate dal Saccardo. La enumerazione delle contribuzioni micologiche, troverà il lettore nella completa bibliografia, cronologicamente ordinata dal suo diletto figlio dottor Domenico, la quale sarà pubbliceta nel « Nuovo Giornale Botanico », come omaggio di figliale devozione. Essa, meglio di ogni commento, lumeggia la versatilità dell'ingegno, e l'attività prodigiosa dell'eminente micologo italiano, il cui nome, a buon diritto, figurerà nella storia della nostra Scienza fulgido di quella gloria e di quella luce che illumina i grandi nomi di Persoon, di Elia Fries. L'opera del Saccardo interessa la micologia di tutto il mondo, perchè a lui da ogni parte affluivano le collezioni di miceti per lo studio; ed è così che, fra le parecchie decine di migliaia di funghi da lui determinati, oltre che dell’Italia, figurano funghi di: Abissinia - Africa occid. - Alaska - Algeria - Antille - Australia - Austria - Belgio - Boemia - Brasile - Canadà - Caro- line (Isole) - Congo - Dakota - Dalmazia - Eritrea - Filippine (Isole) - Francia - Germania - Giappone - Giava - Guinea - India - Libia - Ma- lacca - Malta - Messico - Moravia - Portogallo - Rodi - Siberia - Singa- pore - Spagna - Stati Uniti - Tahiti, - Uruguay ecc. ecc. Argomenti di Micologia, determinazioni di Funghi ecc. interessano il giornale la « Michelia » da lui fondato (1877-1882). Gli Imenomiceti ita- liani sono lo scopo delle 1400 pagine del volume « Hymeniales » (1915- 1916) che è parte precipua della Flora Italica Cryptogama. __I «Funghi italici autographice delineati » (1877-1886) presentano la illustrazione di 1500 funghi italiani, la maggior parte dei quali egli pub- blicò nelle classiche Centurie della Mycotheca veneta. Per dare uu'idea dell'attività saccardiana, sia pure soltanto nel campo della Micologia veneta, io ricordo che: se erano 245 i funghi noti per la regione veneta, secondo il censimento del barone De Hohenbuehl Heufleur, elencati nella Enumeratio Crypt. Italiae Venetae, edita nel 1871 (prima cioè dei lavori di Saccardo), 4600 divennero quelli da lui enumerati e studiati nella stessa regione; mentre di essi 3000 furono raccolti nella sola provincia di Treviso. Cifre eloquenti che lumeggiano l'importanza dell’opera sistematica compiuta, che pone il Veneto fra le regioni meglio note della Penisola dal punto di vista micologico. E per finire, noterò ancora che molte iniziative che onorano la micologia italiana furono da lui patrocinate e sussidiate dalla sua collaho- — 157 — razione: così la « Mycotheca italica » del suo figlio Domenico; i « Funghi Javanici » illustrati e descritti in collaborazione con Otto Penzig; il Catalogo dei funghi italiani compilato col Berlese; la Bibliografia della Micologia italiana con Pirotta e con Penzig. * * o * Ma non a questo solo campo di studi applicò il Saccardo le doti spe- ciali del suo ingegno organizzatore, la straordinaria sua cultura bibliografica, sussidiata dalle innate facoltà di ordine; chè egli ci lasciò pure un numero grande di lavori che si riferiscono alla storia della Botanica in Italia e a quella degli antichi erbari nostri, riuscendo a riassumere, ordinare, elencare, in mirabile modo, la immensa varietà dei lavori dei botanici che lo prece- dettero. Così la sua Botarica in Italia e la sua Cronologia della Flora italiana e tanti altri lavori suoi, sono repertorii, miniere di nozioni, di dati, e di date che formano e formeranno, chi sa per quanti anni ancora. il sud- stratum degli studii che si riferiscono alla Storia della nostra scienza. Il Saccardo innamoratosi di questo mirabile campo di studii, ebbe il merito di contemplarvi non solo l'opera dei grandi ingegni ma, con cura meticolosa, seppe rievocare anche i più umili che dimostrarono vere compe- tenze scientifiche e contribuirono al progresso della botanica nostra. Il suo Primato degli ituliani nella botanica, e tanti altri ‘lavori suoi, sono, nel loro complesso, un inno vibrante di ardore patriottico che attrae e soddisfa; e che dovrebbe essere meditato da quanti purtroppo non apprezzano che ciò che viene d'oltralpe, malvezzo che ha pure cooperato alle tristezze del mo- mento presente, alla svalutazione della più gloriosa vittoria che la Storia registri, interamente dovuta alla virtù, alla energia miracolosa del popolo nostro. Con questi studii Saccardo ha bene meritato della Patria, perchè essi, sia pure nel campo limitato della botanica; hanno dimostrata l’importanza e il valore del pensiero italico nella evoluzione scientifica. A quest'opera di rievocazione si connette una istituzione saccardiana che riveste un fascino tutto speciale; la I-onotheca Botanicorum che è oggi decoro dell'Orto botanico di Padova. i La collezione, forse unica al mondo, che comprenda più di 1200 ri- tratti (incisioni, disegni; quadri, fotografie ecc.), fra i quali più di 600 rap- presentano botanici italiani di tutti i tempi; messa insieme con indefessa costanza di propositi, ordinata cronologicamente, fatta conoscere per mezzo di elenchi speciali, rispecchia l'ammirazione, il culto del Nostro per la scienza e per i suoi ministri. La Cronologia della Flora italiana è forse, a mio giudizio, l'opera che, dopo la « Sy//0ge », meglio dimostra le tendenze dell'ingegno, i metodi, le facoltà di ordine, la ferrea memoria, la pazienza certosina e la mirabile — 158 — costanza del compianto scienziato. Anche in questo caso, come perla « SyMloge», l'impresa avrebbe spaventato chiunque e richiesti anni ed anni di lavoro. Saccardo invece ha saputo, in poco più di due anni, condurla a termine! Le sue pazienti ricerche ci rivelano le prime date, i primi Autori della sco- perta e della constatazione delle 3676 specie di piante, che formano il com- plesso della Fiora italiana, comprendendovi non solo le piante indigene, ma anche le naturalizzate e le avventizie. Questo lavoro utilissimo che appare degno complemento dei suoi studii storici sui botanici italiani, egli licenziò nell'anno 1908, modestamente battezzandolo come: uz saggio, un tentativo da essere emendato ed accresciuto; ma chi lo studia, rimane colpito dalla somma di dati, severamente controllati alle fonti più pure, che il Saccardo ha saputo scoprire, mettere insieme, comporre in un tutto utile e pratico. Anche da questo, come già dagli altri suoi studii di Storia della scienza, emana l'ideale generoso che ha guidato l'Autore, assillato dal desiderio di rievocare, in ogni campo della botanica, i meriti degli italiani e segnatamente di quelli che andarono via via accrescendo il patrimonio floristico nostro, dal periodo romano, sù sù fino all'epoca presente. Nessuna nazione possiede un tale tesoro, perchè gli analoghi tentativi di Dierbach per la Germania, e di Clarke per l'Inghilterra, quantunque per molti riguardi importantissimi, non presentano la sintesi completa dell'argomento, che invece ha saputo darci il Saccardo. i DI Nè il Saccardò limitò la sua produzione scientifica ai soli argomenti di Micologia, e di Storia della botanica, chè, oltre alla traduzione delle opere botaniche di Darwin, si occupò delle Pl/eridofite, e dei Muschi delle Pro- vincie venete; scrisse sopra argomenti di Fisiologia, di Anatomia, di Isto- logia; trattò con competenza somma la sistematica. delle piante superiori, erborizzando indefessamente, raccogliendo quantità di materiali per comporre quelle « Arzecatae » che attestano la sua splendida attività di botanico peri- patetico, durata purtroppo nel solo periodo della giovinezza, prima cioè che egli si chiudesse nel laboratorio, per dedicarsi allo studio, sia dei materiali da lui raccolti, sia di quelli che d'ogni parte del mondo affluivano a lui, perchè fossero da lui studiati e classificati. Tra i lavori più utili, oltre a quello sui « funghi mangerecci più co- muni del veneto », condotto colla collaborazione del D'Ancona, illustrato da tavole colorate, non tralascierò certo di far menzione di un opuscolo, al quale ogni naturalista ad ogni momento ricorre. La « Chromotazia », seu « Nomenclator colorum polyglottum », ha colmato una lacuna che tanti Autori avevano invano tentato di colmare. Guidato dal suo finissimo senso pratico, abituato da una lunga consuetudine fitografica, riconobbe la neces- sità di dare in poche pagine un codice breve, succoso, pratico, destinato a regolare la nomenclatura dei colori, accompagnandola con tavole, le quali — 159 — illustrano con l'esempio i varii tipi di colorazioni. L'opera ebbe l'accoglienza che si meritava; tanto che in breve ne furono tre edizioni esaurite. Ma prima di porre termine alla affrettata rievocazione dell'opera del compianto amico, io mi voglio ancora compiacere di segnalare la sua Zora Tarvisina Renovata pubblicata sul finire della guerra, ossia numerazione critica delle piante vascolari finora note nella provincia di Treviso, « come quella che gli ricordava tante miserie ma anche tanti eroismi! », illustrando essa le gloriose regioni dal Grappa, det Montello, di Vittorio Veneto. In questo suo lavoro, l'illustre Autore si compiace di far rivivere i tempi della sua feconda attività giovanile, quando, incoraggiato dai tre insigni naturalisti veneti, Nardo, Zanardini, De Visiani (che fu suo maestro), in- defessamente andava erborizzando nei luoghi i cui nomi. oggi sintetizzano le più fulgide glorie d’Italia. L'antica prima edizione, ossia il Prospetto della Flora trevigiana, fu la causa decisiva, perchè, sono sue parole « /a Botanica divenisse il suo studio prediletto e professionale ». Tredicenne appena iniziava il Prospetto, e lo conduceva a termine nel- l’anno 1863, ottenendo di pubblicarlo negli « Alli dell Istituto Veneto », quando egli era entrato nel diciottesimo anno dell'età sua! I risultati delle successive conquiste botaniche in quella regione che gli fu culla e che egli con orgoglio di italiano seguì palpitante nelle tristi e nelle liete vicende, culminate poi nella riscossa di Vittorio Veneto, si possono qui riassumere con due soli numeri: mentre 1387 erano le piante elencate nel prospetto del 1863; 1717 sono invece quelle raccolte nella Flora Turvisina Renovata del 1917. * x x La vita di Pier Andrea Saccardo, non fu notevole nè per straordinari eventi, nè varia per vicende; essa trascorse quieta, serena, regolata, non scevra purtroppo da eventi tristi; ma conforme agli scopi che ‘egli si era preposti dedicando ogni sua attività alla famiglia e al iavoro. Visse per la famiglia, per il suo Orto, per il Laboratorio, fra le raccolte e i libri. Non uscì mai dalla cerchia segnata dalle Alpi e dal mare; pago di spaziare (specialmente negli anni giovanili) fra le bellezze affascinanti del paesaggio veneto, fra i monti, fra i piani e le lagune che lor fanno corona. Per la Patria sentì ardore di passione, e per la sua regione nativa ebbe palpiti di amore e di fede. Italiano di mente, di cuore e di propo- siti, si conservò veneto negli affetti e nel culto per le gloriose memorie del passato che egli da pari suo illustrò e difese. * x x Pier Andrea Saccardo che, dopo Caporetto, vide la sua diletta Vittorio calpestata, rovinata dalle orde barbariche; che pianse amaramente, non di — 160 — sgomento per la perdita di ogni avere, ma per la rovina temuta dei suoi ideali, ebbe il supremo ineffabile conforto di assistere al trionfo e alla li- berazione dei fratelli da tanto tempo schiavi dello straniero. Nel suo ritiro di Avellino, presso il genero prof. Trotter, gli giunse la. notizia degli eventi gloriosi; esultante di entusiasmo potè quindi far ritorno con animo sereno alla sua Padova (così duramente provata durante la guerra), dove lo aveva colpito -una irreparabile sciagura, la perdita della sua adorata e fedele Compagna. Egli allora si racccolse in sè stesso e, con rinnovato ardore, tutto si consacrò al lavoro, nel quale cercò conforto e oblio. Inten- sificò ancora la sua già eecezionale attività scientifica, serenamente spegnen- dosi il 12 febbraio ora scorso fra le collezioni, fra i libri, che erano stati lo scopo della sua esistenza, il sospiro della sua anima. Scienziato di Laboratorio non fu egli solamente; ma come insegnante valoroso ed efficace fu lustro e decoro dell’antichissima gloriosa Cattedra di Botanica dell'Ateneo Padovano. Dalla sua Scuola uscì tutta una schiera di valorosissimi sistematici, che oggi degnamente onorano il Maestro e la scienza e ne seguono l'esempio e le tradizioni. Carlo Spegazzini, Otto Penzig, Giacomo Bizzozero, Piero Voglino, Augusto Napoleone Berlese, G. B. De Toni, Francesco Saccardo, Alessandro Trotter, Adriano Fiori, C. B. Traverso, Giulio Paoletti, Augusto Béguinot, Migliardi, Peyronel, Domenico Saccardo, alcuni dei quali collaborarono alla « Sylloge», sono personalità scientifiche note, nel campo specialmente della sistematica, sono i riflessi luminosi dell'efficacia e dei meriti del Maestro. Per tutta la vita il Saccardo, che seguiva l'ideale prefissosi da giova- netto, non conobbe nemici; modesto, timido, semplice, austero, dotato di memoria prodigiosa, esimio conoscitore della lingua latina e delle lingue moderne, dimostrò, come anche disponendo di mezzi esigui (come sono quelli concessi dalle magre dotazioni dei nostri Istituti) possa un uomo, dotato di ingegno, sorretto dalla volontà e dalla tenacia di lavoro, vincere gli ostacoli e conquistare nel mondo fama e gloria; imperoechè la fama e Je gloria di P. A. Saccardo più ancora che nella Patria sua, sono celebrate ovunque la scienza ha rispetto e onore. | L'Accademia nostra che lo ebbe Socio Corrispondente fino dal 1904, e che l'avrebbe così volentieri avuto Socio Nazionale, ove le fosse stato con- cesso dal numero dei posti; che si onorò di decretargli, con G. B. Grassi, il Premio Reale nell'anno 1888, ne piange oggi dolorosamente la perdita associandosi riverente al dolore della famiglia. I suffragi, i premi, gli onori che le più insigni Accademie del mondo decretarono a Pietro Andrea Saccardo, additano la sua nobile figura alla riconoscenza nostra; la sua è pura e nobile gloria d’Italia! — 161 — PRESENTAZIONE DI LIBRI Il: Segretario CastELNUOVO presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando fra queste l'edizione, curata ed accresciuta di un'appendice dal Socio SiLvesTRI, dell'opera postuma di G. LeonaRDI: Monografia delle Cocciniglie italiane. Richiama anche l'attenzione dei Colleghi su di una Commemorazione del defunto accademico P. BaccaARINI, dettata dal Socio PiroTTA; e su alcuni lavori del Corrispondente LonGo e del Socio straniero H. S. WASHINGTON. Il PRESIDENTE presenta il volume III del Cours de Physique mathé- matique de la Faculté des sciences del Socio straniero J. BoussinEsQ; della importanza di questa opera dà conto alla Classe, rilevando la genialità e la larghezza delle questioni che nel volume vengono trattate. .1l prof. MaGRINI, come direttore dell'Ufficio Idrografico del R. Magi- strato alle acque di Venezia presenta, anche a nome del Presidente, il R. Ma- gistrato Rarmonpo RavÀ, il primo volume degli « Antichi scrittori d' idraulica veneta », pubblicazione edita dall’ Ufficio Idrografico. È nota la sapienza degli antichi idraulici veneti, che seppe salvare Venazia dall’azione nemica del mare e dei fiumi. Il primo volume contiene le scritture sulla laguna di Marco Cornaro che fu il precursore del celebre Sabbadino; esso fu curato e commentato dal prof. PavanELLO. Furono anche riprodotte alcune carte antiche, preposte per l’interpretazione dell'antica idrogratia veneta. COMUNICAZIONI VARIE Il PRESIDENTE presenta un piego suggellato inviato dal dott. Uco PESTALOZZA, perchè venga conservato negli Archivi dell'Accademia. Gi. C — 162 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 6 febbraio 1921. BerLEsE A. — Nuove specie del gen. £ry- thraeus (Estr. dal « Redia », vol. XII). Firenze, 1920. 8°, pp. 1-2. FisARI F. — Come deve ritenersi cimen- tato un solido teso o compresso in considerazione dei piani di scorri- mento della materia (Estr. dal « Gior- nale del Genio Civile », anno LVIII). Roma, 1920. 8°, pp. 1-25. Gatto M. — Notizie sul bacino solfifero delle miniere Trabia-Tallarita e re- gime delle acque sotterranee (Estr. dalla « Rivista del servizio minerario >, 1918). Roma, 1920. 89, pp. 1-19. JunGERSEN H. — Mindeskrift i Anledning af Hundredaaret for Japetus Steen- strups Fodsel (voll. I, II) Kobenhaun, 1914. 8°. i Lanza M. — La flora della valle di Val- prato. Torino. 1920. 8°, pp. 1-64. LockvyER N. — Obituary Notice (Repr. from «Nature »). London, 1920. 12°, pp. 1-59. Lockver W. J. S. — Spectroscopic and Magnitude Observations of nova Cygni III, 1920 (Plate I) (Repr. from the « Monthly notices of the Royal Astro- nomical Society », vol. LXXXI, pp. 37- 50). Edinburgh, 1920. 89, Lockyer W. J. S. — The Hill Obser- vatory, Salcombe Regis (Repr. from the « Transactions of the Devonshire Association for the Advancement of Science, Literature, and Art »,1920). Edinburgh, 1920. 8°, pp. 1-4. PryroneL R. — Svernamento di Mar. sonia Juglandis sui rami e pol- loni del noce (Estr. dalle « Stazioni sperimentali agrarie italiane », vo- lume LIIl, pp. 168-171). Modena, 1920. 80. PryRoneL B. M. — Un Hyphomyeète sin- gulier: Eriomenella tortuosa (Corda) (Extr. du « Bulletin de la Société mycologique de France», tome XXXV). Paris, 1920. 89, pp. 1-18. Pao: G. — Considerazioni sui rapporti biologici fra le cavallette e i loro pa- rassiti oofagi (Estr. dalla « Rivista di Biologia », vol. II). Roma, 1920. 8°, pp. 1-13. PaoLi G. — La lotta contro le cavallette in Capitanata nel 1917-18 (Estr. dal « Bollettino dei Ministeri per l’agri- coltura, industria, commercio e la- voro », vol. II). Firenze, 1919. 8° Ppiucie RexnAauD P. — Étude sur le système so- laire. Paris, 1919, 8°, pp. 1-xrv 1-81. SiLvestrI F. — Contribuzione alla cono- - scenza dei parassiti delle ova del Grilletto canterino (Qecanthus pellu- cens Scop., Orthoptera. Achetidae) (Estr. dal « Bollettino del Laboratorio di Zoologia generale e agraria della R. Scuola superiore d’agricoltura in Portici n, vol. XIV, pp. 220-250). Por- tici, 1920. 8°. i SitvestrI F. — Contribuzione alla cono- scenza dei Termitidi e Termitofili del- l’Africa occidentale (Estr. dal « Bol- lettino del Laboratorio di Zoologia generale agraria della R. Scuola su- periore di agricoltura in Portici », vol. XIII, pp. 265-319). Portici, 1920, 80, Silvestri F. — Descriptions of some Oriental Diplopoda Polydesmoidea of the Subfamily Pyrgodesminae (Repr. of the « Records of the Indian Mu- seum », vol. XIX, pp. 117-135). Cal- cutta, 1920. 8°. SrramPELLI N. — Altre varietà di fru- mento ottenute nella stazione di gra- nicoltura di Rieti. Piacenza. 1920, pp. 1-10. 89. / Warmine E. — Mindeskrift i Anledning af Hundredaaret for Japetus Steen- strups Fodsel (voll. I, II). Kobenhaun, 1914. 8°. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. ‘Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. , Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. ITI. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e. naturali. Bi MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Voli IV.V.-VI- VII VIII: Serie 3* — TransUNTI. Vol. I-VIIT. (1876-84). @ MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1,72). — II-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Sara 4* — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. 1-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe .-di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXX. (1892-1921). Fasc. 3°, Sem. 1°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXIX. (1862-1920). Fase. 7°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, fasc. .50. MeMmoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due ‘volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, SORU denti ognuno ad un semestre.‘ Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta l’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ULRICO HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. P. MagLIONE & 0. STRINI (suceessori di E. Loescher & C.) — Pomo. not lens nai ea ione e atei e TAG RENDICONTI — Marzo 1921. n INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. o . Seduta del 6 marzo 1921. MEMORIR K NOTE DI SOCI Crocco. Sull'energià disponibile del'vento.. (0h i RR MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Picone. Sul potenziale di doppio strato superficiale (pres. dal Socio Zevi-Cavita) . . . » 134 Lo Surdo. Spettroscopio a gradinata catottrica (pres. dal Corrisp. Gardasso) . . ... » 136 Magrini. La Missione italiana per l’esplorazione dei mari di Levante . ....... » 190 Perrier. Sulla' vera natura della Rosasite (pres. dal Socio Artinî) . . . . . . Ln Stefanini. Sulla costituzione geologica della Cirenaica. I: Terreni eocenici (pres. dal ‘Sogli DerStefona)i RR OMAR San CONE RR ORTA 6, PERSONALE ACCADEMICO Mattirolo. Commemorazione del Corrisp. Saccardo 50%; E RICA » 149 PRESENTAZIONE DI LIBRI Castelnuovo (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle del Socio Silvestri e di G. Leonardi, del Socio Pirotta, ece. . . . e II Volterra (Presidente). Presenta il terzo volume del ‘ Cours de Phusidue mathématique ' del Socio straniero Boussinesg, e ne parla . . .... + SIE De NS e ego DR SLORa Magrini. Fa omaggio, dandone notizia, del primo volume degli ‘Antichi SEE d'idrani licasveneta? ts ta a a ET ITS CORO E SOI SO I O I COMUNICAZIONI VARIE Volterra (Presidente). Presenta un piego suggellato del dott. V., Pestalozza . . . . .. » cu” BULLETTANO BIBLIOGRAFICO . LL. LL... 00000 000 RR RAR . » 162 ERRATA CORRIGE A pag. 96 le righe 15-16 devono essere così modificate: « richiamando l’attenzione della Classe su quelle dei Soci Fano e SiLvesTRI e del prof. BERLESE ». | + K. Mancini, Cancelliere dell'Accademia, responsabile Pubblicazione bimensile. N. 6. EE DELLA , REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI ANNO CCCXVIII. 19294 SHEPEG Ie YYLINEA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X X X.° — Fascicolo 6° Seduta del 20 marzo 1921. 1° SEMESTRE. ROMA TIP. DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI! PFOPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE lo Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltrei Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: i 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re. golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sédute mensili del l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Bodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Lé Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus» sioni verbali che si fanno nel seno dell'Acca- demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. a Ù II. I. Le Note che oltrepassino i limiti _ndi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4} Con una proposte a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nelia Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi | dell’Accademia. 3. Nei primi tre. casi, previsti dall'art. pre» cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI | DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. _—____—- Seduta del 20 marzo 1921. F. D'Ovipio, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Matematica. — Su//a teoria degl’integrali semplici di 1° specie appartenenti ad una superficie algebrica. Nota I del Corrispon- dente FRANCESCO SEVERI. In questa ed in alcune Note successive esporrò una dimostrazione del teorema concernente il numero degli integrali semplici indipendenti di 1a specie, appartenenti ad una superficie algebrica F, quale risulta dalla fusione e da un rimaneggiamento profondo del metodo da me seguito per la dimostrazione originaria del teorema (') e di quello esposto da Poincaré în uno de’ suoi ultimi lavori (?). Il concetto della dimostrazione cui alludo è il seguente: Indicata con g = py — pa l'irregolarità della superficie F[/(2,y,z)= 0], d'ordine m, e con p il genere della sua sezione piana generica, si possono scegliere g superficie linearmente indipendenti d'ordine m—2: (1) price) — ia) 0 aggiunte ad F, le cui equazioni sieno di grado m—3 in x,z3,ep—-% superficie aggiunte linearmente indipendenti d'ordine m — 3: (2) Prer(covoa)= Vee) = (*) Com'è noto i fondamenti della teoria degl’integrali semplici appartenenti ad una superficie algebrica furon posti dalle classiche ricerche di Picard. Il teorema cui si allude nel testo, concernente il numero degli integrali semplici di 1% (e di 28) specie ed il numero dei loro periodi, è il risultato complessivo di ricerche (in ordine cronologico) mie, di Enriques e di Castelnuovo. (2) Annales de l’école normale supérieure, 1910. ReENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 21 — 1604 — per guisa che le (1),(2) stacchino sopra un generico piano y = cost. le p curve d’ordine 72 — 3 linearmente indipendenti, aggiunte alla curva sezione di F con quel piano. Queste p curve divengono dipendenti solo per un nu- mero finito di valori critici del parametro y. Vi è poi un numero finito di valori singolari di y in corrispondenza a ciascuno dei quali la sezione piana y= cost. sì abbassa di genere. Le (1) posson inoltre essere scelte in modo che non esista alcun valore di 4 critico pel loro sistema (cioè in modo che esse stacchino sopra 09n7 piano y = cost. g curve indipendenti). Ciò premesso, pongasi o uffa cosicchè, per un valore generico di y, l'integrale (3) è un integrale abeliano di 1% specie della curva /(r,y,z)=0 (integrale che può diventare di 3* specie soltanto in corrispondenza ai valori singolari di 7). Fissato uno, O, degli m punti d'intersezione di F colla retta all’infi- nito comune ai piani y= cost. (punti base del fascio di sezioni prodotte su F da questi piani), poniamo in O l'origine dei cammini d’ integrazione per gl'integrali (3). Designamo inoltre con x, (414,41) 3---3 Zo (4019385) p punti variabili sulla curva f(x ,y,z)=0, corrispondente a un dato valor generico di y, e scriviamo le equazioni: (4) um) +... + (75) =; [modd. periodi degli integrali (3)], ove le c; sono costanti arbitrarie ed i cammini d'integrazione conducenti allo stesso punto x; sono i medesimi per tutti gl'integrali. In base al teorema d'inversione di Jacobi, le (4) saranno soddisfatte da un gruppo ben deter- minato di p punti della sezione considerata. Al variare del parametro y, questo gruppo di punti descrive una curvo analitica C. Quali sono le condizioni affinchè questa curva sia algebrica? La curva C sega una sezione piana generica y = cost. in p punti diversi dai punti base del fascio y = cost.; ma non è escluso ch'essa possa passare con molteplicità infinita per qualcuno di tali punti. Quando ciò accada, C non è algebrica. Ebbene si prova che la condizione necessaria e sufficiente affinchè la curva analitica C sia algebrica, è che le costanti cqui 3°. +3 Cn abbiano valori nulli (mentre le prime q costanti c,,...,Cg posson avere valori arbitrari). La dimostrazione di questo teorema fondamentale si svolge qui in modo assai più semplice e spedito che nella Memoria di Poincaré, anche per la eliminazione di taluni concetti superflui (valori critici di prima e di seconda specie, valori critici effettivi ed apparenti ecc.), che sono collegati a parti- colarità proiettive della superticie e non alle sole proprietà invarianti per — 165 — trasformazioni birazionali;- e per la maniera più elementare con cui si usu- fruisce delle funzioni theta. Ognuna delle coordinate di un punto variabile sulla curva C è una certa funzione del parametro y e si dimostra, in primo luogo, ch'essa non può presentare che singolarità di tipo polare, per ogni valore, anche singo- lare, di y, diverso dai valori critici; mentre essa presenta singolarità essen- ziali in corrispondenza ai valori critici, ogni qualvolta le c,+,,...,Cp sieno diverse da zero. Quando invece le €g.1,...,Cc, sieno nulle, le singolarità essenziali spariscono e la C diviene pertanto algebrica. Prendendo c,,,=---=c,=0,€ facendo variare comunque le €, ...,Cq, si ottiene su F un sistema continuo 00? di curve algebriche C, a due e due non equivalenti iinearmente, e da ciò si trae, come nella mia Memoria sul teorema d’Abel per le superficie (*), che gl'integrali semplici di 1 specie appartenenti ad F sono in numero di 9g con 2g periodi. Il metodo di Poincaré conduce a stabilire l’esistenza su F di un nu- mero finito Gi curve primitive, la cui nozione equivale sostanzialmente a quella della base cui pervenni nel 1905. La odierna rielaborazione getta un ponte di passaggio semplice fra l'una e l’altra nozione, attraverso ad un criterio di equivalenza algebrica tra curve della superficie F. Varî sono i criteri di equivalenza che ho esposto in pre- cedenti lavori; ma sì tratta in generale di criteri di equivalenza lineare per curve che già si sappia essere equivalenti algebricamente (appartenenti cioè ad un medesimo sistema algebrico). Per l'equivalenza algebrica ho dato in passato un criterio geometrico ed un criterio trascendente in cui interven- gono gl'integrali semplici di 3 specie (?). Il criterio cui pervengo alla fine di questo lavoro richiede invece l'in- tervento dei soli integrali semplici di 1° specie. 1. Com'è lecito, quando si tratta di proprietà invarianti per trasforma- zioni birazionali, supponiamo la superficie F dotata di una sola linea doppia nodale e punti tripli ordinari. Sia @(x.y,3)=0 un'aggiunta d'ordine m —2 (superficie passante per la linea doppia di F), la quale contenga la retta impropria 7 dei piani y = cost. e seghi fuori di 7 sopra un particolare piano y/ = yo, una curva d'ordine m —3, per cui passi pure una superficie aggiunta w (2,y,3)=0, d'ordine m —3. Avrà allora luogo, per ogni , #, l’identità: 9P(L, Yo, 8) =Y(£,Y0;2), donde: P(2,4,3) — WT,Y,8)=(Y—Y)MUc,yY,2), (4) Annali di Matematica, 1905. (*) Mathematische Annalen, 1906. — 166 — 7(x.y,z)=0 essendo una superficie aggiunta d'ordine m — 3; e questa prova che la superficie g (x,y .z)="0 stacca su ogni piano y= cost. una curva appartenente al sistema ivi segnato dalle superficie d'ordine 1 — 3 aggiunte ad F. ; L'ipotesi e la conclusione possono evidentemente riferirsi anche al piano y ==, in quanto questo può trattarsi come un piano proprio introducendo l'omogeneità nelle coordinate, oppure operando su F colla trasformazione omografica 4' = sd sy - Sg STA y y Yy Se una superficie d'ordine m — 2 aggiunta ad F e passante per una retta r, taglia fuori di r, sopra un particolar piano passante per r, una - curva apparienente al sistema lineare h segato su quel piano dalle su- perficie aggiunte d'ordine m—3, lo stesso accade sopra ogni altro piuno del fascio. 2. Ciò posto, contiamo da quanti parametri dipendono le superficie aggiunte 4 d’ordine m — 2, passanti per 7, che staccano sui piani y = cost. curve del sistema lineare . Per ogni curva di / passano co?+?4 superficie @ (essendo p, il genere aritmetico di F e p + pa — 1 la dimensione del sistema lineare X delle aggiunte d'ordine m — 3); al variare del piano y== cost. le curve dei si- stemi 4 dipendono da p—gq parametri (ove 4 = ps — Pa è l'irregolarità di Fep—gq—1 la dimensione di / sopra un particolare piano y = cost.) (*); ma ogni g contiene 00! curve dei sistemi 4; dunque le 4 dipendono da (p+pa)+(p—-4)—1=2p+pa—1—q parametri. : Ora le g che passano per 7 dipendono da 2p + pa — 1 parametri (perchè esse staccano sopra un piano y = cost. un sistema lineare completo di dimen- sione p— 1) e costituiscono una varietà lineare V, di dimensione 20 4+- pa — 1, cui appartiene la varietà algebrica W, di dimensione 2p + pa—1—% delle 9 passanti per 7 e seganti i piani y = cost. secondo curve dei sistemi 7. Si può pertanto scegliere entro V un sistema lineare di dimensione 9g — 1 che non abbia in comune alcun elemento colla varietà W. Dunque: È possibile scegliere q aggiunte ad F d'ordine m —2, linearmente indipendenti, e passanti per la retta r: (5) Pi(1 19,8) =0,...,P0,Y,2)=0, (*) Che il sistema lineare abbia la dimensione o=p+pa— 1, e quindi che la di- mensione del sistema % segato da Z sopra un piano y= cost. sia p—g — 1 risulta da un bel teorema di Picard (ved. ad es. una mia Nota in questi Rendiconti, 1908). Qui però non occorre d’invocare questo teorema. Basta invece ricordare (Enriques) che fra le trasfor- mate birazionali della data superficie se ne può sempre scegliere una F (dotata di linea doppia), per la quale il sistema aggiunto al sistema delle sezioni piane sia regolare, cioè di dimensione o. Una volta costruita la teoria degl’integrali semplici di 1% specie sul particolare modello F, risulterà, a posteriori, alla maniera di Picard, che per ogni superficie quel sistema aggiunto è regolare. — 167 — tali che una superficie qualunque del sistema lineare (6) Agi +: + d999=0, non stacchi MAI fuori di r, sopra alcun piano del fascio r, una curva ivi segata da una superficie aggiunta d'ordine m — 3. Ne deriva che su oGNI piano del fascio r il sistema lineare (6) stocca q curve linearmente indipendenti, perchè se sopra un piano y=y le curve (5) fossero linearmente dipendenti, cioè se esistessero valori 4” ,...,49 non tutti nulli delle 4, tali che: 20 pic, YA) +: pax | 40° (0,705 8)=0, risulterebbe: MP @u(2Y 1) + +20 9/24) = YU Y 5): w=0 essendo un’aggiunta d'ordine m —3; e la superficie 40° g(4 y 3) + + ---+ 40 (xy) = 0 staccherebbe sopra ogni piano y= cost. una curva dei sistemi lineari %, il che contrasta col modo come è stato scelto il si- stema (6). Paleontologia — Stleospongie fossili della Liguria occiden- tale. Nota del Socio CARLO DE STEFANI. V. Mulino di San Giovanni. Nella roccia schistosa scura, assai scarsamente calcarea sovrastante al Calcare scuro probabilmente eocenico che termina a Sud la serie Triassica del Gazo, sul Cantarena, al Mulino di San Giovanni ed in luoghi vicini lungo la via del Gazo, trovansi tracce di ZFerasterophora probabilmente Lychniscosa. i La roccia (Quarzo anche in granuli derivanti da sabbia estranea come qualche granulo di Plagioclasio, Sericite abbondante, Clorite talora in grossi fasci, Limonite, Magnetite, Ematite, Rutilo spesso abbondante in groviglio di microscopici aghetti, Apatite, Calcite scarsissima) è costituita alternati- vamente da sottili noduletti e lenti quarzose chiare rispondenti allo Spon- giario, con piccole geodi di Quarzo, e da straterelli argillosi scuri con tri- tumi minori apparentemente della stessa specie. L'intreccio dictyonale a maglie quadrate si vede solo in pochi tratti, al solito con Osfza puntiformi di Eptrhize con intreccio a losanga intorno, ed altre aperture circolari con intreccio raggiato. All’intorno di questi canali verticali verificai che in senso longitudi- nale secondante i medesimi l'intreccio è in serie parallele longitudinali e — 168 — radiali regolarmente alternanti con serie di successivi canaletti che irra- diano nell'interno dello Spongiario. L'interno delle maglie è riempito da Sericite, Limonite, Magnetite o Quarzo; nel qual caso, per la diversa orientazione dei cristalletti che hanno sostituito le maglie e di quelli che successivamente le hanno riempite, al Polariscopio, a Nicols incrociati, apparisce discretamente il reticolo, parte chiaro e parte scuro. Le Macrosclere sono in genere avviluppate ed ingros- sate dal Quarzo: le Spicole non sono spinose; le Lychnische eccezionali deri- vano forse da altra specie. Vi sono Hexactiniae e Diactiniae. Sono inclusi nello Spongiario Amphioxe di Monaxoni e microscopici frammenti di orga- nismi, fra i quali meno minuti ne è uno di Nummwu/lites con inizio di 5 piccole camere. Avendo esaminato varî pezzi di roccia di luoghi vicini non ho trovato differenze apprezzabili. La specie ricorda le Sporadoscinidae e specialmente per l'intreccio irregolare la Zezostracosia punetata Schrammen della Creta. S intende che questi paragoni sono fatti solo in modo generale e, direi, come punti approssimativi di ritrovo. Biscazza. Presso a poco allo stesso livello stratigrafico, cioè sopra il grezzone del Gazo nel suo lato orientale, sulla sinistra del Chiaravagna, alla Biscazza presso il Panigaro, sono un calcare siliceo screziato ed un concomitante scisto calcifero carbonioso, nero. Tali rocce avrebbero potuto credersi anche Infra- liassiche; ma per le analogie litologiche e per gli stretti rapporti coi ter- reni Eocenici superiori li pongo alla base dell'Eocene locale. I. Nel calcare (Calcite, Quarzo, Opale gialliccio ferruginoso, Limonite, Rutilo, particelle carboniose) la ZMexactinellide fu,in gran parte, convertita in Calcite e scompare negli acidi. Il reticolo hexactinico dictyonale di 3 0 4 ordini è diretto a ventaglio in tutti i sensi in serie irregolari con maglie esagone, circolari, come in certe Sporadoscinidae e Leptophragmidae ece. Solo a tratti è quadrato o rettangolare, e disposto con una certa regolarità intorno a canali acquiferi con grandi Postica probabilmente di Aporkize esalanti, come in alcune Zeptopragma, Leiostracosia cui per alcuni carat- teri assomiglierebbe. Vi sono pure Ostia di canali più piccoli. Le Spicole maggiori paiono al più con rarissimi aculei e fornite di Lychnische, ma non sempre nè in tratti contigui, come avviene nella vi- vente Aulocystis Grayi Marshall. Le Zychnische si espandono, sovente, ben più che nella specie di S. Mar- tino più ‘antica, formando intorno ai punti d’incrocio espansioni e reticoli perforati da buchi cilindrici o ellittici, ovvero assai regolarmente poligonali : potrebbero così paragonarsi più che a qualunque altro genere agli Oncothecus Schrammen della Creta superiore: credo si tratti di tessuto interno oltre — 169 — che dermale. Parenchimali sono Mexactiniae anche dilophe: non Scopuloe o Clavulae. Piccoli canaletti serpeggianti, diramati e confluenti, per lo più riempiti da Calcite cristallina, sebbene talora vi rimanga qualche parte d'intreccio, furono probabilmente prodotti da animali estranei, piuttosto che da 7a//o- phyte da escludersi trattandosi di terreni di mare profondo. Nella compagine della Hexasterophora Lychniseosa sono rare Triaene di Zetracladina e qualche ARhizoclone. Vi sono pure perfettamente conservate delle foraminifere Quinquelocu- linae isolate, non a gruppi. II. Lo Schisto calcitico carbonioso (Calcite, Quarzo, Limonite, Rutilo, materia carboniosa) della stessa località, presenta frammenti di Spongiario, che mi paiono attribuibili alla stessa specie, visibili nelle sezioni come un mosaico. Qualche carattere vi si palesa più completo. Le Macrosclere incro- state di Quarzo sono cubiche e fornite di Zychmische. Attorno alle piccole Ostia delle Epirhize l'intreccio forma al solito qualche losanga, per effetto di schiacciamento. Intorno alle Aporhize circolari il reticolo periferico minu- tissimo è talora raggiante e anche spirale. 1 detti canali inalanti ed esa- lanti si vedono talora terminare cechi. Del resto l'intreccio di varî ordini, come nel calcare, è piuttosto irre- golare e diretto in tutti i sensi. Vi è qualche placca interna o dermale fo- rata. Tra i parenchimali sono Diaetinise e qualche Oxyhexactiniae: ho pur veduta una geminula o sfera ed ho trovato alcuni rabdi di Rhzzomorina. Casa Buzzano. Presso a poco allo stesso livello stratigrafico della località precedente, a sud e sopra il Grezzone Triassico della ‘ellissoide d'Isoverde fra Casa Buz- zauo e Casa Nonscian sulla destra dell’Iso è un calcare ceruleo (con Cal- cite, Quarzo. Sericite, Limonite, microliti di Rutilo aggrovigliati nelle parti più schistose, e Apatite), una specie di Bardiglio molto siliceo, con vene di Calcite. Lo Spongiario, in parte calcificato, alterna con le sottili lenti schistose. È diverso dal precedente. Ha reticolo abbastanza regolare con maglie grandi o piccole quadrate o rettangolari: megasclere con Zychnische evidenti: microsclere e parenchimali sono Mezactiniae e Diactiniae. In qualche placca di Quarzo ialino sono minute Hexactiniae e Tylopentactiniae. Piccole aperture puntiformi ed altre probabilmente di Epirhize, più grandi, circolari, in parte schiacciate trasversalmente. In qualche caso ho notato, come nella specie della Biscazza e di Mele, che l'intreccio forma una breve spirale intorno alle Ostia. Trattando con acido cloridrico rimane la sfiorituca quarzosa riproducente in modo grossolano l'intreccio dictyonale ed i canali verticali (Aporh:ze) circolari. Nel Quarzo ho osservato una A4m- phiore di Monaxonia. — 170 — Caffarella. Da S. Martino salendo alla Caffarella sopra le rocce ritenute Infralias- siche di S. Martino, incontrasi la zona schistosa esterna attribuita all’'Eocene superiore. Fra le altre rocce vi sono Calceschisti ceroidi, puri, più schistosi e silicei che calcarei con Calcite, Opale, Sericite, Rutilo, Limonite pseudo- morfa di Pirite, materia carboniosa. Vi è una compagine di varî frammenti * di Dictyonina, talora abbastanza integri, talora minuti. Saggiando con gli acidi, si discioglie in molta parte l'intreccio trasformato in.Calcite, ma re- stano minute parti silicee intatte, piatte, bianche, ialine. Il reticolo dictyo- nale minutissimo in serie longitudinali regolari, è radiale, e circolare. in tal caso spesso intricato, a maglie di vario ordine quadrate, rettangolari, rotonde, esagone, triangolari, perciò a volte irregolarmente disposte. Con ingrandimento di 400 D. nell’intreccio maggiore appaiono Lich- nische, ma non sempre; perciò la specie è diversa dalla Mexasterosa più antica di S. Martino; mentre somiglia a quella di Palazzo Doria e luoghi vicini. Compaiono pure placche dermali o gastrali con forellini rotondi. Vi sono piccole Ostia in serie irregolari con rari tubi sporgenti forse di Epirhize. Vi sono piccoli canali acquiferi inalanti ed esalanti verticali od obliqui che traversano lo Spongiario in vario senso, riempiti talora da Limonite: hanno all’intorno un intreccio radiale. Nell’interno sono Hezactiniae isolate e nel residuo siliceo dopo il trattamento con gli acidi appaiono piccole Pex- tactiniae dermali, Diactiniae, e pare qualche Clavula, nel qual caso si trat- terebbe di Wncinataria e tra le forme conosciute come tali si potrebbe avvicinare alle Tetracalycidae F. E. Schulze con canali irregolari che tra- versano la Spugna in diverse direzioni, con Zpî ed Aporhize tubiformi, con Scopulae. Però la presente specie pare sia una Zychniscosa, ed i parenchi- mali delle Zychn. fossili ed in generale delle Mexasterophora incertae sedis, . che sono la quasi totalità delle Se/icospongiae fossili, non si conoscono, ma probabilmente in parte queste sono Wncinataria. In certi tratti in mezzo all’intreccio compaiono Rhabdi di Yelomorinidae tipo noto solo nella Creta. — 1 — Chimica. — Passaggio dalla quanidina alla cianamide e dalla biguanide alla diciandiamide ('). Nota del Corrisp. Guipo PELLIZZARI. Come è noto Erlenmeyer per l’addizione di una molecola di ammoniaca alla cianamide ottenne la guanidina (?). NH..CN+NH, = NH,.C.NH; NH Similmente la diciandiamide con una molecola di ammoniaca si trasforma in biguanide NH,.C.NH.CN + NH; = NH..C.NH.C.NH, LE NEGGENH La reazione inversa non era ancora stata ottenuta, cioè non si era riu- sciti a togliere direttamente da un composto guanidico gli elementi di una molecola di ammoniaca per trasformarlo in un derivato della cianamide. Il primo caso di una tale reazione l'ho avuto colla o-fenilenbiguanide, la quale con acido nitroso, invece di dare la fenilenguanilurea come si poteva supporre, dette la fenilencianguanidina (o-fenilendiciandiamide) (*). N CH N.C.NH.C.NH,-+NO,H IR NC.NH.CN-+ N 0 . . . 2 — Ugll4 . +0 2a] \NHZ Ì a 2 NNAA + 2+ 2 NH Ho voluto ora vedere se questa nuova reazione rappresentava un caso isolato, oppure aveva un qualche carattere di generalità: colla biguanide e acido nitroso ebbi analogamente alla reazione sopra citata, produzione di cianguanidina o diciandiamide NH,.C.NH.C.NH,+ NO.H = NH.;C.NH.CN + N, + 2H,0 | NH NH NH (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica farmaceutica del R. Istituto Supe- riore di Firenze. i (*) Ann: 146, 259 (1868). (3) Rend. Acc. Lincei, vol. XXX, 1° sem., pag. 39 (1921). RenpICONTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. (9) DO — 172 — In seguito a questo resultato positivo feci agire l’acido nitroso sulla quanidina e potei constatare in modo positivo la formazione di un poco di cianamide. NH..C.NH:+ NO,.H = NH..CN+ N,--2H,0 da Il rendimento in cianamide fu dapprima molto piccolo, mentre quello della diciandiamide fu del 71 % del calcolato e quella della o-fenilencianguanidina dell'81°%. Il maggior rendimento di-quest’ultimo prodotto può spiegarsi colla sua pochissima solubilità a freddo per cui sfugge ad un'ulteriore azione del- l'acido nitroso. Per la diciandiamide, come dirò nella parte descrittiva, avevo dapprima scarso rendimento facendo la reazione con solfato di biguanide, nitrito sodico e acido solforico diluito, perchè la reazione era troppo vivace; ma sostituendo l'acido acetico la reazione si svolse più lentamente e il rendi- mento si fece assai buono. Per la guanidina riuscii soltanto cambiando in altro modo le condizioni dell'esperienza, come dirò dopo, ad avere quantità discrete di cianamide. In ogni modo rimaneva così stabilito che il gruppo guanidico può col- l’acido nitroso trasformarsi in un gruppo della cianamide RNH.C.NH, —> RNH.CN l, L'ammoniaca si elimina come azoto ed acqua, che sono i prodotti di decom- posizione del nitrito di ammonio, ma da certi indizî mi parve che l'acido nitroso non staccasse direttamente una molecola di ammoniaca ma che si formasse un prodotto intermedio: per il caso della guanidina potei in realtà identificarlo per la nitrosoguanidina che J. Thiele ebbe per cauta riduzione della nitroguanidina (1). Egli però dice che la nitrosoguanidina in liquido acido si decompone in guanidina ed acido nitroso ed è perciò che non sî può formare direttamente da queste due sostanze. Ma secondo le mie esperienze quest’ultima affermazione non risulta vera: il fatto è che invece ci troviamo di fronte a una reazione reversibile che può raggiungere uno stato di equilibrio AB: ANE.NO CÉNH + No, => CÉENH lE *H)0 \NH, \NH, Perciò determinai un incremento nella formazione della nitrosoguanidina - (1) La nitroguanidina fu descritta da me nel 1591; Jousselin aveva avuto la stessa sostanza nel 1877, ma credette che fosse la nitrosoguanidina. Quest'ultima sostanza la ebbe Thiele nel 1903. — Ann: 273, 133. TI STE n e aumentando la concentrazione dell’acido nitroso. Ma siccome il prodotto in liquido acido rimane disciolto, si neutralizza con soda a freddo e in quel breve tempo che occorre la reazione praticamente non retrocede e la nitro- soguanidina così stabilizzata può anche separarsi per concentrazione a tem- peratura poco elevata. Per avere invece direttamente la cianamide il liquido neutralizzato si scalda e così la nitrosoguanidina, come già aveva osservato Thiele, si scompone in azoto, acqua e cianamide. Lo schema quindi della reazione è il seguente: A ANH.NO CENHI >. CENH —> CEN X\NE;, \NE; \WE, È probabile che il meccanismo della reazione sia lo stesso anche per gli altri due casi: per la biguanide l’indizio della formazione della nitrosobigua- urde è dato dal fatto che al principio della reazione il liquido è giallo 6 questa colorazione sparisce mano a mano che l’azoto si sviluppa e si t.rma la diciandiamide; inoltre il liquido giallo col solfato ferroso e potassa sà una colorazione rosso sangue simile a quello che dà la nitrosoguanidina. Azione dell’acido nitroso sulla biguanide (*). Gr. 2 di solfato di biguanide e gr. 1 di nitrito sodico furono sciolti in 10 c.c. di acqua, poi a freddo sì aggiunse 1 c. c. di acido acetico glaciale: la reazione così è poco vivace, non si hanno vapori rossi che in minima quantità, lo sviluppo gassoso è lento e il liquido diventa giallino. Mettendo in un vetrino una goccia di soluzione di solfato ferroso, poi una goccia di idrato sodico e mescolando e quindi lasciando cadere nel mezzo una goccia della soluzione gialla, si ha una colorazione rosso sangue al centro con sfu- matura viola bleu ai bordi. Il giorno dopo (temp. 10°) si erano separati gr. 0,5 di diciandiamide ben cristallizzata che fondeva a 205°. Alle acque madri si aggiunsero gr. 0,5 di nitrito sodico, ma non si depositò altro e allora il giorno dopo si alcalinizzò il liquido con ammoniaca, si tirò a secco a b. m. e si riprese il residuo con alcool dal quale si ricavarono ancora gr. 0,8 di diciandiamide un po’ colorata ma abbastanza pura. Il rendimento fu il 71% del teorico. Il prodotto purificato sì presentava con tutte le caratteri- stiche della diciandiamide. Gr. 0,0631 di sostanza dettero 35,3 c.c. di azoto a 12° e 759 mm. trovato %, N = 66,90 calcolato per C, H, N, 66.66. (1) Bamberger, Ber. 25, 545, prepara la biguanide fondendo la diciandiamide col eloraro ammonico ed ottiene un rendimento del 40-50 °/, in biguanide ramica: con questa preparazione non mi riuscì ad avere che rendimenti assai più bassi e perciò feci la rea- zione in soluzione acquosa così: gr. 10 di diciandiamide e gr. 16 di cloruro di ammonio fnrono sciolti in 30 c.c. di acqua e la soluzione si fece bollire a ricadere per 8-10 ore. Il liquido diluito e filtrato dette sr. 5,2 di composto ramico. — 104 — Una reazione fatta ‘colle stesse quantità di sopra, ma usando acido solforico invece che acetico, dette subito vapori rossi, molto sviluppo g28- soso e scarso rendimento in diciandiamide: sembrerebbe da ciò che il sup- posto nitrosu derivato sia poco stabile in presenza di acidi minerali e in maggior copia si formi coll’acido acetico, eppoi sviluppando azoto e acqua. sì trasformi in diciandiamide. Azione dell'acido nitroso sulla guanidina. Furono fatte diverse prove sempre partendo dal carbonato di guani- dina, nitrito sodico ed aggiungendo acidi differenti, e si vide che con l’acido acetico come col tartarico la reazione è lentissima. Migliore risultato si ebbe coll'acido solforico sviluppando un eccesso di acido nitroso in liquido con- centrato come dimostrano i risultati di queste quattro esperienze: I II INI IV Carbonato di guanidina . . gr. 1 1 1 1 Nitrito- sodico. i ti er 0 1,5 15 Acqua... i n. cigno 19, 1410, MO Acido solforico al 25% \. + ‘ec. 5 7,9 7,9 Cianamide argentica ottenuta gr. 0,07 0,11 0,15 0.37 Le esperienze I e II furono fatte sviluppando la quantità calcolata di acido nitroso e le III e IV colla quantità doppia. Il miglior rendimento si ebbe con la quantità doppia di acido nitroso in poco liquido. L'esperienza, che può farsi anche in lezione, si eseguisce mettendo in una piccola bevuta tenuta nell'acqua fresca, le sostanze nell’ordine soprascritto. Si ottiene così un liquido giallo dal quale si sviluppano delle bollicine gassose; dopo poco tempo, al massimo mezz'ora, si neutralizza con idrato sodico al 20 % e si fa bollire procurando di mantenere il liquido neutro o leggermente acido con qualche goccia di acido acetico molto diluito; si sviluppa l'azoto e quando il liquido è incoloro col nitrato d'argento ammoniacale si precipita la ciana- mide argentica. Non facendo la neutralizzazione e lasciando il liquido alla temperatura dell'ambiente, il liquido si scolora ma si trova pochissima cia- namide. Essa fu identificata coll’analisi del composto argentico e di quello ramico e colla trasformazione in diciandiamide. Per separare la nitrosoguanidina si fece questa esperienza: gr. 3 di carbonato di guanidina e gr. 4,5 di nitrito sodico con 15 c. c. di acqua furono trattati con 21,5 e. c. di acido solforico al 25 %. Il liquido ottenuto dà net- tamente la reazione caratteristica della nitrosoguanidina e cioè una colora- zione rossa intensa col solfato ferroso e soda e un precipitato rosso cinabro con un sale di nichel e idrato sodico. Per separarla si neutralizzò con soda al 20% e raffreddando si separò molto solfato sodico che si tolse dal liquido. il quale fu concentrato a 40-50° e a freddo si ebbe la nitrosoguanidina im I] — 105 — aghetti minuti gialli e cristalli di solfato di soda. I primi agitando sì por- tano facilmente sul filtro e così si raccolgono. Le acque madri si tirarono quasi a secco sempre a bassa temperatura; quindi sì riprese con qualche goccia di idrato sodico, si filtrò e con anidride carbonica precipitò ancora un poco di nitrosoguanidina ché fi° purificata gr. 0,434 di sostanza dettero 23 c.c. di azoto a 10° e 755 mm. trovato % N = 63,51 calcolato per CH, N,0= 63.64 Sto ora facendo .ricerche con alcune biguanidi sostituite. MEMORIES NOTE PRESENTATE DA. SOCI Matematica. — Sui numeri reali e le grandezze. Nota I di C. BuRraLi-ForTI, presentata dal Corrisp. R. MaRrcoLONGO (*). Ritorno sull'argomento. già ampiamente trattato ('), dei numeri reali e delle grandezze, per introdurre alcune modificazioni che hanno notevole interesse scientifico e pratico, ma che non portano alterazione al contenuto generale di L. M. e dei lavori precedenti (°). 1. Se xs grd=Zero [pag. 381, (6), (7)] la frase « Grandezza omogenea con x * (3), ovvero il simbolo equivalente [pag. 416] Q, ©, abbreviazione di (a2)|a‘Q,, non indica una classe ben determinata. perchè la definizione di Grd [pag. 381, (5)] non implica (*) la esistenza di una sola Grd cui appartenga %. (*) Presentata nella seduta del 2 gennaio 1921. (1) Cfr. specialmente i lavori miei e di S. Catania citati nella mia Logica Mate- matica (Manuali Hoepli, 2* ediz. 1919), alla quale si riferiscono le citazioni entro paren- tesi quadre e che citeròd con la abbreviazione L. M. — In particolare cfr. mia Nota I numeri reali definiti come operatori per le grandezze (Rend. R. Acc. Lincei, vol. XXIV, ser. 5°, 1° sem., pp. 489-496, 1915). (2) Ho trovato e introdotto tali modificazioni in seguito ad alcune osservazioni ed esempî, che saranno citati volta per volta che occorrono, comunicatimi dal sig. G. Ber- telli di Spezia. — Il sig. Bertelli suggerisce pure di cambiare, nella definizione della coppia particolare (a;a) [pag. 136, (1)]), fa =a in fr=v@Vewx, perchè altrimenti si ha (a;a;00)=(8;b; ca) anche quando a-== d. Infatti la dimostrazione della condi- zione di eguaglianza di due terne [pp. 138-140, (2’)] sussiste quando (a; 2) x, (a';0)x dipendono realmente da x, il che avviene [pag. 136, (1)] solo quando am—=) e g'=—=%'; mentre si ha sempre tale dipendenza con l’indicato cambiamento di {r, le altre defini- zioni di coppia, terna, ... [pag. 87] restando invariate. (8) G. Peano, Aritmetica generale ....(Paravia, 1902), pag. 136, ove trovasi anche la notazione @, 2. (4) Ciò risulta dai seguenti esempi nei quali: & , 7 sono simboli fissi di Oper; f,g sono Ops [pag. 118, (1)] fissi; Lung è l’ordinaria classe delle lunghezze; #m è una par- TARE Se xs Grd [pag. 381, (5)] allora vs Grand 4 pag. 373, (1)] essendo % una operazione, ma di tali operazioni 4 non ne esiste una sola (5) [contra- riamente a quanto è erroneamente affermato a pag. 406 ]. Dalla definizione dei Q, assoluti [ pag. 388 e pag. 404] e della somma, 4-.- per essi, risulta che Q, e Grd. Segue pure che se a, sono dei ®@, anche 05 (che è contemporaneamente prodotto algebrico e funzionale di b per a) è un Q,; quindi i Q, sono, ad un tempo, Ops e Opd per se stessi, il che con- tradice (cfr. ©) alla definizione di Ops e Opd [pag. 113; (1), (1°)]. defini- zione che non può essere, in generale. cambiata a causa dell'assurdo che si presenterebbe per i simboli di operazione [pag. 118] qualora un opera- tore potesse esserlo a destra o a sinistra indifferentemente (°). Gli inconvenienti formali ora citati si tolgono facilmente come è indi- cato nei numeri seguenti. 2. Per comodo del lettore riporto qui, con alcune modificazioni formali, quanto è esposto nella mia Nota del 1915 (cfr. ©’) e che riguarda i Q0, No, Ro ticolare lunghezza non nulla, ad es., il metro; 1C,C, ,F,G sono classi particolari di grandezze (A) (cfr. (®). C.=.(1;2)|x%Q, Co.=. (11/2000, cy ali) h(1:y).=.(1;2+y):(c;1)k(y;1).= (c+y;1); sl deduce [pag. 378 (1)] ; 10 Grand è, C, e Grand &, (1;1)e(C0C;), (Ce =0C,. (B) (cfr. ©). 7eLung=meim.Ox.f(c;m)=(v;m), f(m;m=m ,F=f(0;m)| x Lung, x,y e Lung. das, y.f(c;m) h f(y;m)=f(x+y;m); si deduce; Fe Grand A, me (F Lung), F== Lung. (C). x Lungmem.Qx.g(a;m=a/m,g(m;m=m, G=g(c:m)|a‘Luug, #,y e Lung, dx, y-g(c;m)hgty;sm)=g(r+y;m);si deduce: Ge Grandh,m (GA Lung), G= = Lung. (5) Se, ad es., (cfr. () m è un intero non nullo esi definisce la operazione + mm per i Qo ponendo t,YeQo: Oa, yi + my. =. (et y n) si ha che Qoe Grand +,. Analogamente per x,y appartenenti ad altre classi crdinarie di grandezze; ad es., se x,y sono lunghezze si può chiamare somma di x con y la lun- ghezza della ipotenusa del triangolo rettangolo (proprio o pur no) che ha per catet? dei segmenti di lunghezze x,y (cfr. (®). (5) Volendo, il che non è conveniente, lasciare ai Qo la proprietà ora indicata, si può, sempre eliminando l’indicato assurdo, dare di Ops (e analogamente di Opd) la defi- nizione seguente: Ops .=. Q=2* 0/20 |Cls' a us (ceu. Dx. fre Elem)}] dando insieme il significato di £ e £* [pag. 156]. In tal modo ogni Ops può anche essere Opd e viceversa e occorre escludere praticamente la contemporaneità in generale. — Ma è preferibile la soluzione che indichiamo in queste Note, ritornando a forme già. introdotte fefr. (1, 1915, e lavori di S. Catania) definendo la classe assoluta Qo, sempre dipendentemente dalle grandezze, ma in modo che i Qo non siano operatori per se stessi. sso relativi ad una classe omogenea di grandezze. Tutte le proposizioni di questo» numero hanno come ipotesi comune. sottintesa [pag. 378] hs Oper. ve Grand ’. La classe dei numeri reali relativa ad u ed % resta definita ponendo (1) Qo(u, h).=.1[Cls'Ops (u.u)nw è }A.B.C. Dj] avendo A, B, C, D il significato stabilito a pag. 388 di L. M. La somma, +,,n. per i Qo(u, 4) è definita da (2) CORSO n lay 2(Qo (7, Ra) n a3fasu. da. sa = (ca) h(ya)] e risulta subito [pag. 378, (1)] (3) Qo (u, kh) Grand +,,,n- Della classe Qo (v,%) se ne può definire l'elemento nullo, 0, [pag. 379, (2)], e l’unità, 1,., n, relativi ad % ed /%, ponendo (4) ì O,,1.=. Oqocur mi uh (5) lu,n-=-1[Qo (0, A) nxajaceu. da. ga = at]. Si ottiene la classe No (u, A), poi Ro (w, #), degli interi e razionali relativi ad vu ed %, come nella Nota del 1915 (cfr. ©’) con tutte le ordi- narie loro proprietà. Il prodotto algebrico, Xu.,n, per i Qo(%, A) coincide col loro prodotto funzionale [pag. 196]. Per il rapporto, rispetto ad %, di due elementi di u si ha (6) a,beu. bi Odi ded = 1[Qo (4, Are ee d = al] e risulta (7) Wet pp pone LA, 4) (8) Qo(e, A) =%/ uh (Umt0O,, 7) In virtù della (3), come caso particolare per i Qo (%, 4), (9) CiYEQo (Us h)y = ray Lu nY Lg, Lu, n Y e sì ha | (10) Hp (9). On, u,c,y:(L/u,nY)YKn,uy=% e quindi il simbolo /, nel quale gli indici w, % non possono esser soppressi, dà la ordinaria operazione divisione. — 178 — Fisica. — Sopra alcuni apparati di radiomeccanica dirigi- bile ('). Nota di ALESSANDRO ARTOM, presentata dal Socio V. VoL- TERRA (°). ) In questa Nota intendo descrivere una nuova classe di apparati che risolvono un interessante problema della radiotelegratia e più particolarmente della radiomeccanica. Lo scopo a cui sono destinati questi apparati è il seguente: in una stazione radiotelegrafica ricevente far disporre una lancetta od un indice nella direzione da cui proviene il segnale radiotelegrafico. Nei.miei precedenti lavori sulla direzione delle onde elettriche (*) ho descritto numerosi metodi ed apparati coi quali si rileva la direzione in cui si trova la stazione radiotelegrafica che trasmette i segnali. Ma in questi sistemi radiotelegrafici che hanno avuto appunto nella passata guerra vastissime applicazioni e ne hanno tuttora per la sicurezza della navigazione, la indicazione della direzione è data dalla constatazione della maggiore o minore intensità della ricezione telefonica, cosicchè il loro impiego richiede operatori di particolare abilità. Negli apparati (*). oggetto della presente Nota, la direzione da cui pro- viene il segnale è automaticamente stabilita, senza bisogno di particolari osservazioni e colla semplice lettura della deviazione di un indice, perciò li ho denominati « radiodireziometri ». * x x Le figg. 1 e 2 rappresentano in proiezione verticale ed orizzontale una delle forme con cui si può costruire gli apparati oggetto della presente Nota. Le correnti di ricezione radiotelegrafica sono raccolte da due aerei diri- gibili o quadri di ricezione posti fra loro ad angolo retto e più generalmente anche ad un angolo arbitrario. Queste correnti sono raddrizzate per effetto di uno dei procedimenti ben noti in radiotelegrafia, come valvole termoioniche, contatti cristallini ecc. ed (3) Lavoro eseguito nel R. Politecnico di Torino. () Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. (3) Rendiconti Accademia dei Lincei, A. Artom 15 marzo 1903, 5 febbraio 1905, 17 giugno 1906, 3 gennaio 1915, 7 gennaio 1917. Atti Associazione Elettrotecnica Italiana, 1908. (4) Attestato di Privativa inglese del 27 marzo 1916; italiana del 9 febbraio 1917 ed analoghi esteri. gi inviate rispettivamente in due avvolgimenti galvanometrici AB,CD, disposti fra loro ad angolo retto o ad altro angolo uguale a quello che formano fra loro gli aerei dirigibili. Bei (Gli avvolgimenti sono isolati elettricamente fra loro, ma meccanicamente riuniti così da costituire un unico equipaggio mobile che, sospeso mediante ‘verno. può rotare attorno ad un asse verticale. F1G..2. Un campo magnetico NS abbastanza intenso, produce, quando gli avvol- . gimenti sono sede di corrente, la deviazione dell'equipaggio mobile. Tenendo conto delle notorie proprietà degli aerei dirigibili, dimostrerò che il valore dell'angolo di deviazione dell'equipaggio mobile di un tale apparato è funzione dell’angolo che la direzione, da cui proviene il segnale, fa col piano di uno degli aerei dirigibili riceventi. DI QI RenpIcONTI. 1921. Vol. XXX, 1° sem. — 180 — Gli apparati che hanno per base i concetti esposti possono assumere diverse forme di costruzione. Una di queste (fig. 3) è particolarmente adatta per misure di laboratorio e si presta per lo studio delle condizioni teoriche di funzionamento. Essa presenta qualche analogia coi galvanometri di Boys e Duddell. I due avvolgimenti galvanometrici sono provvisti di contatti termo- elettrici T,T" e le correnti provenienti dagli aerei dirigibili percorrono due adatte resistenze RR' che agiscono per effetto Joule sulle pile termoelettriche. Fic. 3. Si generano così negli avvolgimenti galvanometrici delle correnti, i cuì valori sono proporzionali ai valori efficaci delle intensità delle correnti di ricezione. Un campo magnetico NS, abbastanza intenso, provoca la deviazione del- l'equipaggio mobile. i Il valore dell'angolo di deviazione dell'equipaggio mobile dipende dalla posizione in cui si trova la stazione trasmettente. Infatti, dette <, ed 7, le correnti negli aerei dirigibili ortogonali, è notorio che se « è l'angolo che la congiungente del punto di intersezione degli aerei dirigibili fa col piano di uno degli aerei riceventi la cui proie- zione si assume come asse delle x, si ha: (1) In MKG cosa (25 sena. Dette ii ed 7; le correnti che per effetto Joule circolano nelle spirali galvanometriche, e d la deviazione dell'equipaggio mobile sotto l'azione del — 181 — campo magnetico, l'equazione di equilibrio è: (2) HS, i; send = HS, 23 cos d dove H è la intensità del campo magnetico, ed S, Ss le costanti delle spirali galvanometriche. Dalla (2) si ricava, detta y una costante: r lo tipi — ph g Vr Dalla (1) risulta: K, ts i? e Ka o È K, Di î Per le notorie proprietà di proporzionalità fra le correnti termoelettriche generate negli avvolgimenti galvanometrici, ed i valori efficaci delle correnti che circolano nelle resistenze riscaldatrici, detta w una costante, si ha: (3) ted = uiga. ‘ Il che è quanto dire che l'angolo di cui ha deviato l'equipaggio mobile dell'apparato descritto, è funzione dell'angolo @ che la retta congiungente la stazione trasmettente colla ricevente, fa con la proiezione orizzontale di uno degli aerei dirigibili ricevitori. * x x Lo stesso principio esposto dà luogo alla creazione di diversi tipi di apparati aventi carattere pratico ed ai quali i concetti teorici esposti si applicano con quella approssimazione che tiene conto dei coefficienti variabili a seconda delle forme costruttive. Questi apparati dovranno perciò essere sottoposti a preventiva taratura e graduazione mediante esperienze dirette. Fra le forme costruttive di indole pratica, ricorderò quella rappresentata dalle figg. 1 e 2 di cui si è già fatto cenno nella presente Nota. Nel campo magnetico NS sono sospesi due avvolgimenti galvanometrici angolarmente disposti. Essi possono essere anche collocati l’uno al disotto dell'altro. Le correnti di ricezione, dopo aver attraversato i circuiti "a valvole termoioniche amplificatrici, sono condotte per mezzo di leggeri fili di argento agli avvolgimenti galvanomettrici. Le valvole termoioniche sono particolarmente adatte per far funzionare gli apparati oggetto della presente Nota, perchè esse offrono la possibilità di ottenere correnti di intensità elevata. Occorre però avvertire che, per raggiungere buone condizioni di funzio- namento, è necessario che le due valvole termoioniche abbiano uguale sen- sibilità. — 182 — Per raggiungere tale scopo ho ideato una forma pa:ticolare di ricevitore . termoionicò, cioè una doppia valvola. Attorno ad un filamento centrale di forma circolare è disposta una placca cilindrica. Nel campo elettroionico, così costituito, sono collocate le griglie e le piastre che rappresentano rispettiva- mente gli estremi dei -circuiti raddrizzatori delle correnti che circolano negli aerei. Il campo elettroionico essendo comune alle due correnti, si verificano perciò con sufficiente approssimazione le condizioni fisiche di iguaglianza degli effetti amplificatori e raddrizzatori. * * * Una terza classe di apparati ha per base le azioni elettromagnetiche al posto delle azioni magnetoelettriche. In questa nuova classe di apparati il campo direttore è costituito da due avvolgimenti fissi angolarmente disposti e percorsi dalle correnti raddrizzate provenienti dagli aereì dirigibili. Nell’asse verticale di simmetria di questo campo magnetico, è collocato l'equipaggio mobile costituito da un doppio ago astatico di materiale ma- gnetico. Il fatto fisico di potere, mediante le onde radiotelegrafiche, comandare a distanza anche di molti chilometri, il movimento di un indice in modo da obbligarlo a disporsi secondo una determinata direzione, ritengo sarà fe- condo di applicazione pratica. Potranno invero questi apparati trovare utile impiego nella navigazione marina, nell’aeronautica, nelle segnalazioni ferroviarie: perciò ho creduto opportuno farne oggetto del presente studio. PERSONALE ACCADEMICO Commemorazione dell'Accademico prof. G. CuBonI, letta dal Socio Pr- ROTTA nella seduta del 6 marzo 1921. GrusepPE CuBonI fu biologo eminente. La tendenza allo studio delle questioni biologiche gli fece abbandonare l'iniziato corso di medicina per dedicarsi completamente alle Scienze naturali e con predilezione alla biologia delle piante. Ebbe un maestro insigne, Giuseppe De Notaris, che possedeva in alto grado l’arte di suscitare nei giovani le energie latenti per lo studio. E ap- pena laureato il 7 gennaio 1877, divenne suo assistente benchè, purtroppo, per brevissimo tempo, perchè l'illustre botanico di Roma moriva pochi giorni dopo. — 183 — Conservò tuttavia l'ufficio, rimanendo assistente del prof. Nicola Pedi- cino successore del De Notaris fino al 31 dicembre del 1880, quando assunse quello di insegnante di Scienze naturali e di Patologia vegetale nella Scuola di viticoltura e di enologia di Conegliano, rimanendovi dal 1° gennaio 1880 al 31 ottobre 1887 per venire a Roma a dirigere la Stazione di Patologia vegetale e poi ad insegnare questa materia dal 1888 fino alla sua morte. Fu insegnante egregio; calmo. ordinato, esponeva in modo chiaro e con- vincente; conosceva la difficile arte di interessare gli allievi perchè sapeva dare allo svolgimento una forma che, togliendo il earattere di aridità che naturalmente hanno certi argomenti, li faceva diventare interessanti e anche piacevoli. Giuseppe Cuboni apparteneva alla schiera dei biologi, oggi non molto numerosa, i quali pur sapendo bene quanto sia necessario approfondirsi in un ramo del sapere per acquistare quella competenza che permette di aspi- rare degnamente all'insegnamento dalla cattedra ec nei laboratorî, tuttavia non amano la specializzazione minuta, limitata, quasi direi localizzata, perchè inaridisce il campo scientifico, e se pur lo sparge di fatti anche nuovi e inte- ressanti, questi rimangono isolati, senza connessione. senza collegamento, mentre occorre elevarsi al di sopra dei fatti singoli, trovarne le relazioni che permettano di intravvedere prima, di afferrare poi e di concretare e sta- bilire infine le leggi generali delle quali i fatti non sono che una manife- stazione isolata. i Perciò collo studio continuo e specialmente colla indefessa lettura Egli si era formata una coltura vasta e profonda che integrava e completava colla dimestichezza con uomini colti, con intellettuali. E questa indispensabile preparazione unita alla agilità e alla acutezza del suo ingegno, alla facilità che era in lui di assimilare, di ordinare. di coordinare e di trarre le logiche conseguenze, rispondeva alle esigenze e alla . natura della sua mente e alla tendenza del suo spirito eletto, che lo porta- vano alla sintesi. Ne conseguiva che egli era dotato di uno spirito critico, serio e acuto, e di notevole, marcato senso filosofico. E queste sue qualità spiccavano nella conversazione, che egli desiderava con scienziati, con artisti, con filosoti, con coloro insomma che ne sapevano comprendere l’anima. Pos- sedeva fine senso artistico ed era intelligente di musica e amante delle arti belle, qualità che adornavano questo suo complesso spirituale. Nei suoi modi, nel suo dire era qualche cosa di aristocratico, di quella aristocrazia che sorge spontanea dalle persone elette che vivono nella scienza e per la scienza della quale fanno loro culto, e da esse emana e si stende sul volgo e svolge su di esso la sua benefica azione, che sempre svolgerà quali che siano i tentativi per negarla e gli sforzi messi in pratica per cercare di soppri- merla. — 184 — Per il sapere, per la cultura, per la mente equilibrata e la facoltà di retto giudizio Giuseppe Cuboni aveva acquistata grande autorità; e il suo parere, il suo consiglio erano ricercati perchè molto apprezzati. Fu infatti sempre ascoltato con deferenza nel Consiglio superiore della istruzione agraria, nella Commissione per le malattie delle piante, nel: Comitato permanente dell'Istituto internazionale di agricoltura, nel Consiglio di amministrazione della Stazione di granicoltura di Rieti, in quello dell'Istituto di Genetica per la Cerealicoltura, e in altri uffici non pochi ai quali era stato chiamato e al quali portò sempre validissimo contributo. È passato oramai molto tempo, ma è opportuno ricordare quel periodo dell'ultimo quarto del secolo scorso nel quale si cominciava a comprendere la necessità di iniziare almeno quel movimento che doveva portare a cam- biamenti profondi negli ordinamenti agrarî per mettere la nostra agricoltura sulla via indicata dalla scienza, creando gli organi della vita agraria che la rendessero attiva, fattiva. E di quanto fu iniziato, avviato, compiuto in quel tempo, il merito principale giustamente attribuiscono coloro che ebbero con lui dimestichezza, che con lui collaborarono, a Nicola Miraglia, il quale fu allontanato dal suo alto ufficio forse perchè aveva acquistata colla grande competenza troppa autorità. Egli cercava il parere dei competenti coi quali amava discutere prima di decidere, ma quando aveva ben compreso e sì era fatto chiaro il concetto di ciò che si doveva fare, con rara energia di vo- lontà, eseguiva. E molte istituzioni si debbono a lui, quasi direi a lui solo. Così avvenne per la Stazione di Patologia vegetale di Roma, quando io al quale si ricorreva allora per quanto aveva relazione alle malattie delle piante, con tenace insistenza andavo dimostrando che era necessario uno spe- ciale Istituto per lo studio delle importanti questioni che specialmente nella parte centrale e meridionale d’Italia attendevano chi ne cercasse la soluzione. L'opera mia ebbe fortuna; la istituzione della Stazione di Patologia vegetale fu deliberata, e Giuseppe Cuboni che negli anni di lavoro, nella quiete del modesto laboratorio della Scuola Enologica di Conegliano si era fatto una ottima preparazione, fu degnamente scelto per fondarla. Egli la diresse per ben 34 anni dal 12 novembre 1887 al 3 no- vembre 1920 dedicandovi sempre tutto il suo tempo e le cure più amorose. Fece egli stesso non poche ricerche sulle malattie dell'olivo, della vite, del castagno specialmente intorno a quelle più gravi e più discusse nelle loro cause, nel loro andamento e nel meto#o di cura, e intorno ai fatti terato- logici che insorgono in seguito all’azione di parassiti o di speciali condizioni sfavorevoli di vita. Di alcune di queste ricerche fece conoscere i risultati, mettendo in luce fatti interessanti e nuovi, come ad es. la forma larvata della Peronospora della vite, e proponendo metodi di cura, fra i quali notevole la formola della — 185 — miscela cupro-calcica per prevenire e combattere la Peronospora, che è la più efficace e la più usata. Ma nella sua Stazione Egli seppe attirare giovani desiderosi di imparare, e iniziandoli, dirigendoli, consigliandoli, aiutandoli in ogni modo, suscitare in essi l'amore per la patologia, e li avviava sul difficile cammino della ri- cerca scientifica. E così alcuni dei suoi allievi divennero valenti cultori e anche maestri egregi nel ramo di scienza che egli coltivava con tanto amore. Giuseppe Cuboni divenne infatti patologo insigne, anche perchè egli chiese ed ottenne di poter studiare da vicino, sul luogo, l’organizzazione dei servizi fitopatologici degli altri paesi, e fece un viaggio nei principali Stati di Europa intrapreso nel 1907 per incarico dell’ Istituto internazionale di agricoltura, e partecipò a riunioni e a congressi internazionali per lo studio delle malattie delle piante coltivate e specialmente per avvisare ai mezzi di difesa contro le malattie stesse. Risultato di questo continuo studio, di questo incessante lavoo fu una competenza veramente speciale e singolare da lui raggiunta in questo campo di studî, che gli diede modo e autorità di sostenere la necessità di provve- dimenti legislativi in vantaggio della agricoltura nazionale. Ed ebbe infatti parte principale nella preparazione della legge sulle malattie delle piante, nella sua applicazione e in tutti i provvedimenti che furono presi man mano in seguito. E quantunque non manifestasse sempre la sua intera approva- zione per ciò che si era fatto anche perchè talvolta non si era saputo dar forma esatta a quanto egli aveva suggerito, tuttavia si mostrava giustamente orgoglioso e soddisfatto di aver così potentemente contribuito a un'opera vantaggiosa per il paese. Quantunque non abbia fatto ricerche speciali in quel vastissimo e im- portantissimo campo della moderna biologia delle piante che si comprende ora complessivamente sotto il nome di Genetica, tuttavia colla profonda co- noscenza delle opere più importanti, col frequentare quei pochi che di sif- fatte questioni si occupavano, con viaggi a Upsala e a Svàloff e a Vienna, colla partecipazione nel 1906 al congresso internazionale di Londra per il miglioramento delle piante coltivate col mezzo della scelta e della ibrida- zione artificiali. Egli si era andato acquistando conoscenze e formando una preparazione tale da poter concorrere e colla parola nelle discussioni e nelle riunioni, e cogli scritti preparati con opportunità di tempo e di luogo, a diffondere la conoscenza dei risultati delle ricerche in questo interessantis- simo campo della biologia; a volgarizzare le nuove idee intorno alle leggi che dominano, governano, regolano i fenomeni della variazione e della ere- dità negli organismi; a far apparire chiaro il significato eminentemente pratico delle ricerche e degli esperimenti scientifici rivolti a isolare razze nuove, a ottenere ibridi nuovi, le une e gli altri forniti di proprietà o qua- — 186 — lità nuove o non conosciute; a far rilevare la“ enorme importanza che essi possono, debbono avere nella agricoltura. E potè ancora, insieme ad altri pochi animati dalla stessa volontà, so- stenuti dagli stessi ideali, validamente contribuire, con lena indefessa e con autorità riconosciuta, a far comprendere la necessità che anche in Italia sorgessero Istituti per queste ricerche, i quali tanto splendidi risultati nel campo della scienza e in quello delle applicazioni pratiche alla agricoltura hanno dato e dànno negli altri paesi. Si è detto da alcuno che già ha scritto di Giuseppe Cuboni, che Egli fu il primo a sollevare il problema della agricoltura meridionale. Senza dubbio Egli ne ebbe visione limpida e completa, ne comprese, come pochi lo seppero, tutta la sua vasta ampiezza e ne conobbe tutte le sue speciali caratteristiche. Mettendo bene in luce le differenze fondamentali che sotto questo im- portantissimo punto di vista distinguono quasi nettamente le diverse parti d'Italia, sostenne che non si doveva e non si poteva senz’altro far tesoro dei frutti della esperienza maturati e raccolti in altre regioni con caratte- ristiche differenti, o in altri paesi di condizioni anche più diverse; ma che era necessario uno studio esteso e profondo di quel complesso di fattori spe- cialmente biologici e agrarii che sono così strettamente legati alle condi- zioni di ambiente da assumere aspetto vario col variare delle condizioni stesse, fattori che nel loro insieme costituiscono e determinano appunto ciò che si dice ambiente agrario. Per la loro presenza. per il loro intervente originano condizioni agronomiche differenti, d'onde la necessità di ricercare, trovare, applicare metodi differenti; per cui si spiega il risultato infelice di tentativi fatti senza il sostegno dello studio scientifico di questi fattori e di questo ambiente. E per trovare la via buona da percorrere Egli dava con fine criterio suggerimenti e proponeva argomenti di studio insistendo spe- cialmente sulla necessità di ricercare piante — specie, razze o ibridi — che fossero veramente addatte a vivere in condizioni di ambiente così spe- ciali e capaci di resistere vittoriosamente in condizioni spesso così sfavore- voli per le piante dalle quali altrove si conseguono risultati così soddisfa- centi. E ben seppe ottenerle con serietà, intensità e costanza di lavoro ammi- revoli Nazareno Strampelli, che anche il Cuboni tanto apprezzava. Per il conseguimento di questi alti scopi una piccola schiera di stu- diosi da lungo tempo combatteva per sostenere e dimostrare la necessità della preparazione scientifica per la sperimentazione agraria. E quantunque non ascoltati dagli indifferenti che sono la maggioranza, non compresi da coloro ai quali mancava la necessaria preparazione, e anche derisi dalla massa degli ignoranti appoggiata al deplorevole pregiudizio della inutilità pratica della scienza pura, sorretti da profonda convinzione, non scossi dalia SIZE — 187 — indolenza, dalla indifferenza e dalla opposizione dei più, stettero fermi e lot- tarono e lottano con fervore e con costanza. Di questa schiera ha fatto sempre parte Giuseppe Cuboni. Anch’egli sostenne sempre, che lo studio e la solu- zione dei problemi agrarii trovano il loro fondamento soltanto nella sperimen- tazione la quale, alla sua volta, ha fondamento soltanto nella ricerca scien- tifica. Da ciò la necessità dell'intervento della cultura superiore e nel campo agricolo specialmente della cultura biologica. I fatti agrarii si riportano a fenomeni biologici fondamentali, che occorre saper cogliere, analizzare. rin- tracciandone i fattori e le cause per affrontare con sicurezza di risultati serii i problemi agrarii. E queste ricerche devono compiersi in Istituti speciali sperimentali, costituiti e organizzati in modo da essere veri laboratori di ricerche, nei quali lavoratori scientificamente preparati siano diretti da un uomo di scienza capace di sciegliere i problemi, di organizzare la sperimentazione. di dare l'indirizzo alle ricerche, di coordinare i fatti osservati e di trarne le neces- sarie conclusioni. Giuseppe Cuboni colla parola e cogli scritti, in ogni occa- sione, facendo apprezzare al suo giusto valore l’opera della scienza pura, fu tra coloro che più contribuirono a mettere in luce e a far comprendere il valore pratico della ricerca scientifica biologica. (‘he se non potè avere la soddisfazione di vedere coronato dal successo tutto il programma al quale egli così egregiamente collaborò, non gli è mancato il compenso morale, perchè l’idea per la quale Egli insieme agli altri pochi combatteva, riconosciuta, benchè faticosamente, fondata e giusta, è penetrata man mano nella coscenza degli uomini della scienza e della pratica, ha cominciato a far cammino e sì va finalmente concretando colla fondazione dell'Istituto nazionale di Gene- tica, della Stazione sperimentale di Bari, col sorgere della Società agronomica italiana, colla trasformazione della Società degli Agricoltori italiani in Isti- tuto nazionale di Agricoltura. Il tre novembre del 1920 Giuseppe Cuboni si spegneva improvvisa- mente in Roma. Se il suo corpo non era più saldo da parecchio tempo, lo spirito suo era così limpido, la sua mente ‘così chiara, che nessuno dei suoi cari e dei suoi amici aveva potuto pensare a una dipartita così inopinata. La vita di Giuseppe Cuboni è un esempio non troppo comune di dedi- zione completa allo studio, alla coltura, al lavoro, alla propaganda scientifica. Egli è dunque ben degno di gratitudine, di riconoscenza, di ammirazione. RENDICONTI. 1921, Vol. XXX. 1° Sem. 24 — 188 — Commemorazione dell’Accademico sen. prof. GiovANNI CELORIA, letta dal Socio CeRULLI nella seduta del 6 marzo 1921. Addì 17 agosto 1920 spegnevasi serenamente, in Milano, il nostro ve- nerato Collega. sen. Giovanni Celoria, e l’Astronomia italiana che aveva visto in breve volger di anni scomparire uno Schiaparelli, un Lorenzoni, un Fergola, un Millosevich, tornava novamente a piangere la perdita di un Maestro! A dirvi di Lui degnamente, cioè con sicura e piena nozione della sua opera scientifica, ben altra voce che la mia sarebbe occorsa. Ma piacque nondimeno all’illustre nostro Presidente darne a me l’incarico, in conside- razione — senza dubbio — dell’ufficio tanto benignamente e senza mio me- rito, conferitomi testè dai colleghi astronomi, di preside del loro sodalizio; onde io, non che declinare l’'onorifico invito, sentii anzi preciso dovere di accettarlo, porgendomisi con esso l'occasione ed il modo di tributare, a nome appunto di tutti gli astronomi italiani, onore alla memoria di un Uomo che non solo ebbe arricchita la scienza di nuovi preziosi dati di osservazione e di calcolo, ma anche felicemente si addentrò in ricerche originali, e qualche pagina ci lasciò degna di figurare fra le classiche dell’Astronomia. Giovanni Celoria, nato a Casale di Monferrato, nel 1842, cominciò dall'attendere agli studî di ingegneria, e ne conseguì la laurea nel 1863 a Torino. Ma più che per la attività del tecnico egli era fatto per la medi- tazione scientifica. Nel suo primo opuscolo che s' intitolava dai Movimenti perturbatori delle locomotive in corsa, già l'ingegnere passava in seconda linea rispetto allo studioso, indagatore delle leggi della Meccanica. Gli studî d'ingegneria erano serviti a formargli la coltura matematica necessaria per la comprensione dei moti celesti, poichè egli aveva nutrito fin da fanciullo il desiderio di diventar astronomo. A questo desiderio potè il Celoria dar soddisfazione l’anno appresso a quello della laurea. Avendo avuto la fortuna di conoscere di persona il prof. Schiaparelli, l’insigne direttore della Specola di Brera in Milano, ne ottenne di essere ammesso nella Specola stessa in qualità di allievo. Schiaparelli, conosciuto allora soltanto come scopritore del pianeta Hespe- ria, era tal Maestro da indirizzare verso le più alte cime del sapere chi aveva la ventura di studiare sotto la sua guida. Il Celoria fu uno di questi fortunati, e si trovò presto in grado di porre mano a calcoli d’orbite di pianeti e comete, e collaborare alla compilazione delle E/emeridi di Mi- lano, che vedevano la luce ogni anno per cura della Specola di Brera. In nessuno degli ultimi nove volumi di quell’Annuario, dal 1866 al 1874, il nome del Celoria è assente. Cominciò dal figurarvi col calcolo di Hesperia, il pianeta del suo Maestro, e passò man mano a quelli di Euphrosyne, di RIE NERE — 189 — Fides, di Clitia: richiamando con la sua valentia, l’attenzione e le lodi del nestore degli astronomi italiani, Giovanni Santini. Alle stesse Z/emeridi fornì anche per tre anni di seguito il calcolo delle costanti besseliane per la riduzione delle posizioni stellari al luogo medio. Oltre a ciò, sì occupò in quel primo periodo della sua vita scientifica di questioni meteorologiche, come allora molti altri astronomi erano costretti a fare. non essendo ancora la Meteorologia una scienza coltivata a parte. Sono apprezzate Memorie sulle anrore boreali dell'ottobre 1870. sul sin- cronismo delle variazioni di temperatura e pioggia col periodo delle mac- chie solari, sul grande commovimento atmosferico del 1° agosto 1872 nella bassa Lombardia e nella Lomellina, ecc., e vi è anche uno studio interes- santissimo sulle temperature estreme osservate in Milano in un secolo, a par- tire dal 1763. Ma quanto all'Astronomia. i calcoli obbligati per l'Efemeride assorbì- vano il Celoria quasi del tutto, restandogli appena tempo per una determi- nazione di latitudine in primo verticale e sistematiche osservazioni di fisse in meridiano. Decisamente quei calcoli erano soverchi, e possiamo anche aggiungere, zocevi per la loro uniformità. Poichè se un primo calcolo di qualsiasi fenomeno celeste è sempre istruttivo, lo è meno un secondo, nel quale si tratta di ripetere un processo già appreso, e non più istruttivo affatto un terzo, di guisa che l’astronomo corre pericolo di non distinguersi più da un computista di mestiere che sa maneggiare i logaritmi. Fu quindi nuova fortuna per il Celoria che nel 1875 Schiaparelli decidesse di soppri- mere le oramai superfiue efemeridi di Milano. Immediatamente se ne colsero i frutti in ciò che gli astronomi di Brera ebbero libertà di attendere a ricerche proprie, da cui la scienza sì avvantaggiò, giusta quanto Schiapa- relli aveva preveduto e promesso nella prefazione all'ultimo volume. Si può dire che subito, con quella beneaugurata soppressione comincia il miglior periodo dell'attività astronomica del Celoria. Non soltanto egli intensifica il lavoro, diremo così, correzte, d'Osservatorio, con una nuova determinazione di latitudine, con osservazioni di eclissi, con calcoli di comete di nuova apparizione, con osservazioni di passaggi di Venere è Mercurio avanti al Sole, con determinazioni di luoghi stellari e di asteroidi ecc. ecc., ma si applica anche a problemi che particolarmente lo interessano, dando successivamente in luce una serie di importantissime Memorie che illustrano lui e la sua Specola. In ordine di tempo vengono primi i lavori su tre eclissi storiche; poi quello sugli scandagli stellari; indi quelli su talune comete del secolo XV, in quarto luogo i difficili calcoli delle orbite delle stelle doppie X 3121, > 298. 8 Delphini, y Coronae, « Herculis. Sono quattro gruppi di Memorie, dell'ultimo dei quali poco o nulla po- trebbe dirsi senza entrare in particolari tecnici; ma sui tre primi possiamo dare qui un breve cenno, disponendoli in ordine crescente di importanza. — .190 — Sulle comete degli anni 1433, 1449, 1456, 1457, 1472 l’attenzione del Celoria fu attratta dall'essersi trovato nella Biblioteca nazionale di Firenze un manoscritto di Paolo Toscanelli che di esse comete conteneva osserva- zioni. Un fac-simile del manoscritto essendo stato trasmesso da Gustavo Uzielli al Celoria, questi si era persuaso che le osservazioni in parola sono assai preziose, e dànno al Toscanelli il vanto di aver prima di ogni altro osservato le comete con occhi di astronomo anzichè di astrologo, vanto che di solito si aggiudica al Regiomontano. Perciò il Celoria concepì l'idea di trarre dalle osservazioni del Tosca- nelli le orbite delle dette comete, e vi riuscì abbastanza sicuramente ad onta di non lievi incertezze nelle sistematiche correzioni che trovò da appli- care alle posizioni date dal Toscanelli in numeri. o graficamente deducibili dai di lui disegni. Una di codeste Comete, quella del 1456, è la stessa che tornata al perielio nel 1531, nel 1607, e nel 1682, dette origine ai famosi calcoli di Edmondo Halley, di cui porta il nome. Mancò al Celoria opportunità di esa- minare in qual misura gli elementi tratti dalle osservazioni di Toscanelli concordassero con gli elementi della cometa, quali sono conosciuti oggi. Questo confronto avrebbe richiesto una mole immensa di calcoli di Deriue: bazioni, senza che forse ne valesse la pena. Nelle due prime Memorie sopra eclissi storiche, il Celoria studiò le eclissi solari del 1239 e del 1241 nello intento di appurare se le loro ri- spettive Zone di totalità che con gran fatica gli era riuscito di definire in base a documenti storici di quell'epoca, coincidessero con quelle che per le stesse eclissi egli aveva calcolate dalle tavole lunari di Hansen. Egli trovò che in realtà le Zone calcolate ed osservate differiscono fra loro, che quindi le tavole di Hansen sono in errore, e che la longitudine della Luna ne ri- sulta, per quell'epoca, minore del vero. Ma egli stesso commetteva un errore di segno: e se ne accorse due anni dopo pubblicata la seconda Memoria, quando venne in luce un gran lavoro di Newcomb, che faceva positivi e non negativi gli errori delle longitudini lunari di Hanse» per l’antichità. Tosto il Celoria ripetò, in una terza Memoria, i suoi calcoli, e trovò che etfetti- vamente anche le longitudini del 1239 e del 1241 sono da diminuire: ma insieme estese la ricerca ad un eclisse solare molto più remoto, quello del 310 a. C. che la Storia racconta essere stato osservato da Agatocle, re di Siracusa, mentre navigava con la sua flotta contro Cartagine. Per paragonare la linea di totalità effettiva dell’eclisse con quella data dalle tavole di Hansen, Celoria identifica arditamente l’eclisse stesso con un altro eclisse di Sole di cui si fa menzione, senza data, da autori greci; il quale fu totale sull’Ellesponto, o in prossimità dell’Ellesponto, e di 4/5 del diametro solare ad Alessandria di Egitto. Così egli si accorge che anche per l’eclisse di Agatocle, la cui Zona di totalità, in base alla identificazione ora detta, deve correre dalla Sicilia all'Ellesponto, la teoria di Hansen dà — 191 — una Zona diversa dalla vera. Ed anche constata che la talsa Zona stando a Sud della vera, la corsezione delle longitudini tabulari è negativa, come per le eclissi medioevali. Questa terza Memoria sulle eclissi storiche è del 1880. quando non ancora era apparso il mirabile Canon der Finsternisse di Oppolzer. ed ancor più lontana era l'apparizione dello Spesieller Canon di Ginzel. È possibile, oggi, guardando le magnitiche carte dello Spezieller Canon, restar in dubbio se l’eclisse ellespontico di cni parlano gli autori greci sia stato veramente lo stesso che l’eclisse di Agatocle, o non pinttosto quegli autori abbiano inteso l'eclisse del 129 a. C. Essi non par'ano infatti nè di Agatoele e della sua flotta, nè della Sicilia, ma solo dell’ Eliesponto e di Alessandria, ed aggiungono che l'eclisse fu utilizzato da Ipparco per un nuovo calcolo della parallasse lunare. Ora Ipparco si servì probabilmente di un eclisse ‘da lui stesso osservato, quello del 129 a. C. che ad Alessandria fu appuuto di ‘/;. e non aveva alcun bisogno di risalire ad un eclisse di 181 anni prima. Ciò può, ripeto, sospettarsi con l'Atlante di Ginzel sotto gli occhi, ove sì vede la Zona di totalità della eclisse di Ipparco rasentare l' Ellesponto anche più da vicino di'quel che faccia la Zona dell'eclisse di Agatocle, e consultando le tabelle delle fasi, annesse all'Atlante, sì trova che entrambe le eclissi furono in Alessandria di ‘/;. Ma l'Atlante di Ginzel è venuto 19 anni dopo il lavoro del Celoria, e lo Spezieller Canon è costruito sopra una Teoria lunare già notabilmente progredita rispetto a quella da cuì il Celoria prendeva le mosse. Le tavole di Hansen assegnavano all’eclisse di Ipparco una Zona di totalità assai più australe che all’eclisse di Agatocle, e non era punto ovvio di prevedere che piccoli cambiamenti degli elementi dell’orbita lunare avrebbero potuto tras- i portare, per paesi prossimi all’ Ellesponto, il primo eclisse leggermente a nord del secondo. Del resto con la sua ardita identificazione delle due eclissi, col ritener «cioè a priori che l'eclisse di Agatocle dovesse esser passato per l’Ellesponto, Celoria poteva esser certo di non esporsi ad errori sensibili, per quel che riguarda la teoria lunare. L'essenziale era che la totalità calcolata venisse spinta a nord così da coprire la Sicilia, nei pressi delle cui coste la flotta di Agatocle fu, come narra Diodoro, colta dall’eclisse. E naturalmente se la Zona ad occidente raggiungeva la Sicilia, doveva ad oriente avvicinarsi di molto all’ Ellesponto, correndo essa inclinata sul parallelo appunto di quanto occorre perchè la detta coincidenza si verifichi. Oltre il pregio di poter dar luogo a discussioni e a nuove ricerche del genere qui accennato, la Memoria in parola ha anche quello di essere una vera miniera in materia di eclissi antiche. Per arrivare ad un eclisse co- gnito ad Ipparco, e che correndo dalla Sicilia all’Ellesponto, fosse osservato di 4/5 ad Alessandria, Celoria calcolò tutte le eclissi solari che devono esserci state nell'antichità, a partire dalla fondazione di Alessandria, cioè dal 333 Ma fino al 100 a. C., quando certamente Ipparco più non viveva. Furono ben 181 codeste eclissi di Sole calcolate, delle quali 138 totali e 48 anulari! Prima di Oppolzer e di Ginzel nulla si era prodotto di più grandioso in questo campo. A ragione la nostra Accademia coronò l'opera del Celoria di metà del premio reale. Ma più che nei lavori sulle eclissi storiche, la genialità e l'acume del Celoria rifulsero nell’opera sugli scandagli stellari, da lui eseguita nell'in- tento di tormarsi un’idea della distribuzione delle stelle nello spazio. Ce- loria trovò il modo di contare abbastanza sicuramente, di 10 in 10 minuti di ascensione retta, e limitatamente alla Zona di cielo interposta fra l'equa- tore ed il 6° grado di declinazione boreale, tutte le stelle fino alla 11! grandezza, in guisa da venire a conoscere per ogni unità di area celeste la densità stellare corrispondente. Queste densità, successivamente perequate di tre in tre unità, dettero una curva atta a rappresentare nei suoi tratti essenziali e più caratteristici, l'andamento degli scandagli lungo l’equatore. Ma Celoria sagacemente intuì che la curva stessa ancora molto altro avrebbe rivelato, se messa in confronto con la curva di distribuzione delle stelle lucide da una parte e con quella data dall'insieme di tutte le stelle visi- bili nei maggiori strumenti, dall'altra Perciò ripetè il processo della pere- quazione sopra le stelle della Uranometria di Argelander, sulle stelle della Durchmusterung, e sulle stelle saltuariamente scandagliate da Herschel, ed ebbe in tutto, compresa la curva di Milano, 6 curve, rappresentanti le den- sità areali delle stelle limitatamente a sei tipi diversi di grandezze. La lucidità di pensiero e l’acume naturalistico con cui egli ha fatto i confronti fra codeste curve, cominciando dal renderle effettivamente comparabili, sono superiori ad ogni elogio, ed in troppi particolari bisognerebbe entrare per descriverne anche alla lontana il procedimento. A me basti dire che quei confronti rivelarono in modo inconfutabile l'essenziale della costituzione della Via lattea, consistere cioè questa di due anelli inseriti l'uno nell'altro. Questa Memoria sugli scandagli è certamente il capolavoro di Celoria; vera opera classica, il cui studio sarà sempre da raccomandare a quei gio- vani che vogliano efficacemente esercitare il cervello nello strappar segreti | alla Natura. E non vale il dire che la ipotesi, o piuttosto la tesi dei due anelli, è ora sorpassata. Se abbiamo sostituito al doppio anello la spirale, lo abbiamo fatto per analogia, dopo che abbiamo visto il cielo disseminato di nebule spirali, onde ci è venuto in mente che anche la Galassia potesse essere una nebula spirale; ma se di questo cerchiamo la prova diretta, ci accorgiamo di non poter a stretto rigore dimostrare altro se non che un ramo della Via lattea c'è più vicino, ed un altro più lontano, e ciò ripetendo ad literam il ragionamento del Celoria. Vero è che le scienza astronomica non tarderà molto a scandagliare di- rettamente le profondità dei diversi punti della Galassia; ma non per questo. ZRET — 193 — il ragionamento di Celoria perderà del suo valore, ed avrà sempre diritto alla nostra ammirazione quando riflettiamo che esso è anteriore alla cata- logazione spettrale delle stelle ed all’impiego della fotogratia. Quell’opera che brilla anche per estremo di chiarezza e per forbito stile, è disgraziatamente poco letta all’estero, ove molti astronomi non aggiudi- cano altro merito agli scandagli milanesi se non quello di aver fornito im- portanti dati al Seeliger per la deduzione delle sue famose leggi sulla di- stribuzione stellare. I più ignorano che anche indipendentemente da ciò lo scritto del Celoria accolga tanto tesoro d'intuizione, da bastar da solo a giu- stificar la fama dell'autore. Quando Schiaparelli si ritirò dalla direzione deil'Osservatorio di Brera (1900) e la cedette al Celoria, questi era già quasi sessantenne, ma non smise per questo di prendere parte attiva ai lavori astronomici. Nell'elenco delle sue pubblicazioni che ho l'onore di presentar all'Accademia e che è dovuto allo zelo di un suo diletto discepolo, il prof. Gabba, trovo infatti che è del 1901 un Catalogo di 1119 stelle, elaborato, è vero, in compagnia di Schiaparelli per gran parte in anni anteriori al 1900, ma che pure molta fatica richiese per esser reso suscettibile di pubblicazione. Trovo pure, nello stesso elenco, nuovamente osservazioni di pianeti, di comete, di eclissi solari e lunari ecc. ecc.; ma so anche che una parte notabile di lavoro spettante a quest'ultimo periodo della sua vita astronomica, in quell’elenco non figura, perchè ancora inedito. Sono le misure di stelle doppie, alle quali il Celoria attese con alacrità, mosso dallo stesso pensiero che aveva animato Schiapa- relli: questo genere di misure ai grandi refrattori essere uno dei più im- portanti finchè non sia scoperto il modo di eseguirlo per mezzo della fo- togratia. Contemporaneamente alla nomina di Direttore dell'Osservatorio di Brera, Celoria fu ancne eletto presidente della Commissione geodetica, onde la sua grande attività dovè dividersi in ultimo fra l'Astronomia e la Geodesia, ed a questa seconda non furono dedicate dall’insigne uomo le minori cure. Aveva in essa una specialissima competenza essendo stato insegnante di geo- desia teoretica al KR. Istituto superiore di Milano per ben 35 anni, e s'era sempre interessato ai di lei progressi prendendo parte a ben 12 determina- zioni di differenza di longitudine fra l'osservatorio di Milano ed altri osser- vatorî italiani ed esteri. Perciò la carica di presidente della Commissione geodetica era fatta proprio per lui, e la tenne sapientemente tino agli ultimi suoi giorni, anche quando per aver raggiunto il limite di età consentito dalla legge, dovette abbandonare la direzione dell'Osservatorio; anche quando gli acciacchi della vecchiezza cominciavano a farsi sentire, e gli si fu mani- festato quel tormentoso morbo della neuralgia al trigemino che gli venne rapidamente fiaccando la forte fibra. Presiedè, ripeto, la Commissione geodetica, da gran Maestro, ed aggiungo che a Lui si deve se l'Italia ha potuto prender parte a taluna delle imprese ie ;scientitiche internazionali meglio riuscite, come ad es.. la determinazione sistematica degli spostamenti endotellurici dell'asse di rotazione della Terra. Pur troppo egli è morto con la pena nel cuore di veder interrotto quel ma- guitico lavoro in conseguenza funesta della guerra, ma senza rammarico di non aver fatto il suo dovere perchè l'opera a malgrado della guerra si con- tinuasse La nostra stazione delle latitudini a Carloforte è rimasta, infatti, per volontà «del Celoria, sempre in funzione, ed i nostri giovani astronomi han potuto continuare a darvi prove della loro gran-valentia nel maneggio del Zenitale, onde quello che c'è da deplorare si è che non in tutte le sta- zioni estere vi sia stata eguale buona volontà da parte dei Direttori o degli esceutori. Ma il fenomeno è senza dubbio passeggero, e forse fra qualche anno potremo festeggiare un Unione veramente internazionale fra gli uomini di scienza, e con essa la rinascita dell'opera delle latitudini: Celoria ne esul- terà nella tomba! Merita finalmente uno speciale elogio l'opera spesa dal Celovia in pro’ della divulgazione dell'Astronomia e scienze affini. Per 35 anni egli fornì all’Annuario scientifico industriale del Treves articoli concernenti i progressi dell Astronomia, ed in una lunga serie di Monografie e di articoli per gior- nali politici s'ingegnò di diffondere nel popolo il tesoro delle sue conoscenze astronomiche. Aveva uno stile facile ed attraente, ed era sicuro di trovar lettori. Perchè poi il pubblico di Milano maggiormente s’interessasse della Astronomia, istituì nel Circolo filologico della capitale lombarda una piccola società astronomica, i cui componenti spesso si riunivano ad ascoltare le sue istruttive conferenze. Quest’ Uomo, dotato di un equilibrio perfetto di facoltà, non considerò ‘solo (e talora con l'occhio del genio) i problemi della Scienza, ma seppe scendere ‘anche a quelli della vita pratica, della vita civile. La sua parola sempre lucida e serena illuminò spesso le menti dei suoi Colleghi Consi- glieri comunali di Milano, e quando nel Comune stesso fu assessore, ben ardue questioni, relative alla istruzione pubblica, trovarono in lui chi sa- pientemente le esaminò e le risolse. Milano egli considerò come patria di elezione ed al bene di essa continuamente si adoperò, riscuotendone larga mercede di affetti e di venerazione, cosicchè quando il Governo lo elevò alla dignità di Senatore, oltre rendere omaggio solenne alla Scienza, ebbe anche in mira la soddisfazione di un vivo desiderio pnbblico. Ma di Celoria, uomo politico, altri han detto e diranno fuor di qui. A me non spettava che di commemorare l’astronomo, dimostrando che egli fu degno successore degli Oriani, dei Carlini e degli Schiaparelli, ed ag- giunse — cosa tutt'altro che facile — nuovo lustro e decoro alla celebre specola di Brera. GC Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 22 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. IV. V. VI. VII. VIII Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-KXXX. (1892-1921). Fasc. 3°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXIX. (1862-1920). Fasc. 7°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, fasc. 5°. MemoRriE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fase. 6. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono eselusivamente dai seguenti editori-librai : ULRICO HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. P. MagLIONE & C. STRINI (successori di E. Loescher & C.) — Roma. a se RENDICONTI — Marzo 1921. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 20 marzo 1921. MEMORIE E NOTE DI SOCI Severi. Sulla teoria degl’integrali semplici di 12 specie appartenenti ad una superficie algebrica . . . . ARE eee De Stefani. Silicsipongio fossili uni iaia ceoideutalo RR O . n 167 Pellizzari. Passaggio dalla guanidina alla cianamide e dalla biguanide alli “diotendianidel » 171 MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Burali-Forti. Sui numeri reali e le grandezze (pres. dal Corrisp. Marcolongo) . . . . » 175 Artom. Sopra alcuni apparati di radiomeccanica dirigibile (pres. dal Socio Volterra). . » 178 PERSONALE ACCADEMICO Pirotta. Commemorazione del Socio Cudoni . LL. » 182 Cerulli. Commemorazione del Socio Celoria . LL 188 K. Mancini, Cancelliere dell’Accademia, responsabile RO Ai he re gue MR TU, nr ii) MRRAO I ag et ia ct ero dn Sr SO AGERE SS “REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI | ANNO CCCXVIII. 1921 Si Echi UE INAITA RENDICONTI eu Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XX X.° — Fascicolo,,j7° | Seduta del 3 aprile 1921. 1° SEMESTRE. ROMA TIP. DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 f ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO. PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE le Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle. pubblicazioni della -R. Accademia dei Lincei, inoltre i Rendiconti della nuova serie formano ana pubblicazione distinta per ciascuna delledue * Clasal. Peri Renpiconti della Classe di scienze. fisiche, matematiche e naturali valgono le norme. eaguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scionte fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente dus-volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estransi, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrisponienti non possono’ oltrepassare le 5 pagine di stampa. Lé Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci a Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero ‘maggiore, il sovrappiù della spesa è “posta a suo carico. ‘4. I Rendiconti non riprodusono le discnes- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acoa» demia; tuttavia se Soci, che vi hanno proso ‘’parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota ver iscritto. a (OLE I. Le Note che oltrepassino i limiti ndi. cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- prismente dette, sono isenz’altro inserite nei Volumi accademici se provergono da Soci o ‘da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- - missione la quale esamina il lavoro e ne rife- ©risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra» ziamento all’autore. - 4) Colla semplice pro- posta dell'invio delle Memoria agli Archivi dell'Accademia. i i 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre. cedente, la relazione è letta in seduta. pubblica nell'ultimo in seduta segreta: -4. A chi presenti una Memoria pe: esame dstaricevnta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti nor vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. i 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 9036 estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a csrico degli autori. ì i \ L Dì AA MAN ea Ro RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE ; DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. SR ANAANNANT_ Seduta del 3 aprile 1921. V. VoLTERRA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Matematica. — Sulle funzioni abeliane. II: Le varietà di Jacobi. Nota del Socio G. CasTtELNUOVO. 9. Tra le varietà abeliane (’) rientrano, come casì particolari notevoli, le varietà di Jacobi. Si indica con questo nome una V,, i cui punti cor- rispondono birazionalmente ai gruppi di p punti, G,, di una curva € di genere p; supporremo soddistatta ‘a condizione che gruppi equivalenti (spe- ciali) di C abbiano per immagine un solo punto di V,. Se indichiamo con j1(6) , ..-17p($) i valori di p integrali indipendenti di prima specie nel punto è di C, la V, si definisce esprimendo che le coordinate cartesiane i 3, €p+1 di un suo punto generico sono p + 1 funzioni abeliane indi- pendenti [II, (21)] dei p parametri (29) Ui — Ja + ji(ta) +... + Ji(5p) (a BECCO np) La matrice dei periodi di queste funzioni può sempre supporsi ridotta al tipo normale Jl 0 SY 0 Ti USE CES Op de%I 05 ‘03, Mor 03 (30) * $ (Gin = Gui). 0 0 Goto Il Tn O p2 siro Op (1) Ved. le due Note precedenti, che verranno indicate con I e II; questi Rendi- conti, vol. XXX, 1° sem. 1921, fasc. 29, pag. 50, e fasc. 49, pag. 99. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 25 — 196 — La V, di Jacobi presenta, rispetto alle varietà abeliane generali, al- cune particolarità dipendenti dal fatto che i gruppi speciali G, della curva C (appartenenti dunque alla serie canonica g5;') hanno per immagini in Vy i punti di una varietà algebrica W,_. a p — 2 dimensioni (ogni punto della quale rappresenta infiniti Gp equivalenti). Nella V, di Jacobi è sempre contenuto un sistema continuo 002? } ©! di varietà a p — 1 dimensioni, rappresentate dall’annullarsi di una fun- zione © del 1° ordine (+ riemanniana). Ciascuna di quelle rappresenta gli co?-! G, contenuti in una serie non speciale 9%. Se questa serie si riduce alla 98 canonica, ai cui gruppi sia stato aggiunto un punto fisso @, la corrispondente varietà © diviene (come diremo) speczale, passa per la Wp_s e rappresenta l'insieme dei gruppi G, che hanno un punto fisso a. Esistono co! varietà © speciali; due, tre, ..., p—1 di esse si intersecano, fuori di W,-., in una varietà a p—2,p—3,.., 1 dimensione, la quale rap- presenta i G, con 2,3,..,p—1 punti fissi. 10. Supponiamo ora che in V, esista una varietà intermediaria, a p — 1 dimensioni, ®, cogli interi caratteristici 22;x ed il determinante d= {/|| mal > ol (I, n 1; II, n. 5); la ® formerà parte di un sistema continuo jDI gop+à 1, 1l numero delle intersezioni di p varietà, delle quali /% scelte entro il sistema }O©} e p—A nel sistema }@}, si determina seguendo le tracce di II, n. 6. Si formerà il determinante || mx + wr, dove 7 è un para- metro e le w, sono tutte nulle tranne le {;,;i+p = — Wi+pi = 1; se ne co- struirà il pfaffiano; se (È) Ip-n è il coefficiente di 7* nel detto polinomio, il numero richiesto sarà (31) [O Dr]= p! Ip. Questo risultato può anche esprimersi in forma diversa, ove si riprenda la rappresentazione geometrica dello Scorza (I, n. 2), in cui le p righe della matrice (30) hanno per immagini p punti di uno spazio Zsp-1, i quali vi determinano uno spazio 7 a p — 1 dimensioni. Ai sistemi continui }©} e }®| sono associate due reciprocità nulle dello spazio Zsp-, A=Z(KWMpa — pr Mm) = 0 ’ Be=®mxtm=0 (eee MA 90) che mutano ogni iperpiano per 7 in un punto di 7. La omografia prodotto A B, che ha il determinante d° = ||Miptr + Misp — Mir — Mip|| (=) trasforma © in se stesso. Segue (Scorza) l'esistenza di p® costanti 77 (per K — 197 — h,è=1,..,p) le quali soddisfano alle 29° uguaglianze Tnt = Mi p+r — Mi On —'** — Mip Thp 3 DI DI Thi Cig = Mp+tp+h T Mptli On: — Mp4 pOhp - Di qua risulta (con Hurwitz) che le p relazioni (83) sn) +0 + da(6p) = re je(6) + rn gl + + rap Î(0) definiscono una corrispondenza algebrica sulla curva C, per la quale ad ogni punto $ corrispondono p punti di ,..., 6; la corrispondenza è simme- trica nel senso di Rosati, cioè equivalente alla propria inversa. Per interpretare il risultato teniamo presente che una varietà interme- diaria ®, entro V,, rappresenta su C una serie algebrica co?! di gruppi di p punti, cioè una y_', il cui gruppo generico è non speciale. La serie (come la ®) appartiene ad un sistema continuo coP*°>. Viceversa ogni serie yp_* di gruppi non equivalenti è rappresentata da una @. Si vede dunque che ad ogni serie algebrica yb! della curva C è collegata una corrispondenza algebrica simmetrica sulla C. Precisamente, data la y}-!, od una qualunque serie del sistema continuo a cui essa appartiene, restano determinate le iufinite corrispondenze che, nella rappresentazione analitica, presentano gli stessi moltiplicatori 777, 0 — 77. Quale sia il legame geome- trico tra la serie ed una delle dette corrispondenze sarà visto nelle ultime righe di questa Nota. Coi coefficienti 77, formiamo la equazione caratteristica tia rp (34) PONS Re EVA AE RIU) i pi + pp + ossia (35) por Li tipa ti =0 (iny= 9). I caratteri 7, sono <2varzanti della corrispondenza (33) o della serie 73 !. sia rispetto alle trasformazioni birazionali della curva, sia rispetto ai cambiamenti dei tagli canonici sulla relativa riemanniana. Il loro si- gnificato geometrico risulta chiaro, se si ricorda (') che il quadrato del determinante (34) uguaglia il determinante ||m;x + 7&;x|| sopra considerato, e che quindi il polinomio (35) ne è il pfaffinno. Con ciò la (31) diviene (36) [O* DPR ]=h!(p— hd e dà luogo al seguente enunciato : (') Ved. ad es. Rosati, Sulle valenze delle corrispondenze algebriche ..., in Atti dell’Accad. delle Scienze di Torino, vol. 53 (1917). — 198 — Insieme ad una serie algebrica yi-> sopra una curva di genere p sì considerino le infinite serie del sistema continuo a cui essa appartiene, e le serie yp® ,y5*,... formate dui gruppi G, comuni a due, tre ... di | quelle serie. IL numero dei gruppi Gy che stanno in una di queste yi e in h serie lineari gBrh è generalmente finito ed è dato dalla formola (86). 11. Vi sono però altri caratteri più espressivi della y} che interessa conoscere; ad es. l’2ndzce, cioè il numero dei gruppi della serie che con- tengono % puoti generici di C. È questo il numero delle intersezioni, entro V,, di p— A varietà del sistema }@{ e di una varietà V,-, rappre- sentante i G, con ” punti fissi; la quale V,_,, come fu già detto (n. 9), è intersezione parziale di % varietà © speciali. Si tratta dunque di decidere quante delle intersezioni (36) vengano assorbite dalla W,-s per cui passano ora le % varietà ®. Questo difficile problema di geometria numerativa son riuscito a risolvere soltanto col rendere particolare la curva C; procedimento non immune da obbiezioni. Siccome però le formole ottenute trovano con- ferma in tutti i casi in cui ho potuto trattare il problema con metodi ri- gorosi, credo opportuno accennare a quel procedimento e al risultato, la co- noscenza del quale potrà suggerire altre vie di ricerca Consideriamo 4 —1 varietà © passanti per la W,_s, le quali si se- gano, fuori di questa, in una V,-x+,, immagine dei G, con A—1 punti fissi @,,43,..,0n-1- La Vp-n+ interseca W,-s lungo una varietà Wp_a; immagine dei G, speczali con a, ,@2,..,0n-1 fissi. La stesa Vp-n+ è poi segata da una nuova © passante per W,_., lungo quella Wp_n e la Vp-r dei G, con 4 punti fissi @,,42,..., @n-1,0n. Si ha dunque, con una scrit- tura assai chiara, (37) [OV 41] = Wp-h iù Vo-h 3 e la relazione vale anche se la © è una varietà generica del sistema }©{, purchè si intenda allora che la varietà a p—% dimensioni del primo membro e la varietà spezzata del secondo membro appartengono ad uno stesso sistema continuo entro V,-n+,. Seghiamo ora queste due varietà (37) con una stessa varietà Un ad % dimensioni, la quale le intersechi in un numero finito di punti. Avremo la uguaglianza tra numeri di intersezioni (38) [OVyna Ul = [Wp O + [Von Dal. Per stabilire una relazione tra i due addendi a secondo membro, par- ticolarizziamo la curva C, ammettendo che essa sia iperellittica, ed indi- chiamo con 4, a; punti coniugati nella 93. Allora i G, speciali aventi le immagini in W,-, sono gruppi che hanno come fissi ì punti 4, , 42, ».- ; Qa-1 e contengono inoltre o il punto a1, 0 il punto a;,..., 0 il punto a,_1, 0 una coppia generica di punti coniugati 50. La W,-n si spezza dunque in h—1 varietà del sistema continuo a cui appartiene la Vy-n, più una — 199 — W,-n-, immagine dei G, contenenti @,, 42, ... ,@n-1,32, 0". Poichè la Wpn_a non sarà incontrata generalmente dalla 1J,, segue che [Wp-n Unl=(f#— 1)[Vp-n Un] e quindi, (38), [OVprti Un] = h Ea, U,] . Se si chiama Un_, la intersezione di U, con una ©, poi U,-, la in- tersezione di U,_, con una ©, ecc., si ha una serie di relazioni dalle quali, eseguendo il prodotto, si ottiene (39) 5 U,] — NES U,] O) dove il primo membro indica il numero delle intersezioni di U, con % va- rietà ©. In particolare, se Un è l'intersezione di p—% varietà del si- stema }@}, il primo membro della (39) ha il valore (36). Segue che La serie yp ha l'indice (40) = (PH)! ipr donde una nuova interpretazione degli invarianti 2. Lo stesso procedimento, mutando il significato particolare di U,, ci fa vedere che dl numero dei gruppi della serie yh che hanno h = h punti fissi ed appartengono ad h— h, serie 9g è (p— A)IAL. (41) "rai La formola (40) ha una notevole interpretazione analitica. Sia (()) una funzione intermediaria dei parametri %,,..,wp dati dalle (29). For- miamo le X=p — equazioni (42) P((Î(CV TIC + (0) — e) = 0 (1=1,2,..,4), ove le incognite sono % punti È, ,C2...., x della curva C, e le el, e ,..., e) sono pX costanti. /{ numero dei gruppi di soluzioni (6, ,..., Cn) delle equazioni (42) è k!îx. Se le funzioni g sono © del primo ordine, nel qual caso a=(2). il risultato è stato stabilito da Poincaré e Wirtinger, ed è pur contenuto in una formola colla quale Comessatti e Gohner assegnano il numero dei gruppi di X punti comuni a % serie lineari di dimensione XK —1. Nella stessa ipo- tesi, per 4 =1, si ha un noto teorema di Riemann. L’indicatore logaritmico, di cui egli si vale per stabilirlo, può pure applicarsi ad una funzione in- Mi,1+» Soluzioni, il qual numero es termediaria qualsiasi e conduce a trovare T sì riconosce proprio uguale ad %,. — 200 — Anche il procedimento dato da Riemann per stabilire le relazioni tra i p zeri di una + si estende alla g e fa vedere che tra le radici 0! ,..., 640 della (42), per X=1, passano le relazioni (43) jaC0) + + ja(€6)= MA + + e 9 + 7a (1, 5P), dove le 777, sono date dalle (32) e le 77, sono costanti, indipendenti dalle e. Segue che la corrispondenza simmetrica (2,,,) determinata sulla C dalla y5>, quando in essa si tengano fissi p — 2 punti e si chiamino &, È, i ri- manenti due di ciascuno degli co! gruppi, è rappresentata dalle formole (44) dn(600) + 4g (=) + A pf (0) + 7 ed è quindi equivalente alla (33); donde una semplice interpretazione geo- metrica del primo enunciato del n. 10. Matematica. — Ze lnee principali di una superficie di S; d e una proprietà caratteristica della superficie di Veronese. Nota I del Socio C. SEGRE (*). 1. Data una superficie F_appartenente a uno spazio $;, e un suo punto regolare +, fra gl'iperpiani che segano F secondo linee con punto doppio in x, — ossia iperpiani passanti pel piano 77 tangente a F in questo punto, — ne esistono co! per cui x diventa una cuspide, e son quelli tangenti al noto cono quadrico Vi di Del Pezzo uscente da 77, che contiene i punti di F infinitamente vicini a x di 1° e di 2° ordine. Fra gli co! iperpiani ve ne sono poi, in generale, cinque, che dànno sezioni aventi in x un facnodo (2). Le 6 coordinate omogenee «; del punto x di F siano funzioni dei due parametri u,v. Le derivazioni successive rispetto a questi s'indichino appo- nendo gl'indici superiori 1,2, sicchè sia inteso che questi non significhe- ranno esponenti di potenze; e si scriva (é) in luogo di Z&,%;, ecc. Si esprime che un iperpiano di coordinate È; sega F in una curva avente in un tacnodo, colla tangente nella direzione du:dv, ponendo le 6 equazioni: (1) ORO (3) I (2) (E2!!) du + (52!°)do = 0, (€x!2)du +4- (£2°°) do = 0 (3) (£0111) du3 + 3(E2112) duz dv + 3(Ee1°22) dudv® + (Ex°22) do = 0, (1) Presentata nella seduta del 6 marzo 1921. (2) Questo fatto è rilevato alla fine del n. 24 dei miei « Preliminari di una teoria delle varietà luoghi di spazi» (Rend. Circe. mat. Palermo, tom. 30, 1910,, pag. 87), da citarsi in seguito brevemente con « Prelim'n. — Citerò invece con « Sup.» la mia Nota anteriore « Su una classe di superficie degl’iperspazi legate colle equazioni lineari alle ‘ derivate parziali di 2° ordine» (Atti Acc. Torino, 42, 1906-07, pag. 1047). Ivi al n. 4 s'incontra il cono Vf su nominato. — 201 — dalle quali, eliminando le È;, si ha per du:dv l'equazione determinante (4) |2,21, a, a du+ a! dv, a! du+ a? dv, a!!! du* + 3x!! du? do +-3e122 du dv? 4 e? dv8|=0, che determina appunto 35 direzioni du: dv, ossia 5 tangenti, e quindi poi 5 iperpiani È. Le formole (1),(2),(3) provengono, per dualità, dalle (14), (22), (26) del n. 23 dei « Prelim'». Ma esse si hanno anche subito direttamente, scrivendo i punti di F prossimi a x così: cu+du,v+dv)=x+ 2! du + a° dv + (a! du? 4-21? dudv + a*dv?) +»... e sostituendo nell'equazione dell’iperpiano È [efr. il n.8 di « Sup.», ove f è l'attuale (£x)]. Se È verifica le (1), la sezione risulta con punto doppio in ©, avendo ivi le tangenti date da (211) du? + 2(£21°) dudv + (£2°?) do — 0. Perchè si abbia un tacnodo colla tangente du: dv occorre: che questa annulli le 1° derivate di quella forma quadratica, il che dà le (2); e inoltre annulli la forma cubica in du, dv, che vien dopo nello sviluppo dell'equazione della curva: e ciò dà la (3). Dirò tangenti principala di F in x le 5 rette nelle direzioni determi- nate dalla (4), e linee principali di F' quelle che sono inviluppate da tali tangenti, ossia le linee integrali di quell'equazione differenziale (4). Per ogni punto di F ne passeranno in generale 5. 2. Per un'applicazione da farsi poi, converrà osservare che l’iperpiano È, a sezione tacnodale, che verifica le (1),(2),(3) per una radice du: dv della (4), si può anche riguardare come un iperpiano tangente in pari tempo al cono quadrico Vi, prima nominato, relativo al punto x di F, ed all’ana- . logo cono Vî relativo al punto (u-|- du, v-| dv). In fatti, il 1° cono è rappresentato come inviluppo dalle (1) e: ($2!!)(£2°°) — (£x1°)° — 0. Si seri- verà che È appartiene anche al 2° cono differenziando totalmente rispetto a u,v queste quattro equazioni. Con ciò, dalle (1) si ottengono soltanto le (2); e dall'altra [che è poi conseguenza delle (2)]: tato) (E7111) | (741) (EE) Lan 2(E21?) ($2112)] du — + [(E222) (82119) | (E201) (&2222) — A(En19)(En1)]d0— 0. Ora quest'equazione, applicando convenientemente le (2), si viene a trasfor- mare appunto nella (3). 3. Possiamo definire direttamente le linee principali anche così. Con- sideriamo la varietà Vz luogo degli co! piani zx tangenti a F nei punti x di una data linea L. Se quella varietà non è svluppabile (ordinaria), e quindi tale che lungo ogni piano generatore ammetta un Sz tangente fisso, vi sarà per ogui 77 un iperpiano (che lo unisce al piano successivo, inci- — 202 — dente a 7 in x) contenente gli co! $S, tangenti alla V3z nei punti di 77 («Prelim*» $ 1): diciamo brevemente un iperpiano tangente alla Vs lungo sr. Orbene volendo che L sia linea principale di F, questo equivarrà a dire che: o la Vz è sviluppabile; o, se no, per ciascun 7 l'iperpiano tangente alla Vsg lungo esso ha contatto quadripunto con L nel coriispondente punto x: cioè ne contiene l’S; osculatore, e non soltanto il piano osculatore, come avver- rebbe per una linea qualunque. Invero si pensi L rappresentata da v=- v(4). La V3 è il luogo del piano 77 determinato dai punti x,!,2?: cioè il luogo del punto «+ Zx! + ur?, al variare di u,Z,w. L’'Ss tangente in quel punto ad essa è l'-S del punto stesso e dei suoi primi derivati, cioè x!,x?%, x1 4 va? + 4(0! 4- 0x2) + + u(a!° + 0'x°?). Esso sta, comunque si prendan Z, w, nello spazio de- terminato dai punti (5) 9 PIO EI A ORME VGA Questo sarà dunque, nel caso generale, l'iperpiano tangente alla V; lungo 77. D'altra parte 1’ S3 osculatore alla v= vu) in x è quello dei punti Cyd vr, e! + 2 ol? Loy! gp LL 8 Ron + v3a?? + 341° + 30 02°? | 0" x*. I primi tre di essi (che dànno il piano osculatore a L) stanno già sull'iperpiano (5). Dire che vi giace anche il 4° è come dire che vi sta x!!! | 30 a!!? + 8p'° 9102 1 y°3,222: ossia equivale a scrivere la (4). Se poi per ogni x di L i punti (5) stanno in un S3z, sicchè la V; è sviluppabile, ciò viene a dire che gli elementi omologhi delle prime 5 co- lonne del determinante (4) son legati da una stessa relazione lineare; e quindi, senz'altro, la (4) è verificata dalla L: ossia questa è una linea principale (!). 4. Quando F è una superficie sv/luppebile, vale a dire un cono, oppure l'insieme delle tangenti di una curva di S;, segue subito dalle ultime pa- role dette che futle le linee segnate su F sono principali. Consideriamo invece il caso che F sia una superficie non sviluppabile, di quelle (studiate in « Sup.») per le quali le 6 coordinate z;(vv) son so- luzioni di una stessa equazione a derivate parziali (di Laplace): (6) Ax! + Be!*° + Ca? L Da! + Be° + Fa =0, ove A ,B,... son date funzioni di w,v; e cerchiamo quali sono per essa le linee principali. Applicando la (6) alle sei x;, moltiplicando per &;, — ove l’iperpiano & (1) Un'altra proprietà geometrica delle 5 tangenti principali è data da E. Bompiani al n.7 della Nota « Sopra alcune estensioni dei teoremi di Meusnier e di Eulero n (Atti Acc. Torino, 48, 1912-13, pag. 398).. —+209°— sia uno di quelli considerati al n. 1, — e sommando, si trae, grazie alle (1): NERE at Gr 210 Quest'equazione, presa insieme colle (2), ammette due possibilità: 1°) è nullo il determinante dei coefficienti delle tre quantità (E0!), (£21°), (£x?2), ‘ossia si ha (7) Cdu? — Bdudv | Adv? = 0, cioè la direzione du:dv è quella di una delle caratteristiche della superficie (« Sup.» nu. 13, 14, 15). Per ognuna di queste linee avviene che i piani tangenti nei suoi punti a F formano una V; sviluppabile (ordinaria); perciò (n. 3) le caratteristiche rientrano fra le linee principali. 2°) si ha: (8) (#21) =0, (Fr19)= 0, (&e*°)=0, ossia È è l’iperpiano ((perosculalore) che sega F in una curva con punto triplo in x (« Sup.» n. 19) (*). Allora le (2) son verificate senz'altro, e resta la (3), che dà precisamente la terna delle tangenti a quella curva nel punto triplo (cfr. « Sup.» n. 21), E già al n. 22 di «Sup. », per questa classe di superficie, avevo chiamato quella terna di rette la lerna delle lan- genti principali. Concludiamo dunque: lu quintupla delle tangenti principali di una su- perficie, non suluppabile, di Ss, st scompone, nel caso che la superficie verifichi un'equazione di Limlace, nella delta terna di rette e nella coppia delle tangenti alle caratteristiche (Hes-iana di quella terna) (?). (1) Dalle sei equazioni (1) e (8) risulta che quest’iperpiano è è ben determinato: perchè, avendo escluso che F sia sviluppabile, è unica (« Sup.» n. 12) l'equazione (6) verificata dalle z;, e quindi la matrice quadrata d’ordine 6 delle .2; e delle loro derivate prime e seconde ha la caratteristica 5. (2) Com'è già avvertito in nota al n. 23 di « Sup. », se l'equazione (6) è parabo- lica, ad es° se la superficie è rigata, le lince principali si riducono al sistema semplice delle caratteristiche (per le rigate, il sistema delle generatrici rettilinee) ed un altro sistema semplice di linee. E. Bompiani (« Alcune proprietà projettivo-differenziali dei sistemi di rette negl’iperspazi », Rend. Circe. mat. Palermo, tom. 37, 1914,, pag. 305: v. a pag. 314) ha incontrato, fra quelle linee che egli chiama quasi-asintotiche per le rigate, questo secondo sistema di linee principali (nella sua notazione sono le Y4,3), ri- levando come la loro determinazione dipenda da un’equazione di Riccati: sicchè vale un teorema analogo a quello noto di P. Seiret relativo alle rigate ordinarie. ReNDICONTI. 1921, Vol. XXX, 1° sem. 26 — 204 — Matematica. — Sulla teoria deql’integrali semplici di 1° specie appartenenti ad una superficie algebrica. Nota II del Corrispon- dente FRANCESCO SEVERI. Ss. Sieno ora (7) Wi=0,...,W= 0, pP—q aggiunte ad F, d'ordine m —3, che stacchino curve indipendenti sopra un generico piano y = cost, per guisa che il sistema lineare (8) Àg41 Waxx +: + 4p% = 0 3 ha la dimensione p—- q— 1. Non sì potrà però esigere, come per le aggiunte d'ordine m —2 del sistema (6) sopra costruito, che le (7) stacchino p—g curve indipendenti sopra ogni piano y= cost.; chè anzi, se pg > 0, esisterà sempre un numero finito di piani y = cost., su cui le curve suddette saranno linearmente di- pendenti. Invero entro il sistema lineare V', di dimensione p + pa — 1, delle aggiunte d'ordine #2 —3, la varietà W' delle superficie spezzate in un’ag- giunta d'ordine # — 4 ed in qualche piano y = cost., è di dimensione pg, e quindi W' ha in comurfe un numero finito di elementi con un sistema lineare generico, di dimensione (Pp + pa—1) —py=p—-q—1, apparte nente a V'. / valori di y per cui accade che le curve (7) divengano linear- mente dipendenti, si diranno i valori critici di y (per la stretta analogia che hanno con quelli considerati da Poincaré). Il valore y= 00, nei riguardi di questo concetto, si tratta come ogni altro valore finito di y, perchè la proprietà che definisce i valori critici ha carattere proiettivo (!). î Se py= 0 non esiste alcun valore critico pel sistema (8), perchè se in un piano y= yo le (7) dessero curve dipendenti, esisterebbe una super- ficie di (8) contenente quel piano. pi (*) Non è difficile provare che si possono scegliere le (7) in guisa che vi sia un solo valor critico prefissato, p. es. y= Yo (occorre all'uopo considerare le aggiunte ad F d’or- dine minimo m — # — 83 e formare con esse altrettante aggiunte linearmente indipendenti d'ordine m — 3, aggregando il piano y — yo = 0 contato w volte: poi considerare il mas- simo numero di aggiunte linearmente indipendenti d’ordine m — w — 2 tali che il loro , sistema lineare non contenga alcuna aggiunta spezzata in un piano y= cost. e in un’ag- giunta d’ordine 2 — 4 — 3, e formare con esse altrettante aggiunte d'ordine 2 — 83, aggre- gando il piano y — yo = 0 contato # — 1 volte; ecc.). Naturalmente il valoro y = Yo sarà allora un valore critico multiplo, d'ordine di molteplicità egnale all'ordine delle varietà W' (che è assimilabile ad un luogo di co! spazî lineari di dimensione py — 1). ati anita ir — 205 — Osserviamo infine che il sistema (8) può esser sempre scelto in guisa da evitare che uno o più pre/issati valori di y(y=@ , y=f,... ed even- tualmente y= 00), in numero finito, siano critici. Basta all'uopo scegliere entro V' il sistema (8) in modo che non incontri i sistemi lineari co?97! delle superficie spezzate nei piani y=@ 0 y==f,... e in aggiunte d’ordine m-—4. Riassumendo: Scelte p— q aggiunte d'ordine mn—-3 ad F (7) Ue VESPE le quali seghino p— q curve indipendenti sopra un piano generico pas- sante per la retta r, se pj>0, cè un numero finito di piani eccezionali del fascio r su cui le (7) dànno curve linearmente dipendenti; e si può sempre sceglier le (7) în modo da evitare che uno 0 più prefissati piani del fascio, in numero finito, siano eccezionali. 4. Consideriamo ora il sistema lineare, che indicheremo con L: (9) An Pn + 4999 + (Apa gia + + App) (Y — 0) = 0 di aggiunte d'ordine 22 — 2, il qual sistema riducesi a: (9') dp + + 4a + (Adora ++ inpyw)=0, quando sia y, = 00. Dico che il sistema L ha la dimensione p—1. Infatti la (9) — 0 la (9) — non può ridursi a un'identità in 2, y,z pervalori tutti nulli delle A, ,...,À4, senza che sieno contemporaneamente nulle tutte le 4,41, ..., Ap; e viceversa. Nè d'altronde può darsi che sia diversa da zero qualcuna delle 4 del 1° gruppo e qualcuna delle 4 del 2° gruppo, perchè allora vi sarebbe qualche superficie del sistema (6), contenente come parte il piano y = yo. Denotiamo con il sistema lineare: (6) dpi +-+ 2g 99 = 0 e con K il sistema lineare: (10) (4 — Vo) (Ag41 Way+i +-+ àp Wp) =0, che riducesi alle superficie del sistema (8), cui si aggreghi il piano improprio, quando y, = 0. E chiamiamo, come prima, valori critici di 1 rispetto al sistema L, quelli per cui le curve (9) risultano linearmente dipendenti. È chiaro che tutti i valori critici del sistema lineare (8) sono critici pel sistema lineare L; e che inoltre L possiede come valore critico y = yo (0y=0%, se yo = co), perchè sul piano y=% le curve di L riduconsi soltanto a 9 indipendenti. == 20682 Orbene, dico che L non possiede altri valori critici, oltre ai nominati. Infatti, se esistesse un valor critico y= «, diverso dai precedenti, si avrebbe per convenienti valori 4(°,...,4$ non tutti nulli dalle 4, l’identità rispetto adW&ate: 0 pie, e.) +-+ AP pr, a, 2) + E (ce — Yo) (4041 Wa+a (2, a 38) ala vi =, donde si trae: 20 pi (1048) +4 (y Yo) (201 War (0,9,4) += WU413), w= 0 essendo un'aggiunta d’ordine m-—3. Ora le 4°, ...,40 non potrebbero essere tutte nulle, perchè altrimenti sì cadrebbe in uno dei valori critici già nominati; dunque la superficie A pi(2,Y 8) +: + 40 pg(c,Y,<) = 0 del sistema 7 dovrebbe segare su ogni piano y= cost., fuori della retta 7, una curva appartenente a qualche superficie aggiunta d'ordine #2 —3: il che contraddice al modo con cui fu scelto 77. Posto: (11) Pa+r = (Y — Yo)Pa+1 3-3 PpE(Y — Yo) Wo; sì può enunciare che: Il sistema lineare L di equazione: Apt: 4a Pa + Ara Pra + + A 90=0, non possiede altri valori critici, all'infuori di quelli che sono critici pel sistema : Za+1: Pa+i + Su 4 in go= 0. Giacchè appunto i valori critici di questo sistema K sono quelli critici pel sistema (8), coll'aggiunta del valore critico y = yo. Se pg = 0, l'unico valor critico di Lè y=% (0y= 00, se yo = 0%). 5. Dalle proposizioni dimostrate nei nn. 3, 4, si deduce che se y= @ è un valor critico di L, si possono sostituire alle: @9+13--.- @p, altre p—g aggiunte d'ordine m — 2, linearmente indipendenti, @7+1,-...p, in guisa che pel nuovo sistema L': Api +: 4A ga + dgr Pan + + Ago = 0 il valore y = @ non sia più critico od anche che non siano critici certi valori prefissati y="@., y="f£,... (ivi compreso eventualmente y = 00). Se = yo si ottiene senz'altro l'intento aggregando alle Wy+1,---,%p il piano fisso y — yy ="0(Yy1 = yo) invece del piano y — y=0. Si avrà allora g/+1=(Y—%1) Wat 0-4 =(Y—Y)Yp; cioà: — 207 — Il determinante di questa sostituzione lineare, che fa passare dalle Ani Vizio critico rispetto alle g', e diviene infinito pel valore y = y,, che è critico rispetto alle gp. Sey=a ,y=f$,... sono valori diversi da y,, critici per L., cioè pel sistema (8), in forza del n.3, si potranno sostituire alle y,+1,-..,%p altre p — 9 aggiunte d'ordine m —3, linearmente indipendenti, W,+1,---3%", in guisa che y=@ ,y=f,... non siano critici. Allora posto: Dad alle g', riducesi a ( . Esso annullasi pel valore y="y,, che è (13) Y9+1 === Yo) Wa si fava resto Pp = (4 io) W, a il nuovo sistema L' non avrà più i valori critici y=@a , y=f,... Qual'è il legame fra le g' e le @, cioè fra le w' e le w? La curva staccata dalla +: sopra un generico piano y — cost. si esprime linearmente mediante le sole wy+1,---,%p, appunto perchè le aggiunte d'ordine m — 3 staccano su quel piano un sistema 00-97. I coefficienti di tale combina- zione lineare sono univocamente determinati, perchè altrimenti per y generico si avrebbe fra le wg9+1.---,%, un legame lineare. Dunque i coefficienti di quella combinazione lineare sono funzioni razionali di y. Fra le w' e le w si avrà pertanto una sostituzione lineare del tipo: | (14) Wiri — D_ ij Wes (O =1,...,.p_ 9), ‘ le a; essendo funzioni razionali di y. Se y = 7 è un valore per cui il de- terminante |a;;| delle a si annulla, fra le p—g forme lineari (14), ove in esse si ponga y = n, risulterà un legame lineare a coefficienti costanti non tutti nulli. Il che significa che 7 è un valor critico del sistema delle y'. Viceversa, se n è critico per le yw', sussisterà, per valori non tutti nulli delle 2‘, un’identità, rispetto ad x, 4, del tipo: I to mi Rao DI dari 2 Uij Pa+;= 0, il FI (ove Zi;, Wg+; sono i valori di 4;;, Wy+; Per y = 7), cioè: (15) DI Wy+j DI Gi; 20); == 0 , 5] i donde si trae che o sussistono le relazioni Y %;; 40; = 0 e allora il determi- nante delle z è nullo:; oppure fra le w havvi il legame (15) a coefficienti eostanti, non tutti nulli. Dunque gli zeri della funzione razionale |a;;] cadono nei valori di y che son critici pel sistema delle y' senza contemporaneamente esser critici pel sistema delie w. Considerando poi la sostituzione lineare inversa della (14) — 208 — si vede subito che |a;;| diviene infinito soltanto nei valori di y che son eri- tici pel sistema delle w, senza esserlo pel sistema delle y'. Questo risultato vale anche nel caso prima esaminato della sostituzione lineare (12) a , d;= 0 per # + j). perchè in tal caso i soli SATIRO F valori critici, che non siano comuni alle w,w', sono appunto yo, %1 - Ricordando le (11), (13) la (14) si scrive: (16) Pari = I dij Pasj » e si conclude che: Se il sistema lineare L possiede i valori critici y=a ,y=B,.. si posson sempre cangiare le gr +++, Yp, Sostituendole con altre p— q aggiunte indipendenti d'ordine m—-2,@p+i9---.9p, în guisa che quer valori non stano più critici pel nuovo sistema L': di pate 1 Ag Pa 4 dava Pai nia np =0. Le Pa+r 3°, 9p SOn legate alle Dyer ,--.,9p da una sostituzione li- neare del tipo (16), ove le a son funzioni razionalò di y e il determi- nante |a;;| delle a si annulla pei valori di y che son critici pel sistema L', ma non per L; e diviene infinito pei valori che son critici per L, ma non per L'. In particolare |a;| presenta singolarità polari in y=@, UR_NDECE OsseRvAZIONE 1% — Il determinante |a;;| si riduce ad una costante (non nulla) allora e solo allora che L,L' hanno gli stessi valori critici. OssERVAZIONE 2%. — Ridotte le funzioni razionali 4; allo stesso mi- nimo determinatore comune, che sia il polinomio a(y), le (16) potranno seriversì : . , Ql a(Y) Da+x = XI dij Pasi ove le è son polinomi in y. Si può ora supporre che il sistema L abbia il solo valore critico y = 00, e ciò perchè si può assumere come equazione duel À À, Pi

0, s'identificavano le @g9+1,---,9p Colle Wgy+1 3-3 Wp Per convincersene si assoggetti lo spazio alla trasformazione omografica i r x' , 8 esi y= re Ra pl 0) ’ o r) V) (18) Se Ag che muta il fascio y= cost. nel fascio y' = cost. ed il piano y= 00 nel piano y'= 0. Designata con w una qualunque delle wy+:,..,% (9 =0) e posto f(2,y,3)=g9(2,4,89)+h(2,y,8) + w(x,y,e)=u(2,4,3)+E(2,4,8) +, ove 9,h,... son costituiti da tutti i termini dei gradi rispettivi m,m—1,... del polinomio /, e similmente 7, ,... son polinomi omogenei dei gradi ri- spettivi m—3,m_—4,..., si trova subito che l'integrale = fSda trasformasi, mediante la (18), nell’integrale di 1® specie o DE =y' Ispra I 7 7 d d VA e no x relativo alla curva g(2°,1,5)4+y"#(x',1,3)+---=0. Sul piano y'—0 si ha pertanto identicamente wu = 0. E ciò significa che gl’ iz/egrali (aida sa (f{=1,...,p— 9), 0ve Way, =0,..,W,=0 sieno aggiunte d'ordine m—3 ad F, si annullano identicamente per y= 0. — 233 — Da ciò intanto segue che y = co è critico anche per g7=0; e questo dirime l’accennato paradosso. Ponendo @;=(Y — Yo) W;, il valore y= 0, nel caso g=0, cessa di esser critico, ma si ha invece come valore cri- tico y= yo. In ogni caso si conclude che fra è valori critici degli inte- grali wu; (i=1,...,p) ce n'è sempre uno (y=%Y, 0 y= ©) per cuì gl'in- tegrali Ug+: 3, Up Si annullano identicamente. 7. Fissato un valore iniziale generico y=y, distinto dai valori sin- golari, sulla riemanniana /(#x,y,z)=0, consideriamo un sistema di p re- trosezioni A; B; (f="1,...,p). Variando y con continuità a partire da y, quel sistema di retrosezioni si muta in un sistema di retrosezioni A;, B; per la curva variabile /(2,y,<)=0; e finchè (sul piano ov'è distesa la variabile complessa 7) si va da y ad un altro valore non singolare y', con un cammino ben determinato, nessuna ambiguità è possibile nella defini- zione delle retrosezioni limiti sulla curva /(x,y,4)=0, in quanto ogni punto di diramazione della riemanniana variabile tende ad una ben definita posizione limite. L'esame, fatto da Picard, circa il modo di comportarsi dei cicli della curva variabile /(2,y,z)=0, nell'intorno di un valore singo- lare di y, permette di precisare agevolmente che cosa succede quando 7 circola attorno o addirittura va a coincidere con un valor singolare (*). Ma per ora non ci occorre di specificar di più, bastandoci solo di avvertire che, se da y si va ad un altro valore non singolare y, gl’infiniti sistemi di re- trosezioni che si ottengono sulla /(x,y",z)=0, in corrispondenza ai sin- goli cammini descritti da 7, costituiscono tanti sistemi di 2p cicli primi- tivi di /(x,y7 ,z)=0; e quindi che i cicli di uno qualunque di quei si- | stemi si esprimono come combinazioni lineari a coefficienti interi dei cicli di uno prefissato fra essi. Premesso tutto ciò e supposto che il valore iniziale y=y, oltrechè distinto dai valori singolari, ìo sia anche dai valori critici degl'integrali %;, ‘indichiamo con ij, @;,p+j i periodi dell'integrale u;, relativo alla curva f(x ,y,s)=0, lungo i cicli B;, A; percorsi nel verso positivo; e sieno ij, ©;,p+j l periodi che derivano per continuità da quelli, quando y varia a partire da y. Finchè y non va a coincidere con un valore singolare o critico, ha luogo la relazione riemanniana: p_ V (0; or.p4j — 0; 0;.p+) =0 (i,k=1,.,p) SI (*) I punti attorno a cui si produce una sostituzione lineare a coefficienti interi sui cicli A;,B; sono soltanto i valori singolari (Picard). Veramente a priori potrebbe sem- brare che analogo fatto si producesse in corrispondenza ai punti di contatto delle tan- genti tripunte di F parallele all'asse 2, in quanto anche in ciascuno di essi coincidono due punti di diramazione della superficie di Riemann variabile /(x,y,s) =0. Ma un tal dubbio si rimuove subito, osservando che quei punti cessano d’essere di diramazione se, invece di 4, si prende come variabile indipendente 4, (19) > (0; 0p,j,— 0; 0p,;)>0, ove W; = ; + 0; V— l 5 Qd+j rai 0) +; ilo 0'p+j ma l sieno i periodi, lungo i cieli B;, A;, d'una qualsiasi combinazione lineare %, a coefficienti interi non tutti nulli, degl'integrali u;. Tutto ciò perchè la curva variabile /(2,y,4)= 0 non s'abbassa di genere, le A; , B; non cessan di essere su essa retrosezioni e gl'integrali u; non cessano d'esser su di essa linearmente indipendenti. Immaginiamo ora il corpo £ di funzioni abeliane relative alla tabella dei periodi w;n (£=1,..,p; &4=1,..., 2p), i quali son funzioni clomorfe di y nell'intorno di ogni valore non singolare. Per un teorema classico (1), queste funzioni abeliane si esprimono razionalmente mediante le funzioni ® relative alla tabella RSA ALIA RE AO et (0in = Ori) » ove le © son definite dalle p (20) Wi.ptj = d dix Okj (£ 59) =1 DIREGIO) p) , e gli argomenti %w), ,..., wp delle © son legati agli argomenti v, ,..., vp di quel corpo di funzioni abeliane, dalle relazioni (21) ES Wk (idee , P) (295 k=1 La condizione di convergenza delle suddette serie © [che si può espri- mere mediante la diseguaglianza (19)] (3), resta sempre soddisfatta qua- lunque sia y, purchè diverso dai valori critici e singolari. La forma delle relazioni (20), (21), che definiscono le 0, w, considerata insieme al fatto classico che il determinante delle ©, non è nullo pei valori considerati di y (perchè altrimenti gl’integrali %; sarebbero dipendenti), ci assicura che le ®©, nel campo di variabilità considerato per y, restano sempre finite. Consideriamo adesso le funzioni del corpo £ quali funzioni sia degli argomenti %, ,...,0», come di y (attraverso ai periodi w). Nel parallelepi- (') Krazer, Lehrbuch der Thetafunktionen (Leipzig, Teubner, 1903), pag. 127. (2) Krazer, loc. cit., pag. 123. (5) Krazer, loc. cit., pag. 124. n — 235 — pedo dei pariodi esse non hanno alcuna singolarità essenziale (Krazer, p. 115) come funzioni delle sole v,,..., vp. È facile da ciò dedurre che le dette funzioni sono, anche rispetto ad ,, nell'intorno di ogni valore ordinario y=y'", 0 olomorfe 0 meromorfe. Infatti, se una ® delle funzioni di £ è, per y=y, fuazione olomorfa di v,,....vp nell'intorno di », AO Vp = Cp (0Veè €C1,...,0, sieno valori finiti prefissati degli argomenti v), essa resta finita e uniforme, e perciò olomorfa, anche come funzione di y nel- l'intorno di y°. Se invece per y=y" la suddetta D si esprime come quo- ziente ti di due funzioni H, K olomorfe nell'intoroo di (c,,..., Cp), cia- scuna delle H, K sarà olomorfa anche come funzione di y nell'intorno di y' e quindi ® sarà funzione meromorfa di 7. Pertanto: Ogai funzione ubelinna del corpo ® è funzione olomorfa 0 mero- morfa di y attorno ud ogni vilore non singolare nè critico. Astronomia. — Sulla applicazione del calcolo vettoriale alla Astronomia. Nota del Socio A. ABETTI ('). Il prof. A. Antoniazzi, direttore dell’Osservatorio di Padova, successore del compianto illustre maestro Lorenzoni, già a sua volta successore di quell'altra gloria nostra che fu il toscano Santini (*), ha resa pubblica una sua Memoria (*), che è un primo passo di applicazione del calcolo vettoriale all'Astronomia sferica; e ciò dopo che ne aveva esperimentati i vantaggi applicandolo, nelle sue lezioni, all'Astronomia teorica, cioè alle trattazioni relative alle orbite planetarie (*). Nella suddetta Memoria di pagine 60, circa la metà sono impiegate ad esibire quelle nozioni di calcolo vettoriale, che occorsero per applicarlo alla correlazione fra i vettori e le coordinate cartesiane ed i circoli della sfera celeste, ed inoltre per la trasformazione di coordinate, per i problemi di moto diurno e siderale e per le orbite planetarie. È sembrato allo scri- vente tale l'importanza della prefata Memoria da sentirsi spinto ad incorag- giarne, con parole proprie, lo studio ai giovani astronomi a cui oggi spetta (1) Presentata nella seduta del 20 marzo 1921. (®) Di Caprese aretino n. 1787 m. 1877. Il suo testo del 1830, Padova, Tip. Semi- nario, tiene per noi Italiani altrettanto bene il luogo quanto il Chauvenet ed il Briinnow per gli Inglesi e Tedeschi. (3) Autoniazzi A. M., D: un rapido procedimento didattico per la trattazione dei principali problemi deli Astronomia. Atti del R. Istituto Veneto, tomo LXXIX, Parte se- conda (adunanza 8 luglio 1920). (*) Un’applicazione simile venne a me sott'occhio colla quinta edizione degli £ e- menti di Fisica del collega prof. Rditi e nel vol. II: Elettricità e Magnetismo, alle prime pagine sono date le nozioni preliminari sui campi vettoriali. RenpICcONTI. 1921, Vol. XXX, 1° Sem, 30 — 236 — raccogliere ed aumentare il nostro patrimonio scientifico. Con questo intendi- mento è sembrato utile fare il tentativo di produrre ed illustrare quanto più popolarmente sia possibile uno degli esempi di quella Memoria, met tendo in evidenza la celerità con cui il calcolo vettoriale riesce a stabilire formole già note ed in uso e state dedotte per vie diverse e principalmente colla trigonometria sferica. * *o*k Certe grandezze astratte come le forze, la velocità e l'accelerazione, sono rappresentabili con segmenti di rette (!) a cui fu convenuto di asse- gnare una lunghezza, ragguagliata ad una unità di misura, e presa per un verso, positivo o negativo secondo che si considera il segmento da un estremo oppure dall’altro, ed ancora di esso è assegnata la direzione fondamentale scelta per riferimento. Tali grandezze si chiamano « vettori »(?) e costitui- scono un algoritmo geometrico a cui sono applicabili le operazioni algebriche e del calcolo infinitesimale, e per la sua proprietà di prendere in conto la direzione, ossia la posizione nello spazio, risolve prontamente ed elegante- mente i problemi che del medesimo fanno al caso nostro. Un vettore individuato da un segmento OA si rappresenta colla nota- zione A — 0 incuisi deve intendere il senso preso da O verso A e sì legge A meno O, e giova, a quella rappresentazione simbolica, un'unica lettera in grassetto così che con A—O=a si deve per noi intendere il vettore a che fisso in O variando la sua dire- zione in ogni senso è capace per via del punto A di descrivere la superficie di una sfera. I raggi visuali che dal nostro occhio, centro della sfera celeste, sono diretti alle stelle sono altrettanti vettori, e poichè per la risoluzione dei problemi della sfera fu ideata la Trigonometria sferica, nonchè assegnate le correlazioni con un sistema di assi ortogonali, oggi l'applicazione del calcolo vettoriale all’Astronomia, rivelato nella Memoria dell’Antoniazzi, è un primo passo di correlazione del nuovo metodo coi precedenti. Siccome i raggi vet- tori abbisognano di riferimento, il più logico di tutti sarà quello dei tre assi (!) Sia che si tratti di grandezze ad una, a due od a tre dimensioni, cioè grandezze lineari, superficiali o cubiche. Quest’ultime contengono il concetto di spazio per tutti i punti del medesimo i quali costituiscono una triplice infinità che viene rappresentata con la terza potenza dell'infinito, cioè 008. (2) Il calcolo vettoriale ebbe i suoi precursori, o padri che si vogliano dire, e fra questi va notato il Bellavitis dell’Università di Padova che inventò nel 1832 il metodo delle « equipollenze » e lo espose nel Cap, III del suo trattato: Zlementi di geometria, trigonometria e geometria analitica. Padova, Tip. del Seminario, 1862. ortogonali che partono dal centro O della sfera e la incontrano ai vertici A'A"A"", oppure ABC od altrimenti, del ben noto trirettangolo e determinano colla nuova veduta tre vettori fondamentali. I tre piani comprendenti a due a due i tre assì formano un triedro che ha il vertice in O e per base, sulla sfera, il trirettangolo che dunque ha i tre angoli retti, e tali sono anche i diedri, ed ha per lati i tre archi di cerchio massimo di 90° inter- sezioni della sfera celeste coi tre piani coordinati. Intendiamo ora di vedere il trirettangolo della sfera disegnato sul piano della carta come nella fig. 1; i tre vettori fondamentali che partono dal centro O della sfera la incontreranno nei tre punti X YZ. Bosgli Supposto che sulla sfera il punto mobile S si stacchi dal piano fonda- mentale ZX verso di noi che guardiamo la figura, avremo, col soccorso dei vecchi precetti, che una qualunque sua nuova posizione (S) resta determi- nata da due coordinate sferiche, che sono l'angolo sferico in Z e la distanza polare Z(S). Ad ogni mutazione di posto della S corrisponde una variazione di queste coordinate e, nel tempo stesso, corrisponde una variazione del vet- tore S— O che passa in (S) — O. Ora questa variazione vettoriale può imma- ginarsi dipendente da una rotazione (') suscettibile di essere riferita e de- composta, secondo i tre assi coordinati. S'immagini ora il sistema dei quattro punti XYZS rigidamente con- giunto, come sì trattasse di una configurazione stellare, e ruoti esso da X verso Y intorno a Z. e di più pensiamo a volontà che Z rappresenti o il polo del mondo, o quello dell’eclittica, o l’altro dell'orizzonte, cioè il zenit. (*) Su questo concetto della rotazione vedasi nelle. Astr. Nachr. 5011, l'articolo: Ein didaktisches Hilfsmittel zur sphirischen Astronomie, von E. Anding, — 238 — In causa della rotazione intorno a Z questo punto resta immobile e gli altri tre punti prendono le posizioni segnate con un apice. Alla posizione S' cor- risponde una variazione dv dell'angolo al polo, che secondo i casi sarà, senza considerazione di segno, da , dÀ oppure ZA. Una seconda rotazione intorno ad Y' porterà S' in S” aumentando la distanza polare di S di una quan- tità dp corrispondente, in valore assoluto, ad una variazione dd, 48 oppure dh. Queste due rotazioni possiamo anche pensarle concomitanti alternate, od anche inverse, nel qual caso però occorrono le considerazioni di segno, perchè in realtà il punto S può passare in S" in un numero infinito di modi. Notiamo ora che una qualunque rotazione intorno ad S non sposta questo punto del pari come non si spostò Z nella prima rotazione nè Y' nella se- conda, e quest'avvertenza ci fa conoscere che se noi avremo bisogno di una rotazione arbitraria per concludere i valori delle variazioni delle due coordi- nate sferiche potremo applicarla insieme alle due già viste, immaginando che per tutte tre il punto si sia trasportato da S in S". Nel caso in parola è la somma delle due rotazioni intorno a Z e ad Y' che porta S in S", ed in questa somma di due termini sì può immaginare un terzo termine, corri- spondente ad una rotazione intorno ad X. il quale venga annullato da una rotazione arbitraria. Il punto S sulla sfera celeste può, come si disse, pas- sare in S” in un numero infinito di modi; ma noi possiamo dire che sup- posto di conoscere la rotazione per cui il vettore S— 0 è diventato S”'— O possiamo scomporla in tre secondo gli assi e ve ne possiamo aggiungere anche un’altra. intorno ad S capace di annullare quella su X; allora le altre due daranno le formole per le variazioni delle due coordinate sferiche. k x x Ora riporteremo l'esempio dato nella Memoria ai $$ 51, 52 relativo alle formole che esprimono la variazione annua in longitudine e latitudine delle stelle. L'attrazione del Sole e della Luna sul rigonfiamento equatoriale dello sferoide terrestre combinata con la rotazione diurna produce un movimento del piano dell'equatore per cui la linea degli equinozî, ossia l'intersezione dei due piani, gira lentamente nel piano dell'eclittica in direzione opposta a quella in cui si contano le longitudini, che pertanto su di una eclittica fissa 0 media, corrispondente ad un'epoca 4, come p. es. il principio del- l'anno 1800, aumentano tutte della ben nota quantità chiamata la preces- stone lunisolare. D'altra parte, le mutue attrazioni fra i pianeti e la Terra tendono con- tinuamente a rimuovere questa dal suo piano, così che esso cambia di posi- zione senza influire su quella dell'equatore che in questo caso è riguardato come fisso o medio; ed è questa la precessione planetaria che modifica l’effetto della precedente e per cui si ha ciò che si chiama la precessione 221999 — generale. Per essa l'equinozio di primavera, origine delle longitudini e delle ascensioni rette, assume ad ogni istante una posizione celeste retrograda bene determinata. Se w, è la precessione generale ('), l’equinozio nel tempo infinite- dy, simo (2) d/ retrograda con velocità (*) di sull'eclittica del tempo 4; e questa non è altro che una rotazione di senso retrogrado intorno al suo polo. D'altra parte l’eclittica ha nun movimento di rotazione intorno alla linea che unisce Z Fia. 2. i due punti o nodì in cui si tagliano le due posizioni della medesima ai tempi { e £-+ di. Ed è questa una variazione z dell’inclinazione 77 del- l'eclittica £ rispetto alla media eclittica del tempo /800-+ / ossia una ro- tazione rappresentabile con un vettore diretto al nodo ascendente. Nella, fig. 2 è data disegnata prospetticamente la sfera celeste, inten- “dendo che le longitudini siano contate dall’equinozio di primavera vY verso X e V nel senso della freccia. Si supponga che l’asse Z sia diretto al polo dell'eclittica, che VY sia il piano di questa al tempo /, che per il piano ZX resti determinato sulla sfera celeste il cerchio di latitudine della stella S di coordinate 4, e finalmente che il segmento OV rappresenti il vettore DE (1) Cfr. Chauvenet, A Manual of Spherical und Pratical Astronomy, vol. I, Pre- cession, $$ 364-370. (?) Se si pensa che l’equin: zio percorre in ciascun anno sull’eclittica un arco di 50”.2 e si fa il rapporto fra l’intera circonferenza di 360° e questo arco, si trova che occor- rono circa 26000 anni affinchè l'equinozio percorra l’intera eclittica, supposto che con- servi la velocità con cui si muove attualmente. Pertanto una unità di tempo dt di un anno o frazione del medesimo è da riguardarsi come un infinitesimo. (8) Velocità che è la derivata dello spazio percorso rispetto al tempo. — 240 — la cui direzione è data dalla longitudine 77. Sarà allora l'angolo VOX la differenza fra le longitudini del vettore e della stella, cioè eguale a ZZ — 2. Decomponiamo ora il vettore nelle due rotazioni complanari su X ed Y dr di 3° (II — 4) dr ST cos (JI — 4) e ricordando che l’equinozio di primavera, da cuì sono contate le longitu- RUSSA : dyw, . È dini di V e di S, è retrogradato per una rotazione i intorno a Z, di- remo che lo spostamento totale del vettore S— O ha, rispetto ai tre vettori fondamentali, le tre componenti che seguono, X Y Z dr dr dy as VIESS7] —_ HS DER aac ili ) di Aggiungiamo ora una rotazione arbitraria intorno alla direzione della stella S; indicando con c una costante arbitraria potremo rappresentare quella rotazione con le tre componenti proiettàte sui tre assi, e cioè con c cos f | 0 | c sen f. In base alle due formole vettoriali stabilite dal prof. Antoniazzi al $ 29 della sua Memoria, deve la costante arbitraria c esser tale da annullare la rotazione intorno ad X, quindi deve essere dr di cos (22 — 4) ccosf= — da cui 1 dr pie E n Ed ora, conforme al precetto delle stesse formole, facciamo la somma delle tre colonne ed avremo il nuovo prospetto i per X [0 a” LA VIS) di sen (4 — 4) dy, dr sen # d e) cos # Riferendoci alla fig. 1 vediamo che la prima rotazione che sì fa intorno a Z esprime la variazione della longitudine e quella intorno ad Y la va- riazione in distanza polare, che qui per noi è il complemento della latitu- dine. D'altra parte la prima rotazione fa retrogradare l’equinozio, cioè l’ori- — 241 — gine delle longitudini, per cui queste aumentano, così che l’espressione del 2 sarà quella per Z mutata di segno, quindi dh _dy di +57 cos (2 — dI) tgp. L'espressione di latitudine, complemento della distanza polare, avrà l'espressione trovata per Y pure mutata di segno, cioè sarà: dB ____dr pad, sen (IZ — X). Le due formole corrispondono pienamente a quelle del Chauvenet al problema del $ 370 della determinazione della precessione annua in longi- tudine (*) e là si trovano indicate col numero (655), ben inteso che in esse i nostri ca e di sono i coefficienti numerici calcolati dallo Chauvenet per l'epoca 78004- £. Chimica. — A proposito di un lavoro del prof. E. Salkowski sopra le melanine. Nota del Socio AnceLO ANGELI e di ANTONIO PIERONI (°). Lo scorso anno (3) il prof. E. Salkowski ha pubblicato un lavoro sopra le melanine ricavate da alcuni tumori umani, nel quale dopo di avere esposto un metodo che permette di isolare questi interessanti pigmenti senza correre pericolo di alterarli in seguito a trattamenti con reattivi troppo energici, quale p. es. l'acido cloridrico concentrato consigliato da altri autori, descrive le proprietà dei prodotti così ottenuti e varie reazioni eseguite con lo scopo di trovare qualche fatto che permetta di formarsi un criterio almeno appros- simato sopra la natura chimica di queste sostanze. Siccome si tratta di un argomento del quale noi pure in questi ultimi anni, sebbene da un altro punto di vista, ci siamo occupati, così abbiamo reputato opportuno di sottoporre ad un attento esame i fatti importanti sta- biliti dal Salkowski e soprattutto le conseguenze che egli ne ricava, ed a questo proposito dobbiamo subito dire che noi non condividiamo in tutto il suo modo di vedere. (1) Zo find the annual precession in longitude for a given date, vol. I, ediz. 22, pag. 610, $ 370. (2) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921. (3) Virchow*s, Archiv. Band 227, II (1920), pag. 121. PD vera Uno dei fatti sperimentali più importanti descritti dall'A. è senza dubbio quello di avere trovato che la melanina per fusione con eccesso di potassa fornisce pirrolo; esso è in stretta relazione con le analogie. da noi ripetu- tamente poste in rilievo. che le melanine naturali presentano con i varî neri di pirrolo che noi abbiamo preparati sia ossidando il pirrolo coi soliti reat- tivi, come pure trattando il pirrolo stesso con i chinoni. i A questo fatto però l'A, fa seguire le parole che riportiamo integral- mente: « L'aver trovato pirrolo nella massa fusa non permette di trarre la « conclusione che la melanina contenga nn complesso atomico della serie etero- « ciclica, p. es. acido pirrolidincarbonico, perchè il pirrolo viene fornito anche « dall'acido succinico, cioè da un composto della serie alifatica, per mezzo « di una cosiddetta reazione pirogenica (si deve essere molto cauti nel rica- « vare conseguenze dalle reazioni pirogeniche); piuttosto si può dedurre che « nella melanina è contenuto il complesso atomico dell'acido amminosucci- « nico. Io non vorrei essere frainteso; non è eseluso che il pirrolo possa « provenire da acido «-pirrolidincarbonico preformato nella melanina, ma ciò «non è dimostrato ». i Questo curioso modo di ragionare è senza dubbio dovuto al fatto che l'A. considera in blocco come « pirogeniche » tutte le reazioni effettuate per mezzo del calore e fa quindi una confusione poco opportuna perchè non pensa che reattivi differenti aggiunti ad una stessa sostanza possono condurre a prodotti finali di natura completamente diversa. Secondo quanto egli asserisce dall’acido succinico, per reazione piroge- nica, si può avere pirrolo; ma in realtà quando egli vuole prepararsi una piccola quantità di pirrolo necessaria per le sue esperienze di confronto l'A. riscalda succinato ammonico con polvere di zinco; era ben prevedibile, ed anzi era già noto, che in questo modo doveva formarsi pirrolo. Bisogna tenere ben presente che nel riscaldamento con polvere di zinco si compiono in prevalenza processi di riduzione; nelle fusioni con potassa invece, come è il caso del trattamento da lui fatto alla melanina, avvengono invece, come tutti sanno, processi di ossidazione e di idrolisi e quindi di demolizione delle molecole; quando invece si sottopongono a riscaldamento da sole sostanze che non volatilizzano senza alterarsi, possono compiersi ì più svariati processi di sintesi e di demolizione ad un tempo. Sarebbe ozioso il riferire qui esempî che tutti conoscono o che per il caso particolare poco interessano, e quindi ci limiteremo ad accennare ad alcuni casi presi in considerazione da un altro cultore della chimica biolo- gica, Neuberg (1), allo scopo principalmente di mettere in guardia contro la (1) Beitrige zur wissenschaf. Medizin und Chemie. Festschrift fir E Salkowski. Berlin, 1904; cfr. anche K. Spiro, Zeit. fir analyt. Chemie, 44 (1905), pag. 184. e e e 2-91) & — 243 — colorazione rossa che può assumere un fuscello di abete bagnato con acido cloridrico, colorazione che, come è noto, viene data come caratteristica per i derivati del pirrolo e dell’ indolo. Il Neuberg trova p. es. che, oltre ai pirroli ed indoli, forniscono posi- tiva questa reazione gli amminoacidi ed anche la taurina stessa quando ven- gano riscaldati da soli e meglio ancora in presenza di polvere di zinco ed ammoniaca; operando in questo ultimo modo la reazione viene presentata anche dagli acidi tartrico, levulinico, citraconico, dalla glucosammina ece., vale a dire da tutta una serie di sostanze che non hanno nulla a che fare con i pirroli, e perciò egli pure consiglia di stare guardinghi sopra i risultati di questa reazione. Per questo motivo abbiamo giudicato opportuno di eseguire noi pure alcune esperienze in proposito ed abbiamo osservato quanto segue. La glicocolla, leucina e tirosina riscaldate da sole in tubo da saggio si decompongono trasformandosi in masse brune infusibili le quali soltanto, per ulteriore azione del calore, sviluppano vapori che arrossano la scheggia di abete; le stesse sostanze invece, fuse con potassa, come fa Salkowski per la sua melanina, dànno reazione completamente negativa. Le sostanze che volatilizzano inalterate, come ìl pirrolidone e la suc- cinimmide forniscono reazione negativa tanto da sole quanto fuse con potassa; la reazione riesce positiva solamente se i composti si riscaldano con polvere di zinco. Come era ben prevedibile dunque, la reazione riesce positiva oppure negativa a seconda del modo con cui vengono effettuate queste reazioni che sono tutte « pirogeniche ». Le sostanze proteiche che come è stato dimostrato contengono sicura- mente residui dell'acido @-pirrolidincarbonico (*), assieme ad altri residui che ancora non tutti sono stati identificati, quali la casezza (noi abbiamo impie- gato un preparato secondo Hammarsten, proveniente da Kahlbaum), e la gela- tina forniscono entrambe positiva ed intensa la reazione tanto da sole quanto fuse con potassa (?). Trovammo ancora che l'ippomelanina, il nero di sepia,il nero di co- roîde ed i neri di pirrolo dànno del pari reazione intensissima sia riscal- dati da soli sia anche per fusione con potassa. (!) Anche l’acido «-pirrolidincarbonico (prolina) e l’ossiprolina (e perciò anche l'acido @-carbopirrolico) si possono considerare come amminoacidi analoghi agli ordinarî peptidi, sebbene in questo caso il residuo ammidato concorra alla formazione di un anello chiuso: è quindi da aspettarsi che più molecole di queste sostanze possano congiungersi fra di loro per dare prodotti analoghi ai polipeptidi; ciò si verifica forse, almeno in parte, nella caseina, gelatina ecc. (?) Come è noto, nella caseina sono contenuti anche residui indolici (triptofano) che finora non vennero riscontrati nella gelatina; la gelatina invece, per riscaldamento, fornisce notevoli quantità dell'anidride dell’acido «-carbopirrolico (pirocolla). RENDICcONTI. 1921. Vol. XXX, 1° sem. sl — 244 — Si vede che questi risultati non sono in buon accordo con quanto rife- riscono i due citati autori e veramente non si comprende come Salkowski asserisca che dalla formazione di pirrolo, da lui osservata, per fusione con potassa della melanina, si possa tutto al più dedurre che nella molecola di questa sostanza sia contenuto il complesso atomico dell'acido amminosucci- nico; come mai il Salkowski concilia questa sua supposizione col fatto da noi prima riferito che l’a-pirrolidone, per fusione con potassa. non fornisce pirrolo ? Il Salkowski ha pure sottoposto la sua melanina all’ossidazione con permanganato ; a tale scopo egli tratta la sostanza con eccesso di soluzione di permanganato bollente, in presenza di alcali ed alla fine elimina l’ossi- dante inalterato per mezzo dell'alcool. Trova che la melanina a questo modo viene completamente distrutta. Che sottoponendo ad un processo di ossidazione così energico un com- posto che senza dubbio contiene numerosi doppî legami come una melanina, avvenga una profonda demolizione della molecola, era facilmente prevedibile; ma noi siamo pervenuti a risultati alquanto diversi effettuando l'ossidazione a freddo e con quantità limitate di permanganato. Ippomelanina oppure nero di sepia vennero trattate /a freddo con solu- zione di permanganato al 2%, in presenza di qualche goccia di potassa; in principio il reattivo viene prontamente ridotto e si interrompe l'aggiunta dell’ossidante quando il colore violetto persiste qualche minuto; abbiamo osservato che ogni grammo di melanina richiede intorno a 100 c.c. di solu- zione di permanganato. Si separa il biossido di manganese e passa un li- quido limpido, giallognolo che viene evaporato a b. m. Rimane un residuo cristallino che contiene molto ossalato di potassio; riscaldandone una piccola quantità in tubo da saggio sviluppa vapori che colorano in rosso intensissimo la scheggia di legno bagnata con acido cloridrico; inoltre trattato con solu- zione diluitissima di un sale di diazonio, o meglio ancora con una traccia di fenilazossicarbonammide C;H;. NO: N. CO. NH., si ottiene un liquido intensamente colorato in rosso aranciato, precisamente come noi abbiamo osservato nel caso degli acidi pirrolcarbonici. Acidificando con cautela la soluzione del sale primitivo con acido sol- forico diluito ed estraendo il liquido, lievemente colorato in roseo, con etere, assieme ud acido ossalico si ottiene un prodotto quasi incoloro che intorno 200° fonde in modo non netto con sviluppo gassoso e manda vapori che arrossano del pari fortemente la scheggia di abete. La scarsa quantità di melanine che avevamo a nostra disposizione ed i bassi rendimenti in prodotto di ossidazione non ci hanno ancora permesso di sottoporlo a più minuto esame, ma le reazioni descritte rendono somma- mente probabile che si tratti di qualche acido della serie del pirrolo ovvero dell’indolo. Come ognuno comprende, anche in questo caso sarebbe invero- paci — 245 — simile ammettere che le reazioni dei pirroli siano dovute alla presenza di derivati ammidati dell’acido succinico ed analoghi contenuti nella molecola della melanina di partenza. 1 Aggiungeremo inoltre che ippomelanina e nero di sepia vengono ossidate facilmente a caldo anche da acqua ossigenata al 30% (Peridrol Merck) di- luita con acido acetico. Rimane indisciolto un piccolo residuo, e la soluzione giallognola evaporata lascia uno sciroppo che, per riscaldamento, sia da solo sia in presenza di potassa, fornisce del pari la reazione al fuscello di abete in modo intenso. Il Salkowski ha trovato infine che bollendo la melanina con acido ni- trico ed evaporando successivamente l'acido rimane un residuo giallo scuro che con potassa si colora fortemente in rosso bruno. Secondo l'A. questo comportamento più che alla presenza di residui fenolici nella melanina si potrebbe attribuire al triptofano, che fornisce del pari la medesima reazione. A questo proposito noi abbiamo osservato che anche i neri di pirrolo sì com- portano in modo analogo; ma in questo caso difficilmente si può attribuire la reazione al triptofano. Essa sarà dovuta a derivati del pirrolo o tutto al più, data la proprietà che ha il pirrolo, almeno in casì particolari, di tras- formarsi in indolo, potrebbe spettare a quest'ultima sostanza ovvero ad un prodotto affine. Senza tenere conto delle impurezze che possono essere trattenute fisica- mente dalle melanine, dato il loro stato colloidale, è molto verosimile, come ancora molti anni or sono avevano supposto Nencki e Berdez, che in queste sostanze, oltre ai gruppi cromogeni caratteristici, sieno contenuti anche re- sidui organici ciclici ed alifatici (e talora anche zolfo e ferro che possono però venire eliminati senza alterare sensibilmente il loro colore) ed è da aspettarsi che tali residui possano variare a seconda del tessuto da cui le stesse melanine provengono. Il fatto però trovato da Salkowski che le melanine per fusione con po- tassa forniscono pirrolo, le analogie che si riscontrano fra melanine e neri di pirrolo, la proprietà che ha il pirrolo di fornire prodotti colorati in nero ed in bruno non solo per mezzo degli ordinarî ossidanti, ma anche per mezzo delle ossidasi tauto in vitro quanto nei tessuti viventi ('), il fatto posto in rilievo da Saccardì (*) che le iniezioni di pirrolo determinano negli animali una melanuria i cui caratteri sono simili a quella che Eppinger ha studiata in ammalati da melanosartoma, ovvero in seguito ad iniezione di melanina da tumore melanotico, a nostro avviso, rendono sempre più probabile che il colore di tutti questi prodotti sia in gran parte dovuto ad una stessa so- stanza fondamentale: il pirrolo. (*) P. Rondoni, Lo Sperimentale, annata 74 (1920), fascicolo IV-VI, pag. 155. (2) P. Saccardi, Gazzetta chimica, 50, parte II (1920), pag. 118. NE ORARIE 2,5 0 RAI —- 246 — MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Meccanica. — Sui moti limiti di un sistema semirigido ruo- tante attorno ad un punto fisso e sottratto all’azione di forze esterne. Nota di 0. LazzARINO, presentata dal Corrisp. R. MAR- coLonNGO (1). In una Nota precedente (2), alla quale mi riferisco per la parte biblio- grafica, ho esteso al caso generale di un solido avente un numero qualunque di cavità riempite da liquidi viscosi compressibili e ruotante attorno ad un punto fisso una notevole formola di Joukowski che dà la variazione nel- l’unità di tempo dell’energia cinetica del sistema. Indicando con T questa energia, con P' e Pi rispettivamente i vettori della velocità assoluta e relativa di un qualunque punto P delle masse fluide e con w i coefficienti di viscosità dei liquidi, ho dimostrato che sus- siste la formola 2 Lo È db; dp' 1) —3> faxP. do) | ul(4 K)L dove gl'integrali s'intendono estesi rispettivamente alle superficie 0° e agli spazi t delle / cavità del sistema, e con @ è designato il vettore della forza di attrito fra solido e liquidi. Ora, supponendo che col variare del tempo i termini del 2° membro della (I) si annullino, si ha un particolare moto del sistema che può chiamarsi « moto limite » il cui studio, per via intrinseca, è oggetto della presente Nota. 1. Moto LIMITE E SUE PRINCIPALI PROPRIETÀ. — Osservando che il coefficiente u di viscosità è un numero positivo e che per i liquidi viscosi il vettore a della forza di attrito non è nullo nè perpendicolare al vet- tore P}, dalla (I) risulta chiaro che per l’annullarsi del 2° membro è ne- cessario e basta che siano soddisfatte le condizioni abi: CdP (1) parole Lig x) Ora, per formole note (3), la seconda delle (1) può anche scriversi dPl i db A a dP' dP'. dP' | dPl (ap ap) ap TION pa I(%P apt ml (1) Presentata nella seduta del 5 dicembre 1920. (2) O. Lazzarino, Sulla variazione dell'energia cinetica di un sistema semirigido ruotante attorno ad un punto fisso quando sia nullo il momento rispetto a questo punto delle forze esterne [questi Rendiconti, ser. 5, vol. XXX, 1° sem., fasc. 4°, pag. 113]. (3) C. Burali-Forti et R. Marcolongo, Analyse vectorielle générale (a. 1912, tom. I, pag. 34 [7] e pag. 44 [2]). Questo testo sarà indicato in seguito con la sigla AVG. — 247 — e da qui si vede che la 2* delle (1) è conseguenza della 1, onde si può dire che il moto limite del sistema è caratterizzato dalla sola condizione Pi.=0 la quale importa come soluzione unica (2) P=Q/\(P—_0) cioè « il moto limite del sistema è caratterizzato dal fatto che le masse fluide si comportano come se formassero un tutto rigido con la parte solida ». Si possono dimostrare alcune notevoli proprietà di questo moto. Sostituendo l’espressione (2) di P' nella (VI’) della Nota precedente [loc. cit. (1)], si ha (3) [@A(P— 0)]'= grad (Z— U) + y) ani E grad div [(2A(P—0)] +v4 [2 A(P— 0)]. Ora, il 1° membro della (3) porge [(CA(P—0)]/=2' A(P— 0) +LX(P—0)-L2—2.(P— 0); quanto al 2° membro si osserva che i due ultimi termini sono nulli: in- fatti, essendo rote(P—0)= 0, 4'(P—0)=0 ed £ indipendente da P, per formole note si ha grad div[2 A(P— 0)]= grad [rotp 2 X (P— 0) — rote(P—0)X 2]=0 4 [2A(P—0]= ed P_09—P-0) 40447 (470 x T)=o. IPSE Quindi la (3) può scriversi (4) 2A(P—0) + X(P— 0)-2— £*(P— 0)= grad; (Z/— U). Osservando ora che il 2° membro della (4) è funzione dei punti P_ma non del tempo, si ha £"=0 e quindi, se £, è un vettore costante, può scriversi (5) Q=% e perciò si conclude che « nelle ipotesi fatte, il moto limite del sistema è una rotazione uniforme attorno ad un asse fisso nello spazio ». Inoltre, poichè per P.= 0 risulta M.= 0, dalla (I) della Nota citata e dalla (5) si ha (6) Q (QQ +M)=0 e, ponendo a2, +M=a,2, dove @, è l’omografia d'inerzia rispetto al punto fisso O di tutto il sistema, si può anche scrivere (7) Q a Q=0 — 248, cioè « nel moto limite, l'asse costante di rotazione 02, risulta parallelo ad una delle direzioni unite dell'omografia d'inerzva, relativa al punto fisso, del sistema totale costituito dalla parte rigida e dalla parte Aiuida considerata come formante un sistema rigido ». 2. CASI POSSIBILI DI MOTI LIMITI. — Supponendo che l’omografia @, d'inerzia sia arbitraria, si possono presentare diversi casi nei quali la (7) può essere soddisfatta. a) Se a, è tale che l’ellissoide d'inerzia, di centro O, relativo al sistema totale risulti un ellissoide a fre assi diseguali, per soddisfare alla (7) è necessario che l’asse costante 09, di rotàzione coincida con uno degli assi principali del detto ellissoide. Perciò si conclude che « è moto limite del sistema sarà, in questo caso, una rotazione permanente attorno ad uno dei tre assi principali dell'ellissoide d'inerzia di tutto il sistema rispetto al punto fisso ».. 5) Se poi a, è tale che l’ellissoide d’inerzia risulti di rivoluzione attorno ad un asse, allora « nel moto limite, l’asse permanente di rota- zione del sistema può coincidere col detto asse o con una qualunque delle rette del fascio di centro O avente per sostegno il piano principale di inerzia normale all'asse di rivoluzione dell’ellissoide ». c) Se, infine, @, è un numero, l’ellissoide d’inerzia si riduce ad una sfera di centro O e allora « nel moto limite, l'asse permanente di rota- zione può coincidere con uno qualunque dei raggi della stella di centro O ». In tutti questi casi la grandezza della velocità di rotazione è arbitraria ma costante e l’asse di rotazione si mantiene fisso per tutta la durata del moto. Tenendo conto della natura del sistema quì considerato, risulta evi- dente che i detti moti comprendono come casi particolari i noti moti di Dirichlet relativi ad un solido avente una sola cavità di forma ellissoidale o sferica riempita da liquido perfetto. 3. CONDIZIONI PER LA PERMANENZA DEI MOTI DELLE MASSE FLUIDE vIscose. — Supposti permanenti i moti delle masse fluide, si ha mod P'= cost in tutti i punti P dello spazio da esse occupato e risulta quindi P"= 0. Allora dalla (IV) della Nota citata si ricava, per un punto qualunque P del contorno, £'A(P—0)Xn=0 e da qui segue 2"—=0, Q2= cost, cioè « Ja rotazione del sistema deve essere permanente ». Allora l'energia cinetica risulta costante e dalla (1) si ha la relazione Tee Li dpi dP' _ La” ital na — 3 faxe do + > fat( ;P K T)de=0 che, come si è dimostrato precedentemente, ammette come soluzione unica (8) P'=Q/\(P_0). Ripetendo il ragionamento in senso inverso, si vede facilmente che la (8), — 249 — oltre ad essere necessaria, è anche sufficiente per la permanenza dei moti delle masse fluide. Si può quindi concludere che « dl solo caso possibile di moti permanenti delle masse fluide viscose è caratterizzato dalla (8) e corrisponde al fatto fisico che, per effetto della viscosità, il fluido debba aderire così perfettamente alle pareti della rispettiva cavità che risulti P.=0. Allora îl sistema ruota con moto uniforme attorno ad un asse fisso come se fosse completamente rigido ». Tenendo anche presente quanto è stato dimostrato nel $ 1, si può an- cora dire che «l’unico caso possibile di moti permanenti delle masse fluide è un moto limite del sistema ».. Idrodinamica. — Cireuztazione superficiale. III: Il teorema della forza sostentatrice nel caso di una corrente fluida spaziale. Nota di MARIO PascaL, presentata dal Corrisp. R. MaRCcOLONGO (*). Il teorema di Joukowski o della /0rza sostentatrice dà, come è noto (2), l’espressione di una delle componenti della resistenza totale incontrata da un contorno di ostacolo opposto ad una corrente fluida piana parallela, me- diante il prodotto della densità del fluido, della velocità limite della cor- rente e della circuitazione delle velocità lungo una linea chiusa circondante l’ostacolo, circuitazione che, mel caso che le velocità dipendano da un po- tenziale, è uguale a quella calcolata lungo il contorno stesso dell'ostacolo. Con la scorta del nuovo concetto di circuitazione superficiale che ab- biamo introdotto e dei risultati che abbiamo raggiunto nelle Note prece- denti (*), ci è possibile ora dimostrare il seguente teorema che può consi- derarsi come l'estensione del teorema di Joukowski al caso di una corrente fluida spaziale. Se una corrente fluidi spaziale di velocità limite Vo, diretta nel senso negativo dell'asse x, investe un ostacolo, la risultante delle pres- stoni del fluido sulla superficie dell'ostucolo giace nel piuno yz. IL valore delle sue componenti secondo gli issi y e 3 è rispettivamente uguale al prodotto della densità del fluido e della velocità lamite della corrente per le componenti secondo gli assi suddetti del vettore delli circuitazione su- perficiale, calcolata lungo la superficie dell'ostacolo. (*) Presentata nella seduta del 5 dicembre 1920. (*) N. Joukowski, Aérodynamique [trad. par S. Drzewiecki], Paris, Gauthier Villars, 1916; H. Lamb, Hydrodywamics, Cambridge, 1916, pag. 666. Ved. inoltre: P. Burgatti, Sopra un teorema di Joukowski relativo alla forza sostentatrice nei corpi in moto tras- latorio uniforme entro un fluido. Rend. R. Acc. di Bologna, 1917-18. (*) M. Pascal, Circuitazione superficiale. I: Estensione dell'ordinario concetto di circuitazione. Questi Rendiconti, vol. XXIX, 1920, 2° sem., pag. 353; II: Sua espres- sione vettoriale e teoremi generali analoghi a quelli sulla ordinaria circuitazione Questi Rendiconti, vol XXX, 1921, 1° sem., pag. 117. a ee d VAIO — 250 — Dimostreremo tale teorema basandoci — come fa il Joukowski — sul teorema di Eulero, esprimendo cioè che tutte le forze che agiscono sopra una massa fluida in movimento sono equilibrate dalle forze dovute alle quantità di moto. Sia H un corpo che formi ostacolo ad una corrente non vorticosa, di velocità limite V,, diretta nel senso negativo dell'asse x; il potenziale di velocità sia gp=— Var +f(0,Y,2) in cui / è una funzione tale che le sue derivate sono nulle a distanza infinita. Circondato l'ostacolo con una qualsiasi superficie chiusa, ad esempio una sfera o, per il teorema di Eulero, applicato alla massa fluida compresa fra la superficie dell'ostacolo e quella della sfera o, la somma delle pres- sioni — X, — Y, — Z esercitate da H sul fluido; delle pressioni idrodi- namiche p; e delle forze dovute alle quantità di moto, deve essere nulla. Le componenti della velocità sono e quindi, se @,8#,y sono gli angoli che la normale interna a o forma con gli assi, e 0 è la densità del fluido, la massa di fluido che nell’unità di tempo entra attraverso l'elemento do è (n De, i 7] 1 o|} Vi gp IO | ws Î 5 cosy |do; una formola nota ci dà poi o da AO p= cost. Sl ge e vera o Si ha così pae gle p cos a do + Hi —v.+ | | vo +35 cose + 35 cosp + 3 cos |a dr) Y= ua: ) < +0 i 3 (cosa +35 È I 3 one y |do Cd +ef ;-V+ I Loose | 3 cosg + n 0067 | do . Je d8 — 251 — Eseguendo le sostituzioni e gli sviluppi indicati, e trascurando ì ter- mini cha risultano essere infinitesimi di ordine superiore, oppure del tipo j cost. cosa dof, si ottiene facilmente x=ov, | Versado ov. (I cos a do — evi {-v + 3A {cosa + dI cosà + SE cos , |to=o poichè l'ultimo integrale, non essendo altro che la quantità totale di fluido entrato nella sfera 0, è nullo. Le altre due componenti diventano invece a 0Vo \L cosg — 3! cosa) do (2) 1 | ARE Dia cosa — = c087 do. Gli integrali che figurano nelle precedenti espressioni sono rispettiva- mente le componenti secondo gli assi s e y del vettore della circuitazione superficiale dovuta alla parte di velocità che dipende dalla funzione /, e calcolata lungo la superficie ©. Ma siccome il moto è stato supposto a potenziale, per un teorema di- mostrato nella Nota precedente, e chiamando con I, I le componenti se- condo z e y della circuitazione superficiale calcolata lungo la superficie del- l'ostacolo H, le (2) pessono scriversi : Y= eV, () Ea |Z=—-oVI®. La risultante di queste due forze giace evidentemente nel piano 73. e potrebbe anche essere facilmente costruita. Tale risultante è quella che, nel caso che ci occupa, può assumere il nome di /orsa sostentatrice. RENDICONTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem, 32 — 252 — Matematica. — Sulle varietà a tre dimensioni e di quart’or- dine che son luoghi di almeno ° rette. Nota I di EuGENIO G. ToGLIATTI, presentata dal Socio 0. SEGRE (*). 1. La dimensione dello spazio normale d'una Vi irriducibile è <= 6 (1); ed è noto che una V3z di Ss, che non sia un cono proiettante da un punto una superficie di Veronese, contiene una serie razionale oo! di piani (?); escluso che V$ sia un cono, quegli oo' piani uniscono terne di punti omo- loghi di due rette a, è e d’una conica c, riferite proiettivamente (3). Tale Vs contiene 00? rette Viceversa, se per un punto generico P di una V3 irriducibile, che non sia un cono, passano infinite rette della V$ (*), questa contiene oo! piani (°), costituenti una serie razionale (perchè un iper- piano generico contenente uno di essi sega ancora V3 in una F* rigata non cono), dimodochè la Vi coincide con la precedente o con una sua proie- zione (3). La proiezione Wj della Vj di Ss anzidetta da una retta generica 7 dell'S; sopra un S,, o, ha come superficie doppia una rigata cubica nor- male F (°): infatti, un S, proiettante generico sega Vj in una C' razionale normale che ha tre corde incidenti ad 7. Si vede poi subito che l’S; proiet- tante "ad contiene due piani u, v di V$, e perciò contiene un Sg proiet- tante (intersezione degli Sy: 7 w,7v) che sega u,v in due rette 72, 2, e la cui traccia 4 su o è quindi una retta doppia di W4, anzi proprio la di- rettrice rettilinea di F, perchè le co! coniche di Vi passanti per le sin- (*) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. (1) V. ad es. Bertini, /ntroduzione alla geometria prorettiva degli iperspazi, Pisa (1907), Cap. 9°, n. 6. (2) V. ad es. Bertini, loc. cit., Cap. 14°, n. 10. (3) Segre, Sulle varietà normali a tre dimensioni composte di serie semplici ra- zionali di piani, Atti Acc. Torino, 21 (1885-1886), pp. 95-115. Questa stessa V$ trovasi in: G. C. Young, Sulla varietà razionale normale M3 di Ss rappresentante della trigo- nometria sferica, id., 34 (1898-1899), pp. 587-596. (4) Anzi co, se no la V$ conterrebbe 1° S; che la tocca in P. (5) Severi, /ntorno ai punti doppi impropri di una superficie generale dello spazio a quattro dimensioni, e a* suoi punti tripli apparenti, Rendiconti Palermo, 15 (1901), pp. 33-51, n, 10. (6) Aprile, Sulla varietà, dell’S,, del quarto ordine, con rigata cubica normale doppia, Atti Ace. Gioenia, (5) 7, (1914), Mem. XXII, pp. 1-21, nad cca EIA EE TT9 — 259 — gole coppie di punti di 7, % situate su rette incidenti ad 7 (7) stanno in piani anche incidenti ad 7, e si proiettano su o in altrettante rette doppie di W4 incidenti a d. Tra le proiezioni particolari della Vj di Ss, che non discutiamo minu- tamente, rileviamo solo la Vi di S, con piano triplo, che si ha quando 7 sta nell’S, d'una rigata cubica della Vi di Ss, rigata che può anche spez- zarsi in un piano della Vj e nella quadrica direttrice minima (8). Le V$4 qui considerate sono le sole V$ irriducibili, non coni, a curve- sezioni razionali (*). 2. Consideriamo ora in Ss una V3 rigata, irriducibile, normale, non cono; essa avrà curve-sezioni ellittiche, perciò sarà la base d'un fascio di quadriche di Ss (!°). Anche questa è notissima (1); la sua proiezione in Sy da un punto generico O ha una quadrica doppia, traccia del cono quadrico intersezione della quadrica del fascio che passa per O col suo S, tangente in O (!2). Viceversa, ogni Vi irriducibile di S,, non cono, a curve-sezioni ellittiche, è proiezione della precedente (*). 8. Fermiamoci sulle Vj irriducibili, rigate, non coni, normali in Sy. Gli co! S;} tangenti ad una tale Vj nei punti d’una generatrice generica 9 inviluppano, di regola, un cono quadrico di 2% specie avente 9 come retta doppia, ma possono formare fascio intorno ad un piano contenente 9 e che (7) Rappresentando Vi su un S; col sistema lineare 008 di tutte le quadriche con- tenenti una stessa retta [Segre, loc. cit., nota (3)], le rette dell’S, rappresentano co- niche di V3. (8) Quest'ultimo caso è noto: v. Fano, Sulle varietà algebriche dello spazio a quattro dimensioni con un gruppo continuo integrabile di trasformazioni proiettive in sè, Atti Ist. Veneto, (7) 7 (1895-1896), pp. 1069-1103, n. 4. (9) Enriques, Su? sistemi lineari di superficie algebriche ad intersezioni variabili iperellittiche, Math. Ann, 46 (1895), pp. 179-199, n.9 (ed anche la nota dello stesso A.: Sui sistemi lineari di superficie algebriche le cui intersezioni variabili sono curve iper- ellittiche, questi Rend., (5) 2 (1893), pp. 281-287, nota (3) a p. 282). ('°) Enriques, Sui sistemi lineari di superficie algebriche le cui intersezioni va- riabili sono curve ellittiche, questi Rend., (5) 3 (1894,), pp. 481-487, $ 3 (vedi anche, nei Math. Ann., il n. 13 della Nota dello stesso A. citata nella nota prec.). (1) Segre, Studio sulle quadriche in uno spazio lineare ad un numero qualunque di dimensioni, Mem. Ace. Torino, (2) 36 (1885), pp. 3-86, parte II (12) Casi speciali della V$ di S, con F° doppia si trovano in: Snyder, On cyclical Quartic $urfaces in Space of N dimensions, Bull. Amer. Math. Soc., (2) 6 (1899-1900), pp. 194-198; Aprile, Di alcune congruenze, d'ordine due, di superficie nell’ Si e di co- niche nell'’Sz, Mem. Ace. Acireale, (3) 10 (1918-1919), $ 2. Altri casi speciali notevoli sono: la V4 luogo delle rette incidenti a due coniche generiche di S4, la Vi luogo delle rette che uniscono punti omologhi di due piani generici di Sy riferiti in corrispondenza quadratica. (13) Enriques, loc. cit. nella nota (19), $ 1. — 254 — risulta tangente a Vi lungo 7, oppure possono coincidere tutti in uno stesso Ss tangente a Vi lungo 9 (!). Siano: « un piano generico contenente g, y la cubica piana intersezione ulteriore di a con Vi, ed A,B,C i punti comuni a 9g e y. Nel 1° caso, due di questi punti, ad es. A,B, son punti di contatto di @ con V3, e C è punto doppio di Vi; il luogo di C, non potendo essere una linea direttrice di Vi (!), sarà un piano 7, doppio per Vi, unisecante le generatrici di V$ (nn. 1 e 2). Viceversa, una Vj di S, con piano doppio 7 (!°) è rigata, perchè luogo di co! quadriche a due dimensioni situate negli S3 passanti per 77, e non ammette, in generale, degli spazî tangenti fissi lungo ogni generatrice. 4. Se invece Vi ammette lungo 9 un piano tangente fisso, uno solo dei punti A,B,C, ad es. A, è punto di contatto di a con Vi, mentre B,C sono multipli per Vi. a) Se B,C sono distinti, e perciò doppî per V3, essi non possono descrivere entrambi una superficie, doppia per Vi, perchè questa verrebbe di ordine > 1; nè possono descrivere due linee direttrici di V$ (o un'unica direttrice bisecante le generatrici di Vi), se no Vi avrebbe lungo g un Ss tangente fisso (!4); perciò B, ad es., descrive un piano doppio 7, e C de- scrive una linea doppia irriducibile L, unisecante le generatrici di Vi, la quale sarà quindi un caso speciale di quella del n. 3. Un Sz generico con- tenente 77 sega ancora Vi in una quadrica irriducibile che ha su ogni ge- neratrice un punto doppio di Vj non situato su 77, e che perciò è un cono col vertice su L. Cioè L è luogo dei vertici di detti coni, ed è incontrata in un sol punto variabile dagli S3 contenenti 77; perciò L non può essere di ordine => 5, se no un S; generico taglierebbe Vi in una F* avente una retta doppia e, fuori di questa, almeno 5 punti doppî, tra i quali almeno due dovrebbero stare su una retta incidente a 7 (!), e quindi anche in un S3z, certo variabile, contenente 77. Se poi L sta in un piano, segante 77 in un punto solo, essa è di ordine < 3, perchè una retta generica del suo piano, essendo sghemba con 7, sarebbe doppia per V3 se ne contenesse più di tre punti doppî. Dunque L può essere: una retta sghemba con 7; una conica incidente a 7; una C* piana con un punto doppio su 77; una C* sghemba con due punti (distinti o no) su 77; una C* di 2 specie, di un S3, con tre punti allineati (distinti o no) su 77; una C* razionale normale con tre punti (distinti o no) su 7. (14) Segre, Preliminari di una teoria dellé varietà luoghi di spazi, Rend. Pa- lermo, 30 (1910,), pp. 87-121, nn. 9, 12 e $ 5, 6. (!9) Marletta, Sulle varietà del quarto ordine con piano doppio dello spazio a quattro dimensioni, Giorn. di Matem., 40 (1902), pp. 265-274, 41 (1908), pp. 47-61 e 113-128. (16) Salmon-Fiedler, Analytische Geometrie des Raumes, II Theil, 3 Aufl., 1880, n. 337 a p. 445. V. anche Marletta, loc. cit. nella nota (!5), n. 54; in quest’ultimo lavoro (nn. 51, 52, 53) si trovano gran parte delle V$ qui determinate. bb Scegliendo convenientemente in S, un sistema di coordinate proiettive omogenee xo X1 Ta X3 La, è ovvio scrivere l'equazione di Vz nei primi tre casi. Nel 4° e nel 6° caso, nelle ipotesi più generali, l'equazione di V3 sì ha uguagliando a zero una forma quadratica generica delle forme: x5%x3, XeXa,X3— XoX4, gr X1%3, 0 rispett. delle forme: x3 0 (x0%1%2%3 L4) + +e Pl (001121314) per g#=0,1,2 ('7). Nel 5° caso l'equazione di V3 sì può scrivere: Ls Po(X3 L4) + co W(250)f + 2g +1*=0, con: f=%30(0,% 020304) + 241001090321) ; g= ud) + 30400...) + Lio b) In secondo luogo, se i punti B, C coincidono in un punto doppio per y e triplo per Vi, essi descrivono una linea tripla irriducibile di V3, L, unisecante le generatrici, e che può esser solo una retta, od una conica: Ta = t4= Po(06%, re) = 0 (18). Nel 2° caso l'equazione di Vj si può scrivere: 3 Pr(L0 1 Lo) UD (13.44) + di CA ERIEA Le Cs da) di Soi = dij i=0 e mostra che il piano della conica è doppio per Vj. Se la conica si spezza in due rette distinte, la Vi è caso speciale di entrambe le precedenti e contiene due sistemi di rette; la conica tripla può anche ridursi ad una retta da contar due volte (1°). (1°) Indicheremo con @,8,p,w,... forme algebriche delle variabili indicate e dei gradi espressi dai loro indici. Non ci fermiamo sui casì speciali in cui Vi acquista ge- neratrici doppie o punti doppî isolati. (18) Perchè se L non fosse piana, il piano di tre suoi punti generici starebbe su V4; e se L, di ordine = 3, stesse in un piano 7, un piano contenente una retta s di 7 segherebbe Vi lungo s contata almeno 3 volte, cioè 77 sarebbe almeno triplo per Vi. (1°) Un caso speciale in Fano, loc. cit. nella nota (8), n. 12. — 256 — Paleontologia. — Patologia di alcuni mammiferi pliocenici e posipliocenici della Toscana. Nota di LINA PIERAGNOLI, DreEcAte dal Socio C. De STEFANI ('). Trattasi di alcune ossa plioceniche e post-plioceniche di varî animali, specialmente di £guus Limn. e di varia località, in massima parte del Val- darno superiore: appartengono tutte al Museo di Firenze: presentano varie lesioni, ma, eccettuato forse in un osso di Cervus, non trovo tubercolosi in nessuna di queste ossa, mentre la ritrovai frequentissima ed estesissima nel- l’Ursus spelaeus Blum. recente di Equi (?). Trovo invece lesioni e deforma- zioni ossee che mancano nelle innumerevoli ossa fossili paleolitiche e neo- litiche della Grotta di Equi. Da questa osservazione si potrebbe desumere che alcune malattie furono più particolarmente proprie di alcuni animali, come del resto anche oggi, e forse che hanno avuto maggior sviluppo in alcune epoche piuttosto che in altre, come già aveva ritenuto il Moodie. + 1. Equus Stenonis Cocchi. — Articolazione tibio-metarsale sinistra. Pliocene lacustre di Olivola in Val di Magra. Il metatarso presenta nella diafisi e nella epifisi superiore una esostosi grandissima, compenetrata interamente, come le due ossa (tibia metatarso), da carbonato di Ca. È un caso molto comune anche nel cavallo attuale. Trattasi di una osteo-artrite intertarsica ossificante 0, com'è chiamata più comunemente, ar/ri/e secca del garetto del cavallo. La malattia ha prin- cipio da una osteite rarefacente semplice dell’os tarsi, in seguito alla quale si ha condensazione del tessuto osseo e degenerazione dello strato cartila- gineo con osteite condensante e formazione di esostosi nel 3° tarsale e negli altri tarsali. Quando la malattia è assai avanzata, come in questo caso, le superfici articolari sono saldate per la formazione di granulazioni, che sor- gcno, come isolotti, nei punti opposti e corrispondenti alle erosioni, che cre- scendo si saldano le une alle altre. Gli osteofiti che si formano dal periostio, in parte per la tendenza delle osteiti centrali a spingersi verso la periferia, in parte perchè il periostio degli orli articolari viene coinvolto nel processo, possono essere di tutte le forme e di tutte le dimensioni. Considerai inutile (') Presentata nella seduta del 2 gennaio 1921. (2) Patologia dell'’Ursus spelaeus della Grotta di Equi, Pieragnoli, R. Ace. dei Lincei, estratto dal vol. XXIX, serie 5, faze. 11, sem. 1°, seduta del 4 giugno 1920. AIIPR Re, i SOR fare sezioni microscopiche dell’osso e sciuparlo, perchè completamente cal- cificato. 2. Equus Stenonis Cocchi. — Pliocene lacustre del Valdarno superiore. Metacarpale il cui tessuto è in condizioni normali, benchè compenetrato quasi totalmente da carbonato di Ca e ossido di Fe. Nel centro della diafisi si presenta un rigonfiamento liscio, regolare, molto visibile che si estende anche verso le epifisi. Io credo debba trattarsi di un osteoma, che può avere origine traumatica e provenire dal callo: è un tumore osseo di struttura compatta (eburneo), circoscritto, forse proveniente dallo strato corticale del- l’osso. 3. Equus caballus Limn. (Equus Larteti Cocchi). — Ramo mandibo- lare destro e sinfisi di un individuo vecchio. Nel canale maestro della Chiana presso Alberolo (prov. Arezzo): post-pliocene. Questo ramo mandibolare è stato oggetto di studio da parte del prof. Arnone (Comparazioni antropo- logiche, estratto dagli Annali di odontologia, 1° sett. 1917; e Studio nei ‘ fossili sugli effetti della carie dei denti, estratto dagli Annali di odonto- logia, anno V, n. 2, pag. 25, 1920). La mandibola è mancante del 3° premolare e la cavità di questo dente è spugnosa e rareficata: inoltre in corrispondenza di questo dente mancante, al margine inferiore dell'osso, si vede un osteoma rotondo, peduncolato, e vicino il peduncolo più sottile di un altro. perdutosi post-mortem. Il pro- fessore Arnone ritiene che il dente mancante fosse cariato, e siccome il pro- cesso di carie può passare al pericemento e da qui propagarsi al periostio alveolare ed osseo, ritiene anche che in questo caso esso sì sia propagato lentamente attraverso il forame apicale della radice stessa al tavolato interno dell'osso, raggiungendo il margine inferiore del mascellare e determinando per la forte infiammazione le esostosi. Questa ipotesi egli avvalora col fatto di una linea di frattura derivante dalla fossilizzazione, a decorso irregolare, che dall'alveolo dove era il dente cariato va al punto dove si ha l’esostosi e che, essendo spezzata due volte, dimostrerebbe la differenza della rarefa- zione della parete esterna. Esaminando quest’osso, ho notato subito che il tavolato esterno era per- fettamente sano e che l’alveolo del dente non mostrava nessuna lesione do- vuta a forte suppurazione e ad osteite: vi è solamente un poca di rarefa- zione, rarefazione che notasi anche nei margini degli alveoli dei molari e che con tutta probabilità è dovuta a vecchiaia; anormalità che ho avuto agio di notare anche in molti mascellari di Zrsus vecchio della Grotta di Equi. Inoltre la frattura di cuì parla il prof. Arnone nel suo lavoro, che è semplicemente dovuta alla compressione avvenuta durante la fossilizzazione, si dirama attraverso l’osteoma in altre due linee di frattura che si allungano per tutto il margine inferiore dell'osso e che sono più regolari della prima, perchè in quella direzione le trabercole sono parallele alla linea di frattura, mentre ‘— 968 — nella parte anteriore sono perpendicolari. Come ben dice il prof. Arnone, senza esame microscopico dell’osteoma che mostri la disposizione delle tra- becole ossee nei canali di Havers (cosa impossibile a farsi senza sciupare il fossile) o senza analizzare attentamente l'interno dell'osso, non potevasi sostenere l’ipotesi che si trattasse di un semplice osteoma; siccome però i pezzi dell’osso erano tenuti insieme da mastice, ho potuto dividerli gli uni dagli altri e mettere in evidenza anche la parte interna. Così mi sono assi- curata che l'alveolo del dente mancante non presenta alcuna anormalità e che l'interno dell'osso è perfettamente sano, non mostrando alcuna modifica- zione dovuta a qualsiasi infiammazione: anche Ja superficie interna inferiore dell'osso che corrisponde all’osteoma è sana: trattasi dunque di un osteoma. Se l'esostosi fosse dipendente da un processo di carie (molto simile alla fistola dentaria), l'osteoma sarebbe meno regolare e la suppurazione che avrebbe dovuto essere abbondantissima per produrre una tale esostosi, avrebbe anche dovuto produrre delle lesioni ossee, che, se quasi invisibili all'esterno, dovevano essere visibilissime all'interno dell'osso. 4. Cervus sp. metatarsale sinistro. — Pliocene lacustre del Valdarno Sup. Collezione Strozzi. i La diafisi dell'osso è rigonfiata con modificazione evidente del tessuto, con fori dai quali doveva fuoruscire il pus. Se non è stata una infezione consecutiva a nna ferita o ad una frattura, può trattarsi con molta proba- bilità di un caso di tubercolosi: si nota una corrosione lacunare a fori gros- solani, delle caverne riempite ed orlate di osteofiti spugnosi e verrucosi, proprî della tubercolosi. Rhinoceros etruscus Falc. — Tibia e perone sinistro, pliocene la- custre. Poggio di Monte al Pero presso Figline. Valdarno superiore. Periostite consecutiva alla frattura del perone stesso. Dopo la frattura si è formato un processo d'infiammazione e forse di suppurazione, dopo il quale è sopraggiunta una osteite condensante, che ha legato il perone alla tibia. Il perone è risaldato, ma deforme. 6. Bison priseus Owen. — Cranio Post-pliocene, nelle sabbie del tor- rente Maspino presso Arezzo. Porta sulla bozza frontale sinistra un grosso foro, con incrinature mul- tiple e irregolari delle pareti, che limitano il foro stesso. La ferita è stata prodotta dalle zanne di un altro animale o piuttosto dalla cornata di un altro bisonte, ed ha portato l'infiammazione dell'osso poi risarcito in vita. G. C. dear da ne ad ati Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. DI) Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti ‘della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). — Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. x 2 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 88 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Nol. IV--V.VI: VIE VIIL Serie 3° — TransUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1,2). — II-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. i ‘ Serie 43 — RenpICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie .5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali i Vol. I-XXX. (1892-1921). Fasc. 7°, Sem. 1°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXIX. (1862-1920). Fasc. 7°-10°. . MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, fasc. 59. E MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e ' filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 7. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI di RIA EI x I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. «Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta l’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ULRICO HoepLi. — Milano, Pisa 6 Napoli. P. MagLione & C. SrRINI (successori di E. Loescher & C.) — Roma. Aa Viene 3) CERI OT Pre ee RE È GS RENDICONTI — Aprile 1921. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 17 aprile 1921. MEMORIE E NOTE DI SOCI Segre. Le linee principali di una superficie di Ss e una proprietà caratteristica della superficie di Veronese. Nota III. . . . . Bia . Pag. 227 Severi. Sulla teoria degl’integrali semplici di 1a: specie aaa aa una ita algebrica . . . . 5 ia . E a Re ee dio ARS Abetti. Sulla nine del calcolo asia alla Ronda ZAR x 1° n0285: Angeli e Pieroni. A proposito di un lavoro del prof. E. Salkowski Soda oi asti . » 241 MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Lazzarino. Sui moti limiti di un sistema semirigido ruotante attorno ad un punto fisso e sottratto all'azione di forze esterne (pres. dal Corrisp. Marcolongo) . . ..... n» 246 Pascal M. Circuitazione superficiale. III : Il teorema della forza sostentatrice nel caso di ; una corrente fluida spaziale (pres. /d.). . <. 0. È 7 eri n 240 Togliatti. Sulle varietà a tre dimensioni e di aotaiie or son ‘luoghi di I, 002 rette (pres. dal Socio Segre). +... LEE RI Pieragnoli. Patologia di alcuni ‘nallimifoti ia Scsi ianiai della Posodle (pres. dal Socio De Stefani) . LOS eee IO I K. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile A iS LION TERENTO 0 vi ERA Pubblicazione bimensile. N. 9. SIE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE | DEI LINCEI ANNO CCCXVIII. JbS}2hE Spbicbvrloii QUEEN A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X X X.° — Fascicolo 9° Seduta del 2 maggio 1921. 1° SEMESTRE. ROMA TIP. DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 (TTT _ __ aeéeoé@éRé80%Étz+._._____rrm ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE l. Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: I 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2 Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare lc 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 cstratt' gratis ai Soci 3 Corrisponden*i, e 30 agli estranei; qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico, 4. I Rendiconti non riproducono le discus sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca» demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto, II. I. Le Note che oltrepassino i limiti .ndi- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite ‘nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. . 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. SE 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i maroscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 80 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori, PA RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. ANANAS Seduta del 2 maggio 1921. V. VoLTERRA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Chimica. — Osservazioni varie. Nota del Socio A. ANGELI. Nel corso delle mie ricerche ho avuto spesso occasione di osservare alcune reazioni e di notare certi fatti che forse non sono privi di interesse; e sic- come per il momento non mi è possibile proseguire il loro studio così ho ritenuto opportuno accennare a qualcuno di essi in questa breve comuni- cazione. Azione della piridina sopra gli eteri nitrici. Due anni or sono ho descritta una trasformazione interessante che le nitrocellulose, già a freddo, subiscono per azione della piridina (*); a caldo la reazione si compie in modo rapidissimo tanto che operando a bagno maria già dopo due ovvero tre minuti si avverte un forte sviluppo di ossidi del- l'azoto,; lo stesso si verifica se invece di nitrocellulose si impiega nitrogli- cerina. La reazione avviene invece in modo lentissimo con nitrato di etile e piridina, tanto che il loro miscuglio sì può bollire per qualche tempo diret- tamente alla fiamma senza avvertire sviluppo di vapori nitrosi. Come venne già esposto altrove () la reazione non ha l'aspetto di se- guire l'eguaglianza : R.CH,.0.N0O,.+H:0=R.CH,.0H + HNO; (*) Angeli, questi Rendiconti, 28 (1919), pag. 20. (3) Angeli e Errani, Rivista di Artiglieria e Genio, IV (1919), pag. 5. RENDICONTI. 1921, Vol. XXX, 1° Sem. 33 — 260 — che corrisponderebbe alla saponificazione normale ed invece è molto più probabile che si tratti, almeno in gran parte, di una scissione della forma: R.CH,.0.NO.=R.COH-+ HNO,. Il fatto però che con le nitrocellulose e la nitroglicerina la reazione avviene in modo molto più rapido che col nitrato di etile, dimostra che i gruppi negativi uniti agli atomi di carbonio contigui accelerano in modo notevole il processo, tanto che gli atomi di idrogeno potrebbero forse pro- venire anche da quelli che sono legati ad altri atomi di carbonio; natural- mente in ogni caso si arriverebbe ai medesimi prodotti : — CH .0.NO, =0.0.N0, 0. HNO — CO ran 2 — HNO; un a CH,.0.NO; CH,.0 — COH i quali a loro volta potranno subire ulteriori processi di idrolisi, di ossida- zione e forse anche di condensazione. Coagulazione di soluzioni di nitrocellulosa. Si tratta di una osservazione che ho avuto occasione di fare a propo- sito di alcune esperienze eseguite con lo scopo di studiare i prodotti di ossi- dazione delle nitrocellulose. i Siccome si tratta di sostanze insolubili in acqua, così ho impiegato la soluzione in acetone del prodotto che ho trattato con soluzione pure aceto- nica di permanganato di potassio; è noto che quest'ultima è stata impiegata in altri casi e con buoni risultati, fra altri da R. Willstiitter. Quando in tal modo si ossida la nitrocellulosa si nota che il reattivo viene facilmente ridotto e si ottiene dapprima un liquido intensamente colo- rato in bruno; dopo poco tempo però il liquido perde la sua mobilità e finisce col rapprendersi completamente, come fanno le soluzioni di gelatina quando si raffreddano. Aggiungendo altro acetone la massa non si scioglie; sminuzzando il coaugulo con una bacchetta di vetro, i frammenti si mantengono separati dall'’acetone aggiunto che rimane perfettamente incoloro; a bassa temperatura i coauguli si conservano per molte ore; il loro scomparire molto probabil- mente è dovuto all'azione successiva dell’alcali, che si è formato, sopra la nitrocellulosa. È moltro probabile che tale comportamento sia dovuto al fatto che l’idrato manganico colloidale formatosi in una prima fase determini la coau- gulazione dell'altro colloide presente, la nitrocellulosa. Avverrebbe ad un di presso quel che si verifica nelle soluzioni di gelatina cromata sotto l'in- fluenza della luce; in questo caso è l’idrato di cromo formatosi in seguito al processo di riduzione che rende insolubile il resto della gelatina. SRO o Sopra la produzione di alcune scintille. In pirotecnica sotto il nome di « pioggia d'oro » si indica un fuoco d'’ar- tificio costituito da piccoli dadi o cilindri formati da un impasto di salnitro, zolfo e nerofumo che per lo più vengono lanciati per mezzo di razzi; i fram- menti, una volta infiammati, nella caduta attraverso l’aria lasciano una lunga coda luminosa costituita da una miriade di piccole scintille. Tali scintille presentano una grande rassomiglianza con quelle che vengono fornite da quei minuscoli fuochi d'artificio conosciuti sotto îl nome di « spiche giapponesi », perchè una volta venivano dal Giappone. Esse sono costituite da pochi cen- tiorammi di un polverino che si involge all'estremità di una striscia di carta velina, il resto della quale viene attorcigliato in un filamento sottile; la loro forma ricorda così quella di una spica di grano e da ciò il loro nome. Tale polverino è stato analizzato la prima volta da Hofmann il quale l’ha trovato costituito da una polvere pirica incompleta, perchè molto più ricca di zolfo. Quando si accendono, prima brucia lentamente il polverino e rimane indietro una goccia incandescente, che aderisce al filamento di carta e dalla ‘quale si sprigionano un grande numero di bellissime scintille ramificate : soffiando leggermente contro la goccia, aumenta il numero delle scintille, evidentemente perchè sì attiva il processo di ossidazione della massa fusa. Secondo H. Schwarz(') tale polverino si può preparare con salnitro gr. 6, zolfo gr. 10 e carbone gr. 10; molto meglio però corrisponde un mi- scuglio di salnitro gr. 15, zolfo gr. 8 e nerofumo gr. 3 (?). Naturalmente tale composizione è anche subordinata alla qualità della carta velina che si impiega, giacchè se varia lo spessore di questa, varia anche la quantità della cellulosa. Un'altra miscela è stata proposta da Perron (*) e si compone di polvere pirica gr. 30, salnitro gr. 15, zolfo gr. 15, olio di lino gr. 10, canfora gr. 2 in gr. 8 di alcool e gr. 4 di gomma arabica sciolta in acqua; se ne fa un impasto che si riduce in cubetti di qualche millimetro di lato; quando sono secchi, si fissano all'estremità di un fuscello di legno e si accendono; bruciano del pari in modo tranquillo ed anche in questo caso rimane indietro una goccia incandescente da cui sì sprigionano un grande numero di piccole scintille. Io però ho osservato che l’effetto è di gran lunga superiore se a questa stessa massa, o meglio ancora alla sua polvere, si aggiunge una piccolissima quantità di nerofumo e poi si avvolge in una strisciolina di carta come per il caso delle spiche giapponesi; in questo modo invece di sprigionarsi un (1) Dingler Journal, 263, 94. (2) Techn. Rundschau, 1908, pag. 379. (3) Dingler Journal, 134, 79; — 262 — grande numero di piccole scintille, si hanno grandi scintille, ramificate e fragorose; il loro diametro sì può valutare a qualche centimetro e si por- tano anche ad un mezzo metro di distanza. La goccia incandescente è ani- mata da un moto di rotazione ed è costituita senza dubbio da solfuri e tio- sali che all'aria bruciano con forte sviluppo di anidride solforosa. Si ha l'impressione come se dalla superficie della goccia venissero proiettate minu- tissime particelle incandescenti che poi ad un certo punto esplodono; per analizzare il fenomeno sarebbe necessario ricorrere alla fotografia, cosa che non ho potuto fare per mancanza di mezzi. To ho impiegato nerofumo del commercio, nero di lampada che io stesso ho preparato ed anche nero di acetilene, che mi è stato regalato da una fabbrica germanica; l’effetto è stato sempre il medesimo, vale a dire in ogni caso si sono avute grandi scintille, mentre invece con la polvere di carbone e con la grafite (io ho adoperato un campione di grafite di Boemia, in pol- vere) sia da sole oppure mescolate a sostanze organiche ricche di carbonio si ha solamente un grande numero di piccole scintille. Ciò rende a mio avviso molto probabile che questo curioso fenomeno dipenda principalmente dall'ordine di grandezza delle particelle di carbonio (!). Non è inverosimile che anche altre scintille, del resto molto rassomi- glianti, abbiano una origine analoga, p. es. quelle che manda l'acciaio quando batte la pietra focaia, e quelle che si sprigionano dal ferro incandescente. A questo proposito giova rammentare che nei trattati si legge che il ferro brucia nell’ossigeno proiettando scintille; ma poi per l'esecuzione dell’espe- rienza si prescrive sempre di prendere una molla di acciaio. Forse ad n processo analogo sono dovute anche le scintille che mandano quei piccoli fuochi d’artiticio composti da un filo d'acciaio rivestito in parte da una pasta formata da polvere di alluminio, limatura di ferro, nitrato di bario e de- strina, oppure da nitrato di piombo, carbone e limatura d'acciaio impastati con soluzione alcoolica di gommalacca (?). Resta a vedere se il carbonio prende parte anche nella produzione delle scintille che si sprigionano dall'acciaio al cerio. Esperienza per dimostrare le proprietà esplosive di alcuni diazoderivati. Sono ben noti i caratteri eminentemente esplosivi di alcuni sali di dia- zonio, quali p. es. il nitrato, clorato, perclorato, cromato ecc., ma si sa pure che questa proprietà si osserva per lo più sopra i prodotti allo stato secco; in alcuni casi soltanto, come il perclorato, i cristalli, al pari di quelli del- l’azotidrato mercurico, possono talora esplodere quando si frantumano sotto (1) Per l'esame microscopico di alcuni di questi neri veggasi: I. Perrot e R. Thiessen, Journal of Ind. and Engineering Chemistry, vol. 12 (1920), pag. 324. (£) Lange O., Chem. Technische Vorschriften. Leipzig, 1916, pag. 552. — 263 — acqua ovvero quando urtano la parete del vaso che contiene il liquido in cui sono immersi (!). In causa di queste proprietà, la preparazione di tali composti richiede le maggiori cautele; quando sono allo stato secco essi costituiscono senza dubbio le sostanze più pericolose che si conoscano e come tali hanno cau- sato un grande numero di disgrazie; Victor Meyer raccomanda espressamente di non preparare il nitrato di fenildiazonio in quantità superiori a gr. 0,2 per volta. Questo fatto rende quindi sconsigliabile o per lo meno poco age- vole il mostrare ad un uditorio tale proprietà di queste sostanze e perciò io sono ricorso ad un artifizio per mezzo del quale si può eseguire l’espe- rienza in modo assai semplice senza pericolo di sorta ed impiegando solu- zioni acquose molto diluite dei sali dei diazocomposti, quali il cloridrato, solfato ecc. A tale scopo si pesa in una bevuta un grammo di anilina, cui si aggiun- gono 10 ce. di acqua e 10 ce. di acido cloridrico concentrato ed in un'altra bevuta si sciolgono gr. 0,75 di nitrito sodico in 10 cc. di acqua. Si raffred- dano i due liquidi con acqua corrente (non è necessario impiegare ghiaccio) e poi sì aggiunge, poco per volta, la soluzione di nitrito alla soluzione clo- ridrica di anilina, che si mantiene agitata in una bacinella d'acqua. Lo sviluppo gassoso è appena apprezzabile. Si pongono allora circa 5 ce. del liquido così ottenuto in un bicchiere a calice (e quindi a pareti robuste) al di sopra del quale si colloca, capo- volto ma in modo che non tocchi il bicchiere, un largo imbuto di vetro, fermandone la coda per mezzo di un morsetto; questo imbuto ha lo scopo di evitare che spruzzi di liquido vengano proiettati all'intorno. Si aggiun- gono allora al liquido 3 oppure 4 grossi cristalli di permanganato di potassio, ciò che si può fare attraverso la coda dell'imbuto, e tosto incomincia un rapido succedersi di piccole ma violenti esplosioni che avvengono in seno al liquido stesso; ogni esplosione è accompagnata da forte sviluppo di gas. Operando in un bicchiere a pareti sottili, c'è pericolo che questi si rompa. Con soluzioni più diluite e meno acide le esplosioni sono meno frequenti ma più forti. Si comprende subito che riesce molto difficile poter dire a quale com- posto sieno dovute tali esplosioni che avvengono in seno al liquido, forte- mente agitato perchè si succedono rapidissime: con tutta probabilità si tratta di minime quantità di un prodotto che si forma nelle regioni di contatto fra liquido e cristalli di permanganato. Siccome l’esperienza riesce anche impiegando il solfato di anilina invece del cloridrato, resta escluso che vi prendano parte prodotti clorurati; l’espe- rienza riesce invece negativa se in luogo del permanganato si adoperano (1) A. Stettbacher, Zeit. fir Schiess- und Sprengstoffwesen, 21 (1916), pag. 147. 2 OGARE cristalli di bicromato, persolfato ovvero clorato di potassio. Come è noto, quando sono diluite e fredde, le soluzioni di permanganato ossidano l’ idrato di diazobenzolo in gran parte ad acido diazobenzolo CsHs. N: NOOH, so- stanza non esplosiva e che in ogni caso si decompone senza sviluppo di azoto; il forte sviluppo di gas invece che si osserva nella esperienza descritta rende quindi probabile che le esplosioni siano dovute alla formazione effi- mera di qualche sale di fenildiazonio, forse di permanganato, ovvero all'azione del permanganato stesso sopra qualche altro derivato del diazobenzolo; così p. es. è noto che anche gli ossidi dei diazocomposti, scoperti da E. Bam- berger, sono dotati di carattere eminentemente esplosivo, tanto che finora non fu nemmeno possibile determinarne con esattezza la composizione. È poco verosimile che lo sviluppo gassoso sia dovuto all’urto dell’esplo- sione sopra la soluzione del sale diazoico ambiente. Paleontologia. — Stlicospongie fossili della Liguria occiden- tale. Nota del Socio 0. DE STEFANI ('). VI. STRATI INTERNI DELLA ZONA CRISTALLINA OCCIDENTALE. Costa di S. Alberto. Alla Costa di Sant'Alberto presso Sestri Ponente nel bel mezzo della zona degli Schisti cristallini ad occidente del Gazo, è un Micaschisto quar- zoso con (Quarzo in grossi grani ed in microscopici prismi bipiramidati con inclusioni liquide, Limonite pseudomonfa e in macchie diffuse, abbondante Sericite e Muscovite, abbondanti aciculi di Rutilo altamente rifrangente, otticamente positivo, con sfaldature secondo 110, Apatite e raro Zircone. Esso è molto spugnoso perchè probabilmente in origine era un Calceschisto siliceo dal quale è stato asportato il Carbonato calcico, comprese, come dirò, parti di Silicospongia calcificata. Nei tratti più a lungo esposti alle intem- perie e più spugnosi, specialmente nelle parti più ferruginose si notano le | sfioriture di Quarzo cristallino precisamente come nella roccia spongifera calcarifera di altri luoghi trattata con gli acidi. Con lente in costa agli strati, in ispecie in mezzo alla parte ferruginosa ma pure in quella micacea, e meglio in alcune sezioni a non forte ingrandimento, si vede l'intreccio hexactinico dictyonale di 3 ordini. Le Megasclere con evidentissime Lychni- sche formano regolari maglie quadrate nel cui centro è talora una grossa Oxyhexactinia. Le Mierosclere fanno un complesso ed irregolare reticolato interno nel quale sono poi microscopiche Hexacliniae semplici isolate, anche una sola per ogni quadrato. Talora il Quarzo è concresciuto intorno alle (') Presentata nella seduta del 17 aprile 1921. — 265 — spicole, delle quali rimase solo il modello in negativa perchè reputo che essendo state calcificate, il carbonato calcico fu poi portato via dalle acque. Vi sono le solite Ostia di Eptrhize puntiformi, ed altre più grandi, circo- lari, di Aporhize con breve intreccio radiale o talora con uno a 3 giri di intreccio periferico nei quali le ZMexactiniae espanse ai punti d'inerocio for- mano maglie con forellini circolari. Si vedono pure isolate tali placche dermali forate. Vi sono pure ZMexactiniae dilophe, Tetractiniae, Diactiniae e forse Uncini. Stazione ferroviaria di Voltri. Quivi nello schisto sono piecole lenti di Calcare alquanto magnesiaco interamente costituito da una Z/ewasterosa dictyonina originariamente silicea, trasformata in calcare: sciogliendo questo negli acidi esso abbandona alquanto Quarzo, Limonite, qualche particella carboniosa, spicole monexoniche raris- sime e qualche residuo del delicatissimo intreccio dictyonale siliceo. L’in- treccio risalta pure sulla superficie quando questa sia stata a lungo esposta alle intemperie od artificialmente acidulata. Esso è prevalentemente cubico, e diretto in tutti i sensi con ZMexactiniae di varî ordini e quelle minori formanti anche maglie triangolari. Le Megasclere hanno rari aculei e Zych- nische, le quali talora si espandono lasciando piccole lacune rotondeggianti, specialmente forse nelle parti dermali. I canali inalanti ed esalanti tubi- formi traversano l'intreccio con disposizione alternata. L'intreccio intorno ai Canali acquiferi è disposto a losanga come nel genere Hexactinella Carter della famiglia delle 7retoca/ycidae; perciò il reticolato mi dava l’îdea di Nummuliti lentiformi intersecantesi fra loro. Alcune irregolari striscie ser- peggianti, divaricate, riempite da Calcite, che traversano lo Spongiario, sono forse dovute a vermi od altri animali. Oltre le Spicole monaxoniche, vi sono indizi di Dichotriaene, di Te- traroni formati da Caltroys con zigosi poco complicate, lisci, con qualche spina o breve appendice embrionale che accennerebbe a Tetra cladinidae fossili questi nella Creta superiore e viventi. Mele. Tracce simili alle precedenti della Stazione di Voltri raccolsi presso l'entrata al Camposanto di Mele. Ivi in mezzo ai Calceschisti più o meno quarzosi e micacei è un Calcare molto siliceo d'aspetto simile ai così detti Calcari screziati eocenici dell'Appennino toscano. Ne ho raccolto 6 o 7 fram- menti aventi tutti la stessa costituzione. È costituito da frammenti diversi or silicei or calcarei: qualche pezzo scuro più siliceo, ha struttura più com- patta. Mineralogicamente, con Calcite, Quarzo e Opale sono Sericite e Clo- rite, rara Pirite o Pirrotina, macchie e cubetti limonitici, microliti di Apa- tite e pulviscolo carbonioso. Già dall'esterno, nelle parti siliceo più sporgenti — 266 — e nelle sottili sezioni ad ingrandimento non forte, vedesi che la roccia è costituita da frantumi di spongiario, parte siliceo, di silice colloide o tras- formato in Quarzo, parte convertito in carbonato calcico, cementati da Cal- care nel quale non sono più tracce dei primitivi costituenti organici calcitici. L'intreccio hexactinico dictyonale di tre ordini è pure convertito in Pirite e quello microsclerico in Limonite a contorni sbavati: in tali casì è meglio conservato; talora passa direttamente dalla Calcite al pulviscolo limonitico o carbonioso. La Calcite riempie gl’interspazi delle macrosclere silicee ; mentre le microsclere silicee più raramente si conservano al di fuori del Quarzo: a volte è il Quarzo che occupa il centro delle maglie; a volte la Limonite occupa quello delle maglie quarzose. L'intreccio a tratti è molto regolare, quadrato; a tratti irregolarissimo qua- drato, parallelogrammo, triangolare. Le Macrosclere sono talora fornite di bre- vissime spine e talora, sembra, di Lychnische, quindi di espandimenti che ren- dono le maglie stesse rotonde ed irregolari e danno luogo anche a placche dermali e gastrali forate. Vi sono le solite Osta puntiformi di Epirhize entro piccole losanghe trasversali, d'intreccio ridotto così forse per schiac- ciamento, ed Ostia maggiori circolari di Aporhize con intreccio radiale. A volte intorno alle une ed alle altre l'intreccio è disposto a spirale, cir- costanza notata pure alla Biscazza e a Casa Buzzano. Sottoponendo ad acido idroclorico qualche lastrina parallela agli strati rimane l'intreccio di limpidissimi prismetti bipiramidati di Quarzo, differen- temente orientati, come sfioriture verticali nelle quali all'ingrosso risaltano i Canali acquiferi; in brevi punti è perfettamente conservato l'intreccio microsclerico. Il Quarzo ha inclusioni liquide e carboniose alcune delle quali con assetto microhexactinico: vi si distinguono pure nettamente in bianco Hexactiniae con maglie parallelogramme con Ostza puntiformi, e diactiniue. La presente specie sarebbe dunque una Zychriscosa ed è possibile che fra le due specie viventi Ar/ocystis Zitteli Mars. e A. Grayi Mars., come altre Zichniscosi dei terreni esaminati, risponda meglio a quest'ultima la quale oltre alle Mexaetiniae con regolari Lychnische presenta Mexacti- niae semplici dappresso alla base. Anche nel genere Cretaceo Tremabdolites Zittel della famiglia delle Camerospongidae Schrammen sono nella rete di- ctyonale Hexactiniae semplici ma solo nelle regioni dermale e gastrale: però l'appartenenza a questa famiglia è da escludere per la mancanza di nume- rosi Cavedit. Le spugne dell'Eocene sono assai poco note ed è prudente non fare ravvicinamenti. Forse la nostra specie appartiene alla famiglia Vertrie- litidae Zittel che principiando nel Giura è tanto estesa nella Creta, o meglio alle Sporadoscinidae Schrammen, pur della Creta con Ostia di Epirhize trasversalmente ovali o ridotte a semplici fenditure e Postica rotonde di più ampie Aporhize. Le medesime parvenze vidi nello Schisto spugnoso sopra Mele, simile — 267 — a quello descritto della Costa di S. Alberto, ma più scuro e meno ferrugi- noso: probabilmente esso pure era un Calceschisto dal quale fu asportata la parte calcitica. Nelle lenti quarzose si vedono benissimo le giosse maglie hexactiniche isolate. Campo Ligure. Una interessante roccia fossilifera che meriterebbe di essere descritta litologicamente a lungo è il Calceschisto a Glaucofane di Campo Ligure sulla destra della Stura d'Ovada. Fra i tanti schisti anlibolici a Glaucofane della regione è la sola roccia calcitica da me ritrovata. È bene stratificata, scura, costituita a suna volta da lamine calcitiche, quarzose, o prevalente- mente micacee ed anfiboliche. Si trova in mezzo a svariati schisti anfibolici, andalusitici e serpentinosi, alla base della formazione serpentinoso-gabbrosa- diabasica e sono d'accordo con quelli che la ritengono un tufo metamorfico. AI microscopio presenta abbondante Calcite in lamine ed aggregati ben di- stinti da apparenti sfaldature di geminazione prodotte, come dicono, da fe- nomeni di compressione 0 127/0n2zcazione attestati anche da rotture ed inter- ruzioni delle lamine stesse. Si accompagnano più rari, grani di Quarzo, chiazze di Silice idrata e sferoidi di Calcedonio. Abbondante è la Muscovite o Se- ricite, talora con aggegati o lamine di Clorite. Tremolite in fibre ed in certi tratti Actinoto sono abbastanza diffusi. Il Glaucofane è raro, talora nella parte centrale dell'Actinoto. Pare vi siano tracce di Diopside o di Augite con scheletro di Magnetite in lunghi prismi macroscopici od in fasci aggre- gati di cristalletti, talora incurvati e rotti forse derivanti da Serpentino. Residui limonitici e pulviscoli carboniosi si intromettono per tutto, ma spe- cialmente intorno alla Calcite, alla minutissima Sericite, all'Anfibolo perfino nei piani di sfaldatura. Svariatissimi componenti secondari sono Magnetite, Pirite, Rutilo in taluni punti abbondante, Sfeno, Apatite, Epidoto, rare tracce di Plagioclasio e forse Andalusite. A prima vista nulla apparisce di organico, principalmente sulla super- ficie degli strati, ma guardando questi, con la lente, in costa negli strate- relli silicei esposti più a lungo alle intemperie che sottrassero la parte cal- citica, notansi frammenti d’intreccio hexactinico dictyonale, visibile pur nelle sezioni sottili con ingrandimenti fino a 90 D. Il tessuto con maglie di 3 ordini è in parte rotto e frammentizio o forse alquanto largo o cave- diale di sua natura, nel qual caso si tratterebbe di una specie diversa dalle altre. Le Macrosclere raramente ben conservate, formano maglie irregolari, ma spesso quadrate, talora schiacciate per compressione. A quanto pare hanno spine, ad esempio come gli Sphezaularx Cretacei, ma più sottili, ed hanno Lychnische, talora espanse alle zygosi per modo che il tessuto qualche volta è convertito in placche o piastrine sottilissime con fori rotondi sostituiti alle RENBICONTI. 1921, Vol. XXX, 1° Sem. 84 — 263 — maglie poligonali. I) reticolo interno più minuto, in parte rotto e corroso, spesso convertito in Limonite, che dalla Silice passa pure alla Calcite e per- fino alla Pirite, a forti ingrandimenti presenta contorni sbavati. Al polari- scopio il reticolo si vede meglio tanto nelle parti chiare per le diverse orien- tazioni cristallografiche, quanto in quelle scure le quali risultano maggior- mente isolate da interspazi bianchi. Si vedono alcune Mezactiniae limonitiche isolate e qualche Diactinia. Ostia puntiformi o ridotte a fine fenditura, credo di Epirhize, ed altre grandi, pur talora schiacciate, di Aporhize: talora penetrano anche a traverso i sottilissimi veli sericitici i quali lasciano tra- sparire anche il tessuto. In alcune sezioni alternano i canali delle Aporhzze cechi ad una delle estremità. Essi hanno all'intorno un reticolo radiale. Intaccando la superficie con acido acetico per eliminare solo il Carbo- nato calcico, in qualche tratto rimane la Silice in' bianco bene spiccata sul nero dello Schisto: sono sfioriture verticali, di Quarzo ialino, trasformazione della Silice colloide primitiva, in microscopici prismi piramidati a spigoli in apparenza lievemente arrotondati, attestanti, cred'io, il permanente pas- saggio di acque, con inclusioni liquide, carboniose e limonitiche, in origine piritose. In mezzo alle fioriture appaiono spazi irregolarmente rotondi, attri- buibili a relativamente grandi canali verticali di Aporhise con un giro di intreccio radiale a numerosi raggi. Rimangono in alcuni punti evidenti re- sidui del finissimo intreccio microselerico a maglie parallelogramme e trian- golari in serie pur talora radiale. Vi si notano Diactiniae e forse Uncini, sì che parrebbe si trattasse di Wneznatarin. Applicando soluzioni di FEosina queste imbevono di vivace color rosso alcune parti dei frammenti silicei colloidi, probabilmente di megasclere e compenetrano di leggerissimo colore roseo le parti limonitiche nel Quarzo e talora nella Calcite, in serie così regolare da segnalare maglie microscopiche le quali altrimenti non sarebbero visibili, di cui la Limonite occupa il centro. Così pure vedesi il reticolato disposto radialmente con maglie anche trian- golari. Fra i corpi estranei sono rari Rhabdi di Rhizomorinae e qualche fora- minifera indeterminabile (Ordulina 0 Globigerina) alle quali fu dovuta la parte calcarea che in piccola parte trasformò lo Spongiario siliceo. Non è la prima volta che negli schisti a Glaucofane sono indicati fos- sili. Brugnatelli indica Glaucofane negli schisti a Radiolarie del M. Cruzean illustrati dal Parona. Franchi cita la Crocidolite nei Diaspri a Radiolarie pure studiati da Parona e Rovereto della Casa delle Isole, località vicina alla Crocetta e ad altri luoghi che accennerò poi. — 269 — Fisica terrestre. — // gradiente termico verticale nell’atmo- sfera. Nota del Socio Lurcr De MARCHI (). In questi ultimi tempi furono avanzate obbiezioni alla dimostrazione, data comunemente nei trattati, dello stabilirsi di un gradiente termico ver- ticale costante in una corrente d'aria asciutta, nell'ipotesi adiabatica. La discussione più completa in argomento credo sia quella fatta recentemente dal sig. S. Rona nella Meteorologische Zeitschrift dell’ottobre e novembre 1920. La dimostrazione è basata sull'equazione d’adiabaticità C,dT = Av dp (A equivalente termico del chilogrammetro) e sull'equazione dell'equilibrio idrostatico dp = — ydz (‘ = ì peso specifico dell’aria all'altezza s) , fra le quali si elimina la dp. Il Réna osserva che tale eliminazione non è legit- tima, perchè il vdp non ha lo stesso significato nelle due equazioni: nella prima si riferirebbe alla massa in moto verticale; nella seconda alla condi- zione preesistente, di densità e pressione, nell'atmosfera circostante. Io non credo esatta tale formulazione di un argomento sostanzialmente giusto, perchè anche l'equazione dell'equilibrio (a cui converrà, come vedremo in altra Nota, sostituire quella del moto) si deve riferire alla situazione attuale di ogni istante en/r0 la colonna ascendente. Io credo che più generalmente debba dirsi che, essendo la p in generale funzione non della sola 2, ma anche dal tempo ?, la dp nell'equazione termodinamica è espressa dal binomio dP dp x JR i de, di cui l'equazione d'equilibrio, o di moto, non darebbe che il secondo termine. Che la p sia funzione anche di # lo prova anzitutto l'equazione di moto dp : Di MR LA (1) ta, (w velocità verticale, ay/(w) forza di attrito che si ritiene una funzione ra- pidamente crescente di w e proporzionale alla densità) (?), perchè in gene- rale il movimento non è permanente. Inoltre abbiamo le continue variazioni di pressione nell'atmosfera sovrastante ed ambiente che si riflettono anche OP dé nella colonna d'aria in moto e possono anche non modificare il sradiente (!) Presentata nella seduta del 17 aprile 1921. (2) In un moto puramente verticale la forza deviatrice della rotazione terrestre non ha componente verticale, — 270 — Come variazioni autoctone della pressione, indipendenti dalla stratifica- zione preesistente, e non dovute tuttavia a scambi di energia coll’esterno, possiamo considerare anche quelle derivanti dalla condensazione del vapor d'acqua o dalla evaporazione dell’acqua e fusione del ghiaccio, colle conse- guenti variazioni della tensione del vapore. Ma la debolezza fondamentale della dimostrazione sta nell’applicazione dei principî stessi che formano la base dell'equazione termodinamica: la reversibilità e l'adiabaticità del processo. Solo in una espansione reversibile il lavoro elementare è espresso da p dv, da cui si deduce la vdp mediante l'equazione dei gas, che è pure applicabile solo nell'ipotesi di equilibrio fra la pressione esterna e la tensione interna della massa, e tutti i processi che derivano da condizioni d’'equilibrio labile non sono reversibili. Ora una corrente verticale persistente non può formarsi che nel presupposto di un equilibrio labile o indifferente. Questo secondo caso si verifica solo quando preesista nell'atmosfera la stessa stratificazione adiabatica che è determinata dal moto verticale: solo in questo caso si verifica la condizione di reversi- bilità, e quindi il gradiente termico normale, quello cioè dedotto dalle equa- zioni di equilibrio adiabatico e idrostatico, può verificarsi nell'aria in moto solo nel caso che esso preesista nell’aria ferma. Questa conclusione fu già messa in evidenza da altri autori (') e dallo stesso Réna. Senonchè essi ammettono implicitamente la condizione di reversibilità, supponendo che si stabilisca istantaneamente l'equilibrio di pressione tra la colonna ascendente e l’aria esterna allo stesso livello. Essi suppongono infatti che all’altezza 7 pressione, temperatura e volume specifico siano nell'aria in moto p,T,v e nell'aria ferma p, T", 0", per cui v:0= T:T"; e deducono allora dalle equa- zioni, pel caso di gradiente costante, il valore AAT 4 OE BHO e in generale (Rona m. c. equaz. 7) dh _—_ O, at FEMME dove /(/) esprime la legge di variazione verticale della temperatura preesi- stente nell'aria ferma; equazione che il Réna applica ai casì speciali, com- preso quello di una stratificazione labile, al quale non è applicabile l'equa- zione termodinamica. È d Tale supposto di un equilibramento istantaneo equivale a supporre 3 infinita. In realtà un equilibramento completo non si verificherà mai, spe- cialmente quando si tratta di un movimento verticale molto esteso, com'è (1) Vedi in particolare Exner, Dynamische Meteorologie. Leipzig, 1917, pag. 47. — 271 — il caso nei grandi movimenti dell'atmosfera, perchè, prima che si verifichi, la massa unitaria considerata si è portata a un livello diverso. Che così sia lo prova la deformazione continua delle superficie isobariche entro e attorno una corrente ascendente o discendente, mentre nell'ipotesi dell'equilibra- mento istantaneo la situazione barica non dovrebbe cambiare. Ma se tra la corrente verticale e l’aria ambiente si stabilisce e sì man- tiene un dislivello di pressione, si mantiene anche un continuo ricambio d'aria e quindi di moto e di energia dall'esterno all'interno o viceversa. I classici studî del compianto Margules (') sull'energia delle tempeste dimo- strarono che l'energia di moto prodotta da un dislivello orizzontale di pres- sione è grandissima rispetto all'energia di posizione corrispondente al disli- vello stesso, e che la sna fonte principale deve cercarsi nell’energia poten- ziale della distribuzione verticale di massa in tutto lo spazio perturbato, energia potenziale di cui il gradiente orizzontale non è che una manifesta- zione, non la misura. Quando questo gradiente esiste, non possiamo isolare la corrente verticale da tutta la massa circostante che la determina e ne è perturbata; non possiamo cioè considerare il processo come adiabatico, poichè vi sarà o moto convergente o moto divergente con variazioni di pressione, densità e temperatura indipendenti dal moto verticale, con assorbimento o sviluppo di energia. Scambi laterali di quantità di moto tra filetti contigui si veriticano nel moto dei liquidi per la turbolenza, che rappresenta un enorme disper- dimento di energia meccanica trasformata in calore: lo stesso dobbiamo ammettere anche per l’aria, specialmente negli strati vicini al suolo. Anche di questo disperdimento non è tenuto conto nelle equazioni di equilibrio, e nemmeno in quelle di moto, a meno che non si voglia compenetrarlo, come in modo non in tutto giustificato fa il Boussinesg, nel termine di attrito, attribuendogli un valore molto più elevato di quello dell’attrito fisico. Non è possibile calcolare l’energia che viene scambiata tra la massa in moto e l’ambiente o viene trasformata in calore nella massa stessa per la turbolenza del moto, ma sì comprende come, specialmente la prima, possa (1) Vedine un largo e più facile riassunto nella citata opera di Exner, cap. VII. Mi sembra tuttavia non giustificata la conclusione (su cui l'A. insiste anche nel suo re- cente necrologio di Margules nella Meteor. Zeit.. nov. 1920) che sia falsa la comune concezione che il gradiente genera il vento, quando senza gradiente l’aria non si mette in moto, e le equazioni del moto rappresentano una necessaria correlazione quantitativa fra gradiente, velocità e accelerazione. Un gradiente orizzontale anche piccolo mantenuto per lungo tempo nella direzione di un movimento genera velocità grandissima: che se per mantenerlo a lungo è necessario il consumo di una grande somma di energia fornita da tutta la massa (come in un circuito elettrico chiuso per mantenere a lungo anche una piccola differenza di potenziale), questo è un problema ulteriore, la ricerca della causa della causa, — 272 — essere tutt'altro che trascurabile rispetto a quella rispondente al lavoro di dilatazione per sollevamento. Indicando con E4/ questa quantità di energia scambiata nel tempuscolo di, e ammettendo come applicabili, almeno appros- simativamente, la condizione di reversibilità e l'equazione dei gas (per le quali il lavoro esterno possa esprimersi con p dv, o con ARdAT — vdp), le” equazioni dell'equilibrio termodinamico e idrostatico darebbero C,dT = —Adz + Edt donde dT A oo: dz we uo w° Questa formola ci dice che il gradiente termico verticale si accosta tanto più al valore normale quanto più rapido è il moto verticale; una cor- rente verticale molto rapida, un getto d'aria, si manterrebbe quasi isolata dall'ambiente. Fuori di questo caso il gradiente è di regola minore del nor- male, poichè con moto ascendente (x > 0) la pressione interna è minore dell'esterna e vi è afflusso d'energia (E > 0), con moto discendente tanto E quanto w cambiano di segno, e quindi E :w è sempre positiva. Che se attorno a una colonna ascendente si forma un moto vorticoso così forte: da determinare per forza centrifuga una proiezione d'aria verso l'esterno, il gradiente potrà diventare anche maggiore del normale, finchè w non cambia segno per l'inversione di densità prodotta dal rapido raffredda- mento o per chiamata d'aria dall'alto. Tali condizioni potranno verificarsi nelle trombe. Le irregolarità nella distribuzione verticale della temperatura, in par- ticolare il fatto che le misure di temperatura in aria libera segnalano un gradiente termico di regola minore del così detto gradiente adiabatico (0°,98/100 m.), ma in qualche caso anche notevolmente maggiore, possono quindi spiegarsi colla considerazione che, anche indipendentemente dal va- riabile assorbimento del calore solare e dalle trasformazioni dell’acqua, i movimenti convettivi non possono considerarsi come adiabatici. Rigorosamente nemmeno come reversibili, cosicchè le equazioni dalle quali fu dedotto il gradiente normale non sono legittimamente applicabili. Tale deduzione rap- presentò però sempre un risultato di alta importanza, come l’espressione di un caso ideale a cui la realtà più o meno si accosta, e come la prima dimo- strazione di un limite che i moti convettivi impongono al gradiente termico verticale, mentre, in condizioni di puro equilibrio radiante, questo può assu- mere valori molto maggiori, fino a 39,4 per 100 m. — 273 — Geometria. — Sulla teoria protettiva delle congruenze W . Nota del Corrispondente Guipo FuBINI (*). 1. Recentemente il sig. Jonas nel tomo 29 degli Jahresber. d. d. math. Gesell. (1920) ha paragonato le teorie metriche delle congruenze W, dando alcune notevoli formole. Però le equazioni fondamentali, da cui egli parte, sono già state date da me in una mia Memoria del tomo 43 del Circolo Matem. di Palermo (1918-19). Nella via indicata in questo mio lavoro sì potrebbero anche studiare le relazioni tra le due falde focali; le formole risultano però complicate. È merito grande dello Jonas l’avere osservato che tutte le formole si semplificano introducendo wma so/1 funzione 4. Tale funzione, che lo Jonas introduce per via metrica, ha però, come proveremo, significato prozettivo. Per tali ragioni riprendo qui lo studio prozettivo di una congruenza W di data prima falda focale (problema protettivo, che di solito si studia per via mezrica), partendo dalle mie equazioni fondamen- tali, e ricorrendo per il resto del calcolo alla funzione 4 dello Jonas, e for- mole relative. Resterà così ben chiaro anche il legame con le teorie metriche usuali delle congruenze W. 2. Siano w,v assintotiche d'una superficie S; sia 2D' du do la seconda forma di Gauss, ed Edu? + 2F du dv + Gdv® l'elemento lineare metrico, rispetto al quale calcoleremo i simboli di Christoffel. La superficie è deter- minata a meno di una collineazione dagli invarianti proiettivi 11 22 1 PI , L= 0m— 5% —Po —B0o; M=0x— 309-770 ove ani 9 Con x indicheremo una qualsiasi delle qgwa//70 quantità 4 ,y,5,1, essendo le prime tre le solite coordinate cartesiane ortogonali. Con # indi- chiamo le quantità che se ne deducono, moltiplicando le x per VBre®. Le x sono le coordinate proiettive normali, le quali, per ogni collineazione, subiscono soltanto una trasformazione lineare a coefficienti costanti (senza alcun fattore di proporzionalità, che potrebbe essere funzione delle x, ®). Con £ indicheremo infine coordinate omogenee qualsiasi. Se S è prima falda focale di una congruenza, da ogni suo punto esce una retta della con- (') Presentata nella seduta del 17 aprile 1921. — 274 — gruenza, ì cui punti avranno coordinate omogenee del tipo (1) t=px+2(Ax,+B%). Affinchè la congruenza sia W e questo punto #, descriva la seconda falda focale S,, nella mia Memoria cit. è dimostrato che si deve poter sce- gliere il fattore di proporzionalità delle { in guisa che (2) A,=—By ; By=— A#; (3) i pe ep a dU dv Le prime due sono appunto le stesse equazioni ritrovate più tardi dallo Jonas; dalla terza si deduce l'equazione analoga dello Jonas, passando a coordinate cartesiane. Posto #z=|/#ye-8 x, si trova infatti t= VBIe® [(— Bo, — A,— 40, —B0,) x +2Ax,+2Bx;]. Ricordando che l’ultima delle x vale 1, e dividendo per l’ultima delle {, per ottenere coordinate cartesiane x, del punto della seconda falda focale S,, sì trova (1)bis =rg+ Adtut B n Bi x ove (3)ox Rel ei ag oo Na Db che è appunto la formola di Jonas (il quale indica con a, —d le nostre A, B). Date le L, M, cioè data la superficie a meno di una collineazione, si hanno due equazioni per determinare la 0, le quali sono integrabili (!). Per ogni valore di 9 si ha dalla (3)x;s una soluzione R della Rw Sa (0 + #yY) TR9% Questa è l'equazione che si presenta nelle classiche trattazioni metriche delle congruenze W; ed ecco così trovato il legame tra esse e lo studio puramente proiettivo. Lo studio della seconda falda focale si potrebbe, come è detto nella mia Memoria cit., proseguire direttamente partendo dalle (1). Ma qui la idea elegantissima dello Jonas semplifica grandemente i calcoli ; egli ha posto A4=AR, — BR, + ; (A,4- A0,)? — ; (B, + BA0,)? (1) Le condizioni di integrabilità sono soddisfatte in conseguenza delle relazioni, . che legano f,y,L,M: Lo=\-(28yu-+ Bur) ; Mu=— (2Bo + v08); BM 4 2M6, + Bovo = yY Lu + 2L yu + Yuu » aa che, in virtù di (8);s, diventa ; a i] 00, dg EI DA Di +3 BM +? 3(BBo—3 i (Ad —; A) 1 La 4 non dipende da 9, ma soltanto da L,M; dunque A ha carat- tere protettivo; essa soddisfa pa (5) An pe Roia ep 3 BA=0. Partendo dalle formole di Jonas, o direttamente, si prova che le quan- tità B,,yx, Ln, M, della seconda falda focale sono date dalle È A, À, 223 ed analoghe per y,, M,. Si potrebbero anche trovare le coordinate proiet- tive normali x, della seconda falda focale che si ottengono dalle carte- VINTO Bazdo A S/A4, O) —&=#+77:U=L+ ( siane x, moltiplicandole per {/B1y1e-%:. Si trova che esse sono (1)ter a, = Va fon 1 7h veri i (ur +t 2A Tu +4 2B Ly) Il sig. Jonas ha continuato lo studio per il teorema di permutabilità. . Dette A,,B,, 4; le quantità finora indicate con A,B,4, e dette As, Bs, 43 le quantità analoghe per una seconda congruenza W, di cui $ è la prima falda focale, ed un'altra superficie Ss è la seconda, il teorema di Bianchi ci accerta che S, ed S, sono trasformate per congruenze W di . co! superficie S' (una delle quali è S). Se per es. Ai e Bi sono i valori di A,B relativi alla congruenza W di cui S, è la prima falda focale, e una tale S' è la seconda, le formole di Jonas, spogliate di quanto ha ca- rattere metrico, dicono che (7) d (A+A)=— (BB), e che, detto w il valore comune di questi rapporti, si ha, indicate con 4, 4, le derivate di 4,: ® SCR E ° Ar. 1 Perciò w è determinato a meno di una costante additiva; ciò che corrisponde appunto al fatto che le S' dipendono da una costante arbitraria. ossia sono co', come afferma il teorema di permutabilità di Bianchi. Si vede così quanta semplicità dia alla teoria proiettiva delle con- gruenze W l'introduzione delle funzioni A,B da me fatta nella Memoria cit., e della funzione A dello Jonas. RenpIcONTI. 1921, Vol. XXX, 1° Sem, 35 — 276 — La ricerca di una congruenza W di data prima falda focale è ridotta all'integrazione di (2). Le (1) 0 (1)»is 0d (1), dànno poi in coordinate omo- genee, 0 cartesiane, o normali i punti della seconda falda focale; gli inva- rianti proiettivi, e quindi anche le forme fondamentali di questa sono dati dalle (6); le formole del teorema di reciprocità del Bianchi dalle (7), (8). (Queste formole si troverebbero, senza bisogno di ricorrere ad alcun ar- tificio, seguendo il metodo da me indicato nella Memoria cit. Lo spazio mi vieta sia di iniziare un tale calcolo, sia di vedere come esso si dovrebbe modificare nel caso di falda focale rigata (cioò £=0, oppure y= 0). Matematica. — Sulla teoria degl’integrali semplici di 1° specie appartenenti ad una superficie algebrica. Nota IV del Corrispon- dente FRANCESCO SEVERI. 8. Fissiamo ora in uno P dei punti base (improprî) del fascio y = cost. la comune origine dei cammini d'integrazione per gl'integrali v;, conside- rati come integrali abeliani della curva /(4,%,z)=0, con y parametro. Indicati allora con x,(21,7,%),--:%p(%p,7;%) p punti della curva f(£,4,z)=0 per y generico, le equazioni (22) u(ci) + + (2) = 6 (modd. periodi ©), 4 ove le c; sieno costanti arbitrarie ed i cammini d'integrazione che vanno allo stesso punto x; sono i medesimi per tutti gl'integrali %;, in base al teorema d'inversione di Jacobi, saranno soddisfatte da un gruppo ben deter- . minato di p punti della sezione stessa. Il luogo di questi gruppi di p punti è una curva C, la quale può a prioré risultare trascendente, perchè può passare infinite volte per qualcuno dei punti base del fascio y = cost. Per cercare le condizioni di algebricità della curva C sostituiremo anzitutto ad essa una curva C' costruita nel modo seguente: Sia M,+, la varietà algebrica, a p+- 1 dimensioni, i cui punti rappre- sentano le serie lineari complete d'ordine p appartenenti alle 0co' curve y= cost. Essa contiene un fascio lineare di varietà N,, ciascuna delle quali rappresenta le g, complete appartenenti ad una sezione /(x,y,2)=0 di F. Alla curva C corrisponde su M,,, una curva C' secante in un sol punto va- riabile le N,. La sostituzione della curva C' alla C si presenta opportuna per ciò che, pur essendo le costanti c; del tutto generiche, così che il gruppo dei p punti da esse individuato sulla generica curva /(,%,4) = 0 non è speciale (cioè forma una 99 completa), tuttavia accadrà che in corrispondenza ad un in- sieme finito, o comunque discreto, di sezioni y==cost., le costanti c; po- Mori e tranno diventare le costanti caratteristiche di un gruppo speciale di p punti. In corrispondenza ad ogni tal sezione le equazioni (22) son soddi- sfatte da almeno co' gruppi di p punti appartenenti ad una 7, completa di dimensione = 1; e perciò il gruppo dei p punti di C apparisce a priore indeterminato. Questa indeterminazione sparisce senz'altro, allorchè si con- sidera la C' in luogo della C. È chiaro che C risulterà algebrica insieme a C'; sicchè noi potremo studiare le condizioni di algebricità di C”. La M,+, può supporsi immersa in uno spazio lineare S, (r=p+ 2): una qualunque, &, delle coordinate del punto X variabile su C', risulta fun- zione uniforme di y; e si tratterà di cercare le condizioni perchè £(y) sia algebrica, cioè razionale. La È(y) (che è una funzione razionale delle fun- zioni intere simmetriche delle coordinate dei p punti x,,...,%p), risulta una funzione abeliana, appartenente al corpo £, dei parametri c,,..., Cp- Essa pertanto non può che essere olomorfa o presentare al più singolarità polari per ogni valore di yy non singolare nè critico (n. prec.). Esaminiamo che cosa accade in corrispondenza ad un valore singolare y==b, premettendo che, per una conveniente scelta degl'integrali w; (defi- niti sempre come al n. 6) esso può supporsi distinto dai valori critici (n. 5). Anzitutto occorrerà chiarire come deve definirsi la varietà N, sulla sezione f(x ,0,z)=0, perchè questa sezione ha il genere p—1, avendo acqui- stato il punto doppio a(a,d,c). Il limite della varietà dei gruppi di p punti della /(x,y,5)=0, quando y tende a d, è la varietà dei sruppi di p punti di f(x, 0,2)=0. E un gruppo spcciale della sezione variabile ha per limite un gruppo della f(x ,b,z)=0, il quale giace sopra una curva d'ordine m —3 passante pei d nodi di /(x,0,z)=0, che son limiti dei nodi di /(x,7,<)=0 variabili sulla linea doppia di F e non pel nuovo nodo a (curva virtual- mente aggiunta, rispetto a quei 4 nodi) ('). Orbene su /(2,2,z)=0 la N, è la varietà i cui punti rappresentano le serie gp virtualmente complete rispetto a quei d nodi assegnati (*). (') Ved. le mie Vorlesungen iber algebraische Geometrie (Leipzig, Teubner, 1921), pag. 349. (2) Ibidem, pag. 350. Sopra una curva con un certo numero dei suoi nodi assegnati (considerandosi gli altri virtualmente inesistenti) si può costruire una teuria degli inte- grali abeliani, che presenta varie analogie coll’ordinaria teoria. Avrò occasione di occu- parmene altra volta e di mostrare come quella teoria si riattacchi alle proprietà delle funzioni abeliane degeneri. Qui mi basterà di enunciare, pel seguito, la seguente esten- sione del teorema d’inversione di Jacobi: Sia /(2,y) =0 una curva algebrica irriduci- bile, d'ordine ;m e genere effettivo 7, dotata di d + nodi, dei quali e = 1 si conside- rino inesistenti, sicchè f risulti di genere virtuale p=7+ 8; e sieno pi =0,...,gp =0 p curve indipendenti, d'ordine m — 3, virtualmente aggiunte, rispetto ai d nodi assegnati. Consideriamo gl'integrali ‘abeliani di 3* (ed in particolare di 13) specie w= | 9° dx, la — 278 — L'estensione del teorema d'inversione enunciata nella nota a pie' di pa- gina, tenendo presente che gl'integrali %; sono indipendenti anche per y = d (0 non è un valor critico), permette senz'altro di concludere che anche sul piano y=d la curva C ha un gruppo hen determinato di p punti e che quindi, se #(y) è finita per y=d, essa è olomorfa. Esaminiamo il caso in cui £(y) diventa infinita per y= 2. Essendo essa eguale ad un quoziente del tipo i ove n, $ son funzioni intere delle funzioni simmetriche elementari dei p punti x,,...,%p, finchè il gruppo dei p punti è determinato, la é non può diventare infinita che quando & si annulla o quando 7 diviene infinita (per il che occorre che qualcuno dei punti %,,... ,%p divenga improprio). In ambedue i casi la funzione hi " che è continua e uniforme nell'intorno di y=d, si annulla ivi. Ciò si- gnifica che I, è olomorfa in = e quindi che È è meromorfa ivi. È I soli valori che dobbiamo ancora esaminare sono i valori critici. In corrispondenza ad uno y=« (o eventualmente y = 00) di essi, gl’inte- grali w9+1, +,» divengono dipendenti, sicchè sulla corrispondente sezione f(2,a,z)=0 le equazioni (22) non definiscono un gruppo determinato di p punti. Ma c'è di più. Poichè fra i valori critici ce n'è sempre uno in corrispondenza al quale gl'integrali w,+,,... wp si annullano identicamente (n. 6), se le costanti c,+,,..., 6, furono assunte non tutte nulle, in corri- spondenza a questo valore critico si presenta una vera e propria disconti- nuità, giacchè le ultime p — 9g somme (22) passano bruscamente da valori costanti non tutti nulli a valori nulli! Dunque: La condizione necessaria affinchè la curva analitica C sia algebrica è che per le costanti c4+. Cp st assumano valori tutti nulli. Prove- remo ora che tale condizione è anche sufficrente, e ne trarremo le conse- guenze preannunciate. Invero, se y=@ è un valore critico, agl'integrali w1,...,%g, %g+1, «Up Sì possono sostituire gl’'integrali analoghi” %,-.-,%g 3 %2+1--3%p> in guisa che y= « non sia più critico rispetto al nuovo sistema d' integrali (n. 5). Però il determinante A della sostituzione lineare a coefficienti ra- zionali in y : vd Uugui== D dj Ugsjy ((=1,...,.P—9), JR e, scelta una comune origine delle integrazioni, si scrivano le equazioni (2) + -.. + + uvi(20) =ci (modd. periodi ciclici e polari), ove @1,..,2p sieno p punti variabili sulla f e c; costanti. Le suddette equazioni, per valori generici delle c£, son soddisfatte da un sol gruppo di p punti. Un'indeterminazione è possibile soltanto quando le cs sieno le costanti caratteristiche di un gruppo virtualmente speciale, i — 279 — che lega wj+1,--,y agl'integrali 941, --. %p, diventa infinito per y=@, ì È 1 DIC , ; e il determinante TO della sostituzione lineare inversa n N r ugii = TAji Ug+j > si annulla per y= @. Indicata con cg+; la somma”dei valori di u9+; nei p punti #,,%2,...,%p, ove i cammini d'integrazione sieno i medesimi lungo cui si calcolavano gli integrali v;, si hanno le relazioni: r LA Cq+i = TGij Cq4j > Cqui= ZAji C9+j valide in tutto l’intorno di y= @, salvo, eventualmente, in y= «. Ma, se le €2+1,.-,p son tutte nulle, le precedenti relazioni ci dicono che le €941 3, Cp Sono pure tutte nulle, qualunque sia y; e viceversa, se sono nulle queste, risultano nulle quelle. Ciò significa che i p punti soddisfacenti alle p equazioni: um) + +e) =, (i=1,..,9), (23) Ug+i(c.) +--- + ug+;(09)=0, (f=1,P_9: coincidono per ogni y coi p punti soddisfacenti alle equazioni: uc) Jules) =, | (=1,...,9), Ugr() + + 094;(00)=0, (j=1,.-.P_9), e quindi la curva definita da queste ultime, al variare di y, coincide con quella definita dalle prime. La curva C', imagine di C sulla varietà M,,, (n. 8), può pertanto definirsi pure mediante le funzioni abeliane corrispondenti ai periodi degli integrali %,,...,%9%9+1,-:,%p; e poichè per questi integrali y= @ non è critico (nè singolare), così una qualunque È delle coordinate del punto X variabile su C' risulta funzione olomorfa o meromorfa di y, anche per y= «. In conclusione È possiede in tutto il campo di variabilità di y sole singolarità polari, epperciò è una funzione razionale; e la curva C', cioè C, risulta algebrica; c. d. d. Osservazione 1°. — Poichè le p costanti, con cui si definisce la curva C, non sono tutte arbitrarie (le prime 9 soltanto lo sono), così può darsì che per ogni sezione /(x,7,4)==0 un gruppo generico di valori (1, -:,69,0,...,0) delle solite p somme, corrisponda ad un gruppo spe- ciale di p punti. In tal caso le (23) non definiscono più, neanche per y gene- rico, un gruppo di p puuti, ma tutta una serie lineare infinita (completa). Sia d la dimensione di questa serie, per y generico. Si potrà allora deter- minare un intero d'(= d) tale che vi sia un sol gruppo della serie stessa, — 280 — il quale abbia un punto d'-plo nel punto base P, del fascio y = cost., sopra fissato. Detti x,,%2,.., &%p_3', gli ulteriori punti di questo gruppo, poichè in P gl'integrali «,,...,v, assumono valori congrui a zero, la somma dei valori assunti da w; nei punti x, ,..., és "2.08; = “N (CH3)t \N (CH), I disolfuri che si ottengono da basi primarie e dalla fenilidrazina non sono attivi, o solo in misura minima, se in assenza di zolfo libero. Esempio del modo di operare. Una miscela di: Gomma: e e e parti. 100 Disolfuro di tetrametiltiourame . . ” 5 Ossidofidi zinco #5, Se e n, ” 5 si vulcanizza scaldando per 15 minuti a 145°. Lo zolfo che si può mettere in libertà è in proporzione di parti 0,65. L'azione del composto è assai più energica se si opera in presenza di certi ossidi metallici, p. es. di ossido di magnesio o meglio ancora di ossido di zinco. Beninteso si può operare con vantaggio aggiungendo anche zolfo libero in eccesso. —.986 APPENDICE. 9 aprile 1921. — In una seduta della Rubber Division della 60% Riunione della American Chemical Society tenuta a Chicago dal 6 al 10 settembre 1920 i sigg. Wintield Scott della Goodyear Tire and Rubber Co. di Akron, Ohio e C. W. Bedford della Quaker City Rubber C°. di Phila- delphia, Pa. hanno presentato una comunicazione dal titolo: Reazione degli acceleranti durante la vulcanizzazione, ìn cui espongono una loro teoria secondo la quale la accelerazione sarebbe dovuta alla formazione di polisol- furi. Di tale comunicazione fu dato per la prima volta un brevissimo sunto nell'India Rubber Journal di Londra del 2 ottobre, pag. 21 e nell’ India Rubber World di New York del 1° ottobre, pag. 7. In questo sunto si dice che li0uree e ditiocarbammati si crede che formino qualche tipo di poli- solfuri attraverso all’aggruppamento C—SH, ed in esso cioè nessun ac- cenno è fatto ai disolfuri di tiourame. La Memoria completa è stata pubblicata nel Journ. of ind. and eng. Chem. del febbraio 1921, pag. 125 e nel The Rubber Age di New York del 10 marzo 1921, pag. 447. In essa è detto che « Tiouree, ditiocarbammati, tiourami e mercaptani si crede che formino polisolfuri direttamente o for- mando prima disolfuri ». Riservandoci di discutere poi i fatti e le teorie esposti dai distinti chi- mici americani, mi limito per ora a far notare la indipendenza delle mie osservazioni dalle loro. In linea di fatto il mio lavoro era compiuto molto prima della riunione di Chicago e l'invio all’Accademia del relativo plico fu ritardato di due mesi dal fatto che il manoscritto relativo fu inviato per la revisione al prof. Bruni che si trovava allora in viaggio per l'Estremo Oriente. Mi preme frattanto di rilevare che i sigg. Scott e Bedford non hanno osservato che i disolfuri di tiourame sono capaci di vulcanizzare da soli senza aggiunta di zolfo libero, ciò che costituisce la circostanza fondamentale da me scoperta. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente VoLrteRRA dà il triste annunzio delle perdite fatte dal- l'Accademia nelle persone del Corrisp. prof. Gino GALEOTTI, mancato ai vivi il 6 aprile 1921, che commemora con brevi e commosse parole; e di quella del Socio straniero Riccarpo LyDEKKER, morto sino dal 16 aprile 1915. Lo stesso PRESIDENTE comunica i ringraziamenti trasmessi dalle fa- miglie dei defunti Soci Augusto RieHIi e MicHeLE RAINA, per le espres- sioni di cordoglio ricevute dall'Accademia in occasione delle commemorazioni dei due Soci predetti. — 287 — Annuncia inoltre di aver inviato alla Società Geologica di Stoccolma, per l'occasione della celebrazione del suo cinquantenario, congratulazioni ed auguri a nome dell’Accademia. PRESENTAZIONE di LIBRI Il Segretario CastELNUOvo presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci PINcHERLE e SILVESTRI, e il 1° fascicolo della pubblicazione: Mote e Memorie di matematica del Circolo matematico di Catania, della quale ebbe a parlare nella scorsa seduta. Richiama poi l’at- tenzione della Classe, per la loro importanza, sopra cinque volumi delle Opere di Leonardo Eulero, pubblicati sotto gli auspici della Società Elve- tica di scienze naturali, e sui voll. 13° e 14° delle Opere complete di Cri- stiano Huygens, offerti dalla Società Olandese delle scienze di Harlem. AFFARI DIVERSI Il Presidente VoLTERRA presenta le domande inviate dal Corrisp. BRUNI e dal dott. RomanI, per l'apertura di due pieghi suggellati da essi trasmessi in addietro. I pieghi vengono aperti dal PRESIDENTE; le due Note contenute nei pieghi: Un nuovo procedimento per vulcanizzare a freddo la gomma elastica e Sui disolfuri di tiurame come agenti di vulcanizzazione della gomma, in seguito a richiesta del Corrisp. BRONI, verranno inserite nei Rendiconti accademici (*). (1) V. pp. 280 e 283. — 288 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA presentate nella seduta del 3 aprile 1921. Apams H. I. — A note on the annealing of optical glass (Repr. from the « Iour- nal of the optical Society of Ame- rica », vol. IV, pp. 213-223). Washing- ton, 1920. 8°. AgamenNonE G. — Bibliografia generale dei terremoti (Estr. dal « Bollettino della Società sismologica Italiana n, vol. XXII). Modena, 1919. 89, pp. 1-7. Autievi L. — Théorie du Coup de Bélier traduit par Daniel Gadeu, préface de René Neeser (Texte et plan- ches). Paris, 1921. 89, pp. 1-xv, 1-134. Amapuzzi L. — Commemorazione di Au- gusto Righi (Estr. da « l° Elettrotec- nica », anno VIII). Roma, 1921. 49, pp. 1-8. BarragcLia M. — Gli emoconi (Estr. dal « Policlinico », anno 1920). Roma, 1920. 89, pp. 1-7. Biancni L. — Lezioni sulla teoria dei nu- meri algebrici e principî d’aritmetica analitica. Corso d’ analisi 1920-21. Pisa, 1921. 8°, pp. 1i-vi, 1-444. BiLLows E. — Su la trimidite di Zovon negli Euganei. Cagliari, 1921. 129, pp. 1-10. Bowen N. L. — Optical properties of anthophyllite (Repr. from the « Jour- nal of the Washington Academy of Sciences n, vol. X, pp. 411-414). Wa- shington, 1920. 8°. CipoLLa M. — Esercitazioni matematiche. Catania, 1921. 8°, pp. 1-52. Day L. A. — Optical glass and its future as an american industry (Repr. from the « Journal of the Franklin Insti- tute », pp. 453-472). Washington, 1920. 8°. Foà P. — Trattato di anatomia patologica. Parte III. Torino. 1921. 8°, pp. 1-230. Guipr C. — La trave solidale coi piedritti. Torino, 1920. 89, pp. 1-32. Guipi C. — Lezioni sulla scienza delle costruzioni. Parte I-V, Esercizi, Ap- pendice. Torino, 1920. 8°, pp. I-vII, 1-150, 1-376, 1, rv, 1-139, 1, vini, 1-533. 1-112. 1-206, 1-264. Guipi C. — Sulla statica delle dighe di sbarramento per laghi artificiali (Estr. dagli « Annali del Consiglio superiore delle acque)». Roma, 1921. 8°, pp. 1-54. Loria G. — Storia della geometria de- serittiva (manuale Hoepli). Milano, 1921. 12°, pp. r-xx1v, 1-584. Masci G. A. — Dinamica dei sistemi. Pisa, 1921. 8°, pp. 1 vir, 1-408. MiccHiarpi B. — La stazione radiotele- grafica di Roma-San Paolo (Estr. dal Giornale « l’Elettrotecnica », n. XIII- XIV). Milano, 1920. 4°, pp. 1-12. MiLanesE S. — Ephemerides meteorolo- gicas da Cidade de Cuyaba. Rio de Janeiro, 1919. 8°. pp. 1-107. Morey W. G. — Classification and nomen- clature of optical glass. (Repr. from the « Journal of the Optical Society of America », vol. IV, pp. 205-212). Washington. 1920. 89. 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Calcutta, 1919. 49, pp. 1-vit, 1-326, 1-138. Travis Howarp W. — The natural hi. story of typhoid fever in Baltimore 1851-1919 (From the « Johns Hopkins Hospital Bulletin », vol. XXXI, pp. 275-334). Baltimore, 1920. 8°. VaLLaurI G. — La stazione radiotelegra- fica di Roma-San Paolo (Estr. dal Gior- nale « l° Elettrotecnica », 1929, nn. XIII-XIV). MIlano, 1920. 4°, pp. 1-12. VaLLauri G. — Misura del campo elet- tromagnetico di onde R. T. transocea- niche (Estr. dal Giornale « 1° Elettro- tecnica », 1920, n. XVII). Milano, 1920. 4°, pp. 1-6. VaLLauri G, — Problemi relativi all’im- pianto delle reattanze di protezione (sistema Petersen) (Estr. dal Giornale « l' Elettrotecnica », 1920). Milano, 1920 49, pp. 1-9. Veress A. — Matricula et Acta Hunga- rorum in Universitatibus Italiae stu- dentium, vol. I. Budapest, 1915. 8°, pp. xvi, 1-344, WuHite W. P. — Methods of increasing the precision of thermostats (Repr. from the « Journal of the Washington Academy of Sciences », vol. 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Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 8 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. VolalVeV0VI. VII. VIIL Serie 3° — TransuNnTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2), — II-XIX. i MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RENDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. — MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-XXX. (1892-1921). Fasc. 8°, Sem. 1°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXIX. (1862-1920). Fasc. 11°-12°. MEMORIE della Classe di scienze SE matematiche e naturali. Vol. XIII, fasc. 5°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 7. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche -e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta l’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : ULRIco HoePLI. — Milano, Pisa e Napoli. P. MagLIONE & C. STRINI (successori di E. Loescher & C.) — Roma. IRC VIETA NONO. RCN RENDICONTI — Maggio 1921. INDICE Classe ui scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 maggio 1921. MEMORIE E NOTE DI SOCI Angeli. Osservazioni varie . . . c io i RA Po9 De Stefani. Silicospongie fossili su Liguria cscidenialo. BREE Nan Rc) TI "De Marchi. Il gradiente termico verticale nell'atmosfera... . .... 0... 0... n 269 Fubini..Sulla teoria proiettiva delle congruenze W . . .. .. F n. 273 Severi, Sulla teoria degl'integrali semplici di 1% specie sopaticncati sa una A eiai algebrica. Nota IV. . . . . ; BR o TO Bruni. Un nuovo procedimento per ‘\uloabiaiare ® Heddy la gomma i lagtita sez 60) MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Romant. Sui disolfuri di tivurame come agenti di vulcanizzazione della gomma (pres. dal Corrispi; Brun): ate ME i E ER O ir Doe en O SS I PERSONALE ACCADEMICO Volterra (Presidente), Dà annancio della morte del I Galeotti e del Socio straniero deere . BOI) Id. Comunica i rilidiapixinonti delle {migli dei ‘defanti Soci Rd e 20 per le con- doglianze loro trasmesse dall'Accademia . . . ia Id. Annuncia di aver inviato le congratulazioni caio alla Società ‘Giilogion di Pepi Stoccolma per la celebrazione del suo cinquantenario . . ./.. 0°... . n 287 PRESENTAZIONE DI LIBRI Castelnuovo (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci Pincherle e Silvestri, il 1° fascicolo delle ‘ Note e Memorie di matematica ’ del: Cireglo' matematico; di Catania eco iL I a Re TOI AFFARI DIVERSI Volterra (Presidente). Procede all’apertura di due pieghi suggellati, trasmessi dal Cor- risp: Brunt eldal dott. Romania, 50 + E RE RE ZO BULLETTINO! BIBLIOGRAPICO.it fe, 12 eda RN e se E TON IRE RNZIE K. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile | sli ‘Pubblicazione bimensile. | N. 10. cà 230 DIES Ga REALE ACCADEMIA NAZIONALE | CoD RT E PNCHI ANNO CCCXVII. 1921 SF RFF.RI QU AENPECA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X X X.°*- Fascicolo 10° | X Seduta dell'8 maggio 1921. || 1° SEMESTRE. ROMA TIP. DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI | PROPRISTÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 SORIA TG ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO P PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. inoltre i Rendiconti della nuova serie formano ana pubblicazione distinta per ciascuna delle duc Classi, Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme . seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re» golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. _ Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepasssre le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci 9 Corrisponder'i, e 30 agli estranei; qualora l'autore .ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus - sioui verbali che si fanno nel seno dell’Accs- demia: tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II \ I. Le Note che oltrepassino i limiti .ndi- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provergono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con wna proposta ‘a stampa della Memoria negli Atti dell'Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio Stell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti- nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. ; 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 30.se estranoi. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. PR OLO Api RIT oi DARIO Ù, n ca MRS URA ERI Ia NL EROE TR VAC SA RARO AIA on ; LEGA Ù PRIVARE IAA | COSEVATI RI RE MIO RIS SI RI ei RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. DC T_—<7T— _—-—TTTrrtT8««q]<«-——-- Seduta dell'8 maggio 1921. F. D'Ovipro, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Fisica terrestre — Sulla profondità dei ghiacciai. Nota I del Socio CARLO SOMIGLIANA ('). Per la valutazione della massa di un ghiacciaio è necessario conoscerne lo spessore; il quale può essere determinato direttamente mediante trapa- nazioni, come qualche volta fu fatto. Ma operazioni di questo genere sono così laboriose e, specialmente ora, costose che possono considerarsi come praticamente ineffettuabili, in particolar modo nella misura che sarebbe indispensabile per un rilievo completo del fondo. Si è quindi pensato se non fosse possibile arrivare alla conoscenza dello spessore, o della profondità, di un ghiacciaio indirettamente, mediante qualche altro elemento più accessibile alle misure. Si è trovato questo elemento nella velocità superficiale. I varî strati di ghiaccio scorrono, per effetto della gravità, gli uni sopra gli altri, in modo che le velocità relative si sommano ed all'ingrosso può dirsi che la velocità risulta così massima in superficie, minima al fondo. Non si può però ammettere, come fa il signor W. Werenskiold (2), che la velocità superficiale in un punto dipenda esclu- sivamente dalla profondità in quel punto, cosicchè questi due elementi si possano senz'altro dedurre l’uno dall'altro. (*) Presentata nella seduta del 3 aprile 1921. (2) W. Werenskiold, Die Tiefe eines Gletscher, Zeitsch rift. fiir Gletscherkunde, Bd. IX, 1915. ReNDICONTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 37 — 292 — La quistione va posta in modo più largo, cercando di collegare la velo- cità superficiale di tutti ì punti di una sezione del ghiacciaio, colla curva del profilo della sezione. È questo il problema che, per la prima volta, porremo e che è suscet- tibile di una soluzione perfetta e assai semplice. Cosicchè — almeno nei limiti di validità della nostra teoria — è possibile un vero rilievo del profilo di una sezione di un ghiacciaio mediante la conoscenza esclusiva della velocità superficiale dei punti della sezione stessa. I. LE EQUAZIONI DEL MOTO. Un tale risultato presuppone naturalmente una teoria del moto di un ghiacciaio. Noi adotteremo l’ipotesi, ormai generalmente accettata, di con- siderare il moto del ghiacciaio come quello di un fluido vischioso pesante, Fi. 1. la cui compressibilità è trascurabile. Supporremo che il moto avvenga in un canale cilindrico di sezione qualsiasi; la superficie libera del ghiaccio supporremo piana e con inclinazione uguale a quella del canale. (0) =-y 4 % Fis. 2. Scegliamo per origine un punto della superficie libera, per asse delle x una parallela alla direzione del canale, per asse delle y una normale che determinerà la sezione che vogliamo considerare. Sia @ l'angolo d'’ inclina- zione del canale sull’orizzonte; l’asse delle 2 avrà parimenti un'inclina- zione @ sulla verticale (fig. 1). La linea del fondo sarà una parallela ad Ox, indicata da 0'Q. La sezione sarà una curva del piano yz, limitata superior-. mente da una porzione dell'asse delle y (fig. 2). III TIE TIT I0GGLI Indichiamo con v,v,w le componenti della velocità in un punto (x, y 4) ed osserviamo che nel movimento di un ghiacciaio le accelerazioni sono di un ordine di grandezza trascurabile rispetto alle velocità. Supposto inoltre il movimento stazionario, le equazioni del moto sono (!) d e RIM DE NEI) dI d7/ da ove X,Y,Z sono le componenti delle forze unitarie di massa, p la pres- sione idrostatica, w il coefficiente di attrito. Per l’incompressibilità poi dovrà essere Se g è l'accelerazione di gravità, o la densità del ghiaccio, nel nostro caso avremo X=0gsena M==0 =ggcosa. È naturale poi di supporre nulla la componente trasversale della velo- cità, cioè v=0. Avremo così È PI Asu = 0g sena P_und,w=ogcosa (1) dA de SIAE) Rea dY dx dE Dovendo limitare le nostre considerazioni ad una porzione assai breve del canale, le variazioni del moto nella direzione del canale saranno assai pic- cole, e potremo quindi supporre ) 20 Per l'ultima delle (1) dovrà essere anche 0; ed avremo così (3) u= u(Y , 8) w= w(y). Dalle (1) risulta allora che p deve essere lineare rispetto ad x ed a 2; cioè (4) p= Ax + Be +C con A,B,C costanti. Le equazioni (1) si riducono allora alle due equazioni d°w dY° 1 pisu=A—ogsena mi a): (1) V. Kirchhoff, Meccanica, Lez. XXVI, $ 3. — 294 — Consideriamo ora le equazioni che devono essere soddisfatte alla superficie. Dalle formole generali per le componenti di tensione (v. Kirchhoff, loc. cit.) si ha nel nostro caso dw U/ dU SS — Z = — — = — passo VE I) > C5 pisa Dit u 3 Se n è la normale interna al contorno della sezione, si ha su questo con- torno cos(2a)=0 e quindi per le componenti della pressione superficiale P du dU dU X=—W (3 cos (ny) + Da cost#3)) =—w Sa dw Y,==pcos(ny) — a) cos (74) dw Zn = pceos(nz)—u-— cos(n7). dY Se P,, è la componente di P secondo la normale, si ha dw P,=p_2w DE cos (2.7) cos (x 8) e se S è il vettore-spostamento superficiale, si deve avere vettorialmente, indicando »v il coefficiente d'attrito superficiale, P_P,=—1S5S ossia X, — P,cos(na)=— vw Y,— PL cos(ay) = —vv Z, — P_c0s(n8) =—vw. Queste equazioni nel caso nostro divengono dU SH À dw _ Uri, (1-2 cos°(24)) va \ pa (ne DS ) ucos(2y) (1 —2cos*(2.8)) >) yaoi Alle ultime due non si può soddisfare che supponendo do =0 e quindi w= 0 in tutto il campo. Dalle (1) segue allora P_ ogcose=B d& Le RL La PSI — 295 — e resta l’unica equazione al contorno la quale, per la superficie libera, vale a dire sull'asse delle y, poichè ivi l'attrito coll'ambiente esterno si può supporre nullo, diviene dU =0 erz=0. NI POTAS Sulla rimanente parte del contorno, se v fosse grandissimo, si avrebbe 00 Ora effettivamente per quanto risulta dalle osservazioni la velocità di moto a contatto col terreno risulta estremamente piccola, almeno nei casi di non eccessiva inclinazione. Il prof. Mercanton calcola pel ghiacciaio del Rodano uno spostamento annuo sul fondo di poco più di 4 metri all'anno, vale a dire poco più di un centimetro al giorno (!). Possiamo pertanto ritenere trascurabili, o almeno dello stesso ordine di grandezza degli errori di osser- vazione, questi spostamenti rispetto a quelli superficiali, che possono rag- giungere anche 50 centimetri al giorno, nei nostri ghiacciai. Volendo tenerne conto si potrebbe aggiungere alla componente % una costante, supponendo il moto uguale lungo tutto il profilo della sezione. 1 risultati finali però subi- rebbero modificazioni insensibili. Noi possiamo anche supporre che la pressione varii pochissimo nella direzione del movimento, almeno in prossimità della sezione che dobbiamo considerare e quindi si abbia nella (4) A = 0. La pressione si riduce alla pressione idrostatica dovuta alla gravità p=%0g cosa + po ove p, indica la pressione atmosferica. Delle equazioni del moto resta quindi soltanto la prima , du du (5) (3 +3) Feosme=o0 mentre le equazioni al contorno sono per s=0 De: 0 (0) da sul. fondo u=0. (*) Commission des Glaciers de la Société Helvétique des Sciences Naturelles. Mensuration au Glacier du Rhone 1874-1915. $ 11, pag. 169. — 296 — Sono queste le equazioni sulle quali in ultima analisi dobbiamo basare le nostre considerazioni. La equazione (5) non differisce dall'equazione che determina il movi- mento di un fluido vischioso pesante in tubo capillare inclinato. Questo risultato, che può sembrare a prima vista paradossale, è giustificato dal fatto che la velocità del ghiacciaio è sempre inferiore alla velocità critica, oltre la quale avvengono quei modi turbolenti, che rendono inapplicabile la teoria del movimento continuo dei fluidi ('). Matematica. — Sulla teoria degl'integrali semplici di 1° specie appartenenti ad una superficie algebrica. Nota V del Corrispon- dente FRANCESCO SEVERI. 9. Al variare delle costanti £,,...,cy la curva ©, costruita nella nota IV (2), varia ip un sistema continuo } Cf. La generica curva di questo sistema, in quanto si assegnino colla loro molteplicità effettiva i suoi punti multipli, che eventnalmente coincidano coi punti base del fascio y= cost., definisce un sistema lineare 00°|C|. E invero, per valori generici delle C1,+,Cq il gruppo dei p (o dei p—d') punti mediante cui fa definita C, non sta in una serie lineare infinita d'ordine p (o p — d'). Il sistema con- tinuo {3 C} consta pertanto di 009 sistemi lineari distinti (il generico di questi sistemi essendo 00°). D'altronde, come risulta immediatamente dal concetto di serie caratte- ristica di un sistema continuo (Severi, Atti R. Acc. Scienze Torino, 1904), ogni tal sistema di curve tracciate su I}, non può constare di più che oc sistemi lineari distinti; dunque « ogni sistema continuo completo di curve algebriche tracciate su F non può contenere più che 00° sistemi lineari distinti, e vi sono su F sistemi continui per cui il massimo è raggiunto ». Donde poi si deduce agevolmente (Severi, Atti Ist. Veneto, 1906) che «su F ogni sistema lineare, irriducibile o no, di caratteri virtuali (grado e genere) n, @ d’indice di specialità ;, per cui sia n—m+pa+1—?i=0,. appartiene ad una serie 00? di sistemi lineari distinti; ed anzi ogni siffatta serie, come totalità di sistemi lineari, è 2rdividuata da una qualunque delle sue curve 7; ecc. ecc. i Tenendo infine conto del teorema di Castelnuovo, circa il massimo della deficienza della serie caratteristica di un sistema lineare di curve tracciate su F, ne segue senz'altro che: (1) V. Boris Weinberg, Veber den Koeffcienten der inneren Reibung des Gletscher- eises und seine Bedeutung fur die T'heorie der Gletscherbewegung. Zeitschrift fair Glet- scherkunde, I Bd., 1906. i (2) Questi Rendiconti, pag. 276. ‘Î 4 ì È ì — 297 — Un sistema continuo completo, tracciato su F, la cui curva generica sta irriducibile e soddisfaccia coi suoi caratteri n,7r,i alla disegua- glanza n—-n+ pa +1—?=0, ha la serie caratteristica completa. È questo, come si sa, un importante teorema dovuto ad Enriques, il quale lo ha dato direttamente, prescindendo dalla diseguaglianza supposta sopra (1). Dal teorema ultimamente enunciato si deduce, come facemmo per vie diverse, Castelnuovo ed io, che il numero degli integrali semplici di 1° specie di F non è inferiore a 9, donde poi, combinando coi risultati ch'io aveva in precedenza conseguiti, traemmo la conclusione che è! numero degl’inte- grali semplici di 1° specie appartenenti ad F è q e che 2q è il numero (*) A tale diseguaglianza si può sostituire l’ ipotesi che il sistema continuo |C} consti di 00° sistemi lineari. Col nostro procedimento la validità del teorema concernente la completezza della serie caratteristica d’un sistema completo resta pertanto dubbia solo nel caso in cui |C} consti di co sistemi lineari (0 = 9/<9). Sistemi continui siffatti possono esistere (per 9/> 0) soltanto quando F possegga sistemi regolari d’inte- grali riducibili; il. che non accade in generale. Questo ho creduto opportuno d’avvertire innanzi d’accennare ad un punto del procedimento geometrico con cui si dimostra la com- pletezza della serie caratteristica, che abbisogna di qualche ulteriore indagine, la quale potrà eventualmente portare a limitazioni inessenziali, lasciando però integra la sostanza del fatto. A un certo punto del ricordato procedimento si ha da considerare, sopra un piano «, un sistema contiuuo completo £ di curve C, d'ordine #m, la cui generica Co è dotata di d nodi P;(i=1,..,d) e tocca in 2 punti Q;(j=1,...,2) una curva (irriducibile) K. Ogni curva di Z infinitamente vicina a Co passa per P;,Q; e viceversa — si dice — ogni curva d’ordine m, infinitamente vicina a Co, passante per Pi, Q;, ha d nodi infinita- mente vicini a quelli di Co e 4 contatti con K infinitamente vicini ai Q;. Ora il « viceversa » non è senz'altro lecito. Prendiamo infatti le curve d'ordine # di « come « punti » di Ù m(m-+- 3 } un Sx lineare (n = sati . Le coN! curve prossime a Co, che hanno un nodo pros- simo a Pi, formano allora una « falda lineare » F; di Sw (ved. le mie citate Vorlesungen, pag. 314). Similmente si ha una falda lineare ®; costituita dalle coN=! curve prossime a Co e tangenti a K in un punto dell’intorno di Q;. L’iperpiano H; (o 1;) tangente ad Fi (0 ®;) nel « punto origine » Co, è l'imagine delle coN=! curve d'ordine m che passano per P; (o per Q;). Le curve d'ordine m, prossime a Co, dotate di d nodi e 4-tangenti a K (che son poi tutte le curve di X prossime a Co) son quelle comuni alle d + falde Fi, ®;. Esse costituiscono una falda V,-di origine Co, che è pure lineare, perchè Co, come punto generico di X, è semplice. Lo spazio lineare tangente a V — cioè a £ — in Co è contenuto nello spazio H comune ai suddetti d +2 iperpiani; ma — ed è qui il punto essenziale — non è detto che i due spazi coincidano. Non può insomma esclu- dersi che la dimensione di X sia inferiore a quella del sistema lineare H delle aggiunte d'ordine mm a Ce, passanti pei 4 punti Q;. Se 2 è di dimensione inferiore a quella di H, la serie caratteristica di Z non è completa. Nè ad escluder ciò giova avvertire che Co è un punto semplice di x, perchè le d--4 falde Fi,®; potrebbero benissimo toccarsi lungo tutta la V, senza che Co cessasse d’esser semplice. Quel che si può affermare è che la dimensione di 2 eguaglia certo quella di H, quando i 4 punti Q; impongono con- dizioni indipendenti alle aggiunte d'ordine m a Co; cioè quando la serie caratteristi ca di 2 è non speciale. — 298 — degl'integrali semplici di 2° specie ed il numero dei periodi degli uni e degli altri. 10. Passerò ora a considerare i legami fra la teoria degli’integrali sem- plici di 1 specie, i criterî di equivalenza per le curve tracciate sulla super- ficie F e la teoria della base relativa alla totalità di queste curve. Richiamo anzitutto la forma più utile di quel teorema che ho dato altra volta sotto il nome di teorema d’Abel sulle superficie (Annali di Mat., 1905): « La condizione necessaria e sufficiente affinchè un sistema continuo di « curve algebriche C, tracciate sulla superficie F, sia contenuto totalmente «in un sistema lineare, è che la somma dei valori di ogni integrale sem- « plice di 1? specie di F, nei punti comuni a C e ad una curva irriduci- « bile A, fissata entro un fascio lineare, resti costante al variare con- « tinuo di C ». In particolare come curva A può assumersi la sezione della superficie F [f(x ,y;z) = 0] con un generico piano y = cost. La ragione intima del fatto che basta la costanza delle somme fornite nel gruppo variabile (C, A) dagl'integrali semplici di 1* specie di F, per affermare la variabilità di C in un sistema lineare, è questa: che le somme dei p integrali abeliani di 1* specie appartenenti ad A, nei punti del gruppo (C, A), riduconsi a g linearmente indipendenti. Ciò è stato già notato da Castelnuovo, profittando del fatto che quelle p somme son integrali semplici di 1* specie delle varietà di Picard annessa ad F. Gioverà precisare maggiormente questo fatto, provando che di quelle p somme le p— g inerenti agl’integrali abeliani di 1 specie individuati su A delle curve del sistema aggiunto |A'|, son costanti (mentre le g somme date dagl'integrali di 1? specie di F sono in generale indipendenti fra di loro). A questo scopo poniamo in modo generico: (24) u= SELL dr ove p=0 sia una superficie d'ordine m — 2 aggiunta ad F e passante per la retta impropria 7 dei piani y = cost.; e indichiamo con x;(21,% 41), 03 Cn(&n,Y n) gli n punti d'incontro di una curva C d'ordine x, trac- ciata su F, col piano y= cost. Fissiamo inoltre, per un determinato valor iniziale y, di 7, cui cor- rispondano i punti x{,...,x0® di C, i cammini d'integrazione iniziali 00, ...,00 lungo cui si calcolano i valori u(4),...,w (2) dell’integrale , a partire da un'origine comune dei detti cammini, che sceglieremo in uno, P, dei punti base del fascio y = cost. Variando y, a partire da y,, variano con continuità i punti di divama- zione della riemanniana /(x,7,z)= 0 (su cui sì distende la funzione ? di x, — 299 — riguardando y come un parametro) e vengono così definiti per continuità, a partire dai cammini iniziali, i cammini d'integrazione 0, ,...,0, Su cia- scuna sezione y = cost. Resterà pertanto definito, per ogni y, il valore della somma U(y) = (21) +-+ (2), il quale dipenderà, in generale, oltrechè dai cammini 0‘, che si sono scelti come iniziali, anche dal cammino con cui, sul piano ove si distende la variabile complessa y. si va da y, al va- lore considerato di y. Vediumo in che cosa consista la polidromia della fun- sione U(y). È a priori ben chiaro che U aumenta di un periodo di %, quando y circola; ma pel seguito ci occorre d’indagare più davvicino quali sono i valori di y attorno ai quali si produce la polidromia e come questa si produca. "Una circolazione di y, da yo ritornando ivi, fa ritornare in sè ogni cam- mino 0 (o meglio lo trasforma in un cammino omologo all'iniziale) sem- prechè il ciclo descritto da y non contenga nel suo interno nessuno dei va- lori singolari, come 7 = d. Pertanto, poichè « non diviene mai identicamente infinito, comunque varî y (n. 5), U risulta funzione olomorfa di y nell'in- torno di ogni valore non singolare. In verità, se y == # è uno dei piani y=cost. tangenti a C, girando attorno a £ si scambiano due dei punti x,,...,%n, p. e8. 1,2, € SÌ scambiano pure i cammini 6, ,03. Ciò però non produce alcuna alterazione sul valore di U. Infatti, attesa la genericità degli assi coordinati, # si può supporre diverso da un valore singolare e i due punti x,, x», all'inizio della circolazione di y attorno a #, possono ritenersi vicinissimi, sicchè insomma i cammini 0, , 6, risultano omologhi all'inizio e quindi anche alla fine della circolazione, la quale perciò non produce che uno scambio nei primi due ter- minì di U. Dunque U è olomorfa nell'intorno di £. Resta da esaminare che cosa accade attorno ad un valore singolare y= d, relativo al punto di contatto (a,0,c) del piano tangente y= d. Sieno $,,&, i due punti di diramazione della riemanniana /(x,7,<)=0,i quali, col tendere di ya 2, tendono a fondersi nel punto (a, è,c) (che di- venta un punto di combaciamento di due fogli). Si avvertirà, anzitutto, che i punti $,,é, connettono i medesimi due fogli della riemanniana /(2,7,5)=0, perchè appunto al limite, sovrapponendosi, devono dar luogo ad un punto doppio di /(z,2,z)= 0. Ciò posto, se uno dei cammini d'integrazione, p. es. 0;, incontra la linea di passaggio È, &,, dopo la circolazione di y attorno a d, esso sì muta in un cammino omologo a 0; {+- 7, ove 7 è il ciclo (nullo, sulla riemanniana a 4 dimensioni imagine della superficie F), che circonda la predetta linea di passaggio. Invece i cammini o che non incon- trano tale linea di passaggio sì mutano in cammini omologhi, per una cir- colazione di y attorno a d. Dunque la variazione di U dipende soltanto degli eventuali cammini incontranti la linea di passaggio $, és. Comunque, poichè il ciclo 7, sulla RENDICONTI, 1921, Vol, XXX, 1° sem. 38 — 300 — riemanniana a 2 dimensioni /(x , 7,4) = 0, è omologo ad una combinazione lineare a coefficienti interi dei 2p cicli fondamentali, così in definitiva, per effetto della circolazione attorno a d, la U si altererà per un periodo Zm;@; di U, OV® ©, ,..., sp Sono i 2p periodi fondamentali dell’integrale v. Si av- vertirà che gl'interi m dipendono soltanto dalla scelta dei cammini iniziali o e dalla natura della circolazione che si è fatta compiere ad y. OsseRvazIONE 1. — Se l'integrale x possiede un valore critico y= «, cosicchè risulti pg = (y — 2)w,w= 0 essendo un'aggiunta d'ordine m —3, per y= « la somma U si annulla identicamente. In particolare ciò accade per y= 0, quando g, anzichè esser un'aggiunta d'ordine m —2 passante per ”, sia un'aggiunta d'ordine m — 3. OssERvaZIONE 2% — Come abbiamo detto, la U è funzione olomorfa di y attorno ad ogni valore non singolare. È facile vedere ch’essa presenta una singolarità di tipo logaritmico in un valore singolare y = b. Invero, perchè in y = 2 si abbia una singolarità di U occorre (ma neppure basta), che uno almeno dei cammini 0;, quando sì gira attorno a è, si muti in un cammino omologo a 0; + 7. Detto allora «(x;) il valore di w lungo il cam- mino 0; e ©;(y) il periodo di « Di t, verrà nell’ intorno di y = d: u(v:) = ni(7) Dr = 120) log (y— d), ove n:(Y), «@(y) son funzioni olomorfe di y attorno ad y= d. Se sono 4(4intero <= x) i cicli o; per cui accade questo fatto, nell'intorno di d la funzione U sarà del tipo: 7 U=H(y) +4 2a 1 o(Y)log (y— 2), in cui H(y)= 2n;(y) è olomorfa nell'intorno considerato. OssERVazionE 3% — La funzione U è una di quelle che Poincaré chiama /unzioni normali v, relative alla curva C. 11. Supponiamo ora che la curva C sia suscettibile di variare con con- tinuità sulla F, e sia C una curva ad essa vicinissima. Per la genericità degli assi, le C, C non contengono alcun punto singolare (punto di contatto di piani y = cost.). Si potrà sempre supporre che C sia così prossima a C, che indicate con 7, ..., le intersezioni di C col piano y= yo, cioè colla rieman- niana f(x, 7o,)= 0, rispettivamente prossime a x{®,..., x, il punto 79 appartenga, su tale riemanniana, allo stesso foglio cui xppartioni x. Indi- cheremo inoltre con 0, ..., 0 i cammini, vicinissimi a 0”,..., 09, che vanno da Pai punti #,..., 70. I cammini (0°, 0° saranno oo fra - di loro. — 301 — Facendo variare y a partire da yo viene a definirsi, in corrispondenza alla curva C, la somma U analoga ad U. Quando y compie un giro attorno al valor singolare y = è, U, in forza del n. prec., subisce lo stesso aumento *m;w; subìto da U, cosicchè la differenza U — U resta inalterata. Tale dif- ferenza è perciò tunzione olomorfa di y in tutto il piano 7, ivi compresi i valori singolari ed il valore y = co. Essa è perciò una costante. E sarà una costante nulla, se l'integrale x possiede un valore critico (n. 10, Oss. 12). In particolare questo accadrà quando v provenga da un'aggiunta di ordine m-— 3. Possiamo concludendo enunciare: Se C è una curva suscettibile di variare con continuità sulla super- ficie F_e p è un'aggiunta d'ordine m—2 ad F, passante per la retta im- propria dei piani y= cost., la somma U dei valori assunti dall’ inte- grale (24) nei punti ove C sega il piuno variabile y= cost., considerata come funzione del parametro y, si altera per una costante addittiva tutte le volte che C si sposta di poco nel proprio sistema continuo. SE 4 È UN'AGGIUNTA D'ORDINE #1 — 3 AD F, LA VARIAZIONE DI U PER UN PICCOLO SPOSTAMENTO DI C, È ADDIRITTURA NULLA; e c°ò anche se lo spostamento di C non avviene entro un sistemi lineare. Fisica. — L’analogo termico dell'effetto Oersted- Ampère. Nota II del Socio 0. M. CorBino ('). Si è visto nella Nota I sullo stesso argomento che se si attribuisce il trasporto dell'elettricità e del calore nei metalli al movimento dei soli elettroni negativi si dovrebbe poter constatare con un disco percorso da un flusso calorifico radiale e disposto normalmente a un campo magnetico, una azione di trascinamento analoga a quella manifestata dalla ruota di Barlow. Invece la teoria di Drude che spiega il trasvorto del calore e della elettri- cità col contemporaneo movimento di ioni dei due segni prevede un'azione meccanica nulla. Era perciò importante esaminare i risultati dell'esperienza opportuna- mente condotta; e poichè il fenomeno ricercato sta in relazione con le cor- renti circolari create per effetto del campo in un disco percorso da un flusso termico radiale, occorreva servirsi di un metallo come il bismuto che mani- festa quelle correnti in misura cospicua. ; All'esperienza furono date due forme concettualmente equivalenti. In una prima attuazione, disposto un elettromagnete in modo da creare fra le masse polari un campo verticale, fu sospeso a mezzo di un filo sottile (') Presentata nella seduta del 7 novembre 1920. — 302 — metallico passante nel canale dell'elettromagnete un disco di bismuto oriz- zontale. Dal canale inferiore dell’elettromagnete sporgeva una piccola ansa di platino riscaldabile con una corrente elettrica; l’ansa era disposta vicino al centro del disco, nel quale si poteva così creare a volontà un flusso di calore radiale centrifugo. I movimenti di rotazione del disco nel suo piano intorno al filo verticale di sospensione, potevano esser constatati a mezzo di uno specchietto fissato all’equipaggio che sostiene il disco. Particolari cure vennero prese per assicurare la verticalità della direzione media del campo fra Je facce polari e il parallelismo del disco alle facce medesime, cosicchè eccitando il campo a disco freddo non si avevano spostamenti sensibili nella posizione di riposo del disco. Riscaldando il centro del disco con l’ansa, a campo eccitato, si mani- festò una lieve rotazione del disco fino a una nuova posizione di equilibrio; il senso della rotazione coincideva con quello previsto sulla base dell’azione di trascinamento dovuta agli elettroni negativi. Ma il risultato ottenuto era fallace, come fu constatato con la seguente prova. La testa del filo di sospensione poteva essere rotata progressivamente, così da dare al disco diverse posizioni di riposo iniziali. Se lo spostamento constatato riscaldando il centro fosse stato dovuto alla causa supposta, per qualunque posizione di partenza del disco esso avrebbe dovuto ruotare dal medesimo angolo e sempre. nello stesso senso. Iuvece si trovò che lo spostamento mutava col variare della posizione di partenza; e precisamente dando alla testa del filo delle rotazioni iniziali progressive di 0,90°, 180° e 270°, gli spostamenti prodotti dal riscaldamento mutavano di valore e di segno, così da dare, per le quattro posizioni sud- dette, una media sensibilmente nulla. Evidentemente il disco non era simmetrico nella sua costituzione ri- spetto al centro; e non era neanche simmetrico il campo rispetto all’asse polare; le correnti termoelettriche create nel disco per il riscaldamento im- primevano ad esso un movimento corrispondente a una coppia media nulla per un giro completo. Ma l'azione ricercata era inesistente nei limiti di sen- sibilità della disposizione adottata. Per eliminare tale azione perturbatrice, e creare nel sistema mobile condizioni che rendessero facile la previsione quantitativa dell'effetto cercato, si sostituì al disco un cilindro cavo, sempre di bismuto, alto cm. 2, del dia- metro esterno di cm. 4,6 e del diametro interno di cm. 3,5. Esso era so- stenuto, con l’asse’ verticale, mediante una bacchettina di vetro passante per due forellini diametrali del cilindro; la bacchettina era a sua volta fissata mediante una piccola forchetta pure di vetro al filo di sospensione. Il cilindro cavo di bismuto era circondato, a un mezzo millimetro di distanza, da un cilindro di rame coassiale, funzionante da riscaldatore esterno, in virtù di un sistema di spire in nichel-cromo isolate con mica e nelle — 303 — quali si poteva inviare una corrente elettrica. Questo cilindro riscaldatore si appoggiava sulla faccia inferiore dell'ettromagnete, formando come un involucro a temperatura costante intorno al cilindro di bismuto. Questo veniva poi raffreddato nella sua parete interna mediante una scatoletta cilindrica di rame sottile, situata a piccolissima distanza (meno di 1 mm.) e nella quale si faceva circolare acqua fredda. Le due superficie laterali del cilindro di bismuto e quella esterna del cilindro raffreddatore di rame erano coperte di nero fumo per facilitare gli scambi termici. Si potè così produrre un regolare e forte gradiente termico fra le pareti esterna ed interna del ci- lindro di bismuto. Si ricercò anzitutto l’azione del campo sul cilindro a freddo, e la si con- statò appena sensibile, dimostrandosi così soddisfacenti le condizioni di sim- metria del cilindro nel campo e trascurabili le forze ponderomotrici dovute al diamagnetismo. | Creando poscia il gradiente termico, ed eccitando il campo nei due sensi si riscontrarono delle rotazioni lievi del cilindro, che si invertivano all’invertire del campo. Ma anche in questo caso, come in quello del disco, mutando la posizione di riposo iniziale del cilindro con lo spostare la te- stata superiore del filo, i movimenti riferiti, che erano del resto di piccola entità, si manifestarono mutevoli al variare della posizione di partenza: co- sicchè effettuando delle letture per 24 posizioni della testa del filo angolar- mente distanti di 15°, la media delle letture si trovò assai prossima a zero, e mutevole nella serie di esperienze successivamente eseguite in identiche condizioni. i Il risultato dell’esperienza può quindi considerarsi negativo. Volendo assicurarmi che nelle condizioni indicate esistesse realmente quella corrente elettrica circolare che è il fondamento della previsione di un'azione meccanica di trascinamento, l'elettromagnete fu riportato nella posizione normale, cioè ad asse orizzontale, e il cilindro, sempre col suo asse parallelo alle linee di forza, fu sospeso a un filo verticale. Collocati come prima il cilindro riscaldatore e il raffreddatore, si cominciò a ricercare, a freddo, l’azione orientatrice nel campo dovuta al diamagnetismo; tale azione tendeva a mantenere il cilindro nella sua posizione iniziale, scelta in modo che il cilindro aveva il suo asse parallelo alle linee di forza. Sotto l’azione del campo tale posizione di riposo dovuta al diamagnetismo era così stabile che una rotazione della testata superiore del filo capace di imprimere al sistema, senza campo, uno spostamento di 330 millimetri sulla scala, deter- minava uno spostamento di soli 60 millimetri sotto l’azione del campo. Esi- steva cioè una notevole forza direttrice dovuta al diamagnetismo. Ma fa- cendo anche agire il riscaldamento si aggiungeva alla precedente una ulte- riore forza orientatrice dovuta alla corrente circolare, cosicchè allo stesso spostamento della testata del filo corrispondeva una rotazione di soli 35 mm, — 304 — (anzichè 60) nel cilindro. Ciò dimostra l’esistenza di una corrente circolare permanente nel cilindro. dovuta al gradiente termico, mentre il riscaldamento avrebbe dovuto (se questa corrente non esistesse) far diminuire l’azione orien- tatrice prodotta dal diamagnetismo, a causa della nota diminuzione del diamagnetismo del bismuto in conseguenza del riscaldamento. Si potè così stabilire che il cilindro cavo di bismuto, nelle condizioni dell'esperienza, era percorso circolarmente da una corrente totale di circa 5 centesimi di ampère. Conosciuto il valore della corrente si può calcolare l’entità numerica dell'effetto meccanico che dovrebbe esistere in base alla ipotesi monistica. La forza elettromotrice che mette in movimento gli elettroni nel senso cir- colare sarà Nea (o) dove j è la densità della corrente circolare e o la conducibilità del me- tallo. Se si hanno x elettroni per centimetro cubo, portanti ciascuno la ca- rica e, tale forza elettromotrice che agisce su ciascun elettrone determinerà sull'insieme degli elettroni esistenti in un centimetro cubo una forza glo- bale data da F=neX la quale si trasmetterà integralmente alla materia del conduttore, mancando la controazione dovuta ai centri positivi che sono fissi, e perciò non subiscono azione da parte del campo magnetico. Questa forza agirà tangenzialmente per ogni unità di volume dell’ in- tero cilindro e con un braccio è pari al raggio medio del cilindro, equiva- lendo a una coppia di momento M= Xrnevdb dove v è il volume del cilindro. Ora nella ipotesi monistica il prodotto ze è all'incirca eguale all'inverso del coefficiente R di Hall, che è circa 10 nel bismuto. Si ha inoltre Vi—CMEA deriso Sostituendo si ottiene M =1600 dine-centim. Ù E poichè il filo di sospensione reagisce con la coppia di circa 41 dine-cm. per la torsione di radiante fra i due estremi, risulta che la coppia torcente dovuta al riscaldamento avrebbe dovuto produrre una rotazione del sistema — 305 — di oltre sei giri completi. Invece l’effetto cercato, se pure esisteva, era certo inferiore a una rotazione di 2 millesimi di radiante, e quindi, sempre se esiste, inferiore a un ventimillesimo del valore previsto in base alle conside- razioni precedenti. Il risultato negativo dell'esperienza sembrerebbe pertanto inconciliabile con qualunque teoria della conducibilità elettrica e calorifica che si fondi sulla mobilità dei soli centri negativi. Esso mi ha spinto ad approfondire l'indagine sulla esistenza o meno delle correnti elettriche di origine termo- magnetica, in base alla teoria di Lorentz, com'è stata completata dal Gans per il calcolo dell'effetto del campo magnetico sul flusso elettronico. Il risul- tato di questa nuova indagine, i cui particolari saranno esposti in una pros- sima Nota, è il seguente: come con la teoria di Drude, anche con la teoria di Lorentz-Gans si giustifica l’esistenza delle correnti circolari elettriche di origine termomagnetica da me osservate; ma insieme con esse sì genera un flusso circolare (vorticoso) di energia termica senza differenza di temperatura lungo il cerchio, e in senso opposto al flusso elettronico. L'azione mecca- nica complessiva sul disco risulta però eguale a zero, come l’esperienza ha confermato. Pertanto il risultato negativo dell'esperienza è giustificabile tanto con la teoria di Drude quanto con quella di Lorentz-Gans; cioè non conduce, come pareva a prima vista, alla necessità dell’esistenza di ioni mobili positivi. MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Astronomia. — Determinazioni astronomiche di latitudini e longitudini eseguite nell'Asia Centrale. Nota di Giorgio ABETTI, pres. dal Socio V. VOLTERRA (!). Il programma di osservazioni astronomico-geodetiche che il Comandante A. Alessio e lo scrivente dovevano svolgere durante la spedizione De- Filippi nell'Asia Centrale negli anni 1913-14 comprendeva determinazioni di coordinate astronomiche, sia per fissare punti particolarmente interessanti nelle regioni percorse, sia per stabilire, dal confronto delle coordinate astro - nomiche con quelle geodetiche, la deviazione della verticale in quelle sta- zioni nelle quali si fosse potuto effettuare il collegamento con i vertici della triangolazione indiana. I risultati ottenuti per le latitudini e longitudini astronomiche di varie località del Baltistan, del Ladàk e del Turchestan si comunicano in questa Nota, mentre sono in corso di stampa nelle memorie della spedizione, le (') Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. — 306 — relazioni dello scrivente contenenti le osservazioni e la loro riduzione e discussione. Le latitudini sono state determinate con un telescopio zenitale di Trou- ghton e Simms di 63 mm. di apertura, usando il metodo di Horrebow - Talcott. Le stelle vennero scelte in massima parte dal Preliminary General Catalogue di Lewis Boss. Osservatori furono: Alessio e lo scrivente per le prime otto stazioni, il marchese Ginori e lo scrivente per le ultime tre. Le longitudini vennero determinate mediante la telegrafia senza fili. Per accordi presi fra l'Ufficio Geodetico dell'India (Trigonometrical Survey) che ha sede in Dehra Dun, e la spedizione, segnali radiotelegrafici emessi dalla stazione radiotelegrafica militare di Lahore vennero ricevuti contempo- raneamente a Dehra Dun e nelle varie stazioni della spedizione. I segnali emessi dalla stazione di Lahore con lunghezze d'onda di 1800 e 2000 metri, mediante scintille musicali date da uno scaricatore a disco del tipo Marconi, venivano ricevuti: dalla spedizione con un aereo orizzon- tale della lunghezza di 180 metri e con un apparato ricevente della Regia Marina con detector a cristallo di carborundum; a Dehra con un'antenna verticale di 30 metri di altezza, con 7 fili sospesi ad « ombrello » e un apparato ricevente con detector a cristalli di bornite e zincite. Essendosi determinati gli istanti dei segnali, a Dehra e nelle stazioni della spedizione in tempo sidereo locale con osservazioni di passaggi di stelle in meridiano, le differenze di tali istanti sono le differenze di longitudine fra dette sta- zioni e Dehra. Da Lahore furono inviati 90 segnali per ogni sera di osser- vazione divisi in tre gruppi, ognuno dei quali veniva ascoltato con la cuffia telefonica da una coppia di osservatori e registrato con tasti a mano sui rispettivi cronografi sui quali venivano registrate anche le osservazioni di tempo. Queste ultime vennero eseguite a Dehra con uno strumento di pas- saggi presso l'Osservatorio del « Trigonometrical Survey », collegato con dit- ferenza di longitudine astronomica a Greenwich; quelle della spedizione con uno strumento dei passaggi di Troughton e Simms a canocchiale diritto con 65 mm. di apertura, montato su di un treppiede di legno e ferro. Le 03- servazioni di tempo vennero in generale eseguite subito dopo il tramonto del sole in due gruppi simmetricamente disposti prima e dopo i segnali radio- telegrafici e i passaggi registrati sui cronografi con tasto a mano. Gli osservatori a Dehra furono cinque: il maggiore E. A. Tandy, il dott. J. de Graaff Hunter, il capitano (ora maggiore) K. Mason, il signor E. C. J. Bond e il sig. Hanuman Prasad, i quale si scambiarono in vario modo durante il corso delle osservazioni; per la spedizione furono: Alessio, il marchese Ginori e lo scrivente per le prime cinque stazioni, Ginori, il maggiore Wood (in una stazione) e lo scrivente per le ultime tre. Non essendo stato possibile lo scambio degli osservatori per la elimi- nazione delle equazioni personali che entrano nella registrazione dei passaggi a e nm Re REY — 307 — di stelle e in quelle dei segnali, le osservazioni di tempo sono state ridotte ad un osservatore medio e tutte le differenze di longitudine ad una coppia tipo di osservatori. Nella seguente tabella sono dati i nomi delle località dove vennero eseguite le stazioni e le latitudini g ridotte al livello del mare (!), alla posizione media del polo con i risultati provvisorî del servizio internazio- nale delle latitudini (?), ed i loro errori medî. Segue nella terza colonna il numero 7 delle sere di osservazione ed il numero N delle coppie osservate ; nella quarta le differenze di longitudine 44, fra le varie stazioni e Dehra Dun, espresse in tempo col loro errore medio; e nella quinta colonna il nu- mero delle sere di osservazione. Nell'ultima colonna si trovano le longitudini rispetto a Greenwich, espresse in arco, avendo assunto per longitudine astro- nomica dello strumento dei passaggi a Dehra Dun il valore (8): 78° 2° 49."01 E. Gr. STAZIONI P $ DA di Ovest di Dehra Dun dii Grtn Tolti (Baltistan). <<... .. .|4-35° 3 011+0384/* A DEI 54 Wazal Hadur (Baltistan) . . . . .|+35 12 22.21 + 0,28| 2 sd da 20 Scardu (Baltistan) . . . . . . . .|4+35 18 1805=0.17|D, 0 9 37.740 + 0,024 | 6 |75° 38 2292 | Carghil (Baltistan) . . . . . . . .|+-34 33 3825= 0151 ia 7 40.617 + 0.028 | 3 |76 7 39.72 Lamaiuru (Ladàk) . . . .....|4+34 17 4.81+0.23 > 5 5.006+ 0.099| 5 |76 46 33.86 Leh (Ladàk) . ......... .|4-34 9 5410=0.19| 3 | 151668=0.020|7 |77 34 53.89 Depsang (Caracorùm). . . . . . .|+ 935 17 20.77 = 0.18 Di 0 18.067 + 0.054| 5 |77 58 17.85 Fronte Ghiacciaio Rimu (Caracorùm)|-| 35 20 48.39 + 0.23 i se ‘ = da Suaghèt Carol (Turchestan). . . . .|+ 36 20 5491 = 1.16 ; 0 4858 = 0.044) 3 |78 1 36.09 «Tàrcand (Turchestan) . . . ....|4 88 24 22.22+ 0.81 v 3 8.202=+ 0.043 | 4 |77 15 46.02 Càshgar (Turchestan) . . . 4 è + +|+ 39 28 19.74 + 031 - S 14.896 + 0.015 | 4 |75 59 5.64 (1) W. Bowie, Determination of time, longitude, latitude and azimuth U.S. Coast and Geodetic Survey. Special Publication n. 14, p. 130. Washington 1913. (*) Astr. Nachr. 4749 e 4802. (3) J. de Graaff Hunter. 7'he Farth's Axes and Triangulation. Survey of India. Pro- fessional Paper n. 16. Dehra Dun 1918. Il dato che si trova a p. 165: 628 8 piedi, equi- valenti a 7.18, deve essere corretto, secondo una comunicazione dell'autore allo scrivente in: 654.0 piedi equivalenti a 7.46. ReNDICcONTI, 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 39 La precisa indicazione delle località dove venne collocato lo strumento zenitale e lo strumento dei passaggi verrà data nelle pubblicazioni della spedizione, qui basti dire che a Tolti, Scardu, Càrghil, Lamaiuru le osser- vazioni vennero eseguite nella immediata vicinanza dei « bungalows » che sono stazioni di tappa per i viaggiatori che attraversano quelle regioni; la latitudine di Wazul Hadur si riferisce al campo della spedizione situato nella stretta valle immediatamente sotto il passo Burgi, che porta sull’al- tipiano Deosei; a Leh la stazione astronomica era situata presso ai « bun- galows » appartenenti alla Residenza inglese, e sull’altipiano Depsang al campo base della spedizione, a 5359 metri s. l. m., presso alla carova- niera che dal Ladàk conduce nel Turchestan; alla fronte del ghiacciaio Rimu venne fatta stazione sulla riva sinistra del fiume Sciàiok in immediata vici- nanza della fronte del ghiacciaio, a m. 4912 s. 1. m. A Sughét Carol le osservazioni sì fecero nel vecchio forte cinese sulle rive del fiume Caracàsh; a Jàrcand nella località chiamata Barghé a sud-est di Kone-Shar (città vecchia); a Càshgar in un antico cimitero mussulmano situato fra i consolati inglese e russo a nord di Kone-Shar. La situazione topografica delle varie stazioni non sembra abbia avuto alcuna notevole influenza sulle condizioni di recezione radiotelegrafica, poichè i segnali si poterono ricevere sempre anche in quelle località, come per esempio a Lamaiuru e Càrghil, le quali si trovano situate in strette e pro- fonde valli affluenti della valle dell’Indo, fra le catene dell'Himalaia e del Caracorim. Gli « intrusi » o « scariche » sono state invece causa di mag- giore perturbazione, specialmente in estate durante la stagione dei monsoni di sud-ovest. La recezione dei segnali non venne mai del tutto impedita dalle « scariche =, ma la precisione delle determinazioni restò diminuita in conseguenza del minor numero di segnali registrati e delle difficolà con cui questi si dovevano ascoltare fra le « scariche » stesse. Sei delle sopra scritte stazioni si poterono da noi collegare con i ver- tici della triangolazione indiana e per esse verranno in seguito comunicate le deviazioni della verticale. Per le ultime tre nel Turchestan, fuori della regione coperta dalla triangolazione indiana, non esistevano finora che valori incerti delle coordinate e per le longitudini molto discordanti. b sioni alii OE n aloe PRA) PAGO — 309 — Mineralogia. — Sulla presenza dello zinco nella malachite di Chessy (*). Nota di C. PERRIER, presentata dal Socio E. ArTINI (*). In un lavoro, pubblicato nel precedente fascicolo dei Rendiconti di questa Accademia, ho potuto dimostrare che la Rosasite, cui dal prof Lovi- sato era stata attribuita la formula: 2Cu0.3 CuC0,.5ZnC0, era, invece, un carbonato basico di Zinco e Rame, con costituzione analoga a quella della Malachite Cu CO; . Cu(0H)., corrispondente, probabilmente, ad una formula di questo tipo: (Zn, Cu) CO; . Cu(0H), cioè, probabilmente, un sale doppio di carbonato di zinco e di idrato di rame con una parte dello zinco, però, sostituito dal rame. Poichè la rosasite veniva, quindi, ad aggiungersi ad un altro idrocar- bonato naturale, già noto, l’auricalcite, nel quale pure una parte dello zinco è sostituito dal rame, volli vedere, data la spiccata capacità di questi due elementi di sostituirsi isomorlicamente, se ed in quale misura questa sosti- tuzione si verificasse nelle malachiti. Uno sguardo alle ormai numerose analisi di malachiti delle varie località pareva veramente rendere inutile la ricerca, perchè in nessuna di esse era mai stato trovato altro metallo all'infuori del rame, se si eccettuano un'analisi di una malachite di Phoe- nixville (Pensilvania) eseguita da Smith (*), che vi trovò 0,12 °/, di Fes 0, e le due analisi eseguite da Haeye (*) sopra una malachite della miniera Reinhold Forster presso Eiserfeld, dove vi rinvenne circa lo 0,09 °/, di Fe0. Tuttavia, pensando che i migliorati metodi analitici avrebbero potuto mettere in evidenza quanto prima non si era potuto fare, ho preso in esame una purissima e bellissima malachite cristallizzata di Chessy, di un cam- pione esistente in questo Museo. Di questa località si conoscono tre analisi; una di Vauquelin (‘) del 1813, un’altra di R. Phillips (4) del 1818, ed infine una terza dovuta a Berthier (4); delle quali solo l’ultima è in buon accordo con la formula, quale risulta dagli attuali pesi atomici. (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Torino di- retto dal prof. F. Zambonini. (2) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. (*) Cfr. Doelter, Handbuch d. Mineralchemie, Bd. I (1912), pp. 459 e segg. (4) Citato secondo Doelter, loc. cit. VE LA TITAN RIONERO GTO ANOTI SLATER SE SEA — 310 — Il metodo analitico da me impiegato fu quello stesso già adoperato per la rosasite: l’acqua e l’anidride carbonica vennero determinate diretta- mente per pesata, il rame ed il piombo vennero separati elettroliticamente dalla soluzione nitrica del residuo, dopo avere eliminato per filtrazione alcuni fiocchetti di materia insolubile, e quindi dopo aver precipitato il ferro con ammoniaca si separò lo zinco come solfato zinco-ammonico e lo si pesò allo stato di pirofosfato di zinco, ottenendone, da grammi 1,1024 di malachite, ben grammi 0,0092. I risultati analitici furono i seguenti: Rapporti molecolari CuC03.Cu(0H), e HO ee i eaa800 1,023 1,02 8,15 CORRI L9S7 1,000 1,00 19,90 CUOCA ZII 1,976 ) 1.99 71,95 ADORA 0,012 ) ; 100,00 Ros 03 ara tt 004 Phi Meo tracce Residuo . . . . tracce 100,03 corrispondenti quindi ad una malachite tipica nella quale però una certa quantità non trascurabile, per quanto piccola, di rame, è sostituita dallo zinco. Nessun dubbio vi poteva essere che il minerale fosse veramente mala- chite, perchè, oltre la provenienza ed il colore tipico, confermavano la sua natura l'esame microscopico dei frammentini ottenuti schiacciandone dei granellini fra due vetrini, frammenti che iasciavano vedere abbastanza fre- quenti i noti geminati secondo {100}, tabulari secondo } 010} e nei quali si osservava un angolo di estinzione di circa 23° con il seguente pleocroismo Np = verde assai pallido Ng = verde malachite. Si potevano osservare, poi, mediante la linea di Becke, i seguenti indici di rifrazione Np = 1,703 Ng > 1,745. Nessun dubbio, inoltre, che il prodotto formatosi fosse veramente fosfato zinco-ammonico, perchè la soluzione, da cui era stato separato il ferro ed era stata concentrata a piccolo volume, non aveva lasciato separare nulla, dopo essere stata resa fortemente ammoniacale era perfettamente incolora, mentre, se tutto il rame non fosse stato separato, avrebbe dovuto essere — colorata in azzurro; ed inoltre il precipitato cristallino, ottenutosi per eli- RIN ORME STETIE AMPIO E E NI — 311 — minazione dell'’ammoniaca a bagno-maria, si mantenne perfettamente bianco dopo calcinazione di 900°. Del resto ne controllai la natura con pochi saggi microchimici. Il risultato ottenuto mi pare non privo di interesse, non solo perchè dimostra ormai in modo certo, che anche nelle malachiti una parte di rame può venire sostituita dallo zinco (in questo caso si avrebbe 0,65 °/ del composto Zn CO; . Zn(0H):), ma anche perchè rende sempre più probabile, data la piccola quantità di zinco presente nella malachite, che la rosasite sia veramente un sale doppio di rame e di zinco, e non una semplice mi- scela isomorfa dei corrispondenti composti dei due elementi. Del resto la differenziazione della rosasite dalla malachite riesce assai netta anche al microscopio, e nel seguente prospetto ho messo a confronto i caratteri distintivi di questi due minerali quali si possono constatare, qualora si frantumino fra due vetrini dei frammenti rispettivamente di ma- lachite e di rosasite. Rosasite Malachite Laminucce parte (secondo /010}) ad estinzione inclinata di circa 28° con l’asse verticale, ed altre (secondo {001} con estin- Laminucce ad estinzione sempre paral- lela alla direzione di allungamento con indici di rifrazione per la luce del sodio: zione parallela. Nelle prime si osserva (per la luce del Na) Np= 1,703 Ng > 1,745. 1,71 nella direzione di allungamento > 1745 » ” ad essa normale. Nelle altre ad estinzione parallela gli indici di rifrazione sono sempre > 1,745. Le laminucce mostrano quasi costan- temente carattere ottico negativo della di- rezione di allungamento. In queste lamine si ha il seguente pleo- croismo: verde azzurrino quasi incoloro paralle- lamente direzione d’allungamento: verde azzurrino ben netto normalmente ad essa. Non si osservano mai geminati, Le laminucce ad estinzione parallela, che in luce convergente lasciano vedere emergere la bisettrice di un grande an- golo degli assi ottici, per essere per lo più allungate secondo x mostrano quasi sempre carattere ottico positivo della di- rezione di allungamento. Nelle lamine ad estinzione parallela si ha il seguente pleocroismo: verde malachite = Ng giallo verdastro = Nm. Frequentissimi i geminati secondo {100}, anche polisintetici. ultra as ae I — 312 — Microbiologia. — Ulteriori ricerche sull'attività proteolitica dei fermenti lattici. V: Fenomeni di mutazione fisiologica brusca (*). Nota di CosrtanTINO GoRrINI, presentata dal Socio KORNER (?). In Note precedenti (*) ho messo in luce l'influenza di varî fattori sulla attività proteolitica dei fermenti lattici; nella presente intendo dimostrare l'insorgenza di mutazioni di tale attività, le quali parmi si prestino altresì a nuove vedute sulla dibattuta questione delle mutazioni. Nei trapianti settimanali in latte che vado facendo da oltre un ven- tennio sono solito osservare parecchie irregolarità nel comportamento dei fermenti lattico proteolitici. Sono irregolarità concernenti la rapidità di coa- gulazione, il grado di acidificazione, l'intensità di peptonizzazione ecc., le quali, in forza delle ragioni esposte nei miei lavori, sono di facile imputazione a inevitabili variazioni di tecnica, vuoi nella quantità di semente, vuoi nel calibro delle. provette da cui dipende l’estensione della superficie libera della cultura e quindi l'aerobiosi, vuoi nella temperatura di incubazione, vuoi nella qualità del latte «O origine o in conseguenza della sterilizzazione, ecc. Trat- tasi però di irregolarità fluttuanti di lieve entità e, quel che più monta, mancanti di qualsiasi carattere di stabilità e nemmeno di progressione nei “successivi trapianti, che possa accennare ad un principio di tramutamento foss'anche per tappe. Qualche volta però ho assistito a fenomeni che hanno l'aspetto di vera mutazione nel senso classico della parola, cioè di un cambiamento brusco spontaneo e trasmissibile per ereditarietà. Noi sappiamo che i fermenti lattico-proteolitici hanno la duplice pro- prietà di coagulare il latte in un primo tempo e di ridisciogliere poi gra- datamente il coagulo in un secondo tempo. Orbene: culture che per parecchi anni avevano presentato il suddetto comportamento tipico, d'un tratto a un determinato trapianto hanno invece di colpo peptoniticato rapidamente e com- pletamente il latte senza previa coagulazione, a mo' dei ben noti bacilli semplicemente peptonizzanti. Il primo caso di siffatto cambiamento improv- viso mi si verificò quindici anni or sono; dapprincipio sospettai di un inqui- namento, ma l’esame microscopico culturale me lo fece escludere; pensai (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Batteriologia dalla li. Scuola Superiore di Agricoltura di Milano. (2) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. (3) Rendie. R. Ace. Lincei, ottobre 1915, novembre 1915, ottobre 1917. 2) ellenica MERI RO SITE vg pg VORAZOA CIA 4 N e 1 De REST A A bai cali % 3 AR o; SAS — 313 — poscia si trattasse di uno scarto effimero legato forse ad un’incognita parti- colare qualità del latte ovvero ad altra condizione non immediatamente di- scernibile del modus operandi che avesse influito disgenesicamente; ma il ripetersi del fenomeno nei successivi trapianti della cultura anomala, pur variando la qualità del latte e tutte le condizioni di tecnica (dalla dose della semente alla temperatura di incubazione), me ne dissuase. Mi accostai allora all'idea di essere in presenza di una mutazione brusca e mi limitai ad annoverare una nuova conferma della teoria del De Vries applicata al campo batteriologico. Volli tuttavia toglier di mezzo il dubbio di mescolanze originali di razze distinte sottoponendo gli stipiti dei fermenti lattico-proteolitici a pro- cessi isolanti col metodo Burri dell'inchiostro di china a fine di disporre di culture che partissero da un'unica cellula. Contuttociò essendomi negli anni appresso sopravvenuti altri casi di siffatte mutazioni, mi proposi di appro- fondire le investigazioni allestendo dalla medesima cultura normale, che aveva figliato il subitaneo scarto peptonizzante, parecchi altri trapianti che misi nelle identiche condizioni del trapianto anormale; cbbene, tutti questi secondi trapianti gemelli si comportarono invece in modo regolare, mentre lo scarto perseverò a riprodursi anormale nella propria discendenza, talchè potei conservare i due tipi paralleli, considerandoli come due varietà di una sola specie: una varietà tipica coagulante-proteolitica e l’altra atipica solamente proteolitica. Siffatta constatazione valse a rivelarmi che il feno- meno della mutazione non aveva colpito i toto la cultura, ma si era cir- coscritto ad una porzione di essa; laonde mì sentii autorizzato a dedurne che le cellule di una medesima cultura possono differenziarsi fra loro a segno da determinare una mutazione brusca solamente in alcune di esse. Un caso più recente venne a ribadirmi sempre più in questo ordine di idee. Trattasi di un caso di cangiamento in senso inverso, dirò così di una retromutazione: un trapianto della varietà atipica di una delle succitate specie doppie si ritrasformò di botto, dopo cinque anni, sempre per influenze inafferrabili, nella varietà tipica, persistendo tale nella discendenza; mentre altri trapianti paralleli fatti dalla medesima cultura atipica perdurarono nel loro comportamento anormale. Cotali accertamenti mi suggerirono una interpretazione del fenomeno che si discosta da quelle addotte comunemente per spiegare le mutazioni improvvise; e poichè si tratta di mutazioni parziali di una cultura, non regge nemmeno la spiegazione allegata dal Preisz per riportare le mutazioni a conseguenze di condizioni disgenesiche, in cui la improvvisa comparsa di colonie con proprietà nuove non significa origine improvvisa, ma il risultato di una moltiplicazione e di una selezione elettiva di forme già esistenti in una cultura, le quali non sono dimostrabili nei trapianti in condizioni euge- nesiche perchè mascherate dal fortissimo prevalere di un tipo determinato. — 314 — Nel caso presente io ravviserei invece una giustificazione sufficiente e ade- guata dei mutamenti bruschi in un ragionamento come il seguente. Il comportamento normale dei fermenti lattico-proteolitici è caratteriz- zato da un duplice meccanismo saccarolitico-aciditicante e caseolitico-pepto nizzante, per cui la caseina dapprima precipita e in seguito si solubilizza. Orbene: fra le cellule dotate di questo doppio potere è logico e fatale che, accanto a quelle le cui due facoltà sono per così dire equilibrate, ve ne siano di prevalentemente saccarolitiche e di prevalentemente caseolitiche; si può ammettere quindi che nell'ammaasso di cellule costituenti la sementa vi sia di norma una specie di compensazione onde i trapianti si mantengono di regola coagulanti-peptonizzanti; ma si può ammettere altresì di incap- pare qualche volta in una sementa formata in grande predominio di cellule di un tipo solo, ad es. del tipo prevalentemente caseolitico e allora si spiega la comparsa repentina della varietà peptonizzante, la quale poi si trasmette per eredità nei successivi passaggi. .... finchè per caso si imbatte in una sementa formata da un lotto di cellule a facoltà equilibrate e allora riappare di punto in bianco la varietà tipica. Qui vien fatto di domandarsi se, come sorge una varietà che peptonifica senza coagulare, non possa spuntare. una varietà che coagula senza pepto- nizzare a guisa dei fermenti lattici semplici. La risposta che desumo dalle mie osservazioni ventennali è piuttosto negativa; c ben si comprende. Nella varietà in cui la coagulazione è saltata, non è che la saccarolisi taccia del tutto; tant'è vero che il latte assume reazione acida crescente; gli è soltanto che l’azione saccarolitica è debole e tardiva rispetto alla proteolitica, co- sicchè questa, prevenendo quella, spiega diffilato la propria attività sulla caseina trasformandola in paracaseina o caseone e simultaneamente solubiliz- zandola, prima che abbia campo di precipitare. Analogamente, nella va- rietà coagulante, per quanto sia energica la saccarolisi, l'attività proteolitica non è mai soppressa; può succedere solamente che essa sia procrastinata di parecchio tempo; ma in seguito, anche se la saccarolisi pronunciata desse un grado di acidificazione tale da arrestare la vita delle cellule, l'enzima proteolitico contenuto in queste abbenchè silenti o spente finisce, come pure ho dimostrato ('), col dissolvere, tosto 0 tardi, il coagulo. * x xo” ConcLUsIoNE. — Le presenti osservazioni ventennali sopra culture sicu- ramente pure dimostrano: 1°) che i fermenti lattici presentano fenomeni di mutazione e retro- mutazione brusche spontanee e trasmissibili, indipendenti dalle condizioni di sviluppo, nella loro duplice attività acidificante e proteolitica; (1) Rend. R. Acc. Lincei, settembre 1911. — 315 — 2°) che questi fenomeni non colpiscono però una cultura 2% toto ma solamente frazioni di essa, di guisa che essi si prestano ad essere interpre- tati come semplici variazioni legate a inevitabili divergenze individuali delle cellule batteriche di una medesima specie; cosicchè dette mutazioni perde- rebbero il significato di anormalità, e rientrerebbero nell'orbita dei fenomeni normali, subordinati al caso fortuito di sementi costituite esclusivamente 0 quasi da cellule di un solo tipo. Fisiologia. — Contributo alla conoscenza degli enzimi. VI: Sul ‘potere protettivo dell'amido e di altre sostanze sulla plialina, in ambiente acido (*). Nota di 1. MAESTRINI, presentata dal Corri- spondente S. BAGLIONI (°). Dalla Nota precedente (*) si rilevava che le concentrazioni di HCI, rite- nute sino ad ora capaci di distruggere la ptialina (‘), sono soltanto in grado, quando sia presente l’amido, di inibire temporaneamente l’azione del- l'enzima. Era interessante indagare se, tra le sostanze alimentari, questa proprietà fosse soltanto dell'amido, ovvero fosse anche posseduta, ed in qual grado, dalle ordinarie +ostanze proteiche e dai grassì: non meno importante era studiarne il meccanismo d'azione. In un matraccio (A) versavo cc. 1-2 di saliva mista umana neutra, filtrata, 25 cc. di salda di amido (5 °/o) (?), agitavo, per qualche secondo. indi aggiungevo 25 ce. di so- luzione di HCI (0,4—1,2°/s0); in un secondo matraccio (B) versavo la stessa quantità di . saliva, 25 cc. di H?0 distillata neutra, agitavo, indi aggiungevo la stessa quantità di soluzione acida; in un terzo matraccio (C) versavo la stessa quantità di saliva, 25 ce. di albume di uovo (soluzione 40-50 %, in NaCl, 0,9 %), agitavo, indi aggiungevo la stessa quantità di acito (HCI, sciolto in soluzione fisiologica); in un quarto matraccio (D) la stessa quantità di saliva, 15 cc. di olio di mandorle dolci ed H?0 distillata sino al vo- lume di 25 cc., indi la stessa quantità di acido; in un quinto matraccio (E) saliva, grasso di montone solido (4-6 gr.) ed HO distillata sino al volume di 25 cc. e la stessa quantità di soluzione acida; in un sesto matraccio (F) saliva, fibrina di sangue di bue, essiccata a 40° C circa (g. 2-4) ed acqua distillata. sino al volume di 25 cc., agitavo, indi aggiungevo la solita quantità di soluzione acida; in un settimo matraccio (G) saliva, g. 1-2 di carbone animale ed acqua distillata sino al volume di 25 ce., agitavo, indi aggiungevo la stessa quantità di acido cloridrico. Tutti i matracci erano tenuti a 359-40° C. per 1-4 ore, indi i loro liquidi neutra- lizzati con KOH N/10, alla scorta di carta di tornasole. Dopo neutralizzazione, aggiun- (!) Ricerche eseguite nell'Istituto di fisivlogia della R. Università di Roma, diretto dal prof. S. Baglioni. i (2) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. (8) D. Maestrini, Rendic. R. Accad. dei Lincei, Vol. XXX, 1920. (‘) F. Kuebel, Pfluger's Arch. 1899, LXXVI, 276-305. (9) La salda d’amido al 5 % ha un'azione protettiva maggiore che quella al 3%, già da me altre volte usata. ReNDICONTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 40 — 316 — gevo salda d’amido neutra al 5 % nei matracci, in cui non era stata messa in prece- denza, portavo tutti allo stesso volume (cc. 100-120), con acqua distillata neutra, ver- savo in tutti un po’ di toluolo, indi li riportavo in termostato (35-40° C.), e saggiavo il potere amilolitico di ciascuna miscela, di tanto in tanto. Ho fatto anche contempo-- raneamente esperienze con albume d’uovo, sciolto in acqua distillata: in tal caso nella miscela era una precipitazione più o meno abbondante di globuline. Ho anche sperimentato separatamente sulla ovoa/Zumina ce sulla ovoglobulina. Per dealbuminizzare, ava»ti la determinazione degli zuccheri riducenti, ho usato l’acido tri- cloracetico. I risultati sono: 1°) la ptialina umana trova nell’amido (salda 5%) un mezzo protet- tivo costante ed energico contro HCl; difatti nel matraccio (A) sin dalla prima ora, dopo la neutralizzazione, si osserva un potere riducente, che va gradatamente aumentando in progresso di tempo e manca al momento della neutralizzazione ; 5 2°) l’albume d'uovo, diluito con NaCl (0,9 %) e la fibrina di sangue di bue, non sono capaci di proteggere la ptialina, contro lo stesso acido; difatti, dopo la neutralizzazione, nelle rispettive miscele, mai appare alcun potere riducente; 3°) nella miscela con olio di mandorle dolci, dopo alcune ore dalla neutralizzazione (6-20 ore), si osserva quasi sempre un discreto potere ridu- cente, che manca costantemente nelle prime ore; 4°) il liquido contenente il grasso di montone presenta (non costante- mente) un potere amilolitico molto più lieve, e dopo un tempo maggiore dalla neutralizzazione (30-50 ore); 5°) piccole quantità di oleato di potassio (ce. 1-2), aggiunte alla mi- scela del matraccio (B) ne hanno eccitata l'azione amilolitica; 6°) nella miscela con albume d’uovo, diluito con acqua distillata, nelle prime ore, dopo la neutralizzazione, non si scorge alcun’azione amilo- litica, ma nelle ore successive (12-14) si presenta un lieve potere riducente; 7°) anche le miscele, contenenti ovoglobulina, isolata dalla ovoalbu- mina, dopo tempo vario (24-80 ore), presentano un lieve potere amilolitico; mentre, entro lo stesso tempo, le miscele (B) (in cui la ptialina, prima della neutralizzazione, fu a contatto di solo acido), non mostrano alcuna azione amilolitica ; 8°) la ovoalbumina, isolata dalla ovoglobulina, non possiede alcun potere protettivo contro l'acido ; 9°) il carbone animale, offre alla ptialina una protezione, contro l'acido cloridrico, anche superiore a quella dell'amido Di fronte all'amido (salda 5 %), che esercita un forte potere protet- tivo, abbiamo dunque da un lato due serie di sostanze alimentari, di cui l'una (fibrina di sangue di bue, albume d'uovo, sciolto in soluzione fisiolo- gica, ed ovoalbumina) non protegge la ptialina contro l’acido cloridrico, — 517 — l'altra (olio di mandorle dolci, grasso di montone, albume d'uovo, sciolto in acqua distillata), che presenta alcuni particolari interessanti; e, dall'altro lato, una sostanza non alimentare, il carbone animale, che ha un potere pro- tettivo superiore a quello dell’amido. Una caratteristica comune a tutte le miscele, contenenti /a seconda serze di sostanze suddette, è quella di presentare un’azione enzimatica molto in ritardo, rispetto a quella mostrata dalla miscela, avente amido (matraccio A). Questo fatto può avere due interpretazioni: o il potere protettivo di queste sostanze è così tenue da richiedere, dopo la neutralizzazione, un certo tempo, perchè l’azione delle mînime quantita di enzima, non distrutte, possa esser messa in evidenza, con i nostri mezzi d'indagine; ovvero durante e dopo la neutralizzazione, sì formano corpi speciali, capaci, entro un dato tempo, di promuovere l'amilolisi. La prima ipotesi può spiegare il debole e tardivo potere amilolitico, che si presenta nelie miscele con ovoglobulina pura, essendo l’ovoglobulina, secondo nostre ricerche, capace di tissare piccole quantità di ptialina; con la stessa ipotesi può spiegarsi il potere amilolitico delle miscele con albume d'uovo, diluito in acqua distillata, sapendosi che in mancanza di elettroliti, le ovoglobuline sì rendono libere, cioè precipitano. In questo stato esse po- trebbero offrire all'enzima una lieve protezione, contro l'acido cloridrico. La seconda ipotesi serve a spiegare sia il notevole (sebbene tardivo e non sempre costante) potere amilolitico delle miscele, contenenti olio di man- dorle dolci, sia quello assai debole ed anche più tardivo ed incostante delle miscele con grasso di montone; supponendo che, durante Ja neutralizzazione, si formino ad es., piccole quantità di saponi (oleati e stearati di potassio) capaci, entro un determinato tempo di eccitare il potere amilolitico della saliva, abolito dall'acido. Questa supposizione trova appoggio nel fatto che, secondo nostre ri- cerche, piccole quantità di oleato di potassio, eccitano il potere amilolitico della saliva umana. H l’amido dunque, tra le sostanze esaminate, quella che più forte- mente protegge lu plialina, contro l'acido cloridrico. Intorno a questa proprietà dell'amido, si possono, come già si disse, avanzare due ipotesi: o immaginare intimi rapporti tra amido ed enzima, o tra amido ed acido. Nel secondo caso si potrebbe avere una diminuzione di acidità, nel primo si potrebbe pensare ad una vera e propria difesa. Poichè è noto che l’ovoalbumina, in presenza di HCl, forma una com- binazione chimica a caratteri abbastanza definiti, se la ptialina fosse stata favorita, nella sua resistenza, contro l'acido cloridrico, da un'eventuale com- binazione cloridrica con il sostrato, avrebbe dovuto per l’appunto nell'ovoal- bumina trovare îl mezzo più adatto; ugualmente si sarebbe dovuto verificare nel caso della fibrina di sangue di bue: invece tanto l'ovoalbumina, quanto — 318 — la fibrina si sono mostrate assolutamente inadatte alla protezione della ptia- lina contro l’acido. A lato di questi fatti abbiamo che la fibrina di sangue di bun. l'olio di mandorle dolci, ecc. non fissano neppure lievi quantità di enzima, mentre è in grandi quantità fissato dall'amido, dal carbone animale e lievemente anche dalle ovoglobuline. Sembra dunque che fissare e proteggere l'enzima dall'acido sieno, nella stessa sostanza, due proprietà parallele; e quindi parrebbe giu stificato pensare che l’amido protegga la ptialina, perchè la fissi. Però la ptialina è soltanto labilmente fissata dall’amido crudo e dalla salda, giacchè, mediante ripetuti lavaggi, con acqua distillata, la si può in massima parte liberare (!). Lo stesso fatto ho notato, mescolando saliva umana con carbone animale polverizzato. E verosimile quindi che in questa proprietà dell’amido siano in giuoco soltanto futtori fisico-chimici,’che si tratti cioè di semplice adsor- bimento. Matematica. — 7ransformations qui conservent la compo- sition. Nota di JoserH PERÈS, presentata dal Socio V. VOLTERRA. 1. J'ai précédemment montré l’intérét que présentent, pour l’étude des fonctions permutables, certaines transformations qui conservent la composi- tion (©). Ces transformations, que nous nommerons transformations £, peu- vent étre prises sous la forme a) GU,9)=%My— 2) + f "e, DE; 2,7) de, ce que nous écrirons aussi (1°) G=9(2). Elles font correspondre, à une fonction quelconque 4(y — x) permutable avec l’unité, une fonction G(x ,y). Elles conservent la composition, c'est-à- dire que: sé G,(x,y) et Gs(x, y) correspondent à A(y— x) et AXy— 2), G,ò. correspond à 3; AIR Une telle transformation fera correspondre, au groupe U des fonctions permutables avec l’unité, un groupe C de fonctions permutables entre elles. (1) Ciò non si accorda con l’asserzione di L. Ambard a proposito dell’amilasi del- l’orina, «que l’amylase une fois fissée sur l'amidon cru y reste fissée, malgré tous les lavages » (C. r. soc. biol,, LXXXIII, 1458, 1920). (2) Ann. Ec. Norm. Sup,, 1919. Bull. Soc. Math. de France, 1919. toi di — 319 — 2. Les transformations précédentes étant déterminées, pour leurs appli- cations (sur les quelles nous ne revenons pas), il est essentiel de résoudre la question suivante: a) F(x,y) étant une fonction donnée du premier ordre, réduite è la forme canonique, déterminer, s’il est possible, une £ telle que F= (1) ('). 3. L'expression générale du noyau ®(£; x,y) des transformations £ qui conservent la composition contient une fonction arbitraire de deux va- riables. Elle peut ètre prise sous diverses formes. Nous avons déjà indiqué que l’on peut, sous une restriction de déri- vabilité (2), poser Sol E GA » » DEA (2) DE 3%, Y) 77 DI dé, .. fat Ge, Ge, vu Ge,(x 5 y— 3) avec (2°) Gela ,g) = (cr +5,y+3) f étant arbitraire. Cette forme du noyau permet la résolution immédiate du problème a), d°F dx WY finie et continue. Il eriste alors un seul des noyaux précédents tel que dans le cas où la fonction donnée F(z,%y) admet une dérivée seconde F=%(1), et on l’obtient immédiatement en posant * (2) i = Russi E Ì urea pi P' Ì p” PERA, F” désignant la dérivée seconde dI dY 2 F 4. Dans le cas précédent (Si (9 finie et continue) nous dirons la fonction F(2,y) canonique réguliére. On peut assurer que /ou/es les fonc- tions permutables avec elle sont données par l’expression £(4) (*). La forme précédente du noyau ®(È; x,y) est la plus commode pour la repré- sentation par une transformation £ et pour l'étude du groupe des fonctions permutables avec une fonction canonique régulière. (1) On voit immédiatement les modifications è apporter è cet énoncé lorsque F(2,%) est d’ordre quelconque. La question @) est un cas particulier de la suivante, sur la quelle nous reviendrons: déterminer une transformation £ telle que F(x,%) appartienne au groupe C correspondant (2) Loc. cit., Ann. Ec. Norm, pag. 41. (5) Pour étre sùr que l’on obtient ainsi toutes les fonetions permutables avec F il suffit de songer à l’arbitraire dont elles dépendent. De 'gogioe Bb Dès que l’on cherche à passer à des cas plus généraux, il convient de voir si la formule (2) donne la forme la plus générale des noyaur DE ; 1,4). Nous verrons que non et nous donnerons une expression tout à fait générale des noyaux ®. Cette expression rendra intuitive la nature des transforma- tions 2. Dans le cas régulier, les formules obtenues semblent plus simples , que les précédentes, mais on paye cette simplicité initiale au moment où l'on cherche à résoudre le problème «). 5. Nous emploierons une méthode indirecte. Donnons nous deux fonetions quelconques de x et de y, m(x,y) et #(x,y) vérifiant la relation * * ia mdin-4-mn=0 l'une étant connue, l'autre en résnlte: * # * n=—-m+m—m'Lm'—-.«, et l'on a, évidemment (8) (id) += (ia). Envisageons la transformation (4) G(2,y)=(1°+ m) (1° 2) Z 6tant fonetion de y —. Elle conserve la composition, car si l'on a G,=(1°-+4m)Z(1° +), Ge =(1° + m)d:(1 4a), il en résulte, gràce è (3), G,Gs=(1°-- m) 4,4:(1° | n). Elle est de la forme (1), comme on le constate par un caleul simple, et l'on trouve, comme valeur correspondante du noyau (5) DE;a,y) = +E,Mt+mae,y_- È) + Nous allons voir que: c'est là l’expression générale du noyau d’une trans- formation £ conservant la composttion. En effet nous avons déterminé précédemment (!) l'équation qui caracté- rise de tels noyaux. En remplagant dans cette équation 4 par zéro et n par 7, en posant enfin D(x;0,49)= 4,9) on en tire y— x nE:1,)+f Mole, 0) D(E; E ,y)di=n(e +E,y) — ne ,y— È) (1) Ann. Ke. Norm. équation (4 ). è Ù d'où l'on déduit, en posant Mo = — No + MM è (ei Diy) iala E ymlasy = 3) + |" melt +89) de. qui a justement la forme (5). Les remarques du début de ce numéro per- mettent d'éviter la vérification, un peu longue, qu'une telle expression sa- tisfait l'équation caractéristique des noyaux et nous sommes certains que (9), m(x,y) étant arbitraire, donne tous les noyaux D(È;x,7). Il résulte aussi de ce qui précède que des fonctions 7 différentes peu- vent conduire au méme noyau ®, c'est-à-dire à la méme transformation £: pour obtenir, par la formule (5), f#ous ces noyaux, on peut se borner à envi- sager les fonctions #,(x, 7) nulles pour += 0. A chacune d'elles corres- pondra l’un des noyaux ®, tel que ®(E;0,y)=mM(£,4) et manifestement un seul. Il est aisé de déterminer la forme générale des fonctions m et 7 qui conduisent à un méme noyau D: m, et n étant un couple de telles fonc- tions, la transformation correspondante est * 9(4) = (1° + m0) A(1° + #0). Soit 72 et x un autre couple conduisant à la méme £; on peut toujours déterminer w et v telles que d°+m)=(1°-+ mo) (104%), (1°-+2)=(1+m(1+%), et il résulte de la formule (3) que l’on a alors: w |» si, v=0. On doit avoir, quel que soit 4: (1° + meo) A(1° + 0) =(1°+ m0) (1°+ 2) A(1°+) (1° +), d'où l'on tire aisément que v et par conséquent w doivent appartenir au groupe U. On obtient finalement, pour valeur générale de 7(7,y) (condui- sant à un noyau ® déterminé) l'expression D) 0) n(2,9) +14 -2M+ frE— alt) de, v(y — «) étant arbitraire; on a une formule analogue pour m(2, 7). — 322 — 6. Examinons maintenant le problème a) du numéro 2. Etant donnée la fonction F(2,y), tout revient à déterminer les fonctions 7 et m telles que (8) F=1+ml4inj mina. ('ette équation est de nature assez compliquée, tandis que. en partant de la forme (2) du noyau, la résolution du problème «) était immédiate, en termes finis. On voit comment on perd ici, et au delà, tous les avan- tages de simplicité que (5) pouvait présenter sur (2). Dans le cas où F(r.7) est régulière, la résolution (en m et x) de (8) est naturellement possible: gràce è la formule (2) nous pouvons éerire immédiatement la valeur de la fonction n(, 7) nulle pour += 0. En nom- mant wo(4 ,y) cette fonetion, il vient z 2} az.) =90,))=, f dip: , "de G:, G:,--- Gay (0,9— 2), en tenant compte de (2°) et de (2"). La formule (7) donne alors la valeur la plus générale de n et celle de 7 en résulte. Touses les fonctions per- mutables avec F(x,y) auront alors l'expression (4). Les transformations £ telles que F= £(1) soit régulière, cest-à-dire celles qui peuvent prendre la forme (2), sont caractérisées par ce fait que d da @ ty) existe et est continue (ce qui entraine la méme condition avec m) (1). Ce ne sont donc pas les plus générales ® qui conservent la composition: en d'autres termes la formule (5) est un peu plus générale que (2). C'est là son véritable intérét; nous reviendrons sur ce point dans une note prochaine. (*) C'est, en tenant compte de (7), le résultat méme du Théorème du n. 13 de mon Mémoire cité (Bull. Soc. Math. 1919). Ce théorème se trouve généralisé dans ce qui précède (n. 5), mais l’enoncé plus restreint garde son intérèt, parce qu'il caracté- rise le cas régulier. G. C. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. k j [) Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2» MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 8 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Mol:LVi Vi VIVI. VIIL Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2), — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — ReNDICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE. della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. i Serie 5® — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. i Vol. I-XXX. (1892-1921). Fasc. 9°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXIX. (1862-1920). Fase. 11°-12°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, fase. 5°. MEMORIE. della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fase. 7. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI i DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. | Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta l’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai: ULRICO HoepLIi. — Milano, Pisa e Napoli. P. MagLIonE & C. SrRINI (successori di E. Loescher & C.) —- Roma. RENDICONTI — Maggio 1921. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali: — Seduta dell’8 maggio 1921. MEMORIE E NOTE DI SOCI Somigliana. Sulla profondità dei ghiacciai . . . 5 IRR RR E n, Severi. Sulla teoria degl'integrali semplici di 12 specie SAR Da una SULSo algebrica. Nota Viti Geo. bue A e Or Corbino. L'analogo termico dell’ effetto Oeestei tto RARO oo e MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Aletti. Determinazioni astronomiche di latitudini « e longitudini eseguite nell'Asia Centrale (pres. dal Socio Volterra). . . . Ara (lane Perrier. Sulla presenza dello zin?o DO MelLolalo di Ga ua i Licia Artini) . » Gorini. Ulteriori ricerche sull'attività proteolitica dei fermenti lattici. V: o di; mutazione fisiologica brusca (pres. dal Socio Abrner) . . . . . an Moestrini. Contributo alla conoscenza degli enzimi. VI: Sul potere a, detnita e di altre sostanze sulla ptialina, in ambiente acido (pres. dal Corrisp. Baglioni) . » Pérès. Transformations qui conservent la composition (pres. dal Socio Volterra). . a 291 296 301 E. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia. responsabilé | DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI ANNO CCCXVIII. 1921 STEREO IN LE A RENDICONTI Classe di ‘scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XX X.° — Fascicolo 11° Seduta del 3 giugno 1921. 1° SEMESTRE. | aa ROMA TIP. DELLA R. ACCAD. NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1921 ESTRATTO DAL “REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Seris quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Renpiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di seienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci s estransi, nelle due sedute mensili dsl l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrisponienti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci s Corrisponden'i, e 30 agli estranei; qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4,1 Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca: demia; tuttavia se Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota ver iscritto. II I. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente. e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci è da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa. della Memoria negli Atti dell Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio . dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Cor un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro» posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell'Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta, pubblica nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti uno Memorie per esame data ricevuta con lettera, aeila quale si avrerte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti; 90 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori, RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. aaa ga Seduta del 3 giugno 1921, V. VOLTERRA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Fisica terrestre. — Sulla profondità dei ghiacciai. Nota II del Socio CARLO SOMIGLIANA. Il. DETERMINAZIONE DEL PROFILO. Il problema che noi dobbiamo proporci è quello di dedurre la curva del profilo del canale glaciale, supponendo che siano noti, come dati d’os- servazione, i valori della funzione « nella porzione dell'asse delle y che è compresa fra i bordi del canale. Noi supporremo che questa porzione del- l’asse delle y sia limitata dai valori y= Lo ed y= Li. Ora noi possiamo dimostrare che la funzione w è completamente deter- minata dai suoi valori x, sull'asse delle y fra L, ed L,. valori che pos- siamo supporre espressi mediante una funzione (7), cioè (7) vu = 9(1) e dai valori della sua derivata normale lungo lo stesso intervallo, valori che nel nostro caso sono pure noti, in quanto sono tutti nulli per la prima delle condizioni (6). Supponiamo, per maggiore generalità, che si abbia - PZ Di == 30) —- == (8) per e =0 si w(7). Siccome la u deve essere regolare nel campo da considerarsi, essa nell’in- LI RenpICONTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 41 i torno di un punto qualunque dell'asse delle y, che possiamo senz'altro sup- porre sia il punto y= 0 #= 0, ammetterà uno sviluppo della forma solita i / dU TINO I L 0) ia] -— f& — = — sez U(Y 3 8) Uo E ì 7] * de I Ora si può subito dimostrare che tutti i coefficienti di questo sviluppo si possono determinare mediante le (7) (8) e la equazione (5) a cui la u deve soddisfare. Da queste equazioni abbiamo infatti con semplici derivazioni Î a) = ig) ( 2) 2) \ d/ d3 x? du = 107) OSP ) aly) de) PES (3) —H ( ) = (4) lr ve) a) GY) ove gli apici indicano derivazioni, ed H è la costante ogsena:u. In modo analogo si possono calcolare i valori di tutte le altre derivate di ordine superiore, per z = 0. Si trova Yu ‘ gent?) a) È = n) = (— 1)" (m+2N)(7 Sal "A rr) genten+1) U 1 ( u ) Pa ( a AirziO(7) F 0 dy” )g3n+1 L'unicità della funzione v che soddisfa alle condizioni stabilite è così di- mostrata, poichè dallo sviluppo della funzione in un punto del campo, noi possiamo coi metodi di prolungamento delle funzioni armoniche dedurne lo sviluppo in un altro qualunque. La «x differisce infatti da una funzione armo- nica unicamente per il termine — 3 H&?, che è nullo, insieme alla sua derivata normale, sull'asse delle y. La funzione (7) per le ipotesi fatte avrà sempre valori nulli all’estremo dell'intervallo, cioè per y=- Lo, Lì. In questi punti è nulla anche la x; perciò la curva rappresentata nel piano yz dall’equazione uigoei0 darà senz'altro l'equazione del profilo del canale a cagione della seconda delle equazioni (6), tutte le volte che la funzione «, in base ai dati super- ficiali, si potrà effettivamente costruire. Ora questa funzione si può sempre costruire colla massima facilità me- diante la funzione (y) e la funzione &(y), quando questa non sia nulla, o non sì voglia supporla tale per tener conto di qualche altro elemento. — 325 — Se w(y) = 0 basterà porre, ricordando la forma dell’integrale generale dell'equazione di Laplace con due variabili, 1 i î I 1 u(y 33) =3PYH+ ia) +53 9(y— i) —3He° 20} en È (1 nta S A = | — w vi I La derivata rispetto a 4 di questa espressione si annulla per 4 = 0. Quando w(y) non sia ovunque nulla basterà aggiungere alla espressione precedente la funzione i ; Mer; l x Y —iuy+i)+i%&y—is) ove Wy)= | vY)dy che sarà pure reale, essendo, come dobbiamo supporre, g(y) e w(7) reali. L'equazione del profilo della sezione sarà quindi in generale 2 (9) gly tia) + gly—ia)— 7 egsna=2u; indicando con vy quella costante, sempre assai piccola che può rappresentare la velocità media di scorrimento del ghiacciaio sul fondo, e che generalmente, come già si disse, può senza errore sensibile supporsi nulla. Se nelle equazioni precedenti che determinano « sostituiamo all’imma- ginario una costante reale 4, e supponiamo che la variabile 2 rappresenti un tempo, esse vengono a coincidere, supponendo H= 0, coll’equazione dif- ferenziale della corda vibrante, e cogli integrali classici di D'Alembert per questa equazione. Le funzioni 4(y),w(y) corrispondono allora a quelle che dànno gli spostamenti e le velocità iniziali dei punti della corda. Questa analogia dà ragione della generalità della soluzione, che abbiamo potuto costruire. Praticamente la funzione g(y) non sarà altro che una espressione di interpolazione fra una serie discreta di valori per la velocità superficiale, in punti determinati dall'asse delle sezioni, nei quali sarà stata determinata la velocità mediante l'osservazione. Essà avrà ad es. la forma g(y) = I Zi(y) vi FiezS] ove 4; sono polinomi interi di grado », determinati dalla formola d’ inter- polazione di Lagrange, w,,%s,... i valori della velocità nei punti di ascissa Y1,1Y23+003Yni cioè Sarà (4 Va) (4 Hi) (Vir (4 — Un) (9) = ; (Vi Yo) ce (Yi — Vir) (Vi — Yisa) << (Yi — Un) — 326 — Si comprende perciò come aumentando il numero dei punti, nei quali si determina la velocità superficiale, si potrà raggiungere tutta l’approssima- zione che si desidera nella rappresentazione della curva che rappresenta tale velocità, e quindi anche di quella che rappresenta il profilo della sezione. In questo caso la funzione « sarà composta del termine + Hz?., e di una funzione lineare di un certo numero di armoniche piane U,, U.,..., di ordine pari rispetto a #, la cui forma generale, come è notissimo, è ue 5 (+22) + 7 (y— 12). La soluzione così trovata del problema della determinazione del profilo della sezione è suscettibile di una generalizzazione, che può avere interesse nei casi in cui la linea libera superficiale sì scosta da una linea retta. Effettivamente, se si osservano le sezioni ottenute dai rilievi, questa linea è generalmente convessa verso l'alto nella regione mediana. Volendo tener conto di questa particolarità, immaginiamo di sostituire alla retta dell'asse delle y, una circonferenza col centro in un punto qualunque, opportunamente scelto del piano yz, e prendiamo un sistema di coordinate polari 0 , 9 col polo in questo punto. La funzione w, considerata come dipendente dalle nuove variabili, sod- disferà all’equazione 13 dU I 0% calato mentre sulla circonferenza superficiale dovrà essere dU 0 —=0 cioè per o=R, d0 se R è il raggio di questa circonferenza, ed inoltre u= Y(0) se (9) è la funzione che dà la velocità superficiale in questo caso. Noi possiamo costruire una funzione v di 0, la quale soddisfa all’equazione ed inoltre sulla circonferenza 0 = R alle condizioni vR)=0 3) lt); de/r Basta porre — ve) = Ae' + Blge +C con J R° H Cae—- 1 se 9 a UR +3 HRR. — 327 — Questa funzione ha lo stesso ufficio della funzione +2*H del caso prece- dente. Se poniamo u= U(0,0) + vio) avremo per U le equazioni ed inoltre _ Per considerazioni ben note avremo allora subito per questa nuova funzione l’espressione È Uto .6)=39(0+i ly SC )+sgfo— ie a ed avremo risoluto 11 problema della determinazione del profilo del fondo in modo analogo al caso precedente, quando la linea superficiale limitante superiormente la sezione del ghiacciaio sia una circonferenza, prendendo come equazione del profilo: U(0, 60) + vo) =0. Questi procedimenti pel rilievo del fondo presuppongono naturalmente, per poter essere praticamente applicati, la conoscenza della costante H ossia del rapporto 09 sen a:u. Le costanti 0,9 possono ritenersi note, l'angolo & si potrà pure dedurre con sufficiente approssimazione dai rilievi della su- perficie del ghiacciaio. L'elemento più incerto è il coefficiente d'attrito w. Il sig. Weinberg (loc. cit.) ne ha tentato una determinazione diretta speri- mentando sul ghiaccio del Hintereisferner-ed una teorica indiretta, approfit- tando dei rilievi fatti sullo stesso ghiacciaio. I risultati ottenuti danno delle } medie concordanti, anzi la loro piccolissima differenza non si può attribuire che ad una accidentalità. Questi valori ad ogni modo sono 3 n Or gr. Ulti cm. Sec. 7 drit a niDi Ban = LIO, cm. sec. Ci occuperemo in seguito della possibilità di calcolare il valore di ui mediante la teoria stessa che abbiamo stabilita, approfittando di alcuni casi, in cui si conosce il rilievo esatto del fondo e la velocità superficiale. È ora interessante di esaminare quale sia la forma analitica ed il significato geo- metrico dei risultati a cui si giunge nei casi più semplici, ammettendo cioè noti soltanto alcuni elementi della velocità superficiale. Naturalmente per un confronto colle misure di profondità, che necessariamente sono fatte ver- ticalmente, si dovrà tener conto che la direzione delle ordinate 4 è inclinata di un angolo « sulla verticale. Matematica. — Su//a teoria degl’integrali semplici di 1° specie appartenenti ad una superficie algebrica. Nota VI del Corrispon- dente FRANCESCO SEVERI. I 12. Quando la curva C, considerata alla fine della Nota V (1), sia una curva qualunque del sistema continuo X cui appartiene C, e non più una curva vicinissima, la somma U relativa a C risulterà perfettamente definita, a partire dalla somma U relativa a C, tutte le volte che, entro £, sia fissato il cammino co! con cui si va da C a C. Invero, i cammini d’ integrazione per andare da P ai punti %,,%2,..., 7, ove C sega un piano y= cost., sì otterranno aggiungendo ai cammini 0,,...,0, quelli descritti dai punti &1, e n di C quando C va dalla posizione iniziale a C, seguendo, entro X, l'assegnato cammino co. Ma l'incremento costante subito da U nel pas- saggio da C a C dipenderà generalmente dal cammino co! scelto entro X. La differenza fra due qualunque di questi incrementi sarà però un periodo di x. Sicchè possiamo dire che: Se C,C son due curve appartenenti su F al medesimo sistema con- tinuo, le somme U,U dei valori assunti dall'integrale (24) nei punti ove C,C segano un piano y= cost., considerate come funzioni del parametro y, differiscono per una costante addittiva e per un periodo di (24). Quando @ sta un'aggiunta d’ordine m-—3, la costante addittivi manca. OssERvaZIONE 1°. — Se g= 0 fosse un'aggiunta d'ordine m — 3 4 / (L= 1), passante con moltiplicita / per la retta impropria dei piani y= cost., si perverrebbe analogamente alla conclusione che U — U ammette in y = 00 un polo d'ordine / — 1, mentre è olomorfa per ogni altro valore di y. Per- tanto U —U sarebbe un polinomio d'ordine 1 —1 in y. OsservazionE 2% — Se le curve C,C staccano sopra una sezione piana A, fissata nel fascio y = cost., due gruppi equivalenti di punti, il valore costante, a meno dei periodi, assunto dalla differenza U 9, an nulla per ogni y, perchè ciò accade in corrispondenza a quella particolare A. Ne deriva che le C, C staccano gruppi equivalenti sopra ogni curva del fascio; e poichè trattasi di curve dello stesso ordine ed il fascio | A| (= cost.) è di grado >0 e privo di curve spezzate, le C,C risultano equivalenti (') Questi Rendiconti, pag. 296, 929 — (Severi, Annali di Mat., 1905). Dunque per constatare che due curve È, C dello stesso sistema continuo son equivalenti, non occorre verificare che esse staccano gruppi equivalenti su tutte le curve di un fascio lineare |A|, di grado >Q0. privo di curve spezzate, bostando per ciò ch'esse stacchino gruppi equivalenti sopra una particolare À. 13. D'ora innanzi indicheremo con g, =0,...,@,=0 quelle g ag- giunte d'ordine m — 2 ad F, passanti per la retta impropria 7 dei piani y = cost., che corrispondono ai g integrali semplici di 18 specie I,.... I, di F. Il loro sistema lineare 7, g,-+--+4,97=0 non possiede alcun valore critico, perchè i g integrali I sono indipendenti sopra ogni sezione piana y = cost. Denoteremo inoltre con g,+,1 = 0, ....gp=0 p— g generiche aggiunte indipendenti d'ordine m — 3 ad F, così che gl'integrali: I, = pete Jo 2) DONARE ql " © pose, (LONTANO Ug+j (ee: Aly Lg POSI IR Pa () pri formeranno un sistema lineare non possedente altri valori critici che y = 00 e i valori critici del sistema lineare Z,@, + --- + 4997 = 0 (n. 6). Allora le somme U,,..., U, fornite dagl’integrali I, ,...,I, nei punti del gruppo (C, A), ove A denoti una prefissata sezione y= cost., in gene- rale varieranno, col variare di C in un sistema continuo, ed assumeranno anzi 009° gruppi di valori, se C fa parte di un sistema continuo completo co- stituito da 00° sistemi lineari distinti (9’ = 9). Invece le somme U;.1,.., Up fornite dagl'integrali wg+1,...,%, rimarranno sempre costanti, comunque varî C entro al proprio sistema continuo. Enuncieremo il risultato sotto la se- guente forma invariantiva: Sulla superficie F sia C una curva variabile in un sistema continuo completo, costituito da o sistemi lineari (qg' = q) ed A una curva irri- ducibile di genere p, atta a definire un fascio lineare di grado > 0. Allora le q somme fornite dagl'integrali semplici di 1% specie di F nei punti del gruppo (C, A), al variare continuo di C, assumono cv? gruppi distinti di valori; mentre le somme fornite dai p—q integrali abeliani di 12 specie indipendenti, individuati su À dal proprio sistema aggiunto |A"|, restano costanti. Quando sia 9' 0), poichè la varietà Vy i cui punti rap- presentano i sistemi lineari del nostro sistema continuo, è ancora, come nel caso g'=9q, una varietà di Picard, dotata soltanto di g' integrali semplici di 1° specie (Severi, questi Rendiconti, 1916, pag. 559), così le 9 somme fornite dagl’'integrali semplici di 1* specie di F, in corrispondenza alla C — 330 — del sistema, riduconsi a g' linearmente indipendenti. Vi sono cioè g — g' in- tegrali di F, che dànno somme costanti nei gruppi (C, A). In tal caso F possiede 9° integrali semplici di 18 specie riducibili, con 29' periodi ridotti (ibidem, pag. 560). 14, Si presenta ora la seguente importante questione: Che cosa si può dire di due curve C,,C,, le quali stacchino sulla curva A, di cui sopra, due gruppi di punti (C,, A) , (Cs, A) nei quali gl'integrali u9+.,- dieno somme congrue rispetto ai 2p periodi di. tali integrali? Occorre anzitutto avvertire che, quando gl'integrali semplici di 1® specie di F sì considerano come integrali abeliani (riducibili) inerenti alla curva A, la congruenza fra le somme dei valori degl'integrali I, ,...,I, nei gruppi (C.. A) , (Cs, A) può considerarsi da due punti di vista: 1) si può richieder che le somme: stesse siano a due a due con- gruenti, assumendosi a moduli delle congruenze i 29 periodi primitivi (ri- dotti) degl'iutegrali I,,..., 1g; l 2) oppure si può richiedere che quelle somme sieno congruenti ri- rispetto ai 2 p periodi primitivi (non ridotti) degli integrali abeliani 1, ,...,1g. Evidentemente il secondo punto di vista è più restrittivo del primo, perchè due quantità che sieno congrue nel senso 2) lo sono anche nel senso 1); ‘ma non, necessariamente, viceversa. Supposto che le g coppie di somme sieno congrue nel senso 1), ho pro- vato altrove (Rendiconti di Palermo, 1906), che, se le C, , C, appartengono ad uno stesso sistema continuo, esiste un intero d tale che le due curve dC, , dC, son equivalenti: d0,= d0,. | Se invece le g suddette coppie di somme son congrue nel senso 2), e le C,,C, appartengono sempre ad uno stesso sistema continuo, siamo ora in grado di affermare che sarà addirittura C, = C,. Infatti, appunto perchè C,.C, appartengono allo stesso sistema continuo, le somme fornite dagli in- tegrali %9+1,., nei gruppi (Ci, A) , (Ce, A) son congrue rispetto ai 2p periodi primitivi di questi integrali (n. 12); e quindi, se è soddisfatta l'ipo- tesi 2), i due gruppi (C, , A} , (C., A), in virtù dell'ordinario teorema d'Abel sulie curve, son equivalenti; donde segue l'equivalenza delle C,, Cs, in forza dell’osserv. 2* del n. 12. Si può pertanto enunciare: Sopra una superficie F_ abbiansi due curve C,,Cs, di uno stesso st- stema continuo, che seghino sopra una terza curva irriducibile A, di ge- nere p, atta a definire un fascio lineare di grado > 0, due gruppi di punti (Ci, A) , (Co, A) nei quali gl'integrali semplici di 1% specie dî F.1,,..,19, dieno somme equali, a meno di multipli interi dei 2q periodi primitivi di I,,...,I,. Esiste allora un intero positivo d tale che le curve dl, dC, son equivalenti. Ma se le somme stesse sono anche eguali a meno di multipli interi dei 2p periodi di I,..1y, considerati come integrali abeliani di A, allora le C,, Cs sono addirittura equivalenti. 3 Up — 331 — OssERVAZIONE. — Poichè 4 è il minimo comune multiplo dei divisori di... dg della varietà picardiana V, annessa ad F (Severi, Rend. di Pa- lermo, 1906), quando questa abbia i divisori eguali ad 1, risulta d = 1, ed allora i due modi 1) e 2) di considerare le congruenze delle solite g somme non sono in realtà diversi. 15. Innanzi di venir a parlare della questione fondamentale sollevata al principio del n. prec., convien richiamare taluni concetti, relativi ai sistemi continui di curve tracciati sulla superficie F, da me posti in precedenti lavori. Un sistema continuo di curve algebriche C su F è sempre contenuto in un sistema algebrico } Cf. Se }C} è irriducibile, come totalità di curve. e non è contenuto in un sistema più ampio di curve dello stesso ordine, esso dicesi completo. Se si considerano i sistemi lineari individuati dalle © di un sistema completo, mentre accade che il generico di tali sistemi sta tutto in }CÌ, può darsi, per qualche particolare posizione, che il sistema |C| esorbiti da }C{. Tuttavia la varietà dei sistemi lineari |C| continua anche in tal caso ad esser irriducibile, prendendone come elementi i sistemi lineari. La s'indica con (C). E anche per una siffatta varietà (C) si può parlare di completezza, quando essa non sia contenuta in una varietà più ampia di si- stemi lineari dello stesso ordine. Due curve C,,C» di F diconsi a/gebricamente equivalenti, e si scrive C, = C., quando i sistemi lineari |C,| , |C.| appartengono ad una medesima varietà completa (C) di sistemi lineari dello stesso ordine; oppure quando sì può determinare una curva D tale che |D- C,|,|D- Cs) appartengano ad una medesima varietà completa (D+ C). Si dimostra che tale defini- zione equivale a ciò: che le C,,C» posson considerarsi come resti di una medesima C, rispetto ad un sistema irriducibile di curve. Si dirà anche in tal caso che la curva virtuale (Severi, Rendiconti Ist. Lombardo, 1905) C, — C. è algedbricamente equivalente «la curva zero: Ci — Ca = 0. Infine si dirà che più curve C,,..., C, sono algedricamente dipendenti secondo i numeri interi 4,,...,; (dei quali alcuni positivi ed altri negativi), quando la curva virtuale 4,0, +. + 2,C, è algebricamente equivalente alla curva zero. Ciò premesso, supponiamo che le due curve C, , (è dello stesso ordine, ma delle quali non sappiamo a priori che appartengono allo stesso sistema continuo, soddisfacciano a questa condizione: che le somme €741, .-.%; C3+1, +, €p fornite dagl’integrali 27+1,...,%» nei punti dei gruppi (C,, A), (C., A) sieno congrue rispetto ai 2p periodi primitivi di questi integrali; e che ciò si veritichi non soltanto per una posizione particolare di A, ma al variare di A nel proprio fascio. Consideriamo dapprima il caso generale in cui una delle curve date, p. es. C,, sia atta a definire un sistema continuo (C.), costituito da 0? sistemi lineari; e sieno c,,..., 64; ASSE Ci i valori delle somme degl’integrali I, ,...,{, mei punti dei gruppi (C,, A) , (Ca, A). RenvIconTI. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 42 pa) — 332 — Al variare di C,, o meglio del sistema lineare |C,| entro (C,), le 1,0, assumono 009 gruppi di valori. incongrui, non soltanto dal punto di vista 1) del n. 14, ma anche dal punto di vista 2), perchè due gruppi di valori di €,,..., €, Congrui rispetto ai 2p periodi non ridotti degl’ inte-” grali abeliani I, ,...,I,, non posson provenire, a cagione del teorema del n. prec., che da curve C, equivalenti fra loro. Vi sarà pertanto in (C,) una curva C, per la quale le dette somme assumeranno, a meno di multipli interi dei suddetti 2p periodi, i valori c1,..., 6). __ Quanto alle somme degl'integrali %,+,....,%, nei punti del gruppo (C,, A) esse saranno congrue a €94), (n. 14) e quindi a 641,4; (9° le congruenze avendo anche qui Juogo rispetto ai 2p periodì di %,41 , ... 3 %p- Ciò significa che sulla A i due gruppi (C, , A) ; (Ca, A) son equivalenti fra loro e quindi che lo sono pure le curve C, , Cs, le quali staccano gruppi equivalenti sopra ogni curva A. Ricordando che (C,) è individuato da uno qualunque |C,| oppure |C;| dei suoi sistemi lineari, appunto perchè consta di co? sistemi lineari distinti (Severi, questi Rend., 1916, pag. 561), ne con- segue che C, appartiene a (C,), cioè che C, = C.. Consideriamo adesso il caso eccezionale in cui nè (,, nè C, stanno in sistemi continui di 00? sistemi lineari. Assumiamo allora un sistema (D), formato da 00° sistemi lineari, e, fissata una curva D di questo sistema, con- sideriamo le curve D+, , D-- C., ciascuna delle quali individua un si- stema (D+ C,) , (D+ (»), formato da 00° sistemi lineari distinti. Le DC, , D+: verifican le ipotesi cui prima soddisfacevano le C,, Ca, e si può pertanto affermare che i due sistemi (D 4 C,) , (D+ C.) coinci- dono e quindi, anche in tal caso, (‘, = C,. Riassumendo possiamo enunciare: La condizione necessaria e sufficiente affinchè due curve C,,Cs dello stesso ordine, tracciute sulla superficie F, siano algebricamente equiva- lenti, è che i p— q integrali abeliani di 1° specie individuati sopra una curva irriducibile A, di genere p, variubile in un fuscio lineare di grado > 0, privo di curve speszute, dal proprio sistema aggiunto |A"|, dieno somme congrue nei gruppî (Ci, A) , (Ca, A). Osservazione. — I p— gq integrali ug9+: ,... , % formano sulla curva A un sistema regolare d'integrali abeliani di 1° specie riducibili, avente 2(p — 9) periodi ridotti, il quale è complementare del sistema regolare di q integrali riducibili staccato su A dagl’integrali di 12 specie di F. Si possono perciò considerare anche qui le congruenze delle somme for- nite dagl'integrali w9+1,.-,%,, nei gruppi (C, , A), (Co, A), dai due punti di vista indicati nel n. 14. E cioè si può porre o la condizione che le dette somme sieno congrue rispetto ai 2p periodi non ridotti o che lo sieno rispetto ai 2(p — q) periodi primitivi ridotti. Nel primo caso si cade nell'ipotesi del teo- rema ultimamente dimostrato; nel secondo si potrà determinare un intero 4 tale che i multipli secondo 4 delle somme suddette sieno congrui rispetto ai 2p periodi non ridotti. Ne seguirà la equivalenza algebrica delle due curve 2C,,4Cs. Pale:ntologia. — St/icospongie fossili della Liguria occi- dentale. Nota del Socio CARLO DE STEFANI. VANE GRUPPO DELLA CROCETTA. Raggruppo in più brevi descrizioni i cenni di varie località vicinissime fra loro, calcaree e silicee, contenenti residui di una o al più due specie di Meractinellide, probabilmente una appartenente alle Mexasterosa, l'altra alle Liehniscosa, se pur la differenza dell’avere o no Lychnische non dipende dal semplice modo di conservazione. Gli uni strati e gli altri stanno nella parte media delia formazione che attribuisco all'Eocene superiore, entro il sinclinale compresso e rovesciato fra l’anticlinale regolare di Granito del Sansobbia e quello localmente rovesciato e spostato del Granito di Sella Quegli strati alternano regolarmente con lenti di Serpentino, di Diabase. di Gabbro e di tufi e con sottili calcari più puri diventati parzialmente mar- morei che Rovereto attribuì al Trias superiore. In quella zona, a Montenotte Superiore, Rovereto e Parona trovarono e descrissero Radiolarie nei Diaspri ritenuti prima Permiani, poi Giuresi; questo ritrovamento indusse me a fare per quei luoghi minuziosa ricerca di altri eventuali fossili. Palazzo Doria. A Lychniscosa appartiene una specie trovata nella precedente zona, sotto Palazzo Doria, in un Calcare siliceo-quarzoso, frammentizio, simile a quello che nell'Appennino toscano chiamano Calcare screziato. Gli straterelli sono separati da veli di Sericite, raramente Clorite. Al polariscopio si scor- gono appunto Calcite predominante, Opale, Quarzo, Sericite, Clorite, Apatite, Rutilo, Magnetite, Pirite, Limonite, rarissimi frammentini di Feldspato, oltre a particelle carboniose. Vene di Calcite in grossi cristalli traversano la roccia. Il reticolato dietyonale è visibile già all'esterno, come pure dopo leggera acidulazione e nelle sezioni, tanto nella parte calcitica, quanto in quella ‘silicea. Particelle carboniose che, come in tutti i casi precedenti, ritengo con Heckel residuo della parte organica, rivestono ordinariamente le parti quar- zose del reticolo. ma in particelle isolate sì trovano pure entro i cristallini del Quarzo, che perciò si potrebbe dire affumicato. La parte carboniosa è quasi sempre accompagnata da quella limonitica. Salle superfici lustrate e pulimentate il Quarzo bianco apparisce in i CAIO AEOA mezzo al Calcare più scuro come arabeschi o caratteri ebraici, ma attenta- mente osservato lascia trasparire l’ intreccio. Osservando all'ingrosso le sezioni più sottili non acidulate si vedono macchie circolari di Quarzo alquanto più scure in esteso ambiente calcitico, - piccole macchie nere carboniose e pezze giallastre per Limonite e Clorite. Soggettando agli acidi una superficie spianata, rimane abbondante il re- ticolo più srossolano convertito in moltissima parte nei soliti cristallini e fioriture già descritti di Quarzo, che liberato dai suoi rivestimenti è limpido e ialino, perciò purissimo, con inclusioni acquee e carboniose, fioriture le quali lasciano appena sospettare l'intreccio. Questo vi è perciò poco distinto e lascia trasparire al più le direzioni dei Canali acquiferi normali alla stratificazione. In alcuni tratti, come alla Crocetta, il Quarzo apparisce invece in punti bianchi nella parte centrale delle maglie convertite in Calcite. Quando la dissoluzione dei frammenti è completa rimangono cristallini di Quarzo ed un tenuissimo residuo carbonioso e d'idrossido di ferro che sta a lungo sospeso nel liquido. L'intreccio si conservò meglio in alcune delle parti piritose e limoni- tiche ed in quelle carboniose: a volte invece la Limonite occupa la parte centrale delle maglie silicee e calcitiche. Limonite pseudomorfa o a dirit- tura Pirite intatta occupano talora il tubo dei Canali maggiori. Esso intreccio, diretto in senso longitudinale, radiale e circolare, è più regolare in certi tratti, forse dalla parte esterna, ma nell'insieme è molto irregolare, prevalentemente quadrato o parallelogrammo, ma pur poligonale e triangolare per riduzione di uno dei bracci delle Yexactiniae. È relati vamente più rado, cioè a maglie meno minute che altrove, e come negli esemplari di Campo Ligure. L'intreccio maggiore è fornito di Lychnische visi- bili anche a traverso il velo della Sericite la quale sembrerebbe talora avere sostituito il calcare: il canale assile è spesso visibile. Nell'interno delle maglie maggiori è talora l'intreccio microsclerico visibile specialmente dove domina la parte limonitica. Si nota qualche piastrella con maglie rotonde formate dalla espansione delle Spicole, dermale o basidictionale. Piccole ostia di Epirhize in serie parallele trasversalmente allungate o leggermente oblique sulla costa degli strati stanno entro un intreccio hexacti- nico formato a losanga; 0s/7a puntiformi, circolari probabilmente di Aporhize sono a forma di tubi con tessuto periferico radiale. Fra i parenchimali si possono indicare Heractiniae isolate, talune fram- mentizie forse Pentactiniae dermali, Tetractiniae, non Scopulae 0 Clavulae. Fra le famiglie degli Spongiari fossili, parecchie non presentarono finora i Parenchimali fossili e sono rimaste dncertae sedis. La nostra specie po- trebbe appartenere alle Znermia o forse alle Uncinataria. Per la forma assai irregolare relativamente poco fitta dell'intreccio, e per le espansioni di .varie Spicole, somiglierebbe alle Zeptophragmidae della Creta le quali sono Hewasterosa inermia. Bensì per le Lychnische, per i canali contigui con — 839 — periferia radiata si ravvicinerebbe alle famiglie di Zychniscosa, Lyringium e Ventriculites Cretaceo. Fra gli esemplari descritti vi sarebbe affinità con quelli di San Mar- tino, che sono più antichi; ma questi hanno le Lychnische, a quanto pare, . spinose, e le Aporhize. sebbene piccole, pur di dimensioni maggiori. Sono inclusi isolati Amphis[rongyli monasonici e qualche sigma di Rhizomorina. Talora compaiono pure Rbabdacloni isolati di Megarhizidae visibili anche sulle superfici semplicemente spianate; sono lisci, monocrepidi, con canale assile, di non piccole dimensioni, più o meno incurvati, con scarse ramificazioni non uniformi, liscie, per lo più brevi e con zygosi semplicissimi, sciolti fra loro. Le Megarhizidae sono solo del Giura e della Creta, non viventi. Dal punto di vista del metamorfismo delle rocce locali è meritevole di nota la permanenza delle particelle carboniose, ritenute residuo della parte organica, perchè i metamorfismi ebbero luogo a profondità lungi dal con- tatto dell’aria. Verso Rio Gea. Al bivio sotto Palazzo Doria verso il Rio Gea nella zona degli schisti plumbei è uno schisto or quarzoso più chiaro or ferruginoso più scuro, di solito bene stratificato; ma in certi punti, soggetto a spostamenti, è diven- tato una specie di Galestro verdognolo con noccioletti di Quarzo. Contiene inoltre Sericite, rara Clorite, Pirite. Limonite, Rutilo, non Calcite. Contiene tracce di /Mexasterosa frammentizia, vicina o identica a quella della Cro- cetta, nel Quarzo. ma specialmente nella parte ferruginosa, non nello schisto. L'intreccio è regolare, con almeno 3 ordini di Mexaetinine a maglie quadrate o parallelogramme, o rotondeggianti per espansione delle Spicole alle zygosi. Le Macrosclere sono più irregolari e frammentizie senza Lychnische. Epirhyze puntiformi contornate da giri d’intreccio a losanga, Aporhize grandi, in serie talora in mezzo ad intreccio radiale di reticolo molto sottile, oppure conformato a stella di molti raggi vuota verso i canali, con le punte dirette all’esterno. Parallelamente alle superfici appaiono sezioni di canali cechi, talora occupati da Pirite. Oltre Meractiniae isolate notansi qualche Diactinia è Pentactinia. Potrebbe darsi che le Macrosclere mai spinose e la forma dell'intreccio raggiato intorno alle Aporhize distinguano questa Mexasterosa da quella della Crocetta. Ì Apparisce pure qualche incerta traccia di Ahizomorina. Se non è per qualche piccola differenza nell’intreccio circostante alle Aporhize, ritengo si tratti della medesima Hexasterosa della Crocetta. Nella compagine sono rari Rabdi di Rhisomorinae e Tetraroni di Te- tractinellidae, — 336 — Fisiologia. — L’Anofele può propagare la malaria anche direttamente? Nota II del Socio B. Grassi. Del quesito, se l’Anofele può propagare la malaria direttamente, da me messo innanzi nella seduta del 2 gennaio 1921, come avevo promesso, ho tentato la soluzione con esperimenti diretti. Finora ne ho fatti tre, che qui brevemente riassumo: I Esperimento. — Il 10 febbraio 1921 alle ore 16 ‘/, in una camera dell'Ospedale di S. Spirito riscaldata a 26°-27° C. un Anofele punse un ma- lato non chinizzato, nel cui sangue abbondavano i parassiti della quartana per lo più ancora piccoli. Quando era presso a poco a metà del pasto, fu distaccato via e portato subito dietro l'orecchio dello studente B. F. non mai stato malarico. Si attaccò immediatamente ed ha ripreso a succhiare: rim- pinzatosi, ha emessa la gocciolina rossa dall'ano e si è staccato. II Esperimento. — Il 12 febbraio nello stesso ambiente riscaldato si è ripetuto l'esperimento, servendosi di un altro individuo, del pari non chi- nizzato, che presentava nel sangue piuttosto numerosi i giovani parassiti estivo-autunnali. L'esperimento è stato fatto dalle ore 17 alle ore 18. Due Anofeli, che, dopo di essersi riempiti circa a metà sul collo di questo ma- larico, artificialmente ne erano stati distaccati, furono applicati al collo della signora M. G. non mai stata malarica: da prima si rifiutavano di attaccarsi, ma dopo un riposo di circa 10 minuti, uno cominciò a succhiare e si riempì fino a emettere la gocciolina rossa; lo stesso fece l'altro, dopo un riposo di circa 25 minuti. i III Esperimento. — Il 14 febbraio l'esperimento si è ripetuto nelle stesse condizioni, soltanto la temperatura dell'ambiente era un po' più bassa (18°C.). Questa volta si prestò per l'esperimento il dott. G. F. non mai stato malarico; si usarono tre Anofeli: tutti e tre si attaccarono e si riat- taccarono come nei precedenti esperimenti, questa volta senza alcuna diffi- coltà. Di questi tre Anofeli due erano magri e vuoti, il terzo magro e gonfio. I primi due una volta riempitisi fecero la gocciolina rossa prima di stac- carsi dal dott. G. F.; quello gonfio prima di staccarsene, fece 3 goccioline ineolori. Gli Anofeli, di cui mi sono servito per i suddetti esperimenti, furono il giorno dopo esaminati e tutti si riscontrarono senza sporozoiti nelle ghian- dole salivari. Si può esser sicuri che in tutti e tre questi esperimenti gli Anofeli, ‘ prima di pungere la persona sana, avevano succhiato numerosi parassiti in — 337 — ambiente a temperatura abbastanza elevata. È perciò lecito di presumere ‘ che se fosse stata possibile l'inoculazione diretta, essa si sarebbe verificata; invece essa è mancata, e infatti tutti e tre gli individui sottoposti all'espe- rimento restarono indenni da malaria. Io mi propongo di ritentare la prova nella stagione estiva; intanto però mi lusingo che il mio sospetto che la malaria possa propagarsi anche diret- tamente sia infondato. Ringrazio il prof. A. Nazari di avere messa a mia disposizione la sua sala a S. Spirito per gli esperimenti qui sopra riferiti. Fisiologia. — Contributi alla fisiologia generale dei nervi e deî centri nervosi. Memoria del Socio ARISTIDE STEFANI. Questo lavoro sarà pubblicato nei volumi delle Memorze. Chimica. — Sul meccanismo di azione di certi acceleranti della vulcanizzazione della gomma elastica (*). Nota del Corrisp. G. BrunI e di E. Romani. Sulla singolare azione accelerante che certe sostanze inorganiche ed orga- niche esercitano sulla vulcanizzazione della gomma molto sì è scritto, spe- cialmente negli ultimi due o tre anni. La prima idea fu che tale azione fosse dovuta al carattere basico delle sostanze impiegate. Infatti le sostanze inorganiche che hanno azione accelerante sono ossidi od idrossidi basici (calce, magnesia, litargirio, soda o potassa caustica). Anche le prime sostanze usate a tale scopo sono ammine o derivati di ammine. Anzi dalla Casa Bayer fu brevettato l’impiego di tutte le basi aventi una costante di dissociazione superiore a 1 X 107 (2). Fu però in seguito provato che la energia delle basi non ha nessuna influenza sulla loro azione accelerante ed anzi che anche sostanze di carat- tere non basico possono funzionare come acceleranti. Così il sig. Peachey ha dimostrato che i nitrosoderivati aromatici sono acceleranti energici (*), anche quando non contengono radicali basici (nitrosofenolo, nitrosobenzolo) (4). (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di ricerche chimiche e chimico-fisiche della Società Italiana Pirelli, diretto dal prof. G. Bruni. (2) D. R. P. 280.198 (1914); Brit. Pat. 12.661 (1914). (3) Journ. Soc. Chem. Ind. 26, 321, 424, 950 (1917); Brit. Pat. 101.819 (1917). (*) Brit. Pat. 146 734 (1920). — 338 — A questi corpi si debbono aggiungere gli alchilxantogenati di zinco che sono fra i più potenti acceleranti, come fu notato da Ostromisslenski (*), la cui osservazione sembra essere rimasta sconosciuta a tutti od almeno non è citata in nessuna pubblicazione posteriore. Riassumendo gli acceleranti finora conosciuti possono essere divisi in tre categorie: 1) sostanze basiche inorganiche od organiche; 2) nitrosoderivati aromatici; i 3) sostanze solforate derivanti dalla tiourea o contenenti gli aggrup- pamenti se hd oppure 2.4 : In questa ultima categoria rientrano i ditiocarbammati sostituiti. I ditio- carbammati di basi organiche, specialmente secondarie, come dimetilammina e piperidina, furono brevettati dalla Casa Bayer (2), e da essa introdotti in commercio. Nel brevetto Bayer però questi composti si considerano solo come una combinazione per introdurre nella miscela una base liquida e volatile sotto una forma solida e non volatile, come è detto nel testo del brevetto medesimo; si ritiene quindi che essi nella vulcanizzazione liberino la base e che sia questa che agisce. Che questo modo di concepire la loro funzione sia errato fu dimostrato da noi colla scoperta che l'attività di tali acceleranti è di gran lunga aumen- tata se ai ditiocarbammati delle basi amminiche si sostituiscono i ditiocar- bammati di certi metalli e specialmente di zinco. Che in tali composti la parte attiva della molecola non sia quella basica, ma quella solforata, ri- sulta fra altro dalla ' perfetta analogia di costituzione fra questi sali e i xantogenati di zinco trovati da Ostromisslenski: NR, OR cLg8 Zu ES 28 Cfr SEZ Fu perciò da uno di noi (Bruni) brevettato l’uso degli alchilditiocar- bammati metallici come acceleranti (*). Come acceleranti di maggiore o minore potenza possono poi funzionare derivati di sostituzione della tiourea, p. es. la monofenil- e la difeniltiourea od altri. Anche la loro azione è però grandemente aumentata dalla presenza di ossido di zinco. (1) Giorn. Soc. Fis. Chim. Rnssa (1917). (2) D. R. P.. 266.619 (I 269.512 (1913); Brit. Pat. 11.615 (1913). (3) Brev. Ital., nn. 173.022 © 172.864 (15 e 19 marzo 1919). — 339 — Resta ora da vedere quale sia il comportamento di tali composti nella mescolanza di gomma e zolfo durante la vulcanizzazione. Che essi siano dei catalizzatori nel senso stretto della parola, come è stato supposto da taluni, deve a nostro parere ritenersi escluso, essendo certo, per quanto diremo dopo, che essi subiscono modificazioni chimiche e non escono inalterati dal pro- cesso. Il sig. A. Dubosc ha esposto una sua teoria (*), secondo la quale l'agente principale della accelerazione sarebbe l'acido solfocianico che si formerebbe da tutti questi composti. Questa ipotesi non può venir ammessa in linea generale, per ciò che diremo dopo ed anzitutto perchè anche composti non azotati come gli xantogenati sono acceleranti potenti; ma vedremo che deri- vati dell'acido isosolfocianico (senfoli) esercitano realmente una funzione pre- ponderante in alcuni casi assai importanti. La supposizione più frequentemente emessa, e che a prima vista sembra più plausibile, è che gli acceleranti siano sostanze capaci di formare poli- solfuri collo zolfo aggiunto per la vulcanizzazione e che questi polisolfuri possano cedere lo zolfo ed alternativamente riprenderlo e così via. Questa ipotesi fu avanzata in forme diverse da Ostromisslenski (*), Kratz, Flower e Coolidge (3), e da Scott e Bedford (*). Ostromisslenski suppone che le ammine formino collo zolfo dei trisol- furi o tioozonuri secondo l'equazione: 2R_—NH,+4S=R—NH-S-S_-ST_-NH—R- H.$. Questa formazione è puramente ipotetica, non essendo dimostrata nè la formazione dell'idrogeno solforato, nè quella dei tioozonuri. Kratz, Flower e Coolidge attribuiscono l’azione delle ammine alla for- mazione di composti: R— NH» S che potrebbero cedere lo zolfo alla gomma e ricostituirsi alternativamente. Anche tali composti sono puramente ipotetici. Gli unici composti che avreb- bero qualche analogia con questi sarebbero gli ossidi delle ammine terziarie grasso-aromatiche An DE: (>), 10) (3) The India-Rubber World, 59, 248 (1919). (*) Giorn. Soc. Fis. Chim. Russa, 47, 1892 (1915). (3) Journ. Ind. Eng. Chem., 12, 317 (1920). (4) Journ. Ind. Eng. Chem. 72, 31 (1920); The Rubber Age, 10 marzo 1921, (5) È vero che, come mi fa osservare il prof. Angeli, alcune reazioni della fenil- RENDICONTI, 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 43 — 5340 — Assai più plausibile è la supposizione di Scott e Bedford, secondo i quali le ammine darebbero dei polisolfuri di ammonii sostituiti del tipo so- lito, i quali potrebbero alternativamente distruggersi e ricomporsi. La parte più importante dell'ultimo lavoro di Scott e Bedford consiste nella distin- zione da essi fatta degli acceleranti in due categorie corrispondenti a quelle indicate da noi sopra in 1) e 83). Essi cioè distinguono: « 1) acceleranti-polisolfuri del gruppo H3S. A questi appartengono le basi che formano polisolfuri simili al solfuro giallo d’ammonio; « 2) acceleranti-polisolfuri del gruppo =C — S— H, come le tiouree, ditiocarbammati, tiourami, mercaptani o i disolfuri che si possono formare da essi per ossidazione o reazione con zolfo ». Tale distinzione è perfettamente conforme ai fatti. È solo nella seconda categoria che sì trovano gli acceleranti di massima potenza che potremo chiamare uliraacceleranti, capaci p. es. di dare vulcanizzazioni a tempera- tura ordinaria. Ad essi sono da aggiungere gli alchilrantogenati ed altri corpi di cui parleremo in seguito. Fra i corpi di questo tipo Scott e Bedford citano i tiourami ed i loro disolfuri. In una Nota precedente (!) è stato dimostrato che uno di noi aveva scoperto le proprietà acceleranti di questi corpi in modo affatto indipendente dai chimici americani. Le osservazioni e considerazioni esposte in quella Nota sono anzi assai più complete del brevissimo accenno di Scott e Bedford e soprattutto met- tono in rilievo un fatto fondamentale, rimasto loro ignoto, o da essi trascu- rato, e cioè che i disolfuri degli alchil- o aril-tiourami non solo accelerano la vulcanizzazione, ma sono capaci di vulcanizzare senza zolfo estraneo, ciò che non fanno nè le tiouree, nè i ditiocarbammati, nè i xantogenati. Finora la formazione di tali disolfuri era stata ammessa per spiegare la vulcanizzazione. Qui si dà per la prima volta la dimostrazione diretta e sperimentale che questi disolfuri sono effettivamente capaci di vulcanizzare la gomma cedendo il loro zolfo. Essi sono autoacceleranti. Rammentiamo che i disolfuri di tiourami sostituiti si formano dai ditiocar- bammati per ossidazione; p. es. dai ditiocarbammati di ammine per azione di iodio o di cloro con liberazione dell'ammina salificata sotto forma di iodidrato o di cloridrato (°). Ma essi possono formarsi altresì per ossidazione dei ditio- idrossilammina conducono ad ammettere che essa si comporti nella forma tautomera come l’ossido di anilina, ma è certo che le ammine primarie e secondarie hanno minore ten- denza delle terziarie a dare derivati di questo genere, mentre appunto fra esse si trovano gli acceleranti più energici. G. B. (') E. Romani, questi Rendiconti, pag. 283. (2) Grodzki, Ber. /4, 2756 (1881); ved. Braun, Ber. 35, 817 (1902), 36, 2259 (1903). — 341 — carbammati metallici o per azione su di essi di zolfo libero: NR: NR: CSS iZo-- S= ZnS+]| Ces L Sd Sa Questo è appunto il modo nel quale si comportano nella mescolanza gomma zolfo gli alchil-e aril-ditiocarbammati di zinco e la ragione per la quale essi accelerano la vulcanizzazione in modo così eminente. Anche gli alchilrantogenati di zinco possono per le medesime ragioni agire come ultraacceleranti, poichè anch'essi per ossidazione dànno facilmente dei disolfuri (I) perfettamente analogi a quelli dei tiourami (Il), i cosidetti dixantogeni ('): NR: -0R CS Ja S I S, II Sa Id Ce \NR. \OR Da ciò risulta il perfetto parallelismo nell'azione delle due serie di composti. Il comportamento dei xantogenati è interessante perchè anzitutto di- mostra che l'azoto non è affatto necessario, e nemmeno sostanziale, nel pro- cesso di accelerazione. come invece gli autori prima citati hanno ritenuto, e conferma quanto si è detto prima circa la non necessità del carattere basico degli acceleranti. | Noi abbiamo poi dimostrato in modo preciso che anche l'azione degli acceleranti derivati della tiourea, o che con zolfo possono dar luogo a tiouree sostituite, è basato su un meccanismo perfettamente analogo. Come uno di noi (Romani) dimostrerà più diffusamente in un lavoro di prossima pubblicazione, riscaldando zolfo con monofenil- e con difeniltiourea in tubi chiusi a 260° si ottiene il mercaptobenzotiazolo ZEN N37 ottenuto per la prima volta da A. W. Hofmann (*). Questa sostanza era poi stata preparata da Jacobson e Frankenbaker(*), facendo agire in tubi chiusi lo zolfo sul fenilsenfolo: CeH, C — SH N CH:—N=0=S + $ = Gill K DOSE. (1) Dessins, Ann. chim. (3), 20, 498 (1847); Debus, Lieb. Ann., 72, 4 (1849); Schall, Chem. Centr., 1896, I, 588. (*) Ber. 24, 1400 (1891). (3) Ber. 20. 1789 (1887). —-34o2e Evidentemente le reazioni da noi realizzate hanno luogo appunto perchè in un primo tempo si forma come prodotto intermediario il fenilsenfolo: NH CHHE S=C=N—C;H; NH (036 Sael=N—C;Hy Ces “2 TO 5 CES i — + \NH, NH; \NH . Calls CHE . NH, e il senfolo reagisce poi collo zolfo formando il mercaptotiazolo. Questa sostanza, che è un solido cristallino leggermente colorato in giallo fondente a 179°, non ha da sola un potere accelerante marcato, ma in presenza di ossido di zinco è invece un ultraaccelerante di potenza parà- gonabile ai xantogenati e ditiocarbammati di zinco. Ora è ben noto che per ossidazione del mercaptobenzotiazolo (Hofmann, Jacobson e Frankenbaker) si ottiene il relativo disolfuro : 1l disolfuro appena formato agisce a sua volta come tutti gli altri corpi del genere prima menzionati. i Noi abbiamo anche operato partendo dalla p.tolil-, dalla -naftil- e dalla pp.fenilen-tiourea ed abbiamo ottenuto per azione dello zolfo i mercaptotiazoli corrispondenti, di cui il primo e l’ultimo erano sconosciuti; essi sono dotati di analogo potere accelerante, per quanto un po' inferiore. Questi composti si ottengono anche per riscaldamento dello zolfo con sostanze azotate aromatiche di costituzione svariate, attraverso a reazioni più o meno complicate. Per es. Rassow e Dohle (!) hanno ottenuto il mer- captobenzotiazolo, assieme a molte altre sostanze per riscaldamento della dimetilanilina con zolfo. Noi alla nostra volta abbiamo trovato che esso sì forma con buon rendimento per azione dello zolfo sulla metilenanilina (ani- droformaldeidanilina). È certo quindi che anche il potere accelerante di questa sostanza è dovuto alla medesima successione di reazioni. L'azione accelerante di questi mercaptotiazoli, che hanno proprietà acide spiccate, interviene solo in presenza di ossidi metallici ed è dovuta, come nel caso degli xantogenati e ditiocarbammati, ai relativi sali, p. es. a quelli di zinco, È interessante che in questo caso, contrariamente a quanto accade per gli xantogenati e ditiocarbammati, anche i sali di altri metalli, come cadmio, piombo e mercurio, sono assai attivi. Anche le tiouree trisostituite possono dar luogo a formazione di senfoli e quindi agiscono come acceleranti nello stesso modo. Per esempio: 7/NH . Ar S=C=N—-Ar CES _ -- : N\NR, NHR, (1) Journ. t. prakt. ch. (2), 93, 183 (1916). — 343 — Invece le tiouree tetrasostituite, che non possono dare questa reazione, sono del tutto inattive, come noi abbiamo dimostrato sperimentalmente. Il fatto che le proprietà acceleranti di certe sostanze azotate aroma- tiche non siano dovute ad un’azione primaria della sostanza stessa, ma 2 quelle di un prodotto intermedio formato per reazione fra la medesima e lo zolfo aggiunto per la vulcanizzazione è stato intravveduto da diversi speri- mentatori. Così Peachey ha brevettato (1) l’impiego di una sostanza, o di un miscuglio che si ottiene fondendo la p.nitrosodimetilanilina con zolfo. Più tardi la Goodyear Tire and Rubber C°. ha ®revettato l’uso di so- stanze o miscele che si ottengono fondendo con zolfo diverse sostanze azo- tate aromatiche come metilenanilina. feniltiouree, trifenilguanidina e simili (*). Nel testo del brevetto è detto appunto che anche quando dette sostanze vengono aggiunte inalterate alla mescolanza gomma-zolfo, esse non agiscono come tali, ma debbono prima reagire con zolfo per formare corpi che sono i veri acceleranti. Nessuno di questi sperimentatori ha però isolato e descritto prodotti ben definiti da queste reazioni, e nemmeno spiega di qual natura essi do- vrebbero essere. Ora è chiaro che tutte queste sostanze dànno luogo con zolfo, attraverso a reazioni più o meno complicate, analoghe a quelle di Rassow e Dohle, prima ad una tiourea sostituita, la quale dà poi le trasformazioni da noi descritte. Un altro punto su cui gli autori precedenti non sono chiari è sull'azione dell’ossido di zinco sulla vulcanizzazione. Per quanto sia noto a tutti che un'azione energica degli acceleranti organici si ha solo in presenza dì certi ossidi metallici, e principalmente di ossido di zinco, non si dà a questo fatto la dovuta importanza. Secondo Scott e Bedford la funzione dell’ossido di zinco consisterebbe semplicemente nel facilitare la scissione dei polisolfuri in zolfo colloidale ed ammine. . Da quanto noi abbiamo sopra detto, risulta invece che si tratta in prima linea della formazione dei sali di zinco degli acidi solforati descritti, i quali per azione dello zolfo libero perdono lo zinco sotto forma di solfuro e dànno luogo ai disolfuri organici che sono i veri acceleranti. La superio- rità dell'ossido di zinco sugli altri ossidi metallici consiste evidentemente nelle diverse condizioni di stabilità e scomposizione dei relativi sali e solfuri. Noi abbiamo così potuto riunire per i primi in uno schema compren- sivo, razionale e sperimentalmente dimostrato l'azione accelerante di varie categorie importanti di sostanze solforate e non solforate organiche. Le so- stanze attive sono: dixantogeni, disolfuri di tiourami, disolfuri di tiazoli. Tutte queste sostanze sono state isolate allo stato di purezza e la loro effi- (!) Brit. Pat., 113.570 (1917). (3) Brit. Pat. 130.857 (1919). — 344 — cacia è stata direttamente provata. Non intendiamo naturalmente di esclu- dere che oltre a queste altri tipi di disolfuri attivi possano esistere. Scott e Bedford ricordano che secondo .J. Bloch (') i persolfuri d’ idro- geno possono vulcanizzare a freddo le soluzioni di gomma. Noi dobbiamo però dire che abbiamo tentato ripetutamente di riprodurre questa reazione in diverse condizioni, ma non vi siamo riusciti. y Dallo schema da noi tracciato resta fuori l’azione accelerante dei ni- trosoderivati aromatici. Per la nitrosodimetilanilina ed omologhi si può ammet- tere la formazione delebenzotiazolo, analogamente a quanto hanno osservato Rassow e Dohle per la dimetilanilina, ma nulla di simile può dirsi per composti come il nitrosobenzolo ed il nitrosofenolo. per i quali bisogna pro- babilmente ricorrere all'azione dei nitrosogruppi sui doppi legami, scoperta da A. Angeli (?) appunto a proposito dell’azione del nitrosobenzolo sulla gomma. Questa pubblicazione sembra esser rimasta sconosciuta a Peachey. MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sur /es fonetions permutables. Nota di Jo- sePH PhRÈS, presentata dal Socio V. VOLTERRA (°). 1. Les transformations £ de notre Noto précédente (*) jouissent des propriétés suivantes: 1°. Elles font correspondre, à toute fonction 4(y — ), une fone- tion G(x,y). 2°, Elles sont linéaires en 4 (distributives et continues). 3°. Elles conservent la composition. J'ai déjà indiqué que l’on peut remplacer la condition 3° par la sui- vante: si F(x,y) est la transformée de 1, P" est la transformée de Δ (n entier) (5). Nous reviendrons sur les transformations jouissant de ces propriétés; bornons nous à indiquer ici qu'il ne peut en exister plus d'une telle que, » par eremple, £(1) ait une valeur assignée F. Dans ce cas, en effet, 1" anra pour transformée F” (d’après 3°); la valeur de la transformée de 4 en ré- (3) CO TTRASE: (2) Questi Rendiconti. (?) Presentata nella seduta del 16 gennaio 1921. (4) Rend. R. Acc. Lincei, fasc. 10, pag. 818. Lorsque nous aurons à citer cette Note dans la suite, nous la désignerons par [A]. (?) Bull. Soc. Math. de France, 1919. — 345 — sulte immédiatement si Z est un polynome, puis sì Z est continue quelconqus (d’après 2°) (1). Parmi ies transformations jouissant de ces propriétés, on doit citer, è coté de celles déjà examinées, celles qu'a définies M. Volterra et qui lui servent dans la réduction d'une fonetion è la forme canonique (*). Signalons aussi une généralisation: on peut dans 1°, remplacer l’en- semble des fonctions 4 permutables avec l’unité par un autre groupe de fonctions permutables; en d'autres termes envisager des transformations ayant les propriétés 2° et 3° et faisant passer d’un groupe de fonctions permu- tables à un autre. Le passage è ce cas plus général est particulièrement simple pour les transformations mises sous la forme (4) de ma Note [A]. 2. Reprenons une £ du type considéré dans [A]. Elle peut se mettre sous la forme (1) Ge, y)= (+ mi(1°+%), m et n étant deux noyaux associés de Volterra, c'est-à-dire vérifiant (2) “(do 4 vm) (1-4) =(1°+ 2) (12-+-m)= 0. ® Cette transformation fait correspondre, au groupe U du cycle fermé, un groupe C de fonctions permutables constituant, comme on le voit sans peine, l'ensemble de /ow/es les fonetions permutables avec une quelconque d’entre elles. La transformation peut étre dite régulière si £(1) est une fonction régulière (3). Parmi les transformations précédentes, il convient de signaler celles, que nous nommerons ©, qui transforment le groupe U en lui-méme; elles sont toutes régulières (4). Il est clair que en général, deux transformations (1) différentes peuvent conduire au méme groupe C: pour obtenir, à partir de l’une d'elles, toutes les £ qui conduisent au groupe C, il suffit d’y effectuer, sur Z, toutes (1) La condition d’existence d'une transformation de ce genre [jouissant des pro- prictés 1° è 5° et telle que £(1) = F] peut étre mise sous la forme suivante: si le po- è » * iynome agl+a,;1° +... + an1* est inférieur en module è e, le polynome de compo- sition ag È + 4, pe alal Pr, qui doit lui correspondre dans la transformation, est inférieur à Ke. (2) Cf. Volterra, Sulla teoria delle potenze, dei logaritmi, delle funzioni di compo- sizione (Atti Lincei, 1916, n. 7). (3) PZ, existe. Ce cas à déjà été caractérisé ([A], n.08 8, 4, 6). (*) En effet. dans ce cas, le noyau ®(£: 7, y) ef. [A], équation (1)) ne doit dé- pendre que de É et y-—- 2; l'équation qui exprime qu'il conserve la composition se sim- plifie alors, on véritie que la formule (2) de [A] (où l’on prend / fonction de la seule variable y — 7) en donne la solution générale. — 346 — les w. Ces diverses transformations sont en méme temps régulières ou non; = dans le premier cas, le groupe C sera dit régulier. > ‘8. Envisageons maintenant une transformation » (11) G(e,y)=(1+Mi(i0 4 N), M et N (données) n'étant plus assujetties à vérifier l’équation 2) i+) de + M= (i+) de 4 = io. Cette transformation ne conserve plus la composition, mais les G(2,%) forment un sroupe de fonctions permutables si (4 N) (i24-M) appartient au groupe U, en d’autres termes si (3) N+M+NM=k(y— 2) (A arbitraire). Les types (1) et (1’) se ramènent alors aisément l'un è l’autre. La condition (3) entraine pour M et N des équations intégro-différen- tielles faciles à former (1). Nommons 4 l’opération — + 3. on vérifie que (4) A(MN)= MN + M UN de sorte que (3) équivaut è AN+4M+4NM-+N4M=0 ou AN (+ M=— (0 MM. D'où, en nommant - (do + N) f (1° + M) la valeur commune de ces rapports, résulte, en M et N, les relations in- tégro-différentielles (8) (T+3)=— fa. 4. Admettons maintenant que / soit donnée. Soit M, et N, deux solu- tions de (a) et (8) telles que (2') soit vérifiée (?). Il résulte de (3) que la (1) Nous nous plagons, pour le faire, dans le cas régulier; au cas général sera con- saerée une Note suivante. (2) On peut choisir l’une d’elles, Mj par exemple, solution quelconque de (8); N en résulte par la formule Nn=— Mo + Mi — M3 +... = gdr solution générale de (@) sera telle que (+ N)= (1° + È) i+); d’où h étant fonetion arbitraire de y —. De méme la solution générale de (#) sera kK+M + Méf [k(y— x) arbitraire]. On vérifiera que l'équation (@) coincide avec l’équation intégro-différen- tielle que l'on peut déduire, pour x, de l'équation (8) de ma Note [A]. De ce fait et des expressions précédentes pour M et N, résulte bien aisément que, si l'on détermine f par la relation (2") de [A], la formule (1°) [où M et N sont solutions quelconques de (@) et (8)] représente toutes les fonctions permutables avec F(x, 7). Un mot sur la résolution des équations (@) et (8): elles sont de types traités par M. Volterra ('). Nous indiquerons ici comment leur solution in- troduit la transcendante ®(È; x,y) donnée par la formule (2) de [A]: on peut prendre, par exemple, N(x,y4)=®(x;0,7) M(x,y)=D(b—y,x,d) (2). 5. Toutes les fonetions permutables avec F(x,7), données par la formule sont alors telles que * * » * AG= AM À+74N + AMZN | M74N ou, d'après (@) et (8) 0) (+)0-6/-/6 0 da dy (*) Cf. par exemple, Zecons sur les fonetions de lignes, p. 163. (2) Cette foncetion B(£É: x,y) est fort avantageuse è considérer. pour la simplicité de sa définition et ses nombreuses propriétés. Signalons ici, à còté des relations (4), (6’) et (7) du Mémoire déjà cité (Ann. Ec. Norm.) la relation analogue y rie )=f@e-ty= + f fla—a, 6-9) #,(1;6,y) dt x pour #, qui lui est simplement reliée [lbid., n. 6]. Cette relation conduit è (8) pour y= constante: (6) conduit è (a) pour 2 = constante; d’où les formules du texte. (3) Ou encore » CI è os Patti — Gili RENDICONTI. 1921, Vol XXX, 1° Sem. 44 — 348 — Cest l'équation qui est è la base de la méthode de recherche des fonctions permutables de M. Volterra: il l'établit pour toute fonetion du groupe de forme G=FG=G"F; il en résulte qu'elle doit étre générale, comme nous venons de le véritier. Elle caractérise les fonctions du groupe. Une remarque pour terminer. Nous avons vu que, à chaque / correspond une transformation dont le noyau est donné par la formule (2) de [A]) conservant la composition et faisant passer. de U, à un groupe C de fone- tions permutables. L'équation (y) rend évident le fait, facile à vérifier di- rectement, que le groupe C ne change point si l'on ajoute è / une fonction quelconque du groupe (et inversement) (1). Cristallografia. — Sulla forma cristallina della Trimetilfio- retina C, Hs 03 (CHg); . CO. CH (CH;) .C, H, OH (°). Nota di MARIA DE ANGELIS (?), presentata dal Socio ARTINI. La sostanza, preparata per la prima volta e descritta da Ciamician @ Silber (*). mi fu affidata per lo studio dal prof. Kérner. Beestis it 5001 Sistema monoclino, classe prismatica: a:b:e=0.4505:1:0.3410 ST ZI Forme osservate: {010}, 3001}, 3110}, {210}, 42016, {1116 , {211}, {212}. I cristalli ottenuti da miscela di etere ed alcool etilico presentano ordinariamente la semplice combinazione delle forme: 3010 ,}001{ {110}, }111}, alle quali qualche volta si aggiungono piccole faccette di {201/ (fig 1). Più riechi sono ordinariamente i cristalli che si hanno da soluzioni in etere acetico; questi presentano di solito, come i precedenti, abito grossolanamente tabulare secondo }010} (fix. 2) e per lo più sono formati dalla combina- zione di tutte le forme osservate, meno la {211} la quale fu trovata con due faccettine piccolissime in un unico cristallo. Abbastanza frequenti sono i geminati nei quali l'uno dei due individui ricopre l'altro per rotazione di 180° intorno all'asse x. Alcuni di questi (*) Cf. aussi la fin dn n. 2. (2) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Mineralogia del Museo Civico di Storia Na- turale di Milano. (3) Presentata nella seduta del 6 febbraio 1921. (4) G. Ciamician u. P. Silber, Veder die Constitution des Maclurins und Phloretins. B:richte der Deutschen Chem. Ges. 23, p. 1393 (1895). — 3494) — sono veri geminati di contatto secondo }001}, e potrebbero perfettamente esser definiti quali geminati secondo questa forma (fig. 3); sono quelli che si ottengono a preferenza dalle soluzioni etereo-alcooliche. Dalle soluzioni in etere acetico si hanno invece più spesso dei gruppi di due individui nei quali il piano di contatto è la }010{ (fig. 4). | | : 010 1 | i ' | I [zio] no || | (i f -} I 20î x \ é f È 2 x N 212 Xi RA NENTI Fre. 2 Fic. 3. = 990. ANGOLI OSSERVATI ANGOLI N. Limiti Medie CALCOLATI SPIGOLI MISURATI (110) . (010) 38 6619 — 6744 66.54 + vigi (110) . (111) 13 60.25 — 61.35 61. 8 È (I11). (001) 16 45.51 — 46.20 46. 6 È (110) . (170) 17 45.19 — 47.3 46. 5 46.12" (110) . (210) 7 10, 6 /— 01,09 10.37 si (110) . (210) 4 35.19 — 85.34 35.24 35. 8 (210) . (210) 3 24.11 — 24.22 24.15 24. 5 (201) . (001) 7 70. 5 — 70.53 70.25 70.19 (110) . (001) 25 71.39 — 73.24 72.28 72.46 (210) . (001) 8 de iala 7398 71.88 (I10). (201) 6 48. 6 — 44.20 43.40 43.56 (210). (201) 2 40.11 — 40.13 40.12 40. 2 (I11) . (010) 12 7220-0780 72.42 72.47 (IL1).(110) 1 = 104.28 104.30 £ (111). (201) 5 SH242832085 31.41 31.84 (111) .(II1) 5 34.12 — 34.46 34.30 34.26 (212) . (001) 10 44, 8 — 44,45 44.21 44.10 212). (210) 3 63.57 — 64.10 64.4 64.12 (212) . (010) 7) 80133 — 81018 80.57 81.113 (212) . (201) 6 DTT =128020 28.10 28.10 (212). (110) 2 63.32 — 64.00 63.46 63.56 (212) .(I11) 3 81418 8.16 8.24 1 (212) . (212) d 17.15 — 18.00 17197 17.37 (211) . (010) 2 71.57 — 78.1 77.59 78.14 (211) . (201) 2 IA ION 11573 11.583 (201) . (201) 1 _ 38.34 29.21 È (110). (170) 2 34. 9 — 85.96 34.521 34.28 (212) . (212) 1 _ 91.14 9141 (110) . (110) 1 — 60. 8 58.54 (1I1) . (111) 1 —_ 97.54 97.52 — 351 — Sfaldatura facile e perfetta secondo }010}. Colore giallo citrino. I piani degli A. 0. sono normali a }010}; le bisettrici acute. negative, sono contenute nel piano di simmetria; quella per la luce gialla fa un angolo di 23° con l’asse 4, nell'angolo 8 acuto. Doppia rifrazione fortissima. Dispersione degli A. O. abbastanza forte: e 2 Qu Cir = Yp+ih & Ip+ipar In Te: + Gp+top Ohp > (ORE (46) Avremo occasione tra poco di considerare, insieme alla y} data, le serie multiple y3, , Yin -.. che si ottengono riunendo a coppie, a terne... i gruppi della y}, serie che supporremo prive o liberate da gruppi equivalenti. E ad: esse potremo sostituire le y,,y3, 7}... equivalenti. La prima di queste può definirsi mediante le (45) ove a primo membro, in luogo di x, si scriva p; se, nella stessa ipotesi, al posto di };(î) a secondo membro si sostituiscono. le somme dei valori che 7; assume in due, tre, ... punti di C, il gruppo. è, +35 varierò in yp 0 yp,... In breve, se per un dato gruppo di p punti Cis eco SCIIVIADIO (29) ui= Jil.) sei) ((=1,2,...;P) e indichiamo con v; le analoghe somme relative ad un secondo gruppo. î 3.36», possiamo dire che le p relazioni (47) Un = Qn1Ux + Qn2 Us + +-+ + OnpUo + @h definiscono la yp, 0 la y;, 0 la y;... secondo che dei punti È, ;..., 6». teniamo fissi p—-1l,o0p—-2,0 p—3,..., lasciando variare i rimanenti. Le (47), ove si cambino i segni a tutte le 0,,, rappresentano invece, nelle stesse ipotesi, le serie y}, 777 ;---, residue della y, e dei suoi multipli. La corrispondenza algebrica (45), che muta ogni punto © in un gruppo Ci, ...,6, della yi, ammette una corrispondenza inversa che muta ogni punto È’ in un certo gruppo $, , ..., &y, ove v è l'indice della yy. Varranno, al solito, relazioni del tipo - (48) DOTTI eno iv(6") + on, — 357 — nelle quali le costanti @,, sono definite (secondo Hurwitz) da relazioni analoghe alle (46), in cui però gli interi 9 siano sostituiti da nuovi interi 7 legati ai precedenti dalle uguaglianze | In Yn > Ip+h,p+1 =" Ip+1,p+h (49) (h,1=1,2,...p). Gn,pat > — ly p+h 0 Yp+h,1== — IYp+1, h Il prodotto della corrispondenza diretta per la inversa è una corrispon- denza simmetrica (vz,vx) che muta ogni punto 7 di C nei va punti 7° costituenti i v gruppi della y, che contengono 7, tra i quali punti compa- risce anche 7 contato v volte. Per questa nuova corrispondenza valgono equazioni del tipo (50) In) + Yin, -.. riunendo i gruppi di quella a coppie, a terne,... Il numero dei gruppi della yin che appartengono ad una serie lineare ginzi.+» gene- rica è dato dall''invariante în della yÌ, . — 359 — L'interesse del carattere geometrico in esame, per "= 1, fu da me segnalato per tutt'altra via fin dal 1906. Più tardi (1913) il Comessatti (!) ha preso in considerazione gli analoghi caratteri per 7=2,3,...,p ed ha dimostrato alcune proprietà di questi numeri. La notevole interpretazione analitica stabilita dall'ultimo teorema fa vedere che essi forniscono effetti- vamente i caratteri più importanti di una serie algebrica, e che in funzione di questi converrà ormai esprimere tutti gli altri caratteri della serie. 15. Sarebbe facile, partendo dalla definizione analitica degli invarianti è, vitrovare le proprietà date dal Comessatti per via diversa. Preferisco esporre qui un'altra interpretazione analitica degli invarianti. Sappiamo già che la serie y,, residua della y7., è descritta dal gruppo. 71, --- 17p definito da è Jun) + + Ja) = — DI Lon: Fifa +-+ 0npio(la)] + 08, al variare degli 7 punti È, ..... è. L'indice della yy, ossia il numero dei gruppi contenenti 7 punti fissi 7,,...,?», è il numero delle soluzioni delle p equazioni (o congruenze) scritte, ove si considerino incogniti i punti e Mpa 5 e DUnqUE: Si formino le p equazioni a p incognite a (52) DI [on gi (Ca) + Sia" + OnpÎoCa)] + In(Mr+1) + sa: 4- Jn(Mp) == cost. a=l Perchè il sistema ammetta un numero finito di soluzioni è necessario che, mentre Ca descrive un ciclo sulla superficie di Riemann, il primo membro della (52) aumenti di un periodo ; devono perciò verificarsi le (46); restano allora determinati gli interi gn e, mediante questi, gli inva- rianti i, (n. 13). Zn tale ipotesi il sistema (52) ammette i, sistemi di soluzioni Si}, îryMr+r3--- Un, 0ve non si badi all'ordine delle È, né all'ordine delle n. Il risultato classico relativo al problema di inversione di Jacobi si ritrova se onn = 1, 0xx=0(k=#%). Era pur noto (Humbert, Scorza) il caso r=p,ovei=|7%mn]. (*) Sulle serie algebriche..., Rendiconti del Circolo Mat. di Palermo, t. 36. — 360 — Fisica terrestre. — Sulla profondità dei ghiacciai. Nota INI del Socio CARLO SOMIGLIANA. III. PROFILI DI 2° ORDINE. Consideriamo il caso in cui la velocità è massima nel punto medio della sezione, e sia v, il suo valore determinato dall’osservazione. Supposto noto questo solo elemento, presa l'origine nel punto medio stesso, l'espres- sione v della velocità superficiale, indicando con L la semilarghezza, sarà o= g()=v( ba) e secondo la nostra teoria l’espressione di u sarà della forma (supposto ur= 0) 1 u=v— Jr (9 — 8) — He che ponendo 1 1 v 1H#&° ng BR leo diviene 1 A Yy gi (10) u=3He(1-£ i ove le costanti # ed M sono legate dalla relazione 1 1 1 e Uto. Il profilo è quindi dato dalla semiellisse di equazione Yy? 3° Siccome H è una costante conosciuta 1 H=-ogsena n 9 * la costante % sarà conosciuta mediante il valore della velocità superficiale massima v,, e la M che dà la profondità massima sarà determinata dalla relazione (11). Nella quale quindi dovrà essere (18) ria rn — 361 — ‘Qualora questa diseguaglianza non fosse soddisfatta il profilo ellittico non sarebbe possibile, la (12) rappresenterebbe un’iperbole, inammissibile pel nostro problema. Questa soluzione del problema del movimento di un ghiacciaio è la sola, che sia già stata considerata. Di essa si è servito il sig. Weinberg per la determinazione teorica del coefficiente d'attrito, nel lavoro citato. Dalle formole precedenti si ha infatti e ogsena L* M? dr) #7 2 L4M formola che può servire a determinare w, quando siano note vs ed M, cioè la velocità massima superficiale e la profondità massima. Reciprocamente ‘quando siano note w e v, abbiamo per la profondità massima Ly/2uvo So. Vogsena L'— 204 ‘Per la velocità superficiale media si trova subito LD (* 2 == vdy = 3 Vo m=T l ‘e per la profondità media T Hi E E er, Lo 4 VegsenaL— Bvnu 4 ‘Si ha quindi fra la velocità media e la profondità media una relazione della forma DI (16) Um A5m _ b+esì ove a,d,c sono costanti, i cui valori risultano dalla formola precedente: A , 16 a=0g9sena L b=3uL° —; GBL Le relazioni fra velocità superficiale media e profondità media sono state studiate, in base a dati d'osservazione, da Bliimeke A., Hess H.(*) e rap- ‘presentate mediante una curva che ha l'andamento di quella rappresentata «dalla equazione (16), cioè una curva che col crescere della profondità si avvi- cina assintoticamente alla retta pda ogsena 16 Ja L COSO n (') Bliimcke u. Hess, Untersuchungen am Hintereisferner. Wissenschaftliche Ergin- zungshefte zur Zeitschrift des D. u. Oe. Alpenvereins. Minchen, 1899, pag. 64. — 362 — IV. PROFILI DI 3° ORDINE. Il calcolo del paragrafo precedente non è applicabile, nemmeno in via di approssimazione, quando il massimo della velocità superficiale non cada nel centro della sezione. Anche la curva del profilo non potrà in questo caso essere simmetrica. Può essere utile allora una curva cubica. Potremo. porre l'origine ad un estremo della sezione, e la” velocità superficiale sarà rappresentata da una funzione di 3° ordine v= 9(Y) = Ay + Axy + A1y} a radici reali, che potremo quindi porre senz'altro sotto la forma (17) v=3Bky(1-%) (1-3) dove con L indichiamo la larghezza del ghiacciaio con M una costante posi- tiva, che potremo sempre supporre maggiore di L, poichè le radici dell’equa- zione g(y)= 0 essendo 0, L, M, e dovendo M essere esterna all' intervallo (0,L), potremo sempre supporre che la direzione positiva dell'asse y sia quella da 0 ad M. La % è pure una costante che determineremo in seguito, al pari di M. Abbiamo quindi due costanti di cui disporre, in base ai dati d'osservazione, nella espressione della velocità superficiale. Ciò posto, dalle considerazioni generali precedenti risulta subito per l’espressione della velocità « la formola seguente, ove N è una nuova costante, % 8) v=3H#)y-(1+al' nto) colla condizione 1 to lHptd-i poichè deve essere soddisfatta l'equazione d,gu=—H. Il profilo è rappresentato in questo caso da una cubica e l'equazione u=0 ci dà allora subito per la profondità z in un punto qualsiasi y della sezione, la formola assai semplice yy —M TOT Uol i AI] Conviene ora esaminare come possano essere determinate le costanti che compaiono nelle formole precedenti mediante i dati delle osservazioni. — 363 — La cubica, rappresentata dalla (17), ci dà la curva della velocità super- ficiale la quale è composta di un unico ramo, attraversa l’asse delle y nei punti y=0,L,M e ci dà un arco posto dalla parte delle v positive, che è quello che corrisponde ai dati osservati. Per l'angolo w della tan- gente coll’asse y abbiamo do _1 a i ga btli-2(7 +) + quindi nei due punti estremi della sezione Il L igo= H% igo=3Bk(g—-1) Siccome i due angoli ©, , @, possono essere direttamente misurati sulla curva Fi. 5 (Profilo). della velocità superficiale, così, quando ne sia ammissibile una rappresen- tazione colla cubica, le due relazioni precedenti dànno i valori di X e di M. La (19) determinerà N e tutto allora sarà noto nella formola (20) che dà il profilo del fondo. Per M=L si ha w,=0, cioè la curva-velocità è tangente all'asse della sezione. È questa una particolarità che si osserva in qualcuna delle curve rilevate e le formole in questo caso possono determinare le proprietà del profilo, a cui corrisponde questa particolarità (v. fig. 3). Renpiconti. 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 46 — 364 — Ma la determinazione delle costanti può farsi anche, e sarà più utile ‘dal punto di vista pratico, mediante la posizione del massimo della velo- cità superficiale, ed il valore di questo massimo di velocità. Poniamo y= @L; il valore di @ corrispondente al massimo di v è dato dall'equazione 5-41 Jp 3a mu 2(1+p)e+1=0 da cul . M a? — 2a sl) gaia Pili) ‘Questa formola dà M quando sia nota la posizione del massimo, cioè @. ‘Ora sì ha la seguente corrispondenza di valori ywa)| 0 1 a) 0 1 00 | M|]o|L|o|o|Lj© ‘Siccome M deve essere uguale o maggiore di L, così a dovrà essere com- preso fra > ed >. Per a=} si ha M=L, e la curva-velocità è tangente alla linea della sezione nell'estremo y = L. Per a=} si ritorna al caso del profilo ellittico già considerato. Se indichiamo con vy il valore massimo della velocità superficiale dalla (17) risulta per la (21) (22) = ; H% Ue aL. Questa relazione, quando siano misurati @ e vw, ci darà X; M sarà deter- minato dalla (21) ed N dalla (19). Possiamo quindi concludere: Quando nella curva-velocità superficiale si ha un massimo che non è nel punto di mezzo della sezione, e distu da un estremo non meno di un terzo della lunghezza della sezione, sarà possibile una rappresentazione della velocità stessa mediante un arco di una curva di 3° ordine, ed il profilo corrispondente sarà dato pure da una curva di 3° ordine, rappre- sentata dalla equazione (20). — 365 — Matematica. — Sulla teoria degl’integrali semplici di 1° specie appartenenti ad una superficie algebrica. Nota VII del Corrisp. FRANCESCO SEVERI. 16. Il teorema con cui si chiude la Nota VI (') offre un criterio di equivalenza algebrica di due curve C,,C.. Ho già dato in passato (Math. Annalen, 1906) due altri criterî per la dipendenza algebrica di curve trac- ciate sopra una superficie; e cioè: 1) Un criterio geometrico: La condizione necessaria e sufficiente affinchè le due curve C,, Cs, dello stesso ordine, tracciate sulla superficie F, sieno algebricamente dipendenti, per modo che risulti: 4C, = 4C; (per 4 intero conveniente), è che sieno soddisfatte le condizioni aritmetiche: [C, Ù C,] = [Ca Ù Ca] sa [Cs ’ Cs] ove [C,, C,], [Cs, Cs] sono i gradi virtuali di C,, Ca e [C,, C3] il numero dei punti ad esse comuni. 2) Un criterio trascendente: La condizione necessaria e sufficiente per l'equivalenza algebrica delle C,, Cs, aventi lo stesso ordine, è che esista su F un integrale semplice di 3 specie, il quale possegga le sole curve logaritmiche C, , Cs. Il criterio 2) costituisce il ponte di passaggio fra la mia teoria della base per la totalità delle curve algebriche tracciate sopra una superficie algebrica F ed il teorema fondamentale di Picard concernente il minimo numero di curve di F, che possono assegnarsi ad arbitrio come curve loga- ritmiche d’un integrale semplice di 3* specie. Orbene, dl criterio trascendente del n. 15 costituisce îl ponte di pas- saggio fra la teoria della base e la nozione di curve primitive introdotta da Poincaré. È ciò che ci proponiamo di mostrare nel numero successivo. 17. Su F sieno tracciate / curve algebriche C,,C3,...,C,. Sieno Sii 3 Si, »»- » Sui le somme fornite dall'integrale ug+; (i=1,..,p— 9) rispet- tivamente nei gruppi (C,, A), (Ca, A), ...,(C:, A). Cerchiamo sotto quali condizioni è possibile determinare { numeri interi w,,..., « (positivi, nega- tivi o nulli, ma non tutti nulli), tali che per ogni curva A del fascio |A|, (1) Questi Rendiconti, pag. 328. — 366 — considerato nel n. 15, sussistano le relazioni: (25) usut::- + Mesi==0 (modd. 2p periodi non ridotti) (i =172,.0,p= 9) Circolando attorno ad un valor singolare y= la somma s;; aumenta di 4;;©;(y), ove 4; è un conveniente intero ed w;(y) è il periodo di ug+; al ciclo nullo 7 avvolgente i due punti critici £,,é,, che tendono al punto di contatto del pian tangente y =, col tendere di y a è (n. 10, Oss. 22). Sicchè, se è possibile di scegliere gl'interi u,,..., ww, non tutti nulli, in guisa tale che sia: : dii n + d- Au = 0 (=1,4.,p=@; l'espressione > u; Sj sì conserva olomorfa attorno ad y= d. i Analoghi gruppi di equazioni di condizione per #,,..., ww, si avranno. in corrispondenza agli altri valori singolari di y, qualora si voglia che l'espressione > w;s; si conservi olomorfa dovunque, cioè ch'essa riducasi i ad una costante. Ora, se { è maggiore del numero N(p— 9) delle equazioni di condizione che si vengono. così a scrivere — ove N è la classe della su- perficie F — si potranno di certo determinare valori interi non tutti nulli delle , soddisfacenti al complesso di quelle equazioni; e così per tali va- lori delle u saranno soddisfatte le relazioni: Mi Sii pc + Mesi 6, ove le c; sono costanti. Ma per y = 00 le somme s;; sono identicamente nulle (n. 6), dunque è ce = 0; e quindi per quei valori non tutti nulli degl’ in- teri u sono soddisfatte le (25). Le si (î=1,..,p—q) sono p—gq funzioni normali di Poincaré (n. 10, Oss. 32), relative alla curva C;: e precisamente quelle che provengono. dagl'integrali w%9+1 +, Up- Le funzioni normali 7,, (£=1,...,9) che provengono dagl integrali I,,...,Iy, son costanti, definite a meno di multipli interi dei 29 periodi ridotti. Il ragionamento svolto ci dice che, data F, esiste un intero 0 = 1, tale che su F si possono tracciare 0 curve C, ,..., Cp, le quali forniscano, rispetto agl'integrali u9+:, somme s;(j=1,..,0) linearmente indipendenti, nel senso che non sussista fra esse alcuna relazione del tipo > 4; si= 0, per J valori interi non tutti nulli delle w; ma che data un’altra curva qualsiasi C di F e indicate con s; le somme fornite da C"mediante gl'integrali ug+; (i =1,..,p — Q), sussistano, per valori interi delle w, , ... , wp, le relazioni: (26) dsi= Mr Sri De E Mo Soi (15 con u+0. Si ottiene così il teorema: — 367 — Si posson fissare sopra una data superficie E @ curve C,,..., Ca (curve primitive), ove 0 è un carattere dipendente solo da F, tali che le funzioni normali di Poincaré relative ad una curva C qualsiasi di F e corrispon- denti agl’integrali ug+:, + Up, î quali provengono dal sistema aggiunto al sistema delle sezioni piane di F, si esprimono mediante combinazioni lineari a coefficienti numerici razionali delle analoghe funzioni normali spettanti a Ci,...,C. Le altre funzioni normali inerenti a C e corri- spondenti agl’integrali semplici di 1° specie I,,...,Ig, che appartengono ad F, riduconsi a costanti. Questo è sostanzialmente il risultato di Poincaré. Il criterio del n. 15 ci dice che le curve C,,...,C, per cui non valgono relazioni del tipo (25) (6t= @) per valori non tutti nulli delle w, son curve algebricamente indi- pendenti, e che ogni curva C di F, in quanto per essa valgano le rela- zioni (26), con u+0, è algebricamente dipendente da C,,..., Co. Si ha così di nuovo il teorema fondamentale della teoria della base: Su F posson tracciarsi o curve algebricamente indipendenti, tali 3 ogni altra curva di F sia algebricamente dipendente da quelle. Fisica terrestre. — Gradiente termico e accelerazione ver- ticale nell’atmosfera. Nota del Socio Luior pe MARCHI. Nella precedente Nota ho accennato alla necessità di tener conto, nel calcolo del gradiente adiabatico, invece che dell'equazione dell'equilibrio idrostatico, di quella del moto verticale dI —iPar ar +19 gq dt colla quale l'espressione del gradiente termico verticale sarebbe (prescin- dendo dagli scambi d'energia coll'esterno) (i) a ell; Ho]. La funzione d'attrito /(w) è ignota; ammettendola, come in altri casi della meccanica, una funzione quadratica della velocità. il termine d'attrito diminuirebbe” in ogni caso il gradiente. Invece il termine d’accelerazione lo aumenterebbe in caso di moto ascendente accelerato o discendente ritardato, lo diminuirebbe nei due casi contrarî. Dato il piccolo valore del coefficiente d'attrito, e il valore generalmente molto piccolo dell’accelerazione verticale rispetto alla 9, questi termini di correzione sono comunemente ritenuti trascurabili. È a notare tuttavia che — 368 — le misure di velocità verticale, ottenute con lancio di palloni piloti, non per- mettono una valutazione sicura dell'accelerazione attuale in tutti i punti della verticale, ma dànno soltanto valori approssimati dell’accelerazione media su tratti di 100, 150 e più metri. Il più breve intervallo fra due: osservazioni successive al teodolite è infatti il minuto primo e la velocità ascensionale del palloncino è sempre fra 100 e 200 metri al minuto. Inoltre le misure sono di regola compiute con tempo sereno e aria tranquilla, senza intensi movimenti verticali. Fra le misure a mia disposizione (') trovo un solo caso di lancio di pallone con tempo burrascoso (0079) ed è quello di. Hergesell del 7 giugno 1913, che diede i seguenti dati medi: Altezze Velocità ascensionale Velocità verticale dell'aria m. MI mi . M/sec 0-864 198 + 1.72 ascendente 864-956 48 — 0.75 discendente 956-1192 236 - 2.388 ascendente Essendo la velocità di partenza dal suolo, ove w=0, di 93 /ni, nel primo strato la velocità assunse valori certo molto maggiori di 200, subendo. quindi nel passaggio al secondo un rallentamento pure di oltre 200 (oltre 35/sec) che può essersi anche verificato per salto in un brevissimo tratto e in un intervallo di pochi secondi. Lo stesso dicasi, a maggior ragione, per il passaggio dal secondo al terzo strato, dove la variazione di velocità media può essere stata di 300 "/m; (5 "/sec). Che nell'atmosfera si verifichino salti di velocità verticale, come si verificano per la velocità orizzontale, per la temperatura e per l'umidità, non si può mettere in dubbio, perchè ri- sponde anzitutto al carattere più o meno turbolento dei moti dell’aria. Inoltre una rapida corrente ascendente viene a rallentarsi in alto per l’i- nerzia degli strati sovrastanti in cui sì genera per compressione un gradiente barico efficace (-£-,) discendente. Questo rallentamento può avvenire in modo brusco, come lo dimostra l'espandersi del pino vulcanico (?). Ad esso deve corrispondere una diminuzione del gradiente termico, che potrà essere o brusca, determinando uno strato di salto, o lenta, segnando un pas- saggio più graduale dalle condizioni inferiori dell’aria ascendente a quelle superiori dell’aria ferma. Ciò potrebbe in particolare spiegare i varî tipi dì passaggio dalla troposfera alla stratosfera: la brusca inversione di tempera- (') Le misure più rigorose e complete di velocità verticale sono quelle fatte con. due teodoliti da Gamba e Viterbi a Pavia (Annali Uff. Centr. Meteor. XXXVI, parte 12, 1914) e quelle di Hergesell con un teodolite solo a micrometro e con base graduata pen- dente dal pallone (Beitrige zur Phys. d. freien Atmosph., vol. VI, 1914, pag. 187). (2) Wegener A., Thermodynamik der Atmosphire. Leipzig, 1911, pag. 140 seg.- pag. 213. — 369 — tura o lo strato a gradiente minore, che si interpone fra l’alta troposfera @ forte gradiente e la stratosfera a gradiente nullo (1). Una accelerazione ascendente si determina quando si condensi mprov- visamente una certa quantità di vapore (?) a una certa altezza, come deve verificarsi nel caso di aria soprasatura. Allora per lo sviluppo improvviso di calore si verifica una rapida espansione dello strato condensante con improv- viso aumento di tensione interna, che però rapidamente si mette in equi- librio colla pressione esterna p. Siamo come nel caso di una esplosione, nel quale il lavoro esterno dell'unità di peso è p(v, — v1), essendo v, il volume specifico iniziale e v, il volume finale. Indicando con T, , T. le relative tem- perature assolute, l'equazione del primo principio è c.(T,-T,) + Ap(vo—v)= 79 ove 9g è il peso di vapore condensato nell’unità di peso d'aria, 7 è il calore di vaporizzazione dell'acqua, c, il calore specifico a volume costante. L’aria subisce prima una rapida dilatazione per improvviso aumento della tensione interna, e poi una parziale contrazione per mettersi in equi- librio colla pressione esterna: come risultato tinale essa si è dilatata a pressione costante e si potrà scrivere i 6 Vo —-Vi= Vi (T, ‘ce T,) ossia ARS ar T, cai cy 2 dove y,,ys sono ì pesi specifici iniziale e finale, x= !/333. L'equazione pre- cedente si può quindi serivere, ponendo p= Ry, T,, /Ce (È - ART) (Yi > Ya) = Y2 rq . Ma yi —y:s non è che la forza ascensionale che l'unità di volume assume per la dilatazione, e che le imprimerà l'accelerazione (essendo ho la massa ( dell'unità di volume nell'aria dilatata): do — — 99q di 278(P-AReT,) o, approssimativamente, dato che la temperatura si scosti non molti gradi dallo 0°, com'è nelle nubi basse e medie, dw x ) Petro dt FI 273 - Ch ì (*) Schmauss A., Die Substratosphire (Beitrige zur Phys. d. freien Atmosp., VI, pag. 153, 1914). (2) Nel caso di condensazione progressiva in una corrente d'aria satura si ottiene la formola nota del gradiente in aria satura coi termini di correzione accennati sopra e nella Nota precedente. — 370 — Poichè non si può stabilire fino a quale grado di soprasaturazione possa giungere il vapore in una corrente ascendente, non possiamo, per la valutazione di g, che fondarci su apprezzamenti indiretti (*). Un indizio ci è dato dall’intensità delle piogge temporalesche, che in alcuni casi raggiun- gono parecchi millimetri e in casi eccezionali parecchi centimetri d'altezza in pochi minuti. Una pioggia di mezzo centimetro rappresenta 5000 gr. per mq. e, supponendo che la nube temporalesca abbia lo spessore di un «chilometro, essa rappresenterebbe una condensazione di 5 gr. per metro cubo, ‘ossia, alla pressione di 600 mm., circa 5 gr. per Kg., oltre la massa d’acqua che rimane sospesa nella nube, in goccioline più minute. Possiamo quindi ammettere che il valore di g possa essere. anche in casi non eccezionali, di parecchi grammi. Ponendo g= 0,005, r = 607, c= 0,238, la condensa- ziono totale di 5 gr. produrrebbe un'accelerazione verticale ascendente di 0,53 "/see; per valori minori o maggiori di 9g essa diminuisce o cresce pro- porzionalmente. Con tale accelerazione l'unità di volume d'aria si solleverebbe a con- densazione compiuta, e continuerebbe ad innalzarsi, con accelerazione sempre minore finchè trova lo strato superiore dove y= y:, oltre il quale conti- muerebbe ad innalzarsi con moto ritardato. Ponendo Si PIA Ve) 10 18400 ‘ove A è il dislivello fra lo strato a peso specifico y. e quello a y;, si ha approssimativamente h=18400 Log ! = 18400 Log (1 DE 2a) = 18400.M 2° Y2 Cp Cn dove M è il modulo dei logaritmi (0,43429). Per 9= 0.005 si avrebbe h= 375 circa. Poichè nei grandi temporali la pioggia data dal nembo tem- poralesco è anche due o più volte quella da noi supposta di mezzo centi- metro e lo spessore del nembo, nella sua parte inferiore più densa, è mi- nore di un chilometro, la 4 può ammettersi anche doppia, tripla etc. di (') Bisogna tener conto del fatto che la condensazione in una massa d'aria satura o soprasatura è limitata dal calore da essa sviluppato. Si leggano in proposito le belle Memorie 3% e 4% di von Bezold sulla Termodinamica dell’atmosferà (Sitzungsberichte Akad. Berlin, 1890, 1892; Abhandlungen, Braunschweig 1906) dove è data una costru- zione grafica per il calcolo della 9g in corrispondenza a varî gradi di soprasaturazione. A 600 mm. di pressione (circa 2000 m. d'altezza) una massa d'aria a 0° contenente 8, 9, 10, 11 gr. di vapore per chilogrammo ne condenserebbe rispettivamente solo 1,5; 2; 2,5; 3 circa. Rimane tuttavia a dimostrare la possibilità che il vapore si mantenga so- prasaturo nell'aria ricca di pulviscolo: il Bezold (Abhandl. pp. 191-192) ne dà qualche indizio, Bisogna anche osservare che l’interposizione di nubi può, arrestando la radiazione solare, determinare improvvisi abbassamenti di temperatura e quindi rapide condensa- “zioni anche senza soprasaturazione. CSI gn quella supposta e il dislivello 4 superare anche sensibilmente il chilometro. L'aria impiega parecchi minuti a percorrerlo, nei quali può assumere velo- cità verticali anche di parecchie decine di metri al secondo. Ciò nell’ipo- tesi che il movimento possa svolgersi senza impedimenti: in realtà esso pro- vocherà moti vorticosi coll'aria ambiente. Così si spiegano e la rapida spinta dei cumuli verso l'alto, e i moti turbolenti che in essi si generano, e le velocità verticali sopra gli 8 "/sec necessarie per mantenere in sospensione le gocce più grosse, e per spezzarle generando, secondo la teoria di Simpson, la separazione delle elettricità e gli alti potenziali elettrici. Le accelerazioni così generate non possono avere effetto sensibile sul gradiente termico verticale; non così il ritardo successivo che deve avve- nire in modo molto rapido, spesso brusco, per l'inerzia degli strati sovra- stanti. Già prima che arrivi la colonna ascendente questi, non cedendo ab- bastanza presto, sono compressi e spinti verso l'alto oltre il limite di con- densazione del vapore che contengono, come dimostra la formazione delle ‘cappe al di sopra e a qualche distanza dalla testa del cumulo ('). Questa compressione degli strati superiori deve generare un gradiente verticale di- .scendente, che rallenta il moto ascensionale sottostante, il quale però è tal- volta così energico che riesce ad attraversare la cappa e a sollevarsi centi- naja e migliaja di metri sopra di essa. I netti lineamenti superiori dei «cumuli che spesso hanno forma turrita, a piattaforma (*), dimostrerebbero però un brusco arresto del moto ascendente, al quale corrisponde un’accele- razione negativa che può essere di parecchi metri al secondo. Essa determi- ‘nerebbe, in base alla (1), una brusca diminuzione del gradiente termico verticale, e forse anche una inversione di temperatura quale si verifica ‘spesso al di sopra delle nubi. (1) Wegener, Thermodynamil der Atmosphire, pp. 213, 217 seg.: Crestani, Le ‘Cappe (Bollett. bimens. della Soc. Meteor. ital., 1918). (2) Ibid., pag. 208, tavv. VII, VIII. RENDICONTI, 1921. Vol. XXX, 1° Sem. 47 — 372 — Paleontologia. — Silicospongie fossili della Liguria occiden- tale. Nota del Socio C. De STEFANI. VIII. Crocetta. Probabilmente la stessa specie di Zychniscosa (se non diversa per pre- senza di spine) ho trovato in un luogo adiacente della stessa zona, alla Cro- cetta entro un grosso pezzo ceruleo macchiato di bianco, più calcareo della roccia precedente (Calcite, Opale, raro Quarzo, Sericite, cubetti di Limonite pseudomorfa), costituito da frantumi diversi. Intreccio con andamento irregolare diretto in tutti i sensi: maglie con. dimensioni alquanto diverse, prevalentemente quadrate, ma talora triango- lari ed esagone; qualche volta quando furono convertite in calcite, il Quarzo ne occupa le cavità centrali. Le maggiori Spicole, delle quali vedesi talora il canale interno, forse debolmente spinose, carattere che mancherebbe a Palazzo Doria, sono fornite di Lychnische, e queste espandendosi nei punti d'incrocio, lasciano in alcune maglie appena un foro circolare. Sottili £#perhize trasversali cinte da tessuto a losanga in serie un po distorte intramezzate a quinconce da Aporbize cir- colari con reticolo periferico raggiato. Nella compagine parenchimale e der- male sono Diactiniae, Pentactiniae. Evvi qualche rara 7riaene di Silico- spongia 7etractinellide. Ad una Hexasterosa diversa dalla Zychniscosa precedentemente descritta. appartengono altri esemplari trovati nella stessa località della Crocetta. Ivi presi varî frammenti di un calcare molto siliceo, grigio scuro per materie. carboniose, contenente varî cubetti di Limonite pseudomorfa, con sporgenze. e vene di Silice grigio chiara a volte alquanto ferruginosa. Si direbbe costi- tuito in molta parte di una Hexactinellide dictyonale convertita in parte in. Caleite. L'intreccio si vede bene alla superficie esposta alle intemperie o leggermente acidulata; meno bene nelle sezioni sottili ed in queste con poca luce, quasi punto per trasparenza. Solo qualche piccola parte dell'intreccio notasi entro la Calcite: nelle sporgenze silicee è più grossolano e più con- fuso. Applicata ad un vetrino porta oggetti la superticie di un frammento parallelo alla stratificazione, e sottoposta all'acido la superficie libera, questa sì scioglie abbondantemente, lasciando una fioritura, sì direbbe una serie di -— 373 — colonne verticali costituite da microscopici prismi piramidali di Quarzo con- cresciuti in mezzo al Calcare, irregolarmente aggruppati intorno ad un asse, aderenti fra loro alla base, paragonabile alle efflorescenze di ghiaccio uscenti l'inverno dalla superficie di una marna o di una argilla. Si prenderebbero a prima vista per residui di una Zi/histida. Si tratta di una trasformazione cri- stallina del tessuto primitivo di silice colloide, le cui tracce in tal caso rimangono in gran parte scancellate : altra volta il tessuto fu convertito in calcite; il Quarzo riempie gli spazî vuoti e risponde, dirò così, alla parte negativa dell’ intreccio. In tal caso sulle superfici acidulate, nei tratti più calcarei, regolari serie di microscopici puntini bianchi rispondono al centro delle microscopiche maglie, che allorquando il Calcare è completamente disciolto, scompaiono: così pure a volte vedesi la forma di grandi Mexactiniae isolate, forse di Lyssacina, trasformata in calcare, rimasta vuota in mezzo alla fioritura quarzosa. Quando la dissoluzione dei frammenti è completa, essi si sfanno inte- ramente lasciando un abbondante residuo di cristallini quarzosi con minu- tissimo pulviscolo limonitico e carbonioso. All'esterno l'intreccio apparisce abbastanza regolare, rettangolare; non ho osservato Lychnische, nè spinosità. Raramente si vede qualche canale assile. L'intreccio microplerico interno è minutissimo e meno ben conservato perchè le Spicole più minute sono le prime a scomparire. Talora le Hexactiniae agl'incroci si amplificano formando sottili espan- sioni che fanno rotonde le maglie. Appaiono qua e là qualche Mezactinia isolata, Pentactinia, non che Diactinia. In costa agli strati e nelle sezioni interne rispondenti, vedonsi Ostia di Epirhize inalanti, ovali, allungate secondo gli strati, allineate in serie alterne abbastanza regolari. Sono cinte dall'intreccio disposto in 6 o 7 giri, concentricamente a losanga, ben visibile in certi tratti, quasi a mo' di Vum- muliti. Vi si accompagnano ostia minutissime come la capocchia d'un pic- colo spillo. Sulle superfici normali alla stratificazione vedonsi più nettamente, in quinconce con le Epirhise, Postica di Aporhize esalanti, circolari od appena ellittiche con piccolo anello d' intreccio radiante all'intorno, raramente ra- mificato; perciò diverso da quello che circonda le Epirhise: esso proviene dalla superficie esterna e può notevolmente restringere o anche superare le aperture delle predette ostica. Non avendo osservato Lychnische sarebbe una ZMexasterophora della Tribù ZHexasterosa, Subtribù /mnermia. Non manca di qualche affinità con le Craticularia che sono MHewast. incertae sedis; ma trattandosi di esem- plari così mal conservati come i nostri le determinazioni sono necessaria- mente incerte. Qualora si trattasse di una Zychniscosa, per le Apirhize trasversalmente ovali la paragonerei ad una Sporadoscinia Schrammen: per CINA la forma delle £pirhize e delle Aporhize, non però per l'intreccio circo- stante a queste ultime che è più radiale e più regolare. e per l'intreccio generale che è pur più regolare, la comparerei anche col Ventriculites ra- diatus Manutell nel quale furono unite parecchie specie di tutta la Creta superiore. Gli Spongiari della Biscazza che sono quasi coetanei a quelli di San Martino più antichi hanno affinità ma sono Zychriscosa: inoltre i primi hanno intreccio più irregolare ed i secondi hanno Epirhize ed Aporhize di dimensioni minori. Inclusi alla presente specie oltre a qualche Oxyhezactinia probabil- mente appartenente ad una HMexasterophora Lyssacina, vi sono qualche Spi- cola di Monactinellidae, qualche Tetraxane di Tetractinellidae e rari Rabdi di Rhizomarinae e Megarhizidae. Del resto attesa l’incompletezza dei caratteri osservati e 1 imperfetta conservazione le Zychniscosa e l'apparente Hexasterosa di questi luoghi po- trebbero appartenere ad unica specie. Casa Bisognaschi. Poco iontano dalla Crocetta, presso casa Bisognaschi sulla rotabile del Naso di Gatto. entro la schisto lucente è un calcare rossastro, prevalente- mente siliceo (Calcite. Quarzo con inclusioni liquide, Sericite, rara Clorite. Ematite, Limonite, raro Rutilo, microliti di Apatite, pulviscolo carbonioso), bene stratificato con tracce di una /ecasterosa apparentemente identica a quella della Crocetta. intreccio dictyonale a piccole maglie quadrate di vario ordine. Macrosclere di rado ben visibili, senza Lychnische, con mi- nutissimo intreccio di Microsclere raramente integre, meglio visibile nelle parti limonitiche ed entro il Quarzo, anche a traverso la Clorite a larghe lamine, meno visibile entro la Calcite. Canaletti di Aporhize circolari con intreccio periferico radiale. Nelle sezioni e nel residuo della soluzione silicea Heractiniae isolate, Diactiniae ed un Uncino residuo di qualche UVneznataria, se non forse proprio della specie. Qualche grande Oxryheractinia isolata appartiene ad una ZMexastero- phora Lyssacina. Sotto Casa Doria. Sempre poco lontano dalla Crocetta, al bivio delle strade sotto Casa Doria sono Schisti lucenti, di colore plumbeo, senza calcare (Opale, Quarzo, Sericite, Pirite, Limonite, Rutilo, materia carboniosa) con piccole lenti chiare, puramente silicee costituite da una ZHezasterosa con intreccîo hexactinico dictyonale liscio senza spine, senza Lychnische, a maglie quadrate, paralle- logramme, talora triangolari, ed in varî casi rotondeggianti per espansione — 375 — dei nodi d'intersezione delle Hézactiniae maggiori e minori nelle parti pro- babilmente dermali o gastrali. Questo intreccio apparisce più irregolare in- torno ai canali acquiferi: nel rimanente è abbastanza regolare. Per entro alle sezioni sottili lo si vede meglio, secondo il solito, spe- cialmente quello più minuto, nelle parti limonitiche, essendo le Spicole tras- formate in Pirite, quindi in Limonite. A volte la Limonite, come il Quarzo e la Sericite occupano le parti centrali delle maglie costituite da Silice colloide, la qual cosa si vede bene al Polariscopio a Nicols incrociati. Solite piccole Epirhize con reticolo cir- costante a losanghe schiacciate trasversali, in serie alternanti a quinconce con Aporhize circolari, talora in mezzo ad intreccio formato da minutissime maglie con forellini circolari come alla costa di S. Alberto. MEMORIE E NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulla « piccola variazione » di una curva piana algebrica reale. Nota di Luici BRUSOTTI, presentata dal Corrisp. L. BERZOLARI (!). 1. Sia C” una curva piana algebrica reale (d'ordine #) che non abbia altre singolarità all'infuori di punti doppî ordinarî. Fra tali punti doppî quelli reali saranno nodali od isolati. La parte reale di C” sarà una curva grafica T, composta in generale di circuiti e di punti isolati. I punti doppî nodali saranno o doppî per un circuito o comuni a due circuiti distinti. È noto allora (?) che cosa si intenda per « piccola vuriazione » topolo- gica di T, nel senso più largo qui usato, nel senso cioè che essa conservi eventualmente alcuni dei punti doppî, sciogliendo soltanto i rimanenti. Non risulta peraltro se una « piccola variazione » topologica di Z° topo- logicamente individuata possa sempre tradursi in una « piccola variazione » algebrica di C", cioè se la trasformata 7 di Z° sia sempre topologicamente identificabile colla parte reale di una curva algebrica reale CY d'ordine x, la quale giaccia in un sistema algebrico reale (per esempio in un fascio reale) contenente la C”, e nell'intorno reale di questa. Il quesito fu già da me posto e risolto affermativamente in un caso particolare, quando cioè la C” si spezzi in componenti prive di punti doppî (*) Presentata nella seduta del 6 febbraio 1921. (*) Brusotti, Sulla generazione di curve piane algebriche reali mediante « piccola variazione » di una curva spezzata [Annali di Matematica, serie 3°, tomo 22 (1913), pp. 117-169]; Sui fasci di curve grafiche [Suce. Bruni, Pavia, 1919, pp. 1-204]. — 370 — reali ed i punti doppî reali di C” vengano tutti sciolti dalla « piccola va- riazione » topologica assegnata, riuscendo anzi in questo caso la « piccola variazione » algebrica effettuabile in un fascio del quale venne pure indicata la costruzione (1). i Qui fondandomi sopra un metodo di rappresentazione iperspaziale, che mi sembra non privo di interesse per la sua semplicità, giungo a rispondere, sempre in senso affermativo, al quesito più generale, risolvendo così esau- rientemente una questione che si può ritenere fondamentale nello studio della « piccola variazione ». 2. Premetto alcune osservazioni di carattere puramente algebrico e indi- pendenti da considerazioni di realità. Si rappresentino le curve piane di ordine 7 coi punti di uno spazio lineare S, ad 7 =} (2 4 8) dimensioni. I punti-immagine di curve dotate di punto doppio sono i punti di una ipersuperficie V d'ordine 3(x — 1)?. Un punto P semplice per V sarà immagine di una curva dotata di un sol punto doppio ordinario M. Si ricordi che, in un fascio di curve piane d'ordine %, una curva avente punto doppio ordinario in un punto-base semplice è da contarsi due volte fra le 3(n — 1)° curve del fascio dotate «di punto doppio. Ne segue che l'iperpiano tangente a V in P è l'immagine del sistema lineare 00”! delle curve piane d'ordine n passanti semplicemente per M (?). 3. Più in generale se una curva piana C” d'ordine 7 possiede 4 punti doppî ordinarî M,,M»,..., Mi, il suo punto-immagine P sarà d-plo per V. Anzi esso sarà d-iperplanare, essendo gli iperpiani tangenti in P_alle 4 falde le immagini dei d sistemi lineari co”? delle curve piane d'ordine n pas- santi rispettivamente per M,,M.,..., Ma. Si osservi ora che 2/ sistema delle curve d'ordine n aggiunte a C" è regolare (*), ossia che il passaggio semplice di una curva piana di ordine % (*) Sulla generazione ecc. (cit.), $ 9, $ 10. (2) Ne segue pure, ma qui non occorre, che un iperpiano tangente a V la tocca lungo un S,_3, immagine del sistema lineare 0 "7? di curve piane d'ordine n passanti doppiamente per uno stesso punto M. (3) Proprietà nota per C* irriducibile; cfr. Bertini, La geometria delle serie lineari sopra una curva piana secondo il metodo algebrico [Annali di Matematica, serie 22, tomo 22 (1894), pp. 1-40]; n. 17. Basterà dunque provare che se l'affermazione vale per C” spezzata in 4 componenti irriducibili, essa vale per C* spezzata in A+ 1. Sia f=fxfa=0 Vequazione di C?, essendo f = 0 (d'ordine n.) spezzata in È di dette com- ponenti ed fa =0 (d’ordine ns) la rimanente. Per il teorema di Noether Af+ Bg nel caso semplice, il sistema delle aggiunte d'ordine n a CO” è: (1) Aaf\ + Aifa =0 ‘ove Ai=0 varii comunque nel sistema delle aggiunte d'ordine n; ad /;=0. Ma (1) è — 377 — per i d punti doppi di C* equivale a 4 condizioni lineari indipendenti. Ciò per la rappresentazione iperspaziale si traduce nel fatto che è 4 iperpiani tangenti in Palle d falde di V hanno in comune un S,-a e non uno spazio di maggior dimensione. Ne segue che d' iperpiani comunque scelti fra essi hanno in comune un Sy_g e non uno spazio di maggior dimensione. 4. Suppongo che, nella rappresentazione in S,, curve reali abbiano punti- immagine reali. Osservo che la parte reale di V consterà allora di una varietà £ (ad r 1 dimensioni reali) costituita dai punti-immagine delle curve reali do- tate di punto doppio reale e di una varietà doppia isolata (ad 7 — 2 di- mensioni reali) costituita dai punti-immagine delle curve reali dotate di ‘coppia di punti doppî immaginario-coniugati. Da questa varietà doppia iso- lata che non ha alcun riferimento coll’aspetto delle curve piane si potrà nel seguito prescindere. Ciò posto, sia ©” reale e Ja did > 0 punti doppi reali M, , M.,..., Mi. Il suo punto-immagine sarà un punto P nel quale s' incrociano d falde Mi, Uto, tè di 2. I d iperpiani ©, , 73, ..., v; tangenti in Pad £ lungo le falde w,,{s,..., > hanno in comune (n. 8) un S,_; e non uno spazio di maggior dimensione. 5. Si applichi alla parte reale Z° di C” una « piccola variazione » topo- logica che sciolga tutti i d punti dopp'. Nell'intorno di uno M; di questi, la « piccola variazione » potrà avere l'uno o l’altro di due opposti compor- tamenti [comportamenti complementari (*) ]. Invero, se M; è nodale, ordi- nati ciclicamente intorno ad esso i quattro elementi di TY che ne escono, potrà la « piccola variazione » raccordare il primo elemento col secondo (ed il terzo col quarto), oppure raccordare il primo col quarto (ed il secondo col terzo); se poi M; è isolato, esso potrà nella « piecola variazione » produrre un circuito, oppure svanire senza traccia. E si hanno così 2° tipi topologi- ‘camente distinti di « piccola variazione ». Se si applica a C* una « piccola variazione » algebrica, alla scelta fra i due aspetti complementari della relativa « piccola variazione » topologica nell'intorno di M; corrisponde in S, il fatto che il punto P, immagine della trasformata Ci si può prendere nell'intorno reale di P dall’una o dall'altra banda della falda w;. Ora nell'intorno reale di P le d falde u; si comportano topologicamente come i d iperpiani tangenti r;, e, poichè questi si tagliano precisamente in pure il sistema lineare al quale appartengono i sistemi A,f1 = 0, Aifa = 0, i quali hanno in comune la sola /=0. Calcolando sotto questo aspetto la dimensione di (1) e tenendo presente l'ipotesi pel caso di è componenti irriducibili, si deduce facilmente «che (1) è regolare, come appunto si voleva. (‘) Sulla generazione ecc. (cit.), $ 2; Sui fasci di curve grafiche (cit.), $ 4 goa un S,.3, le falde stesse dànno luogo ad una ripartizione dell'intorno in 2° distinte regioni, ciascuna delle quali risponde ad una delle 2° scelte che sì possono fare sulla posizione di P, in rapporto alle w; (?). Si assegni perciò comunque la « piccola variazione » di I° fra le 2° topologicamente distinte. Sarà sempre individuabile nell'intorno reale di P una delle 2° regioni in modo tale che, condotto in essa (com'è lecito) con estremo in P un segmento di retta, ad ogni spostamento del punto-immagine. a partire da P su quel segmento corrisponda una « piccola variazione » di C” effettuabile in un fascio e topologicamente equivalente alla « piccola varia- zione » topologica assegnata. Concludendo: Se la « piccola variazione » topologica di T scioglie tutti i d punti doppi, essa può tradursi în una « piccola variazione » algebrica: di C" effettuabile entro un fascio (reale). 6. Si applichi ora alla parte reale Y di C” una « piccola variazione » che sciolga a 0 dimensioni, intersezione degli spazî 0,. Nell'ipotesi fatta, alla « piccola variazione » dovrà corrispondere uno spostamento del punto-immagine sopra un segmento di retta uscente da P e giacente in 0. Ora perchè ciò sia possibile comunque si fissi la « piccola variazione » topologica, basta ed occorre che gl iperpiani «x (= 1,2....,2) taglino 0 in altrettanti spazi a t—-1 dimensioni aventi in comune precisamente un Stiza, Ossia che le curve piane d'ordine n passanti doppiamente per i p punti My costituiscano un sistema lineare co! entro il quale quelle pas- santi semplicemente per gli a punti Mx formino un sistema lineare pre- cisamente n°. La condizione è dunque puramente algebrica. Agronomia. — Za solubilità della Leucite nel terreno agrario. Nota del prof. G. pe ANGELIS D'OssaT, presentata dal Socio R. PIROTTA (*). I fratelli Rogers (1848), per primi, affermarono la solubilità della leu- cite nell'acqua. Posteriormente parecchi dimostrarono che la leucite nel terreno agrario mette a disposizione delle piante la potassa che contiene; fra costoro debbonsi, per ora, ricordare Clarke (1895-1900), Giglioli (1899), Steiger (1900), Paternò (1900), Ampola (1903), Monaco (1903-1912), Ca- ruso (1905), Casoria (1906), Ampola e De Grazia (1906), De Grazia e Ca- miola (1906), Angeloni, Bernardini (1908), de Angelis d'Ossat (1910) ed ultimamente Bandini, Nazari, Cecchetti, Felcini, Bonomi, Alvisi (1917), e specialmente Giannobi ecc. La scomposizione della leucite è facilitata da pa- recchi agenti, i quali sono quasi sempre presenti nel terreno agrario, come: () In generale il fascio non potrà avere parti fisse, Se però la C* è riducibile e tutti i punti doppî di C* che siano semplici o doppî per una sna componente sono fra i p da conservarsi, tale componente potrà anche mantenersi fissa. In tal caso le conside- razioni che seguono si intenderanno riferite alla parte mobile. (2) Bertini, Sui sistemi lineari [ Rendiconti del R. Istituto lombardo, serie 22, vol. 15 (1882), pp. 24-28]; oppure Introduzione alla geometria proiettiva degli iper- spazi [Spoerri, Pisa, 1907, pag. 227]. (3) Presentata nella seduta del 6 febbraio 1921. RenDpICONTI. 1921. Vol. XXX, 1° sem. 48 — 380 — l’azione decomponente delle radici, la presenza dei sali di NH° e di Na, l'intervento dei microrganismi, l'CO? ecc. (1). Ai geologi però già da gran tempo era nota la facile alterazione delle rocce lencitiche e della stessa leucite per azione dei soli atmosferici e senza il concorso diretto delle piante e del terreno agrario. I petrografi poi cono- scono chiaramente tutte le diverse forme paragenetiche che partono dalla leucite e citano infatti questo minerale fra quelli che più facilmente si alterano e che generano psendomorfosi (caolino, analcime, sanidino, plagio- clasi, nefelina, leucite-ammonio). La questione della solubilità nell’acqua della leucite si ricollega a quella dei feldspati e dei silicati in genere e quindi la relativa bibliografia si allarga enormemente. Tenendomi il più possibile nei limiti ristretti sull’ar- sgomento che presentemente sì tratta, oltre ai citati autori, menziono i se- guenti: Missoux (1856), Birnbaum (1862-63), Dehérain (1863), Ullik (1871), Laisné (1886), Aitken (1887), Nilsson (1889), Muller (1890), Passerini (1894), Sestini (1899), Schloesing (1900-02), Petermann (1900), Alvisi (1903-17), De Polo (1904), Dumont (1904), Prianschsukow (1905-12), Ma- nuelli (1908), Ciuffolini (1909), Ulpiani (1910), Craveri (1910), Schneider- holm (1912), Bunger (1912), Ross (1912), André (1913), De Boladeres (1914), Soave (1915), De Twill (1919), Ames e Boltz (1920), ecc. * *ocK La scuola pedologica americana, capitanata da Whitney e Cameron, so- stiene che i costituenti mineralogici del terreno si sciolgono puramente e semplicemente nell'acqua, senza che i minerali subiscano alterazione alcuna e permanendo quindi integrale la natura dei minerali residuali. Le reazioni, con le relative sostituzioni, avverrebbero solo per la parte sciolta nell'acqua. A questo stesso parere sembra che accedano — dopo molte ricerche mierosco- piche, pazienti ed accurate, sui minerali dei terreni agrari della Francia — il Delage e Lagatu (1904). Il Cayeux (1905) invece afferma che nel terreno agrario si trovano i minerali con gradazioni diverse di alterazione e che quindi questi di regola dànno direttamente luogo a decomposizioni e sostituzioni, senza sciogliersi prima nell'acqua. I fenomeni idrolitici spiegano i fatti che giustamente sorpresero i pe- dologi americani e francesi e gettano un ponte fra le due opposte concezioni. L’idrolisi dei minerali e quella della leucite ha permesso a Lepierre (1895) e ad altri tracciare per la leucite le fasi teoriche che si succedono durante il fenomeno coll’azione degli altri agenti. (1) Il Ferrero L. 0. (1892) fu il primo che pensò all’utilizzazione agraria delle rocce leucitiche italiane. — 381 — Dall'altra parte non mancano osservazioni positive che assicurano l'alte- razione dei minerali anche senza l'intervento dell'acqua, la quale non è sempre sufficiente da sola a provocare la scomposizione dei minerali. Non vha ragione che le forze paragenetiche che affaticano i minerali debbansi ‘arrestare proprio nel ben complicato laboratorio chimico che costituisce il terreno agrario, nel quale invece riconosciamo la presenza di molte cause favorevoli e di maggiore efficacia per la scomposizione dei minerali. Tra queste ultime non posso tacere l'azione di superficie, la quale nelle terre deve raggiungere un valore sicuramente considerevole e l’azione della fase “gassosa. Nel caso speciale della leucite posso affermare, in base a parecchie espe- rienze e ripetuti esami microscopici sopra terre dell’altipiano del Lazio, che il minerale ben presto si altera e si trasforma dando origine agli svariati prodotti delle vicende subite; mentre che nelle rocce sotterranee, sia laviche sia piroclastiche, rimane allo stato fresco quasi generalmente. Nelle terre invece molto dilavate i cristalli isolati di leucite od i frammenti, pur rima- :‘nendo inalterati, diminuiscono di volume, come dimostra l'avvenuto arroton- ‘damento degli spigoli e degli angoli solidi, senza l'intervento di azione abra- siva meccanica. Ho inoltre ripetuto le esperienze dei Rogers, del Clarke, dello Steiger e del Bernardini sulle lenciti laziali, ottenendo sempre risultati positivi sia con la carta di tornasole sia con la soluzione di fenolftaleina. L'entità dell'effetto si è mostrata proporzionale al tempo impiegato ed alla superficie presentata dal minerale. Le soluzioni idriche, ottenute per idrolisi, riescono così poco concentrate da non essere sufficienti all’alimentazione delle piante, come può dimostrarsi ‘con appositi calcoli. Però non mancano cause che rompono l'equilibrio nella soluzione e queste sono molteplici nel terreno agrario, come: il potere adsor- ‘ibente, lo sviluppo continuo e notevole di CO?, l’azione speciale delle radici, la presenza dei sali di NH*, l'alimentazione selettiva per ioni delle piante ecc. Per le citate ragioni sempre nuove quantità di sostanza minerale passa attra- ‘verso la soluzione, la quale pur rimanendo invariabilmente in grado tenue, tuttavia può sopperire alla specifica e completa appetenza delle piante. Specificando ricordo le relazioni reversibili che intercedono fra la leucite (residuo Al° Si'02= y) ed i radicali acidi dei sali di NH‘=x e cioè: 2NH'‘x + K?°y 3 (NH*)?y + K?x ‘donde la leucite-ammounio di Clarke e Steiger (1900) e del Bernardini (1908) «dalla formola (NH*)? A1° Si! 0!?. Con apposite esperienze, ho liberato parecchia potassa dalla lencite, — 382 — trattando questa allo stato puro e la leucitite, ridotte in polvere, con stalla- tico ed orina, al fine di intensificare e di abbreviare nel tempo il noto pro- cesso sull'ortose di Lawrence. I risultati da me ottenuti collimano con quelli. che ebbero coloro che sperimentarono nelle condizioni analoghe, come De: Grazia e Camiola, Passerini, Aloisi e Giannobi, ecc. Nel caso pratico dovrà preferirsi la leucite pura all'uso delle lave leucitiche, poichè queste, conte- _nendo quasi sempre discreta quantità di ferro allo stato ferroso, possono. aumentare di troppo il potere adsorbente del terreno e diminuire soverchia- mente la concentrazione delle soluzioni percolanti e quindi la stessa fertilità. Con un'altra esperienza, durata sei mesi, ho cercato di ponderare il valore idrolitico sulla leucite pura del Lazio. Di questo minerale ho scelto. frammenti calibrati, vitrei, esenti da visibili inclusioni e li ho messì in acqua distillata. Questa è stata rinnovata quasi ogni mese sino al quanti- tativo di un litro e mezzo. Il materiale leucitico pesava gr. 96.853 e quindi teoricamente conte- neva gr. 20,82 di K?0: la sua superticie calcolata è risultata pari a dc? 31,485. Alla fine dell’esperienza il materiale ha perduto il 0,124% del peso pri- mitivo. Di notevole interesse è stata la constatazione della formazione della parte dissociata non solubile sotto forma di gelo e non di solo; infatti l'acqua ha subito chiarificato dopo i rimescolamenti della massa. Secondo van Bemmelen e Cornu gli agenti atmosferici generano sulle rocce i gel, mentre secondo il Gedroiz ed Ulpiani si producono so/2. L'ultimo risultato ottenuto non può confrontarsi con quelli delle mie esperienze del 1910, pubblicati in questi Rendiconti, a causa della disparità delle condizioni; ma rimane però dimostrato e misurato il potere idrolitico della leucite. Allo scopo di formarmi un concetto concreto sulla solubilità della leu- cite in rispetto alla vegetazione, ho trattato il minerale con uno fra i più adatti solventi, cioè con una soluzione idrica di acido citrico al 2%. I frammenti di leucite furono previamente riconosciuti vitrei e senza inclusioni e se ne misurarono i relativi diametri: la leucite pesava gr. 69,345 e la sua superficie risultò di dc?. 4,3859. Dopo sei mesi, con soluzione acida di cc 800, ho ottenuto una diminuzione in peso — previa decanta- zione dalla parte insoluta — di 0,677 % : cui corrispondono gr. 0,145 di KO. La leucite in questa esperienza, come in tutte le altre, non ha mo- strato di aver subito la minima alterazione superficiale. i R * %* ti I fatti esposti spiegano i favorevoli risultati ottenuti con le concima- zioni leucitiche, le quali, apportando un elemento indispensabile e sufficien- - temente solubile nelle terre che ne sono sprovviste, aumentano, con forte. -- 383 — vantaggio economico, i prodotti delle piante potassofile erbacee, fra le quali particolarmente sensibili si mostrano le leguminose. Anche le arboree, come gli ulivi, per mezzo del sovescio hanno risentito il vantaggio nello stesso primo anno di trattamento. Ultimamente alcuni intelligenti ed accurati agri- «coltori hanno istituito esperienze su larga scala con leucite ridotta in polvere sottilissima, ottenendo generalmente risultati favorevoli, i quali non tarde- ranno gli sperimentatori a rendere di pubblica ragione. Tutto ciò insinua in noi italiani la speranza di poter mettere in valore, in un prossimo avvenire, le enormi quantità di potassa, calcolate dal Wa- shington in 9 miliardi di tonnellate, delle nostre roece vulcaniche. G. 0. OPERE PERVENUTE iN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 2 maggio 1921. Anastasia G. E. — Le forme elementari LockyegR S. — Further observations of della composizione dei vegetali o l'ori- the spectrum of Nova Cygni III, 1920 gine della specie (Filogenesi delle N3- (Repr. from the « Monthly Notices cotianae, delle Primulaceae e delle of the Royal Astronomical Society », Violue) (Estr. dal « Bullett. tecnico », vol. LXXXI, pp. 173-179). Edinburgh. n. IV). Scafati, 1920. 8°. pp. 1-43, 1921. 8°. BozzoLo C. — In memoria di Camillo Boz- PincHERLE S. — Sobre la iteracion anali- zolo. Torino, 1921. 8°, pp. 1-92. tica (Extr. da la « Revista matema- Bozzoro C. — In memoria di Camillo Boz- tica hispano-americana »). Madrid, zolo (Scritti medici dei discepoli). 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