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A, SM > Mt x wy CIT Tal «dle I [( ‘ (TACT \ Ù CC (, (mod. 4), B>=D (mod. 44) 2 e quindi, ponendo (= Pol C è intero razionale. e la classe composta 0 H-H,, contenendo la forma (c4,. B, 0) è razionale, c. v. d Della classe H consideriamo ora l'opposta della coniugata, H7!: pro- cedendo in modo analogo a quello seguito nel lemma precedente, si prova l'esistenza di due forme (4./.c) ed (ao, — do. co), appartenenti ad H ed Hi! rispettivamente e concordanti. Si ha allora il lemma II): componendo una classe H, con l'opposta della coniugata H7}, si olliene una classe del tipo P (3). 4. — Le considerazioni del numero precedente ci permettono ora di dimostrare che non esistono altre categorie, oltre quelle notate al n. 2, di classi di forme di Dirichlet, a determinante D, appartenenti ai generi delle specie principale. | Sia K una classe di forme di Dirichlet. appartenente ai generi sud- detti, ed indichiamo con / nua sua forma. Se D=3 (mod. 4) oppure D=0 (mod. 2), esiste certamente una forma di Gauss /,, a determinante D, primitiva di prima specie, la quale (1) Questo lemma e il suo precedente risultano pure, come è ben naturale, ricor- rendo alle formule generali di composizione delle forme date da Gauss nelle sue Disgui- sitiones. Noi però abbiamo ‘preferito seguire il metodo di composizione delle forme dato da Dirichlet, e cioè ricorrendo alla nozione di forme concordanti, perchè appunto sotto questa forma più elegante viene comunemente esposta la teoria della composizione delle forme aritmetiche. Sa, PSR abbia gli n caratteri (1) relativi agli x fattori primi razionali, dispari, diversi, soddisfacenti alle condizioni : n i ia (0) I, L MA-E-A- di DES 2 E perchè i caratteri delle forme di Gauss sono, nel caso attuale, x + 1 op- pure 2-+ 2 e possiamo quindi disporre di almeno uno oltre i caratteri (2) e ( sh) per rendere soddisfatta la nota relazione fra i caratteri. La forma i \Yj fs considerata nel corpo K({/T— TZ ha anche i caratteri @, # ey (od al cuni di essi) aventi per valori 4-1. Consideriamo la classe R, di forme di Dirichlet a cui /, appartiene; R, sarà razionale. La classe K.R, appartiene al genere principale; perchè dalle (2) e (3), si ha subito: mala i [£ ]3+1 Di ta, DI = | E ]= PI 55 ove, circa i caratteri @, f, y si deve ripetere la solita osservazione. Lu classe KR, è quindi una classe duplicata, e si potrà scrivere: IRE=He=RHARds05 ma, per il lemma del numero precedente, HH, è una classe Rs, razionale, Ho H è una classe P,, del tipo P e perciò si ba: Khi= RP; onde K= R,R;'P,. Ora, essendo R:Ri! una classe razionale. si ha che K risulta dalla composizione di una classe razionale con una classe del tipo P: non potrà dunque essere che razionale, complessa del tipo P_, oppure com- posta di due tali tipi, secondochè sia, rispettivamente: P, razionale, RiRi' del tipo P_e P, complessa. oppure R:R7' non del tipo P_e P, complessa sia D=="1 (mod. 4), allora è — D==3 (mod. 4). Tra le forme di Gauss a determinante — D, primitive di prima specie, esisterà una forma f =(a,b,c) per la quale si abbiano le relazioni (3), perchè tra i carat- teri delle forme di Gauss, a determinante — D==3 (mod. 4) vi è uno in (!) Cfr. La teoria dei generi delle forme di Gauss; ad es. in Bachmanni: Die Ar//% metik‘der quadratischen Forren. pag. 108 è ses , —_— 8— IWA i 1 ini più oltre i caratteri Ci e (A per cui è ancora possibile soddisfare alla relazione tra i caratteri. Ora, la forma /=(@,ib6,—c), a determinante D, apparterrà, nel corpo K({/— 1), ad una classe di forme di Dirichlet P, , del tipo P e sarà tale, che, la classe KP, appartenga al genere principale. Segue dunque la stessa conclusione dei casi precedenti. Le considerazioni svolte in questo numero, e quelle del numero 2, ci conducono al risultato seguente, ogsetto dell’attuale studio : Le classi di forme aritmetiche di Dirichlet, del corpo K(j/=) . a de- terminante D (intero razionale), primitive di prima specie, appartenenti ai generi della specie principale (2), sono di tre sole categorie: le classi razionali, le classi complesse del tipo P e le classi (complesse) che sì ot- tengono componendo una classe razionale, non del tipo P, con una classe complessa del tipo P. A questo risultato aggiungiamo ancora l'osservazione: /e classi appar- tenenti ai generi delle specie principale formano un sotto-gruppo del gruppo di composizione delle classi di forme di Dirichlet, che contiene a sua volta, come sotto-gruppo, quello delle classi appartenenti al genere prin- cipale. Si noti che se il determinante D contiene fattorì primi, razionali, di- spari, che siano soltanto =3 (mod. 4), questi due sotto-&ruppi coineidono, ed inversamente. Matematica. — Sulle varietà in rappresentazione conforme con la varietà euclidea a più di tre dimensioni. Nota di ALpo Finzi, presentata dal Socio T. Levi-CIvTA. 1. Di recente ho trattato il problema della rappresentabilità conforme di°una varietà qualunque ad 7 dimensioni sulla euclidea con altrettante di- mensioni (*), e sono pervenuto a due serie di condizioni: la prima costituita di equazioni algebriche lineari nei simboli di Riemann, la seconda di equa- zioni differenziali di 1° ordine nei simboli stessi. Tali gruppi di equazioni, che qui riporto, senz'altro, dalla mia Nota, sono i seguenti: ] (A) Uij,nk 4 cao (Gin Gin — Qin Gin + Gjn Gin — Cn Gig) + G prenreni eni (B ainG — agGa— 2(n — 1) (Gua Gaja) =0. (') A. Finzi, Sulla rappresentabilità conforme di due varietà ad n dimensioni l'una sull'altra. Atti del lx. Ist. Veneto, tomo LXXX, parte 22, 1921. SR ge in cui è ul 7 (A È Gik “a Di agli Aij,hk , G == dr Sa Gik . I 1 Per 2==3 le (A) si riducono ad identità. Contemporaneamente a me, e con metodi proprî, lo Schouten ha trat- tato lo stesso problema (!), ed è giunto, naturalmente, a due sistemi di equazioni equivalenti ad (A) e (B), espressi con gli speciali simboli di cuì l’autore da alcun tempo si vale. Lo Schouten ha fatto, però, un'ulteriore e feconda osservazione. che a me era sfuggita. Si tratta precisamente di questo. Nella mia Nota io ho asserito (omettendone la facilissima dimostrazione) che le relazioni del Bianchi per i simboli di Riemann sono identicamente sod- disfatte, quando sono verificate le (A) e le (B). Lo Schouten, invece. ha dimostrato che, per # > 3, dalle relazioni del Bianchi e dal gruppo delle condizioni algebriche si può ottenere il gruppo delle condizioni differenziali, le quali diventano quindi superflue per la rappresentabilità conforme di una V,. (2 >3) sopra lo spazio piano. Tale risultato può trarsi molto rapida- mente anche dalle mie equazioni (A), associandovi le identità del Bianchi el alcune loro combinazioni già costruite dal Levi Civita (2). Ciò mi propongo di mostrare in questa Nota (3), in cui aggiungo al- cuua delle applicazioni consentite allo Schouten dalla osservazione sopra esposta, ritenendone non inutile la trattazione con i metodi del Calcolo difte- renziale assoluto, dato che lo speciale simbolismo usato da quell’antore ri- chiede una iniziazione tutta propria. 2. Con le posizioni (1) 4A,,=asG —2(nT-1)G,, (2) Ara= Ara — Artes già da me introdotte nel citato lavoro. le (A) e (B) prendono ]a forma (A) 2(a_-)Mn_ 2) aan + (dx An — din Aji + om Ann An = 0, (B,) AF0E Derivando le (A,) e tenendo conto delle relazioni del Bianchi Cij,kkl + Cij,hilh “i 0ij.tnh = DG (1) J. A Schouten, Veber die konfurme Abbildung n-dimensionaler Manniyfaltig- keiten mit quadratischer Masshestimmung auf eine Mannigfaltigheit mit euklidischer Massbestimmung. Mathem. Zeitschrift, Band 11, Heft 1/2. 1921, pp. 58-88. (2) T. Levi-Civita, Sulla espressione analitica spettante al tensore gravitazionale. Rend. R Acc. Lincei, vol. XXVII, serie 52, 1° sem. 1917, pag. 381, formole (12). (*) Il risultato dello Schouten fu ottenuto poi, per altra via, anche dal Weyl in Einordnung der projekt. und der Konf. Auffassung. Nach. d. Ges. d. Wissensch. zu Gottingen, 1921, s. 9. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 2 dalle (A,) si passa alle din Ajna + Gin Ajin + Qi Ajna = dn Ain + Gr Aan + GiAink 3 e da queste, moltiplicando per a“ e sommando rispetto ad :,%, si de- ducono le n n (2 —3) Ajw = 0jw di A An 4 Gp DI GUI Ang - 1 1 Se sì tiene conto delle posizioni (1) e (2). e delle identità del Levi- Civita n 2 Sa Gn = Ge, 1 dianzi citate, si riconosce facilmente che le due sommatorie del 2° membro delle equazioni precedenti sono identicamente nulle; per cui da esse si trae (a—3)An=0, e per 2 >8 si hanno, quindi, le (B,). 3. Quando x > 3, le condizioni necessarie e sufficienti, affinchè una varietà V, sia rappresentabile conformemente sulla varietà euclidea, sono dunque date dalle sole equazioni (A), che nel precedente lavoro ho messo sotto la seguente forma intrinseca: (A’) Ypqg,rt = 0 . n n i (A ) Ypg,pt = 2, Vqyrt 4 1 n 1 n DAI \ ; = ——T— Na ( BS asia = O , c è ( ) Ypq,pgq AE, Yrp,rp ui Yra,ra) (n 1) (a— 2) +" Vrsyrs (indici tutti distinti), con riferimento ad una qualunque ennupla di con- gruenze ortogonali della varietà data. Se. in particolare, ci si riferisce ad una ennupla principale (*), dovendo per essa aversiì >, Yan =0 (4#14) , Da Vrprp = 9p> 1 in cui 9, sono gli invarianti principali, le precedenti assumono l’aspetto più semplice n Ypg,rt =0, Ypa,p = 0 a (M_ 1) (a-2) Ypa.pa = (ol (Op SP 09) = DE Or. I (*) G. Ricci, Direzioni e invarianti principali in una varietà qualunque. Atti del R. Istituto Veneto, tomo LXIII, parte 22, 1903-04, pp. 1233-1239, cfr. pag. 1286. = 11 — 4. Si voglia ora trovare per quali varietà V, (2 >3), immerse nello spazio piano ad 2 | 1 dimensioni (ipersuperficie), le condizioni (A‘),(A"),(A") siano verificate. Basterà ricordare che ogni ennupla che risulti delle linee di curvatura di una ipersuperticie ad x dimensioni, è per essa una ennupla principale, e che fra le ennuple principali ne esiste nna almeno per cui sono soddisfatte le equazioni (3) Ypare =, ogni volta che la combinazione semplice (7/) degli indici 1,2....,m, è dì- stinta dalla (pg), e alle equazioni (4) Ypapa = Pp > in cui f1, 22,3 fn Sono indeterminate (1). Le (A') ed (A”) sono senz’altro soddisfatte, se lo sono le (3); le (A””), in virtù delle (4), diventano (5) CER n \ ) 2 — (n—-1)} f;(B—)+f(B-#)(=D,f,—- Bi 1 n ove B= > Dv . Le (5) si mutano in identità, non solo se si suppongono tra tutte ugnali le 8,, ma anche se si suppongono uguali #7 — 1 di esse. Ponendo nelle (5), in luogo della combinazione (7,9), successivamente, le combinazioni (î.7),(7,%) e sottraendo, indi (7,2) e (X,/) e sottraendo, sì ricavano le equazioni (BN) (a- 2) dit + A B=0, (3; — 80} (n—-2)8/+ 8 A—B}=0, da cui si passa alle (B;— PB) (B—-R) =0. Queste, e l'osservazione fatta sopra, esprimono il teorema: 7a le iper- superficie ad n dimensioni (n >3) sono rappresentabili conformemente sùlla varietà euclidea ad n dimensioni tutte e soltanto quelle per le quali n—-1 almeno delle Bi sono uguali (*). » 5. Dal Ricci fu dimostrata questa notevole proposizione (*): Ammettono terne ortogonali costituite di congruenze normali e isotrope tuite e sole (1) G. Ricci, loc. cit., pag. 1233. (2) J. A. Schouten, loc. cit., pp. 87-88. Il caso n =3 fu trattato da me nella Notu: L? ipersup. a tre dimensioni che si possono rappresentare conform. sullo spazio euclideo. Atti del R, Istituto Veneto, tomo LXIT, parte 2%, 1903. (3) G. Ricci, Sulla determinazione di varietà dotate di proprietà intrinseche date a priori. Rend. R. Accad. Lincei, vol. XIX, serie 5%, 1° sem. 1910, pp. 181-187. de oe le varietà a tre dimensioni che si possono rappresentare conformemente sullo spazio euclideo. Il teorema si estende facilmente alle varietà con un numero qualunque di dimensioni maggiore di tre (1). Se si suppone infatti che la V, ammetta una ennupla ortogonale (che potrà assumersi come ennupla di riterimento) costituita di congruenze normali ed isotrope, per essa saranno soddisfatte le condizioni seguenti: ng = 0, Yni= Ynjj- per ogni terna di indici kh, 7,7 distinti. In tale ipotesi, per gli invarianti y a 4 indici. varrauno le relazioni. Yung = 0, Ynini==Yuikj. Yni.ni Dr Yaj,nj = Ynkhhn D Vijiij » in cui k#,t,%,) sonò da intendere variabili da 1 ad n, ma tutti distinti. Le relazioni del 1° gruppo coincidono con le (A'); da quelle del 2° (dando a k tutti i valori da 1 ad x, diversi da 7 e 7, e sommando) si ottengono le (A”); e infine da quelle del 3° gruppo (dando a / tutti i valori da 1 ad n, diversi da é e %, e sommando, indi a 4 tutti i valori da 1 ad #2. eccetto A, e sommando) si hanno le (A””). Risulta pertanto che ogni V,, nella quale esiste una ennupla ortogo- nale di congruenze normali e isotrope. è in rappresentazione conforme con la varietà euclidea; la proposizione reciproca non ha bisogno di dimostra- zione, e però il teorema di Ricei risulta generalizzato, come si voleva. Matematica. — Sulla equazione funzionale /(er+y)=f(2) f(4). Nota I di Silvio Minett!, presentata dal Socio T. Levi-Civita (?). I. InrropuzionE. — È noto (3) ch» se una f(.), funzione della x nel senso di Dirichlet, soggiace alle seguenti ipotesi: 1) è detinita in tutto il campo reale; 2) in un intervallo prefissato, 4a = x < 0, si mantiene reale. ed in- feriore in valore assoluto ad un numero positivo M : 3) in tutto il campo reale soddisfa all’equazione funzionale (1) (4 y)=f(2 (9), ovvero all'altra (1°) [(@+y)= f() + ff). (*) Di questa generalizzazione lo Schouten fa cenno nella nota 33 a piè di pag. 88 del citato suo lavoro. (?) Presentata nella seduta del 19 giugno 1921. (3) Darboux, Math. Annal, Bd XVII, 1880, pag. 55. Ie essa risulta necessariamente continua e quindi (Cauchy) coincide rispettiva- mente con la funzione e'©” o Ke (K costante). È noto altresì come la questione di trovare il minimo di condizioni da imporre alla /(x) perchè risulti necessariamente continua, ha dato oriì- gine a varii lavori, e come forse il risultato più importante in merito sia quello ottenuto dal Darbonx (?). In esso però, come in tutti gli altri lavori sull'argomento, si ammette l'ipotesi 1). Ci proponiamo di mostrare qui che [escluso il caso banale in cui la f(x) sia zero dappertutto, tranne in un pnuto] alla 1) si può sostituire l'i- potesi più lata che la /(r) sia definita soltanto nell'intervallo (a, /). Con ciò. notiamo bene, in forza della (1), o rispettivamente, della (1'), essa viene subordinatamente determinata anche nell'intervallo (2a, 20), che in generale risulterà staccato dal primo (?). Senza ledere la generalità, potremo supporre 4 e è ambedue positivi poichè, in caso contrario. sì perverrebbe alla conclusione enunciata ancor più direttamente, come sarà facile riconoscere dal seguito della presente Nota. Qui tratteremo il caso della (1). ma è ovvio far notare che la conclu- sione accennata vale anche per il caso in cui la /(x) soddisfi, anzichè alla (1), alla (1°). Lo stesso teorema vale per una /(z), funzione della variabile complessa z, sempre beninteso nel senso di Dirichlet; esso si riconduce in modo sem- plicissimo al caso del campo reale che stiamo per trattare, e sarà oggetto di una brevissima comunicazione che avrò l'onore di presentare a codesta Accademia (3). (1) Loc. cit. Sull'argomento, che si riconnette intimamente al postulato della con- tinuità della risultante di due vettori, ed alla ben ordiuabilità del continuo (post. di Zer- melo), vedi: Volpi, Giorn. di Batt., v. XXXV, 1897, pas. 104, a cui però sono state sol- levate varie obiezioni; Levi Beppo, Rend. R. Acc. Lincei, ser. V, tom. IX, 2° sem. 1900: Hamel, Math. Ann., Bd. LX, 1905, pag. 459; vedi pure uno studio del prof. Roncagli brevemente riassunto nei Rend. del Semin. Matem. della R. Univ. di Roma, 1913-14, in cui afferma illusoria e scorretta la soluzione discontinua proposta dall’Hamel. Dal punto di vista della comp. dei vettori vedi l’estesa bibl. nella Meccanica ra- zionale del Marcolongo. man. Hoepli, II ediz., vol. I, 1917. (2) Per la validità della conclusione cui si giunge, basta del resto supporre la f(@) definita in un intervallo (a, 4), in esso limitata, e godente della proprietà che il prodotto f(21) f(») 0 rispettivamente la somma /(2,) +/(£3) (se 71 ed #, sono due punti com- presi nell’intervallo di definizione) resti costante quando, pur variando x; ed x,, von varii però la loro somma (2, + xp). (8) In proposito vedi: Segre, Atti Acc. Scienze Torino, tom. 25 e 26, an. 1890 e 1891; Segre, Math. Ann., Bd 40, an. 1890-91; Segre, Interm. des Mathem., tom. I, pag. 182, an. 1894; Lebesgue, Atti Ace. Scienze Torino, tom. XLII, 1906-07, pag. 552; E. Noether, Math. Ann., Bd LXXII, 1916; Teiracini, Math. Ann. Bd. 80, an. 1921. Bea 12,1, SR II. LEGITTIMITÀ DELL'IPOTESI /(4) #0. — Osserviamo innanzi tutto come sia lecito supporre /(a) +0. Invero, se fosse /(a)=0, dall'eguaglianza f(a) /(a)=/(a+ 2) che vale per a < a < d, si trarrebbe che la /(x) sarebbe sempre nulla. intanto, da 2a ad (a+ D). In causa poi dell'altra eguaglianza & paX f(a) = (5) intesa applicata per 2a = x = (a -+ d), si trarrebbe che la /(7) è conse- Re guentemente nulla pure da « ad —, cioè in tutta la prima metà del- fm) 2 l'intervallo (a, d). Se dunque la /(x) è nulla nell'estremo inferiore, 4, dell'intervallo, è nulla pnre necessariamente in tutti i punti della prima metà di esso (estremo superiore compreso). Ragionando poi sulla seconda metà di (4,2), come abbiam fatto per la prima, e così di seguito, scorgiamo facilmente come l'ipotesi /(a) = 0 tragga la conseguenza /(x)= 0 per a <= x < h, cadendo nel caso banale. III. RIDUZIONE A ZERO DELL'ESTREMO INFERIORE DELL'INTERVALLO DI DEFINIZIONE. -—— Si consideri una nuova funzione definita nell'intervallo chiuso [0,(6—4)] (di cui cioè fan parte anche l'estremo inferiore 0 e l'estremo superiore [Bb — «]) dalla posizione {(x + a) f(a) posizione legittima, in quanto, come abbiam visto, /(a) #0. La (x) nell'intervallo [0 . (6 — a)] soddisferà alle ipotesi cui soggiace la /(7): in particolare soddisferà in quel campo alla (1). Invero, se x, ed x, sono due punti tali che (2) gx) = 0 e compreso fra 0 e (f — a), / " /x PAL A pr')=9p(r) pa — €), dovrebbe essere g(x")=0, e quindi, se la g(x) s'annulla in un punto, essa si annulla pure per tutti i punti compresi fra quello e l'estremo superiore dell'intervallo. ’ DI / 7 DEN i 1a 1 In forza poi dell'eguaglianza se)=9|5) , seguirebbe 9(5)= 0 e quindi la funzione si annullerebbe anche in tutti i punti dell'intervallo ESRI la gr ) . Così ragionando, si arriva a concludere che la g(x), tranne per 4 = 0, sarebbe sempre nulla. In conseguenza di ciò, si annullerebbe anche /(x) per a <= x — », ricadendo nel caso banale. Nel seguito della presente Nota mostreremo dapprima che la continuità in un punto generico dell'intervallo può ricondursi alla continuità a destra del punto zevo. Successivamente dimostreremo che la nostra f(x) è necessariamente con- tinua alla destra dell'origine, rimanendo così affermato il nostro assunto. La presente Nota ha avuto occasione di esser redatta da uno studio sul problema generale della propagazione elettrica lungo le linee col me- todo simbolico di Heaviside. Matematica. — Sopra un tipo di equazioni integrali non lineari. Nota I di ATTILIO VERGERIO, presentata dal Socio T. Levi- CIVITA. I. Il seguente tipo di equazioni integrali non lineari 1) “= Mo 4 4Y (* mila 2) KM [e.y;hMy)]dy, nel caso che sia p=1, u,(x)=0, 9:(x)=z, il nucleo sia regolare e soddisfi a certe condizioni, venne risoluto dal Volterra ('). (1) Legons sur les équations intégrales ecc., Gauthier Villars, Paris, 1913, pag. 90, L’equazione lineare del Volterra, col limite superiore generalizzato, venne considerata più tardi dall’Andreoli nella sua Memoria Sulle equazioni integrali, inserita nel vol. XXXVII dei Rend. del Circ. mat. di Palermo, pp. 76-112. Ivi l'A. dimostra che, se la funzione incognita è assoggettata soltanto ad operazioni di un certo gruppo, l'equazione data può ricondursi, mediante una trasformazione, ad un’equazione di Fredholm di 1 specie, nella quale la funzione incognita figuri soggetta a sole operazioni elementari. Altri tipi di equazioni non lineari vennero studiati dal Bratu e dal Lévy P. in parecchie Note apparse nei Comptes Rendus negli anni 1909-°10-'11. SOG Qui noi ci proporiamo di studiare la (1) che appartiene ad un tipo alquanto più generale di quello ora menzionato, supponendo che parte delle K©[x,y;h(y)], od anche tutte, possano diventare intivite per valori di y nei rispettivi intervalli d'integrazione [u,(4) , 9(2)], cona = = è, senza che perciò ne resti intirmata la loro integrabilità. 2. Per risolvere la (1), opereremo anzitutto una trasformazione (*) ag- giungendo ai due membri della stessa la funzione DI) u(e) = 4 f eruy + ei dy, zi Ur(2) dove le c, e la e sono delle costanti da determinarsi. Posto U(x)= (2) + (2); K®[x,y;hy)] + cr ug) + ce= H©[r.y;b()]. la (1) diventa U(2) = Ka) +4 » (°° HO e yy pa 4)dy: r=l Mr(@) Faremo l'ipotesi che la u(x) sia limitata e che le K®[2,%;4(4)] (r=1,2,..,7) ammettano, pei valori di y pei quali sono regolari, la deri- vata prima determinata, rispetto alla funzione £(y) considerata come una variabile; derivata che indicheremo con K{(j{x,%4y)] (2). Scelti allora un o > 0 arbitrario ed un numero positivo m tale che |A|mp=-@ risulti positivo e minore di un numero arbitrario K< 1, deter- miniamo le costanti c, in modo che, per ogni funzione 0 2|@(2)|< 20 e per ogni numero O<0S 1, si abbia (Yo) a, x > 2) IRE (Boo, Ce, 9: 6U(4) | (Y]]dy<, (2 =1R 2000 Indicando poi con v il massimo modulo della U(x), che naturalmente risulterà funzione della rimanente costante c, determiniamo quest’ultima in modo che, assieme colle (2), rimanga soddisfatta anche la relazione (3) zl v+ 0 Supposto che il sistema delle precedenti p + 1 in equazioni nelle p -}- 1 incognite c, e c sia compatibile, ammetteremo d'aver fatto nella (1) la tra- DI (3) Con metodo simile a quello qui usato, ho risoluto altri tipi di equazioni non lineari che ho considerato in due mie recenti Memorie, delle quali la prima Sulle equa- zioni integrali non lineari, apparirà nel fascicolo 1-2 del vol. XXXI degli Annali di matematica, e la seconda, dal titolo Sulle equazioni integrali non lineari con operazioni funzionali singolari, trovasi in corso di stampa nel Giornale di matematiche. (2) A questa condizione si potrebbe sostituire la seguente: che le K[x,y; U(Y)], per ogni funzione w(y), siano tali da aversi | K©[x,y; U(4) + 0(0)]— K©[e,y; UMII=|0M|[F,M|, sotto la condizione che le funzioni | Fx, y) | siano integrabili. sformazione di cui sopra. Ciò non di meno noi, per semplicità, continueremo ad usare ancora gli stessi simboli. 3. Supposto pel momento che sia (4) (Ma) - ua) |<0, poniamo he) — (x) =u(e)=u(x). Per la (4) avremo subito | @(x)|<0. Similmente, posto h(x) — ws(2) = us(r) =u(x) — 4 » Moi % PROCE, yy) — 0(y)]d4y= ri - (22) =u(x) — 4 y je n K®P[é,y;u(y)]dy. = 4r(2) Sostituendo alla (x) il suo valore dato dalla (1). s’ottiene 2° (7gr(x 0,(x) = 4 D poni K©[e,y;hy) — 0(y)]}— K©[e,y;b(y)]{ dy= r= ru P_ ((6,(2) =-4) | %w1(7) Ke 7; HM) — 69 0(y)] dy ; r=i pre) composto]. E poichè h(y) — 09 0(y))=uY) +(1—- 0%) 04) = ug) + 60 w,‘7) sarà N Lo , = Si pra | EIVÉE x, Y L) “(Y) = 61” w (7), | dy 3) Ur) ' | oz) |<|4 e quindi, per la (2), \w(e)|<|A|pmo = 00. Per esigenze di spazio rimandiamo il sèguito ad altra Nota. (3) Invero, se « è un valore di y per cui la funzione integranda diviene infinita, si può Roo 9r( \ (a-8 Du uh) == EC ,y: (ty =tim 3 | A e,m=0( 5 Ur a) Ir $ ( a-g 2IS es i STO My — @(yY)]— K9Ce,y:k(y)] idy=lim ) Del /a+ e7=0(/,(2) Gr(©) ) Da \ | RS %01(Y) Kay) [24 : K(Y4) — 0 w(Y)]dy = -@+7 = 01(Y) Kxim23Y; My) — 0 @(y)] dy. ur(2) Colla scrittura Ki{x YU: h(Y) — 94 w:(y)] ed analoghe, bisogna poi intendere che prima si deve derivare la K©.x,y;k(y)] rispetto alla 4(y) e poi mutare %(y) in CA(Y) — 09 w(y)]. ReNDIcONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. 8 E Mg Relatività. — Lo spazio-tempo delle orbite kepleriane. Nota I di F. P. CANTELLI, presentata dal Socio G. CASTELNUOVO. 1. L'idea più geniale della Relatività generale consiste nel riguardare la traiettoria di un punto materiale in un campo gravitazionale, quando si tenga conto del tempo, come una geodetica di uno spazio-tempo a quattro dimensioni, È noto che Einstein caratterizza la metrica di questo spazio-tempo me- diante certe equazioni alle derivate parziali, dette equazioni gravitazionali, che, pur involgendo una discretà arbitrarietà, hanno condotto a spiegare o a prevedere fenomeni confermati dalle osservazioni. Sembra interessante di seguire un cammino inverso a quello accennato; cioè, partire dalle equazioni della traiettoria, considerando questa ultima come suggerita dalle osservazioni e, prescindendo da ogni considerazione di equazioni gravitazionali, esaminare quale debba essere la metrica di uno spazio-tempo affinchè quella traiettoria rappresenti una geodetica di esso. In questa prima Nota mi occupo dello spazio-tempo che conduce alle orbite kepleriane. 2. La presenza di un'unica massa, ad esempio il Sole, genera uno spazio-tempo quadridimensionale il cui quadrato dell'elemento lineare, per intuitive e note considerazioni di simmetria (!), ha la forma (1) dst= — e dr® — er? d0° + r® sin? 0. dp?) + ce? e. di* \ in cui 7,0, sono coordinate analoghe alle polari che fissano la posizione di un punto nello spazio (*); 4 è il tempo; ce? il quadrato della velocità della luce; 4, w.v sono tre funzioni della sola 7, che tendono a zero per r> co poichè a distanza infinita dalla massa, generatrice dello spazio-tempo (1), quest’ultimo deve diventare euclideo. (1) Cfr., ad. es., Palatini, Lo spostamento del perielio di Mercurio, ecc. (Nuovo Cimento, serie VI, vol. XIV, fascicolo luglio 1917). i (2) Si noti che r non rappresenta, in generale, la distanza del punto materiale dal polo. Si rileverà però facilmente in seguito che se r , 7’ sono i parametri che fissano la po- sizione di due punti sopra una linea 0 = cost., p = cost. (geodetica) uscente dal polo, r-r" esprime la distanza dei due punti, a meno di una quantità trascurabile, quando essi siano snfficientemente lontani dal polo. Per le ragioni di simmetria addotte, la traiettoria di un punto mate- riale, quando si elimini il tempo, ha luogo in un piano (più precisamente superficie geodetica), 9 = cost. che possiamo supporre sia il piano 6 = rd è perciò che ci limitiamo a considerare lo spazio-tempo tridimensionale il cui quadrato dell'elemento lineare è : (2) dst = — & dr° — et r® dp* + e* e di* . Per la determinazione delle funzioni incognite 4, u,v ricaveremo Ja equazione in 7, g della traiettoria, rappresentatrice di una geodetica dello spazio-tempo (2), e la identificheremo con la nota equazione, in coordinate polari, col polo nel fuoco, di una conica. 3. Le tre equazioni di una geodetica dello spazio-tempo (2) equivalgono, a determinazione fatta, alla (2) stessa e alle altre: deg dt k p L ngpeza ca x PER LEI ah) (3) Ara h Priori si essendo X, % due costanti di integrazione. La eliminazione di d/,ds tra (2) e (3), quando si ponga «= !/,, conduce, dopo i necessari passaggi, alla equazione 72 UT 2 Q2u—- (Y+).) 2u-) d?y 1 de loda dabioieti (4) 2 sn eb UT53 se 212 gie dg 2 du 2 c* h° du 2h du che identificheremo con l'equazione d*u dp? la quale ammettiamo sia giustificata dalle osservazioni. Le funzioni 4, w,v, non dipendenti da X,%, debbono condurre alla (5) in cui « deve essere, in generale, dipendente da %,%. Ponendo a= /(£,), il paragone fra (4) ,(5) conduce a scrivere (0) Lu=a= cost. 1 det — pur DES Le x \ iena orge A {6) I 14° det st» 1 detto ia SZ ZTEZIà.k | vu) dice h° du 2h* du AO) nell'ultima delle quali va considerata come incognita anche /(£, 4). 4. Dalla prima delle (6) risulta che w(u) deve essere indipendente da k,h. Derivando, pertanto, la seconda delle (8), parzialmente, prima rispetto a E e poi rispetto ad 7, deve aversi identicamente 7 li det 8+V skh=—- 4 \ Pa(k sh) e*h2 du (7) CA 1%? detu-svo 1 deîtt>>. \ ea TORE du h du 9g I primi membri delle (7) debbono essere indipendenti da «; altrettanto deve essere dei secondi membri. Essendo, pertanto, a, due costanti qual- siasi, indipendenti da X,/7, dobbiamo scrivere deb s+” dets-* (8) AREA du e poichè w e Z debbono tendere a zero per u>0, si deduce (9; ee sto — aut LIDO ed — But 1 È Le (7),(9) forniscono ovviamente E i 1696 (10) ((k È h) e Fani 2 he TO: 2h? = De essendo y una nuova costante indipendente da %, n. Sostituendo la (10) nella seconda delle (6), e tenendo presenti le (9), risulta w(v) +y= 0 la quale, per la prima delle (6), dà un'equazione differenziale in e4>*, x, che integrata fornisce (11) evil + e, poichè il primo membro di (11) per u->0 deve tendere all’unità, deve essere ò (12) vi -i0i_0 5. Le (9) ,(10),(11),(12) portano a serivere Bu+ 1 c INS . &u — pres (13) 7 ini € e fut 1 Ira (14) female). Si può coneludere che affinchè lo spazio-tempo quadridimensionale (1), soddisfacente alla condizione posta limv=limu=limZ=0, T> 0 ammetta geodetiche che possano essere rappresentate da traiettorie di equa- zione è necessario e sufficiente che valgano le (13), essendo «,£ due costanti arbitrarie, indipendenti, come si è detto, da %,/% che hanno il significato fornito dalle (3). Il valore di 4 è allora dato dalla (14). 0, Relatività. — Sopra è fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria. Nota I di EnrIco FERMI, presentata dal Cor- rispondente G. ARMELLINI. 1. Per fare lo studio dei fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria, cioè, in linguaggio non relativistico, in una porzione di spazio, variabile eventualmente col tempo, ma sempre molto piccola in confronto alle divergenze dall'euclideità, della varietà spazio-tempo, converrà anzi tutto ricercare un opportuno riferimento tale che, in vicinanza della linea studiata, il ds? della varietà prenda una forma semplice. Per trovare questo riferi- mento, dobbiamo premettere qualche considerazione geometrica. Sia data in una varietà riemanniana V,, od anche in una varictà me- tricamente connessa nel senso di Weyl (*), una linea L. Associamo ad ogni punto P di L una direzione y, perpendicolare ad L, con la legge che la direzione y + dy, relativa al punto P + @P, sì deduca da quella y relativa . a P, nel seguente modo: Sia » la direzione tangente ad Lin P; si traspor- tino parallelamente (%) y, n da P in P+dP e siano y-dy,n{ dn le direzioni così ottenute, che per le proprietà fondamentali del trasporto pa- rallelo saranno ancora ortogonali. Se L non è geodetica 7-4 dy7 non coin- ciderà con la direzione 7-- 7 della tangente ad L in P-|- dP, e queste due direzioni individueranno in P 4 dP una giacitura. Considerigmo in P_|-dP l’elemento di S,_. perpendicolare ad essa e ruotiamo rigidamente attorno a tale S,-. tutta una particella circostante P +4 dP, fino a che + dn non vada a sovrapporsi ad 7-|- dy. Allora y+dy andrà a finire in una posizione che prenderemo come direzione y + dy relativa al punto P4 dd. Si intende bene come, fissata a piacere la direzione y in un punto di L, un processo di integrazione permetta di conoscerla per tutti i punti di L. Cerchiamo ora le espressioni analitiche traducenti le operazioni indicate per una varietà riemanniana, che sono identiche a quelle valevoli per una varietà metrica di Weyl purchè si abbia l'avvertenza di scegliere la « Eichung » in guisa che la misura di un segmento, che si muova rigidamente nelle vici- (!) Weyl, Raum, Zeit, Materie, pag. 109. Berlin, Springer, 1921. (3) T. Levi-Civita, Rend. Circ. Palermo, temo XLII, pag. 173; an. 1917. nanze di L, sia costante. Sia (1) ds'—Signldzdox (Aaa) DO ossialo i, Una gg sistemi co- e controvarianti delle dire- zioni y, 7. Avremo intanto (AL) pan d21 _ xp (4) den dar. ds Fi e ez. dy' d dx; d° di è inoltre CANI rr tI e Page PTT Si trova dunque Int — dn dx; AM i) e i darai hl Le C° sono le componenti controvarianti del vettore C, curvatura geo- detica, cioè di un vettore che ha l'orientazione della normale principale geodetica di L e grandezza eguale alla sua curvatura geodetica. Si ha d'altra parte dy© GCRE) dre AM LR (2) ds mi i ji ds Ora, siccome y è perpendicolare ad L, lo spostamento, con cui da 7 + dY si deduce y + dy, sarà parallelo alla tangente ad L e avrà grandezza eguale alla proiezione sopra y stesso di d) — d7; vale a dire, siccome y ha lun- ghezza 1, al prodotto scalare di 0) — dy per y, cioè 3 (dm — du) y® = — ds X Ciy®. di Q Le sue componenti controvarianti si otterranno dunque moltiplicando la sua grandezza per le coordinate controvarianti della tangente ad L, cioè xi a Esse son dunque, in ultima analisi, — dx; Y C,y. Da (2) risulta ora im- r mediatamente dy@ RC) dx; dx; 3 rece SG (8) ds mici? ds ds 0nI La (3), scritta per 7=1,2,...%, dà un sistema di » equazioni diffe- renziali del primo erdine tra le n incognite y°° y°®... y che risultano così determinate, una volta che ne siano assegnati i valori iniziali. Sarebhe auche facile verificare formalmente dalle (3) che, se i valori iniziali delle y° soddisfano la condizione di perpendicolarità ad L, tale condizione resta ve- rificata lungo tutta la linea. 2. In un punto P, di L assegnamo ora a piacere n direzioni 7, 2... Yn mutuamente ortogonali, con la condizione che y, sia tangente ad L. Le qi- rezioni Y1%2 + Yn-. saranno perpendicolari ad L e potremo trasportarle Q c lungo L con la legge assegnata al $ precedente che, come è evidente dalla . sua stessa definizione, conserva la loro ortogonalità. In tale modo veniamo ad associare ad ogni punto di L » direzioni mutuamente ortogonali, di cui l'ultima è quella della tangente ad L. Pensiamo ora la nostra V, immersa in un Sx euclideo a un numero conveniente di dimensioni. Possiamo pren- dere come coordinate di un punto di V, le coordinate cartesiane ortogonali della sua proiezione sopra l'S, tangente a V, in un punto generico P di L, aventi per origine P e per direzioni le direzioni 7,7%... y, relative al punto P. Con tali coordinate l'elemento metrico di V, in P prende la forma ds = dyî + dy5-|---- + dyi; esse inoltre, come immediatamente si rico- nosce, sono geodetiche in P. Vale a dire, per le coordinate y si può nel- l’intorno di P_porre, a meno di infinitesimìi di ordine superiore al primo, AVI] È manifesto che di tali riferimenti ne avremo uno per ogni punto di L. Consideriamo ‘ora un punto ®, di V, che nel riferi- mento relativo al punto P, di L abbia coordinate Uno Vaiano 0 Per ogni altro punto P di L possiamo allora determinare un punto @ che, nel riferimento relativo a P, abbia le stesse coordinate che ha Q, nel riferimento relativo a P.. Il punto @ percorrerà così una linea di decorso parallelo ad L. Vogliamo ora trovare la relazione che lesa dsq a dsp nell'ipotesi che Q sia infinitamente prossimo a P. Perciò osserviamo che lo spostamento che porta Qin Q4 dQ è composto degli spostamenti indicati al $ 1 con d e con d—d e che il primo, essendo uno spostamento parallelo, fornisce, a meno di infinitesimi di ordine superiore, dsq = dsp; il secondo è una rotazione che, come sì è visto al $ I, dà (4 — d) sa=dspCXQ— P, se con X si indica il simbolo del prodotto scalare e con Q— P il vettore di origine P e termine Q. Inoltre dsq e (4— d)so hanno entrambi la direzione della tangente in L. Si ha dunque dsq = dsq + (dé — d) sq; cioè 4) dsq= dso[1+ CX Q—P1. Le traiettorie dei punti Q formano una (2 — 1)"P! infinità di linee e quindi, almeno con opportune limitazioni, per ogni punto M di V, passerà una di tali linee; così che potremo caratterizzare M mediante le coordinate del punto Q, 717»... 7n-1 corrispondenti alla linea passante per M, e l'arco sp di linea L contato da un'origine arbitraria fino a quel punto P che corrisponde al Q coincidente con M. Se M è infinitamente prossimo ad L, 4sq sarà perpendicolare alla iper- superficie sp = costante. Si avrà perciò dsù = ds$ 4 d7î 4 dj +-+ di; e, tenendo presente (4), | (5) dsé=(1+CXM—P) ds$+d7t + dg +-+ d7i.. Nelle vicinanze di L abbiamo con ciò trovata una espressione sempli- cissima del ds?. Fisica. — // contributo di A. Bartoli nella previsione ter- modinamica della pressione della luce. Nota di PAoLO STRANEO, presentata dal Socio A. Dr LEoGE. Le considerazioni termodinamiche del Bartoli sulla pressione delle ra- diazioni, per quanto segnalate ai fisici dal Boltzmann fin dal 1884 in due scritti sui diffusissimi Anna/en der Physik. verigono raramente ricordate dagli autori di trattati o di studî sulla teoria dell’ irraggiamento, 0, ciò che è peggio, vengono talvolta ricordate in modo inesatto, non tenendo conto di certe limitazioni che pur erano state chiaramente espresse; e quindi attri- buendo al Bartoli pretese dimostrazioni, che egli non aveva davvero Bee di poter dare, e che oggi si sanno impossibili. Convinto d'altra o che nelle esposizioni della teoria dell’irraggia- mento secondo l'attuale tendenza, ad un certo punto. debbano trovar posto logicamente, e quasi direi necessariamente, considerazioni perfettamente ana- loghe a quelle del Bartoli, ho voluto trattare secondo lo stesso concetto fon- damentale, ma con criterî più moderni, la questione che egli si era proposta ed aveva risolta fin dal 1876 (*). Questo lavoro, che eccede i limiti di spazio imposti a questi Rendiconti, verrà pubblicato prossimamente nel Nuovo Cimento. Però, essendo stata altra volta qui ricordata l’opera del Bartoli su questo argomento dai chiar.-proff. Ròiti e Volterra nella relazione e nelle Note ad una sua Memoria postuma (?), ed essendo altresì stato espresso il desiderio che venissero chiariti alcuni punti oscuri, mi permetto di esporre brevemente i risultati di quella mia ricerca che hanno attinenza DI opera del Bartoli. SURI Ogni moderna teoria dell'irraggiamento termico consiste essenzialmente nella logica applicazione dei principî della termodinamica ad una determi- nata teoria ottica. La via, che di preferenza si segue attualmente nell’esporre !) Sopra i movimenti prodotti dalla luce e dal calore e sopra il radiometro di Crookes, Firenze, Le Monnier, 1876. (2) Ved. questi Rendiconti, vol. XII, 2° sem., ser. 5*, pag. 345. TO a una tale teoria, è quella adottata dal Planck nelle sue classiche Vor/esungen ber die Theorie der Wirmestrahlung. Essa porta a considerare, în un primo tempo, l'energia raggiante come un'energia che si suppone diffondersr con velocità finita, e quindi localizzata nello spazio, ma da un puuto di vista puramente energetico, senza alcuna ipotesi sulla sua particolare natura. Applicando a questa generalissima con- cezione fisica le leggi della termodinamica, si giunge alle più generali con- clusioni della teoria dell’irraggiamento, che valgono indipendentemente dalla teoria ottica che si ammetterà in seguito, e quindi per tutte le teorie ottiche, purchè solamente ammettano la propagazione. con velocità finita, dell'energia raggiante, che loro particolarmente compete. Sono queste le leggi fondamen- tali della teoria dell’'irraggiamento, fra le quali culmina l'importantissima legge di Kirchhoff. Solamente in w% secondo ‘tempo si scende a più particolari specificazioni ammettendo una speciale teoria ottica e deducendo le conseguenze che deri- vano logicamente dalle leggi fondamentali precedenti e da questa particolare ammissione. Un vantaggio rilevante di questo metodo è quello di permettere facili paralleli fra le conseguenze corrispondenti alle differenti teorie ottiche, per esempio fra quelle corrispondenti alla teoria elettromagnetica e quelle corri- spondenti alla teoria corpuscolare, come mostra il Planck stesso nel S 60 delle citate Vorlesungen, ove trae appunto da questo confronto una conferma in favore della teoria Maxwelliana. Senonchè questa via, così logica, non è in generale seguìta sistematica. mente fino in fondo. Infatti nella parte delle considerazioni puramente ener- getiche, si fa intervenire d'ordinario quasi eselusivamente il primo’ principio della termodinamica, e non il secondo. che invece si applica poi ampiamente quando si è introdotta la teoria ottica particolare. : Ciò porta il grave inconveniente che rimangono nell'ombra importanti leggi fondamentali che vengono poi a risultare solamente più tardi e con- globate colle consegnenze della speciale teoria ottica ammessa. Per esempio, introducendo la teoria elettromagnetica e conseguente- mente la nozione ed il valore della pressione delle radiazioni che ad essa compete, viene immediatamente a risultare che ad una data riduzione di volume di una data cavità perfettamente ‘speculare attorno ad un corpo irrag- giante corrisponde necessariamente» una determinata spesa di lavoro mecca- nico. Introducendo invece la teoria corpuscolare e la corrispondente pressione delle radiazioni, sì trova che alla stessa diminuzione di volume della cavità speculare corrisponde una differente spesa di lavoro. Ora, siccome questi due lavori risultano intimamente legati, anzi proporzionali, alle due differenti pressioni che corrispondono alle due teorie, il fatto della necessità di spen- dere un lavoro per quella deformazione della cavità viene ad essere, in certo RenpicontI. 1922, Vol XXXI. 1° Sem. 4 = 196 4 modo, posto ad uno stesso livello coll’esistenza della pressione stessa; ciò che quasi indurrebbe a ritenere che quel lavoro di deformazione potrebbe essere nullo in una teoria ottica che non implicasse necessariamente l'esi- stenza di una pressione delle radiazioni. Ad ogni modo non risulta affatto evidente che, indipendentemente da qualsiasi teoria ottica ammessa, sia sempre necessario di spendere un lavoro per eseguire una deformazione come quella sopra detta. Le considerazioni del Bartoli, ove venissero esposte prima di chiudere la parte puramente energetica della teoria dell’ irraggiamento, eliminerebbero ìl rilevato inconveniente, perchè permetterebbero di dimostrare che il se- condo principio della termodinamica esige che alla diminuzione di volume di un involucro speculare intorno ad un corpo irraggiante debba corrispon- dere sempre una spesa di lavoro. La scelta particolare fra le infinite teorie ottiche logicamente possibili, colla quale dovrebbe iniziarsi la seconda parte della trattazione, più non apparirebbe quindi arbitraria, ma bensì, come di tatto è, soggetta non solo alla condizione fondamentale, più volte ricordata, di ammettere una velocità di propagazione finita per le proprie radiazioni, ma anche alla condizione che debba necessariamente corrispondere una spesa di lavoro ad ogni contrazione di un involucro speculare pieno di irraggia- mento. Risulterebbe però anche (e questo è il punto di capitale importanza) che questo lavoro non può venir determinato completamente mediante con- siderazioni energetiche, e che perciò rimane ancora un largo campo di arbi- trarietà nella scelta della teoria ottica. Infatti il Bartoli, considerando un esperimento ideale fondato su defor- mazioni di superficie perfettamente riflettenti (considerazioni che oggi sono divenute correnti. ma che allora rappresentavano ancora una quasi assoluta novità e sollevavano molte obbiezioni), era giunto appunto a questa conclusione. Nella mia prossima pubblicazione sul Nuovo Cimento mostrerò come, rendendo invertibile il ciclo di trasformazioni considerato, per mezzo di un'insignificante modificazione, ed applicandovi quindi il secondo principio della termodinamica in forma di equazioni, anzichè di inequazioni, quali converrebbero ad un ciclo non invertibile, sì possa dare alla scoperta del Bartoli nina forma matematicamente rigorosa. Essa, in ultima analisi, non è altro se non l’espressione della necessarza relazione fra la temperatura T del corpo irraggiante, la densità dell'energia irradiata w(T), ed una funzione $(T), caratteristica del lavoro che si deve spendere per ridurre il volume di una cavità speculare contenente il corpo irraggiante: A questa relazione, che è una delle poche leggi puramente ener- getiche che si conoscono, propongo sia dato il nome di legge di Bartoli. Ei pla A questo punto conviene ricordare come il Bartoli con fine intuizione aggiungesse che /a più semplice ipotesi per spiegare la spesa di lavoro sopradetta fosse quella di ammettere l’esistenza di una pressione delle ra- diazioni. Ma non solo non affermava la necessità di tale ipotesi. ma, nello stesso scritto ove l’enunciava per la prima volta, prometteva di dare, come in seguito tentò, altre ipotesi, che secondo lui dovevano egualmente bene risolvere la difficoltà. Errano quindi coloro che alfermano che il Bartoli abbia creduto di poter dimostrare lermodinamicamente l'esistenza della pressione della luce, che termodinamicamente invece non può essere dimostrata. Ammettendo l’esistenza di una pressione della luce p(T), come semplice ipotesi generale, ma senza ulteriori specificazioni sulla sua essenza fisica, l'espressione della legge del Bartoli si trasforma immediatamente nella re- lazione Tdp(T) — p(T) dT = W(T) dT dedotta dal Boltzmann fin dal 1882 ripetendo le considerazioni del Bartoli, ed ammettendo senz'altro l'ipotesi della pressione. Essa non è più una relazione puramente energetica, perchè contiene la particolare ammissione fisica dell'esistenza della pressione delle radiazioni; perciò non conviene più a tutte indistintamente le teorie ottiche, ma sola- mente a tutte quelle teorie che implicano una qualsiasi pressione della luce. Essa non è però ancora una relazione caratteristica di una particolare teoria dell'irraggiamento, ma lo diviene immediatamente appena si esprima una qualsiasi delle due funzioni p(T) o w(T) in funzione dell'altra, secondo una determinata teoria ottica. Questo appunto fece il Boltzmann ponendo, in accordo alla teoria di Maxwell, p(T) = 1/3 w(T), ricavandone così una relazione caratteristica del- l'attuale teoria dell’irraggiamento, dalla quale potè con nna semplice inte- grazione dedurre la nota legge che lo Stefan aveva spe:imentalmente scoperto qualche anno prima. * CRE Per esaurire l’analisi storica dell'opera del Bartoli, è bene di chiarire alcuni punti secondarî, che dànno talora luogo ad equivoci. Egli, che aveva così esattamente dimostrata la necessità della spesa di un lavoro per ogni diminuzione di volume di una cavità speculare contenente un corpo irraggiante, ed intuita la probabilità che esso fosse dovuto ad una pressione delle radiazioni, ammise poi, senza alcuna plausibile ragione, che quella pressione dovesse essere eguale alla densità dell'energia raggiante dell'ambiente. Ciò lo avrebbe senza dubbio condotto a conclusioni numeriche errate, se non fosse avvenuta una strana compensazione. Infatti egli aveva (STMMGRR E sempre considerato nei suoi esperimenti ideali solamente l'energia rag- giante propagantesi in una determinata direzione e non, come ora general- mente si usa, l'energia totale, propagantesi in tutte le direzioni; più preci- samente, considerando due sfere concentriche, aveva tenuto conto solamente dell’energia propagantesi dall'una all'altra in senso radiale, la quale, come è noto, è solamente la terza parte dell'energia totale. Quindi, senza render- sene conto, aveva ammesso fra pressione e densità di energia la relazione corrispondente alla teoria di Maxwell e così ottenuto i valori numerici che l’esperienza ha poi confermati. Ancor più strana è la coincidenza che egli trovò fra quella sua espres- sione della pressione della luce in funzione della densità dell'energia (che, come abbiamo veduto, concordava colla teoria di Maxwell) e l’espressione datane dall'Hirn, nell'ipotesi dell'ottica corpuscolare, cui deve invece corri- spondere un valore doppio. Ciò è dovuto ad un equivoco dell’Hirn, il quale ammise che la pressione dovuta all'urto di corpuscoli cadenti normalmente su di una parete assorbente. sia uguale alla forza viva di essi divisa per la velocità, ossia a no , anzichè alla quantità di moto #0; così la pressione ei su di una parete riflettente, che è eguale al doppio di quella su di una parete assorbente, gli risultò anche solamente la metà di quanto avrebbe dovuto. Fisica. —— Sulla diffusione dell'idrogeno, dell’elio e del neon attraverso tl vetro riscaldato‘). Nota di Errore CarpOSO, pre- sentata dal Socio E. PATERNÒ. Il prof. Lo Surdo (?) ha pubblicato recentemente, in questi Rendiconti, i risultati di certe sue esperienze relative al passaggio dell'idrogeno, del- l’elio e del neon attraverso tubi di vetro riscaldati. Queste diffusioni, che, per l'idrogeno e l'elio almeno, erano già ammesse o supposte da qualche sperimentatore (*), vengono ad entrare, per merito delle belle esperienze di A, Lo Surdo, nel dominio dei fatti sperimentali saldamente stabiliti. (®) Lavoro eseguito nell'Istituto di chimica-fisica della R. Università di Napoli. (*) Rend. Ace. Lincei, 1921, XXX, pag. 85. (*) Nel 1911,il compianto prof. J. M. Crafts, col quale effettuavo una serie di mi- sure col termometro a gas, ebbe a dimmi, a varie riprese, che aveva scelto l'azoto, come gas termometrico, invece dell'idrogeno o dell’elio, perchè, parecchi anni prima, aveva osservato che, a caldo, questi gas attraversavano le pareti di vetro (Jena, 16, III) dei ‘suoi termometri, falsando le misure, Simili constatazioni ebbi a fare anch'io, più tardi, con un termometro ad idrogeno, in vetro fusibile di Turingia. E S00p L'autore vede inoltre nei fenomeni di diffusione, da lui messi in evidenza, la spiegazione delle singolari discordanze che esistono fra le varie osserva- zioni sperimentali riguardanti il dibattuto problema della così detta trasmu- tazione dell'idrogeno, in elio e neon. Quest'ultima questione è, però, così importante, che ciedo opportuno tornare sull'argomento, tanto più che sono del parere che l' interpretazione del Lo Surdo non rechi ancora la luce desiderata. * * x I sigg. Collie, Patterson e Masson (') avevano previsto la eventualità del passaggio dell'elio e del neon, dall'aria, nei loro tubi di scarica, riscal- dati da un forte eccitamento, e, per evitare questo possibile inconveniente, ebbero cura, in diverse esperienze di controllo, di attorniare i loro tubi la- boratorio con camicie di vetro, facendo il vuoto nello spazio intermedio. Malgrado ciò, la presenza dell’elio e del neon fu riscontrata dopo il passaggio deila scarica. Mi sembra, quindi, che in tali condizioni sperimen- tali sia ben difficile di poter spiegare il fenomeno parlando di diffusion). D'altra parte, in nessuna delle esperienze dei sigg. Strutt, Merton, nè in quelle da me effettuate in collaborazione col prof. A. Piutti, fu riscon- trata la presenza di questi gas nobili (?). Non è inutile ricordare che le nostre esperienze furono fatte con e senza camicia protettrice, e la sensibilità del metodo di ricerca era sufficiente per accertare la presenza del neon conte- nuto in !/»9 di cm?. di aria. Continuando l’analisi delle esperienze, si può osservare che, per veriti- care il passaggio dell’elio e del neon, il Lo Surdo ha dovuto immergere il tubo di vetro scaldato in un'atmosfera ricchissima di elio e contenente no: tevoli quantità di neon (elio aeronautico), mentre nelle esperienze di Collie, Patterson e Masson, e nelle nostre, il tubo di scarica, quando non era pro- tetto da una camicia, era semplicemente attorniato da aria atmosferica, che contiene, come si sa, quantità infinitamente minori di elio e di neon di quelle contenute nell’elio aeronautico. Si può aggiungere che non risulta che il prof. Lo Surdo abbia osser- vato la diffusione dell’elio e del neon atmosferici nei suoi tubi scaldati. * x x Io credo che queste brevi considerazioni dimostrino che i fenomeni di diffusione, di cui tratta il prof. Lo Surdo, siano insufficienti a spiegare le (1) Trans, Chem. Soc., 1913, pag. 419 e Proc. Roy. Soc., 1914, A. 91, pag. 30. (2) Strutt, Proc. Roy. Soc., 1914, A. 89, pag. 499 ; Merton, ibid., 1914, A. 89, pag. 519; Piutti e Cardoso, Gazz. chim. ital., 1920, pag. 5, e J. ch. phys., 1920, 2/8, pag. 81. Logo discordanze riguardanti la presenza dell'elio e del neon nei tubi di scarica contenenti idrogeno. Quest'ultima questione, del resto, è certamente molto più complessa ed ancora oscura. Forse la spiegazione di questi fenomeni sarà piuttosto da ricercarsi nelle condizioni in cui sì effettua la scarica, conformemente al parere emesso da Baly (1), al quale accennai sulla memoria suricordata. Fisica terrestre. — Sul movimento ondoso del mare e delle navi. NotaIdi EMILIO ODDONE, presentata dal Corrispondente L. Pa- LAZZO. Uno dei problemi che interessano l’Oceanografia è la determinazione dell'ampiezza, lunghezza e periodo delle onde del mare. Ed in parallelo, uno dei problemi pratici, che più interessano la navi- gazione, è la determinazione di quanto i moti del mare si riverberano sulle oscillazioni delle navi. Tali dati sì possono ottenere con apparecchi capaci di fissare esatta- mente certi elementi di moto del mare e della nave, primo tra tutti l'ele- mento accelerazione verticale. Il sismografo per la componente verticale serve per eccellenza a dare quelle accelerazioni: soltanto sotto l’usuale forma e colla sua troppa sensibilità non riesce pratico. Val meglio ricorrere ai tipi più pigri, per esempio a quelli che rea- giscono solo alle accelerazioni di alcune decine di Gals. Mi parve che un apparecchio appropriato, per simili ricerche, potesse essere l’inerziometro in uso nell’aviazione; ed all'uopo, alla Direzione dell'Istituto Sperimentale Aeronautico di Montecelio chiesi a prestito il modello rappresentato nella vicina figura. L'apparato consiste in una piccola massa d’ottone solidale a breve braccio pressochè orizzontale, libero di rotare per una sua estremità attorno ad una cerniera ad asse orizzontale, fissa alla scatola dell'apparecchio, la massa è tenuta in posizione d'equilibrio da due forze verticali eguali e contrarie che na- scono da due specie di dinamometri stirati in contrasto. Perchè qualsiasi moto verticale impresso all’apparecchio riesca aperiodico, ossia affinchè le molle non introducano il periodo proprio, una delle stesse molle funziona da smor- zatore, la qual cosa si ottiene tendendo una delle solite capsule aneroidiche, colla sola differenza che il suo interno è messo in comunicazione coll’aria esterna mediante piccolo foro. Quando il peso si abbassa sulla capsula a sof- fietto, l'aria non può uscire istantaneamente, per cui ne risultano delle varia- (1 Annual Report of the Chemical Society for 1914, pag. 45; ibid., 1920, pag. 29. Cfr. pure F. Soddy, ibid., 1920, pag. 221. Ps ED zioni di pressione proporzionali alla velocità di uscita del gas, una condi- zione necessaria e sufficiente a produrre lo smorzamento, il quale, in definitiva, può ottenersi totale rimpicciolendo opportunamente il foro di uscita dell’aria. Una pennina all'estremo di una leva serive con forte ingrandimento il moto verticale relativo al supporto dell'apparecchio, su di una carta affumi- cata avvolta su di un tamburo. che un movimento di orologeria pone in rapida rotazione. Portiamo quest’apparecchio a bordo di una nave e disponiamolo presso al metacentro per evitare, più che possibile, i movimenti di beccheggio e di rullìo. Vediamo tosto che esso sente le accelerazioni verticali della nave al punto di osservazione. L'apparecchio dà un gratico, che va interpretato come segne : Il moto ondoso del mare imparte alla nave delle ampiezze di moto verticale, le quali variano col tempo secondo la (1) s= n sin (pi). L'equazione valevole per ogni sismografo verticale, nella supposizione che l'attrito sulla carta, su cui muove la penna, sia zero, è una relazione differenziale semplice, lineare di second’ordine a coefficienti costanti che si scrive : , ; Wo i (2) 0° 4286 ie MIDI col doppio segno perchè i sensi, del moto che risente l'apparato, sono due : verso l’alto e verso il basso. La (2) integrata, dà un moto che è composizione del moto pendolare proprio alla massa dell'apparecchio e del moto della nave. Dalla massima ampiezza LO, che la penna, di braccio totale L ed elongazione 0m scrive sul tamburo, si passa alla massima ampiezza verticale vera del moto della nave Zn mediante la (3) TRES. Ì dove ga 4 pe (4) DU ed T? (5) U=a +1 0 per molla totalmente smorzata. Sostituendo lo (4) e (5) nella (3), viene: (6) gi v Dec Lelio: Il quoziente 1 è il reciproco dell'ingrandimento esterno e può ottenersi in due modi: dal rapporto tra la distanza del centro di gravità della massa all'asse di rotazione e la lunghezza totale del braccio, dalla pennina allo stesso asse di rotazione; ovvero dal rapporto tra le ampiezze di spostamento della massa e della pennina per effetto di un dato carico. È insomma una quantità nota. Ti si calcola mediante la formola : 477° K fa° dove K è il momento d'inerzia, f quel peso che fa accorciare la molla del- l’unità di lunghezza, « la distanza dalia molla all'asse di rotazione. Il fat- (7) To= tore za detto elorgazione della molla 0 lunghezza del sistema pendolare ridotta. (h L ricavare, per ogni periodo T ed ogni escursione smorzata L0, sul diagramma, il corrispondente Z, che è l'ampiezza massima di moto verticale della nave. Approfittai dell'occasione che ero stato designato a compiere una missione oltre Oceano per sperimentare in viaggio, sul Mediterraneo e sull’ Atlantico, il moto verticale delle navi dovuto al moto ondoso del mare. Le quantità e Tj che entrano nella (6), essendo ora note, possiamo ie ROS RE DE go A Portai meco l'apparato a cuì già ho accennato, comodissimo al trasporto, perchè contenuto in scatola dalle dimensioni di 17 X 12 X10 cm. La massa inerte pesa 60 gr. e la penna registra con un ingrandimento L SONS di 18. Il tamburo ruota colla velocità di circa cm. 0,12 al secondo. Il pe- riodo strumentale calcolato ha il valore T? = 0,0022. La formola (6) diventa: 1 NL: = I 8 x È Zm Zion i 1) Lon E noto Z,, si ricava l'accelerazione dalla relazione: Verificai il funzionamento assoggettandu l'apparato, a moto armonico conosciuto. La bontà della teoria risultò dalla concordanza tra l'escursione verticale reale impressa all'apparecchio, ed il valore che per la medesima escursione deducevo teoricamente. In una Nota successiva darò i risultati ottenuti nelle traversate Gibil- terra-New-Jork e viceversa. estratti da circa cento diagrammi, colla regi- strazione di due mila sollevamenti ondosi delle navi « Presidente Wilson » (16,000 tonellate) e « Duca degli Abrussi (8.000 tonellate). Fisiologia. — Sulla tecnica delle fistole utreine sperimen- tali (*). Nota del dott. G. AMANTEA, presentata dal Corrisp. S. Ba- GLIONI. In collaborazione col collega K. Krzyskowsky mi proposi già di esten- dere allo studio delle funzioni uterine il metodo delle fistole sperimentali: fu scelta la cagna come animale da esperimento, e furono comunicati all’Ac- cademia medica di Roma (?) i risultati delle nostre prime ricerche positive. Successivamente ho continuato a interessarmi dell'argomento, proponen- domi innanzi tutto di perfezionare e di ampliare la tecnica operatoria; gli animali a tale scopo operati potevano inoltre essere utilizzati per eventuali osservazioni fisiologiche. Ho potuto così attuare altri tipi di fistole uterine, che, uritamente a quelle ottenute con K. Krzyskowsky, rappresentano le principali, che era (1) Lavoro eseguito nell'Istituto fisiologico della R. Università di Roma diretto dal prof. S. Baglioni. (2) G. Amantea e K, Krzyskowsky, Boll. d. R. Accad. Med, di Roma, anno XLVI, 1920. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 5 IAT possibile proporsi, e che con adeguate varianti, a seconda dei casi, potranno rendersi di utile applicazione fisiologica per lo studio delle funzioni uterine, sia dal punto di vista delle molificazionì connesse col periodo di fregola, sia da quello della motilità, della fecondazione, ecc. Alle nostre prime ricerche sperimentali facemmo precedere uno studio anatomico topografico, allo scopo di accertare i rapporti dell’utero della cagna cogli orcani vicini, nonchè di stabilire con esattezza la sua proiezione sulla superficie cutanea addominale, per ricavarne i dati necessarî all'esecuzione dell'operazione nel modo più esatto possibile sui varî tratti dei corni uterini. Dai nostri rilievi anatomiei. in accordo con quanto già era noto al rignardo (*), risultò che l'utero nella cagna presenta due corni molto lunghi, i quali si staccino dal corpo molto breve a livello cirern della VI-VII vertebra lombare, e divergono disponendosi ni lati del retto. nella direzione dei reni. Noi potemmo stabi- lire inultre che una linea, la quale vada dal penultimo all'ultimo capezzolo, così a destra come a sinistra, incrocia presso a poco in corrisponlenza del suo terzo medio, ad angolo acuto, il corno uterino corrispondente; cosicchè un taglio condotto lungo tale linea, per 4-5 cm, permette di raggiungere agevolmente e con sicurezza il corno omolaterale. In una primi cigna si praticò l'operazione seguente: attraverso un taglio di circa 5 cem. fra Valtimo e il penultimo eezzolo «di destra si raggiunse il corno uterino omo- laterale, e, sostenendolo fuori della ferita su due fili passati al disotto, si recise in cor- rispondenza del terzo melio a becco di flauto, rispettando il fascio vascolare; l'estremità recisa del moncone periferico fu chiusa con due punti di sutura introflettendone i mar- gini, mentre Vestremità del moncone ovarico fu fistolizzata, fissandola opportunamente alla cute: la ferita addominale, suturata a strati'successivi, fu protetta col collodion Il risultato fu perfetto. In una seconda cigna, cou tecuica operatoria analoza, fu pure trasversalmente re- ciso al terzo medio il corno uterino destro, mi comprendendo anche il fascio vascolare, e fistolizzando pui, tanto l'estremità recisa del moncone ovarico, quanto quella del periferico. A guarigione completa nei nestri due animali le fistole si presentavano sotto forma di piccolissime aperture imbutifurmi, del diametro ciascuna di circa 2 mm. Nella se- conda cagna ci fa possibile segnire anche le modificazioni durante un completo periodo di fregola e parte del periodo di gravidanza (?). Avendomi questi primi tentativi convinto dei vantaggi del metodo, e avendo perciò stabilito di utilizzarlo per una serie di sistematiche ricerche fisiologiche, ho rilevato su- bito la necessità di poter disporre di animali, che permettessero di sorvegliare le modifi- cazioni oltre che di un solo corno uterino, anche di entrambi i corni (destro e sinistro); nonchè di animali operati in maniera da potere sorvegliare direttamente l’orifizio uterino, ecc. Ho perciò voluto tentare altri tipi di fistole in questo senso. Mi è stato agevole attuare in una cagna bilateralmente, cioè tanto pel corno di destra quanto per quello di sinistra, la doppia fistola al terzo medio di ciascuno (fistola del moncone ovarico e fistola del moncone periferico). Ottenni così, in altre parole, a destra e a sinistra il risultato sopra descritto per la seconda cagna. L'operazione, in questo terzo animale, fu eseguita in due tempi. i Ho tentato pure con pieno successo la fistola del tratto iniziale dei due corni cioè, attraverso la solita incisione della parete addominale fra l’ultimo e il penultimo (1) J. Athanasin et J. Carvallo, Chiez, in « Dictionnaire de Physiol.» di Ch. Ri- chet; e W. Ellenberger u. H. Baum, Anatomie des Hundes, Berlin, 1891. : (2) G. Amantea e K. Krzyskowsky, 1. c. ro capezzolo di destra. ma condotta alquanto più medialmente che nei casi precedenti, mi fu possibile raggiungere la biforcazione dei corni dal corpo uterino; li recisi presso la biforcazione entrambi, insieme col fascio vascolare; chiusi con due punti di sutura l’aper- tura beaute dei brevi monconi rimasti in continuità col corpo uterino introflettendone i margini, e fistolizzai quindi i due corni nel loro tratto più periferico. [ufine su altre due cagne mi proposi di rendere facilmente accessibile all’osserva- zione e all'esplorazione diretta l’orifizio del corpo uterino: in un caso raggiunsi i] corpo uterino attraverso un’ incisione di circa 6 cm. di lunghezza, condotta medialmente alla linea che congiunge l’ultimo col penultimo capezzolo; fu facile apprezzare colla palpa- zione il corpo uterino sotto la parete vaginale; con una piccola incisione longitudinale di quest'ultima, in corrispondenza del corpo stesso, stabilii il limite estremo anteriore della vagiua, ove condurre un taglio a tutto spessore, circolare, senza ledere l'utero; ciò fatto, e allacciati i vasi recisi, chiusi con opportavi punti di sutura la ferita vaginale, e fissai quindi ai varî pisani della parete addominale il corpo uterino, circon- dato da un breve manicotto vaginale residuale. Quest'ultimo, per l'inevitabile e facil- mente comprensibile difcito di irrorazione, andò in necrosi nei giorni successivi ; ma tale inconveniente restava compensato dal vantaggio fornito in primo tempo dallo stesso re- siduo vaginale, che fu utilizzato come mezzo di sostegno provvisorio, permettendo una provvisoria ma salda fissazione alla cute; il distacco del lembo necrotico avvenne infatti quanlo già il corpo uterino (che per l'impianto nella posizione voluta aveva dovuto su- bire una certa trazione, per quauto limitata) aveva contratto sufficienti aderenze cogli strati profondi (peritoneale, muscolare). È ovvio che in tali condizioni nou si potè avere la guarigione per prima intenzione. Nell'ultima cagna operata invece, dupo avere praticato la stessa incisione che nella precedente, con dolce trazione portai il tratto vaginale corrispondente al corpo uterino fino a livello del piano cutaneo, e in tale posizione lo fissai con punti di sutura succes- sivamente al peritoneo, ai muscoli e al sottocutaneo, in modo da rimanere così delimi- tato dalla sutura un sufliciente tratto della superfice anterolaterale della vagina corrispon dente al corpo uterino; incisi quindi, nel senso antero-posteriore, la parete vaginale fra i pianti di sutura limitanti, suturandone i margini convenientemente alla cute. La guari- gione avvenne per prima intenzione, e ottenni una fistola vaginale, precisamente tale da permettere l’esplorazione diretta dell’imbocco uterino. Alle sei varietà di fistole uterine descritte bisogna aggiungerne una settima, con- sistente nella fistolizzazione di un corno nel suo tratto più periferico e dell'altro corno nel suo tratto più prossimo all’ovaio; e infine un’ottava che costituisce anche il primo tentativo diretto ad estendere il metodo delle fistole allo studio degli organi genitali, e che fu eseguito con risultato positivo dall’Ivanow('): anzi da queste iniziali ricerche del- l’Ivanow partimmo per le ricerche nostre. L’Ivanow, proponendosi ricerche sul processo della fecondazione artificiale, dimostrò, che il metodo delle fistole uterine può essere attuato sulle cagne praticando lungo il de- corso di uno dei corni uterini, senza interromperne la continuità, una piccola incisione lineare a tutto spessore, e suturando i margini ai bordi della ferita cutanea. Questi varî tipi di fistole, opportunamente combinati o variati, mi sembra che possano insieme rispondere, dal punto di vista della tecnica sperimen- tale, alle più svariate esigenze dei problemi fisiologici che è possibile pro- porsì di risolvere per tale via, e riguardanti sia la motilità uterina, sia le modificazioni dell'utero durante la fregola e la gravidanza, la fecondazione, ecc. (') Ivanow, /tuss. vraè., S. Petersburg, 7, 1908 È chiaro che la fistola dell’Ivanow può facilmente combinarsi col 1°, 2°, 4°, 5°, 6° e 7° tipo delle nostre fistole. Così pure ciascuna delle varietà da noi descritte si può agevolmente e utilmente associare all’asportazione del- l'ovaio di un lato. Potrebbe anche presentarsi l'opportunità di combinare sempre sullo stesso animale il nostro 1° tipo col 2° o col 5° o col 6°; ov- vero il 2° o 3° tipo col 5° o col 6°, ecc, Le osservazioni potute finora eseguire sulle varie cagne operate saranno comunicate a parte; esse mi confermano pienamente la fiducia nei vantaggi del metodo. Biologia. — Sulla formazione dello selerotomo nei Mure- noidi (*). Nota preliminare del dott. UmBERTO D’ANCONA, presen- tata dal Socio B. GRASSI. In due Note precedenti (*) ho descritto una formazione speciale esistente nelle larve dei Murenoidi tra lo ialoscheletro e la muscolatura del tronco, formazione che dal prof. Grassi, che per primo la osservò, fu chiamata zona limitante (strati limitanti). Fin da allora feci presente che uno dei punti da risolversi era di « vedere quale origine aveva e se poteva essere messa in relazione colle condizioni esistenti in forme inferiori (Amphioxus) ». Avevo notato che già nelle prelarve appena sgusciate si rilevava la pre- senza di tre strati: di quello dei tubuli e dei due endotelî. Dunque, per poter arrivare a qualche conclusione in merito all'origine degli strati limi- tanti, era necessario fare delle ricerche su embrioni non ancora sgusciati e sulle prelarve; perciò durante un soggiorno a Messina (3) nel settembre scorso raccolsi un rilevante numero di uova, che, allevate opportunamente, mi hanno fornito tutti gli stadî necessarî fino al completo riassorbimento del tuorlo. Mi sono valso, per le ricerche in parola, principalmente delle specie indicate da Grassi (4) colle lettere A, B, E, I, raccolte da me in numero più ab- — bondante. Dall'esame di numerosi preparati ho potuto convincermi che. anche nelle (* Lavoro eseguito nell’Istituto di anatomia comparata della R. Università di Roma. (2) Osservazioni sugli strati limitanti esterni dello ialoscheletro nelle forme larvali dei Murenoidi, Rendiconti R. Acc. Lincei, ser. 5°, vol. XXX, 29 sem. pp. 385 e 432 (1921). (3) Ringrazio il prof. Sanzo, direttore dell’ Istituto centrale di biologia marina del R. Comitato talassografico, per aver messo gentilmente a mia disposizione tutti mezzi necessarî alla raccolta e alla preparazione del materiale. (4) Grassi, Metamorfosi dei Murenoidi. R. Comitato talassogr. ital., 1913. 37 prelarve in sviluppo più avanzato, degli strati limitanti sono presenti sol- tanto lo strato dei tubuli e i due endotelî, cioè gli strati di natura cellu- lare; strato selatinoso e fibrille invece non sono ancora comparsi. Risalendo agli stadî più giovani. ho trovato che i primi tre strati derivano dallo sele- rotomo. In embrioni delle specie A, B e I già al secondo giorno di sviluppo si nota la presenza dello sclerotomo in forma di cellule proliferanti alla faccia mediale di ciascun somite, tanto al margine ventrale, quanto a quello dorsale Tale origine dello sclerotomo fu già notata dal Sunier(*). che però non si curò di osservarne l'ulteriore sorte. Seguendo invece lo sviluppo. sì vede che le cellule sclerotomiche dor- sali e ventrali progrediscono tra la faccia mediale del miotomo da una parte, la corda e il tubo midollare dall'altra, venendo in tal modo a incontrarsi. In stadî più avanzati si vedono le cellule sclerotomiche disporsi man mano in varî strati. Quelle più addossate allo strato muscolare presentano frequentemente dei vacuoli; quelle invece più mediali assumono un aspetto endoteliale. Arriviamo poi ad avere più lateralmente, vicino alla muscolatura. lo strato dei tubuli e più medialmente i due endotelii. In tale disposizione si vede una chiara assomiglianza con quapto si ri- scontra nell'Amphiocus e che fu dapprima messo in evidenza dall'Hat- schek (*) (1888), che per primo usò il termine di sclerotomo. Secondo l'Hat- schek, questo si forma come una piega alla parte ventrale del foglietto mu- scolare, piega che si estende dorsalmente tra la muscolatura e la corda e nel cui interno si continua un diverticolo del miocele (sclerocele). La differenza nella formazione dello sclerotomo tra l'Amphioaus e i Murenoidi consiste dunque nel fatto che nel primo esso si forma per estro- flessione della parete del somite; invece nei secondi, nei quali il somite è una massa solida, lo sclerotomo si forma per proliferazione, e soltanto secon. dariamente le cellule selerotomiche si dispongono in strati endoteliali. Se- condo il Sunier però, quest'ultima condizione si verificherebbe anche nel- l’Amphioxus e le immagini raffigurate dall'Hatschek sarebbero soltanto se- condarie. Secondo Swaen e Brachet (*), nella trota da principio lo sclerotomo appare come uno strato di natura epiteliale delimitante una piccola cavità; in se- guìto si risolve in mesenchima. (4) Sunier, Zes premiers stades de la differentiation interne du myotome et la for- mation des éliments sclérotomatiques chez les Acraniens, les Sélaciens et les Téléostéens. Onderz. Zool. Lab. Rijksuniversiteit Groningen, 1911. (©) Hatschek, Weber den Schichtenbau von Amphiorus, Anat. Anz, HI Jahre, pag. 662, 1888. (3) Swaen et Brachet, Étude sur /es premiòres phases du developpement des organes dérivés du mésoblaste ches les poissons teléostéens. Arch de biol, tom. XVI, pag. 173 (1899). CRA RIAA Nei Murenoidi, da quanto s'è visto, le condizioni sono molto più simili a quelle dell’Amphzoxus che non a quelle della trota, e sotto questo punto di vista nelle larve dei Murenoidi si conserverebbe una condizione primitiva. In esse però si nota in più lo strato dei tubuli, che, come avevo già sup- posto nelle mie precedenti Note, sono equivalenti a cellule. Inoltre sì ha una condizione diversa da quella dell'Amphiocus nel fatto che lo sclerotomo sì forma anche dal margine dorsale del somite. PERSONALE ACCADEMICO ]l Presidente PateRNÒ dà il triste annuncio della grave perdita che l'Accademia ha fatto nella persona del Socio nazionale sen. prof. Giacomo Ciamicsan, mancato ai vivi il 2 gennaio 1922; apparteneva il defunto all'Ac- cademia per la Chimica, come Corrispondente dal 14 luglio 1888, e come Socio nazionale dal 7 novembre 1893. Del Socio Ciamician il Presidente ricorda le benemerenze e gli alti meriti scientifici, aggiungendo che sarà degnamente conimemorato in una delle prossime sedute. Altri lutti, dice il Presidente, hanno colpito l'Accademia colla morte dei seguenti Soci: HeRMaNN Sctwarz, morto il 80 novembre 1921; apparteneva il de- funto all'Accademia per la Malematica, come Vocio straniero, sino dal 7 settembre 1888. Max NoETHER, mancato ai vivi il 13 dicembre 1921; faceva parte il defunto dell'Accademia, per la Matematica, come Socio straniero, sino dal 6 agosto 1891. Max VERWORN. morto il 23 novembre 1921; faceva parte il defunto dell’Accademia, per le Scienze biologiche, come Socio straniero, sino dal 31 agosto 1910. Il Segretario CastELNUOvo aggiunge le seguenti parole: Colla morte di H. ScHwarz e di M. NoeTRER l'Accademia e le matema- tiche hanno subìto due gravi perdite. Lo Schwarz ha scritto tra il 1865 e ìl 1885 una serie di importanti lavori molto eleganti ed accurati sulle superficie ad area minima, sulle rappresentazioni conformi e il problema di Dirichlet, sulle serie ipergeometriche ed altri argomenti di geometria e di analisi. Il Nother si è occupato principalmente, fra il 1870 e il 1900, di questioni dì algebra nei loro rapporti colla geometria ed ha portato, in questo argomento, risultati fondamentali. Egli può riguardarsi come il fondatore di un indi- rizzo in cai molti in Italia hanno lavorato; e per aver esplorato lo stesso campo, quando i metodi erano più progrediti, siamo in grado di giudicare le difficoltà che egli ha dovuto vincere, la profondità e l’acume delle sne ricerche. Legato di amicizia col nostro Cremona, egli ha portato comple- menti essenziali ed applicazioni ormai classiche alla teoria delle trasforma- zioni cremoniane. Del Nother, come dello Schwarz, e di altri Soci stranieri morti negli ultimi anni, saranno tenute commemorazioni in prossime sedute. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio Levi-Crvira presenta in omaggio, per incarico del Corrisp. Ca- miLLO Guipi, un volume di questi intitolato: « Statica delle dighe per laghi artiticiali ». I contributi originali che l'Autore aveva precedentemente arrecati all'importante questione sono quivi raccolti e inquadrati in, una trattazione sistematica, col necessario corredo di indicazioni bibliografiche, di sviluppi teorici, di tabelle numeriche, di dati tecnici e norme regolamentari. L'Accademico Segretario aggiunto MiLLosEwicH, presenta l'opera in due volumi del Socio straniero Lacrolx: « Déodat Dolomieu, membre de l’Institut National (1750-1801)» dando larga notizia di quanto nei volumi è conte- nuto, e che del Dolomien riportano la corrispondenza, e si occupano della sue vita avventurosa, della sua prigionia e delle sne opere. AFFARI DIVERSI. In seguito a richiesta del sig. Augusto Laici, si procede all'apertura di un piego suggellato inviato da quest'ultimo nell'ottobre del 1908. Nel piego è contenuta una relazione la quale dimostra che già nel 1908 il Laici aveva immaginato un sistema per ottenere effetti musicali da serie di campane, od altri strumenti sonori a percussione, mediante applicazione della elet- tricità. G. C. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta dell’ 8 gennato 1922. A Catalogue of British Scientific. and BrowninG P. E. — On the Sulfite Me. Technical Books. London, 1921, 89, thod for the Separation and Determi- pp. xvi, 1-376. nation of Gallium when Associated Anales del Congreso Nacional de la In- with Zine. {(Repr. from the « Journal dustria Minera, tomo IV. Lima, 1921. of the American Chemical Society ». 8°, pp. 1-411. * vol. XLI, pp. 1491-1494). New Haven, BarronI Luciani F. — Le infezioni puer- VENETE ‘— perali: patogenesi e cura. Roma, 1921. Brownine E. P. — The Use of Gallium 8°, pp. 1-20. Ferrocyanide in Analysis (Repr. from BARRELL J. — Relations of Subjacent the « American Chemical Society », Igneous Invasion to Regional Meta- vol. XLIII, pp. 111-114). New Haven, morphism (From the « American Jour- 1920189. nal of Science », vol. L). New Haven, Fisaman J. B. — Some Derivatives of 3- 1921. 8°, 1-267. Nitro-4-Hydroxy-Benzil Alcohol (Repr. ea )pe Ss from the « Journal of the American Chemical Society n, vol. XLII, pp. 2297- 2302). New Haven, 1920. 8°. Fisaman J. B. — The Condensation of Formaldehjde with Orthonitropheno] (Repr. from the « Journal of the Ame- rican Chemical Society n, vol. XLII, pp. 2287-2297). New Haven, 1920. 89. Guipi C. — Statica delle dighe per laghi artificiali. Torino, 1921. 8°, pp. 1-108. Karr W. G. — Comparative Metabolims of Proteins of Unlike Composition (Repr. from the « Journal of Biolo- gical Chemistry », vol. XLV, pp. 289- 295). New Haven, 1921. 89. Karr W. 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(168d dn Memorie della Classe di sciense fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VIT i Sin “Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. AUS 05 DA Serie. Sc — RenDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali ni d Vol. I-XXXI. (1892-1922). Fasc. 1°, Sem. I°. i | RenpicoNTI. della Classe di scienze morali, storiche e (OgIeT Vol. I-XXX. (1862-1921). Fase. 4°-6°. - Aenonie della Classe di scienae de matematiche e naturali. Vol. XIII, fase. 8°. Maione della. Classe di setenze morali, storiche € filologiche vol LXII SUE XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 7°. A CSI Li — CONDIZIONI DI A SSOCIAZIONE SCR hi RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI fe... DELLASR. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCFI % Sa Li ‘Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche 29 e Sintarali della R. Accademia Nazionale dei Lincei si pub- SEE chlicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, i corrispondenti ognuno ad un semestre. L ul “prezzo di associazione per ogni annata e per tutta ] Italia i) di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono cselusivamente dai seguenti Za; SI | editori-Librai: si | CD Se ULRICO Hosria. n di Pisa @ Napoli. RENDICONTI — Gennaio 1922. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta dell’'8 Gennaio 1922. MKEMUiik K NOTE DI SOCI De Stefani. Silicospongie fossili nella Liguria occidentale. Nota II NOTE PRESENTATE DA SOCI Bedurida. Le classi di forme aritmetiche di Dirichlet appartenenti ai generi della specie principale. Nota JI (pres. dal Corrisp. Fudina) sica ì Finzi. Sulle varietà in rappresentazione conforme con la varietà A ai più di ab dimensioni (pres. dal Socio Levi-Civita) . . CA ELE Ve ERE Minetti, Sulla equazione funzionale (24%) =) hg ). Nota I (pres. /d.) Vergerio. Sopra un tipo di equazioni integrali non lineari. Nota I (pres. /d.) Cantelli. Lo spazio-tempo delle orbite kepleriane. Nota I (pres. dal Socio Castelnugvo) . Fermi. Sopra i fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria. Nota I (pres. dal Corrisp. Armellini) . . . . i; Hess: ; i E Straneo. Il contributo di A. Baîtoli nell a previsione lm divano belli pressione della luce (pres. dal Socio Di Legge) . ONOR II O N INA Cardoso. Sulla diffusione dell'idrogeno, ‘dellalio « e del neon strani il vetro riccafato (pres. dal Socio Paternò) . . . . ERRATE NS e RI AR Oddone. Sul movimento ondoso del mare e na navi. Nota I (res. dal Gut Paldato) Amantea. Sulla tecnica delle fistole uterine sperimentali (pres. dal Corrisp. Baglioni) D'Ancona. Sulla formazione dello sclerotomo nei Murenoidi (pres. dal Soeio Grassi) PERSONALE ACCADEMICO Paternò (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio nazionale G. Cramician, e dei Soci stranieri H. Schwarz, M. Noether. M, Verworn Castelnuovo (Segretario). Pronuncia alcune parole in ricordo dei Soci defunti Soli e Noether .. è PRESENTAZIONE DI LIBRI Levi- Civita. Offre a nome del Corrisp. C. Guidi una pubblicazione di quest’ultimo e ne parla Millosevich (Segretario agg.) Presenta un'opera del Socio straniero Zaeroia su « Déodat Dolomieu » e ne dà notizia . . . . . AFFARI DIVERSI Apertura di un piego suggellato del sig. A. Laici . . . è. . e. alia 00/0) (eni Mal puo) Lied) anita 0] Nei Bi Re BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO . . + E. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile. . Pag. » L) 38 n» bl i iii i scsi pa Pubblicazione bimensile. Ne de AGTARIE REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI ANNO CCCXIX. 1922 | Spiro QIJEENTELTA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XX XTIT.° — Fascicolo 2° Seduta del 22 gennaio 1922. 1° SEMESTRE. © ROMA TIP. DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1922 . ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Ciassi.. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese ; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongeno un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non . possono oltrepassare le 5 pagine di stampa, Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunica, zioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, c 30 agli estranei : qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia : tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti‘a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette. sono senz’altro inscritte nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornatà della Classe. _ 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell’Aecade mia o in un sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - d) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che î manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. ri 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori.di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 30 se ‘estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. _—____= TT °T_°'r—_—T"—r—r—_——-— 2 22 gennaio 1922. MEMORIE E NOTE DI SOCI Fisica. — Sull'assorbimento della gravitazione. Nota V del Corrispondente QuirINO MAJORANA. SISTEMA OTTICO PER LA LETTURA DELLE OSCILLAZIONI. Il giogo della bilancia porta alla sommità uno specchio piano S, (fig. 3), de- stinato a riflettere l'immagine di un filamento incandescente di una lampada !/s watt (*). Questa è situata in un ambiente diverso da quello in cui tro- vasi la bilancia, e propriamente a 8 metri di distanza; con ciò il movi- mento dei piombi nel sotterraneo non produce sensibili spostamenti nella posizione di detta lampada, venendo questa a poggiare su di una vòlta non cimentata dalla coppia variabile occasionata dalla armatura AB (fig. 2). I raggi della lampada sono racolti da un obbiettivo con distanza focale di circa 2 metri, situato nello stesso ambiente della lampada, fra questa e la bilancia. Il fascio riflesso da S, traversa l'ambiente della lampada e dell’ob- biettivo e raggiunge il posto di osservazione sito in un terzo ambiente nel quale trovasi una scala millimetrata alta m. 1,80: lo zero della scala è in alto, e la sua distanza dalla bilancia risulta di 20 metri. Su di essa si forma dunque l’immagine del filamento della lampada, costituita da un tratto luminoso orizzontale, largo circa 2 mm., e lungo 50, i cui bordi appajono più o meno netti a seconda dell'aggiustaggio più o meno perfetto del descritto sistema (1) Vedi avvertenze a p. 24, vol. XXIX di questi Rendiconti. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 6 ROLE ottico. Particolari e minuziose cure occorrono per raggiungere tale risultato. Anzitutto osservo che ho scelto uno specchio S,, piano anzichè concavo, perchè così i lievissimi sollevamenti od abbassamenti dell'ordine del decimo di millimetro), provocati dal moto dei piombi sul sostegno della bilancia, non sì vengano a trasferire nell'immagine del filamento sulla scala. Oltre a ciò, occorre che l'asse ottico dell’obbiettivo sia esattamente coincidente con la congiungente della lampada con S,: lapiù piccola inclinazione rende sfumati i bordi dell'immagine. Occorre poi scegliere la lampada !/, watt fra pa- recchie, affinchè il vetro di essa non occasioni eguale inconveniente. Infine, per quanto la lastra di vetro a facce ben piane e parallele, destinata a chiu- dere la finestra della scatola contenente S, (tig. 3), sia spessa (circa'7 mm.), è sempre osservabile un cambiamento assai notevole nella nettezza dei bordi a seconda che si sia, o no, praticato il vuoto nella custodia della bilancia. Ciò è dovuto a lievissime ed inevitabili deformazioni della lastra per la pressione atmosferica. Si debbono dunque aggiustare le distanze fra le varie parti del ‘sistema ottico, quando il vuoto sia già stato praticato, ed anzi quando ciò sia già avvenuto da più ore, intervenendo dei fenomeni di defor- mazione progressiva della lastra. Quando tutte le cautele suaccennate si siano adottate, è possibile, ser- vendosi di una lente di ingrandimento e fissando uno dei bordi dell’imma- gine luminosa, determinare la posizione di questa colla precisione di 1 a 2 decimi di mm. Posto DI OSSERVAZIONE. Esso è situato, come si è detto, a circa 20 metri dalla bilancia, e contiene, oltre la scala millimetrata verticale, le chiavi (interruttori e commutatori) per la manovra dei motorini elettrici che occa- sionano il movimento dei piombi nel sotterraneo, e le sei lampadine elet- triche le quali controllano la posizione di questi rispetto alla sfera, di cui si disse a suo tempo. Altri congegni, la cui funzione sarà spiegata in seguito, si trovano inoltre al posto di osservazione. PRIMI TENTATIVI DI OSSERVAZIONI. La disposizione descritta fu già allestita, con tutti gli accennati particolari, sin dal luglio 1920; e già allora cominciai a cercar di osservare se lo spostamento dei piombi da PP a P'P' (fig. 2) avesse una qualche influenza sulla posizione di equilibrio della bilancia. Avevo anzitutto cura di far sì che la coincidenza del centro della sfera M con quella del cubo P'P' avvenisse con quella precisione di cui già dissi; indi, notata la posizione dell'indice luminoso sulla scala al posto di osservazione, libe- ravo il giogo, e ne regolavo la posizione di equilibrio mediante i descritti equilibratori a sabbia, in guisa che essa fosse prossima alla precedente, a meno di qualche centimetro. In ogni caso tale posizione era determinata con tre letture di oscillazioni, come nella prima serie di ricerche. E poscia, mediante la manovra delle chiavi di comando elettrico, leggevo alternati- vamente la posizione d'equilibrio della bilancia senza piombi, cioè trovan- Sg: dosi i piombi in PP, e quella cor piombi, cioè avendo spostato i piombi in PP! Questa serie di letture aveva luogo quando la bilancia era carica col sistema sfera-contrappeso ; ed essa durava per uno o due giorni, con varie sedute al posto di osservazione di un pajo d'ore circa, separate da intervalli altrettanto lunghi, o dal periodo notturno; di solito, infatti, non ho più proceduto, con questa nuova disposizione, ad osservazioni nel corso della notte, per le ragioni altra volta esposte. Si aveva cura di osservare il ma- nometro connesso alla bilancia; e, se del caso, si riportava, tra una seduta e l’altra, la pressione nella custodia a meno di 1 mm. di mercurio. Rialzato il giogo, scambiata la sfera colla tara, mediante il congegno B,B, (fig. 3), procedevo alia lettura di una seconda serie col sistema tara- contrappeso, del tutto analoga alla prima; indi ad altra nuovamente con sfera-contrappeso; e così di seguito, per più mesi. Si comprende lo scopo di tale modo di procedere: contavo di poter così discriminare l’effetto per- turbatore dei piombi, dovuto alle deformazioni elastiche della volta e dell’edi- ficio, dall'effetto ricercato. Infatti, quando sperimentavo con s/era-contrappeso, avevo da fare con la somma dei due effetti, e,nell’altro caso, soltanto con quello perturbatore. Debbo ora dire che, pur osservando sensibili spostamenti della posi- zione di equilibrio della bilancia tanto con sfera-contrappeso (effetto lordo), quanto con tara-contrappeso (lettura in bianco) al muoversi dei piombi nel sotterraneo, e pur avendo continuato per 8 o 9 mesi in tal genere di misure, non potei mai ottenere risultati veramente concordanti; è per tale ragione che non trascrivo qui nessuna delle osservazioni numeriche fatte in tale periodo di tempo. Rimasi per lungo tempo incerto sulla causa di codesta irregolarità, ed alla fine, dopo laboriosissimi tentativi, riuscii a comprenderla bene e ad eliminarla; essa proveniva dalle mutevoli condizioni elastiche dell’edificio. Infatti questo, costruito con mattoni, calce, calcinacci, ete., viene a costituire un sistema, dal punto di vista elastico, tutt'altro che perfetto ; i fenomeni di isteresi sono in esso accentuatissimi e capricciosissimi. Da esperienza ad esperienza si notavano differenze persino del 100 °/,, negli spostamenti della posizione di equilibrio, al muoversi dei piombi. Delle volte, l’assestamento della muratura dell’edificio era tale, che nessuno sposta- mento si manifestava sulla bilancia, al mutar della posizione dei piombi. In tali condizioni si comprende come l’effetto in bianco fosse nullo; ma il sistema era in uno stato di grande instabilità. Bastava infatti il passaggio di un carro, od anche un colpo di martello nell'edificio in un ambiente prossimo a quello della bilancia, perchè si verificasse lo spostamento. A volte, per periodi di 15 giorni od un mese, poteva forse accadere che le osservazioni varie fossero concordanti, e che si potesse abbastanza bene distinguere l’effetto ricercato, sottraendo dalla media degli effetti lordi la media delle letture in bianco; ma era possibile che poi, in conseguenza di un nuovo misterioso assestamento della muratura, l'accordo cessasse del tutto, o magari che la lettura in bianco mutasse addirittura di segno. L'influenza del moto dei piombi sulla posizione di equilibrio della bi- lancia si manifesta, per quanto già dissi nella Nota II, in conseguenza del fatto che il profilo del coltello è tondeggiante e non aguzzo: in sostanza si tratta di una rotazione della vòlta che si trasferisce al piano di agata di appoggio del coltello, e quindi, con valore in generale mutato, a tutto il giogo. Per quanto esposi a suo tempo, se il coltello ha un raggio di curva- tura molto piccolo, tanto cioè che il centro di gravità del giogo sia al di sotto del punto di contatto del coltello col piano di agata, deve la rotazione del giogo essere più piccola di quella di tutto il sostegno; ed è questo il caso che si è presentato quasi sempre nelle mie esperienze. Solo in un certo periodo di esse, essendosi eccessivamente detoriato il coltello, tanto da assumere un profilo a curvatura piccola, ossia a grande raggio di curvatura (circa 20 micron), avvenne il caso opposto, cioè che la rotazione del giogo fosse maggiore di quella del sostegno. Prescindendo da questo caso eccezionale, dirò che l’effetto in bianco, quello cioè osservabile per il moto dei piombi, quando il giogo è carico col sistema /ara-contrappeso, era variabile fra 1 e 8 mm, sulla scala a 20 metri al posto di osservazione; tale incertezza era dovuta alla causa più sopra discussa. Per contro, l’effetto ricercato, cor- rispondente cioè al fenomeno di assorbimento gravitazionale, non corretto dalle altre cause di errore nettamente prevedibili di cui si dirà, non doveva essere che di qualche decimo di mm., od al massimo di 1 mm. Non era dunque possibile discernere un effetto tanto delicato, frammisto all'altro irre- golarissimo che poteva diventare persino dieci volte maggiore. E l’unica. via da seguirsi era quella di cercare di eliminare del tutto a priori tale effetto - pertubartore ed ingombrante. A tale fine occorreva escogitare un artificio, nella qual cosa riuscii dopo lunghi tentativi, dei quali descriverò soltanto l’ultimo, che mi ha dato i migliori risultati. CONTROLLO A MERCURIO DELL'INCLINAZIONE DELLA BILANCIA. In fondo, il lamentato inconveniente proveniva dal fatto che la bilancia subiva, da una misura all'altra, delle inclinazioni variabili fra 0 e 10" circa e senza alcuna regolarità, per lo spostamento dei piombi dall'una all'altra posizione. Un metodo per eliminare tale incoveniente sarebbe dunque stato quello di cor- reggere ad ogni misura le inclinazioni stesse, riportando il sostegno della bilancia sempre nella stessa posizione angolare. Ora 10” di arco fanno, a 20 m. di distanza, circa 2 mm. di spostamento di un raggio di luce riflesso ; e la eventuale correzione che si sarebbe potuta ottenere, provocando uno spostamento della bilancia inverso (tale cioè da riportare un raggio riflesso da uno specchio fissato al suo sostegno, nella sua primitiva posizione) avrebbe risentita l'incertezza delle letture fatte sulla scala millimetrata (1 a 2 de- cimi di mm.); cioè di !/,o circa del suo valore nel caso dei 10", ed anche ina molto di più per rotazioni più piccole. L’artificio che ora descriverò mi ha invece permesso di esaltare enormemente la constatazione degli spostamenti angolari della bilancia, e quindi di correggerli con tutta esattezza. AI piede della bilancia (fig. 3) è fissato un tubo di vetro orizzontale YY lungo m. 1,60 circa, di mm. 5 di diametro, coassiale con altro tubo esterno più grosso, XX, pure in vetro, che serve così di sostegno al primo. Il tubo YY è riempito di mercurio e termina ai suoi due estremi in due serbatoj di ebanite, contenenti anch'essi mercurio, di cui solo quello di destra, U, è segnato in figura; tali serbato] sono dunque due vasi comuni- canti a pelo libero, ed il liquido in essi si dispone esattamente allo stesso livello. Ma relativamente a ciascuno dei due recipienti, p. es. a quello U di destra, il livello del mercurio muta al variare dell’inclinazione del sostegno della bilancia; tale variazione è tanto più notevole quanto maggiore è la lunghezza del tubo YY. Il valore scelto per tale lunghezza, corrisponde ai bisogni della attuale ricerca; esso può evidentemente variarsi a piacere, se il congegno in parola dovesse venire impiegato per altri scopi. Sulla regione centrale del mercurio contenuto in U galleggia un dischetto O portante una acuminata punta verticale di acciajo; ed al recipiente sono fissate altre due punte pure in acciajo di cui una sola si scorge nel disegno, la cui posizione può essere spostata verticalmente, mediante la vite di regolaggio 7. Su codeste tre punte appoggia, per il suo peso, un dischetto di vetro por- tante uno specchietto piano verticale S,. Si comprende che al variar del livello del mercnrio tale specchietto si inclini variamente, e un raggio di luce ottenuto in maniera del tutto simile a quello che batte su S,, viene riflesso da S, anche sulla scala di m. 1,80 al posto di osservazione. Si ha cura che l'immagine del filamento della seconda lampada !/, watt a ciò necessaria, si formi in località alquanto più bassa o più alta di quella in cui si osserva quella riflessa da S,. Con ciò l'osservatore può sorvegliare facilmente le due immagini, perchè vicine e non sovrapposte. Ora, nello scegliere i valori della lunghezza del tubo YY, e della distanza fra la punta galleggiante O e le altre due fisse, mi è stato facile far sì che, mentre l’immagine riflessa da S, (quando il giogo è arrestato) si sposta per il moto dei piombi di circa 2 mm., quella riflessa da S, si sposti di circa 200 mm.; cioè le rotazioni del sostegno della bilancia o del suo piano di agata sono svelate con una precisione 100 volte maggiore di quanto avver- rebbe col comune congegno a semplice riflessione su di uno specchio. Siccome si possono apprezzare almeno i 2/10 di mm., e corrispondendo i 2 mm. a 10” d'arco, si vede che il descritto congegno permette di apprezzare sino a !/100 di 1”. Tale sensibilità è più che sufficiente per le misure di cui qui si parla, ma mi piace rilevare che il dispositivo potrebbe essere reso, nel caso di altre ricerche, ancora più sensibile; non sembra infatti che l’asse- stamento del mercurio nell'interno dei recipienti U possa per attriti od altra causa ostacolare tale accrescimento di sensibilità. SARE NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — uova condizione necessaria per un estremo di un integrale doppio. Nota I di MAURO PicoNE, presentata dal Socio L. BIANCHI. Nella mia Nota Nuova dimostrazione della necessità della condizione di Jacobi, ultimamente apparsa in questi Rendiconti, della necessità di detta condizione per un minimo dell’integrale semplice da Im)=|, "f@a,y,y)da, y@m)=v, 40) =y, è data una dimostrazione che consente, conservando le solite notazioni im- piegate in quella Nota, di enunciare la indicata condizione sotto questa nuova forma: TEOREMA A. — Supposto R(x)>0 è (21, %2), detta G(x,€) la . d d funzione di Green relativa all'espressione differenziale Di (x 2) e alle condizioni ai limiti u(x,) = u(x,)= 0 ('), indicando con A(4) la funzione intiera în À esprimente il determinante dell'equazione integrale di Fredholm u(e)=2 | *G(2,5) AG) vB) de, condizione necessaria affinchè l'estremale y = y,(x) — alla quale si riferi- scono le funzioni R(x) e A(x) — fornisca un minimo per l'integrale J(y) è che l'indicata funzione intiera (*) non abbia alcuno sero interno all'in- tervallo (0,1). Si ha pure che: Trorema B. — Se la funzione intiera A;à) risulta diversa da zero in tutto l'intervallo (0,1), estremi inclusi, l’estremale y= yo(x) fornisce certamente un minimo debole per l'integrale J(y)-. Scopo della Nota presente, e di una successiva, è di mostrare che un teorema, perfettamente analogo al Teorema A, esprime una condizione ne- (?) Cfr. Hilbert, Grundzùge einer allgemeinen Theorie der linearen Integralglei- chungen [Teubner, 1912], pp. 39-58; Picone, Sui valori eccezionali di un parametro da cui dipende un'equazione differenziale lineare ordinaria del second'ordine (Tesi d'abili- tazione) [Annali della R. Scuola normale superiore di Pisa, vol. XI], pp. 73-88. Quivi, E i 2) posto t(x, é)= Î [1: R(7)] dg, si trova G(2,é)=t(r,2:)t(x,,é):t(2., 0.) pera =; Ja G(r,é)=i(21 5), a) tc, 1) per CE (2) La quale, com'è noto, è priva di zeri complessi, ed ha il valore uno per A=0. te cessaria cui deve soddisfare una superficie estremale z= 4,(x,y) per l'in- tegrale doppio i d d8 I9=f[/Cv speedy, =, = affinchè con essa si possa effettivamente realizzare un minimo per l'integrale. 1. Supponiamo regolare il dominio D al quale viene esteso l'integrale J(2). Il contorno C di D sia costituito dalla curva esterna, regolare, sem- plice e chiusa C5 e dalle curve interne, regolari, semplici e chiuse C,,Cx...Cy. Detto s l’arco della curva C;(f=0,1,...,), siano «= x{(8),y=%(8) (0 =s =<%;), le equazioni parametriche della curva. Sia 4 il dominio dello spazio definito dalle condizioni (x.y) in D,|z| vr 3 (Elie i n dsb Le K®° sono poi funzioni note di sp. La condizione K! = K®* con- duce dunque alle (2 — 1) equazioni 0 VED d* 408 (7) K° (5)=) w% ge D'altra parte le (3), scritte per 1’ S,, ci dànno #(#—1) altre equazioni. Se a queste aggiungiamo l'altra (8) dsf = det* 4 det? +-+ da}®, troviamo un sistema di n —-1+ (2 —1)+1=n? equazioni tra le x? incognite #f , yjr che servono ad esprimerle in funzione di sp. Possiamo così determinare le equazioni parametriche x% = x7 (sp) della L'. Con ciò la formula (5)* diventa identica alla (5), ossia abbiamo rappresentato per ap- plicabilità i dintorni della linea L', sui dintorni di L. Siccome poi L' è in uno spazio euclideo, possiamo dire anche di aver disteso i dintorni di L in uno spazio euclideo, ossia di aver trovato coordinate che sono geodetiche con- temporaneamente in tutti i punti di L. (=1,220 0810 Chimica. — Cloriti di ammonio e di alcuni ammoniti sosti- tuiti ('). Nota di Grorcio RENATO LEVI, presentata dal Corrisp. Giu- SEPPE BRUNI. Nel 1915 pubblicavo negli Atti del R. Istituto Veneto (?), in collabo- razione col prof. G. Bruni, una Nota sui cloriti; in seguito ebbi ad occuparmi altre volte dell'argomento ma sempre in modo frammentario. Solo da alcuni mesi mi è stato possibile riprendere sistematicamente il lavoro su questo argomento. In questa Nota riferirò sulla preparazione dei cloriti di ammonio e di alcune ammoniache sostituite. Ho potuto isolare allo stato solido i cloriti di ammonio e di tetrametilammonio e in soluzione concentrata quelli di mono-, di- e trimetilammina. ue Per la precedente letteratura sui cloriti rimando al lavoro citato. Clorito di ammonio NH,CI0,. — Questo sale si presentava partico- larmente interessante perchè, data la scarsa energia della base e la volati- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica generale del R. Politecnico di Milano. (2) Vol. 74, pag. 1711; Gazzetta chimica, 45, 161 (1915). Peri: Aa lità dei prodotti di decomposizione, appariva dubbia la possibilità di otte- nerlo sotto forma stabile. L'esperienza ha invece insegnato che ciò riesce perfettamente. Ho ottenuto questo sale per doppio scambio fra clorito di bario puro e solfato ammonico nei rapporti stechiometrici. Una soluzione concentrata e possibilmente satura di clorito di bario a 15-20° viene addi- zionata, agitando, della quantità calcolata di clorito ammonico pure in solu- zione quasi satura; dopo 10 minuti si. filtra il precipitato di solfato di bario, e la soluzione ottenuta si evapora nel vuoto a temperatura ambiente in pre- senza di cloruro di calcio fuso. Per rendere più rapida la filtrazione ed evitare che buona parte della soluzione rimanga sul filtro col precipitato di solfato di bario, è preferibile fare una prima filtrazione alla pompa, con che si trattiene la quasi totalità del precipitato, e rifiltrare poi su di un piccolo filtro ordinario la soluzione un po’ torbida che così sì ottiene. La soluzione di clorito ammonico ottenuta dopo filtrazione del solfato di bario è perfettamente incolora; ma con la concentrazione nel vuoto diventa leggermente paglierina,-pur non svolgendo odore di cloro o di composti ossi- genati di questo. Per ulteriore concentrazione, fino a secchezza, il clorito ammonico si separa in lunghi aghi prismatici trasparenti, di color giallo molto pallido. Si deve osservare che impurezze eventualmente presenti, e in particolare tracce di metalli pesanti, provocano facilmente decomposizione almeno parziale nella concentrazione del clorito ammonico. L'analisi del prodotto ottenuto per completa evaporazione nel vuoto fu preceduta da una determinazione di residuo fisso del sale dopo riduzione con soluzione di acido solforoso. Ottenni 0,12%, di residuo fisso in accordo con l'assenza di sali di bario nella soluzione. Le percentuali di ammouiaca e cloro trovate sono: Ammoniaca % Cloro %, Trovato Calcolato ‘Trovato Calcolato per NELCIO, per NH.CIO, 19,29 39,32 18,90. media 19,07 19,83 59,50 media 39,44 41,47 19,02 39,52 Rapporto CI/NH; trovato 2,068; calcolato 2,086. Per l'analisi la soluzione acquosa di una quantità pesata di clorito am- monico si addiziona in una sola volta di un eccesso di soluzione di acido solforoso; in tal modo il clorito viene ridotto immediatamente a cloruro e, se entrambe le soluzioni sono diluite e l'acido solforoso si aggiunge in una sola volta, non si ha alcuna perdita di cloro. Per determinare l’ammoniaca, si soprassatura la soluzione ridotta con idrato sodico e si distilla raccogliendo in acido titolato. Per determinare il cloro, si aggiunge alla soluzione ridotta acido nitrico diluito, e la solu- apt zione bollente si precipita con nitrato di argento; il cloruro formato si rac- coglie in erogiuolo di Gooch e si secca a 130°. I risultati analitici dànno valori sensibilmente più bassi del teorico, ma ciò si deve attribuire ad umidità persistente nel clorito ammonico; difatti il rapporto CI/NH, è in buon accordo col valore teorico e, di più, la com- pleta assenza di solfati e di sali di bario esclude la presenza di clorito di bario o di solfato ammonico in eccesso. Se per decomposizione del elorito si fosse formato del cloruro ammo- nico, si sarebbero ottenuti valori più alti del teorico e la soluzione diluita del sale avrebbe dato, con nitrato di argento, precipitato di cloruro, mentre solo le soluzioni concentrate precipitano in giallo cristallino il clorito di argento e le soluzioni diluite non precipitano affatto. Il clorito ammonico solido non appare deliquescente. Si decompone ra- pidamente per riscaldamento; per percussione su incudine esplode e da questo comportamento il clorito ammonico appare più instabile del nitrito ammo- nico; la stabilità del sale secco all'aria appare invece maggiore pel clorito che non pel nitrito, quest'ultimo essendo più igroscopico. La scomposizione ha luogo verosimilmente secondo l’equazione: SNH,ClOs==> Nik Cl 4H;0. Clorito di monometilammina NH,.CH,y.HC10,. — Una soluzione acquosa di monometilammina al 30% (circa) si neutralizza con acido sol- forico 2N e la soluzione così avuta si addiziona a freddo .agitando della quantità esattamente calcolata di clovito di bario puro, si filtra e si con- centra nel vuoto; si ottiene in tal modo una soluzione un po’ densa, che non precipita con alcool e etere, che non soliditica a —15° e che non cri- stallizza, anche se lasciata una settimana nel vaoto in presenza di cloruro di calcio fuso. Questa soluzione densa diede all’analisi il seguente risultato: Monometilammina % Cloro % Trovato Calcolato Trovato Calcolato per NH,.CH,.HCIO, per NHs.CH,.HCIO, 20,63 31,16 23,90 35,63 Rapporto CI/monometilammina trovato 1,159; calcolato 1,143. Il prodotto così ottenuto è quindi una soluzione concentrata (intorno al 66-67 %) di clorito di monometilammina. se durante la concentrazione si ha cura di aggiungere un leggero eccesso di monometilammina, si evita un principio di scomposizione e la soluzione non dà con nitrato d’argento la reazione dei cloruri neanche in tracce, ma un precipitato giallo cristallino di clorito di argento puro. Questa soluzione concentrata dà, versata su una x pietra di ferro calda, una leggera detonazione. Se Clorito di dimetilammina NH(CH3)s. HC1O,. — Si ottiene come so- luzione concentrata in modo del tutto analogo al precedente. La soluzione deve essere concentrata con le stesse precauzioni. Si decompone col calore in modo analogo al clorito di monometilammina. Il rapporto Cl/dimetilammina diede il valore 0,799; teorico caleo- lato 0,7878. Clorito di trimetilammina N(CH3)3. HCIO,. — Si prepara in modo del tutto analogo al sale di monometilammina; alla concentrazione si ha una maggior tendenza alla decomposizione; la soluzione al 50% è però suffi- cientemente stabile. Pel rapporto Cl/trimetilammina trovai il valore 0,670; calcolato 0,6009. Clorito di tetrametilammonio N(CH3),C10,. — La soluzione ottenuta per doppio scambio fra clorito di bario e solfato di tetrametilammonio si lascia evaporare nel vuoto in presenza di cloruro di calcio, senza alcuna scomposizione; e perciò qui, a differenza dalle ammine, è inutile l'aggiunta di un leggero eccesso di idrato di tetrametilammonio. Quando il prodotto è quasi secco, lo sì comprime fra carta da filtro per liberarlo dall'acqua madre; e i cristalli perfettamente incolori, così avuti, si seccano nel vuoto in pre- senza di potassa caustica. L'analisi fu fatta pel cloro in modo del tutto analogo ai cloriti prece- denti e cioè, previa riduzione a cloruro con acido solforoso, precipitando con nitrato d'argento in soluzione nitrica. Per determinare l'idrato di tetrametilammonio si riduce la soluzione di clorito con acido’ solforoso; si concentra a bagno maria, e il residuo si scioglie in acido solforico concentrato; infine si opera come in una ordinaria determinazione Kjeldahl. L'analisi diede il seguente risultato: Azoto % Cloro % Trovato Calcolato Trovato Calcolato per N(CH3\CI0, per N(CH;)jCI0, 9,75 24,80 9,50 9,90 24,992 25,05 955 ; 24,65 Il clorito di tetrametilammonio esplode per percussione come il clorito ammonico; a differenza di questo, è fortemente deliquescente. In soluzione acquosa ha reazione neutra. Ho contemporaneamente ripreso lo studio dei cloriti metallici e sono riuscito a preparare alcuni nuovi sali che descriverò in una prossima Nota. LIT, Geologia. — Osservazioni intorno al Quaternario dell’ Umbria centrale. Nota di PAoLO PRINCIPI, presentata dal Socio A. IssEL. Ai depositi fluvio-lacustri del Villafranchiano con Mastodon arvernensis, Tapirus arvernensis, Machaerodus crenatidens, ecc., si sovrappongono, in varie località, dei conglomerati costituiti generalmente da calcari marnosi e arenarie terziarie, più raramente da calcari mesozoici. i quali si trovano su altipiani e a circa 150-200 metri sugli alvei dei corsi d’acqua attuali e che per l'altezza stanno probabilmente a rappresentare il Mindeliense (colline di Perugia, di Montefalco, di Todi, ecc.). Nella valle del Tevere, da Um- bertide a Todi, a questi terreni succedono, lungo ambedue i versanti, delle sabbie argillose con intercalazioni di lenti ghiaiose ad elementi minuti, le quali si trovano in rialzo sulle alluvioni più recenti del fiume e presentano un evidente fenomeno di terrazzamento. Questi terrazzi, però, sono variamente incisi e modificati dai torrenti, che dalle alture circostanti convogliano le loro acque al Tevere. Essì si riscontrano pure ai due lati del torrente Pu- glia, lungo la parte inferiore della valle del Chiascio, e si estendono sotto le pendici settentrionali del monte di Bettona fin presso Cannara, costituiti, specialmente verso quest'ultima località, da un'argilla giallastra contenente delle conerezioni calcareo argillose formanti una specie di ghiaietta, chiamata cacoro. Anche qui i terrazzi sono profondamente solcati ed erosi dalle acque, ‘ fenomeno reso anche più accentuato dall’abbassamento del letto del Topino. In questi depositi alluvionali dell’alta terrazza, a Civitella d'Arno, Colombella, presso S. Martino Deltico, Castel delle Forme, Cerqueto, si rin- vennero resti di Z/ephas primigenius, Elephas antiquus e Rhinoceros Mercka. La presenza dell’ E/ephas primigenius, citato dal Verri (*) anche nei depo- siti detritici ad est del Piegaro, denota il /isséense, mentre le altre due specie, rappresentanti di una fauna calda infraglaciale, attestano che le al- luvioni, in cui esse sono comprese, debbono riferirsi allo Chel/eense, come lo dimostrano anche gli avanzi paleolitici dell'industria umana, ivi raccolti. Così, presso Bosco sulla riva sinistra del Tevere e n'ei dintorni di S. Egidio sulla riva destra del Chiascio, in corrispondenza di alcune zone dell'alta terrazza, esistono dei manufatti di selce (forme amigdaloidi ed affini su ciottolo con mar- gine scheggiato o irregolarmente sinuoso, forme discoidali, raschiatoi su ciot- tolo, pugnali ottenuti da un ciottolo allungato a facce parallele, scheggie atipiche, nuclei voluminosi, alcuni dei quali appena scheggiati), che presentano strette relazioni coi giacimenti classici di Chelles e St. Acheul in Francia (?). (1) Verri A., Di alcune divergenze sulla geologia dell'Umbria superiore. Boll. Soc. geol. ital., vol. IIL i (*) Bellucci G., L'epoca paleolitica nell'Umbria. Arch. per l’Antropologia e la Etno- logia, vol. XLIV, 1914. ì — 57 — Lungo la valle del Tevere, tra Pierantonio e Ponte Valleceppi, l’alta terrazza è assai ben distinta soprattutto nella riva destra del fiume; mentre i dorsi del pianalto pliocenico si trovano ad una media altitudine di 290- 300 m., l'alta terrazza, costituita da una spiaggia lievemente inclinata, da circa 208 m. sale fino a 220-230 m., presentando alla superficie uno strato di ciottoli marnosi appiattiti e di frammenti di selce scura, il quale riposa sopra delle sabbie silicee racchiudenti i resti dell'industria litica suddetta. All’alta terrazza succede, mediante un gradino non sempre distinto, un altro ripiano 0 dassa terrazza a circa 12 m. al disotto della precedente ed a circa 8 m. sul livello attuale del fiume. Esso è formato da ghiaie e sabbie argillose, in mezzo alle quali a Bosco ed a S. Angelo di Celle ab- bondano manufatti strettamente affini al tipo mousteriense (forme amigda- loidi ovalari o triangolari, asce semilunari, raschiatoi, punte su scheggie ecc.) (*). A sud di Perugia l’alta terrazza della riva destra del Tevere si ad- dossa ininterrottamente all'altipiano pliocenico e, profilandosi dalla quota 200 alla quota 175, viene a terminare presso Fratta Todina, dove il Tevere si trova a scorrere incassato entro le rocce del Terziario inferiore. Quella della riva sinistra è dominata fino al Chiascio dai terreni villafranchiani, mante- nendosi ad un'altitudine media di 190 metri; va poi ad unirsi all'alta ter- razza del Chiascio e rimane interrotta sino alla Madonna dei Bagni (196 m.). Ivi si riprende e presso le Terme (167 m.) si confonde coll’alta terrazza di destra del torrente Puglia; da Collepepe, infine, continua fino a Ponte Rio di Todi, elevandosi a quote che variano dai 173 ai 156 metri. Le due basse terrazze dall'altitudine media di 170 m. discendono con lievissime inclinazioni sino ai depositi attuali del Tevere; anche di queste ultime la più sviluppata è quella di destra, poichè lungo la sponda sinistra il fiume scorre in varî punti a ridosso dell'alta terrazza. Al Pleistocene sono da riferirsi pure i numerosi lembi di travertino, che si trovano sempre in relazione a rilievi calcarei. Nei dintorni di Perugia (Castel del Piano), al vasto affioramento di travertino di Ellera e dei Sodi di S. Sabina seguono dei depositi di terra rossa, in cui si trovano mescolati frammenti di quella roccia e contenenti presso Pila numerosi manufatti litici, che rammentano alcune forme caratteristiche dei giacimenti di Aurignac, di Solutré e de la Magdaleine (1). ÎL lecito, quindi, dedurre che il deposito del travertino è avvenuto nel periodo infraglaciale succeduto al Mousteriense. Coeve alla formazione del travertino sono verisimilmente le caverne, che si osservano nei rilievi calcarei dei Monti Martani e del M. Tezio (?). Esse furono prodotte da correnti sotterranee provenienti dall'interno della (1) Bellucci G., loc. cit. (2) Principi P., Secondo contributo allo studio dei fenomeni carsici dell'Umbria. Mondo sotterr., Udine, 1913. -- Id., Intorno ad alcune qrotte presso il M. Civitelle (Pe- rugia). Mondo sotterr., Udine, 1913. RENDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem, 8 massa montuosa, entro cui si aprono; alcune, come quella del « Ticche-tacche » dei Monti Martani, corrispondono alle caverne di sbocco del De Gasperi; altre, come quella dei « Banditi » della stessa località, alle caverze assor- benti, mentre le « Buche del Diavolo » del M. Civitelle rientrano nel gruppo delle inattive dell'autore ora menzionato (1). Il fenomeno carsico nel territorio studiato non assume la grandiosità caratteristica di altre regioni, per lo sviluppo che prendono i calcari cre- tacei e giurassici intercalati a strati marnosi ed argillosi (scisti a fucoidi, strati ad aptici), i quali ostacolarono ed interruppero la circolazione delle correnti sotterranee. Infatti le doline si aprono generalmente là dove affiorano i cal- cari dell’ Infracretaceo, del Giura superiore e del Lias inferiore, costituenti delle spesse pile di strati non interrotti da formazioni impermeabili. A) Pleistocene appartengono anche le falde detritiche che ammantano le pendici dei monti mesozoici (M. Subasio, rilievi presso Campello sul Cli- tunno, Catena martana ecc.) ed i materiali vulcanici, che sono sparsi in piccoli lembi nella parte meridionale della regione in esame. Prescindendo dall’Orvietano, costituito essenzialmente da colate di tefriti leucitiche, da tufi litoidi e giallicci incoerenti, rileveremo come presso Città della Pieve, Morrano, $. Faustino, la Capretta, Titignano e lungo il versante oc- cidentale dei Monti Martani, si osservano piccoli lembi di tufi stratiformi, i quali ora sì trovano ad occupare alcune depressioni scavate nel Villafran- chiano, ora giacciono direttamente su'rocce del Terziario antico o del Mesozoico, ora sono mescolati insieme coi detriti di falda, come appunto si verifica presso Massa Martana ed Acquasparta. Questi lembi tufacei, rappresentanti i pro- dotti vulcanici delle eruzioni dei Vulcani Vulsini, sono residui di una for- mazione molto più sviluppata e che le acque hanno profondamente eroso. Altri piccoli lembi di tufo, che si trovano presso il Pornello, ed alcuni depositi di tufi-pozzolane, che si riscontrano presso Cerqueto ed a S-O di Marsciano, dove riposano direttamente sui terreni argillo-sabbiosi del Villa- franchiano, sono, invece, in relazione coll’attività eruttiva del vulcanetto di Pian di Celle (S. Venanzo), che sorge presso la strada provinciale Marsciano- M. Peglia. Infatti, questi ultimi tufi presentano quasi costantemente le stesse caratteristiche di quelli del vulcano ora ricordato, cioè grande abbondanza di olivina, accompagnata da augite e sanidino. Nei campioni provenienti dalle trivellazioni di un pozzo artesiano di Cannara, a cominciare dalla profondità di circa 9 m. dalla superficie della pianura, si riscontrano numerose scorie vulcaniche, le quali dimostrano che l’attività dei Vulcani Vulsini doveva essere notevole anche verso la fine del Pleistocene, per poi spegnersi gradatamente nell’ Olocene. I depositi fluviali olocenici (alluvioni sabbioso-ghiaiose, ciottolose) sono sviluppati lungo il letto del Tevere, del Topino, del Nestore, del Chiascio, (!) De Gasperi G. B., Grotte e voragini del Friuli. Mondo sotterr., vol. XI. Deli ea del Tescio, della Caina, della Genna, del Puglia e di altri corsi d’acqua, che formano l’attuale rete idrografica; mentre i depositi lacustri dello stesso periodo costituiscono la pianura sottostante a Magione ed al M. Malbe, nella quale si raccolgono copiosi frammenti di torba, e quella di Assisi, che pro- segue fino a Foligno e Spoleto ( Valle umbra). I materiali di quest’ultima conca sono rappresentati da una alternanza di argille sabbiose con strati di ghiaia e di sabbia ed accennano non solo ad essere stati depositati in seno alle acque di un lago, ma anche sotto forma di alluvioni, man mano che lo specchio lacustre veniva a scomparire. Lungo le pendici meridionali del Subasio si riscontrano dei letti ghiaiosi, i quali non rappresentano altro che resti di coni di deiezione più o meno profondamente rimaneggiati. Coni assai rilevanti sono quelli del Topino, del Tescio, del Chiascio, il quale ul- timo forma presso Bastiola un potente strato di ghiaia ricoperto poi da altri depositi del fiume. Riassumiamo nel quadro seguente l'ordinamento dei terreni pliocenici e quaternari dell'Umbria centrale: ViLLAFRANcHIANO: sabbie, argille con molluschi terrestri e la- custri e con Rhinoceros etruscus, Hippopotamus major, Cervus dicranius, Bos etruscus, ecc.; depositi di lignite Pliocene superiore con Mastodon arvernensis, l'apirus arvernensis [ Spoleto, (Quaternario inf. secondo Pietrafitta, Gubbio]. Haug e Rovereto) (1). a Fate ‘ et 4% s MinpELIENSE: giacimenti ciottolosi su altipiani a 200 m. circa Le \ sugli alvei attuali [ Todi, Montefalco, Perugia]. Rissiense: depositi fiuviali dell'alta terrazza con Elephas | = | primigenius [ Piegaro |. 3 | CHELLEENSE: depositi alluvionali costituiti da sabbie ar- 8 gillose con intercalazioni di lenti ghiaiose ad elementi È minuti con Zlephas antiquus, Rhinoceros Mercki | = (periodo infraglaciale); manufatti litici riferibili alle E è forme di Chelles e St. Acheul [ Bosco, S. Egidio ]. 5 s i i Mousteriense: alluvioni della bassa ter- di s Pleistocene ..... Î razza con manufatti litici riferibili alle SE (Quaternario medio, secondo | forme di Moustier [ Bosco, S. Angelo ( £# Haug e Rovereto) (1). di Celle ]. E s Aurignaciense-Magdaleniense: tra- ERIC) WurMiEnsE | vertini (periodo infraglaciale); terra Clone rossa con detriti travertinosi e manu- dd fatti litici analoghi ai giacimenti di 2 = | Aurignac, Solutré e la Magdaleine [ Pila]; & É caverne dei Monti Martani e del M, Ci- | © ® vitelle. î Olocene .......... l'ufi è scorie vulcaniche; depositi fluviali e lacustri con ghiaie, sabbie e argille [Valle del Tevere, Valle folignate-spole- tina, Conca di Magione ecc. ]. (1) Rovereto G., Tentativo di ordinamento del Quaternario italiano. Boll. Soc. geol. ital., 1919. SEG) — Biologia. — Osservazioni biologiche sull''Iridomyrmex humilis ('). Nota della dott.# Lipra LA FacE, presentata dal Socio B. Grassi. i Avendo intrapreso, per consiglio del prof. Grassi, alcune ricerche sul- l'Iridomyrmex humilis, formica originaria dell'America e introdottasi da qualche anno in Italia, ho rivolto dapprima la mia attenzione sulla biologia di quest'insetto nelle nostre regioni. Sono stata quindi portata a considerare quale importanza potesse avere nella dispersione naturale di questa specie il volo nuziale, che, com'è noto, rappresenta nelle formiche il punto di par- tenza per la formazione di nuove colonie. Newell e Barber, in seguito ad osservazioni compiute sulla medesima specie nella Luisiana (Stati Uniti), avevano stabilito che il volo nuziale era ivi un avvenimento assai raro a verificarsi, avendolo constatato una sola volta durante cinque anni, e che quindi le giovani regine potevano essere fecondate nell'interno del formicaio; ma non riferiscono nel. loro lavoro (*) particolari osservazioni od esperimenti fatti per precisare meglio come avvenga la fecondazione nella specie suddetta. Ho creduto opportuno di studiare l'andamento di questo fenomeno nelle nostre regioni per vedere se su di esso esercitassero qualche influenza le diverse condizioni di ambiente, e di precisare meglio alcuni dettagli. Le mie osservazioni sono state fatte sia su colonie naturali, sia su colonie allevate in nidi artificiali costruiti sullo stesso modello di quelli usati da Newell e Barber nelle loro esperienze. Nella seconda metà dell'aprile ho potuto osservare in nidi naturali di alcuni giardini di Roma, infestati dall’ /ridomyrmex hum., numerose larve e ninfe di maschi e di regine, e nel maggio i primi individui alati. Gli autori su menzionati non hanno trovato se non molto raramente le femmine alate nei formicai naturali (soltanto tre durante il periodo delle loro osservazioni), ma. ciò è dovuto alla brevità del periodo in cui esse compaiono. Ho notato infatti che le femmine alate si rinvengono facilmente nei nidi naturali soltanto negli ultimi giorni di maggio e nei primi di giugno: nella seconda metà (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di Entomologia agraria della R. Università di Roma. (?) The Argentine Ant by Newell and Barber; U. Ss. Department of agriculture, Bureau of entomology — Bulletin N.° 122 — June 26, an. 1918. — 61 — o di questo mese non si trovano più che regine prive delle ali, quindi già fecondate. I maschi, invece, si rinvengono sino al luglio, nel qual mese vanno diminuendo di numero sino a scomparire del tutto. Durante tutto il periodo in cui si svilupparono nei formicai naturali gli individui alati, non ho mai assistito ad alcun volo nuziale, nè ho mai visto i maschi e le fem- mine vagare all'esterno dei formicai, sebbene abbia fatto in proposito nume- rose osservazioni in differenti punti di Roma, sotto diverse condizioni mete- reologiche e in diverse ore del Igiorno. In un nido artificiale, in cui avevo isolato una colonia composta di molte operaie, di una sola regina e di stadii immaturi, si svilupparono, nella seconda metà di giugno, quindi con qualche ritardo rispetto a quanto si era verificato nei nidi naturali, parecchi maschi e sei nuove regine. Non mì è stato possibile di osservare direttamente in questo nido la fecondazione, ma ho visto più volte i maschi inseguire attivamente le giovani regine cercando di accoppiarsi con esse. Dopo qualche giorno, ho trovato le nuove regine prive delle ali: ciò significava. che le femmine della specie in questione potevano essere fecondate dentro il nido, come ho potuto meglio accertare in seguito. Le nuove regine, dopo la fecondazione, furono uccise e divorate dalle operaie: queste le assalirono e, dopo avere staccato ad esse la testa dal torace e questo dall’addome, ne divorarono in poco tempo gli organi interni. Un'altra regina, tolta da un nido naturale e messa in questo stesso formi- caio, ebbe la medesima sorte delle prime. Appare quindi verosimile che, quando lo spazio in cui è confinata una colonia è limitato e la popolazione diventa troppo numerosa, le operaie ne impediscono l'ulteriore aumento con l'uccisione delle nuove regine. È probabile però che nelle condizioni naturali ciò normalmente non si verifichi e che, quando in un formicaio le regine diventano troppo numerose, alcune di esse, unendosi ad un certo numero di operaie, migrino andando a fondare nuove colonie nelle vicinanze del nido in cui sono nate. Così si spiega come, alla fine della primavera, cioè dopo che è avvenuta la nascita delle nuove regine, attorno ad un formicaio pri- mitivo se ne vedano sorgere numerosi altri a non molta distanza da esso. Anche i maschi nati nel nido suddetto furono, dopo le regine, uccisi e man- giati dalle operaie. Durante il periodo di un mese circa, in cui ho tenuto in osservazione i maschi di questo nido, non li ho mai veduti aggirarsi all'esterno di esso: li ho trovati spesso intenti a succhiare avidamente le larve e le ninfe presenti nel nido, nonostante la resistenza opposta dalle operaie. Ho potuto osservare direttamente la fecondazione in un altro nido arti- ficiale in cui avevo isolato, verso la metà di giugno, una colonia composta di una femmina ancora alata, di un maschio e di alcune operaie. Nulla di notevole accadde nel nido fino al 1° luglio, in cui posi nel nido alcuni SIGN maschi tolti da un formicaio naturale: verso le sette del pomeriggio, solle- vando il coperchio del nido, vidi che essi inseguivano vivacemente la giovane regina. Dopo un quarto d'ora circa, un maschio riuscì ad accoppiarsi con essa: trascorse 24 ore, trovai la regina dealata. Tre giorni dopo essa cominciò a deporre le uova e nel frattempo i maschi vennero uccisi e mangiati dalle operaie. Resta così dimostrato che nell’/ridomyrmex humilis la fecondazione avviene normalmente nell’interno dei formicai e che, mancando il volo nnziale, la dispersione naturale della specie viene in tal modo notevolmente limitata. La capacità di volare non è però del tutto soppressa, almeno per ciò che riguarda i maschi. Ho, infatti, provato più volte di lasciare in libertà, all'aperto, alcuni maschi tolti da nidi naturali o artificiali, ed ho osservato che spontaneamente non spiccavano mai il volo. Soltanto se venivano in qualche modo molestati facevano uso delle ali, ma non potrei dire quali distanze siano stati capaci di percorrere. Non ho potuto ripetere il medesimo esperimento sulle femmine perchè sì era nel giugno e in tal epoca esse erano tutte dealate. Non è priva d'interesse la soppressione della funzione del volo, che normalmente si verifica in questa specie, quantunque le ali siano perfetta- mente sviluppate. Sarebbe opportuno di osservare se in essa i muscoli delle ali presentino particolari modificazioni rispetto a quelli delle altre specie di formiche in cui il volo nuziale rappresenta l’atto che accompagna neces- sariamente le fecondazione. Su quest’ultimo argomento mi propongo di riferire in seguito, quando avrò raccolto i dati necessarî. G. C. det Pubblicazioni della R. Accademia Nazionale dei Lincei. Seri 1° - — Atti ioni solbicia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della. Reale Accademia dei Lincei. fono SOI ZEVol Lo (1873-74). “—— Vol. II. (1874-75). — DAI Vol. IL (1875- ea Parte 1* TRANSUNTI. FINTA ti 2 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, Ri i di È DR) | ‘matematiche e naturali. 8* MEMORIE della Classe di scienze morali. storiche e filologiche. ì) A SE Vol. Iv. v. VI. VII. VII. SS Serio 3% — TRANSONTI. Vol. I-VIII. (1876-84). | MEMORIE. della. Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. L (1, 2). — IL. (1, 2), — II-XIX. , ; Ra della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. : da i Vol. I-XII. ua DO. Seri indi iti Vol. I-VII. (1884-91). è CR RCI* 3 sd Mewon della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 0 i Hol IVII > RO Rn di: co della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. 3 a stà e) A Vol. I-X. ; È FI | Serio. 5* — ReNDICONTI della Classe di scienze A matematiche e naturali SG Valy I- XXXI. (1892- 1922). Fasc. 2°, Sem. 1°. 0. 50) 1 Ma RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. STA RO Si | Vol. I-XXX. (1862-1921). Fasc. 4°-6°. SS, A “Aaa — MewoRiE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Mn VOL XIII; fasc. 8°. i k Di 5 - MemorIE della Classe di scienze. otel, storiche e filologiche. E, Vol. ri Mi: XIV. Vol. XV. XVI. Fase. 7°. è Di È » x dA CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE di RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI PICS, AO Sn DELLA Ro ACCADEMIA NAZIONALE DEI ARIA n red) uf ri Ea RM St hi i j Le est Fe da vs vt ndtivonti asi Classe di scienze fisiche, matematiche x i-% \\6 “naturali. della R. Accademia Nazionale dei Lincei si pub- i | blicano due volte al mese. Essi formano due volumi SIRQunO, n: pri porte oguuno ad un semestre. cs Ùe associazioni ii ricevono esclusivamente dai seguenti ì | editori librai: w ; È LI: — ULRICO HorpLI. _ Milano, Dadi e Napoli. ORE ua ve MagLIONE & O Srami (puessta di E. Loescher & 0.) — 2A RENDICONTI — Gennaio 1922 INDICE È Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 22 gennaio 1922. ; MEMORIE E NOTE DI SOCI Majorana. Sull’assorbimento della gravitazione. Nota V. +... . + «+. + + Pag. NOTE PRESENTATE DA SOCI Picone. Nuova condizione necessaria per un estremo di un integrale doppio. Nota I (presen- tata dal“Socio. Biafichti). <<... SIE ONE I Vergerio. Sopra un tipo di equazioni integrali non lineari. Nota II (presentata dal Socio LevisCina).ve ina VIS ZA a Re Fermi. Sopra i fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria. Nota II (pre- sentata»dalGorrisp:: Armellini), |. SRIEREZIOA EA IRA ee Levi. Cloriti di ammonio e di alcuni ammonii sostituiti (presentata dal Corrisp. Bruzi). Principi. Osservazioni intorno al Quaternario dell'Umbria centrale (presentata dal Socio ss) EE PATRIMONI SR EST e La Face. Osservazioni biologiche sull’Iridomyrmex humilis (presentata dal Socio © GIONE o E. Mancini Cancelliere dell’ Accademia, responsabile. 41 46 49 51 52 56 60 — ‘Pubblicazione bimensile. | N. 3. REALE ACCADEMIA NAZIONALE. ATTI. DELLA DEI LINCEI ANNO CCGCXIX 1922 SES 6 QTA. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXXT.° — Fascicolo î3° Seduta del 5 febbraio 1922. 1° SEMESTRE. ROMA TIP. DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1922 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Pie CTMIRSO pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese ; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soei e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume; due volumi formano un’annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunica- zioni 50 estrattì.gratis ai Soci e Corrispondenti, e 30 agli estranei ; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inscritte nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - 4) Con una proposta a. stampa della Memoria negli Atti dell’ Accade mia oin un sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - d) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 38. Nei primi tre casi, previsti dall'art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nelcaso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a-carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE ‘DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI (Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 5 febbraio 1922. V. VoLTERRA, Vicepresidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Matematica. — Ardueibilità delle quadriche differenziali e ds° ‘della Statica einsteiniana. Nota del Socio G. Ricci. Dirò una quadrica differenziale ad x variabili algebricamente riduci- bile se mediante un cambiamento di variabili essa può ridursi a contenere i differenziali di x — 1 variabili soltanto; assolutamente riducibile se ciò può farsi in modo che i coefficienti della forma ridotta si esprimano esclu- «sivamente per le stesse 2 — 1 variabili. Si vedrà che, come per la riducibilità di una quadrica algebrica, così per la riducibilità algebrica di una quadrica differenziale è condizione ne- cessaria e sufficiente l’annullarsi del suo discriminante; mentre per la ri- ducibilità assoluta è da aggiungere un’altra condizione la quale consiste in «ciò che un certo sistema di equazioni algebriche lineari ed omogenee am- metta soluzioni proprie. Si dica una quadrica differenziale ad » variabili p volte riducibile al- gebricamente (o dotata di riducibilità algebrica di ordine p) se con una op- portuna scelta delle variabili indipendenti essa può ridursi a contenere sol- tanto i differenziali di n —p variabili indipendenti. Come è state detto, per p=1 (riducibilità algebrica semplice o di 1° ordine) le cose vanno come per la riducibilità semplice delle quadriche ‘algebriche. Per p > 1 il fatto che la caratteristica del discriminante di una «quadrica differenziale ad variabili sia minore di x —p, importa soltanto che RenpicOnNTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 9 Degne» sì possa addivenire alla sua riduzione algebrica semplice in più modi es- senzialmente distinti; mentre per una riducibilità. algebrica di ordine supe- riore si esigono di più altre condizioni espresse da relazioni difterenziali tra. i coefficienti della quadrica data. Una interessante applicazione di questi risultati consiste nel determi- nare le condizioni necessarie e sufficienti perchè una quadrica differenziale positiva g ad » variabili sia equivalente alla. somma di una quadrica, nella quale appaiono soltanto i differenziali di x —1 variabili e di un termine quadratico nel differenziale di una 7"? variabile y. Si riconosce che, come. fu dimostrato da Hadamard (') per le V3, esse coincidono con quelle, che io dimostrai essere necessarie e sufficienti perchè la varietà. V,, definita me- tricamente da 4 contenga una semplice infinità (di equazione y = costante) di varietà V,_, totalmente geodetiche. E poichè altrove (?) ho dimostrato che, verificandosi questo caso, le traiettorie ortogonali delle V,_, costituiscono una congruenza principale per la V,, se la ennupla principale di questa è unica e determinata, si può. immediatamente riconoscere se il suo ds? sia riducibile alla espressione ca- nonica voluta ed in che modo. Si vedrà ancora che l'essere nullo il rotore della curvatura geodetica delle traiettorie ortogonali delle V,_-, è condizione necessaria e sufficiente. perchè il parametro y delle stesse V,_, possa scegliersi in modo che il coeffi- ciente di dy? nella espressione canonica suddetta sia indipendente da y. Salvo gli adattamenti resi necessarî dalla natura non definita delle quadriche, che: rappresentano il ds? delle varietà quadrimensionali (spazio-tempo) di Einstein. nel senso statico, tali varietà risultano così intrinsecamente caratterizzate. 1. Perchè una quadrica differenziale n g=D_In dt, dt; 1 sia algebricamente riducibile p volte, si richiede e basta che, posto m = =1a—p, le variabili x,,x2,..., 4, sì possano esprimere per 7 variabili. indipendenti 71, %e; -+-3/m3Ym+r - Yn in modo che, posto & ddr IG bi, = do Da (i dYp da ; risulti (1) boa =0 (p=1,2..n;qg=mM+1...%). (1) Sur les éléments linéaires à plusieurs dimensions. Tome XXV de la 2.€ série- du Bulletin des Sciences mathématiques. (3) Cfr. Ricci, Direzioni e invarianti principali in una varietà qualunque. Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti, Tomo LXIII, Parte 28 (Anno 1903. 1904), pag. 1233. Dagzi = E ciò esige che (2) X; dXs = = 1, L9,..n) dYa e ALA siano soluzioni proprie indipendenti del sistema di equazioni algebriche n (3) DI ar A = 0 =, 2 9)5 1 per il che sì richiede poi anzitutto che, detta / la caratteristica del discri- minante della forma g, sia XK < m. In una Nota, che è in corso di pubblicazione negli Atti del R. Isti- tuto Veneto, ho dimostrato che è inoltre per ciò necessario e sufficiente che il sistema (3) ammetta x — m soluzioni indipendenti Nigris tali che il sistema di equazioni lineari a derivate parziali di 1° ordine one dU M Ags —=0 -- Di DAS <>? DS dx; (q Mm sla UL. se n) risulti completo: e che, soddisfatte tali condizioni, si soddisfa alle (1) assu- mendo come variabili w,,?7/:,-.-17m integrali indipendenti di questo sistema. In particolare la condizione X < 7, oltre che necessaria, è anche suffi- ciente per la riducibilità semplice algebrica della forma @; e se XA; è una qualunque soluzione propria del sistema (3), per dare a @ una espres- sione della forma n_l ia DI bpa dYp dYa T pg basterà ad 2,,%2,... Xn sostituire » variabili indipendenti y,,%2,...3Yn-13%n tali che le prime x—1 di esse soddisfacciano alla equazione dY dXs = 0. n da Às I Evidentemente se è 7 79 = Andromedae 164 1921 ott. 22| 192,7 4 n_ 29| 193.6 Ti » 30| 192,6 5 dic. 21| 191,9 4 1921.86 192.8 | Armel. Dembowski (69,66) trovò 192,00 Giacomelli (88.89) n» 192.25 Z 80 1921 ott. 22| 325,0 5/1 » 80| 325.2 4 fl » 81| 2258 3 /1 nov. 6| 3248 o fl 1921.83 325,0 | Arme]. Dembowski (63,83) trovò 309,2 Giacomelli (89,77) » 816,3 Z 100 = & Piscium 1921 ott. 12 63.3 4 n 18] 62,5 4 n 19 62,7 5 DI6NZ: 62,6 4 » 22 62,5 5 192180 62,7 | Armel. Dembowski (66,04) trovò 68,8 Giacomelli (89,80) n 63,4 LIO nto x 180 = y Artetis 1921 ott. 12| 358.9 3 » 131 359.1 3 » 15) 3598 5) n 16] 3596 B) » 17) 359,7 3 » 18| 3599 5 n 21) 358,9 4 1922 genn. 4| 359.0 b) 1921,82 859.4 | Arne]. Dembow»ki (65,48) ebbe 359,2 Giacomelli (88,90) » 858,5 A. Hall (86.97) » 359,7 2 205 = y Andromedue 1921 ott. 12 63.6 5 » 13 63.4) | 4 n 15 63.8! 4 » 16 02160004: n 17 63,7 4 » 18 DOS | 6 DAMOIO GRIGI M5 » 20 631389 pì (2) 63.4 5 1921,79 63,4 | Armel. Dembowski (63,81) trovò 62,9 Giacomelli (28.90) n 63.1 i x 222 = 59 Andromedae 1921 ott 023472 3 ma 118) 33,4 4 » 16 54,1 DI » 20 533,6 5 n 2 33,6 4 » 29 33,8 4 1921,79 33.8 | Armel Dembowski (66.88) trovò 35,5 Giacomelli (89,83) » 35.1 —rV === Rs EE-<“E“REEIID £ 231 = 66 Ceti 1921 ott. 31| 231,4 4 dec. 12| 231.9 5 n 21| 231,6 5 » 26| 2314 5 1921,98 231,6 | Armel. Dembowski (64,91) trovò 229,1 Giacomelli (89.83) » 231.3 ——+—+——+++=++ — @—&— x 232 = 28 T'rianguli 1921 ott. 29] 66,5 5 fl dec. 12 66,4 4 » 21 65,6 5 » 26| 65,6 5 » 28| 66,7 6 1921,94 66,2 | Armel. Dembowski (69,08) trovò 66,8 Giacomelli (89,80) » 65.7 Doolittle (902,9) » 66,5 > 239 1921 dec. 21| 210,9 5 DIRO 09 4 n.27 (1021052 5 » 28] 210,6 6 1921,98 210,5 | Armel. Dembowski (65,57) trovò 210,4 Giacomelli (88,95: » 210,8 Burnham (904,79) ” 210.7 Z 401 * 1922 febb. 4| 270,1 5 n 10) 270,7 6 » 124 270.5 5 fl 1922,10 270,4 | Armel, Dembowski (67,61) trovò 270,3 Giacomelli (89,84) » 270,0 Z 470 1922 genn. 6] 348,4 4 »n 7] 349.6 3 » 13) 349.1 ò » 20| 349,1 d » “1| 3495 4 1922,03 349 1 | Armel. Dembowski (65,58) trovò 347.2" Giacomelli (89,86) » 346,7 Doolittle (901,92) » 348.6 > 590 = 55 £ridani 1922 genn. 4] 318,4 5) ” 318,1 3 » 7] 3179 d n 21| 317,4 3 n 22| 317,6 5 1922,03 317,9 | Armel. Dembowski (65,81) trovò 316.1 Giacomelli (89,94) » 316,3 Z 730 1921 febb.12| 140,2 5 n 18| 140,7 5 n 19| 1404 5 n 26| 140,2 5 1921,13 140,4 | Armel. Dembowski (65,86) trovò 141.1 Giacomelli (89,96) » 140,2 pren_— rm ..—1_LLL.LLzi x 738 = 4 Orionas 1922 genn. 4] 42,9 5 et O n 6| 423 3) ” 7 42,0 8) 1922,01 42,6 | Armel. Dembowski (66,29) trovò 44,8 A. Hall (85.16) » 474 Giacomelli (89,96) » 42,2 z 752 = Orionis 1921 genn. 17| 142,3 5 febb. 4| 143,0 5 » 6| 1421 5) 1921,08 142,5 | Armel Dembowski (65,86) ebbe 141,1 Giacomelli (89,96) » 140,7 Biesbroeck (903,22) » 141,7 x 855 1921 febb. 27) 113,2 5 marzo 1| 113,7 5 ia Es 5 1921,16 113,5 | Arme]. Dembowski (66,66) ebbe 113,8 Giacomelli (89,99) » 1134 2919 = 11 Morocerotis AB 1922 genn. 5| 132,1 5 BENI 0 132:9 6 » Ti 131,6 4 n 20] 131,6 3 1922,03 132.1 | Armel. Dembowski (67,88) ebbe 130,2 Giacomelli (89,52) » 130,6 Burnham (98.96) » 133,4 BC 1922 genn.13| 103,5 4 » 20] 102,7 4 n.201) 103,2 3 » 22| 1034 6 1922,05 105,2 | Armel. Dembowski (67,88) ebbe 103,0 Giacomelli (90,01) » 104,3 Burnham (98,96) » 1084 È una delle più belle stelle triple del cielo! 924 = 20 Geminorum 1921 mar. 19| 210,5 b) apr. 2] 211,6 5 ” Dl e2115 5 1921,24 211,1 | Armel. Dembowski (67,50) ebbe 209,8 Giacomelli (89,49) » 210,0 Biesbroeck (903,24) » 210,4 —————————ÉÉÉ€É111(991(‘tt1tI1r..It(fT(tI(r[@ Z 1027 1921 marzo 19| 355,8 5 fl n 81| 855,6 5 fl 1921,22 355,7 | Armel. Dembowski (66,9) ebbe 855.9 | Giacomelli (90,22) » EDO Z 1110 (Castore) 1921 apr. 24| 217,3 5) » 830) 216,9 5) mag. 2) 216,3 6 1921652 216,8 | Armel. Dembowski (76,77) ebbe 235,9 Giacomelli (90,07) » 230,5 Biesbroeck (903.04) » 2243 Dl993 1922 genn.29| 213,1 5 fl febb. 4| 213,1 5 fl n 101021359 5 1922,09 213,4 | Armel. Dembowski (69,10) ebbe 215.2 Giacomelli (89,18) n 214.2 2 1224 1922 genn. 29] 43.7 | 4 fl febb. 4 44.5 5 fl » 10 44.1 bj 1922,09 | 44,1 |Armel. Dembowski (67,87) ebbe 41,3 Giacomelli (89.19) » 41,9 Biesbroeck (903,21) » 44,0 > 1268 = « Caneri 1921 aprile 1] 307,9 | 5 ”» 2430162 li) ml MES 0102 5 192125 | 307,4 |Armel. Dembowski (66,74) trovò 307,1 Giacomelli (89,21) » 3074 Colemann (99,27) » 3073 1627 1921 mag. 8| 196,1 5 » 9| 195,6 5) » 10) 195,5 6 /l n 13| 1968 bj 1921,35 195,9 | Armel, Dembowski (67,76) trovò 196.8 Giacomelli (90,20) » 196,5 Hugues (904,87) » 196.1 -——____ oe __i Z 1657 = 24 Comae 1921 mag. 21| 271,7 b) n 22] 271,9 bj » 281 271,9 5 a: 2, 9) MEDRES 5 1921,40 271.7 | Arme]. Dembowski (66,45) trovò 271,0 ZOLA Giacomelli (90,02) » 355,4 | Hugues (902,78) » 2714 Z 1669 = 55: Corvi 305.8 1921 giugno 4 5 n 1l1| 305,6 5 23054 5 n 23| 305,6 5 1921,45 805.6 | Armel. Dembowski (66,63) ebbe 302,9 Giacomelli (89,30) n 303,4 Z 1670 = y Virginis 1921 apr. 17| 323,7 5) » 24| 323,6 5 mag. 2| 323,6 dI ” S| 324,2 ) 1921,31 323,8 | Armel. Giacomelli (89,58) ebbe 332,8 Hugues (98,28) ebbe 330,4 Biesbroeck (903,71) »n 3288 L'angolo di posizione va diminuendo per il moto orbitale. L’eccentricità è elevatissima. È una delle doppie più belle ZAl'ONtr. 1921 mag. 9) 349,0 Ù » 13) 3494 4 n 21] 348,6 4 192837 349,0 | Armel. Dembowski (67,27) ebbe 348,0 Giacomelli (90.30) » 347,5 Hugues (904.35) n 347.8 Z 1678 1921 mag. 4| 190,3 5 ” 53 1898 bj » 6| 189.0 Ce, 7A 01:8987 5 fl 1921,534 189,7 | Armel. Struve (32,27) trovò 211.6 Dembowski(63,24) » 204.0 Giacomelli (89,37) » 197,67 Z 1740 1921 mag. 6| 75.4 6 no 7 75,1 D » 8 74,8 8 1921,35 75,1 | Armel. Dembowski (65.97) ebbe 75,8 Giacomelli (89,99) » 75.6 Glasenapp (93,33) » 75,2 2 1883 1921 giug. 24| 172,1 5 fl NA) a rp (7 hs msi 17216 5 1921,48 172,1 | Arme]. Dembowski (66,75) trovò 167,3. Giacomelli (90,00) » 169,0 Hugues (904,37) » 1700 2 1850 1921 mag. 22| 2618 5 n 28) 26151 Ti giug. 11] 261,5 3) DEM M20:189 ‘ 1921,42 261,5 | Armel. Dembowski (68.57) trovò 261,9 Giacomelli (89,38) » 262.1 1864 = x Bootis 1921 gius. 23| 104,3 5) n 25) 1089| 5/7 i 26| 105,2 5 » 27| 104,6 5) 1921,48 104,5 | Armel. Dembowski (67,94) trovò 101,5 Giacomelli (89,38) » 103.1 Biesbroeck (903.28) » 103,3 Soria = reboot 1921 mae 22} 3314 | 5 n 28| 330,6 5 giug. 12| 3299 6 » 28 5) 330,3 | 192143 | 330,6 | Arme]. Dembowski (65.86) ebbe 324,8 Giacomelli (89,43) » 831,8 Biesbroeck (903 4) » 330,3 Il valore di Giac. è forse troppo alto. Z 1890 1921 luglio 6 45.4 5 n 199 2) 5 nN29, 44,7 8 » 24 45.6 6 L92655 45,1 | Armel. Pembowski (66,91) ebbe 45,0 Giacomelli (90,33) » 44,6 2 1904 1921 giug. 24| 348,2 5 fl n 25| 8484 5 fi n 26| 347,9 5) » 27) 348,0 5 1921,48 348,1 | Arme]. Dembowski (67,14) trovò 346.4 Giacomelli (89,97) n 3462 Glasenapp (97,49, » 346,6 Z 1910 1921 luglio 4| 210,9 5 pedi 218 5 ” 6| 211,2 5 n 8 (2118 5 192151 | 211,4 | Armel. Dembowski (66,32) trovò 211,5 Giacomelli (89,47) n 210,5 Doolittle (903.26) » 211,8 DAROlo 1921 giug. 24 10,8 5 fl ni..25. | 1077 5 fl n 26 10,8 5) ni Ea L0:9 5) 1921,48 10,8 | Armel. Struve (32,21) trovò 10.2 9,8 9,6 Dembowski (67.93) » Giacomelli (89,47) » Bnurnham (905,18) » 10,0 2 1981 1921 giug. 26] 171,4 5) NAZIO STA O, 5) n.28) 101.3 D luglio 3| 170.5 6 1921,49 171,0 | Armel. Dembowski (66,00) trovò 171,7 Giacomelli (90,32) » 170,5 Hugues (904.34) » 170,6 —_———————@<@co cconmurccouss 2 1954 = d Serpentis 1921 luglio 3| 182,9 SUI ” 4 189,6 (È) fi ni 61 83.1 5) » 22| 183.4 6 » 23| 1840 5 1921,53 1 1834 | Armel. Dembowski (65,36) trovò 192,0 » (75,30) » 190,5 Giacomelli (90.40) » 186,4 Burnham (905,48) » 185,0 rr——————€@€@@€@@—@—@—@@@@11l1191#005DE@Ùem x 1962 1921 luglio 10 190,0 5) n 19) 189,7 5 n 20| 1894 4 n 21| 189,7 5 1921,54 189,7 | Armel. Dembowski (68,25) ebbe 188,5 Giacomelli (90,88) 187,8 Jouffray (903.46) » 188,3 2 1965 = è Coronae 1921luglio 23 | 302,9 5) n 24| 303.6 5 » 28) 302,4 4 n 29] 302,5 8 1921,56 302,8 | Armel. Dembowski (68,78) ebbe 302,2 Giacomelli (90,38) » 302,2 Biesbroeck (903,39) » 304,3 Z 2007 1921luglio 20| 824,6 5 N20 327 5 n 23) 324,2 4 n 24| 2238 6 n 25| 3243 5 n 80032441 5 1921.56 | 324,3 | Armel. Dembowski (58,38) ebbe 326,5 Giacomelli (90,09) » 325,8 > 2010 = x Merculis 1921 luglio 10 12,5 5 » 20 12,7 8 n. 21 12,8 5 »n 23) 12,38 4 n» 24 12.4 7 E) AZIONI eZ) 6 » 30| 124 5) 1921,56 12,5 | Arme]. Dembowski (67,12) ebbe 9,9 Giacomelli (89,50) -» 10,6 x 2140 = « Merculis 1921luglio 20| 110,7 6 ni 2109 5 ni 251 AENINISLEO) ti » 24| 110,6 8 » 25) 110,6 5 n 2.610 4 2A MARLON 4 1921,56 110.7 | Armel. Dembowski (66,54) ebbe 117,8 Giacomelli (90,08) » 113,3 2 2161 = o Herculis 1921luglio22| 313,6 6 » 23| 313,9 8 » 24| 313,5 4 » 25) 313,8 8 1921,56 813,7 | Armel. Dembowski (68,49) ebbe 310,7 Giacomelli (90,53) » 312,6 pn ’__r_r__cGb666GcGGn’=rTf/@ x 2758 = 61 Cygni 1921 dec. 11| 130,2 5) »n 12] 1308 6 » 25| 131,5 5 n 26) 131,4 3 » 27) 131,0 3 1921,97 130,9 | Armel. Giacomelli (89,78) trovò 121,3 Burnham (905,41) » 127,2 SSR Fisica. — Sull’assorbimento della gravitazione. Nota VI del “Corrisp. QuiRINO MAJORANA. Uso DEL coNnTROLLO. — Il descritto congegno di controllo, o come dirò -semplicemente il controllo, svela le rotazioni del sostegno della bilancia. Per utilizzarlo, procedo nella guisa seguente. Stabilito un punto della scala al posto di osservazione si regola la vite 7 in guisa che su di esso cada il raggio di luce riflesso da Ss; si portano allora i piombi dalla posizione PP a P'P'; questo raggio si sposta in conseguenza, p. es., di 200 mm. (') in alto. Si tratta ora di ricondurlo alla sua posizione primitiva, senza spostare i piombi; creando cioè una rotazione nel sostegno della bilancia inversa a ‘quella occasionata dalla mutata posizione di quelli. Per raggiungere tale scopo, è tornato assai accuncio usufruire della mobilità di detto sostegno dovuta al suo speciale modo di sospensione con le molle MM (fig. 3). Un filo sottile di argentana è fissato in I ad un'appendice portata del piano LL, -ed è avvolto su due carrucole D, ,D,, ad imperniatura assai delicata. Di esse, la D, è prossima alia bilancia, come vedesi in figura, e sostenuta -opportunamente dal piano TT; l’altra trovasi discosta per circa 3 metri. Al filo di argentana è finalmente legato un disco circolare di ferro Z che funge -da armatura di un'elettrocalamita J. In questa circola in permanenza una corrente di qualche decimo di ampère, regolabile dal posto di osservazione «con opportuno reostato. La distanza di J dalla bilancia è tale che nessuna sensibile azione da parte sua sulle parti magnetiche della bilancia sia da temersi. Si vede allora che affievolendo la corrente in J, il sostegno della “bilancia può ruotare alquanto per il cedimento delle molle MM, ed è così ‘possibile riportare l'indice luminoso riflesso da S. nella sua primitiva posi- zione, venendosi a correggere con ogni esattezza la rotazione perturbatrice ‘constatata. È ovvio poi, che se si osservasse uno spostamento dell’ indice lumi- noso verso il basso anzichè verso l'alto, esso verrebbe corretto con un accre- scimento della corrente in J. Si può obbiettare che le rotazioni impresse al sostegno della bilancia, sia dal moto dei piombi che dal controllo sieno certamente accompagnate da spostamenti traslatorii rispetto alie lampade di proiezione e alla scala di lettura, e che quindi questi possano indurre qualche errore nella valuta- (!) Per quanto si è detto tale valore può mutare notevolmente da una esperienza «all’altra. RenpIcoNTI. 1922 Vol. XXXI, 1° sem. 11 MRO zione degli effetti. Ma, come già dissi, tali spostamenti, clie del resto sono» dell'ordine di '/10 di mm., non possono trasferirsi nelle letture sulla scala,. giacchè gli specchi S, ed Ss sono piani. In ogni caso se, malgrado tutto, una certa causa di errore continuasse a persistere, essa non potrebbe essere che molto ridotta di fronte a quella. che si aveva senza l’uso del controllo. Le letture incrociate, fatte caricando- alternativamente il giogo col sistema sfera-contrappeso o con l'altro tara-- contrappeso, certamente permetteranno la eliminazione di tale errore resi- duale. L'uso del controllo, eliminando nelle osservazioni la. accennata capric- ciosa causa di errore, le rende fra loro perfettamente comparabili ai fini della presente ricerca; esse vanno peraltro corrette, in conseguenza della. esistenza di altre cause, che restando sensibilmente costanti da una misura all'altra o che essendo esattamente prevedibili, non possono lasciare incer- tezza alcuna sul risultato finale. Di tali cause debbo ora discorrere, prima. di accennare a questo risultato. «CAUSE MAGNETICHE DI ERRORE. — Il mutamento nella posizione dei piombi, essendo questi, insieme con i loro sostegni, costituiti da materiale: più o meno magnetico, e in piccola parte anche da ferro (connessioni dei. pezzi delle armature ABCD, viti calanti, motorini elettrici ecc.), può eser-- citare qualche azione sulla posizione di equilibrio della bilancia. Il giogo di questa, come nella prima serie di esperienze, ha i tre coltelli in acciaio; ma il suo indice verticale a lettura diretta in H (fig. 3), che poteva cau- sare le maggiori perturbazioni magnetiche, è stato sostituito con altro di ottone; può dunque rimanere qualche azione perturbatrice su quelli, ed in minima parte anche sul resto del giogo. Essa può esser provucata per il moto dei piombi, dal campo magnetico terrestre (in conseguenza della varia. permeabilità magnetica di questi e dei loro accessorî), od anche da. magne-- tismo residuo delle parti mobili, specie di quelle in ferro. Con l'uso del controllo, e quando si esperimenta ir dianco cioè com tara-contrappeso, qualsiasi perturbazione meccanica, dovuta cioè alle defor-- mazioni dell’edificio resta, come si è detto eliminata; non interviene neppure, come si dirà appresso, alcuna azione newtoniana sensibile, dovuta cioè alla azione attrattiva dei piombi sul giogo, variabile con la posizione di quelli. Ma. con tutto ciò si osserva sempre in tale esperimento uno spostamento della posizione di equilibrio del giogo, al trasferirsi dei piombi dall'una all’altra posizione. Un attento studio di tale fatto mi ha convinto che questo spostamento. non può essere occasionato che da un'azione magnetica. Essa verrebbe a corri- spondere ad una forza pondero-motrice differenziale sulle due braccia del giogo dovuta alla lieve dissimetria dei piombi rispetto a queste, o ad ineguali pro- prietà magnetiche dei due coltelli estremi. Per cui, se dalle osservazioni del ricercato effetto di assorbimento gravitazionale fatte quando il: giogo è caricato. e a col sistema sfera-contrappeso, si sottrae lo spostamento della posizione di equilibrio del giogo osservato con l'esperimento x bianco, si viene ad elimi- nare un errore che voglio chiamare semplicemente errore magnetico. Si potrebbe sospettare peraltro che quando si sperimenta con il sistema. sfera-contrappeso, anzichè in bianco, venendo a mutare la distribuzione delle masse del giogo carico mobile, possa intervenire altra perturbazione magne- tica; ma tale dubbio non ha fondamento, come ho potuto accertarmi con l'esperimento seguente. Al disotto della custodia sferica M (fig. 2) ho fissato una piccolissima bilancia magnetica d'inclinazione con ago corto orizzontale oscillante intorno ad un coltello, in un piano verticale parallelo a quello della figura, e precisamente contenuto fra i due piombi quando questi sono in una delle due posizioni estreme. L'ago della bilancia magnetica porta uno spec- chietto, per l'osservazione, su scala verticale, dei suoi spostamenti. Rilevo così che il trasferire i piombi da PP a P'P', o viceversa, fa spostare, per pura azione magnetica, un raggio riflesso dello specchietto di 24 mm. Indi, avendo allontanati i piombi in PP, pongo sotto la bilancia magnetica un magnete ausiliario, osservando così uno spostamento sulla scala verticale di circa 2500 mm., cioè circa 100 volte magsiore. In una seconda serie di osservazioni, avendo rimosso la bilancia ‘magne- tica, determino l'azione del magnete ausiliario sulla bilancia H, quando il suo giogo è carico col sistema sfera-contrappeso ; tale azione si svolge prin- cipalmente, e direi quasi esclusivamente, sulla sfera di piombo; giacchè il magnete è a questa vicinissimo ed è assai lontano dal giogo di H. Ed essa è dell'ordine di qualche decimo di mm.; cioè è dello stesso ordine di gran- dezza dell'effetto di assorbimento gravitazionale ricercato. Da tutto ciò si deduce che la pertutbazione magnetica, mentre varia da 1 a 1900 sulla bi- lancia magnetica a seconda che essa sia occasionata dai piombi o dal ma- gnete ausiliario, rimane, se mai, dello stesso ordine di grandezza per quanto riguarda la sfera di piombo. La sola spiegazione plausibile di tale risultato è che l’azione magnetica, per parte dei piombi, sulla sfera, manchi del tutto. Che questa conclusione sia attendibile risulta anche dal fatto che il piombo impiegato nella confezione della sfera è assai puro, e che questo metallo, come è noto, ha lievissime proprietà magnetiche e propriamente diamagne- tiche. Rimane dunque giustificata la dicitura di errore magnetico adottata per le osservazioni fatte col sistema tara-contrappeso. CAUSE NEWTONIANE DI ERRORE. — Queste cause sono, nell'apparecchio da me utilizzato, tre: attrazione delle zattere Z (fig. 2) sulla sfera; attra- zione delle masse sussidiarie mobili (viti calanti, bracci CD, BD. tavolette e motorino K, ecc.) sulla sfera; attrazione dei piombi e di tutte le altre parti mobili sul contrappeso. Prescindo dunque da eventuali dissimetrie di massa dei due piombi rispetto alla sfera; un calcolo opportuno dimostra che se esse sono contenute dentro i limiti imposti dalla esattezza costruttiva ERO gi «delle varie parti dell'apparecchio, non occasionano effetti perturbatori. Pre- scindo inoltre dal fatto che il contrappeso C e la tara K (fig. 3) non sono allo stesso livello e si trovano in posizione dissimmetrica rispetto ai piombi, occasionando ciò ancora errore perfettamente trascurabile. E passo alla di- scussione delle tre cause suddette. ATTRAZIONE DELLE ZATTERE. — Le due zattere di legno Z (fig. 2) co- stituiscono un'unica massa prismatica a base quadrata di cm. 95 di lato e dell'altezza di cm. 15,3. Essa agisce notevolmente sulla sfera quando i piombi si trovano P'P'; ed agisce anche, benchè assai più lievemente, nel senso di dare ancora una componente verticale, quando i piombi sono in PP;' ma in questo secondo caso l'effetto è trascurabile, come è facile vedere, tenendo conto delle distanze fra le varie parti dell'apparecchio. Si tratta dunque di calcolare con esattezza la prima azione. Ora, se teniamo presente che il centro della sfera trovasi sulla verticale passante per il centro della zattera complessiva quadrata ed orizzontale, dicendo a il mezzo lato della zattera, 5 lo spessore di questa, / la distanza tra la sua faccia superiore ed il centro «della sfera, si dimostra (!) che la cercata attrazione è data da: A) = 4AKM9 a log RE? +0) (at A +e (120° +0 — a) (2a + (v+0* + a) /2a? + 1? Va LE sl) (aretg 7 + 2 arctg Lea n Si 2 arctg LE Lt a )+ Ge GA Vat4(h+0 ta 841 «dove K è la costante universale newtoniana, M è la massa della sfera di piombo e 9 è la densità del materiale che costituisce la zattera. Nel caso delle mie esperienze si ha: M= 1274 gr.; vd= 0,985; a=47,5 cm.; b= 15,3 cm.; {= 47,5 cm. Tenendo conto che K=6,68. 107, e sostituendo si ha: a Sp ‘elo c PMont + (64 1) (arctg O) + 2 arcto — 2 arctg A,=0,00227 dine = 0,00231 mg. Tale attrazione si manifesta quando i piombi e la zattera sono in PP; essa fa apparire la sfera più pesante. Per cui il cercato effetto di assorbì- mento gravitazionale, che consiste in una diminuzione di peso, viene ad essere diminuito apparentemente da tale causa perturbatrice. Poichè in con- (1) Il calcolo relativo, basato semplicemente sulla legge di Newton, è stato cortese- mente eseguito dal mio collega prof. Fubini, che sento il dovere di ringraziare. FI 3a(<3IDE seguenza di ciò indicheremo con una cifra negativa quell’effetto, dobbiamo: dire che anche A, abbia valore negativo, in guisa cioè che tale attrazione si dovrà sommare con l'effetto di assorbimento, accrescendolo in valore asso- luto. Sarà dunque effettivamente A, = —0,00231 mg. ATTRAZIONE DELLE MASSE SUSSIDIARIE. — Anche queste dànno una compone'te attrattiva verticale differente da zero sulla sfera, tanto che si trovino in corrispondenza della posizione P'P' che dell'altra PP. Essendo esse situate in località più basse delle zattere Z, anche in questo ultimo caso la componente può avere un valore non, trascurabile. Occorre dunque calcolare il valore di tali attrazioni per le due posizioni suddette: la loro differenza ci darà la correzione A., che sarà evidentemente negativa come A, . Ma questo calcolo non può farsi di colpo con una sola formula, analoga- mente a quanto si è fatto per le zattere Z; si tratta infatti di masse at- traenti di forma assai complessa e di densità che può variare da punto a punto. Ci si deve dunque accontentare di scomporre le varie parti CD, BD, motorino K, ecc., in altre parti elementari più piccole, di conosciuto volume e densità, oppure di conosciuta massa; supponendole poi concentrate al ri- spettivo centro di gravità, è sufficiente applicare la formula di Newton fra masse puntiformi. Ho eseguito effettivamente tale scomposizione, e le masse elementari, w, così risultanti sono state in numero di 73. Diciamo 2, , Y1 , & ed 2,7y,< le coordinate di una qualunque di esse rispetto a tre assi orto- gonali (di cui x è orizzontale e parallelo al piano della fig. 2, y è normale a questo piano, e z è verticale) che abbiano l'origine nel centro della sfera di piombo; tali coordinate si riferiscono alle due posizioni P' P'e PP delle armature, e sì comprende perchè quelle verticali z, sieno eguali nei due casi. È facile vedere che la cercata differenza delle due componenti verticali attrattive della massa elementare m considerata, è espressa dalla relazione: ai 7 3 1) (far dia) Be VAT Eseguendo il calcolo ho trovato i singoli valori di « per le 73 masse elementari. Essi variano fra un centomillesimo ed un decimillesimo di mg., e la loro somma complessiva dà la cercata correzione A: Ag=—0,00180 mg. ATTRAZIONI SUL CONTRAPPESO. — Al muoversi dei piombi, le attra- zioni elementari delle loro varie parti, comprese le masse sussidiarie sul con- trappeso C (fig. 2), variano. Si possono così calcolare le componenti verti- cali risultanti di tutte queste attrazioni per le due posizioni PP e P'P', Plata o Papa e farne la differenza, servendosi della formula del paragrafo precedente. Ma il valore risultante Az va preso con segno contrario a quello delle due attra- zionì precedentemente studiate, perchè il detto contrappeso è sostenuto al braccio di sinistra della bilancia, mentre la sfera, su cui quelle attrazioni si manifestano, è portata dal braccio destro. A determinare il valore di A; contribuiscono quasi esclusivamente le masse dei due piombi (circa 10 tonnellate); mentre le masse sussidiarie, la cui azione si è considerata per la determinazione di A,, essendo di valore relativamente piccolo rispetto ai piombi, dànno contributo quasi trascura- bile. Risulta così che: As= + 0,00275 mg. Così computati gli effetti delle varie cause perturbatrici, mi riservo nelle prossime Note di esporre i risultati numerici delle osservazioni. Chimica industriale. — Su mercaptotiazoli come acceleranti della vulcanizzazione ‘*). Nota del Corrispondente G. BRUNI e di E. ROMANI. In una Nota presentata a codesta Accademia, nella seduta del 2 mag- gio 1921, e pubblicata nei Rendiconti, vol. XXX, 1° sem., pag. 337-344, abbiamo esposto come i mercaptobenzotiazoli in presenza di ossidi metal- lici, od i loro sali metallici, siano potenti acceleranti della vulcanizzazione, ed inoltre, come alla loro formazione nell’interno delle mescolanze per azione dello zolfo su svariate sostanze aromatiche azotate, sia dovuta la azione accelerante di queste ultime. Abbiamo anche detto come l’azione di questi corpi sia dovuta alla for- mazione dei rispettivi disolfuri i quali possono perdere zolfo e riacquistarlo analogamente, a quanto fanno i disolfuri di tiourame. Contemporaneamente alla nostra comunicazione i Sigg. Bedford e Se- brill ne tenevano una alla American Chemical Society nella quale pure sono nominati i mercaptobenzotiazoli e relativi sali metallici come accele- ranti (?). Noi abbiamo voluto provare se i corrispondenti composti contenenti il nucleo tiazolico non condensato con quello benzolico, avessero le medesime proprietà e la nostra previsione è risultata confermata. (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di ricerche chimiche e chimico-fisiche della Società Italiana Pirelli. Milano, agosto 1921. (*) Chemical and Metallurg. Engineering, 12 maggio 1921. 497 5. ‘Il composto ‘più -semplice della serie, il mercaptotiazolo HCN I | HO, »C—SH Sr ‘non è conosciuto ‘ed abbiamo in corso ricerche per la sua preparazione che ‘non appare facile. Sono invece noti alcuni suoi derivati contenenti catene “laterali nei posti 5 e 4, i quali si possono preparare facilmente mediante un'ingegnosa reazione trovata da A. Miolati (!) e cioè condensando il di- ‘tiocarbammato d'ammonio con sostanze contenenti l’aggruppamento H Nex- co—R; Ri | «dove R, e R. possono essere atomi d'idrogeno o radicali monovalenti e X un atomo di alogeno. Il più semplice e il più facilmente accessibile di questi composti è «il 5-metil 2-mercaptotiazolo : HO N IECARE CH;-C C— SH IA ‘che si ottiene ‘per azione del ditiocarbammato d’ammonio sul monocloroa- cetone. Noi abbiamo operato secondo le indicazioni di Miolati, ottenendo i me- desimi risultati. Abbiamo anzi trovato che a scopo tecnico la preparazione può essere notevolmente semplificata. Il metilmercaptotiazolo, è una sostanza cristallina, di un leggero colore giallastro, p. fus. 86°, solubilissima in alcool, poco solubile in benzolo, in- ‘solubile in acqua. Aggiunto alle mescolanze di gomma e zolfo nella proporzione di 1 a -3 per cento in presenza di ossidi metallici, come ossidi di zinco, piombo, magnesio, calcio, mercurio ed altri, provoca la vulcanizzazione in tempi bre- vissimi, per es. in 5 minuti a 120°. Determina pure la vulcanizzazione anche a temperatura molto più bassa ed anche a temperatura ambiente in tempi proporzionalmente più lunghi. È quindi un ultra-accelerante di po- ‘tenza paragonabile solo ai xantogenati di zinco. Ne abbiamo preparati i sali metallici che non erano stati descritti da Miolati. Il modo migliore di prepararli consiste nel trattare una soluzione -alcoolica concentrata del mercaptotiazolo con carbonato sodico secco in ec- (1) Gazz. ‘Chim. Atal., 23, 575 (1891). lE To (ai cesso, filtrare, diluire con acqua e precipitare con la: soluzione di sali so-- lubili del metallo derivato. Abbiamo così preparato i sali seguenti, tutti insolubili: Sale di 27nco — bianco. » » cadmio — giallastro. » » piombo — giallo, poco stabile.. n» mercurio (-ico) — bianco. » » colbalto — verde. » » rameoso — giallo. Partendo dalla soluzione di un sale rameico si forma: dapprima un precipitato verde, che passa subito al giallo. Evidentemente si forma prima. il sale rameico instabile che si riduce a rameoso come fanno i solfocianuri, gli xantogenati e simili. Anche i sali di zinco, cadmio, piombo e mercurio e specialmente il primo sono acceleranti assai energici come era prevedibile. Abbiamo tentato di preparare il diso/furo per blanda ossidazione del metilmercaptotiazolo. A tale scopo abbiamo trattato una soluzione alcoolica. concentrata del medesimo con una soluzione acquosa di ferricianuro potas- sico, versando quest'ultima goccia a goccia finchè tutto il liquido assume una tinta verdastra. Si aggiunge altra acqua e si osserva la separazione di. goccioline oleose che sbattendo si trasformano in scagliette cristalline bian- che. La sostanza filtrata è ricristallizzata sciogliendola in alcool e precipi- tando con acqua, fonde a 64°. Fu sottoposta ad analisi determinando lo zolfo; l’analisi diede in 100 parti: zolfo 41.98. Essa non è quindi il disolfuro la cui formola (C,,N,NS),S, richiede 49.23% ; il trovato corrisponde invece perfettamente col calcolato della for-- mola (CL H, NS),S— 42.10 %. La sostanza così preparata è quindi il so/- furo di metiltiazolo, finora sconosciuto. Abbiamo tentato altre vie per isolare il disolfuro, per es. ossidando con cloro, jodio, ecc. ma finora senza risultato. Abbiamo anche tentato di estrarlo dal liquido da cui si è precipitato il sale rameico come si è detto di sopra e in cui si deve originariamente formare, ma si ottiene sempre il’ monosolfuro. Evidentemente il disolfuro è in questo caso assai instabile e perde zolfo dando il solfuro. Non vi è però nessun dubbio che il meccanismo. d'azione di questi mercaptotiazoli e dei loro sali come acceleranti di vul- canizzazione consiste nella formazione dei disolfuri e nel passaggio ciclico. di questi a solfuri e viceversa in modo perfettamente analogo a Quanto è. stato spiegato per i mercaptobenzotiazoli nella già citata pubblicazione. La presente Nota fu inviata in plico chiuso alla R. Accademia il 1° agosto 1921, pervenuto il successivo 21 agosto. e aperto su. richiesta del- l’autore nella seduta del 5 febbraio 1922.. ° SS e} gs NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle serie di polinomi di una variabile complessa. Nota di N. ABRAMESCU, presentata dal Socio T. LeviI- CIVITA. I. Le serie di polinomi, Y an P,(x), appaiono come una generalizzazione. della serie di Taylor, Y a, x". Lo studio delle serie di polincmi si può fare da due punti di vista. Primo, si dà una funzione /(x), regolare in un campo limitato da una curva chiusa (C), con connessione semplice, e si richiede uno sviluppo in serie di polinomi della funzione /(x), valevole solamente nell'interno della curva (C). Questo problema è stato completamente risolto (1), dimostrando che lo sviluppo è valevole solamente nell’interno della curva (C), i polinomi P,.() dipendono esclusivamente dal contorno (C), mentre i coeffi- cienti 4, dello sviluppo dipendono e dal contorno (C) e dalla funzione /(). Un altro punto di vista dello studio delle serie di polinomi è anche il seguente. Data una successione di polinomi, P.(x), Pi(2),..., Pn(x),..., di gradi uguali agli indici, come pure i coefficienti 49, @1, ..., 4, +, sì chiede la regione di convergenza della serie Y an P,(€). Questo problema ha comin- ciato ad essere studiato 45 anni or sono da Darboux {?) e da Poincaré (*).. Nel presente lavoro studio il proVlema posto per la prima volta da Darbowx (4), nella Memoria citata, cioè considero le serie di polinomi NanP,(x), i polinomi P,(x) essendo definiti dalle relazioni di ortogonalità. b b il pia) a). = dra :f g(x) Pia)de =I,= cost. assegnate, dove (7) designa una funzione positiva ed integrabile nell'intervallo (4, 0) (5). (1) Faber, Veber polynomische Entwickelungen (Math. Annalen, 1903, pag. 389; 1907, pag. 118); N. Abramescu, Sur les séries de polynomes à une variable complexe (Bulletin de la Société des Sciences de Cluj, Romania, 1921). (2) Meémoire sur l'approrimation des fonctions de très grands nombres et sur une classe étendue de développements en série (Journ. de Mathém. pures et appliquées. 1878) (3) Sur les équations linéaires aux difféerentielles ordinarres et aua différences finies (American Journal of Matematies, vol. VII); Pincherle, Sui sistemi di funzioni analitiche .... (Annali di Matematica, II, vol. XII). (*) Per questo le chiamo Serie di Darboux e non serie di polinomi ortogonali come le chiamano i tedeschi. (5) Queste serie sono state considerate anche dal sig. Picard nel suo corso di Ana» lisi superiore alla Sorbonne (Paris) nel 1918. ReNDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 12 ‘dd DEI) II. 1°. Cominciando con lo studio dei polinomi P,(x), dimostro che il ‘polinomio P,(z) si può mettere sotto la forma (E? e RA IZ | | Pa) = 991-920 % 9 dm (DA È nel P Gan-1 | LIn=1 _ In Xn ao Gna DG0 LYan-2 b rale), = f 9014, ‘che Dn_,(F) e D,-.(g) sono i determinanti delle forme quadratiche b f (e 0) P(0) (Vo 4 Yil + + Una (1)? di= SY, (CI+a — Ip+gsa) Va 1 lg °» i) P(L) (Yo + + Ynar 01)? di = DX I9+9Yp Ya, Pig =0.1,.. 01. 2°, Analogamente il polinomio P,(x) si può mettere anche sotto la ‘seguente forma bi 1-2. nè —a) Gol da | — a)" (£ — db) y.(7) ] 5 w,(x) essendo una funzione finita per x ==" ed x =. III. In ciò che segue, studzo quelle serie di polinomi P,(x) ai quali cor- ‘risponde la stessa funzione wr(x) indipendente da n, che indico con W(2). In questo caso la funzione (x) è la soluzione comune di un numero infi- ‘nito di equazioni integrali yax)= 2; ani nil (e — 4)" p(2) P,(4) da. (a: Studio anche il caso wW,(2) = g(4), e ritrovo tutti i polinomi conosciuti «di Legendre, Jacobi, ecc. Oltre alle proprietà conosciute dei polinomi P,(4), trovo ancora le seguenti. 1°, Il polinomio P,(x) è il coefficiente di /" nello sviluppo in serie «di { dell'espressione ARE , s essendo la radice dell'equazione PL) dI Eno (2-0) b—a =xk ,s=a,{L=0, NEO i e che si svolge con la formola di Lagrange; questa espressione è una funzione generatrice per i polinomi P,(%). 2°. Se gp(a)=w(x)=(x — a* (a — bd), A+1>0, u+15>0, il polinomio P,(4) verifica una equazione differenziale di 2° ordine, lineare, la seconda soluzione della quale è le A ed fa em a di n!(b— a)" go ì i 3°. Indicando con cnn, Cnn-1 i coefficienti di x" ed "- del polinomio P..(c), si può precisare la relazione di ricorrenza fra tre polinomi consecu- tivi che, nel nostro caso, è Cn Cno1,n=1 In "0 Pr+(1) — (1 — en) Pa(2) + Da, E Paz) Cnn Li Cn,jn- Cn+1,n h=e(-U e nl (e_-al(a—- db) Y(x) de , an = a = SETE 4°. Ricerco quindi il dominio di convergenza della serie di Lagrange, in generale, e poi nel caso del nostro sviluppo. Servendomi del metodo di Darboux per la determinazione del valore approssimato del termine generale della serie di Lagrange, dimostro che il valore approssimato del polinomio P..(c) (dopo aver fatto un cambiamento di variabile in sota che ai limiti a e D corrispondano 0 ed 1) è P.(x) = W£)n * EH (1-4) E=1—-2r+P4x— 42, ‘P(È) essendo una funzione indipendente da n e da «. Trovo in pari tempo i valori assintotici dei coefficienti €), , Cui - IV. 1°. Le curve di convergenza delle serie considerate sono ellissi omofocali, con i fuochi in a e è che ottengo valendomi del valore prossimo del polinomio P,(x). 2°. Le stesse curve di convergenza le trovo anche osservando che P,,(x) è il coefficiente del termine generale della serie di Lagrange studiata. V. 1°. Passo poi allo sviluppo in serie di polinomi P,(x) di una fun- . zione /(4) regolare in una determinata regione. Considero il caso partico- lare dello sviluppo 1__x Pie) Q(4) CORSO XY gS D Ir i )=S, = es/) e faccio lo studio delle funzioni di seconda specie, Q,(y), di Darboux. 2°. Determino la relazione di ricorrenza che è verificata dalle fun- zioni Qn(Y). PERGOLA 3°. Dimostro che (prendendo come limiti 0 ed 1 invece di a e 2), = | Vga Ù) 49. Nel caso g(x)=y(2)=(x—a) (ea — db), A+1>0, u+1>0,. la seconda soluzione dell'equazione differenziale che è verificata da P,(x), è 1 n! (daa)iizi8,(2)8 5°. Valendomi del metodo di Darboux per il calcolo dei valori appros- simati dell’integrale di Laplace, dimostro che i valori assintotici di Q,(Y) ed I, sono b n _ /\n AT, n= fiano A+) n=1—2y+V4y—4y, 1 Il=(-1)"can f w(d) (1 — 0)" = (14), 0 (n) e X essendo indipendente da x. Relatività. — Zo spazio-tempo delle orbite kepleriane. Nota II di F. P. CANTELLI, presentata dal Socio G. CASTELNUOVO. 1. Si è visto, nella precedente Nota ('), che affinchè lo spazio-tempo (1) dst= — & dr® — er dp° + c? e di*, in cui 74, w,v sono funzioni di 7 soddisfacenti alla condizione (2) lim ÀàA=limu=limr=0, T> © ammetta geodetiche che siano rappresentate, quando si elimini il tempo, da. traiettorie di equazione d>u 1 (3) dg: e i iecia occorre e basta che sia udire | (4) Cie qartagi =e=14 fu (1) Questi Rendiconti. 1922, vol XXXI, 1° sem., pag. 18. Seggio ‘essendo @,$ due costanti arbitrarie. Si ha in tal caso (8) = 1) in cui f,7 sono due costanti di integrazione il cui significato è fornito dalle relazioni dg dt p ped, = iu oe =? 07. (6) pera Me, FR Cat È 2. La (3) è formalmente identica alla prima legge di Kepler. Se si vuole che risulti anche 7° dy/44= cost. (espressione formale della seconda legge di Kepler) si dovrà porre, per le (6),(4), a =0. In questo caso sì ha quindi da considerare lo spazio-tempo la cui metrica è assegnata da (7) ds? = — (14 Bu) (dr° + r? dy? — e° di°). Nel caso in esame si è condotti, per note considerazioni, a porre —p=2/ M/e?, essendo / la costante d'attrazione newtoniana ed M la massa del Sole; se ne trae f = — 2m = — km. 2,94. Si può affermare, nel caso presente, che il moto di un punto materiale intorno al Sole soddisfa, nel sistema di coordinate adottato, alle prime due leggi di Kepler. Dalla (7) si deduce che i raggi luminosi, il cui cammino è segnato dalle geodetiche di lunghezza nulla, non subiscono deflessione nel campo gravitazionale; si deduce altresì una influenza del campo stesso sulla frequenza delle vibrazioni di un atomo, in una misura identica a quella dedotta da Einstein. 8. Un altro caso, degno di nota, si ottiene ponendo #=0 nelle (4), per cui si ha e 1Htau Si è condotti ad attribuire ad « il valore 2m = km 2,94 e si può af- fermare che il moto di un punto materiale intorno al Sole soddisfa alla prima ma non alla seconda legge di Kepler. Si deduce che un raggio stel- lare, rasente il bordo solare, dovrebbe subire una deflessione di 0",88, pari alla metà di quella preveduta da Einstein, e si ricava pure una influenza del campo di gravitazione sul numero delle vibrazioni di un atomo, in una misura praticamente eguale a quella indicata da Einstein. 4. Si possono attribuire ad «, valori tali da condurre, nello stesso ‘tempo, ad una deflessione di un raggio stellare, che passi rasente il bordo solare, pari a quella dedotta da Einstein (1,75) e ad una influenza del campo gravitazionale sulla frequenza delle vibrazioni di un atomo, in una misura praticamente eguale a quella indicata da Einstein. Basta porre, a (8) dst=— (dr* + r° dgp*) + dee . agg tale scopo, a = 4m, f = 2m. essendo m =: km. 1,47, ossia basta conside- rare lo spazio-tempo la cui metrica è assegnata da 142mu (9) det=—(14+2ma)(dr° +71 d9") +e TTT, dies Dalla (9) non si deduce, ovviamente, per il moto di un punto materiale intorno al Sole. la relazione 7? dg/dt = cost. 5. Per i casi esaminati, che si presentano come i più interessanti, si può affermare che quando si tratti di moti lenti intorno al Sole (cioè quando siano piccoli i rapporti delle velocità dei punti materiali alla velocità della luce) valgono, almeno in via approssimativa, le ire leggi di Kepler. Queste, nei casi esaminati, possono ritenersi valide, a meno di quantità trascurabili, per il moto dei pianeti. Matematica. — Nuova condizione necessaria per un estremo di un integrale doppio. Nota II di MauRO PicoNE, presentata dai Socio L. BIANCHI. In questa Nota dimostrerò il Teorema A enunciato al n. 2 della pre- cedente, e avrò anche occasione di fare qualche osservazione concernente quel teorema e qualche altra concernente la teoria dei problemi dei valori al contorno per le equazioni lineari autoaggiunte, del tipo ellittico, alle de- rivate parziali del second’ordine. 1. Si abbia l’espressione, lineare autoaggiunta alle derivate parziali. du 12 dY P) dU Ò du dU L(a)= Ga(Ru + ) sta S(Bie3, tre R30) + Be, ove le funzioni R,,, Ri, Res, B, con le derivate parziali del primo ordine per le R,;, Ris, Rss, sono finite e continue nel dominio D considerato al n. 1 della Nota I, e soddisfano ivi alle limitazioni R,,(c,9)>0, Ru(x.y) Rrse.,y)—RKi(x,9)>0, Bla,y)=0. Nel caso particolare che il dominio D sia semplicemente connesso e che ivi risulti R,,= Rss, Rik =0,B=0, Hilbert (*) ha dimostrato l’esistenza della funzione di Green relativa all'espressione L(u) e alla condizione al contorno (x,y) su C=0. Oraè possibile estendere il procedimento seguìto da Hilbert, per dimostrare tale esistenza, anche nelle ipotesi più generali che noi facciamo sulla L() e sul dominio D. Basta solo ammettere (come (1) Hilbert, Grundzige einer allgemeinen Theorie der linearen Integralgleichungen [Teubner, 1912], pp. 58-73. SEO appunto fa Hilbert nel caso da lui considerato) l’esistenza, per il dominio D» . della funzione di Green, relativa alla stessa condizione al contorno e alla espressione Agu (1). Indicando con g(2u En) = ge(oy En) — g,.(2y, èn)log (È — 2 +(n—y) , la funzione che, per ogni punto (x,y). interno a D, rappresenta, nelle va- riabili £ e 7, la soluzione fondamentale dell'equazione L(4) = 0, nulla su C, si trova che l'indicata funzione di Green è data da l 9(£Y 3 È) | t Ri(24) + Res(27) ed inoltre che, se (x.y) rappresenta una qualsivoglia funzione definita in. D, ivi continua con le sue derivate parziali del primo ordine, ogni solu- zione tinita e continua in D con le sue derivate parziali d:i due primi» ordini delle due equazioni G(xy . in) = (1) Lum + (ax. y)=0, usuC=0, è data da (2) u(€y) = 1 | G(x4 , $n) p(Én) dé dn, e, viceversa, dalla (2) segue la continuità in D di « e delle sue derivate. parziali dei due primi ordini, e seguono le (1). 2. Consideriamo ora l'equazione (3) L(u) + ZAu=0, contenente il parametro 4, ove la A designa una funzione definita in D, ivi finita e continua con le sue derivate parziali del primo ordine. Sia 4, un autovalore di 4 relativo alla condizione al contorno usuC=0, e sia un l'autosoluzione corrispondente, la quale potrà dipendere, linearmente ed omogeneamente, da parecchie costanti arbitrarie (*). Questi autovalori dànno tutti e soli gli zeri della funzione -4(4), intera in 4, esprimente il deter- (1) Senza far questa ipotesi, introducendo però altre ipotesi qualitative, più restrit- tive per il contorno di D e per i coefficienti di L(u), si perviene facilmente all'esistenza della indicata funzione di Green, anche con i procedimenti di E. E. Levi, da lui dati nella Memoria / problemi dei valori al contorno per le equazioni lineari totalmente ellittiche alle derivate parziali. (Memorie della Società italiana delle scienze, tom. XVI, serie 32), pp. 61-70. (2) È ben nota l’esistenza di un'infinità di autovalori. Essi sono tutti reali ed hanno il punto co per unico punto limite. All’esistenza ed al calcolo degli autovalori e delle autosoluzioni si perviene anche mediante una facile estensione dei procedimenti da me dati nella mia Zesîi d'abilitazione (citata nella Nota I) ai n. 29, 30 e 81. = ROR) = minante dell'equazione integrale di Fredholm (4) u(zy) = 4 lb G(27, È) A(En) u(Èn) dé du, cioè gli autovalori 4, sono tutti e soli gli autovalori di Z per questa equa- zione. Le autosoluzioni della (3) dànno tutte e sole le autosoluzioni della (4) Dalla (3) e dalla usuC=0, si deduce ARL dUn dU | tn ff astardo= ff | Ru(3E) + 1) (5) _ Ata da dy È Ri % -2Ria e ay -- dUn\? na Re:(37) Je FRS il f But idcidy. e quindi, per Z, >Q0, (6) f(Audzay>o. 5. Per dimostrare il Teorema A, dovremo considerare la L(v) nel caso particolare B=0. Sia 2= 2;(r. y) l'estremale per l'integrale J(z), a cui si riferiscono le funzioni R,,, Riz; Rss, A. Per ogni autosoluzione un, si può determinare un numero positivo 0, tale che, per |e|<0n, la superficie a=% | su, appartenga all'insieme S e, di più, la differenza J(z0-4- n) — — J(z,) abbia il segno di Iu)= ff Ru(3E) +on, de da dx de dY i +8»(5%) Je 4 {| Aut de dy . Supposta non soddisfatta la condizione espressa dal Teorema A, indi- chiamo con Z,, À;, ...,%x gli autovalori di X interni all'intervallo (0,1); si avrà allora, in forza delle (5) e (6), I(u)<0, per a=0,1,...,%, e quindi, per |E|<0n, J(0+ eu) <0 (a=0,1,..., 4). La superficie < = 2(x , y) non potrà dunque fornire un minimo, nel- l'insieme S, per l’integrale J(2). 4. Poichè le funzioni 2° @ 2èi 4 £% risultano in D finite e continue con le loro derivate dei primi due ordini, possiamo osservare che: La condizione, espressa dal Teorema A, per un minimo dell’integrale J(4), è necessaria anche se il minimo deve aver luogo solamente per quella porzione dell'insieme S, costituita dalle superficie £ = 2(x , y), per le quali le funzioni 2(x ,y) sono in D finite e continue con le loro derivate par- ziali dei primi due' ordini. gg a 5. Domandiamo, ‘ora, in primo luogo, la condizione necessaria, espressa «dal Teorema A, è forse equivalente a quella data dal Sommerfeld (loc. cit. ‘nella Nota I)? Tale equivalenza si riscontra nel caso particolare che D si riduca ad un rettangolo o ad un cerchio e che in D sia Rrk=0,R,,=Rss=1, A(x,y)==%*, con % costante. Il rispondere ora, in tutta generalità, alla «domanda posta, appare assai difficile. Occorrerebbe possedere — ciò che avrebbe, anche per di sè, un grandissimo interesse — più precise nozioni -sulle linee di D, luogo, per i varî valori di Z, dei punti di zero delle so- luzioni della (3). Domandiamo, in secondo luogo, per un minimo debole dell’integrale J(z) è sufficiente la condizione espressa dal Teorema B enunciato in prin- cipio della Nota I? È sufficiente, cioè, che la funzione intiera 4(4) si con- servi sempre diversa da zero, in tutto l'intervallo (0,1)? Per rispondere affermativamente basterebbe dimostrare che, soddisfatta questa condizione, se cioè 4(42)>0 per0<4=1, l'equazione L(u) + Au= 0 possiede una ‘soluzione sempre diversa da zero in tutto D. Di ciò mi propongo di trat- ‘tare in una Nota futura. Matematica. — Sulle successioni di funzioni assolutamente ‘continue, convergenti in media. Nota di CARLO SEVERINI, presen- tata dal Corrispondente 0. TEDONE. Mi propongo d'indicare in questa Nota un criterio notevole per ricono- ‘imoscere la convergenza uniforme di una successione, convergente in media, i cui termini siano funzioni assolutamente continue, aventi derivate som- mabili insieme coi loro quadrati. Il criterio ha particolare importanza per io studio delle serie di funzioni ortogonali e normali, soddisfacenti alle «condizioni ora dette. 1. Le funzioni: (1) fi) (= 051092000) definite in un intervallo finito (a, 0) (4a< 2), siano ivi assolutamente con- ‘tinue, abbiano le derivate sommabili insieme coi loro quadrati, e costitui- ‘scano una successione convergente in media, rispetto ad una funzione carat- teristica p(x) misurabile, limitata, avente un limite inferiore / maggiore di zero, tale cioè da avere, essendo p un numero intero positivo qualsivoglia, indipendente da x: @) lim f 9(2)| /1(2)—/uex(0) | de=o. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 13 IR Sussiste allora il seguente teorema, che contiene il criterio dianzi ac-- cennato. La successione (1) converge uniformemente nell'intervallo (a, 0) ad una funzione limite continua f(x), se: lim } (ref (fue) [ef [a | = in particolare se risulta, qualunque siano ® e p: b 2 f |/ na) f 10a(2) | dar i0 (C costante). a Essendo x' un punto qualunque di (a,d), si può infatti scrivere : [ft — frena) [=[ 011] + +2 (/[10-/0 [10-10 ]e. e quindi per la disuguaglianza di Schwarz: 2 2 | (0) fu(0) ] =| (n) — fuer(e) | ni ner 1 Rea +27/f[10- 10 |a [[10- 0]e, ed a maggior ragione: | (00) — fnes(0) | S| fo(@—fuen (2) | + ip Di V[ ref 1-10] S| ra) ] Poichè è lecito supporre che sia x' un punto di minimo assoluto per la fun. E 2 zione | - fue) | , risulta ancora : [ff ] TI PO 1) | 9 b 2 b WRF) È oe DO ara [0100-10 | & f |a- F'ann) | de. Questa disuguaglianza sussiste, qualunque siano 2, p ed x in (a, 0), e- serve senz'altro, a causa della (2), a provare che, nelle dette ipotesi, la (1). converge ivi uniformemente. — 0) — 2. Si consideri ora una successione infinita di funzioni assolutamente continue, aventi derivate sommabili insieme coi loro quadrati nell’intervallo (a, db): VW 1020001 le quali siano ortogonali e normali rispetto alla funzione caratteristica p(x) , tali cioè che si abbia: 0 seh*+% b |M) Va) Ve) dr = 1 sekh=k. Si consideri inoltre una successione infinita di costanti reali: Ax COSIO soggette alla sola condizione, che converga la serie dei loro quadrati : (0.2) DE 0 Poichè la successione: (3) OSANO) (009416200) 0 risulta convergente in media, rispetto alla funzione caratteristica p(x), essendo: b 72 (02) ci — Su, (0) | = LN) ny4P =) » iS AV xa) ] dr SSA, a n+l può applicarsi alla (3) il RE teorema, e se ne deduce senz'altro che la serie da Ax Vi(2) converge uniformemente nell'intervallo (a, bd), se: n+p lim |( DIGA DÀ bs Ax Vila) | ae)=0; n= 090 (Da / in particolare se, qualunque siano n e p, risulta: N4-P 2 e Da Ax Vi) | dito (C costante). 8. Vari problemi di fisica matematica si riducono alla determinazione. in un intervallo (a, è), di funzioni: Ux(x) (fi=016200)6, soddisfacenti ad equazioni della forma: (4) U@+[4g@—r@]u@)=0 (£=0,1,2,..), — 100 — ‘ed a condizioni ai limiti, espresse da relazioni del tipo: \ a Ux(a) + as U;(2) + az Ux(0) + a, U,.(6)= 0 ( di Ux(a) + 2, Uf.(a) + ds Ux(0) + è, Uf.(6) = 0 ove 9(x) ed 7(x) sono due funzioni note, continue, di cui la prima è anche maggiore di zero in ogni punto di (2, 6); 4 è un parametro indeterminato, ed as, bs ($=1,2,3,4) (5) (k=0,1,2,.), sono costanti assegnate, per le quali si ha: ar ba — a,b =a3 db, — U ds. È noto (’) che esistono infiniti valori reali del parametro 4, (numeri caratteristici), per ciascuno dei quali l'equazione (4) ammette uno o più integrali, in numero finito, linearmente indipendenti (funzioni fondamentali), che soddisfano alle (5), e di cui due qualsivogliano, corrispondenti a nu- meri caratteristici diversi, sono fra loro ortogonali rispetto alla funzione caratteristica g(x). i Mediante il metodo di ortogonalizzazione si può allora assegnare una successione di numeri caratteristici : Ar (=0,1,2,):; ‘disposti per moduli non decrescenti, intendendosi ogni numero caratteristico ripetuto tante volte, quante sono le funzioni fondamentali, linearmente indi- pendenti ad esso relative, ed una corrispondente successione di tali funzioni: (6) WieT SR e= 001200), ‘ortogonali e normali rispetto alla stessa funzione caratteristica 9(%). Poichè il sistema delle (6) risulta chiuso (*), il problema della rap- presentazione di una funzione f(x), sommabile insieme col suo quadrato in (a ,d), mediante la serie: Co) ò (1) >,BWla), Bi=f 40/0) Wade, si riduce () alla ricerca delle condizioni, sotto le quali questa serie con- (1) Cfr. W. Stekloff: Sur certaines questions d’ Analyse, qui se rattachent à plu- sieurs problémes de la Physique Mathématique [Mémoires de l’Académie Impériale des Sciences de St. Pétersbourg, VIII série, classe physico-mathématique, vol. XXXI, n. 7 (1913)]. i (2) Cfr. Stekloff, 1. c. (1), Chap. II, n. 11. (3) Cfr. C. Severini: Sopra gli sviluppi in serie di funzioni ortogonali [ Atti del- l'Accademia Gioenia di Catania, serie V, vol. III, (1910), Memoria XI]. — 101 — verge ivi quasi dappertutto, fatta cioè al più eccezione per i punti di um insieme di misura nulla. In tale ricerca torna utile, come mi propongo di far vedere in un’altra Nota, il teorema del $ 2. Per mezzo di questo teorema. si arriva infatti a dimostrare che /a (7) converge uniformemente nell'in- tervallo (a,b), se: ntp lim| (SB). (Sa) [=0; n=% Vaz! (> in particolare se risulta, qualunque sta n: Se A, Bi #0 (C costante). Relatività. — Sopra < fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria. Nota III di EnRrICO FERMI, presentata dal Corrispondente G. ARMELLINI. S 4. Per mostrare l'applicazione dei risultati precedenti alla teoria della relatività, supporremo che V,, sia la V, spazio-tempo e che L sia una linea oraria, in vicinanza della quale ci proponiamo di studiare i fenomeni. Ponendo per brevità in (5) dsu = ds, si trova in questo caso: ds = (14 CXM— P)? ds? | dg + dp + d7î. Per evitare la comparsa di immaginarii e ristabilire l'omogeneità, con- viene fare la seguente sostituzione di variabili: Sp= vl; Gy ix; Y= 10: = 2, essendo v una costante con le dimensioni di una velocità, per modo che £ abbia le dimensioni di un tempo. Si ottiene, così, (9) dst = a dt* — da? — dy° — de? dove (10) a=v*1--CXM—P). Da ora in avanti, con gli ordinarî simboli del calcolo vettoriale intende- remo riferirci allo spazio 7,y,z. Ed è in questo senso che si può inten- dere il prodotto scalare che figura in (10), purchè per C si intenda il vettore avente per componenti le componenti covarianti della curvatura geodetica della linea x=y=<=0 e con M—P il vettore di componenti x,y, 2. Chiameremo x,y, coordinate di spazio e { tempo. Per uniformità scrive- remo talvolta x0,%1, 2,3 al posto di £,x,Y,z e chiameremo anche 9ix i coefficienti della forma quadratica (9). — 102 — $ 5. Sia (') Fx il campo elettromagnetico e (o, 91, Pr, P3) il ten- sore di primo ordine « potenziale » di F,x, in modo che sia Fia = @ia— Pxi- Poniamo go = g e chiamiamo « il vettore di componenti @,,%g:,@3. Si avrà intanto: Fu | du Fy3 FP, (= gradg — —;Fa,}=—rotu, Fi=0, Fa=— Fu, 03 de 12 parimenti Fo ) Fe» Fo.) 1 — orad SI du Far ( = — rotu Fi — 0 Fan _ Foo Fos a Al PISA Fo? | i i e quindi 1 i 1{ 1 du ) CNG pu — oreeenir saro gi in F I: Ut (grad 9 3) 6° Sia dw l'elemento di ipervolume di V,. Avremo do = Y— I Gik | da, da, dx, dx = Va dt dt dove dr = dx dy dz è l'elemento di volume dello spazio. Si ha anche: 3 pida, = g dt + udM dM = (da , dy , dz). Prescindend» dall'azione del campo metrico, la cui variazione è nulla perchè lo riguardiamo come dato a priori dalla (9), l'azione prenderà la seguente forma: =i fx Fix FI do + f de a pi dx; +(.dm fas W ik e i m (n = elemento di carica SR) dm= elemento di massa : Introducendo le notazioni indicate, si trova IRE 1 QUE (11) Wi [f{rotu-5(eag— 3) Vadtde+ d +/) (p+uxvi)ededi + ff Viviana, dove 0, k sono rispettiv. le densità di elettricità e di materia, per modo che de=0odr,dm=kdr, V, è la velocità delle cariche elettriche, Vy quella delle masse. Gli integrali del secondo membro possono estendersi ad un campo ar- bitrario 7 tra due tempi qualunque %, #». Si ha poi il vincolo che sul con- torno del campo 7, e per i due tempi 7, &=, siano nulle tutte le variazioni. (*) Per le notazioni e per la deduzione Hamiltoniana delle leggi della fisica, vedi Weyl.. op. cit., pp. 186 e 208. — 103 — Ail'infuori ‘di queste condizioni, le variazioni di g e di x sono comple- ‘tamente arbitrarie. Per contro, alle variazioni di x ,y,z, considerate come ‘coordinate di un elemento di carica o di massa, possono essere imposte ulte- ‘riori condizioni, traducenti i vincoli del particolare problema che si sta stu- diando. Scrivendo intanto che è nullo dw per una variazione qualunque dg -di @, si trova o=— [f (grado —3#) x d grad pa +l) dg o di da. ‘trasformando il primo integrale con opportuna applicazione del teorema di ‘Gauss, e tenendo presente che dg si annulla sul contorno, troviamo 2A, i 1 0 = [/#9 \e + din (grad g _ 3) [|a dr ‘e, siccome dg è arbitrario, abbiamo intanto l'equazione (12) + div. ia. cad -3)]}=c (£ ni In modo analogo, facendo variare u, si trova (13) o Vi + rot'(Y/a rotu) — 1 = (gra adg— 3) [-0. Queste due ultime equazioni permettono di determinare il campo elet- ‘tro-magnetico, una volta assegnate le cariche ed il loro movimento. Un altro gruppo di equazioni si può ottenere facendo variare in W le ‘traiettorie delle cariche e delle masse. Siano dPy la variazione della tra- iettoria delle :masse, :9P,, quella delle cariche. Indichiamo inoltre, essendo u un vettore funzione di punto e V un vettore, con 35 (V) il vettore di dUx componenti 22 v, x + ni Vy+Se Vz ed analoghe. Scrivendo che è nulla la variazione di W, si trova allora, coi soliti artifici : du U, du 4) ff (er. X grad p — dP., un - SV) )+VX BGP.))e ded + (di dale + (fer ii +00 Vu)(kdd:=o0. Se i JP ad un tempo non dipendono da i loro valori, per altri tempi «dovrà essere nullo in ‘((14) il coefficiente di dt. Si trova così: (15) f} Pix grad p— dp. | 34 3E (vi) | + vi x 3 (0P.) fede di x \) + fopux| Da paio £ (È Va) {kde «che deve essere verificata per tutti i sistemi di dP soddisfacenti ai vincoli. — 104 — Fisica terrestre. — / pseudo-terremoti nel Vulcano Laziale.. Nota di G. AGAMENNONE, presentata dal Socio V. CERULLI. Alle cause di disturbo del R. Osservatorio Geodinamico di Rocca di Papa, accennate in una mia Nota precedente (!), devo aggiungerne un’altra non meno importante e, cioè, la natura del terreno. È ben noto essere un vulcano costituito di strati inclinati di ceneri, lapilli, bombe e di colate di lava e di fango che sì sovrappongono con alternazione e spesso risultano. spezzate, scompaginate e rimaneggiate in seguito a franamenti od a forma- zioni di crateri secondari. Inoltre, gli strati friabili di cenere e lapillo pos- sono racchiudere massi anche enormi di lava, lanciati attraverso la gola del» vulcano dalla forza espansiva dei gas e del vapor acqueo. Da ciò si com- prende come la sovrapposizione d'un materiale così eterogeneo, e talora cao- tico con varie inclinazioni, costituisca un insieme di problematica stabilità, insidiata più facilmente dalla degradazione meteorica e dalla circolazione delle acque sotterranee. All’Osservatorio di Rocca di Papa, che sorge appunto sul labbro cra- terico dello spento Vulcano Laziale, si risentono spesso le conseguenze del- l'instabilità del suolo sotto forma di piccoli scuotimenti che ci lasciano per- plessi sulla loro origine e sulla vera posizione del loro epicentro. Così, in: occasione di lievissime perturbazioni ivi registrate il 25 e 29 aprile 1897, l'assistente di quel tempo, dott. A. Cancani, faceva rilevare che le mede-. sime stavano in relazione con minime scosse sentite da qualcuno nel sotto- stante paese, e tuttavia non indicate dai più sensibili sismoscopi; e che anzi si doveva ritenere che passassero inosservate agli strumenti alcune- scossette, avvertite in varî punti del paese, o per insufficienza degli appa- rati allora posseduti, o perchè gli ammassi poco coerenti di lapillo, che se-- parano i grandi blocchi di lava basaltina, spegnevano le vibrazioni del suolo. Aggiungeva essere cosa evidentissima che l’origine di tutte queste scosse, eminentemente localizzate e superficiali, dovesse risiedere nell’assestarsi di quando in quando dei massi isolati. di lava che si trovavano in una posi- zione d’equilibrio instabile. I dannosi effetti di questa causa disturbatrice si sono naturalmente- accresciuti dopo che, a partire dal 1900, ho cercato di porre in azione stru- menti sempre più delicati, in grazia de’ quali non s'è dato più il caso che. (1) ZI terremoti mondiali del 1916 e l'Osservatorio di Rocca di Papa (Rend. della, R. Acc. dei Lincei; seduta del 6 marzo 1921). — 105 — gli abitanti di Rocca di Papa abbiano percepite minime scosse, senza che- venissero registrate in quell’Osservatorio. Numerose sono le perturbazioni lievissime e brevissime indicate dai più sensibili strumenti, talora coinci- denti con vere scosse, segnalate lievemente nei vicini paesi e delle quali si ha generalmente notizia nei giornali quotidiani di Roma, talvolta in corri- spondenza di frane palesi più o meno vicine, più spesso dovute ad altre frane subaeree, ma rimaste sconosciute. oppure a piccoli cedimenti superficiali del terreno o assestamenti di strati sotterranei, senza che ne apparisca traccia alcuna all’esterno. Ecco alcune delle frane più notevoli: Il 7 dicembre 1901 sprofondò uno strato di lapilli, sovrastante ad una grotta in esso scavata; ed il materiale di c. 10) m?., caduto da un'altezza di 6-7 m., scosse sensibilmente il suolo per un raggio di c. 100 m. e per- turbò varî strumenti all'Osservatorio, distante un 200 m. — il 21 marzo 1909 una ragguardevole frana cadde sulla strada provinciale presso Marino a quasi 4 km. dall'Osservatorio di Rocca di Papa, i cui strumenti provarono - una sensibile perturbazione che lì per lì sembrò dovuta ad un vero terre- moto, sebbene non si trattasse che di c. 1000 m?. di materiale vulcanico caduto da un'altezza di soli 10 m.! — Sopra un’altra frana ben più modesta, avvenuta nei pressi dell'Osservatorio un paio di anni dopo. mi dilungo al- quanto perchè spiega quella che si è manifestata nello stesso punto pochi giorni or sono e che ha messo tanto a rumore i giornali della Capitale. Quando fu fondato l'Osservatorio sopra una rupe quasi a picco e poco. sotto la distrutta Fortezza mediovale che domina Rocca di Papa, venne costruito un muraglione a sostegno della nuova via che facilitava l’accesso all'Osserva- torio, costeggiando una piccola colata di lava. Quest'ultima, che si trova sovrapposta ad uno strato di lapilli a rapido pendìo, s'è spezzata in molti blocchi, l'uno addossato all’altro, sia per lo stiramento causato dal forte de- clivio, sia per il conseguente ralfreddamento. Lo strato di lapilli sottostante è andato col tempo sfaldandosi per la continua degradazione meteorica fino al punto che uno dei blocchi di c. 2-3 m?., scalzato alla sua base e in strapiombo, cadde il 26 settembre 1911 da un'altezza di 4-5 m.e poi ruzzolò in mezzo alla via, perturbando sensibilmente gli strumenti dell'Osservatorio a circa 50 m. di distanza in senso orizzontale e 30 m. in senso verticale. Poco più in su, la resistenza di questo stesso strato di lapilli è stata compromessa dall'esca- vazione nel medesimo di tre ampie grotte, a pochi metri di distanza l'una dall'altra; e già nel passato autunno s'era reso ben visibile un lieve distacco tra due dei sovraincombenti massi di lava, quando crebbe in modo sensi- bile la mattina del 27 del passato mese, evidentemente in seguito ad una nuova posizione di riposo assunta dagli stessi. Conseguenza di questa brusca inclinazione dei blocchi fu la caduta. da un'altezza di c. 4 m., di un pezzo di roccia di c. 1 m*., la quale produsse una lievissima perturbazione nei più delicati strumenti dell’Osservatorio. Non si trattava affatto d’immediato.. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem 14 — 106 — ‘pericolo, e se per precauzione, il Comune avesse fatto subito puntellare qualche masso maggiormente pendente, avrebbe evitato un allarme affatto ingiusti- ficato che originò un lungo esageratissimo articolo, e oltracciò pieno d' ine- sattezze, d'un giornale romano dal titolo impressionante // paese di Rocca -di Papa sotto la spaventosa minaccia di una enorme frana. Del resto, data la topografia del paese, ben altri franamenti potrebbero ‘verificarsi in varî punti, e non sarebbe neppure da escludersi la possibilità che in seguito a scorrimento di strati, specialmente in occasione di qualche violento terremoto, la stessa cima della collina a ripidissimo pendìo, sulla quale si aderge l'Osservatorio, precipitasse sul sottostante paese. Simili cata- stroti sono tutt’altro che rare, e numerosi villaggi, arrampicati su scoscesi e franosi fianchi di monti, o accoccolati sul cucuzzolo di friabili collinette, corrose alla base da inesorabili torrenti, si trovano pur troppo sotto la con- tinua e spaventosa minaccia d'essere distrutti ('). Ma chi si preoccupa di tali possibilità? Per sua natura l’uomo è un grande ottimista il quale conta sopra un largo margine della Provvidenza, e tira innanzi di generazione in «generazione, attraverso calamità d'ogni genere e più o meno gravi, quasi ‘sempre causate dalla sua imprudenza e imprevidenza. Tornando all'Osservatorio, concludo che per il progresso della sismo- ‘metria, essendo indispensabile poter disporre di apparati estremamente de- licati, non è certo raccomandabile che i medesimi seguitino ad essere instal- lati sopra un suolo tanto instabile; e questa è dunque un’altra ragione che ‘consiglia il trasferimento dell'Osservatorio di Rocca di Papa in una località più opportuna. Fisica terrestre. — Aisuliati di misure attinometriche ese- quite a Catania. Nota I del Prof. GrovaNNI TROVATO, presentata dal «Corrispondente BEMPORAD. Il Prof. A. Bemporad, studiando l'assorbimento della radiazione calo- ‘rifica solare nell'atmosfera terrestre, e discutendo, sia le proprie osservazioni eseguite nel 1904 negli osservatori di Catania e dell'Etna (2), sia quelle - eseguite nel 1896 dar Prof. K. Angstròm a varie altitudini nell'isola di Te- (3) Tra i più recenti disastri di simil genere, mi piace ricordare la gigantesca frana che il 13 aprile 1909 distrusse A/vî, piccola frazione di Crognaleto (Teramo). Una vasta ‘zona di terreno di un paio di chilometri di lunghezza per un mezzo chilometro di lar- ghezza. per effetto d’infiltrazione delle acque, slittò, per fortuna lentamente, sulla sotto- stante roccia dura verso un profondo burone, abbattendo e travolgendo il paese, trasfor- mato in un ammasso di nere rovine. (2) A. Bemporad e Mendola: L'assorbimento selettivo delle radiazioni calorifiche | dedotte dalle osservazioni eseguite negli Osservatori di Catania e dell'Etna nel settembre . del 1904. Mem. Soc. Spett. ital., Vol. XXXVI. — 107 — meriffa (1), sia ancora quelle dei Proff. Giovanni Platania e C. Bellia, ese- :guite nel 1908 sull'Etna (?), pervenne alla conclusione che / coefficiente di assorbimento cresce progressivamente coll’innalzarsi del sole sull'oris- sonte. Questo risultato, come è noto, è in perfetto accordo colla teoria del- l'assorbimento selettivo. Avendo creduto non privo d'interesse l’estendere queste ricerche nelle regioni basse dell'atmosfera e per una piccola differenza di livello, nell’agosto del 1919 ho eseguito una serie di misure attinometriche, in giorni conse- cutivi, fra )a Plaia di Catania (quasi al livello del mare) ed il R. Osser- ‘vatorio Astrotisico con una differenza di livello di 62 metri circa. Ho ado- perato un attinometro di Arago (coppia di termometri di cui uno a bulbo affumicato). Fra il 10 ed il 31 agosto si ottennero 15 giorni di osserva- zioni in condizioni favorevoli, di cui nove alla Plaia e sei all'Osservatorio, convenientemente alternati. Le letture all’attinometro si facevano ogni mezz'ora, dalle ore 10 alle ‘ore 16 (tempo medio), e quelle allo psicrometro tre volte al giorno: ore 11, 13, 15. I valori della intensità della radiazione solare 9, osservati nelle «diverse ore del giorno, sono proporzionali alla differenza di temperatura dei ‘termometri dell’attinometro. Ho inoltre calcolato per ogni serie di osserva- ‘zioni i coefficienti a,0,n, della formula di ragguaglio, proposta dal Pro- fessor A. Bemporad (*): logg=a— be” ‘ove e è lo strato atmosferico attraversato dai raggi. Confrontando tutti i valori di g osservati, ed i rispettivi valori di 9 calcolati per ogni giorno «di osservazione, si può concludere quanto appresso: 1) /l massimo valore della intensità della radiazione solare nei varii giorni di osservazione, non corrisponde, generalmente, alla massima al- tezza del sole, cioè al minimo valore dello strato atmosferico e attraver- sato dai raggi, ma anticipa di circa un'ora alla Plata, e ritarda di al- trettanto all’ Osservatorio. 2) I valori della intensità della radiazione solare, trovati alla Plaia, sono sempre più bassi di quelli trovati all’ Osservatorio. (1) A Bemporad: L'assorbimento selettivo della radiazione solare nell'atmosfera «terrestre. Mem. Acc. Lincei, serie V, vol. 7, 1908. (?) A. Bemporad: Sull'assorbimento subìto dalla radiazione solare negli strati at- ‘mosferici a varie altezze sull'Etna. Mem. Soc. Spett. ital., 1909. (*) A. Bemporad: Saggio di una formula empirica per rappresentare il modo di variare della radiazione solare col variare dello spessore atmosferico attraversato dai raggi. Rend. Acc. Lincei, Serie V, vol. XVI, 1907. — 108 — Riporto qui i dati relativi ai giorni 21, 23 e 25 agosto. 21 Agosto — PLAIA. MATTINO POMERIGGIO GR La IZ Reel | a | 4 | apparen. osserv. [calcolato] oss.-cal. apparen. osserv. |calcolato| oss.-calc. 10° [360,24 1,239 | 11,09 12 25,13] 1,104| 11,71 | 11,56] +-0,15 10,30 | 31,76| 1,175| 11,86 12,30] 26,18| 1,104| 11,60 | 11,51| + 0,09 11 28,17 | 1,134| 11,95 13 28,83 | 1,141| 11,38% | 11,38 0 11,30| 25.81] 1,110] 11,80 13,30 | 32.65 | 1,187] 11,09 | 11,16} — 0,07 TANI RETTA 14 37,27 | 1,255| 10,84 | 10,87] — 0,03 14,30 | 42,44] 1,353 | 10,45* | 10.45 0 | 11% | 184 | 164 || 16 | 47,95|1,491] 9,90*| 9,90]: 0 Termom. asciutto 26.4 | 25,8 26,6 19,00 0303 1,686] 9,31 9,18 | +-0,13. ermioni: baghato "| 21,6 | 220! |20,60|/191|:9208)|::968|:,:8204 asta Gant Tensione del vapore | 16.85 | 17,32 14,37 log q = 1,3095 — 0,2280 8° Umidità relativa 70 “0 55 Intensità del vento |leggeris. | leggero | leggero 23 Agosto — OSSERVATORIO. POMERIGGIO MATTINO Ora 4 1 1 2. apparen. osserv. |calcolato|oss.-cale. 10 369,81] 1,248| 12,85 10,30| 32.36| 1,183| 13,12 11 | 28,81] 1,141| 13,43 11,30 | 26,49 | 1,117 | 13,78 CONDIZIONI METEORICHE 1» |.134 6 A a END Termom. asciutto 30,1 | 29,0 | 30,2 l'ermom. bagnato 19,6 | 21,6 | 22,0 Tensità del vapore | 10,53 | 14,63 | 14,61 Umidità relativa 33 49 46 Intensità del vento |leggeris. |leggeris. leggeris. Giornata caldissima ed afosa quasi senza vento apparen. 25,80 26,81 29,39 33,15 37,71 42,83 48,31 50,02 59,88 1,110 1,120 1,147 1,193 1,262 1,362 1,501 1,699 1,988 osservato 13,98 14,25 14,45 14,76% 14,45 14,15* 13,60 12,90 12,15* calcolato 14,76 14,50 14,15 13,69 13,03 12,15 log q = 1.3137=0,1234 69° oss.-cale. — 109 — 25 Agosto — PLAIA. MATTINO POMERIGGIO z apparen. 4q oss.-cale. q OSserv. 4 calcolato 40 oss.-cale. Vi OSServ. 1 calcolato Ora s 8 apparen, 10 |37°41| 1,257|10,82*| 10,82| 0 12,80| 27,44| 1,126|11,96 | 11,97] — 0,01 10,30| 38,01] 1,191|11,19 | 11,25| — 0,06 | 13 | 29,94] 1,153|11,85*| 1185| 0 11 | 29,48] 1,148|11,57*| 1157| 0 13,30 | 33,64] 1,200 | 11,65 | 11,67] — 0,02 11,30] 27,19] 1,124|11,62 | 11,73| — 0,11] 14 |38,14| 1,269|11,40*| 11,40] 0 Pang Lv Lidi 0 14,80 | 43,22] 1,371|11,00 | 10,98| + 0,02 15 | 48,67] 1,512|10,51 | 1041] +-0,10 15,30 | 54,34] 1,712) 9,46| 957|—011 log g = 1,3696 — 0,2670 e ——=——=—=——______ iIÉIEÉÎ!J[\;© ‘'@* CONDIZIONI METEORICHE 16 | 60,20] 2,007| 8,35% 835| 0 È = 11° | 13% | 152 | logg= 1,1711 — 0,0762 8»? I Termom. asciutto 27,0 | 27,0 21,3 Termom. bagnato 21,6 | 22.5 | 23,4 Tensione del vapore 15,86 | 17,49] 19,0 Umidità relativa 60 66 70 Intensità del vento leggero |-leggero | leggero Chimica. — L'analisi termica del sistema TL,0—B;0, ('). Nota di G. CANnNERI e R. MoRELLI, presentata dal Corrispondente G. PELLIZZARI. Lo studio dei borati del tallio fu intrapreso per la prima volta da H. Buctala [I. Pr. 88, 771 (1913)] il quale preparò una serie numerosa di poliborati tallosi (non pare possibile l’esistenza di composti stabili tra acido borico e l’ossido tallico), per cristallizzazione di soluzioni contenenti carbonato talloso e acido borico in rapporti variabili. Talvolta, facendo av- venire la reazione per via ignea e cristallizzando frazionatamente il prodotto della fusione, l’autore pervenne a stabilire che il composto più ricco rispetto all'ossido metallico ottenibile in soluzione è il tetraborato talloso dalla for- mola: T1,B,0;. Solo modificando le condizioni di esperienza avremmo potuto estendere lo studio ad un campo più vasto di concentrazioni tra acido borico e ossido talloso. Per questo abbiamo eseguito l’analisi termica del sistema. L'anidride borica che ci servì alla ricerca fu mantenuta fusa per lungo tempo a circa 1300° fino a che la schiuma era completamente allontanata, (') Lavoro eseguito nel Laboratorio di chimica inorganica e chimica fisica del R. Istituto di studî superiori. Firenze, ottobre 1921. — 110 — poi versata su lastra metallica, rapidamente spezzata e posta in essiccatore. Assieme a questa veniva fuso non l'ossido, ma il carbonato talloso e ciò. per la difficoltà di ottenere il TI, 0 esente da TI, 0;. Il carbonato fu otte- nuto purissimo per doppio scambio tra Ba CO; e T1,S0,. Abbiamo adoperato in tutte le esperienze pesi uguali di miscugli e le- concentrazioni sono state variate tenendo costante un equivalente di anidride borica e aumentando gradatamente la quantità in equivalenti di ossido tal- loso. Le miscele polverizzate finemente e intimamente mescolate erano fuse in crogiuolo di platino in un forno elettrico a resistenza di nichel. Il raf- freddamento, sempre molto lentamente, si faceva compiere entro lo stesso. forno dopo avere mantenuta la massa fusa per un certo tempo a tempe- ratura superiore a quella di fusione. Per la misura delle temperature ci siamo serviti di una coppia termo- elettrica Pt — Pt + Rh la cui saldatura era immersa nel bagno fuso senza. alcun rivestimento. I due fili del termoelemento erano tenuti separati tra. loro da un tubo sottile di terra refrattaria e le loro estremità erano con- giunte per mezzo di serratili, mantenuti alla temperatura del ghiaccio fon- dente, con grossi fili di rame uniti ad un millivoltmetro Weston tarato. I risultati ottenuti sono. riassunti nella tabella seguente: Conc. in equiv. Temperatura Durata in secondi Torapersiute Durata d'arresto in se- di Tls0 per 1 equiv. di inizio della condi della separa-- di Ba 03 della cristallizzazione | cristallizzazione eutettiche zione eutettica. 0.05 —_ = = = 0.25 — _ - = 0.27 446° 240 = = 0.30 466 270 i _ 0.33 472 420 Sa — 0.45 448 210 410° 90 0.50 440 180 410 180 0.55 426 120 410 240 0.60 — _ 410 300. 0.62 430 210 410 240 0.666 434 270 —_ — 0.70 434 180 — — 0.80 420 120 358 _ 0.85 414 90 358 90 0.90 400 90 358 120 0.95 388 60 358 180 0.98 _ — 358 270 1.00 370 360 — —_ 1.10 350 300 _ = — 111 — Fino alla concentrazione di 0.27 equiv. di T1,0 per 1 equiv. di Bs Os. non fu possibile apprezzare alcuna evoluzione termica durante il raffredda. mento, dato l’enorme attrito interno della massa fusa. Solo da questa con- centrazione, con un raffreddamento molto più lento, si poterono osservare le- deviazioni della curva con forte sopraraffreddamento. Questo fenomeno ar- rivò spesso a raggiungere il valore di 80°, ma l'inconveniente fu quasi sempre eliminato fondendo di nuovo incompletamente la massa e ripetendo. la curva di raffreddamento. Il diagramma, fig. 1, presenta tre punti di maximum corrispondenti a. tre composti definiti. Sull'asse delle ordinate sono riportate le temperature.. 500 472 434 Temperalure 027 0.33 060 0.6) 0.981 110° Conc: in Eg: di T40 su tEg:diB0o —> RIGA sull'asse delle ascisse le concentrazioni in ossido talloso per 1 equiv. di anidride borica. I tempi di fermata eutettica sono riportati sull’orizzontale- eutettica con segmenti proporzionali alle durate di arresto. Il punto di massimo alla concentrazione di 0.33 equiv. di T1,0 rap- presenta la composizione del metaborato talloso il cui punto di fusione. corrisponde a 474° circa. Alla concentrazione di 0.67 equiv. compare un secondo punto di mas- simo corrispondente alla composizione del piroborato talloso il cui punto di fusione si aggira intorno a 434°. Infine un terzo punto di massimo si nota nel diagramma alla concen- trazione del borato normale e in corrispondenza della temperatura di 3700. Data la piccola ditferenza di concentrazione e di temperatura tra la sepa- razione eutettica e il massimo corrispondente al Tl, BO; , si può anche es- sere indotti a ritenere che alla concentrazione unitaria corrisponda un punto. di transizione. In tal caso si dovrebbe ammettere che il borato normale: fonda decomponendosi. . — 112 — Cristallografia. — Sulle proprietà ottiche di alcune sostanze ‘importanti nella microchimica ('). Nota del dott. LuIcI RAITERI, presentata dal Corrispondente F. ZAMBONINI. I metodi dell'analisi microchimica qualitativa, escogitati ed usati dap- prima dai mineralisti, si vanno sempre più diffondendo, essendosi ormai da tutti riconosciuta la loro grande importanza pratica. Con quei metodi, infatti, «qualora sieno esattamente impiegati, è possibile riconoscere con sicurezza la presenza di quantità minime dei più svariati elementi, cosa particolarmente utile, quando si dispone solo di poca sostanza da cimentare. Perchè i risultati dell'analisi microchimica sieno sicuri, occorre, però, accertarsi della vera natura dei cristallini formatisi mediante il controllo delle loro proprietà ottiche. Fra queste, presentano una grande importanza gli indici di rifrazione, che si possono determinare al microscopio con suf- ficiente esattezza, mediante il metodo della linea di Becke. Un esempio basterà a mostrare la necessità di non trascurare questa determinazione. È ben noto che la presenza del sodio nei silicati naturali si stabilisce soprattutto mediante la formazione dei cristallini esagonali di fluosilicato sodico, mentre il potassio dà, nelle stesse condizioni, dei cristalli cubici di fuosilicato potassico. Ma, come ha mostrato Gossner (?), questo composto possiede anche una fase esagonale, uniassica negativa come il composto di sodio, sicchè dalla formazione dei cristallini esagonali non si è autorizzati a concludere con certezza intorno alla presenza del sodio: si potrà esserne sicuri, soltanto dopo aver stabilito che gli indici di rifrazione dei cristalli ‘ottenuti sono uguali a quelli del fluosilicato sodico. Ora, per molti composti assai importanti nella microchimica, gli indici di rifrazione, o non sono conosciuti affatto o lo sono in modo imperfetto (*). Si tratta di un'ampia lacuna nelle nostre cognizioni: io, per consiglio del (*) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Torino, di- .retto dal Prof. Ferrnecio Zambonini. (2) Gossner, Zeitschrift. fir Krystall. 1904, XXXVIII, 147. (?) Nell'ultima edizione della Mikrochemische Analyse di Behrens-Kley (1920) non -sono indicati mai i valori numerici degli indici di rifrazione, ma sono usati, al contrario, i termini piuttosto vaghi di rifrangenza debole, forte, ecc. — 113 — «prof. Zambonini, che vivamente ringrazio per l'interesse preso alle mie ri- -cerche, ho cercato di contribuire a colmarla in piccola parte, determinando .l’indice o gli indici di rifrazione di quattro sostanze assai usate in micro- «chimica, quali: il fuosalicato di sodio, il fluosilicato di potassio, l’uranila- cetato di sodio ed il cloroplatinato di potassio (*). L’indice o gli indici di rifrazione furono determinati col metodo del ‘prisma, salvo che per il fluosilicato di potassio per il quale mi servii, in- vece, del metodo della linea di Becke. I. UranILacETATO DI sopIo. Na(UO,)(CHz3.COO);. — I cristallini ‘di questo sale si usano, come è noto, nella ricerca microchimica del sodio e dell'uranio. Io ho preparato nitidi cristallini, che raggiungevano anche 3,5 mm. nella loro maggiore dimensione. Generalmente presentavano la combinazione dei -due tetraedri 3111} e 3111}, qualche volta con alcune piccole faccette di } 110}. Ho determinato l'indice di rifrazione per le luci del litio, del sodio e del tallio, ottenendo i risultati seguenti : Lunghezza Ance] Angolo Indici di Sorgente di luce monocromatia di onda GoLO di deviazione IM CI CL dn fnagoa del prisma aa rifrazione Verde del tallio (Tla SO) . . . . 535 70° 27'30” | 500 27 1,5082 Gialla del sodio (Na Br) . . . . . 589 idem 490 57° 307 1,5044 Rossa del litio (Li, COs) +... . + 671 idem 490 24” 30” 1,5003 Johnsen (°*) aveva trovato wwa = 1.5014. H. Rose (*), più tardi, fece ‘conoscere n per otto diverse lunghezze d'onda, tra le quali non vi erano, (3) I cristallini macroscopici dei quattro sali li ho preparati con un metodo sem- plicissimo in uso nell'Istituto Mineralogico di Torino, e che costituisce una semplifica- zione di quello adoperato nel laboratorio del Prof. von Groth. Fatti sciogliere pochi grammi del composto da cristallizzare a 100°, ho filtrato ben bene. Il liquido filtrato l'ho riportato a 100° e quindi rapidamente ho collocato il recipiente contenente la soluzione filtrata, in una cassa di cottura all’uopo preparata. La cassetta, rivestita internamente di uno spesso strato di sughero, l'ho riempita per i 4/; circa di segatura di legno ben asciutta; nel mezzo vi ho praticato un foro che potesse ‘esattamente contenere il recipiente della soluzione. Coperto ben bene il recipiente con lana e carta fino alla imboccatura, ho chiuso l’apertura della cassa con l’apposito coper- chio, pure rivestito con abbondante strato di sughero, forzando con pesi. Il lento e tran- «quillo raffreddamento favorisce la formazione di cristalli macroscopici nitidi, che si de- positano sul fondo del recipiente. (2) A. Johnsen. Neues Jahrb. f. Min. usw. 1907, Beil. Bd. XXIII, 259. (8) H. Rose. Neues Jahrb. Beil-Bd. XXIX, 63-65. RenDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 15 SR i però, quelle del Li, Na, TI]. Graficamente. dai valorì di Rose si deduce- ixa = 1,5044, un valore, cioè, identico a quello trovato da me e che dif-- ferisce di ben tre unità della terza decimale dal valcre di Johnsen. Anche. le mie determinazioni per Li, Tl, trovano esattamente il loro posto nella. serie di misure di Rose, che viene, così, confermata e completata. II. FLuosiLIcaTo DI sopio. Na, Si Fj. — Questo composto è assai im-- portante, servendo nella ricerca mierochimica del sodio, del silicio e del fluoro. I cristallini macroscopici da me ottenuti, nitidissimi, limpidi ed inco- lori (*), vivamente splendenti, presentano i due prismi j1010f,}1120{, la base e la bipiramide 31011}. Sono queste le stesse forme che aveva già osservato Marignac (?). Con un minutissimo ritaglio di carta bibula imbevuta di una goccetta d'una soluzione satura di fluosilicato di sodio, ho umettato una faccetta di prisma posta sotto il microscopio a debole ingrandimento, ed ho, così, otte- nuto delle nitide figure di corrosione, costituite da esagoni con due lati pa- ralleli all'asse verticale assai sviluppati e gli altri quattro lati, equiinclinati. sui primi, riunentesi due a due in vertici rivolti verso i due estremi del prisma. Le tigure di corrosione mi farebbero porre i cristallini nella classe diesagonale bipiramidale. Cesàro (3), mediante il metodo, certamente poco esatto, del Duca di Chaulnes, ottenne £= 1,296 © = 1,300. Nel migliore cristallo da me stu- diato ho ottenuto 8 | Per il raggio € Per il raggio © NS R Sorgonte di luce monocromatica Ss È Angolo Angolo di Angolo di SS £| del prisma deviazione Indici deviazione Indici a minima minima ‘Col filtro Wratten a . . . .| 677] 60029307] 21054730” 1.3077] 22010’ 45” [13132 ” ”» ” Bi ea 649 idem 21°:56” 30” | 1,3081|: 22012’ 45” | 1,3117 von n y....|606|. idem 21059 1,3087|: 22015 307 | 1,3122 Con la luce del sodio. . . .| 589 idem 920. 0715” | 1,3989]: 22016730” | 1,5125 Col filtro Wratten d . . . .|577| idem 220 1 1,3091| 22017 30” | 1,3127 CONO) ”» E Meat dae MODO idem 220 3‘ 1,3097| 22019” 457 1 1,3132 RT ” QSTO IO OO] idem 220 6/30” |:1,3103|. 220 23' 1,3158 nin ” DIRCI TAMA idem 22010” 1,3111| 2202630” | 1,314 (1) Nella Mikrochemische Analyse di Behrens-Kley (1920, pag. 34) è asserito che molto caratteristica per il fluosilicato sodico è una debole colorazione rosa. visibile in tutti i cristalli un po’ spessi. I miei cristalli macroscopici, che erano assai puri, non îa presentavano affatto, ed apparivano incolori. (?) Marignac. Annales des Mines, 1857 (5), XTI, 20, Oeuvres I, 496. (*) Cèsaro. Bull. Acad. R. Belg. 1893 (3) XXVI, 721. — 115 — Determinazioni per la luce del sodio in altri tre cristallini. Sa Per il raggio & Per il raggio © Ne | SR rr: i È E | Sorgente di Inoo [2g S| Aemlo | Amgolodi || Aogolodi | £ S g| del prisma | deviazione Indici deviazione Indici as minima minima Luce del sodio 589 | 59058’ 21041” 30” | 1,3089| 220 0” 45” |1,3124 idem ,, | 59°45”30”| 21038 1,8088| 21054’ 30” | 1,3125 . idem 3; | 60022’ 21950” 1,3089| 22012" 30” | 1,3125 III. FLuosiLIcATO DI Potassio. K, Si F;. — La ricerca microchimica del potassio, specie nei silicati costituenti le rocce eruttive, può essere fatta con vantaggio mediante il processo Boricky, che è fondato sull'impiego del- l'acido fluosilicico. Si originano in tal modo i cristallini di fluosilicato di potassio, ordinariamente nella modificazione cubica, raramente nella modi- ficazione esagonale sotto forma di sottili lamine secondo } 0001} con } 1011}. Probabilmente per la pochissima solubilità di questo sale (0,12 parti di sale su 100 parti di acqua a 17°,5 e una parte su 100 a 100°), non mi fu possibile ottenerne cristallini nitidi, macrospici. Con l’aiuto del microscopio a debole ingrandimento ho potuto osservare nei miei cristallini il cubo } 110} come forma predominante, combinata con l’ottaedro {111} e col rombododecaedro }110}, e anche l’ottaedro { 111! predominante, combinato col cubo }100{ e col rombododecaedro }110|. Ho determinato l'indice di rifrazione col metodo della linea di Becke, adoperando diverse miscele formate da alcool metilico, alcool etilico e so- luzione acquosa satura di fluosilicato di potassio. Ho ottenuto x = 1,339. IV. CLoROPLATINATO DI Porassio. Ks Pt Cl,. — Nella ricerca micro- chimica del potassio si ottengono i caratteristici cristallini di questo sale. Nei cristalli da me preparati, ho osservato soltanto l’ottaedro | 111}; spesso due faccie parallele sono molto più sviluppate delle altre. In questo caso i cristallini poggiano su una di quelle facce, che è piana, mentre la parallela, libera, è affetta da poliedria abbastanza spiccata. Altri cristalli sono svilup- pati in modo da simulare la combinazione di due prismi rombici }h01{ j0kl{, uno dei quali è più esteso dell'altro. L'indice di rifrazione di questo sale è superiore a quello dello ioduro di metilene, sicchè non può adoperarsi un prisma formato da due faccie di ottaedro ad angolo (vero) di 70°32", a meno di ricorrere ad una serie di riflessioni interne, come fece il Sella nel suo lavoro sull’influenza della tem- peratura sull’indice di rifrazione del diamante. Io ho preferito tagliare in — 116 — due cristalli delle faccette adatte, mediante l'apparecchio di Wiilfing. I valori ottenuti, con i prismi da me preparati, sono i seguenti: Sa Primo cristallino studiato Secondo cristallino studiato i SA a dici Sorgente di luce E] Indio; DERE E pe 8 Angolo | Angolo Angolo Angolo definit. Sfoss del di deviazione | Indici del di deviazione | Indici | (medie) at prisma minima prisma minima Col filtro Wratten @« | 677|25°5"| 21013’ 1,8104| 280117] 240 77 1,8101| 1,8108 . B | 649] idem | 21018" 45”|1,8140| idem | 24013’ 45” | 1,8138| 1,8139 x | 606] idem] 21930 15”|1,8211| idem | 24°28"30” | 1,8206| 1,8209 577| idem | 21040" 1.8270| idem | 24038’ 1,8268| 1,8269 s |535] idem | 21°53/307|1,8354| idem | 24053’ 30” | 1,8351| 1,8353 501| idem | 22° 8' 1,8443| idem | 25010" 1,8440| 1,8442 6 | 458] idem | 22028” 1,856 | idem ? ? |1,856 Come si vede, si ha accordo assai soddisfacente. La differenza un poco più forte per il vetro y dipende probabilmente dal fatto che esso non è perfettamente monocromatico. Mineralogia. — ZWteriori ricerche sui liquidi pesanti per la separazione dei minerali. Nota dell'ing. ENRICO CLERICI, presen- tata dal Socio F. MILLOSEVICH. Le ricerche delle quali ho dato ragguaglio in questi Rendiconti (*), mi condussero a proporre, per la tecnica della separazione meccanica dei mine- rali, tre nuovi liquidi, che sono soluzioni acquose, incolori, diluibili e rige- nerabili, cioè: | 1) Soluzione di bromomercurato di bario, Ja quale, raggiungendo il peso specifico di 3,11 a 11° e di 3,14 a 18°C., ha presso a poco lo stesso campo di applicabilità del liquido di Sonstadt-Thoulet, col vantaggio del minor costo. 2) Soluzione satura di formiato di tallio, il cui peso specifico è 3,31 a 10°; 3,40 a 20°; 4,10 a 50°, ecc. 3) Soluzione di formiato di tallio e malonato di tallio, a parti eguali, la quale a 0° ha peso specifico superiore a quello di tutti i liquidi già im- () Clerici E., Preparazione di liquidi per la separazione dei minerali. Rendiconti R. Ace. Lincei, XVI, 1907, pag. 187. Vedasi pure: Clerici E., Sulla analisi isopicnome- rica delle roccie. Nuovi Annali del Ministero per l'Agricoltura, anno I, n. 2 (31 di- «cembre 1921). — 117 — piegati; a 10° è 4,00; 4,70 a 20° e verso 100° raggiunge e sorpassa anche 5. Per cui l'applicabilità dell'analisi isopicnomerica viene notevolmente estesa; infatti con il liquido di Retgers (tetraioduro di stagno in tribromuro d'ar- senico), che presentava il maggior peso specifico, sì arrivava soltanto a 3,73. Per pesi specifici maggiori di 3,73 bisognava ricorrere a liquidi di fu- sione. Le mie ulteriori ricerche riguardano appunto tali liquidi. I migliori, e forse ormai i soli usati, sono due proposti dal Retgers; cioè: nitrato di argento con nitrato di tallio, fusibile a 75°, peso specifico 4.8; nitrato mercuroso con nitrato di tallio, fusibile a 76°, peso specifico circa 5,2. Il primo intacca i solfuri e può essere sostituito dal mio liquido al formiato-malonato di tallio, il cui uso è più comodo di quello di un liquido di fusione. Anche il solo formiato di tallio, che fonde a 95° in liquido mo- bilissimo, può servire allo stesso scopo. Una miscela a parti uguali di formiato e malonato di tallio, polveriz- zati, fonde a temperatura molto più bassa, in liquido limpido ed incoloro di peso specifico superiore a 5, nel quale galleggia anche la pirite. È più comodo servirsi di questa miscela fusa anzichè aggiungere una sufficiente quantità dei due sali alla loro soluzione (1). Il formiato di tallio fuso ha peso specifico inferiore a 5 e perciò la pirite non vi galleggia; ma aggiungendovi carborato di tallio in polvere, questo vi si scioglie accrescendone il peso specifico. Quando la quantità aggiunta è, nella miscela, in proporzione del 13 per cento, la pirite vi galleggia. Se invece del carbonato sì aggiunge il fluoruro di tallio, quando la pro- porzione di questo è del 3,8 per cento, galleggia la pirite; al 9 per cento galleggia la magnetite in cristalli isolati di Zillerthal, e al 16,6 per cento l'oligisto crist. dell'Elba (?). Lo stesso oligisto non galleggia nella seconda mi- scela del Retgers, la quale, se fonde a 76°, richiede una temperatura più elevata, oltre 100°, per essere ben finida e limpida ed usabile; essa però consente soltanto una piccolissima aggiunta d'acqua, perchè altrimenti si separa un sale basico: perciò le lavature bisogna farle con acqua acidulata con acido nitrico. Tale inconveniente non si presenta con le miscele fuse formiato-malonato, formiato-carbonato, formiato-fluoruro, le quali, filtrate per carta, dànno un liquido limpidissimo, incoloro, che, però, incomincia a im- brunire oltre la temperatura di 120°. La miscela formiato-flnoruro di tallio fonde tra 76° e 80° e può essere usata anche sotto i 100° in bagno d'acqua; ma forse è preferibile, affinchè (!) La miscela solida è igroscopica; ciò confermerebbe il criterio che aveva ispirato le mie prime ricerche. (2) Anche altri sali di tallio sono più o meno solubili nel formiato fuso: cloruro, solfocianuro, nitrito, solfato, nitrato, perclorato, ecc., senza offrire risultati migliori ; eccet- tuata quella col nitrito, in nessuna di queste miscele può galleggiare la pirite. — 118 — il fluoruro sia tutto disciolto, usarla tra 100° e 110° formando il bagno con un liquido ad elevato punto d'ebollizione oppure in stufa. La miscela solida è igroscopica: fusa ha reazione alcalina alle carte reattive: i solfuri, pirite, cinabro, blenda, proustite, antimonite, vi resistono; cristalli e frammenti di silicati varî, granati. pirosseni, anfibolo, cordierite, olivina, tenutivi per ben dieci ore a temperatura di 115°, non sembra abbiano sofferto. Nella pratica applicazione, il più lungo uso mostrerà se vi siano circostanze spe- ciali in cui tale liquido sia in difetto; si può, peraltro, affermare offra qualche vantaggio rispetto ad ambedue le miscele del Retgers. Geologia. — // conglomerato di Como. Nota I di EmiLio REe- POSSI, presentata dal Socio ARTINI. Il così detto conglomerato di Como, o gonfolite della Camerlata, ha richiamato già da molto tempo: l’attenzione degli studiosi, e qualche dia- gnosi sulla natura de’ suoi ciottoli si rintraccia già in scritti della prima metà del secolo scorso (Curioni, 1844). Ma il primo studio petrografico pre- ciso degli elementi che lo costituiscono è dovuto al Chelussi e risale al 1908. Scopo di questo osservatore quello di determinare il presumibile luogo di provenienza dei ciottoli stessi, che, prima d'allora, si era ripetutamente affer- mato doversi ricercare ad occidente del Lago Maggiore. Il Chelussi, constatando che nel conglomerato mancano o sono scearsis- simi gli elementi che potrebbero per la loro natura appartenere alla zona basica d'Ivrea, e sono invece costantemente presenti rocce di tipo valtelli- nese, come il serzzzo di Val Masino, concludeva il suo breve studio affer- mando giustamente che non v'è ragione per attribuire agli elementi del con- glomerato comense un'origine tanto occidentale. Io avevo già più volte pensato di tornar sull'argomento per estendere alquanto le osservazioni del Chelussi e fornire così un più completo quadro della composizione petrografica del conglomerato, che, data l'età tongriana ad esso ordinariamente attribuita, mi pareva potesse fornire qualche notizia sulle formazioni affioranti nella regione alpina, o in un tratto almeno di questa, in uno del momenti più interessanti della sua storia. Ma il mio disegno sarebbe forse rimasto più a lungo allo stato di sem- plice disegno se il sig. ing. Cesare Porro non avesse pur egli pensato ad una consimile ricerca, con base ancora più larga, e non m'avesse proposto — cosa di cui gli sono estremamente grato — di associarmi a lui nell'esecuzione pratica del lavoro, incaricandomi specialmente dell'indagine strettamente petrografica. — 119 — Il piano di lavore adottato di comune accordo fu il seguente: revisione «e studio di tutta l’area d'affioramento del conglomerato comense dalla Brianza .al Lago Maggiore; revisione e studio dei conglomerati terziari con elementi alpini del Monferrato e della collina di Torino, presumibilmente coevi col primo; studio petrografico dei componenti di questi conglomerati e confronto con le formazioni alpine con le quali possono aver relazione. Animatrice di tutto il lavoro la speranza di raccogliere, oltre ad una mèsse più o meno abbondante di fatti la cui conoscenza sia utile per sè stessa o per lo scopo sopra accennato, qualche dato che permetta di far un po’ di luce sul modo e sull'ordine di messa in posto delle varie formazioni alpine secondo le odierne vedute tectoniche. Piano vasto, dunque, e promettente. Ma, sventuratamente, per ragioni varie e indipendenti dalla buona volontà di ciascuno di noi, sino ad ora son rimasto solo nell'esecuzione del nostro disegno, ii quale, per giunta, al- l'atto pratico si dimostra anche più gravoso di quanto non pensassimo. Di «conseguenza il lavoro procede alquanto lentamente, e per adesso può dirsi limitato allo studio petrografico e di rilievo del conglomerato comense nel- l'area, già abbastanza vasta, compresa fra la Brianza ed il Lago Maggiore. Cionostante, i dati ora raccolti hanno già, a mio avviso, qualche inte- resse; ed in attesa che il lavoro possa essere ultimato giusta i nostri disegni, ‘credo di far cosa utile accennando sommariamente ad alcuno di essi. Ricordo che la formazione, costituita essenzialmente da arenarie, con vaste intercalazioni di lenti conglomeratiche specie nella sua parte inferiore, comincia verso est ad affiorare poco lungi da Besana Brianza; si sviluppa poi ampiamente nelle vicinanze di Como e tra Como, Chiasso e Malnate, raggiungendo uno spessore notevolmente superiore al chilometro; riaffiora a sud del lago di Varese e intorno al lago di Comabbio, e termina ad ovest vicino a Lissanza, sul Lago Maggiore. Essa ha risentito fortemente dei movimenti orogenetici dell’area alpina, poichè si trova dovunque irregolarmente e molto spostata dall’orizzontalità, «e fra Como e Chiasso i suoi banchi sono in qualche tratto raddrizzati sino a 700. È pure già ben noto che essa, oltre a banchi di arenarie più o meno fine, di arenarie argillose a sottili strati e di conglomerati variamente gros- solani, contiene ad un determinato livello e quasi in tutta la sua estensione, ma specie fra Camerlata e Malnate, grossi blocchi disseminati di preferenza ‘nei banchi arenacei, affatto caratteristici e simili a quelli che si osservano ‘nelle analoghe formazioni della collina di Torino. Una delle prime difficoltà, che si presentano a chi si accinga al rilievo «ed allo studio del conglomerato comense, è dovuta al fatto che tutta l’area del suo affioramento è ingombra di materiali morenici; di guisa che spesso .lo sfacelo del conglomerato si confonde coi detriti glaciali. — 120 — Ma aggiungo subito che l'occhio si abitua ben presto a discernere il: complesso petrografico presentato dalle morene da quello caratteristico del conglomerato; e ciò anche prescindendo dalla serie degli altri caratteri di- stintivi delle due formazioni, di tipo e di origine del resto tanto differenti. E con questo vengo già a fare una prima notevole affermazione generale sui. caratteri petrografici del conglomerato. In esso infatti si osserva un’associa- zione di elementi nettamente diversa da quella dei cumuli morenici, i quali» pur provennero, sebbene in modo e in tempo differenti, dal medesimo tratto della regione alpina. Ci sono, naturalmente, nei due depositi elementi co- muni; ma ci son pure elementi che mancano o scarseggiano da una parte e non dall'altra, e viceversa. E questo vale sia che consideriamo le morene del ghiacciaio dell'Adda, sia che consideriamo quelle del ghiacciaio del Ti- cino, in confronto con le rispettive aree d'affioramento del conglomerato. Di constatazioni di questo genere ne furon fatte parecchie. Mi limito- per ora a ricordare che al conglomerato comense, intorno a Como ed a Chiasso,. manca in modo quasi assoluto il serpertizo, tanto abbondante nel morenico del ghiacciaio dell'Adda, mentre vi è frequentissima una tonalite, molto caratteristica e assai simile a quella classica del Tonale, che non si osserva affatto nelle morene. Nel conglomerato abbonda in modo assolutamente inatteso il calcare nummulitico tipo Montorfano, e non solo ad oriente di Como (ciò che sa- rebbe abbastanza ovvio) ma anche ad occidente di Como e sin presso Biz- zarone, dove attualmente non v'è traccia di eocene con la facies ora detta. Manca invece al conglomerato il porfido quarzifero a facies granitoide- tipo Val Ganna, anche nel tratto in cuì più ci si potrebbe attendere di tro- varlo; mentre, d’altro lato, vi sono rappresentate con discreta frequenza le porfiriti luganesi ed i porfidi a facies più normale, ma ora meno abbon- danti nell'area intorno al Ceresio. La presenza di certe rocce è degna di nota perchè serve a segnare il li- mite superiore alla determinazione della loro età geologica. Così, a cagion. d'esempio, mi sembra interessante la presenza constatata del granito di Ba- veno nel conglomerato dei dintorni di Lissanza. — 1221 — Geologia. — // Maestrichtiano in Cirenaica. Nota preliminare: dell'ing. dott. CAmiLLo CREMA, presentata dal Socio C. F. PARONA. È noto che, se in Cirenaica non furono finora segnalati terreni più an- tichi dell’ Eocene, anzi la presenza stessa dell’ Eocene inferiore non può an- cora dirsi interamente dimostrata (*), tuttavia il Gregory, nonchè escludere la possibilità che vi esistessero anche terreni precenozoici, ha da tempo in- dicato come luogo, dove più probabilmente questi potevano venire a giorno, la base della scarpata di Tocra (?). Colla quale denominazione egli desi- gnava, come risulta dalla carta geologica annessa al suo lavoro, il tratto compreso fra Bengasi e Tolmetta e lungo un centinaio di chilometri del- l’erto ciglione calcareo che, bruscamente o coll’interposizione di terrazzi più o meno ampii, delimita la pianura costiera, determinando il primo dei tre gradini nei quali si suddivide il fronte mediterraneo del massiccio cirenaico. Per incarichi ricevuti dal Ministero delle Colonie e da quel Governo coloniale, avendo dovuto recentemente eseguire una serie di ricognizioni geo- logiche in Cirenaica ed importando per queste di ricercare ì terreni costi- tuenti la base della serie locale, era quindi naturale che la mia attenzione. sì portasse su questa scarpata e particolarmente su quella parte di essa la quale non era ancora stata percorsa da altri geologi. Circostanze, sulle quali sarebbe ozioso soffermarsi, vietarono di dare alle ricerche l’ampiezza che sarebbe stata desiderabile attesa l'estensione della zona da esplorarsi: tuttavia, per quanto limitate ad un ristretto numero di punti ed a volte anche alquanto sommarie, grazie alla tettonica estremamente semplice della regione esse non riuscirono sterili e consentirono tra altro di stabilire la fondatezza delle affermazioni del Gregory. Non sarà quindi inopportuno di darne brevemente notizia: rimandando però ad altra occasione l'esame delle località nelle quali il Cenozoico discende fino ai piedi della scarpata, mi occuperò qui soltanto dei dintorni di Tocra, dove in corrispondenza del- l'uadi Bacùr compaiono anche terreni più antichi. (1) G. Stefanini, Sulla costituzione geologica della. Cirenaica, Rend. Acc. Lincei, vol. XXX, 2° sem., Roma 1921, pag. 53. (2) J. W. Gregory, Contributions to the Geology of Cyrenaica. Quart. Journ. geol.. Soc., vol. 67, London, 1911, pag. 601. RENDICONTI. 1922. Val. XXXI. 1° Sem. 16 Stef Dahàr ekAhmar 82) Vadi Bacir {300) MEL del nrare Cr SE Castello difocrà DO gr Come si scorge dall’unita sezione ‘prospettica nella scala approssimata di 1:50000, la balza non dista qui che pochi chilometri dal mare; il suo piede sta a circa 50 m. s. m.; la sommità a 300 m., altezza media del primo ripiano od altipiano di El Merg; a destra ed a sinistra dell'imboccatura dell’uadi essa si protende in due sproni pianeggianti, dell'altezza media di 120 m., evidentemente relitti di un antico terrazzo interposto fra l'altipiano e la pianura. L'uadi taglia il gradino all’in- circa ad angolo retto incidendolo fino alla quota di 100 m., e da questo punto si apre il varco attraverso ad un ampio ventaglio di deiezione (ge) nel quale, come nella maggior parte dei depositi vallivi della Cirenaica, si osservano due ordini di terrazzi ben conservati. Al di là del ventaglio subito si perde ogni traccia dell’uadi, le cui scarse acque sono assorbite dai crepacci del suolo prevalentemente calcareo ('). (*) L'iuadi Sleib (o ed-Dor?), che ha la sua foce presso l'ocra, e parecchi altri uadi più ad oriente si spingono coi loro alvei fino al mare attraversando la pianura, qui ridotta ad una esile striscia; alcuni anzi. ad es. l’uadi Asra, raggiungono la costa addirittura coi loro ventagli di deiezione. Invece sulla sinistra dello Sleìb, dove la pianura costiera va sempre più allargandosi, un solo fiume riesce a convogliare fino al mare le acque delle sve piene, il Gattara. Le carte, anche le più recenti, non indicano il corso di questo fiume nella pianura o lo segnano erroneamente colla foce presso Sidi Buscelif, benchè fosse notorio e del resto già da parecchi anni esplicitamente detto da Padre Zanon, che esso si dirige sui giardini della Berka, presso Bengasi (ZL Agricolt. colon, X, pag. 276 ed XI, pag. 379, Firenze, 1916-17). Il suo alveo si pre- senta ben definito, è vero, solamente fino a poco più di un chilo- metro a SO di Casa Mei ed in seguito si confonde colla bassura che col nome di Rhaba da questo punto si estende fino alla Berka: mi fu però facile fissare il corso delle acque anche in questo tratto, sia approfittando delle piene dell’inverno 1919-1920, sia perchè il suolo, costituito d’ogni intorno esclusivamente da terra rossa, in corrispondenza di esso è cosparso di ciottoli e ghia- iette, abbandonati dalle acque del fiume, Alla Berka queste acque sono in gran parte derivate per irrigazione, ma la porzione re- sidua, insinuandosi fra la caserma ed il cimitero cristiano, dove effettivamente ricompaiono traccie di alveo, e, nelle maggiori piene, anche fra Sidi Daud e la Mafluga sbocca nella Sebcha- el-Malha e nella Sebcha-el-Bunta donde raggiunge il mare attra- verso il porto di Bengasi. Nella grande piena del 1903, le acque — 123 — Il terreno più profondo (C7) affiora allo sbocco della valle ed è rappresen- tato da calcari biancastri o bianco-giallastri, ben stratificati, ricchi in rognoni e noduli di selce, ora compatti a frattura concoide, ora teneri a frattura ine- guale, e spesso anche alquanto farinosi sì da sporcare le dita. Nelle sezioni sottili questi calcari non mostrano che pochi foraminiferi senza importanza caratteristica. In quanto ai fossili macroscopici, quelli ben conservati non sono molto comuni; ma la loro ricerca mi venne facilitata dai tagli recen- temente eseguiti allo sbocco dell’uadi per l'apertura della rotabile che da Tocra sale ad El Merg: oltre a numerosi esemplari di un'alga subcilin- dracea-spirulata, che corrisponde bene al gen. Minsteria, ed a qualche resto indeterminabile di crostaceo, la fauna comprende essenzialmente dei lamel- libranchi, spesso allo stato di modelli esterni. Grazie alla cortesia del pro- fessore C. F. Parona, che volle studiare il materiale raccolto, posso indicarvi: Septifer Charmesi (Thom. et Per.) Lucina (Dentilucina) Calmoni Perv. ” ’ subnumismalis d’Orb. ” cfr. dachelensis Wann. Cardium (Trachicardium) productum Sow. Cytherea Rohlfsi Quaas Pholadomya elliptica Miìnst. specie, le quali dimostrano che si tratta di Maestrichtiano simile, per non dire identico, a quello che così largamente affiora in Tripolitania dal ciglione del Gebel fino alle oasi di Ghadames e di Dergi (*) e sulla cui fauna lo stesso prof. Parona ha preparato da tempo un’ampia illustrazione che sta per veder la luce. Anche litologicamente questi calcari corrispondono bene a taluni tipi del Maestrichtiano libico, segnalati dall’ ing. Zaccagna nel complesso superiore alle assise ad /noceramus regularis, ignote fin qui in Cirenaica. I calcari dell'uadi Bacùr nelle varietà meno compatte possiedono ben marcato il carattere organolettico tipico delle roccie fosfatifere, quello cioè di sviluppare odore di fosforo per semplice sfregamento. Come è noto, del Gattara, per l’abbondante fanghiglia trascinata in sospensione non solo arrossarono tutto lo specchio del porto, ma resero torbido il mare per parecchie centinaia di metri dalla costa. L’insenatura che costituisce la porzione naturale del porto di Bengasi non è quindi altro che la foce dell’uadi Gattara. (1) C. F. Parona, Per la geologia della Tripolitania. Atti R. Acc. d. Sc. di Torino, vol. L, Torino, 1914; D. Zaccagna. /tinerari geologici nella Tripolitania occidentale, con appendice paleontologica di P. Principi, G. Checcha-Rispoli. P. Vi- nassa de Regny e A. Fucini. Mem. deser. della Carta geologica d'Italia, vol. XVIII, Roma, 1919, — 124 — tale carattere è però senza rapporto col tenore in fosforo della roccia; ed: infatti alcuni campioni, essendo stati sottoposti ad analisi nel laboratorio. chimico dell'Ufficio Geologico dal dott. F. Ratto, non rivelarono che quan- tità minime di P,0;; non è tuttavia il caso di dimenticare che queste as- sise sono sinerone, isomesiche ed isotopiche con quelle che in Egitto si ri- conobbero ricche di fosfati, e non può quindi escludersi che ulteriori ricerche possano condurre a scoprirvi qualche zona fosfatifera. Risalendo l' uadi, i calcari sembrano impoverirsi di resti organici; del resto presto spariscono sotto un'abbondante coltre detritica coperta da una folta macchia, la quale nasconde gli strati rocciosi fino all'orlo dell’altipiano. Su questo si hanno dapprima dei calcari molto compatti, selciosi, a frat- tura concoide e non includenti che rare nummuliti; indi, a maggior distanza dal ciglione. altri calcari più teneri, con strati ricchi di nummuliti che ne- mostrano l'appartenenza all’ Eocene medio (em). Questi calcari nummulitici sembrano in concordanza con quelli a fossili maestriehtiani della base della scarpata, cosicchè non è improbabile che vi sia stata continuità di deposi- zione (!), nel qual caso gli strati intermedî occultati dalla macchia rap- presenterebbero essenzialmente l' Eocene inferiore. La conferma di tale rife- rimento non sarebbe priva d'interesse, poichè è appunto alla base dell’ Focene che sì trovano i ricchi giacimenti di fosfati della Tunisia e dell'Algeria. L'insieme dei calcari descritti forma un'ampia piega a ginocchio colla. cerniera in gran parte demolita, la fronte a nord e l’altra gamba, che ap- pena può dirsi in pendio, rivolta a sud; cosicchè nei calcari della pianura, che dai piedi della scarpata degrada dolcemente a mare, si ritrova la stessa serie che risalendo l’uadi. Ben presto però i banchi calcarei spariscono dap- prima sotto una vasta distesa di terra rossa (ga), probabilmente limo di an- tiche alluvioni; indi sotto le note arenarie a Cardium (qm), comuni lungo il littorale cirenaico e che, più o meno sviluppate, ritrovai verso sud fin oltre Zuetina nella Sirtica. Largamente utilizzate sin dall'antichità per trarne materiale da costruzione, queste arenarie furono anche qui scavate in nume- . rose ed ampie latomie per le costruzioni dell'antica Teuchira, il cui nome, corrotto in quello di Tocra, designa tuttora il tratto di costa occupata dalle sue pittoresche rovine ed il piccolo villaggio arabo che le fiancheggia. La formazione a Cardium sostiene infine piccoli lembi dell'arenaria ad Helix (a”), già segnalata in altre località del littorale, e sopra uno di essi sorge il castello di Tocra. (*) Il dott. Prever nella sua importante Nota sulle Nummuliti ed Orbitoidi dei dintorni di Derna (Boll. Soc. geol. it., vol. XXXIII, Roma 1914) a pag. 235 dice inci- dentalmente che in Cirenaica la Creta fa passaggio graduale all'’Eocene. Malgrado la forma recisa della frase ritengo che l’autore non abbia voluto fare un'affermazione ma sempli- cemente un'ipotesi, poichè in Cirenaica, per quanto mi consta, non erano stati fin qui se-- gnalati terreni cretacei. — 125 — Il ripiegamento che si osserva nei calcari incisi dall’ uadi Bacùr, come «quello indicato dal Gregory nell’uadi Scisaba, ha però soltanto valore lo- cale, poichè in corrispondenza degli uadi Bilbarabidis ad ovest ed Asra ad est, e fors'anche prima, gli strati non possiedono più che una lieve pendenza a mare e torna a dominare la struttura tabulare, generale in tutta la scarpata. Che questa, anzichè una balza di frattura, come opinava il Gregory, debba invece ritenersi col Marinelli (*) un'antica ripa di abrasione, parmi ormai abbastanza dimostrato; mi astengo perciò dall’esporre altre mie 08- servazioni al riguardo. Patologia vegetale. — Osservazioni sulla recettività del fru- mento per la carte. Nota del prof. 0. MUNERATI, presentata dal Socio R. PIROTTA. Una recente comunicazione di F. D. Heald(*) mi induce ad esumare alcune occasionali osservazioni, che varî anni addietro effettuavo a conferma e a complemento di vecchi rilievi sul tema di cui trattasi (*). Secondo Heald le probabilità della infezione per 7i//etîa (spp.) sono in dipendenza della carica di spore del fungillo sul tegumento dei granelli: vi sarebbe, cioè, con le inevitabili fluttuazioni, un graduale incremento nel percento di spiche cariate con l'incremento del numero di spore portate da ciascun granello; il percento delle spiche infette non aumenta però propor- zionalmente oltre un determinato carico. L'esame di un campione di fru- mento, eseguito allo scopo di stabilire il numero di spore di 7//etza ade- renti al tegumento dei granelli, potrebbe permettere di predire, con una -soddisfacente esattezza, la percentuale di piante affette da carie da cui ver- rebbe colpita la cultura se il seme non fosse previamente trattato (‘). (*) O. Marinelli, Sulla morfologia della Cirenaica. Rivista geogr. it., vol. XXVII, Firenze, 1920. i y (*) Heald F. D., The relation of spore load to the per cent of stinking smut ap- pearing in the crop. Phytopathology, X1 (1921), n. 7, pp. 269-278. Di detta comunicazione (al quarto Congresso dei fitopatologi americani) lo stesso periodico aveva già pubblicato un résumé nel fascicolo di febbraio (p. 108). (*) Munerati O., Za recettività del frumento per la carie in rapporto al tempo di semina. Questi Rendiconti, vol. XX (1911), fasc. 11, p. 835; vol. XXI (1912), fasc. 12, p. 875. (4) Occorre aggiungere che altri Autori avevano già precedentemente accennato, benchè in forma non così circostanziata, ad un certo rapporto tra grado di infezione delle spore e percento di spiche cariate alla raccolta. — 126 — Or ecco brevemente i miei pochi rilievi dopo il 1912. PROBABILITÀ DELL'INFEZIONE RISPETTO AT DECORSI DELLE TEMPERATURE AL MOMENTO DELLA GERMINAZIONE. — Dato che in pratica accade che le- semine precoci di autunno e quelle tardive di primavera portino a far regi- strare una percentuale normalmente assai meno elevata di spiche cariate di quello che non si verifichi, anche a parità di carica di spore sui granelli, con semine effettuate in condizioni opposte, è logico ammettere che i decorsi delle temperature all'atto della germinazione debbano avere la maggiore efficienza nel determinare l’infezione da parte del fungillo. Ma poichè, in effetti, le temperature minime o medie autunnali da un lato e primaverili dall'altro, non hanno decorsi rigidamente progressivi, e possono quindi vir- tualmente verificarsi, come in realtà si verificano, eccezioni anche nelle per- centuali delle infezioni (*), occorreva, per dirimere ogni dubbio derivante dagli incerti decorsi stagionali, istituire apposite prove ponendo a germinare- granelli uniformemente infettati, e a parità d’altre condizioni, a diverse tem- perature debitamente dominate e controllate. Il che feci servendomi di appo- siti cassoni collocati rispettivamente in serra e in camera fredda, e con successivi trapianti. I saggi di codesto genere sono di una semplicità elementare, e poichè è a chiunque estremamente facile di ripeterli per proprio conto, non citerò. in questa Nota che qualcuna delle cifre da me raccolte: Temperatura del letto di germinaz. 18°-20° 7°-8° °/o di spiche cariate Semina: autunn. 1914 (2 ottobre) Gentile rosso . . 3,3 98 ” primav. 1915 (28 febbraio) Marzuolo amer. 1,4 92 ’ autunn. 1915 (7 ottobre) Cologna veneta . 3,8 100 ” primav. 1917 (15 marzo) Gentile rosso. . 12,0 96 Volli anche accertare se l’assunto di Miller e Molz, secondo i quali con temperature bassissime (2-3 centigradi) non si verificherebbe infe- zione per Téllelia [le clamidospore del fungo richiederebbero per la germi- nazione una temperatura relativamente più elevata (5-6 centigradi) rispetto (1) Qualche sperimentatore, che si è trovato di fronte a resultati contradittorii, ha voluto dare alla conclusione — secondo la quale la percentuale di spiche affette da 7°7- letia è direttamente proporzionale al tempo di semina in autunno e inversamente pro- porzionale al tempo di semina in primavera — un significato strettamente letterale. Certc è appunto che non sempre l’andamento delle temperature procede in linea uniformemente decrescente o crescente rispettivamente d'autunno o in primavera, onde possono aversi in novembre periodi a temperature più elevate che in ottobre, ed in marzo è facile regi- strare temperature più basse che in febbraio. Da aggiungere che il grado di umidità del suolo, la profondità cui va a trovarsi il seme entro la terra ed altre circostanze subor-- dinate e accessorie possono avere, a loro volta, una certa portata. O al frumento (*)], ma con resultamenti incerti. Comunque, se è necessario convenire con Miller e Molz che il problema della infezione del frumento per Tilletia in rapporto ai decorsi delle più basse temperature merita di essere ancora meglio elucidato, resta sempre e in modo incontrastabile con- fermato che una rapida germinazione fa sfuggire la piccola pianta di grano al fungo qualunque sia la carica di spore aderenti al tegumento. PROBABILITÀ DELLA INFEZIONE RISPETTO ALLA LOCALIZZAZIONE DELLE SPORE DI TILLETIA SUL TEGUMENTO DEI GRANELLI. — A prescindere dal con- cetto ultimameute sollevato da Heald, va ricordato che, ai riguardi delle possibilità di infezione per 7i/letia. si è sempre attribuito. come si attri- buisce. una particolare portata ed importanza al fatto per il quale durante la trebbiatura le spore del fungo vanno soprattutto ad annidarsi nel ciuffetto di peli di uno dei due estremi della cariosside. Orbene: quale influenza spe- cifica sul meccanismo dell'attacco della carie esercitano le clamidospore vi localizzate? Dato e concesso che altre spore di 77//etia non fossero ripar- tite lungo il tegumento. e particolarmente più verso la zona embrionale, la piantina sfuggirebbe o meno alla infezione? Alcune prove iniziate sino dal 1911 comprovavano la ragionevolezza del supposto: e i risultati furono egualmente e sempre concordanti in tutti i saggi effettuati posteriormente. Il metodo seguito per la preparazione del materiale non offre la mi- nima difficoltà. Si sterilizza innanzitutto il tegumento con acqua calda (so- lita procedura) e quando i granelli sono bene essiccati vi si fanno aderire carichi di spore in punti distinti del tegumento mediante un pennellino intriso di spore incorporate a soluzione concentrata di gomma arabica o de- strina. I granelli devono essere manipolati con pinzette e quindi posti, a una certa distanza tra loro, ad essiccare (sì presta assai bene, con ìî suoi solchi, la così detta carta ondulata o cannettée). Quando si collocano poi i semi in piena terra oppure in vasi o in grandi germinatoi, occorre dare in precedenza al substrato la voluta umidità, ed ulteriormente, se necessario, fornire acqua o con metodo capillare o con nebulizzatrici. Nelle nostre esperienze infettavamo rispettivamente la zona embrionale o la zona apicale. oppure zone intermedie del lato ventrale o dorsale; nel letto di germinazione, i semi erano quindi posti rispettivamente o con la zona embrionale in su oppure all’ingiù, oppure orizzontalmente. Provammo anche a contaminare la zona ‘apicale in granelli rotondeggianti oppure in gra- nelli allungati (tipo Cologna veneta), ecc. Per brevità, e per lo scopo precipuo che si propone questa piccola Nota, ci limiteremo ad esporre i rilievi compiuti con il materiale rispondente a (1) Miiller H. C. und Molz E., Ueder den Steinbrand des Weszens. Finfluss der Saatzeit auf den Steinbrandbefall beim Winter-und Sommerweizen. Fiuùhling*s Landw. Zeitung, LXITI (1914), Heft 6, p. 204). — 128 — condizioni antagonistiche, e cioè con contaminazione della zona embrionale (collocamento zona embrionale in basso od in alto) e con contaminazione della zona apicale (collocamento zona embrionale in basso od in alto); ri- speitivamente in ambiente a temperatura di 18-20 oppure a 7-8 centigradi. Fino dalle prove preliminari del 1911-12 resultava che in letto di ger- minazione a temperatura di 20 centigradi circa le piante sfuggono in grandis- sima parte all’attacco del fungillo anche se la carica di spore sia localizzata alla zona embrionale, mentre, viceversa, se la carica è circoscritta alla zona apicale le piantine rimangono in grandissima parte immuni anche se la ger- minazione ha luogo nelle condizioni più propizie di recettività per la 77/- letia. Rilievi su più abbondante materiale furono compiuti nel 1914 e nel 1916. Nel prospetto qui sotto riportiamo le principali cifre registrate nel 1916 (semina 13 marzo, varietà gentile rosso) osservando che si tratta di percentuali derivate da conteggi di parecchie centinaia di piante. 1) Germinazione a temperatura di 18-20 centigradi. A) Contaminazione zona embrionale o]s di ‘epiche casiatà a) Zona embrionale @iaesuo 00, e 3 B) Contaminazione zona apicale 0) “Zona apicale infssb et Sea 0,2 bd) n ” IDNOIUOE. e. on ROLO ONE 0,7 II) Germinazione a temperatura di 7-8 centigradi. A) Contaminazione zona embrionale a)-Zona embrionale nosu ii 82 db) a ” A, PT E IO 92 B) Contaminazione zona apicale a)::Zona! apicale ID 9 b) E) L) in giù DRARPSEMMPETTOÀ RA Se NR A 2 Codeste percentuali non vanno naturalmente prese in senso assoluto (in qualche altro caso si è registrata una più alta percentuale di piante infette con zona embrionale in su, in altri casi tutte le piante uscirono immuni anche se da semi fortemente contaminati in corrispondenza alla zona embrio- nale, ecc.), ma il loro significato non poteva lasciare la più tenue ombra di incertezza: così, dopo il 1916 sospendemmo qualunque altro saggio. CONCLUSIONI. 1°) In linea principale rimane ancora una volta confermato: a) che la presenza di spore di 7i/letta (spp.), anche în fortissima carica, sul tegumento del granello, non è condizione sufficiente a determi- nare in ogni caso l'attacco delle piante da parte del fungillo. La possibilità = iniag dell'infezione non è, in altri termini, in dipendenza della entità della carica di spore aderenti al tegumento, ma dallo svolgimento e dalla durata del processo germinativo; 5) che quanto più rapidamente avviene la germinazione del seme, tanto più la pianta è in grado di sfuggire all'attacco del parassita, e vi- ceversa; c) che nella grande pratica, se un trattamento (concia) al seme è sempre consigliabile, a maggior ragione si impone allorchè si effettuano se- mine tardive d'autunno o precoci in primavera. ‘ 2°) In linea subordinata si osserva: a) che la probabilità teorica della infezione più che dal numero glo- : bale od assoluto di spore aderenti al tegumento dipende dalla localizzazione od ubicazione delle spore sul tegumento stesso. Quanto più la carica di spore si trova lontana dalla zona embrionale, tanto più la piantina può sfug- gire alla infezione, e viceversa. Che se in atto accade che le possibilità della infezione risultano in un certo senso in diretta correlazione con la entità della carica di spore sulla superficie dei granelli, la circostanza va attribuita al fatto per cui quanto più grande è il numero di spore sul te- gumento, tanto più è probabile che una determinata percentuale delle me- desime sia localizzata (o vada, nel letto di germinazione, a localizzarsi) in prossimità della zona embrionale; 5) che la « spazzola » di peli trovantisi alla estremità più appuntita dei granelli funge, essenzialmente, da organo di arresto o di immagazzina- mento di spore, le quali, attraverso il soffrecamento con gli altri granelli o mercè altra azione meccanica. vengono trasportate in prossimità della zona donde spunta o lungo cui può strisciare la piumetta nella sua evoluzione. Che se una carica, anche fortissima, di spore di 7z//etia, fosse, e rimanesse, in supposto, esclusivamente circoscritta alla zona opposta a quella embrio- nale, la pianta sfuggirebbe o quasi ad ogni possibilità di auto-infezione; c) che se si tratta di accertare la resistenza, all'attacco del fungo, di determinate varietà o razze o individui, oppure di verificare il grado di azione di un determinato metodo di concia, è opportuno effettuare i saggi sotto condizioni controllate; eseguendo prove in pieno campo, seminare uno stesso materiale in momenti distinti e successivi lungo un determinato periodo pre- sunto critico, onde acquisire la certezza che almeno in una serie il mate- riale vada a trovarsi nelle condizioni estreme dì massima recettività per il parassita, ed avere, in più, la precauzione che una più forte carica di spore sì trovi localizzata in corrispondenza alla zona embrionale. RenDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. 17 — 130 — Fisiologia. — Osservazioni preliminari sutla radiosensibilità di alcuni stadi della spermatogenesi oligopirenica di Paludina vivi- para ('). Nota del dott. CesARE ARTOM, presentata dal Socio B. GRASSI. Tra le varie ipotesi per spiegare l’azione disintegratrice che i raggi Ròntgen e i raggi delle sostanze radioattive esercitano sulla sostanza vi- vente, deve essere anzitutto ricordata l'ipotesi di Schwarz, secondo la quale la causale diretta delle necrosi che si osservano sia nelle ‘cellule dei varî tessuti, sia nelle uova in segmentazione esposte ai raggi, sarebbe da attri- buirsi ai prodotti tossici (principalmenie colina) derivanti dalla disintegra- zione delle lecitine. Viceversa gli Hertwig (?), con ricerche divenute ormai classiche, sull’influenza che l’irradiamento di uova e spermi di Echinodermi, Pesci e Anfibi ha sul consecutivo sviluppo, attribuirebbero principalmente alla disintegrazione delle sostanze nucleari l’azione tossica che viene esercitata sulla sostanza vivente. Le conclusioni degli Hertwig trovano piena conferma nelle recenti espe- rienze di Alverdes (?) sul comportamento, che la sostanza nucleare maschile ha durante la segmentazione dell’uovo di Cyclops, quando lo spermatozoo sia stato, prima della fecondazione, convenientemente irradiato. Così pure le osservazioni di Mohr sulla spermatogenesi di un Ortottero (Decticus verruci- vorus) dimostrano, non solo che le sostanze del nucleo sono specificatamente radiosensibili, ma lo sono essenzialmente durante gli stadî di spermatocito in accrescimento, quando cioè evidentemente i processi di sintesi nucleinica devono essere assai più intensi e più celeri, che non nelle cellule ordinarie che si preparano alla mitosi. Date queste sommarie premesse, sì comprende senz'altro il particolare interesse che devono avere le osservazioni sull’ influenza esercitata dai raggi sulla spermatogenesi dei molluschi prosobranchi, in cui, generalmente, come è noto, esistono nello stesso testicolo due serie di cellule spermatogenetiche, ciascuna con caratteristiche proprie, sia al riguardo della sostanza croma- tica, sia al riguardo, delle inclusioni citoplasmatiche. (4) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia e Fisiologia Comparata della R. Uni- versità di Roma. (2) Per la bibliografia completa sull'argomento sino al 1920, si consulti la rivista sintetica del prof. G. Hertwig: Das Radiumexperiment in der Biologie, in Strahlenthe- rapie, Bd. XI Heft, 2 settembre 1920. (3) Fr. Alverdes, Das Verhalten der mit Radium behandelten Spermatozoen von Cyclops nach der Befruchtung, in Archiv. fir Entwick. mechanik, 47 Band, 1921. — 131 — La Paludina vivipara è poi tra i molluschi prosobranchi uno dei ma- teriali più adatti per tale genere di ricerche, data la conoscenza profonda che oramai si ha, su qualsiasi stadio delle due spermatogenesi (1). Ho quindi usufruito di detto materiale per sperimentare l’azione che hanno i raggi Rontgen e quelli di varie sostanze radioattive (Radio, meso- torio) sulle diverse tappe delle due spermatogenesi. Riferisco però qui som- mariamente solo i risultati ottenuti, nello scorso estate, irradiando il testicolo ‘con raggi Roòntgen, prodotti da ampolle S. H. S. Miller su Symmetrie-A pparat R.G.&.S., 2 M.A; scintilla equival. 36 cm., sotto filtro di zinco 0,5 mm. in cui la dose dei raggi erogata corrispondeva all'incirca a > della dose di eritema (?). Dopo 15 giorni dall’irradiazione, gli spermi sia eupirenici sia oligopi- renici erano vitali e dotati di una normale motilità. Le sezioni fatte sul testicolo, opportunamente fissato e colorato, rivelano invece immediatamente che i nuclei degli spermatociti ipertrofici appartenenti alla spermatogenesi ‘oligopirenica, sono in caratteristica degenerazione picnotica. Per contro gli elementi della spermatogenesi normale (sia in mitosi sia in istadio di sper- matocito in accrescimento) sono apparentemente normali. Alcune Paludine irradiate sempre colla stessa dose di raggi, sono state poi lasciate in riposo per circa tre mesì e quindi sacrificate. Orbene durante tale periodo il testicolo era tornato in condizione perfettamente normale, senza cioè alcuna traccia di elementi in caratteristica degenerazione picnotica. Posso quindi già sin d'ora conckiudere che esiste anzitutto una radio- sensibilità forse specifica al riguardo di elementi in cui, dato lo stato di ipertrofia che raggiungono, dobbiamo evidentemente ammettere un metabo- lismo molto più intenso che non negli elementi normali. In secondo luogo possiamo conchiudere che la dose di raggi erogata è. se non specificatamente, certo maggiormente tossica per un determinato stadio della spermatogenesi oligopirenica (spermatocito in accrescimento); e che le cellule germinative primordiali della serie oligopirenica con tutta probabilità non devono essere lese dalla suddetta dose di raggi. Il testi- colo cioè dopo un certo periodo di riposo susseguente all’irradiazione, tor- nerebbe normale, anzitutto perchè le cellule germinative primordiali non essendo state lese, evolvono regolarmente ; in secondo luogo perchè gli sper- matociti caduti in degenerazione picnotica nei giorni immediatamente sus- seguenti all’'irradiazione, vengono gradatamente riassorbiti. (1) Per la bibliografia si consulti: C. Artom, /l comportamento délla sostanza cro- matica ecc. di Paludina vivipara in Ricerche di Morfologia, vol. I, Ruma, 1920. (*) Debbo vivi ringraziamenti al Direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica di Roma, prof. E. Pestalozza, per l'ospitalità concessami nel suo istituto. Debbo poi viva riconoscenza ai proff. Valerio Artom di St. Agnese e M. Bolaffio, per l'assistenza e i consigli datimi nel corso delle esperienze. — 182 — Biologia. — Za struttura del fegato di Petromyzon pla- neri in relazione al ciclo biologico di questa forma('). Nota. del dott. GruLio COTRONEI, presentata dal Socio B. Grassi. La trasformazione dell’Ammocoetes in Petromyzon planeri, scoperta da Augusto Muller, è stata da qualche autore paragonata alla metamorfosi degli Anfibi Anuri. Lo studio dell'apparato digerente mostra tuttavia che le tra- sformazioni che si riscontrano nel Petromyzon sono molto dissimili da quelle- degli Anfibi Anuri. Alcuni anni or sono (1915), il Tagliani (*) ha dimostrato che le modificazioni che si hanno nell'intestino del Pefromyzon planeri sì ridu- cono a fenomeni di atrofia non accompagnati da istolisi. Secondo alcuni autori la trasformazione dell’Ammocete in Petromyzon avverrebbe in pochi giorni (Bujor), secondo altri (Loman) avverrebbe in pochi mesi. La questione si è resa ancora più complicata quando si è visto che un trattamento tiroideo, che provoca la celere metamorfosi negli Anfibi. si mostra inefficace negli Ammoceti, e quando si considera la discrepanza di risultati circa il ciclo biologico delle varie specie di Petromizonti. Le presenti osservazioni (che saranno seguite da un lavoro più ampio. corredato da figure) pur rivolgendosi a contribuire alla migliore conoscenza. della struttura del fegato del Petromyzon planeri, mirano essenzialmente a utilizzare i risultati dell'indagine morfologica per lo studio del ciclo biolo- gico dei Petromizonti. Molti autori hanno osservato che nella trasformazione che la larva (Am- mocoetes) subisce per raggiungere la forma adulta, il fegato soggiace a pro- fondi cambiamenti, sì che va perduta la canalizzazione biliare, si oblitera: e si atrofizza il coledoco, non sì ritrova la vescicola biliare. Holm (*) nel 1897 descrisse una profonda trasformazione nella vasco- larizzazione sanguigna del fegato, che si presenta più sviluppata nella forma adulta che in quella larvale: « Bei Petromyzon ist das Gefàssystem (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia e fisiologia comparata della R. Uni-- versità di Roma. (2) Tagliani G., Sulla riduzione dell'intestino durante l'evoluzione di Ammocoetes branchialis in Petromyzon planer Bloch. Boll. Soc. Eustachiano di Camerino, anno XIU, 1915. (3) Holm T. F., Veber den feinern Bau der Leber bei den niedern Wirbelthieren. Zool. Jahr. Abt. f. Anat. u. Ont. Bd. 10, 1897. 2 1396= ‘noch mehr als beim letztbeschriebenen Ammocoetes-Stadium entwickelt, die Blutcapillaren sind sehr gross, die Driùsenschliuche aber zusammengedringt ». Secondo Holm le travate epatiche sono in connessione con i capillari san- guigni poichè le cellule epatiche sono separate dal sangue soltanto dalla sottile membrana del capillare: « von der Blutmasse nur durch die jetzt sehr «diinne Capillargefissmembran geschieden ». In conclusione Holm ha sup- posto che si verifichi un cambiamento di funzione; il fegato nella forma adulta diventerebbe una glandula a secrezione interna. Il Tagliani ha osservato a tal proposito che un radicale mutamento funzionale nel senso di una vera e propria sostituzione di funzione non esiste ; funzione esocrina (biliare) e funzione endocrina coesistono nel fegato di Am- mocoetes; nel fegato del Petromyzon cessata la funzione biliare si esalte- rebbe la funzione endocrina. Le mie ricerche sull'argomento mi hanno condotto a ritenere la strut- ‘tura che presenta il fegato della forma adulta (nella specie studiata) come espressione del lungo digiuno: invero non esiste una più intensa circolazione sanguigna e pertanto non solo non si può parlare di una sostituzione di fun- zione nel senso di Holm, ma bisogna invece ritenere che la funzione en- docrina si è molto affievolita in rapporto al diminuito metabolismo gene- rale, conseguenza del digiuno. Nel fegato della larva si osserva, infatti, che i capillari sanguigni sono a stretto contatto con i tubuli epatici, le cellule epatiche essendo soltanto separati dai capillari da una sottile rete connettivale (') che ho potuto mettere in evidenza col metodo del Mallory: i cavillari sono pieni di glo- buli sanguigni. Dall'esame del fegato di Petromyzon (forma adulta) io ne deduco che la perdita della canalizzazione biliare è conseguenza della man- cata attività secretrice. A sua volta l’'atrofia del parenchima epatico con- tribuisce a far perdere il lume dei canalicoli biliari. In questi processi le travate epatiche (?) si distaccano in gran parte dalla rete connettivale e quindi si allontanano dai capillari sanguigni, i quali rimangono a con- tatto con le travate epatiche soltanto in punti limitati. Tra i capillari san- guigni e le travate epatiche si vengono così a formare degli spazi, di cui ‘non esiste nessun cenno nel fegato attivamente funzionante della larva. Questi fatti stabiliscono una condizione sfavorevole alla secrezione in- terna del fegato, in quanto ostacolano gli scambi diretti tra il sangue e le cellule epatiche. (1) Le fibrille che formano la sottile rete connettivale si mostrano in stretti rap- porti con le cellule dell’endotelio vasale: è probabile che esse siano di origine endote- liale (Mall, ecc.). (2) Non è superfluo avvertire che con l’usare l’espressione «travata epatica » non intendo significare una rassomiglianza strutturale con il fegato di forme superiori. — 134 — Riguardo ai capillari osservo che essi nel fegato del Petromyzon pos- sono presentarsi qui e lì dilatati, ma questo fatto va spiegato come una dilatazione passiva dovuta all'atrofia del parenchima epatico, laddove rimane l'aderenza tra cellule e vasi, ed è un reperto ben noto negli studi sul di- giuno (Rondoni e Montagnani, 1915). Inoltre, mentre in alcuni punti i ca- pillari si presentano pieni di sangue, in altri si mostrano quasi vuoti. Che poi nel caso in esame si tratti di un /u90 digiuno si deduce dalla condizione presentata dall’intestino: l'enorme sua riduzione, sopra tutto nelle cellule epiteliali (che come ben nota il Tagliani rappresenta un fatto di atrofia) non può essere prodotto che da un digiuno di parecchi mesi. Una . breve inattività funzionale non potrebbe condurre a quegli effetti morfologici, contrastando a tale concezione tutti i risultati sperimentali. Infine va osservato che il lungo digiuno, di cui intendo vedere una; sanzione morfologica nella condizione degli organi studiati, si accompagna, nella forma in esame, alla maturazione degli organi sessuali, e pertanto la. biologia del Petromyzon si avvicinerebbe a quella del Salmone e molto pro- babilmente alla condizione presentata dall'Anguilla argentina. Non può quindi recar meraviglia che il trattamento tiroideo non produce nell'Ammocoetes lo stesso effetto che negli Anfibi Anuri, in quanto la metamorfosi nelle due- forme rappresenta momenti biologici completamente differenti. Inoltre, sempre tenuto conto della struttura del fegato, mi pare assai azzardato pensare che il Pelronyson possa, in appoggio alla dottrina di Putter, nutrirsi attraverso. la pelle con le sostanze disciolte nell'acqua; se tale forma di nutrizione, di cui manca ogni prova obbiettiva esiste, essa ha nel caso in esame una importanza del tutto trascurabile. PERSONALE ACCADEMICO Il PrEsIDENTE comunica con vivo dolore la morte dell'illustre Socio. straniero CamiLLo JorDAN, che dell’Accademia faceva parte sino dal 1895. Del defunto Socio il Presidente pronuncia un'affettuosa commemorazione, ricordandone i numerosi ed importanti lavori che ne hanno fatto uno dei più insigni matematici dell’epoca nostra. Il Presidente s'intrattiene più specialmente sui lavori del Jordan re- lativi alla teoria delle sostituzioni ed a quelli sui fondamenti del calcolo. e della teoria delle funzioni. Fra i primi parla più specialmente del ma- gistrale Trailé de substitutions, mettendo in luce i suoi rapporti con i con- cetti fondamentali del Galois e ricordando a questo proposito il Betti che: il Jordan cita come quegli che tolse notevoli lacune lasciate dal. Galois. Rileva l'importante contributo originale apportato dal Jordan alla teoria dei. — 135 — gruppi e fra gli altri ricorda il suo mirabile teorema sui fattori di compo- izione. Riguardo al secondo insieme di lavori il Presidente cita il Cours sd'Analyse del Jordan e fa menzione dei concetti, da lui introdotti nella scienza. di funzione a variazione limitata e di curva di Jordan. Osserva che tutta un'importante scuola moderna di matematici francesi è sorta per l’im- pulso dato dal Jordan come scenziato e maestro, ed a quesfo proposito mo- stra la concorde azione svolta dal Jordan in Francia e dal Dini in Italia nello sviluppo della matematica. Esalta le qualità morali del defunto Socio che fu duramente colpito negli atfetti più cari durante la guerra, ma con- servò la serenità di spirito in mezzo ai più grandi dolori ed ai lutti fami- gliari, raggiungendo la tarda età di 84 anni con mente sempre fresca ed alacre. Il Socio PaTtERNÒ nella sua qualità di Presidente della Società dei XL, si associa alla proposta d'invio di vive condoglianze alla famiglia del pro- fessore Jordan. Il Presidente VoLTERRA dà comunicazione di un altro lutto da cui è stata colpita l'Accademia, colla morte del Socio straniero prof. OsvaLpo SCHMIEDEBERG morto il 12 lugiio 1921; questi insegnò Farmacologia prima a Dorpat e poi a Strasburgo, e fu un grande Maestro per importanti lavori e peri numerosi allievi che accolse intorno a sè. PRESENTAZIONE di LIBRI Il Segretario CisteLNUOvO presenta le pubblicazioni giunte in dono, fra le quali segnala il volume Zrdocriaologia: lezioni tenute ai RR. Isti- tuti clinici di perfezionamento in Milano dai professori Livini, Ron- DONI, PEPERE, PENDE e CoronEDI:; e il vol. VI delle opere di LEONARDO EuLERO pubblicate sotto gli auspici della Società Elvetica di scienze natu- rali. Fa poi particolare menzione del vol. XIX delle Bziologische Unter- suchuagen del Socio straniero prof. Gustavo ReTZIUS, pubblicato e offerto in dono all'Accademia dalla vedova dell'autore sig.ra ANNA HIERTIA-RETZIUS. Il PRESIDENTE fa omaggio a nome dell'autore, il Socio straniero A. La- crorx, del 1° volume dell'opera: Minéralogie de Madagascar; e il Segre- tario MiLLosevicH dà notizia di quanto nel volume è contenuto, rilevandone l'importanza. Il PRESIDENTE presenta anche il 1° volume dell’opera del prof. LEONIDA ToneLLI: Fondamenti di calcolo delle variazioni di cui discorre; e offre il « Resoconto » delle sedute della 6 Conferenza generale dei pesi e misure, riu- nitasi a Parigi nello scorso anno, facendo osservare come nella predetta con- ferenza sia emerso che il numero delle Nazioni aderenti alla Convenzione è in continuo aumento. — 136 — CONCORSI A PREMI Il Segretario CASTELNUOVO dà comunicazione dei seguenti elenchi dei lavori presentati ai concorsi ai premî Reali e Ministeriali, banditi dall’Ac- cademia e scaduti col 31 dicembre 1921. ELENCO LEl CONCORRENTI al premio Reale per la « Morfologiu normale e patologica ». (Scadenza 31 dicembre 1921. — Premio L. 10.000). 1. BerroLorTI MARIO. 1) « Lezioni di radiologia medica (1915-16). Sulla morfologia dello scheletro assiale dell’uomo. La Riforma Medica, n.1-6,1916)»(st.). — 2) « Contributo alla conoscenza dei vizi di differenziazione regionale del rachide con speciale riguardo all’as- similazione sacrale della Vlombare. La Radiologia Medica, N. 5,1917) » (st.). — 3) « Le ano- malie congenite del rachide cervicale. Morfologia e anatomia radiografica ». (st.). 2. Busi ArIstIDE. 1) « Saggio di uno studio di anatomia nomale descrittiva e radiogra- fica della sella turcica e dei suoi annessi » (st.). — 2) « Presentazione di radiogrammi tipici della calcolosi renale ed uretrale » (st.). — 3) « Ombre radiografiche certe (tipiche) ed incerte della calcolosi uretrale » (st. — 4) « Sulla visibilità dell’appendice cecale ai raggi X » (st.). — 5) « La ròntgenologia del processo vermiforme del cieco » (st.). — 6) « Ancora sulla ròntge- nologia dell’appendice cecale » (st.). — 7) Studio radiologico di un caso di fistola cistico-duo- denale » (st.). — 8) « Reperti radiologici in due casi di fistola cistico-duodenale » (st.). — 9. « La rappresentazione radiografica della valvola ileo-colica » (st.). — 10) « Morfologia radio- grafica normale del versante pilorico del duodeno » (Autoriassunto) con tav. (st.). 3. FERRARI PocoLERI FRANcESco. « Il sangue (umano, normale) nella nuova cono- scenza » (st.). ì 4. IaJA Frorenzo. « Fisiopatologia cellulare ed ibridismo » (ms.). 5. PreranTonI UMBERTO. 1) « L'origine di alcuni organi d’Iceya purchasi e la simbiosi ereditaria » (st.). — 2) « Origine e struttura del corpo ovale del Dactylopius citri e del corpo verde dell’ Aphis brassicae » (st.). — 3) « Ulteriori osservazioni sulla simbiosi ereditaria degli omotteri » (st.). — 4) « Studi sullo sviluppo d’Zceerya purchasi Mask 1-3 » (st.). — 5) « La simbiosi ereditaria » (st ). — « Sul corpo ovale del Dactylopius » (st.). — 7) « Struttura ed evoluzione dell’organo simbolico di Pseudococcus citri Risso, e cielo biologico del Cocci- domyces dactylopii Buchner » (st.) — 8) « Sulla luminosità e gli organi luminosi di Lam- pyris noctiluca L » (st.). — 9) « Nuove osservazioni sulla luminosità degli animali ». (st.). — 10) « Organi luminosi, organi simbiotici e glandola nidamentale accessoria nei Cefalopodi » (st... — 11) « Gli organi simbiotici e la luminescenza batterica dei Cefalopodi » (st.). — 12) « A proposito delle teorie sulla luminescenza batterica e sulle simbiosi fisiologiche » (st.). — 18) « I microrganismi fisiologici e la luminescenza degli animali » (st.). — 14) « Le simbiosi fisiologiche e le attività dei plasmi cellulari » (st.). — 15) « Sul significato fisiologico della simbiosi ereditaria » (st... — 16) « Per una più esatta conoscenza degli organi fotogeni dei cefalopodi abissali » (st.). — 17) « Note di morfologia e sviluppo sui fotofori degli Eufausia- cei » (st.). — 18) « Gli organi luminosi simbiotici ed il loro ciclo ereditario in Pyrosoma gi- ganteum » (st.). — 19) « Organi luminosi batterici nei pesci » (st.). — 20) « La simbiosi fisio- logica ereditaria » (ms.). 6. Levi GrusEPPE. 1) « Sulla presunta partecipazione dei condriosomi alla differenzia- zione cellulare » (st.). — 2) « Appunti alla pubblicazione di Donaggio. Nuovi dati sulle pro- ore paggini nervose del citoplasma e sulle fibre collagene dei gangli spinali» (st... — 3) «I con- driosomi dei gonociti » (st.). — 4) « I condriosomi nell’oocite degli anfibi » (st.). — 5) Come possono essere eliminati gli inconvenienti delle fissazioni osmiche» (st.). — 6) « I condrio- somi nelle cellule secernenti » (st.). — 7) « Note citologiche sulle cellule somatiche dell'ovaio dei mammiferi » (st.). — 8) « Il comportamento dei condriosomi durante i più precoci pe- riodi dello sviluppo dei mammiferi » (st.). — 9) « Ulteriori studi sullo sviluppo delle cellule visive negli anfibi » (st.). — 10) « Das Verhalten der Chondriosomen bei den friihe sten Ent- wickluns staflien der Siiugetiere » (st.). — 11) « Le modalità della fissazione dell’uovo dei Chi- rotteri alla parete uterina » (st.). — 12) « Studi sulla grandezza delle cellule. III. Le modi- ficazioni della grandezza cellulare e nucleare e dell’indice plasmatico-nucleare durante i più precoci periodi dell’ontogenesi dei mammiferi » (st.). — 13) « Studi sulla grandezza delle cellule. IT. Le variazioni dell’indice plasmatico nucleare durante l’intercinesi » (In Collab. con TERNI) » (st.). — 14) « Sui rapporti fra differenziazione morfologica e funzionale nei muscoli delle larve di anfibi » (In collab. con GALFOTTI) (st.). — 15) « L’accrescimento degli organismi» (st.). — 16) « La costituzione del protoplasma studiata su cellule viventi coltivate im vitro » (st.). — 17) « La costituzione del protoplasma nelle cellule viventi » (st.). — 18) « Sull’origine delle reti nervose nelle colture di tessuti » (st.). — 19) « I fattori che determinano il volume degli elementi nervosi » (st.). — 20) « Dimostrazione della natura condriosomica degli orga- nuli cellulari colorabili col bleu pirrolo in cellule coltivate in vetro » — 21) « Differenziazione in vitro di fibre da cellule mesenchimali e loro accrescimento per movimento ameboide » st.). — 22) « Il ritmo e le modalità della mitosi nelle cellule viventi coltivate in vitro (st.).— 23) « Migrazione di elementi specifici differenziati in colture di miocardio e di muscoli sche- letrici » (st.). — 24) « Connessioni e struttura degli elementi nervosi sviluppati fuori dell’or- ganismo » (st.), — 25) « Nuovi studi sull’accrescimento delle cellule nervose. Ricerche in Orthagoriscus mola » (st.). — 26) « Considerazioni sulla costituzione fisica del citoplasma de- sunte da nuovi dati morfologici, sulle cellule coltivate 2 vitro ». — 27) « L’individualità delle cellule persiste in potenza dei sincizi » (st.). — 28) « Nuovi studi sull’acerescimento delle cellule nervose. Ricerche in Orthagoriscus Mola » (st.). — 29) « La vita degli elementi isolati dall’organismo » (st.). — 30) « L'azione dell’jodio e dell’ adrenalina studiata su cellule viventi fuori dell’organismo » (In collab. con V. CERVELLO) — 31) « Nuovi studii su cellule coltivate in vitro. Attività biologiche, intima struttura, caratteri morfologici specifici » (st.). — 32) « L’accrescimento organico »(st.). —33) « Forma e funzione » (st.). —34)« Il fondamento morfologico dell’accrescimento » (st.). — 35) « Fecondazione, ovulazione e mestruazione » «st.). — 36) « Notizie sulla sezione embriologica della fondazione Carnegie di Baltimora » (st.). — 37) « Sulla persistenza dei caratteri specifici nelle cellule coltivate în vitro (st.). — 38) « L’accrescimento dei somiti mesodermici e di altre individualità morfologiche » (st.). — 39) « L’origine dell’Amnio nei Chirotteri » (st.). — 40) « Perla miglior conoscenza del fonda- mento anatomico e dei fattori morfogenetici della grandezza del soma. L’accrescimento dei somiti mesodermici e di altreindividualità morfologiche » (st.). — 41) « Il fondamento anato- mico ed i fattori morfogenetici della grandezza del soma negli animali » (ms.). 7.SeRrA GioAccHINO. 1) « Nota sull’occhio mongolico » (st.). — 2) « Di alcuni caratteri importanti sinora non rilevati nel cranio di Gibroltar » (st.). — 3) « Nuove osservazioni ed istruzioni sul cranio di Gibraltar » (st.). — 4) « Un nuovo orbitostato » (st.). — 5) « Sul piano orizzontale del cranio » (st.). — 6) « L’attuale controversia su poligenismo e monogenismo in Italia » (st.). — 7) Australoidismo e neandertaloidismo » (st.). — 8) « Sul significato della platocefalia con speciale considerazione della razza di Neonderthal » (st.). — 9) « Sull’uomo fossile sud-americano » (st.). — 10) « A proposito di due recensioni del Sig. P. Bartels » — 11) « Per alcune ricerche sulle base del cranio » (st.). — 12) « La posizione fra le scienze e il valore dell’antropologia » (st.). — 13) « L'altezza del cranio in America » (st.). — 14) « Re- sidui di popolazioni mongoloidi nelle Isole di California » (st.). — 15) « Indirizzo morfologico. — 138 — e indirizzo morfometrico » (st.). — 16) « I caratteri antropometrici degli Aymarà e il mongo- lismo primordiale dell’ America » (st.). — 17) « Brevi note sopra un femore umano fossile del- l'America meridionale » (st.). — 18) « Alcune osservazioni sulle parabole di altezza del Giar- dina » st.). — 19) « L’altezza soprauricolare, la sua tecnica e la valutazione dei due indici ad essa relativi » (st.). — 20) « Un foglio di proiezione per rapporti morfometrici in corpi tridi- mensionali e in particolare per la altezza del cranio » (st.). — 21) « La pieghettatura dello smalto nei denti di antropomorfi » (st.). — 22) « La testimonianza dei fossili di antropomorfi per la questione dell’origine dell’uomo » (st.). — 23) « Un preteso Hominide miocenico : Stiropitheus insticus » (st.). — 24) « È la forma dell’orecchio umano antica o recente ? » (st.). — 25) « La genesi delle categorie dentarie nei Primati » (st.). — 26) « I caratteri di forma dei molari delle scimmie e la divisione di queste in due gruppi fondamentali » (st.). — 27) Le rela- zioni reciproche dei diversi gruppi sistematici dei Primati in base ai caratteri dentarii » (st.). — 28) « I caratteri della faccia e il polifilatismo dei Primati » (st.). — 29) «Sui rapporti della con- formazione della base del cranio colle forme craniensi e colle strutture della faccia nelle razze umane. Saggio di una nuova dottrina craniologica con particolare riguardo dei principali cranii fossili » (st.). — 30) « La génèse de l’articulation secondaire (segnamos-dentalis) de la mandibule et la origine des mammifères » (st.). — 31) « L’omologia dei centri di origine del molare dei Primati sulle ossa portaorbitali degli Stegocefali » (st.). — 32) « Morfologia umana e antropologia » (st.). —33) « Qu’est-ce que l’Antrhopologie ? » (st.). — 34) « La distribuzione geografica in brachipleticefali edi relitti della panna glaciale in Europa » (st.). — 35) « I mo- vimenti etnici nel Caucaso » (st.). — 36) « Sul significato. polifiletico delle differenze strut- turali nell’arto inferiore di Anthropoidea (mihi) » (st.). — 37) « La successione spaziale e ero- nologica dei tipi etnici nell'Europa settentrionale ed orientale ». (st.). — 38) « Risposta al prof. V. Giuffrida-Ruggeri » (st.). — 39) « La funzione di rotazione della fibula dell’ornito- rinco ed il duplice adattamento acquatico e fossorio dei mammiferi primitivi (ms.). 8. VersaRI Riccarpo. 1) « La morfogenesi dei rami collaterali e terminali delle arterie ciliari posteriori lunghe ed il comportamento, non ancora descritto, dei vasi san- guifer! reflui dalla membrana pupillare nell’occhio embrionale umano » (st.). — 2) « Le fasi di sviluppo e di regresso della tunica vaseulosa lentis e la morfogenesi dei vasi sanguiferi nei processi ciliari e nell’iride dell'occhio dell’uomo. Con tav. (ms.). ELENCO DEI CONCORRENTI AI PREMI del Ministero della P. Istruzione per le « Scienze matematiche » . (Scadenza 31 dicembre 1921. — Due premi di L. 2000 ciascuno). 1. APRILE GIORGI. 1) « Di una trasformazione doppia nello spazio a quattro dimen- sioni » (st.). — 2) « Su alcune ipersuperficie razionali dell’ $, , d’ordine, 5 o 6, e con infinite quadriche » (st.). — 3) « Di alcune congruenze, d’ordine due, di superficie nell’S, . C di co- niche nell’ Sg » (st.). — 4) « Sopra la involuzione non razionale di Enriques » (st.). — 5) « Di alcune involuzioni piane di classe tre » (st.). — 6) «Sulle congruenze di V, — 2 d’ordine uno e classe tre » (st.). — 7) « Una trasformazione cremoniana dello spazio ed alcuni sistemi di quartiche gobbe di 22 specie » (st.). — 8) « Alcuni complessi di rette. Dell S, e dell’ Sg dotati di un fascio di congruenze lineari » (st). 2. BenEDETTI Pirro. « Il problema dell’estensione » (ms). 3. BerarpI NicoLETTA. « La superficie di quint’ordine dotata di una retta tripla e di due rette a sghembo tra loro e incidenti alla prima 15 =0*. 2u? » (ms.). 4. Borto CostantINO « Sopra una superficie di area minima per cui un sistema di assintotiche ha per immagine un fascio di coniche sferiche » (ms.). — 1389 — b. Da Rios Sante Luiss. « Sulla validità delle equazioni cardinali del moto di La- grange » (ms.). 6. Ducci EnRIco. 1) « Sulla risoluzione del sistema a? + a3.7y + 0,y° = A. be +4 b,02y + bgy? = B. » (st.). — 2) « Nuove formole per la derivata n di tg x e di cot x» (st.). — 3) « Sulla regola per esprimere un numero con prodotto di fattori primi » (st.). 7. GAaLLUccI GENEROSO. 1) « Ricerche geometriche su la configurazione di Kummer » (ms.). — 2) « Nuovo saggio su l’esagrammo di Pascal » (ms.). 8. Grupice Francesco. 1) « Sinossi di geometria solida e di trigonometria piana e sferica » (st.). — 2) « Misura, orientamento, movimento » (ms.). 9. MarLETTA Giuseppe. 1) « Di una classe di varietà abeliane » (st.). — 2) « Sistemi lineari d’omografie, che sono gruppi » (st.). — 3) « Di alcune varietà abeliane » (st.). 10. MeRcogLIANO Domenico. 1) « J. W. Young. I concetti fondamentali dell’ algebra e della geometria ; versione e note di Domenico Mercogliano » (st.). — 2) « Sui fondamenti della matematica.. Conferenza tenuta nella Sezione napoletana della Mathests » (st.). — 3) «L’Uebertragungsprincip di Clebsch e lo studio di particolari tangenti delle curve del 3* or- dine » (ms.). — 4) « Sull’insegnamento dinamico della matematica » (ms.). 11. MoraLE MicHELF. « Sopra i complessi di rette dello spazio a quattro dimensioni, ed in particolare su alcuni complessi lineari » (ms.). 12. NAtUCccI ArpinoLo. 1) « Compendio di matematica per la 3? classe liceale » (st.). — 2) « Aritmetica pratica per le scuole medie » (st.). — 3) « Eler enti di aritmetica razionata e algebra » (st.). 13. Papa MicaeLe. « L'infinito nella natura e nella scienza. Soluzione matematica del problema proposta da G. S. Gerdil » (ms.). 14. TANTURRI ALBERTO. 1) « Sulla funzione del Dirichlet e sulla funzione signum del Kronecker » (st.). — 2) Determinazione della derivata n di tg. 2 e di cot. 7» (st.). — 3) « Un’espressione nuova dei numeri bernoulliani » (st.). — 4) « Saggio di rappresentazione analitiche di funzioni singolari » (st.) — 5) « Teorema d’addizione delle funzioni sgn e mod; segno del logaritmo e del seno d’un numero ; riduzione al primo quadrante » (ms.). 15. Toccni LuIGI. 1) « Sul numero di soluzioni dell'equazione di Fredholm quando D()=0» (st.). — 2) « Nuovi teoremi sulle soluzioni dell'equazione di Fredholm quando D(4)= 0» (st.). — 3) « Sopra una generalizzazione della diseguaglianza di Schwarz » (st.). 16. TummaRrELLO Antonino. «Nuovi tipi generali di superficie razionali superficie d’or- dine m con retta (m —3) pla. Ed m— 3 punti tripli » (st.). 17. Usai GiusePPE. 1) « Processi di riduzione su equazioni integrali di prima specie » (st.). — 2) « Processi riduttivi su equazioni integrali » (st.). — 3) « Sulle soluzioni in termini finiti di equazioni integrali col nucleo x-y » (st.). — 4) « Relazioni tra i simboli del Pascal e i simboli dell’Arnaldi nella teoria delle derivate di ordine superiore delle funzioni composte » (st.). — 5) « Sulle variazioni di un integrale doppio con le derivate quarte » (st.). — 6) « Sugli esponenti nelle ripartizioni » (st.). — 7) « Sopra un’equazione funzionale » (ms.). 18. VerGERIO ArTILIO. 1) « Sopra un tipo di equazioni integro-differenziali » (st.). — 2) « Sulle equazioni integrali non lineari (ms.). — 3) « Sulle equazioni integrali non lineari con operazioni funzionali singolari » (ms.). — 4) « Sopra un tipo di equazioni integrali non li- neari » (ms.). Il PRESIDENTE comunica che il dott. GroRoio ABETTI si è ritirato dal concorso al premio Reale per l’Astronomia, del 1920. — 140 — COMUNICAZIONI VARIE Il Presidente VoLtERRA annuncia alla Classe che assistono alla seduta i professori SnypEr e Lipka di Ithaka N. Y. e Cambridge Mass., ai quali porge il cordiale saluto dei Colleghi. Viene poscia presentato dal PRESIDENTE un piego sigillato inviato dal sig. Tommaso Bianco perchè sia conservato negli Archivi accademici; e dallo stesso Presidente viene aperto, in seguito a richiesta del Corrispon- dente prof. Bruni che lo aveva depositato, un altro piego, il cui contenuto sarà pubblicato nei Rendiconti accademici (!). GC. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate ne'la seduta del 5 febbraio 1922. Boman E. — Los vestigios de industria humana encontrados en Miramar (Re- publica Argentina) y atribuidos a la època terciaria (Extr. da la « Revista Chilena de Historia y Geografia », tomo XXXIX, pp. 330-352). Santiago, 1921. 8°. CaRBONELLI G. — Frammento medico del secolo VII. Roma, 1921. 4°, pp 1-20. Comptes Rendus des Séances de la sixième Conférence Générale des Poids et Me- sures réunie a Faris en 1921. Paris, 1921. 4°, pp. 1-84. CoroneDI G. — Endocrinologia. Milano, 1922. 8°, pp. 1-322. De Linpe (van) J. C. — De Verdeeling der Heldere Sterren. Rotterdam, 1921. 8°, pp. 1-66. EuLerI L — Commentationes algebraicae. vol. VI. Lipsiae, 1921. 49, pp. I-XxIX, 1-509. FeRRARI Poconeri F.— Il sangue (umano, normale) nella nuova conoscenza. Pe- scara, 1921. 4°, pp. 1-43. IvaLpi G. — Saul principio di yroporzio- nalità fra pressioni d'urto ed energie di moto e sulle sue conseguenze (Estr. dalla « Rassegna tecnica Pugliese », fasc. VII). Bari, 1921. 4°, pp. 1.10. JAIA F. — Fisiopatologia cellulare ed ibridismo. Bari, 1922. 8°, pp. 1-19. Lacroix A. — Minéralogie de Madagascar. T.I, Paris, 1922. 4°, pp. i-xvI, 1-624. (1) V. questo fascicolo, pag. 86. Livini F. — Endocrinologia. Milano, 1922. 8°, pp. 1-322. MaLenorTtIE — Sulla biologia del Dacus oleae Rossi (Estr. dal « Redia », vo- lume XV). Firenze, 1922. 8°, pp. 1-19. Megsrers P _— De in Nederland voor het bloote 009 zichtbare Sterren. Am- sterdam, 1920. 8°, pp. 1-16. PasseRINI N. — Un dodicennio di osser- vazioni drosometriche. Firenze, 1921. 8°, pp. 1-15. Penpe N. — Eudocrinologia. Milano, 1922. 89, pp. 1-322. PepERE À. — Endocrinologia. Milano, 1922. 8°, pp. 1-322. Pession (@ — Alcune esperienze di radio- telefonia (Estr. dal giornale « L'Elet- trotecnica », n. XXVITI). Varese, 1921. 4°, pp. 1-7. Retzius G. — Biologische Untersuchun- gen. Bd. XIX. Stockholm, 1921. 4°, pp. txt, 1-100, Ronponi P. — Endocrinologia. Milano, 1922. 8°, pp. 1-322. ToneLLI L. — Fondamenti di calcolo delle variazioni, vol. I. Bologna, 1921. 89, pp. vir, 1-466. VauLauri G. — Decisioni tecniche del Comitato di Parigi per le radio-comu- nicazioni (Estr dal giornale « L'Elet- trotecnica », n. XXX). Varese, 1921. 4°, pp. 1-7. ie I Fa Gi ce Repossi. Il conglomerato di Como. Nota I (presentata dal Socio Artini): +... ..: Pag. | Crema, Il Maestrichtiano in Cirenaica (presentata dal Socio Parona). % Munerati. Osservazioni sulla recettività del frumento perla carie (presentata dal See NPI a) nnt SER a ae Artom. Osservazioni preliminari sulla radiosensibilità di alcuni stadî della spermatogenesi i oligopirenica di Paludina vivipara (presentata dal Socio Grasst) . . Cotronei. La struttura del fegato di Petromyzon planeriin relazione al ciclo biologico di questa forma (presentata dal Socio Grass?) . PERSONALE ACCADEMICO Volterra (Presidente). Dà annuncio della morte del Socio straniero 0. Jordan, e comme- mora l’estinto . Paternò. Si associa alle parole del Presidente . LL... Volterra (Presidente). Comunica la morte del Socio straniero 0. Schmiedeberg . . PRESENTAZIONE DI LIBRI Castelnuovo (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei proff. Livini, Rondoni, Pepere, Pende e Coronedi; il vol. VI delle Opere di Zulero; e un volume del Socio straniero Retzius, pubblicato e offerto dalla sua vedova. . . Volterra (Presidente). Fa omaggio di una pubblicazione del Socio straniero Lacroiz, della quale il Segretario Millosevich dà conto . LL... 000 Id. Presenta il 1° volume di un’opera del prof. ZL. Tonelli, e il Resoconto della 6% Con- © ferenza generale dei pesi e misure. . ./.. CONCORSI A PREMI Castelnuovo (Segretario). Comunica, gli elenchi dei concorrenti ai premi Reali e Ministe- HAR utt CLEAN LIO Lt AAA UA e et e Volterra (Presidente). Annuncia che il concorrente Abetti si è ritirato dal concorso al premio Reale per l'Astronomia, del 1920. . .......+ 0 Gt | COMUNICAZIONI VARIE Volterra (Presidente). Annuncia che alla seduta assistono i professori Snyder e Lipka, ecc. Id. Presenta un piego suggellato inviato dal sig. 7. Bianco, e procede all’apertura di un piego suggellato presentato dal Corrisp. Bruri, che chiede la pubblicazione di quanto nel piego-è, contenuto... . +. BULLETTINO BIBLIOGRAFICO . . + » 130 132 140 RENDICONTI — Febbraio 1922. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. î Seduta del 5 febbraio 1922. MEMORIE E NOTE DI SOCI Ricci. Riducibilità delle quadriche differenziali e ds? della Statica einsteiniana . . . . Pag. Cerulli. Sulla scoperta delle nubi cosmiche, del P. Hagen . +... 0.004 04 Emery. Aggiunte alla Memoria: «La distribuzione geografica attuale delle Formiche » Armellini. Angoli di posizione di 50 stelle doppie osservate al R. Osservatorio del Campidoglio Majorana. Sull’assorbimento della gravitazione. Nota VI... ..-. +. sruni e Romani. Sui mercaptotiazoli come acceleranti, della vulcanizzazione. NOTE PRESENTATE DA SOCI N © Abramescu. Sulle serie di polinomi di una variabile complessa (presentata dal Socio Levi-Gwita)ta i a a RO a TO E OASI RI Cantelli. Lo spazio-tempo delle orbite kepleriane. Nota II (presentata dal Socio Castelnuovo) Picone. Nuova condizione necessaria per un estremo di un integrale doppio. Nota II (pre- sentata datsSocio: Blazcht){.c Slo sa REPARTI Severini. Sulle successioni di funzioni assolutamente continue, convergenti in media (pre- sentata-dal-Corrisp.; Zedong). Roe a SS, Fermi. Sopra i fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria. Nota III (pre- sentata\dall'Corrispi A/Melin)i RAT RE e Agamennone. I pseudo-terremoti nel Vulcano Laziale (presentata dal Socio Cerulli). . . Trovato. Risultati di misure attinometriche ‘eseguite a Catania. Nota I (presentata dal Corrisp4SBeMP0N0d) LI RIO dt AA e A Canneri e Morelli. L'analisi termica del sistema TI0—B,0, (presentata dal Corrisp. Pelia) LEO RR RE te, Raiteri. Sulle proprietà ottiche di alcune sostanze importanti nella microchimica (presen- tata (dal: Corrisp. Zambonins) vt ORE Clerici. Ulteriori ricerche sui liquidi pesanti per la separazione dei minerali (presentata dal'iSocio Mallosevich). |. Meno (Segue in terza pagina). K. Mancini, Cancelliere dell’ Accademia, responsabile. 89 92 94 97° 101 104 106 109 312 116 tig i tini Pubblicazione bimensile. ATTI DELLA DEI LINCEI ANNO CCCXIX. 1922 PEER UE TTtrA. RENDICONTI {lasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. WVoluina XXXI. — Fascicolo 4° Seduta del 19 febbraio 1922. 1° SEMESTRE. ROMA TIP. DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1922 REALE ACCADEMIA NAZIONALE ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE f. pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti ; 1. I fendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese ; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate.da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- } Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume ; due volumi formano un’annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunica- zioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, , e 30 agli estranei ; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IT. i. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inserittenei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell’Accade mia o în un sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - e) Con un ringra- ziamento all’antore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà sratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 27 Seduta del 19 febbraio 1922. R. LANcIANI, Socio anziano, Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI Fisica. — Sull’assorbimento della gravitazione. Nota VII del “Corrisp. Quirino MAJORANA. RISULTATI DELLE OSSERVAZIONI. — Come ho già accennato nelle Note precedenti, le osservazioni sono state fatte nei due casi fara-contrappeso e sfera-contrappeso, ed in ciascuno di questi, alternando le letture con i piombi in PP oppure in P'P'. Esse si sono svolte fra il 16 maggio ed il 2 luglio 1921, e costituiscono 11 serie per il primo caso e 10 per il se- condo, le quali si sono alternate in quel periodo di tempo. Ciascuna serie è costituita da un certo numero di determinazioni (variabile a seconda delle circostanze fra 10 e 30) della posizione di equilibrio della bilancia, dedotta leggendo tre elongazioni successive del raggio luminoso riflesso dal giogo. Contemporaneamente si è avuta cura di mantenere, in ogni serie, l’in- dice luminoso riflesso dal coxtro/lo sempre sullo stesso punto della scala verticale, mediante la regolazione della corrente dell’elettromagnete J: con ciò, come si è spiegato, la bilancia veniva riportata sempre nella stessa p»- sizione angolare, eliminandosi l’errore proveniente dalle deformazioni del- l’edificio. Il metodo adottato ha dunque permesso di determinare 1’ influenza della presenza dei piombi intorno alla sfera, in maniera del tutto analoga a quella già spiegata nelle prime ricerche (*) per il caso del mercurio. Ma in queste (') Vedi questi Rendiconti, vol. XXIX, pag. 90 e 91. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 19 — 142 — nuove esperienze l'influenza in parola è stata rilevata tanto nel caso tara- contrappeso che nell’altro sfera contrappeso, per le ragioni viste a suo tempo. Poichè al principio ed alla fine di ogni serie (la cui durata si aggirava: intorno alle due ore) veniva determinata la sensibilità della bilancia me- diante il congegno A, A» Az, si è potuto ogni volta trasformare i mm. di spostamento del raggio luminoso sulla scala, in mg. Qui appresso, riporto, a mo' di esempio, le prime due serie di determi-- nazioni fatte per i due casì fara-contrappeso e sfera-contrappeso ; ciascuno» dei numeri, espresso in mm., è stato ottenuto dopo aver letto tre oscilla- zioni della bilancia senza piombi, tre con piombi @d infine altre tre senza piombi : tara contrappeso; sensibilità media 249 mm'mg:; l'indice luminoso st sposta verso il basso per la presenza dei piombi, di: mm.: 0,13, 0,50, 0,31, 0,35, 0,23, 0,23, 0,02, 0.16. 0,19, 0,90, 0,28. 0,43; 0,15, 0.77, 0,36 (15 osservazioni); media: mm. 0,338, pari a mg. 0,338/249.= mg. 0,00136: sfera-contrappeso: sensibilità media 242 mm./mg.: l’indice luminoso si sposta verso il basso ec. s., di: mm.: 0,46, 0,34. 0,26, 0,29, 0,23, 0,12, 0,03, 0,19, 0,38, 0,35, 0,22, 0;16.. 0,23 (18 osservazioni); media: mm. 0 251, pari a mg. 0,251/242 = mg. 0,00104. Ed in maniera simile ho proceduto per le altre serie. Tutte le medie: sono qui sotto riportate, espresse in mg.: tara-contrappeso sfera-contrappeso (errore magnetico) (assorbimento gravit. lordo) 0,00136 0,00211 0,00104 0,00022 097 142 142 062 085 161 118 077 108 135 130” 041 207 162 064 065 170 Per quanto si è detto, i precedenti numeri rappresentano in complesso le medie di 176 determinazioni di posizioni di riposo della bilancia, e di un: numero all'incirca quadruplo di letture di oscillazioni, oltre quelle neces- sarie per le osservazioni della variabile sensibilità della bilancia. L'esame del precedente specchietto ci dice che la posizione di riposo» del giogo della bilancia s7 abbassa sempre alquanto, per la presenza dei piombi intorno alla sfera, cioè tanto che si sperimenti con /ara-contrappeso,. che con sfera-contrappeso. E si può a prima vista credere che realmente: — 143 — non vi sia alcuna influenza vera dovuta alla presenza dei piombi intorno alla sfera, giacchè i 21 numeri su riportati appariscono poco differenti, oscil- lando essi tra 1 e 2 millesimi di milligrammo, all'incirca. Potrebbe na- scere quindi il dubbio che se realmente il muovere i piombi, portandoli da PP a P'P’, dà luogo ad uno spostamento della posizione di riposo di tale ordine di grandezza, ciò avvenga indifferentemente alla stessa guisa per i due modi di caricare il giogo e che quindi nessun assorbimento gravita- zionale esista; o che, per lo meno, questo fenomeno non sia rivelabile col congegno da me ora sperimentato, perchè troppo delicato, o perchè masche- rato da una causa che, pur lasciando accusare alla bilancia i 2 millesimi di mg. predetti, non consente ad essa di indicare valori alquanto più grandi o più piccoli. Un tale fatto potrebbe ‘verificarsi p. e. se il giogo nel muo- versi, incontrasse qualche ostacolo dovuto ad attrito nei coltelli o ad altra imperfezione. Preoccupato da tale considerazione, ho istituito una doppia serie di ve- ritiche o controlli, tendenti ad allontanare quel dubbio. Da un canto ho avuto frequentemente cura di determinare lo smorzamento delle oscillazioni della bilancia: risultava così costantemente il rapporto tra due elongazioni consecu- tive e dallo stesso lato, di 0,9 circa: ritengo che sarebbe stato difficile od impossibile accrescere notevolmente tale rapporto nella speciale mia dispo- sizione, rappresentando quella cifra il limite imposto dalla lavorazione anche la più accurata dei coltelli. L'osservazione saltuaria dello smorzamento mi ha permesso talvolta di accorgermi e di eliminare prontamente qualche causa perturbatrice insospettata, come il depositarsi di un velo sottilissimo di re- sina su tutto il giogo, dovuto alla condensazione di vapori emessi sotto l’azione del calore e del vuoto, dal mastice adoperato per chiudere la bi- lancia. La costanza dello smorzamento, constatata nel passare da ampie a piccole oscillazioni, mi ha fatto poi escludere l’esistenza di anormali condi- zioni del sistema oscillante. Ma d'altro caato, ho istituito una veritica più diretta della giustezza di tale conclusione. Senza muovere i piombi, ho accresciuto lo sforzo eser- citantesi sul braccio destro del giogo (quello cioè che sostiene la sfera), di qualche millesimo di mg.: e cioè da 1 a 5, in più esperienze successive. Questo scopo è stato da me raggiunto ponendo a varie distanze al disotto della custodia della sfera, un disco circolare di piombo di circa 15 kg., e calcolando a priori, per la conoscenza delle sue dimensioni e della sua distanza dal centro della sfera, la forza newtoniana così occasionata. Si comprende ora che con tal modo di procedere, non si generi alcuna deformazione per- turbatrice sul sostegno della bilancia, e che è quindi inutile in tal caso ser- virsi del controllo a mercurio, o dell’esperienza în bianco, tara-contrappeso. Ebbene, facendo le medie di parecchie osservazioni, che qui non riporto, così eseguite, ho constatato che realmente le inclinazioni del giogo, caso per caso, — 144 — seguono esattam:nte i valori dello sforzo aggiunto, variabile come si è detto da 1 a 5 millesimi di milligrammo. Ciò vuol dire che il giogo è perfetta- mente sensibile a tali delicatissimi sovraccarichi. Ritornando ora all'esame della tabella numerica precedente, rimane a interpretare il fatto per cui le cifre tara-contrappeso e sfera-contrappeso non sieno troppo differenti, pur ammettendo l'esistenza dell'assorbimento gravitazionale; ed è facile vedere come ciò sia possibile tenendo conto delle cause newtoniane di errore discuss» nella Nota precedente. Anzitutto per quanto riguarda l’errore magnetico, esso può essere indicato con maggior precisione dalla media delle 11 osservazioni su riportate: E = — mg. 0,00147 + 0,00009, e si è adottato il segno — perchè esso concorrerebbe a nascondere l’effetto di assorbimento gravitazionale, dapoichè il giogo si abbassa per sua causa dal lato della sfera, contrariamente a quanto avverrebbe per quello, se fosse puro. Effettivamente per l’effetto di assorbimento lordo si hanno, come si è riportato nella tabella, delle cifre che debbono restar positive, perchè il giogo si sposta ancora dalla stessa parte e basterà sommare algebricamente ciascuna di queste con l’errore magnetico e con le altre correzioni newto- niane già studiate, per aver finalmente l'effetto corretto. Considero, p. e., la prima determinazione dell’assorbimento gravitazio- uale od effetto lordo su riportata, cioè + mg. 0,00104. Ad essa vanno fatte le seguenti correzioni: Assorbimento gravit. lordo . . . . -++mg. 0,00104 Errore magnetico medio . . . . . — » 0,00147 ATbIAZIONE zattera e e e I I 0,00231 Attrazione masse sussit. . ./. 0. — » 0,00180 Attrazione su contrappeso . . . . . + » 0,00275 Totale: assorb. gravit. corretto . . . -—mg. 0,00179 Le elencate correzioni si fanno analogamente, per tutte le altre 9 serie del caso sfera-contrappeso ; in complesso abbiamo dunque le 10 osservazioni cor- rette seguenti, per l'assorbimento gravitazionale subìto dalla sfera di gr. 1274 perchè circondata dai 9616 Kg. di piombo: 5 mg.: — 0,00179 — 0,00261 — 0,00141 — 0,00221 — 0,00165 — 0,00206 — 0,0015383 — 0,00242 — 0,00219 — 0,00218 E la media di esse è — mg. 0,00201 © 0,00010, cioè la sfera di piombo apparisce alleggerita di circa 2/1000 di mg. — 145 — Discussione DEL RISULTATO. — Lo smorzamento gravitazionale consta- tato è dunque circa la metà di quello presunto in base alle prime espe- rienze. Il disaccordo può dipendere o da imperfezione della mia teoria, la quale sarebbe così valevole in prima approssimazione soltanto, oppure da errori in una od in entrambe le due serie di misure. Debbo ritenere più probabile l’esistenza di qualche errore nella prima serie (quella col mer- curio); ma d'altro canto è da tener presente che le difficoltà incontrate, e che ho cercato di superare, nel servirmi della massa schermante di piombo di 10 tonnellate circa, hanno dato alla seconda serie di misure un grado di incertezza relativa, alquanto superiore. Peraltro, l’importanza dell'argomento è tale, che è da augurarsi la ri- petizione delle mie esperienze per opera di altri fisici; con ciò solo, sì potrà acquistare la assoluta certezza, se non del valore numerico, almeno della esistenza generica dell'assorbimento gravitazionale. Comunque, in base al constatato affievolimento del peso della sfera, sì può cercare di calcolare quale sia il valore della costante %, secondo le ipotesi a suo tempo avanzate. All'uopo, analogamente a quanto già dissi nelle prime ricerche col mercurio (*) occorrerebbe trovare lo spessore medio del mantello di piombo che, circondando la sfera, ne occasiona la diminuzione di peso. Il calcolo rigoroso sarebbe assai difficile tenuto couto che la massa schermante è cubica anzichè sferica; anzi sotto certi riguardi si può rite- nere indeterminato, giacchè non si conosce la distribuzione delle masse che costituiscono il globo terrestre. Se le più pesanti fossero localizzate in prossimità del centro di tale globo, si comprenderebbe come l’assorbimento verrebbe a ma- nifestarsi principalmente lungo le verticali passanti per i varii punti della sfera; e cioè per un tratto uguale al mezzo lato del cubo, meno il raggio della nicchia N (fig. 2). Ciò equivale a cm. 47,5 — 4,4 = cm. 43,1. Ché se poi la densità della terra fosse uniforme (la qualcosa, come è noto è lon- tana dal vero) anche dei raggi gravitazionali non verticali verrebbero no- tevolmente affievoliti, ed essi possono raggiungere una lunghezza massima pari alla mezza diagonale del cubo, diminuita, al solito, del raggio della nicchia, cioè di cm. 77 circa. Ma la semplice considerazione di questo pro- blema geometrico, fa vedere che il caso di raggi talmente lunghi è piut- tosto raro di fronte agli infiniti possibili, e che in ogni modo essi, essendo inclinati, dànno un contributo piuttosto piccoto alla componente verticale totale che corrisponde al peso della sfera. Per cui, sempre restando dentro i limiti 43 e 77, e nell’impossibilità di stabilire un calcolo rigoroso, ri- tengo di non esser troppo lontano dal vero ammettendo uno spessore medio del mantello di piombo, di circa 50 em. Si ha dunque, sapendo che la (1) Vedi questi Rendiconti, vol. XXIX, pag. 236. — 146 — densità del piombo è 11.53: 0.000002 SERIO. 1133/50 ie Ricordo, che nelle prime esperienze avevo avuto per % il valore 6,7.107*; per cui anche tale valore rimarrebbe ridotto, secondo le nuove esperienze, alla metà circa di quello calcolato altra volta. 5 POSSIBILITÀ DI ALTRE CAUSE D'ERRORE. — A me sembra di poter esclu- dere l'esistenza di una causa di errore capace di giustificare completamente la diminuzione di peso constatata nella sfera. Ad ogni modo osservo, come altra volta, che la causa di errore a cui si pensa più facilmente in una ri- cerca del genere, è la eventuale dissimmetria di massa nei piombi, o l’ ine- satta valutazione delle attrazioni newtoniane parassite di cui ho parlato. Ora. quanto a queste ultime, se sì pensa che esse sono precisamente dell'ordine di un paio di millesimi di mg. ciascuna (come si è visto), si comprende che non vi possa essere in taluna di esse qualche errore, che dovrebbe rag- giungere il 100% circa. Per quanto riguarda la dissimmetria nei piombi, un calcolo sommario fa vedere che per ottenere uno sforzo sulla sfera di circa 2/1000 di mg., sarebbe occorsa una dissimmetria della sfera. rispetto alle facce del cubo, di uno spessore di piombo di circa 10 mm.; od, in altri termini, che la sfera fosse stata spostata, in tutte le esperienze, rispetto al centro del cubo, ed in basso, di circa la metà di quel valore cioè di circa 5 mm. È poi da osservare che, in considerazione della esistenza della nicchia N _ (fig. 2), alla eventuale attrazione della sfera verso una delle facce del cubo (dovuta allasuddetta dissimmetria) si contrapporrebbe l'attrazione generata dalla dissimmetria rispetto alla nicchia; e tale attrazione, come è facile rilevare, sarebbe precisamente di segno contrario e di valore assoluto pochissimo diffe- rente dalla prima. Per far comprendere ciò supponiamo che invece di un cubo con una cavità sferica al centro, sì fosse trattato di una sfera mas- siccia, con la stessa cavità centrale. È facile vedere, che in tale caso. qual- siasi punto materiale nell'interno della cavità sferica sarebbe in perfetto equilibrio newtoniano. Il fatto di adoperare un cubo anzichè una sfera, pur non essendo esattamente equivalente. non può cambiare di molto questa conclusione, e quindi una dissimmetria nella posizione della sfera nell’in- terno della nicchia non può dare notevole componente verticale attrattiva. Per togliere infine qualsiasi altro scrupolo circa la esattezza di tale conclusione ricordo il fatto che l’ incertezza di aggiustaggio sia della nicchia che della sfera rispetto al cubo, non può in ogni caso superare 0,5 mm. circa. — 147 — Mineralogia. — Ardennite di Ceres, in val d’Ala (Pie- monte) (*). Nota preliminare del Corrisp. FERRUCCIO ZAMBONINI. Già da qualche tempo, io ho trovato nei dintorni di Ceres, nei filon- «celli quarzosi che attraversano gli gneiss minuti ed i micascisti, della pie- montite abbondante è bellissima, non inferiore, in certi campioni, per bel- lezza, a quella classica di St. Marcel, in valle d'Aosta. La piemontite è ‘accompagnata da altri minerali di manganese: rara è, però, la rodonite, par- zialmente alterata, della quale non ho rinvenuto che un grosso nodulo. Varî altri minerali si associano alla piemontite, ma non intendo di farne parola ora, ripromettendomi di trattarne presto in una Memoria dedicata all’ inte- ‘ressante giacimento. Desidero, col presente scritto, puramente preliminare, di far conoscere brevemente l’esistenza nel giacimento di Ceres in questione, di un minerale, l'ardennite, non trovato finora in Italia, e del quale, anzi, almeno per quanto io so, non è noto che un solo giacimento, quello di Salm Chateau, presso ‘Ottrez, nelle Ardenne belghe. L'ardennite si rinviene, nella nuova località, intimamente associata alla piemontite, sotto forma di aggregati fibrosi o bacillari, che possono raggiun- gere anche 5-6 cm. di lunghezza. Non di rado questi aggregati sono con- torti o ripiegati. Alle volte essi sono inquinati soltanto dal quarzo e da minutissimi granuletti o tavolette cristalline di un minerale trigonale, di colore grigio-ferro, con splendore metallico, che è. molto probabilmente, ‘ematite. Frequenti anche sono, però, i casi, nei quali i fascetti di arden- nite si mostrano commisti a quelli di piemontite, formando nella quarzite delle strette zonature. alternate, costituite prevalentemente dall'uno o dal- l'altro dei due minerali, ovvero degli esili straterelli, nei quali piemontite ed ardennite sono confusamente intrecciate e commiste. Nelle Ardenne, l'ardennite è accompagnata, nelle vene di quarzo attra- versanti gli scisti paleozoici di quella formazione, da pirolusite e da albite: l'associazione con la piemontite, osservata nel giacimento di Ceres, rappre- senta, perciò, una novità. L'ardennite di Ceres è di colore bruno di colofonia più 0 meno cupo, corrispondente a quello di alcune delle varietà delle Ardenne. Non ho, finora almeno, osservato la varietà di colore giallo più o meno volgente all’aran- (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia dell’Università di Torino. — 143 — ciato, che è frequente nelle Ardenne. Lo splendore è vitreo un po’ grasso:: in alcuni campioni più finamente fibrosi diventa un poco setaceo. Dato il modo di presentarsi dell’ardennite di Ceres, non ho potuto- riovenire cristalli nitidi, ben conformati. È abbastauza facile trovare dei frammenti, con delle faccie di {010}, di {100} e di }110}. Una sola volta ho- osservato un cristallino terminato parzialmente ad un’estremità dell'asse e: si tratta di un piccolo cristallino tabulare secondo }010}, che presentava la combinazione {010} }100{ {110{ {101}. Qua e là nel quarzo ho veduto. qualche cristallino distinto, ma sempre con faccie soltanto della zona [001]. Rompendo le masserelle fibrose, si isolano, talvolta, delle laminette appiat- tite parallelamente a }100}, precisamente come avviene. secondo Lacroix (1), nel minerale tipico delle Ardenne. Non di rado, però, l’appiattimento è solo- apparente. e dovuto a combinazione oscillatoria di molti cristalli. Le poche misure eseguite, puramente approssimative del resto, si accor-- dano bene con i valori calcolati da vom Rath: (100):(110)= 25° 17" mis. 25° 0" cale. (110):(T110) 129 57 >» 130709005 (100):(101) 56 ca» 665505 (010):(101) 89 50 >» 900 >» La sfaldatura è facile secondo {010}: si osserva anche nitida la sepa- razione parallelamente a j001}, già notata nei cristalli delle Ardenne. A causa di questa separazione. i frammenti che si ottengono frantumando- le masserelle di ardennite di Ceres sono spesso limitati da {010} e da }001{, ed allungati secondo l'asse a. Le proprietà ottiche corrispondono a quelle già fatte conoscere per il minerale delle Ardenne da Des Cloizeaux e da Lacroix. Il piano degli assi ottici è parallelo a {100}: la bisettrice acuta, posi- tiva, è perpendicolare a }010}. La dispersione è forte, o > ». Non ho potuto, finora, preparare una sezione parallela a (010) abba- stanza trasparente e, nello stesso tempo. sufficientemente spessa. per misu- rare esattamente 2 E: i valori approssimativi che ho ottenuto fino ad oggi sono assai prossimi a quelli trovati da Des Cloizeaux. Il pleocroismo è forte :- ny= giallo pallidissimo, alquanto verdastro wm e #,== giallo d'oro chiaro nelle lamine molto sottili ; ny == giallo verdastro 7#m e 2, = bruno rossiccio in quelle più spesse (?). (1) Minéralogie de la France et de ses Colonies, I, 125. (2) Come ha notato Lacroix nell'ardennite del Belgio, la differenza fra i colori nelle direzioni di nm e di 2, è molto piceola. Nell'ardennite di Ceres è pure tenue, però, nettamente percepibile e, precisamente, l'assorbimento nella direzione di ,. è un po' più» forte che in quella di 2. — 149 — L'analisi chimica dell'ardennite di Ceres fu eseguita su materiale pu- rificato ripetutamente e con gran cura, mediante lo joduro di metilene. La separazione totale del quarzo riesce, però, difficile, anche operando su pol- vere sempre più fina. In ogni trattamento, io ho sempre preso soltanto la porzione che precipitava immediatamente, con grande velocità, al fondo del separatore, trascurando quella che si depositava più lentamente. Ad onta di ‘queste cure, l'analisi ha dato un lievissimo eccesso di biossido di silicio. che dipende, molto probabilmente, da quarzo che non si è riusciti a sepa- rare perfettamente. È noto che, quando si ha a che fare con inclusioni mi- nutissime, la separazione con i liquidi pesanti non riesce. Così, per esempio, Penfield e Pratt (!) non poterono separare completamente il quarzo dalla staurolite. L'analisi dell'ardennite di Ceres fu eseguita fondendo la polvere del minerale con carbonato e nitrato di sodio. La massa fusa venne trattata con acqua, e l'estratto acquoso, intensa- mente verde, decolorato con acqua ossigenata pura. Il residuo insolubile in acqua fu nuovamente fuso con carbonato e nitrato di sodio, in modo da essere certi che l'arsenico ed il vanadio fossero stati completamente asportati: Dai due estratti acquosi riuniti fu separato il silicio, mediante evapo- razione a secco con HCl. Come si verifica di solito nei silicati che conten- gono meno di 40% di SiOs, la quantità di silicio passata nella soluzione fu scarsa. Eliminato il silicio, si precipitò l'arsenico con idrogeno solforato, e lo si dosò, poi, allo stato di piroarseniato di magnesio. Dopo scacciato l’acido solfidrico, venne precipitato l'alluminio con ammoniaca. La precipitazione fu ripetuta tre volte, perchè, come hanno già notato Bettendort? (>) e Prandtl (8), l’idrato di alluminio precipitato è sempre vanadinifero. Nell’ossido di alln- minio da me ottenuto, mediante l’acqua ossigenata fu possibile svelare an- cora la presenza di traccie di vanadio, che furono determinate colorimetri- camente. L’ossido di alluminio conteneva anche alquanto fosforo, che fu pre- cipitato allo stato di fosfomolibdato ammonico, usando la soluzione concen- trata di molibdato ammonico proposta da Al. Gressly (4). Nel liquido dal quale si era separato l’alluminio, e che fu tirato a secco con acido nitrico, in modo da avere il vanadio certamente sotto forma pentavalente, questo elemento fu dosato colorimetricamente prima, e, poi, col cupferron, seguendo le indicazioni di W. A. Turner (5). . (!) Veber die chemische Zusummensetzung des Stauroliths, ecc. Zeitsch. fiir Kryst. 1894, XXIII, 64. (®) Veber den Ardennit und iber eine Methode zur Scheidung der Vanadinsiure von Thonerde und Eisenoxyd. Pogg. Ann, 1877, CLX, 126. (3) Veber den Ardennit. Zeitsch. fir Kryst. 1905, XL, 392. (4) Treadwell, Kurzes Lehrbuch der analjtischen Chemie, II, 202. (5) Amer. Journ. Sc. 1914 [4], XLI, 339. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 20 — 150 — La parte insolubile in acqua del prodotto della fusione del minerale con carbonato e nitrato sodico fu analizzata con i soliti metodi. Mi è sorto il dubbio che, nel separare il silicio dall’estratto acquoso acidificato con HCl (metodo usato, fra gli altri. dal Prandtl), si potesse avere una perdita di arsenico. He, perciò. ripetuto la determinazione, aci- dificando a freddo con HCl la soluzione acquosa, il che avvenne senza che si separasse silice, e precipitando senz'altro l'arsenico con l'idrogeno sol- forato. Si ottenne, così operando, una quantità di piroarseniato di magnesio. un poco superiore a quella ottenuta prima. L'analisi completa ha dato 1 seguenti risultati : Rapp. mol Sign. 00 0,490 2,06 (rogo i REMI D11) 0,045 | Prog onde “I ano 0,001 È 0,047 0,20 Vigil ce 0,001 | AO n 20 02195) ha Reg 0,019 | Cao Lino 0,009 | CAO O Li 0.101 SrO';Ba0 (2) . tr. | Mati couisizo 0,264 Ni0 i ig geo vo +00 Meo i es 0.100 |; Na. Qi I cialog 0,001” Ki0 ole iO 0.001 | Hs0t—-. ° . ° 0,12 socia Hosen 0,301 1,26 100,68 La composizione chimica dell’ardennite di Ceres corrisponde assai bene alla formula 10 Si0.. (As, V, P)0; . 5(Al, Fe);0; . 10 (Mn, Mg, Ca, Cu).6 H,0 dell’ardennite tipica, la quale richiede che questi costituenti si trovino nel rapporto di 2:0,20:1:2:1,2. i Come è noto, l'ardennite di Salm Chateaux costituisce una serie pres- sochè completa di cristalli misti, composti da due termini estremi, uno po- verissimo in vanadio, l’altro quasi privo di arsenico, che si possono distin- (1) Questi elementi furono riconosciuti allo spettroscopio. — 151 — guere con i nomi di arsenioardennite e di vanadivardennite. L'ardennite di Ceres analizzata è un’arsenioardennite, ed è anzi, la varietà più povera in vanadio che sia stata finora analizzata. L’arsenioardennite più pura di Salm Chateau è, infatti, quella studiata da Prandtl, la quale contiene, però, 0,81% V:0;. Nelle ardenniti belghe, Bettendorff ha indicato la presenza di traccie di P,0;, mentre Prandtl non ricorda affatto il fosforo, la cui presenza è assolutamente sicura nell’ardennite di Ceres. Il nichelio e i metalli alcalini non sono stati, finora, determinati nelle ardenniti belghe. Molto notevole è l'elevato tenore in calcio dell’arsenioardennite di Ceres. Nelle varietà belghe «questo elemento, infatti, è stato trovato in quantità molto minori: soltanto in una delle analisi di Pisani sale a 2,98% (*). Interessante è anche il con- tenuto in rame della nostra ardennite. Nelle varietà delle Ardenne, il rame talvolta non è indicato affatto o è dato come presente in traccie. Bettendorff, in due analisi, ha trovato 0,22%, e 0,17% Cu0: nella sua prima analisi inesatta, Pisani dà 1,30% Cu0. È probabile che allora il Pisani abbia pesato «col rame anche dell'arsenico, tanto più che questo elemento gli era sfug- gito. Nell'ardennite di Ceres analizzata, il rame fu dosato nel residuo inso- lubile in acqua del prodotto della fusione del minerale con carbonato e ni- trato sodico, residuo che era assolutamente privo di arsenico. Inoltre, il precipitato ottenuto con l'idrogeno solforato dopo la separazione della silice fu trattato con solfuro sodico, e si constatò, poi, l'assenza del piombo o di altri elementi nell’ossido rameico pesato. Bettendorff aveva osservato, nelle ardenniti da lui studiate, che il co- lore diventa sempre più chiaro, man mano che aumenta la quantità del- l'arsenico. L'arsenioardennite di Ceres, al contrario, possiede un colore abba- stanza cupo, e deve ritenersi, perciò, che la distinzione dell’arsenio dalla vanadioardennite non può farsi in base al colore. Del resto, le osservazioni di Bettendorff non hanno validità generale nemmeno per le ardenniti belghe. Infatti, l’arsenioardennite analizzata da Pranatl era di colore bruno di co- lofonia, come certi termini fortemente vanadiniferi. (1) Nella prima analisi di Pisani è dato Ca0 = 4,30%, ma si tratta di un'analisi inesatta, nella quale si ha 1,80% V,0; e niente As,0;. — 152 — NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sulle serie di polinomi di Darboux e di Poincare. Nota di N. ABRAMESCÙ, presentata dal Socio T. LevI- CIVITA. In una Nota testè apparsa in questi Rendiconti (!) ho indicato alcuni: risultati da me conseguiti in uno studio sistematico delle serie di polinomi nel campo complesso. Chiedo il permesso di completare il riassunto delle mie ricerche riferendomi senz'altro alla Nota precedente per il significato. dei simboli e per la numerazione dei $$. VI. Valendomi del valore assintotico di I, . trovo un altro modo di determinare la regione di convergenza delle serze. di Darboux, servendomi della relazione di ricorrenza fra tre polinomi consecutivi, osservando che- queste serie sono un caso particolare delle serie di Porncaré (*), dove esiste- una relazione tra 4% polinomi consecutivi, Rx(4) Ria) -| Rx, Paski4) + vii în Ro(x) P,(@) = 0 , Dan Pi) . Con uno qualunque di questi tre mezzi, ottengo le curve di convergenza. per mezzo di una trasformazione conforme (8). VII. Servendomi dei valori prossimi di P,(x) e Q,(c), dimostro che. lo sviluppo in serie di polinomi P,(x) dell'elemento di Cauchy, na è valevole nell'interno dell’ellissi coi fuochi in © ed 1 (oppure a e b) che passa per y. Arrivo in questo modo a dimostrare che una funzione /(x), regolata nell'interno di una corona determinata da due ellissi omofocali, coi: fuochi in @ e >, si sviluppa in serie di polinomi P,(a) e funzioni Q,(x), f(x) = Y An Pax) +XB. Que), 1 A JO 004 ora SINO n(7) dy (1) Fasc. 3°, 1° sem. 1922, pag. 89. (2) Vedi la Memoria dell'American Journal (vol. VII) già citata nella Nota precedente... (3) Bisogna osservare che il metodo del sig. Faber, di studiare la regione di conver-- genza delle serie di polinomi per mezzo di una transformazione conforme, è stata pro- posta, 45 anni or sono, da Darboux, coll’occasione dello studio del caso particolare - nel quale il polinomio Pn(7) è quello che risulta dalla serie ipergeometrica. — 153 — VIII. 1°. Studio infine il caso generale delle serie di. Darboux, Dan Ppn(@), il polinomio (*) Ppn(x) essendo da p.n equazioni lineari 6 p(x) 2° Por(a) der =0,g=0,1,...p; s=0,1,..n_1. Sdg=i peda 97 = dU 0A SES: LOR i lo di "_ 36 Maia, —d 2 nt ET (ca so MERE )|e+ ad a A d' | +- 127 = 501983 + 6 nà 198 5 +(G ee 5) -36(0.+ 3 ds—c)}. Pour les surfaces en question, le second membre s'évanouit identiquement en t. On peut donc faire (*), dans ce cas, a =b==., c==2p, ,d=2@y, ainsi que les équatious (1) sont (2) Zuu = 2(P25 + Pv) , n= 2 (PZ, + Pu), où satisfait les conditions d'intégrabilité (3) Pun =2PPr , Pa 2PYu Je vais montrer qu’on peut intégrer (2), mais, pour brièveté, j écarte les cas aisés où est fonction d'une seule des quantités A 27 V/2i (4) w=sutev (e=e°',i=0,1,2). (®) Les indices u,v signifient partout les dérivées partielles. (£) En ce sens que les coordounées de ce plan s’obtiennent en remplagant z par les coordonnées du plan tangent de la surface. DI ’ (3) Si l'on a ni) =0 (surfaces isothermo-asymptotiques de M. Fubini), on zuao (7 peut faire a' = par un changement des paramètres ,v. — 1550 — Tout d’abord remarquons que (5) f(c) = put ep + 9° est, en vertu de (3), une fonction de x; seul et satisfait à l’équation (6) f" (ci) =4/(2;) / (2%). Ceci étant, on peut, dans le cas actuel, représenter le plan osculateur d'une ligne de Darboux par l'expression (7) Qi = e, + sa, — 2pz, qui vérifie, d'après (2), l'équation différentielle d* Qi d Gràce à (6), on remonte de l’équation (8) à la suivante Di f(x) dei ale Pest) Wert!) Fat a,b,Co,C:,C, étaut des constantes, dont les deux premières ne dépendent pas de l'indice 2, car on trouve (10) a= (Pur Ta 4?) 3- Pvuiu — Pudr + Pur » (11) b=9(29upo—IPPuwk 494) + (9° po — pi) su + + (9° 9, — Pi) vt (19 — P) du Pour trouver la relation qui passe nécessairement entre les constantes a,b.c;, on commence par eliminer 2 des équations (7), (10), (11), ce qui donne (12) ®, Qo + ©, Qi + (CA Qs = Bio, (Pur sù 2p*) a — 6° db n où j'ai posé O; = 29 Pu Pr — 3 Puo + EP(Pu Puo — 29 Po) + e (Pu — 29 PÉ) - Or l’identité = Ci, (9) f'(C)=wAt 28, + 28° Py donne par multiplication (13) 0if'(c) = 69° Pupopo — Puo — 49° (91 + pe) = où ® ne contient plus l'indice 7. Si l'on introduit encore les valeurs des Q; tirés de l’équation (9), l’identité (12) donne >: JE di) Si tele a+ + )) on O) sl 2001] Ct Cal Les deux constantes a et % étant manifestement indépendentes, les deux quantités entre crochets sont des constantes et l'on a simplement, en dispo- — 156 — ‘sant convenablement des limites inférieures des intégrales, (14) f(w1) dx; ) da; 23 3g (29° — wo) d Ni ;) I sa) 6g? Sl (a) O SIT) 7 @ (15) Co + cc. + c°=0. L’identité QTtQ+Q = — bps donne maintenant les solutions du système (2). Mais c'est l’interprétation géométrique du procédé employé qui donne des résultats intéressants. Tout d'abord, l’équation (8) étant du troisième ordre seulement, les plans des lignes de Darboux de chaque famille enveloppent un cone (*). On voit aussi que ces trois cònes sont homographiques, si nous faisons correspondre les plans tangents appartenant è une méme valeur du paramètre qui est, respecti- vement, xo, %,, %,. D'autre part, si l'on pose la relation trilinéaire Loi CT I=0, les trois cònes engendrent, par les intersections des plans tangents, la sur- face cherchée. Passons au fait que a et 2 ne dépendent pas de #. Ceci donne, en premier lieu, que les sommets des trois cònes sont situés en ligne droite, tout les plans contenant celle-ci étant de plus unis dans les homo- graphies qui ont lieu entre les cònes. Ces homographies sont donc des sim- ples perspectivités, et les plans de perspectivité forment d’ailleurs nécessai- rement un faisceau. Enfin, d’après (15), entre les sommets des cònes et ces plans passe la bien connue relation d'une forme cubique binaire et son co-, variant cubique (?). Essentiellement, trois cas sont possibles —pg=lro+lîa, +28, (cas général), ou — g=cotg 2, | cotg x, + cotgrì , —g=_—-+_-+ Dans le cas général, on voit que l'on a f(ci) =3pzi, p>=Pro + PH Pd, Oo=— 2 P'rop'L1p£s, P(29° — wr) =P%o Pin + PXoP%: + PX Pz +92. On peut donc, dans les équations (14), choisir zéro comme limite infé- rieure des intégrales. (1) Si g est fonction de %; seul, les plans des courbes de Darboux ;= constante forment un faisceau. Ces courbes sont des simples coniques et les courbes conjuguées sont planes. (2) Ces plans coupent la surface en courbe de Segre particulières Co d=0 , ai Xg=0 ’ Co Lo=0. -- 157 — Fisica. — Sulla dispersione della luce nelle soluzioni fluo- rescenti. Nota del dott. AntoNIO CARRELLI, presentata dal Socio M. CANTONE. Mi sono posto il seguente problema: con sostanze fluorescenti che pre- sentano un cospicuo assorbimento ed un'intensa fluorescenza, esistono due tipi distinti di vibratori e quindi due corrispondenti anomalie dell'indice dì rifra- zione, una relativa alla zona di emissione l’altra a quella di assorbimento ? La ricerca sperimentale con lo spettrometro dette un risultato negativo, in quanto che nello illuminare la soluzione, che riempiva il prisma cavo, non si notò alcun sensibile spostamento della riga di lunghezza d'onda 5893 À centrata nel cannocchiale nella posizione della deviazione minima. Nè più fortunati furono i tentativi fatti con il refrattometro interferenziale di Jamin, quando, prodotte le frange monocromatiche relative a 4 = 5893, veniva illu- minata una delle due vaschette piene della soluzione in esame: adunque, per la luce impiegata. la presenza di oscillatori emittenti in una delle due va- schette, non produceva un'alterazione sensibile nel cammino ottico ('). Si pensò, infine, di attuare un altro metodo sintetico, che desse rapida- mente modo di analizzare il fenomeno in un esteso campo di frequenze e non più per una frequenza unica. Si adoperò allo scopo il refrattometro di Jamin, analizzando spettroscopi- camente le frange iìridescenti ottenute con wua sorgente molto intensa. Nelle due parti della vaschetta sì pose acqua e soluzione acquosa fluorescente scegliendo quelle con grossa banda di emissione, onde si prestarono molto. bene alcune sostanze del gruppo del trifenilmetano e precisamente le seguenti: eosina, eritrosina. rodamina B, rodamina G 6, uranina. In queste soluzioni poste in uno dei due scompartimenti della vaschetta la fluorescenza veniva eccitata dallo stesso fascio luminoso che produceva le frange. Disposta in tal modo l’esperienza, si potè osservare che effetti- vamente esisteva l’effetto ricercato; le frange cioè apparivano distorte per la presenza dell'assorbimento con l'andamento caratteristico della dispersione anomala; ma anche nella zona corrispondente alla emissione si notava una visibile anomalia: le frange presentavano infatti un doppio flesso, però quello» relativo alla emissione era molto meno marcato. (1) Queste esperienze furono condotte con soluzioni di solfato di uranio. RenDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 21 — 158 — Per procedere alle misure si usò il seguente metodo: si fissava mediante i due fili del reticolo del cannocchiale annesso allo spettroscopio la posi- ‘zione intermedia di due frange nell'estremo rosso visibile e si notava la lunghezza d'onda relativa; si spostava quindi mediante vite micrometrica il cannocchiale riportando il reticolo nella stessa posizione, ma relativamente alla frangia successiva, notando ancora la corrispondente lunghezza d’onda. Così si procedeva per tutto lo spettro: riportando questi valori di % in ascisse con valori delle ordinate corrispondenti crescenti come 1, 2, 3... si poteva ricostruire l'andamento della frangia da quello della curva così trac- ciata. I risultati sono riassunti nella fig. 1: le prime dne curve si rife- RECUSI | e Rovamina Vra nuna Fis. l. riscono all’eosina; e, come vedesi, si ha un andamento curvilineo prima della scomparsa delle frange, verso 5300, per l’azione assorbente. Con una solu- zione meno concentrata (curva #) sì è potuto seguire il fenomeno anche attraverso la zona assorbita, per potere così porre chiaramente in vista il doppio flesso. Analizzando il fenomeno con soluzioni fluorescenti diverse, si è potuto sempre riscontrare la presenza di questo andamento anomalo nella zona cor- rispondente alla emissione, ma con modalità che variano da sostanza a so- stanza, e ciò certamente in relazione alla diversa legge di distribuzione del- l'energia delle radiazioni emesse per fluorescenza; in altri termini, in rela- zione al diverso spettro di fluorescenza. Il comportamento dell’uranina è interessante poichè in essa la zona di emissione si trova più vicina alla zona di assorbimento che non per l’eosina, quindi l’effetto suddetto si può meglio apprezzare. — 159 — Nella rodamina B e nella rodamina G 6 il secondo fiesso è esteso invece su più larga zona e verso le grandi lunghezze d'onda. Anche nell’eritrosina l’effetto è nettamente apprezzabile. Le concen- trazioni che ho adoperate, per trovarmi nelle condizioni più opportune, sì mantengono sempre nello stesso ordine di grandezza (da circa 107? a 1079). Infine per accertare in modo assoluto l’effetto ho pensato di studiare il fenomeno con una nuova disposizione sperimentale: le due vaschette erano riempite, non più una con soluzione e l’altra con acqua, ma entrambe con soluzione fluorescente; però uno dei due scompartimenti era, protetto lateral- a "i Erilrosina _—— Da R Kod mina B. = ) = | i Rodamina 6 mente da schermi, in modo che la luce che l’attraversava proveniva soltanto da quella della sorgente riflessa dal primo specchio; l'altro scompartimento era invece intensamente illuminato con specchi opportunamente disposti. I due scompartimenti si differenziavano quindi per una grande diversità nell’intensità della fluorescenza; e se una ditferenza di cammino ottico veniva a prodursi per questo fatto, bisognava notare una distorsione delle frange, che in caso contrario si sarebbero mostrate regolari, in relazione all'andamento caratte- ristico di due percorsi otticamente equivalenti. I risultati sono riassunti nella fig. 2: le curve ottenute col medesimo metodo di prima mostrano nelle rispet- tive sone di ‘emissione una sensibile anomalia. È da notare che le lunghezze d'onda relative alle zone di maggiore anomalia non portano a valori di 4, coin cidenti con quelli ottenuti da altri sperimentatori con ricerche spettrofoto- — 160 — metriche (*). Questo disaccordo può avere la sua origine dal fatto che per tutte le sostanze studiate lo spettro di emissione non si estende simmetri- camente rispetto al massimo ed inoltre invade anche la zona di assorbi- mento. Ciò produce un disturbo nella distribuzione della velocità di propa- gazione poichè non è presente una sola frequenza caratteristica ma tutto un campo di tali frequenze e quando un fascio policromatico attraversa la sostanza, tutte queste entrano in gioco ma con intensità, dipendente sia dalla relativa intensità di emissione, sia dalla facilità di vibrazione per risuonanza ;; per cui gli effetti tinali che si osservano con lo studio della dispersione sono risultanti dal complesso dei disturbi che entrano in gioco. Per ciò che si riferisce all'influenza termica dipendente dall'azione della sorgente in uno dei due scompartimenti, devo dire che se ne tenne conto compensando i piccoli spostamenti delle frange, e che in ogni modo la dissimetria non era di natura tale da produrre una distorsione. Concludendo : a) nelle sostanze fluorescenti la presenza di vibratori emittenti mo- difica la curva di dispersione in modo analogo all’azione esercitata dai vibra- torì assorbenti ; b) le varie sostanze studiate si differenziano tra di loro riguardo a questo effetto per intensità e distribuzione; c) il flesso di emissione è meno accentuato di quello di assorbimento. Rendo vive grazie al prof. Cantone per i consigli datimi ed i mezzi posti a mia disposizione. Fisica terrestre. — Aisultati di misure attinometriche ese- quite a Catania. Nota II del prof. GiovaNNI TROVATO, presentata dal Corrispondente BeMPORAD. Per studiare la variazione del cofficiente di assorbimento colla inclina- zione dei raggi, ho calcolato dapprima i valori di 9 corrispondenti alle di-- stanze zenitali 30°, 40°, 60° e 70°, sia per le osservazioni fatte al mat- tino, sia per quelle fatte al pomeriggio. Per facilitare i confronti ho raggrup- pato in medie i diversi valori, limitatamente agli intervalli 22-81 agosto mattina e 20-31 agosto pomeriggio. Indicando con z le distanze zenitali, ho così ottenuto : MATTINO POMERIGGIO ALATO SON A00 000 TO ZA 30°| 400/600] 700 < Plaia . . |qg=:11,93) 11,27] ‘8,0345971 | \Plaia . |ig:=11,93!|11;33|1228,69) M6,01 Osservat. | g/=12,61| 11,74| 9,02] 6,45 Osservat.|g/= 18,41 | 13,11| 11,67| 9,7% (*) Nicols and Merritt, Annate della Phys. Rev. dal 1906 al 1914. — l6l — Ho calcolato, intine, i valori del coefficiente di assorbimento e mediante la formula: log g" — log g UL c== ove g" e g sono i precedenti valori medi della intensità della radiazione solare rispettivamente all'Osservatorio ed alla Plaia per le diverse distanze zenitali ed 7 sono le rispettive masse di aria attraversate dai raggi. Come valori medi del coefficiente di assorbimento ho così ottenuto : MATTINO POMERIGGIO 300| 40°| 50°| 70° 300 | 400] 500] 700 e i | 51||c=s7| 64 88| 95 Sì riconosce dunque: 1) Che tanio nelle osservazioni fatte al mattino quanto in quelle fatte «al pomeriggio, lo strato di aria di soli 62 metri, compreso /ra la Plaia ed il R. Osservatorio di Uatania, esercita un forte assorbimento sulla radiazione calorifica solare. 2) Che i valori del coefficiente di assorbimento corrispondenti alle osservazioni falte al pomeriggio sono circa il doppio di quelli corrispon- denti alle osservazioni del mattino. 3) Che il coefficiente di assorbimento aumenta coll’aumentare la distanza zenitale dei raggi. Determinando i valori medi dell'umidità per la mattina e il pomeriggio, si ottiene: MATTINO POMERIGGIO Tensione Umidità Tensione | Umidità del vapore relativa del vapore relativa Platino 15,70 56 Pi 16,3 62 Osservatorio 12,8 42 Osservatorio | 14,5 48 La diminuzione di trasparenza dell'aria dal mattino al pomeriggio sì può dunque spiegare come dovuta all'aumento di umidità prodotta dall’'eva- porazione dell’acqua del mare ed al forte potere assorbente del vapor d’ac- qua per le radiazioni calorifiche. La conclusione poi che él coefficiente di assorbimento dumenta coll'au- mentare la distanza zenziale dei raggi, costituisce un risultato diametralmente opposto a quello trovato dal Prof. A. Bemporad per le regioni elevate e che si attribuisce al fenomeno dell'assorbimento selettivo della radiazione solare nell'atmosfera terrestre, come ho in principio detto. Ne concludiamo adunque che nello strato più basso dell'atmosfera i fenomeni dell'assorbi- mento selettivo appatono completamente invertiti per la presenza antagoni- — 162 — stica di altri fattori, nei quali ha certo gran parte la distribuzione del vapore d'acqua e del pulviscolo. Mi è grato di esternare i più vivi ringraziamenti al Prof. A. Bempo- rad, direttore del k. Osservatorio di Capodimonte (Napoli), ed al Professor Giovanni Platania per gli affettuosi consigli dei quali mi sono stati larghi nel presente lavoro. Chimica. — Sulla solubilità allo stato solido del bismuto e del cadmio nel piombo. Nota di CLara Di CAPUA, presentata dal Corrisp. N. PARRAVANO. Come è noto, il metodo di ricerca che va col nome di analisi termica. non consente, nella maniera in cui viene ordinariamente adoperato, una mi- sura rigorosa dei tempi di arresto. Esso permette perciò solo conclusioni approssimate nei riguardi dei punti caratteristici di un diagramma di stato : composizione degli eutettici, dei composti, dei cristalli misti saturi, ecc. Un metodo preciso è quello impiegato da Mazzotto per un certo nu- mero di coppie di leghe facilmente fusibili già in una epoca in cui man- cavano ancora le basi teoriche per la conoscenza della intima struttura delle leghe (1). Mazzotto ha calcolato dalle velocità di raffreddamento e riscaldamento. delle leghe, le quantità di calore che vengono svolte e rispettivamente assor- bite da 1 Kg. di lega durante il compiersi delle variazioni di stato. Rap- presentando graficamente queste quantità di calore in funzione della tem- peratura, egli ottenne delle curve che hanno lo stesso aspetto delle ordinarie: curve temperatura-tempo (curve di riscaldamento e raffreddamento). Anche nelle curve del Mazzotto, come in queste, l’inizio della cristallizzazione si avverte con un gomito, la solidificazione eutettica con un tratto orizzon- tale: questo tratto orizzontale è proporzionale alla quantità di eutettico esi- stente nella lega e si può utilizzare per costruire i diagrammi. Il metodo del Mazzotto è lungo a eseguirsi e in alcuni casi, che indi- cherò in seguito, per le condizioni sperimentali in cui si opera, dà resultati, meno vicini al vero che gli altri metodi. Fra questi più semplice e di manualità più facile è il metodo adope- rato da Plato (2) per la misura dei calori di fusione di alcuni sali e per la. costruzione dei diagrammi di fusione esatti di alcune coppie saline. Esso: consiste nel regolare la velocità di raffreddamento del forno in modo che le temperature che questo va successivamente assumendo vengano a trovarsi. sopra una linea retta: ciò si ottiene diminuendo lentamente e regolarmente. (1) Memorie dell'Istituto Lombardo [3] 7, 1 (1891). (*) Zeit. Phys. Ch., 59, 721 (1906); 58, 350 (1907). — 163 — l'apporto di calore al forno. a mezzo di una resistenza mobile sussidiaria,. in un circuito di cui è parte la spirale che riscalda il forno stesso. Le curve, che con tale metodo si ottengono, permettono: 1° di calcolare i tempi di arresto riferiti all'unità di massa di so-- stanza che soliditica; 2° di calcolare i tempi di arresto riferiti all'unità di massa di so- stanza per una velocità di raffreddamento uguale in tutti i casì a 1; 3° di calcolare i calori di fusione delle sostanze dal confronto dei: resultati ottenuti con corpi a calore di fusione noto. È possibile, secondo Plato, arrivare a calcolare pure i calori specifici ;. ai nostri scopi però questi non hanno interesse. conducibitita Pb so #0 fo so so ‘o 30 29 ‘° Ca: Fre. 1. Fia. 2. Il metodo di Plato non ha avuto fino ad ora alcuna altra applicazione oltre quelle fattene dall'autore stesso. Mi è sembrato pertanto opportuno applicarlo allo studio di leghe metalliche per descriverne diagrammi esatti. I risultati ottenuti per le coppie Pb-Bi e Pb-Cd sono riportati nei due diagrammi (fig. 1 e 2). I tempi di arresto riportati sui diagrammi si riferiscono alla massa 1 e alla velocità 1. Essi sono stati ricavati nella stessa maniera indicata da Plato per i corpi puri. È facile infatti dimostrare che anche per gli eutet- tici sono applicabili le costruzioni e le formule di Plato. Le leghe di Pb-Bi sono state studiate da un gran numero d'autori (!). Il diagramma adottato per esse e riportato anche nelle tabelle del Landolt è quello di Stoffel (2). Secondo esso, l'eutettico contiene circa il 42% di Pb. e i limiti di solubilità allo stato solido di Bi in Pb e di Pb in Bi sono. a circa il 10% in entrambi i casi. Questi valori sono certamente inesatti. (1) Mazzotto (loc. cit.); Heicock e Neville, J. Chem. Soc., 61, 904 (1892); Charpy,. Contribution a l’étude des alliages, Paris, 1901, p. 220; Shepherd, Chemisches Central. blatt, 1903, I, 223 e 485; Barlow, Zeit. anorg. Chemie, 70, 183 (1911). (*) Zeit. anorg. Ch., 53, 150 (1907). — 164 — Estrapolando i valori di Mazzotto dalla parte del Bi si arriva alla «conclusione che al massimo 1l’1% di Pb si può sciogliere nel Bi alla tem- peratura eutettica; ma neanche questo resultato può essere accettato. E infatti basta pensare al modo di operare di Mazzotto (egli portava le leghe a fusione e poi immergeva crogiuolo con lega in un ambiente raffred- dato a 0°) per dedurne che egli sì trovava in presenza di velocità di raffred- damento eccessivamente forti le quali possono non permettere ai cristalli misti di omogeneizzarsi come richiederebbe la teoria, per modo che arri- vano a cristallizzare in corrispondenza dell’eutettico anche leghe che do- vrebbero essere costituite solo da cristalli misti omogenei. E ciò è evidente perchè dai resultati di Barlow si arriva ad un tenore del 14% di Pb nel Bi. Per la solubilità solida del Bi nel Pb, dai calori di fusione di Maz- zotto si ricava 64-65% Pb, e dai valori di Barlow 68-69. Da) diagramma riportato si ricava invece per il Pb nel Bi una solu- bilità solida del 4% e per il Bi nel Pb una solubilità solida del 34%. Il primo valore si dilferenzia da quello di Mazzotto; il secondo concorda bene. È notevole che mentre dal lato del Pb i tempi variano linearmente, dal lato invece del Bi essi variano secondo una curva. È difficile dire a che cosa sia dovuta questa variazione non lineare: forse può pensarsi che possa avervi influenza la lentezza di diffusione del Pb nel Bi e quindi la velocità di raffreddamento. Con un raffreddamento molto più lento, in questo caso, anche dal lato del Bi i tempi di arresto dovrebbero presentare una varia- zione lineare. Ad ogni modo la concordanza con i valori di Mazzotto è sufficiente: identità come si è visto non poteva aspettarsi data la differenza notevolis- sima nelle velocità di raffreddamento. Le velocità con cui ho lavorato nel caso delle leghe Pb-Bi oscillavano di poco intorno a 19,4 al minuto. I risultati ottenuti per le leghe di Pb-Cd sono riassunti nel dia- gramma della fig. 2. Come si vede, in questo caso non esiste quasi affatto solubilità solida del Pb nel Cd e viceversa. Questa conclusione non concorda con quanto finora si riteneva in proposito, giacchè il diagramma che si accettava per queste leghe e che è riportato nelle tabelle di Landolt, ammette una solu- bilità del 4% circa di Cd nel Pb. i Le mie conclusioni sono state convalidate anche dalla misura delle con- ducibilità specifiche. Queste variano linearmente dalla conducibilità del piombo a quella del cadmio, ed il diagramma relativo (fig. 2) esclude perciò senz'altro l’esistenza di solubilità solida, G. C. Pubblicazioni della R. Accademia Nazionale dei Lincei. Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 22 MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filolugiche. Vol. 1V. V. VI. VII. VIII Serie 88 — TraNnsUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — HI-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIMI. - Serie 4* — ReEnpICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. : Serie 5* — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXXI. (1892-1922). Fase. 3°, Sem. 1°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XXX. (1862-1921). Fasc. 7°-10°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematich: e naturali. Vol. XIII, fasc. 9°. ; MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e flologiche. Vol: "I-XII:Vol. XIV. Vol. XV. XVI Fasc. 8°, CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCFI 1] Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia Nazionale dei Lincci si pub- blicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispondenti oguuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta Italia è di L. 108; per gli altri paesi lc spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : ULRICO HoepLi. — Milano, Pisa e Napoli. P. Magione & C. STRINI (successori di FE. Loescher & 0.) —- fome2. Seduta del 19 Ri 1922 Li : 4 È O JSLE [ MEMORIK E NOTE DI B0CI Majorana. Sull’assorbimento della gravitazione. Nota VII IE È ss SR - è ‘ Zambonini. Ardennite di Ceres, in val d’Ala (Piemonte) . a SE Yi i ola asi Ep 7 À uso Vi RT PREDA ia Cech. Sar i surfaces dont toutes les courbes de > Darbovx di plans - % > Corrisp. Fubint) . 0. > Cor chi PR RI o Carrelli. Sulla dei della luce nelle soluzioni abi (presentati dal 8 T Trovato. Risultati di misure attinometriche eseguite a | Catania. Nota II (pres Corrisp. Bemporad) . iii ir Hocsini RE So Di Capua. Sulla solubilità lo stato solido dal dmn e, del cadmio nel pio sentata (dal Corrisp. Parravano) + MT i e . Pubblicazione bimensile. N. b. ATE I REALE ACCADEMIA NAZIONALE | DEI LINCEI ANNO CCCXIX. 1922 pb QSTA: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXXI. — Fascicolo 5° Seduta del 5 marzo 1922. 1° SEMESTRE. ROMA TIP. DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre 1 Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- . siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese ; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia. nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume ; due volumi formano un’annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 3. L'Accademia dà, per queste comunica- zioni 50 estratti gratis'ai Soci e Corrispondenti, e 30 agli estranei ; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le distus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se î Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. “che fosse richiesto, è II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le. Memorie pro- priamente dette, sono senz’altro inscrittenéi Volumi accademici se provengono da Soci 0_ da Corrispondenti,. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli-Atti dell’Accade mia o in unsunto 0 in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la-relazione è letta in seduta pubblica nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nelcaso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci/o Corrispondenti 130 se estranei. La spesa di un numero di copiein più è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. TT—_T—_ET<_YYLXr dr 1) 5 Qt _ pl y=(n+3) 0) "da ra de ra i Ma il primo membro della (5) è identicamente uguale a dor, po- ‘nendo dunque 77 = R avremo: d*R pe PS > (k+n+3) (6) da? ipa a 4 > P SE 1 I Se invece si operasse sulla (2) con la sostituzione 7, sim ed R,j= «= @PT, essendo @ una costante arbitraria, essa diverrebbe des 1 Ro ti +n+3) da? DEE R? ql+2n+3 ; (6%) Ora è evidente che se immaginiamo integrata la (2) e trovato r= /(t), risulterà dai calcoli fatti (7) k=e/(,) e quindi anche la (6) si potrà considerare come è integrata. Viceversa riso- luta la (6) e trovato R= g(2), il passaggio inverso ci darà 7 in funzione di :. Ma interpretando R come raggio vettore e 7 come un tempo, la (6) ‘è l'equazione del problema nel caso [XK, —(£# 4 x+3)], dunque ecc. 4. Corollari. I caso d'integrabilità. — La (6) si riduce evidentemente alle quadrature, quando in essa non comparisce esplicitamente # ; ne conclu- diamo dunque che il problema è risolubile per (8) k+n+3=0. — 172 — Eseguendo i calcoli troviamo a ( Rdk (9) r=R (10) ,R°— 2R*#*—(£+1) dove C, e C. sono costanti arbitrarie. Eliminando R tra la (9) e la (10) si ha la soluzione cercata 7 = /(t). Questo semplice risultato, non ancora messo in luce da altri, racchiude come caso particolare il 1° teorema del Mestschersky (legge Newtoniana ed. Mi)= 1 a+ dt 5. Cast coniugati coincidenti. II caso d'integrabilità. — Come mostra il teorema ora dato, i casi [X, x] sono coniugati due a due dal punto di vista della loro integrabilità ; ed è facile anzi di vedere che questo legame è snvolutorio. Infatti partendo, per esempio, dal càso finale Cs cioè [E,.—(K +-+ 83)] ed operando come si è fatto si ritrova come coniu- gato il caso iniziale C, cioè [£,n]. In generale i due coniugati C, e Cs sono distinti tra loro tranne se si abbia n= — (£+n +3), cioè ) che ha luogo per 4= — 2 ed an=— 1. (11) pete Anche in questo caso il problema è integrabile e noi possiamo vederlo. nel modo più semplice osservando che nella ipotesi (11) l'equazione (2) di- ; rispetto a £. È questo, in sostanza, il metodo seguito dal Lovett il quale nella sua Nota, indipen- dentemente dalla teoria ora svolta, pone # = e? ed r=e%z e mostra che la (2) si riconduce alle quadrature se la (11) è verificata. Dal nostro punto di vista si può però anche osservare che nella ipotesi (11) la (2) coincide con la (6°), cioè resta invariata per una sostituzione 1 a?t punto rende ragione della facile integrabilità della (2) nel caso (11) e dà un notevole significato analitico al teorema del Lovett. Potremo anzi valerci di tale osservazione per trovare una elegante pro- prietà dell’integrale. Supponiamo a tale scopo che 7 = (t) sia una soluzione della (2); i viene omogenea se si suppone che r sia di grado della forma 7, = ed R,= art, qualunque sia la costante a. Ciò ap- 1 i passaggi fatti ci mostrano allora che Ri =@7, va) sarà soluzione della, 1 — 173 — 1 (62). Ma nel caso (11) la (6°) coincide con la (2); dunque 7 = alw (3) sarà soluzione della (2). 1 Cioè nell'ipotesi (11) se r = w(t) è un integrale, anche r = aty() sarà un integrale qualunque sia la costante arbitraria a . Sarebbe poi facile di vedere che nel caso (11) si ha sempre come in- tegrale particolare (12) PSE Vi essendo s radice dell'equazione (13) 4gt+3 — st - 4=0. = . 1 1 1 > Per 7 = sy/t si ha identicamente vO=ev(-7) qualunque sia a. Sarà inutile aggiungere che nell'ipotesi (11) rientrano in particolare il l 2° teorema del Mestschersky (per la —2 ed x =-3) e quello della Maderni (per Z#= — 5 ed n=1). 6. Terminando potremo riassumere i risultati della presente Nota af- fermando che il problema è finora dztegrabile soltanto nei casì il cui co- niugato è « masse costanti (C+ n +3 = 0) oppure nei casi che coincidono. col proprio coniugato (£ 4 2n-+-3=0). NOTE PRESENTATE DA SOCI Relatività. — Zo spazio-tempo delle orbite kepleriane e delle orbite einsteiniane. Nota III di F. P. CANTELLI, ‘presentata dal Socio G. CASTELNUOVO. In questa Nota cerco di rendermi conto delle orbite einsteiniane e dello spazio-tempo che ad esse si riferisce, prescindendo da ogni considerazione di equazioni gravitazionali. 1. Ricordiamo (*) che la metrica dello spazio-tempo delle orbite keple- riane è assegnata da (1) d=—(1 _ n) (dr? + r° dp — e di?) . n Alla determinazione di (1) si perviene ammettendo, in primo luogo,. che l'orbita descritta da un punto materiale intorno al Sole sia rappresen- tata dall'equazione, espressione formale della prima legge di Kepler, (1) Cfr. questi Rendiconti, 1° sem. 1922, fase. 1°, pag. 18 e fasc. 3°, pag. 92. RENDICONTI. 1922, Val. XXXI, 1° Sem. 25 (2) E Cast A GI u=% e, in secondo luogo, ammettendo che valga l’espressione formale della seconda legge di Kepler :(8) r? DA —icost: —iUx Si è anche detto che lo spazio-tempo (1) non conduce ad alcuna defles- ‘sione di un raggio luminoso nel campo gravitazionale solare, deflessione che, come è noto, dovrebbe aver luogo anche in base al semplice postulato di proporzionalità tra massa ed energia, pur giustificato da considerazioni tratte da Einstein dalla teoria della relatività della prima maniera o in senso stretto. Una deflessione dei raggi luminosi nel campo gravitazionale solare dovrebbe potersi dedurre dallo spazio-tempo generato dal Sole quando si identiticassero, come riesce spontaneo ad ammettere, le geodetiche di lun- ‘ghezza nulla (4s=0) con le traiettorie dei raggi luminosi stessi. Lo spazio-tempo (1) non riesce perciò soddisfacente, ma il difetto che comporta può dipendere dal fatto che esso presume, nel sistema di coordi- nate r,g,t, adottato per la descrizione dell'intero sistema solare, la vali- dità rigorosa delle prime due leggi di Kepler le quali, nel sistema indicato di coordinate, potrebbero avere un valore di semplice approssimazione. Sembra più corretto, allo scopo di ulteriori considerazioni, cercare di dedurre l’equa- zione dell'orbita, descritta da un punto materiale, dall'espressione generale del ds° che è atto a rappresentare la metrica dello spazio-tempo generato dal Sole. 2. Si è accennato che ragioni di simmetria portano a scrivere che la metrica dello spazio-tempo tridimensionale, che occorre considerare, debba essere assegnata da una espressione della forma p :(4) ds? FISSARE | ed dr? — el r? dep* Ad et e‘ dt* 5 in cui 4, #,v sono tre funzioni della sola 7 soddisfacenti alla condizione lim Wim =iimae 07 r> 0 Si è anche detto che da (4) si deduce :(5) r3 2 _ he RIS mera AU fera loved Aaa essendo X,% due costanti di integrazione, e l'equazione dell'orbita, descritta da un punto materiale intorno al Sole, GAUDIO: IIARC (osi O I RT e (0) dg | ° do du “72h du 2h du — 175 — Ora lo spazio-tempo (4) non solo deve diventare euclideo a distanza ‘infinita dal Sole, ma deve essere quasi euclideo anche a breve distanza dalla superficie del Sole; pertanto, sembra 4 prior? giustificabile che si ponga nella (6) (7) Ca) ile ge all gue — iS oag. ‘essendo a, ,y tre costanti da determinare, ovviamente indipendenti da / , £. In conclusione, invece dello spazio-tempo (1) e dell'equazione dell’or- bita (2), considereremo lo spazio-tempo e l'equazione dell'orbita che forni- scono le (4), (6), tenendo presenti le (7). Risulta, tenendo anche conto delle (5), 14 fu Liri IM QI STAR NR 2 Arne ipse SL ba 7) (8) dst = eng: n premi dp? + e tra AA oe e delia ds 14Su' ds 14 di © E low d*u 3 1 (ka (10) mg tto aa _#)- Si noti che per y=0 si ricade nei casi esaminati nella precedente Nota e che, in particolare, per y=0, a=0, #=—2m= — Km. 2,94 si ha lo spazio-tempo (1) delle orbite kepleriane. Veniamo alla determinazione delle costanti @, 8,y dello spazio-tempo (8). Possono farsi diverse determinazioni di queste costanti, ma soltanto le due di cui appresso sì fa cenno si presentano spontanee, senza artificî. Altre de- terminazioni non mì appariscono giustiticabili o soddisfacenti quand’anche le conseguenze di esse non possano dirsi contraddette dalle osservazioni. 8. Allo spazio-tempo (8) corrisponde l'equazione dell’orbita (10). Ora le osservazioni suggeriscono che, a sufficiente distanza dal Sole, il moto debba potersi ritenere kepleriano. È spontaneo allora ammettere che, quando si prescinda, nella (10), dal termine di valore piccolissimo 3/2 yu*, e quindi quando anche si ponga y= 0, la (8) debba fornire lo spazio-tempo delle orbite kepleriane (1); poniamo, dunque, nella (8) x=0, 8= — 2# perchè, allora, per y=0, risulta esattamente lo spazio-tempo (1) delle orbite kepleriane. Avremo, in conseguenza, da considerare lo spazio-tempo (11) ds= 12% gp 1 —2mu e A 2Le(l_—-2 2 dit ee r? dp? + e?(1 mu) di ‘cui corrisponde l’orbita di equazione i 3 m (12) ga tutina. — 176 — Si tratta di determinare l'ultima delle costanti, la y. Si è già accen- nato che il semplice postulato di proporzionalità tra massa ed energia porta come conseguenza una deflessione dei raggi luminosi nel campo gravitazio- nale solare. [n particolare, un raggio stellare, passando rasente il bordo so- lare, dovrebbe subire una deflessione di circa 0',87. Ora, perchè la (12) fornisca una tale deflessione (4s= 0, e quindi f = co), basta porre y=—m: ma allora, dalla (12). sì deduce pure uno spostamento secolare del perielio. di Marte di circa 0,7 e uno spostamento secolare del perielio di Mercurio di cirea 21”, quando, eftettivamente, l'astronomia attribuisce circa 5” di spostamento al perielio di Marte e circa 42” a quello di Mercurio. Se, dalla (12), si vuole dedurre uno spostamento di circa 42” del perielio di Mercurio, basta porre y = — 2m. Allora la (12) stessa fornisce, per un raggio stellare che passi rasente il bordo solare, una deflessione di 1”,75. Per y = — 2 le (11), (12) dànno lo spazio-tempo einsteiniano e l'orbita einsteiniana. Le (9) diventano s dp di _k (ole ali > pa l'ultima delle quali dice che, nel sistema di coordinate adottato 7, ,&. non è più valida la 2* legge di Kepler. In altri termini, il passaggio dallo spazio-tempo kepleriano (1) a quello einsteiniano fa rinunziare, nel sistema di coordinate indicato, non solo alla prima ma anche alla seconda legge di Kepler. 4. Ritorniamo alla (8) per un'altra determinazione delle costanti @, f, y. Stabiliamo, in primo luogo, di non rinunziare, nel sistema di coordinate adottato, alla 2% legge di Kepler; per l’ultima delle (9) bisogna allora porre a==y. Stabiliamo ancora che dall'equazione dell'orbita (10), con a = y, / d°u SE braci (Lia )= co tetano eg debba dedursi uno spostamento di circa 42” del perielio di Mercurio. Poichè il moto deve riuscire quasi Kepleriano, il valore del termine 3@u® dovrà ld riuscire trascurabile rispetto ad A. Integrando la (14) per approssimazioni successive (è ovvio che, quando si trascuri il termina gu, risulta in prima \ I approssimazione v=A[1 -- ecos(p— )] e) [le cos(p— o) a e si deduce che perchè la (14) fornisca lo spostamento richiesto del perielio di Mercurio, basta porre a = —2m. Le (8), (9) e (10) diventano, per a=y=— 2M: (15) din Thi dr? — Lg r? dg °+ e SSA de. dp __,1_2mu di k1T—-2mu 2 19 he? ds “14 fu’ ds © 14fu°' di k° (16) (Ra 2 al 2 (17) E palati e e (- B_ Lom), e dovremo determinare la costante f. Poichè a sufficiente distanza dal Sole, l’orbita descritta da un punto materiale deve risultare quasi kepleriana, il secondo membro della (17) deve risultare, tenuto presente quanto si è detto a proposito delle (11). (12), pressochè eguale a ci Ora, quando sì elimini ds tra la penultima delle (16) e la (15) si ricava che, per il moto dei pia neti, è approssimativamente 4 1; ne segue che dovrà porsi #= — 4m. Risulta dunque lo spazio-tempo x 1 4mu 1 4mu — 4mu (18) e a TA r°-d gi +e iti Da dal quale si deduce: che per il moto di un punto materiale intorno al Sole vale, nel sistema di coordinate 7, ,/, la seconda legge di Kepler; che si ha uno spostamento secolare del perielio di Mercurio di circa 42”; che un raggio stellare, passando rasente il bordo solare, subisce una deflessione, non del mandi 0,84%. Le osservazioni fatte sulla deflessione del raggio stellare, in occasione dell’ecclisse solare del 29 maggio 1919, conducono ad ammettere che essa debba essere dell'ordine di grandezza indicato da Einstein (1,75), ma è noto che altre osservazioni saranno eseguite in proposito. Dallo spazio-tempo (18) si deduce pure una influenza del campo gra- vitazionale sulla frequenza delle vibrazioni di un atomo, in una misura pra- ticamente eguale a quella che si deduce dallo spazio-tempo einsteiniano. 5. Le determinazioni fatte delle costanti @,£,y, nei casi precedente- mente esaminati, dipendono dalla preferenza data allo spostamento del pe- rielio di Mercurio in confronto a quello di Marte. Sono note le ragioni per cui non vengono presi in considerazione gli spostamenti dei perieli degli altri pianeti. È chiaro che se si desse la preferenza allo spostamento del perielio di Marte, si otterrebbero risultati del tutto diversi. Così, perchè lo spazio- tempo (11) fornisca lo spostamento di circa 5” indicato, basta porre y = — 8m ma si deduce allora uno spostamento del perielio di Mercurio quadruplo di — 178 — quello che effettivamente si attribuisce al detto pianeta e una deflessione. di un raggio stellare, che passi rasente il bordo solare, quadrupla di quella einsteiniana. Così, anche per il secondo caso considerato, quando si voglia dedurre lo spostamento di circa 5” del perielio di Marte, si perviene allo. spazio-tempo (Lo) d=- TE dr? — PMI r° dp* + e* It dal quale si ricava ancora uno spostamento del perielio di Mercurio qua- druplo di quello effettivamente attribuito al detto pianeta e una deflessione di un raggio stellare, rasente il bordo solare, doppia di quella einsteiniana. Ora è inammissibile che simili risultati possano rispondere alla realtà e pertanto non potrebbe restare « priori giustificata una preferenza allo spostamento del perielio attribuito a Marte in confronto a quello attribuito. a Mercurio, ma tutto quanto è stato detto in questa Nota, e nella prece- dente, ribadisce che spetta ancora alle osservazioni di decidere sulla plausi- bilità dello spazio-tempo einsteiniano (11), [y=— 27], e quindi sulla portata delle equazioni gravitazionali nella forma prescelta da Einstein. Meccanica — Sul problema dei due corpi di massa varia- bile. Nota di E. 0. Lovert, presentata dal Socio T. Levi-C1vira. In una Nota interessante ('), presentata a questa Accademia il 2 maggio 1921 (che solo recentemente potei leggere nel corrispondente fascicolo dei Rendiconti) la Sig.na dott. Carla Maderni ha integrato le equazioni differen- ziali del problema dei due corpi di massa variabile, nell'ipotesi che la massa sia una funzione lineare del tempo e che l'attrazione varii in ragione inversa della quinta potenza della distanza. Dalla lettura di questa Nota sono stato condotto ad un tipo di problema dei due corpi, più generale, in cui le equazioni differenziali del moto sono ancora riducibili alle quadrature. Questo tipo include, come caso particolare, il problema dei due corpi di massa variabile, in cui la massa varia come la p°S'"? potenza del tempo. e la forza (attrattiva o repulsiva) come la g°5'm2 potenza della distanza, p e q essendo due numeri quali si vogliono legati dalla relazione 2p+q4+3=0. Ritengo che questo sia un nuovo caso di integrabilità, in cui è in par- ticolare compreso (p=1,g9= —5) quello segnalato dalla Sig.na Maderni nella Nota citata. (*) Un nuovo caso di integrabilità nel problema dei due corpi di massa variabile. — 179 — Si consideri il moto (relativo) di due corpi soggetti a mutue azioni attrattive o repulsive, quale rimane definito (colle solite notazioni) dal si- stema differenziale l) ù 5 (1) i, ea) =0: t con < si rappresenta una funzione, del resto arbitraria, in cui, per sempli- cità di scrittura, si è conglobato il quadrato della costante delle aree. Le unità si sono scelte in guisa da rendere eguale ad 1 la costante gravita- zionale: volendo, si potrebbe supporre = 1 anche la costante delle aree c. Il sistema (1) è integrabile per quadrature in quanto, nella seconda equazione, si possono separare le variabili mediante la sostituzione (2) dA e designando al solito la base dei logaritmi naturali. Infatti, ove si derivi » rapporto a ?, prima una e poi una seconda volta, tenendo conto che 5 va risguardata come funzione di 4, si ottiene 8) a+ (4) du = ; eMs" — 2), "I in cui 2' e 3" rappresentano le derivate prima e seconda di 2 rispetto a 4. 2, Sostituendo, nella seconda delle (1), a CL il suo valore (4), abbiamo, ba- dando alla seconda delle (2), (5) a'=a— 4gp(8°) 7. Questa equazione di secondo ordine in 2 è di forma integrabile, e una prima integrazione porge (6) a'*=s32—8 fo 23dz + h, dove % è una costante additiva arbitraria, proveniente dall'integrazione. Per fare qualche applicazione della (6) a casi particolari, giova tra- sformare alquanto il secondo membro, eseguendo nell’integrale una integra- zione per parti. Si può così attribuire alla (6) la forma (7) SA Ae J dA) de 4h, — 180 -- -dove g' rappresenta la derivata di rispetto all'argomento 2°. Questa forma (7) ha altresì il vantaggio di mettere in evidenza il termine corrispondente 2 a _ il quale, nell'equazione originaria (1), si trovava assorbito nella fun- x zione arbitraria g. Da (6) o da (7) si ricava, con un’ulteriore quadratura, l'espressione di 4 sotto la forma (8) di «dove % è la costante arbitraria introdotta dall’integrazione. Determinata così 4 come funzione di 2, le equazioni (2) dànno im- mediatamente » quale funzione di #, e la prima delle (1) ci fornisce, con. un’altra quadratura, anche 9 in funzione di #. Rimanendo pertanto espresse sia 7 che @, in funzione di £#, risulta completamente determinato il moto definito dall'originario sistema differenziale (1). Terminerò considerando quel: caso speciale del problema in questione, in cui la funzione arbitraria g ha la forma (0) g=Ls:(7)(4). rappresentando a lor volta le g; funzioni arbitrarie dell'argomento indicato e il sommatorio essendo esteso a un numero finito qualsiasi di valori di 2. Le equazioni differenziali (1) divengono in conformità Rit ui E NZIARE NEI o - î p(2i+3) (10) r COR de Zgi(5 AAT È e la corrispondente soluzione si ricava dalla (7) sotto la forma (11) a? SG? LL di di Pi(8°) grgd+) 9 fee) gu?i+1 d | + h, in cui le costanti 4; sono definite dalle posizioni (12) (+ 1)a=4. In particolare, se tutte le g; sono costanti, diciamo, per esempio, (13) Pi =" bi È) scompaiono dalla (11) le quadrature non effettuate, e l'integrale assume lo aspetto semplice (14) g!? — 22 + DI Ci gr2li+1) + 4h h — 181 — ‘in cui, per convenienza formale che apparirà tra un momento, si è scritto -4h in luogo di 4, ponendo altresì :(15) Ci== Ui di. Dalla (14), mercè l'ulteriore sostituzione 1 DI (16) dl si ricava, per il caso di cui ci occupiamo, l’integrale (8) sotto la forma particolare 1 du 17 an _l(__& __u} ca 2] use Abu 1 Se poi tutte le costanti 2 si suppongono nulle, salvo due, diciamo by ‘e 2, alle quali si attribuiscano i valori (18) Gi e l'integrale (17), in virtù delle definizioni (12) e (15), diviene 2/uVapurt? mi 4 44h Qui 1a Quest'ultimo integrale (19) risolve il problema dei due corpi di massa . variabile, quando la massa varia come la p°5' potenza del tempo e la forza come la potenza g°""* della distanza, p e g rappresentando due nu- meri qualsivogliono legati dalla relazione lineare (20) 2p+4+3=0. È questo un caso abbastanza generale di integrabilità, che credo nuovo. Supponiamo da ultimo p = 1 e osserviamo che, a norma della (12), a,==2. Si ha in tal caso, dalla (19), l'integrale (21) ira] ei +k, 27 u|2u° — du? + 4hu + 1 il quale, moltiplicando per 2 (chè tale è il rapporto fra il Z usato dalla Sig.na Maderni e il mio), ovvero, ciò che è lo stesso, aggiungendo il fattore 7 sotto il segno di radice, diviene identico al nuovo integrale assegnato dalla Sig.na Maderni, il cui scritto diede origine alla presente ricerca. RenpICcONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. 24 — 182 — Fisica matematica. — Capacità del condensatore a piatti: infinitamente sottile. Nota di Rocco SERINI, presentata dal Socio- T. LEVI-CIVITA. In due Note (') ho ridotto il problema della distribuzione elettrica. sopra il condensatore a piatti circolari alla risoluzione di due equazioni in- tegrali. Ma i mieì sforzi per dedurre nel caso generale l'elemento veramente: importante, la capacità, non ebbero finora successo. Invece se si considera un condensatore co'° sottile rispetto al raggio dei piatti, è possibile dedurre, come mostro in questa Nota, che la capacità è data dalla formula A +É dove A e B sono costanti e / la distanza dei due piatti: e precisamente è Amt (a raggio dei piatti) e B dovrà dedursi sperimentalmente. 1. Richiamo di risultati precedenti. — Dette g,, > le due funzioni potenziali che sui piatti prendono rispettivamente valori (4-1, — 1) (+1,. + 1) esse sì possono mettere sotto la forma Po hi e” a — e (oi ) Io(78) wi(s) ds, da Po = (e (al — A 1o(78) ws(s) ds, e nel caso del condensatore © '° sottile si ha [2% Nota (17) (18)]. 2 sen as I 2 sen 48 CI) vas, a POM, Ciò posto è facile dedurre l’espressione delle quantità di elettricità che si hanno sui due piatti. Siano queste €11, €19, @21 , @2g Il primo indice rife- rendosi alle 4,, gs il secondo ai due piatti superiore ed inferiore. Basta tener conto dei risultati del Beltrami (*) e si avrà coi dati (1) (2) 2g sen as 131 = mu eng f Ij(a8) FL 70 2a (is ; sen 4 s l9, = @9° = — — Iif(asì —=="= ds. 21 22 TT BLA o( SA + e) (1) Teoria del condensatore elettrico a piatti circolari. R. Acc. Lincei, luglio-ot-- tobre 1920. (2) Sulla teoria delle funzioni potenziali simmetriche. Par. 2, Acc. Bologna, 1881, oppure Opere, T. III. — 183 — site bag [ 3 Facendo le sostituzioni as = 2, a h e ricordando che E(r)=—1I;(x) (I,(x) funzione di Bessel di 1° spesie e d'ordine uno) si ha in definitiva Dal (uni sen 7 \ Certe er ; LO ict: (3) DI 0 n 24 sen%__j Vie ro si 1. Riduzione ad una equazione funzionale. — Gli integrali che com- paiono nelle (3) non si sanno calcolare. Osserviamo però che sen x x(1— eh) dr, 4a (© 14 0 = tà f I, (x) e mettendo quindi in evidenza che le e sono funzioni sulla sola #, (4) en) + eo(A)=2 e11(24). Se per e2;(4) che è funzione regolare per &= 0 sostituiamo, essendo n= infinitesimo, il primo termine del suo sviluppo, avremo (27 (5) eg(h) = e2,(0) = mea (” 1(2) Sen dx == De: 3 TT perchè ri vale 1 ('). L'equazione funzionale (4) diventa (4) en(h) +7 = 201(24). Si può dimostrare che questa ha per soluzione generale la soluzione evidente (51) (= +. dove B' è una costante. 3. Capacità del condensatore. — Colle formole (5) (5°) il problema della capacità è completamente risolto, cioè sono determinati i coefficienti nelle formole che legano potenziali e cariche. Se intendiamo come capacità, in una accezione più ristretta, la carica che si ha sopra uno dei piatti a potenziale 1 quando l’altro sia a potenziale zero, il calcolo può essere con- dotto in modo breve così. Ricordiamo che se ,,%: sono i potenziali di due conduttori con cariche C,,C, e gi”, gî° i potenziali degli stessi con cariche CP, CO si ha Ya [oxte) Ip, cea pi C, x pi CSA) (1) V. p. Schaftlein, Bessellschen Functionen, pag. 79. (2) Vedi p. es. Kirchhoff, Vorlesungen uber Electricitàt und Magnetismus, 7% Lez, N. 4. — 184 — Poniamo allora gf" =1, gi!” =0 e poi una prima volta g,=1, go =—1 quindi C=—C:=%, e un'altra volta gia= 1, pe= 1 quindi CC €92) è Avremo allora dalla formola citata, per le (5) (5'), CO GE CO 4 VI 0 +0 = en, quindi B' = (211 + Coni dpi —l inc el (6) ou dove B è una costants (delle dimensioni di una superficie) che dovrà de- dursì sperimentalmente. Relatività. — Correzione di una grave discrepanza tra la teoria delle masse elettromagnetiche e la teoria della relatività. Inerzia e peso dell’elettricità. Nota I di EnRICo FERMI, presen- tata dal Corrisp. G. ARMELLINI. $ 1. La teoria delle masse elettromagnetiche fu studiata per la prima volta da Max Abraham (*), prima della scoperta della teoria della relatività. Abraham considerò la massa di un sistema di cariche elettriche, rigido nel senso della meccanica classica, e trovò che nell'ipotesi che un tale sistema avesse simmetria sferica, la sua massa era variabile con la velocità, e pre- cisamente eguale (2) a ci — (essendo « l'energia elettrostatica del sistema e e la velocità della luce), per velocità nulle o molto piccole, mentre per velocità v confrontabili con c intervenivano dei termini di correzione un po complicati dell’ordine di grandezza di v?:c*. Prima ancora della teoria della relatività Fitzgerald introdusse, come è noto, l'ipotesi che i corpi si (1) M. Abraham, Theorie der Elektricitàt; Richardson, Elektron theory of Matter, cap. XI; Lorentz, The theory of elektrons, p. 87. (?) Si dice ordinariamente che la massa elettromagnetica di uno strato sferico omo- 2, e " i a 5 rd 80 però si osserva che l'energia elettrostatica E lares v è tha. a si trova la massa =; a° geneo di carica e, e di raggio r è — 185 — contraessero nella direzione del loro moto, nel rapporto Vl EL e Lo- rentz rifece la teoria delle masse elettromagnetiche di Abraham, conside- rando naturalmente invece che sistemi di cariche elettriche rigidi nel senso della meccanica classica, dei sistemi che subissero tale contrazione. Il risul- tato fu che la massa di quiete, ossia il limite della massa per velocità nulle, restava - — , mentre venivano alterati i termini correttivi dipendenti da v*:c?. Le esperienze di Kaufmann e Bucherer, sulla variabilità con la velocità della massa delle particelle 8 dei corpi radioattivi si decisero nettamente a fa- vore della teoria di Lorentz, così detta dell'elettrone contrattile, contro quella di Abraham, dell'elettrone rigido. Scoperta in seguito la teoria della relatività, questa portò alla conse- guenza che tutte le masse, fossero esse o no elettromagnetiche, dovevano variare con la velocità come quella dell'elettrone contrattile di Lorentz; per modo che le esperienze di Kaufmann e Bucherer vennero a lasciare inde- cisa la natura totalmente elettromagnetica o no della massa elettronica, venendo a costituire esclusivamente una conferma della teoria della relati- vità. D'altra parte la stessa teoria della relatività condusse ad attribuire U ad un sistema dotato dell'energia v la massa RE di modo che venne a sor- gere una grave discrepanza con le teorie elettrodinamiche di Abraham e Lo- rentz, che attribuiscono ad una distribuzione sferica di elettricità la massa Questa differenza tra la teoria elettrodinamica e queila relativistica mi si presentò stridente dopo due recenti Note (*), in una delle quali considerai le masse elettromagnetiche di sistemi a simmetria qualunque, trovando che sono in genere rappresentate da tensori anzichè da scalari, che si riducono 4 u i x À i : naturalmente a 3 O nel caso della simmetria sferica, nell'altra invece, par- ) tendo dalla teoria generale della relatività considerai il peso dei medesimi sistemi, che trovai in ogni caso eguale a -— G, essendo G l'accelerazione di È gravità. Nel presente lavoro noi dimostreremo che la differenza tra i due valori della massa ottenuti nei due modi, ha origine in un concetto di corpo rigido in contraddizione con la teoria della relatività che si applica nella teoria elet- trodinamica, anche in quella dell'elettrone contrattile di Lorentz, e che con- (!) E. Fermi, N. Cim., VI, 22, pp. 176, 192; 1921. — 186 — duce alla massa n ul TS ; mentre la nozione di corpo rigido più giustificata e conforme alla teoria della relatività conduce invece alla massa wi) $ 2. Consideriamo dunque un sistema di cariche elettriche sostenuto da un dielettrico rigido che sotto l’azione di un campo elettromagnetico, in parte dovuto al sistema stesso, ed in parte a cause esterne, si muova di moto traslatorio descrivendo un tubo orario nello spazio-tempo (*). Vediamo con precisione che cosa debba intendersi per moto traslatorio rigido. Consideriamo un qualunque sistema di riferimento di Lorentz-Einstein e supponiamo che per esso ad un certo istante un punto del sistema di ca- riche abbia velocità nulla: diremo che il moto è traslatorio se, con tali ipo- tesi, nello stesso riferimento, per quell’istante, tutti i punti del sistema hanno velocità nulla. Ciò equivale a dire che le linee orarie dei punti del nostro sistema sono traiettorie ortogonali di una famiglia di spazii lineari; ed infatti in un riferimento di Lorentz-Einstein in cui per spazio si prenda uno degli spazii della famiglia tutto il sistema è in quiete al tempo zero, poichè lo spazio taglia ortogonalmente tutte le linee orarie. Con questa defi- nizione di moto traslatorio la rigidità del sistema viene espressa dal fatto che la sua figura in questi spazii perpendicolari al tubo resta invariabile; ossia che tutte le sezioni rette del tubo orario sono fra loro eguali. Data la complicazione dei vincoli del nostro sistema (rigidità secondo la definizione precedente). lo tratteremo col principio di Hamilton. Per poterlo applicare al caso nostro ci occorrerà dunque avere una variazione del moto del nostro sistema conforme ai vincoli del problema, ossia alla rigidità giustamente interpretata. Ora noi mostreremo che si i; 4u u giunge al valore 33 Oppure è quello x secondo che per tale variazione si prende l'una o l’altra delle due che an- diamo ad illustrare e che distinguiamo con le lettere A e B. La variazione A è però, come immediatamente si vedrà, da scartarsi, perchè in contraddizione col principio di relatività. Sia T il tubo orario descritto dal sistema; nella figura lo spazio di riferimento x,y, è rappresentato su una sola dimensione, dall'asse x ed al tempo # è sostituito é c #, per avere una metrica definita. Variazione A: si considera come variazione soddisfacente il vincolo della rigidità uno spostamento infinitesimo, rigido nell’ordinario senso cine- matico, parallelo allo spazio (x, y,z) di ogni sezione del tubo parallela allo per la massa elettromagnetica (1) In tutto il seguito si riguarda lo spazio-tempo come euclideo, poichè si intende che i campi elettromagnetici che in esso si considerano siano abbastanza poco intensi per non alterarne sensibilmente la struttura metrica. — 187 — «spazio stesso. Nella figura otterremo dunque la variazione del nostro tubo ‘orario spostando parallelamente all'asse x ogni sezione #= costante del tubo «di un segmento infinitesimo arbitrario. Se ci limitiamo alla considerazione -di spostamenti traslatorii avremo dunque dx ,dy,dz funzioni arbitrarie del solo tempo, e di=0. Variazione B: si considera come variazione soddisfacente il vincolo della rigidità ogni spostamento infinitesimo perpendicolare al tubo di ogni sezione normale del tubo stesso, rigido nell'ordinario senso cinematico. Nella figura otterremo tale variazione spostando parallelamente a sè di un segmento arbi- trario ogni sezione normale del tubo. Biologia. — Sulla biofotogenesi. Nota preliminare di SiLvia MORTARA, presentata dal Corrisp. RAFFAELE. A proposito della questione tanto dibattuta, intorno al modo di pro- dursi della luce negli animali, mi è occorso ultimamente di fare alcune interessanti osservazioni, sulle quali desidero richiamare l'attenzione degli studiosi, perchè credo che se ne potranno trarre delle conclusioni importanti, estendendo il campo delle ricerche. Per continuare una serie già iniziata di studî sulla morfologia degli organi fotogeni di animali marini, ho avuto in esame da Messina un certo ‘ numero di esemplari in ghiaccio, che mi sono arrivati in perfetto stato di conservazione e di freschezza, tanto che ho pensato di approfittarne per fare qualche osservazione, che potesse aiutarmi a cercare una spiegazione della biofotogenesi. Secondo la teoria del Pierantoni, già accettata ed in parte confermata, a quanto pare, da autori stranieri, questo fenomeno dovrebbe ri- dursi semplicemente ad un caso di simbiosi endocellulare, per il quale la luminosità degli animali sarebbe dovuta soltanto alla attività di miriadi di bacteri fotogeni, annidati dentro le cellule della sostanza luminosa, e dive- nuti ormai simbionti necessarî dell'ospite, che li alberga e li trasmette di .generazione in generazione. Affrontando il problema sotto questo punto di vista, ho voluto tentare anch'io di coltivare i germi fotogeni, dagli animali avuti da Messina, ed ho potuto eseguire, nell'Istituto di Igiene della nostra Università, diretto dal prof. G. Sanarelli, e precisamente nel laboratorio del dott. V. Puntoni, professore incaricato di Batteriologia, una serie di ricerche, tendenti appunto a rivelare la origine bacterica della luce animale. Ho avuto a mia disposizione piccoli Crostacei, Pescì (Argyropelecus, Stomias, ecc.) e Ce/alopodi (varì esemplari di Heteroteuthis dispar.); ma ‘ho dovuto escludere subito le forme dei due primi gruppi, perchè i loro — 188 — piccoli organi fotogeni si prestano male ai prelevamenti dal loro interno;. assolutamente garantiti contro eventuali contaminazioni. È infatti indi- spensabile che questa operazione sia eseguita con ogni precauzione, altrimenti non si può mai essere sicuri di avere estratto il contenuto dell’ organo, puro dai germi viventi nell'ambiente esterno. L’Heteroteuthis dispar si presta meravigliosamente bene allo scopo; è una piccola forma di Cefalopodo abissale (vivente presso a poco tra 1200- e 1500 metri), che arriva abbastanza di frequente alle nostre spiaggie e si raccoglie abbondantemente a Messina, in varî stadî di sviluppo. La lun-- ghezza del mantello non supera negli adulti i 2 '/,-3 centimetri; ha forma: piuttosto tozza, come tutti i Sepio/idae. Ogni individuo porta nella cavità palleale, addossato alla borsa del nero, un unico grande organo fotogeno- impari, sferoidale, simile, per l’aspetto esterno, ad una grossa perla, il cui diametro supera spesso il '/, centimetro e può raggiungere talvolta perfino. quasi ] centimetro. Un organo gigantesco, dunque. che si isola facilmente, e si presta molto bene a qualsiasi indagine. La sua struttura, che qui non descriverò in particolare, è molto affine a quella degli organi fotogeni di Sepiola e Rondeletia, che sono appunto le due forme prese in esame dal. Pierantoni (1), sulle quali si può dire fondata la sua teoria della simbiosi bacterica, almeno per quanto riguarda i Cefalopodi. Anche in Meteroteuthis dispar si trova un organo a tipo ghiandolare, i cui condotti sboccano verso l'esterno, per mezzo di due grossi pori. Nel lume di questi condotti ghian- dolari, che formano col loro insieme la massa principale dell'organo, deve. venire senza dubbio elaborata la sostanza fotogena, ed in essi appunto (a somiglianza di quanto ha trovato il Pierantoni) dovrebbero aver sede le mi-- riadi di bacteri, produttori di luce. Allo scopo di evitare qualsiasi causa di errore e per avere la assoluta certezza che, il materiale adoperato per le culture, fosse preso solo dal con- tenuto dell'organo fotogeno, questo è stato perfettamente isolato e poi steri- rilizzato, per un tratto della sua superficie, mediante una spatolina arroven- tata. Da questa superficie sterilizzata si è fatta penetrare, nell'interno del- l'organo, la punta di una sottilissima pipetta Pasteur, sterile, e per mezzo. di essa si è aspirato il contenuto dell'organo, procurando di pescare a diverse altezze e da ogni lato. Il materiale così ottenuto è stato seminato su tubi di agar al brodo di seppia, a becco di flauto, e poi messo a coltivare in stufa, a 20°. Dopo 24 ore non si aveva alcuno sviluppo, e, nei giorni suc- cessivi, i tubi, tenuti in osservazione, sono rimasti assolutamente sterili.. Per non affrettare le conclusioni abbiamo voluto ripetere l'esperienza su nuovo materiale di Messina, usando sempre le rigorose precauzioni di ste- (1) Pierantoni U., Gli organi simbiotici e la luminescenza bacterica nei Cefalopodi:. Pubbl. Staz. Zool., Napoli, vol. II, p. 105 [1918]. — 189 — rilizzazione, descritte sopra. Il risultato delle culture è stato sempre ne- gativo. Preparati per strusciamento, fatti dal contenuto dell’organo fotogeno, e- coloriti con Gram e con fuesina, non hanno rivelato la presenza di alcuna. forma bacterica tipica e nemmeno di forme riportabili ad elementi microbici. atipici, per degenerazione o adattamento. Risultato negativo hanno dato anche le culture tentate strusciando sul-. l’agar la superficie esterna dell'organo fotogeno. Da un organo intero, pestato nel mortaio, per avere la certezza di pro- varne tutto il contenuto, non si è nemmeno potuto avere alcun bacterio fo-- togeno. A controllo delle precedenti osservazioni, ho voluto eseguire un esame accurato su sezioni di organi conservati, di /Meferoteuthis dispar, per ten-. tare se fosse possibile rivelare, nei tagli, la presenza dei simbionti. Ma anche in questo caso la prova ha avuto risultato decisamente negativo. Non posso per ora nemmeno accennare alle particolarità strutturali di questi organi (!), sui quali mi riserbo di riferire più ampiamente in seguito, mi basta solo far noto qui che, tentando i metodi indicati dallo stesso Pierantoni (special- mente la colorazione col Giemsa), ed altri (ematossilina ferrica, fuesina, bleu. di Loeffler ecc.), non mi è stato possibile in nessun caso di mettere in evi- denza nel lume o dentro le cellule delle ghiandole, qualche formazione, che potesse far sospettare l’esistenza di germi simbiotici dentro questi organi. Dopo queste osservazioni e sopratutto in base alle ripetute esperienze, di cui ho riferito sopra, credo di poter senz’altro concludere che: l'organo fotogeno di Heteroteuthis dispar (contrariamente a quanto sembrava am- mettere implicitamente il Pierantoni) non contiene alcun germe fotogeno nel suo interno; così che non è assolutamente possibile ritenere dimostrata la necessità di una simbiosi bacterica, per la produzione della luce nei Ce- falopodi. Per contro, di fronte alle esperienze negative, che mi hanno portato a tali conclusioni, ho potuto notare, tenindo alcun tempo in osservazione una parte del materiale fresco avuto da Messina, che compariva al secondo e al terzo giorno una certa luminosità, in varî punti, sulla superficie del corpo di quasi tutti gli animali. È noto che si ha spesso un grande sviluppo di bacteri fotogeni nella muscolatura e sulla pelle di animali morti da poco, prima che si inizino processi di putrefazione manifesta. Prendendo delle ansate di materiale dalla pelle degli animali, che tenevo in osservazione, o dall'acqua in cui erano conservati, e seminandole su piastre di agar di seppia, che mettevo a col- (!) Per tale struttura confronta anche: Meyer Werner Th., Veder das Leuchtogen. der Sepiolini. P. II, in Zool. Auz., Bd. 82 [1907]. XENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. Do — 190 — tivare nella stufa a 20°, ho potuto isolare, ripetutamente, varî stipiti di una specie microbica fosforescente, che dà una bellissima luminosità nelle cul- ture, e che sarà oggetto di particolari ricerche. In attesa di potere esporre più ampiamente i risultati delle osserva- zioni morfologiche e culturali, fatte su questo microbio, posso già dire che, per il suo comportamento e per una quantità di caratteri riscontrati, mi sembra si avvicini molto a quelli ottenuti dagli organi fotogeni di Sepiola, dallo Zirpolo (*). Un confronto preciso fra la mia e le sue culture è stato iniziato e spero poterne esporre al più presto i risultati, insieme ad alcune considerazioni sulla teoria simbiotica del Pierantoni. Per ora, da quanto precede, posso concludere: che nessun microbio fo- togeno fu trovato nell'interno degli organi luminosi di Meteroteuthis dispar, mentre essi erano senza dubbio presenti sulla superficie esterna degli animali ‘esaminati, similmente a quanto si verifica in animali marini non fotogeni, con grandissima frequenza. PERSONALE ACCADEMICO Il Socio CANTONE legge la seguente commemorazione del Socio straniero «GABRIELE LIPPMANN. Nella tornata del 6 novembre l'Accademia ebbe l'annunzio della morte del Socio straniero GABRIELE LiPPMANN, avvenuta il 12 luglio sul transatlan- tico Paris per male contratto durante il viaggio; non vi dispiaccia che alle nobili parole di sentito cordoglio pronunziate in quella occasione dal nostro illustre Presidente faccia seguire, ora, una breve esposizione della vita scien- tifica dell’insigne Collega estinto. Gabriele Lippmann, nato ad Hollerich presso Lussemburgo nel 1845, risiedette fin dai primi anni a Parigi; ed ivi compì gli studî universitarî sotto la guida di Mascart, Debray e Bertin, l’ultimo dei quali lo ebbe par- 4icolarmente caro poichè avea avuto agio di apprezzare l’acutezza d' ingegno del giovane fisico, per quanto non accompagnata da facilità di adattamento ai metodi scolastici. Per siffatta indole, che dipendeva da un temperamento riflessivo ed insofferente di vincoli, il Lippmann, pure avendo dovuto subire qualche insuccesso nei primordî della carriera scientifica, seppe formarsi una solida coltura nei varî rami della fisica e della fisica matematica, coltura «che venne completata negli anni di soggiorno in Germania, e cioè dal 1872 (1) Zirpolo G., / Vatterii fotogeni degli organi luminosi di Sepiola inter- «media. Boll. Soc. Nat., vol. 30, pag. 206 [1918]. — 191 — «al 1874, in varî centri scientifici e specialmente nel laboratorio di Kirchhoff ad Heidelberg. Le peregrinazioni compiute in tale periodo ebbero indubbiamente in- fluenza benefica nello spirito del sagace osservatore, giacchè egli passò presto dal campo della pura astrazione scientifica alla vita pratica dello sperimen- tatore con un entusiasmo che appare in certo contrasto con la tendenza di- mostrata prima verso gli studî teorici, coltivati quasi per soddisfazione per- sonale. E svolse fin dall'inizio opera di maestro, quale poteva aspettarsi dalla lunga e profonda preparazione, portando nella ricerca una nota di ori- ginalità che si rivela nella limpida esposizione dei risultati in Note brevi, ma che dànno un'idea precisa del concetto che guidava l’autore nell’inda- gine, della perfetta rispondenza del metodo alla natura essenziale della ri- cerca, e delle applicazioni che poteano trarsi dai risultati, spesso tendenti a fini pratici di noterole importanza. Tali pregi si riscontrano già nelle pubblicazioni riferentisi ai fenomeni elettrocapillari. In un primo lavoretto del 1872 si dà la giusta interpreta- zione del contrarsi delle gocce di mercurio, immerse in una soluzione acida, per il contatto con un filo di ferro; ed un anno dopo si comunica all'Acca- demia delle Scienze in una Nota di appena due pagine l'esito delle ricerche intese a mettere in evidenza i pregi di un elettrometro fondato sulle va- riazioni della tensione superficiale del mercurio dipendentemente dal poten- ziale di questo liquido, apprestandosi in tal modo alla scienza uno strumento che in esattezza e sensibilità supera, come egli stesso afferma, tutti quelli ideati per la misura dei dislivelli elettrici. Ed in vero la fisica, la chimica ‘e le scienze biologiche molto devono a questo delicatissimo strumento ; in quanto ‘che per esso è stato possibile eseguire, con approssimazione fino ad 1/1000° di volta misure di forze elettromotrici in un campo estesissimo di ricerche, senza andare incontro alle difficoltà inerenti ad altri metodi meno precisi, e d’altra parte il fatto che la forza contrattile del mercurio in qualsiasi liquido dipende unicamente dal potenziale elettrico, giusta la dimostrazione «diretta inoppugnabile datane dallo stesso Lippmann nel 1879, può conside- rarsi come l’origine di una serie di lavori d’indole teorica per i quali si è «giunti, col Frenkel, a valutare la tensione superficiale del mercurio muo- vendo dall'ipotesi astronomica del Rutherford sulla costituzione elettrica dell’atomo. Il rigore scientifico delle deduzioni del Lippmann deriva, come si ac- cennò poco fa, dalla giusta impostazione dei problemi che egli imprese a trattare; e se ciò può dirsi dei lavori sperimentali, non diverso giudizio ri- sulta dall’esame delle ricerche di natura teorica. Fra queste occupa un posto eminente lo studio sul principio di conservazione dell'elettricità, dove si pon- «gono le basì di un indirizzo scientifico che trae le sue origini dai concetti fondamentali della termodinamica, trasportati nel campo della elettrologia — 192 — per lo stretto nesso fra i due ordini di studî riguardanti l'energia elettrica. e la termica. Messo in rilievo, con una pubblicazione preliminare, l'indole sperimen- tale del procedimento per cui fii condotto Carnot a stabilire il postulato. che, sotto altra forma, costituisce ora il secondo principio della termodina-- mica, Gabriele Lippmann trova che al concetto di entropia si può far cor- rispondere l’altro di carica elettrica, trattandosi di grandezze similmente- legate, alla temperatura in un caso, ed al potenziale elettrico nell’altro, e. del pari connesse alle rispettive energie, sicchè, posto assai opportunamente il principio sperimentale di conservazione dell'elettricità sotto la forma fdm = 0 per un cielo chiuso di trasformazioni, e quindi considerato l'elemento di ca- rica dm come un differenziale esatto, svolge i problemi di elettrostrizione- dei gas e dei solidi, di piezoelettricità, e dei fenomeni elettrocapillari con. un metodo schematico seducente mediante il quale si pongono in luce relazioni di dipendenza reciproca fra le variabili che intervengono nella produzione degli effetti dianzi cennati. Non può negarsi che si ha da fare con proce- dimenti dommatici da cui non emerge il meccanismo di produzione dei fe- nomeni, come nel caso di semplici applicazioni del principio di conservazione dell'energia; ma è pregio indiscutibile del metodo potersi accertare nel modo- più facile proprietà che, in alcuni casi almeno, difficilmente si sarebbero intuite dal fisico per via diretta, senza contare l'utile che può ritrarsi dalle- considerazioni fondamentali di stretta analogia tra i fenomeni termici ed elettrici in tempi in cui tutte le teorie sulla costituzione della materia si orientano verso un indirizzo essenzialmente elettrico. Non minore genialità che in queste ricerche si riscontra nei lavori di Lippmann sulla fotografia dei colori. Il concetto da cui egli prese le mosse. fu ardito, poichè, se poteva concepirsi la realizzazione di onde stazionarie mediante l’impiego di una superficie riflettente cui arrivi il sistema di onde- che darebbero lo spettro, era assai difficile imaginare che si riuscisse ad avere nello spessore di 1/20 di millimetro di gelatina qualche centinaio di sottilissimi strati sensibilizzati dal processo fotografico, e che per giunta non venisse alterata la distribuzione con le operazioni destinate a sviluppare ed a fissare il deposito. Eppure a tanto egli pervenne dopo tentativi non pochi per ottenere le condizioni migliori dell’esperienza, scegliendo gelatine tra- sparenti e prive di nuclei visibili coi più potenti mezzi di osservazione, pose opportune, e sostanze assorbenti appropriate perchè la gradazione delle inten- sità nelie varie regioni dello spettro non risentisse l’effetto del potere atti- nico dei raggi non commisurato alla intensità delle sensazioni visive. Ma sopra tutto bisogna riconoscere che egli ebbe la mano felice, avendo saputo. trarre partito dai fenomeni d’interferenza i quali trovano, con facilità mag- giore che non si creda, la sede del loro svolgimento grazie al sovrapporsi degli effetti col ritmo regolare delle perturbazioni eteree e ad una certa. — 193 — rigidità di struttura cristallina che ne consegue per la legge medesima di distribuzione di joni modificati dalle forze elettriche delle onde. Gabriele Lippmann rese noto all'Accademia delle scienze il risultato «della sua ricerca nella seduta del 2 febbraio 1891; epperò non pago dei primi successi attese per lungo tempo a studî sullo stesso argomento, sia per conseguire una fedele documentazione obiettiva dello spettro, sia per giungere alla fotografia di oggetti a colori non semplici, e risolse i due pro- ‘blemi in modo così completo da riscuotere il plauso universale, pur quando per ritrarre i colori si diffondeva un metodo scientificamente meno perfetto, ma «di più facile attuazione dal punto di vista fotografico. Si farebbe torto alla moltiforme genialità del fisico francese se fosse ‘considerata l’opera scientifica di lui circoscritta nel campo delle ricerche sulle quali ho richiamato l'attenzionè dei Colleghi, tanto più che in alcune parti di quella che suol riguardarsi come produzione secondaria si hanno lavori io cui emergono concetti teorici e criteri sperimentali degni certamente di particolare rilievo. Così ad esempio egli si occupa degli schermi magnetici dimostrando con una semplice esperienza che la loro efficacia risiede nella grande per- ‘meabilità agli etfetti d’induzione, risultando con questa un compenso fra l’azione diretta del campo e quella che deriva dalle masse magnetiche in- dotte, e trae occasione da tal genere di ricerche per dimostrare che per indu- zione non possono aversi correnti continue senza ricorrere a contatti stri- scianti; discute sulla legge generale d'induzione nei circuiti privi di resi- stenza mostrando quali conseguenze importanti si ricavano per il flusso d'in- duzione qualora si riesca, come in realtà è avvenuto con le classiche esperienze di Kamerling Onnes, ad operare con resistenze nulle; esamina le proprietà ottiche di una lamina polarizzata per escludere che nello strato superficiale del metallo alterato si creino variazioni di fase apprezzabili; mette in evidenza le proprietà elettriche depolarizzanti delle soluzioni sa- line in rapporto alla natura degli elettrodi immersi; costruisce un galvano- metro perfettamente astatico mediante una doppia sospensione, ed altro ne inventa, che può servire anche da elettrodinamometro, mettendo a profitto l'azione associata della corrente e di un forte campo magnetico sopra una lamina di mercurio e trova che lo strumento risponde bene alla doppia fun- zione dal lato pratico; espone metodi ingegnosi per togliere ai pendoli le perturbazioni dovute ai meccanismi stessi che servono a mantenere il loro moto oscillatorio; attua mezzi idonei per mettere esattamente a fuoco i collimatori; intraprende studî accurati per la registrazione tanto delle onde sismiche quanto delle accelerazioni assolute del suolo; istituisce indagini di endosmosi fra liquidi, o gas, a temperature diverse; e non disdegna di pren- dere in esame questioni d'indole generale sulla capillarità, sulla tempera- tura assoluta, e sulla valutazione del tempo in base alla gravitazione uni- versale. — 194 — I grandi meriti di Gabriele Lippmann furono presto riconosciuti; ed' infatti nel 1883 egli occupò alla Sorbona la cattedra di fisica matematica, tre anni dopo passò a quella di fisica generale resa vacante per la morte di Jamin, assunse poi la direzione del laboratorio di ricerche fisiche dando impulso vigoroso alle indagini scientifiche in quella sede importantissima. di studî, nel 1886 fu nominato membro dell’Accademia delle scienze, nel 1898. ricevette il premio Nobel per le ricerche sulla fotografia dei colori; e nume- rose altre distinzioni. ottenne essendo chiamato a far parte delle maggiori Accademie, non esclusa la nostra che lo ebbe Socio fin dall'aprile del 1909. Nella scienza, come nell'arte, non si compie vero progresso senza l'opera. innovatrice di persone che sappiano dare un'impronta personale efficace al lavoro di evoluzione cui tende il nostro spirito: ed il valore di siffatta opera si rende più elevato se essa interviene in un periodo di stasi, come quella che si ebbe verso la metà del secolo scorso. Alla schiera di coloro. che contribuirono in quel tempo ad un indirizzo salutare per le ricerche fisiche appartenne certamente iì nostro compianto Collega, che alle doti di scien- ziato profondo associava quelle di Maestro dalle vedute larghe e veramente originali: e questa Accademia, che apprezza ogni alta attività negli svariati ordinì della produzione intellettuale, manda oggi un mesto reverente saluto alla memoria di Gabriele Lippmann la cui lunga vita fu consacrata al culto dell'ideale scientifico volto al conseguimento dell'umano progresso. Alcune parole aggiunge alla commemorazione il Socio Fano, ricordando quanta riconoscenza debbano i biologi alla memoria di LIPPMANN per l'aiuto grandissimo che alla biologia hanno dato gli apparecchi da quest'ultimo in- ventati. Il Presidente VoLTERRA informa 1 Soci che alla seduta assistono i profes- sori PLATANIA e ARCHIBALD. Comunica inoltre che l'Accademia sarà rappresen- tata alle commemorazioni dei Soci CIAMICIAN e DinI, che avranno luogo, per il primo a Trieste il giorno 8 corr., e per il secondo a Pisa il giorno 12. Il Socio PrroTTA legge, a nome del Corrisp. LonGo, la seguente com- memorazione del Corrisp. GIOVANNI ARCANGELI. Il 16 luglio 1921, nell'età di 81 anno, serenamente si spegneva in Pisa GIOVANNI ARCANGELI, uno dei più noti Botanici italiani. Nato a Firenze il 18 luglio 1840, si laureò in Scienze Naturali nel 1862 all'Università di Pisa, e in questa Università il 3 novembre 1864 iniziò la sua carriera didattica e scientifica con la sua nomina ad Aiuto alla Cat- tedra di Botanica. Il 1° gennaio 1872 andò ad occupare la Cattedra di Storia Naturale nel R. Istituto Tecnico di Livorno, ove rimase fino al 1874, nel quale anno, con Decreto del 29 novembre, fu nominato Aggregato alla Cat- — 195 — tedra di Botanica nel R. Istituto di Studî Superiori di Firenze. Il 1° no- vembre 1879 andò, in seguito a concorso, Professore Ordinario di Botanica e Direttore dell'Orto Botanico nella R. Università di Torino. Breve fu il suo soggiorno colà, che, a decorrere dal 1° dicembre 1881, venne nominato Professore di Botanica e Direttore dell'Orto Botanico nella R. Università di Pisa. Ritornato così dove aveva compiuto i suoi studî ed iniziata la sua carriera didattica e scientifica, vi rimase ininterrottamente per ben 34 anni, cioè fino al 18 luglio 1915, quando, a causa dei limiti di età, collocato a riposo, Egli dovette con suo grande dolore abbandonare la Cattedra. Egli però continuò sempre a far parte del (‘onsiglio della Facoltà di Scienze dell’Università di Pisa giacchè, in seguito a voto della Facoltà, con Decreto del 5 dicembre 1915, venne nominato Professore Emerito, ed egli, neppure allora, non mancò mai d’intervenire ad alcuna funzione acca- demica a cui gli desse diritto la qualità di Professore Emerito; e lo ricordo presente anche pochi giorni prima della sua morte ad una seduta di Fa- coltà e ad una Laurea. Zelante, scrupoloso nell'adempimento del proprio dovere, sentì fortemente la sua missione d’insegnante, e all'insegnamento attese sempre con amore e passione. Fu uomo di vasta coltura chè non limitò il suo studio al campo già così ampio della Scienza delle piante, ma lo estese anche ad altre discipline più o meno affini per abbracciare da vero e completo naturalista tutto il mondo vivente e fisico che ci circonda. E durante il lungo periodo della sua direzione attese anche sempre con amore e competenza, al decoro e al miglioramento dello storico Orto Botanico Pisano. Sotto la sua direzione fu infatti accresciuta l'area dell'Orto stesso e in esso fu costruita l’Aula per le lezioni e un Istituto degno delle nobili tradizioni dell'Ateneo Pisano. Alla sua lunga opera didattica corrisponde anche altrettanto lunga e. feconda l’opera scientifica. Esordisce nell’agone scientifico con una pubblicazione dal titolo: Sopra alcune forme regolari delle cellule vegetali, comparsa nel Nuovo Giornale Botanico Italiano del 1869, e da allora possiamo dire che ininterrottamente il suo nome compare nella Bibliografia botanica italiana. Dai Funghi e dalle Alghe alle Fanerogame; dalla struttura delle cel- lule a quella delle foglie e dei fusti; dalla impollinazione e fecondazione alla struttura dei semi e alla loro germinazione; dallo studio delle forme - normali a quelle mostruose e patologiche; dalla funzione vessillare a quella clorofilliana e trofilegica; dalle piante bussole a quelle parassite; dallo svol- gimento di calore nelle piante agli effetti del freddo e del fulmine; dalle piante spontanee a quelle coltivate; dalle piante attualmente viventi a quelle fossili, non c'è campo, possiamo dire, della Botanica in cui Egli non abbia. lavorato con competenza. — 196 — A lui si debbono anche due pregevoli trattati: il Compendio della Flora Ataliana, che ebbe due edizioni completamente esaurite, ben noto a tutti i ‘botanici italiani, e il Compendio di Botanica, che raggiunse la 5? edizione, ad uso dei suoi studenti « i quali, Egli scrive, possono in esso ritrovare il ‘sunto degli argomenti, che vengono man mano trattati » nelle lezioni. Visse vita modesta, alieno da ogni pompa vana. E tale sua modestia si manifesta anche nelle ultime sue disposizioni testamentarie: « In seguito al mio decesso, lasciò scritto, intendo che siano escluse le partecipazioni ed ogni e qualunque manifestazione pomposa ». Di animo forte nelle avversità della vita attese sempre sereno, nel si- lenzio e nel raccoglimento, ai suoi studî diletti ed anche in questi ultimi anni spesso ritornava nell'Orto a lui caro, dove aveva trascorso tanta parte della sua vita e con me affabilmente s’intratteneva a discorrere sia di problemi di Biologia vegetale — chè in lui gli anni non avevano affievolito l’amore per la scienza — sia di quelli assillanti pel nostro paese — poichè al di sopra di tutto Egli sentiva di essere italiano! Serenamente, com'Egli visse, si è spento nella piena coscienza di non avere inutilmente spesa la sua lunga vita nel culto della scienza e nell’adem- pimento di ogni dovere. | i Lascia vivo rimpianto in quanti lo ebbero maestro, collega, amico, in quanti ne conobbero le doti della mente e del cuore. Alla sua memoria il nostro estremo riverente saluto. MEMORIE | DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI U. Spore e L. FERRI. Sui dorati — Sistema (NH,),0 — B.03 — H;0. Diagramma temperatura — concentrazione (pres. dal Socio Nasini). PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Presidente VoLTERRA offre, a nome dell'autore, un volume del pro- fessore H. AnpOYER intitolato: Z'oeuvre scientifique de Laplace, dando no- tizia dei pregi e della utilità della pubblicazione stessa. Il PRESIDENTE segnala all'attenzione dei Soci anche il volume del Brigadiere Generale S. BraccIALINI, 7 telemetri da costa e gli appa- recchi accessori sistema Braccialini, parlando della importanza del tema trattato nel volume stesso, e ricordando i progressi che alla telemetria l’au- tore ha saputo far compiere. Il Segretario CastELNUOvo presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando fra queste una raccolta di lettere di Jacopo BERZELIUS, pubblicata dalla R. Accademia delle scienze di Svezia, e un’altra raccolta di lettere di CARLO LinnEo, edita per cura della Università di Upsala. G. C. o) va 3° ato lo Classe di scienze do: | storiche. e Fa ILXIX. morali 1 ? storiche ci Alolagioe Li de 7 à 1 scienze. fs 4 ve ) siche, matematiche € naturali. si storiche TE filologiche scienze le ‘matematiche e e maturali. | da RENDICONTI — Marzo 1922. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del $ marzo 1922. gn MEMORIK E NOTE DI SOCI Paternò. Sugli arseniati di anilina. +. . . SI SIE RE Armellini. Sopra l’integrabilità del problema dei due corpi di masse variabili NOTE PRESENTATE DA SOCI Cantelli. Lo spazio-tempo delle orbite ana e delle orbite einsteiniane. Nota JTT res. dali Socio: Castelnuovo SLI SA AI RE Lovett. Snl problema dei due corpi di massa ie (pres. dal ocio Levi Cesita DRS Serini. Capacità del condensatore a piatti infinitamente sottile (pres. dal Socio Levi-Civita) Fermi. Correzione di una grave discrepanza tra la teoria delle masse elettromagnetiche e la teoria della relatività. Inerzia e e dell'elettricità. Nota I (pres. dal Corrispon- dente Armellini). >. . È RE i a Mortara Silvia. Sulla biofotogenes teli dal Chnispo a Lari ra PERSONALE ACCADEMICO © Cantone. Commemorazione del Socio straniero G. Lippmann - È Fano. Pronuncia alcune parole in memoria del Socio. predetto . . ...... Longo. Commemorazione del Corrispondente Ge Arcangeli ‘ s Volterra (Presidente). Presenta i professori Platania ‘e Archibald he LE A se- duta, e accenna alle prossime Commemorazioni del Socio Ciamician, a Trieste, e del Socio Dini, a Pisa . xv MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI U. Sborgi e L. Ferri. Sui borati — Sistema (NH4)0, — B:03 — H,0. Diagramma tempe- ratura — concentrazione (pres. dal Sodio Masini) PRESENTAZIONE DI LIBRI Volterra (Presidente). Presenta, parlandone, le SIRIO del prof. Andoyer e del gene- rale Braccialini . . . . 6 i ERA Castelnuovo (Segretario). Diricita le pubblicazioni ditta in a orali una rac- colta di lettere di J. Berzelius, e un 'altra raccolta di lettere di ©, Linneo . . .. K. Mancini, Cancelliere dell’Accademia, responsabile. b) Pas. 165 196 n di Pubblicazione bimensile. i N. 6. ATEP4 REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI I SHRITE QUINTA RENDICONTI | | Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XX XI.° — Fascicolo 6° i Seduta del 19 marzo 1922. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1922 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO — Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei, Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una, pubblicazione distinta. per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: sa 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese ; essi contengono le Note edi titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume ; , | due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 5 pagine di stampa. Le. Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 3 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunica- zioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 30 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE IL. 1. Le Note che oltrepassino i limiti. indi- cati al paragrafo precedente e le. Memorie pro- priamente) dette, sono senz’altro inscritte nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 — da Corrispondenti. Per le Memorie presentate - da estranei, la Presidenza nomina una Com-_ missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell’Accade mia o inun sunto 0 în esteso, senza pregiudizio > dell’art. 26-dello Statuto. - 0) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. Ì 8. Nei primi tre casì, previsti dall’art, pre- cedente, la relazione è Jetta.in seduta pubblica nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Socio Corrispondenti ; 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fossa richiesto, è messo a, carico degli autori. ’ RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. TT T—_T—o Nel caso in cui i polinomi P,(x) sono legati dalle relazioni (2), l'equa- zione (6) diviene (7) F(2)= @24— (o — &0) 21 + a 2° + + agi =0. Facendo in questa equazione la sostituzione @ e>t+tataXt- +e, |xX\<1, otteniamo 1 F(4)= (2-5) DA), @(A) = 2441 — (a X +4 + ep Xh1) 44-* — == (as X + sele + Ck-1 do) 4-3 — cv — axr_1X. Si può poi dimostrare (cfr. $ II) che 4 = I è la radice di massimo X modulo dell'equazione (7) e che 7. campo di convergenza delle serie ZanP,(x), è polinomi P,(x) essendo legati dalle relazioni (2), è limitato dalle curve che si ottengono dai cerchi = 7< 1 mediante la tra- sformazione FEE a E aio xa = X (1) Poincaré, Sur les équations linéaires aux différentielles ordinaires et aua diffé- rences finies (American Journal of Mathematics, vol. VII); Picard, Traité d'Analyse, t. III, pag. 419. (2) Ibid.. — 199 — AAA 47) Esenert=# 1°, = P,. La curva di convergenza è il cerchio = +0, x=;. gl, di raggio |a|o. Si ritrova dunque la regola di Cauchy-Hadamard per la serie Taylor. 2°. Pny.(t)= tPa(t) — = P,-.() , {= “i . Le curve di conver- genza sono ellissi omofocali date dalla trasformazione Nel caso dei polinomi di Tchebicheff, D_ P.(a)=(r+V2—1) + |a —1)= 2" +.., abbiamo P, — 2x P,_, + P,-2= 0. Osserviamo che in (2) P,(2) sono or- Xx — x dinati secondo le potenze di =1=2%, È Di 2 1 ] gln_xPnrtglnae=0, dunque le curve di convergenza sono le ellissi } ] | | = B(1+1) Mcj<1(ano ana =) coi fuochi — 1, +1. II. Consideriamo il caso generale nel quale i polinomi P,(x) sono legati dalle relazioni Cn Pry() = tPa(1) — = e " P(0+(n+1)©, Pa] pe e raeseng 100) er] Ceri (19m Il Ì n 31 , i nia 5 x slim Y/|@n| lim Y/|@| nl Facendo 2 =1,2,3,..., risulta, dalle relazioni ottenute, che, x ap- partenendo al campo di convergenza delle serie X a, P,(x), la serie in Z (Z abbastanza piccolo) (9) P1(0) + Z Po(2) + 4-2" Posa (0) + è il quoziente di due serie (10) C+ 0Z+4+ + na + bi Sai ds Z + o60 + Busti VALI + DE = aplliape +Z"Pnsi “ti ser di +0. AZIONE Per identificazione, paragonando le relazioni trovate con quelle ottenute facendo in (1) x=1,2,3,..., troviamo co='"—(£—<@);|cs=|2e,t ic = 8a. ae Mera bi =, do = (1 — as) , da = Aq, 000, pes = a_-1 3 004 siechè le serie 3 c,Z",20,Z" hanno lo stesso cerchio di convergenza ] di raggio TRAUVAna EE lim V| @,| Se v è nel campo di convergenza della serie Za,P,(x), abbiamo lim Y/|ea]-f |Px(9)]<1, lim} |P(2)| . SISSA] avremo a fortiori ] lim Y/|P.| e per conseguenza lo sviluppo (10) è valevole nello stesso tempo che lo svi-. luppo 2.4, P.(x). Ne segue che, quando x è nella regione di convergenza della serie | ZanP,(7) e Kari la relazione (10) si scrive ar t4204Z4+--+4(+0ba,Z+. È a+ (a — £) VAR SUA ERR + CRISIVANORE = P,(x) +ZPs(4) SP , 2g (4) + g(4) — a + Zp(Z) — ; d ga=a tale tal +, g(= E: , e «(Z) è regolare nel cerchio di raggio 1. Ponendo 01) 7 = OTT, (94 (12) :=7+90, abbiamo lo sviluppo (13) "Za — ‘valido solamente per i punti x del campo di convergenza delle serie 2 4, P,.(1), ; il L\<—. Izl<; Ma lo sviluppo (13) vale solamente per |x|<|s|: ne segue che è/ campo di convergenza delle serie Za,P,(1), i polinomi P,(x) essendo legati dalle relazioni (1), è limitato dalle curve corrispondenti ai cerchi|X|= n l nella trasformazione (12) e=z+90) gA= a taX+- ++, dope a; sono i coefficienti che entrano nelle relazioni (1) e lim /\@n|=1, lim /|a,|= © |H Essendo dati i polinomi P,(x) legati dalle relazioni (1), si possono dedurre da queste relazioni i coefficienti @; della trasformazione (12). Si può anche calcolare la funzione g(Z) mediante la relazione (11) quando si sa fare la somma delle serie (9), dove i polinomi P,(x) devono essere intro- r—-0, dotti ordinati secondo le potenze di , ed il coefficiente di x” nel po- : F 1 Jincmio P,(v) deve essere — >. (04 Esempio. Consideriamo i polinomi P,(x) la cui funzione generatrice è VARESE A VA] | 1 Ie ivi = P,(ax) +ZP.(2) + ne HE 7° Pr4r(2) lia ‘oppure = 2° VERA DIVA e ivtol __ 4 1.3 2° hj eri: Le 21.22 1.2.3 93 Tae E I FA pri 2 122° 11.2.32? Identificando, sì vede che i polinomi P,(«) verificano le relazioni (1), 1 à ‘ ; =" La funzione g(Z) è data dalla equazione (11), mentre le curve di convergenza sono date dalla transformazione cona=l,@, er è Il |g SL Si N Il >= pd N+ «e sono ovali di Cassini. I — 202 — Matematica. — Sulla equazione funzionale f(x+y)=f(2) f(y)» Nota II di SiLvio MINETTI, presentata dal Socio T. Levi-CIvita ('). IV. SUBORDINAZIONE DELLA CONTINUITÀ IN UN PUNTO GENERICO ALLA. CONTINUITÀ A DESTRA DELL’ORIGINE. — È ora tempo di osservare che se noi riuscissimo a dimostrare la necessaria continuità destra della g(x) nel punto zero, ossia che è lim (z)=1, allora, in causa delle eguaglianze. L> (+0) Ig(2 +1) — g(a)|=9(2) (4) — g(x)| = g(2) | g(4) — 1] Igea) — g(0)|=|gla-M) — g(e— 1) 9Mh|=g(r—4)|1—-g(4)|, se ne potrebbe concludere la continuità destra e sinistra in tutto l'intervallo. V. CONTINUITÀ PER x —> (+ 0). — Ciò posto, proviamoci ad ammet-- tere che la g(x), per x tendente a (+ 0), non abbia il limite uno. Si dovrebbe in tal caso necessariamente trovare, a destra dello zero, almeno un gruppo infinito di punti che ammette l'origine come punto limite,. e nel quale gruppo la g(x) soddisfa alla (3) g(2)=14w , dove |w|j>o con 0 sufficientemente piccolo ma + da zero e determinabile @ priori. bT—-a . Ue ORE ° È Scelto allora un 7 < , si considerino gl’infiniti intervalli, aventi. 2 un estremo comune nell'origine e di ampiezze n° Sa I (4) : 920 è) pi ’ na ’ 93 i) gn E e siano %0) X, 72,3, - €n,... punti del gruppo citato rispettivamente in-- terni agli intervalli suddetti e nei quali quindi è soddisfatta la (3). In tale successione di punti distinguiamo quelli in cui la g(x) è < ‘dell'unità, da quelli in cui g(x) è > dell'unità; i primi si indichino con SU Ù/ PICS, , (5) ARVZZAA IZ a (1) Presentata nella seduta del 19 giugno 1921. Ved. Nota I pubblicata in questi. Rendiconti, pag. 12. — 203 — ed i secondi con 7, ” vr "I II (6) A O AE notando che la somma di un numero qualunque di x' o x” è in ogni caso ="di 2. Una almeno di queste due successioni consterà di infiniti elementi. Se tale è la (5), in forza della (1), varranno contemporaneamente le diseguaglianze : 9(27) = 92 9(27) = g(2) g(21) g[2n — (x + 2)] = (1— 0)? M g(20) g(x1) 421) [27 — (+21 +] <(1—0)? M, (70) (2 — 0) € (1— 0) M g(27) ecc., ad infimtum. Ne consegue che Y(27) dovrebbe essere minore di ogni numero co- munque piccolo; quindi g(29)=0, che a sua volta porta per conseguenza g(2)= 0 per0= 0) > ili, Di e, VO 8) » 3) 3} y, ” la #1) 9) ») » 2, sa ”, v) di 10 2) ” ” ’) »” 3) ” 11) )É 2) 2) 205 2) t7) ” 12) _S_meggo 7; GI016 Nave _ Juco degli Abeuzzi 13) DI D) 5 > 3) 2) » » DI T_T EPVGIXNINNSOOT O _ TT <-> <>“ 4) _18 febbrai D, 103 Nave Ci Dro Torri ciali VW } 7 _ 7 E AAT / dt È Velocità del tamburo 7°#,8 al minuto primo. (1) Registrazione con mare calmo. Cabina centrale N. 121. (2), (3), (4) DI ; » poco mosso. Coffa, caldaie (i tremiti sono dovuti alle macchine) e Cabina centrale N. 121. (5) Registrazione con mare a brevi onde superficiali. Cabina cen. N. 121. (6),(7), (8), (9), (10) S » +» morto, non molto molesto. Astern, Middle- side, Louange, Bow (i tremiti sono dovuti alle eliche), Bridge. (11) Registraz. con mare morto, a lunghe onde, molesto. Cab. cen. N, 121. (12) i .,1 » agitato, assai molesto. Fumoir. (13) 2 CIRIE i ca DI Prua. (14), (15), (16), (17) n +» molto agitato, molestissimo. Poppa (i tremiti sono dovuti alle eliche). Salone centrale, Prua, Fumoir (accusa/ gli sbandamenti della nave). 209 Chimica. — Sintesi di nuovi qlucosidi ('). Nota di REMO DE Fazi, presentata dal Socio PATERNÒ. Tra i glucosidi naturali quelli contenuti nelle foglie di sena, nel ri- zoma del rabarbaro, nella cascara sagrada, nell’aloe si possono considerare come derivati dell’antracene. L'azione medicamentosa di queste piante è do- vuta al principio attivo rappresentato dal glucoside che contengono. Per quanto tali composti siano molto diffusi nel regno vegetale non sono ancora stati trovati glucosidi derivati dall’indene, dal fluorene, e dal- l’acenaftene. Si conoscono già glucosidi artificiali preparati per condensazione di altri più semplici (come l’elicina, la glucovanillina, ecc.) con aldeidi (*), che- toni (*), cianuro di benzile (*), malonato di etile (©), e con ossi-chetoni (°). Però non erano mai stati ottenuti glucosidi complessi per condensazione di glucosidi con idrocarburi, quali l’indene, il fluorene, ece., o con derivati dell’acenaftene. Sono riuscito a fare la sintesi del glucoside del 2-ossi-benziliden-indene, del 2-ossi-benziliden-fluorene ed anche del 2-ossi-benziliden-acenaftenone. Il glucoside del 2-ossi-benziliden-indene l'ho ottenuto facendo reagire a temperatura ordinaria per parecchi giorni, l'’indene e l’elicina con etilato sodico in alcool etilico assoluto. La reazione è la seguente: legò por a \ De eci (ir ono AREA Va VET dn (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica applicata della R. Scuola per gli: Ingegneri in Roma. (2) Tiemann e Kees, B., 18, 1955 (1885). (8) Tiemann, B., 18, 3481 (1885). (4) Fischer, B., 34, 629 (1901). (5) Hjelt e Elving, U. B. (1), 89 (1903). (5) Bargellini G., Gazz. Chim. Ital., 44 (b), 520 (1914). — 210 — In modo simile ho eseguito la sintesi del glucoside del 2-ossi-benziliden- “fluorene, mettendo a reagire l’elicina con il fluorene. Invece il glucoside del 2-ossi-benziliden-acenaftenone l'ho preparato per condensazione dell’elicina con l’acenaftenone in presenza di una soluzione concentrata di idrato sodico. Questi nuovi glucosidi sono intensamente colorati in giallo, hanno punto -di fusione elevato, e dànno con acido solforico intense colorazioni. La piccola quantità ottenuta, di questi glucosidi, non mi ha permesso di provare a scinderli con gli acidi diluiti, ma seguiranno senza dubbio il ‘comportamento di quelli artificiali: non saranno scissi dall'emulsina ed appar- terranno perciò ai glucosidi della serie @ secondo la classificazione fatta da «E. Fischer. Continuerò ed amplierò queste ricerche impiegando altri glucosidi e diffe- renti idrocarburi. Sento il dovere di ringraziare il gentile prof. Guido Bargellini per ‘avermi fornito l’elicina che mi è stata necessaria per questo studio. PARTE SPERIMENTALE. Alucoside del 2-ossi-benziliden-indene | CH | eno DI E) Si aggiungono gr. 2,5 di sodio, in piccoli pezzi, lentamente e raffred- «dando, in 100 ce. di alcool etilico assoluto, e poi gr. 4 di elicina e si ri- scalda fino a che questa non è passata completamente in soluzione. Quindi si versano gr. 2 di indene disciolti in 25 ce. di alcool assoluto. -Si forma subito un abbondante precipitato giallastro e la soluzione diviene di color giallo arancio. Dopo due giorni la soluzione è di colore verdastro e si nota un pro- dotto semi-oleoso verde. La reazione si lascia continuare a temperatura ordi- naria per 15 giorni. Si filtra alla pompa: la sostanza solida, dopo averla lavata bene con .aleool, all’aria resinifica rapidamente, e dal colore verde passa subito al verde bruno intenso: è indene polimerizzato. Dalla soluzione alcoolica si distilla a pressione ridotta il solvente fino «a che rimangono circa 50 ce. di liquido. Dopo qualche giorno si depositano dei cristalli aghiformi di colore giallo bruno, che fondono a 198-200°. Ricristallizzati più volte dall'alcool, — 211 — in cui sono molto solubili, si presentano in begli aghi di colore giallo pal- lido, lucenti, che fondono a 205-206°. Il glucoside così ottenuto è stato disseccato a 100° e analizzato: sostanza gr. 0,1792; CO. gr. 0,4538; H.0 gr. 0,0958 trovato N: € 69,06 ; H 5,98 per Cs6H3:0; calcolato N: C 69 H 5,76 L'acido solforico concentrato colora in verde il glucoside del 2-ossi-ben- ziliden-indene, il quale si discioglie poi completamente dando una soluzione di un bel colore verde smeraldo. Dopo qualche ora diviene di colore rosso ‘ciliegia, che permane per parecchi giorni. Glucoside del 2-ossi-benziliden-fluorene af \ di È DAN Nye Oe—>== CH Si prepara allo stesso modo del glucoside del 2-ossi-benziliden-indene. ‘Si impiegano gr. 2,5 di sodio, 100 cc. di alcool assoluto, 4 gr. di elicina ‘e gr. 2,5 di fluorene disciolti in 25 ce. di alcool etilico assoluto. La solu- zione diviene di colore giallastro e dopo qualche ora è giallo arancio. Il giorno ‘dopo si nota al fondo del recipiente una polvere giallastra che va poi aumen- tando giornalmente. La reazione si lascia continuare a temperatura ordinaria, tenendo il recipiente ben chiuso, per 10 giorni. Quindi il prodotto della rea- zione si filtra e si lava con poco alcool; così impuro fonde a 180°-185°. È una sostanza molto solubile in alcool etilico, da cui cristallizza in piccoli aghi gialli che fondono a 198-200° anche dopo parecchie cristalliz- zazioni. Le acque madri alcooliche iniziali, distillate depositano una mesco- lanza di elicina e fluorene inalterati e un poco del glucoside. Questo disseccato a 100° è stato analizzato: sostanza gr. 0,1268; CO: gr. 0,3352; H:0 gr. 0,0642 trovato %y: C (2:09 eri 5,67 per Cs6Hy0s calcolato %; € VOOR H 5,56 Il glucoside del 2-ossi-benziliden-fluorene disciolto in alcool etilico puro ‘e assoluto, per aggiunta di H,S0, conc. dà nella superficie di contatto fra i due liquidi un anello colorato intensamente in rosso-viola. L'acido solfo- rico conc. colora il glucoside in rosso bruno, che vi si discioglie dando una ‘soluzione colorata in rosso-viola. — 212 — Glucoside del 2-ossi-benziliden-acenaftenone È e i OHIO! >, < A Di S Pani IIS In 50 ce. di alcool etilico si disciolgono gr. 1,7 di elicina e gr. 1 di acenaftenone, preparato secondo le indicazioni di Graebe ('). Alla soluzione debolmente colorata in giallo si aggiungono 5 gr. di idrato sodico disciolti in ò ce. di acqua. Si nota debole riscaldamento e la soluzione diviene prima di colore rosso ciliegia e poi rosso bruno. Si lascia a reagire ancora per 24 ore a temperatura ordinaria. Si aggiunge quindi un po di acqua: precipita allora una sostanza di colore giallo-arancio, che si filtra; così impura fonde a 196-200°. Il prodotto della reazione dopo parecchie cristallizzazioni dal- l’alcool si presenta in piccoli aghi di colore giallo chiaro, lucenti, che fon-- dono con decomposizione a 246-2480. La sostanza fu disseccata a 100° e analizzata: sostanza gr. 0,2024; CO. gr. 0,5124; H.0 gr. 0,0952 trovato Yo a B00 09,04 een 5,26 per C.:Hs,0, calcolato. Wi 0 697120 EH 5,07 Il glucoside del 2-ossi-benziliden-acenaftenone si colora, con acido sol- forico concentrato, in arancio e vi si discioglie dando una soluzione inten- samente colorata in arancio con fluorescenza verde. Chimica. — Cloriti di sodio e di altri metalli. Nota di G. R. Levi (*), presentata dal Corrispondente G. Bruni (°). Quando Bruni ed io abbiamo iniziato nel 1914 lo studio dei clo- riti (4) non erano noti che tre sali e cioè i cloriti di argento, piombo e potassio. I primi due erano stati ottenuti allo stato puro per la loro poca solubilità mentre il terzo era stato separato, per cristallizzazione frazionata e precipitazione con alcool, dal clorato corrispondente che è meno solubile; era anche stato dimostrato che non esistono l'anidride e l'acido cloroso liberi. Nel corso di queste ricerche Bruni ed io abbiamo condotto misure termo- chimiche ed elettrochimiche sui cloriti ed abbiamo anche preparato i cloriti (1) Graebe, A, 327, 77 (1903). (*) Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica generale del R. Politecnico di Milano. (?) Presentata nella seduta del 5 marzo 1922. (4) Atti R. Istituto Veneto, Vol. 74, pag. 1711. — 213 — «di bario, mercuroso e mercurico che non erano noti e i composti di addi- zione del clorito d’argento con l’ammoniaca. Per maggiori dettagli e per la letteratura precedente rimando a questo lavoro. Dopo un lungo intervallo di tempo ho potuto da oltre un anno riprendere questo argomento assai interessante e particolarmente delicato dal punto di vista sperimentale; questa difficoltà è la sola giustificazione al fatto che dal 1881 (e cioè dallo studio di Garzarolli-Turnlackh) gli studi sull’argo- mento sono quasi completamente cessati: le indicazioni sui cloriti che troviamo dopo questa data sono, oltre la reazione di Reychler dei perossidi sul biossido di cloro, indirette e dovute a studi elettrochimici generali sui composti, ossi- genati del cloro. In una nota precedentemente presentata a questa accademia (') ho descritto dei nuovi cloriti che ho potuto recentemente isolare allo stato puro e cioè i cloriti di ammonio e di tetrametilammonio; l’esistenza di questi due composti, specie del primo, si presenta particolarmente interessante per l'ossidabilità e volatilità della base con la quale l'acido cloroso è com- binato. A seguito di queste ricerche ho potuto isolare allo stato puro altri quattro cloriti che non erano noti e cioè i cloriti di sodio calcio stronzio € tallio (talloso); del clorito sodico ho ottenuto anche un idrato Na C10,:3H:0. La descrizione di questi nuovi cloriti forma oggetto della presente Nota. Clorito di sodio NaCl0,-3H,0. — Il clorito di sodio non è mai stato descritto; l'unico lavoro in cui si parla del clorito sodico è quello di Millon (?) e siccome l'anidride clorosa, come fu poi dimostrato, non esiste il prodotto descritto non poteva essere che una miscela di clorito, clorato e cloruro di composizione centesimale più o meno corrispondente al clorito. La preparazione del clorito sodico puro, e cioè direttamente esente di cloruro e clorato, non può essere fatta per azione del biossido di cloro sul perossido di sodio in soluzione anche se si aggiunge alla soluzione concen- trata dell’acqua ossigenata al 30%: si ottiene invece facilmente un prodotto puro mescolando quantità equivalenti di clorito di bario e di solfato sodico previamente disciolti in soluzioni sature. La soluzione ottenuta si concentra nel vuoto a 10-15° fino ad incipiente cristallizzazione, a questo punto si decanta la soluzione soprastante e la sì agita; si ottiene così una rapida cristallizzazione mentre, per effetto di questa, la temperatura della massa si innalza di parecchi gradi. Il precipitato si raccoglie su imbuto di porcellana e si lascia asciugare all'aria ambiente: si presenta in laminette lucenti fortemente birifrangenti a (1) Atti R. Accademia dei Lincei, vol. XXXI, pag. 52, an. 1922. (2) Ann. Chim. Phys. (3) 7, 325. ReNDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. 28 — 214 — luce polarizzata. All’analisi ottenni: sodio °/o cloro °/o trovato calcolato p. NaC10,:3H:0 trovato calcolato p. Na C10,-3H30 16,22 15,92 24,70 24,55 16,21 24,85 Il sodio fu determinato come solfato trattando una quantità pesata di clorito sodico, sciolta in poca acqua, con acido solforoso in eccesso, calci- nando il bisolfato ottenuto e pesando come solfato di sodio: il cloro venne precipitato come cloruro d'argento dopo riduzione con acido solforoso. Il clorito sodico è solubile in alcool ed è stabile all'aria in condizioni normali di umidità; in atmosfera ricca di vapor acqueo cade in delique- scenza ed in essicatore su idrato potassico perde rapidamente l’acqua di cristallizzazione. Il prodotto anidro esplode per percussione. All’analisi il prodotto disidratato diede: sodio °/o cloro °/o trovato calcolato p. NaC10, trovato calcolato p. Na CIO, 25,66 25,43 38,85 39,19 25,56 38,92 Ho in lavoro più estese ricerche sul clorito sodico particolarmente per studiarne la decomposizione col riscaldamento e per ottenere dei cristalli sufficentemente sviluppati per misure goniometriche ; sono anche in corso prove sull'azione farmacologica dei cloriti sull’organismo usando il clorito sodico; queste ricerche, iniziate da me a Padova sotto la guida del prof. Sabba- tani, vengono ora proseguite e completate dallo stesso prof. Sabbatani ed hanno già formato soggetto di una prima comunicazione al R. Ist. Veneto. Clorito di litio Li C10;. — Anche questo prodotto non è mai stato descritto nemmeno allo stato impuro o di soluzione. Tentativi per ottenere il clorito di litio per azione del biossido di cloro su di una soluzione concen- trata di idrato di litio addizionata di acqua ossigenata non mi diedero buon: risultato : ottenni invece un prodotto puro per doppio scambio fra solfato di litio e clorito di bario. Per evaporazione nel vuoto su idrato potassico si ha il clorito di litio anidro, deliquescente: il sale non è precipitabile con alcool ed etere dalla soluzione acquosa anche concentrata. Le soluzioni di clorito di litio, a differenza di quelle del corrispondente: sale di sodio, si alterano lentamente per azione dell'acido carbonico dell'aria depositando del carbonato di litio. Ml clorito di litio secco esplode per percussione. L'analisi del clorito di litio anidro condotta come per sale di sodio diede: litio °/ cloro °/o trovato calcolato p. Li C10. trovato calcolato pe Li C1 0 9,24 9,33 47,23 47,65 9,30 47,40 — 215 — Clorito di calcio Ca(C10,),. — Il perossido di calcio non sì prepara in modo analogo a quelli di stronzio e bario causa la piccola solubilità dello. idrato di calcio; il perossido di calcio idrato fu ottenuto spegnendo della calce, di recente arroventata, con acqua e aggiungendo acqua ossigenata al. latte di calce appena preparato. La reazione col biossido di cloro procede rapidamente e quantitativa- mente e il perossido passa completamente in soluzione; per evaporazione nel vuoto o precipitazione con alcool ed etere si ha un prodotto che, essicato- su idrato potassico, è clorito di calcio puro: l’analisi eseguita come per i. sali di sodio e litio diede: calcio °/o cloro °/o trovato calcolato p. Ca(C10,)s trovato calcolato p. Ca(C103)s 23,05 22,90 40,36 40,54 23,09 40,60 Anche il clorito di calcio esplode per percussione e si decompone comple-- tamente se viene toccato con una spiralina rovente. La reazione di doppio scambio fra solfato di calcio e clorito di bario si presta male alla preparazione del clorito di calcio data la piccola solu- bilità del solfato di calcio. Il clorito di calcio non era mai stato ottenuto da precedenti autori, neanche impuro di altri sali. Clorito di stronzio. — Sr(C10,), — Questo clorito non è mai stato prepa- rato: era tuttavia presumibile che il metodo impiegato da me e Bruni per la preparazione del clorito di bario potesse venire usato allo scopo; l’espe- rienza ha completamente confermato questa previsione: si prepara infatti per azione del biossido di cloro sul perossido di stronzio idrato, utilizzando la reazione parallela a quella con la quale si ottiene il clorito di bario: una soluzione satura di idrato di stronzio viene addizionata di acqua ossigenata al 30°/ eil precipitato cristallino di perossido viene decantato dal liquido soprastante e poi saturato di biossido di cloro. La soluzione avuta si può concentrare nel vuoto o più rapidamente precipitare con alcool ed etere. Il prodotto seccato nel vuoto su idrato potassico fino a peso costante diede. all'analisi eseguita come per il sale di sodio: stronzio °/o cloro °/o trovato calcolato p. Sr(C10x), trovato calcolato p. Sr(C103), 38,83 39,39 31,62 31,86 39,25 81,45 Il clorito di stronzio esplode per percussione; toccato con una spiralina rovente si scompone e il calore prodotto nella reazione è sufficiente a far fondere il cloruro di stronzio formato che si raccoglie in piccole sferule. Tentativi per preparare il clorito di magnesio dal perossido di magnesio e biossido di cloro o per doppio scambio da clorito di bario e solfato di — 216 — «magnesio riuscirono infruttuosi: le soluzioni avute non precipitano con alcool ed etere e per concentrazione nel vuoto, e anche a freddo, svolgono abbondantemente vapori clorosi. Lo stesso accadde per una soluzione ottenuta per doppio scambio fra clorito di bario e solfato di zinco: il perossido di zinco non reagisce o reagisce molto incompletamente col biossido di cloro. Clorito talloso TICIO.. — Tentare la preparazione e lo studio delle proprietà di questo composto appariva particolarmente interessante per l’ana- logia del tallio da un lato coi metalli alcalini e dall’altra col piombo; per analogia coi cloriti di piombo e di argento avevo creduto di poter ottenere il clorito talloso per precipitazione di soluzioni sufficentemente concentrate di sali di tallio con clorito sodico, ma i tentativi ebbero esito negativo. Ho potuto invece preparare questa sostanza per doppio scambio fra -clorito di bario e solfato talloso; data la piccola solubilità del solfato di tallio a freddo è conveniente fare una soluzione satura e bollente di solfato di tallio e raffreddarla rapidamente agitando. Aggiungendo alla sospensione fredda la quantità equivalente di clorito di bario si ha in pochi minuti, agitando, il doppio scambio quantitativamente. Se si cerca di evaporare lentamente la soluzione nel vuoto si ha forma- zione di idrato tallico con imbrunimento ; aggiungendo invece 3 a 4 vol. di alcool e 8 a 10 vol. di etere precipita immediatamente il clorito talloso, giallo crema assai pallido: il prodotto viene filtrato alla pompa, lavato rapi- damente con etere anidro e asciugato nel vuoto. Il clorito talloso è assai facilmente solubile in acqua a differenza dei sali di piombo e di argento corrispondenti ed in ciò il tallio si comporta come un metallo alcalino: esplode per percussione sull'incudine e si decompone immediatamente per riscaldamento fra 70-80°. Il tallio fu determinato come ioduro talloso: tallio °/y trovato calcolato per T1C10, 74,93 75,16 75,02 Il prodotto deve venire analizzato dopo essere stato circa 1/, ora in essicatore a vuoto: dopo un'ora il prodotto comincia già ad imbrunire con formazione di ossido tallico e di vapori clorosi: la decomposizione procede col tempo ma lentamente e dopo 48 ore vi è ancora sufficente quantità di clorito inalterato nel prodotto per ottenere esplosione per percussione sull’incudine. Geologia. — // Miocene nella regione compresa fra i rilievi mesozoici eugubini e la catena del Catria. Nota di PaoLO PRINCIPI, presentata dal Socio ARTURO IssEL. Ùà Nella catena di Gubbio. comprendente i rilievi di M. Loreto, Monteleto M. Semonte. M Calvo. M. Inzino. M. Alto, la serie dei terreni mesozoici si chinde colla scaglia rosati, che fa graduale transizione ad un'altra forma- zione caratteristica conosciuta sotto il nome scaglia cinerea. Essa, come nel M. Catria, è costituita da scisti scagliosi grigi o ver- dastri. costituenti una specie di fascia, che affiora ininterrottamente lungo il versante settentrionale ed orientale della catena eugubina. A M. Loreto assume una estensione notevolissima, scendendo dalla vetta del monte sino alla Madonna di Montecchi ed oltrepassando il Fosso Celle. Ivi si osserva qualche impronta riferibile al genere /noceramus e si riscontrano varî esem- plari di Gryphaea vesicularis Lm. Sulle pendici orientali di Monte Alto la scaglia cinerea racchiude qualche straterello ricchissimo di foraminifere, tra cui si distinguono i generi G/obigerina, Biloculina, Operculina. Presso il Bottaccione entro la valle del Carmignano gli scisti marnosi cenerognoli diven- tano più chiari assumendo un colore giallastro e contengono numerose impronte di Zoophycos flabelliformis Fisch. Ost. Sulla scaglia cinerea, riferibile all’Eocene inferiore per la ricca fanna nummulitica, che presenta in varie località umbre, marchigiane ed abruz- zesi. si sovrappone una formazione - detta disciaro - costituita da alcuni strati di calcare marnoso di colore bigio azzurrognolo percorso da numerose fratture. in modo che tende facilmente a dividersi in piccoli paralle epipedi più o meno regolari. La roccia è attraversata da sottili vene di calcite bianca, è talora intercalata nella parte superiore con straterelli argillosi ricchi di concrezioni limonitiche ed alterna anche con strati di scaglia cinerea. Questo fenomeno. che si può facilmente constatare presso la Madonna di Montecchi, a M. Loreto, Monteleto e M. Alto è la prova che scaglia cinerea e bisciaro appartengono allo stesso periodo geologico. E però ìndi- spensabile, come ho avuto già occasione di rilevare, (*) togliere alla parola Xx e N —< 0,195 2 ao Da » sa Q aj e) TOTO 0,190 © 130 140 150 160 170 180 mm/mg [Gi possa determinare il raggio di eurvatura al suo punto di contatto col piano di agata. La tabella numerica riportata in quella Nota si riferisce precisamente alla bilancia Rueprecht da me adoperata, nelle condizioni delle esperienze di cui qui è cenno; per cui la curvatura del detto coltello è al sno punto cen trale di circa 5 micron. Ma dissi anche, come vi sia ragione di ritenere che tale curvatura non sia costante; e propriamente come essa sia più grande per i punti laterali della sezione del coltello. in dipendenza da tale fatto, se sì determina la sensibilità della bilancia 4 g/090 inelinato essa deve ri- sultare alquanto maggiore di quella corrispondente 4 gi0go orissontale. Ora con la parola sensibilità si dovrebbe intendere il rapporto da/4P tra un an- golo infinitesimo de ed un sovraccarico pure infinitesimo dP, a differenza di quanto si è costretti a fare sperimentalmente. In pratica, infatti, io aggiuugo 1 mg., che produce complessivamente un certo spostamento angolare del giogo che viene a rappresentare in certo modo la media di tutte le sensibilità comprese fra 0 ed il detto spostamento. Ova, l'attrazione che si tratta di CADORE determinare, ha un valore corrispondente a !/; di mg. circa, quindi, ad essa non covrisponde che uno spostamento angolare della bilancia all'incirca !/; di quello che il mg. intiero occasiona. E siccome a tale spostamento deve corrispondere, per quanto sì è detto, una sensibilità vera media alquanto mi- nore di quella apprezzata con l'uso del mg., si comprende come servendosi di quest'ultima determinazione si sia portati a valutare come più piccola l'attrazione cercata, giacchè si divide la deviazione dell'indice luminoso per un numero troppo grande. Si vede inoltre che l’effetto viene esagerato al crescere della sensibilità totale per mg. Se poi la sensibilità fosse piccolis- sima od, al limite, fosse zero, rimanendo la curvatura dello spigolo del col- tello costante (dentro escursioni piccolissime od infinitesime), vi sarebbe coincidenza fra le determinazioni della attrazione teorica e sperimentale. In altri termini riferendoci alla fig. 5, una delle due rette segnate (ed invero quella per la sfera in basso) è realmente un tratto di curva che volge la concavità verso il basso, e che finirebbe per diventare tangente ad una retta parallela all'asse della sensibilità di ordinata uguale a mg 0,21758; il punto di tangenza avverrebbe ad un valore di ascissa zero, cioè alla sensibilità nulla. Dell’interpretazione del secondo fatto dirò nella prossima Nota. Meccanica. — Limiti strutturali ed economici nelle dimen- sioni delle aeronavi. Nota del Corrisp. col. G. ARTURO CRocco. In navigazione aerea con mezzi galleggianti, come in navigazione ma- rina, vi è vantaggio a crescere le dimensioni, poichè la potenza necessaria ad imprimere una determinata velocità cresce in misura minore che non la totale forza di galleggiamento di cui si dispone. Per navi od aeronavi di forme simili la potenza varia all’incirca col quadrato delle dimensioni, mentre la totale forza di galleggiamento cresce col cubo: cosicchè la potenza uni- taria, cioè il rapporto tra la potenza totale e la forza di galleggiamento varia in ragione inversa delle dimensioni. Ne segue che anche il peso del macchinario, riferito alla totale forza di galleggiamento, segue la stessa legge. Contro questo vantaggio delle dimensioni sta un inconveniente; ed è che il peso della s/ru//ura cresce in misura maggiore della forza di galleggia- mento. Ma non è possibile determinare una legge generale. Per formularne una che abbia il merito della semplicità, divideremo la struttura in due parti: una soggetta a cimenti di tensione o compressione varianti diretta- mente colle forze ascensionali; e un'altra soggetta a cimenti varianti in ra- gione delle superfici, o non soggetta a cimenti precisabili. 4 a Il peso della prima parte varierà come il prodotto dei volumi per le lunghezze: cioè come la quarta potenza delle dimensioni; quello della se- conda parte varierà come i prodotti delle superfici per le distanze, cioè come il cubo delle dimensioni. E tale per ragioni prudenziali si supporrà la va- 400 1500 90 PERCENTUAL./ _ 9000 Q kh 18000 N à | N S 17000 y S }N NN A QD | COMBO 4 | S x S 16600 SS È é S Y_45 IERI La N < ne] 2 L 10,5 È 7, / 4 1000 L 2990 FORZA ASCENSIONALE in TONNELLATE. riazione del peso in quegli organi ove i cimenti non siano di natura pre- cisabile. i Cosicchè, eseguendo il rapporto tra questi pesi e la totale forza ascen- sionale. si avrà un termine erescente in ragione diretta delle dimensioni, ed un termine costante. In conseguenza, la percentuale (0 frazione) della forza di galleggia- mento assorbita dal peso morto dell'aeronave, potrà seriversi sotto la forma — 228 — seguente, nella quale si è messo in evidenza il diametro, D, della sezione maestra : D m Percentuale peso morto = % + TRI - D I primi due termini concernono ciò che abbiamo chiamato, in una sola parola, struttura: e il terzo ciò che abbiamo chiamato macchinario. Le considerazioni suddette conducono alla esistenza di minimi, che pas- siamo ad accennare. V'è anzitutto un minimo di peso morto per quelle di- mensioni per le quali si raggiunga la relazione: Di=|s-m. A questo minimo corrisponde l'aeronave unitariamente più leggera: e quindi quella che può sollevare il massimo carico libero; ed elevarsi perciò alla massima quota. Essa è anche l'aeronave più conveniente, se destinata a percorsi brevi, pei quali il peso di combustibile sia una frazione trascu- rabile del carico libero. i Se però il peso del combustibile diviene notevole, e cioè se l’aeronave è destinata a lunghi percorsi, sì ritrova l’esistenza di un secondo minimo considerando anche il peso di combustibile necessario per un determinato percorso. o per una determinata durata di viaggio. Tale peso essendo pro- porzionale alla potenza del macchinario ed alla durata del viaggio, T, sarà T 3 3 È 3 della forma Fi eppertanto il carzco utile residuo sarà fornito dalla espres- sione: Masi carico utile = 1 — pane: > Met s D il cui valor massimo si avrà per il diametro 1 Di=|/s(m+cT). Se nella precedente espressione si pone eguale a zero il carico utile, si ricaverà la massima durata del viaggio: 4 2 T_((i MD Tm) c $s che diviene opt/ma per l Di:=;(1—-%)s; DN | diametro limite corrispondente alla massima autonomia conseguibile. Questo limite coincide con quello della migliore efficienza economica; cioè con quello che si ottiene ricercando il valor massimo del rapporto tra carico utile e combustibile. Li LO Questo rapporto assume la forma (1—-%) D_t —m—cT effici E... cienza AT ed è massimo precisamente per 1 Dij=D3 =; (1-K)s. Ad esemplificare le precedenti relazioni abbiamo considerato i valori numerici a noi personalmente risultanti da uno dei più recenti progetti di semirigido. Essi non hanno ancora la sanzione dei consuntivi, epperò li ci- tiamo a solo titolo di esempio circa le cifre probabili che potranno venir raggiunte da una buona tecnica. Noi abbiamo desunto, posto il diametro D in metri: e supposta una velocità di crociera di 100 km. orarii : } EA si 0258 e. CES da cui sì ricavano i seguenti limiti, in cifre tonde: (peilspesormorto) le; ==090 (per il carico utile) » . . .. Di= 48 per T= 50 ore DI = Abin =L00% dead di ea, Di.= 86 » n=200 >» (perla itonomia)i@t en i e De 128 (CCG ieri CionZa) DE Questi limiti corrispondono a volumi rilevanti: onde vi è margine no- tevole nella tecnica delle aeronavi per lo sviluppo di perfezionamento. V'è soltanto da osservare, che il guadagno di carico utile, di autonomia e di efficienza diviene sempre meno sensibile col crescere delle dimensioni, co- sicchè da un punto di vista pratico non è conveniente andare troppo oltre. Abbiamo perciò ritenuto di aggiungere un diagramma dei pesi morti, dei carichi utili, e delle efficienze; e lo abbiamo disegnato per l'autonomia di 200 ore, riferendolo alle forze di galleggiamento totali, espresse in tonnel- late. Si vede che l'utilità di aumentare le dimensioni è sensibile sino ad unità di circa 1000 tonnellate, corrispondenti al diametro di 60 metri. RenpIicontI, 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 30 — 230 — Geofisica. — Primi risultati di una recente campagna geo- magnetica nella regione Adriatica. Nota del Corrispondente Luici PALAZZO. Variazioni secolari magnetiche negli ultimi anni. — Alcune serie di misure magnetiche ripetutamente fatte a Terracina (prov. di Roma), in varie occasioni fra gli anni 1888 e 1913, m’avevano palesato, nell'andamento delle variazioni cosidette secolari, le particolarità seguenti ('): che la de- clinazione magnetica (occidentale) la quale, nel precedente secolo e nel primo decennio di questo, diminuiva di anno in anno quasi uniformemente in ra- gione di 5-6 primi. aveva assunto dipoi un decremento annuale assai più forte, quasi 10’; che l’inclinazione (boreale). dopo avere a lungo mantenuto il decremento annuo di circa 2', era nei tempi più recenti quasi stazionaria : che l'intensità orizzontale, crescente nello scorso secolo di circa 20 unità y in cgni anno, intorno al 1907 aveva toccato un massimo, e poi aveva preso lentamente a discendere. Fatti analoghi erano emersi da un mio studio (*) sulle variazioni magne- tiche a Teodosia, città dell'Oriente enropeo molto distante bensì da Terra- cina, ma a latitudine solo poco diversa; quivi pure. io ebbi a notare la variazione più rapida della declinazione negli ultimi anni (*); la stazio- narietà, o quasi. dell'inclinazione avanti la fine del secolo, seguìta da au- mento : il passaggio dell’intensità orizzontale per un massimo, verificatosi a Teodosia, assai prima che a Terracina, cioè nel 1891 (‘). seguìto da una diminuzione sempre più accelerata verso il presente. Gli inconsueti eventi del magnetismo terrestre posti in luce nel mio lavoro di Terracina, dopo cessato il periodo bellico e riprese le corrispon- denze e gli scambi di pubblicazioni scientifiche fra gli Stati d’Europa, ebbi piacere di vederli confermati anche dai risultati raccolti all'estero in osser- (1) Misure magnetiche e confronti magnetometrici a Terracina (Ann. Uff. Centr. Meteor. Geod., vol. XXXVII, parte 19, 1915). (2) L’eclisse totale di Sole del 21 agosto 1914 osservata dalla missione italiana in Teodosio (Crimea) (Mem. Soc. Spettroscopisti, vol. VI, 1917). (3) Anche per Massaua ho riconosciuto un maggiore decrescimento annuo della dle- clinazione (occidentale) nel corrente secolo, in confronto di prima (Misure magnetiche in Eritrea, Ann. Uff. Cent. Meteor. Geod., vol. XXXV, parte 12, 1918). (4) In 16 anni, adunque, il punto dove l'intensità orizzontale ha compiuto il suo massimo, avrebbe trasmigrato successivamente da oriente ad occidente, percorrendo i 22 gradi circa di parallelo che separano Teodosia da Terracina. — 231 — vatorii magnetici permanenti; ed a tale riguardo mi basterà citare, per tutti, il lavoro di Ad. Schmidt dell'Osservatorio di Potsdam ('). Necessità di nuove carte magnetiche per l’Italia. — Le carte magnetiche generali dell’Italia, pubblicate a cura del R. Ufficio Centrale di Meteoro- logia e Geodinamica (?), sono state costruite in base ai rilievi fatti da Chi- stoni e da Palazzo fra gli anni 1881 e 1892: i valori degli elementi ma- gnetici, allora raccolti, furono tutti ridotti all’epoca comune 1892.0. Le dette carte rappresentano pertanto la distribuzione del geomagnetismo in Italia quale era un trentennio addietro. Per desumere da tali carte i valori degli elementi negli anni successivi. si era soliti ad applicare le variazioni per ogni anno, così come apparivano essere dalle precedenti mi- sure, ossia approssimativamente i valori medi: 4D= — 5',5 per la decli- nazione, ZI= — 1’,5 per l'inclinazione, 4H=-+ 21y per l'intensità oriz- zontale (il segno — indica diminuzione, il segno + aumento del valore numerico col progredire del tempo). A vero dire, siffatto procedimento di calcolo extrapolatorio pecca di soverchio semplicismo, e può portare col tempo ad incertezze più o meno gravi. Infatti le variazioni secolari sono soggette ‘ad oscillazioni (dipendenti forse dai fenomeni di attività solare), ed inoltre non sono sensibilmente le stesse per tutti ì punti compresi nell'ambito della carta magnetica di cui si fa uso (in ispecie se questa abbracci considere- vole estensione di territorio); e ciò porta di conseguenza che, quanto più ci allontaniamo dall'epoca di riferimento della carta, tanto più è da temersi che la fisonomia delle effettive linee isomagnetiche sia alterata. Una vevi- sione generale delle carte magnetiche, sulla scorta di nuove misure, a corta scadenza sempre si impone. Tuttavia le nostre carte avrebbero potuto, ancora per qualche tempo. servire abbastanza bene per gli usi pratici correnti, se non fossero soprav- venuti gli inopinati cambiamenti nelle variazioni secolari, di cui al prece- dente paragrafo, ed i quali — possiamo dire — non hanno che contribuito ad un più precoce invecchiamento delle carte stesse. Di qui la necessità di rimettere carte e tabelle a giormo senza ulteriori indugi. D'altronde nuove carte magnetiche per l'Italia vengono richieste da più parti. È stato proposto che una carta magnetica del nostro paese abbia a (1) Die Sakularànderung der erdmagnetischen Elemente im westlichen Eurona wahrend der letzten Zeit (Meteor. Zeitschrift, 1919). Nel lavoro sono calcolute alcune for- mole che, pel periodo di tempo considerato e per l'Europa media ed occidentale, espri- mono le variazioni secolari in funzione della latitudine e longitudine ‘dei tuoghi: ed il prof. Schmidt stesso si è compiaciuto molto di verificare che i risultati da me ottenuti a Terracina erano in ottimo accordo con le sue formole, la cui validità si estenderebbe pertanto anche alla media Europa meridionale. (*) Ann. Uff. Centr. Meteor. Geod., vol. XIV, parte 1%, 1892; Atti I. Congr. Geoor. It., Genova 1892; Atti V. Congr. Geogr. It., Napoli 1904. — 232 — figurare anche nell'Atlante fisico-economico d'Italia, di cui si è trattato nel- l'VIII Congresso Geografico Italiano, tenutosi a Firenze nella primavera dello scorso 1921. La R. Marina desidera avere gli elementi per tracciare la carta odierna delle isogone del bacino Mediterraneo, ad uso dei naviganti ('). L'Istituto Geografico Militare, pei bisogni della guerra, ebbe a stampare una carta delle isogone ridotta all'epoca 1917, ma pur sempre derivata da quella, antica nostra del 1892: epperciò l’Istituto intende ora allestire una nuova edizione della carta con tutte le varianti che possono essere intervenute da allora fino ad oggi. Programma di lavoro per un nuovo rilevamento magnetico dell’Italia. — Stando così le cose, il Ministero dell'Agricoltura, su mia proposta ap- poggiata dal Consiglio Direttivo di Meteorologia e Geodinamica nella ses- sione del febbraio 192!, mi aftidò il compito di eseguire ì nuovi rilievi magnetici che si ritenevano necessari per la rifazione delle carte. È chiaro che per mettere queste in corrente, non occorre rioccupare tutte indistinta- mente le stazioni fatte in precedenza, ma basta scegliere un limitato numero di punti, opportunamente distribuiti. pei quali si posseggano buone serie di misure prese in varie epoche antericri: quivi solo sì rinnovano le osserva- zioni. allo scopo di accertare bene l'andamento e l'importo delle variazioni avvenute nel corso del tempo. Conosciuta con esattezza la legge di varia- zione per sufficienti punti, si potrà estenderla per interpolazione a tutte le stazioni della precedente rete magnetica, e ricavare così gli elementi per il disegno delle nuove carte. Fu stabilito di ripartire il lavoro in due anni, ossia di intrapprendere nel 1921 il rilevamento della regione adriatica, lungo le due sponde orien- tale ed occidentale, e di compiere poi, nel successivo 1922. l'esplorazione dei litorali e delle isole del Tirreno e del Jcnio. Risultati dellu campagna adriatica 1921. — Nella presente Nota in- tendo offrire alla R. Accademia un sommario resoconto dei risultati d'osser- vazione della campagna magnetica da me svolta nell’Adriatico dal 27 agosto al 21 dicembre 1921, e che comprende 19 stazioni di ripetizione. I dati numerici sono consegnati nel quadro che segue. (*) La cessata i. r. Marina austriaca, parecchi anni prima del conflitto europeo, aveva provveduto alla verifica della declinazione magnetica lungo la sponda orientale del- l'Adriatico. Gli altri elementi del magnetismo non furono però considerati. Le nuove mi- sure di declinazione furono eseguite nel 1907 dall’allora capitano di fregata W. Kesslitz, dirigente la sezione geofisica dell'Ufficio Idrogratico di Pola. Questi stesso nel 1914 sol- lecitava perchè da parte di noi italiani si procedesse ad una analoga ricognizione per la riva occidentale adriatica. Si era allora rimasti d'accordo che l'Ufficio meteorologico ita- liano avrebbe iniziato il lavoro nella successiva primavera; ma la guerra, scoppiata poco appresso, mandò a monte il progetto. — 239 — » DETERMINAZIONI MAGNETICHE NELLA REGIONE ADRIATICA, 1921. 29 o | Latitudine | Longitudine EE Inclinazione Ss DATA STAZIONI Nord Est dai Ea boreale E S Ò delle pP "o I ES osservazioni Sio o) (e) Cesena rr a rr Costa orientale: in) 1921 "0 0 0 Trieste... .....|| 45889| 18476|6510| 60.597|0,21745|1x/16,17 Pola (Ospedale) (1) . . . | 4451,9| 18.51,8|6.37,7| 60.19,7|0,22070|1x/21.22 Pola (Osservatorio) . . . 44 51,8 13.50,8 | 6.37,0 60.14,5 | 0,22082 | IX/23, 24, 25 UE SEE ate po 44.06,4| 15.14,4|6.27,0) 59.48,5[0,22398|IX/27, 28, 29 Spaloto--erag ron: 43.30,2| 16.26,7|5.54,7| 59.09,2|0,22690| X/1,2.3 SSA 43.03,9| 16.11,4|5.34,1| 58.215 |0,23205 | X/6,7 Wagosta fto een e 42.45,9| 16.54,3|0.15,1| 58.08,8/0,23281| X/10,11 Antivari . . . . . . . || 42.058] 19.05,7||4.39,4| 57.22,7/0,23625|X/17,18 Corfù (2)... ... | 39.86,6] 19.54,9]|4.17,8] 5436,1|0,24872| X/25, 26 Costa occidentale: Venezia (Lido) . . . . .|{ 45.257) 12.23,1|7.198| 6102,8/0,21701|1X/2,3 Ravenna (Porto Corsini) . | 44,29,3| 12.16,6||7.24,7| 60.02,3|0.22191|-VIII/29,30 AMconange sv e 48.96, 13.30,8 || 6.37,8| 59.10,1|0,22657| X1I/19, 20 Pescara. . . . . . . .|l 42.27,6| 14.13,3/6.23,6| 58.05,9/0,23183|XII/15,16,17 Trémiti (S. Nicola) . . . | 42.07,1| 15.30,3[5.59,8| 57.80,2|0,23461|X11/2,3,5,6 Maufredonia . . .°. .. 41,381 15.55,6||5.45,9 56.58,2|0,23761| XI1/10, 11 Molfetta 0. n aa 41.129,5| 16.94,9|[5.27,2) 56.27,8|0,23987 |XI/25,26,27,28 BrINdISIAN e el | 40.38,8| 17.56,7]4.54,9| 55.49,7]0,24311| XI/6,7,8 Taranto 1 <<... 40,27,9 17.15,0||5.11,8| 55.39,9|0,24352| XI/21, 22, 23 Otranto eee | 40.08,4 18.294 | 4.45,2 55.14,9 | 0,24564 | XI/11, 12, 18 CAPoseu cage | 39.47,7 18.22,3 || 4.48.6 54.57,9 | 0,24677 | XJ/16., 17, 18 Avverto che i valori su riportati sono il risultato, bensì definitivo, del calcolo delle osservazioni fatte; ma queste non sono ancora state depurate dalle variazioni diurne (siano queste ordinarie, o siano accidentali cioè do- (3) L'Osservatorio di Pola, su Monte Zaro, già da parecchi auni, trovasi in condi zioni alquanto anormali di funzionamento, a causa di masse di ferro vicine e, molto più ancora, a causa delle correnti elettriche delle linee tramviarie che passano lì presso, al piede dell’altura. I disturbi si rendono visibili specialmente nelle registrazioni della forza verticale, Io tuttavia, a scopo di confronti, volli pure fare determinazioni assolute nel pa- diglione magnetico dell’Osservatorio (in parte durante le ore notturne, cessato il traffico tramviario cittadino). Ma come valori normali degli elementi magnetici a Pola debbono prendersi quelli ottenuti in località appartata dai tramvai, per la quale scelsi un vasto campo annesso all'Ospedale Provinciale, sul Monte S. Michele. (2) Corfù propriamente è isola del Jonio, ma ho creduto bene di comprendere pur essa nel viaggio di esplorazione lungo l'Adriatico orientale. Analogamente, nel gruppo delle stazioni occidentali ho incluso Taranto, sebbene sul Jonio. — 284 — vute a perturbazioni) del magnetismo terrestre, nè sono state ricondotte ad un'epoca rigorosamente comune per tutte le stazioni. Siffatte riduzioni io farò in un secondo tempo, allorchè potrò avere a mia disposizione gli spogli delle registrazioni giornaliere del magnetografo di Pola, per gli ultimi mesi del 1921. Ciò malgrado, siccome ebbi sempre cura di osservare gli elementi ma- gnetici maggiormente variabili (D e H) scegliendo quelle ore del giorno, nelle quali è noto che D e H passano generalmente pel valore medio diurno, e siccome le misure in ciascuna stazione furono ripetute anche in più giorni, così ho motivo di ritenere che ì numeri della tabella corrispondano già fin d'ora, con buona approssimazione, ai valori medî normali diurni, riferibili all'epoca media 1921,8, tanto da potermi permettere di trarre adesso, in prima analisi, qualche utile deduzione. Correlazione fra i valori magnetici e le coordinate yeogrefiche delle stazioni. — Nella tabella ho ordinato le stazioni, in ciascun gruppo, secondo la latitudine discendente; così a colpo d'occhio chiunque rileva che i valori dell’inclinazione I e quelli dell'intensità H risultano anch'essi ordinati sca- larmente fra le stazioni procedenti dal nord al sud. Col diminuire della la- titudine, decresce assai regolarmente l’inclinazione ed aumenta invece la forza orizzontale. La tabella non offre eccezioni ; quindi è escluso che esistano forti anomalie nei punti esplorati. Un breve calcolo poi ci mostra che per ogni grado di discesa nella latitudine, l'inc|inazione diminuisce per poco più di 1° (più precisamente, in media 1°,1), e la forza H aumenta per circa 535 y; questi rapporti sì mantengono sensibilmente gli stessi per l'una e l’altra sponda. In quanto alla declinazione, si rende invece manifesta la sua stretta dipendenza dalla longitudine, e cioè D diminuisce procedendo sul parallelo da occidente verso oriente. Lungo entrambe le rive adriatiche troviamo che la variazione in D è di circa 25” per 1% di longitudine. Confronti con le carte magnetiche del 1892. — Riesce istruttivo fin da ora il confronto degli attuali valori degli elementi magnetici con quelli desumibili dalle nostre carte di trent'anni or sono. Da esse carte, per cia- scuno dei punti esplorati, mediante interpolazione grafica fra le linee iso- magnetiche disegnate, estraggo i valori proprî dell’epoca 1892,0: applico loro, moltiplicando per 30, le variazioni annuali medie precedentemente note ed assegnate alle vecchie carte (v. al paragrafo 2° di questa Nota), e così riporto ognuno dei valori al tempo 1922,0: infine ne faccio le differenze coi risultati attuali (!). Queste differenze sono esposte nella seguente tabella, (!) Nel calcolare queste differenze considero della declinazione (tuttora occidentale ovunque in Italia) il valore numerico senza attribuirgli il segno —, come sarebbe con- forme alla convenzione in uso. coca in forma di correzioni delle carte, vale a dire i numeri sono quelli che bisogna aggiungere o togliere ai valori dedotti, nel solito modo, dalle carte per avere i valori veri, ottenuti nella recente campagna. CORREZIONI ALLE CARTE MAGNETICHE DEL 1892,0. STAZIONI in D in I | in H | STAZIONI inD | in I in H Costa orientale | | CAGRIS: Costa occiden. | Gigi Si Trieste . . . .| — 377] +24 — 54.10-* || Venezia. . . .| —37| +29’ — 60.10-4 Polat,» -— 47] +19) —51 Ravenna . . .| —37| +15] — 54. Zara . .. | — 89 +26] — 54. Ancona . . . .| — 49] +20] — 54. Spalato . . . .| — 42] +82] — 68. Pescara. . .| —44| +19| — 62. Lissa... ..| —37|+20| —50. Tremiti . . .| — 41[ +19] — 59. Lagosta . . . .| — 49| +29] — 64. Manfredonia. .| —41| +22| — 56. Antivari (*) . .| —44| +85] —66. Molfetta . ..| — 45] +22) — 56. Corfù... ..| —47| +33) — 69. Brindisi . . .| —48| +30| — 62. Taranto . . .| —49) +22| — 58. Otranto . . .| —44| +32] —G61. i Capo Leuca. .| —42| 4-34| —64. Correzioni medie | — 43 Î +27) — 59.107 | Correzioni SORIA, — 43] +24 Tea bolo I numeri della tabella sono fra di loro in accordo molto soddisfacente, specialmente se si considerano le imperfezioni inerenti all'impiego del gra- ficismo. Le differenze fra i valori desunti dalle carte e quelli osservati ora, nel 2° semestre 1921, sono notevoli, e bene giustificano la nostra impresa della ripetizione delle misure. Infatti le carte finora usate portano, nell'attuale momento, per la declinazione a valori superiori ai reali di 43’, in media: nell'inclinazione dànno valori al disotto de! vero per 25’ circa; invece la componente orizzontale della forza magnetica risulta troppo alta per 0,0059. Possiamo anche dire che nel bacino Adriatico la declinazione, dal 1892 al 1922, è diminuita globalmente di 3° 28’, in media, quindi assai più del previsto : l'inclinazione è discesa di poco, circa 20' : l'intensità mostra un aumento poco sensibile, appena 40 y. Se tali cangiamenti sì fossero compiuti con uniformità, secondo una funzione lineare del tempo (il che sappiamo bene che non è), per le variazioni secolari medie, nell'intervallo 1892-1922 e nell'Adriatico, () Siccome Antivari e Corfù giacciono fuori del quadro delle nostre carte magne- tiche, così pei detti due punti mì riferisco alla carta austriaca del 1890, annessa alla Memoria di Laschober e Kesslitz (Magnetische Beobachtungen an den Kiisten der Adria in den Jahren 1889 und 1890, Pola 1892). — 230 —. potremmo assumere: /D=— 6,9 , 4I=— 04,7 , 4H= + 1,3y: quantità quest'ultima quasi evanescente. La realtà è che l'intensità H, dopo il 1892, in Italia ha continuato ancora a crescere, ma con moto rallentato, poi ha raggiunto il massimo, ed ora è nella fase inoltrata di decrescimento, come fu dimostrato per Terracina. Queste nozioni sulle variazioni magnetiche secolari sono qui date a titolo provvisorio, poichè sull'argomento dovremo tornare in seguito, con un altro scritto, ove le studieremo a fondo, facendo tesoro di tutte le osserva- zioni fatte in tempi diversi del passato, nelle stazioni di ripetizione, allo scopo di determinare la forma della funzione rappresentatrice delle varia- zioni stesse. NOTE PRESENTATE DA SOCI Matematica. — Sur les foneltons qeneratrices des polyno- mes de Laquerre. Nota di A. AncELEScO, presentata dal Socio T. LEVI-CIVITA. î Le polynome P,(x) qui satisfait à l'équation différentielle (1) Ta? A a Xx-1). E —ny=0 a Je ie i où » est un entier positif, a été rencontré et étudié par Laguerre (*) dans son mémoire sur l’intégrale EMA (8, A) L Laguerre donne (?) aussi le développement dx ] 1--a CoA e = = aL l—-a n=0 1. Formons une équation aux dérivées partielles à laquelle satisfaire toutes les fonetions génératrices de la forme [I R & __ | INZIE Q (>. (3) pla) où Cn est un coefficient ne dépendant pas de « et «. (1) Ruvres de Laguerre, t. 1, pag. 428. (8) Loc. cit., pag. 486. doivent — 237 — Considérons, pour cela, la relation (4) cPr(a) + (a +1) Ph(o) — aP,(cr)= 0. En la multipliant par Cha” et en faisant en suite la somme des re- lations obtenues en donnant à x les valeurs 0,1,2,..., ad inf., on voit facilement que toute fonetion de la forme (3) satisfait à l'équation aux dérivées partielles 2 z (5) i i ag Ordonons la série (3) suivant les puissances de x (C°) (6) ze,x) = p,(0). =) Entre les fonctions gn(a) on doit avoir la relation n° pae) + (a_-1)gn(e) — gna) = 0, qu'on obtient en remplagant dans l’équation (5) s par la série (6). En prenant pour g,(@) une fonetion arbitraire g(@), cette relation nous montre sans difficulté que l'on a pd = 9). ni) en désignant par g®(@) la dérivée d'ordre x par rapport è @ de (a). Le développement (6) deviendra donc n n CEE gu) (7) (a, x)= g(a) +7 g(@+. Li où (a) représente une série entière en @. On a ainsi une expression de la fonction génératrice des polynomes P,(2), qui pour x =0 se réduit à une série entière en a, donnée è priori. È 1 i MO En faisant dans (7) g(a)= TRI retrouve la fonction génératrice (2). x Si l'on prend °b p(a) = | VACI du a llT—@ RENDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. 31 — 238 — f(u) étant une fonction arbitraire et « en dehors de l’intervalle (a ,d), on trouve av (8) agi fn pera [0 GATE ua De méme, en supposant (a) holomorphe è l'intérieur du contour C, on a, par la formule de Cauchy, (9) sa, x)= ao [ gie CASE du, (0) U—- A a étant è l’intérieur du contour C. m Remarque. — Sì l'on fait dans (7) g(a)= @”, alors s(a, x) se réduit à @" P,(x). Par suite, de (9), la représentation par intégrale 10 gn ip. DA) tto 371 - fi n (1) =37; IE i T étant un contour ayant le point 1 à son intérieur. 2. Considérons l'intégrale si) (10) y= | euro Pol) 1, DIO BEI, X_-% qui est analogue è l’intégrale de F. Neumann pour les fonctions sphériques de seconde espèce. Il est facile de voir que cette intégrale est aussi une solution de l'équation différentielle (1). En effet, si nous remplagons dans l'intégrale (10) P,(u) par sa valeur tirée de la relation (4), done par 1 E Pil) ., Pi(0) |. n du on obtient, après deux intégrations par parties , OZ i) NY 5 50: (e u)? P.,.(u) du Ò De (10), par différentiations, on a CAM EE e =) eg rd, dy a 0, (u-r_—10à+1 dit sco 3A È (7 ROD - u)? P,.() du. pro 30, 1 î ERO Da: Sega Avec ces valeurs de 77, 2 et dA on volt immédiatement que l’inté- Do grale (10) est une solution de l'équation (1). Cecì établi, désignons par @,(v) l'intégrale (10). On montre de méme que précédemment quune somme de la forme S DI 40071 Q,(2) Ù n=0 satisfait è l'équation aux dérivées partielles (5). Il en résulte que s(@, x) étant une fonction geénératrice de la forme #3), et par suite une solution de l'équation (5), l'intégrale geo z(a, u) lu, DEE: r—- est aussi une solution de la méme équation aux dérivées partielles. Meccanica celeste. — Sui satelliti retrogradi. Nota I di P. BURGATTI, presentata dal Corrispondente G. ARMELLINI. L'esistenza dei satelliti a moto retrogrado è un fenomono molto inte- ressante, che cagiona difficoltà assai gravi nelle teorie cosmogoniche. Singo- lare principalmente è la circostanza che essi sono i più lontani dai rispettivi pianeti. Senso del moto e distanza sembrano » perciò due caratteri intima- mente collegati, e tali da far quasi ritenere che i satelliti che li posseggono abbiano una origine diversa di quelli a moto diretto: i quali, da Kant e da Laplace in poi, sono stati considerati parenti più o meno stretti dei pianeti. Cotesta opinione, espressa anche da autorevoli astronomi. corrisponde a verità ? Non credo possibile una risposta definitiva allo stato attuale delle nostre conoscenze, e ritengo che non potrà essere data dalla pura mecca- nica. Nondimeno la meccanica è in grado di chiarire alcune differenze essen- ziali fra le due classi di satelliti e di offrire qualche elemento per orien- tarsi in mezzo all'oscurità del grave problema. Questa Nota contiene alcune considerazioni che mirano al fine suddetto. Sono state dedotte, riducendo opportunamente il problema al suo maggior grado di semplicità, per modo che restassero in evidenza le sole cause di differenziazione delle due classi di satelliti. L'importante è che questo appunto sì può fare in parecchi dei casi che offre la natura. Poniamoci nel caso del problema ristretto dei tre corpi. L’orbita del satellite è nel piano dell'orbita planetaria, e la massa del satellite T è ab- — 240 — bastanza piccola per non alterare sensibilmente il moto del pianeta P, che gira intorno al baricentro O Sole-pianeta uniformemente e circolarmente. Si riferisce il moto di T agli assi rotanti OP =0x e 0y perpendicolare a Ox.. Ma sì possono pensare gli assi come fissi, purchè alle forze attrattive agenti su T si aggiungano la forza centrifuga e la forza di Coriolis cambiata di senso. Si vede chiaramente che quest'ultima forza è la sola che vari (in direzione) passando da un satellite diretto a un satellite retrogrado: le altre permetterebbero al satellite di descrivere un'orbita nei due sensi. ssa è rivolta verso il centro di curvatura nei moti retrogradi, nel senso oppo- sto nei moti diretti; ed è perciò la cagione del diverso comportamento delle due classi di satelliti. Rilevato questo, si è spinti naturalmente a vedere se fosse consentito di trascurare due delle altre forze: la forza attrattiva del Sole e la forza centrifuga. Siano M,m,wu le masse di S,P,T; e indichiamo le varie distanze ponendo TP=0 ,TO=".,TS=0g,. Vogliamo supporre che O sia abba- stanza vicino a S, e 0 abbastanza piccola rispetto a SP = 4, perchè possa ritenersi sensibilmente TO sempre coincidente con TS. Questa ipotesi è ac- cettabile in parecchi dei. casi che offre la natura. Ne risulta che la forza attrattiva di S su T e la forza centrifuga (diretta come OT) acquistano la espressione KMw r? fs= fe uo°r, essendo w la velocità angolare del pianeta intorno al Sole, e avendosi per cose note FOTALE: ri £ (a= SP) ai Queste due forze hanno ugual direzione e verso opposto, perciò i loro effetti si sottraggono costantemente: ossia, è la loro differenza che entra in giuoco. Essendo nostro intendimento di considerare le orbite quasi circolari, supponiamo addirittura @ costante e 0: a=c abbastanza piccolo, talchè sia lecito trascurare c*,c* ecc. Seriviamo i valori di /; e /. nella forma: i ia 1° a ig poi cerchiamo i loro valori massimi e minimi. Essendo in corrispondenza r=ato, sì trova KMu K(M-+m) fs= 57 (1 #20) , (nm SO — 241 — Perciò, quando T è in opposizione, si ha KN KM fede DE 86-19: a a e quando è in congiunzione KMu KMw fs > fe 7 de — RD (1—-c). Questi sono i limiti d’intensità fra cui varia la forza /;— /; (1). 0Oc- corre farsi un'idea della grandezza di c, in alcuni dei casi che offre la natura. Si trova, per esempio, e=1:5000 circa per il V Sat. di Giove; c=1:100 &) ” » VI E) L) I c==3:100 » » VII » » ’ e=3:200 » » Febo » » Saturno c=1:5000 » » Mima » » "TA E=1:4460 | » » il IV di Urano 16200005 » » Sat. di Nettuno. ” M Questo basta per mostrare che in parecchi casi la forza = Le 21906 a una piccola frazione, e talvolta anche piccolissima, dell'attrazione esercitata dal Sole sul satellite situato alla distanza del pianeta ; e che Kmu(1 te): a? è pur essa assai piccola, essendo paragonabile alla forza con cui il pianeta attirerebbe il satellite, se questo fosse situato da quello ad una distanza uguale a quella del Sole. È lecito dunque in certi casi e per certi fini ri- tenere /, — /: trascurabile rispetto all'attrazione del pianeta. AI contrario, la forza di Coriolis è bene spesso considerevole. Si ha K(M+mé e _KuM+ m) bi Zé ; a? a a? IN; 2uwv = 2u essendo T e T, i periodi di rivoluzione del pianeta e del satellite. Ora T:T, è in massima piuttosto grande ; per esempio, 19,5, 2358 10.000, per alcuni dei satelliti indicati di sopra; è dunque vero l’asserto. Dalle cose dette segue chiaramente che pei fini qui dichiarati possiamo ridurre il problema a quello del moto in un piano d'un punto materiale sollecitato dalla forza newtoniana emanante da un centro tisso e dall'accen- nata forza di Coriolis; problema relativamente facile, analogo a quello del moto d'un elettrone intorno ad un centro atomico e in un campo magne- tico costante. (1) Vicino alle quadrature è addirittura nulla. — 242 — Per esso valgono gl’integrali dell'energia e delle aree rispetto a certi assi; dai quali, passando alle coordinate polari, si può ricavare una relazione del tipo doma, dove l'equazione /(0)= 0, del 4° grado, ha sempre due radici reali. Ciò dimostra che ogni traiettoria si sviluppa entro una corona circolare. Se le radici sono molto vicine, l'orbita sarà a spire quasi circolari. I caratteri differenziali delle orbite dirette e retrograde di questo tipo coincideranno quasi totalmente con quelle spettanti alle orbite esattamente circolari. Conviene dunque studiare anzitutto quest’ultima. Sarà fatto in un’altra Nota. Matematica. — Swi sistemi E nel calcolo differenziale as- soluto. Nota di JosePH LIPKA, presentata dal Socio T. Levi-CivITA. Nel cap. I, $S 3, della loro esposizione fondamentale dei metodi del calcolo differenziale assoluto ('). i sigg. Ricci e Levi-Civita hanno studiato certi sistemi covarianti o controvarianti, chiamati sistemi E, i quali hanno proprietà molto notevoli e sono spesso utili nel calcolo. Lo scopo di questa Nota è di dimostrare un'altra interessante proprietà di questi sistemi, espri- mendo le loro relazioni con certi determinanti elementari, ed indicando al- tresì un'applicazione se:nplice di questo risultato. 1 Si definisce un sistema E nella maniera seguente: Sia a il determinante dei coefficienti della forma fondamentale Co gra, dr dio 1 Allora, si ehiama E il sistema covariante di ordine 2, i cui elementi ris tassi SODO uguali a zer0, se gl'indici 7,,73,..,7, non sono tutti dif- ferenti, e uguali a Va 0 Lia gl’indici essendo tutti differenti, secondo. che la classe della permutazione (7,7 ..., 7») è pari o dispari rispetto alla permutazione fondamentale (1,2,...,%). Si chiama sistema controvariante E il sistema reciproco definito, al solito da 4 CRISIOS IS i n x ; (2) ita esta) — N al 51) gl"2 52) so ala Sn) e o RED ALOE POTOROROE ID S1.S8, 0003 Sn {') G. Ricci et T. Levi-Civita, Méthodes de calcul difjérentiel absolu et leurs ap- plications. [Mathematische Annalen, Bd. LIV (1900), pp. 125-201]. — 243 — di cui, gli elementi s(1:7:»-:"») sono uguali a zero 0 —1:]a, sotto le stesse condizioni come per gli elementi £, , 13 SUI Tn » Dimostriamo la identità seguente : n (D);:D. E Timti imticarceoti TyTa... Tn im ta elfi 389,000 Smimta tn) = (n #=L m) 12,00 dove Ti, Sì Ti Sa Ti Sm (3) E d,,s, ds 36 dr. 5m dro, S1 TmS9 e TmSml e, al solito, (4) d,,g,=0, SO ris, € d,,=l. SE Ti=sk- Se le 7 (o le s) non sono tutte differenti, allora, il primo membro della (I) sarà zero, in base alla detinizione del sistema E, e il secondo membro della stessa equazione sarà zero, poichè 4 avrà due o più colonne (o righe) uguali. Dunque, non si ha bisogno di considerare che il caso in cui le 7 e le s sono tutte differenti. È comodo di usare le abbreviazioni (Mi (= (o e si dice che (r)==(s) o (7) = (5) secondo che 71, 72,..-,7m @ S1, 523% Sm sono due permutazioni o no della stessa serie di m numeri scelti dalla serie degli n numeri 1,2,...,. Nello sviluppo del primo membro della (I), si hanno n*-" termini della forma (5) « al) Un, U2...Unom! (Ue 1 SIERO T)UxUg...Unom di questi, i termini nei quali le % non sono tutte differenti, sono zero, sicchè rimangono da considerare i termini nei quali le x sono tutte differenti. Di- stinguiamo due casì : 1° (r)==(s). Ogni termine (5) ha almeno una 7 od una s uguale a qualcuna delle «, di modo che, per definizione del sistema E, ogni termine del primo membro della (I) è zero. Inoltre, almeno una 7, per es. 7;, non è uguale a nessuna s, sicchè, nel secondo membro della (1), da (4), d,.,=0 (£=1,2,...,m), e quinli 4=0.. 2° (r)=(s). l termini (5) nei quali qualche v è uguale a qualche 7 (o s) sono zero: i termini nei quali tutti le v sono differenti da tutte le r (0 le s) sono in numero di (2 — m)!, tali essendo tutte le permutazioni possibili delle x. Ora. se la classe della permutazione (71,7, ...37m) © — 244 — quella di (5), $2,...,Sm) sono tutte e due pari o dispari rispetto alla per- mutazione fondamentale (1,2,...,%), ogni termine è uguale a--- 1, ma se una classe è pari e l’altra è dispari, ogni termine è ugualea —1. Dunque, il primo membro della (I) è uguale a = (n—m)!. Inoltre, nel secondo membro della (I), le 7 e le s sono aggruppate in tutte le coppie possibili, e, poichè (r) e (s) sono due permutazioni della stessa serie di x numeri, ve ne sono soltanto m coppie nelle quali i numeri della coppia sono uguali : in questa serie di m coppie, ogni r ed ogni s si presentano soltanto una volta, di modo che in 4, tutte le d sono zero salvo una in ogni riga ed in ogni colonna, e queste d sono uguali a 1. Per conseguenza il solo ter- mine nello sviluppo del determinante 4 che non è zero, consta del prodotto > di queste d , e quindi 4 ha il valore |:- 1 o — 1, secondo (da un teorema elementare sui determinanti) le classi delle permutazioni (7, ,72;.,37m) @ (81388, +, Sm) Sono le stesse od opposte rispetto alla permutazione fonda- mentale (1,2,...,#). Dunque, il secondo membro della (I) ha il valore = (n— m)! come il primo membro, coincidendo anche i segni. Abbiamo così dimostrato la nostra identità (I). Se m=9 0 m=1, si hanno i casi particolari : (6) x - € CASTRO IO eltistasctn) = pl, CO lr ra Si (7) Di Pi delta ia II 1 Diamo un’applicazione interessante dell'identità (I) stabilendo una re- lazione fra i coefficienti della forma fondamentale g e il sistema E. Consideriamo il sistema covariante n n o € n € o n 1a T20 0 nni S13 820038 Tita ione 0 81,893 8n-19 al 81) al: 89) ha ala: Sn=1) à Moltiplicando i due membri per al’ e sommando, rispetto a j, si ha n . e -_ Di Dia ci CI DEC RE UNO vin d i _ Di ì al: 81)... ani Sn-1) alli) € ; = ToS1:52:- 00801) S1, SQ: 00035 n-=13 n i Si E È si Tani) h nta Tnei T1,T9,-003t%=1% tenuto conto della (2). Ove si applichi la (7) al secondo membro, risulta Sat hy=(n—-1)!dix. 1 — 245 — Moltiplicando per ax e sommando rispetto a X, si ha di dij pa a9 du) =(n_-1)!3, nm, Al 1 1 e da (4), ba = (n lan. Perciò, n € . E È (8) Dara Tani SyceSneei WalseTnei 0 Sie Sit) ft, 8 TaiSo) Tn-15n=1) — (} =" alt151) gl'a 52)... g (Pas8n = (a 1)!0;. Analogamente, si ricava la relazione reciproca n . . (9) DI alli Ta=1?) gS81.0 Sn-19) pla Gti =(n_-1)fa4, 1510 TaSz TRELSnei _ Matematica. — Sopra una equazione funzionale. Nota V di Pia NALLI, presentata dal Corrisp. G. BAGNERA. 7. Ora dobbiamo far vedere come si calcolano le costanti 4. Definiamo le funzioni N, (2,8) , Pn(x,5), qn(x). Esse sono state de- finite per 2= 1 ed 2=2; porremo in generale CONA) sè di, i t) N,(2,8) = Nn-1(1,2) Rua. P.(@ 59) = at! 9/0) + aPi( 3 a2) + f °° de, Qi = Bale 5 0) + N.(x ’ 0) 5 In altre parole: N,‘z,5), P.(2,5), ga(x) sono formate per mezzo dial 8) Parc), a a come N;(x,8), P.(2, 5), 91(2) lo sono per mezzo di N(x,s), P(x,5), g(« La (4) ci dà (15) u(x)=2 ee g(£) uM(ax) + (Nile, 8) u(8) ds + +S PLS 0" +1". RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. SR. Se denotiamo con w,,i(x) (é=1,2,..,7-+1) la soluzione dell’equa- ‘ zione Un,i(@) = 4 [er 9(2) Uni(@2) +f Sl 75) Uni(8) ds + ne fra , s) Unsi(8) ds | + las) ’ dove poniamo i f(x) soli Ins(2) = qmei+1) ; dii (x) (7 a: 2 , la (5) fer dà n_l ui) = Una(€) + À Da u?(0) Uninez(®) , r=0 e di qui (16) u(x) == (a— a 100 (x — È) ye Una (È ) dé ss Ir Di u9 (0) [+S (£— EV Unras(8) de | Già abbiamo calcolati (0) ed v'(0); dopo avere calcolati (0), w‘(0), ... u=® (0). possiamo calcolare u-(0) dalla (15) mettendo 7 — 1 al posto di 2, e facendo poi x=0 Si trova così Fi (0) + y} x u”(0) gergo) (COSDIISA E r=0 E a cr sa 1 Zar"! g(0) e perciò n-1L PES: D: 2). f9( Da 20 (0) = i IO — 4a” 900)] r=0 dove le P,_1,,(4) sono polinomî in 4 di grado = — 1 chesi calcolano con formole di ricorrenza, facili a stabilirsì. In particolare si ha n—_2 Prosn-s(2)= IND — 267 g(01). I coefficienti dei polinomî P,-,(4Z) sono polinomî in g(0) e gf!(0) con i+r=sn-1. Dalla (16) ricaviamo Pn-r(X) ES + (n Tani 1) ! A MIC. In Sf Unina1(È) Ina dé intendendo con wnn+:(5)|n-1 che in %n,m+:(5), la quale dipende anche da 4, bisogna porre 4 = Zn_1. — 247 — Dalla (16) ricaviamo ancora nel nnz1) DE P,r,r(An-1) f%0) 2 r=0 ina al NEI La condizione n-1 >»i IERRIZO, RO) = 0 , KE=0 imposta alla /(x), è necessaria e sufficiente perchè la (4) ammetta solu- zione finita per A=,-,. Soddisfatta tale condizione, la più generale soluzione della (4) si ot- tiene aggiungendo ad una particolare soluzione, per esempio alla seguente amife-se [e )+iXu u(0) ri) | di + = u(0) dA r=ò nto i in CYn-1(x), con e costante arbitraria. 8. Abbiamo così trovato che la soluzione della (4), dotata di derivate di qualunque ordine, si può mettere sotto la forma DI VARZ.A) ua) = DA) * dove D(4) è la seguente funzione intera di 4 I1[1—2e90)] e v(2:4) per ogni x in (0,a) è una funzione intera di 4 di cui diamo qui l'espressione. D(4), soddisfacendo all'equazione funzionale D(A)=[1— 4g9(0)] D(a4) e prendendo il valore 1 per 4=0, »i sviluppa nella serie nm_1) 0 g"(0) @ 2 ; O SII Àn . Disponi et v(x;4) soddisfa all’equazione v(&: D=1| 000 vi(@x 14) + N v(8 32) ds + Na (6) (6 :2) ds | + D(A) f(@ — 248 — quindi, ponendo v(x 3A) =>. osa), n=0 le vn(2) si ottengono con la seguente formola di ricorrenza oa= Sete * raga atal® 9. Quanto abbiamo esposto vale nell'ipotesi che sia g(0) +0. Se g(0)=0, la soluzione «(x) della (4) è una funzione intera di 4 ed è pre- cisamente la serie > 4" /,(x) introdotta al n. 2. n=0 Osserviamo finalmente che quanto abbiamo esposto si estende alla equazione x pa) se) =i| 412) u(gp(e)) + Î N(x,5) u(s) ds + È P(x,5) u(s) ds | + /(x) 0 la direzione del vento predominante alle diverse quote nelle quattro stagioni meteorologiche intese come aggrup- pamenti di 3 mesi a cominciare da dicembre. E da essa risulta come da 2400 m. a 4500 m. predomina la direzione NW e ia più decisa costanza di tale direzione, in tutte le stagioni, appena da 3300 a 4500 m. Nella zona compresa tra 1200 e 2100 m. vi è frequenza di varie direzioni a se- conda della stagione con prevalenza delle correnti del 1° quadrante spe- cialmente da 1800 a 2100 m.; e a quote inferiori ai 1200 m. vi predomi- Inverno | Primavera | Estate | Autunno suoto | 30249 | 182.58"| 13548" | 3228" 300 | 277.18| 110.22 111.48 50.12 600 | 27521| 100.07 91.28 | 82.39 900 252.48 155.13 110.33 98.08 1200 | 309.48| 260.32 | 450 | 809.48 1500 | 247.45) 318.22) 3250 | 300.15 1800 | 32641 0.0 | 82326| 305.18 2100 | 38811| 356.03| 327.50| 33156 2400 | 35448 | 33434| 327.06 | 338.09 2700 | 825.18| 815.39| 317.12] 346.18 3000 | 325.00| 82435| 807.08| 833129 3300 | 318.14| 32407| 31132| 832.59 3600 | 307.28 | 33209| 317.13| 335,18 3900 | 308.41| 317.50| 31924| 385,49 4100 | 31811) 326.18| 315.28| 328.37 4500 | 804.59| 330.47| 323.47| 321.29 nano venti di levante. Trascriviamo qui appresso l'angolo, contato da nord verso est che la direzione del vento medio fa col meridiano. Da essa dedu- ciamo come in inverno prevalgono venti del 4° quadrante, e dopo subìta una lieve deviazione verso W, nelle prime quote, da 1800 m. in su prevale la direzione NW . In primavera si hanno direzioni del 2° quadrante fino a 900 m., subentrano indi venti del 3° quadrante e a cominciare dalla quota 1500 m. prevalgono venti del 4° quadrante con direzione NW. In estate fino a 900 m. predominano venti del 2° quadrante; a 1200 appaiono venti del 1° quadrante e da 1500 m. decisivamente prevalgono venti del 4° qua- drante con direzione di NW. In autunno fino a 900 m. prevalgono le cor- renti del 1° quadrante e poi si afferma con assoluto dominio la direzione di NW. — 253 — Rimane così confermata negli alti strati la frequenza dei venti di NW che il Riccò aveva dedotto dalla direzione del fumo dell'Etna e che risul- tava a me dalla direzione predominante dei cirri a Catania. E il predominio della corrente di NW a cominciare di 1590 m. o 1800 m. a seconda della stagione, mostra ancora come il monte Etna non provoca alcuna modifica- zione sul cammino del contro aliseo boreale. Dalle predette osservazioni aerologiche abbiano dedotto la velocità del vento alle diverse quote scalate di 150 m. e di essa diamo la rappresenta- zione grafica nella figura 2%. Appare distinto come fino all’altitudine di 1800 m. l'aumento della velocità con l'altezza si manifesta con i medesimi caratteri nelle diverse stagioni; e dopo tale quota l'aumento della velocità 12 | parati ' I ' I [ {I | È È $7 ò è s nt her: Li pete n a î: La & La $ Q S3 Altitudine IRSTGREZI sì presenta con maggiore entità mostrandosi più rilevante in estate e meno in inverno. Oltrepassata la quota di 3600 m., eccetto la primavera, sembra prevalere una diminuzione di velocità che si presenta più chiaramente in estate. L'andamento dei predetti dati, escludendo quelli a quota inferiore ai 300 m., perchè perturbati dal suolo, può rappresentarsi con la formula : logV=a—ClogH, e alle due costanti spettano i seguenti valori per le stagioni : Inverno Primavera Estate Autunno a 1.84 2.19 3,45 2:97 7) 0.37 0.45 0.52 0.49 XENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. o DO — 254 — Dagli studi condotti sulle osservazioni delle nubi e sulle osservazioni ricavate dai palloni piloti in diverse locatità dell'Europa e delle Americhe (') è risultato che la velocità media del vento ad ogni quota è più rilevante in inverno e meno in estate; e. salvo inversioni o stazionarietà variabili a se- conda la posizione della stazione di lancio rispetto alla circolazione atmo- sferica, la variazione della velocità con l'altitudine si rileva con graduale aumento. L'esame dei dati da noi ottenuti ci porta alle medesime conclusioni relativamente alla variazione della velocità con l'altitudine, ma contraria- mente a quanto si conosce, la serie dei dati di Catania, conduce a valori della velocità più alti in estate invece dell’inverno. Se teniamo conto della direzione dei venti osservati in detti lanci, sem- bra che il forte aumento della velocità del vento con l'altitudine nella re- gione etnea sia legato alla rotazione della direzione del vento. E difatti il minimo aumento di velocità corrisponde alla stagione invernale ove i venti sono costantemente della direzione di NW ; in autunno ove la rotazione del vento è minima, vi è un più sensibile incremento della velocità ; in prima- vera e in estate le rotazioni della direzione del vento appaiono molto di- stinte, e in corrispondenza si hanno forti incrementi della velocità con l’au- mentare dell'altitudine. La maggiore prevalenza degli incrementi estivi ri- spetto ai primaverili potrebbe attribuirsi al maggiore riscaldamento in detta stagione del massiccio dell'Etna che provocherebbe una più rapida diminuzione della densità dell'aria con l'altitudine e a cui corrisponderebbero, secondo la conclusione a cui pervenne Egnell (?) sull'esame delle nubi, velocità inver- samente proporzionali alle densità. E tale minore densità in estate viene anche provocata dalla diminuzione ragguardevole del vapore acqueo negli alti strati dell'Etna che corrisponde alla nota legge dell'Hann eg =, — 10 7 e che quindi non è affatto influenzata dalle emanazioni del vulcano. (1) Hildebrandsson H. H. Ftude préliminnire sur les vitesses du vent et les téempéra- tures dans Vair libre à des hauteurs différents, Geografiska Annalen, 1920, H. 2, Up- sats 1920, Chapman E. H. 7'he variation of wind velocity with height. Meteorological Office, Professional Notes N. 6, London 1919. Shaw N. Manual of Meteorology, Part. IV, The relation of the wind to the distribution of barometric pressure, Cambridge 1919. (2) Egnell A. Sur la variation de la vitesse moyenne du vent dans la verticale, Comptes Rendus, 1903, Paris. Radiotele:rafia. — JIetodo per il confronto di frequenze radiotelegrafiche (°). Nota del dott. Uso GRassI, presentata dal Socio M. 0. CorBInO. Una corrente periodica di bassa frequenza può analizzarsi col tubo di Braun, osservando, dentro uno specchio girante, la macchia del fascio cato- dico la cui direzione sia controllata da una bobina percorsa dalla corrente in esame. Ma, passando a frequenze radiotelegrafiche, il metodo urta contro difficoltà che sembrano difficilmente superabili. Disponendo di una corrente sinusoidale di periodo eguale a quelio in esame, si può ricorrere al metodo delle figure di Lissajou, dalle quali si può risalire alla curva periodica oggetto di studio. Ma si avrebbe lo stesso risultato se, trattandosi di funzioni rigorosa- mente periodiche, la corrente ausiliaria avesse nna frequenza esattamente doppia, tripla, multipla di quella dell'altra. In tal caso la figura descritta dalla macchia catodica diventa una curva chiusa che possiede tanti massimi quanto è l'ordine di molteplicità della frequenza di una corrente rispetto a quella dell'altra. A causa della elevata frequenza delle osciliazioni radiotelegrafiche, si poteva dubitare della possibilità di immobilizzare la curva in maniera ba- stante per la sua osservazione. Ma, effettivamente, le bobine incrociate per- corse da correnti di frequenza variabile intorno a 100.000, dànno una macchia rettangolare di tinta uniforme, la quale si risolve in curve semplici e chiuse quando una frequenza è multipla dell’altra; e ciò in maniera così stabile, da poterne fare comodamente la fotografia in !/» posa. (Vedi diagrammi). I diagrammi sono stati ottenuti con correnti fornite da due circuiti oscillanti regolati da tubi a vuoto a tre elettrodi ed indipendenti l’uno dal- l’altro. L'aggiustamento delle caratteristiche dei circuiti deve naturalmente essere fatto con straordinaria finezza. Basta (ed in ciò sta appunto il pregio del metodo) una variazione anche minima, ad es. della capacità di uno dei circuiti, per provocare una rapida rotazione della curva in un senso o nel- l'altro, ed in seguito la sua definitiva dissoluzione. La sensibilità del metodo è superiore a quella stessa del ‘metodo dei battimenti con il quale è evidentemente in parentela. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto radioteleerafico del Genio militare. — 256 — Certamente non è facile immobilizzare la immagine sullo schermo per lungo tempo, nel caso di molteplicità elevate, ma è facilissimo immobiliz- zarla quanto basta per la sua osservazione soggettiva anche nel caso di mol- teplicità compresa tra 20 e 30. Oggetto della presente Nota è di proporre l’impiego del metodo di osser- vazione suesposto, per i due scopi seguenti per i quali non credo sia stato finora proposto. [°) Poichè, passando da 4000 oscillazioni al secondo a 1C0.000 al secondo, si passa da frequenze musicali a radiotelegrafiche, è possibile co- struire un circuito oscillante con una frequenza radiotelegrafica rigorosamente conosciuta variando le sue caratteristiche. finchè non compaia sullo schermo del tubo di Braun la figura corrispondente alla molteplicità della sua fre- quenza, rispetto ad uu circuito oscillante tisso, avente la frequenza corrispon- dente ad una nota musicale conosciuta. La realizzazione di questo disposi- tivo non offre difficoltà. cd è intenzione dell’ Istituto Radiotelegrafico del Genio Militare, di servirsene per ottenere un'onda normale da impiegarsi nella taratura degli ondametri. 1 1[°) Si è già detto che il metodo è forse superiore per sensibilità a quella dei battimenti. Basta che lo sperimentatore, situato ad un metro o più di distanza, sposti, ad esempio, la sua mano, perchè la figura di mol- teplicità, già stabilizzata, sì dissolva immediatamente. Ciò suggerisce l’impiego del dispositivo sperimentale sopra accennato, per la determinazione, ad esempio, col metodo di sostituzione, di piccolis- sime capacità. Coordinate: la orizzontale corrisponde alla ) —< frequenza 75.000; la verticale a fre- quenze multiple. — Comparazione di una oscillazione di frequenza uguale a 75.000, con una di frequenza doppia. \ — Con una di frequenza tripla. — Con una di frequenza quadrupla. — Con una di frequenza quintupla. — Con una di frequenza sestupla. — 250 — Chimica. — Sopra i cosidetti piranidroni ('). Nota del dottor O. GASTALDI, presentata dal Corrispondente F. ZAMBONINI. W. Schneider e W. Mayer (?) hanno trovato che condensando l’anisolo con l'anidride acetica in presenza di acido solfoacetico (acido acetosolfonico) risulta il solfoacetato di 4-metil-2,6-p-dianisilpirilio. Generalizzando, essi hanno stabilito che la miscela « anidride acetica-acido solfoacetico »_ si com- porta coi chetoni del tipo Ar.CO.CH3; come la miscela « anidride acetica- cloruro ferrico sublimato » impiegata da Dilthey (*) per ottenere i sali di 4-metil-2,6-diarilpirilio. Il processo sintetico, dagli autori sopracitati, è intepretrato nel seguente modo: I CH30.CG Hz —> CH30.GH,.C0.CH; | = dine OH, (04. 0,H, 700 COLCH, 0;CH, | | CHs Il CH3z DI \ X CH} 0.CH,— CNC. Cc, H, 0 CE, HC\ JA CH3 Inoltre essi hanno trovato che i sali di 4-metil-2.6-diarilpirilio trat- tati cogli idrossidi dei metalli alcalini o con un eccesso di acetato sodico dànno origine a delle sostanze bleu-violette incristallizzabili. Queste sostanze per la loro composizione si debbono considerare risultanti dalla eliminazione (*) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico della R. Univorsità di Torino. (*) B. 54, 1484 (1921). (prot 2 (dl) Sa di una molecola d’acqua da due molecole della base ossonica e rispettiva- mente dalla pseudobase, il piranolo. Per la loro dissociabilità, per il loro comportamento verso i solventi organici specialmente riguardo alla tempe- ratura, le sostanze bleu-violette devono ritenersi dei prodotti di addizione analoghi ai chinidroni, e perciò si possono considerare come piranidroni della serie del pirano. i i Per azione degli idrossidi alcalini o dell'acetato sodico in eccesso sui sali di 4-metil-2,6-diarilpirilio risulterebbe dapprima la base ossonica, la quale subirebbe le seguenti trasformazioni : X OH | | (0) (0) O (0) Ar dna Àr de “a esi “Te 7 Ò N 7 SR9 È / n (CES QUER CH: OH CHS I II Tio DN Le sostanze bleu-violette, i cosidetti piranidroni, risulterebbero da una molecola di un y-metilenpirano IV che allo stato nascente sì unirebbe con una molecola della base ossonica II OH na i O2SCH | A ia V@ Vetro | | \C=CH7 Î HC CH Li | i CHS Queste idee, qui succintamente riportate, sono contenute in una prima Nota di Schveider (*) sui cosidetti piranidroni. In una seconda Nota (°), lo stesso Autore si occupa specialmente dei composti i quali risultano per azioni delle basi organiche, quali l'anilina e la fenilidrazina, suì sali di 4-metil-2,6-diarilpirilio. Di queste reazioni a me interessa mettere in evidenza quella che av- viene con la fenilidrazina per Ja quale secondo Schneider risulterebbero i sali di N-fenilamino-4-metil-2,6-diarilpiridinio. (1) Loc, cit. (2) B. 54, 2285 (1921). — 259 — Questi sali di basi quaternarie, trattati con gli idrossidi dei metalli alcalini, dànno origine a delle base terziarie IV, intensamente colorate in bleu-scuro, le quali si formerebbero secondo gli schemi : CH; CH, ni CH, | | "e zZN a CN i ee ee Ar E Ar Ar / Àr Àr N, Ar Àr V_ Ar Os] N N—NH.C,H; ZEN I Î NH.GH, HO NH.C5H; I II III IV W. Schneider svolge questi concetti fondandosi sulla premessa errata che dalla condensazione dei chetoni del tipo Ar.CO.CH3z con l'anidride acetica risultino i sali di 4-metil-2,6-diarilpirilio. Invece, come io ho già dimostrato in un’altra Nota, condensando l'acetofenone con l'anidride acetica risulta il sale di 2-metil-4,6 difenilpirilio, quindi il gruppo me- tilico non si trova legato all’atomo di carbonio in y rispetto all’etero-atomo, ma all'atomo di carbonio in posizione «. La condensazione dei chetoni del tipo Ar. CO.CH; con l'anidride acetica nelle condizioni di esperienza di Dilthey e di Schneider, non avviene secondo il processo sintetico indi. cato da quest'ultimo Autore, ma bensì, come io ho dimostrato, nel seguente modo : CB 2 (07 HCO. CH; sera EEE CO. 0 H; CH,7 Ce RIE | dita Ho CH, HL C0.0CH, | NA + HX Cs H5—C0 NCOSCh. N) (0 IS | G HC/ \cH | + CH,. COOH + H,0 CH; e {0. CH; bi O e x Questa formula di struttura dei sali di pirilio, seguendo il concetto di Schneider sulla natura di composti dimolecolari delle sostanze bleu-violette, porterebbe alla formula Ar Ar | Î Cc C HC NcH | dl E Ar O C CH, e l6 ‘er«fefiole ole | Ar.C C CH; 0) Ò OH cioè di un piranidrone, analogo a un chinidrone di un o-chinone. Spetta ora all'Autore citato di dire, se così moditicata ritiene di poter ancora mante- nere la sua ipotesi sulla natura delle sostanze bleu-violette. La nuova formula di struttura dei sali di 2-metil-4,6-diarilpirilio per- mette di dare una migliore interpretazione alla reazione per la quale da detti sali con la fenilidrazina si originerebbero gli N-fenilamino-derivati della 2-metilen-4,6 diaril-1,2-diidropiridina V Ar Ar Ar | | I f) (\ d Ar TRA —CH, Ar— \7A CHy DIA —CH; O-I N N BS I NH. CsH; HO NH. CH; I II III Ar Ar | | AN DS i Lon, 1 CH, N—NH. GHz N—NH. CéH; IV V perchè la reazione così interpretata trova una perfetta analogia col com- portamento del sale di 2-p-idrossifenil-4,6-difenilpirilio e di altri sali di — 261 — pirilio strutturalmente analoghi studiati da Dilthey (') CH; CH; | | e, ’ OH cate Los OH (0) (0) | | X OH CsH;z CeHs | | A AN cl Lea, . OH cal 3 CsH, È | OH | 0 0 e con quello dei sali quaternari della N-metil-trimetilindolenina (*) C(CH;), CK Di CH, ARS mR C(CH3): CH dii | OH CH; (1) B. 52, 1195 (1919). (2) B. 37, 4227 (1904). RENDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 19° Sem. C(CH3): Cud xo .CH, C(CH3)» CH DO : CH, CHy —_'dG9i = Geolozia. — /l conglomerato di Como. Nota II di EmiLio RePossI, presentata dal Socio ARTINI. Il conglomerato mostra una variazione di composizione abbastanza netta in senso verticale, e questo, s'intende, indipendentemente dalle alternanze di arenarie e di puddinghe alle quali si è già accennato. A tal proposito mi sembra, per esempio, degno di rilievo il fatto che il serzzzo ghiandone, scarsissimo o mancante del tutto nella più bassa parte della formazione, diventa abbondante e caratteristico qualche centinaio di metri più in su. I ciottoli eocenici, che abbiamo or ora ricordati, sono invece concentrati quasi esclusivamente nei banchi inferiori del conglomerato Una variazione di composizione si rileva anche in senso orizzontale, e non solo a grandi linee (ciò che sarebbe abbastanza ovvio) ma anche a pie- coli intervalli di distanza. Così, ad esempio, nel tratto collinesco che sta tra Camerlata e S. Fermo, proprio dinanzi allo sbocco della vallata del ramo comasco del Lario, mancano in modo quasi assoluto gli elementi calcarei. Quando si pensi che fin oltre Menaggio, ossia per una trentina di chilometri, tale vallata è incisa entro calcari e dolomie secondarî, fa meraviglia la enorme scarsità di simili rocce in un conglomerato interamente costituito da elementi cristallini provenienti dalla più alta parte della valle stessa. Ma se noi ci portiamo appena qualche centinaio di metri ad est di Camerlata o qualche decina di metri ad ovest di S. Fermo, troviamo qua e là nel conglomerato sciami di ciottoli di ‘calcari liasici, e ciottoli calcarei o dolomitici del trias, che rappresentano la fascia secondaria prealpina, pur mantenendosi, forse solo apparentemente, più scarsi di quanto ci si potrebbe a bella prima attendere. Come pure caratteristico è il contrasto tra la composizione del conglo- merato comense, quasi interamente costituito da elementi cristallini, e quella della breccia eocenica di Montorfano, esclusivamente formata, come la pud- dinga cretacea di Sirone, da elementi (calcari e selci) del secondario locale. Queste considerazioni mi sembrano di qualche interesse quando si vo- gliano cavare deduzioni in riguardo alle questioni generali accennate sin da principio ed al modo stesso di formazione del conglomerato, ch’è certo un curioso problema, come provano le lunghe discussioni che si son fatte in- torno ad esso. Ma, sempre a questo proposito, mi parve pure opportuno tener conto non solo della composizione, dirò così, qualitativa del conglomerato, ma anche della sua composizione quantitativa. Pao => Fu già detto da molti che il conglomerato comense consta. almezo per nove decimi, di elementi cristallini e che questi sono molto varî: ci tro- viamo dunque davanti a un tipico conglomerato poligenico, giustamente asso- ciato al classico Nage/fluh poligenico della Svizzera. E questa è pura verità. Ma tale affermazione generica lascia in ombra aleuni fatti degni di nota. Così. ad esempio, è utile constatare che nel tratto Como-Malnate una roccia forse prevale su tutte le altre indistintamente: e questa è la tonalzte che nella Nota I abbiamo ricordato. Certo è che il conglomerato in taluni punti è formato, almeno per tre quarti, da tale roccia e che questa non manca mai a nessun livello ed in nessun punto della formazione, neppure al suo estremo occidentale; e di essa constano in prevalenza i grossi e problematici blocchi accennati più indietro. Il serizzo ghiandone, pur esso qualche volta abbon- dantissimo, e la stessa congerie di rocce gneissiche e scistoso-cristalline, varie e di signiflcato meno caratteristico, che ordinariamente predomira, la cedono spesso in diffusione di fronte alla tonalite. Questo fatto mi pare sia da porsi tra i più salienti per quanto riguarda la composizione del conglomerato, e mette in maggiore rilievo la relativa singolarità della roccia stessa, che, anche dal semplice punto di vista pe- trografico, offre qualche interesse. Essa infatti, che in tutta l'estensione della formazione mostra una mirabile costanza di aspetto ed una fisonomia affatto caratteristica, non trova riscontro sicuro in nessuna roccia oggi ampiamente affiorante nel tratto della regione alpina che va dalla Valsesia alla bassa Valtellina, mentre, come già dissi, ha una perfetta somiglianza con la to- nalite del gruppo Adamello-Tonale. La sola roccia che si possa in qualche modo paragonare alla nostra è la diorite che ho chiamato del M. Bassetta, che, come è noto, forma una lunga striscia che si stende dalla bassa Valtellina fin sotto Bellinzona, e può considerarsi come una /aczes periferica del massiccio granitico di Val Masino. Ma questa roccia, che, data la opportuna estensione del suo affioramento, potrebbe spiegare bene la presenza e l'abbondanza di ciottoli tonalitici in tutti i punti della formazione conglomeratica. presenta, nella parto ch'è tut- tora conservata, una notevole differenza d'aspetto e di composizione con la nostra tonalite, e non sembra identificabile con questa. Mentre invece è perfettamente identico con la nota roccia di Val Ma- sino il serizzo ghiandone che abbonda. allato alla tonalite nel conglomerato comense. Questa concomitanza m' induce anzi a supporre che l'origine della tonalife stessa sia da ricercarsi in qualcuna delle masse di tale roccia che son venute rintracciandosi nelle vicinanze deì massiccio di Val Masino e che probabilmente rappresentano gli ultimi rimasugli di una più grande massa, in molta parte distrutta dall'erosione. Se così non fosse, non vedrei ragione perchè la concomitanza serizzo-tonalite non dovesse ripetersi anche nei depositi morenici. vee Il caso è dunque interessante; tanto più che sembra ripetersi per altre rocce del conglomerato, il cui luogo d'origine pare debba ricercarsi nell'alta Engadina. | Ma tutti questi quesiti saranno esposti e discussi ampiamente in se- guito, insieme cogli stessi particolari strutturali e tectonici della nostra for- mazione, già noti nelle linee generali. Non posso però chiudere questi brevi cenni preventivi sul nostro studio senza esprimere il dubbio che possa esser mantenuto immutato il riferi- mento cronologico del conglomerato comense, attribuito ora al tongriano per le somiglianze sue con le formazioni oligoceniche piemontesi e per il rinve- nimento in esso di un frammento osseo di tragulide di tale età. Parecchi dei fatti osservati mi indurrebbero ad un sensibile ringiovanimento di tutta la formazione. Ma la questione è delicata e andrà trattata con molta prudenza, perchè essa è importantissima nel determinare la portata generale dei risultati del nostro studio, per la quale. come osnun vede, è necessario che l'età del conglomerato comense sia accertata nel modo più sicuro possibile. Zoologia. — Zo stomaco della larva di Anopheles claviger Fabr. e la dualità delle cellule mesointestinali degli Insetti (*). Nota I preliminare del dott. Enrico FEDERICI, presentata dal Socio B. Grassi. Negli anni 1920-21, ho eseguito una serie di ricerche istologiche sul- l’Anopheles claviger Fabr. (sin. maculipennis Meig ). rivolgendo particolare attenzione allo studio del canale digerente larvale e delle sue appendici. Credo opportuno riassumere i risultati ottenuti su questo argomento e anticiparne la pubblicazione. perchè essi mi sembrano costituire un contributo alla so- luzione. tuttora controversa, di un interessante problema di entomologia generale (°). È noto che, fino a pochi anni or sono, per consenso della maggior parte degli autori, si è ritenuto che le cellule dello stomaco degli Insetti siano (morfologicamente e fisiologicamente) di una sola specie, cioè che abbiano la medesima origine e che ad ogni elemento competano le medesime fun- (1) Lavoro compiuto nell'Istituto di Anatomia comparata dell’Università di Roma. (2) Con animo riconoscente, ringrazio il prof. B. Grassi (che ha diretto e agevolato le presenti ricerche), il prof. C. Artom (cui debbo varie indicazioni tecniche) e la pro- fessoressa Anna Foà (che ha riletto il mio lavoro, opportunamente consigliandomi di indagare la struttura del canale digerente col metodo delle « colorazioni vitali »). LIRDGR E zioni (capacità di secernere i succhi digestivi, capacità di assorbire i mate- riali digeriti). Gli aspetti e le forme, talvolta diversissimi, descritti nelle celiule intestinali di una stessa specie e di uno stesso individuo, sono stati (dai sostenitori dell'unicità morfologica e della bipolarità funzionale di questi elementi) attribuiti alla diversità delle fasi o stadii di esistenza individuale, in cui le singole cellule potevano eventualmente trovarsi. Secondo questa concezione, le basi strutturali del processo digestivo-assimilatorio, sarebbero, negli Insetti, profondamente diverse da quelle proprie di tutti gli altri Invertebrati e Vertebrati a digestione extracellulare (cioè non fagocitaria), inquantochè questi ultimi posseggono sempre cellule o complessi di cellule, morfologicamente diversi e distinguibili, gli uni dei quali sono adibiti alla secrezione dei fermenti digestivi e gli altri all'assorbimento dei materiali digeriti. Questa singolare eccezione ha fatto sì che non siano mancati gli avver- sarii dell'ipotesi unitaria, sia fra gli entomologi a noi meno vicini ('), sia fra quelli recenti e recentissimi. Tra gli ultimi merita particolar menzione il Deegener (?), il quale (in seguito a minute ricerche sul processo della secrezione intestinale nella larva di Dezlephila euphorbiae L. e in Macro- dytes [| Dytiscus] cireumcinetus) ha affermato che, almeno in certe specie di Insetti, l'epitelio mesointestinale è costituito « aus zwei morphologisch und « physiologisch unzweifelhaft verschiedenen Zellarten, zwischen welchen Ueber- « ginge nicht existieren »(*). I caratteri differenziali fra queste due sorta di cellule sono stati da me schematicamente riuniti nella seguente tabella: V'è an rabdorio più o men» distinto. Non v'è un rabdorio distinto. Sono elementi secernenti, ma anche ca- Sono elementi esclusivamente secernenti. paci di assorbire, almeno negli inter- valli tra due fasi di secrezione. Il secreto non assume mai la forma di sferule, ma è diffuso e acidofilo. Esso Il secreto assume la forma di sferule, ognuna circondata da uva distinta pel- licola e con un contenuto jalino o gra- nuloso. Tali sferule passano attraverso il rabdorio (non essendovi un'apertura vera e propria per il loro passaggio) e, prima di sciogliersi, mantengono per un certo tempo la loro individualità anche nel lume intestinale. passa all’esterno attraverso un’apertura, (che esiste spesso, ma non sempre) della superficie cellulare, e non improvvisa- mente, ma gradualmente. (1) Questi sono menzionati in Henneguy L. F., Les Insectes (morphologie, reprodu- ction, «mbryogénie), Paris 1904; e in Berlese A., Gli Insetti, loro organizzazione, sviluppo ecc., vol. I, Milano 1909, pag. 741 e sgg. j (2) Deegener P., Beitrige zur Kenntnis der Darmsekretion, I. Teil: Deilephila euphorbiae L. (Arch. f. Naturgesch, 75, Jahrg, Bd. I, 1909); ZI. Teil: Macrodytes (Dytiscus) circumcinctus (Ibid., 76, Jahrg., Bd. I, 1910). (*) Lo stesso Deegener ha riassunto e generalizzato le sue vedute nell’« Handbuch der Entomologie », herausg. v. Chr. Schroder, Bd. I, S. 273 u. ff., Jena 1913. -— 266 — Il nueleo occupa una posizione variabile, ma generalmente si trova nella metà api- cale della cellula. Il secreto non occupa mai la massima parte della cavità cellulare. Sono state osservate in moltissimi Insetti; la loro presenza sembra costante e la loro diffusione generale. Denominazioni: Zylinderzellen (Frenzel). Sphaerocyten (Deegener). Al principio del processo secretorio, il nu- cleo si trova basalmente; a muno a mano che l’intensità della secrezione aumenta, esso si sposta verso la superficie, siun- gendo fino a metà della cellula. Il secreto, nelle fasi più intense del pru- cesso di sua formazione, scaccia quasi tutto il plasma, che rimane solo sotto forma di minuti e sottilissimi setti. Sono state messe in evidenza soltanto in larve di Lepidotteri,in Cetonia aurata, in Gryllotalpa, in Efemeridi ed Escnidi. Denominazioni: Becherzellen(Leydig, List), Schleimzellen (Auct.), Calycocyten (Dee- generi). Per contro, lo Steudel(*), che ha seguìto le fasi del processo digestivo in varie specie di Insetti è giunto a conclusioni affatto opposte. affermando che « das wichtigste Ergebnis [seiner Untersuchungen] ist die Doppelfunktion « (Absorption und Sekretion) der aktiven Darmepithelzellen, die in zwei « Stadien anzutreffen sind, ina Absorptionsstadinm (von verschiedenen Au- « toren auch Rukestadium genannt) und im Sekretionsstadium. Zwischen « beiden konnen Uebergînge beobachtet werden » (loc. cit.. p. 217 (2). Un nuovo contributo alla soluzione del complicato problema ha por- tato recentemente la Foà (*), con lo studio dell'epitelio mesointestinale del baco da seta. Da varii anni era noto (srazie alle ricerche del Nazari e del Verson) che le cellule dell’ intestino medio dei bachi sani si presentano sotto due aspetti, pressochè regolarmente alternati, l'uno cilindrico o a clava, l'altro caliciforme; ora la Foà ha notato che. nei bachi malati da fiacci- dezza, le cellule caliciformi sono ridotte, alterate o quasi completamente scomparse, mentre le altre sì conservano, più o meno bene. La spiegazione di questo fatto presenta gravi difficoltà. se si ammette (come sì vorrebbe dai più) che le cellule caliciformi e le cilindriche siano fasi diverse di ele- menti morfologicamente simili, ed è invece molto facilitata, se sì ammette trattarsi di due sorta di formazioni, morfologicamente differenti. L'autrice ha adottato quest'ultima ipotesi, dopo aver constatato: «) che negli embrioni maturi (in cui l'intestino non ha ancora funzionato) e nei bachi appena nati (1) Steudel A., Absorption und Sekretion im Darm der Insekten. Zool. Jahrb. Abt. f. alle. Zuol. n. Physiol. d. Tiere, Bd. XXXIII, 1913, pp. 165-224 To) È opportuno avvertire che, in realtà, tra le ricerche dello Steudel e quelle del Deesener, non esiste quella aperta e stridente contraddizione, che sembra esservi a prima vista, inquantochè le specie di Insetti adoperate dai due Autori sono diverse e sistema- ticamente molto lontane. (?) Foà A.. L’epitelio dell'intestino medio nel baco da seta sano e in quello malato di NMlaccidezza. Rend. Ist. Bacol. Se. Sup. di Agric. di Portici, vol III, 1918, pp. 41-69. Zi gg = si possono già differenziare le due sorta di cellule; è) che nei varii stadii della digestione, cellule caliciformi e cellule cilindriche rimangono sempre distinte e non presentano forme di passaggio; c) che ambedue le sorta di cellule hanno funzione secernente e che, probabilmente, soltanto gli elementi cilindrici hanno funzione assorbente. | Tali essendo i dati essenziali, che attualmente possediamo, l'ipotesi della unicità degli elementi mesointestinali risulta inadeguata a dare una spiegazione di tutti i reperti finora noti e, per contro, l'ipotesi opposta non è ancora documentata con sufficiente ampiezza. Vediamo ora se e quanto la conoscenza dello stomaco della larva ano- felica possa contribuire alla soluzione del problema ('). Lo stomaco della larva anofelica è la parte più appariscente e volumi- nosa del tubo digerente (): esso ha la forma di un lungo tubo cilindrico, ordinariamente riempito da una colonna di ingesti, che sono generalmente frammenti di alghe filamentose e detriti vegetali o di altra natura; proce- dendo dall'esterno all'interno, vi si possono identificare le seguenti forma- zioni, disposte concentricamente l'una intorno all'altra: @) la tunica connet- tivale, 5) lo strato muscolare, c) la membrana basale, d) l’epitelio digerente, e) la membrana peritrofica. Nella presente sommaria esposizione possiamo limitarci a considerare il solo epitelio digerente: questo presenta, a fresco, un colore debolmente giallastro, eccettuata la parte posteriore ove la tonalità del giallo è più intensa; con l’aiuto di questa diversità di colore, un occhio esercitato e pra- tico del materiale riesce a discernere, anche a fresco, una concomitante diffe- renza istologica. che si può controllare poi, con grande evidenza, nei pro- parati di sezioni colorate. Osservando una sezione che interessi tutta la parete dello stomaco, in modo da metterci innanzi la faccia delle cellule opposta al lume intestinale (cioè rivolta verso la cavità del corpo) sì vede la metà anteriore caratterizzata dalla presenza di grosse cellule, più o meno nettamente poligonali, con, protoplasma che si colora in rosso-violaceo, pint- tosto pallido. Tra queste cellule se ne intercalano altre, colorate più inten- samente, più piccole, ovalari e con nucleo relativamente più grosso; infine, gruppetti di 2-5 piccoli nuclei, attorno a ciascuno dei quali non esiste una zona di plasma nettamente definito da un limite cellulare, sono disposti (1) Questo è dichiarato attualmente « rimesso sul tappeto » anche dal Berlese, già autorevole sostenitore dell’ipotesi unitaria (v. A. Berlese, Gli /nsetti, loro organizza- zione, ecc., vol. II, Milano 1921, nota alle pp. 685-£6). (2) Sulle varie parti del tubo digerente, sugli organi emosteatici e sul sistema ner- voso ho compiuto altre ricerche, la cui esposizione debbo riservare alla Memoria com- pleta. Il lettore potrà acquistare una conoscenza sommaria dell'intestino della larva anofe- lica, consultando il lavoro di A. D. Imms (On the lerval and pupal stages of Anopheles maculipennis Meig. Part I. The larva. Jour. of Hygiene, vol. VII, 1907, pp. 291-318). — 268 — irregolarmente (almeno in apparenza) fra queste due sorta di cellule (che, per ora, ci limiteremo a chiamare cellule grandi e cellule piccole); essi corrispondono verosimilmente a zone di rigenerazione dell'epitelio. Man mano che si procede verso la metà posteriore dello stomaco, le cellule grandi diminuiscono di numero e anche (ma non molto sensibilmente) di dimensioni, fino a che scompaiono verso la metà dello stomaco e sono sostituite total- mente dalle cellule piccole. MEMORIE DA SOTTOPURSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI F. TrIcoM:. Sulle equazioni lineari alle derivate parziali di 2° ordine di tipo misto (pres. dal Corrisp. SEVERI). PERSONALE ACCADEMICO Col più vivo dolore il Presidente VoLTERRA partecipa all'Accademia la notizia della morte di uno dei Soci più anziani del nostro Sodalizio, il prof. TORQUATO TARAMELLI, che per eltre 40 anni fu professore di Geologia all’Università di Pavia. Era nato a Bergamo il 15 ottobre 1845 e faceva parte dell’Accademia dei Lincei dal 1879. L'Accademia gli conferì il premio Reale in Mineralogia e Geologia fino dal 1880 per i suoi studii sulla Geo- logia delle Provincie Venete. Fu questo anzi il primo dei premi Reali con- feriti in questa disciplina. Le sue opere sono numerosissime; fra queste sono da citare quelle sul Friuli e gli studii geologici sulle nuove provincie acquisite all’Italia. Egli fu uomo mite, buono ed amatissimo dai Colleghi che ne pian- gono la perdita. Il Presidente propone e la classe approva che alla famiglia ed in particolare al collsga Antonio TarAMELLI, figlio dell’illustre estinto, siano mandate profonde condoglianze. Alle parole di rimpianto pronunciate dal Presidente, si unisce cordialmente anche l’Accademico DE STEFANI. In questa stessa ora, a Bologna, aggiunge il PRESIDENTE, la Università commemora solennemente un altro amato e compianto Socio, il sen. GracoMo Ciamician. Le più alte notabilità Italiane, a cominciare da S. M. il Re, associansi alla mesta e nobile cerimonia. La nostra Accademia vi è rappre- sentata dai nostri Soci e Corrispondenti presenti in Bologna. Ma non sono i soli Soci che si trovano in Bologna, che prendon parte a tali onoranze; siamo anche tutti noi presenti in ispirito a questa cerimonia. Il Segretario CasteLNUOYo, a nome del Socio C. SEGRE, legge i se- guenti cenni commemorativi del Socio straniero CARLO Troporo REYE. — 269 — Alla vigilia della nostra entrata in guerra, io ricevevo una cartolina postale. datata « Strassburg Els., 18-5-15 », col visto della censura tedesca, così composta: « Lieber Freund und College, Bewahren Sie mir Ihre freundschaft- « lichen Gesinnungen, wie ich die meinigen Ihnen bewahren werde, auch «wenn Italien, wie ich fiirchte, in den Weltkrieg hineingerissen wird. « Herglich griisst Ste « Ihr. TH. REYE ». Questo atto gentile, che m'aveva commosso, e che mostra la delicatezza di sentimento del nostro compianto Collega, mi si è riaffacciato alla mente quando, giorni sono, dalla Presidenza dell’Accademia ho avuto l'invito a commemorare Teodoro Reye. Ben volentieri dirò — sia pur brevemente — di Lui: che avevo cominciato ad ammirare fin da studente, leggendo la sua classica Geometrie der Lage; e col quale poi non avevo tardato ad entrare in relazione scientifica, ed anche personale, sì da poter apprezzare, oltre al valore del matematico, la grande bontà d'animo dell'uomo: vero gentiluomo! Nato a Cuxhaven il 20 giugno 1838, addottoratosi nel 1861 a Got- tinga, era passato verso il 1864 ad insegnare nel Politecnico di Zurigo, nel 1870 a quello di Aachen, e dal 1872 in poi nell'Università di Stra- sburgo. Quivi nel 1908 era stato collocato a riposo: ma non aveva smesso di lavorare; e l’ultimo suo lavoro porta la data di un mese prima della sua morte. Occupata Strasburgo dai Francesi, il Reye e la sua Signora ve- nivano nel marzo 1919 espulsi da quella città, in cui avevan vissuto ben 47 anni, senza riguardo alla loro tarda età; ed andavano a rifugiarsi a Wiîrz- burg presso una loro figlia. E colà, poco dopo, il 2 luglio, Egli spirava (1). Aveva esordito nella scienza con lavori di Fisica matematica e di Me- teorologia. Ma, poichè a Zurigo il corso del Culmann, fondatore della Sta- tica grafica, sì basava sulle teorie della Geometria di posizione, e il clas- sico trattato di Staudt era troppo difficile per gli studenti; Reye fu con- dotto ad insegnare quelle teorie e ad esporle in un nuovo trattato, che uscì in due parti nel 1866 e nel 1868, e che poi si è ristampato più volte, con sempre nuove modificazioni ed ampliamenti. In questo modo Egli veniva acquisito definitivamente alla Geometria pura, e si affermava in essa con un libro che è un capolavoro. La Geometrie der Lage del Reye costituisce il naturale sviluppo del programma che Steiner nel 1832 aveva bandito colla \Systematische Ent- (1) Il medico ha riferito che Reye, nelle sue ultime ore, andava osservando sè stesso con interesse scientifico. Sentendosi preso da soffocazioni, domandava: « è questo adesso il rantolo della morte? n. — Così mi scriveva il prof. St. Jolles, che del Reye fu disce- polo e amico, ed anche valente collaboratore nel preparare le ultime edizioni della Geo- metrie der Lage. RENDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. 38 iS) — 270 — wickelung : svolgere le proprietà delle figure, generando queste per mezzo delle corrispondenze projettive tra forme geometriche fondamentali. Se l’opera dello Staudt del 1847 aveva un carattere di maggiore originalità, e, per certi ri- guardi, di una più grande perfezione; il libro del Reye, pur basandosi su quella, appare più didattico, più attraente, e più atto a dimostrare la grande fecondità del metodo inaugurato da Steiner. Le forme projettive di 1*, di 24, di 3* specie concorrono a generare coniche, quadriche (queste al mud9 di Seydewitz, con stelle reciproche), curve e superficie del 3° ordine, complessi di rette, e così via. Le diverse teorie si dispongono in un insieme armonico, imponente; esse tracciano veramente, come diceva W. Hankel, la « strada regia » delle Matematiche. — Sarebbe fuori luogo rilevare in questa occa- sione tutte le cose originali di quell'opera. Ricorderò solo che in essa per la prima volta è studiato l'importante complesso quadratico di rette, che fu poi chiamato complesso di Reye, 0 complesso tetraedrale, e che qui vien definito come il complesso delle rette congiungenti i punti omologhi di due spazi collineari (*). Servendosi di esso, l'Autore riesce a fare una teoria sin- tetica dei fasci di quadriche, colle quartiche basi, ecc. A questa pubblicazione tenne dietro una lunga serie di memorie, in alcune delle quali varî argomenti già nominati sono ulteriormente approfon- diti; in altre vengono svolte nuove ricerche. Sono di particolare interesse anzi tutto un gruppo di lavori pubblicati dal 1870 al 1875 nel Journal di Crelle. Chiamando n”° momento di un si- stema di masse rispetto ad un piano la somma dei prodotti di queste masse per le potenze n° delle loro distanze da un piano, si vede subito che i piani il cui n° momento rispetto a un dato sistema è zero inviluppano una superficie algebrica di classe n. Ogni superficie algebrica si può ottenere in questo modo, da un conveniente numero di masse. Ciò porta a ricercare e a sfruttare le possibili raopresentazioni delle forme algebriche d'ordine x come somme di potenze n". Così per 2=2 si hanno dei teoremi sui te- traedri, pentaedri, ed esaedri polari rispetto a quadriche: e qui Reye s' in- contra colla Géométrie de dirzetion di P. Serret (1869). Per n=3 si ot- tiene il pentaedro di Sylvester delle superficie cubiche: che viene ora costruito partendo dal nuovo concetto di esaedri polari, molto utile nella più recente teoria di quelle superficie, come poi fu messo in luce anche dal nostro Cre- mona. — Da queste considerazioni il Reye è stato condotto ad un'estensione della dottrina della polarità rispetto ad una superficie di classe x: una su- perficie d’ordine X< ha, rispetto a quella, per polare una superficie di classe 2 —/. Ne deriva il concetto di superficie apolari, e una teoria ge- nerale dell’apolarità, che ha la massima importanza nella moderna tratta- (*) Subito dopo H. Miller dimostrava, seguendo l'indirizzo del Reye, che quel com- plesso si può anche definire direttamente dal tetracdro nel modo ben noto. zione degl invarianti, e che è merito speciale del Reye l'aver per primo avviata coi suoi lavori. Un'altra serie notevole, più recente, di memorie è quella dedicata ai sistemi lineari di forme projettive. Indicando con a; delle forme lineari nelle coordinate di punto, l'equazione 24; w, ax = 0 rappresenta un piano: che de- scrive un fascio. una stella, uno spazio, se, tenute ferme le u, si fan va- riare le Z, supposte in numero di 2. 3, 4: e questa forma geometrica varia poi projettivamente a sè stessa, se si mutano le w. Così nasce il sistema lineare di forme projettive; e si vede che, scambiando l'ufficio ai due gruppi di parametri Z e u, nasce un sistema lineare coniugato al precedente. Si può dire che primo F. Schur, in una bella memoria di geometria pura del 1881, aveva messo in luce, in alcuni casì notevoli, sistemi sì fatti di forme projettive: prendendo del resto le mosse dalla Geometrie der Lage di Reye. Ma questi ha poi trattato a fondo un grande numero di altri casi, deter- minando e studiando le diverse figure geometriche che così si posson generare. Fra gli enti più interessanti della geometria moderna stanno le con- gruenze di rette del 2° ordine, la cui determinazione è dovuta a Kummer. Per quelle prive di linea singolare Reye ha scoperto due generazioni geometriche semplici ed eleganti. L'una è legata al complesso tetraedrale. Una congruenza di 2° ordine e di 6° classe della 1? specie di Kummer, od anche di 2° or- dine e di classe <6, si può ottenere come composta delle rette in cnì si tagliano le coppie di piani tangenti omologhi di due quadriche riferite col- linearmente. — L'altra generazione sì connette alle trasformazioni quadratiche multiple dello spazio, ripetutamente trattate dal Reye. Riferendo projettiva- mente un sistema lineare 00° di quadriche di uno spazio X al sistema dei piani di uno spazio 2,, si ottiene una trasformazione puntuale, che ha in 2 una superficie doppia (Jacobiana) del 4° ordine, e in X, una superficie limite, o di diramazione, @, di 4% classe e del 16° ordine. Ma l'ordine di @ si abbassa di 2 unità ogni volta che il sistema triplo di quadriche acquisti un punto base. Alle rette di X passanti per un tal punto corrispondono in 3, le rette di una congruenza di 2° classe e del 7° ordine, avente ® per superficie focale; oppure, se vi sono altri 1,2, 3, 4, 5 punti base, le rette di una congruenza di 2° classe e del 6° ordine (della 2* specie nella classifi- cazione di Kummer), o di ordine 5, 4, 3. 2. Notevolissimo è il caso che il sistema di quadriche sia definito da 6 punti base scelti in modo generico. Si ha allora una trasformazione spaziale doppia, che dà come superficie limite la superficie di Kummer del 4° ordino e 4° classe, e conduce nel modo più bello a tutte le proprietà dei 16 punti e piani singolari di questa superficie, e alle 6 congruenze quadratiche di cui essa è superficie focale. È questo uno dei più eleganti capitoli della moderna geometria sintetica. Esso è tutto dovuto al Reye, che ben a ragione lo ha poi introdotto nelle ultime edizioni del suo trattato. — 272 — Altri risultati di particolare interesse potrei ancora ricordare nella pro- duzione scientifica del nostro Collega: ad esempio taluni sui complessi qua- dratici generali di rette, su una corrispondenza lineare che essi determinano fra quadriche-luoghi e quadriche inviluppi, ecc. Ma spero che i cenni pre- cedenti bastino a caratterizzare la natura e il valore di quella produzione. Artista non meno che scienziato, Reye ha molto contribuito a quella grandiosa e pure snella costruzione scientifica che è la Geometria di posi- zione, introducendo o svolgendo idee semplici e geniali; studiando, com'è carattere di essa, svariate figure in tal maniera da illuminarne di vivida luce le proprietà più profonde, e i legami che le uniscono. Non solo ci ha fatto conoscere nuovi veri; ma ci ha procurato squisiti godimenti estetici, quali solo può dare il bello. Onore e gratitutine a Lui! PRESENTAZIONE DI LIBRI L’Accademico Segretario CasreLNUOVO presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando quelle dei Soci SiLvesTRI e WASHINGTON, dei professori ARCHIBALD e PEARL, e due Commemorazioni del Socio prof. V. REINA, det- tate dall'ing. CassinIS. Il Socio Foà fa omaggio di un capitolo, del vol. VIII del Trattato di anatomia pitologica da lui diretto. IN COMUNICAZIONI VARIE Il Presidente VoLtERRA annuncia alla Classe che è presente S. E. il dott. AnceLo GALLARDO, Ministro della Repubblica Argentina in Italia; e dà il benvenuto, a nome dei Colleghi e suo, a questo chiaro scieuziato ed eminente uomo politico, a questo antico e provato Amico dell’Italia. Il Presidente ricorda i numerosi ed importanti lavori scientifici del dott. Gallardo, pro- fessore nell’ Università di Buenos Ayres, e l'attiva e proficua opera da lui spesa per l'istruzione pubblica nel proprio paese, dove le scuole ebbero da lui notevolissimo incremento. Il sen. Volterra spera che gli stretti vincoli anche culturali che legano l'Italia all'Argentina, si avvantaggeranno per la pre- senza fra noi del dott. Gallardo, presenza che l'Accademia saluta con la più schietta e viva simpatia. Il dott. GALLARDO ringrazia, commosso, per la bella manifestazione di simpatia e per l’onore che gli vien fatto; aggiunge che egli inizia adesso la ‘propria carriera diplomatica, ma che non l'avrebbe iniziata se ciò non fosse — 273 — avvenuto in Italia. Aggiunge poi, applaudito dai presenti, che per lui la mi- gliore politica è quella della sincerità e della giustizia, e la migliore diplo- mazia quella del cuore. Il Socio Grassi fa una comunicazione verbale sulle formiche argentine, delle quali descrive, con interessanti particolari, i costumi, la diffusione, ed enumera i danni che causa questo insetto, i gravi pericoli che il suo diffondersi presenta e i mezzi cui oggi si può ricorrere per combatterlo. Alle notizie date dal Socio Grassi altre del pari interessanti ne ag- giunge il dott. Gallardo, che osserva come l'appellativo di argentina dato alla formica in questione non risponda al vero, essendo il Brasile il luogo di origine del dannoso insetto. G.U, , OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 5 marzo 1922. AnpoyER H. — L'venvre scientifique de Laplace. Paris, 1922. 12°, pp. 1-162. BerzeELIUS J. — Brev gemon H. G. Sòder- baum. vol. IV, 1. Uppsala, 1921. 8°, pp. 1-103. BoeGan E. — La grotta di 'l'rebiciano. Studi e rilievi dal 1910 al 1921 (Estr. dalla Rassegna «Alpi Giulie»). Trie- ste, 1921. 89, pp. 1-42. BraccIaLINI S. — I telemetri da costa e gli apparecchi accessori sistema Braccialini (Estr. d«lla «Rivista d’ar- tiglieria e genio», vol. III e IV). Roma, 1921. 89, pp. 1-57. CLERICI E. — Sulla analisi isopicnomerica delle roccie (Estr. dai «Nuovi annali del Ministero per l'agricoltura», annoI. pp. 329-347). Roma, 1921. 8°. 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PraRL R. — The Biology of Death; I. The Problem - II. Conditions of Cellular Immortality - III The Chances of Death - IV. The Causes of Death - V. The Imheritance of Duration of Life in Man - VI. Experimental Studies on the Duration of Life - VII. Natural Death, public Health, and the Popu- lation Problem (Repr. from the « Scien- tific Monthly », 1921. pp. 193-215, 321-335, 443-456, 489-516, 45-65, 143- 162). Baltimore, 1921. 8°. PraRrL R. — The Significance of Biometry and vital Statistics to the Science of Medicine. s. 1., s. d. 8° PerAaRL R. — Variation in the Rate of Infant Mortality in the United States Birth Registration Area (Repr. from. the « Transactions of the Eleventh Annual Meeting ofthe American Child ITygiene Association », St, Louis, 11-13. 1920). Baltimore, 1920. 8°. PePERE A. — Ghiandole a secrezione in- terna. Torino, 1922 8°, pp. 1-x1, 1-319. Reep L. J. — Fitting Straight Lines (Extr. da « Metron », vol. I, n. III, pp. 56-60). 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WasHineton H. S. — The Jade of the Tuxtla Statuette (From the « Procee- dings of the United States National Museum », vol. 60). Washington, 1922. 8°. pp. 1-12. Wasgineton H. S. — The Lavas of the Hawaiian Volcanoes.Washington,1921. 8°, pp. 1-13. PRESENTAZIONE DI LIBRI Castelnuovo (Segretario). Presenta le pubblicazioni dei Soci Silvestri e Wushington, e dei professori Gassems, Archibald e Pearl. . .. Le. 00 a +0 Pag. 272 _ Foà (Socio). Fa omaggio di un volume del suo 7rattato di anatomia patologica .... » » COMUNICAZIONI VARIE Volterra (Presidente). Annuncia che assiste aila seduta il dott. A. Gallardo, Ministro della Repubblica Argentina in Italia, di cui ricorda l'opera scientifica e al quale porge il saluto dell’Accademia... . .... 0... LR E A SET RAI, | Grassi (Socio). Dà alcune notizie sulle formiche argentine, notizie alle quali altre ne aggiunge il dott. Gallardo; che ringrazia l'Accademia dell’accoglienza ricevuta. . . » 273 BULLETTINO BIBLIOGRAFIOO ». . . . . + ATO (te RR ARAN AO TIRI e a ERRATA CORRIGE Vol. XXX, 2° sem. 1921, pag. 364, riga 13: invece di Pacifico leggasi Pamifico. In questo volume, pag. 105, riga 35. leggasi cinque invece di tre. RENDICONTI — Aprile 1922. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 aprile 1922. MKMORIK E NOTE DI SOCI Majorana. Sull’assorbimerto della gravitazione. Nota VIII . .. 0.0. +00. +» è Pag. 221 Oroeco. Limiti strutturali ed economici nelle dimensioni delle aeronavi. . i. «+... +0 Palazzo. Primi risultati di una recente campagna geomagnetica nella regione Adriatica NOTE PRESENTATE DA SOCI _Angelesco. Sur les functions génératrices des polynomes de Laguerre (pres. dal Socio LEVN:CIOLA) ir eg RR N Burgatti. Sui satelliti retrogradi. Nota I (pres. dal Corrisp. Armellini) . .-. +. + Lipka. Sui sistemi £ nel calcolo differenziale assoluto (pres. dal Socio Zevi-Civita) . . Nalli. Sopra una equazione funzionale. Nota V (pres. dal Corrisp. Bagnera) | . . .... Platania. La temperatura delle lave incandescenti dell’ Etna (pres. dal Corrisp. Bemporad) Hredia. L'influenza del monte Etna sulle correnti superiori (pres. dal Corrisp. Palazzo) Grassi U. Metodo per il confronto di frequenze radiotelegrafiche (pres. dal Socio Cordino) Castaldi. Sopra i cosidetti piramidroni (pres. dal Corrisp. Zambonini) <.< . . +... Repossi. Il conglomerato di Como. Nota II (pres. dal Socio Artini) . . .. ... Federici. Lo stomaco della larva di Anopheles claviger adr. e la dualità delle cellule mesointestinali degli Insetti. Nota I (pres. dal Socio B. Grassi) .-. +... + MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI F. Tricomi. Sulle equazioni lineari alle derivate parziali di 2° ordine di tipo misto (pres. dal'‘Corrisp. Se0eaMe no a a RAT Adi SO e E Aeneon PERSONALE ACCADEMICO Volterra (Presidente). Dà il triste annuncio della morte del Socio prof. 7. T'aramelli, e ricorda Ja commemorazione che del Socio sen. Ciamician si sta facendo a Bologna Castelnuovo (Segretario). Legge, a nome del Socio Segre, alcuni cenni commemorativi del Socio straniero C. 7. Reye . . 0. . RUE SIR SARE SIONE e VE RE DI SNVAE Lia » (Segue In tersa pagina). 226 230 236 239 242 _ 245 248 251 255 257 262 264 268 E. Mancini, Cancelliere dell’Accademia, responsabile, Pubblicazione bimensile. | N. Ad DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI ANNO CCCXIX. 1922 SB TO REONE ARA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XX XI.° — Fascicolo 2° Seduta del 23 aprile 1922. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1922 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNU PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle - pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiehe, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note. ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume ; due volumi formano un'annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 6 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 4 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunica- zioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 30 agli estranei ; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il'sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno. preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. Il. 1. Le Note che oltrepassitio i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono senz'altro inscritte nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per Ie Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe, 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell’Accade mia o in un sunto o în esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria, - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla :semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione. è letta in seduta pubblica nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame. data ricevuta con lettera, nella quale si avverte. che.i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richieste, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. TT —rr”———"""*>#>#yz=<#+#+;++;-;- Seduta del 23 aprile 1922. © Presidenza del Socio anziano R. LANCIANI. MEMORIE E NOTE DI SOCI Meccanica. — Sopra i moti ellittici perturbati. Nota del Socio E. ALMANSI. 1. Un punto materiale P, di massa mm, si muova sollecitato dall'at- trazione newtoniana dovuta ad una massa M, e da una forza perturbatrice. Le formule a cui pervengo in questa Nota esprimono, in modo assai semplice, come variano da istante a istante, per effetto della forza pertur- batrice, la forma dell’orbita istantanea, che suppongo ellittica, e la sua po- sizione rispetto ad una terna di assi ortogonali, d'orientazione fissa, colla origine in M. Diciamo 7, in un istante qualunque, il piano dell’orbita, ossia il piano che contiene il raggio vettore MP, ed è tangente alla traiettoria di P. Il passaggio del piano 77 dalla posizione che esso occupa al tempo #, a quella che occupa al tempo + d/, si può immaginare che avvenga mediante una. rotazione intorno alla retta MP. Denoti do l'angolo di cui ruota 7 nel tempo de. Ì Sia poi 9 una retta passante per M, situata sul piano 77, e fissa ri- spetto a questo piano; w l'angolo, misurato nel verso in cui avviene il movimento di P, che l’asse maggiore della ellissi, orbita istantanea di P al tempo #, forma con g: p il parametro, e l’eccentricità della ellissi. todo nadia. dev. i L t " 3 ’ ’ , x ° irP- e quattro quantità di a ni sì esprimono molto semplice mente facendo intervenire una forza che chiamo /orza perturbatrice ridotta (e indico con f. p.r.): forza definita nel modo seguente. RenpIcoNTI. 1922. Vol, XXXI. 1° Sen. 36 — 278 — Consideriamo una terna M(r,7',r") di rette ortogonali, congruente colla terna M(x,y,s) degli assi coordinati. La retta r abbia la direzione e il verso MP. La retta 7’ sia normale alla 7, sul piano dell'orbita, e formi un angolo acuto (o nullo) colla velocità di P. La retta 7” sarà normale al piano dell'orbita. Denotino S,T, W le proiezioni della forza perturbatrice (unitaria) sulle tre rette 7, 7',r". La f.p.r. abbia sulla stessa retta le proiezioni Si STRIZZA WWE © essendo l’angolo che la velocità di P forma colla retta 7’. Siano poi: U, e V, le proiezioni della f. p. r. sull'asse maggiore e sul- l’asse minore dell'orbita istantanea; 7 la lunghezza del segmento MP; w il prodotto della costante dell'attrazione per M --- m (supposta mobile anche la massa M). Si trova di VV up d di 107 n 1 |do_y/? do (CA e a: dt u Le Insieme alle precedenti, è da considerare la formula do _ Vup dito r in cui d0 denota l'angolo descritto dal raggio vettore MP, sul piano 7, nel tempo dt. Dedurrò le formule (1) direttamente dalle equazioni del movimento di m. Esse potrebbero dedursi da note formule di Gauss ('). 2. Diciamo x,y, le coordinate del punto P; @,#,y i coseni diret- tori della retta ». 1 coseni direttori della 7’ saranno: i zoda gi dB

40 3 velocità; quindi anche la quantità Te pp AVO lo stesso valore per ambedue i punti, sarà cioè g=c. Ma e = Vup : dunque qg = Vup, da cui p =" Considerando p, in ogni istante, come il parametro della ellissi relativa a quell’istante, questa formula varrà per tutti i valori di £. Derivandola rispetto a /, e tenendo conto della (4), sì ha pe: Ma 2T=T, nego q=Vup: donde la terza delle (1). La prima delle (1) si ottiene dalle (5). Se infatti w è la velocità an- golare con cui il piano 77, al tempo /, ruota intorno ad 7, si avrà per le do = — wa', ecce.; quindi, per le (5), ©, ossia 77 TALA formule del Poisson, s” r 1 sarà uguale ad ni AN Vup 4. Abbiamo indicato con d0 l'angolo descritto dal raggio vettore MP (sul piano 7) nel tempo di. Con @ potremo denotare l'angolo che il raggio vettore, al tempo #, forma colla retta 9 fissa sul piano 7r (n. 1). Diciamo 9, l'angolo che il raggio vettore MP, forma colla retta 91 sulla quale è disteso l’asse maggiore della ellissi E; 0, l'inversa del seg- mento MP, . L'equazione della ellissi sarà ecos0,= per — 1. In ogni punto di E sarà anche verificata l'equazione de, esengo=—p7—> P 40, ottenuta derivando la precedente rispetto a @,. In particolare le due equa- zioni varranno nel punto P,==P che il mobile occupa al tempo #. Ma quivi 1%o do > 3 gio è TT. e inoltro 0, =0 —w (4 essendo l’angolo che 91 forma con 9g: n. 1). Sarà dunque al tempo £: | ecoslb—y)=pe—1, de (9) esen(9 —w=— pg: Se poi consideriamo p,e,w come variabili, in quanto varia con £ la ellissi E, queste due equazioni sussisteranno in ogni istante. -— 281 — Deriviamo le due equaziogi rispetto a #, ed eseguita la derivazione, torniamo a scrivere 0, in luogo di 6— w, denotando così con @, l’angolo che in un istante qualunque il raggio vettore MP forma colla retta 9, sulla quale è disteso l’asse maggiore della ellissi relativa a quell’istante. Avremo de dé calza cr cos 0, — e send, (i - di e+p%0 o}, dé _dw\__dp Ù d %) di 3 0, ec0s 8, (e di de do Pat (Fe i sa dé. 7 i ; r Portiamo i termini che contengono ne nei secondi membri; nei quali Mei . de d {de de d0 Ride do poi, in luogo di di gi (7 DÈ scriveremo 0 di © det di con À' ed A ciò che rimane nei primi membri, ossia poniamo E denotiamo (7) ATE de 0050, +e È gen, 7 ig i dt dt dt Si otterrà i__ dp 4 do Ao (e sen 6, -+ p de * ___ dpde dé A=— ER (e00s0, + p rd Fa ; i : 7 ° 7 d e sostituendo nei secondi membri, ad e sen @, ed ecos@,, i valori — p 7) e po— 1 forniti dalle (6) in cui si pooga 9—w=60, _dp ___pae | r (5 E 1140 (8) no i = ira iP mi +e na NL "OCRA Per le formule (7), — e; ® d saranno le proiezioni, sull'asse mag- giore e sull'asse minore della ellissi, del vettore di cui le quantità A ed A’, date dalle (8), sono le proiezioni sulle direzioni r ed 7°. Trasformiamo queste ultime equazioni. 5. Diciamo perciò w, la proiezione della accelerazione di m sul raggio vettore. Si ha (d*e __ da de de i) PONI IA 2 Na iS — Ore i 1 a; N . O dr da (3) Si ottiene questa espressione di w, dalla formula Lei TO A 1(5) d 2 da\? 0\? +(4) +(È d) i, osservando che, per le (2), (7) += (22). e tenendo poi conto CROTE n delle formule CUP OE ; GT) pui Lio Ma l'accelerazione di m è il vettore F (n.2); quindi w, = — ue? + $S (essendo S la proiezione sul raggio vettore della forza pert.). Avremo dunque donde, posto 9° = up (n. 3), de to ET dq de\ . Mea . 1 d0 quindi, sostituendo nella seconda delle (8), e notando che Poiana d, iper dg se) a 0 ne i ì PARA dp dq DA : Nella prima delle (8), e in quest’ultima, a di dr sostituiamo i va- lori 4 rt, ed 7T (n. 3 e 2). Avremo gas È NES 23 A=427, = (9 rt ndo an Ora tim 709 = tag î, ($ essendo l'angolo che la tangente alla traiettoria di P forma colla direzione 7"); S—Ttag e 2T sono le proie- zioni della f. p.r. sulle direzioni 7 ed 7'. Avendo presente l'osservazione fatta nel n. 4, in fine, ed osservando che, per la formula q=Vup, - è uguale a Ve. si ottengono le seconda e la quarta delle formule (1). PTOggre Chimica. — Sopra è diazocomposti. Nota del Socio ANGELO ANGELI. Recentemente i proff. A. Hantzsch e G. Reddelien hanno pubblicato un libro sopra i diazocomposti (*) che rappresenta una seconda edizione della monografia che porta lo stesso titolo e che comparve nell’anno 1902 nella pregevole Raccolta del prof. Ahrens (°). Siccome gli autori asseriscono che le ulteriori e numerose ricerche spe- rimentali hanno confermato le vedute del prof. Hantzsch sopra la isomeria e stereoisomeria che presentano i composti diazoici aromatici, che i recenti studî hanno portato nuova luce anche nel campo dei diazocomposti alifatici € che la letteratura relativa venne presa in considerazione fino al mese di aprile 1921, nelle righe che seguono io mi permetto di fare osservare che non è esatto che la letteratura comprenda i lavori comparsi fino all'aprile 1921 e che d'altra parte nel mentre il prof. Hantzsch si dì tanta premura di porre in rilievo il notevole contributo da lui stesso portato all'importante argomento, egli sovente trascura, ovvero cita in modo incompleto, quanto altri hanno fatto ovvero pensato in proposito. In ogni pagina egli si sforza di confutare le supposizioni ed i fatti che non sono in accordo con la sua ipo- tesi, e mel fare ciò dà spesso prova di una abilità di ragionamento che non è sempre accompagnata dal rigore delle argomentazioni. 1. A pag. 7 del citato libro gli autori asseriscono che fu il prof. Hantzsch a porre in rilievo per il primo le analogie fra ossime e diazocomposti: ciò non è esatto: contemporaneamente ed in modo del tutto indipendente dal prof. H. (3) io stesso ho accennato alla possibilità di stereoisomeria dei composti diazoici, stereoisomeria che corrisponderebbe a quella che viene am- messa per le ossime (*). {1) Die Diazoverbindungen. I. Springer, Berlino, 1921. (2) Stuttgart, F. Encke. (*) Gazzetta, 23 (1893), II, 345; ibid. 24 (1894), II, 369. (4) Alcune reazioni scoperte in questi ultimi anni non sarebbero sempre in buen accordo con la ipotesi di Hantzsch e Werner sopra la stereoisomeria delle ossime e nem- meno con le conseguenze che si possono dedurre dalla trasposizione di Beckmann; così p. es sembra che sia stata ottenuta una quarta diossima del benzile [Chem. Soc. (1921), 1184); pare che alle monossime del benzile si debba mutare la forma finora loro attribuita (Berichte ,54, 3206); non si comprende perchè non tutte le diossime che si ott. nguno per riduzione dei corrispondenti perossidi siano in grado di fornire sali complessi col nichelio [Gazzetta (1921), 324]; le reazioni di alcune ossime si spiegano meglio amm ettendo che esse contengano il gruppo >C=NH=0. ccc. — 284 — 1l prof. Hantzsch, che conosce bene i miei lavori, anche perchè ne ab- biamo parlato personalmente, si guarda dal citare il mio nome. 2. Sebbene gli autori asseriscano di aver presa in considerazione la let- teratura fino all'aprile 1921, essi trascurano di citare i più recenti lavori di Staudinger (pag. 19) sopra i diazocomposti alifatici (senza annoverare quelli comparsi al principio di quest'anno) coi quali viene confermato che la for- mola dei diazocomposti alifatici da me proposta(’): R>C0N=N spiega molto meglio le nuove reazioni interessanti scoperte da Staudinger stesso, che non quella di Curtius: Ga ZI D'altra parte ancora nel 1919 (?). I. Sureda Blanes era arrivato alla stessa conclusione per mezzo dello studio di altre reazioni. Le stesse osser- vazioni valgono per le formole dell'acido azotidrico e del protossido di azoto da me proposte: N=N=NH N=N=0 e che sì trovano oramai diffuse anche nei trattati più recenti. 3. È molto probabile che i sali di diazonio possiedano la struttura pro- posta da Blomstrand Ar.N.C1 Il N ovvero qualche altra poco diversa, ma invece non mi sembra punto dimo- strato che ai due idrati del diazobenzolo, normali ed isodiazotati, spettino le forme stereoisomere proposte da Hantzsch: CeHs.N CeHs.N I I (HO).N N.(0H) diazotato normale isodiazotato Tali forme, a mio modo di vedere, si potranno invocare per i soli casi in cui gli ossidrili sono rimpiazzati da altri gruppi (diazonitrili, diazosolfo- nati, ecc.). Infatti a pag. 29 il prof. Hantzsch dice che i diazotati normali in so-. luzione acquosa sono maggiormente idrolizzati che non gli isodiazotati e ciò (*) Helvetica Acta, 4 (1921), 213 e seg. (2) Journal Chem. Soc., } ag. 781. — 285 — significa che se entrambi funzionano da acidi deboli i primi sono più deboli ancora dei secondi; secondo la sua ipotesi, data la maggiore vicinanza del fenile, gruppo negativo, all’ossidrile sarebbe in verità da aspettarsi tutto il contrario, come si verifica p. es. nel caso degli acidi cinnamico ed isocin- namico (1): CsH;. CH CH. CH [ I COOH. Cri HC.COOH acido isocinnamico (K=0,0156) acido cinnamico (K=0,00355) Hantzsch dice che i due isomeri differiscono soltanto per un diverso contenuto di energia, che si tratta di differenze puramente graduali ecc.; sta il fatto però che le differenze di comportamento sono troppo notevoli per poter essere giustificate solamente da una diversità di configurazione. 4. Sebbene pubblicata ancora nell’anno 1917 (2) il prof. Hantzsch a pag. 41 del suo libro tralascia completamente di citare la reazione da me descritta che riguarda un nuovo modo di formazione dei diazotati normali. Ancora a suo tempo io ho dimostrato che ossidando nelle opportune condizioni gli azoderivati: R.N=N.R' si ottengono con tutta facilità i corrispondenti azossicomposti che nella mag- gior parte dei casi si presentano nelle due forme R.N=N.R' RAENN#R 1 D 0) (0) Ora io ho trovato che anche la fenilazocarbonammide di Oscar Widman (*) per lo stesso trattamento fornisce nettamente il prodotto (*): CsHs.N=N.CO.NH, [ 0 il quale, in presenza di alcali reagisce immediatamente con il $-naftolo; questa reazione non si può spiegare che ammettendo che l'azossiammide, al (1) R. Bader, Zeit. phys. chem., 6 (1890), 289. (2) R. A. L., 26 (1917), 1° sem, 207; confr. anche: Gazzetta, 5/ (1921), parte 1? pag. 35. (8) O. Widman, Berliner Berichte, 28 (1895), pag. 1926. (4) Questa sostanza, come si vede, è isomera ma molto diversa dalla nitrosammina della fenilurea, nota da molto tempo: CeHs N >» N | I CO.NH, 0 RenpIcoONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. gf SOGN pari della corrispondente azoammide di Oscar Widman, per azione degli alcali subisca le demolizioni successive: CeHs.N=N.CO.NH; I (0) CeH;. N=N. COOH Il 10) I CH; è N=NH Il 10) Sarebbe quest'ultimo termine che rappresenta una delle forme dell’ idrato normale, quello che subito reagisce col 8-naftolo presente. Ciò sarebbe contrario a quanto Hantzsch dice a pagg. 13 e 34 del suo libro; egli fa osservare infatti che secondo questa struttura i diazotati nor- mali sarebbero da considerarsi come strani aggruppamenti di imminocorpi (imminonitrobenzolo), mentre invece in realtà non sono in grado di fornire ammoniaca: CoHe . N=NH + H,0 == CoH5 . N=0 L NH, . Il Il (0) 10) Ma a questo proposito io faccio notare al prof. Hantzsch che tale ob- biezione non ha nessun valore, giacchè nemmeno dalla cosidetta nitrosofenil]- idrossilammina, alla quale per la sintesi da me effettuata spetta una strut- tura analoga (ossima del nitrobenzolo): CsH; . N=0 Cel; . N=NOH 6 + HN.0H = [ + H.0 non è possibile in nessun modo di riottenere idrossilammina. Questa sintesi corrisponde d'altra parte all’altra effettuata în seguito da E. Bamberger, e che conduce al sale del diazocomposto normale: (OfIRE . N=0 CH; . N=Na Il + H.N . Na == Il + H,0. Un'altra sintesi infine del diazocomposto normale è stata da me stesso rea- lizzata, e consiste nel far reagire il nitrosile sopra la fenilidrossilammina, la quale come io ho dimostrato in questi casi reagisce sotto forma di ossido ('): CH; . NH, CsHs . N= NH Il Il + 0=NH = 4 + H.0. (*) Berliner Berichte, 37 (1904), pag. 2390. — 287 — Essa corrisponde alla formazione dell'azossibenzolo dalla fenilidrossilam- mina e nitrosobenzolo: CsH;z. NH CH;.N=N.CH ON. = © ell5 0 La forma: CH,.N=NH Il O che si può anche scrivere: CsH; =N=NH come pure la forma tautomera della fenilnitrosammina: CH; N==NHT_0 rappresenterebbero composti contenenti due doppi legami « gemelli » ovvero «cumulati » perfettamente analoghi a quelli che sono presenti in altre so- stanze caratterizzate per la facilità con cui prendono parte a molte reazioni. quali p. es. i cheteni, gli isocianati e l'acido nitroso nella sua forma tauto- mera (1): R R RIC-C-0 Neo OCNHC0 Ciò spiegherebbe non solo come i diazotati normali e gli isodiazotati possano fornire sali, ma sarebbe anche in accordo con quanto Dimroth ha trovato (°) sopra il meccanismo di copulazione di tali sostanze; questo chi- mico ha infatti posto in rilievo che in una prima fase, coi fenoli, si forma un diazoetere, che senza dubbio deriva da un prodotto di addizione: | H H Sen + HO.GH, —> Cels-NTN-0.6Hs a O —> CH;.N=N.0.GH;s + H.0. La sola differenza di reazione dai cheteni ecc. risiede nel fatto che nel caso dei diazotati normali il processo è seguìto dall'eliminazione di una mo- lecola di acqua. La forma tautomera della nitrosammina (come è noto in alcuni casi fu possibile isolare anche le nitrosammine), come sopra ho accennato, contiene (1) H. Staudinger, Die Ketene, Stuttgart (1912), pag. 121. (?) Berliner. Berichte, £/ (1908), pag. 4016. — 288 — del pari un sistema di doppî legami gemelli e le due forme dell’idrato di diazobenzolo normale corrisponderebbero quindi alle due forme di un azossi- derivato da me descritte; CH. N=NH C,Hy.N=NH ò 0 CH,.N=N.R C,Hy.N=N.R 0 0 Agli isodiazotati spetta senza dubbio l'altra struttura: C.H;.N=N.(0H). Tutto ciò sta anche in accordo col fatto osservato da H. Goldschmidt che le copulazioni ordinarie sono ostacolate tanto dagli acidi come dalle basi; il passaggio poi dall'idrato di diazonio alla forma di diazotato normale si intende da sè: C,H,.N=N c.H,.N=NH | —> Il OH o) In altro senso senza dubbio procedono gli interessanti processi di copu- lazione che in questi ultimi anni ha descritto Kurt Meyer (!), giacchè si tratta di reazioni che si compiono solamente in mezzo fortemente acido. 5. A pag. 59 del suo libro il prof. Hantzsch, dopo di aver fatto notare il fatto scoperto da E. Bamberger, che le ossime per ossidazione possono fornire nitroderivati ed acidi idrossammici: a) C.Hy.CH=N.(0H) + 0 = C,H,.CH=N.(0H) Il 0 b) CHs.CH=N.(0H)' +0 = CH;.C=N.(0H) | OH dice che fu Bamberger stesso a porre in rilievo l'analogia che presentano queste reazioni con i processi di ossidazione che si possono effettuare par- tendo dai diazotati: e) CH;.N=N.(ONa) + O = C;Hys.N=N.(ONa) I 0 d) CHy;.N=N.(O0Na) + O = (H,.N=N.(ONa) Il O (1) Berliner Berichte, 47 (1914), 1741 e seg.; Annalen, 398 (1918), 74. COR Ciò è completamente falso, come Bamberger stesso ha dovuto recente- mente riconoscere (!); questo chimico aveva realizzate le reazioni 4) e d) nel 1900 (2) e molti anni prima, nel 1892, Bamberger ed indipendentemente da lui Hinsberg, avevano effettuata l'ossidazione rappresentata dall’egua- glianza c); basandomi sulla struttura da me proposta per la nitrosofenilidros- silammina (8): C.H;.N=N.(0H) Dì ancora nel 1905 (‘), per analogia, io aveva preveduto che doveva essere pos- sibile anche il passaggio rappresentato dall’equazione d). Ora il Bamberger solamente nel 1909 (5) riuscì ad effettuare anche questa ossidazione, confer- mando in tale modo quanto io aveva preveduto 4 anni prima. D'altra parte gueste ossidazioni altro non rappresentano che casì par- ticolari di quelle di indole più generale da me realizzati più tardi partendo dagli azoderivati, azoammidi ecc.: C.H;.N=N.R +0 = C;H;..N=N.R Il o) CH;,.N=N.R + O a CHs.N=N.R : Il 0 Per riduzione questi azossicomposti perdono facilmente l’atomo di ossi- geno e rigenerano gli azoderivati di partenza, nello stesso modo che la fenil- nitrammina e la nitrosoidrossilammina per analogo trattamento (pag. 59 del libro del prof. Hantesch) forniscono gli isodiazotati, che perciò corrispondono agli azoderivati: C;H;. N=N.(0H) i + H, = CH;.N=N.(0H) + H;,0 C,H;. N=N.(0H) Il 3 + H, = C,H;.N=N.(0H) + H;0. (1) Berliner Berichte. 53 (1920), 2308. ‘(2) Ibid., 33 (1900), 1781. (*) Questa formola dà anche ragione del fatto che tale sostanza, per qualunque trat- tamento, dà un solo etere metilico che per riduzione fornisce l’etere dell’idrato di dia- zobenzolo: CH . N=N è (OCH3) I —> CH;.N=N.(0CH;) La struttura proposta da Bamberger e da altri: CH3.N. NO I | OH non spiega in nessun modo questo passaggio. (4) R. A. L., 14 (1905), 2° sem., 658, (*) Berliner Berichte. 42 (1909), pag. 3568. — 290 — 6. Anche riguardo al comportamento delle due sostanze (pp. 84, 92,114): CHs.N=NH che ancora non si è riusciti ad avere allo stato libero, il prof. Hantzsch trascura completamente quanto io ho fatto e pensato in proposito. Se esse non sono ancora conosciute, io sono egualmente riuscito a fis- sarne il comportamento: infatti per trattamento con alcali in presenza di benzaldeide della benzolsolfonidrazina di E. Fischer oppure della fenilazocar- bonammide di O. Widman: CyHs . NH . NH . SO, o C6Hs TI CH; . N=NH + CHs . SO.H CHs . N=N. CO ° NH, == CHs ° N=NH + CO, + NH; io ho trovato che si forma con tutta facilità benzoilfenilidrazina (*): CHs.N=NH + GH;.COH = CH;.NH.N=C(0H).C,H;. Questa reazione corrisponde perfettamente all'altra da me effettuata molti anni or sono e che conduce nettamente all’acido benzidrossammico, quando nelle identiche condizioni si fa reagire l'acido benzolsolfoidrossammico sopra la benzaldeide: C,H;.S0,.NH(0H) = 0=NH+C,Hs.SO,H O0=NH+C;Hs.COH = C;H;.C(0H)=NOH. Sopra altre scissioni che queste sostanze presentano non è qui il luogo di dilungarsi. In quanto alla diimmina, nelle reazioni in cui è da aspettarsi che essa si formi, a pag. 92 del suo libro il prof. Hantzsch si limita a citare le due scissioni : 2HN=NH —> N.;+H.N.NH, (Thiele) HN=NH — N.4H, (Raschig) e naturalmente nemmeno accenna all'altra trasformazione da me effettuata molti anni or sono (°): 2HN=NH — N;H+NH; (Angeli) in occasione del parallelismo da me posto in rilievo fra il comportamento dei termini instabilissimi : HN=0 HINNHÉ (1) R. A. L., 24 (1915), 1° sem., 1093; 26 (1917), 1° sem., 95. (2) R. A. L. (1910), 2° sem., pag. 99. DE soO e Il primo, con tutta rapidità, si polimerizza per dare acido iponitroso e protossido di azoto: HN=0 N.0H N —- | -—- | +H:0 HN=0 N.OH N=0 e l’altro, in modo analogo, fornisce acido azotidrico: HN=NH N.NH, N al ssa +NH:. N. N=NH HN=NH NH. Questa interpretazione è stata subito accettata da Diels (*), il quale se ne è giovato per spiegare altre interessanti scissioni che presentano alcuni composti azotati da lui scoperti. Non solo, ma la formazione del termine intermedio: N.NH, Il N.NH, è resa sommamente probabile anche da un altro fatto. Come io ho recente- mente posto in rilievo, nei composti aromatici orto e parasostituiti, i due sostituenti in molte reazioni si comportano come se fossero direttamente riu- niti fra di loro(?): Si I @ A SV B B cioè come se la catena di atomi di carbonio possedesse una forma di « con- ducibilità ». Ora, prendendo in esame gli interessanti lavori eseguiti da R. Willstatter, ho trovato che anche le diimmine aromatiche: HN=C;H,=NH HN=CH,:CH=NH hanno grande tendenza a polimerizzarsi per dare gli azoderivati: HN=CH,=NH N.CH,. NH; HN=CH=NH — N.C,H,.NH; HN=C;H,:CH=NH N.CHy. CH,. NH, HN=C,H;:CH=NH © N.C,H,.C,H,. NH, (1) Berliner Berichte, 46 (1913), pag. 2002. (3) R. A. L., 26 (1917), 1° sem, 480 e seg. — 292 — Come si vede, le mie ipotesi non potevano avere una migliore conferma da esperienze eseguite in campi così diversi: esse dimostrano che anche in questi casi i due gruppi NH si comportano come se fossero riuniti diretta- mente fra di loro. 7. A pag. 93 del libro del prof. Hantzsch trovo che questi fa notare che i diazocomposti alifatici si formano per azione dell'acido nitroso solamente sopra quelli amminoderivati nei quali in posizione @ è contenuto un gruppo non saturo (COOR, CO , CN ecc.). Il prof. Hantzsch dimentica anche questa volta di rammentare che questa regolarità è stata rilevata da me molti anni or sono; anzi in tale circostanza non solo ho preparato il diazoacetofenone (!): C,H;.C0.CH,:N: ma altresì ho posto per la prima volta in rilievo che gli amminoacidi na- turali contengono il gruppo amminico in posizione @ rispetto al carbossile. Inoltre il prof. Hantzsch riconosce che la diazocanfora (pag. 97 e 111) è un vero diazocomposto alifatico, scoperto nel 1881 a Modena dal profes- sore R. Schiff (°) ed in seguito studiato ulteriormente da me; ora per quale ragione il prof. Hantzsch asserisce a pag. 93 del suo libro che il primo rap- presentante dei diazocomposti alifatici è stato scoperto da Curtius nel 1883? A quest'ultimo chimico spetta il grande merito di avere preparato il primo diazoetere e di averne studiato il comportamento, ma non già il primo diazacomposto alifatico. 8. Sempre fisso nella sua idea il prof. Hantzsch vorrebbe considerare come stereoisomeri anche la nitrammide, scoperta dal mio compianto amico I. Thiele, e l’acido iponitroso (pag. 115): N.(0H) (HO).N [ Î N.(0H) N.(0H) nitrammide acido iponitroso ® ma egli dimentica che se l'acido iponitroso è un polimero del nitrossile, come prima ho detto: che fornisce eteri ben definiti della forma: (RO).N=N.(OR) ; la nitrammide invece, non solo per il suo modo di formazione, ma anche (1) Berliner Berichte, 26 (1393), 1717. (2) Berliner Berichte, 14 (1881), 1373. — 293 — per il fatto che per azione del diazometano dà dimetilnitrammina (!): (CH3)..N. NO, contiene sicuramente i due atomi di ossigeno uniti ad uno stesso atomo di azoto. Mi sembra quindi che sia per lo meno poco logico parlare di stereo- isomeria. Finisco queste pagine esprimendo l'augurio che in avvenire anche il prof. Hantzsch tenga meglio presenti le ricerche eseguite dagli altri colleghi, nello stesso modo che io non trascuro di prendere in attenta considerazione î lavori che egli ha pubblicato. Geologia. — L'origine del Petrolio nell’ Emilia. Nota del Socio CARLO DE STEFANI. I terreni dell'Emilia, salvo minimi lembi isolati ed i terreni recenti, appartengono alla serie terziaria e sono, cominciando dal basso: 1°) l’Arenaria Macigno dell’Eocene medio: con qualche alternanza argillosa nella parte superiore; 2°) Calcare ad Hel/minthoidea talora con qualche alternanza argillosa; 3°) Galestri, Argille scagliose, Calcari marnosi e zone ofiolitiche appar- tenenti all’Eocene superiore. Sovente, specie nella parte meridionale, questa zona viene ad immediato contatto col Mac:gno senza intermezzo della zona seconda; 4°) Marne, arenarie, argille, calcari organogenici, del Miocene medio e gessi con marne del Miocene superiore, essendochè l’Oligocene sia rappre- sentato solo nella Liguria confinante con la Provincia di Piacenza salvo qualche mal definita zona nelle alte valli del Taro e del Santerno. Le are- narie vennero spesso arbitrariamente confuse con quelle della zona 18; 5°) Conglomerati, Argille e sabbie Plioceniche. Qua e là a Montese (Modena), sul Dordone (Parma), a Rocca Corneta (Bologna), spuntano pic- coli isolotti di arenarie o calcari appartenenti a qualche piano della Creta media e superiore e nel Reggiano anche di terreni più antichi; ma non ven- nero ancora bene circoscritti. Le rocce Eoceniche nel Piacentino e nella parte appenninica apparte- nente al Pavese formano pieghe dirette da N. o da N. NO. a S.e S. S.E.; e si succedono a guisa delle quinte d'un teatro; quindi normalmente alla dire- zione geografica della catena montuosa; ma in questa stessa regione, verso (*) Heinke, Berliner Berichte, 31 (1898), 1395. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 38 Senogg® la pianura Padana, e nella parte meridionale rimanente, le pieghe si diri- gono da N. N.0. o N.0. a S. S.E. o S.E. secondando la direzione geografica dell'Appennino e del Bacino Padano-adriatico. La zona 1? è quasi esclusiva. dell'alta montagna: la 2° e la 3? formano ripetute serie spesso assai com- presse ed anche rovesciate; nel Modenese e nel Bolognese sono in parte ro- vesciate ed apparentemente ricoperte dalla ampia zona 1*. La zona 3? che dirò sommariamente delle argille scagliose, quando siano presenti le zone anteriori, forma quasi sempre la parte interna dei sinclinali. Le zone Neo- geniche 48 e 52 formano le serie più esterne scendenti verso la pianura; ma. la zona 4 si interna spesso di molto e forma uniclinali o sinclinali talora isolati e stretti od anche invertiti in mezzo all’Eocene. Un prezioso e riassuntivo studio sulle zone petroleifere Emiliane è stato recentemente pubblicato dagli ingegneri E. Camerana e B. Galdi. Dall’arenaria (zona 1%) e dal Calcare ad ZMe/minthoidea quando è in alta e compatta serie non escono idrocarburi liquidi o gasosi, a meno che vi sieno strati argillo-marnosi intercalati. come avviene talora nella parte più alta delle rispettive zone. Ne escono a volte attraverso al Pliocene ed al Miocene, ma provengono da zone inferiori ovvero da adunamenti che de- rivano da queste; il Miocene è talora ricco di fossili svariati e fornito di rocce alquanto bituminose: ma penso che la sede di quegl'idrocarburi sia nelle Argille scagliose e che qualunque foro d'importanza si faccia in esse sia suscettibile di dare qualche prodotto gasoso. Or sono circa nove lustri sono stato dei primi a mostrare che queste sono rocce prettamente sedimentarie, non eruttive, e che si sono depositate in grandi e spesso grandissime profondità, opinioni oggi universalmente am- messe. In pari tempo ho sostenuto, e quasi tutti ora sono d’accordo, che le rocce verdi serpentinose sono vulcaniche, eruttate probabilmente a profondità. dei mari e coeve alle argille; nè, perciò, cagionarono perturbamenti e fen- diture eccezionali in queste. La Argille scagliose nei calcari e nei diaspri contenutivi sono una congerie di organismi (Globigerinidae, Spongiari, Ra- diolarie). Alcuni dei tipi argillosi e calcarei sono colorati in scuro da idro- carburi e nelle sezioni microscopiche presentano tracce di Carbonio d'ori- gine animale. Non già ch’ io creda che il Petrolio provenga dai Diaspri, dai Calcari, da Marne argillose chiare o dalle fucoidi contenutevi e meno che mai dalle Serpentine e Diabasi: ma sappiamo che nelle profondità indistur- bate dei mari si accumulano masse di sostanze albuminoidi, ‘residui della decomposizione di materiali d’origine animale la più svariata, vertebrati e invertebrati che non hanno lasciato alcun altro indizio di sè. A tale cate- goria di residui appartiene il supposto BathyVium che le dragate più pro fonde hanno spesso incontrato nei mari. La roccia eminentemente impermea- bile alle acque, sebbene talora molto frammentizia pei movimenti risentiti, ha incapsulato e conservato gl’'idrocarburi originatisi: è possibile che la di- — 295 — stillazione e l'ascensione loro prosegua tuttora, ciò che potrebbe anche essere sogsetto di sperimento. Essi per gl’'incessanti movimenti che si manifestano in rocce così eterogenee. per migrazione, penetrano nei calcari e nelle rocce neogeniche sovrastanti, e riempiono le fenditure anche capillari fino a che, se queste arrivino a contatto della superficie, si svuotano e si esauriscono. Non contesto che gl'idrocarburi abbiano in altre regioni origini diffe- renti; ma la geologia mi consiglia di credere che in Italia sia prevalente e forse pure unica l'origine animale. Superficiale è l'origine del Metano nelle paludi e tale è quella degl’ idro- carburi dagli strati anche arenacei, coperti da materiale impermeabile nei nostri stagni littorali recenti ed antichi alternativamente occupati da acque salse, salmastre e dolci. Così può forse verificarsi da molti strati Pliocenici (Montearioso, Montespertoli, Asciano in Toscana). Idrocarburo si sviluppa dalle marne alquanto bituminose a Paternò in Sicilia per lenta distilla- zione derivata dall'alto gradiente termico a contatto con le lave Etnee. Tracce di Petrolio, dicesi, e tracce d'idrocarburi si svolgono da alcuni La- goni boraciferi di Toscana per distillazione o meglio per dissoluzione chi- mica di calcari o d'altre rocce alquanto bituminose traversate, e per simili cause, non già per sintesi interna, tracce d'idrocarburi si svolgono talora, nei nostri vulcani, negli ultimi periodi che chiudono le eruzioni; poichè nei primi, calienti, si veriticherebbe la loro dissociazione. L'attribuire 2i detti Idrocarburi una origine sintetica interna, profonda, ha condotto lo Stato a promettere premi, inefficaci, per coloro che approfondassero i pozzi al di là di certe profondità, indipendentemente da altre considerazioni tecniche dedotte da altre regioni petroleifere, non applicabili alle nostre. L'esperienza insegnerà. Da ciò vedesi una volta di più come la scienza re- goli, o debba regolare la pratica e deducesi la necessità di giungere in pro- posito a studî più precisi e bene ordinati. Mineralogia. — L’isomorfismo dell’albite con l’anortite. Nota I del Corrisp. FERRUCCIO ZAMBONINI ('). Le ricerche termiche di Day e Allen (?*), prima, e quelle, poi, ancora più complete di N. L. Bowen (*) hanno dimostrato in modo definitivo che le fasi tricline dei due composti Na Al Siz Og e Ca Al, Si, 03 possiedono una miscibilità completa allo stato solido. Si è tolto così, una volta per sempre, ogni valore ai dubbî che, a varie riprese, erano stati avanzati in- (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia dell’Università di Torino. (2) The isomorphism and thermal properties of the feldspars. Washington, 1905. (°) Die Schmelzerscheinungen bei den Plagioklas-Feldspaten. Zeitsch. anorg. Chemie 1913, LXXXII, 288. — 296 — torno alla reale validità della teoria di Tschermak, la quale considerava, appunto, i plagioclasi come una serie continua di cristalli misti, formati dai due componenti albite ed anortite. Rimane, però, sempre il fatto che i due composti Na Al Siz Oz e Ca Als Si, Oz possiedono delle formule chimiche ben diverse, sicchè il loro isomorfismo, indiscutibile, si differenzia assai da quello delle coppie tipiche di sostanze isomorfe, le quali rispondono allo stesso tipo di formola chimica. La differenza, anzi, è così netta, che studiosi di grande valore, come W. C. Broògger (1), e, più tardi, A. Arzruni (*). ritennero opportuno considerare i plagioclasi non come miscele isomorfe, ma, invece, come « miscele morfotro- piche », costituite, cioè, da sostanze « chimicamente affini, ma diversamente composte » (Arzruni). Non va, però, taciuto, che la distinzione, proposta da Arzruni, dei cri- stalli misti in miscele isomorfe propriamente dette ed in miscele morfotro- piche, non appare, al giorno d’oggi, giustificata in alcuna guisa, e fu, del resto, criticata già’ al suo apparire da studiosi distinti dell’isomorfismo, quali il Retgers (3). Invero, è divenuto sempre più considerevole il numero delle sostanze che, pur presentando miscibilità completa, o, almeno, assai estesa allo stato solido, possiedono formule chimiche notevolmente diverse, sia per il numero, che per la natura degli atomi in esse presenti. Sotto questo punto di vista, il caso dell’albite e dell'anortite è ancora relativamente sem- plice, perchè le formule di quei due minerali sono formate dallo stesso nu- mero di atomi, e pure uguale è, nei due casi, la somma delle valenze. Quest'ultimo fatto è interessante, perchè, come è noto, in una memoria assai importante, Th. Hiortdahl (*) ha appunto osservato come, in certi casi, esistano intime relazioni cristallografiche fra sostanze che non hanno lo stesso tipo di formula chimica, ma, però, uguale somma delle valenze (s'intende principali). Finchè si ammetteva che nei reticolati bravaisiani i singoli punti ma- teriali rappresentassero i centri di gravità delle molecole (o di gruppi di molecole), e che nei cristalli misti avvenisse la sostituzione molecola a molecola (o gruppo di molecole a gruppo di molecole), la miscibilità com- pleta allo stato solido dell’albite e dell'anortite si spiegava facilmente. I due componenti puri presentavano, infatti, caratteri cristallografici e di coe- sione vicinissimi, e, poichè i loro volumi molecolari erano praticamente pressochè identici, si comprendeva senz'altro come in un edificio cristallino . (1) Die silurischen Etagen 2 und 3 im Kristianiagebiete und auf Eker. Kristiania 1882, pag. 302. Cfr. anche Zeitsch. fiir Kryst. 1885, X, 498. (2) Physikalische Chemie der Krystalle 1893, 166-167, 188 etc. (3) Beitràge zur Kenntniss des Isomorphismus. Zeitsch. phys. Chemie 1894, XIV, 40. (4) Arystallform der Erdalkali-Molybdate. Die morphotropen Reihen des Scheelit. Zeitsch. fir Kryst. 1887, XII, 416. — 297 — dell'uno si potessero sostituire le molecole esistenti con quelle dell'altro, senza determinare perturbazioni notevoli. Non si spiegava, naturalmente, perchè i due composti, con formule così diverse ed appartenenti, anzi, a due diversi tipi di silicati, presentassero forma cristallina vicinissima. I tentativi di spiegazione avanzati sono mu- merosi, ma, in gran parte almeno, poco felici. Quelli di Streng, infatti. riferiti in tutti i trattati, non fanno altro, come ebbe g'ustamente a rimar- care l’Arzruni, che rimettere in onore il sepolto isomorfismo polimero di Scheerer. Tschermak (*) osservò che alluminio e silicio hanno peso atomico molto vicino, il che potrebbe spiegare la sostituzione scambievole dei loro atomi, analogamente a quanto accade per l'azoto ed il carbonio nel caso della calcite e del nitrato di sodio. Naturalmente, questa ragione non po- teva invocarsi per il calcio ed il sodio, che hanno peso atomico molto di- verso. Tschermak si tolse d'impaccio col seguente periodo, non troppo chiaro, almeno per me: « Da das Natrium einwerthig, das Calcium zwei- werthig erscheint. so kann diese Isomorphie immer nur bei solchen Ver- bindungen stattfinden, welche in qualitativer Beziehung ungleichartig sind ». In tempi più recenti, Th. V. Barker (?) ha pensato che la diffe- renza in composizione dell’albite e dell'anortite sia della stessa natura di quella che si manifesta nei composti Cu Ti Fg. 4H30, Cu Nb OF;.4H;0, Ca WO. F,.4H,0, ma, a vero dire, non mi sembra che il confronto sia epportuno. Iufatti, mentre i composti indicati, come ha mostrato il Werner, si possono mettere in relazione fra loro mediante la teoria dei numerì di coordinazione, non si può fare altrettanto con l’albite e l’anortite (*). I. Lang- muir (‘), poi, fa dipendere l’isomorfismo di questi due minerali dal fatto che essi contengono lo stesso numero di atomi e di elettroni utili. Anche questa spiegazione, per quanto contenga, come vedremo, una parte della verità, non soddisfa a pieno, perchè non mancano davvero esempî di com- posti che rispondono alle condizioni indicate, ma che, ciò non ostante, non soltanto non sono isomorfi, ma non presentano nemmeno relazioni cristal- lografiche notevoli. In realtà, noi dobbiamo limitarci a constatare con Groth (*), che nel passaggio dall'albite all’anortite un gruppo Na Si viene sostituito da un gruppo Ca Al, con uguale somma delle valenze prin- cipali. (1) Veber die Isomòrphie der rhomboèdrischen Carbonate und des Natriumsalpe- ters. Tschermak°s min. petr. Mitt. 1882, IV. 119. (*?) Studies in Chemical Crystallography. Part I. Trans. Chem. Soc. 1912, CI, 2484. (*) Le formule « coordinative » di Jakob [sio, . Si0,. Si0, na e [Sios . Sio, co non fanno certo risaltare una qualche somiglianza fra albite ed anortite. (4) Isomorphism, Isosterism and Covalence. Journ. Am. Chem. Soc. 1919, XLI, 1543. (5) Chemische Krystallographie, II, 275. — 298 — Ora, poichè nel 1916 Vegard e Schjelderup ('), hanno verificato, con le loro belle ricerche sui cristalli misti di KCl e di K Br, la geniale in- tuizione dî Groth, in base allaquale nei cristalli misti deve aversi una sostituzione di natura atomica, ne segue che nei cristalli misti di albite e di anortite non può parlarsi di un gruppo di atomi che ne rimpiazza un altro, ma, invece, di un atomo di alluminio che prende il posto di uno di silicio, di un atomo di calcio che si sostituisce ad uno di sodio. Il Niggli (?) pensa, anzi, che l'alluminio possa sostituirsi al silicio anche in altri sili- cati. Si tratta, certamente, di fatti che non rientrano nelle ordinarie sosti- tuzioni isomorfe di elementi vicarianti, perchè, in tal caso, un atomo di calcio dovrebbe prendere il posto di due di sodio, come sì verifica in tanti minerali. È possibile darci una spiegazione plausibile di queste singolari sostituzioni atomo ad atomo di elementi con valenza differente? Io credo che si possa dare una risposta affermativa, tenendo conto delle recenti ricerche importantissime di W. L. Bragg (3) sulla distribu- zione degli atomi nei cristalli, in base alle quali egli ha potuto calcolare il diametro ‘atomico (*) di varî elementi. Secondo Bragg, il diametro atomico del silicio è 2.35 À.. mentre quello dell'alluminio è 2.70 À.: la differenza. come si può vedere dalla tabella del Bragg, è dello stesso ordine di grandezza di quelle che si hanno fra atomi sicuramente vicarianti. Si comprende, pertanto, come nella strut- tura cristallina dell'albite si possa sostituire un atomo di silicio con uno di alluminio senza determinare modificazioni considerevoli. Ancora più favorevoli sono le condizioni nel caso del sodio e del calcio, perchè i diametri atomici di questi due elementi, sempre secondo Bragg, sono rispettivamente 3.55 e 3.40) À. Notevole è anche il fatto, che il mi- nore diametro atomico del calcio rispetto al sodio compensa in buona parte la differenza fra il diametro atomico dell'alluminio e quello del silicio. In complesso, il passaggio dall'albite all’anortite avviene con una differenza, nella somma dei diametri atomici, di soli 0.2 À., che è praticamente tra- scurabile, se si tiene conto che si tratta di un complesso di ben tredici atomi. (1) Die Konstitution der Mischlrystalle. Phys. Zeitsch. 1917, XVIII. 93. Nuove esperienze sono state fatte conoscere recentemente dal Vegard: Die Monstitution der Mischkrystalle und die Raumfiillung der Atome. Zeitsch. fir Phys. 1921, V, 17. (2) Lehrbuch der Mineralogie, pag. 379. Per porre in evidenza che si può passare da albite ad anortite sostituendo ad un atomo di silicio e di sodio della prima rispet- tivamente uno di alluminio e di calcio, Niggli scrive come segue le formule di Jacob: [SiO,. SiO,. SIO.]&h € [Si0,. SiO,. AIO»]Ga () 7'he arrangement of Atoms in Crystals. Phil. Mag. 1920 (62) XL, 169. (4) Il diametro della sfera rappresentante un atomo è chiamato dal Bragg, per brevità, il diametro dell'atomo, ed è espresso in unità Augstròm. — 299 — Naturalmente, un atomo di alluminio può prendere il posto di uno di ‘silicio non soltanto per la piccola differenza che esiste fra i diametri ato- mici dei due elementi, ma anche per il fatto che l'alluminio presenta cui silicio delle relazioni interessanti. Esso è, infatti, un elemento spiccatamente ‘anfotero, e può, quindi, assumere la funzione acida che spetta al silicio: inoltre, e ciò è assai importante, esso è uno dei due eterologhi del silicio stesso. A questo complesso di circostanze si deve la possibilità che ha l’al- luminio di rimpiazzare il silicio in certi silicati, atomo ad atomo. Il fatto, poi, che la sostituzione, nell'edificio cristallino dell’albite, di un atomo di alluminio ad uno di silicio è accompagnata da quella di un atomo di calcio ad uno di sodio, presenta, a mio modo di vedere, un interesse particolarissimo, perchè viene a costituire un valido appoggio alle idee di coloro che pensano debbano essere paragonabili alle valenze principali le forze che tengono uniti gli atomi negli edifici cristallini di molte sostanze. Ed invero, noi possiamo pensare, e sì tratta di un ragionamento oltremodo spontaneo, che, quando nella struttura dell’albite, fermi restando gli otto atomi di ossigeno con le loro sedici valenze, noi poniamo un atomo di al- luminio al posto di uno di silicio, necessariamente, perchè tutte le valenze dell'ossigeno sieno saturate, occorre che l'atomo di sodio venga sostituito da uno di un elemento bivalente, quale è il calcio. Risulta, così, chiarita anche la regola di Hiortdahl. Nei composti nei quali hanno parte esclusiva od essenziale le valenze principali, perchè nel passaggio da un composto ad un altro mediante sostituzioni di atomi con valenze diverse la forma cristallina non subisca modificazioni profonde, dovrà rimanere inalterata la somma delle valenze, ed il numero degli atomi (!) (o dei radicali). Alla regola di Hiortdahl ubbidiscono, per esempio, i composti isomorfi Ca Mg Sis 0; diopside Na Fe Si. 0, acmite, l’isomorfismo dei quali presenta notevoli analogie con quello dell’albite e dell'anortite. Si ha, infatti, anche in questa seconda coppia di composti, la sostituzione di un atomo di sodio ad uno di calcio, ed il posto del ma- gnesio, bivalente, viene preso dal ferro trivalente, col che rimane costante la somma delle valenze. Ferro e magnesio hanno quasi esattamente, lo stesso diametro atomico (2.80 e 2.85 À. rispettivamente). (*) Occorrerà anche, naturalmente, che gli atomi che si sostituiscono presentino re- lazioni chimiche, strutturali, eec., senza di che la regola non sarà verificata. La condi- ‘zione che il numero degli atomi deve restare inalterato non cra stata posta da Hiortdabl. — 300 — Anche nel caso dell’isogonismo notevole, rimarcato già da J. D. Dana nel 1854 (!), esistente fra i minerali del gruppo olivina RR: Sio, e la. trifilite Li Fe: PO,, è verificata la regola di Hiortdahl. Si può ancora os- servare che un atomo di ferro ferroso può rimpiazzarne senza difficoltà uno di magnesio, che litio e magnesio hanno diametri atomici molto vicini (3.0 e 2.85 À risp.), e che, infine, il fosforo è uno dei due eterologhi del silicio (*). Si ha, forse, nell'isogonismo dell'olivina e della trifilite, un indizio intorno alla via da seguire nella interpretazione dei fosfato-vanadio- ed ar- seniosilicati. Nella teoria della valenza detta dell'ottetto, proposta da Langmuir (8), l'equazione dell'ottetto è e= Sn —2p nella quale e rappresenta il numero totale degli elettroni utili negli in- volucri di tutti gli atomi di una molecola. x il numero degli ottetti e p quello delle coppie di elettroni tenute in comune dagli ottetti stessi. Quando, come sì verifica secondo Langmuir (‘) nei silicati, p= 0, e soltanto. l’os- sigeno forma ottetti, la relazione e = 8, nella quale x indica il numero degli atomi di ossigeno, diventa l’unica condizione di valenza che deve es- sere soddisfatta, sicchè due composti saranno isomorfi (come dice Langmuir). o presenteranno semplicemente relazioni cristallografiche (come ritengo più opportuno dire io), quando in essi si avrà lo stesso numero sia di atomi, che di elettroni utili e= 8x. Questa condizione di Langmuir è, evidente- mente, identica alla regola di Hiortdah], così come è stata da noi espressa (5). Le vedute di Hiortdahl vengono pertanto a ricevere una brillante conferma, ed appare chiaro che molto a torto Th. V. Barker (6) aveva affermato « One is forced to the conclusion that equality of valency summation has nothing to do with isomorphism ». (*) On the Homoeomorphism 0, Mineral Species of the Trimetric System. Amer. Journ. Sc. 1854 (22) XVIII, 35. (*) Il volume molecolare dei due composti è praticamente identico. Assumendo per la trifilite il peso specifico = 3.55 e per la forsterite = 3.2, si hanno, rispettivamente, i valori di 44.4 e 44 per i volumi molecolari. (3) Z'he arrangement of electrons in atoms and molecules. Journal Amer. Chem. Soc. 1919, XLI, 868. (4) Isomorphism, Isosterism and Covalence. Journal Amer. Chem. Soc. 1919, XLI, 1543. (9) Torno ad insistere sul fatto che la particolare natura degli atomi che si sosti- tuiscono è di importanza essenziale perchè la regola di Hiortdahl sia verificata L'iso- sterismo di Langmuir non è applicabile: infatti, Cat+ e Na+ non sono isosteri, e ciò non ostante albite ed anortite sono isomorfi, mentre Na+ e Mg++ sono isosteri, ma. un'anortite di magnesio non esiste nemmeno. (5) Studies in Chemical Crystallography. Part. I. Trans. Chem. Soc. 1912, CI, 2484. — 301 — La regola di Hiortdahl non sarà verificata, invece, quando entrano in campo i numeri di coordinazione o le valenze secondarie. Così, per esempio, possiedono forma cristallina molto vicina i due composti (NH,). M00, F, e (NH), Mo O F; nei quali la somma delle valenze non è la stessa, e la sostituzione di un solo atomo di fluoro ad uno di ossigeno è resa possibile dal fatto che, in quei composti, sia l'ossigeno, che il fluoro, non occupano, con un loro atomo, che uno dei sei numeri di coordinazione del molibdeno. Non si hanno, poi, variazioni notevoli nella struttura cristallina, perchè fiuoro ed ossigeno hanno diametro atomico quasi identico (1.35 e 1.30 À rispettivamente). La considerazione dei diametri atomici ci permette. mi sembra, anche di darci ragione facilmente del come mai la celsiana. che ha la composi- zione di una anortite di bario. non sia isomorfa con l'albite e l’anortite, ma cristallizzi, invece, nel sistema monoclino e sia isomorfa con l’ortoclasio. La celsiana Ba Als Si, Og sì può supporre derivata sia dall'albite, che dall’ortoclasio, per sostituzione, in questi ultimi, di un atomo di silicio con uno di alluminio e di quello di sodio o di potassio con uno di bario. Ora, secondo i calcoli di Bragg, il diametro atomico del bario è 4.20 À, mentre quelli del sodio e del potassio sono rispettivamente 3.55 e 4.15 À. In altre parole, il bario ha quasi esattamente il diametro atomico del potassio, mentre diversifica molto dal sodio. Si comprende, allora, come nella struttura cristallina dell’ortoclasio possa sostituirsi un atomo di silicio con uno di alluminio e quello di potassio col bario, senza che la struttura stessa risulti modificata in modo notevole: come conseguenza di questo fatto, ortoclasio e celsiana presenteranno un’ampia miscibilità allo stato solido, la quale risulta chiara non soltanto dalle analisi eseguite sui cristalli misti naturali, ma anche dalle esperienze sintetiche di Dittler (*). Invece, negli editici cristallini triclini dell’albite la sostituzione del bario al sodio non potrà che essere limitata, ed i cristalli misti risultanti non po- tranno essere molto stabili. In realtà, plagioclasi bariferi sono rari e quelli ottenuti sinteticamente da Fouqué e Michel Lévy (*) non hanno le pro- prietà ottiche dei plagioclasi: auche il loro sistema cristallino è rimasto incerto, ma poichè una direzione di massima estinzione coincide costante- mente con l'allungamento dei cristalli, è molto probabile che essi non fos- sero triclini. (1) Veber das Verhalten des Orthoklas zu Andesin und Celsian etc. Tschermak®s min. petr. Mitt. 1911, XXX, 122. (2) Synthèse des minéraua et des roches. Paris, 1882, pag. 145. ReNDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 39 — 302 — NOTE PRESENTATE DA SOCI Geodesia. — Determinazione astronomica di azimut eseguita sul M. Pellegrino nel 1920. Nota di G. CIccONETTI, presentata dal Corrisp. G. ARMELLINI. Nei giorni 31 Maggio, 1° Giugno e 5 Giugno dell'anno 1920 fu effet- tuata una misura di azimut astronomico sul vertice trigonometrico di 1° or- dine Monte Pellegrino in prossimità e a nord di Palermo. Gli strumenti necessarî furono tutti gentilmente prestati dal ch.m° prof. C. Mineo, direttore del Gabinetto di Geodesia teoretica della R. Uni- versità di Palermo e qui glie ne rendo vive grazie. Alle spese necessarie venne in parte sopperito con un residuo di assegno concesso dalla R. Com- missione geodetica italiana per precedenti determinazioni geodetiche-astro- nomiche io Pisa e dintorni, ed anche ad essa mi è grato porgere i miei ringraziamenti. Per le misure angolari fu usato un Universale Salmoiraghi con circoli di 27 cm. di diametro (lettura diretta al doppio secondo sulle rotelle dei microscopi) e con cannocchiale diritto montato ad una estremità del suo asse di rotazione. Lo strumento. che inizialmente era stato costruito a can- nocchiale spezzato centrale (*), fu poi fatto ridurre a cannocchiale eccentrico dal prof. Venturi che ne diede uno studio esauriente nelle» pubblicazioni indicate in nota. Il valore angolare della parte della livella a cavalletto sui perni del cannocchiale risultò al prof. Venturi di 3',78 nel 1892 in occasione della misura dell’azimut di M. Alfano dalla Martorana e di 3”,85 nel 1399 in occasione della misura dell'azimut della Lanterna del Faro dalla stessa sta- zione (*). Sei serie di nuove osservazioni eseguite col comparatore di livelle Salmoiraghi appartenente al Gabinetto di Geodesia e Topografia della Regia Scuola Ingegneri, la cui costante è 0,98 per parte di rotella, hanno dato come valor medio della sensibilità della livella azimutale 3",76 e fu questo (1) A. Venturi, Relazione sul nuovo strumento universale costruito dall'ing. Sal- moiraghi e appartenente al Gabinetto di Geodesia della R. Università di Palermo. Mi ano. 1892. — Id, Azimut di M. Alfano sull'orizzonte della Specola della Martorana in Palermo. Palermo, 1892. (2) A. Venturi, Azimut della Lanterna del Faro sull'orrzzonte della Specola della Martorana. Palermo, 1899. FE RO — 1 valore che servì di base nelle misure della inclinazione dell’asse dei perni del cannocchiale. I Per le determinazioni di tempo, etfettuate col metodo di Dollen, cioè colla osservazione di stelle orarie pel verticale della polare, si usò uno dei cronometri di marina (Nardin), a tempo siderale. che avevano servito in precedenti lavori del prof. Venturi. Il vertice trigonometrico del M. Pellegrino è individuato dall’asse del- l'albero semaforico che si eleva sulla terrazza del piecolo fabbricato eretto sulla vetta più alta del monte (m. 600). Per il collocamento dell’ Univer- sale si costruì sulla terrazza un pilastrino in muratura sormontato da una grossa pietra quadrata. ll pilastrino sì fece poggiare su un robusto muro di- visorio e ciò rese necessario allontanarsi dal centro trigonometrico un poco di più di quello che sarebbe stato necessario per la stazione eccentrica. Ma sì preferì una buona stabilità dello strumento ad un minor valore dell'ec- centricità della stazione, tanto più che questo elemento riusciva misurabile ‘direttamente con molta precisione. La direzione della quale venne determinato l’azimut astronomico fu quella individuata dal punto trigonometrico di 1° ordine: Specola geodetica della Martorana in Palermo, sul cui pilastrino venne tissata in centro una ordinaria mira notturna a sorgente luminosa elettrica. La distanza fra il vertice trigonometrico C (asta del semaforo) di M. Pellegrino e quello M (centro del pilastrino) delia Martorana si rileva dalla triangolazione fondamentale dello Stato ed è di m. 5750,03. Detto S il centro del pilastrino della stazione eccentrica sul M. Pellegrino, la mi. sura degli elementi di riduzione condusse ai valori SC=m 2,919 CSÙI = 30024’. Per un osservatore in S che guarda M, il vertice C rimane alla sinistra. Con questi dati si ottenne come riduzione in centro dell’azimut misu- rato: + 56,00. All'atto di togliere la mira dalla Martorana, uno scrupoloso esame della sua posizione condusse ad accertare una lievissima eccentricità di 1©®,7 nel senso di ingrandire l'azimut. La correzione relativa è dunque — 0”,06. La distanza zenitale sotto cui appariva la mira della Martorana risultò di 95°40', epperò nelle osservazioni di azimut fu sempre tenuto conto della inclinazione dell'asse dei perni del cannocchiale sia nelle collimazioni della polare sia in quelle della mira. l Per ogni sera di osservazioni di azimut sì fece una determinazione di tempo osservando ad occhio e ad orecchio, al solo filo medio verticale del — 304 — reticolo e nelle due posizioni coniugate del cerchio verticale, la polare ed una stella equatoriale. Le coordinate della polare, tolte dalla Connazssance des temps, furono ambedue corrette per l'aberrazione; per le equatoriali si corresse la sola ascensione retta. Ecco il riassunto delle determinazioni di tempo che, come quelle dî azimut, furono rese impossibili nei giorni 2, 3, 4 Giugno dal vento e dal cielo nuvoloso. Data Stelle osservate Indicaz. cronom. media Correz. al tempo sider. (Stato assoluto) * | 2 ‘ibr h_ m h m s 19905 Maggioli Cite 14.20 + 0.52.38,5 | @ Urs. min. - [y Librae] MIR A IO, 0.52.38,2 a Urs. min. - # Librae ; ; n) Urs. min. - 20 Librae 14.10 0.52 37,4 ( @ Urs. min. - # Librae Con questi stati assoluti cronometrici si calcolarono gli angoli orari e gli azimut della polare negli istanti di puntamento per le osservazioni di azimut che ebbero luogo per gruppi, ciascun gruppo effettuandosi, con due misure coniugate, secondo lo schema consueto: Mira-Polare-Potare- Mira. Ad ogni coppia di gruppi veniva ruotato il cerchio orizzontale di 15° ed a metà lavoro fu invertito il cannocchiale sui suoi appoggi. Qui appresso sono riportati i risultati delle osservazioni eseguite. Gli azimut della polare e quindi l'azimut della mira furono calcolati colle note formole giovandosi della Tav. 33 di Albrecht. Nella colonna in- testata cn sono indicati i valori della costante di collimazione dedotti dai puntamenti della mira ed in quella intestata cm — cp sono trascritte le diffe- renze fra i valori della costante di collimazione ottenuti dalla mira e quelli corrispondenti risultanti dalla osservazione della polare. Le espressioni diffe- renziali riportate nell'ultima colonna furono calcolate colla formola consueta che nel caso attuale, pel valore assunto della latitudine g =38°09"51",7 (latitudine geodetica) e pel valor medio della declinazione della polare Om = 88° 52'32”,5 diviene da" = }[9,57329] cos ét + [7,76143] cos 24} da$ + }[0,10444] sen é + [8,29258] sen 24} dd” — [8,29258] sent dy" dove i numeri fra parentesi quadre rappresentano i logaritmi decimali dei coefficienti che sostituiscono. e—__r@eroere———_ cu cu _ _@mi DATA Lembo | Gruppo LEA Cm |Cm—-Cp Espressioni differenziali ai (0) SISI: " " | Maggio31 I | 171.5256,05! — 9,3] — 4,0|de”=— 0,37 das+0,03 dd”—0,00 dp” n STI 5630] 74 22 037 —0,06 0,00 185 I 56,05 DE 3,6 0,36 0,20 0,00 IV 57,60 7.61 TN? 0,86 0,29 0,00 oa 55,90| 8,8 | 3,0 0,31 0,67 +0,01 | VI 56,70 8,1 2,9 0,30 0,73 0,01 915 VII 59,05 7,9 3,0 0,29 0,78 0,01 | VIII 55,20 9,3 DIO 0,28 0,83 0.01 Giugno 1 230 IX 57,90] 11,4 24 | da” = — 0,37 da*—0,07dd"—0,00 dp” X 54,05] 10,1 0.9 0,37 0,02 0,00 245 XI 54,65 8,2 2,1 OÎS7 0,11 0,00 XII 55,10 7,8 1,9 0,36 0,18 0.00 260 XIII 59,95| 10,9 1,0 | 0,33 0,59 0,01 XIV 55,60) 10,2 4,6 0,32 0,64 0,01 975 XV 52,65 8,9 | 5,4 | 0191 0,68 0,01 XVI 56,50| 7,9 1,8 0,30 0,73 0,01 EDIL STRO (75) Lee 0,78 0,01 XVIII 59.55 8,5 2,2 0,28 0,81 0,01 Giugno 5 ST XIX 53,75] 95| 2,4|da"=—0,37 das+0,14d0”—0,00 dp” XX 56,05 8,9 1,9 0,37 +0,05 —0,01 320 XXI 55.30 8,3 1,9 0,37 —0,02 000 XXII 53,05 6.51 + 0,3 0,37 0,10 0,00 395 XXIII 97,00 7,5| — L4 0,37 0.17 0,00 XXIV 55,65 7,8 DI) 0,36 0,25 0,00 Risulta come valore medio dell’azimut della mira osservato 171°52' 56”,35 + 0”,37 (errore medio) e applicando le riduzioni in centro per la stazione e per la mira si ha come valore definitivo dell'azimut astronomico della Martorana sull’orissonte del M. Pellegrino: Ai IMI 087 Epoca 1920, 42 dA" = — 0,34 da — 0,35 dò” | 0,004 dg” . L'azimut geodetico della Martorana sull’orizzonte del M. Pellegrino è iii 5 SILENT e quindi Agenda sa Aastr. = + 0”,48 pio 00 Relatività. — Correzione di una grave discrepanza tra la: teoria elettrodinamica e quella relativistica delle masse elettro- magnetiche. Inerzia e peso dell'elettricità. Nota II di EnRICcO FERMI, presentata del Corrisp. G. ARMELLINI. . Per poter applicare il principio di Hamilton dobbiamo sottoporre le nostre variazioni all’ulteriore condizione di annullarsi sul contorno del campo quadridimensionale G di integrazione. Con tale condizione se applichiamo il sistema di variazione A il campo di integrazione si riduce a ABCD, poichè nei campi BGC, ADH i dx; si annullano dovendo annullarsi sul contorno del campo, e quindi nei segmenti BG, AH ed aver valore costante per # LE costante. Per la stessa ragione, se invece che il sistema di variazioni A. adottiamo quello B, il campo di integrazione si riduce ad ABEF. È ora ben evidente che la variazione A è in contraddizione colla teoria della re- latività poichè essa non ha carattere invariante nello spazio-tempo; pren- dendo a base lo spazio arbitrario x ,y,4. La variazione B possiede invece il desiderato carattere invariante prendendo sempre a base lo spazio perpen- dicolare al tubo, ed è perciò certamente da preferire all'altra. Indichiamo secondo l'opportunità con (4, x,y ,4) 0 con (x0,%13%2, 2g le coordinate di tempo e spazio e sia Fix il campo elettromagnetico. — 307 — Il principio di Hamilton, che riassume le leggi meccaniche e quelle di Maxwell-Lorentz ci dice che ('): La variazione dell’azione complessiva deve essere nulla per ogni varia- zione conforme ai vincoli e che si annulli sul contorno del campo di inte- grazione G. Nel nostro caso l’azione è semplicemente quella delle cariche elettriche, perchè le uniche quantità che facciamo variare sono le x;. Ponendo tale variazione = 0 troviamo l'equazione : (1) > {jdeFadzida=0 ih dove la prima integrazione è fatta sugli elementi di carica de del sistema, e la seconda lungo quegli archi della linea oraria descritta da de che sono contenuti nel campo G. Dobbiamo ora esaminare separatamente le conse- guenze dei sistemi di variazioni A_e B. Conseguenze del sistema di variazioni A. In questo caso il campo di integrazione è ABCD ; se 7, e #» sono ì tempi di A e B, osservando che i dx; dipendono solo dal tempo e che d:=0 si vede che (1) diventa : È È Ù x (aos faera 2 =0 (i=1,2,8),(#=0,1,2,8). Fr /h di Siccome poi i dx; sono funzioni qualunque del tempo ne ricaviamo le tre equazioni : cioè se E ed H rappresentano le forze elettrica e magnetica : 1(dyg,_& )l 2A fizeta(dH Pri inni e le due analoghe. Se all'istante che si considera la velocità del sistema è nulla nel ri- ferimento (£,2,y,2) le tre equazioni precedenti si riassumono nell'unica vettoriale : Nelle trattazioni ordinarie tale equazione si ammette a priori. L'ab- biamo dedotta col principio di Hamilton per mostrare il difetto della sua origine. Osserviamo ora che E è la somma di una parte E° dovuta al si- stema stesso, e di una parte E°’ dovuta a cause esterne. La (2) diventa perciò : SRO de+ (EOde=0. (1) Weyl-Raum, Zeit, Materie, pag. 194 segg. Berlin, Springer; 1921. SR) D'altra parte sia il calcolo diretto, che la ben nota considerazione del momento elettromagnetico (') mostrano che il primo integrale è = — ge r, vEca essendo 1° l'accelerazione. Il secondo integrale NOLA invece la forza esterna totale F. Troviamo così: che confrontato con l'equazione fondamentale della dinamica del punto, ci dice 4 w che la massa è Far 3 € Conseguenze del sistema di variazioni B. In questo caso il campo di integrazione è ABEF . Pensiamolo diviso in infiniti strati infinitesimi, per mezzo di infinite sezioni normali del tubo. Per uno di essi ammettiamo poi che (4, x,y.) sia il riferimento di quiete. Per esso sarà allora d/=0, dx,dy.dz costanti arbitrarie: de = dy= da=0 perchè il riferimento è di quiete: d/= spessore dello strato = da(1—% XP — 0) se P—0 è il vettore con origine nel punto 0 dove una linea oraria Lo generica ma fis- sata, incontra lo strato, e termine in P dove lo strato è incontrato dalla linea oraria descritta da de, e % rappresenta il vettore curvatura di L, nel punto 0. Il contributo del nostro strato all'integrale (1) diventa con ciò. (de(Fio dr + Foo 9y + F30 dz) (1 —kXP_ 0)dr / se T è l'accelerazione si ha però 4= — F:c?; osserviamo inoltre che nel- l'integrazione su de dx, dy, dz, dt sono costanti; allora l'integrale prece- dente diventa : —de[ da fR(1+ 7) +29 {B1+ Su Pe) de+ de (n. (2 Dovendo tale espressione annullarsi per tutti i possibili valori di da, dy, dz troviamo tre equazioni che si riassumono nell'unica vettoriale : (3) Sa(1+ E) de=o (1) Richardson, loc. cit. — 309 — Tale equazione sostituisce (2) e conduce come massa elettromagnetica al valore w:e?. Poniamo, infatti, come sopra E = E +4 E© ed osserviamo che si ha ancora fre de= — SE T. Troviamo : Ye pre fede fr DX de -itr4 fao rxr_o,, — 0). Di qui segue che E°’ è dell'ordine di grandezza (*) di Y°. Se trascu riamo i termini in Z° possiamo sopprimere il secondo integrale; ponendo come sopra F = fr de, sì ha dunque: 0 (4) pie Sa Rest fo E demo. Per calcolare l'ultimo a osserviamo che E° è la somma della forza di Coulomb - [3 Be, (dove P è il punto potenziato, P' il punto potenziante di carica de' A r la distanza PP') e di una parte contenente T che darebbe termini in 7°, da trascurarsi. L'integrale in Questione di- venta dunque: È (TXPT_ 0)dede' 6G P_—_P' ni oppure scambiando P_con P' e prendendo la semisomma dei valori ottenuti sali = ee XP Pag tale integrale sì calcola subito nel caso della simmetria sferica (?) e risulta =;i T. Sostituendo in (4) troviamo dunque : u cioè la massa elettromagnetica = x: e? . 3 : RAR ; SRL (*) Propriamente il numero di cui si trascurano i quadrati è —; , essendo / la mas- C sima lunghezza che interviene nel problema. (*) Basta perciò prender la media del suo termine generale per tutte le possibili orientazioni del segmento PP’, osservando che si ha: media di (P-P)(rXP P)=rF. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 40 — 310 — Matematica. — Sulla durata delle oscillazioni di una sfera vibrante radialmente in un fiuido. Nota di ERNESTO LAURA, presentata dal Socio C. SOMIGLIANA. 1. In una Nota (') pubblicata in questi Rendiconti, ho dimostrato che ie vibrazioni semplici di una sfera vibrante radialmente in un fluido per- fetto sono caratterizzate dalle equazioni: 2 23 W+ii(+ i) 0sr0 (4) na) = ” 3 |H,B0,+1-5-8+H,0| 26 0.46 | 7.75|91.79| 0.12 |39.61 | 60.27 ” 4 ” 31 0.98 | 941|89.61| 0.87 |86.47 | 63.16 ; 5 3 4 1.05 | 10.60| 88.35 |] 4.29 |47.46 | 48.25 | H,BO, + (1-5-8) 6 3 4 | 104 |1059|8837| 4.29 |47.46 | 48.25 * 7 ” 50 1.05 | 10.60| 88.35} 3.42 |44.75 | 51.83 ” 8 1-5-8 + H,0 12 1.65 | 11.17 118 = = = 1-5-8 9 ” 8 1.64 | 11.10|87.26| — S = ; d0X15-8-|-1-2-4-4-H,0 | 16 246 | 13.15|8439| 7.03 | 45.50 | 47.47 11 ” 10 3.89 | 15.82| 80.79] 5.42 | 3196 | 62.62 o 12 ”» 14 3.40 | 15.84| 8076) 5.01 | 29.00 | 65.99 a 13 ” 15 3.57 |16.38|8005| 7.03 |43.29 | 49.68 | (1-5-8) + (1-4-6) 14 ” 25 3.60 | 16.61] 7979) 825 |40.55 | 51.20 ; 15 » 27 | 360 |16.61|7979] 827 |4031|5142 ” 16 x 24 4.18 | 17.12| 78.70) 6.90 |3427 | 58.83 1-4-6 17 ” 26 4.19 | 17.10] 78,71) 6.90 | 34.18 | 58.92 ” 18 ”» U 4.85 | 17.27| 78.38) 7.61 |3434 | 58.05 ”» 19 ”» i 14 4.30 | 17.31] 78.39|| 7.92 | 41.09 | 50.99 » 20 ” 15 4:89 07.21 san a Da = » 21 ” 18 4.18 | 1699| 78.83| 7.68 | 84.91 |5741 3 22 ” 24 4.57 | 17.59|7784| 8.29 138.44]|53.27; » 23 ” 19 4.60 | 1780| 77.60) 7.41 | 36.51] 56.08 | ” 24 ”» 23 4.59 | 17.81| 77.60 7.35 |36.48 | 56.17 | 5 25 ”» 27 4.59 |17.85| 77.56] — =S SA ” 26 ” 14 4.96 | 18.44| 76.60| 8.35 |36.92 | 54.73 ” 27 ” 32 4.99 | 18.59] 76.42] 7.92 | 34.44 | 58.64 ” 28 » 40 4,99 | 18.57 | 7644 7.91 |84.45 | 57.64 » 29 5 18 5.45 | 19.30| 75.25| 7.60 | 35.08 | 57.37 ” 30 » 23 5.45 | 19.27 |75.28| 7.60 | 35.02 | 57.88 ” 31 ” 6 5.55 | 19.54| 74.91) 9.48 | 3946 | 60.11 ”» 32 ” 27 5.58 | 19.90 | 74.52| 10.19 | 37.55 | 52.26 3 83 ” 24 5.58 | 19.82 | 74.60| 10.49 |39.59 | 49.92| 1-4-64+1-2-4 84 ”» 16 5.59 | 19.82| 7459) 9.53 | 37.80] 52.67 N 35 » 6 5.41 | 19.10| 75.49| 14.68 | 41.43 | 43,89 1-2-4 36 ” 14 5.18 | 16.84 | 77.98| 15.12 |41.03 | 4385 5 37 1-2-4+ H,0 17 498 | 13.43|81.59| — — — ” 38 [1-2-4+ NH,OH+H,0| 20 5.88 | 10.42 | 81.20] 12.70 | 52.08 | 55.22 ; 39 ” 22 5.57 | 9.72|8471| 18.05 |32.10 | 5485 ” 40 5 18 610 | 8.77|85.13! 13.60 |33,26 | 53.14 " 41 ” 16 | 10.17 | 5.91|83.92| 1705 | 39.02 | 43.98 ”» 42 ” 18 | 13.24 | 4.61|82.15| 18.28 |42.00 | 39.72 n 43 » 16 | 13.86 | 4.51|81.63| 18.20 |39.60 | 42.20 ” 44 ” 16 | 30.84 | 1.61|67.55| 22.66 |40.59 | 36.75 ” RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 42 — 326 — Per maggior chiarezza, nella figura è riportatata solo la porzione di triangolo che contiene le curve di solubilità: vi è indicata la direzione dei fasci delle linee di coniugazione che convergono rispettivamente verso i punti rappresentativi di H, BO; , 1-5-8 , 1-4-6 , 1-2-4: ab è la curva di solu- bilità di H3B0;, de quella dell’1-5-8, cd quella dell'1-4-6, de quella dell’ 1-2-4, LAZ NÉ D Li Lerpi 20 \J 70 Ta SF Fia. l. Come già si vede nella figura qui riportata e come meglio si vedrebbe dal triangolo completo, cioè là dove si avessero anche i punti rappresentativi di 1-5-8, 1-4-6 e 1-2-4, il primo e l'ultimo di questi composti esistono inalterati in presenza di acqua pura: l'1-4-6 no, vale a dire che le soluzioni delle quali esso sì trova in presenza contengono sempre un eccesso di (NH,), 0 in confronto a quello rispondente al rapporto 1-4. Questo si ricava dal diagramma coi soliti mezzi grafici. E questo dà anche la più probabile spiegazione di come sia stata da taluni affermata — con riserva — l'esistenza di questo composto e da altri senz'altro negata (*'). Come apparisce dai resul- (*) Confr. Gmelin Kraut's Handbuch der Anorg. Chem , 78 Aufl. (1911), Band I, Abt. 3,. pag. 441. — 327 — tatì da noi ottenuti, il composto 1-4-6 esiste solo a temperatura superiore a quella ambiente e per particolari concentrazioni dei componenti. È molto verosimile che il composto sia stato talvolta ottenuto da qualche sperimen- tatore, ma poi il lavaggio con acqua fredda abbia operato una decomposi- zione più o meno profonda, sicchè in ultimo si sia avuto, per l’analisi, un miscuglio di borati di composizione assai vicina a 1-4-6. Torneremo su questo punto quando discuteremo in una prossima nota i risultati complessivi ottenuti nello studio di questo sistema. A 90° le esperienze sì facevano assai più difficili. Qui si aveva, dai miscugli posti a reagire, un forte sviluppo di ammoniaca e operando in re- cipiente chiuso, come era necessario, si potevano avere poi nella presa del campione variazioni notevoli nel contenuto in ammoniaca della soluzione. Per questo trovammo adatto di operare così: ponevamo i miscugli delle sostanze in un palloncino piccolo e resistente, e, nel collo del palloncino, attraverso a un tappo fortemente assicurato ad esso, ponevamo un tubo munito in basso di un filtro di tela e in alto, nella parte sporgente dal tappo, un tubo di gomma chiuso da una pinza. Dopo tenuto in termostato per un tempo suffi- ciente, affondavamo il tubo di vetro nella soluzione: innestavamo nel tubo di gomma la pipetta preriscaldata e, aprendo la pinza, facevamo salire il liquido che quasi subito cristallizzava completamente (talvolta avevamo sopra- fusione per un tempo assai lungo). Così, ed usando poi anche altri artifici che l'esperienza di mano in mano ci dettava, abbiamo potuto stabilire con sicurezza le varie curve fino a quelle ad alto contenuto in ammoniaca dove le difficoltà si facevano naturalmente maggiori. Nella Tabella II e nel diagramma II si hanno i risultati ottenuti. — 328 — TapeLLA II — Temperatura 90°. = E Composizione della soluzione | Composizione del resto 5 Sostanze as I ur: È EEA Il Corpi di fondo $ poste a reagire 4? |(NH,),0| B,03 | Hy0 |(NH,},0| B,0; | H,0 - ARA DIRIIOI. ore 1 H,B0, + H,0 8°) — (|1351|8649| — = | = H;B0; 2 ” 10 — |1350|8es50o| — | — | — ” 8 | HB0, + 1-5-8+ H,0| 18 247 | 25.28] 72.25] 4.72 | 47.98|4730| H,B0,+1-5-8 4 ” 12 2.45 | 2420] 73.35| 588 |45.28 | 49,34 ” 5 ” 9 2.42 | 25.01 | 72.57 6.35 | 47.95 | 45.70 ” 6 1-5-8 + H20 8! 393006860) 6070) 1-5-8 7| 1-5-8 + 1-2-4+ H30 10 5.81 | 31.01 | 63.18 7.938 | 51.48 | 40.59 ” 8 ” 6 5.87 |31.52 | 6261 8.08 | 45.63 | 46,29 ” 9 ” 9 6.10 | 31.51 | 6239 8.81 | 49.52 | 41.67 1-5-8 + 1-4-6 10 ” 13 CLI 9:1N50R162:39 8.31, 53.48 | 38.21 E) 11 ”» 8 6.31 | 31.75 | 61.94 9.01 | 48.00 | 42.99 1-4-6 12 ” 8 6.69 | 31.40 | 61.91 9.68 | 45.21 | 45.11 ” 13 ” 5 6.81 | 31.90 | 61.29 902 | 48.07 | 42.91 ” 14 ” 48 6.89 | 32.40 | 60.71 — — ” E ” 5 7.22 | 31.88 | 60.90 9.47 | 44.11 | 46.42 » 16 ” 8 742 | 33.18 | 59.40] 9.58 | 42.96 | 47.46 ” 17 ” 6 8.10.4|132/75=|.59%15. || 400122 | 455104427 ” 18 ” 8 8.64 | 36.60 | 54.76 | 10.19 | 45.91 | 43.90 DI 19 ” d 951 |93592 | 54.57] 10.25 | 56.55 | 33.20 ” 20 ” 20 10.39 | 37.41 | 52.20 || 12.45 | 58.90 | 28.65 ”» 21 ” 18 11.38 |388.32 | 5030 | 11.67 | 50.22 | 38.11 n 22 ” Ti 12.02 | 39 61 | 48.37 | 12.08 | 55.38 | 32.54 n 23 ” 12 12.00 39.71 | 48.29 || 11.50 | 52.00 | 36.50 ” 24 ”» 6 12.42 | 3999 | 47.59 | 12.54 | 45.44) 42.02 1-4-6+ 1-2-4 25 ” 6 12.62 | 40.12 | 47.26 || 13.76 | 44.72 | 41.52 ” 26 D) 14 12.80 | 40.65 | 46.55 || 15.70 | 50.81 | 33 99 ” 27 ” Yi 13.11 | 39.39 | 4750 || 15.56 |47.79 | 36.65 ” 28 1-2-4 + H,0 8 14.28 | 38.43 | 47.29 _ — —_ 1-2-4 29 |1-2-4 + NH,0H+ Hs0| 9 | 14.27 | 34.61|51.12| 17.01 | 44.98 | 38.01 ” 30 ”» 9 1427 — -_ 17.20 | 48.02 | 34.78 ” 81 ” 7 15.50 | 30.61] 53.89 | 17.80 | 42.90 | 39.30 DI 32 ” 10 16.80 | 26.52 | 56.68 | 1831 | 44.38 | 37.31 ” 33 ” 8 17.54 | 25.72 | 56.74 | 19.10 | 46.02 | 34.88 ” Anche qui, oltre 1 1-5-8 e l'1-2-4 si ha il composto 1-4-6 e anche qui i due primi borati sono stabili in presenza di acqua pura. L’1-4-6 invece sì decompone cosicchè questo borato, attraverso tutto il campo della < sua esistenza, è s di ammoniaca. tabile solo in presenza di soluzioni contenenti un eccesso RI9E Dalle Tabelle si possono ricavare facilmente le solubilità, a 45° e a 209, dell’ H3BO., dell'1-5-8 e dell'1-2-4. Non riportiamo qui in Tabella a parte le solubilità dei suddetti composti anidri e idrati, perchè daremo le curve di solubilità di essi in una prossima Nota dove riferiremo sul diagramma completo temperatura-concentrazione di questo sistema, per tutto il campo delle temperature sperimentate. Geologia. — /icerche sulle ossa fossili di orso della Grotta di Equi in Lunigiana. Nota riassuntiva del dott. G. FRACASSI, . presentata dal Socio C. De STEFANI. Gli scavi iniziati nel 1911 nella Tecchia e nella caverna di Equi e proseguiti fino a tutto il 1917 sotto la direzione del prof. De Stefani e col- l'assistenza quasi continua del capo tecnico del Museo di Paleontologia e di Geologia di Firenze sig. Bercigli, hanno dato grandissima copia di ossa fos- sili di animali diversi, compreso l’uomo, e di prodotti dell'industria umana. Per parte mia mi sono occupato delle ossa di orso che furono rinve- nute in quantità straordinariamente grande. LE: Le ricerche furono limitate ai crani dei quali il museo possiede 38 com- pleti adulti, 4 completi di giovani o giovanissimi individui e molti più o meno incompleti; alla mandibola, al femore, alla tibia e perone, all'omero, cubito e radio. Soltanto le ossa di individui adulti complete furono misurate cioè 2 mandibole complete, oltre quelle unite col cranio rispettivo, 67 branche man- — 330 — dibolari destre, 47 sinistre, 80 femori, 64 omeri, 117 tibie, qualche perone, 80 cubiti, 103 radi. Fu inoltre osservata l’eventuale presenza dei primi tre premolari nelle mandibole frammentarie di individui adulti e non adulti. Per lo studio dei rapporti delle varie ossa servirono egregiamente un certo numero di arti anteriori e posteriori più o meno completi ed anche lo scheletro ricostruito (quantunque indubbiamente di ossa differenti) di un grosso speleo della caverna di Laherme (Firenei) donato al museo da Vittorio Emanuele II. Per confronti sono serviti 4 crani e un modello di cranio e diverse ossa lunghe di orso speleo provenienti da altre grotte ita- liane e straniere; nessuna delle quali ossa mi è sembrato presentasse delle differenze sostanziali in confronto colle ossa di orso di Equi. In quest'ultime ho riscontrato delle differenze di dimeusioni notevolis- sime specialmente apprezzabili se sì considerano gli estremi; ma tutti i gradi di passaggio esistevano e soltanto nei femori un intervallo di 1 cm. ‘/, segna il limite fra i grandi femori e i piccoli; nelle altre ossa invece la serie appare continua. Nei crani oltre le diverse dimensioni sono da notare la maggiore o minore prominenza della fronte, cioè l'angolo che essa forma colle ossa nasali o meglio ancora col piano del palato; la presenza di bozze frontali più o meno sviluppate, la lunghezza della fronte, la lunghezza asso- luta e relativa dei tre diametri bizigomatico, condilo-basale, inion-bordo incisivo. È stato trovato che l'angolo fronto-palatino poteva essere egualmente elevato nei grandi e nci piccoli crani e tanto negli uni che negli altri potevano aversi bozze frontali abbastanza sviluppate, ma che queste ultime erano in generale più evidenti nei crani di maggiori dimensioni; il diametro inion- bordo incisivo era relativamente al condilobasale un poco più lungo nei grossi crani. mentre il diametro bizigomatico era soggetto a tutte le variazioni indipendentemente dalla grandezza dei crani stessi. Di altre particolarità minori concernenti i crani non è il caso di trattare in questa breve Nota. Per quello che riguarda la dentatura sono stati trovati presenti nella mascella tutti gli incisivi, canini e molari o gli alveoli di essi; dei premo- lari costante il 4° mentre gli altri tre non si riscontrarono quasi mai (una volta l’alveolo del 1° Pm. a destra, del 2° Pm. una volta d’ambo i latì in individuo assai giovane e due volte a destra e una volta a sinistra, del 3° Pm. una volta bilateralmente e una volta a destra, questo nei crani di Equi mentre negli altri 4 crani provenienti da diverse località si trovò in un cranio l’alveolo del 1° e 2° Pm. a destra e in un altro l'alveolo del 3° Pm. bilateralmente) e nei rari casi in cui invece si riscontrarono trattavasi sempre di denti rudimentali. Abbastanza frequentemente furono riscontrate vestigia di qualenno dei primi 3 premolari nei frammenti di mandibole di individui giovanissimi. Nella mandibola di individui adulti fu osservato il fatto importante, e per quanto so non mai finora segnalato da nessuno, che anche il quarto premolare può See talvolta mancare o essere gemmiforme e che in ogni caso cade più presto di tatti gli altri denti. Invece un poco più spesso fu osservata la presenza di qual- cuno dei tre primi premolari (a siér7stra quattro volte l'alveolo pel 1° Pm. o la sua gemma, tre del secondo Pm., mai del 3°, in due casi il 4° Pm. era gemmiforme, in tre casi l’alveolo del 4° Pm. era sostituito da una rugosità, in un certo numero di casì l’alveolo del 4° Pm. era in via di più o meno avanzata obliterazione — « destra due volte l’alveolo e due la gemma del 1° Pm., due volte pure l’alveolo e una volta la gemma del 2° — il 4° Pm. mancava una volta senza che esistesse alcuna traccia di una sua eventuale presenza in epoca anteriore, in tre branche mandibolari l’alveolo era com- pletamente obliterato e sostituito da una rigosità dell'osso. in diverse altre in via di più o meno avanzata obliterazione). Le pieghe dello smalto erano alquanto più numerose nei molari dei grossi crani. negli altri denti e spe- cialmente nel numero dei tubercoli accessori del 4° premolare inferiore fu- rono riscontrate in serie continua numerose variazioni indipendentemente dalla grandezza dei crani medesimi. Altre differenze notevoli non ho potuto ri- scontrare nei crani e nelle mandibole considerati in serie; così per esempio l'apofisi coronoide varia di conformazione si può dire in ciascun esemplare. I femori piccoli e i femori grandi hanno la stessa conformazione; le variazioni individuali sono in sostanza le stesse si negli uni che negli altri. Da notare soltanto, senza attribuirvi notevole importanza, che la fossetta per la inserzione del legamento rotondo era nei femori piccoli presente più spesso che nei grandi. Le tibie piccole avevano le epifisi alquanto più robuste delle grandi, carattere evidente ma non molto accentuato; nessuna diversità notevole nella ‘conformazione dei peroni, omeri, cubiti e radi piccoli in confronto coi grandi. Per intenderci sulle parole ossa grandi e piccole dirò che per ciascun osso sì è fatta la media fra l'esemplare di maggiori e quello di minori di- mensioni ambedue completamente ossificati; gli esemplari al disopra della media sono stati ascritti ai grandi, ai piccoli quelli al disotto. Sempre gli esemplari al disotto della media stabilita così, resultarono in minor numero di quelli al disopra. Da quanto sopra è stato sommariamente esposto ho trovato che non si poteva distinguere più di una specie di orsi nelle ossa degli scavi di Equi ‘e che questa specie era identificabile coll’ 77. spelaeus Blum. Le denomina- zioni 7. spelaeus maior e minor del De Blainville e dello Strobel possono adottarsi soltanto ad indicare due gruppi di varietà i cui limiti neppure sono nettamente tracciabili. In confronto alle altre ossa di orso quaternario possedute dal Museo di Firenze, nessuna differenza di una qualche importanza si può apprezzare e neppure differenze essenziali sembrano esistere con ossa scavate nelle di- verse regioni d'Europa e descritte e figurate dai diversi autori. Quindi nel- Pi — 3832 — l'Y. spelaeus di Equi rientrerebbero l’'aretoideus, il fornicatus, il leo- diensis ecc. ecc. Lo studio di alcuni crani di orsi di specie viventi, di uno scheletro di orso bruno della Majella e delle ossa degli arti anteriori e posteriori di U. americanus ha fatto rilevare che l’aretos attuale è l'orso che più di tutti si somiglia allo spelaeus; subito dopo viene l'americanus. Caratteri differen - ziali assai notevoli di queste due specie in confronto collo spe/aeus sono la maggiore lunghezza relativa degli arti e specialmente della porzione distale in rapporto colla prossimale, e la minore robustezza delle epifisi degli arti medesimi. Nell'Z. spelaeus la tibia non’ supera mai e raramente raggiunge i */3 della lunghezza del femore mentre raggiunge i */; tanto nell’orso bruno della Majella quanto nell'americanus; nello spelaeus il cubito è in media i ?/; e il radio i 3/, della lunghezza dell'omero mentre tanto nell'orso dellu Majella che nell’amerzeanus il cubito è lungo quanto l’omero e il radio supera i 5/ della lunghezza dell’omero. Infine fu notato che anche nell’aretos attuale non soltanto i tre primi premolari ma talvolta anche il 4° premolare possono mancare od essere gem- miformi; la presenza di qualcuno dei primi tre premolari è però un fatto costante nell'arctos, eccezionale nello spelaeus. Antropologia. — Altre forme della legge che vincola i pest alle stature negli adulti. Nota del prof. FABIO FRASSETTO, pre- sentata dal Corrisp. A. RuFFINI (') Avendo calcolato mediante la formula di normalità dell'indice ponderale ST 67.60 (1) ax 1,60 ì pesi normali teorico-sperimentali, corrispondenti a ciascuna statura, cen- timetro per centimetro, da m. 1,54 a m. 2,00 abbiamo potuto notare che la legge già esposta nella nostra precedente Nota (?) si può presentare sotto altre forme di carattere più pratico e perciò, da un certo punto di vista, ‘ più notevoli. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Antropologia generale ed applicata della Regia Università di Bologna. (*) Frassetto F. Delle relazioni fra il peso e la statura dell'uomu adulto. Atti Reale Acc. Naz. dei Lincei, Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, vol. XXX serie 5°, fasc. 12. Roma, 1921. Vedi anche « La Medicina Italiana», vol. III, n. 1. Milano. 1922. i — 333 — Indicando con S, la statura; con P, il peso corrispondente; con D, la differenza di due pesi successivi; con 4 la differenza tra i centimetri d. statura oltre il metro e i pesi corrispondenti ; con 4, la differenza tra due delta successivi, si ottiene la tabella I, che riportiamo più avanti. Osservando le differenze elencate nella terza colonna risulta che i pesi si segueno in progressione aritmetica, la cui ragione è 0,625. Si può, quindi, enunciare la seguente legge : Nei giovani italiani, a partire dalla statura di m. 1,54 e dal rela- tivo peso di kg. 54, è pesi crescono în progressione aritmetica con ragione di 0,625 per ogni centimetro di statura; ossia in simboli (2) P= kg. 54+- (0,625 X x) dove x è il numero di centimetri che la statura considerata supera la sta- tura iniziale di m. 1,54. Se poi osserviamo la quarta e quinta colonna riscontriamo che la dif- ferenza delta fra i centimetri di statura oltre il metro ed il peso corrispon- dente crescono in progressione aritmetica, la cui ragione è 0,375; il quale risultato conduce a questa regola assai semplice per determinare il peso normale teorico corrispondente ad ogni singola statura: Nei giovani italiani, a partire dalla statura di m. 1,54, il peso cor- rispondente alle singole stature è uguale a tanti chilogrammi quanti sono i centimetri, oltre il metro, che misura la statura considerata, diminuiti di 0,375, prese tante volte quanti sono i centimetri di differenza fra la statura considerata e la statura iniziale di m. 1,54. Chiamando con ec i centimetri di statura oltre il metro, e con d la differenza suddetta si ha, in simboli, la formula (3) Pi (97500) Volendo ora verificare l'esattezza delle due nuove formule (2) e (3) in confronto alla prima (1), prendiamo due stature a caso, per esempio, la statura di m. 1,60 e quella di m. 1,94. Per la statura di m. 1,60, abbiamo: S'— 67.60 160 — 67,60 i pre —_—— = -—_—__ = Con la formula (1) 1.60 160 57,75 Con la formula (2) P'= 54--(0,625 X x)= 54 +4- (0,625 X 6) = 57.75 Con la formula (3) P'=e — (0,375 X d) = 60 — (0,375 X 6)= 57,75 Per la statura di m. 1,94, abbiamo: Con la formula {2) P'"=54-+ (0,625 X 2) = 54 + (0,625 X 40) = 79,0 Con la formula (3) P"=e — (0,375 X d) = 94 — (0,375 X 40) = 79,0 RENDICONTI. 1922. Vol XXXI, 1° Sem. 43 — 334 — La verifica non poteva essere più perfetta, nè poteva essere diversamente. Prima di por termine a questa Nota, gioverà ricordare che la ragione — 0,625, con cui si seguono i pesi, potea dedursi direttamente dalla for- mula (1) in questo modo: Avendosi S= 1,60 P + 67,60 S-+-1= 1,60 P'+4 67,60 sottraendo si ricava 1= 1,60 P'— 1,60 P ossia Ùi a, P' era P 1,60 la quale esprime che alla differenza di 1 cm. di statura corrisponde semPfe la differenza di peso che è precisamente uguale a 0,625. L 1,60” CONSIDERAZIONI Nel giudicare della normalità del peso di un individuo secondo la nostra tabella, giova tener presente che i valori in essa elencati rappresentano, per ciascuna statura, i valori medi centrali della normalità, la quale ha pure essa il suo campo di variabilità: Per conseguenza debbonsi giudicare come normali anche gli individui aventi pesi i cui valori cadono entro questo campo, che per altro noi non siamo ancora in grado di limitare. Esso può estendersi al di sopra e al di sotto del valore medio centrale in ragione del 7°/, di questo stesso valore (come ritengono alcuni autori), oppure può oscillare fra il 5,°/ ed il 10 °/. i Dobbiamo aggiungere, che dal punto di vista scientifico sarebbe stato melto bene, per una più esatta valutazione della efficienza nutritizia dell’or- ganismo, stabilire Ja formula di normalità riferendo il peso del corpo alla sua lunghezza invece che alla statura; e probabilmente la legge si presen- terebbe in una forma non del tutto identica a quella ottenuta. Mancando però il numero sufficiente di osservazioni sulle lunghezze e i pesi relativi bi- sogna, per ora, attenersi alla statura. Pertanto, se, praticamente, in luogo della statura si conoscesse la lunghezza corrispondente, non vi sarebbe altro da fare che togliere a questa quei due centimetri, che di solito si conside- rano come differenza media normale fra le due grandezze, e servirsi della tabella. 9398 VL8‘89 LIT ISS'LI 69L‘38 00‘ 1688 6PL'L9 9L'T 9L8‘9I +el'68 66‘1 9L8'L PEI'L9 SL'T T0G'YI 6618 86°1 106'), 667‘99 VAI 93197 pL84098 | IGT. PL8‘C9 - SLI TGL'SI 6P308 | 1oL'9 64399 QUAI 9L8I 10961 | 96° 9L8°9 P09 49 IL'I I00°SI 66682 = |F6I 100°9 66689 OLI 909PI PLE8L = |S6I 9998 FLE‘C9 G9°T 193*1 Gris |361 rac eva = 1891 9L8‘€T POI'LL I6I IL8F Fel'9 L9°1 I0C'ET GOP'OL O6°T TOS‘ 66FI9 99°1 9ELI pL8°GL | G8‘I ICI pL8°09 CIT 1SL'21 643‘. 88 1 IeL'g 6409 i. | OLEGI v29HL 2841 Lg 12960 291 Dr T00°3T 66682 981 100° 66639 391 dd 93911 PLE'EL GS'I 939° PLE8G I9'°I ISS'II 6FL'EL #81 tara GPL'LS 09°T 9807 VereL 881 9L8'I Pol'Le 6ST TOG'‘0I GGF'IL 681 IOS'I 66799 8II CrANOI FLO. IST 9LI pL8'0e 291 TOL'6 6430. 08°I IGL'0 ZAC 9G°I 9LE*6 Pe9‘69 6L'T 9L8°%0 F694e SSI caso — 100‘6 ta MI 66689 ‘Sy|gz'10w | ezg0 - | 000°0 90 — 00047 ‘35M | Few 7 Al Anali 4 d_ S=/ ud —,d=0 d S VI Ali Ani 4 d_S=/ ud — ,d=0 d S ‘(OISHL IATA) VUNLVIS VTILO SINOIZNOA NI OSHd "1510 VLITVILHON IT VIONNOL YI NOO ILVTOOTVO ILVIS ONOS ISTA ILLE] ‘00°8 NW V FT UN Va ‘ONIMNILNHIO NI ONLINILNIO IC ILVNOSIN ‘INNY Gg I 611 YA INVIIVII ITOAA AUOLVIS WI ALLOL V LINTONOASIMOO MIVINIWINMIS-00IIONL TIVINON ISAq . I VITHAVI — 336 — Patologia vegetale. — Sulla germinazione del grano in man- nelli o in covoni a sequito di pioggie che accompagnano 0 seguono la mietitura. Nota di 0. MUNERATI, presentata dal Socio R. Pi- ROTTA. Da una serie di osservazioni compiute nell'estate 1920, e delle quali mi occupai in una breve Nota dell'ottobre di quello stesso anno (1), risul- tava tra l'altro nettamente confermato un importante rilievo di G. T. Har- rington (2), e cioè che il frumento (e così dicasi per altri cereali minori a maturanza estiva) ha la facoltà di germinare in tre giorni nella proporzione (possibile) del 100 per 100, anche se appena raccolto, purchè i semi sieno collocati in un letto a bassa temperatura (12-16 centigradi). Sino dalle primissime constatazioni sì intravedeva tuttavia che il pro- blema doveva essere molto più vasto e molto meno semplice di quanto a primo aspetto potesse sembrare. Onde pensammo di riprendere il tema nel- l'estate testè decorsa ripetendo e allargando i saggi, dai quali si ebbe nuova e piena conferma del fatto. È apparso, in più, nettamente, che non tutte le varietà reagiscono allo stesso modo. Tra i quesiti, a cui ci proponevamo di rispondere, offriva però. indub- biamente, la maggiore e più fondamentale importanza il seguente: I dunni più o meno gravi, che si registrano per germinazione del grano in mannelli o covoni allorchè la mietitura e l’imbicamento sono ostacolati 0 disturbati dalle pioggie, potrebbero, e sino a qual limite, im- putarsi «lle basse temperature, che accompagnano sempre le pioggie tem- poralesche della fine di giugno 0 dei primi di luglio? La concomitanza delle basse temperaiure è condizione assoluta o sine qua non per la deter- minazione del fenomeno ? Che a noi constasse, nessuno sì era specificatamente proposto di risol- vere questo punto della questione: l’unico accenno, puramente occasionale, alla concomitanza delle basse temperature durante le pioggie estive nel de- terminare la germinazione del grano in covoni l'abbiamo trovata in una Nota (*) Munerati O., L'influenza delle basse temperature sulla germinazione del fru- mento appena raccolto e dei semi così detti freschi. Rendiconti R. Accademia Nazio- nale Lincei, XXIX (1920), fasc. 7-8, pp. 273-275. (*?) Harrington G. T., Germinating freshly harvested winter wheat. Science, N. S. L,. (1919), N. 1301, p. 528. bei Orzo: varietà locale. Grano: Civitella (tipo Pétanielle). Grano: Gentile Rosso. Grano: Rosso Olona. Grano: C. Strampelli. Germinazione di granelli (di frumento, segale, orzo) entro le spiche in velo d'acqua a bassa temperatura: diverso comportamento tra distinte varietà. (N.B. In velo d’acqua ad alta temperatura i granelli di spiche corrispondenti si sono fortemente rigonfiati senza germinare). — 338 — dello svedese J. N. Wallden, ma allacciantesi a un ordine di ricerche a fini del tutto diversi (*). Poichè le constatazioni di Harrington e nostre dovevano far apparire l'ipotesi come del tutto ammissibile, occorreva stabilire se fosse stato possibile offrirne una dimostrazione sperimentale. Dopo alcune prove preliminari furono prescelti i due seguenti metodi : a) le spiche vengono raccolte a piccoli fasci e su di esse si fa sgoc- ciolare dell'acqua a temperature rispettivamente diverse (a 12-15; a 22-25; a 32-35). Facile è escogitare dispositivi per raggiungere l’intento, e non è assolutamente il caso di soffermarvisi; 5) le spiche vengono collocate framezzo a sabbia inumidita, in cas- sette, che si pongono rispettivamente in ambienti a temperature distinte come sopra: (in termostato; in laboratorio; in camera fredda). Contemporaneamente vennero messi, e nelle stesse condizioni, a germi- nare granelli separati dalle spiche. Oltre che di numerose varietà di grano, fu esaminato il comportamento anche di un orzo e di una segale (varietà locali). Le principali constazioni cui, con varie e ripetute prove, si perveniva possono così raggrupparsi : 1°) I granelli separati dalle spiche germinano sempre, a parità di condizioni, più sollecitamente di quelli che rimangono racchiusi entro le glume. 2°) L'acqua a contatto dei granelli delle spiche agisce diversamente secondo la temperatura: a 32-35° i granelli si gontiano e si mantengono lungamente rigonfi ma senza germinare; a 22-25° si verifica analogo rigonfia- mento con parziale stentata germinazione; a 12-15° la percentuale di ger- minazione risulta tosto più o meno elevata. 3°) Portando le spiche inumidite e ì granelli rigonfi, ma ancora fermi, da un ambiente ad alta temperatura ad un ambiente a bassa temperatura, i granelli germinano immediatamente (alla distanza di poche ore). 4°) Portando le spiche inumidite da un ambiente a bassa tempera- tura ad un ambiente ad alta temperatura, la germinazione dei granelli ancor fermi si arresta, mentre la piumetta di quelli già germinati si sviluppa con grande vigoria. 5°) Se le spiche, mantenute lungamente (sino ad oltre dieci giorni) a contatto di un velo d’acqua a temperatura sopra i 25-30 centigradi (oppure in sabbia inumidita alla stessa temperatura) e aventi quindi granelli più o meno fortemente rigonfi ma ancora ingerminati, si portano in ambiente caldo, arieggiato o ventilato, a temperatura sopra i 30-35 centigradi o più (quale si ha normalmente d'estate all'aperto), i granelli riprendono in breve (1) Cfr. Referato in Bollettino mensile di informazioni agrarie e di patologia vege- ale. VIII (1917), N. 3, p. 349. — 339 — il loro aspetto normale conservando in gran parte la loro vitalità per essere quindi capaci di germinare se posti nelle volute propizie condizioni (*). 6°) Non tutte le varietà si comportano allo stesso modo. Tra le va- rietà sottoposte a prova nel 1921 i grani turgidi (tipo Pétanielle e analoghi : Civitella, ecc.), hanno palesato una estrema tendenza a germinare. e allo stesso modo si sono comportate la segale e l'orzo: subito dopo seguiti dalle comuni razze di gentile rosso (mutico e semiaristato Todaro), da alcune va- rietà autunnali americane e da un marzuolo egualmente d’origine americana ; minore sensibilità hanno manifestato le razze derivate dall’ Inallettabile Vil- morin, il Rieti e il Rosso Olona; la varietà, infine, che dai primi saggi ha offerto la massima resistenza è stata il Carlotta Strampelli. Procurate subito da altre provenienze spiche di un certo numero delle succitate varietà, esse hanno reagito pressochè alla medesima maniera. Nella fotografia, che accompagna questa Nota, sono rappresentate spiche di alcune varietà di grano, di orzo e segale dopo permanenza in velo d'acqua a bassa temperatura. Le corrispondenti spiche sotto velo ad alta tempera- tura avevano, alla fine della prova, granelli rigonfi ma ancora fermi. Non potendosi escludere che il così diverso comportamento da varietà a varietà dovesse attribuirsi alle condizioni speciali sotto cui nella ultima annata giunsero a maturanza i singoli tipi (in annata a differente decorso una determinata varietà potrebbe reagire appunto in modo diverso), e poichè la questione ha non lieve importanza dal punto di vista applicativo, il tema merita di essere ripigliato con più abbondante materiale e in regioni diverse. Passando ora a definire, se ciò sia consentito in base alle constatazioni qui sopra circostanziate, il meccanismo della germinazione del grano (e ce- reali ad analogo comportamento) allorchè la mietitura e le susseguenti ope- razioni, che preceduno la trebbiatura, sono disturbate dalle pioggie, è del tutto logico presumere che il fenomeno debba essere appunto preminente - mente legato ai repentini abbassamenti di temperature che accompagnano i temporali, quasi sempre a decorso burrascoso, occorrenti nello stesso periodo : ond'è chiaro che il fenomeno tanto più si aggravi quanto più le escursioni termometriche tardano a raggiungere o ad avvicinarsi ai massimi abituali, laddove il contrario accade se le temperature tendono rapidamente a stabi- lizzarsi verso il normale, nel quale caso i granelli, pur umidi e rigonfi, con- tinuano a mantenersi ingerminabili-lungo uno spazio di tempo bastevole perchè l'agricoltore giunga ad asciugare i mannelli o dar aria ai covoni. (1) Per quanto in grado di germinare e di dare piante vitali, si tratta sempre di un materiale che conviene prudentemente escludere dalle partite di semina. — 340 — In opposizione dunque a quanto si può in ragionamento supporre ba- sando le proprie induzioni sul comportamento usuale in letto di germina- zione dei semi (non freschi), le basse temperature, che accompagnano le pioggie nel periodo estivo, non solo non costituiscono un fattore inibente della germinazione, ma ne sono anzi una causa determinante o nettamente favoritrice, ed è invece soltanto all’apparentemente deprecabile rapido rial- zarsi delle temperature cui si deve se il raccolto può essere salvato dalla grave insidia. In fine, la comune credenza, che porta a ritenere diverso il comportamento delle varietà secondo che queste sieno mutiche o aristate, non trova assolutamente di che appoggiarsi sulle nostre osservazioni. Dai fatti che siamo andati esponendo e in riferimento alla consuetu- dine, vigente in alcune zone, di lasciare nei campi gran parte del grano in covoni (« crocette =") nel tempo intercorrente tra mietitura e trebbiatura, si dovrebbe inoltre convenire sulla opportunità prudenziale di procedere a un immediato imbicamento, dopo la mietitura, almeno di quelle varietà che si dimostrano più sensibili all'azione delle pioggie, quali sarebbero apparsi i turgidi e gentili in genere tra i frumenti, e l'orzo e la segale tra i cereali minori. Approfondendo comunque, caso per caso, codeste pur semplici indagini, sl potrebbe recare un contributo di cospicua portata applicativa nella grande pratica. Aggiunta alla Nota. — Altre prove di raffronto tra comportamento di granelli freschi (appena raccolti) e granelli dell'annata precedente portavano, per le numerose varietà sottoposte a prova, a confermare quanto era già stato registrato nel 1920: e cioè che mentre i semi freschi germinano quasi al completo a bassa temperatura, in percentuale molto ridotta a 25-28 centi- gradi e in proporzione estremamente ridotta a 32-35, invece il frumento dell'annata precedente non soltanto germina rapidamente al completo a 12-15 (quasi sempre, anzi, con lieve anticipo sui granelli freschi), ma ancora con percentuale cospicua a temperatura di 25-28 e con percentuale discreta a 32-35. Il contrasto è, poi, ancor più manifesto nelle avene. Da semplici saggi di germinazione è possibile frattanto distinguere in luglio, con sicu- rezza pressochè assoluta, un seme dell'annata da uno dell'annata precedente. Quindi è che anche il concetto dell'opt:mum di temperatura per la germi- nazione di determinate specie dev'essere pur riguardato alla stregua di altri elementi di fatto, quali ad es. quelli emersi dagli odierni rilievi. G. C. 3) x va della AS Accademia Nazionale dei Lincei. - Atti IO pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Mok L'WSTSZ4) "© 42 Vol. II. (1874-75). FRA «_°—‘2> MrmoRIE della Classe di scienze fisiche, AE e I matematiche e naturali. kot MEMORIE della Classe di scienze morali, mes storiche e filologiche. " Vol T ‘a SE 97 a 9), — III-XIX. MEMORIE. della Classe di scienze Loi | storiche e filologiche AL FIX, rr de IENDICONTI. Vol, I-VII. (1884- 291). Ja Memorie. della Classe di scienze 0) matematiche e naturali. Valve va Cismon. della Classe. di Le 2 morali, storiche e filologiche. : RenpiconTi. della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali — Vol. XXXI. (1892-1922). Fase. 7°, Sem. 1°. della Classe di scienze morali, storiche e filologiche -XXX. (1862-1921). Fase. x 10°. MEMORIE della Classe di scienze tela matematiche e naturali. (Vol: P.6107 Fase. QORSET i DI BREVOL. T-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI Fase. 8°. Lat Scavi DI ANTICHITÀ. Vol. TXVIIL Fasc. 12°. È CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE vara DI LD, 2 CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI La ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI tngtk DE | pr della a Classe di scienze Sul matematiche (gp, S) dado tn ad dan semestre. | Memorie. della Classe ‘di scienze OM storiche e filologiche. Vol. IL (1875- 10) Parte 1° Tai i i RENDICONTI — Aprile 1922. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 23 aprile 1922. MEMORIE KE NOTE DI SOCI Almansr. Sopra i moti ellittici perturbati AGI, SI RR Ap) Angeli. Sopra i diazocomposti . . . . .._ ... CEI LL RT. ATARA S crale fn De Stefani L’origine del Petrolio nell'Emilia . .... LESS RTARE O ARE, Zambonini. L'isomorfismo dell’albite con l’anortite. Nota I... .... VETTE AA NOTE PRESENTATE DA SOCI Cicconetti. Determinazione astronomica di azimut eseguita sul M. Pellegrino nel 1920 (pres:-dal-Corrisp. Armellini): IRE i N Fermi. Correzione di una grave discrepanza tra la teoria elettrodinamica e quella relati- vistica delle masse elettromagnetiche. Inerzia e peso dell'elettricità. Nota II (pres. Yd.) » Laura. Sulla durata delle oscillazioni di una sfera vibrante radialmente in un fluido (pres. dal Socio Somigliana). .-. . . . .. ESE SAREI Si pa on e do Kahanowicz. Potere emissivo dell'argento in ‘rapporto alla cristallizzazione (pres. dal - Socio Cangone) . e A CSETASECORRE ERE LES GIS ”» Agamennone. Il terremoto di Caldarola (Marche) del 28 agosto 1921 Dal dal Socio css n Pieroni. Iodo-derivati pirrolici (pres. dal Socio Angeli) . . .!. . SARO D) Sborgi e Ferri. Sui borati. Sistema (NH,),0 —B,03 — H;0 (a 45° e a 90°). Nota VI (pres: dal ‘Socio Nasino), ALLIES Fracassi. Ricerche sulle ossa fossili di orso della Grotta di Equi in Lunigiana (pres. dal Socio De Stefani Siio a ESE TAR a A RR ST ORA AAA ENNIO Frassetto. Altre forme della legge che vincola i pesi alle stature ‘negli adulti (pres. dal Corrisp: Ruffini) e LR I I, N RO STE NI Munerati. Sulla germinazione del grano in mannelli 0 in covoni a seguito di pioggie che accompagnano o seguono ‘la mietitura (pres. dal Socio Pirotta) . . .°/ 0... » E. Mancini, Cancelliere dell’Accademia, responsabile. 277 283 293 295 302 306 310 313. 817 321 324 329 392 336 Pubblicazione bimensile. I N. 9, ATTI | REALE ACCADEMIA NAZIONALE PARE:*ERENCGRI ANNO CCCXIX. 1922 248 I I i dina SR O RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume XXXI. — Fascicolo 9° Seduta del 7 maggio 1922. 1° SEMESTRE. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1922 ) ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serie quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: S 1. IÌ Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese ; essi contengono le Note edi titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume : due volumi formano un’annata. 2.. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 6 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 4 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunica- zioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 30 agli estranei ; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno. preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette; sono senz'altro inseritte nei Volumi accademici se provengono da Soci 0 da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, Ia Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il javoro -e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. - 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una. proposta a stampa della Memoria negli Atti dell’Accade mia o in un sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o raBionamenti contenuti nella Memoria. - c)_ Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro-. posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell'ultimo in seduta segreta. i 4. A chi presenti una Memoria per esame data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 30 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messo a carico degli autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI {lasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. °_° __TTTRLYT 5) i cui S(2) osculatori siano, come accade in generale, Ss e ciascuno di essi abbia due punti di oscula- zione distinti P e Q. Cominciamo con l'osservare che l'intersezione di due S,; infinitamente vicini, osculatori rispettivamente in P e P' (e quindi in Q e Q'), contiene tanto il piano tangente in P, quanto quello tangente in Q. Se questi due piani sono indipendenti il loro Ss è lo spazio 2-oscula- tore sia in P che in P', cioè lo S(2) non varia, passando da un punto di F ad uno qualsiasi contenuto nell’ intorno del 1° ordine di esso; questo S(2) = Sg conterrebbe in tal caso tutta la F, il che è da escludere. Escludiamo pure che i piani tangenti in P e Q coincidano, perchè, per quanto si è detto, la superficie è allora rigata sviluppabile e la soluzione ha perciò scarso interesse. Rimangono quindi da esaminare i due casi seguenti: a) i piani tangenti in punti corrispondenti (come P e Q) stanno in S,; b) oppure stanno in S;. (1) Del Pezzo, Sugli spazi tangenti..... (Rend. della R. Accademia di Napoli, 1886); Bertini, [ntroduzione alla geometria proiettiva degli iperspazi, cap. 9°, n. 13, Pisa, Spoerri, 1907. (*) Per spazio 2-osculatore in un punto di una superficie intenderemo il minimo spazio che contiene gli S, osculatori alle curve per il punto; poichè tale spazio ha in comune con la superficie l’intorno del 1° e del 2° ordine è espressivo il rappresen- tarlo con il simbolo S(2); E. Bompiani, Sopra alcune estensioni dei teoremi di Meus- mier e di Eulero (Atti R. Accademia d. Scienze di Torino, 1913). — 348 — 8. Dimostriamo che nel caso 4) vi sono su F co' curve lungo le quali è fisso lo Sg 2-osculatore (cioè la F ha soltanto oo! di questi S;). Lo spazio caratteristico di un S; (spazio comune ad S; e a tutti quelli infinitamente vicini nell'intorno del 1° ordine) è un S, (1): voglio provare che si ha S(3) = Se. Consideriamo due regioni di F adiacenti a due punti P,Q e su di esse fissiamo le linee coordinate in modo che punti corrispondenti abbiano le QUA du” dv delle coordinate omogenee di P, omettendo l’indice relativo ad una coordi- nata generica; analogamente per Q. Poichè i piani tangenti nei punti P e Q determinano un S,, i punti P, Q, P:°, P9, Q!°,Q° sono linearmente dipen- denti, quindi potremo prescindere da uno di essi, per esempio Q°!. Lo Ss 2-osculatore in P potrà individuarsi con lo Sy precedente e con un punto dell’intorno del 2° ordine di P, cioè, essendo le linee vw, v arbi- trarie, per esempio con i punti P, Q, P19, P9*, Q0, QU, P?°. A questo Si, per definizione di S(2) osculatore e per la proprietà di F, appartengono i punti P!!, P92, Quo, Q!!, Q°* dell'intorno ‘del.‘2° ordine e valgono per con- seguenza relazioni di questo tipo: Pil — aP!0 | gPi0 L ypor L dQu —- sP + Q in cui @,...é sono funzioni di x, v indipendenti dalle coordinate di P o di Q che si considerano. Oltre a queste relazioni valgono le loro conseguenze diffe- renziali, sicchè per esempio: Pars Bd ove i puntini indicano termini contenenti derivate di P e di Q d'ordine = 2(?) che per le relazioni stesse si possono sostituire con combinazioni lineari dei 6 punti che abbiamo preso per individuare lo S(2) osculatore in P (e Q). Consideriamo ora lo Ss 2-osculatore in P' = P_i P1°4u + P°4v e con- giungiamolo allo S(2) osculatore in P. Lo Ss congiungente è individuato dallo Ss osculatore in P_e dal punto (8): P°°0du+ P?!dv= P9° (du + adv) +..... stesse coordinate curvilinee x,v. Indichiamo con P’5 le derivate () Si potrebbe concludere direttamente a questo punto con l'affermazione fatta, servendosi del Lemma di Bompiani [E. Bompiani, Determinazione delle superficie inte- grali d'un sistema di equazioni a derivate parziali lineari ed omogenee, Rend, Istituto Lombardo, 1919, $ 3]; la dimostrazione che segue sfrutta le particolari circostanze che si presentano in questo caso indipendentemente dal Lemma citato. (2) Cocfficienti di queste derivate sono le funzioni «,... € e le derivate rapporto ad u. (3) Si suppone, naturalmente, che P3° non stia nello S(2) osculatore in P: la sup- posizione è lecita, perchè le linee coordinate sono generiche e quindi, se ciò non acca- desse, la superficie starebbe in Ss. Si può poi facilmente verificare che anche gli altri punti derivati secondi di P' stanno in quello Se. — 349 — cioè da P3°, potendo sempre ritenere, per l'arbitrarietà della scelta delle linee u,v, du/dvu-— a. Lo S(3) osculatore in P_(e Q) è dunque un Ss. Proviamo ora che gli S(2)=Ss sono soltanto 001, cioè che nell'intorno del: 1° ordine di uno di essi ve ne è uno solo. Ciò è evidente, perchè gli Ss nell'intorno di quello fissato passano per lo S, carattefistico e stanno in Sg quindi formerebbero fascio (cui appartiene lo S; fissato) intorno allo S,; ma nel fascio non v'è che un S; intinitamente vicino a quello fissato. Ogni Ss è quindi 2-osculatore alla superficie in tutti i punti di una curva e, se si esclude che la superficie stessa stia in S-, le co! curve così determinate stanno negli Ss di una sviluppabile.. 4. Veniamo ora al caso d): i piani tangenti in P e Q determinano un S3. La congruenza delle rette come PQ è quindi tale che tutte le rette .di essa situate nell'intorno del 1° ordine di una generatrice generica stanno con questa in un Sg. Segue subito da ciò che su ogni generatrice della congruenza si trovano due fuochi (distinti o coincidenti); cioè la congruenza è di quelle (particolari in $,4) che ammettono superficie (o curve) focali. Nel caso generale, in cui si hanno due superficie focali distinte si ha una congruenza di Laplace (*); le sue rette sono dunque tangenti alle linee di un sistema che fa parte di un doppio sistema coniugato (di una) delle superficie focali. Se le superficie focali coincidono in una, questa possiede vr sistema semplice di asintotiche e le rette della congruenza sono tangenti ad esse. Possono infine le superficie focali della congruenza essere sostituite da curve incontrate (senza contatto) dalle rette della congruenza. Diremo in ogni caso, per brevità, che si ha una congruenza di Laplace. È facile constatare che una superficie incontrata in più di un punto da una generatrice generica della congruenza è una superficie del tipo voluto. Infatti nel caso generale (e analogamente si verifica per gli altri) ogni superficie F_immersa, nella congruenza di Lapiace ha per S(2) oscula- tore in un suo punto P che appartenga alla tangente in un punto A, se- condo una linea del sistema coniugato di una superficie focale, lo S; con- giungente i due S, 2-osculatorit a questa in A e nel puuto infinitamente vicino sulla tangente fissata. Questo S; non dipende da P, ma soltanto dalla generatrice per esso: se questa incontra la F in un altro punto Q gli ©(2) osculatori in P e Q coincidono. (1) Segre, Preliminari di una teoria..... (Rend. del Circolo Matematico di Palermo, tomo XXX, 2° semestre, 1910); E. Bompiani, Sull’equazione di Laptace (Rend. del Cir- colo Matematico di Palermo, tomo XXXIV, 2° semestre, 1912); Pour la géométrie de Lequation de Laplace (Comptes-Rendus de l’Acad. des Sciences, t. 160, pag. 57). RenpICONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. 45 —- 350 — 5. Riassumendo si ha: Esistono due classi di superficie di S, (r > 5) tali che i loro S; 2-oscu- latori hanno (almeno) due punti distinti di osculazione con la superficie. Esse sono: a) le superficie con co! S; 2-osculatori, contenenti co LIDO in Ss di cui due infinitamente vicini sî segano in piani (cioè in 3 osculatori ad una curva e casì degeneri); b) le superficie con nè S; 2-osculatori immerse in una congruenza di Laplace e incontrate da ogni generatrice in più di un punto. Geometria. — Sur les formes differentielles de M. Fubini. Nota di EpuaRD CECH, presentata dal Corrisp. G. FUBINI. 1. Soient les coordonnées homogènes x des points et È des hyperplans tangents (1) d'une bypersurface II de l'espace linéaire à #41 dimensions exprimées en fonction de # variables indépendantes quelconques %,,%s 3 Un et posons (1) F,=—$Sda dé =D An du; dux, @) As = S(de d'8 — dé d'a) =22 Din du; dux du; va (3) FA _- a 5 Fe Zi Dini du =2 2 Aim dui dun du, ainsi que l'on a (4) >> dir Ain = 0. Soient de plus X et & des solutions quelconques des équations (5) SKÉ=1, sto, SEr= 1, zl _ On trouve que les x et les È vérifient des ‘6quations de la forme a Dì d (6) Xih >, ds Dir è + bin ® + Ai X ’ RS: 8 (6°) Eg= — > Frs Dar È - Baì P Ax, (') Les facteurs de proportionalité étant choisis d'une manière quelconque. (*) On suppose V +0. — 351 — Lin et Ein étant les dérivées secondes covariantes formées par rapport à la forme Fs. Pour (x, ... un) données, une quadrique par rapport à laquelle les hyperplans polaires des points ON dI IR dUi dUN sont dÌ dE AELA — + 2: LA, — 5 I | dUI ! dUN à un contact du second ordre avec II, et A; =0 donne les tangentes è la variété d'intersections de IT et la quadrique. La congruence des droites 2 X est conjuguée a TI, en ce sens que, en chaque point de IT, les x directions correspondantes au développables de la congruence sont conjuguées par rapport à la quadrique F.=0 des directions asvmptotiques. Corrélativement pour la congruence #E. Si l'on multiplie les x par un facteur quelconque @ et les È par le facteur o, les formes Fi, Az, Fi se transforment comme il suit (7) Fi,=00F,, A3=—00(A3-4+8F.dlogo/o) , F:=o00F3. 2. Le facteur des étant toujours quelconque, je fixe maintenant les £ à une racine (nr + 2)!" de l'unité près par la condition DE DET È 5 SO) 9 dUI dUn (8) GE 1 e l (9) VE NARA où As est le paramètre differentiel second formé par rapport è F.. La qua- drique par rapport à laquelle les hyperplans polaires des points dI dI dx + deva + & Asx sont dÉ È PE RES SRI SA IRE 3r E ; + UA. peut ètre appelée la quadrique de Lie, se réduisant à celle qui est connue sous ce nom pour z=2. On a la propriété suivante: Si l'on choisit dans l'hyperplan £ un espace E, a » dimensions (1-3v =») passant par le point x, les quadriques de Lie (à » dimensions) des sections de II par tous — 352 — les espaces dè v + 1 dimensions contenant E, sont situées sur une quadrique à n dimensions. 3. On achève la détermination des facteurs de proportionalité (1) soit en choisissant le facteur de la forme F,, soit le facteur des È, par exemple. Ce dernier choix est d'ailleurs (à un facteur numerique des £ près) équi- valent au choix de la congruence #X, liée à la condition unique d'ètre conjuguée è Il au sens expliqué plus haut. On peut appeler la droite 4X la normale de la métrique définie par la forme F, (3). En général, par chaque point de II passent 2" — 1 géodésiques de cette métrique, dont les plans osculateurs contiennent la normale. Les tangentes de ces géodésiques forment la généralisation des trois /angentes de Segre du cas n= 2. Elles sont d'ailleurs indépendantes du fasteur de F, et peuvent ètre définies comme les directions ayant la méme polaire linéaire par rapport aux deux cònes apolaires F.=0 et F3=0. 4. Supposons maintenant que les x ,é, toujours fonctions de 7 para- ramètres %, ...%,, satisfaisant aux conditions Siti _Ssdae=05 sont les coordonnées dans un espace linéaire à plus de #-- 1 dimensions. On a alors une varzé(é d'élements è n dimensions. On peut, comme précé- demment, former les formes F., Az, F3. Mais ici, on ne peut plus, en général, déterminer les facteurs de proportionnalité de manière d'avoir Fi=A3. Pour (1, ....%,) données, projetons les plans osculateurs des courbes tracées sur la variété des points x, le centre de projection étant l'espace d'intersection de È, SS ARS DE . Si une correspondance entre deux dI dUN variétés d'éléments est telle que, pour chaque couple d’éléments correspon- dantes, les deux ensembles d'espaces projetants que je viens de détinir sont homographiques, on peut dire, en généralisant la locution de M. Fubini, que les deux variétés d'éléments sont prozectivement applicables. Or la con- dition analytique pour l'applicabilité projective des variétés d'éléments est l’invariance de la forme différentielle fractionnaire R , tout au moins quand cette expression a un sens, c'est-à-dire si V + 0. i 5. Pour les détails, voir le Mémoire / fondamenti di geometria pro- îettivo-differenziale secondo il metodo del Fubini qui paraîtra dans les Annali di Matematica. (1) Je suppose toujours vérifiée la condition (8). (2) On voit que si l’on preni pour $ les coordonnées cartésiennes normales (les cosinus directeurs et la distance de l'origine), on a la normale ordinaire. — 359 — Matematica. — Sulla curvatura geodetica delle linee appar- tenenti ad una varietà qualunque. Nota di JosepH LIPKA, presen tata dal Socio T. Levi-CIvITA. Il parallelismo di Levi-Civita annunziato la prima volta nel 1917 (*) ha avuto molte applicazioni notevoli e ci ha condotto a risultati importanti. Lo scopo di questa Nota è di mostrare come la curvatura geodetica in un punto qualsiasi di una curva in una varietà qualunque può essere definita intrinsecamente per mezzo della nozione di parallelismo; questa definizione è un'estensione semplice di quella della curvatura ordinaria in uno spazio euclideo. Consideriamo una curva y în una varietà qualunque, dove il qua- drato dell'elemento lineare è dato da n (1) i SNTEVRIOAO 1 Sia s l'arco di y contato a partire da un'origine arbitraria. Siano PD e Q due purti di y infinitamente vicini corrispondenti a s e s+ ds. In Q, costruiamo la tangente a y e la parallela (secondo Levi- Civita) alla tangente in P. Se si designa con de l'angolo di queste dire- zioni, si definisce la curvatura geodetica di y in P, mediante la (2) Ora, in una varietà euclidea, il parallelismo di Levi-Civita coincide col parallelismo ordinario, sicchè l'angolo d© si identifica col cosidetto an- golo di contingenza, e per conseguenza la nostra definizione della curvatura geodetica coincide con quella della curvatura ordinaria. La definizione usuale della curvatura geodetica in un punto P di una curva in una varietà qualunque, data dal Bianchi (?), è la seguente: Sia 9 la geodetica in P nella direzione di y; sulle y e 9 si prendano uguali ele- (*) Nozione di pirallelismo in una varietà qualunque, e conseguente specificazione geometrica dello curvatura Riemanniana [Rendic. del Circolo Matematico di Palermo, tomo 42, 1917]. (?) Geometria Rifferenziale, 2% edizione, vol. I, pag. 363. — 354 — menti lineari PQ e PR; allora, la curvatura geodetica di y in P si defi- nisce come 1 _ tim 20F ORESTE la cuì espressione analitica si trova essere 1l n UD -> (dk) deidr ta (ik dx; di ETIENNE ANT) i Tk Ù Ali QIk 3) A pe cn Usi ass IE ds? n Vi ds si Vogliamo costruire l’espressione analitica di 1/o data dalla nostra defi- . nizione, e mostriamo che questa è d'accordo con quella data dal Bianchi. Designiamo con 4,, i valori in @ dei coefficienti della forma fondamen- tale (1), cioè dari ] Dt SE a d ari ds RO, di ds? (1) Ù (4) dr Uri | Sia &© il sistema contravariante (parametri) di una direzione generica uscente da P, con che (5) DE, IO EO SI; ds PE E, i RETE Cusianic ica E dst+3 05 ds* il sistema contravariante (parametri) di una direzione ud uscente da Q; avremo analogamente PE dev Sg - (6) NE dn (E + È ds + 3 5 as) X (I) 2500) x(80 4 Lo ds +1 E d)=1. ds La condizione che la direzione in Q sia parallela alla direzione in P è (°) dEM nh ‘1 7 er +3 (seno (MERE (7) Ue ce EI: dove = ds individua la direzione di trasporto PQ o la tangente in P. $ Ora, se E coincide con 21, la parallela in Q alla tangente in P ha i parametri MEAN dî al. od ds+ x ds? (= 102000006 MG ds (1) Per il nostro scopo, non è necessario di prendere lo sviluppo dei valori delle funzioni in Q@ al di là di termini del 2° ordine in ds. (2) Cfr. nota (1), pag. 7 -— 959 — colle condizioni (6°) XV, Gn(2 +1 Dili, ds +3 LI I9) x x(vi RI rg 1 di Te gg :)= 1, ds ds? r ik ” , (7) si EA Ai (Rn). Inoltre, se si designano con bee det; ds +3 di x dite gg (Eee) i parametri della direzione tangente in Q, questi sono legati dalla condizione sa; a! di. a’ ©) Fifa dadi) x(t gp he 1s°)= L. Ì. comodo di scrivere dr €, (E (8) DLL) 2 CEDA_N07 (i=1,2,404 8), dove le 8, sono funzioni di s, cioè dipendono dalle equazioni della curva y. Introduciamo anche le abbreviazioni (9) a, = MAIA (EE Si ha, finalmente, in Q, la parallela alla direzione tangente in P coi para- A da Nat 3 3 metri x, — @, ds — mi e la direzione tangente in @ coi parametri ; ") la, i , . xcr4 (Br a) ds + è (De Se e) ds°; questi parametri essendo legati dalle identità i Su dec rt, de) (Si iaia ds (ja — @ ds} SE ds le (10) De DE nl x.+(f, — a) ds +1} (d Pa cer) ds ) x Ì — 356 — L'angolo dw di queste due direzioni è dato da (11) cosdo=)_, în) xi ads —} (e) d d Xi ol + (i— e) ds + ani dat i. Per la prima identità (10), la (11) diviene (12) cosdo=1+)_. an (a7— a, ds 1 i. a )(# ds +3 ui &) 3 Sottraendo le due identità (10) membro a membro, si ha la. ( (13) 2I,an(oi—aris—i 7 Si (grana) ds ds + Da dn(8e 5 - ti 2 05°) (a. ds +3 È 1) A e sostituendo in (12), risulta (14) cosdo=1—} de 2 (8 ds +3 sE ds? ) (8 ds +3 Le °ag). Coll'espressione di &,, tornita dalla (4), e sviluppando, si ha subito (15) cos doe=1— 1 > 08, Bds* + (termini in ds?, ecc.). Ma (16) cosdm=1—1 (de) | .... Perciò (dm)? +... = DI, Uyt Pr Pi ds? - L e e quindi do\? a i SAN È (17) Us Vi re Br Be 1 i; 1 ae . ; da ti Finalmente, sostituendo i valori di 8, da (8), e scrivendo x, = " , gi ricava s 1 d? Ly (ch) da; ter d* x ik) dai dix (18) «= cl ds? al Si sy i sla DA 14 ds ds th | Pr \ ils che coincide con l'espressione analitica (8) trovata dal Bianchi. ie Matematica. — Nuovo metodo d’approssimazione per la so- luzione del problema di Dirichlet. Nota di M. PiconE, presentata dal Socio R. MaRcOLONGO. Fin dallo scorso agosto sono in possesso di alcuni nuovi risultati con- cernenti l'integrazione approssimata delle equazioni lineari alle derivate par- ziali del second’ordine totalmente ellittiche della fisica-matematica. Dietro l'autorevole incitamento del Prof. Marcolongo mi decido a comunicare alla Accademia dei Lincei, in forma molto riassuntiva, taluni di quei risultati dai quali scaturisce un nvovo metodo di calcolo approssimato per la solu- zione del problema di Dirichlet, metodo cne, a mio modo di vedere, può veramente proporsi al fisico. La sistematica esposizione di questi miei .studî è in corso di pubblicazione nel Journal de mathématiques pures et appliquées. 1. Le funzioni /;(8) , /,(8) . ... . /x(8) ,..-, costituenti una successione il- limitata, siano definite nell'intervallo (0 ,/), esse si diranno linearmente indipendenti in (0,1) se, per ogni valore di 2, sono tali le x +1 funzioni for fi», fn. Se le funzioni del considerato sistema illimitato [/x(s)] sono, ciascuna, di quadrato sommabile in (0 ,/), il sistema si dirà completo în (0,2), quando per ogni funzione /(s), definita in (0,/) ed ivi di quadrato sommabile, per la quale si ha simultaneamente Ù (8) /(9) ds=0 (0A 5 toro sAi6 toro; li7,— pr. (bill. 1485 19/=pr 152% 20= gr: 157: 21=gr. 161: 22= gr. 163: 23= er. 166: MEA i7009= er. 172: domen ro il or vi 29 1734380 er 1745 81 pr 02. Riebbralo 1°=or: 1/02 —=iprdv0=3 on 72; A— er 7050 — por 172; 6 gr 173: (02 es tor 12:89 — tor 70 or ren) 173; 13 = gr. 174; loco Midi oradz4,Aio—er. 473 16 or. Ind7 = are 176; 18=pr. IVI: d9i=sgn 00220 176: 21 = 17); 22 = gr. 170023 = gr. 173; 24 — ot 175; 25 = gr. 171; 26= gr. 173: 27 =gr. 173: 28= gr. 174. Marzo 1° or. 170: ( Alimentazione: farina di semi di Ercum Ervilia(95°/0). Caseina purissima(5°/o).2= gr. 165;3 = gr. 164; 4= gr. 164;5= gr. 164; 6= gr. 163; 7= gr. 165; $= gr. 164;9= gr. 166; 10= gr. 165; llf=orl65; al —iorili66 di or.0168; Td — or. L69515 —=er. d71; 16= or. 174, IT = gr. 173; 18=gr. 173; 19= gr. 173; 20=gr. 174; 21= gr. 172; 22=gr. 172; 23= gr. 174; 24= gr. o_o elilea26/— or Ml or 176; sera PISGCO.: 29 = gr. 168; 30 = gr. 170; 31= gr. 170. Aprile 10= gr. 170;2= or. 169;8= or. 169; 4=gr. 170. In 80 giorni l’animale ha guadagnato 5 grammi di peso, ed alla fine dell’osserva- fiione continua a mostrarsi in ottime condizioni di salute. Rarto D, bianco, maschio, si mette in esperimento il 6 febbraio del 1922. Pesa gr. 230, almeno apparentemente è in ottime condizioni di salute. Si alimenta col seguente miscuglio: farina di semi di Ervum Ervilia (90°/o e caseina purissima 10°/, Nei giorni di osservazione il peso si comporta come è appresso indicato: Febbraio 7= gr. 224; &= gr. 220; 9=gr. 221; 10=gr. 225; 11 = gr. 224; 12= gr. 220; 13= gr. 221; pier Roia 227 ae Vea Line SEZ dle = Spe 20= gr. 224; 21= gr. 224; 22= gr. 222; 23= gr. 224; 24=ogr. 20 = gr. 228; 26 = gr. 222; 27= gr. 223; 28 = gr. 222. Marzo 1°= gr. 222; 2= gr. 223;3= gr. 225; 4= gr. 225; 5= gr. 225; 6=gr. 228; 7=gr. 226: &= gr. 226; 5 297; 10= gr. 226; 11 = gr. 228; 12= gr. 230; 13= gr. 231; 14=gr. 280; 15= gr. 227. (Alimentazione: farina di semi di a Ervilia 95°/o e caseina purissima 59/0). 16= gr. 221; 17 = gr. 220; 18=gr. 224; 19= gr. 223; 20=gr. 225; 21= gr. 222; 22= gr. 225; 23= gr. 24= gr. 26 = gr. 20/— pntdal, 20 gr. 220; 28 = gr. 228; 29 = gr. 228: 30=gr. 229; 81 = gr. 229. Aprile 1°= gr. 230; 2= gr. 229; 8= gr. 227; 4= gr. 225; 5=gr. 227; 6= gr. 228; 7= gr. 225; 8= gr 225. — 394 — In 62 giorni l’animale ha perduto 5 grammi di peso. Alla fine. dell’osservazione continua a mostrarsi in ottime condizioni di salute. Dai dati sopra riportati possiamo rilevare: 1° Che, i ratti, ì quali rifiutano in genere la farina di Zrvum Arvilia(*), la mangiano invece ed in quantità tali da sopperire ai loro fabbisogni ener- getici quando ad essa si aggiunge della caseina. 2° Che, con un miscuglio di farina di ervo e caseina nelle propor- zioni rispettive variabili dal 90 al 950/06 dal 10 al 59%, è possibile man- tenere in equilibrio di peso i ratti per un periodo di tempo certamente superiore ai tre megì. : 5° Che, nessun fatto morboso apparente si manifesta nei ratti alimen- tati esclusivamente, e per un periodo di tempo di almeno tre mesi, con miscugli di farina di ervo e di caseina nelle proporzioni sopra indicate. Zoologia. — Zo stomaco della larva di Anopheles claviger Fabr. e la dualità delle cellule mesointestinali degli Insetti (?). Nota II preliminare del dott. EnrIco FEDERICI, presentata dal Socio B. Grassi (°). Altri caratteri istologici, differenziali e costanti, tra le due metà dello stomaco dell'anofele, sono posti in evidenza dall'esame delle sezioni che pas- sano attraverso la cavità e quindi interessano le pareti dello stomaco, taglian- done le cellule secondo l'asse apico-basale. In corrispondenza col predominio delle cellule grandi nella metà ante- riore, questa regione sì colora molto meno intensamente della posteriore. Complessivamente. l'epitelio a cellule grandi è più basso di quello a cellule piccole, onde i suoi elementi appaiono molto larghi: effettivamente, il loro diametro trasverso è sempre maggiore del diametro apico-basale (mentre nelle cellule piccole avviene il contrario). I limiti tra cellula e cellula sono poco evidenti; i nuclei distanziati, ovali o tondeggianti, con la cromatina avvolta in uno spirema a maglie piuttosto rade (e quindi a struttura evidentemente filamentosa), occupano posizioni variabili nell'interno della cavità cellulare. Nella maggior parte dei casi non ho potuto mettere in evidenza una strut- (1) S. Visco, Sul valore alimentare dei semi dell'Ervum Ervilia. Nota I. Rew diconti della R. Accademia Nazionale dei Lincei vol XXX fascicolo 5° e 6° 1921. (2) Lavoro compiuto nell'Istituto di Anatomia comparata dell’Università di Roma (3) Presentata, insieme alla Nota precedente, nella seduta del 5 marzo 1922. — 395 — tura identificabile col rabdorio (che, invece. si presenta distintamente nelle cellnle piccole): in alcuni altri esistono elementi con un margine, striato trasversalmente, che potrebbe essere interpretato come un rabdorio molto basso. A seconda dei diversi individui esaminati, le cellule grandi possono presentare differenti aspetti: talvolta hanno un citoplasma di apparenza uni- forme o a struttura finissimamente granulare; in altri casi invece si possono notare alcune gocciole di secreto, perfettamente jaline, che si trovano so- prattutto nella parte apicale dell’elemento; infine, in altri casi ancora, le gocciole jaline sono grandemente aumentate di numero e un po’ anche di grandezza. addensandosi nel lume cellulare, di cui occupano spesso una parte ragguardevole. Talvolta il nucleo appare trascinato verso l'apice della cel- lula dall'abbondanza del secreto. Molto probabilmente le suddette gocciole perdono la loro individualità nel filtrare attraverso Ja membrana o appena fuoruscite nel lume intestinale, giacchè non le ho mai trovate nello spazio interposto fra l’epitelio e la peritrofica. Mi sembra ovvio interpretare gli aspetti, precedentemente descritti, «delle cellule grandi, come successivi stadii di un processo di secrezione di succhi digestivi. i Malgrado il numero degli individui attentamente esaminati, non ho potuto sorprendere il momento della rinnovazione dell’epitelio a cellule grandi, mediante la sostituzione di nuovi elementi ai vecchi, e perciò inclino a credere ch'esso si verifichi più raramente, rispetto alla metà posteriore dello stomaco. Le cellule piccole, che (come ho detto) predominano in quest’ultima re- gione, si distinguono sempre dalle cellule grandi proprie della metà ante- riore, sia per la loro più intensa colorabilità. sia per le minori dimensioni, sia per la presenza di un rabdorio più o meno sviluppato. Pur conservando costantemente questi caratteri generali, il loro aspetto può presentarsi in modo alquanto diverso, a seconda degli individui esaminati, e le loro varia- zioni possono ricondursi a due disposizioni fondamentali, tra cui si rinven- gono tutti i gradi di passaggio: A) Incerti casi le cellule piccole hanno forma cilindrica e sono piut- tosto alte; la loro larghezza è variabile, ma l’asse trasverso massimo è sempre minore dell'altezza apico-basale (nelle cellule grandi avviene il contrario). Il rabdorio è molto evidente e i suoi bastoncelli s'impiantano direttamente sul margine interno della cellula; essi non presentano (almeno coi metodi ordinarii di colorazione) quella linea di punti nodali, che è stata riscontrata in altri casi alla base dei bastoncelli e che indica il confine tra questi e il citoplasma propriamente detto. I nuclei delle cellule che si trovano in questo stadio hanno una posizione variabile, ma più spesso si trovano nella metà basale della cellula; il citoplasma è finissimamente granulare. e in certi — 396 — casi (che io giudico rappresentare, cronologicamente, lo stadio più anteriore del processo secretorio) non ha gocciole o vacuoli di sorta. A fianco di queste cellule (nello stesso individuo) si possono trovarne altre, con qualche rara gocciolina. di secreto, sia nella cavità cellulare, sia impigliata nei bastoncelli del rab- dorio, sia infine nello spazio della cavità intestinale, interposto fra l'epitelio e la peritrofica. Le dette gocciole sono tondeggianti, jaline (cioè non granu- lose) e non assumono i coloranti adoperati. In questo stadio le zone di rigenerazione dell'epitelio sono pochissimo evidenti ed hanno la forma di punti, intensamente colorati (corrispondenti ai nuclei degli elementi futuri), intercalati qua e là tra le basi delle cel- lule adulte. B) In altri casi, l’epitelio costituito da cellule piccole si trova in una diversa condizione (che considero come rappresentante uno stadio della vita delle singole cellule, nonchè una fase del processo secretorio, cronolo- gicamente posteriori a quelle sopradescritte). In essa tutto l’epitelio è note- volmente più basso, i nuclei meno vivamente colorati, le gocciole sul mar- gine della cellula e nel lume intestinale più numerose. Nella parte basale dell'epitelio (in tali condizioni di evidente involuzione) si notano, con evi- denza maggiore o minore, a seconda dei casi, una fila di nuclei per lo più circondati da un piccolo alone di citoplasma intensamente colorato. Mi sembra ovvia l’identificazione di tali nuclei con quelli di elementi giovani, destinati ad accrescersi rapidamente e a sostituire quelli in disfacimento, non appena questo sia compiuto. Uno stesso individuo non presenta mai, nella metà posteriore dello stomaco, contemporaneamente ambedue gli stadii descritti in A) e in B), bensì l'uno o l’altro dei due. Tanto negli individui che si trovano nella condizione A), quanto negli individui della condizione B), tutta la parte dello stomaco occupata dalle cellule piccole presenta lo stesso aspetto, oppure ha soltanto piccole variazioni. Queste ultime si verificano ordinariamente nel senso, che le cellule più vicine alla valvola pilorica si trovano in istadii alquanto posteriori a quelli in cui contemporaneamente si trovano le cel- lule situate più anteriormente. La costanza di tali reperti e il numero considerevole degli individui esaminati mi autorizzano a formulare due conclusioni : a) la produzione e il disfacimento degli elementi piccoli non avven- gono isolatamente, ma presso a poco simultaneamente, in tutta la zona da essì occupata; 5) la loro attività è presso a poco sincrona e si svolge iniziandosi dall'avanti e proseguendo verso l’indietro. Da tutto il complesso dei fatti suesposti, si può dedurre una conclu- sione, che mi sembra assolutamente ovvia: nell'intestino medio della larva di anofele esistono e rimangono separatamente individuate, almeno nell’in- — 397 — tervallo fra uni muta e la sua successiva, due sorta di cellule, distingui- bili per molteplici caratteri strutturali ('). Una dimostrazione della diversa natura ed ufficio delle cellule grandi e delle cellule piccole si può anche raggiungere, da un punto di vista fisio- logico: 4) esaminandone il comportamento in presenza delle così dette « co- lorazioni vitali »: 2) provocando sperimentalmente, nelle une e nelle altre, la localizzazione specifica di certe sostanze, tali da potersi somministrare mescolate col cibo e da potersi facilmente identificare. Ho eseguito alcuni esperimenti appunto con le colorazioni vitali. adoperando successivamente il bleu di metilene, il rosso neutro, il violetto di genziana e (per consiglio della prof. Foà[®]) il liquido di Giemsa; in complesso, i risultati ottenuti con queste sostanze (pur offrendo qualche incertezza, perchè non tutti i co- loranti usati si sono dimostrati veramente innocui) confermano i reperti otte- nuti coi metodi istologici. Per es. lo stomaco delle larve mantenute in so- luzione acquosa di rosso neutro sì presenta nella metà anteriore colorato in rosso-bruno 0 rosso-marrone, mentre la metà posteriore è di un bel rosso- vermiglio. Analogamente. il violetto di genziana colora la metà anteriore in rosso-violaceo e la posteriore in giallo-ranciato (v'è talvolta una zona inter- media, di un violetto non molto intenso) (*). () È opportuno notare che queste due sorta di cellule non hanno la stessa forma in tutte le specie di Insetti, presso le quali sono state riscontrate, c appunto nell'anofele le cellule fisiologicamente equivalenti ai calicociti del Deegener sono eubiche o subcilindriche allargate e le cellule fisiologicamente equivalenti agli sferociti sono cilindriche e pint- tosto allungate. D'altra parte, il vocabolo « calicociti » si riferisce alla forma dell'elemento, mentre l'altro vuole indicare la caratteristica forma di sferule assunta dalle gocciole di secreto delle rispettive cellule: per evitare l'ambiguità provocata da questa nomenclatura e considerando altresì che la differenza essenziale sta nella funzione | . cui espressione morfologica può essere diversa a seconda dei casi), propongo di chiamare crinociti le cellule esclusivamente secernenti e rofeocrinociti le cellule secernenti-assorbenti. (2) La prof. Foà mi ha comunicato i risultati sommarii di due esperimenti, da lei compiuti con liquido di Giemsa su larve piccole e grandi. È per me doveroso render noto questo contributo portato alla soluzione del problema dalla prof. Foà, cui rinnovo i miei ringraziamenti. (3) Le ricerche compiute dalla Genna (Ricerche sulla nutrizione deli’ Anopheles claviger, Arch. zool. ital., vol. X, 1921, pp. 15-34) sull’anofele alato, confermano le mie conclusioni: in complesso (nonostante alcune divergenze secondarie) lo stomaco dell’ano- fele alato risulta diviso in due parti, i cui caratteri strutturali e funzionali sono diversi. RENDICONTI. 1922, Vol XXXI, 1° Sem. 51 — 398 — PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente VoLTERRA annuncia che sono presenti vari Soci e nume- rosi scienziati stranieri, convenuti in Roma per le assemblee generali del- l' Unione Internazionale astronomica e geodetico-geofisica. Dà a tutti il ben- venuto a nome dell'Accademia, la quale è lieta di raccogliere nella propria sede, secondo l'ideale perseguito da Quintino Sella, i rappresentanti della Scienza qui giunti da ogni parte per i loro lavori. Lo stesso PRESIDENTE dà poi il triste annuncio della perdita che l'Ac- cademia ha fatto nelle persone del Corrispondente prof. ORAZIO TEDONE, tragicamente scomparso per un disgraziato accidente, e del Socio straniero prof. A. GuyE; e di entrambi ricorda i meriti scientifici e i principali lavori. * * x ‘‘ommemorazione del Socio straniero prof. C. JorDAN, letta dal Socio L. BIANCHI ('): Al lutto della scienza francese per la morte di CamiLLo JORDAN, avve- nuta a Parigi il 21 gennaio scorso, si associa questa Accademia, che già fino dal 1895 annoverava l’insigne matematico fra i suoi Soci stranieri. Nella eletta schiera degli scienziati che hanno onorato ed onorano la Francia, Egli ha occupato un posto cospicuo per l'importanza delle sue sco- perte. e per l'impulso che il suo insegnamento ed i suoi libri, diffusi in tutto il mondo matematico, hanno dato allo sviluppo della scienza. Camille (Marie Ennemond) Jordan nacque, il 5 gennaio 1888, à la Croix Rousse (comune ora incorporato a Lione) da Alessandro Jordan inge- gnere, che fu poi deputato all’assemblea nazionale. Compiuti gli studî se- condarî nel Liceo di Lione, entrò nel 1855 nella celebre Scuola Politecnica, nel corpo degli ingegneri delle miniere, e quivi conseguì il diploma, eserci- tando poi la professione d'ingegnere à Chàlons sur Saòne fino al 1867, indi a Parigi. conseguito nel 1861 a Parigi il grado di Docteur de Sciences mathé- matiques, cominciò la carriera dell'insegnamento nel 1873 quale esamina- tore nella Scuola Politecnica, dove nel 1876 divenne professore. Al Collegio di Francia, dopo avere per qualche tempo supplito al Serret, venne nomi- (*) Debbo ringraziare per le indicazioni biografiche il professore EpoarDo JoRDAN, figlio del defunto, e per altre indicazioni e per l'elenco dei lavori il professore H. VILLAT dell'Università di Strasburgo, organizzatore del Congresso e redattore del Journal de Jordan. l — 399 — nato professore nel 1883, e conservò i due uffici tino al 1912, anno nel quale sì ritrasse a riposo e venne nominato professore onorario in ambedue gli Istituti. All’Accademia delle Scienze apparteneva dal 1881, e fin dal 1885 dirigeva il Journal de mathématiques. Basta uno sguardo all'elenco delle sue pubblicazioni per riconoscere in quanti e svariati campi della ricerca matematica si è esercitata la sua atti- vità. E ben grande diventa l'ammirazione ove più profondamente si esamini la sua opera che di molti nuovi veri ha arricchito la scienza, con genialità di nuove vedute e con rara potenza di penetrazione. Sono ricerche di geo- metria, d'algebra, di aritmetica e d'analisi che si alternano in questi studî originali, primeggiandovi quelle questioni sulla teoria dell'ordine che eser- citavano su di lui la maggiore attrazione. Tale predilezione vediamo già affermarsi nei primi lavori di C. Jordan; così nella Memoria sui poliedri classificati, dal punto di vista della geo. metria di situazione, a seconda dei loro aspetti, in modo estremamente semplice ed ingegnoso. Questa Memouria, dietro un bel rapporto di Bertrand inserito nel T. 67 dei Comptes Rendus, venne accolta nel Recueil des Sa- vants étrangers. Allo stesso campo appartengono le ricerche sulla deforma- zione delle superficie considerate, nel senso della Analysis situs di Riemann, come perfettamente flessibili ed estendibili. Ivi si determinano le condizioni necessarie e sufficienti per la rappresentabilità biunivoca continua di una superficie sopra un’altra, e si dimostra che gli invarianti di deformazione sono dati dal numero dei contorni e dal genere. Ancora alla geometria, in un indirizzo più elementare, appartiene l'Essai sur la géometrie è x dimen- sions, che è uno studio metrico delle formole di geometria analitica per le varietà lineari negli iperspazî. Ma il campo maggiore, nel quale si esercitarono, col più fortunato sue- cesso, le eminenti qualità inventive di C. Jordan, lasciandovi tracce durevoli e profonde, è il campo schiuso dal genio di Galois nella teoria dei gruppi e delle equazioni algebriche. Per quest'opera di lunga lena. compiuta con singolare penetrazione e perseveranti studî, ben a ragione C. Jordan venne. riguardato come continuatore di Galois. È noto come la scoperta fondamentale di Galois, che ad ogni equazione algebrica, fissato il campo di razionalità, associava un determinato gruppo di sostituzioni sulle radici, gruppo dalla cui struttura dipendono le proprietà dell'equazione, e tutta la serie di proposizioni enunciate da Galois senza dimostrazione nella celebre lettera a Chevalier, solo dopo qualche tempo apparvero in tutta la loro importanza ai matematici. È al nostro Betti che appartiene il merito di avere, per il primo, pe- netrate le geniali idee di Galois e di aver dato, nel 1852, la dimostrazione completa della serie di quei teoremi, che accolti poi nel trattato d’'algebra del Serret divennero ben presto patrimonio comune dei matematici. — 400 -- Ma, per tal modo, erano posti soltanto i fondamenti dell’edificio che doveva sorgere sotto l'impulso delle nuove idee, di meravigliosa potenza e fecondità. Innanzi tutto era la teoria dei gruppi di sostituzioni, fino allora appena abbozzata, e nella quale cominciavano a delinearsi le tre nozioni fondamentali della transitività, della primitività e sopra tutto della compo- sizione del gruppo, che domandava un maggiore e completo sviluppo; e nelle applicazioni alla teoria delle equazioni il primitivo problema della risolubi- lità per radicali appariva ora come un primo anello soltanto nella serie di ricerche che concernono la classificazione degli irrazionali algebrici e lo studio della loro mutua dipendenza. Le perseveranti ricerche di Jordan sì volsero appunto all'attuazione del- l'importante disegno, e dopo una serie di Memorie nelle quali si trattavano i problemi fondamentali delle due teorie, Egli pubblicava nel 1870 il ce- lebre: /ra:té des substitutions et des équations algébriques. Quest'opera, che l'autore volle nella prefazione indicare come un commento a Galois, venne giustamente riguardata quale un monumento elevato alla sua memoria, dove nella costruzione delle varie parti, e nel suo compimento, grande è il merito che spetta a C. Jordan. Difficilmente potrebbe un'analisi succinta descrivere tutta la ricchezza delle conquiste contenute in quest'opera. e per la parte che riguarda la teoria pura dei gruppi e per quella che ne tratta le applicazioni alle equazioni alge- briche, le quali due parti del resto, conforme appunto ai concetti fondamen- tali di Galois, vengono qui ad unirsi e a compenetrarsi intimamente fra loro. Nella teoria dei gruppi, fra i principali risultati delle ricerche di C. Jordan, basti ricordare la nozione dei fattori di composizione, numeri essenzialmente legati al gruppo, i molteplici teoremi sui gruppi transitivi e sul limite del grado di transitività, i teoremi sui gruppi primitivi ed imprimitivi, in fine lo studio dei gruppi particolari più importanti e della loro rappresentazione analitica. Nelle applicazioni alla teoria delle equazioni, abbiamo lo studio approfon- dito dell'effetto che produce sul gruppo di Galois di un'equazione l'’amplia- mento del campo di razionalità, poi le ricerche sul gruppo di monodromia delle equazioni con uno o più parametri, e la dimostrazione del fatto importante che il gruppo di monodromia è sempre un sottogruppo invariante del gruppo algebrico. Gli interessanti problemi che provengono dalla geometria, come il pro- blema di Hesse pei nove flessi di una cubica piana, quello delle sedici rette della superficie del 4° ordine con conica doppia, dei punti e piani singolari della superficie di Kummer, il problema delle 27 rette della superficie ge- nerale del 3° ordine offrono a Jordan un bellissimo campo per le applica- zioni della teoria, dove le proprietà delle relative configurazioni geometriche vengono utilizzate per lo studio del gruppo corrispondente, per la determi- — 401 — nazione dei suoi fattori di composizione e la formazione delle diverse risol- venti, nel loro significato geometrico. Le equazioni che si presentano nella teoria delle funzioni ellittiche, nei problemi di divisione e di trasformazione, e i problemi analoghi per le funzioni iperellittiche, trovano ampia trattazione; così i metodi di Hermite, Kronecker e Brioschi per la risoluzione dell'equazione generale di 5° grado per trascendenti ellittiche. Il problema della trisezione dei periodi nelle funzioni iperellittiche con p=2 porta ad una risolvente del 27° grado il cui gruppo si identifica con quello per la equazione da cuì dipende il problema delle 27 rette della superficie del 3° ordine. L'ultima parte dell'opera, il Libro 4°, che ocenpa più della terza parte del volume, è tutta dedicata all'importante studio della risolubilità per ra- dicali. Movendo dalle prime ricerche di Galois, che risolvevano il problema per le equazioni di grado primo, e dalle brevi indicazioni da lui lasciate pei gradi composti, il Jordan ha potuto erigere una teoria completa della risolubilità per radicali risolvendo gradatamente i varî problemi che si pre- sentavano e sviluppando così fino alle ultime conseguenze le idee di Galois. Posteriormente alla pubblicazione del trattato, Jordan è ritornato su varî punti della teoria, semplificandone ì procedimenti e risolvendo nuove que- stioni. Ad una seconda edizione del libro, da molti desiderata, non ha mai voluto risolversi, chè gli studî ulteriori da lui compiuti, e insieme lo svi- luppo preso dalla teoria per le ricerche di altri matematici, avrebbero do- mandato una rifusione completa del trattato colla conseguente temporanea rinuncia ad altre sue ricerche originali. Fra le Memorie attinenti alla teoria dei gruppi rileviamo ancora quella sua antica del 1869 sui gruppi di movimenti, che interessano anche la cristal- lografia. Ivi Jordan considera insieme i gruppi discontinui e quelli continui, pre- venendo in questo campo le teorie di Sophus Lie, senza introdurre la nozione delle trasformazioni infinitesime generatrici fondamentali nelle teorie di Lie. In un’altra importante Memoria, pubblicata nel tomo 84 del Giornale di Crelle, il Jordan, per lo studio delle equazioni differenziali lineari inte- grabili algebricamente, tratta il problema generale della costruzione dei gruppi finiti di sostituzioni lineari in un numero qualunque di variabili. Ingegnose considerazioni delle sostituzioni affini nel gruppo e dei sottogruppi con queste permutabili, gli permettono di costruire un'equazione d'analisi indeterminata che lega l’ordine del gruppo cogli ordini dei detti sottogruppi, equazione fondamentale dalla cui discussione completa dipende la risoluzione del problema e la classificazione dei varî tipi possibili, in ogni caso in nu- mero finito. Oltre a questi lavori sistematici sulla teoria dei gruppi e delle equa- zioni algebriche, la produzione scientifica di C. Jordan contiene una serie di belle ricerche algebriche ed aritmetiche sulla teoria delle forme quadra- — 402 — tiche e superiori, concernenti i fondamentali problemi dell'equivalenza alge- brica ed aritmetica e la riduzione delle sostituzioni lineari. Nell’indirizzo aritmetico ricorderemo il risultato capitale e di grande generalità, per le forme di qualunque grado, che assicura essere finito il numero delle classi. Non meno notevoli sono le ricerche di Jordan nel campo dell'analisi. Qui le sue cure maggiori si volsero alla redazione del suo celebre Cours d’ Analyse de l'École Polytechnique in 3 volumi, che riassumono le lezioni da lui dettate in varî anni alla Scuola Politecnica ed al Collegio di Francia, ed espongono in un quadro di mirabile composizione le principali teorie del calcolo differenziale e integrale e dell'analisi. Alla prima edizione del libro, nel 1882, altre due ne seguirono, l’ul- tima nel 1909, ogni volta corredate di aggiunte e nuovi perfezionamenti. Il grande successo del libro, che ha trovato posto in tutte le biblio- teche matematiche pubbliche e private, in Francia ed all’estero, è ben giu- stificato dal suo intrinseco valore e dalla magistrale esposizione nella quale eccellono gli scrittori francesi. Le ricerche dell'odierna analisi rigorosa delle funzioni di variabile reale trovarono nel Jordan uno dei primi espositori in Francia; ma ben più Egli ha efficacemente contribuito a questi studî intro- ducendovi importanti e fondamentali nozioni, come quella di funzioni a va- riazione limitata e l’altra delle curve chiuse, nel senso più generale, le quali vengono ormai dette universalmente curve di Jordan. Infine i primi nuovi concetti di misura, così importanti nella moderna teoria dell’ integra- zione, vennero da lui introdotti nella scienza. Se le opere matematiche di Camillo Jordan resteranno sempre ad atte- stare la genialità dello scienziato, ben a lungo la memoria dell’uomo egregio, delle virtù del suo carattere fermo insieme e modesto nel suo grande va- lore, vivrà in quanti lo conobbero e lo venerarono. Molti di noi ricordano, al congresso matematico dell'aprile 1908 qui in Roma, la figura dello scien- ziato così semplice ed affabile nei modi, che attirava la simpatia di tutti al solo vederlo, ancora prima che il suo nome pronunziato destasse l’ammi- razione. Sei anni più tardi la spaventevole guerra travolgeva nel suo turbine la Francia e l'Europa, e fra le famiglie più colpite era quella numerosa di C. Jordan. Tre dei suoi figli, ed un figlio ancora del maggiore suo figlio, «cadevano in campo. Fermo nel suo dolore e nella grandezza del sacrificio offerto alla patria, Camillo Jordan attendeva la vittoria. E questa venne, gloriosa e completa, a rischiarare i suoì ultimi giorni. ELENCO DELLE PRINCIPALI PUBBLICAZIONI DI C. JORDAN (omesse le Note nei « Comptes Rendus de l’Académie »). . Sur le nombre des valeurs des fonetions (Journal de l'École Polytechnique, 1861). . Sur la déformation des surfaces (Journal de Liouville, 1866). . Recherches sur les polièdres (Crelle’s Journal, Bd. 66, 68, 1866). . Lettre à Liouville sur la résolution algébrique des équations (Journal de Liouville, 1867). HH 03 DD o 0 ll Dì — 403 — . Sur la stabilité de l'équilibre des corps flottants (Annali di matematica, 1867). . Mémoire sur îa résolution algébrique des équations (Journal de Liouville, 1867). . Mémoire sur les groupes de mouvements (Id., 1868). . Théorèémes sur les équations algèbriques (Id., 1869). . Traité des substitutions et des équations algebriques (Gauthier Villars, 1870). . Mémoire sur la résolution alrébriques des équations les unes par les autres (Journal de Liouville, 1871). . Théorèmes sur les groupes primaitifs (Id., 1871). Recherches sur les substitutions (Id., 1872). . Sur la forme canonique des congruences du deuxiòme degrò et le nombre de leurs solutions (Id., 1872). . Sur la limite de transitivité des groupes non alternés (Bulletin de la Societé Mathem., 1873). . Sur le mouvement des figures dans le plan et dans l'espace (Journal de Liouville, 1873). . Mémoire sur les groupes primitifs (Id., 1873). . Questions de probabilité (Id. 1873). . Mémoire sur les formes bilinéaires (Journal de Liouville, 1874). . Mémoire sur la reduction et la transformation des systèmes quadratiques (Id., 1874). . Mémoire sur une application de la théorie des substitutions è l'étude des équations différentielles linéaires (Bull. Soc. Math., 1874). . Sur la stabilité de l’équilibre d’un solide pesant posé sur un appui courbe (Journal de Liouville, 1875). . Sur la limite du degré des groupes primitifs qui contiennenta une substitution donnée (Crelle’s Journal, Bd. 79, 1875). . Essai sur la géométrie à n dimensions (Ball. Soc. Math., 1875). . Mémoire sur les covariants des formes binaires (Journal de Liouville, 1876). . Sur une classe de groupes d'ordre fini contenus dans les groupes linéaires (Bull. Soc. Math, 1877). : . Mémoire sur les caractéristiques des fonctions Thèta (Journal de l'Ecole Polytechni- que 1879). . Mémoire sur l’équivalence des formes (Id., 1880). . Sur la réduction des substitutions linéaires (Id., 1880). . Sur les conditions de convergence de certainès séries multiples (Bull. Soc. Math., 1881). . Mémoire sur les équations differentielles linéaires à intégrale algébrique (Crelle’s Journal, Bd, 84, 1881). . Cours d'Analyse de lÉcole Polytechnique. Première Édition Paris, Gauthier Vil- lars, 1882 (denx éditions ultérieures, la dernière en 1909). Sur la théorie arithmétique des formes quadratiques (Journal de l'École Polytechni- que, 1882). . Discours sur J. A. Serret (Bulletin des Sciences Mathématiques, 1885). . Sur la transformation d'une forme quadratique en elle-méme (Journal de Mathém a- tique, 1888) . Georges Halphen (Id., 1889). . Remarques sur les intégrales définies (1A.; 1892). . Nouvelles recherches sur la limite de transitivité des groupes que ne contiennent pas le groupe alterné (Id., 1895). . Sur les groupes d’ordre p” q° (Id. 1898). . Charles Hermite (IQ., 1901). . Mémoire sur les formes quadratiques, suivant un module premier p, invariantes par une substitution linéaire donnée (Il., 1905). — 404 — 41. Reéduction d'un reseau de formes quadratiques ou bilinéaires (Td., 1906). 42. Suite du mémoire précédent (Id., 1907). 43. Groupes abéliens généraux dans les groupes linéaires Ad moins de 7 variables (14 1907). 44. Sur le nombre des solutions de la congruence (ax) =A 'mod. M) (Id., 1911). 45. Des polynimes invariants par une substitution linéaire (Id., 1914). 46. Memoire sur les yroupes résolubles (Id., 1917). 47. Sur la classification des constellations (Comptes-Rendus du Congrès International de Strasbourg, 1920). 4g. Sur une équation du (6è2me degré (Crelle’s Journal, Bd. 70, 1869). 49. Sur les assemblages de lignes (IA., 1869). DI * * X% L’Accademico Segretario G. CasrtELNUOvo legge la seguente Comme- morazione del Socio straniero prof. Max NoETHER. Max No=THER, che la morte ci tolse il 13 dicembre scorso, è uno dei più insigni rappresentanti di quell’indirizzo algebrico-geometrico che ebbe rigo- glioso sviluppo nel secolo xix. La nostra Accademia, la quale già trent'anni or sono elesse Socio il Néther. consentirà che io parli brevemente delle prin- cipali opere di lui. Nato a Mannheim il 24 settembre 1844, egli seguì corsi di matematica ed astronomia alla specola di quella città e successivamente alle Università di Heidelberg col Kirchhoff, di Giessen e Gottinga col Clebsch. Fu quest’ul- timo scienziato che esercitò il maggiore influsso sulla mente del giovane Néther e determinò l'indirizzo delle sue ricerche. Il Clebsch dalla celebre Memoria di Riemann sulle funzioni abeliane aveva tratto copiose e belle applicazioni alla teoria delle curve algebriche. Ma il suo programma, interrotto dalla morte precoce, doveva esser più vasto. È verosimile che il Clebsch abbia intuito qual vantaggio risentirebbe l’al- gebra geometrica quando coi proprî mezzi potesse stabilire quelle proprietà algebriche che nell'opera di Riemann figurano come ultime e non essenziali conseguenze ottenute con metodi estranei alla loro natura. Non si trattava di ubbidire alle aspirazioni al purismo che hanno pur dominato nella seconda metà del secolo scorso; la veduta era molto più alta, giacchè si poteva pre- vedere (e la previsione fa poi confermata) che procedimenti più diretti e spontanei avrebbero portato una maggior luce sulle proprietà delle curve algebriche e avrebbero permesso di estendere parecchi risultati alla teoria della superficie, per la quale i metodi trascendenti non erano ancora maturi. Questo programma ha potuto realizzare pienamente il Nother in una parte della sna opera. Valse ad aprirgli la via un teorema fondamentale della teoria dell’eliminazione, il quale fissa le condizioni perchè una forma algebrica possa scriversi come combinazione lineare di altre due forme asse- gnate. Già in uno dei suoi primissimi scritti (1869) egli perviene al teorema — 405 — sotto alcune restrizioni, e più volte vi ritorna nel corso della sua carriera scientifica per estenderne via via le condizioni di validità. Grazie alle pubblicazioni del suo scopritore ed a quelle dei numerosi geometri che hanno proseguito le ricerche sull'argomento, il teorema fondamentale di Nother ha oggi una letteratura vastissima. Da esso il Néther, in un lavoro (1873) scritto in collaborazione con un altro nostro socio straniero, il Brill, dedusse il così detto /eorema del resto, che nella trattazione alsebrica delle curve piane compie un ufficio analogo a quello che ha, nella trattazione trascendente, il celebre teorema di Abel sugli integrali di differenziale algebrico. Partendo da queste proposizioni i due autori nel lavoro citato discutono a fondo e quasi esauriscono qnella parte del programma sopra esposto che riguarda le curve piane. Subito dopo (1874) il Nòther mette alla prova i metodi di cui era in possesso per affrontare il problema ben più difficile relativo alle superficie. Si tratta di stabilire quelle proprietà e quei caratteri delle superficie alge- briche che sono invarianti di fronte alle trasformazioni birazionali. Dai lavori che egli ha dedicato a questo argomento, meglio forse che dal resto della sua produzione, si può giudicare la profondità dell'ingegno del nostro mate- matico, e la potenza della sua intuizione. I mezzi di cui egli dispone non hanno ancora raggiunto la perfezione necessaria per vincere tutti gli ostacoli presentati dall'arzomento sino allora inesplorato; il procedimento per ana- logia, strumento così potente di indagine scientifica, lo avrebbe condotto facilmente a previsioni fallaci; eppure egli sa tracciare con mano maestra tutte le linee essenziali della nuova teoria. Le ricerche che proseguirono le sue hanno potuto completare in qualche punto l'edifizio, ma l'ossatura cen- trale è rimasta immutata, e le proprietà da lui scoperte ed ormai stabil- mente acquisite alla scienza resteranno per sempre legate al suo nome. Alle ricerche di cui sinora ho parlato altre si riattaccano. Così il lavoro redatto col Brill costituisce la base della Memoria sulle curve algebriche sghembe che nel 1882 ottenne, insieme ad una monografia dell’Halphen sullo stesso argomento, il premio Steiner dell'Accademia di Berlino. In quella memoria vengono stabilite molte notevoli proprietà delle dette curve e sono suggeriti alcuni criteri di classificazione proiettiva che vengono poi applicati alle curve dei primi ordini. Alla teoria delle superficie si connettono i lavori dedicati a quelle par- ticolari superficie che possono porsi in corrispondenza birazionale con un piano. Già il nostro Cremona e il Clebsch avevano esaminato particolari tipi di superticie razionali. Spetta però al Néther il merito di aver dato per primo dei mezzi per stabilire la razionalità di ampie famiglie di superficie. ‘ Mirabile per l’acume con cui vengono risolte delicate questioni di algebra è uno dei primi lavori del Nòother, presentato nel 1870 all'Università di Heidelberg per ottenervi l'abilitazione all’ insegnamento, e destinato a dimo- RenDpICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 52 — 406 — strare la razionalità delle superficie che contengono un fascio razionale di curve razionali. In questo scritto si prova incidentalmente il teorema che ognì trasformazione cremoniana del piano è risolubile nel prodotto di trasfor- mazioni quadratiche, e vengono ridotti a tipi semplici i sistemi lineari di curve razionali. Allo stesso ordine di idee appartiene un gruppo di impor- tanti lavori (1878-1889) ove sono fissate le condizioni perchè sia razionale una superficie rappresentabile sopra un piano doppio. Queste ricerche si son rivelate veramente essenziali in tutto lo sviluppo ulteriore dell'argo- mento. Il Nother ha seguìto con molto interesse la costruzione della teoria delle trasformazioni birazionali del piano e dello spazio dovuta al Cre- mona, vi ha contribuito in qualche punto essenziale oltre quello di cui ho già discorso, e ne ha fatto: notevoli applicazioni. Cito in' particolare la classica Memoria (1875) in cui egli, valendosi di trasformazioni cremoniane, risolve le singolarità delle curve piane algebriche e fornisce con ciò uno dei mezzi più perfetti per l’analisi dei punti singolari. Per amore di brevità devo sorvolare su molti altri importanti lavori del Nother dedicati sia ad argomenti affini a quelli di cui ho discorso, sia ad altri capitoli dell'algebra o dell'analisi, quali ad es. la teoria degli inva- rianti, la teoria di Galois, lo studio delle funzioni abeliane e del problema di inversione di Jacobi. Quando l’età matura gli tolse la forza di proseguire lo studio dei dif- ficili problemi che aveva affrontato nei suoi anni giovanili, egli volle com- piere opera utile alla storia della scienza e rendere un tributo d’omaggio a parecchi suoi illustri colleghi, tracciando, con somma competenza, le comme- morazioni di vari matematici che avevano lavorato in campi affini al suo. Mi basti qui citare gli articoli in cui parla con ammirazione e simpatia dei nostri Brioschi e Cremona, al secondo dei quali era legato da cordiale ami- cizia, e l’ultimo suo scritto, sempre accurato e profondo, dedicato alia me- moria dello Zeuthen che lo precedette di due anni nella tomba. Nemmeno negli anni procellosi della guerra egli seppe restare inope- roso. Nella prima lettera ricevuta dalla Germania dopo conclusa la pace, il Néòther mi comunicava di aver compiuto l'esame del Codice Atlantico di Leonardo da Vinci e di averne redatto l’indice per materia che manca an- cora a quell'opera; egli aggiungeva che avrebbe visto volentieri pubblicato l'indice in Italia. Il manoscritto, inviatomi un anno fa, è ora presso l’Isti- tuto Vinciano che lo sta rivedendo e completando in qualche punto, e prov- vederà poi alla stampa. Ho voluto citarvi questo particolare non solo perchè esso interessa la nostra Accademia che ha curato la riproduzione del Codice Atlantico, ma pure perchè mi pare significativo il fatto che durante una terribile guerra, tra le cause della quale vien citato il desiderio di supremazia della cultura — 407 — germanica sulla latina, uno dei maggiori rappresentanti di quella cultura senta il bisogno di dissetarsi alla fonti più pure del nostro Rinascimento. Il sentimento della solidarietà del sapere è così potente negli spiriti più eletti da rompere le barriere che la brama di predominio tenta di creare fra i popoli. RELAZIONI DI COMMISSIONI Il Socio Nasini, relatore, a nome anche del Corrisp. BRUNI, legge una Relazione sulla Memoria dei dottori U. Spore1 e L. FERRI, intitolata: Sui borati. Sistema (NH,)0-B,03-H,0. Diagramma, temperatura, con- centrazione; concludendo col proporre la inserzione del lavoro nei volumi accademici. Le conclusioni della Commissione esaminatrice, messe ai voti dal Pre- sidente, sono approvate dalla Classe, salvo le consuete riserve. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario CastELNUOvo presenta le pubblicazioni giunte in dono, segnalando fra queste una Commemorazione del sen. G. CramicIaN fatta dal prof. MascaRELLI e un volume di supplemento all’ « Archivio italiano di Anatomia e di Emrbiologia » dedicato al prof. G. CHIARUGI dai suoi disce- poli nel 35° anno del suo insegnamento. Il Presidente VoLTERRA fa omaggio della importante e bella pubbli- cazione, della quale discorre: Za Vie e l’Oeuvre de Pierre Duhem, del Socio straniero E. PicarD; e di numerose pubblicazioni di S. E. il dottor GALLARDO, ministro della Repubblica Argentina in Italia. Il Socio Nasini offre il volume, dandone notizia, del dott. A. QuaRr- TAROLI, intitolato: Trattato di chimica generale e inorganica. Il Corrispondente Lonao presenta la sua pubblicazione: Ze piante più notevoli del R. Orto botanico di Pisa, e ne parla. i Il Corrispondente EnrIQUES offre all'Accademia il suo libro: Per la storia della Ldgica, e intrattiene i Soci su quanto nel libro stesso egli ha trattato. GC. L è + ì . “ . PERSONALE ACCADEMICO Volterra (Presidente). Dà il benvenuto ai convenuti in Roma, presenti alla seduta, per le assemblee generali dell’ Unione internazionale astronomica e geodetica e geofisica . . Pag. 398 Td. Comunica la perdita fatta dall'Accademia nelle persone del Corrisp. prof. Z'edone e del Socio, straniero prof. CNS ES Bianchi. Commemorazione del Socio straniero prof. C. Jordan . ....... Sara / Castelnuovo (Segretario). Commemorazione del Socio straniero prof. Max Noether . RELAZIONI DI COMMISSIONI -Nasini, relatore, e Bruni, Sulla Memoria dei dottori Sborgi e Ferri: «Sui borati ecc.» PRESENTAZIONE DI LIBRI Castelnuovo (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando una Com- memorazione del defunto Accademico sen. Ciamician, e un volume dedicato al Socio re I ES SOM NR pt ten dei e Ie Volterra (Presidente). Fa omaggio di una pubblicazione del Socio straniero prof. Picard e di varî volumi di S. E. il dott. Gallardo ...... Nasini. Offre un « Trattato di Chimica generale e inorganica » del dott. Quartaroli . Longo. Fa omaggio della sua pubblicazione: « Le piante più notevoli del R. Orto bota- (RR ORA ES CAD ra edi QAR 5 SS Enriques. Presenta il suo libro: « Per la storia della Logica» e ne parla * RENDICONTI — Maggio 1922. INDICE Ulasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 7 maggio 1922. MEMORIR:E NOTE DI SOCI Zambonini. Sterry Hunt e la teoria dei plagioclasi. Nota II Majorana, Sull’assorbimento della gravitazione. Nota IX \\. .. 4 se NOTE PRESENTATE DA SOCI Castellani Maria. Sulle superficie i cui spazi osculatori sono biosculatori (pres. dal Socio WASte MUOVE ne e SA I IR NI I o Cech. Sur les formes différentielles de M. Fubini (pres. dal Corrisp. Wudini) . . Lipka. Sulla curvatura geodetica delle linee appartenenti ad una varietà qualunque (pres. dal: Socio tie COURSE MI RITI REC a oe Picone. Nuovo metodo d’approssimazione per la soluzione del problema di Dirichlet (pres. dal Socio Marcolongo). 3 : : . ì b Abetti. Sugli indici di colore e sugli spettri delle stelle doppie {pres. dal Socio Di 9A Kahanowicz Marya. Le proprietà elettriche delagntto in rapporto ue cristallizzazio ne (pres. dal Socio Cantone). . LL... dei a SSA Eredia. Sulle correnti aeree concomitanti a determinate disposizioni barometriche secondo le osservazioni aerologiche di Catania (pres. dal Corrisp. Palazzo) Levi. Reazioni di ossidazione e di riduzione coi cloriti (pres. dal Corrisp. Bruni) . Paolini. Amiroli isomeri (pres. dal Corrisp. Peratoner). 1, una teoria, analoga a quella della relatività, basata sulle formole precedenti dovrebbe porre il postulato che qualunque corpo si muove con velocità superiore a quella della luce. A questa trasformazione però non possiamo associare le (6), quando si voglia conservare l'equazione generale delle vibrazioni (5). Dovremmo porre invece e avremmo allora x ci y? di 2 ct=— (0°? È Y3 al 2° — e 1), La presenza dell'immaginario porterebbe in generale a due nuovi inte- grali dell'equazione (5), costituiti della parte reale e della parte immagi- naria della funzione trasformata. Prendendo a base di considerazioni analoghe alle precedenti la trasforma- zione generale (3), e limitandoci necessariamente al caso delle onde piane, Ad saremmo condotti a cousiderare, nella interpretazione newtoniana, il problema della propagazione nel caso in cui il piano sorgente delle onde si muova con una legge determinata da un'equazione della forma gle + et) + ye — e) =0 dove 4, sono funzioni arbitrarie. Il movimento avviene quindi ancora nella direzione #, ma con una velocità non più necessariamente costante, e che può variare in infiniti modi. La corrispondente teoria relativistica dovrebbe porre il postulato della indipendenza della velocità di propagazione della luce da un movimento della sorgente rettilineo, ma non più uniforme. Per quanto ovvie possano apparire le considerazioni svolte in questa Nota, mi è sembrato che potessero presontare un certo interesse per collo- care nella sua giusta luce, dal punto di vista meccanico-analitico, la trasfor- mazione di Lorentz, fulcro iniziale di tutta la relatività; come anche mi è sembrato potessero portare qualche contributo a quella critica delle teorie relativiste che sembra ora così opportunamente iniziata. Fisico-chimica. — Modalità sulla trazione del nichel e dell’ac- ciato (*). Nota del Socio M. CANTONE. In occasione di ricerche da me eseguite sulla tenacità (?) ebbi modo di rilevare alcune anomalie nel comportamento del nichel ricotto e dell’ac- ciaio crudo cimentati per trazione, anomalie che credetti meritevoli di par- ticolare esame: a tale studio si riferisce appunto la presente Nota. La disposizione sperimentale da me adottata si discosta alquanto da quelle che ordinariamente si attuano, perchè, avendo di mira la valutazione del carico di rottura, interessava assicurarsi che i legami agli estremi dei fili cimentati non ne alterassero l'uniformità di struttura o di sezione, e pertanto» ricorsi al ripiego di adattare la parte media del filo in esame alla gola di una puleggina mobile, e di fermare con viti i capi del tilo sopra un cilindro fisso soprastante di ugual diametro, dopo aver fatto compiere un giro sul cilindro stesso a ciascuna delle parti terminali, onde risultavano due tratti paralleli alla distanza di 16 mm. col semplice legame di forte adesione al cilindro fisso ed alla gola della puleggina. I moti di oscillazione di quest'ultima vennero soppressi mediante opportune guide, epperò queste la lasciavano libera di spostarsi verticalmente per l’azione del peso tensore, (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto Fisico dell’Università di Napoli. (*) I risultati di queste ricerche saranno esposti negli Atti del R. Istituto d'Inco- raggiamento di Napoli. sì na =: i 3 2 se, È s Ì ha — 416 — costituito da una boccia della capacità di 10 litri dove si facea pervenire il carico variabile in acqua, da apposito recipiente soprastante tarato. All'albero, attorno al quale la puleggia poteva rotare con dolce attrito, era sospesa la boccia per mezzo di una forchetta, ed in un tratto sporgente dell'albero stesso si fissava una punta scrivente per registrare la legge di deformazione in un foglio di carta millimetrata avvolto sopra un cilindro. girevole con moto di orologeria; ma nei casi in cui si aveano piccole de- formazioni la parte terminale dell'albero, foggiata a coltello, poggiava sopra una leva di alluminio, provvista anch’essa di punta scrivente, al fine di ottenersi l'ingrandimento delle ordinate nel rapporto di / a 5. Nichel ricotto. Per avere un’idea dei risultati relativi alla legge di deformazione del nichel ricotto sarà opportuno riferirsi ai diagrammi conte- nuti nell'annessa figura, dove sono fedelmente riportate alcune linee figu- rative fra le molte, che si ebbero in fogli adattati sul cilindro girevole (1). Carattere comune a tali linee è l'andamento a gradinata nelìa fase di note- vole cedevolezza del filo, con deformazioni brusche da / a 6 mm. tali cioè da far sospettare che si produca una vera rottura parziale; però se sì considera che in seguito a siffatti cedimenti, siano pure di 6 mm. sopra. una lunghezza dell'ordine di grandezza di 300 mm., vi è un tratto poco incli- nato come nella fase di deformazione per piccoli carichi, che le discontinuità. sì producono ad intervalli presso a poco uguali, e che nell'insieme i vertici degli angoli vivi dei singoli gradini riescono allineati sopra una curva sensi- bilmente regolare, devono escludersi effetti di attrito per l’uso delle guide fra le quali scorre la puleggina inferiore. E se si tiene presente che per quasi tutti gli altri metalli, ed in molti casi con deformazioni più esage- rate, non manca la continuità nel processo di stiramento, può senz'altro. ammettersi nel nichel uno speciale assetto interno non del tutto stabile, ma che, per ogni manifestazione esteriore, interessa tutta quanta la massa (8) La prima si riferisce all'oro e si ottenne coll’ingrandimento di / a 5: essa serve come termine di confronto per la registrazione con un metallo a comportamento regolare La seconda dà senza ingrandimento la legge di deformazione di un filo di nichel sottoposto ad esperienza una seconda volta dopo aver subìto un notevole stiramento. La terza è relativa ad un filo di nichel al quale si fece compiere un ciclo unilaterale dupo averlo sottoposto ad un carico massimo: sul tratto grosso 5-5 si sovrappongono, quasi, le linee figurative delle due metà del ciclo. La quarta si riferisce ad altro filo di nichel cimentato fino ad un carico massimo, a partire da un peso tensore piccolo. L'ultima è la linea figurativa per un filo di acciaio cimentato prima per forze crescenti poi per forze decrescenti fino al carico iniziale ed in ultimo per forze crescenti fino al carico di rot- tura: la fase di carico crescente è riprodotta a tratto continuo ed arriva al n. 4; la se- conda, di carico decrescente, è punteggiata ed arriva al n. 7; l’ultima fase è riprodotta. con tratti e punti ed arriva in 7, punto di rottura come per la prima linea del nichel. Le: deformazioni relative all’acciaio sono ingrandite nel rapporto di / a 5. — 417 - del filo invece di restare circoscritta in determinate regioni, secondo atte- stano il limitato decorso della fase discontinua e l’assenza d'irregolarità vera e propria nella forma dei tratti ottenuti alla rottura. Non in tutte le serie compiute col nichel ricotto si presentò il feno- meno di cui ci siamo occupati, però si potè constatare in modo non dubbio che esso interveniva quando, per realizzare la rottura dei fili di mezzo mil- limetro di spessore con un carico in acqua inferiore a 10 kg., si partiva da un peso traente alquanto elevato, poichè già con un carico iniziale di 8 kg. l'anomalia spariva, o per lo meno le discontinuità erano così poco marcate da non rivelarsi coi mezzi sperimentali da me posti in opera; quindi non è da escludere che le condizioni di assetto poco stabile possano derivare da lesioni interne prodotte in tutta la massa del filo per un processo di defor- mazione non perfettamente statico ('). È ad ogni modo notevole che, con un andamento conforme a quello della curva che collega i vertici dei gradini, la linea figurativa del processo di deformazione senza discontinuità indichi, a pari variazione di carico, un allungamento totale non inferiore, anzi un poco superiore: onde può dirsi che le discontinuità non lascino traccia di comportamento anomalo. Allungamenti bruschi non si ebbero mai durante l'azione di un peso tensore costante: la cosa è facile a spiegarsi ove si consideri che nel nichel ricotto, anche con dilatazioni superiori ad !/3, l'elasticità susseguente pro- duce variazioni relative di lunghezza di qualche millesimo appena: epperò la constatazione fattane ha importanza, sia perchè serve a togliere il dubbio che le discontinuità possano dipendere da non perfetto legame del filo al sostegno o da cause disturbatrici atte ad agire su questo, sia perchè tende ad assodare la natura dinamica della discontinuità. Come era facile prevedere, l’isteresi nel nichel ricotto risultò molto grande; si vide infatti che, facendo uso di un carico variabile di 10 kg. (alquanto inferiore a quello che sarebbe stato necessario per la rottura), mentre per. forze crescenti si produceva un allungamento di circa 30 mm., operando per forze decrescenti (*?) il sistema dei due fili si accorciava solo di mm. 0,2 e, col ritorno al carico massimo, valore assoluto non diverso si avea per il corrispondente aumento di lunghezza. In tali condizioni non si apprezzava nel ciclo unilaterale alcuna traccia delle discontinuità così notevoli nella primitiva azione del carico in acqua, in quanto che queste si rivelano sem- pre in misura adeguata alle deformazioni complessive e tutto induce a con- (®) Vuolsi qui ricordare che anche nell’applicazione del carico iniziale si procurava di procedere gradualmente, ma non poteva certo evitarsi che il filo subisse una notevole deformazione in un tempo assai piccolo. (*?) La diminuzione graduale del carico si operava col passaggio dell’acqua dalla boccia al serbatoio soprastante, dove si produceva l'aspirazione lenta per mezzo di appo- sita pompa. ReNDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. 54 — 418 — siderare il comportamento del nichel ricotto nei cicli unilaterali come di so- stanza elastica perfetta non molto diversa dalla originaria sotto l'azione di piccole forze esterne, Del resto la piccolezza stessa delle deformazioni nei cicli unilaterali anzidetti porta ad escludere una sensibile trasformazione in calore dell'energia meccanica in giuoco, trasformazione che appare invece legata in modo particolare alle discontinuità del processo elastico nel caso in cui queste si presentano; sicchè viene sempre meglio affermandosi il concetto che le grandi deformazioni del nichel ricotto, anche se accompagnate da saltuari cedimenti bruschi, non lascino effetti residui di eterogeneità nella struttura interna del metallo. Acciaio crulo. — L'acciaio usato per queste ricerche è di ottima qua- lità e presenta uno spessore di mm. 0,225. Per forze deformatrici non grandi sì comportò come sostanza perfettamente elastica, con un modulo di tra- zione di 22.000 kg. per mm.q.; ma con carichi superiori a 9 kg. si riot- tennero le anomalie riscontrate nel nichel, e con regolarità maggiore: nei diagrammi ottenuti coll'ingrandimento di / a 5 comparvero infatti, ad inter- valli di circa 1 kg. di carico, gradini di altezza compresa fra 0,2 e 0,3 mm.; ed in tal modo con un carico in acqua di 10 kg. si ottenne per i salti un valore complessivo di mm. 2,4 sopra un allungamento totale apparente di mm. 12,5; per cui risultò il fatto interessante di una deformazione com- plessiva inerente ai tratti nei quali si svolgeva il processo continuo, con un valore del modulo quale si dedusse nella fase di perfetta elasticità, come se i salti (più netti che nel caso del nichel) rappresentassero semplici lacune istantanee in un processo perfettamente elastico e prive d'influenza su questo. Ad uguali deduzioni ero condotto nel precedente studio sul nichel; ma nel caso attuale, avendosi da fare con un metallo assai meno cedevole, era con- sentita una ricerca di carattere quantitativo con criterio più sicuro, per quanto meno facile fosse la valutazione; epperò sta il fatto, interessante a mio modo di vedere, che sotto il medesimo aspetto si manifestino le de- viazioni dalla legge di Hooke in due metalli, come il nichel ricotto e l’ac- ciaio crudo, i quali, pur possedendo lo stesso modulo di trazione, stanno agli antipodi per quanto riguarda l'apparente cedevolezza ai grandi sforzi di trazione, perchè, di fronte ad una dilatazione longitudinale complessiva di 0,352 in fili di nichel di mezzo millimetro di spessore, se ne ha una di circa 0,0075 in un filo di acciaio crudo del diametro di mm. 0,225. Nè può non rilevarsi che nell’acciaio i gradini assumono altezza mag- giore a misura che cresce il peso a partire dal quale si fa agire il carico in acqua: così, mentre partendo da 8 kg. si erano avuti sul foglio salti per un ammontare complessivo di mm. 2,4 sopra un abbassamento totale della punta scrivente di mm. 12,5, con un peso tensore iniziale di 11 kg. in tre serie successive con fili identici al primo, cimentati fino alla rottura, si — 419 — ottennero per le somme delle altezze dei sradini (ugualmente distanziati) i valori di mm. 6,4 6,6 6,5 in corrispondenza agli abbassamenti comples- sivi della punta di mm. 16,2 16,0 16,0; e siccome questi sistemi di valori si riferiscono nelle tre ultime serie ad un carico in acqua di circa kg. 9,5, si arriva al risultato che, non ostante il grande divario del peso iniziale e le conseguenti nette deviazioni dalla legge di Hooke quando sì giunge al carico di rottura, in corrispondenza a 10 kg. di maggior peso tensore si riotter- rebbe lo stesso allungamento e/fett#vo di 2 mm. che si era riscontrato per i puri allungamenti elastici nella seria primitiva non tenendo conto delle discontinuità; e ciò importa che nei fili di acciaio crudo da me cimentati le deviazioni dalla legge di Hooke sarebbero da attribuire agli speciali pro- cessi di carattere quasi istantaneo. Nel nichel una legge così semplice non esiste, perchè deviazioni dalla legge di Hooke, e crescenti col carico, si veri- ficano anche negl'intervalli fra due salti successivi; ma riescono sempre di entità relativamente piccola. E per quanto riguarda i fenomeni d'isteresi abbiamo nell’acciaio crudo un fatto assai strano che non si verifica nel nichel ricotto, e cioè la pre- senza di discontinuità quando si procede per forze decrescenti fino al carico iniziale, nel senso di accorciamenti e per un ammontare complessivo più piccolo in valore assoluto di quello prodotto dal primo carico crescente in acqua, ma pressocchè uguale all’allungamento avutosi nella successiva seconda metà del ciclo unilaterale. Si avrebbe dunque una tendenza alla sovrappo- sizione delle due linee figurative delle due metà del ciclo compiuto a partire dallo stato di massima deformazione, sicchè, considerata la cosa dal punto di vista energetico, se sì suppone (come appare legittimo) che al brusco allungamento corrisponde uno sviluppo di calore, dovrebbe ammettersi nel rapido accorciamento un lavoro fatto a spese dell'energia interna; e se fosse lecito parlare nel primo caso di molecole che si rendono libere, sarebbe da ammettere nel secondo il ritorno ai legami della primitiva rigidità con perdita della forza viva acquistata nella fase dell’opposto processo dinamico. Ad ogni modo le discontinuità riscontrate nel senso cui corrisponde il sollevamento del peso tensore costituiscono la prova più convincente della reale esistenza delle discontinuità, come insite alle proprietà elastiche delle due sostanze prese qui in particolare esame, perchè, se cause disturbatrici di natura estranea al processo elastico possono provocare l'abbassamento di un grande peso tensore, è assai difficile concepire un effetto delle medesime cause nel senso di un innalzamento. I fenomeni di cui ci siamo occupati non appaiono in altri metalli: si rivela per alcuni un andamento ondulato nelle linee rappresentatrici, e tal- volta con indizio di periodicità, o qualche punto angoloso che accenna ad una variazione brusca di regime; laddove per altri, come per l'oro ad es., sì manifesta un andamento continuo e molto regolare; tuttavia non può — 420 — escludersi che le anomalie avanti studiate siano d'indole generale e che si rendano sensibili in alcuni casi soltanto, vuoi per maggiore ampiezza del- l'effetto, vuoi per minore frequenza. Ma, anche se circoscritti a pochi metalli, non possono non attirare l'attenzione dei fisici, perchè il loro esame potrebbe mettere in nuova luce alcune modalità delle imperfezioni elastiche facendone risaltare il carattere dinamico in rapporto con una periodica instabilità di struttura lungo il processo di deformazione. Non si può dare termine a questa comunicazione senza tener conto delle interessanti ricerche di Barkhausen van der Pol Jr., Weiss e Ribaud (1), dalle quali risulta che per gl’ intervalli di forze magnetizzanti cui corrispon- dono valori assai elevati della suscettività differenziale nei cicli magnetici, ossia nelle fasi in cui si determina la irreversibilità dei processi magnetici, il ferro, la magnetite e le leghe di ferro e nichel accusano variazioni brusche accidentali dell'intensità magnetica. pur con variazioni continue nel campo. E risulta del pari, dallo studio esteso ed accurato di van der Pol, che le correnti indotte rivelatrici del fenomeno si producono simultaneamente per punti a notevole distanza lungo il filo sottoposto ad esperienza, e che le discontinuità non mancano quando intervengono ripetuti cicli di trazione, torsione, o flessione atti a modificare il magnetismo residuo dei fili in esame. I fenomeni da me studiati, qualora siano posti in rapporto con quelli dei quali ora sì è fatto cenno, acquistano un particolare rilievo: non voglio con ciò dire che le discontinuità nel processo elastico, perchè riscontrate da da me in modo netto in due metalli magnetici, si debbano essenzialmente alle proprietà magnetiche; ritengo piuttosto che le modalità accertate nel caso del magnetismo dipendano dalle condizioni elastiche reali, che nelle mie esperienze si rendono manifeste anche in assenza di forze magnetiche; ed in tale ipotesi il fatto scoperto da Barkhausen, col carattere di una struttura quantistica dell'energia messa in giuoco nei processi irreversibili, sarebbe da considerare come appartenente alla vasta categoria dei feno- meni magnetoelastici. (3) V. Journ. de Phys, T. III, p. 74, 1922. — 121 —- Geometria. — Su complessi covarianti di tre complessi li- neari a due a due in involuzione. Nota I del Corrispondente LuiGI BERZOLARI. In un lavoro, di prossima pubblicazione, Sulle cubdiche gobbe inva- rianti simultanee rispetto ad un gruppo ottaedrico di collineazioni qua- ternarie, mi si è presentato un particolare complesso del quarto grado, il quale gode della proprietà che tutti i suoi coni hanno carattere lemnisca- tico, cioè sono dotati di tre generatrici ad un tempo doppie e d' inflessione. Il complesso risulta determinato, e può generarsi direttamente in modo assai semplice, quando sian dati tre complessi lineari a due a due in in- voluzione. In questa Nota e nelle successive espongo, insieme con tale genera- zione, queile proprietà del complesso che hanno maggior legame col lavoro cui ho accennato ; inoltre alcune osservazioni generali sui complessi cova- rianti di tre complessi lineari a due a due involutorii. Figura tra essi un altro complesso del quarto grado, che pure ammette una semplice genera- zione geometrica. 1. Com'è noto, le equazioni di tre complessi lineari K,,K., K3 a due a due in involuzione sì possono scrivere, in coordinate pix di Cayley-Pliic- ker, sotto la forma (1) K,= Pr — Pu = 0 A K, = psi — Ppu=0 ) Ka=%(P3 + Pa) =0, nell'ultima delle quali il fattore (= | ft posto per la simmetria di alcune tra le formole che seguiranno. Le rette comuni ai tre complessi costituiscono un regolo S della qua- drica Q che ha per equazione locale (2) Quae — 3%, =0, e per equazione in coordinate di rette tangenti (3) K=K?-+K}-:K}=0. Le coppie di direttrici d, di , ds 43, ds ds delle congruenze lineari, in cui ordinatamente si tagliano K, e K3, Kz e K,, K, e K;, apparten- gono all’altro regolo S' di Q, e in esso si separano a due a due armoni- camente. — 422 — Una generatrice qualunque di S' ha equazioni della forma (4) z,—Àx,=0 , Arg —%xa=0, dove 4 è un parametro. In particolare, le d, di , d. di , ds d; possono rispettivamente rappresentarsi con le equazioni Ko = 00 DA: C—1005 Xai—=203; (5) co X%,=0, x -x=0; x.pa3=0, a; +a=0; do-ta=0, a, +ix4=0; e,+ix3=0, x — dra ='0 La polarità rispetto a Q è permutabile con ciascuna delle polarità nulle | (+1) 21 +(1+3)a=0, (—1x.+(1—-138)0=0; G-1)a—(1-y38)x,=0, (i+1)x:—(1+/8)x=0; Î (—- 1a +(1—/3)x,=0, ((+1)z:+(1+73)z:=0; C+1)a—(1+43)a=0, GW—1)x.—(1- 3) as=0, e le e1, 65, e3,e, con quelle che si deducono dalle precedenti cambiando (8) segno a 7/3. 8. Ciò posto, in questo numero e nei due successivi conviene, per il seguito, premettere alcune osservazioni a proposito di certe quadriche, che restano determinate ogniqualvolta con i complessi K,, K,, K3 sia assegnata anche una retta 7. Anzitutto, le reciproche di 7 rispetto ai complessi della rete indivi- duata da K,,K,,K3 formano una congruenza lineare passante per 7, di cui sono direttrici le due rette di S appoggiate alla stessa 7. Se dunque si costruiscono le reciproche di 7 rispetto a K,, K:, K3, la quadrica R da esse determinata (che si dirà quadrica corrispondente ad r) incontrerà Q secondo due generatrici di S e due di S'. Dicendo p;x le coordinate di 7, si trova che la quadrica è rappresen- tata da (9) R=(Pir — Pas) (P23 Par CÎ + Pra Pea da — Psr Pra Xi — Pos Pos Xi) + (pîs — piu) (P31 XC3 Lr — P24 Ca da) + (Pi —— P24) (Pra Wa Ls Pas Lr Vo — Pa9 71 Ta — Pie 0304) = 0. In luogo di 7 considerando la sua reciproca 7’ rispetto a Q, la qua- drica R' ad essa corrispondente ha un'equazione R'= 0, che si deduce dalla precedente scambiando tra loro p1, e ps34 nel quadrinomio per il quale è moltiplicata la differenza pì, — pî4 (*). Ne segue l'identità R_=-R'= (Pie — P34) (Pò _ pi) Q, (1) Per un’osservazione fatta al n. 1, le rette reciproche di r' rispetto a K,, Ka, Ka sono altresì le coniugate di 7 nelle involuzioni rigate che hanno per assi d, di, d, 42, da ds è epperò : Le quadriche R,R' corrispondenti a due rette r ,r" reciproche ri- spetto a Q si tagliano in un quadrilatero, determinando un fascio-schiera al quale appartiene € . 4. Essendo ancora 7 una retta di coordinate pix, le quadriche A,, A, A: passanti per ” e risp. per le coppie di rette d, di, ds di, ds d3 tagliano ulteriormente Q nelle due generatrici di S che si appoggiano ad 7, e sono altresì i luoghi delle rette reciproche di » rispetto ai complessi lineari dei fasci determinati da K, e K3, Kz e K,, K, e K3. Esse hanno per equazioni A; = — 2(Ps Xi La — Pra do 3 + Pas Li L4 + Pie 3 da) == 0 ’ LG = Po3 xi + Pr ITPu a — Pag Li + (Pa — Pr) (21 La — 03 Ta) + (Pie + Pa) (x, X3 — Xe DI determinate da K,,K,,K3, ed i suoi prodotti per queste sono rispettiva- mente le involuzioni rigate che hanno per assi le coppie di rette d, di, dsidsiidg dai 2. Assumendo S' come campo binario, risulta in esso determinata una involuzione sizigetica J, della quale d; di sono gli elementi doppi, e che ha l'equazione (6) | 6902 +1=0, dove 4 è il parametro che entra nelle equazioni (4) d'una generatrice di S', e o è un altro parametro, da cui sono determinati i singoli gruppi dell'in- voluzione. Appartengono a questa tre gruppi armonici @, 494344 , 4109454, al ay ag «, e due gruppi equianarmonici e, es €3 4 + 01 03 0304. Convenendo che i tre primi siano rispettivamente coordinati alle coppie di di, dy 03, dz di, nel senso che queste in S' separino armonicamente le due coppie di generatrici coniugate in quei gruppi armonici, le generatrici di tali gruppi si possono rappresentare con le equazioni “aa =, tV2x.—(i+1)z3=0; ’ +t/2x+(i+1)a,=0, T2x.—(i—-1)x3=0; L; (Gail) = izt(1=V2)x3=0; | v—(10-7y2)x,=0, x: +(15=V2)z:=0; l x+(12p2)a,=0, vx—(1=|/2) x: =0, dove due generatrici coniugate d'un gruppo armonico si ottengono scegliendo, nelle rispettive equazioni, una volta i segni superiori e un'altra i segni in- feriori. — 424 — Per i due gruppi equianarmonici si riterrà che le generatrici e; ed e; (i=1,2,3,4) siano tra loro omologhe secondo una proprietà che recen- temente ho rilevata (!). Le rette e, , es, 63,6, si possono allora rappresen- tare con le equazioni Ag=0[Ps3 dî — Pa 1 — Pu Xi + Pas ti + (Pa + pu) (riv — 2, 24) + (Pro + P34) (21r3 + e2)]= 0. Se al posto di 7 si assume la sua reciproca 7’ rispetto a Q, si otten- gono similmente tre quadriche Ai, A5, Az, le cui equazioni si deducono dalle precedenti scambiando tra loro p,, 6 p34 e inoltre, nella seconda e terza equazione, mutando segno al termine contenente la differenza x, xx — x3 2, . Si hanno quindi le identità Ai, Ai = 2( Pie — Pri) 05 A, — = 2(P31 — Pr) Q , AG, =" AS = 2(Ps1 + Pra) Q . donde segue che /e quadriche A, e Ai, As e Ai, Ax e Ag determinano tre fasci-schiere, che tutti contengono - La rete individuata da A,, As, As ha per basi la retta 7 e le due generatrici di S appoggiate ad 7 (e ad 7). Quattro altre quadriche F,,...,F, della stessa rete sono quelle pas- santi per 7 e per le coppie di rette e, e1,..,e,e,, ed hanno le equazioni F, E | — AT+A; + A3=0 n F,.=A-AgtA3=0, Ai +A°-A3=0 , F,=A, | Ag tA3=0. 5. Quando 7, e perciò anche 7’, sta in K;, e in questo caso soltanto, le R,R',A; e Ai (i=1,2,3) coincidono, dando luogo ad una quadrica che, come luogo e come inviluppo, è apolare a Q. Se, ad es., 7 ed 7’ stanno (1) Ved. la mia Nota Sulle forme binarie del quarto ordine, Rend. del R. Istituto Lombardo, serie II, vol. 54 (1921), p 225. La proprietà consiste in ciò, che tra gli ele- menti dei due gruppi equianarmonici contenuti in un’involuzione sizigetica si può, in un modo solo, stabilire una corrispondenza biunivoca tale, che ogni elemento dell’un gruppo e i tre non omologhi dell'altro costituiscono alla loro volta un gruppo equianarmonico. Sono così otto i nuovi gruppi equianarmonici che si possono costruire con gli elementi dei due gruppi considerati. Di due elementi omologhi, ognuno è pure il gruppo polare di prim'ordine dell'al- tro rispetto alla sestupla degli elementi doppi dell’involuzione. Due tali elementi omo- loshi sono inoltre uniti per una delle otto omografie cicliche a periodo 3 (a due a due inverse) appartenenti al gruppo ottaedrico delle omografie che trasformano la detta se- stupla in sè. — 425 — ‘in K, , le due coppie di piani del fascio-schiera determinato da tale qua- «drica e da @ sono rappresentate da i et Q pi o PS) Vv — Par Pa =0, «cosicchè, entro il fascio, separano armonicamente R e @ (’). Una retta che appartenga ad uno dei complessi K,,K:,K; è inoltre tale che incontra Q e la quadrica corrispondente in due coppie armoniche di punti. Lo stesso avviene di ogni retta r tangente a Q, in quanto essa ‘tocca nello stesso punto anche la quadrica corrispondente. Infatti, dicendo y il punto di contatto di 7 con Q, la quadrica corrispondente ad 7 ha in «comune con Q due generatrici di S' (tra loro distinte, a meno che y non «giaccia sopra una delle rette e;, e:) e la generatrice di S uscente da y, ‘contata due volte. Nè vi sono altre rette che godano della proprietà indi- -cata ; in altri termini: Tutte e sole le rette dei complessi K,, Ka, K3 e quelle tangenti alla quadrica Q hanno la proprietà d’incontrare Q e la quadrica corrispon- «dente in due coppie armoniche di punti. Se invece 7, e quindi anche 7°, incontra una delle rette d;, di, e solamente in questo caso, ognuna delle R,R',A,,A" sì scompone in due piani. Di tali piani. uno fa parte di R e di A;, un altro fa parte di R' e di A;, e gli altri due piani di cui constano R ed A,, come pure gli altri due di cui constano R' ed A;, incontrano l'altra delle 4; , di in uno stesso punto. Se infatti 7 ed 7' tagliano, per es., di, sicchè pa, =0, e si ‘pone @ = Pa3 La + Pio da ., P=Puro:— Pro da, ' r ox =P=23 2% + Pas da SP = Pra Ca — P34%, sì ha, a meno di fattori costanti, Ani; Ap R=f[pupx® — Pio (Pa— Ps) F], R'=8"[Pir pas a' + pas (Pia — Pa) E]. (1) Ciascuna delle R e Q è polare reciproca di sè stessa rispetto all'altra. Le due quadriche sono pertanto, secondo la denominazione di R. Sturm, harmonisch-2ugeordnet mit Vierseits-Durchschnitt: cfr, anche per citazioni, la mia Nota Sul significato geo- metrico di alcune identità lineari tra quadrati di forme algebriche, Rend. del R. Isti- tuto Lombardo, Serie II. vol. 51 (1918), p. 481. RenDpICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 55 SEO Meccanica. — Sull°influenza del rapporto tra volume e su- perficie nelle aeronavi. Nota del Corrisp. G. A. CROocco. In una precedente Nota (') abbiamo già indicato l'influenza del rap- porto tra volume e superficie nelle aeronavi per quanto ha tratto alla po- tenza motrice necessaria ad imprimer loro una data velocità ed ai consumi di combustibile necessarî a navigare un dato numero di ore. Abbiamo anche mostrato come il conseguente guadagno in forza ascensionale, che sì ottiene accrescendo le dimensioni, sia in parte assorbito da necessità strutturali; ma come entro certi limiti, che abbiamo precisato, rimanga anche in parte di- sponibile sotto forma di carico utile. Ma il rapporto tra volume e superticie, e cioè le dimensioni, influiscono su altre caratteristiche secondarie delle aeronavi. che nella presente Nota vogliamo succintamente indicare. Anzitutto è da osservare che insieme col peso delle istallazioni motrici variano i pesi di tutti ì loro servizi accessori come ponti, sospensioni, ri- cambi, equipaggi; ed insieme col -peso del combustibile variano le capacità occorrenti a contenerlo e rifornirlo, ei consumi di gas leggero necessarî ad ogni viaggio: in altri termini tutta la complessa organizzazione dei 77/or- nimenti e relativi impianti fissi occorrenti a un regolare traffico di viag- giatori. Variano anche nella stessa vantaggiosa misura quelle csta/lazioni di bordo e fisse preconizzate per ridurre o sopprimere i detti rifornimenti di gas, e cioè per ricuperare sotto forma di zavorra acquea il peso di combustibile consumato durante il viaggio, 0 per far variare termicamente la corrispon- dente forza ascensionale necessaria a sostenerlo: e ciò perchè l'entità di entrambi questi dispositivi è proporzionale alla potenza motrice, e quindi la percentuale di peso occorrente diminuisce col crescere delle dimensioni sino a raggiungere aliquote praticamente realizzabili. Altri guadagni dipendono direttamente dalla superficie dell'involucro, e si ripercuotono sia sul peso della struttura sia sulla sua solidità locale, sia su fenomeni connessi. (1) Questi Rendiconti: seduta 2 aprile 1922. Limiti strutturali ed economici nelle dimensioni delle aeronavi. — 427 — ll peso degli involucri va infatti suddiviso in due parti: una dedicata alla resistenza, l’altra alla ermeticità. La prima cresce in misura maggiore che non i volumi e cagiona pertanto un maggiore assorbimento della forza ascensionale residua, segnalato nella nostra precedente Nota: la seconda po- trebbe a rigore variare in ragione della superficie e costituire termine di compenso. Ciò noi avevamo supposto alcuni anni or sono; ma non abbiamo creduto, da un punto di vista pratico, di ammettere nella citata Nota; ove invece si è fatta l'ipotesi che la parte di peso di stoffa, somma, daudruche o vernice, riserbata a trattenere il gas non rimanga unitariamente costante, ma cresca in ragion diretta delle dimensioni. Questa ipotesi conduce a una maggiore robustezza locale del tessuto, a una maggiore durata, e a una minore perdita osmotica unitaria. La perdita osmotica unitaria è da ritenere infatti connessa colla quan- tità di sostanza impermeabilizzante, nel senso che i tempi necessarî a far passare attraverso l'unità di superficie un determinato volume di gas sono proporzionali alla quantità suddetta. Ne segue che considerando l'insieme della superficie di un dirigibile, costruito secondo la precedente ipotesi, le percentuali di lavaggio occorrenti giornalmente per mantenere una determi- nata purezza variano in ragione inversa del quadrato delle dimensioni. Così ad esempio in un dirigibile da 12 tonnellate di forza ascensionale l’idro- geno dovrebbe venire completamente rinnovato in poco più di un mese per mantenere la purezza di '°/»,; mentre in un dirigibile da 120 tonnellate il rinnovamento si richiederebbe ogni cinque mesi circa. Ad una più grossa unità, per es. 500 tonnellate, basterebbe un rinnovamento annuo. Per il gas elio i tempi di rinnovamento sono circa doppî. Dipendono altresì dalla superficie dell'involucro gli appesantimenti even- tuali dovuti durante il viaggio alle vicissi/udini meteorologiche, come pioggia e neve. Il sopraccarico dovuto alla pioggia che può ad esempio raggiungere il 16% in un tipo da 12 tonn., discende a meno del 9 % in un tipo da 120 tonn., eal 5% in un tipo da 500. Così dicasi delle variazioni di forza ascensionale dovute a brusche variazioni di temperatura. A parità di du- rata del fenomeno, esse comunicano alla massa del gas, attraverso la su- perficie dell'involucro, una quantità di calore proporzionale alla superficie, e quindi una variazione di temperatura, e conseguentemente di forza ascen- sionale, in ragione diretta del rapporto tra superficie e volume, cioè in ra- gione inversa delle dimensioni. Un effetto analogo producono /e raffiche del vento durante la marcia. A parità d’intensità e di durata, esse comunicano alla massa del dirigibile una quantità di moto proporzionale alla sezion maestra, e quindi una varia- zione di velocità in ragione inversa delle dimensioni. La sensibilità dell’aero- nave alle perturbazioni esterne è perciò tanto minore quanto maggiore è il suo tonnellaggio. Contemporaneamente decresce nella stessa misura relativa RO te la sensibilità al governo dinamico, e l'azione frenante dell’aria nell'arresto e nella discesa. Cosicchè 'e grandi navi aeree sono necessariamente più lente nelle manovre; e la manovra dinamica cede sempre più posto a quella statica. La variazione delle reazioni dell’aria proporzionalmente alle superfici conducendo a forze perturbatrici e di impennaggio varianti col quadrato delle dimensioni, ne segue che a parità di velocità i pesi degli organi di irrigidimento e di impennaggio variano come il cubo delle dimensioni, ep- perciò la loro percentuale rimane costante; ed i momenti di questi pesi va- riano come la quarta potenza ed esigono strutture più pesanti. Ma per quanto concerne i momenti delle forze perturbatrici e stabi- lizzanti, come per i momenti dovuti alle azioni dei timoni di quota e di evoluzione, risulta invece una variazione secondo il cubo delle dimensioni; onde il peso della parte delle strutture destinata a resistere a questi momenti varia anch'esso come i cubi, e la sua percentuale si mantiene costante; se- condo quanto abbiamo supposto nella nostra precedente Nota. Ne deriva anche che la stabilità di marcia migliora, poichè le coppie statiche variano in misura maggiore dei volumi: e il valore della « velocità critica » diviene sempre più elevato col crescere delle dimensioni. Così anche i tempi di oscillazione, sempre a parità di velocità di marcia, variano in ragion diretta delle dimensioni. Una singolare menzione meritano, per la vitalità e la pratica delle grandi aeronavi, le manovre di a/terraggio e di ormeggio. Mentre infatti tali manovre sono affidate nelle piccole aeronavi al criterio dei comandanti e alla forza muscolare di allenate squadre, nelle grandi navi aeree esse sì compiranno con metodi e dispositivi preparati e con forza meccanica. Ciò è reso possibile precisamente dal diminuito rapporto fra superficie e volume, sia per le maggiori disponibilità relative ed assolute sia per quanto passiamo a chiarire. Venendo infatti a connettersi col suolo, dopo avere annullato la sua velocità di marcia relativamente ad esso, il dirigibile rimarrà soggetto a due forze antagoniste: da una parte quella del vento che tenta spingerlo nella sua direzione ed in direzioni ad essa normali, e d'altra parte quella delle con- nessioni, facenti capo alla struttura, ed opponentisi alla spinta del vento. La prima, a parità di assetto, varia come la superficie presentata; cosicchè se le connessioni non generano momenti importanti, tutto il peso di esse e della parte resistente della struttura varia come la forza agente e guadagna in rapporto alla forza ascensionale disponibile. Il vantaggio diviene ancor più evidente se — come è prevedibile — le connessioni stesse siano principalmente attivate da una determinata aliquota di forza ascensionale resa libera al momento opportuno. In particolare nell’a/terraggio, lanciato il cavo di manovra e lasciatolo fissare a punti predisposti del terreno, si creerà su di questo una tensione - 429 — proporzionale alla forza del vento che consenta al dirigibile di assumere una stabile posizione di aerostato frenato e di venir richiamato a terra senza eventualità di abbattimenti o di urti. La robustezza del cavo sarà quindi proporzionale alla forza del vento e, a parità di lunghezza, anche il suo peso. Così anche il peso dei verricelli di ricupero istallati a bordo e degli organi motori relativi. Così anche il peso della zavorra d'atterraggio pre- disposta a prora in corrispondenza dell'attacco del cavo, e gettata a mo- mento prestabilito per creare su di questo una forza ascensionale statica. in aggiunta alla eventuale dinamica. Queste considerazioni sono per certo di natura teorica, giacchè se la lunghezza del cavo fosse proporzionale alle dimensioni. il suo peso varie- rebbe per contro proporzionalmente ai volumi, e così l'ingombro dei verri- celli e l'energia motrice totale necessaria a recuperarlo. Così anche se si generassero momenti di flessione importanti. questi attenuerebbero i benefici innanzi indicati. I quali, come in ogni altro ramo della meccanica, richie- dono un'applicazione accorta e geniale. Ad analoghe osservazioni dà lrogo la manovra di ormeggio. Se non c’è ricovero, essa consiste nel connettere il dirigibile sul terreno in modo che possa liberamente orientarsi al vento. Il sistema più sicuro è quello di tis- sarlo per tatta la sua lunghezza a una piattaforma girevole, provvista di mezzi per orientarsi (*). Le connessioni con questa piattaforma a parità di vento seguono allora la legge delle superfici. Così anche le forze ascensionali d'ormeggio eventualmente rese libere per attivare le connessioni suddette. Se c’è ricovero, la piattaforma girevole. anzichè presentarsi al vento, è destinata a disporsi secondo l'asse del ricovero per portarvi il dirigibile e questo può dunque venire investito di tianco. Anche in tal caso. e sempre a parità d'inlensità di vento, le forze abbattenti sono proporzionali alle su- perficie: cosicchè l’entità delle connessioni e le forze ascensionali d’ormeggio variano nella stessa misura. Così anche i sovraccarichi di cui debba even- tualmente zavorrarsi la piattaforma. Per quanto concerne i momenti flettenti generati nelle suddette manovre, esse seguono in generale la legge dei cubi, epperciò non appesantiscono le aliquote delle strutture che sono destinate ad assorbirne i tormenti. Può quindi asserirsi, concludendo, che anche nella maggior parte delle questioni accessorie, ma vitali per la pratica delle aeronavi, l'aumento delle dimensioni si presenta vantaggioso: e, là dove non c'è vantaggio, esso non trova ostacoli di principio. (1) Ideata nel 1913: Brev. n. 138061. ee NOTE PRESENTATE DA SOCI Mineralogia. — Sulla celestite del calcare madreporico della Provincia di Messina (*). Nota I del dott. FRANCESCO RANFALDI, presentata dal Corrisp. F. ZAMBONINI. Già da varî anni, io ho rinvenuto dei cristalli di celestite in due di- stinte località della provincia di Messina, e, precisamente, nel calcare a corallari delle colline di Tremonti, dove la celestite tappezza le pareti di alcune piccole geodi, ed i calcari del vallone Marro, presso Rometta, nei quali ì cristallini di celestite furono trovati impiantati sui coralli fossili, La celestite, tanto frequente nella formazione solfifera siciliana, non è stata, finora, almeno per quanto io so, trovata nella provincia di Messina. Mi è sembrato, perciò, opportuno descrivere brevemente i cristalli di Tre- monti e del vallone Marro, non solo perchè appartengono a due nuove loca- lità, ma anche per le loro condizioni di giacitura, ben diverse da quelle so- lite della celestite siciliana, che non è stata mai osservata nei polipai fossili. CELESTITE DI TREMONTI. Le colline di Tremonti e di S. Iachino si ergono a qualche chilometro a nord di Messina, e la loro ossatura è costituita da un calcare, ora fria- bile, ora compatto o concrezionato, del quale si sono occupati vari autori, e, più particolarmente, G. Seguenza, Cortese e Baldacci, i quali tutti con- cordemente lo riferiscono al pliocene, piano Astiano, per i fossili tipici che in essi sì rinvengono e che caratterizzano la facies corallina del Messinese. La fauna fossile, abbondantissima, rinvenuta dagli autori predetti in questo calcare, oltre che dai numerosi brachiopodi e dai polipai, avanti ci- tati, è costituita anche, in minor proporzione, da molluschi lamellibranchi e gasteropodi, da un echino frequentissimo — Stirechinus Scillae, Desh. — e da numerosi denti di squali. In certe zone tali fossili sono quasi gli esclu- sivi componenti della roccia. Più importante ancora, per la fauna che racchiude, è la zona ove il calcare si presenta a faczes esclusivamente corallina e Ja roccia è costituita quasi per intero da coralli sia Cariofillacei che Trocociatacei sparsi qua e là (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Messina. — 431 — nella massa; sia Eupsammidi e Stilinacei, che, con le loro ramificazioni intrecciantesi, costituiscono vere barriere coralline fossili ('). In questi calcari frequentemente si rinvengono delle geodette, le cui pareti sono tappezzate da piccoli ed acuti cristallini di calcite, i quali si mustrano anche nell'interno delle conchiglie dei brachiopodi, che durante la sedimentazione non furono ricolmate dalla roccia che forma il sedimento. In questi fossili si osserva sovente l'apparecchio brachiale ricoperto da un’ele- gante patina di limpidi cristallini di calcite. Sulle pareti di alcune geodette del calcare a corallarî osservai, asso- ciati ai soliti cristallini di calcite, altri individui alquanto più grossi, diffe- renti per forma e splendore. Questi richiamarono ben presto la mia atten- zione ed un sommario esame sulla loro forma tipica e sul loro aspetto fisico, mi indicò subito trattarsi di celestite, il che fu confermato dallo studio cri- stallografico. Questa forma non frequente di giacimento, in cui la celestina si ritrova in polipai fossili, fu osservata per la prima volta a Monte Viale, ed il nostro giacimento di Tremonti presenta con quello di Monte Viale somiglianze spic- catissime, come risulta dalle descrizioni che il Reuss (?) ed il Billows (3), fra gli altri, hanno dato del giacimento vicentino. I cristalli di celestina di Tremonti sono incolori, dotati di lucentezza vitrea e semi-trasparenti. Nella direzione dell'asse a misurano da 2 a 7 mm.: il loro spessore varia da 1 a 3 mm. Sono generalmente impiantati per un estremo dell'asse 4. e più di rado adagiati longitudinalmente sulle pareti delle geodine nelle quali si rinvengono. Frequente è quell’ingrossamento all'estremità libera di 4, osservato spesso sia nei cristalli dei giacimenti soltiferi siciliani che di altre località. Le forme osservate sono le seguenti: {011} e {110}, costanti; {102} ra- rissima: }0)1% trovata una sola volta. Si hanno, perciò, le combinazioni: {011} }110{ — j011} {110{ {102} — {011} 3110} 3001}. (*) La fauna di questo piano del pliocene messinese, come quella degli altri piani, fu esaurientemente studiata da G. Seguenza (Stud. stratigraf. s. formaz. pliocen. d. It. merid., loc. cit., pp. 181 e seg.), il quale illustrò in monografie separate i corallarî (Di- squisizioni paleontologiche intorno ai corallari fossili delle rocce terziarie del distretto di Iessina. Mem. d. R. Acc. d. Se. d. Torino, vol. II, Torino, 1864), ed i brachiopodi (Stuli paleontologiciì sui Brachiopodi terziari dell'Italia meridionale. Boll. Malac. ital., Pisa, 1873, e Paleontologia malacologica delle rocce terziarie del distretto di Messina: Classe Brachiopodi. Mem. d. Soc. It. d. Sc. Nat., Milano, 1865); e nelle cui opere sovente è citata la località di Tremonti, di S. Iachino e delle regioni circostanti. (2) Reuss, Die fossilen Anthozoen der Schichten von Castel Gomberto. Denkschr. k. Akad. d. Wiss., vol. 28, Wien, 1868. (3) Billows, Sulla celestite di Monte Viale nel. Vicentino. Rivista di Min. e Crist. sital., voll XXXI. — 432 — Nel cristallo che presentava quest’ultima, fu notata anche una faccetta. strettissima, riflettente un'immagine semplice, sbiadita, a contorni indefiniti, e lievemente spostata dalla zona [100]. In base all'angolo che essa fa con (011), si può dedurre che essa può identificarsi con il prisma {023}, trovato da Websky nel 1857 nella celestite di Pschow, ma non rinvenuta. finora nei cristalli di Sicilia: (011):(023) = 10° 51’ mis. 110311/y cale. In migliore accordo con la misura starebbe il simbolo, poco probabile,. di una forma nuova }0.15.22}, per la quale sì calcola (011):(0.15.22) = 10053’. Fic. 3. I cristalli di celestite di Tremonti sono sempre allungati nella direzione dell’asse 4 e prismatici secondo il prisma {011}: le figure 1-3 dànno un’idea del loro habitus. Spesso le faccie presentano la poliedria e le altre irregolarità ben note nella celestite. I cristallini più piccoli permettono, però, qualche volta, esatte misure, le quali vanno particolarmente d'accordo con le costanti di Dauber, come risulta dalla seguente tabella: MISURATI CALCOLATI ANGOLI 3 Sicilia Herren- Monte È) Limiti —|Medie e a EI (Tea Z Ranti | Dauber | Auerbach Kokskaro [DI Franco | Auerbach | Billows La 7 Do OP OT OT AEON) SLOT O ITIEET] | ROSTRATI On TRAI 0 rr) ROERIE (011) :(01I)| 5 [75.49 — 76. 8|75.57 — [75.53.27 [75.53.42 [75.52.34 [75.51.10 |75.59.48 |76.—.41 (110) :(110)| 4|75.40 — 75.48|75.421 — — |75.45.42 [75.56.— |75.56.10 75.57. 6|75.50. 1176. 5.49 102) :(011)| 1 — 61.39.61.39.12 [61.40.25 [61.37.57 [61.38.34 [61.39. 3 [61.35.51 [61.31.46 ( I (102) :(110)| 2|59.49 — 59.51[59.50.59.51. 5 [59.51.57 [59.58. 3 [59.57.44 [59.57.50 [59.56.42 [60, 6,14 (011) : (110)| 5 |60.47 — 61.26[616 .61. 4.25 [61. 2.20 [60.58.44 [60.58.25 [60.57.47 |61. 2. 9 [60.56.45 Gli angoli calcolati da me sono dedotti dal rapporto parametrico grdec=O]A 13128106 Biologia. — / processi di inibizione differenziale nella re- gione olfattoria degli Anfibi Anuri(*). Nota del dott. GruLto Uo- TRONEI, presentata dal Socio BATTISTA GRASSI. Nei miei studî, finora pubblicati, sulle « larve a litio » degli Anfibi, ho già reso noto che la regione olfattoria come appartenente alla parte precor- dale della testa risente intensamente il processo inibitore. Ricordo che fin dal 1915 pubblicai che la tendenza a fondersi delle narici è il fatto che prima s'incontra nella seriazione degli stadî malformativi. Con la presente Nota mi propongo di riferire pochi reperti ì quali, però, debbono servire a vieppiù avvalorare l’interpretazione causale da me data alla morfologia della testa, interpretazione causale che secondo me non è poi altro che il collegamento obbiettivo dei varî fatti studiati nelle loro relazioni. Ho descritto altrove come il fatto essenziale che caratterizza il cervello precordale di quelle larve, le quali avendo risentito l’azione paralizzante del clo- ruro di litio hanno tuttavia potuto proseguire nel loro sviluppo, sia la disso- ciazione dei processi morfogenetici elementari del Ruffini: le divisioni cellu- (1) Il Billows, loc. cit., per l'angolo (011):(011) dà il valore teorico di 75° 47’ 33”, Dal calcolo fondato sulle costanti definitive dello stesso Billows a me risulta invece il valore sopra riportato. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia e Fisiologia comparata della R. Uni- versità di Roma. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. (Li D — 434 — lari, infatti, sono state ostacolate meno che le funzioni di movimento e di secrezione. La conseguenza è una minore occupazione di spazio, necessario sia al normale sviluppo cerebrale, sia allo sviluppo di quelle parti che ven- gono sostenute e dirette dallo sviluppo del cervello precordale. E special- mente nello studiare il vestibolo boccale delle larve a litio degli Anfibi Anuri che ho potuto far risaltare con la massima evidenza questi processi di inibiziene differenziale (Cotronei, 1915, 1919, 1921). I medesimi processi di inibizione differenziale dovuti alla stessa natura causale si riscontrano nello studio dell'organo olfattivo. Gradatamente, seriando i varî reperti si osserva, data la minore occu- pazione di spazio cefalico, che gli organi olfattivi sono spinti sulla linea mediana presentando uno sbocco comune, si verifica cioè l’inibizione pro- gressiva della parte mediale anteriore. Anche però, la parte caudale presenta prontamente i processi inibitivi. Infatti io non riscontro la comunicazione naso-boccale (coane). In un dato grado del processo malformativo, quando però c’è ancora una notevole parte del territorio olfattorio, io osservo la inibizione del nervo olfattivo ('), che secondo alcuni autori, in base a ricerche sperimentali, avrebbe, non origine cerebrale, ma dall’abbozzo olfattivo. Fig. 1. — Larva a litio di Bufo vulgaris (Koristka obbiettivo 4 oculare 1). La figura mostra un solo occhio laterale per il fatto che la sezione è obliqua. La fig. 1 mostra una sezione frontale ma piuttosto obliqua lateralmente di una larva a litio di Bufo vulgaris nella quale i due occhi sono ancora laterali, ma la regione olfattiva è già notevolmente interessata dal processo malformativo. Si vede un organo olfattivo mediano derivato dalla fusione dei due abbozzi olfattivi. Si osserva lateralmente differenziata l’appendice (*) La inibizione dei nervi olfattivi come quella dei nervi ottici, che ho anche riscon- trato in determinate larve a litio, mettono in evidenza l’importanza delle condizioni di spazio per la produzione delle fibre nervose sopra tutto, per il nostro studio, nella re- gione mediana del cervello anteriore. — 435 — laterale che è inoltre una formazione dorsale dell'abbozzo olfattivo. Nella figura si scorge solo l’appendice di un lato; non si vede, ma è ugualmente differenziata, l’appendice dell'altro lato. Richiamo l'attenzione del lettore sul fatto che è assai bene evidente la cavità dell'organo olfattivo mediano. La fig. 2 si riferisce a una larva a litio ciclope di Rana esculenta. Fia. 2. Larva a litio di ARano esculenta in cui il processo maltormativo è più accentuato estendendosi alla regione oculare con la produzione della ciclopia: gli vrgani uditivi invece sono in posizione normale (Koristka obbiettivo 4 oculare 4 comp la figura è riprodotta ridotta di 1/,). Il processo malformativo anche nella regione olfattiva, è molto più avan- zato che nel caso precedente. Si nota tuttavia una fossetta olfattiva mediana la quale si spinge quasi a contatto con l’occhio cielopico. Il fatto che voglio ancora far risaltare è la presenza della cavità in questo ridottissimo organo olfattivo. Il massimo grado malformativo, prima della completa inibizione del- l'organo in esame, è una piccola fossetta nella quale io non riesco a scor- gere differenziamenti olfattivi; (c'è soltanto epitelio indifferente laterale). La genesi di questi varî gradi malformativi va considerata tenendo pre- sente i varî stadî di sviluppo normale dell'organo olfattivo. A misura che il cervello precordale si va estendendo dall'apice della corda dorsale in avanti, l'abbozzo olfattivo può occupare lo spazio che è stato conquistato dal cer- vello precordale, che agisce come un tubo turgido e quindi di sostegno: si verifica pertanto nei varî gradi di malformazione cerebrale precordale una graduale inibizione nell'organo olfattorio mediale e anche caudale ventrale — 436 — i i essendo le parti laterali spostate sulla linea mediana per la inibizione di spazio apicale e mediano. Ritengo inoltre di vedere nelle malformazioni dell'organo olfattivo un comportamento molto differente circa i processi morfogenetici elementari di Ruffini che non nel cervello precordale. La Marchetti ha, a parer mio, esaurientemente dimostrato che anche. nello sviluppo dell’abbozzo olfattivo si attuano i processi morfogenetici ele- mentari di Ruffini; ora i miei reperti avanti descritti nei quali sì nota la. conservazione di una cavità, mi sembra che dimostrino che il movimento e la secrezione cellulare non sono stati ostacolati come nel cervello precordale. Le brevi osservazioni e considerazioni esposte nella presente Nota ser- vono vieppiù ad accertare l'influenza direttrice del cervello precordale sugli organi circostanti, e a fare risaltare il ritmo delle condizioni di tempo e di luogo per lo sviluppo organico. Da principio è il cervello precordale che deve subito occupare il mag- gior spazio possibile e l’ottiene, sopratutto con le funzioni di movimento e- di secrezione (con la produzione di liquido encefalico). Questo tubo turgido e dilatato può ora dar modo agli altri organi di svilupparsi. In questi or- gani che sono così diretti, i processi morfogenetici sono meno ostacolati perchè essi entravano in azione più tardi che non quando più agiva l’azione para- lizzante. Ze inibizioni che in essi si riscontrano sono pertanto più passive. GG: SAI ya WPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 7 maggio 1922. Archivio italiano di anatomia e di embrio- logia, vol. XVIII dedicato al prof. Giu- lio Chiarugi dai suoi discepoli nel XXXV anno del suo insegnamento. Firenze, 1922. 89, pp. i-xxvitt, 1-575. BRUTTINI A, — Ramassage et utilisation des déchets et résidus pour l’alimen- tation de l'homme et des animaux pour les engrais et les industries agricoles (1914-1920). Rome, 1922. 89, pp. 1-336. D'Aquino L. — Il fondamento, il conte- nuto, le conseguenze della nuova teoria della relatività. Napoli, 1922 8°, pp. 1-18. D'Aquino L. — La decomposizione delle righe spettrali per effetto del campo elettrico. Napoli, 1922. 89, pp. 1-86. De Montessus pe BaLtore R. — Notice sur les travaux scientifiques. Paris, 1922. 4°, pp. 1-37. EnrIQuEes F. — Per la storia della lo- gica. Bologna, s. d. 8°, pp. 1-296. Favaro A. — L'attività del sole nell’anno 1921. Catania, 1922. 8°, pp. 1-20. ‘GALLARDO A. —- Algunos casos de terato- logia vegetal, fasciacion, proliferacion y sinantia (Extr. da « Anales del Museo Nacional de Buenos Aires », tomo VI, pp. 87-45). Buenos Aires, 1898. 30, due volumi formano un’annata. i 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 6 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 4 pagine. : 3. L'Accademia dà per queste comunica- zioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispa identi, e 30 agli estranei ; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. i 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretarie, seduta stante, una Nota per iscritto. ta Ti i 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente e le Memorie pro- priamente dette, sono. senz'altro inscritte nei Volumi accademici se provengono da Soci .0 da Corrispondenti. Perle Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Gom- . missione la quale esamina il lavoro e nè rife- risce in una prossima tornata della Classe. | 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta « stampa della Memoria negli Atti dell’Accade mia o in un sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - b)-Col desiderio di far conoscere taluni fatti.0 ragionamenti contenuti nella. Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria ‘agli Archivi dell’Accademia. SRG) 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- ‘cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame i i data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art, 26, dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 50 estrattiagliau- > tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti ; 30 se. estranei. La spesa di un numero di copie in più autori. RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. _7—TTPT—r-<—?» Il N. C,H,(0H) N. C,H3(0H)N0, (8) O=N. Gs O=N. CH; | a > I N. GH,0H N. C,H3(0H)N0; (9) ONE COH O=iNSIGH.0H II > Il N.C,H, OH ‘N. CH: (0H)NO, Ciò dimostra dunque che, per reagire con l'icido nitroso, non è suffi- ciente che l'anello aromatico contenga un ossidrile, ma che invece è neces- sario che l'anello che porta l'ossidrile sin altresì congiunto ad un tomo di azoto trivalente: RES NO, N a DA NK Da —> = NK YoH Si tratta dunque di una influenza concomitante del gruppo ossidrilico e dell'atomo di azoto situati in posizione para ad uno stesso anello aro- matico. — 444 — Diremo poì tino da ora che è poco probabile che in una prima fase si formi un nitrito all’azoto e che poi il residuo nitroso migri all’atomo di car- bonio in posizione meta. perchè, come è noto, queste migrazioni si com- piono sempre verso le posizioni orto oppure para: in questo caso il residuo nitroso potrebbe tutto al più portarsi prima all'ossidrile situato in para e da qui migrare successivamente alla posizione orto. Molto più semplice è invece l'ammettere la formazione di un etere ni- troso che poi passa a o-nitrosoderivato ed infine a nitrocomposto: n Bi no NO, ui MO.No — — NK vOH o =: Vow Accenneremo infine che, nell'azione dell’acido nitroso sopra il p-p'-diossi - azobenzolo. assieme al dinitroderivato si forma anche del p-nitrofenolo e ciò dimostra che in questo caso il reattivo ha agito in parte come ossidante. Questa ossidazione corrisponde perfettamente a quella che subisce l'acido iponitroso per azione del permanganato, operando prima in soluzione alca- lina (formazione di nitrito), e successivamente in soluzione acida (formazione di nitrato); e procede in modo conforme anche alla regola stabilita da uno di noi, secondo la quale i due sostituenti situati in posizione para ovvero orto di un anello aromatico sì comportano in alcune reazioni come se fossero congiunti direttamente fra di loro (1), vale a dire come se l'anello aromatico non esistesse: in questo caso il p-diossiazobenzolo corrisponde all’acido ipo nitroso ed il p-nitrofenolo all’acido nitrico: N.(0,H,). OH 0;N.(C;H,). OH I A — N.(C,H,).0H 0,N.(C,H.). 0H N.OH 0,N.0H o [ cet : N.OH O,N.0H DATI SPERIMENTALI. L’azocomposto oppure l’azossiderivato vennero sciolti a freddo nella suffi- ciente quantità di acido acetico glaciale e quindi trattati, a temperatura ordinaria, poco per volta con nitrito sodico in polvere: per ogni ossidrile contenuto nel composto di partenza, si presero circa due molecole di nitrito. Ad operazione finita, per aggiunta di acqua, si ottengono, a seconda dei casi, o il prodotto di partenza inalterato ovvero i prodotti di reazione, che facil- mente si possono purificare ed identificare. (1) R. A. L., 26 (1917), 1° sem., pp. 480 e segg. maia — 445 — Nitroazofenolo ottenuto dal p-azofenolo : C;Hx.N=N. CH: ), (F.) = (Ki — Ka) (F1) + (K.— K3) (F2). (1) Perchè invece coincidano le generatrici di S contenute nella quadrica corrispon- dente ad una retta, è ovvio esser necessario e sufficiente che questa retta sia tangente aQ. (2) Cfr. la mia Nota citata Sul significato geometrico ,... RENDICONTI. 1922, Val. XXXI, 1° Sem. DS — 448 — Se ne deduce la proprietà: Se in un punto qualunque di r si conducono i piani tangenti alle quadriche F,,...,F,. è loro birapporto non dipende dal punto, ma sol- tanto dalla retta r. Inoltre : IL luogo delle rette r, per le quali il gruppo dei quattro piani tangenti è armonico, è formato dai tre complessi di secondo grado H,=K+Kf—2K?=0, H,=Kf+K-2K?=0, H,=K + K:—2K}=0, e, denotando con « una radice cubica imaginaria dell'unità: Il luogo delle rette r, per le quali il gruppo dei quattro piani tangenti è equianarmonico, consta dei due complessi di secondo grado K=Kt+eK+eK=0, K'=K+eK:+eK=0. 8. Le equazioni dei cinque complessi quadratici del num. precedente mostrano che questi hanno per rette doppie tutte le generatrici di S. Ciascuno dei complessi H,, H,, Hz ha inoltre per rette doppie risp. le coppie di generatrici d, di , d3 43, 4343 di S': infatti per es. il cono di H, che ha per vertice un punto y di d, si riduce al piano tangente in y a Q, contato due volte. Per una nota regola (*), le rette singolari, ad es., di H, si ottengono dalle equazioni (Pro = P34)® =0, Psr Pu=0. Sicchè le rette singolari dei complessi H,,H,, H3 costituiscono le con- gruenze lineari speciali (ognuna contata due volte) aventi per direttrici risp. le coppie di rette d, di, 43.43, d3.d3 (ossia le congruenze formate dalle tan- genti a Q nei punti di tali rette). I medesimi complessi hanno dunque, nella classificazione di Weiler e di Segre (?), la caratteristica [(111) (11) 1]. I complessi K' e K"” sono entrambi di caratteristica [(111) 111], e posseggono un sistema lineare 00° di complessi lineari fondamentali, cioè tutti quelli che passano per il regolo S', e inoltre tre complessi fondamen- tali isolati, che sono K,, K,, K3. Sì per l'uno che per l’altro la congruenza delle rette singolari si scom- pone nelle quattro congruenze lineari rappresentate dalle coppie di equazioni Pre — Pu E (i-1)pu=0, pa —ipu=0; Pro — Psa E (04 1)pa=0, Pa |-tpu=0, (1) Pliicker, Neue Geometrie des Raumes, Zweite Abth., herausg. von F. Klein, Leipzig 1869, pag. 296. i (®) Weiler, Veber die verschiedenen Gattungen der Complexre 2weiten Grades, Math, Ann., Bd. 7 (1874), pag. 145; Segre, Sulla geometria della retta e delle sue serie qua- dratiche, Mem. della R. Acc. delle Scienze di Torino, Serie II, vol. 36 (1885), pag. 87. — 449 — ossia in quelle che hanno per direttrici e, e,,..., 6,6. La quaterna focale consta per K' delle rette e,,...,e,, per K"” delle et. ..., e; (*): vale a dire, per es.. il cono di K' avente per vertice un punto di e; si riduce al piano che dal punto proietta e;, contato due volte. I coni di K' e K" aventi il vertice in un punto generico y di Q si spezzano in due coppie armoniche di piani, passanti per la generatrice di S che esce da y. 9. Denotando con F,,T:, I; le espressioni in cui si cangiano i primi membri delle (1) quando si ponga pia = %i/a — XxYi, le equazioni T, = 0, T.=0,I3=0 rappresentano i piani focali del punto y (Y1,..-, y4) rispetto a IG, ha, K3; e le equazioni = 10) , ===) 9 rie rappresentano i piani che da y proiettano le coppie di rette d, di, d3 ds, d3 d3. Perciò dai numeri precedenti e dalle note proprietà della /emmiscata pro- tettiva (curva del quart’ordine con tre nodi a tangenti intlessionali) (?) si deduce : Il cono del complesso ® avente il vertice in un punto generico Yy dello spazio ha tre generatrici noduli, che sono le rette condotte per y a tagliare le coppie di rette d\di,d2dy,d3dg, e lungo quelle generatrici ha piani tangenti inflessionali, che sono i piani proiettanti da y le coppie stesse di rette. I quattro piani bitangenti del cono sono i piani focali di y rispetto ar complessi lineari L, ,..., Ly; e le otto neneratrici di contatto appar- tengono al cono circoscritto da y a Q. Gli stessi quattro piani sono le facce di un angolo tetraedro com- pleto, il cui + angolo quadrispigolo associato » ha per spigoli le rette che, partendo da y, si appoggiano alle coppie di rette erei,... 0404. il triedro diagonale comune all'angolo tetraedro e all'angolo quadri- spigolo ha per spigoli le rette che escono da 71 e si appoggiano alle coppîe dinelterd dista ds 04050 Il cono quadrico invariante dell'angolo tetraedro (rispetto al quale questo è polare reciproco dell’angolo quadrispigolo associato) è il cono circoscritto da ya Q. Il luogo delle rette uscenti da 1 e da cui gli spigoli dell'angolo qua- ‘drispigolo sono protettati secondo quattro piani formanti un gruppo ar- monico, oppure un gruppo equianarmonico, si decompone nei coni di ver- (1) Cfr. su ciò il n. 168 della citata Memoria del Segre, dove sono pure corrette varie inesattezze in cui è incorso il Weiler. (*) Ved., anche per citazioni, le mie'Note: Sulla lemniscata proiettiva, Rend. del R. Istituto Lombardo, Serie II, vol. 37 (1904), pp. 277 e 304; Sulla polarità rispetto «ad un quadrilatero piano completo, id, Serie IT, vol. 49 (1916), pag. 463. — 450 — tice y appartenenti, nel primo caso, ai complessi H,, H., Hz, nel secondo. ai complessi K', K". I complessi K' e K" godono altresì della proprietà che i loro coni di vertice y hanno per piani tangenti tutti e soli i piani che tagliano le facce dell'angolo tetraedro in quattro rette formanti un gruppo equi- anarmonico. i Invece l'inviluppo dei piani per y che incontrano le stesse facce in quattro rette armoniche si scompone nei coni di vertice 7 appartenenti at tre complessi quadratici — Kt4+-2k* 1 2K:=0, 2K SK: 2K=0, 0 OR 20h Anche questi tre ultimi complessi sono di caratteristica [(111)(11)1], ed hanno risp. in comune con H, . H,, H3 le rette singolari e le rette doppie. Ciascuno degli otto complessi quadratici è trastormato in sè dalla po- larità rispetto a Q, come pure dalle polarità nulle dovute a K,,K,,K3. NOTE PRESENTATE DA SOCI Geometria. — Nuova trattazione della geometria protettivo- differenziale delle curve piane. Nota I di Gustavo SANNIA; pre- sentata dal Socio EnRIco D’Ovipio. 1. In questa e in successive Note mostrerò che la geometria prozettivo- differenziale delle curve piane, fondata da Halphen (') e sviluppata siste- maticamente dal Wilezynskiì (*), può edificarsi nel modo più rapido e diretto, adoperando il calcolo differenziale assoluto con una variabile (3) ed un procedimento che si ispira a quello usato dal Fubini (4) per le varietà V, di un Sn+, con 2 >I (quindi con esclusione del caso #7 = 1, di cui mi oc- cupo). E le darò la più completa analogia con la corrispondente teoria me- trica, definendo l'arco (*). la curvatura, l'equazione intrinseca, la normale, ecc., protettivi. (1) Oeuvres, tom. II, p. 195. (2) Projective diff. geom. of curves and ruled surfaces, cap. III (Teubner, Leipzig. 1906). (8) Che ho dato in una Nota degli Atti della R. Acc. delle Scienze di Torino, vol. LVII, p. 2983, ove ho anche ricostruita la geometria affine differenziale delle curve piane (e sghembe, in una Nota successiva). (1) Fondamenti di geometria protettivo-differenziale, (Rend. Circ. Mat. di Palermo, tom. XLIII). (5) Già definito da Wilezynsky: /ntegral invariants in projective geometry (Rend. del Circ. Mat. di Palermo, tom. 42, an. 1917, p. 128). — 451 — 2. Anzitutto riporto da loc. cit. (') qualche cenno sul calcolo assoluto. Sia L una legge che faccia corrispondere ad ogni funzione U di una variabile x un'altra U' di una variabile x": dico che L è /egge di cova- rianza e che U è ui covar:ante di ordine n (ed allora lo indico con U,) se UL = U, (du: du)" (n intero) per ogni trasformazione invertibile tra ue. Se n= 0. L è legge di nvarzanza e U=U, è un dnvariante. U, + V,,U, Wm,U,:Ww sono covarianti di ordine 2, n +m,nt m. Se (1) A=ua, du è un differenziale primo e ad 4, si fa corrispondere ar, ove A'= ai du' è ‘il trasformato di A, a, è covariante di 1° ordine, quindi af di ordine x. Lo stesso du è covariante di ordine —1. quindi V,dw lo è di ordine 0 (invariante). L'espressione (2) U,,, = @U,/du—-nSUn, ove (3) S=da/a du, è un covariante di ordine 2 -- 1 che chiamo prima derivata covariante di U, rispetto ad A (e che co?ncide con l'ordinaria se a\= cost. 0 n= 0). La derivata a, di a, rispetto ad A è nulla. La derivazione covariante si applica ad un covariante U,, che sia fun- zione razionale di altri covarianti, con le regole del calcolo ordinario. Applicata nuovamente, dà la derivata seconda U,,:, ecc. Con le derivate covarianti di una funzione U e con a, si formano i porametri differenziali (1° , 2°, ...) di U (tutti invarianti), U:@,, Us: aî,... 3. Una curva piana I sia definita dando le coordinate (cartesiane o proiettive) omogenee di un suo punto generico P in funzione di un para- metro u: (4) aq= x) , y=y() , a= 4). Scelto che sia il fattore arbitrario di proporzionalità 4= #(w), insito nella definizione di coordinate omogenee, le (4) costituiscono un sistema fon- damentale di soluzioni di una ben determinata equazione differenziale (5) 1 30 purchè I° (nell'arco che si considera) sia priva di flessi (quindi anche che non sta una retta) come sempre supporrò. Gli altri infiniti sistemi analoghi daranno tutte le curve collineari a 7°. (1) Ved. nota (3) a pag. prec. — 452 — E, viceversa, una equazione del tipo {5) definisce, coi suoi sistemi fon- damentali di soluzioni, una curva Y° e le sue collineari 0, come suol dirsi, una curva TY a meno di una collineazione. 4. Tutto ciò è ben noto. Ora la (5) può porsi, ed in infiniti modi, sotto forma invariantiva, sostituendo alle /",/",/"' le derivate covarianti rispetto ad un differenziale (1) scelto ad arbitrio. Precisamente, essendo, per la (2), i (6) /f/=/ , f"=f.+Sf , f"=fs+38Sfn+(8+598)f (S=4dS:du), la (5) può scriversi (5') fa +-301/2 + Besfh +dsf= 0, ove (7) b=PB+S , co=y+BS4+(S°+5$8)/3 , ds=0d. Ogni termine di (5') è covariante di 3° ordine, perchè bi, 2, ds lo sono degli ordini 1,2 e 3 (*). Ciò risulta dalle loro espressioni mediante le (4): |e xs xs] pa |x1 9 da] (*) N IE Sao (8) da |a | 22 xo] -, $c= che permettono di costruire la (5') direttamente, anzichè passando per la (5). I coefficienti di (5') dipendono non solo da 4%, come quelli di (5), ma anche da A. Normalizzando (ossia fissando) f ed A con legge intrinseca ed inva- riante per coll., perverremo ad un'equazione normale, che sarà in corrispon= denza biunivoca con I° (e le sue collineari). Anzitutto, se si pone (9) f= A con (10) 4= eShdu — g-SBdu, a,» la (5’) si trasforma nell'altra (11) 9a +-3p2 91 + 939=0 i cui coefficienti valgono (come si vede con facile calcolo) (12) po=c — bi— ba , qa=d — 8bics +20 — ds (1) Sicchè, per eseguire una trasformazione u=u(u’), basta sostituire u(u') ad w: nei coefficienti ed interpretare le /, ,/2,/3 come derivate covarianti rispetto ad A’ tras- formato di A. (2) Con [er ws x] indico il determinante di 3° ordine le cui rimanenti orizzontali si deducono dalla prima (quella scritta) cambiandovi 2 in y o in 2; esso è covariante di ordine r-+s+t. Si noti che, per le (6), |2.2, :2,]=|@2'2"| ed è perciò indipen- dente da À e diverso da zero; esso è un primo invariante relativo di (5) o (5°). — 453 — e sono covarianti di ordine 2 e 3 rispetto ad A che dipendono solo du A (1). Per vedere come variano variando A, confrontiamo la (11) con quella che corrisponde al particolare A = du: sia (13) y+3ny + xw=0. Poichè questa non è che una delle infinite forme che può assumere la (5) variando il fattore f, si deve poterla trasformare nella (11), operando. su di essa come si è fatto con la (5): si trova così anzitutto un'equazione del tipo (5') con (14) = co=n ++ (8° n S')/3 ; d, =, giusta le (7); e poi la (11), ove, per le (12), sarà (15) po =#+(8°—28)/8 . qi=x—35n+ 388 —8"— 8? (?); Le (15) mostrano come variano p». e q3 în (11) variando A (quindi S). È importante la relazione 93 — 3p3/2= yx— 37'/2 che se ne deduce eliminando S (*); perchè essendo i due membri formati con la stessa legge, ma rispettivamente con i coefficienti di (11) ed A e coi coefficienti di (13) e du, prova che (16) 03= 93 — 3p:/2 = x — 37/2 è un covariante di 3° ordine indipendente da A (*). Dunque, se 093 +0 lungo l’arco di T considerato (*), potremo norma- lizzare A_ assumendo (17) A=@du con a =|/03- La corrispondente (11) sarà la richiesta equazione normale. Un suo sistema fondamentale di soluzioni sarà costituito dalle coordinate omogenee (1) E non più da h. Poichè se le (11), corrispondenti a due scelte diverse 4, 4/ di A, fossero distinte, dovrebbero potersi dedurre l’una dall’altra con una trasformazione del tipo (9) (con A=#": 4" o Ah”: h'); e ciò è impossibile, perchè per ogni trasforma- zione (9) la (11) perde la sua forma caratteristica (mancanza del termine iu gy). A meno che sia 4= costante; ma in tal caso, come risulta dalle (7), i coefficienti di (11) non mutano. (2) Si tenga presente che, per la (2),si ha successivamente 23 = dba — Sh, =S — 82, bg = bg — 28h, = (S” — 288’) — 28(S' — S?) — S” — 4SS'+ 283, (3) E precisamente tra la 2° e la p3=p3— 2Sp, = — 381 +2 (8SS' — S"— 53)/3, che si ottiene dalla 1% derivando covariantemente rispetto ad A. (4) E un secondo, cfr. (5), invariante relativo di (5) o (5') (Laguerre). (5) E così supporremo sempre da ora innanzi. Con ciò si esclude che T sia una co: nica, perchè solo nelle coniche è 6, = 0 identicamente (Laguerre). Infatti, supposto 03=0, scegliamo un A=a, du tale che risulti p,= 0, il che, perle (15), eqnivale a scegliere un S che soddisfi l’equazione di Riccati 28' — S° — 37 = 0. Allora risulterà gs =03=0 e la (11) diventerà g3=0, e poi p/=0 se si cambia la u col porre a1du= dv. Ora questa ha il sistema fondamentale x = 0° , y=v , 2=1 che definisce una conica, — 454 — t,Y,8 di P, ma col fattore h fissato (*) în modo intrinseco ed inva- riante per coll. : le dirò coordinate normali di P. o. La funzione o(w) il cui differenziale è (17) è l'arco protettivo di T, nel senso che o(u) — o(u,) è la lunghezza protettiva dell'arco di T° li- mitato dai punti P,(uo) e P(u) (Wilezynski). Dirò poi: (18) K=%,du con k,=8p,:4,, angolo di contingenza; (19) I=KsA/= 8p.:at, curvatura ; (20) IIC raggio di curvatura (protettivi) di T in P. I parametri differenziali (n. 2) primi e secondi delle coordinate nor- mall.t,y e dI (21) (K100, Vi dr, BA a A YA) sono le coordinate di due nunti T,N intrinseci e invarianti per coll. (*); quindi tali saranno le rette ‘= PT, n= PN, sempre distinte, essendo lee 2 |+ 0: la 1° è la vangente, e la 2% assumerò come normale pro- tettiva di T in P. Un punto di % (di x) ha coordinate del tipo x + hz,/a1, ... (e + + hrgfaî,...), con 4 intrinseco ed invariante se tale è la definizione del punto: in tal caso dirò che % è la distanza protettiva del punto da P; e dirò centro di curvatura proiettiva quel punto C di # per cui A= 1:1I. Matematica. — Sopra alcune formule di risoluzione di certe equazioni integrali di Volterra. Nota di FRANCESCO SBRANA, pre- sentata dal Corrisp. Gino LoRIA. 1. Consideriamo l'equazione integrale di prima specie (1) | 's(KE—d=@®0). 0 dove, naturalmente, D(0) = 0, e supponiamo che K(é) e ®(£É) siano defi- nite per tutti i valori di £, in forma tale, che gl’integrali he e K(vE) dé , | Wa: p(vE) dé, 20 esistano, e siano finiti, quando v varia in un intorno, conveniente, dell'origine. (1) A prescindere da un coefficiente numerico (senza importanza) per l’ultima pro- posizione di (8). (2) Perchè cogredienti a x,y,2. E così in generale (tn: 07 RO74O ar A Im: 0f). — 455 — Posto, quindi, nella (1), &= vr , u= vt, moltiplichiamo per e” dr, ‘e integriamo, tra i limiti zero e 00; risulta v f 2 e” dr iù p(vt) K[v(r— t)]dt= Ne e" D(vr) dr. Eseguiamo ora, nel primo membro, uno scambio di integrazioni, facendo uso della nota formula di Dirichlet, e poniamo poi x =? , y=7—1: ot- teniamo subito v f es g(vx) dx D) ev K(vy)dy= IE e” (vr) dr . 0 DL) 0 L'equazione (1) è così trasformata nell'altra (2) v fa e p(va)de = F(0), li) essendo Lg) | e K(va) de ° 0 F(v) Se poi K(v) e D(v) sono funzioni analitiche, lo è pure, in un conve- ‘niente intorno dell'origine, dove si annulla del primo ordine (!), F(v). Dalla :(2) segne allora, com'è noto (?), IS E 2) :(3) GO ra | e E( da, ‘dove c è, nel piano della variabile complessa 4, un contorno chiuso, sem- plice, descritto nel senso positivo attorno all’origine, entro il quale la F(v) è regolare. Si verifica, del resto facilmente, che la funzione g(v), definita dalla (3), è soluzione della (2); basta per ciò aver presenti le note formule So 1 ] L XL n EOS Z —}-1 (4) na)= f Odg, = S° 8 da, nella seconda delle quali, per 4 intero (non negativo), si può scegliere per c il contorno stesso che. compare nella (3) (*). Posto, infatti, F(o)=v) 40, 0 (1) Ciò è chiaro, se K(0) 0; ma risulta anche quando sia, più in generale, K(0)= K(0) = — K@-D (0) =0, e K® (0) +0; basti osservare che, affinchè la (1) sia risolubile, dovrà essere pure (0) = 6/0) =... — (0 =0, come si vede, derivando n volte la (1). (?) Sotto altra forma, la (3) si trova, p. es., nelle Legons sur les fonctions mono- gènes del Borel; 1917, pagg. 46 e 47. (3) Cfr, p. es., Whittaker and Watson, A cours of modern Analysis, 1915, pagine 237 e 239. D'altra parte, per Z intero (non negativo), la seconda delle (4) si ottiene subito, sviluppando in serie e7, e integrando termine a termine. ì RENDICONTI. 1922, Vol. XXXI 1° Sem. 59 — 456 — dalla (3) abbiamo (e Daino 1 vi Ai 2 Nn f Zo=n=1 1, Ce 9) e ped Zane evade LE el'de'—R(0)E (o) 2. Mostreremo ora come l’equazione (2) si risolva, quando la funzione f(0) =) sia sviluppabile in serie di Fourier, in un intervallo (—/,4). Poniamo \ Po) —3| 12/7) +Is(2Vî2)|. sa (5) < : ((=V—1), | om=1i (2/70) a,(evi0) |. dove J,(z) è la funzione di Bessel di prima specie e di ordine zero, mentre I,(2)=Jo(7s). Risulterà P(v) =) (1) prata ( UVEZA Do pan+1 USNCHIO = Di a +1)!Q2+1)!* e la soluzione della (2) è data dalla formula 1 1 3 Ip 1 6 g@=S itid,f x LATO I le ca ARE: En) a Ep) x }cosn7u P(n7o +senn7 u Q(a7o (vo Infatti, cambiando in essa v in vx, e sostituendo, nel primo membro della (2), otteniamo appunto Lo: Lean TT — | f(Wdu+t=> f(u)cosn-(v—u)du= (0). DIL =q} 1) = I i Ciò discende subito dalle seguenti uguaglianze : (7) {e P(0°2):dx =. cosi fer Q(0r)de = sen v, 70 Ù) che si stabiliscono facilmente, ricorrendo agli sviluppi in serie delle fun- zioni P(v) e Q(0), e alla prima delle (4). 8. Supponiamo invece che /(v) sia definita per ogni valore reale di v, e rappresentabile mediante l'integrale doppio di Fourier (?). Abbiamo allora (8) g=1 f lic STO ) cos P(a v) + sena 2 qa) | di, come agevolmente si verifica, procedendo in modo analogo al precedente. (1) Cfr. Riemann: Weber, Part. Diff.-gleich. der muth. Physik, 18" Bd., ediz. 1919, $ 18. — 457 — ‘Astronomia. — // sistema binario 0 Coronae Borealis. Nota di Giorgio ABETTI, presentata dal Socio A. DI LEGGE. Il sistema o Coronae Borealis (2032 = 8GC 7563 ; a= 168.10”, 9, d0= + 3407", Eq. 1900) scoperto da W. Herschel nel 1781, con le com- ponenti A e B di grandezza 5,8 e 6,7, presenta un lento moto orbitale, tanto che l'arco di orbita apparente (130°) descritto dal compagno B attorno ad A dall'epoca delle misure di W. Struve (1827) fino alla presente non basta ancora a determinare con certezza gli elementi. Burnham nel suo catalogo generale nota che saranno necessarie le misure ancora di un secolo per dare un periodo approssimato. Tuttavia un numero notevole di orbite sono state calcolate, che naturalmente presentano periodi molto diversi. Il più recente sistema di elementi calcolato da Doberck (1): lee MOT ine=tiezionry] E 0.848 a= 9.018 = 27609.03 g=i== 292,05 Q= 177°.80 angoli di posizione crescenti, rappresenta, con sufficiente esattezza, le osservazioni più recenti (?). Il medio di misure da me eseguite nello scorso anno con l’equatoriale di Amici ad Arcetri, in tre sere (*), dà i seguenti residui: 1921,43 p,=2190.5, 00=5".55 ; po—pe=—0°%4, 00—-06= + 0".32. Le grandezze assolute e la parallasse delle componenti A e B dalle misure spettroscopiche di Monte Wilson (‘) risultano: grandezza assoluta A = 3.7 ” Bid ITagp =" 0”.036 9 in buon accordo questa con le determinazioni trigonometriche. (1) Astr. Nachr., Nr. 4051, a. 1905. (2) Cfr. Aitken. Lick Publ., vol. XIII e Greenwich, Cat. of Double Stars, a. 1921. (3) Pubblic. Osservatorio Arcetri, fasc. 89, pag. 14, a. 1922. (4) Contributions Mt. Wilson, Nr. 199. — 458 — Sempre le misure di Monte Wilson assegnano le due componenti alla classe spettrale F9, mentre è da notarsi che Struve e Dembowski trovano una differenza di colore fra A e B, e precisamente: DS A subflava , B subcaerulea 4 A giallo-bianca , B cinerea chiara. La massa totale del sistema, in unità della massa solare, con gli ele- menti di Doberck e il valore della parallasse di Monte Wilson risulta: M+M=5.,57 ©. Il sistema AB è stato collegato da X con una componente D di 102,5 e da OX con una componente C di 12".5, e le misure sono state più volte ripetute fino all'epoca presente. La determinazione delle masse relative di A e B è stata calcolata in base a questi collegamenti da Lewis (!) che ricava il valore approssimato ' ' 4, e da Hadley (?) che trova = 1.1. Boss (*) dalle osservazioni ' meridiane ricava: mo DEE La notevole discordanza fra questi valori sì spiega col fatto che essendo il moto orbitale molto lento, dall'epoca del passaggio al periastro, avvenuta nel 1828.7, cioè all'incirca all'epoca delle prime osservazioni, la curvatura del moto di B attorno ad A è troppo piccola perchè le masse relative possano venire determinate con sufficiente esattezza. LÀ Esaminando come i valori trovati di SE soddisfino alle più recenti 0s- servazioni micrometriche, si trova che il valore di Boss è certamente troppo piccolo, e che è più probabile un valore medio fra quelli di Hadley e Lewis. Con le misure dî AC e AD che si trovano in £GC e con altre più recenti, di cui in calce alla tabella ho notato le fonti, ho formato i seguenti luoghi normali, e per le date corrispondenti ho calcolato con gli elementi di Doberck gli angoli di posizione e le distanze di AB. (1) Memoirs of the Royal Astr. Soc., vol. LVI, pag. 447. (2) Popular Astronomy, vol. 13, a. 1905. (3) P. G. C. Appendix II, pag. 273. — 459 — 1 LI PO --ee,>à: Coppia AC, eq. 1850 Coppia AB , eq. 1850 t p | O) | Osservatori Pe DA o " || (o) " 1851.73 234.1 2119 0 | 1745 2.20 1857.12 230.8 19.98 OE 182.5 2.48 1877.95 22393 | © 15.89 HI! i 2014 3.49 1880.39 2A 15.06 R | 203.0 3,60 1890.33 213.0. | 12,55 R 208.3 4.04 1898.47 208.7 lli2] Hu | 212.0 437 Coppia AD, eq. 1850. 1836.69 | = 88.88 | 4375 5 1851 1.40 1°62.60 | = 88.20 | 5101 4 188.6 2.77 186.02 | = 8810 | 5202 4 192.1 2.94 187451 | = 88.15 | 5462 | 4,Je | 1990 3.35 188450 | = 87.70 56.70 8, Maw 205.3 3.79 190441 | = 85.68 | 6224 | Do, Gr.21 214.0 4.60 1909.06 | 85.50 |. 6371 | g#,Bies, Lau | 2160 4.78 191141 | 8553 | 6401 Do, Fox | 216.8 4.87 1918.20 | = 8462 | 65.29 Gr. 21 217.4 4.98 1920.20 | = 85.15 | = 66.99 de Vos, Ab, || 219.6 5.18 Do = Doberck Astr. Nachr. 4480, 4529. Gr 21 = Catalogue of Double Sturs, Greenwich. a. 1921, È = Proper Motion Stars, Carnegie Inst. of Washington Pubbl., n. 165, Bies = Van Biesbroeck, Annales Observ. de Belgique. tome XIII, fasc. II Lau = Astr. Nachr. 4878. Fox = Annals of the Dearborn Obs., vol. I. de Vos = de Vos van Steenwijk. Monthly Notices, vol. 80, pag. 229. Ab, = G. Abetti, Pubbl. Arcetri, fase. 39, pag. 14, a. 1922. Ù Il valore di % = - che meglio soddisfa ai sistemi di equazioni mim in @ e d, che sì formano con questi luoghi normali, è 0.7 mentre il valore , i vi FRI ; m di Boss X= 0.82 lascia dei notevoli residui. Con X= 0.7 si ha 29» che è appunto il medio fra i valori di Lewis e Hadley. Fra i pochi valori di masse relative conosciuti con sufficiente esattezza, soltanto per il sistema 85 Pegasi il compagno B, di cinque grandezze minore di A, pare accertato che abbia una massa 1,7 volte maggiore di — 460 — quella di A (*); per tutti gli altri 18 sistemi il rapporto delle masse a diminuisce in modo regolare e continuo coll’'aumentare della differenza di grandezza fra le due componenti. Sarà dunque interessante stabilire con osser- vazioni future se il sistema o Coronae segua nel rapporto delle masse la regola più comune o presenti un caso di eccezione come quello di 85 Pegast. Fino all’epoca presente resta una notevole incertezza fra il valore e che è quanto oggi possono dare i collegamenti. micrometrici con , C e D, e il valore trovato da Boss x" 0.5 dedotto dalle osservazioni. meridiane esistenti. Per il momento non si può far altro che assumere l'uguaglianza delle masse di A e B come indicherebbe la loro differenza di grandezza. Con questa ipotesi si ha e il moto proprio del centro di gravità del sistema: sta == — 0".081 u=0".802 in 254°.5. AB c.g. ua=—0".352 La densità delle due componenti, calcolata in base alla loro classe spettrale F9, risulta: d, — 08400 — 0.99/9)7 La velocità del sistema nel piano normale alla visuale risulta di 40 chi- lometri per secondo; la velocità lungo la visuale del compagno B, determi- nata a Monte Wilson, è di —18 chilometri per secondo. Ammettendo che questa sia prossimamente anche la velocità del centro di gravità del sistema, si ottengono per questo la velocità nello spazio e le coordinate del suo apice seguenti: v= 82 chm.. ehi 170. > Di =190% In accordo con le grandezze assolute di A e B, questo sistema fa parte della classe delle stelle zare con le caratteristiche fisiche che competono alla sua luminosità (*). (3) Memorie degli Spettroscopisti, serie 2°, vol. 8°, a. 1919. (2) Cfr. Pubbl. Arcetri, fasc. 39, pag. 31, a. 1922. — 461 — Fisica. — GU spettri di assorbimento dei coloranti del tri- fenilmetano (). Nota del dott. EMILIO ADINOLFI, presentata dal Socio M. CANTONE (°). Fu da me rilevato in una Nota precedente (*) che le sostanze coloranti del trifenilmetano nei solventi: acqua, alcool etilico, etere, benzolo, glice- rina, toluolo, xilolo presentano curve di assorbimento dello stesso tipo e con massimi che subiscono spostamenti crescenti col crescere della massa mole- colare del solvente. Tale conclusione, che farebbe supporre una vera e propria addizione fra le molecole del solvente e del soluto, meritava una ulteriore conferma: è lo scopo della presente Nota. I solventi adoperati in questa seconda serie di ricerche sono stati, oltre l’acqua, gli alcool metilico, etilico, isobutilico ed amilico; in essi le so- stanze esaminate sono direttamente solubili; veniva perciò eliminato l’ar- tificio cui si dovette ricorrere nelle esperienze precedenti e che consisteva nell'usare qualche goccia di un solvente estraneo per favorire la solubilità. L'analisi delle curve di assorbimento, eseguita col metodo della diflusione (4), ha potuto estendersi a una ventina di sali del trifenilmetano delle case Bayer e Kahlbaum. La tabella annessa raccoglie le misure in uw relative ai centri delle bande che per ognuna delle sostanze si hanno nei diversi solventi. I coloranti del gruppo delle rodamine sono in maggior parte fluorescenti e in misura variabile col solvente; fra essi la rodamina 6 g., la rosa di bengala. l'eosina, la flossina, la cianosina seguono la cennata regola dello spostamento dei centri; la rodamina B e l'uranina se ne allontanano. ll comportamento anomalo di queste due ultime sostanze potrebbe dipendere dal modo come si effettua la riemissione per fluorescenza, poichè non è improbabile che i centri di risonanza subiscano perturbazioni dipendenti dalla intensità e posizione delle bande di fluorescenza. L'uranina presenta una fluo- (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica della R. Università di Napoli. (*) Pervenuta all'Accademia il 3 giugno 1922. (8) Rendiconti della R. Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli. -serie 38, vol. XXVII, 1921. (4) Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. XXIX, serie 52, 2° sem., fasci- -colo 19, 1920. SOLVENTI Verde malachite Verde brillante . Bleu vittoria . . Cianina . . Fuxina . Azofuxina . . Rosanilina . . Pararosanilina . Violetto metile . . Verde metile . . Violetto di genziana. Rodamina 6 g. . Rosa di Bengala . Eosina Rodamina B . . Uranina . . Cianosina . Flossina. . Eritrosina . . CH; . 0H |C,H;.OH 622.6 | . 627 577 581 631 634 595 596.2 549.8 | 550 594 595 - 552 554 557.5 ,07 507 567 de 528 -- 549.6 558 503 508 550 552 502 507 594 599 551 553 643 642 588.6 | 588 594 595 543 547 529.7 | 534 492 497 558.6 | 560.3 519 521.3 527 528 491.3 | 4932 551.6 | 552.5 513 518 493.5 | 506 460 464 552.7 | 550.5 511 513.2 557 558 529.5 | 530 492 492.7 _ 550 527 527.5 498 489 C.Hs . 0H[C;H, . OH: 632 635.6 _ 92 634.5 635.6 602 605 557 559.7 603 605 907 503 559 562 pilo) 514 559 562 514 514 557 562 508 = 599 599.5 955 = 643 645.5 592 552 532 985 = 457 563 567.3 525 025.5 533.4 510 498 501 549 550 511 519 492 494 459 461 556 557 515 517.5. 559 565 586 540 498 502 563 562 540 540 — 463 — rescenza intensissima che cresce passando dall’acqua, all'alcool metilico, all'alcool etilico e poi diminuisce negli alcool isobutilico ed amilico: e nel passare dall'alcool etilico all’isobutilico si ha un forte spostamento dei mas- simi in senso opposto. | La velocità di diffusione nei solventi alcoolicìi è maggiore di quella che si ha con gli altri solventi: in alcuni casi, e specialmente con soluzioni in alcool metilico, essa assume valori così grandi da aversi nel breve inter- vallo di pochi minuti colorazioni della intera colonna liquida di una lun- ghezza media di sei centimetri. Pur non avendo eseguite misure sulla rapi- dità della diffusione si può asserire che dall'alcool metilico, all’etilico, al- l’isobutilico, all’amilico la velocità decresce. Si è avuta massima cura, nel far pervenire la soluzione al fondo del recipiente contenente il solvente puro, di regolare l'etflusso in modo da evitare il disturbo dovnto a movimenti vor- ticosi e si è sempre ottenuta nelle condizioni iniziali netta superficie di separazione fra soluzione e solvente. Con alcune delle sostanze adoperate la diffusione è caratterizzata da due fasi distinte: la prima consiste in una rapida propagazione della colo- razione con gradiente piccolissimo di concentrazione e l’esame spettroscopico rivela una sola delle bande caratteristiche che si estende con larghezza co- stante, il che fa supporre che per questa prima fase la diffusione è com- pleta; permane intanto la superficie di separazione che si aveva nelle con- dizioni iniziali e si origina da essa una seconda diffusione più lenta che completa allo spettroscopio le curve caratteristiche del gruppo. Si ha l'im- pressione di essere in presenza di un fenomeno di doppia diffusione originata da due gruppi atomici diversi. Il fenomeno è nettamente apprezzabile con il verde malachite. la cia- nina, il violetto di genziana, la flossina (1). Pare già accertato del resto che in soluzione acquosa le sostanze colo- ranti del trifenilmetano vengano decomposte: e una probabile scissione è stata osservata dal Georgevics (*). Una doppia diffusione con caratteri ana- loghi è stata notata dal Cantone e dal dott. Carrelli nelle soluzioni di iodo. La permanenza nel tubo da saggio da sottoporsi all'esame spettrosco- pico di un imbutino capillare cne aveva l'ufficio d'inviare al fondo del recipiente contenente il solvente puro, la soluzione alla concentrazione ini- ziale voluta, poteva far sorgere il dubbio che il fenomeno osservato fosse dipendente da moti di convezione termica favoriti dall'imbutino pieno di soluzione e atto quindi, per il diverso potere assorbente, a generare una (1) Quest'ultima sostanza presenta tre massimi di assorbimento dei quali due diffon- dono nella prima fase e il terzo. cui corrisponde lunghezza d'onda maggiore, diffonde con maggiore lentezza. (?) Panizzon, Chimica delle sostanze coloranti. vol. I, pag. 335. RenpIcoNTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 60 — 464 — ‘corrente ascensionale di soluzione. Furono pertanto eseguite esperienze in tubi capillari piegati a U nei quali si aveva cura di portare per vie diverse solvente e soluzione nelle condizioni iniziali nettamente separati. In tali tubi la diffusione si effettua con grande lentezza, ma si riscontrano ugualmente le due diffusioni distinte. Le fotografie della fig. 1 si riferiscono a una soluzione in alcool meti- lico di verde malachite che diffonde nello stesso solvente contenuto in un Fio. 1. tubo capillare di un millimetro di diametro. La prima di esse è stata otte- nuta portando in corrispondenza della fenditura dello spettroscopio la super- ficie di separazione che ancora si nota a diffusione inoltrata (venti ore dallo inizio): la seconda, la terza e la quarta si riferiscono a tratti della colonna liquida distanti 1, 3 e 6 cm. rispettivamente dalla superficie di separa- zione anzidetta. Oltre al fenomeno della doppia diffusione altre ragioni concorrono a far ritenere che i vibratori che originano le curve di assorbimento nello spettro visibile dei coloranti del trifenilmetano sono due: di esse farò menzione in una successiva Nota. Per il momento si può conchiudere che anche 77 sol/u- zioni alcooliche, le sostanze esaminate, eccezione fatta per l’uranina e la rodamina B, presentano spettri di assorbimento i cui massimi subiscono spostamenti crescenti al crescere della massa molecolare del solvente. — 465 — Fisica. — Tenacità del nichel in rapporto al comporta- mento magnetico (*). Nota del dott. WasHineron DeL REGNO, pre- sentata dal Socio M. CANTONE. Le ricerche istituite sul nichel hanno messo in evidenza che alla tem- peratura critica si ha oltre alla perdita di magnetismo una variazione della resistenza elettrica, del potere termo-elettrico e del potere emissivo. Tale comportamento ha suggerita la presente ricerca che ha lo scopo di deter- minare le variazioni di tenacità di questo metallo col variare della tempe- ratura in un intervallo abbastanza esteso da comprendere il punto di trasfor- mazione magnetica. Le esperienze sono state eseguite su fili di nichel ricotto fornito dalla casa Kahlbaum, di diametro non piccolo (mm. €.5) per eliminare l'effetto dell'ossidazione, dimostratasi del resto piccolissima per le temperature rag- giunte. Per il riscaldamento veniva usato un forno elettrico impiantato ver- ticalmente a muro, alimentato da una batteria di accumulatori per avere, con la regolazione di opportune resistenze. la costanza della temperatura per tutto il tempo dell'esperienza, in media 15°. Le temperature erano de- terminate a mezzo di una pinza tipo Le Chatelier e di un galvanometro tipo Depretz-D'arsonval: la saldatura calda, completamente scoverta, veniva a corrispondere al centro del forno nella regione a temperatura pressochè uniforme occupata dal filo posto vicinissimo. Questo era assai corto, 50 mm., e ciò sia per poterlo ritenere tutto alla stessa temperatura sia per avere una minore disuniformità di sezione e quindi scarti piccoli nei valori della tenacità. Particolari cure si sono inoltre avute circa le modalità degli at- tacchi: ho impiegato anch'io il dispositivo a doppio filo che ha dato buoni risultati in precedenti analoghe esperienze eseguite dal Cantone (*) a tem- peratura ordinaria, opportunamente adattato alle dimensioni assai ridotte dello spazio nel quale si poteva operare (diametro del tubo interno del forno mm. 27) e liberato dalla guida alla rotella inferiore. Questa, perfetta- mente libera, portava il gambo al cui estremo veniva adattata la boccia destinata a ricevere il carico costituito da acqua la cui velocità di efflusso veniva regolata in modo da riuscire assai piccola e quasi costante: la pic- ‘colissima variazione di velocità, com'è risultato sperimentalmente, non aveva alcuna influenza sul valore da determinarsi. (*) Lavoro eseguito nell’Istituto Fisico della R. Università di Napoli. (3) Rendiconti Accademia dei Lincei. fasc. N, 1° sem. 1922. — 466 — Esperienze preliminari ebbero lo scopo di assodare l'influenza delle modalità del riscaldamento sui valori della tenacità. Esse dimostrarono che collocando nel forno il filo sin da principio e mantenendovelo per tutto il tempo necessario a raggiungere la temperatura dell'esperienza, si avevano. risultati assai poco differenti da quelli che si ottenevano introducendo in- vece il filo dopo di aver portato il forno alla temperatura voluta. Temperature 100° 2090 300° Primo modo di riscaldamento il“02 50.10 49.54 Secondo » ” ” 50.91 50.19 49.24 Assai piccola risultava cioè l'influenza della diversa durata di riscal- damento del filo, durata che nel primo caso era non solo variabile con la temperatura da raggiungersi, ma sempre abbastanza lunga essendo obbli- gati, per avere la costanza della temperatura per tutto il tempo dell’espe- rienza di trazione. a riscaldare assai lentamente il forno con una corrente non superiore a quella necessaria a mantenere il regime voluto. Nel se- condo caso invece l’equilibrio di temperatura si otteneva poco dopo l'intro- duzione del filo nel forno, come poteva rilevarsi da una spia tracciata sul gambo del sistema ed osservata con un catetometro. Nelle esperienze ese- guite con questo secondo metodo il riscaldamento veniva però prolungato e solo dopo mezz'ora dall'introduzione del tilo nel forno veniva iniziata l'e- sperienza. Con ciò, mentre sì era sicuri dell'uniformità di temperatura, si aveva' assicurata anche la costanza della temperatura durante l’esperienza di trazione, mentre nessuna influenza apprezzabile produceva detto riscalda- mento sul valore della tenacità. Con queste modalità e dopo lunghe e pe- nose prove fu possibile ottenere i risultati indicati nella seguente tabella: VALORI DELLA TENACITÀ (KG. PER MM°. DELLA SEZIONE INIZIALE). 100° 200° 300° 400° 450° | 500° 150 LT AI. dere (2) Co) | © 52.32 | 51.52 | 50.89 [50,08 { 50.30 (4921 [49.11 | 48,85 42.37 35.37 52.78 |50.77 | 50.84 | 49.89 | 50.30 | 49.30 | 495| 48.77 42.17 35.86 | | 5282 | 50,77 [50.98 | 50.37 | 50.30 {49.89 [49.29 | 48.43 41.98 35.86 | | 52,17 | — |50.84 [49.89 [50.15 | 49,79 | 49.06 | 48.68 —_ 35.95 “i 51.03 | 50.28 [49.901 — | — 48.52 - 35 86 -_|— | 52,4 | 51.02 | 50.91 | 50.10 | 50.19 | 49.54 [49.24 | 48.56 " “i 0,19 | 50.95 + 0.15 | 50.15 + 0.18 | 49.89 + 0.25. | 48.55 + 0.14| 42.20 + 0.15 [35.78 0.16 (1) Primo metodo di riscaldamento. (2) Secondo metodo di riscaldamento. 1 ——————e-er «Vee OÙ € F*Ffffeeftfee€€: — 467 — Da essi si rileva che la tenacità del nichel, assai alta a temperatura ‘ordinaria, diminuisce col crescere della temperatura prima assai lentamente e poi da 400° in su con maggiore rapidità. Si ha difatti fino ai 400° una variazione media di tenacità di Kg. 0.01 per grado, mentre al di sopra dei 400° la variazione è di Kg. 0,087 per grado cioè 8,7 volte la precedente. Dalla fig. 1 si rilevano nettamente i due andamenti della curva che sono entrambi di quasi proporzionalità, eccettuato il primo tratto fino ai 100° in cui sì ha una variazione doppia che nel tratto 100°-400°, Con questo di notevole che il passaggio da un andamento all’altro e che caratterizza i due stati del Nichel per rispetto al comportamento magnetico, avviene in corrispondenza alla temperatura di 400°, cioè ad una temperatura al- quanto maggiore di quella comunemente indicata (340°-360°) per il punto di trasformazione magnetica. La stessa temperatura di 40.° è stata otte- nuta da Kei Iokibe e Sukeaki Sakai (') per la variazione nell’andamento della curva della rigidità in funzione della temperatura, ed un ritardo nel cambiamento della legge di emissione (380°) fu ottenuto dalla Kaha- nowiez (*) con nichel della stessa provenienza di quello da me impiegato. Non è da escludere che la mancata coincidenza possa dipendere dal fatto che ai nostri giorni l’uso delle pinze termo-elettriche e dei forni elettrici permette un maggior rigore in questo genere di determinazioni. (*) Philosophical magazine. Vol. 42. N. 249, settembre 1921, pag. 397. () Rendiconti Accademia Lincei. Vol. XXX, fase. 3-4, pag. 132. — 468 — Mineralogia. — Sulla celestite del calcare madreporico della Provincia di Messina ('). Nota II del dott. FRANCESCO RANFALDI, presentata dal Corrisp. F. ZAMBONINI. CELESTINA DEL vaLLONE MaRRO. Il vallone Marro si origina dai fianchi occidentali del monte Cona — che sorge a km. 1!/s circa al sud-sud-est di Rometta — e, contornando le falde del monte Marro, percorre da oriente ad occidente il territorio di questa cittadina, per sboccare ad est di Monforte-S. Giorgio, nella fumara omo- nima, la quale segna i confini fra i territorî dei due su citati paesi. In questo vallone, in mezzo alla svariata serie dei terreni apparten enti al terziario superiore, affiorano alcuni calcari, i quali racchiudono una fauna fossile rappresentata da modelli di Lamellibranchi e da colonie di polipai appartenenti alla tribù delle Astracee. Su di un modello di detti polipai — che il perfetto stato di conserva- zione mi permise di classificare agevolmente come riferentesi ad ZHeliastraea- Raulini E. e H.(°) — ho rinvenuto, impiantati sulle impronte dei calici, alcuni piccoli cristalli bianchicci, prismatici di celestina. Pertanto anche questo giacimento presenta caratteri di analogia tanto con quello di Tremonti, quanto con quello di Monte Viale, di cui ho già trattato avanti. L'età dei calcari racchiudenti la fauna predetta — nei quali furono rinvenuti i cristalli sopra citati — a me pare non possa assumersi come esau- rientemente definita, quantunque G. Seguenza (*), molti anni addietro, avesse riferito tali calcari al Tortoniano. Infatti, al disopra dei conglomerati di ciottoli cristallini, che rappre- sentano un unico orizzonte geologico nella maggior parte della Sicilia — spe- cialmente nella provincia di Messina — e che da tempo sono stati riferiti (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Messina. (2) Specie già rinvenuta da G. Seguenza nella stessa regione (Disquisizioni paleon- tologiche intorno ai corallarî fossili delle rocce terziarie del distretto di Messina, vol. I, loc. cit., Torino, 1864, pag. 107, tav. XIII, fig. 1, 1a, 10. (3) G. Seguenza, Breviss. cenni int. a sez. terziar. d. prov. d. Messina, loc. cit., pp. 16 e seg. -dell’estratto. — 469 — al tortoniano (*), poggiano, sabbie, molasse, argille e calcari. Questi ultimi — che sono precisamente quelli che racchiudono modelli di bivalvi e po- lipai, affioranti fra l'altro al vallone Marro — credo non siano stati ancora esaurientemente studiati, sia perchè poveri di fossili caratteristici e ben con- servati, sia perchè manifestandosi qua e là al disotto delle argille ed are- narie a gessi, come il residuo di forte azione denudatrice, non lasciano chia- ramente scorgere la loro posizione stratigrafica; e quindi, per quanto i calcari suddetti si trovino sicuramenfe al disopra dei su riferiti conglomerati torto- niani, non credo possano ancora ritenersi come sufficientemente accertati per tortoniani. d. c. Alle anzidette condizioni che, neli’esame dei nostri calcari, ren- dono difficile tanto l'applicazione del concetto paleontologico, quauto di quello stratigrafico, e quindi laboriosa la determinazione e dubbia l'impostazione cronologica, se ne aggiungono però altre riguardanti la speciale /aczes fossi- lifera, la quale io credo tenda a rivelare questi calcari come omotipici a quelli sicuramente pontici di altre regioni. Infatti il Mottura (?) rinvenne calcari racchiudenti polipai degli stessi generi di quelli riscontrati in contrada Marro, presso il feudo Landro, tra Vallelunga e S. Caterina. Ed il Baldacci (*) riferì in seguito tali calcari all'ultima zona del tortoniano, non per la fauna, ma per la loro posizione al disotto dei tripoli, sottostanti alla zona a solfi, che egli assumeva allora come sarmatiano, ma che oggi è ritenuto sicuramente pontico (*). Il Cortese (*) trovò presso Monteleone un calcare racchiudente una fauna corallina di cui i generi, e persino varie specie, sono affatto simili a quelle che si rinvengono nel nostro calcare e fondandosi principalmente sul fatto che quei calcari sì trovano collaterali al calcare siliceo della formazione gessoso-solfifera, li ascrisse al mio-pliocene, asserendo che essi rappresentano una forma di Messiniano. Il prof. Giovanni Di Stefano (°) descrivendo i pochi lembi di calcare a modelli di grossi bivalvi che nella regione Salinà, fra Centuripe e Cate- nanuova in provincia di Catania, si osservano sulle argille con sabbia del tortoniano, interpreta l'accumulo di grandi Lucine — di cui quei calcari si (1) G. Seguenza, loc. cit.; Cortese, Bollettino del R. Comit. Geol. d’Italia, 1882, anno XIII, pag. 333; Baldacci, Descrizione geologica della Calabria. Mem deser. d. carta geol. d’It., vol. IX, Roma, 1895, pag. 109. (*) Mottura, Sulla formazione terziaria della zona zolfifera della Sicilia Mem. p. serv. a. deser. d. carta geol. d’It. pubbl. a cura d. R. Com. Geol. d. Regno, vol. I, Fi- renze, 1871, pag. 68. i (3) Baldacci, luc. cit., pag. 99 e pag. 108. (5 De Lapparent, Zraité de Géologie, quatrième édition, Paris, 1900, pp.1547 e seg. (5) Cortese, Descriz. geol. d. Calabria, loc. cit., vol. IX, Roma, 1895, pp. 152 e seg. (5) Giov. Di Stefano, /l Calcare con grandi Lucine dei dintorni di Centuripe in provincia di Catania. Atti d. Ace. Gioenia d. Sc. Nat., serie IV, vol. XVI, Catania, 1903, pag. ll. — 470 — mostrano essenzialmente costituiti — come residui di una colonia di questi bivalvi della base del piano pontico; e ritiene altresì che forse tali calcari possono ricordare quelli a modelli di bivalvi del messinese, i quali, d'altra parte, dallo stesso A. sono ritenuti probabilmente omotipici, ai calcari di Licodia Eubea. dei quali almeno una parte — come lo stesso A. fa rilevare confutando l'opinione del barone Cafici ('), che su di essi ci diede un pre- gevole studio — dovrebbe ammettersi sia immediatamente posta alla base del piano pontico. } inoltre opinione del Di Stefano (?) che la maggior parte de’ banchi a modelli affioranti in numerosissime regioni d'Italia e riferiti dagli ALA. a varî orizzonti geologici, debbano ritenersi sineroni ai calcari di Catenanuova, e quindi pontici. Da quanto ho esposto a me sembra poter conchiudere che al pontico — più che al tortoniano, come tin'ora sì è ritenuto — forse con maggiore probabilità finirebbero col riferirsi i lembi calcarei del nostro giacimento, se sulla sna tettonica e sulla sua fauna fossile potessero raccogliersi tali dati e materiale da rendere possibile uno studio minuzioso ed esauriente. Ed alla soluzione di questo problema potrebbe giovare l'esame della regione che sv9}- gesi fra i territorî di Rometta, Monforte-S. ‘Giorgio, e S Pier Niceto, giacchè in essi si hanno tutti i rappresentanti del terziario superiore Mes- sinese, e nel vallone Marro è rappresentato il calcare a modelli e ad He- liastrea. I cristalli di celestite del vallone Marro sì presentano di colore gene- ralmente bianco lattiginoso, translucidi e variamente torbidi, per modo che mentre taluni gruppi assumono dei tonì bianchicci, altri tendono ad una lieve tinta giallastra. Tutti hanno lucentezza perlacea. Le }Joro dimensioni variano da un minimo di mm. 1 ad un massimo di mm. 6 — ch» è raggiunto solo da pochi — nella direzione dell'asse [100], con una grossezza che rare volte raggiunge od oltrepassa di poco il millimetro. Essi si presentano impiantati sul fossile per un estremo dell'asse [100], per cui si mostrano terminati ad un solo estremo di questo asse e sono variamente inclinati, e più o meno intimamente aggruppati, ora a mo' di ventaglio, ora con disposizione ipopa- rallela. Però ne ho osservato qualcuno completamente isolato, il quale, pur ade- rendo al fossile per parte di alcune delle faccette terminali, si mostra ada- giato per tutta la sua lunghezza sulle parti delicatamente rilevate di questo, su cui poggia ordinariamente una faccia del prisma {01]{. Per tale dispo- sizione, uno di questi cristalli mostra abbastanza nettamente visibili tutte le facce terminali di entrambe le estremità dell'asse [100] — caso, come è (1) Id., loc. cit., pag. 11. (2) Id., loc. cit., pag. 12 — 471 — ben noto, piuttosto raro per i cristalli della specie — e su di esso ho potuto eseguire agevolmente, e senza usare alcun artifizio, le misure di tutti gli angoli, poichè le incrostazioni di calcare che restano sul cristallo staccato non cuoprono che parzialmente le faccette di contatto. Ho potuto, così. constatare che questo individuo (vedi fig. 6) presenta un notevole apparente aspetto emimorfo secondo l'asse [100], giacchè mentre in una delle estremità di questo asse si distinguono nettamente le facce delle {110}, {102}, }100{, nell'altra si presentano solo quelle del prisma }102|. Lo spigolo comune delle facce di questo prisma, però, si mostra addentel- lato, ed ai margini in cui queste facce iniziano la soluzione di continuità sì presentano le due faccette di un prisma j6.0.11, nuovo per la specie, il cui simbolo risulta determinato dai seguenti angoli: (GIR oz (ns) 0240) ) (cale.) 2083747" | (6.0.11):(001)=(mis.) 41° 55’ 30° ) dif — 1919" (calc.) 410.52” 182 4 i i 0a Per quanto avessi esaminata con molta cura questa estremità del crì- stallo, facendo anche uso di lenti a forte ingrandimento, non mi fn possi- bile scorgere nemmeno tracce delle faccette corrispondenti alle altre due forme }100} e {110}. Il tipo morfologico non differisce da quello osservato nei cristalli di Tremonti, giacchè anche in questi del vallone Marro, non solo si nota il comune abito nettamente prismatico secondo {011} con sensibile allunga- mento dell'asse 4, ma si rileva altresì quell'ingrossamento all'estremità li- bera di quest'asse, di cui avanti ho parlato Tutti gli individni, in genere, sono abbastanza regolari, poichè le facce omologhe delle forme dominanti — ordinariamente tutte presenti nelle parti libere dei cristalli strano quasi sempre sensibilmente equidimensionali. Le figg. 4, 5 e 6 rappresentano i tipi più caratteristici delle diverse combinazioni osservate, e nel disegno, pur completando e regolarizzando i cristalli, ho cercato di riprodurne l’habitus nel miglior modo possibile. Tutte le facce — specialmente negli individui più piccoli — sono al- quanto pianeggianti, ma spesso, col crescere in dimensione, si mostrano al- quanto corrose, scabre o striate, per cui al goniometro si presentano piuttosto lucenti, ma ordinariamente riflettono immagini di scarso splendore ed a con- torni variamente sfumati. Non è raro, intine, il caso di immagini dopp.e, triple ed anche multiple, dovute a poliedria che frequentemente si presenta nelle facce striate. Forme osservale: 1001} {100} {O11} {110} {102} {6.0.11}* delle quali — ch'io sappia — la j6.0.11{* è nuova per la specie. si mo- RENDICONTI. 1912. Vol. XXXI, 1° Sem 61 operi Delle suddette forme sono costanti: 011} e }102f alquanto frequente: i {001} rinvenute una sola volta: JI00 EOS 0 Combinazioni osservate : Ja, —. — Jol — flo. — molto frequente (fig. 4). 23 — 00 joll} — 310% — frequente (fig. 5). 3° }100f — }0L1{ }I10} }102} {6.0.11{* osserv. una sola volta (fig. 6). HiGit2 Le facce presentano i soliti caratteri, e non si prestano, in genere. a misure precise. Ho confrontato i valori da me ottenuti con quelli calcolati mediante il rapporto parametrico: ai bie=—=07803971:1,28236 determinato dall'Auerbach per la celestina di Sicilia. | | | | Ì | 28 MISURE ANGOLI Et Calcolo 4% Limiti Medie 01097. 0). ORIT RO JERT.00I 7 (001): (011) 4 5ILA41 — 52.16 BILIA CO 2003 (102) :(102) | 3 | 101.10,40 — 101.12.40 | 101.11 |101.10 59 (102):(001) | 3 | 39.23 — 3943 39/252 | :29/24.30 (102): (011) | 15 | 61.26 — 61.42 61.35 61.37.57 (102):(110) | 2| 59.55 — 60.2 59.581 | 59:58. 3 (011):(110) 2 60.57 — 61.12 61, 44 | 60.58.44 rp Biologia. — Suscettibilità differenziale, gradiente assiale e rapporti tra correlazioni e differenziazioni. Nota del dott. GiuLIO CorRoNEI ('), presentata dal Socio BATTISTA GRASSI. La presente Nota si propone di precisare la relazione tra le mie ricerche sui rapporti tra correlazioni e differenziazioni nello sviluppo degli Anfibi e le idee e le ricerche del Child e della sua scuola. Negli ultimi anni un biologo americano di grande valore, il Child, ha sviluppato una interessante dottrina che poggia sulla concezione fisiologica delia forma. L'organismo vivente viene concepito come un asse di attività fisiologica diseguale nei suoi varî punti: si verifica cioè un gradiente assiale, svolgendosi i processi biologici più intensamente alla parte apicale (cefalica) che non alla parte basale. Negli animali a simmetria radiale non esiste se non un gradiente apico-basale. Ma nelle forme bilaterali, oltre quest'asse posare, vi è anche un gradiente bilaterale. V'è però una differenza tra ver- tebrati e invertebrati: «gn most dilateral invertebrates the high region of these bilateral gradients is upparenily represented by the median ventrel region and in the vertebrates by ihe median dorsal region». Child, in uno dei suoi ultimi lavori di natura sintetica (*), ha proposto di sostituire il termine gradiente fisiologico all'altro gradiente metabolico giacchè il protoplasma è un sistema nel quale le reazioni chimiche del me- tabolismo sono così intimamente associate con altri fattori (come la disper- sione colloidale, l’attività enzimatica, la permeabilità, il contenuto in acqua e in elettroliti) che «... to ultempi to distinguisch one particular factor rather than another as primary is al present impossibie ». In una serie di ricerche su gli Anfibi mì sono occupato dello studio, sia delle correlazioni meccaniche, sia delle umorali. E tra i metodi d'indagine da me adoperati, si è fatto grande uso di quello che gli autori americani chia- mano metodo della suscettibilità differenziale. Fin dal 1915 ho potuto ri- scontrare che il processo malformativo comincia (come grado) all’apice ce- falico e procede in direzione caudale. È risultato, inoltre, da tutta una serie (‘) Lavoro eseguito nell’Istituto d’Anatomia e Fisiologia comparata della R. Univer- sità di Roma. (®) Child C _M., Some consideration concerning the nature and origin of physio a- gical gradients. Biological Bulletin, vol. 39, 1920. SSA di mie ricerche, che parti disposte più lateralmente (occhi, organi olfattori, papille laterali del vestibolo boccale) tendono a portarsi sulla linea mediana dove si trovano, pertanto, zone inibite e che il processo d'inibizione in questi organi è più intenso nella parte ventrale che non nella dorsale. Un fatto che, a mio credere, è di grande importanza, sono rfascito a mettere in rilievo: l'apice della corda dorsale è un punto d'arresto del pro- cesso malformativo in quelle larve che hanno potuto proseguire nello svi- luppo fino (ad esempio) al consumo vitellino; distinguendosi sperimental- mente due parti ben distinte nella morfogenesi degli anfibi (rana, rospo. tritone) e cioè la parte cordale del corpo e la parte precordale (3)° Rivedendo i miei risultati sulla scorta delle idee del Child, si può ri- tenere che i processi metabolici sono più intensi alla parte precordale che pertanto è più influenzabile. Bisogna però subito aggiungere clie io ho con- siderato le malformazioni della parte cefalica (precordale) come prodotte da un'azione d'insieme del cervello precordale. Le mie ricerche si sono, essen- zialmente, ispirate a concetti meccanici, pur riconoscendo che le forze agenti sono esse stesse prodotte da attività biologiche, di natura molto più com- plesse; ma io ho preferito, per raggiungere dei. risultati concreti, di non tentare di risalire troppo alle proprietà generali della sostanza vivente, ma di os- servare i fatti nella loro seriazione e dedurne le relazioni causali immediate. Molti fatti da me messi in evidenza fanno risaltare l'enorme im- portanza che ha la conquista dello spazio in un determinato momento per lo sviluppo di determinati organi. Si potrebbe subito osservare che questa è un'osservazione banale. Perchè si sviluppino determinati organi è intuitivo che ci debba essere lo spazio necessario! In verità, se sì fosse trattato di così poco, io non sarei stato alcuni anni ad occuparmi di simili inezie! Ma l’importanza sta nel mettere in rilievo le condizioni con cui si conquista il nuovo spazio embrionale e nello stabilire e precisare i rapporti tra deter- minate condizioni spaziali e i processi differenziativi. Nello studio delle mie «larve a litio» è risultato che tende a scomparire la cavità ventricolare nella parte precordale dell'encefalo. Ne consegue un am- massamento cellulare (dissociazione dei processi morfogenetici elementari del Ruffini) e pertanto si ottiene un minore svz/uppo spaziale. La prima conseguenza morfologica del fatto ora esposto, si ha nel cervello stesso: l'accumulo dei neu- (*) In tutte le mie ricerche, finora pubblicate, che trattano delle larve a litio degli Anfibi, non ho nulla riferito sul comportamento del blastoporo. Si sa già, e anche per ricerche non più recentissime, che la regione del blastoporo è intensamente influenzabile. Una conseguenza di tale fatto, che si può riscontrare nello sviluppo ulteriore, è l’imper- forazione anale. Tutto mi lascia pensare che la mancata invaginazione del tappo vitellino, che si può ottenere sotto l'influenza di determinati agenti, sia una consegifenza della dis- sociazione dei processi morfogenetici elementari di Ruffini, così como ho riferito in altri miei lavori. — 475 — roblasti finisce con l’ostacolare determinate differenziazioni; infatti, deter- minati centri proliferativi, che si trovano nelle parti laterali, sono costretti con la paralisi di alcune energie di sviluppo (movimento, secrezione) a su- bire più passivamente la forza di gravità e sì vengono a trovare, pertanto, ventralmente, sulla linea mediana; è così ostacolato lo sviluppo successivo delle parti mediane. Quei fatti si osservano con grande evidenza nella regione oculare : ne consegue la ciclopia e la inibizione del nervo ottico. Determi- nate parti del territorio oculare possono rimanere, così, persistentemente in- corporate nel cervello. L'inibizione del nervo ottico e quella del nervo olfat- torio mettono poi in rilievo l'ostacolo che incontra la produzione delle fibre nervose nella parte malformata. Nello sviluppare le mie indagini sono stato poi indotto a riconoscere che il movimento cellulare e la secrezione del liquido encefalico (ventrico- lare) servano in un dato momento ad occupare il maggior spazio possibile ‘distendendo la lamina neurale precordale (Ruffini e Marchetti). L'accumulo dei neuroblasti è dovuto appunto alla paralisi delle funzioni di movimento e di secrezione; e il grado di tale paralisi (1) e quindi il maggiore o minore spazio occupato dal cervello precordale si riflette sul grado minore o mag- giore del processo inibitorio in quegli organi cefalici che sono in rapporto con il cervello precordale. * x x I fatti e le considerazioni ora esposte tendono a fare risaltare l’impor- tanza della formazione delle cavità ripiene di un liquido per la morfogenesi. È in tal modo che l'organismo può conquistare più rapidamente e più eco- nomicamente lo spazio e può dirigere lo sviluppo di quelle parti che ven- gono così sostenute (direttameute o indirettamente). Vengono così viste sotto una nuova luce le ricerche di Herbst sull'influenza dei tigmotropismi nello sviluppo e si mette in risalto il peculiare stimolo di /ezszone esercitato dal neurasse precordale sulla morfogenesi delle parti circostanti. * * x Quanto precede è stato da me verificato nello sviluppo ulteriore (?) degli Anfibi; ma fatti già messi in evidenza da altri autori, mi indurrebbero ad estendere le mie considerazioni ai processi embrionali che si svolgono in fasì più precoci dello sviluppo. La cavità e il liquido blastulare, la cavità (1) Anche quel grado di variabilità che si riscontra nell’esaminare le malformazioni cef«liche nelle loro correlazioni è, secondo me, dovuto a quella variabilità di condizioni spaziali (in relazione a una variabilità nella dissociazione dei processi morfogenetici ele- mentari del Ruffini) che si può avere nello sviluppo dei varî individui. 5 (2) Vedo annunziato su questo argomento, da me trattato da molti anni, un lavoro «del Bellamy, della scuola di Child. — 476 — e il liquido gastrulare ece., spiegano successivamente un’enorme influenza morfogenetica. Infatti in quegli esperimenti, che ostacolano lo sviluppo mercè influenze paralizzanti, si è appunto ottenuta l’obliterazione di queste cavità. Per quanto io non abbia fatto ricerche sullo sviluppo degli invertebrati, sono indotto a pensare che, pur tenuto conto della differente morfogenesi e della possibilità di differenti parti direttive, fatti della stessa natura vi si possano riscontrare. ì * X.% In conclusione le mie ricerche, che non contraddicono alle idee gene- rali del Child, anno fatto risaltare, mercè l’analisi sperimentale, il modo con cui si esplicano ì processi embrionali per giungere, in un determi- nato momento, alla più rapida conquista dello spazio necessario allo sviluppo di determinati organi: in tal modo le mie ricerche hanno contribuito a met- tere in luce le attività più concrete che presiedono allo svolgersi della forma. PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente VoLTERRA dà il triste annuncio della morte, avvenuta il 28 maggio 1922, del Socio nazionale senatore prof. GIOVANNI CAPELLINI del quale ricorda i grandi meriti scientifici e la mirabile attività, anche negli ultimi anni della sua tarda età, nel campo degli studî geologici. Al Presidente sì unisce il Socio CANAVARI che legge i seguenti cenni necrologici dell’estinto : «I Colleghi De Stefani e Parona hanno voluto che io, associandomi a quanto ha detto il nostro Presidente, esprimessi anche a nome loro il nostro profondo cordoglio per la perdita che l'Accademia e la Geologia hanno fatto con la scomparsa di Giovanni Capellini. « Altri certamente commemorerà l’eminente scienziato con autorità infini- tamente più grande della mia. Il solo titolo per cui ho preso la parola deriva dal fatto di essere uno degli ultimi, per data, di quei numerosi discepoli che uscirono dalla Scuola geologica pisana, fondata da Paolo Savi e da Giuseppe Meneghini, mentre Giovanni Capellini ne fu uno dei primi in ordine cronologico e primo tra tutti per alti meriti scientifici. « (Giovanni Capellini si addottorò a Pisa in scienze naturali nel 1858. « Sin dall'inizio de’ suoi studî geologici ebbe un solo pensiero: quello di dimostrare all'estero che la tradizione geologica tramandata a noi per opera di Leonardo da Vinci — sommo tra i sommi — era pur sempre viva e feconda e doveva anche in Italia affermarsi, appena risorta, come s'era affer- mata in Germania, in Inghilterra, in Francia, mercè Lyell, Werner, Cuvier, tre nomi, tre diversi indirizzi nel campo vasto delle discipline geologiche. — 477 — « Mentre Giuseppe Meneghini con l'autorità del nome, dotto in tutti i rami delle scienze naturali e quindi biologiche, riuniva a noi nella spiritua- lità della scienza pura, austriaci e tedeschi, quali von Hauer, Suess, Leon- hardt, Zittel, ed inglesi, quali Lyell e Davidson, Giovanni Capellini stringeva più saldi e più ampî legami con francesi, con russi, con americani soprattutto, quali Gaudry, Karpinski, James Hall, Walcott, e cercava ovun- que con le pubblicazioni scientifiche, riguardanti specialmente vertebrati fos- sili, con le corrispondenze epistolari, con ì viaggi numerosi in Europa e fuori di Kuropa e con il promuovere e il presiedere congressi di scienze preistoriche e geologiche, di imporre all'estero il rispetto e la dovuta con- siderazione per la nostra produzione scientifica. «Fu spesso rimproverato a Giovanni Capellini dai Colleghi che non lo conoscevano intimamente, il suo continuo e apparentemente esagerato desiderio di voler conseguire sempre nuovi onori e nuove onorificenze. « Ma questa singolarità del compianto Collega era come la face virgi- liana, che sempre, senza un istante di riposo, doveva accompagnarlo per tutta la sua luminosa carriera, quasi come incitamento di continuo e pro- ficuo lavoro scientifico. Così che ogni nuova onorificenza da lui conseguita, mentre era il documento di un lavoro compiuto, rappresentava pure nel suo pensiero, un omaggio dovuto alla scienza italiana. E così egli fu, per oltre mezzo secolo, l'uomo più rappresentativo della Geologia che abbia avuto l’Italia. « A Bologna intanto, nell’alma mater studiorum, dove andò come pro- fessore di Geologia tin dall'anno 1860, chiamato là da Terenzio Mamiani, appena ventisettenne, fondava il Museo geologico che deve annoverarsi tra i primi d Italia. Ma se anche qui egli desiderava incidere — come incise — l’opera sua, che i posteri in ogni modo unanimamente gli avrebbero ricono- sciuta, egli cercò con ogni cura e con grande amore di riunire le più antiche raccolte dell'Aldrovandi soprattutto, come in un piccolo tempio, fin dal 1881, per testimoniare l'omaggio che i presenti devono a chi ci precorse. « Orme indelebili ha lasciato Giovanni Capellini pur anco nel Museo pisano, dove una grande sala, quella dei Vertebrati. fu intitolata al suo nome e dove sono le sue prime raccolte fatte neì dintorni di Spezia. l'on queste prime raccolte, ch'egli poi magistralmente descrisse, s'iniziò la sua importante opera scientifica. « Ogni uomo lascia l'impronta di sè stesso negli scritti e nelle opere, come Fedro, il Liberto di Augusto, diceva scrivendo al suo amico Particu- lone 20 secoli prima che Buffon concretasse questo stesso pensiero nella classica frase «lo stile è l'uomo ». « Giovanni Capellini mantenne pur sempre giovanile la sua tempra e la sua mente talchè, vicino a 90 anni, operava e pensava come un giovine. — 478 — «Tale fu, Giovanni Capellini, il Maestro che, come dicevo, a nome anche dei Colleghi De Stefani e Parona, con animo commosso e riverente, ho brevemente commemorato ». Altra commemorazione legge il Socio MaTTIROLO del compianto acca- demico prof. ANTONINO Borzì, di cui mette in luce la bella figura di scienziato e di artista, Questa commemorazione verrà pubblicata nel prossimo fascicolo. Il PRESIDENTE aggiunge che di un altro lutto dell'Accademia deve dar notizia: quello della morte del Socio straniero BERNARDO HASSELBERG professore di Fisica all'Accademia di Stoccolma, mancato ai vivi il 23 mag- gio 1922. PRESENTAZIONE DI LIBRI L'Accademico Segretario CASTELNUOVO, presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando una Memoria a stampa del prof. BERLESE: ZWn appa- recchio per disegnare al microscopio; un volume dell'ing. CASTELLI: La coltivazione delle miniere di lignite; e un altro volume di J. MA- SCART intitolato: Zmpressions el observations dans un voyage à Tenerife. Il Socio Levi-Civita, per incarico dell'autore, prof. UMBERTO CISOTTI, del R. Istituto Tecnico Superiore di Milano, presenta in omaggio i primi due volumi di un'opera intitolata /Idromeccanica piana, e ne dà la se- guente notizia: Si tratta di un'ampia monografia dell’argomento designato dal titolo, la quale raccoglie con criterio sistematico, sotto tre categorie generali, nume- rosi e importanti problemi, alcuni classici o già da tempo risoluti (con artiticî più che con metodi svariati), altri meglio discussi o risoluti per la prima volta in questi ultimi anni, attraverso fervida partecipazione di studiosi di ogni nazione, non ultimi certo gli italiani. In tutte queste ricerche è dominante il sussidio desunto dalla teoria delle funzioni di variabile complessa. Tuttavia, per la nitida impostazione dei problemi delle prime due ca- tegorie (regione del moto limitata esclusivamente da pareti rigide, oppure da soli peli liberi), bastano ì principî classici e un artificio di rappresenta- zione conforme (Helmholtz-Kirchhoff-Stokes); per i problemi della terza ca- tagoria, che hanno eguale, se non maggiore, importanza pratica (in cui inter- — 4799 — vengono ad un tempo pareti rigide e peli liberi), si richiedono mezzi analitici alquanto più affinati, introdotti recentemente a proposito delle scìe. Come è noto, il Cisotti ha apportato un contributo personale cospicuo alla risoluzione matematica e alla illustrazione meccanica di questioni appar- tenenti a tutti e tre i tipi suaccennati. Tanto più interessante ed utile appare perciò il lavoro di sintesi che egli ci offre, e di cui promette il prossimo compimento in un terzo volume dedicato al moto ondoso. Il Socio De MarcHI fa omaggio di una sua pubblicazione avente per titolo: Variazioni del livello dell’ Adriatico in corrispondenza colle espan- sioni glaciali. G. C. — 480 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL'ACCADEMIA 3 giugno 1922. Baez R. — Nuevas orientaciones cien- tificas. Caracas, 1922. 8°, pp. 1-56. BeLLuzzi G. — Commemorazione in me- moria di Giuseppe Colombo. Milano, 1922. 89, pp. 1-15. BerLesE A. — Un apparecchio per dise- gnare al microscopio (Estr. dal « Re- dia n, vol. XV). Firenze, 1922. 8°, pp. 1-8. CasrELLI G. — La coltivazione delle mi- niere di lignite. Bologna, 1922. 8°, pp. 1-477. Crrini E. — Il principio generale di mec- canica. Roma. 1922. 8°, pp. 1-37. Cisorti U. — Idromeccanica piana. Parte I, IT. Milano, 1921-22, 8°, pp. 1-373. De MarcHi L. — Variazioni del livello dell'Adriatico in corrispondenza colle espansioni glaciali (Estr. dagli « Atti della Accademia scientifica Veneto- Trentino-Istriana », vol XII-XIII). Pa- dova, 1922. 89, pp. 1-15. De Toni G. B. — Frammenti Vinciani, X. Contributo alla conoscenza di fogli mancanti nei manoscritti A ed F di Leonardo da Vinci (Estr. dagli « Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti », tomo LXXXI, pp. 35- 44). Venezia, 1921. 8°. De Tonr G. B. — Spigolature Aldrovan- diane. XIX. Il botanico padovano Gia- como Antonio Cortuso nelle sue re- lazioni con Ulisse Aldrovandi e con altri naturalisti (Estr. da « Contributo del R. Istituto Veneto di scienze, let- tere ed arti alla celebrazione del VII centenario della Università di Padova », pp. 217-249). Venezia, 1922. 8°. FanFANI E. — La riforma del calendario. Montepulciano, 1922. 8°, pp. 1-13. FeruGLIo G. — Risultati di esperienze con galleggianti per. lo studio delle correnti del mare Adriatico negli anni 1910-14. Venezia, 1920. 8°. pp_1-xv, 1-129 IvaLpi (5. — La legge del calore secondo il metodo sperimentale e la sua in- compatibilità col secondo principio della termodinamica. Milano, 1922. 89, pp. 1-75 Loxco B. — Le piante più notevoli del R. Orto botanico di Pisa. Pisa, 1922. 4°. pp. 1-28. Mascarr J. — Impressions et observations dans un voyage a Tenerife. Paris, s. d. 8°, pp. 1-366. Pession G. — Sviluppo del servizio ra- diotelegrafico pubblico in Italia dopo la guerra (str. dal giornale « L’Elet- trotecnica », n. 5). Varese, 1922. 49, pp. 1-10. PeyRonEL P. — Nuovi casi di rapporti micorizici tra basidiomiceti e fane- rogame arboree (Estr. dal « Bollettino della S cietà Botanica Italiana »). Bergo S. Lorenzo, 1922. 8°, pp 1-10. PoLapas G. — Sviluppo del servizio ra- diotelegrafico pubblico in Italia dopo la guerra (Estr. dal giornale « L’Elet- trotecnica », n. 5). Varese, 1922* 4°, pp. 1-10. See T.J.J — New Theory of the Aether (Repr. from « Astronomische Nachri- chten ». n 5130, pp 282-858, n. 5140, pp. 50-1:8). Kiel, 1922. 49. WoLtyer J. — On the perturbations in the motion of Hyperion proportional to the first power of Titan's eccentri- city (Repr. from « Proceedings », vol. XXI, pp. 1166-1175). Amsterdam, SIRANES0I WoLryer J. — The longitude of Hype- rion's pericentre and the mass of Ti. tan (Repr. from « Proceedings », vol.. XXI, pp. 881-892). Amsterdam, SARAIOOE x Pubblicazioni della R. Accademia Nazionale dei Lincei. ‘ Serie 1* — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. “Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3% MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. NO ENG No VESVIESVIII- 3 Serie 3° — Transunti. Vol. I-VIII. (1876 84). MemorIE della ‘Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I (1, 2) — TL. (1, 2). — II-XIX. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. XIII Serie 4* — RenpICONTI. Vol. I-VII. (1884-91). MemOoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII MemoRIE ‘della. Classe di. scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. "Serie 5* - ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-XXXI, (1892-1922). Fasc. 10°, Sem. 1°. ReNnDICONTI della Classe. di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-XXX. (1862-1921). Fasc. 11°-12°. ( MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. XIII, Fase. 11°. x MEMORIE. della Classe di scienze. morali, storiche e filologiche. Vol. I-XII. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 9°. Notizie DEGLI Scavi DI ANTICHITÀ. Vol. I-XVIIL Fasc. 120. —# nr. = -— e ——- CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE CAI RENDICONTI DELLA CLASSE. DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA -R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI f Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia Nazionale dei Lincei si pub- blicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispondenti oguuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta P]talia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono eselusivamente dai seguenti - editori-librai: ULRICO HorpLi. — Mano, Pisa e Napoli. P. MAGLIONE & C. SrRINI (successori di E. Loescher & 0.) —- Roma. V) RENDICONTI — Giugno 1929. INDICE __ Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 3. giugno 1922. Og MEMORIE E NOTE DI SOCI 3 Angeli, Bigiavi e Carrara. Ricerche sopra gli azossifenoli si Le PR SSR ALA #88 Berzolari. Sui complessi covarianti di tre complessi lineari-u due a due in inviligong i i ar Nola IL ipy ee a I NOTE PRESENTATE DA SOCI i Sannia. Nuova trattazione della geometria proiettivo-differenziale delle curve piane, Nota T ga (pres. «dal Socio E. D'Oviddo):- 0. PRO O, A E A II Sbrana. Sopra alcune formule di risoluzione di certe equazioni integrali di Volterra (pres. i i È dal -Corrisp. Loria). Ri > VR Di get) ce 5,454 Abetti.1Hl sistema binario o Coronae Borealis (presa dal Socio Di Légge) . . 0. n 457. Adinolfi. Gli spettri di assorbimento dei coloranti del trifenilmentanà (pres. dal Socio de CORONE) SiR BR, IR SA I Del Regno. Tenacità del nichel in rapporto al comportamento magnetico (pres. dal | sE Socio Cantone) SA VUOI IO AA Ranfaldi. Sulla celestite del calcare madreporico della Provincia di Messina. Nota II (pres. ae dal Corrisp. Zambonini) o LA 468 Iafie Cotronei. Suscettibilità differenziale, gradiente assiale e rapporti tra correlazioni e dif- ferenziazioni (pres. dal Socio Grassi) . SRO Sn 478 Pa PERSONALE ACCADEMICO Volterra (Presidente). Dà l'annuncio della morte del Socio G. Capellini. . ... +. 4 n 476 Canavanri. Commemora il defunto Accademico . ca REPIRRO SM ni - Muttirolo. Commemorazione del Socio A. Borz2. . dd ila siga SIRO Volterra (Presidente). Annuncia la morte del ‘Socio straniero 8. Hasselberg ale FE ANSIA TA PRESENTAZIONE DI LIBRI i Ci Castelnuovo (Segretario). Presenta le pubblicazioni giunte iu dono, segnalando quelle dei ‘‘ signori Berlese, Castelli e Mascart . 0... CRI aa SR Levi-Civita. Fa omaggio di un'opera del prof. U. Cisotti e ne dà notizia. . POPEDOT nm» De: Marchi. Offre una sua. pubblicazione AREA 0 I, NOIA BOLLETTINO BIBLIOGRAMICO 008 0:01,), le AIAR SA SE STI a SR “Pubblicazione bimensile. GN IS ATI REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI: IESCHEI ANNO CCCXIX. 1922 Ser RASTA A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume X X XI.° — Fascicolo 12° Seduta del 18 giugno 1922. 1° SEMESTRE: ROMA | > TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA NAZIONALE -DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL DOTT. PIO BEFANI 1922 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO 0 PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Uol 1892 si è iniziata-la Serie quinta -delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti: Ds 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche, matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono - le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l’Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume ; due volumi formano un’annata. 2. Le Note di Soci o Corrispondenti non possono oltrepassare le 6 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, non possono superare le 4 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunica- zioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispc identi, e 30 agli estranei ; qualora l’autore ne desideri un numero magg giore, îl sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non inn le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se î Soci, che vi hanno preso parte, desiderano, ne»sia fatta menzione, essi soro tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. IL 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro= priamente dette, sono senz'altro inseritte nei Volumi accademici.se provengono da Soci o. da Corrispondenti. Per le Memorie presentate | da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe, 2. La relazione conclude con una delle se; . guenti risoluzioni. (- 4) Con una proposta a stampa della Memoria negli Atti dell’Accade mia oin un sunto 0 im esteso, senza, pregiudizio dell’art. ‘28. dello Statuto. - 5) Col desiderio. di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con'un ringra- ziamento all'autore. - 4) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell’Accademia. ; 3. Nei primi tre casi, previsti dall’art. pre- ‘cedente, la relazione è lettain seduta pubblica nell'ultimo in seduta segreta. > ste 4. A chi presenti una Memoria peresame data ricevuta conlettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel casercontemplato dall'art, 26 dello Statuto. e ; 5. L’Accademia'dà gratis bO*estratti agli du- tori di Memorie; se Soci o Cor rispondenti ; » 3058 estranei, La spesa di ur numero di copie in più ghe fosse richiesto, è messo a eariso degli autori. i RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. _T_CCNKX---- Seduta del 18 giugno 1922. F. D'Ovipio, Presidente. ° pro È MEMORIE E NOTE DI SOCI Chimica. — Sopra le reazioni di alcuni derivati aromatici. Nota del Socio A. ANGELI. In alcune comunicazioni fatte recentemente a questa Accademia (!), ho posto in rilievo che in molti derivati del benzolo due sostituenti, situati nelle posizioni orto e para di uno stesso anello aromatico, ovvero, anche nelle corrispondenti posizionìi di due anelli aromatici differenti, che a loro volta possono essere uniti, ovvero anche separati, da catene non sature ca- ratteristiche, si comportano in molte reazioni come se fossero congiunti di- rettamente fra di loro, AT— GH,- B AT— B, vale a dire come se gli anelli aromatici non esistessero, come, p. es., HO—-0H => 0=0 HO aos) (CsH, o (Ho) a OH go O = (CsH, = CsH) = (O) HO a (CH, Q CH = CH E CeH.) fe OH 2 O = (CH, == CH L CH =C,H, ) =0 Come ho già detto, questo comportamento conduce necessariamente ad ammettere che tali catene, costituite da anelli aromatici, ovvero anche da anelli aromatici e residui non saturi, possiedano un forma di « conducibilità » ; (1) A. Angeli, R. A. L. 26 (1917), 19, 480; 29 (1920), 1°, 375; 20 (1921), 2°, 341. Confr. anche: Ciamician e Ciusa R. A. L. 30 (1921), 1°, 72. ReENDICONTI. 1922. Vol. XXXI. 1° Serna. 62 482 da quanto finora mì risulta, sembra invece che i gruppi saturi interrompano- ogni relazione fra ì sostituenti. Una analoga relazione pare che si possa estendere anche ad alcune proprietà fisiche e precisamente al colore. come a suo tempo ho già esposto. Per dare maggiore estensione e generalità a questa regola, nella pre- sente Nota riporterò un’altra serie di esempi che io ho desunti dalle ricerche eseguite in precedenza da altri sperimentatori. 1. Ho già accennato alle migrazioni di atomi di ossigeno, che possono avvenire sotto l'influenza di alcuni reattivi oppure anche della luce. da un residuo nitrico ad un gruppo metilico, situati sempre in posizione orto ov- vero para di un anello aromatico, quali p. es. NO; - (CH) CH; S# No: (CH) CH-(0H) NO; (CH) CH, SSE2NH; (CH) Con NO; -(C.H) - COH ENO. (CH) (008 NO;-(C.H.)- CHy SS NH, -(GH, 0001 le quali trovano un perfetto riscontro in quelle che può subire il nitrome- tano, nel quale il gruppo nitrico ed il metile sono congiunti direttamente fra di loro: NO: - CH; — NO-CH,-(0H) — (HO)- NH - COH 22 NH;-C00H,— (NES SG0A Una serie di trasposizioni analoghe è stata effettuata per mezzo della luce ; alcune procedono in modo simile a quella studiata da Ciamician e- Silber per il caso della o-nitrobenzaldeide, come. p es., (NO:)s - CH: COH —> NO-(NO;):- CH, COOH (3) CI - NO; - C6Hz - COH —> Cl: NO-C;H; - COOH (2) (NO:): - CsHs- COH —> NO-NO;-C;H;- COOH (3). Lo stesso fanno alcuni derivati arsenicali ortosostituiti, come, p. es., ha trovato Karrer (‘): As 0, H; O: HLC! i posi CH È 2 As (07 H. NO e nello identico modo si comportano i derivati anilici delle aldeidi o-nitro- (1) F. Sachs e E. Sichel, Berichte 36 (1903) 962. (?) F. Sachs e E. Sichel, Berichte 26 (1903) 3302. (3) P. Cohn e P. Friedlinder, Berichte 35 (1902) 1265. (4) Berichte, 47 (1914), 1783. benzoiche: -CH=N - CH; A) -NH-CsHs CH, ===> CH (2) CH=N - CH; CO - NH. CH; NO» + CH. > NO. CH a) Anche due sostituenti in posizione « peri » della naftalina, che in molte reazioni si comportano come se fosssero situati in posizione orto, possono subire una trasposizione analoga (*): NO, SO.H NO S0;H NEÉN LA dan e” (96 | SESTA NAST Nello stesso senso sono senza dubbio da intendersi anche le reazioni CO v0=C0 - GH AN CH ; = Oli 70 Cos ui NO; NO i (010) NC Sl CeHi iu (RI iS e NC 2: CaHa A: x CH; (5) NO; NO Senza dubbio a trasposizioni di questa natura è dovuto anche l’imbru- nimento che subisce il tritolo (trinitrotoluolo) sotto l'influenza della luce. (1) F. Sachs e R. Kempf, Beriche, 37 (1904), 2704, (2) F. Sachs, Berichte 26 (1903), 4373. (3) A. Reissert, Berichte 55 (1922), 863. (4) P. Pfeiffer, Berichte 45 (1912), 1819. A questo proposito devo ricordare che la struttura di questi isatogeni, scoperti da A. von Baeyer, venne stabilita da me ancora nell'anno 1907 (R. A. L. 15, 2°, 761) e non trovo quindi giusto quanto asseriscono G. Heller e W. Boessneck [ Berichte, 55 (1922), 474] che queste sostanze sieno state sco- perte da P. Pfeiffer [ Annalen 4/1 (1916), 72], il quale avrebbe altresì fissata la loro struttura da me proposta per il primo. (5) R. Stoermer e H. Oehlert, Berichte 55 (1922), 1236. — 484 — 2. È noto che i gruppi metilici, etilici, ete., uniti all’anello benzolico hanno, in generale, il comportamento delle paraffine, vale a dire si mostrano molto indifferenti all’azione dei varî reattivi. Anche in questo caso, però, quando nelle posizioni orto e para del gruppo alcoolico sì trova un residuo negativo (NO,, —CN, —C0,- CHz, —SO0; - NH»), tali gruppi alifatici ac- quistano una grande facilità di reagire, come lo mostrano i seguenti esempî: (NO»): 2 C,Hs È CH, + CsH; È COH= ==(N0;); 4 CeH, e, CH=CH 5 CEE = H,0 (1) che sono perfettamente analoghi a quelli dei corrispondenti nitroderivati della serie alifatica (2): NO; - CH; + CH; - COH=NO; - CH=CH - CHy + H;0 NO, NO, NeH,to;H, cone ©. Veleno CH, cH,/ Invece delle aldeidi, si possono impiegare anche gli acidi chetonici, quali, p. es., l'acido ftalonico (8) CO . COOH CH=CH-C;H3- NO,- CN CHE +0Hs CyHs -NO:. ON —> C5H.KC COOH \cooH oppure l’acido fenilgliossilico CH; - CO- CO0H + CH, - C,Hs-NO,-CN — CHy- CA=CH - CH; NO, - GN Nello stesso modo reagiscono anche i toluoli : CH; - CeH3 (N02)a CH; - CsH3 - NO» . CN I nitrosoderivati, come era da aspettarsi, si comportano esattamente come le aldeidi (‘): (NO): - CsH3 - CH3 + ON - CH, - N{(CH3),=H,0 + + (NO): i CeHs : CH=N h CeH4 6 N(CH3)s . (1) I. Thiele e R. Escales, Berichte 34 (1901), 2842. (*?) Berichte 32 (1899), 1293. (8) P. Pfeiffer e K. Matton, Berichte 44 (1911), 1113. (*) Sachs e Kempf, Berichte 35 (1902), 1224. — 485 — 8. Anche rispetto agli ossidanti, i gruppi negativi influiscono nello stesso modo, vale a dire favoriscono, p. es., l'ossidazione dei metili situati in posizione orto (1): Du COOH CH tesi CoHaC >NO, SNO; CH; C00H ici TELA CHL x\S0O3H xS03H 4. (‘ome è noto, le aldeidi ed i chetoni aromatici reagiscono, in gene- rale, in modo alquanto lento con l’anilina; invece la dimetilparafenilendiam- mina reagisce con grande rapidità, precisamente come fanno le idrazine (*): (CH3), i N ha CeHi Di NH, + CeHs È COH={CH3), “ N se CeHu È. N=CH È CsHs + H.0 vale a dire come se i due residui azotati fossero uniti direttamente fra di loro. 5. Delle tre ammidi NH. C0-CH CH ° 6 se NO, solamente i derivati orto e para sono in grado di fornire un sale sodico e da questo punto di vista si comportano come il nitrouretano NO, - NH - C00 C,H; nel quale il gruppo it: 0 è unito al residuo ammidico. 6. Come ha dim».: ato K. Auwers, dei tre isomeri CH pina SH solamente i derivati orto e para per azione degli alogeni sono in grado di (*) Bischoff e Rach, Berichte /7 (1884), 2788. (*) A. Calm, Berichte 77 (1884), 2398. — 4860 — dare i cosiddetti pseudofenoli (1): CH; (CH;X) H c,H, 1 — ran 0 TONO 7. Come ha posto in rilievo B. Hirsch, i soli isomeri orto e para pos- sono subire la trasposizione (?) : Br. CH, N°- CNS > CNS-GH,- Na Br. S. I. Meisenheimer ha trovato (*) che il p-binitrobenzolo, per riduzione in presenza di potassa, fornisce facilmente il sale (NOOK)=C >= (N00K) che ha una costituzione perfettamente analoga, secondo Freudler e Beranger, Green e Grandmougin, a quella del sale di potassio del p-binitroidrazoben- ZOLoR(d)x (N00r) = di VaNnan= d=(N00K) : Ciò lascia preve ere che anche dal p-p-binitrodifenile sia possibile ot- tenere un sale della stessa forma : (NO0K)=( SC S=(N00K) i 9. Sono stati proposti alcuni processi fotografici fondati sopra la rea- zione che si compie per mezzo della luce (*) R. N,- SO; Na -{ fenolo (oppure ammina) —> materia colorante, ed un processo analogo è stato proposto da Ruff e Stein (°); questi ultimi autori hanno anche studiato l'influenza che la posizione e natura dei sosti- tuenti esercita sopra questa reazione, ed hanno trovato che : (1) Berichte, 32 (1899), 2978, 2987, 3583; 34 (1901), 4256. (2) Berichte, 53/ (1898), 1255. (3) Berichte, 39 (1906), 2526. (4) O. N. Witt e E. Kopetschni, Berichte 45 (1912), 1140. (5) A. Feer. Brevetto germanico N. 53.455, KI. 57 (1879), analogo al brevetto preso un anno dopo da Green, Cross e Bewan. (5) Berichte, 34 (1902), 1671. — 487 — a) il gruppo negativo NO, aumenta la sensibilità alla luce in orto 2 para e non in meta: 5) il gruppo positivo CH; indebolisce la sensibilità alla luce in orto e para e non in meta. 10. Come è noto, i residui ossialchilici uniti direttamente ad un anello ‘aromatico sono molto stabili ed in generale, per poterli eliminare o sapo- nificare, è necessario ricorrere all'impiego di reattivi energici, operando a temperature elevate. Quando, invece, in posizione para, rispetto a tali gruppi, esiste un gruppo negativo, questi perdono, in molti casi, ogni carattere di stabilità. Un bell’esempio ci viene dato dalle esperienze di H. Thoms e W. Siebeling (*) i quali hanno trovato che, riducendo con alcool e sodio l'etere trimelitico dell'acido pirogallolcarbonico, l’ossimetile in para rispetto al carbossile viene facilmente eliminato : (CH;0); - CH, :- COOH —> (CH;0),-C,H;- C00H. Si sa, inoltre, che anche gli eteri alchilici dei fenoli vengono facilmente saponificati quando nelle posizioni orto o para si trovino nitrogruppi. 11. Come hanno trovato Bamberger e Miiller (?), delle arilnitrosammine benzilate solamente i derivati orto e para vengono saponificati dagli alcali con formazione di isodiazotati : Ar - N(NO)-. CH. - CH, -(0H) + KOH = Ar. N3-0K + HO-CH,-C;H,-(0H), 12. È noto che alcuni nitroderivati alifatici non saturi, rispetto agli alcoolati, si comportano come fanno molti nitroderivati aromatici; infatti dapprima I. Thiele (*) ed in seguito Fr. Heim (‘) e Meinsenheimer e Heim (°) hanno realizzate le trasformazioni : R- CH R- CH(0CH:) I ReNgO0H, = R-C(NO») R-C=N00Na H 0CH; H Na ZA | (+ Na 0 CH = | | vi NO, NOO Na (1) Berichte, 44 (1912), 2134. (?) Annalen 373 (1900), 102. (3) Berichte 32 (1899), 1293. (‘) Berichte 44 (1911), 2013. ((5) Annalen 355 (1907), 275. — 488 — Questi prodotti presentano anche analogia con i composti di addizione che gli eteri nitrosi e nitrici forniscono con gli alcoolati. 13. Recentemente D. Bigiavi, G. Carrara ed io (1), studiando l’azione degli ossidanti e dell'acido nitroso sopra gli azofenoli, abbiamo trovato che il p-p-diossiazofenolo può fornire il p-nitrofenolo N - (CH): OH NO, - (CH) - OH | +20.= N sa (CHa) ° OH NO, SI (CsH.) È OH e che in modo perfettamente analogo, come ci siamo espressamente assicu- rati, procede l'ossidazione dell'acido iponitroso quando si operì prima in so- luzione alcalina (per evitare altre decomposizioni}) e successivamente in mezzo acido: : N-.-0H NO; - OH Il +20,= N-0H NO, -0H In questo caso, al p-p-diossiazofenolo corrisponde l'acido iponitroso, ed al p-nitrofenolo l’acido nitrico. 14. Accennerò infine che la formazione dell'idrochinone durante i pro- cessi di ossidazione determinati dal chinone 0=CH=0+H:0+R=(H0)CH,-(0H)+RO, corrisponde a quella dell’acqua ossigenata che si forma durante le ossida- zioni che si compiono in presenza di ossigeno : 0=0+H,0 + R=(HO)-(0H) +RO. Come ha dimostrato W. Manchot (*), in molti casi la reazione procede così netta che il rendimento in acqua ossigenata è quantitativo. È noto, inoltre, che i chinoni con i corrispondenti idrochinoni forni- scono facilmente quei composti molecolari caratteristici dei quali in questi ultimi anni si sono occupati principalmente Willstàtter (3) e P. Pfeiffer (4); così chinone ed idrochinone dànno il chinidrone (HO - C;H, - 0H) (0= CH,= 0). Si comprende subito che se acqua ossigenata ed ossigeno, nelle oppor- tune condizioni, sono in grado di fornire un prodotto analogo: (HO- 0H) (0=0), si potrebbe intendere anche la formazione dell'ozono per eliminazione di una (?) R. A. L. 31 (1922), 1° semestre. (2) Berichte, 39 (1906), 3510. (8) Berichte, 41 (1908), 1458. (*) Annalen, 404 (1914), 1; 472 (1916), 258. — 489 — molecola d’acqua del composto formatosi in una prima fase. Ma se ancora non si conosce tale complesso allo stato libero, è interessante notare il fatto che il potassio, bruciando all'aria, fornisce l’ossido K,0,, al quale W. Traube, in base ad una serie di esperienze eseguite con la valentia che distingue questo chimico, ha assegnato la struttura (KO - OK) (0=0) che corrisponde al sale di potassio di tale complesso. La sua forma è ana- loga a quella dei chinidroni: questi ultimi, come è noto, si possono scin- dere facilmente nei loro componenti (HO - CH, - 0H) (0=CH,=0)= HO-GH.-0H +-0=CGH,=0, nello stesso modo che il sale studiato da Traube, per azione degli acidi, fornisce esattamente una molecola di acqua ossigenata ed una di ossigeno, (HO - 0H) (0=0)=H0-0H+0=0, che perciò corrispondono rispettivamente all’idrochinone ed al chinone. La analogia si può, dunque, estendere anche nel caso di tali composti che a prima vista si presentano così disparati fra di loro. Geometria. — Sui complessi covarianti di tre complessi li- neari a due a due in involuzione. Nota IIIT del Corrispondente Luioi BERZOLARI. 10. Per la regola di cui già abbiamo fatto uso, le rette singolari di © si ottengono associando alla (11) un’altra equazione, cui può darsi la forma Psr Pas [(Pro — Ps)! — (Pi — PE)] — (Pie — pas) [4 pi pù — (Pa — Pau j= 0. Dalle due equazioni si trae Psr Pes (Pre — Pas) =0, perciò la congruenza delle rette singolari di © si scompone nelle tre rap- presentate dalle coppie di equazioni Pa=0, Pu=0; Prr— Psa =0 , Pat pu=0; Pra pra =0, Pau —-Psa=0, ognuna contata otto volte. Ma, per le (5), queste non sono che le congruenze lineari aventi per direttrici 4, di, d3 43, d3.d3, e dal n. precedente, come pure dalla stessa (11’), risulta che ogni loro retta è anzi doppia per il complesso. Dunque : RenpICONTI. 1922, Vol. XXXI, 2° Sen 63 — 490 — Il complesso O non ha altre rette singotari che doppie, e sono tutte quelle delle congruenze lineari aventi per direttrici d, di; da ds, d3 di. Le generatrici del regolo S sono anzi rette quadruple per il complesso. 11. Consideriamo il cono di © avente il vertice in un punto y di Q. Non si vien meno alla generalità supponendo y sulla generatrice 2» = x3 = 0 di S, e in tal caso il cono ha l'equazione (Yi xi — yi n. + 4Y1Y4 da 3 (Yi 9 + y4 x3)} = 0. Dunque 7 cono di O avente il vertice in un punto generico y di Q so spezza in quattro piani, che passano per la generatrice del regolo S uscente di y e formano un gruppo equianarmonico. Se y giace sopra una delle rette ei)... 04,01, 04, @ Soltanto în questo caso, uno dei quattro piani è quello che tocca Q in y. Il cono di ® col vertice în un punto y di una delle due rette di, di (i=1,2,3) st riduce al piano che da y protetta l’altra retta, contato quattro volle. È questo il solo caso în cui î quattro piani non son» distinti. 12. Un altro notevole complesso del quarto grado, covariante della terna K, K: K;, si ottiene nel modo seguente. Rappresentiamo di nuovo una generatrice arbitraria di S' con le (4). Perchè essa sia appoggiata ad una retta 7 di coordinate pix, dovrà aversi (12) Pes A° + (Pre — Pa) 44 pa = 0. Dicendo 4, e 4» le radici di questa equazione, le due generatrici di S' appoggiate ad r determinano nell'involuzione J (n. 2) due grappi, che, per le (5), sono dati dalle equazioni ARR6— (2141) 25-4-4f=0, 2124 (214-1) 224250. I due gruppi sono apolari quando A 25+ 41 + 45+ 124743 +1=0, ossia, per la (12), quando (Pro — Pa)! + (Pù + pu)? + 12 Pi Pia — 4 Psx Pas (Pre _ Pz)? =0, alla quale, avendosi 1 10fO Po + pu= (Ki K3), papu=—(K+Kd), può anche darsi la forma (13) Q= Ki | Ki + Ki + K} K3 4 K:3Kî + Ki Kî=0. Questa è dunque l'equazione del complesso £ di quarto grado, luogo delle rette appoggiate a due generatrici del regolo S', che delerminano nell'involusione J due gruppi tra loro apolari. — 491 Meritano di essere rilevate le seguenti identità, che permettono di rap- presentare sotto varie forme, e in relazione con i complessi di primo e se- condo grado considerati nei nn. 7 e 8. le equazioni di © e £: (14) Q=K—@©=30—LL\L.L=KK'--20 (8K*— Li Ls La Li) = {+++ L)—59. lt Ne segue, ad es., che 70 cono di £ avente per vertice un punto ge- nerico y ha tra i suoi piani bitangenti © piani focali di y rispetto ai complessi lineari L,,..., Ly, essendo generatrici di contatto quelle stesse del cono di ® avente il vertice y (quindi otto generatrici del cono cir- coscritto da y a Q). Tagliando il detto cono col piano y%,, risulta Ki + K$= 0, dunque : I piani che da un punto generico y proiettano le sei rette di di, ds ds, ds di secano il cono di £ avente il vertice y secondo quattro rette formanti un gruppo armonico. 13. Volendo le rette singolari di £, cercheremo, più in generale, quelle di un complesso qualunque del fascio (15) K5 K3 + K3 Kf — Kî Ks | c (Kt + K:( K3)=0 determinato da © e £. A tal fine occorre associare alla (15) un'altra equa- zione, a cui, dopo alcune trasformazioni, può darsi la forma (16) 4c*(Kî + KÎî+K9) + (40-41) (KtK3+-) +6 KIKGK=0. Ora si ha l'identità Kîf + K° + Kf+ KfK}—.- = K(G+ Ki Ki), dalla quale segue K[O + ec (Ki + K:+ Kj)]= KO + c(Kf+ Ki + K$5+ KtIG+ -), quindi per le rette del complesso (15) si ha pure l'identità K® + ec (Kî + Kf-+-K+ KIKG+-)=0. Ma è pure identicamente Kt Kî-- ..-= KO — 3 Kî Kî K3, ‘e, per mezzo di questa e della precedente, la (16) diviene (2e — 1)[(2c+1) KO—3(2e — 1) KîK3K}]=0. Si può escludere che sia 2c—1=0, giacchè in tale ipotesi il com- plesso (15), riducendosi a K contato due volte, non ha interesse per la presente questione. D'altra parte è identicamente (17) K® = (K3 + K3) (K3+ 3) (Kf-+ K3) + K} KE K3, — 492 — quindi come risultato definitivo sì ha che /e rette singolari del complesso (15) sono quelle ch'esso ha în comune col complesso di 6° grado (2.4 1) (K+ K3)(K2-+ E?) (8 + K3) — 4(c— 1) Kt K2K®=0î Per c= 1 si deduce: Le rette singolari del complesso Q cos'ituiscono 24 congruenze li- neari, le quali hanno per direttrici una delle rette di dj (i=1,2,3) e risp. una delle quattro rette formanti quel gruppo armonico dell’involu- zione J che è coordinato (n. 2) alla coppia d; di. 14. Escluso che si tratti di ©, le rette che, uscendo da un punto y, si appoggiano alle coppie di rette d; di, appartengono al cono del complesso (15) avente il vertice y soltanto quando y giaccia su Q. Se y è su Q, e, com'è lecito, si suppone y»= y3=0, il cono anzi- detto si spezza nei quattro piani aventi l'equazione complessiva [eyi 4 (2e-1)clxs piaga ras +6 (Gc 1l)yigiazgait4(c-1)yi gico 03 +[(2e—1)yt + ey]x=0. I due invarianti del primo membro sono i=2c(2e-1)(gi+l4gint tg), g=6(c-|-1)(2e—1)yyi(y — yi, e il discriminante è (@e—1) [e (yi + 14 gti + gi — 27(e +1) (2e —1)ytyi gi — 99 che per il complesso £ si riduce al quadrato dell'espressione (fi) (M+ i+ rgtvi). Ne risultano le proprietà : Per un complesso arbitrario del fascio (15) il cono avente per verlice un punto y di Q st scompone in quattro piani passanti per la ge- neratrice di S uscente da y (i quali costituiscono un gruppo dell'involu- zione J solo quando si tratti del complesso ®). I quattro piani formano un gruppo armonico quando y giace sopra una delle rette di di (a meno che non sia e= —1, nel qual caso il com- plesso si scinde nei due complessi quadratici K' e K", e i quattro piani sono armonici qualunque sia il punto y di Q: cfr. la fine del n. 8), e formano un gruppo equianarmonico quando y sta sopra una delle rette ee (a meno che non sia e=0, ossia il complesso non coincida con ®, 2° 49302 nel qual caso, come si vide al n. 11, i quattro piani sono equianarmonici dovunque sia 1 su Q). Per il complesso Q î quattro piani non sono distinti soltanto se + st sceglie su una delle dodici rette aaa! (n. 2): in tal caso gli stessi piani coincidono a due a due con quelli che da y proiettano le rette della coppia coordinata d; di . Se poi, ancora per ®, il punto y si prende sopra una delle didi, î quattro piani proiettano da y le quattro rette costituenti il gruppo ar- monico dell’involuzione J coordinato alla coppia fissata di di (!). NOTE PRESENTATE DA SOCI Meccanica celeste. — Sui satellità. retrogradi. Nota II di P. BURGATTI, presentata dal Corrisp. G. ARMELLINI. Per la determinazione delle orbite circolari, basta esprimere che v'ha equilibrio fra le tre forze agenti su T in tale moto: la forza attrattiva di P, la forza centrifuga e la forza di Coriolis considerata nella Nota prece- dente; la quale, si tenga presente, è diretta verso P nel moto retrogrado, in senso opposto nel moto diretto. Per conseguenza, posto 84m @w = vî, si ha: pel moto retrogrado VERTE RIN (1) 2wvo*—ve+lkm=0, da cui e= EN n i (077) pel moto diretto —dL Io 4%). (2) 2w0vo° + ve —-km=0, da cui o= Q 401 Le orbite retrograde esistono solo per v>%, ed in corrispondenza ad una data velocità v > se ne hanno due: una interna alla circonfe- renza di raggio oo =: 4w, l'altra esterna. Questa circonferenza, corri- spondente al minimo valore v=%, della velocità, sarà chiamata / orbita singolare, o indicata semplicemente con (3). Le orbite dirette, invece, possono essere percorse con qualunque velocità, e ad ogni velocità ne corrisponde una sola. Quelle corrispondenti a v >, stanno nell'interno della circonferenza di raggio g' = 0,42 -v:47r; le altre, percorse, con velocità minore di v, , al (1) Quest'ultima proprietà può anche dedursi trasformando per dualità quella con cui si chiude il n. 12. — 494 — di fuori. Indicheremo con (D) cotesta circonferenza. Manifestamente non esiste un'orbita che possa essere percorsa con la stessa velocità nei due sensi. Esaminando le cose più da vicino si vede che a parità di orbita il moto retrogrado è più veloce del moto diretto, ed anzi all’esterno di (2) è molto più veloce. Tutto questo intanto dà ragione subito d’un risultato del Moulton, il quale dimostrò, con lunghi calcoli, ispirati al metodo di Darwin, che l’orbita del IX satellite di Giove non potrebbe essere percorsa in senso diretto, per mancanza di stabilità. Se poi sì calcola la costante % dell'energia (che qui sarebbe l'energia rispetto al pianeta) sì trova, tenendo conto delle (i) e (2), che è positiva per le orbite retrograde esterne all'orbita singolare; mentre è negativa per le orbite retrograde interne e per tutte le orbite dirette. Questo è un carattere differenziale, molto notevole, che distingue le orbite retrograde esterne a (2) da tutte le altre. In un certo senso esse hanno, rispetto al pianeta, un comportamento che si potrebbe dire iperbdolico. Da ciò si è con- dotti a fare questa riflessione: o in natura non possono esistere satelliti re- trogradi (per un dato pianeta) esterni a (2); 0, se esistono, essi hanno ef- fettivamente un carattere che si potrebbe attribuire ad una loro origine extra-planetaria. Per decidere intorno a questo punto occorre calcolare, nei casi reali, l'orbita singolare. Considereremo i quattro pianeti maggiori e più lontani dal Sole. Conviene anzitutto calcolare il raggio o, dell'orbita (2) per la Terra, benchè questa non sia presa qui in considerazione. Prendendo i valori di o, € v dati nella Nota precedente. si trova subito 2 dm, 5 wi dove l'indice t sta a indicare che si tratta della Terra; come in seguito gli indici 9,8,%,% si riferiranno a Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Nelle unità, massa solare, orbita terrestre (raggio medio) giorno solare medio, si ha k= 0,0002958 , m==1:8354710 , = 27:365. Fatto il calcolo e ridotto il risultato a chilometri, si trova 0,= 1.052.000 km. Dopo ciò, per un altro pianeta essendo 3 a s/n, Ple VER 3; SJ) dea e _ V €» y/R=i3 c, (= mp:m), t Ui (7 ove T, e T, sono i periodi e a, e @ i raggi medi delle orbite. Ora, pei si deduce — 495 — pianeti in esame vale la seguente tabella : Ve, = 0,8 Ve, 453) r sq 2,43 Ven = D cor 7 ag: a,= 5,2 ORA 19194 ay: = 19,19 an: a = 30.07 In base a ciò si ottengono i risultati qui appresso indicati : raggio di (2) in km. raggio di (D) in km. 05== 37.872.000 o) = 16.284.960 os = 44.605.000 o, = 19.180.150 0, = 49.023.200 oi, = 21.079.900 o, = 81.109.200 o), = 34.864.350 Confrontiamoli con quest'altro specchietto : Distanza dei primi 7 satelliti di Giove < 11.900.000 ” dell'VIII (retrogrado) . . . = 27.475.000 ” del IX (retrogrado). . . . = 29.715.000 ” dei primi 8 satelliti di Saturno < 3.600.000 ” del IX (Febo) (retrogrado) . = 12.886.600. Vediamo che questi satelliti retrogradi sono interni a (2); i diret tatti interni a (D). I due di Giove sono anzi compresi fra (2) e (D) (1). Dunque, non si conoscono satelliti esterni a (2); ma potrebbero esistere ? L'astronomo See, nella sua opera Researches on the evolution of the stellar systems, ha calcolato in base alle formule di Darwin il raggio È della sfera d'azione dei pianeti, e ha trovato: per Giove R= 51.940.700 per Saturno R= 69.210.990. I valori di 0, e os non sono molto lontati da questi; onde resterebbe una zona relativamente piccola per satelliti retrogradi esterni a (3); dl che rende la loro esistenza poco probabile. Comunque, delle cose dette si è indotti a pensare che quella possa essere la vera zona dei corpi catturati che si presentano a pianeta con velocità paraboliche o iperboliche. Resterebbero altre questioni da indagare. Ma credo che quel poco che ho esposto possa già interessare gli studiosi dei fenomeni celesti e gettare qualche luce sull’importante problema. (') Anche quelli di Urano e Nettuno sono interni a (2); ma data la loro grande inclinazione non rientrano effettivamente nel caso qui contemplato. — 496 — Geometria. — Sulle omografie e correlazioni che conservano l'elemento del terzo ordine di una superficie in Sy. Nota di Ep- WARD CECH, presentata dal Corrisp. G. FUBINI. 1. L'equazione di una superficie F nell'intorno d'un suo punto 9, dove le due tangenti asintotiche @,,@: (!) sono distinte e nessuna di esse ha con F un contatto di ordine superiore al secondo (*) si può scrivere Ga i CAT a 1 = & (i) zi (AM Le rette eri se =%xX + rr =0, = +er=0,x= rr Hd- ex, = 0 e che indicherò con #,,, #3, sono le tangenti di Darboux. Le tangenti co- niugate 7, , ts ,t3, sono le tangenti di Segre. (Con © indico il piano tan- gente x3 =. Ogni quadrica del fascio ato XX +4x3=0 ha in 0 con F un contatto del terzo ordine, e %, £$ 3 sono le tangenti in O all'intersezione della quadrica con F; la quadrica 4 di Lie appartiene al fascio. 2. Ecco le equazioni delle omografie che conservano l'elemento del terzo ordine di F: (A) (1, + de xa) E t (72 +t Ur X3) E + t T3 E; +(a Li + Aa To + 043 T3 + La) E b (B) e(c1 + 4403) E + e°(x0 + aa €3) + L--%s E + (041%, + d49 do + 043 da + 24) A s (B') s°(%, + ae 3) f1 + «(cv +0 43) Et + x3 È + (Q41 xa + d4o La 4 943 d3 + La) E 3 (0) (Le + a 3) E “+ (2. | das X3) E + xa &3 3h 4 (04 21 + do ca +43 d3 + 44) A (1) Precisamente indico con @,(@3) la tangente ra =x,=0(x37=%,=0). (2) Sicchè le rigate sono escluse, ur (0) E(L2 + A4r 13) E cin (21 + 043 13) A + + 03 E + (44% + U4o Lo + d43 La + 2x4) E: (C") e(X2 + dx €3) Et e(2, SR A42 X3) 3 + + 03 8 "i (Ga, Tr + 040 da + 943 #3 + 24) Èy Si hanno, dunque, sei sistemi lineari 003 di tali omografie, il primo dei quali è un gruppo continuo. Questi sistemi possiamo distinguere secondo il modo cume permutano le 4, , #3, tz. Possiamo fare una suddivisione secondo i divisori elementari delle -‘omografie : (Aa) an=04,=04g=0: (1—0(1—0)(1—0)(1— o). (Ad) ei AU (1—- of (1T—0)(1— 0). da ande (=). (Ac') dl OA AV (Ad) ana +0: (1—-0)(1-0). (Ba) aua=@040%s.; (1— 0)(1—-0)(e—-0)e— 0). (B6) dg, pan due; (1-0)? (e— 0)(e°— o). (Ca) ant as=0,a1+03=0; (1— 0)(1— 0)(I — 0)(1+ 0). (C8) Ag, + aa= 0,0 +08 £0; (1— g)? (1 — 0) (1 + o). (Ce) an + as #0 ; (1—-0of(1+0). È inutile occuparsi dei sistemi (B') e (0°), (C”) che si riducono a (B) e (C) scambiando le denominazioni delle 71, £», 3. *. 3. Per ciascuno dei tipi enumerati, indico il simbolo di Predella e le proprietà geometriche caratteristiche : (Aa).[3]. Identità. (Ab) .[(20)]. Omologia speciale. col centro 0 e piano © d'omologia. (Ac).[(11)]. Le rette unite dell'omografia formano una congruenza li- neare speciale di cui @, è la retta direttrice. Esiste una quadrica che tocca tutte le rette della congruenza ed ha con F in 0 un contatto del s-condo ordine. (Ac') nasce da (Ac) sostituendo @, con a». (Ad).[(100)]. La retta p dei punti uniti e la retta p' dei piani uniti sono tangenti coniugate di F. L'omografia subordinata in un piano unito qualunque, possiede delle coniche unite che banno un contatto del secondo ordine con F. È notevole che, per caratterizzare il gruppo (A), occorre conoscere sol- tanto l'elemento del secondo ordine di F. (Ba).[100]. C'è un punto unito P, sopra @,, un punto unito P, sopra ©, e inoltre una retta di punti uniti la polare di P, P, rapporto 4. ha omografia è ciclica d'ordine tre. RenpIconTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. : 64 —MRt98)- (B2).[(00) 00]. 0 è wn punto unito doppio, inoltre c'è un punto unito P, (e un altro Ps) sopra a, (sopra a»). La retta polare di P, Ps rapporto 4 è pure unita. L'omografia subordinata nella stella 0 è ciclica d'ordine tre. (Ca).[20]. Omologia involutoria; il centro “d’oniologia giace sopra 4, e il piano d’omologia ne è il piano polare rapporto 4. Ciò si potrebbe anche prendere come definizione delle tangenti di Darboux. (C6).[(10) 0]. Tutti i punti di 7, e tutti i piani per /,, inoltre un. punto di 4, e il suo piano polare rapporto 4 sono uniti. La proiettività subordinata nel fascìo delle tangenti di F è involutoria. (Ce) .[(000) 0]. Il punto unito triplo P sta su «, , il punto unito sem- plice Q sta su 4. La retta 7, e il piano polare di Q rapporto 4 sono uniti: La proiettività subordinata nel tascio delle tangenti di F è involutoria. 4. Ecco le equazioni delle correlazioni che conservano l'elemento det terzo ordine di F: (A) (724 dg, %3) x + (x, + 032 X3) xs E + (431 © + 432 X2 + 433 L3 + X4) 13 + Lg si AU (B) «(va + 431 23) rr + #5(71 + 432 13) x, + + (03, © + 439 12 + 433 %3 + 24) ca + rag =0. (B') e%x%3 + 431 23) Ti + «(#1 + 432 23) Ta + (43121 + 439x2 + 433.08 +14) X3 -—Ligg xi =0. (C) | (21 4 432 23) Ti + (724 @31 da) %s "a Ar 10% + 432 7a | 433 Ta + 14) x3 t T3 73 =0, (0) «7 + @30 03) 21 + «(72 + 431 £3) DAS + (431 Xi + A32 La | 033 La + La) ni ca xi 0 (0) e(x1 + 430 13) ri + e°(12 + 431 #3) x + : I CUEA TA, Ù ; + (031 %1 + 432 xs | 433.%3 + 0) a3 + x3g4,=0. Come sopra, non occorre occuparsi dei sistemi (B').(C'),(0"). 5. Indichiamo ora le proprietà geometriche caratteristiche delle corre- lazioni dei tipi (A), (B),{C): (A). Polarità rispetto ad una quadrica che ha in 0 un contatto del secondo ordine colla simmetrica di F rispetto ad w. (B). Divisori elementari (1 — e) (1—0) (s—o) (e°—e). C'è. un punto fondamentale Q, sopra @, e un altro O» sopra @,; inoltre sono fon- damentali tutti i punti di una retta OP, passante per 0. Le rette Q, Qe e 0 P sono polari rapporto 4. La quadrica g, dei punti d'incidenza e la qua- drica gs dei piani d’incidenza. s'intersecano nelle rette 0Q,;0Q», PQ, , PQ.. Siano £X, 1,» le curvature, nel punto 0, dell’intersezione di F, 4, e gs mediante un piano scelto nella stella 0; si ha 24 = 4%, = %>o. CS 490 2 (Ca) 43, = 43». Polarità rispetto ad nna quadrica per la quale valgono le seguenti proprietà : 1) , t, ® @,,@ ve sono due coppie di tangenti coniugate : 2) ogni punto di 4, ha, rispetto ad essa e rispetto a 4, il mede- simo piano polare. i (C8) 431 * 432. Divisori elementari (1 — @)? (1— o). I punti fonda- mentali sono i punti di 7, ; ì piani fondamentali sono i piani per 7, .-Le due quadriche d'incidenza ,,z, si toccano lungo quella coppia di tangenti coniugate di F che divide armonicamente /, e 7. Un punto qualsiasi di f, ha lo stesso piano polare rispetto alle tre quadriche g,, gs e 4. 7. Con la stessa facilità, si potrebbero caratterizzare le omografie e correlazioni che conservano l'elemento del terzo ordine di una superficie rigata. Del resto. per una rigata esiste anche un ampio gruppo di omografie e correlazioni che conserva quattro rette successive, anche queste omogratie e correlazioni sì caratterizzano facilmente, facendo uso delle /angenti fec- nodali. Matematica. — Sulla rappresentazione analitica in forma finita di diagrammi costituiti da una successione di archi di linee diverse. Nota dell’ing. LETTERIO LABOCCETTA, presentata dal Cor- rispondente A. CROocco. Si presenta frequentemente nella fisica, ed anche in molte questioni tecniche, il caso di dover rappresen tare una grandezza la quale, in diversi intervalli del campo della variabile, è espressa da funzioni diverse della variabile stessa. Avvienè cioè che, portando i valori della variabile come ascisse sull'asse delle x, si hanno, su questo, n successivi intervalli, fisica- mente distinti, (1) — 90 X3, Li Ca) 000 lia Li 0 Uni + 0 , in ciascuno dei quali il diagramma rappresentativo è costituito da un arco di curva appartenente ad una delle linee (2) ye bay Hone = Fe) Si voglia costruire l'equazione di questo diagramma, con esclusione però degli archi delle dette linee che non fanno parte di esso. A tale scopo si formino, nel modo come sì dirà in appresso, delle fun- zioni « limitatrici » ;(3) le quali godano la proprietà di avere costantemente il valore +1 nell'intervallo 2°, cioè per tutti i valori della variabile compresi fra x;-, e «;, e costantemente il valore zero per ogni altro valore a SU della variabile da — 00 a + co. Ciò posto, è chiaro che. se si forma la funzione (8) y=F(0) 900) 1 + + File) gi + + Pale) 9a), essa nel primo intervallo prenderà i valori corrispondenti a quelli della fun- zione y, = F,(x), nell'intervallo 7° prenderà i valori della funzione y, = = F;(x) e così via, e costituirà perciò la rappresentazione analitica cercata del diagramma. i Questo metodo di rappresentazione si potrebbe chiamare il metodo del- l'« annullamento delle funzioni ». In pratica è frequente il caso in cui tutte le funzioni 13%2%- «Un sono della stessa natura e dipendenti dallo stesso numero m di parametri, cosicchè differiscono soltanto per i valori delle m costanti che appariscono nella espressione del loro valore. Posto che la forma generale di queste fun- zioni sia (4) yi= F(41,07%, Cin IA) sì formi la funzione (5) n= FP) af SLOT AA , \ il ) avente anche la forma della (4) ma nella quale ognuna delle costanti @;; (0) pa(0) by: aP> 1 sia sostituita dal prodotto ai ‘4; i o) delle corrispondenti co- stanti di tutte le x equazioni, ciascuna costante a;; elevata alla potenza indicata dall'esponente ;(3) che è una funzione limitatrice, come definita innanzi, cosicchè in ogni intervallo i prodotti della (5) si ridurranno ai sem- plici parametri della (4) corrispondente. Così dunque la (2) è una funzione di forma costante ma che in ogni intervallo ha parametri di valore diverso. Questo metodo di rappresentazione potrebbe chiamarsi il metodo della « variazione delle costanti ». Il problema proposto trovasi così risoluto in modo generale, a condi- zione tuttavia di saper costruire le funzioni limitatrici g;(5) . Si può giun- gere in varî modi a formare delle funzioni di questa specie: basterà qui indicarne uno con riferimento ai tre casi che possono presentarsi per la po- sizione dell'intervallo 4°: a) che la funzione debba avere il valore zero nell'intervallo (— 00, a) a sinistra di un punto A di ascissa a e debba avere il valore + 1 nell’in- tervallo (a, + 00) a destra dello stesso punto ; 5) che la funzione debba avere il valore + 1 nell'intervallo (— co , 4) a sinistra del punto A e debba invece avere il valore zero nell'intervallo (2, + 00) a destra dello stesso punto; Za) e) che la funzione debba avere il valore zero nell'intervallo (— 00 , 4), il valore + 1 nell’intervallo (a, è) di lunghezza / compreso fra il punto A e un punto B di ascissa 4 e, di nuovo, il valore zero a destra del punto B nell'intervallo (0, + 00). Cominciando dal primo caso, e supponendo, per maggiore semplicità, che il punto A cada nell'origine, cioè che 4 = 0, si costruisca la funzione p TT ] (6) @a (0) = | 1-+ 89m x | S z °* 1, . IA L ove, seguendo otazion ronecker e Welerstrass, S nIaIEZ=, dove, seguendo le notazioni di Kronecker e Welerstrass, si è posto sg% 2 e] si è indicato cioè con sgn x la funzione « segno di #2 » che è + 1 per tutti i valori positivi di x e — 1 per tutti i valori negativi di x. La (6) ha evidentemente la proprieià di essere nulla per tutti i valori negativi di x, sgnz = —1, cioè nel primo intervallo del campo conside- rato, e di prendere il valore + 1 per tutti i valori positivi di x, sgRr= + 1, cioè nel secondo degli intervalli in cui è diviso il campo. Se il punto A, invece di coincidere con l'origine, ha per ascissa + a , 0 — a, la funzione diventa rispettivamente (7) go =3| 1+ 0a — o | 1 (8) 9° (0) = 5 È | sgn(x + a) | conservando sempre la stessa proprietà di essere nulla a sinistra di A e di avere il valore + 1 a destra dello stesso punto. Il secondo caso si deduce immediatamente dal primo cambiando sem- plicemente in — il segno + del binomio fra parentesi, nelle (6), (7), (8). e sì hanno così per le funzioni che prendono il valore + 1 a sinistra, nel primo intervallo, ed il valore zero a destra di un punto dato A, le espres- sioni (9) 1(3) = Li l—-syna | Pilo dl | È I : ] (10) gli! — syole— 0) | 1 =? (11) sm=p| det |. Resta da trattare il terzo caso e per questo si farà uso della funzione «intiero di x » di Legendre, adottando per essa la notazione 1a, con la quale è — 502 — sì intende di indicare il « minimo intiero contenuto in x ». vale a dire l'ul- timo degli intieri che precedono x a sinistra e quindi nel caso di 4 posi- tivo. la parte intiera di x senz'altro e, nel caso di x negativo. la parte intiera aumentata di una unità. Ciò posto, supponendo di nuovo che A cada nell'origine, a =0 e B a destra di esso, cosicchè sia 6 =/, si scorge che la funzione (12) Geri EA ha la proprietà : di essere sempre nulla nell'intervallo (— 00, — /) nel quale è sempre |x|>/ e quindi e = 0; di avere sempre il valore 4 | nel- (rl l'intervallo (—/.,-/) nel quale è sempre \x|/ come nel primo intervallo. Se si combina perciò la (12) con una funzione del tipo della (6), seri- vendo so rnifive](11]". si ha una funzione che ha il valore +1 nel secondo intervallo (0, 4 /) ed è nulla nel resto del campo. Dalla (13) si passa facilmente al caso in cni il punto A, invece di ca- dere nell'origine, abbia per ascissa + ed il punto B abbia corrisponden- temente per ascissa 4 + /. Basta infatti scrivere (14) E 3 a + sqn (a— © | Ra Lai combinando la (7) cou la (12) dopo aver posto in questa «--/ in luogo di /. Analogamente, se il punto A ha per ascissa — 4, combinando la (8) con la (12) dopo aver posto in questa 4 + a invece di x viene 1 / le+a] (15) n@=3| + agua +) | Ea o; Tn tal modo la funzione ,(3) resta costruita per tutti i casi che possono presentarsi. a cn nre * e adi — 503 — Geometria. — Nuova trattazione della geometria protettivo- differenziale delle curve piane. Nota II di Gusravo SANNIA, presentata dal Socio EnRIco D’OviIDIO. 6. In praiica. data T mediante le (4), si calcolino i coefticienti della corrispondente equazione (5). poi quelli della (13) con le formule (12) (ma scritte per A = du) i m=y_f*—p' , y=d_— 36) +28°—p", indi 6; con la (16): si ha così il differenziale normale (17) che è l’ele- mento lincare protettivo do. Poi si calcoli ps con le (15) (ponendovi per S Ja derivata logaritmica di V0=d:); poi i valori ottenuti per a, € p» sì sostituiscano nelle (18) e (19) ("°). (Ma naturalmente si può anche operare riferendosi ad un altro A qualunque). Infine, per costruire la normale x (non }a tangente #, evidentemente), è per ora indispensabile procurarsi il punto N, quindi le coordivate normali di P: queste si ottengono (con una quadratura) moltiplicando le (4) per 4 dato dalla (10) (19). ty (13) Segue, da ciò, che 63 e ys dipendono dalle derivate dei primi 6 e 7 ordini rispett. di 2,Y,5. py è il primo invariante relativo di T costruito da Halphen per altre vie. La costruzione di tutti gli invarianti relativi dipendenti dalle derivate dei primi 7, & 0 9 ordini, eseguita pure da Halphen, qui è semplicissima e per ogni ordine di deri- vate, perchè: 1°) Invariante relativo dipendente dalle derivate dei primi 7 ordini è ogni funzione «di ks ,9, 6 ps che sia covariunte; p.es. hg +50; — @1Pa, V/3 03 h2+4- nî p3/ (h3 + 93), ecc. 2°) Le derivate covaviinti successive ps, pa... di ps sono invarianti relativi di- pendenti dalle derivate dei primi ?,8... ordini rispettivamente. Quindi: 39) Ogni funzione f(hz 03, Po, Ps.- Ps+n) che sia covariante è invariante rela- tivo dipendente dalle derivate dei primi 7-: n ordini. Nella trattazione del Wilezynski il posto di ps è tenuto da 6,6= — 276? p, che è covariante di ordine (peso) 8; gli altri invarianti relativi vi si deducono da 03 e 63 con un certo procedimento Jacobiano. » (18) Ma, in seguito, si potrà fare a meno della normalizzazione delle coordinate (quindi della quadratura); perchè daremo una definizione geometrici di n (ed anche di T è N) (n. 18) che permetterà di determinarla con sole operazioni algebriche e di deri- vazione, — 504 — 7. Come T (0 una collineare) individua i differenziali A (17) e K (18) (a meno di una trasformazione del parametro ), così viceversa : due di/- ferenziali A= a, du (a+ 0) e K=K du individuano (a meno di una collineazione) una curva T li cui A e K sono l'elemento lineare e l'an golo “1 contingenza, quindi I= K:A la curvotura; le coordinate nor- mali x,y ,8 di un suo punto generico costituiscono un sistema fondamen- tile di soluzioni di | (22) 9a + ailgi + di (a+ 1/2)g=0 ("?), le derivate covarianti essendo prese rispetto cd A . Applicando le (8) alla (22), si ha (23) x cuii_0 4 Of it %, ig ZO ma|]ze:z3|=|2z:zskh=|e zx eg —3S|2%v: 72]; quindi al? integrata dà, per la (3), |2x,x.|= aî(!8). Dunque: ix coordinate normali x y 2 valgono le formole (24) 0:=ai=|0£ | Lt In particolare, se come parametro x si sceglie l'arco o, è a =1 ed I funzione di 0; e si ha: una curva F è individuata a meno di una coll. dalla sua « equazione intrinseca protettiva» 1= I(0); le coordinate nor- mali di un suo punto costituiscono un sistema fondamentale di soluzioni di (22) Pa + Ip +(1+h/2)g=0 (19), e si possono supporre tali che sia (24) cane |eza | le derivate (ordinaree) essendo fatte rispetto a 0 . Osservazione — o è un primo invariante (integrale) assoluto di I; segue I, che dipende dalle derivate dei primi 7 ordini di 2, y,5 (0 3 per coordinate normali); poî I,: a, , Iz:aî, Iz:aî,... nei quali il massimo ordine delle derivate aumenta di 1 successivamente. Ogni altro invariante assoluto è una funzione (qualsiasi) dei precedenti. (1°) È la (11) ove si è posto 3p,= 2 I, per la(19), e gg =03 + 3p,/2=uî + 0$1/2 per le (16), (17) e (19). (18) La costante d'integrazione si può supporre uguale a 1, disponendo del fattore numerico per cui è lecito moltiplicare le coordinate normali; efr. (13). (!9) Questa equazione è chiamata forma canonica di Halphen della (5) dal Wilczyn- ski, loc. cit. (2), pag. 61; il quale invece fa uso costante della più semplice /orma cano- nica di Laguerre-Forsyth, che è p'""4 0, pg =0. Ma per ridurre la (5) a tal forma, oc- corre risolvere uni equazione di Riccuti, mentre che per ridurla alla (22’) bastano due CET LS quadrature, la (10) e la o = |a du con 4 =V0,; inoltre essa non è intrinseca come la (22). AE — 505 — 8. L'inviluppo delle normali n è l’evoluta protettiva di F, che ne è l'evolvente protettiva. L’evoluta di T è il luogo dei suoi centri di curvatura. Perchè le derivate delle coordinate di tal punto C (++ g/I,...) (n. 5) (?°) sono 2, + + 23/1 — #35/I°=—(1+4 1/2) 7/I1— x31/1°,... per la (22°), quindi de- finiscono un punto della stessa %. Dirò cerchi protettivi le curve le cui normali concorrono in un punto (centro). Essi sono caratterizzati dall’equazione intrinseca I= 20 (*3). Infatti, affinehè (' sia nn punto fisso. occorre che siano costanti le sue coordinate non omogenee (lx + w3)/(Ic + 2a) < {(IY+ 72)/(I° + 30): ugua- gliando a zero le loro derivate ed eliminando «3, 3,53 mediante la (22°), si hanno le equazioni (I, — 2) (az» — 2x2) = 0. (I — 2) (y4° — 240) == 0 che, per la 1% delle (24°), sono compatibili solo quando I, = 2, ossia I= =20 + ce, con € costante (che si pnò supporre nulla con opportuna scelta dell'origine degli archi 0). 9. I punti P,T, N sono vertiei di un triangolo (che dirò rormale) di cui due lati sono le rette /,x che inviluppano Te la sua evoluta: 2/ terzo lato TN inviluppi la curva luogo del punto T, perchè le derivate x,,... delle coordinate ,.... di T sono le coordinate di N (supposto le x ,... nor- mali; cin. 5). Per lo studio proiettivo di Z° nell'intorno di un suo punto P. è natu. rale assumere come triangolo di riferimento quello normale, perchè definito in modo intrinseco ed invariante per coll. Ora le coordinate di ogni punto M del piano sono combinazioni lineari di quelle di P.,T.,N, (25) Xx + Yrtk Zio, Xy+Yynk Za , Xa-:-Y,,4+Z ed i coefticienti X, Y.Z sono appunto le coordinate di M rispetto a TPN (coordinate /oca/?) e col punto unità U:(2x +14 &2,...). Supponendo che M stia su Z in un intorno di P_, la sua 1? coordinata (non locale) può svilupparsi in serie di potenze dell'arco PM = o che arre- sterò al termine in 0°: (26) x+a,0o + 2202/2144 909/914 Ri (??). I coefficienti sono i valori di x e delle sue derivate rispetto a o cal- colatate in P, cioè per o =0, e sono tutte esprimibili linearmente in fun- zione dei primi tre x, x;, xs, mediante la (22°) con /= x e quelle che se ne deducovo derivando. Eseguendo il calcolo, dopo aver posto (2°) Da ora innanzi (fino al n. 17) supporrò, come è lecito, che sia P l'origine degli archi o su T ed u=0, quindi a, = 1. (21) Per la loro determinazione effettiva occorre integrare la (22°), che diventa p'' + 209 +29 =0 ed ammette l'integrale primo g” + 209 = costante, ma che si lascia integrare solo mediante serie, (22) In generale indicherò con R, un resto infinitesimo con o di ordine n. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 65 — 506 — e sostituendo in (26), si ha un'espressione del tipo della 1% delle (25), con [X=1—(1-+%)03/31— (04/414 (22+ 20, — kl) 05/514 + (1484 + 7/7 + 20, — Lu) 06/6 !— (42° + 40°, — 174, — — 25/1, — 2ll3 + 45) 07/7!-— (4 4- 4000, + 36007 + + dll? — 2505 — 3103 — 410,13 — 2 | ka 08/81—-(1— — 808 + 211, — 884 + 11107 + 91/î + 1082/08 + 4/23 — 2° Gllsls — Sly = 637,1, + 20,09 SSR (28); | i Y= 9 — 2/03/3!— (14 34) 04/414 (41 + 20%, — 5/3) 06/614 \ 4 (14 124, + 27/1040/%, — 88— 6/)) 67/7220 (28). | 84/2), — 20 Mel es I — 167‘ 4- 9642, 4 3147? + 224/%, — 1448 — 664 — | _'030/,l3 =1120+- 8) 09/92 RI \Z= 02/21 — No4/4! — (1+ 5/,) 05/51! + (4° — %o) 06/614 +2 (1-14, È MA\07/7! (1-88 E 16eor \ + 680, = 207,) 08/8 — (12/2 + 108R 24 2199741 — 13845 274) 09/0 CERRE (28); Queste valgono per ogni punto M di T in un intorno di P. Mineralogia. — Sulla celestite del calcare madreporico della Provincia di Messina (*). Nota III del dott. FRANCESCO RANFALDI, presentata dal Corrisp. F. ZAMBONINI. k notevole il fatto, che delle combinazioni osservate nei cristalli di Tremonti, nessuna se ne presenti in quelli del vallone Marro, o si ripeta per i cristalli di monte Viale, nei quali è costante il prisma }104{, da me non rinvenuto. I cristalli di monte Viale sono inoltre molto più ricchi in faccie di quelli da me descritti. Tutte le combinazioni da me notate in questi ultimi sono già note, invece, nella celestite dei giacimenti solfiferi. Si ha, perciò, un nuovo esempio di somiglianze morfologiche fra cristalli di giacimenti molto differenti per età, formazione, ecc. e di differenza, invece, considerevoli fra quelli di giacimenti che presentano le più strette analogie. Anche le costanti cristallografiche della celestite di Tremonti si allontanano da quelle che Billows ha calcolato per i cristalli di monte Viale, mentre (!) Lavoro eseguito nell'Istituto di Mineralogia della R. Università di Messina. — e y — 507 — sono più vicine a quelle date da Negri per la celestite di Montecchio Mag- giore. De Launay (*) considerando la frequenza, con la quale si è rinvenuta la celestina nei terreni del bacino di Parigi. e sopratutto la relazione esi- stente fra questo minerale e gli estesi depositi gessosi della regione, ritiene che dale rimarchevole frequenza sù principilmente dovuti alla cura par- ticolire con la quile quello località è stul esplorata; vileva altresì che tali osservazioni avvalorano l'ipotesi senetica della celestina. secondo la quale « quand l’eru de mer 8'évipore. il se depose, en mime temps que le sulfate « de calcium, un peu de sulfate de sirontium ayant sins doute. si on re- « monte assez loin, la méme origine première, dans les feldspaths des roches « eristallines »*: e dopo di avere esposto che in tutti i casi riscontrati nel suddetto bacino « 7/ <'agit d'une veritable sterétion latérale ayant concentré « super ficiellemeni la strontiune empruntée à des 6paisseurs de terrains « aujourd hui détruits *; opina che « 7/ est probable que beaucoup l’outres « régions à dépots gypseua doivent présenter des phénomènes analogues ». Ora se questa opinione trova piena conferma nella regione interna e meridionale della nostra isola (2), dove la ‘formazione gessoso-solfifera rac- chinde, specialmente nelle litoclasi, considerevoli masse di celestina, tanto da renderne talvolta redditizia l'estrazione ad uso commerciale (3), lo stesso pare non possa dirsi per il territorio della provincia di Messina. Quivi. infatti, non mancano importanti formazioni gessose estendentesi per parecchi chilometri. costituenti diverse colline, dove un villaggio di 2840 abitanti piglia il nome caratteristico di Gesso per 11 grande sviluppo che questa formazione mostra in quella località. Orbene, in questa regione non è stata mai segnalata la presenza della celestma; eppure. nel caso nostro, a generarla — secondo la su citata teoria — non avrebbero al certo fatto difetto, ed a brevissima distanza, i minerali primarî citati dal De Launay. È ben noto, infatti, che l'ossatura dci monti peloritani è costituita dalla formazione cristallina, la quale forma il mas- siccio della catena e risulta da rocce gneissiche predominanti con inclusi blocchi granitici, spesso potenti, presentantisi a vario tipo cristallino e pas- santì, poi. a rocce schistose, micaschisti, talcoschisti e filladi. I monti Ciccia, S. Rizzo ed Antennamare, che da est a ovest emergono dalla dorsale pelo- ritana, sono per intero costituiti da questa formazione cristallina, la quale, esten- ‘dendosi con decrescenti contrafforti collinosi da una parte e dall’altra dello spartiacque principale, manda fin dentro al perimetro della distrutta Messina (1) De Launay, loc. cit., vol, II, pag. 208. (£) Nelle provincie di Caltanissetta e di Girgenti. (*) Nel 1880 e 1831 si faceva commercio della celestina di queste località con una ditta di Amburgo, la quale — a quanto pare — si serviva di questo minerale per la raffinazione dello zuechero. — 508 — le sue propaggini ioniche, e si estende fino al capo Rasocolmo verso il Tir- reno. Ininterrotta prosegue ancora tale formazione seguitando a costituire î picchi della suddetta dorsale, e degradando verso Scaletta da una parte e Castroreale dall’altra, sparisce sotto la potente coltre filladica, per riapparire qui e lì in masse isolate, come al capo Milazzo ed al capo Tindari. Inoltre fra il sesto ed il dodicesimo chilometro della strada Messina- Gesso, fra le rocce cristalline, spesso si osserva la pegmatite intercalata in vene o lenti. A dovizia quindi nelle rocce delle regioni circostanti alla citata forma- zione gessifera sono rinserrati i feldspati dalla cui alterazione avrebbe po- tuto ben generarsi lo stronzio per pervenire nelle acque marine e dare ori- gine alla celestina — mentre si depositavano gli strati gessosi — con processo identico a quello citato da De Launay; mentre nel nostro territorio si tro- vano tuttora in posto, e poderose, quelle masse cristalline « auzourd’huî détruites » nel bacino di Parigi. Nè la mancanza di ritrovamento di celestina in queste masse gessose, io credo possa attribuirsi a deficiente esplorazione scientifica, essendo il ter- ritorio della nostra provineia uno dei più esplorati d'Italia. Questo fatto mi fa pensare che la nostra celestite possa essere di ori- gine organica. In un recente lavoro, molto importante e suggestivo, il Sa- moilov (*) ha emesso l'ipotesi che lo stronzio che ha dato origine ai nume- rosì depositi di celestite del Turkestan possa essere stato accumulato da or- ganismi. Il Samoilov si basa sul fatto che la presenza dello stronzio è stata riconosciuta nello scheletro di animali svariati, come risulta, per esempio, dalle ricerche di O. Vogel, e da quelle di O. Bitschli, che ha stabilito l’esistenza del solfato di stronzio nello scheletro di un gruppo di radiolarî, le Acantaria. Se il Samoilov ha creduto di ammettere l'origine organica per le quantità considerevoli di celestite trovate in un'area vastissima, appare, serto, molto più facile l’ammettere una tale origine per la scarsissima cele- stite del Messinese, così intimamente associata ai coralli fossili. Con la celestina, da me segnalata, sì completa, per la provincia di Mes- sina, il gruppo dei solfati isomorfi di Ba. Sr. e Pb.; dei quali la barite — rin- venuta da G. Seguenza (*) nei filoni metalliferi di Fiumedinisi — se non frequente si ritrova molto meno raramente della celestina; mentre dell'an- glesite — non ostante la ricchezza in galena dei nostri filoni metalliferi — non sì conoscono che i pochissimi e minutissimi cristallini determinati dal Traina (3). (1) Palaeophysiology: the organic origin of some minerals Gccurring in sedimen- tary rocks. Min. Mag., 1917, XVIII, 95. (*) Racerche mineralog. s. fil. metallif. d. Fiumedinisi e s. dint. in Sicilia. Mem. R. Accad. Peloritaria, Messina, 1856. (9) Sull'Anglesite dei giacimenti metalliferi della Provincia di Messina. Rend. Accad. Lincei, 1905, 1° sem., pag. 220. = 2509 = Mineralozia. — Sull'idocrasio dell’ Alpe delle Selle ( Valle della Germanasca) ('). Nota di E. GRILL, presentata dal Socio F. MILLOSEVICH. Tra i calcescisti mesozoici della parte meridionale della Valle della ‘Germanasca, diramazione di quella del Chisone, affiorano delle eufotidi più o meno prasinitizzate e delle serpentine che devonsi considerare come appartenenti alla grande amigdala di rocce verdi del Monviso. situata una ventina di chilometri più a sitd. Il lembo settentrionale di questa enorme lente arriva infatti, dopo aver culminato, attraverso la Valle del Pellice, nelle superbe punte del Granero, del Barrant, della Bruna e della Fionira, lino al affacciarsi, tra il Colle Giuliano e il Passo della Fionira, nel Val- lone delle Miniere (?), sull’Alpe delle Selle, una delle località mineralogica- mente più interessanti del Comune di Prali. La porzione di rocce verdi che rimane compresa tra il Passo del Lupo ‘e il Passo Brard e che costituisce la sponda superiore destra del Vallone suddetto, è dovuta ad eufotidi fortemente epigenizzate (*) ed a serpentine scistose, ricoperte, verso valle, da falde detritiche con parecchi grossi blocchi formanti un cumulo caotico in quell’avvallamento imbutiforme noto col nome di Crò delle Brusà, verso i 2.200 metri sul livello del mare. È precisamente qui che l'estate scorsa (1921) rinvenni alcuni massi tondeggianti di sranatite rosea, le cui cavità sono tappezzate da cristalli di diopside, di granato rossigno, di idoerasio, di epidoto-clinozoisite, di clinocloro e di magnetite, minerali già ben noti per le Valli di Susa, di Lanzo, e per il Gruppo di Voltri nell'Appennino Ligure, ma, finora, poco 0 punto conosciuti per la valle del Chisone. AI Crò delle Brusà il clinocloro è, assieme al granato, la specie più abbondante, tanto che incontrasi, si può dire, ad ogni passo, e presentandosi in grossi cristalli, di 8 a 10 em. nella dimensione loro maggiore, è pos- sibile raccoglierne, in breve tempo, una grande quantità. Questo minerale fu già da me studiato chimicamente in una precedente Nota (‘); gli altri, (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Mineralogia del R. Istituto di Studi Superiori di Firenze, ° | () Chiamato così per la esistenza di filoncelli di calcopirite e di pirite cuprifera che diedero luogo, per il passato, ad una saltuaria e ben poco importante escavazione della quale si hanno ancora palesi segni nelle gallerie, in gran parte diruccate, che apri vansi sul fianco orientale della piccola valletta. (3) V. Novarese, Sul rilevamento geologico eseguito nel 1894 in Valle della Ger- manasca Boll. R. Com Geol. fase. 3, Roma, 1894. (4) E. Grill, Contributo allo studio dei minerali della Valle del Chisone (Alpi Cozie) Atti della Soc. tosc. di Sc. nat., Memorie, vol. XXXI, Pisa 1916. — 510 — all'infuori dell’idocrasio che qui descrivo, formeranno l'oggetto di una prossima pubblicazione. L'idocrasio dell'Alpe delle Selle comparisce sotto forma di una inero- stazione bruno-rossastra, dello spessore di circa 1 cm., rivestente la gra- natite, la quale granatite, nella zona a contatto col minerale, assume una struttura più minuta e compatta. In sezione sottile si nota che la roccia è costituita, in quella. parte, da un reticolo di granato roseo, isotropo o lievemente birifrangente, racchiudente oltre a numerose lamelle plurige - minate, quasi incolore e insensibilmente pleocroiche di clinocloro, che estin- guono in modo onduloso. anche granuli grossetti di magnetite e altri pochi da riferirsi ad un termine epidotico. La incrostazione bruno rossastra di idocrasio che. a sua volta, presentasi attraversata da una venuzza più chiara. ma pur sempre della stessa natura, è dovuta ad un fitto. intreccio di cristalli bacillari o addirittura aghiformi. Il forte sviluppo secondo l'asse [z] caratterizza e ditte- renzia questi cristalli da quelli di altri giacimenti, nei quali l’idocrasio si presenta, come è noto, con un abito tozzo o addirittura appiattito secondo la base. Per aspetto | o e colore essi sarebbero invece rassomiglianti ai’ cristalli soc (aq so: || di Rocca Rossa (Valle di Susa) ('). di Ussel (Valle di il n ‘ Aosta) (°) e all’idocrasio del Roc Neir n. 2 (Piano della i | ||, Mussa)(*) che per tonalità di tinta è identico all'idocrasio. cosidetto manganesifero (‘) del Becco della Corbassera ' presso Ala di Stura. Nelle località menzionate l’idocrasio. ‘|| è, di solito, in individui anche assai grandi, trasparenti. || ricchi di facce; all’Alpe delle Selle, invece, fu trovato: in AES cristalli, per lo più imperfetti e opachi, i maggiori con dimensioni di solo mm. 2 X mm. 11, fortemente striati nel senso dell'asse verticale. Pochi e rari cristalli terminati ad una estremità e con buone facce anche nella zona prismatica, di colore giallo topazio e limpidissimi, poteì avere solo osservando, uno per uno, tutti i numerosi frammentini che si ottengono rompendo, con le dovute cautele, alcune masserelle, meno compatte, del minerale in parola. Trattasi sempre però di cristallini davvero molto piccoli, misurando essi *|; di mm. di spessore Fia. i. (1) F. Zambonini, Su alcuni minerali della Rocca Rossa e Monte Pian Real (Val di Susa) Rend. R. Acc, Lincei, vol. X. Roma 1901. ; ez (2) A. Pelloux, Sopra alcuni minerali dei dintorni di Suint Vincent e Chatillon in Val d'Aosta. Annali del Museo di Stor. nat. di Genova, vol. VI (XLVI), 1913. (9) G. Struever, /giccimenti minerali di Saulera e della Rocca Nera ecc., Rend.. Rend. R. Acc. Lincei, Vol. VIII. Roma, 1899. (4) Parmi sia stato chiamato un pò impropriamente manganesifero, visto che esso,. secondo una analisi eseguita nel 1887 da J. H. Vogel, (C. Doelter, Handbuch der Mb neralchemie, vol. IV, p. 931 Dresda 1916), conterrebbe solo tracce di manganese. — 511 — per 3 mm. di lunghezza, i quali forniscono tuttavia immagini della mira ab- bastanza luminose che permettono buone misure, in base alle quali riconobbi le forme : w {11 |; a} 16C}; /}210]|; pj111{:s}811], osservate poi anche al microscopio, e unite nella combinazione rappresentata nella fig. 1. Trascrivo sotto, mettendoli a confronto con i valori teorici ricavati dalle costanti V. v. Zepharovich, gli angoli misurati: (100):(210) = estremi 26.°.50' — 269,27" 26. 42” (media di 3 misure) cale. 26.° 34 (100):(110) = >» 45. 20 — 44.41 45. 10 ” 3» » 45. 0 (0):3I0) = » 31.45 — 3135 81. 40 n 9 » 31. 88 (FL (0.10)t= 74. 35 — 74.10 74. 25 ” Si » 74.11 (0) ee 52. 48 — 52.36 52. 42 n 2» » 32, 45!/a (Cliat)g((DbE—_2007 74, 40 — 74.30 74, 35 » 2» » 74. 29 L'analisi chimica fu fatta partendomi da un materiale purissimo, cioè su frammenti completamente vitrei, ottenuti frantumando prima grossolana- mente alcuni pezzetti della incrostazione bruno-rossastra ed eliminando poi le poche lamelle di clinocloro presenti ed i detriti più minuti. La polvere dell’idocrasio ha colore cacao-chiaro e schiarisce all’arroven- tamento (lampada di Mecker) diventando anche compatta per una parziale fusione. Mescolata con fluoraro di calcio e bisolfato potassico essa impar- tisce alla fiamma una fugace ma netta colorazione verde. Il fluore venne cercato secondo il metodo di H. Rose modificato da J. C. Minor e S. L. Pen- field ma con esito negativo. L'aggiunta di peridrolo al filtrato della silice dà una intensa colorazione giallo-arancione, ciò che rivela subito un note- vole contenuto in titanio. I risultati analitici quantitativi avuti sono ì seguenti: SOG e, 037.98 TO eee I 50 AO een o o 1500 Bre eee e. na) Cioe i i n, i LTACCO Ke: o e o 2:09 Keri Rete e 0.91 MEO ee e; I RE 0):08 Cale, 0. MR 00.90 Meo e o e 21 Nas0 ) j i . DE, pe nt 004 HOC o 10:94 Hr 0 gaia) 4 aa da 1187 alieno 005 SS. >, ERRATO 100.64 p. sp = 3.4l => pid Dai quali valori non si ricava una formula semplice come accade, del resto, per molti altri idocrasî. L'idocrasio dell'Alpe delle Selle, il cui colore bruno-rossastro ritengo sia dovuto non al manganese presente che è pochissimo, bensì al titanio, risulta anche discretamente borifero pur essendo sempre ben lontano dal- l'avere la ricchezza in B,0; della varietà wiluite della Siberia Occidentale che A. Noll trovò ammontare a ben 6,12 %. La percentuale di Ti, 0; è invece assai elevata ed è superata, finora, soltanto da quella (4.28 %) riscontrata da P. Jannasch e P. Weingarten (*) nell’idocrasio bruno-seuro de' Vesuvio, che secondo recenti ricerche di E. T. Wherry e W. H. Chapin (?), non conterrebbe però Bs 03 ma sarebbe, come è noto, ora fluorifero ed ora no. Dopo gli studi di C Hlawatsch (*) alcuni ritengono che gli idocrasî privi di fluoro siano otticamente positivi, mentre sarebbero negativi quelli fluoriferi. Questa regola non risulterebbe confermata dall'esame di parecchi cristalletti dell'Alpe delle Selle, i quali manifestarono tutti allungamento negativo. Può invece darsi che il carattere ottico dipenda piuttosto dalla posizione che hanno alcuni elementi ‘ferro o titanio nella molecola del minerale e siamo forse anche qui in presenza di cristalli misti stereoiso- meri che, secondo lo Zambonini (*), sarebbero assai diffusi in natura. L'idoerasio da me studiato ha un pleocroismo assai netto con 0 > €, aveudo il raggio ordinario colore giallo topazio e quello straordinario colore analogo ma assai più chiaro. Per la luce del sodio ho trovato che w = 1,728, «e = 1.724. per cui o—£e= 0,004. (4) P. Jannasch e P. Weing ten, Z. anorg. Chem XI, 40, 1896; Vedi anche F. Zam- bonini, Mineralogia vesuviana. p. 269, Napoli 1910. (2) E. T. Wherry e W. H. Chapin. Zeitschr. fior Krist. und Petrgr. XLVIII. p. 126. 1911. (3) C. Hlawatseh, Bestimmung der Doppelbrechung fiir verschieden farben an ei- nigen Mineralien. Tsch. min. Mith. XXI, p. 107, Wien 1902. (4) F. Zambonini, Sui cristalli misti stereoisomeri nella serie clinozoisite-epidoto. zend, della R. Accad. Naz. dei Lincei, fase 3°, 4°, 59, 6°, Vol. XXX. Roma, 1921. — 513 — Fisica. — Sulle condizioni elettriche di formazione della grandine. Nota di ALESSANDRO ARTOM, presentata dal Corrisp. L. PALAZZO. I. Le moderne teorie dell'elettricità, le osservazioni sperimentali ese- guite nelle regioni elevate dell'atmosfera rese possibili dallo sviluppo della aeronautica ed alcuni fenomeni constatati nelle comunicazioni radiotelegrafiche permettono, a mio avviso, di chiarire notevolmente la genesi della forma- zione della grandine. Mì propongo di riassumere queste recenti osservazioni e sopratutto di esporre, come, secondo il mio modo di considerare il fenomeno della gran- dine, esso possa frequentemente attribuirsi alla ionizzazione dei raggi ultra- violetti contenuti nella luce solare ed alle particolari condizioni della con- ducibilità elettrica dell'ambiente in cui si forma. A conferma di tali concetti ricorderò pure una serie di esperienze da me eseguite e pubblicate da oltre un ventennio (') e che credo possano di- mostrare la funzione dell’elettricità atmosferica nella formazione della grandine. Queste esperienze mi hanno condotto a ritenere che, in qualche speciale caso, negli istanti in cui la grandine si forma, le forze elettriche possono intervenire provocando sul primo nucleo centrale del chicco di grandine delle impulsioni di carattere rotatorio le quali sono appunto spiegabili basandosi sul fatto che l'ambiente in cui si forma la grandine è costituito da un mezzo reso debolmente conduttore dalla ionizzazione ed in cui si trovano immersi dei corpi isolanti cioè dei nuclei di ghiaccio. Per studiare la genesi della grandine credo opportuno ricordare alcune recenti osservazioni sulla ionizzazione atmosferica ossia sulla esistenza di masse di elettricità positiva o negativa moventesi liberamente nell'atmosfera stessa. Seguendo un mio modo di considerare il campo elettrico atmosferico ritengo che esso si possa. paragonare, nelle sue linee generali, al campo elettroionico di un immenso tubo termoionico in cui il sole rappresenti il filamento di lampada incandescente costituita”da carbone o di altra materia disgregabile a temperatura elevatissima e la terra funzioni da piastra negativa. (!) Alessandro Artom, Za formazione della grandine, Torino, 1900. RenpICONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. 66 — 514 — Il campo elettroionico atmosferico essendo però naturalmente soggetto alle variazioni dovute al moto di rivoluzione della terra attorno al sole e di quello che la terra compie seguendo l'eclittica. non che delle variazioni di temperatura e pressione il paragone da me fatto sussiste tenendo conto delle dette condizioni di variabilità e di altre a cui non è qui il caso di accennare. A conferma di tal modo di considerare il campo elettroionico terrestre ricorderò che è generalmente ammesso che la ionizzazione atmosferica debba. attribuirsi alle seguenti cause: 1°) Emissione dovuta al sole considerato in quanto è un corpo incan- descente a temperatura elevatissima di corpuscoli elettrizzati negativamente. 20) Azione ionizzante dei raggi ultravioletti della luce solare. Inoltre la ionizzazione è attribuita alla emanazione radioattiva nell’aria dovuta alle sostanze radioattive contenute nella scorza terrestre e ad altre cause il cui carattere è probabilmente in minor relazione col fenomeno: della grandine. Per lo scopo di questo studio conviene per ragioni intuitive soffermarsi sulla azione ionizzante dei raggi ultravioletti della luce solare. È notorio come il Lénard abbia dimostrato che ì raggi ultravioletti hanno, come i raggi Bécquérel, la proprietà di far apparire cariche libere in seno. ai gas da essi attraversati. La luce solare contiene le radiazioni di Schumann le quali es- sendo di piccolissima lunghezza d'onda sono capaci di ionizzare l'atmosfera. Ma è necessario osservare che, appunto per la loro minima lunghezza d'onda, queste radiazioni sì arrestano prevalentemente nelle regioni elevate dell’atmo- sfera ed al livello del suolo i loro effetti ionizzanti sono molto attenuati. Orbene è essenziale insistere sulla concidenza, non certo fortuita. che le cadute di grandine si verificano più generalmente nell'estate, non solo ma nelle ore più calde del giorno, cioè dopo il mezzogiorno. ore in cui precisa- mente la ionizzazione dovuta ai raggi ultravioletti solari è fortissima. È pure importante osservare che, reciprocamente, nelle ore seguenti alla mezzanotte in cui la ionizzazione atmosferica è quasi nulla, raramente sì hanno temporali grandiniferi. Le osservazioni esposte fanno già intuire la pro- babile connessione della ionizzazione atmosferica dovuta ai raggi ultravioletti solari con le cadute di grandine. L'azione ionizzante della luce solare è inoltre chiaramente confermata per altra parte dai fenomeni osservati nelle comunicazioni radiotelegrafiche a grandi distanze. È notorio infatti che durante il giorno le trasmissioni radiotelegrafiche a distanze notevoli sono enormemente ridotte di intensità; invece. a parità di energia trasmessa, le stesse trasmissioni sono sentite assai più fortemente durante la notte. Questi fatti sono verosimilmente da attribuirsi all'assorbi- mento della energia delle onde elettromagnetiche radiotelegrafiche, per parte — 5blòb — di ioni di diverso segno esistenti nell'atmosfera in quantità enormemente mag- giore durante il giorno che non durante la notte. È ben noto inoltre che l'osservatore radiotelegrafico constata al levare del sole il progressivo indebolimento della ricezione rudiotelegratica, mentre al tramonto riconosce il progressivo accrescimento della intensità di ricezione. È pure notorio che nel periodo del levare e del tramonto del sole si osservano con maggiore intensità 1] cosidetti « atmosferici » cioè quei disturbi che spesso rendono la ricezione radiotelegratica confusa e generalmente inde- cifrabile. Ricordo ancora, siccome avente relazione colla ionizzazione solare, il fatto che durante gli eclissi solari si è notato il rinforzo della ricezione ra- diotelegrafica tra grandi distanze precisamente come accade durante la notte. È opportuno tener presente. che. esaminati i chiechi di grandine me- diante elettroscopi od elettrometri, si riconosce sempre, come ebbi anche ad osservare io stesso, in essi una notevole elettrizzazione. Questo fatto messo in) relazione con tutto quanto si è esposto relativa- mente alla ionizzazione dovuta ai raggi solari, dimostra già chiaramente come un intimo nesso possa esistere fra ionizzazione solare e la formazione della grandine. 2. La relazione che verosimilmente può esistere fra la ionizzazione so- lare e la grandine è confermata dalle seguenti considerazioni. Nelle giornate piuttosto calde sì formano delle intense correnti d’aria dal basso intense all'alto e che sono quindi capaci di trasportare ad altezze molto elevate il vapor acqueo prodotto dalla evaporazione terrestre. È appunto a queste correnti d’aria che si deve il fatto che i nembo-cumuli (cumul-nimbus) d'onde proviene quasi sempre la grandine, continano nelle loro regioni superiori cogli strati freddissimi dell'atmosfera. Se questi nembo-cumuli sono attraversati dalle radiazioni solari di pic- colissima lunghezza d'onda, come quelle dette di Schumann (da 2000 a 1000 angstròm) le quali stanno alla estremità dello spettro dell’ultravioletto e che sono capaci di ionizzare il vapor d'acqua, la nucleazione ionica può com- piersi in modo particolare. Essa può dar luogo alla trasformazione improvvisa del vapor d'acqua, la cui temperatura si sia repentinamente abbassata per effetto di espansione adiabatica, in granuli di ghiaccio amorfo, i quali costituiscono verosimil- mente i primi nuclei del chicco di grandine. È notorio infatti che il primo nucleo del chicco è caratterizzato dal- l'aspetto spugnoso in causa delle minute bollicine d'aria imprigionate nel globulo di ghiaccio al momento della sua improvvisa formazione. La nucleazione ionica e la trasformazione in ghiaccio, è favorita, oltrechè dalla bassa temperatura dell'ambiente. anche dall’abbassarsi della pressione. Ora, precisamente, l'avvicinarsi dei temporali grandiniferi è accompa- — 516 — gnato dall’abbassamento della pressione atmosferica, come è notorio dalle comuni osservazioni barometriche. 5. Si può quindi spiegare coi fenomeni esposti la formazione del primo nucleo del chicco di grandine Ma, come è notorio, qualunque sia la loro forma e grandezza, i chicchi di grandine sono caratterizzati da una struttura a strati concentrici attorno al primo nucleo. La formazione degli strati è molto verosimilmente da attribuirsi alla solidificazione istantanea di goccie d'acqua in stato di soprafusione che si depositano attorno ai primi nuclei durante la loro caduta. Occorre ancora osservare che le grandinate tipiche a grossi chicchi sono accompagnate dal sopravvenire di fatti eventuali temporaleschi cioè dallo stabilirsi di campi elettrici elevatissimi localizzati. tra nube e nube o fra nubi e terra in direzioni varie e di tale intensità da « polarizzare » lo spazio da essi attraversato. Onde si avrà a considerare, dal punto di vista elettrico, la sovrapposi- zione dell'effetto normale della ionizzazione solare a quelli, accidentali, degli intensi campi elettrici costituitisi fra nubi temporalesche. L’accrescimento del chicco dipende poì dalla natura dell'ambiente su cui agiscono i campi elettrici. Se. ad esempio, l’ambiente è costituito da goccioline d'acqua in cui si trovino ad essere immersi, per effetto della loro caduta, i primi nuclei dei chicchi, si possono verificare dei particolari fenomeni dovuti alla conducibi- lità elettrica del mezzo. È notorio che l'acqua ed il vapor acqueo umido, di fronte al ghiaccio che è ottimo isolante, hanno proprietà di debole conducibilità elettrica. Se il campo elettrico è piuttosto elevato si può avere trasporto di ca- riche per convezione attraverso alle goccioline liquide così da accumulare notevoli quantità di elettricità sui primi nuclei dei chicchi. Ora vi sono dimostrazioni sperimentali che fanno ritenere che, in queste condizioni, il campo elettrico ha l’effetto di dar luogo a coppie di rotazione le quali tendono ad imprimere ai ghiaccioli dei moti rotatorî attorno ad assi passanti pel loro interno. Si possono, in questi càsi, verificare condizioni elettriche analoghe a quelle dei fenomeni ben noti ai fisici, sotto il nome di « Rotazioni elettro- statiche dei corpi dielettrici immersi in mezzi debolmente conduttori » stu- diati da parecchi scienziati specialmente stranieri (!). Queste rotazioni erano così messe in evidenza: dentro a recipienti conte- nenti, benzolo, solfuro di carbonio, etere o trementina, era stabilito un campo elettrico di parecchie migliaia di volt fra lastre metalliche immerse nel liquido. (1) G. Quineke, Wied. Annalen, 1896. — 517 — Sospendendo in seno agli isolanti liquidi dei corpi solidi di potere iso- lante più elevato di quello del liquido, come paraffina, zolfo, cristalli di aragonite, quarzo, tormalina, si osservano rapide rotazioni di questi corpi solidi attorno all'asse di sospensione. Più tardi Graetz(*) sostituì al filo di sospensione due punte attorno alle quali la rotazione poteva compiersi in modo durevole: essa sì mante- neva finchè durava il campo elettrico. Anzi, come caso particolare, il Graetz, confermò l’esperienza sostituendo ai liquidi isolanti lo spazio di tubi di media rarefazione ed in cui l’aria era ionizzata dal campo elettrico da cui era attraversata Il fenomeno fu studiato da parecchi autori e fu anche ricavata da H. Hertz l'espressione matematica del momento di rotazione di una sfera isolante, in funzione della intensità del campo e della differenza fra la conduttività elet- trica del mezzo ambiente e quella della sostanza dielettrica soggetta a ro- tazione. Nel 1900 ho eseguito una serie di esperimenti, ì quali, a parer mio, presentano molta analogia colle condizioni elettriche delle grandinate più violente, cioè quelle in cui è lecito fare l'ipotesi che i chicchi siano soggetti per virtù del campo elettrico a delle « impulsioni rotatorie =. Sospeso, ad esempio, nel benzolo, la cui conduttività elettrica può ri- tenersi non molto diversa da quella del vapor d'acqua, un pezzo di ghiaccio od un pizzico di neve alquanto compressa, se il campo è elevato, questi corpi sospesi prendono rapidamente a rotare. mantenendo lo stesso senso finchè la torsione del filo di sospensione lo permette. Dopo pochi istanti, il corpo per l'effetto meccanico di rotazione assume nettamente forma di solido di rivoluzione. È appunto la forma di solido di rivoluzione quella che presentano i chicchi di grandine nelle tipiche grandinate. Questo aspetto risulta chiaro spesso alla superficie, ma più evidente- mente ancora osservando il chicco nelle sue sezioni, nelle quali si notano non raramente stratificazioni elicoidali dovute alla composizione del moto rotatorio coll’azione della gravità. I movimenti rotatorî hanno la loro interpretazione tisica nel fatto che i ghiaccioli o primi nuclei si trovano in un mezzo reso debolmente condut- tore dalla ionizzazione preesistente. 4. Le ipotesi da me avanzate dànno ragione della possibilità che si formino dei chicchi di grossa mole ed è notorio invero che se ne osservarono alcuni anche del peso di molte centinaia di grammi. Può accadere infatti che, l'azione rotatoria del campo elettrico operando su qualche casuale forma del primo nucleo ad esempio quella di un fascio {1) L. Graetz, Wied. Annalen, 1900. — 518 — di aghetti disposti in direzioni inclinate, venga questo nucleo di forma par- ticolare ad essere sollecitato da una componente verticale od inclinata di- retta dal basso all'alto, così da permettere opponendosi alla gravità, a questo particolare nucleo, di soggiornare maggior tempo nel suo ambiente di for- mazione. In queste condizioni il chicco può naturalmente caricarsi molto di ne- vischio o di ghiaccioli e raggiunto un peso tale da sorpassare la componente dal basso all'alto creata dalle azioni elettriche. cadere poi al suolo. Le condizioni fisiche perchè i chicchi di grandine abbiano a costituirsi sono quindi caratterizzate dalla necessità che, nell’ambiente di formazione, possano sussistere contemporaneamente del vapor acqueo, allo stato di sopra- fusione e dei globuli di ghiaccio : in altri termini, è necessario si verifichi la coincidenza che del materiale sospeso allo stato liquido, venga a contatto con del materiale allo stato solido. Tali condizioni devono avvenire nelle regioni dell'atmosfera prossime alle linee isotermiche della temperatura dello zero gradi, le quali determi- nano appunto la zona di formazione della grandine. Orbene è chiaro che quelle condizioni termiche sono eccezionalmente realizzabili tanto nei climi a temperature eccessivamente alte, quanto nei climi a temperature eccessivamente basse. Si constata, infatti. che nei climi tropicali e nei climi polari le preci- pitazioni grandinifere si manifestano assai raramente. (‘on maggior frequenza la grandine sì produce, invece, nelle regioni a climi temperati, perchè in quelle latitudini le condizioni fisiche sopra esposte, sì possono assai sovente verificare. Fisiologia. — Za glcosuria nell'uomo sottoposto a rarefa- zione atmosferica (*). Nota I del dott. A. AGGAZZOTTI, presentata dal Socio P. Foà. P. Bert (2) aveva osservato che gli animali tenuti per qualche ora ad una hassa pressione avevano talora glicosuria; il fenomeno si presentava in modo irregolare e non poteva essere riprodotto a volontà. Le analisi del sangue fatte sui cani da Dastre (*) nelle stesse condizioni sperimentali rile- varono anche una notevole iperglicemia, se la rarefazione era stata forte (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisiologia d:lla R. Università di Torino. (2) Bert P., La pression barométrique. Paris, G. Masson, 1878. (* Dastre A., Delu glycemieasphyrique. CR. Acad. de Science, LXXXIX, 669, 1879. — 519 — 150-250 min., e non troppo prolungata. La glicosuria e la iperglicemia erano per questi AA. simili a quelle che si avevano nell'ashssia lenta in vasi chiusi, cioè dipendenti dall’anossiemia. Questa, irritando il fegato, determinava una più attiva mobilitazione del glicogeno in esso contenuto, indipendentemente da una incompleta combustione dello zuechero. Camis (*) sull'uomo avrebbe trovata una forma di glicosuria da rarefa- zione atmosferica simile a quella osservata da P. Bert sugli animali; essa si manifestava in modo costante per depressioni notevolmente minori 326- 430 mm. e che agivano per soli 20-40 minuti. Sul determinismo di questa glicosuria Camis non si pronuncia con sicurezza, esclude però possa trattarsi di un eccesso di CO”, essendo la ventilazione sotto alla campana molto forte e, pure dando molta importanza al fattore emotivo, crede che uno dei -fat- tori principali sia la scarsità di ossigeno; ciò egli desume anche da un espe- rimento fatto in volo, nel quale osservò che appena atterrati dopo 50 mi- nuti di volo, l’orina del pilota, che aveva respirato O? oltre i 3000 m. non conteneva glucosio, mentre l'orina dell’A.. che aveva respirato aria atmosfe- rica, ne conteneva tracce. La quota massima raggiunta fu di 4560 m. I risultati di questi esperimenti sarebbero in* contrasto con quelli che ho ottenuti studiando il limite di assimilazione del glucosio in alta mon- tagna (*). Avevo infatti constatato che durante il soggiorno al Colle D'Olen 2901 m. s. m. la quantità di glucosio che si poteva ingerire senza avere glicosuria era molto superiore a quella di Torino, 240 m.s. m. e ciò anche quando si era nelle stesse condizioni di riposo, di dieta e di temperatura ambiente. Poichè mi pareva che negli esperimenti di P. Bert e di Camis avessero agito dei fattori che non avevamo negli esperimenti fatti al Colle D'Olen, come l'asfissia dei tessuti per una eccessiva rarefazione, l’azione dell'anidride carbonica, lo stimolo emotivo, fattori che per sè soli potevano dare glico- suria, mi sono proposto di ripetere sull'uomo gli esperimenti sulla glicosuria da rarefazione, eliminando i fattori sopradetti. I soggetti in esperimento furono tutti giovani di 18-20 anni, general- mente soldati, candidati all'aviazione, che venivano messi isolatamente o a due e anche a tre per volta nella grande camera pneumatica dell'Istituto di Fisiologia. L'esperimento procedeva sempre nello stesso modo; in 15-20 minuti la pressione scendeva a circa 380 mm. e rimaneva costante su questo valore per 40-45 minuti, poi, fermate le pompe, in 5-10 minuti si tornava alla pressione normale; complessivamente l'esperimento durava circa on'ora. Per evitare l'azione emotiva, prima della prova, il soggetto veniva sempre (') Camis M., La glicosuria fisiologica nell'uomo sottoposto 1 rarefazione atmo- sferica. Rend. della R. Accademia dei Lincei. XXVII, 101. 1919. (°) Aggazzotti A. L'assimilazione del glucosio in alte montiugna. Giorn. della R. Accad. di Medic. di Torino, LXXXIV, 177, 1922. lo 207— tranquillizzato sulla inocuità dell'esperimento. e gli venivano dati giornali illustrati e periodici, che doveva leggere nella camera pneumatica; questa poi era sufficiente ampia per permettere ai candidati di starsene comoda- mente seduti. L'evacuazione dell’aria veniva fatta contemporaneamente con due sistemi di pompe indipendenti, per poter mantenere una ottima venti- lazione. Le analisi dei campioni di aria presi a varî momenti dell'esperi- mento non rilevarono mai una quantità di CO? superiore a 0,2%. In ogni esperimento si raccoglieva l’orina secreta nell'ora che precedeva la prova della campana. l'orina secreta nell'ora successiva durante la rare- fazione, e l’orina secreta nell'ora dopo esciti dalla camera pneumatica. Su questi campioni di orina si determinava il peso specifico col picnometro. il potere riduttore col metodo di Nylander, l’albumina coagulabile col metodo del riscaldamento. I singoli esperimenti sono riportati nelle tabelle seguenti; l'esame dei risultati ottenuti sarà fatto in una Nota seguente (III). TABELLE RIASSUNTIVE DEGLI ESPERIMENTI. Proprietà fisico-chimiche dell'oriva prima, durante e dopo la rarefazione. d Ei O a La È Pi : Keazione q Numero È Si Peso di Nylander Albumina | 4 SUO , Osservazioni Data Za specifico Colore coagulabile ia del precipitato lo — = I \ Prima | 65, 10224) negativa |assente | D.T. Soggetto affetto da gli- 5.IIL | | bianco | cosuria alimentare molto 1922 Durante] 233 | 1010.1 | negativa | assente forte. | | bianco | Esperiment:: fatto al mattino Dopo 105| 10115 | negativa | assente 2 01€ dopo la prima cola- | Bianco | zione di solo latte è caffè. Durata dell’esperimento 65 mi- nuti. | Pressione minima raggiunta 472 mm. II |Prima 46. 1030.0 negativa assente P.M. Soggetto normale, stu- _ Neg ge 7II giallo sporco | i dente. 1922 | Durante] 28, 1031.0 | tracce | assente | Espeiimeuto fatto al pomerig- | giallo bruno | | gio 4 ore dopo il pasto del Dopo 50 10290 | negativa assente | mezzogiorno, giallo | Durata della rarefazione 56 mi- nuti. | Pressione minima 484 mm. III |Prima 15| 10248 negativa assente | P. M. (Vedi esperim. II). 8-II giallo seuro Esperimento fatto al mattino 1922 | Darante| 97| 1016.1 negativa assente 2 ore dopo la prima cola- bianco zione. Dopo 68 — negativa assente | Durata della rarefazione 69 mi- bianco nuti. Pressione minima 479.5 mm. PR ZAO e e N . È e Reazione 3 ; umero $S | Peso di Nylander A!bumina . | i ; Vsservazioni Data Se specifico Colore coagulabile a | del precipitato (e) — IV |Prima 25) 10261 negativa assente | P. G. Soldato. Soggetto nor- 5.III giallo scuro male. 1922 | Durante] 42| 1025 4 negativa assente | Esperimento fatto al mattino bianco 8 ore dopo la prima cola- Dopo 77 10174 tracce zione. grigio chiaro | assente | Durata della rarefazione 65 mi- nuti. Pressione minima 428 mm. V Prima | 24 1029.5 necativa velo M.G. Soldato. Soggetto con 5-11I | russo SCuro lieve albuminuria senza ce- 1922 Durante, 62 1022 9 negativa assente lindruria. rosa Esperimento vedi n. IV. Dopo 27] 1024.8 negativa | assente rosso senro VI |Prima 40] 1020.1 negativa assente | M. Gu. Soldato. Soggetto nor- 5-I1I bianco male. 192: | Durante] 120| 1008.1 negativa assente | Esperimento vedi n. ÎV. bianco Dopo 144| 10095 necativa assente. bianco DR _ VII |Prima 391017 negativa assente | M. Gi. Soldato. Soggetto nor- 9-III bianco male. 1929 | Durante] 70 1013.5 negativa assente | Esperimento fatto al mattino. bianco Dopo | 272| 1012.8 negativa assente | Durata della raref. 60 minuti. | bia #6) . CISTI da Pressione minima 398,5 mm. VIN | Prima 27 — negativa tracce | B. L. Soldato. Affètto da albu- 10-III | bianco giallo minuria senza cilindruria, 1992 | Purante 81 = negativa parecchia| Esper. vedi n. XII Nota seg. giallo rosa Dopo 25 minuti di permanenza Dopo | 24 “i negativa tracce nella camera pneumatica ha rosso mattone | evidenti sintomi di malessere, con disturbi vaso-motorii cuta- nei, nausea, dolore di capo. | Si deve interrompere l’espe- | rimento. IX |Prima | 210| 1008.9 negativa assente | C. U. Soldato. Soggetto nor- 14-I11 bianco male, 1929 | Durante] 570| 1005 0 negativa assente | Esperimento fatto al mattino. bianco Dopo 45) 10191 negativa assente | Durata della raref. 57 minnuti. giallo RenpICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. Pressione minima 393 mm. 67 522 — Biologia. — Sulle variazioni di resistenza della capsula în uova di Teleostei (*). Nota del dott. Errore REMOTTI, presentata dal Socio B. GRASSI. Non sarà sfuggito a chi ha avuto occasione di seguire lo sviluppo di uova di Teleostei che la capsula, resistente a notevoli azioni meccaniche, che su essa sì esercitino nei primi tempi dello sviluppo, verso il termine di questo ha in forte grado perduto tale caratteristica, così che i deboli mo- vimenti della larvetta, giunta a compimento, sono sufficienti per lacerarla ed aprire a questa una via. ‘ Tale diminuzione di resistenza, facilmente apprezzabile ad una semplice osservazione, può essere. più esattamente dimostrata e, se vogliamo, anche misurata mediante un semplice dispositivo applicabile a uova di notevoli dimensioni come quelle dei Murenoidi e nelle quali si può inoltre isolare, senza difficoltà, la capsula. L'apparecchio, che sarà descritto nel prossimo iavoro in esteso, permette di seguire la progressiva variazione di resistenza durante il corso dello svi- luppo e, naturalmente, le variazioni che per via sperimentale si siano deter- minate. Che il fenomeno rappresenti un mirabile adattamento alle necessità di sviluppo del nuovo organismo è ovvio; era però interessante indagare il mec- canismo per il quale esso può veriticarsi. Questo lo scopo delle ricerche su cui io quì brevemente riferisco, riservandomi una più minuta esposizione nel lavoro definitivo. Nelle mie esperienze mi sono prevalentemente servito di uova di Mu- renoidi. È noto come in queste il vitello sia circondato da un ampio spazio occupato dal liquido perivitellino : questo appunto, dalle osservazioni com- piute, mi par logico debba avere una parte importante nelle modificazioni che la capsula subisce durante lo sviluppo. x Le nostre attuali conoscenze sulla chimica degli esseri viventi, per quanto ancora ben lontane dal penetrare le leggi intime dei fenomeni biologici, ci hanno svelato, nel campo delle azioni enzimatiche e delle reazioni immu- (1) Lavoro eseguito nell’ Istituto Centrale di Biologia Marina in Messina diretto dal prof. Sanzo. nitarie, tutta una serie importantissima di fatti, che gettano una luce nuova sulle più nascoste reazioni dei tessuti e dei liquidi organici. Le ricerche che, guidato da questi concetti, ho appunto eseguito sulle proprietà del liquido perivitellino, mi hanno portato a risultati che mi sem- brano lumeggiare il meccanismo della fuoriuscita della larva dalla capsula. Esporrò qui brevemente alcune esperienze. Prendiamo due gruppi di uova di una qualsiasi specie di Murenoidi, tutte ad eguale stadio e, precisamente, all'inizio dello sviluppo; mettia- mone uno, quale controllo, in un comune recipiente d’acqua marina, l'altro, lasciando invariate le rimanenti condizioni, in contatto con liquido perivi- tellino estratto da uova della stessa specie, ma ad uno stadio di sviluppo più avanzato ('). Si verifica un caratteristico risultato: mentre le uova di controllo proseguono normalmente nel loro sviluppo, le altre presentano una maggior percentuale : 19) di precocità di schiusa, senza che l'embrione manifesti una cor- rispondente precocità di sviluppo; 2°) di mortalità. I due fenomeni possono verosimilmente essere riferiti alla medesima causa: una precoce alterazione e diminuzione della resistenza capsulare per opera del liquido perivitellino. Infatti ulteriori ricerche, intraprese per misurare direttamente la resi- stenza della capsula, mettono in rilievo l'abbassamento del limite di rottura di quest'ultima allorchè l’uovo venga tenuto, fin dai primi stadî di sviluppo. nelle condizioni sperimentali sopra esposte; abbassamento che si ottiene ancora operando direttamente su capsule isolate, in confronto di altre tenute. invece, in ambiente marino normale. Il caso surriferito di precocità di schiusa si verificherà quando l'azione del liquido perivitellino si svolga con intensità moderata, così che la larva riesca a raggiungere un sufficiente grado di sviluppo, compatibile con la vita libera del plancton, prima che la capsula abbia diminuito la propria resistenza al punto da poter essere lacerata sotto la minima azione. Il secondo caso non rappresenta se non una condizione esagerata del primo, in quanto la morte della larva avverrebbe tutte le volte che l’azione del liquido perivitellino sulla capsula — sia per minor resistenza di questa, varia- zioni individuali, sia per altre cause non ancora precisabili — si esplica con intensità o rapidità maggiore e in modo da perturbare molto precocemente i processi osmotici, donde squilibri che l’ombrione troppo arretrato non può affrontare, o influenze nocive sull'embrione medesimo troppo precocemente (1) L’abbondinza con cui, alcuni giorni, queste uova vengono pescate nello Stretto di Messina, permette di estrarre notevole quantità di liquido perivitellino, — 524 — esposto all'azione del liquido perivitellino che, per appartenere a stadî note- volmente più avanzati, può avere un'azione tossica. Riservando di precisare lo svolgimento del fenomeno, con ricerche in corso sulle proprietà enzimatiche del liquido perivitellino, pare fin da ora verosimile che un tale processo possa riferirsi a un'azione digestiva di questo. sulla capsula in relazione all'attività di un particolare enzima nel liquido stesso verso la fine dello sviluppo. Ciò avrebbe per risultato di offrire alle larve, con l'indebolimento della capsula, la possibilità di uscire dalla propria prigione a sviluppo completo. L'azione esplicata dal liquido perivitellino risentirebbe poi delle con- dizioni di temperatura e di salsedine dell’acqua marina, come ci risulta dal comportamento di nova che, per determinate ragioni sperimentali (*), erano poste, anche temporaneamente, in ambiente a concentrazione salina diversa da quella dell'acqua di mare normale, (‘iò potrebbe anzi avere, insieme con le variazioni del peso specifico e del coefficiente di dilatazione termica, importanza nella spiegazione di alcuni meccanismi di distribuzione orizzontale di questi elementi del plancton, p. es., come essi variamente si distribuiscano da un mare all'altro, benchè non vi sia, per quanto si sappia, che una piccola differenza di salsedine o di temperatura. Fisiologia. — /icerche sulla variazione della radiosensibdi- lità degli spermatociti oligopirenici in Paludina vivipara Linn. (*). Nota II del dott. CesarE ARTOWM, presentata dal Socio B. Grassi (*). Risulta da una mia Nota precedente (‘) che gli spermatociti oligopire- nici di Paludina vivipara, sono, durante il periodo di accrescimento, spe- cificamente sensibili all’azione dei raggi Rontgen. Come è ben noto, i suddetti elementi, provenienti (quasi con certezza) da cellule germinative, le quali non passano attraverso le fasi di divisioni spermatogoniali; attraversano un periodo di assimilazione molto intenso, di- (1) E. Remotti, Variazioni di peso specifico nelle uova galleggianti dei Teleoster durante lo sviluppo, Memoria LXXX, R. Comitato Talassografico Italiano. E. Remotti, Sul comportamento del coefficiente di dilatazione termica in uova di Teleostei, Memoria XC, R. C. TI. (2) Lavoro eseguito nell'Istituto di Anatomia e Fisiologia comparata della R. Uni- versità di ltoma (3) Presentata nella seduta del 3 giugno 1922. (4) Osservazioni preliminari sulla radiosensibilità di alcuni stadi della spermato- genesi oligopirenica di Paludina vivipara. Rendiconti Accademia Lineci, vol. XXXI, serie V, 1° sem., 1922, vox NI) ventano ipertrofici, non riducono il numero dei cromosomi; e dopo una prima e una seconda divisione dànno luogo (attraverso complicati stadî) ai così detti spermi o/zgopirenici, del tutto aberranti da quelli normali 0 euperenzer. In generale nei casi di spermatogenesi di mammiferi influenzata da raggi Rontgeu, pare (secondo la scuola di Regaud)(') che le fasi spermato- goniali sieno speciticamente radiosensibili. Esse lo sono però sempre du- rante quel periodo di intensa assimilazione che intercede sicuramente in ogni elemento cellulare tra cariocinesi a cariocinesi. Per quanto le osservazioni di Mohr stabiliscano invece, per la spermatogenesi di un Ortottero. una ra- diosensibilità specitica (ottenuta con sali di Radio) al riguardo degli sperma- tociti in accrescimento, subito dopo, terminata l’ultima divisione sperma- togoniale, rimane però sempre il fatto che, in ambeduei casi, è uno stadio di intenso metabolismo nucleare quello che sì rivela maggiormente sensibile all’azione dei raggi. Siccome poi d'altra parte pare oramai assodato che i nuclei in cui i cromosomi sono bene individualizzati, raddoppiati di massa e pronti a ripar- tirsi in due cellule figlie, sono in complesso poco radiosensibili, così una conclusione unica può forse trarsi dai lavori di Regaud e di Mohr: che cioè le sostanze presenti nel nucleo durante la sintesi nucleinica, devono essere di natura chimica tale da disintegrarsi facilmente, sia sotto l'azione dei raggi Réntgen, sia sotto l’azione dei raggi delle sostanze radioattive. Ciò che rimane ancora dubbio è la possibilità di stabilire se esista una specifica radiosensibilità per una piuttosto che per un’altra tappa della spermatoge- nesi: probabilmente essa varia da tipo a tipo di animali, e non vi è quindi da stupirsi dell'apparente contraddizion : tra i risultati della scuola di Regaud e i risultati di Mohr. In complesso pertanto, l’avere potuto determinare che lo spermatocito oligopirenico di Pa/udina è, durante il primo periodo di accrescimento, spic- catamente radiosensibile, deve riguardarsi come una ulteriore dimostrazione, assal persuasiva, fatta su un materiale veramente dì elezione, che realmente elementi cellulari di cui la maggiore caratteristica è di percorrere uno stadio di intensa assimilazione, offrono una radiosensibilità specifica. come vuole del resto anche la nota legge di Tribondeau e Bergonie. Tale legge, desunta da molteplici osservazioni e accettata, mi pare, nel suo complesso dalla mag- gior parte dei radiologi, stabilisce in definitiva una radiosensibilità massima al riguardo degli elementi destinati a moltiplicarsi rapidamente. sempre però in quel periodo per lo più breve, che intercede tra cariocinesi e cariocinesi. Vi è solo da osservare che l'elemento da me preso in considerazione è caratterizzato da un intenso periodo di assimilazione che lo conduce non (4) Per le indicazioni bibliografiche si consultino principalmente i lavori di G, Hertwig, di Mohr in Archiv. f. mikroskopische Anatomie, 92° vol., 1919, e di Alverdes; lavori tutti già presi in considerazione nella Nota precedente. — 528 — già ad una cariocinesi immediata, ma invece ad uno stadio ipertrofico assai notevole. Forse le mie osservazioni possono, per questo riguardo, meglio entrare nell'ambito di quelle molto interessanti del Regaud(*) relative alle cellule del Sertoli del testicolo di mammiferi, in cui pare che i suddetti elementi, per ì quali è cessata, sì può dire completamente, la fase di moltiplicazione, presentano egualmente una radiosensibilità abbastanza spiccata, variabile però în coincidenza con periodi di attività funzionale più o meno elevata. Date queste sommarie premesse, a me è sembrato interessante sperimen- tare se lo spermatocito oligopirenico di un organismo e/erotermo come la Poludina, fosse egualmente radiosensibile anche nella stagione fredda, quando cioè, in modo molto evidente, l'attività funzionale di tutte le cellule del. testicolo è roterolmente ridotta. Le osservazioni molteplici e sempre accompagnate da adeguati con- trolli, mi permettono oramai di affermare che realmente nella stagione fredda, con temperature varianti nei miei acquarî all'aperto da 2° a 12° centi- gradi, anche erogando dosi di raggi piuttosto elevate. non sì ottiene mai quella caratteristica esplosione di picnosi nucleari che ho osservato invece nei mesi di maggio e giugno dell'anno precedente, erogando una dose di raggi molto minore. Neppure nella prima metà di aprile. con temperature oscillanti negli acquarî da 8° a 16° centigradi, gli spermatociti oligopirenici sono specitica- mente radiosensibili: lo diventano invece nella 28 metà di aprile, con tem- perature oscillanti tra i 12° e i 22° centigradi. Infatti ì testicoli irradiati precisamente 1’8 aprile con dosi corrispon-- denti a circa ?/3 della dose di eritema. ed osservati successivamente dopo dieci, diciotto e trenta giorni dalla data dell'irradiazione, gli elementi oligo- pirenici erano quasi tutti perfettamente normali; viceversa nei testicoli irra- diati il 22 aprile con la stessa dose dì raggi ed esaminati il 2 maggio, si osserva una vera esplosione di picnosi nucleari in quasi tutti gli spermato- citi oligopirenici. In base a questi fatti si può trarre una seconda conclusione; e che cioè l'azione dei raggi sullo spermatocito oligopirenico non sì fa pratica- mente sentire a distanza, quando essi sono stati erogati in un tempo in cui le condizioni di temperatura e forse la stagione non hauno ancora sufficientemente elevata l’attività funzionale del suddetto elemento cellulare. Non appena questa attività funzionale raggiunge un certo grado, lo sper- matocito oligopirenico diventa subito spiccatamente radiosensibile, come lo dimostra all'evidenza la caratteristica degenerazione nucleare che interviene dopo pochi giorni dall’irradiazione. (1) C. Regaud, Sur les variations de la radiosensibilité des cellules nourricières de Uspithelium seminal chez le rat. Comptes Rendus de la Société de Biologie, 1913. | Ui DD —J | PERSONALE ACCADEMICO Il Socio MatTIROLO leggeva nella seduta del 2 giugno 1922, la se- guente commemorazione del defunto Accademico AntoNINO BoRzi : Messe gloriosa, nobilissima, profondamente lacrimata, ha falciato la morte, nel breve volgere di pochi mesi nel ristretto campo della Botanica italiana! Giovanni Arcangeli (m. 16 luglio 1921), Pasquale Baccarini (m. 24 luglio 1919). Odoardo Beccari (m. 25 ottobre 1921), Saverio Belli (m. 7 aprile 1919), Antonino Borzì (m. 24 agosto 1921). Giovanni Briosi (m. 20 luglio 1919), Giuseppe Cuboni (m. 3 novembre 1920), Pietro Andrea Sac- cardo (m. 12 febbraio 1920), Stefano ‘ommier (m. 3 gennaio 1922); tutti ancora nel pieno rigoglìo delle forze dell'ingegno, ci furono ineluttabilmente rapiti: e alcuni di essi quando le condizioni di loro salute non potevano far sospettare prossima la fine! Fra questi dolorosissima e quasi fulminea fu la scomparsa del nostro illustre Consocio AnToNnINO Borzì, la cui fibra robusta si spezzò avanti tempo, il giorno 24 dell'agosto scorso. Aveva lasciato Palermo per ritemprare nel dolce clima della diletta toscana, la mente affaticata, e dopo pochi giorni accorrevano i figli per rac- coglierne l'ultimo respiro nell'ospedale di Lucca, dove egli si è spento in seguito ad una operazione chirurgica, resasi improvvisamente necessaria. La notizia della catastrofe riferita dai giornali, sollevò generale senso di doloroso stupore e di sbigottimento, per la tragica fatalità che rubava al paese uno dei più eletti ingegni, nel momento nel quale molto avrebbe. sa- puto compiere in prò della Scienza. AnTONINO Bozzi, nacque il 20 di agosto deli'anno 1852 a Castroreale di Messina. da Pietro e Dorotea Lucifero. L'infanzia e la giovinezza egli tra- scorse nella contemplazione dell’incantevole paesaggio dei monti peloritani, dove l'occhio spazia su panorami che hanno per sfondo l'azzurro del mare; dove il verde scuro degli agrumeti, quello gaio dei vigneti e le distese glauche degli oliveti, smaltati di bianche casette, contrastano colle tinte calde dei calcari e dei graniti, colle tonalità scure dei Gneiss disegnanti il profilo del capo Tindari; dove il possente sole siculo ad ogni momento muta le impres- sioni dei colori, attenua o rinforza il tono delle ombre, spegnendosi in vapo- rosità di viola e d'oro. — 528 — La contemplazione di tale meraviglioso angolo del mondo agì sulle fa- coltà di sentimento e di pensiero del giovinetto e ne orientò la mente verso i sogni dell’arte. L'eambiente », che egli più tardi doveva così efficacemente studiare nei rapporti col regno vegetale, si era imposto alla mentalità sveglia, ardita del giovane sì che egli (che per esigenze di famiglia) non potè esprimere col magistero dei colori, le armonie della natura, si determinò a studiarle, di- pingendo più tardi colla penna, vibrante anch'essa di colori, le sensazioni che assillavano la sua mente, mentre andava interrogando i segreti della natura. le relazioni, i contrasti, gli scopi degli esseri animatori il bel paese natio. È così che la sua mente elevandosi al disopra della pura esposizione descrittiva della materialità delle forme, riescì poi a rispecchiare note di sapienza con espressioni che rivelano nell'anima dello scrittore la concezione poetica della natura, che agisce come una forza attiva sulla terra; creatrice armoniosa di ordine, e vegolatrice degli svariatissimi rapporti che legano fra loro gli innumerevoli corpi viventi, e questi all’ambiente, nella quale forza. Egli. come il suo grande maestro Federico Delpino, riconosceva un fon- damento psichico, vitalistico e finalistico. Rivoltosi alla Botanica (dopo gli studî secondarî compiuti nella vicina Messina), ottenuta una borsa di studio, Antonino Borzì si inscrisse alla Scuola Forestale di Vallombrosa, alla quale accorrevano numerosi i giovani della nuova Italia attrattivi dalla fama dei maestri, fra i quali meritatamente vanno ricordati il fondatore dell’ Istituto G. Adolfo Bérenger, l' insigne coltis- simo storico della foresta, e Federico Delpino, scienziato che per la origi- nalità e la genialità della mente, per la indipendenza assoluta del pensiero e la sagacia delle osservazioni, ha fatto stupire il mondo. i Le lezioni del Delpino svolte al cospetto dei verdi panorami dell'Ap- pennino toscano su materiali viventi sul posto, impartite senza alcun con- torno di sussiego cattedratico, rivelarono al giovane naturalista le ragioni di quel mondo che egli adorava e che il maestro andava illustrando con argo- menti rispondenti alle aspirazioni, alle tendenze dell'animo suo, interpretandolo alla luce di teorie affascinanti, legarono ben presto l'allievo al maestro, così che il giovinetto divenne in breve il collaboratore del biologo insigne e lo seguì da vicino nel periodo più brillante delle sue geniali ricerche. Terminati gli studî, dopo qualche tempo passato a Firenze con Filippo Parlatore, fu il Borzì di nuovo a Vallombrosa presso il maestro, del quale divenne assistente, sostituendolo nell’ insegnamento, quando questi fu chia- mato a Genova nell'anno 1875, alla cattedra già resa illustre da Giuseppe De Notaris. A ventitre anni Antonino Borzì conseguiva brillantemente l'onore della cattedra lasciata dal Delpino; egli poteva quindi guardare fidente l'avvenire — 529 — che gli sorrideva con i più lieti auspici. Infatti, nominato nell’anno 1879 in seguito a concorso, passò da Vallombrosa a Messina; e quindi nel 1892, chiamato a Palermo, vi rimase sino alla morte. Questa, in breve, la carriera accademica e didattica del Borzì, integrata da frequenti viaggi di istruzione nei differenti paesi dell'Europa nordica ed in Tripolitania. Il Borzì, nato naturalista, fu un botanico completo, perocchè la sua attività (esplicatasi in più di 200 lavori) si svolse in tutti i campi della scienza, in molti dei quali impresse orme durevoli e vedute originali, che io vorrei poter lumeggiare davanti a voi, per darvi una idea della impor- tanza e dell'interesse dell'opera sua, se i limiti nei quali il Regolamento accademico costringe questa mia rievocazione me lo permettessero, siccome sarebbe desiderio mio. Sarò quindi costretto a passare sotto silenzio molti degli studî da lui compiuti; sorvolare sopra altri, per potere insistere sopra quelli di impor- tanza maggiore, che ci fanno meglio apprezzare le doti e l'indole del suo ingegno, l'originalità delle vedute ricche di promesse per l'avvenire della nostra scienza (1). Allo studio delle Alghe, specialmente appartenenti ai tipi inferiori (tanto marine quanto d’acqua dolce) dedicò il Borzì gran parte della sua attività scientifica segnatamente nel periodo nel quale visse a Messina, seguendole attraverso le varie fasi evolutive, studiandole coi metodi culturali preconiz- zati da Areschoug, Thuret, Tulasne, De Bary, Nageli, Schwendener e da lui tecnicamente perfezionati. (') Impossibile del resto sarebbe la enumerazione e la discussione di tutte le con- tribuzioni scientifiche uscite dalla fervida mente del Borzì. La sola lista dei suoi lavori occupa parecchie pagine! Credo utile quindi rinviare il lettore agli elenchi bibliografici contenuti nelle com- memorazioni dei suoi allievi e ai varî periodici da lui diretti, dei quali mi sono valso per la presente sommaria rievocazione dell’opera sua. 1°) Bollettino del R. Orto Botanico di Palermo. Volumi da I a IX editi dall'anno 1897 al 1912. 2°) Bollettino del R. Orto Botanico di Palermo, Nuova serie 1914-1921. 3°) Contribuzioni alla Biologia vegetale. Volumi I a IV; 1894-1909, 4°) Bollettino di studî ed informazioni del R. Giardino Coloniale di Palermo. Volumi I a VI, Palermo, 1914-1920. 5° Malpighia. Rivolgo profonde azioni di grazie alla Direzione del R. Orto Botanico di Palermo, e per essa al prof. Domenico Lanza, per aver voluto in questa circostanza, porre liberal- mente a disposizione del R. Orto di Torino tutte queste importanti pubblicazioni e favo- rire i dati biografici principali della carriera del compianto Collega. RENDICONTI. 1922. Vol. XXXI, 1° Sem. 68 — 530 — Gli studî sulle Ch/orophyceae e quelli sulle Myxophyceae, densi di fatti e di interpretazioni sagacemente pensate, che si rivelano sopratutto nei nuovi adattamenti vegetativi e nei meccanismi sessuali (che egli illustrò con figure che testimoniano la sua perizia di disegnatore) gli conquistarono un posto eminente fra gli Algologi e gli fecero decretare l'ambìto premio De- smazières dell'Accademia di Francia. | numerosissimi lavori che Borzì, per più di 40 anni, dedieò a questi esseri, sì possono essenzialmente compendiare nei risultati biologici che egli stesso, in parte, riassunse nel Capitolo VII dei suoi Problemi di Filosofia botanica. Considerati nel complesso, dimostrano essi infatti nelle Alghe inferiori e segnatamente nelle Cyazophyceae, una plasticità ed una mutabilità di forme tale da sconvolgere e distruggere le barriere che i sistematici della scuola « statica » avevano ritenuto di interporre, non solo fra le specie inferiori, ma altresì fra molti dei gruppi superiori. Il polimorfismo marcatissimo di questi esseri che Borzì ha studiato in modo speciale, nei generi: Osc//laria, Sceytonema, Stigonema, Linghia ece., dimostra la necessità di un radicale lavoro di coordinamento per definire le entità sistematiche, perocchè centinaia e centinaia di specie non avranno alcun diritto ad essere considerate entità specifiche, quando si adotteranno metodi adatti per osservare una stessa forma sotto -la iufluenza di condi- zioni di habitat diversi e col controllo diligente di colture in laboratorio. Egli chiarì il significato del polimorfismo nelle Alghe inferiori come una prova del fatto, che le forme maggiormente polimorfe sono quelle nelle quali manca un atto copulativo, in modo che la funzione generativa sessuale acquista il valore di una azione riparatrice e instauratrice, destinata a porre un limite all'infinito succedersi di forme tanto differenti, tanto suscettive di variazioni e tanto mutevoli. L'atto sessuale, secondo il Borzì, avrebbe il compito di conservare, attra- verso la discendenza, le forme colle caratteristiche proprietà loro, di conser- varle variabili quali esse sono e dentro i limiti assegnati alla proprietà loro di variare. Questi studî portano VA. a ritenere che la moltiforme plasticità del corpo delle Alghe inferiori e l'azione moderatrice della generazione sessuale abbiano avuta la più grande importanza nella costituzione di entità siste- matiche nettamente definite, divenute poi stabili. Molti fatti interessanti, forse non tutti ancora completamente dimostrati, osservò il Borzì intorno alle meravigliose facoltà delle Alghe inferiori di re- sistere alle estreme basse temperature, come alla secchezza, al calore; alle loro facoltà di reviviscenza; al modo di comportarsi quando disseccate e ri- dotte in minutissimi frustuli, disperse fra la polvere delle strade o la sabbia, conservate da secoli in erbario, si dimostrano capaci di riprendere rapida- mente il rigoglìo primiero e dopo poche ore di pioggia ricoprire il terreno. — 931 — Quantunque occupato da altre ricerche non abbandonò mai gli studî ‘algologici e sulle predilette Myxophycaee scrisse ancora nel 1917 una impor- tante contribuzione. * 1 x Allo studio di alcuni funghi parassiti di Alghe attese anche il Nostro; e nella questione della sessualità degli ascomiceti portò idee nuove e vi sco- perse Generi nuovi, cosicchè anche nel campo della ‘micologia il suo contri- buto non fu certamente scarso, essendosi egli pure occupato delle questioni riguardanti l'ufficio dei gonidii lichenici. Il Protochytrium spirogiraee, singolare organismo ì cui microscopici ‘plasmodii si fondono in Wyroamebe, che ridanno nuovi plasmodii e cisti, dalle quali si producono novelli plasmodii, fu da lui seguito in tutte le fasi dello sviluppo e studiato nelle affinità sistematiche che inducono a ritenerlo come ‘appartenente alla piccola famiglia delle 7ydromyxinae di Klein. Quale anatomico egregiamente dotato si rivelò il Borzì nei molti lavori pubblicati in special modo nella Malpighia, nel Giornale botanico italiano -e nelle Contribuzioni di Biologia di cui egli coi suoi allievi pubblicò quattro notevoli volumi; gli studî sulla formazione delle radici delle Monocotiledoni; le ricerche sulla morfologia e sull'accrescimento dello stipite delle palme compiuti .col suo allievo dott. Catalano vanno fra questi suoi lavori special- mente ricordati, come quelli che rivelano attitudini e doti di ricercatore e «di ‘osservatore altamente encomiabili. Fra gli studî micologici del Borzì stimo di dover segnalare quello che «ci ha fatto conoscere il nuovo genere Barge/linia e la sua nuova specie, la Bargellinia monospora, vivente nel condotto uditivo esterno, affetto da ca- tarro, e da escoriazione epidermica, osservata dall'A. sopra se stesso. L’interessante fungillo (il cui valore patologico ci è sconosciuto) ha mi- celio settato, delicatissimo, fruttifica per mezzo di aschi bruni monospori, dentro ai quali si svolgono spore globose che le esterne parvenze farebbero rassomigliare a quella dei Sepedonium. L'interesse grande del fungo (purtroppo non più osservato), sta nel fatto ‘che esso rappresenta la forma più semplice di quei misteriosi Gymmoasci così refrattarî alle prove di cultura, i cui cicli di sviluppo ci sono perciò ancora per la massima parte ignoti. La Bargellinia, assai vicina ad un altro Genere nuovo, pure descritto dal Borzì, l’Eremothecium Cymbalariae, coi generi Podocapsa e Oleina, fatti «conoscere da van Tieghem; con Zremascus di Eidam ed Zndomyces Reess, rappresenta per il notevole carattere della riduzione del numero delle spore nell’asco, il tipo più semplice di ascomiceto finora noto nella scienza, e nel quale gli aschi si formerebbero senza presentare alcun fenomeno che possa essere interpretato come la espressione di un qualsiasi atto sessuale cario- gamico, ReNnDICONTI. 1922, Vol. XXXI, 1° Sem. 69 Come fisiologo, il Borzì si è rivelato negli studî sulla sensibilità delle piante. Argomento gravissimo che egli ha trattato dimostrando che la ra- gione intima nei movimenti dei vegetali, non riposi essenzialmente sopra un fondamento di nozioni di indole esclusivamente meccanica e tisica; ma che le ragioni del moto spettino alle attività vitali del plasma. Tale asserzione egli derivò non solo da una serie di esperimenti sul- l'azione degli ipnotici e dei tetanizzanti, e prendendo in esame i principali agenti modificatori delle attività del plasma; ma dimostrò, sopratutto con argomenti derivati dalla anatomia stessa degli organi sensibili, che permet- tono la trasmissione attiva degli stimoli, dei quali con ogni diligenza scrutò. la struttura sottile. Secondo il Nostro il plasma capace di essere influenzato dall'azione degli stimoli esterni, moditica il proprio potere di imbizione e trasmette alla membrana cellulare. cui strettamente aderisce, il potere di variare di posizione, di contrarsi, di espandersi come l’analogo protoplasma di un ele- mento nervoso posto nelle identiche condizioni fisiologiche. agisce sulla so- stanza delle fibre muscolari e induce variazioni nello stato meccanico di queste, determinandone i movimenti. ‘ I concetti derivati da questi studî egli espose in lavori di laboratorio, in conferenze varie, che rivelano tutto il fervore dì passione che egli ebbe per un argomento particolarmente adatto alla sua mentalità filosofica; e in questo campo è certo che il Borzì ha portato contributi notevolissimi espressi nel modo più attraente. Conferenziere brillante, sia per le qualità letterarie, sia per la scelta sempre opportuna degli argomenti, il Borzì si è dimostrato, in numerose occa- sioni, di discorsi inaugurali; ma sopratutto vanno qui ricordate le relazioni nitide, convincenti colle quali seppe egli risolutamente combattere per rag- giungere lo scopo di istituire un Istituto coloniale presso l'Orto botanico di Palermo, di cui diremo più avanti. Della perizia nel campo della sistematica e deila sua conoscenza delle specie italiane, lasciò il Borzì testimonianze notevolissime. Non solo i funghi e le Alghe i Licheni ebbero le sue cure, ma in pub- blicazioni varie egli si interessò della Flora sicula, della Flora delle nostre colonie e sopratutto si dimostrò valente monografo del, quasi incoercibile, genere Quercus. Ai forestali, per i quali ebbe sempre tenerezze e cure, perchè gli ricor- davano l'indirizzo e lo scopo dei primi suoi studî botanici, lasciò il Com- pendio della flora forestale italiana, opera che, iniziata dapprima con di- =— 989 — segno più vasto e destinata ad un pubblico scientifico, interrotta al 2° fasci- colo, fu sostituita dal Compendio indirizzato invece a scopi essenzialmente pratici. Sotto la nuova veste il lavoro ottenne il più lusinghiero dei suecessi, così il volume che oggi rappresenta una rarità bibliografica, richiederebbe l'onore di una nuova edizione. Educato alla scuola di Federico Delpino e da lui prediletto fra gli allievi, era naturale che il Borzì rivolgesse i più importanti suoi contributi scientifici alla trattazione di questioni di indole biologica. che egli più tardi sintetizzava nel volume dei: Problemi di filosofia botanica, da lui devotamente dedicato al maestro, e che venuto in luce dopo la morte dell'Autore ne rap- presentano il testamento scientifico. Le idee animatrici delle sue dottrine, rispecchiano, in gran parte, quelle del Delpino; ma nella maniera di osservare e nel metodo scientifico da lui seguito, io non dubito di affermare (nè credo di mancare del dovuto rispetto al sommo biologo genovese) chè l’opera dell'allievo segna un passo avanti a quella del maestro, perchè Egli ha riconosciuto la necessità dello esperi- mento rigoroso come fondamento indispensabile di qualsiasi deduzione filo- sofica. La botanica, scienza per eccellenza di osservazione, non può procedere senza la conoscenza esatta dell’intima struttura, del modo di funzionare dei vegetali, delle loro facoltà di reazione ecc. Essa deve inoltre giovarsi di ogni più perfetto mezzo tecnico di osservazione, e di necessità ricorrere al sus- sidio delle scienze sorelle, in altre parole costrurre su basi matematicamente sicure. La genialità nella scienza, se ha talora dei lampi rivelatori della ve- rità assoluta, può condurre ad interpretazioni tanto più funeste quanto più. giudicando a priori, ci appaiono convincenti. Quante belle teorie affascinanti il finalismo ci ha rivelate che poi ab- biamo veduto crollare di fronte alla realtà dei fatti! L'ammettere a priori che ogni manifestazione di forma di un essere vivente debba servire ad uno scopo determinato, induce « nconseiamente » alla ricerca di spiegazioni, le quali, se possono dimostrare la genialità del ricercatore; se offrono la seduzione della soluzione di problemi difficili, non dimostrano ugualmente che la soluzione prospettata sia la vera, la quale soltanto sarà tale, quando possa essere dimostrata da esperimenti ineccepi- bili; e meglio a me pare nella scienza il dubbio, che le spiegazioni ad ol- tranza. Ma non è qui il caso, trattandosi di ricerche che si lanciano corag- giosamente nel campo della ricostruzione dei fenomeni della vita seguendo i — 534 — una base puramente vitalistica, di ragionare sui concetti favorevoli od avversi a queste teorie. Ritenne il Borzì che la vita di relazione, i rapporti cioè fra l’ individuo vivente e l'ambiente che lo circonda, sieno diretti e regolati sempre da un fondamento psichico; e che lo studio delle abitudini, dei costumi, degli intenti eingenerale di qualunque fenomeno della materia vivente riferibile alla vita di relazione nell'ambiente abbia carattere strettamente vitalistico, determinato da un principio che li regola, lì coordina, consruamente li dispone a finì prestabiliti, pure agendo spessissimo nella completa inconsapevolezza (Pro- blemi, loc. cit., pag. 12), si dimostrò, come il maestro, « finalista » convinto. Studî, ricerche, esperimenti di laboratorio dedicò il Borzì ai rapporti ecologici coordinati alla difesa dei vegetali contro l'azione meccanica dell’aria, considerando egli tale azione morfogeno-meccanica, come uno dei più potenti fattori ecologici, all'azione dei quali nell'infinito corso dei secoli, egli riconosce la potenza di aver plasmato la fisionomia particolare delle singole forme dei vegetali. Questa funzione a cui diede il nome di aerofilattica è dall'Autore con- siderata come una proprietà degli organi aerei delle piante terrestri, rego- latrice e moderatrice dei processi di assorbimento radicale dei liquidi con- tenuti nel terreno, in modo che la funzione acquifera si riduca al mznimum, estremo tollerabile, secondo le particolari condizioni dell'ambiente. Della funzione udofi/attica, ossia delle disposizioni protettive contro gli effetti delle precipitazioni acquee si occupò pure il Borzì, investigando le disposizioni regolatrici dei rapporti fra l'acqua e gli organi aerei delle piante terrestri diretti ad assicurare il normale esercizio delle funzioni essenziali della vita. L’udlofilattismo sarebbe, secondo l’A., non soltanto diretto a prevenire gli effetti fisici e meccanici dovuti all’azione dell’acqua che cade; ma a sta- bilire un regime di rapporti tali da impedire che la superficie degli organi aerei delle piante rimanga perennemente inondata e ricoperta di acqua, ma sì conservi in diretto contatto con l'atmosfera durante la caduta della pioggia. Agli effetti di questa funzione il Nostro accorda la più grande impor- tanza morfogena, riconoscendo che essa dovette principalmente esplicarsi nei tempi che precedettero l’attuale assetto dei climi e della forma della su- perficie della terra, nel periodo nel quale avveniva il passaggio della vege- tazione dalla vita acquatica a quella terrestre, e il nostro pianeta era. domi- nato da immani bufere di pioggia, di grandine, di neve, che le testimonianze geologiche dimostrano ancora. Dell’ecologia della disseminazione, con particolare amore, si occupò ri- tenendo Egli che il còmpito di questa funzione debba essere quello di con- tenere dentro giusti confini, la invasione dei vegetali sulla terra e di assi- curare i consorzî floristici nel tempo e nello spazio, secondo le loro caratte- ristiche fisionomie. — 5395 — La funzione disseminativa rappresenta, per il nostro Autore, una forza di coesione che tiene raccolti e tenacemente legati assieme gli individui ai climi e ai luoghi, tendendo a limitare in modo stabile le loro aree di vegetazione. Egli pensa che le infinite varietà delle disposizioni meccaniche e strutturali, agiscano come agenti moderatori e regolatori delle distanze alle quali possono giungere i semi; in modo che l’area di disseminazione presenta. secondo le specie. dei limiti massimi costanti e determinati, da non poter essere oltrepas- sati, senza il concorso dì circostanze cecezionali (non rare in natura), sopra tutto per opera della attività dell'uomo e degli animali: e che in natura la disseminazione a grandi distanze nou rappresenti mai una congruenza neces- saria alla diffusione della specie al di là dei limiti della sua area naturale. Le ricerche fatte anzi lo portano a negare ogni possibilità di spontanea disseminazione l/onginqua cioè, senza il concorso diretto o indiretto, cosciente o incosciente dell'uomo, a meno che non si tratti di casi (del resto molto rari), di regioni poste in condizioni di clima accessibili alla immigrazione di specie per via acquea, come lo sono molte terre dei climi tropicali. Così è che la diffusione e la invasione dei vegetali sulla terra procede a piccole tappe, dentro i limiti del dominio di ogni Flora e la straordinaria quantità di germi prodotti da ogni individuo serve a mantenere inalterato l'equilibrio costitutivo, di fronte alle molte cause di insuccesso: mentre per tale via le popolazioni vegetali accrescouo più e più il loro coefficiente di densità e i legami di convivenza divengono più intimi e raggiungono pieno effetto. Un carattere peculiare della mentalità e dell'opera botanica del Borzì è la simpatia manifesta colla quale la sua attenzione di ricercatore e di pensatore si è rivolta ai fenomeni fitogeografici e la tendenza di concedere una parte assolutamente preponderante al metodo ecologico nel loro studio. Come il suo maestro il Borzì è stato un appassionato osservatore dei fenomeni vegetali « 77 vivo » estendendo tuttavia la sua attenzione dalla con- siderazione degli individui singoli a quella dei consorzî che essi costituiscono fra di loro ed al meccanismo biologico molto complesso. mediante il quale le associazioni sì costituiscono e si mantengono una volta che hanno rag- giunto uno stato di equilibrio. Traccie di questo indirizzo troviamo diffuso in tutta la sua attività scientifica, specialmente del periodo più recente, ricerche originali, articoli e discorsi riassuntivi, lavori suggeriti ad allievi, ed essa informa quasi com- pletamente il suo volume postumo. Ai fondamenti ecologici delle associazioni vegetali dedica il Borzì un capitolo speciale del suo volume postumo, che io vorrei trasportato come conclusione. Infatti, data la tendenza della vegetazione ad occupare lo spazio dispo- nibile sino a saturazione, tanto che lo stato culminale della associazione ve- getale si verifica nel momento in cui l'equilibrio raggiunto è perfetto, il — 586 — Borzì ha rapidamente sintetizzate le disposizioni dell'apparato vegetativo, mediante le quali gli individui singoli concorrono e questo equilibrio, spesso raggiungendo una singolare convergenza di forme fra le specie sistematica- mente assai lontane; e ricercata poi la controprova della scarsa penetrabi- lità delle associazioni mature e chiuse, nelle difticoltà colle quali gli ele- menti avventizî riescono ad acclimatarsi, partecipando alla costituzione di consorzî spontanei colle specie locali. Conc zione nella quale risiede la giustificazione teorica della fisionomia caratteristica che la vegetazione assume nei differenti paesi ed in ciascun di essi nelle differenti stagioni. * x x Ma i risultati più tangibili, più fecondi, più accessibili anche alla massa del pubblico, furono dal Borzì ottenuti, quando egli diresse le sue facoltà di organizzatore alla attuazione di un ideale lungamente meditato e strenua- mente sostenuto in mezzo a difficoltà di ogni sorta, quali in generale si oppongono al trionfo delle buone idee. Antonino Borzì ebbe il merito di intuire i bisogni agrarî della nuova Italia, sorta finalmente a dicnità di nazione una e indipendente. Ìl triste spettacolo dell'esodo delle più possenti energie popolari, co strette ad emigrare verso lidi stranieri in cerca di condizioni di vita meno umilianti e disperate di quelle che l'agricoltura patria immiserita dai sistemi ingordi di s'ruttamento dei lavoratori può loro concedere; la contemplazione dolorosa della decadenza agricola del mezzogiorno dove l’empirismo, la foss!- lizzazione delle idee, i metodi antiquati di coltura refrattarî alle innovazioni del progresso moderno non riescono se non miseramente a sfruttare i benefizî di un ambiente ecologico e di un clima eccezionalmente favorevole propizio alle più variate coltivazioni redditizie, fecondate dalla fonte eterna inesauribile di ogni energia; la preoccupazione del problema che si riferisce all'avvenire agricolo del mezzogiorno (che io non dubito di affermare sia fra quelli più importanti che la nuova Italia dovrà risolvere), lo fecero apostolo convinto della efficacia della ricerca scientifica dalla quale devono emanare i concetti animatori di ogni progresso nel campo della pratica. Sopratutto fiducioso nell’avvenire della scienza italiana, il Borzì dedicò tutto sè stesso allo studio delle condizioni più adatte alla vegetazione nell'ambiente meridionale, così vario, così diverso nelle sue manifestazioni da quello della parte settentrionale della penisola; cercò di saggiare sperimentalmente e di acclimatare nell’Orto di Palermo una quantità di piante utili, nel duplice intento di raccomandare quelle più appropriate alle colonie nostre e di utilizzare quelle più convenienti alle condizioni del mezzogiorno. In questa nobile iniziativa io mi compiaccio riconoscere il merito non solo scientifico, ma patriottico del Borzì, perchè è tempo oramai che gli ita- dro CIAD SITA (è Îigr] 131 Mn Ut liani abbiano la moderna concezione dei tini della scienza e che, oltre che alla scienza pura, orientino i loro studî e le loro ricerche verso le applica- zioni pratiche, feconde di risultati, e ritornino all'agricoltura con fede e con amore non solo, ma coll'intendimento di procedere seguendo la via sicura «che la scienza sola può loro indicare. L'Italia, checchè si dica, (cosî varia nelle condizioni climatiche dal nord -al sud) e un paese agricolo, e solo come tale potrà risorgere. Sono le industrie tributarie all'agricoltura quelle che dobbiamo creare, proteggere, alle quali dobbiamo rivolgere il più serio fervore di studî scien- tifici. Ma però non basta riuscire produrre in quantità: produrre a buon mer- cato la massa vegetale servendosi delle colture e dei concimi; assicurare l’allevamento del bestiame coi mezzi più appropriati; occorre conoscere le piante nei materiali che le compongono, in quelli che producono esse stesse; ‘scegliere le specie, le varietà migliori e saperle razionalmente coltivare. È dover nostro quindi quello di creare numerosi centri di studî pratici di distribuirli nei varî ambienti climatici ed ecologici del paese, dotarli lar- gamente, perchè uomini fattivi, seriamente preparati al difficile còmpito, ‘possano spiegare la loro intelligenza e la loro attività di propaganda a profitto dell'agricoltura nazionale. È necessario creare varietà di reddito, migliorare le specie attualmente coltivate, col mezzo delle ibridazioni, delle selezioni; adattare ai terreni le ‘colture meglio rispondenti alle condizioni del suolo. Per queste ragioni io vorrei che l’esempio dato e l'ideale che mosse il Borzì fossero compresi, meditati, fecondati dal Governo con larghezza di ve- dute e di mezzi, ma sopratutto con serietà di propositi, e colla convinzione che il danaro meglio impiegato è quello destinato alla redenzione economica del paese, sazio di discorsi, di parole e di politicanti. La storia agricola di molte nazioni ammonisce che il problema agrario del mezzogiorno non è un problema insolubile. La Sicilia, come la Sardegna. come il nostro mezzogiorno, possono ri- toruare come lo erano un tempo, fiorenti di campi, di mandre, di boschi; of- frire ai loro figli attivi, sobrî perseveranti nel lavoro, oggi obbligati ad espa- triare, colla dovizia dei prodotti del suolo, la facilità conseguente di vita. Animato da questi convincimenti che oggi (malgrado le difficoltà del mo- mento, la Dio mercè, sorridono ad una schiera animosa di giovani, i quali prose- guono con energia mirabile l'ideale della redenzione agricola del mezzogiorno), Antonino Borzì si dedicò alla ricerca di mezzi atti a raggiungere lo scopo. Alla sua mente la istituzione di un Orto sperimentale destinato allo studio delle piante utili, adatte alle esigenze climatiche del mezzogiorno, ‘apparve il mezzo sicuro di convincimento e di propaganda delle sue idee, il sistema più pratico per giungere ad un risultato; mentre il paese affer- — 558 — mava i suoi diritti naturali alla espansione coloniale, reclamata dalla sua storia, dalle attitudini del suo popolo e dalle esuberanti energie di lavoro. E fu appunto in questo periodo di tempo che il Borzì lanciò e sostenne il progetto dell'Orto coloniale. L'idea ed il progetto, prospettati sotto questi auspici, furono finalmente compresi dagli uomini che stavano al Governo, così che nell’anno 1913 una legge approvata dal Parlamento Nazionale istituiva presso l'Orto botanico di Palermo il tanto desiderato e sospirato Orto coloniale, inaugurato poi so- lennemente nel 1917 e il Borzì vedeva finalmente attuato il sogno per il quale tanto tenacemente aveva combattuto. * * x I meriti di Antonino Borzì, l’opera accademica e didattica e le attitu- dini di organizzatore, culminate (come si è detto) nella fondazione dell’ Isti- tuto coloniale di Palermo, furono universalmente riconosciute e premiate. Socio di tutte le principali Accademie italiane e straniere, insignito di auree medaglie, di titoli cavallereschi, di premî internazionali, dottore « Y0- noris Causa» della nobilissima Università di Upsala, accademico nazionale dei Lincei e ultimamente (purtroppo pochi giorni prima della sua morte!) Socio della Società italiana dei XL, raccolse omaggi ed onori che testimoniano la gra- titudine del Governo e degli scienziati, associata a quella del Comune e della Provincia di Palermo di cui egli fu benemerito. Per 50 anni circa, seguendo con incrollabile fede un programma che alle idealità della scienza pura, associava quello della utilità pratica, intesa nel senso di suscitare nell'animo degli italiani una coscienza coloniale e la visione della importanza di provvedere al rinnovamento dell'agricoltura nelle regioni meridionali, seppe dotare il paese di un Istituto sul quale è lecito fondare le più liete speranze. Eccitando fervore di studî intorno a queste questioni Antonino Borzì, a parer mio, ha elevato a sè stesso il monumento che additerà l’opera sua alla riconoscenza dei posteri. COMMEMORAZIONI DI ANTONINO BORZI (Maggio 1922) 1. F. Cavara, Antonino Borzì. Agricoltura coloniale, anno XVI, n. 1, pag. 1, 1922. 2. F. Cortesi, Antonino Borzì. Rivista di Biologia, vo]. III, fasc. VI, Roma, 1921 (con- tiene un saggio bibliografico delle pubblicazioni del Borzì). 3. n ” Antonino Borzì. Rivista coloniale, anno XVI, 1921. 4. G. Catalano,. Di Antonino Borzì nel suo pensiero scientifico e nel suo carattere. Di- scorso commemorativo pronunziato all’Orto botanico di Palermo nella adunanza straordinaria della Società Orticola di Mutuo Soccorso del 6 novembre 1921. Gig. ae} — baie INDICE DEL VOLUME XXXI, SERIE 5°. — RENDICONTI 1922 — 1° SEMESTRE. INDICE PER AUTORI A AsettI. « Sugli indici di colore e sugli spettri delle stelle doppie ». 359. — « Il sistema binario o Coronae Bo- realis ». 457. Asramescu. « Sulle serie di polinomi di una variabile complessa ». 89. — « Sulle serie di polinomi di Darboux e di Poincaré ». 152. — « Su una classe di serie di polinomi di una variabile complessa ». 197. ApINOLfI, « Gli spettri di assorbimento dei coloranti del trifenilmetano ». 461. AGAMENNONE. « I pseudo-terremoti nel Vul- cano Laziale ». 104. — « Il terremoto di Caldarola (Marche) del 28 agosto 1921 ». 317. Aggazzotti. « La glicosuria nell'uomo sot- toposto a rarefazione atmosferica ». 518. Armansi. « Sopra i moti ellittici pertur- bati n. 277. AMANTEA. « Sulla tecnica delle fistole ute- rine sperimentali ». 33. AnceLesco. « Sur les fonctions généra- trices des polynomes de Laguerre ». 236. AvxGELI, « Sopra i diazocomposti ». 283. — « Sopra le reazioni di alcuni derivati aromatici n. 481. — Bigiavi e CARRARA. « Ricerche sopra gli azossifenoli n. 439. ARCANGELI. Sua commemorazione. 194. ARMELLINI. « Angoli di posizione di 50 stelle doppie osservate al R. Osserva- torio del Campidoglio ». 76. — « Sopra l’integrabilità del problema dei due corpi di masse variabili ». 0, ARTOM A. « Sulle condizioni elettriche di formazione della grandine ». 513. Artom C. « Osservazioni preliminari sulla radiosensibilità di alcuni stadî della spermatogenesi oligopirenica di Pa- ludina vivipara ». 130. — « Ricerche sulla variazione dell: radio- sensibilità degli spermatociti oligopi- renici in Paludina Linn n. 524. vivipara B BeDARIDA. « Le classi di forme aritme- tiche di Dirichlet appartenenti ai ge- neri della specie principale ». 5. — 540 — BerzoLARI. « Sui complessi covarianti di tre complessi lineari a due a due in involuzione n. 421; 446; 489. BiancHI. Commemorazione del Socio stra- niero prof. C. Jordan. 398. Bicravi. Ved. Angeli. Borzi. Sua commemorazione. 478; 527. Bruni e Romani. « Sui mercaptotiazoli come acceleranti della vulcanizza- zione n. 86. BureatTI. « Sui satelliti retrogradi ». 239; 493. Canavari. Commemorazione del Socio Ca- pellini. 476. Canneri e MoreLLi. « L'analisi termica del sistema TI,0— B,0; ». 109. CantELLI. « Lo spazio-tempo delle orbite kepleriane ». 18; 92. — «Lo spazio-tempo delle orbite keple- riane e delle orbite einsteiniane ». 173. Cantone. Commemorazione del Socio stra- niero G. Lippmann. 190. — « Modalità sulla trazione del nichel e dell’acciaio ». 414. CapELLINI. Annuncio della sua morte e commemorazione. 476, Carposo. « Sulla diffusione dell’idrogeno, dell’elio e del neon attraverso il vetro riscaldato ». 28. Carrara. Ved. Angeli. CARRELLI. « Sulla dispersione della luce nelle soluzioni fluorescenti ». 157. CASTELLANI. « Sulle superficie i cui spazi osculatori sono biosculatori ». 347. CasreLnuovo (Segretario). Pronuncia al- cune parole in ricordo dei Soci de- fanti M. Schwarz e H. Noether. 38. — Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle dei proff. Zivini, Rondoni. Pepere, Pende e Coronedì; il vol. VI delle opere di Eulero, e un volume del Sociostraniero Retzius, pub- blicato e offerto dalla sua vedova. 135. . — Comunica gli elenchi dei concorrenti ai premî Reali e ministeriali scaduti il 81 dicembre 1921. 186. CasteLNuOvo. Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando quelle dei sigg. Berzelius e Linneo. 196. — Legge a nome del Socio Segre alcuni cenni commemorativi del Socio stra- niero C. 7. Reye. 268. — Presenta le pubblicazioni dei Soci Silvestrie Washington, e dei profes- sori Archibald e Pearl. 272. — Commemorazione del Socio straniero prof. Max Noether. 404. — Presenta Je pubblicazioni giunte in dono segualando una Commemorazione del defunto accademico sen. Ciamician e un vol, del Socio prof. Chiarugi. 407. — Presenta le pubblicazioni giunte in dono segnalando una Memoria del prof. Ber- lese e i volumi dell'ing. Castelli e Mascart. 478. Cecn. « Sur les surfaces dont toutes les courbes de Darboux sont planes ». 154. — « Sur les formes différentielles de M. Fubini ». 350. — « Sulle omografie e correlazioni che conservano l'elemento del terzo ordine di una superficie in Sg ». 496. CeruLLI. « Sulla scoperta delle nubi co- smiche del P. Hagen ». 71. Cramician. Annuncio della sua morte. 38. CicconettI. « Determinazione astronomica di azimut eseguita sul Monte Pelle- grino nel 1920 ». 302. CLERICI. « Ulteriori ricerche sui liquidi pesanti per la separazione dei mine- rali ». 116. Corroner. « La struttura del fegato di Petromyzon planeri in relazione al ciclo biologico di questa forma ». 132. — « I processi di inibizione differenziale nella regione olfattoria degli Anfibi Anuri ». 433, — « Suscettibilità differenziale, gradiente assiale e rapporti fra correlazioni e differenziazioni ». 473. Crema. « Il Maestrichtiano in Cirenaica n. 121. Crocco. « Limiti strutturali ed economici nelle dimensioni delle aeronavi n. 226. — d4Al — Crocco. « Sull’influenza del rapporto tra volume e superficie nelle aeronavi ». 426. D D'Ancona. « Sulla formazione dello sele- rotomo nei Murenoidi ». 36. Dr Fazi. « Sintesi di nuovi glucosidi ». 209. DeL Regno. « Tenacità del nichel in rap- porto al comportamento magnetico ». 465. De Marcui. Fa omaggio di una sua pub- blicazione. 479. De Srerani. « Silicospongie fossili nella Liguria occidentale ». 5. — « L'origine del petrolio nell'Emilia ». 293. Di Capua. « Sulla solubilità allo stato solido del bismuto e del cadmio nel piombo ». 162. E Emery. Aggiunte alla Memoria: « La di- stribuzione geografica attuale delle formiche ». 72. EnRIQURS. Presenta il suo libro: « Per la storia della logica» e ne parla. 407. EreDIA. « L'influenza del monte Etna sulle correnti superiori ». 251. — « Sulle correnti aeree concomitanti a determinate disposizioni barometriche secondo le osservazioni aerologiche di Catania ». 366. F Fano. Pronuncia alcune parole in memoria del Socio straniero Lippmann. 194. FepELI. « Ricerche sperimentali sull'azione del polline sul cuore degli animali ». 390. FepERICI. « Lo stomaco della larva di Anopheles claviger Fabr. e la dualità delle cellule mesointestinali degli Insetti ». 264; 394. FERMI. « Soprai fenomeni che avvengono in vicinanza di una linea oraria ». 21; 51; 101. -— « Correzione di una grave discrepanza tra la teoria delle masse elettroma- gnetiche e la teoria della relatività. Inerzia e peso dell'elettricità », 184; 306. FERRI. Ved. Sborg:. Finzi. « Sulle varietà in rappresentazione conforme con la varietà euclidea a più di tre dimensioni ». 8. Foi. Fa omaggio di un vol. del suo « Trat- tato di anatomia patologica». 272. Fracassi. « Ricerche sulle ossa fossili di orso della Grotta di Equi in Luni- giana n. 329. FrasseTtTO. « Altre forme della legge che vincola i pesi alle stature negli adul- till:0092: G GasraLpi. « Sopra i cosidetti pirani- droni n. 257. Grassi (Socio). Dà alcune notizie sulle formiche argentine alle quali altre ne aggiunge il dott. Gallardo, che rin- grazia l'Accademia dell'accoglienza ri- cevuta. 273. Grassi U. « Metodo per il confronto di frequenze radiotelegrafiche ». 255. GriLt. « Sull’iduocrasio dell'Alpe delle Selle (Valle della Germanasca) ». 509. GuyE. Annuncio della sua morte. 398 H HasseLBERY. Annuncio della sua morte, 478, 3) Jorpan. Annuncio della sua morte. 134; sua commemorazione. 298, K KaHanowIcz. « Potere emissivo dell'ar- gento in rapporto alla cristallizza- zione ». 313. — «Le proprietà elettriche dell'argento in rapporto alla cristallizzazione ». 361. L Lapoccetta. « Sulla rappresentazione ana- e litica in forma finita di diagrammi costituiti da una successione di archi di line diverse ». 499. La Facg. « Osservazioni biologiche sul- VIridomyrmex humilis» 60, Lauka. «Sulla durata delle oscillazioni di una sfera vibrante radialmente in un fluido ». 310. Levi. « Cloriti di ammonio e di alcuni ammonii sostituiti n. 52. — « Cloriti di sodio e di altri metalli ». 212. — « Reazioni di ossidazione e di ridu- zione coi cloriti n. 370, Levi-Civita. Offre, a nome del Corrisp. O. Guidi, una di lui pubblicazione e ne parla. 39. — Presenta un’opera del prof. Cisotti e ne parla. 478. LipkA « Sui sistemi Z nel calcolo diffe- renziale assoluto n. 242. — «Sulla curvatura geodetica delle linee appartenenti. ad una varietà qua- lunque ». 353. Lippmann. Sua commemorazione. 190; 194. Longo. Commemorazione del Corrispon- dente &. Arcingeli 194. — Fa omaggio della sna pubblicazione: «Le piante più notevoli del R. Orto Botanico di Pisa» e ne parla. 407. Lover. « Sul problema dei due corpi di mana variabile ». 178. M Mayorana. « Sull’assorbimento della gravi- tazione n. 41; 81; 141; 221; 343. MartIROLO. Commemorazione del Socio Borzì, 478; 527. MinertIi. « Sulla equazione funzionale f(r+y) = f (0 f(y)». 12; 202. MiLLosevica (Segretario agg.). Presenta un'opera del Socio straniero Zueroia e ne parla. 39. Maggi. Ved. Pieroni. MoreLLI. Ved. Canneri. 542 — Mortara. « Sulla biofotogenesi ». 187. MunERATI. « Osservazioni sulla recettività del frumento per la carie ». 125. — « Sulla germinazione del grano in man- nelli o in covoni a seguito di piogge che accompagnano o seguono la mie- titura n. 336. N NALLI. « Sopra una equazione funzionale n. 245. Nasini. Offre un « Trattato di chimica generale e inorganica » del dott. A. Quartaroli e ne dà notizia. 407. — e BrunI. Relazione sulla Memoria dei dottori Y. Sborgi e L. Ferri « Sui borati ecc, ». 407. NoeTHER. Annuncio della sua morte. 38 ;. sua commemorazione. 404. 0 OppoxE. « Sul movimento ondoso del mare e delle navi» 30; 204. P Pauazzo. « Primi risultati di una recente campagna geomagnetica nella regione Adriatica n. 230. PaoLINI. « Amiroli isomeri ». 374. — e SceLBa. « Ricerche sui polisalici- lidi ». 378. Parernò. Dà annuncio della morte. del Socio Nazionale G. Ciamician e dei Soci stranieri 7. Schwarz. M. Noe- ther M. Verworn. 38. — Si associa alle parole del Presidente dette per la morte del Socio straniero C. Jordan. 134. — « Sugli arseniati di anilina ». 165. Picone. « Nuova condizione necessaria per un estremo di un integrale doppio ». 46; 94. — « Nuovo metodo d’approssimazione per la soluzione del problema di Dirich- let n. 357. E PIERANTONI. « Simbiosi e biofotogenesi ». 385. Pirroxi « Iodo-derivati pirrolici ». 821. — e Macsr. « Sopra la costituzione di alcuni polipirroli n. 381. PLaTanIA. « La temperatura delle lave in- candescenti dell'Etna n. 248. Ponte «Raccolta dei gas esalanti dalle lave fluide col zione ». 387. Principi. « Osservazioni intorno al Qua- ternario dell'Umbria centrale n. 56. metodo della inala- — «Il Miocene nella regione compresa fra i rilievi mesozoici eugubini e la catena del Catria ». 217. R RarteRI. « Sulle proprietà ottiche di al cune sostanze importanti nella micro- chimica ». 112. RANFALDI. madreporico della Provincia di 4 sina ». 480: 468; 506. RemoTtI. «Suile variazioni di resistenza della capsula in uova di Teleostei ». 922. Repossi. « Il conglomerato di Como ». 118: = 262. RevyEe. Sua commemorazione. 268, Ricci. « Riducibilità delle quadriche dif- « Sulla celestite del calcare Mes- ferenziali e ds? della Statica ein- steiniana ». 65. Romani. Ved. Bruni. S SannIa. « Nuova trattazione della geo- metria proiettivo-differenziale delle curve piane ». 450; 503. SBorgI e FERRI. esame una loro Memoria «Sui borati — Sistema (NH,)O, — Bs0; — H30. Diagramma temperatura — concentrazione ». 196. — — «Sui borati. Sistema (NH,),0 — — B,0; — Hs0 (a 45° e a 90°) n. 324. SBRANA. «Sopra alcune formule di riso- luzione di certe equazioni integrali di Volterra ». 154. SceLBA. Ved. Paolini. — «Sui bérati. Sistema (NH.)30 — B, 0,H30 (245° e a 90°) n. 324. Inviano in Scuwarz. Annuncio della sua morte. 38, ScHMIEDEBKKG. Annuncio della sua morte. 195% . SERINI. «Capacità del condensatore a piatti infinitamente sottile », 182, SevERINI. « Sulle successioni di funzioni assolutamente continue, convergenti in media ». 97. SOMIGLIANA. « Sulla Lorentz ». 409, StrANEO. «Il contributo di A. Bartoli nella previsione termodinamica della pressione della luce ». 24. trasformazione di T TARAMELLI. Annuncio della sua 268. TEDONE. Annuncio della sua morte. 398. morte, TrIcomi. Invia in esame una sua Memoria col titolo: alle derivate parziali di 2° ordine di tipo misto ». 268. Trovato. « Risultati di misure attinome- triche eseguite a Catania » 106: 160. «Sulle equazioni lineari V VERGERIO. « Sopra un tipo di equazioni integrali non lineari ». 15; 49. VERWORN. Annuncio della sua morte. 38. Visco. « Sul valore alimentare dei dell’Ervum Ervilia». 391. VoLTERRA (Vicepresidente). Dà annuncio morte del Socio straniero (. Jordun, e commemora l’estinto. 134. — Comunica la morte del Socio niero 0. Schmiedeberg.. 135. — Fa omaggio di una pubblicazione del Socio straniero Lacroix della quale il Segretario MiLLosEevicH dà notizia. 135. — Presenta il 1° vol. di un’opera del prof. L. Tonelli e il Resoconto della 6% Conferenza generale dei pesi e misure. 135. — Annuncia che il concorrente Adetti si è ritirato dal concorso al premio Reale per l’Astronomia del 1920. 139. semi della stra- — 544 — VoLTERRA (Vicepresidente). Annuncia che alla seduta assistono i professori Snyder e Lipka. 140. — Presenta un piego suggellato inviato dal Sig. Tommaso Bianco, e procede all’apertura di un piego suggellato presentato dal Corrisp. Bruni che chiede la pubblicazione di quanto nel piego è contenuto. 140. — Presenta i proff. Platania e Archi- bald, che assistono alla seduta e ac- cenna alle prossime commemorazioni del Socio Ciamician a Trieste e del Socio Dini a Pisa. 194. — Presenta, parlandone, le pubblicazioni del prof. Andoyer e del generale Braccialini. 196. — Dà il triste annuncio della morte del Socio prof. 7. Taramelli e ricorda la commemorazione che del Socio sen. (namician si sta facendo a Bologna. 268. — Annuncia che assiste alla seduta il dott. A. Gallardo, Ministro della Repubblica Argentina in Italia, di cui ricorda l’opera scientifica e al quale porge il saluto dell'Accademia. 272. VoLtERRA (Vicepresidente). Dà il benve- nuto ai convenuti in Roma, presenti alla seduta, per le assemblee generali dell’Unione internazionale astrono- mica e geodetico—geofisica. 398. — Comunica la perdita fatta dall’Acca- demia nelle persone del Corrisp. prof. Tedone e del Socio straniero prof. Guye. 398. — Fa omaggio di una pubblicazione del Socio straniero prof. Picard e di volu- mi di S E. il dott. Gallardo. 407. — Dà l'annuncio della morte del Socio nazionale prof. G. Capellini. 476; del Socio straniero B. MHasselberg. 478. Z ZAMBONINI. « Ardennite di Ceres in val d’Ala (Piemonte) ». 147. — « L'isomorfismo dell'albite con l’anor- titen, 295. — « Sterry Hunt e la teoria dei plagio- clasi n. 341. — 045 — INDICE PER MATERIE A AntRopoLogIA, « Altre forme della legge che vincola i pesi «lle stature negli adulti ». N. Mrassetto. 332. Astronomia. « Sugli indici di colore e sugli spettri delle stelle doppie ». G. Abetti. 359. — «Il sistema binario o Coronae Bo- realis»n. /d 457. — «Angoli di posizione di 50 stelle dop- pic osservate al R. Osservatorio del Campidoglio ». G. Armellini. 76. —. «Sulla scoperta delle nubi cosmiche del P. Hagen ». V. Cerulli. 71. B Brovegia. « La struttura del fegato di Pe- tromyzon planeri in relazione al ciclo biologico di questa forma ». G. Cotronei. 132. «I processi di inibizione differenziale nella regione olfattoria degli Anfibi Anuri ». /d. 433. — « Suscettibilità differenziale, gradiente assiale e rapporti tra correlazioni e differenziazioni ». Jd. 473. — «Sulla formazione dello selerotomo nei Murenoidi ». V. D'Ancona. 36. — «Osservazioni biologiche sull’Irido- myrmex humilis ». Z. La Face. 60. - «Sulla biofotogenesi n. S. Mortara. 187. — « Simbiosi e biofotogenesi n. UY. Pie- rantoni. 385. — «Sulle variazioni di resistenza della capsula in uova di T'eleostei»n. £. Re- motti. 522. BOLLETTINO BIBLIOGRAFIcO. 39; 140; 273; 437; 480. CHÙimica. « Sopra i diazocomposti ». A. An- geli. 283. — « Ricerche sopra gli azossifenoli ». Id., D. Bigiuvi e G. Carrara. 439. — « Sopra le reazioni di alcuni derivati aromatici ». A. Angeli. 481. — « Ricerche sopra gli azossifenoli n. /d., D. Bigiavi e G. Carrara. 487. — « L'analisi termica del sistema TLO — -- Be03». G. Cannerie R. Morelli. 109. — « Sintesi di nuovi glucosidi ». A. De razi. 209. — «Sulla solubilità allo stato solido del bismuto e del cadmio nel piombo ». C. Di Capua. 162. — « Sopra i cosidetti piranidroni ». G. Ga- staldi. 257. — « Cloriti di ammonio e di alcuni am- monli sostituiti ». G. &. Levi. 52. — « Cloriti di sodio e di altri metalli », [d. 212. — « Reazioni di ossidazione e di riduzione coi cloriti n. /d. 370. — « Amiroli isomeri n. V. Paolini 374. — « Ricerche sui polisalicilidi n, /d. e S. Scelba. 378. — «Sugli arseniati di anilinan. £. Pa- ternò: 165. — «Jodo-derivati pirrolici ». A. Pieroni. 921. — « Sopra la costituzione di alcuni poli- pirroli ». Id. e A. Moggi. 381. — « Sui borati. Sistema (NH.)30 — Ba Os — Ha0 (a 45° e a 909)». 7. Sborgi e L. Ferri. 324. CHimica FIstoLoGIca. « Sul valore alimen- tare dei semi dell’Ervum Ervi- lia ». S. Visco. 391. CHIMICA INDUSTRIALE. « Sui marcaptotia- zoli come acceleranti della vulcaniz- zazione ». G. Bruni e E. Romani. 86. — 546 — Concorsi A PREMI. Elenchi dei concorrenti ai premi Reali e Mivisteriali scaduti col 31 dicembre 1921. 136; 138. CRISTALLOGRAFIA. « Sulle proprietà ottiche di alcune sostanze importanti nella microchimica ». L. Raiteri. 112. F Fisica. « Gli spettri di assorbimento dei coloranti del trifenilmetano ». £. Ad:- nolfi. 461. — «Sulle condizioni elettriche di forma- zione della grandine ». A. Artom. 513 — « Sulla diffusione dell’idrogeno, dell’elio e del neon attraverso il vetro riscal- dato n. E Cardoso. 28. — « Sulla dispersione della luce nelle so- luzioni fluorescenti n. A. Carrelli. 157. — « Tenacità del nichel in rapporto al comportamento magnetico n. W. Del Regno. 465 — «Potere emissivo dell'argento in rap- porto alla cristallizzazione ». 2/. Ka- hanowicz. 313. — « Le proprietà elettriche dell'argento in rapporto alla cristallizzazione ». /d. 364. — «Sull’assorbimento della gravitazione n. A. Majorana. 41; 81; 141; 221; 343. — «Il contributo di A. Bartoli nella pre- visione termodinamica della pressione della luce n. 2. Straneo. 24. Fisico-cHIMIca. « Modalità sulla trazione del nichel e dell'acciaio n. .I/. Cantone. 414. Fisica MATEMATICA. « Capacità del con- densatore a piatti infinitamente sot- tile ». A. Serini. 182. FISICA TERRESTRE. « I pseudo-terremoti nel Vulcano Laziale ». G. Agamennone. 104. — «Il terremoto di Caldarola (Marche) del 28 agosto 1921 ». /d. 317. — «Sul movimento ondoso del mare e delle navi». 4. Oddone. 30; 204. — «La temperatura delle lave incande- scenti dell'Etna ». G. Platania. 248. — « Risultati di misure attinometriche eseguite a Catania ». G. Trovato. 106; 160. FisroLogra. « La glicosuria nell'uomo sot- toposto a rarefazione atmosferica ». A. Aggazzotti. 518. — « Sulla tecnica delle fistole uterine spe- rimentali ». G. Amantea. 33. — « Osservazioni preliminari sulla radio- sensibilità di alcuni stadî della sper- matogenesi oligopirenica di Palu dina vivipara». C. Artom. 130. — « Ricerche sulla variazione della ra- dio-sensibilità degli spermatociti oli- gopirenici in Paludina vivipara Linn. ». /d. 524. — « Ricerche sperimentali sull’azione del polline nel cuore degli animali ». C. Fedeli. 390. G GropESsIA. « Determinazione astronomica di azimut eseguita sul monte Pelle- grino nel 1920 ». G. Cicconetti. 302. Georisica. « L'influenza del monte Etna sulle correnti superiori n. /. Eredia. 251. — «Sulle correnti aeree concomitanti a determinate disposizioni barometriche secondo le osservazioni aerologiche di Catania ». /d. 366. — « Primi risultati di una recente campa- gna geomagnetica nella regione Adria- tica ». L. Palazzo. 280. GroLogia. «Il Maestrichtiano in Cire- naica ». C. Crema. 121. — « Ricerche sulle ossa fossili di orso della Grotta di Equi in Lunigiana ». G. Fracassi. 329. — « L'origine del petrolio nell'Emilia ». C. De Stefani. 293. — « Osservazioni intorno al Quaternario dell'Umbria centrale n. P. Principi. 56. — «Il Miocene nella regione compresa fra i rilievi mesozoici eugubini e la ca- tena del Catria ». /d. 217. — «Il conglomerato di Como ». £. Re- possi. 118; 262. ict 34 GEOMETRIA. « Sui complessi covarianti di tre complessi lineari a due a due in involuzione ». ZL. Berzolari. 421; 446; 489. — «Sur les formes différentielles de M. Fubini n. E. Cech. 350. — «Sulle omografie e correlazioni che conservano l’elemento del terzo ordine di una superficie in Sa ». /d. 496. — « Nuova trattazione della geometria proiettivo-differenziale delle curve piane ». G. Sannia. 450; 503. M MartEMaTICA. « Sulle serie di polinomi di una variabile complessa ». MN. Abra- mescu. 89. — «Sulle serie di polinomi di Darboux e di Poincaré ». /4. 152. — «Su una classe di serie di polinomi di una variabile complessa ». /d. 197, — «Sur les fonetions génératrices des polynomes de Laguerre ». A. Angele- sco. 236. — « Le classi di forme aritmetiche di Di- richlet appartenenti ai generi della specie principale ». A. M. Bedarida. 5. — « Sulle superficie i cui spazi osculatori sono biosculatori n. I. Castellani. 347. — « Sur les surfaces dont toutes les cour- bes de Darboux sont planes ». 4. Cech. 154. — « Sulle varietà in rappresentazione con- forme con la varietà euclidea a più di tre dimensioni ». A. Manat. 8. — «Sulla rappresentazione analitica in forma finita di diagrammi costituiti da una successione di archi di linee diverse ». L. Laboccetta. 499. — « Sulla durata delle oscillazioni di una sfera vibrante radialmente in un fluîdo ». £. Laura. 310. — « Sui sistemi £ nel calcolo differen- ziale assoluto ». J. Lipka. 242. — Sulla curvatura geodetica delle linee appartenenti ad una varietà qualun- que». /d. 353. — «Sulla equazione funzionale f(r+4+y)= = f(x)f(y)». S. Minetti. 12; 202. MATEMATICA. « Sopra una equazione fun- zionale ». P. Nalli. 245. — « Nuova condizione necessaria per un estremo di un integrale doppio ». IM. Picone. 46; 94. — «Nuovo metodo d’approssimazione per la soluzione del problema di Dirich- let ». /d. 357. — « Riducibilità delle quadriche differen- ziali e ds? della Statica einsteiniana ». G. Ricci. 65. — «Sopra alcune formule di risoluzione di certe equazioni integrali di Vol- terra». F. Shrana, 454. — « Sulle successioni di funzioni asso- lutamente continue, convergenti in media». C. Severini. 97. — « Sopra un tipo di equazioni integrali non lineari ». A. Vergerio. 15; 49. Meccanica. « Sopra i moti ellittici per- turbati ». £. Almansi. 277. — «Limiti strutturali ed economici nelle dimensioni delle aeronavi n. A. Crocco, 226. — « Sull’influenza del rapporto tra volume e superficie nelle aeronavi n. /4. 426. — « Sul problema dei due corpi di massa variabile ». #. 0. Lovett. 178. — « Sulla trasformazione di Lorentz ». C. Somigliunu. 409. MECCANICA CELESTE. « Sopra l'integrabilità del problema dei due corpi di masse variabili n. G. Armellini. 170. - «Sui satelliti retrogradi». P. Buratti. 239; 493. MineRraLOGIA, « Ulteriori ricerche sui liqui- di pesanti per la separazione dei mi- nerali n. E. Clerici. 116. « Sull’idocrasio dell’Alpe delle Selle (Valle della Germanasca)». £. Grill. 509. — «Sulla celestite del calcare madreporico della Provincia di Messina ». f. Ran- fuldi. 480; 468; 506. — « Ardennite di Ceres in val d’Ala (Pie- monte) ». F. Zambonini. 147. — « L'isomorfismo dell’albite con l’anor- tite». /d, 295. — « Sterry Hunt e la teoria dei plagio- clasi ». /d. 341. — 548 — N Nec rRoLceIE. Annuncio della morte del Socio nazionale Ciamician, dei Soci stranieri Schwarz, Nocther e Ver- worn, 38; Jordan, 134; Schmiedeberg, 185; del Corrisp. Zedone e del Socio straniero Guye, 398. — Commemorazione del Socio straniero Lippmann, 190; del Corrisp. 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(1, 2). — II-XIX. Memorie della Classe di ‘scienze morali, storiche e filologiche Meb IE. Serie 4* — RENDICONTI. Vol. 1-VII. (1884-91). MEMORIE ‘della Classe di scienze fisiche, matematiche e natural: Vol. I-VII MemoRIE della. Classe di sciense morali, storiche e filologiche Vol. I-X. Serie 5* — RENDICONTI Wella Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali Vol. I-XXXT, (1892-1922). Fase. 11°, Sem. 1°. ReNDICONTI della Classe di scienze. morali, storiche e filologiche Vol. I-XXX. (1862-1921). Fasc. 11°-12°. MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e nutura! Vol. XIII, Fasc. 13°. MemoriE della Classe di scienze morali, storiche e filoiogicle Vol. I-XIF. Vol. XIV. Vol. XV. XVI. Fasc. 90. NotIZIE DEGLI Scavi DI ANTICHITÀ. Vol. I-XVIII. Fase. 129. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA.-CLASSE DI SCIENZE. FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA. R. ACCADEMIA NAZIONALE DEI LINCFRI ] Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia Nazionale dei Lincei si pub- blicano due volte al mese. Essi formano due volumi all’anno, corrispondenti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni annata e per tutta l’Italia è di L. 108; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti _ editori-librai: ULRICO, HoepLi. — Milano, Pisa è Napoli. P. MagsionE & C. SrRINI (successori di E. Loescher & 0.) — Roma. Ì È x ‘RENDICONTI — Giugno 1995. INDICE i si Classe di scienze fisiche. matematiche e naturali. i sa 1A, Seduta del 18 giugno 1922. MEMORIK E NOTE DI SOCI ; a Angeli. Sopra le reazioni. di alcuni derivati aromatiei.-.—..00 0... 0 «Pag: 481 > i; Berzolari. Sui complessi covarianti di tre complessi lineari a due a dic in involuzione. 1 E, Nota JI REA AR NO i 3 NOTE PRESENTATE DA SOCI Burgatti. Sui satelliti cani I Nota H (pres. dal-Corrisp. Armellini). +... ua. n 1498 : Cech. Sulle omografie e correlazioni che conservano l'elemento, del terzo ordine di una JAR do: superficiesin.Ss«(pres.=dal Corrisp. :-/U0Ma) ER E Laboccetta. Sulla rappresentazione analitica in forma finita di diagrammi costituiti da una È successione di archi di linee diverse (pres. «dal Corrisp. Crocco). ... .°. 00... n 499 Sannia. Nuova trattazione della geometria proiettivo-differenziale delle curve piane. Nota II i } 7 (pres. ;dal Socio. @'Ovidio), «i... MR ig e A PAS Ranfaldi. Sulla celestite del calcare madreporico della Provincia di Messina. Nota IIL pone (pres. dal Corrisp. Zambonini). . 0.0. . a RE i AE o a n SIIT Grill. Sull'idocrasio dell'Alpe delle Selle (Valle della 00 (presentata dal Socio di ume MIMO STI IRA DR nat e cata STORE O, O I Artom. Sulle condizioni elettriche di formazione della grandine (pres. dal Corrisp. Palaszo). » 513 5 Aggazzotti. La glicosuria nell'uomo sottoposto a rarefazione atmosferica. Nota I (pres. dal < $ SocionA0d) e LIAN e I PA ale Remotti. Sulle variazioni di resistenza della capsula în nova di Teleostei (pres. dal Socio GIOBPI) er LARIO CR Io cage ea 522 Artom C. Ricerche sulla variazione della radiosensibilità degli «pela tontt oligopirenici È in Paludina vivipara Linn. Nota II (presiMal' Socio Grassi) co. E NESTA PERSONALE ACCADEMICO Mattirolo. Commemorazione dell'Accnlemion prof. Antonino Borzd %. 0. ia a. n (527 ì INDICE DUU- VOLUME Sei I RA N E RL TRO DEIRA e O i SERENE 30 Lei ROTOLO AE, di E. Mancini, Cancelliere dell’Accademia, responsabile. GE di DI hi Met tool siti he 7 Va | ca È e i A TA I i CI Mii de < Ml” adi »2>9 ©» © eo VI OLI 2% 4 >| 3) DÈ na: >} PA » x PP)) I ) > 020 EI k SA 8, PD) k BED) )D DOP PD 33) DID RED _ROD IE St 2 IP) 1a PMI Pd "$ 1 n cul Di 1 >) 29 ) 1 D DO 59 DD; ) }\ 1 DD Word «@ Re?» 1» Hib LD wiy »p PL Mao! l Be SI te i_ ì NO\202) ZII dI) ) dD » % ;)» ‘IV ipo >. on vi PP) D ))> Io >D Il n:> Yoga», D bi LI >> Di. ig» DIO) > III ) È SD _) DJ «è >» 09 d » I 1) 2» 1» IP DE »p a p » da, d4 Te 00220 3 DI IIS £- Ps o; sr > )_)) Ì DIP ID DD) DIL) | DD )) DI I Y PID) I) ))P »> 00 )) DID D) IPY» Sb id 2 >» Mb TP» DI 2909 > II SIE »») i) > I9 7 MD Pp> D D DID > DDD ) DID SD ;) $ DDD » LP. P :))). 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