a SII DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCQL. 1894 PSPERRIERMOO Na. RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. VOLUME III 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1894 RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 1 luglio 1894. Patata nannnnn_n_« «« Matematica. — Sopra alcune trasformazioni delle equazioni della dinamica del punto. Nota del dott. MicHELE LEONCINI, pre sentata dal Socio BIANCHI. « Le trasformazioni delle equazioni della dinamica studiate da Appell (!), e dal Dautheville (?) nel caso di un punto mobile su di una superficie, non richiedono nessuna condizione per le forze agenti, oltre quella di dipendere solamente dalle coordinate del mobile. MSI COR « Sotto qualche altra ipotesi, di natura molto generale, sulle dette fore, ne COR esistono altre trasformazioni che qui mi propongo di considerare. « Limitandomi al moto di un punto su di una superficie esamino due c casi: 1° Quello in cui le forze ammettono un potenziale ; 2° Quello in cui esse sono centrali. } i bid hi | si i | i « 1. Consideriamo prima il caso particolare di un punto che si muove i in un piano, e siano Di d°x d°y li = == M di di? 6) À re (1) American Journal of Mat. Vol. XII, N. 1, Crells Jour. 1892. (®) Ann. de l'Éc. norm. sup. T. VII, N. 12, 1890. = rota e | Li Pr i le equazioni corrispondenti, con XY funzioni di «y soltanto. Esse, quando vi si operi la trasformazione: a= (29) Ya=y(cy) di=4(2y) dt (2) diventano : GANN di De dee gie (8) dove UE RO RIN) VOZANGTE O 2a 4 d (19d3g\ {da dy HR ca FR (4) LOR, 99 dP 4 dY il ta da Delay si e l’espressione corrispondente per Y, si ottiene mutando g in vw. « Volendo che le X, Y, risultino, qualunque siano le X Y, funzioni delle TANI sole #y, bisogna nelle (4) annullare i coefficienti di i) Sp eNquesto. porta, come ha mostrato Appell, ad una trasformazione omografica. « Se però ci limitiamo a considerare forze XY a potenziale U, le (1) ammetteranno l'integrale primo: (3 +($) i (la costante arb. inclusa in U) in forza del quale le (4) si potranno scrivere: L92009 DURE | dg IE0E ID (3) v+ dy\P di VA ATA VARO) de \A9a 1( 5 (19 d (1>g\}dedy | 1(d (13 d (1%9\} RIS NE n AIR NEST sig Ade \4dy dy\A9e/)\dt di | Atdy\Kdy AVRZI A) e l’analoga per Y,. Di qui si vede, che X, Y, verranno a dipendere solo dalle #17, Quando si prendano 4 4 in modo che venga: DIA 29) d (19y DE RT 24) ui 2 ° = (0) i ala | 3 — 0 dY \4 dyY DI (7 dI dI \z dY dy\4dr e le analoghe per wy. « Segue da queste, che si può scrivere: x= BPEL DR.) DI Au Su Ù v = dI dY dA dY SMI se con u+ 0 vw + év, si indicano due funzioni monogene della variabile complessa 4 + è7. (00, : Cai VÀ 1 « Eliminando g e si hanno due relazioni in —— =, che risolute danno: da dY O oli Ù dv dU OM Cip: ISU lA 1 3A CAM dY 24 da vu, — Vi U 2A dy = vur—viw Sa « Se in queste facciamo uv =v v\ = —%, i secondi membri diventano integrabili, e si ha a meno di un fattore costante : 1 CET. 0) e quindi udae + vd, vda — udi LAVA) = | vw (47) -f Fn (6) Se 5) 6) ci danno una trasformazione dipendente da una funzione arbitraria. Si verifica facilmente che anche le forze X,Y, ammettono un potenziale U, cioè si ha: DU me 2 2 dI Vini U, = avOUE «2. Passiamo ora al moto su di una superficie qualunque S. Scelto su di essa un sistema di linee coordinate %, v, sia (1) ds = E du° + 2F du dv + G dv. il quadrato del suo elemento lineare. L'equazioni del moto di un punto su S sì possono scrivere: GE du , (11) (du (12)dudv | (22)(dv si Tu di LODI (1) — a Loi | (12)dudv , (22)(dv _ - (2 |\d nd 2 (a ag 2 la ni dove n: rappresentano i noti simboli di Christoffel calcolati con E FG, ed 6) netlog sal: EG — F° d EG — F° se QQ: sono le componenti secondo vv delle forze agenti nel punto. « Si voglia ora far corrispondere ad ogni moto del punto di S un moto di un punto su di un’altra superficie S,. Prese su S, le linee corrispondenti alle v di S, e che chiameremo anche « v, sia (4) ds,1° = E, du? + 2 F, du dv + G, d0° la forma dell'elemento lineare di S,. « Mediante la trasformazione 44, = 4 (uv) di (A) le (2) si cambiano nelle altre : met) PR lat) ant ialattaoaa t(ti))E “ Lr queste equazioni come quelle del moto del punto di S,, e ?#, come rappresentante il tempo. Se si indicano con (i i simboli di 1 SEG Ulristofiel relativi alla forma (4) e con T, T; le quantità analoghe ad R, R, avremo: LAI 2 (C) (fa Di be Tp +(f1 (INT 2 ida le (MISS | 2290) dhadh (22) __ (22)\{do\° (16 o MII I CA E DA e do tx +(( O) (Go) +2 (2 (2 | nd 1122.000022) 0 135) (I (2, 2507 « Se si vuole, che qualunque siano le forze Q, Q», purchè funzioni delle sole uv, le forze agenti sul punto di S,, e quindi anche T, T:, non ven- | gano a dipendere dalle derivate Do, si hanno i risultati ottenuti dal ! 1 1 il Dautheville. « Supponiamo che le forze QQ. ammettano un potenziale P, talchè: dP dP | | do w da PD, Le equazioni (2) allora ammetteranno l'integrale della forza viva: du\® du dv dv\? 5(7) oh 7 di +6 (5) si (intendendo al solito la costante arbitraria inclusa in P), a cui corrisponderà, nel moto trasformato, l'integrale: (0) B() +e +a(2)_a | « Se ora vogliamo, che qualunque sia P le T, T, non vengano a dipen- I du dv dere dalle derivate FTRNSTIO sarà necessario e sufficiente, in forza dell’inte- grale trovato, che si abbiano le relazioni: (i (il) 132 _ (2 (la) 1% 2.00 (I LS A Ba 1 2 CU (i) fl psi gia 1220 Cc eli ori 712% (We il con m n fattori di proporzionalità qualunque. « Per integrare queste relazioni procediamo nel modo seguente: « Le due forme ds? ds;?, essendo definite positive, si potranno mediante un cangiamento simultaneo di variabili ridurre a mancare dei termini in du dv. « Supposto che ciò sia stato già fatto, le equazioni precedenti si scrivono : I di _19E 1294__, 1 SERIO dA i NGI a G I RNA e ‘E 200 E ao. Zoo TR, Rn IRE 1900 SOG 196, 10666 me = nE, 7 ci — = 2G, 201 26 dv Giov. az A 2G, dv 26 dv A du nG = ( — La seconda e la quarta si integrano immediatamente, e danno: (0) E =EZU G,= G4V dove UV indicano due funzioni arbitrarie della sola « e v rispettivamente. « Eliminando le indeterminate mx fra le altre quattro equazioni, si hanno le due: Ea 234 1230, /1E36 biagi ng Ae 3 Pon n (IL DINE ES 224 12E ,1G3E_ GUIEeRTELEI) Eee le quali, in forza delle precedenti (C) si possono scrivere: IL VITI: top 19394, 12E Mi (SD NR A ME ATRIA ER intanto 29290 E do W_U « Derivando la prima di nio equazioni rispetto a v, la seconda ri- spetto ad x, e sottraendo si ha: d° G UV em de da cui sì ricava, che le linee uv formano un sistema isolermo sulla su- perficie S. Indicando allora con U; Vi due nuove funzioni qualunque, la prima della sola %, la seconda della sola v, e con ;. una funzione qualunque di v, potremo porre E=w U,, G=wV,, per cui la (1) diviene (1a) dst= u(U du + Vi dv). « Dopo questa posizione, le due equazioni precedenti si integrano imme- diatamente e danno : V - 10) (5) Sostituendo questi valori di EG nelle espressioni di E, G,, la (4) assu- merà la forma (4a) ds*°=(V—U)(U Udu + V,Vde); cioè « l'elemento lineare della superficie S, assumerà la forma di Liouville ». Viceversa è chiaro, che quando gli elementi lineari di S ed S, hanno ri- spettivamente le forme (1a) e (4a) e 4 ha la forma data dalla (5), la tra- sformazione (A) gode della proprietà richiesta. « Dunque possiamo dire: Se ad ogni movimento su S di un punto soggetto a forze che ammettono un potenziale vogliamo far corrispondere un movimento su S, di un punto sotto l’azione di forze dipendenti solo dalla sua posizione, è necessario e sufficiente, che dei due sistemi ortogonali di linee che si corrispondono sulle due superficie, quello della S sia iso- termo, quello della S, abbia la forma di Liouville, e preci- samente siano nella relazione di (la) e (4a). = SER a 1 SUO UST Vas le due « Nel caso particolare che sia u = forme diventano dst = (Us — V:)(Udu + V do) ds = E NE” n) e ii “i e le due superficie SS, sono riferite geodeticamente l'una all'altra. Allora è noto (Dautheville), che ad ogni movimento su S sotto l'azione di forze qua- lunque dipendenti da xv soltanto, corrisponde, su Sj un movimento della me- desima natura. Se con K, K, indichiamo le comporenti secondo vv della forza agente sul punto mobile di S,. avremo K=ET,+FT,.K,.=FT,+G,T.. « Sostituendo i valori trovati di E, G, (F1= 0) e calcolando T, T;, ser- vendosi della relazione (B) si trova dopo qualche riduzione: U Vv Ki i 5) e SA zl « Volendo che anche le forze K, K, ammettano un potenziale, sarà ne- cessario e sufficiente che Pu sia della forma U; — V3 con U3 funzione dalla sola «, V: della sola v, cioè il potenziale delle forze Q, Q: sia della forma: P tO, U; “DEE Va | U ed allora il potenziale delle forze K, K sarà p È UU : V_-0U «3. Facciamo ora la seconda delle ipotesi enunciate, cioè passiamo al caso in cui le forze X Y agenti sul punto mobile siano centrali. Riprendiamo le formole (1) (2) (3) (4) del 7. 1 del moto di un punto in un piano. Nella detta ipotesi, le equazioni (1) ammetteranno l'integrale delle aree: la 1 de __% Vai Big fe cost. ALFA sin (da\® da dy Fa) MERO SEL So e quindi fra le quantità (CE) ) FAR, la passerà la relazione: da\? dae dy 2A] l DIRI sett \MIPEMaaO St DECESSO J (3) gie (È si « Allora è chiaro, che, affinchè le quantità X, Y, vengano a dipendere solamente da 4,7,, sarà necessario e sufficiente scegliere gw4 in modo che sia: 19 ae) d 19 D (19 SET 0 Hu sn Fao So 2XY:2 e le analoghe per vw. Pagg « Una di queste equazioni si può scrivere 2a Lite) de \y 9a) dy\c19dy » del DA — pe ="7 z indica una fanzion lun = Y RG; o dove e indica una one qualunque ID alici — 7 9a dz. « Sostituendo di valori nell'altra equazione, si ha per e la relazione: 8 de de de 2% 2 (0) che si integra facilmente col metodo delle caratteristiche ('). « Il suo integrale generale è: 2 i; r(! )+ n(£ ) con / /, funzioni arbitrarie. « Sostituendo questo valore di « nelle espressioni di vin si ha dp C(Y\° ee(V\ LP er(2\l 7% io TRAE] (1) Î DIS Y Sini das aC) « Facciamo un cangiamento provvisorio di variabili, ponendo: ea= È y= ET5 ne viene: d OM FOR ETA ORELTINO] da cui eliminando 4 per mezzo della relazione: RR 09 , si ha: MIE 297 ZE 1.34 CA: a) DIE Bag agili DI, ia Sn fa « Formole perfettamente analoghe si hanno per w. Indicando con p pi due funzioni arbitrarie di Sai sì può scrivere : x SRI) so) (1) Darboux, Zegons ecc. t. INI, p. 264. RenpIconTI. 1894, Vol. III, 2° Sem. 2 pierre Se re © = ret it ni SSR) e nelle variabili 57 si ha la condizione di integrabilità : SA ! sn) RO 09" (0) DEI) aio Dalla 4) 2) si ricava QlogdA — MRS perni dI Pi —fp+S(ph_fp3) ed integrando 2 F(7) IE con F funzione incognita. Zen e sostituendolo « Ricavendo da questa espressione il valore di 24 d7 in (a) e (0) si ha la relazione: Jol n P 1a , DONI IZ p_II © VO INI vio — +5 (00 — n= lol" — 0 +8 (0f1=fpYm= — é (fp —pf)t+ (fo PA), la quale è di 1° grado in & e si scinde nelle altre: F af r ri p_TI x , , F sale E USO DI ACE a cn —10)= pf" — fp"; che dà P()=a (pf — pf) con 4 fattore costante e ff" pf fp 1 I D-—_ ASWA) OT; 10 P=ff rETa A questa relazione devono soddisfare le 4 funzioni //1p 7, di 7. « Se in essa facciamo p, = /1' , diviene immediatamente integrabile, e dà: pi = fl =bn(pf' — fp) con d fattore costante. Fatto questo, si ha subito il valore di 4 DIES: ie PR (3) eroi (CEDE Allora le (2) diventano integrabili, e danno dopo qualche riduzione; 1 ( af ) ri — O 4 7 pei ty?) x Analogamente I aÈ y= i STI ZIZRI ) (5) N DERISO « Le formole (3) (4) (5) danno una trasformazione, che gode delle pro- prietà richieste, e che dipende da due funzioni arbitrarie. « Troviamo ora le componenti X, Y, della forza agente sul punto nel moto trasformato. Le forze XY sone centrali; supposto il centro nella ori- gine delle coordinate, possiamo porre X=Mla NEUNM5 Le e si avrà tenendo conto delle formole trovate Regno near) +0 born) rr(3)) Ya — 14 wy(-N)f È Le (2) 4 (0 N) ry(! ). a « Si potrebbe ancora vedere in qual caso anche queste forze saranno centrali ». Matematica. — Sulla superficie del 5° ordine con 5 punti tripli ed una cubica doppia. Nota di A. DeL Re, presentata dal Socio CREMONA. « In questa 3* Nota sulla superficie del 5° ordine con 5 punti tripli ed una cubica doppia, io mi propongo di aggiungere, a quelle già sviluppate in due Note precedenti (!), altre proprietà. Queste riguardano la costruzione della superficie, in cinque diversi modi, col mezzo di forme proiettive; la forma- zione di cinque connessi punto-piano (1, 2) di ciascuno dei quali si presenta come superficie fondamentale; la formazione, in due modi diversi, dell’equa- zione della superficie, e la ricerca degli invarianti assoluti proiettivi. In ul- timo indico la costruzione delle omografie che cangiano l'una nell'altra due superficie siffatte, quando è soddisfatta l'uguaglianza fra detti invarianti. « Siccome, per non fare inutili ripetizioni, mi occorre spesso di citare formule, e risultati, già stabiliti nelle suddette Note, indicherò queste rispet- tivamente con NI, NII. SA « 1. I cinque connessi punto-piano (1, 2) a cui ho fatto cenno al prin- cipio del S VI (n. 16) della N'II, e di ciascuno dei quali la superficie può essere riguardata come fondamentale, si ottengono nel modo seguente, dal quale abbiamo anche altri modi di costruzione della superficie per forme proiettive. « Fissiamo una qualunque delle 5 distinte reti di quadriche, di cui sì è discorso al n. 13, NII, e sia, p. es., la 2/4 + ug® + rw = 0 ivi conside- rata. Le quadriche polari delle rette m di A; rispetto al fascio 4/9 + ug = 0 formano una rete particolare, la cui base si compone della polare d; rispetto a questo fascio, e dei 4 punti Ax, A,, A, A,. Le quadriche di questa rete, e le rette m, sono fra loro riferite proiettivamente, ed i punti M, M', fuori (1) Cfr. questi Rend. vol. II, 2° sem., serie 5%, fasc. 4 e 5. DE ona di A;, nei quali 7 incontra ulteriormente la superficie, sono tali che i loro piani polari rispetto a w—=0 sono tangenti alla quadrica corrispondente della 72. Cosicchè, mutando, per polarità rispetto a w= 0, la rete ora con- siderata, quella quadrica si muterà in un’altra della rete tangenziale ottenuta dalla trasformazione, la quale avrà comuni con m precisamente i punti M, M'. Fra m e questa quadrica vi sarà frattanto corrispondenza proiettiva, e noi quindi possiamo emunciare il risultato seguente, il quale, come dicevamo, for- nisce nuovi modi di costruzione della superficie, cioè: « Vi sono 5 modi diversi di produrre la superficie come luogo delle intersezioni delle rette di una stella, col centro in un punto triplo, e le quadriche di una rete tangenziale la cui base è formata dalle facce del tetraedro dei rimanenti punti tripli, e della retta è della superficie. « Fra le quadriche di questa rete vi sono le 4 coppie di punti costi- tuite da un vertice del tetraedro dei piani a cui esse sono tangenti, e dal punto in cui % taglia la faccia opposta. Fra le rette della stella proiettiva, vi sono poi le 4 rette che proiettano i vertici di quel tetraedro, e che cor- rispondono ordinatamente a quelle quadriche. Siccome una corrispondenza prolettiva fra due forme di 2* specie, è individuata dal dare 4 coppie di ele- menti corrispondenti, così si ricava di nuovo i 5 punti tripli e la retta d individuano la superficie (cfr. NI, n. 5). « 2. Formiamo le equazioni delle 5 corrispondenze proiettive suddette ; e, per semplicità, riferiamoci alle (2) e (3) della NI. I punti di una retta per é; saranno dati, quando s'indichino con «11:73:73 due parametri variabili con la retta, e con o un parametro variabile con un punto di questa, dalle formule : B,=" 0,4 tr, & = 0684 ta, &,= 083-403, 44=/08, (1) perciò, il piano polare di ognuno di questi punti, rispetto alla (2) cit., avrà per equazione d (0/22 + fo) + (0985 + Pra) = 0, avendo posto : 3 CRISTIANE Gra = DI Gi ti Xi (9 = (È P). 41 « Cosiechè dovrà essere, indipendentemente da o : (I IA a pes == (DI Opzx + Pao = 0 , e ciò richiede che si abbia: {zx Pro — fra Sio = 0. (2) « Se si osserva che Per Pio — Ptr fan = (fp) Fa102 + (PP) É2103 + (PP) 4 Fara fata. Pio — Pata. fen == (fp) Ener + (FP)o3 E30203 + (FP)oa Earata f3%3. Pio — P303 Few == (/9)s1 E 12103 + (/P)z: - E3L3%3 + (/4)s4 » Èal3ra Sort e si pone (/g)x = An (@kA=12,..., 34) potremo scrivere la (2) nella forma } Ao 0.41 402 — Agr E3-401 d3 + Ara Ea La La | +2} Ax E. 142 + Agg E3. 2 Ca + Aou fa. da Lal +3} Agi E1-%1 3 — Ang É2 02 & + Asa $4.%3 af = 0 (2) t, da cui segue che, mutando per polarità rispetto alla (3) cit., conformemente a quanto si è detto nel n. precedente, e ponendo : Xi } Aisfa. ur —Ag1É 3 + UU3 + ApgÉ 4. Uly È = X2 TA nd . Usur +-Az353 + UzU3 + Ay,É, + U3U4 ; = Py (E, = Mei Sit 4) VER Agné 1. Uxuz— Ag36 2. Uzig + Ag4 4. U3u, | = Ds si avrà l'equazione : Ti Di dt Dr 4 t3 D3=0 (3) della rete tangenziale di quadriche che, insieme alla stella di rette (1), e corrispondentemente ai medesimi sistemi di valori dei parametri @1:%2:%3, produce la superficie. «3. Poniamo ora: TiX'12 A10È2 =: ToX'12 Ai95, == Bar, — tiX's1 Auf + tT3X 31 Ané=Baz1, (2 X 23 Az3É3 — 3 X23 Ao3$0 = Bas (1 Virahaa , Ta Vosho, , 3 Ws4 A34) e =Bu Ba ’ Bai (FIT Xk5 ik=-12,...,94) avremo la (3) nella forma: Bio. yin + Bog.us3 + Bar + uzter + Big. ita d- Boa Ugud4-B34. gui = 0. (4) « Rimpiazziamo in questa i valori t,= Mia — Caf, = doi — Caf, to = gi — Laéz (1) che si cavano dalle (1) dopo di che diciamo B', ciò che diventa B,x per tale sostituzione. Avremo l'equazione 3 sor) >Biruu=0 (€ va ded, (AMPIA) (5) che è quella di un connesso punto-piano (1, 2) di cui la superficie è fonda- mentale. Noi abbiamo dunque così questo interessante risultato : « La superficie è fondamentale per 5 diversi connessi punto-piano (1,2) specializzati, le cui equazioni si possono ridurre tutte al tipo (5). « Da questo risultato si cava che una forma dell'equazione della super- ficie è: 0 Br Bai nd QUI 0 (6) Cani |) an che può anche essere scritta nella forma 0 AioPre As1P31 Ai4Prs Li {0} (7) Ai2Pr0 0 Ao3P23 Ao4Pu La AsiPsi A23Pa3 0 As4Pos 3 Ar4Pra AoiPos Az4Pz4 0 La LI UE) L3 LA 0) | dove si è supposto x;= 1 (£=1,..., 4), il che è lecito (n. 13, N II), si sono indicate con px le coordinate della retta che unisce il punto x; della super- ficie al punto triplo &;, e dove le costanti A;, soddisfanno alla condizione Ao Aza + Agg Arad + Agr Agg = 0. « 4. È da osservarsi che questa 2% forma dell'equazione della super- ficie si può cavare direttamente dalla (2') scrivendo dapprima tangenzial- mente l'equazione del sistema di quadriche da queste rappresentate, poi po- nendo al posto delle #1, «>, #3 i valori (4), con che si cade sull’equazione di un connesso piano retta (2,3)('), e poi facendo le sostituzioni 4; = w; (£==1,...4), ciò che concorda con quanto dicemmo più in generale nella Nota: « Altre proprietà ecc.» (questi Rend, nov. 1892). SAI « 5. Cerchiamo ora gli invarianti assoluti della superficie, rispetto al gruppo lineare. Se dalla retta 4 proiettiamo i 5 punti tripli A,,...,A5, avremo i 5 rapporti anarmonici D (A: AZA3A), D(ALAZA3A;); e 0(Ag As ALA) di cui due soltanto sono indipendenti, poichè detti ordinatamente 4;, Z4,...,Z1 si hanno le note relazioni: A Ag -+4-A4 = 4243 + 45 =. Ag dh +4 = Ag hg 4A = Ad +4%= 1 « Ora, dato il pentagono dei punti tripli, due qualunque di questi rap- porti anarmonici non fissano la retta è ma assicurano soltanto che questa è fra le corde di una certa cubica g circoscritta a quel pentagono. Per fissare d occorre dunque dare i suoi punti di appoggio su questa cubica, cioè due altri rapporti anarmonici se la cubica è doppia per la superficie, ed uno soltanto se è cuspidale. Ne concludiamo che la superficie ha 403 invarianti assoluti secondochè la cubica g è per essa doppia o cuspidale. « Possiamo trovare sul piano rappresentativo (cfr. NI, $ II) che cosa val- gono questi invarianti assoluti. Per i due ultimi rapporti anarmonici sunnominati (1) Questo connesso è quello che ci ha condotti alle formule (1) della NI, c quindi anche uno dei 5 di cui è parola ai ni 18 e 16 della N II. ae si possono prendere quelli che i punti di appoggio della 4 sulla y fanno con 3 dei 5 punti tripli. Ora la è rappresentata dai punti delle rette e, / e queste, insieme ai lati del pentalatero 12...5 che rappresentano i punti tripli, sono tangenti ad una stessa conica, la .7. Ne segue che dei rapporti anarmonici sunnominati, due sono quelli, indipendenti, del pentalatero 12...5 e gli altri sono quelli delle rette e, f con 3 dei lati di esso. Si vede così che corri- spondentemente alle trasformazioni lineari che mutano il sistema rappresen- tativo di una superficie S, come quella che stiamo studiando, nel sistema rappresentativo di un'altra tale superficie S', quando è soddisfatta l'uguaglianza fra il numero ed il valore degli invarianti assoluti, si hanno trasformazioni lineari di S in S. Cerchiamo ora direttamente queste trastormazioni. « 6. Diciamo A;, A; (€=1,...,5) i rispettivi punti tripli di S, S; b, d' le rette fuori di essi punti; , g' le cubiche doppie; H;, H'; ((=1,2) i punti d.g, d.g. Queste cubiche sono individuate dai primi due degli inva- rianti assoluti relativi a ciascuna superficie, e di cui si è discorso al n. pre- cedente, perchè ciascuna si presenta come linea focale del sistema di rette (1, 3) ulteriore sezione di due complessi tetraedrali i cui tetraedri fondamen- tali hanno in comune tre vertici; perciò, in qualunque modo, ma con riguardo alla genesi di @, g' omograficamente, si passi dal pentagono A,...A; al pen- tagono A',...A'., allo stesso modo si passerà dalla cubica g alla cubica g'. — Ora, si supponga che l'uguaglianza degli invarianti assoluti segua così che si abbia: POI D000) (A; Ai Ai H,) = (A'; A", AS HO) (p i Il, 2) , sulle cubiche g, g' si avranno le serie proiettive Ai As.cA; Hi Ha A AGA*»..A5 H', H, epperò l'omografia spaziale Ai Ag Ag A Az pe AVIRANISRANIS TAL AN farà corrispondere al puntò H, il punto H', (p = 1, 2); cosicchè muterà anche b in d'. Se ne conclude, in virtù di quanto si disse nel numero 5 della NI, ed in fine del prec. n.° 1, che £ muta S in S, e quindi, il risultato seguente : «L'uguaglianza degli invarianti assoluti indipendenti delle superficie S, S' porta seco l’esistenza, in generale, di un'omografia che cangia S in S. Ed in particolare : «La superficie che stiamo studiando non ammette, in generale, trasformazioni lineari in sè, diverse dall'identità. SZ (ages «7. Per giustificare l'/x gererale con cui abbiamo creduto accompa- gnare gli enunciati precedenti, supponiamo, p. es., che su g sia H, l’armonico di A; ed H, l'armonico di A, rispetto ad A, A;; allora evidentemente sarà: Q MA À,; A; A, À; 18h 2 BGA IMMALCA CANI Hi un'omografia che cangia S in sè stessa; e sarà perciò allora 2, 2 un'altra omografia, diversa dalla £, che cangia S in S' ». Elettricità. — Sulla determinazione delle costanti dielettri- che col mezzo delle oscillazioni rapide ('). Nota del dott. ApoLro CAMPETTI, presentata dal Corrispondente NACCARI. 1. Allorquando, adottando la disposizione di Lecher, si siano determi- nati i nodi delle oscillazioni elettriche che si propagano lungo i fili secon- darî, si osserva facilmente che qualunque cambiamento, sia della capacità, sia dell'autoinduzione del primario o del secondario porta con sè un cambia- mento nel sistema delle onde, cambiamento che si rende manifesto collo spostamento dei nodi. A questo proposito si hanno, fra le altre, esperienze di Cohn ed Heerwagen (?), Salvioni (3), Ebert e Wiedemann (5). « Approfittando di tali fenomeni, ho pensato che si potrebbero facilmente determinare o confrontare la capacità di dati condensatori in queste condi- zioni, ed avere quindi un metodo abbastanza semplice di determinare costanti dielettriche per durate di carica così brevi. Ma prima di occuparmi di tale argomento credo opportuno di far vedere come ci si possa render conto dello spostamento dei nodi prodotto dall’ inserire una capacità in un punto qua- lunque del secondario. A tale scopo basterà, come in caso analogo ha fatto anche il Salvioni, partire dai due postulati richiamati e giustificati dal Cohn ed Heerwagen (1. c.) e cioè: a) L'energia dei due sistemi (fili e condensa tore) ha una somma indipendente dal tempo; b) La differenza di poten- ziale tra le estremità dei fili attaccati al condensatore è uguale alla dif- ferenza di potenziale tra le lastre del condensatore; ed applicare poi al nostro sistema le espressioni date dagli autori per la differenza di potenziale (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Fisica dell’Università di Torino. (2) Cohn e Heerwagen, Wied. 438, 1891. (3) Salvioni, Rendiconti dei Lincei 1892. (4) Ebert und Wiedemann, Wied. Ann, 48, 1893. SEA | tra due punti affacciati dai fili e per la energia elettrica e magnetica del sistema. Queste sono ‘ b 27 @ — 2B log — sen n/ sen mx con m=<7 a A B? db 28 2 W=- lo sen così nf + A n= = e 7] m DE T ove B è costante, A indipendente dal tempo /, < la lunghezza contata sul filo, è la distanza, « il raggio di fili secondari, Z e T la lunghezza d'onda e la durata d’'oscillazione (completa). — Nel nostro caso si ponga il conden- satore di capacità C alla distanza 4 dell'ultimo nodo di un sistema, il qual nodo disti di / dall’estremo dei fili; e sia 4 la distanza (fissa) del condensa- tore da questo estremo: l'equazione da verificare sarà 3 ll 60°, dr alia C® (Meo) 0 la quale, poichè in ogni caso f=n+d, ci dà (27 MZ Arr) (e) C log lia FU che fornisce per ogni valor di C una relazione tra 4 e 2. « (Questa relazione è assai complicata ; solo quando C sia abbastanza piccolo, Z abbastanza grande e si prenda pure d assai grande, si potrà dire che, aumentando C, il nodo si avvicinerà al condensatore. Ammettendo per semplicità di ragionamento che si tratti di un nodo unico nel secondario, si potrà dire che l' inserire una capacità tra i fili corrisponde ad aumentare la loro lunghezza di guisa che la prima parte del sistema (cioè palline dall’ec- citatore, fili adduttori, lastre primarie, lastre secondarie coi fili sino al nodo) che secondo le idee di Cohn, Herwagen e Salvioni è in risonanza colla parte rimanente del secondario, deve, per mantenere questa risonanza, aumentare la sua lunghezza d'onda e quindi ha luogo uno spostamento del nodo, finchè il compenso sia stabilito. « In modo analogo al precedente si potrebbe esaminare l'influenza di un condensatore sopra un nodo successivo: ma nelle esperienze eseguite non si è fatto uso della formula (@) e si è proceduto un po’ diversamente come vedremo poi. « Prima però diciamo qualche cosa sullo scopo del presente lavoro. « È noto che la teoria elettromagnetica della luce porta come conseguenza alla relazione n° = 4 fra il quadrato dell'indice di rifrazione e la costante di- elettrica di un dato mezzo; e si sa pure che tale relazione non è verificata se non per gli isolanti più perfetti, quando per 7 si prenda l'indice ottico e per 4 il valore calcolato coi metodi usuali. Dopo le esperienze di Hertz varî sperimentatori cercarono di determinare l'indice di rifrazione di varie sostanze RenpIcoNTI, 1894, Vor. III, 2° Sem, 3 sr ser cr = sr Laga pg per i raggi elettrici: e, senza parlare dei metodi adoperati, ricorderò che così è stato trovato da Ellinger (!) 2=4,9 per l'alcool a 96°/ e n=8,7 per l’acqua; da Rubens (2) 2 = 2,05 (olio di ricino); % = 1,71 (olio di oliva); n= 1,49 (petrolio); da Cohn (3) 2 = 8,50 per l’acqua: da U. Yule (4) infine n=8,53 per l'acqua, 2 ==5,17 per l'alcool a 95°/,. Ora, è vero che facendo il quadrato dell'indice di rifrazione ottenuto per es. per l’acqua e l’alcool, si ottengono numeri non molto distanti dalla costante dielettrica determinata con lente oscillazioni, ma quando si noti che per es.: Lecher (5) ha trovato che per alcune sostanze, come vetro, petrolio, la costante dielettrica aumenta crescendo il numero delle alternazioni, si vede come una completa verificazione della 7° = sia ancora molto dubbia: e per conseguenza non mi è parso inu- tile di tentare di determinare direttamente, anche per liquidi poco isolanti, la costante dielettrica a mezzo delle oscillazioni Hertziane; tanto più che finora non si hanno che alcune misure di I. I. Thomson per il vetro, lo zolfo e l'ebanite, di Lecher per il vetro e il petrolio, e di Blondot ancora per il vetro. Quanto all'acqua, le esperienze di Lecher devono essere state affette da una causa di errore, perchè egli trova per la costante dielettrica dell'acqua un valore infinito. « Nelle mie esperienze i liquidi sottoposti ad esperienza sono stati; pe- trolio comune, benzolo, olio di oliva, alcool iso-butilico, alcool metilico, alcool etilico ed acqua, non che alcune soluzioni di acido cloridrico nell'acqua e negli alcool. «2. La disposizione delle mie esperienze per quel che riguarda il pri- mario e il secondario era quella di Lecher: le lastre erano di zinco di 40 cen- timetri di lato: i fili secondarî del diametro di 1% 4 partendo dal centro delle lastre secondarie si piegavano fino a raggiungere dopo 30 centimetri la distanza di cent. 31,5 che mantenevauo poi per tutta la lunghezza rimanente (cent. 455). Alle estremità dei fili si trovavano due piccole bottiglie di Leida, costituite da due tubetti di vetro ricoperti di stagnola; l'armatura interna essendo costituita dal filo stesso; le armature esterne erano in comunicazione l'una con una coppia di quadranti, l’altra coll’altra coppia di quadranti e col- l'ago di un elettrometro Edelmann situato a qualche metro di distanza. Quando un ponte mobile scorrevole sui fili si trovava in un nodo, si aveva all’elet- trometro un massimo di deviazione; e la determinazione di questo massimo si poteva fare con molta esattezza. In tali condizioni e per una distanza delle lastre di 16 centimetri si avevano ben distinti quattro nodi alle distanze 15, 125, 264, 364. Inserendo un condensatore alla distanza 100 (cioè dopo il (1) Ellinger, Wied. Ann. 45 e 46, 1892. (2) Arons e Rubens, Wied. Ann. 42, 1891. (8) Cohn, Wied. Ann. 45, 1892. (4) U. Yule, Phil. Mag. 1893, e Wied. Ann. 1893. (5) Lecher, Wied. Ann. 1891, 42. RIO Reati ‘primo nodo che è isolato nel secondario e cui corrisponderebbe una lunghezza d'onda Z = 1760) si avevano spostamenti del nodo verso il condensatore e cioè capacità nodo 1,85 197) 2,60 9 come la teoria faceva prevedere. Nelle misure eseguite si trovò più oppor- tuno di appendere alle estremità dei fili due lastre di zinco di 150 centi- metri quadrati: in tal modo il sistema di onde si cambiava (i nodi appari- vano a 7, 145, 275, 366) in modo che all’elettrometro si avevano deviazioni maggiori. : « Per eseguire il confronto delle capacità si procedette così. Si inseriva tra due punti opposti dei fili (per es. alla distanza 100) un condensatore for- mato da due dischi di ottone perfettamente piani, dei quali si poteva variare a piacere la distanza: la capacità di questo condensatore si calcolava colla formula di Kirchhoff (Ges. Abh. pag. 112) dar GI 671 ( maia + d reader dre una ove 7 è il raggio del disco, 4 il suo spessore, ed e la distanza dei due dischi. La tavola seguente contiene nella prima linea le capacità calcolate, nella se- conda le posizioni del secondo nodo: si scelse questo a preferenza degli altri perchè il massimo appariva più marcato. 0 Solo: 9|24,91N32:92|139,0M65,2, | -88:8. | 1195 145 | 138 | 133 131 128 124 | 115 |110,5 | 105,5 « Nello stesso punto del secondario si inserisce allora un condensatore costituito da due cilindri di vetro sottile ad assi coincidenti, ricoperti per una certa porzione della loro superficie laterale (esterna per il maggiore, interna per il minore) di stagnola: si determinava poi la posizione del nodo quando lo spazio compreso fra i condensatori era vuoto o ripieno del liquido in esame. Di qui si avevano le capacità nei due casi e quindi la costante dielettrica. Il primo condensatore aveva le seguenti dimensioni : Diametro del cilindro esterno di stagnola 9,21. Distanza delle armature 1,28. Diametro del cilindro interno di stagnola 6,65. Parte occupata dal vetro 0,24. Idem dall'aria 1,04. « Siccome tra le due armature la parte occupata dal vetro è piccola di fronte alla distanza loro, è facile vedere como si possa introdurre la corre- zione dovuta alla presenza del vetro tra le armature stesse, prendendo 3 per sua costante dielettrica, ed osservando che una differenza anche notevole nel valore di questa costante non porterebbe nel valore finale della costante dielettrica 4 del liquido che un errore dell'ordine di quelli dell’esperienze, finchè si tratti di liquidi a costante dielettrica bassa. EMO « Petrolio. Densità a 18°:0,801. Temperatura di ebollizione tra 165°. enli/5®. 1* Esp. Capacità del condensatore vuoto C, = 26,2 — Capacità del conden- satore ripieno di petrolio . . . C.,=49,1. Di qui si deduce dI_203t 2° Esp. CA €50 Monde tig 0988 « Come media si ha dunque 4 == 2,01. « Benzolo. 1° Esp. CA=925 EER = AI 2° Esp. Oii== 202 ICE 455 onde | di=‘2329% « In media dunque d = 2,31. « Olio di oliva. Densità 0,915 a 18°. 1° Esp. C=249 ©: —164* tonde lMa 213% 2% Esp. Oi —2459 Co 65 condel (924078 «In media quindi d = 2,91. « 5. Per le altre sostanze di costante dielettrica maggiore la capacità di questo condensatore sarebbe troppo grande: ne costruisco per ciò tre altri dello stesso tipo, ma col cilindro interno più piccolo; e, per evitare l'errore dovuto ai bordi delle armature, al disopra e al disotto di queste attacco un'altra striscia di stagnola a poca distanza (3 millimetri). La capacità di questi condensatori vuoti non può dedursi con sufficiente esattezza dello spo- stamento del nodo; ma si calcola dalla formula data per questo caso da J.J. Thomson (!) e cioè (FRERE ) È 2 b (= <‘ O EE4 000. CH, «À questo scopo feci reagire sopra il seleniuro d'etile bibromurato, ottenuto sia per azione dell’acido bromidrico sopra il nitrato corrispondente sia per azione del bromo direttamente sul seleniuro, l’acetato d'argento in quantità tale da eliminare un solo atomo di bromo (C, H.). Se Br + (075 IHS 0, Ag — sr Ag + (0, H;), Se pre C3 H; 0, Evaporata la soluzione acquosa in gran parte a b. m. e poscia nel vuoto sull’acido solforico, rimase una massa cristallina e delle goccie oleose di odore ributtante. Trattai tutto con etere, nel quale l’olio si sciolse, la massa cri- stallina rimasta la disciolsi in alcool assoluto e la precipitai con etere anidro. Ebbi così, dopo un giorno, dei bellissimi aghetti bianchi deliquescenti. « Trasformai in cloruro col cloruro d'argento e precipitai in soluzione al- cooolico-eterea con cloruro di platino; ebbi, dopo cristallizzazione dell’acqua, un bellissimo cloroplatinato costituito da piccoli cristallini prismatici, con la estremità come di romboedro a faccia terminale piana. Simili a quelli de- scritti da Pieverling, come cloroplatinato di trietilsolfina (*). Infatti, anche all'analisi risultarono identici. Gr. 0.0466 di cloroplatinato diedero gr. 0.0122 di platino. « Per 100 dunque si ha: trovato calcolato per (Se(C:H;)3C1)2PtCl, 26.18 26.25 « Avendo avuto a mia disposizione una piccola quantità di cloroplati- nato, mi poteva forse restar dubbio che invece della trietilselenina si fosse formata la dietilmetil, quantunque ciò sia già escluso dalla forma cristallina e dal percentuale di platino, che per quest'ultimo richiederebbe 27.28 per 100; pure, essendo questo un fatto assai importante per le conseguenze che se ne possono tirare sull'andamento della reazione, ho creduto di risolvere rapida- mente la questione preparando il cloroplatinato di dietilmetilselenina che descriverò qui brevemente non essendo stato descritto fino ad ora, e confron- tandolo con quello da me sopra descritto. Lo preparai dal seleniuro d'etile e ioduro di metile, e per le solite trasformazioni in cloruro e in cloroplatinato lo ebbi cristallizzato dall'acqua sotto forma di laminette prismatiche triango- lari, affatto diverse da quelle di trietilselenina già sopra accennato. (*) Memoria citata, pag. 337. STE TERE = Sa ori « All’analisi fornì i seguenti risultati : « Da gr. 0.3436 di cloroplatinato ebbi gr. 0.0942 di platino. « Dunque per 100 si ha: trovato calcolato per (Se(C.H;)2CH3C1)sPtCl, Pt 27.41 27.28 III gr. 0.0930 di sostanza diedero gr. 0.0226 di platino. « Seconda porzione IV gr. 0.2570 di sostanza diedero gr. 0.0630 di platino. V. gr. 0.2786 di sostanza diedero gr. 0.0696 di platino. « Per 100 si ha calcolato per trovato (Ce H13 0» CI Se)» Pt CL, I II III IV V Pt= 23.90 23.99 24.28 24.51 24.98 24.28 « Il bromuro di dietilselenetina venne trasformato nell'idrato corrispon- dente trattandolo con ossido d’argento sospeso in acqua e di recente preci- pitato. La soluzione acquosa viene evaporata in parte a bagno maria e poscia nel vuoto sull’acido solforico dove dopo tre o quattro giorni si rapprende in una massa solida cristallina. Però esisteva ancora una piccola quantità di ossido d’argento, per allontanare il quale dovetti ripetutamente trattare con alcool assoluto filtrare, evaporarlo nel vuoto, e in ultimo precipitare la so- luzione alcoolica con etere anidro; ebbi così l’idrato sotto forma di un olio incoloro, denso, che cristallizzò dopo tre giorni nel vuoto dall'acido solforico. È una sostanza deliquescente la cui soluzione acquosa ha reazione acida al tornasole. « Asciugato nel vuoto sull’acido solforico fino a costanza di peso diede all'analisi i seguenti risultati: I gr. 0.3096 di sostanza danno gr. 0.3798 di anidride carbonica e gr. 0.1616 di acqua. II gr. 0.3968 di sostanza danno gr. 0.4872 di anidride carbonica e gr. 0,1922 di acqua. « Per 100 dunque si ha trovato calcolato per Cs His 03 Se I II CO 33.45 33.48 33.80 H 5.97 5.98 6.57 « Evidentemente la sostanza qui è allo stato di idrato e non di ani- dride quale si ha nei corrispondenti composti solforati. Le differenze che sì riscontrano fra il calcolato e il trovato specialmente per l'idrogeno si deb- ani bono attribuire a qualche traccia di argento che malgrado tutte le cure non mi riuscì di eliminare. « Questo composto dunque sarebbe l’idrato della dietilselenetina e avrebbe la costituzione EEZIOI Ser C, H; CH, COOH « Dall'’aspetto e da tutti i caratteri, apparve diverso dal cloroplatinato sopra descritto. È dunque indubbiamente la trietilselenina che si forma. Questo fatto è assai importante, perchè se si fosse formata la dietilmetil, si avrebbe avuto indizio che l’isomero cercato si era realmente formato, ma che poi si era scomposto durante la trasformazione in cloroplatinato secondo l'equazione Br DAS H; DSS CH,—C00- Ci Hi mentre con la formazione della trietilselenina si può difficilmente ammettere che detta formazione sia avvenuta, e riesce più credibile concludere che in causa della poca stabilità del seleniuro d’etile bibromurato in soluzione ac- quosa, questo si sia trasformato nel composto più stabile, cioè nella trietil- selenina secondo l'equazione seguente: 3 Br, Se(Ca H;): + 2 HS OA3ENBr + 2 Br Se(C H;)3-+ Se 0, = CO, + Br Se CH;(C, Hs): « Quest'ultimo modo di vedere sarebbe anche confermato dal fatto che dall'olio che accompagna la massa cristallina si separa dopo qualche tempo del selenio. « Mi riserbo di ritentare la preparazione di questo isomero delle sele- netine, e di estendere le ricerche anche ai composti solforati ». Chimica. — Sopra la configurazione di aleune gliossime. Nota di A. AnceLi e G. MALAGNINI, presentata dal Socio CIAMICIAN. « La natura delle interessanti isomerie che presentano le ossime è stata oggetto in questi ultimi anni di viva discussione fra molti chimici eminenti, e l'ipotesi che oramai meglio di ogni altra la spiega è quella di Hantzsch e Werner, secondo cui tali isomerie dipendono dalla differente configurazione del residuo ossimico. «I prodotti che si ottengono per azione dell'acido nitroso sopra alcuni composti non saturi stanno in stretta relazione con le gliossime, ed il loro studio tocca molto da vicino il problema che riguarda le isomerie che queste possono presentare. e TESI cca inni nia e o een ni n" — e gn — S'AGES YAN « In alcune precedenti comunicazioni (!) uno di noi ha dimostrato come impiegando un nuovo metodo di riduzione, dai perossidi REG C.CH; | | NO — ON in cui R rappresenta un residuo aromatico, si possa passare direttamente alle diossime R.C; Hz (NOH).. « Basandosi sopra questa trasformazione si è ammesso che alle glossime che in tal modo si formano, secondo la teoria di Hantzsch e Werner, spetti la configurazione Ira0) (0 i | N.OH HO.N « Questa supposizione è avvalorata dal fatto che il perossido della ben- zildiossima, sottoposto allo stesso processo di riduzione, dà origine alla y-ben- zildiossima, cui Hantzsch e Werner, in base ai fatti scoperti da Victor Meyer, hanno attribuita la struttura CH, O=== | R,.C.C0 R,.C.CO. OH. csi den ST RT a a — co cs -——r—_-=__rm_rex leico e citraconico ESITI « Così p. e. dalle anidridi maleica e citraconica si passa agli acidi ma- H.C.C0 H.C. COOH 0 »— | He sco4 H.C. COOH CH,.C. CO CH,.C. COOH H.C. Co H.C. COOH e non già agli acidi fumarico e mesaconico. E reciprocamente, come dalle differenti glossime isomere sì ottiene sempre lo stesso perossido, così anche negli acidi accennati i due diversi isomeri danno origine ad una sola anidride. « Questi erano i fatti da noi trovati e che stanno in buona armonia con la teoria di Hantzsch e Werner, allorchè comparve una Memoria di Beckmann e Késter(') sulle benzilossime, in cui questi autori arrivarono a risultati, che apparentemente stanno in disaccordo con le vedute ora esposte. « Beckmann si basa principalmente sopra i prodotti che egli ottiene per mezzo delle due sue interessanti trasformazioni, operate dai composti aloge- nati del fosforo e dall’acido solforico. È noto che diverse forme isomere delle ossime si possono trasformare per azione di questi reattivi, in composti ami- dati, quali possono essere diversi a seconda dell'ossima da cui derivano, e che queste metamorfosi possono servire a determinare la loro configurazione : RECEsRo | a R.CO.NH.R, NOH RUCHR: | c2E R.NH.CO.R,. HON « Basandosi sopra le esperienze di Victor Meyer, Hantzsch e Werner hanno attribuito alle tre diossime del benzile la configurazione : CHj,.©-_—P___C. Gg Hy | | @ HON HON Co Hz. C C.C Hz | | B HON NOH CHy.C C.C Hs I | y NOH . HON. (1) Liebig's Annalen 274, 1, HI AR « Dalla $-benzildiossima, Beckmann e Késter col loro processo di tra- sformazione ottennero ossanilide Co Hs.NH.CO.CO.NH.CH;, e questo risultato è in buona armonia con le vedute di Hantzsch e Werner. Dalla «-benzildiossima Beckmann ottenne la dibenzenilazossima, AS NINO: Cdl Î | (07 H; C rosa, N 9 per spiegare la formazione della quale egli attribuisce all'a-diossima la formola: Co His. CC. CHE | | NOH HON « Per analogo trattamento dalla y-benzildiossima Beckmann ottenne del pari dibenzenilazossima. Operando però invece che a — 20°, alla temperatura d'ebollizione dell'etere, dalla y-diossima ottenne la fenilbenzoilurea Ci Hy. NH.CO.NH.CO.CH; « Beckmann interpreta la formazione di questa sostanza ammettendo che alla y-diossima spetti la configurazione : CHA Cee CCR « A noi sembra che dalle esperienze di Beckmann, malgrado la loro ele- ganza, non si possano trarre le conclusioni a cui pervenne questo chiaro au- tore, perchè sta il fatto che partendo da due ossime diverse la @ e la y del benzile si ottiene la stessa sostanza, la dibenzenilazossima. « Per questo motivo abbiamo ritenuto opportuno di estendere le espe- rienze di Beckmann alle due diossime : (CHE) __00CH5 | Il a N.O0H HO.N (CH. 0.) ° Ci 1665 . (0; Tai C CH, | | p HO .N HOSNM che uno di noi ha descritto due anni or sono. « Queste diossime corrispondono rispettivamente alla y-diossima ed alla a-diossima del benzile. « Noi abbiamo operato con pentacloruro di fosforo, in soluzione eterea, raffreddando con ghiaccio e sale. RenpiIconTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 6 —m6m6TTT—— T_T << n == Sd rta =_= ia e ma. È —_—— Corsi = rare == scossi Lr si ese 1 © pazzaza Sr er — asd = cer fa wr _t__—_——___r—td_ _ete __== ro IS ite = Se i sera ==ne 9 =@ MO « Dall’e-diossima ottenemmo due sostanze cui con tutta probabilità spetta la struttura (0) AN N CRCH, | | (CH, 0,) H3.C——N CH; .CO.NH.CO.NH.C; H; (0; CH»). « La prima abbiamo potuto anche prepararla sinteticamente, seguendo il metodo di Tiemann, per successiva azione dell’idrossilammina e dell'anidride acetica sopra il nitrile piperonilico : Vi (CH; 03) . C; Hz CN + NH, OH = (CH; 0») . C, H3.C NE, NOH NO.CO.CH (CH,0,)0,H,.07° +CH,.C00H —(CH,0s).0,H,.07 SH, 0 \NH; \NEH; 0 AIN N cn 700.00. CH; pi (CH, 0) C H;.0 — (CH;0,)C;H,.C——NÙ We Sn00) \NE; « Per analogo trattamento, dalla nostra f-diossima ottenemmo soltanto l'azossima sopra accennata. In entrambe le reazioni si nota sempre anche la formazione di piccole quantità di nitrile piperonilico. « Anche in questo caso, dalle due differenti ossime si arriva ad una stessa sostanza, tranne per la f-diossima, dove assieme all’azossima sì forma l’acetilpiperilurea. « Questo risultato, se dimostra ancora un’altra volta la stretta analogia che passa fra le y- ed «-diossime del benzile con quelle da noi studiate, non ci permette di stabilire in modo sicuro la configurazione di queste ultime. Entrambe, per identico trattamento, danno l'azossima, e perciò la formazione di questa sostanza non si può utilizzare per il nostro scopo. Volendo poi spie- gare come dalla nostra «-diossima (CH, 0.) . CsH; . C E GABER Cc . CH, | i NOH HON me Rio e possa formarsi l’acetilpiperilurea, secondo le vedute del Beckmann bisogne- rebbe attribuirle la configurazione : (CH, 02) Cs H; Coi C CHs Ì HO .N noi. Le due reazioni adunque, quella di Beckmann e la nostra, in questo caso conducono a risultati opposti. « Noi però diamo la preferenza ai risultati delle nostre reazioni, e su questo insistiamo principalmente per due motivi. « In primo luogo, perchè non è da ammettersi che nelle diossime che dai perossidi si ottengono mediante un processo di riduzione che avviene a bassa temperatura ed in modo netto e quantitativo, possa effettuarsi un note- vole mutamento nella posizione reciproca dei due atomi di ossigeno. « Secondariamente poi, perchè nelle trasformazioni di Beckmann, in una prima fase i gruppi ossidrilici vengono rimpiazzati da due atomi di cloro BO === == | i > I î N(OH) (HO)N N N CI CIC talchè i prodotti finali che si ottengono, piuttosto che dalle ossime, derivano dalle cloroimmidi che prima si formano e la configurazione delle quali po- trebbe essere anche diversa delle ossime primitive. Su questo secondo punto pare convenga anche lo stesso Beckmann, giacchè in una Memoria ultima- mente comparsa (') non esclude la possibilità che nelle sue trasformazioni, in una prima fase, possa avvenire, talvolta il passaggio più o meno completo di un'ossima nell'altra. « Diremo infine che riguardo al processo di anidrificazione delle benzil- diossime, Beckmann fa notare che l'anidride finora non è stata ottenuta diret- tamente nè dalla y-diossima nè dall’@-diossima libere, e che entrambe prima di perdere una molecola d'acqua passano nella #-diossima, in cui la distanza fra gli ossidrili è massima. Questo, nel caso nostro, non si può ammettere, giacchè non ci è stato possibile di preparare l’'ossima corrispondente alla 8-diossima del benzile. L'esistenza di tale ossima, per quanto abbiamo detto prima, è molto improbabile ». (1) Berl. Berichte XXVII, 312. —= "—== — "= II _== ts == ZE i =—"—>&< 3 È toni. E =" =tTtE= u = = ia ae Lodi ei E I e rene Dar pu = >= = LE, CONCORSI A PREMIO Elenco dei lavori presentati al Concorso Santoro (scaduto il 30 Giugno 1894). 1. Garti Mario — Soluzione del problema delle rotative, del pro- blema della motrice ad aria compressa calda, invenzione applicabile alla filatura, alla tessitura ecc. (ms.). 2. Norari Pierro — /ilatura meccanica ed automatica della lana di legno (ms.). CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute: La R. Accademia danese di scienze e lettere di Kobenhau; la Società di scienze naturali di Emden; la Società geologica di Manchester; la Scuola politecnica di Delft; il R. Osservatorio di Edimburgo. Annunciarono l'invio delle proprie pubblicazioni : Il Museo Teyler di Harlem; l'Università di Kasan. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 4 giugno al 1° luglio 1894. Arnoue G. — Arithmétique sraphique. — Les espèces arithmétiques hyper- magiques. Paris, 1894. 8°. i Boccardo E. — Trattato elementare completo di geometria pratica. Disp. 37. Torino, 1894. 8°. Boldi M. A. .— Per la sistemazione di Piazza Colonna in Roma. Roma, 1894. 8°. Busiri- Vici A. — La musica dei colori. Roma, 1894. 4°. Casanova E. — Carta nautica del Reinel di proprietà del Barone Giovanni Ricasoli Firidolfi. Roma, 1894. 8°. Cerboni G. — La ragioneria scientifica e le sue relazioni con le discipline amministrative e sociali. Vol. II. Il metodo. Roma, 1894. 8°. Guide des thermes et bains d'Italie. Turin, 1894. 8°. cal 93) Sl Helmholtz H. v. — Handbuch der physiologischen Optik. VIII Lief. Leipzig, 1894. 8°. Legislation (La) et l’administration sanitaire en Italie et les Institutions scien- tifiques annexées à la Direction de la Santé publique. Rome, 1894. 8°. Martini E. — Di alcuni fenomeni di elettrolisi e di polarizzazione. Venezia, 1894. 8°. Meli R..— Sulla presenza dell’Iberus Signatus Fer. nei Monti Ernici e nei dintorni di Terracina. Siena, 1894. 8°. Noriega Ruiz E. — Bateria electrica universal. Mexico, 1889. 8°. Id. — Caja telefonica automatica. Mexico, s. a. 4°. Id. — El microfono y el microtelefono. Mexico, s. a. 4°. Id. — Manual pratico de la preparacion e hilado de Alsodon. Mexico, 11889. 8°. Id. — Reformas introducidas en el sistema de telefonos. Mexico, s. a. 4°. Id. — Reformas o perfeccionamentos introducidos en el sistema de microfo- nos. Mexico, s. a. 4°. Observations faites au Cap Thordsen, Spitzberg par l'expédition Suédoise. T. I, II. Stockholm, 1894. 4°. Pagliani L. — Relazione intorno all’epidemia di Colera in Italia nel 1893. Roma, 1894. 8°. Piette Ed. — L'époque éburnéenne et les races humaines de la période glyptique. Saint-Quentin, 1894. 8°. Poincaré H. — Les oscillations électriques. Paris, 1894. 8°. Ricotti G. — La pazzia e la sua influenza nel secolo XIX. Chieti, 1894. 4°. Scheeles C. W. — Bref och Anteckninger. Stockholm, 1892. 8°. Sclavo A. — Della cultura del Diplococco di Frinkel, nelle uova. 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ERI x IRINA AF Meccanica. — Sui corpi di massima attrazione. Nota di ALronso SELLA, presentata dal Socio BLASERNA. « Prima di venire all'argomento della presente ricerca premetterò alcuni teoremi, che legano tra di loro attrazioni di solidi con attrazioni di super- ficie materiali. «I. L'attrazione di un cono qualsiasi (e quindi anche di una piramide)sulvertice, è eguale all’attrazione della base, su cui sia uniformemente distribuita una massa tripla della massa del cono. « Di questa proprietà nota si dà una dimostrazione semplicissima, osser- vando che il cono può venire decomposto in piani materiali paralleli alla base, ciascuno dei quali esercita sul vertice la medesima attrazione. Se quindi e indica l'attrazione della base, sulla quale sia uniformemente distribuita la massa uno, l'attrazione A del cono sul vertice varrà @/, se 4% è l'altezza del cono, e la massa M del cono varrà 4/3, da cui segue: A=3Mc. «II. L'attrazione di un poliedro circoscritto ad una sfera sopra il centro della sfera, è eguale all’attrazione di una massa tripla della massa del poliedro uniformemente RenpiconTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. T MARIO distribuita sulla superficie del poliedro. Questo teorema segue immediatamente dal precedente, giacchè le masse di ciascuna delle piramidi parziali, aventi il vertice nel centro della sfera, in cui può venire decom- posto il poliedro, sono proporzionali alle basi. « L'attrazione di un cilindro circolare retto sul centro di una base, è eguale all’attrazione di una massa tripla della massa del cilindro uniforme- mente distribuita sul mantello e sulla base opposta, se l'altezza ed il rag- gio del cerchio base sono eguali. Infatti in questo caso unendo a questo ci- lindro un altro identico e in posizione coassiale, dall'altra parte del punto attratto si cade nel caso di un poliedro circoscritto ad una sfera con punto attratto nel centro; all’attrazione del poliedro si sostituisce l'attrazione di una distribuzione uniforme sulla superficie e poi si staccano i due cilindri, con che si ha la proprietà enunciata. « III L'attrazione di un cono qualsiasi avente per base una superficie sferica con centro nel vertice, su questo ver- tice è eguale all’attrazione di una massa tripla di quella del cono uniformemente distribuita sulla superficie sferica base. Questo teorema puossi derivare dal teorema I o da II, o dimostrare di- rettamente in modo del tutto analogo a quello tenuto in I. « IV. L'attrazione di un anello cilindroconico, ossia del solido compreso fra un cilindro circolare ed un cono avente per vertice il centro di una base e per base la base opposta del cilindro, sul vertice di questo cono è eguale all’attrazione di una massa tripla di quella dell'anello uniformemente distribuita sul mantello del cilindro. Questo risulta decomponendo l’anello in piramidi elementari per mezzo di piani passanti per il vertice e per le generatrici del cilindro. Se il vertice del cono non fosse nel centro di una base, allora la distribuzione non sarebbe più uniforme, ma lungo ogni generatrice la densità superficiale dovrebbe essere proporzionale alla distanza di essa dal punto attratto, ossia dovrebbe venire conservata la similitudine rispetto al punto attratto. «I risultati sin qui esposti possono venire dedotti da un unico principio, che segue subito dal teorema I ('): Dato un solido ed un punto attratto si può sostituire al solido una distribuzione superficiale di materia, uniforme su ciascuna delle porzioni piane (finite od infinitesime) della superficie del solido e proporzionale dall’una all’altra alle altezze delle pi- ramidi che le proiettano dal punto attratto; e considerando come positive quelle piramidi che racchiudono una parte del corpo, negative invece quelle interamente vuote. « V. L'attrazione di un cono qualsiasi avente per base una superficie di attrazione costante lungo una data dire- (1) Confronta F. Keller, Ricerche sull’attrazione delle montagne. Roma, Loescher, 1872. Parte prima, pag. 4-5. REA 10 zione, sul vertice e lungo questa direzione è eguale all’at- trazione di una massa tripla di quella del cono uniforme- mente distribuita sulla base. Infatti decomponendo il cono in coni elementari e portando sulle basi una massa tripla di quella di ciascuno dei coni elementari, si avrebbe da prima una distribuzione superficiale non uni- forme, che può immediatamente venire resa tale dal momento che la super- ficie è di attrazione costante. In questo caso la distribuzione della massa tripla del cono sulla base è del resto assolutamente arbitraria. « Veniamo ora al problema dei corpi di massima attrazione che si può formulare così: Data una certa massa, determinare quale forma si debba dare a questa massa, affinchè l'attrazione di essa su di un dato punto e lungo una data direzione sia massima. Se i punti attratti sono due, dovrà essere massima la somma delle attrazioni su di essi. La forma potrà non essere ovvero essere soggetta a condizioni ristrettive, come sarebbe l'assegnazione di un dato tipo di forma. « Supposta costante la densità, il problema si riduce a rendere massima l'attrazione Adi un certo corpo, essendo costante il suo volume V. Ora le dimensioni di un'attrazione e di un volume sono date da : ERRE EV] lb quindi sarà necessariamente Hi ARNO, in cui Z è una funzione numerica dei parametri (lunghezze) che definiscono il corpo. Il nostro problema si riduce allora a rendere massima la funzione A=A4/V'/3. Dunque dovrà essere dd =0 ossia: co (1) Questa relazione, come condizione del massimo, è affatto generale. Se ci limi- tiamo a corpi,.la cui forma dipende da due parametri, come sarebbero certe due lunghezze /, ed /., avremo: (1) dovendo 4 avere dimensione nulla. Quindi Z acquisterà tutti i valori possibili tenendo fisso un parametro e facendo variare l'altro. Allora i valori di dA e di JV, che compaiono nella formola (1), potranno essere riferiti alle varia- zioni dell'attrazione e del volume prodotte dalle variazioni di ur solo pa- rametro. iis ah n ==" Re tn bailepenceiiiion iii SESSI Corpo di massima attrazione a due punti. « Si tratta di rendere massima la. somma delle attrazioni di una massa su due punti lungo la retta che li congiunge; questa retta sarà asse di ri- voluzione del corpo. La superficie del corpo sarà tale che la somma delle attrazioni di un punto materiale posto su di essa sui due punti attratti sia costante, perchè altrimenti converrebbe deformarla per portare della massa da luoghi in cui la somma delle attrazioni è minore, in luoghi in cui essa è maggiore. Ora la distanza dei due punti non è data ed abbiamo così un parametro ; per il secondo possiamo prendere il valore w di quella somma costante di attrazioni di un punto materiale alla superficie, in cui sia con- centrata l'unità di massa. « Tengo ora fisso, secondo il principio svolto sopra, il primo parametro, ossia la distanza di due punti e suppongo variabile u. Allora a causa della costanza di u per tutti i punti della superficie avrò : OA Moe Sostituendo questa relazione nella condizione del massimo data dalla for- mola (1) avremo: ANSE « Dunque tra le infinite superficie, per cui è costante la somma delle attrazioni di un punto su due punti dati, corrisponde ad un massimo di attrazione quella determinata dal valore u= A/3V.Il problema è così inte- ramente risolto, giacchè la distanza dei due punti, ovvero le dimensioni del corpo, sono date dalla massa disponibile. Abbiamo così ritrovato in modo sem- plicissimo un risultato già noto per una via laboriosa e poco trasparente (!). Corpi di dato tipo di forma. « 1. Sia un cilindro retto con base qualsiasi ed il punto attratto si trovi in un punto della base. Il problema di rendere massima l'attrazione del ci- lindro su questo punto dipenderà da due soli parametri, se io stabilisco che la base debba mantenersi simile e similmente posta rispetto al punto attratto; ed i due parametri saranno una linea della base e l'altezza del cilindro. Suppongo fissa la base e variabile quest’ultima ; allora dA e dV saranno pure le variazioni dell'attrazione A, e del volume V, della piramide, che proietta la base opposta dal punto attratto. Ora dal teorema I segue : CA, A; VAMENTE (1) Vedi A. Sella, Ancora sulla forma del corpo attraente nella misura della den- sità media della terra e sul corpo di massima attrazione di due punti. Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. III, 1° sem., p. 439, 1894. So RD e quindi la condizione del massimo (1) fornirà : ué vi @) ossia l'attrazione sarà massima quando le attrazioni ed i volumi del cilindro e del cono sulla base opposta saranno proporzio- nali. (Allo stesso risultato si arriverebbe, e nello stesso modo, coll’aiuto del teorema IV supponendo variabile la base invece che l'altezza). « Questo teorema trovato dal Keller per altra via, viene ora posto sotto una luce che ne permette un'ampia generalizzazione. Per il ragionamento di sopra non è affatto necessario che il cilindro sia retto, nè che le due faccie piane limitanti il cilindro sieno parallele. Quindi la condizione di massimo (2) varrà pure per il seguente problema: Dato un angolo solido qual- siasi, porre una data massa entro quest’'angolo limitata da due piani di inclinazione determinata, in modo che sia mas- sima l'attrazione su di un punto situato su una di queste basiesudiunadataretta passante per il vertice dell'angolo. « La condizione (2) presuppone solo che la forma del corpo dipenda da due parametri e che la variazione di un parametro produca una variazione di attrazione di un cono sul suo vertice, ottenuta distribuendo della massa in modo uniforme sulla sua base. Dunque la stessa relazione varrà anche per la calotta sferica (!) o paraboloidica con punto attratto nel vertice ; così la curva meridiana potrà essere anche un’ellisse di eccentricità data od un'altra curva dipendente da un solo parametro; ed il punto attratto non dovrà nemmeno stare necessariamente sul vertice. Così in tutti questi casì si potrà sostituire al piano opposto al punto attratto una superficie sferica avente centro nel punto attratto, ovvero, se si tratta di massimo di attrazione lungo una determinata direzione, una superficie di attrazione costante lungo questa direzione. « Si ha a questo modo la condizione del massimo di attrazione espresso dalla (2) per un grande numero di forme diverse; purchè la forma dipenda da due parametri e che la variazione di uno dei parametri permetta l’appli- cazione di uno dei nostri teoremi preliminari. (1) Se 7 e 0 sono altezza e raggio del cerchio base avremo : 2 h° TT == — ea’ , = (kh? 902 A 2a (1 ir) gg ll + 8e?), 4 PA 2 A,= 27 (1 —_ E ) Va= ce 2 , Vhe + 0? Di) onde la condizione (2) mi fornirà immediatamente : ] 3(h°+ 0?) *-— 8h: — 5he?=0; relazione che coincide con quella trovata nella Nota sopracitata col solito metodo dei massimi. Lo stesso potrebbe farsi colla calotta paraboloidica. = “= —_——====—=— === SSIS» TIRA === —_—== —=s=ce" era — er» ee. AZIO «2. Passiamo ora a trattare col nostro metodo un'altra classe di corpi che ci condurrà a considerare delle attrazioni di linee materiali. « Cominciamo colla piramide retta avente per base un poligono regolare con punto attratto nel vertice. In questo caso i parametri sono ancora due, cioè p. e., altezza della piramide e raggio del cerchio circoscritto al poli- gono base. Tengo fissa l'altezza % e suppongo variabile il raggio 0 del cer- chio circoscritto. Allora dA e dV rappresentano la somma delle attrazioni di » piramidi elementari ottenute proiettando dal vertice l'anello poligonale compreso fra il poligono corrispondente a @ ed il poligono corrispondente a 0 + do. Ora l'attrazione, lungo l’asse della piramide principale, di ciascuna di queste piramidi parziali è la stessa come se tre volte il volume di essa fosse uniformemente distribuita sul corrispondente lato del poligono; quindi, per la simmetria del corpo, se u è l'attrazione della massa uno uniforme- mente distribuita sul perimetro del poligono, sarà : dA — BudV e sostituendo nella (1) troveremo AQV (3) Siamo così giunti al risultato semplicissimo: L'attrazione di una pi- ramidea base regolare sul suo vertice sarà massima, quando sarà eguale all’attrazione di una massa 9 volte quella della piramide uniformemente distribuita sul perimetro del poli- gono base (!). « E si vede che la stessa condizione vale pel cono pel settore sfe- rico (?) e per l'anello cilindroconico. Non insisterò sulla generalizzazione di (1) Se 4 è V’altezza, / lo spigolo che parte dal vertice ed a la distanza del lato del poligono dal vertice sarà : h a? 1 u= ovvero introducendo il raggio o del cerchio circoscritto e l'angolo g = |, essendo » il numero dei lati del poligono : h 1 — geostgal Vie u Ora si ha: ht 1 A=2nhfn1—-n arcig ft |, V= nhe° sen gp cos p; Vh°+ 0? 3 dunque la condizione (3) mi fornirà: Q —2n arct Mori — E ho CIRONIRIGORIA, O VR + è? o? costp+h®° Yn°+60 ossia la condizione trovata dal dott. Pierpaoli operando col metodo ordinario (Rend. del- l'Acc. dei Lincei, vol. II, 1° sem., p. 136, 1893). (2) Traducendo in formole nei rispettivi casi la (3), sì cade immediatamente nelle formole date da Playfair Lampe pel cono e dal Keller pel settore sferico. —=10} SIRO cui sono suscettibili questi tipi di corpi; l'essenziale è solo che la loro forma dipenda da due parametri e che la variazione di un parametro conduca all'attrazione di una massa distribuita lungo un certo contorno. « L'applicazione della formola (1) ci ha condotto così ad una quantità di risultati suscettibili di una interpretazione molto semplice, e la sua fecon- dità nello studio dei corpi di massima attrazione ci pare dimostrata ». Fisica terrestre. — Origine del magnetismo nelle roccie vulcaniche del Lazio. Nota del dott. Giuseppe FOLGHERAITER. presentata dal Socio BLASERNA. « Le ricerche fatte specialmente negli ultimi tempi sopra il magnetismo delle roccie hanno una grande importanza sotto il punto di vista, che mo- strano quanta influenza esso possa avere sui risultati delle misure magneto- telluriche, e quanto esso sia estesamente sviluppato nelle roccie, tanto che in molte contrade è più facile il trovare una roccia più o meno magnetica, che una la quale non lo sia affatto. « Alcuni studiosi hanno anche cercato di investigare, quale sia stata la forza magnetizzante delle roccie, e fra le varie ipotesi emesse in questo riguardo ha dell’attendibilità quella del Melloni ('), quantunque anch'essa sia insuffi- ciente talvolta a spiegare l’attuale orientazione del magnetismo in alcune roccie. Secondo il Melloni, il magnetismo delle lave del Vesuvio è dovuto all'azione induttrice della Terra durante il periodo del loro consolidamento e raffreddamento: tale ipotesi fu stabilita in base all’orientazione del ma- gnetismo nei pezzi di lava staccati dal masso vivo, e sul fatto che quando tali pezzi comunque disposti venivano smagnetizzati coll’arroventarli, essi sì calamitavano nel raffreddarsi corrispondentemente all’azione induttrice del ma- gnetismo terrestre. « I risultati delle esperienze di Melloni furono confermati dal Fòrste- mann (), che ha operato sopra roccie non vulcaniche; ed i sigg. Oddone e Franchi (*) ed O. E. Meyer(') hanno trovato che la distribuzione del ma- gnetismo di monte è come se fosse prodotta dall’induzione della Terra. (1) Ricerche intorno al magnetismo delle roccie. Due Memorie. R. Acc. delle Scienze di Napoli, vol. I, 1853, pag. 121 e 141. (2) Pogg. Ann. vol. 106, 1859, pag. 106. (3) Annali dell’Ufficio centrale di Meteorologia e Geodinamica, vol. XII, parte 1°, 1890. (4) Jahresher. d. Schles. Ges. 1888; pag. 10; Sitzungsber. d. Miinch. Akad. vol. 19, 1889, pag. 167, e Wied. Ann. vol. 40, 1890, pag. 489. rss» ——— na TT yTyTCEEZPFCoc5s/-—=:i “i = ===" —_—rr@ CE ui yo « Anche J. Locke (!) che ha fatto numerose osservazioni e misure sul magnetismo terrestre nell'America del Nord dal 1838 al 1843, ha spiegato le anomalie trovate presso le famose colonne dioritiche dell’Hudson coll’am- mettere, che esse erano divenute calamite per l’azione induttrice della Terra. « L'ipotesi di Melloni però è insufficiente a spiegare la magnetizza- zione delle roccie, quando si considerino i così detti punti distinti, che furono trovati con tanta frequenza dal prof. Keller (?) nella lava basaltina del Lazio, e dai dott. Oddone e Sella (3) nelle roccie magnetiche delle Alpi centrali e da molti altri autori in altre località. 2 « Le roccie con punti distinti hanno il loro magnetismo orientato colla massima irregolarità e capriccio. Ora in esse si trovano due punti fortemente magnetici, con polarità opposte, la cui posizione relativa non segue mai alcuna legge; ora i due punti hanno la stessa polarità: talvolta si ritrova un punto distinto solo, e attorno ad esso la roccia sembra quasi inerte sopra l'ago cala- mitato. In molti casì i punti distinti sono alla superficie e nella parte supe- riore della roccia, ma talvolta, sebbene raramente, trovansi anche nell'interno della massa rocciosa, e sono venuti alla luce soltanto, perchè a caso l’uomo per i proprî bisogni ha levato la roccia soprastante. « Da osservazioni sopra centinaia di punti distinti i dott. Oddone e Sella hanno tirato la conclusione, che la distribuzione del magnetismo non è mai in relazione alcuna colla direzione del campo terrestre: non è quindi la stessa causa che ha prodotto la magnetizzazione delle lave del Vesuvio ed i punti distinti. « In simil guisa se si esaminano i risultati ottenuti dai varî autori e specialmente dal Keller(4) desunti da numerose osservazioni fatte sul ma- gnetismo delle roccie vulcaniche del Lazio, non si scorge, anche omettendo i punti distinti, che esista una causa unica alla quale si possa attribuire tutto quel magnetismo agente in vario senso e con diversa intensità anche in luoghi relativamente vicini: è però da notare, che le ricerche del Keller non hanno avuto l'obbiettivo di cercare la forza magnetizzante, ma solo la presenza del magnetismo e la sua intensità nelle varie specie di roccie. « Da tutto ciò si rimane incerti se l'ipotesi di Melloni sia applicabile solo al caso isolato delle lave del Vesuvio, oppure se essa valga anche per (1) Transact. Am. Phil. Soc. Philadelphia, vol. 9, 1846, pag. 283; Smithson Contri butions, vol. III, 1852, pag. 1. (2) Sulle roccie magnetiche di Rocca di Papa. Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. II, 1886, pag. 428, e Guida itineraria delle principali roccie magnetiche del Luzio, id., vol. VI, 1890, pag. 17. (3) Contributo allo studio delle roccie magnetiche nelle Alpi centrali. Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. VII. 1° sem., 1891, pag. 100 e 145. (4) Contributo allo studio delle roccie magnetiche dei dintorni di Roma. Rendiconti della R. Acc. dei Lincei, vol. IV, 1° sem., 1888, pag. 38 e 325; e vol. V, 1° sem., 1889, pag. 519. Ra altre roccie che hanno avuto una origine analoga, o se essa sia generale; mi sono proposto di studiare la distribuzione del magnetismo nelle roccie vul- caniche del Lazio, appunto sotto il punto di vista di potere decidere se anche in questo caso sia stata l'induzione della Terra la causa magnetizzante di esse. Prima però di accingermi a determinare l'orientazione del magnetismo diret- tamente sui giacimenti di roccie vulcaniche, ho cercato di conoscere l'influenza, che su tali ricerche esercitano le cause, che possono mascherare o lasciare qualche incertezza sul vero stato magnetico di quelli. È noto in fatti che la forza colla quale una sostanza magnetica attira o respinge un ago calamitato è sempre la risultante delle tre seguenti azioni: « 1° di quella dovuta al magnetismo permanente della sostanza; < 2° di quella dovuta al magnetismo indotto dalla Terra; «3° di quella dovuta alla reciproca induzione tra l'ago calamitato e la sostanza. « Ora nell'esame del magnetismo delle roccie dobbiamo considerare uni- camente l'effetto dovuto alla risultante delle due prime specie di magnetismo (perchè non ci è possibile dividere l’azione del magnetismo permanente da quello indottovi dalla Terra, fino a che le roccie stanno al loro posto), ma dobbiamo assolutamente togliere o diminuire il più che sia possibile l'effetto prodotto dalla reciproca induzione tra l'ago e la roccia, perchè il magnetismo così prodotto non è inerente nella roccia, ma vi si sviluppa solo per la presenza dell'ago calamitato, e la sua intensità dipende dalle dimensioni e dall'inten- sità magnetica di questo, dalla distanza alla quale esso è posto dalla roccia da esaminare, e forse anche dall’intensità magnetica e dalla forza coercitiva della roccia stessa. L'azione di questo magnetismo indotto è sempre attrat- tiva, ed è noto che talvolta può essere così forte da mascherare completa- mente il vero stato magnetico della roccia. « Per procedere con ordine, ho diviso le mie indagini in 3 parti distinte. In questa Nota espongo i risultati ottenuti dall'esame dell'influenza prodotta dalla reciproca induzione tra ago e roccia: in Note successive esporrò la di- stribuzione del magnetismo nelle roccie, ed esaminerò se nelle roccie esista magnetismo permanente, in quale misura e come esso sia orientato. Intensità del magnetismo indotto nelle roccie dall’ago dell’istrumento di misura. « Su questo interessante argomento il Melloni (!) ha fatto molte e sva- riate esperienze dalle quali risulta, che il magnetismo indotto dall’ago su campioni di roccie non distrugge il magnetismo permamente di queste, ma si so- (‘) Memoria II citata e Du magnétisme des roches, lettre à M. Regnault, C. R. vol. XXXVII, 1853, pag. 966. RenDICONTI. 1894, Vol. III, 2° Sem. (9 e) si rn y «nm —F=e= rest? _vagge _r—=e==$ Ii 2.56, — vrappone, precisamente come succede nelle calamite artificiali, e cessa al cessare dell’azione induttrice, e che in alcuni casi può esercitare tanta influenza, che mentre una roccia respinge per il magnetismo proprio un ago calamitato libe- ramente sospeso, essa per effetto del magnetismo indotto dalla presenza del- l'ago, lo può attirare quando sia avvicinata a piccolissima distanza. « È chiaro da ciò che si deve essere assai guardinghi nello stabilire la polarità magnetica delle roccie, per non trarre da misure mal fatte conseguenze contrarie alla realtà delle cose: faccio subito osservare però. che nelle con- dizioni nelle quali io era obbligato a sperimentare, era ben lungi dall’otte- nere effetti così marcati come ebbe il Melloni; il centro dell'ago del mio istrumento si trovava sempre a circa 30 cm. dalla roccia: il Melloni invece per ottenere il rovesciamento dell'azione magnetica doveva avvicinare i suoi campioni a 5 0 6 mm. dall’ago del suo apparecchio, mentre già a 30 mm. la prevalenza del magnetismo indotto era quasi sempre cessata. « Il metodo sperimentale da me seguito per determinare l'intensità del magnetismo indotto dall'ago sulla roccia è il seguente: aveva a mia dispo- sizione due aghi di momento magnetico assai diverso, che si potevano adattare alla stessa bussola di declinazione. Questa veniva collocata in vicinanza ad un giacimento di roccia magnetica (punto A). Si puntava il cannocchiale su d'una mira lontana, e si faceva la lettura della posizione dell'ago calamitato sul cerchio graduato. Si cambiava ago, avendo cura di non spostare l'istru- mento (ciò che si otteneva colla massima facilità fissandolo con mezzi mec- canici sulla sua cassetta che serviva da montante) e si faceva nuovamente la lettura. Si trasportava la bussola a qualche diecina di metri dalla roccia (punto B) sull'allineamento A — mira, e si ripeterano qui le stesse opera- zioni di prima. « È chiaro che l’induzione dei due aghi sulla roccia, e quindi anche la reazione di questa, deve essere diversa; il fatto che la roccia possiede del magnetismo dimostra da per sè che essa ha subito un'induzione; perchè dunque non dovrebbe subire l’induzione più o meno forte dei due aghi ? Perciò l'ago che ha maggior momento magnetico deve subire per effetto del magnetismo da esso indotto nella roccia un'attrazione maggiore di quello di minor momento magnetico, indipendentemente dall'azione attrattiva o ripul- siva, che ha luogo tra la roccia e l'ago per il loro magnetismo proprio. Se dunque l’azione della roccia sull’ago è ripulsiva, si avrà una ripulsione mi- nore per l'ago di maggior momento magnetico ; se l'azione è attrattiva, l'ago di maggior momento magnetico subirà un'attrazione maggiore che l’altro. « Le differenze d'azimut determinate nelle due stazioni A e B per cia- scuno dei due aghi saranno in generale diverse, e la loro differenza rappre- senta l’effetto dovuto alla diversità di azione induttrice dei due aghi sulla roccia; per conoscere però completamente l'effetto prodotto dall'induzione di un ago, si dovrebbe scegliere il secondo tanto piccolo e debole da potere ri- Ai EA tenere eguale a zero, o almeno trascurabile, il magnetismo che esso induce nella roccia. Sperimentalmente ciò non è possibile, e del resto non torna nep- pur conto a rendere il magnetismo di quest'ago assai debole, perchè dimi- nuendo la forza direttrice, cresce l'errore prodotto dall’attrito sul perno, e le indicazioni della bussola verrebbero affette da un errore forse più forte di quello prodotto dal magnetismo indotto dall’ago nella roccia. « Per rendere più sensibile la differenza di attrazione che subiscono i due aghi, ho scelto roccie orientate in modo che gli aghi non avessero a di- sporsi nè parallelamente nè normalmente ad esse, ma in un azimut inter- medio. E ne è chiara la ragione: nel 1° caso l’induzione dei due poli sulla roccia sarebbe eguale, e non produrrebbe per conto suo alcuna perturbazione; nel 2° caso il campo magnetico potrebbe avere la stessa direzione dell'azione perturbatrice provocata nella roccia dall’ago, e la declinazione magnetica non ne sentirebbe alcun effetto : scegliendo invece una roccia orientata in modo che l'ago acquisti una direzione rispetto ad essa intermedia tra la parallela e la normale, il polo più vicino esercita un'azione induttrice più forte che l'altro, e la perturbazione in tal modo prodotta non è mascherata dalla direzione del campo. « L'istrumento adoperato nelle misure è una bussola di declinazione, munita di cannocchiale, di eccellente costruzione, appartenente all'Istituto fisico dell’Università romana. L’ago calamitato pesa gr. 16.09, è lungo cem. 16.29, ed il suo momento magnetico è 538.1 unità C. G. S. A ciascuna estremità è fissata una punta corta e finissima di ottone, la quale si muove sopra le divisioni del cerchio graduato. Il cappelletto è di agata e poggia sopra un perno acutissimo di acciajo temperato, che si può colla massima fa- cilità togliere e cambiare. La graduazione in terzi di grado molto fine è fatta su d'uno specchio per potere evitare l'errore di paralasse, e le letture fatte coll’aiuto di un microscopio semplice sono esatte a 2°. L’ago di ricambio è lungo solo cm. 6.0 e pesa gr. 9.417; ma ai suoi estremi sono aggiunte due solide appendici di alluminio, che lo rendono dello stesso peso, forma e lun- ghezza del primo; il suo momento magnetico è 94.2 un. C. G. S., ed è quindi 5.71 volte minore di quello dell'ago normale della bussola. « Per stabilire il grado di fiducia che meritano le misure, ho determi- nato l'errore proveniente dall’attrito dell'ago sulla punta, in conseguenza del quale esso non ritorna esattamente alla sua posizione d’equilibrio, quando venga spostato. A tale scopo adattai all’ago un piccolo specchietto, e lo col- locai sul suo perno entro una scatola a pareti di vetro. Le posizioni d'equi- librio prese dall’ago dopo essere stato smosso venivano determinate coll’aiuto di canocchiale e scala. Essa era posta a tale distanza dallo specchio, che un millimetro rappresentasse uno spostamento angolare di 1’. È inutile dire che gli spostamenti ottenuti venivano corretti per le variazioni della decli- nazione, sicchè essi rappresentano esclusivamente l'errore di accomodamento sul perno. « Le varie serie di misure fatte mostrano un rilevante accordo tra le successive posizioni d’equilibrio prese dall'ago, qualora si abbia cura volta per volta di dare alla cassetta dei leggerissimi urti, prima che l’ago si fermi definitivamente: quando non sì usi tale precauzione, sì possono avere fra una lettura e la successiva delle differenze, che salgono anche sopra i 4. « Riporto nella seguente tabella gli scartamenti dal medio aritmetico ottenuti in tre serie di confronti in condizioni diverse: la 1 colonna dà gli scartamenti (espressi in minuti primi) dal medio quando l'ago era posto sopra una punta di acciaio e la cassetta non veniva scossa; la 2* colonna dà gli scartamenti ottenuti quando l'ago era posto sulla stessa punta, ma la cassetta veniva assai leggermente scossa; la 3* colonna dà gli scartamenti ottenuti quando l'ago era posto sopra una punta di platino-iridio e la cassetta veniva scossa. ; TABELLA I. — 2.01 SOL 9 3-0. 10M. 1061163 — 9 LR |-+1.690|— 16] +18 SE 0 40 006007 31 FM 06 08 3 0 50M MOT7 _ — .26|— .17 « Gli errori medî di una osservazione sono nei tre diversi casì rispet- tivamente =tagl,46 "0017 10/429 « Si scorge quindi, che quando si ha la precauzione di dare dei legge- rissimi urti alla bussola, l'errore che si commette per l’accomodamento del- l'ago sul perno è affatto trascurabile, siano i perni d'acciaio o di platino-iridio. Del resto ad un risultato quasi eguale sono arrivati Schmidt (*) e Breithaupt (?) (1) Zeitschrift fir Instrumentenkunde, vol. VIII, 1888, p. 811 e vol. IX, 1889, p. 71. (2) Idem. vol. VIII, p. 358. E) che hanno misurato l’effetto nocivo dell’attrito di aghi sopra perni di varî metalli. Hellmann (') ha invece ottenuto delle differenze molto più marcate. « Conosciuto così il metodo seguito nelle misure e la sensibilità del- l'istrumento adoperato, riassumo nella Tabella II i risultati ottenuti in varie località sulla differenza di azione dei due aghi su roccie di diversa natura e forza magnetica. La 1° colonna contiene il nome della località, la 2% co- lonna dà la natura della roccia esplorata, la 3* colonna l’azione (attrazione o ripulsione) della roccia sul polo dell’ago calamitato vicino ad essa, la 4% e 5* colonna contengono rispettivamente le differenze di azimut avute per l'ago grande e per il piccolo, la 6* colonna dà le differenze tra i valori della 4% e 5° colonna: esse rappresentano la differenza tra la perturbazione dovuta all'induzione dell'ago di maggior momento magnetico e quella dovuta al se- condo ago. TABELLA II. I II III IV V VI | Î Ponte Nomentano | tufo litoide (REA ttraz: MIMOSA TE 0016 EI Valle di Pietralata | ’ Mit, > O ON 4061 ENI Valle d’Egeria » Ripuls. CEOO A OO 08 » | » i MSSZORAN 1 $61802 (08 Valle della Caffarella | pozzolana | Attraz. 4.5 | 749 — 04] INI Kilom. dell’Ardeatina ” ” 7 0.0 659.8) + 0.2 Arco di Nerola (Poli) 0 728.5 | 727.50 +10 Valle di Pietralata | ” » TASSA 745.7) + 10.0 Ponte della Foce | pozzolana n —|09343) 921.0] +13,3 Ponte Buttero | lava basalt. ” | 48 41.9 | 42 58.5 | +48.4 « Dall'esame di questa tabella risulta, che le differenze di azimut tro- vate per i due aghi, sono press'a poco eguali fino a che la perturbazione prodotta dalla presenza della roccia non supera 7°; ma al disopra di questo limite i due aghi subiscono evidentemente una sensibile differenza di azione magnetica: l'attrazione esercitata dalla roccia sull’ago di maggior momento magnetico è più grande di quella esercitata sull'ago piccolo. E tale differenza di azione è tanto più marcata, quanto maggiore è la perturbazione dovuta alla roccia, ossia quanto maggiore è l'intensità magnetica di questa. Faccio notare che in tutte le diverse località la bussola veniva sempre collocata a circa 30 cm. dalla roccia, e che quindi le differenze trovate non dipendono (1) Carl, Repertorium, vol. XVI, 1880, p. 188. DI °° TC_==555 = === e n= == Baci pr da variazione della distanza. Quindi la maggior attrazione subita dall'ago di maggior momento magnetico non dipende unicamente dal magnetismo da esso indotto nella roccia, ma anche dalle condizioni magnetiche della roccia e del terreno circostante. « Un esempio assai caratteristico, che due aghi di diverso momento ma- gnetico sotto l’azione attrattiva o ripulsiva di una roccia risentono in di- versa misura l’effetto dovuto alla reciproca induzione fra ago e roccia, è dato da misure che feci presso il blocco di lava basaltina con punto distinto nella vicinanza di Ponte Battero, descritto dal prof. Keller nella sua Guida iti- neraria delle principali roccie magnetiche del Lazio. Collocai la bussola a varie distanze dal blocco, determinando sempre in ogni stazione col solito metodo dei tre punti la di‘ferenza d'azimut per ciascuno dei due aghi. Il polo sud di essi era spiccatamente più vicino di quello nord e veniva attratto. « Nella seguente tabella sono riassunti i risultati avuti: la 1% colonna contiene le varie distanze del blocco dal centro d'oscillazione degli aghi nelle varie stazioni. La 2* e 8* colonna contengono le diterenze d'azimut trovate nelle varie stazioni rispettivamente per l'ago grande, e per quello piccolo; la 4* colonna contiene in fine le differenze tra la perturbazione prodotta nelle varie stazioni dal magnetismo indotto dall'ago grande, e quella prodotta dal piccolo e sono eguali alle differenze tra i valori della 2* e 3* colonna. TaBeLLA III. || m. 0.36 43° 417.9 42° 58.5 + 0°43/.4 || n 0.55 39 14 99.198:800 SZ » 0.76 24 26.2 94 (615 EE 47 » 1.065 14 99 RI ni 1150 715.7 71581 RSSAMIIONI | e « Anche dall'esame di questa tabella risulta che l'ago grande subisce un'attrazione molto maggiore del piccolo, ma questa diffevenza di attrazione va successivamente diminuendo colla distanza fino ad annullarsi quando la perturbazione prodotta dal blocco è di 7°15'. « Conclusione. — Da quanto di sopra ho esposto risulta che nelle ri- cerche sul magnetismo delle roccie il magnetismo indotto dall'ago dell’ istru- mento di misura, quale si adopera comunemente, non influisce sensibilmente sulle misure, fino a che l'azione perturbatrice delle roccie non è molto grande, ma oltrepassato un certo limite l'effetto dell'induzione tra l'ago e la roccia non è più trascurabile e con aghi di diverso momento magnetico si hanno deviazioni diverse. noli « Nel caso particolare delle roccie vulcaniche del Lazio, se si ommet- tono i punti distinti, si può essere in generale certi, che i valori ottenuti, collocando l’istrumento di misura a distanza sufficiente ma presso a poco sempre eguale, rappresentano eifettivamente il magnetismo proprio delle roccie, non essendo molto frequenti i punti in cui Ja perturbazione superi 7°. Perciò nelle mie ricerche successive non terrò di regola conto del magnetismo indotto dall'ago, ma ogni qualvolta però mi sarà possibile, esaminerò roccie orientate in modo che l’induzione tra ago e roccia sia minima ». Fisica terrestre. — Sulle indicazioni strumentali del terre- moto giapponese del 22 marzo 1894. Nota di GIULIO GRABLOVITZ, presentata dal Corrispondente TACCHINI. « Dall'anno 1886, cioè da quando le ricerche geodinamiche, sotto il nuovo indirizzo dato dal Governo agli studî sismici, vennero dirette in modo spe- ciale all'analisi dettagliata dei vari movimenti del suolo che costituiscono il terremoto ('), la sismologia andò acquistando nuove cognizioni e conquistando nuovi orizzonti, cui invano aspiravano i mezzi primitivi od i metodi non ap- propriati del tempo addietro. « Vero si è peraltro che non mancano osservazioni anteriori in cui l'odierno sismologo deve apprezzare l'oculatezza di singoli osservatori che. inconsci delle nuove teorie e dei metodi moderni, diedero tuttavia importanza a fatti misteriosi, attribuendoli già allora a disturbi d’indole tellurica; e così dicendo voglio alludere ad oscillazioni relativamente ampie sorprese in pen- doli di varia lunghezza (da cui sorse il tromometro), nelle livelle astrono- miche ecc. senza palese pertucbazione della quiete del suolo. « Ciononpertanto i mez;i d'osservazione in oggi esistenti sono ancora ben lungi dal dare il giusto peso a qualsiasi forma di movimento del suolo; gli strumenti esistenti hanno semplicemente apportato nuova luce nell'argomento, ed ora conviene aspettare da future ricerche la soluzione del problema mec- canico, il quale è senza dubbio complesso. « In oggi infatti è accer.ata la produzione di oscillazioni di svariatis- simi periodi ed ampiezze. Da quelle rapidissime e minute, ma rovinosissime, che costituiscono ‘i terremoti vibratori nell’epicentro, a quelle lentissime ed ampie che passano inavvertite ai nostri sensi, ma sono le più grandiose e son dovute alla propagazione da centri lontani, il divario è tanto grande che invano si aspetterebbe da uno solo degli strumenti esistenti la registrazione di ogni qualità di moti. (1) Veggansi gli Annali 1886 dell’Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica: Prefazione del prof. P. Tacchlni, Relazione dello scrivente e Memoria del meccanico Brassart. ="=="—====» "es ee è — — preti rea È er - - ——erra————g on >. -__ _ 1} dd -. -. IGO, — « Il principio della massa stazionaria certo costituisce in oggi il cardine dell'analisi dei moti del suolo; ma allorchè le oscillazioni sismiche sono di una certa lentezza (specialmente da un minuto secondo in più), non abbiamo strumento in cui la massa raggiunga in pratica la stazionarietà effettiva, la quale viene turbata dalle condizioni strumentali e principalmente dalla ten- denza alla posizione di riposo, da resistenze e da attriti impossibili a to- gliersi completamente. Quando, all'opposto, i moti sono minutissimi e rapidis- simi, in guisa da dare l'impressione d'un suono (rombo) la necessità della amplificazione meccanica per la registrazione viene contrariata dall'inerzia delle leve impiegate a tale scopo, le quali certamente non possono seguire nella sua immensa rapidità il moto che dovrebbero registrare amplificato. « Per tali motivi la massa stazionaria non è valsa finora a registrare soddisfacentemente che le oscillazioni avvicendantisi con la frequenza di 2, 3 o 4 per secondo o poco al di fuori di questi limiti. « Soddisfacenti risultati si hanno in oggi dai pendoli lunghi (da 5 a 10 metri) con masse di parecchi miriasrammi e perfino d'un quintale, me- diante i quali si ottiene la registrazione di oscillazioni aventi periodi com- pleti di 10, 20 e più minuti secondi. Ma giova considerare che dessi non fungono più quali masse stazionarie, ma quali gravi pendolari che manten- gono la verticale alla presenza di vere ondulazioni della superficie terrestre; si tratta insomma, non più di movimenti /77e477, ma di movimenti angolari. « E che tali movimenti sieno angolari non v'ha alcun dubbio; vero sì è che a stretto rigore anche questa qualità di moto si può scindere nelle tre componenti lineari, ma nello stato presente dei mezzi di osservazione non si può encora aspirare alla diretta registrazione di tali componenti, perchè per ottenerla converrebbe avere il modo di librare la massa in modo da renderla perfettamente astatica in qualunque senso, od almeno tanto vicina all'astaticità, che la durata delle sue oscillazioni in qualunque direzione dello spazio cor- rispondesse almeno al triplo delle più lunghe onde sismiche; la risoluzione di tale problema in pratica è resa oltremodo difficile dalla necessità di ri- durre gli attriti e le resistenze al di là di quanto siasi finora ottenuto pei più delicati apparecchi d'altro genere, perchè in caso diverso la massa se- guirebbe senz'altro i lentissimi movimenti dell'ambiente, anzichè mantenersi inerte. «I sistemi meccanici che in oggi ci forniscono la prova della realtà di queste grandi onde, si possono concretare in due generi, cioè nei pendoli e nelle livelle; i pendoli si possono suddividere in tre specie, cioè: « 1) Pendoli lunghi (da 5 a 10 metri) con oscillazioni complete di cinque secondi in più; « 2) Pendoli comuni (di un metro, come nei sismometrografi o di m. 1,50 come nei tromometri) che battono il secondo o poco più; « 3) Pendoli orizzontali o conici, e pendoli astatici di varie forme, il cul periodo oscillatorio può venire regolato a piacimento entro limiti lar- ghissimi. « Nei pendoli lunghi il movimento angolare si traduce in un movimento lineare, che amplificato coi sistemi registratori ordinari è abbastanza apprez- zabile; senonchè il loro periodo d'oscillazione è già tanto lungo da equiva- lere in qualche caso a quello del suolo, talchè i moti sono suscettibili al- l'amplificazione derivante dal sincronismo. È certo peraltro che al passaggio di onde alquanto più lunghe, essi si dispongono sulla verticale senz'acquistare oscillazioni proprie, se non in grado trascurabile. «I pendoli che battono il secondo all'incirea hanno il vantaggio di di- sporsi sulla verticale quasi immediatamente al passaggio di onde di lunga durata, ma il moto angolare si traduce in un moto lineare troppo piccolo per riuscire registrabile nelle attuali condizieni dei registratori meccanici. «I pendoli orizzontali ed astatici, avendo in generale le proprietà dei pendoli lunghi, hanno per la piccola dimensione il vantaggio d’andare esenti da perturbazioni inevitabili nei pendoli lunghi, ma in cambio l’analisi dei loro moti (specialmente nei pendoli orizzontali con lieve inclinazione) riesce molto complessa, senza considerare che un movimento alquanto ampio potrebbe anche invertire meccanicamente le condizioni della loro posizione di quiete. « In tutti i sistemi pendolari poi, l'inerzia delle masse è causa di mo- vimenti strumentali più o meno pregiudizievoli alla fedeltà delle registrazioni. « La livella al contrario è pressochè completamente scevra d'inerzia; del resto ha la proprietà del pendolo di lunghezza pari al suo raggio di cur- vatura assiale, talchè quando la durata dell’oscillazione del suolo è alquanto minore dell’oscillazione strumentale, la bolla non giunge ad acquistare la sua nuova posizione d'equilibrio durante l'intervallo stesso; perciò l'angolo dato dalla livella può essere inferiore al vero, e l'osservatore può trarre un criterio di tale inferiorità dal periodo delle ondulazioni. « Da tutto ciò si comprende che la sismografia ha ancora un ideale da raggiungere, cioè quello della massa assolutamente stazionaria, altrimenti detta punto fermo o neutro; ma intanto conviene trarre profitto dai mezzi esistenti. «Il servizio nell'isola d'Ischia essendo stato fondato col concetto di stu- diare le manifestazioni locali, io ebbi nella scelta e nell'impianto degli stru- menti questa e non altra mira nei primordi; perciò anche nei sismometrografi a tre componenti mantenni il principio di tollerare lievi attriti, condizione convenientissima per lo studio dei movimenti bruschi del suolo, allo scopo di smorzare i moti residui dipendenti dall'inerzia ed altri moti strumentali ca- paci talvolta di disordinare le registrazioni in modo da renderle indecifrabili. « Tuttavia essendo utilissima pure l'osservazione di terremoti lontani, eliminai per quanto possibile gli attriti nel sismometrografo a registrazione continua, ed ora mi occupo pure dell'impianto d'un pendolo di 4 metri con una massa di 90 chilogrammi. Ho inoltre impiantato una coppia di pendoli RexpicontI. 1894, Vol. II, 2° Sem. 9 ls VE conici destinati, per le ragioni anzidette, a dare il solo allarme mediante il contatto elettrico, talehè al primo giungere d'una ondulazione lontana l’os- servatore può ispezionare tosto le livelle, che a mio giudizio costituiscono il mezzo più adatto a tal genere d'osservazione. E di ciò mi convinsi viemmag- giormente in occasione del terremoto del 22 marzo a. c. « Come ebbi a comunicare al sig. direttore del R. Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica, il mio assistente, incaricato di osservare le livelle quanto più spesso è possibile, le sorprese alle 12222” di quel giorno in ampia oscillazione. Tali livelle, impiantate nell’osservatorio della Grande Sentinella in Casamicciola, mi furono fornite dall'Istituto ottico meccanico Salmoiraghi di Milano; la scala è divisa in 90 parti equidistanti di 3 mm.; nella livella situata nel senso del meridiano una parte corrisponde ad 1” 52; in quella situata nel senso del parallelo una parte equivale ad 155. Tutte e due sono solidamente fissate al pilastro sismico ed ora, dopo un periodo di adattamento, si mantengono pressochè immobili o subiscono lente e pic- cole variazioni, talvolta in coincidenza con fenomeni sismici lontani. « All’ora indicata del 22 marzo la bolla della livella Sud-Nord oscillava di 4 parti (corrispondenti a 608) e quella Ovest-Est oscillava di 2 in 3 divisioni (3"10 a 4765 = in media 3875); ogni oscillazione completa du- rava circa 6 minuti secondi; le oscillazioni verso Nord della prima coincide- vano con quelle verso Est della seconda, talchè ne risulta la direzione di N. 32°30'39" E. a S. 32°30'39” W. e l'ampiezza di 7"21, certamente in- feriore alla vera per le ragioni anzidette. L'estremità meridionale della bolla Nord-Sud che in istato di quiete prima e poi segnava 13'9, nelle sue escur- zioni verso Sud toccava appena 13, mentre in quelle verso Nord arriva a 17; da questa circostanza che non ammetteva incertezza, mi parve poter dedurre che, a somiglianza delle onde liquide, la maggiore inclinazione ne accusasse la provenienza, nel qual caso il radiante si sarebbe trovato dal lato di N.-E. « Avvisato del fenomeno mi recai sul posto con la speranza di sorpren- dere l’arrivo dell'onda dalla parte opposta, ma in tre ore d’attenta osserva- zione nulla più avvenne. « Calcolato il circolo massimo terrestre coincidente con la direzione os- servata (trascurando lo schiacciamento), ne ottengo î seguenti elementi: IN Longitudine del nodo ascendente coll'equatore = 22°35' W. Casamicciola ossia 9° 0" W. Greenwich Inclinazione sull’'equatore ALORI « Questo circolo massimo, da Casamicciola verso N-E, dopo la nostra penisola incontra l'Ungheria, la Russia e la Siberia e passando al Nord del Giappone prosegue in pieno Oceano Pacifico. Esclusi i paesi vicini stante la lunga durata delle ondulazioni, non mi parve dover ricercare l'epicentro nella Russia o nella Siberia, regioni di poca o niuna attività sismica, ma mi sof- DET fermai al Giappone, ed ecco alcune coordinate corrispondenti in quei paraggi al circolo massimo indicato, con le distanze da Casamicciola, da cui si scorge che la linea calcolata passa pel Nord dell’isola Yeso, cioè: Longitudine Latitudine - Distanza da Est Greenwich Nord Casamicciola 135° 52° 49 Km. 8185 140° TÀ » 8725 145° 44° 30" » 9362 < L'apprezzamento della distanza dell’epicentro, pure quando si faccia a base matematica, anzichè sui concetti qui sopra esposti, è sempre vago, es- sendo variabile il cardine principale a ciò necessario, vale a dire la velocità di propagazione. Questa può essere costante tra un centro sismico ed una de- terminata stazione, perchè in tal caso i terreni attraversati sono sempre gli stessi, ma l'osservazione ci rivela che la velocità di propagazione varia a se- conda del mezzo. « L'istante del primo urto dell’epicentro, ancorchè non se ne conosca la posizione, può venire fornito con grande approssimazione dal ritardo in cui vediamo giungere le onde trasversali rispetto alle longitudinali, perchè sap- piamo che la velocità delle prime è la metà di quella delle seconde; occorre peraltro che le une e le altre arrivino, e con insufficiente intervallo, nel nostro punto d'osservazione, mentre quando l'epicentro è vicino facilmente si sovrap- pongono e confondono, e quando esso è molto distante possono arrivare le onde trasversali e non le longitudinali. Quest'ultimo caso è forse il più frequente nell'isola d'Ischia che in base a qualche fatto credo essere poco sensibile alle scosse longitudinali di centri esteriori; talvolta le scosse del continente arrivano estremamente indebolite fino alla parte orientale dell’isola senza estendervisi. i « Nel ter.emoto.del 22 marzo non vi fu traccia di onde longitudinali in questi strumenti, ma questa non è ancora una prova assolutamente nega- tiva. A stabilirla varrà l'impianto, che sto facendo, d'un pendolo lungo, de- stinato appunto allo studio dei terremoti lontani, mentre per eventuali feno- meni locali è opportuno mantenere nelle loro presenti condizioni gli strumenti già impiantati. « Pertanto, a calcolare la probabile distanza dell'epicentro mi valgo dei dati del supplemento geodinamico N. 103 del R. Ufficio Centrale, secondo cui il primo urto arrivò a Rocca di Papa, a Siena ed a Roma ad 11°37" istante che senza dubbio si riferisce alle onde longitudinali. A 12% 8" appaiono a Rocca di Papa le lunghe oscillazioni ed a ciò s'accordano le altre relazioni ; a Casamicciola le livelle trovate ancora in quiete poco prima dei confronti cronometrici che si fanno al mezzodì vero (12%11"185 t. m. MEC) vengono rn se sorprese nella massima agitazione a 12%22", talchè nulla contraddice quella esplicita indicazione delle 12% 8". Ritenuta la velocità di propagazione delle onde longitudinali = 300 chilometri al minuto primo e quelle delle trasver- sali = 150 km., l'istante / del terremoto all’epicentro e la distanza di questo d, sì ricavano dalle seguenti equazioni : t + 300d = 11° 37% — 697 t+ 1504= 12% gn— 728m da cul: N06 n 92004 Questi risultati erano già stati da me ottenuti e comunicati senza pretesa ad altri studiosi; quando venni a conoscenza del terremoto avvenuto nella parte settentrionale del Giappone a 7" 28" pom. di tempo medio locale, pari ad 1158" MEC del 22 marzo. « À dissipare i dubbi che ancora si muovono sulla realtà della forma geometrica sottintesa dall'espressione di onda trasversale, credo che bastino le osservazioni alle livelle ed ai pendoli lunghi, non potendosi immaginare altra forma verosimile che giustifichi completamente quegli spostamenti evi- dentemente argolari a periodo così lento. Per ottenerne una prova più di- retta converrebbe fissare due cannocchiali ad angolo retto fra di loro, rivolti verso due punti bene individuati, allo scopo d'osservare le oscillazioni non appena gli strumenti sismici dessero l'allarme. In base a calcoli eseguiti posso asserire che la massima escursione angolare della mira si otterrebbe qualora la distanza tra questa ed il cannocchiale fosse = 0'65 della lunghezza del- l'onda completa; questa peraltro è variabile; pure se la lunghezza delle grandi onde si aggira intorno a 50 chilometri, la distanza più conveniente delle mire dal cannocchiale sarebbe di circa 30 km. «Questo mezzo peraltro è sempre subordinato alla visibilità della mira ed alla fermezza e chiarezza dell'immagine, per cui resta a desiderarsi l'in- venzione della massa astatica per la componente verticale che nel moto on- | doso è la più ampia. Il poter conquistare direttamente questa componente con mezzi meccanici, fornirebbe la prova più sicura della sua realtà ed a ciò tendono in oggi le mie esperienze ». I | | I I ira Chimica. — Nuova sintesi del triazolo e dei suoi derivati (!). Nota di Gurpo PELLIZZARI, presentata dal Socio PATERNÒ. « Dopo le ricerche di Bladin sulla dicianfenilidrazina (2) che condus- sero alla scoperta dei composti triazolici e dopo gli studî di Andreocci sui derivati del pirrodiazolo (3) che portarono un largo contributo alla conoscenza di questa serie di sostanze, pochi altri lavori furono fatti su questo argomento. Soltanto nell'ultimo anno Bamberger e Guyter (4); Widman (°); E. Fischer e Miller (9) ottennero con nuove reazioni dei composti triazolici. Io (7) ho otte- nuto i guanazoli, e in collaborazione col dott. Cuneo (8), l’urazolo; sostanze che devono considerarsi come derivati del triazolo. Fra tutte le reazioni stu- diate nessuna ha però fin qui condotto direttamente alla sintesi del triazolo o dei suoi derivati alchilici, e, se alcuni di essi furono preparati, non fu che in seguito a molteplici reazioni sopra i prodotti ottenuti coi diversi citati procedimenti. « Un metodo diretto di sintesi del triazolo e dei suoi derivati e nello stesso tempo facile e speditivo, è dato dalla reazione che espongo in questa Nota e che consiste nell'azione delle idrazidi sopra le amidi RCO . NH . NHR + NH,. COR = 2H;0 + OG. N; By « Per ora non l'ho applicato che alla sintesi del tr/4zol0 e dell'/-fentt- triazolo ; ma questi due esempi mi sembrano sufficienti per prevedere la esten- sione del metodo e per discutere il modo col quale la reazione si compie. « Il triazolo si ottiene per azione della monoformilidrazide sulla for- mamide HCO . NH . NH, + NH, . COH = 2H, 0 +- C: N; Hg, e il feniltriazolo per l’azione della formilfenilidrazina sulla formamide HCO . NH . NHG; H; 4 NH.. COH = 2H,0+- C; N; H, ACI HS (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Chimica generale della R. Università di Genova. (8) Ber. 1885, p. 1549 e 2907; 1886, p. 2598 e seguenti annate. (3) Ricerche eseguite nell’Istituto chimico di Roma nell’anno 1891-1892. (4) Ber. 1893, p. 2385. (5) Ber. 1893, p. 2612. (6) Ber. 1894, p. 185. (7) Gazz. chim. it. 1891, p. 141 e 1894, fase. VI. (8) Annali di Chim. e Farmacologia 1894, fascicolo di maggio. lt” dr” Ce DE SEZ = = gg — « La formazione del triazolo in questa reazione può essere interpretata secondo i due seguenti schemi: NH NH Ze LS NH° CHO: — 95,0 + Ti HCO —NH; CN oppure sa HNH VA DONE: — Sh 0rO amo4 fd HCO Hi NH i « La formazione dei C derivati, che spero si otterranno colle idrazidi e colle amidi derivanti dagli omologhi dell'acido formico, non potrebbe servire a risolvere la questione, ma quella degli N derivati per mezzo delle idra- zine primarie, può subito far conoscere quale è l'andamento della reazione. « Infatti le idrazine primarie, ad esempio la fenilidrazina, danno due specie di derivati coi radicali acidi RCO . NH. NHG H; NH; . N(C; Hy)COR idrazidi simetriche idrazidi asimetriche « Le prime che sono quelle ordinarie e che si ottengono cogli stessi me- todi coi quali si formano le anilidi, possono reagire soltanto nel modo indi- cato nel secondo schema, mentre le asimetriche, che si ottengono dai cloruri dei radicali acidi sopra la sodio fenilidrazina, potrebbero solo reagire secondo il primo schema. La formazione quindi dell’1-feniltriazolo colla formilfenil- idrazina ordinaria non paò interpretarsi che in questo modo: CHsN H CoH;N o . NH CHO — 245,0 + I Î HOO HNH Cap e perciò la reazione generale viene espressa così: ENH, i RN A 3A HUGdS ; N i (A N CR NHCRO: = 2H,0 + | | RON ES O « Se per le amidi e per le idrazidi si vuole ammettere che possano agire anche secondo la forma tautomera ossidrilica, allora la reazione potrà espri- mersì così RINO i RN Azione della formilidarazide sulla formamide. « La monoformilidrazide fu preparata secondo quelle brevi indicazioni date dal prof. Curtius (') e che riassumono diversi lavori eseguiti dai suoi allievi sopra l’idrazina. La formilidrazide fu preparata dal sig. Schofer e fonde a 54°. Ho aggiunto quindi a piccole porzioni, ed evitando il riscaldamento, l’etere formico alla quantità equimolecolare di idrato d'idrazina, e lasciata la miscela in riposo per un giorno, fu poi concentrata nel vuoto sull’acido solforico. Si ebbe così il prodotto in cristalli bianchi fusibili a 54° e per meglio assicu- rarmi che veramente era monoformilidrazide, fu fatto il seguente dosamento d'azoto. gr. 0,1006 di sostanza fornirono 40,1 cc. d'Azoto a 21° e 750% corrispon- denti a gr. 0,0467 di Azoto trovato per cento calcolato per HCONH . NH, N 46,69 46,60 « Quantità equimolecolari di formilidrazide e formamide, poste in un pal- loncino a distillazione frazionata, furono scaldate a bagno di rena. A leggero calore la sostanza solida si scioglie completamente e si ottiene un liquido omogeneo leggermente paglierino. Ben presto comincia a reagire e si ha svi- luppo di vapor d'acqua e di ammoniaca. « Non aumentando la temperatura, la reazione procede regolarmente e il termometro immerso nei vapori si mantiene verso 100°. Dopo una mezz'ora circa si aumenta la temperatura ‘e la distillazione si compie, mentre il ter- mometro segna temperature più elevate ed arriva a 260°. Allora si raccoglie separatamente il triazolo quasi puro che distilla, e bisogna anzi riscaldare il tubetto del matraccio, altrimenti solidificandosi l’ostruisce e si va incontro ad una rottura. Per ovviare a ciò si può fare la reazione in una stortina, ma allora le indicazioni del termometro non sono così giuste come con un palloncino. Durante la distillazione il liquido bollente acquista una tinta sempre più scura, e alla fine si separa un po’ di sostanza solida color marrone che rimane nel matraccio e produce qualche sussulto. Il liquido che distilla avanti 260° (1) Ber. 1893, p. 403. ruote ne P NI ie ha dapprima reazione alcalina per l'ammoniaca che si forma, poi acquista rea- zione acida, probabilmente per un po' di acido formico, e quindi nuovamente ritorna alcalina per nuova quantità d'ammoniaca, contiene anche una certa quantità di triazolo che si può in parte ricuperare con una seconda distilla- zione. Da 15 grammi di formilidrazide ottenni gr. 8, 7 di triazolo, che corri- sponde al 50 °/, della quantità teoretica. Esso è quasi puro e per sublimazione si può avere purissimo. Così l'ottenni in lunghi aghi bianchi fs. a 120-121°. La sua identificazione risulta dal punto di fusione, dal punto di ebullizione, dalla proprietà di sublimarsi a bassa temperatura, dalla grande solubilità nell'acqua e nell’alcool da cui però cristallizza in lunghi aghi; anche dall'acqua si può ottenere in grossi prismi lunghi circa un centimetro. « La soluzione acquosa dà i noti precipitati col nitrato d'argento, col cloruro mercurico e col solfato di rame : gr. 0,980 di sostanza dettero 49,4 cc. d'Azoto a 259,5 e 750" corrispondenti a gr. 0,0568 d'Azoto e su 100 parti: trovato calcolato per Cs Ns Ha di || MERE di. N 61,07 60,87 « In questa azione della formilidrazide sulla formamide avvengono certamente delle reazioni secondarie, e a ciò è dovuta la produzione di ammoniaca che si nota fin da principio della reazione. Già per se stessa ciascuna di queste due sostanze scaldata si decompone; ma è ancora probabile che possano reagire in un altro senso, e cioè dare diformilidrazide eliminando ap- punto ammoniaca. Ho tralasciato di fare delle ricerche in proposito per non entrare nel campo di studio del prof. Curtius e dei suoi allievi. Benchè il rendimento ottenuto sia molto soddisfacente, ho speranza che possa aumentare modificando le condizioni dello esperimento. Stabilita così la reazione s'in- | tende come si ottenga del triazolo anche partendo da altre sostanze, che rea- | gendo fra loro si trasformino in formilidrazide e formamide. Così ad esempio | l'ho ottenuto coll'idrato o col monocloridrato di idrazina e formamide (2 mol.), | oppure col formiato ammonico (2 mol.). Si ottiene anche col monocloridrato di idrazina (1 mol.), cloruro ammonico (1 mol.) e formiato sodico (2 mol.). « Però in tali modi le reazioni secondarie hanno un più ampio sviluppo e quindi il rendimento del triazolo è minore. Azione della formilfenilidrazide sulla formamide. « La formilfenilidrazide fu ottenuta la prima volta da me per azione della fenilidrazina sulla formamide ('), ma dovendone preparare una certa quantità, ho preferito di fare agire l'etere formico sulla fenilidrazina, giacchè si ha su- bito un prodotto puro ben cristallizzato fusibile a 145°. « Per la preparazione del feniltriazolo è utile prendere un eccesso di for- (1) Gazz. chim. it. 1886, pag. 200. ma mamide, giacchè poi si separa facilmente e il rendimento del prodotto è mag- giore che colle quantità calcolate. « Parti eguali di formilfenilidrazide e formamide furono scaldate a bagno di rena in un palloncino a distillazione frazionata. « A leggero calore si forma un liquido omogeneo un po' colorato in ros- sastro che presto entra in reazione sviluppando vapor d'acqua e ammoniaca. Si lascia compiere la reazione in modo che essa non sia troppo vivace, ed il termometro immerso nel vapore si mantiene così a 100° per circa mezz'ora, poi si aumenta la temperatura e si completa la distillazione, mentre nel pal- loncino non rimane che un po' di materia pastosa e scura. Benchè si possa subito separare fra 260 a 270° una gran parte di feniltriazolo, ho trovato più conveniente non tener conto delle varie porzioni che distillano alle diverse temperature, ma raccogliere invece tutto insieme il distillato e quindi in un imbuto a rubinetto sbatterlo con acqua ed etere. Si separa il liquido acquoso che contiene ammoniaca, formiato ammonico e formamide, e nell’etere rimane il feniltriazolo e un po d’anilina. Si dissecca la soluzione eterea con qualche pezzetto di cloruro di calcio, e quindi si distilla in un palloncino a distilla- zione frazionata. « Dopo che l'etere è passato il termometro, si arresta per un po’ di tempo fra 180-190° ed allora distilla l’anilina; quindi sale a 266° circa ed allora passa il feniltriazolo puro che dopo poco si rapprende in una massa cristallina. La porzione che distilla avanti 266° si rettifica un'altra volta, e così si ricava un altro poco di prodotto. Da 20 grammi di formilfenilidrazina otienni 14 grammi di feniltriazolo ossia circa il 70 per °/. Una certa quantità di feniltriazolo però passa sempre coi vapori di anilina e quindi il rendimento è certamente superiore a quello surriferito. « Il feniltriazolo ottenuto mostra tutte le caratteristiche descritte dal- l’Andreocci. Fonde a 47°, distilla col vapor d’acqua, è solubilissimo nei co- muni solventi fuori che nell'acqua. Sciolto nell’acido cloridrico dà col cloruro di platino un cloroplatinato che ha le proprietà già conosciute. « Cloroplatinato di feniltriazolo (Cs H;N3 HC1), PD Cl, cristallizzato dall’acido cloridrico concentrato e fumante si ottenne in aghi color rosso- arancio contenenti due molecole di acqua di cristallizzazione che perde a 100°. Tenuto a 180° fino a peso costante si trasforma in una polvere gialla e la perdita di peso corrisponde a 2 molecole di acido cloridrico. gr. 0,5319 di cloroplatinato seccato all'aria persero a 100° gr. 0,0259 di acqua e a 180° la perdita di peso fu di gr. 0,0787. Calcinato dette gr. 0,1400 di Platino: trovato per cento calcolato per (Cs H7 Ns . H C1): PtCI, , 2H. 0 2H,0= 4,86 4,90 2H, 0 + 2HC1 = 14,79 14,80 Pt = 27,66 27,85 RenpICONTI. 1894, Vot. III, 2° Sem. 10 =; [ET @ = Sw 3 "ri = —_ ur r_ma__o _ ___xa-_rr, _P________1 do « Questo cloroplatinato bollito per poco tempo coll'acqua, come già de- scrisse l’Andreocci, si trasforma in una polvere gialla voluminosa insolubile, la quale corrisponde alla formula (Cs H, N3), Pt CL e nel liquido acquoso fu riscontrato l'acido cloridrico col nitrato d'argento. gr. 0,3064 di sostanza seccata a 100° dettero gr. 0,095 di Platino trovato calcolato per (Cs H, Na)s Pt CI, Pt 31,00 81,07 « Intendo proseguire lo studio dell’azione delle idrazidi sulle amidi onde ottenere altri derivati del triazolo, ed ho anche intraprese delle reazioni fra le idrazidi per ottenere in un modo analogo dei composti tetrazinici ». Chimica. — Azzone dell'acido nitroso sopra l’amminouracile ec sopra l’amminoacetone. Nota di AnceLo ANGELI, presentata dal Socio G. CIAMICIAN. « In un lavoro pubblicato lo scorso anno (!) ha accennato al fatto sco- perto da Behrend (?) che l’amminometiluracile, per azione dell'acido nitroso dà un composto diazoico NH-C.CH; NH-_C.NOH Ai DS Ù A % (910) C.NH, —> CO C.N:N.0H 4 x A NH-—C0 NH_-=G0 ed ho fatto rilevare come probabilmente questo comportamento del gruppo amminico dipenda dalla presenza della catena —C0.C.NH, contenuta nella molecola di questa sostanza (8). (1) Gazzetta chimica, 23 II, 345. (£) Liebig*s Annalen, 245, 213. (3) Recentemente Philipps (Chem. Zeit. 1894, 642) e Marckwald (Ber. Berichte 27, 1817) hanno studiata l’azione dell’acido nitroso sopra alcune amminopiridine da essi preparate. Dai risultati delle sue ricerche Philipps conclude che «le amminopiridine ed i de- rivati delle stesse, al pari delle ammine della serie alifatica, non sono in grado di dare diazocomposti stabili ». Questo fatto interessante porta un nuovo appoggio alle mie vedute ;.il residuo piri- dico infatti è sprovvisto di carattere negativo. « Anche l'acido amminouracilcarbonico si comporta in modo analogo, e per azione dell'acido nitroso dà il corrispondente diazocomposto NH-—C.COOH NH——C.C00H / N di N CO C.NH; —> CO C.N:N.0H di S 4 NH—C0 NH——C0 Questo acido, nelle opportune condizioni, può perdere una molecola di ani- dride carbonica per dare il diazouracile (') NH===CH A N (D(0) C.N:N.0H N A VA NH CO Siccome però nell’acido amminouragilcarbonico c'è la presenza di un carbos- sile e dal metilamminouracile si ottiene l’ossima di un diazo composto, così la trasformazione in questi casi non è netta e diretta, e la reazione si potrebbe interpretare in vario modo. « Era quindi da vedersi se la mia ipotesi era vera, se anche l’ammi- nouracile stesso, per il solito trattamento, potesse venir trasformato nel de- rivato diazoico corrispondente. Anche questo composto contiene infatti il gruppo I caratteristico —CO.C.NH.— : NH——CH A N co C.NH: , S Li NH-——C0 e perciò era da aspettarsi che da questa sostanza si dovesse ottenere lo stesso diazocomposto che si può avere dall'acido diazouracilcarbonico, per elimina- zione di anidride carbonica. « Io sono partito, secondo le indicazioni date da Behrend, dall’etere urammidocrotonico, che si ottiene condensando l’urea con l'etere acetacetico. Questo etere venne trasformato nel metiluracile dal quale, per trattamento con acido nitrico e solforico concentrati, ebbi il nitrouracile. Il nitroderivato venne in seguito trasformato nell'amminoderivato per riduzione con stagno ed acido cloridrico. « L'amminouracile in tal modo ottenuto venne disciolto nella voluta quantità di acido cloridrico diluito, e la soluzione neutra venne trattata con soluzione acquosa e concentrata di nitrito sodico, avendo cura di raffreddare. (1) Liebig's Annalen, 258, 358 we _©#5=W i Si o — ST e Dopo qualche istante si separa un precipitato rossastro cristallino, che viene purificato ricristallizzandolo con precauzione dall'acqua bollente. « Il composto in tal modo ottenuto presenta tutti i caratteri del dia- zouracile preparato da Behrend ed Ernert (') dall’acido amminouracilcarbonico. « La sua identità viene inoltre confermata dalla seguente determina- zione di azoto. gr. 0,1770 diedero c.c. 53 di azoto a 15° e 760", « In 100 parti: trovato calcolato per C4H4N,0; N 35,64 35,89. « Questo risultato prova perciò in modo non dubbio che la presenza del gruppo carbonilico, anche in questo caso, è sufficiente ad imprimere al residuo amminico la facoltà di trasformarsi nel residuo diazoico. Questo esempio pre- senta inoltre uno speciale interesse, giacchè dimostra che nel caso in cui il carbonio, cui è unito al gruppo amminico, sia sprovvisto di atomi d’ idrogeno, il gruppo diazoico esiste a catena aperta R.C.NH, — R.C.N:N.0H (?). Per dare alle mie vedute un carattere di maggior generalità ho intrapreso lo studio del comportamento di altre chetoammine rispetto all’azione dell’acido nitroso. Sebbene queste ricerche sieno appena incominciate, tuttavia accen- nerò brevemente ad alcuni risultati i quali non lasciano dubbio veruno sulla natura dei prodotti da me ottenuti. « Una chetoammina semplice ed interessante è l’amminoacetone CH3.C0.CH,.NH,, che io ho preparato per riduzione dell’ isonitrosoacetone CH3.C0.CH:NOH, (1) Liebig's Annalen, 258, 358, (2) Si comprende però facilmente che si potranno ottenere diazocomposti a catena aperta anche da taluni amminoderivati della forma R.CH.NH, e R.NH.NH;. Per gli amminoderivati delia prima forma, ancora non sono conosciuti esempi di questo genere. È noto però, dalle belle ricerche di Thiele, che l’amminoguanidina Nu ))C.NH.NH: per azione dell’ acido nitroso, in soluzione nitrica, dà il nitrato di diazoguanidina NH: C-NH.N:N.N0;, in cui il gruppo diazoico è a catena aperta. Ma quando si tratta il nitrato di diazoguanidina con i sali di acidi deboli (carbonati o acetati), oppure con soda, allora la catena si chiude per formare composti anidrici (acido azotidrico ed acido am- minotetrazotico). Lo stesso vale probabilmente per tutti quei derivati diazoici (a catena aperta) che conservano ancora sufficienti proprietà basiche per poter venir salificati dagli acidi forti. Questo comportamento si potrebbe anche spiegare in altro modo. Ricordando rs seguendo il metodo da me proposto lo scorso anno. Il cloridrato in tal modo ottenuto è identico a quello descritto da Gabriel e Pinkus (1). « Il cloridrato dell'amminoacetone venne lasciato per molto tempo nel vuoto sopra la calce, affine di eliminare quasi completamente l’eccesso di acido cloridrico, che esso perde con grande lentezza in causa della sua forma sciropposa. La straordinaria igroscopicità infatti di questa sostanza e la diffi- coltà, o per meglio dire la quasi impossibilità di averla pura (finora non si è potuta analizzare) rendono difficile lo studio di queste reazioni. « Alla soluzione del cloridrato dell'’ammincacetone nella minor possibile quantità d’acqua, in un imbuto a chiavetta, venne aggiunto etere ed alcuni pezzetti di ghiaccio e quindi trattata con soluzione concentrata di nitrito sodico. Si agita allora sollecitamente dopo aver aggiunto qualche goccia di acido solforico diluito. L'etere viene quindi lavato con carbonato sodico, e quindi, dopo averlo seccato, si evapora nel vuoto. « Rimane nn olio giallo, dotato di odore speciale; e che per azione del- l’acido cloridrico si decompone con viva effervescenza. Per azione dell'acido bromidrico si decompone del pari con sviluppo d'azoto, cessato il quale si nota l'odore pungente e caratteristico del bromoacetone. « In causa della piccola quantità di sostanza di cui io potevo disporre, non ho potuto studiare ulteriormente queste reazioni nè i prodotti che in tal modo si formano. Tale comportamento però dimostra che con tutta probabi- lità anche in questo caso si ottiene un composto diazoico, che altro non potrà essere che il diazoacetilmetano (monochetazometilgliossal) : N CH,.00.CH< ||. N il parallelismo, da me rilevato l’anno scorso, fra i derivati dell’acido nitroso e quelli del diazobenzolo, è chiaro che la stessa analogia sussiste anche fra le ossime ed il diazobenzolo : R.CH:N.0H CeH;.N:N.0H. E siccome le ossime possono esistere nelle due forme stereoisomere R.CH R. CH I ISS N.0H HO.N si potrebbe ammettere che lo stesso valga anche per i derivati dei diazocomposti : Nei composti diazoici della seconda forma dovrebbe essere maggiore la tendenza di ani- drificarsi fra il gruppo R ed il residuo R,. Sopra queste considerazioni ritornerò a suo tempo. (1) Berl. Berichte, 27, 2197. Come era prevedibile, la reazione procede diversamente quando si sottoponga ad analogo trattamento il cloridrato del diamminoacetone NH;.CH,.C0.CH,.NH;: Questa sostanza è stata preparata la prima volta da Righeimer ; io però l'ho ottenuta seguendo le indicazioni di Gabriel e Posner per riduzione del diiso- nitrosoacetone. « Trattando il cloridrato del diamminoacetone con nitrito sodico e quindi acidificando con una goccia di acido acetico diluito, improvvisamente avviene un copiosissimo sviluppo di azoto. In questo caso, finora, non mi è stato pos- sibile di avere un composto diazoico. Questo fatto, come ho accennato, si poteva prevedere. Nel diamminoacetone infatti vi sono due gruppi amminici, disposti simmetricamente rispetto al carbonile. L'azione positiva dell'uno compensa il carattere negativo del gruppo carbonilico, e perciò questa sostanza si comporta rispetto all’acido nitroso come le ammine a residui positivi od indifferenti. « In un'altra communicazione descriverò dettagliatamente i prodotti che sì ottengono dall'amminoacetone ». ELEZIONI DI SOCI Colle norme stabilite dallo Statuto e dal Regolamento, si procedette alle elezioni di Socî e Corrispondenti dell'Accademia. Le elezioni dettero i risul- tati seguenti per la Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Fu eletto Socio nazionale : Nella Categoria I, per l'Astronomia: TaccHIiNI PieTRO. Fu eletto Corrispondente : Nella Categoria II, per la Chimica: Piccini AuGusro. Furono inoltre eletti Socî stranieri : Nella Categoria II, per la Misica: RowLAND ENRICO; per la Chimzea : von BAEYER ADOLFO. Nella Categoria III, per la Geologia e Paleontologia: PRESTWICH Giu- SEPPE è HALL GrIacomo. L'esito delle votazioni venne proclamato dal Presidente con Circolare del 17 luglio 1894; le nomine del Socio nazionale e dei Socî stranieri furono sottoposte all'approvazione di S. M. il Re. Ri RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA RR. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 5 agosto 1894. ron Matematica. — Sulle superficie i cui piani principali hanno costante il rapporto delle distanze da un punto fisso. Nota del Socio LuIci BIANCHI. « Il sig. Guichard in una Nota inserita nel T. CXVI, pag. 483 dei Comptes Rendus de l’Académie des sciences di Parigi (1893) ha studiato le superficie i cui due piani principali (cioè i piani condotti per la normale tan- genzialmente alle linee di curvatura) sono equidistanti da un punto fisso. Ora queste superficie, come le più generali indicate nel titolo della presente Nota, non sono che un caso particolare delle superficie considerate alla fine della mia Memoria nel T. XVIII, serie 4* (1890) degli Annali di matematica e caratterizzate dalla proprietà che: il doppio sistema di traiet- torie isogonali sotto un certo angolo costante delle linee di curvatura, le divide in parallelogrammi infinitesimi equivalenti. « Nel caso particolare di Guichard, il detto angolo è di 45°, cioè il sistema di curve bisettrici delle linee di curvatura divide la superficie in rettangoli equivalenti. RenDICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 11 erimo Sol « Indichiamo per abbreviare con @ le superficie dotate della proprietà enunciata nel titolo ed occupiamoci della loro determinazione in coordinate tangenziali. « Facciamo della superficie supposta ® l'immagine di Gauss sulla sfera di raggio = 1 col centro nel punto fisso O e sia (1) ds*= e du? + g dv® l'elemento lineare sferico riferito alle immagini %, v delle linee di curvatura di ®. Se con W indichiamo la distanza (algebrica) del piano tangente a ® dall'origine 0, per le formole di Weingarten relative alle coordinate tangen- ziali (!), dovrà essere W una soluzione dell'equazione di Laplace d°W __dlogle aW 3dlogl/g èIW uni mR du du dd (2) e le coordinate 4, y, « del punto di @® corrispondente al punto (CYERZ) della sfera rappresentativa saranno date da 193X3W , 193X3W to came; GY IV dv (3) N WI We e du dU gv dd ; D193Z9dW 193ZIW “Ve, E n) dv. « Indichiamo poi con W,, W, le distanze del punto fisso O dai due piani principali di D; avremo: Wise o— E, Ve du Vy dV cioè per le (3) 193W LEDA (4) Wi =.= Ai Wi —=T73 Ve dU V9 dv « Dalla (2) seguono quindi le formole (5) SW, 1 Ive ang VITRO ea (cia « Ma si ha per ipotesi W. _ kW, (1) Vedi il Cap. V. delle mie Lezioni di Geometria differenziale (Pisa-Spoerri 1894). Be O con % costante e però (5*) il. onde la relazione ld ae 6 La) 6) kw D PL, )=a sl du « Ponendo la (6), ovvero l’altra f o(0\2(1 Ue) doi 2 (1214) (65) ce dv —ot()a Ve du | esprime che il doppio sistema di traiettorie sotto l'angolo s delle linee v divide la sfera in parallelogrammi infinitesimi equivalenti. E infatti, ripro- ducendo le considerazioni della mia Memoria citata, abbiamo che le equa- zioni differenziali di queste traiettorie sono rispettivamente : (7) Ve sen (5) du + V/g cos a ) dv=0 (7) Ve sen (5 )du—y7 cos (È )e=o. « Ora, posto - Di Ti — — palio dv 2 le dU \ i primi membri delle (7), (7*) ammettono i rispettivi fattori integranti CAMOnSCNSIS pone: ii da — T di ee sl Ve sen G ) du + y/g cos È ) dv per l'elemento lineare sferico, espresso ìn coordinate «,# si ha la formoia ds'? = e da? + 2 cos oda dB +- e°? df°, che dimostra appunto la proprietà enunciata. "rca o na ci ECCO asta Sr __T©_r—r—rr—TrTxT—rrwrr___t —_—_Ttr_—r6—r-ee_ ost eee ara ig) 82. « Se l'elemento lineare sferico (1) soddisfa alla condizione (6*), ogni superficie che abbia per immagini delle linee di curvatura le linee %, v godrà di una proprietà affatto analoga, cioè il doppio sistema di traiettorie sotto l'angolo 5 delle linee di curvatura v dividerà la superficie in paralle- logrammi infinitesimi equivalenti. E infatti se ds? = Edu? 4 Gdv* è l'elemento lineare della superficie e 7°), 72 ne sono i raggi principali di cur- vatura si ha VE =|e.r: VG=V9.r1. « Le note formole (Zezioni pag. 132) DASH > log J/e DENSE svelo iapié Une ui e dimostrano che si ha 1 DIG dava VE Ve du e però la (6*) è perfettamente equivalente all'altra (8) #(5)37 (x ui *(7)= (ni I onde segue la proprietà sopra enunciata. « In particolare vediamo che le superficie ® indicate nel titolo appar- terranno alla classe di superficie studiate al $ 7 della mia Memoria citata. « Supponiamo dapprima noto il sistema sferico (v, v) e vediamo come si determineranno le corrispondenti superficie D. Basterà per ciò determinare W, dalle (5), indi W dalle (4), ciò che si fa con due quadrature mediante le formole (9) log W, - Sle( hr d Da du + cot (3) 7 ali dv | (10) W fw. Ve du + cot (+) 1/9 dv O 1 dopo di che la (2) risulta identica. Osserviamo che la superficie ® così ot- tenuta è determinata a meno di un'omotetia (dipendente dalla costante mol- "A N O tiplicativa in W,) e di una trasformazione parallela (dipendente dalla costante additiva in W). Ma, poichè la (6*) non muta cangiando o in —c, ne risulta: Ad ogni sistema ortogonale sferico («, v), che soddisfi la (6*), appartengono due superficie ® essenzialmente distinte, de- terminate ciascuna a meno di un omotetia e di una trasfor- mazione parallela, che si ottengono con quadrature. 8 3. « Resta ora che determiniamo i sistemi sferici ortogonali (v, v) pei quali la (6*) è soddisfatta. Questo problema trovasi già risoluto nella mia Me- moria citata, ma qui ne darò una risoluzione più diretta procedendo nel modo seguente ('). Combinando l'equazione (6*) coll’altra : 2 (IU i(Lw)__yg, dU Ve du dv\g dv la quale esprime che l'elemento lineare (1) appartiene alla sfera, ricaviamo : È 1 3Vg 25 0. LE LO 2 Veg sen (a) SEE SERSRIIO RE dove V è funzione di v soltanto ed U di «. « Ma, cangiando convenientemente i parametri u, v, possiamo fare Ufe=dì Viel (1) Lo stesso metodo conduce a determinare i sistemi analoghi (u,v) sulla pseudosfera. MPN? a e quindi, indicando con g, « due angoli ausiliarii, potremo porre Ve: cos (3) = Seng, Vg sen (3) = seny (11) « Viceversa, se g, w soddisfano queste due equazioni, l'elemento lineare sen? sen? z e P w dv? Tee (£) cos 2 sen’ (3 appartiene alla sfera di raggio = 1 e soddisfa alla (6*). « Le (11) possono interpretarsi geometricamente, ricorrendo alla teoria delle congruenze pseudosferiche (v. Zezioni pag. 426 ss.). E infatti, ove sì ponga ds g=w +, W= 0 — 0, esse si mutano nelle formole per la trasformazione di Bicklund. Tenendo conto delle formole date al luogo citato, sì vede facilmente che la dipendenza geometrica dei sistemi sferici cercati (4, v) dalle congruenze pseudosferiche è data dal seguente teorema : « Si consideri una qualunque congruenza pseudosferica e se ne faccia l'immagine sferica; alle assintotiche %, v delle due falde pseudosferiche della superficie focale cor- risponderà sulla sfera un sistema ortogonale (v, v) della specie richiesta ('). 8 4. « Prendiamo ora una qualunque superficie ® i cui piani principali ab- biano costante il rapporto delle distanze del punto fisso 0. Col centro in O descriviamo una sfera S di raggio arbitrario e costruiamo il sistema co? di circoli ortogonali contemporaneamente alla sfera S ed alla superficie ®. Questi (1) Cf. la mia Memoria citata nel t. XVIII degli Annali (1890). Qui enuncierò an- cora il teorema: Perchè nella immagine sferica di una congruenza W alle linee assintotiche delle due falde focali corrisponda un sistema orto- gonale sulla sfera, è necessario e sufficiente che le due falde abbiano in punti corrispondenti eguale curvatura. (Cf. Lezioni pag. 313 s. s.). ZE circoli ammettono una serie co! di superficie ortogonali (Zezzoni pag. 325), le quali tutte, come ora dimostreremo, appartengono alla classe di ®. E in- fatti i piani di questi circoli passano per il centro O della sfera e, per la proprietà supposta a ®, hanno quindi inclinazione costante sui piani princi- pali di ®. Per le proprietà generali dei sistemi tripli ortogonali ne segue che i piani stessi hanno la medesima inclinazione costante sopra i piani prin- cipali di una qualunque superficie ®' ortogonale ai circoli (!). « Ne risulta che, nota una superficie ®, possiamo dedurne infinite altre nuove e propriamente una doppia infinità colla costruzione seguente : «Col centro in O si descriva una sfera $ di raggio arbi- trario e si conducano i circoli normali contemporaneamente alla sfera S ed alla superficie ®. Tutte le superficie D' or- togonali ai circoli appartengono alla classe stessa di 2. « Conformemente ai teoremi generali sui sistemi ciclici, queste nuove superficie D' si ottengono senza alcun calcolo d’ integrazione, giacchè una di esse, la superficie ®, è già nota e la sfera Sè doppiamente normale ai cir- coli. Si può anche osservare che trasformando per raggi vettori reciproci la ® rispetto alla sfera S si ottiene una superficie D' dalla serie e però : «Ogni superficie ® per un'inversione di centro O si can- gia in una superficie della classe stessa. 0 TT pi Guichard (1. c.). In fine è da notarsi che possiamo ridurre la sfera S al suo centro 0, nel qual caso i circoli considerati sono condotti pel punto fisso O normalmente alla superficie ®. « Pel caso particolare o = quest ultimo teorema è dato anche da $ 5. « Le semplici formole date al $ 1 si prestano ad altre applicazioni, e noi qui ci proponiamo di risolvere con esse un problema analogo a quello trattato superiormente e cioè: Trovare le superficie per le quali un punto fisso O dello spazio ha costante il rapporto delle distanze dal piano tangente e da uno dei piani principali. « Supponiamo p. e. nelle formole del $ 1 W,=XW (& costante), e però dW (12) — =kVeW. dU (1) Ciò risulta subito dalle formole a pag. 464 delle Zezioni. E infatti, essendo le traiettorie ortogonali delle superficie ® = costte.) curve piane, si ha (o 1 Sg () E quindi ©z è indipendente da 03 e però una costante assoluta, tale essendo pel particolare valore di 03 che corrisponde alla ®. k em li 4 — ADV 5 È « Introducendo questo valore di > nella (2), troviamo subito sd dg Veg du questa esprime che la curvatura geodetica delle linee sferiche x è costante, cioè che queste linee sono circoli minori di egual raggio. Ne segue che le superficie cercate hanno le linee di curvatura v piane e i loro piani tagliano sotto il medesimo angolo la superficie. « Inversamente, preso sulla sfera un sistema A, (u, v) di cuile siano circoli minori di egual raggio, basterà secondo le (12), (13) porre W=VJg, dove V è funzione arbitraria di v, e la superficie così definita in coordinate tangenziali godrà della proprietà richiesta. « Le superficie ora considerate stanno in una notevole relazione colle superficie ® e si presentano insieme ad esse nella teoria dei sistemi tripli ortogonali. Presa infatti una superficie ®, se si fa uscire da un suo punto P, normalmente a ®, una curva C nel piano condotto per O e per la normale in P alla superficie, ne risulta individuato un sistema triplo ortogonale in cui le superficie di una serie sono altrettante superficie ® aventi per traiettorie ortogonali delle curve piane, i cui piani passano pel punto fisso O (1). « Le superficie delle altre due serie appartengono allora alla classe con- siderata nel presente paragrafo » (13) 3) Chimica. — Sulla costituzione delle idrochinoline, considera- zioni ed esperienze intorno alla struttura dei nuclei azotati. Nota del Socio G. CrAMICIAN e di G. BOERIS. « Le ricerche eseguite in questi ultimi anni dal dott. Ferratini hanno di- mostrato in modo non dubbio, che la base ottenuta da E. Fischer nella me- tilazione degli indoli è realmente una diidrochinolina trimetilata. Il Ferra- tini ha provato inoltre, che questo interessante composto, cui spetta una delle due seguenti formole: CCH; CCH; H AN DAS CH* VA CH* CH. | oppure CH | x CCH:H x CCH; % NA NCH; NCH; , (1) Cf. Lezioni pag. 477. pa OT in virtù dell'atomo d'idrogeno indicato coll’asterisco, possiede ancora proprietà indoliche, perchè dà alcune delle reazioni che E. Fischer ha eseguito col a-metilindolo. Queste analogie di comportamento si manifestano chiaramente quando si fa agire sulla diidrotrimetilchinolina il cloruro di diazobenzolo, l’aldeide benzoica e sopratutto l'anidride acetica. In quest'ultimo caso si pro- duce un derivato acetilico, che non può avere altra costituzione che la seguente Cs Hi . C3(C H3). H(COCH;) NCH;, il quale corrisponde per modo di formazione e caratteri ai chetoni provenienti dagli indoli e dai pirroli. Coll'idrossilammina veramente e colla fenilidrazina non reagisce, ma dà però il prodotto di condensazione coll'aldeide benzoica, una cinnamildiidrotrimetilchinolina : Cs H, . C3(CH3), H(CO . CH:CH .CH;)NCH;, ciò che ugualmente prova la sua natura chetonica (!). « Per ottenere questo corpo è necessario impiegare potassa molto con- centrata. Noi abbiamo bollito per circa un'ora 2 gr. del derivato acetilico con 2 gr. di aldeide benzoica e 25 c.c. di potassa della densità 1,27. L'olio giallo bruno, che galleggia sul liquido alcalino durante la ebollizione, si so- lidifica col raffreddamento e costituisce il prodotto cercato. Per purificarlo lo si fa cristallizzare prima dall'alcool e poi dall'acetone. Così s'ottengono bei- lissime tavole quadrangolari, d'un colore giallo ranciato, che si rammolliscono verso i 150° e fondono a 152-153. All’analisi si ebbero numeri conformi alla suindicata formola. gr. 0,2160 di sostanza dettero gr. 0,6572 di CO; e gr. 0,1406 di H,0. « In 100 parti: trovato calcolato per Ca, Ha, NO C 82,98 83,17 H 7,28 6,93 « La cinnamildiidrotrimetilchinolina è solubile nell’alcool e nell’acetone, solubilissima nell’etere acetico e nel benzolo, nell’etere si scioglie meno fa- cilmente ed è pochissimo solubile nell’etere petrolico. « Prima di passare alla discussione sui caratteri delle diidrochinoline, che, come si vedrà, presentano un notevole interesse dal punto di vista di alcune questioni, che oggi si agitano in chimica organica, diremo di un'espe- rienza, che abbiamo eseguito col jodidrato della ditdrotrimetilehinolina. « È noto che i jodidrati delle basi terziarie della forma ad es. R'NCH;.HI, (?) (*) Il dott. Adolfo Ferratini, che con tanto buon successo s'era occupato fin’ora di questi studi, ha dovuto in quest'anno, nell'interesse della sua carriera, abbandonare il mio laboratorio. Perciò ho ripreso, assieme al dott. Boeris, il lavoro lasciato interrotto dal Ferratini. G. CIAMICIAN. (2) Ved. Herzig e Meyer, Berichte, 27, 319. RenpIconTI. 1894, Vol. III, 2° Sem. 12 Mor perdono col riscaldamento joduro metilico e diventano secondarie. Se si ri- scalda il jodidrato suindicato oltre al suo punto di fusione, si elimina del pari joduro di metile, ma non si ottiene, come si avrebbe potuto credere, la diidrodimetilchinolina secondaria, ma bensì il {rimetilindolo ; CHE SION Cali COR, A NCH;, di Degen ('). « L'esperienza venne eseguita nel seguente modo: 50 gr. del jodidrato vennero distillati a bagno di lega in porzioni di 10 gr. per volta in un pal- loncino in una corrente di anidride carbonica. Da principio passa il joduro metilico e poi un olio giallo, denso, che all'aria arrossa; da questo si de- posita poi, in quantità non molto rilevante, una materia cristallina priva di colore, che si ritrova pure sulle pareti del collettore. Trattando tutto con acqua i cristalli si sciolgono, e distillando in corrente di vapore acqueo, passa il joduro metilico; l'olio è troppo poco volatile e rimane perciò indietro. Per separarlo dall'acqua si estrae con etere, si secca la soluzione con potassa deacquificata e si distilla. Passa fra 275° e 290°, ma la maggior parte (13 gr.) distilla fra 275° e 283°. Questa frazione ridistillata, dette il punto di ebollizione fra 278°-279°, che corrisponde a quello indicato dai citati autori. « L'analisi dette numeri concordanti colla formola del trimetilindolo : Cn HisN. gr. 0,1976 di sostanza dettero gr. 0,6010 di CO» e gr. 0,1488 di H,0. « In 100 parti: trovato calcolato C 82,95 83,02 H 8,97 8,18 « Per stabilire con maggior sicurezza l'identità del composto da noi otte- nuto, col trimetilindolo, abbiamo preparato anche il picrato, trattandolo con una soluzione benzolica satura a caldo di acido picrico. Del liquido intensamente colorato in rosso bruno, si separano aghi d'un rosso granata, che ricristal- lizzati ripetutamente dal benzolo, fondevano a 150°, conformemente al punto di fusione indicato dal Degen. « Una determinazione d'azoto ne confermò la formola: Ci His N.CsHe(N0,):3 0. gr. 0,2030 di materia svolsero c.c. 25,6 d'azoto, misurati a 23°,4 ed a 754 mm. (1) Liebig's, Annalen 236, 160. IA QiS « In 100 parti: trovato calcolato N 14,18 14,44 « Restava ancora a determinare la natura della sostanza cristallina, che si forma assieme al trimetilindolo. Essa rimane sciolta nel liquido acquoso, da cui quest'ultimo venne estratto con etere. Trattando la soluzione con po- tassa e distillando con vapore passa un'olio, che ha la proprietà della diidro- trimetilchinolina. Tutto quindi faceva supporre che i detti cristalli non fossero altro che il jodidrato inalterato di questa base e realmente le ulteriori ri- cerche confermarono in fine questa supposizione. Però c'è un fatto che da principio la rendeva inverosimile e faceva credere, che la base così riottenuta fosse diversa dalla ordinaria: mentre la base preparata direttamente dagli indoli arrossa all'aria colla massima facilità, quella riottenuta nel modo indi- cato, anche stando esposta a lungo all'aria non arrossa sensibilmente. Noi l'abbiamo trasformata nuovamente nel jodidrato, ma questo, cristallizzato dal- l'alcool, mostrò il punto di fusione 253° e la composizione dell'ordinario jodi- drato di diidrotrimetilchinolina. gr. 0,1878 di materia dettero sr. 0,3266 di CO, e gr. 0,0962 di H,0. « In 100 parti: trovato calcolato per C.: His N. HI C 47,43 47,84 H 5,69 9,91 « Anche il picrato aveva il punto di fusione 148° ed i caratteri di quello della base ordinaria. « In fine per eliminare ogni dubbio sull’identità dei due prodotti ahb- biamo pregato il prof. G. B. Negri di Genova a voler comparare la forma cristallina dei rispettivi jodidrati, che egli trovò essere anche cristallografi- camente identici. Sembra dunque che la diidrotrimetilchinolina possa perdere la proprietà di arrossare all'aria, oppure che l’arrossamento sia alle volte impedito dalla presenza di qualche sostanza, che a noi potrebbe essere sfuggita. « Ecco i risultati delle misure, che il prof. Negri gentilmente ci ha comunicato. Pel jodidrato della diidrotrimetilchinolina, riottenuto nella distil]- lazione egli trovò: sistema cristallino: trimetrico alabi:tei— 153558 RINA4015984 « Forme osservate : (210), (110), (101), (111), (121). « Combinazioni : (210), (111) (210), (110), (111) 210) (10) (LI EG20A(01): —— "—— == cr ce—=—=======#} e RI Pelioe angoli misurati calcolati n limiti medie 210:210 689,10" — 68°,21' 68°,16° 5 6 TOnTIO 78, 7 — 73,21 73, 16 si 4 2011 99, 98 — 56, ol 55, 44 95°,46" 3 LORI IE 88, 36 — 88, 44 88, 40 88, 38 3 ig WD. 97, 22 57, 24 Il II: 119 41, 28 41, 29 1 110:111 59, 22 58, 22 1 210:110 19,15 — 19, 43 19, 33 19, 27 6 110:110 72, 44 72, 49 1 12111 40, 56 41, 08 1 121:210 49, 45 50, 14 1 T2L: Ah 18, 31 18, 54 Il « I cristalli ottenuti da soluzioni alcooliche mostrano costantemente la prima combinazione di frequente con abito prismatico e con le faccie di (111) di estensione assai variabile anche nello stesso cristallo. Talvolta sono lami- nari secondo una faccia di (210). I cristalli avuti da soluzioni acquose, al- lungati secondo [001], e laminari per la predominanza di 2 faccie parallele di (210), presentano frequente il prisma (110) e rarissime volte le forme (121), (101) subordinate. L'ultima forma fu determinata dalla zona [111:111] e da misure approssimate con (111). In generale le faccie sono liscie, piane, di rado poliedriche e riflettono al goniometro immagini perfette. « I cristalli sono trasparenti brillanti. Sfaldatura quasi perfetta se- condo (100). « Il piano degli assi ottici e parallelo a (001); la bisettrice acuta ne- gativa parallela a [100], quindi la formula ottica è: a ec b; dispersione ener- gica o — Differenze pe nn Carbazolo Fenantrene osservato oe I (0) 1 5.38 —- | 100.00 = 236.10 E 9 DI ” 0.1390 97.11 2.89 234.57 232.06 | + 2.51 1) » 0.2990 95.00 5.00 232.57 229.10 | + 3.47 4 » 0.4705 92.36 7.64 231617 225.41 | + 6.76 5 » 0.8049 87.59 12.41 227.40 218.63 | + 8.77 6 » 2.5659 68.89 81.11 212.57 192.55 | + 20.02 7 ” 3.6272 60.90 89.10 206.55 181.36 | + 25.19 8 » 4.6472 55.00 45.00 200.10 173.10 | +27.00 9 2.665 3.1825 47.15 52.85 190.50 162.11 | + 28.89 0A: 818 6.020 40.33 59.67 176.30 152.56 | + 23.74 11 SII ” 37.25 62.75 172.00 143825 | + 23.75 12 2.843 » 33.48 66.52 166.80 142.87 | + 23.93 13 2.408 » 29.84 70.16 162 60 137.87 | + 24.73 14 | 2.090 » 27.01 72.99 158.10 183.91 — 24.19 15 1.770 » 20.27 79.78 145.30 124.47 | + 20.93 16.| 1.219 » 17575 82.25 140.60 120.95 | + 19.65 17 0.818 » 12.65 87.3! 126.60 113.81 + 12.79 18] 0.6037 » 9.65 90.35 119.10 109.61 | + 9.49 19) 0.3625 » 6.03 93.97 108.10 104.54 | — 3.56 20 0.1940 » 3.82 96 68 102.10 100.74 | + 136 21 0.1749 IUIIKS7 1.54 98.46 98.61 98.16. | = 0.45 294051839, 12.33 1.14 98.86 98.00 97.69 | + 0381 23 | 0.0429 11.87 0.38 99.62 96.66 96.63 | + 0.03 24 — 11.87 = 100.00 96.10 — _ III. Carbazolo e Antracene. Sostanza impiegata Molecole in 100 Punto sosta plege È di congelamento Differenze SA met Carbazolo Antracene osservato sO OO { | 0 Il 6.72 —_ 100.00 — 236.00 È 5 (il: 2 » 0.1831 97.51 2.49 234.80 ei = (068 | 3 » 0.3661 95.14 4.86 253.70 284.89 | — 1.19 il 4 » 0.5781 92 60 7.40 232.45 23430 | — 1.85 | 5 » 1.0037 87.72 12.28 230.30 233.18 | — 2.88 6| 3.95 1.2700 76.83 23.17 226.10 230.68. | — 4.58 i DA 7 » 1.7655 70.47 29.53 223.60 229.21 5.61 ita 8 » 2.3097 64.42 35.42 221.10 227.86 | — 6.76 sl 9 D) 2.9121 59.12 40.88 218.95 226.60 | — 6.65 I 10 ” 4.1121 50.60 49.40 218.80 224.64 | — 584 il) 11 »” 4.7025 47.24 52.76 218.20 223.87 | — 5.67 Id: 12 ” 5.3885 44.10 55.90 217.70 223.15 | — 5.45 i ‘A 13| 3.1670 53201 39.82 60.68 218.30 221.04 | — 2.74 gii | 14| 2.5420 ” 34.21 65.79 218.00 220.86 | — 2.86 dica! 15| 1.9600 » 28.62 71.988 216.70 219.58 | — 2.88 IE, T6 N 1F8720 ”» 21.91 78.09 216.20 218.03 | — 1.83 oi! 17.| 0.7458 ” 13.22 86.78 214.40 216.04 1.64 il’ 18] 0.8510 ” 6.70 93.30 213.90 214.54 | — 0.64 Ki 19| 0.1590 ” BRIO) 96.85 213.20 213.72 | — 0.52 | 20 a » CS 100.00 213.00 _ ca rr’ ———6—@@@ cui calette Si ME AE) SSA Ao SIE a TIT rr 2 — — Siem, a — 101 — IV. Solvente: Antracene, fonde a 213°. Difenilammina C,° Hi, N=169 Acetanilide COH}ON= 195 concentraz. riferite a 100|abbassamenti | depressione GATA concentra- |abbassamenti | depressione cala parti in peso | termometrici | molecolare zioni termometrici | molecolare di solvente o I o 1 1622:807 2.00 120.32 | 2.413 2.25 125.87 Î 2 5.491 3.75 116.33 >116.79| 4.851 4.20 116.91 >116.53 3 8.540 5.75 113.73 7.620 6.00 106.29 V. Solvente: Carbasolo, fonde a 2369,10. Difenilammina Ca Hi, N= 169 ! Acetanilide Cg H° ON=1835 } i | i concentra- abaassamenti | depressione : | concentra- |abbassamenti| depressione ci zioni termometrici | molecolare meida | zioni Emoto molecolare media O ki | È (6) 2.5010 1.90 128.00 | 2.602 2.45 127.10 Î | 2 | 5.1210 3.76 124.10. >124.20 | 5.278 4.80 122.70 . }123.00 3 | 7.5522 5.98 120.30 | 8.492 7.50 119.20 « Questi risultati mostrano, che effettivamente le soluzioni di fenantrene in antracene e in carbazolo, e di antracene in carbazolo, si comportano nel congelare come vere mescolanze isomorfe, le quali però, come si prevedeva, non congelano uniformemente. Il carbazolo e l’antracene pel loro punto di fusione notevolmente più alto di quello del fenantrene tendono a solidificarsi prima di esso. Perciò, se si rappresenta graficamente il fenomeno (1), le tem- perature di congelamento delle singole miscele invece di trovarsi sulla linea retta, che unisce i punti di fusione delle due sostanze costituenti la mesco- lanza, cadono quasi tutte al disopra di essa e la linea, che li congiunge, risulta essere una curva, che volge la sua concavità verso la retta medesima. Anche il termometro indica, che la soluzione congela in modo irregolare dacchè, quando si è ottenuto un lieve sovraraffreddamento della soluzione, esso sale di poco, resta un istante stazionario e poi continua a discendere finchè quasi tutta la massa è solidificata. Per tale motivo le letture delle temperature di congelamento, specialmente a concentrazioni forti, non sono facili a farsi, nè si hanno sempre valori costanti: io ho sempre notato le tem- perature più alte osservate, cioè quelle segnate dal termometro quando, il (1) Prendendo come ascisse il numero di molecole di una delle sostanze contenute in 100 molecole di miscela e come ordinate le temperature di congelamento. RenpIcoNTI. 1894, Vol. ITI, 2° Sem. 14 ['s== — 102 — che non è sempre agevole, riescivo ad ottenere un piccolo sovraraffreddamento della miscela fusa. « Le mescolanze di carbazolo ed antracene, costituite di corpi, che fon- dono a temperature non molto diverse, danno origine nel congelare a sepa- razioni di miscele solide nelle quali prevale sempre l’antracene, benchè fonda più basso, probabilmente in causa di una maggiore attitudine a cristalliz- zare. Perciò le temperature di congelamento osservate sono sempre minori di quelle calcolate secondo le regole di mescolanza e si trovano su una curva la quale è al disotto della retta, che unisce le temperature di fusione dei due corpi. Considerando frattanto la miscela di queste due sostanze, vediamo, che già alla concentrazione del 8 per cento circa, il carbazolo innalza il punto di fusione dell’antracene, abbenchè nella prima separazione solida questo prevalga e conseguentemente sia assai poco concentrata la soluzione solida, che si separa. « Prendendo le depressioni termometriche causate dal fenantrene sciolto in antracene, osservate nelle prime quattro miscele, si ottiene per questo sol- vente una depressione molecolare, che ha rispettivamente i seguenti valori: JI II III IV Concentr." riferite a 100 p. di antracene 1.9374 2.4614 5.242 7.793 Depressioni molecolari... . .. du... . 110.36 119831 ARGS 72 Ie96 Valoresmedio:. e: io a 114.99 « Gli abbassamenti termometrici osservati con l’acetanilide e la dife- nilammina a concentrazioni corrispondenti a quelle ora notate, conducono ri- spettivamente ad un valore medio uguale a 116,53 e 116,79 (!). La differenza tra questi numeri e quelli trovati col fenantrene è, come si vede, assai pic- cola e cade quasi entro il limite di quelle, che solitamente si osservano im- piegando diverse sostanze per determinare la costante di un solvente. Perciò se si esaminassero soltanto gli abbassamenti termometrici causati dal fenan- trene sciolto in antracene alle concentrazioni sopra notate si potrebbe cre- derlo sostanza a comportamento crioscopico normale. « Il solo fatto, che potrebbe fino ad un certo punto indicare l'esistenza di un'anomalia sarebbe l'aumento abbastanza rilevante nella depressione ter- mometrica, che si verifica passando dalla prima concentrazione alla seconda (1) Dalle determinazioni delle temperature di congelamento di mescolanze di naftalina con antracene, eseguite da Miolati (Zeitschrift fir phys. Chemie 9, pag. 649), si deduce per l’antracene una depressione molecolare uguale appena alla metà di quella da me tro- vata con la difenilammina e l’acetanilide. Ho creduto però di non tener conto delle de- terminazioni di Miolati, le quali non possono essere molto esatte, come già fa osservare l’autore, perchè l’antracene fonde ad una temperatura assai prossima a quella a cui bolle la naftalina. — 103 — e la conseguente diminuzione nel valore del peso molecolare, che pel fenan- trene si troverebbe calcolandolo con la costante teorica. È presumibile, che a concentrazioni assai basse, alle quali non mi fu possibile di operare, l'ano- malia del fenantrene sciolto in antracene sia molto più sensibile, mentre il comportamento suo diventa sempre più prossimo al normale con l'aumentare della concentrazione e già quasi lo è alla concentrazione del 2,43 per cento. « Ricorderò qui d'aver quasi sempre verificato, nei casi di comporta- mento crioscopico anormale dei quali mi sono occupato, che quando la so- stanza sciolta aveva punto di fusione più basso del solvente e specialmente se era liquida, si ottenevano per essa dei pesi molecolari decrescenti assai rapi- damente con le prime concentrazioni. « Ciò rende assai probabile, che in tutti questi casi le soluzioni sfug- gendo alla legge generale del congelamento, tendano ad uniformarsi alla legge, che vale per le mescolanze isomorfe. Con la teoria delle soluzioni solide di van't Hoff per spiegare la osservata diminuzione del peso molecolare, biso- gnerebbe ammettere, che nelle successive concentrazioni si separasse allo stato solido una proporzione minore di sostanza disciolta con il solvente. Invece se tali soluzioni ubbidiscono alla legge, che regola il congelamento delle mescolanze isomorfe, l'aumento delle depressioni ci indica indubbia- mente, che cresce la concentrazione della soluzione solida separantesi, quando però in questa la sostanza sciolta ha un punto di fusione più basso del sol- vente. È evidente infatti, nel caso del fenantrene sciolto in antracene, che tanto maggiore è la quantità del primo che congela col secondo, tanto più grande diventa l'abbassamento termometrico che si osserva: e se le mesco- lanze di fenantrene e antracene congelassero in modo uniforme, se cioè la parte solidificata avesse la stessa composizione di quella, che rimane liquida, allora l'abbassamento termometrico, che si osserverebbe (dovendo essere di gradi 1,17 per una soluzione contenente in 100 parti in peso, una di fenan- trene) sarebbe assai maggiore di quella richiesta dalla legge di Raoult. « Infine calcolando la costante di depressione del carbazolo, considerando il fenantrene come corpo sciolto in esso, si deducono dagli abbassamenti ter- mometrici osservati per le prime tre mescolanze di questi due composti, i valori: I II III Concentrazioni in 100 parti di solvente . . . 2.607 5.60 8.80 Wepressioni@molecolareR e... . 104.48 112.14 99.68 ValoreSmediotti. - . degna. LOZ:1O « In questo caso i numeri trovati si scostano di più dalla costante nor- male e i pesi molecolari, che si calcolerebbero pel fenantrene sciolto in car- bazolo sarebbero abbastanza discosti dai teorici. Ciò è perchè il punto di — 104 — fusione ancor più elevato del carbazolo promuove, specialmente a deboli con- centrazioni, in gran preponderanza il congelamento di quest’ultimo, mentre invece di fenantrene ne cristallizza assai poco. Se esso si separasse in pro- porzione più notevole, la depressione raggiungerebbe il valore teorico e po- trebbe sorpassarlo. « Le esperienze ora comunicate e le considerazioni, che se ne deducono sembrano provare che la teoria di van't Hoff sulle soluzioni solide non dà sempre ragione del perchè si debba ottenere una depressione molecolare mi- nore della teorica in tutti quei casi in cui nel congelamento di una soluzione non vi ha separazione di puro solvente. La contraddizione coi risultati spe- rimentali si manifesta all'evidenza quando si vuole con essa spiegare il com- portamento crioscopico delle mescolanze isomorfe, che pure sono, nel più stretto senso della parola, i migliori esempi di soluzioni solide. E la dimo- strazione ideata dal van't Hoff non dà altresì una spiegazione soddisfacente di altre anomalie osservate in questi casi, quali per esempio quella del de- crescere o dell'andamento irregolare dei pesi molecolari col variare delle con- centrazioni, che si verifica sempre, quando la sostanza sciolta fonde più basso del solvente ed anche meglio quando è liquida (p. es. indene in naftalina). « Io ritengo invece, che ogni qualvolta nel congelamento di una soluzione cristallizza col solvente parte della sostanza sciolta, la soluzione medesima tende ad uniformarsi alle leggi che regolano le mescolanze isomorfe. Questa tendenza è la causa che produce l'eccezione alla legge generale del conge- lamento, la quale si manifesterà più o meno spiccatamente nei diversi casi, e sulla quale influirà principalmente il punto di fusione delle sostanze sciolte ». Chimica. — .S/ carbonato acido di tallio ('). Nota di G. GroR- GIS, presentata dal Socio PATERNÒ. « Lamy e Des Cloizeaux in una loro Memoria (*) riflettente lo studio chimico, ottico e cristallografico dei sali di tallio, che essi preparano abban- donando all'azione dell'acido carbonico dell'aria una soluzione di ossido tal- loso, soggiungono: « Nous ajouterons au point de vue chimique, qu'en faisant passer long- « temps è froid comme à chaud, un courant d’anidride carbonique dans une « dissolution saturée de carbonate de thallium, et laissant ensuite évaporer « spontanément les dissolutions il ne nous à pas été possible de produire de « sesquioxide ou de bicarbonate ». (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio dell’Istituto Chimico della R. Università di Roma. (®) Lamy et Des Cloizeaux, Ztudes chimiques, optiques et cristallographiques sur les sels de thallium. Ann. de Chim. et de Phys. XVII [4], pag. 310. — 105 — « Questa asserzione è confermata dal Werther (!) il quale, non negando che il carbonato acido possa fomarsi in soluzione, dice di mai averlo potuto separare; inquantochè una soluzione di ossido talloso, soprasatura di anidride carbonica col lento evaporamento o colla precipitazione con alcole dà sempre cristalli aciculari o tabulari di carbonato neutro. « Carstanjen (?) invece asserisce che l'ossido talloso è precipitato da una soluzione soprasatura di acido carbonico mediante l’alcole in aghi cristallini facilmente solubili nell'acqua, la cui composizione sarebbe TI? C? 05 (TI? 0. 200°). « S. M. Iòrgensen (3) finalmente ammette l’esistenza del carbonato acido di tallio e gli attribuisce la composizione della formola seguente: DECO C EHE X(2T12 0 3C0#2H" 0): « Parve a me che Lamy e Des Cloizeaux nel loro tentativo di prepa- razione del carbonato acido di tallio non si erano messi in condizioni favo- revoli alla sua formazione, anzitutto perchè avendo presa una soluzione sa- tura di ossido talloso, troppo facilmente poteva separarsi per azione dell’ani- dride carbonica, del carbonato neutro che ha una solubilità relativamente pic- cola alla temperatura ordinaria [4,15 °/, a 15° (Crookes) — 5,25 °/ a 18° (Lamy)]. « E vero che gli autori hanno operato anche a caldo, ed allora la solubi- lità del carbonato neutro aumenta considerevolmente [12,85 °/, a 62° (Lamy) — 22,4%/o a 100° (Lamy)]; ma bisogna in tal caso tener conto dell'azione del calore, che è tutt'altro che favorevole alla formazione del carbonato acido. « D'altra parte poi anche il Carstanjen ed il Iòrgensen, pur ammetten- done l'esistenza, sono però discordi sulla composizione non solo, ma mentre il primo lo dice anidro, il secondo no. Volli pertanto tentarne anch'io la pre- parazione; fin da principio però lasciai da parte il metodo proposto dal Carstanjen nella tema che l’azione disidratante dell’alcole potesse manifestarsi in qualche modo sul composto formatosi. « Mi servii invece del metodo accennato dal Lamy e Des Cloizeaux, mo- dificandolo però a seconda delle osservazioni surriferite, ossia impiegando delle soluzioni relativamente poco sature. « Io partii da 20 grammi di un miscuglio di ossido talloso ed ossido tallico che misi in digestione nell'acqua scaldando all’ebullizione. Filtravo, e la parte indisciolta raccolta sul filtro ed essiccata la portavo al rosso in un (1) G. Werther, Z'hallium sulat, thallium carbonat; ecc. ecc. Journ. f. Prakt. Chem. XCII, 132. (2) Carstanjen, Thallium carbonat und thallium bicarbonat ecc. Journ. f. Prakt. Chem. CII. 65. (8) Gmelin-Krant, Yandbuch der Anorganischen Chemie. Band. INI. 173. — 106 — crogiuolo di ferro, ciò allo scopo di favorire la formazione di ossido talloso; inquantochè si sa che il perossido di tallio al rosso dà ossido talloso. « Polverizzavo il tutto finamente e trattavo di nuovo con acqua all’ebul- lizione, rifiltravo unendo il filtrato al primo ottenuto. « Ripetevo questo trattamento diverse volte e la soluzione così avuta eva- poravo alcun poco a bagno maria, e poi la sottoponevo all’azione dell’anidride carbonica in una capsula d’argento. « Mi parve poi essenziale il mantenere la soluzione continuamente sa- tura di anidride carbonica non solo, ma anche in un'atmosfera dello stesso gaz, parendomi tali condizioni molto favorevoli alla formazione del carbo- nato acido. « À tale scopo ponevo la capsula contenente la soluzione sotto una cam- pana di vetro ad acido solforico e vi facevo gorgogliare una corrente d’ani- dride carbonica, che, sia all'entrata che all'uscita della campana, era obbli- gata ad attraversare dell'acido solforico bollito; per cui la campana non po- teva avere comunicazione coll’aria esterna. « Continuai così a far passare lentamente la corrente di anidride car- bonica, finchè mi avvidi che la concentrazione della soluzione era tale che ac- nava a cristallizzare. « Ritrassi allora il tubo da cui arrivava l'anidride carbonica finchè non pescava più nel liquido, per non disturbare la cristallizzazione, non interrom- pendo però la corrente. « Ottenni in questo modo dei cristalli aghiformi che raccolsi su un filtro e potei analizzare. « La preparazione era cominciata verso il principio di gennaio e non era finita che verso la metà di marzo. « Nel prodotto raccolto determinai anzitutto il tallio a solfato, trattan- done una certa quantità con acido solforico diluito, tirando a secco ed eli- minando l’acido solforico, prima direttamente e poi coll’aiuto del carbonato ammonico. « Determinai poi l'acido carbonico per perdita di peso coll’apparecchio descritto da Fresenius (') avendo cura per eccesso di precauzione di unire al tubo da cui si sviluppava la CO? un tubo a cloruro di calcio preventiva- mente pesato e che ripesavo dopo, onde eliminare il dubbio delle possibili perdite di peso, per non essere l'anidride carbonica ben secca. « Ecco i risultati ottenuti: gr. 0,6789 di sostanza diedero gr. 0,6420 di solfato di tallio ossia gr. 0,5401 die Tl:0£ gr. 0,6690 di sostanza trattati con acido solforico perdettero di peso per CO° eliminata gr. 0,1116. (1) R. Fresenius, Zrasté d'analyse chimique quantitative, pag. 361. Paris 1867. — 107 — « Per cui si ha: trovato calcolato per TI HCO* A MEZIONE E 79,50 79,96 CO? » 16,69 16,63 H?O per differenza 3,81 3,41 100,00 100,00 « Non avendo potuto per mancanza di prodotto determinare l’acqua, che avevo però constatata qualitativamente, mi accinsi ad un'altra preparazione, tanto più che essendo il percentuale di essa molto piccolo, era necessario operare su una quantità di sostanza piuttosto rilevante. « Ripetei la preparazione nel modo sovraindicato. Questa volta, quando incominciò la cristallizzazione, si formarono sul fondo della capsula in seno al liquido due grossi cristalli; ma sfortunatamente qualche giorno dopo la campana fu invasa dal sole per qualche ora; per cui essendo aumentata l’eva- porazione venne affrettata la cristallizzazione; cosicchè dovetti raccogliere il prodotto dopo poche ore. « Di questo i due cristalli grossi sopraccennati stavano sempre in seno al poco liquido rimasto, separati dall'altra parte del prodotto che erasi invece deposto alla periferia e di cui una parte anche era fuori del liqudo; onde cre- detti bene di raccoglierli separatamente. « Su di essi feci una determinazione di anidride carbonica col seguente risultato: gr. 0,8395 di sostanza trattati con acido solforico perdettero di peso per CO? eliminata gr. 0,1393. « Ossia: trovato calcolato per TI HCO* COCA 16,59 16,63 « Mi trovavo dunque in presenza dello stesso prodotto analizzato prece- dentemente; ma quando volli determinare il tallio nell'altra porzione raccolta separatamente, e che come dissi sopra si era deposta verso i bordi del liquido, ecco i risultati che ebbi: gr. 1,0898 di sostanza diedero gr. 1,0758 di solfato di tallio ossia gr. 0,90476 ARI YEO, « Per cui: trovato calcolato per TI HCO? BIO 83,02 79,96 « Si trattava adunque di un miscuglio, oppure il composto aveva per- duto anidride carbonica e forse acqua (aumentando così il percentuale in tallio) 2J USES per azione forse del calor solare; ciò che non era avvenuto pei grossi cri- stalli separatisi prima e che erano rimasti in seno al liquido « A queste conclusioni mi condusse l'osservazione della composizione cen- tesimale del carbonato neutro, dell'acido rispondente alla formola TL HCOS(M0 200%. H*70) e di quello di Iòrgensen ('!), nonchè degli altri che possibilmente si possono formare. « Per confermare meglio la cosa, tentai di determinare l'anidride carbo- nica nella sostanza che mi rimaneva, ma per cause accidentali la determi- nazione non potè essere finita. « Per la terza volta ripetei la preparazione sempre colle stesse precau- zioni; la temperatura si era però notevolmente alzata; inquantochè si era arri- vati al mese di maggio ed ottenni perciò il prodotto cristallizzato molto più presto, cioè in una quindicina di giorni, mentre la prima volta vi avevo im- piegati due mesi. « Le analisi fatte su due porzioni (raccolte separatamente coi soliti cri- teri) difatti mi resero manifesto che mi trovavo in presenza di miscugli, per cui credo inutile qui riportarle; giova però notare che il percentuale dell’ani- dride carbonica sì mantenne sempre di molto superiore a quello del carbo- nato neutro. i « Io sono pertanto convinto che influisca assai sulla formazione del car- bonato o dei carbonati acidi, se sono in più, la lenta concentrazione della soluzione, ciò che si ottiene molto meglio nella stagione invernale. « Concludendo mi pare provato : « 1.° Che il tallio può dare almeno un carbonato acido ; inquantochè il (1) DICO :01:C02) TI: 0 90,58 CO? 9,42 100,00 TI'HICOR:(Z0). 200210) 00) 79,96 Co? 16,63 H?°0 3,41 100,00 T1* C* 08 + H? 0 (2T1*. 0. 3CO?. H? O) Iòrgensen TI: 0 84,91 Co? 13,25 H?° 0 1,84 100,00 — 109 — percentuale della CO? è stato sempre di gran lunga superiore a quello del carbonato neutro che è uguale a 9,42. « 2.° Il carbonato acido da me ottenuto nella prima preparazione, e che si riprodusse in parte nella seconda; è quello della formula RIEHCO (TO). 2002884720) che corrisponde a quello di Carstanjen quando ad esso si aggiunga una mo- lecola d'acqua ». OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 4 luglio al 5 agosto 1894. Ador E. — Jean-Charles Galissard de Marignac. Notice biographique. Genève. 1894. 8°. Agies Léonce. — Miscellanées mathématiques. Barcelona, 1894. 8°. Arrigoni degli Oddi E. — Materiali per la Fauna padovana degli animali vertebrati. I. II. Milano, 1894. 8°. Id. — Note ornitologiche. Siena, 1894. 4°. Id. — Il Turdus fuscatus Pallas, nel Bergamasco. Siena, 1893. 8°. Id. — Un ibrido naturale di Anas Boscas (Linnaeus), e Penelope Ma- reca (Linnaeus) preso nel Veneto. Padova, 1893. 8°. Birkeland K. — Ueber die Strahlung electromagnetischer Energie im Raume. Leipzig, 1894. 8°. Branzoli G. — Dell’udito. — Schediasmi musicali. Roma, 1894. 8°. Bugge Sophus. — Norges Indskrifter med de aeldre Runer. I, II. Christiania, 1894. 4°. Carazzi D. — Sulle condizioni dell’Ostricultura nel Mare piccolo di Taranto. Milano, 1894. 8°. Catalogo di carte e libri pubblicato dal R. Istituto geografico militare. Luglio, 1894. 4°. Cerboni G. — Dizionario pratico ad uso dei commercianti industriali ete. Fasci- coli 51-56. Lett. M. Milano, 8°. Clerici E. — Sulle spugne fossili del suolo di Roma (Potamospongie). Roma, 1894. 8°. D'Ovidio E. — Per Giuseppe Battaglini, parole commemorative. Torino, 1894. 8°. . Jd. — Sulle funzioni Thetafuchsiane. Torino, 1894. 8°. Fermat. — Oeuvres publiées par les soins de M. M. Paul Tannery et Charles Henry etc. Tome deuxième. Paris, 1894. 4°. Giazzi F. — Intorno alla natura e all'uso dei tubi di comunicazione colla pompa-tromba a mercurio Alvergniat, tipo Sprengel, e proposta di mo- dificazioni. Perugia, 1894. 8°. — 110 — Hertz H. — Die Prinzipien der Mechanik in neuem Zusammenhange dar- gestellt. Leipzig, 1894. 8°. Keeler J. E. — On the Spectra of the Orion Nebula and the Orion Stars. Reprint from Astronomy and Astro-Physics. S. a. e l. 8°. Kyerulf Th. — Beskrivelse of en Raekke norske Bergarter. Christiania, 1892. 4°. Laboratorio chimico-comunale (di Firenze). — Relazione del 1° esercizio (16 agosto 1892, 31 decembre 1893). Firenze, 1894. 8°. Le Jolis A. — Remarques sur la nomenclature hépaticologique. Paris, 1894. 8°. Lémoine E. — Application au tétraèdre de la transformation continue. Paris, 1893. 8° Id. — Compléments de géométrographie. Paris, 1893. 8°. Id. — Notes de géométrie. Paris, 1893. 8°. Id. — Nuevo medio de obtener formulas en la Geometria del triangulo. Sa. (0 1-80. Meli R. — Sopra la natura geologica dei terreni rinvenuti nella fondazione del sifone che passa sotto il nuovo canale diversivo per depositare le torbide dell'Amaseno sulla bassa campagna a destra del canale portatore nelle Paludi Pontine. Roma, 1894. 8°. Id. — Sopra una zanna elefantina a doppia curvatura rinvenuta nelle ghiaie d'alluvione dell'Aniene alla Batteria Nomentana presso Roma. Roma, 1894. 8°. Mestorf J. — Vierzigster Bericht des Schleswig-Holsteinischen Museums va- terlindischer Alterthùmer bei der Universitit Kiel. Kiel, 1894. 8°. Moleschott Jacopo. — (in memoria di . . . ). Roma, 1894. 8°. Mouret M. G.— Démonstration du principe de l'équivalence. Niort, 1894. 8°. Nyrén M. — Publication de l’Observatoire central Nicolas. Vol. I. Observa- tions faites au cercle vertical. S. Pétersbourg, 1893. 4°. Orlandi S.— Note anatomiche sul Macroscincus Coctei(Barb. du Boc.) Genova, 1894. 8°. Pitzorno M. — Sulle fratture della base del cranio. Sassari. 1894. 8°. 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MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 19 agosto 1894. DIOANI__«X«___--<-<- Matematica. — Sulle assintotiche delle rigate contenute in una congruenza lineare. Nota del prof. GruLIO PITTARELLI, presen- tata dal Socio CREMONA. « Nelle mie due Note, Sulle linee assintotiche di una classe di super- ficie gobbe di genere sero — Sulle linee assintotiche delle superficie gobbe razionali di Cayley, pubblicate nelle sedute del 10 e del 17 maggio 1891 di cotesta illustre Accademia, trattai di alcune proprietà delle rigate con- tenute in una congruenza lineare (a direttrici distinte o coincidenti) ma ra- zionali. Per altro quelle proprietà che non traggono la loro ragion d'essere nè dall’algebricità nè dalle razionalità della superficie sussistono per super- ficie qualunque, algebriche o trascendenti, purchè contenute nella congruenza. « Ciò mi propongo far vedere in questa e nella Nota seguente. « In un'altra Nota poi, completando il soggetto di quelle del 1891, parlerò delle rigate algebriche, ma di genere qualunque. Rigate qualunque. Congruenza a direttrici distinte. Se con %;,d; indichiamo delle funzioni qualunque di v finite e continue insieme alle loro derivate prime seconde e terze, le eq. di una rigata in coor- dinate curvilinee %,v sono, com'è notissimo: 1) ax=@u+d,%.= 04204 dba, 3 =a4u+b3,0x4= 04uH- di ReENDICONTI. 1894, Vol. III, 2° Sem. 15 — 12 — « Tracciando su d'un piano arbitrario due assi coordinati v,v, le rette v= cost. rappresentano le generatrici, e le rette = cost. rappresentano una curva gobba della famiglia delle curve di riferimento sulla superficie Dido RT, = dla Ri INA corrispondenti ai valori u= co ed u=0. « Le coordinate-raggi <;; della generatrice 4"x" sono i determinanti della matrice di Udo d3 da i VISITA e se essa appartiene ad un complesso qualunque del fascio 2) 812 ed k234 (= 0 cioè alla congruenza lineare che ha per direttrici le rette z,°=0 cu=0, dovrà aversi identicamente qualunque sia v e / 8° = 01 bo — ab =0, 234 = 03 dba — 104 b93==0E « L'annullarsi di questi due determinanti, risultanti delle due coppie di forme x, 2, #3 44, lineari in %, date dalle 1), prova che possiamo porre a=pa,b=y db, a=qp0, be = gd dg3 = P3C, bg= 934, 04 3= P4C) bi= gd dove a,b, c,d e gi sono funzioni di ». « Segue da ciò che alle 1) dobbiamo dar la forma: 3) 21== gi(aut db), c0= go(0u+ 0), c3= gs(cutd), 21 = gu(cut-d). « È da notare che il determinante 44 — de non può esser identicamente zero; perchè altrimenti le due forme ax +4 d,cx+d differirebbero per un fattore 4 (costante o funzione di v) e le 2) diverrebbero, includendo l’unico binomio au + è nel fattore di proporzionalità delle coordinate, dida ds Pri Pa kPa AP e queste eq.i rappresentano una curva, non una superficie. « Dalle 2) possiamo trarre, eliminando i binomî in %, 4) PL PP 0, Pad — P04=0, che rappresentano piani passanti per una generatrice v = cost. e per le di- rettrici 2x1, x°= 0,73, 44="0 della congruenza. L'eliminazione di v tra le 3) conduce all’eq.* della superficie U (21, 02,03, 04) = 0; possiamo anzi dire che le forma dell'eq.° dev'essere la vis2)=0. \Lr 4 del tipo conoidale. — 113 — « La natura della superficie dipende soltanto dalle funzioni ; 0, meglio, da' rapporti dr È 94 che, in sostanza, sono le coordinate binarie dei piani Pr P3 mobili con v nei due fasci 4). Perciò non può essere nè contemporaneamente, nè separatamente: d L)- CA L)_ nc nu n ©: identieamente. Infatti, se avesse luogo per es. la prima identità, il rapporto 2) sarebbe indipendente da v; onde il primo dei piani 3) sarebbe fisso, e 1 la rigata si ridurrebbe al fascio di rette segnate su quel piano fisso dal secondo piano (mobile) 4). E nè anche può essere GP Pa P2 930: altrimenti la superficie diverrebbe l’iperboloide Cda dt =0, che vogliamo escludere dai nostri ragionamenti. (I fasci 4) sarebbero projettivi). « Ritenendo definite le coordinale £, di un piano È dall’eq.° Sd de Se {St er 0, l’eq.° del punto 3) della superficie è (1514 pa é2) (AU+- 0) +- (93 E + 94 È) (cu+d) = 0. « Essa è l'eq.° di un punto sulla retta che unisce i due corrispondenti adi 0 — 00 (a È, + 92 E)a + (93 E + put.) =) (g1f1+ 92 i) +- (938 + pi) d=0 o anche, poichè 44 — de = 0, sulla retta che unisce i punti 5) pri + poi = 0, gag + pag =0, il primo dei quali è situato sulla retta 43,4 ==0, il secondo sulla retta X,, 0, =0 direttrici della congruenza. « Le 5) hanno la stessa forma (duale) delle 4). Si trae da ciò che l'eq.° della sup. in coordinate di piani si ottiene dalle U—0,V=0 po- nendo in queste, al posto di x, , #2, #3, 44 rispettivamente £, — £1, &j, — &3; e si ha dunque U (#,— &,8,- #4) =0, ovvero v(-È i — i) ni Si È, « L'eq.° del piano tangente nel punto #, dinotando con y; le coordinate correnti e con accenti le derivate rispetto a v, è: (CUFA)(PLP PP APP) AUD (PP PP 2(PyPY A. « Ponendo per brevità 6) au+b=f,cutd=g Gogi— giga =F, pap: — 9g = G — 114 — scriveremo la precedente eq.* così : 7) IG (92% — PV) —fF(Yy—PY)=0. « Scriviamo adesso l’eq*. del piano polare dello stesso punto x rispetto al complesso 2) 8) f(9oy—PY) — kg (Jiy—9I3Y) = 0. Identificando questa all'eq.* precedente, il punto di contatto 4 sarà un punto di quell’assintotica che corrisponde al dato valor di % (costante d'integrazione); e ciò per il ben noto teorema di Lie ch'io richiamai nella prima delle mie Note ricordate. « Per questa identificazione si avrà: 9) i Ei kG9g*='07, ch'è l’eq.° in coordinate curvilinee « , v dell’assintotica Ax, corrispondente a %. « Le espressioni parametriche in funzione di v delle coordinate dei punti della curva Ax si ottengono eliminando tra le 3) e la 9) il parametro «, e, cioè, il rapporto /:g. Si trova così: gbis) diitolaie = YVAG: po VG: p3 VP : ga VE dove ad uno dei due radicali si deve dare il doppio segno =. Ma anche le 9bis) si possono far dipendere da’ soli rapporti Si Y3 — = VE= sn Vv = V, n (0) = xi (0) dovendo essere u — vr — im = 0, come fu osservato. 2YLY4 « Infatti dalle espressioni 6) di F e G si trae du DI, dv o 10) F= gs o = geu, G=g? 20 ai PA donde poi, sostituendo in 9°is), si ha subito: 11) Liity: dit = MY Va vu Va. « Se u è una funzione algebrica di », cioè se tra w e v esiste una re- lazione della forma moon D (ui ; 1) —=0 di grado 7 in « e di grado x in », allora, poichè le derivazioni non intro- ducono trascendenti. le curve 11) saranno algebriche. Questo caso sarà trat- tato nella Nota in cui parlerò delle rigate algebriche. « Il fatto che la 9) sia di 2° grado in « e che, perciò, l’assintotica Ax incontri in due punti una generatrice qualunque v delle superficie, trova la spiegazione geometrica in ciò che, come osservò Klein, ad un piano È per la generatrice v della superficie corrispondono projettivamente due punti, l'uno #4 di contatto con le superficie, l’altro #, come polo del piano stesso — 115 — rispetto al complesso 2). I punti 4 ed i punti 4, formano due punteggiate projettive su v, i cui punti uniti, appartengono all'assintotica, pel teorema di Lie. E dualmente. « La forma delle 9) e 9°is) mostra che le funzioni Fe G si annullano per quei valori di v i quali danno generatrici toccate dalle A,, ed i punti di contatto sono sull'una o sull'altra delle direttrici rettilinee. Si trae pure, dal doppio segno di uno dei due {/, che sopra una generatrice qualunque » i due punti comuni ad essa ed all'assintotica Ax ed i due ne’ quali essa in- contra le direttrici rettilinee formano un gruppo armonico; e variando % la prima coppia forma un involuzione i cui elementi doppî sono quelli della seconda coppia: l’eq.* dell’involuzione è (pf + got) FG (935 + gp) F=0, ed ai valori # =0 0 X= 00 corrispondono l’uno o l’altro dei due punti pa E + pig = 0, ga #1 + ga #= 0 delle direttrici rettilinee. La 9) mostra allora che, poichè v è data, le assintotiche corrispondenti sono fornite dalle eq.i /°?—0,g° —=0 che danno precisamente le due direttrici rettilinee, ciascuna contata due volte. Le generatrici, per contrario, toccate da una A, nei punti situati sulle predette direttrici sono le generatrici sr90/477 delle superficie, per le quali appunto F e G si annullano. Ed infatti per queste generatrici singolari varrano le eq.i 4) insieme alle loro derivate rispetto a v Y'» dA gi GS 0 fi dg g'3 ta= 0, « Le quattro egi. devono coesistere, onde PIPA): Ap 0 DEI Era L.FG. 0 0 S3 Pa 0 0) q' 3 Ya « Data sempre la generatrice v, consideriamo sovra di essa i due punti comuni coll’assintotica Ax, i cui parametri vy , x saranno le radici dell’eq°- 9) quadratica in «, ed una coppia di punti di parametri vu, coniugati armo- nici con quelli della prima. I parametri x ed w, saranno legati tra loro dall’eq.* prima polare di 9), cioè dalla 12) FAf_-kGgg=0 dove f= au+ db, fi=au + ece. « La 12) permette di scrivere l’eq.* 7) del piano tangente nel punto di parametri v,v co' parametri vv; basta per questo eliminare tra le due il rapporto F/: Gg: e si ha 13) fi (92 — Pr Ya) — lega (Pay — Py) = 0. « Or questa è la 8) scritta co’ parametri «,,v: essa dunque rappre- senta il piano polare del punto %,, rispetto al complesso 2). Con l’aiuto di questa eq. noi possiamo scrivere le espressioni delle coordinate del piano — 116 — tangente nel punto «,v sotto forma molto più semplice di quella che si avrebbe dalla 7): esse sono E = @2fa, f:=— Pif sé =_kPaY i VINI e, come si vede, hanno la stessa struttura delle coordinate x; del punto di contatto «; salvo che nelle espressioni / e 9 figura non già il parametro x ma quello x, coniugato armonico di esso rispetto ad x (il parametro v è lo stesso, perchè la generatrice non muta in questo discorso). Segue che se noi scriviamo (col parametro %) 14) M= Pa, No:= — Pf, U= PI, V=k 39 saranno queste le coordinate del piano polare del punto «,v rispetto al com- plesso, ma anche del piano tangente alla superficie nel punto coniugato ar- monico di uv rispetto ai due %,0;%,v. Dalle 14) e dalle 3) noi trag- ghiamo Il bis ra n) pesggien® — dont n Rae e fa 14 18) Ii=TNa dar, d3= TEO)? Na , Ca E 773 che stabiliscono la giù generale reciprocità rispetto al complesso che muta la rigata e l’'assintotica Ax in se stessa (). « Possiam dunque concludere: «Nel piano (uv) la 12) definisce una trasformazione in- volutoria di 2° ordine, le cui coppie di punti sono sulle rette del fascio v= cost.: la curva unita dell’involuzione è la curva 9), immagine dell’assintotica arbitraria Ax. Ad un punto «,v del piano corrisponderà sulla superficie un punto u,v ed un piano «,v polare del complesso 2) che la toccherà nel punto 4,,v coniugato armonico di x, v rispetto ai punti nei quali la generatrice v è tagliata dall’assintotica Ax. « Per ogni assintotica si ha una trasformazione involu- toria nel piano ed una trasformazione reciproca della su- perficie in se stessa, per la quale l’'assintotica non muta. Vi sono co! di tali trasformazioni. « Reggono dunque le conclusioni di questa mia Nota; soltanto quì non si può parlare di rappresentazione nel senso stretto (di Clebsch) cioè di rap- presentazione biunivoca; e la trasformazione involutoria non si può dire di Jonquières, perchè la curva 9) non è algebrica ». (1) Una particolare fu trovata esaminando le eq.! 4) e 5); essa corrisponde a 4 = 1. — 117 — Fisica terrestre. — Distribuzione del magnetismo nelle roccie vulcaniche del Lazio ('). Nota del dott. GruseppE FOLGHERAITER, presentata dal Socio BLASERNA. « In una Nota precedente ho determinato l'influenza, che nelle ricerche sul magnetismo delle roccie può esercitare il magnetismo indotto dall’ ago dell’istrumento di misura sui risultati ottenuti, ed ho trovato, che quando si lascino da parte i punti distinti, e si collochi l'istrumento a conveniente di- stanza tale influenza è in generale trascurabile, e si può essere quindi certi, che i valori che si ottengono, rappresentano realmente il magnetismo proprio delle roccie. « È scopo di questa Nota di indagare se nei giacimenti vulcanici del Lazio esista o no una sistematica distribuzione del magnetismo, e se la forza magnetizzante di essi possa essere stata l’induzione della Terra, corrisponden- temente a quanto il Melloni (*) ha constatato per le lave del Vesuvio: nelle misure che a tale scopo si fanno, viene determinata la risultante dell’azione del magnetismo permanente e di quello temporaneo indottovi dalla Terra. Quest'ultimo ha una distribuzione analoga a quella nel ferro dolce; invece del magnetismo permanente non si può dire a priori affatto nulla; può darsi il caso che esso mascheri il magnetismo temporaneo, oppure anche che da questo sia mascherato, e finchè la roccia non venga smossa e non si deter- mini mediante cambiamento di orientazione l'intensità del magnetismo indotto dalla Terra, bisogna contentarsi di esaminare l'effetto prodotto dalla risultante dei due magnetismi riuniti. « Le mie ricerche hanno per guida il fatto che se prevalesse nelle roccie il magnetismo temporaneo indottovi dalla Terra, esse dovrebbero essere cala- mitate tutte nel medesimo senso; dovrebbero presentare cioè un polo (*) Sud all'estremo superiore del giacimento, quindi, seguendo una direzione parallela all'ago d’inclinazione, l'intensità magnetica dovrebbe successivamente dimi- nuire fino a diventare zero, poi crescere nuovamente con segno contrario, ed all'estremo inferiore raggiungere un secondo massimo d'intensità, il polo Nord. Per tali ricerche il metodo più semplice e più naturale, che si affaccia alla mente è quello di esaminare i giacimenti lungo una tale linea, oppure (1) Vedi nota pag. 53. (2) Memorie della R. Accad. delle Scienze di Napoli, vol. I, 1853, pag. 121. (8) L'espressione polo non si deve prendere in senso assoluto, ma come semplice modo di dire, atto a rendere più spedito il discorso: così per polo Nord si deve intendere la regione del corpo magnetizzato ove il magnetismo nord trovasi sviluppato con mag- gior intensità. — 118 — anche lungo una verticale (') mediante una bussola onde constatare per mezzo delle attrazioni e ripulsioni, che il suo ago subisce, quale sia la po- larità ed intensità del magnetismo nei suoi varî punti. A. tal uopo nei singoli punti da esaminare si dirige il cannocchiale della bussola su un'unica mira assai lontana e si leggono i corrispondenti azimut magnetici: poi sull’al- lineamento stesso si sceglie un punto non pertubato, si dirige il cannoc- chiale sulla stessa mira e vi si determina l'azimut magnetico, dal valore del quale si può stabilire quali dei punti esaminati sulla roccia avevano polarità Nord e quali la polarità Sud. È come si vede il metodo adottato dal Keller (2) a tre punti coll'unica differenza, che qui si tiene conto dell’azione attrattiva o ripulsiva della roccia. « Disgraziatamente nella Campagna romana rari sono i luoghi che si prestano bene a tal metodo di misura, sia perchè difficilmente si incontrano dei giacimenti di roccie vulcaniche di grande spessore, che siano denudate fino alla loro base e siano accessibili a varie altezze del loro spessore, sia perchè raramente questi giacimenti si trovano vicini a terreno non magnetico, nel quale si possa scegliere un punto di confronto non pertubato. Perciò ho adoperato questo metodo solo nei pochi casi in cui esisteva in vicinanza del banco un punto di riferimento privo di azione magnetica, o di azione tanto debole da avere la sicurezza, che le differenze d'azimut trovate tra i punti della roccia vulcanica ed il punto ritenuto neutro, erano realmente dovute alla azione magnetica della roccia esaminata. « In alcuni casi mi sono servito di questo metodo anche quando un gia- cimento si trovava circondato da terreno magnetico. Si comprende, che le misure ottenute non sono che relative e non decidono della polarità magne- tica dei punti esaminati, ma mostrano soltanto la differenza di intensità del magnetismo a diverse altezze dello stesso giacimento di roccia vulcanica. « Nella maggior parte dei casi ho dovuto contentarmi di determinare la polarità di punti singoli, che scelsi preferibilmente all'estremo superiore od inferiore dei giacimenti. Essa venne stabilita con uno dei seguenti tre me- todi secondo le esigenze e condizioni del luogo: « 1° Col metodo a due punti, quando la mira scelta era in un terreno non magnetico, ed era un punto accessibile. Questo metodo fu adottato spe- cialmente nelle misure fatte alla riva sinistra dell'Aniene tra i ponti No- mentano e Mammolo. La mira era un alto palo da pagliaio posto sul vertice (1) Coulomb ha esaminato in questo modo la distribuzione del magnetismo nelle ca- lamite comuni; sarà qui superfluo il ricordare che il metodo non è esatto con tutto il rigore, perchè la bussola non sente unicamente l’azione del punto più prossimo, ma anche quella dei punti che trovansi a qualche distanza: l’inesattezza risultante non ha nel caso mio alcuna importanza. (2) Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol. IV, 1° sem., 1888, pag. 42. — 119 — del monte Sacro, località certamente assai poco magnetica, come è risultato da misure di scandaglio che vi feci. « 2° Col metodo dell'intensimetro ad oscillazione venne esaminata la pola- rità di molti punti situati in luogo, ove non eranvi buone mire. I punti da esa- minare dovevano essere orientati in modo che venisse a presentarsi loro de- cisamente o il polo Nord o il polo Sud dell'intensimetro. Così nei diversi casi dall'aumento o diminuzione nella durata d'’oscillazione della sbarra si poteva senza alcun dubbio stabilire, in che senso veniva influenzato il campo ma- gnetico dalla presenza della roccia e quindi determinare la sua polarità. Fu presa per durata d’'oscillazione normale quella ottenuta sul Colle della Far- nesina, in un punto definito dal Keller ('), alla temperatura di 21,1. « Con questo metodo ho determinato la polarità magnetica di molti punti situati alla base di diversi giacimenti di roccie vulcaniche. Fra questi i più notevoli, sia per la loro estensione, sia per la loro potenza sono: « La grande colata di lava sulla quale è tracciata la via Appia antica; in parecchi luoghi in seguito all’estrazione del materiale è stata messa a nudo la base del giacimento, ed è visibile il terreno, sul quale esso riposa; « Il grande giacimento di tufo vulcanico che si stende tra i ponti No- mentano e Mammolo alla sinistra dell'Aniene: in alcuni siti sia per l’azione delle acque sia per le escavazioni fatte dall'uomo la parte di roccia denudata arriva perfino alla potenza di 12 metri. I punti esplorati ai piedi di quelle alte pareti sono con tutta probabilità assai vicini alla base del giacimento; « Il potentissimo giacimento di pozzolana situato nella tenuta delle Tre Fontane: per le escavazioni fatte sono accessibili dei punti posti molto pro- fondamente, ed al giudicare dagli scoli d’acqua, molto vicini alla base del giacimento. « 3° Finalmente talvolta sì determinava, se l’azione della roccia sopra uno dei poli dell'ago era attrattiva o ripulsiva, dalla differenza di azimut, che si otteneva collocando la bussola successivamente a destra ed a sinistra, oppure avanti e di dietro al punto da esplorare. In questi casì si puntava il cannoc- chiale su d'una mira tanto distante, che l'angolo formato dalla direzione delle due visuali alla mira fosse trascurabile, e che quindi l'errore prodotto dallo spostamento della bussola non potesse influire sui risultati. Se le condizioni topografiche non permettevano di avere una mira assai lontana, si teneva conto nella lettura fatta nella seconda posizione della bussola dell'errore angolare prodotto dallo spostamento di questa. Dove mi fu possibile, cercai di scegliere roccie orientate in maniera, che l'ago avesse a disporsi a press'a poco paral- lelamente ad esse: in tal modo veniva evitata con tutta sicurezza l'azione prodotta dalla reciproca induzione tra ago e roccia, e l'attrazione o repulsione che subiva l'ago, era molto più marcata. (1) Misure relative dell'intensità orizzontale del magnetismo terrestre lungo il pa- rallelo di Roma. Roma, 1894, pag. 5. RenpIcoNTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 16 — 120 — « Adottai questo metodo specialmente per determinare la polarità ma- gnetica delle sporgenze ed ondulazioni esistenti alla sommità dei giacimenti: quasi tutte le ricerche sullo sperone del Tuscolo, molte ricerche su sporgenze della grande colata di lava della via Appia Antica, dei banchi di tufo vicino al Forte di Pietralata e della località Vigne nuove alla sinistra della via Nomentana furono fatte con questo metodo. «I punti esaminati superano il centinaio. Di questi 48 si trovano deci- samente più vicini all'estremo superiore dei giacimenti di roccie, ossia ad una altezza tale dello spessore, che la parte sottostante era di gran lunga più potente: tutti questi punti sono compresi tra i limiti 0 ed 1 metro dalla superficie superiore del giacimento. Altri 39 punti sono decisamente più vicini alla base delle roccie: naturalmente qui è più difficile lo stabilire con pre- cisione, qual era la distanza dei punti esaminati dalla base dei giacimenti, ma dalle cose esposte nella descrizione dei metodi di misura, e se si con- sidera che mi limitai ad esaminare solo i punti in luoghi ove la natura geologica del terreno su cui poggiavano i giacimenti, era ben determinata, e riconosciuta non magnetica od assai debolmente, risulta chiaro che in nessuno di questi punti può sorgere il dubbio, che lo strato magnetico posto al di sopra non sia di gran lunga più potente, che il rimanente posto di sotto. « Gli altri punti esaminati in numero di 17 variano di posizione nella parte mediana dei banchi, ma non ho avuto dati sufficienti per stabilire se erano più vicini all'estremo superiore od inferiore dei giacimenti. « Nella scelta dei luoghi per le misure ho usato sempre queste due re- strizioni: 1° Non ho mai esaminato le sporgenze agli estremi Nord e Sud di giacimenti, perchè potrebbe esservi una distribuzione sistematica longitudinale ‘ del magnetismo nelle roccie, della quale non ho voluto per ora occuparmi, essendo scopo delle mie ricerche quello di determinare la distribuzione del magnetismo nella direzione dall'alto in basso (per questo motivo ho cercato giacimenti di roccie vulcaniche molto potenti). 2° Ho sempre evitato i punti distinti, che si trovano nella lava basaltina, e che furono ultimamente rinve- nuti dal dott. A. Cancani (') anche nello sperone, perchè come già esposi altrove, in essi l’orientazione del magnetismo è affatto irregolare: così mi sono allontanato dal pericolo, che i risultati ottenuti per le roccie magnetiche in genere possano essere svisati dalle anomalie dei punti distinti. «I risultati ottenuti nelle mie ricerche possono essere brevemente rias- sunti come segue: « In tutti i punti posti alia parte superiore di giacimenti di roccie vul- caniche, siano esse tufo, pozzolana, lava basaltina, sperone ecec., ho trovato sempre un polo Sud senza avere mai avuto un'eccezione. (1) Rend. della R. Accad. dei Lincei, ser. 5°, vol. III, 1° sem., 1894, pag. 390. — L2l— « In tutti i punti posti all’ estremo inferiore di giacimenti ho constan- temente trovato un polo Nord serza alcuna eccezione. « Nei punti intermedî furono trovati dei poli Sud e Nord ora deboli ora forti: in alcuni casi ho avuto dei poli Nord a soli 2 metri dall’estremo su- periore: talvolta ho avuto dei poli Sud anche a profondità di 7 metri: ma questi due casi citati non si possono considerare come eccezione alla regola generale, fino a che non si conosca la profondità del giacimento al di sotto del piano visibile: può darsi benissimo, che la parte sepolta e non escavata del giacimento sia nel 2° caso molto più alta di quella messa alla luce, e nel 1° caso molto più bassa. « Nei casì in cui ho esaminato in che modo varia l’azimut magnetico segnato dalla bussola, quando questa venga collocata ad altezze diverse dello spessore di un giacimento, ho trovato che, a seconda che mi allontanava dal- l'estremo superiore, l’ago si spostava nel senso da dovere ritenere che veniva diminuita l'attrazione della roccia sul polo Nord, e similmente quando mì allontanava dalla base e metteva la bussola in posizioni successivamente più alte, dagli spostamenti dell'ago doveva concludere, che veniva diminuita l’at- trazione della roccia sul polo Sud. « Riporto qui ad esempio i risultati delle misure fatte nella grande cava di pozzolana al III kilometro dell’Ardeatina: qui in seguito all’ escavazione del materiale vi sono due pareti verticali, alle quali per l’azione dell’acqua trovasi addossato una specie di cono di deiezione formato da terreno vegetale mescolato a pozzolana. Ho collocato la bussola accanto alle pareti, sempre ad ugual distanza, a varie altezze seguendo una generatrice del cono. « Riassumo nella tabella i risultati : I II II m. 0.2 0. 0‘0 Ò. 0/0 1.20.0 — 2.9 1.25.0 1.50.5 3.5 2. 8.0 2.24.0 5.0 _ 3.504 « Nella 1° colonna sono segnate le altezze alle quali trovavasi la bussola, partendo dall’estremo superiore del banco; nella 2* e 3® colonna sono segnate le differenze d’azimut tra la prima stazione e le successive dovute rispettiva- mente all’azione magnetica della 1% e 2* parete: il polo Nord andava suc- cessivamente allontanandosi; segno che diminuiva l'attrazione su di esso. Se fosse lecito riferire i risultati ad un punto distante dalla parete ma posto entro la cava stessa, si avrebbe in alto un polo Sud, a circa 3 m. la linea neutra —- 122 — ed al di sotto un polo Nord, giacchè la differenza d’azimut fra la 12 stazione e questo punto sarebbe rispettivamente per le due pareti 1°.34' e 1°.52”. « Conclusione. — Dall'esame dei risultati ottenuti si trova che esiste realmente una distribuzione sistematica del magnetismo nelle roccie vulcaniche esaminate: ogni giacimento di roccia vulcanica si paò considerare come una grande calamita col suo polo Nord in basso col polo Sud in alto, come se fosse stato magnetizzato per effetto dell'azione induttrice del magnetismo ter- restre. Con ciò non è escluso però, che esistano delle anomalie più o meno forti, sia perchè la costituzione mineralogica della roccia nei varî punti d'uno stesso giacimento può essere alquanto diversa, sia perchè lo spessore dei gia- cimenti varia molto da sito a sito secondo le ondulazioni del sottosuolo, sia forse per cause a noi affatto ignote. « La sistematica distribuzione del magnetismo nelle roccie spiega anche la grande divergenza tra i risultati ottenuti sull'azione magnetica di roccie di egual natura. Talvolta si rimane sorpresi nel trovare appena delle traccie di azione magnetica accanto a colossali masse di roccie vulcaniche che per solito hanno un'intensità magnetica grande. È naturale che se quei giacimenti sì protendono ancora nel sottosuolo, e noi abbiamo messo quindi il nostro istrumento di misura vicino alla linea neutra di quella grande calamita, il risultato non può essere che negativo. Da ciò si vede pure che le misure finora fatte, che mostrano tanta irregolarità nell'intensità magnetica nei varî punti di una stessa roccia o di roccie affini, non sono in contraddizione col fatto, che esista una distribuzione sistematica del magnetismo nelle roccie vulca- niche, ma forse in alcuni casi ne sono una conferma ». Fisica. — Sull'attrito interno del nichel ('). Nota del dott. M. CANTONE, presentata dal Socio BLASERNA. « In alcune precedenti Note (?) ho esposto i risultati di varie ricerche sulla flessione dell’ottone eseguite da me allo scopo di assodare l'analogia tra i fenomeni di elasticità e quelli studiati dal Warburg e dall'Ewing nel magnetismo, ed ho trovato una grande somiglianza fra le leggi che li gover- nano. Il fatto che maggiormente ha attirato la mia attenzione si è l'aversi, dopo un numero pari di alternazioni, col ritorno alla forza da cui si è par- titi la chiusura del cappio rappresentante l'andamento del ciclo, il che porta senz'altro alla conseguenza di un lavoro delle forze esterne necessario alla produzione dei cicli coi processi statici, lavoro che va trasformato in calore. « Seguendo quest'ordine d'idee nell'ultima di quelle Note mettevo avanti l'ipotesi che lo smozzamento delle oscillazioni non fosse un fenomeno di na- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Fisica della R. Università di Palermo. (?) V. Rend. Acc. dei Lincei, vol. II, 2° sem., p. 246, 295, 339, 385, 1893; vol. IE, 1° ‘semi, p. 27,62, — 123 — tura dinamica, ma dipendente da quella medesima causa che produce i fe- nomeni d'/steresi elastica, in quanto l'energia potenziale del corpo abban- donato a sè, per la legge che esso segue nel deformarsi, deve a poco a poco convertirsi in calore; ed avvaloravo tale opinione appoggiandomi a ri- cerche di altri sperimentatori sull’attrito interno: mi riserbavo però un più attento esame della questione mediante lo studio delle proprietà elastiche coi metodi statico e dinamico. « Ricerche in proposito sono state da me intraprese in questi ultimi tempi per la torsione del nichel, e poichè i risultati cui sono giunto mi sembrano di un certo interesse, mi permetto di pubblicarli prima ancora che fosse esteso lo studio ad altri metalli. « L'apparecchio adoperato è abbastanza semplice. Il filo che si cimenta, è saldato agli estremi a due cilindretti di ottone i quali mediante viti si fermano in due covità praticate l'una in un pezzo di ottone che collega sta- bilmente il filo dalla parte superiore ad una robusta mensola di legno, e l’altra in un grosso cilindro metallico. Questo pezzo porta la puleggia che serve ad esercitare gli sforzi di torsione, e nella parte più bassa una ruota con sei raggi destinata a sorreggere due anelli, che danno al tempo stesso il carico necessario per tenere diritto il filo, ed un momento d'inerzia suffi- cientemente grande per rendere possibili le letture delle ampiezze nello studio dello smorzamento delle oscillazioni. La puleggia di cui sopra è fatto cenno è munita di due gole nelle quali sono avvolti in senso opposto i fili che por- tano i piattelli per i pesi torcenti, e che restano nei primi tratti distesi oriz- zontalmente mercè due piccole carrucole laterali. « Una seconda mensola sporgente dalla parete tiene all'altezza dell'estremo inferiore del filo di nichel due lastrine rettangolari, che si possono portare a contatto secondo lo spessore lasciando un foro circolare smussato verso le facce più estese e destinato, per essere il suo diametro un poco superiore a quello del filo che vi passa attraverso, ad impedirne le flessioni provocate dalle forze torcenti. La regolarità dell'esperienza col metodo statico ci assicura che l’at- trito inevitabile del filo contro il bordo del foro non costituisce una causa disturbatrice rilevante. D'altra parte deve ritenersi che la presenza delle due lastrine nello studio delle oscillazioni non riesca a produrre notevoli disturbi ; infatti, avendo potuto constatare che per diverse serie di esperienze col me- todo dinamico le letture delle successive escursioni presentano in generale un accordo assai marcato, e che quelle di ciascuna serie rivelano un anda- mento del tutto normale, non può ammettersi che il filo, abbandonato a sè, non resti perfettamente libero. « Per la misura degli angoli di torsione adoperavo un cannocchiale mu- nito di scala, ed uno specchietto legato al filo a conveniente altezza mediante una sospensione che permetteva di precisare il punto di attacco. Note la di- — 124 — stanza dallo specchio alla scala, la lunghezza del filo e quella della porzione compresa fra l'estremo superiore ed il punto di attacco ora cennato, si po- tevano determinare gli angoli di cui girava la sezione terminale per ciascuno spostamento letto sulla scala. « Le ricerche col metodo statico vennero condotte come nel caso dell’ot- tone quando si operava per czeli bilaterali crescenti, e tranne i pochi casì che saranno appresso indicati, le forze massime per i successivi cicli furono rispettivamente di gr. 100, 150, 200, 250 e 300. Usavo all'uopo pesi da 50 gr. ciascuno, avendo tutta la cura che nell'applicarli o nel supperirli non si producessero scosse, le quali per il forte momento d'inerzia della massa sottostante avrebbero potuto nuocere alla regolarità dell’esperienze (!). Avrei potuto adoperare pezzi provvisori di arresto, perchè la carica o la scarica se- guisse gradatamente; ma anche con questo artifizio non si evitavano del tutto le scosse, mentre con un po di esercizio e dando alla mano punti di appogio convenienti si riuscì ad impedire che il filo oscillasse attorno le diverse po- sizioni di equilibrio. « Alla fine di ogni serie di esperienze col metodo statico si facea ri- tornare il corpo in esame alla forma primitiva colle oscillazioni che in esso si generavano, a partire dalla posizione di massimo spostamento, sopprimendo con rapidità i piatti; si ebbero così col ritorno al riposo letture al cannoc- chiale che differivano per qualche decimo di divisione, eccetto i casì in cui gli spostamenti avuti lungo i cicli per il carico zero accusavano il variare delle configurazioni attorno cui il corpo si deformava (?). « Quando si volevano produrre le oscillazioni nell'esperienze col metodo dinamico, lasciato libero uno dei fili della puleggia, attaccavo all’altro un piatto del peso di 50 gr. cui sovrapponevo cinque dei soliti pezzi: eseguita la soppressione rapida del carico totale, si cominciavano le letture relative alle singole elongazioni, che venivano registrate dalla persona stessa adibita per la scarica. « Il sistema tenuto per fare oscillare il filo dava l’agio di partire volta per volta dalla stessa deformazione massima, e di non oltrepassare quella cui ci sì spingeva nel compiere i cicli. Così mentre nel corso delle ricerche pro- cedeva regolarmente l'accomodazione del corpo (5), si aveano nelle diverse serie stati iniziali paragonabili fra loro. « L'esperienze relative ai cicli venivano ogni giorno fatte dopo quelle che si eseguivano col metodo dinamico. Questo continuo raffronto avea per (1) Si constatò infatti nella torsione del nichel un’influenza delle scosse analoga a quella trovata nella flessione dell’ottone (V. Rend. Ace. dei Lincei, vol. III, 1° sem., p. 26). (2) V. Rend. Ace. dei Lincei, vol. II, 2° sem., p. 340. (3) V. Rend. Acc. dei Lincci, vol. IL, 2° sem., p. 385. — 125 — iscopo di vedere se in realtà fosse lo smorzamento delle oscillazioni dovuto al lavoro consumato per la isteresi elastica. « Il concetto da cui dobbiamo partire per tale verifica è che l’area di isterest relativa ad un ciclo fra le deformazioni estreme + ©, e —@, equi- valga alla diminuzione di inerzia potenziale corrispondente al decremento di ampiezza all’'intorno dell’elongazione @,. « L'esperienze sui cicli ci permettono di trovare direttamente la prima quantità, avendosi per il lavoro L che corrisponde all'area del cappio: L=/fMdo, dove M denota il momento della forza relativo all'angolo @. « La diminuzione di energia potenziale per il decremento di ampiezza 4@, si potrà ottenere quando si supponga che l'energia stessa varii propor- zionalmente all'angolo w. La ipotesi non è rigorosa stante la imperfetta ela- sticità delle sostanze di cui disponiamo, ma se non si va a deformazioni esa- gerate si può ritenere che essa valga approssimatamente; per cui indicando con M, il momento che corrisponde alla forza masssima impiegata nel ciclo e con 4@, la diminuzione di ampiezza all’intorno dell'angolo relativo ad M,, avremo per il lavoro interno L': L'=M;40,. « Si tratta ora di trovare i valori assoluti di L ed L'. Per questo chiamato o il raggio della puleggia, g l'accelerazione dovuta alla gravità, y il rapporto fra la lunghezza del filo e la distanza dallo specchio al punto di attacco superiore, « l'angolo di torsione, all'altezza dello specchio, in misura assoluta, P il peso torcente espresso in grammi, si avrà: i = 079 PdeMed'CL' = oig0PiAe;. « Per quanto si è detto dev'essere adunque sensibilmente : IRAdeae_dPAot e poichè la formula di Simpson ci permette di avere i valori del primo membro, sarà agevole fare il confronto cui miriamo. « A dir vero il valore di 4a, nella relazione precedente dovrebbe essere corretto per l'influenza che esercita sullo smorzamento delle oscillazioni l'at- trito dell’aria; tuttavia siccome ho potuto riconoscere che si tratta di un'azione secondaria, ho creduto che non valesse la pena di occuparsi di questo ter- mine di correzione, quando per varie circostanze d’indole teorica e sperimentale non è permessa una verifica rigorosa. Si procurò peraltro che da parte della ruota e dei raggi non avessero a prodursi moti dell’aria capaci di agire sul sistema indipendentemente dall’attrito, racchiudendo la ruota stessa fra due dischi di carta incollati sulle due facce. — 126 — « Noterò prima di venire ai risultati sperimentali che il metallo in esame, tanto nel caso dei cicli che nel caso delle oscillazioni, si discosta nel suo modo di comportarsi dalla legge di Hooke, specialmente nello stato ri- cotto; e se col diminuire di ampiezza dei cicli esso accenna a rientrare nei limiti di perfetta elasticità, realmente ne resta sempre discosto sin dove i nostri mezzi di misura ci han permesso di apprezzarlo. Questo fatto ha con- fermato in me il convincimento che a rendersi conto della natura dei corpi sottoposti a forze deformatrici fosse necessario di provocare spostamenti delle particelle piuttosto grandi, e di tenere in considerazione speciale i corpi molto plastici, i quali mostrano in modo evidente proprietà dei solidi che pur esi- stendo nei corpi ritenuti perfettamente elastici, per i piccoli effetti con cui sì manifestano, possono restare occulte. Da ciò la preferenza da dare ai metalli ricotti, che per le ricerche fatte sinora ho riconosciuto più regolari nelle loro deformazioni, ad onta delle apparenti anomalie che ne hanno sconsigliato l'uso in molte ricerche d'indole teorica; e questa preferenza è anche giustificata dalla circostanza che il ricuocimento tende a ridare al metallo quella isotropia che i processi del laminatoio o della filiera gli hanno tolto. « Nel caso mio poi riusciva indispensabile l’uso del metallo ricotto, poiché il genere di sospensione adottato, a causa delle saldature agli estremi, doveva alterare in modo non uniforme la struttura del filo crudo, laddove nel me- tallo ricotto non poteva produrre alterazioni notevoli. « I risultati dell’esperienze definitive fatte col filo Ns r/cotto trovansi riportati nella tabella seguente. La prima colonna contiene i giorni di espe- rienze, la seconda i valori medî delle temperature lette su un termometro collocato in vicinanza del filo, e la terza il numero degli anelli formanti parte del peso tensore. L'indicazione che trovasi in testa delle cinque colonne seguenti denota il carico massimo torcente per ciascuno dei cinque cicli bi- laterali che si compivano giornalmente col metodo statico, ed in corrispon- denza sono per ogni giorno segnati i valori di 4, (media degli spostamenti massimi a destra ed a sinistra avuti col ciclo ed espressi in divisioni della scala), di 4 (lavoro consumato per l'area d'isteresi, diviso per la costante 0Y9) (!), e di 4° (decremento di energia per la diminuzione di ampiezza, diviso anch'esso per quel prodotto). «I valori di 4" si ottennero tracciando la curva che dava la diminu- zione di ampiezza in funzione delle medie di due ampiezze successive dalla stessa parte, e misurando poi le ordinate che corrispondevano alle ascisse @,. Quelli per P, = 300 si ebbero per estrapolazione, però, siccome l'andamento degli ultimi rami delle curve tracciate è sensibilmente rettilineo ed i punti estremi ‘segnati hanno ascisse che differiscono poco dalle @, relative a P,= 300, si è autorizzati a tenerne conto assieme agli altri avuti per oscil- lazioni di più piccola ampiezza. (1) Noterò che per le misure fatte di 0 e di y si ebbe 07 g= 26560. — 127 — SMR Numero IR: Giorni di esp. | Temper. di anelli | Pi 100 150 200 250 EEE O Aa 300 ce LIA DET IE Giugno 23,9 2 di 33,5 50,3 68,0 | 86,0 106,1 | A | 0,0016| 0,0060 | 0,0157|0,0881 | 0,0905 4 | 0,0014| 0,0088 | 0,0098 | 0,0310 | 0,0782 13 » 23,2 ” di 33,6 50,8 68,0 85,6 105,7 4 | 0,0024| 0,0060 | 0,0127 | 0,0302 | 0,0784 4° | 0,0014| 0,0089 | 0,0101]|0,0285 | 0,0714 14.» 23,7 ” TÀ 387] 509 | 681 85.7 | 105,5 4 | 0,0018| 0,0054 | 0.0126 | 0,0290 | 0,0733 4 | 0,0016| 0,0042 | 0,0096 | 0,0269 | 0,0733 15» 23,7 ” ai 93/8520 ‘68/3/7862 | 1051 A | 0,0024| 0,0065 | 0,0182 | 0,0298 | 0,0693 4’ | 0,0016| 0,0043 | 00098 | 0,0265 | 0,0694 16» 23,7 1 di 344 | 51,1| 684| 854 | 1044 A | 0,0080| 0,0067 | 0,0148| 0,0300 | 0,0679 4’ | 0,0022| 0,0049 | 0,0104| 0,0257 | 0,0665 18» 23,3 ”» di 344 | 51,1| 680| 85,8 | 104,3 A | 0,0080| 0,0078 | 0,0129 | 0,0296 | 0,0679 4 | 0,0021 | 0.0049 | 0,0101 | 0,0246 | 0,0640 19 » 23,4 » ai 942 | 514 | 684| 86,1 | 104,1 4 | 0,0080| 0,0070 | 0,0133| 0,0286 | 0,0651 4" | 0,0020| 0,0050 | 0,0106| 0,0248 | 0,0650 200.» 2349 2 di 84,2 Dilt9: 68,2 | 86,2 105,1 4 | 00024] 0,0060 | 0,0122| 0,0274 | 0,0650 4" | 0,0016| 0,0043 | 0,0096 | 0,0230 | 0,0611 dica - 23,6 » ai 34,2 | 51,38 | 689| 874 | 107,9 A 0,0026 | 0,0078 | 0,0171|0,0391 | 0,0974 4" | 0,0024| 0,0063 | 0,0147 | 0,0407 | 0,1075 22 » 23,8 ” a, | 35,0] 514| 689| 865 | 106,6 A | 0,0027| 0.0074| 0,0165 | 0,0348 | 0,0841 4 | 0,0022 | 0,0057 | 0,0152 | 0,0330 | 0,0933 23» 24,0 » di 34,15 690%] 087,5 |C 107,7 4 | 0,0027| 0,0082 | 0,0189 | 0,0417 | 0,0998 4 | 0,0024| 0,0068 | 0,0153 | 0,0383 | 0,1041 25» 24,8 » ai 34,850 70,8 | 9051172 4 | 0,0032| 0,0109| 0,0234|0,0541| — 24° | 0,0029| 0,0084 | 0,0209 | 0,0586 | — RenpICcONTI, 1894, Vor. III, 2° Sem. 17 — 128 — « Rileverò anzitutto che in generale i valori di 4 sono superiori a quelli di 4’, mentre a causa dell'attrito dell’aria dovrebbe aversi il contrario; tut- tavia l'accordo è sensibile, il che prova come lo smorzamento delle oscilla- zioni dipenda in gran parte dai fenomeni d'isteresi elastica. A_ maggior con- ferma del nostro asserto noteremo che tutte le cause le quali determinano una variazione dell’area dei cappî, modificano nel medesimo senso e quasi nella stessa misura il decremento di energia potenziale che si considera nel feno- meno dinamico. « Ed invero un'accomodazione si riscontra per le aree d’isteresi col pro- cedere dell'esperienze di giorno in giorno, nel senso di aversi per una data forza estrema P, valori sempre più piccoli di 4, specialmente per i cicli di grande estensione, e vanno decrescendo del pari le _4° delle singole colonne, edin modo tanto più accentuato quanto più ci avviciniamo all'ultima di queste. Inoltre la soppressione di un anello porta aumento nelle aree solo per i cieli di piccola ampiezza (forse perchè sugli altri l’effetto è mascherato dall'acco- modazione non ancora ultimata); ed alterazioni concomitanti si palesano nei valori di 4" per i risultati delle prime colonne, mentre rimettendo l’anello soppresso si ha un ritorno alle condizioni primitive e col metodo statico e col dinamico (!). « Nè mi sono arrestato a queste prove. Ho voluto anche vedere l'influenza che esercita sui cicli di determinata ampiezza il lavorio precedente fra limiti più estesi di deformazione. Per questo, dopo aver fatto compiere al filo il 21 giugno un ciclo fra + 400 e — 400 ed averne prodotta la scarica alternata, si ripresero le serie ordinarie di esperienze, che fornirono i valori segnati al di sotto della prima linea punteggiata. Anche qui troviamo andamento con- forme dei risultati ottenuti coi due metodi, ed accennanti ad un aumento di plasticità, il quale però tende a sparire per effetto di una nuova accomodazione. « Questa venne arrestata il 23 giugno con quattro serie di oscillazioni fatte compiere al corpo a partire per ciascuna serie dal carico di 400 gr., e poichè si ebbe un maggior lavorio con grandi deformazioni, si manifestò nelle successive esperienze coi due metodi una più accentuata dissipazione di energia, come attestano i risultati al di sotto della seconda linea punteggiata. « Finalmente il 25 giugno si provocò con un carico di 500 gr. una de- formazione grandissima, che fu arrestata solo per l'urto del piatto sul ta- volo di marmo su cui poggiano i sostegni della carrucola; ed in seguito tor- nando alle solite esperienze si pervenne ai valori di 4 e -4' delle ultime righe, i quali indicano un nuovo e più forte aumento del lavoro consumato dal corpo nel deformarsi (°). (1) Questi ultimi fatti proverebbero che la plasticità del nichel, quale si rivela colla torsione, diminuisce col crescere del peso tensore. (2) Mancano per questa serie i valori 4" e A dell'ultima colonna, poichè, stante la grande diminuzione di ampiezza che si ebbe in quel giorno alla prima oscillazione e te- . — 129 — « Questi i risultati dell’esperienze che costituiscono un primo passo nello studio delle proprietà elastiche dei metalli basato sull'uso contemporaneo dei due metodi di analisi. Vero si è che il materiale impiegato per tali ricerche preliminari è assai scarso, ma l'accordo fra i valori di 4 e 4° in tutte le fasi del processo è assai sensibile perchè lo si possa attribuire a causa for- tuite, anzi siamo indotti a ritenere che l’attuale studio riveli un fatto d’indole generale, non essendovi ragione di credere che lo smorzamento delle oscilla- zioni venga nel nichel provocato da una causa diversa da quella che varrebbe per altri metalli. « Si noti ancora che la elasticità susseguente, alla quale si è voluto da molti attribuire l'attrito interno dei solidi, è nel nichel, dentro i limiti delle nostre ricerche, di così piccola entità, da escludere per essa ogni in- fluenza che non sia di carattere secondario, essendosi avuti spostamenti re- sidui solo a partire da P = 250, ed in nessun caso superiori ad una divisione della scala, cioè a circa 3 di quella prodotta da un peso torcente di 50 gr. « Se il nostro studio esteso ad altri metalli avrà uguale successo, verrà altresì a cadere quella interpretazione per cui lo smorzamento delle oscilla- zioni si attribuisce ad una resistenza proporzionale alla velocità delle par- ticelle, in quanto l'esame delle proprietà elastiche rivela, come sembra, fatti sufficienti ad accertare la natura del fenomeno senza avere ricorso ad una proprietà dei solidi puramente ipotetica ». Fisica. — Sulla dilatazione termica dei bronzi di Alluminio (1). Nota del dott. A. FONTANA, presentata dal Socio BLASERNA. « 1. Il rame e l'alluminio si legano tra loro in qualunque proporzione, e costituiscono due classi di leghe, le pesanti, nelle quali predomina il primo, e le leggiere nelle quali predomina il secondo metallo. Tali leghe sono conosciute col nome di bronzi di alluminio, ed io mi sono proposto di stu- diare il coefficiente di dilatazione delle leghe pesanti; per ciò ho fusi insieme in crogiuoli di grafite questi due metalli in tali proporzioni da ottenere al- l’incirea i bronzi seguenti: Rame Alluminio A 99 Il B 95 5) C 90 10 D 85 15 E 30 20 nuto conto del fatto che il ciclo compiuto col metodo statico da P,1= 300 a P= —300 si presentava aperto, viene meno quasi del tatto la base della nostra verifica per questo caso. (') Lavoro eseguito nell’Istituto fisico della R. Università di Roma. — 1380 — « Mi sono poi voluto assicurare mediante un'analisi elettrolitica, ese- guita su alcuni saggi di esse, che rispondevano assai prossimamente al titolo suddetto. « La lega A è di color rosso di rame; ha struttura fibrosa; peso speci- fico 8,771 a 25°6; è duttile e malleabile ed assai resistentente al ferro quando sì tornisce. La seconda lega B è di colore giallo d'oro, ha struttura granulare; è ancora duttile e malleabile; si lavora agevolmente ed ha il peso specifico 8,294. La lega C è assai più dura delle altre; ha pure essa colore d’oro; è duttile a caldo; ha tessitura analoga alla precedente ed il suo peso specifico è 7,819. « La lega D che ha peso specifico 7,509 è di colore giallo tendente a quello dell'ottone; ha struttura finamente granulare e come l’ottone si lavora benissimo al tornio. Tutte queste leghe si portano a pulimento e non si ossi- dano in modo sensibile all'aria se non quando sono portate ripetutamente ad alte temperature. « In fine la lega E ha l'aspetto dell’antimonio con dei riflessi rossastri. Ha frattura concoide e si rompe sotto leggieri colpi di martello. Il suo peso specifico è 7,252, e la sua durezza è tale da resistere alla sega ed al bulino. Per questa ragione ho dovuto escluderla dalle misure di dilatazione. « 2. Per istudiare la dilatazione termica di queste leghe ho seguito il metodo di Fizeau (') colle modificazioni arrecatevi da Abbe, usando del Di- latometro di Abbe-Fizeau costruito dalla casa Zeiss di Jena. E poichè questo ingegnoso metodo è ancora poco noto, ne riferirò il principio succintamente, rimandando chi volesse aver maggiori dettagli alla Memoria del dott. Pulfrich Ueber das Abbe-Fizeaw sche Dilatometer pubblicata nella « Zeitschrift fir In- strumentenkunde, 1893, p. 401 e seg. ». Le modificazioni di Abbe al metodo di Fizeau consistono nell'avere introdotto l'uso di luci di diversi colori e delle misure mierometriche che semplificano assai il processo di osservazione. Con tali varianti riesce praticamente possibile di determinare i mutamenti avvenuti nella sostanza sperimentata, colla sola osservazione dello stato ini- ziale e dello stato finale del sistema delle frangie di interferenza, e di de- durre mediante il calcolo il numero intiero delle striscie passate nel campo per una certa variazione di temperature dell'oggetto. « L’istrumento uscito dalla officina di Zeiss contiene il solito tavolinetto di Fizeau in acciajo, col suo vetro a superficie piane (ma leggermente incli- nate), marcato nel centro della faccia inferiore con un dischetto esilissimo di argento; ha poi un apparecchio di osservazione costituito da un cannocchiale con micrometro che riceve anche lateralmente la luce proveniente da un tubo di Geissler, luce destinata ad illuminare il tavolinetto ; inoltre ha un canoc- (1) Ann. de Ch. et de Physique; IV série, t. II, 1864, p. 143; e id., IV série, t..VIII, 1866 p. 335. i — 131 — chiale ausiliario che serve a predisporre le esperienze, ed una stufa col ter- mostato di Arsonvall (!), per portarlo e mantenerlo a diverse temperature. « Il tubo di Geissler che contiene idrogeno e mercurio metallico è fog- giato ad H, e per avere una illuminazione assai intensa si usa la luce pro- dotta nel tratto trasversale. Da questo tubo sono prodotte luci di colore rosso, giallo, verde e violetto, corrispondenti alle seguenti lunghezze d'onda: Hx(0) mm. 0,0006562 3 0,0005788 Elo) | 0,0005768 i H, (verde) 0,0005460 Hg (F) 0,0004862 0,0005778 le quali producono i diversi sistemi di frangie di interferenza nello strato di aria compreso tra l'oggetto ed il vetro posti sul tavolinetto di Fizeau. « Una volta che l'apparecchio sia aggiustato convenientemente, si vede il campo del cannocchiale occupato da tante righe nere verticali, alternate con righe colorate e in mezzo ad esse spicca l’immagine del dischetto di argento « Indicheremo con 1, 2, 3, 4, 5 e 1, 2, 3, il numero d'ordine delle righe pros- sime al dischetto O, e con /, ls 23 24 2: ds oppure S 1 l3 lz3lo le posizioni di esse e del disco indi- (0) cate dal micrometro. La larghezza % di una striscia sarà a se- 1 2 5) "i 5 conda dei casi: 1 2 3 1 7 = 9 (23 San Li) 1 b=p}l+ Li (ls E 1) e la posizione /, del punto di mezzo S del sistema sarà: Il =3z(4 Il 03) 2 = Cita bet la i): La distanza tra S e il centro pel disco O verrà ad essere: SO = lo — bs Il segno di SO sarà + se la riga più vicina ad O è alla sua sinistra, e — se è alla sua destra. Il quoziente: (1) Vedi, Zeitschrift fiir Instrumentenkunde X p. 28. \— 182 — AIA UT) | 1a, ; A È che ha per limiti oo indica di quale frazione di mezza lunghezza d'onda differisce lo spessore dello strato di aria sotto il dischetto di argento da quello che è sotto il mezzo della più prossima riga di interferenza. Questi dati ci forniscono il modo per trovare esattamente lo spessore dello strato d'aria sottoposto al segnale di argento. Se si indica con M l’ordine nume- rico della riga più vicina al dischetto, lo strato d'aria sotto a questo avrà lo spessore ] d=(M+9)5 ove 4 indica la lunghezza d'onda della luce adoperata. Per trovare M si ri- corre all'uso accennato dei due colori. Si osserva la posizione del sistema di frangie alla stessa temperatura ed in due colori, e si avrà: 2 7 (Mo +4) 7 =(M+3d)3 Ào Ào e più semplicemente Mu=M+r « Converremo ora di undicare coll’indice zero tutte le quantità che si riferiscono alle osservazioni fatte sul colore verde, e senza indice quelle che si riferiscono all’altro colore osservato. Per trovare M dovremo costruirci la tabella seguente, in una colonna della quale, intestata con M,, segneremo la serie naturale dei numeri 0,1; 2,3, 4........ , in altre due porremo a fianco dei precedenti i numeri M, w ove il w si riferisce al rosso ed al vio- letto. A fianco di queste poi segneremo l’'approssimativo valore in millimetri dello spessore dello strato d'aria. Tabella per Mu=M+dT—-d,u=M+-r. Spessore dello Hg (verde) c 1 TSE «= 0,83206 | 4 = 1,12300 strato d’aria mm. M | Me I Mou | MO 1 0,83 1,12 2 1,66 2,25 « Dalle letture fatte nelle esperienze si deducono i valori d, e con questi si formano le 7 relative al rosso ed al violetto. Poi si va nella tabella in prossimità del numero della prima colonna che indica lo spessore approssi- mativo dello strato di aria misurata preventivamente collo sferometro, e si — 1359 — cercano nelle colonne C ed F tutti i numeri che hanno gli stessi decimali delle 7 calcolate. Quella M, che è a capo della linea nella quale vengono a coincidere quei valori di 7, è quella che soddisfa il problema. « Se dalle misure risulta 7 negativa, coll'aggiunta di unità si rende positiva senza che questa trasformazione alteri i calcoli. « Se indichiamo con L lo spessore dell'oggetto di cui cerchiamo il coefti- ciente di dilazione @, e con E e £ la lunghezza e il coefficiente di dilata- zione delle viti del tavolinetto, e si conosce il numero /, delle righe verdi passate nel riscaldamento da °, a /°, sappiamo che ia IN(GNES.) « Con M avevamo già inteso il numero ordinativo della riga più pros- sima al disco, alla temperatura iniziale 4; ora con M+-m (ove m è intero e diverso da zero) indicheremo il numero ordinativo di quell'altra riga che è più prossima al dischetto alla temperatura finale {>. Il numero delle righe passate sarà quindi: f==M+m+d,—(M+%,) f=m4d,— di, Osservando al solito con due colori si potrà dire che la variazione 44 dello strato d’aria è da=(m4+d,—-d,) i = (#0 ci dot, va dor, ) DE Dio dl | i À (on — Misa d,, E di, Ta (Co, Togni dv, ) nu e più brevemente Mu=a+ o. « Per trovare mo bisogna costruire un'altra tabella nella cui prima co- lonna intitolata 7 (relativa al verde) si pongano i numeri della serie naturale ee. Ti-4-—-8—2—1,0,52,3,4,5—.... « Nelle successive colonne si porranno separatamente i numeri m + @ che hanno lo stesso valore di 72, w relativi alle linee C ed F. Tabella per mo u=mM+ di, — di — (do — da) Hg (verde) C F Mo Mm Q m | (0 — 26 — 22 0,37 — 30 0,80 — 25 — 21 0,20 — 29 0,92 — 24 — 20 0,03 — 27 0,04 =h9g — 20 0,86 — 26 0,17 vez 66,15 Pa 2 67 (0,095) « Con questo coefficiente si ottiene l'induzione magnetica. L'intensità si deduce sottraendo il valore del campo e dividendo per 477; noi possiamo sempre trascurare il campo rispetto all’induzione e adoperare, nel calcolo dell'intensità, il coefficiente 66,15 47T « Quanto alle forze magnetizzanti e smagnetizzanti che, nelle tabelle, sono espresse in centesimi di ampère, la riduzione in misura assoluta si fa moltiplicando per = 5,264 47 . 15,25 1000 « Finalmente i numeri esprimenti i fattori smagnetizzanti, essendo rap- porti tra una forza smagnetizzante e una intensità, vanno moltiplicati per 0,1916 5,264 « 6. Risultati. Sono riassunti nella tabella I, che dà, per le diverse in- tensità della corrente magnetizzante (7) e per diversi rapporti tra la lun- ghezza e il diametro del cilindro (4), l'intensità della magnetizzazione a di- verse distanze dell'asse (0), espresse in frazione del raggio del cilindro. = 051916 = 0,0364 TABELLA I. MM 36,9 | 27,7 ! 22,1 17,5 | 180. 10,0 | 8,0 | 5,6 i= 10 DA 950 190 14 | AMOR onalvaa 1,7) 14. 1003805 Die Cod 19, 1,60. 1,24 00038 MOSS SUR OS TR 4 LIO 02.6 VONTI IO O DIGG O4 I 190 (16. | 1.2. | OR MIO — 163 — A4= 54,6 | 905927) RR221 0 17,5 | 13,0 | 10,1 8,0 | 5,6 i=20 g= 0,155 8,9 8,0 5,9 4,8 4,3 3,0 2,5 1,7 1,0 0,310 9,6 8,4 5,7 5;1 3,9 3,1 2,1 1,6 1,1 0,464 Lio 8,9 6,1 5,7 4,2 3,2 2,4 1,9 2 0,617 9,3 7,6 5,2 4,7 3,8 8,1 2,9 1,8 1,9 0,768 11,3 9,2 6,8 5,7 44 3,0 2,6 2,1 L5 0,923 11,9 9,5 6,3 5,9 44 ,3 2,6 2,2 1,8 == 50 01031155 4058/012798 0020/600179 | 11,7 8,3 6,2 4,5 2,5 0,310 38/018 2/10 19:20 lo; 900 LIL 8,1 6,0 4,4 2,9 0,464 4010 ROTA TIA OTO EZIO 12,7 9,2 6,7 5,0 3,0 0,617 42,618 029108 |RLO:9 RELGI6RLI,0 7,8 9,7 4,4 3,0 0,768 42,5 | 29,0 | 28,3 | 20,1 | 12,8 9,5 7,2 9,7 3,9 0,923 49:90 2L4| 2350) 22,1.) 14,3 [210,5 8,0 6,5 4,6 i=80 o = 0,155 0sn5250 RES 5:20 082919010 11917 (BL 6,8 4,1 0,310 75,0 | 50,3 | 35,8 | 27,6 | 18,8 | 13,0 9,0 6,6 4,0 0,464 76,9 | 52,9 | 38,7 | 30,0 | 21,0 | 15,2 | 10,6 7,9 4,7. 0,617 77,6 547 | .89,5 | 30,8,|\ 20,3 [14,0] 121 7,0 4,4 0,768 Ti 53:90 088100317 | 22,01 MAl6:/08 SLI9 9,3 6,1 0993408 77/8560 | 42130 94,60] 25,50 (IO 1451109 8,0 i= 160 e= 0,155 |149,8 | 113,4 | 83,9 | 68,4 | 42,8 | 29,0 | 19,9 | 12,9 6,9 0,810 | 158,8 | 109,7 | 81,0 | 64,7 | 420| 28,0) 181] 12,9 6,9 0,464 | 151,6 | 114,0:| 84,1) 68,6 | 44,7 | 304 | 20,8 | 15,5 8,8 0670 48/8 LIA80 86,70 | .69,7)| 47,8 003270 215 151 8,6 0,768 | 151,8 | 114,1 | 79,0 | 73,0 | 49,1 | 835,0 | 24,9 | 191 12,4 0,923 | 150,3 | 112,6 | 36,7 | 72,9 | 54,1 | 40,5 |-31,3.| 25,6 | 188 i= 286 o= 0,155 123,8 | 33,8 [ 54,8 | 37,8 | 24,7 | 11,0 0,310 121,1 | 84,6. 56,0 | 35,0 239} 11,3 0,464 128,0 | 83,9 | 594 | 39,7| 281| 146 0,617 180,4 | 90,7 | 64,0 | 441) 81,7 | 16,9 0,768 131,2 |: 92,7 | (68,0 | 48,7 | 37,5 | 23,3 0,923 132,1 | 96,8 | 74,2 | 57,3 | 472) 34,5 « Coefficiente di riduzione in misura assoluta, per le intensità della ma- gnetizzazione 5,264. RenpICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. DI DO ose = I En — 164 — « I risultati generali che appariscono da questi numeri sono: Distribuzione sensibilmente uniforme per le maggiori lunghezze. « Aumento dell'intensità dal centro alla peri- feria quando la lunghezza decresce; aumento gran- dissimo e rapido per le minori lunghezze. « Per le minori lunghezze l'aumento dell’inten- sità è più sensibile colle correnti forti, colle mag- giori è più sensibile colle deboli. Ad esempio per 4. :== 54,6 la distribuzione è quasi uniforme se it= 160 o 80, l'aumento è invece sensibile se t==50 0 20; invece per le minori lunghezze l’au- mento si fa sempre più sensibile al crescer dell’in- tensità della corrente. Questo comportamento ha ragione nella forma della curva normale come è spiegato al al S 16 della Nota citata; e dimostra che, se le correnti si fossero spinte a valori mag- giori, tali che anche per i cilindri più corti, la f. m. vera fosse stata compresa tra le ascisse del 3° tratto della curva normale, si sarebbe trovato di nuovo una variazione più piccola che per le correnti più deboli. « Nella figura 2 sono disegnate per 7 = 160 le linee aventi per ascisse @ e per ordinate l'inten- sità della magnetizzazione. L'ultima linea, corrispon- dente alla lunghezza 4 = 5,6, si accorda bene con quella riportata nella Nota citata; solo non vi appare alcun minimo; ciò fa credere che quello trovato nel caso contemplato nel lavoro precedente fosse dovuto alla non omogeneità del materiale. A dir vero un minimo si manifesterebbe in quasi tutte le linee per o = 0,31, ma certamente è do- vuto a insufficienza della correzione accennata al $S 4 od a qualche errore commesso nel determinare la curva del 2° strato; giacchè si verifica press'a poco nella stessa misura per tutte le lunghezze. « In una prossima Nota studieremo l’anda- mento della forza e del fattore smagnetizzante ». Fisica terrestre. — Orsentazione ed intensità del magnetismo permanente nelle roccie vulcaniche del Lazio ('). Nota del dott. Giu- SEPPE FOLGHERAITER, presentata dal Socio BLASERNA. « La sistematica distribuzione del magnetismo nei giacimenti vulcanici del Lazio nel senso voluto dall'azione induttrice della Terra è l’effetto della risultante del magnetismo permanente di essi e di quello temporaneo. Ora può darsi, che tale distribuzione sia dovuta alla prevalenza del magnetismo temporaneo, mentre il magnetismo permanente può avere un'orientazione bensì sistematica ma diversa, o può essere distribuito irregolarmente e ma- scherato da quello indotto, o non esistere affatto; può però anche darsi che la sua orientazione sia identica a quella del magnetismo temporaneo, e che le due azioni si sommino. « Naturalmente per risolvere tale questione si devono dividere gli effetti dovuti alle due diverse cause. A tal uopo ho staccato dalle roccie delle pic- cole colonnette di forma più o meno regolare avendo l’unica avvertenza, che la dimensione nel senso dell'altezza, o se mi era possibile, nella direzione dell'ago d’inclinazione fosse più marcata che quelle nelle altre direzioni. « Merita appena che io accenni, che nello staccare le colonnette ho usate tutte le precauzioni per evitare scosse od urti, che per conto loro avrebbero potuto influire molto sulla magnetizzazione: e per questo vennero presi quasi sempre dei pezzi, che o per l’azione delle vicende atmosferiche o per altre cause si sono un po staccati dal resto della massa rocciosa. « Appena staccata una colonnetta, aveva l'avvertenza di segnarne subito col gesso la parte superiore, e notava poi l’orientazione e l'altezza nel banco del punto da cui era stata levata. « Le colonnette raccolte sono 75 e provengono dalle moltissime cave e giacimenti di roccie, che si trovano sparpagliate per la Campagna romana e sui Colli laziali. -Ve ne sono di tutte le categorie, nelle quali il Keller ha suddiviso le roccie vulcaniche del Lazio: la loro lunghezza varia. tra 9 e 16 cm.; il peso da 100 gr. ad un kilogrammo. Nella forma non sono punto confrontabili fra loro: ora terminano verso le estremità superiore ed inferiore (stabilite dalla loro posizione sulla roccia) in superfici grossolanamente piane, ora in piramidi od altre forme, in modo che non è certamente lecito fare dei seri confronti quantitativi sulla loro intensità magnetica. Del resto per me questa è una questione di poca importanza, ed ho rinunciato assai volentieri alla forma regolare delle colonnette piuttosto che potesse sorgere il dubbio, (1) Vedi questi Rendiconti pag. 117. — 166 — se la lavorazione e pulitura abbia alterato la distribuzione ed intensità magnetica. « L'esame dell’orientazione del magnetismo nelle colonnette venne fatto coll'avvicinarle ad un ago calamitato liberamente sospeso in modo, che il loro presunto asse magnetico fosse normale all'asse dell'ago, come si usa nella misura dell’intensità magnetica col metodo delle deflessioni (est-ovest); in tal maniera si evita completamente il pericolo di un'induzione reciproca tra l'ago calamitato e le colonnette. « Il risultato di tale esame fu uniforme per tutte le colonnette raccolte, senza alcuna eccezione: esse sì manifestarono perfette calamite col polo Nord dalla parte, che sulla roccia stava in basso e col polo Sud in alto. Questa uniformità e regolarità non mi sorpresero punto, anzi si dovevano aspettare, perchè sono conformi e corrispondenti alla distribuzione del magnetismo nei giacimenti vulcanici. « Eseguito questo primo esame, e segnata la deflessione prodotta dal- l'avvicinamento all'intensimetro dei due poli di ciascuna colonnetta, rovesciai quasi tutte le colonnette in modo, che il loro polo Sud venisse a trovarsi in basso ed il loro polo Nord in alto. Dopo alcuni giorni determinai nuova- mente la polarità e l'intensità magnetica delle diverse colonnette, e continuai poi ad intervalli questo esame per circa tre mesi, e tuttora continua. « Non posso quì riportare la lunghissima tabella di valori avuti dal- l'esame di tutte le colonnette, ma per mostrare come sia variata l'intensità magnetica per effetto del loro rovesciamento, riassumerò nella Tabella I i risultati ottenuti dall'esame assai accurato di 4 colonnette, scelte fra quelle che mostrarono maggior intensità magnetica, Ciascuna di queste colonnette venne fissata solidamente sopra una propria tavoletta, e questa poi si faceva terminare ad un punto fisso e costante del braccio dell’intensimetro a defles- sione, sul quale poteva scorrere a coulisse. In questo modo era sicuro, che la distanza e la posizione relativa tra l’ago e le colonnette restavano nelle varie misure fatte ad epoche diverse sempre costanti ed invariate, e quindi le varie misure erano paragonabili tra loro. « Per avere un'idea dell'errore che si poteva commettere nella misura dell'angolo di deflessione nel togliere e rimettere allo stesso punto le colon- nette, feci una serie di 6 misure, dalla quale mi risulta, che l'errore medio di ciascuna determinazione ha il valore angolare di 0',38. L'’esattezza che si raggiunge è più che sufficiente, come vedremo, per dedurre con certezza in che rapporto stiano il magnetismo permanente ed il magnetismo indotto dalla Terra nelle roccie. « Le determinazioni fatte della deflessione prodotta dalle colonnette fu- rono rese indipendenti dalle variazioni della declinazione procedendo nel se- guente modo: si leggeva con cannocchiale e scala la posizione d' equilibrio dell’ago dell’intensimetro: veniva avvicinato alla voluta distanza un polo della — 167 — colonnetta e si notava la nuova posizione del reticolo sulla scala: si allon- tanava la colonnetta e si rileggeva la posizione d’'equilibrio dell'ago. La differenza tra la media delle due posizioni d’equilibrio dell'ago senza colon- netta e la sua posizione sotto l'influenza di questa dà lo spostamento dovuto al magnetismo della roccia. Il processo si ripeteva per io stesso polo tre volte. e dalla media dei tre spostamenti veniva calcolato l'angolo di deflessione. « Coll identico procedimento veniva determinato l'angolo di deflessione prodotto dall'altro polo della colonnetta. «I risultati ottenuti sono raccolti nella seguente : TABELLA I. 30 Marzo 2 Aprile | 6 Aprile| 10 Apr.| 17 Apr. | 28 Apr. | 10 Mag. | 11 Giug. 4 7a / OR DINI O, 07507 A 0 58.63 0.57.50 | 0.56.62 | 0.55.53 | 053.93 05440 0.54.45 | 0.54.1 B | 0.56.77 | 0.56.87 | 0.55.87 | 0.54.50 | 0.53.60 | 0.53.95 | 0.53.99 | 0.53.8 C | 1.47.77| 1.47.02 | 1.45.22| 142.66] 1.40.20] 1.41.06 | 1.41.05 | 1.40.35 D _ — 3.47.47 | 3.89.07 | 3.39.27 | 3.39.32 | 3.39.32 | 3.39.0 [ « Nella 1° riga sono segnate le varie date dell'esame: le righe successive contengono i valori ottenuti nelle diverse date per ciascuna delle 4 colonnette; questi rappresentano la somma dei due angoli di deflessione dovuti all’avvi- cinamento dei due poli, e quindi sono sensibilmente proporzionali all'intensità magnetica. Le colonnette A, B, C sono di tufo litoide, la D è di lava basaltina. « Da questa tabella si scorge chiaramente, che col rovesciamento l’in- tensità magnetica delle colonnette ha diminuito sensibilmente, e sembra per di più che ora tale diminuzione si sia quasi arrestata. Il magnetismo per- manente è quindi di gran lunga più intenso del magnetismo temporaneo, ed ha la stessa orientazione di questo, come se anch'esso fosse dovuto all’azione induttrice della Terra. « Per accertarmi che l'indebolimento subìto dalle colonnette è dovuto realmente al fatto, che nelle colonnette rovesciate il magnetismo indotto dalla Terra agisce in senso contrario al magnetismo permanente, mentre prima del rovesciamento agiva nello stesso senso, e non dipende in modo sensibile da altre cause, ho determinato collo stesso metodo più sopra esposto l’intensità magnetica di altre due colonnette di tufo, che ebbi cura di tenere sempre verticali e diritte, come cioè erano disposte sulla roccia viva. I risultati ot- — 163 — tenuti nelle varie date sono esposte nella seguente tabella: il significato delle cifre. raccolte nelle diverse righe è eguale a quello della tabella antecedente. TABELLA II. 6 Aprile | 10 Aprile | 17 Aprile | 28 Aprile | (44) | (A Ol, OIR01, OR, WAI A' 0.54.65 | 0.55.15 0.54.40 0.54.40 0.54.52 0.54.18 10 Maggio|11 Giugno B"| 1:26.68) 11.26.8748 \861125.97 | 1:26.63 1261738 MI2600 | « Da questa tabella si scorge, che l'intensità magnetica non ha in questo caso variato, o al più le variazioni sono così piccole, che cadono entro i limiti degli errori d'osservazione: però con ciò non viene escluso il caso, che a pe- riodo più lungo possa aver luogo qualche diminuzione, come succede nelle calamite comuni. « Senza volere dare troppo peso o troppa generalità ai risultati sopra esposti faccio notare, che il rapporto fra le intensità magnetiche delle colon- nette di tufo prima e dopo il rovesciamento è in media 16:15 mentre che per la lava basaltina è 28:27; queste cifre possono dare luce del rapporto, che esiste tra il magnetismo permanente e quello indotto dalla Terra, in queste due specie di roccie vulcaniche. « Come è stato di già detto, le colonnette scelte per questo accurato esame del loro magnetismo sono fortemente magnetiche: ma anche tutte le altre colonnette di queste due specie di roccie (30 di tufo e 12 di lava ba- saltina (!)) sono state trovate abbastanza fortemente magnetizzate, e si sono comportate tutte nel medesimo modo: il rapporto cioè tra il magnetismo tem- poraneo e quello permanente è piccolo, ed il magnetismo permanente è indistin- tamente per tutte le colonnette orientato, come se fosse stato prodotto sotto l'azione del magnetismo terrestre. « Anche i varî campioni (in numero di 5) di sperone si sono comportati perfettamente nello stesso modo, e furono trovati di un'intensità magnetica abbastanza grande. Ho fatto pure alcune misure con delle piccole colonnette di pozzolana, che con grande difficoltà ho potuto trasportare intere dalla cava in laboratorio attesa la loro grande friabilità, ed ho riscontrato anche per questa specie di prodotto vulcanico la stessa orientazione nel magnetismo edi 1 rapporto tra il magnetismo indotto e permanente a presso a poco della grandezza di quello del tufo. (1) Riguardo alla lava basaltina devo ricordare, che non ho mai sperimentato sù pezzi staccati in vicinanza a punti distinti. — 169 — «I campioni di peperino (in numero di 6) furono trovati magnetizzati assai debolmente (viene così confermata completamente la tabella di gradu- zione stabilita dal Keller per l'intensità magnetica delle varie specie di roccie vulcaniche) (!), ed anche quì si verificò una diminuzione di intensità dopo che sono stati capovolti. Ora dopo tre mesi e mezzo dacchè queste colonnette furono sottoposte ad esame, tre di esse sono talmente indebolite, che è difficile stabilire con precisione, se il magnetismo attuale sia ancora orientato come sulla roccia viva o se i poli siano invertiti. Ad ogni modo il magnetismo permanente, se pure esiste nel peperino, è ora quasi completamente mascherato, se non superato dal magnetismo indotto dalla Terra. « Resta così accertato, che una delle cause che ha prodotto il magne- tismo permanente nelle roccie vulcaniche del Lazio, è stata l’induzione ter- restre, e se essa non è l’unica, perchè non spiega la formazione dei punti distinti, è però certamente la più potente delle cause: sarebbe altrimenti assai difficile il trovare la ragione di una orientazione del magnetismo così sistematica. « Ora l’azione induttrice della Terra può aver agito sulle roccie vulca- niche in due modi diversi: o nel periodo del raffreddamento e consolidamento delle materie vulcaniche eruttate, e quindi in un tempo relativamente breve dopo avvenuta l'eruzione, oppure per effetto della lenta ma continuata indu- zione del magnetismo terrestre sulle roccie di già raffreddate. Il Melloni (*) era dell'opinione, che il magnetismo delle lave fosse dovuto all’induzione della (1) Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, vol. V, 1° sem. 1889, pag. 519. (2) Memorie della R. Accad. delle Scienze di Napoli, vol. I, 1853, pag. 121; C. R., vol. XXXVII, 1858, pag. 229. A proposito della calamitazione, che acquistano le roccie vulcaniche durante il loro raffreddamento, voglio ricordare una lettera di C. Romme inserita nel giornale « Observations sur la Physique ecc. », vol. X, 1777, pag. 14, nella quale VA. rivendica a Roberto Boyle la scoperta della calamitazione dei mattoni, durante il loro raffreddamento, per effetto dell’induzione terrestre. Ecco l’esperienza di Boyle tradotta da Romme letteralmente dall’inglese : « Une brique qui n’avoit point servi, fut sciée dans sa longueur en deux parties égales. « Chacune d’elles (en différens tems), fut poussée au feu, jusqu’au rouge, pendant un tems « assez long, et ensuite refroidie, en la dirigeant du Nord au Sud. ,Elle acquit par là, «comme je l’attendois, une vertu magnétique. Son extrémité, qui, en refroidissant, regar- « doit le Sud, attira un peu, quoique foiblement, la fleur-de-lys, dirigée au Nord d’une « aiguille de boussole. Son autre extrémité repoussoit un peu plus vigoureusement la fleur- « de-lys, et attiroit un peu l’autre pointe de l’aiguille ». Per quante ricerche io abbia fatto nelle opere di R. Boyle, non ho potuto ritrovare questo brano, che secondo il Romme sarebbe stato pubblicato in un’Opera scritta in inglese nel 1691, un anno dopo che Boyle fece l’esperienza citata. Neppure nell’edizione dell’« Opera Omnia R. Boyli » Venetiis, sumptibus Io: Iacob: Hertz, 1697 si parla di quest'esperienza; soltanto nel vol. III al capitolo « Experimenta et notae circa mechanicam magneticarum qualitatum productionem » pag. 404, viene citato un altro trattato, che non trovai da con- sultare « De magnetismo Terrae ». — 170 — Terra nel periodo del loro consolidamento e raffreddamento, e non all’azione secolare di essa sulle roccie già fredde. Egli ha basato la sua ipotesi sul fatto, che le lave consolidate ai suoi giorni non erano punto inferiori in forza ma- gnetica a quelle dei vulcani estinti dalla più remota antichità, e riteneva come altra prova evidente della calamitazione delle lave nei primi tempi della loro formazione 74 tenacità colla quale conservano il proprio stato ma- gnetico. Egli ha a questo proposito ricordato che dei pezzi di leucitofiro e di altre qualità di lave estratti dalle pareti dell'Anfiteatro di Pompei si mostra- rono calamitati sotto qualunque inclinazione rispetto all'orizzonte: prova questa che essi conservarono i loro assi magnetici nelle posizioni primitive indipen- dentemente dalla nuova orientazione, in cui furono posti come materiali di fabbrica. « Io credo che l'ipotesi di Melloni sia giusta fino a che si parla di lave, ossia di roccie vulcaniche, le quali a forma di colate sono scese dalle pendici dei vulcani, poi si sono ancora caldissime fermate e consolidate e quindi si sono lentamente raffreddate, conservando la posizione già presa, e che ancora conservano. Se invece si prende in considerazione il modo di formazione delle altre specie di roccie vulcaniche non si può in generale ammettere tale ipotesi, e per spiegare l’orientazione attuale del loro magnetismo, si deve ricorrere anche alla secolare azione induttrice della Terra sulle roccie già fredde. « I tufi e le pozzolane sono generalmente originate dalle ceneri vulcaniche, che durante un’eruzione vengono lanciate ad enorme altezza, e che poi vengono dal vento trasportate a distanze, che talvolta superano il centinaio di chilo- metri (!). È poco ammissibile che queste ceneri vulcaniche si siano conservate, durante tutto il tempo che rimasero in balia del vento in regioni relativa- mente fredde, ad una temperatura sufficientemente alta, perchè dopo depositate abbiano potuto subire la calamitazione, dirò così, istantanea; nè è possibile, che se esse furono magnetizzate dall'azione induttrice della Terra ancor quando sì trovavano nell'aria a temperatura alta, si siano poi cadendo depositate tutte in modo così uniforme da costituire una calamita: a maggior ragione poi non è possibile attribuire all'induzione del magnetismo terrestre durante il periodo di raffreddamento, in epoca quindi poco posteriore all’ eruzione, l’orientazione attanle del magnetismo nelle roccie che provengono dal trasporto e deposito delle acque: chi sa quante volte per il rimescolamento delle ceneri è stato distrutto ed orientato diversamente il loro magnetismo. « È necessario come ben si vede, ammettere che alcune specie di roccie vulcaniche, non hanno una forza coercitiva così grande come la lava del Ve- (1) Si ha una prova di ciò nel fatto, che talvolta trovansi dei giacimenti più o meno considerevoli di roccie vulcaniche a distanze grandissime dal focolare eruttivo. Così per esempio nei dintorni di Roma, a Scurcola, nel bacino del Fucino ed a Papigno trovansi dei banchi di pozzolana; e questi luoghi son ben distanti dai vulcani. i — 171 — suvio, ma che in esse tale forza ha ceduto all’azione continuata dell’induzione terrestre: in caso contrario l'orientazione attuale del loro magnetismo sarebbe inesplicabile. Del resto vi sono dei fatti, che danno valore a quest’ipotesi: dalle mie ricerche più sopra riportate risulta, che 3 fra le sei colonnette di peperino tenute rovesciate hanno perduto completamente il loro magnetismo dopo soli 3 mesi, dacchè furono staccate dalla roccia: dal prof. Keller (1) ebbi un frammento di tufo terroso formato entro una fessura naturale di un gia- cimento di pozzolana presso il ponte della Foce sulla strada Tivoli-Zagarolo. L'origine di questo tufo è dovuta alla terra tufacea sovrapposta alla pozzo- lana, che per l’azione delle acque andò riempiendo gradatamente la fenditura. Quel frammento fu trovato calamitato come al solito col polo Nord alla parte inferiore e col polo Sud alla parte superiore; e quì non può cader dubbio che quel tufo si sia ricomposto lì dentro in tempi relativamente recenti ri- spetto all’epoca dell'eruzione. « Come si vede da questi esempi non si deve prendere come regola fissa, che la calamitazione delle roccie abbia avuto luogo prima del loro completo raffreddamento, ma in molti casi bisogna ammettere, che la calamitazione ha avuto luogo a freddo. Io ho voluto insistere su questo punto per mostrare che non vi è motivo di concludere, che la regolare orientazione del magne- tismo nei tufi, pozzolane e peperino sì possa ritenere come un indizio, che tali roccie si trovino ora, ove originariamente caddero le ceneri vulcaniche di cui sono formate. « Una questione che ancora non è stata risoluta, e che io pure lascierò senza tentare di darne una spiegazione, è quella della formazione dei punti distinti nelle lave. « Colla Guida itineraria del prof. Keller (?) ritrovai molti punti distinti da lui descritti, ed esaminai l'orientazione del loro magnetismo. Mi resi così persuaso che non era possibile stabilire per essi una relazione qualsiasi colla direzione del campo terrestre. Voglio qui riportare due soli esempi assai ca- ratteristici. Il bloceo con punto distinto presso il ponte Buttero ha superior- mente una superficie quasi piana ed orizzontale: a press’ a poco nel mezzo di questa trovasi un punto distinto Nord: nella penultima grande cava a sini- stra della via Appia Antica a circa km. 4,6 dalla Porta S. Sebastiano ho trovato un punto distinto Sud a circa cm. 40 dalla base di una parete di lava alta circa m. 9; questo punto distinto è venuto alla luce forse un anno fa in seguito all'escavazione della selce: non è possibile spiegare la sua formazione neppure coll’azione delle scariche elettriche dell’atmostera ; e se quest'ipotesi può valere per i punti che si trovano in cima ad alture, e che possono per la loro ubi- (1) Devo ringraziare vivamente il chiarissimo prof. Keller dei molti favori e consigli, di cui mi è stato largo nel condurre a termine questo mio lavoro. (2) Rendiconti della R. Accad. dei Lincei, vol. VI, 2° sem., 1890, pag. 17. RenpICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 29 — 172 — cazione venire facilmente fulminati, non è ammissibile per questo punto nè per altri pochi, che trovansi in simili condizioni. « Non sembra probabile neppure, che l'ipotesi di una diversa costituzione chimica e mineralogica e di proprietà fisiche diverse sia sufficiente a spiegare la formazione di questi punti distinti, che occupano una regione talvolta po- chissimo estesa in mezzo ad una massa rocciosa assai grande originata tutta in modo uniforme e che ha ovunque lo stesso aspetto. « Conclusione. — Da quanto ho esposto risulta: « 1° Tutte le roccie vulcaniche del Lazio esaminate posseggono una certa quantità di magnetismo indotto dalla Terra, che come nel ferro dolce, sebbene più lentamente, varia di posizione col variare l’orientazione delle roccie. « 2° Tutte le roccie vulcaniche in parola posseggono una certa quantità di magnetismo permanente, che in generale è distribuito come se fosse dovuto all’induzione terrestre. Nella lava basaltina, sperone, tufo e pozzolana ed in generale nelle roccie fortemente calamitate la quantità di magnetismo per- manente è di gran lunga maggiore di quella di posizione. Nelle roccie invece debolmente magnetiche, come il peperino, il magnetismo temporaneo può essere in quantità maggiore del magnetismo permanente, e forse questo talvolta nel vero senso della parola non esiste. «3. Tutte le roccie vulcaniche sono dotate di forza coercitiva come l'acciaio, ma in grado assai diverso: nelle lave essa ha impedito, che sì ro- vesci anche dopo molti secoli il magnetismo in origine indotto dalla Terra; nelle pozzolane tufi ecc., la forza coercitiva è in grado minore, ed in molti casì il magnetismo in origine indotto dalla Terra è stato certamente rovesciato. Nel peperino tale forza è in grado assai piccolo. « 4. Il magnetismo delle roccie vulcaniche (se si eccettuano i punti distinti) è dovuto unicamente all’azione induttrice della Terra. Talvolta come nelle lave tale azione è stata assai rapida, mentre esse trovavansi ancora a temperatura elevata; talvolta tale azione ha dovuto agire forse per molti se- coli ed a freddo. 5. Il modo in cui si sono formati i punti distinti non è ancora noto. Le ipotesi finora emesse non spiegano l'origine di tutti questi punti ». — 173 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 6 agosto al 2 settembre 1894. D'Achiardi G. —. Roccie eruttive del Bacino Boratifero di Sultan-Tchaiîr. Pisa, 1894. 8°. Arcangeli G. — La flora italiana. 2* ediz. Torino, 1894. 8°. Atti del primo Congresso geografico italiano tenuto in Genova dal 18 al 25 settembre 1892. Vol, I, 1, 2; II, 1. Geuova, 1894. 8°. Baculo B. — Nouvelles recherches sur les Centres thermiques au sujet de la thermo-dynamique. Naples, 1894. 8°. Id. — Saggi sperimentali sui centri termici in alcuni pecilotermi. Napoli, 1894. 4°. Centénaire de la fondation du Muséum d’histoire naturelle 10 juin 1793 a 10 juin 1893. Volume commémoratif publié par les professeurs du Mu- séum. Paris, 1893. 4°. Feliu y Perez B. — Intluencia de la filosofia en la constituciòn de la fisica. Barcelona, 1894. 8°. Langley S. P. — The internal Work of the Wind. Washington, 1893. 4°. Massalongo C. — Nuova contribuzione alla micologia veronese. Genova, 1894. 8°. Palazzo L. — Un piccolo magnetometro da viaggio per lo studio delle per- turbazioni magnetiche locali. Roma, 1894. 4°. Prestwich J. — On the evidences of a submergence of western Europe, and of mediterranean coasts, at the close of the glacial or so called post- glacial period, and immedietely preceding the neolithic or recent period. London, 1893. 49. Romiti G. — Sopra la incompiutezza dell'arco zigomatico di un cranio umano notevole per altre varietà. Pisa, 1894. 8°. Statuto organico e regolamento della R. Scuola navale Superiore in Genova. Genova, 1894. 8°. Travaux et mémoires du Bureau international des poids et mesures. T. X. Paris, 1894. 4°. Verson E. — Zur Spermatogenesis bei der Seidenraupe. Leipzig, 1894. 8°. Virchow R. — Morgagni und der anatomische Gedanke. 2° Auf. Berlin, 1894. 8°. PB: RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA RR. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 16 settembre 1894. DN Chimica. — // parazilene quale solvente nelle ricerche crio- scopiche. Nota del Socio E. PATERNO e del dott. 0. MONTEMARTINI. « Nella Nota sui mutamenti di volume nei miscugli dei liquidi abbiamo accennato, che allo scopo di poter fare le esperienze a 0°, ci eravamo pro- posti di sostituire alla benzina il toluene. Era però necessario prima di tutto di assicurarci se rispetto al toluene le sostanze di varia funzione chimica avessero presentato lo stesso comportamento che presentano con la benzina. Ed essendo impossibile adoperare il toluene come solvente nelle ricerche crio- scopiche, perchè esso si mantiene liquido a bassa temperatura, abbiamo vo- luto esaminare qualche altro omologo della benzina, sembrandoci che ove gli omologhi della benzina si fossero comportati in modo analogo, non vi era ragione per ammettere che il solo toluene facesse eccezione. « Il primo idrocarburo scelto a questo scopo fu la paradimetilbenzina, che per il suo punto di fusione nè troppo alto, nè troppo basso e per il suo esteso potere solvente, presentava tutti i requisiti di ottimo solvente nella crioscopia. « Il paraxilene sì fonde a 16°; il suo calore latente di fusione determinato da Colson è stato trovato 39,3, onde con la formula di van t Hoff m = (a sì calcola che la costante dell’abbassamento molecolare deve essere eguale a 42,5. « Il p-xilene da noi adoperato proveniva dalla fabbrica di Kahbaum. Prima di adoperarlo lo abbiamo distillato sul sodio e presentava punto di ebollizione costante. Il suo punto di congelamento fu trovato a 139,23; pu- rificandolo per cristallizzazione, secondo ogni probabilità, avremmo potuto RENDICONTI. 1894, Vor, III, 2° Sem. 24 ottenere un prodotto a punto di congelamento più elevato, ma le considere- voli perdite di prodotto che si hanno in queste operazioni, ed il prezzo del paraxilene ci consigliarono ad impiegarlo tal quale, tanto più che per lo scopo da noi prefissoci non era indispensabile l'assoluta purezza del prodotto. — 176 — « I risultati ottenuti sono compresi nelle seguenti tavole: I. Sostanze varie. Num. d’ordine O 00 ID Uta VND Concentrazione Abbassamento termometrico Coefficiente di abbassamento Benzina, P. m. = 18. 0,265 0,532 0,80 2,12 3,87 1,12 0,38 0,535 1,26 0,25 0,37 0,85 1,55 0,559 0,562 0,556 0,556 0,550 0,540 0,551 0,531 0,523 Naftalina, P. m. = 128. 0,388 0,964 0,323 0,517 0,293 Difenile, P. m. = 154. 0,407 0,288 0,287 Fenantrene, P. m. = 178. 0,560 0,296 0,260 0,248 Abbassamento molecolare 49,04 43,84 43,37 43,37 42,90 49,12 41,42 41,42 40,79 49,66 46,59 41,54 40,53 39,90 61,48 44,38 44,20 64,08 52,69 46,28 44,14 — 177 — | Num. c 5 Abbassamento Coefficiente Ta d’ordine OLICENLTAZIONe termometrico | di abbassamento molecolare Ossalato dietilico, P. m. = 146. 22 0,657 0,18 0,274 40,00 23 1,546 0,49 0,816 46,14 24 2,959 0,90 0,304 44,38 25 4,341 1,27 0,292 42,63 26 5,933 1,65 0,278 40,59 27 7,619 2,07 0,271 39,57 28 9,341 2,47 0,264 38,54 29 11,947 3,06 0,256 37,38 30 13,695 3,44 0,251 36,65 Anidride acetica, P. m. = 102. 31 0,745 0,35 0,471 48,04 32 1,841 0,77 0,418 42,64 33 4,339 1,585 0,366 37,99 S4 8,495 2,755 0,326 53,25 35 12,809 3,82 0,298 50,40 36 21,067 5,40 0,256 26,11 37 1,251 0,795 0,635 42,54 58 2,697 1,60 0,509 34,10 39 3,912 2,195 0,506 33,60 40 6,512 3,93 0,511 34, 24 Tiofene, P. m. = 84. 41 0,575 0,32 0,558 46,87 42 1,576 0,77 0,537 45,11 43 2,417 1,27 0,525 44,10 44 3,624 1,84 0,507 42,59 45 9,663 2,805 0,495 41,58 Pirnolo, Pm. = (678 46 (USI 3,78 0,489 41,08 Num. d’ordine (e) — 178 — II. Alcaloidi. Concentrazione 9,309 | 10,698 0,488 0,955 1,805 2,800 3,677 4,722 9,572 6,460 1,528 8,684 0,564 1,054 1,765 2,707 3,757 4,880 6,202 7,124 3,459 0,718 1,540 4,025 6,805 9,936 Abbassamento termometrico Coefficiente di abbassamento Antimo. m. —=:93: 0,28 0,380 1,225 1,61 2,91 2,54 3,09 3,59 3,99 0,473 0,491 0,456 0,439 0,412 0,404 0,399 0,379 0,363 Pirigino, P. m. = 79: 0,545 0,565 0,529 0,511 0,506 0,490 0,494 0,486 0,481 0,468 Piperidina, P. m.= 85. 0,461 0,474 0,487 0,485 0,482 0,472 0,459 0,456 0,449 Conîna, P. m.= 127. 0,362 0,354 0,335 0,954 0,321 Abbassamento molecolare 43,99 45,66 42,41 40,83 38,32 37,97 37,11 35,25 33,76 42,90 41,79 40,37 39,97 38,71 39,03 38,39 38,00 36,97 29,18 40,29 41,59 41,22 40,97 40,20 39,01 38,76 38,16 45,97 44,96 42,54 42,42 40,77 — 179 — Num. c QI Abbassamento Coefficiente Abbassamento d’ordine OI CCNtTAZIONe termometrico |di abbassamento molecolare Iribenzilammina, P. m.= 287. 80 0,872 0,145 0,166 47,64. 81 4,366 0,68 0,155 44,48 82 7,949 1,195 0,150 43,03 83 13,029 1,945 0,140 42,76 84 24,282 3,52 0,145 41,61 III. Alcooli. Alcool etilico, P. m. = 46. 85 0,310 0,27 0,871 40,06 86 IR294 0,77 0,625 28,75 87 2,496 TOO 0,623 28,66 88 4,022 1,47 0,365 16,76 89 UTO 1,99 0,256 IIMSTAT 90 olo 2,73 0,173 7,96 91 26,505 3,995 0,128 5,85 Alcool isobutilico, P. m. = 74. 92 0,364 0,21 0,577 42,70 93 1,001 0,525 0,524 È 38,78 94 2917 0,98 0,426 31,52 95 4,523 1,465 0,324 23,98 96 11,038 2,445 0,221 16,95 97 23,995 3,67 0,156 I 154 Trimetilcarbinol, P. m. == 74. (0) 98 0,449 0,24 0,534 89,52 99. 1,455 0,705 0,484 85,82 100 3,092 1,21 0,391 28,93 101 4,127 1,45 0,951 25,97 102 6,385 JROXI 0,299 22,13 103 9,463 2,47 0,261 19,81 104 14,631 3,22 0,220 15,28 105 18,754 3,76 0,200 14,80 106 38,266 5,945 0,155 11,47 So 80) — Num. È Abb t Coefficient Abb t dorate Concentrazione terithico di Sb iaa eis A " Etere dictitico della glicerina, P. m.= 148. 107 0.471 0.18 0,382 56,53 108 1,924 0,59 0,306 45,29 109 3,475 0,865 0,249 36,85 110 7,023 1,60 0,228 33,74 111 9,691 2,02 0,208 30,78 112 14,068 2,71 0,192 28,42 113 19,052 3,88 0,177 26,20 IR 26,609 4,33 0,163 24,02 Alcool benzoîico, P. m. 108. 115 0,445 0.20 0,449 48,49 116 2,084 0,79 0,383 41,36 oa 3,503 1,02 0,291 31,43 118 6,811 1,54 0,226 24,41 119 10,844 1,985 0,183 19,76 120 14,187 92,325 0.164 IRA 121 18,136 2,66 0,147 16,88 122 25,912 3,25 0,125 13,50 IV. Acidi. Acido acetico, P. m. = 60. 193 0,767 0.32 0,417 25,62 124 1,221 0,46 0,377 22,62 125 2,151 0,78 0,362 21,72 126 8,871 1,335 0,350 21,00 127 5,161 1,74 0,337 20,22 128 6,926 2,25 0,324 19,44 129 8,311 2.61 0,314 18,84 130 10,948 3,14 0,289 17,84 131 11,928 9,54 0,296 17,76 132 14,250 4,11 0,281 16,68 Acido benzoico, P. m.= 122. 133 0,626 0.16 0,255 31.11 (ESSI 134 1,242 0,25 0,201 24,52 ti 135 3,028 0,59 0,195 23,79 (Pol 136 6,092 1,00 0,164 20,01 Ls Num. d’ordine Concentrazione — 81 — Abbassamento termometrico Coefficiente di abbassamento Abbassamento molecolare Acido stearico, P. m. = 284. 1,199 0.145 0,129 2421. | 022 0.091 V. Fenoli. Fenol ordinario, P. m.= 94. IR2501 0,55 0,439 2,765 15065 0,403 4,874 1,745 0,358 6,813 2,26 0,332 9,759 2,865 0,293 SY 3,44 0,262 19,235 4,245 02211 25,094 5,03 0,200 34,051 5,925 0,172 Timol, P. m. — 150. 1,116 0,34 0,304 2,092 0,615 0,294 Snlibili 0,925 0,290 5,589 1h}593) 0,273 10,227 DIDI 0,251 15,941 3,62 0,235 235212 5,125 0,220 39,335 7,635 0,194 48,335 8,805 0,120 Salicilato metilico, P. m. — 152. 0,732 0,225 0,302 2,529 0,77 0,304 4,473 16% 0,299 6,443 1,84 0,285 8,343 2,29 0,274 10,533 2,78 0,264 12,330 3,29 0,261 14,836 3,94 0,259 su 41,27 37,98 353,605 31,21 27,54 24,63 20,77 18,80 16,17 45,60 44,10 43,50 40,95 37,65 55,25 33,00 29,10 18,00 45,90 46,21 46,45 43,32 41,65 40,15 39,67 39,37 Do |32 — « Basta un esame, anche superficiale, dei risultati che precedono per scorgere che lo xilene, come solvente nelle ricerche crioscopiche, ha un com- portamento perfettamente simile a quello della benzina, quale è stato pro- vato dalle ricerche pubblicate da uno di noi nel 1889 e confermato da quelle più recenti di K. Auwers (!). Gli idrocarburi, gli eteri, le anidridi ed in generale le sostanze neutre si comportano in modo normale; similmente si comportano gli alcaloidi. Gli acidi danno invece un abbassamento molecolare circa metà del normale. Gli alcooli danno un abbassamento normale o quasi in soluzioni diluite, che però diminuisce rapidamente con la concentrazione, ed i fenoli presentano, ma molto meno pronunziato, lo stesso comportamento degli alcooli. Soltanto il tiofene e il pirrolo si comportano in modo diverso che nella benzina; perchè mentre nella benzina danno risultati anormali, come è stato provato da uno di noi per il primo (?) e da Magnanini (5) per il secondo, nello xilene si comportano affatto normalmente. « Ma questa differenza non solo non è argomento a provare una diversità nel comportamento crioscopico generale fra benzina e xilene, ma è anzi una nuova prova della loro analogia. « Ed invero le esperienze di Garelli (4) e di Garelli e Ferratini (5) hanno provato che le anomalie presentate dal tiofene, dal pirrolo e dalla piridina sono dovute alla analogia di costituzione fra queste sostanze e la benzina che si esplica nel fatto che esse cristallizzano insieme, « E nella stessa guisa che gli omologhi del pirrolo sì comportano in modo diverso del pirrolo (5), è chiaro che la dimetilbenzina deve in questo caso comportarsi in modo diverso della benzina. « Ma la perfetta analogia del comportamento della benzina e del para- xilene, quali solventi nelle ricerche crioscopiche, non si svela solo nel com- portamento generale delle sostanze di diversa funzione chimica, essa si manifesta nell'esame più minuto del comportamento delle singole sostanze. Ed in vero: a) Per gli alcooli indistintamente l'abbassamento molecolare decresce rapidamente con la concentrazione. Per l'alcool etilico nella benzina sì riduce ad + circa (da 46,46 a 7,86) per una variazione di concentrazione da 0,3 a 23°, e per lo xilene per una concentrazione da 0,3 al 26 °/, si riduce si- milmente da 40,06 a 5,85. Per il trimetilcarbinol nella benzina per una concentrazione variabile da 6,39 a 9,87 l'abbassamento molecolare si riduce da 48 a 28, e nello xilene per una concentrazione variabile da 0,45 a 9,46 si riduce da 39,5 a 19,3, cioè presso a poco nelle stesse proporzioni. Per l'alcool (1) Zeits. f. phy. Chemie t. XII, p. 689. (2) Gazz. chimica 1879, p. 666. (8) Gazz. chimica 1889, p. 142. (4) Gazz. chimica 1898, p. 334. (5) Gazz. chimica 1892, p. 243 e 18939, p. 442. (6) Gazz. chimica 1889, p. 141. — Magnanini per gli N derivati. — 183 — benzoico da 40,82 per una concentrazione di circa 1°/, si riduce nella benzina a 19,55 per la concentrazione di 20,69 °/,; e nello xilene da 41,36 per la con- centrazione del 2 °/, si riduce a 15,88 per una concentrazione del 18 °/, circa. 6) Per i fenoli nella benzina si osserva che l'anomalia più pronunziata si manifesta nel fenol ordinario, mentre che negli omologhi l'andamento si va avvicinando sempre più al normale, ed il salicilato metilico ha un com- portamento che può dirsi affatto normale. Lo stesso avviene per lo xilene. L'abbassamento molecolare pel timol nella benzina da 50 scende a 40 per una concentrazione che varia da 1,28 a 17,70, e nello xilene da 45 scende a 35 per una variazione di concentrazione presso a poco corrispondente. Pel salicilato metilico nello xilene da 45 sì riduce a 39 per una variazione di concentrazione da meno dell’'1°/, a circa il 15 °/,. c) Per gli acidi nello xilene come nella benzina si ha che gli abbas- samenti molecolari sono circa metà dal normale in soluzioni diluite, e subi- scono una diminuzione con l'aumento della concentrazione. d) Gli alcaloidi si comportano comparati uno ad uno in modo per- fettamente corrispondente nella benzina e nello xilene. Così l'abbassamento molecolare per l'anilina nella benzina da 46,41 va a 35,96 (conc. 0,88 a 10,65) e nello xilene da 43,99 a 33,76 (da 0,59 a 10,69). Per la piridina da 45 a 40 (conc. da 2,49 a 12,34) nella benzina, e da 40,37 a 36,97 (da 2,8 a 8,6). La tribenzilammina invece che nella benzina da 53,57 scende sol- tanto a 51,67 (1,29 a 14) nello xilene passa corrispondentemente da 42,48 a 41,65 (1,81 a 24,28 9/0). « La perfetta analogia fra questi comportamenti si scorge meglio dallo esame delle curve. « In quanto al numero da scegliersi come costante dell’abbassamento molecolare nel paraxilene, come abbiamo detto in principio dalla formula di van t'Hoff si calcola il numero 42,5 per uno xilene fusibile a 16°. « Dalle esperienze fatte si deduce un numero un poco superiore. « È chiaro che il numero sperimentale non può dedursi dal comporta- mento degli alcooli, dei fenoli e degli acidi, e che anche per le sostanze che si comportano in modo normale bisogna scegliere le esperienze più appro- priate per dedurre la media, cioè quelle in cui l'abbassamento termometrico non è inferiore di 0°,5, nè maggiore di 2°. media Benzina. Esp. 2,3, 4e5 (0°, 6 — 2, 04) 43,37 Naftalina 11,12 (0°, 8—2, 12) 43,96 Difenile 16,17 (0°,53 — 1, 26) 44,27 Ossalato etilico 23 a 27 (0°,49 — 2, 07) 42,66 Tiofene 42 a 44 (09,74 — I, 84) 43,93 Anilina 48 a 51 (0°, 8— 1, 91) 41,80 Tribenzilammina 82 a 84 (0°,68 — 1,945) 43,43 43,34 media generale RenpICONTI. 1894, Vol. III, 2° Sem. 25 — 184 — « Come si vede la differenza fra l'abbassamento molecolare calcolato e quello fornito dalle esperienze è molto piccola, e minore a quella che è stata trovata in altri casi. Noi crediamo che per il paraxilene possa scegliersi 48, ed è in base a questo numero che abbiamo calcolato i pesi molecolari se- gnati nelle tavole ». Fisica. — La legge degli stati corrispondenti e i metodi di misura degli elementi critici. Nota del dott. GruLIO ZAMBIASI, presentata dal Socio BLASERNA. « È noto che il teorema della corrispondenza termodinamica nei corpi, dedotta dalle equazioni caratteristiche più o meno approssimate che ne rap- presentano gli strati fisici, sussiste indipendentemente dalla forma vera di quelle equazioni, per le molteplici verificazioni fatte da Van der Waals fino a Sydney Ioung e Matthias. Ma se la dimostrazione di quella legge non ri- ceve la sua forza da equazioni che senza dubbio rappresentano imperfetta- mente gli stati fisici; finora però non ne conserva la generalità. Infatti le verificazioni relative alle densità dei liquidi e dei loro vapori saturi di Sydney Ioung (Phil. Mag.) e le eleganti discussioni di Matthias mostrano che il teorema non è applicabile a tutti i corpi presi in blocco, ma solo a gruppi, e che non quadra egualmente bene allo stato di vapore come al li- quido. Ora io nel discutere le mie esperienze di quest'anno osservai un fatto che sembra rendere possibile il confronto generale dei corpi; e così mi per- suasi che il diffetto di generalità di quel teorema debba attribuirsi a inde- terminatezza di metodo di misura degli elementi critici che è causa di note- vole discrepanza tra i numeri dati da insigni esperimentatori. Basta leggere i lavori di Battelli, Heen e Galitzine per riconoscere la tendenza che li sprona ad un modo preciso di esperimentare e di concepire lo stato critico. Proseguendo l'ordine di idee già esposte (Rend. dell’Ace. dei Lincei ser. 5*, vol. II, 1° sem., fasc. 1) mi proposi due questioni da risolvere esperimen- talmente, che sono la traduzione in pratica delle conclusioni teoriche: 1° Ad una data quantità di etere qual volume deve assegnarsi quando si vogliono fare le misure degli elementi critici? poichè è indubitato che un volume può mutare più d’un sesto di sua grandezza presentando sensibilmente gli stessi fe- nomeni con identica quantità di etere. 2° Scelto il volume qual indizio deve ritenersi di stato critico; la sparizione del menisco, quella della strozzatura, quella delle strie o altro fenomeno? poichè è certo che avvengono a diverse temperature. « Per rispondere intanto alla prima questione ho cercato l'andamento delle due densità 4 e 4, e del rapporto dei volumi v e v' del liquido e del — 1859 — suo vapore in un tubo di Naterer e la rispettiva dipendenza. Il primo per mezzo del diametro delle densità da modo assai semplice di calcolare gli elementi critici, e il secondo è fenomeno che si segna col catetometro e non è soggetto alle illusioni degli indizi ottici. Queste esperienze hanno il van- taggio d'avere esteso il campo delle misure, perchè oltre diversi tubi semplici di Naterer, usai un tubo munito d’un regolatore di volumi che mi permetteva di assegnare ad una data quantità di etere quel volumo che mi piaceva ad ogni temperatura e con grande celerità manovrando la vite di pressione. Così era eliminata la difficoltà della opportuna costruzione dei tubi, e i dubbii che si potevano opporre alla possibilità di confrontarli. Lasciando per ora la descrizione dell'apparecchio e del modo di preparare gli esperimenti (nel che ho tenuto conto dei dettami degli insigni esperimentatori e della mia espe- rienza) espongo subito il modo di procedere. « Ho costruito una dozzina di tubi di Naterer di lunghezza media 20 cm., di diametro interno parte di 3 mm. parte di 5 mm.; ed ho introdotto di- verse quantità di etere preparato dall’illustre Pictet. I primi numeri della tabella A segnano i rapporti iniziali che caratterizzano i tubi dei quali ri- ferisco. Col catetometro seguiva la posizione del menisco mentre riscaldava lentamente ciascun tubo fino alla sparizione del menisco, e per alcuni anche mentre raffreddavano fino alla temperatura della camera. Riguardando il rap- porto v:v' posso dire di avere cimentate diverse quantità di etere in uno stesso tubo. Viceversa ho cimentato una stessa identica quantità di etere in tubi di diversa grandezza per mezzo del regolatore dei volumi: perche fissava inizialmente una certa posizione del menisco del mercurio, e per ognuna ri- peteva l'operazione sovrindicata. Questo secondo modo si presta al calcolo delle densità senza riduzioni all'unità di volume o di massa, poichè si può considerare come unità di massa quella inchiusa. Perciò i numeri della ta- bella B danno le proporzionali alle medie delle densità avendo il fattore costante È Ecco un semplice sunto dei risultati raccolti nelle tabelle. nea se nt x cana == =—r <= È: ES PA — 186 — « Ho portato sull'asse delle ordinate i rapporti e su quello delle ascisse le temperature corrispondenti. Le curve continue sono costruite sulle misure prese nell’innalzamento della temperatura; le tratteggiate sono curve di ritorno prese nella caduta della temperatura. Le curve di ritorno appartengono alla II, alla V e alla VII. TABELLA A. — Dei rapporti. I II III IV V VI VII | n EE SR EZA e e PAZZE eo A oa eo) oe | pia po È ! v v v v v v v iniz. | 0,803 || iniz. | 0,64 iniz. | 0,608 || iniz. | 0,559 || iniz. | 0,499 || iniz. | 0,466 || iniz. | 0,387 130° | 1,059 || 50° | 0,673 || 180° | 0,781 || 129° | 0,721 || 50° | 0,518 || 132° | 0,603 || 50° | 0,407 139 |1,140 || 84 |0,741]| 143,5|0,822! 141,1|0,757 || 88 |0,562 || 145 |0,617]| 80 |0,428 146,2|1,21 || 115 |0,82 || 151 |0,848|| 150 |0,775 || 109 |0,588 || 150 |0,620|| 95 |0,44 150 |1,259 || 130,5|0,871 || 158 |0,869 || 162,5 | 0,808 || 136 |0,629 || 159,6|0,628 || 130 |0,461 162,7 |1,406 || 150 |0,95 || 162,9|0,892 || 164 |0,812 || 145 |0,64 || 171 |0,681 || 160 | 0,467 170,2 | 1,542 || 170,2|1,07 || 171 |0,932 || 178,8|0,868 || 156,3|0,661 || 182 |0,638 || 179 |0,450 178,1 |1,739 || 186 |1,29 || 175,5|0,961|| 181 |0,877 || 165 |0,672 || 123 |0,645 || 185 |0,43 184 |2,078 || 190 |1,45 / 180 |0,999 || 183,5|0,889 || 180 |0,702 || 185 |0,633 || 190 |0,408 189,2 | 2,239 Il 191,3 |1,50 || 185,7|1,078 || 189,5|0,951 || 187,3|0,719 || 190 |0,611|| 196 |0,375 192 |2,500 || 193,2/1,766 || 190,2|1,202|| 190,4|0,974 || 190 |0,73 || 1908|0,613 | 181 |0,24 193,1 | 3,07_|| 192 |1,24 { 192 |1,296! 191,8|1,008 || 1945| — || 1914|0,587 || 176 |0,357 - — || 186 |1,07 || 198 |1,881]|193,2|1,05 || 189 [0,41 | 193 |0,570|| 175 |.0,376 SL — || 175,2|0,99 || 193,7|1,447]| 193,7|1,08 || 188 |0,465 || 194 |0,561 || 168 |0,418 || — | — || 166 |0,95 || — | — || 194 |1,083 || 186 |0,518 || 1944|0,538 || 164 |0,428 || — | [1370857 | ||] 28 00050) = i SLLOLNI (0,82 De = = 74 (10; 605 — || 140 |0,458 — _MI00va|10,789, 2 - = til 1634 ||\0:6294/|62= 2181) |‘0,4571 = I > = a — — —. ||:145j\0,6154|0= — || 115 |0,450 sa <= DE = 2 — = —).||-134(0|}0;631 (825 = — = TapeLLA B. — Dei diametri delle densità. ill I II III IV Vv VI VII il Tele Tafa|[NMaÌ Dana i) e da Ì | | 179 |0,00831 || 177° |0,00860|| 175° [0,00868 || 180° |0,00857 | 178,5|0,00842|| 180° |0,00841 || 180° |0,00831|| I | 181 843 || 181 849 | 181 849 || 181 851]||180,4| 838||181,5| = 888||181,1|] 824 (1 186,6] 861 |1845| = ssol|1843| ss4lliss | 8s5lis1 | 884/1882) 88 |l1845] soc] MI 188,2 870 || 186 846||186,6| 8381||187,8] = 825]|183,5| 833]|185 825||187,4| 791 ill 190 877 || 190 849 || 190 829||189,2} = 823]|186 831 || 188,1] 811||190 77 N 191,2] 8795|191,7) 852||192,2| »828|[190,7| 819||188 824 | 190 805!!1918| 766]| ‘LUN 192,9) 887 |194 850//193,5] 825||192 813/190,8| = 807|191,7| 801||192,5] 764) il 1935] 8917 — ||1944| = 821||198,1| 810||193,1! 794||1924| 794||1081| 759 Di e E Si 193,8| g07= — ||1929| 791|| 103,8 a 2 ue CI SE SM 1944| 804|| (= — ||193,8| 792 È il = SA ee 2 - - || — — ||19861 791]\ — — | | PENA Ì — 187 — Esse in generale non coincidono colle prime se non a temperature assai lon- tane dalla temperatura di sparizione. Gli estremi delle tratteggiate non se- gnano i punti di apparizione, perchè non era possibile cogliere col cateto- metro il menisco in quell’istante essendo assai più celere il moto di ascesa o discesa che nello sparire. Anzi pare che la superficie di separazione nell’ap- parire si stacchi dalle estremità del tubo quando è mantenuto omogeneo il suo riscaldamento, se ne eccettuano i valori prossimi alla V curva. Questa presenta una biforcazione perchè vicino allo sparire ora avea moto di ascesa ora di discesa. Ho pure osservato che a 191° calava bruscamente e poi risa- liva per scomparire, fenomeno analogo a quello della soprafusione. Probabil- mente il massimo di questo rapporto è assai vicino alla sparizione. I mas- simi M, M; delle curve VI e VII si vanno scostando dalla temperatura di sparizione col diminuire del rapporto. Analogamente le curve di ritorno hanno massimi M', M', che però non coincidono coi primi. La curva AB (dei numeri sottosegnati) è linea dei rapporti di sparizione di cui mantengo solo l’anda- mento, ma non insisto sulla forma volendo tornarci sopra di” proposito nel ri- spondere al secondo quesito, tanto più che vi sono delle divergenze da com- porre con Battelli, con Heen e con Galitzine. La prima curva probabilmente è assintotica all’ordinata del punto 193°,1 perchè il menisco scomparve solo a celere riscaldamento, laddove a lento riscaldamento saliva all'estremità su- periore del tubo. Sicchè pare che il rapporto iniziale 0,803 superi il limite possibile per la sparizione. Si vede che mentre il rapporto iniziale non va che da 0,80 a 0,38, a 190° oscilla da 0,4 a 2,25; cioè il menisco tende a sparire in ogni sezione del tubo. « Quanto al diagramma B, osservo che io intendeva costruire la solita parabola delle densità e quindi un unico diametro; ma ognuno vede che non e possibile fare la media di tali numeri quali si osservano nella tavola B. .d+4d' i i ; I valori © sE portati sull'asse delle ordinate furono calcolati colle formole : E read) Rj — tan) ONNURZAVON ORO RVIVA & dedotte dalla equazione vd + vd = m, che col mutare di v inv, e v' inv diviene 04 -+ vd = m ad una stessa temperatura, donde si ricavano le densità in funzione dei volumi del liquido e del vapore. È da notarsi che i diametri oltre ad uno spostamento traslatorio presentano un notevole sposta- mento angolare, e inoltre il V è curvilineo colla concavità verso le ascisse e anche il II a rigore sarebbe curvilineo come appare dalla tabella, colla convessità verso l’asse delle ascisse. Osservazioni: Il fatto che prima richiama l’attenzione è il non coinci- dere delle curve di ritorno colle curve di ascesa nella tavola A; il che si- gnifica che in generale non è fenomeno reversibile quello della sparizione. ZEOZA ar E SS cr ria a TASSI = 188 — Galitzine (Ann. der Ph. und Ch. Neue Folge, Band 50, p. 540, 1893) ed Heen sott'altra forma confermano dicendo che le densità non sono funzione della sola temperatura, sicchè nè le densità, ne i volumi, nè le tensioni pren- dono gli stessi valori ad una stessa temperatura. D'altra parte la forma delle curve esige l'esistenza d'un rapporto il cui massimo sarebbe al punto di spa- rizione e la cui linea sarebbe una retta che divide il campo in due regioni : una inferiore per le curve dotate di massimo e colla cavità rivolta all'asse delle ascisse, una superiore delle curve senza massimo e minimo colla con- vessità verso le ascisse. Per quel rapporto limite, pure la linea di ritorno sarebbe retta e coinciderebbe; sicchè in quel caso il fenomeno sarebbe rever- sibile e sarebbe caso normale. In conferma osservo che si possono impiccio- lire le variazioni dei rapporti ad una stessa temperatura, mantenendola co- stante per qualche tempo prima di misurare, affinchè si stabilisca l'equilibrio dinamico. Analogamente osservai che se non si manovra colla pompa assai lentamente, il menisco prosegue a spostarsi anche cessando di operare; il che fa supporre che il lavoro interno vicino alla sparizione sia assai più che non richiede il solo passaggio degli stati fisici e favorisce l'ipotesi ora in voga delle azioni intermolecolari. È cosa notevole che il punto d'incontro della retta limite colla linea di sparizione può ottenersi facilmente conducendo la linea dei massimi M M, M». Il valore del rapporto limite alla sparizione è calcolato da Amagat vicino a 0,8, il mio sarebbe incirca 0,77; al quale cor- risponderebbe il valore iniziale 0,5 incirca; mentre Amagat lo supporrebbe costante. Dal detto parmi che il rapporto limite abbia dei caratteri ben defi- niti per preferirlo come condizione iniziale nelle misure degli elementi critici. E quanto importi il convenire su questo punto, lo dimostra la diversità delle curve per la quale non è possibile pesare il valore delle conclusioni che lo sperimentatore deduce dalle proprie esperienze se non assegna con precisione i dati iniziali, meno ancora si potranno istituire confronti. 11 prof. Battelli trova un valore del volume critico dell'etere alquanto maggiore di quello di altri sperimentatori e Matthias (non essendosi ancor detto chi abbia ragione) ne_dà parziale spiegazione; ma credo che sarebbe decisa tosto che si cono- scessero i dati iniziali di tutti gli sperimentatori. Tre tubi sui quali ho co- struito le curve II, V e VII, avevano rispettivamente nta _ N 0) Capacità in c.c. per grammo c.c. rapporto iniz. 5 II 3,4262 3,591 0,640 V 3,297 4,240 0,499 VII: 3,271 5,04 0,387 Tutti e tre danno la sparizione del menisco, ma ognuno vede che non può essere indifferente prendere per volume critico dell'etere, uno dei tre volumi assegnati al grammo. — 189 — « Ma si rileva maggiormente quanto importi il convenire sul modo di operare dalla tavola B. Le estese esperienze di Ioung e i calcoli di Matthias citate dapprincipio, provano bensì che il diametro delle densità soddisfa al teorema degli stati corrispondenti, ma ancora che non si può applicare a tutti i corpi perchè il coefficiente angolare nella equazione: y=4[1—«@a(1— c)] del diametro non è costante (come esigerebbe la teoria) ma oscilla da 0,95 a 1,05, e inoltre alcuni corpi non hanno diametro rettilineo. Di qui la ne- cessità di confrontare solo quei corpi che hanno eguale coefficiente angolare e diametro rettilineo. Ora si potrebbe porre la questione: È poi costante per ciascun corpo quel coefficiente angolare? La risposta negativa assumerebbe vera importanza perchè tenderebbe ad escludere la necessità dei gruppi e manterrebbe la generalità del teorema. La tavola B segna tali spostamenti angolari nei diametri dell'etere, che Ja variazione del cofficiente angolare supera certamente i limiti sopraccennati. Se ciò avvenisse per gli altri corpi, cesse- rebbe la necessità di separarli in gruppi; solo sarebbe necessario e sufficiente eseguire su di essi le misure critiche in pari condizioni di procedimento. Anche il fatto che lo stesso etere presenta diametri curvilinei, escluderebbe la eccezione di quei corpi il cui diametro rettilineo non è ancora riconosciuto. L'argomento ha tanto maggior forza perchè si può rendere ragione dei risul- tati dal modo di operare. Generalmente si calcolano le densità colla misura diretta dei volumi v e v' per la relazione vd + v'd'-= m già citata, nella quale è supposto per la legge dei vapori saturi, che 4 e d' sieno costanti colla temperatura comunque variino v e 0°. Teoricamente quindi la variazione può farsi entro limiti assai larghi del volume totale V=% + v'; cioè il suo massimo e il suo minimo che sono i volumi che la massa rinchiusa ha a quella temperatura allo stato di vapore saturo o di liquido. Non mi consta che gli autori si sieno imposto altro limite nella misura della densità. Amagat, p. es., segue le linee dei rapporti costanti 7 che necessariamente vanno a convergere alla temperatura di sparizione. Fra i suoi rapporti iniziali leggo il valore 0,1 che esige un volume tale che tenuto costante non darebbe spa- rizione. Io invece ho fissato diversi valori V\= 0 + 0, V:=%vr + 08, Vs=%v34 03 ....(a) ed ho costruito le corrispondenti equazioni vd+ov =m 1) vd-+ov =m 2) (5) v3d + vs = mM 3) per ogni temperatura: e secondochè confrontava V, con Vs, Vi con V3, Vs, con V3 ecc. ne risultavano diametri più o meno divergenti, rettilinei o curvilinei. A questo modo io ho tenuto conto non solo delle equazioni (4) ma anche delle equazioni (4) che sono condizioni sottintese alle quali sono necessariamente legati v e v'. Nella costruzione del diametro si prende la — 190 — media delle due densità, ma è supposto che sieno le stesse nei diversi vo- lumi V, V: per una stessa massa; mentre evidentemente la densità media varia cogli stessi volumi totali. Ora se di questa non occorre tener conto per temperature basse, non può trascurarsi vicino alla temperatura di sparizione dove la media delle densità si confonde colla densità media. Qui è dove fa OT difetto la formola, supponendo DL le densità inversamente proporzio- nali ai volumi; mentre io ritrovo alla temperatura 190° i valori seguenti r d del rapporto -- = 3,8 — 16 — 2,18—1,5— 3,8. Si dovrà dunque rite- nere con Heen che la densità dei vapori saturi ammette un massimo ad una stessa temperatura? O potrà spiegarsi per diversa tensione, e per la grande compressibilità del liquido a quella temperatura? « Concludendo propongo il rapporto limite sopraindicato, riconosciuto da Amagat, da adottarsi per le misure critiche e come condizione di confronto tra i diversi corpi. Non affermo che per tutti i corpi abbia lo stesso valore il rapporto; solo dico che la regola dei massimi è ben determinata per rico- noscerlo. Se non si conviene o così o in altro modo fra gli sperimentatori, si corre pericolo di oscurare in luogo di illustrare le belle teorie che ten- dono ad esprimere le proprietà fisiche dei corpi con semplicissime leggi ». Fisica. — Sopra il faltore smagnetizzante nei cilindri di ferro. Nota di M. AscoLi e F. Lori, presentata dal Socio BLASERNA. « Nella Nota precedente abbiamo dato (tab. I) i valori della intensità della magnetizzazione nell'interno di cilindri di diverse lunghezze, nella presente ci occupiamo dello studio della forza magnetizzante effettiva. «7.1 valori di questa si deducono graficamente dalla curva normale media (v. S 4), determinando le ascisse corrispondenti ai valori delle ordi- nate contenuti nella tab. I. I numeri così trovati sono raccolti nella tab. II. Il loro andamento per rispetto a quello dell'intensità è, quale si può preve- dere considerando la forma generale delle curve magnetiche normali, composte di un primo tratto lentamente ascendente e concavo in alto, di un secondo pure concavo e rapidamente ascendente e di un terzo convesso che sale len- tamente. Le variazioni dell'intensità della magnetizzazione sono quindi nei due primi tratti, cioè per piccole e medie % o per piccoli 4, e specialmente nel secondo, più sensibili di quelle della forza magnetizzante, nel terzo tratto meno (grandi è e grandi 4). Nella tabella II sono omessi i valori per 2 = 10, che, essendo troppo piccoli, riuscivano alquanto incerti nella determinazione grafica. — 191 — TaBELLA II. Forza magnetizzante (!). 2 = 54.6 | 36.9. | 27.7 22,1 €50) 28.8 27.6 29.0 291 30.2 31.4 i = 160 49.6 47.2 49.6 50.3 52.2 52.1 i = 286 89.0 86.8 93.2 95.4 96.1 96.8 17.5 | 13.0 10.0 11.0 10.4 10.9 102 11.8 11.5 18.7 18.2 19.4 18.1 19.4 20.4 23.6 25.1 24.2 23.9 24.8 26.7 35.4 35.0 36.5 38.0 38.8 41.4 59.8 59.8 59.4 64.0 65.3 68.4 8.8 8.9 9.2 8.9 8.8 9.3 15.8 - 15.6 16.7 15.3 7a 17.8 20.0 19.6 21.0 20.1 21.6 23.8 28.4 28.0 292 30.4 31.7 34.3 41.8 42.5 44,3 46.8 49.4 53,0 8.0 01, 6.0 4.1 6.9 5.8 4.4 7.5 6.6 4.7 TA 6.5 4.9 80 6.9 9.2 8.0 Toll 6.0 138.8 | 11.5 {fol 13.5 | 11.4 Ii 14.3 | 12.1 8.8 13.0 | 11.3 8.8 14.7 | 12.8 | 104 15.5 | 14.0 | 11.6 16.6 | 14.3 | 10.6 16.5 | 141 | 10.5 T:88 R1o:3tE 2117 18.9 | 14.6 | 114 18.8 | 16.8 | 13.6 20.5 | 18.7 | 15.5 23.8. | 19.5 | 144 22.7 | 19.5 | 144 24.2 | 21.38 | 163 24.6 | 20.7 | 16.1 26.4 | 23.3 | 19.2 27.0 | 26.7 | 28.1 ZIA 20940 1851 31.7 | 25.8 | 18.8 33.9 | 28.0 | 20.6 86.1 | 29.8: 122. 38.5 | 32.4 | 22.8 43.1 | 37.7 | 28.7 (1) Coeff. di riduzione in misura assoluta 0.1916. RenpIcoONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem, — 192 — «8. La forza smagnetizzante si calcola, nella solita unità, sottraendo i valori della tabella IT da quelli corrispondenti di %, ossia della forza ma- gnetizzante primitiva o impressa. Tali valori, determinati per le quattro mag- giori intensità, sono raccolti nella tabella III. Le variazioni relative della forza smagnetizzante nell'interno del corpo sono molto piccole anche nel caso che l'intensità indotta sia variabilissima. Ciò dipende dall'essere la forza stessa vicina al valore della forza impressa, per modo che anche piccole variazioni di quella dànno luogo a grandi variazioni relative della f. m. risultante, che è la differenza delle due. TaBeLLA III Forze smagnetizzanti (1). 2 = 54.6 | 36.9 | 27.7 10.0 22.1 | 17.5 | 15.0 8.0 | 5.6 i = 50 o = 0.155 15.7 | 22.2 | 25.9 | 27.6 | 313 .| 34.2.| 36.2 |*38.5. |1425 0.310 16.7 | 22.6 | 26.7 | 28.4 | 31.8 | 344 | 836.5 | 38.6. | 42.3 0.464 15.51 |:22.5/ 11250600) (27.41 730.64 | 33:30 35a7 970 4102 0.617 14.7.;| 21.6.| 2633. | 28.1. 819 3470370) 880) AI 0.768 14.7 | 21.6 | 24.5 | 29.0 | 30.6 | 32.9 | 35.8 | 37.2 | 39.6 0.923 14.0 | 20.2 | 23.6 | 27.8 | 29.6 | 32.2 | 34.5 | 36.0 | 38.4 di 30 o= 0.155 25.3 | 39.8 | 46.9 | 51.2 | 564 | 60.0 | 63.4 | 65.7 | 694 0.310 26.4 | 40.5 | 480 | 52.4 | 56.7 | 604 |:63.5 | 65.9 | 69.5 0.464 25.2 | 39.3 | 46.4 | 51.0 | 55.8 | 59.0 | 62.2 | 64.7 | 68.3 0.617 24.8 | 38.3 | 46.1 | 50.9 | 56.1 | 59.9 | 611 | 65.4 | 68.6 0.768 95.2 | 38.6 | 47.2 | 49.8 | 55.2 | 58.4 | 61.2 | 63.2 | 664 0.928 25.0 | 37.5 | 44.9 | 48.6 | 53.3 | 56.7 | 59.5 | 61.3. | 64.5 VI_M160 o = 0.155 44.9 | 79.0 | 100.7 | 110.4 | 124.6 | 131.6 | 136.2 | 140.5 | 145.6 0.310 88.8 | 82.0 | 102.6 | 112.8 | 125.0 | 132.0 | 137.3 | 140.5 | 145.6 0.464 42.2 | 78.6 |100.6 | 110.4 | 123.5 | 130.8 | 135.8 | 138.7 | 143.7 0.617 46.5 | 78.5 98.7 | 109.7 | 122.0 | 129.6 | 155.4 | 139.3 | 143.9 0.768 42.6 | 78.6 | 103.8 | 107.8 | 121.2 | 128.3 | 135.6 {136.7 | 140.8 0.925 44.0 | 79.7 98.7 | 107.9 | 118.6 | 125.7 | 133.0 | 138.3 | 136.9 i = 286 jo= 0.155 SI = — | 197.0 | 226.7 | 244.2 | 252.9 | 259.7 | 267.9 0.310 co —_ — |199.2 | 226.2 | 243.5 | 254.3 | 260.2 | 267.6 0.464 —_ —_ — |192.8 | 226.6 | 241.7 | 252.1 | 258.0 | 265.4 0.617 — —_ — | 190.6 | 222.0 | 239.0 | 249.9 | 256.2 | 264.0 0.768 — = — |189.8 | 220.7 | 236.6 | 247.5 | 259.1 | 263.2 0.925 | 189.2 | 217.6 | 233.0 | 242.9 | 248.3 | 259.3 (*) Coeff. di riduzione in misura assoluta 0,1916. Dr — 199 — «9. La forza smagnetizzante si può, in generale, esprimere mediante il prodotto dell'intensità della magnetizzazione, per una quantità, detta fa/tore smagnetizzante (N), indipendente dall’intensità stessa e funzione solo degli elementi geometrici del corpo indotto. Questo fattore N si otterrà quindi dì- videndo la f. smagn. per l'intensità indotta, cioè i numeri della tabella III per i corrispondenti della I. I risultati di questo calcolo sono raccolti nella tabella IV. La concordanza tra i 4 valori che, per le 4 intensità, corrispon- dono al medesimo valore di o e di 4, è soddisfacente. La tabella V raccoglie le medie di questi 4 valori e dà per cilindri di diversa lunghezza il fat- tore smagnetizzante a diverse distanze dall'asse. Nell'ultima linea della ta- bella sono scritti i valori medi di N. TageLLA IV. Valori di N (1). 4 = 54.6 | 36.9 | 27.7 | 22.1 | 17.5. | 13.0 | 10.0 8.0 | 9.6 0 = 60 o= 0.155 0.39 | 0.80 | 125 | 1.59 | 2.68 | 4.12 | 5.84 | 8.56 | 17.0 0.310 0.44 | 0.83 | 1.39 | 1.78 | 2.86 | 4.24 | 6.08 | 8.78 | 16.7 0.464 01387 M0SIt 2a Rlt53. | 2.410R/8°6200105:330 107580 |0-1307 0.617 0.34 | 0.74 |-1.32 | 1.69 | 2.90 | 445 | 6.49 | 8.78 | 13.7 0.768 0.3 0.74 | 1.05 | 144 | 2.39 | 3.46 | 4.90 | 6.58 | 10.2 0.923 0.32 | 0.64 | 1.00 | 1.26 | 2.07 | 3.07 | 431 | 5.54 8.4 Ui—#80. o=0.155 || 0.33 | 0.76 | 123 {| 171 | 2.86 [441 | 6.60 | 9.66 | 16.9 I 0.310 || 0.35 | 0.81 | 134 | 1.89 | 3.02 | 4.65 | 7.06 | 9.99 | 17.4 0.464 || 0.33 | 0.74 | 120 | 1.70 | 2.66 | 3.88 | 5.87 | 8.19 | 146 0.617 || 0.32 | 0.70 | 1.17 | 168 | 2.76 | 428 | 5.05 | 9.84 | 156 0.768 || 0.33 | 0.72 | 124 | 1.57 | 251 | 3.65 | 5.14 | 6.80 | 10.9 0.923 | 0.32 | 0.67 | 1.06 | 1.40 | 2.09 | 2.97 | 4.10 | 5.15 | 8.1 i = 160 e=0.155 | 0.30 | 0.70 | 1.20 | 1.61 | 2.91 | 4.54 | 6.84 | 10.9 | 240 0.310 || 0.25 | 0.75 | 1.27 | 1.73 | 2.98 | 4.71 | 7.59 | 10.9 | 240 0.464 | 0.28 | 0.69 | 1.19 | 161 | 2.76 | 4.30 | 6.53 | 112 | 164 0.617 || 0.31. | 0.68 | 1.14 | 1.57 | 2.55 | 3.96 | 6.30 | 9.22] 16.7 0:768/0|0.28 0:69 IL" 147 | 2.47 08670545 | ‘7.16 113 0.923 || 0.29 | 0.71 | 1.14 | 148 | 2.19 | 3.10 | 425 | 521) 73 i = 286 e=0.155° >| — i = | — | 1,59 | 2.71 [446 | 6.69 |10.50 | 243 | 0.310 | — | — | — |164 | 2.67 | 435 | 7.27 | 10.90 | 23.7 0.464 | — | — | — |163 | 268 | 407 | 6.35 | 9.18 | 186 0.617 | — | — | — | 146 | 245 | 3.74 | 5.67 | 8.08 | 156 0.768 | — | — | — |145 | 2.38 | 3.48 | 5.08 | 6.76 | 113 0.923 | — 1 — | — |148 | 2.25 |.344 | 424 | 5.26] 7.5 (1) Coefficiente di riduzione in misura assoluta 0,0364. TABELLA V. — 194 — Valori medii di N (!). a — 5460 86.9 larga 221 | 175-130 1000 | 8.0 | 5.6 | e=0.155 || 0.84 | 0.75 | 1.28 | 1.62 | 2.79 |.438 | 649 | 9.90 | 20,55 0.310 || 0.35 | 0.80 | 1.38 | 1.76 | 2.88 | 449 | 7.00 | 1014 | 20.45 0.464 093075 1.20 | 1.62 | 2.62 | 3.97 | 6.02 9.04 | 15.82 0.617 || 0:32 | 0.71 | 1.21 | 160 | 2.66: | 411 | 5.88 |885 0540 0.768 || 0.32 | 0.72 | 1.14 | 148 | 244 | 3.55 | 5.14 | 7.81 |10.92 0.923 || 0.31 | 0.67:| 1.07 | 1.39 | 215 | 3.07 | 4.22 | 5.81| 7.82 Medie || 0.33 | 0.73 | 1.20 | 1.58 | 2.59 | 3.98 | 5.70 | 844 | 15.16 KI DI Ch RI KR 3 mai =2 CE RIG: 8: « La figura 3 rappresenta l'anda- mento di N così determinato. Costante per le maggiori lunghezze, va poi de- crescendo dal centro alla periferia. Tale variazione, lenta dapprima, si fa ra- pidissima per le minori lunghezze stu- diate. « Ainumeri della tabella andrebbe a rigore aggiunto il fattore smagnetiz- zante corrispondente alla lunghezza di circa 250 diametri, fattore che abbiamo trascurato fin quì perchè effettivamente piccolissimo e costante. Ne terremo conto nel calcolo che segue. « Riduciamo, col fattore 0,0364, le medie dell'ultima linea in misura as- soluta, aggiungiamo a ciascuna il nu- mero 0,0007 che, secondo il Du Bois (?), è il fattore smagnetizzante per X = 250, e, per interpolazione grafica, calcoliamo i valori di N corrispondenti alle lun- ghezze 4 della tabella VI. (1) Coefficiente di riduzione in misura assoluta 0.0364. (2) Le. loi TABELLA VI. N, — |0.216 | 0.120 | 0.077 | 0,053 | 0.039 — |0.024 — |0.016 = N—0.567 | 0.218 | 0.118 | 0.074 | 0.052 | 0.039 | 0.080 | 0.025 | 0.019 | 0.016 * «I valori N, sono quelli dati dal Du Bois; la concordanza quasi per- fetta coi nostri dimostra quanto prima abbiamo asserito, che cioè l'esistenza delle eliche interne non altera l'andamento dei fenomeni, ed è anche prova dell’esattezza delle nostre misure. « La tabella V mostra come i valori di N sieno variabilissimi per le piccole lunghezze, ma tendano a diventare costanti al crescere di queste; la costanza non è ancor raggiunta ma è molto prossima per la lunghezza supe- riore a 55 circa. Il sig. Du Bois ha dimostrato che il fattore smagnetizzante per lunghezze non inferiori a 100 diametri è proporzionale alla sezione (a pari lunghezza); ma, se si osservano i dati del Du Bois, si nota che al di sopra dei 50 diametri i valori si accostano rapidamente a tale proporzionalità. se ne può dunque arguire che: %/ fattore smagnetizzante diventa proporzio- nale alla sezione quando la distribuzione della magnetizzazione interna di- venta uniforme. « Il presente studio completa quelli precedenti, anche per quanto riguarda la questione della penetrazione del magnetismo nell'interno del ferro. Gli strati interni sono in ogni caso ben lontani dall’esser privi di magnetizzazione, anzi la distribuzione, uniforme quasi rigorosamente per lunghezze superiori a circa 50 diam., si scosta poco dall'uniformità fino a una quindicina di diam. circa, sebbene la f. smagnetizzante sia grandissima in questi cilindri, e molto sen- sibile anche in quelli di 50 diametri. Questo punto della questione ci pare risoluto in modo completo. «I principali risultati si possono riassumere come segue: « La distribuzione del magnetismo indotto è sensibilmente uniforme fino a 50 diam. circa. « Al di sotto dei 50 diam. sì manifesta un aumento dal centro alla pe- riferia che si va accentuando al diminuir della lunghezza, prima lentamente poi (sotto a 15 diam.) rapidamente. « Per valori molto piccoli e molto grandi (I e 1II tratto della curva magnetica normale) della f. magnetizzante effettiva, la variabilità dell’inten- sità magnetica indotta è minore. Ages « Il fattore smagnetizzante, negli stessi limiti sopra nominati, è costante o variabile, decrescendo dal centro alla periferia. « Nei limiti della uniformità della distribuzione, il fattore smagnetiz- zante, a parità di lunghezza, è proporzionale alla sezione. « Nelle dinamo, il cui circuito magnetico è paragonabile a quello di un cilindro che si avvicina ai 20 diam. circa (!), la distribuzione si scosta poco dalla uniformità ». Cristallografia. — Osservazioni cristallografiche sull’acido pierico (È). Nota del dott. Lurcr BRUGNATELLI, presentata dal Socio STRIÎVER. « Benchè l'acido picrico C: H3 (NO): 0 sia stato già più volte sottoposto a ricerche cristallografiche, pure ho creduto opportuno ripeterne lo studio, avendo avuto occasione di notare che i dati cristallografici fin qui general- mente ammessi per questa sostanza, non solo sono incompleti, ma contengono anche errori non lievi. « Le misure del Mitscherlich (*) che risalgono al 1828 e poi quelle del Laurent (4) e le ricerche ottiche del v. Lang (°) hanno dimostrato che l’acido picrico cristallizza nelle forme del sistema trimetrico, però nessuno di questi autori accenna al carattere emimorfo che pure dai cristalli di questa sostanza è frequentemente offerto in modo assai evidente, cosicchè l'acido picrico, anche nei trattati recentissimi di cristallografia (9) è dato tra le sostanze apparte- nenti al gruppo oloedrico del sistema trimetrico. Tuttavia del carattere emi- dl morfo dei cristalli di acido picrico possiamo trovare un cenno già nella Me- CIN moria nella quale il Liebig (7) descrive questa sostanza da lui per la prima (1) V. Ascoli, Sul circuito magnetico delle dinamo- « Elettricista », 1894, pag. 107. (2) Gabinetto di Mineralogia della R. Università di Roma. (8) Veber die Krystallform der Kohlen stickstoffsiure.Posg. Ann., v. XIII, p. 375. 1828. (4) Revue scientifique, vol IX, p.24. Per quante ricerche io abbia fatto non mi fu possibile trovare questa Memoria. In proposito vedi Rammelsberg. Zandbuch der Krystal- lographisch-physichalischen Chemie. Abt. II, p. 495. Leipzig, 1882. (5) Untersuchungen ber die physicalischen Verhaltnisse Krystallisirter Kòrper. Zweite Reite. Sitzb. d. W. A. vol. XXXI, p. 111. (6) Rammelsberg, 1. c., Groth. Physikalische Kristallographie, p. 464. Leipzig, 1885. — Fock, Finleitung in die chemische Krystallographie, p. 117-118. Leipzig, 1888. — Arzruni, Vi, Physikalische Chemie der Krystalle, p. 228. Braunschweig, 1893. ci) (7) Veber die bittere Substanz welche durch Behandlung des Indigs, der Seide und der Aloè mit Salpetersiure erzeugt wird. Pogg. Ann., vol. XIII, 1828. Laurent invece (Sur | le phonile et ses dérivés. Ann. de Chim. et Phys., 8° sér., vol. III, p. 222) dice che si otten- il gono sempre lamine rettangolari, mai lamine triangolari equilatere. — 197 — volta ottenuta. Infatti a pagina 195 dice che i cristalli sono: « hellgelbe, dusserst glinzende Blitter, die meistens die Form gleichseitiger Dreiecke besitsen ». Più decisiva che la descrizione di Liebig sono le osservazioni mi- crocristallografiche di Lehmann ('); egli osservò che i cristalli microscopici « treten fast immer in der bekannten gemessenen Form, vollkommen scharf aber hemimorph ausgebildt, auf =. Io ho potuto constatare il carattere emi- morfo prima sopra alcuni cristalli notevoli per le loro dimensioni, preparati ed a me donati dal prof. E. Zenoni del R. Istituto tecnico di Pavia, ed in seguito sopra numerosissimi cristalli da me ottenuti da parecchi solventi. « Per queste mie osservazioni, per quella del Lehmann e per i fenomeni di piroelettricità che riferirò più avanti, rimane accertato che i cristalli di acido picrico appartengono al gruppo emimorfo del sistema trimetrico. « Oltre questo importante risultato, come ho detto più sopra, lo studio della letteratura dell'acido picrico mi condusse a scoprire alcuni errori fino ad ora passati inosservati. « Come è noto da tutti vengono ammesse per i cristalli di questa so- stanza le costanti: air: 0,980 (2) calcolate da Rammelsberg in base ai seguenti angoli di Mitscherlich: (111): (1Î1) = 68°8' (111): (111) = 70010". « Se si confrontano i valori angolari calcolati per mezzo di questo rap- porto parametrico con quelli osservati, subito colpisce la grande discordanza che passa tra osservazione e calcolo. Ora è facile accorgersi, e le misure da me eseguite (vedi sotto) lo provano, che questa grande discordanza è dovuta ad una svista di Mitscherlich (loc. cit.) che scambiò l'angolo (111):(111) con (111) :(111) (8). Infatti dando all'angolo (111):(111) il suo giusto valore e calcolando, partendo cioè da (111) : (111) = 68°3' (111): (111) = 70°10' (1) Mickrokrystallographische Untersuchungen. Zeitschr. f. Kryst. und Min. v. P. Groth., vol. VI, p. 64. 1882. (2) Più esattamente : a:b:c=0,9735:1:0,9371 (3) Orientazione di Rammelsberg. — 198 — si ha: ab ci=MIM0389/: 1: 1060/71 dalle quali costanti risulta un perfetto accordo tra i valori misurati e calco- lati, come lo dimostra la seguente tabella: valori osservati valori calcolati Mitsch. Ramm. Brugn. (120) : (120) 128°36' 125040" 128°36' (100) : (120) 64 18 62 50 64 18 (100) : (111) 54 55 d4 55 di 55 « Naturalmente questa modificazione nelle costanti cristallografiche del- l'acido picrico porta con sè una variazione anche nelle relazioni morfotropiche che furono stabilite tra l’acido picrico stesso ed altre sostanze (!). Così per esempio è interessante la relazione che si ottiene tra l'acido picrico (tri- nitrofenolo) ed il trimitrobenzolo quando per quest'ultimo si assumano le costanti date dal Fock (loc. cit.): a:d:e = 0,943 :1:0,5384 che facilmente possono essere trasformate in modo da aversi: Trinitrofenolo: a:d:e=1,0389:1:1,0671 Trinitrobenzolo: a: d:c= 1,1206:1:1,0626. « Così pure la relazione data da Arzruni tra l'acido picrico ed il pi- crato di potassio si trasforma nella seguente : Acido, picrico: a: d:c = 1,0389:1: 10671 Picrato: ‘di (Kato: e = 14352 Ie IN06167 «I numerosi cristalli da me esaminati presentano per la maggior parte l'aspetto ordinario dei cristalli di acido picrico. Sono cioè tabulari, talvolta (1) Friedlinder, Aristallographische Untersuchungen ecc. Zeitschr. f. Kryst. und Min., vol. III, p. 172. — Fock, loc. cit., p. 117-118. — Arzruni, loc. cit. p. 228. — 199 — lamellari, secondo }100!, allungati secondo l’asse [001] (fig. 1°); altri invece hanno abito ottaedrico (fig. 2* e 4*). La figura 38 dà l’immagine di cri- stalli più rari dei precedenti. I cristalli ottenuti dal prof. Zenoni poi hanno tutti indistintamente l'aspetto della fig. 4%, ed a differenza degli altri sono di notevoli dimensioni (diam. mass. parall. [001] 8 mm. minim. parall. [100] 4-5 mm.). « Il carattere emimorfo in quasi tutti i cristalli si manifesta colla pre- senza della forma }001{ colla sola faccia (001), nella maggior parte dei casi, così piccola da essere visibile solo colla lente, oppure al goniometro (ciò spiega come il carattere emimorfo di questa sostanza sia fino ad ora passato inosser- vato), altre volte invece abbastanza sviluppata; in questi ultimi casi però è sempre a superficie assai ineguale e cioè arrotondata o fortemente striata paral- lelamente a [010] in modo da non permettere alcuna misura. Raramente la faccia (001) manca, ed in tali casi si tratta forse di geminati di complemento. RenpICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 27 = 2000 « Le forme che ho potuto osservare sono le seguenti (): polo superiore: }001}, {111}, }122}, }104j, }102}; zona [001]: }100}, }120}; polo inferiore: }111{. : « Le forme }001{, }102}. }104}, }122{ sono nuove per l'acido pierico. « Le forme }100{, }120}, }ITI{ non mancano in nessun cristallo , {001 }111{ mancano invece qualche volta; meno frequenti sono: }122}, }102|, }104{. « Le facce dei cristalli lasciano molto a desiderare quanto a regolarità della loro superficie, essendo sempre poco piane. Per questa circostanza, unita all'altra che i cristalli all'aria perdono presto la lucentezza che hanno appena estratti dalla soluzione, non mi fu possibile ottenere misure molto esatte. « Nella seguente tabella espongo i valori angolari osservati e calcolati in base al rapporto: a:b:e=1,0305:1:1,0434 dedotto dai primi sei angoli che tra tutti sono i più attendibili. medie limiti n valori calcolati (100) : (120) 64°2 63952" — 64°19' 16 64°7 (100) : (111) 54 58 54 47 — 55 6 13 54 59 (111): (111) 70 3 69 55 — 708 b) 702 (De (I 72 43 7230 — 72 50 5 72 30 (II) 68 48 6838 — 68 55 5) 69 2 (100) : (102) 63 46 63 40 — 63 50 4 639 (100) : (104) 75 32 70 — 82 2 75 48 (111): (120) 38 26 38 18 — 38 34 4 38 31 (111): (102) 40 3 39 55 — 408 3 407 (111) : (104) 469 45 54 — 46 24 2 46 21 3 (111) :(122) lesi 15 41 — 16 19 4 15 42 (122) : (122) 38 40 — 1 38 37 « Ben poco si conosce fino ad ora delle proprietà ottiche dei cristalli di acido picrico. Le uniche osservazioni in proposito le dobbiamo al v. Lang (loc. cit.), il quale però altro non potè determinare che la direzione del piano degli assi ottici parallelo a }010} e che normalmente a }100| esce l'asse di mi- nima elasticità ottica da lui ritenuta, benchè non con sicurezza, come bisettrice acuta. Secondo v. Lang lo schema ottico sarebbe dunque a 6 c (?). (1) Orientazione di Rammelsherg. (2) Lo schema dato dal v. Lang è Da c perchè l’orientazione da lui adottata è diversa da quella di Rammelsberg. Circa questa orientazione vedasi: J. Grailich und V. v. Lang, Untersucungen iiber die physicalischen Verhiltnisse Krystallisirter Kòrper I. Orientirung der optischen Elasticitàtsazen in der Kristallen des rhombischen Systems. Sitzb. W. Ac. vol, XXVII, p. 3-10. 1857. — 201 — « Le mie osservazioni hanno confermato quelle di v. Lang circa la dire- zione del piano degli assi ottici e dell'asse di massima elasticità. Questo però non è bisettrice acuta ma bensì ottusa; naturalmente l’acuta (asse di minima elasticità) è parallela a [001]. Lo schema ottico è dunque a b c. La doppia I rifrazione è molto energica. La misura dell'angolo degli assi ottici eseguita sopra lamine tagliate normalmente alle due bisettrici, diede nell'olio i seguenti risultati : per il rosso: 208023" ZIE 10199565 per il giallo (Na): » = 99°27 a —120°3(!) per l'azzurro » = 103°32 (1) Come si vede, da queste misure dell'angolo apparente degli assi ottici nell’oliv si ha, tanto per la lamina normale alla bisettrice acuta come anche per quella normale alla ottusa, la dispersione 0 V, e quindi =” 1. Allora è evidente che avverrà una inversione v e cioè si osserverà Hr < H, quando il rapporto È soddisferà alla relazione: senvV; 4a sen Vy d x 2 RMRREZIE Sen, ; H, quando il rapporto 1 soddisferà a: senV, d sen Vy d -— 202 — da cui sì ricava: per il rosso: dei 82019 per il giallo (Na) »f — 82043. Si ha quindi una notevole dispersione 0 < v. « Il pleocroismo è pressochè insensibile. Anche osservando sopra lamine di notevole spessore riesce difficile notare una variazione di colore. Tuttavia da osservazioni eseguite colla lente di Haidinger e sopra tre lamine tagliate parallelamente ai tre pinacoidi mi pare di poter dedurre l'assorbimento: eb « Il carattere polare dell'asse [001], già reso evidente dalla forma cri- stallina, è poi confermato dai fenomeni di piroelettricità polare che i cri- stalli di acido picrico offrono in modo assai spiccato. « Per lo studio di questo fenomeno mi valsi del noto metodo di Kundt, ed esperimentai tanto su cristalli grossi come su cristalli laminari. I cristalli furono appesi per mezzo di sottilissimi fili di seta entro una stufetta e riscal- dati per circa due ore ad una temperatura di circa 60°. « Le esperienze mostrarono che per raffreddamento si elettrizza negati- vamente (polo analogo) l'estremità positiva dell'asse [001], alla quale estre- mità generalmente si trova la faccia (001), e positivamente (polo antilogo) l'estremità negativa dello stesso asse sempre determinata dal vertice della forma SIIT. L'acido picrico dunque segue come la blenda, la tormalina, la calamina ecc., la legge di Curie ('). « Il fenomeno si manifesta in modo spiccatissimo in tutti i cristalli, meno che in quelli laminari nei quali è molto debole. Quanto alla distribuzione della elettricità sulla superficie dei cristalli, si osserva che sono elettrizzate negativamente le sole facce del polo superiore e cioè delle forme }001|, }111{, }122{, }102{, 5104{, mentre l'elettricità negativa oltre le facce della forma }IIT{ occupa una parte della forma }100{ e nei cristalli molto allungati se- condo [001] (fig. 1°) anche una parte delle facce di }120! ». ° x ; d È Ad ogni modo sarà sempre necessario che ma >1 nel primo caso e <1 nel se- condo, e cioè si potrà concludere che se nel primo caso si osserverà una inversione, la dispersione del cristallo sarà maggiore che quella del mezzo ambiente e viceversa nel secondo caso. Se il mezzo è l’aria (per cui possiamo ammettere d = 1) sarà solo possibile una in- versione nel caso che si abbia V,. > Vo. Ne segue che l’osservazione della immagine assiale come anche la misura dell’an- golo apparente degli assi ottici in alcuni casi non bastano ad indicare il senso della dispersione degli assi ottici. 2 (1) J. et P. Curie, Développement par compression de l’éléctricité polaire dans les crystaux hemièdres à faces inclinées. Comptes rend. Acc. des Sciences, vol. XCI, p. 886. 1880. — Vedasi anche: E. Mallard, 7raité de Cristallographie, vol. II, pag. 578. — Soret, Eléments de cristallographie physique, p. 626. — 203 — PERSONALE ACCADEMICO Giunse all'Accademia la dolorosa notizia della morte del Socio straniero HERMANN von HeLMHoLTZ, mancato ai vivi in Charlottenburg 1° 8 settem- bre 1894. Apparteneva il defunto Socio all'Accademia sino dal 2 luglio 1875. CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute : Il R. Istituto di studi superiori di Firenze; la R. Accademia svedese delle scienze di Stockholm; la Società di scienze naturali di Emden; la R. Società delle scienze di Upsala: l'Istituto Smithsoniano di Washington ; il Museo di geologia pratica di Londra; il R. Osservatorio di Greenwich; la Biblioteca del Museo nazionale di Buenos Aires ; la R. Università di Christiania. Annunciarono l'invio delle proprie pubblicazioni : Il Corpo Reale delle Miniere, Roma; la Società zoologica di Londra; la Università di Giessen e di Marburg; la Scuola politecnica di Karlsruhe, l’Istituto meteorologico di Bucarest. Pb: RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA RR. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 7 ottobre 1894. DANS Meccanica. — Sulle tensioni in un sistema elastico articolato. Nota I del Socio F. SIACCI. « Il teorema sulle tensioni nei sistemi elastici articolati, enunciato nella sua generalità la prima volta dal Gen. Menabrea che lo chiamò principio di elasticità, e che il Castigliano disse poi /eorema del minimo lavoro, è un teorema limite, ossia una proposizione che sì verifica quando le deformazioni siano infinitamente piccole. Esistono casi, in cui, anche in quella ipotesi, la proposizione non sussiste? Esistono casi in cui, anche senza quella ipotesi, la proposizione è vera ? Si può stabilire una proposizione analoga che, almeno per deformazioni infinitamente piccole, comprenda tutti i casi, e comprenda tanto le tensioni delle aste, quanto le compressioni degli appoggi esterni? Ci studieremo di rispondere a questi quesiti. Sl: « Siano n i vertici, o nodi, di un sistema articolato in equilibrio, /,s sia la lunghezza dell'asta che congiunge i nodi 7 ed s, T,; la sua tensione, 7, y. è, le coordinate ortogonali del nodo 7, ed X, Y, Z, le componenti della forza applicata in esso. ; RenpIcoNTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 28 a ante ST 2206 — « Supporremo in questa prima Nota il sistema completamente libero. Le equazioni d'equilibrio allora sono : Me e G Dei Ti SAT UE (1) TV, — Sla RSM Î s dYr DI \ Ly la UN Za s tr La tensione T,; si suppone applicata in 7 e si considera positiva quando è diretta verso s, cioè quando proviene da un allungamento, e negativa nel caso contrario. Onde dicendo L,; la lunghezza naturale dell'asta /,s, cioè la sua lunghezza quando fosse libera e non sollecitata da alcuna forza esterna, sl avrà (2) Tre = €rs (06, =>; Dro) ’ ove «,, è un coefficiente positivo (coefficiente di resistenza) dipendente dalla materia e dalle dimensioni dell'asta allo stato naturale. T, e T,, hanno valore e segno eguali, ma T,, è applicata in s e diretta in senso contrario a T,s. Le coordinate, e quindi i coseni direttori delle tensioni si suppongono conosciuti. Si suppongono date anche le forze applicate, onde le sole incognite sono le tensioni, « Le equazioni (1) equivalgono, rispetto alle tensioni, a sole 37 — 6, giacchè esse verificano le sei 2X,=0, X(y4—s5Y)=0, (3) 3Y, 0 (XxX — eZ) 100 r ZI,— 008 (a YyyrX) 0% nelle quali le tensioni non entrano. Le (1) adunque non bastano in generale n(n— 1) 9 fd tervenire le relazioni (2). Si tratta di vedere se di queste relazioni possa tener luogo una condizione di massimo o minimo. « Gioverà a tal uopo esprimere le tensioni in funzione di — 1) |, (o_—- 3-4) 9 Sin 3 im variabili indipendenti ©, ©3...0n. Scriviamo senz'altro queste espressioni che sì verificano facilmente colla sostituzione nelle (1), e che sono : QU de DI "a Oi î + 5 rs dl,s a determinare le tensioni che sono in numero di , senza fare in- n (n d9 RTG: m Si dI rs (4) Aa — 207 — ove U è una funzione delle /,,, che rappresenta il polinomio (5) 2 (X, Ly + pe Yr + Z, 2) ’ ed (6) oe 0. Qn=0 sono le relazioni, omogenee, che legano i lati /,,, le quali sono appunto in numero di 7 e provengono dalla eliminazione delle coordinate dalle equazioni (7) DE, "e (2, rana) Cs) na (7, rr Yi “ln (4, gi 2:)?. « Siccome le coordinate x y < sì possono esprimere in diversi modi in funzione delle /,,, così per fissare le idee si può supporre che scelto ad arbitrio un gruppo di 3r — 6 equazioni tra le (7), se ne siano ricavate 8n— 6 coordinate in funzione di altrettante /,, e delle sei coordinate rima- nenti, che designeremo con c, c: ... 65, e che, il sistema essendo libero, po- tremo anche fare scomparire, ponendole eguali a zero o a valori numerici arbitrari ('). Non si potrebbero ricavare dalle (7) tutte le 3, coordinate in funzioni dei lati, poichè il numero dei lati indipendenti è solo 3n — 6 (?). « Ciò posto sia F una funzione delle T; vediamo se essa, resa massima o minima compatibilmente colle (1), o colle equivalenti (4), dia le equazioni (2). « Dovranno verificarsi in primo luogo DEDITI: DECOT:: 8) * ne 8 CLrs c 1 US vS aim che in virtù delle (4) divengono QdF 39, N 9 rs ITrs des ed in secondo luogo queste dovranno equivalere alle (2). « Esaminiamo alcune soluzioni particolari delle (9). ro 0 v dF dm = O CDTONDO > == (0) vs DIE DIS ; (1) Giova però avvertire che le c non possono essere sei coordinate qualunque : de- vono essere sei coordinate, a cui dando valori numerici arbitrari non ne risulti alcuna determinazione della posizione relativa dei punti. Potrebbero quindi essere p. es. #1 Yi 1 Ye #2 Za, non potrebbero essere 21 Y1 Z1 Za Y2 22. (*) Le equazioni (4) come le (1) si possono ricavare dall’equazione dei lavori virtuali ZI dar + vo dyr + LA dz,) — X IÎax dl,s — 0 ’ le (1) coll’esprimere i lati /,s in funzione delle coordinate, le (4) esprimendo le coordinate in funzione dei lati. E se si tien conto delle c, alle (4) si aggiungono queste : DU QU SU — 0, —=0,..., = dei dla dC6 che equivalgono alle (3). Esprimendo in funzione di 3n — 6 lati scelti ad arbitrio e che diremo /p, gli altri lati ly e le coordinate, se ne ricava QU dI , QU dl — _ TT, P=0 ossia Tr=g-— IT, 44, dlp q dlp dlp q dlp che è il risultato a cui si giungerebbe risolvendo le (1) rispetto a 3% — © tensioni. == restare a Es EII<-<*x- — a 82. « Le (9) sono soddisfatte ponendo dF (10) 3T, =, giacchè, le £ essendo omogenee, detto u il grado di una di esse, avremo I (11) 2 LES ba = ue ==)? « Ora se si vuole che le (9), e per esse le (10), equivalgano alle (2) bisognerà che il valore di di sia nt L,,, donde 1 Trs i (12) E= 336 (+1) fl « È facile dimostrare che F è un minimo tra tutte le altre somme ana- loghe F', che si possono formare con altre tensioni compatibili colle (1), o colle equivalenti (4). Si ha infatti P 1 16 IN, sar de È (13) PSI (+1 + - ) 1 (LD, Ts)? Le x $ A mi 2 È Era giacchè la somma dei doppi prodotti è >>; (e + L,.) (2 ui dr) =î lrs (22 FIT 05) rs \ €Ers = (0', — 0) XL di jo 0} rs Uers « Dunque: 2n un sistema elastico articolato ed isolato, in equilibrio sotto l'azione di forze applicate ai vertici, le tensioni rendono minima conciliabilmente colle condizioni d’equilibrio la somma dei quadrati dei lati, moltiplicati pei coefficienti di resistenza (1). x ì ; cf NG « È notevole che il valore di F, ossia — X e,, /*,,, coincide, salvo una 2 VASI costante, col valore della funzione delle forze la quale, nell'equilibrio, è mas- sima o minima, anzi si ammette come massima se l’equilibrio è stabile. Infatti questa funzione è (14) P=3(X,0,+Y.9,+2.4,)— 2 Ji T,, dl, 25, LZ) 4 TI. (1) Non mi consta che questo teorema sia già conosciuto, e così dei teoremi seguenti, tranne quello del $ 3 e quello rappresentato dalla formola (29). — 209 — e siccome dalle (1) e dalle (2) risulta Sr y RZ) = IT, lie La), così i (15) p= È x e, (0°, — L?,) = F + Cost. $ 3. « Le (9) possono anche essere soddisfatte ponendo 9F (16) DTA — ls ag, Ts ’ quando /,, — L,, sì possa considerare come un incremento infinitamente pic- colo d/,, di L,,. Allora si ha SF Li gr e la sostituzione nelle (9) riduce i yrimi membri di esse a 3 OO. ORE che sono nulli sotto la condizione però non solo che gli allungamenti siano infinitamente piccoli, ma che le lunghezze naturali L,, soddisfino, come le Ls, all'equazioni 2,=0...9,=0, ossia che anche con esse si possa for- mare un poligono completo. Ciò significa che, tolte tutte le forze, tutte le aste cessino di essere tese o compresse. Tani Los TEOTI 1 bps «i Ol, « Ciò ammesso, affinchè le (16) coincidano colle (2) dovrà essere dita ossia rs €rs i. e (18) PF 377 = minimo. « Che sia F realmente un minimo, si prova come dianzi. « E con ciò è dimostrato pel caso di un sistema isolato il principio di elasticità, o teorema del minimo lavoro, il quale può essere enunciato esat- tamente così: «In un sistema elastico articolato ed isolato, în equilibrio sotto l’azione di forze applicate ai vertici, la somma dei quadrati delle tensioni divisi per i coefficienti di resistenza è minima compatibilmente coll’equa- zioni di equilibrio, quando le deformazioni siano infinitamente piccole, e, tolte le forze, tutte le tensioni siano nulle (!). « Anche qui si può dimostrare che il valore minimo di F coincide, salvo una costante, col valore massimo della funzione delle forze, cioè con 2 PSE AZ. :)—3 Si Lo, 78 Eps (1) Nelle dimostrazioni, che sono state date del teorema, non si è provato, ch'io sappia, che F è realmente un minimo. — 210 — « Diciamo, infatti, ',, y,, <', le coordinate del nodo 7, prima dell'ap- plicazione delle forze, e poniamo =&+de,, Y=Y}+0Y, &=8,4098,; avremo = D(X,2,4Y,9, +44) +3 (02,4 Ty, +20) T3 « Ma dalle (1) si trae 2(X,dr, L Y,dy,+-Z,dz,) = I 2T, dl,; 3a o dunque, sostituendo, pi= si i + S < (X, LC, + Y,y, + 1,8,)=F + cost. De «Il valore di PX del Y.,Y,4Z,,), ossia di F, rappresenta la somma algebrica dei lavori delle forze esterne ed interne, la quale in pra- tica è sempre un massimo rispetto ai lavori analoghi corrispondenti a posi- zioni che non siano d'equilibrio. S 4 « Le equazioni (9) sono soddisfatte in generale dalle (16) quando le L,, soddisfino a queste condizioni x d9, vv IÙ IL m Cel br => —= 0 b) ° ° . 9 nd dyg TTT = 0 DI rs d i USS d (23 e ad esse soddisfano quando possano mettersi sotto la forma: dlrs £ Ctrl, d&s dl s db, "s € DES (E 8 (19) Ly= 84 pen 4 d Lp des da dYs dé essendo le £ n È quantità arbitrarie. Ed infatti allora si ha DIS LAI Spi de rpg Mi n 8 PIE Va i 8 DI 007 g îy P DIS DIVE RENO I fe can ri na Ora ogni termine di questa somma è nullo, poichè le £, quando le /,, sì esprimono colle coordinate, divengono identicamente nulle, e perciò si ha identicamente IL IR IL == d MIS dYr « Anche in questo caso, sì verifica adunque che 2 Trs vS e Ubi 1 E-3È — Sus è minima compatibilmente coll'equazioni d’equilibrio, ed in questo caso non è necessario che colle L,, possa formarsi un poligono completo di n punti. « Alle (19) si può dare questa interpretazione geometrica. Se si consi- derano le 3 quantità $ n £ come coordinate di n punti e si dicono 4,., i lati del poligono di essi, è evidente che L,, rappresenta la proiezione di 4,, sul lato /,, del poligono elastico dato. Quindi il teorema, che comprende come caso particolare il precedente: « In un sistema elastico articolato isolato, in equilibrio sotto l’azione di forze applicate ai vertici, la somma dei quadrati delle tensioni delle aste, divisi per i coefficienti di resistenza, è minima compatibilmente coll’equa- zioni di equilibrio, quando le lunghezze naturali delle aste siano le proie- sioni sulle aste tese, dei lati di un poligono completo formato con n punti qualunque (!). $ 5. « Le equazioni (9) sono, dopo le cose dette, evidentemente soddisfatte, se poniamo più generalmente dF (20) IT i lis _ Mrs» essendo dlrs (4 DIES ca dlrs DI dx Db oe mio Tr E Tp 7 r ’ © aio frei elica dai (er n ra ove le È n È sono 37 quantità arbitrarie. « Se vuolsi che le (20) coincidano colle (2) dovrà verificarsi àF na (22) QUIS Di Erg gl Lr; :9 DE onde È li UE 2 (23) i la 9 È Frs ( a + Ls — 0») « E si verificherà anche per questa funzione come per le altre una equa- zione analoga alla (13), cioè essa sarà minima. (1) Immaginiamo, per fare un esempio molto semplice, sei aste aventi coefficienti di resistenza diversi od eguali, delle quali, allo stato naturale, quattro abbiano la lunghezza 10, e due la lunghezza 14. Con esse non si può formare un quadrangolo piano. Ma lasciando in disparte una delle più lunghe potremo colle altre cinque formare la figura di un rombo piano, e poi introdurre la sesta a forza mantenendo la figura piana; le sei aste si saranno così parte allungate e parte accorciate, secondo i loro coefficienti di resistenza. Supponiamo infine che mediante forze applicate ai vertici, il sistema prenda la figura di un rettangolo di cui due lati opposti abbiano la lunghezza 9, altri due la lunghezza 12, e le diagonali per conseguenza la lunghezza 15. Le tensioni in questo caso soddisfano al teorema, perchè le lunghezze naturali sono le proiezioni sulle aste tese dei lati e delle diagonali di un quadrato. _—€Ém——@mmmm tc rr. ra e rr 4 AIMEE ra in _—_rrrrrrr uo fi. RIE n = et ver poca nenate —— —m— _—- TEZZE = = °E.àÈ IONI III dc III TIA - no ATE CE se e = “= sost e Ce segna Si gia DIE « Si ha inoltre dalla (23) 1 T,s ‘IPS F= tO Zig ( L- Lis) + — I erstàs — ZUrs (Ts + #78 Les). rs © 2 7 Ma detta P la funzione delle forze abbiamo già dimostrato che la prima : I ; somma è P+33 €,5 L°,, e dalle (1) avendosi (24) z (XK, È, + Y, Tr + Ly Cn) = ZUrsTrs, risulta ì ; 1 i (25) F — P + Toy 25, (Ly a Ups)? a = (X, 3; + VG Una + Ly È) 8 6. « Le quantità arbitrarie & 7 2 sono 37, ma con esse non si possono for- mare che 8 n — 6 arbitrarie tra le «,,; le altre risultano funzioni di queste. Infatti le «,, sono le proiezioni dei lati di un poligono o (i cui vertici hanno per coordinate le & » £) sui lati del poligono elastico. Ora siccome tra i lati nin — 1) 9 ll di o esistono — 3a + 6 relazioni, così anche tra le loro proiezioni esisterà un egual numero di relazioni, cioè date 3 — 6 di quelle proiezioni, tutte le altre restano determinate. « Ciò posto, scegliamo ad arbitrio 3a —6 lunghezze naturali, e desi- gnamo con L, una di esse, con L, una delle altre; poniamo 3 — 6 delle y,., eguali alle L,, e indichiamo con w, una qualunque delle rimanenti, che sa- ranno per le cose dette funzioni delle L,. La (23) diviene ur 1 Dì y 2% (26) pi ns a + D So 8g a + Ly i) == minimo. Sir « Possiamo sempre supporre che il sistema abbia assunto la figura attuale di equilibrio, partendo da un'altra figura infinitamente prossima, nella quale era pure in equilibrio sotto altre forze. Se /,, — d7,, era la distanza dei nodi 7 ed s nella figura iniziale, la tensione corrispondente sarà stata €rs (i cr ls > Ls) = Tors . Le coordinate del sistema nella figura iniziale siano tr ddr, YnT9Yn, 8, 0d8,; e siccome le £, 7, £, sono arbitrarie, poniamole eguali a queste quantità : verrà Mys = Ins — Olrs | e ne risulterà dalla (23), (27) pt y (Toto)? = minimo. 2 rs (2 « Questa espressione rappresenta il lavoro dovuto agli incrementi delle tensioni, poichè bi ji 2 az ar (T, i ID) Glrs É « Dunque: nella deformazione di un sistema elastico, che da una figura l'equilibrio sotto certe forze passi ad un’altra sotto altre forze, il lavoro dovuto all'incremento delle tensioni è minimo compatibilmente colle con- dizioni d’equilibrio relative alla seconda posizione. « Dalla (25) si trae inoltre 2 de Ers (28) F=P+35 —2(X&+T7+2,5) 1 IE are A SIX 04 Vr 0yr 4 40): r 2 rs Èrs « Il secondo membro rappresenta la somma algebrica dei lavori delle forze esterne ed interne nella deformazione. Dunque: la somma deî lavori delle forse esterne ed interne nella deformazione di un sistema che passa da una figura d'equilibrio ad un’altra è equale al lavoro dovuto agl’ incire- menti delle tensioni. 3a: « Se le lunghezze naturali sono atte alla composizione di un poligono, possiamo prendere per figura iniziale quella così composta, ed allora le ten- sioni iniziali sono nulle, e si ricade nel teorema del $ 3. Se le lunghezze naturali invece sono qualunque, possiamo assumere come figura iniziale quella dovuta a forze, che mantengano 3% — 6 aste allo stato naturale: queste aste che designamo con L,, avranno tensioni nulle, la altre avranno, per distensioni o compressioni subìte, lunghezze differenti dalle naturali L,; queste lunghezze che si potranno determinare con una costruzione geometrica, siano L,-+- 4L,, le tensioni corrispondenti saranno e74Ly. Sostituendo in (27), avremo (29) Tae pi:0 da p €p q EZLA 4Ly)? €q = minimo « Se poi si vogliono le tensioni in un sistema;le cui aste non abbiano la lunghezza naturale, e che non sia sollecitato da forze esterne, varrà la stessa (29), compatibilmente colle (1), nelle quali si porrà X,= Y,=Z.=0. RenDpICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem, 29 —— rtTT_1[T eee rr——————————_É7& —— 22 Lert==@i/inei- cem r————-— —___s==>- — 214 — La formola (29) però dev'essere modificata quando il sistema ha vincoli esterni (!) ». (1) Il Castigliano nel suo libro Théorie de l’équilibre des systèmes élastiques et ses applications (Turin, 1879) attribuisce a sè (p. 35) la prima dimostrazione rigorosa del teorema che egli chiama del minimo lavoro; ma, nel suo libro almeno, non lo enuncia (p. 30) e non lo dimostra che pel caso di un sistema isolato, cioè senza appoggi, quantunque nei casi pratici i sistemi siano sempre appoggiati; e neppure per quel caso egli dimostra che il lavoro sia minimo, quantunque questa parola formi la caratteristica della nuova deno- minazione da lui data a un teorema, che ne aveva già un’altra. E così egli. stabilisce a pag. 39 un teorema analogo a quello rappresentato dalla (29) senza però avvertire com’esso vada modificato quando il sistema ha vincoli esterni, come accade sempre nelle applIcazioni. Tuttavia l’opera del Castigliano è degna di studio e di seria attenzione. Il Castigliano si serve molto nelle sue dimostrazioni del teorema detto delle derivate del lavoro. Siccome questo teorema tende ad introdursi nell’insegnamento nelle nostre Scuole degl’ Ingegneri, non è forse inutile qualche osservazione su di esso. Il teorema è così enunciato dal Castigliano: « Si l'on exprime le travail de déformation d'un système articulé en fonction des « déplacements rélatifs des forces eatérieures appliquées à ses sommets, on obtient une « formule, dont les derivées, par rapport à ces déplacements, donnent la valeur des forces « correspondantes. « Si l'on exprime, au contraire, le travail de déformation d'un système articulé «en fonction des forces eatérieures, on obtient une formule, dont les derivées, par rap- « port à ces forces, donnent les déplacements relatifs de leurs points d’application ». Per spostamenti relativi s'intendono le proiezioni degli spostamenti sulle forze, ed il lavoro di deformazione è L=s {td =; (0A La prima parte del teorema deriva immediatamente dall’equazione seguente che si ricava dalle (1) (a) > (X, der + dyn + Zy dz) = ZT,s ds, onde dQL (3) dL = ZRr der, Dei MR detta R, la risultante di X, Y, Z, e 0, lo spostamento relativo di essa. Se poi si mettono al posto di dx, dy, de, le proiezioni 42, 4y» 4, dello sposta- mento g,, supposto piccolissimo, sugli assi, la (a), trascurando quantità di second’ordine, diviene (c) Z(X der +Yr4Yr +1 42) = Ts Ars, ‘gl rS essendo 4l,s l'allungamento subìto da /,s a partire dalla figura iniziale. Ponendo — in luogo Ers di 4lrs, si ha 5; Ta , z = SRr0r, ossia 2L—=SRr-or: rs Ers r r Differenziando questa, e sottraendone la (0) si ottiene DU IR Questa è, in sostanza, la dimostrazione del Castigliano. dL == Zo-dR, , — 215 — Chimica. — Su! massimo abbassamento nella temperatura di congelamento dei miscugli. Nota del Socio E. PATERNÒ e di C. MONTEMARTINI. « Dopo la classica scoperta di Raoult, le ricerche criosopiche hanno avuto uno sviluppo grandissimo, e si è raccolto in meno di un decennio un mate- riale sperimentale molto considerevole; ma nessuno che noi sappiamo ha finora studiato l'andamento del punto di congelamento del miscuglio in tutte le proporzioni di due liquidi solidificabili. Tutti gli studî fatti sono stati ri- volti a raccogliere dei dati per la determinazione dei pesi molecolari, e sic- come l’esperienza ha provato che per soluzioni o molto diluite o molto con- centrate i risultati che si ottengono non possono più servire a questo scopo, così le ricerche sono state limitate allo studio dei miscugli nei quali la so- stanza che la fa da solvente è sempre in rapporto molto maggiore di quella di cui si studia la soluzione. Giova ora notare che esiste una differenza essenziale tra le due parti del teorema. La prima è sempre esatta, qualunque sia la formula che lega le tensioni cogli allunga- menti, qualunque questi siano, e qualunque sia la figura iniziale. La seconda, invece, ri- chiede: 1° che le tensioni siano proporzionali agli allungamenti; 2° che gli allungamenti siano piccolissimi; 8° che nella figura iniziale tutte le tensioni siano nulle. Questa terza condizione che generalmente non si verifica, e che se si verifica a una certa temperatura non si verifica ad un’altra, non è necessaria, se la seconda parte del teorema viene modificata nel seguente modo : Quando un sistema elastico articolato è passato da una figura d’equilibrio ad un'al- tra, se si esprime il lavoro dovuto all'accrescimento delle tensioni in funzione delle forze applicate che lo mantengono nella seconda figura, e si considerano gli spostamenti relativi come funzioni di esse, le sue derivate rispetto alle forze danno gli spostamenti relativi dei loro punti d'applicazione. Infatti la formola (c), qualunque siano le tensioni iniziali dà 5 (Trs — TordT,s 3 dy rs Er3 Tui 7 Di pe? Differenziando questa, e sottraendone la (2) ossia > Trsdl, _ Z R, do, ; rs. Ers r sì ricava x (Ts == Tore) GIAN =F0,dR,. rs Ers Dunque rappresentando con L’ il lavoro dovuto all'incremento delle tensioni, ossia ponendo pl Ta Ton , 2 rS Ers avremo — 216 — « E pure lo studio completo delle variazioni del punto di congelamento del miscuglio di due liquidi in ogni proporzione non è privo d'interesse. E noi lo abbiamo intrapreso nella speranza di trovare in esso qualche nuovo criterio per riconoscere la diversa complessità delle molecole polimerizzate dei liquidi. — Ed invero se, come fu osservato per il primo da Raoult, il fatto che gli acidi nella benzina danno un abbassamento molecolare metà del normale può spiegarsi con la condensazione due a due delle molecole disciolte (!) e se il comportamento degli alcooli è prova che essi sono formati da molecole molto complesse (*), ne viene come leggitima conseguenza che nel fenomeno dell’abbassamento del punto di congelamento di un liquido che tiene disciolta una data sostanza, non solo il peso molecolare relativo delle due sostanze, ma anche la natura dei complessi molecolari che le costituiscono debbono avere un'influenza. « Quando ad una sostanza presa come solvente, p. es. l'acido acetico fusibile a 17°, si aggiunge gradatamente dell’acqua, si avrà un abbassamento nel punto di congelamento che sarà tanto maggiore quanto maggiore è la quantità di acqua aggiunta; però ciò ha un limite, o deve sempre esistere un punto nel quale il fenomeno s'inverte; cioè deve esistere un punto nel quale aggiungendo nuova acqua si avrà un innalzamento di temperatura, che conseguirà il suo massimo quando riducendosi trascurabile la quantità di acido acetico relativamente all'acqua aggiunta, il punto di congelamento, già disceso al di sotto di 0°, salirà fino a 0°, temperatura di congelamento del- l'acqua pura. Similmente partendo dall'acqua (fus. a 0°) per aggiunte suc- cessive di acido acetico si avrà un punto di congelamento del miscuglio sempre più basso; ma verrà un momento in cui l'abbassamento cesserà e comincerà invece un innalzamento, che si fermerà alla sua volta per un miscuglio ia cui l'acqua è in proporzione infinitamente piccola rispetto all’acido acetico, e ciò avverrà a temperatura di 17° che è quella di congelamento dell'acido puro. Naturalmente le due serie di esperienze si confondono nel risultato in una sola « Inoltre nel punto di congelamento di due liquidi, ambedue solidifica- bili, deve per un dato miscuglio almeno ottenersi lo stesso punto di conge- lamento del liquido che ha la temperatura di fusione più bassa, cosicchè nel caso del miscuglio di acqua e di acido acetico. deve rinvenirsi una propor- zione in cui il punto di congelamento del miscuglio sia situato a 0°. « È possibile calcolare a priori, dalla conoscenza delle proprietà di due liquidi, in quale proporzione devono essere mischiati per ottenere il massimo abbassamento nel punto di congelamento ? In altri termini: A quale grado di (1) Chrioscopie, p. 39. (2) Paternò, Gazz. chim., t. XIX; Paternò e Montemartini. OE concentrazione avviene l’invertimento del fenomeno di abbassamento nel punto di congelamento per l'aggiunta di nuova sostanza ? «I fenomeni crioscopici sono fenomeni molecolari. — Una molecola di una data sostanza sciolta in 100 di un solvente produce un abbassamento costante (0°,62); due molecole il doppio, e così proporzionalmente. Sappiamo inoltre che perchè questi fenomeni procedano regolarmente è necessario che all'atto del congelamento si separi il solvente senza punto sostanza disciolta. « Ora è chiaro, sempre parlando in linea completamente generale e fa- cendo astrazione di tutte le cause disturbatrici che non sono poche, che se a 100 mol. di una sostanza presa come solvente si andrà mano mano ag- giungendo un’altra sostanza, l'estremo limite di abbassamento nel punto di congelamento potrà spingersi nel caso più favorevole sino a quando sì saranno di quest'altra sostanza aggiunte 100 mol.; ma sorpassato questo limite sarà la seconda sostanza che nel miscuglio assumerà le funzioni di solvente, ed allora il fenomeno dovrà invertirsi; si sarà conseguito allora il massimo di abbassamento e comincerà il punto di congelamento ad innalzarsi. « Questo ragionamento è invero assai grossolano, poichè tra le molte cause disturbatrici del fenomeno vi è, per dirne una, anche quella che in mi- scugli in proporzioni vicine alle equimolecolari, il fatto della congelazione muta notevolmente la concentrazione. Ma per quanto grossolane queste considera- zioni, possono servire a darci un'idea approssimativa dell’ andamento del fenomeno. « Da quanto precede, segue come probabile che studiando l'andamento del punto di congelamento di parecchi liquidi, due a due, deve nel fenomeno osservarsi un andamento in certo modo conforme pei liquidi che hanno la stessa complessità molecolare, mentrechè nel miscuglio di due liquidi che hanno di- versa complessità molecolare, questa causa speciale, oltre alle altre generali, deve esercitare una influenza. « Noi abbiamo, come inizio di una serie di ricerche su questo argomento, studiato i miscugli di paraxilene con benzina, acido acetico, fenolo e trime- tilcarbinolo, e di trimetilcarbinolo e fenolo. Abbiamo pure fatto degli studî col paraxilene ed il timol, e col trimetilcarbinolo e l'acido acetico; ma per ora siamo in grado di occuparci dei primi soltanto. n i TTI =_= rn SE "e "——___— ne ci “= 218 — I. Parroxilene e benzina. Punto di congelamento del paraxilene 150,18 ” 7 della benzina 59,17 | xilene 57,61 Composizione centesimale del miscuglio CH + CsHio 7 benzina 42,89 £'#| Benzina | Parayilol | Temp. £3| Benzina | Paraxilol Temp. | in 100 p. | in 100 p. | di congel. 2 in 100 p. | in 100 p. | di congel. TER COC Ceto MERI 12,915 || ||28 | 28,723 71,277 |— 3, 76 2 1,044 | 98,956 12, 58 (24 | 30,441 69,559 }— 4, 82 SUI ZIO 98:22 1259017 25 | 32,294 | 67,706 |— 6, 10 4| 2,860 | 97,140 11, 54 126 | 34,132 65,868 |— 7, 22 d| 3,575 96,425 11, 14 27 | 40,456 59,544 |—11, 65 6| 4,569 95,651 108871 128 | 43,913 56,687 |—13, 57 7| 5,147 94,853 10, 30 \29 | 46,082 53,968 |—15, 11 8| 5,794 | 94,206 9,915 30 | 48,466 51,534 |—16, 98 LIMI 97 260;505 93,495 9,535 31 | 53,794 (46,206 Gi 30m Ati 10| 7,652 92,348 8,845 32 | 56,756 | 43,244 |—. 9 (II Je: 8,699 91,501 8,275 33 | 61,654 38,346 |—17, 44 12) 9,718 90,282 7.665 S4 | 63,841 36,159 |— 15,949 13 | 10,789 89,211 7,045 È ||35 | 65,483 | 34,517 |—14, 78 14 | 11,524 | 88.476 6,615 36 | 68,864 | 31,136 |—12, 52 15 | 12,379 87,621 6,155 37 | 76,096 23,904 | _7, 80 16 | 15,581 86,619 5, 55 | ||38 | 77,646 22,354 |— 6, 89 17 | 14,409 85,591 4,915 39 | 79.644 | 20,356 |— 6, 89 18 | 15,264 | 84,736 4,595 40 | 82,077 17,923 |— 4, 19 19 | 16,209 83,791 3,935 41 | 85,925 14,475 | 2, 30 20 | 17,029 82,971 3,465 42 | 88,674 | 11,826 |— 0, 81 21 | 25,657 714,343 | 1, 89 43 | 90,726 9,274 |+ 0, 32 22 | 27,123 | 72,877 |— 3, 04 « Dobbiamo notare che queste esperienze, come tutte le altre seguenti, sono state fatte col metodo di Beckmann, cioè preparando prima un miscuglio di xilene e benzina in proporzioni determinate e poi aggiungendo gradatamente l'uno o l’altro dei due liquidi per mezzo della nota pipetta. Queste esperienze furono inoltre fatte in più riprese; in quelle dal n.° 1 al n.° 20 si partì da xilene a cui si aggiunse benzina, in quelle dal n.° 21 al n.° 26, e dal n.° 27 al n.° 81 si partì da miscugli delle proporzioni indicate dai n. 21 e 27 e si andò aumentando le proporzioni di benzina. Invece nelle altre dal n.° 32 al 43 si partì dal n.° 48 al 37 da benzina e dal n.° 36 al 32 da un mi- — 219 — scuglio di xilene e benzina nelle proporzioni del n.° 86, e si andò aumen- tando la proporzione dello xilene. « Dobbiamo in secondo luogo osservare che per ciò che concerne il mi- scuglio di xilene e benzina il massimo di abbassamento è evidentemente com- preso in miscugli che contengono in 100 p. più di 38.346 e meno di 51,536 di xilene; però il punto di congelamento di tali miscugli, che deve essere al di sotto di —17°,44, non potemmo determinarlo perchè col nostro termometro non poteva leggersi una temperatura più bassa. « Dobbiamo pure notare che non ci è stato possibile determinare il punto di congelamento di miscugli contenenti meno del 9,274 °/, di xilene, perchè in tre esperienze che abbiamo fatte con miscugli contenenti Paraxilene Benzina 1,096 98,904 2,443 97.554 3,465 97,535 cominciò subito, appena la temperatura discese al p. di cong. della benzina, la cristallizzazione della sostanza. Questo fatto merita di essere attentamente stu- diato, tanto più che per soluzioni più concentrate di xilene in benzina, il fenomeno procede abbastanza regolarmente. « Infatti dalle esperienze 40, 41, 42, 43 si calcola Commutazione Abbass. term. Coeff. Abbass. mol. 10,22 49,85 0,415 12,77 5 98 0,469 16,93 1,40 0.441 21.88 9,36 0,429 media 0,458 46,45 — 220 — II. Peraxilene ed acido acetico. Punto di congelamento dello xilene 139,18 ” ’ dell’acido acetico 15 ,29 xilene 63,86 izi tesimale del mi ] Composizione centesimale del miscuglio C2H,0 + CsHio acido acetico 36,14 : : | xilene 46,07 ” del miscuglio C3Ho0 + 20,H,0, Vacido acalico b 3198 od ; Acido Punto gF ; Acido Punto CE acli acetico di congel. 25 Parazilene acetico di congel. (0) 44 0,879 | 99,221 14, 92 72 | 58,904 46,696 0,535 45 1,940 | 97.060 14,555 73 | 58,845 46,155 0, 55 46 3,306 | 96,694 14,095 74| 54,841 45,659 0,545 47 4,676 | 95,324 13, 65 75 | 54,995 45,005 0, 50 48 6,122 | 93,878 13017 76 | 55,786 44,264 0,505 49 7,810| 92,190 12, 65 77 | 56,368 43,632 0, 69 50 10,000 | 90,000 12, 01 78 | 57,010 42,990 0,890 51 11,733 | 88,267 11, 50 79 | 57,690 42,310 1,075 92 15,017 | 84,983 10, 65 80 | 58,479 41,521 1,728 93 17,490| 82,510 9, 96 81 | 59,236 40,764 1,915 54 19,957 | 88,043 9,255 182 | 60,474 39,526 2,285 95 22,391 | 77,609 8, 69 89 | 62,354 37,646 POETI 56 24,874| 75,126 8,025 84 | 64,506 85,494 9, 29 57 27,958 | 72,442 7,475 85 | 66,919 33,081 3,885 58 30,230 | 69,770 6,845 86! 68,958 31,042 4, 40 69 32,994 | 67,006 6,165 80703478 29,222 4, 86 60 35,483 | 64,517 5, 95 88 | 72,878 27,122 588 61 36,725 | 63,275 5,915 89 | 75,006 24,994 5,925 62 38,476 | 61,524 4,825 90 | 77,016 22,984 6,405 63 40,242 | 59,758 4,380 91 | 79,081 20,919 6,965 64 |— 42,531 | 57,469 3,815 92 | 87,527 12,473 SUO7 65 | — 44,987 | 55,063 2,925 93 | 90,132 9,868 10, 02 66 —47,442| 52,558 2,475 94 | 92,327 7,673 10, 57 67 | — 48,918 | 51,082 1,865 95 | 93,523 6,477 10; 93 68 | —50,799| 49,201 1,195 96 | 95,092 4,208 11, 44 69 |— 51,055 | 48,945 ORRZI 97 | 97,894 2,106 12, 40 70 |—52,400| 47,600 0, bi 98 | 98,794 1,206 12, 72 T1|—52,809| 47,191 0, 54 99 | 99,239 0,761 12, 86 Ì — 221 — III. Paraxilene e fenol. Punto di congelamento del paraxilol 13°,18 ’ ’ fenol 37°,02 PE : ; 3 | fenol 47 Composizione centesimale del miscuglio CsH,, + CsHs0 i al E ( fenol 35,99 ” del miscuglio CgH1o 4 2C5H50 rilol 64.01 g3 | i s©| Fenol Poaraxilo] 3 Punto di congel. Punto di congel. d’ord. | Fenol | Paraxilol | Num. 100| 1,235 98,765 12, 63 114| 45,942 | 54,458 6,745 101) 2,690 | 97,310 | 12,065 115| 48,732 | 51,268 8,605 102| 4,648 | 95,352 | 11,485 116| 51,089 | 48,911 10,005 103| 6,379 | 93,621 10, 92 117| 54,137 | 45,863 | 11, 52 104| 8,891 91,109 10,315 118| 56,724 | 43,276 | 12, 79 105| 11,596 | 88,404 9, 44 119| 59,288 | 40,712 | 14, 07 106| 16,169 | 83;831 8,985 120| 61,520 | 88,480 | 15, 50 107! 20,060 | 79,940 8, 15 121| 69,222 |! 30,778 Ii8N91 108| 24,823 | 75,177 7,255 1221 41,597 | 28,597 | 20, 07 109| 31,008 | 68,992 6,255 123| 79,773 | 20,227 | 24, 82 110| 35,158 | 64,842 5,425 124| 89,452 10,548 | 30, 37 111| 89,457 | 60,543 3,995 125| 94,164 5,896 | 33, 32 112] 43,510 | 56,490 5,985 126| 983,145 1,855 | 35, 82 113| 44,615 | 55,385 6, 59 RenpICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 30 — 222 — IV. Paraxilene e trimetilcarbinol. Punto di congelamento dello xilol 130,18 ” ’ del trimetilcarbinol 189,79 x A ; 3 rimeti inol 42,58 Composizione del miscuglio C4H,00 + CsHio i Oa 37 È trimetilcarbinol 58,26 ; i i) 41,74 ; È 30,H.00-+-C3Hno CE 3 H Xilol | Trimetilcarb. di Miei sil Xilol. | Trimetilcarb. o DATA e IS KO) 98,290 17, b5) 141| 54,797 45,203 3,975 128| 3,828 97,172 15, 04 142| 59,012 40,988 4, 33 129| 7,975 92,025 12, 66 143| 62,662 87,338 5, 96 130| 12,059 87,941 9, 88 144| 67,366 32,634 6,265 131| 16,050 83,970 ALTO 145| 73,324 26,676 4,235 132| 22,230 PRTPSTATI(O) 4,205 146| 30,578 19,422 8,755 138. 28,513 71,487 4 0,415 147} 84.207 15,793 9,420 134| 32,008 67,992 :— 0, 61 148| 87,236 12,764 9, 96 135| 35,539 64,461 - 1, 8s0 149| 91,355 8,645 IO, 01 136, 40,091 59,909 i:— 0, 97 150 93,998 6,002 a 2 137| 42,317 57,683 di 0, 63 151| 96,036 3,964 Nea 138| 45,350 54,670 |+ 0, 42 152| 97,001 2,999 MISSA 139| 46,261 53,739 120) 153 | 98,566 1,434 12,475 140| 48,350 51,650 1. 74 154| 99,553 0,447 12, 94 — 223 — V. Trimetilcarbinol e fenol Punto di congelamento del trimetilcarbinol 13°,79 ” ” fenol 37°,07 ‘imetilcarbinol 77,90 Composizione del miscuglio 4C,H,00 + C;H50 Minist cachi } ( fenol 22,10 : : 60,50 + C,H°0 pat tn or si È CH 90 + 30,H,0 i o n 5E| raso Trimetilcarb. SRI dE Fenolo | Trimetilcarb. DORIA 155| 1,224 | 98,776 | 17, 68 168| 25,326 | 74,674 | 13, 49 156| 3,054 | 96,946 | 15, 89 169| 27,112 | 72,888 14, 87 157| 6,303 | 93,697 | 12, 44 170| 28,948 | 71,052 16, 15 158| 9,794 | 90,206 8, 76 171| 30,354 | 69,646 | 16, 62 159| 12,366 | 87,634 0,425 172| 33,085 | 66,915 | 17, 74 160| 15,003 | 84,997 3,235 173| 78,995 | 21,005 3, 89 161| 16,054 | 83,946 3,595 174| 80,943 | 19,057 6,075 162| 17,438 | 82,562 5,710 175| 82,457 17,549 9,08 163| 18,317 | 81,683 6,465 176| 84,196 15,804 | 14, 45 164| 19,197 | 80,803 7,185 177| 83,661 Tr239 Ai 4% 165| 20,110 | 79,890 8,735 178| 91,827 8,173 | 26, 85 166| 20,942 | 79,058 9,415 179| 97,135 2,865 | 35,905 167| 23,413 | 76,587 12,085 180| 99,030 0,970 | 36, 03 « Le esperienze dal numero 155 al 172 furono fatte aggiungendo suc- cessivamente del fenol al trimetilcarbinol; quelle dal 173 al 180 furono fatte invece aggiungendo il trimetilcarbinol al fenol. In queste esperienze si osserva una forte lacuna tra i ni 172 e 173, i quali rappresentano miscugli di con- centrazione molto diversa: ma i tentativi fatti con miscugli di composizione intermedia non ci diedero buoni risultati. Quello però che risulta certamente e che è degno di tutta nota si è che nei miscugli di fenol e trimetilcarbinol si presentano due massimi di depressione nel punto di congelamento. Questo strano comportamento è senza dubbio legato al fatto che si tratta di due li- quidi ambedue a molecole complesse, dei quali secondo le concentrazioni si — 224 — disgrega or l'uno or l’altro. Nella esperienza n.° 60 il trimetilcarbinol è allo stato di polimerizzazione, mentre le molecole complesse del fenol sono disgregate pel fatto della diluizione. Nella esperienza invece n.° 173 av- viene l'inverso, il fenol è polimerizzato ed il trimetilcarbinol ha le molecole disgregate; però non possiamo affermare che la temperatura di 39,89 rappre- senti la massima depressione, perchè come abbiamo detto vi è in queste espe- rienze una lacuna. « Ed ora poche parole di conclusione. « Le esperienze di cui abbiamo reso conto in questa nota non possono considerarsi come definitive, dappoichè è necessario ripeterle con prodotti di assoluta purezza; inoltre esse devono essere estese a molte altre sostanze. Noi stiamo ora preparando il materiale a questo scopo e ci proponiamo di stu- diare, parallelamente ai punti di congelazione, i fenomeni termici per i mi- scugli in varie proporzioni. « Intanto però a noi sembra che le esperienze preliminari fatte confer- mino le nostre previsioni. Per il xilene e la benzina il massimo abbassamento nel punto di congelamento si ha per miscugli che hanno una composizione, se non molto prossima a quella di una molecola dell'uno ed una molecola dell'altro, certo tale che non permette di supporre miscugli di molto diversi. « Nel caso dell'acido acetico e dello xilene, l'abbassamento massimo (esp. n.° 70) corrisponde molto prossimamente ad un miscuglio di 1 mol. di xilene e 2 mol. di acido acetico. « Nel caso dello xilene col fenol (esp. 111) il massimo abbassamento corrisponde similmente ad un miscuglio di composizione assai vicina di 1 mol. di xilene per 2 di fenolo. « Per il trimetilcarbinolo ed il paraxilene (esp. 135) si tratterebbe di un miscuglio di 1 mol. di xilene con 3 mol. di trimetilcarbinolo. « Finalmente pel trimetilcarbinolo ed il fenolo, le esperienze 60 e 72 sono relative a miscugli, il primo di 6 mol. di trimetilcarbinol e 1 di fenol che ha la composizione Fenol 15,90 Trimetilcarbinol 84,10 il secondo di 3 mol. di fenol per una sola di trimetilcarbinol, che deve contenere Trimetilcarbinol 22,69 Fenol 77,81 « Ora confrontando questi risultati con tutto quanto è noto sulla com- plessità molecolare dei liquidi, non può disconoscersi che esperienze estese e precise nell’indirizzo da noi proposto serviranno a gettare molta luce sull’im- portante problema ». — 225 — Matematica. — Teoria generale delle corrispondenze projet- tive e degli aggruppamenti projettivi nelle forme fondamentali a due dimensioni. Nota del Corrispondente RiccARpo De PAOLIS ('). « 1. Tra gli elementi generatori di due forme fondamentali a due dimen- sioni F,!, F.° si può stabilire una corrispondenza projettiva reciproca. Allora ogni elemento A, di F,' individua un elemento corrispondente duale di F,?, e tutti gli elementi A, di F:° che appartengono ad esso e sono della stessa natura di A, insieme ad A, dànno co! coppie AA; tutte le possibili cop- pie come A,A» sono 003 e costituiscono un aggruppamento Ap, di 2° or- dine projettivo. Se F.!, F.° coincidono possiamo considerare aggruppamenti projettivi involutori, che sono stati chiamati sistemi polari. « Si possono studiare anche aggruppamenti A p,, che pure diremo projet- tivi, costituiti da gruppi @@,, di elementi ciascuno di una di x forme Fy',...,F”, tali che n — 2 qualunque di questi elementi costituiscano un gruppo G,, di Ap,, insieme a tutti i gruppi di un aggruppamento projettivo A p.. Sì possono anche studiare i sistemi fondamentali generati da ageruppamenti projettivi A p,, ecc. ecc. « Se le n forme F,' sono sovrapposte, si possono ottenere aggruppamenti projettivi involutori, i2voluzioni Ipnn-.. Molte delle loro proprietà e di quelle dei loro sistemi fondamentali sono state studiate. « Per semplicità consideriamo % piani punteggiati sovrapposti ad uno stesso o. «2. Data un'involuzione Fp,,n-1 e prese # rette 7,,72,...,7, di Ya, n—1 punti A,, A3,..., An-1 dati rispettivamente sulle rette 71, 72, ...,7n1; insieme ai punti della loro retta polare rispetto a Ip,,n-1, costituiscono gruppi di Ip,,n-.; la retta polare incontra in un punto A, la 7,, e si hanno così co gruppi G, (A, ... An). Fissati #2 — 2 punti qualunque A,,...,An-s di G,, se An, descrive 7,_1, An descrive 7, e corrisponde ad esso projettiva- mente; quindi igruppi A,-, A, generano un aggruppamento projettivo A ps. Si vede così che i gruppi G, generano un aggruppamento projettivo A pn. Se le 7 rette coincidono in una 7,, su di essa si ha una involuzione, e x punti n-pl per essa. Questi sono punti n-pli di Ip,n-,, € generano una linea e, di ordine n incontrata in » punti da una qualunque retta del suo piano, che diremo la linea n-pla di Ipnn1- «3. Immaginiamo data una involuzione Ip,,,-, di gs e sia e, la sua linea x-pla. Prendiamo poi due punti O,, 0, non appartenenti a e, e una (1) [V. la Nota alla fine. C. SEGRE]. — 226 — retta 7 di p». Siano A, ,..., A, 7 punti qualunque di 7. Sulle rette 0, A,,..., OA, vi sono co”! gruppi B',,...,B”, di Ipan- i quali costituiscono un aggrup- pamento projettivo. Le rette 0,B',,...,0,B', hanno x punti B,,..., By co- muni con 7, e i gruppi B, ... B, costituiscono un aggruppamento projettivo Ap, di 7. Tutti i gruppi come Gay (Ai ... An B) ... B) generano un aggrup- pamento projettivo A p»,. Per dimostrare ciò basta far vedere che 27 — 2 punti qualunque costituiscono un gruppo G», con tutti i gruppi di un ag- gruppamento projettivo A p,. Siccome i gruppi A, ... A, e B, .. B, entrano nello stesso modo a costituire G,, basterà far vedere che preso un gruppo come Ax... AnB3.....B,, 0 Ass, Bs... Ba, 0 Ap An Br BB IPUNLI B,, Ba, 0 A, B, 0 A,, B» che insieme ad esso dànno un gruppo Gy si corrispondono projettivamente. Nel primo caso la proprietà è già dimostrata, perchè tutti i gruppi B, ... B, che insieme ad A, ... A, dànno un gruppo Gra, come abbiamo veduto, generano un aggruppamento projettivo. Nel secondo caso, essendo dati i punti A; ,...,A,, B:,...,B,, sono dati pure i punti B'»,...,B, e siccome tutti i punti B', che insieme a questi costituiscono un gruppo di Ep,,,_, sono tutti quelli di una retta 7,, i punti corrispon- denti A,, B, si trovano projettando da 0,, O, uno stesso punto di 7,, e quindi si corrispondono projettivamente. Nel terzo caso, essendo dati i punti Az; 03 An; B1; Ba; -0:,Bn, 8000 dati pure 1 punti BG Beonio O,As, 0B, che devono contenere B', e B',; ora questi punti si corrispon- dono su di esse projettivamente, quindi si corrispondono proiettivamente Bs e Ai. È adesso dimostrato che i gruppi (&@,, generano un aggruppamento projettivo A pan. « I 2n elementi 2r-pli di A par sono gli # punti comuni a 7 e c, e il punto comune a 7 e alla retta 0,0, contato x volte. « Un punto M di 7 determina una retta 0,M la quale ha % punti N',,...,N", comuni con la linea c,, le x rette O, N';,...,0,N"n incon- trano 7 in x punti N,,..., N, corrispondenti a M; analogamente a uno dei punti N corrispondono # punti M. Si ha così una corrispondenza [, x], che è projettiva essendo costruita coll’aggruppamento projettivo A pan. « 4. Supponiamo date, in uno stesso piano gs, due linee €,, Cm, di or- dine » e 7. Prendiamo due punti 0,, O, non appartenenti a e, nè a cm € una qualunque retta 7 di gy. « Se per O, conduciamo in gs una retta O, M, che incontri 7 in M, i suoi x punti N',,..., N°, comuni con c, dànno 2 rette 0, N’; , ..., 0, N'n che incontrano 7 in 2 punti N, ,..., Nn. Tra i punti M, N di r esiste (n. 3) una corrispondenza projettiva [m, n]. Ogni retta O,P, condotta in », in- contra 7 in un punto P e incontra c» in m punti Q',,...,Qm i quali dànno m rette 0» Q',,...,0:Q'm che incontrano 7 in m punti Q,,..-Qw- Tra i punti P, Q di 7 esiste una corrispondenza projettiva [wm, m]. Ora tra — 227 — i punti M, Q, e quindi tra le rette 0.M, O; Q, si può (facendo coincidere N e P) stabilire una corrispondenza projettiva [mn, mr] risultante delle due Ca, n], [m, m]. I raggi doppi saranno 2. Evidentemente tra questi mx coincidono con 0,0,, e i rimanenti 722 sono quelli che da O, vanno ai punti COMUNI 2 6, Cm : Due linee di ordine m, 7 hanno sempre mr punti comuni. « Bastino questi cenni per provare che i principî stabiliti nelle due prime parti del presente lavoro sono sufficienti per dedurne una teoria geo- metrica pura delle linee e delle superficie n-ple di involuzioni projettive, linee e superficie che sono tutte quelle dette algebriche. Pisa, 30 dicembre 1887. Nota di C. Segre. — Le pagine precedenti (a cui ho conservato il titolo originale, sebbene della feoria generale a cui si riferiscono contengano solo il principio) costitui- scono la 3 (ed ultima) Parte — fino ad oggi inedita — del manoscritto che, sotto il titolo « Fondamenti di una teoria, puramente geometrica, delle curve e delle superficie », il compianto De Paolis presentò a quest'Accademia nel concorso al premio Reale per la Matematica relativo al 1887. Veggansi in proposito la Relazione sul detto concorso in questi Rendiconti t. V (2° sem. 1889), pag. 300, e quella recentissima (che propone un premio postumo al De Paolis) nel presente volume dei Rendiconti, pag. 185; non che i Cenni biografici del De Paolis da me pubblicati nel t. VI (1892) dei Rend.i del Circ,° matem.° di Palermo. — Si sa che, dopo presentato quel lavoro pel concorso, l'Autore si occupò di completarlo e di stamparlo. Ed in fatti le prime due parti di esso furono pub- blicate, con vari rimaneggiamenti e con qualche ampliamento : v. rispettivamente la 7'eo- ria dei gruppi geometrici e delle corrispondenze che si possono stabilire tra i loro ele- menti (Memorie della Società Italiana delle scienze, t. 7, ser. 82, 1890) e Ze corrispondenze proiettive nelle forme geometriche fondamentali di 1° specie (Memorie della R. Accad. delle scienze di Torino, t. 42, ser. 22, 1892). Ma la morte — tanto funesta ed immatura! — impedì all’A. di completare questa 3% Parte, la quale, per mancanza di tempo, s°era ridotta nel manoscritto a pochi cenni, mentre avrebbe richiesto un ampio sviluppo. Incaricato dall’egregia Famiglia De Paolis di esaminare alcune carte del nostro compianto collega (nel che fui gentilmente aiutato, fra gli altri, dai signori Ciani, Enri- ques e Lazzeri), non rinvenni tra esse nulla che si riferisse a questo lavoro. Ho perciò ristampata qui quella 8® Parte tal quale essa si trova nel manoscritto conservato dall’Ac- cademia: persuaso che essa possa servire a dar qualche idea del metodo con cui VA. intendeva di applicare i risultati delle Parti precedenti e specialmente della 2%, relativa agli aggruppamenti projettivi nelle forme di 12 specie, allo studio degli aggruppamenti projettivi di specie superiore, e quindi delle curve e superficie algebriche. — Di mutamenti rispetto al mscr. non ho fatto altro che: correggere poche sviste materiali ; introdurre una nuova numerazione dei paragrafi, invece di continuar quella delle Parti precedenti; ed adot- tare — come ha fatto lA. nella 2* delle suddette Memorie stampate — i simboli Ap, Ip per indicare gli aggruppamenti projettivi e le involuzioni prozettive, in luogo di A ed I che si trovano nel mser. — Mi permetto di aggiungere qui poche parole intorno a quelli fra gli altri manoscritti inediti del De Paolis che, come dissi, io fui incaricato di esaminare. Fra essi non ne trovai alcuno che fosse pronto per la stampa, o che (secondo me) l’A. dopo qualche ritocco avrebbe Cia ix A — 228 — volentieri pubblicato. Ho perciò rinunziato ad occuparmi della loro pubblicazione. A vero dire, uno di essi, col titolo « Sulla Jacobiana di quattro superficie » e con la data del 1885, ha tutti i caratteri esterni di un mscr. da stampare. Il suo scopo è di determi- nare la multiplicità che la Jacobiana di quattro superficie ha lungo una curva che sia multipla rispettivamente secondo è, i, î3, d4, (=-0) per queste; e trova che essa è dr generale i1 + è + d3-+ i, — 2, ma diventa i, — 1 se tre delle 4, p. e. dî». i, 24, sono nulle, e diventa 4: — 1 se le quattro superficie hanno lo stesso ordine e la stessa multiplicità lungo la curva. Il metodo adoperato consiste nel condurre per la curva una superficie razionale (un monoide); l'intersezione di questa con la detta Jacobiana vien rappresentata da un'equazione fra i parametri della superficie razionale, da cui si dovrà staccare il fat- tore rappresentante la curva data tante volte quanta è la multiplicità cercata di questa curva per la Jacobiana. Questo concetto, diverso da quelli usati prima da altri per pro- blemi siffatti, sembra ingegnoso e semplice. Ma il procedimento con cui viene attuato nel mser. non mi pare soddisfacente: e questa credo sia la causa per cui l'A. rinunziò poi alla pubblicazione. Altre carte si riferiscono all’esagrammo di Pascal, che tentano di studiare ricor- rendo ad una figura stereometrica. Poco prima — scrive l'A. — il Cremona ed il Caporali avevano dedotte le principali proprietà dell’esasrammo da figure che si presentano nelle superficie cubiche e nella superficie di Kummer. Egli invece si propone di dedurle con- siderando la conica come sezione piana di un iperboloide : pei 6 vertici dell'esagono pas- sano due sestuple pi ... Pes Y1 +96 di generatrici dell’iperboloide ; le coppie di rette p, gs (r == s) determinano altri 30 punti 7,s e 30 piani II,;; le coppie di punti come 7,3 7sr determinano 15 rette; ecc. ecc.: e così nasce una figura stereometrica le cui proprietà sono strettamente legate a quelle dell’esasrammo. Però la deduzione di queste ultime non viene spinta abbastanza in là; e nemmeno si può dire che si faccia molto semplicemente. Infine meritano menzione alcuni studî su quistioni relative a sistemi lineari di curve piane, fra cui principalmente le seguenti: 1° Dati v sistemi lineari projettivi di curve C/,..., 0%, d'ordine n1,...,y, ognuno dei quali sia 00°+T ove t=0, 1,...,v—2, se %,yY sono due punti tali che i sistemi omologhi (nella detta projettività) oo”? di curve C,..., CT+?, i quali passano per #, passino pure per y insieme coi sistemi omologhi co%-* di curve CT+3,..., 0°, tra i punti 2, y del piano si avrà una corrispondenza (cx, «y), essendo T+2 T+2 45 Po) Ca = DI NpNa ip DI Srpb Yob as LI i r < S (+1) (+2) Ci a Npha — %® Srob (dope “gp renagn 1 1 ove le rp» indicano le multiplicità che il sistema lineare CP ha nei punti base 4 (che possono esser comuni anche a più sistemi, ed ai quali vanno estese le somme indicate con $). Studio di questa corrispondenza: linee che corrispondono alle rette; punti fonda- mentali; linee fondamentali; ecc. Curva unita, ossia luogo dei punti per ciascun dei quali passano v curve omologhe dei » sistemi in guisa però che le C',..., CT+? vi si tocchino: è d’ordine T+2 i nesta ie2) DI No Io A +9 np +(t+1) con determinate multiplicità nei punti base. — 2° Dati » sistemi lineari projettivi di curve C/,..., Cv, di dimensione v +7 — 1, ove 7t=0, 1,...,v— 2, se #, y indicano due punti tali che i sistemi omologhi co”-* di curve C‘,,.., CT+?, i quali passano per 2, pas- — 229 — sino pure per y insieme coi sistemi omologhi oo” di curve CT+?,..., C%, i luoghi di x e di y sono due curve di ordini RE lc È t(t+1) (7+1)(7+2) © t(t+1)(r+2) Yaoi D ripe D Srara=- 3 si pn s TC free T+2 (€ 4-1) (14-2) Ae) . t(r+1)(r+2) xl >. noto — D Sroo ro 2DEEII “e > caratteri di queste curve, ecc. — 8° Con gli stessi dati dei due problemi precedenti, solo con la riduzione dei » sistemi lineari projettivi alla dimensione v-+ 7 — 2, si ha un nu- mero finito, che vien determinato, di coppie di punti <,y simili a quelle dei problemi precedenti. Matematica. — Ze assintotiche delle rigate algebriche di qe- nere qualunque che fanno parte di una congruenza lineare. Nota di GruLio PITTARELLI presentata dal Socio CREMONA. N. 1. Direttrici distinte. « Fu trovato nella prima Nota inserita a pag. 111 di questi Rendiconti, che posta l’'eq°. algebrica ) 0(;,;)=0 quella della superficie è o(.2)-. La La mentre poi le eqi. delle generatrici sono EOS IRA ISICORIA > Pa da Pe i. i e quella 9) delle assintotiche A, Ff? — kGg*=0 può scriversi, per le segnature adoperate in 10) della Nota predetta ed anche posto / e g in luogo di gf e 4g UE > o 2) dv / UT Ci mentre per i punti di ® si hanno le 3) x, fu, %=f,%3=9V,&ta=g. RenDICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. S1 — 230 — « Nell'eq®. 2) possiamo introdurre le derivate della ® rispetto a 4 ed a v. Abbiamo infatti da 1) dIPdu , ID dv 4 Ei ag Rie ) du dv n dv dv S onde 2) diviene ID dP 5 —g° L — f?=0. ) a 1° =0 « Vogliamo determinare l'ordine di Ax. Prendendo a tal fine un piano qualunque Ck 00%, + 23 c3 + 0404 = 0 e sostituendovi i valori 3) di ; si ha 6) (cu 02) f+ (av +o)g=0: e l'ordine N, dell’assintotica Az sarà il numero delle coppie «,v soluzioni comuni, variabili con @;, delle egi. 4) e 6). Intanto poichè la 6) è lineare inv, eliminando tra essa e la 5) il rapporto /:g si ha ® PI) 7) H (er ud a+ (vt =0. « Per risolvere questa eq°. rispetto a v e determinare conseguentemente u razionalmente per mezzo di 6) in funzione di v, si badi che tra u e » vale la 1). Allora noi possiamo trovare le coppie uv comuni alle 7) ed 1) considerate come eq! di curve ed il loro numero sarà N). « Giova per questo rendere omogenee le equazioni; avremo allora: 8) ol vd) 0 IP dD 9) (Ct A) (ai Posto N=m-+ x, si vede subito che la ® è una curva di ordina N con due punti multipli, l'uno in u=4=0 secondo #, l’altro v=4=0 se- condo 7 (s'intende nell'ipotesi più generale intorno ai coefficienti di ®). E corrispondentemente intanto la superficie (2. 2)=0 Ho Ka sarà dell'ordine N con le rette x, = %2=0,x3 =a,=0 rispettivamente m£ ed n°, Una sezione piana di questa superficie può intendersi rappre- sentata dalla stessa curva ®; perciò diremo indifferentemente curva ® 0 su- perficie DD; e se quella possiede altrove altri punti doppî in numero di d, questa avrà d altre generatrici doppie, ed il genere p dell'una o dell'altra sarà er 8) AGE O) gi 2 LT 10) =(m_--1)(n-1)-d=mn-N—-d+1 0) P — 231 — « La curva 9) è intanto dell'ordine N=N--1, ciò ch'è evidente. Vediamo piuttosto com’essa si comporti rispetto ai punti multipli ed ai punti doppì. Ora la curva 2 —=0 è la prima polare rispetto a ® del punto 2=u=0, ed ha, perciò, in quel punto la stessa moltiplicità m con le stesse tangenti di ®, mentre invece nel punto A=v=0 ha la moltiplicità IDO a: ® n— 1 e non con le stesse tangenti di D. Analogamente si dica per de 10% Le parti (ag u+ 34) > , (a3v + a, 4)? De sono, per tanto, rispettiva- mente di dimensione (m+ 1)" in w:4 ed n° in v:4, e di dimensione (2-+ 1)? in v:4 ed min w:4; perciò nell'aggregato 9) i punti u=4=0, v=4=0 sono multipli secondo n ed 2; ed anzi la forma omogenea in wu :4 che 7 Naso Dia: dà le m tangenti nel primo punto multiplo è quella che si trova in Si cioè è la stessa di quella che si trova in ®, e così deve dirsi per le x tangenti j ®P IP nel punto v=4=0. Infine i d punti doppî di ® sono semplici per Di A S e semplici per l’aggregato 9). « Segue da questa analisi che il numero dei punti come alle 1) e 9), cioè l'ordine dell’assintotica Ax è 11) 6M=N(N+1)-m_-n-m_-nT-20=2(m—0). e per 10) 12) N=2(p+N—-1). Ora il secondo membro è eguale, come si sa, alla classe K di una (sezione piana di ®) curva piana d'ordine N e genere p: dunque 13) Ni=E.(1) In particolare se p= 0, onde d=(m—1)(n—1) si ha N=2(N—1)=2(m+x—1) risultato dovuto a Cremona (Annali di Mat. 1867 pag. 253). « Cerchiamo adesso il numero dei punti cuspidali, sull’una e sull'altra delle due direttrici multiple, punti da’ quali partono, com'è noto, generatrici singolari della superficie D. « Per quelli posti, ad esempio, sulla direttrice multipla 722° deve aversi Dda DIS (Nota I) G= gra O ovvero per 4) a il) Di FRS SE) dn I pr REee (1) Vedasi Voss (Math. Annalen Bd. VII, 1875, pag. 79) al quale, io credo, si deve il teorema espresso in 13); Picard, Application de la Théorie des complexes linéaires, Annales de l’Écol normale sup. 1877, pag. 325. sr 1 if n — 232 — Il numero de’ punti sarà dato dalle soluzioni comuni a questa eq°. polare ed alla i). Chiamando x, quel numero, e ricordando le osservazioni precedenti intorno a quella polare, si ha xm=N(N—-1)—x—n—-m(m_—-1)T_ 20 =2(m-—-p—-0)=2(p+m—-1); e sulla direttrice multipla 72% a=2(p+n—1). Somando e chiamando x la somma 14) x=2(N+2p—2). « In questi punti la curva Ax possiede altrettante tangenti stazionarie ed altrettanti piani stazionarî (Cremona e Voss, loco citato), che, ben s'in- tende, sono comuni a tutte le A,. « Se sopra una rigata d'ordine x e genere p è posta una curva y d'or- dine » e genere 77, multipla per la superficie secondo % e tagliante in % punti qualunque generatrice rettilinea della rigata, tra il numero y delle ge- neratrici tangenti a y ed il numero 7 dei punti di y per ciascun dei quali escono due generatrici coincidenti (punti cuspidali di y), si hanno le due re- lazioni y=2vh(kC-1)_k(k_-1)n q—-y=2k(p—_1)T—-2h(x—- 1) che il Segre pubblicò in questi Rendiconti il 3 luglio 1887. « Per applicare queste formule nel nostro caso si osservi da prima che che X = 2, poi che l’assintotica Ax che vogliamo considerare come curva y è semplice sulla superficie, perchè per ogni suo punto non passa che una generatrice di ®, vi passa infatti la retta che, per esso, si appoggia alle due rette multiple; dunque 7= 0. Posto poi a=N,v=N,, la prima delle due relazioni dà, tenendo presenti le 12) e 14), y=2N —2N=2(N+2p—2)=x. « Onde non vi sono altre generatrici tangenti alle assintotiche oltre alle generatrici singolari, ed i punti di contatto sono distribuiti così che xm sono sulla retta m22% e x, sull'n2!. « Eliminando poi y tra le 15) dove si sia posto 7=0, si ha 15) 16) r=(k—1)v+k(p- CU, b1, che nel nostro caso dà 17) r=N+2(p—1)—N+1 ossia a=N-+4p—3 =mHtn+t4p—-3 pel genere dell’assintotica Ay. — 233 — « Di questa curva adunque conosciamo l'ordine N, e la classe ch'è pure N, ed il genere 7, perciò le formole notissime di Cayley darebbero gli altri numeri caratteristici, i quali sono poi a due a due reciproci. Per es. il rango 7, ch'è la classe del cono proiettante l'assintotica d'ordine N, e genere 77, è dato da 18) r=2(N+a—1)=6N+12(p—1). N. 2. Direttrici coincidenti. « Per avere quì una superficie del tipo di quelle di Cayley ('), posto Pz P2 bisognerà supporre tra u e v un'eq°. algebrica della forma seguente (00) (2 5) =Po (1 ; O +7 (1 ; 10 sn v Li ; ON vV-L... H men+2 n_l mn n di EM. +pn-:(1,0) v +2. (i ’ 1) v=0 \ dove in generale il simbolo (1,)? indica un polinomio in w di grado p. Eliminando w e »v con l’aiuto delle 7) o delle 10) della Nota II, si ha l’eq°. tangenziale o puntuale di ®. « Volendo determinare l'ordine (classe) dell’assintotica Ax in questo caso, bisogna considerare le eq ®D=0, 2F9g +4 (ZF — G)/=0 dell’assintotica in coordinate curvilinee (Nota II eq®. 13)), e la: (19 + &292 + c393) {+ (&5p1 + ape) 9g = 0 che risulta sostituendo nell'eq*. di un piano @x = 0 le coordinate x; di un punto della curva data delle espressioni 4) della Nota II. « Intanto ricordiamo che F= Pag — Y1P2 , —G= @op3 — P3YP"> ovvero d Pi du d 2) dv RR RAI a a: di E i do È f° dv onde le eqi. da considerare sono Mw du du jd _ ®=0 , 2294+(% +9)1=0 dv (aqua + av)f+ (aut a)g=0, (1) Nelle formole (5) e (8) della Nota a pag. 149, che chiamerò Nota II, si conten- gono tipi più generali di quelli di Cayley, ch'io non ho studiati. — 234 — le quali, eliminando il rapporto /:9, si riducono alle due A du _ (dh ® HI ®P=0, 2 (ep + es + n) e — (15 +97) (+= 0 alla seconda delle quali possiamo sostituire l’altra IP dI 19) [2 (e: u+ 00 + e0») —R(e,n + e) ]F7 + (te) 30 in virtù della 20 du | 30dv _ du dv * dv dv Bisogna trovar le soluzioni comuni alla 19) ed alla D=0. « Resa omogenea questa con lo scrivere MH4n n MH mtn m+n+2 np) n) và 4... + Pa (7 S IT) eg n! 701 + Pn (4 5 11) nl v" n — la 19) si scriverà ID 2 20) [ 2(e1u+arZ + as») — # (asn+ 3) | + (es i+ 8) 30 La curva D=0 è dell'ordine m-- n= N, ha nel punto u=4= 0 la mol- tiplicità secondo il numero 7, con la tangente 7 = 0 comune ad 1 =N — # rami. Ponendo v — 1 e facendo la trasformazione quadratica, usata in questi casi, u= 1 ,À:=4,&, si ha una curva d'ordine #2 + 2x, che, ordinata secondo potenze crescenti, comincia col gruppo di termini dh + ad ut... +, e che ha dunque nel punto Z,==u,=0 la moltiplicità x con 7 tangenti n(n_1) 2 « Adunque nella curva primitiva ® si ha nel punto u=4=0 un si, tra loro distinte, il che equivale, com'è noto, ad punti doppî. n(n— punto m2° al quale siasi accostato un punto n° equivalente ad it punti doppi (punto 722° (-- 2)? secondo il simbolo di Cayley). « Se, intanto, d è il numero di punti doppî che la ® può altrove pos- sedere (e conseguentemente la sup. ® avrà d generatrici doppie), il genere p di ® (o della superficie) è RI _ D (N-2) m(m—1) mun—-1) 2 i) (i 3 — n I NO ie come precedentemente nel n. 1. « Studiamo adesso la curva 20). Essa passa semplicemente per i d svaniscono al punti doppî di ®. Infatti per ogni punto siffatto i e È Ù È (è 1° ordine. dP dv — 235 — « La curva Ri = 0 è la prima polare del punto multiplo 4 = w= 0 perciò questo punto è multiplo per essa secondo lo stesso numero 7 e con le stesse tangenti, tra le quali la 4 = 0 tangente comune ad x rami; mentre i punti doppî sono semplici. L'eq°. 20), ordinata secondo le potenze di », comincia col termine onde anche la 20) ha la singolarità suddetta. Non giova considerare la po- lare PEZZA , perchè il punto v=4=0 non è sulla curva, essendo il ri- sultato della sostituzione po (0, w)”*". che non può essere nullo a meno che non sia po = 0 o non sia zero il coefficiente di u"** nella forma (4, pu)". E ciò non è, altrimenti l’eq°. della curva si abbasserebbe. Inoltre la 20) ha lo stesso ordine N di ®; dunque il numero dei loro punti comuni, cioè l’or- dine (la classe) dell’assintotica A, è N=N-m—-n—nT-20=2mn_—-n— 20 ovvero anche 21) N=2p+2N—nT—-2=2(p4+N—-1)—x. « Il secondo membro è appunto la classe della curva ®, chè, rispetto a quella della curva a punti multipli distiti, la classe soffre la diminuzione del numero # de’ punti di diramazione. « Il genere 7 è poi eguale a p, perchè l’assintotica ed una sezione piana qualunque sono punteggiate proiettivamente per mezzo delle generatrici delle superficie. E d'altra parte la 16) dà precisamente 77 = p se 4 = 1. « Troviamo il numero dei punti cuspidali. Per questi abbiam le solu- zioni comuni alle edi. È ID . « Or calcolando effettivamente = si trova = ini (A)? + AO + (n CA 1)Pn -1(4,)"T +1 pr? 7-2 | NP, (4, pu) sal « Il fattore 4 eguagliato a zero darebbe quei valori di v per i quali anche u dovrebbe esser nullo dovendo esser D = 0, e le egi. 5) o 8) delle generatrici (Nota II) riescirebbero indeterminate. Bisogna adoperare dunque il fattore in } {. Or quel fattore, eguagliato a zero, rappresenta una curva d'ordine N—2 con un punto (m—1)"° (4+(a—1)2°) e con d punti ) — 236 — semplici. Onde il numero x richiesto de’ punti comuni a questa curva ed alla ®=0, sarà x=N(N—-2)—m(m—-1)—x(n-1)—-(n-1)— 20, x=2(mn—-0)-N-n+1 ed anche, introducendo il genere, 22) x= 2p + m_ 1. Finalmente il rango 7 sarà dato dalla relazione (analoga a 18)) r=2(N4+4+p—-1)=4(p+N—-1)—2n+2p—2 cioè r=6p+4N—2n—-6 = 6p +2N+2m—6». Geologia. — Appunti sulla costituzione geologica dell’ Isola di Candia. Nota del dott. V. SIMONELLI, presentata dal Socio CAPELLINI. « La magistrale Description physique de l’ile de Créte(!) di Vittorio Raulin ed i 7ravels and Researches in Crete (?) del capitano Spratt, son le due sole opere che trattino estesamente della geologia di Candia, riferendo osser- vazioni originali. I torbidi politici pronti sempre a scoppiare e le difficoltà d'ogni maniera che si oppongono all'accesso nell'interno, son forse i motivi principali che hanno tenuto lontani da quell’isola i geologi od hanno fatto sì che non si discostassero troppo dalla regione littoranea. « Visitai Candia nell'estate dell’anno scorso in compagnia del dott. Antonio Baldacci, botanico, e del dott. Giacomo Cecconi, che si occupava di ricerche zoologiche. Le nostre escursioni incominciarono dall’Akrotiri del Capo Maleka e da quella parte della costa nord che rimane compresa fra la Canea ed il promontorio di Grabusa, per continuare nell'interno delle eparchie di Kisamos e di Kidonia, fino ai monti che le separano da quella di Selinon. Passammo in seguito all’ampia zona che si estende fra il mare e la catena delle Mon- tagne Bianche (Aspro-vouna) e salimmo in questa fino alla stupenda dolina di Omalos ed alla vetta del Monte Spathi (2110 m. 1. d. m.)(3). Percorsa anche tutta la regione intorno a Retimo e l’eparchia di Milopotamon fino ai suoi confini occidentali e separatomi dai compagni che stavano per tornare in Italia, visitai le pittoresche gole di Sphakia e d'Agios Vasilios, l'isolotto di Gavdos, lontano circa 25 chilometri dalla costa sud, ed il gruppo mon- tuoso del Psiloriti, compiendo la faticosa ascensione dell'Ida (2491 m.). E, (1) Bordeaux, 1869. (2) London, 1865. (3) Misura barom. dell'autore, come anche la maggior parte di quelle citate in seguito. — 237 — finalmente, dopo qualche giorno speso a percorrere la parte centrale dell’isola, fra la pianura di Messara e Megalo-Kastron, arrivai lungo la costa nord sino al Capo Chersonesos, dove le febbri malariche mi costrinsero ad interrompere bruscamente il viaggio ed a sollecitare il ritorno in patria. « La serie dei terreni osservati in queste diverse regioni comprende l’Ar- caico (?), il Cretaceo, l’Eocene, il Miocene medio, il piano levantino del Plio- cene ed il Quaternario. Va completamente escluso il Pliocene marino, perchè i terreni indicati dal Raulin come subappennini, corrispondono per la maggior parte al Miocene. Delle anageniti che l'autore medesimo descrive, e che ac- cennerebbero al Trias se non al Paleozoico superiore, manca ogni traccia nei luoghi che ho potuto visitare. « Riferisco, non senza molte riserve, all’Arcaico, gli schisti cristallini (talcoschisti primitivi, secondo il Raulin, rocce cretacee profondamente modi- ficate dal metamorfismo, secondo lo Spratt) e le rocce massicce che li accompa- gnano, uniformandomi a quanto concluse recentemente, per analoghi terreni del- l’Attica, il Lepsius ('). Queste formazioni raggiungono il massimo sviluppo nel distretto montuoso di Selinon, verso la estremità sud-ovest dell'isola, nelle regioni poste al nord ed al nord-ovest delle Montagne Bianche, nelle alture che cir- condano il monte Vrysinas al sud di Retimo, nei contrafforti occidentali del- l’Ida e nella catena littorale del Milopotamon, fra Capo Liano e Balì. Co- stituiscono generalmente colline poco elevate, dai contorni dolcissimi, sulle quali verdeggiano eriche, mirti e leandri, o si addensano, come a Selinon e nel- l’Enia-Choria, stupendi castagneti; contrastando, in modo veramente carat- teristico, con le linee ardite e con l’abituale aridità delle contigue regioni calcaree. « Gli elementi principali di questa serie, indipendentemente dalle rocce massicce, son micaschisti grigi, verdognoli, rossastri, talcoschisti verdi o grigio- argentei, schisti quarzosi e quarziti, calceschisti, cipollini e calcari cristallini. Nella quarzite ho trovato a Theriso venuzze e moschettature di oligisto ; negli schisti, oltre ai noduli ed alle vene di quarzo, è comunissima la pirite, che a volte, alterandosi, da luogo alla formazione»di notevole quantità di melan- teria (vicinanze di Alikianou). Abbonda la grafite negli schisti lucenti del- l’Akrotiri di Capo Spada, fra Ravduca e Nopia; in quelli di Agalianou, nel versante sud dei monti di A. Vasilios, vidi considerevoli ammassi di gesso saccaroide, e a poca distanza, verso Gerakari, trovai erratici dei grossi pezzi di antracite, che senza dubbio provenivano ugualmente dagli schisti. La di- rezione dominante degli strati, quasi sempre molto sollevati, ondulati e con- torti, sembra esser quella dall’ovest all’est. Ipsometricamente è raro che si spingano oltre i 1000 metri sul livello del mare. « Non è soltanto l'apparenza litologica, come riteneva lo Spratt, che in- (1) Geologie von Attika, s. 22. Berlin, 1893. RenpICONTI. 1894, Vol. III, 2° Sem. (UG) DI — 238 — duce a considerare questi schisti cristallini come più antichi assai dei cal- cari cretacei. La posizione loro è costantemente inferiore a quella di queste ultime rocce, la discordanza stratigrafica in più luoghi evidente, e le supposte alternanze non ho visto che si verifichino in alcun caso. Esistono sì banchi ed amigdale di calcare in mezzo agli schisti cristallini, ma non hanno nessun carattere in comune con le masse calcaree sovrapposte. Si aggiunga che nella zona inferiore dei calcari cretacei si trova qualche volta (per esempio verso la base delle colline di Malaxa, dalla parte del golfo di Suda) una specie di breccia, composta con i frantumi dei micaschisti soggiacenti. «I diversi componenti della serie schistosa alternano fra loro senza re- gola fissa apparente. Per citare uno fra i molti casi osservati, indicherò la successione dei terreni nel monte di Vrisses, fra il piano di Alikianou e la costa nord, successione che fu tra le più facili a rilevare. Quivi notai, a comin- ciare dal basso: 4) micaschisti rossicci; 3) calcari bianchi finamente granu- lari, picchiettati di minutissimi cristallini bruno-rossastri, che mi parvero di granato; c) calceschisti grigi, in tavole dello spessore di pochi centimetri, spalmati di talcoschisto verdognolo ; d) schisti micaceo-quarzosi, argentini, con noduli di quarzo. Seguiva in alto una gran massa di calcare grigio, cenero- gnolo, in alcuni punti quasi compatto, in altri distintamente cristallino, con tracce oscure di minuti gasteropodi, visibili solo in sezione. « Nelle alture di Lakous, che fiancheggiano al nord le imponenti masse calcaree degli Asprovouna, la zona schistosa è formata da schisti quarzoso- micacei grigi, alternanti con schisti lucenti color piombo, da schisti quarzosi a finissima grana, neri o rossastri, compenetrati da ossidi di ferro, da calcari grigio-scuri, largamente cristallini, in lastre sottili intercalate a schisti nodu- losi verdognoli, e da schisti rasati argentini o paonazzi, tutti uniformemente inclinati di circa 25° verso nord. A breve distanza dal villaggio di Lakous si vede spuntare fra gli schisti rasati ed i calcari a lastre una massa consi- derevole di diorite granulare, divisa in blocchi irregolarmente prismatici, che verso la periferia diviene alquanto schistosa e sembra passare ad un anfibo- loschisto. Le spaccature della roccia sono ingemmate da grandi e limpidis- simi cristalli di un feldispato (albite ?) che si trovano anche tutt'intorno sparsi a profusione sul suolo. Un'altra massa di diorite, prevalentemente afa- nitica, sorge come una gigantesca fortezza naturale alle spalle del villaggio di Kerami, situato presso la costa meridionale, a circa due ore di cammino dal monastero di Preveli; ed anche questa è in relazione con i soliti schisti cristallini. « Non posso dire lo stesso delle eufotidi, delle diabasi e delle serpen- tine, malgrado che il Raulin le dica inviluppate sempre dai talcoschisti o dalle quarziti; dove le ho viste erano accompagnate dai calcari cretacei e forse anche da terreni più recenti. Nelle alture poste ad occidente del gruppo montuoso del Kedros, verso il villaggio di Ardactos, l’eufotide occupa, a circa — 299 — 750 m. s. 1. d. m., una vasta area cinta tutt’attorno dai calcari cretacei. L'accompagnano il diabase porfirico, che vi è disseminato in masse isolate, non senza mostrare però d’allinearsi secondo certe direzioni prevalenti, e la ser- pentina in grossi noccioli rotondati, lisci e lucidissimi alla superficie. Attra- versano pure gli stessi calcari la serpentina bastitica e l’eufotide, che osser- yai presso l’imboccatura settentrionale del Kordaliotikon-Pharangi, profonda gola dentro a cui scorre incassato il torrente Megalopotamos. Mentre a Galià, presso le rive dell'Hiero-Potamos, diabase porfirica e serpentina sono a con- tatto di arenarie, macigno puddingoide e calcari argillosi con venature spa- tiche, che hanno tutto l'aspetto dei terreni eocenici. Che le ofioliti siano però più antiche del cretaceo è dimostrato dal fatto, che nelle parti inferiori di quest'ultimo terreno sì trovano a volte dei ciottoli serpentinosi, come ebbe ad osservare il Raulin nelle regioni orientali dell’isola, sul piano di Katharos; onde, a volere spiegar le condizioni di giacitura osservate da me, bisogna am- mettere, come faceva lo Sterry-Hunt per le serpentine terziarie, che queste rocce abbiano formato, nel mare cretaceo ed eocenico, scogli a poco a poco invi- luppati dai sedimenti, in mezzo ai quali ora spuntano per via della denudazione. « Per indicare lo sviluppo dei terreni riferiti al Cretaceo basta dire che si estendono in superficie per due terzi della vastissima isola, sorgendo con le imponenti onde orografiche degli Asprovouna, dal sistema dell'Ida e di Lassiti fino a circa 2500 metri sul livello del mare. Le forme litologiche dominanti sono calcari più o meno distintamente cristallini, di rado compatti, talvolta brecciformi, di colore variabile del bianco niveo al grigio ed al nero, che passano in qualche luogo a vere dolomie. Ad essi si accompagnano, sempre però con molto debole sviluppo, calceschisti di colore per lo più traente al rosso o al verdastro e micaschisti piombini o giallognoli, senza parlare delle frequentissime intercalazioni di letti, amigdale ed arnioni di selce biancastra o nera. Le arenarie somiglianti al macigno, che Raulin dice abbondanti nelle regioni centrali ed occidentali dell’isola, scarseggiano in quelle che io ho visitato. «I calcari formano per lo più grandi masse senza stratificazione appa- rente. Quando questa è visibile, può presentare su lunghissimi tratti grande uniformità di andamento, come succede per esempio nell’Ida, dove, a partire dalla Kalà-Plaja sopra il villaggio di Anoya fino alla cima, osservai gli strati dei calcari con selce e dei calceschisti pendere tutti uniformemente di 20-30° verso nord-est. In altri luoghi, invece, gli strati offrono pieghe molto ravvici- nate e bizzarri contorcimenti, come vidi p. es. nelle gole dell’Akrotiri verso Gouverneto, alla Kakiscala sui fianchi del monte Spathi e meglio ancora nelle altissime pareti verticali del Pharangi di Asphentou. La media delle dire- zioni osservate si accosta a quella del soggiacente sistema schistoso. « Al contatto dei calcari con gli schisti cristallini è da notare come si originino numerose sorgenti, alcune delle quali, riechissime di cloruro di sodio, È d i i Li Gil PETRA! bi! il A MI | Fei ill dti I n: ASA II AP N n — 240 — formano, come ad Almyros, veri fiumicelli salati. Sono anche frequenti in quella zona gli ammassi di limonite, che in certi luoghi, per esempio all'est di A. Erini nel distretto di Selinon, prendono considerevele sviluppo, «In più luoghi s'aprono dentro ai calcari vastissime e profonde caverne, tra le quali celebre la « grotta di Zani » in cui vanno a perdersi le acque del piano di Omalos, quella stupenda di Melidhoni e quella di Katholiko nel- l’Akrotiri del Capo Maleka. Alla superficie l'erosione torrenziale ‘ha tagliato nei caicari le cupe gole note in paese col nome di Pharangi; veri carions che s'inabissano per centinaia e centinaia di metri fra pareti quasi verticali, così ravvicinate nel fondo da non lasciar passare due uomini di fronte. Nu- merossissime le doline, tra le quali son gigantesche quelle di Omalos (a 1000 m. s. 1. d. m.) e di Askiphou (a 670 m.) negli Asprovouna, che hanno più di cinque chilometri in diametro. Nelle regioni che s'innalzano oltre i 1400 metri, le acque ricche di anidride carbonica provenienti dalla fusione delle nevi, che quivi soggiornano gran parte dell’anno, incidono sui fianchi delle masse cal- caree lunghi solchi verticali, terminando per dividerle in guglie bizzarramente sovrapposte, o scavano vaste depressioni crateriformi, una delle quali, situata proprio sulla vetta del Mavro-Aloni, dà a questa montagna l'apparenza di un antico vulcano. « Nei calcari cretacei i fossili sono tutt'altro che frequenti. Il Raulin trovò solo qualche avanzo di rudiste alla Panaghia-Kristallenia nelle colline interne di Lassiti, tracce di univalvi nei calcari dolomitici di Kastro presso Sphakia, e frammenti di conchiglie nei calcari del Karadagh e del Tsileno. Io, per mia parte, raccolsi un certo numero di avanzi organici al sud-ovest del Capo Liano, verso il fortino di Lazimos-Kampos, nei calcari compatti nerissimi, che stanno immediatamente sopra ai micaschisti verdognoli o ceru- lei. Erano rudiste mal conservate (Mtadiolites cfr. acuticostatus d'Orb. e R. cfr. lumbricalis d'Orb.) e sezioni di grandi gasteropodi simili a Merzta e Chemnitzia. Altri frammenti di rudiste trovai nell’isolotto di S. Teodoro, costi- tuito non già da terreni neogenici, come credeva il Raulin, ma da calcari grigi e neri cretacei. Vidi inoltre qualche dubbio avanzo di nerinee tra i cal- cari brecciformi di A. Triada nell’Akrotiri di C. Maleka e in quelli sub- cristallini di Vrissi; tracce di corallari (7rochocyathus, Rhabdophyllia?) di echinodermi (cidaridi) e di molluschi (£uspira, Cerithium, Astarte) in quelli neri compatti di Armenous a ponente del monte Vrysinas. La selce nera con- centrata in noduli e straterelli fra i calcari del Vrysinas ha mostrato, all'esame microscopico, abbondantissime spicule di spongiari e corpicciattoli sferici che son probabilmente rizopodi. « Le rocce cretacee dell’isola di Gavdos differiscono sensibilmente da quelle che ho visto a Candia. Son calcari compatti bianchi, giallicci o rosei, con venature spatiche, somigliantissimi alla nostra mazoliea, riechi di arnioni e letti di selce bianca, grigia o rossastra, che alternano con schisti argillosi — 241 — policromi e con arenaria calcarifera grigia traente al verdognolo. Gli strati s'immergono uniformemente verso nord o nord-est con pendenza di circa 25°, andando a nascondersi sotto alle rocce elveziane, e a sud-ovest mostrano le loro testate in una muraglia che s'innalza verticalmente fino a 370 m. sul mare. Nella mazolica, oltre a qualche avanzo di fossili macroscopici, sono abbondanti le globigerine; nell’arenaria i textularidi, i rotalidi, le cristellarie ed altri foraminiferi. « Le complicazioni stratigrafiche e l'estrema rarità degli avanzi organici non permisero al Raulin di separare dal cretaceo i terreni eocenici, e questi e quello dovettero esser descritti da lui come un gruppo unico, il gruppo del macigno e dei calcari nerastri. Io non posso riferire con sicurezza all’eocene altro che quei pochi lembi di arenarie, brecciole poligeniche, schisti e calcari argillosi che ho veduto accompagnati dal nummulitico; tali quelli di Kaler- giani sul golfo di Kisamo, di Plakia nella catena littorale al sud dell'eparchia di A. Vasilios, di Galia presso l’Hieropotamos e di Vuria o Vorisa a circa dieci chilometri da Metropolis. Delle rocce basterà dire che riproducono in tutto i caratteri di quelle dell’eocene appennino. Tra i fossili accennerò la Nummaulites perforata d'Orb., associata con la N. Ramondi Defr., e con indi- vidui giganteschi della N. complanata Lam. nei calcari grigio-scuri di Ka- lergiani, dove anche raccolsi orbitoidi, articoli di Peztacrinus, placchette di echinidi e Zithothamnium sp. ». i CORRISPONDENZA Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute : La Società di scienze naturali di Emden ; l’Università di Aberdeen; la Biblioteca del Museo nazionale di Buenos Aires; il R. Osservatorio di Edinburgo. Annunciarono l'invio delle proprie pubblicazioni : La Società zoologica di Londra e l’Università di Cambridge. OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA dal 3 settembre al 7 ottobre 1894. Cayley A. — The collected Mathematical Papers. Vol. VII. Cambridge, 1894. 4°. De Blasio A. — Intorno a tre centurie di pregiudicati napoletani. Napoli, 1894. 8°. — 242 — De Heen P. — Démonstration expérimentale du caractère purement acciden- tel de l’état critique. Bruxelles, 1894. 8°. Id. — Détermination de l’influence de la pression sur la chaleur spécifique prise en deca et au de là dela température critique. Bruxelles, 1894. 8°. Id. — Détermination du volume des liquides et des gaz au-dessus de la température critique. Bruxelles, 1894. 8°. Id. — Étude comparative des isothermes observées par M. Amagat et des isothermes calculées par la formule de M. van der Waals. Bruxelles, 1894. 8°. Id. — Note sur les états liquides et gazeux. Bruxelles, 1894. 8°. De Nuccio E. — Agenda medica. 1893. Napoli, 8°. Id. — Guida alle Terme Lettieri, prime acque in Bagnoli. Napoli, 1893. 8°. Id. — Ilriscaldamento delle abitazioni in riguardo all'igiene. Napoli, 1892. 8°. Id. — Per una conferenza Morselli 4* ed. Napoli, 1892. 8°. Favaro A. — Intorno alle Meccaniche di Erone Alessandrino, edite per la prima volta sulla versione araba di Costa ben Luca dal Bar. Carra de Vaux. Venezia, 1894. 8°. Fiorini M. — Il mappamondo di Leonardo da Vinci ed altre consimili mappe. Roma, 1894. 8°. Id. — Le sfere cosmografiche e specialmente le sfere terrestri. Roma, 1894. 8°. Giazzi F. — Intorno all'uso degli elettrometri ad ago che riceve la carica da un filo pescante in un liquido. — Fibra normale di seta - Guaina dell'ago - Crogiuolo protettore. Perugia, 1894. 8°. Gimbel v.. — Naturwissenschaftliches aus der Umgebung von Gardone Ri- viera am Gardasee. Minchen, 1894. 8°. Hernandez G. A. — El Teorema de Mr. Fourier como base de la acustica, de la audicion y de la musica (Discurso leido en la Universitad). Zara- goza, 1894. 4°. Passerini N.— Sul rame che si ritrova negli aceti ottenuti con vinacce pro- venienti da viti trattate con poltiglia cupro-calcica. Nota II. Firenze, 1894. 8°. Id. — Esperienze sopra l'alimentazione dei bachi da seta con foglia aspersa con poltiglia cupro calcica. Nota I. Firenze, 1894. 8°. Simmons O. L. — Development of the lungs of spiders. Tufts College Mass, 1894. Weichselbaum A. è De Nuccio E. — Lo stato presente della batteriologia e suoi rapporti con la medicina pratica. Napoli, 1894. 8°. Opere donate dalla Biblioteca dell'Università di Liège. Rapport triennal sur l'enseignement supérieur en Belgique. Années 1889-1891. Rapports triennaux sur l’enseignement moyen. Années 1858-60 et 1888-90. Mémoires de la Société des Science du Hainaut V° sér. t. 1. 2. 3. —ioo de Wulf Maurice — La valeur esthétique de la movralité dans l'art. Bru- xelles, 1892. Annales de la Société royale malacologique de Belgique. 1891. Biourge Th. — Recherches morphologiques et chimiques sur les grains de pollen. Lierre, 1892. Janssens Fr. — Les branchies des acéphales. Lierre, 1891. de Marbaix H. — Étude sur la virulence des Streptocoques, Lierre, 1892. Grosjean Léonard. — Sur le décylène normal et quelques-uns de ses dé- rivés. 1892. Dache J. — Études sur les effets de l’énervation. Bruxelles, 1892. Seruel V. — Contribution è l'étude da la fermentation du bacille commun de l'intestin. 1892. Manille Ide. — Anaérobiose du bacille commun de l’intestin. Lierre, 1892. Bastin A. — Contribution è l’étude du pouvoir bactéricide du sang. Lierre, 1892. Morelle Aimé. — Étude bactériologique sur les cystites. 1892. Bérard Edg. — Trois ans de séjour à la clinique ophthalmologique univer- sitaire de Mr. le prof. Fuchs à Vienne. 1892. Bulletin de la Commission centrale de statistique. Tome XI, 1869. Bruxelles. Annales des universités de Belgique. Années 1844 à 1863. Bruxelles. — 245 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA RR. ACCADEMIA DEI LINCEI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI pervenute all’ Accademia prima del 21 ottobre 1894. DADA X««<—_-- Meccanica. — Sulle tensioni in un sistema elastico articolato. Nota II di F. SraccI. SHO « Consideriamo ora un sistema elastico articolato, nel quale alcuni nodi possano ritenersi come fissi od obbligati a rimanere su linee o superficie fisse, o in generale, abbiano coordinate legate da equazioni, oltre quelle che defi- niscono le /,,, cioè (30) Brs= (dr — LI 4 (Yyr — Y + (e — 69°. « Le equazioni di condizione siano (31) AGI \000AGI01... , FA105 ove X<38n, ed A, A»...A, rappresentano funzioni qualunque delle coordi- nate, o dei lati /,, tra cui sussistono le equazioni omogenee: | i a (n-1 (32) Q=0,..., = 0] mE onto |. « Dall’equazione dei lavori virtuali : dU ea > VIa dlys e 0 ’ (ove U rappresenta la funzione delle forze applicate), considerando 37 — 6 delle coordinate come funzioni di altrettanti lati scelti ad arbitrio e delle RenpICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 38 rue er RISSA EER ne "e ac - SE Ì i ì — 246 — rimanenti sei coordinate, che designeremo come al $ 1, con c1cs...65, sì trae: \ tt pro le >> sue = , 2 .M dns a ds “è drs (33) © ViM (io SREE6, e PES. dj v dj Ta an 1) i er 1 « Queste equazioni sono 7 Gode 6, mentre i moltiplicatori w sono al 3n+ 6, e i moltiplicatori @ sono £#. Se adunque sì eliminano tutti questi moltiplicatori, restano 3» — % equazioni, ove tutto sarà noto tranne le tensioni. Sono propriamente queste 37 — equazioni che noi in seguito intenderemo per equazioni o condizioni di equilibrio, qualunque siano d'altronde le quantità che determinano la posizione del sistema. « Tornano qui opportune alcune dichiarazioni circa le quantità / e €, di cui sono funzioni la U, le A e le £. Le £ non sono funzioni esplicite che delle /; se in esse le / si esprimono per le coordinate, le £ divengono identicamente nulle. La U e le A nelle (33) sono funzioni esplicite tanto delle / quanto delle sei coordinate e ($ 1). Dunque una di queste (suppo- niamo sia 4) entra in U, come nelle A, in due modi: esplicitamente ed implicitamente; implicitamente, perchè tutte le / che fanno capo al nodo 1 sono funzioni di #,. Noi a scanso d'equivoci, rappresentiamo la stessa quan- tità in due modi: con c, 0 con #, secondochè la consideriamo come quantità esplicita 0 come implicita: e volendo scrivere la derivata completa di una delle funzioni U o A rispetto ed #,, per esempio di A,, scriveremo as _ 5 3A dl j DA: _ (2A) 28 dI pa s dlis dI PIA Ga dI PIA E (34) « Cerchiamo ora una funzione F delle T, le cui condizioni di massimo o di minimo compatibilmente coll’equazioni d'equilibrio equivalgano a (35) T,s = &rs (Ls “ri Ls) . Se la F dev'essere massima o minima compatibilmente colle equazioni di equilibrio, siccome esse equivalgono alle (33), dovranno verificarsi queste altre: 2F Tn gx Fe xy 2e_o ra ddr d@0u Mrs dlrs dos De. dl; SOS ossia : dF 39, dF ODA: dA, 36 —"i=0 ’ z 3 t; i: | rs dT,s dlrs rs IT, dlrs Mi È dC; Ove 71 7»... sono sei moltiplicatori da determinare dipendenti dalle con- dizioni (33) scritte in seconda linea. — 247 — S 10. « Poniamo ll iu = dGE I primi membri delle (36) divengono d2,,...02,, 0A,...0Ax, che sono tutti nulli se d7,; e de; sono incrementi infinitesimi compatibili con l’equa- zioni (31) e (32). Ciò noi supponiamo; ed allora se vi sono più nodi fissi îi,t..., la loro distanza essendo invariabile, le equazioni (31) importano d,;j=0,..., e quindi (37) dF DIE di ciò significa che la funzione F non contiene le tensioni corrispondenti alle aste congiungenti i punti fissi. « Ciò posto, le (36) saranno soddisfatte da (38) se si verificano due condizioni: 1° che gli allungamenti siano infinitamente piccoli; 2° che le lunghezze naturali L,, siano compatibili colle condizioni geometriche del sistema. Quest'ultima condizione significa che, tolte le forze, le tensioni di tutte le aste, tranne quelle, se vi sono, congiungenti i punti fissi, siano tutte nulle, e inoltre che il sistema possa in questo stato appog- giarsi alle superficie, alle linee, e ai punti fissi. « Date tali condizioni, se le (38) debbono equivalere alle (35) dovrà essere 1°, rs (39) z = minimo (1) rs cioè il teorema stesso che vale pei sistemi liberi, aggiunta però qui la con- dizione, che il sistema possa senza tensioni essere collocato sugli appoggi dati. « Se per esempio, quattro nodi del sistema dovessero appoggiarsi ad un piano, e i quattro nodi prima dell’applicazione delle forze non fossero in un piano, il teorema non sussisterebbe. (1) Nè qui nè in seguito dimostreremo che le funzioni F sono minime e non mas- sime, perchè le dimostrazioni sono sempre analoghe a quella del $ 2. S'intende poi sempre che il minimo ha luogo compatibilmente coll’equazioni d’equilibrio. — 248 — SÙ « La condizione relativa alle lunghezze naturali L,, può essere tolta di mezzo, se noi intendiamo che le /,, — d/,s siano non le lunghezze L,s, ma le lunghezze delle aste del medesimo sistema in un’altra posizione d’'equi- librio, infinitamente vicina all'attuale, sotto altre forze ma cogli stessi appoggi esterni. Allora le (36) sono soddisfatte dalle (37). Se ora diciamo T,,s le tensioni corrispondenti a quella posizione, avremo Trg = Tors + Er Îlns 3 e quindi le (37) dovendo equivalere a questa, dovrà essere dF der. T,s E Tors ò dI (s* Eps È onde OTT Tr î TEO (40) es 1 DI (rs Tor)” = minimo , 2 75 Ers come al S 7. Ed anche qui la funzione F, che rappresenta il lavoro dovuto agl'incrementi delle tensioni nel passaggio da una figura all'altra, è eguale alla somma algebrica dei lavori delle forze esterne ed interne nel passaggio stesso, giacchè questo lavoro è 2° _m2 L=dU- 33% Ar rS Erg e dalle (33) ricavandosi DT3 Ops (OSSIANZ: r$ rs dba (a e Te) Ero =#t00U viene : a T,s = US È (41) = (Ts — Tono)? g rs €rs « Se, tolte tutte le forze, il sistema può essere collocato sugli appoggi si possono prendere per T,,, le tensioni del sistema in tale posizione, che in generale non saranno nulle. Se sono nulle si rientra nel teorema pre- cedente (1). x fondi L Ta (1) Il quale, come si vede, raramente potrà applicarsi con pieno rigore anche ammesse le deformazioni infinitesime. Applicandolo per approssimazione, si dimostra facilmente che le tensioni che si ottengono in luogo delle vere sono le T,; — Tors. Le Tors saranno nella maggior parte dei casi, trascurabili, ma non sempre. Badino in ogni caso gl’ingegneri ai coefficienti di resistenza, ed accolgano colla debita discrezione le parole che il Castigliano scrive nella prefazione del suo libro: « En suivant la nouvelle méthode de calcul qui « permet de resoudre toutes les questions sur l’équilibre des systèmes élastiques sans intro- « duire aucune hypothèse, on a l’avantage de pouvoir adopter un plus grand coefficient di « de résistance, car une des causes qui obligent souvent, dans la pratique, è adopter de « petites valeurs pour ce coefficient, c’est l’imperfection des principes sur lesquels on se « base pour évaluer les forces élastiques ». e" *TT—T6_--<> Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 18 novembre 1894. F. BrIoscH1 Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica terrestre. — Terremoto calabro-messinese del 16 no- vembre 1894. Nota del Socio P. TACCHINI. « Sul movimento sismico verificatosi avant'ieri in Sicilia e Calabria ulteriore-prima pervennero all’U. c. di meteorologia e geodinamica in Roma le seguenti notizie telegrafiche relative alle tre fasi del fenomeno: 16nov. 6.15”. Reggio-Calabria. Scossa ondulatoria N. S. ” 6. 15. Messina. Scossa ondulatoria NW-SE, durata 4° avvertita ge- neralmente. Mineo scossa leggera. 16nov.18°.52", Messina. Intensissima scossa sussultoria-ondulatoria durata 105 circa: continuano intervalli numerose altre scosse di intensità decrescente, accompagnate da rombi. Moltissime case assai lesionate, qualche individuo ferito. » 18.55. Reggio-Calabria. Violenta scossa, seguita da altre 3 leggere, con spavento nella popolazione. A Gerace-calabro la popo- lazione uscì all'aperto. A- Palmi Seminara, S. Eufemia, S. Procopio, gravi danni agli edifizî e vittime. RenpICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 37 — 276 — 16n0v.18".59", Stromboli. Scossa fortissima ondulatoria, durata 105. Case le- sionate, chiesa e campanile più gravemente. ” 18.55. Zafferana Etnea. Fortissima scossa ondulatoria E. W, 85. Panico generale. ” 18,55. Acireale. Forte scossa sussultoria-ondulatoria durata 105. Pa- nico generale. » 19. 0. Milazzo. Forte scossa sussultoria-ondulatoria 155. Nessun danno, popolazione allarmatissima. » 18.52. Catania. Scossa forte sussultoria-ondulatoria NE-SW, forte pure a Giarre, Belpasso, Biancavilla, Palagonia, mediore Nicolosi, Viagrande, avvertita pure S. Venerina e Vizzini, e fortis- sima Randazzo, Linguaglossa, Bronte, Paternò. » 18.56. Mineo. Tre scosse sussultorie-ondulatorie SE-NW ; l’ultima più forte avvertita intera popolazione che uscì all'aperto. ” 18.51, Cotrone. Lieve scossa ondulatoria. » 19. 0. Catanzaro. Forte scossa di terremoto, avvertita pure in pa- recchi comuni della provincia. » 18.50. Tiriolo. Scossa ondulatoria. » 18.58. Ischia. Ondulazioni sismiche avvertite istrumenti. » 18.54. Benevento. Agitazione istrumenti sismici. » 18.53. Rocca di Papa. Movimento sismico, indicato dagli apparecchi registratori. » 18.52. Roma C. R. Movimento sismico, indicato dagli apparecchi re- gistratori. » 19. 0. Siena. Grandi oscillazioni microsismografiche. » 18.56. Pavia. Prime ondulazioni sismiche. » 23.20. Milazzo. Scosse di terremoto. Panico nella popolazione. » 23.95.» » 23.24. Scosse minori a Lipari, Messina, Randazzo, Linguaglossa, Pa- lagonia, Vizzini, Acireale. » 23.27. A Catania e Mineo avvertita scossa ondulatoria meno intensa della precedente. » 283.41. Stromboli, scossa più leggera della precedente. » 23.88. A Tiriolo altra scossa. 17nov. 1°.40”. Milazzo. Avvertite scosse di terremoto. ” 2.30. ” « Reggio Calabria, nel mattino altre scosse forti. « Nel mattino fino a 7° 1 Mineo e Vizzini. « Dai dati contenuti nei surriferiti telegrammi risulta chiaro, che si > scosse leggere a Lipari, Messina, Palagonia, — 277 — tratta di un terremoto disastroso localizzato e che non si estende con carat- tere rovinoso al di là della costa di Messina per lo stretto fino a Palmi, e che per ciò fa ricordare il grande terremoto del 1783, che riuscì ben più disastroso, specialmente sul versante occidentale della provincia di Reggio-Ca- labria e nel Valdemone, cioè nella piana di Messina e nelle Eolie pure come nel caso presente. E da notarsi poi, che in questa occasione i vulcani etneo-eo- lici non presentarono fenomeni straordinarî secondo quanto fino ad ora ci fu telegrafato. Presento intanto all'Accademia il diagramma ottenuto dal sismono- trografo a doppia velocità, ideato dal dott. Agamennone e di cui altra volta ho intrattenuto l'Accademia stessa. In detto diagramma si vedono nel modo migliore le successive oscillazioni del pendolo, mentre sulle stesse traccie si discergono i piccoli spostamenti dovuti realmente alle vibrazioni del suolo, così che solo queste piccole irregolarità devono prendersi in conto per deter- minare le oscillazioni del terreno, mentre col sistema finora usato di piccole velocità di scorrimento una cosa si sovrappone all'altra senza possibilità di separazione; con ciò resta così provato, che per risolvere alcune interessanti questioni di sismologia, si rende assolutamente necessario l’impiego di un appa- recchio eguale o analogo a quello ora in prova al Collegio Romano, il cui pendolo ha la lunghezza di 16 metri e la massa chilogrammi 200. « Solo dopo 2 minuti, cioè a 18%.54".255, dal principio del movimento sismico si osservano le ondulazioni di grande ampiezza, causate appunto dal fatto della grande velocità della carta, che non potè aver luogo subito, per- chè appositamente tenuto l’istrumento in queste condizioni necessarie nell’at- Tax org: tuale suo collocamento provvisorio nella torre. Delle due curve, la superiore si riferisce alla componente NW-SE e l'inferiore alla NE-SW ; si deve no- tare che lo spostamento delle due curve è dovuto al fatto che le pennine scriventi non possono tenersi allineate. L'ampiezza delle grandi ondulazioni nella figura corrisponde precisamente a quella del pendolo, mentre, come fu avvertito, i varî e piccoli movimenti dell’edificio sono indicati dalle den- tellature, che si trovano nelle curve stesse e che nel diagramma originale sono naturalmente più distinte ». Chimica. — Sul polimero dell’epicloridrina. Nota del Socio E. PATERNÒ. « In una Nota pubblicata alcuni mesi addietro insieme al prof. V. Oli- veri (') abbiamo riportato con riserva alcune determinazioni crioscopiche da me fatte nel 1889, allo scopo di determinare il peso molecolare del polimero dell’epicloridina, e nel trascrivere le quali, evidentemente dovette incorrersi in qualche errore. Ho creduto perciò necessario di ripetere tali esperienze, ed anzi ho determinato il peso molecolare del polimero dell’epicloridrina col metodo crioscopico, in soluzione nella benzina e nell’acido acetico, e col metodo ebulliometrico in soluzione benzolica. « Il polimero dell’ epicloridrina fu preparato come è indicato nella cen- nata Nota. Una porzione (A) fu purificata sottoponendo il prodotto all'azione prolungata del vapor d’acqua per eliminare l’epicloridrina che conteneva, un'altra porzione (B) fu invece purificata sciogliendo il prodotto, prima ben lavato con soluzione di carbonato sodico ed acqua, in alcool, filtrando, svapo- rando l'alcool, riscaldando per un quarto d'ora a 130° e finalmente abban- donandolo nel vuoto sopra l'acido solforico per parecchi giorni. « All’analisi si ebbero i seguenti risultati : I. Porzione A. gr. 0,3752 di sostanza diedero gr. 0,5438 di AgCI, ossia gr. 0,1345 di cloro; II. Porzione B. gr. 0,4645 di sostanza diedero gr. 0,668 di AgCI, ossia gr. 0,1654 di cloro. « E per 100 parti: trovato calcolato I II Cloro 35,84 35,60 39,97. (1) Gazz: Chim. T. XXIV, parte I, p. 305. — 279 — « Si vede adunque che il prodotto non era purissimo, cosa del resto dif- ficile a conseguirsi. « Per il peso molecolare si ebbero i risultati seguenti : I. Determinazioni crioscopiche in benzina. Porzione A c . Abbassamento Coefficiente Abbassamento Peso oncentrazione È : termometrico |di abbassamento molecolare molecolare ‘ 1,847 09,220 0,119 11,007 420,17 i 3,505 0, 390 0,103 9,527 è 7,922 0, 695 0,088 8,140 Y 13,252 0, 8580 0,062 5,735 \ 22,914 1, 300 0,057 5,272 (y 85,557 1, 640 0,046 4,225 1086,9 i Porzione B ; 2,017 00,220 0,109 Î 10,082 458,71 È 6,657 (0 905 0,088 8,140 ii 12,484 0, 895 0,072 6,660 W 24,283 1, 46 0,060 5,55 ; 44,646 Qlià | 0,047 4,937 1063,83 E II. Determinazioni crioscopiche in acido acetico. Li Porzione A 4 COSE TAO Abbassamento Coefficiente Abbassamento Peso } termometrico |di abbassamento molecolare molecolare di 2,395 0°,30 0,125 SG 312 ha Porzione B À 1,218 09,14 0,115 10,637 339,13 1 4,124 0, 425 0,103 9,527 ; ii 8,919 0, 84 0,094 8,695 LÌ 20,542 1, 84 0,088 8,140 i la 37,716 3, 185 0,082 7,995 475,61 tl . Ù | vi DÌ h P_i i — 280 — III. Determinazioni ebulliometriche in benzina. Concentrazione Innalzamento Coefficiente Innalzamento Peso termometrico |d'innalzamento molecolare molecolare 0,67 09,038 0,049 181,580 550 1,92 0, 140 0,072 266,40 367 2,99 0, 200 0,066 244,20 400 3,98 0, 268 0,067 247,90 397 5,29 0, 380 0,071 259,00 372 «I pesi molecolari sono stati calcolati scegliendo 50 per costante della benzina e 39 per l'acido acetico. « Il peso molecolare dell’epicloridrina C3H;C10 è 92,5 e perciò si ha per (C:HIC10) RO SZ (C:H:010), CB. . 697000 (C;H:C10); dB . ©. i. 04620 « Confrontando questi numeri con i risultati ottenuti, a noi sembra possa prima d'ogni altro escludersi che si tratti d'un polimero trimolecolare del- l’epicloridrina ; tutto fa invece supporre che il polimero sia invece tetramo- lecolare e corrisponda perciò alla formola C,»H20010,. « Una conseguenza importante che si trae dal comportamento crioscopico di questa sostanza in soluzione benzolica, è che essa ha funzione marcata- mente alcoolica. Il p. m. che è di poco più di 400 per una concentrazione di circa il 2°/,, sale rapidamente e perviene a più di 1000 per una con- centrazione del 35 °/,. « Questo comportamento, come è stato provato da me fin dal 1889 e recentemente confermato da K. Anwers, è caratteristico delle sostanze a fun- zione alcoolica e può servire alla loro diagnosi. « In quanto alla costituzione di questo polimero dell'epicloridrina, per le difficoltà di averlo completamente puro e per la natura dei derivati che fornisce, non sono in grado, per ora, di poter aggiungere gran cosa. « Dirò soltanto che il cloro ch’esso contiene si presta facilmente al dop- pio scambio. L'epicloridrina trattata con potassa alcoolica fornisce quantita- tivamente l'etere bietilico della glicerina CH°.0C,H;.CH.OH.CH,.003H;; il polimero reagisce similmente, già a freddo con la potassa alcoolica al 10°/5; si separa abbondantemente del cloruro potassico, e resta in soluzione nell’al- cool un' olio che distilla alla pressione ordinaria fra 250° e 300° scomponen- dosi un poco. Questa sostanza non è però affatto priva di cloro, del quale — 281 — non perde le ultime traccie nemmeno per la ebollizione con un eccesso di potassa alcoolica. Il prodotto da me ottenuto conteneva ancora 1,47 °/, di cloro. « Esso è però senza dubbio un derivato ossietilico. Una determinazione di ossietile fatta col metodo di Zeisel fornì 52,68 °/, di 0C;H;. « Però è chiaro che in questa determinazione il ioduro d’argento dovea contenere cloruro, proveniente dal cloro tuttora contenuto nella sostanza. Non è quindi improbabile che si tratti d'un composto C,sH20(0C,H;)10, e per il quale si calcola: 44,11 °/, di 0,C,H; ». Astronomia. — Osservazioni ed elementi ellittici di (303) Josephina in IV° opposizione. Nota del Corrispondente E. Mi.- LOSEVICH. « Del pianetino (303) Josephina vi è una mia Nota, presentata dal prof. Blaserna, e inserita nel Rendiconto di questa Accademia del primo marzo 1891, giusto all’epoca, nella quale lo scopersi (12 febbraio 1891). Gli studi orbitali, e i risultati delle perturbazioni per Giove e Saturno, tro- varono posto in una serie di Note inserite nel Giornale degli Spettroscopisti italiani e nelle Astronomische Nachrichten. L'ultima di quelle porge gli ele- menti osculanti in IV!* opposizione, che sono i seguenti : T = 1894 ottobre 2,0 Berlino (equinozio medio 1892.0) M= 314° 59’ 20”.4 IRIZZANST6. 2 TRIO 8 g= 3 39 53.8 u= 643”.77066 loga = 0,494184 o = 345° 14° 177.5 {= 6 54 28.9 « Con questi elementi, e in base ad una effemeride pubblicata nelle A.N. il pianeta venne osservato in IV!® opposizione da Charlois a Nizza il 20 set- tembre 1894, da Cerulli a Teramo il 23, e da me il 3 e 5 ottobre. « Il luogo normale che risultò da queste osservazioni è (1894.0) 1894 h m SI Sept 28 12° B te ; e la correzione alla mia effemeride fu: da cosò(0—C) = + 45.66 40 — +46". 4. E 089 — « L'opposizione di quest'autunno era favorevole per la correzione degli elementi, e le piccole correzioni geocentriche avvertono che gli elementi hanno bisogno di piccole modificazioni, le quali vennero da me apportate coi metodi noti in astronomia, e il nuovo sistema osculante in IV!* opposizione è di- ventato il seguente: T= 1894 ottobre 2,0 Berlino (equinozio 1892.0) (Sistema nuovo meno sistema precedente) M= 315° 3' 87.5 (IS 30451) — 14 4 088 SG ALII m= 59 051.8 ZIA )= 88959.0 SEAN n= 643”.81632 + 0”04566 Q=34514. 1.1 Mg i= 654 28.6 SERIO « Se si mettono in conto le perturbazioni già calcolate si ottengono quattro sistemi osculanti alle quattro opposizioni già revolute, i quali rap- presentano bene le osservazioni da febbraio 1891 a ottobre 1894. « Così ad es.: I nuovi elementi osculanti in III” opposizione rappre- sentano il luogo normale 1893 agosto 11,5 coi residui minimi + 0°.13; — 1".6(0—C), e quelli scritti or ora rappresentano il luogo normale sopra citato coi residui pur minimi e di segno diverso — 05.13; + 1.5. « Si deve quindi conchiudere che gli elementi così corretti debbono essere assai vicini ai veri. Una quinta opposizione permetterà, dopo il cal- colo delle perturbazioni, di sottoporli alla prova delle osservazioni ». Chimica. — Sull'ossidazione dell'acido canforico (!). Nota del Corrispondente L. BALBIANO. « Nell'ultima Nota (?) scritta su quest'argomento ho stabilito, che il pro- dotto principale dell'ossidazione dell'acido canforico col permanganato potas- sico in soluzione alcalina ed alla temperatura ordinaria, era un'acido biba- sico C*H!°05 di cui descrissi allora le proprietà fisiche ed un sale di calcio cristallizzato con 2 mol. di acqua. « Ho ossidato ora un kg. di acido canforico nelle condizioni prima esposte (3) ed ho ottenuto gr. 180 di sale calcico dell'anzidetto acido, sec- cato a 100°-140°, cioè privo dell'acqua di cristallizzazione e nello stesso tempo ho ricuperato gr. 450 di acido canforico inalterato; perciò dei 550 gr. (1) Lavoro fatto nell'Istituto di Chimica farmaceutica della R. Università di Roma. (3) Rend. Acc. Lincei. Vol. II, 2° sem., p. 240. (3) Idem, Vol. I, p. 278. — 283 — di acido canforico che hanno subìto l'ossidazione, il 27 °/o s'è trasformato in acido C*H!°05. « Ho modificato l'estrazione del nuovo acido nel modo seguente : « Dopo aver eliminato colla distillazione in corrente di vapor d’acqua gli acidi volatili dalla massa degli acidi siropposi ottenuta mediante estra- zione con etere, la soluzione acquosa degli acidi fissi, si neutralizzò esatta- mente con idrato sodico, ed alla soluzione diluita e riscaldata a 60°-80° si aggiunse una piccola quantità di soluzione di cloruro calcio al 15 °/,. Si filtrò dalla piccola quantità di ossalato di calcio formatosi e nella soluzione limpida si versò un eccesso della soluzione di cloruro di calcio. Riscaldando all'ebollizione per qualche tempo, incominciò il deposito del sale di calcio C8H'°05Ca, 2H*0, che si completò col raffreddamento della massa. Per evi- tare l'impiego di grandi quantità d'acqua nelle cristallizzazioni, sciolsi tutto il sale di calcio nella quantità strettamente necessaria di acido cloridrico diluito, indi riprecipitai il sale di calcio neutralizzando la soluzione calda con idrato sodico. Ripetendo un paio di volte quest'operazione lo ottenni per- fettamente puro. « Analisi : trovato calcolato per C*H'!°05Ca,2H?0. 14,02-14,07 H°0 13,74 17,64-17,90 da 17,69. « L'acido libero presenta i caratteri descritti nella Nota citata (2). « Analisi: trovato calcolato per C8H!°05 (Cab: 03 EH 76:90 C 651,06 H 6,98 6,9 CAROL. Ho 60559 Etere dimetilico C*H'0< G0:CHe. « Si ottenne saturando con acido cloridrico gassoso e secco una solu- zione di 30 gr. di acido in 36 gr. di alcole metilico, non impedendo il riscal- damento che si produce nella reazione ed abbandonando per 48 ore la mi- scela alla temperatura ordinaria. In queste condizioni si eterificò solo il 55 °/o nell’acido e si produsse esclusivamente l'etere dimetilico. Analisi : trovato calcolato per C!°H!605 C. 55,41 CMo5:55 H 7,64 H 7,40. « Quest'etere è un liquido denso, incoloro, di odore aggradevole resinoso, di sapore pungente; insolubile nell'acqua, solubile nell’alcole e nell’etere. Bolle indecomposto alla pres. di 20 mm. di mercurio alla temperatura cor- RENDICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 38 — 284 — retta di 164°-165°. Il suo peso specifico a 15° riferito all'acqua a 15° è 1,145. Raffreddato a —10° diventa vischioso, ma non si solidifica. « L'acido rimasto inalterato venne convertito in sale di calcio e me- diante frazionamento di questo sale si constatò l'omogeneità dell'acido residuo. « Saponificando l'etere dimetilico colla quantità richiesta di alcoolato so- dico in soluzione alcoolica, perchè si formasse un sale /000CH5 ‘6 CPHÎPOC. GOONa si ottenne invece il sale sodico neutro C°H'!°0(CO?Na)? ed etere inalterato. « Per dimostrare la presenza di un’ ossidrile alcoolico nell’acido C*H!°0° se ne preparò i derivati benzoilico ed acetilico. « Il derivato benzoilico CHXOC"H"0\K G0:cH si ottenne facendo bol- lire a ricadere l'etere metilico con un eccesso di cloruro di benzoile. È un liquido scolorito, oleoso, di odore aggradeyole, che bolle verso i 200° alla pressione di 20 mm. di mercurio. Saponificato con alcoolato sodico dette acido benzoico e l'acido C3H!°0?, caratterizzato dal sale di calcio. « Analisi : trovato calcolato per C17H?°0% C 63,48 C 63.75 Ea Lo Hi 6,25. « Il derivato acetilico C'H'(O0"H"0\K GO:Ch si ottiene facendo bol- lire a ricadere l'etere metilico con un eccesso di anidride acetica ed acetato sodico fuso. E un liquido oleoso, di odore un po’ pungente, che distilla a 165°-166°, alla pressione di 22 mm. di mercurio. « Analisi: trovato calcolato per C!*H180° CU 55,58 CU 55,81 HEAT H 147. Questo derivato saponificato con alcoolato ridà acido acetico e l'acido C8H!?0?. Riduzione coll’acido jodidrico. « Per effettuare questa riduzione si adoperò acido jodidrico bollente a 127° e si fece bollire a ricadere l'acido C8H!?05 con un leggero eccesso di detta soluzione ed un po’ di fosforo rosso. « Si ottennero due acidi, uno rappresentato dalla formola C*H?°04, l’altro — 285 — dalla formola C*H!404, che si separarono mediante il sale di calcio. Il sale C8H!°0*Ca è quasi insolubile nell'acqua bollente, mentre si discioglie a freddo. « Per la separazione non si ha da far altro, che saturare esattamente la miscela dei due acidi, separati dall’acido jodidrico mediante estrazione con etere, con idrato sodico, e la soluzione dei sali sodici si fa bollire con solu- zione al 30 °/, di cloruro di calcio. Coll’ebollizione si deposita in piccoli cri- stalli tabulari, bianchi, microscopici, il sale C8H!*04Ca, 22/3H?0. « Analisi : trovato calcolato H?0 16,83-18,07 H?0 17,50 Ca 18,76-18,78 Ca (sul secco) 18,86 « L'acido libero C*H?/04 cristallizza dall'acqua riscaldata a 80° in bei cristalli prismatici, bianchi, duri; se l'acido si discioglie nell'acqua bollente, esso si deposita dapprima oleoso e dopo col raffreddamento si concreta in una massa cristallina. Fonde a 889-89°, è molto solubile nell’etere acetico e nel- l’acqua a caldo, meno in detti veicoli freddi; poco solubile nel benzolo, quasi insolubile nel solfuro di carbonio e negli eteri di petrolio (50°-60°). « Analisi : trovato calcolato C 54,95-54,73 (CE 5517 H 8,3-8,37 H 8,04. « La sua composizione è quella di un acido dimetiladipico, ma le sue proprietà non coincidono con quelle dell'acido @,—@, dimetiladipico di N. Zelinsky (!) ripreparato recentemente da I. Kitzing (?). Sono occupato a tentare la sintesi di un isomero di quest'acido adipico dimetilato, avente i due metili attaccati allo stesso atomo di carbonio « per confrontarlo col mio, e spero fra breve presentare i risultati della ricerca. « Le acque, dalle quali s'è separato il sale di calcio coll'ebollizione, decomposte con acido cloridrico ed estratte con etere, danno un acido che si ha facilmente puro cristallizzandolo diverse volte da una miscela di etere acetico, benzolo ed eteri di petrolio (50°-60°). « Questo nuovo acido cristallizza in bei prismi appiattiti. poco solubili nell’acqua fredda, di più nella calda, solubile nell’alcool e nell’etere, poco nel benzolo freddo e negli eteri di petrolio. Fonde senza decomporsi alla temperatura corretta di 163°-164°. « Analisi : trovato calcolato per C8H!204 C 55,46 C 55,81 HI 1,23 H 6,97. (1) Berl. Ber. 24, p. 3997. (*) Berl. Ber. 27, p. 1578. — 286 — « La composizione ed il punto di fusione m’avevano fatto dapprima sospet- tare di avere tra le mani l’acido cis-esaidroisoftalico di Perkin (!), ma ho dovuto convincermi che esso non era quello supposto, perchè per ebollizione a ricadere col cloruro di acetile non dà l'anidride fusibile a 187°-189°, ma rimane inalterato. « Se si ossida col permanganato potassico in soluzione alcalina ed a caldo l'acido C*H'?04, una parte si distrugge dando acido ossalico, ed un'altra parte si ossida nell'acido C8H'?0°, caratterizzato mediante l’analisi e le pro- prietà del sale di calcio. « Lo studio di questi due acidi verrà continuato per discutere la costi- tuzione dell'acido canforico dal quale derivano ». Morfologia vegetale. — Sulla germinazione e sulla struttura della piantina della Keteleeria Fortunei (Murr.) Carr. Nota del Corrispondente R. PIROTTA. « Nel 1887 io facevo conoscere l'infiorescenza maschile di questa inte- ressante Conifera, rilevando l’importanza della struttura morfologica della infiorescenza medesima a favore del distacco di questa pianta dai generi Abies, Pinus e Pseudotsuga, nei quali era stata collocata rispettivamente dal Murray, dal Parlatore e dal Bertrand, ed a favore della istituzione per essa di un genere a parte, Aeteleeria, fondato dal Carrière. « Più tardi, nel 1890, io esponevo sommariamente i risultati delle mie ricerche sulla struttura del corpo vegetativo (radice, caule, foglia) della stessa pianta adulta, mettendo in rilievo i caratteri anatomici e istologici speciali, che essa offriva, e che ancora corroboravano l'opinione della validità del ge- nere /eteleeria. « Colla presente Nota faccio ora conoscere, pure sommariamente, la ma- niera con cui si compie la germinazione del seme nella Xezeleeria, e la strut- tura morfologica e anatomica della piantina che ne proviene, contribuendo ancora a far sempre maggiormente spiccare i caratteri differenziali di questa pianta dalle altre Abietinee, colle quali si colloca. « Seme (!). — Il seme somiglia molto a quello dei Pini, degli Abeti ecc. E nel complesso irregolarmente obovato, lungo da 10-15 mm., e fornito nel suo terzo superiore di un’ ampia ala membranosa, consistente, lunga da 20 a 25 mm., larga circa 15 mm., di color bruno chiaro, diritta da un lato, (1) Chem. Soc. 1891 I, 798. (1) Debbo alla squisita cortesia dei signori fratelli Rovelli, egregi e noti orticoltori di Pallanza, e della Direzione dell'Orto Botanico di Firenze, il materiale occorrente alle mie ricerche. — 287 — curva nel resto, a margine intero. L'endosperma è abbondantissimo; l’em- brione è fornito di due cotiledoni, lineari, lunghi, simili alle foglie normali. « Germinazione. — Messo nelle condizioni favorevoli per la germina- zione, disteso sopra il suolo orizzontalmente o coperto dal terreno, il seme gonfia considerevolmente e perde ben presto per decomposizione la sua ala. La radichetta coll’asse ipocotile breve ma grosso esce dal micropilo e si curva geotropicamente in basso, penetrando nel suolo, dove si allunga verticalmente in un distinto fittone. « I cotiledoni non escono dalla buccia del seme, ma vi stanno racchiusi, avvolti dall’endosperma, finchè quest’ultimo è stato in parte riassorbito, e si decompogono soltanto dopo che la piantina è completamente sviluppata. I due cotiledoni però allungano considerevolmente la loro base di inserzione, a guisa di piccioli, che si curvano pure in basso, mentre il seme rimane sdraiato sul suolo. Poi la piumetta o asse epicotileo sporge tra i piccioli cotiledonari e rapidamente cresce verticale verso l’alto. « La radice primaria ha lo spessore di circa un mm. verso la base e all’epoca del completo sviluppo della piantina, che si si fa in tempo rela- tivamente breve. È alla superficie di color bruno sempre più intenso verso la base del fusticino; produce prestissimo le prime radici laterali. «I piccioli cotiledonari esterni al seme sono pure bruni, lunghi circa 10 mm., grossi un mezzo mm. circa. « Il caulicino epicotileo, a causa dell’allungamento della base dei coti- ledoni, si svolge lontano circa un centimetro dal seme, è eretto, cilindrico, alto a completo sviluppo circa 44-5 centim., verde bruniccio in basso, dove è più grosso, verde in alto. Nella porzione inferiore, per un tratto di un cen- timetro è nudo, poi per circa due centimetri porta da otto a dieci catafilli brevi, piccoli, squamiformi, sessili, appressati al caule, ovato-acuminati, bruno- rossicci in basso, poi mano mano coloriti in verde, sparsi e con disposizione non molto regolare, talora avvicinati due a due. « Ad essi seguono i nomofilli, dei quali i primi due sono brevi (misu- rano cirea 5 mm. in lunghezza), appena divergenti dal caule, e formano evidentemente passaggio alle vere foglie normali, alle quali del resto sono simili per colore e per forma. Queste sono in numero di 14 a 16, più lunghe quelle di mezzo per posizione (fino a 28 mm.), sparse, ad internodî relati- vamente brevi ma ben distinti, distese in direzione leggermente obliqua verso l'alto. Misurano 2-3 mm. in larghezza, sono piuttosto rigide, lineari-piane, un po ristrette verso la base, dove presentano un piccolo rigonfiamento 0 cuscinetto, intere nel margine, acute o mucronate all’apice, colla nervatura mediana sporgente specie nella faccia superiore, di color verde chiaro supe- riormente con una larga striscia glauca ai lati della nervatura mediana in- feriormente. « L'apice del fusto, a completo sviluppo della piantina, termina con una — 288 — piccola gemma ricoperta di squammettine verdicce, terminate in punta breve come 1 catafilli. ) « Struttura. — La struttura dei cozzledoni, per quanto ho potuto cono- scere dallo studio di materiale avariato, è assai semplice. In un taglio tra- sversale la sezione si presenta ovale nel complesso, convessa nel lato supe- riore, un po concava nell’inferiore. L’epidermide è ben distinta, gli stomi mancano; il mesofillo è omogeneo e fatto di grandi cellule; manca l’ipo- derma, mancano i canali resiniferi; il fascio vascolare è poco differenziato, però già distinto dal lato dello xilema in due lobi. « La struttura delle foglie normali della piantina presenta i gradi di passaggio da quella poco più complicata dei cotiledoni, data dalle brevi foglie inferiori, a quella ben differenziata e simile alla struttura delle foglie adulte, date dalle foglie mediane più grandi. « Verso la metà della sua lunghezza una di queste foglie offre la se- guente struttura. La sezione trasversale ha forma di un ovale molto lungo, convesso verso la metà tanto nella faccia superiore, che nella inferiore. L'epi- dermide manifesta è a cellule con parete ispessita fortemente su tutto il con- torno ma più verso l’esterno. Si riscontra un ipoderma uniseriato in corri- spondenza della sporgenza del nervo mediano tanto dal lato superiore che dall'inferiore, nel quale ultimo è spesso raddoppiato. Gli stomi occupano, da ciascun lato della zona ipodermica inferiore, quindi della sporgenza della ner- vatura mediana, un largo tratto, disposti in tre serie longitudinali abbastanza slontanate l'una dall'altra. Il mesofillo è differenziato, essendo la struttura nettamente dorsoventrale. Il tessuto a palizzate forma dal lato superiore una zona interrotta nel mezzo dall'ipoderma superiore, e che si estende ai lati di questo fin verso il margine della foglia, cioè fino in vicinanza dei canali resiniferi. È biseriato, a cellule esterne più lunghe che larghe nel senso ra- diale, rettangolari in sezione trasversale, talora ramificate come nei Pini; la seconda di cellule più corte in serie regolare. Il palizzata occupa 1/6-1/5 della sezione totale; il resto del diachima è costituito da un parenchima a cellule irregolari verso il margine e la faccia inferiore, allungate verso il mezzo dove si dispongono in giro alla serie delle cellule della guaina va- scolare. «I canali resiniferi stanno presso il margine e contro l'epidermide in- feriore avvolti dal loro ipoderma. « Il fascio è ben differenziato, grosso coll'ampia porzione legnosa divisa incompletamente in due masse, ed è limitato da una distinta guaina vasco- lare a grandi cellule circolari in sezione trasversale. « La sezione trasversale della radice primaria verso l’apice vegetativo ci mostra sotto l’epiblema un ampio parenchima corticale di circa sei serie di cellule a sezione circolare, elittica o poligonale, delle quali più grandi quelle delle due serie mediane. L'endodermide è distinta, il periciclo è fatto — 289 — di 3-4 serie di cellule, i raggi vascolari sono tre o quattro e non giungono ad incontrarsi al centro della radice, ma lasciano un midollo relativamente ampio, nel mezzo del quale sta un largo canale resinifero assile. « La sezione trasversale dell'asse epicotileo poco sopra l'inserzione dei cotiledoni è a contorno ondulato. All’epidermide semplice a pareti cuticola- rizzate fa seguito un parenchima corticale distinto in una porzione esterna di circa tre serie di cellule, un po’ schiacciate, scolorite, ed in una porzione interna ampia a cellule ricche di contenuto, nella quale, e più verso la pe- riferia, stanno dei canali resiniferi disposti in una serie unica interrotta. Il legno secondario già molto abbondante a completo sviluppo della piantina è senza canali resiniferi. Il midollo è ampio e pure senza canali resiniferi. « Il modo di comportarsi della Xezfeleeria nella germinazione del seme mostra che essa è a tipo ipogeo. Ora, per quanto è noto, le Conifere nella grande maggioranza e le AbDielznee tutte sono a germinazione epigea, cioè i cotiledoni escono dalla buccia del seme più o meno presto e formano sulla piantina il primo verticillo fogliare, a distanza più o meno considerevole dal livello del suolo. Così pure sono a germinazione epigea le Gnetacee, cioè le Gimnosperme più evolute; sono invece a germinazione ipogea le Cieadacee, cioè le meno evolute e le più antiche delle Gimmnosperme. E fra le Coni- fere sono precisamente quelle che sono più affini alle Cicadacee e più an- tiche (Gingko, Podocarpus) quelle che presentano germinazione ipogea. « Questo carattere pertanto riscontrato nella Meteleeria Fortunei (e che pare si riscontri in un’altra pianta che il Masters ascrive al genere eze- leeria benchè non se ne conoscano i fiori maschili, l’ Abies Davidiana) ha dunque valore e importanza di carattere ancestrale. Tanto più sono indotto ad ammetterlo, perchè le Gimmnosperme a germinazione ipogea presentano due altri caratteri comuni, e cioè i seguenti. L'epicotile porta in basso un numero più o meno considerevole di catafilli i quali in modo più o meno rapido passano ai nomofilli e questi ultimi sono già nella piantina simili per forma, dimensione, inserzione, disposizione e struttura a quella della forma adulta. « In secondo luogo è importante la costanza nel numero dei cotiledoni. Mentre questo numero in tutte le Abietinee, secondo Lubbock, è superiore a due, nella. Nefeleeria Fortunei (ed anche nella /.? Davidiana secondo Masters) sono due, come sono due in tutte le altre Conifere ipogee. « La Keteleeria pertanto e per i caratteri morfologici e per il modo di germinazione è un tipo di Conifere, che si appalesa molto antico, e che da una parte si collega colle Abietinee vere, dall'altra se ne scosta per avvi- cinarsi a forme più antiche a germinazione ipogea ». — 290 — Meccanica. — Sulle equazioni dell’elasticità negli iperspazi. Nota di E. CesÀRo, presentata dal Socio BELTRAMI. «I calcoli accennati dal prof. Beltrami nella Memoria Sulle equazioni generali dell’elasticità (!) si possono eseguire con una certa speditezza, non priva di eleganza, anche per uno spazio curvo a quante si vogliano dimen- sioni, facendo uso della segnatura da noi adoperata nella Nota sulle Yormole di Codazzi negli iperspazii (2). Prima osserviamo che i coefficienti di allun- gamento sono dati dalle formole in cui le v; sono le componenti dello spostamento, e le Gi; sono quelle che nella predetta Nota abbiamo chiamate le curvature geodetiche dello spazio. La loro espressione è, per é 2 j, it 159; “e Q:9; dI in un sistema qualunque di coordinate curvilinee ortogonali. Per 7 = con- verrà supporre Gi; = 0. La dilatazione unitaria è o=Y 0,= (+6), rappresentando con G; la somma di tutte le G, che hanno il secondo indice uguale ad 7. Avremo inoltre da considerare i mutui scorrimenti ;; degli elementi lineari coordinati, e le doppie componenti &;; della rotazione del mezzo. Le loro espressioni si ricavano dalle formole (1) Da 3 (0; dvi dU; — GU , 9 TL (@y ran d;) = or ap _— Gig % (2) che sì riducono in sostanza ad una sola se si osserva che w;j= 00, dg =—T . Tutte queste formole si potrebbero dimostrare assai semplicemente supponen- dole stabilite prima in uno spazio lineare, ed applicando poi i metodi 7n- (rinseci a misurare gli effetti della curvatura dello spazio. Così, per esempio, per trovare le espressioni delle 4, che ordinariamente si ottengono con una trasformazione d’'integrali multipli, basta immaginare una particella come immersa in uno spazio lineare con una dimensione di più, e calcolare la ro- (1) Annali di matematica, 1881. (2) Rend. dell’Acc. di Napoli, 12 Maggio 1894 — 291 — tazione della normale alla particella, nel moto rigido di questa, mercè le formole fondamentali della Geometria intrinseca degli iperspazii. A questa sola rotazione si debbono, nelle espressioni delle 4, le parti lineari nelle x. « Ciò premesso, quando si assume — 3(A00+BY 9j) ® come sola parte efficace del potenziale per la formazione delle equazioni inde- finite, si perviene, col solito procedimento, alle equazioni d X; +a to 245 BI D(T+6— 6) +224= 0, (4) prive, nel primo membro, dell’ultimo termine. È questo termine che bisogna calcolare affinchè le (4) siano, a prescindere dalla variazione delle costanti d'isotropia, le equazioni generali dell’elasticità dei mezzi isotropi in qual- siasi spazio o iperspazio curvo. Intanto, seguendo il processo tenuto dal prof. Beltrami per trovare le formole (4) della sua Memoria, si ottengono, invece delle nostre (4), le equazioni nelle quali le ©; e le ;; sono le tensioni degli elementi (lineari e super- ficiali) coordinati. L'indice 7 posto all'ultimo segno sommatorio serve a ri- cordare che bisogna escludere dalla corrispondente somma il termine definito dal valore é di 7. Le formole (5) sono indipendenti dalla natura geometrica dello spazio come dalla costituzione fisica del mezzo. Quando questa si par- ticolarizza introducendo l'ipotesi dell’isotropia, si ha O, =—-(A—2B)O—2B0, , 2;=—-Bo;, e le equazioni (5) DIVOLIALO d 3 apirar 61) Li, (5) X; +attooply” °9; ;+2B < Gi (0; — 0) +B) (C++) Ora il paragone con (4) dà subito, osservando le (2), 3 neo ‘8, + D Gib -9,) de VATI dUj dui i (+) gu) + 6) (6) Intanto °) (dd) (i) d°u; n Sap og=)> + DMG —Gi) D'altra parte, in virtù della nota condizione d’integrabilità 3 +4) = È Ti ds; RenpICONTI. 1894, Vol. III, 2° Sem. 39 — 292 — si ha pure DI 3698: w o ot G)3o dUi dU sno E a Ela SÙ —d(G_ Sha Quindi È) d dU BICa (2 LADA CI dSi Di “" n 6) ds; dU dUi Cet Sue (i Sup + Gi ds Z_ Ni ds; sir pe Uj 35, (4 Gi) di _ dit) di — (|; pr SE MESE ji ne e Ji ( Ù Mai DI Ji ( 0) 3S; dij d —uX (3 +645)- Vi, — Ga) t Sy Gi) Così è dimostrato che 4; è una forma lineare delle % : = du Uj Raccogliendo i termini che moltiplicano w; si ottiene Qi; = (Gi — Gi) Gi = G_ Gi) — DI Gni Grj (7) perd =. Invece Gi = ds DI a al + GS5t 66) . (8) di = La formola (1) permetterebbe ora di esprimere i coefficienti 4 mediante le funzioni Q; ma è più conveniente introdurre le curvature normali D e le torsioni geodetiche ©, tenendo presenti i gruppi (y) e (9) delle formole ge- nerali di Codazzi, dimostrate nel citato lavoro. La formola (8) si può scri- vere nel seguente modo: dGi di a Unita dii ti USS. Sui an) dij pali Gi cao) Da (4; ni Gi) Gij - La seconda somma è uguale a 2 ar GrjGj = Z r- pi Gi= Di Di Gin Dunque "9A n di Qi ( u=—d AZ ani Gij i+9+ I Ga Gir) > d$; — 2939 — ovvero, per le (y), di = I (I:9t;— 85) > (9) senza escludere esplicitamente alcun valore di ), purchè €; si consideri m come uguale a —9%;. Similmente alle (7) si può dare la forma cioè, in virtù delle (d), aj;=— D_ (xt + Ga Sa) - (10) Questa formola mostra che a; = 4;. Si è dunque condotti a considerare la forma quadratica U=:V ju, (11) le cui derivate parziali prime sono appunto le @;. Per esempio, nel caso d'uno spazio a due dimensioni, si ha, chiamando « la curvatura totale, A = Agg = 9% — © =a, =0; quindi U 5 («+ us), e le equazioni (4) diventano PIC) dI DE \ ge vaeali ronnie PIO) dI i —+ 2Bau=0. | e au, = 0 Esse restano inalterate nelle deformazioni della superficie, supposta flessibile ma inestendibile. i « Alle equazioni (4) saremmo egualmente pervenuti assumendo come parte efficace del potenziale l’espressione (3) aumentata di 2BU. Ciò si può esprimere dicendo che la curvatura dello spazio produce una perdita di energia elastica, come se una parte di questa energia venisse spesa dal corpo a vin- cere le difficoltà che incontra per deformarsi in uno spazio non lineare. Può tuttavia accadere che sia U<0, ed allora l'energia elastica è invece più intensa di quella che si avrebbe in uno spazio lineare, come se la forma dello spazio fosse tale da agevolare piuttostochè contrariare le deformazioni elastiche. In altri termini, se immaginiamo lo spazio irrigidito nella sua essenza geometrica, e d'altra parte supponiamo la materia dotata d'una specie d'inerzia, in virtù della quale essa tenda sempre a deformarsi come se si tro- vasse in uno spazio lineare, possiamo dire che contro tale tendenza reagisce lo spazio con forze che ammettono il potenziale 2BU. — 294 — « Notevoli fra gli spazii che favoriscono le deformazioni elastiche sono quelli che hanno nulla la prima curvatura media. Solo in tali spazii può esi- stere un sistema assintotico ortogonale. Assumendo questo come sistema di riferimento, sono nulle tutte le curvature 9%, e dalle formole (9) e (10) si ha dij — DE Cin Sk è quindi ll U=—5D (Cn + Eau + Esnun+....). « Abbiamo visto che, sopra una superficie, la perdita di energia è pro- porzionale al quadrato dello spostamento ed alla curvatura totale della su- perficie nel punto che si considera. Per uno spazio qualunque avviene qualche cosa di analogo. Immaginiamo infatti che lo spazio sia riferito al suo sz- stema di curvatura. Sono allora nulle tutte le torsioni €, e dalle (10) si ha &;==0. Dalle (9) si vede che 4; è la somma delle curvature totali di tutte le superficie coordinate che contengono la linea g;. Ora, rappresentando con %;; la projezione dello spostamento sulla superficie g;g;, e con @;; la curvatura totale di questa, l'eguaglianza (11) diventa 1 (= 9 D aguj . La perdita di energia elastica in uno spazio ad x dimensioni è dunque uguale alla somma delle perdite dovute alle Da (2 — 1) superficie di curvatura ». Elettricità. — Sul ritardo della polarizzazione nei dielet- trict ('). Nota di RiccARDO ARNÒ, presentata dal Socio G. FERRARIS. « Ewing e Miss Klaassen (?) hanno dimostrato : 1° che il lavoro w consumato per l’ isteresi magnetica nel ferro si può rappresentare, in fun- zione dell’ induzione magnetica d, per mezzo di una relazione della forma w= kb, ove e e X hanno valori che variano col variare dei limiti di 2; 2° che le variazioni dell’esponente « corrispondono ai passaggi dall’uno all’altro dei suc- cessivi stati nel processo della magnetizzazione, e che precisamente i valori relativamente elevati di e corrispondono agli stati iniziale e finale, ove la permeabilità magnetica è piccola, mentre in corrispondenza degli stati inter- (1) Lavoro eseguito nel Laboratorio di Elettrotecnica del R. Museo industriale ita- liano in Torino. (®) The Electrician 13 aprile 1894, p. 068: Magnetic -ualities of iron. — 295 — medî, ove è maggiore la permeabilità magnetica, i valori di e diventano note- volmente più piccoli (!). « D'altra parte, da una serie di esperienze, i cui risultati sono esposti in alcune Note precedenti (*), io fui condotto a stabilire : 1° che in un cilindro dielettrico, collocato in un campo elettrico rotante, avviene una dissipazione di energia, poichè il cilindro sì trova soggetto ad una coppia che tende a farlo rotare nella direzione del campo stesso; 2° che la relazione tra l'energia dissipata W nel cilindro dielettrico e l’ induzione elettrostatica B, in un punto qualunque del campo rotante, è della forma WeB”, ove 2 e K hanno valori che variano col variare dei limiti di B; 3° che per la carta paraffinata l'esponente di B, nella relazione tra W e B, è rispet- tivamente uguale a 1,53; 1,65; 1,90, secondo che i valori di B, con cui si sperimenta, sono compresi fra 0,06 e 0,17; 0,95 e 2,65; 9,90 e 14,58 unità elettrostatiche C. G.S. « Questi risultati, posti a confronto con quelli delle esperienze di Ewing e Miss Klaassen sulle proprietà magnetiche del ferro, pongono in chiaro l’ana- logia che sembra sussistere fra la legge dell’ isteresi magnetica nei corpi magnetici e la legge del fenomeno che sto studiando nei corpi dielettrici, e fanno prevedere: 1° che il fenomeno della rotazione di un cilindro dielet- trico in un campo elettrico rotante sia dovuto ad un ritardo con cui la pola- rizzazione del dielettrico segue la rotazione del campo elettrico, precisamente come in un campo magnetico rotante un cilindro di ferro, sezionato per modo che in esso non si possono produrre correnti di Foucault, sì pone in rota- zione in grazia del ritardo col quale la magnetizzazione del ferro segue la rotazione del campo magnetico; 2° che i valori dell’esponente 4, nella rela- zione tra W e B, abbiano a corrispondere a stati diversi nel processo della polarizzazione e che, analogamente a quanto succede nella magnetizzazione dei corpi magnetici, i valori di 4 relativamente più grandi abbiano a corri- spondere agli stati iniziale e finale, e quelli relativamente più piccoli agli stati intermedî. (') Per il campione di ferro sperimentato e per valori di 4 compresi fra 200 e 500; 500 e 1.000; 1.000 e 2.000; 2.000 e 8.000; 8.000 e 14.000 unità elettromagnetiche C. G.S. è stato infatti trovato e rispettivamente uguale a 1,9; 1,68; 1,55; 1,475; 1,70. (2) Rendiconti, fascicoli del 16 ottobre 1892, p. 284; 30 aprile 1893, p. 341; 12 no- vembre 1893, p. 260; 18 marzo 1894, p. 272; 17 giugno 1894, p. 585: Campo elettrico rotante e rotazioni dovute all’isteresi etettrostatica. — Sulla dissipazione di energia in un campo elettrico rotante e sulla isteresi elettrostatica. — Ricerche quantitative sulla dissipazione di energia nei corpi dielettrici in un campo elettrico rotante. — Esperienza con un sistema di condensatori a coibente mobile. — Sulla legge della dis- sipazione di energia nei dielettrici sotto l'azione di campi elettrici di debole intensità. 296 — « Una serie di nuove ricerche, i cui risultati sono riassunti in questa Nota, confermano tali previsioni. « Gli apparecchi usati ed il cilindro dielettrico sperimentato sono quelli stessi che servirono alle ricerche, i cui risultati sono esposti nell'ultima delle mie Note sovracitate. La frequenza della corrente alternativa era uguale a 40. La distanza fra le lastre, racchiudenti lo spazio in cui si generava il campo elettrico rotante, era di 4,4cm. e la distanza dello specchio dalla scala di 2660 mm. Il cilindro dielettrico sperimentato era di carta paraffinata, aveva l'altezza di 26 mm., il diametro esterno di 30 mm., la grossezza di 1mm., ed il peso di 2,011 grammi. « In tali condizioni ed in corrispondenza di settanta valori diversi del- l'’induzione elettrostatica B, compresi fra 0,030 e 5,30 unità elettrostatiche C. G.S. (!), si eseguirono altrettante esperienze, le quali vanno raggruppate a dieci a dieci in sette serie di esperimenti, ciascuna delle quali sì riferisce ad una determinata sensibilità dell'apparecchio. Ad ottenere poi, per ognuna di tali serie di esperimenti, lo stesso peso nelle misure, ho disposto, per mezzo di trasformatori di conveniente rapporto di trasformazione, le cose in guisa che il valore dell'induzione elettrostatica in unità elettrostatiche C. G. S. si avesse a dedurre, in ogni esperimento, della misura, fatta per mezzo di un voltometro di Cardew, di una differenza di potenziale sempre compresa fra gli stessi limiti (40 e 112 volt.). « Nelle prime colonne della seguente tabella sono indicati i risultati dei miei esperimenti, per ciascuno dei quali sono registrate, rispettivamente nella seconda, terza e quarta colonna, la differenza di potenziale alternativa efficace V indicata dal voltometro, l’ induzione elettrostatica B e la lettura d fatta col canocchiale. Quest'ultima, a cui è proporzionale il lavoro W in erg fatto dalle forze elettriche deviatrici nell'unità di tempo, si riferisce, a seconda dei limiti di B fra cui si è sperimentato, a sette sensibilità diverse dello stru- mento, ottenute col variare sia il peso P sostenuto dalla sospensione bifilare, sia la lunghezza della medesima, sia la distanza superiore 4 ed inferiore d fra i due fili costituenti la sospensione stessa (?). (1) Per ottenere valori dell’induzione elettrostatica molto diversi fra di loro, ho ado- perato, nei miei esperimenti, trasformatori con un rapporto di trasformazione rispettiva- mente da. 1 a:2, La 4, 1a 18, 124250; (2) Nella tabella è indicata per ciascuna serie di esperienze, corrispondente ad una determinata sensibilità dell'apparecchio, la temperatura £ con cui le esperienze stesse furono eseguite. — 297 — B Vi in unità d d NO È elettrosta- | in mm. |inmm. 4 0, in volt.|. tiche Nus osservato |calcolato Pe 5,575 gr.| 1 40 0,030 11,7 11,30 | + 0,40|+3,4 1=31,5 cm 2. 48 0,036 16,1 15,79 | + 0,381] +1,9 a= 0,075cm.| 3 | 56 0,042 20,3 20,99 | — 0,69| — 3,4 b= 0,075cm.| 4 64 0,048 26,1 26,84 | —- 0,74| — 2,8 I ta=122080% 5 72 0,054 32,6 33,99 | — 0,73] — 2,2 - 6 80 0,060 40 40,52 | — 0,52 — 1,3 7 88 0,066 48,5 48,22 | + 0,28 + 0,6 = 1,843 8 96 0,072 57,2 56,65 | 4 0,55: + 1,0 9 | 104 0,078 66 65,72 | +0,281+0,4 K= 327,593 10 | 112 0,084 77 75,29 | + 1,71|+2,2 P= 11,488gr. | 11 40 0,060 18 17,31 | + 0,69 + 3,8 1 =30,4cm. TOR 4S 0,072 23,4 24,15 | — 0,75| — 3,2 a= 0,075 cm.! 13 56 0,084 30,8 32,03 | — 1,23] — 4,0 b= 0,075 cm.) 14 64 0,096 39,8 40,90 | — 1,10] — 2,8 Tan ed =202 (02 15 72 0,108 50 50,70 | — 0,70| — 1,4 = 16 | 80 0,120 61.2 61,55 | — 0,35| — 0,6 17) 88 0,132 73,2 73,46 | — 0,26| — 0,4 x= 1,830 ISR19290 0,144 85,6 85,86 ! — 0,26, — 0,3 19 | 104 0,156 100,4 | 99,50 | +0,90|+-0,9 K= 287,240 | 20 | 112 0,168 113,2 | 113,87 | — 0,67| — 0,6 P=11,488 gr. | 21 40 0,120 18,4 17,38 | + 1,02|+5,5 t1=30cm. 22 48 0,144 25,2 24,58 | + 0,62| + 2,5 i ROS 28 56 0,168 31,6 32,97 | — 1,87| — 4,3 CE RON Z4 64 0,192 39,6 42,592 | — 2,92) — 7,4 mc és 232.0. 25 72 0,216 50,4 53,18 | — 2,68| — 5,5 —_ 26 | 80 0,240 62,4 65,08 | — 2,68] — 4,3 27 88 0,264 73,8 78,24 | — 4,44| — 6,0 a= :/1;905 28! 96 0,288 86,8 92,03 | — 5,23| — 6,0 29 | 104 0,312 101 107,80 | — 6,30) — 6,2 K= 385,782 30 | 112 0,336 115 123,47 | — 84774 P=11,488gr.| 81 40 | 0,270 24 23,02 | + 0,98| + 4,1 i=:80/cm 132 48 0,324 32 31,61 | +- 0,39] + 1,2 a= 0,80cm. 3 56 0,378 40 41,86 | — 1,96] — 39,4 b= 0,30cm. | 34 64 0,432 50 52,20 | — 2,20 — 44 iv|i 960 35 72 | 0,486 63 64,06 | — 1,06] — 1,7 — 36 80 0,540 76 77,05 — 1,05| — 14 3 88 0,594 91 90,83 | +0,17| + 0,2 CORTA Z| 098 96 0,648 106 105,80 | -- 0,20] + 0,2 89 | 104 0,702 123 121,76 | + 1,24| + 1,0 K= 352,513 40 | 112 0,756 142 138,44 | +3,56|) +2,5 PE 1143881 Ia 40 | 0,54 30 28,87 | +1,131-+3,8 t1=30cm. 42 | 48 0,65 40 39,67 | +0,833/+0,8 a= 0,55cm. | 43 | 56 0,76 51 51,95 | — 0,95) — 19 b= 0,55cm. | 44| 64 0,87 3 65,60 | — 2,60] — 4,1 i fa 26° C. 45 72 0,98 79 80,53 | — 1,53 — 1,9 - 46 | 80 1,09 97 96,90 | + 0,10|+0,1 47 88 1,20 115 114,28 | +0,72|+- 0,6 = 1,747 48 | 96 1,81 184 133,15 | + 0,85] + 0,6 49 | 104 1,42 155 153,29 | +1,71|+1,1 K= 445,096 50 | 112 1,53 | 177 174,34 | +2,66| + 1,5 — 298 — B V in unità d d | N° ..,|elettrosta- | in mm. | in mm. 4 = in volti tiche CGS. osservato |calcolato Pe 85,528 gr. | 51 40 0,94 29 27,98 | +1,02|+3,5 1=380cm. 52 | 48 1,13 38 37,86 | +0,14|+0,4 a= 0,55 cm. | 53 56 1,82 48 48,94 | — 0,94| — 2,0 b= 0,55cm. | 54 64 1,51 59 61,11 | — 2,11, —3,6 Vili | 01278 C. 55 72 1,70 73 74,28 | — 1,28| — 18 _ 56 80 1,89 89 88,99 | +041|+0,5 57 88 2,08 105 103,65 | + 1,35 | +1,3 —RRlN668 58 | 96 2,27 121 119,89 | +1,11|/+0,9 59 | 104 2,46 138 137,08 | +0,92|+-0,7 K= 509,251 60 | 112 2,65 156 154,95 | +1,05|+-0.7 P=81,935 gr. | 61 40 1,88 30 30,03 | — 0,03 | — 0,1 tl=32cm. 62 48 2,26 41,5 40,77 | +0,73|+18 a= 0,85 cm. | 63 56 2,64 53 52,84 | +0,16/ +03 b= 0,50cm. | 64 64 3,02 64,5 66,13 | — 1,63 | — 2,5 vii =24 C. 65 72 3,40 80 80,57 | — 0,57 | — 0,7 _ 66 80 3,78 96 96,27 | — 0,27] — 0,8 67 88 4,16 112 112,82 | — 0,82| — 0,7 —ial 681 68 96 4,54 130 130,69 | — 0,69! — 0,5 69 | 104 4,92 149 149,66 | — 0,66| — 0,4 K= 518,240 70 | 112 5,90 172 169,40 | + 2,60|+4 1,5 « Se in un sistema di due assi coordinati ortogonali si portano come ascisse i valori di log B e come ordinate i valori di log W, ricavati, per uno qualunque dei sette gruppi di esperimenti, dalla precedente tabella, si tro- vano punti, il luogo geometrico dei quali è, con sufficiente approssimazione, una linea retta. Ciò dimostra che i valori medesimi soddisfano ad una rela- zione della forma \Wi=KBE, ove 2 e K sono, per ciascuna serie di esperimenti, delle costanti, le quali furono determinate col metodo dei minimi quadrati e registrate nella tabella precedente. A dette costanti corrispondono valori di W tali che per essi d assume i valori registrati nella quinta colonna della tabella. Le differenze 4 e le corrispondenti percentuali si trovano rispettivamente indicate nelle due ultime colonne della tabella stessa ». — 299 — Fisica. — Zutorno ad una modificazione della bilancia di Mohr e ad un semplice apparato per la misura del volume dei solidi (!). Nota di G. GuoLIELMO, presentata dal Socio BLASERNA. « Modificazione della bilancia di Mohr. Questa bilancia che con la sola pesata di un apposito corpo immerso in un liquido, dà immediatamente un valore abbastanza esatto della densità del liquido, richiede che la quan- tità di questo sia non troppo piccola, circa 100 cm'., quindi talvolta assai maggiore di quella di cui si può disporre. « Collo stesso strumento è possibile ottenere con una sola pesata ed im- mediatamente un valore altrettanto esatto della densità di un liquido di cui non si hanno che pochi centimetri cubi. Perciò basta usare il metodo della boccetta, applicando ad esso semplificazioni analoghe a quelle che nelle bi- lance di Mohr e di Reimann si trovano applicate al metodo della bilancia idrostatica. « Si può cioè: 1°. Usare un contrappeso, preparato una volta per sempre, che faccia equilibrio alla boccetta vuota. 2°. Regolare la capacità della boc- cetta in modo che il peso dell'acqua in essa contenuta sia uguale all'unità di peso che si è adottata (che generalmente pesa 5 grammi), e così il nu- mero di pesi che aggiunti al contrappeso suddetto fanno equilibrio alla boc- cetta piena d'un liquido sarà uguale alla densità del liquido. 3° Come nella bilancia di Mohr si potranno usare i pesi 1, 0,1, 0,01, 0,001 in forma di cavalletto, da collocarsi lungo i bracci della bilancia, diminuendo così il nu- mero dei pesi e rendendo più rapido e comodo l'ottenimento dell'equilibrio ; oppure come nell’areometro di Reimann si potranno collocare i pesi nel modo solito in un piatto appeso ad una estremità del giogo, per evitare gli errori provenienti dall’imperfetta mobilità dei cavalletti e dalla indeterminatezza del punto del giogo in cui essi sono applicati; oppure finalmente si potranno com- binare i vantaggi dei due sistemi ed appendere i pesi maggiori 1, 0,5, 0,2, 0,1 all'estremità del giogo ed i pesi minori 0,1, 0,01, 0,001 lungo il giogo, poichè per questi ultimi le cause d'errore suddette sono senza dubbio del tutto trascurabili. « Per l’uso di questo metodo, colla bilancia di Mohr non occorre che la boccetta di 5 cm? e il suo contrappeso, e solo nel caso che per maggior esattezza o per risparmiare liquido si usi una boccetta di 10 cm? o una di 1 cm, occorrerà altresì pei liquidi più densi dell’acqua un peso di 10 gr. o uno di 1 gr. rispettivamente, che si dovranno prendere per unità di peso. (1) Gabinetto fisico della R. Università di Cagliari. RenpICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 40 — 300 — « Siccome la bilancia di Mohr di solito viene fornita dai costruttori con due piatti per le pesate ordinarie, e con un piattello con uncino per deter- minare la densità dei solidi col metodo idrostatico, l'aggiunta di una o più boccette servirebbe a completare, con poca spesa, la bilancia suddetta come strumento per la misura dei pesi e delle densità, e ad estenderne l’uso in anche ai casi cui si dispone di poca quantità di liquido. « Con una boccetta da 10 grammi si potrebbe anche determinare con discreta esattezza il coefficiente di dilatazione dei liquidi; però è da notare che le variazioni di temperatura e l'azione dei bagni per il riscaldamento, esporrebbero la boccetta a variazioni di capacità e di peso che renderebbero necessaria una frequente verificazione di queste due quantità, e perciò sarebbe conveniente che per le dilatazioni sì usasse una boccetta diversa da quella che serve per le densità. « Queste boccette si possono costruire con molta facilità e senza molta perdita di tempo tirando alla lampada un tubo d'assaggio in modo che prenda la forma di dilatometro, avendo cura di lasciar ispessire molto le pareti nel punto che si riscalda, e di tirare lesgermente in modo che il tratto capillare riesca corto p. es. 1 cm. e a pareti spesse e quindi poco fragile. Si prepara una volta per sempre un grosso filo d'ottone che faccia equilibrio al tubo e al- l'uncino che serve di sostegno, e si pesano nel tubo 5 cm* di mercurio, che servono per indicare il punto dove si deve scaldare il tubo (occorre scaldare in un punto 5 mm. circa al disopra della posizione del livello del mercurio, altrimenti il bulbo riesce troppo piccolo) e per verificare se il bulbo ha la capacità voluta. Scaldando il fondo del tubo finchè il vetro si rammollisce e soffiando o no si riesce ad aumentare o ridurre la capacità. « Usando una boccetta in forma di dilatometro è comodo per riempirla, vuotarla, asciugarla ecc. far uso di un tubo o pipetta affilata a un capo in tubo capillare; però avviene spesso che questo si rompe dentro il tubo ca- pillare della boccetta e vi rimane conficcato. Si può estrarlo facilmente col seguente artifizio. « Si prende un filo metallico che entri molto comodamente nel frammento di tubo che si vuole estrarre, si ricopre l'estremità del filo di un sottile strato di ceralacca, si introduce questa estremità nel frammento, si scalda il tubo in modo che la ceralacca fonda e si lascia raffreddare senza muovere il filo. In tal modo la ceralacca serve di cemento fra il tubetto ed il filo, tirando questo vien fuori anche il tubetto. « Apparecchio per la misura del volume dei solidi. Generalmente il volume dei solidi viene dedotto dalla determinazione coi noti metodi del peso d'un volume uguale di un liquido di nota densità. Questo metodo molto pre- ciso è altresì comodo quando, come nelle determinazioni della densità, oc- corre conoscere il peso del solido; se invece ciò non è necessario, torna più comodo e spiccio di immergere il solido in un liquido e misurare l'aumento — 301 — apparente del volume di questo, oppure misurare il volume del liquido che bisogna togliere perchè il livello ritorni alla posizione di prima. « La causa d'errore principale inerente a questo metodo si è che qualora il solido non sia riducibile in frammenti, occorre che il recipiente ove è con- tenuto il liquido sia piuttosto largo, quindi un piccolo errore nell’apprezzare la posizione del livello produce un errore non trascurabile nella misura del volume; l’uso di tappi o coperchi smerigliati terminanti in un tubo capillare non eliminano questa causa d’errore nel caso di recipienti piuttosto larghi. Un altro errore pure non trascurabile si ha nella possibile differenza della quantità di liquido che rimane aderente alle pareti e nel menisco prima e dopo l'immersione del solido. « Credo che il seguente apparato elimini o riduca le suddette cause di errore meglio di moltissimi finora proposti; esso inoltre ha il vantaggio di poter essere facilmente e rapidamente composto, delle dimensioni che si ri- tengono più opportune, con recipienti d'uso comune nei Laboratori. « Esso si compone d'un bicchiere di vetro A, ad orlo smerigliato, nel cui interno trovasi fissata stabilmente alle pareti, con ceralacca o altrimenti, una astina di vetro o di platino 4 ricurva all'insù, la cui estremità è affilata, di- stante dalle pareti 5 a 10 mm. e termina nel piano dell’orlo. Una buretta di Mohr B, munita alla parte superiore di un tubo di gomma, permette di la- sciare effluire nel bicchiere o di aspirare dal medesimo un volume noto di liquido. « Affinchè l'astina termini esattamente nel piano dell’orlo del bicchiere, la si fissa per es. con ceralacca press'a poco ad altezza conveniente, poscia, mentre il mastice adoperato è ancor molle, si capovolge il bicchiere su di un piano, e così l'estremità dell’astina cade o viene sollevata sino al piano suddetto. « Per misurare il volume d'un solido si spalma leggermente con grasso o paraffina la superficie piana e resa orizzontale dell’orlo del bicchiere, si riempie questo d’acqua e di questa si regola la quantità insino a che essa nel bicchiere affiori esattamente alla punta dell’astina e che nella buretta il li- vello si trovi alla parte inferiore della graduazione. Quindi si aspira nella buretta un volume di acqua maggiore di quello del solido, s'introduce questo nel bicchiere e si lascia effluire acqua dalla buretta finchè il livello affiora nuovamente alla punta suddetta. L'aumento del volume dell'acqua rimasta nella buretta è uguale al volume del solido, che si suppone coperto intera- mente dall'acqua del bicchiere (!). (1) L’astina 4 potrebbe anche trovarsi fuori del liquido, colla punta rivolta all’ingiù e terminante nel piano dell’orlo del bicchiere. L’affioramento è indicato dal salire che fa il liquido lungo la punta, che deve essere asciugata ogni volta, per adesione; la deter- minazione è meno esatta che colla punta immersa, ma più facile. = (Sa « In questo modo si evita completamente l’errore che può provenire dalla variazione della quantità d’acqua rimasta aderente alle pareti del bicchiere, poichè questo è pieno fino all'orlo; si evita altresì l'errore che può derivare da variazioni della forma del menisco e della quantità d’acqua in esso con- tenuta, poichè il menisco manca affatto e la superficie libera dell’acqua è piana in tutta la sua estensione; finalmente l'errore derivante da una possibile differenza della posizione del livello dell’acqua prima e dopo l'immersione del solido, è reso se non nullo, almeno molto piccolo. « La sensibilità di questo modo di ridurre il livello d'un liquido sempre a una stessa posizione è, almeno teoricamente, grandissima. Difatti un ele- mento qualsiasi della superficie liquida, vicino alla verticale passante per la punta dell’astina, costituisce uno specchietto piano, orizzontale, mobilissimo, perfettamente equilibrato, il quale viene a ruotare d'un angolo relativamente grande quando il livello comincia ad essere anche menomamente deformato dalla punta. « Se quindi osserviamo l'immagine d'una linea (p. es. la linea di se- parazione d'un campo o di un oggetto oscuro da uno brillante) prodotta per riflessione sulla superficie del liquido, le parti della immagine che si trovano sulle visuali passanti presso la punta appariranno spostate e quindi l’imma- gine apparirà deformata, qualora la punta abbia fatto deviare anche in grado minimo la superficie del liquido. Spostando l'occhio in modo che la punta s'avvicini all'immagine della linea suddetta e anche l'attraversi, si trova fa- cilmente il punto di dove la deformazione di questa appare maggiore o per lo meno si osserva più facilmente e con maggior sicurezza. — Se la rota- zione della superficie del liquido è molto grande, lo spostamento dell'imma- gine è così grande che guardando verso la punta apparirà un punto luminoso in campo oscuro, o una macchia oscura in un campo brillante. « In pratica è difficile ottenere tutta la sensibilità e specialmente tutta la precisione che risultano teoricamente ; è probabile che la distanza alla quale la punta comincia a deformare sensibilmente la superficie liquida non sia rigorosamente costante neppure per uno stesso liquido in condizioni apparen- temente immutate; tuttavia il grado di sensibilità e di precisione realmente ottenibili sono sufficienti per lo scopo attuale; e così per una differenza di 0,001 mm. fra le due posizioni del livello prima e dopo l'immersione del solido, l'errore nel volume di questo è solamente di 0,1 mm?. per ogni cm? dell’area della sezione della bocca del recipiente. « Avviene talvolta che l’acqua non bagna bene la punta, e quando questa trovasi ancora a distanza relativamente grande sotto la superficie dell’acqua, questa si spezza formando una depressione che termina sulla punta, più o meno vicino alla sua estremità, e che non sparisce se non quando la punta si trova ancora molto più al disotto del livello. Ho cercato di evitare questo inconveniente, che rende impossibile di ridurre con qualche esattezza il li- -— 303 — vello ad una stessa posizione, ed ho trovato che se l'astina è di vetro, l’ar- roventare la punta per liberarla da traccie di grasso riesce piuttosto dannoso che utile; il lavarla con ammoniaca, soluzione di carbonato sodico, acido ni- trico bollente, e così pure l’aggiungere all'acqua un po’ di glicerina per au- mentarne la scorrevolezza riesce pressochè inutile. Trovai invece utile lo scio- gliere nell'acqua un po’ di sapone (usai quello cosidetto di glicerina) che probabilmente rende possibile che sussista al disopra della punta una pelli- cola liquida anche sottile ; la soluzione deve essere recente e deve esser la stessa prima e dopo l'immersione del solido, per evitare che la punta possa cominciare a deformare la superficie liquida a distanze diverse. È utile altresì di provare la punta prima di fissarla al bicchiere (il vetro vecchio pare meno adatto di quello recente) immergendola ripetutamente nell'acqua, e sce- gliendone una che non manifesta alcuna tendenza a dar origine alla suddetta depressione. Questo inconveniente si evita pure completamente usando, invece di acqua, petrolio. « Qualora il volume del solido che si vuol determinare sia maggiore della capacità della buretta, si potrà con una pipetta calibrata aspirare dal bicchiere in una o più volte un volume sufficiente e misurato di liquido ; oppure si potrà far uso di una pipetta non calibrata e misurare il volume di liquido tolto coi soliti recipienti graduati. Si dovrà poi al solito ottenere l'esatto affio- ramento del livello dell’acqua alla punta mediante la buretta. « È comodo altresì l’uso d’una buretta chiusa in fondo da un rubinetto a tre vie invece che da uno semplice; si può così aspirare successivamente un volume misurato di liquido e lasciarlo effluire per la terza via, ripetendo l'operazione, finchè si è tolto dal bicchiere un volume sufficiente di liquido. « Molte misure eseguite con questo metodo diedero valori concordanti, entro i limiti d'esattezza della buretta ». Fisica terrestre. — Alcune considerazioni sui differenti me- todi fino ad oggi adoperati nel calcolare la velocità di propaga- zione del terremoto andaluso del 25 dicembre 1884. Nota del dott. G. AGAMENNONE, presentata dal Socio P. TACCHINI. « Tra le molte relazioni pubblicate intorno a questo terremoto, le più notevoli sono senza dubbio quella della Commissione italiana (') e l’altra della Commissione francese (*). In entrambe si ritiene che, ad eccezione dell’ora (1) / terremoti andalusi cominciati il 25 dicembre 1884. Memoria di T. Taramelli e G. Mercalli, pubblicata negli Atti della R. Acc. dei Lincei, anno CCLXXXIII, 1885-86. (2) Mission d'Andalusie. Etudes relatives au tremblement de terre du 25 décembre, 1884 etc. Mémoires présentés par divers savants à l’Acad. des Sc. de l’Inst. Nat. de France, — 304 — ottenuta all'Osservatorio astronomico di S. Fernando presso Cadice, tutti i dati di tempo osservati nella Spagna, lasciano molto a desiderare in quanto ad esattezza. Così le diverse ore, fornite da città anche assai importanti, sono talmente incerte ed in contraddizione tra loro, che la Commissione italiana credette bene di rinunciare a qualsiasi calcolo sulla velocità di propagazione delle onde sismiche. Stando alla Commissione francese, le indicazioni orarie fornite in Spagna sia dagli orologi dei privati, sia da quelli degli stabili- menti pubblici, sia infine da quelli delle ferrovie, variano da 9° 9% a 9° 34" p.! Tanta diversità nei dati del tempo non può spiegarsi colla sola differenza di longitudine, ma deve per la maggior parte attribuirsi agli orologi mal rego- lati; di guisa che anche la Commissione francese venne alla conclusione che non solo era impossibile di servirsi delle varie ore per la determinazione della velocità di propagazione del movimento, ma eziandio di fissare, a mezzo delle stesse, la posizione e la forma dell’epicentro. « Ma nella Relazione francese si trova riportata a pag. 22 la seguente osservazione interessante, fatta in Andalusia, che a prima vista parrebbe con- durre ad una soddisfacente soluzione nella ricerca della velocità : «..... au «moment de la première et principale secousse, deux employés de l’admi- « nistration des télégraphes, l'un è Malaga, l'autre è Velez Malaga, étaient « en train de correspondre. Ce dernier, surpris par la secousse, cesse brusque- « ment la correspondance. Son collègue s'étonne de cet arrèt subit, lorsque, «6 secondes environ après l’interruption de la dépéche, il sent è son tour la « secousse. Or la distance de Velez Malaga à Malaga est d’environ 30 Kilo- « mètres, et si l'on tient compte de la distance de ces deux localités au point « médian de la zone centrale, d'où l'on peut supposer que partait à peu près «le mouvement, il en résulte que l'ébranlement se serait propagé avec une « Vitesse d'au moins 1500 mètres pas seconde. La vitesse ainsi déterminée « est un minimum, car le chiffre de 6 secondes constaté entre l’arrivée du « mouvement ondulatoire à Velez Malaga et à Malaga est un maximum. En « réalité, la durée de la transmission du mouvement sismique a été de 4 à «6 secondes, et, par suite, la vitesse observée a été comprise entre 1500 e «2200 mètres; mais si l'on tient compte de ce que la position de la partie « médiane de la zone centrale n'est pas exactement connue, il faut en conclure «que la vitesse de propagation en question a pu dépasser ces nombres ». Ed infatti, attenendoci alla posizione dell’epicentro stabilita nella Relazione ita- liana, si trova che Velez Malaga e Malaga distando rispettivamente circa 22 e 44 km. dall’epicentro, la distanza percorsa dalle onde sismiche sarebbe ap- t.XXX,n.2.— Gran parte delle notizie ivi contenute sono riportate nell'opera del sig. F. Fou- qué: Les tremblements de terre. Paris, 1889 a pag. 120 e 286-307; come pure nel t. C dei Comptes Rendus di Parigi, 1° sem. 1885, pag. 598, 1049, 1113, 1486. — 305 — prossimativamente di 22 km.; il che darebbe una velocità di 3666 o di 5500 metri al secondo, a seconda che si assuma nel calcolo l'intervallo mas- simo di 6 secondi o quello minimo di 4 ('). Ma da questi calcoli noi non pos- siamo attenderci alcun risultato serio, perchè la velocità dipende dalla posi- zione dell’epicentro, la quale è naturalmente alquanto indeterminata; e la prova ne è che, stando alla Commissione francese, Malaga sarebbe soltanto 9 km. più distante di Velez Malaga per rispetto all'epicentro, invece che 22. Adunque, essendo così indeterminata la distanza vera, percorsa dalle onde sismiche, e troppo incerto il tempo impiegato a percorrerla, non deve recare maraviglia il trovare tanta discordanza tra i valori della velocità che si pos- sono dedurre dall'osservazione fatta all'ufficio telegrafico di Malaga. Un'altra ragione per non prendere in alcuna considerazione le predette velocità si è che, stando alla Relazione italiana, sembra che sì tratti di una replica (del 26 dicembre 1884) e non della grande scossa del 25 dicembre come si dice nella Relazione francese nel brano testè riportato (?). « Però le onde sismiche, propagandosi a distanze ben più ragguardevoli al di fuori della Spagna, giunsero a perturbare i magnetografi a registrazione continua di Lisbona, Parigi, Greenwich e Wilhelmshaven; e le ore del loro passaggio nelle suddette località risultando sufficientemente garantite, tenuto conto delle ragguardevoli distanze, si potevano prestare assai bene al calcolo della velocità. Se non che la Commissione italiana non credette utilizzare tali ore, perchè si trattava di fenomeni troppo isolati per poter coneludere con certezza che essi fossero veramente l’effetto dell'arrivo del movimento sismico andaluso fino a quei punti così distanti, anzichè dipendenti da fenomeni locali. Ma in occasione dell'altro non meno celebre terremoto ligure del 23 feb- braio 1887 si verificarono nuovamente consimili perturbazioni nei magnetografi d'Europa, anzi questa volta in maggior numero di osservatori. « Nella relazione della Commissione francese sul terremoto dell’Anda- lusia, pubblicata appunto dopo il terremoto ligure, si utilizzano i nuovi fatti e si discute sulle possibili cause di siffatte perturbazioni. In tale discussione si è maggiormente inclinati verso l'ipotesi che quest'ultime siano dovute alla conseguenza diretta d'una trasmissione del movimento nel suolo anzichè allo sviluppo di correnti elettriche; ed in seguito, senza volersi pronunciare defi- nitivamente su tale questione, allora molto dibattuta, si fa un tentativo nel (1) Nella Relazione italiana si dubita che la stessa velocità di 3666 metri al secondo sia troppo grande, perchè quasi 9 volte maggiore della media (416 metri) delle velocità trovate in sette terremoti da Schmidt, Mallet, Seebach e Lasault. (2) Nel rapporto del Fouqué: Zxplorations de la Mission chargée de l’étude des tremblements de terre de l’Andalusie, pubblicato nei Comptes Rendus di Parigi (t. O, 1° sem. 1885, pag. 1049) si trova pure riportata quasi con le stesse parole l'osservazione fatta a Malaga; ma il fatto viene riferito al 26 dicembre 1884, come appunto si dice nella Relazione italiana. ===oreecer. o er” mu cà E SI IA re prego — pa na | — 306 — calcolare la velocità di propagazione in base alle ore di Cadice (9° 18) Lisbona (9% 19"), Greenwich (9% 25") e Wilhelmshaven (9° 29"), ore tutte espresse in t. m. di Parigi. Ecco il risultato a cui giunse la Commissione francese : « Combinando Cadice con Lisbona si trova una differenza di distanza delle stesse da Alhama (assai vicina all’epicentro) di circa 220 km. e una velocità di metri 3600 per secondo. « Combinando Alhama con Greenwich si trova, sopra una distanza di 1650 km., una velocità di 4500 metri. « Combinando Alhama con Wilhelmshaven si trova, sopra una distanza di 2040 km., una velocità di 3100 metri. « Combinando Greenwich con Wilhemshaven sì ottiene una differenza di distanza delle medesime da Alhama di 390 km. ed una velocità di 1600 metri. « Però, quasi tutti questi calcoli sono inesatti a causa di parecchi equi- voci commessi. Così nel 1° calcolo si attribuisce a Lisbona una maggior di- stanza di 220 km. da Alhama per rispetto a Cadice, mentre in realtà tale valore è assai più grande. Nel 2° e 3° calcolo, mentre si combinano le ore di Greenwich e Wilhelmshaven con quella di Cadice, le distanze invece si assumono da Alhama, ed in tal modo le medesime risultano circa 200 km. più grandi. Finalmente nel 3° calcolo, non si sa perchè, sembra che siasi diminuita di un intero minuto la differenza tra le ore di Cadice e Greenwich. « Rifacendo i calcoli a dovere, conservando gli stessi dati orarî della Commissione francese, e correggendo le sole distanze, contate a partire dal- l'epicentro, si ottiene quanto segue: Combinando Cadice con Lisbona sì ottiene la velocità di 4830 metri ” Cadice con Greenwich ” ” 8430» ” Cadice con Wilhelmshaven ” ” 2820» ” Greenwich con Wilhelmshaven » ” 1750» « Nonostante le correzioni apportate, questi valori, se da una parte ac- cennano in generale ad una forte velocità, sono però sempre molto divergenti tra loro e non ispirano davvero una grande fiducia (!). Tant'è vero che il capi- (1) Nella Meteorologische Zeitschrift del febbraio 1885 a pag. 76 si trova una breve Nota del dott. Eschenhagen, in cui dopo aver descritti gli effetti del terremoto andaluso sopra gli strumenti magnetici di Wilhelmshaven, egli termina col fare alcune considera- zioni sulla velocità di propagazione. In mancanza di dati orari più sicuri per la zona epi- centrale, il dott. Eschenhagen assunse l'ora 8% 53” (t. m. 1.) osservata a Madrid ed uguale a quella di Siviglia, e così trovò che le onde sismiche impiegarono 7 minuti per percorrere la distanza di 1650 km. dall’epicentro fino a Greenwich, 11,4 minuti per la distanza di 2040 km. dall’epicentro fino a Wilhelmshaven, e per conseguenza 4,4 minuti per percorrere — 307 — tolo sulla velocità di propagazione viene così chiuso nella Relazione francese: « Avec les données actuelles, il est impossible d'apporter plus de précision « dans les calculs de ce genre et, par suite, d'en tirer aucune conséquence « sérieuse ». « Di tale parere non è stato però il dott. Cancani, il quale in un recente lavoro (') è ritornato sulla questione; ed utilizzando anche l'ora di Parigi, sebbene meno attendibile rispetto alle altre, ha trovati i seguenti valori, che su per giù s'accerdano con quelli precedenti da me ricalcolati: Alhama — Lisbona, distanza di 530 km., velocità di 4200 metri » — Parigi, ” 1350» ” 5200 > ” — Greenwich, ” 1620» ” 3600.» ” — Wilhelmshaven, ” 2000.» ” 2800. » « Il Cancani ritenendo eccellenti i dati orarî su i quali ha fondato il precedente calcolo, ne conclude: «..... si vede chiaramente come col dimi- « nuire la distanza, la velocità che si deduce va crescendo, appunto perchè « col diminuire la distanza si fa maggiormente sentire sugli apparecchi l'effetto « delle onde longitudinali ». Anzi egli si fonda in special modo su questa velocità così variabile nel terremoto andaluso, per vedere pienamente confer- mato quanto il Wertheim (?) scriveva già fin dal 1849, sulla possibilità cioè che nei terremoti si riscontri realmente l'esistenza delle onde longitudinali e trasversali contemplate nella teoria dell’elasticità dei corpi solidi, le quali si propagano nell'interno di una massa indefinita, la prima con una velocità circa doppia della seconda. « Dinanzi ad una questione così importante io credo che valga la pena di studiare ancora più a fondo il presente terremoto andaluso, per vedere realmente fino a che punto possa il medesimo confermare le viste del Wertheim. « Intanto non posso fare a meno di rilevare che col metodo adottato dal la distanza di 390 km., che rappresenta la maggior distanza di Wilhelmshaven per rispetto a Greenwich contata dall’epicentro. Ecco le velocità che ne conseguono: Combinando l’epicentro con Greenwich circa 4000 metri. ” l'epicentro con Wilhelmshaven » 3000. » ” Greenwich con Wilhelmshaven » 1500.» Questi valori s’accordano abbastanza con quelli di sopra trovati. In base ad essi, il dott. Eschenhagen crede che forse la velocità diminuisce considerevolmente colla distanza, ed aggiunge che non bisogna dimenticare che Wilhelmshaven è circondata da suolo paludoso, il quale potrebbe aver ritardata la propagazione delle onde sismiche. Su tale interpreta- zione io mi riservo di tornare in altra circostanza. (1) Sulle ondulazioni provenienti da centri sismici lontani. Ann. dell’Uff. Centr. Met. e Geodinamico It., ser. 2%, vol. XV, parte I, 1893, pag. 13. (2) Mémoire sur la propagation du mouvement dans les corps solides et dans les 9 liquides. Ann. de chimie et de physique. Sér. 39, t. XXXI, p. 19. 2 RenpICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 41 — 308 — Cancani si prende per punto di partenza l'ora di Cadice e con essa si con- frontano successivamente le ore delle altre località più distanti. Ne consegue che se per una qualsiasi ragione l'ora di Cadice fosse troppo alta, anche di un sol minuto, tale errore basterebbe a spiegare a maraviglia il diminuire della velocità col crescere della distanza. Ed infatti, diminuendo di un sol minuto primo l’ora di Cadice, le velocità sopra riportate del Cancani si ridur- rebbero rispettivamente a 2850, 2800, 3200, 2600, e così sparirebbe la pre- sunta variazione colla distanza. Una spiegazione consimile si può dare nel calcolo, fatto dall’Offret, della velocità di propagazione del terremoto ligure del 23 febbraio 1887; poichè se l'ora di Mentone, sulla quale egli sì è com- pletamente basato, fosse realmente troppo bassa di qualche minuto soltanto, ciò spiegherebbe appuntino l'accrescimento della velocità colla distanza, legge del tutto opposta a quella notata dal Cancani pel terremoto andaluso. « Mi si accuserà giustamente di un pessimismo troppo spinto nel voler io supporre l'ora di Cadice errata d'un intero minuto primo, essendo notorio che la medesima fu dedotta dall’arresto di due pendoli astronomici del vicino osservatorio di S. Fernando. Io non ho difficoltà alcuna ad ammettere che quei pendoli fossero esattamente regolati fino entro pochi secondi; ma poichè lo scuotimento del suolo a Cadice avrà certamente avuta una sufficiente du- rata, chi sa dire a quale fase della scossa sarà avvenuto l'arresto dei pendoli? Quel che è certo sì è, come vedremo in seguito, che le ore dedotte dai ma- gnetografi di Lisbona, Parigi, Greenwich e Wilhelmshaven si riferiscono al principio della perturbazione, mentre potrebbe darsi benissimo che l’ora di Cadice si riferisse al massimo e fors'anco ad una fase ancor più inoltrata della scossa. Tale questione si trova pure accennata nella Relazione italiana, dove si ritiene che la scossa a Cadice dovette naturalmente cominciare 2 0 3 secondi prima dell'istante in cui si fermarono i pendoli. Anche nella Relazione francese si fa osservare che la discordanza nelle varie ore della Spagna può dipendere, oltre che da molte altre cause di errore, anche dalla circostanza che l'arresto degli orologi a pendolo non avvenne istantaneamente, bensì sol- tanto dopo un lasso di tempo variabile a partire dal momento della scossa e potè dipendere dal senso in cui giunse il movimento; e si fa inoltre notare assai giustamente che un orologio può arrestarsi al momento di una scossa consecutiva, mentre non è stato arrestato da una prima scossa, benchè più violenta, ma in direzione differente. Una bella conferma di ciò si ha nel grande terremoto degli Stati Uniti del 31 agosto 1886, in cui nella stessa Charleston, città assa vicina all’epicentro, degli orologi a pendolo, perfetta- mente regolati, fornirono ore assai diverse, perchè alcuni si arrestarono alla 1* fase della scossa ed altri, diversamente orientati, alla 2* fase della stessa, verificatasi circa 50 secondi dopo ('). Stando alla Relazione della Commis- (1) Nell’importante relazione del Capt. Dutton, Zhe Charleston Earthquake ecc. (United States Geolog. Survey, Ninth Ann. Report. 1887-88) si parla molto a lungo, a — 309 — sione spagnuola, la durata della scossa ha variato da pochi secondi fino a 60 secondi (a Cadiar) secondo le differenti località della Spagna. Ad Alhama, presso l'epicentro, ed a Cadice la durata si pone di 15 secondi; ma questo dato si deve forse ritenere come grossolanamente approssimato. Ad ogni modo io debbo fare osservare che l’uomo suole in generale apprezzare la durata del movimento assai minore di quella che sussiste in realtà; ed i diagrammi che si ottengono di continuo da adatti strumenti, tanto al Giappone quanto in Italia, stanno a provarlo irrefutabilmente. Dunque non solo non ripugna, ma è molto probabile l'ipotesi che l'ora di Cadice, per il solo fatto di essere stata fornita dall’arresto di pendoli, si riferisca ad una fase piuttosto avan- zata della scossa, mentre si sa che le ore delle località più distanti si rife- riscono invece al principio. Questa circostanza potrebbe, da sola, essere sen- z’altro la causa della decrescenza della velocità colla distanza, sopra accennata. « Il metodo poi adoperato dal Cancani e dall’ Offret, che consiste nel combinare direttamente l’ora più bassa con tutte le rimanenti, sarebbe irre- prensibile solo quando le ore fossero tutte esatte fino entro pochi secondi (se- gnatamente quella della località più prossima all’epicentro, che si prende nel calcolo per punto di partenza), ovvero quando le distanze di quest'ultima loca- lità da tutte le altre fossero così ragguardevoli da non farsi sensibilmente sentire un errore, anche di qualche minuto, nei dati del tempo. Ma nel caso pag. 384-385, del fatto che l’arresto di un orologio a pendolo può avvenire assai dopo il principio della scossa. In generale, qualora è stato possibile comparare gli orologi arre- stati con buone osservazioni personali, i primi mostrarono invariabilmente un tempo più alto. La differenza, dice il Dutton, è evidentemente dovuta al fatto che in generale si richiede un tempo considerevole prima che l’accumulazione degli effetti della vibrazione del fabbricato giunga ad arrestare un orologio a pendolo. A titolo di esempio mi piace qui riportare le differenze che si sono riscontrate in alcune località dagli Stati Uniti, tra le ore dedotte dall’arresto degli orologi e quelle osservate direttamente, in quei casi dove il confronto si rese .possibile. Intervallo decorso tra il prin- Nome Distanza cipio della scossa all’ epicentro È Differenza della località |dall’epicentro || il principio del mo- Tn Meo smonto ” | d'arresto dei pendoli È Ss s Nashville. ...| km. 705 144 186 42 Covington . . . 785 155 235 80 Cincinnati... 790 155 195 40 Pittsburgh. . . 845 174 294 60 Brooklyn. . .. 1035 204 294 80 New York... 1040 204 249 45 — 310 — del terremoto andaluso non verificandosi nè l'una, nè l'altra di queste condi- zioni, è prudente il non dare la preferenza ad alcuna delle ore osservate, per non essere esposti ad ottenere strani risultati. Facendo altrimenti, equivar- rebbe ad accordare all'ora prescelta quale punto di partenza, un peso tante volte maggiore delle altre ore, il che non è giusto fare senza speciali cir- costanze. Invece, tutte le ore possedute debbono ugualmente entrare nel cal- colo, e tanto meglio se siasi in grado di accordare a ciascuna di esse il rela- tivo peso, in seguito ad una conveniente discussione dei dati. Inspirato a questi concetsi è precisamente il metodo adoperato dai signori Dutton e Newcomb nel calcolo della velocità di propagazione del terremoto di Charleston, me- todo al quale mi sono io stesso attenuto nello studio dei terremoti di Zante del 1893 (!), avendolo trovato pienamente soddisfacente e superiore a tanti altri fin qui adoperati, e specialmente per il fatto che in questo metodo ven- gono di molto attenuate le conseguenze di qualche errore nei dati del tempo. È pur vero che il medesimo si basa sull'ipotesi che la velocità rimanga co- stante col variare della direzione e della distanza; ma se ciò in realtà non si verificasse prossimamente in natura, noî dovremmo aspettarci di trovarne la prova nei residui delle equazioni di condizioni da noi stabilite per il cal- colo de’ minimi quadrati. « In una prossima Nota mi riservo di far conoscere il risultato dei cal- coli da me condotti a termine, basati sopra le ore relative alle cinque loca- lità prese in considerazione dal Cancani. Naturalmente nel calcolare la velo- cità del terremoto andaluso, parto anch'io dall'ipotesi che le perturbazioni riscontrate nei varî magnetografi siano realmente da attribuirsi al passaggio delle onde sismiche, ipotesi che ormai si avvicina alla certezza, in seguito all'esperienza avuta in tanti altri terremoti posteriori a venire fino a’ nostri giorni (*). (1) Vedi il capo VI della Relazione del prof. Issel e dott. G. Agamennone: /ntorno ai fenomeni sismici osservati nell'isola di Zante durante il 1893 (Ann. dell’Uff. Centr. Met. Geod. It., vol. XV, parte I, 1893, p. 65, od anche i Rend. della R. Accad. dei Lincei, Classe di sc. fis., mat. e nat. Sedute del 17 dicembre 1893 e 15 aprile 1894). (*) Su di ciò possono consultarsi le seguenti mie Note: Sopra la correlazione dei terremoti con le perturbazioni magnetiche. Rend. della R. Accad. dei Lincei, vol. VI, p.21; seduta del 5 genn. 1890. I terremoti e le perturbazioni magnetiche. Id., vol. II, p. 479; seduta del 21 mag- gio 1893. Vedo con piacere che le idee, da me espresse in queste due Note, sono pienamente condivise dal sig. H. Wild in un suo importante articolo comparso nel Journal de S.*- Pé- tersbourg (dimanche 17 (19) juillet 1894) in cui egli riporta che anche il magnetografo di Pavlovsk fu perturbato in cecasione del terremoto di Costantinopoli del 10 luglio 1894. — 811 — Chimica fisica. — Ancora sulla dissociazione etettrolitica in relazione col potere rotatorio ottico. Nota di G. CARRARA e G. GENNARI, presentata dal Corrispondente NASINI. Chimica fisica. — Sulla rifrazione atomica del Selenio. Nota di I. ZOoPPELLARI, presentata dal Corrispondente NASINI. Chimica. — Sul trisolfuro di etenile. Nota del dott. P. Can- DIANI, presentata dal Corrispondente NASINI. Chimica. — Osservazioni sulle relazioni tra il peso moleco- lare e la densità ne’ corpi solidi e liquidi. — Sali alogenati. Nota di Uco ALviIsI, presentata dal Corrispondente NASINI. Chimica fisica. — Dissociazione elettrolitica e legge della diluizione nei solventi organici. Nota di G. CARRARA, presentata dal Corrispondente NASINI. Chimica. — Nuova sintesi di Cumarine. Nota di P. BIGINELLI, presentata dal Corrispondente BALBIANO. Chimica. — Sopra un nuovo alcool della lanolina. Nota di G. MARCHETTI, presentata dal Corrispondente BALBIANO. Chimica. — Sull’esistenza della Coniina nel Sambueus nigra. Nota del dott. G. De Sanctis, presentata dal Corrispon- dente BALBIANO. Le precedenti Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. MEMORIE DA SOTTOPORSI AL GIUDIZIO DI COMMISSIONI T. DeL Beccaro. Sui resti quadratici. Presentata dal SEGRETARIO. e ri —_ e = <" alal = com roc eto Steen 7 se Sin, = = ana = Srecrsa nao — 812 — PERSONALE ACCADEMICO Il Presidente BrIoscHI ricorda brevemente le perdite fatte dalla Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, durante le ferie, nelle persone dei Socî stranieri H. von HeLMmHoLTz e N. PRINGSHEIM. Il Segretario BLASERNA dà comunicazione delle lettere di ringraziamento, per la loro recente nomina, inviate dal Socio nazionale TAaccHINI, dal Cor- rispondente Piccini, e dai Socî stranieri: von BAEYER, HALL, PRESTWICH, RowLAND. PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLASERNA presenta le numerose pubblicazioni giunte in dono all'Accademia durante le ferie, segnalando quelle inviate dai Corrispon- denti: ArcanGELI, MiLLosevica, NASINI, VERONESE; e dai Socî stranieri: CayLEey, KLEIN, Lévy, PoIrncaRE. Presenta inoltre un volume, inviato dalla vedova del prof. HERTZ, contenente le Ze lezioni sui principi di Meccanica, fatte all'Università di Bonn dal defunto Socio straniero. Lo stesso Segretario BLASERNA segnala inoltre all'attenzione degli accademici un volume del Ca- talogo di pubblicazioni scientifiche, edito dalla Società Reale di Londra; un volume delle Opere di Fermat edite sotto gli auspici del Ministero della Pubblica Istruzione di Francia; il 7° fascicolo contenente i Azsultati sezen- lifici delle campagne del Principe di Monaco. Il Socio TopARo presenta il 3° e 4° volume del periodico di morfologia animale da lui diretta, colle seguenti parole : « Fo omaggio all'Accademia del terzo volume e dei due primi fascicoli del quarto volume delle ARzcerehe fatte nel Laboratorio di Anatomia nor- male di Roma ed in altri Laboratori biologici. « La pubblicazione di questo periodico venne iniziata nel 1873, anno in cui apparve il primo volume. Il secondo volume venne pubblicato nel 1878. Dopo tale anno ne era stata sospesa la pubblicazione, a motivo che la mag- gior parte dei lavori del predetto laboratorio vennero pubblicati nei Rendi- conti e nelle Memorie dell’Accademia. Ma una pubblicazione speciale della morfologia animale, oramai che in Italia si sono accresciuti notevolmente i cultori di questa scienza, s'impone necessariamente da sè; e però io ho voluto riprendere l'antica pubblicazione, col renderla atta a raccogliere quanto d’'im- portante si fa presso noi in tale scienza. — 313 — « Nei due volumi che vi presento troverete infatti, non solo i lavori eseguiti nel laboratorio che io dirigo, ma altresì lavori notevoli dei migliori cultori della morfologia in Italia, lavori che si conterranno anche nel fasci- colo che chiude il volume dell’anno attuale, già in corso di stampa, e nel primo fascicolo del prossimo anno, pel quale i lavori sono già pronti. « A me pare che con tale pubblicazione si venga a tutelare meglio la produzione scientifica italiana, nè gli stranieri potranno più addurre il mo- tivo di ignorare quanto in questa scienza si fa in Italia, trovandosi ora riu- nite in un periodico le memorie di morfologia animale che prima venivano disperse in varî giornali di natura diversa ». CONCORSI A PREMIO Il Segretario BLASERNA dà comunicazione dell'elenco dei lavori presen- tati al Concorso SANTORO, scaduto il 30 giugno 1894. 1. GartI MaRrIO. — Soluzione del problema delle rotative, del pro- blema della motrice ad aria compressa calda ece. applicate alla filatura. 2. NorarI Pietro. — Mlatura meccanica ed automatica della lana di legno. CORRISPONDENZA Il Segretario BLASERNA dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti. . Ringraziarono per le pubblicazioni ricevute : La R. Accademia delle scienze di Amsterdam; le Società di scienze naturali di Emden e di Chemnitz; il Museo di geologia pratica di Londra; il Museo Nazionale di Buenos Aires. Annunciarono l'invio delle proprie pubblicazioni : Il Ministero di agricoltura, industria e commercio di Amsterdam; la Società scientifica di Santiago; la Società geologica di Calcutta; le Univer- sita di Basilea, di Halle, di Marburgo, di Tokyo; la Scuola politecnica di Berna; l’ Osservatorio v. Kuffner di Vienna; l’ Osservatorio Radcliffe di Oxford. E 34 — OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 18 novembre 1894. Albert 1, prince souverain de Monaco. — Résultats des Champagnes scien- tifiques accomplies sur un Yacht. Fasc. VII. Monaco, 1894. 4°. Bilancio tecnico della Società di mutuo soccorso in Napoli detta Fondo del Grano. Roma, 1894. 8°. Bochicchio N. — Contibuzione allo studio delle fermentazioni casearie. Mo- dena, 1884. 8°. Id. — Nota chimico-batteriologica sul vino cotto abruzzese. Casalbordino, 1894. 8°. Id. — Nuovo contributo allo studio del gonfiamento dei latticini italiani. Modena, 1894. 8°. Catalogue of scientific papers (Royal Society). Vol. X. London, 1894. 4°. Choffat P.— Flore fossile du Portugal. Nouvelle contribution è la Flore mé- sozoique. Lisbonne, 1894. 4°. Fischer Th. — Uebersicht ueber die wissenschaftliche Litteratur zur Lénder- kunde Sideuropas. S. 1. 1893. 8°. Giannelli L. — La forma del cervello nei plagiocefali. Siena, 1894. 8°. Id. — Nuovo processo di topografia della scissura di Rolando ecc. Siena, 1894. 8°. Id. — Sopra alcune anomalie dei vasi. Siena, 1894. 8°. Id. — Topografia cranio-rolandica nei plagiocefali. Siena, 1894. 8°. Ginzel FP. K. — Untersuchungen iber die Bahn des Olbers'schen Cometen. I Th, (Veròff. d. Rechen-Inst. d. K. Sternw. zu Berlin N. 3). Berlin, 1893. 4°. Harperath L. — Die Welt-Bildung. (Chemische Briefe. V.). Koln, 1894. 8°. Klein C. — Optische Studien an Granat, Vesuvian und Pennin. Berlin, 1894. 8°. Klossovsky A. — Distribution annuelle des orages à la surface du globe terrestre. Odessa, 1894. 4°. ld. — Organisation de l’étude climatérique spéciale de la Russie etc. Odessa, 1894. 8°. Langley. — Nouvelle recherches sur la région infra-rouge du spectre solaire. Paris, 1894. Leighton V. — The development of the wing of Sterna Wilsonii. Tufts College, 1894. 8°. Levy M. et Pavie G. — Étude des moyens mécaniques et électriques de traction des bàteaux. Paris, 1894. 4°, — 315 — Me Adie A. — Protection from lighting. Washington, 1894. 8°. Millosevich E. — L'èra volgare. Roma; 1894. 8°. Monticolo A. — Ciclesigrafo, nuovo strumento da disegno. Rio marina, 1893. 4°. Id. — Planimetro ortogonale. Milano, 1894. 8°. Namias R. — Fotochimica dei sali di Mercurio e processi fotografici basati sul loro impiego. Modena, 1894. 8°. Oldham R. D. — A manual of the geology of India. Calcutta. 1893. 8°. Riecò A. e Arcidiacono S. — Osservazioni puteometriche eseguite nell’Os- servatorio di Catania. Catania, 1894. 8°. Id. e Saija G. — Confronto della temperatura all'Osservatorio etneo ed al- l'Osservatorio di Catania. Catania, 1894. 8°. Ricerche fatte nel laboratorio di Anatomia normale della R. Università di Roma ecc., pubblicate da F. Todaro. Vol. III, IV, 1-2. Roma, 1893-94. Ricerche sperimentali eseguite nell’anno 1893 nell'Istituto di chimica gene- rale della R. Università di Padova, diretto dal prof. R. Nasini. Padova, 1894. 8°. Setti E. — Osservazioni sul Distomum gigas Nardo. Genova, 1894. 8°. Stone E. J. — Catalogue of 6424 Stars for the epoc 1890. Oxford 1894. 4°. PB: — 8317 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI TS Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 25 novembre 1894. A. MressepAGLIA Vicepresidente MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Fisica terrestre. — Velocità superficiale di propagazione delle onde sismiche, în occasione della grande scossa di terremoto del- lAndalusia del 25 dicembre 1884. Nota del dott. G. AGAMENNONE, presentata dal Socio P. TACCHINI. « Facendo seguito ad una mia precedente Nota (') sullo stesso argomento, comincio dal premettere i dati orarî che servirono a stabilire le equazioni di condizione, per risolvere il problema proposto col metodo de’ minimi quadrati : « Cadice. — All’Osservatorio astronomico di S. Fernando, presso Cadice, si arrestarono per la scossa due orologi a pendolo a 8° 43" 555 (t. m. 1.), la quale ora corrisponde a 9" 18" 5 (t. m. Parigi) (?). Trattandosi di orologi astrono- mici, questo dato orario sarebbe senza dubbio sicuro entro pochi secondi, se non vi fosse l'incertezza, abbastanza ragguardevole, relativa alla fase della (1) Alcune considerazioni sui differenti metodi fino ad oggi adoperati nel calcolare la velocità di propagazione del terremoto andaluso del 25 dicembre 1884. V. pag. 303. (2) L’ora 9* 18%, che si trova nel Fouqué (Les tremblements de terre) e nella Rela-. zione francese, è evidentemente data in cifra rotonda, non essendosi tenuto conto dei pochi. secondi in più. Ù RenpiconTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 42 è; è — 318 — scossa in cui avvenne l'arresto dei pendoli. Tenuto conto di siffatta questione, già da me accennata nella Nota precedente, non credo di esagerare nel sup- porre che l'ora di S. Fernando possa contenere un'errore di = 0", 5. « Lisbona. — La perturbazione registrata in quest'Osservatorio magnetico fu estremamente netta. Le curve della comp.° orizzontale, della comp.° ver- ticale e della declinazione furono tutte e tre bruscamente interrotte a 8° 33" (t. m.1.), ora che si riferisce senza dubbio al principio della perturbazione, e che corrisponde a 9% 79” 55,6 (t. m. Parigi) (!). La perturbazione è stata più forte nel declinometro e minore nella bilancia di Llyod. In tutti e tre gli strumenti magnetici la perturbazione ha perdurato circa 12 minuti e sembra sia stata prodotta da un unico urto; poichè le tracce, forti da principio, vanno poi gradatamente e assai regolarmente decresc endo, ciò che non sarebbe stato se altri urti fossero sopraggiunti, come appunto si era verificato tre giorni prima, in occasione di altra scossa. A. Lisbona la carta fotografica, su cui si ottengono le curve magnetiche, si muove colla velocità di circa 15" all'ora, ed a parere dello stesso direttore sig. Ioào Capello, l'incertezza nell'ora del principio della perturbazione può essere di +1" e difficilmente può raggiun- pere. « Parigi. — All'Osservatorio magnetico del Parc Saint-Maur, la pertur- bazione in quel magnetografo fu così piccola che da principio era passata inos- servata; ma in seguito il sio. Moureaux costatò una lieve indicazione, che dà 9" 24" (t.m. Parigi) per l'ora del principio. Poichè nei magnetografi francesi la carta fotografica scorre con una velocità di soli 10%" all'ora, così è ovvio che l'ora suddetta è meno attendibile di quella di Lisbona. E forse appunto per questa ragione non si è voluto tener conto dell'ora di Parigi nel calcolo della velocità, che si trova nella Relazione francese. « (Greenwich. — Esaminandosi attentamente le curve di quell’Osservatorio magnetico, scrive il direttore W. Ellis (*), si riscontrò una lieve perturbazione nel declinometro e nel bifilare a 9% 15" (t. m. 1.). Entrambi i magneti furono (1) Il Fouqué (Zes tremblements de terre, pag. 295) riporta l’ora 9* 19%, che certa- mente è la stessa di sopra, ma arrotondata; e la medesima ora, data in cifra rotonda, si trova a pag. 11 e 23 della Relazione francese. Ma quivi a pag. 18 viene pure riportata l’ora alquanto diversa 9% 20%, che probabilmente è l’arrotondamento dell'ora 9% 19% 575, la quale si trova scritta sopra il diagramma delle perturbazioni magnetiche, inserito a pag. 12. Non è poi improbabile che l’ora 9* 19% 575 sia stata sostituita per equivoco alla vera ora 9° 19m 58, 7, quasi identica a quella da me sopra calcolata; e con ciò resterebbe pienamente spiegata la differenza di un minuto in più. Questo mio modo di vedere sarebbe confermato dal fatto che anche negli altri due diagrammi, riportati nella stessa pagina, relativi alle scosse del 22 dicembre 1884 e del 23 febbraio 1887, si trovano scritte le ore 4h 15M 575 e 5° 51 575 (t. m. Parigi) invece delle rispettive 4° 15 58, 7 e 5h 51 55,7, che corrispondono appunto alle ore 3% 29% e 5% 5% (t. m. Lisbona), essendo precisamente di 46" 55,7 la differenza di longitudine, espressa in tempo, tra Lisbona e Parigi. (2) « Nature » t. XXXI, 1885, p. 262. — 8319 — contemporaneamente posti in oscillazione, ma i movimenti non ebbero affatto il carattere di quelli magnetici; e se in realtà essi furono prodotti dal terre- moto andaluso, sono un semplice effetto dell'urto, poichè i magneti sono pe- santi sbarre, appese a fili di seta di alcuni piedi di lunghezza. Circa 10 minuti dopo si riscontra, nel bifilare, indizio non dubbio di una 2* perturbazione. In corrispondenza alle perturbazioni magnetiche, nessuna anomalia nelle curve delle correnti telluriche. Riducendo l'ora di Greenwich alt. m. di Parigi si ottiene 9" 24" 27°, riportata tal quale dal Fouqué ('), il quale dice che la medesima si riferisce al principio della perturbazione, ed aggiunge che questa, benchè sia meno marcata di quella di Lisbona, nondimeno è ancora assai net- tamente indicata. — Poichè a Greenwich la velocità della carta fotografica è presso a poco di 15®® all'ora, così si può ritenere che l’ora relativa a questa località possa contenere un errore all'incirca uguale a quello di Lisbona (2). « Wilhelmshaven. — Secondo il dott. Eschenhagen (8), dei tre strumenti magnetici solo la bilancia di Llyod mostrò una percettibile traccia, mentre il declinometro rimase in perfetto riposo e non sì potè ricavar nulla dal bifi- lare, perchè la curva relativa era interrotta in quel punto per causa acciden- tale. La perturbazione incominciò a 9°* 52” (t. m.1.) e perdurò quattro minuti. Nuovi urti ebbero luogo a 9° 59%, 10% 0®, 10% 2, 10° 5". Il dott. Eschenhagen ritiene che la bilancia di Llyod abbia indubbiamente funzionato in questa occasione come una specie di sismografo. Il principio della perturbazione cor- risponde a 9" 28" 47° (t. m. Parigi), ora riportata tal quale dal Fouqué (4), il quale aggiunge che sebbene la perturbazione fosse, al pari di quella di Greenwich, meno marcata di quella di Lisbona, pure fu nettamente registrata. In quanto alla precisione dell'ora di Wilhelmshaven dirò che, in occasione del terremoto ligure del 1887, essendo stato nuovamente perturbato quel magne- tografo, il dott. Eschenhagen ebbe a dire che l'errore possibile nell'ora poteva stare entro un minuto, di cui mezzo dovuto al rilevamento sulla curva e mezzo all'orologio. (1) Les tremblements de terre, pag. 295. — Invece nella Relazione francese una volta si riporta l’ora 9% 24% ed un’altra volta 9h 25”, che certamente stanno a rappresentare l'ora da me data, ma arrotondata la 1° volta fino al minuto immediatamente inferiore e la 22 volta fino a quello immediatamente superiore. (2) In occasione del successivo terremoto ligure del 1887, il sig. W. Ellis, direttore dell’Osservatorio magnetico di Greenwich, interpellato in proposito, rispose che le ore rica- vate dalle proprie curve magnetiche potevano essere affette dall’errore di circa un minuto. (8) Met. Zeit. del febbraio 1885, pag 76. — « Nature » XXXI, 1885, p. 491. (4) Les tremblements de terre, pag. 295. — Invece nella Relazione francese si riporta l’ora 9° 29%, evidentemente data in cifra rotonda. Devesi pure ritenere inesatta l’ora 9.28.4 che il Fouqué riporta a pag. 1051 del t. C, dei C. R., secondo che egli stesso dice in altra successiva Nota a pag. 1436; ma è curioso ch'egli poi qui cambi quell’ora nell'altra del tutto diversa 9.19.26. — 320 — « Poichè nelle varie relazioni sulla grande scossa del terremoto andaluso si riporta la notizia che essa fu registrata anche negli osservatorî italiani di Moncalieri, Velletri e Roma, così sento l'obbligo di spendere su ciò qualche parola. — In quanto all'Osservatorio meteorico di Moncalieri, presso Torino, non mi è riuscito di rintracciare notizie precise in proposito, neppure nello stesso Boll. Mens. di Moncalieri e nel Bull. del Vulc. Ital. del prof. De Rossi; ma il fatto che non è stata da alcuno riportata l'ora, neppure approssimata, in cui la scossa fu osservata in questa città, fa giustamente supporre che non abbia quivi funzionato alcun sismoscopio o sismografo, ma che il passaggio delle onde sismiche abbia forse posto il solo tromometro in oscillazione. — Per 1’Os- servatorio meteorico di Velletri, presso Roma, trovo che si ebbe nel sismo- dinamografo del prof. Galli una leggerissima scossa alle 10° p. (t. m. Roma) (1), corrispondenti a 9° 19% 25S (t. m. Parigi), vale a dire ad un’ora superiore di pochi secondi a quella registrata a Lisbona, che pur dista dall’epicentro tre volte meno al confronto. Nella Relazione italiana si pone giustamente in rilievo l’inattendibilità dell'ora di Velletri, facendosi osservare che se essa fosse esatta, se ne dovrebbe inferire l'enorme velocità di circa 17000 metri al secondo. Perciò è a dubitare che il terremoto andaluso abbia realmente agito sul sismodinamografo di questa città, potendosi trattare di semplice coincidenza casuale, tanto più se si pensi che con lo stesso strumento si registrarono ben 104 scossette dal 25 al 31 gennaio, ossia in soli 7 giorni. Riguardo a Roma, il prof. De Rossi (?) dice che a 10° 15" (t. m. Roma) ossia a 9° 34" 255 (t. m. Parigi) egli trovò al tromometro eccessive ondulazioni. Roma si trova per rispetto all’epicentro ad una distanza intermedia a quelle di Parigi e Greenwich; e poichè a quest'ultime due località abbiam visto corrispondere all'incirca l'ora 9% 24" (t. m. P.), così non è improbabile che il tromometro abbia realmente risentito il passaggio delle onde sismiche, e che l'ora riportata dal De Rossi sia appunto elevata, perchè lo strumento fu forse casualmente osservato parecchi minuti dopo che dalla scossa venne posto in oscillazione (8). (1) Bull. del Vulc. Ital. del prof. De Rossi, XII, 1885, pag. 23. (2) Ball. del Vulc. Ital. del prof. De Rossi, XII, 1885, pag. 25. (3) Il De Rossi dal fatto che si ebbero indicazioni sismiche a Roma ed a Velletri, ne inferisce che di tutta l’Italia la zona romana e centrale fu più pronta a vibrare in con- seguenza dell’urto iberico. Imperocchè i registratori automatici, che esistevano anche in moltissimi altri osservatorî d’Italia avrebbero, dice egli, indicato il moto del suolo se si fosse notevolmente propagato al di fuori dell’Italia centrale. Io non posso condividere siffatta opinione, anzitutto perchè contro di essa starebbe l’osservazione di Moncalieri al nord della penisola italica, in secondo luogo perchè si può spiegare assai più facilmente la mancanza d’indicazioni strumentali nel resto d’Italia. Infatti, è assai più verosimile am- mettere che anche i tromometri di tutti gli altri osservatorî italiani siano stati perturbati al pari di quello di Roma; ma la perturbazione essendo cominciata a notte assai inoltrata PEN RON— « Da tutto ciò si vede l'impossibilità di poter trarre il menomo profitto dai dati orarî ottenuti in Italia. Lo stesso è a dirsi di alcune osservazioni fatte in altre regioni europee, come nel Belgio, in Svizzera, in Inghilterra e per- fino in Norvegia, come ora vengo ad accennare brevemeute. « Nella Relazione spagnuola sì riferisce che il passaggio delle onde sismi- che fu rilevato da un astronomo, mentre all'Osservatorio di Bruxelles stava osser- vando una stella (!). Stando però al giornale inglese « Nature» (XXXI, 1885, p. 249) risulterebbe soltanto che la sera stessa del terremoto il sig. Lagrange, mentre all'Osservatorio di Bruxelles era in procinto di fare alcune osservazioni, notò che il grande telescopio era spostato. Di più, l'indomani si trovò arre- stato un pendolo astronomico e gli altri marciare irregolarmente. — La sera del 25 dicembre, si ebbero due scosse a Zernetz nell’Engadina in Svizzera a Sh 17% ed a 11° (t. m. Berna) vale a dire rispettivamente a 7°. 56", 355 e 10° .89%. 35° (t. m. P.)(?). Ciò dimostra che la prima di esse avvenne circa mezz'ora avanti la grande scossa andalusa, e la seconda più di un'ora dopo. — Nella località The Rookery, Ramsburg, Wilte in Inghilterra, circa le 10° 20% p. del 25 dicembre, il sig. Alfredo Batson, stando in letto ed in eccellenti condizioni di quiete, sentì un sensibile urto di terremoto in direzione sud-nord. Io non so in qual tempo sia espressa la suddetta ora, ma in una comu- nicazione che lo stesso signore ha fatta al giornale inglese « Nature » (XXXI, 1885, p. 200) si dice che l'ora corrisponde bene col tempo dell'avvenimento del terremoto andaluso (*). — Finalmente trovo nella Relazione italiana che il terremoto si sentì fino in Norvegia, essendosi sperimentata una trepidazione nel paese di Lesjeskegen. « Nella Relazione italiana si dice che questi leggeri ed isolati movimenti di Lesjeskegen sono da ritenersi, al pari di quelli di Zernetz, di Greenwich e di Wilhelmshaven, dipendenti da fenomeni locali, e che se realmente il movi- mento sismico andaluso avesse attraversata tutta l'Europa, si sarebbe reso sen- sibile almeno in più di quattro punti. A sostegno di tale tesi si fa riflettere che non si osservò la minima alterazione nelle curve magnetiche registrate (dopo le 10° p., t. m. Roma) vale a dire un’ora più tardi dell'ultima ora regolamentare d’osservazione, potè la medesima passare del tutto inosservata. In quanto ai registratori automatici posseduti allora nei varî osservatorî italiani, si sa bene che i medesimi non potevano avere quella sensibilità che oggi hanno i recenti strumenti; e quindi non deve arrecare alcuna maraviglia se nulla indicarono, nella stessa maniera appunto che nulla in- dicò nella stessa Roma il protosismografo e microsismografo De Rossi. (1) Ciò si trova in una Nota del P. T. Bertelli nel Bull. Mens. di Moncalieri. Ser. 2*, vol. V, p. 171, come pure nel Bull. del Vulc. Ital. XII, 1885, p. 150, e nella Relazione francese. (2) Da una comunicazione di F. A. Forel nel giornale inglese « Nature » XXXI, 1885 p. 289. (3) Tale notizia è pure riportata nel Bull. Mens. di Moncalieri. Ser. 2°, vol. V, p. 11. — 322 — dagli strumenti pure delicatissimi del R. Osservatorio astronomico di Madrid e dei numerosi osservatorî astronomici d’Italia e di Francia, molto più vicini all'epicentro in confronto di. Greenwick e Wilhelmshaven. A questo proposito però io devo far riflettere che a quell'epoca nè in Spagna nè in Italia esi- stevano strumenti magnetici a registrazione continua, come disgraziatamente non esistono neppure oggi; e quanto alla Francia, è a dire che non aveva ancora cominciato a funzionare nel 1884 il magnetografo di Perpignan, assai vicino ai Pirenei, ma furono ben perturbati i magneti di Parigi quantunque assai più distanti. Di più, a causa della diversa sensibilità in cui si trovano gli strumenti magnetici nei varî osservatorìî d'Europa, non dovrebbe far me- raviglia se alcuni tra essi, benchè più vicini all'epicentro abbiano potuto nulla indicare (!). Pur non negando la possibilità che lo scoppiare di un forte terremoto in una data regione possa provocare altre scosse in contrade assai lontane, mi pare, dall'insieme dei fatti sopra esposti, che si possa più ragionevolmente supporre che, se non tutti, almeno gran parte dei fenomeni verificatisi in Eu- ropa la sera del 25 dicembre, siano l’effetto della propagazione delle onde sismiche irradiate dall’Andalusia, poichè queste non si resero sensibili soltanto in Svizzera, Inghilterra, Germania, e Norvegia, ma eziandio nel Portogallo, in Francia e nell'Italia, come di sopra si è visto. E questo mio modo di vedere sa- rebbe confermato dal comportarsi delle onde sismiche nel successivo terremoto della Liguria del 1887 ed in tanti altri notevoli verificatisi negli ultimi anni. * x x « Da tutte le precedenti discussioni consegue che non possiamo disporre che di soli 5 dati orarî da prendersi in considerazione, e cioè quelli di Ca- dice, Lisbona, Parigi, Greenwich e Wilhelmshaven. Abbiam visto che questi dati non hanno tutti lo stesso peso. Per semplicizzare alquanto il calcolo asse- gnerò il minimo errore di = 0", 5 all'ora di Cadice, di = 1" a quelle di Lisbona, Greenwich e Wilhelmshaven (dove la carta fotografica dei magne- tografi scorre in ragione di circa 15!" all'ora) e di + 2" all'ora di Parigi, dove la velocità della carta è di soli 10" (2). Per il computo delle distanze (1) Di ciò si è avuta una prova luminosa, per non parlare di altri, nei recenti terre moti della Grecia del 1893 e 1894, nei quali si è visto rimanere inerti i magnetografi di Pola e Vienna, mentre furono perturbati quelli di Osservatorî ben più lontani. È curioso, a tal proposito, anche notare che mentre il terremoto andaluso fu indicato dagli strumenti ma- gnetici del Pare St.-Maur, a Parigi, non lo fu invece da quelli dell’Osservatorio di Mont- souris, situato in questa stessa città, come viene detto nella stessa Relazione francese. (2) Ciò si trova in sufficiente accordo con quanto si asserisce nella Relazione francese a pag. 13: « En effet, les différents enregistreurs magnétiques en usage sont réglés de telle « sorte que le tracé des courbes s’allonge suivant les instruments de 10 è 15 millimètres «à l’heure. Un millimètre de longueur y correspond donc è un laps de temps de 4 à 8 » minutes, et comme on peut aisément apprécier le tiers de millimètre, il s’ensuit que « l’erreur possible est au plus de 2 è 3 minutes, et ancore doit-on considérer une telle limite « d’erreur. comme exagérée ». — pa delle predette località dal centro di scuotimento, dichiaro di aver preso per punto di partenza l'epicentro stabilito nella Relazione italiana, il quale si trova all'incirca alla lat. 36° 58' 30” N e long. 6° 22" W da Parigi. Ho cre- duto di esprimere le distanze in miriametri ed in cifra rotonda, e le ore fino ai decimi di minuto primo, allo scopo di agevolare non poco i calcoli e colla convinzione che l'errore di qualche chilometro nelle distanze e di qualche secondo nei tempi non può modificare sensibilmente i risultati, tenuto conto, al para- gone, dell'incertezza dei dati orarî posseduti ed anche della posizione dell’epi- centro. Seguono i dati, su i quali il calcolo fu basato, ed il risultato dello stesso (!). Nome Distanza Ora Ora ; ; i Differenza della località dall’epicentro osservata calcolata h m m h m m IRIPICEHNETOM ME e Mm. 0 9.16,9 Cadice (S. Fernando). . . 20 9.18,1 + 0,5 9.18,0 + 0,1 WASDONA REI I 49 9.190 9.19,5 — 0,4 Parigi (Parc. St.-Maur) . 141 9.24,0=2-2,0 9.24,3 —- 0,3 CrCenWiCke RA 164 9.24,4 + 1,0 9.25,6 — 1,2 Wilhelmshaven ...... 206 9.28,8 * 1,0 9.27,8 + 1,0 | Oragalliepicentro sing srt... MON T6n9 Velocità di propagazione . metri 5150 = 190 al secondo (2). « Ne miei calcoli sulla velocità dei terremoti di Zante del 1893 e poi di quelli della Grecia del 1867 avendo io attribuiti differenti pesi ai dati orarî, precisamente come ho fatto nel presente terremoto, è stato avanzato da qualche mio collega il dubbio che i risultati da me ottenuti potessero cam- biare notevolmente col variare dei pesi, nell'assegnamento dei quali entra real- mente alquanta arbitrarietà. Per togliere, a proposito di ciò, qualsiasi obie- zione sull’attendibilità del precedente risultato, ho creduto conveniente ripe- tere il calcolo facendo a meno dei pesi, vale a dire ritenendo ugualmente (1) I calcoli furono condotti collo stesso metodo già da me adoperato per i terremoti di Zante del 1893. (2) Prendo qui l'occasione per rettificare un equivoco da me commesso in una mia Nota precedente nell’assegnare l’errore probabile alle velocità di propagazione dei terremoti della Grecia del 19 e 20 settembre 1867 (Rend. della R. Acc. dei Lincei, seduta del 6 maggio 1894). Poichè in quelli calcoli adottai per la prima volta per unità di misura il miriametro ed il minuto primo, nel calcolare l’errore probabile della velocità, per una inavvertenza deplo- revole, adottai invece il chilometro ed il minuto secondo. Rifacendo il calcolo a dovere, si trova che gli errori probabili di quelle velocità, già pubblicati, devono farsi tutti sei volte più piccoli e precisamente come segue. a pag. 445, velocità di propagazione . . . . metri 450 = 70 al secondo » 448 b) ” » 1320 * 810 « ” » 2300 += 110 ” == "== r—_r_riiom vi >. ———o_———r î — 824 — x buone, ciò che a mio parere non è giusto, tutte le ore accettate. Il risul- tato del nuovo calcolo porta ai seguenti valori, assai vicini a quelli superior- mente ottenuti. Ora all'epicentro; > i ice. i OL 16,6 Velocità di propagazione . . metri 3060 + 220 al secondo. « Da ciò si vede che il dubbio sopra esposto non ha ragione di sussi- stere. Ad ogni modo io ritengo che il 1° risultato sia sempre il più proba- bile, perchè nel 1° calcolo si è appunto tenuto conto del fatto che non tutte le ore sono ugualmente buone. Si potrà più o meno sbagliare nel classificare i varî dati orarî secondo la loro bontà; ma a mio parere sarà sempre da pre- ferirsi un assegnamento di peso, che lasci alquanto a desiderare, piuttosto che farne a meno del tutto. « Per le 5 principali scosse di terremoto di Zante del 1893 (!) io trovai, come valori medi, le velocità di metri 2450 = 70 e 3340 = 230, a seconda che le ore introdotte nel calcolo si riferivano alla fase massima od al prin- cipio dello scuotimento registrato nelle varie località. Il valore di metri 5150 = 190, di sopra trovato per il terremoto andaluso, è intermedio alle due anzidette velocità, accostandosi di preferenza a quella più elevata. La ragione di ciò devesi forse ricercare nel fatto che mentre l’ora di Cadice, la località più prossima all’epicentro, appartiene probabilmente ad una fase piuttosto avanzata della scossa ed è dotata del massimo peso, al contrario tutte le restanti ore, di peso minore, si riferiscono al principio del movimento. Ad ogni modo bisogna convenire che l'accordo è più che soddisfacente, tenendo conto degli scarsi dati orarî posseduti e delle difficoltà ancora inerenti a si- mile genere di ricerche. Io credo che la velocità di circa 3000 metri, da me trovata pel terremoto andaluso, non si possa molto discostare dal vero, perchè gettando uno sguardo sull'ultima colonna della tabella riportata, noi troviamo tra le ore osservate e quelle calcolate differenze, che sono dello stesso ordine dei limiti di errore relativi ai dati orarî posseduti; anzi, per le prime tre località, tali differenze sono bene al di sotto dell’errore probabile ammesso. Nei miei calcoli io ho supposta uniforme la velocità; ma se questa ipotesi fosse realmente lontana dal vero, noi dovremmo accorgercene dalle stesse dif- ferenze ora accennate, poichè le medesime dovrebbero andare crescendo o de- crescendo secondo una data legge. Ora niente di tutto questo si verifica nel nostro caso, dappoichè il senso di lieve accrescimento che si verifica nelle differenze fino a Greenwich, invece di mostrarsi più spiccato, cambia per- fino segno per Wilhelmshaven, per la qual località la legge sarebbe pur do- vuta restare meglio assodata. Certamente non è impossibile l’esistenza di una (1) Vedi il Capo VI della Relazione del prof. A. Issel e dott. G. Agamennone: Intorno ai fenomeni sismici osservati nell'isola di Zante durante il 1893 (Ann. dell'Uff. Centr. Met. e Geod. It. Ser. 2*, vol. XV, parte I, 1898); od anche i Rend. della R. Accad. dei Lincei: sedute del 17 dicembre 1893 e 15 aprile 1894. — 325 — più o meno piccola variazione nella velocità delle onde sismische, quale po- trebbe esser causata da una modificazione di densità ed elasticità della crosta terrestre secondo le varie direzioni e le distanze, ma con i dati da noi pos- seduti non è possibile metterla in evidenza e tanto meno misurarla. Stando così le cose, l'ipotesi che la velocità di propagazione del terremoto andaluso sia rimasta presso a poco invariata fino alla maggiore distanza osservata, mi sembra l’espressione più naturale dei fatti ». Chimica fisica. — Ancora sulla dissociazione etettrolitica in relazione col potere rotatorio ottico (*). Nota di G. CARRARA € G. GENNARI, presentata dal Corrispondente NASsINI. « In un precedente lavoro sullo stesso argomento, comunicato alla R. Acca- demia dei Lincei nell'agosto 1893 e pubblicato nel vol. II, 1° sem., serie V*, fascicolo 5° dei Rendiconti di detta Accademia, uno di noi (G. Carrara), dopo aver largamente riassunto i precedenti lavori sopra questa interessante questione, e tra gli altri quello eseguito quasi contemporaneamente in questo laboratorio dal dott. Zecchini sulla coniina ed i suoi sali, mostrava: come soluzioni equimolecolari di parecchi sali di nicotina avessero un potere rota- torio specifico così vicino fra loro da ritenersi uguale, date le difficoltà speri- mentali che lo studio di dette soluzioni presentava e le grandissime differenze che i sali di nicotina mostrano quando si osservano in soluzioni concentrate. «In detto lavoro, discutendosi i risultati fino ad allora ottenuti, si mostrava come la teoria della dissociazione elettrolitica fosse in accordo col fatto che i sali attivi in soluzione acquosa, si riferiscano essi ad un acido 0 ad una base attiva, hanno lo stesso potere rotatorio quando in modo oppor- tuno si facciano i confronti. All’obbiezione poi che il potere rotatorio del- l'acido o della base in soluzione diluita dovrebbe essere uguale a quello dei sali, mentre invece non lo è, nella massima parte dei casi, si osservava che l'obbiezione era più apparente che reale perchè nei casi osservati trattasi di acidi e basi deboli e perciò poco dissociati in soluzione. mentre se si fosse trattato di acidi o basi forti questo fatto avrebbe dovuto avverarsi; ed a questo punto fu detto: « Io sto ora lavorando sul potere rotatorio dell’ acido amil- « solforico e dei suoi sali. Questo è un acido energico e, se la teoria è vera, « esso deve avere lo stesso potere rotatorio dei suoi sali. Anche lo studio che « ho intrapreso sopra i sali di diisoamilammina e della triisoamilammina, la « prima delle quali è una base assai energica, spero mi darà buoni re- « sultati ». « Nel fascicolo 4° del vol. XII della Zeitschrift fi physikalische Chemie, (1) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico della R. Università di Padova. RenpICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 49 er = — 326 — uscito il 24 Ottobre 1893, Hugo Hiàdrich pubblicò un lavoro assai interes- sante sopra questo argomento. L'autore esaminò alcuni sali di alcaloidi e pre- cisamente il cloridrato, nitrato, solfato, amigdalato ecc. di morfina, chinina, conchinina, cinconidina, brucina, stricnina, metilmorfina e alcuni sali doppî dell'acido tartrico trovando, in generale, una perfetta concordanza nel potere rotatorio molecolare dello stesso alcaloide sotto forma salina diversa e allo stesso grado di diluizione. Per esempio: risultati già avuti dal Landolt. (1) Berl Ber. VI, pag. 1362. Peso molecolare g ò i Tricloro- q FROM IZneon Cloridrato | Nitrato Solfato SIE: Amigdalato Morfina .... — 374 — 369 — 374 — 374 — 369 Chinina — 584 — 584 —_ — — 584 Conchinina . . + 726 + 726 + 726 —_ + 726 Cinconidina . . — 402 — 402 — 402 — 402 Peso molecolare in 40 litri di StrLCNINAve,:e — 113 — 1133 — 112 — — 113 BrucIna e — 136 — 136 —_ — = Lo stesso fatto trovò per i tartrati doppî confermando così in gran parte i « L'autore si pose pure la stessa obbiezione, concludendo che bisognava esaminare degli acidi o basi forti e perciò completamente dissociati. Queste sostanze però sono soltanto in piccolo numero fornite di potere rotatorio; fra esse rivolse l’attenzione sopra l'acido amilsolforico; ma per le difficoltà incon- trate nella separazione dell'acido attivo da quello inattivo, per le quali bisogna partire da grandissima quantità di alcool, l'autore non potè effettuare questa ricerca e si propose di ritornare in seguito sull'argomento. « Ora noi non abbiamo creduto di tralasciare il lavoro che uno di noi aveva annunciato circa due mesi prima del sig. Hiidrich e questo specialmente dopo che da un anno il sig. Hidrich non si è più occupato dell'argomento. « La preparazione dell'acido amilsolforico attivo è un'operazione assai lunga e noiosa, come fece giustamente osservare Ley (1). « Noi lo abbiamo preparato partendo da un alcool che dava la deviazione a=4.10 per 30 cent. di lunghezza, abbiamo usato il processo suggerito da Cahours, mescolando all'alcool un egual peso di acido solforico concentrato e lasciando in riposo per un giorno e trasformandolo poscia nel sale baritico — 327 — corrispondente, che poi venne cristallizzato frazionatamente, in modo da accu- mulare nelle porzioni più solubili l’amilsolfato attivo, secondo le prescrizioni di Pasteur. « Dopo una serie di cristallizzazioni la solubilità del sale per 100 d’acqua era 9.26 °/, a 12° nelle prime porzioni, salì poi a 10.57 a 10°, a 10.62 a 11° per raggiungere nelle ultime porzioni 11.81 a 12° Queste ultime sono assai prossime a quelle del Ley ('), il quale trovò nelle ultime porzioni una solubilità del 12.1 °/,; naturalmente non possiamo escludere che vi fosse pure in presenza una certa quantità di sale inattivo; ma non crediamo che ciò possa avere grande influenza sui risultati perchè avendo per ogni serie di esperienze adoperato sempre lo stesso acido, i confronti tra il potere rota- torio dei diversi sali stanno egualmente. « Il sale baritico dell'acido amilsolforico venne trasformato nell’acido corrispondente in soluzione acquosa per mezzo dell’esatta quantità di H, SO,, evitando per quanto era possibile il riscaldamento prolungato, il quale come è noto scompone l'acido. Nella soluzione da noi avuta non c'era nè acido sol- forico libero, nè bario. « Le determinazioni di concentrazione venivano poscia controllate per mezzo di una soluzione normale di potassa. I sali li abbiamo ottenuti aggiungendo gli alcali titolati a soluzioni eguali d’acido di concentrazione nota fino all’e- satta neutralizzazione e poscia portandoli tutti allo stesso volume; in tal modo sì avevano per ognuna delle due serie così esaminate soluzioni di concentra- zione tale, che contenevano un egual peso di sostanza attiva allo stesso grado di diluizione. « Le osservazioni le facemmo con un eccellente polarimetro a penombre Landolt-Lippich della fabbrica Schmidt e Haensch di Berlino di proprietà del prof. Nasini. Questo istrumento permette l'approssimazione di 1 centesimo di grado. Abbiamo usato pel solito la luce del sodio e per gli angoli picco- lissimi una lampada a gas di Hinks a tre becchi. «I pesi specifici delle soluzioni si riferiscono all'acqua a 4° e le pesate sono ridotte al vuoto. Il calcolo del potere rotatorio specifico della sostanza disciolta lo abbiamo fatto con la nota formola: 104 le = pa dove @ è l'angolo osservato, / la lunghezza del tubo in millimetri, d‘, il peso specifico, p sarebbe il percentuale di sostanza disciolta; ma noi avendo deter- minato direttamente e, la concentrazione, cioè la quantità di sostanza sciolta in 100 cc. di soluzione, al valore pd‘, sostituiamo il valore di e trovato sperimentalmente, perchè p d', = c. (1) Id. id. — 328 — « Abbiamo poi calcolato il potere rotatorio molecolare moltiplicando il valore [e] per M che è il peso molecolare della sostanza disciolta. I SERIE. | SOLUZIONI | t ! l da | C | « | [o ]în | M[e]h Acido amilsolforico. . ... | 26.8 | 800 |1.03352]| 14.688 | +0.72 | 1.63 | 274 Amilsolfato potassico. . . | 25.6 ” 1.05867 | 18.010 | +0.69 | 1.28 | 263 D) SOdIcOneete si 20.0) » 1.05570 | 16.611 | +0.74 | 1.48 | 281 ” ammonico . . | 26.5 ” 1.02613 | 16.180 | +0.72 1.48 | 274 II SERIE. SOLUZIONI | É | l ! di, | C « [a] M[e]p Acido amilsolforico. . . . 25.7 | 300 |1.04662]| 20.853 | +-0.99 15808205) Amilsolfato potassico. . . | 25.6 ” 1.08223 | 25.565 | +0.88 | 1.15 | 287 ” SOdICONa siesunn (2400 ” 1.07374 || 23.583 |==0192 0 ARONA » ammonico . . DIE2 ” 1.03841 | 22.963 | +-0.86 12011238 « Come si vede se noi teniamo conto del fatto che gli angoli osservati sono piccoli e che perciò gli errori di osservazione, che per ripetute prove fatte non sono maggiori di 1 a 2 centesimi di grado nella media delle 20 letture eseguite per ogni osservazione, possono influire in modo sensibile, dobbiamo concludere che l'accordo fra i risultati sperimentali e le previsioni della teoria è assai soddisfacente, specialmente nella prima serie di esperienze, appunto là dove, per trovarsi l'acido e i sali in soluzione più diluita, la teoria è applicabile. « Una piccola eccezione sembrerebbe che la facesse il sale potassico, per il quale le differenze col potere rotatorio molecolare delle altre soluzioni sono più grandi di quelle imputabili ad errori d'osservazione; ma, come mostreremo in seguito, questa eccezione è più apparente che reale, perchè appunto il sale potassico è quello che è meno dissociato in soluzione, come lo dimostrano gli abbassamenti molecolari del punto di congelamento delle sue soluzioni. « Nella serie II di soluzioni più concentrate l'accordo è meno soddisfa- cente che nella I, ma però sempre tale da non contraddire affatto le previsioni della teoria, specialmente se si prende in considerazione che la concentrazione qui è abbastanza elevata e tale da non potersi più considerare le soluzioni come veramente diluite. — 329 — « Ecco ora i risultati delle determinazioni crioscopiche fatte sopra dette soluzioni : Abbass. Coefficente Abbass. Concentrazione termom. d'abbass. molecolare amilsolfato potassico 20.499 3.79 0.1848 38 I Serie ’ sodico 18.688 4.23 0.2263 43 ” ammonico 18.091 4.13 0.2283 42 ‘| amilsolfato potassico 30.938 4.99 0.1603 33 II Serie ’ sodico 28.144 5.58 0.1982 38 ” ammonico 27.403 5.61 0.2047 37 « L'acido amilsolforico non venne esaminato, ma si sa del resto che gli acidi alchilsolforici, secondo le esperienze di Ostwald, sono acidi assai energici e completamente dissociati. « Da quanto abbiamo sopra esposto dunque crediamo che si possa con- cludere che soluzioni equimolecolari di acidi otticamente attivi completamente dissociati, hanno lo stesso potere rotatorio dei loro sali. Era dunque assai importante vedere se questo si verificava anche per le basi e perciò abbiamo preparato ed esaminato la diisoamilammina, base assal energica, sperando che fosse abbastanza solubile in acqua da poterne misurare l'angolo di rotazione, ma disgraziatamente vi è pochissimo solubile e perciò ci venne a mancare il termine di confronto più importante. Ci limitammo quindi a studiare alcuni suoi sali. « La preparazione della diisoamilammina attiva è altrettanto lunga e noiosa quanto quella dell'acido amilsolforico attivo. Abbiamo prima concentrato otticamente l'alcool amilico attivo seguendo il processo Le Bel; facendo cioè passare una corrente di H Cl gassoso e secco nell'alcool amilico scaldato a 100°, distillando il cloruro d’amile formatosi; frazionando l’alcool rimasto; ripetendo questo trattamento per parecchi giorni; in modo da non avere in ultimo che un alcool bollente a 127°-128°. « Riuscimmo così ad avere un alcool che deviava —6.1 per 300 mm. Questo alcool venne trasformato nel bromuro d’amile corrispondente, per mezzo del bromuro di fosforo; ottenemmo così un bromuro d’amile che bolliva a 117°-120° ed aveva tutti i caratteri descritti dal Le Bel (!). Questo bromuro d'amile venne trasformato nella diisoamilammina corrispondente, seguendo il processo di Plimpton (*), con ammoniaca alcoolica in tubi chiusi. « In questa preparazione come è noto si formano miscugli di mono- e di triisoamilammina; noi siamo riusciti dopo parecchie distillazioni frazionate ad ottenere la diisoamilammina bollente tra 180°-185° con tutti i caratteri (1) Boll. de la la Soc. Chim. de Paris, 25, 545. (2) Journ. Chem. Soc. I. 39° 331-342. 5-18 = 2 ta — a clan — x — 330 — descritti da Plimpton; aveva un peso specifico d,°° = 0.76964 e deviava per 100: e —M1885: « Anche per questa non si può escludere che vi fosse insieme diiso- amilammina inattiva; ma per le stesse ragioni dette già per l'acido amilsol- forico crediamo i risultati perfettamente comparabili. «I sali esaminati furono il solfato, l’acetato, ed il propionato; questi sali li abbiamo ottenuti neutralizzando un certo peso dell'ammina con solu- zioni di acido titolato. « Ecco ora i risultati avuti: SOLUZIONI | t | l di, | e | a | [a] ca Solfato d’isoamilammina | 20°.6 | 100 |1.01935 | 12.915 | +-0.28 | 2.17 | 446 Acetato ” 19°.8 | 100 |1.00068 | 13.604 | -+0.27 | 1.98 | 430 Propionato ” 219.0 | 100 |1.00045! 14.482 | +-0.27 | 1.86 | 430 | « Dall'esame della soprascritta tabella appare anche per la diisoamil- ammina, base assai energica, un soddisfacente accordo tra il potere rotatorio molecolare dei suoi sali, accordo tanto più interessante in quanto che si tratta di angoli assai piccoli, pei quali anche un errore di 1 o 2 centesimi di grado possono produrre sensibili differenze nel risultato finale. Concludendo dunque: anche queste nuove osservazioni da noi portate all’interessante argomento non fanno che confermare sempre più le previsioni della teoria della dissociazione elettrolitica, togliendo di mezzo una delle più forti obbiezioni ». Chimica fisica. — Su//a rifrazione atomica del Selenio ('). Nota diI. ZoPPELLARI, presentata dal Corrispondente NASINI. « Sul poter rifrangente del selenio non si trovano che pochissime deter- minazioni, e la sua rifrazione atomica può dirsi che non sia conosciuta. Il Gladstone (?) assegnò veramente come rifrazione atomica al selenio il nu- mero 30,5; ma questo valore non va d'accordo con quello che si ricaverebbe da alcune esperienze del Gladstone stesso sull’acido selenioso e selenico che condurrebbero a un numero molto più piccolo. È probabile che il Gladstone (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova. () Amer. Journ. of Science, (3), vol XXIX, pag. 55. Anno 1885, Present state of our Knowledge of Refraction Equivalents. — 331 — abbia dedotto il numero 30,5 dalle esperienze che J. L. Sirks (!) fece sopra il selenio solido e che qui riporto A a B C c D n= 2,654 2,692 2,730 2,787 2,857 2,98 « Queste esperienze del Sirks e quelle due del Gladstone di cui dirò in seguito seno le sole che io conosca sull'argomento. « Ho intrapreso lo studio ottico dei composti del selenio allo scopo di dare con qualche approssimazione la rifrazione atomica dell'elemento, e nel tempo stesso per indagare quali analogie e quali differenze presentano le sue combinazioni con quelle analoghe dello zolfo (*). Pur troppo tale studio non può farsi con esattezza che su pochi composti; quelli organici conosciuti non sono molti, e taluni facilmente si decompongono; quanto alle combinazioni inor- ganiche, ad eccezione dei sali degli acidi, è a dirsi presso a poco lo stesso. « Le esperienze ottiche sono state eseguite con un eccellente spettro- metro costruito da Hildebrand in Freiberg, di proprietà del prof. Nasini: questo strumento permette l’approssimazione di 10”. Il metodo eseguito è quello delle minime deviazioni prismatiche; gli indici si riferiscono alle righe @, #, y, dello spettro dell'idrogeno, ed alla riga D, i pesi specifici all'acqua a 4° e le pesate relative sono ridotte al vuoto. Come peso atomico del selenio adottai il numero 79. Selenio solido. « Come fu detto il Sirks determinò l'indice di rifrazione del selenio solido; dalle sue esperienze, ammettendo che il peso specifico del selenio stu- diato dal Sirks sia 4,65, si ricaverebbe per la riga H. (C dello spettro solare) ba, 1 Ha Dee, — ] O 0,38430 (x, :2)d = 0,14903 Ul aa Biesi =3090 INIZIO d ti (un, + 2)d4 Seleniuro di etile Se(C.H;), « Lo preparai secondo il processo di Rathke (8), cioè facendo agire il pentaseleniuro di fosforo sopra l’etilsolfato potassico e idrato potassico. « È un liquido incoloro, quasi inodoro che bolle fra 108°-109° (colonna nel vapore) alla pressione di mm. 760,2 ridotta a 0°. Il suo specifico a 27°,5 è 1,23039. (1) Pogg. Ann. CXLDI, pag. 429. I numeri sono riportati nel Jahresbericht, anno 1874, pag. 151. (2) Vedere il lavoro dei prof Nasini e Costa, Sulle variazioni del potere rifran- gente e dispersivo dello zolfo nei suoi composti. Roma. 1891. (8) Liebig’s Annalen. Vol. CLII, pag. 210. Anno 1869. — 352 — « Una determinazione della densità del suo vapore eseguita secondo il metodo di V. Meyer mi diede i seguenti valori: p=0,0373; V=6,6cc. {=24° H= 759,6. trovata calcolata per Se (CH): « Densità di vapore riferita all'aria. 4,80 4,74 « All’analisi ebbi i seguenti risultati : gr. 0,1894 di sostanza diedero gr. 0,1243 di H,0 e gr. 0,2458 di CO, trovato calcolato Cio 35,97 85,03 H®5 (9 7,29. Biseleniuro di etile Ses(C.H;)» « Lo preparai aggiungendo del selenio al monoseleniuro di etile e lasciando a ricadere per circa tre ore a 70° e poi distillando. «È un liquido giallo rossastro, di odore nauseante, che bolle tra 1869,9- 187°,9 (corr.) alla pressione di mm. 758,05 ridotta a 0°. Il suo peso spe- cifico a 21°.6 è 1,60823. « La determinazione di densità di vapore mi diede i seguenti risultati : p=0;0498° V—=#5:9cc. = 21% HI=76055 trovata calcolata per Ses (CaHs)s « Densità di vapore 7,20 TAT. Selenoxene Se CyHs « Lo preparai seguendo il metodo di Paal (!) cioè per l’azione dell’ace- tonilacetone sopra il pentaseleniuro di fosforo. « È un liquido facilmente movibile, incoloro, di odore debole ma poco gradito, che ricorda quello del tioxene. « Bolle fra 154°,7-156°,72 (corr.) alla pressione di mm. 758,2 ridotta a 0°. Il suo peso specifico a 269,1 è 1,23186. « La determinazione di densità di vapore mi diede: Pi==107038 207 V=ddTce. i = 222 NHT—W5701C trovata calcolata per Se CsHs « Densità di vapore 5,30 5,50 « All’analisi gr. 0,1826 di sostanza mi diedero gr. 0,0864 di H;0 e gr. 0,3030 di CO, trovato calcolato Col, 45,25 45,28 H°/, 5,26 5,03. (1) Berl. Ber. Vol. XVIII, pag. 2255. Anno 1885. — (1398. — Acido selenico H,Se0,y « Proveniva dalla fabbrica E. Merck in Darmstadt. Per assicurarmi della purezza del prodotto ne determinai l'acidità, e poi sopra altra parte della stessa soluzione feci la determinazione ponderale di selenio, precipitandolo con anidride solforosa dopo d'aver aggiunto alla soluzione acido cloridrico per ridurre l'acido selenico in selenioso. « La determinazione dell'acidità diede il 41,81°/,, e l’analisi ponderale il 41,47°/, d'acido. « Le osservazioni ottiche le feci sopra due soluzioni acquose contenenti l’una il 41,8112 e l’altra il 27,834°/, d’acido. « Come poter rifrangente specifico dell'acqua presi i seguenti valori ei Hal 3 ai (ni Uri ARRE FIS — IE ma 0,3338352 (E oa 70 0,20609. Acido selenioso H,Se 0, « Come accennai più sopra, l'acido selenico e l'acido selenioso sono stati studiati dal Gladstone. Per l'acido selenico in soluzione al 9,36°/, trovò la rifrazione molecolare essere 24,60 per la riga A e per la formula », per l'acido selenioso in soluzione al 15,40 °/, trovò per la stessa riga e per la stessa formula il valore 26,39. « Preparai quest'acido per ossidazione del selenio con acido nitrico. La massa ottenuta la purificai mediante ripetute cristallizzazioni. L'acido così ottenuto è in cristalli esagonali un po’ efflorescenti, solubili in acqua ed in alcool. « Le osservazioni le feci sopra due soluzioni acquose, l'una al 30,593 °/ e l’altra al 22,9711°/, d'acido. . Selenocianato potassico Se CNK « L'ebbi secondo il processo indicato da Crookes (*), cioè per azione del selenio sopra il cianuro potassico. È in cristalli aghiformi deliquescenti all'aria, solubili in acqua ed in alcool. Purificai il prodotto mediante ripetute cristal- lizzazioni. Per assicurarmi della purità del composto, ho fatto la determina- zione di selenio, precipitandolo con acido cloridrico. Gr. 0,6924 di seleno- cianato diedero gr. 0,3765 di selenio disseccato a 100°: trovato i calcolato Selo 54,37 54,86. « Nelle tabelle seguenti, che non hanno bisogno d'’illustrazione, sono rac- colti i risultati delle osservazioni e dei calcoli relativi. (1) Liebig*s Annalen, vol. LXXVII, pag. 177. Anno 1851 RexnpiconTI. 1894, Vol. IMI, 2° Sem. 44 WI iii te = = = i LL'43 88417 LS46 99175 “ “ lo L6FSGEE T8 “boe ‘1os “ « = = == E? aisrà 18h 70‘ GOGH FI MINO 9S | o BELLE Te “bot ‘]os 00IssEzOd oBUEILOUO[Og = = == ca GSSI 9698 EL°ST 0698 “ “ ae 6GORMlE POETS “ « = = = = 8L‘I 7896 PL'ST 1998 66° | *098°H |" ‘% II£68 Te “bot ‘[os osoruaras oproy — = # =” GISLI 68‘68 PISLI 7763 | “ “ O NO 5 ASIA RIA CE “ « = = 3 = IFLI 6L‘6% LE*LI C9°67 SHI | *O9S°H | "%%*" °oGTISTF Ie Doe ‘]os commoos oproy 16960‘T | LF3E0°0 — i i e ego i nen Biseleniuro d’etile .... 75,91 43,78 Bisolfuro d’etile. . . ... 61,83 36,33 Differenza 14,08 7,45 e” gg — di e nd Selenoxene.so sione 64,01 37,30 Denaia oa j 4 0,04112 1,12342 Dimetiltiofene . CS 57,87 34,02 0,02642 106021 | Differenza 6,14 3,28 e” ar T_T EA e Acido selenico. ...... 29,54 17,20 AICIAOMSOLFOLICO Meat 22,87 13,76 Differenza 6,67 3,44 RE EI nr E Acido selenioso. ..... 26,78 15,74 Acido solforoso . ..... 21,70 13,40 Differenza 5,08 2,94 Selenocianato potassico . 41,80 Solfocianato potassico . . 33,47 Differenza 8,33 | « Il potere rifrangente atomico del selenio l'ho dedotto sottraendo dalle rifrazioni molecolari dei composti studiati, i valori che spettano agli altri ele- menti. Per le rifrazioni atomiche degli elementi rispetto alla riga @ ho preso quelle riportate nella Memoria dei prof. R. Nasini e T. Costa sullo zolfo; per la riga D quelle calcolate dal dott. Zecchini (*) per la formula #, e quelle date dal Conrady (°) per la formula 7°. Al selenoxene ho attribuito la formula ossia quella con due doppi legami; per l'acido selenico e selenioso ho attri- buito agli atomi di ossigeno il valore 2,8, ossia quello del così detto ossigeno alcoolico ; per ricavare la rifrazione atomica del selenio da quella molecolare (1) Gazzetta chimica italiana. Vol. XXII, parte 2°, pag. 592. Anno 1892. (2) Zeitschrift fir physikalische Chemie. Vol. III, pag. 226. Anno 1889. era. ost din dea POE IT F (> SUINI “toi — 337 — del selenocianato potassico ho sottratto da questa la rifrazione del cianuro potassico che ho appositamente determinato, sebbene già esistessero delle de- terminazioni del Gladstone in proposito. Il cianuro lo purificai per successive cristallizzazioni dall'alcool, e mi assicurai della sua purezza, giacchè il peso del cianuro adoperato per le soluzioni corrispondeva esattamente alla quantità trovata poi per titolazione col processo volumetrico di Liebig. La soluzione adoperata conteneva il 13,6962 °/, di sostanza ed aveva il peso specifico di 1,07782 a 20°,1 Marg ra x Mg 3 9.73 Tram = 16,56 (x, Ta 2)d = I, Mori: agro > SSA P. 7 = 16,52 E. (e2)a Crt « Il Gladstone aveva trovato per la riga A e per la formula » il nu- mero 17,20. « Dalle diverse tabelle è facile il vedere come nei composti esaminati il selenio presenti molte analogie collo zolfo: sopratutto si nota che esso ha una rifrazione atomica molto meno elevata nei composti ossigenati che nei derivati organici, quali il seleniuro e il biseleniuro d'etile, soltanto le varia- zioni fra i diversi valori non sono qui così forti come per lo zolfo. Notevole è il fatto della maggior rifrazione atomica del selenio nel biseleniuro d’etile in confronto di quella che si ricava dal monoseleniuro : per lo zolfo ciò pare sì verifichi, ma in grado minore: parrebbe quindi che quella causa quasi costante di aumento nella rifrazione atomica di un elemento che è l’accu- mularsi dell'elemento stesso nella molecola, agisse qui con maggiore energia. Nel selenoxene la rifrazione atomica del selenio è un po’ minore, tanto per la formula » che per la formula 7°, di quella che si ricava dagli altri due composti organici: ora Nasini e Carrara nel loro lavoro sul poter rifrangente dell'ossigeno, dello zolfo e dell'azoto nei nuclei eterociclici (*) misero in ri- lievo un analogo comportamento pel dimetiltiofene. Una differenza notevolis- sima noi troviamo nella rifrazione atomica dei due elementi allo stato libero ; mentre per lo zolfo libero si hanno dei valori che sono compresi tra 15,50 e 16,00 (formula n) e fra 7,70 e 8,20 (formula x?) ossia dei numeri di poco superiori a quelli che si ricavano dallo studio dei solfuri organici, dei clo- ruri di zolfo ecc. ecc., per il selenio invece, se le esperienze del Sirks sono esatte, si hanno i numeri 30,36 (formula x) e 11,77 (formula »°): in altri termini si ha qui il fatto veramente notevole di una fortissima differenza coi valori dedotti dal seleniuro e biseleniuro d'etile e dal selenorene (20 in media) per la formula x, e di un accordo quasi perfetto per la formula x? (11,31 in media). (1) Gazz. chimica italiana, vol. XXIX, parte 12, pag. 256. Anno 1894. — 398 — « Del resto al solito si nota in generale come maggior uniformità nei risultati, un maggior accordo per le rifrazioni atomiche quando si conside- rano i numeri relativi alla formula n° invece di quelli relativi alla formula #. Confrontando le rifrazioni molecolari dei composti del selenio con quelle dei composti analoghi dello zolfo, si trova in generale una differenza presso a poco costante, eccettuando bene inteso dal confronto per la formula 7 il selenio e lo zolfo liberi. È molto notevole il fatto che dal selenocianuro si ricavano pel selenio dei valori elevatissimi per la rifrazione atomica, la qual cosa già era stata notata dal Nasini e dal Costa per lo zolfo: anzi fu per questa ragione che volli studiare di nuovo il poter rifrangente del cianuro potassico, nel dubbio che potessero essere troppo piccole quelle trovate dal Gladstone; invece il nu- mero da me trovato è ancora minore, e quindi non resta dubbio tanto per lo zolfo quanto per il selenio che l'unione loro col potassio produce un esal- tamento nella rifrazione, un fatto analogo essendo stato constatato dal Nasini e dal Costa anche pel solfuro di potassio. « Confrontando l'acido selenico col selenioso si trova che la differenza tra la loro rifrazione molecolare corrisponde quasi esattamente al valore della rifrazione atomica dell'ossigeno così detto alcoolico, e naturalmente le stesse relazioni si avrebbero per i valori delle due anidridi che facilmente si pos- sono calcolare; invece per le corrispondenti anidridi dello zolfo si hanno dei valori assai vicini fra di loro: il poter rifrangente dell'anidride solforosa è di pochissimo inferiore a quella dell'anidride solforica, sebbene ci sia in questa un atomo di ossigeno in più. Quanto alla dispersione il selenio libero secondo le esperienze del Sirks, come egli stesso fece notare, è enormemente disper- Mpa a d che 0,01: ma nei composti questa enorme dispersione non sì trova più; in- fatti se il selenoxene ha una dispersione quasi doppia (formula di Gladstone) del dimetiltiofene, il solfuro di etile d'altra parte ha una dispersione mag- giore del seleniuro d'etile. Riassumendo, mi sembra di poter conchiudere che nei composti da me studiati il selenio si comporta in modo analogo allo zolfo: le variazioni però sono meno accentuate, cosicchè per il selenio le differenze costitutive hanno meno influenza sui valori delle rifrazioni molecolari. Il peso atomico mag- giore ed il carattere metalloidico meno spiccato sono probabilmente la causa di queste differenze nel comportamento dei due elementi; è da prevedere quindi che per il tellurio e i suoi composti la rifrazione si comporterà ancor più come proprietà additiva. Anche il fatto che il poter rifrangente dell'elemento libero è così differente da quello che esso ha nei composti, avvicinerebbe il selenio ai metalli. « Sono già in corso esperienze sui composti del tellurio e presto spero di pubblicarle ». sivo; per si avrebbe 0,07 mentre per lo zolfo non si avrebbe — 339 — Chimica. — Sul trisolfuro di etenile. Nota del D'. P. CAN- DIANI, presentata dal Corrispondente R. Nasini (!). « L'azione degli alogeni sopra l'acido tioacetico non è così semplice come a prima vista potrebbe sembrare, poichè invece della formazione del- l'acido tioacetico alogenato si ottengono varî prodotti di condensazione cau- sati da reazioni secondarie più o meno complesse. « È notevole la diversità di comportamento dell'acido acetico e dell'acido tioacetico con il bromo. Mentre l'acido acetico all'ordinaria temperatura non reagisce affatto anche per azione della diretta luce solare, l'acido tioacetico reagisce energicamente svolgendo acido bromidrico e lasciando un residuo pecioso dal quale, per compressione tra carta e cristallizzazione dall'alcool, potei isolare una piccola quantità di una sostanza cristallizzata in laminette bianche che fondeva a 224°-225° e che poi, come vedremo, riconobbi per tri- solfuro di etenile. « Il trisolfuro di etenile venne isolato da I. Bongartz (?) trattando l'acido tioacetico con cloruro di zinco ; egli fu messo sull'avviso della pre- senza di questo prodotto di condensazione dal fatto che, facendo passare una corrente di HCl secco attraverso una miscela di benzaldeide e acido acetico, non si otteneva che una piccolissima quantità di ditiobenzaldeide, mentre per il mercaptano e l'acido tioglicolico la reazione con le aldeidi dava risultati quasi teorici. Il Bongartz spiegava la formazione del trisolfuro di etenile con le seguenti equazioni, colle quali ammetteva la formazione intermedia dell'acido ditioacetico 4CH; COSH = 2CH; CSSH + 2CH; COOH 2CH, CSSH == (07 Hg Ss + IS S « To ho preparato notevoli quantità di trisolfuro di etenile con risultati assai buoni, operando nel seguente modo: metteva in un tubo da chiudere un peso molecolare di bromo e in un altro tubo più piccolo un peso mole- colare di acido tioacetico, indi faceva scendere il tubo più piccolo nel più grande in modo che i liquidi non si mescolassero e che solo i vapori di bromo venissero in contatto con l'acido tioacetico, quindi chiudevo alla lam- pada e lasciavo all’ordinaria temperatura. Dopo 7 ore ordinariamente l'acido tioacetico, che aveva assunto da prima un colore rossiccio, si solidificava in una massa cristallina; lasciandolo più tempo in contatto coi vapori di bromo, quando la massa era solidificata, incominciava ad imbrunire e si aveva note- (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica generale della R. Università di Padova. (*) Berichte IX, p. 2182. — 340 — vole perdita per la formazione di quei prodotti resinosi. Aprendo il tubo si svolgeva HBr e solo un leggerissimo odore di HS veniva avvertito. « La sostanza così avuta, compressa tra carta sotto il torchio e cristal- lizzata due o tre volte dall'alcool bollente, è del trisolfuro di etenile puris- simo. Col metodo che io ho usato da gr. 5. 47 di acido puro si ottengono gr. 2.56 di trisolfuro grezzo: secondo la formola del Bongartz si dovrebbero ottenere gr. 2.70; come si vede dunque il reddito è quasi teorico. « L'azione del bromo però qui non è che un'azione indiretta, perchè il bromo non agisce che per l'acido bromidrico che forma. Mi sono assicurato di ciò sostituendo al bromo il bromuro di fosforo e chiudendo nel tubo, oltre che il tubetto con l'acido tioacetico un altro tubicino più piccolo con acqua la quale, a chiusura finita, si poteva mandare in contatto con il tribromuro di fosforo e svolgere così HBr, senza versare l'acido tioacetico. Si aveva in tal modo l'acido tioacetico in presenza di HBr gasoso sotto pressione. Il ri- sultato fu identico, cioè la solidificazione della massa con formazione del tri- solfuro di etenile. « Questo fondeva a 224° e all'analisi diede: I. da gr. 0,8016 di sostanza gr. 0,1112 di acqua e gr. 0,3524 di acido carbonico. II. da gr. 0,1778 di sostanza gr. 0,8292 di solfato baritico. III da gr. 0,1789 di sostanza gr. 0,8337 di solfato baritico. per 100 si ha: trovato calcolato per C4HsSz I. II DI C 31,87 — — 32,0 H 4,09 —_ —_ 4,0 S —_ 64,05 64,0 64,0 « Il peso molecolare determinato col metodo crioscopico, adoperando il benzolo come solvente, diede risultati tali che condurebbero ad ammettere una formula doppia di quella posta dal Bongariz. « Ecco i risultati delle mie esperienze: concentraz. abbass. term. coeffic. d’abbass. abbass. molec. per la formula CsH;2Ss 2,2440 0,39 Valivior 52,11 4,0322 0,70 0,1736 52,08 0,9474 OUE7 0,1794 53,82 2,1864 0,39 0,1783 53,52 4,1595 0,74 0,1779 53,97 « Oltre che con il benzolo ho fatto una determinazione anche con l'acido acetico come solvente con risultati concordanti coi precedenti. concentraz. abbass. term. coeffic. d’abbass. abbass. molec. per la formula CsHi2Ss 1,0057 0,14 0,1392 41,76 — 341 — « Dunque il trisolfuro di etenile descritto dal Bongartz non è il vero trisolfuro di etenile ma un polimero di questo corpo, la cui formula di co- stituzione invece che S AT CH;-C— S —C-CH; N sarà probabilmente una delle seguenti : (1) (2) S cH-0 Ve-cH 3 ro is CH36—S—S_0-CH; S S SC o VERI CH, C—S—S— (CH a) È 3 UTNTNTUUHo 3 CH; CA : De CH3 « Onde avere qualche criterio sulla funzione di questi atomi di solfo nella molecola, e per conseguenza sulla struttura di essa, ne ho determinato il potere rifrangente in soluzione benzolica. « Le esperienze vennero fatte con un eccellente spettrometro di Hildebrand di proprietà del prof. Nasini, permettente l’approssimazione di 5”: il peso specifico si riferisce all'acqua a 4° e le pesate furono ridotte al vuoto: « I. soluzione trisolfuro di etenile gr. 11,469 benzolo » 88,581 soluzione gr. 100,000 d,35° = 0,92477 per la soluzione trovai : — 1.51149: testa; 55309 : A — — 0.32420 Mai è) b) d PIRA 4RÌ o) (Wa, +2) @ Ep gu «i il benzolo impiegato aveva la seguente costante: iiooni PT 50566; METTI 0.33277 u ———_ =0,5 3 = 0.332 Ro si (Un, 42)4 per cui si calcola per il trisolfuro di etenile : REA 0,45610; P Pia —= 136,89 d d RE 309: PSE a a (i te nn di RexpicontI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 45 — 342 — « II soluzione trisolfuro di etenile gr. 9,908 benzolo » 90,092 soluzione gr. 100,000 per la soluzione trovai : Para n (22,42) d il benzolo impiegato era lo stesso della precedente soluzione, per cui si cal- cola per il trisolfuro di etenile : Ma, 1 FE 0,55497; Un, = 1,51002; Ua —1 Ma 1 ene: — 45760; P__=M13734 a d Hail 095888; pet 77,66 (eta “e eroe PA « La rifrazione atomica dello solfo che risulta dalla media delle due esperienze, prendendo per il carbonio la rifrazione atomica: per la n=" 5 e per la n?=2,48; per l'idrogeno : per la 7 = 1,3 per la 2°=1,04, sarebbe per n =18,58 ; n°= 7,53 « Da questo si vede che il comportamento ottico dello solfo di questo composto è analogo a quello dello solfo di alcuni solfuri e solfidrati organici, quantunque ad essi un po’ inferiore, senza però raggiungere il limite inferiore del tiofene, infatti: n n solfidrato di etile 13,50 7,80 solfuro di etile 14,28 8,10 solfidrato d’isobutile 13,93 7,82 soltidrato d'isoamile 14,0 7,84 Tiofene 11,40 6,54 (!) « Oltre a questo fatto è importante il rilevare che anche qui, come nel tiofosgene polimero studiato da G. Carrara, dove c'è un accumularsi di solfo nella molecola, si riscontra un potere rifrangente atomico abbastanza basso, mentre, come aveva fatto notare R. Nasini, si dovrebbe avere un esaltamento del potere rifrangente. Questo fatto verrebbe secondo me in appoggio alla formula ciclica del trisolfuro di etenile polimero, perchè come si è visto lo solfo del tiofene ha un potere rifrangente assai basso. (1) R. Nasini e T. Costa. 4 È 9 n ] 4 i 1 " d 4 i — 343 — « La reazione fra il bromo e l'acido ticacetico prende un altro indirizzo quando si opera in soluzione nell’etere assoluto e raffreddando il recipiente. L'operazione si fece in un apparecchio a ricadere munito d'imbuto a robi- netto. Nel pallone stava la soluzione eterea di acido tioacetico e dall’'imbuto si faceva gocciolare lentissimamente e agitando di continuo, il bromo nella proporzione di una molecola dell'uno per una dell'altro: l'etere solvente rap- presentava circa il decuplo dell'acido tioacetico impiegato. « La reazione è assai blanda, il bromoin gran parte si scolora, e poscia l'etere comincia a colorarsi in giallo, mentre si separa una sostanza oleosa che poi sì scioglie per forte agitazione. Non si svolge che piccola quantità di HBr. Scacciai l'etere con una rapida distillazione e le ultime porzioni vennero evaporate nel vuoto sulla calce, perchè si svolgevano abbondantissimi fumi di H Br. Se si lascia parecchie ore nel vuoto si trova una certa quantità di zolfo cristallizzato nel liquido. Dopo scacciato tutto l'etere, la sostanza oleosa rimasta venne distillata a pressione ridotta e divisa così in tre por- zioni bollenti 1.8 75°- 80° a 6" di pressione Zia I8092120% >» ” d.°, 1280-1350» ” « La 2.* frazione, che era la più abbondante, venne di nuovo frazionata e si raccolsero due porzioni Je tT030 a 10 di pressione 2.8 104°-106° » ” « Di queste frazioni vennero esaminate le seguenti: 1.8. bollente a 75°- 80° a 6mm Dre ’ 2. 103° atom 3.8 ” » 104°-106%a JTomm « (Queste frazioni erano liquide, dense, incolore la I° fumava leggermente svolgendo acido bromidrico, le altre no. « Ecco ora i'risultati dell'analisi: « Dalla I* porzione bollente a 75°-80° ebbi: da gr. 0,4754 di sostanza, gr. 0,4034 di acido carbonico e gr. 0,1519 di acqua. da gr. 0,3655 di sostanza gr. 0,4345 di bromuro d’argento e gr. 0,2790 di solfato di bario da gr. 0,4689 di sostanza gr. 0,3520 di solfato di bario. « Dalla II porzione bollente a 103° ebbi: da gr. 0,3693 di sostanza gr. 0,3375 di bromuro d’argento e gr. 0,4655 di solfato di bario. « Dalla III* porzione bollente a 104°-106° ebbi: da gr. 0,2855 di sostanza gr. 0,3028 di acido carbonico e gr. 0,0985 di acqua da gr. 0,3870 di sostanza gr. 0,1584 di bromuro d’argento e gr. 0,9378 di solfato di bario. _=———_—mcmozoecqe-- E-=na == = 32 PEZZO — 344 — « Per 100 si ha: I II II C 23,42, —_ 28,92 H 3,50 _ 3,89 Br 50,58 38,98 17,59 S 10,48 10,31 17,31 33,27 « È evidente la formazione di prodotti bromurati molto instabili, i quali vanno man mano perdendo bromo sotto forma di acido bromidrico durante la distillazione. « Dai risultati dell'analisi della I* porzione si calcola la seguente for- mula p.°/ trovato calcolato per Cs Hio Bra S 0 I II II C 23,42 --- —_ 23,93 H 3,90 — — 3,27 Br —_ 50,58 = 02,28 S — 10,48 10,31 10,46 (0) —_ —_ _ 10,46 100,00 « La sensibile differenza che si riscontra per il bromo è da attribuirsi alla facilità di scomposizione con eliminazione di acido bromidrico. « È probabile che la reazione in questo caso sia da rappresentarsi con una equazione diversa da quella esposta dal Bongartz; ma la grandissima facilità con la quale queste sostanze si scompongono, dando prodotti sempre meno bromurati, non mi hanno permesso di completare lo studio di questa reazione 7. Chimica. — Nuova sintesi di Cumarine(!). Nota di P. BrcI- NELLI, presentata dal Corrispondente L. BALBIANO. « In una prima Nota pubblicata a quest'Accademia sulle cumarine car- bossilate (*), feci cenno della reazione atta a produrre tali composti. Non na- scosi fin d'allora lo scopo de’ miei tentativi, che era quello di arrivare alle cumarine vere per una via relativamente facile, per applicarla a certi fenoli pei quali la reazione di Pechmann diventa difficile o di scarso rendimento. (1) Lavoro eseguito nel laboratorio di Chimica-farmaceutica della Regia Università di Roma. (2) Ace. dei Lincei. vol. III, 1° semestre, fase. IX. — 345 — « Come applicazione ho scelto subito, tra i fenoli, l’idrochinone perchè, secondo Pechmann e Welsh, è tra quelli che reagiscono più difficilmente ('). « In questa seconda Nota, partendo dalle cumarine carbossilate, dimo- strerò come si possa arrivare alle vere cumarine, e, nel caso mio speciale, alla metaossimetilcumarina di F. Tiemann e M. Miiller (?) e quindi alla me- taossicumarina di H. Von Pechman e W. Welsch (1. c.). Metaossicumarine-f carbossilate. « Se la soluzione potassica o sodica di una delle metaossicumarine-$ carbossietilate descritte nella Nota precedente, si acidifica con un acido, lascia depositare una sostanza gialla formata da piccoli aghi solubili nell’alcool, nel- l'etere e nell'acqua specialmente a caldo. Da quest'ultima si depone in aghi più o meno lunghi e più o meno appiattiti, i quali fondono gli uni verso 279°-280°, e gli altri verso 283-284°, « (Questi aghi diedero all'analisi ì seguenti risultati : gr. 0,2296 di sostanza diedero CO? gr. 0,4882 e H?O gr. 0,0672 da cui si ricava per 100 parte: trovato calcolato per C1° HS 05 C 58,03 08,29 H 3,29 2,91 « Questa formola corrisponde all’equazione seguente : CO? H €020? H° i. £., HO . 0° Eco | = HOC H'I0) | +H*0—C°H° 0H (5) O— 00 (5) DECO (2) (2) Metaossicumarina-$ carbossilata Metaossicumarina-f carbossietilata « Questo nuovo composto è un acido. poichè è solubile nei carbonati con effervescenza e riprecipita inalterato da queste soluzioni per aggiunta di un acido qualunque. Anche di questi acidi se ne ottengono due poco diversi nella forma cristallina, tantochè l’uno è in aghi sottili terminanti in punta e l’altro in laminette aghiformi, corrispondenti alle due cumarine-8 carbossietilate descritte nella Nota precedente. L'uno di questi acidi fonde a 279°-280° e l’altro a 283°-284°. La soluzione acquosa di questi acidi trattata con perclo- ruro di ferro si colora in verdastro. Tutti e due riscaldati fra 280°-290° prima fondono poi distillano e in parte si depongono sulle pareti del vaso in lamine (1) D. chem. G. 17. 1646. Bull. Soc. chim. (2), 44, 628. (2) D. chem. G. 14. 1985. Bull. Soc. chim. (2), 37, 417. ost 8 BIS STDRTIZZS, ag = — 5346 — gialle aghiformi che fondono poi a 289°. Verso questa temperatura però oltre a distillare in parte si scompongono e sviluppano anidride carbonica. La soluzione potassica o sodica di questi acidi precipita colle soluzioni dei principali sali metallici; non precipita nelle stesse condizioni, nè coi sali di calcio, nè coi sali di bario. Il sale di piombo ottenuto precipitando con acetato di piombo, si depone subito in aghi gialli disposti a raggi; coi sali di rame precipita in verde, e in prismi giallo-scuro coi sali di platino. Col nitrato d'ar- gento precipita in color caffè, ma dopo poco il sale si riduce e forma uno specchio d’argento metallico. «Il sale sodico che si ottiene trattando questi acidi con soluzione di carbonato sodico, è solubilissimo in acqua, molto più dell'acido libero, cri- stallizza da essa in lunghi aghi setacei disposti a sfera che contengono una molecola d'acqua di cristallizzazione. Quest'acqua la mantengono alla tempe- ratura ordinaria, e la perdono sia mantenuti nel vuoto e sopra acido solforico, sia se scaldati in istufa per 3-4 ore verso 100°. In questo caso gli aghi sì disfanno e tutto si riduce in una polvere di color giallo più pallido. « Gli aghi diedero all'analisi i seguenti risultati : or. 0,4420 di sale sodico fornirono gr. 0,1278 di Na,S04 » 0,4366 di sale sodico scaldato in istufa ad acqua per 4-5 ore a 96° per- dette del suo peso gr. 0,0341. « Da cui si ricava: trovato calcolato per C:° H5 05 Na + H?0 Na°/o 9,39 9,34 HX095 7,81 1,31 «I sale sodico anidro è quasi insolubile in alcool e, lasciato all'aria tende a ripigliare la molecola d'acqua colla quale cristallizza. «I sale sodico cristallizzato, bollito con alcool concentrato, in parte si disidrata e si fa polverulento, altra parte invece si scioglie e per raffredda- mento si deposita come prismi laminari diversi dagli aghi precedenti. Se l'alcool che si adopera è alquanto diluito, allora tutto il sale sodico monoi- drato si scioglie per poi deporsi sotto la nuova forma di prismi laminari. Questa nuova. forma contiene alcool ed acqua riconoscibili facilmente e che non perde se non nelle stesse condizioni in cui il sale monoidrato perde l'acqua. I dati analitici portano ad un composto salino formato da due molecole di sale sodico, di cui una con una molecola d'acqua e l’altra con una molecola di alcool. « Infatti gr. 0,4634 di sostanza tenuti per 36 ore sopra acido solforico e nel vuoto perdettero gr. 0,0561 di peso corrispondente a: trovato calcolato per Cri OH 2 n or 12,10 12,05 — 347 — Anche questo sale è solubilissimo in acqua, e, come pel composto monoidrato, la sua soluzione acidificata con un acido minerale lascia deporre la metaos- sicumarina-8 carbossilata fusibile a 280° avanti descritta. Metaossimetilcumarina-$ carbossimetilata e Metaossimetileumarina-8 carbossilata. « Descrivendo la metaossicumarina-# carbossilata dissi che questa, riscal- data al disopra del suo punto di fusione, in parte si scompone e dà sviluppo di anidride carbonica. Probabilmente questa anidride carbonica proviene dal carbossile laterale della cumarina, il quale si elimina per sovrariscaldamento del composto. In questo caso doveva lasciare come residuo una vera metaos- sicumarina, e precisamente quella ottenuta da H. von Pechmann e W. Welsh. CO? H | AH CH= CH HolosHe (e co — HoRs AK) | (5) O — 00 (5) \0 — c0 e) ©) « Ottenni bensì un residuo di color caffè-scuro, solubile in una soluzione di potassa o soda caustica e riprecipitabile per mezzo di una corrente di ani- dride carbonica, ma il precipitato rimaneva nero e di difficile purificazione. Supponendo che questo fatto potesse provenire da polimerizzazione del com- posto, prodotta specialmente dall’ossidrile fenico libero a quella alta tempe- ratura, pensai di eterificare l’ossidrile. Per questo operai nel modo seguente : « Gr. 6,5 di metaossicumarina-$ carbossilata (1 mol.) lo trattai prima con gr. 3,53 di KOH (2 mol:) sciolta in alcool metilico (soluz. 21 °/;) e dopo avere fatta poltiglia omogenea in un mortaio, versai il tutto in un pallon- cino a cui aggiunsi gr, 9 di joduro di metile (2 mol.) in leggiero eccesso. Il tutto poi feci bollire a ricadere per 5-6 ore e in principio, sotto pressione di 10°°-15°° di mercurio. In fine distillai l’alcool metilico e l'eccesso del Joduro di metile e, dopo raffreddamento, ripigliai il residuo con acqua per esportare il joduro di potassio dall’etere che doveva essersi formato. M'accorsi che parte del residuo organico si scioglieva in acqua insieme al joduro. « Il residuo raccolto e lavato lo feci cristallizzare dall'alcool caldo, dal quale ottenni dopo raffreddamento degli aghi riuniti a mamellone che fon- dono a 131°-182° senza scomporsi. « Questi cristalli fornirono i seguenti dati analitici: gr. 0,2167 di sostanza diedero CO? gr. 0,4870 H?°0O gr. 0,0867. « Da cui si ricava per 100 parti: trovato calcolato per C!?H1° 05 C 61,29 di 61,54 H 4,44 4,27 — 843 — « Questi risultati portano alla formola della Metaossimetileumarina-8- carbossimetilata corrispondente alla equazione seguente : CO? H Di CH? | e ==6H DE —iCH . 08 LASO, ì o FaRon+e CHI —CH*0 SE) | +2KI+2H?0 (5) — C0 (2) (2) Motaossicumarina-f carbossilata Metaossimetilcumarina-8 carbossimetilata « Questo composto è insolubile negli acidi, nelle soluzioni dei carbonati alcalini e negli alcali caustici a freddo. A caldo in questi ultimi si scioglie dopo breve ebollizione, e la soluzione alcalina acidificata con acido cloridrico lascia deporre degli aghi giallo-verdi fusibili a 246°-247°. Questo composto distilla inalterato verso 290°. « La soluzione acquosa contenente il joduro di potassio, da cui si se- parò il composto precedente fusibile a 131°-132°, acidificata con acido sol- foroso, lascia deporre una polvere cristallina giallo-verde, la quale fatta cri- stallizzare dall'alcool si depone in laminette gialle lucenti come oro fusibili a 246°-247°. Dunque si ottenne in questo caso lo stesso composto che sì ot- tiene saponificando cogli alcali caustici il composto precedentemente descritto. I dati analitici di questo nuovo composto corrispondono difatti all’acido de- rivante dalla Metaossimetilcumarina-$-carbossimetilata. « Eccone i risultati: gr. 0,2314 di sostanza fornirono CO?gr.0,5058 H?0gr.0,0775 da cui si ri- cava per per 100 parti: trovato calcolato per Cl! HS 05 C 59,60 60,00 H 3,72 3,63 Questa formola porta all’'equazione seguente : CO? H CO? CH | 5 | pa CH Via CH CHS036S IS | =4088:09 SNO, | +H*0—CH'0H (5) O—C0 (5) O— CO (2) (2) Metaossimetilcumarina-3 carbossilata —Metaossimetilcumarina-3 carbossimetilata Questo composto è solubile nei carbonati alcalini e negli alcali caustici, ma non riprecipita più inalterato per azione di una corrente di anidride carbo- nica; riprecipita soltanto inalterato dopo aggiunta di un acido. — 349 — « Dunque nelle condizioni dell'operazione l'eterificazione della metaos- sicumarina- carbossilata fu anche parziale e si è limitata al semplice ossi- drile fenico. Lo stesso fatto avviene anche partendo dal composto primitivo cioè dalla Metaossicumarina-8 carbossietilata. Metaossimetlilcumarina. «< La metaossimetileumarina-$ carbossilata avanti descritta, scaldata da sola in istrato sottile, a bagno di lega, anche fino a 300° non sviluppa più anidride carbonica, come soleva avvenire nelle stesse condizioni coll’ossideri- vato, ma arrivata appena alla temperatura di fusione, sublima in parte inal- terata in lamine aciculari gialle. A temperatura superiore a poco a poco an- nerisce e si decompone. « Se si scalda una miscela ben polverizzata di soda caustica e di sale sodico della metaossimetilcumarina-# carbossilata, disposta in istrato sottile in una bevuta, per due o tre ore, a bagno di lega, fino ad arrivare verso 300°, una parte del composto si scompone e distilla un liquido oleoso aroma- tico. Per la maggior parte invece il sale rimane inalterato, dal quale si può ancora riottenere la metaossimetileumarina-? carbossilata precipitando la sua soluzione acquosa con un acido. « Riscaldando nello stesso modo una miscela di sale calcico e di calce, si ottengono quasi gli stessi risultati, solo che la decomposizione va un po più lentamente. « Sempre allo scopo di arrivare alla metaossimetilcumarina, tentai in parecchi altri modi di sostituire un atomo di idrogeno al carbossile della metaossimetileumarina-$ carbossilata, che questa differisce da quella soltanto per un carbossile nella catena laterale : CO? H Soi pal CH Dati =) CHSOH/0% H°< (1) | @HESO.. € H*< (1) | (5) ESCO (5) OLZZICO @) @) Metaossimetilcumarina- carbossilata Metaossimetileumarina « Il migliore metodo fra quelli provati e ancora quello di scaldare per due a tre ore, a bagno di lega fra 265°-270°, una mescolanza ben intima for- mata da volumi eguali di metaossimetileumarina-$ carbossilata e di polvere di ferro previamente arroventata. Le migliori condizioni poi sono quelle di disporre la miscela in istrati sottili entro bevute, e di operare con piccole proporzioni di due grammi circa di metaossimetileumarina-8 carbossilata. « Appena che col riscaldamento si arriva di pochi gradi al disopra di 246° (punto di fusione del composto) esso si fonde e bagna tutta la massa. In RexpIconTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 46 — 350 — seguito una parte distilla inalterato e si depone sulle pareti del vaso in aghi gialli. Continuando il riscaldamento e portandolo fra 265-270°, alla massa cristallina aghiforme va sopprapponendosi una specie di olio gialliccio, che si mantiene tale per tutto il tempo che dura il riscaldamento. Si sviluppa contemporaneamente dalla bevuta un forte odore di cumarina. Si raccoglie quest'olio di mano in mano che si forma; per raffreddamento esso si rapprende in massa cristallina. Si fa allora sciogliere in etere e la soluzione si sbatte con soluzione di carbonato sodico per esportare tutto l'acido distillato indecom- posto. L’etere separato lascia come residuo della distillazione un olio paglie- rino di odore di cumarina, che per raffreddamento cristallizza e dà delle la- mine prismatiche, le quali dopo lavate con etere diventano perfettamente bianche e fondono a 102°-103°. Se la stessa si fa cristallizzare lentamente per eva- porazione del solvente, sì può pure ottenere in grossi prismi. « Questi cristalli diedero i seguenti risultati analitici: gr. 0,2363 di sostanza fornirono CO° gr. 0,5896 H?°O gr. 0,0989 da cui si ricava per 100 parti: trovato calcolato per C'° HS 0* C 68,04 68,18 H 4,64 4,54 « La formola a cui portano questi dati, corrisponde all’equazione seguente: CHF_:CH CH.= CH CH# 0. 0° IPC) | cHs0.G E°) Aran: (5) OMO) (5) 00 (2) (2) Metaossimetilcumarina Metaossimetilcumarina-8 carbossilata « Queste lamine sono solubili nelle soluzioni di potassa e soda caustica e da queste soluzioni riprecipitano come sostanza inalterata per azione di una corrente di anidride carbonica, e se da soluzioni sufficientemente diluite, sì depone in lunghe laminette bianche come la cumarina ordinaria. Sopra questa proprietà, comune del resto a tutte le cumarine, si fonda il metodo più rapido e più sicuro di purificazione del composto. « Dunque le proprietà fisiche e chimiche di questa cumarina corrispon- dono in tutto e per tutto con quelle descritte per la metaossimetileumarina di F. Tiemann e M. Miiller, che l'hanno ottenuta scaldando all’ebollizione un miscuglio di aldeide metaossisalicilica con anidride acetica in presenza di acetato sodico (1. c-). Metaossicumarina HO . 06 A°<(1) Î (5) Nato (2) — 351 — « Trattando a caldo la metaossimetilcumarina, avanti descritta, ben pol- verizzata con acido iodidrico d. 1,27, a tutta prima si scioglie, si sviluppa ioduro di metile, e dopo breve ebollizione si deposita una polvere cristallina gialliccia. Si getta allora tutto in acqua fredda, e si lascia a sè per venti- quattro ore affinchè tutto il composto abbia tempo di deporsi. « Si filtra in seguito e si purifica il prodotto per cristallizzazione dal- l'alcool. Si ottengono in questo modo dei cristallini prismatici di color pa- glierino fusibile a 249°. « All’analisi questo composto fornì i seguenti risultati : gr. 0,2306 di sostanza diedero CO? gr. 0,5604 H®O gr. 0,0807 da cui si ricava per 100 parti: trovato calcolato per C° HS 03 C 66,27 66,66 H 3,88 3,70 « La formola C° H°0? a cui portano questi dati corrisponde precisamente a quella della Metaossicumarina di H. von Pechmann e W. Welsh (1. c.), ottenuta per fusione di acido malico e idrochinone e successivo riscaldamento con acido solforico concentrato. « Il punto di fusione di questa, e tutte le altre proprietà fisiche e chi- miche, corrispondono ancora perfettamente con quelle della metaossicumarina da me ottenuta. CONCLUSIONE. « Coll’avere ottenuta la metaossimetilcumarina di Tiemann e Miller, e la metaossicumarina di Pechmann e Welsh, resta dimostrato che anche colle cumarine carbossilate nella catena laterale, si può arrivare alle cuma- rine vere. « Di questo nuovo metodo di sintesi spero di poter dare esempî migliori in seguito, applicando la reazione ad altri fenoli, ma specialmente al Diossi- metilidrochinone di Will(!) pel quale, come già annunciai nella mia prima Nota, la reazione di Pechmann non mi dette risultati soddisfacenti. « Il meccanismo della reazione generale, che avviene in tutti questi casi, è abbastanza semplice e si può dividere in due fasi nettamente distinte. « Perciò che concerne la prima fase di tale reazione a me pare si possa ritenere come analoga a quella che avviene tra i fenoli e l'etere acetilacetico nella reazione di Pechmann e Duisberg (?), e se qualche differenza non sostan- ziale potrà esistere sia solo in dipendenza della più facile reazionabilità del- (1) Berichte der chem. G. Berlin, XXI, p. 608. (1) Berichte der chem. G. Berlin, XXVI, 2122. === = fe — === ==S= a a — 352 — l'etere ossalacetico in confronto dell'etere acetilacetico, reazionabilità prodotta molto probabilmente dal gruppo acido che quello contiene al posto del me- tile di questo. Come seconda fase si ha il fatto, abbastanza comune in com- posti a catena chiusa, dell’eliminazione di anidride carbonica per distruzione dei carbossili laterali, prodotto per sovrariscaldamento del composto acido. « Tale meccanismo si potrà perciò rappresentare colle due equazioni se- guenti che stanno ad indicare le due fasi distinte dalla reazione: 1° fase HO 50? E N 4 Bt. pe < CO? Pt. PISTE | < >, [r_mojc=cH < > — C=CH+C°H50H+-H?0 ne. sl I na > GE O|A C2H50. CO 2° fase HO CO? HO CO°\H LA DE | i N < È SF < 5: CH = CH è D | == \ 3, | +c0? SIANO e di OO) Chimica. — Sopra un nuovo alcool della lanolina (‘). Nota di G. MARCHETTI, presentata dal Corrispondente L. BALBIANO. È « H. Buisine (2) nel 1886 separò e descrisse gli acidi contenuti nelle acque di lavaggio della lana delle pecore e il dott. Desanctis (3) l’anno scorso quelli contenuti nell’untume della lana stessa depurato, che si adopera in terapia sotto il nome di lanolina. « La parte basica di questo composto farmaceutico, ossia quelle sostanze che si comportano come basi rispetto agli acidi in esso rinvenuti, non fu completamente studiata finora. Hartmann (4) per il primo ottenne, trattando con potassa l’untume della lana, una sostanza basica che dava le reazioni della colesterina; mentre non riuscì a constatare tracce di glicerina. Schultz (°) (1) Lavoro eseguito nell'Istituto di Chimica farmaceutica della R. Università di Roma. (2) Compt. Rend., t. 103, p. 66. (3) Rend. Acc. Lincei, vol. II, p. 810. (4) F. Hartmann, Veder den Fettschweiss der Schafwolle. Imaug-Diss. Gottingen 1864. (5) Zeitsch. f. Chem., 1870, p. 453. Berichte 1872 p. 1075; id. 1873, p. 251; id. 1874, p. 570. — 358 — nel 1870 dimostrò che la sostanza ottenuta da Hartmann era propriamente colesterina e di più riuscì ad isolare un isomero di questa, la isocolesterina. A ciò egli fondeva con anidride benzoica tutti gli alcooli contenuti nell’un- tume, e trattando poscia con alcool caldo estraeva i composti benzoilici della colesterina ed isocolesterina, mentre gli rimaneva indietro un residuo oleoso, da cui per mezzo della potassa otteneva un corpo che differiva dai due sud- detti per fondere molto più basso e per contenere rispetto all'ossigeno una quantità di carbonio inferiore. Schultz non vi potè separare nessun composto definito, e per ciò ritenne che questo residuo fosse costituito da un miscuglio di alcooli. Più tardi Buisine (!) riscontrò nell’untume greggio l'alcool cerilico, che egli crede vi si trovi sotto forma di cerotato di cerile, mentre che il Lewcowitz (*) ritiene che vi si trovi allo stato libero, poichè trova un alcool di basso punto di fusione nel grasso, greggio, appunto libero e crede che si tratti di alcool cerilico. Anche questi ultimi ammettono che nell’untume si debbano trovare altri alcooli, la cui separazione presenta molte difficoltà. « Come si vede, tutti quanti sono partiti per tali ricerche dall’untume della lana greggio. Ho creduto che si potesse riuscire a migliori risultati, partendo dalla lanolina già depurata, tal quale si adopera in farmacia; e quindi, mentre il dott. Desanctis in questo stesso Laboratorio imprendeva a fare la separazione degli acidi in essa contenuti, io ne studiava la parte basica. Ho potuto così separare dalla lanolina l'alcool cerilico allo stato di chimica purezza; e nello stesso tempo un nuovo alcool di cui la formola bruta è C!° H®*O e che per la sua provenienza chiamerò lamolinico. Quest'alcool, di cui ho potuto caratterizzare la funzione per mezzo del derivato benzoilico, non ha numero di iodio, benchè dovesse sembrare il contrario, avuto ri- guardo alla quantità di idrogeno rispetto al carbonio. Ciò farebbe supporre che piuttosto che avere un doppio legame, esso sia, come si ritiene per la colesterina, un composto a catena chiusa. E invero per altre ragioni che ve- dremo in seguito, egli è un corpo, che pel suo comportamento chimico, credo sì possa riavvicinare appunto alla colesterina. La lanolina Liebreich, che vien messa in commercio preparata dai dottori Jaffe e Damstidter e che ho adoperata per le mie ricerche, è leggerissima- | mente colorata in giallo nell'interno della massa, molto più intensamente alla iI superficie, ove ha subito il contatto dell’aria atmosferica: fonde verso i 40° e contiene, secondo le diverse preparazioni, dall'14 al 10 ,/° di acqua emul- în sionata. Per la saponificazione di essa ho usato il metodo di A. Kossel e i H. Obermiiller (8), che consiste nel trattare i grassi con etilato sodico. A tal Ii fine si disciolgono 30 gr. di sodio metallico in un litro di alcool assoluto, UN (1) Bull. Soc. chim., 84. 42, p. 201. il (®) Monit. Scien., 1893, p. 227. Î (3) Zeitsch. f. phys. Chemie, 14, p. 599. ill — 354 — si riscalda a bagno maria e quindi vi si versano gr. 800 di lanolina già fusa. La lanolina si discioglie completamente, mentre che il liquido va assu- mendo una colorazione marrone scura. Seguitando a riscaldare a bh, m. ed agitando, quasi subito incominciano a depositarsi i saponi sodici, che sono insolubili nell'’aleool, finchè il tutto si rappiglia in una massa gelatinosa. Si lascia a ricadere ancora per 5 o 6 ore, quindi si distilla la maggior quan- tità di alcool possibile, si ripiglia con acqua e si agita con etere. In tal modo una buona quantità di saponi si disciolgono nell'acqua e la colesterina, l’iso- colesterina ecc., vengono sciolti dall'etere. A tal punto l'operazione diventa lunga e difficile, perchè l'acqua e l'etere si emulsionano così intimamente, che la loro separazione avviene lentissima e non è mai completa, anche se si lascia a sè per lunghissimo tempo. Cosicchè bisogna limitarsi a togliere quel poco di acqua ed etere che si chiarificano, e aggiungere ogni volta nuova acqua e nuovo etere. A mano a mano che si procede, la separazione avviene sempre più facilmente, e allora la parte rimasta indisciolta si dispone a for- mare uno strato sospeso tra i due liquidi. In questo strato si distinguono nettamente due parti: una sottostante di colore oscuro costituita dai saponi poco solubili nell'acqua, la soprastante bianca costituita dall'alcool lanolinico. Per separare questo dal resto dei saponi, si decanta l’acqua e l'etere e si raccoglie il tutto sopra un filtro. Si torna a porre nell’estrattore la parte solida, si tratta con acido solforico diluito per scomporre i saponi e si agita di nuovo con etere. Gli acidi grassi liberi si disciolgono tutti nell’etere, e l'alcool lanolinico rimane sospeso tra i due liquidi. Si separa poi per fil- trazione. « L’alcool cerilico passa colla colesterina ed isocolesterina, quando si tratta la prima volta con etere. Si separa per mezzo di cristallizzazioni fra- zionate dall'alcool, raccogliendo la porzione più solubile e successivo tratta- mento con carbone animale, che trattiene quel poco di sostanza bruna, che si forma quando si tratta con etilato sodico. Si ottiene così un corpo che non dà più le reazioni della colesterina e dell'isocolesterina. Il punto di fu- sione di esso è assai hasso, e ciò potrebbe essere dovuto a piccola quantità di alcooli inferiori contenutivi, ma esso è in massima parte costituito dall'alcool cerilico; e infatti basta cristalizzare due o tre volte dal cloroformio, per averlo alla stato di perfetta purezza. Allora si presenta perfettamente bianco e sotto forma di piccoli prismi riuniti. Seccato nel vuoto sull’acido solforico, si ebbe all'analisi il seguente risultato : da gr. 0,2115 di sostanza si ebbero gr. 0,6352 di CO?.e gr. 0,2713 di H°O: quindi in 100 parti: trovato calcolato per C*7H5° 0 C—A81593 81,82 H:Rel427 14,14 i — 359 — « Il suo punto di fusione 78°-79° e così il suo comportamento riguardo ai solventi e le altre proprietà fisiche, concordano perfettamente con quelle descritte per l'alcool cerilico. « Dal cloroformio da cui era cristallizzato l'alcool cerilico, non ho po- tuto separare che poca quantità di una sostanza cerosa. Forse operando su maggior quantità di sostanze si potevano avere risultati migliori, ma ho creduto meglio tener dietro all'alcool lanolinico, e per averlo più spedi- tamente ho modificato il processo in modo da evitare il lungo lavoro dell'estrazione eterea dei saponi, trascurando di separare gli acidi della parte basica. Infatti se dopo la saponificazione, distillato l'alcool, si tratta addirit- tura con acido solforico diluito e si estrae con etere, questo porta in solu- zione tutti gli acidi e gli alcooli insieme, mentre che l'alcool lanolinico resta indisciolto. In tal caso la estrazione eterea è resa molto più agevole, trat- tandosi di un liquido acido. Però una parte dell'alcool lanolinico passa in soluzione, essendo un poco solubile nella soluzione eterea dei corpi che l’ac- compagnano. Tuttavia è sempre in piccola quantità che si trova nella lano- lina. Da 5 chilogrammi di questa, saponificata col metodo suddetto, si ot- tengono soltanto circa 50 gr. di alcool cristallizzato una sola volta dall'alcool etilico, in cui è pochissimo solubile a freddo. Per averlo poi perfettamente puro, bisogna ricristallizzarlo dall'alcool a 93° e quindi molte volte dal clo- roformio, fino ad averlo completamente scolorato. Alcool lanolinico. « L'alcool lanolinico si presenta cristallizzato dal cloroformio sotto forma di polvere bianca, inodora. Lasciato per molto tempo in soluzione diluita nel cloroformio, si depone prendendo l'aspetto di concrezioni sferoidali. Osservato al microscopio non presenta struttura cristallina. « Disseccato prima nel vuoto sull’acido solforico, poi riscaldato a 100° fino a peso costante, fu sottoposto all'analisi e sì ebbero i seguenti risultati : I da gr. 0,2094 di sostanza si ebbero gr. 0,5991 di CO? e gr. 0,2453 di H?0 Heft» 01452 ” ” » 0,4160 ” TOA TI in. >» 01825 ” ” » 0,5228 ” » 0,2173 » da cui calcolando per 100 parti: trovato calcolato per C12 H?40 JE II III C = 78,02 — 78,13 — 78,13 78,26 H=13,01— 13,14 — 13,24 13,06 « L'alcool lanolinico è solubile a caldo nell’alcool, nella benzina e nel cloroformio, poco solubile a freddo, è insolubile nell’etere. Fonde tra 102°-104°, « Non dà alcuna delle reazioni della colesterina ed isocolesterina, e non Sii — 396 — ha numero di iodio. È insolubile nella potassa. Trattata con etilato sodico a caldo in parte si combina col sodio e il composto che ne risulta è insolu- bile nell'acqua. Trattando con acidi si riottiene l'alcool inalterato. È solubile a caldo tanto nell'acido acetico come nell'anidride acetica e da questi si ri- depone a freddo, senza contrarvi combinazione e quasi completamente. « Ho tentato di determinarne la grandezza molecolare col metodo ebul- liometrico di Beckmann, ma l'alcool lanolinico non innalza per nulla la tem- peratura del cloroformio in cui faceva l'esperienza. Non sì può neppure adot- tare il metodo della determinazione del punto di congelamento delle solu- zioni, appunto per la sua poca solubilità a freddo in tutti i solventi. « Riscaldato con acido bromidrico e con pentacloruro di fosforo, non ha dati buoni risultati, perchè gli acidi alogenati lo resinificano in gran parte. «Composto benzoilico. — Si riscalda l'alcool con un eccesso di anidride benzoica a 200° circa per 2 ore in tubo chiuso. Si ottiene così una massa uniforme, bruna, che si lava prima con acqua per asportare l'acido benzoico e l'anidride rimasta inalterata. Disciogliendo poi in alcool e preci- pitando con etere, si ottiene l'etere benzoilico sotto forma di fiocchi bianchi che si separano per filtrazione. « Disseccato a 100° fu sottoposto all'analisi e si ebbero i seguenti ri- sultati : da gr. 0,1731 di composto si ebbero gr. 0,5064 di CO? e gr. 0,163 di H* 0 quindi in 100 parti: trovato calcolato per C12 H®?*OCSH5CO CER 79,16 HF \1:052 9,72 « Tal composto si presenta sotto forma di una massa bianca, cerosa, solubile in alcool, insolubile in etere. Fonde tra 65° e 66°. « Lasciato a sè per qualche tempo, subisce per l’azione dell’aria una scomposizione, diventa più untuoso e imbrunisce. « Trattato con etilato sodico a caldo si scompone, dando nuovamente acido benzoico e l'alcool primitivo. « Questo derivato benzoilico si può ottenere naturalmente anche trat- tando l'alcool con cloruro di benzoile, ma in tal caso, come si accennava sopra, si ha una profonda resinificazione dovuta all’acido cloridrico che si svolge nella reazione, cosicchè il reddito è quasi nullo. Acido lanolinico. « L’alcool lanolinico non viene quasi per nulla attaccato dal perman- ganato di potassio in soluzione alcalina. Invece si ossida molto facilmente con acido cromico. « Gr. 5 di alcool furono posti in apparecchio a ricadere con grammi 200 — 357 — di acido acetico glaciale è quindi vi si aggiunsero gr. 10 di acido cromico a piccole porzioni ed agitando continuamente. L'ossidazione incomincia di già a freddo e si completa facendo bollire per circa due ore. Distillato l’acido acetico a bagno maria nel vuoto, si ripiglia il tutto con acqua e si filtra. Sul filtro rimane la parte inalterata e il sale cromico dell'acido lanolinico. Per scomparire il sale si fa bollire con carbonato sodico; in tal modo passa in soluzione il sale sodico dell'acido. Si filtra nuovamente e si acidifica con acido solforico diluito. Si ottiene un precipitato fioccoso, bianco, che raccolto su filtro, si purifica disciogliendolo di nuovo in soda e riprecipitandolo. Infine se ne fa una soluzione nel benzolo e si precipita con etere di petrolio. « Disseccato il prodotto nel vuoto sull’acido solforico e quindi riscal- dato a 100°, fu sottoposto all'analisi e si ebbero i seguenti risultati : I da gr. 0,1291 di sostanza si ebbero gr. 0,3185 di CO? e gr- 0,1222 di H° O II » » 0,1296 ’ nn 0,3006. » » 0,1224 > da cui si calcola in 100 parti: trovato calcolato per C!2 H 22 03 I II C = 67,29 — 67,47 67,29 H=10,45 — 10,47 10,28 » L'acido lanolinico si presenta sotto forma di una polvere cristallina, bianca. È insolubile nell'acqua e negli eteri di petrolio, solubile in alcool, etere, cloroformio e benzina. Fonde tra 75° e 77°. « È solubile nei carbonati alcalini. È anche disciolto dall’ammoniaca, ma basta scaldare leggermente o anche lasciare a se per qualche tempo, perchè man mano che l’ammoniaca si allontana, riprecipiti l'acido. Esso, come l'alcool lanolinico da cui deriva non ha numero di iodio. «Sale di bario. — Si prende una quantità di acido pesata esatta- mente, vi si aggiunge un poco d'acqua e sì tratta con una soluzione normale di soda; quando di questa si è aggiunta la quantità calcolata, l'acido è completamente disciolto. Trattando poi il liquido con leggero eccesso di clo- ruro di bario, si ottiene un precipitato bianco, che bisogna filtrare immedia- tamente alla pompa e lavare, perchè non si abbia assorbimento di anidride carbonica. « Così preparato e disseccato nel vuoto, il sale di bario sembra che contenga una molecola d’acqua di cristallizzazione ('), che perde riscaldato a 150°. Infatti: da gr. 0,1495 di sale si ebbe una perdita di gr. 0,0047 da cui: trovato calcolato per (C1? H?1 03)? Ba, H?°O HO S415 3,09 (1) Avendo poca quantità di sostanza, non ho potuto controllare la determinazione. IU « Il sale disseccato a 150° fino a peso costante fu sottoposto all'analisi e si ebbero i seguenti risultati : da gr. 0,1606 di sale si ebbero gr. 0,2861 di CO?, gr. 0,1095 di H?0 e gr. 0,0575 di carbonato di bario; da cui si calcola in 100 parti: trovato calcolato per (0° H?' 03)? Ba © ==50,78 51,15 Hi=59% 7,45 Ba = 24,82 24,39 Questo sale si presenta sotto forma di polvere bianca, pesante, insolubile completamente nell'acqua. Riscaldato non si fonde, ma si decompone. « Mi sembra adunque che sia in tal modo ben caratterizzata la funzione alcoolica per mezzo del derivato benzoilico del nuovo corpo che si riscontra nella lanolina. Da parte sua il prodotto dell’ossidazione sta ad avvalorare quello che diceva in principio, che l'alcool lanolinico abbia un poco della natura della colesterina. Infatti esso con acido cromico fissa due atomi di ossigeno, appunto come fa la colesterina ossidata con permanganato di po- tassio, la quale si trasforma nella triossicolesterina. Questa è solubile nella potassa ed insolubile nell'ammoniaca. L'acido lanolinico oltre che nella po- tassa è solubile anche nell’ammoniaca; ma come abbiamo veduto il sale am- monico si decompone anehe se si lasci a sè per qualche tempo ». PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Socio BLASERNA presenta la pubblicazione del Corrispondente RIGHI intitolata : Sulle oscillazioni elettriche a piccola lunghezza d'onda e sul loro impiego nella produzione di fenomeni analoghi ai principali fenomeni dell'ottica; una Memoria del dott. V. ReINA sull’Azimut assoluto di Monte Cavo sull’orizzonte della specola geodetica di S. Pietro in Vincoli in Roma; e, a nome del Socio CreMoNA una Introduzione alla teoria matematica della elasticità del prof. E. CEsARo. PaaBi — 359 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI _——_—TCm2£zKÌK< y_-_YYy_-->-<--_-<£.—--X Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 2 dicembre 1894. F. BrIoscHI Presidente. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Chimica. — Studio del dimetilnaftol(*). Nota preliminare del Socio S. CANNIZZARO e di A. ANDREOCCI. « Affine di togliere qualsiasi dubbio sulla costituzione della santonina e dei suoi numerosi derivati, abbiamo intrapreso un accurato studio sul dimetil- naftol che proviene dalla decomposizione degli acidi: destro-santonoso, levi- santonoso, racemo-santonoso, e desmotropo-santonoso (*). « Del prodotto di ossidazione (C**H!°0°) che fu descritto da Cannizzaro e Carnelutti (3) preparato per l’azione dell'acido cromico sul dimetilnaftol, ab- biamo ottenuto l'idrazone e l’ossima e due anidridi di quest’ultima, l’una verde e l’altra arancio, che ci riserviamo di descrivere. « Abbiamo inoltre convertito il dimetilnaftol nella dimetilammina corri- spondente, ottenendo prima il derivato acetilico di quest’ultima mediante l'azione dell’acetamide sul naftol e saponificando poi il derivato acetilico. (1) Lavoro eseguito nel R. Istituto Chimico dell’Università di Roma. (2) Cannizzaro e Carnelutti, Gazz. Chim. ital. vol. XII, p. 406. -— A. Andreocci, Gazz. Chim. ital. vol. XXIII, parte 2°, pagine 481 e 492. (3) Gazz. chim. ital. vol. XII, pag. 408. RenpIcoONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 47 — 360 — « La dimetilnaftilammina così ottenuta è una sostanza bianca cristalliz- zata in lunghi prismi, fonde a 74°, è volatile col vapor d’acqua, solubile nel- l'alcool e nell’etere e pochissimo nell'acqua. Fa un cloridrato poco solubile a freddo nell'acqua e meno nell'alcool, ed un cloroplatinato di color arancio quasi insolubile nell'acqua ma abbastanza solubile nell’alcool ». Cimica generale. — Sui composti di platosomonodiammina, Nota preliminare del Socio prof. ALronso Cossa. « Proseguendo nello studio dei derivati ammoniacali del platino, ho recen- temente iniziato delle ricerche sulle combinazioni di platosomonodiammina; e con questa Nota mi propongo di farne conoscere i principali risultati finora ottenuti. « 1.° Oltrechè per le reazioni indicate da Cleve nella sua classica Me- moria sulle basi ammoniacali del platino ('), si formano insieme ad altri pro- dotti combinazioni di platosomonodiammina nelle reazioni seguenti: « &) Azione dell'acido cloridrico sul cloruro della prima base del Reiset. « b) Azione limitata dell'’ammoniaca sul sale verde del Magnus, sui cloruri di platosammina, di platososemidiammina e sul cloruro doppio di pla- tososemiammina e di potassio. « c) Azione del cloruro d'ammonio e del nitrato di ammonio in solu- zione concentrate sul sale verde del Magnus e sul cloruro di platosammina. « 2.° Il metodo più conveniente, sotto il punto di vista della quantità del prodotto, per ottenere il cloroplatinito di platosomonodiammina, che è la materia prima che serve a preparare le altre combinazioni di questa base, consiste nel fare agire a caldo l'acido cloridrico sopra una soluzione acquosa di cloruro di platosodiammina. Avviene che questo sale, in una frazione che varia colla concentrazione dell'acido e colla durata della reazione, cede gra- datamente ammoniaca all’acido cloridrico e si scinde nei cloruri diplatosomo- nodiammina e di platososemidiammina. — Quando l’esperienza non è protratta oltre misura, la reazione avviene nettamente, senza formazione cioè di altri prodotti, e può essere rappresentata in modo generale dalla seguente equazione : mPt(NH3), Cl, + nHC1 = pPt(NHs): Cl, + qPt(NHs)s CI, + nNH, CI « Nelle mie esperienze si teneva per un certo numero di ore, in un ap- parecchio a riflusso alla temperatura dell'acqua bollente, la soluzione con- tenente determinate quantità di cloruro della prima base del Reiset e di acido cloridrico. Raffreddata la soluzione, si separava il cloruro di platososemidiam- mina, che è insolubile alla temperatura ordinaria (9). Nel liquido filtrato e (1) On ammoniacal platinum bases, Stockholm, 1872. — 361 — bollente si versa in eccesso una soluzione concentrata di cloroplatinito potas- sico. Il sale verde del Magnus che precipita immediatamente, lavato, essic- cato e pesato, moltiplicato per il fattore 0,59 indica la quantità di cloruro della prima base del Reiset che non ha preso parte alla reazione, e così per differenza si ha la quantità: m. — Dalla soluzione separata dal sale verde, concentrata per evaporazione, si depone per raffreddamento il cloroplatinito di platosomonodiammina, e da questo si può desumere la quantità p del cloruro della stessa base. « Evidentemente il rapporto tra le due quantità p e g varia anch'esso colla concentrazione e colla durata della esperienza. — A parità di concen- trazione, se si abbrevia la durata della reazione diminuisce naturalmente % rispetto a p; ma diminuendo in una più forte misura anche la quantità 72, ne viene che la quantità assoluta di p riesce più piccola di quella che si avrebbe prolungando la durata dell’azione dell'acido cloridrico. « Ecco i dati numerici dell'esperienza, che finora mi ha dato la massima quantità assoluta di cloroplatinito di platosomonodiammina. Impiegando dieci grammi di cloruro di platosodiammina cristallizzato sciolti in 150 cent. cu- bici di acqua distillata a cui aggiunsi 75 cent. cub. di acido cloridrico avente una densità eguale a 1,1982 a + 20°, dopo dieci ore di riscaldamento alla temperatura nell’acqua, si ottennero: gr. 6,75 di sale verde del Magnus = 3,98 di cloruro del Reiset cristallizzato » 3,20 di cloruro di platososemidiammina = 3,77 » 2,70 di cloroplatinito di platosomonodiammina = 2,11. « La differenza di grammi 0,14 tra la quantità impiegata di cloruro di platosodiammina, e la somma dei prodotti ottenuti, ragguagliati a questo sale, è trascurabile in questo genere di determinazioni, e pertanto non infirma l'attendibilità della formola generale sovraesposta. « 3.° Il cloroplatinito di platosomonodiammina cristallizza in lamine di un bel color roseo a riflesso leggermente metallico che rimangono completa- mente oscure tra i nicol incrociati, e da esse sorte nella luce convergente un'unica figura assiale ben centrata, avente il carattere della doppia rifra- zione positiva. « Questo sale per l’azione dell'ammoniaca, dopo essersi cangiato in parte nel sale verde del Magnus, si scioglie completamente, e rimane totalmente trasformato in cloruro di platosodiammina. « Coll’acido nitrico reagisce assai facilmente, trasformandosi in una ma- teria cristallina incolora, insolubilissima nell'acqua e che ha la composizione e le proprietà di un nitrato di cloroplatinomonodiammina. Infatti la sua solu- zione acquosa alla temperatura ordinaria non precipita col nitrato d’argento. « 4.° Finora si otteneva il cloruro di platosomonodiammina trattando con acido cloridrico concentrato il nitrato, che alla sua volta veniva preparato fa- e — 362 — cendo agire il nitrato d’argento sul cloroplatinito (!). — Dalle mie ricerche risulta che questo sale si può molto più agevolmente ottenere, versando in una soluzione bollente di cloroplatinito di platosomonodiammina una quantità equi- molecolare di cloruro di platosodiammina. La reazione è quantitativa ed av- viene secondo l'equazione seguente: (Pt(NH.); C1,), PtCI, + Pt(NH,;), Cl = Pt(NH:), Cl, PiC1, + 2Pt(NH3); CI; « Evaporando la soluzione, separata dal sale verde del Magnus insolu- bile, sì ottiene come residuo il cloruro di platosomonodiammina, che può es- sere facilmente e completamente purificato con una sola cristallizzazione. Esso costituisce dei prismi incolori, monoclini, aventi una lucentezza sericea, che sono solubilissimi nell'acqua e insolubili nell’alcool. « Il cloruro di platosomonodiammina per l'azione dell'acido cloridrico si trasforma assai facilmente in cloruro di platososemidiammina. Coll'ammoniaca cangiasi in cloruro di platosodiammina. Col cloroplatinato: sodico produce un precipitato cristallino di colore rosso carico costituito da cloroplatinato di platosomonodiammina, che si decompone però prontamente anche alla tem- peratura ordinaria, riducendosi in cloroplatinito ed in altri prodotti che non ho potuto ancora ben determinare ». Paleontologia. — Di alcuni fossili controversi riferiti a cri- nodi, foraminiferi, vermi e corallarî. Nota del Socio G. CAPELLINI. « In una breve Nota presentata all'Accademia nella seduta del 4 marzo u. s., tracciai la storia di un fossile stato illustrato per la prima volta in Bologna nel 1836 come riferibile al genere Apziocrinites, da ultimo studiato dal prof. Andreae e poscia descritto e figurato dal prof. Sacco nel 1893 come un rizopode del genere Bathysiphon (*). « In quella rapida rivista storica ricordai che Bianconi (1840) e Pilla (1846) ammisero che il fossile potesse aver rapporto con l’ Apiocrinites ellipti- cus, mentre il dott. Manzoni nel 1874 preferì di ravvicinarlo al genere Rhz- zocrinus. Il prof. Meneghini un anno dopo lasciava sussistere il dubbio sul proposto ravvicinamento generico, dichiarando che « era impossibile di deter- minare un genere di crinoide senza conoscerne il calice ». « Al prof. Sacco era sfuggita ogni possibile identificazione del supposto crinoide del miocene bolognese con il fossile delle colline di Torino che esso, seguendo l’Andreae e il Depéret, riferiva ad un genere di foraminiferi; avver- (1) Cleve, luogo citato. (2) Capellini, Rizocrinus Santagatai e Bathysiphon filiformis. Rendiconti della R. Accad, dei Lincei, classe di sc. fis. mat. e nat. vol. III, fasc. 5°. Roma, 4 marzo 1894. — 363 — tiva però che Eugenio Sismonda e Bartolomeo Gastaldi circa trent'anni ad- dietro, avevano raccolto e studiato lo strano fossile, benchè essendo incerti della determinazione non ne avessero fatto menzione nelle loro pubblicazioni. « Dalle note manoscritte dei due naturalisti trovate con gli esemplari nella collezione paleontologica del museo di Torino resulta che entrambi du- bitarono che si trattasse di frutti di leguminose, indicandoli perciò coi nomi generici: Carpolites e Leguminocarpon (!). « Non senza grande meraviglia che valenti naturalisti avessero potuto a volta a volta giudicare così diversamente i curiosi resti fossili caratteri- stici delle marne marine mioceniche del Bolognese, dopo un esame scrupoloso e in seguito ad accurati confronti, conclusi che il Rhizocrinus Santagatai, Mgh. e il Bathysiphon filiformis fossile secondo Andreae, 2. faurinensis secondo il Sacco, erano la stessa cosa; avvertii però che forse altri fossili erano stati riferiti troppo corrivamente allo stesso genere e che non si poteva ancora eliminare ogni incertezza sulla famiglia alla quale avevano appartenuto. « La quistione si trovava in questi termini mentre si aspettava che nelle memorie della Accademia nostra fosse pubblicato il lavoro del dott. De An- gelis, I Corallari dei terreni terziari dell’Italia settentrionale. Di quel lavoro 10 era stato Commissario relatore e per più considerazioni ne aveva incoraggiato la stampa; non aveva però serutinato per le singole diagnosi tanto da poter rilevare che la Pavonaria miocenica, Michelotti (P. Portisi, De Angelis) potesse essa pure aver che fare con il fossile che già era stato giudicato un crinoide, un frutto di leguminosa, un foraminifero e che il Mi- chelotti avrebbe riferito ad un corollario (*). « Ma pure sta così: e stenterei ancora a persuadermi della necessità di questa nuova identificazione, se non avessi avuto la opportunità di esaminare gli esemplari raccolti dal Michelotti e descritti dal De Angelis come coral- larî della famiglia Pennatulidae, e se non avessi potuto constatare che la fivura della sezione che questi ne ha dato a pag. 14 della citata Memoria, non corrisponde in modo alcuno a quanto si vede effettivamente, osservando senza idee preconcette. « La struttura finamente raggiata, come è accennata dal De Angelis, non esiste e quando si fotografa ingrandita una buona sezione, si vede come realmente si presenta la massa concrezionaria inattacabile dagli acidi, con qualche grano di quarzo e con frammenti di spicule, che costituisce il grosso strato interno come aveva diligentemente osservato il prof. Andreae. (1) Sacco F., Le genre Bathysiphon à l’état fossile. Bulletin de la Soc. géol. de France, 3° série, T. XX, pag. 165. Paris 1893. ; (2) De Angelis G., / corallarî dei terreni terziari dell’Italia settentrionale (Colle zione Michelotti). Memoria della R. Accad. dei Lincei, Classe di sc. fis. mat. e nat., ser. 5%, vol. I. Roma 1894. — 364 — « Io non potrei indovinare su quali caratteri si basasse il Michelotti per riferire il fossile in quistione al genere Pavonaria; mi basterà di ricordare che questo genere, dai zoologi moderni giustamente riportato al genere /un2- culina di Lamarck, secondo Blainville ha per caratteristica uno stelo calcareo a sezione quadrangolare con struttura raggiata, e quando si trattasse di questo genere non dovrebbero mancare assolutamente impronte del genere di quelle che, con maggiore probabilità, furono riferite a Pernatulidae (vedi anche De Stefani). Ma niente di tutto ciò; non stelo tetragono, non struttura rag- giata, non impronte che si possano riferire a porzioni dello stelo polipifero, non calcare ma aggregato siliceo; e quanto più si torna ad esaminare questi strani tubi più o meno deformati, con parete più o meno grossa, sempre più sì è inclinati ad ammettere che: qualora non si trattasse nè di vermi, nè di Astrorhizinae, meno ancora si potrebbe pensare di aver che fare con corol- larî. Non credo che, per ora, questa quistione paleontologica possa essere ri- solta definitivamente e per conseguenza parmi opportuno di insistere ancora che mentre sono pure da identificare genericamente gli esemplari del miocene delle colline di Bologna e di Torino e quelle di San Gregorio in Sassola (Tivoli) più recentemente raccolti dal dott. De Angelis, i quali tutti meglio ricordano il genere Ba/hysiphon, per gli altri provenienti dalle arenarie eo- ceniche e cretaciche dell’Apennino (8. apenninicus, Sacco), si debbano man- tenere gli intraveduti più stretti rapporti col genere Riabdamina. E poichè grandemente interessa di raccogliere tutte le notizie che si riferiscono a resti di questi fossili provenienti da località diverse e in vario modo interpretati, dirò che il prof. C. De Stefani ebbe pure a farne menzione nei suoi Stud? pa- leozoologici sulla creta superiore e media dell’ Apennino settentrionale, e fino dal 1883, ritenendo che potessero avere rapporto con Aleionarti, li riferì al genere Virgularia (1). « Il De Stefani cita Pontassieve (museo di Firenze), Montese (museo di Bologna) e il macigno eocenico di Ponte a Piastra in Garfagnana ove dice di avervi altra volta segnalato il fossile incerto col nome di Batyerinus sp. Per l’ultima località dice che, trattandosi di piccoli frammenti, non aveva potuto esaminarne la struttura microscopica della parte calcarea, ma che pro- babilmente anche quelli assi calcarei si riferivano ad Alczonarti, forse Vir- gularie o generi affini. « Ma il De Stefani aveva esperimentato e cercato la natura dei fram- menti dei quali si tratta, o si era fidato delle apparenze? Che per questi fossili controversi non si trattasse di cilindretti calcarei credo che nessuno avesse mai sospettato, prima che il prof. Andreae li avesse analizzati e con sezioni microscopiche si fosse assicurato, come feci io pure, che non si tratta (1) De Stefani, Stud? paleozoologici sulla Creta superiore e media dell’ Apennino settentrionale. Atti della R. Accad. dei Lincei, ser. 4°, vol. I, pag. 103. Roma 1885. — 365 — di calcare, che non vi ha struttura raggiata e che i supposti raggi o cana- letti sono piuttosto da ritenersi come avanzi di spicule di spongiari come se ne riscontrano nei tubetti del Bathysiphon (1). « Ho fatto fotografare alcune delle preparazioni meglio riescite ingran- dite notevolmente, ed ho avuto la conferma di quanto aveva osservato senza passione e senza voler vedere quello che non esiste. «I copiosi materiali dei quali ho potuto disporre, anche per confronti con Astrorhizinae, vermi tubicoli e corallarî viventi, sono nel museo geolo- gico di Bologna a disposizione di tutti gli studiosi che desiderassero di ve- rificare o di fare ulteriori osservazioni; per conto mio continuo a mantenere intatte le conclusioni della prima Nota del 4 marzo 1894 ». Fisica terrestre. — Sulla registrazione a Roma del terre- moto calabro-messinese del 16 novembre 1894. Nota del Socio P. TACCHINI. « Nella precedente Nota ho reso conto all'Accademia delle notizie tele- grafiche ricevute su questo terremoto e lo scopo mio principale era di far vedere come quel movimento erasi propagato fino a noi e oltre, e come gl'istru- menti del Collegio Romano avessero registrato le onde sismiche provenienti da quella scossa lontana. Ora mi permetto di far note all'Accademia alcune mie considerazioni sui tempi della registrazione del fenomeno a Roma e in Sicilia. Dal diagramma ottenuto nel nostro sismometrografo a doppia velocità, il cui pendolo ha una lunghezza di 16 metri e la massa è di 200 chilogrammi, si ricava che il principio del movimento in Roma ebbe luogo a 18°, 52", 255 t. m. E. C.: dopo per effetto della grande velocità dell'apparecchio si sono ottenute registrate in larga scala le curve dovute alle oscillazioni del pen- dolo, le cui amplitudini andarono crescendo fino alle 18%, 54", 555 per poi decrescere saltuariamente. In dette curve le dentellature per un buon tratto, che comprende la massima ampiezza di oscillazione, sono alquanto più mar- cate di quelle dei tratti sinusoidali che precedono e seguono, come quello ri- prodotto nella precedente Nota; così che si ha ragione di ritenere molto probabile, che il massimo del movimento sismico per Roma cada nel tratto medio sopradetto e precisamente verso l'ora indicata, cioè in cifra tonda a 18, 55®. Come prova di ciò, sta il fatto che detto tempo si accorda benis- simo con quello ricavato dalla registrazione di un altro sismometrografo, il cui pendolo ha solo sei metri di lunghezza e la massa 100 chilogrammi; da questo secondo diagramma il principio del movimento corrisponde a 18°, (1) Andreae A., Das fossile Vorkommen der Foraminiferengattung Bathysiphon. Verhandlungen der Naturhist. Med. Vereins in Heidelberg. N. F. V. B. 2, 1893. EEE =SS=- ul — 366 — 52", 305 e il massimo della fase a 18°, 55”, 505, così che si ha veramente ragione di ritenere, che il massimo del moto a Roma sia avvenuto molto prossimamente alle 18°, 55%, mentre con istrumenti meno sensibili il tempo della registrazione del principio della scossa deve trovarsi in ritardo. « Infatti un terzo sismometrografo col pendolo di soli 1%, 505 e massa di 10 chilogrammi il principio del terremoto risultò in ritardo e precisa- mente a 18°, 53”, 205. Ma per la questione di cui mi occupo ora, sono i tempi del principio e massima fase che interessano e quali furono ricavati dagli istrumenti di maggiore precisione. Ritenuto come si disse il tempo del mas- simo eguale a 18°, 55”, ritenuta la distanza fra Messina e Roma di 480 chi- lometri e prendendo per velocità di propagazione delle onde sismiche la media velocità trovata dal dott. Agamennone per diversi terremoti, cioè chilometri 2,5 e 3, se ne poteva inferire che a Messina la scossa forte doveva aver avuto luogo 3", 125 o 2”, 405 prima cioè a 18°, 51, 485 ovvero a 18°, 52%, 20. E infatti dai tempi segnalati telegraficamente poco dopo il disastro io trovai per Messina e Catania lora 18°, 52". Su quei tempi non credetti di far parola nella Nota precedente, perchè è naturale, che ad essi non si poteva subito prestare intiera fiducia, ma sicurissimo come era dell’esattezza dei tempi ottenuti a Roma, mi interessai tosto di avere notizie speciali sui tempi telegrafati, e da un rapporto del direttore dell’Osservatorio di Messina risulta evidente che il tempo della scossa forte, che non fu preceduta da scosse mi- nori sensibili, corrisponde a 18,52", 05 dall’arresto del pendolo dell'osser- vatorio, ed a 18°, 52", 25 e 18°, 51”, 315 dall’arresto di altri due pendoli in città. « Il pendolo dell’osservatorio era stato regolato il 12 novembre, così che tenuto conto anche che il pendolo dell’Osservatorio non si fermò mai colle scosse minori avvenute dopo, sebbene tanto sensibili, è certo che il tempo dato di 18°, 52" nel telegramma deve ritenersi corrispondente entro pochissimi secondi al momento della grande scossa. E anche mettendoli tutti e tre in conto, si ha per il tempo della scossa a Messina 18°, 1", 515, cioè un tempo pressochè eguale a quello calcolato partendo dal tempo della fase massima registrata in Roma. Ma sul diagramma di Roma la registrazione incomincia alle 18°, 52”, 255 cioè 24 muniti prima del massimo, cioè dall’ar- rivo del moto proveniente dalla scossa forte di Messina; e quindi io credo di poter concludere, che prima della grande scossa del terremoto calabro- messinese, ebbe luogo un moto-microsismico insensibile all'uomo e agli ap- parecchi comuni, ma che invece potè propagarsi e rendersi sensibile negli apparecchi a Roma, e perciò io ne concludo ancora, che se l'apparecchio di Roma si fosse trovato installato a Messina la registrazione del moto avrebbe incominciato a manifestarsi nell'istrumento 2" prima della scossa, cioè a 18°, 49”, 305. « Da tutto quanto ho esposto sopra risulta evidente, come sia neces- — 367 — sario avere nei diversi luoghi di osservazione istrumenti perfettamente com- parabili, e comparabile l'esattezza con cui i tempi delle diverse scosse sono determinati: ma per riescire a ciò occorrono mezzi, che non sappiamo quando sì riescirà ad ottenere, e qualche speranza a questo riguardo la ri- poniamo nella Commissione, che molto opportunamente il Governo ha nominato per lo studio di quel fenomeno. « Aggiungerò che da un telegramma d’oggi del Riccò, risulta che il massimo a Catania sì verificò intero alle 18°, 52%, ciò che aggiunge valore alle mie considerazioni ». Astronomia. — Osservazioni del pianeta BE 1894 e rifles- stoni sull’orbita. Nota del Corrispondente E. MILLOSEVICH. « Il primo novembre, col metodo fotografico, fu trovato da Wolf ad Heidelberg un pianetino, che io osservai il 4, 5, 7, 20 e 26 novembre al- l'equatoriale di 9 pollici dell'Osservatorio del Collegio Romano col micro- metro filare e con ingrandimento di 200 volte. L'astro era di undicesima gran- dezza, ed ecco le cinque osservazioni. Ascensione retta apparente Declinazione apparente 1894 Nov. 4 10°379485 RCR 22362475.00 (9.076 n) + 6°33'36”.2 (0.708) 5 54 250 2,96: 7:10 (85562) 6 3 5. 4(0.712) ” » 7 9 54 36 » 2834 56.66(9.238 n) 5 915. 7 (0.725) ” » 20 6 53 48 » 228 46.96(9.551n) +0 6360. 3 (0.769) ” » 26 8 13 56 » 227 18.67(9.310n) —18642. 5 (0.781) « Già dal telegramma, che annunziava la scoperta, e poi dalle due mie prime osservazioni, si metteva in evidenza lo straordinario moto in declina- zione, che era di oltre 70” all'ora, cosa eccezionalissima per i pianetini, supe- riore al più grande moto che Pallade possa avere in declinazione. È noto che Pallade è il pianetino, che ha l'inclinazione più forte fino ad ora conosciuta, quasi 35°. Si poteva congetturare subito che l’astro doveva essere molto vicino alla terra e notabilmente inclinato. « Coll'osservazione della scoperta (1 Nov.) e colla mia del 7 Novembre, tentai un'orbita circolare allo scopo di poter ritrovare l'astro dopo il plenilunio. « Il metodo, come è noto, si riduce a questo: con un dato raggio, in base alle due direzioni osservate e ai luoghi della terra corrispondenti alle due epoche delle osservazioni, risulta l'arco eliocentrico descritto, il quale deve risultare identico a quello che in base all'intervallo e col medesimo raggio risulta dalla ben nota legge di Keplero. Nell'ipotesi di 4="2 aveva una differenza di 10' 7” fra i due valori, l'arco eliocentrico dedotto colla prima via RenDICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 48 | — 368 — essendo maggiore del valore dedotto dalla legge di Keplero; dovetti discen- dere fino ad 4 = 1, ed ancora aveva per i due valori 2°58/44” e 295755”, cioè l'accordo si raggiungeva per 4< 1, locchè era paradossale, perchè l’astro era in opposizione, cioè al di là dell'orbita della terra rispetto al sole. Al medesimo risultato paradossale pervenne il celebre calcolatore Schulhof (vedi Astronomische Nachrichten 3264). « Ciò dipendeva perchè in realtà l’astro era assai vicino alla terra e molto eccentrico, come appare dagli elementi ellittici calcolati da Berberich, e per lettera gentilmente trasmessimi appena dedotti. Essi sono basati sopra un piccolo intervallo di appena undici giorni, ma rappresentano bene le mie osservazioni del 20 e del 26 novembre. « L’astro è inclinato di circa 22° e l’arco, di cui il seno è l’eccentri- cità. è 17°. Il primo novembre l’astro era distante dalla terra soltanto 0,70 (1 essendo la media distanza della terra dal sole); in verità quindi il 1° no- vembre esso distava del sole circa 1,7, cioè su per giù la distanza di Marte dal sole, quando quello è all’afelio. Se l’astro fosse in opposizione esattamente perielia, e che questa avvenisse in estate, si potrebbe avere per distanza dalla terra il valore 0,6, cioè una parallasse orizzontale di circa 14”; l’astro quindi potrebbe servire in modo ammirabile per molte ragioni meglio di Marte, ad una determinazione della parallasse orizzontale del sole ». Matematica. — Sopra alcune equazioni differenziali iper- geometriche. Nota del prof. D. Besso, presentata dal Socio BELTRAMI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Fisica. — Variazione sull’altezza di un corista prodotta da!la magnetizzazione. Nota del dott. N. PrerpAoLI, presentata dal Socio BLASERNA. « Ho voluto esaminare come si modifica la durata di oscillazione o l’al- tezza di un corista per effetto della magnetizzazione. « A tal fine ho paragonato successivamente tre coristi ordinari } La; = 870 v. s.4 con il corista normale prototipo da verifica, conservato in questo ufficio centrale del corista uniforme, seguendo il solito metodo ottico, deter- minando cioè il numero dei battimenti o delle rotazioni della figura di Lis- sajous in 1” prima e dopo avvenuta la magnetizzazione. « In queste ricerche il corista prototipo, termine di confronto, fu fissato pel suo gambo ad un solidissimo treppiedi, e costantemente tenuto nella medesima posizione, mentre i coristi da esaminare venivano fissati a mezzo — 369 — di una vite sopra apposito montante, dal quale non venivano rimossi per tutta la durata del loro esame. Per magnetizzarli si trasportavano insieme al montante. Operai così perchè da esperienze preliminari ho potuto accer- tarmi che sulla durata di oscillazione del corista influiva anche il diverso modo con cui esso era fissato, giacchè stringendo più o meno forte la vite sì notava una differenza sensibile, ciò che del resto è naturale e noto già riguardo al pendolo. Tenendo dunque il corista prima e dopo la magnetizza- zione fissato ugualmente, ho creduto eliminare qualunque causa di errore deri- vante dalla fissazione del corista. « Per magnetizzare i coristi mi sopo servito di un’ elettrocalamita, con- tro i poli della quale strofinava un certo numero di volte le due branche, e precisamente le due faccie di esse parallele al piano di oscillazione. Così anche ammettendo, che con lo strofinamento venisse a scemare la massa del corista, tale diminuzione non avrebbe potuto esercitare influenza alcuna, giac- chè non avrebbe che diminuita la dimensione normale al piano di oscilla- zione, dalla quale, come si sa, è indipendente la durata della vibrazione. Cionondimeno ho verificato che in realtà per lo strofinamento non si alterava menomamente la massa del corista, dappoichè prima e dopo la magnetizza- zione trovai il peso del corista uguale fino al milligrammo sopra circa 220 grammi. Stante la forma poco opportuna offerta dai coristi, non ho de- terminato il momento magnetico. « Persuaso che per effetto della magnetizzazione si producesse una pic- cola variazione nel numero delle vibrazioni, ho posto ogni cura perchè sul fenomeno non influissero altre cause, ed in particolar modo la temperatura. Ho cercato quindi per quanto mi fu possibile di eseguire le misure prima e dopo la magnetizzazione alla medesima temperatura, o per lo meno a tem- perature poco diverse tra loro. È vero che trattandosi qui non di misure as- solute ma relative, anche avvenendo una variazione di temperatura tra un'espe- rienza e l’altra, questa si fa sentire tanto sul corista da esaminare quanto sul corista campione, ma rimane sempre il dubbio se essa si fa sentire sui due coristi in ugual grado; necessiterebbe perciò che essi avessero uguale coefficiente di temperatura, ciò che in generale non può ammettersi e non è, sebbene i coristi da me studiati e costruiti da Kénig sieno fatti con la mas- sima cura. Era dunque prudente e necessario esperimentare a temperature, se non perfettamente uguali, almeno differenti il meno possibile. « Per essere poi sicuro che i due coristi avessero durante le singole mi- sure la medesima temperatura, ho collocato vicino ad essi due buoni termo- metri, e le misure stesse cercava di farle nel più breve termine possibile, affinchè la mia presenza prolungata ed il calore irradiato dalla lampada ado- perata, non alterassero sensibilmente la temperatura dell'ambiente e non sta- bilissero differenze sensibili nelle varie regioni di esso. Quindi, piuttosto che fare molte misure nello stesso giorno, ho preferito farne poche per giorno. Î — 370 — «I tre coristi che ho studiati, in acciaio non temperato, sono distinti coi numeri progressivi 51, 55, 57 e dovrebbero corrispondere ad 870 v. s. alla temperatura di 20° come il corista normale col quale li ho paragonati. Quest'ul- timo, in acciaio dorato, porta l'estremità delle branche brunite, le quali fun- zionano da specchi; sugli altri ho dovuto invece attaccare uno specchietto, ciò che li ha naturalmente abbassati, ed ho verificato che prima e dopo la magnetizzazione essi erano più bassi del corista normale. La branca esami- nata è stata per tutti la medesima, cioè la branca a destra di chi guarda l'iscrizione incisa su di essi, e per ognuno ho determinato sempre la durata di 20 battimenti semplici a mezzo di un contasecondi in quinti. « Ho esaminato inoltre se l’orientazione del piano di oscillazione del corista esercitava qualche influenza sul fenomeno; ma facendo oscillare il corista magnetizzato nel piano del meridiano magnetico ed in un piano nor- male ad esso, non ho potuto notare alcuna differenza apprezzabile. « Nella seguente tabella sono riportati i valori medî ottenuti, le durate cioè di 20 battimenti prima e dopo la magnetizzazione. Gorica Durata di 20 battimenti INR Differenze . N° Prima della ma- | Dopo la magne- media gnetizzazione tizzazione ° 51 16,41 1714 0,73 55 20,68 21,45 0,77 0,718 57 16,87 17,51 0,64 | Tenuto conto di quanto ho detto sopra, che cioè i 3 coristi esaminati, prima e dopo la magnetizzazione, erano più bassi del corista prototipo, questi risul- tati ci dicono che la magnetizzazione ha avuto per effetto di innalzarli un pochino, avendo migliorato l'accordo con il corista normale. Ciò è reso evi- dente anche da questa seconda tabella in cui sono riportate le differenze nel numero delle vibrazioni dei coristi ordinari col corista normale. Differenze nel numero . Corista delle vibrazioni Differenza Differenze È N° Prima della ma- | Dopo la magne- media gnetizzazione tizzazione VaSo | V.S. V.S. 51 1, 2188 1, 1668 0, 0520 VeSo 55 0, 9671 0, 9324 0, 0347 0, 0433 57 1, 1855 1, 1422 0, 0433 — 371 — « Si avrebbe così sopra 870 v.s. una differenza di circa 4,3 centesimi di vibrazione, mentre sulla durata di un’ oscillazione risulterebbe una diffe- renza di circa 7X1078 di secondo. Come si vede, si tratta di una variazione piccolissima, ma nullameno avendo con i 3 coristi notato lo stesso effetto, è indubitato ch'essa è dovuta alla magnetizzazione. « Rimane ora ad interpretare la causa di questa variazione, a vedere cioè quale delle quantità che influiscono sull’altezza del corista, abbia subìta una variazione in seguito alla magnetizzazione. Si sa che il numero delle vibrazioni di un corista è direttamente proporzionale allo spessore ed in ragione inversa del quadrato della lunghezza, cioè e 1) = IE Le s 1) in cui K è una costante che dipende dal modulo di elasticità del corpo vi- brante ed uguale presso a poco per l'acciaio a 0,164V, se con V indichiamo la velocità del suono in esso. D'altra parte è noto, per le ricerche di molti fisici che si sono occupati delle variazioni delle costanti fisiche di un corpo per effetto della magnetizzazione, che la magnetizzazione non altera il vo- lume del corpo, e mentre ne aumenta la lunghezza, lo restringe, cioè fa dimi- nuire le altre dimensioni. « Introduciamo quindi nella 1) la condizione dell’invariabilità del volume. Se questo lo diciamo Q, e riteniamo quadrata la sezione della branca oscil- lante del cronista, ciò che può sempre farsi, avremo : Oi e quindi 10.0: oa L: Così sul valore di % non possono influire altro che K ed L. « Supponiamo ora che K rimanga costante, e diciamo ,, 7, i numeri delle vibrazioni del corista prima e dopo la magnetizzazione, ed Li e Ls le lunghezze relative, si avrà: da cui 5 (gra ap Li « Per i risultati da me ottenuti nen >O mentre per la magnetizzazione ua Lil — 372 — « Dunque ammettendo K costante, non si potrebbero spiegare i miei risultati e si avrebbe una contradizione. Concludo che la magnetizzazione deve aver fatto variare K, ossia dev'essere avvenuta una piccola variazione nel modulo di elasticità, e precisamente deve aver subito un incremento. « Pongo termine a questa mia Nota col fare un'osservazione. Nello stu- dio dei coristi elettromagnetici da me fatto tempo addietro (*), ebbi a notare una debole magnetizzazione delle due branche del corista sotto l’ influenza del piccolo elettromagnete situato tra esse; e, come trovai allora, che deter- minando il numero dei battimenti prima e subito dopo l’azione della cor- rente, si aveva una piccola variazione corrispondente a circa 3 centesimi di vibrazione in meno, asserii che probabilmente ciò dipendeva dalla debole magnetizzazione delle due branche. Fu la spiegazione che mi si affacciò per prima, non essendo allora in grado di prevedere in quale senso potesse eser- citarsi l'influenza della magnetizzazione. Ora però che da queste ricerche dirette si rende manifesto che la magnetizzazione, anzichè abbassare il corista, lo innalza, devo conchiudere che la piccola differenza osservata allora deve attribuirsi ad altra causa; forse ad una leggera variazione di temperatura, determinata dall'azione prolungata della corrente e dal prolungato moto vibra- torio del corista. « È certo che la magnetizzazione delle due branche del corista elettro- magnetico essendo provata, si avrà anche per essa una variazione, ma dev'es- sere in quel caso estremamente piccola, se questa trovata ora con una magne- tizzazione diretta è per sè stessa già così piccola; e si comprende quindi come possano prevalere le altre cause che tendono invece ad abbassare il corista. « Ho voluto anche constatare se per caso si trattasse per il corista elet- tromagnetico di una magnetizzazione trasversale, che producesse un effetto contrario, ma producendo lo spettro magnetico, ho veduto che, anche per azione dell’elettromagnete, le branche del corista elettromagnetico si magnetizzano longitudinalmente ».. Fisica terrestre. — Su/la variazione di velocità di propagazione dei terremoti, attribuita alle onde trasversali e longitudinali. Nota del dott. G. AGAMENNONE, presentata dal Socio P. TACCHINI. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. (1) Rendiconti Acc. dei Lincei. Vol. II, 1° semestre, fasc. 8, pag. 337. — 373 — Mineralogia. — Appunti di mineralogia italiana. — Antimonite di Cetine. Nota del dott. E. ARTINI, presentata a nome del Socio STRUEVER. Questa Nota sarà pubblicata nel prossimo fascicolo. Chimica. — Sull’ esistenza della Coniina nel Sambucus nigra. Nota del dott. G. De Sanctis (*), presentata dal Corrispon- dente A. BALBIANO. « Il fatto, già da molti (?) esperimentato, che il decotto dei fusti e delle foglie del Sambucus nigra ha un'azione elettiva sul sistema nervoso e sul tubo intestinale, mi è stato sprone ad intraprendere lo studio di questa pianta conosciuta fin dai tempi più remoti. « Seguendo il consiglio e le norme del prof. Errera (8) ho incominciato a fare la ricerca del principio attivo del sambuco a mezzo del microscopio. Ho trovato infatti che alcune cellule che accompagnano i fasci fibro-vasco- lari dinno, quando vengano trattate con una soluzione di joduro di potassio Jodurato, un precipitato marrone assai caratteristico, il quale non scompare con l'ulteriore trattamento dell’acido cloridrico, a differenza del precipitato che si ottiene col medesimo reattivo nei canali tanniniferi del sambuco. « Sicuro ormai dell’esistenza di un alcaloide, mi sono proposto di iso- larlo servendomi dei mezzi che verrò qui sotto esponendo. « Ho raccolto da me stesso una gran quantità di fusti e foglie di sam- buco e ne ho fatto un decotto acido per acido solforico. Dopo un riscalda- mento blando, prolungato. per parecchie ore, ho colato il liquido a cui ho aggiunto dell’acetato neutro di piombo. Si ottiene così un abbondantissimo precipitato risultante da composti piombici delle sostanze tanniche e di una parte delle materie estrattive. Si filtra, ed il liquido filtrato si precipita con acetato basico di piombo, avendo cura di aggiungere con molta precauzione il reattivo, perchè un eccesso può disciogliere il precipitato formatosi. « Il liquido da cui sono stati eliminati i composti piombici, viene dap- prima evaporato il più che sia possibile, poscia vi si aggiunge acido solfo- rico fino a completa precipitazione dell’eccesso di acetato di piombo e da ul- timo, dopo filtrazione, si tratta con lo joduro doppio di bismuto e potassio. (1) Lavoro eseguito nell'Istituto Chimico-farmaceutico della R. Università di Roma. (2) Sydenham, Boerhaave, Borgetti ecc. (3) Sur la distinetion microchimique des alcaloides et des matières protéiques, par L. Errera. il — 374 — Si ottiene in questa operazione un abbondante precipitato di colore rosso minio, assai caratteristico, di jodobismutato della base esistente nel Sambucus nigra. Ho raccolto e lavato con cura il sale doppio, e, sospesolo nell'acqua, l'ho decomposto mediante l'acido solfidrico: da una parte m'è precipitato il sol- furo di bismuto e dall'altra ho ottenuto in soluzione lo jodidrato dell’alca- loide. Questo sale cristallizza in grossi cristalli nel vuoto secco. ma è poco maneggevole a causa della sua estrema deliquescenza. Esso tramanda un odore assai pungente e nauseante, odore che incomincia ad avvertirsi allorquando si concentrano i liquidi per la precipitazione col reattivo di Dragendorff. « La soluzione dello jodidrato dell’alcaloide, che col riscaldamento di- viene rosa e poi in seguito verdastra, quando venga trattata con ossido idrato di argento, lascia in libertà la base, mentre si precipita lo joduro d’argento. « La base che ho estratto dal sambuco è un liquido incoloro, quando sia di recente preparato, oleoso, più leggero dell'acqua, dotato di un odore penetrante e disgustoso; odore che ricorda quello degli escrementi dei topi. Emette dei vapori alla temperatura ordinaria: è molto alterabile e si colora presto in bruno passando per tinte intermedie assai belle e molto variate. Si scioglie un po’ nell'acqua a cui comunica l'odore suo caratteristico: si scioglie nell'alcool, nell’etere, nel cloroformio. « Una volta avuto per le mani l'alcaloide libero, ho cercato di prepa- rarne qualche sale, benchè la quantità della base fosse sì piccola da non per- mettere una ricerca molto estesa. « Il cloridrato cristallizza in grosse lamine incolore ed è oltremodo deli- quescente. Lasciato all’azione della luce si colora in rosso brunastro. « Il solfato, l’acetato sono incristallizzabili a motivo della loro massima deliquescenza. « Il cloroaurato è una polvere gialla cristallina, che si ottiene a stento trattando il cloridrato della base con cloruro d'oro. Se si riscalda la solu- zione del cloroaurato, si deposita sul fondo e sulle pareti del recipiente un velo di oro metallico assai bello e assai splendente, mentre sì avverte mar- catissimo l'odore dell’alcaloide. L'incertezza di ottenere puro questo sale mi fece abbandonare l'idea di potermene servire per le mie determinazioni. « Il cloroplatinato cristallizza in prismi quadrangolari; è un po’ solubile a freddo nell'acqua, nell’alcool, nell’etere; ma è solubilissimo nell’aleool bol- lente. A 100° si decompone come il cloroaurato, però in modo molto meno sensibile. « Tutte le soluzioni dei sali che ho potuto preparare precipitano, anche se diluitissime, con i reattivi generali degli alcaloidi: però lo joduro doppio di bismuto e potassio è, secondo il mio parere, il reattivo più caratteristico e, ciò che più monta, il più maneggevole: le acque che tramandino appena un leggero odore della base dànno un precipitato apprezzabile o tutt'al più un arrossamento allorchè vengano trattate con il reattivo di Dragendorff. — 375 — « Per poter determinare la formula di questo alcaloide ho potuto sol- tanto analizzare il cloroplatinato, stantechè è questo, come avanti ho accen- nato, l'unico sale ben cristallizzato e puro che fino ad ora abbia potuto ottenere : gr. 0,1759 di sostanza diedero di anidride carbonica gr. 0,1871, di acqua gr. 0,0854. gr. 0,1922 di sostanza diedero di azoto a 0° e a 760!" ce. 4,63 gr. 0,1351 di sostanza diedero di cloro gr. 0,0433. gr. 0,2807 di sostanza diedero di platino gr. 0,0822 da cui calcolando per cento si ha C — 29,00 H — 5,39 AzrT— 4,4l CI — 32,05 Pt — 29,28 e per (C3 HEEN#SEC1) Pt CE C — 28,94 H — 5,42 Azrt— 4,22 CI — 32,10 Pt — 29,30 « Dalle analisi suddette risulta che il cloroplatinato della base ha per formula (C* H!° N. H C1.)? Pt CIA. « Ora da tutto il complesso delle reazioni, dall'odore caratteristico della base libera, e, ciò che più monta, dall'analisi del cloroplatinato, si può senza fallo argomentare che l’alcaloide estratto dal sambuco è niente altro che la Conicina. Ho determinato anche lo jodio nello jodidrato dell’alcaloide e pure tale analisi comprova la mia asserzione, infatti: trovato calcolato per (C8 H!" N. H C))® Pt C14 J. 49,52 49,80 « Non contento di tali risultati, ho voluto esperimentare se l’azione fisio- logica del mio alcaloide fosse identica a quella della vera coniina che si estrae dal Conzum maculatum. E qui debbo ringraziare il dott. Dutto del Laboratorio di Fisiologia dell’Università di Roma, il quale iniettando del cloridrato della base nelle rane, venne nella convinzione che si trattasse di un veleno curarizzante, come è appunto la Coniina del Corzum maculatum. Ma nasce ora spontanea una domanda: Questa base estratta dal sambuco è un «-propilpiperidina come la coniina, ovvero una sua isomera ? RenpI€eONTI. 1894, Vol. III, 2° Sem. 49 ij} — 376 — «I sali che ho potuto preparare e studiare sono identici a quelli che ho ottenuto lavorando su vera coniina. La mia base dà un composto ramico di color azzurro, come fa appunto l’'alcaloide della cicuta. Ho cercato anche di preparare uno jodocadmiato, sale che servì a Lademburg per iscoprire se la coniina estratta dal vegetale era identica a quella sintetica; ma per quanto mi sia affaticato, non sono riuscito ad ottenere un composto cristallino. « Dopo quanto ho detto mi piace far notare che son partito da un quintale di foglie e fusti secchi di sambuco, e che ho ottenuto da questa massa di vegetale appena gr. 3,5 di cloridrato della base. Esperienze sull’uso dell'estratto idroalcoolico di sambuco si stanno eseguendo ora nell'Istituto di Clinica medica della R. Università di Roma, applicandolo in casi di affe- zioni nervose, e completate le ricerche verranno pubblicate. « La coniina, che fino ad ora non s era riscontrata che in una ombrel- lifera, vale a dire nel Conium maculatum, compare ora nella famiglia delle caprifogliacee e propriamente nel Sambucus nigra ». Chimica. — Osservazioni sulle relazioni tra il peso moleco- lare e la densità ne’ corpi solidi e liquidi. — Sali alogenati. Nota di Udo ALvisI, presentata dal Corrispondente R. NASINI. « Già fin dal 1821 M. A. Le Royer e J. A. Dumas (') avevano tentato di stabilire per i volumi azomzieî de corpi solidi una legge analoga a quella scoperta da Gay-Lussac per i volumi de’ gas. Ma in una Memoria: Sulla densità dei corpi solidi e liquidi, letta all'Accademia di Torino nel 1824, M. Avogadro da una serie di osservazioni deduceva che « la distanza tra i centri molecolari sarebbe la medesima per tutti i corpi in ciascuno de’ due stati, cioè la loro densità sarebbe proporzionale alla massa di queste mole- cole, se queste distanze e queste proporzionalità non venissero più o meno alterate per differenti circostanze dipendenti dalla costituzione di questi corpi, cosa che non ha luogo nello stato gassoso, dove le molecole sono troppo lontane le une dalle altre perchè la loro influenza possa esercitarsi e dove perciò 22 volume della molecola, cioè lo spazio che occupa col calorico o l'etere che la circonda, non differisce da un corpo all’altro che in ragione delle stesse circostanze ». « Questo concetto in generale si è serbato sino-ad oggi; tuttavia senza entrare nella questione della natura di queste reciproche influenze molecolari nei solidi e ne’ liquidi, sembra naturale l'ammettere o l'uno o l'altro di questi due ordini di fenomeni : (1) Jour, de phys. 92-409. — 377 — « 1.° O queste influenze dipendono dalla natura specifica di ciascun corpo (che si esplichi o nella forma differente o in altra proprietà) e quindi per- turbano le leggi determinate da una distanza regolare de’ centri molecolari; tale ipotesi non fu ancora in modo assoluto dimostrata. « 2.° O rientrano anch'esse in quella specie di proprietà dette mole- colari e quindi il loro andamento non può turbare la costatazione di leggi semplici della medesima natura; in favore di tale ipotesi esisterebbe qualche prova, p. es. la regolarità nel volume molecolare delle serie de’ sali isomorfi e di analoga formola e funzione chimica. « Non mi fermerò sull'istoria delle ricerche sui volumi molecolari e sui pesi specifici de' corpi solidi e liquidi, lunga e nota anche da pregevoli rias- sunti e monografie; le conclusioni generali si possono brevemente riassumere : « 1.° Il volume de’ corpi gassosi è, secondo l’espressione di M. Wundt, una proprietà collgativa. « 2.° I volumi molecolari de’ liquidi (serie organiche) sono delle pro- prietà additive, sottomesse all'influenza di proprietà costitutive. « 3.° Per i volumi molecolari de’ solidi parrebbe anche trattarsi di proprietà additive (ammessi, s'intende, de’ coefficienti di contrazione), ma re- gnano grandi incertezze; regolarità spiccate si riscontrano solo tra le serie de’ sali isomorfi di formola chimica o analoga o paragonabile. « Il problema che io riprendo, cioè di trovare una relazione generale tra la grandezza molecolare e la densità ne’ corpi solidi e liquidi, è antico e, di fronte alle esagerate speranze o ai troppo rigidi scoraggiamenti concepiti in questo campo di studî, notrebbe sembrare una pretesa il ritornarvi; tuttavia in questo momento, in cui le conoscenze sulle leggi che governano la ma- teria allo stato gassoso o di soluzione diluita sono così avanzate, mi è parso di qualche utilità il ritentare la questione, partendo da un punto di vista molto semplice e servendomi in queste prime Note de’ dati forniti dai diversi autori, salvo poi a trattare in avvenire sperimentalmente qualche quesito che sl presenti. « Premetto intanto : « 1.° Che mi servirò del volume molecolare come d'un semplice rap- porto tra peso molecolare e peso specifico, senza pregiudicare la questione che cosa esso rappresenti; sostituendo al peso molecolare quello equivalente, avremo il volume equivalente. « 2.° Non mi occuperò affatto del volume che può avere un elemento nelle sue combinazioni. «3.9 I lavori, di cui mi sono servito per queste e per le ricerche che verrò pubblicando, sono i seguenti : « Per la parte generale : W. Ostwald, Zehrbuch der Allgemeinen Chemie. Stòchiometrie-Leipzig, 1891. — 378 — « Per i pesi specifici delle sostanze organiche: F. Beilstein, Handbuch der organischen Chemie. Hamburg und Leipzig, 1893-1894. « Per i pesi specifici delle sostanze inorganiche : Landolt und Bérnstein, Physikalisch-chemische tabellen. Berlin, 1894. « Per 1 pesi specifici de minerali : M. Websky, Min. Studien-Erst. Theil. Die min. Species nach den fir das spec. Gew. derselben angenommenen und gefundenen Werthen ete. Breslau. 1868. « Per i volumi molecolari già calcolati de’ corpi organici ed inorganici: i lavori di H. Schréder, di H. Kopp (Ziedig Ann.) e di R. Hermann (4. pr. Chem. vol. XIII, p. 28. 1876). « Fuori di questi ho sempre citato volta per volta le Memorie. « Più strettamente collegate con le mie sono le seguenti ricerche : « 1.° F. Ammermiillr (') nel 1840 dimostrò che « i volumi atomici delle combinazioni, che contengono lo stesso elemento in rapporti differenti, sono molte volte tra loro uguali o stanno tra loro in rapporti razionali », e lo Schròder più tardi che: « lo stesso corpo in composti diversi ha volumi specifici diversi, ma in rapporti razionali ». Queste leggi presentano delle eccezioni. « 2.° Hugo Schiff (*) nel 1858 dimostrò che, esaminando i volumi equivalenti di diversi cloruri, bromuri e ioduri, sì riscontrano in ciascuna serie delle eguaglianze notevoli; fanno eccezione i sali di potassio, ammonio e mecurosi. Ma lo Schiff esaminò un numero molto limitato di corpi e non trasse dalla regolarità rilevata nessuna conclusione che interessi il problema in questione. « 3.° Il Mendelejeff (8), volendo dimostrare che i volumi molecolari de cloruri non sono la somma de’ volumi degli elementi, rileva che i volumi di RC = n. 27, mentre il volume del CI è = 27. Così per esempio vol. TAC — 108} 490277 « Per trattare la questione che mi sono proposta è necessario l'esame accurato di un gran numero di composti, sopra tutto tenendone di mira l'an- damento generale. Comincerò da’ sali alogenati. (1) Pogg. 49-341; ib. 50-5-406. (®) Ann. der Chem. und Pharm., vol. CVIII, p. 21. (3) B. der Chem.'Ges., IV, 931. 1871. | — Sor i: Volume Volume .| Volume Volume ; Volume Volume Cloruri È Bromuri ; Joduri 3 molecolare equivalente molecolare | equival. molecolare | equival. (CH 3 Sao 22,8(1) -27 22,8-27 Br 27,8(1) 27,8 EJ 37,5 (1) 37,5 TOI 3/0 4866 24,3-29 24,3-29 = De _ = — - Milo. 20,87 20,87 LiBr 27-28,1 27-28,1 LiJ 38,5 38,5 Bee... 85,5-87,7 28,5-29,2 BBr 92,6 30,8 BJ? 118,1 39,9 =CC1? 50,3-51,4 25,1-25,7 = = = — = cà CGIE cre 94,5-97,4 23,6-24,3 CBr* 97 24,2 CI* 122,6 30,6 CHC} 78 26 -- - — — = = NC]8 (21909. 24,3 — — - = —_ — NaCl 27,2-27,91 927,2-27,91 || NaBr 34,1 84,1 NaJ 42,2 42,2 MgC1? 43,7 21,8 = — — n — — = — AlBr? 105,1 35 A1J3 151,3? 50,1 —SiCl* 85,1 28,8 = Fi "i su a = SiCls 114,8-111,6 27,9-28,5 SiBr* 123,8 30,9 _ = = SiHCI? 82,1 27,8 SiHBr® 107,6 35,8. || SiHJ? 121,9 40,6 ICE: 85,3; eb. 87,1-93,6 | 28,4; 29-381,6|| PBr3 |92,62 fus. 108,6 | 30,8-36,2 — = = CaCl? 50 25: max=27,2| CaBr? 62 81 — = —- TiC14 107,9 26,9 —_ —_ n Sa Pa sE MO. 103,4-105,1 25,8-26,2 — —- = -. = "n CrC1? 44,7 22,3 = he, Da E DE sr CrCls 67,1 22,3 = di pui he: nti Se MnC? 50,8 25,4 = = = a ca TA FeCl? 50,2 25,1 _ — = -- = - CoC1? 44 99 e = — = —_ —_ NiCI? 50,5-50,8 25,2-25,4 _ — = — = = Cu?C1? 51,5 Deal Cu?Br? 64 32 Cu?3? 86 43 Culi? . 50,6 25,9 = Sdi = = = Ta ZnC18 49,4 24,7 ZnBr® [regolare 61,8] 30,9 ZnJ? 67,9 33,9 GaC18 74,8 24,9 A E da sl E ps GeCli . 113,4 28,3 = 3 ES, = 228: Le AsC18 82,4-83,8 27,4-27,9 AsBr? 86 28,9 As J3 104,1 34,7 = _ _ = — AsyJ5 180,1 36 SCE e 50-51,7 25-25,8 SrBr? 62-63,4 81-381,7 || Srl? 77,2 38,6 Aol... 25,7-26,6 25,7-26,6 || AgBr 30-31 80-81 AgJ 41,8-40,3 |41,8-40,8 CACAO. 50,4 25,2 Cd Br? | 55,4-57,8 |27,7-28,9]] CaJ? 61,2-64,8 |30,6-32,4 = — Sn Br? 54,9 27,1 — — La SEO 116,4 29,1 Sn Br* 131,8 32,9 Sn J* 133,9 39,9 SbCI: .. a fus. 84,6; sol. a 260 73,9 | 28,2-24,6 Sb Brs | 86,7-98,8 |28,9-32,9] Sb J* esag.a 26°—103,3) 34,4-35,7 YICIE o a 20° = 126,8 25,9 = = = — mon, a 220—105 (1) Kopp. H., Nelle combinazioni organiche. = Cloruri BIOL BaCler n RECITA AG Ho CI T1C18:8TICI IR Cles PLC BiClaoreo Ke Sul (NH)? Sn C1° (NH)? Pt CIS Re PA Cirene (NH4)*JrC1°. — CC]? (op) © O a (NH*)? Pt C14 (NH)? Zn C14 KesnClt... vu rie. = Volume Volume Volume Volume i x Bromuri : Joduri molecolare | equivalente molecolare | equival. 75 25 — _ _ —_ 51,4-54,0 25,7-27 BaBr? 70,2 35,1 Bag? 45,6 22,8 — _ _ _ 25 25 —_ _ — —_ 49,9-50,2 24,9-25,1 HgBr® |rombico 60,8) 50,4 Hg? 1743 29 —_ — = == 47,7-51,33 23,8-25,6 PbBr? 55,6 27,8 PhJ? a 09-=10953%(1) 27,9 _ — —_ —_ 69,4 Zali BiBr® 19,9 26,6 BiJ? 152 25,9 — = = = 158 25,0 —_ —_ = —_ 152 25,8 — —_ = —_ 146 24,8 — = = = 154,7 25,7 — —_ = — 98,9 19,6 = = “= ni 52,5 17,5 —_ — = — 97,5 19,1 _ —_ = _ 97,9 19,3 —_ = = — 39,5 39,5 SBr 42,6 42,6 — 37,7-38,9 37,1-38,9 KBr dL d4 KJ 39,4 39,4 SeBr 44,1 44,1 —_ 42,17 42,17 CsBr 47,9 47,9 CsJ 33,1 89,1 HgBr 38,9 38,8 HgJ 84,1 84,1 TIBr 37 37 (RI9] 35 95 NH*Br | 40,7-41,2 |40,7-41,2]| NH4J 63,5 31,7 — = = — 132 33 = = = = 137 34 — = = = 136,6 39 _ = a _ 54,5 54,5 RbBr 59,9 99,3 RbyJ 51,7 DIET _ = _ = (1) Monat. f. chem. 14 B. VIII, Hef. 515. Volume molecolare 79,5 r.72,5- g. 74,9 74,6 101,2-104,2 Volume equival. 39,7 36,2-37,4 37,3 39,7-94,7|| da — 381 — « Per chi rifletta alle grandi incertezze che regnano intorno alla deter- minazione del peso specifico ed al fatto che non sappiamo a quali condizioni riferirei perchè i risultati sieno paragonabili, le cifre su riferite non possono non rappresentare una rimarchevole regolarità e le eccezioni sono tali da avere di ‘per sè stesse già un notevole significato. « Circa */, de’ volumi equivalenti de’ cloruri oscillano intorno al numero medio 26, una proporzione maggiore per i bromuri intorno al n. 32 e per i ioduri intorno al n. 38. L'ipotesi più semplice riguardo a ciascun gruppo esa- minato è che in uguali volumi sieno contenuti egual numero di equivalenti. Scegliendo p. es. per i cloruri la costante 26, avremo : tO Peso equivalente densita « E quando si pensi alle relazioni semplici tra peso equivalente e peso molecolare, l'analogia con l'ipotesi fatta da Avogadro e da Ampère per i gas è evidente. « Per i liquidi e più per i gas è necessario porsi in condizioni parago- nabili di temperatura e di pressione; per i solidi tale condizione diventa di minore entità, data la piccola loro dilatazione tra limiti di temperatura anche abbastanza lontani, quindi è che in essi le regolarità de’ volumi vengono più facilmente costatate. Quel che interessa rilevare è che (come vedremo anche in seguito) per ogni gruppo conviene ammettere differenti costanti; ma ciò, se turba la semplicità della legge, non ne muta la natura nè ne altera il significato. Quel che dobbiamo rimarcare è l'andamento generale e le specie delle eccezioni che si presentano. « Anche avendo de volumi equivalenti vicini alle costanti suaccennate, se ne allontanano in più i cloruri bromuri, ecc. de’ metalloidi; se ne allon- tanano grandemente i cloruri, bromuri ecc. di metalli e metalloidi che fun- zionano o quando funzionano da monovalenti (S.K,NH ecc.) p. es. Vol. eq. dipl 25 Ci dieHgCl— 253hdi HgCI— 33,1; di DICI ST1C1= 29, di TICI = 34,1; di (NH*)°PtC1° = 25,9, di (NH*)°PtC14 = 34 ecc. Invece i cloruri, bromuri ecc. dei metalli della serie magnesiaca presentano le maggiori regolarità. Tutti questi fatti li vedremo ripetersi per i gruppi de’ composti ossigenati. Inoltre come i sali della medesima costituzione chi- mica hanno presso a poco lo stesso abbassamento molecolare (M. De Coppet), così il volume molecolare più vicino è dato dai sali isomorfi e di analoga costituzione: chimica. Già Avogadro (') aveva dimostrato che il volume mo- lecolare diventa sempre più considerevole a misura che i corpi sono più elet- tropositivi. Il fatto che i volumi molecolari degli ossidi del Cd, Cu, Hg, Pb, Zn, Co, Mn, Ni, Pbecc., sorpassano della medesima quantità i volumi degli elementi corrispondenti (*) non si verifica più per gli ossidi di Ba, Ca, Mg, = costante 26, donde naturalmente (2) 26 X d = pes. eq. (1) Ann. de Chim. et de Phys. 24-330. (2) H. Schroder poi H. Kopp, Ann. de Chim. et de Phys. 8° serie, t. IV, p. 462. “erTTTETIT IO — 3882 — K, Na, Sr. Tutto concorre a dimostrare che fra i centri molecolari di questi sali ci sieno distanze maggiori delle normali. « Una seconda eccezione viene presentata dal gruppo de’ cloruri C° C15, Fe? C19, Cr? C15, che banno un volume equivalente più piccolo del normale. « Finalmente le differenze regolari tra cloruri, bromuri e ioduri dello stesso elemento e della stessa forma di combinazione rientrano nella legge di parallelosterismo di H. Schròder. Le relazioni tra queste serie e quelle organiche saranno oggetto di un'altra Nota, come pure lo saranno le analoghe ricerche sui composti ossigenati. « Dovrei prima di terminare questo lavoro accennare a’ fluoruri, ma solo per pochi fu determinato il peso specifico e le conoscenze sono molto limi- tate. Essi presentano spesso un volume equivalente circa = alla metà di quello de’ corrispondenti cloruri (giù Hermann stabiliva il volume del Fluore= 12,5 e del Cloro = 25) e lo stesso loro andamento. P. es.: | Volume Volume Volume Valore molecolare equivalente molecolare equivalente Ba Si Flo. ... 65,2 10,8 NaBli. of 15,1 15,1 Na?SiFis ... 70,1 11,6 ppt aerea 29,6 14,8 CaSiFis.... 68,3 11,8 Baz COIN 36,2 18,1 EBBE 49,6 19,4 SF... 29,5 14,7 K? Si FI 89,5 13,7 Nils AO) 33 16,5 QUER O, 95,02 19,5 SIE CRRZnA 48,2-49,5 | 16-16,5 CeFl*CeFl* .. 87,9 19,5 Bi pie o aa 49,8 16,6 CARL 24.5 19,2 MgFl..... 26,2 13,1 HELL ohi si 20 MFISNAFI. . 70,23 11/87 (eriolite) | KI <<. -* 28 23 2A1 FI 8Na FIL 94,23 10,47 (ehiolite) | ATI» - -- 38? 38 QNaFIAIFI* . 54,8 10,9 (nifolite) | ESFI* . . - - . i 23,0 K*ZrFlo.... 78,7 13,1 Os° SiFI° 120,8 20,1 Gelo o 9,9-10 9,9-10 BEBi oti 29 9,6 ARIE 27 9 « La semplicità delle relazioni fin qui accennate e di quelle che spero di pubblicare ancora, starebbero ad indicare come la disposizione mole- colare ne’ solidi e ne’ liquidi non sia /orse un fenomeno così complesso (come per lo più si crede) almeno per determinate classi di corpi ». Chimica fisica. — Dissociazione elettrolitica e legge della diluizione nei solventi organici. (*) Nota di G. CARRARA, presentata dal Corrispondente R. NASINI. « In due miei precedenti lavori (?) considerai l'andamento della velocità di reazione tra il solfuro d’etile e il joduro d’etile soli o in presenza d’acqua o di alcuni alcooli, e feci notare come certi solventi avevano la proprietà di accelerare grandemente la reazione senza che vi prendessero parte alcuna, e concludevo che l'influenza della natura del solvente spettasse esclusiva- mente alla sua costituzione chimica anzichè alle sue proprietà fisiche. Il Men- schutkin (3), il solo che si fosse occupato prima di me di un simile argo- mento studiando la formazione del ioduro di tetraetilammonio, accennava alla probabilità che esistesse una certa relazione tra la facoltà acceleratrice e la facoltà di conservare la conducibilità degli elettroliti, ed io nel mio lavoro sopra citato appoggiavo tale ipotesi mostrando come fosse a preferenza negli alcool, i quali come corpi del tipo acqua favoriscono la dissociazione, che si riscontrava la maggiore velocità di reazione. «Nel presente lavoro espongo i risultati delle esperienze eseguite per vedere quanto i fatti confermano l'ipotesi che la dissociazione elettrolitica per parte dei solventi stia in intimo rapporto con la loro azione accelera- trice. A questo scopo studio la conducibilità elettrica del joduro di trietil- solfina in quei solventi dei quali avevo già studiata l'azione acceleratrice. « À prima vista questo processo può sembrare non troppo logico, e sem- brerebbe invece che si dovesse studiare l’azione disgregante del solvente sopra le sostanze che prendono parte alla reazione cioè il solfuro d'etile e il joduro d'etile; ma se si pensa che queste due sostanze non sono elettroliti, è facile prevedere quello che l’esperienze fatte hanno confermato, e che cioè sciolte in solventi più o meno dissocianti si conserveranno pure non elettroliti. In- tesa in questo modo la teoria della dissociazione elettrolitica non sarebbe affatto applicabile a spiegare l'azione acceleratrice; invece, intesa nel senso (1) Lavoro eseguito nell’Istituto Chimico della R. Università di Padova. Sunto di una Memoria che verrà pubblicata nella Gazzetta Chimica italiana. (2) Sulla velocità di reazione tra il joduro d'etile e il solfuro d’etile soli 0 in presenza d’acqua. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. II, 2° sem., fascicolo 12°, dicembre 1898. — Azione di solventi neutri sulla velocità di formazione del joduro di trietilsolfina. Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, vol. III, 1° sem., fascicolo 3°, febbraio 1894. (3) Veber die Affnitàtskoeffizienten der Alkylhaloide und der Amine. Zeitschrift fir Physikalische Chemie VI, pag. 41, anno 1890. ReENDICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 50 — 384 — che la dissociazione elettrolitica del prodotto formatosi può e deve essere in diretta relazione con la velocità. di formazione la teoria, diventa applicabi- lissima. Infatti nel caso da me studiato, e considerazioni analoghe potreb- bero farsi per quello studiato dal Menschutkin, la formazione del joduro solfinico dal joduro d’etile e solfuro d’etile è limitata dalla reazione inversa; scomposizione del joduro solfinico (elettrolite) nei componenti (non elettroliti) solfuro d'etile e joduri d'’etile; .si stabilirà un equilibrio tra il joduro e i suoi prodotti di scomposizione come avviene in tutti questi casi e la ve- locità diminuirà avvicinandosi allo stato di equilibrio: se avessimo mezzo di togliere il joduro già formatosi, nuovo se ne formerebbe e si avrebbe quindi una velocità maggiore. Ora se il solvente facilita la dissociazione elet- trolitica del joduro formatosi noi otteniamo appunto lo scopo di eliminarlo: dal sistema joduro di etile, solfuro d'etile e joduro solfinico passiamo al- l’altro joduro d'etile, solfuro d’etile, iodione e trietilsolfinione, così il joduro sol- finico o non ci sarà più o in alcuni casi ci sarà in quantità minore: in questo modo del nuovo composto potrà formarsi e la velocità sarà maggiore. « Considerazioni analoghe a queste esposi brevemente nel mio lavoro già citato per spiegare l’azione acceleratrice dell'acqua sulla formazione del Joduro di trietilsolfina, l’acqua non scioglie i prodotti che reagiscono, scioglie e dissocia elettroliticamente il prodotto della reazione. « Anche prescindendo dalle relazioni che si potessero trovare tra la dis- sociazione elettrolitica effettuata dai solventi e la loro azione acceleratrice, questo mio studio sarà sempre un contributo ad una delle questioni più interessanti della Chimica fisica attuale; cioè se e come si mantenga nei varî solventi neutri la conducibilità di quelle sostanze che conducono al- lorchè sono sciolte nell'acqua e se valgono per essi quelle importantissime leggi stabilite da Arrhenius, Ostwald, Nernst sul valore limite verso cui ten- dono le conducibilità molecolari degli elettroliti. Fra tutte importantissima è la verifica della legge della diluizione, la quale costituisce il più sorpren- dente ravvicinamento tra la teoria delle soluzioni diluite e la teoria dei gas. Già disse il Nernst (!) che per mezzo di simili ricerche era principalmente da sperarsi di giungere a conoscere l'essenza della dissociazione elettrolitica. « In questa questione esistono alcuni lavori di Vicentini, Cattaneo, Fitz- patrik, Kablukoff, fatti qualche anno fa, ma che non portarono un contributo di- retto alla questione sopra accennata. « In questo anno, quando le mie ricerche erano pressochè ultimate, com- parve (?) un lavoro di Vollmer il quale studiando la conducibilità elettrica di (1) Nernst, Z'heoretische Chemie, pag. 314. (2) B. Volmer, Die electrische Leitfihigkeit von cinigen Salzen in Aethyl- und Methylalkool. Wicd. Ann. Bd. LII, pag. 828, anno 1894. — 385 — alcuni sali nell’alcool etilico e metilico, trovò che la conducibilità moleco- lare è sempre minore che nell'acqua, è assai più grande in soluzione nell’alcool metilico che nell’etilico e con l'aumentare della diluizione si avvicinava ad un limite. Calcolò questi limiti cioè wo per estrapolazione, e potè stabilire che la legge della diluizione non si verifica: solo in qualche caso, come im- plicitamente ammette l'Ostwald, si ha una prima approssimazione di essa. In base a esperienze di Wélfer sopra i punti di ebullizione di alcune solu- zioni alcooliche potè comparare i valori di ; per i sali da lui studiati, e trovò che, sopra sette, solo per tre si avevano valori concordanti. Véllmer crede che si possa affermare con sicurezza che con l'aumentare del peso molecolare del solvente la conducibilità limite diventa più piccola. Sopra questo lavoro avrò occasione di ritornare. « A. Schlamp (!) sì propose direttamente la questione del confronto fra i valori di 7, e esaminò ebullioscopicamente alcuni sali in soluzione nel- l'acqua e nell’alcool propilico, e la conducibilità elettrica delle soluzioni pro- piliche; calcolò per estrapolazione il valore di uc, ma non si occupò di verificare la legge della diluizione. Per i valori di 7 trovò notevoli disac- cordi, e sempre nel senso che i punti di ebullizione conducono a numeri che non accennano a dissociazione, mentre la conducibilità elettrica porterebbe ad ammetterla e assai progredita. Anche su questo lavoro avrò occasione di ritornare. « Mejer Wildermann (?), ricercando se il metodo di Kohlrausch è appli- cabile alle soluzioni di sostanze assai poco dissociate, e stabilendo poi per queste un metodo più esatto, ebbe occasione di esaminare le soluzioni in alcool etilico, non determinò i valori di uc, ma indirettamente come dirò, cercò di dimostrare mantenersi in alcuni casi la legge della diluizione in altri no. « Nelle mie ricerche ho adottato senza modificazioni il metodo di Kohl- rausch. I solventi vennero tutti purificati con cure speciali e deacquificati sulla calce, sull’ossido di bario ripetutamente e per alcuni si usò il solfato di rame anidro ed il sodio. Per ognuno venne determinato il peso specifico ed esattamente il punto d'ebullizione. — Venne tenuto conto della piccola conducibilità dell'acqua; e si mostrò, sia determinandola direttamente, sia determinando la conducibilità di miscuglio equimolecolare di joduro d’etile e solfuro d’etile in soluzione nei vari solventi, la piccolissima conducibilità propria del solvente. (1) A. Schlamp, Zur Dissociationstheorie der Lòsungen. Zeitschrift fiir physika- lische Chemie. Bd. XIV, pag. 972, fascicolo uscito il 15 giugno 1894. (2) Zeitschrift fiùr physikalische Chemie, XIV 2°, pag. 231. — 386 — Alcool Alcool Alcool i Alcool metilico etilico propilico | isopropil. Alcool allilico Alcool benzilico Acetone Alcool isobutilico Alcool isoamilico Trimetil- carbonil u Uvi Hyi Uvi Uvi Uni Ho Ho Mo 1 My Mo ; Ì Uo lado] Uvi 4 8| 8180 i 15,07 | 5,59 4,10 H (ee) Ha | ri SI (°AS LS o ci Ra » 16) 84,68 60,23 17,52 | 6,31 4,87 2,35] 0,88| — | 15,73 D no 00 46,19 n 32) 88,32 70,00 20,94 (7,70 0,94 2,10| 1,00] — | 18,32 2,27] 59,23 1,2 n 64| 93,53 79,00 25,51 | 9,48 7,18 2,58) 1,23) 0,81] 22,70 2,49) 73,40 » 128] 97,66 | 88,26 30,71| 11,57 8,86 2,73| 1,49] 0,38| 26,90 ma MIO 1 » 256| 99,30 96,56 35,67] 14,12 10,99 — |1,96| 0,50| 28,45 — |108,43 | 0 1,15: » 512 | 100,57 106,25 41,19‘ |\1691 13,98 —|-|J-|- — |12801 1 » 1024 | 101,60 120,39 47,33 1981 CA 22 | ES) | Geena ivan SI » 9 | 107,6 134,00 54,0 26,0 22,0 3,0 (2,0 | 0,5 | 32,0 2,5 | 167 « Assieme ai valori di u, viene calcolato il valore del rapporto MA cioè v quelli di due conducibilità vicine per confrontarlo con quello ye che nel mio caso è Y2.= 1414. « Dall'esame della tabella appare un fatto assai strano e fino ad ora mai osservato, e cioè che nell’alcool metilico e nell’acetone per le soluzioni più diluite si ha una conducibilità maggiore che in soluzione acquosa, mentre per concentrazioni più forti avviene il contrario. « Riguardo alla correlazione tra l'attitudine dei solventi a dissociare elettroliticamente le sostanze disciolte e ad accelerare le reazioni che avven- gono in essì sì può in prima approssimazione dire che si tratta di proprietà correlative, almeno in base alle mie esperienze ed a quelle del Menschutkin, come si può vedere dalla seguente tabella. Le anomalie probabilmente sono dovute alla diversità delle temperature. Valori di ua 25° Valori delle AC a 100° SOLVENTI AME Carrara | Menschutkin U256 | Us12 U1024 Un IS(C.Hs): IN(C2Hs)4 Alcool metilico . . 96,56 106,25 | 120,39 134 0,0929 0,0516 » etilico...| 35,67 41,19 | 47,33 54 | 0,0146 0,0366 » propilico.. 14,12 16,91 | 19,81 26 | 0,0084 da » isopropilico 10,99 13,98 = 22 — = » isobutilico. | uiss=2,73)! — — 3 0,00078! 0,0258 | » isoamilico . 1,96 — _ 2 0,00040 — Trimetilcarbinol. . | &12s=0,5 — — 0.5 —_ —_ Alcool allilico. . . 28,45 —_ —_ 32 0,0297 0,0433 » benzilico.. | &s4=2,49 _ — 2.5 0,0587 0,133 ACELONGA 108,43 128,01 — 167 0,0015 0,0608 — 387 — « Riguardo ai valori wo esposti nella tabella, solo per l’acqua si tratta di un valore dedotto con sicurezza in base alla legge di Kohlrausch; per gli altri solventi dovetti accontentarmi di calcolarlo per estrapolazione. Tanto Véllmer che lo Schlamp ricorsero ad artifizî simili, e perciò si può esser certi che tanto i valori dati dai cennati autori quanto i miei non possono essere che numeri approssimati. « In base al valore u co venne fatta la verifica della formula - 2 m Ù v(1 ap) essendo m = —— ossia della importantissima legge della a la quale, uu come è noto, non si verifica affatto per le soluzioni acquose degli acidi e dei sali fortemente dissociati, come si potrà vedere nella seguente tabella. Per gli altri solventi diversi dall'acqua pochissimo o nulla era stato fatto fin qui. Vollmer asserì che la legge non si verificava per soluzioni in alcool metilico ed etilico. Anche per le soluzioni in alcool propilico Schlamp trovò un com- portamento del tutto analogo. « Wildermann non si occupò affatto di calcolare i valori di w co e ricorse ad un metodo indiretto per vedere se si verificava la legge della diluizione. Questo metodo che io non credo abbastanza giustificato per ragioni che ho esposto nella Memoria dalla quale questa Nota viene estratta e che qui troppo lungo a esporre, consiste nel confrontare l'andamento del rapporto ut, 2 con — 7 (essendo vi > v). Secondo Wildermann, per soluzioni RE 2 Uv 0 dove la stiva è poco dissociata, —- dovrebbe differire di poco da de la o 12) H'o, e per le soluzioni più diluite a dissociazione più progredita i valori —; v differiranno sempre più dai valori — e cioè saranno sempre più. piccoli. Egli 5 3 trovò che ciò si avverava per l'acido di in soluzione alcoolica, VI Denaa per l'acido dicloroacetico il rapporto È ni, è maggiore assai del rap- porto 2 il che non si può accordare con la legge della diluizione. Wilder- mann però non accennò alla questione che incidentalmente perchè si propo- neva tutt'altro scopo. « Ecco orariunito nella tabella seguente i valori di 72 e di K da me calcolati: Alcool Alcool Alcool Alcool Alcool Acqua metilico etillco propilico isopropilico allilico Acetone m K de m | K m | K m E m | K m | K 0,324 | 0,0097| 0.243 Î 0,0048| 0,221 | 0,0039| 0,491 0,0292| 0,276 | 0,0066 0,296] 0,0039| 0,270 | 0,0031| 0,572 | 0,0239| 0,355 | 0,0061 0,090 | 0,589 | 0,0132| 0,472 0,0066 | 0,365,] 0,0033| 0,342 | 0,0024| 0,709 | 0,0269| 0,439 | 0,0054 0,070 | 0,658 | 0,0099| 0,569 | 0,0059| 0,445 | 0,002&| 0,403 | 0,0021| 0,840 | 0,0344| 0,549 | 0,0052 0,043 | 0,721 | 0,0073| 0,661 | 0,0050| 0,543 | 0,0025| 0,500 | 0,0019| 0,889 | 0,0278| 0,649 ! 0,0047 0,026 | 0,793 | 0,0059: 0,768 | 0,0048| 0,650 | 0,0024| 0,635 | 0,0021|] — —_ 0,766 | 0,0049 0,015 | 0,898 | 0,0077) 0,877 | 0,0061| 0,762 | 0,0024| — —_ == = = — ) 16| 0,787 | 0,181| 0,449 lo ,0228 sl 0,117 | 0,522 | 0,0178| 0,389 | 0,0076 — 388 — : 5 ai, : Vi - « Per ciò che riguarda le relazioni tra il rapporto Bonis el per nessuna i IAT v delle soluzioni da me esaminate si ha il fatto che E! > y/3: I valori e! per Mo Ù Ma ogni soluzione variano assai poco fra di loro e per il solito senza regola al- cuna. Quanto ai valori di K la legge non è affatto applicabile per le solu- zioni acquose, come già si sapeva; per le soluzioni in alcool metilico siamo ancora assai lontani dalla costanza, ma nondimeno le variazioni non sono per diluizioni più forti, cioè da us» in avanti, che nel rapporto di 1 : 2.25, men- tre nelle esperienze del Véllmer citate dall’Ostwald nel suo classico trat- tato e per le quali egli dice che la legge è: nur in erster Annàherung giiltig, sono nel rapporto di 1:42.28. Per gli altri solventi, non escluso l’acetone, si può dire che la legge è applicabile: certo i numeri non sono dei migliori, ma bisogna tener conto che il metodo adottato non è il più esatto che poteva adoperarsi; che la preparazione di solventi organici purissimi è assai meno sicura che la purificazione dell’acqua e più di tutto che i valori di w co non si possono considerare, per il modo col quale sono stati calcolati, che quali numeri approssimati. Tenuto conto di tutto questo mi pare che si possa rite- nere dimostrato che la legge della diluizione si applica anche a solventi diffe- renti dall'acqua. « Se osserviamo i valori di m i quali dovrebbero indicare il grado di dissociazione, dovremmo concludere che il joduro solfinico è fortemente disso- ciato nei vari solventi, quasi ugualmente in tutti per diluizioni forti, ed allora poco meno che nell'acqua quantunque i valori di w co sieno differentissimi fra loro; ma qui si presenta il problema: si può dalla conducibilità molecolare dedurre il grado di dissociazione trattandosi di solventi diversi dall’acqua ? Ho cercato di risolvere la questione esaminando a quali risultati sì giungeva col metodo ebullioscopico; ma stante la facile decomponibilità del composto per azione del calore non ho potuto esperimentare che sulle soluzioni in quei liquidi che bollono a temperatura più bassa e cioè alcool metilico, alcool eti- lico, e acetone. Ecco i risultati ottenuti. Concen-. Innalzamento Coefficente Innalzamento Innalmento Solvente. trazione. termico. d’innalzamento. molecolare teorico. per IS(Ca Ho). Alcool metilico 4,283 0,19 0,044 10,82 9,2 ” 8,009 0,34 0,042 10,33 ” Alcool etilico 2,814 0,12 0,042 10,33 155 Acetone 3,257 0,22 0,067 16,48 16,7 ” 4,958 0,295 0,597 14,68 ” — 389 — « Sembrerebbe che i numeri non lasciassero dubbio in proposito e che la sostanza non fosse affatto dissociata; però si deve osservare che le con- centrazioni sono assai forti, circa il doppio e anche più di quello che si richiede per v=8; che gli innalzamenti termometrici sono assai piccoli; d'altra parte le esperienze sono state fatte a temperatura più elevata e perciò la dissocia- zione con tutta probabilità dovrebbe essere aumentata, ed il fatto di ottenere numeri così vicini al normale lascia sorgere dubbi fondati che la teoria della dissociazione elettrolitica non vada qui d'accordo con ciò che si deduce dalla applicazione delle leggi di Van t'Hoff. Su questo però mi propongo di ritor- nare usando metodi nella determinazione del peso molecolare, i quali non sieno sottoposto a tante cause d'errore, per esempio l'abbassamento della tensione di vapore eseguendolo alla temperatura di 25°. « Io credo, però tenuto conto di tutto, che non sempre sia giusto dopo aver dedotto il valore di u co di calcolare i valori di #, anche quando bene inteso le «, abbiano un andamento tale che accenni ad un limite e che le variazioni per soluzioni estremamente diluite sieno tali da autorizzare l’estra- polazione; anche quando poi coi numeri adottati si abbia la costanza nei va- lori di K. « Mi sembra ben possibile che in certi determinati casi, soltanto una parte delle molecole subisca la dissociazione elettrolitica anche per diluizioni infinitamente grandi, e che l'equilibrio si stabilisca tra un certo numero di molecole dissociate e forse anche di molecole più complesse: si spieghereb- bero così le divergenze tra i valori di : dedotti dai metodi crioscopici ed ebuliioscopici e le forti differenze tra i valori di u oo. La determinazione dei valori di 4 co con metodi indipendenti da quelli di u, potrà decidere la que- stione a cui ho accennato. « Quanto all'ipotesi di Vòllmer che con l'aumentare del peso molecolare del solvente la conducibilità limite diventa più piccola non è giustificata; al più potrà avverarsi ove non si comparino che termini omologhi di una serie. Facendo il rapporto dei valori di «, per una stessa diluizione fra i vari solventi si vedono esistere delle relazioni, quali per esempio una certa costanza per le varie concentrazioni 6 per uno stesso aumento nella molecola. Questa costanza si estende ai casi di isomeria e fa pensare alla possibilità, quando gli studî sieno opportunamente estesi, di poter prevedere la conducibilità molecolare di una sostanza nei vari solventi. « Se si paragonano le costanti dielettriche ed i coefficienti di attrito interno dei vari solventi con le conducibilità molecolari u, per diluizioni molto forti, si vede esistere una perfetta correlazione senza però arrivare alla relazione quantitativa che lo Schlamp aveva fatto notare u oo (alcool etilico attrito interno (alcool propilico) 00 (alcool propilico) attrito interno (alcool etilico) — 390 — perchè i rapporti della conducibilità sono assai maggiori dei rapporti dei coeffi- centi di attrito ». Coefficienti | Costanti Valori ida SOLVENTI d’attrito a 20°) dielettriche TRA Tse Maia u, AcGqualialaos 56,2 — 99,30 | 100,57 | 101,60 | 107,6 Alcool metilico . . 68,9 35,364 96,56 | 106,25 | 120,39 134 »etilicorest:te 34,4 26,493 35,67 41,19 47,33 54 ». propilico nor. MO 5 22,472 14,12 16,91 19,81 26 » isopropilico . 18701 —_ 10,99 13,98 —_ 22 » isobutilico. . 2274 18,739 Ss de nto 3 n isoamilico. . 251,6 16,673 1,96 — _ RO » allilico. ... 92 _ 28,45 _ — 32 FAICELON Nr neo 22 _ 108.48 128,01 — 167 PRESENTAZIONE DI LIBRI Il Segretario BLasERNA presenta le pubblicazioni giunte in dono, se- gnalando fra queste l’opera del Socio straniero NoetHER e del dott. BrILL, intitolata: Sviluppo della teoria delle funzioni algebriche in tempi recenti e antichi. Il Socio CapeLLINI fa omaggio del suo lavoro a stampa: noceronti fossila del Museo di Bologna. PERSONALE ACCADEMICO Il Segretario BLASERNA dà comunicazione di una lettera del Socio ge- nerale FerRERO, il quale rappresentò l'Accademia in Berlino alla celebra- zione del centenario della nascita del Socio straniero generale von BAEYER, lettera contenente una descrizione della anzidetta solennità scientifica. Lo stesso Segretario partecipa anche i ringraziamenti del nuovo Socio straniero A. von BaryER, per le onoranze che, nella occasione sopra accennata, l'Accademia volle tributare a suo padre. — 391 — Essendo usciti di carica il Segretario ed il Segretario della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, a termini degli articoli 4 e 14 dello Statuto accademico, si procede alle nuove elezioni. Fatto lo spoglio dei voti dai Soci GemmELLARO e Dini, il Presidente proclama il risultato della votazione che è il seguente: Per la elezione del Segretario: Votanti 15 — BLASERNA 14; Tomwmasi-CRUDELI l Eletto BLASERNA (riconferma). Per la elezione del Segretario aggiunto: Votanti 15 — Tommasi-CrupRLI 14; TAccHINI 1 Eletto Tommasi-CRUDELI (riconferma). OPERE PERVENUTE IN DONO ALL’ACCADEMIA presentate nella seduta del 2 dicembre 1894. Baratta M. — Intorno ai recenti fenomeni endogeni avvenuti nella regione etnea. Roma, 1894. 8°. Capellini G. — Rinoceronti fossili del Museo di Bologna. Bologna, 1894. 8°. Comes O. — Relazione sulla coltivazione sperimentale dei tabacchi nel regno durante la campagna 1893. Napoli, 1894. 4°. Ginzel F. K. — Ueber einen Versuch, das Alter der vedischen Schriften aus historischen Sonnenfinsternissen zu bestimmen. Prag, 1894. 8°. Mazzarella G. — Sulla localizzazione delle macchie solari. Catania, 1894. 4°. Noether M. e Brill A. — Die Entwicklung der Theorie der algebraischen Functionen in àlterer und neuerer Zeit. Berlin, 1893. 8°. Processo verbale delle sedute della Commissione geodetica italiana tenute in Bologna nei giorni 81 marzo e 1° aprile 1894. Firenze, 1894. 4°. Sclavo A. — Di un nuovo apparecchio per la raccolta del siero di sangue (M.° dell'Interno). Roma, 1894. 4°. Id. e Mannelli C. — Sulle cause che determinano nella pratica delle disin- fezioni la scomparsa del Mercurio dalle soluzioni di sublimato corrosivo (M.° dell'Interno). Roma, 1894. 4°. Ep: 393 — RENDICONTI DELLE SEDUTE DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI _——_—_——6TF*T——-—T—_-—#-zy—%#“+%t#ty—<= vale a dire che è 1+($ }e IS: "+(73) + --4( K (A) do. « Sarà in conseguenza ei c) ; VI — a? 2 (1) Hermite, Cours professé è la faculté des sciences de Paris, 3% édition 1887, pag. 85 e seg. = ="er___rcrrTr====<««&="<=>>@RRtT= il i b | iii ATI - -_=_o—-. Ciare nente PSR RI — 400 — 6 « 8. L'equazione e” al n. 2(1-2) iL L44120) iL —4y=0, ossia la Si \ VIa s1- 2 de? L+(1-3 i - 169% in cui essa sì trasforma colla sostituzione 4% (1— x) == È, è un caso parti- colare della d°1 3 .\d 1-9 +(1-35) +e @+by=0 @) la quale, per % intero e positivo, posto É = 1 — <°, è soddisfatta dalla fun- zione sferica P,(<). « Ora, dal teorema dimostrato al n. 3, risulta che i prodotti di due soluzioni della (4) sono le soluzioni della (1-5) ne +5 A 25) 7 +(1-(8- +1) VE+ +3(+1)U=0, la quale è soddisfatta, per mod £< 1, dalla serie Le TU. e 1,3 5-2) Da +tD@Lt2)gL.. ou (1.2.3)? ao che, per x intero e positivo, si riduce ad un polinomio del grado 70. « Osservando poi che la (a), con x intero e positivo, possiede i due inte- grali fondamentali P,(6) e Pa (2) log 7_ Lone at Boa (e DE in cui R,_,() significa una funzione ta: del grado (2 — 1)"° (!), il se- condo dei quali tende all’ infinito quando È tende a zero, e che è P,(1)="1, sì conchiude 3 (e) MS Teutl; sole RICA Corn SLA Ca 91 Can) | * 13_20_1 1.2....2n n Sor (1.2)? de 2 (1.2.0)? ove le variabili sono legate dalla 6? —=1— & (2) » (*) Heine, Zandbuch der Kugelfunctionen. Zweite Auflage. Erster Band, pag. 96. (2) Integrando i due membri di quest’eguaglianza da 0 ad 1, ed applicando la for- mola di Legendre 1 II 2(% o——_(1r (n Se o eee aa) ei) E e 1° 5 (1.2)? CUTE (12.0) 21° si ottiene Je-> (Wo) ni SM Matematica. — Sopra alcune considerazioni geometriche che si collegano alla teoria delle equazioni differenziali lineari. Nota di Gino FANO, presentata dal Socio CREMONA. Matematica. — Sopra certe curve razionali di uno spazio qua- lunque, e sopra certe equazioni differenziali lineari, che con queste curve sì possono rappresentare. Nota di G. FANO, presentata dal Socio CREMONA. Queste due Note saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. Fisica terrestre. — Su//u variazione della velocità di propaga zione dei terremoti, attribuita alle onde trasversali e longitudinali. Nota del dott. G. AGAMENNONE, presentata dal Socio P. TACCHINI. « In due precedenti mie Note (') ho trattato della velocità di propaga- zione del terremoto andaluso del 25 dicembre 1884. Nella 2* di esse dedussi dai miei calcoli il valore di poco più di 3 km. al secondo, mentre nella prima si vede che, stando al dott. Cancani, la velocità varierebbe da 2,8 a 4,2 km. (°). Egli attribuisce tale ragguardevole differenza soltanto alla diversa natura delle onde sismiche, e precisamente la minor velocità alle onde da lui ritenute per le trasversali della teoria, e la maggiore a quelle longitudinali. To non posso condividere questo modo di vedere del Cancani, non perchè io neghi la possibi- lità che sì riscontrino anche nel nostro globo le onde trasversali e longitudinali, quali si considerano nello studio dell'elasticità dei corpi solidi indefiniti, ma perchè non mi sembra ancora sufficientemente conosciuta la loro maniera d'in- tervenire nei terremoti. Di più, temo che il Cancani abbia fatto confusione, come in altra circostanza già dissi, tra le onde trasversali, contemplate nella (1) Alcune considerazioni sui differenti metodi fino ad oggi adoperati nel calco- lare la velocità di propagazione del terremoto andaluso del 25 dicembre 1884. Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. III, 2° sem, pag. 303, seduta del 17 nov. 1894. — Velocità su- perficiale di propagazione delle onde sismiche, in occasione della grande scossa di ter- remoto dell'Andalusia del 25 dicembre 1884. Id., p. 317, seduta del 2 dicembre 1894. (2) Sulle ondulazioni provenienti da centri sismici lontani. Ann. dell’Uff. Centr. Met. e Geod. It., vol. XV, Parte 1, 1893, p. 13. ReNDICONTI. 1894, Vol. III, 2° Sem. 52 — 402 — teoria e quelle che per mezzo di delicati strumenti noi vediamo propagarsi sulla superficie terrestre sotto forma di ondulazioni a lento periodo, che de- flettono apparentemente la verticale in ciascun luogo del loro passaggio. È bensì vero che nei varî terremoti noi troviamo velocità diverse, secondo che nei diagrammi degli strumenti registratori si prenda il principio o la fase massima della perturbazione, come io stesso ho posto in evidenza nello stu- dio dei terremoti di Zante del 1893; ma allo stato delle odierne cognizioni, mi sembra che non siano per anco dimostrate a sufficienza le asserzioni espli- cite del Cancani. Ad ogni modo parmi di avere assodato che non può invo- carsi neppure il terremoto andaluso come dimostrazione dell'esistenza delle due specie di onde contemplate nella teoria. E siccome in altra mia Nota (') dimostrai che nel terremoto della Grecia del 20 settembre 1867, propaga- tosi fino a Pulkowa, dovevasi ritenere più attendibile la velocità di 2,3 km. al secondo, invece di quella di 3,7 calcolata dal Cancani, così mi sembra che la tabella, dal medesimo riportata a pag. 22 del suo lavoro sopra citato, non possa più ora in alcun modo considerarsi come una prova del suo modo di ve- dere. Alla medesima conclusione io era già pervenuto nello studio che feci sulla velocità dei terremoti di Zante del 1893, poichè allora io trovai una velocità di circa 3 km. tanto per località abbastanza vicine alla Grecia, quali Mineo e Catania, dove la scossa fu intesa dalle persone, quanto per località assai più distanti, come Nicolaiew, Strasburgo e Potsdam, dove il movimento fu solo registrato da delicati strumenti. « Il Cancani in una posteriore Nota (?), per togliere la contraddizione ch'io aveva rilevata tra le sue viste ed i risultati da me trovati per Zante, fa riflettere che a Mineo ed a Catania l’uomo ha avvertite le sole onde lon- gitudinali, mentre gli strumenti di queste due località, al pari di quelli di tutte le altre più lontane (e tra essi i pendoli orizzontali di Nicolaiew e Strasburgo ed il magnetografo di Potsdam) avrebbero indicato il passaggio delle sole onde trasversali. Questa asserzione del Cancani, se giunge opportuna alle sue viste, resta d'altra parte ad essere dimostrata; e trattandosi di una questione d'importanza non comune per la sismologia, permetta il mio egregio collega ch'io risponda alla suddetta Nota, rilevando alcune difficoltà che si affacciano spontanee alla mente. « Anzitutto, come mai gli strumenti di Catania e Mineo non sono stati in grado di registrare, in occasione dei terremoti di Zante, un movimento di suolo che fu risentito dall'uomo? E si noti che a Catania esisteva il sismo- metrografo Brassart a tre componenti, il quale, in seguito a lunga espe- rienza già fatta, per essere munito di corto pendolo con una massa di (1) Rend. della R. Accad. dei Lincei, seduta del 6 maggio 1894, vol. III, 1° sem. p. 443. (2) Intorno ad alcune obbiezioni relative alla velocità di propagazione delle onde sismiche. R. Accad. dei Lincei, vol. III, 2° sem., p. 30. 1° luglio 1894. — 403 — soli 10 kg., sarebbe stato senza dubbio più adatto ad essere influenzato dalle onde longitudinali che da quelle trasversali. Inoltre, i sismoscopi di Mineo sono di tale sensibilità che non v'è terremoto locale, inteso dalle persone, che non venga dagli stessi registrato: anzi, non di rado essi si scaricano in seguito a menome scosse locali, senza che le persone s'accorgano di nulla. Di più, poichè tanto nel terremoto d’Andalusia del 1884, quanto in quello della Liguria del 1887, è stato ormai assodato che il passaggio delle onde sismiche fu avvertito dall'uomo anche ad enormi distanze dall’epicentro, com- parabili a quelle in cui rimasero perturbati alcuni magnetografi d'Europa, così è poco probabile il supporre che il movimento di suolo, che ha potuto agitare tali strumenti, sia stato diverso e posteriore a quello che si rese sen- sibile alle persone. « Resta pure a spiegare come mai il magnetografo di Potsdam non abbia potuto risentire che le sole onde trasversali dei terremoti di Zante del 1893, mentre gli strumenti magnetici di Greenwich e Parigi ed ancora più quelli di Lisbona sarebbero stati influenzati, stando al Cancani, anche dalle onde longitudinali, provenienti dal terremoto andaluso del 1884. Il Cancani dice che gli apparecchi magnetici non sono capaci di sceverare le une dalle altre le differenti specie di onde (!); ma io non veggo la ragione perchè il prin- cipio delle perturbazioni riscontrate nei fotosrammi non debba esclusivamente corrispondere alle onde che marciano con maggiore velocità, quali sarebbero appunto le longitudinali. Tutto al più non si potrebbe riconoscere l'istante in cui cessano le longitudinali e quello in cui cominciano le trasversali, perchè in parte esse si possono sovrapporre; ma io confesso chiaramente di non arrivare a comprendere l’ influenza delle onde trasversali nel diminuire la velocità calcolata in base all'arrivo di quelle longitudinali, il quale co- stituirebbe appunto il principio della perturbazione riscontrata negli stru- menti. « Se le onde longitudinali, stando al Cancani, sono le sole che produ- cono gli effetti disastrosi sussultorî e ondulatorî, e le trasversali invece pro- ducono ondulazioni lente nel terreno, non avvertite dall'uomo ma rivelate sol- (1) Ecco le testuali parole del Cancani a proposito delle velocità contenute nella 2% metà della tabella, di sopra citata: « Per gli altri cinque casi (relativi cioè al terre- « moto della Grecia del 1867 ed a quello d’ Andalusia del 1884) le distanze essendo state « minori (di 3000 km.) sono giunte sugli apparecchi registratori anche le onde longitudi- « nali, e non essendo stati capaci questi apparecchi a sceverare le une (trasversali) dalle « altre (longitudinali), la velocità che se ne è ricavata non spetta nè alle onde trasversali, « nè alle longitudinali, ma è un valore intermedio. Negli ultimi quattro esempî della «tabella, che si riferiscono al terremoto di Andalusia, e nei quali i dati orarî sono eccel- « lenti, sì vede chiaramente come col diminuire la distanza, la velocità che si deduce va « crescendo, appunto perchè col diminuire la distanza si fa maggiormente sentire sugli « apparecchi l’effetto delle onde longitudinali ». — seco —e == = =tra== ===> = _- — 404 — tanto da speciali strumenti, ed hanno inoltre la proprietà di giungere a di- stanze assai più grandi in confronto delle prime, io mi domando come mai non sia stato avvertito dall'uomo in Europa il terremoto del Giappone del 22 marzo 1894, mentre il Caneani (!) ed il Grablovitz (*) riscontrano nei dia- grammi ottenuti in Italia, anzitutto le tracce dovute alle onde longitudinali e poi quelle prodotte dall'arrivo ben posteriore delle trasversali. E si noti che la grandezza delle tracce, attribuite alle onde longitudinali, non sono meno pronunciate di quelle che si possono ottenere in occasione di terremoti vicini che si rendono anche sensibili alle persone nel luogo stesso ove si trovano gli strumenti. « Nei lavori testè citati, tanto il Cancani quanto il Grablovitz si sono mostrati così convinti di ritrovare nei terremoti le due specie di onde, che in base alla velocità di km. 5 per le longitudinali e di km. 2,5 per le trasversali, hanno voluto calcolare per il terremoto del Giappone del 22 marzo 1894 quale doveva essere l'ora in cui il medesimo era avvenuto all'’epicentro. Come splendida conferma delle loro viste essi ottennero appunto dal calcolo un'ora abbastanza coincidente con quella osservata nel Giappone. Ma in seguito a notizie più sicure inviate dal sig. J. Milne, è risultato che tale coincidenza è soltanto illusoria, poichè i signori Cancani e Grablovitz hanno ritenuta l'ora del Giappone espressa in t. m. di Tokio, mentre in realtà essa è espressa in t. m. del 135° meridiano ad est da Greenwich, ciò che fa una differenza di quasi 20 minuti primi (8). « Da ultimo credo opportuno ch'io spenda qualche parola intorno al ter- remoto di Charleston del 1886, nel quale il Cancani crede trovare una buona (1) Sugli strumenti più adatti allo studio delle grandi ondulazioni provenienti da centri sismici lontani. Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. III, 1° sem., p. 551; seduta del 2 giugno 1894. (2) Sulle indicazioni strumentali del terremoto giapponese del 22 marzo 1894. Id., vol. III, 2° sem., p. 61; 15 luglio 1894. (3) Il Cancani desumendo dal diagramma di Rocca di Papa le ore 11° 379 e 12° 6m rispettivamente per il principio delle onde longitudinali e trasversali, si era basato sulla differenza di 29 minuti per calcolare l’ora 11° 8® (t. m. E. C.) all’epicentro. Ma la vera ora 11b 27% 475 (t. m. E. C.), in cui il terremoto fu in realtà risentito a Tokio, è tanto discordante da quella calcolata che evidentemente cadono tutte le deduzioni del Cancani a sostegno della sua tesi. È bensì vero che a Tokio la scossa principale fu preceduta, stando al Milne, da altra più lieve, e che nel diagramma di Rocca di Papa si riscontrano due gruppi distinti di onde longitudinali, precedenti rispettivamente di 85 e 20 minuti quelle trasversali. ma anche ammettendo che il 1° gruppo sia dovuto alla scossetta precedente e che il 2° gruppo (col principio a 11® 52") sia quello realmente prodotto dalla grande scossa, e perciò da mettersi in relazione colle onde trasversali principiate a 12% 62, ecco i risul- tati a cui porterebbe il calcolo, introducendo le ore 11% 52% e 12% 6, nelle formole date dal Cancani. Per il tempo all’origine si avrebbe 11° 389, ora posteriore di ben 10 mi- nuti a quella di Tokio, nonostante che questa località si trovi ad una ragguardevolissima — 405 — conferma delle sue idee. Infatti egli così si esprime nel 1° de’ suoi lavori qui citati: « Nell'importantissimo studio fatto dal Newcomb e Dutton (1) sul « terremoto di Charleston del 1886, che è uno dei migliori lavori che esistano, « specialmente per ciò che riguarda lo studio della velocità di propagazione, » essi ebbero per questa il valore di 5 chilom. a secondo. Le distanze che «essi presero in considerazione nel calcolare la velocità furono notevolmente «grandi, quindi potrebbe far meraviglia il valore così elevato di 5 chilome- « tri. Ma è da notare che in tutti i luoghi da cui essi ricevettero i dati « OTarî, L'ONDULAZIONE SISMICA FU DI CARATTERE LONGITUDINALE E NON « TRASVERSALE ; infatti in tutti quei luoghi il movimento fu avvertito dalle « persone, mentre le persone non si accorgono delle ondulazioni trasversali ». Ma avvi una circostanza assai importante, ignorata dal Cancani, ed è che tra le località più distanti, ove fu risentita la scossa dall'uomo, si trova anche Toronto (Canadà), città situata a ben 1180 km. dall’epicentro. La scossa oltre a farsi distintamente sentire dalle persone a Toronto, non mancò di perturbare, benchè lievemente, gli strumenti magnetici del Meteorological Office. In ciò si ha un mezzo prezioso per verificare se realmente la velo- cità che si può calcolare in base all'ora ricavata dal magnetografo è metà di quella dedotta dal Dutton in base alle migliori ore, osservate personal- distanza a sud dell’epicentro: per la distanza poi di quest’ultimo da Rocca di Papa ver- rebbe fuori un valore di 4200 km.. che è appena metà del vero! Ma altre ragioni basterebbero da sole a rendere poco attendibile l’ipotesi testè avan- zata, vale a dire che il 1° gruppo di rapide oscillazioni sia dovuto esclusivamente alla prima lieve scossa. Infatti, l'intervallo di 15 minuti, riscontrato dal Cancani tra i due anzidetti gruppi di onde longitudinali è inferiore all’intervallo (20® 3) decorso a Tokio tra la prima scossa leggera e la grande successiva. Di più, a quest’ultima avendo fatto seguito, dopo circa 21%, una terza scossetta, non si capisce perchè questa, al pari della prima, non abbia potuto lasciar traccia di sè nel diagramma di Rocca di Papa nella parte ove ancora persistono le onde a lento periodo. Del resto, queste due scossette secondarie, di cui l’una precedè e l’altra seguì la grande, dovettero essere entrambe relativamente di poca intensità se, registrate a Tokio, non lo furono del pari nella vicina Yokohama (The Seism. Journ. of Japan. vol. III, p. 86); è quindi poco probabile che soltanto la prima di esse abbia originato onde longitudinali così energiche da perturbare i nostri strumenti. Ma v'ha ancora di più. Dai bellissimi diagrammi, ottenuti dagli strumenti di Siena e Roma (Coll. Rom.) risulta all'evidenza che i due gruppetti, in questione, di rapide oscillazioni registrati a Rocca di Papa, non sono altro che due rinforzi nel movimento del suolo, il quale comin- ciato a 11® 37" ha perdurato con variabile intensità. ma senza interruzione, fino al soprag- giungere delle lente ondulazioni. Anzi dai diagrammi abbastanza concordanti tra loro di Siena e Roma, quantunque ricavati da strumenti diversi, risulta che il 1° rinforzo è al- quanto più pronuuciato del 2°. Ora come sarebbe ciò potuto avvenire se realmente il primo rinforzo fosse dovuto alle onde longitudinali della 1 lieve scossa al Giappone, ed il 2° (il più debole) fosse causato dalle onde. pure longitudinali della grande scossa consecutiva ? (1) 7he Charleston Earthquake ecc. United States Geolog. Survey, Ninth Ann. Re- port, 1887-88. Pregare egg og — 406 — mente in numerose località degli Stati Uniti, ore quest'ultime che il Cancani dice riferirsi al passaggio delle sole onde longitudinali. Nel lavoro del Dutton testè citato, l'ora del magnetografo di Toronto non solo non viene utilizzata nei varî calcoli sulla velocità, ma disgraziatamente non viene neppure ripor- tata, sebbene se ne parli in parecchi punti, come a pag. 332, 339, 358, 370 e 438; anzi, a pag. 358 si dice perfino che essa è una tra le migliori ore possedute ('). Stando così le cose si pensò di scrivere direttamente a To- ronto per avere l'ora esatta, relativa al terremoto di Charleston; e non è molto che il direttore di quel Mezeorological Office sì è compiaciuto rispon- dere che il principio della perturbazione, calcolato sui fotogrammi originali, corrisponde a 9% 37" 305 (t. m. 1.), ossia a 9° 55" 85 espresse nel tempo del 75° meridiano ad W di Greenwich, tempo appunto adottato agli Stati Uniti. Ora poichè nella Relazione del Dutton si stabilisce, appoggiandosi all'ora esattissima di Charleston, che l'ora all’epicentro corrisponde a 9° 51” 65, così se ne deduce che le onde sismiche impiegarono 3" 57° per percorrere 1180 km., quanti appunto se ne hanno dall'epicentro fino a Toronto; e così vien fuori una velocità di propagazione di quasi 5 km. esatti al secondo, vale a dire un valore che s'accorda perfettamente con quello ricavato dal Dutton in base alle numerose ore osservate dalle persone. Dunque gli strumenti ma- magnetici di Toronto accusarono il passaggio delle stesse onde sismiche, ri- sentite dall'uomo. « Per dimostrare vieppiù che le onde longitudinali possano essere effetti- vamente registrate anche dai pendoli orizzontali e dai magnetografi, ripor- terò i seguenti fatti. In occasione del terremoto del Giappone del 22 marzo 1894, i pendoli orizzontali di Charkow e Nicolaiew in Russia diedero rispettivamente 11b 34% 305 e 11° 35" 05 (t. m. E. C.) per il principio della perturbazione, ore queste che s'accordano assai bene con quelle, pure relative al principio delle onde longitudinali, ricavate dai più sensibili sismometrografi italiani. E perfino nel magnetografo di Potsdam, forse a causa della sua squisita sen- sibilità, il principio della perturbazione risale a 11° 45" 445 (t. m. E. C.), ora questa che difficilmente si potrebbe far corrispondere col principio delle successive onde a lento periodo, ritenute dal Cancani per le trasversali della teoria. — E similmente, in occasione dell'altro ancor più recente terremoto del 27 ottobre 1894, registrato in Europa, che sembra essere provenuto dal- l'Argentina, mentre il sismometrografo di Roma ed il microsismografo di Siena (1) Infatti l'Osservatorio di Toronto, uno dei più importanti di tutto il globo può completamente rassicurare sulla bontà del tempo campione ivi posseduto. Di più, le per- turbazioni si riscontrano distinte e col principio ben netto in tutti e tre gli strumenti, vale a dire nel declinometro, nel bifilare e nella bilancia di Lloyd, come si vede nelle stesse copie dei fotogrammi, che ci furono gentilmente inviate. Finalmente importa notare che il tempo è tracciato di due in due ore sulla stessa carta fotografica, la quale si muove colla ragguardevole velocità di 18% all’ora. — 407 — dànno rispettivamente 22° 7® 355 e 22% 12" 0S (t. m. E. C.) per il principio del movimento, troviamo che i pendoli orizzontali di Charkow e Nicolaiew forniscono valori poco diversi, ossia rispettivamente 22° 8! 365 e 22% 121 65 (t. m. E. C.). E poichè in quest'ultimo terremoto le oscillazioni a lento pe- riodo (le trasversali del Cancani) si mostrano negli strumenti italiani circa una mezz'ora dopo, così bisogna concludere che anche i pendoli orizzontali furono capaci di registrare le onde longitudinali. « La conclusione quindi è che nessuno dei terremoti fino ad oggi stu- diati si può portare come prova seria a sostegno del modo di vedere del Cancani. Io son certo che mediante i modernissimi strumenti si potrà in oc- casione di altri terremoti chiarire a sufficienza le idee, che ancora oggi si hanno poco chiare intorno al meccanismo delle onde sismiche, ben contento del resto se l'ipotesi così semplice del Wertheim, ripresa ora dal Cancani, potesse rendere plausibile spiegazione di tutti i fatti osservati. Dal canto mio, ripeto, io non dubito menomamente che nel centro di scuotimento di un terre- moto possano originarsi le due specie di onde considerate nella teoria dei corpi elastici indefiniti; ma trattandosi nel caso nostro di urti che avvengono quasi sempre ad una relativamente debole profondità al di sotto della superficie terrestre, e perciò in seno ad una massa non indefinita e tutt'altro che omo- genea, ho ragione di ritenere che sulla superficie terrestre si verifichino movi- menti ben più complicati, anche perchè influenzati, come è probabile, dalla forza di gravità, quantunque essi possano ripetere la causa prima dalle onde longitudinali e trasversali della teoria. « A tal proposito mi piace riportare un brano del Fouqué per far vedere appunto quanto ancora siano poco mature le nozioni che al giorno d'oggi si posseggono intorno alle onde longitudinali e trasversali, relative al nostro globo, sebbene fin dal tempo del Wertheim già s'intravedesse assai giustamente che esse potessero avere una parte non indifferente nella produzione dei fenomeni sismici. Il passaggio del Fouqué, che qui riporto, sì riferisce appunto al terremoto dell'Andalusia del 1884 ('): « Chaque ébranlement souterrain produit « des vibrations longitudinales, qui progressent rapidement et se transmettent «à des grandes distances (Greenwich et Wilhelmshafen), et des vibrations tran- « sversales qui se propagent plus lentoment et s'éteignent relativement très « Vite. Les premières sont celles qui déterminent le commencement du son, les « secondes sont essentiellement la cause des destructions. Les observations « citées de Greenwich et de Wilhelmshafen donnent 1600 (m2e077 4/ secondo) « pour la vitesse de propagation V des vibrations longitudinales, et la théorie (1) Relations entre les phénomènes présentés par le tremblement de terre de VAn- dalusie et la constitution géologique de la région qui en a été la siège. C. R., t. C, 1° sem, 1885, p. 1116. farcia = rvaatirinir zi — 408 — « analytique complétée par les expériences de M. Cornu permet d'en déduire, « pour la valeur v des vibrations transversales, une valeur de 923" ». « Nota. — Ce chiffre de 1600" est obtenu en prenant la différence des « distances des deux observatoires à l’'épicentre et divisant cette différence « par le temps employé pur les vibrations pour se transporter d'une station «ù l'autre. On a choisi ces stations lointaines parce que les vibrations se « régularisent loin du centre d'ébranlement et que l’influence des vibrations «transversales cesse de se faire sentir » (!). « Come si vede, il Cancani si trova proprio agli antipodi del Fouqué, per ciò che concerne il modo di comportarsi nei terremoti delle onde trasver- sali e longitudinali, contemplate nella teoria. « Chiudo la presente Nota col fare alcune riflessioni sull'importanza che avrebbe l'esatta conoscenza delle proprietà delle due anzidette specie di onde per risolvere il problema della determinazione del centro di scuotimento (ipo- centro) nei terremoti, seguendo il metodo di Falb, il quale, come si sa, è fon- dato sulla misura dell'intervallo di tempo nell’area epicentrale tra il momento d'arrivo del rombo e quello della scossa consecutiva. Chiamando con £ il detto intervallo e con v e V le velocità rispettive delle onde trasversali e longi- tudinali, la profondità x dell'epicentro si calcola immediatamente colla formola: o” vV Ui==0 ee « Ora, per il terremoto dell'Andalusia del 1884, il valore di # essendo stato trovato in media di 5 secondi, come riferisce il Fouqué, e stando ai valori v= 923, V= 1600 metri, riportati dallo stesso autore nel brano sopra citato, si deduce senz'altro il valore di 4 == km. 11, che è assai vicino a quello cal- colato nella Relazione italiana col noto metodo di Mallet, Ma se al contrario, si suppone che la velocità di 1600 metri, dedotta utilizzando i due soli dati orarî delle località maggiormente distanti quali Greenwich e Wilhelmshaven, si riferisca non alle onde longitudinali, sibbene alle trasversali, seguendo le viste del Cancani, in tal caso, avendosi v = 1600 e V = 2780, x sarebbe uguale ad una ventina di chilometri. Finalmente, se alle onde trasversali si attribuisse la velocità di 2500 metri, già stabilita dal Cancani, @ si avvici- nerebbe ad una trentina di chilometri. « Da tutto ciò parmi poter ragionevolmente concludere quanto poco atten- dibile sia il risultato al quale può oggi condurre il metodo del Falb; poichè oltre alla grande incertezza relativa alla misura dell'intervallo di tempo de- corso tra il principio del rombo e quello della scossa successiva, regna ancora una grande confusione d'idee intorno alla vera natura delle due specie di onde sismiche che si vogliono considerare nei terremoti ». (1) Le stesse idee si trovano a pag. 51 della Relazione francese. — 409 — Fisica terrestre. — Sulle due velocità di propagazione del terremoto di Costantinopoli del 10 luglio 1894. Nota del dott. À. CANCANI, presentata dal Socio TACCHINI. « Nel volume XV (1893) degli Annali dell’Ufficio centrale di Meteo- rologia e Geodinamica fa pubblicata una mia Memoria Sulle ondulazioni provenienti da centri sismici lontani, le cui principali conclusioni erano le seguenti: 1° si debbono distinguere due specie di movimenti ondulatori ema- nanti nel medesimo istante da un centro sismico; 2° le onde di una specie (che chiamo trasversali e che sono paragonabili a quelle della superficie del mare) (‘) si propagano con una velocità di chilometri 2,2 a 2,5 a secondo, le onde dell'altra specie (che chiamo longitudinali e che sono paragonabili a quelle del suono nell'aria), si propagano con una velocità presso a poco doppia. « Dall’epoca della pubblicazione di quella Memoria fino ad oggi, pa- recchi sismologi hanno pubblicato degli studî sulle velocità di propagazione delle onde sismiche, ma o che essi non siano venuti a cognizione del lavoro mio sopra citato, o che, per qualunque ragione, non abbiano accettato le mie idee, non hanno tenuto conto della distinzione da me accennata. Soltanto il Grablovitz nella sua importante nota Sulle indicazioni strumentali del ter- remoto giapponese del 12 marzo 1894 (*) ammette non solo le due differenti (1) Le onde della superficie del mare sono chiamate generalmente trasversali. Vi è chi non ammette in tale caso questa locuzione perchè una particella d’acqua nel suo movi- mento non segue costantemente la normale alla direzione della propagazione, come avviene precisamente in una corda tesa, che venga scossa ad una estremità con un urto normale alla sua direzione. Io ho portato il paragone del movimento superficiale del mare, non perchè quel movimento sia in tutto e per tutto identico a quello della superficie terrestre, ma perchè meglio d’ogni altro si presta a dare un'idea del fenomeno. (2) Rend. della R. Acc. dei Lincei, vol. III, 2° sem. serie 5°, fasc. 2°. Colgo questa occasione per rettificare un errore in cui, per inesatte informazioni ricevute, incorsi nel l’ultima mia Nota inserita in questi Rendiconti (seduta del 2 giugno 1894) in cui parlando di quel terremoto giapponese dissi che la scossa ebbe luogo a Tokio alle 7° 27495 pom. t. m. di Tokio. Quest’ora deve riferirsi invece al 135° meridiano E da Greenwich e corrisponde alle 11% 27495 t. m. E. C. Dal mio calcolo risultava che l’ora della scossa doveva essersi intesa nel Giappone alle 11° 8® t. m. E. C. Cadrebbe dunque l’accordo fra le deduzioni da me ricavate dal diagramma inserito nella Nota predetta ed il risultato dell’osservazione. Se non che per l’istesso mezzo con cui seppi che l’ora andava riferita al 135° meridiano E da Greenwich, seppi anche che appunto 20 minuti prima vi fu un’altra scossa nel Giappone, sebbene meno intensa. Io ritengo come cosa molto probabile che i due gruppi di piccole ondulazioni che si trovano nel diagramma suaccennato siano in relazione con quelle due scosse. La difficoltà che s'incontra nello assumere notizie sicure ed esatte da luoghi così lontani costituisce un immenso ostacolo nel nostro ordine di studî. ReNnDICONTI. 1894, Vor. III, 2° Sem. 54 E — 410 — specie di movimenti ondulatorî, ma le cifre stesse per le due velocità da me sopra citate, ed il Milne in un breve articolo (!), in cui accenna al mio la- voro suddetto e non si mostra contrario alle mie idee, così esprime la sua opinione « I therefore imagine that the velocities of 2 or 3 kiloms. per second « refer to the propagation of a motion not unlike the swell upon an ocean ». « Scopo della presente Nota, è di far vedere come i metodi d’osserva- zione perfezionati ed il progresso degli studî siano venuti a confermare sempre meglio le idee da me espresse nella Memoria citata. E per dimostrare ciò, mi varrò di un terremoto per il quale si sono potuti raccogliere numerosi dati da molti osservatorî di prim'ordine italiani ed esteri. « Il 10 luglio scorso un fortissimo terremoto ebbe il suo epicentro nelle vicinanze di Costantinopoli. Molti apparecchi destinati a scopi differenti e si- tuati a grandissime distanze registrarono le ondulazioni del terreno e fornirono dati orarî in gran parte eccellenti, « Il Davison, raccolti molti di questi dati orarî, ha fatto uno studio in- teressante sulla velocità di propagazione delle onde sismiche (?). Egli dispone di tre dati orarî relativi a Costantinopoli, e cioè dell'ora fornita dal direttore di quell'imperiale Osservatorio meteorologico, e di quelle fornite dal Console generale inglese ed avute da due pendoli regolatori che trovavansi presso due differenti orologiai e che si fermarono al momento della scossa. Queste tre ore espresse in tempo medio di Costantinopoli, sono rispettivamente 12° 24" pom., 12° 20" 305 e 122 21" 455. Io ritengo che siano da accettare come più prossime al vero le ultime due, e fra queste la prima, per più ragioni. Anzi tutto perchè essendo fornite da due pendoli che si sono fermati, e quindi si sono potuti os- servare con agio, è da escludere in esse un errore materiale di lettura faci- lissimo altrimenti a commettersi; in secondo Inogo perchè essendosi tenuto conto in esse anche della frazione di minuto appariscono più attendibili, in terzo luogo perchè sono due ore quasi concordanti che stanno di fronte ad una terza notevolmente discordante, in quarto luogo perchè escludendo i dati orarî di Costantinopoli, e combinando fra loro i dati orarî di Nicolajew, Potsdam, Wilhelmshaven, Parc S. Maur e Kew, le quali stazioni è noto che sono so- lite fornir l'ora con precisione più o meno grande, si ottengono delle velo- cità per i rispettivi percorsi parziali che, come vedremo, combinano molto bene e fra loro e con quelle che si ottengono adottando le ore fornite dai due pendoli e specialmente dal primo, ma si accordano poco bene con quelle che risultano dall'ora fornita dall'Osservatorio meteorologico di Costantinopoli ; in quinto luogo finalmente perchè accettando quest'ultim'ora e combinandola con quelle fornite dalle principali stazioni sismiche italiane, ed in ispecie con quella di Roma, il cui valore è indiscutibile, risulterebbe la velocità di pro- (!) Seismological Journal, vol. III, pag. S9. (2) « Nature » Thursday, september 6, 1894, p. 450. — 4ll — pagazione di 18 chilometri a secondo, cifra questa che nello stato attuale della sismologia nessuno potrebbe seriamente ammettere, trattandosi special- mente di una distanza come quella che separa Roma da Costantinopoli, per la quale cioè non può avere influenza alcuna sensibile la profondità più o meno grande dell’epicentro. « Le stazioni prese in considerazione dal Davison ed i risultati da lui avuti in base all’ora dell'Osservatorio meteorologico di Costantinopoli sono i seguenti Distanze Intervallo Velocità STAZIONI dall’epicentro di tempo in chilometri in chilometri | in secondi per secondo | Bucharest se ee 416 131 8,18 Nicola]ewi. Ma. no 707 156 4,53 ROLO RI 1303 517 2,52 POts Aa e 1742 504 3,46 Wilhelmshaven (declin.). . . .. 2097 595 3,92 ” (DIS SE ” 655 3,20 ” (Lloyd's bal.) . ” 625 3,96 WKrechtR enne i nà 2185 540 4,05 E ArCASRE Mar ARE NA 2240 720 3,11 ew Ot rn 2518 780 3,28 | Da questa tabella risulta il valore medio per la velocità 3,42 = 0,13 km. a secondo. Ma il Davison nota che se si prendono le ore fornite dai due pendoli fermati si ottengono rispettivamente i valori medî 2,350 e 2,56 km. a secondo. Ed infatti coi dati orarìî dei due pendoli fermati ottengo la se- guente tabella | Differenza di tempo | Velocità Differenza di tempo| Velocità STAZIONI E ocio ce “RR Se, RE A a secondo B a secondo BUCHALeSt Me E I 841 62 266 1,6 INTCOlAYCWARA gi 366 iO) 291 2,4 Bolartenai 727 1,8 652 2,0 Potsdam st e enon 714 2,4 639 27 Wilhelmshaven (declin.) . . . 805 2,6 730 2,9 » (PIilo So 865 24 790 2,6 » (Llyd’s bal.) . 835 2,5 760 2,8 Utrecht se Se 750 29 675 3,2 Barca SM are 98 2,4 855 2,6 Reese e cenone te 990 2,5 915 2,7 LL _ _ _ —_—_—___________________________—_———_—_________________________— ll _ ___ t_ asi TT _——————@ "@——t« — 412 — Da questa tabella si ottengono per la velocità i valori medî 2,26 = 0,16 e 2,55 + 0,15 km. a secondo. « Per le ragioni già dette sono da accettare come più vicini al vero questi due valori. « Ed infatti escludiamo del tutto i dati orarî di Costantinopoli e com- biniamo in tutti i modi possibili le ore delle stazioni sopra accennate come quelle che sono più attendibili e si ha la seguente tabella Differenze Differenze Velocità STAZIONI i Renee di tempo percorsi parziali in chilometri in secondi chilomi RESTA Nicolajew-PRotsdam ft e Se 1035 348 3,0 ” Wilhelmshaven (decl.). ...... 1390 439 3,2 » ” (ER NERE 5 SUSTO 1390 499 2,8 » ” (Lloyd’s ball.) . . 1390 469 3,0 ” PATCOSOMAUTEN O e PR 1533 564 257 » Kewia artro RE 1811 624 2,9 Potsdam-Wilhelmshaven (decl.) . ....... 355 91 3,9 D ” (PI 355 151 2,4 » ” (Lloyd's bal.). . . . 355 121 2,9 N PALCOS MAMI na 498 216 2,8 PM (CE A E A e PALAIA AO o 776 276 2,8 Wilhelmshaven (decl.) - Pare S. Maur . ... 143 125 nol ” AIR 6 BOSE 421 185 2,3 ” (bifil.) - Parc S. Maur . ... 143 65 2,2 ” Rie LI, 421 125 3,9 ” (Lloyd's bal.) - Pare. S. Maur. 143 95 1,5 ” K'ewdfienoso 421 155 257 ParciS Mauro ew. smlo 278 60 4,6 Da questa risulta per la velocità di propagazione il valore medio 2,75 © 0,19 e questo è più prossimo a quelli (2,3 e 2,6) che si ottengono accet- tando le ore dei pendoli fermati, che a quello (3,4) che si ottiene in base allora dell'Osservatorio di Costantinopoli. « Fra i due valori 2,3 e 2,6 poi è da preferire il primo perchè fra due orologi ugualmente ben regolati e che per una data scossa di terremoto si fermano ad ore differenti, il primo che si ferma indicherà evidentemente l'ora — 413 — più prossima al vero e quest'ora potrà essere affetta da un errore in più ma non da un errore in meno. « Veniamo ora alla velocità che risulta dai dati orarî forniti da cinque fra le migliori stazioni sismiche italiane e precisamente da Rocca di Papa, Roma, Siena, Firenze e Pavia. 5 SA 3 (03 Ea CE STE o È |8£23 235 | Bg4 23 | Egm 3 8 se Rn o dio aio SS DL Lod Ria RAI daro pais giao $ Srazioni | #2 | 35 |2395]| 3811 ass| 531] 333) 387 ea gie See iii ses eee sa È SANS °a| A Sa | A ° 8 h'ginias s s Rocca di Papa| 1350 |112910(0)| 64 21,0 | 274 4,9 199 6,9 Roma. 13870 |112920 74 18,5 | 284 4,9 209 6,5 Siena. 1450 |112936 90 16,1 | 800 4,8 225 6,4 Firenze ....| 1470 |1129 0 54 27,2 | 264 5,6 189 7,8 Pedgia Sche 1650 |113087 | 151 10,9 | 361 4,6 286 5,8 Da questa tabella risultano la velocità media 18,1 km. a secondo in base all'ora fornita dall’Osservatorio meteorologico di Costantinopoli e le velocità 4,96 + 0,17 e 6,68 — 0,33 in base alle ore fornite dai due pendoli fermati. La prima è da escludersi per le ragioni già dette, e perchè non si conosce alcun corpo solido in cui la velocità di un moto ondulatorio qualsiasi arrivi a quel valore. Le altre due sono da accettarsi, ma fra queste è da preferire la prima perchè ottenuta in base all'ora più attendibile per la ragione di sopra esposta. « Potrebbe nascere il dubbio che io avessi scelto le cinque stazioni della tabella superiore per ottenere più facilmente l'intento desiderato. A rimuo- vere questo dubbio presento qui un'altra tabella in cui tengo conto di tutti i dati, nessuno escluso, forniti dal Supplemento 109 dell'Ufficio centrale di meteorologia e geodinamica. In questa tabella, per amore di brevità, tralascio i risultati che si ottengono basandosi sull’ora fornita dall'Osservatorio di Co- stantinopoli, e mi attengo solo a quelli che si hanno in base alle ore dei (1) Quest'ora non è quella che trovasi nel suppl. 109 del Bollettino dell’U. C. di me- teorologia e geodinamica, ma quella che corrisponde ai primi tremiti che ho scoperto in seguito nel diagramma dopo averlo esaminato con una lente d'ingrandimento. — 414 — due pendoli fermati, poichè, come abbiamo già visto, queste sono più pros- sime al vero. è 2 ® 3 C) 2E SE E Ea 3 séi | (588 [fsi | af |Sg® | as STAZIONI 528 CO e ea 3 n DÀ do NQ ma Na E) SoS esa | 588 Pio Sto -î colli 19) Angeli e Malagnini. SS da iran di AGR sogno (ha dal Svaio cdi ” CONCORSI A PREMI Elenco dei lavori presentati al concorso Saztoro pel 1894... 0... CORRISPONDENZA Corrispondenza relativa all'ecambio deglitgatiiiotit re BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. Ad el Ia REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCI. 1894 Speroni O, UBENEDCA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume III.° — Fascicolo 2° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 15 luglio 1894. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1894 LS ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Ti Uol 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è postà a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. DIA 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - @) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti nou vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. Laspesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1 — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2° MEMORIE dela Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3* MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. MoliVo Vi VIEGVIEESNILIT. Serie 3° — Transunti. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — IL (1, 2). — HII-XIX. MemMoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII Serie 4° — RenDICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MemoRrIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 5® — RenDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol CIRIE HT(1894) 2° SemabHasc. 1°, 2°. ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-III. (1894). — Fasc. 19-50. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AT RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCRI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. ll prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’Italia di L. 1®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULRrIco HoepLi. Milano, Pisa e Napo. —attonesort a Poesen ? IE — e) PR pere e — n © Loos LASA ti A RENDICONTI — Luglio 1894. ENEDANG E Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 15 luglio 1894. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Sella. Sui corpi di massima attrazione (presentata dal Socio Blaserna) . . . pro ae Folgheraiter. Origine del magnetismo nelle roccie vulcaniche del Lazio (pres. Ti) g sO) Grablovitz. Sulle indicazioni strumentali del terremoto giapponese del 22 marzo 1894 (e dal Corrispondente Z'acchini) . . . ba Pellizzari. Nuova sintesi del triazolo e AS suoi a eos da si Paterno) Star Angeli. Azione dell’acido nitroso sopra l’amminouracile e sopra l’amminoacetone (pres. dal Socio Cramician). etc. Sa. 0 A ELEZIONI DI SOCI Risultato delle elezioni nella Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Nomina dei signori: P. Tacchini a Socio nazionale; A. Piccini a Corrispondente; £. Rowland, A. von ‘Baeyern, 6: PresiwichtelG Hall\\aMSoG@stranieri E: 76 DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCOI. SEE ©, UBN TÀ: RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume III. — Fascicolo 3° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 5 agosto 1894. 35 TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PKOPRIEDÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI O SAI: SIPTRIO TOS (cibi 1994 RI kj hi I È Ki al hi I A È n'É ): 07 NWA BI FRNIA 4 Ò cà s 9 nd E) ZIA SIN | VITA! I AN Pets, ST) A 7 PS) ‘ ASS RAR A IP "1 o 2 NI DIN (RAG? EIA) NSA) $#} SS SIT = i ZZEZIIOZZNA zo tnt SOSIER TI ZzZCE nr? TCS pina ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Il; Col 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : ; 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei; qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. li. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - è) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa d. un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori. Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1% — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2* MEMORIE delta Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. 3 MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Volvo V.. VI VII VII. Serie 3* — TransUnTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4° — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-X. Serie 58 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, inatematiche e naturali. Vol. I, II, III (1894) 2° Sem. Fase. 1°-3°, ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-IHII. (1894). — Fasc. 1°-6°. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’Italia ii L. #9; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni sì ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LoescHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco HorepLi. — Milano, Pisa e Napoli. I n ne call E de E SEE I MAT ALII ui asini isa ttt. rasa sl nà date ana Dite ricci area tes; RENDICONTI — Agosto 1894. INID:FGE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 5 agosto 1894. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Bianchi. Sulle superficie i cui piani principali hanno costante il rapporto delle distanze da un punto fisso è 7 Pag. Ciamician e Boceris. Sulla RO delle Hive ni ed esperienze in- torno alla struttura dei nuclei azotati . i ” Ricci. Della equazione di condizione pei parametri on sistemi i di Re) Di ipharengoa ad un sistema triplo ortogonale (pres. dal Corrispondente Pad004) ” Garelli. Sui punti di congelamento di miscugli isomorfi (pres. dal Socio Ciamician) Giorgis. Sul ‘carbonato acido di tallio (presentata dal Socio Paterrò) » »” BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. SARE REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCUOI. 1894 SREOREnt QUEEN E A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume III.° — Fascicolo -i° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 19 agosto 1894. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1894 inn re Pe >} og > -i- _ eo den aree ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 sj è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre ì Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Peri Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche mateme4tiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l'Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei; qualora l'autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia ; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. li. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell'art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia, 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica, nell'ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall'art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondunti, 50 se estranei. La spesa d‘ un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. | Serie 1° — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. n | tti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. (3 Serie 2° — Vol. I. (1873-74). È Vol. II. (1874-75). Vol. TIT. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. de 2% MEMORIE dela Classe di scienze fisiche, matematiche e 1. 32 MEMORIE della Classe di scienze morali, SR storiche e filologiche. NobgiV avv: evEeVtI. Serie 32 — TRANSUNTI. Vol. I-VIII. (1876-84). hi MemoRrIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1,2). — II. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. i ‘Serie 4° — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. | Vol. I-VII. MemoRIE della (Classe di scienze morali, storiche e filologiche. î Vol. LX. 4 Serie 5° — ReNDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. n: Vol. I, II, III (1894) 2° Sem. Fase. 10-40. i RenpICcONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. î Vol. I-III. (1894). — Fasc. 1°-6°. i MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. i Noli i Ù ; CONDIZIONI DI AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI ci i Î I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due. ( volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- î denti ognuno ad un semestre. I :1 prezzo di associazione per ogni volume è per lulla | l’Italia di L. £0; per gli altri pacsi le spese di posta in più. ì Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti ) editori-librai : a Ermanno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. | Utrico HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. Ì Ù È È Hi ni sa RENDICONTI — Agosto 1894 FNBIDIEGE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 19 agosto 1894. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Piltarelli. Sulle assintotiche delle rigate contenute in uma congruenza lineare (presentata dal Socio: (Cremona) e Ia ERRORI EE Pag. Folgheraiter. Distribuzione del magnetismo nelle roccie vulcaniche del Lazio (pres. dal Socio Blaserna). . . ” Cantone Sull'atteto intero Ndeltinicheli(presV0 N66 Fontana. Sulla dilatazione termica dei bronzi di Allum.inio (pres. Id.) 0.0...» 111 117 122 129 AS DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI SERRE OMNIA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali \ Volume TII° — Fascicolo 53° 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 2 settembre 1894. ROMA TIPOGRAFIA. DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUGCI 1894 tr —atcòà ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Col 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- l Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. li 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi ac ‘ mdli se provengono da Soci o da Corr udenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com. missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statr%* * * *“Siderio ‘| . .tmraes. Al Socia È di far conoscere taluni sav. 0 rag:onamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla sempliee pro- posta dell'invio della Memori agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au: tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. e Serie 1° — Atti dell Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo i-XXIIl tti della Reale Accademia dei Lincei. Tome XXIV-XXVI Serie 22 — Vol. I. (1873-74). Vol. Il. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI 2% MEMORIE delia Classe di screnze fisiche matematiche e naturali 3% MEMORIE della Classe di scienze morali E storiche e filologiche WoESDEVE VESVI AVI SEVAE Serie 3* — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturale Vol. I. (1, 2). — II. (1, 2). — III-XIX. MEMORIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-XIII. Serie 4° — RENDICONTI Var_EVII. (1884-91). MEMORIE della v. ? di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I-VII. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologeche Vol. I-X. Serie 5° — RenpIcONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vol. I, II, INI (1894) 2° Sem. Fasc. 1°-5°. RenpIconTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Cress i Fasc. 1:30 _ Memor., della Classe di scienze morali, storiche e filologiche = MolSer È ST pa — lit = = = _ ——_—_—_—_—____ = E ____—- ———— _ —-. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta llitalia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni sì ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno Lorscner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrico HorpLi. — Milano, Pisa e Napoli. = pr an RENDICONTI — Settembre 1894. INDICE Glasse di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 2 settembre 1894. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Paternò e Montemartini. Sulle variazioni di volume nei miscugli dei liquidi, in relazione al comportamento crioscopico . . ERRE E Dip: Pittarelli. Altre osservazioni sulle assi ataliohe Hone or Ria i una congruenza lineare (presentata dal Socio Cremona) . . ” Arnò. Sull’impiego dell’elettrometro a quadranti come odo decine cu dal Socio Ferraris) . SLA, » Ascoli e Lori Sulla distribuzione mit) indotto sel ta ua dal SE aa) » Folgheraiter. Orientazione ed intensità del magnetismo permanente nelle roccie vulcaniche del Lazio (pres. /4.) BULLETTINO BIBLIOGRAFICO 59 148 PT REALE ACCADEMIA DEI LINCEI ANNO CCXCI. SERIE QUINTA RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Volume III -—- Tascicolo 6 2° SEMESTRE Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 16 settembre 1894. ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI N | 1894 È i] vil ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE Uol 1892 sì è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia ‘dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matemztiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- I Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note. presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8.L Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conelude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti,; 50. se estranei. La spesa di un numero di “copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. bo dente” Serie 1° — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIIl I Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2 — Vol. I. (1873-74). Vol. 1I. (1874-75). Vol. IN. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 23 MEMORIE delva Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali i 3° MeMoRIE della Classe di scienze morali 4 SII storiche e filologiche WolsgliVi SV VI: VILOVIII. Serie 3* — TransuntI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. | Vol. I. ( 2). o: II. (CR 2). = n I -XIX. H MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. fl Vol. I-XIII. | Serie 4° — RenpIconTI Vol. I-VII. (1884-91). | MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e natural | Vol. I-VII. MEMORIE dra Classe di scienze morali, storiche e filologiche ! Vol. I-X. ll Serie 5* — RenpICcONTI della Classe di scienze e matematiche e natural» i Vol. I, Il, III (1894) 2° Som. Fasc. 1°-69. ; ReNDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche ì Mole II (I89)— Fase. 10272 i a ca Classe di scienze morali, storiche e filologiche. î OIOSIE CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE Ì AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI | DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche di e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due | volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- i denti ognuno ad un semestre. | - Ai Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’Italia di L. £®; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermanno LorscHer & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico Horpri. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — settembre 1894. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 16 settembre 1894. MEMORIE E NOTE DI SOCI O PRESENTATE DA SOCI Paternò è Montemartini. IL paraxilene quale solvente nelle ricerche crioscopiche . . Pag. Zambiasi. La legge degli stati corrispondenti e i metodi di misura degli elementi critici (pre- _sentata dal Socio Blaserna). » Ascoli e Lori. Sopra il fattore ONE, nei ‘cilindri di o. (a Md) Brugnatelli. Osservazioni cristallografiche sull’acido picrico (pres. dal Socio Stràdver) »” PERSONALE ACCADEMICO Annuncio della morte del Socio straniero Hermann von Helmholtz. CORRISPONDENZA Corrispondenza relativa al cambio degli Atti STIA REALE ACCADEMIA DEI LINCEI. ANNO CCXCI. 1564 eee SPERO UBENTT A RENDICONTI Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. — Volume IX. — Fascicolo 7 2° SEMESTRE Comumicazioni pervenute all’ Accademia prima del 7 ottobre 1894. TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 1894 ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Col 1892 si è iniziata la Serre quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1.1 Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- J Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un'annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono * portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei» qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4.I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. II. 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro- priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono -da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 5) Col desiderio di far conoscere taluni fatti 0 ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra: ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’ invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 3. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale sì avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5.L' Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci 0 Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è mersa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia der Lince). Serie 1° — Atti dell’Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo I-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 2% MEMORIE delia Classe di scerenze fisiche, matematiche e naturali 3 MEMORIE della Classe di scienze mora. storiche e filologiche Vol. IV. V. VI. VII. VIII. Serie 3° — TransontI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e natural. Vol. TE (1, 2). oi II. (1, 2). Prima II -XIX. MemoRIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII. Serie 4* — RenpiconTI Vol. I-VII. (1884-91). MemMoRIE della Classe di science fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. io dela Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ol. I-X. Serie 5 — RENDICONTI della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I, II, III (1894) 2° Sem. Fase. 19-79. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-III. (1894). — Fasc. 1°-8°. ont TE Classe di scienze morali, storiche e filologiche. OL. L CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l’litalia di L. 1@; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermnnno LorscHeR & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULrIco Hoepui. — Milano, Pisa e Napoli. RENDICONTI — Ottobre 1894. RINDDANC:E Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del ? ottobre 1894. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Stiacci. Sulle tensioni di un sistema elastico articolato . . . Lasi Paternò « Montemartin. Sul massimo abbassamento nella naso fi congelamento dei miscugli . ” De Paolis. Teoria generale delle E, io e degl ER an nelle forme fondamentali a due dimensioni . . . . . altre ra fo ce e SE 0? Segre. Nota sul precedente lavoro . ” Pittarelli. Le assintotiche delle rigate ar RE genere Gata Dn (on PES di una congruenza lineare (presentata dal Socio Cremona) . . . 8537) Simonelli. Appunti sulla costituzione geologica dell'Isola di Candia Gi dal SCUO Cn ” CORRISPONDENZA Corrispondenza relativa al cambio deci Atti 0. Aa BULLETTINO BIBLIOGRAFICO. 205 215 225 227 229 236 241 i ANNO CCXCI. 1894 i Sri] OUENTA wa RENDICONTI | i | Classe di scienze fisiche matematiche e naturali. ì Volume III° — Fascicolo $ | 2° SEMESTRE | Comumicazioni pervenute all’ Accademia prima del 2A ottobre 1894. | I | | i ROMA | ) TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI | 1894 i ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I Uol 1892 si è iniziata la Serze quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti : 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 3. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei - qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia f>tta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta sta nte, una Nota per isentto. I 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro: priamente dette, sono senz’ altro inserite neì Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra ziamento all’ autore. - d) Colla semplice pro- posta dell'invio della Memoria agli Archivi dell’ Accademia. 8. Nei primi tre casi, previsti dall’ art. pre- cedente, la relazione è letta in seduta pubblica nell’ ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale si avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1° — Atti dell Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIIl. tti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). i Vol. III. (1875-76). Parte 1% TRANSUNTI. 2% MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali 3% MEMORIE della Classe di scienze morali, È È storiche e filologiche VOISSRVE TV. VI VILISIVIbET " Serie 3: — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MEMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali Vee (0) ea 00). — TEX MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIII Serie 4° — RenpICONTI Vol. I-VII. (1884-91). MeMORIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. pe Sio Classe di scienze morali, storiche e filologiche. OL. i. Serie 5° — RENDICONTI della Classe’ di scienze fisiche, matematiche e natural. | Vol. I, II, III (1894) 2° Sem. Fasc. 1°-8°. RENDICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche Vol. I-III. (1894). — Fase. 1°-8°. A UORIE fa Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ol. CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI ‘DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- | denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta l'italia di L. 1@: per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente cai seguenti editori-librai : | Ermnnno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. ULgico Horpi. — Milano, Pisa e Napoli. reo piero nn RENDICONTI — Ottobre 1894. INDICE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Comunicazioni pervenute all'Accademia prima del 21 ottobre 1894. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Siacci. Sulle tensioni di un sistema elastico articolato —. . . .... . .... « Pag. Paternò è Crosa. Ricerche sulla Sordidina . . . . Danti Pattarelli. Correzione alla Nota: Sulle linee i iche ci una close di CONCORSI A PREMI Blaserna (Segretario). Comunica l’elenco dei lavori presentati al concorso Santoro, scaduto il 80 giugno 1894 ’ ° n è . ° Di n . ni ° . . . . ° . e 2 è A S 53 - be) CORRISPONDENZA Blaserna(Segretario). Dà conto della corrispondenza relativa al cambio degli Atti . . . » BULLETTINO BIBLIOGRAFICO (*) Note che saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. 275 278 SAREI DELLA REALE ACCADEMIA DEI LINCRI ANNO CCXAOI. 39 ———_—_—___—z SEEIPEgsR Q UsenN: TA Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta: del 25 Novembre 1894. Volume III° - Fascicolo ‘10 2° SEMESTRE ROMA TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI ESTRATTO DAL REGOLAMENTO INTERNO PER LE PUBBLICAZIONI ACCADEMICHE I. Uol 1892 si è iniziata la Serse quinta delle pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Inoltre i Rendiconti della nuova serie formano una pubblicazione distinta per ciascuna delle due Classi. Per i Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali valgono le norme seguenti ; 1. I Rendiconti della Classe di scienze fi- siche matematiche e naturali si pubblicano re- golarmente due volte al mese; essi contengono le Note ed i titoli delle Memorie presentate da Soci e estranei, nelle due sedute mensili del- ] Accademia, nonchè il bollettino bibliografico. Dodici fascicoli compongono un volume, due volumi formano un’annata. 2. Le Note presentate da Soci o Corrispon- denti non possono oltrepassare le 12 pagine di stampa. Le Note di estranei presentate da Soci, che ne assumono la responsabilità, sono portate a 8 pagine. 8. L'Accademia dà per queste comunicazioni 50 estratti gratis ai Soci e Corrispondenti, e 25 agli estranei: qualora l’autore ne desideri un numero maggiore, il sovrappiù della spesa è posta a suo carico. 4. I Rendiconti non riproducono le discus- sioni verbali che si fanno nel seno dell’Acca- demia; tuttavia se i Soci, che vi hanno preso parte, desiderano ne sia fatta menzione, essi sono tenuti a consegnare al Segretario, seduta stante, una Nota per iscritto. I 1. Le Note che oltrepassino i limiti indi- cati al paragrafo precedente, e le Memorie pro - priamente dette, sono senz’ altro inserite nei Volumi accademici se provengono da Soci o da Corrispondenti. Per le Memorie presentate da estranei, la Presidenza nomina una Com- missione la quale esamina il lavoro e ne rife- risce in una prossima tornata della Classe. 2. La relazione conclude con una delle se- guenti risoluzioni. - a) Con una proposta di . stampa della Memoria negli Atti dell’Accade- mia o in sunto o in esteso, senza pregiudizio dell’ art. 26 dello Statuto. - 3) Col desiderio di far conoscere taluni fatti o ragionamenti contenuti nella Memoria. - c) Con un ringra- ziamento all'autore. - d) Colla semplice pro- posta dell’invio della Memoria agli Archivi dell'Accademia. i 3. Nei primi tre casi, previsti dall art. pre- cedente, la relazione è letta în seduta pubblica, nell ultimo in seduta segreta. 4. A chi presenti una Memoria per esame è data ricevuta con lettera, nella quale sì avverte che i manoscritti non vengono restituiti agli autori, fuorchè nel caso contemplato dall’art. 26 dello Statuto. 5. L'Accademia dà gratis 75 estratti agli au- tori di Memorie, se Soci o Corrispondenti, 50 se estranei. La spesa di un numero di copie in più che fosse richiesto, è messa a carico degli autori Pubblicazioni della R. Accademia dei Lincei. Serie 1" — Atti dell'Accademia pontificia dei Nuovi Lincei. Tomo 1-XXIII. Atti della Reale Accademia dei Lincei. Tomo XXIV-XXVI. Serie 2* — Vol. I. (1873-74). Vol. II. (1874-75). Vol. III. (1875-76). Parte 1* TRANSUNTI. 22 MEMORIE delia Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali 32 MEMORIE della Classe di scienze morale, ga : storiche e filologiche ; Vol. IV. V. VI. VII. VII Serie 3° — TransunTI. Vol. I-VIII. (1876-84). MemoRIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I. (1, 2). — Il. (1, 2). — III-XIX. MemorIE della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-XIIIL Serie 4* — RenpIcONTI Vol. I-VII. (1884-91). MemorIE della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Vol. I-VII. RERIORIE o Classe di scienze morali, storiche e filologiche. ol. I-X. Serie 5° — ReNDICONTI della Classe di scienze pe matematiche e naturale. Vol. I, II, III (1894) 2° Sem. Fasc. 1°-10°, RenpICONTI della Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Vol. I-II. (1894). — Fasc. 1°-90, ne LE Classe di scienze morali, storiche e filologiche. OLE CONDIZIONI DI ASSOCIAZIONE AI RENDICONTI DELLA CLASSE DI SCIENZE FISICHE, MATEMATICHE E NATURALI DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI I Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali della R. Accademia dei Lincei si pubblicano due volte al mese. Essi formano due volumi all'anno, corrispon- denti ognuno ad un semestre. Il prezzo di associazione per ogni volume è per tutta lIitalia di L. 1®:; per gli altri paesi le spese di posta in più. Le associazioni si ricevono esclusivamente dai seguenti editori-librai : Ermnnno Loescner & C.° — Roma, Torino e Firenze. Urrico Horru.. — Milano, Pisa e Napoli. % RENDICONTI — Novembre 1894. RINEDRICIE Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali. Seduta del 25 novembre 1894. MEMORIE E NOTE DI SOCI 0 PRESENTATE DA SOCI Agamennone. Velocità superficiale di propagazione delle onde sismiche, in occasione della grande scossa di terremoto dell'Andalusia del 25 dicembre 1884 (presentata dal Socio Mad), + 5 7 VIEoRag: Carrara e Gennari. mcr Sar, Frs Aetnolitica in o cn I rotatorio ottico (pres. dal Corrispondente Masizi) . . Me. >; Zoppellari. Sulla rifrazione atomica del Selenio (Ro 1a) Me: Candiani. Sul trisolfuro di etenile (pres Id.) . . . . » CEL Biginelli. Nuova sintesi di Cumarine (pres. dal RL a ce RE Marchetti. Sopra un nuovo alcool della lanolina (pres. Id.) Agamennone. Sulla variazione della velocità di propagazione dei terremoti, attribuita alle onde trasversali e longitudinali (pres. dal Socio Tacchini). . . » Cancani. Sulle due velocità di propagazione del terremoto di Cosizulidonoti del 10 luglio 1894 (PICS) ESSE stu RSI, Artini. Appunti di mineralogia icona. — Antimonite o di Cetino (e dal Sio So) RL) (*) Note che saranno pubblicate nei prossimi fascicoli. A pisa st. Ve aan rie mode oa ‘ero nti ppt i CUS so | ira Spa TTE REESE a mitica ii TRITATE st Ai Re E iii r* CI re, NOnnE bia ta TS eritrea Ln nie inerente in na ET A LES Lg E sO sa Rai Re ripe seem acero Pri aria Aero Saura niro ti seltatai bietole ie. ridi cpr era rara ° sà ii srane aaa " e TERA i A STITUTION LIBRARIES LAU, 3 9088 01356 8571 Il Ò ini leataea su - PIATTI ATAIORO TE ciscaettmanelena FRITTO RATIO E FENIIAI aa 5 "i pra + La peer res È n) Ma > ; atea ara ct rcabea] = . + x 2 SITI E N e II TIA N pt TT tant pagucei ul cre riot z ru naracpisa n ia sintesi ria lee ri STAR] EI ct dia pin pn darmi i a Le “Nene pericoli rr o e è ; recare ftectrecnsna na a dano Ren earn : > pied ie n e nd MP dti A = Nitra MITTENTE LORI e TATO RR > rlrroanstost re et